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Lista capitoli: Capitolo 1: *** Prologo: foundations; *** Capitolo 2: *** Capitolo 1: building Up *** Capitolo 3: *** Capitolo 2: falling Apart *** Capitolo 4: *** Capitolo 3: putting it Back Together *** Capitolo 5: *** Capitolo 4: stability ***
«It takes ten
times as long to put yourself back together as it does to fall apart.»
Suzanne Collins.Mockingjay.
Il
cielo
non
crolla
(ed io nemmeno)
PROLOGO|Foundations;
Fin da quando ho memoria mi è sempre
piaciuto guardare il cielo. Da bambina, se non riuscivo a dormire, sgattaiolavo
spesso fino alla finestra per ammirare le stelle. Il cielo mi piaceva perché
non cambiava mai, non importava quanto a lungo restassi ferma a fissarlo.
Quando sollevavo la testa, trovavo sempre la stessa immagine a rispondere al
mio sguardo: quella di una distesa gigantesca e immobile, scura come le piume
di un corvo di notte e azzurra come il mare di giorno. Mi faceva sentire al
sicuro, guardarla. Sembrava una coperta sistemata sopra le nostre teste perché
non prendessimo troppo freddo. Non ho mai detto a nessuno come sia nata questa
mia fissazione per il cielo, ma credo sia dovuta a qualcosa che mi disse una
volta Prim. Ho pochi ricordi dei miei primi quattro
anni di vita, ma in uno di quelli a cui sono più affezionata ci siamo io e lei,
sdraiate a pancia in su nel piccolo prato dietro casa Everdeen.
Era estate e sono sicura che fosse tardi, perché stava incominciando a fare
buio e il cielo era tappezzato di puntini luminosi. Non so perché fossimo lì,
né ricordo dove fossero i nostri fratelli. Ciò che mi è rimasto più impresso di
quella sera sono le risate di entrambe e i gridolini con cui esordivo quando Prim mi faceva il solletico. Ero molto piccola – tre,
quattro anni al massimo – eppure ricordo ancora bene la spensieratezza e
l’allegria di quel momento. Se qualcuno mi chiedesse oggi come ci si sente ad
essere felici, probabilmente risponderei descrivendo quelle due bambine con le
trecce sfatte e le guance rosse per il troppo ridere. Distendemmo le braccia
nell’erba per riprendere fiato e ci mettemmo a guardare le stelle, tracciando
linee immaginarie con le dita per unirle. E poi Prim
disse qualcosa, una frase che lì per lì non compresi, ma che nel giro di pochi
anni divenne la base su cui scelsi di fondare tutto ciò in cui credevo.
“Vorrei essere il cielo” mormorò con un
sorriso e lo sguardo ancora rivolto verso l’alto. “Il cielo è forte e non
crolla mai. E poi è bellissimo: guarda quante stelle!”
Con l’ultima parte mi trovavo
d’accordo: quei puntini luminosi erano un’autentica meraviglia. Il resto della
frase lo compresi solo qualche anno più tardi, quando fui grande a sufficienza
da rendermi conto che molte cose, intorno a me, erano spesso sul punto di
crollare. Accadeva a certe persone: quelle più povere, che avevo visto
accasciarsi a terra per le strade, distrutte dalla fame e dagli stenti. E
accadeva anche alle miniere, ai tetti di roccia che si sgretolavano sui
minatori, impedendo loro di tornare a casa dalle proprie famiglie, come era
successo con mio padre.
Grazie a queste riflessioni e alle
parole di Prim, il cielo divenne per me una specie di
eroe: era un gigante buono che sorvegliava le persone dall’alto e resisteva
anche alle tempeste più violente. Non crollava mai ed io, proprio come Prim, avrei voluto essere uguale a lui.
Nota dell’autrice.
Questa storia è stata scritta per il quarto turno del contest 1 su 24 ce la fa, indetto daManuFurye
per il contest Dolci e Dolorosi Ricordi indetto
daSignoraKing.
Ed eccomi tornata
con la mia ennesima storia un po’ bizzarra incentrata sulla famiglia Hawthorne e, in particolare, sulla piccola di casa, Posy.
La storia, che è già conclusa,avrà in
tuttodue o tre capitoli oltre a questo
e racconterà un periodo dell’infanzia di Posy che è collocabile fra “La Ragazza di Fuoco” e “Il Canto della
Rivolta”, quando lei aveva più o meno 4/5 anni. Incomincia, insomma, poco dopo
la fustigazione di Gale e arriva a fino dopo la rivolta. A raccontare è una
Posy adulta (di circa vent’anni) che troveremo anche nell’epilogo del racconto.
La citazione iniziale è una frase di Finnick che ho
scelto di inserire perché credo che si adatti molto bene a questa storia, e lo
si noterà specialmente nel terzo capitolo. Credo che sia tutto, per ora! Nel
prossimo capitolo faranno comparsa anche gli altri fratelli Hawthorne,
oltre a Posy e a Prim. In seguito faranno brevi
apparizioni anche altri personaggi della saga.
Grazie infinite a chiunque passerà a leggere questa storia!
Vi ricordo di fare
un saltino nel gruppo The
Capitol, dedicato alle fan fiction su Hunger Games e al fangirlaggio di
gruppo.
Anche se il cielo non poteva cadere a
pezzi, la terra sotto i piedi rischiava di tremare spesso, per la gente del
Giacimento. Accadeva a chi aveva paura, o era troppo stanco, infreddolito o
affamato per riuscire a scrollarsi di dosso l’impressione di precipitare nel
vuoto. La prima volta che provai una sensazione simile avevo più o meno cinque
anni. Era successo qualcosa di molto brutto a mio fratello e non sapevo altro,
se non che Prim e la signora Everdeen
si stessero prendendo cura di lui al Villaggio dei Vincitori. Mia madre era con
loro e a mettermi a letto, quella sera, fu Leevy. Non
riuscivo a prendere sonno e mi faceva male la pancia, nonostante avessi cenato
da poco. Avrei voluto addormentarmi fra le braccia di mia madre, ma avevo paura
che né lei, né Gale sarebbero tornati a casa da noi molto presto. Mi agitai nel
letto e chiamai i miei fratelli fino a quando Vick non venne a sedersi di
fianco a me. Lui e Rory riposavano nel letto a
fianco, ma la preoccupazione, probabilmente, stava tenendo svegli anche loro.
