How far we've come

di Keyla99
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** The start of the end of the world ***
Capitolo 2: *** Life starts now ***
Capitolo 3: *** Hope's a dangerous thing ***
Capitolo 4: *** When you finally trust me ***



Capitolo 1
*** The start of the end of the world ***


Capitolo 1 – The start of the end of the world

Waking up at the start of the end of world
But its feeling just like any other morning before
Now I wonder what my life is going to mean if it’s gone

How fare we've come

3 Settembre 2015 — ore 9.27 p.m.
Sono lieta di annunciarti, mio caro Diario/quaderno in cui trascrivo come si evolve la mia già pessima situazione, in questo giorno assai gioioso e festeggiato da tutti, l'anniversario della gloriosa salita al potere dell'Hydra!

Evviva evviva! Non è bello? No, non lo è. Per niente.
Esattamente un anno fa quei grandissimi figli di puttana hanno lanciato nell'atmosfera gli Helicarrier. Nel giro di poche ore hanno trucidato decine di milioni di persone, tutti quelli che avrebbero potuto causar loro problemi. Lo S.H.I.E.L.D. è stato sterminato. Be', non del tutto. Grazie al cielo sono riuscita a salvarne alcuni.
In ogni caso, da quel momento i bastardi sono al potere e io sono in fuga.
Non sono ancora riuscita a contattare R&R, nonostante i miei sforzi. A dire il vero non sono nemmeno certa che siano riusciti a sopravvivere, ma dato che i media non ne hanno annunciato la triste dipartita posso supporre che sono vivi e che si stanno nascondendo bene.
Ho paura che abbiano preso Vit. Sono giorni che non risponde ai miei messaggi, inizio a preoccuparmi. Ho guardato i telegiornali, qualsiasi cosa, ma non ne è venuto fuori nulla.
Vit è furbo, ma era messo peggio di me l'ultima volta che ci siamo incontrati. Se davvero è stato catturato – non voglio neppure prendere in considerazione l'idea che sia morto, mi rifiuto di pensarlo. Vit è troppo prezioso per l'Hydra, non lo ucciderebbero mai – be', se l'hanno catturato è un grosso problema per me. Sa dove mi trovo ora.
Facciamo così: aspetterò ancora questa notte. Se non ricevo sue notizie entro dodici ore, me ne andrò di qui. Non posso rischiare.

Jay

La ragazza osservò per un istante la pagina ricoperta di fitti segni neri, pensosa, poi parve decidere di aver scritto tutto quello che doveva. Chiuse il quaderno e lo infilò nella tasca interna della giacca. Portò le mani ai capelli e ne fece una crocchia, infilandoci la penna per fissarla.
Gettò indietro la testa, appoggiando il collo sullo schienale della sedia sulla quale era seduta, e sospirò. Rimase a fissare il soffitto, immobile, fino a che lei stessa non perse la concezione del tempo. Furono i rintocchi delle campane della chiesa lì vicino a farla tornare alla realtà.
Sbatté le palpebre un paio di volte e si massaggiò il retro del collo dolorante. Contò dieci rintocchi. Poi sentì il rumore.
Era come un sibilo appena percettibile, come di legature metalliche che strusciano tra loro, accompagnato da un flebile fruscio. I peli sulla nuca le si rizzarono all'istante. Aveva sottovalutato l'Hydra e la sua velocità di reazione.
Il respiro divenne più veloce, spezzato. Sentì il cuore battere più forte. Strinse le mani attorno al ripiano del tavolo. Impiegò circa quattro secondi e mezzo per calmarsi e riprendere il controllo di sé. La mente tornò lucida.

Non è la prima volta che ti trovi in una situazione del genere, si disse alzandosi in piedi. Forza
Afferrò il marsupio con le sue poche cose e lo allacciò alla vita. Guardò la pistola poggiata sul tavolo, esitò un istante, scosse la testa come per scacciare un pensiero fastidioso e la impugnò.

Allora. L'edificio sarà interamente circondato. Quindi, o trovo un modo per aggirarli o sono fottuta
Controllò il caricatore della pistola.

Dannazione. Solo cinque colpi. E non ho per niente una buona mira
Alzò di scatto la testa e tese le orecchie: di nuovo quel fruscio. Più vicino.

Sono qui. Scappa
Scattò verso la porta, l'aprì e imboccò le scale. Dopo appena una rampa sentì un sibilo e l'eco di uno sparo; il proiettile si piantò nella parete poco sopra la sua testa. Continuò a correre, saltando due gradini alla volta, il cuore in gola e le dita serrate attorno all'impugnatura della pistola.
Alle sue spalle percepiva la presenza minacciosa dell'inseguitore – uno solo, stranamente – a non più di dieci metri di distanza.
Inciampò e dovette appoggiare le mani a terra per non cadere. Un secondo proiettile la mancò di poco, scalfendo il corrimano e rimbalzando a terra intatto. Fece in tempo a scorgerlo con la coda dell'occhio: era un proiettile strano, il fianco era venato di blu. Si diede la spinta per rialzarsi e riprese a correre.
Una porta le si parò dinnanzi, costringendola a fermarsi. Non sapeva se l'Hydra stava controllando anche il tetto. Si gettò un'occhiata alle spalle, mordendosi il labbro inferiore quasi a sangue. Ancora pochi secondi e sarebbe stata a portata di tiro.

Non mi prenderanno viva
Aprì la porta, uscì sul tetto e la richiuse subito. Si guardò intorno. Lì affianco c'era una sbarra di ferro. La prese e la utilizzò per bloccare l'entrata, mettendola di traverso. Non avrebbe retto a lungo, lo sapeva. Il tetto era molto ampio: circa dodici metri la separavano dai bordi.
Il primo colpo scosse la porta, facendola tremare, e la ragazza sussultò. Scattò in avanti, tentando di raggiungere il parapetto. Si stava issando su di esso quando la porta cedette. Non poté fare a meno di voltarsi a guardare l'inseguitore: era un uomo alto, vestito totalmente di nero e con una mascherina a coprirgli la parte inferiore del viso. Al posto del braccio sinistro vi era un arto bionico. Ora capiva cos'era quel sibilo.
Le mancò il fiato nei polmoni: tra tutti gli agenti che l'Hydra aveva a disposizione, perché proprio il Soldato d'Inverno? Perché proprio la più spietata, infallibile e crudele tra le macchine da guerra? Quando lui la vide – in ginocchio sul cornicione, prossima a buttarsi – si fermò e alzò la pistola. Lei fece lo stesso, ma la mano le tremava.

