Once upon a Time in Otherland

di ChrisAndreini
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1: L'inizio della fine ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2: Un pregiudicato senza pregiudizi ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3: Meglio fuori che dentro ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4: Un guardiano speciale ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5: La storia di due sorelle ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6: L'avventura di due ranocchi ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7: I pirati sanno essere molto vichinghi ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8: Matrimonio (s)combinato ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Once upon a Time in Otherland

Prologo

 

Questo non è l’inizio, ma l’introduzione.

Non narra le avventure dei nostri eroi, né le loro origini.

Ci sarà tutto il tempo, nei vari capitoli, di farvi capire la storia, gli intrecci e le varie complicazioni e differenze.

Qui vi voglio avvertire, non so cosa voi sappiate dei vari racconti che vedete nei film, Otherland ne racchiude la maggior parte, storie prese e riadattate, separate e cambiate per il benessere e l’allegria dei bambini.

Ma non è tutto come sembra, non è tutto come ci viene raccontato.

Perché, per quanto ad Otherland il lieto fine arriva sempre, come avrete modo di osservare, non sempre arriva ai buoni.

Tutti hanno luce e oscurità all’interno di se.

Persino “lui” una volta era cattivo, è stato infatti “lui” a creare il sortilegio che ha permesso la trascrizione di questa storia.

Si narra, infatti, che “lui” fu il cattivo più pericoloso di tutti i tempi, temuto in tutti i regni, ma che un giorno abbia deciso di cambiare, di redimersi, e sia diventato l’uomo più buono di Otherland, in particolare dei cinque regni.

Certo, io non so quanto ci sia di vero in questa storia, ma fidatevi se vi dico che non siete mai arrivati così vicini alla verità come in questo momento.

Perciò mettetevi comodi, assicuratevi che orecchie indiscrete non ascoltino, e iniziate a leggere, non ve ne pentirete.

Anonimo

 

 

(A.A.)

Ho trovato questo vecchio libro mentre riordinavo in cantina, e mi sembrava doveroso farvi partecipi della sua interessante storia.

Ogni capitolo tratta una storia diversa, ma state certi, sono così collegate tra loro che quasi non sembra.

Lo so, non avrei dovuto scrivere un’altra storia, ma non ho potuto farne a meno.

Domani posterò il primo capitolo, e spero che questa storia vi piaccia.

P.s. L’idea è presa dalla serie televisiva C’era una volta, ma è molto personalizzata e diversa.

N.B. In ogni capitolo si alternano il presente e il passato, perché c’è una parte che si svolge nel presente e una che si svolge nel passato.

 

Buona lettura!

 

 

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1: L'inizio della fine ***


Once upon a Time in Otherland

Capitolo 1: L’inizio della fine

Otherland.jpg

“Ti voglio talmente bene cara”

“Ed io anche di più”

“Ed io anche più del tuo più”

-Rapunzel

 

Gothel osservava da lontano il palazzo dei reali, coperta dal suo solito mantello nero come la notte.

Era decisa a richiedere vendetta per ciò che le era stato fatto, ma ancora non sapeva come.

-Bella vista, vero?- una voce suadente la fece voltare di scatto.

-Pitch, non hai niente di meglio da fare?- gli chiese lei, acida.

-E’ passato un anno e mezzo, pensavo avresti già voltato pagina a questo punto. O vuoi forse dirmi che ti eri affezionata alla ragazza?- la prese in giro l’uomo nero.

-Non osare insinuare una cosa del genere!- esclamò lei, chiudendo le tende e facendo piombare la stanza nella totale oscurità.

-Come è andata la tua… invasione totale dei cinque regni?- chiese poi, in tono di scherno.

L’uomo nero si rabbuiò.

-Questo è un colpo basso pure per i tuoi standard- commentò.

-I miei standard si sono abbassati- la signora si strinse il cappuccio.

-Sono stato battuto da temibili avversari, e non avevo tenuto conto di “lui” nei miei piani- cercò di giustificarsi Pitch, lanciando un’occhiata di disprezzo verso l’alto.

-Andiamo dritti al sodo, che ci fai qui?- tagliò corto la donna, in tono seccato.

-Non posso neanche venire a trovare una vecchia amica?- chiese l’uomo nero in tono falsissimo.

-Non siamo amici, lo sai bene, e se usare la magia non mi facesse così male saresti già fuori dalla mia proprietà- un ciuffo di capelli grigi sfuggì da sotto il cappuccio, e lei si affrettò a rimetterlo a posto.

-Credimi, preferirei volentieri stare fuori dalla tua oscura magione, ma hai ragione, ho bisogno di qualcosa- ammise lui con un ghigno -E solo tu puoi aiutarmi-

-Scordatelo, ho smesso di fare favori agli altri da tempo, lo sai bene- si avviò in cucina, per mettere a fare una tazza di tè, ma sopratutto per allontanarsi da quel viscido uomo.

-Lo so, ma i benefici non verrebbero solo a me- l’uomo la seguì.

-E cosa ci guadagnerei io, allora?- chiese la donna, scettica.

-Tutto: potere, giovinezza, Rapunzel- all’ultima parola la donna si girò a guardarlo, e lui la poté guardare in faccia.

Il volto giovane e bello di una volta aveva lasciato spazio a rughe informi, pelle macchiata e capelli bianchi, che ogni secondo sembravano sbiadire.

-Come?- chiese, interessata per la prima volta dall’inizio della conversazione.

L’uomo non riuscì a trattenere un sorrisetto di trionfo.

-Il sortilegio- rispose, con aria di chi la sapeva lunga.

-L’hai… l’hai trovato?- chiese la donna, incredula.

-Oh, si, e tu sei l’unica che può compierlo- rispose lui, appoggiandosi al muro.

La donna si voltò nuovamente di spalle, pensierosa.

-Ne sei certo?- chiese, poco convinta.

L’uomo, per tutta risposta, alzò una mano, e un libro comparve davanti alla donna, fluttuando a pochi centimetri dal suo naso.

-Il Libro del Potere?- chiese lei tra se e se.

-Tutto tuo, Fergus Dumbroch cercava di trasportarlo a Molto Molto Lontano, ma l’abbiamo preso prima noi- spiegò, mentre la donna lo prendeva tra le mani.

-Madrina?- chiese lei, per avere conferma dei suoi sospetti.

-Oh, si, con il figlioletto Azzurro, se fossi in te darei loro un bel po’ di potere, nel nuovo mondo- suggerì, la donna ridacchiò senza allegria, una risata fredda, penetrante.

-Chi ha detto che lo farò?- ma già passava le mani avida sul libro.

-Oh, io dico di si- provò a riprenderlo, ma la donna non lo voleva lasciare.

-D’accordo, ci penserò, e ti prometto una cosa, ogni cattivo avrà il suo lieto fine, nel nuovo mondo- strinse il libro a se.

-Così mi piaci, altruista, come tuo solito- l’uomo ghignò, sarcastico.

-Lasciami stare ora. Devo concentrarmi- contro ogni aspettativa dell’uomo nero, la donna alzò la mano, e lui venne buttato fuori dalla porta da una forza invisibile e potente.

La mano con la quale aveva eseguito l’incantesimo si coprì di macchie, ma a lei non preoccupava più questo problema.

Strinse più forte il libro, e si avviò nuovamente nella stanza con la finestra che dava sul palazzo dei reali.

-Preparati, Rapunzel, stai per tornare mia- promise, osservando dalle tende socchiuse la figura di una giovane ragazza dai capelli corti e castani correre a cavallo, diretta verso il porto.

***

-Roxanne, svegliati, hai scuola- la voce di sua madre le arriva ovattata da sotto le scale, ma Roxanne non vuole alzarsi, ha fatto un bellissimo sogno, e sta cercando di tenerlo in testa.

-Roxanne, sbrigati, non mi va di invecchiare ad aspettarti- Roxanne si decide ad alzarsi, ma tiene ancora gli occhi chiusi, nella speranza di tenere a mente quella meravigliosa immagine, che però sfugge velocemente via dalla sua testa.

“Luci fluttuanti, lanterne, un castello” cerca di tenere in mente l’immagine ripetendo quelle parole, ma essa sfugge via.

Roxanne sospira, apre gli occhi, e si avvia all’armadio, per scegliere i vestiti per un altro giorno di scuola.

-Roxanne, ti sei svegliata?- chiede la voce di sua madre dalla cucina, dove è intenta a preparare la colazione.

-Si, madre, mi preparo e arrivo-

Sceglie velocemente una camicetta bianca, una gonna viola lunga fino alle ginocchia e delle ballerine in tinta.

Poi va davanti allo specchio e lega i lunghissimi capelli biondi in una coda alta.

Prende la borsa di scuola e scende di corsa, diretta verso la cucina.

-Alla buon ora, sono invecchiata di cent’anni- la accoglie sua madre, girata di spalle verso i fornelli, mentre finisce di riscaldare il latte.

-Scusa, madre, è che ho fatto un bellissimo sogno- tenta di giustificarsi Roxanne, in tono sognante.

Sua madre si irrigidisce.

-Un sogno, ma Roxanne cara, lo sai che i sogni non fanno bene, te l’ho detto migliaia di volte- le ripete la madre, versando il latte dal pentolino alla tazza, e posandola davanti alla figlia, insieme ai cereali.

-Lo so, solo che… hai ragione, scusa- Roxanne abbassa lo sguardo.

-Brava bambina- sua madre le carezza il capo, poi si avvia nella stanza accanto.

La ragazza sospira, e mangia la sua colazione.

-Ah, tesoro, oggi non posso accompagnarti- la avverte la madre, Roxanne quasi sputa il latte a quella notizia.

-Andrò con l’autobus?- chiede eccitata e speranzosa.

-Cosa?- la madre fa di nuovo il suo ingresso nella stanza, mettendosi gli orecchini, guarda Roxanne confusa -No, certo che no, ti accompagnerà Norris con la limousine, e che ho una riunione con il signor Black, la signora Charme e il signor Diaz- spiega, dirigendosi verso il telefono e chiamando il suo assistente personale, il signor Norris Lawrence, chiamato da tutti “Schiavetto personale del sindaco e in casi particolari del signor Black” 

-Sai, madre, mi chiedevo… insomma, povero signor Lawrence, ha il lavoro da sbrigare e non può portarmi a scuola con così poco preavviso, perciò, magari potrei… insomma, lo fanno tutti i miei compagni, e…- comincia a borbottare Roxanne, sua madre la interrompe.

-Roxanne, quante volte te l’ho detto, non mi piacciono i borbottii: bla bla bla, è davvero irritante, non trovi? Inoltre sono al telefono, e non si disturba una persona mentre è al telefono, te l’ho detto migliaia di volte.- Roxanne abbassa lo sguardo, arresa, proprio in quel momento dall’altro capo della cornetta un uomo risponde.

-Pronto, Norris. Si, sono io. Vieni a prendere Roxanne…. Non mi interessa se il signor Black ti ha chiesto di venire, sono io il sindaco… bene… bene… ecco, così mi piaci… no, tra dieci minuti è troppo, vieni ora… non mi importa se c’è traffico… ti concedo cinque minuti… va bene… arrivederci- e chiude la telefonata, con un sorriso soddisfatto.

-Perfetto, sei pronta?- chiede alla figlia, ma quando nota la ciotola ancora piena mette le mani sui fianchi, indispettita.

-Roxanne, sbrigati, non vorrai fare tardi a scuola- la rimprovera.

-Ma, madre, mancano ancora tre quarti d’ora all’inizio della scuola, magari, pensavo che oggi potrei fare colazione al Vampire’s Café- prova a chiedere, incrociando le dita, con un sorriso speranzoso.

-Quante volte ti ho detto che non devi pensare?- il suo sorriso svanisce.

-Migliaia- risponde, apatica, mangiando un’altra cucchiaiata di cereali.

-Brava bambina- e dopo tre colpetti sulla capo, la madre prende la giacca e si avvia fuori dalla porta.

-Buona giornata, fiorellino- le augura con vocetta squillante, sbattendosi la porta alle spalle.

-Anche a te- la voce della ragazza è triste e bassa, prende un’altra cucchiaiata, ma ha lo stomaco chiuso, e decide di lasciar perdere.

Ormai le giornate sono tutte uguali, tutte oscure e prive di gioia, e la cosa che più triste è che le sue giornate sono così da che riesce a ricordare, probabilmente da tutta la vita.

Non ha amici perché sua madre non le permette di averne, è evitata come la peste perché è la figlia del sindaco, e tutti la considerano viziata, snob o chissà che altro.

Quanto vorrebbe poter vivere in libertà, ma è rinchiusa in una torre che sua madre ha costruito intorno a lei, mattone dopo mattone.

Sente il campanello, e si rassegna alla giornata che sta arrivando.

-Signorina Goth, sono io, mi apra- Roxanne sospira, si alza, prende la borsa e si avvia alla porta.

-Eccomi signor Lawrence- apre la porta, mostrando un sorriso. E’ riconoscente per quello che lui fa per lei, o almeno dovrebbe esserlo, e ci prova con tutte le sue forze.

-La scorto alla limousine- con un mezzo inchino un po’ impacciato per via della pancia ingombrante, le fa strada verso la macchina.

Eppure non può fare a meno di pensare che, se non ci fosse quell’assistente impacciato e grassoccio, lei potrebbe andare a scuola come tutti, e, magari, potrebbe anche rimediare degli amici.

***

-Cosa diavolo significa “Hai sbagliato un ingrediente”?- chiese incredula la donna, lanciando un getto di fiamme contro l’uomo nero che aveva avuto la cattiva idea di criticarla.

-Mi pareva di essere stato abbastanza esplicito- rispose lui, deviando le fiamme con un ghigno.

-Ho eseguito tutto alla lettera- ribatté lei, sbattendo un pugno sul tavolo, e pentendosi subito di averlo fatto per il dolore alla mano che ne è conseguito.

-Devo dire schiettamente che sei invecchiata moltissimo negli ultimi sei mesi, e che credo sia il caso di usare meno magia, se non vuoi morire prima di compiere la tua vendetta- la mise in guardia l’uomo, la donna, furibonda, gettò contro di lui altre fiamme, sempre evitate con facilità.

-E cosa avrei sbagliato, sentiamo?- chiese poi, incrociando le braccia.

-Il capello, devi mettere un capello della persona che ami di più al mondo- rispose lui.

-Dove vuoi arrivare? L’ho fatto, ho messo un mio capello. O vuoi forse dirmi che devo mettere un mio capello da giovane? Perché, se non l’hai notato, ne sono sprovvista- ribatté acida.

-Poniti solo questa domanda: Sei davvero tu la persona che ami di più al mondo?- e con uno schiocco di dita, l’uomo nero scomparve, lasciando basita la donna.

Ella si avviò velocemente al tavolo della cucina, e, sedutasi al vertice, prese il Libro del Potere, per sfogliarlo nuovamente in cerca della formula per il sortilegio.

“Una mela d’oro raccolta da mani che non temono nulla”

Ce l’aveva, ne aveva addirittura due, prese da quell’insulsa principessina in cambio della pozione.

“L’oggetto oscuro preferito dalla persona che compie il rito”

Il suo mantello, ovviamente, il suo accessorio oscuro più amato, che le aveva permesso di nascondersi anche nella luce.

“Sangue di un ragazzo privo di pregiudizi”

Era riuscita a raccogliere pure quel particolare ingrediente, durante la breve schiavitù di quel ragazzo.

“Una lacrima di chi ha perso il proprio passato”

Questo particolare ingrediente l’aveva preso l’uomo nero per lei, e in cambio si era fatto promettere un ruolo davvero potente nel nuovo mondo.

“Un capello della persona più cara a colei che compie il rito” 

Questo ultimo ingrediente aveva pensato fosse un suo capello. Dopotutto, chi altri poteva amare se non se stessa.

Eppure… magari c’era una persona che forse amava, una ragazza.

Scosse la testa, no, lei non la amava, ma amava i suoi capelli, e forse poteva provare con uno di essi.

-Ma come prenderlo?- si chiese, pensierosa.

***

-Sa, Signor Lawrence, magari potrebbe lasciarmi qui, mi piace camminare, potrei farlo fino a scuola- prova a convincerlo Roxanne.

-Non saprei, signorina Goth, sua madre non vuole che si avventuri da sola per la città- ribatte titubante il signor Lawrence.

-Ma la scuola è dietro l’angolo, la prego mi faccia scendere qui- ma Norris teme molto più il sindaco di sua figlia, e non ha intenzione di rischiare la sua rabbia. Non risponde nemmeno.

Roxanne sospira, rassegnata, sospira quotidianamente, la povera ragazza, e Norris non può fare a meno di dispiacersene, almeno un po’.

C’è una cosa buona da dire riguardo all’anticipo di sua madre, almeno nessuno la guarda scendere dall’auto di lusso, eccezion fatta, naturalmente, dell’insegnante Eleanor Donner e dei suoi figli: la diciassettenne Marlene e i gemelli di sei anni Hugo, Harold e Hector.

Roxanne scende velocemente dall’auto, per non dare troppo nell’occhio, ma le cinque figure non sono interessate a lei.

-Marlene, non riesco a credere che tu ti sia vestita in questo modo sconcio, se non fossimo stati in totale ritardo ti avrei fatta cambiare- l’insegnante sgrida la figlia, che non la sta neanche ascoltando.

Mastica una gomma con una cuffietta nell’orecchio.

E’ vestita con pantaloncini jeans corti e strappati, una maglietta verde a maniche corte e una felpa legata in vita.

Ai piedi porta converse nere.

Alza gli occhi al cielo, poi guarda Roxanne come a dire “Ma senti un po’ questa pazza!”

Marlene è l’unica ragazza della sua classe che non sembra guardarla con disprezzo o paura.

O meglio, lei e Fred, il suo migliore amico. Anche se Fred più che altro non la guarda, da quello che Roxanne sa.

-Marlene, stammi a sentire quando parlo- Eleanor cerca di attirare l’attenzione della figlia, ma proprio in quel momento il pulmino della scuola accosta al marciapiede, e tutti i ragazzi scendono, distraendo ulteriormente l’attenzione di Marlene, che si precipita nella folla alla ricerca del suo migliore amico.

-MARLENE!- prova a richiamarla l’insegnante, ma è inutile.

Sospira rassegnata, Roxanne la guarda dispiaciuta, anche lei sospira spesso.

Quasi tutti gli studenti passano il quarto d’ora prima delle lezioni a chiacchierare in cortile, alcuni tentano la sorte e passano al Vampire’s Café per una rapida colazione, dato che non è molto distante.

Ma Roxanne è una dei pochi che va direttamente in classe, dato che si sente a disagio in mezzo agli altri, non conoscendo nessuno.

Supera velocemente il gruppetto dei popolari capitanato da Austin Charme e si rintana nella scuola, precipitandosi in classe.

Ma è distratta, e finisce per andare a sbattere contro qualcuno.

-Oh, santo cielo, mi dispiace- prova a scusarsi, lo scontro ha fatto cadere tutti i fogli al povero Harry Hill.

-Non preoccuparti, sul serio, è stata colpa mia, ero distratto- il ragazzo inizia a raccogliere i fogli, Roxanne, rossa come un peperone, si china ad aiutarlo.

-No, è stata colpa mia, non vedevo dove mettevo i piedi- sospira, mentre finisce di raccogliere i fogli.

-Beh, è stata colpa di entrambi, mettiamoci una pietra sopra, d’accor…?- Harry si alza sorridendo timidamente, stringendo i fogli, ma quando posa lo sguardo sulla sua interlocutrice  sgrana gli occhi.

-Oh, Roxanne Goth, non mi ero accorto che fossi tu- sussurra quasi tra se e se.

-Era meglio se non te ne accorgevi- borbotta la ragazza -Tieni i fogli, a che ti servono?- prova a chiedere la ragazza, mordendosi un labbro.

-Sono i registri della biblioteca, lavoro lì part-time, e dovevo riordinare i registri per questo pomeriggio- risponde Harry, cercando di rimediare alla figura fatta prima, per fermare un po’ l’imbarazzo.

-Oh, mi dispiace, sono tutti disordinati adesso- Roxanne porta una mano alla bocca, mortificata, Harry prova a sorridere.

-Non preoccuparti, li riordinerò, ho ancora dieci minuti prima del suono della campana- prova a sminuire il lavoro che lo attende, ma Roxanne si sente così in colpa.

-Posso aiutarti?- chiede, sperando di rimediare al suo errore.

-Ehm…- Harry sembra piuttosto titubante ad accettare l’aiuto della figlia del sindaco, ma osservando l’espressione speranzosa di Roxanne, capisce che la ragazza vuole solo aiutarlo, e, chissà, magari, e dico magari, potrebbe anche nascere una piccola amicizia.

Harry cerca di non darsi speranze, ma gli piacerebbe avere un’amica, quasi quanto a Roxanne piacerebbe avere un’amico.

-Certo, perché no?- le sorride, e si avviano in classe, per far fruttare i dieci minuti prima dell’inizio delle lezioni.

Strano a dirsi, ma a Roxanne, quei minuti solitamente infiniti, ora sembrano davvero troppo pochi.

***

Rapunzel era seduta sulla banchina del porto, in attesa della nave proveniente da Arendelle.

Era quello il momento perfetto per colpire, quando era sola, disarmata, e priva di sospetti.

Ma la donna che una volta era stata sua madre sentiva che qualcosa non andava, non poteva essere così facile.

La principessa osservava cupamente l’orizzonte, evitando accuratamente di posare lo sguardo alla sua destra, nel punto dove aveva perso una delle cose più importanti della sua vita.

Anche Gothel non voleva osservare quel punto per simili ragioni, ma questo Rapunzel non poteva saperlo.

Era lì, infatti, che Rapunzel aveva sfidato Gothel, era lì che si era tagliata i capelli per allontanarsi dalla sua stessa madre.

A Gothel venne un’illuminazione.

Se era lì il luogo, forse qualche capello era ancora da quelle parti, magari incastrato alla pietra in modo tale che nessuno li avesse spazzati via.

Dopo due anni dall’avvenimento era una follia pensare una cosa del genere, ma Gothel voleva provare, era meglio inseguire capelli già staccati dal corpo piuttosto che trovare un modo di staccarne altri, sopratutto a una principessa.

Gothel continuò comunque ad osservarla: i suoi occhi erano persi nell’oceano, i piedi in ammollo nell’acqua, i capelli, ora corti e castani, erano scompigliati nel vento.

Quando una nave comparve all’orizzonte la ragazza sobbalzò, sorrise, e si affrettò a correre in direzione del luogo dove avrebbe attraccato, senza neanche avere la decenza di infilare le scarpe.

Era comprensibile, la principessa Anna era stata ritrovata dopo mesi di assenza, ma Gothel, con il suo animo nero come la notte, non riusciva a capire la sua felicità.

Scosse la testa, e si ritirò nell’ombra, in attesa della sera.

E quando la sera arrivò, Gothel ne approfittò per scendere nel luogo dove era avvenuto tutto e rovistò in giro.

Usò la magia per farsi luce, invecchiando di qualche altro anno, e provò in tutti i modi a scrostare la superficie, per rinvenire qualche capello lungo e castano, ma le sue ricerche furono vane.

Sembrava che la zona fosse già stata controllata, come se avessero saputo le sue intenzioni.

Gothel si batté una mano sulla fronte.

Ma certo, chi altri se non “lui”.

Era probabile che “lui” avesse già allertato tutti i regni del suo piano, ma sarebbe servito ben altro a fermarla.

Dopo aver osservato il suo premio per tutto il pomeriggio, era decisa più che mai ad ottenere la sua vendetta.

Sapeva che era l’ultima occasione, aveva sufficiente magia per ancora cinque incantesimi, escluso il sortilegio, poi sarebbe diventata polvere.

Avrebbe rischiato?

Osservò la finestra, e scorse l’ombra della figlia perduta attraverso le tende.

Si, avrebbe rischiato qualsiasi cosa.

***

-Bene, allora se ti va puoi venire questo pomeriggio, sempre che tua madre te lo permetta, e che tu voglia. Insomma, non devi venire se non vuoi o non puoi- Harry farfuglia cose senza senso, mentre si preparano per tornare a casa.

Roxanne sorride, è stata una giornata divertente, dopotutto. Ed è davvero una meravigliosa novità.

-Sarebbe bellissimo, non so se riuscirò a convincere mia madre, ma davvero, mi piacerebbe molto- lui l’ha invitata a prendere un libro dalla biblioteca questo pomeriggio. 

Mentre riordinavano i registri lei si era interessata ad alcuni titoli, così lui aveva proposto di prestarglieli.

-Quindi, magari, a tra poco?- le chiede, Harry, speranzoso.

-Si, magari- gli risponde lei, prende la borsa e si avvia fuori dall’aula, con un ultimo cenno di saluto rivolto al ragazzo.

Quando esce dalla scuola con un sorriso tutto denti, sua madre capisce che c’è qualcosa che non va.

-Roxanne, va tutto bene?- chiede, leggermente preoccupata.

-Si, va tutto alla grande, madre. Mi chiedevo… non è che potrei andare in biblioteca questo pomeriggio?- chiede con un sorriso.

Alla signora Goth quasi viene un colpo.

-No, Roxanne, ma che diavolo mi stai chiedendo? Ti ho detto migliaia di volte che non devi leggere. Ti isoli dalla realtà e non capisci più niente- la mette in guardia. Il sorriso di Roxanne svanisce.

-Oh- doveva immaginarlo, sua madre non la farà mai felice, deve esserci abituata ormai. Eppure lei vuole così tanto un po’ di felicità, e questa sembrava l’occasione perfetta.

Le viene un’illuminazione, non sa se funzionerà, ma tanto vale provare.

-No, perché, sai… è per una ricerca di scuola- mente, mordendosi il labbro inferiore.

-Ah, si?- chiede la madre.

-Già, dobbiamo fare una ricerca in biblioteca su… l’importanza delle cariche amministrative dal titolo “Perché abbiamo bisogno del nostro sindaco”- inventa sul momento, probabilmente è una storia che non sta in piedi, ma non sa che altro fare.

-Ah, bene, mi dici che libri devo prenderti e io te li procurerò, ora sali in macchina- le ordina, indicando la portiera.

-Ma... io… pensavo…- ma si interrompe, alla madre non piacciono i borbottii.

-Cosa pensavi?- chiede lei, con sguardo indagatore.

-Che magari potevi accompagnarmi in biblioteca, lasciarmi lì per un’oretta e poi venirmi a riprendere, così non ci saranno libri in casa- prova a proporre, mordendosi il labbro fino a ferirlo.

-Bene, buona idea, posso restare accanto a te e…- inizia la madre, ma Roxanne la interrompe nuovamente.

-Ma da sola ci metterei anche meno tempo- prova a ribattere, il labbro inizia a sanguinare, ma lei non ci fa caso.

Sua madre sembra rifletterci un po’, sale in macchina, accende il motore, va in retromarcia per il vialetto di scuola, poi, quando è quasi in strada, si decide a dare il suo verdetto.

-D’accordo, ma hai un’ora, non un minuto di più- Roxanne può tornare a respirare. E’ la prima volta che mente a sua madre, e per quanto ci sia il senso di colpa, avverte anche una strana euforia. Potrà avere un’ora per se, in biblioteca, e non riesce proprio a crederci.

Torna a sorridere.

-Grazie, madre- e la donna non può fare a meno di chiedersi perché sia eccitata e felice per una ricerca in biblioteca.

***

Gothel si avvicinò con sicurezza alle porte del castello.

Le guardie si guardarono un attimo confuse, prima di sollevare le spade.

Gothel alzò la mano, e usò il primo incantesimo: sonno sulle tutte le guardie del castello.

Tutti i soldati caddero contemporaneamente in un sonno profondo, lasciando libera strada alla donna.

Ma l’incantesimo non funzionava per gli altri abitanti del castello: i reali e i servi.

