The second chance

di xX__Eli_Sev__Xx
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 25 ***
Capitolo 26: *** Capitolo 26 ***
Capitolo 27: *** Capitolo 27 ***
Capitolo 28: *** Capitolo 28 ***
Capitolo 29: *** Capitolo 29 ***
Capitolo 30: *** Capitolo 30 ***
Capitolo 31: *** Capitolo 31 ***
Capitolo 32: *** Capitolo 32 ***
Capitolo 33: *** Capitolo 33 ***
Capitolo 34: *** Capitolo 34 ***
Capitolo 35: *** Capitolo 35 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


The second chance

CAPITOLO UNO

 
 L’aereo atterrò sulla pista che erano appena passate le 22.
 Hank, Logan, Charles e Erik uscirono dal portello e l’aria primaverile li colpì in pieno volto rinfrescandoli dopo il lungo viaggio da Washington. Uscirono dall’aeroporto con passo spedito dopo che Charles ebbe convinto i guardiani che il loro atterraggio era stato autorizzato e si incamminarono per la strada deserta.
 La casa di Charles non era lontana, ma dopo varie ore seduti, i quattro arrivarono più stanchi che mai. Aprirono il cancello, attraversarono velocemente il giardino e dopo aver salito la scalinata, Charles aprì la porta d’ingresso.
 Quando varcarono la soglia, i quattro videro che la luce della cucina era accesa. Qualcuno si stava muovendo al suo interno, muovendo le stoviglia. Un’ombra era proiettata sul muro del corridoio e stava camminando per la stanza. C’era qualcuno che li aspettava. Forse qualcuno che sapeva dove abitava il professor X, che sapeva bene che era amico di Erik e che voleva fargli confessare dove lo teneva nascosto. O forse era un agente della CIA e…
 Charles rimase immobile per qualche secondo, poi avanzò, diretto in cucina.
 Senza esitare, Logan, Hank e Erik gli andarono dietro. Percorsero il corridoio, svoltarono a sinistra e quando entrarono in cucina, si bloccarono alla spalle di Charles.
 Charles sorrise. «Charlotte!» esclamò allargando le braccia.
 Una ragazza era in piedi accanto al lavandino, intenta a bere un bicchiere d’acqua. Era qualche centimetro più alta di Charles. Aveva capelli biondi e grandi occhi blu e la pelle pallida quanto quella del professor X.
 «Ciao, Charles!» disse sorridendo. «Finalmente sei arrivato. Credevo avessi perso la strada di casa.»
 «Ti mancavo già, eh?» disse lui abbracciandola forte e stampandole un bacio sulla guancia. «Ma guardati… sei sempre più bella.»
 Lei arrossì violentemente e abbassò lo sguardo, per poi sollevarlo immediatamente e sorridere. «E invece tu sei sempre più trasandato.» gli accarezzò i capelli e la barba e rise. «Dovresti tagliarti i capelli.»
 Charles sorrise.
A quel punto la ragazza si voltò e passò in rassegna i volti dei presenti. Quando incontrò il viso famigliare di Hank, sorrise. «Ciao, Hank.» lo salutò. «Come stai?»
 «Ciao.» replicò lui. Avanzò, allargò le braccia e la strinse a sé. «Sto bene, grazie, Lot. E tu? Hai fatto buon viaggio?»
 «Sì, è stato lungo ma rilassante. Ho avuto tempo di pensare.» ridacchiò. Sorrise e poi sollevò una mano per salutare Logan e Erik, ancora in piedi, immobili sulla soglia della cucina. «Ciao.»
 «Ciao.» risposero i due, confusi da quella situazione.
 «Lei è Charlotte, mia sorella.» la presentò Charles. «Charlotte, lui è Logan Howlett.» disse volgendosi verso la sorella e indicando il più alto dei due.
 Charlotte avanzò e gli strinse la mano. Sorrise. «Molto lieta, Logan.»  
 «Piacere di conoscerti.» rispose lui con un sorriso accennato.
 «E lui» continuò il professor X, indicando l’altro «È Erik Lehnsherr. Forse lo conoscerai come Magneto.» aggiunse con una nota di disprezzo nella voce. «La sua fama lo precede.»
 Lei ignorò i commenti del fratello e sorridendo si avvicinò a Erik. I loro occhi blu si incrociarono e per un momento si studiarono.
 «Ciao, Erik.» salutò alla fine Charlotte. «È un piacere conoscerti.» e gli porse la mano.
 Il mutante abbassò lo sguardo sulla mano di lei e dopo un momento la strinse e, con la sua voce calda e dal marcato accento tedesco, sussurrò un: «Piacere mio.»
 A quel punto Charles intervenne nuovamente. «Bene, adesso che l’avete conosciuta, passo a spiegarvi.» esordì. «Andiamo in salotto.»
 Tutti annuirono e si avviarono verso il salotto, ansiosi di sapere perché la sorella del professor X fosse lì. La stanza era calda e accogliente come sempre. Il fuoco scoppiettava nel camino proiettando le sue ombre sui muri e sulla libreria che correva lungo la parete di fondo della stanza.
 Charles, Hank e Charlotte presero posto sul divano, mentre Erik e Logan si accomodarono davanti a loro sulle due poltrone gemelle, in attesa che il professor X procedesse con delle spiegazioni.
 «Charlotte è una mutante, proprio come noi.» cominciò il professore, poggiando una mano sulla spalla alla sorella. «Ma non è come tutti gli altri. Al contrario della maggior parte di noi è molto potente. Le abilità che possiede sono multiple e non si limitano a un solo campo d’azione ma a svariati. E potrebbe esserci molto utile nel compito che dobbiamo svolgere.»
 «Ok.» disse Logan annuendo. «Quindi qual è il suo potere?» domandò poi poggiando i gomiti sulle ginocchia e osservandola attentamente. Charlotte aveva un fisico alto e slanciato, capelli corti e biondi, grandi occhi blu ed era esile, troppo esile per essere una mutante dai grandi poteri, come Charles l’aveva definita. «Senza offesa, ma non sembra una grande minaccia.» disse volgendosi verso di lei, che sorrise.
 «Ti consiglio di non sottovalutarla, Logan.» lo avvertì il professore. «Mia sorella è molto più potente e pericolosa di quanto non sembri. Il suo viso angelico sembra essere solo di facciata.» ridacchiò voltandosi verso di lei. «È una combina guai per natura e credo che se potesse ricevere un addestramento adeguato, potrebbe diventare pericolosa anche per persone esperte come noi.»
 «D’accordo, Charles. Questo l’hai già detto.» intervenne Erik. «Ma noi vogliamo sapere, in pratica, che cosa più fare e in che modo la sua presenza potrebbe esserci utile. Non dimenticare che è solo una ragazzina.» concluse e le rivolse un’occhiata penetrante.
 Charlotte non sembrò infastidita da quel commento. Non cambiò espressione, né tentò di ribattere. Si limitò ad osservarlo, con un mezzo sorriso dipinto sulle labbra.
 Charles annuì e rise. «È vero, è molto giovane, ma sareste sorpresi di sapere ciò che può fare.» spiegò e le poggiò una mano sul ginocchio. «La mia Charlotte oltre a padroneggiare con destrezza le arti magiche, può controllare gli elementi, può passare attraverso le pareti, può leggere nel pensiero, può creare portali e teletrasportarsi ovunque lei voglia solamente pensando intensamente alla destinazione. E inoltre può…» si bloccò, voltandosi verso la sorella. «Vuoi mostrarglielo tu?»
 Lei sorrise. «Ok.» si alzò in piedi e si mise al centro della stanza. Allungò le mani davanti a sé e chiuse gli occhi. Dopo qualche secondo, le sue mani vennero avvolte da un fascio di luce di un pallido colore blu. Quando chiuse le mani e il bagliore scomparve nuovamente, strette in pugno aveva due katane. Le fece roteare in aria e sorrise.
 «Per la miseria» si lasciò sfuggire Logan, osservandola a occhi spalancati.
 Lei sorrise. «So come utilizzare i miei poteri.» spiegò. «Il problema è che non ho mai avuto occasione di provarli. Non sono molto forte e se dovessi partecipare ad un combattimento corpo a corpo o agire in una situazione di pericolo, non saprei come farlo.»
 «Ma come, Charles non te lo ha insegnato?» lo stuzzicò Erik, voltandosi verso il professore con sguardo eloquente.
 «Charlotte ha avuto di meglio da fare.» spiegò il telepate. «Ha finito la scuola e adesso è pronta per imparare tutto ciò che c’è da sapere. Ed è pronta per unirsi a noi nella causa e a ritrovare Raven.»
 Charlotte annuì e fece scomparire le lame. «Soprattutto per trovare Raven.» precisò.
«Credi che e dovessimo trovare Raven riuscirebbe a convincerla a desistere da uccidere Trask?» domandò Hank, guardando Charles. «Sono sempre state molto legate, ma è anche vero che abbiamo poco tempo per prepararla. Potrebbe essere pericoloso, Charles.» concluse.
«Per questo dobbiamo essere rapidi e prepararla a tutto.» replicò Charles.
 
ANGOLO DELL’AUTRICE
Ciao a tutti! Come state?
Dopo varie One-shot, in questo fandom, mi cimento in questa long… Come potete vedere ho introdotto un nuovo personaggio: Charlotte Xavier (che fantasia hanno avuto i signori Xavier, con i nomi!).
Molte cose sono diverse, rispetto al film, ho apportato delle modifiche per comodità! ;D
Spero tanto che vi piaccia, recensite in tanti e fatemi sapere!
Pubblicherò a giorni alterni, quindi il prossimo verrà postato Martedì!
Kiss, kiss, Eli.
[Revisionato il 18/12/2015]
 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


The second chance


CAPITOLO DUE

 
  Charlotte il mattino seguente si svegliò presto. Erano appena le sette, ma decise comunque di scendere in cucina per fare colazione, in modo da essere pronta per l’allenamento che l’aspettava insieme a Logan.
 Si vestì e dopo essersi pettinata e lavata raggiunse la cucina. Appena ebbe varcato la soglia, si accorse che seduto al tavolo c’era Logan, intento a fumare un sigaro. Probabilmente anche lui aveva avuto la sua stessa idea.
 «Buondì» disse lei entrando. «Dormito bene?»
 «Ciao» rispose lui accennando un sorriso. Wolverine aggrottò le sopracciglia. Come poteva essere così solare e allegra? Tutti i mutanti erano tormentati, spaventati dal loro potere e timorosi di ciò che potevano fare. Ma lei no. Forse la differenza era che essendo cresciuta con qualcuno come Charles che non aveva mai tentato di reprime il suo potere, anche lei avesse finito per accettarsi.
 «Logan?» lo chiamò Charlotte, cercando il suo sguardo.
 «Sì.» replicò l’uomo. «Scusa, ero distratto.»
 «Hai fame?» chiese la ragazza avvicinandosi alla credenza e aprendola.
 «Sì.» rispose Wolverine spegnendo il sigaro nel posacenere.
 La ragazza rovistò nella credenza in cerca di qualcosa da mangiare. «D’accordo. Abbiamo… nulla. Assolutamente niente. E zero cibo. Charles deve vivere d’aria.» concluse voltandosi verso di lui. Si schiarì la voce. «Ti va del caffè?»
 Lui annuì e quando lei glielo porse, la ringraziò.
 Charlotte si sedette di fronte a lui e si preparò latte e cereali. Osservò Logan per qualche istante, poi parlò. «Qual è il tuo potere, Logan?»
 Lui sollevò lo sguardo e dopo aver sospirato sollevò le mani e le chiuse a pugno.
 Lei lo osservò perplessa, poi ad un tratto, da accanto alle nocche fuoriuscirono degli artigli lunghissimi. «Oh, cavolo!» esclamò entusiasta, a bocca aperta. «È fantastico.»
 Logan aggrottò le sopracciglia e ritirò gli artiglio. «Sei la prima a trovarlo fantastico.» concluse abbassando lo sguardo per tornare ad osservare la sua tazza di caffè fumante.
 Charlotte sorrise, poi riprese. «Non hai incontrato molti mutanti, nella tua vita, vero?»
 L’uomo fece spallucce.
 «Scommetto che sei un tipo solitario.»
 «Mi leggi nel pensiero?» scherzò riportando lo sguardo sul volto di lei.
 «No.» ridacchiò la ragazza. «Ma si vede.»
 Dopo aver finito la sua colazione, Wolverine si voltò verso la finestra e parlò ancora. «Vado a fare una corsa. Ti aspetto in cortile per l’allenamento. Non mangiare troppo o vomiterai tutto subito dopo.» l’avvertì indicando la tazza.
 «Ha intenzione di strapazzarmi per bene, eh?»
 Logan fece spallucce. «Voglio prepararti nel modo adeguato.»
 «D’accordo.» concluse lei e gli sorrise. «A dopo.»  
 E Logan si alzò e uscì, lasciandola sola.
 Il silenzio tornò ad avvolgerla.
 Ogni cosa in casa era tranquilla. Nulla si muoveva, proprio come la sera precedente. Villa Xavier non era mai stato un posto allegro. Quando i suoi genitori erano ancora vivi, preferivano la tranquillità al disordine creato da lei e suo fratello, perciò, di solito, i due passavano le loro giornate nel giardino dietro casa ad azzuffarsi e correre.
 Un rumore improvviso la fece voltare verso la porta.
 «Ciao» disse vedendo Erik fermo sulla soglia con la spalla poggiata allo stipite.
 Stava sorridendo beffardo e la stava osservando curioso, quasi fosse un fenomeno da baraccone o non avesse mai incontrato una ragazza prima di allora.
 «Ciao.» rispose lui e avanzò. Si sedette accanto a lei e prese una delle tazze vuote che lei aveva poggiato sul tavolo. Poi allungò una mano verso la caffettiera e la fece levitare verso di sé per poi inclinarla per versare il caffè nella piccola tazza in ceramica.
 Charlotte lo osservò stupita e sorrise. «Wow, è straordinario.» disse «Come fai?»
 «Tu hai i tuoi trucchi, io ho i miei.» rispose lui, sorridendo.
 La ragazza rise e aggrottò le sopracciglia. «Mi sembra giusto.» i loro occhi si incontrarono per un momento e a lei sembrò che non fosse la prima volta. Ebbe l’impressione di averlo già incontrato, di aver già incrociato quello sguardo, prima di allora. Arrossì e per nasconderlo riprese. «Ma credo che il tuo trucco sia invertire la polarità del campo magnetico presente nelle tue mani per fare in modo che agiscano come calamita.» concluse.
 «Resta fuori dalla mia testa.» disse soltanto Erik.
 Charlotte scosse il capo. «Non violerei mai la tua privacy.» fece notare. «Non mi piace entrare nella testa altrui. Soprattutto in quella degli uomini. È come vagare in una stanza vuota.» concluse, vendicandosi per tutti gli insulti velati e le frecciatine che lui le aveva lanciato. «Zucchero?» domandò poi, porgendogli la zuccheriera e interrompendo il contatto visivo.
 Lui la osservò ancora per qualche secondo, poi annuì. Prese un cucchiaino, fece cadere un po’ di zucchero nella tazza e poi cominciò a mescolare semplicemente muovendo la mano, ignorando completamente la ragazza.
 «Buongiorno, Charlotte.» disse Charles sorridendo ed entrando in cucina. «Erik» disse rivolgendosi all’altro mutante con freddezza.
 «Ciao, Charles» replicò Charlotte.
 Erik si limitò a sollevare una mano.
 Charles prese un tazza di caffè e poi si congedò nuovamente dicendo che sarebbe andato a lavorare con Hank in laboratorio.
 Una volta uscito, Charlotte si voltò nuovamente verso Erik. «Cosa vi è successo?» domandò «Mi era sembrato di capire che foste amici, una volta.»
 Magneto abbassò lo sguardo. «Ultimamente non andiamo molto d’accordo.»
 «È per la questione di Kennedy?» domandò lei.
 Charles le aveva detto, prima di invitarla a venire a vivere nella sua casa, che con lui ci sarebbero stati Wolverine, Hank e Magneto, l’uomo che aveva ucciso il presidente Kennedy poco tempo prima. Charlotte era rimasta sbigottita, credeva che avessero già individuato il vero assassino del presidente e che questo a sua volta fosse stato ucciso, ma Charles aveva smentito tutto, raccomandandole di stare il più lontano possibile da Erik, che era evidentemente un individuo pericoloso.
 Erik sembrò perplesso. «Esattamente, cosa ti ha raccontato Charles di me?» domandò.
 Lei sorrise. «Beh, che eravate grandi amici e che hai ucciso Kennedy.» spiegò. «Non è stato molto preciso riguardo al resto.»
 «Anche se fosse?» domandò lui. «Se avessi ucciso Kennedy avresti una buona scusa per odiarmi e trattarmi come un mostro?»
 Charlotte scosse il capo. «Guarda che io non ti odio.» replicò «Perché dovrei? Ti ho appena conosciuto. Potresti essere l’uomo migliore del mondo e semplicemente essere stato frainteso.» spiegò con un’alzata di spalle. «Quando ti avrò conosciuto come si deve deciderò se odiarti o no.»
 «Ma come?» chiese lui, voltandosi completamente verso di lei. «Charles non si è raccomandato con te, di starmi lontana? Potrei farti del male.»
 «Perché?» chiese lei. «Non ti ho fatto nulla.»
 «Sono malvagio.»
 Charlotte sollevò le sopracciglia. «È quello che gli altri dicono di te.»
 «È quello che sono.»
 Lei rise. «No, non credo proprio, Erik Lehnsherr.» replicò «A me sembri soltanto un uomo molto solo che ha un passato oscuro che lo perseguita e che crede lo possa definire.» sussurrò. «E poi nessuno è mai completamente buono o cattivo. Abbiamo tutti il nostro lato oscuro. Prima o poi dobbiamo affrontarlo. E credo che tu lo stia facendo proprio in questo momento.»
 Erik scosse il capo, divertito. «Scusa, ma quanti anni hai?»
 «Venti.» rispose lei.
 «Parli come una donna matura.»
 «Non si può essere maturi già a vent'anni?» domandò la mutante, con un mezzo sorriso.
 «Sei una ragazzina.» fece notare l’altro. «Non hai visto abbastanza del mondo per definirti matura.» concluse. «E per la cronaca: sembri molto più giovane.»
 «Davvero?» chiese lei, con un sorriso. «E tu invece saresti molto più maturo di me?»
 «Be’ ho trentadue anni.» rispose. «Sono di certo più esperto di te.»
 «Sembri più vecchio, Magneto.» concluse Charlotte ridacchiando. Era fin troppo semplice, prenderlo in giro. «E fra parentesi, l’età è solo un numero. Non c’è nessuna differenza tra me e te.» si mise in piedi e si avvicinò per poggiare la sua tazza nel lavello.
 «Tu credi?» domandò. «Io invece credo di sì. Sono più vecchio perciò ho più esperienza.»
 Charlotte si volse e si poggiò al piano cucina per guardare l’uomo negli occhi. «L’esperienza è solo il nome che diamo ai nostri errori.» affermò.
 «Oscar Wilde.» disse Erik, ammirato «Davvero brava.»
 «Grazie.» rispose lei, sorridendo.
 Lui la guardò ancora per qualche secondo e poi uscì dalla stanza.
 
ANGOLO DELL’AUTRICE
Ciao a tutti! Ecco che come promesso pubblico il secondo capitolo della mia long.
Giovedì il prossimo. ^.^
Eli
[Revisionato il 18/12/2015]
 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


The second chance

 

CAPITOLO TRE

 
 
 «Allenerai prima il fisico.» spiegò Logan fermo al centro del giardino dietro casa, accanto a Erik che stava osservando la scena alquanto divertito. «Solo in seguito allenerai la mente per controllare gli altri poteri. Ma a quello penserà Charles.» concluse.
 Charlotte annuì. Aveva indossato dei pantaloni corti e una canottiera ed era ferma a qualche metro dal mutante ad ascoltare cosa le avrebbe insegnato quel giorno.
 «Hai mai praticato sport a scuola?» domandò il mutante.
 «No, a parte le ore di ginnastica obbligatorie.» rispose lei.
 Logan annuì. «D’accordo. Cominciamo.» esordì e le si avvicinò. «Adesso tenterò di colpirti e tu dovrai cercare di parare i miei colpi senza utilizzare i tuoi poteri. Sai come si fa?»
 «Devo tenere alta la guardia e tentare di prevedere le tue mosse.» rispose lei.
 «Bene.» concluse. «Pronta?» chiese e quando la vide annuire, parlò nuovamente. «In guardia.»
 Rimasero per un momento immobili, poi lui le sferrò un pugno.
 Lei lo parò con l’avambraccio, ma quando lui si mosse per colpirla ancora, la mise al tappeto afferrandola per un braccio e facendole lo sgambetto.
 La mutante cadde a terra sulla schiena e gemette per il dolore.
 «Tutto ok?» domandò Logan.
 «Credo di essermi rotta una costola.» ironizzò lei, mettendosi seduta.
 Lui le porse la mano e l’aiutò ad alzarsi da terra.
 «Riproviamoci.» disse Charlotte.
 Wolverine annuì, ma anche al secondo tentativo la mandò al tappeto.
 La ragazza si mise in piedi, massaggiandosi le braccia, su cui erano comparsi due grossi lividi dove Logan l’aveva afferrata per metterla a tappeto.
 «Forse sono troppo forte per te.» disse il mutante dopo averci pensato un momento. «Provaci tu.» disse rivolto a Erik.
 L’altro rise e avanzò. «D’accordo.» concesse. «Ma non piagnucolare quando avrò finito.» disse rivolta alla mutante.  
 Charlotte si rimise in piedi e sorrise. «È bello che ti preoccupi per me, Erik. Davvero toccate.» lo stuzzicò. «Ma non preoccuparti, non piangerò. Non sono il tipo.»
 Logan ridacchiò.
 Quando Erik attaccò la ragazza, lei riuscì a resistergli più a lungo, ma alla fine cadde nuovamente a terra sulla schiena, dopo cinque pugni ben assestati.
 Logan le porse nuovamente la mano per aiutarla ad alzarsi. «Sei troppo esile, Charlotte. Non hai muscoli.» spiegò. «Dobbiamo trovare un altro modo, altrimenti ti spezzeremo le ossa prima di averti preparata come si deve.»
 Lei si ripulì dalla terra che le aveva sporcato le ginocchia e annuì. «Quindi che si fa?»
 «Quindi si comincia dalle basi.» concluse Wolverine.
 
Un’ora più tardi, Charlotte stava correndo attorno alla villa. Aveva già fatto una ventina di giri e doveva farne ancora altri venti per completare l’allenamento di quel giorno, dopo ore di stretching.
 Logan aveva detto che era stato buono e che quaranta giri erano veramente pochi, ma lei non ne era molto sicura. Quaranta giri erano l’equivalente di dieci chilometri e anche se era abituata a correre fin da quando era bambina, sapeva che il giorno dopo sarebbe stata dolorante, soprattutto considerando tutti i lividi che si era procurata nei combattimenti corpo a corpo di quella mattina.
 Passò davanti all’ingresso per la ventunesima volta e vide Erik fermo sulla soglia, intento ad osservarla.
 Era rientrato per un caffè quando Charlotte aveva cominciato a correre e lei notò solo in quel momento, che anche lui aveva indossato la tuta. Forse anche lui aveva bisogno di allenarsi, dopotutto, nonostante la sua enorme esperienza, a detta sua. Poco dopo, infatti, se lo ritrovò accanto.
 «Come va la corsa?» domandò lui, divertito.
 «Bene, grazie.» ansimò lei.
 «Sembri stanca.» sghignazzò Magneto.
 «Un pochino.» sorrise lei, rivolgendogli uno sguardo di sfida. «Ma essendo più giovane di te, non sento molto la stanchezza. Non quanto te almeno. Sai l’età conta molto in queste cose.» ribatté prendendolo in giro per ciò che le aveva detto quella mattina. Rise. «Vecchietto.»
 «Touché.» ribatté Erik.
 Charlotte rise.
 Dopo altri cinque giri di corsa, la stanchezza cominciò a farsi sentire.
 La ragazza, però, portò a termine il suo compito e solo quando ebbe finito si sedette su una delle panchine in pietra, poste sotto un grande albero nel giardino. L’ombra che le fronde proiettavano a terra la teneva al riparo dal sole che scaldava l’asfalto delle stradina e l’erbetta verde, rendendo l’aria quasi soffocante.
 Erik, che aveva corso gli ultimi venti giri insieme a lei, rimase in piedi accanto a lei osservandola mentre tentava di rendere regolare il suo respiro. Quella ragazzina l’aveva sinceramente sorpreso; non avrebbe mai pensato che, esile com’era, avrebbe potuto fare quaranta giri di corsa senza svenire dalla stanchezza. Invece eccola lì, ancora viva e pronta a ripartire.
 Anche lui non si era stancato molto. Era abituato a fuggire e dover correre per chilometri.
 Proprio quando fece per sedersi, però, provò di nuovo il dolore all’altezza del cuore che aveva sentito quando si trovava sull’aereo. Ansimò e si poggiò alla panchina in pietra reggendosi con una mano, portandosi l’altra al cuore e gemendo.
 Charlotte si volse verso di lui. «Ehi» disse. «Tutto bene?»
 Erik strinse la mano intorno alla maglietta e tentò di prendere aria. Era come se un pugnale gli avesse trafitto il cuore tagliandolo di netto a metà e impedendo al sangue di circolare. Il respiro si fece affannato e irregolare. Chiuse gli occhi.
«Erik?» lo chiamò Charlotte alzandosi in piedi. «Ehi, Erik» gli poggiò una mano sulla spalla, ma lui non rispose.
 All’uomo sembrò che il sangue si fosse gelato nelle vene. E ad un tratto le gambe non lo ressero più. Cadde a terra, in ginocchio, e poi sulla schiena.
 «Oh, mio Dio» sussurrò Charlotte inginocchiandosi accanto a lui e poggiando una mano sul suo petto e l’altra sulla guancia. «CHARLES!» gridò, poi tornò a osservare il mutante. «Erik» disse dolcemente, prendendogli il volto tra le mani.
 Lui spalancò gli occhi e le circondò i polsi con le mani.
 «Stai tranquillo.» gli consigliò, poi aprì la cerniera della felpa per fargli prendere aria e gli massaggiò il petto. «Passerà, devi solo pensare a qualcos’altro.» spiegò.
 Lui scosse il capo e lei gli mise una mano sulla fronte.
 Charlotte poggiò l’altra mano sul suo cuore e tentò di rassicurarlo. «Erik, respira» sussurrò. «Calmati. Andrà tutto bene, ci sono io qui.» lo rassicurò accarezzandogli i capelli. Poi, volgendosi verso la casa e gridò ancora. «CHARLES! LOGAN! HANK!»
 Dopo qualche secondo, Logan e Hank uscirono dalla porta della villa, di corsa.
 Quando Charlotte li vide sollevò una mano per richiamare la loro attenzione.
 Questi vedendola a terra in ginocchio, sgranarono gli occhi.
 «Che succede?» chiese Logan quando la raggiunse, poi vide Erik a terra. «Oh, no, ancora.» gli sfuggì dalle labbra.
 «Hank» disse lei, volgendosi verso l’amico. «Aiutalo, fai qualcosa. Si è sentito male di colpo. Non riesce a respirare.»
 «Vado a chiamare Charles.» intervenne Logan e corse nella villa.
 «Vado a prendere un tranquillante.» affermò Hank e fece per allontanarsi
 «Hank, non lasciarmi sola. Non so che fare…» lo bloccò lei.
 «Devi solo rimanere qui accanto a lui.» le disse in tono rassicurante, poggiandole una mano sulla spalla.
 La mutante annuì, nonostante fosse poco convinta che sarebbe servito a qualcosa, e lo osservò allontanarsi.
 Erik intanto respirava a fatica ed era diventato pallido come un cencio. Si volse su un fianco, rannicchiandosi in posizione fetale e gemendo dal dolore.
 Lei gli prese la mano e la strinse tra le sue. «Erik, va tutto bene. Andrà tutto bene.»
 Lui scosse il capo e inspirò profondamente per tentare di prendere aria.
 Charlotte gli accarezzò una guancia con il dorso della mano. «Andrà tutto bene. Hank ti aiuterà.» il problema era che Hank era sparito. E lei non poteva lasciare che Erik soffrisse così. Perciò tentò di ricordare ciò che le aveva detto Charles riguardo la telepatia.
 Forse se avesse provato a entrare nella sua mente, sarebbe riuscito ad aiutarlo. Non ci aveva mai provato, ma avrebbe potuto funzionare. A quel punto si concentrò, poggiò una mano sulla guancia di lui e penetrò la sua mente, facendosi strada tra i suoi pensieri, avvolgendola completamente in modo che non ci fosse nient’altro al suo interno.
 Erik sentì un formicolio alla base del capo e poi sentì la voce di lei nei suoi pensieri.
 «Erik, stai calmo.» disse Charlotte invadendo la mente del mutante e serrando gli occhi per concentrarsi. «Stai tranquillo e andrà tutto bene.»
 «Come posse stare tranquillo?» sbottò lui.
 «Devi riprendere il controllo.» spiegò lei. «Pensa a qualcosa di bello, libera la tua mente e concentrati su un unico pensiero. Il ricordo più felice che possiedi.»
 «E a cosa dovrei pensare?!» esclamò lui.
 «Non lo so, a qualcosa che ti rende felice.» rispose lei, mantenendo la calma. «A qualsiasi cosa ti renda felice e ti permetta di calmare la tua mente.»
 «Non ho nulla a cui pensare.» rispose lui. L’ultima volta che aveva provato ad immaginarsi di volare era stato un disastro. Non sapeva a cos’altro avrebbe potuto pensare. Non c’era niente di felice a cui avrebbe potuto aggrapparsi.
 «Hai sicuramente un ricordo felice.»
 «No, nessuno…»
 Charlotte non riusciva a concepire come una persona non potesse avere un ricordo felice e per un momento provò una stretta al cuore a quel pensiero. Perciò decise che l’avrebbe creato per lui. «D’accordo, pensa ad un prato verde» disse parlando dolcemente. «Al vento che ti scompiglia i capelli in un caldo giorno d’estate. Al cielo blu sopra di te, al profumo dei fiori che ti penetra nel cuore e in ogni fibra del tuo corpo. Alla natura e i suoi suoni che ti avvolgono completamente. Alla pace e alla calma…»
 Il respiro dell’uomo, lentamente, rallentò.
 Charlotte poté sentire i muscoli del corpo di lui rilassarsi sotto le sue mani. Uscì dalla sua mente e lo osservò. Era ancora steso a terra, ma stava riprendendo colore.
 Erik si sollevò reggendosi sui gomiti. Incatenò i suoi occhi a quelli di lei e guardandola intensamente, parlò. «Sei brava quasi quanto Charles.» si congratulò in un sussurro. «Grazie per avermi aiutato.»
 La ragazza mosse una mano per minimizzare. «Figurati.» sorrise, poi vedendo che si stava mettendo in piedi, lo seguì. «Sicuro di star bene? Forse dovresti sederti un momento.» consigliò.
 Prima che Erik potesse rispondere, la voce di Hank li interruppe. «Charlotte!» la chiamò. 
 «È tutto ok, Hank.» rispose lei, voltandosi verso di lui. «Sta bene.»
 Lui li osservò entrambi. «Come hai fatto?»
 Lei sollevò una mano e si indicò le tempie. «Telepatia.»
 Lui annuì, stupito. «Oh»
 Erik osservò lo scienziato. «Se avessi dovuto aspettare te, avrei anche potuto rimanerci secco.» lo rimproverò. «Se non fosse stato per lei a quest’ora sarei morto soffocato.»
 «Non sia mai che ti viene in mente di ringraziarci per averti preso in considerazione anche se non te lo meriti.» replicò Hank.
 «Ok, ok, ragazze, perché non ci calmiamo?» intervenne Charlotte. «Non è il caso di litigare.»
 Erik sollevò un sopracciglio, ma non disse nulla e nemmeno Hank parlò.
 E tutti e tre si avviarono verso l’interno della villa.
 Proprio mentre stavano per varcare la soglia, Charlotte sentì le gambe farsi molli. Si fermò e poggiò una mano allo stipite della porta. La corsa l’aveva stancata parecchio e forse lo spavento che si era presa per il malore di Erik le aveva dato il colpo di grazia. Chiuse gli occhi, inspirando profondamente per recuperare la lucidità.
 «Charlotte, tutto bene?» domandò Hank, voltandosi verso di lei.
 Lei non lo sentì. La sua testa si fece leggera e fu come se la terra le fosse scomparsa da sotto i suoi piedi. E perse i sensi.
 Erik le fu accanto in un attimo. L’afferrò per i fianchi prima che collassasse a terra e la accompagnò nella caduta. La strinse a sé, inginocchiandosi a terra e venne invaso dal suo profumo di muschio. Sollevò lo sguardo su Hank. «Cosa le sta succedendo?»
 «Vado a chiamare Charles.» disse Hank, senza degnarlo di una risposta. «Portala nella sua stanza.» disse correndo verso il piano superiore.
 Erik osservò Charlotte per un momento. Era pallida e stava sudando. Forse aiutarlo a stare meglio aveva fatto del male a lei. Sia lei che Charles avevano detto che non era abituata a usare i suoi poteri e ciò che aveva fatto era stato decisamente troppo per una mente poco allenata come la sua.
 L’uomo si mise in piedi e tenendola stretta a sé la portò nella sua stanza.
 
 Charles entrò di corsa nella camera della sorella minore, seguito da Hank. Quando la vide, pallida e priva di sensi, stesa sul materasso, si avvicinò al letto e le prese la mano «Charlotte…» sussurrò, poi si voltò verso lo scienziato. «Cosa le è successo?»
 «Ha usato i suoi poteri per aiutare Erik.» spiegò. «Credo che lo sforzo sia stato troppo grande. Per questo ha perso i sensi.»
 Il professore sollevò lo sguardo verso Erik, immobile dall’altro lato del letto. I suoi occhi che prima traboccavano preoccupazione, adesso erano carichi di astio. «Tu che ci facevi con lei?» ringhiò. «Ti avevo avvertito. Ti avevo detto chiaramente che saresti dovuto starle lontano.»
 «Non scaldarti tanto.» rispose. «Non l’ho neanche sfiorata se è questo che ti preoccupa. Stavamo correndo e quando mi sono sentito male mi ha dato una mano tramite la telepatia. Non sono stato io a chiederglielo. L’ha fatto di sua spontanea volontà.»
 «Tu devi allenarti con il tuo potere.» fece notare Charles. «E non con lei.»
 «Volevo correre un po’.» ribatté l’altro. «Hai qualche problema?»
 Charles stava per ribattere, ma Wolverine – che era fermo sulla soglia della stanza – lo interruppe. «Adesso basta!» ringhiò con la sua voce profonda. Avrebbe tanto voluto prenderli a calci entrambi. Il Charles del futuro gli aveva detto che sarebbe stato complicato, ma non pensava così tanto. Quelle due teste di legno si sarebbero scannati, prima o poi. «Erik, chiudi la bocca ed esci di qui. Charles, pensa a tua sorella invece di preoccuparti di quello che fa Magneto.»
I due mutanti si zittirono e dopo essersi scambiati uno sguardo, Magneto lasciò la stanza e Charles tornò ad osservare sua sorella.
 «Hank, aiutala.» disse il professore, accarezzandole i capelli.
 «Ha solo bisogno di riposo, Charles.» rispose Hank. «Basterà qualche ora di sonno e si rimetterà.»
  
ANGOLO DELL’AUTRICE
Ciao a tutti! Come va?
Eccovi il terzo capitolo della mia long. Spero vi piaccia, come avete visto, stanno cominciando i veri problemi… ;D
A Sabato con il prossimo! *.*
Kiss kiss, Eli
[Revisionato il 18/12/2015]

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


The second chance


CAPITOLO QUATTRO

 
 Quando Charlotte aprì gli occhi, la prima cosa che vide fu il viso di suo fratello. La stava osservando con i suoi occhi blu carichi di apprensione.
 Charles, quando si accorse che sua sorella si era svegliata, si mise a sedere diritto sulla sedia che aveva spostato accanto al materasso. «Ehi…» la salutò accarezzandole la fronte.
 «Charlie…» sussurrò lei, come faceva quand’era bambina, anche se lui odiava che lo chiamasse così.
 «Come ti senti?»
 «Bene.» rispose lei, mettendosi seduta. «Come sono arrivata qui?» si massaggiò le tempie e inspirò profondamente. Si sentiva strana. Come se fosse sospesa nell’aria, in balia della corrente. Come se non avesse più il controllo delle proprie azioni.
 «Sei svenuta.» rispose Charles.
 Lei aggrottò le sopracciglia, poi annuì. «Oh, adesso ricordo. Dopo aver aiutato Erik.» disse. «Mi ci ha portato lui, qui?» chiese.
 Charles annuì mestamente. «Ma adesso hai bisogno di riposo.» sbottò lui, tentando di farla sdraiare ancora. «Quindi sdraiati e dormi un po’.»
 «Sto bene, Charles.» lo rassicurò e poggiò i piedi sul pavimento. Suo fratello era sempre stato troppo apprensivo per i suoi gusti.
 «Lottie» la rimproverò il fratello. «Non avresti dovuto.»
 Charlotte aggrottò le sopracciglia. «Non avrei dovuto, cosa?» chiese la mutante mentre si sistemava i capelli, facendoci scorrere le dita.
 «Aiutare Erik.» continuò il professore.
 «Perché no?»
 Charles sospirò. «Era troppo per te.» vedendola sospirare a sua volta, riprese. «Hai visto cos’è successo. E poteva andare molto peggio. Se le prossima volta non dovessi svenire ma sentirti male davvero?» chiese.
 «E che cosa avrei dovuto fare?» domandò lei di rimando. «Guardarlo soffrire aspettando Hank o te?» sbottò «A proposito. Tu dov’eri? Ti ho chiamato parecchie volte e anche Logan è venuto a cercarti. Perché non sei venuto a vedere cosa stava succedendo?» domandò. «Avresti potuto aiutarlo tu stesso.»
 Lui abbassò lo sguardo. «Ero impegnato.» si giustificò.
«Troppo impegnato per venire ad aiutare un amico?» insistette.
Lui scosse il capo. «Erik non è mio amico.» affermò, parlando duramente. «E credimi, sorellina, si merita tutto ciò che gli sta succedendo, qualunque cosa sia.»
 Charlotte sollevò le sopracciglia. «Non starai parlando sul serio?» esclamò. «Senti, qualsiasi cosa sia successa tra voi, non puoi davvero voler vedere Erik soffrire.»
 «Tu non hai idea di ciò che ha fatto.»
 «Hai ragione, non ne ho idea. Anche perché quando ti faccio qualche domanda sai essere molto evasivo al riguardo. E devi ringraziare il fatto che odio entrare nella mente delle altre persone, altrimenti avrei già scoperto da sola il perché.» affermò lei.
 «Non è successo nulla.» rispose l’altro, mettendosi in piedi. «E anche se fosse successo qualcosa, sorellina, non sarebbero affari tuoi. Quindi non fare domande e stai lontana da Erik.» sillabò e detto questo uscì dalla stanza, lasciandola sola.
 
 Poco dopo Charlotte scese in cucina dato che aveva bisogno di mangiare qualcosa per poter recuperare le forze. Trovò Hank seduto al tavolo, intento a bere una tazza di tè, con sguardo perso nel vuoto.
 «Ehi, Hank» lo salutò varcando la soglia e sedendosi di fronte a lui.
 Lo scienziato sollevò lo sguardo e quando incontrò gli occhi della ragazza, sembrò tornare alla realtà. «Charlotte» la salutò, sospirando di sollievo. «Ti senti meglio?» domandò.
 Lei annuì. «Sì, grazie.» si sedette al tavolo e lo osservò per un momento. C’era qualcosa che la tormentava da quando si era svegliata e voleva chiedere a Hank cosa ne pensava. Ma doveva assicurarsi che lui non lo facesse sapere a Charles, soprattutto alla luce di ciò che il fratello le aveva detto.
 «Posso farti una domanda?» esordì la giovane.
 «Certo.» disse Hank, sistemandosi gli occhiali sul naso e sorridendole.
 Lei sorrise a sua volta. «Prima però devi promettermi che non ne farai parola con Charles.» disse «So che lui non vorrebbe aiutarmi in questo e che si arrabbierebbe se gli chiedessi spiegazioni.»
 «E cosa ti fa pensare che io non mi arrabbierò, una volta che me lo avrai chiesto?» domandò con un mezzo sorriso.
 Charlotte sollevò le sopracciglia. «Perché sei il mio migliore amico.» rispose. «Sei come un fratello per me, ma al contrario di Charles, so che posso parlarti di qualsiasi cosa senza sentirmi giudicata. E so che se ti chiedessi di non raccontargli quello che ti dirò, tu non lo faresti.»
 Hank sospirò e annuì, sollevando un sopracciglio. «Giusto.» confermò. «Dai, chiedimi quello che vuoi. Non gliene parlerò. Promesso.»
 Charlotte sorrise. «Ehm… Da quando sono arrivata qui mi sento un po’ strana.» spiegò e vedendo che Hank aveva aggrottato le sopracciglia, riprese. «Da quando ho incontrato Erik e Logan… non lo so, mi sembra che tutto ciò che sto vivendo sia una déjà-vu.»
 «Che vuoi dire?»
 «Ho l’impressione di aver già vissuto tutto questo. Non so perché e so che è assurdo, ma è così.» spiegò lei. «E prima di svenire… prima di svenire mi è sembrato di vedere un’immagine e di sentire delle voci che sussurravano nella mia mente.»
 «Che tipo di immagine?» indagò il professore, avvicinandosi a lei e inginocchiandosi di fronte a lei.
 «Il volto di Erik.» spiegò Charlotte. «Ho visto il suo viso, ma era diverso. Più giovane e meno… tormentato. E poi ho sentito delle voci. Quella di Erik e anche altre che non sono riuscita a riconoscere.» scosse il capo. «Cosa mi sta succedendo?»
 Hank le sorrise dolcemente. «Sicuramente è perché Erik è stata una delle ultime cose che hai visto prima di svenire.» spiegò. «E quelle voci probabilmente erano i nostri pensieri. Quando sei svenuta hai perso il controllo sulla tua mente, per questo le hai sentite.»
 Dopo un momento di silenzio, la ragazza riprese. «Secondo te c’è qualcosa che non va in me?» chiese incontrando gli occhi di Hank.
 Lui sorrise dolcemente e le accarezzò una guancia. «No, Charlotte, non c’è assolutamente nulla che non vada in te.»
 Charlotte sorrise a sua volta, poi sospirò. «Posso farti un’ultima domanda?» azzardò.
 «Sì.»
 La ragazza inspirò profondamente, poi parlò. «Tu sai perché Charles è così arrabbiato con Erik?» domandò alla fine. «Sai cos’è successo fra loro?»
 Lui sembrò a disagio. «Ehm… no. Perché?»
 Charlotte aggrottò le sopracciglia, ma alla fine decise di non indagate oltre. «Così, tanto per sapere.» rispose con un’alzata di spalle.
 Hank annuì, le accarezzò una guancia e se ne andò.
 La giovane sospirò, volgendo lo sguardo verso la finestra. Hank le stava sicuramente nascondendo qualcosa, ma non poteva penetrare nella sua mente, non sarebbe stato giusto. Ma avrebbe scoperto che problema avevano Charles Erik. Questo era poco ma sicuro.
 
ANGOLO DELL’AUTRICE
Ciao a tutti! Ecco a voi il quarto capitolo!
È breve, lo so, ma c’è già un’anticipazione di qualcosa che succederà più avanti!
A Lunedì, kiss kiss, Eli
[Revisionato il 18/12/2015]

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


The second chance

 

CAPITOLO CINQUE

 
 Charlotte uscì all’aria aperta e inspirò profondamente.
 Era passata una settimana da quando Charles e i suoi amici erano tornati a casa. Stavano progettando di trovare Raven perché, non si sa come, sapevano che avrebbe scatenato una guerra, o qualcosa del genere.
 Lei aveva capito poco di ciò che stava succedendo, l’unica cosa che sapeva era che doveva allenarsi per dar loro una mano. Perciò cominciò la sua corsa mattutina.
 Quando ebbe finito, un’ora dopo, rientrò in camera sua e si fece una doccia per rinfrescarsi. Quel giorno Logan non era passato a controllarla, il che era strano, ma probabilmente aveva troppo da fare con Hank e Charles per controllare che lei svolgesse i suoi esercizi.
 Uscì dalla doccia e si coprì con un asciugamano, chiudendoselo intorno al petto e rientrò nella sua stanza per cercare degli abiti puliti.
 Ad attenderla, in piedi accanto alla finestra, c’era Erik.
La ragazza aggrottò le sopracciglia. «Ciao» disse. «Prego, fa’ come se fossi a casa tua.» disse muovendosi verso la cassettiera e aprendo il primo cassetto per cercare della biancheria.
 «Ciao.» rispose l’altro, osservandola. Quando vide che indossava solamente un asciugamano e che la stoffa bagnata metteva in risalto le sue curve e la sua pelle pallida e che i suoi capelli bagnati erano ancora più chiari e facevano risaltare gli occhi azzurri come il sereno cielo primaverile, non poté fare a meno di pensare che fosse davvero molto attraente. Era giovane, ma molto carina e anche se Charles gli aveva chiaramente detto che non avrebbe dovuto avvicinarsi a lei, non avrebbe certo potuto impedirgli di guardarla.
 Charlotte lo chiamò per l’ennesima volta. «Erik? Cosa ci fai qui?» domandò, vedendo che si era bloccato e che la stava osservando.
 Magneto si riscosse dai suoi pensieri. «Volevo parlarti.» spiegò.
 «Ok.» replicò la giovane. «Di cosa?»
 «Del tuo allenamento.»
 Charlotte lo studiò per un momento, poi sollevò le sopracciglia. «E credi che potrei vestirmi, prima, o devi farlo mentre sono nuda?»
 Lui esitò e per un momento sembrò in imbarazzo. «No, ehm… vestiti.» disse oltrepassandola e avviandosi verso la porta. «Ti aspetto qui fuori.»
 «Dove andiamo?»
 «Vedrai.»
 
