Uptown girl

di Kilian_Softballer_Ro
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Welcome to the South ***
Capitolo 2: *** Past and present ***
Capitolo 3: *** Take your friends ***
Capitolo 4: *** Ready to party ***
Capitolo 5: *** Who knows ***
Capitolo 6: *** The worst is yet to come ***
Capitolo 7: *** Fireworks ***
Capitolo 8: *** Lunch time ***
Capitolo 9: *** First steps ***



Capitolo 1
*** Welcome to the South ***


Blaze avrebbe potuto pensare centouno modi migliori per passare la serata,come minimo.E di sicuro nessuno di questi avrebbe incluso l’accompagnare suo padre in uno squallido quartiere di periferia. Ma aveva bisogno di metterlo di buonumore. Ventun anni di esperienza le avevano insegnato che suo padre non le avrebbe mai negato niente, se fosse stato dell’umore giusto. Perciò, doveva fare buon viso a cattivo gioco e sedere al suo fianco in macchina, cercando di non sembrare troppo scocciata. Più tardi gli avrebbe chiesto il permesso che desiderava.
- Dov’è che stiamo andando,di preciso? – Chiese, bloccando il telefono che aveva in mano e chiudendolo nella borsa, al riparo da possibili ladruncoli. Non si poteva mai sapere, in zone come quelle.
- Devo andare a sollecitare un pagamento. Il tizio che ha preso in affitto uno dei miei appartamenti  è in ritardo di cinque giorni,e sai che lì,se non dai loro una scrollata di persona, non si muovono mai. - Blaze non aveva mai capito quanti appartamenti possedesse suo padre di preciso. Potevano essere tre come venti.
- Beh, non sai che faccia ha? Magari lo hanno arrestato e al telegiornale non l’hai riconosciuto. – Cercò di scherzare la ragazza.
- Tutto è possibile, tesoro, ma dal contratto risulta che ci abitano in due persone. Perciò, se proprio uno è stato arrestato, mi farò dare il denaro dall’altro.
L’uomo fermò la macchina davanti a un palazzo grigio e anonimo, un condominio. Blaze notò che diverse persone si fermavano stupite sui marciapiedi,a fissare quella che per i loro standard  doveva essere un’automobile praticamente di lusso. E pensare che non era neanche la più costosa del loro garage.
Si affrettò a seguire il padre all’interno del palazzo. – Perché hai proprio voluto che venissi con te? – Chiese ancora, mentre salivamo le scale. La maggior parte delle porte era aperta e le madri parlavano da casa a casa, mentre i bambini entravano e uscivano correndo, ma molti si bloccarono a guardarli mentre passavano. Blaze intuì che diversi di loro dovevano riconoscere suo padre come padrone di casa e quindi persona da tenere d’occhio, ma un paio di ragazzini non ancora adolescenti stavano guardando lei. Beh, che guardassero. Sapeva di essere una bellezza non comune, con i lunghi capelli viola ereditati dal padre e gli occhi quasi a mandorla, gli zigomi alti e il colore caldo della pelle presi da una madre di origine asiatica. Lo sapeva, e non era il tipo di persona da falsa modestia.
- Perché tu devi tenere d’occhio la macchina mentre io parlo con l’inquilino – grugnì lui in risposta – e se c’è una ragazza con me,quello si sentirà meno invogliato a passare alle mani. Ecco, ci siamo.
Erano arrivati al penultimo piano. Lì vi erano solo due porte, entrambe chiuse, e suo padre suonò a quella più vicina.
Si aprì dopo qualche istante e ne spuntò fuori un ragazzo. Fra tutte le idee che Blaze si era fatta del fantomatico inquilino, non se l’era certo immaginato così. Poteva avere la sua età, forse qualcosa di più,alto,  con lunghi capelli bianco-argentati e occhi dorati. Aveva l’aria stupita. Non certo il tipo che sarebbe potuto saltare addosso a suo padre per picchiarlo, comunque, perciò la ragazza guardò giù dalla finestra del pianerottolo. L’auto era ancora al suo posto e sembrava fondamentalmente intera, così tornò a guardare il ragazzo.
- Sto cercando Silver Whitness – disse suo padre in tono fermo.
- Sono io – rispose l’altro.
- Tu? Non...tuo padre? – Ora era l’uomo ad avere l’aria confusa.
- No, signore. Sono io. – Silver Whitness uscì e accostò la porta alle sue spalle. – Lei dev’essere il signor King. Per...per l’affitto.
- Esattamente. – Ora il padre di Blaze si era ricomposto. – Sei in ritardo con il pagamento di quasi una settimana.
- Lo so,signore, lo so. La prego, ci sono stati degli...degli imprevisti. Mi dia ancora un paio di giorni, signore, venerdì mi arriva la paga e potrò darle tutto il denaro. La prego.
- A rigor di logica dovrei buttarti fuori. Non sono una persona paziente.
Sul viso del ragazzo era dipinto terrore puro. – No, signore,per favore, non ho mai saltato un pagamento,non...
In quel momento la porta dietro di lui si aprì con un cigolio e ne uscì un bambinetto, terribilmente somigliante al giovane che avevano davanti, in pigiama e con uno sgualcito orso di peluche sotto il braccio. – Silver? – Chiese incerto.
Silver Whitness si girò di scatto. – Vai a letto. Arrivo subito. Sto parlando di cose importanti.
- Ma...
- Dodge. A letto. Adesso. – Scandì il ragazzo. Il bambino trasalì e si reinfilò in casa.
Blaze decise che non poteva restare lì ferma senza fare niente. La situazione le sembrava troppo penosa, il bambino da mantenere (perché se gli abitanti della casa erano solo due era ovvio che non c’erano genitori che si occupassero di entrambi), il lavoro precario, la casa in affitto. Decise di intervenire.
Si appoggiò al braccio del padre e disse con la sua miglior voce suadente: - Dai, papà, dagli un’altra possibilità. Se è vero che non ha mai saltato un pagamento, sfrattarlo sarebbe un rischio. Sai che quasi tutti saltano anche tre o quattro rate di fila. L’appartamento potrebbe finire a una di quelle persone e sarebbe peggio.
L’uomo sembrava incerto. Blaze era trionfante, sapeva che quella tattica non falliva mai. Continuò imperterrita. – Venerdì è solo dopodomani,no? Penso che possiamo permetterci di aspettare due o tre giorni. E – concluse, certa del successo – se proprio continuasse a non pagare, puoi sempre sfrattarlo in seguito.
Era fatta. Il signor King trasse un sospiro seccato e si rivolse al ragazzo: - Tre giorni. Non uno di più. E ringrazia che ci fosse mia figlia, altrimenti saresti nei guai.
-Sì, signore! Grazie, signore! – Mancava poco che quello si mettesse a saltare dalla gioia. – Non ritarderò, glielo prometto.
- Lo spero bene. – L’uomo fece cenno a Blaze di seguirlo e si avviò di nuovo giù per le scale. La ragazza gli andò dietro, ma si voltò un attimo per fare un cenno di saluto. Silver era ormai in casa, ma la vide e le sillabò “Grazie” in silenzio dalla porta semiaperta. Blaze sorrise e riprese a scendere le scale.
Forse non avrebbe più potuto usare le sue doti di convincimento per quella sera, ma andava bene così.
 
 
Riuscì in ogni caso nel suo intento.
Quando due giorni dopo si ritrovò ad attraversare la città a piedi, accaldata dall’afa estiva,aveva ottenuto il permesso che desiderava. Cosa che non la stupiva, conosceva il suo pollo e sapeva come ottenere ciò che voleva. E ora, ecco fatto: aveva avuto il consenso di suo padre a invitare le sue due migliori amiche a passare parte delle vacanze a casa sua.
Non era stato difficile. Avevano una casa davvero grande e di sicuro non c’erano problemi di spazio. E poi i suoi genitori erano sempre fuori per lavoro,anche nel pieno dell’estate, e non sarebbero stati disturbati da tre ragazze rumorose. Lei, Rouge e Amy avrebbero potuto fare tutto ciò che volevano.
Le mancavano davvero molto. Andavano tutte e tre alla stessa università prestigiosa, ma questa era lontanissima dalla sua casa a Metal city, e così le case delle sue amiche. L’idea di non vederle per tre mesi la faceva impazzire, e così aveva deciso di invitarle.  Sapeva che quella non era una città molto mondana, ma per contro era tranquilla, perché d’estate partivano tutti per vacanze sulla costa o simili. Il luogo ideale per riposarsi prima di un’altra decina di mesi scandita da esami e feste di campus.
Si asciugò il sudore dalla fronte. Era uscita per andare a pranzo a uno dei suoi locali preferiti,perchè non aveva alcuna voglia di pranzare a casa da sola, ma aveva sopravvalutato le sue capacità. Il ristorante era dall’altra parte della città e uscire a piedi con quel caldo era stata una stronzata. Anzi,un suicidio. Le sarebbe esplosa la testa prima ancora di essere arrivata a metà strada.
Si guardò intorno. Era in una zona di Metal city che aveva sempre e solo attraversato, senza mai fermarsi in un posto particolare.  In strada non c’era praticamente nessuno (comprensibile, era l’una ,nel momento più caldo della giornata, e solo lei era stata tanto idiota da uscire di casa) e non c’era niente che facesse un’ombra sufficiente a ripararla dal sole. Però...però, qualcosa come venti metri prima, aveva oltrepassato una tavola calda che ora le sembrava più invitante che mai, fresca e vicina. A meno che non si fosse trattato di un miraggio dovuto al caldo.
La raggiunse più in fretta che poteva senza correre. No, non era un miraggio. Era vera. Su di essa campeggiava un’insegna che la indicava come “South’s Diner” e sulla porta a vetri era appeso un cartellino con la scritta APERTO. Perfetto.
Blaze si infilò dentro e sospirò di sollievo, nel sentire la ventata di aria condizionata che le piombò addosso. Solo dopo essersi goduta quella sensazione paradisiaca si guardò intorno.
Il locale era quasi vuoto. C’erano solo alcuni vecchietti, una donna seduta da sola e, in uno dei tavoli verso il fondo, un bambino con una massa di capelli argentati dall’aspetto familiare.
La ragazza sorrise. Certo non poteva trattarsi dello stesso bambino dell’appartamento in affitto, sarebbe stata una coincidenza troppo assurda, eppure....
Eppure doveva essere proprio lui, perché in quel momento Silver Whitness in persona uscì dalla cucina con addosso un grembiule, lanciò un’occhiata agli altri tavoli occupati come per controllarli e poi si diresse verso il ragazzino. Si chinò alla sua altezza e scambiò qualche parola con lui, poi alzò lo sguardo con tutte le intenzioni di tornare da dov’era venuto e la vide.
Blaze lo vide praticamente pietrificarsi sul posto e fece un risolino. Si diresse verso di lui e si sedette al tavolo accanto a quello del bambino. – Buongiorno.
- S...Salve. – Balbettò lui in risposta. – E’ qui...l’ha mandata qui suo padre?
- No, sono qui perché vorrei mangiare qualcosa. Perché mai mio padre dovrebbe mandarmi qui?
- Ecco,non.....non importa. Vuole un menù o preferisce un consiglio?
- I consigli sono sempre ben accetti.
- Allora abbiamo una meravigliosa tortilla di patate e insalata fresca come contorno. Tutto preparato oggi. E si fidi, meritano veramente un assaggio. Glielo dice un esperto.
Lei sorrise. Era il genere di cameriere alla mano che i ristoranti di lusso odiavano e che al contrario quasi tutti i clienti amavano. – Allora prenderò quelle. E una coca media.
- Arrivano subito. – Si voltò e si diresse verso il bancone.
Mentre aspettava il suo pranzo, Blaze si guardò intorno. Aveva l’aspetto tipico di una tavola calda qualunque,ovvero molto anni ottanta e molto casalinga, ma non aveva niente di particolare. In mancanza di meglio da guardare, si girò verso il piccolo al tavolo accanto al suo.
Quest’ultimo era stato occupato in tutta la sua superficie da ogni genere di oggetto, fogli bianchi, matite colorate,automobiline e altri fogli pieni di scarabocchi. Sembrava un posto che fosse stato occupato da parecchio tempo e che sarebbe stato occupato altrettanto a lungo. Il bambino era all’opera su uno dei fogli, intento a disegnare quella che sembrava essere un’automobile. Aveva un’aria molto concentrata, come se stesse compiendo un lavoro molto difficile. Alzò la testa per cercare un’altra matita, vide che lei lo stava osservando e inclinò la testa di lato, guardandola con curiosità.
- Ciao – gli disse Blaze, tanto per fare conversazione.
- Ciao. – Lui continuò a studiarla, la fronte aggrottata come se cercasse di ricordare qualcosa. – Tu sei quella che è venuta a casa nostra dopo l’ora della nanna. – Disse alla fine, con tono quasi di accusa.
- Sì. Mi chiamo Blaze. Tu come ti chiami?
- Dodgeball. – Visto da vicino la somiglianza con Silver era ancora più impressionante. Lo si sarebbe potuto scambiare  per un Silver in miniatura, se non fosse stato per la rotondità infantile del volto e per il colore più scuro degli occhi, più tendente al verde che non al dorato. – Sei un’amica di Silver?
- Più o meno.
- Se non lo sei non ti posso parlare. Silver dice che non devo parlare con gli estranei.
- Silver ti ha detto una cosa giusta. – In quel momento il diretto interessato ritornò con un vassoio in una mano e un bicchiere di Coca-cola nell’altro. Li appoggiò sul tavolo e spostò lo sguardo dalla ragazza al bambino.
- Dodge, non disturbare la signorina.
- Non mi stava affatto disturbando. – Blaze tornò a sedersi composta. – Anzi, avevo iniziato io a parlare. – Abbassò lo sguardo sulla tortilla. – Uh, sembra invitante.
- Lo è, mi creda.
- Senti, ti sembra che siamo a un incontro di lavoro?
- Come?
- Continui a darmi del lei. Per favore, non farlo, mi fa sentire vecchia.
- Oh. Ecco, io.....pensavo..... – Torse il grembiule, visibilmente imbarazzato. – Non so nemmeno come si chia...come ti chiami.
- Questo è facilmente risolvibile. – Gli tese la mano. – Blaze King.
L’altro esitò un momento, poi allungò la propria mano e gliela strinse. – Silver Whitness. Anche se credo che le...che tu lo sappia già.
- Credo proprio di sì. – Blaze alzò la voce di un’ottava per farsi sentire dal tavolo accanto. – Dodgeball,adesso conto ancora come un’estranea?
- No no – le rispose una vocina da dietro le sue spalle. – E’ vero, Silver?
- Già. Dodge, continua a disegnare. Mostrami che sei un vero artista.
- Io non sono un’artista! Io sono un supereroe!
- Certo, certo.
- Silver! – Esclamò una voce da dietro il bancone. Blaze si voltò e vide una ragazza pel di carota che guardava nella loro direzione. – Smettila di flirtare con tutto il locale e vai a pulire quel tavolo!
- Agli ordini, capo. – Silver si voltò mestamente verso Blaze. – Il lavoro mi chiama.
- Non ti trattengo. Piacere di averti rivisto, allora.
- Spero....oh, beh,arrivederci.
Contaci, si disse Blaze mentre il ragazzo di allontanava.  Non era stata una cattiva conoscenza, dopotutto, e anche se non poteva ancora considerarsi sua “amica”, come desiderava il giovanissimo individuo dietro di lei, non c’era motivo perché non potessero parlare ancora.
E quella tortilla che aveva davanti sembrava davvero una scusa gustosa per tornare al Diner.
 