Dai secondi non temeva nessun attacco, ma conosceva il re Edward e temeva sopratutto i loro ospiti, o meglio, uno dei loro ospiti.

-Ferma lì- la regina Elsa, arrivata quella mattina con la nave che Rapunzel aveva atteso con grande trepidazione, le sbarrò la strada, alzando una mano e facendo comparire dei muri di ghiaccio intorno a loro.

-Salve, regina, i miei ossequi. Spero si stia godendo la ritrovata sorella, perché non avrà molto tempo per farlo- 

Sollevò entrambe le mani, e prima che Elsa potesse in alcun modo attaccare nuovamente, sprigionò un getto di fuoco, che sciolse i muri e colpì la regina, soffocandola.

-Mai giocare con il fuoco- l’avrebbe voluta uccidere definitivamente, ma Elsa non era sua nemica, e le aveva fatto un enorme favore involontario, due anni prima.

La lasciò lì a tossire e velocemente si avviò verso le scale che portavano in camera di Rapunzel.

Le mancavano ancora tre incantesimi, ma era positiva, ce l’avrebbe fatta, se lo sentiva.

Salì velocemente le scale, diretta verso la camera della figlia, ma la trovò sbarrata da due uomini, Edward Crown e Kristoff Bjorgman, con le spade sguainate.

-Edward, che piacere rivederti, caro- salutò la figura più anziana.

-Non avrai niente da mia figlia, Narissa, puoi giurarci- la minacciò lui.

Gothel sorrise malvagia.

-Ero anche tua madre una volta, hai già dimenticato tutto?- chiese, fingendo tristezza.

Il re non se la bevve.

-Non sei mai stata mia madre, e non sei neanche la madre di mia figlia- attaccò con la spada, e Gothel usò il suo terzo incantesimo per farli da parte, ed entrare finalmente nella stanza.

-Ah, e comunque sono Gothel, per tua informazione, non più Narissa- disse al re, prima di sigillare la porta alle sue spalle.

Entrata usò anche il penultimo incantesimo per sigillare la porta, per evitare che qualcuno la disturbasse, poi si guardò intorno, per cercare la figlia.

-Rapunzel- la chiamò, con la sua solita vocetta squillante.

Sentì un gemito venire da dietro le tende, e vi si precipitò velocemente.

Appena le aprì la vide.

I suoi occhi verdi erano spalancati in un’espressione terrorizzata, era accucciata a terra, e teneva le mani sui capelli, per impedire che qualcuno glieli portasse via.

Gothel voleva usare l’ultimo incantesimo per prendere i capelli alla figlia, ma esitò.

In fondo, dopo averli presi, doveva assolutamente trovare un modo di scappare, e non poteva farlo senza la magia.

Fuori dalla porta la donna iniziò a sentire i tonfi degli uomini che cercavano di abbattere la porta.

Non aveva molto tempo.

-Rapunzel- cercò di attirare l’attenzione della figlia con voce dolce, ma lei la osservava spaventata, e con le lacrime agli occhi.

-Non ti darò i miei capelli, non più- scosse la testa, stringendo ancora più forte le mani sui capelli, e strisciando sul pavimento per allontanarsi dalla donna.

-Rapunzel, me ne basta uno solo, altrimenti morirò entro l’alba- se c’era una cosa che sapeva della figlia era che non avrebbe mai lasciato morire qualcuno, se poteva evitarlo, chiunque esso fosse. Aveva un cuore schifosamente buono e generoso.

La ragazza, infatti, sgranò gli occhi.

-Vuoi lasciarmi morire, Rapunzel?- chiese dolorosamente la donna.

-Non hanno più poteri, non puoi tornare giovane- ribatté la ragazza.

-Hanno il potere che mi serve, ed ora, dammeli!- porse la mano, decisa a prendere l’ultimo ingrediente.

-Vuoi distruggere tutti noi, io non posso permetterlo- la ragazza si guardò intorno, prese una padella dal comodino più vicino e la sollevò davanti a se, pronta a difendersi.

-Non so cosa “lui” ti abbia detto, ma voglio rendervi tutti immortali, non voglio distruggere niente, vuoi davvero lasciarmi morire, fiorellino?- chiese, in tono addolorato.

Rapunzel non sapeva che fare, le sua mani tremavano, era totalmente indecisa, là, davanti a lei, c’era la donna che l’aveva tenuta schiava nella torre per quindici anni, che l’aveva sfruttata per essere immortale, che l’aveva allontanata dal mondo e dalla sua vera famiglia per vendetta e per egoismo.

Eppure, per quei quindici anni, era stata sua madre, e lei, nonostante tutte le cose orribili che aveva fatto, non poteva lasciarla morire, non poteva.

Abbassò tremante la padella, poi portò una mano ai capelli, Gothel la fissava incredula, come se non riuscisse a credere di essere riuscita a convincerla.

Rapunzel, con le lacrime che iniziavano a rigarle le guance, si staccò un capello, e chiudendo gli occhi e voltando la testa in modo da non osservare ciò che stava facendo, tese il braccio, porgendolo alla strega.

Gothel, prese, come fosse il tesoro più prezioso del mondo, il capello in mano, poi sorrise, soddisfatta e malevola.

Rapunzel ritirò il braccio, e iniziò a singhiozzare.

Si sentiva debole, stupida, sapeva che non avrebbe dovuto farlo, ma non era riuscita a rifiutare.

In quel momento la porta si spalancò, e tre figure si riversarono all’interno della stanza.

Edward e Kristoff davanti a tutti, che si precipitarono verso la vecchia donna.

Poi Anna, che subito andò da Rapunzel per accertarsi delle sue condizioni.

-Gothel, non hai modo di scappare- gli urlò contro re Edward -I confini del castello non permettono il teletrasporto- le ricordò, ma lei osservava il capello con trionfo, e nessuno, neanche re Edward, glielo avrebbe portato via.

-Oh, lo so bene, ma avete perso- mostrò il capello alle tre nuove comparse, che sgranarono gli occhi, poi, prima che il re potesse gettarsi contro la donna, ella indietreggiò, e si buttò giù dalla finestra, usando l’ultimo incantesimo per teletrasportarsi a casa, nel suo castello.

-NO!- esclamò il re, con rabbia.

-Mi dispiace, papà- Rapunzel era sopraffatta dai singhiozzi, mentre Anna la stringeva a sè, cercando di calmarla.

-Ti ha fatto qualcosa? Stai bene? Quella maledetta strega!- il re si avvicinò alla figlia rinfoderando la spada, per controllare le sue condizioni.

Rapunzel annuì.

-Sto bene, è solo colpa mia, gliel’ho dato io- si prese la testa tra le mani, il re era incredulo.

-Sarebbe morta se non glielo avessi dato, non potevo ucciderla- continuava a piangere.

-Non preoccuparti, Rapunzel, hai fatto ciò che è giusto, vero zio?- provò a consolarla Anna, rivolgendosi poi a Edward

Il re si arrese.

-Anna ha ragione, non potevi fare altrimenti- ma lo disse solo per consolare la figlia, non lo credeva davvero.

***

-Roxanne, fatti trovare qui davanti per le cinque e mezza precise, io devo andare al Vampire’s Café per parlare con il signor Davis, e ricordati che non voglio che tu prenda nessun libro- le rammenta, Roxanne annuisce convinta, prende la borsa con il necessario per la “ricerca” e si avvia in biblioteca, felice coma una pasqua.

La signora Goth, però, non è ancora molto convinta dalla situazione, e si avvia verso il Vampire’s Café per beccare la professoressa Donner, e chiederle la verità sulla ricerca.

Roxanne non è preoccupata da ciò che potrebbe scoprire la madre, dato che ha già la bugia pronta, perciò entra in biblioteca senza particolari pensieri negativi.

Per fortuna è un luogo abbastanza vuoto, ad eccezione di Greg il bibliotecario e di Harry.

Greg, che sta parlando con Harry e che tiene tra le braccia sette pesanti volumi, a vedere Roxanne sobbalza, e fa cadere tutto.

-Oh, santo cielo, la figlia del sindaco!- esclama, chinandosi per raccogliere i libri.

-Ciao Roxanne- la saluta Harry, non riesce a credere che sia venuta.

-Ciao Harry, allora, mi fai fare il giro?- chiede, lui sorride.

-Certo-

Passano una splendida mezz’ora a parlare e a cercare il libro giusto, finché non arriva un messaggio al cellulare di Roxanne.

“Non c’era nessuna ricerca, arrivo tra dieci minuti e facciamo i conti” il cuore della ragazza perde un battito.

-Mi dispiace, devo andare- sospira.

-Perché, che è successo?- chiede Harry, mentre riordina un libro nel settore praticamente vuoto delle fiabe.

-Per venire qui ho detto a mia madre che dovevamo fare un compito, beh, deve aver scoperto che non è vero- confessa, tristemente.

-Cavolo, mi dispiace, e solo colpa mia, non dovevo invitarti a venire. Sono stato uno stupido- si autocommisera il ragazzo, dispiaciuto.

-No, figurati, mi sono divertita come mai nella vita. Vorrei solo poter portare un libro a casa- si rammarica, ma non ha trovato il libro giusto, anche se ha il modo di portarlo a casa con una tasca segreta nella borsa.

-Sai, ne vorrei uno fiabesco e pieno di avventure, con personaggi buoni e cattivi, dove il bene trionfa sul male e i personaggi buoni hanno il loro meritato lieto fine- spiega a Harry.

Il ragazzo ci riflette un po’, il settore delle fiabe è praticamente vuoto, hanno solo un paio di libri, ma lui l’altro giorno ne ha iniziato a sfogliare uno che sembrava perfetto per lei.

Si arrampica sulla scala per arrivare allo scaffale più alto.

-Che stai facendo?- chiede confusa Roxanne.

-Bingo!- esclama per tutta risposta Harry, tirando fuori dallo scaffale un volume impolverato dal titolo semplice quanto banale: “Otherland”

Poi scende, tenendo stretto a se il volume.

-Cos’è?- chiede Roxanne, confusa.

-E’ un libro di fiabe, fiabe diverse, ne ho lette un paio l’altro giorno, sembra molto bello e ci sta perfetto nella tasca segreta- Roxanne prende in mano il libro, sembra vecchio ed è impolverato, come se nessuno lo leggesse da tempo.

Sente un brivido lungo la schiena al contatto con il cuoio freddo della rilegatura, e capisce che quel libro è giusto per lei.

-Grazie- gli sorride, aprendo la borsa per far scivolare il libro al suo interno, non sembra pesare molto di più.

-Mi dispiace ancora per quello che è successo- si rammarica Harry.

-Non è colpa tua, ma di mia madre- taglia corto Roxanne.

-Anzi, devo davvero ringraziarti, senza di te questo sarebbe stato un altro noiosissimo pomeriggio come gli altri- Harry sorride, felice nell'udire quelle parole.

-Allora, ci vediamo a scuola, ok?- la saluta, con una stretta di mano.

-A domani- e la ragazza, controllando l’orologio, esce dalla biblioteca.

Un minuto dopo l’auto della madre fa la sua comparsa, e Roxanne sale con la testa bassa.

-Roxanne, perché mi hai mentito, esigo una spiegazione- comincia la madre, mentre riavvia l’auto per tornare a casa.

-Non ti ho mentito, ho capito male io- mente nuovamente lei, sta iniziando a prenderci la mano -Quando sono entrata in biblioteca un ragazzo della mia classe mi ha detto che non c’era la ricerca- abbassa lo sguardo.

-E perché non mi hai chiamata subito?- chiede la signora Goth, che non sa se fidarsi o meno delle parole della figlia.

-Perché ho avuto paura che mi sgridassi per aver capito male, e poi dovevi parlare con il signor Davis, così ho deciso di aspettarti, per non farti perdere tempo, credo che come punizione possa bastare averti delusa- sua madre, però, non è ancora convinta.

-Apri la borsa, fammi vedere se hai preso qualche libro- Roxanne apre e il contenuto è lo stesso che all’andata: un quaderno, matite, penne e pastelli colorati, più il cellulare.

La signora Goth si arrende all’evidenza, sua figlia non ha fatto niente di male.

-D’accordo, fiorellino, ma la prossima volta chiamami subito, siamo intesi?- e dopo averle carezzato il capo come suo solito,  si concentra sulla strada.

Roxanne, silenziosamente, tira un sospiro di sollievo.

***

Gothel non riusciva a crederci, era fatta, il capello era nelle sue mani, ora bastava solo metterlo nella pozione, berla e tutto sarebbe stato perfetto.

Rise malvagia, non si era mai sentita così soddisfatta e potente in tutta la sua vita.

-Ti prepari al trionfo?- una voce severa la fece sobbalzare. 

Strinse con più forza il capello al petto, aspettandosi di vedere Pitch, o, in un’ipotesi molto negativa, “lui”.

Invece c’era solo…

-Divinatrice, cosa ci fa qui? non può fermarmi, ormai ho la vittoria in pugno- si avviò verso la cucina, dove il pentolone bolliva sul fuoco, pronto per ricevere l’ultimo ingrediente.

Ma la vecchia donna si teletrasportò proprio tra lei a la pozione.

-Non ho intenzione di fermarti, solo di avvertirti- Gothel la guardò scettica.

-Avvertirmi? Su cosa, esattamente?- chiese, alzando gli occhi al cielo.

-Il sortilegio funzionerà per molti anni, sarai la più potente della città, e avrai tutto ciò che il tuo cuore brama- cominciò la divinatrice.

-Continua- Gothel sorrise, bramosa di sentire altro sulla sua grandezza.

-Tuttavia… per la tua felicità hai preso qualcosa a quattro ragazzi innocenti, e loro decreteranno la fine di essa- continuò, in tono cupo, l’anziana donna.

-No, perché io lo impedirò- Gothel scansò da un lato la donna, e si avvicinò al pentolone.

-Rammenta solo le mie parole: quando l’orologio comincerà a funzionare, la tua fine sarà vicina, perderai tutto ciò che il sortilegio ti ha fatto guadagnare- la mise in guardia, ma Gothel non la volle ascoltare.

-Ciò non accadrà mai, avrò il mio “per sempre felici e contenti” e non finirà- mise il capello, e spense il fuoco sotto il pentolone.

-Beh, buona fortuna, Norma Goth- la Divinatrice scomparve, con espressione grave.

E Gothel, con una risata malvagia, si preparò a diventare la donna più potente della città.

***

Quando Roxanne torna a casa si precipita immediatamente in camera sua, chiude la porta, abbassa le tapparelle e prende il libro dalla tasca segreta.

-Otherland- legge il titolo, poi nota un sottotitolo che non aveva letto in biblioteca -Cronache dei cinque regni-

Lo apre, interessata.

Le pagine sono ingiallite dal tempo, ma le parole si leggono senza fatica.

Parte con l’introduzione:

“Queste storie sono realmente accadute, in un mondo diverso dal nostro ma ugualmente speciale.

Le storie contenute in questa raccolta sono tutte unite e importanti, e sono diverse dal solito.

Leggere per credere

Anonimo”

Roxanne sorride, poi sfoglia, e, dopo un’immagine con il titolo, ecco che parte con la prima storia: “Dragon”

Vorrebbe cominciare a leggere, ma sua madre la richiama per la cena.

Così, sbuffando, la ragazza nasconde il libro sotto il materasso, e scende le scale.

La signora Goth avverte uno strano formicolio alla base del collo, e si volta verso la finestra che da sulla piazza dell’orologio.

Osserva attentamente il grande orologio fermo da sempre sulla sommità della torre, e sgrana gli occhi.

Tic, tac, tic, tac, tic, tac, tic, tac.

Il respiro della donna si fa leggermente affannato, mentre si rende conto di una cosa: ha cominciato a funzionare.

E se ciò che ha detto la Divinatrice tanti anni fa è vero, la sua fine è vicina.

La donna scuote la testa, va alla finestra e chiude le tende.

Poi chiama sua figlia, per la cena.

Non accadrà, lei non non lo permetterà mai.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(A.A.)

Ed eccomi qui con il capitolo uno.

Spero davvero vi sia piaciuto e perdonatemi se l’immagine iniziale fa un po’ schifo, ma è il mio primo esperimento su photoshop.

Come potete vedere ogni capitolo ha delle parti al passato e delle parti al presente che si alternano.

Ci ho messo un po’ a fare il capitolo e il disegno, spero che il risultato vi piaccia, e non so quando aggiornerò il prossimo capitolo.

Spero davvero che questa idea strana piaccia e ribadisco che ho preso il sortilegio da C’era una volta, ma è l’unica cosa che ho preso.

Che altro… Madre Gothel non è morta come nel film (ci sono molte cose cambiate dal film, come anche l'età di Rapunze) e so che il padre di Rapunzel si chiama Thomas, ma l’ho cambiato volontariamente in Edward.

Le coppie saranno canon, vi dico solo questo, (ma anche no, muahahahahah)

Ma non temete, non saranno molto trattate nel presente, perciò spero che le Jackunzeliane e le Mericcupesi non smettano di leggere la fanfiction, perché ci saranno molte contraddizioni riguardo alle coppie, (insomma, sarà un macello totale)

Allora, al prossimo capitolo, e spero di aggiornare “I grandi quattro” nel weekend.

Baci a tutti, e alla prossima.

 

 

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 2: Un pregiudicato senza pregiudizi ***


Once upon a Time in Otherland

Capitolo 2: Un pregiudicato senza pregiudizi

 

Dragon.jpg

“Devi smetterla con tutto… questo”

“Ma scusa hai appena indicato tutto me”

“Esatto, smettila di essere te”

-Dragon Trainer

 

Hiccup Horrendus Haddock III, un nome che poteva sembrare nobile, o da capo clan, in realtà era semplicemente il figlio di Stoik Haddock, il più grande cacciatore di mostri e capo dell’esercito del regno di Dumbroch.

Chiunque, sentendo il suo nome per la prima volta, avrebbe potuto pensare a un ragazzo forte, potente, incredibile, sopratutto conoscendo la fama del padre, ma la verità è che Hiccup era, per chiunque lo conoscesse, una palla al piede.

Insomma, ci aveva provato, in tutti i modi, a fare cose buone, ma non ci riusciva.

Come quella volta che il padre lo aveva portato a caccia di troll, e lui, non si sa come, era riuscito a intrappolare lui, invece di uno di quei mostri.

O quella volta che, durante un attacco dei mostri, aveva accidentalmente distrutto le catapulte che dovevano essere l’arma principale dell’assalto.

Ormai il padre si era arreso, con lui, e l’aveva scaricato in bottega come apprendista del suo vecchio amico Skaracchio, preferendo addestrare altre reclute più promettenti.

Ma Hiccup non si era arreso, voleva ancora dimostrare al padre di essere capace di qualcosa, di riuscire a catturare e uccidere un mostro, possibilmente un drago.

Perché i draghi erano in assoluto le bestie più odiate da Stoik, non era certo un segreto, da quando un drago aveva ucciso la madre di Hiccup.

La sua occasione giunse sei mesi dopo la grande ghiacciata che aveva coinvolto tutti i cinque regni, che si era stato distruttiva non solo dal punto di vista agricolo, ma anche e sopratutto dal punto di vista militare.

Infatti, una dei maggiori alleati militari di Dumbroch era entrata in terreno neutrale, dato che, a detta della regina -Senza i mostri non sarei tornata a casa e non avrei imparato a controllare il mio potere- 

Certo, gli attacchi continuavano anche ad Arendelle, ma erano singoli, e non appartenevano all’armata Transylvania.

Sei mesi dopo, poi, anche Corona era uscita dall’alleanza, e Dumbroch si era ritrovata a combattere la grande guerra aiutata nell’attacco solo da Molto Molto Lontano e da Valdonia, anche se quest’ultima era molto poco utile, dato che l’armata nemica l’aveva soggiogata quasi del tutto aprendo la sede principale proprio in quel regno.

In questa situazione di terrore e incertezza era arrivato l’attacco che Hiccup aspettava con egoistica speranza.

Due giorni dopo il ritiro di Corona, Dumbroch era stata attaccata.

Hiccup era in bottega quando aveva sentito l’allarme, e il colpo che aveva preso inizialmente era stato quasi subito rimpiazzato dall’ansia di ciò che aveva programmato di fare.

Skaracchio subito si scosse dal lavoro, abbandonò tutto e prese la prima arma che gli capitò sotto tiro.

-Hiccup, io vado a rapporto, tu va al punto di ritrovo, sarai al sicuro- gli raccomandò, ma non restò abbastanza a lungo da sentire la risposta sarcastica del ragazzo.

-Certo, vado immediatamente al punto di ritrovo, sta sicuro- 

Appena appurato che non fosse di ritorno, cacciò fuori l’arma che aveva costruito nell’arco di tre mesi.

Data la sua incapacità di tenere in mano una qualsivoglia arma per più di venti secondi, aveva pensato che era meglio costruire un marchingegno che lo facesse per lui.

Uscì fuori con il macchinario, cercando di non dare troppo nell’occhio di mostri e guerrieri, e si aggregò a un gruppo di donne che si dirigeva verso il punto di ritrovo.

Poi svoltò a destra, e invece di dirigersi verso il lago si diresse verso il picco che ospitava il castello, gli serviva la visuale di tutto il villaggio se voleva riuscire a colpire il bersaglio e non morire nell’impresa.

Giunto a destinazione si asciugò il sudore dalla fronte, e riprese fiato, non era mai stato molto resistente nella corsa e nella camminata in generale, e inoltre il macchinario pesava davvero tanto.

Sentì un rumore di passi che si avvicinavano, e si nascose dietro le mura del castello, in tempo per scorgere velocemente un ombra che usciva da una delle finestre con un arco in spalla e velocemente si avviava verso la battaglia.

Non abbe il tempo di chiedersi chi fosse e cosa cercasse di fare, dopotutto aveva la sua missione da compiere.

Osservò il villaggio sotto di se, scorse zombie, che dopotutto non mancavano mai, lupi mannari, cavalieri senza testa e qualche drago.

I draghi erano molto indipendenti solitamente, come le streghe e gli stregoni, ma spesso aiutavano i mostri in alcune battaglie.

Hiccup mirò a loro, c’erano molti più draghi de solito, e voleva a tutti i costi prenderne uno, stupire il padre.

Passò in rassegna le varie specie che riusciva a riconoscere in quella confusione.

Gronchi, Bizzippi, Incubi Orrendi… le terza ipotesi era molto allettante…  poi lo vide.

Il drago che il padre cercava di uccidere fin da quando Hiccup era un lattante, fin da quando aveva perso l’amata moglie.

-Una furia buia- sussurrò Hiccup, l’unico drago che sembrava non potesse essere preso da nessuno, che nessuno aveva mai neanche visto, aiutava i mostri nell’ombra, in favore delle tenebre, e voci per il villaggio sostenevano fosse stato quella specie ad uccidere la madre di Hiccup.

Si preparò a colpire, prese bene la mira, verso quell’ombra che colpiva le armi degli uomini senza sbagliare un colpo, da lontano, poi, dopo l’ennesimo colpo andato a segno, Hiccup decise di rischiare, e usò la sua arma.

Venne sbalzato via nell’uso, ma appena si risollevò vide la bestia crollare lontano, nella foresta, verso il “Dente della megera”.

Si portò le mani tra i capelli, incredulo.

-L’ho… l’ho colpito!- stentava a riconoscere il suo operato, e non vedeva l’ora di dirlo al padre, di raggiungere la bestia a finalmente sentirsi apprezzato dal padre che aveva smesso di credere in lui.

Solo in quel momento, però, capì che non aveva un piano di fuga da quel luogo, non sapeva cosa fare da quella postazione, con l’arma da ricaricare e con i draghi che si precipitavano da lui dopo che si era fatto scoprire colpendo un loro compagno.

Mentre un Incubo Orrendo e un Bizzippo gli si avvicinavano minacciosi, ebbe solo il tempo di sussurrare un -Oh oh- e poi di allontanarsi in tutta fretta, correndo e cercando di tenere al sicuro l’arma nella folle discesa verso il villaggio.

Arrivato al villaggio capitò proprio in mezzo a un combattimento tra degli zombie e la Cacciatrice: l’alunna più promettente del padre, che però era sempre a volto coperto, celando la sua identità. Si sapeva solo che portava una lunga treccia bionda.

Le passò praticamente addosso, schiacciando uno zombie che la stava per attaccare alle spalle e facendola salire per sbaglio sul macchinario.

-Oh, per tutti i troll, scusami- provò a dirle, lei si premette di più il cappuccio sul viso, cercando un modo di scendere dall’assurdo marchingegno mentre Hiccup continuava a correre per superare i draghi.

-Ma cosa cavolo credi di fare?!- la ragazza gli inveì contro sollevando la spada come a volerlo infilzare.

-Mi dispiace, sto cercando di scappare da alcuni draghi, e non riesco a…- cominciò a giustificarsi lui, ma lei lo interruppe, cacciando un arco e caricandolo.

-Lascia fare a me- gli intimò, e colpì la prima bestia dritta in un occhio, facendola fermare.

Colpì poi il Bizzippo alla testa che spara l’acido, colpendolo in bocca mentre cercava di spruzzarlo contro di loro.

-Attenta alla seconda testa!- la mise in guardia Hiccup, prendendo il coltellino dalla tasca posteriore destra, e lanciandolo contro la testa, mancando di gran lunga il bersaglio, e colpendo invece il cappuccio della cacciatrice, forandolo.

-Oh, per la Luna, mi dispiace- provò ad aiutarla, ma lei gli allontanò la mano in malo modo.

-Se questo è il tuo modo di aiutare preferirei essere tua nemica!- esclamò, Hiccup sobbalzò a questa informazione, mentre a cacciatrice si sistemò al meglio il cappuccio per non farsi vedere e colpì la testa con la spada, mozzandola di netto e ponendo fine agli inseguimenti.

Hiccup si chiese per un momento perché mai la cacciatrice aveva bisogno di non essere vista e riconosciuta, ma decise di non rifletterci in mezzo alla battaglia, e di fermarsi per far scendere la povera ragazza.

Le porse una mano, ma lei saltò giù con un balzo, afferrò l’arco, la spada e se ne andò, salutando Hiccup con uno sgarbato:

-Sarà meglio che tu te ne vada, non hai speranze di sopravvivere se resti qui, non è il tuo posto- 

Hiccup però non voleva demordere, e approfittando dell’attimo di pausa ricaricò l’arma.

Ma prima che riuscisse a finire l’impresa una sagoma grande, grossa e inquietante lo prese da dietro, facendolo urlare spaventato.

Alzò gli occhi sul lupo mannaro che lo guardava con i suoi occhioni gialli e penetranti, e cercò di raggiungere l’arma, per magari farla scattare contro di lui.

Il lupo osservò il marchingegno, con curiosità, per poi sollevare Hiccup ancora più fuori dalla sua portata.

Il ragazzo si preparò a diventare un bocconcino per cani, ma un’ascia si conficcò nel petto del lupo prima che egli potesse fare alcunché.

-Hiccup, ma che fai qui fuori, va al punto di ritrovo- Hiccup individuò il punto da dove era partita l’ascia, e riconobbe la voce del padre.

-Pa… papà?- chiese, col fiato corto per la corsa, lo spavento e la battaglia in generale, ma si accorse di non essere stato il solo a dirlo, dietro di lui dei lupi poco più piccoli del lupo mannaro ferito gli si avvicinarono, con espressione spaventata e piena di dolore.

-Prendete l’arma e scappate- ebbe il tempo di sussurrare il lupo ai figli, prima di spirare tra le loro braccia.

Hiccup indietreggiò, senza mettersi in piedi, ma quando i lupi si fiondarono su di lui vennero allontanati dal padre, che lo aveva raggiunto.

I lupi rubarono l’arma che Hiccup aveva costruito con tanto impegno, e filarono nella notte prima che Stoik potesse attaccarli.