 Charlotte ed Erik raggiunsero una delle colline dietro casa Xavier. Il sole era stato oscurato da alcune nubi, ma l’aria era ancora bollente. I due raggiunsero la cima ed Erik si fermò. Poi si voltò e osservò il paesaggio.
 «Cosa ci facciamo qui?» domandò Charlotte fermandosi accanto a lui e osservando il paesaggio a sua volta, in attesa che il mutante passasse a spiegarle perché erano andati fin lì per parlare dell’allenamento.
 «Ci esercitiamo con i nostri poteri.» rispose l’uomo.
 Lei si volse verso di lui, rivolgendogli uno sguardo interrogativo. «Ma non dovevo allenare prima il fisico?» chiese. «Se nemmeno i miei due allenatori sono d’accordo su come prepararmi a questa specie di guerra, barra conflitto tra specie, barra rivolta dei mutanti, come posso pensare di imparare qualcosa?»
 «Punto primo, io non sono il tuo allenatore. Punto secondo, non mi interessa cosa pensa il tipo dagli artigli retrattili.» ribatté lui. «Allenarti così non ti aiuterà.» concluse. «Io penso che se comincerai ad utilizzare i tuoi poteri e imparerai a padroneggiarli nel modo corretto, tutto il resto verrà da sé.»
 «Oh, bene.» replicò lei. «Per fortuna ci sei tu, Magneto.»
 Lui sorrise beffardo e aggrottò le sopracciglia. «A proposito di Magneto» continuò. «Quel nome ti ha dato Raven?» domandò. «Di solito era lei che si occupava di queste cose. Ne avrà dato sicuramente uno anche a te.»
 Charlotte scosse il capo. «No, non ce l’ho.»
 «Raven non ti ha mai dato un nome?» chiese Erik, incredulo.
 «No.»
 «Allora credo che dovrò pensarci io.» disse portandosi un dito alle labbra per pensare.
 La ragazza rise.
 Dopo un momento di silenzio, Magneto parlò. «Che ne dici di Blade?»
 «Blade?» chiese lei. Poi sorrise. «Mi piace. Blade… suona bene.»
 «Molto bene.» ribatté lui. «Adesso passiamo all’allenamento. Avrai già usato i tuoi poteri, prima di oggi. Perciò voglio che tu mi faccia vedere cosa sai fare.»
 «Sì, li ho usati parecchie volte.» confermò. «Con il solo risultato di combinare dei casini.» disse, poi sollevò un dito davanti a sé e si affrettò ad aggiungere: «Ma solo perché la casa era troppo piccola.»
 Erik sorrise, ma sul suo volto c’era uno sguardo di sfida. «Qui c’è tutto lo spazio che vuoi.» allargò le braccia e indicò il paesaggio circostante «Avanti, mettimi al tappeto.» la incalzò.
 Si misero uno davanti all’altra a una decina di metri di distanza.
 Charlotte attese qualche secondo, poi tentò di concentrarsi per scegliere come procedere.
 Pensò intensamente all’acqua. La sentì scorrere sotto i suoi piedi, attorno e anche dentro di lei. Inspirò profondamente, poi allungò le mani davanti a sé e creò un getto potente direzionandolo verso Erik. Quando mosse le mani, il getto quasi colpì il mutante, ma all’ultimo lui si sollevò in aria, schivandolo, con un sorriso beffardo stampato sul viso.
 Charlotte rimase a bocca aperta. «Accidenti!» esclamò ridendo «Non credevo che sapessi anche volare!»
 «Te l’ho detto: ho i miei trucchi.» rispose lui, tornando a terra.
 «È fantastico!» si avvicinò a lui e sorrise. «È sempre per una questione di polarità magnetica, vero? La estendi dalle mani al resto del corpo, invertendola rispetto a quella terrestre. È semplicemente geniale. Come hai imparato?» chiese.
 Lui deglutì a vuoto e fece spallucce. «Non importa come.» concluse. «Ma se controlli gli elementi, controlli anche l’aria. Quindi potresti volare anche tu.»
 Charlotte ci pensò su, poi annuì. «Ma certo… dovrei semplicemente sfruttare l’aria attorno a me. Muoverla a mio piacimento come faccio con l’acqua, creando una sorta di vortice che mi permetterebbe si sollevarmi da terra.» spiegò. Poi sorrise. «Perché non ci ho pensato prima?»
 «Ah, non lo so.» replicò Magneto, indietreggiando. «Be’, cosa aspetti? Provaci.»
 Charlotte sorrise, allargò le braccia e cominciò a muovere le mani attorno a lei creando una piccola corrente d’aria che la circondò. Poi la direzionò verso il terreno e dopo pochi secondi si sollevò in aria. Prima di qualche centimetro, poi di qualche metro, fino a che non si ritrovò a svariati metri da terra.
 Sorrise e vide Erik sorridere sotto di lei.
 «Visto?» le gridò.
 «Grazie, Erik!» ribatté lei, felice come non mai. Aveva sempre sognato di volare e adesso eccola lì, a svolazzare felice su una collina verde. Si mosse in aria, facendo una capriola, muovendosi sopra Magneto. Lentamente diminuì la corrente d’aria per poter scendere a terra, ma lo fece troppo velocemente.
 Cadde verso il basso e anche se ormai si trovava a pochi metri da terra si sarebbe sicuramente rotta qualcosa se Erik non avesse avuto i riflessi così pronti. Sentì le braccia di lui circondarla e afferrarla prima che cadesse e potesse farsi male. Charlotte gli circondò il collo con le braccia, sentendo le sue mani fredde come il metallo sfiorarle la pelle della schiena, sotto la maglietta. Adesso anche lui stava fluttuando in aria e quando i loro sguardi si incrociarono le sorrise debolmente.
 E Charlotte provò di nuovo quella sensazione, ebbe l’impressione di averlo già incontrato prima di allora. Quegli sguardi, quei sorrisi, erano tutti così famigliari…
 I due caddero a terra, anche se da appena un metro di altezza. Lei atterrò sulla schiena, gemendo, e lui cadde sopra di lei. I loro visi si ritrovarono a pochi centimetri l’uno dall’altro e i loro nasi si sfiorarono.
 La ragazza poteva sentire il profumo del suo dopobarba e il suo fiato solleticale le guance. Sentì il suo cuore accelerare, spingendo contro il suo petto con tanta forza da martellarle anche nelle orecchie.
 «Scusa» soffiò lui sulle labbra di lei, poi si alzò in piedi e l’aiutò a fare lo stesso. «Non sono abituato a volare portando con me qualcun altro. Ti sei fatta male?»
 Lei sorrise afferrando la sua mano e mettendosi in piedi. «No, sto bene, non preoccuparti.» disse «E grazie per avermi presa prima che mi rompessi qualcosa.»
 «Continuiamo?» domandò lui allontanandosi.
 Lei annuì e si riposizionarono a qualche metro l’uno dall’altro.
 «Attaccami.» la incalzò lui «Con tutti i trucchi che conosci. Non ci sono regole.»
 Charlotte rifletté per un momento. Se lui poteva sollevarsi in aria allora non poteva attaccarlo direttamente, avrebbe dovuto sfruttare l’effetto sorpresa.
 Erik sorrise e si preparò osservando ogni suoi movimento, anche il più piccolo.
 La ragazza cominciò a correre e quando fu a pochi metri da lui e lo vide sollevarsi in aria, stese il braccio davanti a sé e aprì un portale. Ci saltò dentro e per un momento rimase sospesa nel vuoto. Focalizzò l’immagine di Erik e aprì un altro portale. Comparve alle sue spalle, sospesa per aria. Creò una corrente d’aria e poi con le mani fece muovere i rami dell’albero lì accanto che circondarono Magneto, imprigionandolo tra le fronde. Charlotte si lasciò cadere a terra. Per un momento perse l’equilibrio, ma riuscì a rimanere in piedi.
 «Complimenti.» disse lui sorridendo e dimenandosi, bloccato dalle radici dell’albero. «Per essere una principiante non te la cavi per niente male.»
Lei sorrise, liberandolo dai rami semplicemente muovendo le mani.
Lui atterrò di fronte a lei e si ripulì la giacca dalla polvere che l’albero aveva trasferito sui suoi abiti, sorridendole soddisfatto.   
 
 I due si allenarono per tutto il pomeriggio, o almeno fino a che non scoppiò un temporale con tanto di tuoni e lampi che li costrinse a interrompersi.
 «Mi sa che dovremmo rientrare.» disse Charlotte osservando il cielo che ormai si era fatto plumbeo e carico di nubi temporalesche.
 Lui annuì. «Sì, direi di sì.»
 Si avviarono giù per la collina, ma proprio mentre erano a metà percorso cominciò a piovere. Erik e Charlotte si misero a correre, ma la pioggia aveva cominciato a cadere fitta e i due rientrarono alla villa bagnati fradici.
 Charlotte si poggiò alla parete nell’ingresso, grondante d’acqua, ridendo. «Grazie per quello che hai fatto per me, Erik.» disse sorridendo all’uomo, che era in piedi di fronte a lei.
 «Hai fatto tutto da sola.» fece notare il mutante. «Non ho fatto nulla.»
 «Mi hai dato una mano a scoprire cosa potevo fare.» ribatté lei. «Che è molto più di quanto abbia ottenuto in una settimana allenandomi con Logan.» non appena ebbe concluse quella frase, aggiunse: «Ok, non dirgli che l’ho detto. Non vorrei mi squartasse viva.»
 Lui rise. «Sei strana, ragazzina.» concluse scompigliandole i capelli con la mano.
 Charlotte rise. «Ehi, non chiamarmi ragazzina!» lo rimproverò dandogli un buffetto sulla spalla, sapendo di essere risultata poco credibile.
 «Giusto. Sei strana, Blade.» si corresse Magneto.
 Lei sorrise e quando lui le disse che sarebbe andato a farsi una doccia, Charlotte lo osservò allontanarsi nel corridoio, rimanendo ferma per qualche istante, pensando al perché Charles portasse tanto rancore nei suoi confronti. Erik non era per niente male.
 
 Charlotte si voltò sentendosi chiamare da una voce famigliare.
 Vide che davanti a sé c’era un uomo avvolto dall’oscurità. Non riusciva a vedere il suo volto dato che era girato di spalle, ma quando si voltò e gli sorrise, lo riconobbe immediatamente e gli sorrise a sua volta.
 «Ciao, Charlotte.» le disse Erik con la sua voce roca, ma allo stesso tempo calda e suadente.
 «Ciao, Erik.»
 Lui le si avvicinò e le sfiorò la guancia con una mano. «Sapevo di averti già incontrata.» sussurrò studiando ogni particolare del suo viso. «L’ho saputo fin dalla prima volta in cui ti ho rivista. Sapevo che eri tu…»
 Lei sorrise, poi sollevò lo sguardo sui i suoi occhi di ghiaccio. In quel momento erano felici, pieni di gioia per la prima volta dopo tanto tempo. Dopo tutte le sofferenze, dopo aver visto la morte di sua madre e il terrore dei campi di concentramento…
Prima che potesse accorgersene, Erik aveva già poggiato le labbra sulle sue, coprendo la distanza che li separava. E la ragazza rimase immobile ad assaporare le sue labbra, stretta tra le sue braccia.
 
 Charlotte si svegliò di soprassalto, mettendosi seduta. Si guardò intorno e vide che era in camera sua, nel suo letto, a villa Xavier. Aveva la fronte madida di sudore e poteva sentire il cuore galopparle nel petto. Chiuse gli occhi per un momento, portandosi le mani al volto. Aveva sognato Erik. Di nuovo. Non era la prima volta che capitava. Nelle ultime due settimane era successo almeno una decina di volte.
 Perché continuava a sognarlo?
 E tutte quelle cose che sapeva di lui… erano vere o solo produzioni infondate del suo inconscio? Era impossibile che fossero la verità. Erano solo sogni. Stupidi sogni.
 
«Erik!» lo chiamò Charlotte, vedendolo attraversare il corridoio per raggiungere la cucina.
 Lui si fermò e si voltò verso di lei. «Charlotte» disse a mo’ di saluto.
 «Posso parlarti un momento?» chiese lei. «Da soli.»
 Erik la osservò inclinando il capo e corrucciando la fronte. Dopo un momento annuì.
 La ragazza gli chiese di seguirla e insieme uscirono dalla villa. Attraversarono il giardino e raggiunsero le panchine in pietra, poste sotto il pino più grande del giardino, e si sedettero.
 «Di cosa devi parlarmi di così importante da non poterlo fare in casa?» chiese vedendo che lei non accennava a parlare. «Avanti. Guarda che non ti mangio mica.»
 Charlotte portò gli occhi su quelli di lui. «Volevo sapere una cosa.» affermò.
 «Cosa?»
 «È qualcosa di un po’ personale.» spiegò, ma vedendo che lui non accennava a opporsi, continuò «Tu…» non sapeva come chiederglielo. Come poteva chiedergli se sua madre era stata uccisa, se era stato ad Auschwitz e se aveva davvero visto tutto quelle cose orrende?
Eppure doveva. Doveva sapere come poteva saperlo. Lui non glielo aveva mai detto, di questo era certa.
 «Io, cosa?» la incalzò lui.
 «Volevo sapere una cosa su di te.»
 Lui le fece cenno di continuare.
 «Tua madre… So di essere brusca e inopportuna, ma… tu madre è stata uccisa da un ufficiale nazista ad Auschwitz?» chiese flebilmente.
 Lui la osservò perplesso. «Come fai a…?» scattò in piedi e indietreggiò.
 Lei si mise in piedi a sua volta e riprese. «Aspetta, Erik. Mi dispiace se ti ho ferito, è che… Non so nemmeno come faccio a saperlo. Per questo te l’ho chiesto. Perché voglio capire perché so una cosa del genere quando non sei stato tu a dirmelo.» spiegò. Poi sospirò. «So che sei stato ad Auschwitz e che tua madre è stata uccisa, ma non so come faccio a saperlo.»
 «Te l’ha detto Charles.» disse lui indietreggiando ancora. I suoi occhi si erano lucidi e un’espressione di disgusto si era dipinta sul suo viso. «Cosa che gli avevo chiesto di non fare con nessuno.» concluse.
 «No, Charles non mi ha mai detto nulla di tutto ciò.» si affrettò ad aggiungere Charlotte.
 «E allora come fai a saperlo?»
 «Ho fatto un sogno questa notte.» spiegò lei «C’eri tu e… e io sapevo tutto. Sapevo che avevi sofferto ed ero a conoscenza di tutti gli orrori a cui avevi assistito. So che suona assurdo, ma è la verità.»
 Erik scosse ancora il capo. «Certo.» affermò sarcastico «Lo sapeva solo Charles.» insistette. «Te l’ha detto lui.»
 «Ti assicuro che non mi ha mai detto nulla.» replicò la mutante.
 Erik si voltò e si allontanò con passo spedito.
 «Erik!» lo chiamò lei rincorrendolo. «Ti prego, devi credermi. Charles non mi ha detto nulla, te lo giuro.»
 «Come faccio a credere che tutto ciò che sai, tu l’abbia visto in un sogno?» esclamò lui voltandosi.
 «Lo so, è ridicolo, ma-»
 Lui la interruppe. «Hai detto bene. È ridicolo.»
 «Aspetta, ti prego.» lo implorò.
 Lui si voltò e si fermò. «Aspettare cosa? Non è affar tuo quello che ho vissuto.»
 «Lo so bene.» replicò Charlotte. «Voglio solo capire come faccio a saperlo.»
 «Charles ti ha raccontato tutto, smettila di fingere che non sia così!» sbottò. «Credevo che non l’avrebbe mai fatto. Gli avevo chiesto di non farlo, ma ovviamente a lui cosa importa? Voleva vendicarsi e per ripicca ha spiattellato tutto alla sua cara sorellina, così che potesse utilizzarlo contro di me. Molto maturo da parte sua.»
 «Lui non l’ha fatto!» disse lei scandendo bene le parole. «Te lo ripeto: non so come faccio a saperlo. E soprattutto, anche se sono a conoscenza di quello che hai passato, credi davvero che o userei contro di te e che ti guarderei in modo diverso?»
 Lui scosse il capo e senza aggiungere altro si allontanò.
 
ANGOLO DELL’AUTRICE
Ciao a tutti! Come state?
Eccovi il quinto capitolo della mia long, spero che vi piaccia.
Mercoledì pubblicherò il sesto!
A presto, Eli
[Revisionato il 18/12/2015]

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


The second chance

 

CAPITOLO SEI

 
 Charlotte entrò nello studio del fratello.
 Charles stava riordinando alcuni libri sugli scaffali, ma quando sentì dei passi alle sue spalle si voltò. «Ciao, Lottie» disse sorridendo. «Che succede?» chiese aggrottando le sopracciglia.   
 «Devo parlarti di una cosa.» rispose lei varcando la soglia e raggiungendo la scrivania.
 Lui annuì. «Siediti.» le indicò una poltroncina davanti al tavolo in legno e poi si sedette a sua volta. Incrociò le mani di fronte al viso e attese che lei cominciasse a parlare.
 «Devo chiederti una cosa che riguarda Erik.» disse lei, cautamente. Sapeva bene che suo fratello voleva che lei gli stesse lontana, ma quei pensieri la tormentavano. Doveva sapere. «Puoi promettermi che tenterai di non essere evasivo almeno per questa volta?»
 Lui sospirò. «Dipende da ciò che mi chiederai.»
 Charlotte annuì. «D’accordo.» non era sicura di avere il diritto di chiedergli informazioni su Erik, ma non poteva continuare ad arrovellarsi il cervello, perciò parlò. «Erik è stato internato ad Auschwitz, vero?»
 Charles la osservò, poi aggrottò le sopracciglia. «Come lo sai?» chiese.
 Lei scosse il capo. «Non ne ho idea.» replicò.
 «Scusami?» domandò ancora il maggiore, sorridendo di fronte a quell’affermazione.
 Charlotte sospirò. «Ho fatto un sogno, questa notte.» raccontò. «Sapevo ogni cosa. So che sembra stupido, ma è successo.»
 Lui sorrise. «Sorellina, è-»
 La ragazza lo interruppe. «Impossibile.» concluse per lui. «Sì, lo so. Eppure è così. So tutto e non è stato Erik a parlarmene.»
Charles sospirò e sembrò riflettere per un lungo momento. Alla fine riprese. «Ora che ci penso, credo che mi sia sfuggito qualcosa al riguardo.» disse. «Ma certo, non te lo ricordi? Quando ti ho parlato di Erik, prima che ti trasferissi qui, ti avevo accennato qualcosa del suo passato. Per prepararti a ciò che ti aspettava. Sapevo che Magneto è una persona difficile con cui rapportarsi.»
 Charlotte aggrottò le sopracciglia e scosse il capo. «No, ti stai sbagliando, Charles. Non mi hai detto nulla al riguardo.» affermò. Ricordava bene la conversazione con suo fratello riguardo Magneto e Charles non le aveva accennato nulla riguardo al passato del mutante.
 «Forse non te lo ricordi, ma io sì.» ribatté Charles «Sono sicuro di avertelo accennato.»
 «Perché l’hai fatto?» chiese lei a quel punto. «Lui ti aveva chiesto di non farne parola con nessuno e tu l’hai detto a me? Ti rendi conto che non ne avevi nessun diritto?»
 «L’ho ritenuto necessario, dato che l’avresti incontrato a breve.» concluse il professore. «E poi come fai a sapere che mi aveva chiesto di non parlarne con nessuno?»
 «Me lo ha detto lui.»
 Il maggiore sospirò. «Charlotte, ti avevo detto di stargli lontana.»
 «Viviamo sotto lo stesso tetto. Credi davvero che possa evitarlo fino a che non se ne andrà?» chiese lei. «Ti rendi conto di quanto assurdo sia tutto questo, Charles? Se avete avuto dei problemi, sono affari vostri. Non coinvolgetemi.» sospirò. «In ogni caso, forse dovresti parlargli. Quando ho nominato ciò che era successo ha reagito molto male.»
 «L’ha superato.» replicò il professor X.
 «A me non sembra.» ribatté la giovane. «Non hai visto come ha reagito.»
 «Lottie, ti prego, smettiamola di parlare di questo.» la pregò, puntando lo sguardo su alcuni fogli sulla scrivania. «Il passato è passato e il passato di Erik non sono affari nostri. Tantomeno tuoi.» concluse con un’occhiata eloquente.
 Charlotte rimase in silenzio per un momento, poi annuì. «D’accordo, non importa.» concluse. «Grazie per la chiacchierata.» e detto questo uscì.
 
ANGOLO DELL’AUTRICE
Ciao a tutti, come state?
Lo so, capitolo breve, ma mi farò perdonare!
A venerdì, Eli.
[Revisionato il 20/12/2015]
 

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


The second chance


CAPITOLO 7

 
 Charlotte percorse i corridoi di villa Xavier camminando velocemente. Doveva trovare Erik e scusarsi. Non avrebbe dovuto chiedergli nulla riguardo il suo passato. Avrebbe prima dovuto chiedere spiegazioni a Charles o a Hank. Almeno non l’avrebbe ferito risvegliando in lui ricordi dolorosi. Come aveva potuto essere così insensibile?
 Bussò alla porta della sua stanza e attese che lui la invitasse ad entrare.
 La voce di Erik risuonò sommessa dall’interno, ma Charlotte la udì perfettamente. Quindi girò la maniglia e varcò la soglia.
 Magneto era in piedi accanto alla finestra e stava osservando il cielo azzurro e il paesaggio all’esterno della villa. Non appena sentì la porta cigolare e aprirsi, si volse. Vedendo cha ad entrare era stata Charlotte, sollevò un sopracciglio.
 «Cosa vuoi?» chiese bruscamente.
 «Volevo scusarmi.» spiegò lei avanzando. «Sono stata davvero inopportuna, prima. Non avrei dovuto domandarti nulla. Non sono affari miei e anche se sono a conoscenza di ciò che ti è successo… mi dispiace tanto. Scusami, Erik.» lui tornò a guardare fuori dalla finestra, così lei continuò. «Hai sofferto molto e mi dispiace se ho riportato a galla tutto quanto. Perdonami. Sono stata una stupida. Una ficcanaso. Insensibile per giunta.» concluse, poi si schiarì la voce. «Ehm… se dovessi avere bisogno di parlare, di sfogarti… volevo che sapessi che io ci sono. Per qualsiasi cosa tu abbia bisogno.»
Alla fine, vedendo che lui non accennava a risponderle, uscì chiudendosi la porta alle spalle e avviandosi verso la sua stanza
 
 La ragazza venne svegliata nel bel mezzo della notte dall’insistente bussare alla porta. Volse il capo e osservò la sveglia sul suo comodino. Era mezzanotte passata. Chi poteva essere? Si alzò e accese la lampada sul comodino. Si avvicinò alla porta e quando la aprì, ci mise qualche secondo a mettere a fuoco il volto della persona che le stava davanti.
 «Erik?» chiese con voce ancora impastata dal sonno. Cosa ci faceva lì a quell’ora della notte?
 «Scusami, mi dispiace…» mormorò lui. «Ehm… posso entrare?» chiese con voce tremante.
 Lei lo studiò per qualche secondo, poi annuì e si scostò.
 Il mutante varcò la soglia e si fermò a qualche passo da lei.
 La ragazza si stropicciò gli occhi e tentò di scacciare via l’alone di sonno che ancora l’avvolgeva rendendo tutto indefinito. Chiuse la porta e tornò a volgersi verso Magneto, ancora in piedi accanto a lei.
 «Che succede?» domandò al mutante. Lo osservò più attentamente e spalancò gli occhi. Sembrava sconvolto. Spaventato. I suoi occhi erano spalancati e carichi di paura, come se avesse appena visto un fantasma. Era pallido come un lenzuolo e aveva la fronte madida di sudore. Cosa stava succedendo? «Erik, sei pallido. Stai bene?» domandò poggiandogli una mano sul braccio.
 Lui abbassò lo sguardo. «Hai detto che… che se avessi avuto bisogno sarei potuto venire da te.» spiegò in un sussurro. «E io… io…»
 Lei non capì a cosa si stesse riferendo, poi ricordò la conversazione di quel pomeriggio e annuì. «Sì.» confermò.
 «Volevo…» cominciò Magneto, poi si bloccò e scosse il capo. «Io…»
 Vedendo che Erik si era bloccato, Charlotte lo prese per mano. «Vieni, siediti e tranquillizzati.» disse. Lo guidò fino al letto e si sedette di fronte a lui, sul materasso, con le gambe incrociate. «Che succede?» domandò cercando il suo sguardo.
 Lui alzò gli occhi, incontrando quelli di lei. «L’ho sognata.» mormorò.
 «Cosa?»
 «Mia madre.» rispose. «La sua morte e… e…»
 Charlotte rimase spiazzata di fronte a quella confessione, consapevole che il sogno era stato causato dalla sua curiosità. Se non gli avesse domandato nulla riguardo al campo e alla madre forse non avrebbe avuto quell’incubo quella notte.
 «Mi dispiace tanto.» fu l’unica cosa che riuscì a dire.
 Lui scosse il capo, abbassando nuovamente lo sguardo. «L’ha uccisa con un colpo di pistola alla testa.» raccontò indicandosi la fronte, proprio nel punto in cui l’ufficiale nazista aveva sparato a sua madre. «Tutto per colpa mia.»
 «Erik, no.» lo bloccò lei, poggiandogli una mano sulla spalla. «Come potrebbe essere colpa tua?»
 «Era per i miei poteri.» spiegò il mutante. «Voleva che gli mostrassi ciò che sapevo fare. E io non ci sono riuscito, così l’ha uccisa. È tutta colpa mia… mia, soltanto mia…» ansimò abbassando lo sguardo e scuotendo vigorosamente il capo.
 La mutante vide le spalle di Magneto tremare e lo sentì singhiozzare sommessamente. «Erik…» sussurrò dolcemente. «Non è colpa tua. I nazisti erano pazzi e crudeli. Tu non centri assolutamente nulla.»
 «Sì, invece… sapeva che la rabbia li avrebbe scatenati… lui lo sapeva, per questo l’ha fatto…» singhiozzò premendosi le mani sul viso. «Lo sapeva… e io l’ho lasciato fare… gliel’ho permesso…»
 Lei gli circondò i polsi con le mani e cercò il suo sguardo. «Lui chi?»
 «Shaw» rispose solamente il mutante. «È stato lui.»
 Charlotte ricordò che il fratello le aveva raccontato qualcosa riguardo alla battaglia di qualche anno prima, contro Sebastian Shaw, ma non aveva accennato al fatto che il mutante fosse un nazista. Forse aveva cambiato identità dopo la fine della guerra per non essere perseguitato e processato.
 La giovane scosse il capo. «Non è colpa tua.» insistette. «Lui era malvagio e tu eri solo un bambino.»
 Magneto gemette. «Ha voluto che imparassi a padroneggiare i miei poteri. Mi ha costretto a farlo…» singhiozzò «Mi ha torturato e picchiato… mi ha costretto ai lavori forzati e mi ha obbligato a uccidere tutte quelle persone… io non volevo farlo… non volevo, mi dispiace tanto… ma mi avrebbe ucciso e…»
 La ragazza sentì un dolore alla bocca dello stomaco. Come aveva potuto resistere così a lungo senza parlarne con nessuno? Come aveva potuto sopportare tutte quelle sofferenze, vivere nella paura e vedere la morte ogni giorno per così tanto tempo? Quasi involontariamente sollevò una mano e gli accarezzò una guancia.
 «La colpa è di Shaw. Nulla di ciò che è successo è colpa tua.» sussurrò Charlotte, poi gli prese il volto fra le mani e lo sollevò in modo da guardarlo negli occhi. «E adesso è tutto finito, sei qui con noi, al sicuro.» lo rassicurò.
 Lui scosse il capo e le lacrime gli bagnarono le guance. «Non volevo…»
 «Lo so, Erik.» ripeté «Adesso calmati. Sei qui a villa Xavier, non sei più al campo. È tutto finito. Nessuno potrà più farti del male. Va tutto bene.»
 Magneto tremò e altre lacrime gli bagnarono le guance percorrendo il suo volto fino a infrangersi sulle dita di lei.
Charlotte staccò le mani dalle guance di lui e lo abbracciò, stringendolo forte a sé. Non voleva vederlo soffrire così. Non poteva semplicemente stare a guardare. Era terribile. Doloroso quasi come se stesse soffrendo lei stessa. E se Charles non voleva dare una mano a Erik, questo non significava che lei sarebbe rimasta a guardare.
 Non c’era nulla che potesse cancellare tutto quel dolore, tutti quegli orrori e tutta quella paura, ma era certa che se gli fosse rimasta accanto, lentamente la situazione sarebbe migliorata.
 In un primo momento Erik non ricambiò la stretta, sorpreso di fronte a quel gesto, ma anche stranamente rassicurato, quasi quelle braccia fossero famigliari. Poi quasi involontariamente, sollevò le braccia a circondarle la vita.
 La ragazza gli accarezzò i capelli e lasciò che poggiasse la testa sulla spalla e piangesse. «Sei al sicuro. Non sei più solo, Erik. Va tutto bene.» continuò a sussurrare.
 E rimasero in quella posizione fino a che Erik non si calmò. I singhiozzi si fecero sempre più sommessi e il corpo del mutante smise di tremare.
 Quando si separarono, lui abbassò lo sguardo, amareggiato. «Scusami, non avrei dovuto svegliarti per-»
 Charlotte lo bloccò. «Non dirlo neanche per scherzo.» lo rassicurò poggiando una mano sulla sua gamba. «Se ti fa ha fatto stare meglio sono felice che tu l’abbia fatto.» gli sfiorò la guancia con la mano e sorrise rassicurante.
 «Grazie.» sussurrò lui, poi, quasi quella vicinanza alla ragazza l’avesse messo in imbarazzo, si scostò. «È tardi.» affermò mettendosi in piedi. «Ti… ti lascio andare a dormire.» concluse, vedendo che l’orologio segnava già le due.
 Quando tentò di allontanarsi, lei gli circondò il polso con una mano.
 «Puoi rimanere.» disse «Se non vuoi stare solo puoi dormire qui. Il letto è grande abbastanza.» aggiunse indicando il materasso. Forse rimanere lì l’avrebbe aiutato a dormire più tranquillo dopo quell’incubo tremendo.
 Lui la osservò per un momento, poi annuì.
 Lei sorrise e si scostò per lasciargli un po’ di spazio sul letto. Si infilò sotto le coperte e le sollevò. Quando anche Erik si fu rintanato sotto il torpore delle coperte, sdraiandosi accanto a lei, sulla schiena, Charlotte lo coprì con le lenzuola e si volse su un fianco.
 «Dormi, Erik.» gli disse sfiorandogli la guancia con il dorso della mano.
 Dopo pochi minuti, entrambi caddero in un sonno profondo.
 
 Il mattino seguente, quando Charlotte si svegliò, Erik era ancora lì. L’aveva avvolta in un abbraccio e lei aveva la testa poggiata sul suo petto. Poteva sentire il suo cuore battere con un ritmo regolare e il suo petto alzarsi e abbassarsi lentamente. Sapeva che era imbarazzate rimanere lì, in quella posizione, ma il calore del suo corpo la stava riscaldando e non avrebbe voluto svegliarlo, perciò rimase immobile ad osservarlo. Almeno fino a che lui non aprì gli occhi, costringendola a distogliere lo sguardo.
 «Ciao» sussurrò Erik, facendo scivolare una mano sul fianco esile di lei.
 I loro occhi si incrociarono.
 Charlotte sorrise, senza nemmeno aver fatto caso al fatto che il cuore avesse cominciato a galopparle nel petto. «Come ti senti?» domandò. Sentì e guance divenire bollenti e imporporarsi e a quel punto si allontanò. Si sedette sul materasso e sorrise, in attesa di una risposta.
 «Molto meglio.» rispose lui. «Ti ringrazio» concluse e si sollevò reggendosi sui gomiti, osservando la sveglia. Erano le otto, perciò si mise a sedere e poggiò i piedi a terra, dandole la schiena per un momento. «È meglio che vada a prepararmi.» annunciò, poi si mise in piedi.
 La giovane annuì e scese dal letto a sua volta, rivolgendogli un ultimo sorriso. Poi Erik si avviò verso la porta e uscì richiudendosela alle spalle.
 Charlotte rimase immobile per qualche istante, poi si sfilò il pigiama, cercando qualcosa da indossare nell’armadio. Nella sua mente vorticavano milioni di pensieri, tutti confusi e aggrovigliati. Ciò che era successo quella notte era stato sconvolgente: vedere Erik così era qualcosa che non si sarebbe mai aspettata. Lo aveva sempre immaginato come qualcuno di indistruttibile e forte quanto una roccia, invece anche lui sembrava avere le sue debolezze.
 Si impose di non pensarci e di uscire per fare colazione prima che suo fratello andasse a cercarla. L’ultima cosa che voleva era essere sottoposta ad un interrogatorio da parte di Charles, soprattutto considerando che sarebbe stata in netto svantaggio, dato che il fratello avrebbe potuto accedere alla sua mente senza problemi.
 
ANGOLO DELL’AUTRICE
Ciao a tutti! Chiedo scusa per il ritardo…
Come promesso, ecco a voi il settimo capitolo!
A Martedì con il prossimo…
Eli
[Revisionato il 21/02/2016]
 
 
 
 

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


The second chance


CAPITOLO OTTO

 
 Charlotte scese in cucina per la colazione alle 8.30. Charles e Hank erano già al lavoro in laboratorio, li aveva sentito parlottare all’interno, passandoci davanti, perciò l’unico seduto al tavolo, intento a mangiare un piatto di uova e pancetta, era Logan.
 «Buondì!» salutò lei, entrando e sorridendo allegramente.
 «Ciao» disse Logan, rivolgendo un sorriso che a lei ricordò tanto una smorfia. La osservò dalla testa ai piedi. Aveva indossato la sua tuta per gli allenamenti con un paio di shorts grigi, le scarpe da ginnastica bianche e una maglietta bianca. «Dov’è Magneto?» chiese poi, tornando ad osservare le sue uova.
 «Credo in camera sua, perché?» domandò Charlotte di rimando e per un attimo credette che Logan avesse capito che Erik aveva passato la notte nella sua stanza e che avesse frainteso ciò che era successo realmente. Si stava già preparando una spiegazione, ma lui riprese. 
 «Non si è ancora visto questa mattina e…» non ebbe nemmeno il tempo di concludere che Erik varcò la soglia, così lui si zittì, tornando alla sua pancetta.
 Charlotte si volse verso Erik e sorrise. «Ciao»
 «Ciao» rispose lui, sorridendole debolmente e socchiudendo gli occhi come solo lui sapeva fare, per studiare ogni suo movimento.
 «Vuoi mangiare colazione?» gli domandò la ragazza e lui annuì. «Ti va un caffè?» chiese, avvicinandosi alla credenza per cercare la caffettiera.
 «Lascia, faccio io.» la bloccò. Lei tentò di protestare, ma lui insistette e le impedì di raggiungere la credenza bloccandole la strada. «Siediti, ci penso io.»
 Lei sorrise e annuì. «D’accordo.»
 Logan intanto si era messo in piedi e dopo aver poggiato il piatto e le posate nel lavello, si avviò verso la porta. «Vado a fare una corsa.» annunciò e uscì dalla cucina lasciandoli soli.
 Quando il caffè fu pronto, Erik lo versò in due tazze e ne porse una a Charlotte.
 «Grazie.» disse lei, prendendola tra le mani.
 «Per ringraziarti per ciò che hai fatto per me.» spiegò lui, sedendosi accanto alla giovane.
 «Non c’è bisogno di ringraziarmi.» fece notare Charlotte, sorridendo. «È stato un piacere.»
 Lui si limitò ad annuire gustando il suo caffè.
 Dopo un momento di silenzio, la ragazza parlò nuovamente. «Andiamo ad allenarci un po’?» propose.
 Lui si voltò e la osservò per un momento. «Vuoi allenarti con me?» domandò incredulo.
 Charlotte annuì e gli rivolse un grande sorriso. «Ho imparato molto da quando mi alleno con te. Ogni volta in cui mi alleno con Logan rischio di rompermi l’osso del collo. Almeno con te sono certa che non accadrà. E poi mi diverto parecchio a metterti al tappeto.»
 Lui rise. «Mi hai battuto una volta e non accadrà più.»
 La ragazza rise e quando entrambi ebbero finito il loro caffè uscirono dalla villa, diretti sulla collina.
 
 Cominciarono ad allenarsi.
 La ragazza riuscì ad atterrarlo utilizzando un trucco simile alla volta precedente, ma al secondo tentativo, fu Erik ad avere la meglio: proprio quando lei tentò di colpirlo comparendo accanto a lui, utilizzando un portale, Erik, spostandosi, l’afferrò da dietro cingendole i fianchi con un braccio, tirando il suo corpo verso il proprio e poggiandole una mano sul collo.
«Morta.» disse, poi ridacchiò. «Te l’ho detto che non mi avresti più battuto, meine liebe.» sussurrò al suo orecchio e impercettibilmente, le dita poggiate sul collo di lei, le accarezzarono la pelle.
 Charlotte sorrise, sinceramente ammirata. «Incredibile, parli anche tedesco.»
 «Ho molte qualità nascoste.» le fece notare, sorridendo e continuando a stringerla a sé per non lasciarla scappare. Poteva sentire il suo corpo esile premuto contro il suo e il profumo di shampoo dei suoi capelli.
 «Anche io, mio caro Erik.» ribatté la ragazza e poi si liberò dalla sua presa con uno strattone. Rimase immobile davanti a lui e lo osservò, sorridendo per il suo stupore.
 «Sei piena di sorprese.» le disse preparandosi ad attaccare ancora.
 Charlotte sorrise e mosse la mani. Le radici dell’albero accanto a loro si mossero sottoterra; la ragazza poté sentirle avvicinarsi, poté udire il loro fruscio sotto i suoi piedi. Quando spuntarono dal terreno circondarono le caviglie di Erik e lo tirarono a terra facendolo cadere sulla schiena.
 Charlotte rise soddisfatta. Stava decisamente migliorando. Oppure era Erik che peggiorava ogni giorno di più. In ogni caso, erano sempre di più i casi in cui riusciva a metterlo al tappeto.
 «Davvero brava.» si complimentò lui, poi, approfittando di quell’attimo di distrazione, Magneto mosse una mano verso di sé.
 La ragazza perse l’equilibrio, come attratta da una forza invisibile, e cadde sopra di lui, poggiando le mani sul suo petto. I loro volti si ritrovarono a pochi centimetri di distanza l’uno dall’altro. Charlotte osservò le labbra sottili di Erik, i suoi occhi di ghiaccio, il leggero strato di barba che gli incorniciava il volto e la bocca… e sentì il suo volto avvampare di rossore, maledicendosi per aver perso il controllo di fronte a lui per la seconda volta nell’arco di ventiquattro ore. Erano stati così vicini durante la notte precedente, ma era stato differente: lui stava male e aveva bisogno di aiuto. In quel caso quella vicinanza la faceva sentire quasi a disagio, come se fosse tutto estremamente sbagliato.
 Erik spostò le sua mani sulla schiena di lei e ribaltò le posizioni; la ragazza si ritrovò sdraiata sulla schiena sulla soffice erbetta verde della collina e non poté trattenere un verso di sorpresa quando il corpo dell’uomo entrò in contatto con il suo, immobilizzandola a terra.  
 «Mai ridere dell’avversario prima di averlo messo completamente fuori gioco.» spiegò Erik e le sue parole accarezzarono le labbra della giovane, facendola avvampare di rossore. 
 Charlotte spostò le mani sui fianchi dell’uomo. «Come hai fatto a…?» tentò di domandare, poi riformulò. «Non indosso nulla di metallo. Come ci sei riuscito?»
 «Il sangue è ricco di ferro.» spiegò Magneto, rivolgendole un sorriso. «In assenza di altri oggetti di metallo, posso sfruttare quello.»
«Oh» si lasciò sfuggire lei, riportando gli occhi su quelli del mutante.
 «Charlotte?» disse qualcuno schiarendosi la voce accanto a loro.
Lei e Erik si voltarono di scatto, vedendo che Hank era in piedi a pochi passi da loro e li stava osservando con uno sguardo interrogativo sul volto.
 «Hank.» disse la giovane, sorridendo e tentando si nascondere l’imbarazzo. «Che succede?»
 «Il pranzo è pronto.» disse lui semplicemente.
 Lei annuì, liberò le caviglie del mutante dalle radici e quando Erik si fu messo in piedi e averle porto la mano per aiutarla a mettersi in piedi, insieme si avviarono verso la cucina.
 
ANGOLO DELL’AUTRICE
Ciao a tutti! Come promesso, ecco qui l’ottavo cap!
A Giovedì con il prossimo!
Eli
[Revisionato il 22/02/2016]
 
 
 

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


The second chance


CAPITOLO NOVE

 
 Erano giorni che Charles tentava di localizzare Raven, ma la mutante sembrava scomparsa. Voleva uccidere Trask, ma nessuno sapeva quando e dove avrebbe colpito, considerando che era diventata un’esperta nel far perdere le sue tracce.
 «Forse se tenterà di uccidere Trask lo farà a Parigi, la prossima settimana.» azzardò Hank.
 «Davanti a tutta quella gente?» chiese Charles, perplesso. Mystica aveva già fatto mosse azzardate, ma una così stupida… non era da lei. «Sarebbe una mossa alquanto azzardata. Raven non ama essere teatrale. Anche perché sa bene che se dovesse agire così, metterebbe in pericolo tutti noi e lei ha sempre agito nell’interesse dei mutanti, anche se nel modo sbagliato.»
 «Sì, ma sarebbe un evento eclatante, farebbe vedere a tutti quanto i mutanti sono potenti.» intervenne Logan spegnendo il suo sigaro e osservando il professore. «Forse questa volta agirà in modo diverso, per mostrare al mondo che deve temerci.»
 Charles annuì. Forse avevano ragione. Dopotutto Raven era cambiata.
 
 Quando Erik vide la ragazza si fermò. Si trovavano sulla collina, quella su cui si allenavano ogni giorno, e lei lo stava osservando con il capo inclinato. Quando sollevò una mano per salutarlo, lui accennò un sorriso e avanzò.
 «Cosa facciamo qui?» domandò.
 Lei sorrise. «Non dovevamo allenarci? Mi hai dato appuntamento qui.»
 Erik non ricordava di averle dato appuntamento per allenarsi, ma annuì comunque.
Ad un tratto, però, ricordò e gli tornò in mente perché le aveva detto di aspettarlo lì. Doveva vederla.
 «Devo dirti una cosa, Blade.» esordì.
 La giovane sorrise. «Che cosa?»
 «Tutti i tuoi poteri…» esordì. «Non è strano che un mutante ne possegga così tanti?»
 «Lo so.» affermò lei «Charles ha sempre detto che ero diversa.»
 «Certo. Ti ha creata lui.» sfuggì dalle labbra di Erik. Ricordava bene quando Charles gli aveva confessato di aver sperimentato su sua sorella dei sieri per modificare il suo DNA. Voleva creare una creatura perfetta mescolando DNA di altri mutanti che aveva raccolto negli anni.
 «Come?» chiese lei stupita.
 «Ti ha creata lui. Ha modificato il tuo DNA utilizzando quello di altri mutanti.»
 Ma… fino al giorno precedente non lo sapeva. Il che era strano. Non sapeva per quale ragione, tutto d’un tratto, ricordasse quel particolare. Anche perché Charles non avrebbe avuto ragione di dirglielo dato che non gli aveva mai fatto conoscere la sorella prima di allora. Che senso aveva rivelargli una cosa del genere?
 Charlotte rise. Era una risata cristallina, musicale. «Me l’avrebbe detto.»
 «Io non credo che…» tentò di dire, ma il dolore al petto tornò. Gli mozzò il respiro e lo fece crollare in ginocchio di fronte a lei. Tutti i rumori, attorno a lui, gli sembrarono ovattati e tutto divenne sfocato. Magneto si resse la testa con le mani, ansimando. Tentò Di gridare per cercare aiuto, ma la voce gli morì in gola, prima di raggiungere le sue labbra. Nonostante gli sembrasse di avere la testa in una palla di cotone, udì perfettamente la voce di lei che lo chiamava, colma di preoccupazione.
 «Erik!»
 
