How far we've come di Keyla99 (/viewuser.php?uid=203281)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** The start of the end of the world ***
Capitolo 2: *** Life starts now ***
Capitolo 3: *** Hope's a dangerous thing ***
Capitolo 4: *** When you finally trust me ***
Capitolo 1 *** The start of the end of the world ***
Capitolo 1 – The
start of the end of the world
Waking up at the start of the end of world
But its feeling just like any other morning before
Now I wonder what my life is going to mean if it’s
gone
—
How fare we've come
—
3
Settembre 2015
— ore 9.27 p.m.
Sono
lieta di annunciarti, mio caro
Diario/quaderno in cui trascrivo come si evolve la mia già
pessima situazione,
in questo giorno assai gioioso e festeggiato da tutti, l'anniversario
della
gloriosa salita al potere dell'Hydra!
Evviva
evviva!
Non è bello? No, non lo è. Per niente.
Esattamente un
anno fa quei grandissimi figli di puttana hanno lanciato nell'atmosfera
gli
Helicarrier. Nel giro di poche ore hanno trucidato decine di milioni di
persone, tutti quelli che avrebbero potuto causar loro problemi. Lo
S.H.I.E.L.D. è stato sterminato. Be', non del tutto. Grazie
al cielo sono
riuscita a salvarne alcuni.
In ogni caso, da
quel momento i bastardi sono al potere e io sono in fuga.
Non sono ancora
riuscita a contattare R&R, nonostante i miei sforzi. A dire il
vero non
sono nemmeno certa che siano riusciti a sopravvivere, ma dato che i
media non
ne hanno annunciato la triste dipartita posso supporre che sono vivi e
che si
stanno nascondendo bene.
Ho paura che
abbiano preso Vit. Sono giorni che non risponde ai miei messaggi,
inizio a
preoccuparmi. Ho guardato i telegiornali, qualsiasi cosa, ma non ne
è venuto
fuori nulla.
Vit è furbo, ma
era messo peggio di me l'ultima volta che ci siamo incontrati. Se
davvero è
stato catturato – non voglio neppure prendere in
considerazione l'idea che sia
morto, mi rifiuto di pensarlo. Vit è troppo prezioso per
l'Hydra, non lo
ucciderebbero mai – be', se l'hanno catturato è un
grosso problema per me. Sa
dove mi trovo ora.
Facciamo così:
aspetterò ancora questa notte. Se non ricevo sue notizie
entro dodici ore, me
ne andrò di qui. Non posso rischiare.
Jay
La
ragazza osservò per un istante la pagina
ricoperta di fitti segni neri, pensosa, poi parve decidere di aver
scritto
tutto quello che doveva. Chiuse il quaderno e lo infilò
nella tasca interna
della giacca. Portò le mani ai capelli e ne fece una
crocchia, infilandoci la
penna per fissarla.
Gettò
indietro la testa, appoggiando il collo sullo schienale
della sedia sulla quale era seduta, e sospirò. Rimase a
fissare il soffitto,
immobile, fino a che lei stessa non perse la concezione del tempo.
Furono i
rintocchi delle campane della chiesa lì vicino a farla
tornare alla realtà.
Sbatté le palpebre un paio di volte e si
massaggiò il retro
del collo dolorante. Contò dieci rintocchi. Poi
sentì il rumore.
Era come un sibilo appena percettibile, come di legature
metalliche che strusciano tra loro, accompagnato da un flebile fruscio.
I peli
sulla nuca le si rizzarono all'istante. Aveva sottovalutato l'Hydra e
la sua
velocità di reazione.
Il respiro divenne più veloce, spezzato. Sentì il
cuore
battere più forte. Strinse le mani attorno al ripiano del
tavolo. Impiegò circa
quattro secondi e mezzo per calmarsi e riprendere il controllo di
sé. La mente
tornò lucida.
Non
è la prima volta
che ti trovi in una situazione del genere,
si disse alzandosi in piedi. Forza
Afferrò il marsupio con le sue poche cose e lo
allacciò alla
vita. Guardò la pistola poggiata sul tavolo,
esitò un istante, scosse la testa
come per scacciare un pensiero fastidioso e la impugnò.
Allora.
L'edificio sarà interamente circondato. Quindi, o trovo un
modo per aggirarli o
sono fottuta
Controllò il caricatore della pistola.
Dannazione.
Solo
cinque colpi. E non ho per niente una buona mira
Alzò di scatto la testa e tese le orecchie: di nuovo quel
fruscio. Più vicino.
Sono
qui. Scappa
Scattò
verso la porta, l'aprì e imboccò le scale. Dopo
appena
una rampa sentì un sibilo e l'eco di uno sparo; il
proiettile si piantò nella
parete poco sopra la sua testa. Continuò a correre, saltando
due gradini alla
volta, il cuore in gola e le dita serrate attorno all'impugnatura della
pistola.
Alle sue spalle percepiva la presenza minacciosa
dell'inseguitore – uno solo, stranamente – a non
più di dieci metri di
distanza.
Inciampò e dovette appoggiare le mani a terra per non
cadere.
Un secondo proiettile la mancò di poco, scalfendo il
corrimano e rimbalzando a
terra intatto. Fece in tempo a scorgerlo con la coda dell'occhio: era
un
proiettile strano, il fianco era venato di blu. Si diede la spinta per
rialzarsi e riprese a correre.
Una porta le si parò dinnanzi, costringendola a fermarsi.
Non
sapeva se l'Hydra stava controllando anche il tetto. Si
gettò un'occhiata alle
spalle, mordendosi il labbro inferiore quasi a sangue. Ancora pochi
secondi e
sarebbe stata a portata di tiro.
Non
mi
prenderanno viva
Aprì
la porta, uscì sul tetto e la richiuse subito. Si
guardò
intorno. Lì affianco c'era una sbarra di ferro. La prese e
la utilizzò per
bloccare l'entrata, mettendola di traverso. Non avrebbe retto a lungo,
lo
sapeva. Il tetto era molto ampio: circa dodici metri la separavano dai
bordi.
Il primo colpo scosse la porta, facendola tremare, e la
ragazza sussultò. Scattò in avanti, tentando di
raggiungere il parapetto. Si
stava issando su di esso quando la porta cedette. Non poté
fare a meno di
voltarsi a guardare l'inseguitore: era un uomo alto, vestito totalmente
di nero
e con una mascherina a coprirgli la parte inferiore del viso. Al posto
del
braccio sinistro vi era un arto bionico. Ora capiva cos'era quel
sibilo.
Le mancò il fiato nei polmoni: tra tutti gli agenti che
l'Hydra aveva a disposizione, perché proprio il Soldato
d'Inverno? Perché
proprio la più spietata, infallibile e crudele tra le
macchine da guerra?
Quando lui la vide – in ginocchio sul cornicione, prossima a
buttarsi – si
fermò e alzò la pistola. Lei fece lo stesso, ma
la mano le tremava.
Non
ho mai
ucciso una persona
A
separarli c'era solo una dozzina di metri. Per alcuni
istanti rimasero in silenzio, a fissarsi l'un l'altra. Alla fine il
Soldato
d'Inverno parlò:
«Scendi da lì» ordinò
seccamente. La sua voce le giunse
soffocata per via della mascherina. Il suo respiro era tranquillo.
Invece lei
era praticamente in apnea.
«Così puoi spararmi meglio? Scordatelo!»
Abbassò la pistola,
perché non aveva intenzione né sarebbe stata
capace di sparargli.