“Vedrai che mamma torna presto” mi
rassicurò Vick, accarezzandomi i capelli.
“Presto quanto?” gli chiesi,
appoggiando la fronte contro la sua spalla. “Io ho fame!”
“Posso prenderti del latte” propose con
gentilezza lui. Feci no con la testa e mi rintanai ulteriormente fra le sue
braccia.
“E se invece Gale e la mamma non
tornano più?” mormorai poi, rivelando la mia paura. In fondo era successa la
stessa cosa con papà, ancor prima che nascessi: forse, questa volta, sarebbe
toccato a nostra madre. Mio fratello mi strinse più forte.
“Torneranno: non ci lascerebbero mai”
rispose con quel suo tono di voce dolce e pacato a cui finivo sempre per
credere. “Vuoi che ti racconti una storia, mentre li aspettiamo?”
Annuii. Vick si sistemò nel letto di
fianco a me e avvolse entrambi con il lenzuolo.
“C’era una volta una principessa: una
principessa dai lunghissimi capelli rosa” incominciò, cingendomi le spalle con
un braccio; abbracciai la mia bambola e mi appoggiai a lui, stropicciandomi un
occhio con la mano libera. “Si chiamava Posy e viveva in un castello incantato
sui monti del Giacimento, vicino alle grandi foreste.”
“Sono io!” esclamai deliziata a quel
punto, tirandogli una manica. “La principessa sono io!”
“E il regno di cui parla la storia è il tuo
regno” confermò Vick, con un sorriso. “Casa nostra è il castello incantato.”
“E chi altro c’è nel regno di Posy?”
chiesi subito, ammaliata da quel racconto: era la prima volta che qualcuno mi
rendeva la protagonista di una favola.
“Ci siamo tutti” mi rassicurò subito lui,
sistemando meglio le coperte attorno ai nostri corpi. “Nel castello vivono i
reali della prestigiosa casata degli Hawthorne, come
la Regina Mamma e il cavaliere Vick il Vittorioso. Nelle Grandi Foreste,
invece, ci sono i folletti magici e gli orchi buoni, che difendono il regno dai
Draghi Pacificatori.”
“Prim c’è?”
volli sapere, sempre più coinvolta dalla favola.
“Certo! Lei è la dottoressa del regno:
lavora all’Ospedale dei Vincitori.”
“Sì!” confermai, battendo le mani:
quello mi sembrava proprio un lavoro adatto a Prim.
“E c’è anche Lilo” aggiunsi poi, sollevando la mia
bambola e facendola volteggiare per aria. “Lei è un soldato e può volare nel
cielo e saltare sulle stelle per spiare tutti i nemici che stanno a terra.”
“Mi piace!” si complimentò Vick,
abbozzando un sorriso. “Lilo sarà la nostra vedetta.”
“E io voglio essere una fata!”
proseguii con vivacità, facendo fare una capriola alla mia bambola. “Una fata
con i capelli rosa. E posso fare le magie con le bolle di sapone!”
“Pensavo fossi la principessa Posy” mi
ricordò mio fratello, con espressione divertita: aveva ragione, me ne ero
dimenticata. Ci pensai su per un po’, valutando i pro e i contro di entrambi i
ruoli.
“Mi piace di più fare la fata. Facciamo
che la principessa è Rory!” proposi infine con fare
pratico. Vick si mise a ridere.
“La principessa Rory
dai lunghi capelli rosa” mi diede corda. Questa volta ridemmo tutti e due.
“Ehi, voi due!” borbottò nostro
fratello con voce strascicata, dal letto a fianco. “Vi ho sentito!”
Vick ed io nascondemmo la testa sotto
le coperte, per smorzare il suono delle risate.
“Potrei essere il Re della casata degli
Hawthorne” osservò dopo un po’ Rory,
intrecciando le dita dietro la nuca. “Il mio nome significa re rosso.”
“Ci piacevi di più come principessa” lo
prese in giro Vick, per farmi ridere.
“Sta’ zitto, tu, Vittorioso!”
Al suono dei loro battibecchi si unì
presto quello del mio stomaco che brontolava.
“Ho tanto mal di pancia!” mi lamentai,
premendomi Lilo contro il petto. Vick si alzò e andò
in cucina, tornando poi con del latte e tre bicchieri. Accese la torcia per
farsi luce mentre li riempiva e tornò a sorridermi.
“Nel regno di Posy non si ha mai fame” rivelò a quel
punto. “Le pance si riempiono ogni volta che qualcuno fa un sorriso.”
Gli scoccai un’occhiata incredula,
sentendo poi il materasso piegarsi: Rory era venuto a
sedersi vicino a noi. Mi concentrai sul sorriso gentile di Vick, immaginando di
farmelo scivolare nella pancia, ma il mio stomaco continuò a brontolare.
“Non funziona tanto bene, io ho ancora fame!”
osservai, prendendo il bicchiere di latte.
Ma quando, venti minuti più tardi, mia
madre rientrò e si sistemò nel letto vicino a me, fui costretta a ricredermi.
Il mio mal di pancia era già diminuito e il suo sorriso rassicurante riuscì a
scacciarlo del tutto; finalmente riuscii ad addormentarmi.
*
Nei giorni a venire, Vick mi raccontò
altre favole ambientate nel Regno di Posy. A ogni storia il nostro piccolo
mondo immaginario cresceva, arricchendosi di particolari. Quando chiudevo gli
occhi riuscivo a visualizzarlo chiaramente nella mia testa, esteso e maestoso,
proprio come il cielo. Incominciai ad aggrapparmi a quell’immagine ogni volta
che la terra minacciava di tremarmi sotto i piedi. Perfino la paura e i mal di
pancia diminuivano, quando fingevo di percorrere le ampie stanze di un castello
incantato. Tuttavia, non se ne andarono mai del tutto. In quel periodo mi
ammalai di morbillo e fui costretta a restare a letto per diversi giorni, debole
e infastidita da tutto quel prudere. Quando finalmente riuscii a vedere mio
fratello Gale, rimasi molto turbata dalle bende che gli coprivano la schiena.
Avevo sentito dire da Rory che erano stati i
pacificatori a fargli del male e mi chiesi se non fossero proprio loro i draghi
nemici del nostro regno di cui parlava Vick. Ne avevo paura: ogni volta che
incrociavamo uno di loro per strada mi nascondevo dietro a mia madre. In casa
ero più tranquilla, ma la notte avevo spesso degli incubi. Sognavo dei draghi
infagottati in tute grigie, che volavano in circolo sopra di noi e scendevano
in picchiata per buttare giù la nostra casa. Quegli incubi mi turbavano molto e
mia madre impiegava sempre diverso tempo prima di riuscire a riaddormentarmi.