 «Erik! Erik, svegliati!»
 Magneto si svegliò di soprassalto. Quando aprì gli occhi, vide che accanto a lui c’era Charlotte. Aveva gli occhi colmi di preoccupazione e lo stava scuotendo per tentare di svegliarlo e tirarlo fuori da quel terribile sogno.
 «Charlotte…» ansimò e si sollevò sui gomiti. «Co-cosa fai qui?» balbettò.
 «Ti ho sentito gridare dalla mia stanza.» spiegò lei. «Credevo stessi male, così sono venuta a controllare.»
 Lui scosse il capo e si poggiò una mano sulla fronte. «No. È… è tutto a posto.»
 «Non mi sembra.» ribatté la ragazza, osservandolo meglio.
 «Sto bene.» ripeté lui.
 Lei lo studiò per qualche secondo, incerta sul da farsi, poi gli porse qualcosa che aveva in mano. «Tieni.» disse dolcemente. «Bevilo. Starai meglio.»
 Erik prese il bicchiere colmo d’acqua, che la ragazza gli offrì e accennò un sorriso. «Grazie.» mormorò.
 Lei gli sorrise e uscì dalla stanza, lasciandolo solo.
 
 Il mattino seguente, Charlotte scese per fare colazione un’ora più tardi. Avrebbe dovuto allenarsi con Erik, ma con tutta la pioggia che stava cadendo era impossibile farlo all’aperto. Perciò si sedette accanto alla finestra, poggiando una tazza di latte sul davanzale ad osservare i fulmini e il vento che faceva muovere le fronde degli alberi nel giardino della villa.
La natura era così bella quando si scatenava nei suoi elementi… i fulmini, i tuoni, il vento… erano uno spettacolo meraviglioso, potente e sublime. Quasi le toglieva il fiato osservarli. Non c’era nulla di più potente della natura.
 
 Erik scese dal letto e aprì la finestra. Il vento gli sferzò il volto facendolo rabbrividire. Si vestì e decise di scendere al piano inferiore per fare colazione.
 Il sogno di quella notte l’aveva sconvolto. Charlotte, una creazione di Charles? Possibile? O era stato solo un sogno privo di significato? Era così confuso… certo, avrebbe potuto chiederlo a lei, ma se l’avesse saputo probabilmente glielo avrebbe detto, giusto? Quindi se anche fosse stato vero, lei non ne era a conoscenza. L’unica cosa che rimaneva da fare, anche sapendo che non avrebbe portato ad altro che a un furioso litigio, sarebbe stato chiederlo a Charles.
 
 «Charles?» chiese Erik, quando entrò nel suo studio, bussando alla porta, che era spalancata.
 «Cosa vuoi, Erik?» chiese il professore, bruscamente, sollevando lo sguardo dalla scrivania.
 «Devo parlarti.» rispose lui avanzando.
 «Spero sia una cosa rapida. Ho da fare e non ho tempo da perdere con te.»
 Erik sembrò non far caso alle sue parole e dopo aver chiuso la porta, avanzò e si sedette sulla sedia di fronte alla scrivania. Per un momento si limitò ad osservare il professore. Poi parlò. «Devo chiederti una cosa riguardo tua sorella.»
 Quando sentì nominare sua sorella, Charles si irrigidì, corrucciò la fronte, si raddrizzò sulla sedia, ma non parlò.
 «L’hai creata tu?» domandò Magneto, senza tergiversare oltre.
 Il professore gli rivolse uno sguardo stupito. «Co-cosa?» balbettò. «Ma che stai…? Come ti è venuto in mente?»
 «Hai utilizzato DNA di altri mutanti. Glielo hai iniettato, modificando il suo in modo da conferirle nuove abilità.» insistette Erik.
 Charles rimase immobile, impassibile.
 Perché non negava? Era forse tutto vero?
 Alla fine Xavier sospirò. «Come fai a pensare una cosa del genere?» chiese Charles, sporgendosi sulla sedia. «Ti sei completamente ammattito?»
 «L’ho sognato.» spiegò aggrottando le sopracciglia e rendendosi conto che quella risposta era alquanto insensata. «Non so come faccio a sapere che è vero. Ma è così, lo sento. E il fatto che tu non lo stai negando, me ne sta dando una conferma.»
 «Stai farneticando.»
 «Davvero?» lo stuzzicò. L’avrebbe fatto confessare. Sapeva che l’aveva creata lui – l’aveva sempre saputo, pensandoci meglio – e anche se l’altro avesse continuato a negarlo, non avrebbe cambiato la realtà.
 «Tu sei pazzo.» disse Charles, scuotendo il capo. «Come puoi anche solo pensarlo?»
 «Non lo penso. Lo so per certo.» ripeté ancora. «Sono sicuro che sia così, quindi non mentirmi, Charles.»
 Charles rise, una risata spenta, vuota, falsa. «Non sto mentendo.» ringhiò. «Io non sono te, ricordi?»
 «Infatti.» confermò. «Sei sempre stato un pessimo bugiardo.»
 «Vai fuori di qui, Erik.»
 «Lei lo sa?»
 Charles scattò in piedi e indicò la porta. «Vattene!»
 «È suo diritto saperlo.»
 «È una bugia. Dovrei raccontarle qualcosa di falso?»
 «Sai bene che è tutto vero.» insistette ancora Magneto.
 Charles inspirò profondamente per mantenere la calma. «Adesso mi hai veramente stancato.»
 «Devi dirglielo.» insistette Magneto.
 «Smettila, Erik! Sono tutte bugie!»
 Erik assottigliò la sguardo e scosse il capo. «Allora perché ti scaldi tanto? Che cosa nascondi, che non vuoi che tua sorella scopra? Se davvero credessi di non aver fatto nulla di male, lei lo saprebbe già.» disse, mettendosi in piedi a sua volta.
 «Non lo sa perché non è la verità.»
 «Non riuscirai a farmi cambiare idea.»
Charles ringhiò nuovamente, furioso come non mai. «Smettila. Immediatamente.» sillabò.
 «Di fare cosa?»
 «Così.» rispose il professore.
 «Voglio solo sapere la verità.»
 «La conosci già.»
 «Non è così.» replicò Erik, scuotendo vigorosamente il capo. «Perché non vuoi ammettere la realtà? Perché ti ostini a negarlo?»
 «Anche se fosse vero?» chiese, sorprendendo il signore dei metalli.
 «Allora sarebbe suo diritto saperlo.» concluse Erik. Sapeva di avere ragione. Su tutto.
 «Fortunatamente non sta a te decidere.»
 «Quindi ammetti che è vero.»
 Il professore si voltò e strinse i pugni. Le nocche sbiancarono e dovette resistere all’impulso di tirare qualcosa addosso al mutante. Sferrò un pugno sulla scrivania. «Esci di qui.»
 «Lo sapevo.» disse Erik.
 Charles strinse i denti. Sollevò una mano e puntò l’indice contro di lui. «Se provi a farne parola con lei… se provi anche solo ad accennarglielo, ti giuro che-»
 «Cosa, Charles? Mi uccidi?» lo sfidò. «Proprio tu… Il pacifista.» lo sbeffeggiò. Non aveva mai fatto male a nessuno, l’unica volta in cui si era sbilanciato era stato al Pentagono quando gli aveva sferrato un pugno. E poi adesso che non aveva più i suoi poteri non avrebbe nemmeno potuto costringerlo a fare ciò che voleva.
 «No, ma te ne pentiresti.» spiegò «Credo che Logan sarebbe felice di scorticarti vivo.»
 «Ma che paura.» disse, poi continuò. «Adesso voglio che mi spieghi come facevo a saperlo, considerando che non aveva mai incontrato Charlotte, prima di due settimane fa.»
 «Cosa vuoi che ne sappia, io?» esclamò l’altro.
 Erik scosse il capo divertito. «Ti ho già detto che sei un pessimo bugiardo?»
 «Perché ti interessa tanto, in ogni caso?»
 «Beh, vorrei sapere quello che mi sta succedendo.» replicò Magneto. «Continuo a fare questi strani sogni e ho l’impressione che ci sia tu dietro tutto questo. Chissà come mai.»
 Charles scosse il capo e sentì un moto di rabbia travolgerlo improvvisamente. «Lo vuoi sapere davvero?» chiese, socchiudendo gli occhi e sporgendosi leggermente in avanti.
 «Mi sembra ovvio, Charles
 Lui scrollò le spalle. «D’accordo. L’hai voluto tu.» se davvero voleva sapere tutto, glielo avrebbe detto e se si fosse infuriato sarebbe stato ancora meglio. Gliel’avrebbe fatta pagare per ciò che gli aveva fatto, almeno in parte. Sarebbe stata una piccola vendetta per ciò che gli aveva fatto passare. «Ti sta semplicemente tornando la memoria.»
 «Cosa?» domandò Erik, incredulo.
 «Scommetto che hai avuto l’impressione di aver già incontrato Charlotte.»
 Magneto annuì, perplesso, gli occhi spalancati.
 «Be’, è così.» aggiunse il professore. «Due anni fa, quando vi avevo portato qui per allenarvi e prepararsi per la battaglia contro Shaw, c’era anche lei.»
 «No.» ribatté Erik, scuotendo il capo. «È impossibile, me lo ricorderei.»
 «Allora come ti spieghi il fatto che conosca Hank?»
 Magneto si bloccò. Abbassò lo sguardo. «Ma… allora perché non me lo ricordo? Dovrei ricordarla… eppure…» disse dopo un momento di riflessione. «E anche lei sembra non ricordare nulla.»
 «Perché ve l’ho fatto dimenticare, mi sembra abbastanza ovvio.» sputò fuori Charles.
 Erik realizzò. Charles aveva ragione: era tutto così ovvio… Charlotte non poteva conoscere Hank senza averlo incontrato due anni prima, perché anche Charles lo aveva incontrato per la prima volta allora. E insieme a lui, Charles e Raven doveva esserci anche Blade. Era così ovvio che non riuscì a capire perché non potesse esserci arrivato prima. Ecco spiegato il perché di quelle strane sensazioni, di quei sogni, e perché fosse sicuro di saper già tutto su di lei…
«Perché?» domandò soltanto, troppo sconvolto per chiedere qualsiasi altra cosa.
 Charles lo osservò per un momento poi avanzò di qualche passo e sospirò. «Perché avevo capito. Avevo capito che tu-»
Ad un tratto la porta dello studio si aprì, interrompendo il professor X.
 Logan entrò con passo deciso, ignorando il fatto di averli interrotti. «Hank ha localizzato Raven.» disse «È a Parigi.»
 Charles senza attendere altro lo seguì fuori dalla studio diretto al laboratorio di Hank.
 Ed Erik rimase solo.
 
 Magneto uscì di corsa dalla villa, sentendo la mente sull’orlo di un esplosione. Stava piovendo a dirotto, ma non gli interessava. Ciò che gli aveva detto Charles era… non riusciva a capire come e soprattutto perché avesse deciso di fare una cosa del genere.  
 Per un momento gli mancò l’aria. Era furioso.
 Come aveva osato? Come si era permesso di entrare nella sua mente per fargli dimenticare tutto, qualsiasi cosa volesse cancellare? E poi perché? Che cosa aveva capito? Se Logan non li avesse interrotti forse Charles gli avrebbe spiegato ogni cosa, ma Wolverine aveva rovinato tutto.
 
 Charlotte osservò il cortile della villa. La pioggia aveva ormai allagato il giardino e sul piccolo laghetto le gocce formavano dei cerchi concentrici che si dissolvevano lentamente incontrandosi. Era uno di quei temporali che capitavano solo in primavera, la furia della pioggia e del vento mescolate era qualcosa di spettacolare.
 Ad un tratto scorse una figura avanzare sotto la pioggia. Tentò di mettere a fuoco chi potesse essere il pazzo che aveva deciso di uscire con un tempo del genere. Aggrottò le sopracciglia e lo riconobbe. Era Erik ed era immobile, forse in attesa di qualcosa, con le braccia distese lungo i fianchi e i pugni chiusi.
 La pioggia cominciò a cadere più fitta. Un lampo squarciò il cielo illuminando il paesaggio circostante e il tuono arrivò subito dopo facendo tremare, con il suo rombo, i vetri della casa.
 Charlotte poggiò la tazza vuota nel lavello e raggiunse l’atrio. Doveva andare da lui e dirgli di rientrare, era troppo pericoloso rimanere all’esterno con quel tempaccio.
 Aprì la porta e il vento, troppo freddo per essere primaverile, la fece rabbrividire. Uscì e si richiuse la porta alle spalle. Corse verso Magneto, ancora immobile e ormai bagnato fradicio, fermandosi alle sue spalle.
 «Erik!» lo chiamò. Lui sembrò non sentirla. «Erik!» lo chiamò ancora, alzando la voce per sovrastare il rumore della pioggia. Quando lui si voltò, la ragazza rimase senza fiato: sembrava sconvolto. Era pallido e aveva la mascella serrata, le labbra ridotte a una linea sottile e quasi invisibile. «Cosa fai qui fuori?» chiese quando fu a pochi passi da lui.
 La pioggia produceva un fruscio simile a quello delle foglie mosse dal vento e copriva le parole di lei, rendendole quasi incomprensibili, ma lui capì.
 «Vattene.» rispose infatti, lapidario.
 «Non finché non rientri.»
 «Lasciami solo.» disse, cominciando ad allontanarsi.
 Lei gli andò dietro. Non poteva lasciarlo lì. «Erik!» lo chiamò ancora. Ma cosa gli prendeva?
 Lui si voltò di scatto. «Ho detto vattene!»
 «No!» ribatté lei avanzando ancora «Dimmi che cos’hai!»
 «Non sono affari tuoi, ragazzina!»
 «Ho un nome!» strillò di rimando.
 Erik ringhiò. «Non mi interessa! Ti ho detto che devi andartene!»
 «Stai male, lo vedo, non sono stupida!» lui riprese a camminare per tentare di allontanarsi da lei e la ragazza lo seguì, continuando a parlare. «Dimmi che cos’hai. Voglio aiutarti!» le gocce di pioggia scendevano lungo la sua schiena facendola rabbrividire.
 Lui si irrigidì e poi, inaspettatamente di voltò, l’afferrò per un braccio e la tirò a sé.   «Quante volte ti devo ripetere di lasciarmi solo?!» ringhiò, strattonandola. E un flash gli balenò nella mente. C’erano lui e Charlotte nel giardino, lei lo stava rincorrendo, lo pregava di rimanere, di non lasciarla. Poi lui la tirava a sé, la baciava, la stringeva tra le sue braccia… Sentì un potente dolore allo stomaco, poi tornò alla realtà, ansimando e abbassando lo sguardo.
 
 Charlotte si stupì della sua reazione. Non l’aveva mai visto perdere la calma in quel modo. Da quando era arrivato non aveva mai perso le staffe. I loro volti erano così vicini che lei riuscì a scorgere le sfumature dei suoi occhi.
 «Non mi importa quante volte me lo ripeterai. Non ti lascerò qui fuori.» affermò. Poi sentì il corpo di lui tremare violentemente e il suo respiro accelerare. Non tentò di dimenarsi o liberarsi dalla sua stretta, anche se cominciava a farle male. «Erik, che succede?»
 «Che ti importa?» chiese lui.
 «Voglio aiutarti.»
 «Non voglio il tuo aiuto.»
 «No, ma ne hai bisogno.»
 «Che ne sai?» chiese scuotendo il capo.
 «Vedo che sei sconvolto. Non sono cieca. Né stupida.»
 Lui rise, sarcastico. «Che ne vuoi sapere tu?» chiese. «Non sai nulla di me, non mi conosci.»
 «Hai litigato con Charles?» domandò Charlotte, come se non l’avesse sentito.
 Lui la liberò dalla sua presa, allontanandola da sé e costringendola a indietreggiare. «Come ho già detto, non sono affari tuoi.»
 «Vuoi spiegarmi cosa succede tra te e Charles?» esclamò lei, alzando la voce.
 Lui la squadrò e poi volse lo sguardo.
 «Erik.» lo incalzò lei. «Cosa sta succedendo?»
 Senza far caso a ciò che lei gli stava dicendo, si voltò e ricominciò a camminare.
 Charlotte sentì la rabbia crescere dentro di lei. Voleva una spiegazione. Perché non poteva parlarle ed essere meno enigmatico? «Erik!» lo chiamò ancora. Gli corse dietro e lo afferrò per un braccio e non appena lo toccò, un immagine le balenò nella mente, colpendo la sua mente in maniera così potente da farla indietreggiare. Si resse la testa fra le mani e la vista le si oscurò. Davanti agli occhi cominciarono a scorrere delle immagini, mescolate, una in successione all’altra, come al cinema.
 
 Era una giornata di sole. Erik stava avanzando nel cortile di villa Xavier e la ragazza vide che una Charlotte di qualche anno più giovane gli stava andando dietro.
 «Erik!» lo chiamò.
 Lui si voltò. «Cosa vuoi?» chiese rivolgendole uno sguardo interrogativo.
 «Non puoi andartene!» esclamò lei, avvinandosi sempre di più.
 «Davvero?»
 «Non puoi lasciarmi sola. Non puoi lasciarmi solo perché Charles-»
 Lui la interruppe. «Charles è mio amico.»
 «Lo so.» disse lei «Ma la vita è la nostra.»
 Lui sospirò. «Forse lui ha ragione…» riprese «…ti farei solo del male.»
 «Come puoi dire questo?» sbottò «Come puoi anche solo pensarlo? Non mi hai mai fatto del male. Da quando ti ho conosciuto… sono finalmente stata felice di…» non poté concludere la frase perché Erik aveva già poggiato le labbra sulle sue. Le cinse i fianchi con le mani e lei gli circondò il collo con le braccia, alzandosi in punta di piedi per coprire la distanza che li separava e approfondire quel bacio.
 
 Tutto si dissolse in meno di qualche secondo.
 A Charlotte sfuggì un gemito.
 Era di nuovo nel giardino, ma stava piovendo e Erik era di fronte a lei, uno sguardo interrogativo sul volto. Ma cosa diavolo era stato?
 Prima di potersi porre altre domande, cadde in ginocchio. Le sue ossa produssero un rumore secco sulla ghiaia del vialetto. Si prese la testa fra le mani e lacrime calde e salate le bagnarono le guance.
 «Charlotte?» la chiamo Erik, stupendosi di quella reazione.
 Lei si portò le mani alle orecchie. Sentiva delle voci: la sua, quella di Charles, di Hank, di Erik… e altre che non sapeva distinguere… le immagini scorrevano davanti ai suoi occhi come flash… indistinte, aggrovigliate, confuse, prive di ogni senso e significato…
 «Charlotte» ripeté lui, inginocchiandosi accanto a lei. «Cosa succede?»
 Lei scosse il capo e dovette poggiare una mano a terra per non cadere. Tentò di allontanare le immagini, di respingerle, ma non ci riuscì. Queste ritornavano come un fiume in piena, comparendo una dietro l’altra, sempre più veloci.
 Erik la scrollò, prendendola per le spalle. «Charlotte!» abbassò lo sguardo per osservare il suo viso e il sangue gli si gelò nelle vene. Le sollevò il volto con due dita: stava sanguinando dal naso e le pupille erano tanto dilatate da aver quasi completamente coperto l’iride. «Oh, mio Dio…» sussurrò. Poi, senza attendere oltre, la sollevò tra le braccia, stringendola contro il suo petto.
 Charlotte gli circondò il collo con le braccia, poggiando il capo nell’incavo del suo collo. «Erik…» mormorò con voce impastata. Delle macchioline argentee comparvero agli angoli degli occhi e poi tutto si fece nero.
 
 Erik corse all’interno della villa. «Charles!» gridò una volta nell’atrio. «Charles!» si inginocchiò a terra e adagiò il corpo della ragazza sul pavimento sorreggendole le testa, una mano poggiata dietro il suo collo.
 Dopo qualche secondo, Logan, Charles e Hank lo raggiunsero. Il professore stava strillando. «Ti sembra il caso di gridare in questo modo?» ringhiò. Poi, quando vide la sorella inerme tra le sue braccia, andò loro incontro e si inginocchiò a terra. «Cos’è successo?» domandò accarezzandole la fronte.
 Erik scosse il capo. «Non lo so.» spiegò. Stava ancora tremando per il freddo. «Stavamo parlando ed è caduta a terra reggendosi la testa…»
 «Stavate parlando?» la paura invase Xavier.
 «Non credo che sia il momento di parlarne, Charles! Fa’ qualcosa, piuttosto!»
 Hank si avvicinò. «Charles…» sussurrò «Sta sanguinando.» disse e indicò il volto di lei.
 «Oh, mio Dio…» si lasciò sfuggire il professore. «Prendi il siero contro le emorragie. Presto!»
 Hank annuì e corse nel laboratorio.
 «Cosa le sta succedendo?» domandò Logan, immobile, paralizzato di fronte a quella scena.
 «Credo abbia un’emorragia cerebrale.» spiegò il professore, prendendo il volto di lei tra le mani. «Charlotte… sorellina, resisti…» sussurrò.
 Hank fu di ritorno in meno di qualche secondo. Porse una siringa all’amico e lui le fece un’iniezione nel braccio.
 Poi le accarezzò una guancia con la mano e sospirò. «Portiamola in camera sua.»
 
ANGOLO DELL’AUTRICE
Ciao a tutti! Come va? Scusate per il ritardo!
Eccovi il nono capitolo! Spero vi piaccia, è il più lungo, credo, di quelli che ho finora pubblicato… ;D
A Domenica con il prossimo! ^.^
Eli
[Revisionato il 22/02/2016]

 

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


The second chance


CAPITOLO DIECI

 
 «Di cosa stavate parlando?» chiese Charles rompendo il silenzio che aveva avvolto la cucina. Era seduto insieme a Logan Hank e Erik e stava osservando la tempesta imperversare fuori dalla finestra.
 Erik sollevò lo sguardo. «Come?»
 «Di cosa stavate parlando tu e Charlotte?» ripeté l’altro.
 Lui socchiuse gli occhi. «Di nulla.»
 «Non le avrai detto che-»
 «No.» lo interruppe «Ma lo farò non appena si sveglierà, se non mi spiegherai che cosa sta succedendo.»
 Charles gli rivolse uno sguardo carico d’odio. «Non oserai.»
 «Eccome se oserò. È suo diritto saperlo.» lo sfidò.
 «Sapere cosa?» intervenne Hank.
Charles stava per rispondere che non era nulla di importante, ma Erik lo precedette. «Che è stato lui a creare Charlotte, sperimentando su die lei DNA di mutanti diversi, come se fosse un topo da laboratorio.»
 «Come?!» esclamò Hank, voltandosi verso il professore.
 «Erik!» ringhiò l’altro.
 «Charles, che significa?» lo incalzò il ragazzo.
 Lui sospirò, attese qualche secondo, poi parlò. «Charlotte non è nata così. Era una telepate, come me. Ma tutti quei poteri, quelle abilità… sono qualcosa che ha acquisito in seguito.» spiegò. «Quando era bambina le ho impiantato DNA di altri mutanti che avevo raccolto. Questi, modificando il suo patrimonio genetico, l’hanno resa speciale. Diversa.»
 «E lei non lo sa?» domandò Logan, che fino a quel momento era rimasto in silenzio, con sguardo cupo.
 Charles scosse il capo. «Non potevo dirglielo. L’avrei ferita.» spiegò «Ero un ragazzino e ho fatto un errore.»
 «Mi dispiace dirlo, Charles, ma Erik ha ragione.» intervenne Hank. «Charlotte ha il diritto saperlo. Stiamo parlando della sua vita e delle sue capacità.»
 «E cosa dovrei dirle?» sbottò Charles, alzandosi in piedi. «“Charlotte, sei il frutto dei miei esperimenti? Ti ho usato come cavia per lo sfizio di togliermi una semplice curiosità sul DNA mutante?”»
 «Non lo so. Questi sono affari tuoi, amico, ma se non glielo dirai, noi non impediremo a Erik di farlo.» disse Logan.
 Charles rimase di sasso. Che poteva fare? In ogni caso lei sarebbe venuta a conoscenza della verità e forse nel modo peggiore possibile.
 «Forse l’emorragia cerebrale è stata causata proprio da questa miscela di DNA che stanno degenerando.» azzardò Hank, aggrottando le sopracciglia. «Probabilmente, considerando gli sforzi dell’ultimo periodo e l’utilizzo prolungato dei suoi poteri, ha-»
 Il professor X scosse il capo, interrompendolo. «Non è questo il motivo.»
 «E allora quale altra spiegazione ci può essere?»
 «È la sua memoria.» concluse.
 «Scusa?» chiesero all’unisono Wolverine e Bestia.
 Lui sospirò ancora. «Hank… ricordi che due anni fa allontanai Charlotte da qui?» lui annuì, così Charles andò avanti. «Le avevo modificato la memoria. Così come a Erik e a tutti voi, per farvi dimenticare che fosse stata qui, in modo da tenerla al sicuro.» sospirò. «I suoi ricordi stanno tornando a galla e uniti all’addestramento le hanno provocato dei danni. La sua mente è stata sottoposta a uno sforzo troppo grande e queste sono le conseguenze.»
 «Ma… perché cancellarle la memoria?» Hank era sempre più perplesso. «Perché cancellarci la memoria?» si corresse.
 «A causa sua.» rispose il telepate, indicando Erik.
 «Mia?» domandò Magneto, stupito.
 «Sì.» continuò Charles. «Tu me la stavi portando via. Proprio come hai fatto con Raven.»
 «Ma cosa stai…?»
 «Voi due…» il professore si interruppe per trovare le parole, serrando i pugni e la mascella. «Quello che provavi per lei era sbagliato e l’avresti solamente danneggiata, proprio come hai fatto con Raven.»
 «Quello che provavo? Ma cosa stai dicendo?»
 «Eri innamorato di lei!» esclamò il professor X. «E me l’avresti portata via. Sarebbe morta in quella stupida battaglia se non vi avessi cancellato la memoria e non l’avessi allontanata in tempo!»
 La rabbia cresceva in Erik ogni secondo di più. Tutti gli oggetti di metallo intorno a lui cominciarono a vibrare, risentendo della rabbia che aveva invaso la sua mente e il suo corpo. «Come ti sei permesso, Charles? Come hai potuto farmi questo? Credevo fossi mio amico!»
 «Anche io lo credevo, ma dopo quello che hai fatto…»
 «Tutto questo è successo prima della battaglia con Shaw, l’hai detto tu stesso!» strillò l’altro scattando in piedi. «Prima che ti portassi via le gambe e Raven!»
 «Non cambia nulla.»
 «Ah, davvero?» chiese lui, avanzando e vedendo, con la coda dell’occhio, Hank e Logan mettersi sulla difensiva, pronti a scattare se avesse tentato di toccare Charles. «Allora mettiamola così: ti sembra giusto nei confronti di tua sorella? Lei cosa ti aveva fatto? Cosa aveva fatto di male per vedersi portare via una parte della sua vita?»
 «Lei è solo una ragazzina. Non potevo lasciare che si facesse abbindolare da te.»
 «È molto più matura di te, professore!» si ritrovò a dire «Si allena ogni giorno perché tu sia fiero di lei. Per aiutare un fratello che oltre ad averla usata come cavia, le ha portato via una parte della sua vita!»
 «Tu non sai nulla!» gridò l’altro. «Non sai cosa si prova a vedersi portare via tutto! Non comprendi la paura che ho provato all’idea di perderla! Non potrai mai capire. Non saprai mai cosa voglia dire perdere qualcuno!»
 Nel momento stesso in cui pronunciò quelle parole, se ne pentì. Erik sapeva bene cosa voleva dire, ricordò il telepate. Aveva perso sua madre a causa di Shaw e i suoi amici mutanti a causa di Trask.
 Erik strinse i pugni e tentò di controllarsi. La rabbia si tramutò in dolore. Un groppo gli si formò in gola ripensando a sua madre e ai suoi amici. Senza dire altro uscì dalla cucina, diretto nella sua stanza.
 Charles rimase immobile, con lo sguardo puntato al pavimento, affranto.
 «Charles, mi dispiace dirtelo, ma questa volta hai esagerato.» sbottò Hank «Dopo tutto quello che ha passato…»
 «Lo so.» lo interruppe Charles, poi uscì lasciando soli lui e Logan.
 
 Erik rimase nella sua stanza, camminando avanti e indietro per ore, senza riuscire a togliersi dalla mente ciò che Charles gli aveva detto.
 Era innamorato di Charlotte… ecco il perché di quelle visioni. Erano tutti ricordi. Ricordi che riemergevano perché l’aveva rivista. Probabilmente lei aveva mosso qualcosa dentro di lui e aveva riportato tutto a galla.
 La rabbia lo invase ancora. Sferrò un pugno dritto contro la parete; provò un dolore lancinante, che venne immediatamente surclassato dalla rabbia. Osservò le nocche sanguinanti e livide. E sferrò un altro colpo alla parete ormai macchiata del suo stesso sangue. E poi la colpì ancora, ancora e ancora. Altri ricordi, intanto, si impossessarono di lui. Tornarono uno dopo l’altro, come un film a velocità raddoppiata. Eppure erano tutti perfettamente distinguibili.
 Sua madre.
 Shaw.
 Le torture.
 La paura.
 Non poté sopportare oltre. Si accasciò sul pavimento, cadendo in ginocchio e reggendosi la testa fra le mani.
 
ANGOLO DLL’AUTRICE
Ciao a tutti! Eccovi il decimo capitolo!
A martedì, kiss kiss, Eli
[Revisionato il 22/02/2016]
 

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


The second chance


CAPITOLO UNDICI

 
 Charlotte si svegliò, aprendo gli occhi lentamente. Era intontita, ma si sentiva stranamente riposata. Volse il capo a destra e a sinistra, ma questa volta, accanto a lei, non c’era nessuno. Era nella sua stanza, sdraiata sul suo letto e indossava ancora i vestiti bagnati dalla pioggia del mattino.
 Scese dal materasso, poggiando i piedi a terra e quando fu certa che le gambe potessero reggerla, si mise in piedi. Entrò nel piccolo bagno della sua stanza, si fece una doccia e poi si rivestì, indossando abiti asciutti. Indossò un paio di jeans, i suoi stivali preferiti e una camicia dalle maniche corte.
 Non ricordava come fosse arrivata lì. Probabilmente era svenuta, pensò. Ricordava di aver visto qualcosa che l’aveva sconvolta… forse un’altra di quelle strane visioni che ultimamente la tormentavano. E poi più nulla. Avrebbe dovuto chiedere a Erik, ricordava bene che era con lei quand’era successo. Forse lui avrebbe saputo spiegarle.
 
 Charlotte uscì dalla stanza e quando passò davanti alla porta della camera di Erik, vide che era socchiusa e che dall’interno, filtrava la pallida luce delle lampadine. Rimase un attimo ferma nel corridoio, poi decise di entrare.
 Quando varcò la soglia, lo spettacolo che si ritrovò davanti, la lasciò senza parole. La camera era immersa nel caos più totale: la specchiera era rotta, il letto disfatto, gli oggetti che avrebbero dovuto essere sul comodino erano a terra e sul muro, spiccavano delle macchioline rosse, che a prima vista le sembrarono sangue.
 Avanzò per oltrepassare il letto a baldacchino e lo vide. Era seduto con la schiena poggiata alla parete, teneva le braccia incrociate davanti a sé, poggiate sulle ginocchia e la testa era poggiata sugli avambracci, il volto nascosto. Le nocche di entrambe le mani erano livide e ferite, il sangue gli aveva macchiato le braccia e stava continuando a gocciolare sul pavimento.
 «Erik, cos’è successo?» chiese. Si inginocchiò accanto a lui e prese le mani dell’uomo tra le proprie, costringendolo a sollevare il capo. Quando i loro occhi si incontrarono, Charlotte vide che quelli di Magneto erano colmi di lacrime. Il suo cuore perse un colpo. «Erik, che cos’hai?» domandò dolcemente, asciugando le guance del mutante.
 Lui scosse il capo, gemendo non appena altre lacrime sgorgarono dai suoi occhi.
 «A me puoi dirlo.» proseguì la giovane. Vedendo che non accennava a parlare, lo aiutò a mettersi in piedi e lo guidò nel piccolo bagno della stanza. Lo fece sedere sul bordo della vasca e aprì l’armadietto sotto il lavandino, estraendo la cassetta del pronto soccorso. La aprì e rovistò all’interno, prendendo tra le mani il necessario per una medicazione e un bendaggio. «Dobbiamo medicare le mani.» spiegò, voltandosi verso Magneto.
 Prese il disinfettante e bagnò del cotone, poi cominciò a ripulire le ferite. Lo sentì sussultare sotto il suo tocco e sollevò lo sguardo. «Scusami.» sussurrò. «So che fa male, ma dobbiamo pulirle prima che si infettino.» aveva la pelle completamente squarciata, se non l’avesse ripulita avrebbe potuto infettarsi.
 Charlotte lo osservò e scosse il capo, avvilita. Lacrime silenziose continuavano a bagnargli le guance e i suoi occhi erano colmi di tristezza e dolore e Charlotte pensò che non potesse essere solo quello fisico. Doveva essere successo qualcos’altro.
 Quando ebbe finito di bendargli le mani, ripose nuovamente tutto nell’armadietto e riaccompagnò Erik nella stanza, tenendolo per mani. Lo fece sedere sul letto e si posizionò accanto a lui.
 «Erik?» lo chiamò dolcemente, sfiorandogli il braccio con una mano. Lui continuò a fissare il pavimento. «Ti prego, guardami.» disse lei, prendendo il suo volto tra le mani. «Dimmi cosa c’è che non va.»
 Lui non rispose.
 Charlotte rimase a lungo seduta accanto a lui, in attesa, poi si alzò e uscì dalla stanza, diretta nello studio di Charles.
 
 «Charles!» strillò Charlotte, entrando nello studio del fratello senza nemmeno bussare.
 Lui sobbalzò e quando la vide sorrise, visibilmente sollevato. «Lottie, per fortuna stai bene. Sono felice di vederti.»
 «Che cosa succede a Erik?» chiese lei, ignorando le sue parole. Lui scosse il capo. «L’ho trovato nella sua stanza con le mani distrutte per aver preso a pungi una parete. E non parla. Sembra caduto in uno stato di trance. Cosa sta succedendo?»
 «Charlotte…» tentò di fermarla, ma lei non volle sentire ragioni.
 «Spiegami, Charles! Sono preoccupata per lui, era sconvolto!»
 «Sconvolto?» chiese lui di rimando. «Non credo che Erik Lehnsherr potrebbe mai essere sconvolto.»
 «Davvero?» esclamò lei. «Vuoi andare a vedere come sta?»
 «Stai calma, sorellina, gli passerà.»
 «Che cosa gli passerà?»
 «Nulla.» rispose, sperando che lei lasciasse cadere l’argomento.
 Le grida dei due, intanto, avevano attirato Hank e Logan. I due entrarono nello studio e quando videro che Charlotte stava bene, sorrisero.
 «Nulla?!» gridò lei «Ti sembra una cosa da nulla il fatto che sia in quelle condizioni da quando è arrivato qui? Devi fare qualcosa. Per l’amor del cielo, è tuo amico!»
 «Lui non è mio amico!» esclamò il fratello scattando in piedi. «Mi ha danneggiato la colonna vertebrale! Sono rimasto paralizzato, a causa sua!» sputò fuori, furioso.
 «Di cosa stai parlando? Tu cammini…»
 «Hank mi prepara un siero per poter camminare.»
 «Erik non me lo aveva detto.» disse Charlotte, più a se stessa che al fratello.
 «Certo, perché si sente in colpa!» continuò. «Lui ha deviato la pallottola che mi ha colpito. Per poter camminare ho dovuto rinunciare ai miei poteri.»
 «Ma io credevo…» esordì, ma le parole le morirono in gola. Scosse il capo e riprese. «Credevo che potessi ancora leggere nel pensiero.»
 «No.» ribatté lui. «Non più, ormai.»
 Charlotte era sbigottita. «Perché non me lo hai detto?»
 «Non era importante.»
 Quelle parole la fecero infuriare. «Ah, davvero?» lo sfidò. «Allora se non è importante perché continui a trattare Erik come se fosse un criminale? Perché lo tratti così, sapendo quanto sta soffrendo? Perché non puoi semplicemente lasciarti tutto alle spalle e perdonarlo?»
 Lui scosse il capo. «Non si merita il perdono di nessuno.» replicò, tornando a sedersi. «È malvagio. Lo è sempre stato, anche se all’inizio sono stato troppo cieco per rendermene conto.»
 «A me non sembra.»
 «Sei troppo giovane per vedere la verità.» concluse lui, massaggiandosi le tempie. «Non puoi capire. Non potrai mai capire.»
 «Io sarei troppo giovane?» disse lei, spalancando gli occhi. «Non sono troppo giovane per addestrarmi e prepararmi ad una guerra, mi sembra. Non sono troppo giovane per lasciare la scuola e rinunciare ad andare al college, al quale ero stata ammessa e che avrei a frequentare, ma al quale ho rinunciato perché tu mi hai chiesto di aiutarti in questa battaglia. Non sono troppo giovane per dedicarmi al progetto degli X-Men e nemmeno per lasciare tutto per venire a vivere qui, rinunciando alla mia vita e a tutto ciò che avevo.» sbottò.
 Lui sollevò lo sguardo, stupito da quelle parole. «Io non credevo che-»
 «Cosa? Che avrei tanto voluto poter scegliere da sola del mio futuro? Che avrei voluto avere una chance di laurearmi come hai fatto tu?» chiese, interrompendolo. «Invece è così, Charles, ma tu, come ogni volta, non ti disturbi a chiedere la mia opinione riguardo nulla, nemmeno riguardo le questioni che mi interessano in prima persona. Dai sempre tutto per scontato, come se fossi il centro del mondo. Be’, indovina un po’ professore, il mondo non ruota esclusivamente intorno a te.» concluse, poi sospirò e scosse il capo. «Sei cambiato molto in questi anni, Charles. Non sei più quello che conoscevo e non mi piace ciò che sei diventato.» detto questo uscì dallo studio, oltrepassando Hank e Logan, che la stavano osservando stupiti, e si avviò verso la sua camera.
 
ANGOLO DELL’AUTRICE
Ciao, come va, ragazzi?
Come promesso, eccovi l’undicesimo capitolo!
A Giovedì con il prossimo! ;D
Eli
[Revisionato il 22/02/2016]

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


The second chance


CAPITOLO DODICI
 
 
 Erik si trovava in una stanza angusta e buia. Quando riuscì a mettere a fuoco ciò che lo circondava, intuì che dovesse essere la sua camera a villa Xavier. Inspirò profondamente.  

 Era sdraiato sul letto e quando si mise in piedi, si mosse verso la finestra dalla quale proveniva l’unica fonte di luce, che illuminava pallidamente la sua stanza. All’esterno era ancora notte fonda. Una notte senza stelle, nella quale solo le luna sembrava illuminare ciò che era avvolto dall’oscurità.
 La prima cosa che fece fu raggiungere il comodino per accendere l’abatjour. Quando si voltò, vide che accanto a lui, in piedi, intento ad osservarlo, c’era Shaw. Il suo volto era deformato da un ghigno spaventoso e nei suoi occhi brillava una luce tetra e inquietante.
 Magneto indietreggiò di scatto, urtando il comodino e facendolo traballare. Ansimò. Credeva di averlo ucciso. Che fosse morto a Cuba, in quel maledetto sottomarino. Aveva trapassato la sua testa con una moneta, la stessa che lui gli aveva dato al campo quando aveva ucciso sua madre… era impossibile che fosse ancora vivo. Eppure eccolo lì… in carne ed ossa.
 «Erik, ragazzo mio.» disse l’uomo, avanzando verso di lui e tendendogli una mano.
 «No! Stammi lontano… non… non avvicinarti…» balbetto lui, immobilizzato dal terrore.
 «Fammi vedere quello che sai fare.» lo incalzò.
 «No…» ribatté l’altro «Non mi costringerai… non puoi farlo…»
 «Davvero?» lo sfidò ghignando.
 «Allontanati da me.»
 «Fammi vedere ciò che sai fare e mi allontanerò.» gli disse, poi il suo volto venne attraversato dalla rabbia. «Avanti!» gridò.
 Erik scosse il capo e sentì gli occhi pizzicare. Non avrebbe fatto nulla, non si sarebbe più lasciato sottomettere da Shaw, né gli avrebbe dato la soddisfazione di vederlo piangere.
 «Fallo, Erik!»
 «NO!» gridò Magneto in tutta risposta.
 «D’accordo.» concesse l’altro e per un momento Erik pensò che l’avrebbe lasciato in pace. Ma Shaw riprese, la voce ridotta a un ringhio roco e sommesso. «L’hai voluto tu.» concluse. Poi allungò una mano verso di lui e lentamente serrò le dita fino a chiuderla a pugno.
 Ad Erik sembrò che la testa dovesse esplodere da un momento all’altro. Poteva sentire Shaw dentro di sé. Stava scavando nei suoi ricordi, nella sua memoria, riportando a galla tutto… ogni piccolo particolare, ogni momento doloroso, ogni attimo di paura… Erik non sapeva che Shaw che potesse fare certe cose. Non ricordava che fosse un telepate.
 «Basta…» si ritrovò a mormorare. Le parole gli sfuggirono dalle labbra anche se non avrebbe voluto implorarlo. Ma era così doloroso e così terribile… «Basta, per favore…»
 Non ce la fece più: un grido di dolore gli sfuggì dalla bocca rimbombando nella stanza e riecheggiando all’infinito. Gridò ancora e ancora sperando che Shaw avesse pietà di lui e che la smettesse di torturarlo una volta per tutte.
 
 «Erik!» gridò Charlotte scuotendolo per svegliarlo. «Erik, svegliati! Apri gli occhi!»
 L’aveva sentito gridare dalla sua stanza ed era corsa a vedere cosa stesse succedendo. L’aveva trovato intrappolato fra le coperte, a dimenarsi come se volesse liberarsi della presa di qualcuno e quando aveva provato a chiamarlo, si era accorta che sembrava intrappolato in quell’incubo, inglobato dalla paura impossibilitato a uscirne.
 «No… basta!» gridò con gli occhi ancora serrati. «Per favore… per favore, basta!»
 «Erik!» ripeté lei, scuotendolo sempre più forte.
 E lui aprì gli occhi di scatto. Si mise a sedere reggendosi la testa. Era madido di sudore e sul volto aveva dipinta un’espressione di puro terrore, respirava affannosamente, quasi l’aria nella stanza fosse rarefatta. Scosse il capo, gli occhi serrati e le lacrime che gli rigavano le guance.
 «Erik…» sussurrò Charlotte.
 Magneto si voltò e la vide. «Charlotte…?» ansimò.
 Lei gli sfiorò una guancia con una mano e annuì. «Sì, stai tranquillo.» disse dolcemente.
 L’uomo sembrò realizzare. «Shaw… lui… lui era qui…» sbottò agitandosi e guardandosi intorno, preoccupato e spaventato. «Lui mi ha torturato… voleva che… che io gli mostrassi i miei poteri… ma era morto… io lo credevo morto… credevo che fosse… e invece…»
 «Calmati.» disse Charlotte, sedendosi accanto a lui. «Shaw è morto. Non c’è nessuno qui, a parte noi.»
 Lui scosse il capo e le lacrime gli bagnarono nuovamente le guance. Si premette le mani sulle orecchie, abbassando il capo e scuotendolo vigorosamente. «Fallo smettere… ti prego, digli di andarsene…» la implorò. «Voglio che smetta…»
Charlotte non sapeva cosa fare, perciò si posizionò di fronte a lui e si inginocchiò tra le sue gambe. Poi gli scostò le mani dalle orecchie e gli sollevò delicatamente il viso. «Erik, guardami.» disse. Lui continuò a singhiozzare e lei proseguì. «Shaw è morto. Ci siamo solo io e te qui. Sei al sicuro, a villa Xavier. Shaw è morto. Siamo soli e tu sei al sicuro. Va tutto bene.» concluse, parlando lentamente in modo che avesse il tempo di assimilare quelle informazioni.
 Magneto rimase per qualche secondo con il capo abbassato, poi, sentendo che a parte il suo respiro e quello che lei non c’era nient’altro nella stanza, sollevò lo sguardo, incontrando gli occhi di lei.
 «Va tutto bene.» gli ripeté Charlotte. Gli sfiorò le guance con le mani e gli sorrise rassicurante. «Sei al sicuro. Respira profondamente.» consigliò.
 Lui annuì e prese a fare respiri profondi, chiudendo gli occhi.
 Lei continuò a disegnargli piccoli cerchi concentrici sulle guance per tranquillizzarlo, mentre lo osservava, in attesa che si calmasse. Quando Erik risollevò lo sguardo, la ragazza vide che la paura non era ancora scomparsa dai suoi occhi, ma anche che sembrava essersi calmato e tornato completamente alla realtà.
 «Mi dispiace…» sussurrò l’uomo. «Non volevo svegliarti, io…»
 «Erik, va tutto bene.»
 «Shaw… lui mi stava torturando… era qui… e io avevo…»
 «Shaw è morto.» ripeté ancora lei. «Sei al sicuro qui. Nessuno ti farà più del male.»
 Lui scosse il capo. «Era così reale… potevo sentirlo nella mia testa…» disse premendo con forza le mani sulle tempie. «Faceva male… non voleva smettere… l’ho implorato… ma lui ha continuato e io non ce la facevo più…» singhiozzò.
 In quel momento, Magneto le fece un’infinita pena. Era sconvolto, impaurito, vulnerabile… diverso dal solito mutante sicuro di sé e pronto a affrontare qualsiasi cosa. E Charlotte, come quel pomeriggio, tornò a chiedersi come potesse suo fratello continuare a riservargli un trattamento del genere.
 «È tutto finito.» disse lei.
 Lui singhiozzò e poi poggiò la testa sulla spalla di lei.
 Charlotte gli accarezzò i capelli e lo strinse forte a sé. E quando i singhiozzi si fermarono, lo allontanò da sé e gli asciugò le ultime lacrime.
«Perché non torni a dormire, Erik? È ancora presto.» sussurrò. Erano appena le due, aveva ancora tutta la notte per riposare. «Riposati.» concluse e vedendolo annuire tentò di alzarsi e scendere dal materasso.
 Lui la bloccò prendendole la mano. «Non andartene.» disse in un sussurro. «Non lasciarmi solo… ti prego, Charlotte, non… rimani con me…» un’altra lacrima gli bagnò la guancia e la ragazza non poté fare a meno di annuire. Non poteva lasciarlo solo, di certo non in quelle condizioni.
 «D’accordo. Rimango qui con te.» acconsentì. «Sdraiati.»
 Lui obbedì: si infilò sotto le coperte e poi le chiese di sdraiarsi accanto a lui.
 Charlotte si posizionò al suo fianco, si coprì con le lenzuola e si voltò su un fianco per poterlo guardare negli occhi. Erik la stava osservando con gli occhi ancora colmi di paura, così lei gli sorrise e gli accarezzò il viso, sfiorando la barba rossiccia che gli incorniciava le labbra.
 «Dormi.» sussurrò.
 «Non andartene.» sussurrò lui e si strinse contro di lei, abbracciandola e poggiando il capo nell’incavo del suo collo. «Ho bisogno di te.» mormorò con voce flebile.
 Charlotte ebbe un tuffo al cuore. Ho bisogno di te… quattro semplici parole che la sorpresero, togliendole il respiro. Aveva sempre creduto che nessuno avesse bisogno di una ragazza della sua età, inesperta e troppo giovane per qualsiasi cosa, eppure ecco che Magneto l’aveva sorpresa ancora una volta.
 Accennò un sorriso. «Non me ne vado.» lo rassicurò e lo abbracciò, accarezzandogli il capo. L’uomo intrecciò le gambe con quelle esili della ragazza e si aggrappò alle sue spalle. «Non ti lascerò solo. Te lo prometto.»
 «Grazie.» replicò lui, in un sussurro.
 Poco dopo, Charlotte sentì il suo respiro farsi regolare e sommesso, segno che si era addormentato e che anche per lei era arrivata l’ora di riposare.
 
