Audax Seraphini Genus. --L'audace stirpe di Serafino--

di Jecky Ru
(/viewuser.php?uid=651141)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** --Dove sorge il sole-- ***
Capitolo 3: *** --Team Dragon ***



Capitolo 1
*** Prologo. ***


La luce del tramonto era appena sparita dietro l’orizzonte quando il ragazzo immortale si levò dal proprio giaciglio. L’antro nel quale viveva era fatto di mattoni e cemento, con spesse mura rotondeggianti che gli assicuravano la protezione dai raggi solari. Non c’erano finestre, naturalmente. Il clima era umido: evidentemente fuori stava piovendo a dirotto. Succedeva molto spesso ultimamente: delle goccioline d’acqua riuscivano ad infiltrarsi, raggiungendo i meandri più profondi del castello, fino ad arrivare nei sotterranei, dove viveva lui. Come era solito fare ogni sera al suo risveglio, andò verso la vecchia porta in legno ed uscì dalla sua stanza. In un istante si trovò alle pendici di una lunga scalinata che portava verso l’alto. Con un’andatura lenta ed inesorabile il vampiro si fece strada nel buio, sicuro che i suoi sensi molto sviluppati gli permettessero di muovere passi sicuri anche nell’oscurità.
Erano cento scalini quelli che lo separavano dal resto della sua famiglia, li aveva contati giorni addietro. Fu quando ebbe raggiunto l’ultimo che posò le mani sulle fredde grate di ferro che costituivano assieme a del legno di quercia la botola segreta sopra di lui. Spinse, ma il portello non si aprì. Spinse allora con più vigore, ma c’era qualcosa che impediva la sua apertura. Sospirò profondamente, seccato dal fatto che il consiglio dato notti prima all’altra persona fosse stato ignorato, ed ora si trovasse lì, obbligato a sfondare la botola.
Con un fragoroso rumore che rimbombò lungo tutti i vicoli di pietra, la trappola nel pavimento si spalancò, ma il portello era andato distrutto.
Allora si levò dal basso verso l’alto, diretto verso la finestra in fondo al corridoio. La grande vetrata in stile gotico che lo separava dall'ambiente esterno era opaca, ma si potevano distinguere chiaramente le gocce di pioggia che si riversavano violentemente lungo tutta la vallata alle pendici della collina dove sorgeva il castello della Cornovaglia. Senza la minima esitazione, aprì un piccolo varco proprio al centro della grande finestra, per poi buttarsi a peso morto nel vuoto.
Passarono solamente pochi istanti dal momento in cui si ritrovò a terra, dopo un’agile capriola e un atterraggio perfetto. Non aveva nemmeno preso una protezione contro la bufera. Ma infondo non ne aveva bisogno. L’acqua non poteva privare le sue carni del calore vitale, in quanto esse erano più bianche e fredde della morte stessa. Per il resto si sarebbe asciugato una volta tornato al castello. Vagò per la valle in cerca di cibo, finché non arrivò al villaggio che si estendeva a pochi chilometri di distanza dalla propria residenza. Era molto raro poter trovare un centro abitato che riproducesse tutte le caratteristiche di molti secoli prima, in quel mondo così tecnologico come era quello del Duemilacento. Il vampiro sgattaiolò tra le mura del villaggio, deciso a scovare le proprie vittime. Fu dentro una taverna che le trovò. Con suo immenso dispiacere notò che l’interno del locale possedeva un arredamento completamente al passo coi tempi, moderno e virtuale. Per sua fortuna c’erano molte persone, anche se la maggior parte erano radunate intorno ad un grande e sottile schermo che sorgeva sulla parete più a nord. Stavano trasmettendo una partita di calcio. Ma non era quello che interessava al vampiro. Egli chiuse gli occhi e si concentrò, scrutando l’anima di ognuno dei presenti, scovando le persone che avrebbero potuto nutrirlo anche per quella sera. Le trovò nell’angolo più remoto della taverna: era un gruppo di tre uomini, tutti trasandati e sopra i cinquant’anni. Il ragazzo immortale s’avvicinò di soppiatto, scivolando come un’ombra tra la gente. Avrebbe agito di nascosto e in modo celere, non lasciando testimoni. Molto difficile a farsi, trovandosi in un locale pieno di persone. Poi il momento fatidico arrivò: un gran coro di urla ed esulti provenne dalla marmaglia lì attorno quando uno dei giocatori segnò un goal, provocando lo scompiglio generale. Fu proprio in quell’istante che egli afferrò con forza il primo dei tre uomini e lo tirò a se, sparendo in mezzo alla folla esultante. Immobilizzandolo, lo morse alla gola, sentendo scivolare un grosso fiotto di sangue tra le fauci. Succhiò due, tre volte, fin quando non sentì il battito del cuore della propria vittima rallentare. Solo allora lo lasciò andare: sapeva fin troppo bene che se l’avesse ucciso in seguito avrebbe dovuto litigare con la persona che lo aspettava al castello. Non era una bella sensazione doversi staccare dalla vittima prima di aver finito, interrompendo così il proprio pasto succulento, ma doveva farlo per lei, per quella creatura che probabilmente era già al corrente della sua fuga silenziosa. Doveva farlo, perché l’amava.

Lasciò andare l’uomo in mezzo alla calca, andando velocemente verso gli altri due. La sua indole lo avrebbe spinto a mostrarsi apertamente alle sue vittime, distruggendole un secondo dopo. Ma non poteva infrangere il giuramento di segretezza, così si limitò ad osservarle, aspettando il momento propizio per colpire nuovamente. Ci furono altri due goal, ed egli ripeté la stessa mossa. Alla fine, dopo aver bevuto metà del sangue dei tre uomini, fu sazio e poté uscire dalla taverna, diretto verso il castello. Fortunatamente la tempesta s’era placata, ed ora solo qualche gocciolina cadeva solitaria dal cielo. Il vampiro alzò la testa verso l’alto. Già, le stelle…
Per quanto tempo gli astri lucenti avevano influenzato la sua vita e le sue decisioni. Ma ormai quel tempo era passato, le sue abitudini cambiate.
Durante il viaggio di ritorno ebbe l’occasione di nutristi anche del sangue di qualche animale. Questa volta uccise senza pietà, in quanto cacciatore. Con due salti eleganti arrivò alla finestra gotica precedentemente spalancata, entrò e si trovò nuovamente nel corridoio. Lo percorse fino alla fine, svoltando successivamente a destra. Dopo pochi minuti si ritrovò davanti alla grande porta che lo separava dalla sala. Sapeva che la persona amata era lì dentro, poteva percepirne la forte presenza. Con un movimento ampio e deciso il giovane spalancò le alte ante della porta, entrando in un grande salone. Proprio al centro v’era un lungo tavolo rettangolare, sopra il quale erano sparsi diversi fogli pieni di scarabocchi. Si avvicinò cautamente al tavolo, notando che l’altra persona stava seduta sulla grande poltrona davanti al fuoco dal camino, girata di spalle.
Arrivato a cinque metri dalla poltrona egli si fermò, aspettando che il suo amore gli rivolgesse la parola. « Hai rotto la botola, imbecille ».
Al suono di quelle parole il vampiro incrociò le braccia e assunse un’aria severa. « Senti da che pulpito viene la predica… ti ho informata diversi giorni fa che il portello aveva delle difficoltà ad aprirsi ». Passarono alcuni secondi da quell’affermazione; un leggero ticchettio di tasti risuonò per la sala, poi la ragazza aggiunse con aria distratta: « Non era un problema mio… ».
Di norma avrebbe risposto con più vigore, magari alzandosi in piedi ed insultandolo un poco. Lui lo sapeva, la conosceva molto bene. C’era una sola spiegazione per quel comportamento così flemmatico.
« Stai ancora lavorando a quel progetto? »
« Ho appena cominciato ».
A quel punto una frase di scherno uscì dalla bocca del ragazzo: « Sono molte notti che hai appena cominciato. Sinceramente, non vedo sbocchi per questa tua iniziativa »
« È proprio la dolcezza, la cosa che mi piace di te » disse la ragazza di rimando, questa volta in tono leggermente più forte. Fu allora che egli raggiunse la poltrona dove la sua compagna era solita sedere tutte le notti, notando che era ricurva su un piccolo computer portatile. Stava scrivendo una storia.
Lui si sedette sul braccio destro della poltrona, ma appena ebbe compiuto quel gesto la ragazza alla sua sinistra smise di scrivere, prendendo ad osservare il fuoco e blaterando: « Non vorrai mica stare in mia compagnia? »
« Volevo solo vederti al lavoro »
« Sai benissimo che se stai così vicino non mi concentro! Vattene da qualche altra parte… ».
Con un sorriso malizioso il vampiro s’avvicinò all’orecchio della ragazza e spifferò in tono provocante:
« Adoro molestarti in questo modo ».
« Se non sparisci immediatamente… » minacciò passivamente la ragazza. « Possibile che non hai nient’altro da fare? »
« Qualcosa ci sarebbe… » affermò lui in un sussurro, baciandole lentamente la testa.
Lei smise del tutto di scrivere, guardò il suo compagno negli occhi e scosse la testa in segno di finta disapprovazione, per poi sistemarsi per bene sulla poltrona e cancellare con un pulsante tutto ciò che aveva scritto fino ad allora. Il vampiro distese un braccio lungo tutto lo schienale, avvicinando la faccia allo schermo. « Non vuoi che legga? »
« Leggerai quando sarà pubblicato »
« Vuoi davvero scrivere una parte della tua vita? »
« Non una parte qualsiasi… Rilke mi sta assillando ogni sera con questa storia, se la scrivessi da qualche parte non sarei più costretta a raccontargliela prima di metterlo a letto! »
« Di che parte si tratta? » chiese allora curioso lo schiavo della notte, vedendola sorridere come se avesse qualcosa di inaspettato in serbo per lui.
« Ci sarai anche tu nel racconto, se è questo quello vuoi sapere »
« Il nostro primo incontro? » ipotizzò il ragazzo immortale.
« Esatto » confermò lei. « Il nostro primo, disastroso incontro… e quello che ne derivò negli anni successivi ».
Lui parve soddisfatto da quella risposta, così si alzò e rimase in piedi davanti al fuoco. « Se le cose stanno così, allora andrò a cercare la compagnia di Rilke e Malvolio… spero che terminerai in fretta il tuo racconto » e dicendo questo il vampiro s’allontanò dal camino, tornando a passi svelti verso il corridoio.

La ragazza sbuffò annoiata: era la centesima volta che tentava di iniziare quella novella, ma poi rileggeva le frasi scritte e scuoteva la testa, cancellando tutto il lavoro fatto. Ciò che scriveva era approssimativo e confuso. Forse perché nemmeno lei aveva le idee chiare. Allora decise che avrebbe impiegato due minuti per ricordare: chiuse gli occhi, portò le mani alle tempie ed ecco che le prime vivide immagini le si disegnarono nella mente. Senza nemmeno riaprire le palpebre cominciò a digitare i piccoli pulsanti delle lettere sulla tastiera del computer, dando vita alla storia.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** --Dove sorge il sole-- ***


DOVE SORGE IL SOLE

 

Se credi che questo sarà l’ennesimo trastullo con cui poterti sollazzare, in attesa che passi del tempo altrimenti inutilizzato, sappi che ti sbagli. Non mi interessa ciò che pensano gli altri, non sono qui per il loro piacere. Se mi trovo qui a scrivere del mio passato lo devo solo alle insistenti richieste di Rilke che ogni sera, puntualmente, mi prega di raccontagli questa storia. Ho pensato che se l’avessi scritta da qualche parte avrebbe smesso di lagnarsi e di farmi ripetere sempre le stesse cose. Inoltre gli altri miei due compagni di vita ora non sono qui, perciò ne approfitterò per rievocare dei bei momenti. Premetto che sono passati tanti anni dal tempo di quest’esperienza, e mi scuso se a volte le descrizioni saranno superficiali ed imparziali. Durante il racconto parlerò al passato, in quanto sono cambiate molte da cose da quando la mia avventura ebbe inizio. L’unica cosa che è rimasta uguale, oltre i miei riccioli color cioccolato ed i miei occhi blu elettrico, è il mio nome.

Mi chiamo Iscah e all’epoca facevo parte di quella razza che gli uomini chiamano vampiri. Essere un angelo caduto, un diverso, un immortale, schiavo della notte e delle tentazioni. Succube di un futuro destinato a svolgersi nel buio, in cambio di una forza senza pari. Una cosa grandiosa, senza dubbio.
In realtà, far parte di loro mi lasciava totalmente indifferente. La mia nuova vita, la vita nella morte, non era dipesa dalla mia volontà.
In quegli anni si sentiva parlare dei vampiri come esseri immortali, con molti secoli di vita alle spalle. Di mostri invincibili che usavano uccidere senza pietà le loro prede, dissanguandole. Alcuni sostenevano che fossero persone dannate, che bramavano di conquistare il mondo e di distruggere tutto e tutti quelli che si imbattevano nel loro cammino. Questi grandi esseri, così malvagi, alla sola vista del crocifisso si sarebbero consumati nel fuoco, ardendo nei loro stessi peccati, e non v’era miglior repellente dell’aglio per tenerli lontani. Giravano voci che narravano di sanguinose e brutali guerre della razza vampirica contro quella degli Uomini Lupo. Altre, invece, si limitavano ad affermare che molto tempo prima fosse esistito un certo conte Dracula, il vampiro per eccellenza, terribile e spietato, amante della lussuria e del vizio.
Bene, io non ero nulla di tutto ciò.
Immortale? Forse, ma ero una vampira da circa un anno e non vantavo alcun tipo di esperienza al riguardo.
Invincibile? Magari.
Bramosa di sangue? No. Classificata nelle schiere dei succhia sangue pusillanimi, innocenti, o per qualcuno considerati buoni, non avevo mai recato danno a un essere umano. E questo non era affatto un bene, per me.
Per quanto concerne il crocifisso e l’aglio… tuttora il primo figura nella maggior parte dei miei monili d’oro e caucciù, mentre il solo effetto del secondo consiste nell’olezzo insopportabile.
Riconosco, a mio malgrado, che al tempo non ero in possesso di un carattere semplice, ma bensì complicato e assai difficile da sopportare. La mia intelligenza si univa alla testardaggine, il narcisismo all’insicurezza. La tendenza all’autodistruzione rendeva vani i miei periodi brillanti e socievoli. Tuttavia avevo imparato a cavarmela da sola fin da piccola, crescendo senza l’aiuto di nessuno. Ma questa è un’altra storia, che presto o tardi aggiungerò al mio elenco di memorie da riportare scritte.
In quest’occasione ho deciso di narrare una delle mie vicende preferite, e guarda caso anche di Rilke: quella del mio sbarco a Tokyo, in una notte di metà ottobre. Tutto ciò che mi ero portata per il viaggio era una valigia nera, nella quale avevo ficcato in fretta e furia tutti i miei effetti personali.
Tralasciando tutto quello che ne deriverà, credo proprio che mi divertirò a scribacchiare qualcosa qua e là, richiamando alla mente dei pensieri ormai rimossi e desideri cancellati dal tempo. Chissà, magari un giorno qualcuno li leggerà ed io sarò ricordata.
Appena il vampiro mezzosangue di nome Mark mi annunciò dell’imminente attracco della nave mercantile di cui era il capitano, mi precipitai a radunare le poche cose che mi ero portata per il viaggio.

« Arriveremo alle undici e mezza della sera, e per allora il sole sarà già calato » disse, sedendosi vicino a me. Lo guardai speranzosa. « E dopo che farò? Voi quanto rimarrete qui? »
« Non ti preoccupare per questo, ho già pianificato tutto, dalla prima all’ultima cosa! »
« Cosa intendi? »
« Adesso ti spiego… » cominciò, mentre si stendeva sopra ad un ammasso di vecchie coperte. « Quando scenderemo la prima cosa che faremo è trovarti un posto tranquillo dove potrai riposare durante il giorno! ».
« Tsk… per esempio il cimitero? » lo interruppi.
« Sì, per esempio il cimitero » ripeté con aria assente fissando il soffitto. « Dopo di ché ti procurerò un corso di lingua giapponese, hai presente le registrazioni Mp3? ».
Io annuii, e lui continuò: « Bene, i vampiri imparano subito un’altra lingua, una manciata di ascolti in successione del file ti dovrebbero bastare! ».
« Ma come farò a comprare le cose? Voglio dire, qui si usa lo Yen… »
« Ho pensato anche a questo! » aggiunse con aria da saputello. « Mentre tu sarai al cimitero a sceglierti la tomba, io andrò a cambiare tutti i tuoi soldi in Yen! »
« Grazie, Mark » dissi tra me e me.
« Ah! Quasi dimenticavo, ho una cosa per te… tieni, questo libricino potrebbe aiutarti a capire cosa c’è che non va nella tua trasformazione… era di un famoso ricercatore e studioso dell’occulto. Marino Serafino, ti dice niente? Te lo regalo, tanto a me non serve più! »
Marino Serafino. Ancora quel nome!
La mia intera vicenda si era svolta a causa di quell’uomo!
Marino Serafino era un famoso cacciatore di creature inumane, il quale si era fatto una fama non indifferente tra di loro, che ora si volevano vendicare su di me, sua unica discendente.
Serafino era il portatore di tutte le mie disgrazie, iniziate quasi due anni fa nel mio paese natale, l’Italia, e poi passate in Francia, da dove il battello mercantile era salpato, in rotta verso il Giappone.
A dire la verità possedevo già un altro libro del mio vetusto parente: era un grande tomo con una copertina di spesso cuoio marrone, contenente più di mille pagine. Lo possedevo fin dalla nascita, ed era la sola cosa che mi legasse alla mia famiglia, dato che ero cresciuta in un orfanotrofio. Il problema principale legato al libro in questione era che le sue estremità erano legate assieme con una preziosa catena d’oro ed un lucchetto, che nei mesi passati avevo tentato in tutti i modi di aprire, ma senza successo.
Altri ci avevano provato, umani e non, ma tutti quanti avevano fallito. Questo lasciava intendere che sul libro c’era una qualche sorta di incantesimo, che si poteva rompere solamente inserendo la chiave giusta all’interno del lucchetto.
Purtroppo, a distanza di diciassette anni dalla mia nascita, la chiave non si era ancora trovata, perciò il contenuto del vecchio tomo era rimasto sconosciuto.