Il nostro castello incantato cominciava a non sembrarmi più molto sicuro.
Finché, un mattino, Vick non mi prese per mano e non mi portò nel piccolo
spiazzo di prato sul retro di casa nostra; lì ad aspettarci c’erano Rory e Prim. In mezzo a loro
torreggiava una colonna composta da cassette di legno ammonticchiate una sopra
l’altra. Erano state fissate con chiodi e nastro adesivo a formare una
struttura un po’ storta, ma tutto sommato stabile.
“Ogni castello incantato ha bisogno di
una torre” mi spiegò a quel punto Vick, appoggiandomi le mani sulle spalle. “La
soldatessa Lilo starà lassù di vedetta, così non
dovrai più preoccuparti per i draghi. Non riusciranno a entrare, non con lei
che ci protegge.”
“Nessuno può farti del male, nel regno
di Posy” aggiunse Prim con un sorriso. Mi fiondai
correndo verso la torre e Rory mi prese in braccio;
appoggiai la mia bambola sull’ultima cassa, sorridendo entusiasta.
“È bellissima!” dichiarai,
aggrappandomi al collo di mio fratello. “Grazie, principessa Rory!” aggiunsi, baciandolo sulla guancia. Lui arrossì e mi
guardò male.
“Non. Chiamarmi. Così” sillabò secco,
scoccando un’occhiata nervosa a Prim che, di fianco a
noi, rideva di gusto. Solo una cosa avrebbe potuto rendermi più felice di
quanto già non fossi in quel momento. E, come per magia, quella cosa arrivò.
“Principessa? Pensavo che Rory fosse il giullare di corte!” esclamò una voce,
facendomi voltare di scatto. Gale mi stava sorridendo con espressione divertita
e le mani appoggiate sulle spalle di Vick “Ce lo vedrei bene come buffone!”
proseguì poi, strizzandomi l’occhio. Rory gli rivolse
un’occhiata irritata, esordendo in un sarcastico ah ah. Il mio sguardo si accese di gioia.
“Sei guarito!” gridai, correndogli incontro:
era la prima volta che tornava a casa da giorni. Se Gale provò dolore, mentre
mi prendeva in braccio, non lo diede a vedere. Mi strinse forte come faceva
sempre e si avvicinò alla torre di legno.
“Ci sono anch’io in questo regno?”
chiese poi, circondando le spalle di Rory con un
braccio. Annuii con vigore, sistemando meglio Lilo
sulle cassette.
“Tu sei un orco e ci proteggi tutti!”
sentenziai solenne, facendo ridere Prim. “Uno buono,
però: non mangi i bambini!” precisai poi.
“Niente bambini, mangio solo le
principesse” rispose lui, dando un colpetto sulla nuca a Rory.
“Piantatela con questa storia!” si
inalberò il mezzano dei miei fratelli: più Prim
rideva e più lui arrossiva. Oh, Rory. Credo si fosse preso una bella cotta per lei; ci
divertivamo sempre un mondo a punzecchiarlo.
Tornai a spostare la mia attenzione
verso la torre e ne tastai deliziata il legno. Nella mia mente me la figuravo
ancora più bella: alta, solida e imponente.
“Devi dirci di che colore vorresti che
fosse” commentò Vick, con un sorriso. “Così possiamo immaginarcela per bene
anche noi.”
Non mi sfuggirono le occhiate complici
dei miei fratelli: probabilmente si aspettavano che avrei detto rosa, poiché
era da sempre il mio colore preferito. Mi schermai gli occhi con la mano per
guardare Lilo, che se ne stava seduta sulla cima.
Tutto a un tratto mi sentii veramente al sicuro; con quella torre di legno, una
bambola soldato e i miei fratelli, nessun drago avrebbe più potuto
raggiungermi.
“La voglio blu” annunciai infine con
decisione. “Blu come il cielo: così non crollerà mai!”
Ammirai il nostro regno con aria
soddisfatta, soffermandomi sui volti allegri dei suoi abitanti. I loro sorrisi
mi riempirono lo stomaco e il mal di pancia sembrò diminuire ancora una volta.
Osservai incantata la pila di casse di legno e chiusi gli occhi, immaginandola
dipinta blu. Sorrisi; una torre color del cielo era impossibile da buttare giù:
il cielo non crollava mai.
Ed io, nemmeno.
Nota dell’autrice.
Ed ecco qui il primo capitolo! So che in questi giorni sto pubblicando e
aggiornando a manetta, ma domani incomincio a lavorare e avrò poco tempo per
stare dietro a questi discoletti, perché sarò impegnata a rincorrere dei
pargoletti in carne ed ossa, così ho pensato di portarmi un po’ avanti questa
settimana!
In questo primo capitolo fanno comparsa, come anticipato in precedenza, gli
altri fratelli Hawthorne. Come dirà anche Posy nel
prossimo capitolo, la scena della torre è uno dei pochi ricordi felici che conserva
di quel periodo in cui tutti i suoi fratelli (e, in particolare, Gale) sono
sereni. Di Vick e Rory sappiamo molto poco (e anche
del rapporto fra i quattro fratelli Hawthorne) quindi
ho potuto fantasticare un po’ nel caratterizzarli e nel rendere le loro
dinamiche. Vick, come si nota anche nei racconti precedentemente scritti in cui
fa comparsa, l’ho sempre immaginato come quello più tranquillo e mite fra i
fratelli. È premuroso, volenteroso e molto dolce. “Vick il Vittorioso”, il nome
che affibbia alla sua controparte immaginaria, fa riferimento al significato
del suo nome, e al racconto in cui se ne parla: “The winnerlosesitall”. Rory lo immagino anche
come il tipico ragazzetto che cerca di atteggiarsi un po’ da “grande” ,
cercando di fare il duro, ed è anche per questo che i fratelli si divertono un
po’ a punzecchiarlo :P Mi piace anche immaginare che Rory
e Prim fossero molto uniti come i due fratelli
maggiori e che Rory avesse una cotta per Prim, come era già stato menzionato in How to Catch a Comet e viene approfondito in E.Y.E.S. O.P.E.N.