Inspirò a fondo, tentando di prendere coraggio, e si volse
nuovamente verso il vuoto che le si apriva davanti. Tra lei e il suolo
c'erano
più di cinquanta metri. Pensò a come sarebbe
stato buttarsi giù, sentire l'aria
attorno a lei incresparsi mentre precipitava, il vento che l'avvolgeva,
la
caduta sempre più veloce. Poi immaginò il suo
corpo schiantarsi a terra, lo
vide scomposto sull'asfalto della strada, le braccia e le gambe in
posizioni
innaturali, il sangue – molto, moltissimo sangue –
tra i capelli, gli occhi
rovesciati, le ossa frantumate dalla botta.
Smise di respirare, mentre la scena si visualizzava nitida
nella sua mente. Sfiorò con la punta delle dita il rilievo
del quaderno, appena
percepibile al di sotto della camicia. Non voleva morire. Ma non poteva
permettere che l'Hydra venisse a conoscenza di quello che aveva fatto.
Chiuse gli occhi e sospinse il proprio corpo oltre il bordo,
aspettando la sensazione di vuoto che avrebbe accompagnato quella
caduta di
venti piani. Una mano si chiuse attorno al suo braccio, strattonandola
bruscamente verso l'alto e facendole spalancare le palpebre.
Incontrò gli occhi
scuri del Soldato d'Inverno che la guardavano calmi e implacabili, e
sentì il
terrore chiuderle la gola.
È
finita,
fu tutto ciò
che riuscì a pensare. Lui alzò la pistola e
sparò, da distanza ravvicinata, dritto allo stomaco. Jay
perse subito i sensi.
Okay.
Mi rendo conto di
essermi buttata in un grosso progetto, che potrei fare grossi errori e
tutto quanto, ma... l'idea mi piaceva troppo per non
svilupparla.
Il primo capitolo è molto corto, ma vi assicuro che dal
secondo in poi la lunghezza raddoppierà.
Come
avrete
capito, è un grosso "What if?" di Captain America: The
Winter Soldier. Spero vi piaccia, e spero vogliate lasciarmi un
commento anche breve per segnalare cosa non va. Grazie!
Keyla
|
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Capitolo 2 *** Life starts now ***
Capitolo 2 – Life starts now
Cause life starts
now
You’ve done all the
things that could kill you somehow
And you’re so far down
But you will
survive it somehow because life starts now
—
Life starts now —
Il
risveglio fu accompagnato da un mal di testa allucinante,
seguito da dolori di ogni tipo in varie parti del corpo.
Percepiva il terreno vibrare sotto di lei, e un frastuono
assordante copriva qualsiasi altro rumore. Solo dopo qualche secondo
realizzò
di trovarsi su un elicottero – o almeno su qualcosa simile ad
un elicottero.
Aprì piano gli occhi, ancora stordita, ma l'ambiente era
avvolto nella semioscurità. Era sdraiata su un fianco, i
polsi legati tra loro
dietro la schiena. Fece leva coi palmi delle mani per mettersi seduta e
gemette
quando una fitta allo stomaco le tolse il fiato. Abbassò lo
sguardo per cercare
la lesione, ma non trovò nulla. E in ogni caso, la testa le
faceva più male.
Gemette di nuovo e si lasciò ricadere sul suolo.
Sbatté più
volte le palpebre fino a che i suoi occhi non si abituarono al buio, e
allora
scorse una figura umana seduta non troppo distante da lei, con la
schiena
appoggiata alle pareti dell'elicottero. Distinse anche il riverbero
della poca
luce che si rifletteva sull'arto metallico.
Sentì di nuovo il panico impedirle di respirare,
così voltò
la testa e fissò la punta dei suoi stivali fino a che non si
fu calmata
abbastanza da snebbiare la mente, in modo da ottenere un ragionamento
lucido.
Nonostante il rumore delle pale di quel dannatissimo elicottero.
Avrei
dovuto
immaginare che non mi avrebbero uccisa subito. Okay. Molto
probabilmente mi
stanno portando da Pierce, al Triskelion. Il bastardo vorrà
vedermi, magari
ammazzarti lui stesso. Ora, devo trovare un modo per scappare, una
volta che
sarò là
Il
suo sguardo salì fino al petto, quando si accorse della
mancanza di un peso familiare.
Il
quaderno.
Dov'è?
Si
voltò di nuovo verso il Soldato d'Inverno, e
incontrò un
paio d'occhi scuri che la osservavano attenti. Si era tolto la
mascherina, e
per un istante la ragazza rimase disorientata. Sembrava quasi una
persona
normale – ammesso e non concesso che si riuscisse ad ignorare
tutto
l'armamentario che si portava addosso. Ma lei sapeva che non lo era,
che era
tutto tranne che “normale”.
Si guardarono in silenzio, come avevano fatto su quel tetto
chissà quante ore prima, poi lui abbassò il capo
e tornò a sfogliare il
quaderno che reggeva tra le mani.
No
La
ragazza si rivoltò pancia a terra e gli strisciò
più
vicino, ignorando la paura che la stava invadendo e il dolore che le
impediva
di alzarsi in piedi.
«Ridammelo» mormorò.
Lui non la sentì, o comunque non le prestò
attenzione.
«Ridammelo!» ripeté lei, lottando per
mettersi seduta.
Il Soldato d'Inverno la guardò appena, poi guardò
una delle
pagine e aggrottò la fronte.
«Ci sono solo numeri» commentò.
La ragazza non rispose. Gli si avvicinò ancora, fino ad
essergli praticamente addosso. Lui non si scansò
né diede segno di aver notato
la sua presenza, ma quando lei allungò la mano per prendere
il quaderno lo
sollevò più in alto, fuori dalla sua portata.
«Ridammelo» disse ancora una volta. Nessuna
replica.
Jay si mordicchiò il labbro. Il Soldato d'Inverno
continuò ad
ignorarla.
A
quanto pare
non mi considera un pericolo. Be’, meglio per me
«Non puoi darlo a Pierce» sussurrò alla
fine. Lui inarcò un
sopracciglio e svoltò l'ennesima pagina, senza risponderle.
«Non devi darglielo. Posso... posso farti
ricordare» continuò
la ragazza.
Le dita del Soldato si contrassero sulla copertina.
«Posso restituirti la memoria»
Quanto sei
patetica, Jay...
Il
quaderno venne chiuso all'improvviso, e Jay si ritrovò a
fronteggiare un paio di occhi furenti.
«Stai mentendo» sibilò l'uomo.
«Sto dicendo la verità»
replicò la ragazza, sostenendo a stento
quello sguardo indagatore. «So cosa ti hanno fatto. So cosa
sei. So chi sei. Conosco un modo
per far
riemergere i ricordi che ti hanno cancellato, e potrei...» Si
zittì di botto
quando lui scattò, stringendole la gola in una morsa di
metallo gelido.
«Se dici un'altra parola ti sparo di nuovo. Taci»
ringhiò il
Soldato d'Inverno, a pochi centimetri dal suo viso. La
lasciò andare e lei deglutì
a vuoto.
«Non darglielo» sussurrò con un filo di
voce. Lui fece finta
di non aver sentito, nonostante la minima distanza tra i due.
Jay si accasciò a terra, respirando piano per calmarsi. Fece
un sospiro sconsolato e si voltò in modo da dargli le
spalle, nascondendo una
smorfia.
L'atterraggio
fu piuttosto brusco, e risvegliò
Jay dallo stato di dormiveglia nel quale era caduta ore prima. Non
appena le
pale dell'elicottero smisero di girare il Soldato la prese per un
spalla e la
tirò in piedi, strappandole un debole gemito. La ragazza si
lasciò trascinare
fuori dal veicolo senza opporre resistenza.
Il Triskelion era leggermente diverso da come se lo
ricordava, di certo per colpa dei danni ricevuti in seguito
all'attivazione del
progetto Insight. Le parti crollate erano state ricostruite in pochi
mesi, ed
ora al posto delle insegne dello S.H.I.E.L.D. il simbolo dell'Hydra
dava bella
mostra di sé ovunque si posasse lo sguardo.