Non ho mai ucciso una persona
A separarli c'era solo una dozzina di metri. Per alcuni istanti rimasero in silenzio, a fissarsi l'un l'altra. Alla fine il Soldato d'Inverno parlò:
«Scendi da lì» ordinò seccamente. La sua voce le giunse soffocata per via della mascherina. Il suo respiro era tranquillo. Invece lei era praticamente in apnea.
«Così puoi spararmi meglio? Scordatelo!» Abbassò la pistola, perché non aveva intenzione né sarebbe stata capace di sparargli.
Inspirò a fondo, tentando di prendere coraggio, e si volse nuovamente verso il vuoto che le si apriva davanti. Tra lei e il suolo c'erano più di cinquanta metri. Pensò a come sarebbe stato buttarsi giù, sentire l'aria attorno a lei incresparsi mentre precipitava, il vento che l'avvolgeva, la caduta sempre più veloce. Poi immaginò il suo corpo schiantarsi a terra, lo vide scomposto sull'asfalto della strada, le braccia e le gambe in posizioni innaturali, il sangue – molto, moltissimo sangue – tra i capelli, gli occhi rovesciati, le ossa frantumate dalla botta.
Smise di respirare, mentre la scena si visualizzava nitida nella sua mente. Sfiorò con la punta delle dita il rilievo del quaderno, appena percepibile al di sotto della camicia. Non voleva morire. Ma non poteva permettere che l'Hydra venisse a conoscenza di quello che aveva fatto.
Chiuse gli occhi e sospinse il proprio corpo oltre il bordo, aspettando la sensazione di vuoto che avrebbe accompagnato quella caduta di venti piani. Una mano si chiuse attorno al suo braccio, strattonandola bruscamente verso l'alto e facendole spalancare le palpebre. Incontrò gli occhi scuri del Soldato d'Inverno che la guardavano calmi e implacabili, e sentì il terrore chiuderle la gola.

È finita, fu tutto ciò che riuscì a pensare. Lui alzò la pistola e sparò, da distanza ravvicinata, dritto allo stomaco. Jay perse subito i sensi. 

Okay. Mi rendo conto di essermi buttata in un grosso progetto, che potrei fare grossi errori e tutto quanto, ma... l'idea mi piaceva troppo per non svilupparla.
Il primo capitolo è molto corto, ma vi assicuro che dal secondo in poi la lunghezza raddoppierà.

Come avrete capito, è un grosso "What if?" di Captain America: The Winter Soldier. Spero vi piaccia, e spero vogliate lasciarmi un commento anche breve per segnalare cosa non va. Grazie!
Keyla



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Capitolo 2
*** Life starts now ***


Capitolo 2 – Life starts now

 

Cause life starts now
You’ve done all the things that could kill you somehow
And you’re so far down
But you will survive it somehow because life starts now

— Life starts now —

 

Il risveglio fu accompagnato da un mal di testa allucinante, seguito da dolori di ogni tipo in varie parti del corpo.
Percepiva il terreno vibrare sotto di lei, e un frastuono assordante copriva qualsiasi altro rumore. Solo dopo qualche secondo realizzò di trovarsi su un elicottero – o almeno su qualcosa simile ad un elicottero.
Aprì piano gli occhi, ancora stordita, ma l'ambiente era avvolto nella semioscurità. Era sdraiata su un fianco, i polsi legati tra loro dietro la schiena. Fece leva coi palmi delle mani per mettersi seduta e gemette quando una fitta allo stomaco le tolse il fiato. Abbassò lo sguardo per cercare la lesione, ma non trovò nulla. E in ogni caso, la testa le faceva più male.
Gemette di nuovo e si lasciò ricadere sul suolo. Sbatté più volte le palpebre fino a che i suoi occhi non si abituarono al buio, e allora scorse una figura umana seduta non troppo distante da lei, con la schiena appoggiata alle pareti dell'elicottero. Distinse anche il riverbero della poca luce che si rifletteva sull'arto metallico.
Sentì di nuovo il panico impedirle di respirare, così voltò la testa e fissò la punta dei suoi stivali fino a che non si fu calmata abbastanza da snebbiare la mente, in modo da ottenere un ragionamento lucido. Nonostante il rumore delle pale di quel dannatissimo elicottero.

Avrei dovuto immaginare che non mi avrebbero uccisa subito. Okay. Molto probabilmente mi stanno portando da Pierce, al Triskelion. Il bastardo vorrà vedermi, magari ammazzarti lui stesso. Ora, devo trovare un modo per scappare, una volta che sarò là
Il suo sguardo salì fino al petto, quando si accorse della mancanza di un peso familiare.
Il quaderno. Dov'è?
Si voltò di nuovo verso il Soldato d'Inverno, e incontrò un paio d'occhi scuri che la osservavano attenti. Si era tolto la mascherina, e per un istante la ragazza rimase disorientata. Sembrava quasi una persona normale – ammesso e non concesso che si riuscisse ad ignorare tutto l'armamentario che si portava addosso. Ma lei sapeva che non lo era, che era tutto tranne che “normale”.
Si guardarono in silenzio, come avevano fatto su quel tetto chissà quante ore prima, poi lui abbassò il capo e tornò a sfogliare il quaderno che reggeva tra le mani.

No
La ragazza si rivoltò pancia a terra e gli strisciò più vicino, ignorando la paura che la stava invadendo e il dolore che le impediva di alzarsi in piedi.
«Ridammelo» mormorò.
Lui non la sentì, o comunque non le prestò attenzione.
«Ridammelo!» ripeté lei, lottando per mettersi seduta.
Il Soldato d'Inverno la guardò appena, poi guardò una delle pagine e aggrottò la fronte.
«Ci sono solo numeri» commentò.
La ragazza non rispose. Gli si avvicinò ancora, fino ad essergli praticamente addosso. Lui non si scansò né diede segno di aver notato la sua presenza, ma quando lei allungò la mano per prendere il quaderno lo sollevò più in alto, fuori dalla sua portata.
«Ridammelo» disse ancora una volta. Nessuna replica.
Jay si mordicchiò il labbro. Il Soldato d'Inverno continuò ad ignorarla.

A quanto pare non mi considera un pericolo. Be’, meglio per me
«Non puoi darlo a Pierce» sussurrò alla fine. Lui inarcò un sopracciglio e svoltò l'ennesima pagina, senza risponderle.
«Non devi darglielo. Posso... posso farti ricordare» continuò la ragazza.
Le dita del Soldato si contrassero sulla copertina.
«Posso restituirti la memoria»

Quanto sei patetica, Jay...
Il quaderno venne chiuso all'improvviso, e Jay si ritrovò a fronteggiare un paio di occhi furenti.
«Stai mentendo» sibilò l'uomo.
«Sto dicendo la verità» replicò la ragazza, sostenendo a stento quello sguardo indagatore. «So cosa ti hanno fatto. So cosa sei. So chi sei. Conosco un modo per far riemergere i ricordi che ti hanno cancellato, e potrei...» Si zittì di botto quando lui scattò, stringendole la gola in una morsa di metallo gelido.
«Se dici un'altra parola ti sparo di nuovo. Taci» ringhiò il Soldato d'Inverno, a pochi centimetri dal suo viso. La lasciò andare e lei deglutì a vuoto.
«Non darglielo» sussurrò con un filo di voce. Lui fece finta di non aver sentito, nonostante la minima distanza tra i due.
Jay si accasciò a terra, respirando piano per calmarsi. Fece un sospiro sconsolato e si voltò in modo da dargli le spalle, nascondendo una smorfia.