 
- Chi era quella ragazza con cui parlavi oggi a pranzo?
Silver alzò lo sguardo dalla propria borsa, dove stava riponendo le (poche) cose che aveva usato durante il giorno. Erano le sei passate, il suo turno era finito e così quello di Tikal, ovvero la persona che gli aveva posto la domanda.
Erano nel retro del locale. Dalla sala arrivavano i rumori dei primi clienti per la cena. La madre di Tikal, Mercedes, che durante il loro turno era stata in cucina, ora era passata al servizio, mentre ai fornelli c’era suo padre, Pachacamac. Da dov’erano, lui e Tikal li sentivano parlare. Erano rumori graditi;volevano dire che la giornata era finita e potevano tornare a casa.
Tikal aspettava la sua risposta, tirando su i capelli biondoarancio in una coda di cavallo. – Dai, Silv, non guardarmi con quella faccia da pesce lesso. Sai di chi sto parlando. Quella con i capelli viola. Sembravate molto in confidenza.
- Hai un concetto di confidenza molto storto, ragazza mia. Ci siamo visti due volte e parlati una sola. E’ la figlia del mio padrone di casa,quella che mi ha salvato il culo l’altro giorno.
- Davvero? E cosa ci faceva qui?
- Passava per caso, credo.
- Potevi dirmelo, scemo, le offrivo il pranzo. Qualunque cosa per la tizia che ha parato il culo al mio fratello.
- Se io fossi tuo fratello, Tik, verrebbe da chiedersi da che padre sono nato io.- Tikal infatti era del tutto diversa da lui, bassina, con gli occhi azzurri e una marea di lentiggini. I colori di suo padre, visto che la madre era una tipica sudamericana coi capelli scuri e la pelle olivastra.
- Non lo so, io sospetto il postino.
Scoppiarono a ridere mentre uscivano dal retro. – Non vai a casa? – Le chiese Silver. Lei e la sua famiglia abitavano nell’appartamento sopra il Diner.
- No, io e Knuckles usciamo. Toh, guarda, è là con tuo fratello. – In effetti, la testa rossa del fidanzato di Tikal era accanto a quella argentata di Dodge.
- Hai ragione. – Il ragazzo agitò la mano in direzione della donna bruna al bancone. – A domani, Mercedes.
- Vieni immediatamente qui, Silver, se vuoi la tua paga.
- Oddio, è vero, me l’ero scordata. – Si affrettò a tornare dietro il bancone, mentre Tikal si avviava verso il tavolo di Knucles. Mercedes lo aspettava con una busta in una mano e un piatto avvolto nella stagnola nell’altra.
- Se fossi un briciolo meno onesta, non avresti mai i tuoi soldi. Tieni, testa vuota. – Il donnino gli allungò la busta, poi tirò su il piatto. – Questa torta salata si è sfasciata, non posso servirla ai clienti, ma è ancora buona da mangiare.
Silver sorrise, per il sollievo (quella torta gli avrebbe evitato di dover correre a fare la spesa, il loro frigo era clamorosamente vuoto) e per la gratitudine. Mercedes poteva sembrare una donna brusca, ma aveva un cuore d’oro e praticamente aveva adottato lui e Dodge. Era assai probabile che avesse distrutto lei stessa la torta per avere la scusa di dargliela.
- Sicura? Non la volete tu o....
- No. Sei tu il mio cestino ufficiale per gli scarti. – Gli indirizzò un breve sorriso. – Vai a casa,ora, c’è gente che deve lavorare.
- Sissignora. – Silver raggiunse suo fratello e Tikal. Scambiò un sogghigno e un colpo di pugno con Knuckles, poi sollevò Dodge fra le braccia. – Preso tutto, bestiolina?
- Sì! – Il bambino rise di gusto. Anche lui era felice che la giornata fosse finita e che il suo fratellone fosse di nuovo tutto per lui. – Andiamo a casa?
- Assolutamente sì.
Mentre uscivano dal ristorante,scambiarono ancora qualche parola con la coppia.
- Dove andate di bello? – Chiese Silver, cercando di tenere il fratello se non fermo almeno più fermo.
- Un posto di lusso. – Affermò Knuckles.
- ....certo. A casa mia si chiama “Il Mc Donalds più vicino” – lo rimbeccò Tikal. – Volete venire anche voi?
- Grazie, no. Devo mettere a letto questo essere, altrimenti cadrà addormentato da qualche parte.
Si salutarono e si separarono. Silver infilò Dodgeball in macchina, chiudendogli la cintura di sicurezza (era la prima cosa che faceva ogni volta. Non aveva più viaggiato senza cintura dopo...l’incidente), poi si sedette al volante e mise in moto.
L’automobile era vecchia e scassata, e perciò lentissima, ma il viaggio non era mai noioso. Dodge parlava in continuazione, raccontava al fratello scoperte mirabolanti fatte durante il giorno (come potesse scoprire tante cose seduto a un tavolo rimaneva un mistero) e poneva domande, spesso spassose, a volte imbarazzanti, ogni tanto davvero assurde. Era stato durante un viaggio di ritorno che aveva chiesto a Silver come nascevano i bambini e quello sarebbe rimasto sempre un momento indimenticabile per entrambi.
Arrivati al loro condominio, Silver lasciò che il bambino corresse fino all’ultimo piano mentre consegnava alla portinaia l’affitto da pagare al proprietario, e quando finalmente lo raggiunse, la prima domanda che Dodgeball gli pose fu di poter guardare la replica del Doctor who prima di cena.
Era il suo premio. Aveva il permesso di guardarlo soltanto se si era comportato bene, e generalmente così accadeva. Perciò il ragazzo lo lasciò davanti allo schermo a fissare delle specie di cestini della spazzatura alieni che sparavano alla gente mentre scaldava la torta, che poi mangiarono di gusto. Nonostante fosse sfasciata, era davvero buona.
Dopodiché Dodge andò a giocare sulle scale con gli altri bambini del palazzo mentre Silver lavava i piatti e preparava quello che sarebbe servito loro il giorno dopo. Tornò a casa verso le nove e si lasciò mettere a letto senza protestare, addormentandosi praticamente subito.
Tutto come al solito, dunque. Tutto che andava come era andato nell’ultima decina di mesi,da quando aveva trovato lavoro al Diner (prima, nello spazio di tempo cominciato dalla morte dei loro genitori, era stato tutto molto più caotico). Eppure c’era stato qualcosa di diverso, rifletté Silver mentre terminava i suoi ultimi lavori di casa (ce n’era sempre qualcuno, dal caricare la lavatrice allo spazzare il pavimento perché Dodge aveva combinato un macello).
Quella ragazza. Blaze. Che nome stupendo. Lo aveva scombussolato. Era stata così gentile...e lo conosceva appena. E lui, si ricordò con un sussulto mentre si infilava nel letto accanto al fratello e spegneva la luce, non l’aveva nemmeno ringraziata, se si eccettuava quel patetico “grazie” appena sussurrato. Che idiota che era stato. Non che facesse differenza, era assai improbabile che la rivedesse mai più, ma non riusciva a togliersi dalla testa la convinzione di essere stato un cretino. Per ben due volte lei era stata cortese e simpatica e lui aveva fatto la figura...dell’idiota. Come al solito.
Affondò la testa nel cuscino, cercando di scacciare via quei pensieri. Lei era una ragazza ricca, la figlia del padrone di casa, e non l’avrebbe vista mai più. Inutile farsi problemi su come si era comportato. Doveva mettersi il cuore in pace.
Peccato che sembrasse impossibile.
 
Sapete chi è la persona masochista che ha deciso di iniziare una nuova fic non appena ha messo le mani su un computer funzionante? Proprio io! Ma volevo scrivere assolutamente questa storia perché...perché l'idea mi piaceva tanto. E anche se da questo capitolo la storia sembra la cacca che è,è solo il primo capitolo, più o meno funge da introduzione. Spiegherò tante delle cose che qui sono appena accennate in seguito.
Detto ciò, se gradite, recensite!
^Ro
 

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Capitolo 2
*** Past and present ***


Qualunque bambino o ragazzo d’America, in un sabato d’estate, avrebbe dormito fino a tardi,magari alzandosi solo quando la fame o la necessità di andare in bagno fossero diventate troppo pressanti. Ma non Silver, e di conseguenza nemmeno Dodgeball. Il fratello maggiore copriva il turno della colazione, oltre a quello del pranzo, perciò entrambi erano costretti a svegliarsi molto presto per presentarsi al South’s Diner praticamente all’alba, in tempo per prendere il posto del padre di Tikal, che badava al locale durante la notte. Dodge aveva il vantaggio di potersi riaddormentare, in macchina o al tavolo, ma Silver cominciava a bere caffé dal momento in cui metteva piede al South.
- Un giorno andrai in intossicazione da caffeina – lo avvertì Tikal mentre riempiva un vassoio da portare ai tavoli.
- Correrò il rischio. Meglio quello che non crollare dal sonno.
- Tipo lui?- La ragazza accennò a Dodgeball, che ronfava con la testa appoggiata alle braccia incrociate, la colazione lasciata a metà.
- Esatto.
La giornata sembrava voler trascorrere normalmente. Silver riusciva a concentrarsi su quello che faceva, senza distrazioni. La comparsa di Blaze del giorno prima sembrava dimenticata.
Questo finché la ragazza dai capelli viola non entrò nel locale all’ora di pranzo.
- ...ciao. – Balbettò lui vedendola, rischiando di far cadere i piatti che aveva in mano.
- Salve – rispose lei allegramente. – Ho mangiato così bene ieri che volevo provare a ripetere l’esperienza. C’è posto?
- Certo, uh, dove vuoi. – Si affrettò a tornare dietro il bancone. Tikal lo guardò perplessa. – Perché hai la faccia di una persona costipata?
- Non è assolutamente vero. – Silver si costrinse ad assumere un tono casuale. – E’ tornata la ragazza di ieri. Vai a chiederle cosa vuole mangiare, prima che si accavallino gli ordini.
- Ma perché devo andarci io? E’ il tuo turno.
- E’ la figlia del mio padrone di casa. Mi sento tenuto d’occhio.
- Dio santo, quanti problemi, Silver. – Gli strappò di mano il blocchetto delle ordinazioni. – Va bene, vado io. Ma solo perchè ti voglio bene.
- A volte ti sposerei, Tikal.
- Non dirlo a Knuckles, o potresti non avere più una faccia da nascondere alla tua amichetta laggiù.
Guardando Blaze parlare con Tikal, Silver si chiese cosa lo turbasse tanto di quella ragazza. Certo, il fatto che fosse la figlia del suo padrone di casa contribuiva a metterlo in imbarazzo, ma non c’era solo quello. Era...qualcosa di più. Qualcosa che lo solleticava dentro. In altre situazioni avrebbe pensato al termine “farfalle nello stomaco”, ma no. Non ora. Non con lei.
Decisamente non poteva avere le farfalle nello stomaco in quel momento.
 
 
Blaze tornò il lunedì dopo.E il martedì. E il mercoledì. Venne a pranzo al Diner tutti i giorni di quella settimana, e ogni volta Silver era felicemente stupito di vederla. Beh, forse non del tutto felicemente. Continuava a esserci qualcosa in lei che lo faceva agitare. Ma in sostanza era una sensazione piacevole, se non si consideravano le figuracce che rischiava di fare in ogni momento a causa dell’imbarazzo.
Comunque, col passare del tempo, persino lui cominciò a sciogliersi parlando con quella ragazza. Blaze chiacchierava amichevolmente con tutti, con lui, con Tikal, con Mercedes, persino con Dodgeball, che probabilmente si era convinto della sua autenticità come “amica di Silver” e non esitava a parlarle se si annoiava.
Quando poi lei tornò anche la settimana successiva,, quasi tutti iniziarono a considerarla praticamente una cliente abituale. Ce n’erano già alcuni (un tizio grasso coi baffi che parlava e ridacchiava da solo, un’amica di Tikal che non parlava con nessuno, un ragazzo coi capelli neri e delle improbabili meche rosse che parlava ancora meno,insomma nessuno che parlasse come le persone normali) e Blaze stava iniziando ad entrare nella categoria. E sembrava intenzionata a restarci, contando l’assiduità.
Una volta Silver, cercando di assumere un tono casuale, le aveva chiesto se suo padre sapesse che lei spendeva tutti i suoi pranzi nei “bassifondi”.
- Oh, no. Lui e mia madre sono sempre fuori per lavoro a quest’ora. Credono che io mangi da sola a casa, o in un ristorante del centro. Ma è meglio così. Il cibo è squisito e la compagnia è migliore.
A quel punto Silver aveva sentito le guance infiammarsi e aveva dovuto rifugiarsi in cucina, dove Mercedes lo aveva rimbrottato in un misto di nervosismo da datore di lavoro e allegria da madre.
Che idiota.
 
 
Mercedes si comportava davvero come una madre. Sempre.
Quando aveva iniziato a lavorare lì, Silver era intimidito dalla sua aria rigida e severa. Poi aveva scoperto che era una donna molto dolce, se si riusciva a penetrare la sua scorza. Avevano iniziato a parlare e, a poco a poco, si erano sciolti entrambi. E quando aveva scoperto che lui lasciava Dodgeball a casa da solo tutti i giorni per venire a lavorare, Mercedes aveva reagito con un impeto che solo una madre poteva avere.
- Ma tu sei pazzo! Loco! Ma portalo qui! Una sedia occupata in più o in meno non fa differenza, e lui non sarà da solo.
E da quel giorno Dodge aveva trionfalmente occupato quella sedia, e Mercedes aveva continuato a considerarli entrambi, se non come due figli, come due nipoti un po’ balzani.
Silver voleva bene a lei, e a Tikal, e anche al ragazzo di Tikal, Knuckles, anche se era un tipo un po’ rude. Erano diventati la loro nuova famiglia.
Ma avrebbe dato comunque tutto questo in cambio della loro vera famiglia.
Dodge forse avrebbe risposto in modo diverso. Erano passati tre anni dall’incidente, tanti per un bambino piccolo. Si era dimenticato quasi del tutto dei loro genitori. Ma Silver avrebbe riavvolto la pellicola in ogni momento.
Era partito per l’università da un paio di mesi, e già questo lo avrebbe fatto ridere, se si fosse trattato di una situazione comica, perché erano stati tutti preoccupati all’idea di averlo lontano da casa fino a Natale. Tutti. La mamma, il papà, Dodge. E invece, eccolo lì, a tornare a casa a rotta di collo già all’inizio di novembre.
La telefonata era arrivata in piena notte. Anche questo avrebbe potuto far ridere, contando che era proprio in quei giorni che era riuscito ad andare a letto con una ragazza, dopo anni alle superiori passati con più o meno zero esperienze. E quando aveva sentito il telefono suonare, aveva avuto anche la tentazione di non rispondere.
Poi, per fortuna, lo aveva fatto. Alle sei di quella mattina era di nuovo a Metal city, più precisamente all’ospedale, a scoprire che i suoi genitori erano morti per l’errore più banale che si potesse pensare: la cintura. Non avevano allacciato la cintura. Così, quando erano usciti di strada, Dodge, che era assicurato fermamente al seggiolino sul sedile posteriore, era rimasto illeso, mentre i due adulti...kaput.
Passato il primo momento di shock,Silver aveva dovuto fare molte cose. Lasciare l’università, tanto per cominciare. Vendere la casa, perché costava troppo mantenerla. E poi via, un turbine di sistemazioni provvisorie e di lavori precari, passando da situazioni terribili e assurde che erano culminate con un motel orripilante dove Dodge aveva trovato un ratto sotto il letto e aveva poi provveduto a inseguirlo per tutta la stanza. Al confronto, il loro attuale appartamento in periferia era il paradiso.
Ma dopotutto anche il lavoro lì al South era il migliore che gli fosse capitato fino a quel momento. Era l’ideale. Abbastanza sicuro, legale (quanti lavori in nero aveva dovuto fare nei tre anni precedenti), con un guadagno sufficiente a coprire l’affitto e le altre spese. E li lasciava entrambi in compagnia di persone fantastiche. Tikal, Mercedes, Knuckles. I bizzarri clienti che si sedevano ai tavoli ogni giorno. E adesso Blaze.
Se ci fossero stati ancora i loro genitori, non avrebbe avuto proprio nulla di cui lamentarsi.
 
Silver si ritrovava spesso a pensare a queste cose, e a ricordare, ma non così spesso come all’inizio. L’abitudine alla situazione attuale lo portava sempre di più a pensare a fatti più concreti, che richiedevano la sua attenzione nell’immediato. Il passato era passato. Doveva concentrarsi sul presente.
Il giorno in cui Blaze comparve inaspettatamente all’ora di colazione, per esempio, la sua mente era fissata su un problema da risolvere molto in fretta. Dodgeball avrebbe iniziato la scuola in settembre. Avrebbe dovuto comprargli dei vestiti prima che finisse l’estate. Non avrebbe potuto mandarlo a scuola con il guardaroba disastrato che aveva adesso. Quella mattina, per esempio, indossava una sua maglietta, vecchia e stazzonata, che gli arrivava alle ginocchia. Se Dodge fosse entrato in classe così, qualunque insegnante avrebbe pensato che Silver non fosse in grado di prendersi cura di lui.
E c’era sempre quella minuscola possibilità che chiamassero i servizi sociali. Silver era terrorizzato dai servizi sociali. Se avessero sospettato che non era capace di occuparsi del fratello, gliel’avrebbero tolto dalla custodia, ed era una prospettiva insopportabile.
In ogni caso, avrebbe dovuto comprare abiti per bambini molto presto, e questo voleva dire tagliare altre spese per riuscire a mettere da parte i soldi necessari. Non sapeva come avrebbe fatto, in realtà. Non restava più molto da tagliare.
Si distrasse da questi pensieri quando vide Blaze entrare nel locale. Nonostante indossasse come sempre abiti di prima qualità, la ragazza sembrava in disordine, con la faccia stanca e i capelli legati alla bell’e meglio in una coda di cavallo. Salutò Dodgeball con un cenno distratto della mano e si sedette al bancone, appoggiandovisi pesantemente, e ordinò un caffé nero.
Quando Silver,servendola, le chiese se fosse successo qualcosa, lei alzò le spalle. – Niente  di che. Ho discusso un po’ con mio padre, roba da poco. Ma qui avrei fatto colazione con più calma.
- Mi dispiace.
- Grazie. – Soppesò con lo sguardo le vetrinette di brioche. – In questo momento l’ideale sarebbe una ciambella. Un’enorme ciambella al cioccolato. Ma penso che il mio fisico non se la possa permettere.
- Non vedo come una ciambella possa rovinare qualcosa. – Silver si sentì arrossire fino alle orecchie. – Hai...Hai una forma perfetta.
- Ti ringrazio. – Blaze sorrise appena, ma smise subito mentre sorseggiava il caffé. – A questo punto credo di poter prendere quella ciambella. Dì la verità, fai i complimenti alle tue clienti solo per spingerle a mangiare di più.
- Hai svelato il mio piano – ammise lui porgendole il dolce. – Ti prego, non rivelarlo a nessuno, altrimenti la mia copertura come cameriere salterà.
- Vai tranquillo. – La ragazza addentò la ciambella.  – Per la verità sono anche sfinita. Verranno a trovarmi un paio di amiche molto presto e devo organizzare tutto.
- Portale qui a mangiare, se non riesci a organizzare i vostri pranzi – il tono era scherzoso, ma Silver era sfiduciato. Era molto probabile che, una volta arrivate le sue amiche, Blaze non entrasse più in quel locale.
Lei sorrise di nuovo, un sorriso che questa volta fu più lungo e più caldo. – Potrei farlo davvero.
Il ragazzo si sentiva le guance in fiamme. Per fortuna Tikal lo richiamò proprio in quel momento per servire un piatto di uova e lui si rituffò nel turno del mattino. Quando riuscì a ritornare al bancone, Blaze se n’era già andata, lasciando sul tavolo il conto e un’abbondante mancia.
Forse poteva ancora non perdere la speranza.
 
Raga, non so dirvi quanto mi dispiace. Giuro che ho cercato di fare più in fretta che potevo. Ma la scuola...Sì, insomma, sapete. Siamo tutti sulla stessa barca.  
Prometto che la prossima volta aggiornerò prima. E lo so che lo ripeto sempre, ma...si fa quel che si può.
Spero che nonostante il ritardo e la qualità altalenante apprezziate lo stesso. A presto
^Ro
PS Una delle cose che ho dimenticato di dire è che questa storia (il titolo, la trama, un po' tutto insomma) è ispirata, in mezzo ad altre cose, alla canzone Uptown girl dei Westlife e soprattutto al suo video. Se avete cinque minuti da perdere, vi consiglio di ascoltarla. Non è niente male.