Jay sentì un forte senso di nausea stringerle lo stomaco. Le
veniva da vomitare, e il suo volto doveva aver assunto un colorito
verdastro,
perché il Soldato la guardò in modo strano
– come se si aspettasse di vederla
svenire da un momento all'altro. Impiegò qualche istante per
riprendersi.
«Che schifo» disse a denti stretti. «Ci
sono segni dell'Hydra
ovunque» E guardò il simbolo disegnato sul fianco
dell'elicottero.
Il Soldato fece quello che sapeva fare meglio – ovvero
ignorarla – e riprese a trascinarsela dietro mentre entrava
nell'edificio e
s'infilava nell'ascensore.
«Pierce» ringhiò.
«Dimmi una cosa» fece la ragazza. «Ma tu
sei sempre
perennemente incazzato?»
È
pericoloso,
stupida. Giochi con il fuoco
In
un'altra situazione, se il soggetto fosse stato un altro,
Jay avrebbe riso al vedere la mascella dell'uomo contrarsi, mentre una
vena
pulsava in rilievo sulla sua tempia.
Tanto, non può
farmi niente. Deve seguire gli ordini, no?
L'ascensore
iniziò a scendere, piano, mentre un display
digitale mostrava i piani che si susseguivano uno dopo l'altro. La
ragazza
osservò attraverso le pareti di vetro la città
che si estendeva tutt'intorno a
lei: i palazzi, le zone verdi, le strade affollate di gente che oramai
si era
rassegnata ad essere sempre in pericolo. Le tornò in mente
l'ultima volta che
c'era stata, un anno prima, e chi era con lei. Sospirò e
strinse i denti.
Se
sei ancora
vivo, Vit, giuro che ce ne andiamo insieme
L'ascensore si fermò, le porte di aprirono. Il Soldato
allungò la mano, ma prima che potesse toccarla Jay era
già uscita da sola e
stava camminando a passo deciso lungo il corridoio.
Giunse in un ufficio elegante, arredato con mobili moderni e
pieno di display digitali. Appoggiato alla scrivania, le dita
intrecciate tra
loro, vi era un uomo di mezza età dai capelli di un biondo
sbiadito, il volto
attraversato da alcune rughe e la pelle chiara. Non appena la vide
alzò lo
sguardo su di lei, e le sue labbra s'incresparono in un sorrisetto
soddisfatto.
«Eccoti qui, Jennifer» disse tranquillo. Lei lo
guardò con
disprezzo.
«Che succede, sei a corto di personale? Come mai mi mandi il
Soldato d'Inverno?» E accennò alla presenza
incombente e minacciosa dell'uomo
fermo alle sue spalle.
«Non credo di essere tanto importante da meritare il suo
scongelamento, non credi?»
Con la coda dell'occhio scorse il diretto interessato
irrigidirsi, mentre Pierce non si scompose.
«Sai, il mio personale
è al momento occupato a dare la caccia a Steve Rogers e al
suo gruppetto
sconclusionato di amici» disse. La ragazza alzò il
mento in un gesto di
trionfo.
Sono
vivi
«Ma siediti, cara. Desideri qualcosa? Un the?
Biscotti?»
Jay serrò le labbra. Guardò la sedia, poi l'uomo
che aveva di
fronte.
«Non voglio nulla da te» ringhiò.
Il volto di Pierce mutò, assumendo un'espressione
più dura,
più severa.
«Siediti» ripeté, e questa volta non si
trattava più di una
richiesta: il suo era un ordine. Lei s'ostinò a rimanere
ritta in piedi, così
il Soldato le mise le mani sulle spalle e la costrinse a mettersi
seduta.
«Ti ho cercata ovunque, Jennifer, dopo che te ne sei
andata»
Pierce si aggirava attorno alla sedia, più simile ad un
avvoltoio che ad un
essere umano. Jay tenne lo sguardo fisso davanti a sé,
sforzandosi di non
lasciar trasparire nulla dalla sua espressione.
«Trascorsi alcuni mesi senza aver ottenuto il minimo
risultato, ho capito che non era te che dovevo cercare»
L'uomo si avvicinò ad
uno dei monitor, prese un telecomando da dentro un cassetto e premette
il
pulsante d'accensione. Sullo schermo, diviso in quattro quadrati
identici,
comparirono immagini da una diversa angolatura di una stanza ben
illuminata. Al
centro della stanza vi era una sedia, e sulla sedia era seduto un
giovane uomo
dai capelli color castano chiaro lunghi fino alle spalle, le mani
bloccate
dietro la schiena e il capo chinato in avanti, sul petto.
Jay balzò subito in piedi, ma il Soldato la risospinse
giù
con la forza. La ragazza fissò lo schermo, gli occhi
sgranati e un grido
bloccato in gola.
«Vit...» sussurrò.
Pierce premette un altro pulsante e partì una ripresa
accelerata. Mostrava lo stesso ragazzo, nella stessa stanza, ma con lui
c'era
un uomo che Jay riconobbe come uno degli ufficiali dell'Hydra. I due si
scambiarono qualche parola, poi l'uomo sferrò al
più giovane un pugno in pieno
volto.
La ragazza distolse lo sguardo quando il sangue schizzò sul
pavimento. Guardò nella direzione opposta allo schermo,
mordendosi la lingua
nel tentativo di controllare la nausea.
«Il tuo amico Vitaly ha resistito per giorni, ma alla fine
siamo riusciti a strappargli la tua posizione»
commentò Pierce, indifferente.
«Sei uno stronzo» sibilò la ragazza, la
voce satura d'odio.
Si alzò di nuovo in piedi, lottando contro la presa del
Soldato d'Inverno.
«Siete dei mostri! Tutti voi! Ecco perché ho
cercato di
fermarvi!» gridò.
Pierce le andò vicino.
«Esattamente» disse calmo, con voce bassa e
misurata. «È
proprio per questo che sei qui, cara Jennifer, perché hai
tentato di fermare il
progetto Insight, e non ci sei riuscita»
Jay lo guardò dritto in faccia, riducendo le labbra ad una
linea sottile.
Non
ancora
«Ma hai fatto qualcosa, anche se non sappiamo con precisione
cosa» continuò Pierce. «Quindi, o ce lo
dici con le buone, oppure... sta appunto
arrivando l'agente Connor»
La ragazza fece appena in tempo a voltarsi per poter
scorgere, oltre il corpo massiccio del Soldato, l'uomo che appariva
nella
registrazione mentre entrava nell'ufficio di Pierce. «Eccoti
qui» esordì quest'ultimo allargando le braccia.
«Ti
presento l'agente Connor, mia cara, spero facciate subito
amicizia»
L'uomo la scrutò, come se la stesse analizzando per trovare
il modo migliore per farla soffrire.
«Jennifer è affetta da emofilia» disse
Pierce. «Quindi niente
danni fisici. Non ci serve un altro cadavere»
L'agente Connor annuì, mentre Jay lo guardava con astio.
«Bene. Portala via»
La ragazza venne fatta alzare. Quando l'agente fece per
afferrarla si scansò e gli morse la mano, forte. Quello
strillò e le mollò uno
schiaffo. Sarebbe caduta a terra se solo il Soldato d'Inverno non
l'avesse
presa al volo e immobilizzata. Pierce accennò un sorriso
divertito.
«Sei sempre la solita» commentò.
L'agente Connor imprecò tra
i denti e la prese per i capelli, iniziando a tirarla. Jay si
lasciò sfuggire
un lamento di dolore, e fu costretta a seguire l'uomo fino
all'ascensore.
Mentre le porte si chiudevano davanti a lei, riuscì a
sentire
la voce di Pierce che diceva:
«E anche questa è fatta. Rapporto
missione?»