L'atterraggio fu piuttosto brusco, e risvegliò Jay dallo stato di dormiveglia nel quale era caduta ore prima. Non appena le pale dell'elicottero smisero di girare il Soldato la prese per un spalla e la tirò in piedi, strappandole un debole gemito. La ragazza si lasciò trascinare fuori dal veicolo senza opporre resistenza.
Il Triskelion era leggermente diverso da come se lo ricordava, di certo per colpa dei danni ricevuti in seguito all'attivazione del progetto Insight. Le parti crollate erano state ricostruite in pochi mesi, ed ora al posto delle insegne dello S.H.I.E.L.D. il simbolo dell'Hydra dava bella mostra di sé ovunque si posasse lo sguardo.
Jay sentì un forte senso di nausea stringerle lo stomaco. Le veniva da vomitare, e il suo volto doveva aver assunto un colorito verdastro, perché il Soldato la guardò in modo strano – come se si aspettasse di vederla svenire da un momento all'altro. Impiegò qualche istante per riprendersi.
«Che schifo» disse a denti stretti. «Ci sono segni dell'Hydra ovunque» E guardò il simbolo disegnato sul fianco dell'elicottero.
Il Soldato fece quello che sapeva fare meglio – ovvero ignorarla – e riprese a trascinarsela dietro mentre entrava nell'edificio e s'infilava nell'ascensore.
«Pierce» ringhiò.
«Dimmi una cosa» fece la ragazza. «Ma tu sei sempre perennemente incazzato?»

È pericoloso, stupida. Giochi con il fuoco
In un'altra situazione, se il soggetto fosse stato un altro, Jay avrebbe riso al vedere la mascella dell'uomo contrarsi, mentre una vena pulsava in rilievo sulla sua tempia.
Tanto, non può farmi niente. Deve seguire gli ordini, no?

L'ascensore iniziò a scendere, piano, mentre un display digitale mostrava i piani che si susseguivano uno dopo l'altro. La ragazza osservò attraverso le pareti di vetro la città che si estendeva tutt'intorno a lei: i palazzi, le zone verdi, le strade affollate di gente che oramai si era rassegnata ad essere sempre in pericolo. Le tornò in mente l'ultima volta che c'era stata, un anno prima, e chi era con lei. Sospirò e strinse i denti.
Se sei ancora vivo, Vit, giuro che ce ne andiamo insieme
L'ascensore si fermò, le porte di aprirono. Il Soldato allungò la mano, ma prima che potesse toccarla Jay era già uscita da sola e stava camminando a passo deciso lungo il corridoio.
Giunse in un ufficio elegante, arredato con mobili moderni e pieno di display digitali. Appoggiato alla scrivania, le dita intrecciate tra loro, vi era un uomo di mezza età dai capelli di un biondo sbiadito, il volto attraversato da alcune rughe e la pelle chiara. Non appena la vide alzò lo sguardo su di lei, e le sue labbra s'incresparono in un sorrisetto soddisfatto.
«Eccoti qui, Jennifer» disse tranquillo. Lei lo guardò con disprezzo.
«Che succede, sei a corto di personale? Come mai mi mandi il Soldato d'Inverno?» E accennò alla presenza incombente e minacciosa dell'uomo fermo alle sue spalle.
«Non credo di essere tanto importante da meritare il suo scongelamento, non credi?»
Con la coda dell'occhio scorse il diretto interessato irrigidirsi, mentre Pierce non si scompose.
«Sai, il mio personale è al momento occupato a dare la caccia a Steve Rogers e al suo gruppetto sconclusionato di amici» disse. La ragazza alzò il mento in un gesto di trionfo.

Sono vivi
«Ma siediti, cara. Desideri qualcosa? Un the? Biscotti?»
Jay serrò le labbra. Guardò la sedia, poi l'uomo che aveva di fronte.
«Non voglio nulla da te» ringhiò.
Il volto di Pierce mutò, assumendo un'espressione più dura, più severa.
«Siediti» ripeté, e questa volta non si trattava più di una richiesta: il suo era un ordine. Lei s'ostinò a rimanere ritta in piedi, così il Soldato le mise le mani sulle spalle e la costrinse a mettersi seduta.
«Ti ho cercata ovunque, Jennifer, dopo che te ne sei andata» Pierce si aggirava attorno alla sedia, più simile ad un avvoltoio che ad un essere umano. Jay tenne lo sguardo fisso davanti a sé, sforzandosi di non lasciar trasparire nulla dalla sua espressione.
«Trascorsi alcuni mesi senza aver ottenuto il minimo risultato, ho capito che non era te che dovevo cercare» L'uomo si avvicinò ad uno dei monitor, prese un telecomando da dentro un cassetto e premette il pulsante d'accensione. Sullo schermo, diviso in quattro quadrati identici, comparirono immagini da una diversa angolatura di una stanza ben illuminata. Al centro della stanza vi era una sedia, e sulla sedia era seduto un giovane uomo dai capelli color castano chiaro lunghi fino alle spalle, le mani bloccate dietro la schiena e il capo chinato in avanti, sul petto.
Jay balzò subito in piedi, ma il Soldato la risospinse giù con la forza. La ragazza fissò lo schermo, gli occhi sgranati e un grido bloccato in gola.
«Vit...» sussurrò.
Pierce premette un altro pulsante e partì una ripresa accelerata. Mostrava lo stesso ragazzo, nella stessa stanza, ma con lui c'era un uomo che Jay riconobbe come uno degli ufficiali dell'Hydra. I due si scambiarono qualche parola, poi l'uomo sferrò al più giovane un pugno in pieno volto.
La ragazza distolse lo sguardo quando il sangue schizzò sul pavimento. Guardò nella direzione opposta allo schermo, mordendosi la lingua nel tentativo di controllare la nausea.
«Il tuo amico Vitaly ha resistito per giorni, ma alla fine siamo riusciti a strappargli la tua posizione» commentò Pierce, indifferente.
«Sei uno stronzo» sibilò la ragazza, la voce satura d'odio. Si alzò di nuovo in piedi, lottando contro la presa del Soldato d'Inverno.
«Siete dei mostri! Tutti voi! Ecco perché ho cercato di fermarvi!» gridò.
Pierce le andò vicino.
«Esattamente» disse calmo, con voce bassa e misurata. «È proprio per questo che sei qui, cara Jennifer, perché hai tentato di fermare il progetto Insight, e non ci sei riuscita»
Jay lo guardò dritto in faccia, riducendo le labbra ad una linea sottile.

Non ancora
«Ma hai fatto qualcosa, anche se non sappiamo con precisione cosa» continuò Pierce. «Quindi, o ce lo dici con le buone, oppure... sta appunto arrivando l'agente Connor»
La ragazza fece appena in tempo a voltarsi per poter scorgere, oltre il corpo massiccio del Soldato, l'uomo che appariva nella registrazione mentre entrava nell'ufficio di Pierce. «Eccoti qui» esordì quest'ultimo allargando le braccia. «Ti presento l'agente Connor, mia cara, spero facciate subito amicizia»
L'uomo la scrutò, come se la stesse analizzando per trovare il modo migliore per farla soffrire.
«Jennifer è affetta da emofilia» disse Pierce. «Quindi niente danni fisici. Non ci serve un altro cadavere»
L'agente Connor annuì, mentre Jay lo guardava con astio.
«Bene. Portala via»
La ragazza venne fatta alzare. Quando l'agente fece per afferrarla si scansò e gli morse la mano, forte. Quello strillò e le mollò uno schiaffo. Sarebbe caduta a terra se solo il Soldato d'Inverno non l'avesse presa al volo e immobilizzata. Pierce accennò un sorriso divertito.
«Sei sempre la solita» commentò. L'agente Connor imprecò tra i denti e la prese per i capelli, iniziando a tirarla. Jay si lasciò sfuggire un lamento di dolore, e fu costretta a seguire l'uomo fino all'ascensore.
Mentre le porte si chiudevano davanti a lei, riuscì a sentire la voce di Pierce che diceva:
«E anche questa è fatta. Rapporto missione?»
Il Soldato rispose, ma la sua voce fu coperta da quella dell'agente, il quale stava biascicando all'intelligenza artificiale dell'ascensore la loro destinazione. Jay chiuse gli occhi e li tenne chiusi durante la discesa, sperando con tutta se stessa di non aver fallito nella sua missione.
In ogni caso, doveva scappare di lì. E Vit con lei.