-Hiccup, che ci fai qui fuori?- lo aggredì il padre.

-Io… io…- cercò di riscuotersi, ma quella scena gli restava prepotentemente in mente.

-Non è questo il tuo posto, dovevi andare al punto di ritrovo- lo sollevò con una mano per metterlo bruscamente in piedi e lo spinse in direzione del lago.

-Ho preso una Furia Buia- provò a ribattere, mentre veniva spinto, ma per come lo ascoltava il padre, avrebbe pure potuto dirlo alle pietre.

-Va al punto di ritrovo!- si limitò infatti a rispondere in malo modo Stoik, alzando gli occhi al cielo come ad aggiungere “Ma perché proprio a me?”

Hiccup sospirò, e fece come gli era stato detto, nonostante la battaglia fosse al termine.

Era sconsolato, triste, abbattuto e anche confuso, in mente aveva due immagini: i lupi chini disperati sul corpo del padre, e gli stessi che rubavano l’arma che aveva costruito con tanto impegno sotto il suo naso.

***

La sveglia che suona trasporta Harry alla realtà, l’ultimo posto dove vorrebbe andare.

Si gira tra le coperte e spegne la sveglia con la mano, restando ad occhi chiusi per cercare di ricordare il sogno fatto.

Lui adora i suoi sogni, sono sempre stati fantastici da che riesca a ricordare, benché le trame, le immagini e i personaggi non si imprimono mai nella sua memoria, ma ultimamente riesce a ricordare tutti i sogni che fa, forse perché è sempre lo stesso sogno: lui che vola libero in groppa a un drago nero, come il ragazzo della fiaba che ha letto poco tempo fa.

Ha dovuto posare il libro, non poteva continuarlo, benché la tentazione si fosse rivelata molto forte.

Voleva sapere come sarebbe continuata la sua storia, ma si era dovuto accontentare del finale deludente di Dragon.

Spera davvero che Roxanne apprezzi il libro, certo, magari le storie sono un po’ spezzettate e alcune non finiscono proprio benissimo, ma lasciano qualcosa, o almeno è quello che ha sentito Harry.

Spera solo che per Roxanne sia lo stesso.

Si costringe ad alzarsi. Si mette seduto sul letto, si stropiccia gli occhi cacciando uno sbadiglio, poi va a vestirsi.

Sceglie un paio di pantaloni marroni, una maglia a maniche corte verde e una giacca marrone.

Prende lo zaino buttato ai piedi del letto, controlla che ci sia tutto, e si avvia verso la sala da pranzo per fare colazione.

Non va mai al Vampire’s café se può evitarlo, preferisce evitare i bulli quanto più possibile, benché un bel cornetto o un cappuccino siano molto meglio di un bicchiere di latte e cereali stantii.

Sua padre non è in casa, ma quando mai è in casa. Passa tutto il tempo che ha nella centrale di polizia ad acciuffare a rilasciare quel ladruncolo di Gabe Clark, e il sindaco non lo fa fermare un secondo.

Mangia in fretta la sua ciotola, ignora il solito messaggio del padre “sono a lavoro, va e torna da scuola con il bus” che ricicla ogni mattina da che Hiccup riesca a ricordare, si assicura che l’abbonamento sia nella borsa ed esce per prendere l’autobus, pieno come un uovo.

Ma ci è abituato, succede ogni mattina, ed è costretto a restare in piedi accanto all’entrata, sperando con tutto il cuore di non destare l’attenzione di Austin Charme e la sua banda, che lo puntano da tempo, ormai.

Certo, non è il solo, sembrano detestare in maniera incredibile Allison Brooks, anche se Austin è l’unico in città che sembra detestarla, visto che è la ragazza più allegra, spensierata del paese, per quanto sia goffa come pochi.

Naturalmente, però, le preghiere di Harry non vengono ascoltate, e Austin lo punta immediatamente, dieci secondi dopo la sua entrata.

-Ma guardate un po’ chi è entrato, il galoppino di Scott Hughes, pronto a riparare qualche orologio?- lo prende in giro, Harry alza gli occhi al cielo, ma non risponde.

-Che c’è? Il gatto ti ha perso la lingua o te la sei tagliata in bottega?- chiede nuovamente, Harry cerca di non farci troppo caso, ormai ci è abituato.

E poi Austin non fa che fargli pesare la sua allergia ai peli dei gatti, diamine, è seccante.

Austin è un bullo bello, che piace a tutte le ragazze per la sua chioma bionda e fluente, che crede di essere Dio sceso in terra e, almeno a parer di Harry, dalla dubbia sessualità, dato che mette il lucidalabbra e spesso si comporta da ragazzina lamentosa e viziata sotto ogni aspetto dalla madre Helga Charme, capo dell’orfanotrofio della città.

Poi è vanesio in maniera assurda, compre tutte le cosa che vanno di moda, e va dalla parrucchiera più di tutte le ragazze della scuola messe insieme.

Per fortuna di Harry e sfortuna di Allison, sono arrivati alla fermata della ragazza, che entra nell’autobus proprio dall’entrata dove si è posizionato Harry, urtandolo con lo zaino.

-Oh, cielo, scusa- cerca di scansarsi, ma una manica le si è incastrata nella porta richiusa alle sue spalle.

-Oh, mannaggia!- esclama, cercando di sbloccare la manica.

-Aspetta, ti aiuto- Harry interviene in aiuta della sbadata ragazza.

Ha i capelli fulvi legati in due trecce, jeans fino al ginocchio con decorazioni a fiori, una maglia a mezze maniche lunga verde chiaro e un gilet nero con decorazioni di piante verde scuro.

Al collo porta un ciondolo a forma di cristallo, e ai piedi indossa ballerine verdi.

-Grazie Harry- gli sorride, lui riesce a sbloccare la manica della maglia con un semplice trucchetto di pressione.

-Sei formidabile- la ragazza osserva la manica per controllare che non ci siano strappature, e l’osservazione si rivela positiva.

-Sai, se avessi strappato anche questa maglia Elizabeth mi avrebbe uccisa, non ha tempo (e soldi) per andare di nuovo nella sartoria della signora Wood- spiega a Harry.

In tutta la scuola lei è l’unica che gli parla, probabilmente perché è la visitatrice più assidua della bottega dove Harry lavora part-time per ordine del padre.

Si, ha due lavori part-time più la scuola, ma ce la fa egregiamente.

Allison va sempre da lui perché rompe in continuazione oggetti in casa, e lui è ben felice di farle sconti, dopotutto la sorella maggiore non guadagna molto come operaia del signor Black, e quindi lui le aiuta come meglio può.

Austin, nel frattempo, si sta sganasciando dal ridere.

-Ma guardateli, fanno coppietta, non trovi anche tu, Lance? Lo sfigato e la sbadata- Harry sospira, cercando di non farsi prendere dai loro insulti, ma Allison non è quel tipo di ragazza che se ne sta per i fatti suoi.

-Ma scusa, perché fai sempre così? Lui mi aiuta, io lo ringrazio e tu devi sempre metterti in mezzo per cercare di rovinarci la giornata. Perdonami ma trovo che sia davvero una perdita di tempo per te, siamo davvero così importanti?- chiede Allison, non è brusca, non riesce ad esserlo, ma sembra confusa e curiosa.

Lei, insieme a Fred, è l’unica che riesca a zittire Austin per un po’, dato che lui non ha abbastanza neuroni per trovare una buona risposta, ma Harry teme che per la ragazza ci saranno delle conseguenze.

Austin, dopo quel commento, resa zitto, così come Harry, che non parla mai molto in viaggio.

Allison, invece, prende le cuffiette dell’Mp3 e si mette ad ascoltare la musica.

Le sue canzoni preferite sono quelle Disney, che ama cantare in autobus, senza curarsi troppo della gente che le lancia occhiate divertite sussurrando che è infantile e mezza matta.

Non disturba con la sua voce, è molto intonata, sopratutto nelle canzoni di Frozen, perciò la prendono in giro per la scelta dei brani, giusto per non stare antipatici alla banda di Austin.

Harry vorrebbe così tanto essere come lei, senza curarsi di ciò che pensa la gente, così spontanea, così se stessa.

Ma lui proprio non ci riesce.

Un’altra cosa che lo ha colpito del libro, o almeno della storia che ha letto, è che era la storia di un film d’animazione, ma era totalmente diversa, o almeno cambiava molto, cambiava persino rispetto al libro da cui hanno tratto il film.

Inoltre non crede che la storia abbia pagato i diritti alla Dreamworks o alla scrittrice perciò non sa che pensare.

Scuote la testa, e posa la sua attenzione fuori dal finestrino, dove la città sfreccia veloce.

Dopo un altro paio di fermate e quattro canzoni Disney rispettivamente di Frozen, Rapunzel e La principessa e il ranocchio, arrivano finalmente a scuola, e tutti gli studenti escono con grande caos dall’autobus.

Ad Allison per poco non cade l’Mp3 dalle mani, e Harry lo sostiene per lei.

-Grazie, Harry- lo saluta lei, con un grande sorriso, per poi uscire scompostamente, urtando per sbaglio Marlene Donner che si affrettava nella loro direzione per andare incontro a Fred.

La rossa alza gli occhi al cielo, con aria infastidita, ma non fa troppo caso alla fulva.

Harry scende quasi in contemporanea con Fred Jackson, e si fa da parte quando Marlene si precipita sull’amico.

Si stringe lo zaino in spalla e si avvia direttamente in classe, per sistemare alcune scartoffie per la biblioteca, come suo solito.

-Harry, come va?- il ragazzo sollevalo sguardo, e si ritrova a guardare una sorridente Roxanne, vestita con un abito violetto e con i capelli raccolti indietro da una fascia di simile colore.

-Hey, Roxanne, va tutto bene, e a te?- chiede, sorridendole.

-Tutto a posto, mia madre non ha scoperto il libro, l’ho portato anche oggi, ho paura che possa trovarlo se lo nascondo in camera- spiega, sedendosi accanto a lui.

-Allora, che fai?- chiede poi, allungando il collo verso i fogli.

-Le solite scartoffie, Greg mi ha chiesto di sistemare anche i titoli dei vari settori e riscrivere tutti i prestiti che sono stati fatti, vuole avere i fogli entro questo pomeriggio per avere l’approvazione del sindaco- spiega, Roxanne impallidisce.

-Po… potresti non segnare il prestito di Otherland che hai fatto a me, mi madre non è incline a…- comincia, ma Harry la interrompe.

-Non preoccuparti, non lo sa nessuno, non l’ho segnato- la rassicura, mostrandole i prestiti dell’ultima settimana.

-Oh, grazie- Roxanne tira un sospiro di sollievo, poi cambia argomento -Sai, ho cominciato Dragon, ieri sera, e lo trovo molto…- ma viene nuovamente interrotta, stavolta dal suono della campanella, che annuncia l’inizio delle lezioni.

Gli studenti si riversano nell’aula, e Roxanne è costretta a mettersi seduta al suo posto, con un cenno a Harry “Ne parliamo dopo”

***

Hiccup si tirava botte in testa maldicendosi mentalmente per non aver segnato il punto dove era caduto il drago, la foresta era enorme, e il dente della megera lontano.

Segnò con un’altra X il punto dove aveva cercato, ma ormai aveva perso le speranze.

Dopo il suo ritorno a casa aveva litigato con il padre, che come al solito non aveva creduto a una singola parola sulla cattura della furia buia, e l’aveva guardato con la solita espressione delusa che usava sempre con lui, come se qualcuno gli avesse messo poca carne nel panino.

Hiccup era uscito di casa, alla ricerca del drago, mentre il padre discuteva su una nuova tattica di attacco verso il quartier generale dell’esercito dei mostri, ed era da ore in giro per la foresta senza una meta precisa, mentre il sole raggiungeva il massimo dell’altezza.

E pensare che era partito all’alba!

Si abbandonò su una roccia, asciugandosi il sudore dalla fronte.

Ma cosa credeva di fare? Dopotutto a quest’ora gli altri mostri lo avranno liberato, o si sarà liberato da solo, oppure, ipotesi che Hiccup trova la più plausibile, ha sbagliato e non l’ha colpito come invece credeva.

Decise di avviarsi verso casa, arrabbiato con se stesso e con la sua incapacità di fare qualcosa di buono nella sua miserabile e breve vita.

Prese un sasso da terra e lo gettò in aria per la foga del momento, ma un ringhio infastidito lo fece sobbalzare e cadere a terra per la sorpresa.

Si sollevò e prese il coltello recuperato dopo la battaglia dalla tasca posteriore destra.

Poi, con passi tremanti e con respiro irregolare e spaventato, si avviò nella direzione del ringhio.

Avanzò nella boscaglia fino ad arrivare a uno spiazzo, poco distante dalla Fossa del Distratto.

Lì, legato come un salame, c’era un enorme drago nero come la notte.

Hiccup si sentì venire meno, ma cerò di riscuotersi, sollevando la piccola arma come uno scudo.

Il drago lo guardò con occhi annebbiati, sospettosi, che lo soppesarono.

Lui avanzò, respirando pesantemente per levare via la paura, sollevò il coltello, deciso a finire ciò che aveva cominciato.

Il drago lo fissava dritto negli occhi, verde su verde.

Hiccup cercò di distogliere lo sguardo, concentrandosi sulla pancia dell’animale.

-Io… io ti ucciderò, drago. E mio padre capirà che ce la posso fare- cercò di convincere se stesso, alzando il coltello, pronto a colpire.

Sentì il drago guaire piano, e lo vide abbassare la testa e chiudere gli occhi, rassegnato.

Si fermò prima ancora di far partire il colpo, non poteva, non ce la faceva, non era abbastanza forte, lui era inerme, legato, non aveva possibilità di difendersi, non era giusto.

-Diamine, come ti ho ridotto- si morse un labbro, e fece passare lo sguardo dal drago all’arma.

Dopo un attimo di ragionamento, l’istinto prese il sopravvento, e cominciò a tagliare le corde che lo tenevano legato.

Il drago spalancò gli occhi, era incredulo, stupito e anche leggermente incavolato.

Si levò le corde tagliate di dosso con una potente scossa del dorso e si gettò a capofitto sul ragazzino, bloccandolo contro una roccia, il ragazzo respirava a fatica, gli occhi spalancati per il terrore, pronto per la seconda volta in meno di ventiquattr’ore a diventare uno spuntino per qualche bestia feroce.

Invece il drago lo stupì, gli ringhiò contro in segno di disappunto, e fuggì via in direzione della Fossa del Distratto.

Hiccup respirava a fatica, il cuore batteva talmente furiosamente che temeva gli sarebbe venuto un infarto a breve.

Provò ad alzarsi in piedi, e avanzò barcollando per un metro e mezzo circa, prima di svenire dall’ansia.

 

Quando rinvenne era pomeriggio inoltrato, e si avviò svelto in casa, temendo che il padre si fosse preoccupato.

No, il padre era ancora in riunione, e Hiccup poté sgusciare nuovamente in camera sua per schiarirsi le idee e cercare di far passare il batticuore che gli era rimasto dopo l’incontro.

Si gettò sul letto e si prese la testa tra le mani, per riflettere.

Aveva incontrato un drago, un drago pericoloso, che nessuno aveva mai visto, o se aveva visto non era vissuto abbastanza a lungo da raccontarlo, e lui invece si, era vivo, non aveva neanche un graffio, ciò significava che forse, che forse il drago non era cattivo, almeno non totalmente.

Ripensò al lupo della sera prima, e ai suoi figli, che avevano le lacrime agli occhi sul suo capezzale.

I mostri provavano dei sentimenti, su questo ormai non aveva più dubbi, il dolore, la rabbia, la compassione, la riconoscenza?

Il drago aveva capito che era stato lui a catturarlo, ma non lo aveva sbranato perché lo aveva anche liberato, era andato semplicemente via, perciò significava che non era una bestia senz’anima, e Hiccup pensò che anche lui poteva avere una famiglia, magari dei cuccioli, dei genitori che aspettavano il suo ritorno che se Hiccup avesse deciso diversamente non sarebbe mai avvenuto.

Pensò al lupo che il padre aveva ucciso, pensò ai centinaia di mostri che erano morti durante la guerra, e poi pensò al dolore degli umani che avevano perso familiari e amici.

Se anche i mostri provavano la simile dolorosa emozione, era davvero terribile il lutto che la guerra stava portando, e perché poi?

Questa domanda lo colpì come un pugno sulla testa, e infatti si colpì con un pugno sulla testa appena se la fece.

Perché c’era la guerra, quali furono le cause? Questa si che era una domanda, combattevano da un centinaio di anni, e nessuno si era mai chiesto da dove fosse partita la guerra.

Beh, Hiccup sarebbe stato il primo, e di certo avrebbe smesso di cercare un modo di mietere altre vittime tra i mostri, c’erano già abbastanza cacciatori nel regno.

-Hiccup- il padre entrò con veemenza nella sua stanza, e Hiccup per un attimo temette che avesse scoperto la sua gita mattutina.

Invece era lì solo per riferire, con evidente disapprovazione, un messaggio dai reali.

-Non ci sono abbastanza cacciatori nel regno, così il re Fergus e la regina Elinor hanno proclamato che fino a quando la principessa Merida non sposerà un lord di qualche altro regno che possa unirsi alla guerra, tutti i ragazzi e i giovani uomini dovranno unirsi alle truppe di reclutamento- Hiccup rimase scioccato. Possibile che fosse obbligato a fare esattamente ciò che non aveva intenzione di fare.

Voleva combattere i draghi e i mostri? Non poteva farlo

Non voleva combattere i draghi e i mostri? Beh, è un peccato, perché era obbligato a farlo.

-Che cosa? Perché? Tutti sanno che non sono capace di farlo-provò a ribattere.

-I reali ti stanno dando una possibilità, farai meglio a coglierla, Hic- ribatté il padre, senza ascoltarlo.

-Ma io non posso riuscirci, non posso- si lamentò il ragazzo.

-Tra un mese e mezzo condurremo un assalto di massa all’hotel Transylvania, e tutti dovranno parteciparvi- lo congedò poi, senza ascoltare le sue lamentele.

-Fammi indovinare, il ventisei febbraio?- chiese al muro Hiccup

-Che bello passare il sedicesimo compleanno in guerra- commentò poi, sospirando e sollevando un ciuffo di capelli dalla fronte.

Non ce l’avrebbe mai fatta.

***

Dopo le cinque interminabili ore di scuola, Harry si appresta a sistemare finalmente i libri nello zaino e tornare a casa per pranzo, per poi uscire nuovamente per andare in biblioteca a consegnare i fascicoli e infine lavorare tutto il pomeriggio fino alle sette di sera in bottega, per poi tornare a casa, cenare e fare i compiti per il giorno successivo.

Sospira cercando di non pensarci, e mentre si prepara ad uscire, Roxanne lo affianca, e gli mette un bigliettino tra le mani.

-E’ il mio numero di cellulare- spiega, leggermente imbarazzata -Sai, non avevo mai avuto un amico, e dato che non posso mai uscire di casa, mi piacerebbe se mi scrivessi- continua, mordendosi il labbro e giocando con i suoi capelli.

Lui afferra il biglietto incredulo, non ha mai avuto neanche lui un’amica a cui scrivere, infatti il suo cellulare è spesso inutilizzato per giorni interi.

-Certo, sicuro- le sorride, stringendo il biglietto come fosse un tesoro prezioso.

-Fantastico, quando vuoi scrivermi… scrivimi- e con un saluto lo supera per dirigersi verso l’uscita, dove probabilmente la madre l’attende impaziente.

Forse si sbagliava, non sarà una totale noia questa giornata, se può sentirsi con Roxanne.

Esce dalla scuola con il sorriso, e neanche lo sgambetto di Austin riesce a levarglielo dalla faccia, dato che lo schiva senza difficoltà.

Entra in autobus, e Austin lo segue, superandolo e fregandogli il posto.

Allison entra dopo di lui, e si mette vicino all’entrata accanto a Harry.

-Com’è andata a scuola?- gli chiede, mentre cerca le cuffiette nello zaino.

Harry le sposta il braccio prima che la portiera che si chiude possa afferrarle nuovamente la maglietta.

-Normali, e a te?- chiede di rimando.

-Bene! Certo, ho macchiato il banco con la penna, ma la macchia è andata subito via- lei ha la sua stessa età, ma sono in due classi diverse.

-Ne sono felice- commenta Harry, sorridendole, mentre lei si infila le cuffiette nelle orecchie.

Harry sistema un po’ di fogli, tenendoli fuori dalla portata di Austin, che sembra quasi si sia calmato un po’.

Naturalmente è solo un’impressione, perché alla fermata di Allison, proprio quando Harry crede che finalmente lei sia fuori pericolo, lui gliela fa pagare per la mattina, solleva una mano, e le strappa la manica, lei neanche sembra accorgersene all’inizio, ma appena le porte si chiudono la ragazza si osserva a occhi sgranati l’orlo della manica, e ha un’espressione talmente triste che Harry, osservandola sparire dietro di se, si arrabbia, e per la prima volta parla ad Austin, che si sta sbellicando dal ridere, insieme alla sua banda.

-Ma non ti vergogni neanche un po’?- gli chiede con voce schifata, fermando le risate del ragazzo più grande.

-Come scusa?- chiede, provocandolo.

-Lei non ti ha mai fatto niente, e tu la insulti, la importuni e ti comporti da bullo. Sei solo un vigliacco, hai aspettato fino alla fine per non sentire la sua risposta che ti avrebbe fatto ammutolire. Te la prendi con chi non può combatterti, ma non con chi potrebbe farti tornare a strisciare tra le sottane di tua mamma, non è così? La sorella di Allison ha un debito con tua madre, perciò lei non può trattarti male. Io me ne sto zitto alle tue provocazioni perché credo non varrebbe la pena risponderti, e tu credi di farmi paura. Ma sai la verità, tu sei un bambino che prova a fare il grande e credi che prendersela con i più deboli ti renda forte, senza capire che sei tu il più debole di tutti mentre i forti sono quelli con cui te la prendi. Dovresti ripagarla tu la maglia che ora lei dovrà far ricucire dalla sarta. Non lei o sua sorella- tutto l’autobus è ammutolito, Mary Katherine Davis lo guarda a bocca aperta, Fred Jackson lo osserva pensieroso e divertito, Greg Lewis con espressione preoccupata.

-Guardate un po’, il muto parla- commenta Austin, cercando di cercare l’appoggio della sua banda, che però non ride alla sua battuta, nessuno lo fa.

Poi interviene anche l’autista, Edmund Norton.

-Che sta succedendo lì?- chiede, osservando nello specchietto retrovisore il gruppetto in fondo all’autobus.

-Harry Hill mi accusa di aver strappato una maglia, ma non è vero- risponde Austin, con tono lamentoso.

-Ha strappato la maglia di Allison Brooks prima che scendesse, e ora lei dovrà pagare la sarta per farla ricucire e subire la delusione e la sgridata della sorella- ribatte Harry.

L’autista non sa che pesci prendere, non ha visto la scena, così prova a chiedere agli altri.

-Voi sapete cosa è successo?-

Tutti alzano le spalle, non vogliono mentire al signor Norton, ma non vogliono neanche mettersi contro Austin e la sua banda, che stanno sparando sciocchezze su come si è strappata davvero la maglia, su come Austin sia un santo e altre bugie che non hanno né capo né coda.

L’unico che sembra prendere le difese di Harry è Fred.

-Se devo dirla tutta ha ragione Harry, ma si sa, la parola e il giudizio di un orfanello solitamente sincero e di una persona che a quanto mi risulta non ha mai fatto nulla di male non sono credibili come le parole di un bulletto da quattro soldi che ha sempre distrutto maglie e oggetti a tutti da quando se ne ha memoria- commenta in tono strascicato, sarcastico e attirando l’attenzione di tutti i presenti, compresa la banda.

Dopo l’intervento di Fred, anche altri ragazzi, in un mormorio sommesso, si rivelano d’accordo.

L’autista frena alla fermata di Harry, ma fa cenno al ragazzo di venire da lui prima di scendere.

-Senti, ragazzo, io credo che tu abbia ragione, ma non ho l’autorità di  incriminare Austin Charme- comincia, Harry alza gli occhi a cielo.

-E chi ce l’ha- commenta a denti stretti, l’autista sorride.

-Ma prendi questo biglietto, dallo alla tua amica e dille di dire alla sarta Holly che la mando io. E’ mia moglie, e con questo biglietto la cucitura avverrà gratis- lo porge a Harry, che è piuttosto incredulo.

-Grazie infinite, Allison ne sarà davvero sollevata- l’autista sorride e gli fa cenno di scendere dall’autobus.

Solo dopo essere sceso Harry si rende conto di una cosa importante: Non ha ringraziato Fred.

Si maledice mentalmente, e si ripromette di ringraziarlo domani.

***

Le ricerche non avevano portato a molto, e Hiccup aveva deciso di fare una gita nella foresta, per schiarirsi le idee e sopratutto per evitare le prese in giro dei suoi compagni di addestramento.

Inutile dire che aveva fatto davvero pietà, non sapeva come ma era riuscito a distruggere due scudi e un’ascia, e un Gronchio l’aveva quasi divorato.

Stava passeggiando cercando di dimenticare e di concentrarsi sulle pochissime informazioni racimolate in biblioteca sulla guerra tra mostri e umani quando raggiunse quasi inconsciamente il luogo dove aveva trovato il drago.

Continuò per quella strada, tanto il drago era già andato via, erano passati un paio di giorni, ormai, da quel ritrovamento sensazionale e incredibilmente terrorizzante.

Arrivò perso nei suoi pensieri fino alla Fossa del Distratto, che non si chiamava così a caso.

Infatti rischiò seriamente di caderci all’interno, e riuscì a trattenersi a un ramo prima che fosse troppo tardi.

Tirò un sospiro di sollievo, che si tramutò all’istante in un brusco mezzo urletto spaventato, isterico e incredulo tutto in una volta.

In fondo alla fossa c’era il drago, che lo fissava con la testa piegata, squadrandolo.

Hiccup rimase fermo immobile, attento a non fare movimenti bruschi, ma il drago scosse la testa come se la sua presenza non fosse importante e si mise a scalare la fossa, cercando di volare senza risultati.

Hiccup si nascose nella fitta boscaglia, il drago lo sentì ma alzò semplicemente gli occhi al cielo, e lasciò stare, continuando i suoi tentativi.

Hiccup prese il blocco degli appunti che portava sempre con se nella tasca posteriore sinistra e si mise a prendere appunti, facendo uno schizzo della forma del drago.

Il drago provava con i suoi tentativi, ma era sempre sbilanciato, e Hiccup si chiese perché.

La risposta gli apparve quando si fermò a riprendere fiato, avvicinandosi anche al lago per prendere dei pesci.

Gli mancava il lato sinistro della coda, ed era risaputo che la coda serviva come timone per un drago.

Si sentì in colpa, il drago sembrava così sconsolato, e gli venne in mente una singolare idea, poteva cercare di aiutarlo.

Il vento scostò le pagine del taccuino, un vento fastidioso, non buono, e Hiccup osservò il cielo come per un cattivo presentimento.

Quando tornò a fissare il taccuino era arrivata all’ultima pagina, dove conservava il ritratto della madre, che lo guardava con sguardo dolce e tosto al tempo stesso.

Era stata uccisa da un drago, come poteva lui aiutarne uno.

Coprì con la mano l’immagine, e distolse lo sguardo, puntandolo proprio sul drago, che lo guardava come a chiedersi perché restasse lì.

Hiccup non sapeva spiegarsi perché, ma quando i loro occhi si incrociarono, capì che doveva aiutarlo perché era colpa sua se era appiedato, e doveva rimediare ai suoi errori.

Si ritirò lentamente, sempre guardandolo negli occhi, poi tornò sui suoi passi, e corse a casa per creare una nuova coda.