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Capitolo 3
*** Take your friends ***


Metal city, ovviamente, non aveva un aeroporto, perciò Amy e Rouge l’avrebbero raggiunta in treno. Blaze andò ad aspettarle alla stazione pochi giorni dopo la colazione al Diner. Il treno, naturalmente, era in ritardo. Era di nuovo una giornata terribilmente afosa, e lei era già sul punto di lasciare le sue amiche al loro destino per andare a rifugiarsi in qualche bar quando finalmente la locomotiva apparve da dietro una curva. A quel punto era troppo in fibrillazione per anche solo pensare di vedere le ragazze un minuto più tardi.
Quasi non riuscirono ad aspettare che il treno si fermasse. Amy e Rouge furono le prime a scendere, cariche di valigie, e le tre si saltarono praticamente addosso, stringendosi in un caotico abbraccio. Poi iniziarono a parlare tutte insieme, ridendo, mentre si dirigevano verso la macchina. Blaze non riusciva quasi a credere che fosse arrivato il momento, ma così era. Le sue migliori amiche erano lì.
Caricarono le valigie nel bagagliaio e salirono, Blaze al volante con Rouge al fianco e Amy sdraiata sui sedili posteriori. Rouge allungò le lunghe  gambe sul cruscotto, abbassò la capotte e si sciolse i capelli con un sospiro soddisfatto. – Un po’ di libertà. Hai presente tutte quelle ore di viaggio con Amy? Un incubo.
- Ha parlato la donna che ci provava col controllore.
- Era un gran bell’uomo.
- Gli hai palpato il sedere, Rouge.
Blaze sorrise. – Davvero? E com’era?
Le due si lanciarono in un disordinato resoconto del loro epico viaggio. Nonostante fossero diversissime, si intendevano a meraviglia. La formosa e statuaria Rouge, con i suoi capelli chiarissimi e gli occhi verde mare, sembrava venire da tutt’altro pianeta rispetto ad Amy, piccolina, con gli occhi più scuri e i capelli rosa come il novanta per cento dei suoi vestiti. Eppure andavano molto d’accordo, stuzzicature varie a parte. E Blaze voleva bene a entrambe.
Attraversarono la città senza preoccuparsi di passare inosservate. Rouge salutava tutti gli uomini che incrociavano e Amy commentava ogni cosa che vedeva, soprattutto l’apparente assenza di vita nelle strade. Tuttavia, quando arrivarono a casa, l’eccitazione stava già svanendo e la stanchezza del viaggio cominciava a farsi sentire. Per il resto della giornata non riuscirono a fare altro che disfare le valigie e scambiarsi qualche blanda battuta. Solo quella notte, quando nessun orecchio indiscreto poteva sentirli e potevano stare comodamente sdraiate, si lasciarono andare a raccontare tutto ciò che era successo nel periodo in cui erano rimaste separate.
- Novità? Ragazzi? – Amy pescò una patatina dalla ciotola sul pavimento. – Sveltine?
- Nah, niente. – Blaze sedeva a gambe incrociate sul letto, mentre Rouge le spazzolava i capelli.
- Sicura? In un posto così sperduto, non so quanti altri divertimenti ci siano....
- Oh, taci. Non siamo così disperati, qui. Ho avuto la vita sessuale di una suora.- Era totalmente convinta di ciò che stava dicendo. Non toccava un ragazzo da settimane. Eppure c’era una piccola parte di sè...una briciola, niente di più, che la faceva sentire come se stesse dicendo una bugia. Ridicolo. – E voi?
- Rouge ha saltellato da un letto all’altro come al solito.
- E tu non sei stata da meno, eh?
- Oh, insomma – Blaze fece un mezzo sorriso. – Quanti cuori avete spezzato?
Amy fece un gesto noncurante con la mano. – Solo qualcuno.
Andava sempre così. Da quando avevano iniziato a vivere insieme al campus, le loro serate erano sempre passate in modo simile, in mezzo a racconti di vite amorose e di ore di lezione. Ora era prevedibile che non avrebbero trascorso le notti in modo diverso, solo con meno preoccupazioni riguardo a esami e professori intransigenti. Il ritorno all’università era lontano.
Parlarono per ore, cercando di soffocare le risate, finché non caddero addormentate l’una addosso all’altra a notte fonda. Prima di assopirsi, Blaze decise che era soddisfatta.
Quella vacanza era iniziata davvero per il meglio.
 
I giorni successivi furono movimentatissimi.
Le tre ragazze sembravano voler recuperare il tempo perduto nel resto dell’estate. Non restarono ferme un attimo. Nuotarono nella piscina nel giardino di Blaze. Girarono il centro di Metal city fino allo sfinimento. Raggiunsero la città vicina per fare shopping. Iniziarono anche a progettare una festa, allo scopo di far conoscere alle due “straniere” i coetanei locali. E alla sera parlavano ancora per ore e ore, ricordando momenti assurdi e facendo progetti per i giorni successivi.  Non si stancavano mai.
Ma trascorrevano i pasti sempre a casa, o in qualche ristorante di lusso se avevano intenzione di restare fuori anche dopo. Era una routine a cui Blaze non era più abituata. Non che non fosse piacevole, anzi. Ma voleva mostrare alle sue amiche qualche possibilità diversa.
Perciò, verso la fine della settimana, le convinse entrambe a pranzare al South’s Diner.
Le piaceva un sacco quel posto. Si respirava un’aria...di casa. E il cibo era superlativo. A casa loro potevano permettersi fior di chef e di cameriere,ma l’ambiente, di solito, era troppo rigido per essere piacevole. Anche se c’erano Amy e Rouge a fare rumore.
Le due avevano fatto un po’ di resistenza quando seppero che voleva mostrare loro un posto nuovo. – Si mangia bene,almeno? – Aveva storto il naso Amy.
- Benissimo. E – aveva aggiunto la loro ospite, con un pizzico di malizia – è pieno di bei ragazzi.
Conosceva i suoi polli, e infatti quella frase riuscì a vincere ogni protesta e a trascinarle tutte al South.
In effetti, c’erano due ragazzi nel locale quando entrarono, più Silver, ovviamente: uno con i capelli scuri e l’altro con una massa di lunghi capelli rossi, entrambi seduti da soli. Blaze si distrasse a salutare Tikal dietro il bancone, ma riuscì a sentire chiaramente Amy e Rouge bisbigliare.
- Rosso o bruno?
- Rosso, rosso.
Intendevano i ragazzi, naturalmente. Avevano puntato la preda. Come al solito. Cercando di far finta di niente, la ragazza accennò ai tavoli. – Dove ci sediamo?
Senza esitazione, Rouge si diresse verso il tavolo dove era seduto lo sconosciuto coi capelli rossi e gli rivolse un sorriso smagliante. – Sono liberi questi posti?
- Uh? – Lui la guardò, anzi di fatto la misurò da capo a piedi con un’occhiata prima di rispondere con una smorfia perplessa. - ...sì?
- Perfetto. – La ragazza si sedette accanto a lui, accavallando le lunghe gambe e facendo cenno alle altre due di raggiungerla. Blaze guardò Amy, che alzò le spalle con un sorriso e si avvicinò al tavolo. Lei si affrettò a seguirla.
- A proposito, io sono Rouge. Vengo da fuori città.- Sentì dire mentre si sedeva accanto a Amy sulla panca opposta. Da vicino il tizio le sembrava familiare: probabilmente lo aveva già incrociato lì dentro.– Loro sono Amy, una mia concittadina, e Blaze, un’indigena.
- Sì, lei l’ho già vista. – La risposta del ragazzo fu poco più di un grugnito, ma non riusciva a distogliere a lungo gli occhi da Rouge, e la ragazza se n’era accorta, perché pronunciò la frase successiva con voce più bassa, languida,che non lasciava alcun dubbio sulle sue intenzioni.
- E tu invece? Come ti chiami? – Blaze cercò di nascondere un sorriso. Per la sua  amica flirtare era come respirare, non se ne rendeva neanche conto. Ora aveva un largo sorriso sul volto e si chinava verso il malcapitato come se la risposta fosse fondamentale per la sua vita. In aggiunta a tutto quel giorno, come tutti i giorni in fondo, si era vestita con abiti che lasciavano poco spazio all’immaginazione. Ecco, quando Blaze diceva che lei era la più sobria del trio non scherzava. Amy flirtava con gran piacere, ma davanti a Rouge non resisteva nessuno, maschi o femmine non faceva differenza.
E di solito era un grande spasso da guardare.
 
- Adesso le tiro un vassoio in faccia – ringhiò Tikal. Silver spostò istintivamente il vassoio di piatti sporchi che aveva in mano fuori dalla sua portata. Non era proprio tranquillo. L’espressione che la sua amica aveva non gli piaceva affatto.
Non che avesse tutti i torti, però. Avevano visto entrambi Blaze entrare insieme alle sue amiche e si erano preparati a fare conoscenza, sperando che fossero simpatiche come lei. Di sicuro non si erano aspettati di vedere una delle ragazze sconosciute provarci con Knuckles dopo un minuto scarso.
- E quello là le da anche corda. Dio santo. Stasera finisce male – sibilò la ragazza. Silver si affrettò a sparire in cucina. Tikal poteva sembrare inoffensiva, con la statura minuta e il visino calmo, ma quando si arrabbiava poteva essere davvero pericolosa. Abbandonò i piatti dove il lavapiatti/sguattero/tuttofare (non aveva ancora capito bene quale fosse il suo vero lavoro lì) potesse recuperarli e ritornò in sala carico di piatti pieni. Se conosceva i suoi polli, non voleva mettersi in mezzo. Rischiava di rimetterci qualche arto.
Comunque, passando,riuscì ad attirare lo sguardo di Knuckles e a lanciargli un messaggio molto chiaro, prima indicando Tikal e poi passandosi il dito sotto la gola.
Doveva essere stato abbastanza esplicito, perché il ragazzo spalancò gli occhi e si voltò a guardare dietro il bancone. Dopodiché probabilmente l’espressione di Tikal fu sufficiente a farlo a alzare di scatto e rifugiare nel bagno con poche parole di scuse, incurante delle proteste della bellezza seduta al suo fianco. Silver riprese il suo lavoro con più calma. Aveva fatto il suo dovere, ora li avrebbe lasciati a sbrigarsela da soli.
Quando fu libero, ritornò al tavolo delle tre ragazze e esibì il suo sorriso più smagliante, come se niente fosse successo e Blaze non fosse esattamente lì davanti a turbarlo. – Salve, posso aiutarvi?
- Ciao, Silver – rispose proprio Blaze, sorridendo a sua volta – loro sono Amy e Rouge, le mie amiche di cui ti parlavo.
- Benvenute a Metal City. Resterete qui a lungo?
- Quasi tutta l’estate, credo – replicò la ragazza in rosa, Amy.
- Allora è meglio che abbiate la migliore impressione possibile. Cosa vi porto?
- Qual è il piatto del giorno? – Chiese Blaze.
- Enchiladas di pollo appena fatte.
- Allora vai con quelle, mi fido di te.
Queste ultime parole bastarono a farlo arrossire fino alla punta delle orecchie. – Arrivano subito, signore – balbettò e volò in cucina con l’ordine, i problemi di Tikal e Knuckles improvvisamente lontani chilometri dalla sua mente.
 
- Un bel posto – commentò Rouge guardando Silver allontanarsi.
- Già – assentì Amy – però non vi sembra un po’...rustico? Dozzinale?
- Si mangia in modo divino. Aspetta e vedrai.
- Speriamo. Ma come ci sei finita qui? Non sembra un locale che frequenteresti.
- Beh...è stato un caso – rispose Blaze, vaga. – Un caso fortunato.
- Almeno su una cosa avevi ragione: i ragazzi sono tutti carini. Anche il cameriere.
- Quanto sei monotona...- La ragazza dai capelli viola scoppiò a ridere. Però, in effetti, pensò. Non ci aveva dato molto peso, ma Silver non era affatto male, a guardarlo. Proprio per niente. Di sicuro meglio di quel tizio che Rouge aveva messo in fuga. – Cambiamo argomento,su. Non dovevamo organizzare una festa,mentre eravamo qui?
Si misero al lavoro allegramente, elencando tutto ciò che si sarebbero dovute procurare e lasciando che Blaze facesse una lista di persone all’incirca della loro età da poter invitare. Non parlarono più di ragazzi. Almeno finché Silver non tornò da loro con tre piatti colmi di enchiladas, perché in quel momento Rouge si piegò verso Blaze e facendole l’occhiolino bisbigliò – Dimmi che quando avremo organizzato tutto verrai in questo posto e inviterai tutti i bei maschietti presenti in quel momento.
L’altra ragazza alzò gli occhi al cielo. Erano davvero incorreggibili.
 
Eeeeeeeeeee sono ancora qui!
Ebbene sì. Con calma, ma ritorno sempre. Come la peste.
Godetevi i miei deliri e se vi piacciono, recensite. Ave, gente.
^Ro
PS Una domanda, ma solo qui dove abito io si sta facendo una settimana dedicata solo ai recuperi a scuola (che è esattamente il motivo per cui sono riuscita a finire il capitolo)? Oppure anche nel resto d'Italia? E' un mistero.
 

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Capitolo 4
*** Ready to party ***


L’umore di Silver era nero non poco. Anzi, a dire la verità era nero come l’inchiostro.
Non c’era niente da fare, quando una giornata iniziava male poteva andare solo peggio.
Prima ci si era messo Dodgeball, svegliandolo agitandosi nel sonno e piantandogli un considerevole calcio nel fianco, facendogli rimpiangere (non per la prima volta) la forzata sistemazione in un unico letto, anche se matrimoniale. Poi la macchina aveva impiegato secoli a partire, facendolo arrivare al pelo in orario e non lasciandogli il tempo di fare colazione. E poi ancora i clienti del mattino si erano dimostrati più casinisti del solito, facendolo impazzire. Se le prospettive erano quelle, non c’era da essere ottimisti per il resto della giornata.
Incontrare Blaze avrebbe potuto migliorare la sua visione attuale del mondo, visto che la sua compagnia si era sempre dimostrata più che piacevole, ma era improbabile che si facesse vedere, ora  che aveva in casa due ospiti dai gusti molto superiori al livello di quel locale (no, non si era perso i loro commenti acidi,purtroppo) e contando che se avesse portato di nuovo lì le sue amiche Tikal ne avrebbe puntata una e l’avrebbe uccisa a colpi di mestolo. Non sapeva di preciso cosa la ragazza avesse detto al suo fidanzato, ma a giudicare dalla faccia atterrita con cui Knuckles era uscito dalla discussione, non doveva essere stato niente di buono. Tikal riusciva a essere molto pericolosa,volendo.
In ogni caso,lui non aveva una fidanzata che potesse creare problemi , e aveva un bisogno disperato di vedere qualcuno che gli risollevasse un po’ il morale, anche se era impossibile.
Ma, incredibilmente, si verificò qualche strano miracolo e Blaze apparve nel locale.
Si stava riprendendo da un’accesa conversazione con un cliente, dove lo aveva rassicurato che sì, era intollerabile che ci fosse un capello nel suo piatto ( ed era intollerabile, cribbio. Nel primo momento di pausa sarebbe andato a dirne quattro ad Aidan, il tuttofare, l’unico appartenente allo staff in grado di produrre un capello nero e riccio). Fissava il vuoto, aspettando il prossimo ordine, quando sentì tamburellare sul bancone davanti a lui. Si girò e....bam. Blaze era proprio di fronte a lui, con un gran sorriso sul volto.
- Ciao – disse. – Tutto bene?
- Ciao,uh....sì,abbastanza. – Rispose lui, riscuotendosi. Ma devo sempre avere la faccia da ebete quando mi vede lei? – Come posso aiutarti? Sei qui per ordinare?
- Oh,no,no. Torno a casa a mangiare. Ma ero fuori con le ragazze e già che passavamo di qui....Senti, ti andrebbe di venire a una festa?
- Cosa?! – Silver spalancò gli occhi, stupito dal cambiamento repentino di argomento.
- Sì, sabato sera darò una festa,invito un bel po’ di gente e vorrei che ci foste anche tu e Tikal. – Il suo sorriso si allargò. – C’è posto per tutti, non preoccuparti. Allora, ci stai?
- Non lo so....- Il ragazzo tentennò, indeciso, ma la voce di Mercedes che lo chiamava per un ordine lo riportò alla realtà. – Senti, sono un po’ nei casini adesso....Ci possiamo sentire più tardi?
- Oh,certo, scusa. Aspetta. – Blaze si guardò intorno, poi pescò un tovagliolo di carta dal dispenser e una matita dalla borsa e scrisse in fretta qualcosa, poi gli rese il pezzo di carta. – Tieni. Scrivimi stasera, okay? Ciao. – E con un rapido gesto di saluto girò sui tacchi e corse fuori.
Silver guardò inebetito il numero di telefono scarabocchiato sul tovagliolo, ignaro di tutti i rumori che lo circondavano. - ...Contaci.
 
 
Blaze uscì dal locale con uno strano senso di euforia. Non sapeva come spiegarselo,dopotutto aveva dovuto soltanto invitare delle persone a una festa. Eppure si sentiva come se avesse compiuto un passo fondamentale. Cercò di scacciarlo via mentre saliva in macchina: doveva essere solo felice di avere anche Silver a casa quel sabato, tutto lì.
- Fatto tutto? – Chiese Rouge, a cui aveva lasciato il volante in via del tutto  eccezionale.
- Sicuro. Vai pure.
La ragazza mise in moto. Amy si sporse dal sedile posteriore. – Ehi, Blaze?
- Sì?
- Faceva caldo là dentro?
- Perché?
- Sei tutta rossa in faccia.
Blaze si portò la mano sulla guancia, confusa. Cosa diavolo poteva averla fatta arrossire? Parlare con Silver per due minuti? Andiamo. – Sì...un caldo da morire.
 