ANGOLO DELL’AUTRICE
Ciao, come state, miei cari lettori?
Rieccomi con un nuovo capitolo, come promesso…
Spero che vi piaccia!
A Sabato, con il prossimo, Eli
[Revisionato il 22/02/2016]

 

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


The second chance


CAPITOLO TREDICI

 
 Erik si svegliò poco dopo l’alba.
 Charlotte, proprio come aveva promesso, era ancora lì, stretta tra le sue braccia, il corpo a contatto con il suo, i loro battiti e i respiri regolari e sincroni.
 L’uomo decise di andare a farsi una doccia, così si scostò tentando di non svegliarla, le sfiorò la fronte con le labbra e si diresse verso il piccolo bagno della stanza.
 
 Charlotte si svegliò e quando allungò un braccio per cercare il corpo di Erik, la sua mano incontrò solo il materasso freddo e vuoto. Si mise a sedere e prima che potesse anche solo ipotizzare dove potesse essere andato, la porta del bagno si aprì ed Erik, con indosso solo i pantaloni della tuta, uscì, facendo il suo ingresso nella stanza.
 Charlotte sentì le guance avvampare di rossore. Magneto aveva un corpo perfetto: il petto era coperto di cicatrici, forse un ricordo del campo di concentramento, ma scolpito, le braccia allenate, la pelle pallida quanto la sua.
 «Buongiorno.» le disse lui e si sedette al fondo del letto.
 «Ciao, Erik.» lo salutò lei, sorridendo e tentando di nascondere l’imbarazzo. «Come ti senti?» domandò, strisciando verso lui e incrociando le gambe.
 «Molto meglio.» rispose «Grazie per quello che hai fatto per me.»
 Lei sorrise. «Figurati.»
 «Mi dispiace di averti svegliata ancora.»
 «Va tutto bene, Erik.» replicò lei. «L’importante è che tu adesso stia bene.»
 Lui abbassò lo sguardo e sorrise.
 Solo in quel momento la ragazza notò, sull’avambraccio sinistro, quello che a prima vista avrebbe potuto sembrare un tatuaggio. Lo osservò meglio, assottigliando lo sguardo e capì che non si tratta di un tatuaggio, ma di un numero a sei cifre.
 Erik notò che lo stava osservando e gli porse il braccio. «È il numero che mi hanno inciso ad Auschwitz quando sono arrivato.» spiegò, poi sospirò. «Un costante promemoria di ciò che sono e di ciò che ho passato a causa della mia natura e della mia razza.» 
 Lei gli accarezzò il braccio e sfiorò il numero con i polpastrelli. «Oh, Erik…» una lacrima le rigò la guancia.
 Lui le sollevò il mento con due dita e asciugò la lacrima con il pollice. «Ehi…» sussurrò teneramente. «Non piangere.»
 «Quello che ti hanno fatto è terribile e inumano.» disse. «Come hanno potuto fare una cosa del genere a delle persone innocenti e riuscire a passarla liscia?»
 «Erano pazzi. Ed è tutto finito, me lo hai detto tu stessa.»
 «Sì, ma…» si interruppe e poi riprese «Mi dispiace tanto.»
 Lui le sorrise. «Lo dici come se fosse colpa tua.»
 Charlotte non poté trattenere un sorriso. «So che non è colpa mia, ma l’idea che una persona, che degli uomini possano aver ideato e messo in atto atrocità simili mi fa rivoltare lo stomaco. Erano mostri. Loro sono i veri abomini della natura, non noi mutanti.»
 I loro occhi si incontrarono per qualche secondo e Charlotte si perse nelle sfumature grigio-azzurre di quelli di Erik.
 «Non pensarci più.» disse Erik e le sorrise ancora. «Andiamo a fare colazione?»
 Lei annuì. «Forse è meglio che vada a cambiarmi.» fece notare, scendendo dal letto e mettendosi in piedi.
 I due rimasero per un momento ad osservarsi, poi il mutante le scostò una ciocca di capelli dalla fronte.
 «Ti aspetto di fronte alla tua camera.»
 Charlotte annuì e uscì, diretta nella sua stanza.
 
 Dopo essersi vestita e pettinata, Charlotte uscì dalla sua stanza e vide che Erik e fermo accanto alla porta, con la spalla poggiata contro la parete, in attesa del suo arrivo.
 «Ehi» gli disse lei, richiudendosi la porta alle spalle.
 Il mutante sorrise. «Andiamo?»
 Lei annuì e insieme raggiunsero la cucina.
 
 Quando varcarono la soglia, videro che la cucina era vuota.
 Erik si rivolse alla ragazza, indicandole il fornello. «Ti va del latte caldo?» domandò.
 Lei sorride. «Sì, grazie.»
 Lui annuì e cominciò a prepararlo, mentre lei prendeva le tazze dalla credenza. Più di una volta le loro mani si sfiorarono e a Charlotte sembrò che il braccio fosse attraversato da una scossa elettrica lieve, quasi impercettibile, ma piacevole.
In quel momento, Charles varcò la soglia della cucina. «Buongiorno.» disse sedendosi al tavolo.
 «Ciao» lo salutò la sorella freddamente. «Caffè?»
 «Sì, grazie.» rispose lui, poggiando i gomiti al tavolo.
 La ragazza si allungò per prendere la caffettiera nel lavello, ma Erik la precedette facendola fluttuare davanti a sé.
 Lei sorrise e gli diede una piccola gomitata. «Potrei avere la caffettiera, signor Lehnsherr?» chiese ridendo, tentando di afferrarla.
 Lui scosse il capo. «Non credo proprio. Si sieda, signorina Xavier, oggi ci penso io.»
 «Che gentiluomo.» replicò la ragazza.
 Lui sorrise e cominciò a preparare il caffè il per il professore.
 Charlotte si sedette di fronte al fratello e per un lungo momento si osservarono intensamente. Nessuno dei due tentò di parlare, nessuno tradì alcuna emozione, poi Charles sollevò le sopracciglia.
 «Quanto ancora penserai di tenermi il broncio?» chiese.
 «Quanto più a lungo possibile.» replicò lei, fulminandolo con lo sguardo. «O almeno fino a che non tenterai di cambiare atteggiamento e comportarti come una persona matura.»
 Lui rise sarcasticamente. «Sarei io l’immaturo qui?» chiese. «Non sono io a negare l’evidenza, mi sembra.»
 «Si sa qualcosa di Raven?» chiese lei, ignorandolo e cambiando argomento.
 Lui sospirò. «No, ancora nulla.»
 Lei annuì.
 Erik intanto, porse la tazza al telepate e poi prese la altre due, poggiandone una davanti a Charlotte.
 «Grazie, Erik.» disse la giovane
 Lui sorrise e si sedette accanto a lei. Fece fluttuare la zuccheriera in metallo davanti a loro e subito dopo fece lo stesso con tre cucchiai.
 I tre li presero e dopo aver messo lo zucchero nelle tazze cominciarono a mescolare.
 Per qualche minuto nessuno parlò. Tutto era avvolto dal più completo silenzio.
 Fu Charlotte a rompere il silenzio indicando la scatola che stava sul tavolo proprio accanto a Erik. «Mi passeresti i cereali?» chiese all’uomo.
 Lui la osservò e poi annuì. Allungò una mano verso la scatola e quando la porse a Charlotte, le loro mani per un momento si toccarono. Né lui né la ragazza ebbero il coraggio o la volontà di sottrarsi a quel contatto, anzi, rimasero fermi per qualche secondo quasi a voler assaporare la pressione delle loro mani una sull’altra.
 «Grazie.» concluse lei e cominciò a servirsi i cereali facendoli cadere nel latte, distogliendo lo sguardo dal viso del mutante.
 Charles intanto, avendo finito il suo caffè, si era alzato in piedi. Osservò Erik, intento a bere il latte che si era preparato, e poi parlò. «Erik, quando hai finito potresti venire nel mio studio?»
 L’altro sollevò lo sguardo, annuì e riprese a mescolare con il cucchiaio.
 Il professore uscì dalla stanza, seguito dallo sguardo di Charlotte, più perplessa che mai.
 
ANGOLO DELL’AUTRICE
Ciao a tutti! Come state?
Mi scuso per il ritardo, ma ieri non sono proprio riuscita a pubblicare!
Comunque, ecco qui il 13esimo capitolo, come promesso.
Per farmi perdonare, domani pubblicherò il seguito!
A presto, Eli…
[Revisionato il 22/02/2016]
 
 

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


The second chance


CAPITOLO QUATTORDICI

 
 Erik entrò nell’ufficio di Charles senza bussare.
 Aveva chiesto a Charlotte spiegazioni riguardo la conversazione che aveva avuto poco prima con il fratello e la giovane gli aveva raccontato ciò che il giorno prima si erano detti, subito dopo averlo trovato nella sua stanza. L’uomo si era sentito lusingato dal fatto che la mutante lo avesse difeso, ma vedendo quanto il litigio l’aveva turbata, la soddisfazione era durata ben poco. Aveva provato una strana sensazione nel vedere che la ragazza era rimasta così delusa da suo fratello e anche se avrebbe voluto raccontargli la verità, non ci era riuscito. Non in quel momento. Perciò si era limitato ad assicurarle che tutto sarebbe andato per il meglio e che Charles avrebbe capito e poi era uscito, dirigendosi nello studio del professore.
 Charles sollevò lo sguardo e quando lo vide di fronte alla scrivania, gli fece cenno di sedersi su una delle poltroncine.
 Magneto si accomodò e attese che l’altro parlasse. Dopotutto era stato lui a volerlo lì.
 Charles continuò a scarabocchiare su un foglio per due minuti, senza degnare il mutante di uno sguardo.
 «Di cosa dovevi parlarmi?» chiese Erik, stufatosi dell’improvvisa omertà del telepate.
 Charles sollevò lo sguardo. «Di mia sorella.» spiegò. «Voglio che tu le stia lontano.»
 «Per quale ragione?»
 «Lo sai bene.» affermò l’altro.
 «Oh, capisco… perché hai paura che mi innamori di lei di nuovo.» disse «Non preoccuparti Charles, non succederà. Non la porterò sulla cattiva strada.»
 Charles scosse il capo indignato. «Non sto scherzando, Erik.» insistette «Vedo come ti comporti con lei, come la guardi e come le parli e vedo anche come lei sta reagendo alle tue attenzioni. Potrò anche non essere più in grado di leggere nel pensiero, ma la conosco. Vi conosco entrambi. Lei è solo una ragazzina e cadrà ai tuoi piedi perché sente il bisogno di essere amata. Ha perso la maggior parte delle persone a cui teneva e non voglio che usi te per rimpiazzarle.» concluse. «Perciò stalle lontano.»
 «Quindi è questo che pensi di lei? Che sia così immatura che qualche parolina dolce e qualche sguardo possa farla cadere ai miei piedi. Davvero gentile da parte tua, considerarla tanto debole e stupida. Spero almeno che tu abbia deciso di mantenere il riserbo anche su questo.» replicò. «Io credo, al contrario di te, che sia abbastanza grande da scegliere cos’è meglio per lei e soprattutto abbastanza intelligente da capire quando qualcuno la sta prendendo in giro.»
 «No. Non lo è.»
 «Dovresti darle più fiducia.» ribatté Erik. «E più rispetto.» aggiunse, sentendo la rabbia invaderlo improvvisamente. Come si permetteva di pensare certe cose di sua sorella? Charlotte era intelligente, sveglia e in grado di scegliere liberamente ciò che sarebbe stato più giusto per lei.
 «Lei ha già la mia più completa fiducia. Il problema sei tu.»
 Magneto continuò ad osservarlo senza battere ciglio. «Se davvero sono un problema, perché mi hai voluto qui?»
 «Non ti ho voluto qui.» lo corresse. «Logan mi ha detto che era necessario che ci fossi anche tu e io ho accettato di riportarti qui per poter arrivare a Raven, ma sia chiaro: io non ti volevo qui.»
 Erik, stranamente, si sentì ferito da quelle parole. Lui e Charles erano stati amici per parecchio tempo e sentirgli dire che non lo avrebbe voluto rivedere più, lo aveva ferito nel profondo. A quel punto si alzò in piedi. «Non vedo perché dovrei rimanere, allora.»
 Charles lo osservò e poi rise. «Ti odio, Erik. Ma non sono così stupido da cacciarti e mettere a rischio il destino della nostra specie.» spiegò il professore. «Non te ne andrai, perché se lo farai, manderò Logan a cercarti per riportarti qui. Anche con tutte le ossa rotte andrà benissimo.»
 «Eccolo qui... il grande Charles Xavier, il pacifista e protettore della specie mutante…» lo sbeffeggiò Magneto. «Doveva arrivare un tizio dal futuro per farti capire che batterti per la nostra specie è giusto.»
 «Io mi sono sempre battuto per i mutanti.»
 «Tentando di reprimere ciò che siamo per collaborare con gli umani.» gli fece notare Erik.
 «Per evitare una guerra.»
 «E guarda a cosa siamo arrivati.»
 Charles sospirò. «Non puoi affibbiare le colpe di pochi a tutti quanti.»
 «Le colpe di pochi?» chiese l’altro, non capendo cosa intendesse.
 «Quello che i nazisti e Shaw ti hanno fatto al campo…»
 Erik lo interruppe avvicinandosi e sbattendo una mano sulla scrivania. Puntò un dito contro Charles, rivolgendogli uno sguardo carico di rabbia. «Non provare a parlare di quello che ho passato.» ringhiò scandendo bene le parole. «Non. Osare.»
 «Ho visto e ho provato ciò che hai passato.» gli ricordò il professore.
 «Non era nemmeno la minima parte! Tu non puoi capire, Charles!» gridò «Le immagini che tornano a tormentarmi. Il dolore di vedere le cicatrici che mi porto addosso… Non potrai mai capire, nemmeno entrando nella mia mente un milione di volte!»
 «Non mi hai mai aiutato a farlo.» gli fece notare alzandosi in piedi a sua volta. «Se hai davvero sofferto tanto-»
«Credi che stia mentendo? Che questa sia una scusa?» sbottò furioso, interrompendolo. «Tu non capisci, Charles! Non hai mai capito e mai potrai farlo.» disse, passandosi una mano sul volto. Poi senza lasciare al professore il tempo di replicare, uscì dalla stanza sbattendo la porta.
 
 Erik e Charlotte, durante il pomeriggio, uscirono in giardino per allenarsi.
 Il sole era caldo e il cielo era limpido e azzurro. Ogni cosa sembrava in armonia in quel meraviglioso giorno di primavera.
 Dopo venti minuti, Charlotte aveva atterrato Erik già parecchie volte. Inizialmente aveva pensato che fosse ancora sconvolto per l’incubo della notte precedente, ma durante la colazione le era sembrato normale. Sembrava star bene, fino alla chiacchierata con Charles.
 «Erik?» lo chiamò, fermandosi e avanzando verso di lui.
 Il mutante, ancora a terra dopo l’ennesima caduta, si sollevò reggendosi sui gomiti e si mise seduto spazzolandosi via i fili d’erba dai pantaloni da allentamento.
 «Ti senti bene?» domandò la ragazza.
 Lui annuì.
 «Non mi sembra. Dimmi cosa c’è che non va.» lo incalzò e prese posto accanto a lui, sull’erba.
 Lui si voltò e puntò i suoi occhi grigi in quelli di lei. «Non dovrei essere qui.»
 Charlotte aggrottò le sopracciglia. «Come?»
 «Non dovrei essere qui a villa Xavier. Charles non mi vuole. Non mi ha ancora cacciato perché Logan gli ha esplicitamente detto che la mia presenza è necessaria.» spiegò. Non sapeva perché lo stesse dicendo a lei… forse perché se una volta l’aveva amata, poteva anche fidarsi.
 «Cosa?!» esclamò la ragazza «Chi ti ha detto che Charles non ti vuole?»
 «Lui stesso.» rispose l’altro, distogliendo lo sguardo.
 «È più idiota di quanto ricordassi.» mormorò Charlotte tra sé e sé.
 Lui sorrise mestamente. «Forse ha ragione. Non dovrei stare qui. Non sono il benvenuto.»
 «Non è vero.»
 «Non hai visto gli sguardi di Hank e di Logan, o ancor peggio quelli di Charles?» chiese, riportando lo sguardo sugli occhi della giovane. «Mi odiano è evidente. Sono qui solo perché servo loro per trovare Raven, altrimenti mi troverei ancora al Pentagono, in quella maledetta prigione di vetro.»
 «E io chi sono? La mia opinione non conta nulla?» chiese lei dopo un momento. Quando Erik aggrottò le sopracciglia, lei riprese. «Io ti voglio qui.»
 Magneto socchiuse gli occhi. Forse anche i suoi ricordi stavano tornando a galla. Altrimenti perché sarebbe stata così gentile con lui, aiutandolo quando ne aveva bisogno? «Charlotte…» tentò di dire.
 Lei lo interruppe, sollevando una mano. «No, Erik.» si impose. «Non puoi andartene. E non solo perché devi aiutarci a trovare Raven, ma perché sei come noi. Siamo tutti sulla stessa barca. E poi con chi potrei allenarmi se te ne andassi?» chiese e vedendolo ridacchiare, per poi tornare serio, sospirò. «Cos’altro ti ha detto Charles? Non può essere solo questo.»
 «Nulla.»
 «Stai mentendo.»
 «Non mi piace che mi si entri nella testa.» le disse duramente. Odiava quando lo faceva Charles e lo odiava ancora, dopo tutto quel tempo, anche se era lei a farlo.
 «Non ti entrerei mai nella testa senza il tuo permesso.» affermò lei «Semplicemente è abbastanza evidente che ti abbia detto qualcosa che ti ha turbato. Te lo leggo negli occhi.»
 Lui abbassò lo sguardo. «Ha parlato del campo.» cedette alla fine.
 Charlotte aggrottò le sopracciglia. Ma cosa prendeva a Charles? Adesso era diventato un hobby far soffrire le persone, e in particolar modo Erik? «Cosa ha detto?» chiese sconsolata, pronta a tutto.
 Erik volse lo sguardo. «Che sa cos’ho provato.» spiegò «Ma lui non lo sa. Non sa nulla.» una lacrima gli percorse una guancia, solitaria e silenziosa.
 Charlotte gli accarezzò una guancia e lo fece voltare verso di sé. «Charles è un idiota.» esordì. «Nessuno potrà mai sapere cos’hai passato, Erik. Nemmeno chi può leggere nella tua mente.» sospirò. «Ti chiedo scusa per ciò che ha detto Charles. Ultimamente non ragiona.»
 Lui annuì e abbassò lo sguardo.
 «In ogni caso non te ne andrai.» concluse. «Te lo proibisco categoricamente.»
 Lui le rivolse uno sguardo divertito. «Ah, davvero?» la sfidò.
 «Già. A costo di intrappolarti tra le radici di un albero.»
 «Non ci riusciresti.»
 Charlotte sorrise, con aria di sfida. «Scommettiamo?»
Lui rise e, sollevando un sopracciglio, prese a farle il solletico. Si mise a cavalcioni su di lei per bloccarla tra le sue gambe, continuando a muovere le dita sul suo ventre, accarezzandole la pelle sotto la maglietta.
 «Erik, basta, ti prego!» rise lei, dimenandosi. Quando il mutante allontanò le mani dal suo corpo, Charlotte ne approfittò per ribaltare le posizioni.
 Erik si ritrovò sdraiato sulla schiena, mentre lei aveva intrappolato le sue gambe tra le proprie ginocchia. Le sorrise dolcemente e i loro occhi si incatenarono. L’uomo intrecciò le dita a quelle di lei, giocandoci delicatamente. Dopo un momento si mise seduto e la giovane gli circondò il collo con le braccia, per non perdere l’equilibrio.
 I loro visi si ritrovarono a pochi centimetri l’uno dall’altro.
 Erik le accarezzò i fianchi, spostando lo sguardo dai suoi occhi alle sue labbra.
 Charlotte sentì le guance avvampare di rossore, ma non staccò gli occhi dal viso del mutante nemmeno per un momento. Affondò le dita nei suoi capelli e gli accarezzò la base del collo.
 Magneto continuò a studiare Charlotte… i suoi occhi e il suo viso e sorrise. Forse era proprio per questo che si era innamorato di lei. Perché Charlotte lo faceva sentire bene. Al sicuro. A casa.
 
ANGOLO DELL’AUTRICE
Ciao a tutti! Eccomi qui! *applauso*
Come promesso, ho pubblicato il 14esimo capitolo, tutto per voi! ;D Non sono fantastica?
Ok, basta, scherzavo… ^.^”
A mercoledì con il prossimo, Eli.
[Revisionato il 22/02/2016]
 
 
 
 

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


The second chance


CAPITOLO QUINDICI

 
 Erik si svegliò.
 Era nel giardino di villa Xavier, sdraiato sull’erba. Si sollevò sui gomiti e osservò il paesaggio. Il sole gli accarezzò il volto facendolo sorridere. Era una sensazione piacevole, che non provava più da troppo tempo.
 Un’ombra proiettata sul manto erboso attirò la sua attenzione.
 Sollevò lo sguardo e vide che era Charles.
 «Charles?» chiese e l’altro annuì.
 Il professore si fermò a qualche passo da lui, con le mani nelle tasche dei pantaloni. Si limitò ad osservarlo, senza parlare, senza fare nulla.
 Poi una terza figura arrivò camminando lentamente.
 Fino a che non fu accanto a Charles, Erik non la riconobbe.
 Era qualche centimetro più alto del professore e portava un elmo che gli copriva il capo lasciando scoperti solo gli occhi, il naso e le labbra.
 «Shaw?» sbottò Erik, senza fiato, incredulo, riconoscendo l’uomo che per tanto tempo l’aveva torturato e tormentato.
 Lui annuì e poi si voltò verso Charles. «Grazie per avermi portato da lui, Charles.» disse sorridendo e poggiandogli una mano sulla spalla.
 Il professor X annuì e rivolse un ultimo sguardo a Erik. Poi gli diede le spalle e fece per allontanarsi.
 «Charles…» lo chiamò lui «Charles, non puoi lasciarmi… lui…» balbettò senza fiato.
 Il professore sembrò non far caso alle sue parole e si allontanò camminando lentamente.
 «No, Charles… ti prego.» bisbigliò Magneto.
 «A noi due, Erik.» riprese Shaw. «Fammi vedere cosa sai fare. Mostrami i tuoi progressi.»
 «No! No, vattene!» gridò lui, alzandosi in piedi di scatto e indietreggiando. «Non sei reale, sei morto! Vattene, lasciami in pace!»
 «Se fossi morto potrei fare questo?» così dicendo gli poggiò una mano sul petto. Questo venne attraversato da una scossa elettrica che sbalzò Magneto all’indietro, facendolo atterrare sulla schiena. Il respiro gli si mozzò. Il mutante gemette, un misto di dolore e sorpresa.
 «No…» sussurrò senza fiato «Vattene…»
 «Mostrami i tuoi poteri.»
 «No, basta…» lo implorò.
 Shaw era sempre più vicino. «Voglio vedere cosa sei diventato. Mostramelo.»
 «No, lasciami in pace!» gridò Erik, sollevandosi sui gomiti e reggendosi la testa.
 «Se non mi mostrerai i tuoi poteri, lei morirà.» aggiunse Shaw e allungò una mano indicando un punto accanto a Erik.
 Lui sollevò lo sguardo e vide che accanto a lui c’era sua madre.
 «Mama.» disse in tedesco.
 «Hallo, mein Lieber…» rispose lei con la sua voce melodiosa e calda.
 «Conterò fino a tre.» disse Shaw, costringendo Magneto a voltarsi. «Ein… Zwei… Drei…» poi sollevò una mano, dove era comparsa una pistola, e sparò alla donna, colpendola dritta al petto.
 Un fiotto di sangue colpì Erik in pieno viso. «No!» gridò Erik, prendendola tra le braccia e scuotendola per svegliarla. «NO! Mama! No… no!»
 
 Erik si svegliò di soprassalto. Stava piangendo ed era madido di sudore.
 «Mama…» sussurrò poggiandosi una mano sulla fronte. «No… no…»
 Quando le immagini del sogno, di Charles che lo abbandonava, della morte della madre e delle torture gli tornarono in mente, un conato di vomito gli salì lungo la gola.
 Scese dal letto e corse nel piccolo bagno. Si chinò sulla tazza e cominciò a tossire convulsamente. Perché continuava a sognare Shaw? Perché lo tormentava così tanto? E adesso anche Charles, nei suoi incubi, decideva di torturarlo?
 Ad un tratto sentì una mano poggiarsi sulla sua spalla.
 Si voltò e vide che accanto a lui c’era Charlotte, che lo stava osservando preoccupata.
 La ragazza si inginocchiò accanto a lui e lo osservò con i suoi grandi occhi blu.
 Le lacrime tornarono a bagnare le guance di Magneto, che non poté fare altro che rifugiarsi tra le braccia dell’amica e piangere.
 
 Charlotte aiutò Erik ad alzarsi in piedi e lo condusse fino al letto. Sembrava entrato in una specie di trance: non parlava, teneva lo sguardo fisso su un punto indefinito e continuava a singhiozzare silenziosamente.
 Charlotte lo fece sdraiare sotto le lenzuola, fece il giro del letto e si sdraiò accanto a lui, scivolando sotto le coperta. Gli accarezzò i capelli, gli asciugò le lacrime e gli sorrise rassicurante. «Va tutto bene, Erik.» sussurrò. «Sono qui.»
 Poggiò il capo sul suo petto e una mano sul suo cuore. Stava galoppando nel suo petto ad una velocità incredibile e il respiro era irregolare e convulso.
 La mutante lo abbracciò e continuò a rassicurarlo tentando di non fare caso ai singhiozzi che lo stavano scuotendo violentemente.
 
 Il mattino seguente, Charlotte si svegliò e sentì il corpo di Erik accanto al suo. Lui le stava accarezzando delicatamente i capelli e quando lei aprì gli occhi e sollevò lo sguardo, incontrò i suoi.
 «Ciao» sussurrò.
 Lui le sorrise dolcemente. «Ciao.» le sfiorò la guancia con le dita e rimase ad osservarla per qualche secondo.
 Lei arrossì e abbassò lo sguardo. «Come ti senti?» domandò al mutante.
 Magneto si schiarì la voce. «Bene, grazie.» poi riprese «Mi dispiace per stanotte.»
 «Non mi hai svegliata.» lo rassicurò lei. «Ero andata in cucina a bere un bicchiere d’acqua e ho visto la luce accesa. Ho pensato che stessi male.»
 L’uomo sorrise. «Grazie per essere rimasta.»
 «Figurati. Lo sai che mi fa piacere darti una mano.» concluse Charlotte e si mise a sedere accanto a lui. Gli sorrise e lui ricambiò. «Vado a cambiarmi.»
 Lui annuì, distogliendo lo sguardo, ancora incatenato agli occhi di lei. «D’accordo. Ti aspetto davanti alla tua camera.»
 Charlotte annuì e uscì.
 
 Dopo aver fatto colazione, dato che stava piovendo a dirotto e sarebbe stato impossibile allenarsi all’aperto, Erik e Charlotte decisero di rimanere in salotto a riposarsi, dopotutto entrambi avevano bisogno di una pausa degli allenamenti, che ormai duravano da quasi un mese.
 Charles, Hank e Logan sembravano scomparsi, perciò i due rimasero soli a godersi la tranquillità della casa, immersa nel più completo silenzio. La pioggia batteva violentemente contro i vetri e di tanto in tanto un tuono irrompeva improvvisamente nell’aria, facendo tremare le finestre, ma tutto sommato si poteva dire che nella casa regnasse la calma.
 Charlotte si avvicinò alla libreria e osservò la collezione dei dischi in vinile. Li passò in rassegna, affiancata da Magneto che li stava studiando uno ad uno, esterrefatto di fronte a quella immensa collezione.
 «Di chi sono?» domandò l’uomo.
 Blade si voltò verso di lui e accennò un sorriso. «Di mio padre.»
 Erik aggrottò le sopracciglia. «Charles non parlava mai di vostro padre.»
 La giovane fece spallucce. «La guerra ha fatto tante vittime, anche a distanza di anni e nostro padre era una di queste. Non ricordo nulla di lui, se non il suo volto, visto in qualche fotografia. Ero piccola quando morì, ma Charles lo ricorda bene. Era molto legato a lui.» spiegò, poi sospirò. «Al contrario ricordo bene mia madre e il suo dolore. Per lei è stato complicato crescere sia me che Charles dopo la morte di nostro padre. Non avevamo altri parenti a cui chiedere aiuto, perciò dovette occuparsi da sola di due figli. Morì di poliomielite dieci anni fa.»
 «Mi dispiace.» sussurrò Erik.
 Charlotte sorrise. «Abbiamo superato anche questo.»
 Magneto abbassò lo sguardo e dopo un momento riprese. «Anche io non ricordo mio padre.» esordì, incontrando gli occhi di lei. «Ma mia madre…» sorrise «Lei era meravigliosa. Era dolce, affettuosa e coraggiosa. Sapeva cos’ero e non me ne aveva mai fatto una colpa. Anzi, mi ammirava per ciò che sapevo fare. Mi ha sempre amato, nonostante fossi diverso.»
 «Sembra una donna meravigliosa, da come la descrivi.»
 «Lo era.» confermò l’uomo. «Lo era davvero.»
 Charlotte sorrise. «Dai, non pensiamoci più.» disse e tornò ad osservare i dischi. Quando ebbe trovato ciò che stava cercando, sorrise. Lo prese dallo scaffale e si avvicinò al giradischi. Lo piazzò e lo fece partire.
 «Che cos’è?» domandò Erik, avvicinandosi.
 «Ascolta» gli disse lei.
 Magneto, dopo aver ascoltato per qualche secondo, scosse il capo. «Non la conosco.»
 Charlotte sorrise. «È Big girls don’t cry. Di Frankie Valli and the Fuor Season.» lui le rivolse uno sguardo interrogativo, così lei continuò. «Tu non ascolti musica?»
 «No, non mi piace.» ammise.
 «Cosa?!» esclamò la mutante. «Ma dà il ritmo alla vita! Io adoro ascoltare musica. È come leggere: ti permette di vivere milioni di vite.»
 Lui sorrise. «Ultimamente non ho avuto molto tempo per ascoltare la musica.»
 «Ma adesso ce l’hai.» fece notare Charlotte, sorridendo di rimando. «Queste canzoni sono meravigliose e tutti questi dischi sono qui per te. Puoi ascoltarli quando vuoi.»
 Erik rise e dopo un momento si mise in piedi, avvicinandosi alla giovane. Le porse la mano. «Mi concede questo ballo, signorina Xavier?»
 «Non so ballare.» ammise la mutante.
 L’uomo sgranò gli occhi. «Non sai ballare?!»
 Lei rise. «Touché.»
 Erik ridacchiò. «Non preoccuparti, Blade. Conduco io.» la rassicurò.
 Charlotte osservò la mano di lui, ancora tesa in attesa che lei la prendesse. Sorrise e poggiò la mano su quella dell’amico.
 Erik la strinse delicatamente, quasi avesse paura di farle del male, e la tirò a sé. 
 Quando i loro corpi entrarono in contatto, il mutante gli poggiò la mano destra sulla schiena e mentre la giovane poggiava la propria sulla sua spalla, lasciandosi guidare a ritmo di musica. I loro occhi si incontrarono, incatenandosi gli uni agli altri.
 Charlotte sentì il suo cuore accelerare, premendo violentemente contro la cassa toracica; le guance le avvamparono di rossore, mentre un formicolio aveva preso a solleticarle lo stomaco.
 I due si mossero per la stanza, poi lui le fece fare una giravolta, allontanandola da sé, per poi avvicinare nuovamente i loro corpi, che si toccarono nuovamente.
 Per Charlotte sentirlo così vicino, con i suoi occhi che percorrevano ogni centimetro della sua pelle, era una sensazione bellissima, ma allo stesso tempo strana. La faceva stare bene come nulla era riuscito a fare prima di allora. Eppure… le sembrava tanto un déjà-vu. Le sembrava di aver già provato quelle sensazioni prima di allora.
 La musica cambiò, divenendo più lenta. I due rallentarono.
 «Dove hai imparato a ballare così bene?» domandò Charlotte.
 Erik le accarezzò la schiena. «Sono più vecchio di te. Ho avuto più esperienze. Ho girato il mondo e nei miei pellegrinaggi ho imparato un paio di cosette.»
 «Ok, ti concedo che essendo più vecchio tu abbia avuto più esperienze.» replicò Charlotte. «Ma solo perché sai ballare.»
 Magneto rise, continuando a muoversi e tenendola più stretta a sé. «Anche tu sei brava, comunque.»
 «Ti ringrazio»
 Quando la musica cominciò a diminuire di volume, Erik si avvicinò maggiormente a lei e quando il silenzio tornò ad avvolgere la stanza, i due si fermarono rimanendo stretti l’uno all’altra per lungo tempo, cullati dal rumore della pioggia che batteva insistentemente contro i vetri.
 Lui le scostò una ciocca di capelli dalla fronte. «Sei così bella, Charlotte.» gli sfuggì dalle labbra, poi le accarezzò una guancia.
 Lei abbassò lo sguardo e arrossì. Nessuno le aveva mai fatto un complimento del genere, tantomeno un uomo… se non si contava Charles, ovviamente. Quando i suoi occhi incontrarono nuovamente quelli color ghiaccio di Magneto, sentì nuovamente quel formicolio allo stomaco.
 Erik inclinò il capo di lato e si avvicinò. Quando le loro labbra furono a pochi centimetri di distanza, però, qualcuno entrò nella stanza, interrompendoli.
«Charlotte» la voce di Charles la fece sobbalzare. La giovane si voltò, inconsapevole di essere ancora stretta tra le braccia di Erik.
 Il fratello la stava guardando con sguardo severo e sembrava alquanto irritato. «Puoi lasciarci soli?» chiese con tono duro, che non ammetteva repliche.
 Charlotte tentò di protestare. «Charles-»
 «Fuori.» ringhiò interrompendola.
 Lei rimase impietrita. Perché la trattava così?
 «Mi hai sentito?» ripeté il professore, avvicinandosi ai due. «Vattene immediatamente.»
 «Non trattarla così.» si intromise Erik.
 «Tu stanne fuori.» sibilò Xavier, puntando un dito contro Magneto. «Non sono affari tuoi come tratto mia sorella.»
 Magneto tentò nuovamente di ribattere, ma Charlotte si voltò verso di lui e gli poggiò le mani sul petto. «Va tutto bene, Erik. Lascia stare.» disse, poi sorrise. «Ci vediamo più tardi.»
 Lui annuì, la liberò dalla sua presa e la mutante uscì dalla stanza, senza rivolgere nemmeno uno sguardo al fratello.
 Quando rimasero soli, Charles osservò Magneto per un lungo momento.
 Un lampo illuminò la stanza e il rombo del tuono arrivò subito dopo, facendo tremare i vetri della stanza, surclassando il rumore del giradischi che stava continuando a girare a vuoto.
 «Cosa stavate facendo?» chiese il professore, rompendo il silenzio.
 Lui alzò le spalle e scosse il capo, perplesso di fronte a quella domanda. «Mi sembra abbastanza evidente. Stavamo ballando.»
 «A me sembrava che steste per baciarvi.» replicò l’altro.
 Lui rise. «Anche se fosse?»
 «Ricordo di averti ordinato di starle lontano.» gli ricordò, avvicinandosi ancora.
 «E io ricordo di averti detto che la scelta era di Charlotte.»
 «Ti sbagli.»
 «Davvero?» lo sfidò Erik, rivolgendogli uno sguardo indignato.
 «Finché rimarrai in questa casa, farai meglio a non avvicinarti ancora a lei. Sono stato abbastanza chiaro, Magneto? Altrimenti ne pagherai le conseguenze.» concluse Charles.
 Il professor X pronunciò il suo nome con tanto disprezzo, sputandolo fuori come se fosse stato un veleno che lo stava corrodendo dall’interno da troppo tempo, che Erik rabbrividì. Alla fine volse lo sguardo.
 Sentiva qualcosa all’altezza del cuore, qualcosa che non aveva mai pensato di poter provare per Charles: odio. Provava così tanto disprezzo per lui e per il suo comportamento, non solo nei suoi confronti ma anche in quelli della sorella, che se avesse continuato a parlargli avrebbe rischiato di prenderlo a pugni. Così si limitò ad annuire, a stringere i pugni e a raggiungere la sua stanza senza più voltarsi indietro.
 
ANGOLO DELL’AUTRICE
Ciao a tutti! Eccomi qui, come promesso, con il quindicesimo capitolo! ;D
Fatemi sapere cosa ne pensate!
A venerdì con il prossimo… Eli
[Revisionato il 23/02/2016]

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


The second chance


CAPITOLO SEDICI

 
 Quando raggiunse la stanza di Erik per parlargli di ciò che era successo, Charlotte si bloccò prima di bussare. Poco prima che Charles li interrompesse, erano stati sul punto di baciarsi. E il turbinio di emozioni che aveva provato… gli occhi di Erik, le sue parole… doveva parlare con lui. Dovevano chiarire quella situazione. Troppe volte si erano ritrovati così vicini, per poi non arrivare a nulla. Ed era arrivato il momento di parlarne con chiarezza.
 La ragazza bussò, ma nessuno rispose dall’interno. Aggrottò le sopracciglia. Eppure Erik non era in salotto e in nessun’altra stanza. Doveva essere lì.
 Si decise ad aprire la porta e quando lo fece, ebbe un tuffo al cuore. Tutta la roba di Magneto era sparita. La stanza era immersa nel caos, l’armadio era vuoto e tutti gli oggetti che prima erano sul comodino, adesso erano spariti.
 La ragazza non poteva crederci. Se n’era andato. Se n’era andato senza dire nulla, senza darle spiegazioni. Come aveva potuto? Come aveva potuto farlo dopo tutto ciò che era successo?
«Hank!» gridò varcando la soglia. Forse non era andato lontano e avrebbe potuto fermarlo. Non poteva lasciarla… aveva bisogno di lui.  
 Il ragazzo arrivò di corsa. «Charlotte, che succede? Stai male?» domandò preoccupato.
 «Ti prego, dimmi che Erik non se n’è andato.» disse lei.
 Hank esitò. «L’ho visto uscire, ma non credevo che…»
 Charlotte sentì un dolore alla bocca dello stomaco non appena l’amico ebbe pronunciato quelle parole. «No…» le sfuggì dalle labbra. Poi la consapevolezza la colpì come un pugno nello stomaco. Cosa le stava succedendo? Nonostante ciò che avevano passato nell’ultimo mese, lo conosceva appena. Ma allora perché le aveva lasciato il vuoto dentro? E soprattutto perché se n’era andato senza darle delle spiegazioni? Credeva di essere sua amica e in quanto tale di meritare una spiegazione, e invece…
 «Vieni, andiamo a dirlo a Logan e Charles.» replicò Hank, prendendole la mano.
 Charlotte scosse il capo, scostandosi. «Rimango qui.»
 
 Charlotte era immobile, in piedi, nella stanza di Erik. Da più di un’ora, ormai, era ferma in quella camera, ad osservare il caos che lui aveva lasciato prima di andarsene. Hank le aveva riferito che Charles – al contrario di Logan, che gli era sembrato alquanto preoccupato – non aveva detto nulla quando aveva saputo della partenza del mutante, che aveva annuito ed era tornato alle sue occupazioni, quindi lo scienziato aveva dedotto che probabilmente non sarebbe stato poi così utile per la missione.
 Charlotte, però era di altro avviso. Se davvero Charles non si era mostrato preoccupato, forse sapeva perché Erik se n’era andato, o molto più probabilmente era la causa di ciò che era successo. Con la sua ostilità non aveva fatto altro che allontanarlo, fin da quando era arrivato.
 «Charlotte?» la chiamò Hank, fermo sulla soglia, interrompendo il corso dei suoi pensieri.
 «Sì?» disse lei, destandosi e voltandosi verso di lui.
 «La cena è pronta.»
 «Non ho fame.» affermò «Credo che andrò a dormire.»
 Lui annuì. «Vuoi un po’ di latte caldo?»
 «No. Grazie comunque, Hank.» gli passò accanto, gli scoccò un bacio sulla guancia e si avviò verso la sua stanza. Dopo aver indossato il pigiama, si infilò sotto le coperte e in meno di venti minuti cadde in un sonno profondo.
 
 Il mattino seguente, Charlotte si svegliò che erano passate da poco le dieci. Si alzò dal letto di malavoglia e dopo essersi vestita, con molta lentezza, cominciò a sistemare il letto, spostando cuscini e lenzuola, distrattamente. Quando ebbe finito, si voltò per uscire e andare a fare colazione, ma qualcosa la trattenne. Accanto al comodino, sul pavimento, c’era una busta bianca. Eppure era certa che la sera prima non ci fosse. Doveva essere scivolata fuori dalle lenzuola. La osservò per qualche secondo, poi la raccolse.
 In calligrafia elaborata, sul retro c’era scritto “Per Charlotte”.
 La ragazza la aprì, riconoscendo la calligrafia elegante di Erik.
 
 Cara Charlotte,
 
 Spero che tu possa perdonarmi per non essere riuscito a dirti nulla di persona quando ne avrei avuto l’occasione e per essermene andato senza darti spiegazioni. Non desideravo altro che rimanere, ma non sono così ottuso da negare che non sono il benvenuto a villa Xavier. Non lo sono mai stato, perciò l’unica soluzione era allontanarmi il più possibile da lì, con l’unico rimpianto di non averti detto la verità.
 
 So che ciò che sto per dirti ti sembrerà assurdo, ma ti prego di credermi. So che sono l’ultima persona su cui si dovrebbe fare affidamento, ma sappi che non mentirei mai, non a te. Tutto ciò che sta succedendo – i miei incubi, le tue visioni, tutto ciò che sai di me – sta accadendo perché stiamo lentamente recuperando la memoria.
 Tutto ciò che abbiamo visto è accaduto anni fa, proprio qui a villa Xavier. Io e te ci eravamo già incontrati. Entrambi stavamo tentando di migliorare, di apprendere come utilizzare i nostri poteri per poter combattere contro Shaw e il suo esercito, insieme ad altri mutanti e durante quel periodo passato insieme, di cui sono certo che ancora non ricordi nulla, ci siamo innamorati.
 Quando Charles l’ha scoperto, ha avuto paura che ti strappassi a lui proprio come avevo spinto Raven ad allontanarsi e che potessi farti del male, perciò ci ha fatto dimenticare tutto. Ogni momento insieme, ogni sentimento, ogni sensazione… e poi ti ha allontanata per proteggerti da tutto ciò che stava succedendo, lasciandoti come unico ricordo di quell’esperienza, solamente Hank e qualche frammento riguardo la battaglia.
 Ritrovarci ha riportato tutto a galla. Per questo sapevi cose di me che nessuno ti aveva detto, per questo mi capivi meglio di chiunque altro: sapevi già tutto, anche se non ne avevi la consapevolezza.
 Oltre a ricordi dolorosi che sembravano sepolti nella mia mente da tanto tempo, nell’ultimo mese è tornato a galla ciò che provavo per te. Lentamente ho imparato a conoscerti di nuovo e anche se ci è stata rubata una parte del nostro, io sono completamente certo di amarti, adesso, proprio come allora.
 