 

Il giorno dopo tornò con del pesce, il progetto era pronto, ma gli servivano le misure, e doveva farsi coraggio e affrontare il drago, pregando che non gli avesse tritato le ossa per farci il pane… no, aspetta, quello lo facevano i giganti. Comunque sperava davvero di non morire in modi atroci, ma tanto valeva provare.

Si portò uno scudo dietro, per sicurezza, e il solito coltellino.

Scese con molta lentezza e circospezione nella fossa, tenendo il pesce ben in vista, come una bandiera bianca.

Si infilò in una fessura tra due rocce, con lo scudo davanti a se, che puntualmente si incastrò, mai una volta che qualcosa vada bene!

Tenne il pesce davanti a se, guardandosi intorno per scorgere il drago, che però non si vedeva.

Che avesse trovato un altro modo per andarsene? Hiccup ne sarebbe stato in parte sollevato, ma sopratutto deluso, e non capiva bene perché.

Poi un’ombra oscurò il sole alla sua sinistra, e si girò per ritrovarsi dinanzi al drago nero.

Il suo cuore perse un battito, che recuperò accelerando moltissimo, ma Hiccup cercò di non farsi prendere dal panico, e porse il pesce, ingoiando un groppo in gola.

Il drago si avvicinò circospetto, poi, quando sembrava che stesse per addentare il pesce, si ritirò, alla vista di un luccichio.

Hiccup si ritirò leggermente, confuso del comportamento del drago, poi vide che stava fissando la sua tasca destra.

Lui estrasse il coltello, lentamente, cercando di far capire al drago che non aveva intenzione di fargli del male, e lo gettò lontano, nel fiume.

A quel punto il drago sembrò più tranquillo, e mangiò il pesce, senza troppe cerimonie.

Fu quello l’inizio di qualcosa di davvero incredibile.

***

Dopo aver parlato con Allison, perlopiù dei suoi ringraziamenti a Harry, all’autista e a Fred, Harry aveva finito di sistemare le scartoffie, si era diretto in biblioteca e poi in bottega, come programmato.

Ma siccome non c’è molto lavoro, ha preso il biglietto che Roxanne gli aveva consegnato all’uscita e ha salvato il suo numero nel cellulare, per poi scriverle un messaggio generico: 

“Ciao, come stai? Sono Harry”

La risposta arriva subito, come se Roxanne avesse aspettato tutto il pomeriggio per ricevere il messaggio.

“Ciao! Va tutto bene, sono arrivata al punto in cui il ragazzo fa amicizia con il drago e impara tante cose su di lui che applica nell’addestramento. Mi sta piacendo molto. A te come va?”

Scrive veloce per non essere abituata a messaggiare.

Harry risponde a sua volta, stando ben attento a non essere scoperto dal capo.

“Tutto normale, a parte una piccola discussione con Austin Charme. Davvero ti piace? ne sono felice :)”

Continuano così per un po’, poi arriva un cliente, e Harry è costretto a staccare.

Il problema è che non sono due clienti, ma Victor e Miles Bennet, i due galoppini del signor Black, venuti a ritirare il pizzo settimanale.

Il signor Black è a capo dell’edilizia, e deve sempre ricevere un compenso monetario ogni settimana, altrimenti demolirà l’azienda non pagante.

Victor e Miles si occupano di ritirare i soldi, sono esperti di arti marziali, cattivi e temuti da tutti, anche se non tanto quanto il signor Black stesso o il sindaco.

Harry resta al bancone senza sapere bene cosa fare.

-Sa… salve, vi chiamo il signor Hughes- e scompare nel retrobottega a chiamare il capo.

-Oh, ancora quei due galoppini da strapazzo, un giorno di questi mi manderanno al verde, se non ci fosse quella sbadata della Brooks non avremmo mai clienti- commenta, Harry lo osserva mentre va a servire i sue tipi loschi, poi si volta e nota con stupore che la porta sul retro è aperta.

Scott di solito non lascia porte e finestre aperte, ma evidentemente sente caldo oggi, o forse è stato il vento.

Non da troppo peso al come, ma decide comunque di chiudere la porta, dato che gli spifferi di vento sono piuttosto fastidiosi.

Ma quando arriva alla porta per poco non cade a terra per la sorpresa e la paura.

Davanti alla porta, con aria aggressiva, è seduto un gatto nero.

Harry è allergico al pelo dei gatti, non può toccarli senza mettersi a tossire come un matto.

Ma il gatto gli sbarra la strada,  non sa in che modo levarlo da lì.

Potrebbe spingerlo con una scopa, o tirargli un calcio per farlo spostare.

Ma non se la sente, sembra un gattino così carino e coccoloso, ad eccezione dell’aria di chi vuole sbranare qualcuno, naturalmente.

Trattiene il fiato, chiude gli occhi, e prende tra le mani la palla di pelo, che si dimena, tentando di graffiargli il naso.

Lo sposta da davanti alla porta, poi lo lascia con più delicatezza possibile e rientra, sbattendosi la porta alle spalle.

Si strofina il naso, starnutisce un paio di volte, ma sembra che vada tutto abbastanza bene.

Così continua a lavorare, senza badare troppo all’incontro appena avuto.

Scott torna pochi minuti dopo, con aria imbronciata e burbera.

-Torna all’ingresso, devo finire di riparare la stufa per il signor Moon-

Harry esegue.

Arriva una altro cliente, l’addetto alla discarica della città Samson Sullivan, accompagnato dal cane Chuck e dal gatto, Boot, che chiede a Harry di riparare l’orologio a cucù che il gatto ha tentato di mangiare

Harry, tra uno starnuto e un altro, acconsente alla richiesta, e lo segna tra le riparazioni da fare.

Prende una pasticca per l’allergia che la dottoressa Pauline Light gli ha somministrato e torna a respirare normalmente.

Per fortuna alle sette può timbrare il cartellino e tornare a casa.

Ma mentre saluta il signor Hughes, ancora intento a lavorare sulla stufa, lui gli chiede di buttare fuori la spazzatura.

-Ah, Harry, se vedi quel gatto nero che ci gira intorno da stamattina tiragli un bel calcio come si deve- conclude poi, indicandogli con un cenno la porta e il sacco della spazzatura.

Harry annuisce, chiedendosi perché mai dovrebbe tirare un calcio a una povera bestia che ha cercato di cavargli un occhio poco prima.

Beh, forse un piccolo calcio lo merita.

Prende il sacco ed esce dalla porta sul retro, con lo zaino in spalla.

Il gatto è sul coperchio del secchio, con aria orgogliosa e vanesia di chi non ha la minima intenzione di levarsi da lì.

Lo guarda con tono di sfida.

-Su, scendi, devo buttare questo sacco- lo incoraggia, indicando il terreno al gatto, che lo guarda, poi fa cenno di no con la testa.

-Dai, insomma ho bisogno di buttarlo- prova a insistere Harry.

Il gatto lo guarda con aria indagatrice, come a squadrarlo.

Sembra voler dire: “Prendimi e spostami tu, altrimenti non mi muovo”.

Harry fa una faccia supplicante, sente già gli starnuti in arrivo, ma con un sospiro prende il gatto e lo posa a terra più velocemente e delicatamente possibile.

Il gatto, a differenza della volta prima non lo aggredisce, anzi sembra molto sorpreso e soddisfatto, come se Harry avesse superato non so che prova.

Il ragazzo, starnutendo, alza il coperchio e butta il sacco. Poi si stringe lo zaino in spalla e saluta il gatto prima di dirigersi verso casa, che dista pochi minuti dalla bottega.

Senza che lui se ne accorga, il gatto lo segue.

***

Hiccup e Sdentato avevano stretto una solida amicizia basata sulla fiducia, e Hiccup non riusciva proprio a credere che i draghi e i mostri in generale potessero essere così simili agli umani.

Si maledisse per essere stato così cieco.

Non aveva ancora capito il perché della guerra contro gli umani, ma aveva il vago sospetto che fosse stata colpa degli umani.

Ormai aveva un obiettivo, che Sdentato sembrava condividere appieno: mettere fine a quell’insulsa guerra, prima dell’attacco all’hotel dei nemici, a dato che mancavano pochi giorni alla partenza, doveva sbrigarsi, anche se il suo piano era molto, molto, traballante.

Come migliore recluta dell’addestramento di quell’anno, l’ultimo giorno avrebbe dovuto tenere un discorso davanti a tutto il villaggio e ai reali, e aveva intenzione di far ragionare tutti sulla stupidità di quella insulsa guerra.

Aveva anche un piano di scorta, che avrebbe preferito di gran lunga non usare, che prevedeva di scappare con Sdentato, distruggere le armi dell’assalto per posticipare lo scontro e dirigersi verso la base principale dei mostri, per tentare di far ragionare almeno loro.

Per il discorso doveva parlare dall’alto di una piattaforma, e dire che era totalmente terrorizzato era dire poco.

Osservò, prendendo un grande respiro, tutta la gente radunata.

Il re e la regina erano in attesa, la regina composta e calma, il re leggermente annoiato.

La principessa Merida era spaparanzata sulla sedia, visibilmente seccata, con la testa poggiata sulla mano destra.

I tre principini facevano la lotta a vicenda con spade di legno.

Il padre lo guardava orgoglioso, per la prima volta da che Hiccup ricordasse, e molto probabilmente anche per l’ultima.

Si sgranchì la voce, e cominciò a parlare.

-La guerra contro i mostri viene combattuta da moltissimi anni ormai, tutti noi non ricordiamo esattamente neanche cosa l’ha fatta scoppiare, non è così?- chiese alla folla, da dove iniziò a levarsi un bisbiglio incerto.

-Ma cosa sta dicendo?- sussurrò Stoik, rabbuiandosi leggermente.

-Ormai combattiamo da più di un secolo, no? E non sappiamo neanche il perché- la gente iniziò a guardarlo accigliata, e Hiccup decise di cambiare pista.

-Io sono diventato il più bravo studente nell’addestramento contro i mostri, ma quanti di voi se lo sarebbero aspettati?- chiese nuovamente.

-Ero scarso, non riuscivo a tenere in mano nemmeno un coltellino per più di pochi minuti, sono sempre stato debole, diverso. eppure ora sono il migliore- prima di continuare, da un punto imprecisato della folla, vicino ai reali, si sentì qualcuno sussurrare 

-E tutti si chiedono il perché- con voce seccata. A Hiccup sembrò la voce di Astrid Hofferson, una ragazza con i genitori amici del suo che non volevano che la figlia combattesse per nessuna ragione, ma decise di non pensarci in quel momento, perché aveva cose ben più importanti a cui pensare.

-Esatto, volete davvero sapere il perché?- chiese, alla folla, che lo guardava ancora accigliata.

-Non perché sono diventato forte, o mi sono allenato privatamente, o perché ho imbrogliato, ma la verità è che io… io…- la voce gli mancava, ma tentò di farsi coraggio -Io ho conosciuto un drago, ci ho fatto amicizia, e ho scoperto molte cose stupende sui mostri- era fatta, eppure Hiccup non si sentiva affatto più leggero, anzi, sentiva una pietra nello stomaco.

Si diffuse un mormorio incredulo e accusatore tra la folla, e Hiccup si affrettò a spiegare prima che la folla si facesse un’idea sbagliata.

-I mostri sono come noi, hanno sentimenti, hanno un cuore e un’anima, sono creature con cui potremmo andare d’accordo, e perché mandare tutto a monte per una guerra di cui non sappiamo più nemmeno la causa- provò a farli ragionare, ma dalla folla si levarono proteste, urli scandalizzati, minacce e lamenti.

Stoik fissava il figlio con aria incredula, e furente.

I reali erano scioccati, la principessa a bocca aperta, la sua attenzione era stata attirata.

Si levarono strilli di -Bugiardo- -Traditore- -Loro hanno ucciso migliaia di noi- -La pace è impossibile- -Uccidete il traditore e il suo animale da compagnia- La folla si affrettò sotto al palco, e Hiccup provò per l’ultima volta un approccio diplomatico.

-Vi prego, date loro una possibilità- provò a supplicarli, ma ormai si stavano avvicinando pericolosamente al ragazzo, con armi e rabbia.

Hiccup lanciò uno sguardo al padre, che lo guardava disgustato, poi fischiò.

Sdentato arrivò in un battito d’ali, confondendo la folla inferocita il tempo sufficiente per far salire il ragazzo, poi si librarono in volo.

La coda riparata funzionava egregiamente con il ragazzo alla guida, e presto furono tra le nuvole, troppo lontani dalla folla per poter essere colpiti da frecce o spade, ma dovevano raggiungere i cannoni prima della folla, altrimenti sarebbero stati in grossi guai.

Il drago gli lanciò un’occhiata dispiaciuta, alla quale Hiccup rispose con un sorriso triste.

-Su, bello, ai cannoni, dobbiamo distruggere prima quelli, poi l’armeria- sentiva il blocco allo stomaco sempre più pesante, ma doveva farlo, per tutti i mostri innocenti che quelle armi avrebbero potuto uccidere.

Ripensò alle parole della cacciatrice: “preferirei essere tua nemica”, e mentre, con le lacrime agli occhi distruggeva tutto, si chiese se lo pensasse ancora.

Ma una cosa sapeva per certo: ormai la sua vita sarebbe stata quella di un ricercato.

Un pregiudicato senza pregiudizi.

***

Quando Harry torna a casa, nota il gatto che lo guarda fuori dalla finestra, con degli occhioni verdi che sembrano aspettarsi chissà cosa.

Harry lo guarda con le sopracciglia aggrottate.

-Sciò, via via- gli dice, muovendo le mani davanti a se per cacciarlo, il gatto non sembra dare segni di volersene andare.

Così Harry prova a fargli paura, ma il gatto sbadiglia, come a prenderlo in giro.

-Allora, gatto, lo vuoi capire che sono allergico al tuo pelo o no, potrei adottarti solo se fossi spelato- prova a spiegarli, sentendosi stupido a parlare con un gatto, che piega la testa e continua a fissarlo con quegli occhioni splendidi.

Si fissano intensamente, verde su verde, poi Harry apre senza pensarci la finestra, e il gatto entra come se avesse aspettato tutto il tempo quel momento.

Harry sente che gli sta partendo uno starnuto, ma proprio quando sta per arrivare, gli si ferma, senza un motivo valido.

Si gratta il naso, chiedendosi il perché.

Poi gli arriva un messaggio al cellulare.

“Ho finito Dragon, non mi piace il finale, però. E’ triste :(”

Lui continua a fissare il drago, che si è accomodato senza tanti complimenti sul suo divano. Fortuna che il padre non è ancora tornato.

“Lo so, ma mi è sembrato di capire che le storie sono tutte collegate, magari troverai un seguito alla povera vicenda di Hiccup” le risponde.

“Verso la fine ce n’è una chiamata ‘Transylvania: quartier generale dei mostri’ Potrebbe essere là” aggiunge poi, ma quando sente qualcosa strusciargli sulle gambe quasi fa cadere a terra il cellulare.

Il gatto gli si sta strusciando addosso, come alla richiesta di coccole o bocconcini.

Harry si prepara a starnutire nuovamente, ma sembra come se la sua allergia fosse sparita.

-Ah, guarda un po’, forse il tuo pelo non è pericoloso per me, eh, Spelato?- lo accarezza con attenzione, ma tutti i sintomi dell’allergia sono spariti.

Si ripromette di parlarne con la dottoressa Light, il giorno successivo, e prende in braccio Spelato per portarlo in camera sua, dove potrà nasconderlo dal padre.

Spera solo che non vada a finire come nel racconto.

 

Roxanne legge il messaggio di Harry dubbiosa, poi volta le pagine del libro, la prossima è “L’orco e la principessa” e decide di dare un’altra possibilità al libro, sperando con tutto il cuore che ne valga la pena.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(A.A.)

Eccomi qua con il nuovo capitolo, l’ho scritto tutta oggi ma spero che ne valga la pena.

Le scene identiche al film le ho saltate, e ho aggiunto un finale diverso e tante altre cose.

Voglio informarvi che tutti i capitoli avranno un POV diverso, e si alterneranno i quattro protagonisti in quest’ordine: Roxanne, Harry, Marlene e Fred.

Spero davvero che il continuo vi piaccia, e al prossimo capitolo.

Ho anche aggiunto alcune cose alla bozza iniziale, e ditemi se il disegno si vede, perché in caso contrario smetto di farli che è meglio.

Se si vede e fa schifo ditemelo lo stesso, ok? ;)

so che il capitolo è un po’ troppo lungo, mi dispiace, ma avevo molte cose da dire.

Se avete domande, consigli o altro non esitate a chiedere, vi risponderò a qualsiasi cosa, che sia complimento o critica (spero costruttiva)

Alla prossima :-*

P.s. perdonate gli eventuali errori, l’ho riletto mille volte ma loro sfuggono come anguille.

 

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Capitolo 4
*** Capitolo 3: Meglio fuori che dentro ***


Once upon a Time in Otherland

Capitolo 3: Meglio fuori che dentro

 

“Ehi, dove andate? L’uscita è da quella parte”

“Beh, devo salvare il mio asino”

“Ma.. che genere di cavaliere siete voi?!”

“Unico nel suo genere”

-Shrek

 

Shrek era un orco, e già questo non andava molto a suo favore. In più, era infastidito in maniera evidente dalla guerra tra mostri e umani che imperversava ormai da anni e anni, il ché lo rendeva antipatico a entrambe le parti.

Era riuscito a mantenere una certa tranquillità, nella sua palude, perché gli orchi erano in assoluto le bestie più temute dopo i draghi e, naturalmente, gli stregoni.

Erano verdi, grossi, forti e brutti, ma Shrek se ne faceva un vanto, e se qualche sventurato umano osava venirgli a dare la caccia, lo spaventava a tal punto da farlo correre via a gambe levate.

Ma, in realtà, non aveva mai fatto male a nessuno, e non voleva farlo, perché il suo unico desiderio era essere lasciato in pace, e vivere tranquillo nella sua semplice, umida e puzzolente palude.

Purtroppo non sembrava una cosa possibile, infatti la sua storia cominciò proprio il giorno in cui la sua tranquilla vita senza sorprese e senza seccature finì drasticamente.

Quella mattina sembrava come tante altre.

Si svegliò, fece colazione con occhi di rospo in gelatina e fece un bel bagno di fango rilassante.

Ma non era affatto una normale giornata, infatti l’intero regno di Molto Molto Lontano era in lutto per l’anniversario del decimo anno da quando la principessa era stata catturata e rinchiusa in una torre governata da un pericoloso drago.

Solo il suo vero amore sarebbe riuscito a salvarla, si narrava, ma Shrek non badava certo a storie e leggende del regno, e non lo sapeva, né gli interessava.

Non sapeva neanche che il re per l’occasione avrebbe liberato tutti i mostri nella sua palude per liberarsene una volta per tutte, né che questo avvenimento sarebbe stato più che importante nella sua vita.

Dopo aver attaccato un altro paio di cartelli “Lasciare in pace l’orco” per la foresta, tornò a casa, e lo scoprì.

La sua palude era invasa da zombie che giocavano a testa avvelenata, con riflessi così lenti che sembrava di vedere una partita a rallentatore. Persino la “palla” cadeva lentamente, senza alcuna spiegazione logica.

Tra gli altri mostri spiccavano perlopiù lupi mannari e cavalieri senza testa.

Per non parlare degli animali parlanti.

-Hey ciao!- una voce dietro di lui lo riscosse dalla tremenda immagine.

-Che cosa ci fate nella mia palude?!- urlò ai mostri, che lo fissarono per qualche secondo, per poi tornare alle loro attività.

-Ah, la palude è tua? No perché il re aveva detto che ci spediva da una bestia feroce che ci avrebbe mangiato tutti, mentre tu sembri un mostro, e quindi significa che non lo farai, a meno che tu non serva gli umani, in tal caso comunque mi sembri un tipo simpatico, una spietata macchina da guerra verde e credo che potremmo diventare grandi amici. Io sono sempre stato…- la voce, proveniente da un asino parlante, venne zittita da Shrek con una mano a chiudergli la bocca.

-Un momento, il re ha detto cosa?- chiese poi, il ciuco cominciò a parlare con la bocca chiusa, e l’orco tolse la mano.

-Il re ci aveva catturato, ma per l’anniversario della rinchiusone della figlia ci ha liberati qui per ucciderci, non possiamo scappare per via di una magia della Fata Madrina, e il re crede che tu ci ucciderai tutti tritando le ossa per farci il pane o cose del genere, ma io credevo che…- Shrek interruppe nuovamente il parlare del ciuco.

-Uno: quello lo fanno i giganti; 

Due: Voi non resterete qui;

Tre: Stammi alla larga, e sopratutto sta zitto- mollò la mano dalla bocca del mulo, che piegò la testa e iniziò a seguirlo tutto contento, mentre passava i mostri lo insultavano e gli facevano scherzi, finché Shrek stesso non lo prese infastidito e lo gettò lontano, in mezzo a delle galline che parlavano su come evadere.

-Gaia, l’incantesimo della Fata Madrina è troppo potente, potremo far uscire solo un prigioniero con la magia della Divinatrice- disse una, con degli occhialoni a un’altra, con un cappellino in testa.

-Perché non mandate me, vado dal re e gli chiedo di farci uscire perché l’orco non vuole mangiarci- propose l’asino, con un sorrisone, le galline lo guardarono disgustate.

-Se mangiasse te ci farebbe solo un enorme favore- commentò la Gaia.

-Uff, ancora arrabbiate per il piccolo rumore fatto durante l’appostamento?- chiese lui, sbuffando.

-Piccolo rumore? voglio ricordarti che hai fatto un baccano infernale distruggendo tutte le armi che sarebbero servite all’assalto e ci hai fatto catturare, perciò scusa se non ci fidiamo di te per la nostra salvezza- e girandosi di spalle le due galline continuarono a parlottare tra loro.

-Volete cambiare idea, vero?- chiese l’asino, speranzoso, loro lo ignorarono, e lui, sospirando, si voltò verso l’entrata della capanna, dove l’orco di prima stava litigando con i topini ciechi.

-Questa è la mia palude, e dovete essere rispettosi- li rimproverava.

-Scusa, orco, potresti spostarti? dobbiamo impostare il centro fuga all’interno, abbiamo bisogno di un tavolo- altre galline parlanti gli fecero cenno di spostarsi, ma lui restò impettito davanti alla soglia.

-No, voi non andate da nessuna parte. questa è casa mia e io pretendo che si rispettino i miei spazi- ribatté, testardo.

-Non so se l’hai notato, ciccione, ma lo spazio è ristretto- la gallina più grassa lo scansò di lato, ed entrò, restando incastrata nella porta.

Quando si liberò, un pezzo della porta andò con lei, e Shrek perse la pazienza.

-Ora basta!!!- urlò, attirando finalmente l’attenzione di tutti.

-Ora voi ve ne andrete dalla mia terra. Andrò dal re, e mi batterò al massimo perché voi andiate via dalla mia palude. Dovessi anche morire, voi sloggerete da qui!!!- ci fu un attimo di sbigottimento, poi tutti si misero ad applaudire, gli intelligenti a ridere.

-E come credi di uscire?- chiese Gaia, interessandosi all’argomento.

-Gli orchi sono immuni agli incantesimi, posso uscire tranquillamente, ma qualcuno deve condurmi dal re- tutti abbassarono lo sguardo, nessuno, neanche per la propria libertà, sarebbe andato con un orco.

-Io, io so dov’è, posso portarti da lui- a parlare fu Ciuchino, l’unico che sembrava entusiasta dell’idea.

-Ehm, non è che qualcun altro saprebbe trovarlo?- chiese poi, dato che neanche lui voleva avere niente a che fare con il ciuchino.

Ma dato che nessuno voleva proporsi, Shrek fu costretto ad acconsentire.

-Su, verrai con me, avete un modo per fargli attraversare l’incantesimo?- chiede ai mostri ai suoi piedi.

-Si, la pozione della Divinatrice- rispose Ciuchino.

-Lo vado a prendere- Gaia si arrese, e si diresse verso una tenda poco distante.

-Non serve, per sbaglio prima ci sono inciampato, e l’intruglio si è rotto su di me, perciò, andiamo?- e si avviò trottando verso Shrek, cercando di ignorare le occhiatacce di tutti i mostri.

Una volta fuori dai confini, il ciuco tirò un sospiro di sollievo.

-Sulla strada sola, impazienti di stare sulla strada sola…- iniziò a cantare, l’orco lo interruppe mettendogli nuovamente una mano davanti alla bocca.

-Non cantare, non parlare, e non fare alcun tipo di rumore molesto- gli ordinò.

-Posso canticchiare?- chiese lui.

-No- rispose sicuro Shrek

-Non sei uno molto socievole, vero?- chiese poi, guadagnandosi un’occhiataccia.

-Senti chi parla, comincio a capire perché la gente ti malmenava prima- rispose l’orco.

-Mi vogliono bene, solo che non lo dimostrano- il ciuchino procedette tranquillo e sereno, trottando al fianco di Shrek.

-Posso fischiettare?- chiese poi.

-No- 

-Canticchiare?-

-Ho già detto no-

-Fare pernacchie sonore con le ascelle?- 

-Neanche per sogno-

-Canticchiare?-

-E sia, a bocca chiusa- cedette infine Shrek, sorpassandolo per cercare di non udire più quell’infernale ciuco rognoso.

 

Arrivati all’ingresso della città si fermarono di fronte alle mura.

-Bene, ora dobbiamo avere una strategia. Gli umani ci odiano, perciò dobbiamo passare nascosti, senza farci notare, invisibili e silenziosi, sopratutto silenziosi, perché altrimenti ci verranno contro con i forconi e le torce, li ho visti, sai, gli umani in guerra, sono…- ma Shrek, alzando gli occhi al cielo, aprì il portone ed entrò con nonchalance.

Fin da subito la gente urlò, scappò, venne lanciato l’allarme, ma Shrek non si scompose di una virgola, e procedette in direzione del castello.

Ciuchino gli trottava dietro, spaventato dai guerrieri armati che via via sembravano volerli accerchiare.

-Fermo, orco, sei circondato- riuscirono nell’impresa, e Shrek quasi non se ne curò.

Continuò invece ad avanzare, almeno finché una donna non gli puntò una spada al collo.

-Fermo, orco- Shrek si fermò, piuttosto infastidito.

-Scusate, signorina, ma vorrei parlare con il re e la regina- Shrek illustrò il suo scopo, e tutte le guardie scoppiarono a ridere, ad eccezione della giovane donna.

-E a che scopo?- chiese invece.

-Riavere indietro la mia palude, dove il re ha esiliato alcuni mostri. E’ proprietà privata, e io non ho mai fatto niente di male contro gli umani, né contro i mostri. Voglio solo vivere in pace- la donna lo osservò attentamente, Shrek incrociò le braccia , sfidandola a tagliargli il collo.

-D’accordo, potrai vederli- e tra lo stupore generale delle guardie, lo condusse verso a reggia.

-Si, evvai, gente, uno a zero per… senti un po’, com’è che ti chiami?- chiese Ciuchino all’orco.

-Shrek- rispose lui a denti stretti, infastidito dal continuo chiacchierare della bestia.

-Uno a zero per Shrek!! E grazie… tu com’è che ti chiami?- chiese poi Ciuchino alla giovane donna, che, tolto il cappuccio, si rivelò essere una ventenne circa con lunghi capelli castani raccolti in due trecce e occhi del medesimo colore.

-Elinor. Non ringraziarmi, non mi fido del tutto del tuo amico verde- 

-Fammi indovinare, mi rinchiuderai in cella?- chiese Shrek, con l’aria di chi se l’aspettava.

-Oh, no. Parlerai davvero con i reali, ma non sarai certo solo- la giovane donna lo scortò nella sala del trono, e quando Shrek vi entrò accompagnato da Ciuchino, ci fu un coro di piccole urla, esclamazioni sorprese e il re e la regina fecero un balzo sulla sedia per la sorpresa.