- Ti ha dato il suo numero? – Esclamò Tikal, praticamente saltellando sul posto. – Oooooh, Silver ha fatto centro! Un vero rubacuori!
- Ssssh! – Cercò di placarla Silver. Erano nel retro del Diner,alla fine del turno. – Non urlare, me lo ha dato solo per metterci d’accordo per sabato.
- Dettagli, pensi che non conosca le scuse che può usare una ragazza? – La  giovane agitò una mano con fare noncurante. – Ti ha dato il suo numero e ti ha invitato a una festa. Bingo.
- Sì, sì, certo, se ne sei convinta tu. – Silver prese per mano Dodge che era rimasto ad aspettarli e uscirono dalla porta sul retro. – A proposito, ha invitato anche te, no? Verrai?
Tikal lo guardò come a dire Ma per favore. – Non penso di riuscire a gestire gente che ci provava col mio ragazzo per un intera serata. MA, visto che sono una persona estremamente buona, terrò Dodgeball a dormire da me per lasciarti andare a folleggiare.
- Lo faresti?
- Certo, dove altro pensavi di lasciarlo?
- A volte ti adoro.
Tikal sorrise. – Solo a volte?
- Nah, sempre.
- Ecco, meglio. – La ragazza li salutò e si avviò su per le scale antincendio che portavano a casa sua. I due fratelli si avviarono verso la loro automobile.
- Dodge? – Il bambino, che sembrava concentratissimo nell’impresa di non calpestare le crepe del marciapiede, guardò in su.
- Si–i?
- Se tu dovessi andare a dormire una volta da Tikal....Ti andrebbe?
- Siiiiiii! – Lo strillo eccitato fece ridere Silver,ma lo fece anche sentire più sollevato. Aveva sempre problemi a lasciare Dodgeball a qualcun altro, e l’idea di mollarlo in giro per andare a una festa lo aveva fatto sentire non poco in colpa.
In ogni caso, ora erano tutti felici all’idea: Tikal era felice, Dodge era felice, lui stesso era felice al pensiero che Blaze lo avesse invitato, che ci avesse anche solo pensato. Ma dovevano ancora parlarsi,e la prospettiva lo agitava abbastanza.
Per questo aspettò fino a quando non ebbe messo a letto suo fratello prima di prendere coraggio, ripescare il telefono e digitare il messaggio in fretta, prima di perdersi d’animo.
Sono Silver. Io riesco a venire, Tikal purtroppo no.Mi potresti dare qualche dettaglio in più? Grazie.
Conciso e compassato alla perfezione, Silver, bravo. Ora restava solo da aspettare. Probabilmente a lungo,di sicuro Blaze doveva essere con le sue amiche e non avrebbe dato la priorità a...
Lo squillo del cellulare lo colse talmente di sorpresa che per poco non se lo lasciò sfuggire di mano. Recupera- o il controllo, rispose senza nemmeno controllare il numero.
Pronto?
- Ehi? – La voce di Blaze suonò come musica alle sue orecchie. Quindi non solo gli rispondeva subito, ma lo chiamava anche? Un sogno. – Ciao, scusa se ti chiamo, disturbo?
- No....no, per niente.
- Meno male, perché qui ci sono certe persone..... – Rumori e risate in sottofondo – ...che non mi lasciano scrivere un messaggio in pace. Ascolta, hai detto che verrai sabato, giusto?
- Sì.
- Allora l’idea sarebbe di trovarsi intorno alle nove. Casa mia è un po’ fuori città, perciò stammi dietro, okay? Non vorrei doverti venire a cercare in qualche stradina sperduta.
Risero. Okay, quella era sicuramente la migliore conversazione che Silver avesse avuto nelle ultime settimane.
Blaze gli descrisse la strada per raggiungere casa sua a grandi linee, e lui non prese nemmeno appunti, sicuro che se la sarebbe stampata in mente, da tanto era importante. Quando ebbe finito, fece una pausa, poi aggiunse: - Devo andare adesso, le ragazze qui stanno diventando irrequiete.
- Certo, chiaro. Grazie delle indicazioni. Allora....ci vediamo sabato?
- Okay. – Un’altra pausa. – Senti....mi dispiace che Tikal non riesca a venire, ma sono contenta che tu ce la faccia.
Gli mancò un battito. -  Uh......bene, okay. – Dille qualcosa, no, idiota! – Buo....buonanotte, Blaze.
- Buonanotte, Silver.
Chiamata chiusa. Silver rimase a fissare il telefono per un secondo, poi affondò il viso nelle mani.
Ormai non aveva più solo le farfalle nello stomaco, ma anche quelle nel cervello.
 
Quel sabato,alla fine del turno,Silver prese il fratellino per mano e lo accompagnò da Tikal nel retrobottega. Dodgeball era eccitatissimo: per lui era una specie di vacanza, e anche solo il fatto di preparare lo zainetto con pigiama e spazzolino era stato molto divertente.
- Dodge, comportati bene, okay? Ci vediamo domattina. – Disse il ragazzo, poi si rivolse a Tikal. – Se ci sono problemi chiamami. Avrò il telefono sempre acceso.
- Non ci penso nemmeno. Levati dai piedi e vai a festeggiare. – La giovane lo fissò con un finto cipiglio che ricordava molto quello di Mercedes, poi sorrise e sussurrò: - Domani voglio sapere tutti i dettagli, rubacuori.
Silver le fece una smorfia, poi diede un bacio al fratello e uscì dal locale.
A casa, sotto la doccia, cercò di non agitarsi troppo. Doveva stare calmo. Si trattava di una semplice festa. Tanta gente, tanto rumore e probabilmente tanto alcol. Niente di intimo.
Sì,ma è a casa di BLAZE, bisbigliò il suo cervello mentre cercava di capire quali dei suoi vestiti fossero decenti abbastanza. E lei è venuta ad invitarti di persona, cosa ne dici di questo?
Il ragazzo mise faticosamente a tacere il proprio cervello e si rimise in macchina.
Ricordava bene le indicazioni stradali che Blaze gli aveva dato e guidò con sicurezza fino fuori città. Seguì una stradina tortuosa e, girata l’ultima curva, si ritrovò finalmente a destinazione.
Rimase senza fiato. La casa era una maledettissima villa. Si trovava dietro un cancello decorato, in mezzo a un enorme giardino, e da sola occupava probabilmente lo spazio di quattro appartamenti del suo palazzo in periferia. Forse anche cinque.
Silver si sentì seccare la gola. Non si era reso conto che lei potesse avere standard così alti.
Fuori dal cancello erano già parcheggiate diverse auto e lui vi affiancò la sua, poi si diresse verso la casa. Mentre passava in mezzo alle macchine, si rese conto che tutte erano di modelli ben più costosi della sua, e sicuramente molto più nuove. Un altro particolare poco simpatico.
Il cancello era aperto e lui entrò. La festa doveva avere il suo nucleo in giardino, perché quest’ultimo era pieno di ragazzi più o meno della sua età che si muovevano sotto lanterne appese in giro. No, di sicuro non sarebbe stata una serata intima.
Mescolandosi alla folla, Silver  vide alcuni tavoli pieni di cibo e bevande e vi si diresse subito. Non conosceva nessuno, a parte la padrona di casa e due sue amiche, che comunque non vedeva in giro: tutti gli altri erano ragazzi che aveva visto a scuola, ai tempi del liceo, ma nessuno di loro era stato suo amico, un po’ perché a causa della timidezza non aveva mai avuto molti amici e un po’ perché erano ben più in alto di lui sulla scala sociale. I ragazzi ricchi formavano gruppi a parte anche a scuola, e alcuni frequentavano il liceo privato della città vicina. Qualcuno di loro era più alla mano e parlava anche con i comuni mortali, ma non molti.
La maggior parte dei presenti era dunque più o meno suo coetanei, ma c’erano anche alcuni che sembravano poco più grandi e un paio di facce più giovani, probabilmente ragazzi dell’ultimo anno di liceo. Silver si appoggiò al tavolo bevendo la sua aranciata, cercando con gli occhi qualche volto familiare.
Poi vide Blaze.
Parlava con un ragazzo più grande di loro, così non si era accorta di lui, e fu una fortuna, perché rimase a guardarla a bocca aperta. Era uno schianto nel corto vestito bianco dai bordi lilla, con le lunghe gambe in vista. I suoi capelli viola, raccolti in cima alla testa così che le scendessero sulle spalle in onde morbide, si riempivano di riflessi sotto le lanterne. Sorrideva e a Silver quel sorriso entrò nella testa e si stampò a fuoco nel cervello.
In quel momento si rese conto di non aver mai visto una ragazza più bella, e di essersi ormai perso del tutto.
Quel momento magico durò una manciata di secondi, ma l’incantesimo si ruppe quando Blaze si voltò e lo vide. Il suo sorriso si allargò e lei gli si avvicinò. – Ciao, Silver – disse. – Ti stai divertendo?
- Sono appena arrivato, però sembra una bella festa.
- Grazie. Spero che continui così, c’è tanta gente che non vedevo da un po’. – Qualcuno la chiamò e lei si voltò. – Ascolta, devo andare, c’è gente che non sa cosa fare senza la padrona di casa. Fai attenzione al punch, credo che ci abbiano messo un po’ troppa vodka.
- ....okay?
Con un ultimo sorriso, la ragazza si allontanò e lui rimase a guardarla da dietro, imbambolato. Scosse la testa, cercando di tornare in sé, e decise di andare a fare un giro, nella speranza di distrarsi.
C’era un sacco di rumore. Gli invitati parlavano a gruppetti e ridevano, oppure ballavano seguendo la musica di un paio di casse. Come aveva sospettato, in mezzo alle bibite c’era più di una bevanda alcolica e molti ragazzi se ne servivano. Silver non era molto tentato dall’alcol, dopotutto avrebbe dovuto guidare, tuttavia si avvicinò alla ciotola di punch pensando che avrebbe potuto farlo entrare nello spirito della festa.
Mentre si serviva, sentì una voce pericolosamente vicina alla sua spalla. – Cosa fa un bel ragazzo qui tutto solo?
Lui si girò e si trovò davanti una ragazza forse poco più giovane di lui, con i lunghi capelli castani legati in due code e brillanti azzurri, anche carina, che lo fissava sorridendo. Impiegò un po’ a trovare una risposta a un tentativo di flirt così spinto. – Uh, io stavo...stavo prendendo da bere.
- Oh, vedo. Non ti dispiacerebbe versarne un po’ anche a una ragazza con la gola secca?
- ...certo. – Silver le versò un bicchiere di punch e lei lo prese, fissandolo intensamente da sopra l’orlo mentre beveva, per poi posarlo e appoggiarsi al tavolo.
- Allora...non hai una compagnia migliore dell’alcol questa sera?
- Veramente...
- Dai,sei a una festa. Non puoi stare da solo. – Il suo sorriso si allargò . – Sarebbe triste,no?
Silver esitò. Non voleva essere scortese, la ragazza non sembrava male, ma non aveva intenzione di avere avventure da una sera. Soprattutto dopo le forti sensazioni che la semplice vista di Blaze gli aveva procurato.
Stava annaspando alla ricerca delle parole giuste quando qualcuno intervenne in suo aiuto. – Lascia perdere, Marine, hai sbagliato pollo. – La ragazza reagì con una smorfia, tirò fuori la lingua in direzione del nuovo venuto e sparì. Silver si voltò e sorrise. Finalmente una faccia conosciuta.
La voce apparteneva a Sonic Powell, un ragazzo del suo liceo riconoscibilissimo per la sua chioma di capelli blu scuro. Nonostante appartenesse all’ “elite” e avesse un anno più di lui, avevano parlato spesso e si erano trovati molto d’accordo.
Non si erano visti per un pezzo, così si fermarono a parlare per raccontarsi le ultime novità.
- Mi è spiaciuto sapere dei tuoi genitori. Non sono riuscito a tornare qui per colpa di altri impegni, ma mi è arrivata la notizia.
- Grazie.
- Sei riuscito a continuare l’università, dopo?
Silver scosse la testa. – Adesso lavoro. Tu?
- Sono andato avanti, ma non è che mi interessi tanto. Lo faccio per la squadra dell’università. – Ai tempi del liceo, Sonic era stato uno dei migliori giocatori di football della scuola, e questo gli aveva sempre riservato un posto fra i più popolari, nonostante non avesse mai tenuto segreta la sua sessualità “deviata”.
- Un gran motivo.
Sonic ghignò. – Sentiamo, sputasentenze, cosa ci fai qui? L’ultima volta che ti ho visto, questo non era esattamente il tuo ambiente. Hai fatto un salto di qualità?
Dette da chiunque altro, quelle parole avrebbero urtato Silver,ma lui sapeva che Sonic non era tipo da tenere conto delle differenze di classe ed era sinceramente curioso di cosa lo portasse in un ambiente nuovo, così non se la prese. – Ho conosciuto la padrona di casa in giro.
- Blaze? Buon per te. Io l’ho incontrata spesso d’estate, sai, gli eventi finiscono per essere sempre gli stessi in una città così piccola, e non mi perderei mai una festa. – Scolò d’un fiato quello che restava del suo bicchiere. – Beh, perché non vai a dare un’altra occasione a Marine? Io ho un appuntamento col destino.
- Cos...Hai abbordato qualcuno?
- Vedi quel ragazzo lì di fronte?
- Quello col cappello?
- Proprio lui. Ha lanciato qualche segnale inequivocabile. Ci vediamo, Silver, è stato bello incontrarti di nuovo. – Concluse, prima di allontanarsi verso la sua nuova conquista.
Silver sorrise e scosse la testa. Certe cose non cambiavano mai. Finì anche lui la propria bevanda e si rimise a girare.
Quello che vide purtroppo non aiutò a tenere alto il suo umore. Se Sonic aveva scherzato sul suo essere un pesce fuor d’acqua in quell’ambiente, ciò che aveva intorno glielo ricordava in tono molto più violento. Infatti, oltre a non essere esattamente un tipo festaiolo (anche alle superiori non si era mai sentito a suo agio in quei party dove l’ideale era ubriacarsi e poi chiudersi in una camera da letto), si trovava del tutto fuori dai propri schemi. La ragazza per cui temeva di essersi preso una cotta infernale era più ricca di quanto lui avesse potuto immaginare prima, e la sua casa era enorme, con giardino e una piscina dove qualcuno degli invitati si stava già buttando (vestito). E a proposito degli invitati, oltre a includere molti di quelli che a scuola lo avevano guardato con la puzza sotto il naso, erano immersi in discorsi fuori dalla sua portata, con feste a cui lui non avrebbe partecipato e negozi in cui non poteva permettersi di comprare nulla. I loro vestiti erano alla moda e i loro cellulari di ultimo modello, e loro si divertivano senza pensieri tipo “almeno stasera ho risparmiato i soldi della cena”. Deprimente.
E non era ancora finita. Avrebbe dovuto ricordarsi che la sua sfortuna non aveva mai fine.
Il fatto era che, come a ogni festa che si rispetti, gli invitati avevano iniziato presto a sparire a coppie. Silver riusciva a vedere diversi movimenti sospetti negli angoli meno illuminati, e sperò per Blaze che non avessero deciso di infilarsi anche in casa; sarebbe potuta finire male. Gli parve di vedere persino una delle due amiche che lei stava ospitando a casa, Amy, avvinghiata a un tizio in qualcosa che sembrava un po’ più spinto di un bacio. Decise di non indagare e continuò a camminare.
Fu un errore. Se fosse rimasto dov’era non avrebbe visto Blaze.
All’inizio credette di essersi sbagliato. Quando scorse con la coda dell’occhio la scena in corso, si fermò sui due piedi e guardò meglio, sperando di avere preso un abbaglio. No, ovviamente. Non poteva essere così fortunato.
Blaze era poco lontana dal cancello d’ingresso, fuori dal cono di luce delle lanterne, ma anche nella penombra la sua sagoma era inconfondibile, per lui. Allacciata stretta a un ragazzo sconosciuto lo baciava con passione, ignorando ciò che la circondava.
Silver non riuscì a distogliere gli occhi per un pezzo. Sentì qualcosa annodarglisi stretto nello stomaco, ma percepì appena quella sensazione, come anche il pensiero improvviso che gli apparve nella mente: Cosa faccio ancora qui?
Qualcuno gli appoggiò una mano sulla spalla e lui non reagì subito, ma quando lo fece si trovò di fronte il volto sorridente di Marine. – Ancora in cerca di compagnia?
Il ragazzo la guardò per un secondo o due in silenzio. Si sentiva improvvisamente consapevole dell’assurdità della sua presenza lì. Perché era venuto? Era del tutto fuori posto.
- Oh, al diavolo – bisbigliò, per poi girare sui tacchi e andarsene. Sentì che Marine gli urlava qualcosa dietro e la ignorò.
Trovò la sua macchina, che sfigurava come un rottame in mezzo a quegli affari superlusso tirati a lucido, mise in moto con fatica e si allontanò alla massima velocità a cui riusciva ad andare. In testa gli turbinavano mille pensieri, ma per il bene della sua guida cercò di concentrarsi sulla strada, non riuscendoci del tutto.
In qualche modo riuscì a tornare nel suo quartiere, a parcheggiare e a salire nel suo appartamento, ma una volta buttatosi sul letto si rese conto che non sarebbe riuscito a chiudere occhio. Le immagini di quella serata gli martellavano il cervello, punteggiate da parole tutt’altro che incoraggianti che, purtroppo, sapeva essere sincere.
Stupido.
Cosa credevi di fare, andando a giocare in casa dei ricchi?
Stupido.
Stupido.
Stupido.
Fu una lunga, lunghissima nottata.
 