Jay controllò il corridoio in entrambe le direzioni, prima di scivolare all'altra estremità il più silenziosamente possibile. Non riusciva a credere che Pierce fosse stato tanto ingenuo da non lasciare praticamente nessuno a farle la guardia. Forse era convinto che sarebbe stata troppo terrorizzata per azzardare un solo passo fuori dalla stanza nella quale era stata rinchiusa, e un anno prima gli avrebbe dato ragione.
Ma oramai era cresciuta. Non era più la ragazzina che si lasciava sconvolgere da qualsiasi cosa.

Purtroppo
Intercettò una telecamera e si schiacciò contro il muro appena in tempo per evitare di entrare nel campo di ripresa.
Non posso passare di qui
Cambiò di nuovo corridoio. In giro non c'era nessuno, e la cosa le parve abbastanza strana. Non aveva tempo per pensarci

Dove sei, Vit?
Ripensò alla struttura del Triskelion, si chiese dove Pierce potesse averlo rinchiuso. Udì un suono di passi, un sibilo metallico. Pochi passi più indietro.
Dannazione
Scattò, mentre un senso di deja vu le opprimeva il petto. Poi una mano gelida si chiuse sul suo braccio; la sensazione di una lama che premeva contro la gola. 
«Dove credi di andare?»

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Capitolo 3
*** Hope's a dangerous thing ***


Capitolo 3 – Hope’s a dangerous thing

And maybe hope’s a dangerous thing
And’ I’m broken in the end
You don’t divide you blur the line
Destroy yourself and start again

    Destroy Yourself —

 

«Dove credi di andare?»
La ragazza rimase immobile, senza respirare, il cuore che batteva all'impazzata contro il petto. La pressione del coltello contro la carne delicata della gola le fece venire la pelle d'oca: emofilia o no, se soltanto avesse premuto un po' di più sarebbe morta dissanguata in una manciata di minuti. Una goccia di sudore freddo scivolò dalla tempia fin giù al collo.
«Rispondi» La voce del Soldato d'Inverno era neutra, atona. Impossibile dire cosa gli passasse della testa.
Jay avrebbe voluto deglutire, ma aveva paura che facendolo quella lama le avrebbe tagliato la gola.
«Via di qui» sussurrò in tono appena udibile. Attese che lui affondasse il coltello, si aspettò il dolore della carne squarciata. Un brivido le percorse la spina dorsale, e la ragazza chiuse gli occhi per non vedere il sangue che – ne era certa – sarebbe schizzato dalla ferita.
«Allora stai sbagliando strada» Il coltello si allontanò, il Soldato allentò la presa sul suo braccio e la lasciò andare. Jay risollevò le palpebre e voltò il capo per guardarlo con gli occhi sgranati.
«Cosa?»
Lui rimise il coltello nella sua custodia e trasse da una delle tasche una pistola. La ragazza sussultò e si irrigidì, nonostante lui non gliela stesse puntando addosso. Di nuovo fu invasa dalla sensazione di aver già vissuto una situazione simile.
«Ti faccio uscire da qui» disse in tono sbrigativo, facendole cenno di precederlo per il corridoio.
Jay non si mosse.
«E perché mai dovrei fidarmi di te? Tu mi hai portato al Triskelion, cosa ti ha fatto cambiare idea così all'improvviso?» chiese socchiudendo gli occhi.
Il Soldato d'Inverno la guardò per un istante, come indeciso, poi infilò la mano destra in una tasca del giubbotto e ne estrasse il quaderno.
«Non l'ho dato a Pierce» affermò porgendolo alla ragazza.
Lei lo prese con cautela, attenta a non sfiorare la mano di lui, poi lo aprì per controllare che all'interno non si fosse danneggiato nulla.

Tutto okay, grazie al cielo
Jay sospirò di sollievo e sollevò lo sguardo sul suo volto. Il Soldato aveva uno sguardo smarrito, come se non sapesse bene cosa stava facendo.
«Quella... quella cosa che hai detto...» Si interruppe, aggrottando le sopracciglia. «Sul ricordare... io...» Portò la mano a coprire gli occhi.
«Sono così confuso» mormorò.
«Non stavo mentendo» ribadì la ragazza.
«Lo so. Per questo sono qui, adesso»
Lei annuì, tentando di ricacciare indietro la paura che da sempre il Soldato d'Inverno le incuteva. 
«Va... va bene. Andiamo» disse infilando il quaderno sotto la camicia.
L'uomo annuì, ma all'improvviso alzò di scatto la testa e la spinse di lato, contro la parete. Jay sentì due spari e delle grida soffocate. Vide due uomini accasciarsi a terra, all'altro capo del corridoio, poi il Soldato le prese il polso e iniziò a correre.
«Devo trovare Vit!» esclamò, già senza fiato.
«Il ragazzo della registrazione?» chiese lui, fermandosi un attimo per controllare che la strada fosse libera.
«Sì» Jay si piegò in avanti, prese un profondo respiro per recuperare ossigeno: quello scatto improvviso l'aveva colta alla sprovvista.
«So dov'è»
Senza aggiungere altro, il Soldato si tuffò oltre una porta alla loro destra, e poi giù per quattro rampe di scale.
Jay gli stava dietro a malapena. Era stanca, sia nel fisico sia nella mente, e sentiva che quello che stava facendo era profondamente sbagliato. L'agente Connor l'aveva tartassata di domande per ore – o almeno, le erano sembrate ore – senza ottenere nulla a parte spossarla sempre di più.

Forse era proprio quello il suo intento
Sentiva il sangue pulsare nelle tempie, e il mal di testa sempre più forte che soffocava i suoi ragionamenti. L'unica cosa che sapeva con certezza era che doveva trovare Vit, e poi uscire dal Triskelion.