Ecco spiegati i piccoli accenni “Prory”.
Il prossimo
capitolo sarà molto corto e sarà il penultimo. Ne seguirà un terzo e poi il
tutto si chiuderà con l’epilogo! Grazie infinite alle persone che hanno
commentato lo scorso capitolo! Corro a rispondervi!
Quello di Lilo
in bilico sulla mia nuova torre blu cielo è l’ultimo ricordo allegro che
conservo del Distretto 12 in cui facciano comparsa tutti i miei fratelli. Il
giorno successivo venne annunciata la settantacinquesima edizione degli Hunger Games e il sorriso di Gale, già raro di per sé, si
perse del tutto; assieme al suo scomparve anche quello di Prim.
All’epoca ero convinta che finire in televisione fosse bello. Non sapevo in
cosa consistessero gli Hunger Games, ma una volta
avevo guardato un pezzo della parata ed ero rimasta affascinata dall’atmosfera
festosa, dai costumi dei partecipanti e dai capelli colorati di molti membri
del pubblico, che ricordavano quelli di Lilo. Non
vidi molto altro; anche se talvolta cercavo di sbirciare, mi era stato proibito
di guardare la trasmissione. Una sera, tuttavia, sgusciai fuori dal letto per
raggiungere Gale, che stava seguendo i Giochi dal televisore in cucina. Mi
arrampicai sulle sue ginocchia, ma lui sembrò accorgersi a stento del mio
arrivo. Non stava piangendo – Gale non piangeva mai – ma c’era tanta tristezza
nei suoi occhi e per un attimo mi domandai se non soffrisse anche lui di mal di
pancia. Notai anche della rabbia nel suo sguardo, sottolineata dal modo in cui
serrava i pugni. Feci appena in tempo a riconoscere Katniss, incorniciata dai
bordini neri dello schermo, che Gale spense il televisore.
“Non riesci a dormire?” mi chiese
infine. Scossi la testa, stringendomi Lilo al petto.
Tornai ad osservare mio fratello con attenzione; se vedere Katniss in
televisione rendeva lui e Prim così tristi, pensai,
gli Hunger Games non dovevano essere affatto belli.
Perciò presi una decisione.
“Nel Regno di Posy non si va mai in
televisione” dichiarai, in tono di voce solenne. “Nemmeno Catnip
ci va”aggiunsi, sperando di farlo
sorridere.
Gale mi guardò a lungo, facendo oscillare
sovrappensiero una delle mie trecce. Infine, il sorriso in cui tanto avevo
sperato arrivò: era lieve e svanì quasi subito, ma ne rimasi ugualmente
soddisfatta.
“Andiamo a dormire, scimmietta” mormorò infine
lui, passandosi una mano fra i capelli spettinati. Mi ero guadagnata quel
soprannome tentando di scalare la torre del Regno di Posy. La strigliata di mia
madre, quel giorno, mi impressionò a tal punto che non ci provai più, ma il
nomignolo rimase. “Sto crollando dal sonno e probabilmente anche tu.”
“No che non ho sonno!” obiettai, sorridendogli
furbetta. “Io non crollo mai!”
“Vorrà dire che sarà l’orco qui presente a
farti crollare a suon di solletico” mi minacciò lui, punzecchiandomi il fianco
con l’indice. Cercai di sfuggirgli, ridacchiando divertita. Non giocavamo
assieme dal giorno in cui i miei fratelli mi avevano mostrato la torre e quel
breve attimo di spensieratezza mi rese felice. Quando la sua espressione tornò
a incupirsi lo abbracciai forte e affondai il volto nella sua maglietta. C’erano
tante cose che avrei voluto dirgli, ma erano troppo grandi, ed io mi sentivo
talmente piccola, quella sera, così accoccolata fra le sue braccia, che mi
sembrava impossibile riuscire a tirarle fuori tutte. Mi sarebbe piaciuto dirgli
che non volevo più vederlo con gli occhi arrabbiati o tristi, perché nel Regno
di Posy si mangiavano i sorrisi e i suoi erano quelli che mi riempivano la
pancia più di tutti. Ma incominciavo ad avere sonno e così mi limitai a
stringermi più forte a lui, come immaginavo si dovesse fare con i papà. Volevo
che capisse quanto gli volessi bene e che ero felice: lo ero davvero. Anche se
là fuori c’erano i draghi e le notti stavano incominciando a farsi sempre più
fredde.
Quella fu l’ultima sera in cui mi
addormentai convinta che nulla avrebbe mai potuto farmi del male, finché mi
trovavo nel mio castello incantato. Ancora non sapevo che, nel giro di qualche
ora, del Regno di Posy non sarebbe rimasto altro che poche assi di legno
bruciate e una montagna di cenere. Perché quella notte la distesa blu scuro che
torreggiava sulle nostre teste e che tanto ammiravo da bambina si ruppe,
sgretolandosi di fronte ai miei occhi.
Perché quella notte il cielo crollò.
*
Ricordo poco dei bombardamenti e forse
è meglio così. Ma ancora oggi, ad anni di distanza, non ho dimenticato l’odore
acre del fumo e il rumore assordante delle esplosioni, né le urla dei feriti
ammassati ai margini del bosco. Ricordo Vick che piangeva in silenzio,
stringendomi forte a sé, mentre io affondavo il volto nella sua maglietta, per
nascondermi da quello che avevo visto e dalla paura che ancora avevo. Intanto
il cielo continuava a cadere, facendo a pezzi le case e i negozi. Crollava su Lilo, che mi era scivolata di mano mentre Gale mi prendeva
in braccio per portarmi fuori. Crollava sulla mia torre e sull’intero Regno di
Posy, producendo nuvoloni di fumo, come avrebbe fatto un drago infuriato.
Crollava sugli abitanti del Distretto 12, quelli che non erano riusciti a
mettersi in salvo. E crollava su di me, sgretolando tutto ciò in cui avevo
creduto fino a quel momento. Quella sera compresi che non c’era niente che non
potesse andare a pezzi. I poteri speciali che avevo da sempre attribuito al
cielo andarono in frantumi e, con quelli, anche i miei svanirono: smisi di
essere una fata dai capelli rosa e i reali della casata degli Hawthorne tornarono a essere ai miei occhi solo i membri di
una famiglia come tante. Nemmeno guardare le stelle mi incantava più; quando
venimmo trasferiti al Distretto 13 fu quasi un sollievo, per me, scoprire che
si trovava sottoterra. Certo, anche i soffitti potevano crollare. Ma questo,
almeno, l’avevo sempre saputo.