 
Macinando macinando riesco a finire anche io i capitoli. Lentissimamente. Sigh. Mi dispiace.
Poco da dire, spero che il capitolo vi piaccia e di riuscire a pubblicare il prossimo un po' più in fretta. A presto!
^Ro
 

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Capitolo 5
*** Who knows ***


Svegliandosi il mattino dopo, Silver sentì che la testa gli girava a causa della nottata lunga e agitata. Meditò a lungo se restare a letto e sprofondare a poco a poco nel materasso, cancellandosi dalla faccia della terra. Forse sarebbe stato un bene. Ma non poteva abbandonare Dodgeball a casa di Tikal, così si sforzò di alzarsi e spalancò le finestre, sperando che un po’ d’aria fresca gli avrebbe schiarito le idee.
Fuori, la giornata era stupenda. Il sole splendeva e  tirava un bel venticello,e diversi piani più sotto, a quanto pareva, uno dei vicini stava tosando il suo microscopico pezzetto di giardino interno. Non sembrava nemmeno di trovarsi in periferia, da tanto l’atmosfera era piacevole. L’unico tocco di grigio era lui. Che gioia.
Il suo aspetto doveva essere davvero terribile, perché quando Tikal gli aprì la porta, il suo primo commento fu – Hai una faccia da schifo. Entra.
Lo guidò attraverso l’appartamento sopra il ristorante fino alla sua stanza, per poi sedersi sul letto e invitarlo a fare altrettanto. – Dai, raccontami com’è andata. Tanto Dodge sta preparando le frittelle con mia madre, hai tempo fin che vuoi.
Silver esitò solo un momento, poi si lasciò cadere pesantemente sul letto e iniziò a parlare. A quel punto non ci fu verso di fermarsi. Raccontò all’amica della festa, di quanto si fosse sentito a disagio e di tutti i brutti sentimenti che lo avevano attraversato quando aveva comparato la sua situazione a quella degli altri invitati e soprattutto quando aveva visto Blaze baciare un altro. Quando lui ebbe finito, Tikal rimase in silenzio per un momento, come soprappensiero, poi espresse la sua opinione in una sola parola: - Stronzate.
Silver spalancò gli occhi, ma la ragazza continuò imperterrita a parlare. – Mi stai dicendo che ti senti inferiore a dei cretini che non hanno lavorato un giorno nella loro vita e che si ritrovano tutto ciò che vogliono in mano appena lo chiedono? Mentre tu ti spacchi la schiena per mantenere te e Dodge? Solo perché loro hanno tutti gli ultimi modelli di cellulare e i vestiti fighi? Bah. Non sei così stupido da pensarlo. Non farmi rivalutare la tua intelligenza. – Tikal fece un sospiro seccato. –  Sei un ragazzo eccezionale così come sei. Magari non hai tutti i loro gadget alla moda, ma ciò non ti rende inferiore. Punto.
Il ragazzo la fissava, senza sapere cosa dire di fronte a questo sfogo. Tikal lo osservò, poi fece un mezzo sorriso. – E infine, se una ragazza preferisce la compagnia di un perdigiorno ricco, non so se si meriti la tua corte. – Concluse, incrociando le braccia.
Silver restò a guardarla ancora per un momento, inebetito, poi scrollò la testa. Aveva ragione, naturalmente. Non c’era alcun motivo logico per avere dei complessi d’inferiorità nei confronti di gente simile. In teoria. In pratica non sarebbe stato facile mandare giù l’idea che Blaze potesse preferire un imbecille ricco a lui.
Tikal sembrò intuire i suoi pensieri, perché si alzò e allungò la mano verso di lui. – Forza, andiamo. Riuniamoci col resto del mondo e cerchiamo di dimenticare qualunque ragazza preoccupante, okay?
- Okay. – Silver ebbe un attimo di esitazione. – Però...Tikal. Cosa dovrei fare se fossi innamorato davvero, di questa ragazza?
La giovane non rispose subito, una cosa insolita per lei. Restò a riflettere per un momento, mordendosi il labbro, poi gli mise una mano calda e comprensiva sulla spalla. – Troveremo una soluzione anche per quello.
Silver sperò che fosse vero.
 

Quella mattina Blaze si svegliò con un sapore acido in bocca. Sapeva di aver bevuto un po’ troppo la sera prima, ma d’altronde era dalla fine del semestre che non faceva festa come si deve, e non credeva di aver combinato grossi disastri, anche da brilla.
L’unica cosa di cui si era pentita sul serio era stato permettere a Geoffrey St. John di baciarla. Era un ragazzo affascinante e un baciatore esperto, ma lei non si era sentita a proprio agio e a metà del bacio aveva capito perché; si sentiva a disagio a pensare che oltre quel bacio non ci sarebbe stato nulla, e che per lui contava meno che per lei. Non era normale. Non aveva mai provato sensazioni del genere prima, e sì che non era digiuna di baci senza conseguenze.
Oltre a quello non ricordava che ci fossero altri problemi relativi alla festa. O forse sì. Ce n’era uno, e se ne rese conto mentre lasciava le sue amiche addormentate in camera per andare a prepararsi del caffé.
Aveva invitato Silver perché le stava simpatico, nonostante non provenisse dallo stesso ambiente degli altri partecipanti alla festa. Lo aveva incrociato una volta sola durante la serata, in cui lui era sembrato piuttosto a suo agio, ma poi non lo aveva più visto, neanche di sfuggita. Era strano. Certo, era possibile che lo avesse perso di vista in mezzo alla calca, ma non riusciva a convincersene. Aveva un pessimo presentimento.
Non sapeva perché si preoccupasse tanto per quel ragazzo. Non aveva niente di speciale, a parte l’essere molto più caldo e gentile di gran parte dei maschi che Blaze aveva conosciuto. Eppure quando pensava a lui si sentiva in qualche modo più calma. Era come se spandesse intorno a sé un’aura di serenità.
Le restava tuttavia il dilemma di dove lui fosse finito durante la festa. Trovò una risposta quando Rouge e Amy la raggiunsero in cucina. Aspettò che avessero bevuto la loro brava dose di caffé e avessero iniziato a mangiare prima di porre la domanda che le premeva.
- Il tizio del ristorante...quello che ho invitato. Ieri sera sembrava scomparso. Voi lo avete visto?- Chiese cautamente.
- Io no – rispose Amy, inzuppando un biscotto nella propria tazza. – Ma non faccio testo,avevo altro da fare.
- Lo so io –disse Rouge – la tua amica Marine mi ha raccontato di averci provato con uno con i capelli argentati che se n’è andato prestissimo. Potrebbe essere lui.
Blaze si passò una mano sugli occhi. Era peggio di quanto si aspettasse. Aveva temuto che si fosse imboscato da qualche parte con una ragazza (e no,un attimo, perché quella prospettiva avrebbe dovuto spaventarla o, come sembrava ora che stava analizzando per bene le proprie emozioni, irritarla?), ma se se n’era andato le possibilità erano due: aveva avuto un’emergenza o si era sentito a disagio. E la ragazza non sapeva quale fosse la peggiore.
Doveva andare a cercarlo e parlargli, per capire cosa fosse successo e scusarsi, se necessario. Sì, ecco quello che doveva fare. A qualunque costo. Presa questa decisione si sentì un pochino più tranquilla.
Non abbastanza, però. C’era ancora un dettaglio che la infastidiva. Senza capire  perché, non poté fare a meno di chiedere a Rouge ancora una cosa, con tutta la nonchalance che riuscì a metterci: - E alle avances di Marine almeno...ha risposto?
- Macchè. Da quello che mi ha detto l’ha lasciata in bianco.
Ecco. Questo sì che la tranquillizzava di più. Anche senza una motivazione valida.
 

Non fu facile trovare il modo di parlare con Silver. Se fosse stata sola, Blaze avrebbe potuto muoversi liberamente, ma con Amy e Rouge in giro non poteva recarsi al Diner ogni volta che voleva. Ci mancava solo che quelle due si insospettissero e iniziassero a farsi strane idee.
La fortuna le diede una mano, presentandole un’occasione perfetta. Siccome le sue compagne di università avevano subito stretto amicizia con le ragazze di Metal City, avevano deciso di organizzare una sorta di pigiama party per “sentirsi di nuovo al liceo” e avere qualcuno in più con cui spettegolare. La sera della festa però, meno di un’ora prima che arrivassero le ospiti, Rouge fece una scoperta terribile: non c’era un grammo di gelato in tutta la casa, e non era ammissibile un pigiama party estivo senza gelato.
- Vado a comprarne – disse subito Blaze, cogliendo la palla al balzo. Erano quasi le sei: con un po’ di fortuna, avrebbe potuto incrociare Silver alla fine del suo turno al locale.
Infatti fu così. Dopo un paio di minuti ad aspettare in macchina, la ragazza vide la familiare sagoma dai capelli argentati uscire dalla porta della tavola calda, tenendo saldamente per mano Dodgeball. Scese dall’auto e gli si parò davanti, esibendo quello che voleva essere un sorriso contrito. Era troppo nervosa per capire se fosse credibile.
Silver si fermò stupito nel vederla apparire così. – C-ciao. – Balbettò.
- Ciao, Silver. Avresti...un minuto?
- Uh...Certo. Vieni, ho la macchina poco più in là.
Blaze lo seguì fino al suo vecchio mezzo grigio e lo guardò far salire il fratello in macchina e assicurarlo bene con la cintura, senza poter fare a meno di notare quanta cura e precisione mettesse in ciò che stava facendo, nonostante quell’incontro inaspettato lo avesse reso teso quanto lei. Nelle settimane precedenti aveva imparato che quella cura nelle cose a cui teneva era un suo tratto distintivo.
Quando ebbe finito, Silver chiuse lo sportello e vi si appoggiò sopra. – Allora...volevi dirmi qualcosa.
- Sì, certo. – La ragazza intrecciò le mani dietro la schiena, stringendole nervosamente. – Mi hanno detto che sei andato via presto dalla festa, sabato. Volevo solo...sapere se fosse successo qualcosa.
- Oh. Quello. – Silver reagì con sorpresa, poi abbassò gli occhi. – Io...Non dovevi preoccuparti. Era una bellissima festa, davvero. Solo che...non era il mio ambiente, ecco tutto. Non...non è successo niente di particolare. Sono io che non mi sento a mio agio in certe occasioni.
- Mi dispiace. – D’impulso, Blaze districò una mano dall’altra e la allungò per afferrare la sua. – Non volevo metterti a disagio.
Silver non sembrava aspettarsi quel contatto, ma dopo un attimo alzò lo sguardo e le sorrise. La sua non era l’espressione di qualcuno con l’intenzione di farla sentire in colpa, con il sorriso e le guance arrossate, ma nei suoi occhi c’era qualcosa che l’avrebbe tenuta sveglia a lungo quella notte. Qualcosa che la colpì nel profondo, e dolorosamente.
– Non preoccuparti – ripeté, stringendo la sua mano nella propria. Poi, così in fretta che lei non riuscì a reagire, sgusciò via, salì in auto e mise in moto. Alla ragazza non restò altro da fare che rispondere al saluto che Dodgeball le fece con la mano dal sedile posteriore, e poi restare lì, a guardare stupidamente il parcheggio rimasto vuoto.
Passato qualche secondo, Blaze si incamminò verso la propria macchina e si sedette, ma non partì subito. Restò per un pezzo ferma dov’era, massaggiandosi la fronte con la mano che lui aveva stretto poco prima.
D’improvviso, correre a comprare del gelato per un gruppo di ragazze rumorose le pareva la cosa meno importante dell’universo.
 
Sì, riesco ad aggiornare anche io. Anche se procrastino quasi più la scrittura che i compiti delle vacanze.

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Capitolo 6
*** The worst is yet to come ***


Mentre Silver ritirava il pacchetto Dodgeball da casa di Tikal, lei e sua madre gli avevano proposto di seguirle in una gita domenicale dove sarebbero state ospiti di qualche loro parente  sulla costa. Non avendo niente di meglio da fare (e desiderando fare qualcosa di diverso almeno una volta in quell’estate), il ragazzo aveva accettato. Per questo motivo la domenica successiva lui e Dodge si trovarono imballati nella non troppo grande e non troppo intera automobile di Mercedes, insieme a lei, Tikal e Knuckles. Il padre di Tikal era rimasto a casa, dichiarando di preferire di gran lunga una bottiglia di birra e la partita di  football in televisione.
Il viaggio non fu eccessivamente lungo: a farlo sembrare eterno furono soprattutto i tentativi di Tikal e Dodge di passare il tempo, che includevano cantare a squarciagola qualunque canzone passasse per radio. Fu uno dei pochi momenti in cui Silver rimpianse di non essere rimasto a letto, e fu grato di essere arrivato a destinazione.
La casa a cui arrivarono era grande, e doveva ospitare più di una famiglia: e in effetti  era piena di persone. Da quello che riuscì a capire ( la spiegazione di Tikal fu ben poco chiara) si trattava di una specie di riunione di famiglia, aperta anche agli “esterni”, amici raccattati dai vari parenti e spinti a venire come lui e Dodge.
Non che la loro condizione li lasciasse in disparte: Silver fu subito tirato dentro e messo al lavoro per aiutare a preparare il gigantesco pranzo. Non c’era il tempo materiale per sentirsi a disagio, e in ogni caso i vari cugini e conoscenti di Tikal non si fecero problemi a includerlo nei loro scambi di battute e nei loro scherzi. Era impossibile non ridere vedendo qualche adolescente sconosciuto versare acqua gelata nello scollo della maglietta di Knuckles. Quanto a Dodgeball, era difficile capire come si sentisse esattamente: nel giro di tre minuti dal loro arrivo era scomparso, mescolato alla mandria di bambini rumorosi che vagava per la casa e il cortile. Entrambi si erano quindi inseriti alla perfezione come ingranaggio in quel grande meccanismo.
Era strano, in un certo senso. Silver se ne rese conto mentre passava un piatto dopo l’altro a un cugino di Mercedes perché potesse apparecchiare la tavola. Quella non era la prima riunione di famiglia (anche se a rigor di logica quella non era la loro famiglia) a cui prendeva parte, eppure era passato tanto tempo da quando si era ritrovato per l’ultima volta in una situazione simile. Aveva quasi dimenticato come ci si sentisse, immersi in un gruppo di persone rumorose che mangiavano e si divertivano e anche se non si vedevano da mesi sapevano perfettamente cosa avessero in comune, come una vera famiglia. Probabilmente Dodge non poteva neanche ricordarlo. Anzi, era possibile che l’ultima, grande riunione della famiglia Whitness con contorno si fosse tenuta in occasione della sua nascita, quando ancora i loro genitori erano vivi, e il papà aveva stappato una marea di bottiglie mentre la mamma si lasciava rubare da zii e cugini il fagottino piagnucolante che era suo fratello. Ora sembrava trascorso un secolo: chi non era morto viveva troppo lontano per poter essere di qualche compagnia. Oltretutto riunirsi a cosa sarebbe servito? Sarebbe stato deprimente, con tutta probabilità.
Invece lì dove si trovavano era facile sentirsi a proprio agio, anche se non conoscevano nessuno. Il ragazzo si sedette a tavola con la famiglia multicolore di Tikal, parlò con adulti e ragazzi e mangiò in modo più sostanzioso e sano di quanto non avesse fatto negli ultimi mesi. Il massimo.
Dopo l’abbondante pranzo i più anziani occuparono divani, letti e poltrone per il pisolino pomeridiano. I bambini,non potendo uscire a causa del sole a picco, si divisero equamente fra il televisore e i posti da spettatori a una partita a carte organizzata dai ragazzi più grandi. La metà di loro crollò addormentata in ogni caso dopo poco tempo, spossata da ore trascorse giocando, dal caldo e dalla grande mangiata. Dodgeball decise che il grembo di suo fratello era il luogo più adatto allo scopo e vi si arrampicò, appisolandosi nel giro di un paio di minuti. Silver lo lasciò fare. In quel momento, mentre sedeva in disparte a osservare Tikal che perdeva clamorosamente a poker, non gli creava grandi problemi, anzi.
Sprofondando il naso nella massa di ricci argentati del fratellino, il ragazzo assaporò quel momento, la tranquillità della casa nel pigro dopopranzo e la possibilità di riposare. Lavorava così tanto che le ore di riposo erano poche, e la domenica, unico giorno in cui avrebbe potuto chiudersi in casa e dormire, non lo faceva comunque, per non sprecare la possibilità di passare del tempo con Dodgeball fuori dal ristorante e lontano dal televisore. Non se ne pentiva mai, ma le ore di sonno perse si facevano sentire, ogni tanto. Soprattutto in situazioni simili, dove chi non dormiva parlava a voce tanto bassa da non essere neanche un disturbo, e le preoccupazioni sembravano lontane miglia e miglia, e l’ambiente era così rilassante che era impossibile lasciarsi andare...
Silver finì per appisolarsi, con la schiena appoggiata al muro e il peso caldo di Dodge fra le braccia.
 