Il Soldato rispose, ma la sua voce fu coperta da quella
dell'agente, il quale stava biascicando all'intelligenza artificiale
dell'ascensore la loro destinazione. Jay chiuse gli occhi e li tenne
chiusi
durante la discesa, sperando con tutta se stessa di non aver fallito
nella sua
missione.
In ogni caso, doveva scappare di lì. E Vit con lei.
Jay
controllò il corridoio in entrambe le
direzioni, prima di scivolare all'altra estremità il
più silenziosamente
possibile. Non riusciva a credere che Pierce fosse stato tanto ingenuo
da non
lasciare praticamente nessuno a farle la guardia. Forse era convinto
che
sarebbe stata troppo terrorizzata per azzardare un solo passo fuori
dalla
stanza nella quale era stata rinchiusa, e un anno prima gli avrebbe
dato
ragione.
Ma oramai era cresciuta. Non era più la ragazzina che si
lasciava sconvolgere da qualsiasi cosa.
Purtroppo
Intercettò
una telecamera e si schiacciò contro il muro
appena in tempo per evitare di entrare nel campo di ripresa.
Non
posso
passare di qui
Cambiò di nuovo corridoio. In giro non c'era nessuno, e la
cosa le parve abbastanza strana. Non aveva tempo per pensarci
Dove
sei, Vit?
Ripensò
alla struttura del Triskelion, si chiese dove Pierce
potesse averlo rinchiuso. Udì un suono di passi, un sibilo
metallico. Pochi
passi più indietro.
Dannazione
Scattò,
mentre un senso di deja vu le
opprimeva il petto. Poi una mano gelida si chiuse sul
suo braccio; la sensazione di una lama che premeva contro la
gola.
«Dove
credi di andare?»
|
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Capitolo 3 *** Hope's a dangerous thing ***
Capitolo
3 – Hope’s a dangerous thing
And maybe hope’s a
dangerous thing
And’ I’m broken in
the end
You don’t divide
you blur the line
Destroy yourself and
start again
—
Destroy
Yourself —
«Dove
credi di andare?»
La ragazza rimase immobile, senza respirare, il cuore che
batteva all'impazzata contro il petto. La pressione del coltello contro
la
carne delicata della gola le fece venire la pelle d'oca: emofilia o no,
se
soltanto avesse premuto un po' di più sarebbe morta
dissanguata in una manciata
di minuti. Una goccia di sudore freddo scivolò dalla tempia
fin giù al collo.
«Rispondi» La voce del Soldato d'Inverno era
neutra, atona.
Impossibile dire cosa gli passasse della testa.
Jay avrebbe voluto deglutire, ma aveva paura che facendolo
quella lama le avrebbe tagliato la gola.
«Via di qui» sussurrò in tono appena
udibile. Attese che lui
affondasse il coltello, si aspettò il dolore della carne
squarciata. Un brivido
le percorse la spina dorsale, e la ragazza chiuse gli occhi per non
vedere il
sangue che – ne era certa – sarebbe schizzato dalla
ferita.
«Allora stai sbagliando strada» Il coltello si
allontanò, il
Soldato allentò la presa sul suo braccio e la
lasciò andare. Jay risollevò le
palpebre e voltò il capo per guardarlo con gli occhi
sgranati.
«Cosa?»
Lui rimise il coltello nella sua custodia e trasse da una
delle tasche una pistola. La ragazza sussultò e si
irrigidì, nonostante lui non
gliela stesse puntando addosso. Di nuovo fu invasa dalla sensazione di
aver già
vissuto una situazione simile.
«Ti faccio uscire da qui» disse in tono sbrigativo,
facendole
cenno di precederlo per il corridoio.
Jay non si mosse.
«E perché mai dovrei fidarmi di te? Tu
mi hai portato al Triskelion, cosa ti ha fatto cambiare idea
così all'improvviso?» chiese socchiudendo gli
occhi.
Il Soldato d'Inverno la guardò per un istante, come
indeciso,
poi infilò la mano destra in una tasca del giubbotto e ne
estrasse il quaderno.
«Non l'ho dato a Pierce» affermò
porgendolo alla ragazza.
Lei lo prese con cautela, attenta a non sfiorare la mano di
lui, poi lo aprì per controllare che all'interno non si
fosse danneggiato
nulla.
Tutto
okay,
grazie al cielo
Jay
sospirò di sollievo e sollevò lo sguardo sul suo
volto.
Il Soldato aveva uno sguardo smarrito, come se non sapesse bene cosa
stava
facendo.
«Quella... quella cosa che hai detto...» Si
interruppe,
aggrottando le sopracciglia. «Sul ricordare...
io...» Portò la mano a coprire
gli occhi.
«Sono così confuso» mormorò.
«Non stavo mentendo» ribadì la ragazza.
«Lo so. Per questo sono qui, adesso»
Lei annuì, tentando di ricacciare indietro la paura che da
sempre il Soldato d'Inverno le incuteva.
«Va... va bene. Andiamo» disse infilando il
quaderno sotto la
camicia.
L'uomo annuì, ma all'improvviso alzò di scatto la
testa e la
spinse di lato, contro la parete. Jay sentì due spari e
delle grida soffocate.
Vide due uomini accasciarsi a terra, all'altro capo del corridoio, poi
il
Soldato le prese il polso e iniziò a correre.
«Devo trovare Vit!» esclamò,
già senza fiato.
«Il ragazzo della registrazione?» chiese lui,
fermandosi un
attimo per controllare che la strada fosse libera.
«Sì» Jay si piegò in avanti,
prese un profondo respiro per
recuperare ossigeno: quello scatto improvviso l'aveva colta alla
sprovvista.
«So dov'è»
Senza aggiungere altro, il Soldato si tuffò oltre una porta
alla loro destra, e poi giù per quattro rampe di scale.
Jay gli stava dietro a malapena. Era stanca, sia nel fisico
sia nella mente, e sentiva che quello che stava facendo era
profondamente
sbagliato. L'agente Connor l'aveva tartassata di domande per ore
– o almeno, le
erano sembrate ore – senza ottenere nulla a parte spossarla
sempre di più.
Forse
era
proprio quello il suo intento
Sentiva il sangue pulsare nelle tempie, e il mal di testa
sempre più forte che soffocava i suoi ragionamenti. L'unica
cosa che sapeva con
certezza era che doveva trovare Vit, e poi uscire dal Triskelion.
Sono
settimane
che non dormo in modo decente. Cosa darei per un buon caffè
Alla
fine, il Soldato si fermò di fronte ad una porta chiusa.
«C'è un sistema di blocco elettronico»
commentò accennando al
pannello numerico sulla destra.
«Posso pensarci io» Jay s'infilò tra lui
e la parete, e
incominciò ad armeggiare con i tasti.
«Sai farlo?» le chiese il Soldato, gli occhi
puntati sul
corridoio di fronte a loro.
«Come credi che sia uscita da dove mi avevano
rinchiuso?»
replicò la ragazza, sarcastica. L'uomo inarcò un
sopracciglio, ma non disse
nulla.
«Fatto»
La porta scivolò di lato, rivelando la stessa stanza
illuminata
della registrazione.
Jay portò le mani a coprirsi la bocca, soffocando un grido.
«Vit! Mio Dio...»
Vitaly era accasciato sulla sedia, legato, il sangue ad
imbrattargli i capelli e la maglia bianca che indossava. Quando Jay lo
chiamò
emise un mugolio sordo e alzò faticosamente la testa.
«Sbrigati» borbottò il Soldato.
«In un minuto ci saranno
addosso»
Lei era già accanto all'amico. Armeggiò con le
corde per
slegarle, poi sentì il tintinnio del metallo contro il
pavimento: il Soldato le
aveva lanciato il coltello. Lo prese e tagliò i lacci.