« Allora? Qualcosa? » ripeté Mark, in attesa di una risposta.
« No… » dissi timidamente, distogliendo lo sguardo: nel corso degli ultimi mesi avevo imparato a mie spese a dire la verità sul mio legame col cacciatore. E poi, anche se la cosa non influiva, Mark era un mezzo vampiro, e per evitare qualsiasi inconveniente decisi di mentire.
« Cavolo! » esclamai, afferrando il sottile rilegato di fogli. « Ma è leggerissimo! Questo Marino Serafino non ci avrà messo tanto a scriverlo! ». Mark sbuffò con aria insofferente. « Se non lo vuoi puoi ridarmelo… »
« Non volevo dire questo! »
« Tanto ormai non so che farmene, invece a te potrebbe essere utile… magari ci trovi qualcosa che possa spiegare i tuoi misteriosi ritorni ad essere umana! Be’, buon riposo! » concluse, girandosi da un lato e dandomi le spalle.
Già, un’altra gatta da pelare!
Non contenta di tutto quello che mi era successo, la dea Sfortuna mi aveva fatto dono di un altro problema: non ero una vampira normale, ma ogni tanto, per ragioni allora sconosciute, tornavo ad essere un’umana. Debole, pallida ed anemica, ma umana.
« Grazie ancora… » sussurrai, per poi guardare l’orologio: erano le sei e un quarto di mattina, l’alba ormai era prossima, così mi stesi di fianco al mio amico e m’addormentai profondamente.

 

Mi svegliai la notte dopo, o meglio, fu Mark che lo fece.
« Coraggio, siamo arrivati! Alzati, preparati, lavati, dammi l’oro… sbrigati! » diceva, assestandomi schiaffi in faccia per svegliarmi. Feci come aveva detto: mi lavai, raccolsi le ultime cose, mi truccai, bevvi le due bottiglie di sangue di mucca che mi aveva portato, presi la mia valigia, gli consegnai tutte le cose di valore che avevo e lo seguii sul ponte della nave. Vidi molti uomini faticare cercando di scaricare le grosse casse di merci che in precedenza avevo visto caricare. Poi Mark mi prese per la vita e disse in tono soddisfatto:
« Ecco! Siamo arrivati… questo è il porto di Yakohama! ».
Il mio fiato si mozzò di fronte al desiderio di raggiungere l’oriente finalmente realizzato. Sospirai profondamente, deglutii e aprii la bocca, ma da essa non uscì alcun suono. Sentii la mano calda di Mark afferrare la mia. « Resteremo a Yakohama solo poche ore, poi ci dirigeremo verso Tokyo… è lì che dobbiamo portare la merce, quindi ora vieni con me! », e detto questo mi condusse verso i suoi subordinati che stavano ancora faticosamente scaricando vari scatoloni e pacchi dalla nave alla terra ferma.
« Dovrei fare come questi uomini? » chiesi stupita a Mark, che per tutta risposta annuì.
« Sei una vampira, no? Puoi scaricare la mercanzia molto più velocemente di tutti loro messi insieme! ».
Ma la sua richiesta fu messa in dubbio dal mio sguardo indolente.
« Mark » dissi quasi indignata. « Ma come puoi chiedermi una cosa del genere? ».
Lui mi scrutò con i suoi occhi marroni e aggiunse in tono mesto: « Perché non dovrei chiederti di farmi questo favore? »
« Non ne ho voglia… » replicai pigramente, ma lui insistette: « Non mi sembra di chiederti molto! »
« Ma… »
« Niente ma! Sei una scansafatiche! Ed io che ti ho accettata sulla mia nave in maniera totalmente gratuita e nutrita, protetta senza riserve fin’ora… » disse con un’aria delusa che non mi dette altra possibilità che rispondere…
« D’accordo, mi hai convinta… cosa devo fare? ».
Mark riprese subito il buon umore e mi guidò davanti ad un container aperto. « Guarda, Iscah, qui ci sono delle scatole. Prendile e portale dentro a quel camion bianco che vedi parcheggiato di fronte al magazzino numero sei. Tutto chiaro? Ah, e stai attenta a non rovesciare nulla, è roba delicata! ».
« Sissignore… » sbuffai a bassa voce vedendo il capitano della nave mercantile allontanarsi a passo veloce per rimproverare un paio di suoi sottoposti che avevano appena lasciato cadere a terra uno scatolone. Afferrai con forza il pacco di cartone avvolto da una busta protettiva, quasi a voler disobbedire all’ordine di Mark che m’aveva appena detto di trattare quella roba con delicatezza, lo sollevai e cominciai il tragitto dal container fino al furgone che mi aveva indicato l’uomo di mezza età. Sentivo la noia crescere ad ogni viavai che facevo, in quanto i miei compiti erano assai monotoni: prendi, solleva, trascina e scarica, poi ricominciavo da capo. E così feci finché le scatole nel primo container furono esaurite, cosicché potei andare da Mark per avvertirlo che avevo fatto il mio dovere.
E cosa mi rispose lui?

« Bene, ora puoi cominciare con il secondo. Per te ce ne sono dieci in tutto, ho organizzato il tempo… e non fare quella faccia, non hai mica visto un fantasma! ».
Impossibile! Altri dieci grandi container da svuotare ed altri dieci T.I.R. da riempire! Ma dovevo farlo, in fondo lui mi aveva fatto il grande favore di ospitarmi gratuitamente nella sua nave per tutto il viaggio…
Ero appena riuscita a riempire il sesto furgone, quando, tra l’assordante suono delle sirene e a bordo delle loro macchine bianche, comparvero quattro volanti della polizia. Immediatamente tutti gli uomini presenti smisero di lavorare, guardando insospettiti le facce minacciose dei poliziotti scesi dalle loro vetture.
« Cosa sta succedendo qui? » chiese con la sua voce squillante quello che doveva essere l’ispettore ad uno dei marinai, che però non seppe come rispondere.
« Sento puzza di guai » minacciò l’uomo, saltando con lo sguardo di volto in volto e passeggiando in mezzo agli uomini con gli scatoloni ancora in mano. Ma dov’era Mark?
All’improvviso l’uomo baffuto, accanendosi contro un altro alla sua destra, gli strappò la scatola di cartone dalle mani, la poggiò con foga in terra e la aprì, sicuro di trovarci della merce proibita. Rimase deluso, però, dal vedere che nel contenitore vi erano solo farmaci e strumenti per le cure mediche. Proprio in quel momento vidi Mark apparire di corsa in scena.
« Signore! Cosa sta facendo? » chiese allarmato cercando di riprendendo fiato, ma il suo interlocutore non si scompose minimamente e, tendendogli la mano, disse in tono impeccabile:
« Sono l’ispettore Egao Mitsurugi… è lei il capitano qui? »
« Sì, sono io, Mark Swantowich! Mi spieghi cosa sta succedendo per favore! » ribatté il cinquantenne, quasi irritato dal comportamento brusco dell’ispettore.
« Ci scusi, pensavamo che in questi scatoloni ci fosse roba… », l’uomo fece una pausa e si guardò intorno. « Be’… in questi giorni abbiamo arrestato dei trafficanti di droga che ci hanno confessato che tra ‘sta sera e domani sarebbe arrivata una nave per rifornirli di cocaina! ».

Naturalmente io riuscivo a sentire tutto pur essendo nascosta dietro al sesto container, sia per via del mio finissimo udito, sia perché la risposta di Mark fu molto, ma molto decisa:
« Ma come si permette lei, anche se è un poliziotto, di venire qui a sirene spianate, maltrattare i miei dipendenti e addirittura di aprire gli scatoloni? » ringhiò in faccia all’ispettore, che freddamente gli porse le sue dovute scuse.
« Comunque sia », riprese Mitsurugi. « Per essere in regola deve mostrarmi i documenti per scaricare questa merce ».
A quelle parole percepii chiaramente il corpo di Mark irrigidirsi. « Ehm, stavamo appunto cercando di contattare il ministero mercantile estero di Tokyo per farceli avere… »
« Quindi questa è una manovra pirata a tutti gli effetti! » concluse il commissario, incrociando le braccia e fissando il capitano con aria di sfida.
« Cosa sta dicendo? » rispose inquietato il capitato, ma l’ispettore propose una soluzione: « Io non l’arresterò… »
« E ci mancherebbe altro! »
« Ma andrò di persona al ministero di Tokyo per assicurarmi che dice la verità, signor Swantowich! »
« Non c’è bisogno che ci vada lei… stavo per andarci io di persona! »
« Bene, allora ci andremo insieme! » concluse Mitsurugi, facendo segno ai propri uomini di rilassarsi. Ormai quasi tutta la merce era stata caricata sui venticinque furgoni. Mark restò in compagnia del commissario per alcune ore a chiarire il motivo per il quale si trovavano lì e senza documenti, per giunta. Poi si arrivò ad un accordo: la polizia avrebbe chiuso un occhio su quella faccenda, a patto che Mark facesse avere i documenti per l’importazione dei medicinali al signor Mitsurugi entro uno giorno e mezzo. E così, com’erano venute, le volanti della polizia giapponese si dileguarono.
Tutti gli uomini si guardavano reciprocamente con delle espressioni veramente scioccate e dubitanti: non capitava tutti i giorni di venir minacciati d’essere arrestati dalle forze dell’ordine solo per fare il proprio lavoro. Mark stava ancora scuotendo il capo, quando decisi di uscire dal mio nascondiglio ed avvicinarmi. « Mark, perché… »
« Non dire… nulla… » sbuffò, massaggiandosi con la mano destra entrambe le tempie. « È successo un casino! ». Mi raccontò quello che aveva intenzione di fare, mentre gli altri avevano ormai finito di caricare tutti gli scatoloni sui T.I.R..
« Cosa? » chiesi incredula. « Vuoi veramente andare a Tokyo senza di me? » gli ripetevo camminando tre passi dietro di lui verso un taxi. L’uomo però continuava ad ignorarmi, finché, presa dalla rabbia, non lo afferrai per il colletto della camicia. « Adesso mi dici perché! » ringhiai.
Lui mi guardò tristemente. « Tu resterai qui… dormirai dentro uno dei magazzini che vedi, lì sarai al sicuro… i miei uomini sanno cosa fare. Ovvero aspetteranno tutti il mio ritorno, e anche tu lo farai… io mi devo occupare di questa faccenda. Appena avrò ottenuto il permesso di scaricare questa roba, passerò alla centrale e mostrerò all’ispettore Mitsurugi i documenti, infine tornerò e potremmo finalmente proseguire il viaggio insieme… perché non leggi il libro che ti ho dato? » e detto questo chiuse lo sportello del taxi, che vidi sparire dietro una curva.

Sbuffai contrariata: non mi aveva neanche dato il tempo di protestare. Guardai l’orologio e notai che era piuttosto tardi, così decisi che per una volta avrei potuto dare retta a Mark e starmene lì buona, buona in attesa del suo ritorno. Anche se la cosa mi stizziva da morire. Tornai sul ponte della nave a prendere la mia fedele valigia, poi, visto che il cielo cominciava già ad imbiancare, mi introdussi di nascosto nel magazzino numero sei, riuscendo rompere il vetro di una finestra. Il posto era completamente buio. Persino io che ero una vampira faticavo a mettere a fuoco le immagini: c’era della paia raccolta dentro grandissimi contenitori di legno e anche qualche attrezzo di ferro per coltivare l’orto. Al centro del magazzino vi era un grande spazio sgombro, illuminato solamente dalla fioca luce delle prime luci dell’alba che penetravano dalla piccola e rotonda finestra sul soffitto rotondeggiante. Decisi che per quel giorno il mio letto sarebbe stato un grande contenitore pieno di fieno.
Mi sdraiai: pur non essendo il massimo della comodità, l’erba secca era sicuramente più comoda del pavimento. Non presi subito sonno, così ne approfittai per leggere alcune pagine del piccolo libro di Marino Serafino. Modestamente ero la nipote del cacciatore più in gamba degli ultimi due secoli. Sarebbe stato un piacere sfruttare ed assimilare altre delle sue conoscenze nel campo delle creature della notte. Magari avrei anche imparato qualcosa su di me, in quanto vampira. Girai la prima pagina, trovando l’indice: era una specie di catalogo mostruoso, dove figuravano più di un centinaio di creature differenti. Sfogliai e sfogliai le pagine, affamata di conoscenza. Vidi moltissime specie diverse, come i Pisaca, Lesci, Har Po Crod e molti altri. Lessi della differenza tra Licantropi e Lycas: la prima era la vera e proprio razza di uomini lupo, mentre i secondi erano degli ibridi nati dall’incrocio tra un licantropo e altre specie. Appresi che la croce, per fare effetto sui vampiri, doveva soddisfare due condizioni: la prima era che il vampiro in questione fosse cristiano e che quindi riconoscesse l’autorità dell’oggetto e che, in secondo luogo, egli avesse compiuto o pensato cose contro la sua religione. Ecco spiegato il motivo per la quale a me faceva solo piacere osservare il crocifisso. Sfortunatamente non c’era scritto nulla che potesse assomigliare alla spiegazione dei miei ritorni ad essere una ragazza umana.
Logico… pensai. Infondo, per quanto abile potesse essere il mio antenato, non era di sicuro onnisciente! Andai avanti nella lettura, arrivando agli Zombie e le creature non morte. Streghe, Banshee, Folletti, Demoni… c’era di tutto e di più! Passai, però, alla lettura approfondita le volte successive.

Le notti che Mark mi fece passare prima di rifarsi vivo furono ben quattro. Alla fine, allo scoccare della quinta, precisamente alle due e un quarto, sentii il motore di un furgoncino avvicinarsi e parcheggiare di fronte al magazzino a destra del mio. Arrabbiata come la Furia della quale stavo leggendo a pagina centouno del libro, m’avviai a passo spedito in quella direzione, portando la valigia in spalle. Vidi da lontano Mark scendere di fretta e furia dal veicolo, sbattere lo sportello con forza e precipitarsi a trasportare delle scatole piene di roba dai container al portabagagli del furgoncino. Lo raggiunsi immediatamente e mi fermai a braccia conserte con un’espressione truce in faccia, mentre accomodava il secondo scatolone di cartone a bordo.
Adesso si gira, e appena mi chiede scusa lo concio per le feste!
Ma quando l’uomo si voltò l’unica cosa che sentii fu il suono dei suoi passi allontanarsi di nuovo verso il container.
« Questo è troppo! » scoppiai, afferrandolo per la spalla e costringendolo a voltarsi contro la sua volontà con la mia presa di ferro.
« Che cavolo stai facendo? Sei impazzita? » esclamò, cercando di riavviarsi.
« Ascoltami bene! » ululai. « Parti per Tokyo senza portarmi con te e dici di tornare la notte dopo… ebbene, sono quattro notti che t’aspetto. Vergognati! » e dicendo questo gli mollai un cazzotto.
Ora, di solito quando una donna picchiava un uomo più grande di lei non era solita fargli del male. Questo non valeva per me e la mia forza innaturale. I vampiri erano famosi per la loro potenza distruttrice. Infatti vidi Mark rotolare tre metri più avanti.
Si rialzò immediatamente, infuriato, e per poco non mi venne addosso. « Cosa pensi di fare, eh? Ragazzina che non sa nulla della vita! Lasciami in pace e togliti dai piedi! Devo caricare un po’ di merce e partire di nuovo per Tokyo! »
« Non parlarmi così, Mark! E poi questa volta voglio venire anche io! » ribattei un po’ più calma, pedinandolo avanti e indietro. « Assolutamente no! No e no!»
« Invece sì, sì e sì! »
« Senti » mi disse a bassa voce, guardandomi negli occhi e fermandosi per la prima volta. « Ti prometto che tornerò prestissimo… ma ora ho una gran fretta! »
« Tornerai prestissimo? » ripetei tranquillizzata.
« Sì, questione di… due o tre giorni! » concluse, riprendendo il ritmo frenetico.
« Due o tre cosa? » esclamai. « Ma è un’eternità! L’altra volta dovevi rimanere via un giorno e mezzo e ne sono passati quattro… ora non oso immaginare quanto dovrò realmente aspettarti per due o tre giorni, come li chiami tu! »
« Non vieni e basta! » affermò con aria conclusiva mentre chiudeva la terza porta del furgoncino.
Rimasi zitta. Non mi voleva, era questa la verità.
« Ora vai pure… » mi congedò.
Misi la valigia a cavallo di entrambe le spalle e annuii. « Va bene, se è così che vuoi… obbedirò » dissi in un sussurro, prima di avviarmi verso il magazzino numero sei. Ma lungo il tragitto un sorriso beffardo mi comparve in volto: sarei salita di nascosto. Infatti, appena Mark salì un attimo sulla nave a prendere non so cosa, corsi verso il furgoncino, aprii il bagagliaio e mi ci infilai dentro.

Buio.