Nota dell’autrice.
Ed eccoci qui arrivati al secondo e penultimo capitolo, nonché
il più breve. C’è un motivo se questa parte è venuta fuori così corta, ma lo
spiegherò poi nelle note del prossimo aggiornamento. La scena Gale/Posy l’ho
inserita perché ci tenevo a dare a Posy un ultimo momento di sicurezza e serenità
prima dell’arrivo delle bombe, in maniera da accentuare ulteriormente il
cambiamento. Ho sempre immaginato che anche Posy chiamasse Katniss “Catnip” come il fratello, per quello la chiama così. Il
prossimo capitolo sarà ambientato diversi mesi dopo la rivolta e partirà dal
ritorno di Hazelle, Rory, Vick
e Posy al Distretto 12. Dopo di quello ci sarà solo più l’epilogo! Grazie
infinite alle persone che hanno recensito lo scorso capitolo! Corro a
rispondervi!
Capitolo 4 *** Capitolo 3: putting it Back Together ***
Capitolo 3| Putting it back Together;
Passarono parecchi mesi prima che
potessimo tornare a vivere nel Distretto 12. Molte persone vi si erano
stabilite già da tempo, e i più stavano dando una mano a ripulire le strade e
gli edifici dalla cenere e dalle macerie. Trascorsi il viaggio di ritorno verso
casa trotterellando qua e là per l’hovercraft e trascinandomi dietro Dru, un ragazzino dai capelli rossi con cui Vick ed io
avevamo fatto amicizia durante il periodo
sottoterra, così come lo chiamavo io. Ero impaziente di arrivare, perché
credevo che una volta atterrati avremmo trovato Gale ad accoglierci, magari con
una Lilo sporca di cenere, ma sana e salva fra le
braccia. Un mese prima si era fatto trasferire nel Distretto 2, ma speravo
ancora che, presto o tardi, sarebbe tornato a vivere con noi. Quando finalmente
venimmo lasciati ai margini del distretto, tuttavia, mio fratello non c’era e
nemmeno la mia bambola. Mi guardai attorno un po’ intimidita, disorientata dai
tanti cambiamenti che aveva subito il posto che ancora ci ostinavamo a chiamare
casa.
“Dove siamo?” chiesi, spaesata, quando
raggiungemmo la zona del Giacimento. Non riconoscevo le case, né i profili
delle botteghe che si potevano notare in lontananza. Quando passammo vicino al
Prato mi accorsi che era stato sostituito da una gigantesca fossa, per gran
parte già riempita di terra. Notai che mio fratello Rory
camminava a testa bassa, lo sguardo velato da una maschera di rabbia e dolore.
Vick, alla sua sinistra, sembrava altrettanto triste. Quando raggiungemmo il
punto in cui un tempo c’era stata casa nostra, mia madre aveva ormai gli occhi
lucidi. La vecchia abitazione a tre stanze in cui avevo vissuto fin da quando
ero nata non c’era più: il suo posto era stato occupato da un piccolo edificio
bianco che ricordava più lo stile sobrio del Distretto 13 che non le strutture
malandate e scurite dalla polvere di carbone del Giacimento. Quell’abitazione
modesta divenne la nostra nuova casa, ma ci vollero diversi mesi prima che mi
abituassi a considerarla come tale. Trascorsi quel primo pomeriggio a
scandagliare in lungo e largo la zona in cui vivevamo alla ricerca di Lilo, ma ovviamente non la trovai. Nei giorni successivi
proseguii con le mie opere di ricerca, raccattando qualsiasi oggetto mi
ricordasse anche solo minimamente la mia vita prima dei bombardamenti. Cercavo
una prova, qualcosa che mi aiutasse a credere che quel posto, così diverso da
quello che avevo lasciato quasi un anno prima, fosse ancora il Regno di Posy.
Tuttavia non ottenni mai un granché e così, gradualmente, smisi di cercare. Con
il passare dei giorni diventai sempre più irritabile e ribelle. Combinavo guai
di continuo e mia madre, che lavorava spesso fino a tardi, quando rincasava
doveva anche trovare il tempo per porre rimedio alle mie marachelle. Non sono
sicura del perché mi comportassi così; credo fosse il mio modo di reagire alla
tristezza che mi vorticava intorno e che percepivo ovunque: negli sguardi dei
passanti, che avevano perso una casa e dei familiari a cui volevano bene. Nei
sospiri di mia madre, che guardava spesso fuori dalla finestra come se si
aspettasse di veder tornare Gale da un momento all’altro. Nei silenzi di Rory, che era diventato insolitamente chiuso e taciturno,
da quando Prim era morta. Combinare guai fu il
rimedio migliore che mi venne in mente per sovrastare il rumore di tutta quella
tristezza, in maniera da non doverla più sentire.
E poi, un giorno, Dru
ed io trovammo la scatola. Non era
niente di speciale: solo una cassetta di legno un po’ sporca, di quelle che si
trovano sui banchi di frutta e verdura al mercato. Qualcuno l’aveva abbandonata
sul vialetto di fronte a casa di Dru e, quando passai
da lui quel pomeriggio, trovai il mio amico pel di carota intento a gettarci
dentro dei sassolini. La vista di quella scatola risvegliò qualcosa, in me.
Ricordai il pomeriggio in cui avevo visto per la prima volta la torre di Lilo ed evocai la gioia con cui avevo appoggiato la mia
bambola sulla cassetta più alta.
“Una volta avevo una torre” rivelai a
quel punto con un sorriso, accovacciandomi per poter esaminare meglio la
cassetta. “L’avevano fatta i miei fratelli con tante scatole come questa.”
“E a cosa serviva?” chiese Dru, sfregandosi il naso puntellato di lentiggini.
“A tenere lontani i draghi dal mio
regno” spiegai con orgoglio. “Il Regno di Posy.”
Dru mi rivolse
un’occhiata confusa, così mi sedetti accanto a lui e incominciai a raccontare.
Gli parlai dei reali della casata degli Hawthorne,
del soldato Lilo e dei Draghi Pacificatori. Man mano
che ricostruivo a voce alcuni particolari del mio mondo di fantasia, il Regno
di Posy tornava ad assumere forme maggiormente distinte anche nella mia testa.