 Non posso più reprimere ciò che provo, ma Charles non vuole che mi avvicini a te e io voglio rispettare la sua decisione. Perciò ho deciso di andarmene: per non farti del male e per lasciarti vivere al meglio la tua vita, che spero sia piena d’amore e felicità.
 Grazie per tutto ciò che hai fatto per me: per avermi dato una mano quando ne avevo più bisogno, di essermi stata vicino anche quando ho tentato di allontanarti e respingerti e di avermi trattato come un amico, che era la cosa di cui avevo più bisogno per sentirmi umano di nuovo, dopo tutte le atrocità che avevo commesso.
 
 
 Prima di lasciarti, però, ti devo ancora un’ultima confessione.
 Tra questi ricordi, ho trovato qualcos’altro su di te e non posso nascondertelo, anche perché so che quando me ne andrò, Charles, probabilmente per non ferirti, non te ne farà parola. Le tue abilità sono frutto di infusioni di DNA di altri mutanti che Charles provò su di te quando eri bambina, che modificando il tuo patrimonio genetico, ti hanno permesso di sviluppare abilità straordinarie.
Sono consapevole del fatto che sarà un duro colpo per te e ti chiedo di essere clemente con tuo fratello, non incolpandolo per ciò che sta succedendo. Ti ho voluto confessare tutto questo perché volevo che sapessi e che conoscessi la verità su di te. Volevo che sapessi come sei diventata la splendida mutante che sei.
 Spero potrai perdonarmi per essermene andato e per averti ferita.
 
 Non cercarmi, ti prego.
 
Tuo, Erik Lehnsherr
 
 Quando la ragazza sollevò gli occhi dal foglio, non riuscì a trattenere le lacrime.
 Ecco perché se n’era andato… perché Charles aveva cancellato la memoria ad entrambi e perché questa era tornata a tormentarlo con troppa prepotenza… perché suo fratello stava tentando di allontanarli ancora, ostacolando in tutti i modi sia Erik che la loro relazione, che si stava evolvendo nuovamente, proprio come la prima volta.
 Charles li aveva separati per paura che Magneto gliela portasse via, per paura che Erik potesse farle dal male, nonostante sapesse che Erik, in fondo, era buono e che non le avrebbe mai fatto del male.
 E come se non fosse bastato, lei non era nient’altro che il frutto degli esperimenti del fratello… una semplice cavia da laboratorio.
 Poggiò la lettera sul comodino e rimase a fissare la porta per qualche minuto.
 Perché Charles le aveva nascosto tutto? Era suo diritto saperlo, eppure aveva preferito tenerla all’oscuro di tutto, probabilmente spaventato – a ragione – dalla sua possibile reazione.
 Senza attendere un secondo di più, uscì dalla stanza e camminando velocemente, raggiunse la cucina dove Hank, Logan e suo fratello stavano facendo colazione. Si asciugò le lacrime prima di varcare la soglia, ma queste tornarono ad appannarle la vista non appena incrociò lo sguardo di Charles.
 «Come hai potuto?» sbottò.
 Lui le rivolse uno sguardo interrogativo. «Come?»
 «Come hai potuto cancellarci la memoria? Come hai potuto, Charles?» gridò Charlotte tra le lacrime.
 Hank e Logan la osservarono perplessi, poi si scambiarono uno sguardo.
Suo fratello, invece, inorridì. «Charlotte, l’ho fatto per il tuo bene.» esordì. «Perché non dovessi soffrire a causa di Erik. Hai visto di cos’è capace. È venuto qui, ti ha sedotta e poi ti ha lasciata. Davvero credi che meritasse la tua considerazione?»
 «Sedotta?» esclamò lei. «Lui non mi ha sedotta. Era innamorato di me e io lo ero di lui e se tu non avessi rovinato tutto, adesso saremmo ancora insieme!» esclamò. «Non hai pensato che forse avrei potuto essere felice con Erik? Che avrebbe potuto essere tutto diverso se non ci avessi separati?»
 «Lottie…»
 «Non azzardarti a chiamarmi così!» ringhiò, furiosa. «Lui se n’è andato per colpa tua! Adesso come allora, hai rovinato tutto, costringendoci a separarci.»
 «Sorellina, calmati, ti prego.» le disse alzandosi in piedi per avvicinarsi. «Hai avuto da poco un’emorragia cerebrale, se ti agitassi troppo-»
 «Cosa ti importa? Dopotutto sono solo una cavia, no?» sputò fuori. «Sono una delle tue creazioni! Una delle tue creature mostruose, create per divertimento…» scosse il capo. «Perché mi hai fatto una cosa del genere, Charles? E perché me lo hai nascosto? Perché?» chiese, sentendo le lacrime rigarle le guance. Provava un dolore immenso a pensare a ciò che Erik le aveva scritto ed era ancora più doloroso pensare che fosse proprio suo fratello l’artefice di quella sofferenza.
 «Charlotte, non è così.» tentò di calmarla. «Non ti sarebbe accaduto nulla di male. Non avrei mai fatto nulla per metterti in pericolo, credimi-»
 «Smettila! Questa non è una scusa.» lo interruppe. «E adesso voglio la verità. È mio diritto sapere.» fece notare. «Mi hai voluta qui solo per riavere Raven? Perché sei innamorato di lei, perché la rivuoi qui con te, anche a costo di mettere in pericolo la vita dei tuoi amici! Non è forse così, professore?»
 «No, non è così. È vero, la voglio qui, ma la voglio ritrovare per impedire una guerra che ci spazzerebbe via tutti quanti.» replicò lui. «E ti volevo qui perché saresti stata utile alla causa.»
 Lei scosse il capo. «Quindi non sono nient’altro che un soldatino, per te.» scosse il capo, abbassando lo sguardo. «Non hai perdonato Erik per quello che ti aveva fatto… per averti portato via le gambe. Ma tu hai fatto qualcosa di molto peggiore: gli hai portato via una parte della sua vita. E lo hai fatto anche con me. Mi hai tolto la possibilità di essere felice e mi hai usata solo ed esclusivamente per i tuoi scopi! Chi è più malvagio tra te e lui, Charles? Pensaci!»
 «Ti avrebbe solo fatto del male!» esclamò il professore. «È pericoloso, egoista, opportunista e pronto a tutto per ottenere ciò che vuole!»
 La ragazza sentì lo stomaco contorcersi dentro di lei. La testa le scoppiava, le parole del fratello martellavano nella sua mente, rimbombando sempre più forte, tormentandola e ferendola come se la stessero colpendo al cuore con migliaia di coltellate.
 «No, lui non è malvagio.» replicò a bassa voce. Le parole di Charles erano come una doccia fredda. Così terribili da togliere il respiro. «Smettila, lui non è malvagio!» gridò e prima che potesse accorgersene o impedirlo, i vetri della casa andarono in frantumi. Una corrente d’aria potentissima li colpì facendoli rabbrividire.
 «Charlotte, controllati!» gridò Charles.
 «Basta, ti prego…» disse lei, cadendo in ginocchio, senza fiato. «Smettila… lui non è malvagio, non…»
 Il vento, lentamente, si calmò e Charles le si avvicinò per aiutarla a mettersi in piedi, ma appena la sfiorò con una mano, lei si scostò.
 «Non toccarmi, Charles!» gridò. «Stammi lontano!»
 «Charlotte…» disse con voce implorante.
 «Stai lontano da me!» disse lei, scossa dai singhiozzi.
 Hank si avvicinò. «Charles, allontanati subito.» ordinò con voce ferma, frapponendosi fra lui e la giovane. «Fai un passo indietro. Adesso
 Lui indietreggiò e rimase immobile sulla soglia, osservando sua sorella.
 Hank si avvicinò all’amica e le poggiò una mano sulla spalla. «Lot?»
 «Fanno male…» gemette lei. «I ricordi… fanno male…» si portò le mani al volto e le premette sulle orecchie. I ricordi stavano tornando a galla e premevano contro la sua mente come se volessero emergere tutti insieme e distruggerla.
 «Devi calmarti.» consigliò Hank. «La rabbia, la paura e il dolore li riportano a galla. Devi calmarti. Stai tranquilla e tutto passerà.»
 «Non ci riesco…» disse Charlotte, tra le lacrime. «Falli smettere, Hank… per favore…» non ebbe il tempo di finire la frase, che un grido di dolore eruppe dalle sue labbra. La giovane si piegò in avanti premendo le mani sulle tempie e chiudendo gli occhi.
 «Calmati.» sussurrò ancora il giovane scienziato, stringendola a sé e accarezzandole il capo. «Respira, Lot. Fai respiri profondi.»
 Lei riprese a singhiozzare, ma il dolore sembrò diminuire lentamente.
 Quando si fu calmata del tutto, Hank la aiutò a mettersi in piedi, le scostò una ciocca di capelli dal viso e la osservò. I suoi occhi erano vuoti, spenti come non erano mai stati prima di allora.
 «Va meglio?» chiese.
 Prima che Charlotte potesse rispondere, sentì il dolore tornare, più potente e acuto di prima. Gemette, si portò una mano alla fronte e sentì le gambe farsi instabili. Questa volta, però, prima che potesse cadere a terra, Logan la afferrò e la sollevò tra le braccia.
 Charlotte gli circondò il collo con le sue e poggiò il capo sulla sua spalla, chiudendo gli occhi.
 «La porto nella sua stanza.» dichiarò Wolverine.
 
 Quando Wolverine la adagiò sul materasso e la coprì con una coperta, prima che potesse allontanarsi, Charlotte gli prese la mano.
 Lui sollevò lo sguardo sul suo viso e sorrise rassicurante. «Che succede?» domandò in un sussurro, accarezzandogli la fronte con delicatezza e asciugandole alcune lacrime che le avevano rigato le guance.
 «Grazie, Logan.» bisbigliò lei e poi si addormentò.
 
ANGOLO DELL’AUTRICE
Ciao a tutti!
Eccovi il 16esimo capitolo!
Spero tanto che vi piaccia!
Finalmente la verità sta tornando a galla…
A domenica con il prossimo…
Eli
[Revisionato il 23/02/2016]

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Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***


The second chance


CAPITOLO DICIASSETTE

 
 Charlotte venne svegliata dalla voce di Hank, che la chiamava sommessamente.
 «Charlotte?» la chiamò dolcemente, poggiandole una mano sul braccio per svegliarla.
 Lei aprì gli occhi. Era sdraiata sul letto della sua stanza da due giorni ormai, senza uscire nemmeno per i pasti. Hank era andato a cercarla più volte, ma lei si era rifiutata di uscire. Non voleva altro che rimanere sdraiata sotto le coperte, al buio, nel più completo silenzio.   
 «Lot» la chiamò nuovamente lui.
 A quel punto la ragazza si voltò e incontro il suo sguardo.
 «Stiamo partendo per Parigi. Andiamo a prendere Raven.» spiegò, accarezzandole il capo. «Vieni con noi?»
 Lei scosse il capo. «Rimango qui.» era troppo stanca e troppo arrabbiata con Charles. Avrebbe solo rischiato di essere d’intralcio in quella missione. Tornò a dare la schiena all’amico e abbracciò il cuscino, affondandoci il viso.
 Lui le sfiorò il capo con le labbra. «Ok. Torniamo presto.»
 «Siate prudenti.» si raccomandò.
 «Certo.» concluse Hank. Poi uscì chiudendosi la porta alle spalle.
 
 Durante il pomeriggio, Charlotte accese la televisione per tentare di distrarsi un po’. Si era convinta a lasciare la sua stanza, considerando che non avrebbe corso il rischio di incontrare Charles; inoltre aveva davvero bisogno di mangiare qualcosa. Dopo aver pranzato, cominciò a fare zapping. Continuò per più di mezz’ora fino a che non incontrò un notiziario.
 Aggrottò le sopracciglia. Stavano trasmettendo le immagini in diretta da Parigi e al centro dell’inquadratura, c’era una figura molto famigliare. Charlotte la riconobbe immediatamente: pelle blu, capelli rossi, occhi ambrati. Scattò in piedi.
 «Oh, mio Dio»
 Ma cosa ci faceva lì, di fronte alle telecamere, nella sua forma? Non poteva almeno trasformarsi in una persona qualsiasi? In quel modo l’avrebbero catturata e allora tutti i tentativi per fermare Trask sarebbero stati inutili.
 Ad un tratto, comparve qualcun altro sulla scena. Charlotte ebbe un tuffo al cuore. Gli occhi color ghiaccio, i capelli castani, la barba che gli incorniciava il volto… Erik.
 Il mutante avanzò verso Mystica, sollevò una mano e piegò le dita come fossero artigli. La ragazza cadde a terra e venne trascinata verso di lui. Un proiettile le lacerò la carne, uscendo dalla gamba e lei gridò, mentre Erik sollevava il proiettile davanti a sé, pronto a colpire ancora.
 Un brivido percorse la colonna vertebrale di Charlotte, che si portò una mano alla bocca. L’avrebbe uccisa davvero? Sarebbe veramente arrivato a tanto? «Erik, non farlo…» le sfuggì dalle labbra. «Ti prego, non farlo… non diventare l’assassino che tutti credono tu sia…»
 Poi udì le loro parole, in sottofondo, sotto i commenti dei giornalisti.
 «Ti prego, Erik.» lo implorò Raven.
 «Mi dispiace, Mystica.» disse lui «Ma se ti cattureranno sarà la fine per tutti noi.»
 «Erik, per favore, non farlo.» disse ancora.
 Proprio mentre Erik stava per spingere il proiettile verso di lei, qualcosa lo trascinò fuori dall’inquadratura. La telecamera si mosse e Charlotte poté vedere Bestia che tentava di tenere la testa di Magneto sott’acqua. E di fronte a quella scena sussultò. Così l’avrebbe ucciso. Hank avrebbe ucciso Erik…
 L’acqua si colorò di rosso, di sangue e poi, di colpo, la ripresa si interruppe.
 
 Charlotte, tormentata dal pensiero che Hank avesse fatto del male a Erik, quella notte non riuscì a chiudere occhio. Dopo essersi girata e rigirata un centinaio di volte sotto le coperte, decise di alzarsi. Aprì il cassetto del suo comodino ed estrasse la lettera che Erik le aveva scritto. La rilesse una, due, tre volte e si ritrovò a piangere ancora.
 Tutto ciò che aveva scoperto faceva troppo male. Charles le aveva rubato una parte del suo passato, le aveva tolto al possibilità di scegliere e di essere felice e l’aveva utilizzata come cavia da laboratorio. Che razza di fratello avrebbe fatto una cosa del genere? Che razza di mostro, sarebbe arrivato a tanto per proteggere le persone a lui care?
 Scuotendo il capo si soffermò sulle parole che più l’avevano colpita in quella lettere, le più belle che le fossero mai state rivolte: sono completamente certo di amarti.
 Erik la amava. Era innamorato di lei. E anche lei sentiva qualcosa per lui, ma non era sicura che fosse amore. Avrebbe voluto ricordarlo, ricordare ciò che provava, ciò che aveva provato per lui fino a due anni prima… ma non ci riusciva. Non ricordava nulla. I ricordi di Erik sembravano essere tornati più velocemente dei suoi e forse quello era segno del fatto che probabilmente non li avrebbe più avuti indietro. Ma se i ricordi fossero tornati a galla, forse l’avrebbero fatto anche i suoi sentimenti, però se quello che le aveva detto Erik era vero, i ricordi erano tornati perché si erano rivisti.  
 Un dubbio si impossessò di lei: se lui se n’era andato, come avrebbero fatto a riemergere?
 
ANGOLO DELL’AUTRICE
Ciao a tutti! Eccovi il 17esimo capitolo.
Spero vi piaccia…
A martedì, Eli
[Revisionato il 26/02/2013]

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Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***


The second chance


CAPITOLO DICIOTTO

 
 Quando Hank, Logan e Charles rientrarono da Parigi e tornarono alla villa, Charlotte andò loro incontro all’esterno, sperando di ricevere qualche buona notizia.
 La macchina si fermò di fronte all’entrata e Hank aprì lo sportello, scendendo dal mezzo.
 «Hank!» esclamò Charlotte. Corse ad abbracciarlo e lui la strinse a sé, sorridendo dolcemente. Quando si separarono, la giovane aggrottò le sopracciglia, vedendo che dall’auto erano scesi solo suo fratello e Logan. «Dov’è Raven?»
 «Non siamo riusciti a portarla via.» spiegò il giovane scienziato.
 «Cosa?»
 «È scappata mentre tentavo di trattenere Erik.» raccontò scuotendo il capo, parlando mestamente.
 Il primo pensiero di Charlotte fu Erik. «Erik? Lui stava bene?» chiese senza riuscire a trattenersi. Da quando l’aveva visto in televisione e aveva visto ciò che Hank aveva fatto per trattenerlo non riusciva a non pensare al fatto che avrebbe potuto essere ferito e che fosse completamente solo. Certo, sapeva pensare a se stesso, ma ciò non toglieva che avrebbe potuto avere bisogno di aiuto.
 «Come volevasi dimostrare, dopo aver tentato di uccidere Raven è scappato.» intervenne Charles a quel punto, con voce carica di disapprovazione. «E tu credevi che fosse cambiato e che fosse un brav’uomo. Ti consiglio di osservare meglio le persone, sorellina, un altro errore come questo potrebbe costarti caro.» concluse duramente.
 Lei gli rivolse uno sguardo carico di rancore e poi si rivolse ancora a Hank. «Hai ragione.» confermò. «Non sono brava a inquadrare le persone. Guarda te, credevo che fossi un brav’uomo e invece mi sono ritrovata con un fratello bugiardo e senza cuore.»
 Charles sollevò un sopracciglio e la oltrepassò, entrando in casa.
 La ragazza, a quel punto, tornò a volgersi verso Hank. «Erik stava bene?» domandò ancora. «Insomma, non gli hanno fatto del male, vero?»
 Hank scosse il capo. «Credo che stesse bene.»
 «E Raven? Era ferita, avrà bisogno di cure.»
 «Saprà cavarsela.» rispose Logan, sorridendole e avvicinandosi. «La troveremo presto, Charlotte. Non preoccuparti.»
 «Il problema adesso è un altro.» intervenne Hank, lanciando uno sguardo a Wolverine.
 «Quale?» chiese Charlotte allarmata.
 «Hanno preso il suo DNA.»
 «Cosa?!»
 «Quando le hanno sparato e Erik ha estratto il proiettile, il suo sangue è caduto sull’asfalto e loro… gli uomini di Trask l’hanno raccolto.» sospirò, passandosi una mano fra i capelli e seguendo Charlotte e Logan in casa. «Potrebbero utilizzarlo contro di noi. Il DNA di Raven è particolare e se dovessero utilizzarlo per le Sentinelle come Logan ha raccontato…» non riuscì nemmeno a concludere.
 Charlotte scosse il capo, sospirando mestamente. Erano andati a Parigi proprio per impedirlo e invece Trask avrebbe comunque potuto attuare il suo piano: creare le Sentinelle che Logan aveva descritto e che avrebbero ucciso tutti i mutanti.
 Forse stava davvero arrivando la fine.
 
ANGOLO DELL’AUTRICE
Ciao! Eccovi il 18esimo capitolo!
Spero tanto che vi piaccia!
Fatemi sapere! ;D
Eli ^.^
[Revisionato il 14/03/2016]
 
 
 
 

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Capitolo 19
*** Capitolo 19 ***


The second chance


CAPITOLO DICIANNOVE

 
Un mese dopo, la notizia che Trask avrebbe presentato un nuovo programma per la sicurezza nazionale, raggiuse casa Xavier. A quanto pareva, le Sentinelle erano state ultimate e per i mutanti era arrivato il momento di agire e compiere un ultimo tentativo per impedire a Trask di distruggerli.
 «Trask presenterà le Sentinelle la prossima settimana. A Washington.» spiegò Charles. «Dobbiamo andare là e impedire che riesca ad attivarle o sarà la fine per tutti noi.»
 «Forse questa guerra è inevitabile.» concluse Hank. Logan e Charlotte lo osservarono perplessi. «Forse anche se Logan è venuto dal futuro per avvertirci e cambiare tutto, nulla sarà diverso. Se avessi commesso anche un minimo errore sarebbe bastato a cambiare ogni cosa. Forse il fatto che Erik sia…»
«No.» si impose Charles. «Erik non c’entra nulla. E il futuro può sempre essere cambiato.»
 
 
 In un caldo pomeriggio di giugno, dopo aver passato più di un’ora ad allenarsi da sola con i suoi poteri all’esterno della villa, Charlotte rientrò. Solo in quel momento si era accorta di quanto Erik le mancasse. Le mancava allenarsi con lui, i suoi consigli, osservarlo mentre utilizzava i suoi poteri, i suoi abbracci e le risate, i pomeriggi passati insieme… senza di lui, tutto sembrava più difficile e pesante da sopportare. Da quando era arrivato, quell’uomo era riuscito a conferirle una forza incredibile e adesso che era sparito le mancava più di ogni altra cosa. Con questi pensieri sospirò e varcò la soglia di casa sua.
 Il silenzio regnava sulla villa conferendo alle mura di pietra una spaventosa solennità. Le vetrate colorate proiettavano strani disegni sul pavimento in legno e illuminavano gli oggetti sugli scaffali e sui libri riposti ordinatamente sulla libreria. Ogni cosa era immersa nella quiete e nella più completa immobilità.
 Quando la giovane attraversò l’ingresso, si scontrò con Charles, che stava uscendo dalla cucina, andando a sbattere contro il suo petto.
 «Scusa.» disse automaticamente. «Non ti avevo visto.» la ragazza lo osservò. Non poteva nascondere di essere preoccupata per lui. Era sempre più pallido e nell’ultimo periodo era anche dimagrito parecchio. Si vedeva che era tormentato dalla faccenda di Raven. E poi era pur sempre suo fratello, nonostante tutto ciò che era successo, e sarebbe stato stupido ed egoista non preoccuparsi.
 «Nulla.» replicò lui, abbassando lo sguardo e continuando ad avanzare.
 Proprio mentre Charlotte stava per voltarsi per raggiungere la sua stanza per farsi una doccia, Charles gridò dal dolore e cadde a terra. La giovane si voltò appena in tempo per vedere le sue gambe cedere sotto il suo peso e per vedere che si era portato le mani alla testa.
 «Charles!» esclamò preoccupata. SI inginocchiò al suo fianco e gli poggiò una mano sulla spalla. «Che succede?»
 «Le mie gambe.» ansimò lui. «Il siero ha smesso di fare effetto.»
 «Hank!» gridò la mutante, volgendosi verso il corridoio. «Hank! Vieni, presto!»
 Bestia arrivò con Logan in meno di venti secondi. «Che succede?» chiese. Poi vedendo che Charles si era accasciato a terra, capì. «Vado a prendere del siero.» concluse e si allontanò diretto al suo laboratorio.
 Charles si poggiò le mani sulle orecchie. «Oh, no…» si lamentò.
 «Cosa succede?» chiese Charlotte.
 «Le voci… le sento di nuovo…» disse con voce carica di disperazione, chiudendo gli occhi e ansimando pesantemente.
 «I poteri stanno tornando.» asserì la sorella, rivolta più a se stessa che a Charles.
 Logan lo osservò e quando Hank tornò con una siringa e una fiala, lo bloccò prima che potesse iniettarsela. «Charles, pensaci bene.» disse «Sai che abbiamo bisogno dei tuoi poteri per trovare Raven.»
 «Io non… non posso.» concluse Xavier.
 «Charles… Logan ha ragione.» intervenne la sorella «So che è difficile e che è doloroso, ma abbiamo bisogno del tuo potere per trovarla e fermarla prima che scateni una guerra. Davvero preferiresti guardarci morire uno ad uno piuttosto che riavere i tuoi poteri?»
 Una lacrima solcò il volto del professore. Prese la siringa tra le mani, ma si bloccò prima di iniettarsi il siero. «Hank, potresti prendere la mia sedia a rotelle, per favore?» disse dopo un momento, porgendogli nuovamente la siringa.
 Il ragazzo annuì e uscì dalla stanza.
 «Scelta saggia.» asserì Logan.
 Charlotte gli sorrise.
 Lo scienziato dopo avergli portato la sedia a rotelle lo aiutò a sedersi sopra, sollevandolo da terra, aiutato da Wolverine.
 «Andiamo.» li incalzò Charles, muovendo le ruote con una manopola e inspirando profondamente.
 «Dove?» chiese Logan.
 «Devo utilizzare Cerebro.» concluse.
 
 Dopo aver raggiunto Cerebro, nei sotterranei della villa, seguito da Logan, Hank e Charlotte, Charles prese tra le mani il casco, inspirò profondamente e lo indossò. Fece un cenno a Hank perché facesse partire la macchina e attese. Dopo un momento ansimò e chiuse gli occhi. Non la utilizzava da così tanto tempo che gli sembrò che la testa potesse scoppiare e frantumarsi come vetro sul pavimento da un momento all’altro. Milioni di immagini si materializzarono contemporaneamente nella sua mente, sovrapponendosi e scorrendo velocemente. Dopo qualche secondo, provato e tremante, si tolse il casco, gemendo dalla fatica. Si portò le mani alle tempie e chiuse gli occhi per riprendere il controllo di sé.
 «Charles» disse la sorella, poggiandogli una mano su un braccio e inginocchiandosi di fronte a lui. Cercò il suo sguardo e quando i suoi occhi si aprirono, incontrando i suoi, riprese. «Stai bene?»
 Lui annuì, ma una lacrima lo tradì.
 «È complicato. Lo so.» aggiunse Blade, poggiando una mano su quella di lui. «Ti capisco… ma pensa a Raven. Dobbiamo fermarla e impedire che uccida Trask.»
 Lui scosse il capo. «Non so cosa fare.» confessò.
 «Posso aiutarti io.» intervenne Logan. «Entra nella mia mente. Capirai tutto.»
 Lui rimase immobile per qualche secondo, poi annuì. Si portò due dita alla tempia e prese ad osservare gli occhi di Wolverine. Lo fece per lungo tempo e quando uscì dalla sua mente, i suoi occhi, prima colmi di lacrime, sembravano più calmi e rilassati. Rimase immobile a fissare il pavimento per un momento, poi si volse verso i tre e sorrise.  
 «Andiamo a Washington.»
 
ANGOLO DELL’AUTRICE
Ciao a tutti! Eccomi qui, come promesso con il 19esimo capitolo, tutto per voi! ;D
A Sabato con il prossimo e se vi va… lasciate qualche recensione, anche per dirmi che la storia fa schifo!
A presto, Eli
[Revisionato il 14/03/2016]

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Capitolo 20
*** Capitolo 20 ***


The second chance


CAPITOLO VENTI

 
 Charlotte entrò nella stanza di Charles, vedendo che era seduto sulla sedia a rotelle, intento ad osservare un punto indefinito fuori dalla finestra. La ragazza sospirò. Doveva parlargli. Dopo ciò che era successo il pomeriggio precedente, aveva sentito il bisogno di riappacificarsi con lui. Dopotutto, ciò che era successo era il passato. E loro avevano bisogno di concentrarsi sul futuro, per assicurarsene uno privo di pericoli.
 «Charles?» lo chiamò.
 L’uomo si voltò e quando la vide le lacrime gli bagnarono le guance. Chiuse gli occhi e singhiozzò.
 Charlotte non riuscì a trattenersi, si avvicinò e lo abbracciò forte, accarezzandogli i capelli.
«Oh, Charles…» sussurrò.
 «Lottie, perdonami.» singhiozzò il mutante. «Perdonami per averti mentito, per averti cancellato la memoria e per… mio Dio… mi dispiace tantissimo… non avrei mai voluto farti soffrire… volevo solo-»
 «Shh, è finita, Charlie.» lo interruppe «È passato.» concluse. Le faceva terribilmente male, era vero, ma non poteva di certo ammetterlo davanti a lui. Non poteva confessargli che ciò che le aveva fatto l’aveva distrutta, esattamente come aveva distrutto Erik.
 «No, sono stato crudele ed egoista…»
 Lei si allontanò di qualche centimetro e gli asciugò le lacrime accarezzandogli le guance. «Adesso dobbiamo solo pensare a Raven.» affermò. «Avremmo tempo per rimediare ai nostri errori. Adesso concentriamoci e impediamole di distruggere ogni cosa.»
 Lui le sfiorò le guance con le mani e sorrise. «Risolveremo tutto.»
 Lei sorrise. «Andiamo a salvare il mondo.»
 
 Charlotte aveva insistito per andare seguire i tre mutanti a Washington, ma Charles glielo aveva impedito dicendole che sarebbe stato troppo pericoloso per una mutante poco addestrata come lei e Charlotte, dopo aver protestato per più di un’ora facendo notare che negli ultimi mesi non aveva fatto altro che allenarsi, aveva ceduto e aveva dovuto accettare che non avrebbe potuto seguirli. Perciò quando partirono, li salutò con un cenno della mano mentre l’auto si allontanava da casa Xavier e poi, quando questa scomparve dietro i cancelli, rientrò.
 
 Charlotte si svegliò di soprassalto nel pomeriggio. Aveva dormito per più di tre ore ed era stato un sonno tormentato da incubi. Aveva sognato la cattura di Erik, le torture che gli venivano inflitte da Trask… e poi l’incubo si era dissolto per lasciare il posto a un altro sogno. Aveva sognato qualcosa che pensava potesse essere un ricordo. Era così nitido, così somigliante alla realtà da averle fatto credere, per un momento, di non stare più dormendo. C’era Erik seduto sul prato del giardino di casa Xavier e lei lo aveva raggiunto e aveva poggiato la testa sulle sue gambe, sdraiandosi sull’erbetta verde, accarezzandogli il viso. Il mutante le aveva raccontato ciò che aveva visto durante i suoi viaggi in giro per il mondo e lei aveva ascoltato senza mai interromperlo. Poi si era messa a sedere a cavalcioni sulle gambe di lui, accarezzandogli i capelli e il viso e avevano parlato ancora e ancora… e poi lui l’aveva baciata. Un bacio casto e delicato, dolce e passionale.
 Lei aveva ricambiato e quando si erano separati aveva sussurrato sulle labbra di lui un ti amo. Due parole sussurrate all’orecchio, appena percettibili, ma profonde e bellissime, che avevano lasciato il segno e non solo nel sogno, ma anche nel suo cuore. Lui le aveva sorriso e poi tutto si era dissolto.
 Adesso, seduta sul letto nella sua stanza, sentiva il cuore galopparle nel petto, il respiro irregolare e lo stomaco contorcersi.
Erik… pensò. Era vero… anche lei lo aveva amato. E… mio Dio, lo amo ancora, pensò. Aveva capito di amarlo più sé stessa, di avere bisogno di lui e di non poter vivere senza averlo accanto… probabilmente l’aveva sempre saputo, ma in quel momento se ne rese completamente conto.
 Chiuse gli occhi e tentò di ricordare la pressione delle labbra dell’uomo sulle proprie, il loro sapore, il suo profumo, la sua delicatezza nell’abbracciarla e nell’accarezzarle i capelli… una lacrima scivolò lungo la sua guancia.
 «Oh, Erik…» sussurrò portandosi una mano al petto e realizzò: ecco perché la sua partenza le aveva lasciato quel vuoto dentro… un vuoto che sembrava incolmabile da nessuno che non fosse Magneto… perché Erik era già da tempo parte di lei.
 
ANGOLO DELL’AUTRICE
Ciao a tutti! Con un giorno di ritardo pubblico il 20esimo capitolo. È breve, lo so, ma prometto che il prossimo sarà più lungo! ;D
A Martedì, Eli
[Revisionato il 14/03/2016]

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Capitolo 21
*** Capitolo 21 ***


The second chance

CAPITOLO VENTUNO

 
 Chissà che cosa sta succedendo a Washington… era il pensiero fisso di Charlotte da più di un’ora. Avrebbe voluto essere là a dare una mano, a cercare Raven e Erik e impedir loro di combinare un disastro.
 Camminò avanti e indietro per il salotto per più di venti minuti, tormentata all’idea che a qualcuno dei suoi amici potesse accadere qualcosa.
Non posso rimanere qui, concluse dopo un momento. Devo ritrovare Erik. Devo rivederlo e devo dirgli che ricordo tutto… non posso lasciare che lo catturino o che gli facciano del male. Non posso e non devo restare con le mani in mano.
 Osservò l’orologio. Erano le 16.57. Doveva raggiungerli e aiutarli; altrimenti tutto l’allenamento e i suoi sforzi sarebbero stati vani. Perciò cominciò a pensare a come raggiungere Washington. Poteva utilizzare un portale, ma non era mai andata così lontano. Ma prendere un treno o un aereo era impensabile… non sarebbe mai arrivata in tempo.
 Quindi si concentrò, allungò un braccio davanti a sé e aprì un portale. Prese un bel respiro e ci saltò dentro, pensando intensamente alla strada asfaltata che correva davanti alla Casa Bianca. L’aveva attraversata durante una gita scolastica alle scuole medie e come ricordo sarebbe potuto bastare. Rimase per qualche secondo sospesa nel vuoto, poi aprì un altro portale e lo attraversò.
 Si ritrovò su un marciapiede, ma per un momento pensò di aver sbagliato completamente posto. Davanti a sé non aveva la Casa Bianca, ma un enorme stadio semidistrutto. Eppure era sicura di essere nel posto giusto.
 Si voltò e osservò il paesaggio circostante. Era Washington di certo, ma allora… dov’era finita la Casa bianca?
 Poi li vide. Dei robot si sollevarono in aria all’interno delle stadio, volarono in circolo per un momento, poi si abbassarono di nuovo tornando a terra.
Le Sentinelle, pensò inorridendo. Un fremito di paura la scosse. Doveva entrare lì dentro – Charles, Hank e Logan erano sicuramente lì – e fortunatamente per farlo non aveva nemmeno bisogno della porta.
 In quel momento si ritrovò a ringraziare mentalmente Charles per aver sperimentato su di lei tutti quei DNA che l’avevano resa così diversa.
 Prese la rincorsa e quando il suo corpo cozzò contro il cemento dello stadio, passò dall’altra parte, atterrando su un prato verde. Di fronte a lei c’erano delle sedie e un palco ormai distrutto. Alcune auto della polizia erano state incendiate e tutti gli agenti della sicurezza erano corsi a nascondersi dietro le macerie. Si voltò a sinistra e vide Hank, già mutato in Bestia, e Logan nascosti dietro un’auto, al riparo da una sentinella che stava volando lì intorno per trovarli.
 Dove sei Charles? pensò Charlotte guardandosi intorno, sperando di riuscire a stabilire un contatto mentale con lui, ma la sua attenzione venne attirata da Erik. L’uomo era in piedi a una trentina di metri da lei e stava puntando una mano contro il palazzo.
 Che cosa vuole fare? pensò la giovane.
 Poi sentì una voce nella sua testa.
 «Charlotte…» era Charles, la voce flebile, ma carica di sollievo.
 «Charles!» replicò lei, mentalmente, sollevata di averlo trovato. «Sono qui alla Casa Bianca, dove sei?»
 Lui sembrò non averla sentita. «Devi fermare Erik.» ordinò. «Vuole uccidere gli uomini chiusi nella camera di sicurezza.»
 «Quale camera di sicurezza?» chiese lei.
 Ad un tratto, le mura dell’edificio andarono in frantumi. La camera di sicurezza venne fuori, fluttuando nell’aria. Ecco cosa stava tentando di attirare a sé, Erik.
 «Oh, quella camera.» si lasciò sfuggire Charlotte.
 «Devi convincerlo, Charlotte.» proseguì Charles. «Devi impedirgli di uccidere Trask o ci distruggerà tutti. Utilizza tutti i mezzi possibili. Devi fare in modo che ti dia ascolto.»
 «E se non lo farà?»     
 «Allora neutralizzalo. Vai!»
 Charlotte, sentì una fitta allo stomaco udendo quelle parole, ma si avvicinò di corsa a Erik e quando fu abbastanza vicina lo chiamò per attirare la sua attenzione. Lui aveva già aperto uno squarcio nella camera di sicurezza e stava osservando le facce spaventate dei politici e dei poliziotti all’interno.
«Erik!» gridò lei nuovamente, per farsi sentire sopra il fracasso.
 Lui si voltò. Indossava l’elmo che impediva a Charles di penetrare la sua mente, ma gli occhi blu erano ancora ben visibili, brillanti di rabbia. Quando incrociarono quelli della ragazza, sorprendentemente, si riempirono di lacrime.
 «Charlotte...» mormorò.
 Charlotte annuì e avanzò. «Fermati, ti prego.» lo implorò. «Sai bene che se lo farai ci distruggeranno. Non aspettando altro che un nostro passo falso.»
 «Non posso. Loro devono pagare per tutto questo… devono pagare per ciò che ci hanno fatto passare in questi anni.»
 «Erik, per favore.» proseguì lei. «Se li ucciderai, loro ci perseguiteranno.»
 «Lo fanno già.» replicò lui, quasi ringhiando.
 «Se faremo vedere loro cosa siamo realmente e se mostreremo loto che siamo esattamente identici a loro, si fermeranno.» concluse, ormai a pochi passi da lui, tanto vicina da poterlo toccare se avesse fatto un altro passo. «Ti prego, fermati. Rinuncia alla vendetta. Rinuncia a tutto questo e torna da me.»
 «Non posso, Charlotte.» replicò. «È troppo tardi.»
 «Non è vero! Sai che non è vero. Puoi tornare indietro, puoi ancora fermarti.» dichiarò lei. «Fallo per me. Torna, Erik, ho bisogno di te. Io…»
 «Signorina si sposti.» li interruppe un uomo uscito dalla camera di sicurezza.
 Charlotte si volse di scatto e lo osservò. Stava avanzando verso di loro, disarmato e senza protezioni e se non si fosse fermato, Erik l’avrebbe sicuramente ucciso. «Aspetti, la prego.» lo implorò la giovane.
 Magneto distese il braccio davanti a sé. «Adesso vedrete di cosa siamo capaci. E capirete che dovete avere paura di noi.»
 «Erik, no!» esclamò Charlotte.
 Ad un tratto, la Sentinella che era in cerca di Logan e Hank, volse l’attenzione verso di loro. Vibrò ed emise un sibilo stridenti e volò verso di loro, pronta ad attaccare. Sollevò un braccio per fare fuoco e aumentò la velocità.
 Charlotte sbatté il piede a terra e una montagna di terra si sollevò di fronte al robot, che la schivò senza esitazione. La ragazza a quel punto mosse le mani e delle radici emersero dal terreno trattenendo la Sentinella per le braccia, rallentando la sua marcia.
 Erik intervenne, sollevando una mano e puntandola verso la macchina. La chiuse a pugno e l’automa si distrusse cadendo a terra in mille pezzi con un clangore metallico.
 E in quell’unico momento di distrazione, l’uomo uscito dalla camera estrasse la pistola e sparò un colpo. Il proiettile partì con un colpo secco e trapassò il collo di Erik, colpendolo di striscio.
 Magneto gemette, si portò una mano alla ferita e cadde a terra in ginocchio.
 «Erik!» Charlotte si voltò e solo allora vide che l’uomo che poco prima era fermo accanto a loro era scomparso per lasciare il posto alla sua amica Raven. Gli occhi di Blade si spalancarono. «Raven…»
 Poi un altro scoppio risuonò nell’aria e un dolore lancinante le trafisse fianco. Charlotte cadde in ginocchio, reggendosi il fianco ferito con una mano. Quando abbassò lo sguardo vide il sangue scorrerle tra le dita. Quando si voltò per capire chi avesse sparato, vide che l’unico con una pistola alzata era Trask, che adesso la stava osservando con sguardo curioso. Charlotte si tamponò il fianco, ma ansimando cadde sulla schiena e perse i sensi.
 Raven ebbe appena il tempo di voltarsi per capire cosa fosse successo che una Sentinella arrivò in volo e afferrò Charlotte per le braccia. La sollevò da terra e si allontanò.
 «Charlotte!» gridò Raven.
 Erik, ancora inginocchiato a terra, impallidì. «NO!» gridò, tentando di alzarsi in piedi, ma nemmeno i suoi poteri poterono fermare la Sentinella, che portò via Charlotte, diretta chissà dove.
 
ANGOLO DELL’AUTRICE
Ciao a tutti! Ecco il 21esimo capitolo, come promesso! ;D
A giovedì, bacioni, Eli
[Revisionato il 14/03/2016]
 
 
 
 
 

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Capitolo 22
*** Capitolo 22 ***


The second chance


CAPITOLO VENTIDUE

 
 Quando Charlotte si svegliò, aprì gli occhi lentamente per abituarsi alla luce che illuminava l’ambiente. Sentiva il freddo scuoterle le membra, dato che la camicia che indossava non era abbastanza pesante da riscaldarla a sufficienza.
 Si sollevò puntellandosi sui gomiti e si guardò intorno. Quando riuscì a mettere a fuoco ciò che la circondava, capì di essere in una cella, sdraiata su un materasso logoro e senza lenzuola. Inspirò profondamente e poi si mise seduta, reggendosi il capo con una mano.
Cosa faccio qui? si chiese. Poi ricordò tutto ciò che era successo a Washington.
Il proiettile, la Sentinella… abbassò lo sguardo sul petto e vide che la camicetta era macchiata di sangue. Quando sollevò il tessuto, però, notò che la ferita si era quasi totalmente rimarginata. Aggrottò le sopracciglia.
 «Ma cosa…?» le sfuggì.
 Risollevò lo sguardo. Dove l’aveva portata quel robot?
 Ad un tratto qualcosa sbatté contro le sbarre in ferro della cella.
 Lei sobbalzò e si mise a sedere.
 «Ben svegliata, mia cara.» disse una voce proveniente da aldilà della grata.
 Blade rimase immobile, non parlò e per un momento smise anche di respirare.
 «Mi chiamo Bolivar Trask.» annunciò lui.
 Charlotte lo riconobbe immediatamente: basso, capelli e barba neri, grandi occhiali dalle lenti spesse. Trask, l’uomo che stava tentando di distruggere la loro specie, l’uomo che aveva creato le Sentinelle, l’uomo che l’aveva rapita e che probabilmente l’avrebbe uccisa, come tanti altri mutanti prima di lei.
 «Cosa vuoi da me?» chiese la ragazza, la voce straordinariamente ferma.
 Lui rise. «Lo saprai presto.»
 
 Il giorno seguente, due uomini entrarono nella cella.
 Charlotte sobbalzò quando sentì la porta aprirsi, ma non ebbe il tempo di ribellarsi, che questi l’afferrarono per le braccia trascinandola fuori, su per le scale e lungo un corridoio.
 «Lasciatemi!» gridò Blade, dimenandosi. Ma era troppo debole per riuscire a liberarsi dalla loro presa.
 I due la trascinarono in una stanza illuminata da lampade a neon e la fecero sdraiare su un lettino. Mentre uno la teneva ferma, l’altro la immobilizzava utilizzando le cinghie in cuoio incorporate al materasso. Chiuse le prime due – all’altezza del petto della ragazza – ma quando arrivò alla terza, Charlotte gli sferrò un calcio dritto al volto facendolo indietreggiare. Lui si portò una mano al naso sanguinante e dopo aver imprecato uscì dalla stanza sbattendo la porta. L’altra guardia, intanto, continuava a tenerla ferma. Quando la porta si riaprì, qualche secondo dopo, rientrarono altre tre persone che riuscirono ad immobilizzarla stringendo dolorosamente le altre due cinghie attorno alle gambe, più quelle delle braccia, in modo che non potesse scappare o ribellarsi.
 «Cosa volete da me?» sbottò lei, ma questi uscirono lasciandola sola e chiudendo a chiave la porta.
 