Le scatole occupavano quasi tutto il posto. C’era appena lo spazio per mettermi seduta con la valigia sulle ginocchia. Poi, essendo la posizione molto vicina alla porta, non mi sarei potuta neanche nascondere nel caso fosse stata aperta. Così mi ammutolii ed aspettai. Mark e l’autista non si fecero aspettare. Dopo soli cinque minuti arrivarono, salirono, misero in moto e partirono. Non avrei dovuto fare il minimo rumore, anche se avevo una voglia incontenibile di ridere per la mia malefatta. Per i primi dieci minuti di strada, né l’uomo alla guida, né Mark parlarono, ma fu solo dopo una serie di depressioni dell’asfalto che proferirono parola. « Che schifo queste strade… » affermò il capitano.
« Già » confermò l’altro.
« Speriamo che la roba stia a posto, se no Yaku mi uccide… » disse con ironia Mark.
« Senti, quanta ne hai portata ‘sta volta, Mark? »
« Fammi pensare… dovrebbero essere circa centotrenta chili ».
A quell’affermazione l’automobilista rise. « Dannazione, Mark Swantowich, sei il più maledetto fornitore di cocaina del mondo! ».

Silenzio.

Quella frase mi sconvolse a tal punto da farmi sfuggire un gemito.
« Hai sentito qualcosa? » chiese dubbiosamente il guidatore.
« No » rispose Mark con indifferenza.

Droga. Cocaina. Ecco cosa c’era di tanto urgente da consegnare! Sentii un senso di nausea pervadermi il corpo: Mark, il mio amico Mark, era il trafficante di droga dalla quale ci aveva messi in guardia il commissario Mitsurugi!
« E poi come hai fatto per quel poliziotto? » iniziò tranquillamente l’altro. « Sei davvero riuscito a ricevere i documenti dalla prefettura di Tokyo? »
« Macché » sbuffò. « L’ho ammazzato! ». Così dicendo risero insieme.
Quindi Mark non era il vecchio e paziente uomo di buon cuore che credevo! A nulla erano valse le notti passate a conoscerci lungo il tragitto della sua nave. Un conato di vomito mi risalì sul per lo stomaco, insieme alla voglia smodata di andarmene, allontanarmi da lui.
Passò un’altra mezz’ora di discorsi dettagliati su cosa aveva fatto questi quattro giorni e come era riuscito a far ricadere la colpa dell’omicidio del commissario su una matricola. Ad un tratto, però, il discorso capitombolò sulla sottoscritta. « E quella ragazzina? Iscah, se non sbaglio… che ci fa con noi? »
« Lascia perdere, la cosa non ti riguarda »

« Hai intenzione di uccidere anche lei? »
« In realtà è complicato da spiegare. Ho scoperto delle cose inopportune sul suo conto che mi costringeranno a prendere provvedimenti… » concluse il capitano.
Portai ambedue le mani alla faccia come segno di disperazione. Non potendo sfogare le mie emozioni, e mi trovavo in una situazione veramente critica. Ma essa peggiorò ancora di più quando, dopo un grande cratere in mezzo alla strada, preso in pieno dal furgoncino, i due uomini decisero di sostare per vedere se gli scatoloni avessero ricevuto qualche danno. Sentii il veicolo fermarsi in un parcheggio. Da fuori venivano anche molti altri rumori, tutti quelli che si possono trovare di notte in una città grande come Tokyo. Vidi Mark assieme al suo amico scendere e venire verso la porta posteriore, aprirla e… Tadaaan!
Un sorriso imbarazzato a trentadue denti comparve ai loro occhi. Sicché Mark, quasi come se lo fosse aspettato, disse: « Oh, sei qui ». Scesi dal furgone sotto lo sguardo allibito del secondo uomo.

« Ehm, ciao Mark! Bella nottata, vero? » dissi impacciata.
« Proprio bella. Peccato che stia per finire… » ribatté tranquillamente avvicinandosi a me, che feci un passo indietro. « Perché sta per finire? » domandai sconcertata.
« Guarda… » sibilò. « Guarda l’orologio! È quasi mattina! ».
Effettivamente erano quasi le cinque e mezza, ma in quel momento non era l’orario al centro dei miei pensieri. Una domanda seguita da un presentimento mi ronzava in testa: perché Mark appariva così calmo?
Mi guardai intorno. Eravamo a lato di uno stradone principale: a quell’ora le strade erano stranamente affollate. C’era un gruppo centauri in sella alle proprie moto al lato della strada intenti a sorseggiare alcune bottiglie di birra, diverse ragazze camminavano a passo veloce chissà dove vestite in maniera molto appariscente e qualche uomo si sbrigava a tornare a casa. Fui distratta da Mark che mi mise improvvisamente un pezzo di carta arrotolato in mano.

« Ora non c’è tempo, prendi questa cartina e corri a scegliere una posto dove riposare in pace! Chiedi del cimitero di Kojima. Ti cambierò il tuo denaro in yen… » disse frettolosamente.
Ma perché non mi dice niente?
Pensai preoccupata, spifferando in tono incerto: « D’accordo, ci vediamo dopo… ».
E così ci separammo.
Srotolai velocemente la cartina, e la osservai. Centinaia di strade, svincoli e scritte incomprensibili comparvero ai miei occhi. Nessuno punto Tu sei qui e nessun Devi andare qui. Solo l’interezza della grande città palesata sotto i miei occhi. Maledizione!
Ruggii mentalmente, scorrendo con lo sguardo la mappa da cima a fondo. Come diavolo faccio a…
D’un tratto la mia attenzione fu attirata da un puntino nero, a fianco del quale c’era una piccola croce. Osservai la zona d’intorno e notai quello che doveva essere un fiume; poi un grande tempio; dopo ancora un parco. Ma il tempo stringeva. Non potevo mettermi a ragionare su dove mi trovassi o che strada dovessi imboccare. Cominciai a camminare dritto, verso un gruppo di adolescenti che se ne stavano seduti su alcune panchine ai lati della strada, dietro alla fermata di un autobus.
Le bottiglie di birra intorno a loro mi suggerirono che probabilmente erano anche ubriachi. Ma dovevo tentare, dannazione!
Mi fermai bruscamente dinanzi al gruppo, e vidi le loro espressioni di sorpresa nel vedere qualcuno arrivare con cosiffatta determinazione. Cercai tra di loro colui che mi sembrava più sobrio, poi socchiusi le labbra per pronunciare la domanda fatidica. Un momento. Io non parlavo giapponese
Tentai in inglese.
« Mi scusi » balbettai, vedendo l’espressione maliziosa dipintisi sul volto del ragazzo. « Sto cercando un… ».
Solo allora mi resi davvero conto di quanto poteva suonare strana la mia richiesta. « Un cimitero » conclusi in un sospiro.
A quelle parole il gruppo si voltò verso di me, attonito.
Un sorrisetto imbarazzo mi increspò le labbra, mentre attendevo il loro verdetto. « Pe-per favore, è importante… » aggiunsi con un filo di voce. Loro continuarono a scrutarmi con occhi allibiti, senza muovere un muscolo.
Passò una manciata di secondi, ma niente. Realizzai in fretta che stavo perdendo del tempo prezioso, così feci un piccolo inchino di scuse e mi voltai, pensando già a chi avrei potuto chiedere successivamente. Proprio in quel momento, una delle ragazze si alzò in piedi e mi chiamò. « Ehi, tu! ».
Mi voltai speranzosa verso di lei, che con voce diffidente mi chiese: « Quale cimitero stai cercando di preciso? ».
Tornai indietro di qualche passo e mi sbrigai a mettere insieme le parole giuste. « Il più vicino! Credo sia il cimitero di Kojima! ».
A quell’intendimento un comune gemito di stupore si levò dal gruppo. La ragazza parve disorientata e guardò i suoi amici in cerca di sostegno.
« Perché proprio quello? » chiese in tono incerto un altro ragazzo seduto sul marciapiede. Gli altri tacquero, vogliosi di conoscere la risposta. Risposta che per me non aveva alcunché di strano, ma ora, vedendo la loro reazione inaspettata, mi inquietava di esplicitare.
« Veramente… devo incontrare una persona e… quindi… » blaterai in modo impacciato, senza riuscire a mettere su una fandonia decente. Di norma avrei risposto che non erano affari loro, ma dovevo cercare di non incattivirli, altrimenti non mi avrebbero mai aiutata.

Dopo alcuni secondi di riflessione, la ragazza di prima venne verso di me. Me la ritrovai a meno di un metro di distanza, che mi osservava dal basso verso l’alto, costretta a tenere la testa inclinata all’indietro per guardarmi negli occhi. Certo che era davvero bassa! Con i suoi occhi a mandorla e il viso tondo sembrava una specie di grande bambola.

Io, del resto, dal mio metro e settantotto, non ero affatto bassa.
« Il cimitero di Kojima è un luogo infausto per molti » iniziò col tono di chi la sa lunga. « Perché mai dovreste incontrarvi proprio lì? Ci sono molti altri posti dove… »
« Ti prego » la interruppi, unendo i palmi delle mani davanti alla fronte, in segno di disperazione. « Ti prego, dimmi dov’è questo cimitero. È una questione di vitale importanza! Non ho molto tempo… ».
Fu allora che tutto il gruppo tacque e la ragazza sospirò, indicandomi una via con la mano aperta.
Mi spiegò che quel posto non era molto lontano da lì e che potevo arrivarci in venti minuti di camminata a passo veloce. In seguito mi diede le indicazioni e mi mostrò sulla mappa le strade da percorrere.
La ringraziai con un gesto del capo, diedi un’ultima, fuggevole occhiata al gruppo e me ne andai rincuorata. Grazie al cielo mi erano stati d’aiuto.
Camminai a passo normale per alcuni metri, ma dovetti aspettare di svoltare il primo angolo per correre. La velocità di una come me non era esattamente quella che chiunque si sarebbe aspettato. Venti minuti di corsa umana per me non erano altro che venti istanti di pura celerità, scanditi da pochi ed energici balzi. Stavo ancora seguendo le strade sulla cartina, quando mi ritrovai di fronte ad un cancello. Alzai lo sguardo e lo vidi: oltre le sbarre di ferro arrugginito si estendevano metri di terra incolta, avvolta in un sottile strato di nebbia cinerea. Il posto era solingo, isolato dalle case lì intorno. Ora che me ne rendevo conto, uno strano senso di turbamento mi sorgeva nell’animo. Alzai gli occhi verso le mura che racchiudevano il camposanto, e vidi dei rami scheletrici sporgere di qualche metro oltre la sommità. Assottigliai lo sguardo per vedere oltre la sottile nebbiolina, e scorsi delle lapidi incastonate nel terreno. Terrificante, sicuramente, ma non sembrava niente di speciale.

Un telo di tessuto era avvolto sul ferro del cancello, recante degli ideogrammi completamente sconosciuti. Una targhetta d’oro sistemata sul muro recava la scritta:

 

Kojima Cemetery.
Stay out.

 

Fantastico. Davvero fantastico. Mark mi aveva indirizzata in un posto proibito. Forse lo aveva fatto per punirmi del mio gesto avventato, tuttavia non avevo tempo per pensarci.
Nel cielo blu reale della notte, cominciava già ad apparire qualche brillante venatura di turchese.
L’enorme lucchetto di metallo che chiudeva le porte del cancello mi fece pensare ad un modo alternativo di entrare. Guardai a sinistra, dove dei grandi bidoni della spazzatura se ne stavano in disparte, proprio sotto alcuni dei rami secchi che sporgevano dall’interno delle mura. Non esitai oltre e mi avviai in quella direzione. Saltai sul coperchio dei bidoni, stando attenta a non lasciar cadere a terra la mia preziosa valigia. Me la legai sulle spalle, avendo così entrambe le mani libere per aggrapparmi al legno morto.
In ultimo mi gettai nel vuoto, atterrando con un tonfo sonoro sul terreno umido del cimitero. Mi alzai in piedi, scostando con le mani gli steli d’erba rimasti appigliati alle mie vesti. Sbuffai contrariata alla mia goffaggine. Ero un vampiro, e nonostante ciò chiunque sarebbe atterrato meglio di me.
Poco male, poiché nessuno era lì a giudicarmi. Nessuno tranne la mia fastidiosa consapevolezza di aver potuto fare un atterraggio migliore. Battei il palmo della mano sulla fronte: che diavolo stavo pensando? Tra pochi minuti l’alba avrebbe travolto quella zona, ed io dovevo cercarmi un nascondiglio.

Mossi dei passi guardinghi, assicurandomi che fossi davvero sola.
Appurato ciò mi incamminai verso la strada principale, facendo molto attenzione a dove mettevo i piedi.
Non era un cimitero grande. Le mura delimitavano un grande rettangolo di terra bagnata, dalla quale spuntavano pietre sepolcrali lunghe e piuttosto fine, recanti epitaffi in lingue sconosciute.
Passeggiai tra di esse per alcuni minuti, mentre un dubbio atroce mi corrodeva lo spirito. Quello era un cimitero senza sepolcri. Senza un luogo nel quale mi sarei potuta nascondere dalla luce! Solo lapidi e lapidi a non finire. Ormai ero arrivata nel lato opposto all’entrata, e mi tenevo le mani tra i capelli, cercando con sguardo disperato un posto nel quale rifugiarmi. Il cielo era sempre più chiaro, la nebbia sempre più fine. D’un tratto ebbi la sensazione che qualcosa dietro di me si muovesse. Non mi voltai subito, ma rimasi in ascolto. Una forza mistica si stava impastando alle mie spalle. Potevo benissimo percepirla con le mie particolari facoltà.
Pian piano cominciai a girarmi, temendo quello che avrei potuto trovare. Lo strato di nebbia alle mie spalle era ancora denso, ma potei comunque intravedere un insieme di bianchi e piatti scalini che conducevano in un lato del cimitero che non avevo ancora esplorato. Soppesai per un instante l’idea di andarmene e lasciare in pace qualunque forza mi stesse chiamando, ma prima che me ne rendessi conto stavo già avanzando in quella direzione. Attraversai la foschia con passo lento ma sicuro, pensando che se ci fossero stati pericoli i miei sensi da vampiro mi avrebbero sicuramente avvertita in tempo.
Improvvisamente i gradini terminarono e mi ritrovai di fronte a una piccola costruzione in quello che doveva essere marmo. Per il poco che potevo vedere era alto su per giù un paio di metri e ne contava una manciata per larghezza. L’entrata era costituita da due porte scintillanti d’oro legate assieme da un altro lucchetto, anch’esso di materiale prezioso. Le incisioni erano eleganti e fatte con particolare attenzione. Inoltre non v’erano solamente ideogrammi nipponici, ma anche versetti in altre lingue. Riconobbi la lingua tedesca e quella spagnola, anche se ne ignorassi il significato. Ero ancora alla ricerca di frasi in inglese quando un paio di iscrizioni mi colpirono. Una era in latino e diceva:

 

Impia tortotum longos hic turba furores sanguis innocui, non satatia, aluit.

Sospite nunc patria, fracto nunc funeris antro. Mors ubi dira fuit vita salusque tenet.

 

Me la ricordo perché l’avevo già studiata anni fa durante il periodo scolastico. Una frase strana da riportare scritta il bella grafia, con inchiostro dorato. Una frase adatta ad un poema di guerre antiche, piuttosto che a un epitaffio elegante e commemorativo. Ma il secondo versetto, che trovai lontano dal primo, proprio nel angolo basso della porta, mi incuriosì molto di più. Lo fece perché era nella mia lingua natia, l’italiano. Le parole erano alquanto scolorite e qualche lettera mancante, come se chi le avesse scritte lo avesse fatto di fretta, trascurandone l’apparenza estetica.

 

Infine giungi, destino fatale,

sul brillante poeta che ti ha soddisfatto,

rendilo nella sua stessa morte immortale.

Prendi questo come mio ultimo atto.

 

Che la tua anima riposi in pace, nei secoli dei secoli. Amen.

 

Rimasi allibita dalla bellezza di quelle parole. Semplici, ma eloquenti. Chiunque giacesse in quel sepolcro, doveva essere stato un uomo di grande importanza. D’altronde anche l’interezza della costruzione stessa lo indicava chiaramente. Le mura in marmo, le scritte dorate. Il tetto nel tipico stile giapponese, ripido ma con gli angoli rialzati. Sì, avevo deciso: quello sarebbe stato il mio nascondiglio.
La tomba di una personalità così importante sarebbe stata l’ideale. Agii in velocità: presi il lucchetto tra le mani e lo fracassai con un colpo ben assestato. Troppo facile? Non importava.
Spalancai le porte e mi immisi all’interno del sepolcro, proprio mentre i primi raggi del sole illuminavano il cielo sopra di me.

Richiusi immediatamente l’entrata, bloccandola con una trave di legno che trovai in terra. Poggiai la valigia sul pavimento e mi voltai ad osservare l’interno della piccola costruzione funeraria. Esattamente come mi aspettavo aveva un contenuto e delle forme molto eleganti. Senza perdermi in inutili contemplazioni o vagheggiamenti, mi diressi verso il sarcofago in pietra che troneggiava al centro della stanzetta. Poggiai le mani sul coperchio spesso e pesante, intenzionata a rimuoverlo. Non appena ebbi iniziato a scostarlo, però, una strana sensazione mi fece titubare. Un brivido, o qualcosa di simile. Un pensiero fastidioso mi suggerì di scappare. Non sarei dovuta essere lì. Me ne accorgevo troppo tardi, quando ormai la pesante pietra era rimossa e il suo contenuto mi mozzava il respiro.
Un ragazzo di massimo vent’anni giaceva in un letto di petali di rosa, secchi ma comunque profumati. Le sue carni erano perfettamente conservate, i suoi lineamenti androgini rimasti inalterati. I capelli erano lisci e lunghi fino al petto, candidi come la neve, bianchi come i petali di un giglio. Dapprima temetti di trovarmi dinanzi ad un mio simile o comunque una creatura maligna. Ma non c’erano dubbi, era morto e privo di vita. E poi quelle forme erano così delicate, così perfettamente messe insieme per creare qualcosa di bello e aggraziato. Impossibile pensare anche per un solo istante che tutta quella apparente purezza nascondesse qualcosa di torbido e nefasto. Impossibile. Impossibile!
Troppo bello per essere vero, troppo bello per esistere. Rimasi incantata da quel corpo disteso sotto il mio sguardo, così inerme ed immobile. Ma dovevo farlo, dovevo privarlo del suo giaciglio floreale e riporlo da qualche parte, prima che il sole fosse passato completamente attraverso i vetri colorati della costruzione. Mi piangeva il cuore, mentre allungavo le mani verso di lui. Era il ritratto della purezza. Mi sentivo un verme abietto, ma dovevo farlo!
Presi fiato ed andai. Lo afferrai per le spalle, cozzando i miei palmi freddi e bianchissimi contro le spalline della sua armatura leggera. Fu solo questione di attimi.
In un interminabile istante, egli spalancò gli occhi. Si levò dal sarcofago e mi guardò con occhi iniettati di sangue. Sentii la sua mano chiudersi intorno al mio polso, solo per tirarmi nella sua direzione e poi, prima di perdere i sensi, ricevetti sulle labbra quello che sembrò essere un bacio.