 
Nello stesso momento, a chilometri di distanza, Blaze avrebbe tanto desiderato essere altrettanto tranquilla. Sfortunatamente, non sarebbe stato possibile finché Amy avesse continuato a vomitare nel bagno della sua stanza.
Rouge era sparita, con la scusa di preparare qualche bevanda calda che potesse essere  d’aiuto, ma lei era rimasta per sostenere l’amica e tenerle lontani i capelli dal volto.
- Non preoccuparti, sarà qualche virus passeggero. Se ne andrà presto – mormorò, in un intervallo fra due conati.
- Sempre se prima non l’attacco a tutti voi – grugnì Amy, asciugandosi la fronte sudata.
Blaze non rispose, ma le accarezzò la schiena mentre la ragazza si sedeva sul pavimento con uno sbuffo.
Francamente, sperava anche lei che qualche batterio non le si attaccasse. Aveva altro da fare, oltre allo spendere la sua estate fuori dal bagno.
Voleva rivedere Silver. Parlargli di nuovo, spiegare. Sentiva che qualcosa si era incrinato fra loro dopo la festa, e anche se non riusciva a capire di cosa potesse trattarsi, era convinta che fosse indispensabile aggiustare tutto. Non desiderava altro che potergli parlare con la stessa naturalezza di quando ancora si conoscevano da poco.
E ancora, tuttavia, non era in grado di dare un nome a quello che provava. Perché le importava così tanto di un ragazzo tanto diverso da quelli con cui aveva a che fare di solito? Quale era il problema?
Nessuna idea.
La ragazza si riscosse da quei pensieri, concentrandosi su Amy, che la osservava con un’espressione curiosa e un sorriso tirato sul volto pallido. – A cosa stai pensando, invece di dar retta alla tua adorata che soffre?
- A qualcosa che non mi faccia venir voglia di imitarti – replicò Blaze, evitando con cura una risposta diretta. Era solo un bene che l’altra avesse abbastanza verve da poter scherzare. – Non c’è proprio un profumo di rose, qui.
- Maledetta, non rigirare il dito nella piaga. – Amy pescò un elastico dal ripiano accanto al lavandino e si legò le corte ciocche di capelli rosa dietro la testa. – Seriamente, hai la testa fra le nuvole. Ma non solo oggi, è da qualche giorno che lo noto. E non puoi raccontarmi cazzate. Ai malati si deve dire la verità.
- In base a quale regola, scusa?
- Non cambiare argomento, ti conosco. E conosco anche la tua espressione, se fosse qualcosa di grave ne avresti un’altra. – Si allungò a tirare lo sciacquone. – E’ un ragazzo? Perché se è un ragazzo me lo devi dire, come tua migliore amica ho diritto di saperlo.
- Perché tu possa dirlo a Rouge e spettegolare alle mie spalle?
Amy agitò stancamente una mano. – Non insultarmi e racconta. Distraimi dai miei problemi.
- Sei pressante. – Blaze incrociò le gambe e vi appoggiò sopra le mani, prendendo un profondo respiro. – Non è un ragazzo. O meglio, lo è, ma non...nel senso che intendi tu.
Ma era la verità? Il pensiero la colpì e la convinse a bloccarsi prima di dire altro. Davvero non era una questione di Silver come ragazzo-come suo ragazzo?
Non ci aveva mai pensato. Era come se quella possibilità fosse stata cancellata a priori dal suo cervello. Ma cosa le impediva di guardare quel giovane in modo romantico e di spiegare così il suo affetto per lui?
Era bello, non avrebbe mai potuto negarlo. E gentile, e pieno di premure per i suoi clienti (e per lei in particolare, come le era piaciuto pensare qualche volta) e per suo fratello, e allegro, e...perché non ci aveva mai pensato prima? Perché aveva escluso quell’eventualità?
Forse non c’era neanche un motivo così oscuro. Bastava il fatto che Silver fosse diverso dagli altri coetanei a cui aveva fatto delle avances. Quelli erano stati tutti ragazzi del suo ceto sociale, con una posizione economica stabile e la possibilità di offrirle uno stile di vita uguale a quello a cui era abituata, se non ancora migliore. Cosa aveva Silver, oltre a un lavoro faticoso e un’altra bocca da sfamare? Un contratto d’affitto con suo padre, ecco cosa aveva. Giusto per rendere tutto più complicato.
Ma mettendo da parte tutto questo, tutte le ovvietà. Era possibile?
Era possibile che lei fosse...innamorata di Silver?
Dio, no. Non posso aver appena realizzato di provare qualcosa per lui sul pavimento del bagno.
Che cosa devo fare?
Si rese conto che Amy aspettava ancora una risposta, ma cosa poteva dirle, se a conti fatti non aveva una risposta nemmeno per sé stessa?
- E’...complicato – disse alla fine, ed era la verità, o perlomeno lo era in quel momento. – Sono molto confusa. Ma quando sarò certa di qualcosa ve lo dirò, promesso.
- Ci conto. Sai che a me e a Rouge puoi dire tutto. – Il suo volto si contrasse in una smorfia. – Cazzo, eccolo che arriva di nuovo.
E in quel momento la questione fu messa in secondo piano. Ma Blaze sapeva che avrebbe dovuto affrontarla molto presto.
Era abbastanza sicura che quella notte avrebbe dormito molto poco.
 
 
Silver fu molto felice di aver potuto schiacciare un pisolino nel corso del pomeriggio. Infatti, anche se il doverlo svegliare aveva provocato grandi risate in Tikal, il sonnellino lo aveva lasciato riposato e fresco e in grado di connettere per il resto della giornata. E soprattutto, in questo modo, quando Mercedes gli chiese di mettersi al volante per il viaggio di ritorno, si sentiva ancora abbastanza in forma da poter accettare.
Mentre guidava, gli occhi fissi sulla strada, si mise a riflettere sulla giornata che aveva trascorso. Era soddisfatto, alla fin fine. Lui e Dodgeball avevano avuto la possibilità di trascorrere del tempo con i rispettivi coetanei ( compreso un paio d’ore memorabili in cui alcune mamme avevano portato tutti i bambini sulla spiaggia e Dodge era sparito insieme al suo costume avuto in prestito, lasciandolo libero di lanciarsi in una partita di baseball con gli altri ragazzi) e di mangiare con un’abbondanza a cui non erano abituati. Inoltre, il problema che più lo assillava in quei giorni, ovvero Blaze in tutta la sua persona, lo aveva lasciato abbastanza tranquillo, tornandogli in mente solo di tanto in tanto. Certo, queste apparizioni erano state abbastanza bastarde, mostrandogli la ragazza avvinghiata in quel maledetto bacio con uno sconosciuto nei momenti meno opportuni, ma non era questo l’importante. Aveva deciso di aprire una sorta di parentesi e di chiuderci dentro quella giornata, per dare un po’ di pace al suo cervello. Avrebbe ripreso a pensare a Blaze e al valore delle sue scuse (ancora era indeciso, riguardo a ciò che lei gli aveva detto fuori dal ristorante l’ultima volta. Era stato un atto di pietà per il povero sfigato che non si sentiva a suo agio fra i ricchi o c’era un sentimento dietro? E chi poteva saperlo) solo l’indomani.
Tutto sommato, era stata una gran domenica.
Anche il viaggio trascorse senza grossi disagi, nonostante il sole fosse tramontato dopo poco. Silver era così concentrato sulle curve della strada che il commento di Mercedes, che sedeva al suo fianco, lo colse  di sorpresa.
- Dormono tutti come angioletti.
- Davvero? – Il ragazzo lanciò una rapida occhiata allo specchietto retrovisore. In effetti, nella scarsa illuminazione si poteva vedere Knuckles che ronfava a bocca aperta, le cuffie nelle orecchie e una guancia schiacciata contro il finestrino, mentre Dodge e Tikal dormivano beati appoggiati l’uno all’altra. – Che sollievo. Hanno fatto rumore per un’eternità.
- Pensavo che dopo una giornata passata con i miei parenti nulla potesse più disturbarti.
- Non sono stati così fastidiosi, dai. Sono molto gentili.
- Ottimo. Mi hanno detto la stessa cosa di te, sai. Mia sorella ha detto precisamente “non ho mai visto un ragazzo della sua età così educato”. Mi ha fatto...come dite voi? Gongolare.
- Lo so che sono il tuo figlio maschio mancato preferito.
La donna rise. – Certo. Però davvero, Silver. Tu e Dodgeball siete parte della famiglia. Più o meno. Sai cosa intendo.
- Lo so. – Silver era incerto su cosa dire. Sapeva che parole del genere uscivano di rado dalla bocca di una persona brusca come lei. Risponderle in modo troppo affettuoso l’avrebbe fatta probabilmente ritirare nel suo guscio. – E anche Dodge lo sa.
- E’ un bravo bambino. E tu sei un bravo ragazzo. – Mercedes tacque per un momento. – Vorrei farti una domanda.
- Dimmi.
- Perché secondo te lascio che tu lavori così tanto tutti i giorni?
Era una domanda inaspettata, e Silver non aveva idea di come rispondere. – Perché...sei una malvagia sfruttatrice? – Tentò di scherzare, ma sentì più che vederlo lo sguardo severo che lei gli stava lanciando. – Non lo so. Perché me lo stai chiedendo?
- Perché lo faccio per un motivo soltanto, ed è che voglio darti tutto quello che posso, così che tu possa dar da mangiare a tuo fratello e non lavorare di notte o in quei posti terribili nei quartieri bassi. Ho lavorato in quelle strade da giovane. Non vorrei che ci lavorasse mia figlia, né che ci finissi tu. Per questo tengo lei e te, che ne avete bisogno. Ma a Tikal non posso fare questo discorso.
- Mercedes, non capisco.
- Silver, il South’s non durerà ancora a lungo.
La frase lo stupì tanto che per un nanosecondo perse il controllo sulle proprie mani. La macchina sbandò appena, e lui si affrettò a rimetterla sulla giusta strada. – Cosa?
- Lo sai. Abbiamo pochi clienti. Sempre meno. Ce n’è qualcuno che viene sempre, ma alla fine sono sempre gli stessi. Non possiamo farcela solo con loro. Se va avanti così dovremo chiudere.
Era sconvolgente. Il South’s Diner...chiuso. Il suo nome dalla grammatica dubbia, la sua cucina rumorosa, tutti gli scherzi passati dietro il bancone...finiti. Non voleva neanche immaginare un’eventualità del genere.  – Tikal lo sa?
Con la coda dell’occhio la vide scuotere la testa. – No. Agiterebbe mari e monti per risolvere la cosa, ma non potrebbe fare molto. Però penso abbia intuito qualcosa.
- Perché lo dici a me prima di dirlo a lei?
- Per quello che ho detto prima. L’ultima cosa che voglio è vedere te e tuo fratello in quei quartieri, a rubare o a fare lavori che...- Scosse la testa di nuovo, con più forza. – Se te lo dico ora, puoi iniziare a cercare qualcos’altro. Così, quando saremo davvero costretti a chiudere, saprai cosa fare. Non devi trovarti senza lavoro.
Silver non sapeva più da  che parte girarsi. Troppe informazioni. Troppe pessime informazioni. Il Diner chiuso, trovarsi di nuovo senza lavoro, dopo che questo gli aveva dato una stabilità che non aveva avuto per più di due anni...no, no, no. – Sei sicura? Finirà davvero così, non c’è niente da fare?
- Se non iniziano ad arrivare più clienti abitualmente, ho paura di no. Ho paura che dovremo chiudere davvero.
Il ragazzo si appoggiò allo schienale del sedile, respirando profondamente. Fantastico.
Mancava davvero qualcosa di grave di cui preoccuparsi.
 
Prima di tutto, mi dispiace infinitamente di aver lasciato passare così tanto tempo. So che lo dico sempre,e che poi passano dei mesi, ma davvero, non mi aspettavo che quest'anno scolastico sarebbe stato così pesante fin da settembre. Sono veramente, veramente dispiaciuta. Spero di poter fare un po' di faville durante le vacanze, visto oltretutto che miracolosamente ho già le idee per il prossimo capitolo.
Tuttavia, per farmi perdonare, ho fatto succedere taaaante cose. Incluse le grandi realizzazioni di  Blaze sul pavimento del bagno e brutte notizie varie.
Vi farò sapere presto cosa succede dopo. E stavolta sono seria.
Au revoir,
^Ro

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Capitolo 7
*** Fireworks ***


Trovare una scusa per parlare con Silver non sarebbe stata la cosa più semplice del mondo.
Per la prima volta durante quell’estate, Blaze si pentì di aver invitato Rouge e Amy a passare le vacanze da lei. Non a causa loro, ovviamente. Solo che a conti fatti, cercare di incontrare un ragazzo e di parlargli faccia a faccia (Rouge lo aveva definito birdwatching, una volta, perché era tutta questione di arrivare in silenzio e osservare per ore lo stesso animale) sarebbe stato molto più facile senza due fanciulle estatiche al fianco. E lei aveva un disperato bisogno di vederlo. Per capire, più che altro, se il sentimento che provava era quello di cui ormai si era convinta. Naturalmente ciò che non riusciva ad ammettere davanti a sé stessa era quanto desiderasse vederlo.
Per fortuna la sorte sembrava girare dalla sua parte, ultimamente.
Pochi giorni dopo quella fatidica domenica infatti Amy, reduce dai famosi problemi di stomaco, convinse le altre due a scarrozzarla fino a una farmacia, perché potesse comprarsi dei fermenti lattici o qualcosa di simile, ma insistette perché loro non si fermassero con lei.
- La coda è troppo lunga – disse con un mezzo sorriso. – Perdereste tempo. Andate a fare colazione e portatemi un caffé.
- Sicura?
- Sicura. Oh, e anche una ciambella.
Convinte dalle insistenze dell’amica, le due risalirono in macchina, e Blaze ne approfittò per pilotare Rouge verso il South’s Diner con nonchalance consumata. La ragazza dai capelli bianchi fece una smorfia quando riconobbe l’insegna del locale. - Di nuovo qui?
- L’ultima volta abbiamo mangiato bene,no? La colazione è ancora meglio.
- Mh-mh.
- Non tirare fuori la tua aria da snob del sud.
Rouge tirò fuori la lingua, ma lo scherzo aveva funzionato, e lei la seguì docilmente nella tavola calda.
Una volta dentro, Blaze individuò ciò di cui aveva bisogno: un ragazzo seduto da solo. Era lo stesso ragazzo con i capelli scuri che le sue amiche avevano puntato brevemente l’ultima volta che erano venute lì. C’era da chiedersi se avesse mai compagnia. In ogni caso, non era importante in quel momento. La cosa fondamentale era che gli sarebbe stato utile.
- Guarda quel tipo – sussurrò a Rouge, accennando a lui. – Non credi che gli farebbe piacere un po’ di compagnia?
L’amica osservò la direzione che le veniva indicata e si aprì in un largo sorriso malizioso. – Ti lascio il piacere di ordinare. – Sussurrò, e si avviò verso il tavolo ancheggiando. Perfetto. Neanche 007 sarebbe stato così abile.
Soddisfatta, Blaze si diresse verso il bancone, piena di convinzione. Avrebbe visto Silver e avrebbe cercato di dare un nome ai propri sentimenti con la loro causa concreta davanti. Facile e utile. Già. C’era solo un problema.
Silver non si vedeva da nessuna parte.
Era stata così sicura di trovarlo lì che non si era nemmeno accertata che ci fosse veramente, appena entrata nel locale. Un grave errore, a quanto pareva. Lui non stava girando per i tavoli, né si trovava dietro al bancone come lei si aspettava; assente del tutto. L’unica persona in vista era Tikal, che asciugava con energia un bicchiere, gli occhi che vagavano sullo scarso numero di clienti presenti nel locale. Quando vide Blaze che, immersa nella sua aura di delusione, si era fermata davanti al banco, alzò un sopracciglio e posò lo straccio. – Beh, bentornata. Posso aiutarti?
- Uh...ciao? – Replicò Blaze, presa alla sprovvista. Cercò di ricomporsi più in fretta che poté: non sarebbe stato gentile far notare alla ragazza quanto avrebbe voluto che ci fosse qualcun’altro al suo posto. – No, grazie, penso che aspetterò che la mia amica abbia finito di affascinare gli sconosciuti prima di ordinare, se non è un problema.
Tikal si voltò verso il tavolo dove Rouge era impegnata in qualunque trucchetto stesse utilizzando per il momento. La sua espressione cambiò appena, ma sarebbe stato impossibile non notare il modo in cui la bocca si irrigidì e la fronte si corrugò. – Vedo. – Commentò, asciutta. Poi agitò una mano. – Fate come volete. Come vedi non c’è tutta questa agitazione stamattina. Anche se Silver mi ha abbandonato a me stessa.
L’altra non poteva non cogliere la palla al balzo per avere una risposta ai suoi dubbi. – A proposito, dov’è? Non è malato, vero? – Chiese, cercando di suonare il più casuale possibile.
- Oh. No, certo che no – rispose Tikal, aprendosi in un sorrisetto malizioso. – E’ andato soltanto a firmare dei documenti per la scuola di Dodgeball. Non devi essere così...preoccupata. – Concluse, calcando sull’ultima parola.
Blaze si sentì le guance in fiamme sotto lo sguardo fisso di quegli occhi azzurri. Cosa voleva dire quel tono? E quell’espressione? Tikal poteva aver intuito qualcosa..qualunque cosa stesse succedendo?
Per fortuna l’arrivo di Rouge la salvò da quella situazione imbarazzante. – Nessuna fortuna? – Chiese in fretta, mentre la sua amica si appoggiava al bancone con un sospiro e Tikal si irrigidiva, occhi fissi su di lei e mento sollevato. Chissà perché la presenza di Rouge la faceva scattare in quel modo, lei che di solito era così gentile e affabile con tutti. Era davvero un mistero, ma probabilmente era solo un’antipatia a pelle. Qualcosa di inspiegabile.
- Mi ha fatto capire con molta chiarezza che non ha nessun interesse nelle donne.
- Un VERO peccato – commentò Tikal, in un tono che suonava ben poco dispiaciuto. – Cosa posso portarvi per consolarvi di queste disgrazie?
Blaze rise. Il pesante sarcasmo era comico, in un certo senso, e doveva creare un po’ di distrazione. Per Rouge, affinché non si accorgesse della vena irritata nella voce di Tikal.
E per sé stessa, per non sentire la confusione che la sua testa stava creando in assenza di Silver e in assenza di una spiegazione.