 Dopo aver curato la ferita al collo di Erik, Charles si avvicinò alla scrivania con la sua sedia a rotelle. Non sapeva perché avesse aiutato Magneto con la sua ferita… avrebbe semplicemente dovuto lasciarlo morire dissanguato. Strinse i denti e i pugni.
 Raven stava osservando il professore, immobile, in piedi accanto a Hank. Erik aveva accettato di tornare a casa con loro per aiutarli a trovare Charlotte, ma da subito Charles non le era sembrato contento di ricevere un aiuto dal suo ex-amico.
 «Non avrei dovuto permetterle di aiutarmi. Avrei dovuto dirle di andarsene e di scappare.» si rimproverò il professore, scuotendo il capo e chiudendo gli occhi. «È tutta colpa mia. Come ho potuto essere così incosciente?»
 «No, Charles. Non è vero.» intervenne Raven «Non potevi sapere che Trask avesse una pistola e un’altra sentinella. Nessuno poteva sapere che sarebbe finita così.»
 Lui scosse il capo e si portò le mani al volto per nascondere le lacrime. «Le faranno del male, la tortureranno… mio Dio…» ansimò. «La uccideranno per ottenere ciò che vogliono e io non potrò fare nulla per aiutarla.»
 «Li fermeremo.» intervenne Hank.
 Charles scosse ancora il capo, poi volse lo sguardo verso Erik. «Se non fosse stato per te, non sarebbe mai venuta a Washington e adesso starebbe bene.» disse puntandogli un dito contro. «La colpa è tua.»
 Erik rispose con voce flebile «Le avevo chiesto di non cercarmi.»
 «Oh, che sollievo!» esclamò il professor X. «E credevi che ti avrebbe dato ascolto?»
 «Me ne sono andato perché volevi che le stessi lontano e adesso mi rimproveri per essermi allontanato?» sbottò. «Ti rendi conto che è assurdo?»
 «È tutta colpa tua!» gridò Charles «Tu non hai fatto nulla per fermare Trask quando quella Sentinella è arrivata! Hai lasciato che ferisse mia sorella e che la rapisse! E sostieni di amarla!»
 Proprio mentre Erik stava per ribattere, Raven li interruppe bruscamente. «Smettetela! Stare qui a litigare non ci aiuterà a trovarla!»
 I due mutanti si zittirono e si voltarono verso di lei, sapendo che aveva ragione. Avrebbero dovuto mantenere la calma e tentare di localizzarla prima che fosse troppo tardi e discutere non avrebbe certo aiutato. Perciò tutti e quattro si diressero verso i sotterranei per utilizzare Cerebro.
 
 La porta del laboratorio si aprì con un cigolio lasciando entrare l’aria fresca del corridoio e la luce proveniente dall’esterno. Un rumore di passi rimbombò nella stanza, perdendosi all’infinito nel vuoto.
 Charlotte sollevò la testa e vide che Trask stava avanzando verso di lei con indosso un camice bianco. Si fermò accanto al letto, che era stato abbassato per essere alla sua altezza, e la osservò.
 «Eccoci qui.» sbottò, indossando un paio di guanti bianchi «Sei pronta?»
 «Cosa vuoi da me?» ringhiò Charlotte osservando ogni suo movimento e tentando di liberarsi dalle cinghie che la intrappolavano.
 «Capire.» rispose l’altro. «Capire come funzioni. Sei una creatura straordinaria.»
 Lei dovette reprimere un insulto poco carino mordendosi la lingua. Per lui era alla stregua di una macchina, un marchingegno, un enigma da decifrare.
 Trask le si avvicinò e prima che potesse opporsi, le infilò una flebo nel braccio sinistro.
 Charlotte sussultò sentendo l’ago pungerle la pelle.
«Questo è un inibitore.» cominciò l’uomo quasi pensasse che potesse interessarle. «Ti rilasserà i muscoli e ti tranquillizzerà. Inoltre bloccherà, almeno in parte, i tuoi poteri, il che mi permetterà di studiarti più da vicino senza correre rischi.»
 «Sei uno schifoso-» le sfuggì.
 Lui sorrise. «Mia cara, una ragazza non dovrebbe pensare certe cose, tantomeno dirle ad alta voce.» disse con sguardo malizioso.
 Charlotte si dimenò ancora. Lo avrebbe preso volentieri a calci se solo avesse potuto. La rabbia che le faceva contorcere lo stomaco era così dolorosa che dovette stringere i denti per attenuare il dolore.
 «Adesso rilassati. Tra poco sarò di ritorno.» concluse e la lasciò sola.
 La ragazza sentì le forze abbandonarla lentamente. Sentì i muscoli rilassarsi e le palpebre farsi pesanti. Ogni fibra del suo corpo era ormai totalmente rilassata e inerme. Chiunque avrebbe potuto farle del male e lei non avrebbe nemmeno potuto difendersi.
 
 Charles, utilizzando Cerebro, aveva tentato di localizzare Charlotte, ma lei sembrava scomparsa. Com’era possibile che non riuscisse più a localizzarla? Non potevano certo averle modificato il DNA. La macchina avrebbe dovuto individuarla immediatamente, in qualsiasi parte del mondo si trovasse, e invece…
 «Non c’è.» concluse con voce flebile.
 «Come sarebbe a dire non c’è?» domandò Erik.
 «Non riesco a localizzarla.» spiegò con calma. I due avevano tentato di appianare le loro divergenze almeno fino a quando non avessero trovato Charlotte sana e salva. «Il suo DNA… non si trova. È come se fosse scomparso.»
 «Com’è possibile?» domandò Raven. «Non dovrebbe localizzarla ovunque si trovi?»
 Charles scosse il capo, sconsolato.
 «Forse le hanno somministrato un inibitore o stanno utilizzando una tecnica speciale per occultare il DNA.» ipotizzò Hank. «Non può essere scomparsa.»
 «E se fosse morta?» chiese il professor X. «In quel caso Cerebro non potrebbe localizzarla.»
 Hank scosse il capo. «No. Trask non l’avrebbe mai uccisa.» affermò. «Ha bisogno di lei.»
 I tre annuirono.
 Dove sei, Charlotte? pensò Charles disperato. Sospirò. L’avrebbe trovata… l’avrebbe trovata e avrebbe ucciso Trask per averla rapita e averle fatto del male.
 
 Charlotte aprì gli occhi lentamente. La prima cosa che vide furono gli occhi di Trask, puntati nei suoi. Non riuscì nemmeno a muovere il capo per distogliere lo sguardo, era troppo debole per fare qualsiasi movimento, ma poté sentire perfettamente il suo cuore prendere a martellare nella sua cassa toracica. Sbatté le palpebre lentamente un paio di volte per mettere a fuoco e inspirò profondamente.
 «Allora sei sveglia.» disse l’uomo. «Molto bene.»
 Si avvicinò con una siringa e dopo averla infilata nel braccio destro di lei, cominciò a prelevarle varie provette di sangue. Quando ebbe finito e le ebbe depositate nel piccolo frigorifero, si avvicinò e le sollevò la camicia nel punto in cui la pallottola l’aveva colpita con il proiettile.
 «La guarigione delle tue cellule è molto più lenta di quella degli altri.» constatò. «Vedrò cosa posso fare con il tuo DNA.»
 
ANGOLO DELL’AUTRICE
Ciao a tutti! Eccovi il 22esimo capitolo!
A Sabato con il prossimo!
Eli
[Revisionato il 14/03/2016]
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 23
*** Capitolo 23 ***


The second chance


CAPITOLO VENTITRE

 
 Quando Charlotte si svegliò vide che si trovava ancora nel laboratorio, legata al lettino, con la flebo attaccata al braccio sinistro. Le forze erano tornate in parte, ma lei era certa che non sarebbe nemmeno riuscita a reggersi in piedi se anche fosse riuscita a liberarsi. Quell’inibitore era più potente di quanto avesse immaginato, tuttavia avrebbe dovuto trovare un modo per scappare, una volta che le forze fossero tornate. Avrebbe dovuto andarsene da lì, prima che Trask potesse utilizzare il suo DNA contro di lei o peggio contro la sua specie. Sicuramente era già al lavoro per perfezionare le Sentinelle e per capire come utilizzare il suo DNA per i suoi scopi e se avesse scoperto come utilizzare le sue capacità contro di loro, sarebbero stati tutti spacciati.
 Tentò di pensare ad un modo per uscire di lì senza essere scoperta prima che potesse essere abbastanza lontana, ma nulla era adatto, considerando che non sarebbe nemmeno riuscita a reggersi in piedi, figurarsi correre per una lunga distanza.
 Poi qualcosa le balenò nella mente.
 Era una telepate.
 Poteva comunicare con la mente anche a distanza.
 E avrebbe potuto provare a contattare Charles. Forse se si fosse concentrata abbastanza ci sarebbe riuscita, nonostante la sua debolezza. E in ogni caso doveva provarci, non poteva rimanere lì.
 Chiuse gli occhi.
 
 Charles si svegliò di soprassalto, ansimando.
 Aveva sentito la sua voce. Charlotte gli aveva parlato. Era al laboratorio di Trask, a pochi chilometri dalla Casa Bianca. Era lì che la tenevano prigioniera. E lui doveva andare da lei. Doveva aiutarla e agire in fretta. Non poteva chiedere l’aiuto di nessuno o sarebbe stato troppo tardi. Avrebbe impiegato troppo tempo a mobilitare tutti i suoi amici per quell’operazione di salvataggio, perciò avrebbe dovuto agire da solo.
 Si allungò verso il comodino e aprì il cassetto. Aprì una tabacchiera in legno e prese la piccola siringa all’interno in cui erano ancora presenti pochi milligrammi del siero di Hank. Se li iniettò nel braccio e questi fecero effetto immediatamente: sentì la sensibilità ritornare e poté sentire nuovamente le gambe, mentre udì le voci scemare sempre di più, fino a scomparire.
 Dopo essersi vestito, si diresse verso il salotto, aprì il secondo cassetto della scrivania e prese la pistola che era contenuta all’interno. Uscì di casa e dopo aver messo in moto l’auto, partì alla volta dell’aeroporto.
 
 Una volta arrivato al laboratorio di Trask, entrò tentando di non fare rumore. Percorse vari corridoi e salì due rampe di scale. Era sicuro che Charlotte gli avesse mostrato quello nel sogno, ma non aveva calcolato che i corridoi, lì dentro, si assomigliavano tutti.
 Sorpassò alcuni magazzini e raggiunse l’ala est. Era poco illuminata, perciò Charles rallentò il passo per non fare rumore urtando qualcosa nel percorso. Vagò senza meta per quasi mezz’ora, perso in quel dedalo di corridoi e svolte.
 Ad un tratto sentì una leggera puntura all’altezza del collo.
 E poi non vide più nulla.
 
 Charles si svegliò in una cella fredda e buia. Era steso a terra, sul freddo pavimento in pietra. Quando si sollevò sui gomiti, capì che il siero di Hank aveva smesso di fare effetto. La sensibilità alla gambe era nuovamente scomparsa per lasciare il posto alle voci all’interno della sua mente.
 «Buongiorno, professor Xavier.» la voce di Trask lo fece trasalire. «Come si sente?»
 Il professore non fece caso alla domanda che gli era stata rivolta. Il suo primo pensiero fu Charlotte. «Dov’è mia sorella?» chiese infatti, accortosi che l’uomo era di fronte a lui e lo stava osservando, fuori dalla cella a debita distanza.
 «Sua sorella?» domandò l’altro, perplesso.
 Charles capì di aver fatto un errore. Lui non aveva idea del fatto che Charlotte fosse sua sorella e forse se non l’avesse scoperto, sarebbe stato meglio per lei. Ma lui aveva compiuto un passo falso e si era tradito. Non potevi restare zitto, Charles? si rimproverò mentalmente.
 «Oh, adesso capisco.» disse Trask, ghignando. «La ragazza.»
 «Cosa le hai fatto?»
 «Nulla, per ora.» rispose. Poi, riflettendo su ciò che Charles gli aveva detto, riprese. «Quindi è qualcosa di genetico. Anche la ragazza è una telepate come lei. Questo spiega come sia potuto arrivare sin qui. Dovete aver comunicato mentalmente.» concluse «Portentoso.»
 «Se provi a farle del male, bastardo, io ti-»
 «Cosa? Mi uccide?» domandò sbeffeggiandolo. «Nemmeno cammina, come potrebbe uccidermi?»
 Charles ringhiò.
 «Non si preoccupi, le faremo avere una sedia a rotelle. Ma per ora può avere solo questo.» tirò fuori un paio di chiavi, aprì la porta della cella e si avvicinò al professore – che tentò di ribellarsi, senza risultati – e gli iniettò un siero direttamente nel collo.
 Dapprima Charles si sentì strano. La sensibilità alle gambe non sembrava tornata, ma sentì le voci nella sua testa acquietarsi via via sempre di più, per lasciare il posto ad una voce sola. Era una voce famigliare, profonda. Potente ma allo stesso tempo sommessa, quasi un sussurro, un ronzio flebile ma assordante.
 «Farà tutto quello che le dirò, professore.» disse Trask, ancora in piedi di fronte a lui. «Da oggi in poi non ubbidirà ad altri che a me. Sono stato chiaro?»
 Xavier annuì.
 Trask sorrise.
 
 Charlotte sperò che il messaggio fosse arrivato a destinazione. Aveva fatto fatica a mantenere il contatto abbastanza a lungo da poter trasmettere tutte le informazioni necessarie a Charles per poterla trovare. E adesso risentiva di quello sforzo. Rivoli di sudore gli rigavano le tempie, il respiro si era fatto accelerato e rotto e il suo cuore stava galoppando nel suo petto, martellando con violenza nella cassa toracica.
 Sbatté più volte le palpebre, poi si voltò verso la finestra da cui penetrava la pallida luce del sole del mattino. I suoi raggi colpivano i tavoli su cui Trask teneva i suoi strumenti proiettando riflessi all’interno della stanza e illuminando anche una porzione del suo lettino, riscaldandola.
 La mutante chiuse gli occhi e si immaginò il sole caldo sulla pelle, il giardino della villa di Charles, lei ed Erik stesi sull’erba a ridere. Le mancava così tanto. Se solo fosse stata attenta a Washington, non si sarebbe trovata in quella situazione in quel momento.
 La porta del laboratorio si aprì all’improvviso e due uomini entrarono. La liberarono dalle cinghie che la tenevano incollata al lettino e la trascinarono fuori.
 Lei non tentò di liberarsi dalla loro presa: era ancora troppo debole e sarebbe stato inutile. Si limitò a seguirli lungo i corridoi, riuscendo a malapena a reggersi in piedi.
 Percorsero vari corridoi fino ad arrivare davanti ad una porta in legno interamente dipinta di bianco. Bussarono e quando dall’interno la voce di Trask li invitò ad entrare, loro lo fecero.
 Una volta dentro, il cuore di Charlotte perse un battito.
 «Charles!» esclamò, vedendo suo fratello seduto su una sedia a rotelle, immobile accanto alla scrivania di Trask. Si liberò dalla presa dei due uomini con uno strattone, ritrovando la forza che negli ultimi due giorni l’aveva abbandonata, e lo raggiunse. Si inginocchiò di fronte a lui e lo abbracciò «Mi dispiace di averti messo nei guai, non volevo che prendessero anche te.»
 Fu allora che si accorse di non sentire la pressione delle braccia del fratello sul suo corpo.
 «Charles?» lo chiamò allontanandosi.
 Lui mantenne lo sguardo fisso davanti a sé.
 «Charles, stai bene?» chiese ancora Charlotte.
 «Non può sentirti.» affermò Trask avanzando verso di loro. Era rimasto immobile in un angolo della stanza, osservando i comportamenti della ragazza senza dire nulla. «Non sapevo fosse tuo fratello.»
 «Cosa gli hai fatto?»
 «Ho solo fatto in modo che non potesse disubbidire ai miei ordini.» spiegò l’altro con un ghigno stampato in faccia. «E per la cronaca… non può riconoscerti. Ogni tentativo è inutile.»
 «Charles» lo chiamò lei scuotendolo per le spalle. «Charles, ti prego. Sono io. Sono Charlotte.»
 Nulla. Il professore non si mosse.
 «Visto?» continuò Trask. «Adesso veniamo a noi. Se lui è un telepate ed è tuo fratello, vuol dire che lo sei anche tu. Ma non mi spiego come tu possa avere questi altri poteri.» affermò. «Vuoi essere tu a spiegarmelo?»
 Lei lo osservò disgustata, senza proferire parola.
 L’uomo riprese. «Lo scoprirò in ogni caso. Quindi sarebbe più semplice se fossi tu a dirmelo.» sospirò, vedendo che la ragazza non aveva intenzione di parlare. «Voglio sapere dove si trovano i tuoi amici mutanti. Quello che controlla i metalli, la donna blu e il mostro. Vorrei fare la loro conoscenza. Sarebbe ora di presentarmeli come si deve, dolcezza.»
 «Vai all’inferno.» fu la risposta della ragazza.
 Lui sorrise. «Tu ti ritroverai all’inferno.»
 Lei tornò a guardare il fratello. «Charles…» sussurrò «Torna in te.»
 Trask rise. «Professore?» lo chiamò.
 Charles si voltò verso Trask.
 Charlotte sobbalzò, gli occhi spalancati per lo stupore. Perché rispondeva a Trask e non a lei? Perché lo aveva riconosciuto?
 «Visto, piccola? Risponde a me e a me soltanto.»
 Lei scosse il capo, si alzò in piedi e indietreggiò; la rabbia la invase. Quando i due uomini tentarono di afferrarla nuovamente per le braccia, lei si scansò, strinse i pugni e le katane comparvero improvvisamente, senza che nemmeno le avesse evocate. Sferrò due fendenti e i due uomini caddero a terra, immobili. Le forze erano tornate di colpo, velocemente come quando l’avevano abbandonata e non sembrava possibile controllarle.
 «Straordinario.» si lasciò sfuggire Trask osservando i suoi movimenti fluidi, rapidi e precisi.
 «Libera mio fratello, Trask!» disse lei puntando le lame verso di lui. L’avrebbe ucciso volentieri, se non fosse stato per l’avvertimento che Logan aveva dato loro. Avrebbe potuto solo minacciarlo e sperare che le sue minacce andassero a segno.
 «Non credo proprio.»
 La rabbia la invase. Al diavolo Logan e i suoi consigli. «Allora scoprirò da sola come fare.» quando fece per avvicinarsi e trafiggere l’uomo, lui parlò ancora.
«Professore» disse per richiamare l’attenzione di Charles. «Dolore.»
 Xavier si voltò verso la sorella.
 Charlotte rimase immobile senza capire, poi sentì Charles entrarle nella testa, scavare nella sua mente e riportare a galla i ricordi più dolorosi. Gridò di dolore e cadde a terra. Le spade scomparvero quando cozzarono con il pavimento e lei si prese le testa fra le mani, gridando dal dolore.
 «Charles…» lo implorò «Ti prego, smettila…»
 Lui continuò come se non l’avesse sentita.
 Charlotte gridò ancora; il dolore era troppo, il fratello era molto più potente di lei e non avrebbe potuto opporsi.
 «Credo che adesso basti, professore. Grazie.» concluse Trask.
 Il dolore cessò e Charlotte, stremata, cadde sulla schiena e perse i sensi.
 
ANGOLO DELL’AUTRICE
Ciao a tutti! Eccovi il 23esimo capitolo.
A Lunedì, Eli
[Revisionato il 19/03/2016]
 

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Capitolo 24
*** Capitolo 24 ***


The second chance


CAPITOLO VENTIQUATTRO

 
 Charlotte si risvegliò nella sua cella al laboratorio di Trask.
 Accanto a lei c’era Charles, immobile, impassibile, freddo.
 La ragazza si mise a sedere sul materasso reggendosi la testa con le mani e quando fu sicura di poter rimanere in piedi, si avvicinò alla sua sedia a rotelle e poggiò una mano su quella di lui. Doveva farlo tornare. Doveva riportarlo indietro.
 «Charles…» lo chiamò «Sono io, Charlotte.»
 Lui la osservò per un momento. «Lo so.» rispose alla fine.
 «Oh, grazie al cielo sei tornato in te!» esclamò «Stai bene?»
 «Non sono mai stato meglio.» replicò lui, lo sguardo ancora vacuo e spento.
 «Dobbiamo trovare un modo per uscire di qui.» disse lei.
 «Per andare dove?» chiese il professor X. «Magari da Erik?»
 Charlotte aggrottò le sopracciglia. «Charles, ma cosa stai…?»
 «Sta’ zitta!» gridò l’uomo. «Sei solo una ragazzina… cosa vuoi saperne dell’amore?» chiese con disprezzo.
 Ragazzina? pensò lei. Non mi chiama mai così, e solo in quel momento capì che suo fratello non era tornato in sé. Trask l’aveva lasciato lì perché la controllasse e le estorcesse le informazioni che voleva.
 «Charles…» tentò di fermarlo. «Io…»
 «Tu e Erik… è sbagliato.» riprese «Lo capisci? È sbagliato!»
 La ragazza gli poggiò le mani sulle spalle. «Charles, calmati, ti prego.»
 «Calmarmi?!» gridò il professore, più furioso che mai. «Erik è malvagio. Mi ha tolto la possibilità di camminare e tu ti sei innamorata di lui? Come hai potuto? Come?»
 «Charlie, aspetta…»
 «Zitta!» gridò e il dolore colpì nuovamente Charlotte facendola cadere in ginocchio.
 «Smettila, ti prego…» lo implorò. «Per favore…»
 Charles si calmò lentamente e dopo un lungo momento, anche il dolore sembrò scomparire. «In ogni caso, adesso è tutto finito.»
 «Che vuoi dire?» chiese Charlotte. Poi raggiunse il materasso e vi si sedette sopra. Si massaggiò le tempie, chiudendo gli occhi per recuperare la lucidità.
 «Magneto non ci darà più problemi.»
 Charlotte sollevò lo sguardo di scatto. «Cos’hai fatto?» chiese. «Cos’è successo a Erik?»
 Charles ghignò. «Trask l’ha sistemato.»
 «Cosa?!»
 «Gliel’ho consegnato.» replicò il telepate.
 «No.» si lasciò sfuggire lei, incredula, la voce tremante. «No, Charles, non puoi aver... come hai potuto?» strillò «Lui era tuo amico! Teneva a te! Come hai potuto fargli questo?»
 «Se fosse stato affezionato a me, non avrebbe deviato il proiettile che mi ha danneggiato la colonna vertebrale.»
 «Non è vero, Charles, e lo sai!» ringhiò lei. «È stata una tragica fatalità, lui non ha mai voluto farti del male!»
 «Comunque adesso è tutto finito.» ripeté. «Non ci darà più problemi.»
 La porta della cella si aprì con un cigolio, facendoli voltare entrambi di scatto. Trask entrò con, al seguito, altri due uomini, che stavano tenendo un uomo per le braccia. Quando ebbero varcato la soglia, lo gettarono a terra, indietreggiando e uscendo immediatamente.
 «Oh, mio Dio…» sussurrò Charlotte. Era Erik. Quell’uomo era Erik, il suo Erik. Charles l’aveva davvero consegnato. La ragazza si mise in piedi e si inginocchiò accanto a Magneto, facendolo voltare sulla schiena e prendendogli il volto fra le mani. «Erik…» sussurrò. «Erik, ti prego…»
 «Il siero era troppo potente per lui. Non è stato poi così utile.» intervenne Trask. «È tutto tuo, dolcezza. Goditelo finché puoi.»
 Magneto aprì gli occhi lentamente e incrociò lo sguardo della ragazza.
 Lei vide i suoi occhi verdi spegnersi lentamente e sentì una stretta al cuore.
 «Charlotte…» bofonchiò.
 «Sono qui, Erik.» disse lei, tra le lacrime. «Resisti, ti prego…» aveva ferite ovunque ed era pallido come un lenzuolo e lei non sapeva come aiutarlo. Come poteva aiutarlo?
 «Professore, andiamo.» Trask si rivolse a Charles.
 Charles annuì e si avviò all’esterno della cella con la carrozzella.
 «Voi due, prendetela!» ordinò poi Trask, indicando Charlotte.
 I due la sollevarono per le braccia separandola da Erik.
 «No! Lasciatemi!» gridò, dimenandosi per liberarsi dalla loro presa. Sferrò una gomitata al primo e un calcio al secondo facendoli cadere a terra, ma prima che potesse avvicinarsi nuovamente ad Erik, Charles entrò nuovamente nella sua testa.
 «No!» gridò la ragazza «Esci dalla mia testa, Charles!»
 Lui non si mosse, anzi, continuò a torturarla senza battere ciglio.
 Trask intanto si era avvicinato a Erik e aveva estratto una pistola. La sollevò e la puntò contro di lui.
 Con le ultime forze rimaste Charlotte gridò. «No, lascialo stare! Uccide me!»
 «È inutile. Sarebbe solo d’intralcio.» affermò l’uomo e caricò la pistola. Attese qualche secondo e poi premette il grilletto. Il potente rombo dello sparo risuonò nell’aria, rimbombando tra le pareti e perdendosi all’infinito.
 «No! Erik!» furono le ultime parole che la ragazza riuscì a pronunciare.
 
 Charlotte rinvenne annaspando per cercare abbastanza aria da poter respirare. Aveva il fiato corto e il cuore che le galoppava nel petto ed era di nuovo legata al letto dove Trask l’aveva imprigionata qualche ora prima. Aveva braccia e gambe immobilizzate e quattro cinghie stavano cingendo il suo corpo per impedirle di muoversi ed erano così strette da toglierle il respiro. A quel punto si voltò e vide che accanto a lei c’era Charles che la stava osservando con sguardo vacuo e cupo.
 «Charles…» sussurrò «Cosa…?» cominciò, poi capì. Nulla di quello che aveva visto era vero. Era stata tutta una visione indotta da Charles per torturarla. Erik stava bene, era sano e salvo, probabilmente con Raven e Hank. Una lacrima le rigò la guancia. «Perché mi fai questo, Charles?» lui non rispose. «Sono tua sorella…»
 «Lo vedo.» rispose lui.
 «Allora perché continui a fare questo?»
 «Perché è Trask a chiedermelo.»
 Charlotte scosse il capo. «Ti prego, devi ribellarti. Fallo uscire dalla tua mente.» insistette. «Non lasciare che ti faccia questo. Devi trovare la forza di ribellarti.»
 «Tu non sai nulla.»
 «So che sei mio fratello, che mi vuoi bene e che non faresti mai-»
 «Sta’ zitta.» la interruppe bruscamente. «Non sia nulla. Sei solo una stupida ragazzina.»
 «Charles, per favore… torna in te.»
 Lui scosse il capo. «Io sto benissimo.» poi si avvicinò con la sedia a rotelle e poggiò due dita sulla fronte di lei.
 Il dolore tornò e a Charlotte sembrò che qualcuno le stesse trapanando il cervello. Gridò di dolore, ma dimenarsi non servì a nulla, solo a farlo aumentare sempre di più. Un fiume di ricordi comparvero davanti ai suoi occhi
 Erik.
 Le notti passate con lui per aiutarlo a superare gli incubi.
 Gli allenamenti.
 Il pomeriggio in cui avevano ballato e si erano quasi baciati.
 Raven.
 Hank.
 Sua madre.
 Charles.
 Suo padre.
 «Basta!» gridò. E senza capire come, fece uscire Charles dalla sua testa, respingendolo e impedendogli di accedere ancora ai suoi ricordi, proprio come se gli avesse dato uno spintone così potente da allontanarla da sé. Sentì la mente libera e sgombra e sospirò di sollievo. «Stai fuori dalla mia testa…» ansimò.
 «Non decidi tu, sorellina.» sussurrò. «Non è finita qui.»
 
ANGOLO DELL’AUTRICE
Ciao a tutti! Come state? Come promesso, eccovi il 24esimo capitolo della mia long!
Vorrei cogliere l’occasione per ringraziare chi mi segue, preferisce e recensisce! Grazie davvero! ;D
A Mercoledì, Eli
[Revisionato il 19/03/2016]
 
 
 
 

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Capitolo 25
*** Capitolo 25 ***


The second chance


CAPITOLO VENTICINQUE

 
 Dopo tre giorni di torture ininterrotte, Trask chiese a Charles di fermarsi.
 «Credo che possa bastare. Adesso dovrebbe essere più incline a parlare.» si avvicinò alla ragazza, ancora stesa sul letto e ormai stremata. Erano giorni con non mangiava ed era visibilmente dimagrita. «Allora, tesoro.» riprese stringendo una mano intorno ai suoi capelli per farla voltare verso di sé. «Dimmi dove si trovano gli altri mutanti e potrei essere clemente.»
 «Perché non… lo chiede… al professore?» sussurrò lei, senza fiato.
 «Perché per averlo in mio potere ho dovuto rinunciare a scavare nella sua mente.» spiegò lui, in tono pratico. «Allora? Dove sono?»
 «Vai all’inferno…» replicò l’altra.
 «Molto bene.» riprese Trask «Professor Xavier, sa cosa deve fare.»
 Charlotte dovette reprimere un gemito di dolore quando lui penetrò nuovamente nella sua testa.
 
 Erik si svegliò di soprassalto.
 Aveva sognato Charlotte. Ancora. Trask le stava facendo del male. La torturava e la faceva soffrire per sapere dove si nascondevano gli altri mutanti. Voleva trovarli, studiarli e ucciderli, proprio come aveva fatto con Angel, Azazel e tutti gli altri.
 Magneto sentiva il cuore galoppare nel petto e il respiro così irregolare che la cassa toracica gli doleva ogni volta che inspirava.
 Scese da letto e aprì la finestra per fare entrare un po’ d’aria. Se Charlotte fosse stata lì l’avrebbe abbracciato, l’avrebbe fatto sentire meglio con parole di conforto e invece… invece era con Trask. E probabilmente stava soffrendo, torturata da quell’essere spregevole.
 Avrebbe dovuto trovarla. Charlotte non avrebbe potuto resistere ancora a lungo. Era forte, ma non invincibile. E se Trask le avesse fatto del male, l’avrebbe ucciso. Non si sarebbe fatto sfuggire un’occasione del genere un’altra volta. Non avrebbe esitato.
Nessuno avrebbe potuto fermarlo, nemmeno Charles, dato che se n’era andato.
 Perché li aveva lasciati soli a cercare Trask?
 Erik non poteva credere che avesse abbandonato la sorella per fuggire chissà dove. Lo credeva diverso… credeva che avrebbe fatto qualsiasi cosa per lei… e invece si era rivelato ben diverso da come lo ricordava.
 
 «Erik! Raven!» Hank era nel suo studio, davanti ai computer e stava osservando un punto luminoso su uno degli schermi. Stava lampeggiando da un po’ indicando un punto a nord della Casa Bianca.
 «Che succede?» chiese Raven, entrando di corsa e avvicinandosi. Erano giorni che tentavano di localizzare Charlotte, ma non avevano avuto nessun risultato.
 «Ho travato Trask.» affermò lo scienziato.
 Erik entrò subito dopo. Osservò lo schermo e sentì il cuore accelerare. Forse c’era ancora una speranza. «Dov’è?»
 «A pochi chilometri dalla Casa Bianca.» affermò Hank «E Charlotte si trova sicuramente lì con lui. Deve essere lì.»
 Raven annuì e si voltò verso Magneto. «Andiamo.»
 
 Charlotte aprì gli occhi. Era ancora nel laboratorio di Trask.
 Inspirò profondamente e sentì un dolore pungente alla cassa toracica. Tutte quelle torture l’avevano provata mentalmente, ma anche fisicamente. Aveva dolori ovunque, in ogni singola parte del corpo, non riusciva a pensare, tantomeno a camminare per poter tentare di scappare. Non sarebbe nemmeno riuscita ad arrivare alla porta e avrebbe ottenuto il solo risultato di peggiorare le cose.
 Solo in quel momento, voltandosi verso destra, si accorse che accanto a lei c’erano due aiutanti di Trask.
 Questi quando si accorsero che era sveglia, la liberarono dalla morsa delle cinghie in cuoio e la trascinarono fuori attraversando i dedalo di corridoi. Svoltando a destra e poi a sinistra, poi nuovamente a destra. Raggiunsero la cella sotterranea in cui si era risvegliata la prima volta e la gettarono al suo interno, con poca gentilezza.
 Le sue ginocchia cozzarono con il pavimento in pietra producendo un rumore secco. Quando i due chiusero la porta a chiave lasciandola sola, Charlotte si sollevò lentamente sulle braccia e quando riuscì a mettersi in piedi si trascinò fino al materasso. Si sdraiò su un fianco e si rannicchiò per tentare di ripararsi dal freddo che permeava quel posto.
 Perché mi fai questo, Charles? Perché?
 Poco dopo si addormentò, la mente in subbuglio e i pensieri aggrovigliati.
 
 Si svegliò di soprassalto qualche ora più tardi.
 Aveva sognato la morte dei suoi amici e Charles che la torturava, per l’ennesima volta.  Anche nel sogno non riusciva a fare nulla per salvarli o per impedire a suo fratello di continuare con le torture. Era troppo debole e non solo nel sogno, ma anche nella realtà. Era troppo debole per fare qualsiasi cosa, troppo debole per resistere ancora a lungo.
 Lacrime silenziose scesero lungo le sue guance.
 
 «Rieccoci qui, bambolina.» disse Trask entrando nella cella e facendo sobbalzare la mutante, che scattò a sedere, gli occhi spalancati dal terrore, pronto a tutto. «Allora, vuoi dirmi dove si trovano i tuoi amici?»
 «No.» disse lei von voce ferma. Non gli avrebbe rivelato nulla. Nemmeno se avesse continuato a torturarla. Peggio di così, in fondo, non poteva andare. Se l’avesse uccisa le avrebbe risparmiato altre sofferenze e non avrebbe mai scoperto dove i suoi amici si nascondevano.
 «Sei sicura?» chiese. «Potresti pentirtene.»
 «Vai al diavolo, Trask.» sbottò voltandosi verso la porta per evitare il suo sguardo.
 «D’accordo. L’hai voluto tu.» disse lui e rivolse un cenno del capo a uno dei suoi collaboratori, fermo fuori dalla porta della cella. Questo entrò e Trask lo osservò per un momento, poi ghignò. «Sai cosa fare, Alan.» e detto questo, uscì.
 E Charlotte rimase sola.
 L’uomo la stava osservando curioso e con una strana espressione sul volto. «Allora, piccola.» cominciò, sedendosi sul bordo del materasso. «Trask mi ha detto che devo convincerti a parlare.»
 Lei non rispose. Continuò a guardare la porta e attese.
 «Sicura di non volerci dire nulla?»
 Charlotte non rispose, si portò le ginocchia al petto e serrò gli occhi. Non avrebbe mai rivelato dove si trovavano i suoi amici, piuttosto si sarebbe fatta uccidere.
 «D’accordo.» sbottò Alan «Allora cominciamo!» sembrava entusiasta, qualsiasi cosa stesse per farle. Scostò un lembo della giacca e prese il coltello che teneva infilato nella cintura. Lo rigirò più volte tra le mani e poi sfiorò il volto di lei con la punta della lama.
 Charlotte dovette resistere all’impulso di ritrarsi a quel tocco. Non doveva e non voleva dar loro la soddisfazione di vederla impaurita. Perciò rimase immobile.
 L’uomo ad un tratto, le sfiorò la guancia con le dita, poi le circondò il collo con una mano. «Sicura di non volermi dire dove sono i tuoi amici mostri?» chiese aumentando la presa sul collo di lei. Non ricevendo risposta altro che ansiti strozzati, impugnò il coltello e lo fece scorrere sulla base del collo di lei.
 Una ferita si aprì sulla sua pelle nivea e cominciò a sanguinare.
 «Davvero?» chiese ancora.
 «Vai al diavolo.» ribatté lei con voce strozzata.
 «Molto bene.» la afferrò per un braccio e la fece cadere dal materasso.
 Lei atterrò sulla schiena e il respiro le si mozzò; tentò di alzarsi reggendosi sui gomiti, ma lui la raggiunse e la fece alzare in piedi prendendola per un braccio, bloccandola poi contro la parete. «Ti pentirai di non aver collaborato, bambolina.»
 Lei ansimò. Non poteva lasciare che quell’uomo le facesse del male. Non poteva semplicemente lasciarsi uccidere da loro. Doveva provare a scappare. Doveva fare qualcosa. Chiuse gli occhi e tentò di calmare il battito cardiaco, regolarizzare il respiro e concentrare tutte le sue forze per un ultimo sforzo.
 Forza, Charlotte. Devi andartene di qui.
 Quando fu sicura di poter evocare le sue katane, aprì le mani e si concentrò. Queste, pochi secondi dopo, comparvero. Strinse le mani intorno all’impugnatura e con un colpo secco, dopo essersi liberata dalla sua presa, trafisse Alan all’altezza dello stomaco.
 Lui gemette, cadde a terra in ginocchio e poi sulla schiena, esanime.
 La ragazza poggiò la schiena contro la parete, tentò di prendere fiato e quando fu sicura che le gambe potessero reggerla, avanzò verso la porta. Non avendo tempo per cercare le chiavi si concentrò e trapassò le sbarre, concedendosi poi un sospiro di sollievo e un sorriso. Era libera. Finalmente libera… non poteva crederci.
 Corse più veloce che poté trapassando pareti e porte chiuse, non avendo il tempo di provare ad orientarsi in quel labirinto. Tuttavia, si ritrovò in un corridoio che era identico a tutti gli altri. Si guardò intorno e lo percorse velocemente tenendo le spade tra le mani nel caso ne avesse avuto bisogno per difendersi.
 Quando incontrò due guardie, le neutralizzò in pochi secondi e poi ricominciò a correre. Doveva esserci un’uscita… doveva esserci per forza.
 Svoltò bruscamente a destra e si ritrovò davanti all’ufficio di Trask.
 Grazie al cielo, si disse. Da lì avrebbe saputo continuare e avrebbe potuto trovare l’uscita molto più facilmente. Si fece coraggio e proseguì diritto. Quando svoltò a sinistra, dietro l’angolo si trovò davanti Charles.
 Si bloccò. «Charles…» sussurrò. Non poteva lasciarlo lì. Doveva provare a convincerlo ad andare con lei. Doveva portarlo via con sé. «Charles, ti prego, dobbiamo andare via. Torna in te.»
 «Sono in me, Charlotte.» ribatté lui. «E tu non andrai da nessuna parte.» allungò una mano davanti a sé. Quando la mosse, la ragazza cadde a terra in preda al dolore.
 Charlotte non gridò. Sapeva bene che non avrebbe fatto altro che attirare lì altri amici di Trask, perciò si portò le mani alle orecchie e si morse il labbro inferiore.
 «Basta, Charles, per favore.» lo implorò.
 Lui rise e inaspettatamente si alzò dalla sedia a rotelle.
Charlotte sobbalzò, stupita. Come poteva camminare e, al contempo, avere i suoi poteri? Era impossibile. Trask aveva forse trovato una cura? No. No, era impossibile, non poteva averla trovata…
 Charles si avvicinò a lei e le sollevò il volto con due dita. «Non riuscirai a fermarmi, nemmeno implorandomi.» sibilò. «Con me non funziona.»
 Una lacrima le rigò una guancia.
 Charles, prese una delle spade ancora sul pavimento e la osservò rigirandola tra le mani.
 «Non sei utile a Trask e se ti lasciassimo andare, tu correresti tra le braccia di Erik.» disse «Non posso permetterti di scappare, ma la tua presenza, qui, è diventata alquanto scomoda.» e detto questo, la trafisse con la spada all’altezza dello stomaco.
 Charlotte gemette dal dolore e cadde sulla schiena. «Char… les…»
 «Scusami, sorellina, ma è necessario.»
 
 Tutto si dissolse. Charlotte era ancora inginocchiata nel corridoio, ma il fratello era ancora immobile sulla sedia a rotelle. La stava osservando e sul suo volto era dipinta un’espressione impassibile.
 «Perché fai questo, Charles?» domandò lei, tra i gemiti.
 «Perché è quello che ti meriti per avermi disubbidito.»
 «Charles…»
 «Sta’ zitta!» altri ricordi si sprigionarono.
 Erik.
 Hank.
 Logan.
 Raven.
 Lei e Charles.
 I loro genitori…
 No, basta… pensò la ragazza Smettila… ti prego…
 «Charles, per favore…» gemette ancora «Smettila…»
 E poi sentì del passi dietro di lei e il suo cuore smise di battere.
 L’avevano trovata. L’avrebbero riportata in quel laboratorio per farle chissà cosa.
 «Prendetela.» disse Charles.
 E due uomini l’afferrarono per le braccia e la sollevarono da terra.
 
ANGOLO DELL’AUTRICE
Ciao a tutti! Eccomi qui con il 25esimo capitolo! È un po’ concitato, lo so, ma dovevo rendere l’idea della fuga!
A Venerdì con il prossimo!
Kiss, kiss, Eli
[Revisionato il 24/03/2016]
 

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Capitolo 26
*** Capitolo 26 ***


The second chance

CAPITOLO VENTISEI

 
 Charlotte si risvegliò nel laboratorio di Trask nuovamente legata al letto.
 Tentò di dimenarsi, ma il suo corpo sembrava non risponderle più.
 Volse lo sguardo e vide che qualcuno le aveva nuovamente somministrato la sostanza utilizzata da Trask per inibire i suoi poteri. Inoltre, si accorse, le avevano anche tolto la camicia e i pantaloni, lasciandole solo la biancheria intima, in modo da poter ricoprire il suo corpo con piccoli elettrodi direttamente collegati ad una macchina, posizionata accanto al suo letto.
 Charlotte ansimò.
 Cosa pensava di farle Trask?
 Torturarla?
 Ucciderla?
 Lei non aveva più paura, ormai. Avrebbe anche potuto ucciderla a suon di scosse elettriche… non le sarebbe importato. Dopo tutto ciò che aveva subito e che aveva passato, avrebbe solo voluto che tutto finisse.
 La porta si aprì di colpo e Charlotte si voltò.
 «E così hai tentato di scappare, eh?» cominciò Trask, avanzano verso di lei e richiudendo la porta. Scosse il capo, in segno di disapprovazione. «Pessima idea, tesoro… adesso dovrò punirti per questo.»
 Charlotte avrebbe tanto voluto rispondergli o ribellarsi, ma le forze sembravano averla abbandonata completamente.
 «Professore?» disse Trask, voltandosi per osservare qualcosa alle sue spalle.
 Solo in quel momento Charlotte si accorse che anche Charles era entrato nella stanza.
 Lo osservò avanzare e fermarsi accanto alla macchina, studiandola attentamente, anche se in realtà non sembrava in grado di vederla davvero.
 No… No, Charles, ti prego non farlo, pensò.
 Non voleva che fosse Charles a ucciderla. Le bastava che fosse Trask o chiunque altro, ma non lui. Non suo fratello.
 «Prema quel bottone.» ordinò Trask.
 Charles annuì ed eseguì.
 Charlotte inizialmente non sentì nulla, poi, una potente scossa elettrica attraversò il suo corpo, facendola tremare. La ragazza si contorse in preda al dolore, tentando di reprimere un grido disperato.
 Basta, basta, Charles. Per favore. Fermati…
 Un’altra scossa elettrica.
 Ricordi.
 Grida.
 Dolore.
 Un’altra ancora.
 Tutto il dolore e la paura riemersero come un fiume in piena.
 «Basta così, professore.» lo interruppe Trask. «Allora, tesoro, dove sono i tuoi amici?»
 Charlotte raccolse le ultime forze rimaste. «Vai all’inferno, Trask…» ansimò.
 «Te lo ripeterò ancora una volta.» affermò lui, in tono duro. «Dove sono i tuoi amici?» sillabò, scandendo ogni parola e stringendo la sua mano paffuta intorno ai capelli di lei. «Dimmelo, sudicia creatura, o sarò costretto a ucciderti. E, credimi, non sarà piacevole.» ringhiò, strattonando il capo della giovane. «Dove sono?» gridò, furioso.
 «Siamo qui.»
 La voce di Raven risuonò nel laboratorio costringendo Charles e Trask a voltarsi.
 Non può essere lei, pensò Charlotte, sentendo il cuore accelerare. È una delle allucinazioni di Charles. Vuole torturarmi… farmi soffrire
 Aveva già visto così tanti ricordi falsi create dalla mente di Charles che adesso non era più sicura di nulla. Tutto poteva essere una visione indotta dalla mente di suo fratello… tutto poteva essere falso.
 Trask si bloccò vedendo Mystica, Bestia e Magneto fermi sulla soglia. Sorrise, estasiato alla vista di altri mutanti da studiare e torturare. Allontanò la mano dal capo di Charlotte e si mosse verso di loro.
 «Che meravigliosa sorpresa!» esclamò.
 Hank, in un momento, gli fu addosso. Lo atterrò e lo tenne prigioniero sotto il suo peso. «Credevi che non ti avremmo trovato?» ringhiò furioso premendo le sue mani sulle braccia dell’uomo, per tenerlo fermo. «Credevi di farla franca, Trask?»
 Lui rise. «Professore!»
 I tre si bloccarono, non capendo cosa Trask intendesse, poi Charlotte gridò di dolore.
 «No!» gridò Raven, vedendo che Charles aveva premuto uno dei bottoni del macchinario a cui Charlotte era collegata tramite gli elettrodi. «Charles fermati! È nostra sorella.» lo allontanò dalla macchina e si posizionò davanti a lui, cercando il suo sguardo. «Charles, sono Raven. Mi riconosci?»
 «Sì.» rispose l’altro, in tono piatto. «Non dovrei?»
 Lei scosse il capo, confusa. «Hank.» disse soltanto.
 Bestia sferrò un pungo in pieno volto a Trask, facendogli perdere i sensi, in modo che non potesse chiamare aiuto o spingere Charles a fare nuovamente del male a Charlotte.
 Erik corse da Charlotte, oltrepassando Hank, Raven e Charles.
 «Charlotte…» disse, accarezzandole una guancia. «È tutto finito. Sei salva.»
 Charlotte, quando vide il suo viso, sorrise. «Erik…» ansimò.
 Come poteva Charles essere così crudele da mostrarle Erik e farle credere di essere al sicuro? Era così doloroso, sapendo che non li avrebbe rivisti mai più… perché non potevano semplicemente farla finita?
 Erik si tolse la giacca e, dopo aver liberato Charlotte dalle cinghie che la tenevano prigioniera, la avvolse all’interno per coprirla. «Sta’ tranquilla.» sussurrò, sollevandola tra le braccia e stringendola a sé. «Andrà tutto bene. Sei al sicuro adesso.» mormorò, poggiando le labbra sulla sua fronte. «Hank, Raven, andiamo.» concluse, avendo percepito l’elevata temperatura della sua pelle. «Charlotte ha bisogno di cure.»
 Bestia si alzò, rifilò un ultimo calcio a Trask e si avvicinò a Raven. «Lo prendo io.» disse indicando Charles.
 «Trask deve avergli dato qualcosa per controllare la sua mente. Risponde solamente a lui, adesso.» affermò lei, rivolgendo uno sguardo all’amico.
 Hank annuì. «Ci penseremo una volta a casa. Adesso verrà con noi. Con le buone o con le cattive.»
«Io non verrò da nessuna parte con voi.» si intromise il professore.
 «Oh, sì, invece.» disse Raven.
 «Andate al diavolo!» gridò Charles.
 Dopo un momento di immobilità, Bestia riprese. «Mi scusi, professore.»
 Charles gli rivolse uno sguardo interrogativo.
 E Hank gli sferrò un pugno in pieno viso. Il telepate perse i sensi e il mutante se lo caricò in spalla, sollevandolo dalla sedia a rotelle.
 «Andiamo.» disse, avviandosi verso la porta.
 E insieme uscirono dall’edificio prima che qualcun altro potesse tentare di fermarli.
 