Sono settimane che non dormo in modo decente. Cosa darei per un buon caffè
Alla fine, il Soldato si fermò di fronte ad una porta chiusa.
«C'è un sistema di blocco elettronico» commentò accennando al pannello numerico sulla destra.
«Posso pensarci io» Jay s'infilò tra lui e la parete, e incominciò ad armeggiare con i tasti.
«Sai farlo?» le chiese il Soldato, gli occhi puntati sul corridoio di fronte a loro.
«Come credi che sia uscita da dove mi avevano rinchiuso?» replicò la ragazza, sarcastica. L'uomo inarcò un sopracciglio, ma non disse nulla.
«Fatto»
La porta scivolò di lato, rivelando la stessa stanza illuminata della registrazione.
Jay portò le mani a coprirsi la bocca, soffocando un grido.
«Vit! Mio Dio...»
Vitaly era accasciato sulla sedia, legato, il sangue ad imbrattargli i capelli e la maglia bianca che indossava. Quando Jay lo chiamò emise un mugolio sordo e alzò faticosamente la testa.
«Sbrigati» borbottò il Soldato. «In un minuto ci saranno addosso»
Lei era già accanto all'amico. Armeggiò con le corde per slegarle, poi sentì il tintinnio del metallo contro il pavimento: il Soldato le aveva lanciato il coltello. Lo prese e tagliò i lacci. Vitaly ricadde in avanti, quasi a peso morto.
«Ehi, Vit» mormorò la ragazza scattando a sorreggerlo. «Va tutto bene. Ora andiamo via»
Lui girò il viso, sforzandosi di metterla a fuoco con l'occhio destro: il sinistro era pesto, semichiuso, e un grumo di sangue copriva lo zigomo. Il volto era una collezione di contusioni e tagli e lividi più o meno gravi.
Il ragazzo socchiuse le labbra, come a voler parlare, ma non riuscì ad articolare le parole.
«Riesci a camminare?» gli chiese lei.
«Sì» Aveva la voce roca, terribilmente roca. Si schiarì la gola.
«Sto bene, dammi solo... un attimo»
Jay lo guardò preoccupata, temendo di doverlo sorreggere per tutto il tragitto, ma dovette ricredersi quando Vit strinse le labbra per trattenere un lamento e si alzò in piedi, lentamente.
«Okay. Ci sono» disse. Poi sollevò lo sguardo su di lei, e gli occhi gli divennero lucidi.
«Mi dispiace così tanto, Jenn, te lo giuro...» sussurrò con voce rotta. «Non volevo dir loro dov'eri, non dovevo... Oh, Jenn, credimi, mi dispiace...»
La ragazza sorrise e scosse leggermente la testa.
«Non importa» disse piano, a bassa voce. «Stiamo entrambi bene, siamo vivi, ora usciremo da qui. È questo l'importante»
Lui aggrottò la fronte e aprì bocca, probabilmente per chiedere “come? Come facciamo ad andarcene?”, ma venne interrotto prima di poter emettere un suono:
«Hai fatto? Muoviti!» La voce, proveniente da subito fuori, li fece sobbalzare entrambi.
Vit le rivolse un'occhiata interrogativa.
«Chi...?» iniziò, ma si zittì di colpo quando il Soldato d'Inverno s'affacciò nella stanza; sbiancò e sgranò l'occhio sano.
«Va tutto bene, Vit» s'affrettò a dire Jay, posandogli una mano sul braccio. «È con me. Mi sta aiutando»
Vitaly la guardò, pallido come un cadavere, poi guardò l'uomo che ora li stava fissando con aria corrucciata.
«Mi spiace interrompere il vostro toccante ritrovamento» esordì. «Ma se non volete che i soldati dell'Hydra ci ammazzino vi conviene darvi una mossa» E accennò con la pistola al corridoio, dal quale provenivano delle grida ancora lontane.
«Dai Vit» Jay gli prese la mano e iniziò a tirarlo fino alla porta. Il ragazzo si riprese in fretta, pur continuando a gettare occhiate sospettose al Soldato.
«Più tardi io e te dovremo parlare» sibilò all'amica, la quale annuì in fretta.
«Quello che vuoi, ma quando saremo usciti di qui»
Seguirono il Soldato attraverso infinite stanze e uffici impolverati: quell'ala del Triskelion era inutilizzata da quando lo S.H.I.E.L.D. aveva cessato di esistere.
Jay rievocò la fuga dell'anno prima. Anche allora era assieme a Vit, ma allora era stato lui a trascinarla via mentre il mondo che avevano creduto di conoscere cadeva in pezzi, come un magnifico specchio che rifletteva la menzogna invece della realtà.
Col senno di poi, forse la ragazza avrebbe preferito rimanere nella la campana di cristallo sotto la quale aveva vissuto per più di venticinque anni, all'oscuro di tutto, felice. Si maledisse per quei pensieri subito dopo averlo formulati.
«Aspetta!» esclamò all'improvviso, fermandosi.
I due uomini si voltarono a guardarla, entrambi allarmati.
«Che succede?» domandò il Soldato.
Si trovavano nel mezzo di un laboratorio informatico, e Jay si gettò di fronte al computer principale; premette il pulsante d’accensione.
«Che cosa stai facendo?» ringhiò il Soldato.
Vit non disse nulla, ma aggrottò la fronte e la sua espressione divenne torva: aveva capito.
«Riesci a coprirmi per qualche minuto?» chiese invece la ragazza, iniziando a digitare una serie di codici sulla tastiera.
«Il mio DNA e quello di Vit non possono essere identificati e individuati dagli Helicarrier; questo perché tempo fa ho immesso un virus nel sistema che mi permette di salvaguardare una manciata di individui» spiegò velocemente, senza distogliere lo sguardo dal monitor. «Ma tu puoi essere individuato. Devo fare in modo di renderti invisibile, oppure saremo morti entro stasera»
Il Soldato non pareva molto convinto, ma non replicò.
«Eccoli!»
Jay imprecò a mezza voce, mentre Vit si riparava dietro una scrivania ed il Soldato si metteva di fronte alla ragazza per proteggerla mentre lavorava.
«Quanto?» gridò mentre alcuni uomini si appostavano subito fuori dal laboratorio. «Siamo in una pessima posizione!»
La ragazza fece per rispondere, quando il primo sparo echeggiò nell'aria. Soffocò un urlo e chinò la testa sulla tastiera.
«Ho... dammi tre minuti» biascicò.
Il Soldato non rispose. Sparò quattro colpi, e quattro uomini caddero a terra con un grido e un gemito di dolore. Ma ne arrivavano altri, parecchi altri.
Vit si spostò accanto a Jay, gettò un'occhiata allo schermo e fece una smorfia.
«Dammi una pistola!» gridò. «So sparare!»
Il Soldato non gli prestò attenzione. Alcuni proiettili gli saettarono a fianco. Gran parte degli apparecchi elettronici e molti monitor lì attorno finirono in frantumi. L'uomo lasciò cadere un caricatore vuoto e ne inserì un altro, con la naturalezza di chi è abituato a fare quel movimento molto spesso. Riprese a sparare.
Vit imprecò tra i denti e prese a frugare nei cassetti, alla ricerca di qualcosa di utile. Sgranò gli occhi e s'infilò qualcosa in tasca.
«Ho finito!» esclamò Jay all'improvviso. Si alzò di slancio e nello stesso istante il Soldato indietreggiò, spingendo lei e l'altro ragazzo verso l'uscita del laboratorio, senza smettere un istante di sparare.
«Forza» ringhiò aprendo una porta con un calcio, rivelando l'ennesima rampa di scale. Spintonò Jay, che inciampò e quasi cadde sui gradini.
«Sali, muoviti!»
«Che fai?» strillò Vit in tono quasi isterico. «Questo è un vicolo cieco, porta sul tetto!»
«Appunto!»
«Dai Vit, andiamo!» La ragazza lo strattonò per la manica. L'altro esitò, poi le prese la mano e insieme iniziarono a salire, l'eco degli spari alle loro spalle. Il Soldato chiuse la porta, la sbarrò, e un istante più tardi era davanti ai due.
«Vuoi prendere un elicottero?» intuì Jay poco prima di sbucare sul tetto. L'uomo annuì.
«Aspetta qui e non muoverti» ordinò. E si gettò fuori, le armi spianate. Si udirono grida, tonfi, piccole esplosioni.
«Jenn, è una pazzia»
La ragazza si voltò.
«Non posso morire ora, Vit, devo fare ancora tante cose. È la mia unica possibilità» disse.
«Ma senza di te non me ne vado» aggiunse subito. Si mordicchiò il labbro. «Lui ci porterà fuori»
«E poi?» obiettò il ragazzo, disperato. Jay fece una smorfia.
«Ci penserò quando saremo salvi. Tutti»
Vitaly la guardò, serrò le labbra, poi le tese la mano. Lei la strinse forte.
«Libero» Il Soldato ricomparve e fece loro cenno di seguirlo.
«Sta' dietro di me»
Li guidò fino ad un elicottero al centro del tetto, l'unico non danneggiato. «Sali»
Vit esitò e Jay dovette spingerlo su, costringendosi ad ignorare la mezza dozzina di cadaveri sparsi lì attorno. Di nuovo, fu in preda alla nausea: si lasciò cadere sul sedile e serrò gli occhi.
«Sai guidare questo affare?» domandò Vit. Ancora le sue dita erano intrecciate a quelle di lei.
«Certo» rispose bruscamente il Soldato, iniziando ad armeggiare coi comandi del velivolo. Le pale iniziarono a girare nell'esatto istante in cui gli uomini dell'Hydra fecero irruzione sul tetto: lo spostamento d'aria li fece vacillare, dando tempo all'elicottero di alzarsi in volo.
«Vit» mormorò la ragazza.
«Sono qui»
«Quando atterreremo, impiegheranno pochi minuti per rintracciarci. Puoi... puoi fare qualcosa?»
Vitaly aggrottò la fronte.
«Sei molto pallida. Stai bene?» chiese subito.
«No» ammise Jay. Al suo fianco, il Soldato le gettò una rapida occhiata.
«Ma prima di pensare a me risolvi questo problema»
Il ragazzo sospirò.
«Va bene. Immagino che il tuo... amico abbia messo fuori gioco gli altri elicotteri al Triskelion» Pronunciò la parola "amico" con palese disprezzo nella voce.
Il Soldato grugnì qualcosa di poco gentile. Jay lo guardò, preoccupata che potesse reagire in maniera violenta, ma lui non si mosse dai comandi; la ragazza fulminò l'amico con gli occhi.
«Quindi non dobbiamo aspettarci inseguitori, almeno non per via aerea» continuò Vit, facendo finta di nulla. Infilò una mano nella tasca dei pantaloni e ne tirò fuori un disco di metallo poco più grande di una moneta.
Jay notò che il Soldato li controllava con la coda dell'occhio e non si perdeva un movimento.
«Che cos'è?» chiese incuriosita, accennando al dischetto.
«L'ho trovato in laboratorio. Grazie a questo gioiellino sarà molto difficile per loro individuarci» affermò Vit accennando un sorriso. Un taglio fresco sul suo zigomo si dilatò, e una striscia di sangue comparì lungo i bordi della ferita.
Jay fu costretta a distogliere lo sguardo.