La fiera d’estate era qualcosa che Blaze aveva completamente dimenticato.
Era difficile da credere: da piccola aveva amato quell’evento, le giostre, le bancarelle in mezzo a cui correre insieme agli altri bambini, i dolci, e ovviamente i fuochi d’artificio finali. Crescendo aveva iniziato a trovare tutto questo molto stupido e monotono, ma l’idea di aver cancellato del tutto quei ricordi allegri la turbava.
In ogni caso, dal momento in cui vide i preparativi per la costruzione del luna park mentre era in giro per la città, non passò molto tempo prima che tutto le tornasse alla mente. Da lì a radunare un gruppo di amiche con cui passare la serata il passo fu breve.
Una volta trovatasi nel mezzo della folla che si aggirava per la fiera, poi, iniziò a sentire la vecchia elettricità scorrerle nelle vene. Non era tutto come quando era bambina, ovviamente: suo padre non era più lì a tenerle la mano, e lei e le ragazze si erano infilate in un bar per un aperitivo prima di mettersi a girare, ma nonostante questo l’eccitazione la faceva ancora da padrona. Si ritrovò a trascinare le compagne da una giostra all’altra, felice come non mai.
Erano un gruppo molto variegato: oltre a Rouge e Amy (che nonostante le rassicurazioni di sentirsi meglio era ancora piuttosto pallida), Blaze aveva invitato anche un paio di compagne di liceo con cui parlava ancora, Sally Acorn e Mina Mongoose. Le sue ospiti le avevano conosciute alla festa e si erano trovate subito in accordo con loro. La serata procedeva allegra e spensierata, e sembrava che nulla potesse turbarla.
Poi Blaze vide Silver.
Era a una manciata di metri di distanza, ma non l’aveva notata: era impegnato a parlare con Dodgeball, che gli teneva la mano. Rideva. Quella risata le fece salire il cuore in gola.
No. Qualunque cosa fosse che la tormentava, non era un’illusione.
Non sapeva che Silver, giorni prima, alla festa, si era sentito praticamente allo stesso modo.
Lei rimase a guardarlo per diverso tempo, sorda alle risate delle sue amiche, prima che il ragazzo alzasse lo sguardo e la vedesse. Spalancò gli occhi per la sorpresa, ma si avvicinò con passo abbastanza fermo.
- Ciao – disse, la voce appena udibile nel baccano della folla.
- Ciao – replicò Blaze, nello stesso tono. Due sussurri nascosti nella massa. Un incontro intimo sotto gli occhi di tutti. C’era qualcosa di...sacro in tutto questo. Non aveva mai sentito niente del genere prima.
- E’ tanto che...non ci si vede.
- Già. – La ragazza resistette alla tentazione di allungare la mano e toccarlo, eliminando le distanze. Sarebbe stato inopportuno. Invece si sforzò di distogliere lo sguardo da lui e sorridere a Dodgeball, sperando di sentirsi un po’ più...normale. – Ciao, Dodge!
- Ciao! – Rispose il bambino, che scoppiava di gioia. – Sai che andiamo a prendere lo zucchero filato?
- Davvero? – Blaze tornò a voltarsi verso Silver, che alzò le spalle con un mezzo sorriso.
- Non è che abbia avuto molta scelta.
- Immagino. Beh, sapete cosa vi dico? Lo zucchero filato è un’ottima idea. Perché non vediamo se anche le mie amiche ne vogliono uno?
- Sì! – Dodgeball infilò la mano libera in quella di Blaze con immensa naturalezza e iniziò a trascinare lei e il fratello verso il gruppo di ragazze. La giovane e Silver si scambiarono un’occhiata, poi scoppiarono a ridere. Era impossibile resistere. La scena era troppo adorabile.
- Ragazze, lui è Dodgeball, uno dei miei più grandi amici – proclamò Blaze in tono solenne, quando ebbero raggiunto le altre. Poi agitò la mano fingendosi noncurante. – Ah, e lui è Silver. Suo fratello. Fingetevi carine anche con lui.
Dodge ridacchiò, estasiato dal teatrino. Silver fece un leggero sorriso e salutò con la mano libera, imbarazzato. Amy e Rouge fecero un cenno di riconoscimento, ma Mina e Sally, che non avevano mai conosciuto i due fratelli, li salutarono con più calore, rimanendo estasiate soprattutto da Dodgeball. D’altro canto, chi non sarebbe stato affascinato da un bambino di sei anni che, liberata la mano dalla stretta del fratello maggiore per stringere la loro, con aria terribilmente seria?
- Fra l’altro, Dodge mi ha anche suggerito di andare a cercare un po’ di zucchero filato per addolcire la serata. Che ne pensate?
Fu decretata all’unanimità un’ottima idea, che le spinse a cercare il chiosco di zucchero filato più vicino. In fondo, nel cuore erano ancora tutte bambine, che non avrebbero mai detto di no a dei dolci.
Procurata una buona dose di zucchero a tutte le ragazze e a Dodgeball (che si rifiutò di tenere ancora per mano chiunque, per potersi dedicare completamente al proprio tesoro), Blaze aspettò che Silver fosse distratto con l’aiutare il fratello per pagare per tutti. Non voleva mettere in imbarazzo l’amico, ma nemmeno farlo pagare se poteva evitarlo, sapendo che i soldi per lui erano sempre un problema. Quando il ragazzo alzò lo sguardo e si accorse della sua mossa, lei frenò la protesta sul nascere alzando una mano. – Offro io. Mi sento in vena di comprare cibo a mezza città tanto sono felice.
- Io... – Silver si interruppe, abbassando la testa. – Grazie.
- Niente facce lunghe. – Meravigliandosi della propria audacia, Blaze staccò un pezzetto dalla propria massa di zucchero filato e lo allungò verso di lui. – Assaggia.
Lui le prese il brandello di mano e se lo infilò lentamente in bocca, sempre evitando il suo sguardo.
- E’ buono, no?
Silver annuì. C’era qualcosa che non andava. A prescindere da tutto, sembrava distratto, assente. Più in imbarazzo del solito. E lei era preoccupata. Non voleva che gli accadesse qualcosa di grave. - Silver, va...va tutto bene?
Il ragazzo scrollò le spalle e si spostò di lato per far passare un gruppo rumoroso di adolescenti, approfittando dell’interruzione per raccogliere le parole. – Certo. E’ solo...un periodo stancante.
- Sicuro? – Blaze allungò una mano, fermandosi a pochi centimetri dalla sua spalla, incerta nel toccarlo. – Posso...posso fare qualcosa?
Prima che lui potesse rispondere, la voce di Mina risuonò nelle loro orecchie. – Ehi, dov’è finito il bambino?
La testa di Silver si sollevò di scatto, ed entrambi iniziarono a guardarsi intorno freneticamente. Dodgeball non si vedeva da nessuna parte. Era scomparso fra la folla.
- Dev’essersi allontanato di qualche metro e poi non ci ha più trovato. Magari i ragazzini di prima si sono messi in mezzo – disse Blaze, sbirciando fra le persone. Vide Silver impallidire e si affrettò a proseguire. – No, no, non andare nel panico! Non può essere andato lontano. Lo troveremo subito. – Si voltò verso le sue amiche, che erano rimaste immobili, dubbiose sul da farsi. – Restate qui. Se lo vedete, chiamatemi. Noi iniziamo a cercarlo.
Prese Silver per la mano, ignorando qualunque emozione improvvisa per il bene dell’emergenza, e lo trascinò nella direzione in cui ricordava di aver visto Dodge l’ultima volta. Intanto continuava a parlare, sperando di infondere più calma, e contemporaneamente a girare lo sguardo ovunque potesse. - Vedrai, non può essere lontano. E’ piccolo, non si metterebbe a girare tanto. Gli hai spiegato cosa fare in questi casi, vero?
- Deve cercare un poliziotto, o, o qualcosa del genere, ma non c’è nulla del genere qui. – Stava praticamente tremando. Doveva essere davvero protettivo con il fratellino, e sembrava una persona che si agitava facilmente in ogni caso. Continuava a parlare senza sosta, quasi fuori controllo. – Io non lo pensavo davvero, lo giuro, ho pensato una volta sola che ora senza lavoro sarei stato meglio senza di lui, ma non ci credevo, per favore, per favore...
- Frena, frena, frena. – Blaze inchiodò e lo costrinse a fermarsi, guardandolo fisso negli occhi. – Non ho idea di cosa tu stia dicendo, ma se pensi per un secondo che sia colpa tua se si è perso ti prenderò a sberle. Non puoi andare nel panico. Ora dobbiamo cercarlo.
- Dovevo fare più attenzione.
- Smettila. – D’impulso gli afferrò anche l’altra mano ( il suo zucchero filato era andato perso chissà dove) e la strinse. – Respira. Guardati intorno. E’ l’unica cosa che devi fare.
In quel momento una voce squillante si fece sentire sopra il brusio della folla.
- Silver! Siiiilveeer!
Si voltarono in perfetta coordinazione e videro Dodgeball che agitava una mano nella loro direzione, seduto sulle spalle di un grasso cuoco da bancarella.
Silver sparì dal fianco di Blaze e si precipitò verso il fratello, strappandolo dall’uomo e stringendolo fra le braccia come se non lo avesse visto per anni. Raggiungendolo, Blaze lo sentì balbettare per l’entusiasmo: – Grazie, grazie, grazie, avevo paura di averti perso, dove diavolo eri andato...
- Non ti trovavo più, e tu mi dici sempre di cercare qualcuno che conosce il posto, quindi ho chiesto al signore se mi aiutava e lui mi ha detto di guardare se ti vedevo!
- Sei stato bravissimo, Dodge. – Silver si rivolse al cuoco. – Grazie, signore, grazie davvero.
L’uomo spazzò via i suoi ringraziamenti con un gesto della mano e tornò a dedicarsi ai suoi clienti. A quel punto risuonò un gran botto, seguito da un lampo di luce. - Stanno per cominciare i fuochi d’artificio – disse Blaze, accarezzando la testa ricciuta di Dodge mentre una ventata di sollievo la riempiva. – Inutile cercare di muoversi ora, ci sarà più agitazione che mai.
Silver annuì. – Dì solo alle tue amiche che il problema è risolto. E...grazie di avermi aiutato.
- Dovere, non credi?- La ragazza inviò un veloce messaggio a Rouge, poi si infilò di nuovo il telefono nella borsa e alzò lo sguardo, decisa a ottenere una risposta per qualcosa che gli aveva sentito blaterare prima e che non aveva potuto considerare all’istante. – Potresti solo spiegarmi una cosa?
- Certo.
- Cosa significa esattamente ora che sono senza lavoro?
Il giovane raggelò, poi chiuse gli occhi, un’espressione pentita sul volto. – Non dovevo dirlo ad alta voce. Ti prego, ti prego, non devi dirlo a nessuno.
Blaze aspettò la sua risposta con ansia crescente, mentre altri due botti esplodevano nel cielo. Silver sospirò, pesante e stanco. – Il Diner chiuderà. Non ci sono abbastanza clienti.
Tutto si era aspettato, tranne quello. Lo guardò con gli occhi sgranati, attonita. – Sei sicuro? Non si può fare nulla? – Sarebbe stato terribile, per i clienti abituali come lei, per Mercedes, per Tikal...per Silver, che non avrebbe più guadagnato nulla.
- Temo proprio di no. Ma per favore, non avrei dovuto dirtelo, Mercedes me lo ha confidato in segreto, ti prego.
- Tranquillo. Puoi...puoi fidarti di me. – Seguendo l’ennesima decisione impulsiva della serata, Blaze infilò il braccio nell’incavo del suo gomito e appoggiò la guancia alla sua spalla, sperando di trasmettere tutto il suo dispiacere e il suo conforto con quel contatto strano e intimo per loro. – Mi dispiace, Silver.
Lui annuì, e i due rimasero lì, a guardare i fuochi d’artificio insieme a un Dodgeball ignaro di tutto, ma senza l’entusiasmo delle persone che li circondavano.
D’un tratto, tutta l’allegria della serata aveva abbandonato anche Blaze.
 
Ormai dovrei aver imparato a non dire "il capitolo arriva presto", perché poi in mezzo succedono sempre cose e non riesco ad aggiornare. Che tristezza. Confido nella vostra pazienza e nelle vostre recensioni, perché anche se non rispondo (grazie al tempo assente e alla fantastica connessione del mio computer) le leggo tutte e mi illuminano la giornata. Seriamente.
Ciao popolo. Vogliatemi ancora un po' di bene, se potete.
^Ro

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Capitolo 8
*** Lunch time ***


Fu una lunga notte.
Blaze non riusciva a smettere di rigirarsi nel letto e pensare, pensare, pensare. Era tutto, fuorché tranquilla.
Dopo i fuochi artificiali aveva baciato Dodgeball sulla guancia e aveva salutato Silver tenendogli la mano a lungo, senza profferire parola. Poi era tornata dalle sue amiche e aveva finto che fosse tutto a posto, ma nella sua mente avevano continuato a frullare pensieri grigi. E adesso che non aveva niente a distrarla se non il leggero russare di Rouge e Amy, quei pensieri erano più vividi che mai. Il fatto stesso che si stesse preoccupando così tanto era un indice di quanto ci tenesse. Perché altrimenti avrebbe dovuti darsi tanto pensiero per un ragazzo fuori da tutte le sue abitudini, da qualunque confine fosse tracciato intorno a lei? Un confine disegnato dal suo status, dai suoi genitori, dalle sue amiche...
Aveva superato quel confine, in un pomeriggio che sembrava lontano anni luce, seduta sul pavimento del bagno. Ora voleva allontanarsi ancora di più da esso. Voleva aiutare.
Doveva fare qualcosa. Non poteva restarsene con le mani in mano e lasciare che delle persone a cui era affezionata e un luogo che aveva imparato ad amare si riducessero a nulla. Tanto più che, bisbigliava una vocina egoista nella periferia del suo cervello, se Silver avesse perso il lavoro, avrebbe perso anche l’affitto della casa, e si sarebbero chiusi tutti i canali di comunicazione fra di loro. Ma quella era una voce che lei insisteva a mettere a tacere.
Solo che...cosa poteva fare? Offrire dei soldi sarebbe stato orribile e ben poco educato. Ma da sola non avrebbe potuto risanare le finanze del South, neanche mangiando ogni pasto lì per il resto della propria vita.
Restò a rimuginarci su per un bel pezzo, ma i punti si connessero solo molto tardi, quando il sole era già sul punto di sorgere. Allora poco mancò che si mettesse a saltare sul letto.
Quello era il punto.
Non poteva farlo da sola.


Aspettò finché Amy e Rouge non furono del tutto sveglie e nutrite prima di esporre il suo piano. Aveva bisogno di solidarietà e lucidità.
Questo volle purtroppo dire che si beccò delle occhiate confuse e perplesse.
- Perché lo fai? – Chiese Rouge, aggrottando la fronte. – Non è...non è per quel ragazzo che serve ai tavoli, vero?
Blaze trattenne l’impulso di schioccarle le dita sul naso per farla svegliare ancora un po’ (dopotutto anche a lei era servito molto tempo per arrivare alla stessa considerazione), e assunse invece un’aria di superiorità. – Non ha importanza, no? E’ una cosa buona da fare, dopotutto.
- Sì, credo di sì...
- Bene. Aprite le rubriche dei vostri telefoni, ragazze.


Cominciò, come molte cose fanno, sottotono. Nessuno se lo aspettava. Nessuno si rese conto di cosa stesse accadendo finché non vi si trovarono tutti in mezzo.
Era un pigro turno del pranzo. Tikal serviva ai tavoli, Silver stazionava alla cassa e Mercedes stava dietro ai suoi pentoloni. Occasionalmente uno scherzo o un commento allegro saltava fra di loro o fra i clienti. Un vecchietto venuto a prendere un caffé rubò un foglio a Dodgeball e ne fece un aeroplanino che ogni tanto, lanciato da mani apparentemente ignote, tornava a volare sopra le loro teste. Nulla di nuovo. Ognuno seguiva i propri pensieri.
In seguito Silver avrebbe cercato di giustificare la propria distrazione con la massa di eventi delle ultime settimane che gli affollavano il cervello. Nessuno avrebbe potuto biasimarlo se si fosse lasciato sfuggire qualcosa. L’estate si stava rivelando un disastro.
Solo per questo quando il primo gruppetto di ragazzi rumorosi entrò nel locale lui gli dedicò scarsa attenzione. Così con il secondo.
E con il terzo.
Al quarto gruppo, qualcosa cominciò a farlo insospettire. Il South stava iniziando a diventare affollato. Niente di eccessivo, tuttavia...
Altre tre ragazze entrarono, ridacchiando. Agitarono la mano nella sua direzione e andarono a sedersi. Il chiacchiericcio generale stava aumentando di volume.
Cosa sta succedendo?
Non ne aveva assolutamente idea, ma c’era qualcosa nell’aria. Iniziava a sentire una certa elettricità, un’eccitazione inspiegabile vibrare nell’atmosfera. Sembrava che ogni cosa stesse per cambiare. Anche Tikal doveva avere la stessa sensazione, perché si diresse in fretta verso il bancone si piegò verso di lui, parlando con un tono di voce appena sufficiente a farsi sentire. – Aspettavamo una comitiva, per caso?
Silver scosse la testa e alzò gli occhi sentendo la campanella sopra la porta suonare. Stavolta, seguite da alcune altre ragazze, ad entrare furono Blaze, Rouge e Amy. Li salutarono in modo apparentemente normale, ma Blaze incrociò lo sguardo di Silver e nei suoi occhi brillò qualcosa. Si trattò di un brevissimo istante, e poi la ragazza seguì le sue amiche verso uno dei tavoli, ma lui fu sicuro di averlo visto. Forse lei...forse lei sapeva qualcosa di quello che sta succedendo? Possibile?
Ma se nemmeno tu hai idea di cosa stia capitando!
Silver cercò di scuotere via la confusione e i commenti irritati del suo senso pratico mentre gli ordini cominciavano a piovere sulla sua testa. Non era difficile: all’improvviso le cose da fare erano così tante che mancava il tempo materiale per fermarsi a riflettere.
E intanto, la gente continuava ad arrivare. Il locale non vedeva così tanti clienti da quel giorno in cui aveva iniziato a diluviare nel bel mezzo del primo giorno di saldi e tutti si erano rifugiati nei bar. Erano tutti giovani: tutti dell’età di Silver e Tikal, anno più, anno meno. Poteva avere una spiegazione: magari era stato organizzato un evento di cui non erano a conoscenza. Eppure nessuno riusciva a liberarsi della sensazione che fosse scattato qualcosa, qualcosa di nuovo.
Non che fosse una situazione spiacevole: sarebbero entrati molti più soldi del solito in cassa, e probabilmente c’entrava anche questo con l’eccitazione che i dipendenti si sentivano nel sangue.
C’entrò anche col fatto che quando Blaze si avvicinò al bancone con passo leggero, Silver si voltò verso di lei con un sorriso gigantesco che non aveva mai osato sfoggiare in sua presenza.
- Come va? C’è un po’ di...caos, vero? - Chiese lei, spostando una ciocca di capelli dietro l’orecchio. Lo guardava da sotto in su, sfoggiando un sorriso malizioso, ed era bellissima, ma sembrava nascondesse qualcosa. Un segreto birichino. O forse era solo l’adrenalina che gli annebbiava il cervello.
- Sì, sì, c’è...wow, c’è un po’ di gente. E’ capitato qualcosa qui intorno? Non mi aspettavo niente.
- Non lo so, io ho seguito la massa.
Mercedes scelse quel momento per sbucare dalla porta della cucina e mettersi a gridare. – Silver! Mi serve uno di voi due in cucina! Non ce la faccio da sola.
Silver aspettò prima di rispondere, in primo luogo perché il coro di “Viva la cuoca!” lanciato spontaneamente da un gruppo di maschi si estinguesse, e in secondo luogo per consentire alla donna di riprendersi. Fu solo grazie al suo fermo autocontrollo se Mercedes non spalancò la bocca alla vista di quanta gente ci fosse. – Non hai Aidan?
- Non è venuto, il maledetto! Tikal lo ha chiamato, ma si è preso il giorno libero!
- Non possiamo venire, una sola persona non può servire tutti i tavoli.
- Scusate. – La voce di Blaze lo fece trasalire. Si era quasi dimenticato della sua presenza. – Voi mi conoscete, vi fidate di me. Usatemi. Non posso andare in cucina, ma posso servire ai tavoli se...tu o Tikal dovete spostarvi.
- No, no, non potremmo mai chiederti una cosa simile, sei qui per...per mangiare e...
- Se vuol venire, ben venga! – Lo interruppe Mercedes. – Che si lavi le mani, si leghi quei capelli e si metta un grembiule! Non è il momento di fare storie! – Detto ciò, si rituffò in cucina, borbottando.
Blaze rise davanti all’espressione sbalordita di Silver. – Obbedisco. Non preoccuparti, anche noi ragazze ricche sappiamo fare i lavori sporchi . – Gli strizzò l’occhio. – Oh, e non preoccuparti per tuo fratello in questo casino. L’ultima volta che l’ho visto, stava ammaliando due ragazze con la sua abilità di parlatore.
La ragazza si mise alle calcagna di Mercedes. Silver sbatté le palpebre un paio di volte, confuso. La questione stava degenerando. Erano impazziti tutti. Non aveva idea dell’aria che avesse assunto la sua faccia, ma se quella di Tikal quanto sentì del cambio di programma poteva essere d’aiuto, doveva essere davvero un’aria sconvolta.
Il servizio riprese, sebbene con qualche variazione. Blaze, trasformata in perfetta cameriera, volteggiava fra i tavoli, servendo hamburger e patatine fritte. Rideva di fronte ai versi di apprezzamento degli avventori, e passando davanti a Amy e Rouge scacciò via con un gesto le loro espressioni stupite. Ogni tanto Silver si distraeva a guardarla, perdendo il filo di ciò che stava facendo. Di tutti i misteri di quel giorno, il perché lei stesse facendo tutto ciò era solo l’ennesimo.
Tutti i nodi, però, vennero al pettine in un attimo, con l’entrata di un volto noto nel Diner.
- La banda ha già cominciato a suonare, vedo – commentò Sonic, appollaiandosi su uno degli alti sgabelli vicino al bancone. – Oh, beh, non è la prima volta in vita mia che sono in ritardo.
- Cos...Tu sai cosa sta succedendo? – Esclamò Silver, piantandosi davanti a lui con le braccia cariche di piatti sporchi. C’era un ricambio continuo di clienti. Ogni posto liberato veniva occupato subito. Ogni tanto gli appariva qualche faccia che gli sembrava nota, ma non era ancora stato in grado di ricollegarne qualcuna a una situazione.
Il suo vecchio amico fece una smorfia. – Non so se dovrei dirtelo...non avrei dovuto dire proprio niente, in realtà.
- No, ti prego, adesso mi sto preoccupando. Cosa hai saputo?
Sonic sospirò. – Bene, te lo dirò, ma se succede qualcosa non voglio entrarci, okay? – Estrasse il cellulare di tasca e cominciò a ticchettare sullo schermo. – Ieri ha iniziato a girare questo messaggio e abbiamo pensato tutti, ehi, è una buona causa, facciamolo. Quando ho scoperto che era il locale dove lavoravi tu, poi, mi sono convinto ancora di più.
Gli mostrò lo schermo e Silver si chinò, cambiando colore a mano a mano che leggeva. Capì molte cose, in quel breve lasso di tempo. Capì perché gli sembrava di aver visto alcuni di quei giovani altrove. Capì, soprattutto, da dove fosse arrivata tutta quella clientela, tanto gradita in quel momento.
Il messaggio era allegro ma conciso, chiaramente fatto per essere diramato fra molte persone diverse. Raccontava di un locale in difficoltà economica, e della sua necessità di clienti. Invitava chi riceveva il messaggio ad andarci, in una specie di flash mob, in quel giorno, all’ora di pranzo, e a tornarci se avessero gradito. Forniva l’indirizzo, e numerose preghiere ad essere avventurosi e a tentare, per una volta. Ringraziava e concludeva con una faccina sorridente.
La firma posta in fondo, sotto la conclusione, era quella di Blaze.