ANGOLO DELL’AUTRICE
Ciao a tutti! Eccovi il 26esimo capitolo!
Spero tanto che vi piaccia anche se è molto breve, ma non voglio annoiarvi troppo, perciò preferisco dividerli!
A domenica, Eli
[Revisionato il 22/10/2016]
 
 

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Capitolo 27
*** Capitolo 27 ***


The second chance

CAPITOLO VENTISETTE

 
Charlotte aprì lentamente gli occhi.
Si guardò intorno. I mobili e il letto erano in legno e il loro profumo le era molto famigliare; si voltò verso la finestra e vide che sul comodino c’era una foto di lei e Charles abbracciati in riva al mare.
Si trovava nella sua stanza a villa Xavier.
Si sollevò sui gomiti e tentò di ricordare cos’era successo.
Il laboratorio di Trask. Le torture. Charles che le penetrava nella mente.
Le visioni…
Quindi… poteva essere tutto falso. Forse era tutta una visione creata da suo fratello per farla soffrire ancora. Come aveva fatto a non pensarci prima?
Charlotte continuò a guardarsi intorno per cercare qualcosa che tradisse Charles, un particolare diverso rispetto alla realtà. Anche nelle altre visioni era stato così, anche se lei l’aveva capito solamente dopo. Nella prima, Erik aveva gli occhi verdi e nella seconda, Charles camminava anche se aveva i suoi poteri.
Ma in quel momento, in quella stanza nulla sembrava fuori posto. Era tutto così fedele alla realtà, che per un momento Charlotte pensò di essere stata salvata davvero.
No. Non è possibile. Trask e Charles mi stanno prendendo in giro, pensò.
La porta si aprì lasciando entrare l’aria fresca del corridoio.
Erik varcò la soglia, era vestito con dei jeans e una camicia neri. Quando la vide sveglia, sorrise.
«Charlotte.» disse avvicinandosi. «Come ti senti?»
Lei indietreggiò sul letto, trascinandosi sulle braccia. Era ancora debole a causa delle scosse elettriche e degli inibitori che le avevano somministrato.
Un pensiero le attraversò la mente e la fece rabbrividire. Charles avrebbe fatto in modo che Erik le facesse del male? Stava per ucciderla o torturarla? Suo fratello sapeva quanto lei tenesse a Erik e se avesse fatto in modo che lui le facesse del male, lei non l’avrebbe sopportato. Charles lo sapeva bene.
«Stai tranquilla.» la rassicurò lui, avvicinandosi lentamente con le mani alzate «Sei a casa. Sei al sicuro.»
Lei scosse il capo. «No. Tu non sei reale. È Charles che vuole farmi credere che…»
«No, Charlotte. Sono reale.» affermò lui sedendosi sul letto senza però proseguire oltre. Sapeva che dopo tutto ciò che aveva vissuto era importante tranquillizzarla, darle il tempo di riflette e schiarirsi le idee.
Lei lo osservò. «Come faccio a esserne certa?» domandò, ancora non del tutto sicura di ciò che le stava davanti agli occhi.
«Devi fidarti, Blade.» sentendosi chiamare con il nome che lui le aveva dato tempo prima si tranquillizzò. Solo loro due sapevano del nome e Charles non avrebbe potuto inserirlo in una visione.
Allora era tutto reale.
Il salvataggio, la voce di Raven… era successo davvero.
Charlotte chiuse gli occhi e inspirò profondamente. Lacrime calde e salate le rigarono il volto. «Oh, mio Dio… Grazie, Erik.» singhiozzò «Grazie per avermi salvata.»
Lui sorrise e si avvicinò. «Adesso sei al sicuro. Trask non potrà più farti del male. Non glielo permetterò.» si avvicinò a lei e le sfiorò la guancia con una mano.
Lei sorrise, le era mancato il suo tocco delicato.
«Non saresti dovuta venire a Washington.» le disse in un sussurro.
Lei scosse il capo e tentò di riordinare le idee per ricordare perché aveva deciso di andare a Washington. «Volevo vederti. Volevo dirti che ricordavo…»
«Lo so, ma hai rischiato di morire per mano di Trask.» la interruppe lui.
«Volevo chiederti di tornare da me.» Erik si zittì «Non volevo che ti facessero del male.» la ragazza sollevò lo sguardo e incrociò i suoi occhi di ghiaccio. Le erano mancati. Le davano sicurezza, calore.
«Non mi hanno fatto nulla.» affermò lui accennando un sorriso.
La mutante si avvicinò e sfiorò con le dita la cicatrice lasciata dal proiettile sul collo di lui. Il punto in cui Raven gli aveva sparato. «No, non è vero.» sussurrò «Ti fa male?»
«No.» rispose prendendole la mano e stringendola tra le sue.
Qualcuno si fermò sulla soglia della camera.
«Raven.» disse la mutante.
La ragazza le sorrise e si avvicinò. «Ciao, sorellina.» salutò – la chiamava spesso così quando vivevano ancora tutti insieme, d'altronde era entrata a far parte della famiglia ancora prima di lei – «Come ti senti?»
«Adesso che sono qui, bene.»
Raven si rivolse a Magneto. «Forse Hank ha trovato un modo per impedire a Trask di comandare Charles a distanza.» affermò.
Lui annuì aggrottando le sopracciglia.
«Cosa?» sbottò Charlotte allarmata «Charles è qui?»
«Sì.» rispose Erik, poggiandole una mano sulla gamba «Ma non preoccuparti, Charlotte, non ti farà più del male.»
«Se Trask lo controlla a distanza potrebbe fare del male anche a voi.» rifletté lei.
«Hank forse ha capito come fermare la cosa.» intervenne Raven «Raggiungeteci nel laboratorio.» così dicendo uscì.
Charlotte pensò a Charles. Se fosse tornato in sé e avesse scoperto cos’era successo non se lo sarebbe mai perdonato. Sapere che le aveva fatto del male e vivere con la consapevolezza che aveva causato tanto dolore sarebbe stato impossibile per lui.
«Te la senti di venire?» chiese Erik, interrompendo il corso dei suoi pensieri.
Lei annuì. Si avvicinò al bordo del letto e poggiò le gambe a terra. Quando si alzò in piedi, però, le gambe non la ressero. Erano giorni che non mangiava, era normale che si sentisse debole.
Erik le fu accanto in un attimo. Le cinse i fianchi e la resse prima che potesse cadere e farsi male. Lei poggiò le sue mani sul petto di lui.
«Sei ancora troppo debole.» osservò Magneto «Dovresti riposare.»
Lei gli rivolse uno sguardo implorante. «No, voglio vedere Charles.»
Lui alla fine annuì. «Va bene.» concesse e senza aggiungere altro, la sollevò tra le braccia.
Charlotte cinse il collo di lui con le braccia «Cosa fai?» gli domandò sorridendo.
«Sei troppo debole per camminare.» replicò «È più sicuro se ti porto io.»
Lei sorrise ancora. «Grazie. Sei molto gentile.» lui ricambiò il sorriso e avanzò verso la soglia. La ragazza poggiò la sua fronte alla tempia di Erik. Sentire di nuovo il suo profumo la fece sentire a casa.
 
***
 
Quando arrivarono nel laboratorio, Charlotte vide che suo fratello era seduto sulla sua sedia a rotelle, dietro allo specchio unidirezionale, in modo che non li vedesse. Era anche l’unica stanza in cui i suoi poteri non avevano effetto, perciò tutti e quattro i mutanti erano al sicuro.
Erik varcò la soglia e aiutò Charlotte a sedersi su una delle sedie.
Hank sorrise quando la vide e la abbracciò forte. «Sono contento che tu stia bene.» le sussurrò.
Lei sorrise.
«Allora, come farai a impedire a Charles di consegnarci tutti a Trask?» domandò Erik incalzandolo.
Lo scienziato annuì. «Dato che Trask lo controlla perché ha accesso alla sua mente, anche a distanza, l’unico modo è metterla fuori uso, fare in modo che lui non la usi più.» spiegò.
Raven intervenne. «Quindi vuoi lasciarlo chiuso lì dentro per sempre?»
«No.» riprese lui «Ma il siero che utilizzavo per curargli le gambe modificava il suo DNA e gli faceva perdere i suoi poteri. Gli chiudeva la mente. Se gli iniettassimo quel siero, lui non avrebbe più i suoi poteri, tornerebbe in sé e Trask non potrebbe più utilizzarlo come arma.»
«I suoi poteri ci servono.» disse Erik.
«Anche Lottie è una telepate.» fece notare Raven «All’occorrenza potrebbe aiutarci lei.» la ragazza infatti annuì.
Charlotte osservò ancora una volta Charles, era impassibile, nessuna emozione gli attraversava il volto. «Proviamoci.» concluse.
Hank annuì ed entrò nella stanza. Teneva in mano una siringa e si avvicinò a Charles. Lui non si mosse, nemmeno gli rivolse uno sguardo.
Lo scienziato gli iniettò il siero nel braccio e attese. Inizialmente sembrò non avere effetto e Charlotte ebbe paura che non avrebbe più potuto riavere il suo Charles.
Poi lui chiuse gli occhi e mosse il capo, come per scacciare via le voci dalla testa.
«Hank?» chiese voltandosi verso di lui.
«Charles, come ti senti?»
Lui scosse il capo, senza capire «Bene, cosa ci faccio qui?»
Lui si voltò verso lo specchio. Non poteva vedere nessuno aldilà del vetro, ma sapeva bene che tutti gli occhi erano puntati su di loro.
«Sento di nuovo le gambe. Hank, cosa sta succedendo?» a quanto pareva non ricordava nulla.
«Vieni, andiamo in salotto.» disse lo scienziato aiutandolo ad alzarsi in piedi. «Ti spiegheremo tutto.»
 
***

I mutanti entrarono in salotto e si sedettero sui divani. Erik e Charlotte furono gli ultimi ad entrare. Lui la fece sedere accanto a sé e le sorrise rassicurante.
«Adesso dovete spiegarmi come sono arrivato qui.» cominciò Charles «Mi ricordo di essere andato a cercare Charlotte da Trask, poi però…» si interruppe in cerca di un aiuto da chi ricordava meglio ciò che era successo.
Hank gli raccontò tutto.
Charlotte intanto teneva il capo basso, non riusciva a incrociare lo sguardo del fratello. Se gliel’avesse chiesto avrebbe dovuto raccontargli ciò che le aveva fatto o tacere?
Alla fine del racconto, Charles si coprì il volto con le mani «Oh, mio Dio.» gli sfuggì tra i denti e poi si rivolse alla sorella. «Lottie?» la chiamò «Ti prego, dimmi che non ti ho fatto del male.»
Lei sollevò lo sguardo. Cosa poteva fare? Non poteva dirglielo. L’avrebbe fatto soffrire. Non poteva raccontargli ciò che le aveva fatto.
Alla fine scosse il capo.
«Charlotte…» le disse il fratello «Vedo che stai mentendo. Non ho bisogno dei miei poteri per capire certe cose.»
«Charles…» lo bloccò lei.
«Dimmelo.» la incalzò.
Come poteva dirglielo se non riusciva nemmeno a pensarci? «Charles, io…» si bloccò. Erik le mise una mano sulla spalla per rassicurarla. «Non ce la faccio.» disse alla fine e una lacrima le rigò il volto.
«Lottie, ti prego. Voglio sapere quello che ho fatto.»
«Charles, non credo che sia il momento di parlarne. Charlotte è molto stanca. Deve riposare.» intervenne Hank avvicinandosi alla ragazza.
Grazie, Hank, pensò lei.
Charles annuì.
«Ti porto nella tua stanza.» affermò Erik alzandosi in piedi e sollevandola tra le braccia. Lei gli circondò il collo con le sue e lasciò che il suo profumo la avvolgesse.
Una volta che furono nella stanza di lei, Erik la fece sdraiare e la coprì con le lenzuola. «Grazie.» sussurrò lei.
«Non potrai evitare l’argomento per sempre.» sbottò il mutante.
Lei abbassò lo sguardo. «Non posso raccontargli ciò che mi ha fatto.»
«È così terribile?»                                                          
Lo è? si chiese lei. Non poteva negare che ciò che aveva vissuto l’avesse sconvolta e provata, ma per quanto fosse tremendo ciò che Charles le aveva fatto, non poteva incolparlo. Non era in lui. Non era veramente Charles.
Nonostante ciò si ritrovò ad annuire. Una lacrima le rigò la guancia.
«Mostramelo.» le disse Erik, sedendosi accanto a lei.
«Erik, io non credo che…»
«Parlarne ti aiuterà.» le disse, proprio come aveva fatto lei tempo prima quando gli incubi erano tornati a tormentarlo.
Lei sospirò, ma alla fine allungò una mano verso di lui, la pose sulla sua guancia e lasciò che i ricordi fluissero uno dopo l’altro.
Erik rabbrividì alla vista di ciò che Trask e Charles le avevano fatto e quando il loro contatto si interruppe, abbassò lo sguardo reprimendo l’istinto di rompere qualcosa.
«Pensi ancora che debba dirlo a Charles?» gli domandò.
«Come hai potuto resistere?»
«Non lo so. Davvero.» ammise.
Quando i loro sguardi si incrociarono di nuovo, Erik capì che dopotutto qualcuno che aveva provato lo stesso dolore che aveva provato lui c’era.
«Dormi, Charlotte.» le disse alla fine, rimboccandole le coperte e sfiorandole la fronte con le labbra. «Penseremo a tutto domani.»
«Buonanotte, Erik.»
«Buonanotte.» le disse prima di spegnere la luce e uscire.
 
ANGOLO DELL’AUTRICE
Ciao! Eccovi il 27esimo capitolo! Spero vi piaccia!
A martedì, Eli

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Capitolo 28
*** Capitolo 28 ***


The second chance

CAPITOLO VENTOTTO

 
«Charles?» chiese Charlotte vedendolo fermo accanto alla finestra del salotto. Era in piedi e stava osservando il giardino immerso nell’oscurità della notte.
Lui si voltò e le sorrise. «Ciao.»
La ragazza si avvicinò e si bloccò a pochi passi dal fratello «Cosa stai facendo?» domandò.
«Stavo pensando.» rispose lui mettendosi le mani in tasca.
Charlotte gli rivolse uno sguardo interrogativo.
«A quello che ha fatto Trask.» riprese il mutante.
«Come?» domandò lei perplessa.
«Forse dovremmo aiutarlo.»
«Charles, cosa stai dicendo? Lui voleva ucciderci tutti.» esclamò.
«No. Lui voleva studiarci. Capire come funzioniamo.»
Lei indietreggiò perplessa. «Ma ti stai ascoltando?»
«Certo, Lottie.» affermò lui sorridendo, poi fece una pausa «Tutto quello che faccio, lo faccio per noi.» lei scosse il capo. Che stava dicendo?
Qualcuno entrò nella stanza e si fermò dietro Charlotte.
Quando si voltò, vide che era Trask. Indietreggiò di colpo. Cosa ci faceva lì?
«Professore.» lo salutò l’uomo.
Charles sorrise e sollevò una mano in segno di saluto.
«Sa cosa fare.» aggiunse.
Charles afferrò sua sorella per le braccia tenendola ferma.
La ragazza tentò di dimenarsi ma le sembrò che le forze l’avessero abbandonata. «Charles, ti prego…» disse.
«Stai tranquilla. Andrà tutto bene, Lottie.» la rassicurò, sussurrando al suo orecchio.
«Non lasciare che ci faccia del male.» lo implorò la mutante «Non puoi consegnarci.»
«Professor Xavier.» li interruppe Trask, lui sollevò lo sguardo «Dolore.»
«No, Charles…» lo implorò lei, tentando si respingere le lacrime che premevano contro i suoi occhi.
Lui aumentò la pressione intorno alle sue braccia e qualche secondo dopo il dolore tornò penetrandole nelle ossa e in ogni cellula del corpo, facendola cadere in ginocchio.
«Charles…» lo implorò «No, ti prego…»
Lui le sorrise. «È per il tuo bene.»
La ragazza gridò premendosi le mani sulle orecchie.
Perché suo fratello le stava facendo questo? Lei credeva che fossero una famiglia, che le volesse bene…
Gridò ancora, sperando che qualcuno, nella villa, accorresse in suo aiuto.
 
«Lottie!» gridò Charles, scuotendola per le spalle «Svegliati!»
La ragazza aprì gli occhi e incontrò quelli blu di Charles. «No! Ti prego, non farmi del male!» disse tentando di allontanarlo da sé.
Un fiume di ricordi fluì dalla sua mente a quella di lui, senza che lei potesse fermarlo.
Era bastato un contatto per sprigionarli.
Trask, le torture, Charles che le faceva del male, le visioni, le scosse elettriche per costringerla a parlare…
Il fratello indietreggiò, portandosi una mano all’altezza del cuore. «Lottie…» ansimò.
«No, Charles, ti prego, non consegnarmi a Trask…» lo implorò lei portandosi le mani sulle orecchie come se volesse allontanare delle voci che la tormentavano. Stava singhiozzando, disperata e spaventata. «Non farmi del male…»
Erik entrò di corsa nella stanza, seguito da Raven e Hank.
«Che succede?» chiese e si avvicinò al letto di lei «Charlotte.» disse «Va tutto bene.» le poggiò le mani sulle spalle.
Lei scosse il capo. «No, lui… Trask… vuole ucciderci…»
«Stai tranquilla, sei a casa.» affermò «Era solo un incubo. Non era reale.» le sfiorò la guancia con una mano «Trask non è qui. Noi siamo reali. Sei al sicuro.»
Il respiro si regolarizzò. «Oh, Erik…» sussurrò.
Lui l’avvolse in un abbraccio, passò un braccio sotto le sue ginocchia e la fece sedere sulle sue gambe. La ragazza si strinse contro il suo petto.
Era così piccola e gracile in confronto a lui – contando che nell’ultimo periodo era anche dimagrita – che Erik con le sue braccia riusciva ad avvolgerla completamente.
«Mi dispiace… io…» si scusò.
«Shh. Va tutto bene.» la rassicurò lui, accarezzandole i capelli.
Lei continuò a singhiozzare e gli avvolse il collo con le braccia affondando il viso nell’incavo del suo collo.
Raven, intanto, si avvicinò a Charles, ancora inginocchiato a terra. «Charles, tutto bene?» domandò, poggiandogli una mano sulla spalla.
Lacrime silenziose bagnarono le guance del professore. «Ho visto tutto. Quello che le ho fatto… mio Dio… è terribile, Raven.»
Lei si voltò verso Hank in cerca di sostegno. Non era mai stata brava a consolare le persone.
Lui si avvicinò. «Charles. Vieni, andiamo a bere un bicchiere d’acqua.» lo aiutò ad alzarsi e vedendo che lui esitava continuando a guardare Charlotte, proseguì «Lei è in buone mani.»
Charles annuì e uscì dalla stanza insieme a Raven e Hank.
 
Charlotte era ancora stretta tra le braccia di Erik. Lui la stava cullando e le stava accarezzando i capelli per rassicurarla. Sapeva bene come ci si sentiva dopo un incubo. Tutto attorno a sé sembrava falso, quasi fosse un proseguimento del sogno, tanto che non si riusciva a distinguere cos’era reale e cosa non lo era.
«Va tutto bene.» sussurrò scostandola dal suo petto per cercare il suo sguardo.
La ragazza stava tremando e aveva gli occhi arrossati dal pianto. «Mi dispiace, non volevo svegliarvi e…» cominciò.
Lui le pose un dito sulle labbra per bloccarla. «Non è niente.» la rassicurò. Le accarezzò il volto con entrambe le mani, asciugandole le lacrime e sorrise.
«Charles ha visto tutto, non è vero?» chiese.
Lui abbassò lo sguardo e annuì. «Capirà. Non l’hai fatto di proposito.»
Blade scosse il capo. «Sarà distrutto…»
Erik le prese il volto fra le mani. «Anche tu lo sei, Charlotte.» disse «Non potevi nasconderglielo. Doveva sapere ciò che aveva fatto.» sospirò «Adesso cerca di dormire.»
Lei lo osservò. «Puoi rimanere?» chiese.
Lui sorrise. «Volentieri.»
Si sdraiarono sotto le coperte e lui la strinse a sé avvolgendola con le braccia.
Poco dopo si addormentarono entrambi.
 
ANGOLO DELL’AUTRICE
Ciao a tutti! Come va? Eccovi il 28esimo capitolo! :D
A giovedì con il prossimo, Eli
 
 

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Capitolo 29
*** Capitolo 29 ***


The second chance

CAPITOLO VENTINOVE

 
Il mattino seguente, Charlotte si svegliò ancora stretta tra le braccia di Erik e sorrise, sentendo il suo corpo a contatto con quello di Magneto. Sollevò lo sguardo e vide che il mutante era già sveglio. I suoi occhi color ghiaccio erano puntati nei suoi e un leggero sorriso gli increspava le labbra sottili incorniciate da un sottile strato di barba.
«Ciao.» gli disse.
«Buongiorno.» la salutò lui.
«Grazie per essere rimasto.» sussurrò.
Erik le sorrise. «Tu ci sei sempre stata.» replicò riferendosi a tutte le notti che lei aveva passato a tentare di tranquillizzarlo dopo che gli incubi avevano cominciato a tormentarlo.
Charlotte ricambiò il sorriso.
«Andiamo a mangiare colazione?» domandò ancora il mutante.
Lei annuì e insieme si avviarono verso la cucina.
 
***
 
«Ti va di fare una passeggiata?» domandò Erik una volta che sia lui che Charlotte ebbero finito di fare colazione.
Lei annuì e insieme uscirono dalla villa. Non vedeva l’ora di sgranchirsi un po’ le gambe dopo giorni e giorni in cui era dovuta rimanere rintanata in casa per riprendersi completamente.
L’estate era ormai alle porte e il calore del sole ne era testimone. Quel giorno, l’aria muoveva le fronde degli alberi rinfrescando il giardino e la villa, gli uccelli cinguettavano riempendo l’aria di musica e allegria.
Charlotte camminava accanto a Magneto e per più di cinque minuti, nessuno dei due disse nulla. Stavano semplicemente osservando ciò che li circondava, alberi, fiori, animali, nuvole…
«Perché te ne sei andato?» chiese Charlotte, alla fine, rompendo per prima il silenzio.
Erik si voltò per guardarla negli occhi. «Non potevo fare altrimenti.» vedendo che lei non aveva capito cosa intendesse continuò «Charles voleva che ti stessi lontano e io non potevo rimanere qui pensando di non…» si interruppe abbassando lo sguardo sui suoi piedi.
Lei lo osservò per un momento. «Avresti potuto dirmelo.»
«Cosa?»
«Tutto ciò che mi hai scritto.» replicò lei. Gli era grata per averglielo scritto, ma se glielo avesse detto di persona sarebbe stato molto meglio. Avrebbero potuto chiarirsi e forse sarebbe stato meno traumatico.
«Non potevo.»
«Perché no?» chiese.
Lui aprì la bocca per parlare, ma si bloccò.
«Erik.» lo incalzò lei «Avresti potuto parlarmene.»
«Non volevo farti soffrire.» affermò lui.
«Mi hai fatta soffrire comunque.» Erik le rivolse uno sguardo perplesso. «Te ne sei andato senza dire nulla, senza spiegarmi perché.» spiegò lei «Se me l’avessi detto, avrei capito.»
Si erano fermati all’ombra di un salice. Lui era poggiato al tronco e lei gli stava davanti. Gli occhi di ghiaccio del mutante sembravano impassibili, ma qualcosa li tradiva. Charlotte sapeva bene di aver toccato un nervo scoperto e avrebbe insistito fino a che lui non gli avesse dato una spiegazione ragionevole.
«Non potevo rimanere.» si giustificò. Lei aveva ragione, avrebbe capito, ma comunque lui non sapeva perché aveva scelto di non parlargliene di persona. Forse perché nutriva dell’affetto per Charles e questo lo portava a rispettare le sue decisioni, o forse perché da sempre, da quando era uscito da quel maledetto campo di sterminio, credeva che le persone fossero tutte uguali: incapaci di comprendere.
«Perché?» domandò lei di rimando.
«Perché rimanere qui senza poter…» si interruppe «Dover rinunciare a te e averti accanto ogni giorno era qualcosa che non avrei potuto sopportare.» concluse.
Lei rimase immobile. «Non avresti dovuto rinunciare a me.»
«Charles non voleva che mi avvicinassi a te.» riprese.
«È la mia vita, Erik.» insistette la ragazza «Non è Charles a scegliere.» poi lo osservò. Le sembrò di vederlo esitare. «Ma per te la sua opinione conta molto. Non è così?» domandò alla fine, non aveva nemmeno dovuto entrargli nella mente per capirlo.
Lui sollevò nuovamente lo sguardo e poi annuì.
Charlotte annuì a sua volta.
Se ne sarebbe andato in ogni caso. Loro due, i loro sentimenti… nulla contava davvero. Alla fine era la parola di Charles a contare più di tutto.
La ragazza scosse il capo e fece per andarsene, ma lui l’afferrò per un braccio, tirandola a sé.
«Lasciami, Erik.» disse la mutante. 
«Charlotte, non volevo…»
«Erik, ho capito.» affermò lei «Non importa.» non voleva rimanere lì a soffrire. Non voleva rimanere e provare il dolore della perdita un’altra volta. Avrebbe rispettato la sua scelta. Se ne sarebbe fatta una ragione.
Lui scosse il capo. «Aspetta…»
«No, Erik.» lo interruppe «Va bene così. Capisco
Magneto scosse ancora il capo. «Non va bene così, Charlotte.» insistette «È vero. L’opinione di Charles conta molto per me.» si interruppe «Ma…»
«Non c’è nessun ma, Erik.» riprese lei.
Lui aumentò la pressione sul suo braccio. «Invece sì. L’opinione di Charles conta molto.» ripeté «Ma io ti voglio.»
Charlotte di fronte a quella confessione si bloccò, le sembrò che il tempo si fosse fermato e che tutto attorno a lei si muovesse al rallentatore.
Io ti voglio, le parole del mutante le rimbombarono in testa centinaia e centinaia di volte come se volessero imprimersi a fuoco nella sua mente in modo da divenire indelebili.
«Io ti voglio.» ripeté lui «Non posso vivere senza di te.»
Lei abbassò lo sguardo per poi volgerlo nuovamente verso i suoi occhi di ghiaccio.
«Non mi importa cosa dirà Charles, cosa diranno gli altri, il mondo… io ti voglio. E nessuno potrà farmi cambiare idea. Mai.» si zittì per studiare la reazione di Blade e quando vide che lei sembrava confusa, riprese «Adesso sta a te, Charlotte. Dimmi che non mi vuoi e me ne andrò.»
Charlotte rimase in silenzio. Voleva Erik più di qualsiasi altra cosa al mondo. Lo desiderava da quando aveva riavuto i suoi ricordi e adesso lui le chiedeva che cosa volesse?
Lei scosse il capo, si liberò dalla sua presa e dopo avergli preso il volto tra le mani, poggiò le sue labbra su quelle sottili di lui. Erik le avvolse la vita con le braccia e le gli circondò il collo con le sue. L’uomo mosse delicatamente le sue labbra su quelle di lei, quasi avesse paura di farle del male.
Poi, però, si rese conto che non c’era nessuno al mondo più forte di lei. Aveva sopportato torture e dolore senza smettere di sperare e senza arrendersi. Lei era forte. Lui non avrebbe potuto farle del male nemmeno volendo. Quindi la strinse più forte a sé, la avvolse tra le sue braccia assaporando ogni centimetro delle sue labbra.
Quando si separarono, Charlotte poggiò la sua fronte contro quella di lui e sorrise. «Ti voglio.» gli sussurrò a fior di labbra, come per cancellare qualsiasi dubbio.
Erik rise e la sollevò da terra facendole fare una piccola giravolta. Si fermò e lei poggiò nuovamente i piedi a terra rimanendo saldamente aggrappata a lui. Magneto le accarezzò le guance con le mani, Blade sorrise di rimando ed entrambi dimenticarono, almeno per un momento, tutto ciò che li aveva tormentati e ciò che li affliggeva.
 
ANGOLO DELL’AUTRICE
Ciao a tutti! Come state?
Eccovi il 29esimo capitolo, ci ho messo molto impegno a scriverlo e devo dire che sono abbastanza soddisfatta, anche se non completamente, si può sempre migliorare! ;D
Fatemi sapere cosa ne pensate!
A Sabato con il prossimo, Eli

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Capitolo 30
*** Capitolo 30 ***


The second chance

CAPITOLO TRENTA

 
Charlotte varcò la soglia della cucina tentando di non fare rumore. Erano le tre del mattino e non avrebbe voluto svegliare nessuno con il suo fracasso.
Aprì il frigorifero e la luce all’interno dell’apparecchio illuminò tutta la cucina. Si versò un po’ d’acqua e si sedette accanto alla finestra per osservare il giardino della villa immerso nell’oscurità della notte. Individuò il salice sotto cui lei e Erik, il giorno prima si erano baciati, sorrise al ricordo delle sue labbra su quelle di lui, delle carezze del mutante e delle sue parole, io ti voglio, che per lei erano state l’equivalente di una carezza, la più dolce che avesse mai ricevuto.
Si voltò per tornare nella sua stanza, ma proprio quando stava per posare il bicchiere nel lavello, vide un uomo, accanto alla porta. Era uno dei collaboratori di Trask, aveva il volto sfigurato da un colpo di spada probabilmente sferratogli da Blade durante il tentativo di fuga dal laboratorio di Trask.
La ragazza indietreggiò e il bicchiere le cadde a terra andando in frantumi e producendo un rumore acuto e stridente. La ragazza lanciò un urlo, sperando che qualcuno la sentisse, che la raggiungesse e che lo cacciasse prima che potesse farle del male. Si accucciò a terra, con le ginocchia al petto e con le mani premute sulle orecchie. Lui le stava parlando, le penetrava la mente.
Dove sono i tuoi amici mutanti? continuava a chiedere con la sua voce piatta e roca.
Basta! Vattene! pensò lei, sperando si scacciarlo dalla sua mente, sperando che la lasciasse in pace.
Poi sentì dei passi provenire dal corridoio.
Erano altre guardie che stavano arrivando per ucciderla?
Sulla porta comparve Raven. «Lottie!» esclamò «Che succede?» si avvicinò alla sorella e le scostò le mani dalle orecchie.
«Mandalo via, Raven. Ti prego, mandalo via.» singhiozzò lei.
«Chi?» domandò l’altra. Si voltò, ma vide che non c’era nessuno, a parte loro, in cucina. «Charlotte, calmati.» la strinse e sé.
«Raven, che succede?» Hank era entrato in cucina e le stava osservando. Si avvicinò inginocchiandosi davanti a Charlotte.
«Hank, mandalo via…» singhiozzò ancora la ragazza «Sono venuti a prendermi… vogliono uccidermi…»
«Charlotte non c’è…» tentò di dire Raven, ma un grido della ragazza la interruppe. Charlotte stava indicando un punto davanti a sé, ma quando i due ragazzi si voltarono non videro nulla.
Gli occhi di Charlotte, nonostante fossero velati di lacrime, invece, vedevano perfettamente il volto di Trask. Un ghigno perverso lo rendeva così spaventoso da sembrare irreale, ma Charlotte sapeva che lui era lì, che era venuto a prenderla per portarla al laboratorio e continuare a torturarla.
Si portò le mani accanto al volto e le premette sule orecchie. Basta, vattene!
Qualcun altro, intanto, era entrato in cucina. «Cosa sta succedendo?» era Erik.
Raven si voltò verso di lui. «Credo che abbia le allucinazioni.» spiegò.
«Spostatevi.» ordinò Magneto.
Hank, riluttante, fece come gli era stato detto e anche Mystica si scostò mettendosi in piedi.
Erik si inginocchiò accanto a Charlotte e le scostò delicatamente le mani dalle orecchie. «Charlotte…» la chiamò, quasi sussurrando.
«Erik, Trask è qui, vuole ucciderci… lui…» singhiozzò.
Lui scosse il capo. «Non c’è nessuno, Charlotte. Solo io, te, Hank e Raven.» la rassicurò.
Lei scosse il capo e singhiozzò ancora. «No, lui è qui… Ho paura…»
«Non devi.» insistette Magneto «Sei al sicuro. Nessuno ti farà del male.»
Charlotte sussultò «No, no… nulla di tutto questo è reale.» indietreggiò come se solo in quel momento si fosse resa conto che tutto ciò che stava attorno a lei potesse essere una visione, qualcosa di appositamente creato da Charles per illuderla di essere a casa, al sicuro.
«Charlotte…»
«No, lasciami…» esclamò quando lui tentò di toccarla «Non farmi del male, ti prego…» lo implorò.
«Charlotte.» insistette Erik, con voce ferma «Io sono reale. Guardami.»
«No, tu…»
«Guardami, Charlotte.» ripeté «Sono qui, davanti a te.» prese le mani di lei tra le sue e se le portò alle guance, poi ne spostò una all’altezza del cuore. «Senti?» chiese.
La ragazza si zittì. Poteva sentire il battito del cuore del mutante sotto la sua mano. Era così famigliare… L’aveva sentito così tante volte durante le notti passate accanto a lui che capì che non poteva essere falso, non poteva essere irreale. Abbassò lo sguardo e chiuse gli occhi tentando di calmarsi e ricomporsi.
Erik era reale. Raven e Hank erano reali. Trask no. Lui non era lì.
Abbracciò Erik e affondò il viso nella sua spalla. «Mi dispiace.» sussurrò «Mi dispiace.»
Lui le accarezzò i capelli. Era tornata in sé. «Shh. Non preoccuparti.» le sussurrò, poi si voltò verso gli altri due mutanti e li invitò ad uscire dicendo che si sarebbe occupato di lei.
Quando i due furono soli, lui la sollevò tra le braccia stringendola forte al petto e si avviò verso la sua stanza. Non l’avrebbe lasciata sola. Non quella notte.
Magneto varcò la soglia della sua stanza e non si preoccupò nemmeno di accendere la luce. Raggiunse il letto, fece sdraiare la ragazza sul materasso e la coprì con il lenzuolo. Si sdraiò accanto a lei e la strinse tra le braccia.
«Grazie, Erik.» sussurrò lei.
«Dormi, Charlotte.» le disse dolcemente e le sfiorò la fronte con le labbra.
 
***
 
«Cosa credi che abbia?» domandò Erik osservando Hank, in piedi davanti a lui nel suo studio.
«Credo che le torture di Charles, le visioni che le venivano indotte, possano aver alterato la sua capacità di distinguere la realtà dalle visioni.» spiegò il giovane in tono pratico.
«Che possiamo fare per aiutarla?»
«Le serve aiuto per capire se si trova di fronte ad una visione o alla realtà.» continuò «Mi sembra che tu sia perfetto.»
«Cosa?»
«Quando ti vede ti ricollega al suo presente. Devi starle vicino e pian piano riuscirà a tornare alla normalità.» concluse.
Erik annuì. L’avrebbe aiutata.
 
ANGOLO DELL’AUTRICE
Ciao!
Eccomi qui con il nuovo capitolo!
Spero che vi piaccia anche se è breve! ;D
A Lunedì con il prossimo, Eli

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Capitolo 31
*** Capitolo 31 ***


The second chance

CAPITOLO TRENTUNO

 
Charlotte stava osservando il giardino fuori dalla finestra. I raggi del sole riscaldavano la finestra e il calore, penetrando anche all’interno, rendeva la stanza calda e l’aria quasi soffocante.
La ragazza stava ripensando agli eventi dei giorni precedenti. Le allucinazioni, la paura di Charles, era tutto così assurdo…
Hank le aveva detto che Erik era ciò che la teneva ancorata alla realtà, perciò se avesse avuto il dubbio su ciò che si trovava davanti, avrebbe dovuto chiamare lui.
Charlotte era contenta che Erik avesse accettato di aiutarla, ma ciò non toglieva che ciò che vedeva ogni notte da quando era tornata a casa e tutte quelle visioni fossero spaventose.
«Ehi.» disse una voce dietro di lei.
Blade si voltò e quando vide Charles fermo sulla porta, dovette reprime l’istinto di scattare in piedi e allontanarsi. «Ciao, Charles.» sussurrò.
Lui le sorrise timidamente, quasi avesse paura di spaventarla, mosse qualche passo verso di lei, poi si fermò sedendosi al tavolo. «Come stai?» domandò l’uomo.
Lei sorrise. «Bene, credo.»
Il professore annuì, poi attese. Stava cercando le parole per chiederle scusa per ciò che le aveva fatto passare e non erano facili da trovare. Tutte le torture, le visioni che le aveva indotto… si sentiva in colpa. «Lottie, ascolta…» cominciò «Io… Mi dispiace.» concluse «Mi dispiace così tanto per quello che ti ho fatto…» una lacrima gli solcò la guancia.
Charlotte sentì il suo cuore farsi pesante. Abbassò lo sguardo e sentì gli occhi pizzicarle. Sapeva che a lui dispiaceva, ma il ricordo del suo volto, delle espressioni soddisfatte che le rivolgeva dopo le torture erano difficili da dimenticare e da sopportare.
«So che scusarmi non basterà mai.» continuò Charles «Quello che ti ho fatto passare è stato terribile, crudele e inaccettabile.» sospirò per tentare di mantenere la voce ferma. «Se non vorrai perdonarmi, lo capirei, davvero.» detto questo si alzò e fece per andarsene.
Charlotte sollevò lo sguardo e si alzò a sua volta.
Non era colpa di Charles. Trask l’aveva costretto. Non era colpa sua.
Lo raggiunse e prima che uscisse dalla cucina, lo prese per un braccio costringendolo a voltarsi. «Aspetta.» disse in un sussurro «Non è colpa tua. Non hai nulla da farti perdonare.»
«Lottie, io ti ho torturata.» le fece notare lui.
«Lo so, ma era Trask che ti stava costringendo. Non eri in te. Non potrei mai essere arrabbiata con te.» lui sollevò lo sguardo verso di lei appena in tempo per vederla avanzare per gettargli le braccia al collo. Si strinse forte a lui e singhiozzò «Ti voglio bene, Charles.»
«Anche io ti voglio bene, Lottie.» le sussurrò lui dandole un bacio sulla guancia e circondandole la vita con le braccia.
 
***
 
Erik bussò alla porta della camera di Charlotte e quando lei lo invitò ad entrare, la spinse delicatamente. La ragazza era sdraiata sul suo letto, intenta a leggere un libro. Quando sentì la porta aprirsi volse lo sguardo verso di lui e gli sorrise.
«Ciao, Erik.» lo salutò. Chiuse il libro e si mise seduta con le gambe incrociate.
Magneto si avvicinò e si sedette accanto a lei, scostandole un ciocca di capelli dal viso.
«Ciao.» replicò «Ti va di fare una passeggiata?» domandò.
Lei sorrise. «Sì.»
Erik le porse la mano e, quando lei la strinse, l’aiutò ad alzarsi dal letto. Attese che si fosse infilata le scarpe e poi, insieme, uscirono dalla villa, diretti nel giardino.
 
***
 
Charles stava osservando Erik e sua sorella che passeggiavano mano nella mano nel giardino. Lei sembrava davvero felice, ma al professore proprio non andava giù che lui avesse deciso di rimanere.
«Charles.» lo chiamò una voce alle sua spalle.
Lui si voltò e sorrise. «Oh, ciao, Raven.»
La ragazza avanzò verso di lui e gli poggiò una mano sulla spalla. «Lei è felice, Charles.» asserì «E anche lui, per la prima volta dopo tanti anni sembra esserlo.»
«È pericoloso.»
«No, Charles.» scosse il capo «È cambiato. Lei lo ha cambiato.»
Charles si voltò nuovamente per osservare Charlotte. Aveva sempre tentato di proteggerla, ma alla fine non ci era riuscito. «Se dovesse farle del male, io…»
«Lei sa difendersi, Charles.» ribatté Mystica «È una guerriera.»
Lui rise. «Forse hai ragione.» volse nuovamente lo sguardo verso la ragazza. «Grazie per essere tornata.» sbottò.
Raven sorrise. «Mi mancava, tutto questo.» spiegò con un gesto della mano «Mi mancavi tu
Charles le sorrise. «Anche tu mi sei mancata, Raven.» le sfiorò la guancia con una mano «Mi dispiace.»
«Per cosa?»
«Per averti fatto credere di volerti cambiare.» spiegò «Non ho mai voluto cambiarti. Sei meravigliosa così come sei.»
«Charles…» tentò di bloccarlo.
«No, aspetta.» la interruppe, doveva dirglielo, adesso o mai più «Io ti amo, Raven. Avrei dovuto dirtelo, avrei dovuto farti capire che eri importante per me…»
Lei, prima che potesse continuare, lo baciò. Dapprima, lui sembrò spiazzato, poi mosse le sue labbra su quelle di lei e le cinse i fianchi tirandola a sé e facendo aderire il suo corpo a quello della mutante.
Raven gli circondò il collo con le braccia e gli accarezzò i capelli.
Quando si separarono, fu la prima a parlare. «Ti hanno mai detto che parli troppo, professore?» gli sfiorò le guance con le mani e poi riprese a baciarlo. «Anche io ti amo.» sussurrò al suo orecchio e Charles sorrise stringendola forte a sè.
 
ANGOLO DELL’AUTRICE
Ciao a tutti! Eccomi qui con il 31esimo capitolo!
Spero vi piaccia anche se è un po’ breve! ;D
A Mercoledì con il prossimo!
Eli

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Capitolo 32
*** Capitolo 32 ***


The second chance

CAPITOLO TRENTADUE

 
Charlotte si svegliò di soprassalto alle tre del mattino. Aveva avuto un altro incubo. Un altro sogno in cui Charles la torturava insieme a Trask per estorcerle delle informazioni sui suoi poteri e i suoi amici.
Charles è buono, Charles è buono, continuava a ripetersi.
Come poteva continuare a sognarlo mentre la torturava? Era suo fratello. Il suo Charles.
Rimase seduta nel suo letto, immobile ad osservare la parete davanti a sé con lo sguardo perso nel vuoto, per più di un’ora fino a che il sonno non la colse nuovamente.
 