Da bravo maschietto di quasi otto anni qual era, Dru
tentò di mostrarsi scettico nei confronti del mio racconto. Tuttavia non mi
sfuggì la scintilla di curiosità che si era accesa nel suo sguardo mentre
parlavo, come accadeva ogni volta che suo nonno Jonathan ci raccontava una
storia.
“E adesso dov’è questa torre?” chiese
infine, sollevando la scatola per esaminarla meglio.
“L’hanno distrutta” mormorai, chinando
il capo. “È stato il cielo” aggiunsi, appoggiando il mento sui palmi delle
mani. Lui mi rivolse un’occhiata interrogativa, ma non fece altre domande. Il
mio sguardo si fece vacuo per qualche istante, prima di tornare alla scatola.
Un pensiero improvviso mi stuzzicò la mente e raggiunse le mie labbra,
inarcandole in un sorriso. Scattai in piedi sotto l’espressione sorpresa del
mio amico.
“Costruirò un’altra torre” dichiarai
infine, annuendo soddisfatta. “E la regalerò ai miei fratelli!”
Dru valutò le mie
parole con espressione pensosa, prima di ricambiare il mio sorriso.
“Ti aiuto!” propose infine, alzandosi
in piedi con la scatola sotto il braccio. Avremmo dovuto ripartire da zero, ma
quel pensiero non mi spaventava. Il cielo era crollato una volta, ma il Regno
di Posy c’era ancora e, da quel giorno, incominciai a rimetterlo in piedi.
*
Nel corso dei giorni successivi Dru ed io andammo alla ricerca di cassette, assi e pezzi di
legno, che accumulammo nel prato dietro casa mia. Spiegai a Vick che cosa avessimo
intenzione di fare e lui chiamò a raccolta un paio di suoi coetanei, perché ci
dessero una mano. Quel pomeriggio incominciò ad assemblare con loro la
piattaforma su cui avremmo costruito la torre. Avrei voluto chiedere aiuto
anche a Rory, ma in quel periodo trascorreva interi
pomeriggi nei boschi per conto suo e di rado rincasava prima di cena. Ben
presto la legna che avevamo messo da parte incominciò a scarseggiare, così
ripresi a ispezionare le bancarelle dei mercati e il retro delle botteghe alla ricerca
di cassette. Non soddisfatta del poco che ero riuscita a recuperare, pensai di
provare a cercare della legna nel bosco. L’idea di addentrarmici da sola mi
spaventava, perciò mi limitai a ispezionarne i margini, alla ricerca di piccoli
tronchi e bastoni. Un mattino, mentre tentavo di spezzare un ramo basso di un
albero, attirai l’attenzione di un ragazzo che stava maneggiando una carriola.
Smisi subito di tirare, per paura di venire sgridata: non ero sicura di poterlo
fare e non volevo che quel giovane andasse a riferire tutto a mia mamma.
“Ciao!” mi salutò lui, avvicinandosi di
qualche passo. Aveva un sorriso gentile, ma gli scoccai comunque un’occhiata
diffidente. “Vuoi che ti aiuti?” chiese ancora il ragazzo, indicando l’albero.
Non risposi subito: mia madre mi
ricordava di continuo che non dovevo parlare con gli sconosciuti. Lui però lo
conoscevo, anche se non bene: si chiamava Peeta. L’avevo visto spesso con
Katniss e, qualche volta, anche a casa del signor Abernathy, quando mia madre
mi portava con sé al Villaggio dei Vincitori. Tuttavia, ogni tanto, avevo
sorpreso Gale a lanciargli strane occhiate e non ero sicura che gli stesse
molto simpatico. Per questo scossi il capo e mi nascosi dietro l’albero, quando
il giovane si accovacciò di fianco a me.
“Sei Posy, vero?” domandò lui,
continuando a sorridermi con gentilezza. Annuii. Non sapevo come facesse a
conoscere il mio nome, ma quel fatto mi tranquillizzò leggermente. Se sapeva
come mi chiamavo era ancor meno un estraneo di quanto pensassi.
“I tuoi fratelli non ci sono?” chiese
ancora il ragazzo. Feci di nuovo no con la testa e sgusciai fuori da dietro
l’albero.
“Ci serve della legna per costruire una
torre” rivelai poi, aggrappandomi a un ramo.
“Una torre?” ripeté lui, incuriosito.
Annuii nuovamente. Peeta mi rivolse un’occhiata pensierosa.
“Sai, ho giusto un po’ di legna che mi
avanza, a casa” disse infine. “Vuoi che te la porti?”
Quella proposta sciolse la punta di
diffidenza che era rimasta sul mio volto. Sorrisi raggiante e Peeta interpretò
quell’espressione come un sì.
“Vado a prendertela” dichiarò infine,
tornando alla sua carriola. Quando, poco più tardi, fece comparsa sul vialetto
di fronte casa nostra, gli andai incontro correndo, mentre mia madre mi
sorvegliava dall’ingresso. Ricordo bene il loro scambio di sguardi e
l’espressione d’un tratto esitante di Peeta. Sembrava quasi che volesse
scusarsi o chiedere il permesso per poter parlare con me. Dopo quel primo
momento di disagio mia madre lo ringraziò e gli offrì qualcosa da bere, ma lui
declinò con gentilezza. Portò la legna sul retro e si offrì di dare una mano a
Vick con la torre. Al contrario di Rory, che si
mostrò insolitamente freddo con lui, il minore dei miei fratelli accettò di
buon grado, lieto di avere un po’ di aiuto in più. Nel corso della settimana
successiva ci spostammo a lavorare nel prato di fronte casa e le nostre operazioni
incominciarono ad attirare l’attenzione dei passanti. Peeta Mellark era
stato il primo a offrirci il suo aiuto, ma presto arrivarono altre persone. Rory, che aveva messo da parte le sue abitudini solitarie
per partecipare a tempo pieno al progetto, ingaggiò alcuni compagni di scuola e
Dru chiese aiuto al padre e a sua sorella Maki. Thom, un amico di
Gale, portò altra legna, dei chiodi e qualche attrezzo, offrendosi di montare
le pareti della torre sulla piattaforma.