 

Mi risvegliai due notti dopo come se avessi fatto un brutto sogno, ma nel destarmi così bruscamente sbattei la testa contro qualcosa di freddo e duro sopra di me. Dov’ero?
Riconobbi il posto grazie al mio olfatto. Infatti, il profumo di rose era inconfondibile: mi trovavo nel sarcofago che avevo sognato!
Cercai di non lasciarmi perdere dal panico, ora dovevo solo capire cosa mi fosse successo.
Ripensai all’accaduto, ma non riuscivo a spiegarmi come mai avevo preso il posto di quella creatura.
Non ci capisco niente… quando l’ho toccato era freddo, ma era morto, e poi ha aperto gli occhi… ragionai massaggiandomi la testa. Che razza di essere è contemporaneamente morto, bello e sessualmente attivo? Sicuramente sarà una specie di strano vampiro, non devo preoccuparmi. L’importante è che io sia viva…conclusi sdraiandomi nuovamente sul letto di petali. Ma non feci in tempo a muovermi che un'altra preoccupazione spuntò fuori: la mia valigia!

Ricordavo d’averla lasciata vicino all’ingresso della costruzione. Così decisi di uscire per andare a vedere che fine aveva fatto, ma sentii dei forti colpi provenienti dalla porta di legno: qualcuno stava cercando di sfondarla a forza di calci e pugni!
Alla fine ci riuscì, proprio nel momento in cui mi levavo dal sarcofago. Rimasi immobile fissando la figura che stava entrando, aspettandomi di rivedere il bellissimo essere che avevo incontrato, ma restai quasi delusa nel vedere che invece era lo spacciatore di cocaina, Mark.
Rimasi seduta sul bordo in pietra, mentre lui si affrettava ad entrare e richiudere la porta dietro di sé.
« Ti ho trovata finalmente ».
Qualcosa di strano regnava nella sua voce, come una scintilla di mestizia malamente nascosta. Restai immobile a guardarlo, cercando di capire le sue intenzioni.
Lui colse la mia riluttanza e parve rasserenarsi.

« Conosco questo cimitero. So che vi è solamente un sepolcro del genere, mentre tutte le altre tombe sono sepolte nella terra. Non mi è stato difficile capire che fossi entrata qui. Tuttavia, proprio perché sei qui, i miei dubbi trovano conferma… ». L’ultima frase la disse sottovoce, parlando tra sé e sé.
« Ehi, cosa vuoi dire? » feci con uno sprint di curiosità, ma Mark cambiò discorso.
« Scusa se ci ho impiegato due giorni » aggiunse in tono grave. « Ma ora devo dirti alcune cose »
« Ah… » feci intimidita, rassegnandomi ormai all’idea di una scenata.
« Tieni, questo è il tuo sacchetto di yen, dentro c’è pure il file Mp3 per imparare la lingua giapponese, ma non credere, non ti serviranno a molto… » disse, lanciandomi un sacchetto abbastanza pesante.
« Grazie! Ma qual è il problema? » domandai, con aria falsamente ingenua.

Lui si avvicinò a me e tirò fuori dalla tasca dei pantaloni alcuni fogli di carta che a prima vista sembravano essere stati strappati dal piccolo libro di Marino Serafino. « Ho scoperto cosa c’è che non va in te! ».

Quelle parole mi tolsero ancora una volta il respiro, ma dissi con aria più che gelida: « Avanti allora, sputa il rospo! ».

L’uomo non esitò e cominciò a farmi tutto il sermone con l’aria di chi è rimasto veramente deluso.

« Ti ho mentito. Esaminando nuovamente il libricino ho trovato alcune pagine che spiegavano esattamente il tuo caso… »
« Sì, mi ero accorta che mancavano le ultime pagine, ma non pensavo fossi stato tu a prenderle » lo interruppi.
« Non togliermi la parola! » gridò pieno di rabbia repressa. Rimasi basita.
Cosa era successo di tanto grave da farlo infuriare in quel modo? Pensai che fosse in quello stato per via della mia enorme disubbidienza, ma mi stavo sbagliando.
« Leggendo questi fogli, che sono le confessioni personali di Serafino, c’è un pezzo dove dice chiaramente che i suoi discendenti sono le uniche persone al mondo a non potersi trasformare in nessuna maniera né in licantropi, né in vampiri, né in qualunque altra cosa! Anzi, ti leggerò direttamente cosa ha scritto, così capirai meglio… ». Fece una piccola pausa, aprì un foglio di quelli che mi aveva mostrato e cominciò al leggere con aria invasata.

 

8 Giugno 1874.

Oggi è una bella nottata senza nuvole, il momento ideale per mettere in atto il mio esperimento. Se riuscirà sia io che tutta la mia discendenza sarà al sicuro da ogni male, così facendo assicurerò un futuro prospero all’umanità. Ma se invece dovesse fallire morirò e il mondo dovrà vedersela con le schiere oscure senza il sottoscritto. Tra due ore, quando la luna sarà alta nel cielo, mi inietterò endovena un liquido da me creato, del quale nessun altro ne conosce la composizione. Questo segreto morirà con me, ma rimarrà vivo nel sangue dei miei discendenti, che saranno immuni da qualsiasi forma di contagio. Secondo la mia teoria, prevista ma non testata, l’antidoto non dovrebbe essere subito attivo, ma consentirà alla persona di tornare normale entro un certo lasso di tempo. Questo dipende dalla persona stessa e dalla sua volontà di tornare normale. Con il passare degli anni i difetti paranormali si attenueranno fino a scomparire del tutto; il modo in cui questo avverrà, dipenderà soprattutto dalla tipologia del contagio. Con questo termino il Post Scrittum del libro, spero vivamente che capiti nelle mani giuste.

 

Appena Mark ebbe finito levò gli occhi dal foglio e li posò su di me. « Da questo ho dedotto che tu sei la discendente di Marino Serafino, il famoso cacciatore. E dopo tutto, sei riuscita ad entrare in questa tomba… ciò mi toglie ogni dubbio! ».
Non capii cosa c’entrasse il fatto di essere riuscita ad entrare in quel sepolcro, ma comunque avevo intuito che qualcosa di brutto stava per succedere. Lo guardai intensamente, confermando in un sospiro. « Ebbene, sì… ».
Il mezzo vampiro si girò di spalle come se avesse qualcosa da nascondere, ma non disse niente.
« Che c’è, adesso vorresti uccidermi solo perché sono la sua discendente? Non sarebbe la prima volta che mi capita, sai? » dissi in modo sarcastico, non pensando minimamente che avevo proprio colto nel segno.
« Sì » rispose Mark girandosi lentamente verso di me con un pugnale stretto in mano. Rimasi di stucco.
« Come sì? » domandai stupita. « Io l’ho detto perché pensavo che m’avresti risposto il contrario! »
« Ormai è deciso. Preparati »
« Ehi, ehi, ehi aspetta un attimo! Dì un po’, ma perché vuoi farlo? Cosa ti ha fatto di tanto grave Marino Serafino? Spiegamelo! » chiesi, alzandomi in piedi.
« Te lo dirò. Il tuo vigliacchissimo parente ha sterminato la mia la famiglia da parte di mio padre, e insieme all’aiuto di una strega che in seguito ha ucciso, ha gettato un malocchio sulla mia famiglia, quindi è doppiamente colpevole! » urlò, fissandomi negli occhi.

Vigliacco, colpevole. Come osava parlare in quel modo del mio parente? Gli serviva una lezione!

« Doppiamente colpevole, eh? Ti sbagli. Lui è centomila volte colpevole! ».
Con quella risposta l’uomo sembrò indugiare. « Sempre se sia un crimine togliere di mezzo degli inetti bevitori di sangue come quelli della tua famiglia! ».

Il suo viso divenne paonazzo. « Come ti permetti di dire una cosa simile, ragazzina? »
« Lui proteggeva l’umanità. Era un brav’uomo! Tu non hai il diritto di insultarlo, e per quanto riguarda tuo padre o chi che sia, sono sicura che ebbe un motivo ben preciso per farlo fuori »
« Tu non puoi sapere! » ruggì Mark in preda all’ira. « Se è vero quello che hai detto, allora anche tu dovresti morire, non ho forze ragione? Sei un vampiro, devi uccidere per vivere! E comunque sai troppe cose ora… mi riferisco alla cocaina! ».
Scossi la testa. « Dammi pure della codarda, della sentimentale, dell’ingenua creatura, ma io non ho ancora ucciso nessuno! Sei stato un bugiardo a fingere bontà per tutto questo tempo! » risposi, preparandomi psicologicamente ad uno scontro.
« Per quanto non ti piaccia l’idea, dovrai farlo prima o poi! Dovrai privare della vita… ma infondo hai ragione, non succederà. Spirerai prima! » concluse, facendo scricchiolare le nocche delle mani.
« Così anche il mio ultimo amico mi tradisce… si vede che quando è destino, è destino! » dissi sotto voce prima di evitare il suo primo affondo.
Anche lui era agile, fulmineo oserei dire! Ma io ero un vampiro completo, e in quella stanza non c’era nessuno più veloce di me!
« E tu vorresti uccidermi con quel pugnale poco affilato? Ma andiamo… » lo provocai. Pensandoci bene, era un po’ di tempo che non mi impelagavo in qualche zuffa, e, in nome dei tempi passati chiusa in una palestra a picchiare un sacco da Box, quella notte gliene avrei date di santa ragione.

Una cosa, però, era sicura: se fossi ne fossi uscita io vincitrice, non l’avrei ucciso.

Ricordo d’essere stata a combattere contro Mark per non meno di un ora e mezza, quando finalmente lui fece la mossa falsa: nel vano tentativo di infilzarmi col coltello, perse l’equilibrio e finì a bocca in avanti sul pavimento. Io sfruttai l’occasione in un modo che ancora adesso ricordo fu essere terribilmente istintivo: gli saltai al collo e lo morsi. Subito il sangue caldo della mia preda mi scese in gola e, affamata com’ero, succhiavo sempre più forte. Era come se il vampiro celato fino ad allora dentro di me si fosse risvegliato, e per un istante mi abbandonai completamente al suo volere.

Ma prima che potessi dissanguarlo, la parte razionale della mia mente tornò attiva. No! pensai, lasciando andare la presa. Non lo farò!
Mi alzai in piedi guardando il corpo del capitano dall’alto verso il basso e, pulendomi la bocca con il dorso della mano, gli sferrai un calcio nel costato per vedere se era ancora vivo.
Per fortuna lo era e come!
Non ostante gli avessi succhiato molto sangue, cercò di rimettersi in piedi per attaccarmi nuovamente, ma lo colpii un’altra volta facendolo stramazzare a terra privo di sensi.
« Mi spiace, ma hai iniziato tu per primo, Mark » dissi tristemente, prima di prendere gli yen e l’Mp3 che avevo lasciato sul pavimento accanto al sarcofago. Guardando bene, vidi anche la mia valigia: fortunatamente nessuna l’aveva toccata, era rimasta dove l’avevo lasciata.
Più tardi decisi che me ne sarei andata da quel posto. Avrei girovagato un po’ per le strade della grande capitale ascoltando con il lettore Mp3 il corso di giapponese e in seguito avrei trovato un nuovo posto dove passare il giorno.

 

Anche quella notte c’erano moltissime persone fuori di casa, e gruppi di mercanti si radunavano ai lati della strada mostrando alla gente la loro merce. Passeggiavo in mezzo a loro, tranquilla e serena. Era come se la lotta con Mark mi avesse liberata da ogni pensiero e preoccupazione, e mentre ero al mio terzo ascolto dell’Mp3, mi accorsi di ricordare già tutte le frasi a memoria.
Incredibile, mi ricordo tutto, ma sarà meglio risentirlo almeno per altre tre volte! pensavo, continuando a camminare a testa alta, facendomi spazio tra la gente orientale di fronte a me. Passarono le ore, e, quando finalmente mi ricordai di guardare l’orologio, erano le cinque e mezza. Un orario assai pericoloso per un vampiro che non ha un posto dove rifugiarsi. Passai davanti ad un altro cimitero, ma purtroppo quest’ultimo non aveva sepolcri, essendone uno scintoista.

Maledizione, mi sa che qui ci lascio le penne!

Lessi il nome scritto in inglese del cimitero: Asakusa Cemetery. Guardai all’orizzonte: i primi bagliori del sole già rischiaravano il cielo notturno. Era tardi.
Cosciente che se non avessi trovato un posto dove dormire da lì a dieci minuti la mia vita sarebbe finita, cominciai a correre all’impazzata, fin quando arrivai davanti ad un vecchio ed abbandonato ristorante cinese. Senza pensarci due volte entrai. Sfondando l’entrata in legno, mi diressi velocemente verso quella che pensavo fosse la cantina. Aprii la porta e vidi il buio: avevo indovinato, quella era di sicuro il luogo più oscuro del ristorante. L’ideale per me, che dopo aver sistemato in un angolo valigia e lettore Mp3, mi coprii con dei vecchi stracci trovati sul pavimento per poi addormentarmi profondamente.
Sognai un melo in mezzo ad un prato. Dai suoi rami pendevano belle e grosse mele, rotondeggianti e profumate, un invito irresistibile per la sottoscritta che aveva la sensazione di non mangiare da giorni. Ma fu proprio prima di afferrare il frutto che sentii una voce femminile dietro di me.
« E tu chi sei? » mi chiese in tono infantile.
« Nessuno… » risposi staccando il frutto con il minimo sforzo.
« I vampiri non possono mangiare frutta, lo sai! » ammonì la donna.
« Rompipalle. Io non sono un vampiro normale, guarda! » conclusi dando un morso alla bellissima mela.
Appena l’ebbi fatto però, il cielo si oscurò e cominciò a tuonare. « Hai rovinato tutto! » urlò la donna in preda al panico. « Adesso moriremo tutti! ».
« No, non morirete affatto! » dissi a bocca piena. « Questo è uno stupido sogno, e se mi sveglio in tempo nessuno ci rimetterà le penne! » conclusi, buttando a terra ciò che rimaneva del frutto. Ma prima che potessi fare qualcosa un fulmine mi colpì in pieno, ed allora sì che mi svegliai sul serio!
Aprii gli occhi: sopra non c’era altro che l’umido e grigio soffitto del ristorante cinese abbandonato. Tirai un sospiro di sollievo, per fortuna era stato solo un sogno…
Mi alzai in piedi, scossi i vestiti e mi diressi verso l’interruttore della luce sulla parete dietro di me. Quando la lampadina si accese potei finalmente vedere la cantina del ristorante per bene: era un luogo che misurava non più di dieci metri per dieci; le pareti erano sporche e senza decorazioni, davanti a me si innalzavano i gradini in legno di una lunga scala che portava al pianoterra. A prima vista sembravano malridotte e cedevoli, ma quando l’altra notte c’ero passata sopra avevano resistito benissimo. Mi guardai attentamente intorno: l’unica cosa che assomigliasse lontanamente ad una decorazione era la mia valigia nera posta in un angolo. Pensandoci bene, non ricordavo neppure più cosa ci avessi infilato dentro, anche perché non avevo avuto molto tempo di prepararla la notte in cui ero partita per il Giappone con Mark: avevo arraffato tutte le cose che mi capitavano tra le mani, non dimenticando di certo biancheria intima, alcuni vestiti e, ad esseri sinceri, mi pareva che ci avessi ficcato anche un Cheongsam, abito tipico della Cina, completamente blu con dei fiorellini d’argento ricamati sopra. Veramente bello, soprattutto addosso a me, essendo in tinta con i miei occhi. Fu allora che decisi di cambiarmi: mi avvicinai alla valigia, l’aprii e tirai fuori sia quel vestito sia la sacca con dentro i trucchi. Mi tolsi la maglietta di pelle e i pantaloncini in jeans per poi mettermi addosso il capo di seta all’orientale, legai i capelli ricci in una coda alta ed infine passai al trucco: tracciai l’eye-liner sulle palpebre, misi la matita nera, un po’ di rimmel sulle ciglia e per finire, umidificai la bocca con del lucida labbra. Le scarpe erano dello stesso colore dei fiorellini ricamati sul vestito, il tutto condito con un piccolo rosario azzurro intorno al polso destro.
Sembra quasi che stia andando ad una festa… pensai saltellando sul posto per provare la comodità del vestito. Ammetto che era davvero molto corto, circa dieci centimetri al di sopra del ginocchio, ma, abbinato alle scarpe da ginnastica, era ugualmente molto agevole. Subito dopo essermi agghindata in quella maniera, rimisi nella valigia la roba che m’ero tolta e mi avviai verso il pianoterra.