La mutante si sedette sul divano del salotto dopo aver fatto partire un disco in vinile per rilassarsi. La musica la faceva stare meglio, sin da quando era piccola. Charles prima di addormentarsi le cantava sempre delle canzoni, dato che sua madre era troppo impegnata anche solo per preoccuparsi se lei stesse bene.
Charlotte chiuse gli occhi lasciandosi cullare dalla dolce melodia che aveva invaso la stanza. Quando la canzone finì, tolse il disco e lo ripose sullo scaffale nell’enorme libreria alla sua destra. Per un momento osservò i libri e le raccolte di dischi in vinile che le stavano davanti. Charles doveva averci messo molto tempo a raccoglierli tutti ed erano davvero belli da vedere, tutti ordinati, uno accanto agli altri a formare delle file ordinate.
«Ti è sempre piaciuta la musica, da che mi ricordo.» affermò una voce alle sue spalle.
La ragazza si voltò e sorrise a suo fratello. «Sì.» rispose.
Charles avanzò verso la libreria, prese uno dei dischi in vinile e si avvicinò al giradischi. Accarezzò per un momento la copertina e sorrise – probabilmente al ricordo di come aveva ottenuto il disco – muovendosi verso il camino, sul quale era poggiato il giradischi.
Charlotte notò che stava zoppicando. «Charles, ti fanno male le gambe?» chiese muovendo un passo verso di lui.
«No. Sto bene.» replicò lui dopo aver messo il disco e averlo fatto partire. Poggiò la custodia sul camino e poi tese una mano verso di lei per invitarla a ballare come aveva fatto Erik in quella che sembrava una vita fa.
La sorella sorrise e poggiò la sua mano in quella di lui. Charles la tirò a sé e cominciò a muoversi sul tappeto a ritmo con la musica. 
Era da molto che non passavano del tempo insieme. A causa della faccenda di Raven, poi di Trask e del rapimento, gli unici momenti che avevano condiviso erano quelli in cui Charles torturava la sorella.
Rimasero stretti l’uno all’altra per lungo tempo, nessuno dei due ebbe il coraggio di parlare e rompere la meravigliosa quiete che si era creata attorno a loro.
«Così, tu e Erik…» cominciò il professore con voce bassa.
Lei sollevò lo sguardo. «Stiamo insieme.» concluse per lui sorridendo radiosa. Sperava tanto che fosse felice per lui. Che avesse perdonato Erik e che fosse disposto ad accettare la loro relazione. Erano così felici, insieme…
Charles annuì increspando le labbra, poi le fece fare una giravolta e la tirò nuovamente a sé. I loro corpi si incontrarono nuovamente e lui le sorrise.
La ragazza attese che continuasse, ma lui non lo fece. Non le disse che era felice per lei, ma nemmeno lo negò. Non disse nulla. Dopo un’altra giravolta, inaspettatamente, la prese per i polsi e la spinse contro la parete per immobilizzarla. La schiena della giovane cozzò contro la parete con un colpo secco e le sembrò di sentire le ossa scricchiolare dentro di lei.  
«Charles.» boccheggiò la ragazza, stupita di fronte a quella reazione «Che ti prende?» esclamò tentando di dimenarsi, ma con scarsi risultati. Dove aveva preso tutta quella forza? Suo fratello era sempre stato gracile e poco allenato, ma adesso sembrava essere fatto di ferro.
Lui la immobilizzò premendo le mani sui suoi polsi con tanta forza da farla gemere dal dolore. «Non devi avvicinarti a lui.» ringhiò accanto al suo orecchio.
«Cosa?» chiese e sentì la rabbia farsi strada in lei. Credeva che avrebbe accettato il loro amore. Che avrebbe gioito con loro, invece non era cambiato nulla. Charles continuava ad odiare Erik.
«Mi hai sentito.» ringhiò «Non vi lascerò mai stare insieme. Mai. Non dopo quello che mi ha fatto.» pensare al fatto che Erik gli avesse portato via le gambe e di conseguenza anche i suoi poterti per perseguire i suoi scopi lo faceva infuriare ogni volta. Gli sembrava di aver un fuoco dentro, che bruciava partendo dal cuore per diffondersi in ogni cellula del suo corpo drogato dalla medicina di Hank.
«Charles!» tentò di clamarlo lei, dimenandosi. Doveva calmarsi, altrimenti avrebbe combinato un disastro.
«Come puoi amarlo, sapendo quello che mi ha fatto?» gridò «Come puoi amarlo?»
«Calmati, ti prego.» lo implorò, con voce rotta e spaventata.
«No!» ribatté lui e la ragazza sentì una fitta di dolore propagarsi dai polsi in tutto il resto del corpo. Possibile che il siero di Trask si stesse nuovamente impossessando di lui?  «No. Dovrei darti una lezione.» ringhiò tenendole i polsi premuti contro la parete, sopra la testa.
«Charles, ti prego. È il siero a parlare. Tenta di calmarti e riprendere il controllo.» disse con calma. Forse se fosse riuscito a riordinare le idee, avrebbe potuto tornare in sé.
«Stai zitta, ragazzina!» gridò e poi con la mano libera, prese qualcosa che aveva incastrato nella cintura. Un coltello. Il filo della lama brillò sotto la luce colpendo gli occhi della ragazza.
Charlotte ansimò. «Charles, ti prego…» lo implorò continuando a dimenarsi. Non l’avrebbe fatto. Non poteva farlo. Era sua sorella, avrebbe davvero…? Dopotutto era già successo con Trask. L’aveva torturata. L’aveva fatta soffrire. Avrebbe potuto farlo ancora, questa era la realtà.
Charles ghignò, divertito dalla reazione della sorella minore. Non avrebbe cambiato idea neanche se l’avesse implorato. Non avrebbe mai permesso che lei e Erik stessero insieme. Mai. Prese il coltello nella mano destra e con un colpo secco la trafisse all’altezza dello stomaco. Premette la mano fino a conficcare la lama fino all’impugnatura e poi ruotò il polso.
Il sangue di lei cominciò a sgorgare dalla ferita e colò sui suoi abiti e sulla mano del fratello, ancora stretta attorno all’impugnatura.
La ragazza sentì l’aria abbandonarle i polmoni e le forze abbandonarla. Gemette e sentì le lacrime bagnarle le guance. Poteva avvertire la lama lacerargli la carne e scalfirle le ossa.
Charles, alla fine, la liberò dalla sua presa e sfilò il coltello dal suo corpo. Lei cadde a terra, in ginocchio, tentando di tamponarsi la ferita e respirando affannosamente. «Charles…» mormorò e poi cadde sulla schiena, stremata dal dolore.
«Avresti dovuto darmi ascolto.» riprese lui «Avresti dovuto obbedire!» gridò rabbioso. «Se non avessi continuato a vedere Erik, non sarei stato costretto a fare questo.» concluse indicandola con un gesto noncurante della mano.
«Charles!» gridò qualcuno alle sue spalle. Lui si voltò e vide che Raven lo stava fissando inorridita. «No! Cos’hai fatto?» corse verso di lui e gli prese il coltello dalle mani. Prima che potesse reagire, lo bloccò e gli sferrò un pugno in pieno volto facendolo cadere sul pavimento.
«Charlotte!» Erik entrò di corsa in salotto e si inginocchiò accanto alla ragazza. Premette le mani sulla ferita e sentì le lacrime spingere contro i suoi occhi, pronte ad uscire. «Charlotte, resisti, ti prego…» sussurrò accarezzandole i capelli. Non poteva lasciarlo, non poteva… Loro dovevano stare insieme, avevano tutta la vita davanti, per…
«Erik…» sussurrò lei. Era sempre più pallida e i suoi occhi si stavano spegnendo lentamente, versando le ultime lacrime.
«Shh, non parlare.» continuò Magneto con voce spezzata «Hank!» gridò «Hank!» la sua voce raggiunse ogni angolo della casa, anche il più remoto. Era un grido di disperazione, di puro terrore. Non voleva perderla. Dovevano fare qualcosa prima che fosse troppo tardi. Prima che…
Lo scienziato entrò in salotto di corsa e vedendo Charlotte stesa a terra, coperta di sangue, fece cenno a Erik di seguirlo. «Portala in laboratorio. Presto.» gli disse in tono pratico tentando di non perdere la lucidità.
Lui annuì e la sollevò tra le braccia.
 
***
 
«Qui.» disse Hank indicando un letto dalle lenzuola bianche, sul lato sinistro della sala.
Erik adagiò Charlotte sulla barella e le accarezzò i capelli. «Stai tranquilla.» le sussurrò all’orecchio «Andrà tutto bene.»
Lei sorrise debolmente, ormai quasi priva di sensi.
«Erik, premi sulla ferita.» ordinò Hank mentre si infilava i guanti.
Il mutante eseguì e sentì la ragazza gemere quando le sue mani incontrarono la sua pelle.
 
L’operazione durò più di un’ora.
Erik si sentiva inutile, ma Hank gli aveva chiesto di rimare per dargli una mano e così lui aveva fatto. Non avrebbe mai lasciato sola Charlotte. La sua Charlotte. Sarebbe rimasto con lei fino alla fine.
Alla fine, Hank, dopo aver intubato la ragazza e averle inserito una flebo nel braccio, si allontanò dalla barella e si tolse i guanti scostandosi i capelli dalla fronte e rivolgendole uno sguardo carico di dolcezza e allo stesso tempo di dolore.
«Come sta?» chiese Erik «Si riprenderà?»
«Erik…» tentò di dire.
Magneto scosse il capo. «No. No, Hank…» sentì la lacrime scorrergli nuovamente lungo le guance. Non poteva dirgli questo. Non poteva. Cadde in ginocchio.
Hank gli si avvicinò. «Erik, ascolta…»
«No!» gridò «No!» e si scostò così violentemente da farsi male. «No, lei non… Non può… Io… non voglio… non voglio che lei mi lasci…» singhiozzò.
La porta del laboratorio si aprì e Raven entrò. Hank le rivolse uno sguardo implorante e lei si avvicinò a Magneto. Si inginocchiò accanto a lui e gli poggiò una mano sulla spalla. «Erik?» lo chiamò.
L’uomo scosse il capo e si premette le mani sulle orecchie. Sentiva di nuovo la voce di Shaw, quella dei soldati nazisti del campo di concentramento quando avevano ucciso sua madre… sentiva il dolore della perdita, la paura di rimanere solo…
«Erik, calmati, andrà tutto bene.» gli sussurrò, ma vedendo che lui stava scuotendo il capo, continuò «Ascoltami, Erik. Tu non la perderai. Lei starà bene, si riprenderà e tornerà da te. Starete insieme e sarete felici, mi hai sentito?»
Magneto sollevò lo sguardo e i suoi occhi di ghiaccio velati di lacrime incontrarono quelli della mutante.
«Andrà tutto bene.» gli assicurò, poi si voltò verso Hank. «Cosa possiamo fare?» chiese.
«Per ora deve riposare e devo tenerla sotto controllo.» affermò lo scienziato. «L’importante è che Charles le stia lontano.»
Raven annuì. «Ci ho pensato io.» per un po’ il professor X non avrebbe più dato problemi, legato e imbavagliato com’era.
Erik intanto si era alzato in piedi e si era avvicinato a Charlotte. «Oh, Lottie…» sussurrò poggiando le labbra sulla sua fronte.
Raven si avvicinò. «Perché non vai a riposarti un po’?» propose.
Erik scosse il capo. «Rimango con lei.»
Hank e la ragazza si scambiarono uno sguardo e poi uscirono per lasciarlo in pace con i suoi pensieri.
 
ANGOLO DELL’AUTRICE
Lo so, sono imperdonabile. Un ritardo del genere è tremendo, scusate!
Con l’università è difficile aggiornare, soprattutto quando ci si mette anche la mancanza d’ispirazione. In ogni caso, spero che vi piaccia, ci ho messo molto impegno a scriverlo... comunque consigli e critiche sono ben accette (ovviamente sempre se educate e rispettose, si intende!)!
Il prossimo capitolo devo ancora scriverlo, perciò aggiornerò la prossima settimana, probabilmente giovedì!
Quindi a presto!
Kiss kiss, Eli
 

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Capitolo 33
*** Capitolo 33 ***


The second chance

CAPITOLO TRENTATRE
 
«Erik.» una voce ridestò il mutante dal suo sonno. Si era addormentato in laboratorio, con la testa poggiata accanto al braccio di Charlotte, ancora intubata e priva di sensi. Avrebbe tanto voluto trovarsi al suo posto. Avrebbe tanto voluto che Charles avesse pugnalato lui quel pomeriggio e non sua sorella. Lei era innocente, non gli aveva portato via le gambe, la scuola e Raven. L’unico errore che aveva fatto era stato innamorarsi di lui.
Magneto volse lo sguardo e incontrò gli occhi ambrati di Raven, in piedi dietro di lui. Per un momento aveva creduto che fosse stata la sua Charlotte a parlare, ma la speranza si era infranta quando si era accorto della presenza di qualcuno alle sue spalle.
«Raven…» sussurrò, ancora confuso dal sonno.
«Perché non vai a riposarti?» chiese poggiandogli una mano sulla spalla. «Sei qui da tre giorni.» fece notare. «Hai bisogno di dormire.»
«Non voglio lasciarla.»
«Rimango io con lei.» gli assicurò.
Erik esitò. «Io…»
«Vai.»
Alla fine Magneto si mise in piedi e uscì. Raven aveva ragione. Non c’era molto che potesse fare e aveva bisogno di una doccia per schiarirsi le idee. Uscì e si diresse verso la sua camera. Dopo aver aperto l’acqua si tolse la tuta e si infilò sotto il getto.
Uscì solo dopo dieci minuti. Si rivestì e prima di tornare nel laboratorio, decise di fare una visita a Charles.
 
«Hank?» lo chiamò entrando nello studio dello scienziato. Era incredibile il disordine di quella stanza. Come poteva lavorare in un tale disastro?
«Sono qui.» rispose l’altro sollevando una mano per farsi vedere. Era seduto di fronte a un computer per rilevare il battito cardiaco e le funzioni vitali.
Erik si avvicinò e si fermò accanto a lui, proprio di fronte al vetro unidirezionale. Charles si trovava nella stanza adiacente, senza poterli vedere, ma sapendo di essere osservato. Erik provò un moto di rabbia nei confronti del telepate.
«Come stai, Erik?» domandò gentilmente Hank.
Magneto apprezzò lo sforzo di essere gentile e di non trattarlo come un assassino. Fece spallucce. «Mi sento morire.» sussurrò. Non moriva dalla voglia di essere sincero con lui, ma non sapeva perché sentiva il bisogno di parlare con qualcuno. Prima lo faceva con Charles, poi con Charlotte… ma adesso era completamente solo.
«Vedrai che Charlotte starà bene.» lo rassicurò con un sorriso accennato.
Lui annuì, ancora poco convinto. «Che cosa stavi facendo?»
Hank gli indicò la sedia accanto a lui e lo invitò a sedersi. «Sto valutando i parametri di Charles.» spiegò indicando il monitor «Sembra tutto normale da quando gli ho somministrato dell’altro siero.»
 «Ma?»
 «Ma non capisco.»
 «Cosa?»
 «Se era sotto l’effetto del siero, come ha fatto a perdere il controllo? Come hanno fatto gli ordini di Trask a prendere il sopravvento sulla ragione? Perché ha perso completamente la razionalità?» tutte domande a cui non aveva ancora trovato riposta.
Erik scosse il capo, accorgendosi di quanto fosse pesante. «Non lo so.» rispose debolmente. «Forse il siero non ha più effetto.» azzardò. «Forse Charles sta sviluppando una tolleranza.»
«Ci ho pensato anche io.» concordò lo scienziato. «Il problema è: quando non avrà più effetto come lo controlleremo?» domandò.
Erik si volse verso quello che una volta era stato il suo migliore amico. Stava continuando a guardarsi intorno. Sembrava calmo e rilassato. Forse Hank non gli aveva ancora detto nulla riguardo a ciò che aveva fatto.
«Non lo sa ancora.» disse infatti Bestia, intuendo ciò che Magneto stava pensando.
«Quando glielo dirai?» chiese.
Hank scosse il capo. «Non ne ho ancora avuto il coraggio.» confessò. «Lo distruggerà.»
Erik strinse i pugni. «Lo distruggerà?» domandò di rimando. «Come lui ha fatto con Charlotte?»
«Non capiva cosa stava facendo.» lo giustificò. «Non l’avrebbe mai fatto se…»
Erik rise amaramente. «Non mi interessa!» gridò alzandosi in piedi. «Ha quasi ucciso Charlotte!» si mosse verso la porta che conduceva nella stanza dietro il vetro ed entrò prima che Hank potesse impedirglielo.
«Erik?» chiese Charles voltandosi di scatto e sgranando gli occhi. «Dov’è Charlotte? Perché Hank mi ha portato qui?»
Erik chiuse la porta e con un movimento della mano fece scattare le manette attaccate ai braccioli della sedia su cui il professore era seduto. «Vuoi sapere perché sei qui?» ringhiò il mutante.
«Che cosa sta succedendo?» chiese ancora Xavier dimenandosi. «Liberami.»
«No.» replicò l’altro avvicinandosi di qualche passo. «Non ti permetterò di muoverti. In questo modo non farai più del male a nessuno di noi.» spiegò.
Sul volto di Charles si dipinse un’espressione stupita. «Cosa…?» ansimò «Erik, dov’è Charlotte? Cos’ho…?»
«Cos’hai fatto?» riprese il Signore dei Metalli. «Vuoi saperlo?» ringhiò «L’hai pugnalata e adesso lotta tra la vita e la morte per colpa tua!» disse tutto d’un fiato.
Charles sgranò nuovamente gli occhi quasi fosse stato schiaffeggiato. «Come? No… non può essere…» gemette, le lacrime pronte a sgorgare dai suoi occhi.
«Invece sì!» gridò l’altro furioso. «L’hai pugnalata e lei morirà!» le lacrime gli rigarono le guance percorrendole e marchiandole a fuoco, troppo dolorose da fermare. «Morirà e sarà colpa tua…» singhiozzò e poi cadde in ginocchio. Si portò le mani al volto premendole sulle orecchie con tanta forza da gemere dal dolore. «Lei… non posso… non voglio perderla… non…» balbettò, tremando come una foglia in balia del vento. Com’era potuto accadere? Come erano arrivati a quel punto?
«Io… Erik, non ho mai voluto farle del male…» pianse Charles. «Non ho mai… te lo giuro-» si interruppe. Nulla avrebbe potuto giustificarlo. In quel momento se ne rese conto. Non sarebbe bastato chiedere scusa. Aveva quasi ucciso sua sorella. Era un assassino, un mostro. «Oh, mio Dio…»
Hank entrò a sua volta. «Erik.» si inginocchiò accanto a lui poggiandogli una mano sulla spalla. «Devi calmarti.» quando Magneto era crollato in ginocchio tutti gli oggetti di metallo fuori dalla stanza avevano cominciato a vibrare: avrebbe distrutto tutto se non avesse ripreso il controllo immediatamente. «Andrà bene. Charlotte starà bene.» disse.
Erik scosse il capo. «No… non posso perderla…»
«Non accadrà.» assicurò. «Tutto si sistemerà.»
Magneto si portò una mano all’altezza del cuore, premendola sul petto con tutta la forza che aveva. «Basta… fallo smettere. Non ce la faccio.» implorò continuando a singhiozzare. Non gli importava che lo vedessero in quello stato. Non poteva più trattenere il dolore o sarebbe esploso.
«Shh.» continuò Hank. «Calmati. Respira profondamente.»
Dopo qualche minuto, finalmente Magneto sembrò aver ripreso il controllo di se stesso, anche se continuava a singhiozzare e tremare. Sollevò lo sguardo su Charles e un’espressione di puro odio si fece strada sul suo volto.
«È tutta colpa tua.» ringhiò nuovamente. «Cosa ti aveva fatto?» chiese in un sussurro. «È tua sorella… non aveva fatto nulla. Ero io che meritavo tutto questo. Io e basta.» concluse con voce rotta. «Avresti dovuto uccidere me. Io meritavo di morire… non lei.»
«Mi dispiace, Erik.» bisbigliò Charles con voce rotta. «Non avrei mai voluto fare del male a nessuno. Né a te, né tantomeno a Charlotte. A nessuno.» poi riprese a piangere senza controllo.
Hank aiutò Erik a mettersi in piedi e lo allontanò da Charles prima che potesse accadere l’irreparabile. «Erik, esci di qui.» sillabò. «Vai.»
Stranamente Magneto non si oppose, rivolse un ultimo sguardo rabbioso al professor X e poi uscì.
Appena fu fuori dalla stanza si mise a correre. Salì due rampe di scale e quando arrivò nell’atrio cadde nuovamente in ginocchio singhiozzando.
Le immagini della morte di sua madre e del campo ritornarono alla mente mescolandosi a quelle di Charlotte ferita e coperta di sangue.
Non puoi lasciarmi, Lottie, pensò. Non ce la farei senza di te.
Avrebbero dovuto fare ancora tante cose insieme. Avrebbero potuto vedere il mondo, formare una famiglia… e adesso lei era là, attaccata a stupidi tubi di plastica, la sua vita appesa ad un filo più sottile di quello di una ragnatela.
Solo in quel momento si accorse che non le aveva mai nemmeno detto di amarla. Le aveva scritto di essere innamorato di lei, le aveva detto di volerla con sé… ma mai di amarla. Non poteva credere di non averlo mai fatto. Era così ovvio e lampante… Perché non lo aveva mai fatto?
Quel pensiero gli diede la forza di rialzarsi.
Non poteva più aspettare.
Doveva dirglielo prima che fosse troppo tardi. O se ne sarebbe pentito per il resto della sua vita.
 
ANGOLO DELL’AUTRICE
Ciao a tutti! Chiedo scusa per questo enorme ritardo, ma con l’Università sono stata molto impegnata e inoltre si è aggiunta anche la mancanza di ispirazione, perciò il risultato è stato un disastro.
Comunque, ecco qui il 33esimo capito, fresco fresco di stesura.
Prometto che scriverò e pubblicherò il prossimo al più presto, davvero.
Spero che vi piaccia, perché io non sono per niente soddisfatta.
Alla prossima, sperando che non passi più tanto tempo,
Eli :)

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Capitolo 34
*** Capitolo 34 ***


The second chance

CAPITOLO TRENTAQUATTRO
 
 
Erik raggiunse il laboratorio ed entrò.
Era rimasto inginocchiato nell’atrio per quasi due ore a singhiozzare e tentare di non farsi sopraffare da tutti quei dolorosi ricordi che lo tormentavano ogni notte da quando era entrato in quel maledetto campo di concentramento.
Dopo aver perso sua madre e i suoi amici mutanti rischiava di perdere anche Charlotte e sapeva bene che se fosse successo davvero – per quanto lei fosse forte e determinata – lui non ce l’avrebbe fatta. Non voleva rimanere solo ancora una volta, quindi sarebbe morto con lei. Si sarebbe ucciso per seguirla. In quel modo forse sarebbero rimasti insieme, o perlomeno non avrebbe più provato tutto quel dolore.
Non aveva mai pensato veramente al paradiso: esisteva davvero? Una volta morti semplicemente si cessava di esistere? Si finiva in un limbo oscuro per l’eternità? Forse una volta gli sarebbe importato, ma adesso… il suo unico pensiero era Charlotte che stava soffrendo a causa della sua stupida guerra con Charles.
Raven era ancora seduta accanto al letto di Charlotte e le stava accarezzando i capelli e la fronte. Quando sentì la porta aprirsi si voltò e rivolse a Magneto uno sguardo di rimprovero.
«Erik.» disse con voce sconsolata. «Ti avevo detto di andare a riposare.»
Lui, gli occhi arrossati dal pianto e segnati da profonde occhiaie dovute alla stanchezza e allo stress, avanzò senza far caso alle sue parole. Riposare? Credeva davvero che avrebbe potuto riposare con Charlotte intubata e attaccata a tutti quei macchinari pochi piani sotto di lui? «Puoi lasciarmi da solo un momento?» chiese con voce flebile. «Vorrei…» indicò la ragazza e abbassò lo sguardo, reprimendo le lacrime alla vista della sua Charlotte in quelle condizioni.
Raven aggrottò le sopracciglia confusa da quella richiesta. «Ehm… certo.» si alzò e quando passò accanto a Erik gli poggiò una mano sulla spalla avendo intuito che volesse passare la maggiore parte del tempo con lei nel caso in cui non ce l’avesse fatta. «Lei ce la farà, Erik.» sussurrò «È forte e ce la farà.»
Magneto annuì, anche se non ne era per niente certo. Davvero sarebbe sopravvissuta a quello dopo tutte le torture di Trask e la violenza psicologica e fisica inflitte da suo fratello?
Alla fine Raven uscì dalla stanza chiudendosi la porta alle spalle e lasciandolo nuovamente solo.
Erik si avvicinò al letto e si sedette sulla sedia prendendo la mano della ragazza e stringendola tra le sue. «Ciao.» la salutò con voce rotta. «Io… non so se puoi sentirmi, Lottie.» esordì. «Ma c’è qualcosa che devo dirti prima che-» un groppo in gola lo costrinse ad interrompersi. Si schiarì la voce per renderla ferma. «Non te l’ho mai detto e mi sento così stupido per non averlo fatto prima…» si fermò nuovamente e prese un bel respiro. «Ti amo, Charlotte. Ti amo con tutta la mia anima.» le lacrime ripresero a rigargli il volto. «Non voglio che tu muoia. Ti prego, non mollare. Non lasciarmi solo.» singhiozzò. «Tu sei stata l’unica che ha tentato di capirmi, che mi ama per quello che sono e non per quello che ho fatto.» si interruppe e le baciò la fronte. «Torna da me, dobbiamo ancora fare-» fu una leggera pressione sulla sua mano a bloccarlo, questa volta. Abbassò lo sguardo. La mano di Charlotte, pallida e collegata ad una flebo, aveva stretto la sua. Il cuore di Erik accelerò. «Charlotte.» la chiamò risollevando lo sguardo.
 
Charlotte si voltò. Aggrottò le sopracciglia tentando di capire dove fosse. L’oscurità sembrava avvolgere ogni cosa, ma man mano che la ragazza si muoveva sembrava diradarsi, come se il movimento prodotto dal suo corpo stesse spazzando via la nebbia oscura.
Finalmente qualcosa emerse dalla coltre di nebbia ergendosi di fronte a lei. Sembrava villa Xavier, ma era molto diversa da come se la ricordava. Il giardino era più curato e le pareti della casa non erano dipinte di giallo, ma di un pallido marrone. Le finestre erano coperte di polvere, come se da mesi nessuno le avesse pulite.
«Tesoro.»
Sentendo una voce alle sue spalle, Charlotte si voltò. Non riconobbe immediatamente la figura che aveva di fronte, ma dopo aver sbattuto più volte le palpebre, capì.
«Papà.» disse stupita. «Ma… tu sei…» morto, avrebbe voluto dire, ma si bloccò. Suo padre era morto quando era molto piccola. Non doveva avere più di otto anni, ma ricordava bene l’affetto che l’aveva legata a lui. Sua madre non aveva mai avuto molto tempo di occuparsi di lei e anche dopo la morte del marito il loro rapporto non era migliorato. Ma con suo padre era sempre stato diverso. Lui sapeva dei suoi poteri e la amava per quello che era e per ciò che sapeva fare.
«Morto?» chiese lui. «Sì.» confermò alla fine. Accennò un sorriso e si guardò intorno.
«Dove siamo?»
«A casa.»
«Ma… come sono arrivata qui?» chiese ancora aggrottando le sopracciglia, confusa.
Lui si avvicinò. «Qual è l’ultima cosa che ricordi?»
La ragazza abbassò lo sguardo e frugò tra i suoi ricordi. «Charles. Che mi pugnala.» disse «La voce di Erik e quelle di Hank e Raven.» deglutì a fatica ricordando il dolore e il ghigno sul volto di Charles. «Sono morta?» domandò. Se era lì con suo padre, morto anni prima, forse significava che era morta anche lei.
Il padre le sorrise. «No, piccola.»
«Ma sto morendo, non è così?» chiese con un filo di voce.
«Dipende.» replicò l’uomo sorridendo tristemente.
Charlotte non riuscì a capire. «Da cosa?»
«Da te.»
Lei scosse il capo. Come poteva dipendere da lei? Poteva forse scegliere? «Vuoi dire che posso scegliere?» indagò dando voce ai suoi pensieri.
Il signor Xavier annuì. «Sì.»
«Potrei rimanere qui con te, se lo volessi?»
Annuì ancora.
Charlotte, per un momento, fu molto tentata. Voleva così bene a suo padre e le mancava così tanto. Ma aveva solo diciannove anni, tutta la vita davanti e forse se ne sarebbe pentita in seguito.
«Pensaci bene, Lottie.» l’avvertì «Una volta compiuta la tua scelta non potrai più tornare indietro.» forse aveva intuito ciò che le aveva attraversato la mente. «Sicura di voler rimanere qui?»
«Sarebbe tutto più semplice.» rispose la ragazza «Non dovrei più soffrire.»
Gli angoli della bocca del padre si incurvarono. «La mia coraggiosa Charlotte non ha mai scelto la via più semplice. Ha sempre combattuto.»
«Forse la Charlotte che conoscevi non esiste più.» si ritrovò a dire. Dopo tutto ciò che aveva vissuto era cambiata e forse la Charlotte che una volta non si sarebbe arresa, se n’era andata insieme ai suoi ricordi rubati. Forse era stanca di combattere ed essere sconfitta.
«E non pensi a Charles? E a Raven, Hank e Erik?» domandò il padre.
Lei sospirò. «Non mi vuoi qui?» stava tentando di cacciarla. Era abbastanza evidente.
«No.» confermò l’uomo. «Non ti voglio qui, ma non perché non tenga a te, tesoro, ma perché voglio che tu viva una vita meravigliosa accanto all’uomo che ami e ai tuoi amici. Non voglio che tu rimanga bloccata qui a causa mia.»
«E se tornassi e non ce la facessi?»
Il padre rise sommessamente. «Perché non dovresti farcela?»
«Non sono abbastanza forte.»
«Sai che non è vero.» disse scuotendo il capo.
Charlotte abbassò lo sguardo. Suo padre aveva ragione. Non poteva morire. Non in quel momento. Non prima di aver aiutato Charles.
Una leggera folata di vento le accarezzò la pelle facendola rabbrividire. Per un momento le sembrò di aver sentito una voce che la chiamava, una voce famigliare, meravigliosa. La voce di Erik.
Si volse. «Erik?» chiese, ma non c’era nessuno alle sue spalle. Scosse il capo e tornò a rivolgersi verso il padre, ma quando si fu voltata completamente vide che non era più lì. «Papà?» lo chiamò, ma nessuno rispose. Inspirò ed espirò profondamente un paio di volte. «Devo tornare.» fu l’ultima cosa che disse prima di essere trascinata verso il basso in una voragine buia e soffocante.   
 
«Mi senti?» chiese Erik osservando il suo viso. Gli aveva appena stretto la mano. Forse lo stava ascoltando e stava tentando di fargli capire che era ancora lì. «Hank!» gridò.
Lo scienziato arrivò in pochi secondi dalla stanza adiacente, credendo che fosse successo qualcosa alla ragazza. Aprì la porta con una spinta e si precipitò dentro.
«Che succede, Erik?» chiese avvicinandosi.
«Mi ha stretto la mano.» spiegò Magneto ansimando e indicando la giovane.
«Cosa?» domandò lui aggrottando le sopracciglia e avvicinandosi. «Quando?»
«Un minuto fa.»
«Potrebbe essere stato un riflesso involontario.» disse distruggendo le speranze del mutante. Non voleva mandare in frantumi le sue aspettative, ma voleva essere realista. Prese una piccola torcia e dopo averle sollevato le palpebre di Charlotte la accese puntando il leggero fascio di luce sulla pupilla. Dopo qualche secondo abbassò la mano sospirando sconsolato. «Mi dispiace, Erik.» concluse. «Era solo-» si interruppe cercando le parole «Non risponde, mi-mi dispiace.» balbettò.
Erik abbassò lo sguardo. Certo, avrebbe dovuto immaginarlo. Sarebbe stato troppo bello per essere vero. Bofonchiò un «Grazie» e poi tornò a osservare la sua Charlotte accarezzandole la mano e il volto pallido.
Hank annuì e si voltò per tornare da Charles che era disperato dopo aver scoperto quello che aveva fatto a sua sorella. Era ancora rinchiuso nella stessa stanza da giorni, sotto l’effetto del siero. Era rimasto seduto nell’angolo della stanza con la testa fra le mani ripetendo a bassa voce «è colpa mia» per tutto il tempo. Hank lo aveva osservato, aveva tentato di parlargli, di fargli capire che era colpa di Trask, che Charlotte sarebbe stata bene… ma nulla di tutto ciò gli aveva fatto cambiare idea.
Un ansito lo fece voltare.
«Erik, è tutto ok?» domandò. Non si sarebbe fatto venire un attacco di panico? Senza Charles o Charlotte non sarebbe riuscito ad aiutarlo, lui non era un telepate e nemmeno sapeva come rassicurarlo. Un tranquillante non sarebbe stato sufficiente in quel caso, ne era certo.
«Non sono stato io.» rispose l’altro con urgenza, volgendosi verso di lui. «È stata-»
Un altro ansito, più forte del precedente.
Hank vide Charlotte muoversi sotto le lenzuola. Il battito cardiaco era aumentato e l’elettrocardiogramma aveva cominciato a gracchiare sonoramente. «Sta tentando di respirare.» corse nuovamente accanto al letto. «Charlotte.» la chiamò. «Charlotte, riesci a sentirmi?»
La ragazza spalancò gli occhi e ansimò ancora. Il tubo che le percorreva la gola le impediva di parlare e sembrava che la stesse soffocando. Tentò di sollevare una mano per allontanare quel fastidio dal collo, ma i muscoli sembravano intorpiditi e rigidi come se non si fosse mossa per mesi interi.
«Charlotte, devi tranquillizzarti.» le disse Hank. «Calmati.»
La giovane si voltò verso di lui e incontrò il suo sguardo.  
«Sei intubata e se continui ad agitarti i tubi danneggeranno le vie respiratorie.» spiegò. «Calmati e respira con il naso.» le consigliò mentre si muoveva verso il tavolino dove teneva l’attrezzatura per le operazioni.
Charlotte annuì, chiuse gli occhi e prese a respirare lentamente attraverso il naso.
Inspira.
Espira.
Inspira.
Espira.
Inspira.
Espira, continuava a ripetersi.
Finalmente il battito cardiaco tornò regolare. I polmoni e la gola non le dolevano più e anche le testa aveva smesso di pulsare dolorosamente. Si guardò intorno.
Perché era intubata?
Cosa ci faceva nel laboratorio di Hank?
«Ok, Charlotte, adesso ti sfilo il tubo dalla gola.» le disse dopo aver infilato i guanti. «Continua a respirare con il naso.»
Lei diede un cenno di assenso e riprese a ripetersi “inspira ed espira” come poco prima.
Hank le sfilò il tubo dalla gola tentando di essere veloce, ma anche di non arrecare danni. Alla fine sorrise e dopo averlo riposto nel lavandino dove l’avrebbe lavato e disinfettato, tornò accanto a Charlotte. «Come ti senti?» chiese.
Lei annuì e si schiarì la voce. Non parlava da un po’ – anche se non sapeva esattamente quanto – il che rendeva difficile anche solo salutare. «Bene» sussurrò con voce roca e flebile, portandosi una mano alla gola come se potesse attenuare il dolore.
«Ti prendo un po’ d’acqua.» le disse Bestia. Dopo essersi avvicinato al lavello le porse un bicchiere d’acqua. «Lentamente» le raccomandò.
«Grazie.» replicò lei e poi bevve a piccoli sorsi. La situazione era decisamente migliorata. L’arsura alla gola era scomparsa, per lasciare il posto ad un leggero fastidio, comunque sopportabile.
«Ok, vado ad avvertire Raven.» concluse Hank sorridendo. «Sei in buone mani.» affermò indicando Erik, poi uscì.
Charlotte sorrise e volse lo sguardo verso Erik che le stava ancora tenendo la mano, ma non aveva ancora detto nulla. I suoi occhi erano vuoti e sembrava che fosse decisamente sotto shock.
«Erik?» lo chiamò lei sollevando la mano e portandola al suo volto. «Erik, stai bene?» chiese aggrottando le sopracciglia e tentando di ignorare il dolore alla gola.
«Lottie…» sussurrò lui mentre altre lacrime gli rigavano le guance. «Sei… io credevo…» balbettò. Si era svegliata davvero. Era lì con lui. Non poteva crederci. Forse stava sognando.
«Ehi» ridacchiò lei «Magneto senza parole?» ridacchiò. «Incredibile.»
A quel punto Erik sorrise e sentì le lacrime rigargli nuovamente le guance. «Mi sei mancata così tanto…» sussurrò poggiando la fronte contro la sua. «Credevo che-»
«Sto bene.» lo rassicurò circondandogli le spalle con le braccia e accarezzandogli i capelli. «Non potevo lasciarvi.» affermò sorridendo. «Se me ne vado questa casa andrà in rovina.»
Entrambi risero e quando si separarono Erik la baciò accarezzandole delicatamente le labbra con le sue, assaporandone ogni centimetro con una delicatezza inaspettata, ma anche con urgenza e desiderio, dopo giorni di paura e preoccupazione. Quando si separarono, colo fiatone, ma sorridenti, il mutante le sussurrò a fior di labbra: «Bentornata, Blade.»
 
ANGOLO DELL’AUTRICE
Ok, lo so, sono imperdonabile per questi orribili ritardi e ammetto che questo capitolo l’ho scritto e pubblicato di getto in un momento d’ispirazione (che per la cronaca mi manca da settimane). Spero non sia troppo assurdo e affrettato e soprattutto spero che vi piaccia! ;)
A presto con il prossimo.
Fatemi sapere, mi raccomando! ;)
Eli

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Capitolo 35
*** Capitolo 35 ***


The second chance

CAPITOLO TRENTACINQUE
 
 Charlotte era immobile di fronte allo specchio unidirezionale che separava la stanza in cui Charles era stato rinchiuso, dal laboratorio di Hank. Poteva vedere suo fratello, immobile, rannicchiato in un angolo della stanza, con la testa fra le mani e le ginocchia strette al petto. Hank le aveva raccontato che non aveva mai chiesto di uscire dalla stanza o di vederla – per paura forse di farle del male – né aveva protestato o chiesto aiuto da parte dello scienziato. Si era chiuso nel più completo silenzio, rimanendo immobile sul pavimento per giorni interi, con la testa fra le mani.
 Erik era accanto a lei e la stava reggendo per i fianchi per impedire che cadesse. Si era risvegliata solo il giorno prima e dopo vari giorni di immobilità totale era complicato camminare o anche solo reggersi in piedi.
 «Perché il siero ha smesso di fare effetto?» domandò la ragazza rivolta a Hank.
 «Credo che l’organismo di Charles abbia sviluppato una sorta di tolleranza.» spiegò «E probabilmente il siero che Trask gli aveva somministrato è riuscito ad aprire un varco nella sua mente facendogli perdere il controllo.»
 «C’è un modo per chiudere la sua mente e impedire a Trask di controllarlo?» chiese Erik «Non possiamo permettere che prenda nuovamente il controllo su di lui.»
 Bestia scosse il capo e sospirò. «Sto tentando di creare un siero specifico, ma è complicato. Non so esattamente dove il siero di Trask sia andato a colpire. Dovrò effettuare altri esami per essere sicuro di non procurare alcun danno.» concluse.
 «Fai tutto ciò che è necessario, Hank.» riprese Charlotte «Riportami Charles, ti prego.»
 «Farò il possibile, Lot.» assicurò. «Perché non vai a riposare, adesso? Sei pallida, forse dovresti sdraiarti un po’.»
 Lei scosse il capo. «Ho solo bisogno di un po’ d’aria.» affermò accennando un sorriso «Vorrei fare una passeggiata per sgranchirmi un po’ le gambe.»
 Erik volse lo sguardo verso lo scienziato, che fece annuì. «Un po’ d’aria ti farà bene.» concluse «Ma non sforzarti troppo. Se non ce la fai, siediti e riposa. Capito?» si raccomandò.
 Charlotte annuì. «Certo.» si volse verso Erik «Mi accompagni?»
 L’uomo annuì.
 
 Erik e Charlotte uscirono in giardino, camminando mano nella mano per quasi un’ora.
 Le nubi avevano nascosto il sole primaverile che prima illuminava l’ambiente, ma nonostante il vento che scuoteva delicatamente le fronde degli alberi, il calore continuava a permeare l’aria.
 Il rombo di un tuono fendette l’aria, così i due rientrarono nella villa appena qualche secondo prima che cominciasse a piovere.
 Non appena varcarono la soglia, la ragazza si fermò, chiudendo gli occhi, sentendo le gambe cominciare a dolere nuovamente. Poggiò la schiena contro la parete all’ingresso, inspirando ed espirando profondamente.
 «Tutto bene?» chiese Magneto, portando una mano alla guancia della giovane. Era pallida e sembrava stesse facendo fatica a respirare. «Vuoi andare in camera tua?» chiese.
 Charlotte annuì.
 Erik la guidò lungo il corridoio tenendola per le braccia e quando raggiunse la stanza della giovane, l’aiutò a sdraiarsi sul materasso, prendendo poi posto al suo fianco. Le scostò una ciocca di capelli dal viso e cercò il suo sguardo.
 «Va meglio?» chiese ancora.
 Lei aprì gli occhi e annuì. «Scusa, le gambe mi fanno male di nuovo.» spiegò passandosi una mano fra i capelli «Mi dispiace.»
 L’uomo scosse il capo. «Non devi scusarti.» dichiarò «Hank ha detto che faranno male per un po’ fino a che non ti sarai riabituata a camminare. È normale e soprattutto non è colpa tua.»
 Charlotte si volse verso di lui e sorrise. Erik, come sempre, riusciva a farla stare meglio con qualche semplice parola. «Grazie per quello che stai facendo per me, Erik. E per essere qui con me.»
 «Dove altro potrei essere?» chiese poggiando il capo su un braccio «Il mio posto è accanto a te, Charlotte.»
 La giovane Xavier sorrise. «Hank e Raven mi hanno detto che mi sei rimasto accanto per tutto il tempo.» affermò ricordando la conversazione avuta con la sorella e con lo scienziato il giorno precedente.
 Erik annuì.
 «Guardati, sei distrutto.» disse accarezzandogli le guance coperte dalla barba rossiccia che gli incorniciava le labbra sottili da tempo, ormai. «Dovresti riposare. Ne hai più bisogno di me in questo momento.»
 Lui scosse il capo. «Sto bene.»
 «Erik-»
 Magneto scosse il capo. «È così, Lottie.» affermò Si schiarì la voce. «E poi non voglio stare in un posto in cui tu non ci sei.» ammise. Poi ripensando alla paura di perderla e al pensiero di una vita senza di lei, sentì gli occhi inumidirsi. «Se fossi morta io non avrei… non ce l’avrei fatta a vivere senza di te.» concluse.
 Blade sorrise dolcemente. «Non devi dirlo, Erik. Mai.» gli prese la mano.
 «È la verità.» affermò. Non le aveva ancora dichiarato i suoi sentimenti. Certo, le aveva parlato mentre era priva di sensi, ma molto probabilmente lei non aveva sentito nulla. «Ma mentre eri priva di sensi, quando credevo che saresti… che non ce l’avresti fatta…» tentò di mantenere la voce ferma «Ho capito di aver commesso un errore.»
 Lei aggrottò le sopracciglia e lentamente si mise a sedere. «Quale?» chiese con urgenza.
 Magneto si sedette a sua volta. «In tutto questo tempo, da quando ci siamo baciati, da quando abbiamo riavuto i nostri ricordi, non ti ho mai detto che-» si interruppe per schiarirsi la voce. «Non sono mai stato bravo con i sentimenti e soprattutto con le parole. Ma proverò comunque a dirti quello che penso e che provo.»
 «Ok.»
 «Charlotte, io non potrei mai farcela senza di te. Sei l’unica ragione della mia vita. Tu mi hai reso migliore, mi hai salvato la vita. Se non fosse stato per te-» si interruppe e chiuse gli occhi per un momento. «Io ti amo, Lottie.» concluse prendendole il volto fra le mani. «Ti amo con tutto me stesso. Sei la donna della mia vita e per questo mi dispiace. Mi dispiace tanto di non avertelo mai detto.» sospirò «Sei una ragazza meravigliosa e ti meriteresti qualcuno accanto che te lo ricordi ogni giorno, non una persona come me che non è nemmeno in grado di proteggere ciò che gli sta a cuore.»
 Charlotte sorrise. «Erik, io non voglio nessun’altro accanto.» replicò «E non mi importa se non me lo hai mai detto. So che mi ami, perché anche io ti amo più di ogni altra cosa al mondo. Non voglio nient’altro che starti accanto e averti con me.» concluse in un sussurro, poi avvicinò il volto a quello di Erik e lo baciò, accarezzandogli le labbra con delicatezza.
 Magneto chiuse gli occhi e si abbandonò a quel contatto, poggiandole le mani sui fianchi per tirarla a sé.
 La mutante dimenticò il dolore alle gambe e quando sentì le braccia di Erik chiudersi attorno al suo corpo, strisciò sul materasso mettendosi a cavalcioni su di lui e circondandogli il collo con le braccia.
 Ansimò contro la sua bocca, mordicchiandogli il labbro inferiore e giocando con la sua lingua.
 Erik la portò più vicina a sé, facendo aderire i loro corpi e facendole scorrere le mani sulla schiena, sotto la maglietta e sulla pelle calda e sensibile lungo la colonna vertebrale. 
 Quando si separarono, Erik poggiò la fronte contro quella di lei.               
 I nasi rimasero a contatto, le labbra a pochi centimetri le une dalle altre.
 «Vorrei rimanere qui per sempre.» sussurrò Charlotte, soffiando sulle labbra di lui. «Io e te. Per sempre.»
 «E sarà così, amore mio.» replicò Magneto «Non ti lascerò più. Niente mi separerà più da te.»
 
ANGOLO DELL’AUTRICE
Ecco che con un immenso ritardo, mi ripresento qui a pubblicare il brevissimo seguito del 34esimo capitolo della mia long.
Lo so pensavate che fossi scomparsa, ma in realtà a parte l’università che mi ha impegnato parecchio, ciò che mi ha tenuta lontana da voi, o miei cari lettori, è stata la mancanza di ispirazione. La maledetta mancanza di ispirazione. Grrrr…
In ogni caso, anche se breve, questo è il 35esimo capitolo.
Spero tanto che vi piaccia, anche perché devo ancora cominciare la stesura del prossimo, quindi ci vorrà un po’ ^.^”
Grazie a tutti coloro che mi leggono/preferiscono/seguono/ricordano/recensiscono! ;-*
A presto,
La vostra Eli
 

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