Mentre il nostro progetto
germogliava, anche la zona del Giacimento stava tornando a fiorire. I detriti e
le macerie erano già stati per la maggior parte rimossi e molte case
danneggiate dai bombardamenti, ma ancora agibili, vennero riparate. Il Prato
ricominciò a crescere e riprese presto a riempirsi degli schiamazzi dei
ragazzini della zona. Anche la mia torre crebbe, grazie al lavoro di un gruppo
sempre più numeroso di persone. Quando fu ultimata qualcuno propose di ampliarla,
affiancandoci un fortino. Approvai con entusiasmo, immaginando quanto sarebbe
stato bello avere uno spazietto tutto per me in cui poter giocare. Il nostro
progetto, sviluppato al solo scopo di far sorridere me e i miei fratelli,
sembrava aver smosso qualcosa in alcuni dei superstiti dei bombardamenti. Tutti
loro avevano perso una casa e molti avevano avvertito la terra tremare sotto i
propri piedi, la notte delle esplosioni. Quelle persone, come me, avevano visto
il cielo crollare e grazie a quel fortino incominciammo a ricostruirlo, pezzo
per pezzo. Assieme, perché non cadesse mai più. A lavoro ultimato, la mia torre
si era trasformata in un autentico castello in miniatura con tanto di ponte
levatoio e una pedana a pioli che portava alla piattaforma. Dipingemmo il
fortino di blu e ne tappezzammo il soffitto con stelle di vernice gialla. Peeta
disegnò per me i ritratti degli abitanti del Regno di Posy, perché li potessi
affiggere alle pareti. Ne fece diversi, incominciando da quelli delle persone che
erano cadute in battaglia come eroi, combattendo per proteggere il nostro
regno. La prima fu la soldatessa Lilo con i suoi
capelli rosa: venne raffigurata in bilico sulla nostra prima torre di legno.
Poi fu il turno della dottoressa Prim, con le guance rosse
e il suo solito sorriso gentile. Quei ritratti mi aiutarono a mantenere vivo il
ricordo di tutto ciò che la guerra mi aveva portato via. Al sicuro nel mio
fortino scelsi di credere che le persone che io e gli altri abitanti del
Distretto 12 avevamo perso durante la rivolta non se ne sarebbero mai andate
veramente: facevano ancora parte del Regno di Posy e sarebbero rimaste lì, fino
a quando non le avessimo dimenticate.
Con il trascorrere dei mesi, ripresi a essere
la bambina solare e vivace di un tempo. Di tanto in tanto i draghi del passato
tornavano a farmi visita, ma il più delle volte erano sufficienti un abbraccio
di mia madre, le parole di conforto dei miei fratelli o una favola raccontata
da Dru per riuscire a scacciarli.
Questi sono i ricordi che conservo di
quel periodo; non sono certa che ogni cosa sia andata esattamente come l’ho
memorizzata. In fondo, all’epoca, avevo solo cinque anni. Questo è
semplicemente il modo in cui ho scelto di ricordare ogni cosa.
Nota dell’autrice.
Ed eccoci finalmente arrivati all’ultimo capitolo di
questa storia (manca solo più l’epilogo!). Qui fanno comparsa un paio di
personaggi che non c’erano nei precedenti; Dru, che
qualcuno conosce, è il piccolo co-protagonista di nonno Jonathan in “Raccontami il
Verde”, ed è un ragazzino del Distretto 13. Ho sempre pensato che, dopo la
rivolta, Dru e la sua famiglia avessero deciso di
cambiare aria e che si fossero trasferiti nel Distretto 12. Era già stato
menzionato anche verso la fine di A FlowerthatBlooms in Adversity”, anche se non era stato detto il nome. Per
quanto riguarda Peeta, mi sembrava la persona più adatta ad aiutare Posy; in
fondo quel ragazzo ha seriamente tanta pazienza e un cuore grande come una casa
e vedevo il suo gesto plausibile. Credo che non sia stato semplice per Hazelle e soprattutto Rory (che
ho sempre immaginato molto legato a Gale) accettare il suo aiuto, ma penso
anche che volessero tutti fare il possibile per aiutare Posy a tornare la
bambina spensierata di una volta. Tra l’altro lo vediamo vicino ai boschi con
la carriola, perché stava andando a prendere le primule per Katniss, come si
accenna ne “Il Canto della Rivolta”.
Per quanto riguarda la lunghezza dei capitoli, credo che
questo sia il più lungo dell’intera mini-long e in effetti c’è un motivo a
riguardo, che si allaccia alla citazione iniziale inserita nel prologo, quella
di Finnick: di suddividere le varie scene seguendo
una mia logica un po’ bizzarra. Come dice Finnick in Mockingjay, «Rimettere insieme i pezzi richiede dieci volte il
tempo che serve per crollare.» Per
questo la parte di storia legata al “rimettere insieme i pezzi” e dunque alla ricostruzione è piuttosto lunga, mentre
la parte incentrata sul crollo, in confronto, è molto breve. Al tempo stesso ho
pensato che Posy ricordasse molto poco delle esplosioni, proprio perché era
stato un episodio inaspettato e traumatico. Per questo la ragazza si sofferma
così poco sulla parte dei bombardamenti. Che altro aggiungere? Questa parte
avrebbe dovuto essere ancora più lunga, e avrebbero dovuto far comparsa altri
personaggi – fra cui Delly Cartwright che ha dato una
mano nel dipingere e decorare l’interno della casetta – ma ho dovuto tagliare
un po’ di scene per riuscire a rientrare nel limite previsto dal contest.
Penso di aver detto tutto! Un grazie di cuore alle persone che hanno
continuato a seguire e a recensire questa storia! Spero tanto che questo
capitolo non vi deluda, così come l’epilogo (che sarà ambientato nel futuro,
quando Posy ha più o meno 20 anni).
Distendo le gambe lungo la panca di
legno, facendo scricchiolare le assi, e guardo fuori. Ormai riesco a mettermi
in questa posizione soltanto piegando leggermente le ginocchia. La Casa Blu
Cielo, così come la chiamano i miei nipoti, non è adatta a ospitare persone di
età superiore ai tredici anni, ma i miei fratelli ed io tendiamo spesso a
dimenticarlo. Ci siamo cresciuti, qua dentro. Farci un salto ogni tanto mi
aiuta a ricaricare le pile, specialmente durante le giornate estive come
questa. Appoggio i gomiti sul legno della finestra e sorrido a Vick, che sta
tagliando l’erba nel cortile della casa a fianco. Se mi sporgessi un po’ di
più, probabilmente, riuscirei a individuare la zazzera rossa di Dru, intento a trafficare con dei fili annodati di un
aquilone, sotto lo sguardo attento di mio nipote Joel. Un rumore di passi
affrettati stuzzica il pavimento della casetta e le assi scricchiolano di
nuovo, dando il benvenuto a due bambini quasi identici, se non fosse per il
colore degli occhi. Adam e Noel hanno appena quattro anni, ma in quanto a
energie farebbero invidia a un vero e proprio esercito.