-Ma co-co-cosa ci fa quest’orco qui?- chiese il re, senza rivolgersi a nessuno in particolare.

-E’ qui per una richiesta- rispose Elinor per lui.

-Ma, principessa Elinor, non credo di aver capito bene, lo ha portato qui e ha parlato con lui senza ucciderlo?- il re sembrava furioso, ma Elinor era impassibile. Quando stava per ribattere Shrek lo fece per lei.

-Voi avete portato dei mostri indesiderati nella mia proprietà, e non possono andare via, io richiedo che la mia palude sia sgomberata dagli indesiderati. Io voglio solo vivere in pace- Shrek illustrò le sue richieste arrabbiato, il re quasi scoppiò a ridere.

-E tu credi davvero che io libererò la tua palude solo perché vieni qui a chiedermelo galantemente?- chiese, come se l’idea lo divertisse non poco.

-Posso anche passare ai metodi cattivi, vostra maestà- lo minacciò l’orco, sottolineando “vostra maestà”  massaggiandosi i pugni. 

-E’ oltraggioso, guardie, catturate l’orco e rinchiudetelo in cella- ma mentre le guardie si avvicinavano minacciose, Shrek si preparava a combattere e Ciuchino si nascondeva spaventato dietro di lui, la regina fermò il marito.

-Aspettate… Harold, potremmo sempre chiedergli di liberare la nostra amata figlia, e in cambio restituirgli casa- provò a proporre sottovoce al marito, che sembrò atterrito alla sola idea.

-Non permetterò che un orco sia incaricato di liberarla, nessuno può farlo ad eccezione del suo vero amore- sembrava molto teso.

-Non credo a queste leggende, lo sai, potremmo almeno fare una prova, ti prego- lo supplicò lei. Il re, dopo un attimo di tentennamento, decise di accettare.

-D’accordo, ti restituirò la tua palude, totalmente sgombra, se riuscirai in un’importante impresa- Shrek lo guardò inarcando un sopracciglio, Ciuchino tirò un sospiro di sollievo.

-Che tipo di impresa?- chiese poi Shrek, deciso più che mai a riavere la sua vita di prima, e la sua palude.

***

-Marlene, svegliati immediatamente- è la terza volta che sua madre compare in camera per svegliarla, ma Marlene sta ancora ronfando beatamente nel suo morbido e caldo lettino.

Spera solo che la madre non ricorra al piano B.

-Hugo, Harold, Hector, svegliatela!!- purtroppo le sue preghiere non vengono ascoltate, e quando mai.

Prima che i tre bambini possano anche solo entrare nella stanza, Marlene si fionda giù dal letto e si affretta a urlare.

-Sono sveglia, sono sveglia- prima di chiudere la porta a chiave, e tirare un sospiro di sollievo per essere riuscita a evitare i fratellini.

Senonché, quando sta per rimettersi a dormire, tutti e tre le si parano davanti, probabilmente entrati dalla finestra.

-Fuori, fuori, fuori dalla mia stanza- aprendo la porta, la rossa li butta fuori, e loro ridacchianti scappano via.

Così decide di rassegnarsi e prepararsi per un’altra noiosissima giornata di scuola.

Si consola al pensiero di vedere almeno il suo migliore amico.

Decide di metterci più tempo possibile, almeno così sua madre non potrà obbligarla a cambiarsi.

Opta per dei pantaloncini jeans strappati, converse nere, maglietta verde acqua a maniche corte un po’ rovinata.

Poi lega i disordinati capelli in una coda ancora più disordinata e aspetta in camera finché la madre non la chiama per l’ennesima volta, urlandole che sono tremendamente in ritardo.

-Sono pronta- e prendendo al volo una giacchetta di jeans e lo zaino, si avvia scivolando sul corrimano delle scale verso la porta, ed entra in macchina come una furia.

-Marlene, sei pronta?- la madre neanche l’ha vista, e passa per camera sua mentre si infila la giacca da lavoro.

Per tutta risposta si sente il clacson dell’auto.

Eleanor Donner alza gli occhi al cielo, e si affretta a recuperare i gemelli e ad andare in macchina, dove la figlia maggiore l’attende con le cuffiette nelle orecchie e i piedi appoggiati davanti a lei.

Sospira, e si siede al posto del guidatore, dopo essersi assicurata che i figli siano a posto e abbiano tutti la merenda.

-E tu, Marlene, MARLENE!- la chiama, la figlia alza lo sguardo, e stoppa la musica.

-Eh?- chiede alla madre.

-Hai preso il panino che ti ho fatto?- chiede la madre, scandendo bene, come se la figlia stesse ancora ascoltando la musica.

-No, prenderò qualcosa al Vampire’s café- alza le spalle, la madre però ha altri programmi.

-Vallo subito a prendere- la incita, indicando la porta con fare autoritario.

La ragazza, dopo aver alzato gli occhi al cielo, va di corsa a prendere quel rivoltante panino che regalerà senz’altro a Fred.

Decide anche di prendere un po’ di soldi dal portafogli del padre, così lei avrà più cibo e il padre meno birra.

La madre suona il clacson, e Marlene, sbuffando, si affretta a uscire e tornare a bordo dell’auto, con il panino ben in vista.

Appena entra lo butta all’interno della cartella, e si spaparanza di nuovo con le cuffie nelle orecchie e il piedi poggiati avanti a se.

La madre le lancia un’occhiata esasperata, ma avvia l’auto e partono in direzione della scuola.

All’arrivo Marlene scene dall’auto in tutta fretta, perché l’autobus è già arrivato, e ieri pomeriggio non è riuscita a vedere Fred per impegni post scolastici.

Lo cerca tra tantissime teste castane, tra cui riconosce quella di Harry Hills, il figlio del poliziotto, dove lei lavora part time.

-Fred!- chiama, a gran voce, se devono andare al Vampire’s café prima della campanella devono sbrigarsi.

Due mani le coprono fastidiosamente gli occhi.

-Indovina chi è!- 

Marlene sbuffa sonoramente.

-Fred, lo so che sei tu- toglie le mani del moro da davanti gli occhi e lo osserva ridacchiare.

-Allora, andiamo, prima che suoni la maledetta campana- lo prende per un braccio e lo trascina verso il Vampire’s café.

Appena arrivano vengono accolti dalla banda di Austin Charme, e il citato si avvicina con aria arrabbiata a Fred.

Marlene osserva l’amico, chiedendosi cosa posa aver fatto al bullo più temuto della scuola, l’amico però è tranquillo, e si siede sul bancone, incoraggiando Marlene a fare altrettanto.

-Su, ordina la colazione, altrimenti faremo tardi, almeno che tu non voglia saltare la scuola, oggi. In tal caso avresti tutta la mia approvazione- scherza lui.

-Non oggi, ma tu rispondi alla mia domanda: Perché Austin Charme sta venendo verso di noi con fare minaccioso?- non è assolutamente spaventata da quel bulletto dalla manicure perfetta, ma di solito evita Fred.

Lui alza le spalle.

-Boh, sarà per ieri, che ho difeso Hills e la sua amica Allison- 

-Ah, ecco!- proprio in quel momento arriva Theresa Wood, la cameriera più lavoratrice della tavola calda.

-Allora, cosa volete, ragazzi?- chiede con un sorriso, conosce bene Fred e Marlene, che vengono ogni mattina.

-Io prendo un muffin da portar via e un cappuccino da prendere qui, Fred, vuoi qualcosa?- chiede Marlene all’amico.

-Niente, grazie, ho fatto colazione all’orfanotrofio- il ragazzo declina l’offerta con un sorriso.

-Perfetto, due cappuccini, grazie Tessa- si corregge Marlene, Fred alza gli occhi al cielo, ma non si lamenta.

-Va bene, arrivano subito- Theresa prende il muffin, fa il pacchetto per la merenda, poi si arma con la macchinetta del caffè per preparare i due cappuccini.

-Peccato che qui non si facciano frullati né gelati- commenta tra se e se Marlene, Fred le da una gomitata, incitandola a stare zitta.

-Lo sai che nessuno deve saperlo- le sussurra a denti stretti.

-Sapere cosa?- chiede Austin, raggiungendoli solo in quel momento.

-Oh, niente, organizziamo un party all’orfanotrofio e nessuno deve saperlo specialmente tua madre, dato che abbiamo in mente di aspettare finché non si addormenta per pitturarle la faccia con colori indelebili- si inventa lì per lì Fred, e prendendo anche appunti per un eventuale scherzo del genere.

-No, voi non oserete toccare la faccia della mia mammina. Glielo dirò!- Austin assume il suo famoso tono lamentoso e minaccioso insieme, che sinceramente fa solo ridere Marlene.

-Ok, fallo, ma non sai quando lo faremo, perciò non sarà preparata e dovrà stare sveglia per giorni e giorni e giorni per impedircelo- Fred è rilassato e tranquillo, Austin invece si sta infastidendo sempre di più.

Non sa come replicare, perciò li lascia lì e torna dalla sua banda.

-Te ne pentirai, Jackson- lo minaccia però.

Fred, per tutta risposta, sbadiglia, totalmente indifferente alle minacce.

-Ecco qui, ragazzi- Tessa serve i due cappuccini 

-Sono $3.40- dice poi, quando i due amici hanno finito.

Marlene paga con una banconota da cinque dollari.

-Ecco il resto, buona giornata, ragazzi- li saluta con un sorriso, e i due amici escono per dirigersi, in tutta tranquillità, a scuola.

Quando arrivano al portone la campanella è appena suonata, e già la maggior parte dei ragazzi sono entrati.

-Su, sbrigati Marlene, o faremo tardi- la incoraggia Fred, avviandosi verso l’entrata della scuola.

Ma l’attenzione della ragazza viene attirata, senza un motivo particolare, da un ragazzo al lato della scuola, che sembra stia parlando con un gatto nero.

Riconosce Harry Hills, e si chiede se sta impazzando o se forse ha capito male il padre, perché sapeva che lui soffriva di allergia al pelo del gatto.

Decide di lasciar perdere, e si avvia in classe.

 

-Ti giuro, Fred, che avremmo due periodi di vacanza di sei mesi ciascuno, se solo dipendesse da me- dopo le snervanti ore di noiosissima scuola, finalmente Marlene è libera di passare un pomeriggio tranquillo, dato che è uno dei suoi pomeriggi liberi.

-Dai, almeno è finita, che ne dici se questo pomeriggio andiamo tu-sai-dove?- propone l’amico.

-Assolutamente, mi ci vuole proprio un bel frappé alla mela- acconsente lei, pregustando già il pomeriggio.

-Uff, quante volte devo dirti di non parlare di questo argomento, hai idea di cosa rischia Elizabeth?- la ammonisce Fred, e Marlene fa il segno di bocca cucita.

-Bene, allora ci vediamo alle quattro all’orfanotrofio, ok?- si danno appuntamento, e Marlene si avvia all’auto, dove la madre la raggiunge poco dopo, con i gemelli al seguito.

-Marlene, sali in macchina- la ragazza esegue, e dopo che la donna si è assicurata che tutti i figli hanno le cinture allacciate e, sopratutto, che sono tutti dentro, parte.

Ma prima che la maggiore possa mettere nuovamente le cuffiette nelle orecchie, la madre comincia a parlarle.

-Marlene, questo pomeriggio devi andare in bottega a ritirare la stufa del signor Moon, mi ha chiesto espressamente di ritirarla, e io non ho tempo- le ordina, Marlene la guarda incredula.

-Ma Mamma… non posso andarci, devo vedermi con Fred, non può ritirarla da solo, il preside?- chiede, in tono lamentoso.

-Marlene, non essere irrispettosa, è un uomo molto impegnato, e puoi sempre passare sulla strada di ritorno- prova a farla ragionare la madre.

Marlene sbuffa.

-Ti prego, per una volta, cerca di aiutarmi- il tono della madre è supplichevole, e Marlene acconsente.

-Spero almeno non debba pagare per lui- commenta solo.

La madre sorride leggermente, felice che abbia accettato

-La riparazione è prepagata, non temere- la rassicura, Marlene mette le cuffiette, e il resto del viaggio procede senza ulteriori discorsi, in silenzio.

***

-Quindi fammi capire, devi andare a recuperare una principessa tenuta prigioniera da un drago in una torre per dieci anni e in cambio i reali ti ridaranno la tua palude?- chiese per l’ennesima volta Ciuchino, mentre uscivano dal cancello.

-Si- e per l’ennesima volta arrivò la risposta seccata dell’orco.

-Ora facciamo una bella cosa, tu starai in silenzio, il viaggio procederà senza ulteriori discorsi, o io ti getto in pasto al drago una volta arrivati- continuò poi, il ciuco abbassò le orecchie, cercando di metabolizzare la regola.

-Ma posso canticchiare a bocca chiusa, no?- chiese poi, ritrovando il sorriso.

Shrek alzò gli occhi al cielo totalmente esasperato.

-Non vedo l’ora che tutta questa faccenda sia finita- commentò a denti stretti.

-Posso dirti una cosa?- chiese poi Ciuchino.

-No-

-Per essere un orco sei sorprendentemente gentile- disse comunque il ciuco, Shrek non sapeva se prenderlo come un complimento o cosa.

-Sai, gli orchi hanno dentro più cose di quanto pensi, sono a strati, come le cipolle- provò a spiegare.

-Ma non a tutti piacciono le cipolle- rifletté il ciuco ad alta voce.

-Mentre le torte piacciono a tutte, e sono a strati, o le lasagne, quanto sono buone le lasagne, gli orchi potrebbero essere come le lasagne- il piccolo ciuco assunse un’aria contemplativa, come immaginandosi nell’atto di mangiare delle lasagne.

-Si, ma gli orchi non piacciono mica a tutti- borbottò Shrek tra se e se, contando sul fatto che Ciuchino non lo sentisse.

-Se gli umani imparassero a conoscerci scommetto che noi piaceremmo a tutti- commentò però il ciuco con un sorrisone.

-Noi?- chiese Shrek.

-Si, noi mostri- specificò Ciuchino.

-Io non rientro in questo noi, capito? Io voglio solo essere tranquillo e sereno nella mia palude- ribatté l’orco, Ciuchino decise di lasciar perdere.

-Piuttosto, come raggiungiamo il castello del drago?- chiese Ciuchino.

-Il re ha detto che ci avrebbe fornito una guida, ma non la vedo arrivare- il re aveva detto che l’avrebbero trovata proprio fuori dalle mura, ma non si vedeva nessun umano in giro.

-Io son qui, sei tu, el sinore, che non me viede- una voce che sembrava provenire dagli alberi, con marcato accento spagnolo venne sentita dal duo, e subito dopo un gatto con stivali, cappello e spada gli piombò davanti, facendoli sobbalzare.

-Certo che per essere in guerra, il re fraternizza molto con i mostri- commentò l’orco, osservando il gatto, che ribatté in tono offeso.

-Io no essere mostro. Io fui el gatto della princesa, prima che ella fu rapita- parlava in tono teatrale.

-E il re ti ha incaricato di condurci al castello?- tagliò corto Shrek.

Il gatto annuì.

-Perfetto, un’altro animale parlante indesiderato- commentò sarcastico l’orco, facendo cenno al gatto di illustrare la via.

-Su, prima andiamo prima mi libero di voi due- mentre iniziavano il viaggio, Ciuchino osservava il gatto sospettoso, quel suo faccino peloso non lo convinceva affatto.

 

Arrivare e attraversare il ponte furono davvero dei compiti ardui, ma mai quanto lo sarebbe stato trovare la principessa e affrontare il drago, questo Shrek lo sapeva.

Ma Ciuchino trasmetteva così tanta ansia da tutti i pori, che infastidiva sia Shrek che il gatto.

-Ciuchino, smettila di tremare, e cerca delle scale- provò a dirgli Shrek.

-Scale, non cercavamo una principessa?- chiese lui, confuso.

-Princesa si trova in cima a los scalos, in stanza remota di più alta torre. Todos lo sanno- il gatto lanciò un’occhiata condiscendente a Ciuchino, che l’animale parlante trovò molto fastidiosa.

-Ok, io vado alle scale e recupero la principessa, capito, principessa, non princesa- sottolineò la sua ottima pronuncia.

-Ciuchino, è spagnolo, non è errore, e comunque sbrigati- lo incitò Shrek.

Il gatto assunse un’espressione soddisfatta, e si affrettò a seguire Shrek, mentre andava ad affrontare il drago.

-Le trovo quelle scale, trovo anche la principessa, e poi vediamo chi è l’animale parlante più utile- borbottò il ciuco iniziando ad avviarsi nella direzione opposta.

Purtroppo per lui, non raggiunse la torre più alta, bensì il…

-DRAGO!!!- urlò in preda al panico, quando un’enorme sagoma gli si parò davanti con fare minaccioso.

-AHHHH!!!- cercò di scappare via, il drago gli ringhiò contro.

-SHREK!!!- chiamò, l’orco arrivò pochi secondi dopo, preceduto dal gatto, a spada sguainata.

Alla vista del drago, però, il gatto si ritirò, e sinceramente Ciuchino non riuscì a biasimarlo.

Shrek prese una spada da un cavaliere morto lì vicino e si preparò ad affrontare il drago.

-Vieni qui, lucertolone- lo incoraggiò, ma il drago non gli badò minimamente, sembrava particolarmente interessato a Ciuchino.

-Hey, capo, potremmo sacrificare il ciuco- provò a proporre Gatto, da sotto un’armatura.

-Non ci penso nemmeno!- Shrek declinò con decisione la proposta, facendo sorridere grato Ciuchino, e facendolo fermare un attimo, un’attimo che lo fece prendere dal drago per la coda.

-AHHHH!!!- urlò ancora, Shrek si arrampicò sulla coda del drago e lo infilzò con la spada.

Per quanto ci badò avrebbe potuto infilzarlo con uno stuzzicadenti, il drago si limitò a lanciarlo via, dritto verso la torre della principessa, ma sortì almeno in parte l’effetto desiderato, visto che lasciò andare Ciuchino.

Il drago però non aveva intenzione di lasciar andare colui che l’aveva svegliato.

Gli ringhiò nuovamente contro.

-Che denti lunghi che hai!- esclamò tremante il ciuco. Poi, resosi conto che sembrava non piacergli questo commento, cambiò tattica.

-Cioè, volevo dire, che denti abbaglianti. Hai un sorriso davvero smagliante, sfavillante, davvero- iniziò a complimentarsi, il drago sbatte le ciglia, lusingato.

-Ma sei una femmina!- esclamò incredulo il ciuco, il drago assunse un attimo un’espressione come a dire “te ne sei accorto solo ora?”

-Oh, certo che sei una femmina, perché tu trasudi bellezza femminile ed eleganza da tutti i pori- La draghessa si ammorbidì, e soffiò un cuore di fumo intorno al ciuco, che si accorse solo in quel momento di cosa avessero provocato le sua lusinghe.

-Oh oh- disse solo, prima di venire nuovamente preso per la coda e portato in un’altra stanza del castello.

-Non temere, el ciuco, io ti salverò- disse Gatto a bassa voce, uscendo da sotto l’armatura e iniziando ad avviarsi in direzione del drago.

Poi, dopo aver sentito un altro ruggito, ci ripensò, e decise di andare a cercare Shrek.

Ok che lui era coraggioso e forte e abile spadaccino, ma quello, santa lisca di pesce, era un’enorme draghessa!

Ciò cha accadde dopo finì nella storia. 

***

Marlene arriva puntuale all’orfanotrofio, pronta per un divertente pomeriggio con Fred, ma lui non è lì.

Storce la bocca, non è da lui essere in ritardo, neanche di un minuto, perciò entra nel grande edificio.

Helga Charme, il capo dell’orfanotrofio, è seduta sulla sua scrivania a riordinare scartoffie.

-Signorina Donner, che posso fare per lei?- chiede, senza neanche degnarla di uno sguardo.

-Dov’è Fred Jackson?- chiede Marlene, parandosi di fronte alla donna con le braccia incrociate.

-A quanto mi risulta è in punizione- risponde Helga con tono farfallino.

Marlene vorrebbe strappale tutte le scartoffie.

-E perché mai?! se posso chiedere- 

-Per atti di bullismo- la ragazza non sa se ridere, urlarle contro o alzare gli occhi al cielo sussurrando “E ti pareva!”

Opta per lo sguardo impassibile, ma le esce una smorfia rabbiosa.

-E verso chi, di grazia?- chiede ancora, finalmente Helga alza lo sguardo.

-Verso Austin, e tu lo sai bene, dato che eri con lui quando l’ha fatto. Mi ha raccontato tutto- 

Per essere una nana di sessant’anni, la signora Charme è abbastanza temuta in città, anche se più che altro è temuta dagli orfani.

Infatti tutti i ragazzi che ha ospitato nell’orfanotrofio devono ripagarle gli anni trascorsi lì una volta diventati adulti.

Elizabeth Brooks deve ancora saldare il suo debito, così come deve farlo Christopher Boggs, Holly Norton e, strano a dirsi, anche Victor e Miles Bennet, il ché la rende più temuto perfino di loro.

Inoltre è a capo delle imprese estetiche della città, e ci guadagna davvero molto bene.

-Ma non è la verità, suo figlio è solo un bambino viziato. Ed è lui il vero bullo- si lamenta Marlene.

-Va subito via, non ti permetto di parlare così di mio figlio- ma Marlene non si arrende.

-Io resterò qui finché non libera Fred- e incrociando le braccia si accomoda su una delle sedie totalmente inutilizzate davanti alla scrivania.

-Chiamo i tuoi genitori!- la minaccia la signora Charme.

-Mamma è impegnata, e papà è al Vampire’s café a bere, come al solito. Ho tutto il pomeriggio- e prende una gomma da masticare.

Helga la guarda male, ma gioca al suo gioco, e si comporta come se non esistesse.

La ragazza fa palle con la gomma, gioca con il cellulare al massimo volume e batte con il piede sulla scrivania per ore, ma Helga Charme non sembra voler cedere, e alla lunga diventa noioso per Marlene, specialmente quando le si scarica il cellulare.

Il guaio però arriva quando deve andare in bagno.

Non ci sono indicazioni su dove andare, anzi, è probabile che non ci sia un bagno per chi visita l’orfanotrofio.

Cerca di trattenersi, ma non ci riesce troppo a lungo, e alla fine cede, ed esce fuori dall’orfanotrofio, per cercare la toilette più vicina.

-E non tornare, signorina Donner- le dice a mo’ di saluto Helga, con un sorrisetto trionfante.

Dopo aver fatto però ciò che doveva fare, la ragazza prova a rientrare, benché siano ormai passate le sei, ma la porta è sorvegliata dal signor Lawrence, il tipo che spesso accompagna la figlia del sindaco in limousine.

Non sapeva che lavorasse anche per la signora Charme.

Marlene però non si arrende, e passa sul retro per provare ad entrare da una qualsiasi finestra.

Quando riesce nell’impresa, però, nota con leggera inquietudine che non sembra affatto l’orfanotrofio, a meno che l’orfanotrofio non assomigli a un’ospedale psichiatrico.Vaga per un po’ nei corridoi, finché non si imbatte in un enorme cane dal pelo rossiccio di guardia a una stanza, con una finestrella di sbarre che mostra una donna dai capelli raccolti in una treccia molto disordinata e con un vestito strappato che sta abbracciando le sue ginocchia, con la testa posata su di esse.

Fa un passo verso la donna, ma il cane le si para davanti, ringhiando, e attirando l’attenzione della donna stessa, che si gira a guardare Marlene.

-Chi sei?- chiede, Marlene non risponde, e dopo un’attenta osservazione risponde la donna per lei.

-Merida, sei tu? Sei sempre uguale, ma d’altronde lo sono tutti in questa città.- Marlene fa un passo indietro, questa donna deve essere proprio pazza.

Legge il nome sulla porta: “Felicity Collins”

-Il mio nome è Marlene, buon pomeriggio- fa per tornare indietro e rinunciare a vedere Fred quando la donna nella stanza la richiama.

-Aspetta!- con un profondo respiro Marlene ritorna sui suoi passi.

-Sai niente di mio marito Shrek?- le chiede.

“Ma chi, il film?” pensa incredula.

-Si, certo… E’ con il gatto con gli stivali a ballare il cha cha cha mentre le rane parlanti cantano e suonano in sottofondo e Uncino suona il pianoforte- inventa lì per lì, per poi tornare a scappare via.

-Tu non ricordi, non è così?- chiede la donna, con tono ferito.

-Ma se vedi un uomo alto, massiccio con i capelli e occhi castani e naso a patata, chiedigli se si ricorda di me. Inoltre è probabile che si accompagni a un gatto e un ciuco- Marlene non si ferma nemmeno.

Torna sui suoi passi, stavolta sul serio, ed esce finalmente dal manicomio nascosto nell’orfanotrofio.

Non vede l’ora di dirlo a Fred, domani.

Dopo aver notato che si sono fatte le sei e mezza, decide di andare in bottega, a ritirare quella maledetta stufa.

***

Il viaggio di ritorno fu davvero singolare.

Ciuchino era ancora molto scioccato per quello che era accaduto con la draghessa, mentre la principessa Fiona era rimasta molto male nello scoprire che Shrek era un orco, ed era stato difficile convincerla a seguire quel trio male assortito.

Il gatto si era ricongiunto alla padrona persa da tempo, ed era stato lui, infatti, a convincerla a seguire l’orco.

Nonostante le discussioni, l’iniziale disaccordo e l’incontro con i gemelli Stabbington appena evasi di prigione, che Fiona risolse con un bel combattimento di karate che sorprese Shrek oltre ogni immaginazione, alla fine del viaggio di ritorno era nata una singolare amicizia tra la principessa e l’orco, che Gatto e Ciuchino non potevano fare a meno di incoraggiare.

-Ecco qua, Molto Molto Lontano- la città era in vista, ormai mancava davvero poco, un chilometro, anche meno.

-Beh, immagino che sia la fine, ormai- commentò Fiona, con una nota di tristezza.

Ciuchino e Gatto si guardarono.

-Ma Princesa, Capo, credo che Ciuchino sia malado- obiettò Gatto con tono preoccupato.

-Ma che dici, io sto beni…- si interruppe quando il gatto affondò gli artigli negli stinchi.

-…Ahia. Sto malissimo- Shrek e Fiona colsero l’occasione al volo.

-Hai ragione, ha una faccia spaventosa, vuoi sdraiarti un attimo?- chiese l’orco con tono preoccupato.

-Forse è meglio accamparci per un po’. Almeno finché Ciuchino non starà meglio, che ne dici?- propose Fiona.

-Non mi sento più gli stinchi- si lamentò il ciuco per tutta risposta.

-Preparo la cena-

-Prendo la legna per il fuoco- ed entrambi sparirono, lasciando soli il ciuco e il gatto.

-Hermosa interpretaciòn- si complimentò Gatto, porgendo la mano a Ciuchino, il quale continuò però a lamentarsi e contorcersi, come incapace di camminare bene.

-Puoi anche smettere di fingere, ahora- ma Ciuchino non stava affatto fingendo.

-Ho bisogno di un medico- enunciò dolorante, il gatto fece una faccia mortificata.

-Non temer, el Ciuco, qualche ora e starai mucho bueno- lo rassicurò.

-Ora prepariamoci per la misiòn- il gatto si avvicinò furtivo verso il luogo dove Fiona stava posizionando la legna, e si apprestò a parlarle.

-Shrek es un orco mui simpatico- cominciò, la giovane donna lanciò un’occhiata in direzione dell’orco verde.

-Per gli standard dei mostri, molto- sorrise, mentre l’orco preparava un singolare piatto con degli enormi topi presi chissà dove.

-Solo el tuo viero amor poteva liberarte dal drago- suggerì poi lui, con sguardo malizioso.

-Gatto, lui è un orco, ed io… provò a ribattere Fiona, senza convinzione.