Mi spiace informare tutti i buoni cristi che leggono, che la settimana prossima sarò al campo scout, quindi non ci sarà un aggiornamento né potrò rispondere alle recensioni (che spero sempre ci saranno)!

Keyla

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Capitolo 4
*** When you finally trust me ***


Capitolo 4  – When you finally trust me

Trust me
I’ll be there when you need me
You’ll be safe, here
When you finally trust me, finally believe in me
I will let you down

    Let you down —

 

«Bene. E ora?»
Jay osservò l'elicottero riprendere quota e allontanarsi sino a sparire dalla vista. Il dispositivo che Vit aveva avuto l'accortezza di prendere si era rivelato estremamente utile, funzionando come una sorta di pilota automatico per il velivolo. Erano atterrati più volte, per confondere le acque e fornire false piste, ma la ragazza aveva insistito per scendere solo alla terza occasione, quando il carburante si era ormai quasi esaurito.
«Jenn?» La voce di Vitaly le fece distogliere lo sguardo dal cielo che andava via via scurendosi.
«Che c'è?» chiese con voce stanca.
«Cosa vuoi fare adesso?» La ragazza si guardò intorno: si trovavano nella periferia di una cittadina, soli, stremati, assieme ad un uomo che non era davvero un uomo ma un’arma rinchiusa in un corpo umano.

O un uomo intrappolato in un’arma. Dipende dai punti di vista, immagino
«Dobbiamo riposare» decise. «Deve esserci un albergo qui nei dintorni, un motel, un bed&breakfast, qualunque cosa...» Sospirò pesantemente. «Se solo avessi le mie cose...»
Il Soldato alzò il capo e la guardò, come se si fosse appena ricordato di qualcosa d'importante. Frugò per un istante nella tasca del giubbotto, traendone un paio di libretti dalla copertina plastificata. Li porse alla ragazza, che li prese dopo un attimo di esitazione, sotto lo sguardo vigile di Vit.
«Oh» esclamò Jay non appena vide di cosa si trattava. «Grazie»
Documenti falsi, qualche centinaio di dollari in contanti, un passaporto, una scheda telefonica sicura. Quello che il suo marsupio conteneva. La ragazza non gli chiese come fosse riuscito a prenderli, con tutta probabilità lui non le avrebbe risposto. L'importante in quel momento era raggiungere un posto sicuro dove riposarsi, e magari mangiare qualcosa.
Due ore dopo si ritrovarono nella hall di un piccolo albergo, Jay a braccetto con Vit e il Soldato appostato all'esterno, pronto ad intervenire in caso qualcosa fosse andato storto. La scusa ufficiale per spiegare al proprietario – un signore molto gentile, ma facile ad attaccare bottone – i segni sul viso di Vitaly era stato il coinvolgimento in un recente incidente d'auto.
L'uomo si mostrò molto dispiaciuto del fatto, e si premurò di dirlo ad alta voce mentre consegnava loro le chiavi della camera. Jay sorrise e lo ringraziò, poi i due salirono al primo piano ed entrarono nella loro stanza. Il Soldato la stava già ispezionando.
«Non ci sono cimici, qui» lo riprese Vit in tono secco. L'altro gli scoccò un'occhiata irritata.
«Controllo i dintorni» disse, e saltò giù dalla finestra.
La ragazza si sedette sul letto con un sospiro. Sollevò gli occhi e guardò l'amico.
«Dai» fece. «Dillo. Lo so che stai per metterti ad urlare»
Vitaly strizzò l'occhio sano, poi portò la mano aperta alla tempia.
«Sei impazzita?!» esclamò. «Il Soldato d'Inverno, Jenn! Ti sei bevuta il cervello! Quello ci ammazza alla prima occasione!»
Jay si lasciò cadere all'indietro sul materasso e si coprì gli occhi con il dorso della mano.
«Tra tutti gli agenti, tra tutti quelli che potevi sedurre...»
«Non l'ho sedotto, Vit. Lo sai che non ne sono capace» lo interruppe lei.
«...proprio lui?! Ma dico, capisco il tuo essere disperata, capisco la tensione, capisco tutto, ma il Soldato d'Inverno! Jennifer! Che diavolo ti è saltato in mente?! Criptare il suo DNA! È un assassino, Jenn, è l'arma dell'Hydra per eccellenza, è...»
«Basta, Vitaly»
Il ragazzo ammutolì di colpo; serrò le labbra.
Jay si puntellò coi gomiti per tirarsi su e guardarlo in faccia.
«Stiamo bene, no? Ci ha aiutati, ha ucciso...» Si interruppe. Deglutì. «Ha ucciso degli uomini dell'Hydra» riprese, a voce più bassa. «Ha salvato la vita ad entrambi»
Vit la fissò per qualche istante con gli occhi sgranati, poi scosse la testa e si portò una mano alla fronte.
«Ti fidi di lui» mormorò.
«No» lo contraddisse subito lei. «Ma credo che possa guadagnarsela, quella fiducia»
Vitaly gemette, come per un forte e improvviso dolore fisico.
«Dio, Jennifer, non di nuovo!» esclamò. «Tu vuoi sempre salvare tutti, ma quello non è qualcuno che può essere salvato! Non sono nemmeno certo che sia ancora qualcuno
Scosse la testa, le andò vicino e le prese il viso tra le mani.
«Non di nuovo» ripeté guardandola negli occhi. «Jenn, per favore. Non di nuovo, ti prego. Con me ti è andata bene, ma non sarà sempre così»
Jay distolse lo sguardo, mordicchiando il labbro inferiore fino quasi a ferirlo. Aprì bocca per replicare, ma un lieve rumore li distrasse entrambi: il Soldato stava rientrando dalla finestra. La ragazza mise le mani sopra quelle di Vit e le spostò dolcemente.
«Dormi un po'» disse accennando un sorriso.
Lui esitò, gettò uno sguardo all'uomo. Jay lo spinse sul letto e si scostò per fargli spazio.
«Su, ne hai bisogno» affermò prendendogli la mano. Vitaly intrecciò le dita a quelle di lei, poi annuì piano e chiuse gli occhi.
«Notte Jenn» mormorò.
«Notte» La ragazza gli sistemò meglio il cuscino sotto la testa, spense la luce; prese ad accarezzargli i capelli sporchi e intrecciati con la mano libera.
Sentì il Soldato muoversi, da qualche parte nel buio della stanza, e lo stomaco le si contrasse a causa di una paura improvvisa: forse Vit aveva ragione, forse era davvero impazzita. Quell'uomo era stato nei suoi incubi sin da quando era bambina, ne era sempre stata terrorizzata.
L'immagine dei cadaveri sul tetto del Triskelion le passò davanti agli occhi per un istante. Si chiese quante persone erano morte.