Vitaly ricadde in
avanti, quasi a peso morto.
«Ehi, Vit» mormorò la ragazza scattando
a sorreggerlo. «Va
tutto bene. Ora andiamo via»
Lui girò il viso, sforzandosi di metterla a fuoco con
l'occhio destro: il sinistro era pesto, semichiuso, e un grumo di
sangue
copriva lo zigomo. Il volto era una collezione di contusioni e tagli e
lividi
più o meno gravi.
Il ragazzo socchiuse le labbra, come a voler parlare, ma non
riuscì ad articolare le parole.
«Riesci a camminare?» gli chiese lei.
«Sì» Aveva la voce roca, terribilmente
roca. Si schiarì la
gola.
«Sto bene, dammi solo... un attimo»
Jay lo guardò preoccupata, temendo di doverlo sorreggere per
tutto il tragitto, ma dovette ricredersi quando Vit strinse le labbra
per
trattenere un lamento e si alzò in piedi, lentamente.
«Okay. Ci sono» disse. Poi sollevò lo
sguardo su di lei, e gli
occhi gli divennero lucidi.
«Mi dispiace così tanto, Jenn, te lo
giuro...» sussurrò con
voce rotta. «Non volevo dir loro dov'eri, non dovevo... Oh,
Jenn, credimi, mi
dispiace...»
La ragazza sorrise e scosse leggermente la testa.
«Non importa» disse piano, a bassa voce.
«Stiamo entrambi
bene, siamo vivi, ora usciremo da qui. È questo
l'importante»
Lui aggrottò la fronte e aprì bocca,
probabilmente per
chiedere “come? Come facciamo ad andarcene?”, ma
venne interrotto prima di
poter emettere un suono:
«Hai fatto? Muoviti!» La voce, proveniente da
subito fuori,
li fece sobbalzare entrambi.
Vit le rivolse un'occhiata interrogativa.
«Chi...?» iniziò, ma si zittì
di colpo quando il Soldato
d'Inverno s'affacciò nella stanza; sbiancò e
sgranò l'occhio sano.
«Va tutto bene, Vit» s'affrettò a dire
Jay, posandogli una
mano sul braccio. «È con me. Mi sta
aiutando»
Vitaly la guardò, pallido come un cadavere, poi
guardò l'uomo
che ora li stava fissando con aria corrucciata.
«Mi spiace interrompere il vostro toccante
ritrovamento» esordì.
«Ma se non volete che i soldati dell'Hydra ci ammazzino vi
conviene darvi una
mossa» E accennò con la pistola al corridoio, dal
quale provenivano delle grida
ancora lontane.
«Dai Vit» Jay gli prese la mano e iniziò
a tirarlo fino alla
porta. Il ragazzo si riprese in fretta, pur continuando a gettare
occhiate
sospettose al Soldato.
«Più tardi io e te dovremo parlare»
sibilò all'amica, la
quale annuì in fretta.
«Quello che vuoi, ma quando
saremo usciti di qui»
Seguirono il Soldato attraverso infinite stanze e uffici
impolverati: quell'ala del Triskelion era inutilizzata da quando lo
S.H.I.E.L.D. aveva cessato di esistere.
Jay rievocò la fuga dell'anno prima. Anche allora era
assieme
a Vit, ma allora era stato lui a trascinarla via mentre il mondo che
avevano
creduto di conoscere cadeva in pezzi, come un magnifico specchio che
rifletteva
la menzogna invece della realtà.
Col senno di poi, forse la ragazza avrebbe preferito rimanere
nella la campana di cristallo sotto la quale aveva vissuto per
più di
venticinque anni, all'oscuro di tutto, felice. Si maledisse per quei
pensieri
subito dopo averlo formulati.
«Aspetta!» esclamò all'improvviso,
fermandosi.
I due uomini si voltarono a guardarla, entrambi allarmati.
«Che succede?» domandò il Soldato.
Si trovavano nel mezzo di un laboratorio informatico, e Jay
si gettò di fronte al computer principale; premette il
pulsante d’accensione.
«Che cosa stai facendo?» ringhiò il
Soldato.
Vit non disse nulla, ma aggrottò la fronte e la sua
espressione divenne torva: aveva capito.
«Riesci a coprirmi per qualche minuto?» chiese
invece la
ragazza, iniziando a digitare una serie di codici sulla tastiera.
«Il mio DNA e quello di Vit non possono essere identificati e
individuati dagli Helicarrier; questo perché tempo fa ho
immesso un virus nel
sistema che mi permette di salvaguardare una manciata di
individui» spiegò
velocemente, senza distogliere lo sguardo dal monitor. «Ma tu
puoi essere
individuato. Devo fare in modo di renderti invisibile, oppure saremo
morti
entro stasera»
Il Soldato non pareva molto convinto, ma non replicò.
«Eccoli!»
Jay imprecò a mezza voce, mentre Vit si riparava dietro una
scrivania ed il Soldato si metteva di fronte alla ragazza per
proteggerla
mentre lavorava.
«Quanto?» gridò mentre alcuni uomini si
appostavano subito
fuori dal laboratorio. «Siamo in una pessima
posizione!»
La ragazza fece per rispondere, quando il primo sparo
echeggiò nell'aria. Soffocò un urlo e
chinò la testa sulla tastiera.
«Ho... dammi tre minuti» biascicò.
Il Soldato non rispose. Sparò quattro colpi, e quattro
uomini
caddero a terra con un grido e un gemito di dolore. Ma ne arrivavano
altri,
parecchi altri.
Vit si spostò accanto a Jay, gettò un'occhiata
allo schermo e
fece una smorfia.
«Dammi una pistola!» gridò.
«So sparare!»
Il Soldato non gli prestò attenzione. Alcuni proiettili gli
saettarono a fianco. Gran parte degli apparecchi elettronici e molti
monitor lì
attorno finirono in frantumi. L'uomo lasciò cadere un
caricatore vuoto e ne
inserì un altro, con la naturalezza di chi è
abituato a fare quel movimento
molto spesso. Riprese a sparare.
Vit imprecò tra i denti e prese a frugare nei cassetti, alla
ricerca di qualcosa di utile. Sgranò gli occhi e
s'infilò qualcosa in tasca.
«Ho finito!» esclamò Jay all'improvviso.
Si alzò di slancio e
nello stesso istante il Soldato indietreggiò, spingendo lei
e l'altro ragazzo
verso l'uscita del laboratorio, senza smettere un istante di sparare.
«Forza» ringhiò aprendo una porta con un
calcio, rivelando
l'ennesima rampa di scale. Spintonò Jay, che
inciampò e quasi cadde sui
gradini.
«Sali, muoviti!»
«Che fai?» strillò Vit in tono quasi
isterico. «Questo è un
vicolo cieco, porta sul tetto!»
«Appunto!»
«Dai Vit, andiamo!» La ragazza lo
strattonò per la manica.
L'altro esitò, poi le prese la mano e insieme iniziarono a
salire, l'eco degli
spari alle loro spalle. Il Soldato chiuse la porta, la
sbarrò, e un istante più
tardi era davanti ai due.
«Vuoi prendere un elicottero?» intuì Jay
poco prima di sbucare
sul tetto. L'uomo annuì.
«Aspetta qui e non muoverti» ordinò. E
si gettò fuori, le
armi spianate. Si udirono grida, tonfi, piccole esplosioni.
«Jenn, è una pazzia»
La ragazza si voltò.
«Non posso morire ora, Vit, devo fare ancora tante cose.
È la
mia unica possibilità» disse.
«Ma senza di te non me ne vado» aggiunse subito. Si
mordicchiò il labbro. «Lui ci porterà
fuori»
«E poi?» obiettò il ragazzo, disperato.