-Ma l’amor non si comanda- ribatté a sua volta il gatto, Fiona assunse un’espressione pensierosa.

-E’ un orco, inoltre lui vuole solo la sua palude, non credo si troverebbe a sua agio in un castello- Fiona stessa sembrava però poco sicura di ciò che diceva.

-Ma tu non sai quiesto- Gatto le mise una mano sulla spalla con fare incoraggiante, e lei gli sorrise, grata.

Nel frattempo Ciuchino, ripresosi parzialmente dall’artigliata di Gatto, si era avvicinato a Shrek.

-Perciò, una volta finito qui tornerai alla tua palude?- chiese a Shrek, che stava preparando la cena.

-Si- rispose lui, cercando di apparire sicuro e scontroso come al solito.

-Solo soletto- insistette Ciuchino.

-Si- rispose Shrek, con tono più secco.

-E non la rivedrai mai più- continuò a insistere il ciuco, Shrek si fermò e lo guardò, come a chiedergli: Da che parte stai?

-Lei è una principessa, sono certo che al suo ritorno avrà il suo principe azzurro ad aspettarla- il tono dell’orco era ferito.

-E tu la lascerai così facilmente?- chiese incredulo Ciuchino.

-Io… sono solo un orco che vive in una palude- Shrek abbassò le orecchie, rattristato.

-Magari per lei non sei solo questo, l’hai liberata- provò a farlo ragionare Ciuchino.

-Forse… forse hai ragio…- ma Fiona interruppe l’ammissione di Shrek.

-Il fuoco è pronto, come va con la cena?- chiese, sorridendo all’orco.

-Be-bene, deve solo essere cotta sul fuoco-

 

Il cibo era deliziosa, questo Fiona lo ammise, per essere un topo era uno dei piatti più buoni che aveva mai mangiato in vita sua.

Pure Gatto apprezzò molto, mentre Ciuchino si diede al cibo vegetariano, brucando l’erba lì accanto.

Gatto osservava i piccioncini che parlavano durante la cena con grande tenerezza, ma spostando il piede destro e sentendo il contatto con un foglietto nello stivale, si rabbuiò leggermente.

Il re glielo aveva dato quando lo aveva incaricato di accompagnare l’orco e il ciuco, ma non aveva la forza di fare ciò che era scritto lì, sopratutto vedendo la sua cara Fiona così felice.

-Sono proprio una bella coppia, vero?- chiese Ciuchino, ormai ripresosi completamente, al gatto.

-Si, es una coppia hermosa- confermò Gatto, con tono leggermente addolorato.

-Cosa nascondi?- chiese poi Ciuchino, interpretando bene lo sguardo del gatto con gli stivali.

-Io, nada- rispose lui, evasivo, allontanandosi dal fuoco per andare a dormire.

Ciuchino non sembrava convinto.

-Hai paura di qualcosa?- chiese, con lo stesso metodo che aveva utilizzato con Shrek, mettendolo alle strette.

-No- rispose Gatto, togliendo il cappello e la cintura e posandoli sul ramo di albero.

-E’ qualcosa che riguarda Fiona, o Shrek?- chiese il ciuco, sempre più invadente.

Il gatto saltò sul ramo, ma per un incredibile sfortunata coincidenza perse lo stivale destro, e il foglietto contenuto all’interno volò dritto in faccia a Ciuchino.

-Ah, aiuto, sono cieco, non ci vedo!- esclamò il somarello, iniziando a correre in cerchio, per poi dirigersi verso Fiona e Shrek, che, allarmati dal caos generato dall’asino, si erano alzati e si dirigevano verso di lui, per togliergli il foglietto dal volto.

Il gatto, dopo un attimo di sbalordimento e paura si era messo all’inseguimento del ciuco, per riuscire a impossessarsi prima dei due il foglio compromettente.

Riuscì nell’impresa, e tirò un sospiro di sollievo.

-Cos’è quello?- chiese Fiona, indicando il foglio.

-Esto? Niente- il gatto lo nascose dietro la schiena, con un sorriso per niente convincente.

-Gatto- cerca di pressarlo la principessa.

-Una letera del sovranos, per retrovar el castello- mentì, cercando lo stivale rimettendo il foglio a posto.

Fiona e Shrek si lanciarono uno sguardo sospettoso, ma fu Shrek a fare la prima mossa.

Prese con malagrazia il gatto, che miagolò indispettito, e gli sfilò lo stivale, per prendere il foglio, che porse a Fiona.

Lei lo lesse velocemente, spalancò gli occhi, e guardò ferita il gatto, che abbassò lo sguardo.

-Che cosa c’è scritto?- chiese Shrek, cupo.

Fiona si morse il labbro, incerta se leggere o no la lettera, ma ci pensò Ciuchino per lei.

-Gatto, ti affido il compito di accompagnare l’orco e il ciuco per ritrovare mia figlia, conto sul fatto che moriranno nell’impresa, ma se dovessero farcela, ti affido anche l’importante compito di ucciderli, ma, mi raccomando, fallo prima di giungere di ritorno qui, non posso permettermi che lei lo scopra. E cerca di farlo sembrare un incidente, non voglio che Fiona si insospettisca.

Re Harold di Molto Molto Lontano-

Ciuchino alzò gli occhi verso il gatto, e così fecero anche gli altri due.

Lui, per tutta risposta allo sguardo, sospirò e li guardò tutti con il suoi occhi da cucciolo.

-Posso espiegar- 

***

Marlene arriva in bottega alle sette meno dieci, imbronciata e delusa per il pomeriggio totalmente sprecato.

Entra seccata, e non c’è nessuno all’interno.

-Bene!- esclama sarcastica andando al bancone. Poi urla.

-C’è nessuno?!- e subito un ragazzo si affretta ad uscire dal retro, seguito da un gettino nero.

-Scu-scusa, è che dovevo assistere Scott nel… ciao Marlene- la saluta imbarazzato, avvicinandosi al bancone, il gatto ci sale sopra, e Harry sospira e lo prende per poi posarlo a terra.

-Ciao Harry- lo risaluta brusca lei -Perdona la domanda, ma non eri allergico ai gatti?- chiede, indicando il gatto nero che è risalito sul bancone e la guarda con sufficienza.

-Si, lo sono, solo che sembra non sia allergico a lui, sono andato dalla dottoressa Light e mi ha detto che il suo pelo non mi fa reazione, e dato che si è affezionato a me, beh, non posso buttarlo in strada- lo accarezza, lui fa le fusa, Marlene alza le spalle.

-Ok, meglio per te. Sono qui per ritirare la stufa del preside Moon- va subito al dunque, vuole restare meno tempo possibile, così da tornare a casa, mettere in carica il cellulare e mettere qualcosa sotto i denti, non essendo riuscita ad andare loro-sanno-dove con Fred non mangia niente dall’ora di pranzo.

-Si, Scott ha finito di ripararla stamattina, la prendo subito, aspetta un attimo qui- Harry scompare nuovamente sul retro, e Marlene si guarda intorno, osservando i numerosi attrezzi, gli oggetti di legno costruiti dallo steso Scott, giusto per passare il tempo, anche se non c’è molto da vedere, dato che il più della bottega è il retro.

Prima del ritorno di Harry entra un nuovo cliente, e Marlene resta di sasso.

E’ Shrek… o meglio, è il tipo che la donna matta da legare ha descritto come Shrek, ovvero un uomo dai capelli castani, gli occhi castani, naso a patata e fisico alto e massiccio.

Inoltre si accompagna a un gatto e a un… cane, non un ciuco. 

Comunque, sembra proprio la descrizione fornita da Felicity Collins.

-Lavori qui?- chiede con voce rude a Marlene.

-No, sto aspettando Harry, che mi deve consegnare una stufa riparata- vorrebbe aggiungere qualcosa, ma lascia perdere, e dopo aver annuito l’uomo non le rivolge più neanche uno sguardo, a differenza del cane, che le si avvicina scodinzolando e con espressione allegra.

E’ in assoluto il cane più brutto che Marlene abbia mai visto, ma non ci bada troppo, e gli carezza leggermente il capo, prima dell’arrivo di Harry.

-Ecco qui, dì al signor Moon di chiamare se ci sono problemi- le sorride, porgendole la stufa, preparata in modo da essere facile per Marlene da portare.

-Grazie Harry- Marlene prende il pacco e inizia ad avviarsi verso la porta.

-Signor Sullivan, se è qui per l’orologio, Scott lo sta finendo di riparare proprio in questo momento, dovrebbe essere pronto tra cinque o dieci minuti- Marlene, si ferma, mordendosi un labbro, poi, prendendo coraggio, si gira e chiede all’uomo:

-Conosce una certa Felicity Collins?- 

Lui la guarda confuso, con le sopracciglia aggrottate, Harry la osserva curioso.

-No, mai sentito questo nome in vita mia- risponde.

“E ti pareva!”

-Ah, ok, fa niente- e Marlene, prendendo il pacco, esce dalla bottega.

Appena uscita si maledice mentalmente.

-Ma cosa mi è saltato in mente- alza gli occhi al cielo, e comincia a dirigersi verso casa.

-Hey, aspetta- una voce la fa voltare, ma non è il signor Sullivan, bensì Harry.

-Che c’è?- chiede brusca lei, non risponderà a domande come “Ma chi è Felicity Collins?” o “Perché hai chiesto quella cosa al signor Sullivan?” perciò si prepara a ignorarlo.

-Volevo solo chiederti…- comincia, Marlene alza gli occhi al cielo, pronta alle domande sopracitate.

-…se potevi non dire a mio padre che ho adottato un gatto- continua, Marlene resta totalmente impreparata.

-Che?- gli chiede, non vuole chiedergli di quella pazza?

-Sai, lui si preoccuperebbe, e mi obbligherebbe a mandarlo via, perciò ti chiedevo se magari potresti non dirglielo- Harry sembra molto imbarazzato -Tu sei una sua recluta, per così dire, no?- 

-No… cioè, si, sono una su recluta, e no, non glielo dirò, non preoccuparti- gli sorride, incoraggiante.

-Uff, grazie mille. Come posso sdebitarmi? Vuoi che ti do una mano a portare la stufa?- le chiede.

-No, non serve, ce la faccio. Non hai un turno da finire?- chiede confusa, indicando la bottega.

-Stacco alle sette- spiega lui.

-Ah, se vuoi puoi venire al Vampire’s café con me e Fred, domani- propone lei, non ha la minima idea da dove sia uscito questo invito, dopotutto loro due si sono bellamente ignorati per tutti questi anni. Eppure la ragazza sente che c’è qualcosa di strano tra loro due, come se in una vecchia vita avessero condiviso una forte amicizia, o una forte rivalità.

Ma lei non crede a queste sciocchezze.

Lui sembra spiazzato quanto lei a questa proposta, ma annuisce, incredulo.

-Certo, cioè, se non disturba Fred- Harry è un po’ titubante, ma la ragazza lo rassicura.

-Figurati, e poi tu stai simpatico a Fred, altrimenti non ti avrebbe difeso ieri- a scuola si è fatta raccontare tutto, forse è anche per questo motivo che ha deciso di invitarlo.

-Oh, beh, stavo difendendo Allison, era la cosa giusta da fare- si sminuisce lui.

-Avrei voluto esserci, per vedere coni miei occhi l’umiliazione di Austin, quel bamboccio mi sta davvero troppo antipatico- 

-A chi lo dici- le dà man forte Harry, a denti stretti.

-Allora è deciso, domani, appena scendete dall’autobus, andiamo dritti al Vampire’s café- prende la stufa che aveva posato a terra e comincia ad avviarsi verso casa.

-Ok, a domani- la saluta Harry.

-Ah, un’ultima cosa, per farti ripagare offri tu- gli impone lei, lui fa un sorrisetto.

-D’accordo, mi sembra il minimo- lancia un’occhiata al gatto, poi si avvia in direzione opposta, verso casa sua.

***

Il piano era pronto, ma lo stesso non si poteva dire degli autori di codesto piano.

Consisteva nell’andare dal re con la figlia, e aspettare il compenso.

Poi, nel caso, molto probabile, che il re ordinasse di uccidere Shrek, Gatto e Ciuchino sarebbero dovuti intervenire per fermare le guardie e Fiona avrebbe dovuto parlare ai genitori e convincerli a seguire il piano.

Se il re si fosse rivelato cocciuto e fosse riuscito in qualche modo a ribaltare la situazione, allora si sarebbe passato al piano B, che comprendeva scappare e rivolgersi alla Divinatrice.

Inutile dire che fu quel piano ad essere seguito.

Il re riuscì infatti, con l’aiuto della Fata Madrina giunta in quel momento, a bloccare Ciuchino e Gatto, così le guardie si lanciarono su Shrek, e Fiona non riuscì ad aiutarlo, perché fu presa a sua volta dalla fata, che la immobilizzò.

-Shrek!- urlò allarmata Fiona.

-Fiona!- lui tentò in tutti i modi di liberarsi dalle guardie.

-Lo faccio per te, figlia mia, quell’orco ti ha solo fatto il lavaggio del cervello. Uccidetelo!- ordinò alle guardie.

-No! Padre, io lo amo!- esclamò Fiona, cercando di liberarsi.

Tutto sembrò bloccarsi, si girarono tutti: guardie, reali, e Fata Madrina verso Fiona, scioccati, ma lei guardò solo Shrek, rimasto a bocca aperta di fronte a tale confessione.

-Anch’io ti amo, Fiona- disse a sua volta Shrek, si guardarono per un attimo, poi Shrek fece l’unica cosa possibile in una situazione di quel genere, si liberò con un potente strattone, prese Ciuchino e Gatto e scappò via dal castello e dalla città, con un’ultima promessa rivolta alla principessa.

-Tornerò, troverò un modo, per te- ormai non c’era la sua palude in gioco, ma qualcosa per lui ancora più importante.

Quella donna era riuscita a vedere oltre il mostro, nel suo cuore, e ora lui avrebbe combattuto per lei, per tornare da lei, e se doveva rinunciare alla sua palude, o anche alla sua vita tranquilla e solitaria, l’avrebbe fatto, anche mille volte.

 

-Harold, cosa significava quello?- 

Fiona era stata portata con la forza in camera sua, e, imbronciata, non aveva voluto rivolgere neanche una parola al padre, tranne una lunga serie di insulti coloriti.

Ora il re era in una stanza vuota del castello, insieme a una furiosa Fata Madrina.

-Io, non potevo fare altrimenti, il tuo incantesimo doveva uccidere tutti coloro che non erano Azzurro, non credevo certo che…- cominciò a farfugliare il re, come giustificazione.

-Cosa non credevi? Che gli orchi fossero immuni all’incantesimo? Gli orchi sono immuni alla magia, l’unico modo per poterlo mettere fuori gioco era dargli una pozione o con una spada, e ora che non abbiamo l’orco, non possiamo fare nessuna di queste cose- il re si fece piccolo piccolo di fronte alla sua furia.

-Possiamo sempre cercare un modo per far innamorare Fiona di Azzurro- provò a proporre.

-Mio figlio compirà diciassette anni tra pochi giorni. Lo presenterai a tua figlia come suo pretendente a un ballo, li faremo ballare insieme e ho la pozione giusta per tua figlia- tirò fuori una piccola boccettina con il tappo a forma di cuore, e la consegnò al re.

-Bada che Fiona la beva prima del ballo, e si innamorerà del primo uomo che bacerà. Bada di non combinare pasticci!- lo ammonì con un dito per aria, il re sistema la boccetta al sicuro, borbottando tra se e se.

-Ma non è un po’ troppo giovane per Fiona?- 

-Come, prego?- chiese la fata, che non aveva sentito bene, con tono minaccioso.

-Niente, niente, lo darò a Fiona, puoi contare su di me- la rassicurò, dopotutto che scelta aveva, quella malvagia fata lo aveva in pugno, e da tempo, ormai.

***

Quando Marlene torna a casa viene accolta dal solito irritante battibecco tra i suoi genitori.

Non passano mai un giorno senza litigare, e Marlene odia questa situazione.

-Frank, non ce la facciamo più, devi trovarti un lavoro, non guadagniamo abbastanza con solo il mio stipendio da insegnante- si lamenta Eleanor, Frank resta a subire la sfuriata della moglie, solitamente lui subisce e basta, anche se alcune volte ribatte.

-Buonasera, eh!- li saluta Marlene, entrando con la maledetta stufa.

-Marlene, come mai sei tornata così tardi? ti aspettavo per le sei e mezza, e sono le sette e un quarto- Marlene è quasi ammirata dalla capacità di sua madre di cambiare oggetto e soggetto della litigata e tenere lo stesso identico tono, come se avesse parlato tutto il tempo com Marlene del suo ritardo, e non con Frank dei soldi.

Prima che Marlene possa rispondere, si batte un pugno sulla fronte.

-Santo cielo, sono le sette e un quarto, è quasi ora di cena. Devo preparare e… quella è la stufa, dammela, domani la porto al signor Moon- prende la stufa e si avvia sbuffante in garage per posarla nel bagagliaio dell’auto.

-Come è andato il pomeriggio?- chiede il padre a Marlene.

Lei gli sorride.

Sarà anche un ubriacone, disoccupato e abbastanza amante delle risse, ma è sempre pronto ad ascoltarla, le ha insegnato tutto ciò che sa sullo sport e sulla caccia, oltre ad averla portata numerose volte a fare gite nella foresta.

-Malissimo, è stata un fiasco totale, ma sai che ho scoperto che nell’orfanotrofio c’è un manicomio?- Frank sembra interessato all’informazione, ma prima che possa chiedere spiegazioni aggiuntive interviene Eleanor, di ritorno dal garage.

-Manicomio, ma sei impazzita, Marlene? Non ci sono manicomi in città- e si avvia in cucina, come a chiudere il discorso.

-E allora spiegami come mai c’era una ragazza di nome Felicity Collins che credeva di essere Fiona di Shrek e che era rinchiusa in una stanza senza finestre sorvegliata da un enorme cane feroce- ribatte Marlene, seguendola in cucina e incrociando le braccia davanti al petto.

-Facile, stai mentendo. Quando la smetterai di inventarti queste stupidaggini, come quando parli di gelaterie con Fred, non ci sono gelaterie a Talecountry- 

-Infatti, non ce ne sono, ma c’è un manicomio, questo è vero. Ed è nascosto nell’orfanotrofio- insiste Marlene, cercando di non far notare l’ansia che le è venuta a sentire nominare la gelateria.

-Non dire assurdità, e fila a fare i compiti, sei stata fuori tutto il giorno a divertirti e non hai neanche aperto un libro- la spedisce in camera sua senza crederle neanche per un momento, e Marlene entra sbattendo violentemente al porta.

Si compre il volto con il cuscino  cercando di sopprimere la rabbia.

Come se fosse stata a divertirsi, se non avesse avuto quella simpatica chiacchierata con Harry sarebbe tornata ancora più furente.

In effetti, in quella tremenda giornata, Harry è stato un piccolo colpo di sole.

Spera solo che Fred non si arrabbi con lei per averlo invitato a fare colazione con loro, dopotutto offre lui.

-Marlene, vieni a cena- come al solito la sua coerente (sarcasticamente parlando) madre deve chiamarla tre minuti dopo averla spedita in camera sua.

-Arrivo- urla di sotto, butta nuovamente il cuscino sul letto e si avvia di sotto, scivolando sul corrimano delle scale.

I suoi fratelli, vedendola, decidono di imitarla, e la cena comincia con tre bambini ridacchianti cascati dalle scale.

“Perfetto!”

 

-Perfetto- Roxanne ha appena finito l’ultimissima parte della seconda storia, e deve attendere un sacco di altre storie per il seguito.

Getta il libro sul letto, delusa anche da questo finale, dove il povero orco non riesce a riavere né la palude né la principessa.

Poi, però, troppo curiosa, riapre il libro, per sbirciare il seguito della storia, tanto che può cambiare se non le legge in ordine?

Il libro si apre alla pagina dopo la storia che ha appena letto, e trova una scritta che non aveva notato.

“So che vuoi conoscere il finale, ma ti chiedo di attendere, e di non saltare direttamente al seguito di questa storia: L’orco e la principessa 2: il vero amore.

Continua a leggere, una storia alla volta in ordine, e capirai di aver fatto la scelta giusta.

E sopratutto continua, perché non te ne pentirai, stanne certa”

Roxanne osserva la scritta incredula, sembra che le abbia letto nel pensiero, così decide di fare come dice, e sbircia il titolo del capitolo seguente.

“Jack Frost: il quinto guardiano” 

A leggere quel titolo le viene una strana sensazione, e decide di leggere e continuare, le viene proprio il desiderio forte di continuare.

-Roxanne, scendi immediatamente a mangiare, o vengo io da te- è la terza volta che sua madre la chiama, ed è costretta a scendere.

Ha letto tutto il pomeriggio, e non vede l’ora di condividere le sue impressioni con Harry.

-Arrivo, madre- e dopo aver nascosto il libro sotto il materasso si avvia in sala da pranzo, con un sorriso sulle labbra che non convince affatto il sindaco Goth.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Legenda:

Austin Charme: Azzurro

Helga Charme: Fata Madrina

Theresa “Tessa” Wood: Tiana

Felicity Collins: Fiona (ovviamente)

Samson Sullivan: Shrek

Chuck (il cane brutto): Ciuchino

Boot (il gatto): Gatto

Scott Hughes: Skaracchio

 

(A.A.)

La città è presa da Tale: favola, racconto. Non avete idea di quanto ho impiegato per trovare il nome.

Spero che il mio adattamento personale di Shrek non sia troppo strano o frammentato, e che l’accento del gatto non sia troppo stupido, ma non ho mai studiato spagnolo in vita mia.

So che Fiona rinchiusa in manicomio può sembrare Belle, ma non l’ho fatto apposta, dopotutto Fiona è rimasta rinchiusa nella fortezza del drago, era la possibilità migliore, ed è lontana da Shrek.

Come vedete ho messo una legenda dei personaggi non ovvi del capitolo che posso mettere.

Ho presupposto che avete riconosciuto tutti Fred, Marlene e famiglia e Harry, perciò non li ho aggiunti.

Quelli che ho solo nominato non li ho aggiunti alla legenda, e alcuni si scopriranno a tempo debito.

Credo di aver detto tutto, spero ci siano pochi errori perché l’ho riletto un sacco.

Se avete qualcosa da dire, critiche, suggerimenti, o chiarimenti, una recensione o un messaggio privato sarebbero molto graditi, perché è una storia dove sto mettendo anima e corpo, e mi piacerebbe sapere se è apprezzata o se devo modificare o migliorare qualcosa.

Ah, le immagini degli scorsi due capitoli verranno postate a breve nel mio nuovo account di facebook ChrisAndreini EFP.

Alla prossima e grazie sempre a tutti quelli che seguono, recensiscono o anche solo leggono questa storia :-*

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Capitolo 5
*** Capitolo 4: Un guardiano speciale ***


Once upon a Time in Otherland

Capitolo 4: Un guardiano speciale

 

“Voi siete tutto lavoro e doveri 

e io invece, palle di neve e piaceri,

 non sono un guardiano”

-Le cinque leggende

 

I quattro grandi guardiani dei cinque regni erano impegnati in una profonda discussione, che ormai ripetevano sempre da quasi un anno e mezzo.

-Jack Frost non può unirsi a noi, non è portato per essere un guardiano, li conoscete i suoi precedenti- Bunnymund era il più deciso e irritato, senza alcun dubbio.

-Il ragazzo ha dimostrato di esserne all’altezza durante la grande gelata ad Arendelle. E l’uomo nella luna ci ha detto chiaramente che dobbiamo accoglierlo tra noi- ribatté però North, in tono abbastanza mite, per non far infuriare ancora di più il coniglio.

-Ovvio che lo vuoi accettare, è l’unico umano oltre a te ad essere stato riportato in vita da lui- si arrabbiò però lui.

Nessuno dei guardiani capiva il perché, ma Calmoniglio odiava Jack Frost, o forse semplicemente non riusciva ad accettare il fatto che l’inverno era tornato nei cinque regni dopo più di un secolo di eterna primavera, stagione che lui preferiva.

Sandy e Toothiana si guardarono, erano rimasti neutrali per tutto il tempo, ma convennero che Nord aveva ragione.

Jack aveva dimostrato di essere all’altezza sia nel suo sacrificio che durante la gelata di Arendelle, perciò per la prima volta dissero la loro.

-Bunnymund,  non possiamo rimandare ancora di più l’inevitabile. Jack è un guardiano quanto te, e non puoi impedirgli di esserlo- Toothiana sapeva che il guardiano della primavera e della speranza non avrebbe apprezzato minimamente quel commento, ed infatti scattò immediatamente sulla difensiva.

-Io sono di gran lunga migliore di Jack Frost, non ho condotto la vita che ha condotto lui, è solo un ragazzino che…- si mise a declamare i mille difetti dello spirito della neve, mentre Sandy scuoteva la testa e guardava fuori dalla finestra, dove una luce argentata stava iniziando a spendere.

Si mise subito sull’attenti, e cercò di attirare l’attenzione dei compagni.

Ma North aveva interrotto Bunnymund e si erano messi a discutere l’uno sopra l’altro, passando dall’argomento “Jack” all’argomento “sono io il preferito della luna” per finire all’argomento “Il natale piace a tutti mentre ormai la primavera non piace più a nessuno” 

Dentolina invece stava cercando di dividerli e dire la sua, ma creava solo più confusione, e per quanto Sandy sventolasse le mani davanti a loro nel tentativo di attirarne l’attenzione, non sembravano notarlo minimamente, e il caos aumentava soltanto.

Nell’aver fatto voto di silenzio c’erano moltissimi effetti positivi, ma l’attenzione non si attirava facilmente, e Sandy non aveva ancora trovato un rimedio efficace.

Si guardò intorno in cerca di qualsiasi mezzo per fare rumore, dato che i semplici gesti non servivano a nulla, e notò delle campanelle in un angolo.

Ci si avvicinò con sicurezza e le scosse con forza, attirando finalmente l’attenzione dei tre guardiani, che si girarono a guardarlo.

Lui indicò seccato fuori dalla finestra dove la luce si era ormai dissipata mostrando un uomo a braccia incrociate, che li osservava sospeso nell’aria.

-Grazie, Sandy- commentò l’uomo, guardando i guardiani con una nota di rimprovero.

-Uomo nella luna, che gran piacere averla qui- lo accolse North, facendogli cenno di entrare, con imbarazzo.

-Cercavo il giovane Jack Frost, ne sapete qualcosa?- chiese l’Uomo nella luna, con una nota indagatrice.

-No, non è qui al momento- rispose vaga Toothiana, svolazzando tesa in giro.

-Perché, è mai stato qui?- chiese l’Uomo poi, rivolgendosi in particolar modo a Bunnymund.

-Ehm… una tazza di tè?- chiede il coniglio gigante, prendendo una teiera da un tavolo accanto.

-So che può essere complicato accettarlo, ma ho scelto Jack per un motivo, che voi conoscete bene, e con Pitch che continua a minacciare terrore e la guerra che porta sempre più vittime, non è il caso di fare tanto gli schizzinosi sugli aiuti che vi offro- l’Uomo ignorò Bunnymund. Non parlava con astio, solo con tristezza.

-Ma la guerra è all’ultima tappa, ha sentito di quel ragazzo che sta conducendo un campagna di pace? E’ all’hotel, adesso, e sembra stia cercando di convincere i mostri a deporre le asce di guerra- commentò Toothiana speranzosa.

-Non so se quel giovane ragazzo ce la farà, ma la guerra non è la minaccia più grande. Vi ho riportato in vita per farvi proteggere sogni, speranza, meraviglia e ricordi, specialmente nelle giovani menti innocenti dei bambini, e devo dire che non state facendo un brutto lavoro. Ma Pitch vuole invadere i cinque regni, ha un piano che attuerà nei prossimi giorni, e se Jack Frost non parteciperà riuscirà nel suo intento- li mise in guardia, con tono grave. Poi sollevò la mano e comparve del tè fumante sul tavolo con un vassoio di biscotti.