Erano agenti dell'Hydra. Non ci avrebbero pensato due volte a sparare a te o a Vit
Cercò di convincersi che era una cosa positiva, che c'erano meno nemici da affrontare, meno uomini che davano loro la caccia. Ma non riuscì a mettere a tacere il senso di colpa.
«Puoi dormire»
Sussultò, colta alla sprovvista, e si voltò nella direzione dalla quale proveniva la voce: sentì con chiarezza il sibilo delle placche metalliche dell'arto bionico che si sfioravano tra loro mentre il Soldato si alzava in piedi e si avvicinava di qualche passo. S'irrigidì.
«Non vi ucciderò nel sonno, o qualunque altra cosa tu stia pensando»
Il respiro di Vit si era fatto più profondo e regolare, segno che il ragazzo si era addormentato. Jay gli lasciò la mano, gli accarezzò un'ultima volta i capelli e ruotò di centottanta gradi, piegando le gambe di fianco.
Il Soldato le era di fronte, ritto in una posa rigida, le braccia lungo i fianchi; la sovrastava del tutto con il suo metro e novanta abbondante. Era tanto vicino che avrebbe potuto serrare le dita attorno al suo collo solo allungando il braccio.
Jay si sentì di nuovo bambina, sentì la paura serrarle lo stomaco.
«Se avessi voluto ucciderci non avresti aspettato fino ad ora» sussurrò. «Non avresti difficoltà a farlo in ogni caso, anche se fossimo vigili e armati. Oppure mi sbaglio?»
Lui scosse leggermente la testa, poi la guardò quasi con curiosità, la fronte aggrottata.
«Non mi chiedi perché?»
La ragazza alzò le spalle.
«Immagino che non mi risponderesti» disse.
«Immagino tu abbia ragione»
Il Soldato prese una sedia accostata alla parete, la sistemò davanti al letto e si sedette. Jay si agitò un poco, cambiò posizione.
«Non voglio farti del male, ma devo sapere una cosa»
«Va... va bene»
«Credi davvero a quello che hai detto al tuo amico?»
Jay sgranò lì occhi, sorpresa, poi si voltò per guardare Vit, il quale era ancora profondamente addormentato.
«Da quanto... da quanto stavi ascoltando?» gli chiese tornando a fronteggiarlo.
«Più o meno da “quello ci ammazza alla prima occasione”»
Se si fosse trattato di una qualunque altra persona, la ragazza avrebbe giurato che s'era amareggiato nel pronunciare quelle parole. Ma si trattava del Soldato d'Inverno, e non di una qualunque altra persona.
«Sì, sono convinta di quello che gli ho detto»
L'uomo inarcò le sopracciglia, all'apparenza perplesso.
«Ora sono io a doverti chiedere “perché”»
Lei distolse lo sguardo, fissando un angolo buio della stanza senza vederlo davvero.
«Uhm... posso avvalermi della facoltà di non rispondere?»
«Temo di no» Non c'era nulla di minaccioso nel suo tono, ma Jay colse comunque la sua trepidazione: il Soldato voleva sapere.
«Potrei mentirti» provò, non troppo convinta.
«Me ne accorgerei» replicò lui.
«Va bene, allora... La verità è che Vit ha ragione»
Lui non parve gradire la risposta: aggrottò la fronte, le sue labbra presero una piega decisamente poco amichevole.
«Nel dire che sono un pazzo assassino che ti ammazzerà non appena vorrà, il che significa che potrei farlo anche ora?» Si sporse sul bordo della sedia, gli occhi scuri che scintillavano minacciosi.
«Potrei uccidere prima te, poi spezzare il collo al tuo amico prima che si svegli» sussurrò guardandola negli occhi.
Jay sussultò e si spostò un po' più indietro, fino a sfiorare il corpo inerme di Vitaly.
«Nel dire che voglio salvare tutti» balbettò con un filo di voce, pallida. «Ha ragione in questo, ma solo in questo»
«Ci sono persone che non possono essere salvate»
«Tutti possono essere salvati. Ma forse hai ragione anche tu. Non posso salvare chi non vuole essere salvato»
Il Soldato rimase in silenzio per interi minuti, lo sguardo perso nel vuoto. Alla fine alzò gli occhi e li puntò sul suo viso.
«Quando mi hai parlato, la prima volta, sull'elicottero...» mormorò. «C'era una parte di me che gridava di metterti a tacere, di spararti di nuovo così saresti stata zitta per qualche altra ora. Ma un'altra parte di me mi sussurrava di darti ascolto, ed era insopportabile»
Portò le mani alle tempie, come se fosse in preda ad un violento mal di testa.
«Perché...» gemette. «Perché mi sei così familiare? Non posso fare a meno di fidarmi di te...»
Jay provò una specie di fitta al cuore.
«Dimmi perché mi sembra di conoscerti»
Vide quegli occhi brillare tra le dita che nascondevano il resto del volto del Soldato, li sentì fissi nei suoi. C'era qualcosa di disperato in quelle parole, una supplica soffocata dalla ferrea disciplina che gli era stata impartita in anni e anni di addestramento.
«Mi dispiace» sussurrò Jay. «Ma non posso dirtelo»
Il Soldato scattò in piedi, infuriato, quasi rovesciando la sedia. Le si avvicinò, bloccandole la fuga. La mano bionica si serrò attorno al suo braccio destro.
«Per favore. Non posso dirtelo, non ancora...» pigolò la ragazza, gli occhi sgranati.
Lui si fermò all'istante. Aggrottò le sopracciglia, parve confuso.
«Eri una bambina» mormorò, lo sguardo perso in un ricordo lontano. «Avevi paura. Non... non riesco a ricordare...»
La lasciò andare e indietreggiò di qualche passo, barcollando. Serrò le palpebre, come per trattenere quelle immagini.
«Avevi paura... di me...» Digrignò i denti.
Jay lo fissò per un attimo, sconcertata, poi saltò su, gli si accostò e gli sfiorò gentilmente il dorso della mano.
«Lasciali andare» sussurrò. «Torneranno. Lascia che vadano, per ora»
Il Soldato la scacciò ma lei non desistette. Attese che i ricordi passassero, e quando lui riaprì gli occhi gli sorrise appena, con dolcezza.
«Tutto bene?» chiese.
L'uomo la fissò per qualche secondo, il fiato corto e l'espressione sorpresa, ma alla fine si riprese e si raddrizzò. Il suo volto tornò inespressivo.
«Vai a dormire» disse, senza nessuna particolare intonazione.
Jay socchiuse le labbra, esitò; scosse la testa e tornò a sedersi sul letto.
«Svegliami tra un po', così potrai riposarti anche tu»
«Era una battuta? Io non riposo»
«Sei solo un essere umano. Non montarti la testa»
La ragazza sbadigliò e si accoccolò schiena contro schiena con Vit.
«Ah» Parve ricordarsi improvvisamente di qualcosa. «Come devo chiamarti?»
Qualche metro più in là, appoggiato alla parete, il Soldato inarcò le sopracciglia.
«Insomma, mi rifiuto di chiamarti “Soldato d'Inverno”, e penso che anche tu sarai stufo di questo nome. È quello che ti ha dato l'Hydra, no? Quindi... come vuoi essere chiamato? James? Jamie? Buchanan? Bucky? Barnes? “Ehi tu”?»
L'uomo sembrava sempre più perplesso. Con tutta probabilità si stava chiedendo come faceva a conoscere quelle informazioni, quando lui stesso ne era all'oscuro. In ogni caso, non fece domande.
Ci stette a pensare per diverso tempo.
«Bucky» disse infine.
«Bucky» ripeté la ragazza. «Buck. Come il protagonista di quel romanzo. Mi piace»
Gli sorrise apertamente, e lui sgranò un poco gli occhi.
«Buona notte, Bucky»
«...Ti chiami Jennifer, giusto?»
«Chiamami Jay. Jennifer è troppo lungo»
«Come vuoi»
Lo sentì muoversi, ma non sollevò le palpebre. Neppure quando percepì la sua presenza sin troppo vicino a lei, nonostante tutti i suoi muscoli bruciassero per il desiderio di scattare e fuggire via il più rapidamente possibile.
«Cercherò di guadagnarmi quella fiducia, Jay» mormorò il Soldato d'Inverno – Bucky.
La ragazza non gli rispose, ma entrambi sapevano che aveva sentito.