Ma fu proprio appena uscita dallo scantinato che sentii dei rumori molto strani provenienti dai piani superiori. Probabilmente c’era qualcun altro, forse qualche ragazzo intento a procurarsi la temerarietà tra i suoi amici venendo ad esplorare il lugubre ristorante cinese abitato dai fantasmi.
Bene, sarei andata a fargli visita in un modo che non avrebbe scordato fino alla fine dei suoi giorni. Salii i vecchi scalini in marmo, uno dopo l’altro, sghignazzando tra me e me sulla reazione che avrebbe avuto la mia vittima. Come al solito mi sbagliavo.
Infatti rimasi scioccata dal vedere che, a parte i vetri rotti e consumati delle finestre, il primo piano era messo completamente a nuovo! Anche se da fuori, a luci spente, non si vedeva affatto. Mi resi conto che quel vecchio palazzo era già proprietà di qualcun’altro, e che io ero l’intrusa.
Pazienza, vorrà dire che nel spaventarlo ci metterò ancora più impegno, così sloggerà senza darmi tanti problemi… pensavo, avanzando velocemente verso il secondo piano. Mi fermai dietro la porta che lo collegava alle scale, posi l’orecchio sul freddo legno ed ascoltai: era proprio da lì che venivano i rumori che avevo sentito in precedenza. Sembravano suoni provenienti dallo sfregamento di oggetti metallici, acuti ma di breve durata. Rimasi in quella posizione finché i suoni non cessarono, poi guardai dal buco della serratura: l’intero secondo piano era una stanza immensa, completamente ristrutturata. Le luci del soffitto illuminavano quasi con la stessa intensità del sole, e il parquet sotto di esse era lucidissimo. Ma la cosa che mi colpì in assoluto di più furono gli attrezzi sportivi che arredavano al zona: tappetini per le flessioni, cyclette, pesi da cinquecento chili, sacchi da Box, macchine per addominali, dorsali, per i muscoli delle cosce e tanti altri ancora; c’era anche una parete zeppa di armi tipiche dell’oriente, quali spade dritte, lance, sciabole e bastoni.

Però, il ragazzino sa come difendersi da eventuali attacchi!

Ma dov’era colui che possedeva tutto questo? Voglio dire, fino ad un minuto fa avevo sentito i rumori striduli delle macchine in funzione, quindi ci doveva per forza essere qualcuno! Decisi di entrare.
Magari l’elemento sorpresa sarebbe andato a quel paese, ma almeno avrei capito dov’era la persona che avevo intenzione di spaventare a morte. Afferrai la maniglia della porta e spinsi. In una manciata di secondi mi ritrovai dentro la palestra: l’odore di sudore era inconfondibile. Mi guardai intorno, effettivamente c’era un’altra porta che sbirciando dalla serratura non avevo visto.

Quello dev’essere per forza il bagno… ragionai avvicinandomi lentamente ad esso. E scommetto che il tizio si sta lavando, si sente il suono della doccia aperta…

Povera me, non sapevo ancora cosa mi stava aspettando. Strinsi la maniglia della porta del bagno, ma fui bloccata da una voce di ragazzo alle mie spalle, schietta ma contemporaneamente matura.
« Non ti hanno insegnato a bussare prima di entrare? » chiese in tono misto tra il divertito ed il severo. Non risposi subito: ero rimasta letteralmente ghiacciata.
Mi girai di scatto verso il ragazzo. Probabilmente fu uno degli orientali più belli che fino ad allora avevo avuto il piacere di vedere: pur non essendo altissimo, aveva comunque un fisico perfettamente asciutto e muscoloso; i capelli lunghi una manciata di centimetri erano neri con dei riflessi blu, uniti in una cresta poco pronunciata e sparata all’indietro; inoltre aveva una frangetta sfoltita lungo tutta la fronte che terminava ai lati con due lunghe ciocche di cappelli, proprio nel punto che separa la tempia con l’orecchio; le sopracciglia erano fine e ben delineate, mentre la forma allungata degli occhi metteva in risalto le iridi di un colore molto simile a quello dell’oro; le labbra erano mediamente carnose e i denti bianchissimi. I suoi lineamenti erano duri ma allo stesso tempo aggraziati, e gli donavano un aspetto quasi principesco.
Vestiva pantaloni larghi e comodi da ginnastica, le scarpe nere e molto aderenti al piede, tipiche di chi pratica arti marziali. Stava a torso nudo.
Mi guardava senza espressività, mentre nella mano destra faceva roteare minacciosamente una lancia cinese.
« Allora, hai perso la lingua? » mi domandò spazientito.
Deglutii rumorosamente, non riuscivo a capire come mai quel giovane mi mettesse così tanta soggezione.
« Io… io… stavo… » balbettai con indecisione, ma lui m’interruppe: « Faccio quest’effetto a molti spettri, sai? ».
Lo guardai disorientata: come faceva a sapere ero non un essere umano? A quelle parole tornai in me, cacciando via la timidezza. « Perché dici questo? Cosa te lo fa credere? ».
« Suppongo che tu sia un vampiro » rispose lui con tono sufficiente. « Be’ sarebbe il colmo per un cacciatore non riconoscerne uno a prima vista! ».
Fatto! Mi ero cacciata nuovamente nei guai.
« Sei un cacciatore? Dannazione! Ti informo che… »

« Risparmia il fiato, ti servirà a dire le tue preghiere una volta che avremo finito di combattere! »
« Vuoi combattere? Ma io… te lo dico, non mi tratterrò solo perché… sei carino! ».
Avevo dato fiato alla bocca senza prima accendere il cervello, cosa che mi capitava spesso. Ma lui, accennando ad un sorrisetto malizioso, concluse: « Neppure io! ».

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** --Team Dragon ***


TEAM DRAGON

 

Si gettò istantaneamente all’attacco. Per essere solo un ragazzo umano era velocissimo, infatti, col primo affondo, mi ferì alla spalla sinistra. Saltai all’indietro, premendo con la mano sul taglio e lo aspettai al centro della stanza. Egli non tardò ad arrivare e, con un’altra mossa velocissima della sua arma, mi procurò una ferita sulla gamba destra.

Dannato! È molto più forte di quanto credessi, si vede che è un professionista! pensavo, schivando con difficoltà i suoi rapidissimi e letali attacchi.
« Cosa c’è, vampiro, mi avevi forse sottovalutato? » chiese con arroganza, spingendomi violentemente in un angolo e imprigionandomi con l’asta della sua arma al muro.
« Chiudi il becco! » gli dissi di rimando con il suo stesso tono di voce. A quelle parole il ragazzo mi tagliò per l’ennesima volta. D’accordo, ad un vampiro le ferite si rimarginano in brevissimo tempo, ma quello, a furia di colpi, non mi dava neppure il tempo di reagire!
Spiccai un altro balzo sopra di lui, solo per atterrargli dietro la schiena. Ma proprio nel momento in cui riuscii ad afferrargli la spalla per girarlo e dargli finalmente un cazzotto in faccia, se pur per un momento, sentii dentro di me qualcosa che non andava: lo stomaco mi bruciò, sudai freddo e caddi all’indietro, come durante uno svenimento.
Io non svenni di certo, ma caddi a terra, cingendomi l’addome con le braccia. Come ho già detto, tutto questo durò un attimo, ma il lasso di tempo bastò ed avanzò al mio avversario che non perse l’occasione di afferrare un lunga catena antivampiro con la quale m’imprigionò. Ma la cosa che mi atterrì di più fu che quando la catena mi avvolse, riuscii a sentire il gelido metallo sulla mia pelle, come avrei fatto da umana. Allora capii cosa stava succedendo: stavo avendo un altro ritorno alle origini.
Una momentanea perdita delle potenzialità sovrannaturali che dava i propri sintomi ad intervalli irregolari, dovuta al tipo di sangue che mi scorreva nelle vene e che m’impediva di essere un vampiro a tutti gli effetti. Già mi era successo un paio di volte sulla nave di Mark, ma non gli avevo dato molto importanza; pensavo fosse una cosa normale per una neonata! Un piccolo periodo di assestamento per le nuove capacità acquisite durante la trasformazione. Insomma, niente di cui preoccuparsi.
Ma adesso la situazione era molto più grave, mortale oserei dire!
Non potevo muovermi, il bel ragazzo mi aveva legata bene e per di più in quel momento non ero neppure un vampiro. Sapevo che la mia ora era giunta.
Il giovane si avvicinò, si chinò e mi guardò il viso con aria incuriosita. « Molto strano. Sei diventata di un colore simile a quello degli esseri umani… ma ci vogliono altri trucchetti per ingannarmi! » affermò, alzandosi e guardando altrove.
« Ma quali trucchetti…? Magari avessi ragione… » mormorai tristemente, guardandolo avvicinarsi alla parete con le armi. Solo in quel momento notai che aveva un grosso e perfetto drago cinese tatuato sulla schiena.
« Non temere, ti finirò con un’arma speciale. Una che uccide solo quelli come te… » concluse, afferrando un bastone terminante con una lama appuntita. Tornò al mio fianco e, sollevandomi con un solo braccio mi sussurrò all’orecchio: « La tua imitazione potrà ingannare la vista, ma con un’arma del genere non sopravvivrai »
« Tu non capisci niente, non sto affatto fingendo! » gli urlai in faccia, ma lui non parve neppure sentirmi e, appoggiandomi ad una parate, mi bucò la pancia con quella lancia. Provai un dolore immenso.
Il ragazzo ritirò subito l’arma a sé e fece un passo indietro, osservandomi mentre cadevo in ginocchio di fronte a lui.
« Ora ti trasformerai in polvere » affermò con una nota di dubbio. « Lo farai » concluse, girandosi di spalle ed avvicinandosi alle finestre rotte.
Non mi trasformai affatto in polvere, ma caddi a bocca in avanti sputando un grosso fiotto di sangue. Anche se provavo molto dolore, avevo come l’impressione che il colpo non avesse ferito organi vitali.
Ah, non di certo per merito suo! Evidentemente l’arma con la quale mi aveva colpita doveva essere una di quelle che appena perforano la carne della propria vittima rilasciano istantaneamente una sostanza chimicamente deleteria per quell’individuo, che così è destinato a morire. La mia fortuna, chiamiamola così, era stata che in quel momento avevo perso tutti i poteri da vampiro, di conseguenza era come se il ragazzo avesse trafitto un essere umano. Questo non cambiava molto le cose. Sarei morta dissanguata, a meno che la crisi non fosse passata in poco tempo.

Avanti, pensavo, avanti… maledizione, devo trovare ad essere un vampiro, avanti, avanti…

Il ragazzo era ancora girato di spalle, evidentemente credeva che mi fossi morta, ma con le ultime forze che mi rimanevano attirai la sua attenzione: « Almeno dimmi il tuo nome… » lo esortai con un filo di voce.
Sentendo che ero ancora viva il giovane si girò, e appena vide che non mi ero trasformata in polvere spalancò i begli occhi dorati. « Sei… sei ancora viva? » sussurrò con voce tremante.
« Allora non stavi mentendo! » e detto questo si avvicinò per soccorrermi, ma appena si fu accovacciato di fianco di me nell’intento di liberarmi dalla catena, ebbi la stessa, identica sensazione di prima: bruciore di stomaco, sudore freddo e giramento di testa, poi, l’attimo dopo, mi accorsi con stupore di essere tornata un vampiro.

Miseriaccia… proprio adesso che mi stava liberando!

Mi girai in posizione prona affinché il cacciatore non vedesse il rinnovato pallore che aveva acquisito la mia faccia. Come potevo fare?
Intanto lui aveva finito di riarrotolare la catena e si apprestava a verificare se ero ancora viva o se il colpo che mi aveva inferto fosse stato fatale. Si portò sopra di me e con una mano cercò di mettermi supina. Ma io non potevo voltarmi come se niente fosse e fargli vedere che ero ritornata una bevitrice di sangue! Se l’avessi fatto di sicuro m’avrebbe ammazzata.
Fu allora che decisi cosa fare: essendo cosciente della grande forza che accomuna tutti i vampiri, mi girai di scatto e prima che lui potesse dire o fare qualcosa, gli mollai il cazzotto più potente che abbia mai dato ad un essere umano, colpendolo al braccio sinistro. Potete immaginarvi qual volo di cinque metri abbia fatto, che botta alla parete abbia dato e che dito medio si alzò dalla mia mano destra.
Lo vidi stramazzare a terra. Il sangue gli usciva sia dal labbro inferiore, sia dal naso. Lo guardai dall’alto verso il basso, ma non riuscii a pensare nulla di intrepido o vittorioso.
Non ci riuscii per un motivo molto semplice: avevo seriamente rischiato la morte, e se ero ancora viva non dipendeva da me, ma dal buon Dio.
Me ne andai quasi subito. Pur essendo scampata ad un cacciatore bravissimo come quel ragazzo, avevo in corpo una brutta sensazione, come se fossi vuota, incapace, inutile. Forse per via del fatto che ero stata ad un passo dall’abbandonare questo mondo. Scesi le scale del secondo e del primo piano, entrai nuovamente nella cantina del ristorante abbandonato per riprendere la mia roba, ma rimasi allibita nel vedere che non c’era più.
Fantastico! pensai rabbiosamente, avanzando verso l’uscita dell’edificio. Ci mancavano anche i ladri. Che vita dannata!
E così ero ancora una volta là, in mezzo alla strada senza un posto dove andare. Triste e disorientata. Sentii la fame crescere, e c’era solo un posto dove avrei potuto ricavarmi del cibo senza uccidere qualcuno…
« Mi dia due bottiglie di sangue di mucca, grazie! » dissi al macellaio, fermandolo appena in tempo prima che chiudesse la bottega.
« Sangue? Adesso… A cosa le serve? » domandò con noncuranza mentre finiva di pulire il bancone.
« Vedi, buonuomo, si da il caso che io sia una vampira e che per vivere mi debba nutrire di sangue. Ti conviene darmelo, altrimenti prenderò il tuo » risposi sorridendo e sbattendo le lunghe ciglia.
Il macellaio mi guardò divertito e dopo tre secondi di silenzio scoppiammo entrambi a ridere.
« Benedetti giovani, è mai possibile che ogni giorno ve ne inventiate una nuova? Comunque non sei la prima che a quest’ora mi chiede delle bottiglie di sangue! La notte scorsa qualcuno ha ordinato la stessa cosa… comunque aspetta, te le vado a prendere! » e dicendo questo il macellaio sparì dietro l’angolo di una porta.
Che idiota… pensai col finto sorriso prosciugato, scuotendo la testa. Non crederà davvero che mi beva la storia dell’altro! Per quanto mi riguarda sono l’unica vampira al mondo che viene qui a procurarsi da mangiare.
L’uomo tornò dopo pochi minuti con in braccio due bottiglie piene di sangue. « Bene, sono mille yen! » affermò con decisione.
Mille yen? Accidenti, i soldi erano riposti al sicuro nella valigia!
Mi avvicinai alle bottiglie, le presi e dissi all’uomo che desideravo averne una terza, così, appena fu andato nell’altra stanza a prenderla, sfruttai la super velocità e corsi fuori dalla macelleria senza pagare!
Mi spiace amico, ma quando tornerò la prossima volta, ti risarcirò.
Non feci in tempo ad allontanarmi venti metri dalla bottega della carne, che una voce maschile dal tono spavaldo parlò. « Ma bene! E dimmi, da quando i vampiri vanno in macelleria per procurarsi del sangue invece di uccidere la gente? ».

Sospirai: evidentemente era un ragazzo che cercava grane da piantare.
« Vuoi attaccare briga con me? » chiesi, senza neppure girarmi. Questa volta mi rispose un’altra voce, sempre maschile ma meno spavalda della prima. « Non parleresti così se sapessi chi siamo! ».
Ma in quanti erano? Mi voltai lentamente e alla luce di un lampione vidi quattro ragazzi armati fino ai denti che in pochi secondi mi circondarono.
« Vi avverto, sono affamata e di cattivo umore… non vi conviene provocarmi » dissi freddamente, prima di stappare una delle due bottiglie e cominciare a berla, mancando gravemente di rispetto a quei tizi, rimasti alquanto stupiti della mia nonchalance.
« Eh? Ma come si permette? » chiese arrabbiato il primo.
« Ma… è davvero una vampiro! Sono anni che non ne vedo uno! » affermò un terzo.
« Suvvia, non lasciamoci demotivare, quelli del Team Dragon fanno sempre il loro dovere, vero capo? » domandò un quarto.
« Secondo me sta fingendo di non avere paura… in realtà se la starà facendo sotto! » dichiarò il secondo.
Finii di bere anche la seconda bottiglia di sangue, per poi passare lo sguardo su ognuno.
Il primo che aveva parlato, quello con la voce da spavaldo, era alto, di fisico ben messo, aveva occhi di un blu scurissimo, quasi nero e naturalmente a mandorla; in testa aveva un paio di enormi occhiali da aviatore con le lenti oscurate che gli reggevano la capigliatura bicolore: nella parte posteriore del cranio portava dei capelli lunghi al massimo un centimetro, di colore giallo limone, mentre nella parte superiore aveva dei foltissimi capelli bordeaux scompigliati e ritti verso l’alto, tenuti insieme da litri di lacca; diversi monili e orecchini gli addobbavano entrambi i lobi delle orecchie da cima a fondo, conferendogli un’aria da duro. L’arma di quest’individuo era una specie di spada ricurva con il manico nero e la lama bianca.
Il secondo era molto più alto di me, ed era forse il più grande: aveva i capelli scuri di media lunghezza completamenti buttati all’indietro e fissati con chili di gel, che lasciavano fuori solamente un ciuffetto che gli ricadeva su un lato della fronte, facendolo somigliare vagamente al cantante Elvis Presley, mentre l’ombra di un pizzetto sbarazzino gli si allargava sul mento. Dall’aspetto fisico capii che era il più anziano, anche se non doveva avere più di ventisei anni. Stretta fra le mani possedeva una lunga katana emanante un fortissimo odore di benedetto.
Il terzo era quello all’apparenza più normale: aveva lunghi capelli marroni che raccolti in una coda alta gli arrivavano oltre le scapole e occhi color cioccolata; un grande sorriso stampato in faccia lo distingueva da tutti gli altri, mentre aveva una bellissima e decorosa katana stretta sulla mano destra e un’altra dentro la fodera legata dietro le spalle.
Infine, l’ultimo era un ragazzo di colore che portava dei decorativi Cornrows: treccine attaccate alla testa che gli arrivavano fino alle spalle; i suoi occhi erano assai espressivi, il naso non troppo grande e la bocca carnosa. Due nei rotondi gli spuntavano a lato di ognuna delle narici, mentre una cicatrice ormai chiusa gli decorava la parte destra e bassa della mascella; come arma aveva due lunghi e affilati pugnali con la lama leggermente ricurva e molto ornati.
Erano tutti vestiti allo stesso modo, come se avessero un’uniforme particolare per cacciare: ampi pantaloni blu, camicia bianca, che i primi due portavano sbottonata, e scarpe da ginnastica.
« Cosa volete da me? » chiesi con aria insofferente.