Ne prese una tazza e iniziò a sorseggiarlo, mentre Bunnymund provava a protestare.

-Non ci serve quella mezza specie di folletto invernale, possiamo cavarcela anche da soli contro Pitch, siamo quattro potenti guardiani contro uno, e siamo in circolazione da molto più tempo di Frost, perché mai dovrebbe fare la differenza- era piuttosto irritato, e non capiva sopratutto come potesse l’Uomo sapere le sorti della guerra, non era mai stato tra i suoi poteri predire il futuro.

-Chiedilo a lei- e fece cenno verso la finestra, dove comparve un’altra figura, dall’aria benevola e dalle fattezze di capra.

Tutti i guardiani restarono di stucco, Toothiana e Sandy si inchinarono con rispetto, North fece un cenno del capo e Bunnymund restò semplicemente di sasso.

-Ah- commentò solo.

-Divinatrice, quale onore averla qui, la prego di scusare il disordine, North è sempre un gran confusionario- la Divinatrice era molto più importante dell’Uomo nella luna, era più anziana, più potente e anche più benvoluta, benché patteggiasse per i mostri nella guerra.

-Non preoccuparti, Toothiana, sono qui solo di passaggio, devo andare via tra poco, devo far visita all’Hotel- entrò nella stanza con tranquillità e calma, e posò lo sguardo su tutti i quattro guardiani, soffermandosi in particolare su Bunnymund, con una nota di disapprovazione davvero leggera, che solo il grande coniglio notò.

-Se Jack non parteciperà Pitch vincerà, e non è proprio il caso visto che finalmente la guerra è alle sue note finali, sapete, neanche sei mesi e Dumbroch finalmente cederà, grazie sopratutto a quella giovane principessa, ma sto correndo troppo. Jack sarà qui tra quarantacinque minuti a partire da ora, se prende il vento del nord anche meno, ma quasi sicuramente devierà per osservare Corona dall’alto, perciò è il caso che siate gentili con lui e lo accogliate nel gruppo. Quello che lui dirà o farà è totalmente calcolato, ma fate solo in modo che resti qui fino al tramonto, non mancherà più di un’ora e mazza- prima che uno qualunque dei guardiani parlanti possa anche solo aprire la bocca la Divinatrice è già scomparsa e tutti e quattro si guardano confusi.

-Beh, credo che abbia detto tutto lei, prendete una tazza di tè, è ottimo, oh, e non dite per nessuna ragione al mondo a Jack del suo passato, mi sono spiegato?- prendendo un biscotto uscì dalla finestra, scomparendo in un bagliore lunare.

Ci fu un momento di silenzio sbigottito, dove tutti lanciarono un’occhiata all’orologio appeso in un angolo.

-Quindi… è dentro- commentò poi Toothiana.

-Credo proprio di si- North sembrava molto soddisfatto di ciò che aveva appena sentito, nonostante le voci sulla guerra contro Pitch imminente non fossero molto incoraggianti.

-Sgrunt!- si limitò a sbuffare Bunnymund, incrociando le braccia.

-Suvvia, sapevamo entrambi che io avevo ragione- lo prese in giro North, assumendo un’espressione di superiorità.

Bunnymund lo guardò con espressione assassina negli occhi.

 

Fino a quel momento era stata una giornata molto tranquilla per Jack Frost, aveva ghiacciato i confini del regno di Arendelle, aveva comandato ai venti di soffiare da Nord verso il palazzo e aveva fatto anche una visitina a Dumbroch, e osservato i tre principini rubare un sacco di dolcetti.

Quei tre gli stavano davvero simpatici, e li aveva aiutati come aveva potuto, senza però ghiacciare niente. Aveva ricevuto istruzioni chiare: niente ghiaccio in primavera, eccezion fatta per Arendelle, dove poteva sbizzarrirsi sulle montagne, almeno fino all’estate.

Adorava quella città, anche se dei cinque regni era l’unica che aveva davvero vissuto, probabilmente per via della sua avventura con le principesse durante la gelata.

Se solo lo avessero potuto vedere! Si sarebbe risparmiato molti problemi in quell’occasione, ma nessuno riusciva a vederlo, ad eccezione dell’Uomo nella luna e quei quattro guardiani che lo odiavano.

Stava disteso nell’aria a vedere le nuvole quando notò un’insolita luce nel cielo.

Era una luce brillante, sembrava uno dei sogni di Sandy, ma gli trasmetteva qualcosa di diverso, di particolare, e incredibilmente familiare.

Si mise dritto e la osservò un attimo, sembrava invitarla ad avanzare, come un fuoco fatuo, solo che dorato anziché blu.

Lo guardò sospettoso per un attimo, poi provò a toccarlo, e lui si allontanò.

-Bene, devo seguirti da qualche parte, eh?- chiese alla luce, che per tutta risposta si allontanò un altro po’.

-D’accordo- iniziò a seguirlo, divertito.

Aveva conosciuto i fuochi fatui poco tempo prima, mentre volava sopra Dumbroch, e aveva scoperto che erano mostri imparziali e che potevano vederlo, cose molto a loro favore.

Lo seguì per un po’ di tempo, poi, notando di starsi avvicinando a Valdonia, rallentò, e deviò leggermente per osservare dall’alto Corona.

Aveva portato un piccolo inverno l’anno passato, pochissimi fiocchi di neve e poco ghiaccio, ma la città lo aveva attratto in maniera particolare, specialmente i ragazzini dell’orfanotrofio che erano usciti a giocare un po’ prima di venire richiamati con sgarbo dalla responsabile dell’orfanotrofio, una donna che gli era risultata familiare, anche se non sapeva dire perché.

Osservò per un paio di minuti la città dall’alto, ma poi il fuoco fatuo gli tornò prepotentemente davanti, e continuò a seguirlo, per poi vederlo scomparire di fronte al palazzo di North, ai confini sud di Valdonia.

-Wow, splendido- commentò sarcastico, facendo dietro front. Non amava particolarmente gli altri guardiani, era un tipo solitario.

Però un piatto volante che per poco non lo colpì in testa gli fece cambiare idea.

Si voltò nuovamente con un sorriso curioso e divertito e si avvicinò alla finestra, per sbirciare all’interno.

Bunnymund e North bisticciavano pesantemente.

-La primavera è speranza, e dura quattro mesi, non come il tuo Natale che dura un giorno appena- stava insultandolo Bunnymund, irritato.

-Natale è più speciale proprio per questo, ho solo un giorno per consegnare i regali a tutti i bambini dei cinque regni, ti pare poco?- chiese North tranquillo e vanesio.

Sandy fu l’unico ad accorgersi di Jack, e cercò di attirare l’attenzione degli altri guardiani, ovviamente fallendo miseramente.

-Ragazzi, dobbiamo stare calmi, tra non molto Jack dovrebbe essere qui, e non è il caso di farci trovare a litigare- provò a separarli Toothiana, svolazzando intorno a loro. Sandy provò a smuoverla, ma lei lo ignorò totalmente.

-Quel ragazzo è solo un piccolo, inutile…- cominciò a dire Bunnymund, ma una risata alla finestra lo interruppe, si girò e si ritrovò faccia a faccia con Jack.

-No, ti prego continua, siete uno spasso da osservare- appoggiò il bastone sul bordo della finestra e lo usò come appiglio per osservare meglio la scena.

-Ciao Jack!- lo salutò Toothiana con un sorriso tirato.

-Buon pomeriggio. Mi sembra di capire che mi stavate aspettando- non immaginava cosa volessero da lui, ma era curioso di scoprirlo.

-Si, ehm… noi…- Toothiana non sapeva che fare, non era molto brava nei discorsi, era la guardiana dei ricordi che conservava prendendo i dentini dei bambini e, occasionalmente, degli anziani.

Erano guardiani di tutti gli uomini e mostri, anche se i bambini erano gli unici che potessero vederli, perché credevano maggiormente in loro.

E anche se un adulto credeva, solitamente vedeva un’immagine distorta di loro quattro: un coniglietto per Bunnymund, un colibrì per Toothiana, una sagoma di luce per Sandy e un giocattolo per North.

Nessuno aveva mai creduto in Jack, ma il ragazzo era abbastanza sicuro che sarebbe stato visto come un pupazzo di neve.

-Reggiti forte, Jack. Oggi è il tuo giorno fortunato, perché l’Uomo nella luna ha fatto di te un GUARDIANO!- andò sodo al dritto North.

Batté le mani e immensi striscioni con le ragnatele comparvero dal soffitto, con su scritto “Congratulazioni, Jack!”

-Quando l’hai preparato- chiese sottovoce Bunnymund, irritato.

-Un anno fa- rispose North -E non è tutto- batté nuovamente le mani e delle trombe iniziarono a squillare da non si sa dove, e centinaia di coriandoli uscirono dal soffitto, ricoprendo totalmente i presenti, e rendendoli verdi, rossi e gialli.

-Hey, aspettate- provò a ribattere Jack, dopo essersi ripreso dallo shock, ma non era ancora finita.

Le lettere degli striscioni iniziarono a cambiare colore a caso, e si illuminarono.

Con una grande marcia degli elfi al servizio di North portarono ad avviarsi verso il ragazzo, che indietreggiò.

-Ora devi fare il giuramento, poi…- North era il più entusiasta, ma Jack creò una lastra di ghiaccio ai suoi piedi per fermare il trambusto.

Il silenzio piombò nella sala, e Jack riuscì finalmente a parlare.

-Cosa vi fa credere che voglia essere un guardiano?!- chiese, non voleva in assoluto fare parte di una squadra, sopratutto se era quella squadra.

-Ah ah ah ah ah!!! Certo che vuoi- rise di gusto North, poi tutto il caos ricominciò, e Jack si sollevò in volo, scuotendosi di dosso i coriandoli.

-Ah no! Io non sarò un guardiano, non sarò uno di voi. Porterò l’inverno? si. Farò il mio dovere? si. Ma non con voi- obiettò.

-Jack, siamo tutti stati… creati per esserlo, magari ti servirà un po’ di tempo per accettarlo, ma tu sei un guardiano come tutti noi, e il tuo compito non è solo riportare l’inverno nei cinque regni, ma sopratutto proteggere la gente che li abita- cercò di farlo ragionare Toothiana, ma Jack non ne voleva sapere.

-Per la Luna! Non ho intenzione di mettermi a lavorare seriamente, con doveri assolutamente assurdi. Io sono un tipo libero, porterò la neve in inverno, qualche vento freddo in primavera e autunno, fine della storia- e si avviò verso la finestra, pronto ad andare via.

I guardiani osservarono fuori dalla finestra, mancava poco al tramonto, ma non avevano idea di come trattenerlo.

-Jack, aspetta… noi…- ma Toothiana non sapeva cosa dire.

Fu Bunnymund a trovare il modo giusto.

-Sapete, secondo me l’abbiamo scampata bella, che ne sa lui di come proteggere la gente, la principessa di Arendelle è quasi morta durante la missione che lui doveva portare a termine- con sua grande soddisfazione, Jack si fermò, e si voltò.

-Non parlare di cose che non capisci, è stato un momento di totale confusione, e ho ritardato il processo di congelamento interno giusto il tempo di farla… ho riportato indietro Kristoff e sono stato accanto ad Anna nello stesso momento, non è stata una passeggiata. Tu che hai fatto per meritarti il tuo ruolo, coda di cotone?- chiese Jack prendendolo in giro, molto infastidito.

-Di certo molto più di te, porto la  primavera, la speranza, mentre il tuo inverno desolazione e freddo, stavano tutti molto meglio senza, poco ma sicuro- era davvero pesante, ma oltre al fatto che Bunnymund credeva davvero in quello che stava dicendo, aveva bisogno di cose molto pesanti per trattenerlo.

-Non sono stato io a scegliere cosa essere, mi ha creato il vostro capo. E comunque saresti disoccupato senza di me, a che servi se è sempre primavera da cento anni?- chiese Jack con cattiveria.

-Sei rimasto antipatico, morto come da vivo- sibilò senza pensarci Bunnymund, per poi tapparsi la bocca di getto.

-Cosa?- chiese sottovoce Jack, rimasto folgorato dalla rivelazione.

-Bunnymund, non dovevi…- Toothiana si morse un labbro.

-Un momento, quindi… quindi io ero qualcuno prima di diventare Jack Frost? E voi… voi non me lo avete mai… detto?- chiese incredulo il ragazzo.

-Jack, ecco…- non sapevano proprio cosa dire, ma non ci fu bisogno di dire niente, perché un gran trambusto pose fine alla loro chiacchierata.

***

Fred osservava ormai da dieci minuti buoni l’occhio nero che si era ritrovato per colpa di quel montato ti Austin.

E’ una storia davvero buffa in effetti, peccato che il risultato di quella sottospecie di rissa sia questo.

Non è preoccupato per il pugno in se, né per il giudizio degli altri, quanto per la reazione che riceverà da Marlene.

Quella furia rossa sarebbe capace di andare dritta da Austin e riempirlo di ceffoni.

Continua a osservare l’occhio azzurro contornato dall’ombra scura ancora per un po, poi passa ai capelli scuri spettinati per un mezzo secondo, infine va in camera a prepararsi, perché sa di dover fare presto se non vuole perdere l’autobus.

Mette la felpa blu, i jeans chiari e le converse bianche, poi scende a fare colazione, e viene accolto dalla signora Charme, che gli rammenta la punizione.

-Appena tornerai all’orfanotrofio dovrai stare sui ceci per tre ore di fila, e non uscirai per tutta la settimana se non per andare a scuola, sono stata chiara?- per essere stata chiara è stata chiara, si, ma è escluso che lui torni direttamente all’orfanotrofio dopo scuola. 

E’ molto probabile che passerà da Buddy Green a scroccare un pranzo, poi ha un appuntamento con lo psicologo. Non vorrebbe andarci, ma deve purtroppo, e poi il signor Smith è molto accomodante.

Attenda l’autobus incurante degli sguardi che vengono lanciati nella sua direzione. 

Ha imparato con il tempo che per non far notare troppo una cosa bisogna non darci peso.

Quando l’autobus arriva ci si fionda in fretta, e dato che la sua è una delle prime fermate, riesce a trovare un posto a sedere.

Lo trova sempre, e non deve mai cederlo a nessun anziano, perché sono solo i ragazzi a prenderlo a quest’ora.

Che brutta bestia la scuola!

Durante il viaggio in autobus solitamente sentono tutti la musica, ma lui non può permettersi cuffiette e robe varie. Non ha neanche un cellulare.

Ha provato a cercare qualche lavoretto part time per racimolare un po’ di soldi, ma non è mai durato molto da nessuna parte.

L’unico che sembrava contento di averlo come assistente era il giocattolaio, Norman Wilson, che però non aveva potuto tenerlo a lungo per via delle numerose assenze da lavoro che faceva.

Non è stata colpa sua, però! Solo che la signora Charme ama tenerlo in punizione anche quando non è necessario, e non può uscire da nessuna parte.

Ha provato a dirlo, a lamentarsi, ma nessuno vuole mai ascoltarlo.

In questi casi si sente invisibile.

L’autobus si riempie in fretta, e alla fermata di Allison Brooks, lui si volta, chiedendosi che canzone Disney canterà.

Lei osserva il posto della banda di Austin, e chiede qualcosa a Harry.

E’ in fondo all’autobus, mentre lui è all’inizio, perciò non riesce a sentire cose si dicono, ma ha qualche idea.

Allison sembra molto contenta dall’assenza di Austin, si infila le cuffiette nelle orecchie, e attacca con qualche canzone di Anastasia della Fox.

A Fred sta simpatica, nonostante non la conosca molto bene.

La vede sempre in autobus, all’uscita da scuola e spesso anche alla gelateria.

Si, la gelateria segreta della sorella.

E’ ai confini della città ed è alquanto illegale.

Elisabeth ha provato a fare richiesta per aprirla legalmente molto tempo fa, ma l’hanno sempre rifiutata, perché il sindaco afferma che una gelateria è un’attività inutile e superflua per la città.

La ragazza, però, con determinazione, ha deciso di aprirla illegalmente, e ha le fattezze di un edificio abbandonato che nessuno ha intenzione di reclamare, nemmeno il signor Black, proprietario della maggior parte degli edifici in città, e dell’impresa edile dove lavora la stessa Elisabeth.

Sono in pochi a conoscenza di quel posto, persone molto fidate.

E’ l’unico posto in città dove si trovano frullati e gelati. Allison ha anche proposto di fare le crepes, ma è un’idea ancora in costruzione.

E’ il posto preferito di Fred, e si ritrovano spesso lì lui e Marlene.

Peccato non possano andarci tutti i giorni.

Con le note di “Cuor non dirmi no” e “Quando viene dicembre” che risuonano per tutto il pullman, arrivano a scuola, e Fred è uno dei primi a uscire.

-Hay Fred, devo di… CHE DIAVOLO E’ SUCCESSO?!- Marlene si precipita dall’amico inorridita.

-Si nota tanto, eh?- chiede lui, in tono noncurante.

-E’ stato Austin, vero? Quel piccolo figlio di…- ma Fred la interrompe prima che possa finire la frase.

-Si, è stato lui. No, non ho ricambiato, ma è una storia buffa, sai…- ma viene a sua volta interrotto da Harry, con un gatto nero alle calcagna, che lui però sembra non notare.

-Fred, volevo chiederti, da parte di Allison… cosa è successo?!- esclama, notando l’occhio nero.

-Gentile da parte sua preoccuparsi- commenta sarcastico il ragazzo, tutta questa attenzione gli da un po’ fastidio. E poi, perché Harry si è avvicinato a loro?

-No, lei… scommetto che è per questo che Austin non è venuto- riflette il ragazzo.

-Più o meno, ma adesso possiamo non parlare del mio occhio e andare a fare colazione, Marlene?- cerca di tagliare corto lui, rivolgendosi solo all’amica.

-Si, ci parlerai del tuo occhio di fronte a una tazza di caffè- Marlene non ha intenzione di lasciar cadere l’argomento, e inizia ad avviarsi verso il Vampire’s, facendo cenno a i ragazzi di seguirla.

Dopo un attimo di confusione “ci?” Jack la segue, mentre Hiccup è un po’ più titubante, si sente così estraneo ala faccenda.

Ma quando sta per seguirli, una persona lo fa voltare.

-Harry!- lo chiama una voce conosciuta.

Tutti si girando, Fred dopo Marlene, confuso, ancora non ha capito che Harry è con loro.

-Roxanne, ciao! Come stai?- chiede il moro, salutando la ragazza.

-La figlia del sindaco?- sussurra Marlene, non credeva che i due si conoscessero.

-Volevo chiederti una cosa sul libro che…- nota i due ragazzi che lo stanno aspettando, e si interrompe -Oh, ma vedo che sei… magari te lo chiedo dopo, scusa- si mette una ciocca di capelli dietro l’orecchio, imbarazzata.

-Perché non vieni con noi?- le chiede Fred, senza sapere bene da dove gli sia uscito questo invito.

Roxanne guarda dietro di se, come se pensasse che Fred si stia rivolgendo a qualcun altro.

-Stai dicendo a... me?- chiede incredula, indicandosi.

-Si, perché no?- chiede Fred alzando le spalle.

Roxanne resta senza fiato.

-Io… non so che dire…- ma la sua eccitazione subito scompare -Ma mia madre non vuole che io vada al Vampire’s café- la ragazza sospira, abbassando lo sguardo.

-E tu non ti ribelli?- chiede incredula Marlene.

-Beh… io…- porta inconsciamente una mano al libro tenuto nascosto nella borsa -Si che mi ribello… a modo mio- 

-E allora che problemi ci sono? Tanto paga Harry- e facendole un cenno Marlene inizia ad avviarsi velocemente in direzione del luogo, per non rischiare un ritardo a scuola, più per Harry e Roxanne che per se.

-Ah, oltretutto, perché Harry viene con noi? Non fraintendere, a me va benissimo, ma voglio sapere perché la ragazza “Odio tutti” ha invitato una persona a fare colazione con lei, per di più un maschio- mentre camminano, sempre seguiti dal gatto, Marlene risponde.

-Ah! Ah! Ah! davvero divertente, Jackson- commenta sarcastica -L’ho invitato così mi offre la colazione e in cambio non dirò a nessuno del gatto- e indica il felino.

Harry segue la direzione della sua mano, mentre Fred commenta.

-Non serve un investigatore per accorgersene-

-Spelato, ma che ci fai qui?!- Harry non si era accorto della presenza dell’animale, che lo osserva come a dire “Non ti libererai di me”

-Diamine, non puoi seguimi anche a scuola- si lamenta Harry.

Roxanne osserva il ragazzo e il gatto con le sopracciglia aggrottate, la loro situazione gliene ricorda tanto un’altra, ma quale?

Quando ci arriva sobbalza, e sorride eccitata.

-Hiccup e Sdentato!- esclama, indicando i due soggetti.

-Eh?- chiedono i tre tutti insieme, persino il gatto la guarda confuso.

-La prima storia del libro che sto leggendo. Il ragazzo e il drago. Sembrate troppo loro due. Tranne il fatto che Spelato è un gatto, non un drago.- si sente molto orgogliosa della sua osservazione, e i tre ragazzi non hanno il cuore di contraddirla.

-Beh, Spelato (che poi devi spiegarmi perché si chiama così) non può entrare nel Café- taglia corto Marlene, il gatto la guarda infastidito.

-Che c’è? Non le ho fatte io le regole- lei si rivolge a lui nello stesso modo in cui gli si era rivolto Hiccup, e il gatto si mette appostato davanti alla porta, guardandoli entrare con sguardo penetrante.

-A dopo, Spelato- lo saluta Roxanne, entrando per ultima, e iniziando a essere un po’ ansiosa.

Non è mai entrata al Vampire’s café. E’ un bel posto, molto nello stile gotico, con decorazioni rosse e nere.

Si guarda intorno molto incuriosita, e Fred richiama la sua attenzione.

-Vieni, ci sediamo sempre qui- le mostra un posto accanto a lui al bancone, e lei si siede, sorridente.

-Grazie- 

-Bene, non abbiamo molto tempo. Tessa!- Marlene chiama la sua cameriera di fiducia, che arriva subito con un grande sorriso.

-Ciao ragazzi. Vedo che ci sono facce nuove- commenta, osservando Harry e Roxanne.

-Io sono Harry Hills, e lei è…- comincia a presentarsi educatamente Harry, ma Roxanne interrompe subito.

-Nessuno di importante, allora, dobbiamo sbrigarci, voi cosa prendete? Io prenderò un veloce… ehm… cosa c’è per colazione di veloce? Frullati?- chiede, senza sapere bene cosa ci sia sul menù.

-Mi dispiace tesoro, non abbiamo né frullati né gelati, ma abbiamo ogni tipo di caffè, e cornetti, muffin e altri dolci di questo genere. La mia specialità sono i bignè con lo zucchero a velo- le mostra un intrigante bignè, e Roxanne opta per quello.

-Quanto costano?- chiede Harry in tono pratico.

-$ 1.50 a bignè- risponde Tessa.

-Perfetto, allora due, e voi ragazzi, cosa prendete?- chiede poi a Marlene e Fred.

-Il solito, grazie- risponde convinta Marlene.

-Perfetto, allora sono in totale $ 6.40- Harry ha solo una banconota da venti e gliela offre- 

-Grazie, arriva subito tutto- Tessa fa lo scontrino, e da il resto in monete al ragazzo, che se le rigira tra le mani con aria pensierosa.

Intanto Marlene inizia a parlare con Fred dell’incidente dall’occhio nero, con Roxanne che ascolta un po’ in disparte.

-Praticamente quell’idiota, scusa l’espressione Roxanne, è venuto da me a cena, e mi ha tirato un pugno senza motivo. Io sono totalmente stato colto alla sprovvista, poi lui ci ha riprovato, io mi sono scansato ed è scivolato andando a sbattere contro lo spigolo del tavolo- Marlene scoppia a ridere, Roxanne ridacchia.

-Quindi non hai tecnicamente ricambiato- osserva Marlene.

-No, ma non credo che mi sarei messo a fare a botte in nessun caso-  alza le spalle Fred.

-Hai ragione, non si picchiano le donne- commenta Roxanne. Marlene e Fred la guardano un attimo, poi scoppiano a ridere.

Harry si riprende.

-Mi sono perso qualcosa?- chiede, distogliendo lo sguardo dalle monete.

-Non ti facevo così spiritosa, biondina- commenta Fred, ammirato.

-Però devo essere in disaccordo con te- ribatte Marlene -Le donne non sono deboli come lui- ridacchiano tutti, e Roxanne non si è mai sentita così felice.

-Ecco qui, ragazzi- in quel momento arriva Tessa con le ordinazioni -Avete giusto un paio di minuti prima del suono della campanella- gli incoraggia a sbrigarsi, poi viene richiamata dal signor Davis, il proprietario del posto.

-Signorina Wood, ho bisogno che faccia il turno anche stasera, ancora nessuno si è presentato per un lavoro e siamo a corto di personale- la informa, Tessa sgrana gli occhi, e si morde un labbro per non ribattere.

-Certo, signor Davis- poi, mentre si avvia verso dei nuovi clienti, Harry giura di sentirle dire “Fallo per il ristorante, Tessa, per il ristorante” tra se e se.

-Harry, dobbiamo andare, hai finito il tuo bignè?- chiede Marlene, alzandosi e prendendo la borsa, pronta, più o meno, ad andare a scuola.

-Si, aspetta solo un secondo-  alzandosi a sua volta, Harry prende le monete che Tessa gli ha dato di resto, e si avvicina al bancone delle mance.

Ogni cameriera del café ha un barattolo sigillato con il proprio nome e un foro sopra, cosicché ognuna di loro possa prendere la mancia che le spetta. Così una persona che fa dieci turni non prende la stessa mancia di una che ne fa solo uno. Insomma, una cosa molto equa.

Harry si avvia con sicurezza davanti al barattolo di Tessa e ci infila tutte le monete.

Sentendo quel rumore la cameriera si gira, in tempo per vedere Harry uscire in tutta fretta dal Vampire’s, per dirigersi a scuola.

-Sai, è stato un bel gesto- commenta Marlene.

-Beh, è solo una mancia, da quanto ho capito se lo merita- Harry alza le spalle.

-Se lo merita davvero, ma non credo che il signor Black le farà davvero aprire il ristorante. E’ un uomo cattivo e senza scrupoli- osserva Fred, con una nota amara nella voce.

***

-E’ uno spirito cattivo e senza scrupoli, è vero, ma non è un mio problema- Jack stava cercando di scrollarsi di dosso quei guardiani fastidiosi che cercavano di convincerlo ad aiutarli nell’ardua lotta contro Pitch.

-Jack, ti prego, non possiamo farcela senza di te- provava a convincerlo Toothiana.

-Ma se per tutto il monologo da cattivo non mi ha neanche notato. Non è un mio problema- Jack era ancora molto irritato dal fatto che i guardiani non gli avessero mai detto del suo passato. 

Era convinto, fino a poco prima, di essere stato creato per fare quello, non aveva la minima idea di avere un passato, una vita, una famiglia prima di diventare Jack Frost.

-Pitch vuole distruggere i cinque regni, ma forse a te non interessa la sorte del tuo stesso mondo- lo provocò Bunnymund.

-Sono al di sopra delle parti, voi mi avete mentito sul mio passato, mente Pitch non mi ha mai fatto niente di male- rispose Jack.

-Se ci aiuti ti diremo tutto- se ne uscì Toothiana, provocando degli sguardi scioccati e un silenzio di tomba tra i guardiani.

Jack la guardò incredulo.

-Sul serio?- chiese, sospettoso.