Jay fece una smorfia.
«Ci penserò quando saremo salvi. Tutti»
Vitaly la guardò, serrò le labbra, poi le tese la
mano. Lei
la strinse forte.
«Libero» Il Soldato ricomparve e fece loro cenno di
seguirlo.
«Sta' dietro di me»
Li guidò fino ad un elicottero al centro del tetto, l'unico
non danneggiato. «Sali»
Vit esitò e Jay dovette spingerlo su, costringendosi ad
ignorare la mezza dozzina di cadaveri sparsi lì attorno. Di
nuovo, fu in preda
alla nausea: si lasciò cadere sul sedile e serrò
gli occhi.
«Sai guidare questo affare?» domandò
Vit. Ancora le sue dita
erano intrecciate a quelle di lei.
«Certo» rispose bruscamente il Soldato, iniziando
ad
armeggiare coi comandi del velivolo. Le pale iniziarono a girare
nell'esatto
istante in cui gli uomini dell'Hydra fecero irruzione sul tetto: lo
spostamento
d'aria li fece vacillare, dando tempo all'elicottero di alzarsi in
volo.
«Vit» mormorò la ragazza.
«Sono qui»
«Quando atterreremo, impiegheranno pochi minuti per
rintracciarci. Puoi... puoi fare qualcosa?»
Vitaly aggrottò la fronte.
«Sei molto pallida. Stai bene?» chiese subito.
«No» ammise Jay. Al suo fianco, il Soldato le
gettò una
rapida occhiata.
«Ma prima di pensare a me risolvi questo problema»
Il ragazzo sospirò.
«Va bene. Immagino che il tuo... amico
abbia messo fuori gioco gli altri elicotteri al Triskelion»
Pronunciò la parola "amico" con palese disprezzo nella voce.
Il Soldato grugnì qualcosa di poco gentile. Jay lo
guardò,
preoccupata che potesse reagire in maniera violenta, ma lui non si
mosse dai
comandi; la ragazza fulminò l'amico con gli occhi.
«Quindi non dobbiamo aspettarci inseguitori, almeno non per
via aerea» continuò Vit, facendo finta di nulla.
Infilò una mano nella tasca
dei pantaloni e ne tirò fuori un disco di metallo poco
più grande di una
moneta.
Jay notò che il Soldato li controllava con la coda
dell'occhio e non si perdeva un movimento.
«Che cos'è?» chiese incuriosita,
accennando al dischetto.
«L'ho trovato in laboratorio. Grazie a questo gioiellino
sarà
molto difficile per loro individuarci» affermò Vit
accennando un sorriso. Un
taglio fresco sul suo zigomo si dilatò, e una striscia di
sangue comparì lungo
i bordi della ferita.
Jay fu costretta a distogliere lo sguardo.
Mi spiace informare tutti
i buoni cristi che leggono, che la settimana prossima sarò
al campo scout, quindi non ci sarà un aggiornamento
né potrò rispondere alle recensioni (che spero
sempre ci saranno)!
Keyla
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Capitolo 4 *** When you finally trust me ***
Capitolo 4 –
When you finally trust me
Trust me
I’ll be there when
you need me
You’ll be safe,
here
When you finally
trust me, finally believe in me
I will let you down
—
Let
you down —
«Bene.
E ora?»
Jay osservò l'elicottero riprendere quota e allontanarsi
sino
a sparire dalla vista. Il dispositivo che Vit aveva avuto l'accortezza
di
prendere si era rivelato estremamente utile, funzionando come una sorta
di
pilota automatico per il velivolo. Erano atterrati più
volte, per confondere le
acque e fornire false piste, ma la ragazza aveva insistito per scendere
solo
alla terza occasione, quando il carburante si era ormai quasi esaurito.
«Jenn?» La voce di Vitaly le fece distogliere lo
sguardo dal
cielo che andava via via scurendosi.
«Che c'è?» chiese con voce stanca.
«Cosa vuoi fare adesso?» La ragazza si
guardò intorno: si
trovavano nella periferia di una cittadina, soli, stremati, assieme ad
un uomo
che non era davvero un uomo ma un’arma rinchiusa in un corpo
umano.
O
un uomo
intrappolato in un’arma. Dipende dai punti di vista, immagino
«Dobbiamo
riposare» decise. «Deve esserci un albergo qui nei
dintorni, un motel, un bed&breakfast, qualunque
cosa...» Sospirò
pesantemente. «Se solo avessi le mie cose...»
Il Soldato alzò il capo e la guardò, come se si
fosse appena ricordato
di qualcosa d'importante. Frugò per un istante nella tasca
del giubbotto,
traendone un paio di libretti dalla copertina plastificata. Li porse
alla
ragazza, che li prese dopo un attimo di esitazione, sotto lo sguardo
vigile di
Vit.
«Oh» esclamò Jay non appena vide di cosa
si trattava.
«Grazie»
Documenti falsi, qualche centinaio di dollari in contanti, un
passaporto, una scheda telefonica sicura. Quello che il suo marsupio
conteneva.
La ragazza non gli chiese come fosse riuscito a prenderli, con tutta
probabilità lui non le avrebbe risposto. L'importante in
quel momento era
raggiungere un posto sicuro dove riposarsi, e magari mangiare qualcosa.
Due ore dopo si ritrovarono nella hall di un piccolo albergo,
Jay a braccetto con Vit e il Soldato appostato all'esterno, pronto ad
intervenire in caso qualcosa fosse andato storto. La scusa ufficiale
per
spiegare al proprietario – un signore molto gentile, ma
facile ad attaccare
bottone – i segni sul viso di Vitaly era stato il
coinvolgimento in un recente incidente
d'auto.
L'uomo si mostrò molto dispiaciuto del fatto, e si
premurò di
dirlo ad alta voce mentre consegnava loro le chiavi della camera. Jay
sorrise e
lo ringraziò, poi i due salirono al primo piano ed entrarono
nella loro stanza.
Il Soldato la stava già ispezionando.
«Non ci sono cimici, qui» lo riprese Vit in tono
secco.
L'altro gli scoccò un'occhiata irritata.
«Controllo i dintorni» disse, e saltò
giù dalla finestra.
La ragazza si sedette sul letto con un sospiro. Sollevò gli
occhi e guardò l'amico.
«Dai» fece. «Dillo. Lo so che stai per
metterti ad urlare»
Vitaly strizzò l'occhio sano, poi portò la mano
aperta alla
tempia.
«Sei impazzita?!» esclamò. «Il
Soldato d'Inverno, Jenn! Ti
sei bevuta il cervello! Quello ci ammazza alla prima
occasione!»
Jay si lasciò cadere all'indietro sul materasso e si
coprì
gli occhi con il dorso della mano.
«Tra tutti gli agenti, tra tutti quelli che potevi
sedurre...»
«Non l'ho sedotto, Vit. Lo sai che non ne sono
capace» lo
interruppe lei.
«...proprio lui?! Ma dico, capisco il tuo essere disperata,
capisco la tensione, capisco tutto, ma il
Soldato d'Inverno! Jennifer! Che
diavolo ti è saltato in mente?! Criptare il suo DNA!
È un assassino, Jenn, è
l'arma dell'Hydra per eccellenza, è...»
«Basta, Vitaly»
Il ragazzo ammutolì di colpo; serrò le labbra.
Jay si puntellò coi gomiti per tirarsi su e guardarlo in
faccia.
«Stiamo bene, no? Ci ha aiutati, ha ucciso...» Si
interruppe.
Deglutì. «Ha ucciso degli uomini
dell'Hydra» riprese, a voce più bassa.