« Non so da dove tu possa essere sbucata, vampira, ma ti giuro che questa sarà la tua ultima notte! » disse il primo ragazzo, puntandomi contro il dito indice.
« Dannazione, sbucano uno dopo l’altro! Oggi deve essere una giornata sfortunata… » sussurrai a bassa voce, portando una mano alla fronte.
« Ehi, come ti chiami? » chiese amichevolmente il giovane con le due katane, avvicinandosi imprudentemente.
« Ma che fai, sei scemo? Vieni subito via! » lo ammonì il primo con la sua irritantissima voce.
« Per i miei gusti hai parlato anche troppo » sibilai a denti stretti guardandolo minacciosamente, ma il terzo ragazzo si frappose tra me e lui, mentre gli altri due facevano fatica a trattenerlo.
« Non farci caso, lui è molto impulsivo… rispondi a me, qual è il tuo nome? » ripeté con calma sorridendomi, solo per essere guardato storto. « Perché lo vuoi sapere? ».
« Be’, così possiamo fare amicizia! ». Sussultai, incredula.
« Mi chiamo come mi chiamo, e non ho affatto intenzione di diventare vostra amica! »
« Che disdetta. E perché no? » fece lui con aria ingenua. « Non ti piacciamo, forse? ».
Abbassai lo sguardo e non risposi: come poteva chiedermi una cosa del genere con tale leggerezza? Loro erano dei cacciatori di vampiri ed io proprio una schiava della notte! Non poteva funzionare.
Inoltre, memore dei numerosi tradimenti vissuti fino ad allora, avevo deciso di non concedere più fiducia a nessuno.
Gli voltai le spalle e feci per andarmene, ma il ragazzo mi trattenne per un braccio, la sua espressione si era fatta cupa. « Aspetta… forse non ti fidi di me!».
Mi scrollai istantaneamente la sua mano di dosso e lo guardai gelidamente. « Perché dovrei farlo! Tu per me non sei niente, la tua amicizia non m’interessa! Lo vuoi capire! »
« Ok, non ti fidi me… »
« Smettila di fare il finto tonto! Te lo ripeto per l’ultima volta, non mi interessate! ».
Niente da fare, quello che dicevo da un’orecchia gli entrava e dall’altra gli usciva.
« Uhm, come posso fare per convincerti che non ho cattive intenzioni? Ah, ci sono! ».
All’improvviso si afferrò con le mani la camicia bianca e se la sbottonò, poi spalancò le braccia, piegò il collo da un lato e mi fece l’occhiolino. « Prego, bevi pure il mio sangue! » concluse allegramente.
Rimasi senza parole. C’erano due spiegazioni per quel comportamento: o il giovane era un pazzoide suicida, o era uno di quei fanfaroni esibizionisti che se ne vanno in giro d’inverno in mutande e canottiera. Guardai alle sue spalle: i tre ragazzi erano rimasti sconcertati dal suo invito, soprattutto il primo, che ora sfoggiava una divertente espressione da pesce lesso.
« Vuoi che t’uccida? » domandai cautamente, non levando gli occhi dai suoi amici. « Oppure stai solo cercando temerarietà fra i tuoi compagni? »
« Ti sbagli, nessuna di queste cose… voglio solo dimostrarti che ho buoni propositi, sarebbe un peccato ucciderti. Mi stai simpatica! ».
Cercai di leggergli il pensiero: non ci riuscii perfettamente, ma qualcosa mi diceva che non stava mentendo. Così mi avvicinai lentamente verso quel ragazzo, gli cinsi le spalle con le braccia e appoggiai le fredde labbra sul suo collo. Lo sentii fremere; sentii anche il fiato spezzato e la tensione che accomunava i cacciatori dietro di lui. Sapevo che se avessi cominciato a succhiare, non avrei più finito finché il giapponese non avesse rasentato la morte. Ma lui era così bendisposto!
Rimasi alcuni secondi in quella posizione a ragionare. Lo faccio o non lo faccio?
Ero terribilmente indecisa. Inaspettatamente però, il ragazzo alzò una mano, l’appoggiò sulla mia testa e spinse, fin quando la mia bocca non fu a contatto con la sua gola. Mi stava esplicitamente incitando a morderlo. Spalancai gli occhi, era davvero pazzo? Non mi importava granché. In quell’attimo avevo deciso di risparmiarlo, domando la sete vampirica.
Lo allontanai da me con uno spintone, sforzandomi di fissarlo nei suoi profondi occhi marroni.
« Non mi piaci, vattene! » ringhiai.
Capii subito che m’ero scoperta: avevo lasciato fuoriuscire il mio lato debole, umano, misericordioso, non ancora corrotto dalla voracità della bestia che ero. Quel gesto aveva portato a galla la mia vera natura, che cercavo di celare in tutti i modi con un temperamento temerario e strafottente da mostro sanguinario. Prima avevo esitato, poi avevo rinunciato.
Porre fine all’esistenza di una persona era molto più difficile di quanto potessi credere. Soprattutto per esseri come me che, quando succhiavano il loro nutrimento sanguigno, rivivevano in prima persona tutte le esperienze passate delle loro vittime, ne assaporavano gioie e dolori. Diventavano per alcuni istanti proprio loro, i poveri malcapitati che gli soccombevano tra le braccia.
Lo guardai, ma al contrario di quanto mi aspettassi il giovane si rialzò, e venendo un’altra volta verso di me sfoggiò un sorriso smagliante. « Proprio come immaginavo… tu non hai un’anima cattiva! Scommetto che non hai ancora ucciso nessuno, ho ragione? »
« Non provocarmi, se volessi potrei rimediare subito! »
« Oh! Non lo metto in dubbio! » aggiunse tranquillamente. « Adesso aspetta un momento, dovrei averlo messo qui, da qualche parte… ». Si frugò frettolosamente nelle tasche, sotto il mio sguardo perplesso.
« Di cosa diavolo stai parlando? » domandai sporgendomi verso di lui.
« Trovato! » concluse allegramente, tirando fuori dal giubbotto una piccola bomboletta spray blu che, in un lampo, mi puntò addosso. Poi, sorridendo dolcemente, spinse il piccolo pulsante di erogazione, spruzzandomi in piena faccia una consistente spuma azzurrognola. Mi accasciai a terra istantaneamente pur non perdendo i sensi, o meglio, era come se fossi diventata un vegetale: ogni muscolo del mio corpo aveva perso la capacità di muoversi, i miei occhi erano chiusi, avevo perso il senso dell’olfatto e non sentivo più neppure il sapore di sangue di mucca che avevo bevuto pochi minuti fa. Gli unici sensi che per fortuna erano rimasti integri erano l’udito e il tatto. Era come se stessi cadendo in un sonno profondo. Sentii dei passi avvicinarsi, poi qualcuno mi prese in braccio. A quel punto il ragazzo spavaldo parlò ancora.

« Ehi, Shinku, questa la portiamo a casa? » chiese, ma la sua voce mi parve lontanissima, eppure avevo la netta sensazione che fosse stato proprio lui ad afferrarmi!
« Sì » rispose il giapponese che avevo risparmiato.
« Scusa, capo, ma come facevi a sapere che quel vampiro non ti avrebbe dissanguato? » domandò allora la voce del secondo uomo.
« Be’, in realtà non sapevo affatto come avrebbe reagito… mi sono solo affidato al destino! » rispose con aria allegra il terzo giovane.
« Sei uno stupido » cercai di dire, ma mi accorsi con delusione che al posto delle parole mi uscivano solo dei mugolii senza senso. Avevo la bocca impastata, anche se non saprei definire con certezza da che cosa: sembrava una grossa palla di catarro. Persi defintivamente coscienza alcuni minuti più tardi.

 

Aprii lentamente gli occhi. Il posto in cui mi trovavo era abbastanza buio, l’unica fonte di luce era una piccola lanterna penzolante dal centro del soffitto. Trattenni il fiato e mi guardai intorno: a prima vista sembrava una normale stanza. Alla mia sinistra c’era un letto all’occidentale di una piazza e mezza con a fianco un mobile ed una lampada spenta, mentre di fronte a me c’era l’ingresso preceduto da due scalini in marmo e costituito da una vecchia porta di legno scuro. In seguito mi accorsi che in quella stanza non c’erano finestre. Cercai di mettermi in piedi, ma appena ci provai sentii dei pesi sia sui polsi che sulle caviglie: mi avevano incatenata.
Non sapevo che fare, il silenzio regnava sovrano. Dopo un po’ alzai la testa sopra di me e vidi una telecamera a raggi infrarossi.
M’è venuta un’idea per farmi notare!
Mi alzai in punta di piedi nell’intento di raggiungere l’oggetto. Presi fra le mani il suo display e cominciai a cantare in modo spaventevole una canzone sui vampiri, assicurandomi di mettere ben in mostra le zanne.

 

In the estern barren moor, divided by the great Alps, where the sun renounced to shine, unless in the first morning.

There your fortress raises up, in the utter darkness, where the humans hardly arrive, as far as the eyes can reach.

Day light’s never there, in your lustful world…

You are strolling around, while the moon is ascending and the wolves start to howl, in the cold and late evening.

Hidden behind a curtain, the burned cross in your room, closed insade four walls you wait, but your heart’s known yet your doom.

Tormented by an insatiable thirst…

 

Vedevo la mia immagine riflessa sullo schermo della telecamera, sapevo che dall’altra parte qualcuno mi stava osservando, e presto sarebbe venuto a farmi visita.
Avevo ragione. Infatti, dopo nemmeno tre minuti, sentii il rumore sordo di passi venire verso la stanza. La porta si spalancò e vidi la figura sfocata di un ragazzo avanzare verso di me.
Lo riconobbi solo quando si fermò sotto la luce della lampadina: era il giovane orientale con cui avevo lottato, quello che era quasi riuscito ad uccidermi.
Ora vestiva dei jeans larghi, scarpe da ginnastica alte ed una camicia bianca completamente sbottonata, che lasciava in bella mostra il suo fisico scolpito. Lo guardai terrorizzata, ricordandomi della brutta esperienza trascorsa nel suo ristorante cinese.
« Cosa ci fai qui? » chiesi disorientata, fissandogli la fasciatura che spuntava dal bordo della manica.
Lui non rispose alla mia domanda, ma si limitò a guardarmi gelidamente con i suoi profondi occhi color dell’oro, poi si girò di spalle, tirò su la camicia e indicò il meraviglioso tatuaggio a forma di drago cinese.
« Sono uno dei cinque membri del Team Dragon » affermò in tono glaciale. « Tutti noi abbiamo un drago tatuato sulla schiena che ci distingue dalla gente comune e dagli altri gruppi di cacciatori » aggiunse, prima di voltarsi nuovamente verso di me.
« Come va il braccio? » domandai, ma il ragazzo cambiò discorso un’altra volta: « Non essere troppo insistente… e non fare troppe domande! ».
Quell’atteggiamento stava cominciando seriamente a darmi sui nervi. Non trovavo affatto giusto che non rispondesse alle mie richieste!
« Cosa avete intenzione di farmi? Dove sono gli altri? E perché non dovrei fare domande? » dissi tutto d’un fiato, vedendolo innervosirsi. « Hai sentito cos’ho detto? » rimbeccò.
« Certo che ho sentito, il fatto è che non lo trovo giusto! ».
Lui mi guardò storto, ma alla fine sorrise sotto i baffi.
« Tsk, spettri occidentali… » sussurrò in modo sarcastico, per poi aggiungere con decisione: « Shinku e gli altri stanno per arrivare, nel frattempo dovrai sopportare la mia compagnia. E se farai altre domande ti taglierò la lingua! ».
Lo osservai come se fosse stato un demente, ma non dissi nulla e lasciai la testa penzolare da un lato del collo.
Passarono diversi minuti. Il giovane se ne stava seduto sul bordo del letto a braccia conserte e mi fissava con aria cupa, mentre io cercavo in tutti modi di ignorarlo. Fu solo dopo un quarto d’ora che gli altri cacciatori ci raggiunsero: dapprima vidi entrare il ragazzo ottimista, seguito da quello spavaldo con i capelli sparati in aria, quello col ciuffetto e l’africano con i due nei ai lati delle narici.
Tutti si fermarono di fronte a me e chiamarono l’amico, che li raggiunse in un batter d’occhio.
« Ciao! » disse amichevolmente il primo ragazzo. « Adesso ti diremo i nostri nomi, e dopo tu ci dirai il tuo! »
« Non ci penso nemm… »
« Taci! » m’interruppe bruscamente il giovane spavaldo dai capelli dritti. « Adesso parla Shinku! ».
L’altro sorrise imbarazzato e poi sospirò. « Come stavo dicendo… io sono Shinku, piacere! ».
Si chiamava Shinku? Ma che razza di nome era mai quello?
« Questo invece è Huyu! » continuò, cingendo le spalle al ragazzo dai capelli sparati che mi fece l’occhiolino, sfoggiando un sorriso da giullare come pochi.
« Lui è Kami, l’uomo con il gel al posto dei capelli, grande fan di Elvis Presley! »