“Zia, zia, nascondimi!” mi supplica Adam,
strisciando sotto la panca.
“No, nascondi me!” esclama Noel,
buttandosi a terra dietro al fratello. Faccio loro scudo con le gambe, mentre
un secondo rumore di passi mi avvisa che i due acquisti più giovani della
“prestigiosa casata degli Hawthorne” non sono
arrivati da soli.
“C’è un orco, qui sotto!” esclama
infatti poco dopo Haley Mellark, arrampicandosi nel fortino. “Un orco
puzzolente!” aggiunge con aria da discola, facendo ridere i due gemelli. Una
mano spunta da fuori e afferra il piede della bambina, strappandole un grido.
“Adesso ti mangio!” esclama in tono
minaccioso una voce che riconosco all’istante come quella di Rory. La sua testa fa capolino dall’apertura d’ingresso
della casetta, mentre Haley si libera ridendo dalla sua presa. “Sono un orco
molto affamato!” enfatizza mio fratello. Infila un braccio sotto la panca e
cerca di afferrare la caviglia di Adam. Mi metto in mezzo, per trarre in salvo
i miei nipotini dall’attacco dello zio.
“Ehi, un momento! L’orco non ero io?”
obietta in quel momento una seconda voce. Sbircio fuori dalla finestra e
individuo Gale, appoggiato a una delle pareti della casetta: il suo sguardo è
completamente assorbito dalle corse del figlio, che sta facendo volare
l’aquilone. Sembra sereno, ma lo conosco troppo bene per poter sperare che
quell’espressione rilassata possa durare più di qualche manciata di minuti.
“Se sei tu l’orco allora vieni a
prenderci, papà di Joel!” lo stuzzica Haley, affacciandosi alla finestra.
Lascio i miei fratelli e i bambini ai loro giochi ed esco, sedendomi a gambe
incrociate sulla piattaforma che fa da supporto al fortino. Sorrido, notando
due piccole scarpe da ginnastica rosa che spuntano da dietro la torre: una
bambina con i capelli biondi è distesa sul prato a pancia in giù e sta
osservando una coccinella con aria affascinata.
“E tu che combini da sola là sotto?”
chiedo, facendole l’occhiolino. Mia nipote mi sorride, nascondendo poi
imbarazzata il visetto contro gli avambracci.
“Ho paura a salire” spiega poi,
mettendosi a sedere. “E se la casa si rompe?”
“Non si romperà” le prometto, scendendo
a terra con un balzo. “L’ho costruita io e le cose che fa zia Posy sono
indistruttibili. E poi questo regno ha bisogno di una principessa e tu saresti
perfetta per la parte.”
La bambina mi sorride e, con un po’ di
esitazione, afferra la mano che le tendo.
“Anch’io sono una principessa!” ci
informa Haley da dentro il fortino. “Ma se siamo in due e più divertente!”
Mentre aiuto mia nipote a salire, la
paura scompare gradualmente dal suo volto: nonostante assomigli molto a sua
madre Eileen, ha ereditato da Rory la determinazione
tipica degli Hawthorne. Torno a sedermi a gambe incrociate
sulla piattaforma e la bambina si sdraia al mio fianco, allungandosi sul legno.
“Com’è bello, qui!” esclama infine con
un sorriso. “Sembra quasi che siamo sul cielo, perché è tutto colorato di blu!”
Sorrido anch’io, facendole una carezza
sulla testa.
“Benvenuta nel Regno di Posy,
principessa Prim” mormoro infine, facendole il
solletico. Prim si rannicchia su se stessa per
sfuggirmi, sorridendo divertita. Infine torna a sdraiarsi sulla piattaforma,
puntando gli occhi grigi verso l’alto. Sollevo il capo per fare lo stesso,
filtrando la luce del sole con le dita. Ce ne stiamo così per un bel pezzo, in
silenzio e con lo sguardo rivolto alle nuvole. Di tanto in tanto un raggio più
forte degli altri ci raggiunge, costringendoci a serrare le palpebre. In quei
momenti il buio arriva all’improvviso e le nuvole scompaiono, dandomi
l’impressione che il cielo stia di nuovo cadendo a pezzi. Tuttavia mi basta
riaprire gli occhi per far tornare ogni cosa al proprio posto. A quel punto
sorrido, mantenendo lo sguardo puntato verso l’alto: la distesa azzurra è
ancora sopra di noi.
Il cielo non crolla più da anni, ormai.
Ed io nemmeno.
Nota dell’autrice.
Dopo millemila anni sono
finalmente riuscita a convincermi a postare l’epilogo di questa mini-long. Poiché la storia si apriva con Prim
e Posy sdraiate a terra che guardavano il cielo, ho pensato di dare al racconto
una struttura circolare e di chiuderlo allo stesso modo, con la Posy ragazza
che guarda il cielo assieme alla nipotina. Ho scelto la figlia di Rory, proprio perché nel mio head-canon
personale la bambina si chiama Prim (solo Prim, non Primrose). C’è tutta una spiegazione dietro, ma
si allaccia a un’altra mini-long che ho scritto dedicata proprio al rapporto
fra Rory e Prim. Ovvero: E.Y.E.S. O.P.E.N.
Per quanto riguarda gli altri bimbi che fanno comparsa nell’epilogo, anche loro
sono stati prelevati dal mio head-canon personale:
Adam e Noel, sono i due gemellini di Vick e hanno già fatto comparsa in S.O.S. Hawthorne, mentre Joel è il primogenito di Gale. Haley
Mellark, ovviamente, è la figlia di Katniss e Peeta. Mi è sembrato carino
introdurla, visto che il padre ha contribuito molto nella costruzione della casetta.
Gale, nel mio head-canon personale, torna al
Distretto 12 quando Joel ha più o meno otto anni, per questo i due sono
presenti nell’epilogo di questo racconto.
Ringrazio infinitamente le quattro
persone che hanno seguito questa storia fino a qui, corro subito a rispondere
ai vostri commenti. Spero tanto che l’epilogo possa piacere a voi e a chi ha
seguito silenziosamente la storia di Posy!