Il mattino seguente, Jay fu svegliata da un tocco leggero.

Aprì piano gli occhi, ancora intontita dal sonno, e scorse il Soldato – Bucky. Doveva iniziare a chiamarlo così – chino su di lei, la mano destra che le sfiorava la spalla. La luce del sole filtrava dalle tende scure che coprivano le finestre.
«Che ore sono?» biascicò con voce impastata.
«Quasi le nove»
«Tu non hai dormito per niente, vero?» La ragazza si mise a sedere e si stropicciò gli occhi con i pugni chiusi. Lui scrollò le spalle.
«Sei un testardo»
Bucky non ebbe reazioni a quel commento.
«Ascolta» disse invece. «Sveglia il tuo amico. Occupati dei tagli che ha sul viso, in bagno dovrebbe esserci il pronto soccorso. Mangiate qualcosa, fatti una doccia, quello che vuoi. Ma nel giro di un'ora al massimo dobbiamo andarcene da qui»
Jay divenne subito più attenta.
«Ci hanno trovati? Di già?» chiese allarmata.
«No, ma non si può mai sapere» rispose Bucky. Si accostò alla finestra, controllando che non ci fosse nessuno nei paraggi.
«E tu? Che farai?» «Mi procurerò un... passaggio. E qualche altra cosa che potrebbe esserci utile. Vedi quell'incrocio laggiù, dopo quella strada?» Indicò il punto con l'indice della mano destra.
Lei si alzò e gli andò vicino, non senza un istante d'esitazione.
«Lo vedo, ci sono» affermò.
«Vi aspetterò lì. Non più di un'ora, ricordatelo»
La guardò per un attimo, come se stesse valutando se aggiungere qualcos'altro, ma alla fine scosse la testa, scavalcò il davanzale e si lasciò cadere di sotto.
Jay rimase a guardarlo mentre voltava il capo a destra e a sinistra, attento ad ogni minimo particolare che potesse risultare ostile, e poi correva oltre l'angolo della strada sparendo dalla sua visuale. Quando non riuscì più a vederlo, tornò dentro e si accostò al letto.
«Ehi, Vit» chiamò scuotendo leggermente l'amico. «Vit, su, svegliati. Dobbiamo andare»
Lui si tirò su di scatto, esclamando un “che succede?” in tono allarmato. Si calmò all'istante non appena la vide.
Jay gli riassunse rapidamente le istruzioni che Bucky le aveva dato, e Vit inarcò le sopracciglia.
«Vuoi dargli retta?» domandò sorpreso. La ragazza si morse il labbro, indecisa se parlare o meno.
«Ieri...» disse alla fine. «Dopo che ti sei addormentato, io e lui abbiamo parlato per qualche minuto»
«Ti ha minacciata?!» chiese subito Vit, arrabbiato.
«No, no!» si affrettò a negare lei, mettendo le mani avanti. «Anzi. Credo... credo che abbia ricordato qualcosa» Prese un bel respiro, abbassando lo sguardo.
«Credo si sia ricordato me»
Il ragazzo s'irrigidì all'improvviso.
«Il laboratorio?»
«No. Quando ero piccola»
«Jenn, se qualcos'altro gli tornasse in mente...»
«Andrà tutto bene, Vit» gli assicurò la ragazza.
«Non puoi esserne certa» replicò lui. «Jennifer, tu non gli hai mai fatto davvero del male, ma io...» Portò una mano a coprirsi gli occhi, il volto contratto in una smorfia di rimpianto.
«Io ero quello che attivava l'elettroshock, ero... ero il carnefice, Jenn. E fino a che tu non sei venuta a parlarmi sono stato convinto che era giusto farlo, che non c'era nulla di sbagliato nel privare un uomo di tutto quello che lo rende tale. Se lo sapesse... mi ammazzerebbe, Jenn, mi ammazzerebbe senza pensarci due volte»
Jay gli posò una mano sulla spalla.
«Andrà tutto bene» ripeté.
Gli fece alzare il viso, sorrise e lasciò un bacio leggero sulla guancia del ragazzo.
«Su, che ne dici di dare un'occhiata a quelle ferite?»


Allora. Sono tornata, sì. 
Questo capitolo è un po' (molto) più lento rispetto ai precedenti, pieno di dialoghi e forse persino noioso, ma necessario ai fini della comprensione della trama. I prossimi andranno meglio, spero. 
Ovviamente, il romanzo al quale Jay si riferisce è "
Il Richiamo della Foresta" di Jack London.
Keyla

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