«Ha
salvato la vita ad entrambi»
Vit la fissò per qualche istante con gli occhi sgranati, poi
scosse la testa e si portò una mano alla fronte.
«Ti fidi di lui» mormorò.
«No» lo contraddisse subito lei. «Ma
credo che possa
guadagnarsela, quella fiducia»
Vitaly gemette, come per un forte e improvviso dolore fisico.
«Dio, Jennifer, non di nuovo!» esclamò.
«Tu vuoi sempre
salvare tutti, ma quello non è qualcuno che può
essere salvato! Non sono
nemmeno certo che sia ancora qualcuno!»
Scosse la testa, le andò vicino e le prese il viso tra le
mani.
«Non di nuovo» ripeté guardandola negli
occhi. «Jenn, per
favore. Non di nuovo, ti prego. Con
me ti è andata bene, ma non sarà sempre
così»
Jay distolse lo sguardo, mordicchiando il labbro inferiore
fino quasi a ferirlo. Aprì bocca per replicare, ma un lieve
rumore li distrasse
entrambi: il Soldato stava rientrando dalla finestra. La ragazza mise
le mani
sopra quelle di Vit e le spostò dolcemente.
«Dormi un po'» disse accennando un sorriso.
Lui esitò, gettò uno sguardo all'uomo. Jay lo
spinse sul
letto e si scostò per fargli spazio.
«Su, ne hai bisogno» affermò
prendendogli la mano. Vitaly
intrecciò le dita a quelle di lei, poi annuì
piano e chiuse gli occhi.
«Notte Jenn» mormorò.
«Notte» La ragazza gli sistemò meglio il
cuscino sotto la
testa, spense la luce; prese ad accarezzargli i capelli sporchi e
intrecciati
con la mano libera.
Sentì il Soldato muoversi, da qualche parte nel buio della
stanza, e lo stomaco le si contrasse a causa di una paura improvvisa:
forse Vit
aveva ragione, forse era davvero impazzita. Quell'uomo era stato nei
suoi
incubi sin da quando era bambina, ne era sempre stata terrorizzata.
L'immagine dei cadaveri sul tetto del Triskelion le passò
davanti agli occhi per un istante. Si chiese quante persone erano
morte.
Erano
agenti
dell'Hydra. Non ci avrebbero pensato due volte a sparare a te o a Vit
Cercò
di convincersi che era una cosa positiva, che c'erano
meno nemici da affrontare, meno uomini che davano loro la caccia. Ma
non riuscì
a mettere a tacere il senso di colpa.
«Puoi dormire»
Sussultò, colta alla sprovvista, e si voltò nella
direzione
dalla quale proveniva la voce: sentì con chiarezza il sibilo
delle placche
metalliche dell'arto bionico che si sfioravano tra loro mentre il
Soldato si
alzava in piedi e si avvicinava di qualche passo.
S'irrigidì.
«Non vi ucciderò nel sonno, o qualunque altra cosa
tu stia
pensando»
Il respiro di Vit si era fatto più profondo e regolare,
segno
che il ragazzo si era addormentato. Jay gli lasciò la mano,
gli accarezzò
un'ultima volta i capelli e ruotò di centottanta gradi,
piegando le gambe di
fianco.
Il Soldato le era di fronte, ritto in una posa rigida, le
braccia lungo i fianchi; la sovrastava del tutto con il suo metro e
novanta
abbondante. Era tanto vicino che avrebbe potuto serrare le dita attorno
al suo
collo solo allungando il braccio.
Jay si sentì di nuovo bambina, sentì la paura
serrarle lo
stomaco.
«Se avessi voluto ucciderci non avresti aspettato fino ad
ora» sussurrò. «Non avresti
difficoltà a farlo in ogni caso, anche se fossimo
vigili e armati. Oppure mi sbaglio?»
Lui scosse leggermente la testa, poi la guardò quasi con
curiosità,
la fronte aggrottata.
«Non mi chiedi perché?»
La ragazza alzò le spalle.
«Immagino che non mi risponderesti» disse.
«Immagino tu abbia ragione»
Il Soldato prese una sedia accostata alla parete, la sistemò
davanti al letto e si sedette. Jay si agitò un poco,
cambiò posizione.
«Non voglio farti del male, ma devo sapere una
cosa»
«Va... va bene»
«Credi davvero a quello che hai detto al tuo
amico?»
Jay sgranò lì occhi, sorpresa, poi si
voltò per guardare Vit,
il quale era ancora profondamente addormentato.
«Da quanto... da quanto stavi ascoltando?» gli
chiese
tornando a fronteggiarlo.
«Più o meno da “quello ci ammazza alla
prima occasione”»
Se si fosse trattato di una qualunque altra persona, la
ragazza avrebbe giurato che s'era amareggiato nel pronunciare quelle
parole. Ma
si trattava del Soldato d'Inverno, e non di una qualunque altra
persona.
«Sì, sono convinta di quello che gli ho
detto»
L'uomo inarcò le sopracciglia, all'apparenza perplesso.
«Ora sono io a doverti chiedere
“perché”»
Lei distolse lo sguardo, fissando un angolo buio della stanza
senza vederlo davvero.
«Uhm... posso avvalermi della facoltà di non
rispondere?»
«Temo di no» Non c'era nulla di minaccioso nel suo
tono, ma
Jay colse comunque la sua trepidazione: il Soldato voleva sapere.
«Potrei mentirti» provò, non troppo
convinta.
«Me ne accorgerei» replicò lui.
«Va bene, allora... La verità è che Vit
ha ragione»
Lui non parve gradire la risposta: aggrottò la fronte, le
sue
labbra presero una piega decisamente poco amichevole.
«Nel dire che sono un pazzo assassino che ti
ammazzerà non
appena vorrà, il che significa che potrei farlo anche ora?» Si sporse sul bordo della
sedia, gli occhi scuri che
scintillavano minacciosi.
«Potrei uccidere prima te, poi spezzare il collo al tuo amico
prima che si svegli» sussurrò guardandola negli
occhi.
Jay sussultò e si spostò un po' più
indietro, fino a sfiorare
il corpo inerme di Vitaly.
«Nel dire che voglio salvare tutti»
balbettò con un filo di
voce, pallida. «Ha ragione in questo, ma solo in
questo»
«Ci sono persone che non possono essere salvate»
«Tutti possono essere salvati. Ma forse hai ragione anche tu.
Non posso salvare chi non vuole essere salvato»
Il Soldato rimase in silenzio per interi minuti, lo sguardo
perso nel vuoto. Alla fine alzò gli occhi e li
puntò sul suo viso.
«Quando mi hai parlato, la prima volta,
sull'elicottero...»
mormorò. «C'era una parte di me che gridava di
metterti a tacere, di spararti
di nuovo così saresti stata zitta per qualche altra ora. Ma
un'altra parte di
me mi sussurrava di darti ascolto, ed era insopportabile»
Portò le mani alle tempie, come se fosse in preda ad un
violento mal di testa.
«Perché...» gemette.
«Perché mi sei così familiare? Non
posso
fare a meno di fidarmi di te...»
Jay provò una specie di fitta al cuore.
«Dimmi perché mi sembra di conoscerti»
Vide quegli occhi brillare tra le dita che nascondevano il
resto del volto del Soldato, li sentì fissi nei suoi. C'era
qualcosa di
disperato in quelle parole, una supplica soffocata dalla ferrea
disciplina che
gli era stata impartita in anni e anni di addestramento.
«Mi dispiace» sussurrò Jay.
«Ma non posso dirtelo»
Il Soldato scattò in piedi, infuriato, quasi rovesciando la
sedia. Le si avvicinò, bloccandole la fuga. La mano bionica
si serrò attorno al
suo braccio destro.
«Per favore. Non posso dirtelo, non ancora...»
pigolò la
ragazza, gli occhi sgranati.