Blaze era felice.
Sentiva di stare facendo qualcosa di davvero buono. Non sciocchezze, non perdite di tempo. Stava aiutando delle persone a cui teneva, e anche se loro non erano a conoscenza del suo intervento, il risultato era chiaro. Tikal, Silver e Mercedes erano eccitati e scattanti, e Dodgeball annegava nelle attenzioni di ragazzi e ragazze che lo ascoltavano chiacchierare e ridevano delle sue strane idee infantili. E pazienza se Rouge e Amy la guardavano come se fosse pazza. Non avrebbe cambiato nulla di quel momento.
Tuttavia, si rese conto di quando tutto cambiò. Scorse con la coda dell’occhio Silver che raggelava sul posto, rischiando di far cadere le stoviglie che aveva in mano. Leggeva qualcosa su un telefono e già, certo che era stato Sonic. Nessuno con una bocca meno larga avrebbe potuto rivelare come stessero le cose.
Si fermò anche lei, il vassoio sotto il braccio. Osservò Silver alzare lentamente lo sguardo e incrociare i suoi occhi, sbalordito. Attese.
Il ragazzo uscì da dietro il bancone e si diresse verso di lei, posando i piatti sul ripiano. Sembrava calmo, ma lei vedeva le sue mani tremare. La raggiunse e quando parlò sussurrava, ma era come alla fiera, i rumori erano ovattati ora, non sufficienti a dar loro fastidio.
- Perché lo hai fatto?
- Perché avevate bisogno di aiuto – replicò lei con lo stesso tono, sincera in ogni parola. – Perché non lo avrebbe fatto nessuno.
- Ma noi...come avremmo potuto meritarci questo? Siamo solo un locale di periferia, io...io sono solo un cameriere.
Si stava agitando, non sapeva cosa dire. Blaze lo vedeva, mentre gesticolava con le mani e negli occhi gli brillava qualcosa che avrebbe anche potuto essere una lacrima, e  non poteva sopportare che si sentisse così, inadeguato e confuso. Per questo decise di prendere l’iniziativa, seguendo l’istinto, così come lo aveva seguito quando aveva avuto quell’idea. Gli afferrò il viso fra le mani, gli occhi dorati fissi nei suoi. Il vassoio cadde a terra con un clang, ma lei lo ignorò. A chi sarebbe importato?
- Perché voi siete delle persone buone – mormorò. – Tu sei una persona buona.
Poi lo baciò, e non furono necessarie altre parole.
Non sentirono il silenzio improvviso della massa, né le urla di incoraggiamento e stupore che seguirono. Non sentirono nessuno dei suoni che li circondava. A lungo ebbero solo la percezione delle labbra dell’altro contro le proprie, scordando la confusione, il dovere, i problemi. Fu esplosivo come i fuochi d’artificio e importante come il loro primo incontro, e bellissimo, ed eterno, e quando finì si trovarono senza fiato, fermi l’uno davanti all’altra, tremanti.
- Dovremo parlare di molte cose più tardi – bisbigliò Silver mentre il frastuono della folla cominciava a tornare alle loro orecchie. Blaze annuì e raccolse il proprio vassoio, poi gli prese la mano e ne baciò il palmo. L’eccitazione stava crescendo dentro di lei. Aveva avuto paura di pentirsi, immaginando quel momento in attimi di fantasia, ma a tutto pensava ora tranne che a pentirsi. Lo avrebbe rifatto. Una, dieci, cento volte, all’occorrenza.
- Dopo – disse. – Prima il Diner.
Silver assentì, tornando a voltarsi verso i clienti.
– Prima il Diner.
 

Aggiornare le storie a Pasqua è uno spasso perché sono ancora piena dal pranzo con i parenti e probabilmente a causa dell'abbiocco tralascio errori terrificanti. Avvertitemi se ce ne sono, sono pronta a cospargermi il capo di cenere.
Anche il capitolo è pieno di zuccheri come una colomba pasquale <3 spero che non sia troppo melenso ma ehi, ci tengo che i miei bimbi siano felici insieme.
Fra l'altro, se pensate che sia finita qui vi sbagliate. Devono ancora capitare taaanti disastri...ma non oggi. Oggi è Pasqua e li rendiamo tutti contenti.
A presto e auguri!
^Ro

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Capitolo 9
*** First steps ***


Silver rimase in fibrillazione fino alla fine del suo turno, praticamente saltellando sul posto. Non vedeva l'ora di parlare con Blaze. Voleva capire, voleva risposte, qualunque esse fossero. Solo dopo averle avute si sarebbe potuto dare pace e avrebbe potuto dire qualcosa a Tikal, che per tutte le ore rimaste lo aveva seguito con lo sguardo, visibilmente piena di domande ma sempre in silenzio.
Finalmente giunsero le sei. Il ragazzo praticamente volò fuori dal locale, un Dodgeball ignaro del motivo di tanta confusione alle calcagna. Ora nella sua agitazione si era insinuato anche un dubbio: Blaze, dopo aver prestato il suo aiuto durante la caotica ora di pranzo, se n'era andata, promettendo di incontrarlo più tardi. E se non si fosse presentata? Se si fosse trattato di uno scherzo a suo danno, un inganno per il quale lui sarebbe rimasto lì ad aspettare sul marciapiede come un idiota?
Ma lei era lì, in attesa. Aveva i capelli sciolti sulle spalle e un grande sorriso sul volto ed era bellissima e no, non si sarebbe mai pentito di averle dato retta, anche se tutto si fosse rivelato uno scherzo. 
- Ciao - disse Silver, cercando di mantenere la calma. Me! Stava aspettando ME!
- Ciao - replicò lei, e il suo sorriso si allargò. Gli prese la mano e la tirò scherzosamente. - Andiamo?
- Dove andiamo?
- È una sorpresa. - Blaze gli strizzò l'occhio e cominciò a camminare. Lui non potè fare altro che seguirla, confuso.
Lungo la strada non dissero una parola, ma alla fine andava bene così. Avere la mano di Blaze nella sua, così morbida e calda, era un calmante per ogni dubbio. Certo, tenere a bada un bambino di sei anni con l'altra mano rompeva un po' la magia, ma non si poteva avere sempre tutto.
Camminarono a lungo, finchè non arrivarono a un piccolo parco che Silver non aveva mai visto. Probabilmente era un angolo dei quartieri alti, a giudicare dalla zona, ben oltre la sua "linea di competenza". 
Ma era bellissimo. Gli alberi erano verdi e pieni di vita, e l'erba tagliata a regola d'arte. Persino le panchine e i giochi per bambini erano intatti e privi di graffiti, una cosa che aveva visto di rado in periferia. Loro tre erano i soli presenti.
Blaze li fece sedere su una panchina. - Vado a prendere da mangiare - annunciò, poi diede un colpetto al naso di Dodgeball. - Hai fame?
Il bambino annuì vigorosamente, ma era già distratto dai giochi distanti pochi metri. - Silver, posso andare là? - Chiese, dopo che Blaze si fu diretta verso il chiosco all'ingresso del parco.
- Dopo mangiato - rispose lui, quasi distrattamente. Se ci aveva visto giusto, lui e Blaze avrebbero avuto molte cose da dirsi...da soli.
Aspettarono finchè la ragazza non ritornò con tre panini che sembravano di lusso come il parco e mangiarono di gusto, sempre senza parlare. Quando terminarono, il sole aveva appena iniziato a tramontare, grazie alle lunghe giornate estive.
Dodgeball scappò a giocare non appena gli fu possibile, lasciando i due giovani soli. Silver si ritrovò a guardare Blaze nei grandi occhi dorati. La ragazza stava sorridendo e lui si sentì scivolare via dalla bocca tutte le domande che aveva avuto intenzione di formulare. 
Cercò di dire qualcosa, ma l'unica frase che gli uscì dalla bocca fu: - Sei bellissima.
Il suo sorriso divenne grande e luminoso. - Anche tu.
- Ma è abbastanza? - Smettila, smettila di dire cose a caso.
- Non lo so. Tu che dici? - Sussurrò Blaze prima di baciarlo sulle labbra, e fu tutto come al locale, solo più privato e molto, molto più lento.
Quando si staccò, Silver disse piano: - Spero di sì.
Lei gli accarezzò il viso : - Perchè speri? Credi che non funzionerà?
- Siamo...Veniamo da due mondi troppo diversi, Blaze. Tu vivi in questi posti meravigliosi e io...
- E tu sei un ragazzo e io una ragazza. E ci siamo innamorati. Tutto il resto non conta niente. Non siamo dentro Romeo e Giulietta o...o Aladdin, accidenti. Non deve succedere qualcosa di tragico.
- Ma cosa diranno i tuoi genitori? O le tue amiche?
- Non sono più una bambina che deve dare ascolto agli adulti. Quanto alle mie amiche...o a tutti i presenti di stasera, per quanto mi riguarda...se qualcuno avrà qualcosa da ridire, se lo terrà per sè. Nessuno scandalo. Quasi tutti hanno avuto la loro brava storia con un cattivo ragazzo o una cattiva ragazza.
Un piccolissimo sorriso comparve sulle labbra di Silver. - Io sono un cattivo ragazzo?
Blaze rise, prendendogli la mano. - Oh, no. Tu sei una bravissima persona. Sei gentile, e forte, e qualunque cosa accada voglio che noi due funzioniamo. Tu cosa dici?
- Dico che va bene.
Poteva funzionare. Avrebbero trovato il modo di farla funzionare.
 
 
Parlarono ( e non soltanto) per quella che sembrò loro un'eternità, ma il momento di separarsi arrivò comunque. Blaze doveva camminare fino a casa e Silver doveva recuperare la sua macchina dal parcheggio del South, e quindi era giocoforza che andassero in due direzioni diverse.
Di fronte al cancello del parco si scambiarono un ultimo, languido bacio, poco inclini a separarsi, ora che erano finalmente riusciti a venirsi incontro. Ma era necessario, perciò Blaze si separò da lui malvolentieri e fece un passo indietro. - Scrivimi, quando arrivi a casa. D'accordo?
Silver annuì. - Anche tu.
La ragazza girò sui tacchi e si diresse verso casa propria, sentendo crescere dentro di sè un desiderio improvviso di ridacchiare istericamente. Ho un ragazzo.
Smettila. Non hai più tredici anni.
Ma ho un ragazzo. E l'ho BACIATO.
Era un pensiero troppo ridicolo perchè potesse trattenersi dal ridere. Già, aveva baciato Silver. Diverse volte, anche. Ed era stato fantastico.
Continuò a ridere fra sé, camminando verso casa con un nuovo brio. Non aveva mai avuto certe reazioni con i ragazzi prima di allora. Era assurdo...però la faceva sentire bene, anche. La faceva sentire completa.
Tuttavia, anche la migliore delle reazioni avrebbe vacillato alla prospettiva di parlare con Rouge e Amy. 
Arrivata alla porta di casa Blaze esitò, poi scosse la testa ed entrò col passo più deciso di cui era più capace. Doveva affrontare le conseguenze delle sue decisioni.
I suoi genitori, impegnati con un convegno l'una e con una riunione l'altro, erano ancora fuori casa, ma le sue amiche erano lì ad aspettarla, sedute al tavolo della cucina. Sembravano quasi una coppia in attesa del ritorno della figlia dal ballo scolastico. Beh, questo sì che è imbarazzante.
Sentendola entrare, le due raddrizzarono la schiena e puntarono gli occhi su di lei. - Blaze!
-...ciao? - La ragazza si avvicinò e si sedette insieme a loro. Quegli sguardi fissi la rendevano nervosa. - Non fissatemi così, non ho ammazzato nessuno.
- Perchè non ci hai detto che ci stavi provando con il cameriere? - Chiese Amy, incrociando le braccia. - Non dovresti tenere certi segreti.
- Perchè non ci stavo proprio...provando...Ho capito cosa sentivo io e cosa sentiva lui e ho deciso di fare...un passo avanti. -Blaze si interruppe, notando le occhiate maliziose che le venivano lanciate. - No, no, no. So cosa state pensando. Non l'ho placcato per un'avventura di una notte. Voglio una storia seria.
- Ceeerto...- Rouge fece un risolino, poi continuò in tono indulgente, come se stesse parlando a una bambina. - Tesoro, non puoi avere una storia seria con uno come lui.
- Perché no? Lo avete visto, lui è una persona seria.
- Ovvio, non lo metto in dubbio, ma...Hai visto dove lavora? La zona in cui vive? Siete troppo diversi, non puoi fidarti di lui. Se lo fai avvicinare troppo, oltre a rovinarti la reputazione potrebbe approfittare della tua...ingenuità. Farti pagare per qualcosa o rubarti dei soldi direttamente.
Amy annuì, convinta. - È molto probabile, sai. Una notte a volte è perfino troppo con gente come lui. I ragazzi sono tutti dei gran bastardi.
Blaze taceva, sbigottita. Il suo volto era impassibile, ma dentro la sua testa si era scatenato il caos. Non riusciva a credere che le sue amiche, due persone di cui si era sempre fidata, le stessero dicendo certe cose. Ancora meno riusciva a credere di aver mai avuto pregiudizi del genere. Ora si rendeva conto di aver commesso dei gravi errori.
In silenzio si alzò dalla tavola e cominciò ad allontanarsi. Rouge allungò una mano per fermarla. - Blaze...
- Vi è passato per la mente - sibilò lei stringendo i pugni - che se avesse voluto derubarmi avrebbe provato a flirtare e affascinarmi come fanno tre quarti dei ragazzi che vediamo ogni giorno, mentre lui a stento osava parlarmi? Credete che se avesse avuto cattive intenzioni sarei stata io a fare il primo passo?
- Blaze, andiamo...
- E il motivo per cui non vi ho detto niente è proprio il fatto che avreste reagito così, e avevo ragione! - Così dicendo la giovane si chiuse la porta della cucina alle spalle, sbattendola, e scappò verso la sua stanza. Era furibonda, e sull'orlo delle lacrime. Mai avrebbe pensato che la sua giornata d'oro sarebbe stata rovinata così.
O forse sì, se lo era aspettato. Sapeva che ci sarebbe stata gente contro di loro.
Ma li avrebbe ignorati. Oggi, domani, finchè necessario.
Almeno ci avrebbe provato.
 
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ALLELUIA. Finalmente sono riuscita a mettere mano a questa storia. Con mezzi MOLTO di fortuna, come avevo detto in Mirrors, ma meglio di niente,no?
Spero davvero di poter fare di più, ora. Per adesso, godetevi questo nuovo capitolo e ditemi che ne pensate. A presto!
^Ro

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