« Ciao, bella! » esordì l’uomo, sventolando la mano davanti al mio naso.
« Ciao » ringhiai affilando lo sguardo.
« Poi abbiamo Bob, l’africano con le treccine, ed infine… il bellissimo cinese Ryuren! ».
Rimasi a guardarli senza parole: mi sembravano la squadra delle giovani marmotte al completo! Senza contare il fatto che avevano tutti quanti degli stranissimi nomi.
« Coraggio, adesso tocca a te! » mi ricordò il giovane di nome Shinku.
« Io sono… ». Esitai un momento rendendomi conto di non aver saputo resistere al suo invito, poi conclusi con un sospiro rassegnato: « Iscah ».
A quelle parole l’espressione sul volto di Shinku divenne ancora più radiosa. « Bene! Adesso ti possiamo anche liberare! »
« Vacci piano Shinku, non dimenticare che in qualche modo è riuscita battere Ryuren! » lo ammonì Huyu.
« Ah, stai zitto! Non mi ha battuto per niente! » scoppiò immediatamente il ragazzo cinese.
« Ah, no? E allora come spieghi il braccio guasto e il fatto che ti abbiamo ritrovato svenuto? »
« Non rompere! Avrei voluto vedere te a mio posto! Sempliciotto! »
« Oh, il bello addormentato nel bosco è arrossito. Mi spiace di averti messo in imbarazzo, dolcezza! »
« Non chiamarmi dolcezza, cretino! Beccati questo! ». I due cominciarono ad azzuffarsi, lasciandomi interdetta. Ma con chi diavolo sono capitata?
Da un parte c’erano i due che litigavano, dall’altra Bob e Kami ridevano e scherzavano fra di loro, scambiandosi battute come se non fosse successo nulla di speciale, mentre il quinto, Shinku, s’era messo seduto di fianco a me a gambe incrociate.
« Non preoccuparti, sei al sicuro! » disse improvvisamente. « Finché resterai qui nessuno ti farà del male ».
Lo guardai stupita. « Non capisco un accidente, voi siete dei cacciatori di mostri, dovreste uccidermi »
« Ah, funziona così dalle tue parti? »
« Perché, da voi no? »
« Be’, effettivamente sei stata molto fortunata ad incontrarci… altri cacciatori ti avrebbero tolta di mezzo senza esitazione! Ma noi del Team Dragon valutiamo la situazione prima di uccidere! E poi qui da noi sei merce rara! » scherzò il ragazzo, esibendo un sorriso da giullare.
« Non mi sembra! Se ancora non te l’ha detto, il tuo amico cinese stava quasi per ammazzarmi l’altra notte! »
« Non l’avrebbe fatto, al massimo ti avrebbe quasi ammazzata… fidati, lo conosco! »
« Se lo dici tu… ma di preciso, da cos’è che mi volete proteggere, e perché? »
« È una lunga storia »
« Non preoccuparti, a me piacciono le storie! »
« Ok, allora te la racconterò! ». Fece una pausa per riprendere fiato.
« Oltre duemila anni or sono, esisteva un ragazzo che il mito nipponico ci ha imposto di chiamare Yuri. Costui vendette l’anima al diavolo per avere una cosa che da solo non poteva ottenere… »
« Cosa? » lo interruppi incuriosita.
« L’immortalità! » concluse Shinku fissandomi negli occhi.
« Ma così anche il diavolo rimase fregato, non è vero? »
« Brava, hai colto nel segno! Infatti l’accordo prevedeva che appena Yuri fosse morto il suo spirito sarebbe dovuto andare all’inferno! Ma tu capisci, chiedendo l’immortalità era impossibile che morisse! »
« E come andò a finire? »
« Il diavolo s'infuriò, ma nel frattempo rimase anche estasiato dall’astuzia di questo ragazzo, così decise di farlo diventare uno dei suoi discendenti… una sorta di Anticristo! Ma Yuri, cosciente del potere che aveva, si ribellò, e per tutta risposta fu costretto dal demonio a vagare per la Terra fino alla fine del mondo, dicendogli che poteva essere ucciso solo da una persona pura di cuore! ».
Shinku sospirò profondamente.
« Aspetta un attimo, ma questo cosa c’entra con me? » domandai.
« Silenzio. La storia non è ancora finita! » disse scherzosamente il ragazzo. « Così passarono gli anni, e lui non faceva altro che girovagare qua e là sulla Terra, beccandosi per ogni paese un nome differente e provocando disastri irrimediabili… ma fu proprio circa duecento anni fa che una persona dal cuore puro riuscì finalmente ad infilzarlo con una spada, e lui cadde in un sonno profondo. Il suo corpo venne trasferito qui a Tokyo dentro un magico sarcofago in marmo che nessun mortale né mostro qualsiasi avrebbero potuto aprire sperando di scampare alla morte. Così, di generazione in generazione, i cacciatori della zona hanno vegliato sul corpo inanimato di Yuri… ma pochi giorni fa si è verificato uno strano evento. Secondo i più fatalisti il diavolo stesso sarebbe andato in aiuto di suo figlio, riuscendo a sollevare il coperchio del sarcofago che lo teneva rinchiuso e liberandolo nuovamente! Inoltre, secondo le testimonianze, ora avrebbe intenzione di conquistare il mondo! ».
« Fammi capire. Stai dicendo che il Principe delle Tenebre è vivo e vegeto? »
« Esatto! »
« Ripeto, io cosa c’entro in tutto questo? »
« Te sei uno spettro dall’animo buono, e sarebbe un peccato se ti uccidesse! »
« Perché mai dovrebbe uccidermi?! »
« Perché da quanto ne sappiamo Yuri ha bisogno di bere sangue per vivere! Proprio come voi… ma ritiene la maggior parte degli umani troppo inetta per potersene nutrire, così uccide altri spettri e tutti gli Yokai che gli capitano a tiro! Già ne abbiamo trovati una decina senza vita! Kappa, Tengu, Onne, Oni…».
« Come fai a sapere tutte queste cose, Shinku? » chiesi improvvisamente. Lui scrutò i miei occhi, si umidificò le labbra e rispose: « Ce le hanno riferite i nostri superiori… ».
Dando per buona quell’affermazione e non volendo scavare oltre nella gerarchia dei cacciatori, continuai con le domande: « Che mi dici al riguardo al suo aspetto fisico? »
« Mh, non ne so molto! Ma la leggenda narra che quando il diavolo lo dannò, il suo aspetto cambiò radicalmente: i suoi capelli divennero bianchi, mentre l’occhio sinistro da azzurro si colorò d’oro per farlo distinguere da tutti gli altri esseri viventi… ».
Capelli bianchi, occhi di diverso colore, sarcofago in marmo. Sangue.
Tutti questi particolari non mi erano affatto nuovi, avevo già visto qualcosa del genere. All’improvviso, come un fulmine a ciel sereno, capii tutto: giorni fa, ero stata io profanare la sua tomba, ero stata io a destare qual mostro omicida dal suo sonno eterno!
« Oh, mio Dio… » sussurrai fissando Shinku negli occhi. « Sono stata io a risvegliarlo! ».
Il ragazzo fece finta di non sentire e appoggiò la testa all’indietro contro la parete umida. « Vedrai che ti troverai bene qui, e magari ci potrai anche dare una mano contro di lui… che è stato destato dal diavolo in persona… » disse, sorridendo dolcemente.
Perché stava spudoratamente mentendo a sé stesso?
« Ma allora non capisci! Sono stata io a liberarlo nuovamente! » insistetti per vedere la sua reazione, ma niente, quel giovane pareva avere un cuore imperturbabile. Intanto Huyu e Ryuren avevano finito di picchiarsi e si apprestavano a raggiungerci.
« Allora? » chiese il primo rivolgendosi a Shinku. « Di cosa state parlando? »
« Be’, di… » cercò di spiegarsi il ragazzo seduto vicino a me. « Niente! » lo interruppi in tono glaciale.
Lo sguardo di Huyu cadde sulla sottoscritta. « Non parlavo con te! » rispose in tono aspro.
« Suvvia Iscah, non essere così scontrosa! » mi rimproverò Shinku alzandosi in piedi.
« Io, scontrosa? Tsk… » ribattei, girando la testa da un lato. « Vorrei vedere te se ti raccontassero la storia del principe delle tenebre! »
« Oh, e così stavate parlando di Yuri » intervenne Ryuren con il solo scopo di farmi sentire un imbecille.
« Ahah, ti sei tradita da sola! » mi canzonò Huyu con la sua baldanzosa voce puntandomi il dito contro.
« Ora smettetela! » gridai, non riuscendo a controllare la rabbia.
« Ehi, stavamo solo scherzando, non ti scaldare così… » si scusò prontamente il ragazzo con i capelli dritti. Socchiusi gli occhi e lo guardai freddamente.
« Non dovete scherzare con me in questo modo… esseri inferiori » affermai lenta, scandendo le parole una ad una.
Appena dissi questo, però, le espressioni sulle facce di quei due cambiarono completamente.
« Cos’hai detto? » fece minacciosamente Ryuren fissandomi negli occhi, mentre Shinku era occupato a trattenere Huyu dal saltarmi addosso.
« Ho detto la verità! » borbottai, ricambiando il suo sguardo. Con un movimento fulmineo il ragazzo mi arpionò la gola con la mano destra. « Ritiralo subito, o sarò costretto a farti del male! » mi comunicò a denti stretti, ma fu subito allontanato da Kami e Bob che gli consigliarono di calmarsi.
« Come ha osato chiamarci esseri inferiori! Non posso perdonarla! » continuava a ripetere Huyu, dimenandosi tra le braccia del suo amico.
« È un’eresia, lo ammetto, ma voi l’avete provocata non conoscendo i suoi sentimenti » disse infine Shinku, lasciando andare la presa sul compagno. « Ora aspettatemi di sopra, io vi raggiungerò tra un attimo! » concluse con aria determinata, indicando la porta ai suoi quattro amici, che, se pur contrariati, eseguirono l’ordine. Appena la porta si chiuse, l’espressione di Shinku tornò quella di sempre, ma si trattenne dal parlare.
« Perché lo hai fatto? Io ho chiamato esseri inferiori i tuoi compagni e prima ti ho anche trattato male! Perché mi hai protetta? » domandai incerta.
Lui si avvicinò, mi aggiustò il ciuffo di capelli che avevo sopra un occhio ed infine rispose con il solito sorriso da paciere stampato in faccia: « È perché siamo amici! E ora via queste catene! ». Detto questo tirò fuori dalla tasca un mazzo di chiavi, scelse la più piccola e mi liberò, subito dopo girò sui tacchi ed uscì dalla stanza, lasciandomi senza parole per la risposta ricevuta.

Siamo amici… pensai commossa, mettendomi in ginocchio e portando ambedue le mani al viso.

« Ha detto veramente che siamo amici… » ripetei sottovoce, cominciando a piangere. Quelle lacrime non erano affatto di tristezza, ma bensì un misto tra commozione e malinconia. Piansi in quel modo tutta la notte, finché non cominciai a sentire i primi sintomi di stanchezza. Mi alzai e a passi lenti andai verso il letto alla mia sinistra, sprofondando all’istante in un sonno profondo.
Quella volta non sognai nulla di particolare, solo un piccolo accenno ai miei nuovi amici, se così li potevo considerare. Fui svegliata dalla voce di Kami che si meravigliò di non vedermi legata alla parete come la notte precedente.
« È scomparsa! Si è liberata dalle catene e se n’è andata, guarda Bob! » disse preoccupato. « E ora questo calice di sangue chi se lo beve? »
« Ehm, non saprei… ma sei proprio sicuro che sia scappata? Voglio dire, di sopra le porte non sono state toccate, gli allarmi non sono scattati e non vedo finestre qui intorno! » rispose l’africano con voce pimpante. Avevano un calice di sangue!
Con la fame che mi ritrovavo non seppi resistere alla sua chiamata e m’alzai di soprassalto, intenzionata a fargli un bello scherzetto.
« Sangue. Sangue! » dissi con voce lugubre portando le braccia distese in avanti. « Voglio il sangue! ».
Sapevo che i miei occhi da vampiro risplendevano sinistramente nell’oscurità e sfruttai al massimo questo fattore per incutergli più paura possibile. Come speravo i due fecero un salto all’indietro, prima di riprendersi.
« Non si fa così, ci hai spaventati! » dichiarò Bob scendendo dalle braccia di Kami.
« Io non ho avuto affatto paura, sei tu che mi sei saltato addosso in quel modo! » replicò quest’ultimo guardando l’amico dall’alto verso il basso, che per tutta risposta si indignò.
« Vorresti insinuare che sono un Blablalau? »
« Eh? »
« Chupa! » concluse costui, tirando fuori la sua grande lingua in segno di presa in giro.
« Ancora con queste penose trovate teatrali, Bob? » disapprovò l’altro. Avvicinandomi ai giovani, mi misi a braccia conserte e, guardando Bob negli occhi, feci senza alcun motivo il verso di un elefante, per poi canticchiare: « Salagadula magicabula, bibidi bobidi bu… ».
I due rimasero un attimo interdetti, si guardarono ed iniziarono a ridere. Per poco non cominciai a ridere anch’io: erano così dannatamente buffi!
Per fortuna riuscii a riprendermi.
« Tu, spilungone, mi daresti il calice di sangue che hai in mano? » chiesi a Kami che, obbedendo, me lo porse con galanteria.
« Por tua, mon cherie! » disse in francese, facendomi gli occhi dolci.
Gli afferrai il calice, lo bevvi e risposi in tono triste: « Non parlare francese, brutta storia »
« Pardon, Iscah » si scusò nella medesima lingua, ma fu azzittito dallo sguardo tagliente che gli rivolsi. In seguito mi fecero sapere che Shinku, il capo, non li aveva mandati con il solo scopo di sfamarmi, ma anche con quello di portarmi di sopra a conoscere il resto del gruppo.
Uscimmo dalla porta, ma al contrario di quanto pensassi ci trovammo di fronte ad una scalinata scavata nel terreno, dove al posto dei gradini c’erano delle tavole in legno.
Salimmo per qualche minuto, giungendo innanzi ad una porta spessa cinquanta centimetri a prova di sfondamento con una specie di palmare alfanumerico incisovi al centro, dove Kami, sfiorandolo appena, compose il codice di accesso. La porta si aprì e così potemmo proseguire

Ci vollero non meno di sette minuti per arrivare all’ultima porta che collegava con la vera e propria casa dove il gruppo di cacciatori viveva, dopo averne passate altre due in quel modo.
Il primo ad uscire fu Kami, che appena fuori alzò i pollici delle mani, per poi intonare un felice:
« Ehi ehi ehi! », seguito da Bob che affermò di essere sano e salvo.
Poi toccò a me: oltrepassai lentamente il ciglio della porta e mi trovai di fronte cinque persone. Due erano già di mia conoscenza, in quanto li riconobbi come Shinku e Ryuren, ma al loro fianco c’erano due ragazze sconosciute: una abbastanza alta, con i lunghi capelli tinti color verde acido sciolti e tenuti all’indietro con un cerchietto rosso brillante; la ricrescita scura del suo colore naturale era lunga almeno qualche centimetro, ma non stonava affatto, anzi la caratterizzava ulteriormente. Gli occhi erano color nocciola, fini e allungati, esattamente come le sopracciglia; aveva un’espressione apatica e severa, avvolta come un pulcino nel suo yukata grigio fuliggine.
L’altra invece era d’aspetto molto più gracile. Aveva capelli neri con delle ciocche bianche raccolti in due pompon ai lati della testa e grandi occhi color pesca; vestiva una canottiera nera con i bordi in pizzo ed una gonna fino alle ginocchia del medesimo colore, sopra a delle calzamaglie bianche.
La terza persona era un ragazzo di bassa statura che vestiva una camice bianco da laboratorio e aveva un buffa pettinatura con frangia folta che gli ricadeva sopra la fronte, coprendo anche le sopracciglia e parte degli occhi. Dal centro della nuca gli spuntava un lungo codino nero rilegato con del cotone viola, il quale gli arrivava fino alle caviglie; dal collo gli pendeva un prezioso tribale d’argento e diversi orecchini di cristallo gli risplendevano sotto la luce del lampadario.
Rimasi in silenzio, non sapendo cosa dire. Le due giovani mi fissavano. La prima impassibile e la seconda incuriosita, mentre il ragazzo stava immobile, come paralizzato dalla mia presenza. Fu Shinku a rompere il ghiaccio.
« Ben svegliata Iscah! Vieni, ti presento il resto del gruppo! » disse, prendendomi sottobraccio e portarmi innanzi alle tre persone.
« Allora, la ragazza dai capelli neri e bianchi si chiama Momo-chan ed è la governante della cassa… lui è Ratsa, un abilissimo ricercatore medico e scienziato, mentre quest’ultima… »
« Io sono Taka! » lo interruppe in tono determinato la donna dai capelli verde acido, frapponendosi tra me e gli altri.
« E sono la padrona di questo Ryokan! » concluse, non distogliendomi lo sguardo di dosso. Sentivo la sua aura forte, dominante e determinata avvolgermi completamente. In quell’istante era come se lei fosse l’unica persona in grado di proteggermi, ma allo stesso tempo percepii anche la sua parte ostile. Provai per un attimo a leggerle nel pensiero e stranamente ci riuscii senza troppe difficoltà. Capii il motivo della sua determinazione, vedendo nei sui ricordi il giorno in cui Huyu e Ryuren le avevano parlato del litigio, dicendole che ero letteralmente un’orgogliosa testa calda.
Mi sentivo disorientata: tutti mi guardavano nella speranza di una mia reazione. Tutti eccetto Ryuren che, col braccio bendato, disse che usciva per conto suo.
Infine, guardandoli bene, notai che mancava uno di loro: lo spavaldo Huyu.
« Dov’è il ragazzo con la pettinatura pazza? » chiesi al gruppo, ma non fecero in tempo a rispondermi che egli spuntò dal corridoio, trascinando una valigia nera con le ruote… la mia valigia nera con le ruote!
La riconobbi subito: tessuto in pelle finta, cerniera della tasca inferiore rotta, tasche laterali in rete di colore grigio fulvo. Sì, era proprio lei!
« Sono qui! » rispose in modo orgoglioso gonfiando il petto. « Mi cercavi, bellezza? ».
Non so perché, ma a quelle parole sentii alcuni risolini provenire dai ragazzi alle mie spalle, come se quella domanda fosse stata in realtà un modo per dire: Ciao, usciamo insieme stasera?
Be’, non me ne accorsi subito e mantenendo il contatto visivo per non sembrare troppo confidenziale, gli risposi un secco: « No! ».
Un'altra onda di risatine equivoche risuonarono nelle mie orecchie.
Dannazione, ma che cos’avranno tanto da sogghignare? Io proprio non capisco!
Mi avvicinai a Huyu per dirgli che quello che stringeva tra le mani era il manico della mia valigia, che l’avevo persa la notte in cui avevo battuto Ryuren. Fortunatamente nessuno fece molte storie per ridarmela, anche perché se solo ci avrebbero provato li avrei convinti con le maniere forti. Per tutta risposta, però, Taka ordinò che essa fosse svuotata davanti agli occhi di tutti, e poi, nel caso non vi fosse trovato nulla di sospetto, sarebbe stata rimessa a posto.
Naturalmente mi opposi, sostenendo che lì dentro c’erano biancheria, effetti personali e basta, ma a parte Shinku nessuno mi credette. E così cominciò la riscoperta della roba che più di un anno fa avevo messo nella mia vecchia e capiente valigia.
L’addetta al pescaggio, anche se dolente, era Momo-chan, che una per volta cominciò a tirare fuori tutto e di più, elencando con la sua vocina graziosa la roba estratta. « Mutande, mutande, reggiseno, scarpa nera, calzini, lettore Mp3, maglietta in pelle, pantaloncini neri, altra scarpa nera, maglietta, maglietta, mutande, reggiseno, pantaloni, sacco con dentro… trucchi, vecchio tomo, portafoglio ed infine fascia rosa per capelli… ».
Taka mi guardò storto. « Così avevi solo biancheria intima ed effetti personali, eh? »
« Perché, cosa ti sembrano quelle, armi tecnologicamente avanzate? » risposi a tono, guadandola negli occhi. Lei socchiuse i suoi, sorpresa dal sentirsi rispondere in maniera così arguta. « Non parlarmi in quel modo, vampiro! » ribatté glaciale.
La tonalità in cui aveva risposto mi fece capire che tipo di persona fosse, ovvero orgogliosa e soprattutto abituata a non avere gente ribelle tra i piedi.
Ma non aveva ancora fatto i conti con la sottoscritta. Infatti le risposi con tono di sfida: « Perché non dovrei? ».
Ci guardammo in cagnesco per un attimo, poi, capendo la situazione, i ragazzi intervennero per separarci, convincendo Taka ad andare a dormire con Ratsa e Momo-chan.
Erano le dieci in punto e non avevo nulla fare. La valigia l’era andata a sistemare Huyu nella stanza sotterranea, per poi seguire Kami e Bob a fare un giro di pattugliamento nei dintorni.
Così non ebbi altra scelta che rimanere seduta sul ciglio della porta insieme a Shinku a guardare le stelle.
« Sai, io e lei stiamo insieme… » m’informò Shinku riferendosi a Taka.
« Be’, auguri… con una tipa così non c’è molto da scherzare, vero? » ironizzai.
Lui rise, ma non rispose al riguardo. « Ora devo andare da Kami e Bob. Mi prometti di non fare sciocchezze? » domandò dolcemente, alzandosi lentamente in piedi.
« Solo se tu mi dai il permesso di salire sul tetto… » risposi.
« Sul tetto? E cosa ci vai a fare? »
« Be’, io… »
« Ad osservare meglio le stelle, ho indovinato? »
« Sì »
« Brava, trovo che le stelle ti possano offrire un prezioso insegnamento. Anche a noi del Team Dragon piace molto riflettere sotto il cielo stellato… quindi permesso accordato, ci si vede dopo! ». E così Shinku sparì fuori dal cancello.
Come diavolo aveva fatto ad intuire il mio desiderio segreto di ritrovarmi sotto il manto scuro della notte, ad osservare senza pensieri i suoi scintillanti astri argentei?
E inoltre, chi gli assicurava che non sarai scappata? Lasciarmi libera così, con solo una promessa verbale come unico legame… che sciocco. Un istante dopo realizzai che probabilmente non mi considerava più una prigioniera, ma un ospite. Sorrisi. Lui aveva capito tutto fin da prima. Sapeva che non me ne sarei andata. E infondo, dove mai sarei potuta scappare? La mia valigia era lì.
Shinku, Shinku, in fondo mi stai simpatico… pensai, mentre mi arrampicavo sull’albero di ciliegio dietro l’edificio. Arrivata ad un’altezza sufficiente, saltai giù ed atterrai sul tetto: esso era formato sia una parte spiovente che una parte piana, con le piccole ed ordinate tegole di colore blu scuro. La cosa che mi colpii era un rialzo di circa tre metri che sembrava essere fatto apposta per osservare quelle meravigliose lucine del firmamento. Dalla posizione in cui stavo non riuscivo a vedere chi o cosa ci fosse sopra, così mi avvicinai e spiccai un salto come solo un vampiro sa fare. Raggiunsi la piattaforma, mi sedetti, girai la testa e vidi la persona che aveva avuto la mia stessa idea: Ryuren!
Se ne stava steso supino con le mani dietro la nuca a mo’ di cuscino, immobile, a scrutare con gli stupendi occhi d’oro il cielo stellato. Rimasi ferma come succede quando si vede un animale bellissimo allo stato brado e si cerca di non fare movimenti improvvisi, affinché esso non scappi via spaventato dalla presenza umana. Ma allo stesso tempo ero intimidita dalla bellezza del suo aspetto, e fu proprio quando girò la testa per guardarmi che realizzai di essermi imbarazzata.
« Perché sei qui? » chiese tranquillamente, mettendosi seduto a sua volta.
« Ero venuta per ammirare… le stelle… e tu? » risposi timidamente, cercando di non guardarlo negli occhi.
« Anch’io » concluse, alzando nuovamente la testa verso il cielo.