Lui si fermò all'istante. Aggrottò le
sopracciglia, parve
confuso.
«Eri una bambina» mormorò, lo sguardo
perso in un ricordo
lontano. «Avevi paura. Non... non riesco a
ricordare...»
La lasciò andare e indietreggiò di qualche passo,
barcollando. Serrò le palpebre, come per trattenere quelle
immagini.
«Avevi paura... di me...» Digrignò i
denti.
Jay lo fissò per un attimo, sconcertata, poi
saltò su, gli si
accostò e gli sfiorò gentilmente il dorso della
mano.
«Lasciali andare» sussurrò.
«Torneranno. Lascia che vadano,
per ora»
Il Soldato la scacciò ma lei non desistette. Attese che i
ricordi passassero, e quando lui riaprì gli occhi gli
sorrise appena, con
dolcezza.
«Tutto bene?» chiese.
L'uomo la fissò per qualche secondo, il fiato corto e
l'espressione sorpresa, ma alla fine si riprese e si
raddrizzò. Il suo volto
tornò inespressivo.
«Vai a dormire» disse, senza nessuna particolare
intonazione.
Jay socchiuse le labbra, esitò; scosse la testa e
tornò a
sedersi sul letto.
«Svegliami tra un po', così potrai riposarti anche
tu»
«Era una battuta? Io non riposo»
«Sei solo un essere umano. Non montarti la testa»
La ragazza sbadigliò e si accoccolò schiena
contro schiena
con Vit.
«Ah» Parve ricordarsi improvvisamente di qualcosa.
«Come devo
chiamarti?»
Qualche metro più in là, appoggiato alla parete,
il Soldato
inarcò le sopracciglia.
«Insomma, mi rifiuto di chiamarti “Soldato
d'Inverno”, e
penso che anche tu sarai stufo di questo nome. È quello che
ti ha dato l'Hydra,
no? Quindi... come vuoi essere chiamato? James? Jamie? Buchanan? Bucky?
Barnes?
“Ehi tu”?»
L'uomo sembrava sempre più perplesso. Con tutta
probabilità
si stava chiedendo come faceva a conoscere quelle informazioni, quando
lui
stesso ne era all'oscuro. In ogni caso, non fece domande.
Ci stette a pensare per diverso tempo.
«Bucky» disse infine.
«Bucky» ripeté la ragazza.
«Buck. Come il protagonista di
quel romanzo. Mi piace»
Gli sorrise apertamente, e lui sgranò un poco gli occhi.
«Buona notte, Bucky»
«...Ti chiami Jennifer, giusto?»
«Chiamami Jay. Jennifer è troppo lungo»
«Come vuoi»
Lo sentì muoversi, ma non sollevò le palpebre.
Neppure quando
percepì la sua presenza sin troppo vicino a lei, nonostante
tutti i suoi
muscoli bruciassero per il desiderio di scattare e fuggire via il
più
rapidamente possibile.
«Cercherò di guadagnarmi quella fiducia,
Jay» mormorò il
Soldato d'Inverno – Bucky.
La ragazza non gli rispose, ma entrambi sapevano che aveva
sentito.
Il
mattino seguente, Jay fu svegliata da un
tocco leggero.
Aprì
piano gli occhi, ancora intontita dal sonno, e scorse il
Soldato – Bucky. Doveva iniziare a chiamarlo così
– chino su di lei, la mano
destra che le sfiorava la spalla. La luce del sole filtrava dalle tende
scure
che coprivano le finestre.
«Che ore sono?» biascicò con voce
impastata.
«Quasi le nove»
«Tu non hai dormito per niente, vero?» La ragazza
si mise a
sedere e si stropicciò gli occhi con i pugni chiusi. Lui
scrollò le spalle.
«Sei un testardo»
Bucky non ebbe reazioni a quel commento.
«Ascolta» disse invece. «Sveglia il tuo
amico. Occupati dei
tagli che ha sul viso, in bagno dovrebbe esserci il pronto soccorso.
Mangiate
qualcosa, fatti una doccia, quello che vuoi. Ma nel giro di un'ora al
massimo
dobbiamo andarcene da qui»
Jay divenne subito più attenta.
«Ci hanno trovati? Di già?» chiese
allarmata.
«No, ma non si può mai sapere» rispose
Bucky. Si accostò alla
finestra, controllando che non ci fosse nessuno nei paraggi.
«E tu? Che farai?» «Mi
procurerò un... passaggio.
E qualche altra cosa che potrebbe esserci utile. Vedi
quell'incrocio laggiù, dopo quella strada?»
Indicò il punto con l'indice della
mano destra.
Lei si alzò e gli andò vicino, non senza un
istante
d'esitazione.
«Lo vedo, ci sono» affermò.
«Vi aspetterò lì. Non più di
un'ora, ricordatelo»
La guardò per un attimo, come se stesse valutando se
aggiungere qualcos'altro, ma alla fine scosse la testa,
scavalcò il davanzale e
si lasciò cadere di sotto.
Jay rimase a guardarlo mentre voltava il capo a destra e a
sinistra, attento ad ogni minimo particolare che potesse risultare
ostile, e
poi correva oltre l'angolo della strada sparendo dalla sua visuale.
Quando non
riuscì più a vederlo, tornò dentro e
si accostò al letto.
«Ehi, Vit» chiamò scuotendo leggermente
l'amico. «Vit, su,
svegliati. Dobbiamo andare»
Lui si tirò su di scatto, esclamando un “che
succede?” in
tono allarmato. Si calmò all'istante non appena la vide.
Jay gli riassunse rapidamente le istruzioni che Bucky le
aveva dato, e Vit inarcò le sopracciglia.
«Vuoi dargli retta?» domandò sorpreso.
La ragazza si morse il
labbro, indecisa se parlare o meno.
«Ieri...» disse alla fine. «Dopo che ti
sei addormentato, io
e lui abbiamo parlato per qualche minuto»
«Ti ha minacciata?!» chiese subito Vit, arrabbiato.
«No, no!» si affrettò a negare lei,
mettendo le mani avanti.
«Anzi. Credo... credo che abbia ricordato qualcosa»
Prese un bel respiro,
abbassando lo sguardo.
«Credo si sia ricordato me»
Il ragazzo s'irrigidì all'improvviso.
«Il laboratorio?»
«No. Quando ero piccola»
«Jenn, se qualcos'altro gli tornasse in mente...»
«Andrà tutto bene, Vit» gli
assicurò la ragazza.
«Non puoi esserne certa» replicò lui.
«Jennifer, tu non gli
hai mai fatto davvero del male, ma io...» Portò
una mano a coprirsi gli occhi,
il volto contratto in una smorfia di rimpianto.
«Io ero quello che attivava l'elettroshock, ero... ero il
carnefice, Jenn. E fino a che tu non sei venuta a parlarmi sono stato
convinto
che era giusto farlo, che non c'era nulla di sbagliato nel privare un
uomo di
tutto quello che lo rende tale. Se lo sapesse... mi ammazzerebbe, Jenn,
mi
ammazzerebbe senza pensarci due volte»
Jay gli posò una mano sulla spalla.
«Andrà tutto bene» ripeté.
Gli fece alzare il viso, sorrise e lasciò un bacio leggero
sulla guancia del ragazzo.
«Su, che ne dici di dare un'occhiata a quelle
ferite?»
Allora.
Sono tornata, sì.
Questo capitolo è un po' (molto) più lento
rispetto ai precedenti, pieno di dialoghi e forse persino noioso, ma
necessario ai fini della comprensione della trama. I prossimi andranno
meglio, spero.
Ovviamente, il romanzo al quale Jay si riferisce è "Il
Richiamo della Foresta"
di Jack London.
Keyla
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