Senza dire una parola mi avvicinai al ragazzo e mi stesi vicino al suo braccio fasciato. Sapevo che per lui il nostro primo incontro era stato una sconfitta e che quella frattura era più che un semplice handicap: lo considerava una vera e propria ferita all’orgoglio, per questo non mi poteva perdonare.
Glielo lessi nel pensiero.
Da quando era tornato a casa non aveva fatto altro che pensare al nostro combattimento e al modo in cui ero riuscita ad ingannarlo mutandomi di nuovo in essere umana. Quel pensiero si faceva sempre più forte e presto divenne incontenibile. Non c’era nulla da fare, stava per esplodere!
Ed io lo aiutai involontariamente con un’ingenua domanda. « Ti fa ancora male il braccio? ».
In un attimo si portò sopra di me, bloccandomi entrambe le mani con una delle sue. « Dimmi come hai fatto! Devo saperlo! Parla! » m’incitò con foga, fissandomi la mia espressione esterrefatta.

« Io… io… » balbettai.
Maledizione! Ancora una volta provai quella sensazione di spiacevole soggezione ed impotenza di fronte al suo viso, al suo sguardo, alla sua bocca, ai suoi occhi… e, inevitabilmente, il pensiero erotico si presentò alla porta della mia testa.
« No! » urlai improvvisamente contorcendomi sotto di lui. « Lasciami subito! »
« Ti ho fatto una domanda, rispondi… » mi intimò in tono serio e determinato.
Presi fiato, mi tranquillizzai ed infine mormorai qualcosa. « Devi sapere che io… sono ciò che vedi, certo. Ma a volte, indipendentemente dalla mia volontà… torno ad essere un’umana ».
Il ragazzo mi guardò interdetto. « Spiegami il perché! »

« Be’, è una storia personale! E non ho alcuna intenzione di raccontartela qui, in questo momento! » ribattei in modo risoluto.
Vidi Ryuren fremere. Stava per dire qualcosa di brutto, lo sentivo. Prima che potesse aprire bocca, però, una voce sconosciuta parlò al posto suo: « Oh! Mi dispiace rovinare un momento così intimo, ma devo proprio farlo! » annunciò in tono ironico.
Ryuren ed io girammo istantaneamente la testa in quella direzione e vedemmo di chi si trattava: qualcuno se ne stava comodamente adagiato sul ramo dell’albero di ciliegio a guardarci. Lì per lì non capimmo subito chi era, infatti sia il volto che la maggior parte del corpo erano coperti dai ramoscelli, senza contare che fosse notte.
« No, no. Sono appena arrivato, non vi sto spiando da molto! » disse rivolgendosi a Ryuren, ma lui non gli aveva fatto nessuna domanda!
L’unica possibilità era che quel tizio sapesse leggere i pensieri altrui… come un vampiro!
« Attenta a ciò che pensi, non confondermi con quei nefandi succhia sangue! » mi rispose un poco contrariato.
Ormai era evidente: sia io che il giovane sopra di me c’eravamo accorti che quella persona non era una personalità qualsiasi. Ma fu soltanto dopo essere sceso dal ciliegio ed atterrato sul tetto che potemmo effettivamente riconoscerlo: era Yuri.
Il respiro di entrambi si mozzò alla sua vista, ma il cinese fu più veloce di me, e alzatosi in piedi gli domandò con arroganza: « Maledetto, cosa vuoi da noi?».
L’altro ragazzo sorrise sinistramente. « Che domanda sciocca… sono venuto a prendere la tua amica! » esclamò puntandomi l’indice della mano contro.
Rimasi scioccata. Era vero che Shinku m’aveva parlato del suo singolare gusto a nutrirsi di vampiri, ma non poteva fare una dannata eccezione per una volta? Voglio dire, infondo ero stata io a resuscitarlo! Doveva pur avere un minimo di riconoscenza!
« Oh, ma non voglio ucciderti… » intervenne il mostro, sorridendo ancora più malignamente. Il discorso però fu interrotto da Ryuren che, scendendo dal rialzo di mattoni con un balzo, si mise in mezzo e con sguardo terribilmente minaccioso provocò il suo avversario. « Provaci, se ne hai il coraggio! ».
Non ci potevo credere, mi stava difendendo!
Scrollai la testa: non lo faceva per me, ne ero sicura, ma solo per fare il temerario… oppure no?
Per quel poco che lo conoscevo mi era sembrato un ragazzo forte quanto affidabile ed intelligente, ma allora perché diavolo stava affrontando un nemico così potente? Le sue possibilità di vittoria erano meno dello zero per cento: senza un’arma, con un braccio inutilizzabile… cosa diamine aveva intenzione di fare in quello stato?
L’enorme superiorità dell’avversario si fece evidente quando, nel tentativo di dargli un pugno, il cinese incassò due cazzotti dritti allo stomaco che lo fecero rimbalzare contro la parete del rialzo dov’ero seduta. Guardai con orrore la scena. Se qualcuno non fosse intervenuto Yuri l’avrebbe sicuramente massacrato!
E chi era l’unica persona in grado di fermarlo in quel momento?
Saltai giù dal bordo del muro e per poco non schiacciai la testa del giovane che, vedendomi piombare sopra di lui, si scansò goffamente da una parte.
« Non fare cazzate, vampiro… ti ricordo che è proprio te che vuole » sussurrò.
Io non ci feci neppure caso: ero troppo impegnata a fissare la persona di fronte a me.
« Ma per favore… » ironizzò quello. « Cosa pensi di fare tu, piccola e seducente ragazzina? ».
Sapevo che Ryuren mi stava guardando, attonito. Era desideroso di vedere la mia reazione, ed io, cogliendo l’attimo, risposi nel modo più enfatico che potevo: « Non ti lascerò fare scempio del suo corpo. Lui è mio amico! ».
Appena pronunciate queste parole, qualcosa s’illuminò nella mente di Ryuren. Siamo amici? E da quando?
Non so perché, invece di concentrarmi anima e corpo su Yuri, continuavo a scrutare i pensieri del ragazzo mortale seduto alle mie spalle. Forse lo facevo per capire, una volta per tutte, cosa pensasse vendendo le mie azioni eroiche. Ma ben presto mi resi conto che non era quello il problema.
Il vero guaio era Yuri.
In che modo avrei potuto mandarlo via? Combattendo? No, mi avrebbe sconfitta in un attimo. Pregandolo e mettendomi in ginocchio? Nemmeno per sogno.
Lo guardai negli occhi, le sue iridi policromatiche lasciavano intravedere la sua antica malvagità.
Ero inerme, ero giovane, ero troppo inesperta in fatto di demoni bellissimi ed ingannevoli, ci voleva qualcuno che sapesse destreggiarsi in queste situazioni, ci voleva uno come… Shinku!
Pensai più intensamente che potevo, portandomi le mani alle tempie: avevo sentito dire che quando una persona ne chiama mentalmente un’altra quest’ultima riesce a percepire la sua voce. Io ero un vampiro, queste cose mi sarebbero dovute riuscire alla perfezione! O almeno lo speravo.
« Su, adesso fai la brava e spostati, devo finire quell’umano! » disse il giovane albino con garbo, facendo un passo verso di me.
« Non passerai… » ribattei a denti stretti guardando Ryuren con la coda dell’occhio.
Sapevo che voleva reagire, voleva farmi vedere di cosa era capace. In condizioni normali sarebbe riuscito a tenergli testa perlomeno per qualche minuto, ma in quel momento era proprio KO e non poteva far altro che osservarmi. Ma perché non faceva il tifo per me? Perché non m’incoraggiava dicendo che potevo batterlo? Perché, maledizione, non diceva nulla? Possibile che fosse stato così insensibile ed orgoglioso? Ma no, forse era talmente spaventato che non riusciva a parlare…

« Ahah, talmente spaventato da non riuscire a parlare! Questa prospettiva mi piace! » rise all’improvviso Yuri. Capii che mi aveva letto nel pensiero.
« Sai, Shanghai Kid, cosa ha pensato di te questa donna? Che sei talmente spaventato da non poter parlare solo perché non fai il tifo per lei » concluse rivolgendosi a Ryuren.
Lo fulminai con lo sguardo. « Ma che dici, brutto… »
« La verità! » rispose, interrompendomi con tono di sfida.
L’avrei infilzato. Cominciava a darmi fortemente sui nervi. Volevo ucciderlo, ma come potevo fare? All’improvviso uno strano rumore ci distrasse entrambi, voltammo la testa e vedemmo Huyu armato della sua scimitarra bicolore sbucare da un lato del tetto. Appena si fu raddrizzato corse per raggiungerci, poi si fermò a non più di due metri da Yuri e con la solita voce spavalda minacciò il ragazzo di morte, informandolo che Shinku e gli altri erano subito dietro di lui.
Infatti, dopo nemmeno dieci secondi, i tre ragazzi mancanti all’appello comparvero dai bordi del tetto e circondarono velocemente il mostro, che parve disorientato.
« Ma cosa ci fate qui? Non vi è bastata la lezione di prima? » chiese stupito, guardandoli uno ad uno.
« Tsk, se bastasse un povero diavolo come a te a sconfiggerci non saremmo il Team Dragon! » lo sfotté Kami.
Non mi sembrava vero, i miei amici erano lì! Avevano intercettato la mia chiamata ed erano venuti a salvaci… che emozione!
« Ah, poveretti, pensate veramente di potermi sopraffare con quegli stuzzicadenti troppo cresciuti? » li provocò il mostro. « Comunque sia sconvolgete i miei piani… ero venuto solo a riprendermi ciò che m’appartiene di dritto, e per questa volta non vi ucciderò… » concluse, facendo cenno con la testa verso di me.
« Finiscila una buona volta! » lo rimproverai, cercando di dominare l’imbarazzo d’essere fissata con stupore da ognuno dei miei amici.
« Oh, ma cosa dici? Sei tu la ragazza che mi ha risvegliato notti fa… non te lo ricordi più, Milady? » ribatté con aria innocente.
Ormai avevo capito il suo gioco: tentava di screditarmi agli occhi dei ragazzi dicendo la verità, ma dal suo punto di vista. E purtroppo la maggior parte di loro c’era cascata!

Solo Shinku aveva mantenuto un aria impassibile, gli altri mi fissavano con sguardi tanto taglienti quanto acrimoniosi. Ma fu solo merito del primo se la situazione si sbloccò.
« Puoi blaterare quanto ti pare, ma sei tu quello che deve andare all’altro mondo! » affermò per la prima volta con veemenza, cercando di affondare addirittura un colpo verso il mostro che, mantenendo il contatto visivo su di me, parò il fendente senza alcuna difficoltà, alzando appena l’avambraccio.
« A quanto pare la mia presenza non è gradita, quindi per ora tolgo il disturbo se non vi dispiace… » sghignazzò Yuri, e spiccando una capriola alla velocità della luce atterrò alle spalle dei giapponesi, ancora allibiti dalla sua rapidità. Poi se ne andò tranquillamente, fischiettando come se non fosse accaduto nulla.
I ragazzi non lo inseguirono. Sapevano che in quel momento non avevano possibilità di vittoria. Lo avevano capito fin dall’inizio. Tentai di leggere le loro menti: da una parte erano felici che il pericolo più immediato se ne fosse andato, ma dall’altra erano preoccupati per quanto egli aveva detto.
Si girarono contemporaneamente verso di me e guardandomi in modo sospettoso mi chiesero freddamente delle spiegazioni.
« Non è come sembra, ve lo posso assicurare! » cercai di giustificarmi, ma la loro reazione fu inevitabile. « Chi ci assicura che stai dicendo la verità? Sbaglio o quell’essere ha detto che sei stata tu a risvegliarlo! » mi abbaiò Huyu in faccia, seguito dai segni di approvazione di Bob e Kami.
Aveva ragione. Obbiettivamente non potevo difendermi. Chi li costringeva a fidarsi di me?
Nessuno.
« Secondo me dovremmo… » continuò Huyu rivolgendo la lama della sua spada verso di me. Gli altri due si voltarono con occhi sbigottiti verso Shinku, ammutolitosi dopo la figuraccia col nemico, che rimase immobile a fissarmi.
Preferii non leggergli la mente, anche sapevo benissimo che stava decidendo cosa fare.
Ma senza alcun preavviso, il ragazzo precedentemente malmenato, Ryuren, camminando a fatica venne verso di noi. Seguii il suo lento tragitto con curiosità. Non sapevo cosa volesse fare, ma le sue intenzioni mi furono chiare quando aprì bocca. « Stai zitto Huyu, tu cosa ne sai? Vuoi farmi credere che ti fidi ciecamente delle parole di quel mostro? » rimproverò l’amico che rimase interdetto.
« Be’, io… »
« Sei così stupido a volte! »
« Ehi, cosa hai detto?! »
« Ti ho solo detto la verità! ».
Ma il prominente litigio dei due fu interrotto bruscamente da Shinku, che facendosi avanti concluse in tono definitivo: « Adesso basta! Ora scenderemo disotto… lì ci racconterai tutta la tua storia! ».
Così si girò di spalle, incamminandosi verso l’albero di ciliegio.
Lo seguimmo. Rientrammo nel Ryokan e scendemmo giù fino alla mia umida e buia stanza.
Il tempo era giunto: gli avrei dovuto raccontare tutta la mia serie di ricordi, sventure ed avventure, svelandogli il fatto di essere la pronipote di un eroe.

Cominciai dal giorno in cui conobbi il principale fautore delle mie sfortune: Doug Pomevert, un mezzo licantropo tanto bello quanto meschino, troppo impegnato a tirare su il suo branco per aiutare un’amica in difficoltà. Dall’Italia egli mi convinse a seguirlo in Francia. Raccontai loro del suo gruppo di mezzi uomini lupo di cui in seguito divenni la leader, degli allenamenti, dell’amicizia che pensavo fosse sincera, ma della quale mi ricredetti quando mi abbandonarono alle grinfie dei loro nemici. Dopo di ché passai alla setta di vampiri di cui presi parte per caso: parlai di ogni singolo membro senza escludere, ovviamente, la donna che mi aveva fatto rinascere come vampiro. Descrissi ai ragazzi tutti i particolari della casa dove vivevamo, dei rapporti fallaci che avevo con gl’immortali e tutto il resto, concludendo che tutte quelle disavventure mi erano capitate solamente a causa del mio sangue.
Naturalmente inclusi anche i giorni passati sulla nave mercantile di Mark e della nostra battaglia.
Infine arrivai alla parte più scottante del racconto: il risveglio di Yuri. Fui fredda ed obbiettiva; gli riferii l’accaduto puro e semplice senza commenti o roba del genere.
Accennai anche ai miei ritorni alle origini, ma a quel punto la domanda di Ryuren, che aveva aspettato con ansia quel momento, fu ineluttabile. « Perché torni ad essere una ragazza umana? ».
Il grande momento era arrivato: tra poco sarebbero venuti a conoscenza del tipo di sangue che mi scorreva nelle vene, il sangue di un uomo che era vissuto con il solo scopo di rendere il mondo in cui viveva un posto migliore, sacrificandosi addirittura per i suoi lodevoli ideali.

Il sangue di Marino Serafino!

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2756493