-Si, è una promessa. Ho i tuoi ricordi sotto forma di dentini, Dente da Latte- chiamò una delle sue fatine, che arrivò poco dopo con un cofanetto con un volto stilizzato e una scritta: “Jackson Overland”

Toothiana lo prese e lo mostrò al ragazzo.

-Chi mi dice che non è un imbroglio?- chiese lui.

-Tooth, no!- esclamò Bunnymund, stringendo le labbra.

-Merita di sapere, dopotutto. Perché noi si e lui no?- gli porse il cofanetto, e incredulo Jack allungò la mano per prenderlo.

Senonché, proprio in quel momento, un’ombra oscura uscì dal muro come un incubo, e prese il cofanetto dalle mani di Toothiana, sotto lo sguardo impotente di Jack.

Dopo averlo preso scomparve nuovamente dentro il muro, e subito altri incubi si riversarono all’interno dell’edificio, prendendo gli elfi e le fate lì presenti, e facendo intendere che avevano fato lo stesso nel resto del palazzo.

Jack fu il primo a tornare in se, e riuscì a mettere in salvo Dente da Latte un attimo prima che venisse presa da uno di loro.

Veloci come erano arrivati, scomparvero nel nulla.

-Wow, certo che è sleale, ci ha fatto il monologo e poi ci ha attaccato senza darci il tempo di prendere fiato- commentò Jack, schiudendo le mani e controllando le condizioni della fatina.

-Ti sembra il momento di scherzare?- Bunnymund si riprese con difficoltà, e subito inveì contro Jack, che gli lanciò semplicemente un’occhiataccia.

-Le mie fate, i ricordi, sono tutti andati- Toothiana iniziò a farsi prendere dal panico.

Andò accanto a Jack per appurare che le condizioni di una delle fatine fosse buona, poi iniziò a volare in giro, spaventata, cercando di calmarsi.

-Non preoccuparti, Tooth, ritroveremo le tue fatine, e i miei elfi, dobbiamo sbrigarci prima che Pitch faccia la prossima mossa… Jack, sei con noi?- Jack osservò la fatina spaventata tra le sue mani, poi i guardiani attorno a lui, e annuì -Andiamo a recuperare i miei ricordi… e a salvare un po’ di gente, già che ci siamo- 

Tutti i guardiani, ad eccezione di Bunnymund, gli sorrisero riconoscenti, e partì la loro avventura.

***

-Ciao Bunny- Fred saluta con entusiasmo l’agricoltore, una volta arrivato alla sua casetta nei campi poco fuori la città e averlo beccato a spargere concime sulle carote.

Lui lo guarda storto, poi entra in casa e sbatte la porta dietro di se.

-Andiamo, Bunny, cos’hai contro di me, voglio solo salutarti e… oh, guarda, è ora di pranzo, non potresti darmi qualcosa al volo?- non è un mistero l’odio dell’agricoltore per l’orfanello, eppure lui continua imperterrito ad andare da lui ogni volta che non può permettersi di rimanere rinchiuso nell’orfanotrofio per qualsivoglia punizione, e riesce sempre a scroccare qualcosa.

-Mi chiamo Buddy! signor Green per te, teppistello- lo corregge Buddy.

-Hai ragione, Bunny, smetterò di chiamarti Bunny- gli promette Fred cercando di non ridere.

-Cosa c’è per pranzo, Bunny?- chiede poi, suscitando un grugnito infastidito dal citato.

-Vattene via, teppistello, non vorrai farmi chiamare la polizia- lo minaccia.

-Il signor Hills ha tante cose da fare, e poi non sto facendo niente di male- Fred assume la sua solita espressine da santarellino, e non si muove da lì -Lo sai che qui sono in suolo pubblico, e non in proprietà privata, perciò posso restarci tuuutto il giorno, a meno che tu non voglia invitarmi a pranzo- propone con un sorriso sornione.

Buddy apre uno spiraglio alla porta e lo guarda infastidito.

E’ un grosso omone di origini australiane, e due denti da coniglio sporgenti che lo renderebbero leggermente buffo, se non avesse quella stazza.

-Non hai niente di meglio da fare che andare nelle case dei buoni lavoratori a scroccare loro del cibo?- chiede incrociando le braccia.

-L’alternativa sarebbe andare nell’orfanotrofio e restare chiuso lì fino a nuovo ordine, ma devo vedere…- si ferma, non gli piace dirlo alla gente, lo potrebbero prendere per pazzo.

-Direi che è un’ottima ipotesi lasciarti rinchiuso lì, almeno non disturberai la quiete pubblica, inoltre tu e la tua amichetta non siete esattamente una squadra che voglio vedere riunita- sta per chiudere la porta, ma Fred conclude, malavoglia, la frase.

-…Il dottor Smith-

L’agricoltore si blocca.

-Ah, finalmente ti sei deciso a farti vedere!- esclama, suscitando un grande fastidio a Fred.

-Va bene, ti offro un uovo, ma in cambio devi portare questa al signor Smith- gli apre la porta e gli porge un uovo e una lettera.

-Se scopro che non gliel’hai data, che l’hai letta, aperta o anche solo pensato di aprirla, sei finito, sono stato chiaro?- gli chiede, puntandogli il dito contro in segno di minaccia.

-Allora sono nei guai, perché ci sto pensando in questo preciso momento- sussurra tra se Fred.

-Jackson!- 

-Ok, ok. Grazie, Bunny- e il ragazzo esce, mettendo in tasca la lettera, e senza la minima intenzione di aprirla.

Si, è curioso, ma sinceramente non gli interessa se l’agricoltore ha una storia con lo psicologo o chissà che altro, sono loro problemi, mica suoi.

Mangia l’uovo e fa un giro per la città, aspettando che non passi nessuno prima di entrare nell’ufficio dello psicologo.

Appena entra suona il campanello, e subito il signor Smith si affaccia dall’ufficio e gli fa cenno di entrare.

E’ un ometto biondo, basso e molto silenzioso… sarà perché è muto.

-Salve dottor Smith, come va?- gli chiede Fred, entrando titubante torturandosi le mani.

L’uomo annuisce come a dire “bene” poi gli fa cenno di sedersi sul lettino.

-Ho questa lettera, da parte del signor Green- la toglie dalla tasca della felpa e gliela consegna, lo psicologo sorride, la prende e la legge velocemente.

Poi prende l’agenda e ci scrive sopra un appunto.

-Bene, allora… immagino che deve iniziare la nostra seduta, vero? Lo sa che non ho niente con cui pagarla, perciò secondo me sarebbe più conveniente…- è da che Fred riesca a ricordare che va dallo psicologo per discutere degli strani sogni che fa. Le prime volte aveva pagato, poi quando aveva finito i pochi risparmi messi da parte nei vari lavoretti il signor Smith aveva insistito per farlo venire gratuitamente, perché aveva bisogno di essere visto ogni tanto dato che i sogni non sembravano voler smettere.

-Non capisco ancora cosa ci sia di strano nei miei sogni- commenta il ragazzo sedendosi e mordendosi il labbro inferiore.

“Qual’è questa volta?” scrive il dottore su un foglio.

-Il più frequente, quello del… del signor Black, che è totalmente circondato da un alone nero, e che prende un bastone dalle mie mani, perché in cambio dovrà darmi una stranissima piccola fata che sembra un colibrì, e che assomiglia quasi alla… dottoressa Tomas, sa, la dentista. Poi io glielo do, lui lo distrugge, il ché è strano perché era un bastone che poteva essere spezzato in due a piacere. Comunque butta lontano la fatina e mi lancia contro un getto oscuro. Poi mi sono svegliato- racconta il sogno con evidente imbarazzo, ma il signor Smith non sembra affatto considerarlo banale.

“Cosa può spingerti a rappresentare il signor Black come un signore oscuro?” gli chiede tramite il blocchetto.

-Non ne ho la più pallida idea, io non capisco perché lo sogno. Il fatto è che lo considero un uomo viscido e senza scrupoli, anche se non l’ho mai conosciuto di persona grazie al cielo. Ma non ne ho sentito parlare molto bene, ecco- cerca di non rivelare della gelateria in alcun modo, non può permetterselo.

Il signor Smith sente che c’è qualcosa che il ragazzo non gli dice sul signor Black, ma decide di non indagare e non forzarlo.

“Credo che questo sogno possa ricollegarsi anche agli altri sul signor Black?” chiede ancora.

-Intende a quelli dove intrappola… quell’uomo tutto d’oro- ha evitato accuratamente in ogni seduta di dire “te” -e quello dove distrugge la primavera? Non lo so, sono sogni confusi- anche se, se deve dire al verità, sono molto meno confusi del sogno meno ricorrente ma senz’altro più toccante.

“Credi che abbia collegamenti con il sogno della ragazza?” chiede poi il signor Smith.

-Non credo, la sensazione è diversa. In quel sogno sono su questa barca, oppure su un pezzo di legno sull’acqua, e… è strano, ma d’improvviso, del ghiaccio inizia a venire verso di noi, e, e allora io prendo la ragazza e la lancio lontano dall’acqua, ma non riesco a vedere i dettagli. E’ confuso, strano, come se lo vedessi attraverso un vetro appannato. Solo che io quella ragazzina la conosco. So solo questo. L’ho vista, l’ho conosciuta, eppure non riesco a riconoscerla nel sogno. Comunque non è affatto come gli altri- 

Il signor Smith sta per scrivere qualcos’altro quando suonano alla porta.

-Signor Smith, apra! Se Fred Jackson è da lei, mi piacerebbe poterlo vedere, perché deve venire assolutamente all’orfanotrofio- prima che il signor Smith possa fare niente Fred è già in piedi e si avvia velocemente alla finestra, pronto a tagliare la corda.

-Grazie dottor Smith- lo saluta prima di gettarsi.

E’ al primo piano, perciò il dottore non è particolarmente preoccupato, ma non può fare a meno di alzare gli occhi al cielo. Vuole bene a Fred, come la maggior parte della gente che lo conosce, ma è anche preoccupato per lui, e se non inizia a seguire le regole non andrà molto lontano. Non in questa città, almeno.

***

Jack aveva perso ogni cosa.

Aveva cercato di aiutare i guardiani al massimo delle sue possibilità, e non era riuscito a combinare niente di buono, anzi, era solo colpa sua se Sandy era stato catturato e la primavera ridotta a una specie di era glaciale oscura che lui non riusciva minimamente a contrastare.

Solo i bambini vedevano questa differenza, ma sarebbe stata solo questione di poche ore prima che la crisi si diffondesse anche fra gli adulti.

Era davvero abbattuto, seduto a terra vicino ai resti del suo bastone, con Dente da Latte poco distante, e si teneva le ginocchia, come per riscaldarsi da un freddo che non poteva sentire.

Quanto avrebbe voluto poter provare qualcosa: freddo, caldo, dolore. Ma era uno spirito, il suo cuore non batteva neanche.

-Harris, Hubert, Hamish, venite immediatamente qui!- una voce di una ragazzina di circa sedici anni lo distoglie dai suoi pensieri, mentre tre bambini ridacchianti venivano verso di lui, e lo trapassavano senza troppi complimenti.

Erano i tre principini di Dumbroch, non si era accorto di essere arrivato fino a Dumbroch.

-Se vi prendo vi faccio a fettine, non mi interessa se avete solo cinque anni!- la voce invece apparteneva alla sorella dei tre: la principessa Merida, vestita con un lungo abito scomodo e con i capelli raccolti in un chignon.

Sembrava così tranquilla, innocente e pacata, e la sua fama diceva proprio questo. Eppure ora a sentirla così sembrava una testa calda piena di vita.

Jack decise di salvare i tre ragazzini, e con un gesto della mano li sollevò in aria a li fece arrampicare su un albero prima che la sorella li trovasse.

I tre si guardarono a bocca aperta, poi guardarono lui.

Dente da Latte si accorse dell’attenzione dei ragazzi, e cercò di smuovere Jack, per farlo notare anche a lui.

-Che c’è?- chiese, lui, ancora abbastanza giù di morale.

I tre bambini continuavano a guardarlo senza parole.

Poi lui sentì i loro sguardi, e li guardò a sua volta.

-Un momento… voi mi vedete?- chiese, loro annuirono.

-Voi mi.. VEDETE?!- chiese di nuovo, incredulo, sollevandosi quasi inconsciamente in aria.

i resti del bastone, da soli, si avvicinarono.

Loro annuirono nuovamente.

-Non è possibile, voi credete… voi credete in me?- loro lo guardavano confusi.

-Sono Jack. Jack Frost- si presentò, per rispondere alla loro muta domanda, poi richiamò il bastone a se, così preso da momento da essersi dimenticato di averlo rotto, e creò una nevicata improvvisata.

Loro sorrisero e ridacchiarono, poi cercarono di afferrare i fiocchi di neve.

-Spirito dell’inverno?- chiese Hamish.

-Si, sono io- non poteva crederci.

I tre poi fecero un’espressione sospettosa.

-E l’oscurità che si sta diffondendo?- chiese Hubert.

-Oh, giusto! Devo andare! Pitch vuole che voi smettiate di credere a Babbo Natale, a Bunnymund, a Toothiana e a Sandy, perciò li ha catturati. Ma ora abbiamo bisogno di tutti voi. Siete con me?- chiese ai tre bambini, che annuirono convinti.

Jack si sentiva carico. Non era più una questione di ricordi, ma in realtà non lo era mai stata.

Ora era questione della salvezza dei cinque regni, della distruzione di Pitch e della salvaguardia di quelle persone, specialmente dei bambini.

-Perfetto allora, andiamo a dare una bella lezione a quel fastidioso signore delle ombre- 

 

La lotta finì con la sconfitta dell’oscurità.

Jack e i tre bambini, con l’aiuto degli altri che si erano uniti alla sua causa, sconfissero Pitch e le sue ombre, e liberarono i guardiani.

Jack divenne a sua volta un guardiano, e non osò neanche chiedere dei suoi ricordi, per quanto la tentazione fu forte.

Non voleva dare pesi a Toothiana, ma era deciso a chiederlo all’uomo nella luna una volta giunta l’occasione.

E quell’occasione arrivò mentre osservava un annuncio un mese dopo la sua avventura, su dei giochi che si sarebbero tenuti a Dumbroch qualche giorno dopo, per la mano della principessa Merida.

-Non dovresti essere qui, Jack- una voce lo fece voltare.

-Uomo nella Luna- una volta visto dovette ammettere che non era molto sicuro chiedergli dei suoi ricordi.

-E’ primavera, se stai troppo qui sarà freddo. E’ la stagione di Bunnymund, tu puoi recarti solo nelle montagne del Nord di Arendelle, lo sai- lo rimproverò lui.

-Stavo solo leggendo l’annuncio. E poi volevo la tua attenzione- disse Jack.

-Per via dei tuoi ricordi?- chiese lui, con l’aria di chi se lo aspettasse.

-Si, perché non posso conoscerli, cosa ho fatto di sbagliato per non meritare di sapere? Perché gli altri si e io no?- chiese.

-Perché loro non hanno più nessuno per cui restare nel passato, mentre tu si. Se ti svelassi il tuo passato non assolveresti i tuoi compiti- gli rispose l’Uomo nella Luna.

-Io… se non me lo dici io non li assolverò comunque, e quindi ci ritroveremmo punto a capo. I merito di saperlo, ho fatto un buon lavoro con Pitch!- gli inveì contro Jack. Se aveva qualcuno che magari sentiva la sua mancanza voleva saperlo e cercare di riferirgli che stava bene, in qualche modo.

-Fidati Jack, non vuoi saperlo- 

-Chi te lo dice?! Ti prego!- lo supplicò.

-Molto bene- rassegnato, l’Uomo nella luna cacciò fuori un foglio spiegazzato, un manifesto, e glielo porse.

Jack spalancò gli occhi.

-Cosa…? Io sono… lui?- chiese, incredulo.

-Fidati, era meglio se non lo sapevi. Prova a non adempiere ai tuoi doveri e potrei ritirare il dono che ti ho fatto- lo minacciò, prima di scomparire nell’aria, lasciando sconvolto Jack, che continuava a fissare il manifesto da ricercato che teneva tra le mani, con il nome della sua vecchia vita:

-Flynn Rider?- 

***

Fred arriva al Vampire’s café con il fiatone, proprio mentre ci arriva, titubante e con un cappello gigante per non farsi riconoscere, Roxanne.

Tiene la sua solita borsa.

-Hey, ciao- la saluta, lei sobbalza.

-Ah, Fred. Scusa, sono un po’ di fretta-

-Fammi indovinare, sei scappata?- chiede lui, sorridendo.

-Più o meno, volevo trovare un lavoretto qui- gli confessa sottovoce, sta aspettando Tessa per chiederglielo, ma la cameriera non si vede ancora.

-Non hai paura di tua madre?- chiede lui, sedendosi accanto a lei, con il cappuccio della felpa premuto sul capo.

-Lei non è mai a casa e pretende che ci stia io, ma, non lo so, da quando ho iniziato a leggere questo libro sento che non devo sottostare alle sue leggi- ribatte convinta.

-E fai bene, fa parte del crescere. Un po’ di ribellione, qualche avventura, è giusto così è salutare addirittura- la rassicura lui, lei gli sorride, e proprio in quel momento arriva Tessa.

-Salve, ragazzi, avete bisogno di qualcosa?- chiede.

-No, mi sto solo nascondendo- risponde Fred.

-Io volevo chiedere se è ancora disponibile quel posto a lavorare qui- Roxanne è terrorizzata, ma Tessa le sorride.

-Certo, è un lavoro in cucina, tu sai cucinare? perché serve un’aiutante?- chiede.

-Si, abbastanza- risponde lei, speranzosa.

-Perfetto, potrai tornare domani pomeriggio a fare una prova- 

-Grazie- Roxanne è eccitatissima, e anche un po’ spaventata, Tessa le sorride e poi va a servire altri clienti.

-Posso accompagnarti a casa?- propone Fred.

-Si, con piacere- risponde lei, arrossendo appena.

-Allora, è un bel libro quello che stai leggendo?- chiede, mentre camminano in strada.

-Si, è molto bello. Le prime due storie sono finite un po’ male, ma questa, questa è finita molto bene, perciò sono speranzosa per “Il regno di ghiaccio”- spiega, pensando a Jack Frost e alla sua missione per la salvaguardia dei cinque regni.

-Bene, sembra davvero una cosa forte. Anche a me piacciono abbastanza i libri- continuano a chiacchierare per un po’, finché Roxanne non torna a casa.

E’ tempo di cambiamenti!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Legenda:

Austin: Azzurro

Tessa: Tiana

Davis: Dracula

Buddy “Bunny” Green: Bunnymund

Denise Tomas: Toothiana

Samuel Smith: Sandy

Signor Black: Pitch

Norman Wilson: North

 

(A.A.)

Scusate profondamente l’enorme ritardo, ma la scuola è una brutta bastia, come dive Fred.

Se ci sono errori scusatemi infinitamente, ma non ho tempo di rileggerlo ancora.

Magari cercherò di correggerli domani.

Vi è piaciuto il colpo di scena? Jack è Flynn Rider. Ora bisogna solo capire bene come sono andati i fatti con Rapunzel.

E finalmente i nostri quattro stanno iniziando a fare amicizia.

La Jackunzel è la OTP di questa fanfiction, ma non temete, non parlerò solo di loro due, e per chi aspettava Jelsa o Jarida, beh, la Jelsa è proprio impossibile, mentre la Jarida, beh, il loro rapporto è molto bello, e la loro amicizia molto grande, e vedrete in seguito come si è formata.

Alcuni personaggi, come potete capire, non sono perfettamente IC, come Jack o anche Azzurro o l fata Madrina, perché sono misti di personaggi diversi.

Ah, un’altra cosa, il prossimo capitolo sarà uno speciale con il POV di Allison ed Elisabeth, perché la loro storia la devono raccontare loro a mio avviso.

Grazie mille a tutti quelli che seguono e recensiscono la mia storia, spero davvero che questo capitolo vi piaccia perché ci ho sudato trentanove camicie su. Davvero, è stato il parto di tre gemelli.

Alla prossima, e un bacio a tutti :-*

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Capitolo 6
*** Capitolo 5: La storia di due sorelle ***


Once upon a Time in Otherland

Capitolo 5: La storia di due sorelle

 

“Amo le porte aperte”

“Non le chiuderemo mai più”

-Frozen

Gerda aprì le tende, e Anna non era pronta a questo, e con uno scatto fulmineo seppellì il viso nel cuscino.

-No, è presto, non devo fare niente tutto il giorno- si lamentò, con voce strascicata, e solo l’abitudine fece capire a Gerda le parole esatte.

-Ma, principessa Anna, oggi è il giorno dell’incoronazione di vostra sorella, e gli ospiti stanno arrivando- Gerda, che considerava la principessa come sua figlia, non riusciva proprio a non guardarla con un sorriso divertito, vedendo il suo comportamento infantile.

Ma dopotutto era accettabile, aveva solo quindici anni.

-L’incornazione di mia sorella, ma cosa c’entro io? E poi non è un toro- sbadigliò, Gerda scosse la testa divertita, poi la ragazza spalancò gli occhi.

-Per la Luna! Oggi è il giorno dell’incoronazione!!- esclamò, eccitata, alzandosi di scatto dal letto e avviandosi verso la porta, prontamente bloccata da Gerda, che le fece notare l’outfit non appropriato per uscire.

-Principessa, vuole davvero accogliere i dignitari in pigiama?- chiese, con un sorriso.

-Oh! Giusto- Anna ridacchiò, poi andò velocemente a cambiarsi, per indossare l’abito che aveva preparato con tanta cura.

Gerda alzò gli occhi al cielo, poi la raggiunse, per aiutarla e pettinarle i capelli.

Diventavano incredibilmente intrecciati mentre dormiva.

Ma neanche la sorella era da meno

 

La porta bussò nella stanza di Elsa.

-Principessa Elsa, è il momento che vi prepariate, le porte verranno aperte presto- la voce di Kai venne ovattata da dietro la porta ed Elsa, già pronta, fece un profondo sospiro, e rispose.

-Certo Kai, mi preparo subito- 

Si guardò allo specchio, e cercò di aggiustarsi i piccoli difetti ancora rimasti.

Un ciuffo di capelli qua, un punto di trucco sbafato là, e non si sentiva mai adeguata.

Si alzò dalla toeletta, e uscì dalla camera, per andare nella stanza dove avrebbe fatto un’ultima prova, naturalmente senza nessuno ad assisterla.

Tutti, nel castello, sapevano che non voleva avere contatti con il mondo esterno, era così da quando era piccola, da quando era successo quel misterioso incidente con Anna, che sembrava averla chiusa in se stessa.

Respirando profondamente, e ripetendosi la solita litania coma un karma scaccia guai, si tolse i guanti, e provò a prendere il cofanetto e il bastone, come da tradizione.

-Celare, domare, non mostrare- respirando profondamente, sembrava che stesse andando bene, poi venne distratta da un tonfo fuori dalla porta, e dalla voce della sorella che sfrecciava velocemente da una stanza e l’altra, cantando per l’entusiasmo.

Spaventata dal fatto che sarebbe potuta entrare nella stanza, che infatti non era stata chiusa a chiave, del ghiaccio si espanse per gli oggetti, ricoprendoli appieno, e con un sobbalzo la ragazza li lasciò, e caddero a terra, facendo un gran fracasso, che inevitabilmente attirò Anna.

-Ehi, va tutto bene qu…?- Anna entrò tranquilla, ma si bloccò sulla porta appena vide la sorella, che aveva rimesso in fretta i guanti e aveva nascosto il bastone e il cofanetto sotto il suo lungo mantello.

-Va tutto bene, vorrei restare sola per preparare gli ultimi preparativi- Elsa cercò di assumere un tono distaccato, ma aveva la voce leggermente tremante.

-Oh, ok- rispose Anna, uscendo in tutta fretta e chiudendosi la porta alle spalle.

La sua eccitazione era leggermente sfumata, ma cercò di non pensare troppo all’incontro avuto con la sorella, e appena i cancelli vennero aperti, schizzò fuori come una meteora, e per la prima volta si sentì libera.

Salutò tutti i dignitari in visita, e non ebbe nessuna preoccupazione.

Quello sarebbe stato il giorno più bello della sua vita.

Purtroppo un cavallo la investì in pieno due secondi dopo aver pensato a questa affermazione.

-EHI!- esclamò indispettita. L’impatto l’aveva fatta volare su una barca, che rimase in bilico sul pontile.

-Oh, diamine, ma non ti hanno mai insegnato a guardare dove metti i piedi?- chiese il conducente, infastidito a sua volta, poi la guardò, prese un foglietto e gli diede una sbirciatina, e poi tornò a guardarla, mentre lei rimuoveva le alghe dai capelli.

-Cioè, volevo dire, ti sei fatta male?- con un tono attoriale falsissimo, l’aiutò ad alzarsi.

-No, sto bene- lei si rialzò, e guardò il principe, che le fece un occhiolino.

-Sicura? Scusa per il mio comportamento un po’ irritante, ma sono stato bloccato per anni in attesa di… ehm, cioè, è stato un viaggio lungo- fece un sorriso smagliante, e Anna, che non aveva mai avuto contatti con nessuno, esclusi ovviamente i domestici, arrossì e portò una ciocca di capelli dietro l’orecchio, senza sapere bene come comportarsi di fronte a quello che sembrava proprio il principe azzurro dei racconti di quando era piccola.

-Oh, non fa niente, se avessi urtato mia sorella Elsa sarebbe stato un “Oh, mamma” perché lei…- si rabbuiò leggermente -Per tua fortuna sono solo io- concluse, con un sorriso imbarazzato.

-Oh, ma tu basti- disse lui, lei lo guardò confusa -Cioè, io sono Hans delle isole del sud- si presentò.

-Principessa Anna di Arendelle- si presentò a sua volta lei.

-Oh, lo so. Ehm, cioè, ma davvero? Non riesco a crederci, spero che urtare la principessa di questo regno non sia un sinonimo di cattiva sfortuna- evidentemente Hans non aveva molte cose da dire, e sentiva che sua madre, da qualche parte a Corona, lo osservava scuotendo la testa.

-Oh, non preoccuparti, sono io molto sbadata. Le isole del Sud sono vicine a Corona?- chiese, per rompere il ghiaccio, e perché era molto desiderosa di avere notizie dal sud, dove sapeva si celebrava il quindicesimo compleanno della principessa Rapunzel.

-Si… cioè no… cioè, lì vicino, ma lontano, ma comunque a sud… non è nei cinque regni- Hans non sapeva che pesci pigliare, ma Anna trovò la sua incertezza molto simile alla propria, anche se un principe azzurro se l’era sempre aspettato aitante, sicuro e sopratutto intelligente.

Lo guardò per un po’, senza sapere bene come continuare il discorso, poi un suono di campane attirò la sua attenzione.

-Le campane, l’incoronazione- si girò di scatto per dirigersi in tutta fretta di nuovo al castello, poi si voltò un attimo, per salutare il principe -Io devo andare… addio- lui ricambiò il saluto, e appena la ragazza voltò l’angolo, si sentì tirare per un orecchio.

-Ahi- si lamentò, e si girò per vedere chi aveva osato tanto.

-Mamma?- chiese poi, osservando una donna tarchiata e bassetta guardarlo arrabbiata, con una bacchetta violetta in mano.

-Si, e farai meglio a conquistare quella sciocca principessina se non vuoi ricorrere a tutta la mia ira- lo minacciò lei.

-Ma non dovresti essere all’orfanotrofio?- chiese il ragazzo confuso.

-Ho messo un’immagine olografica che mi rimpiazza, hai bisogno di me per far funzionare questa cosa- spiegò la madre.

-Ehi, io ce la faccio- si lamentò il ragazzo in tono lagnoso.

-Non ho sprecato 15 anni in quell’orfanotrofio orribile per vederti fallire anche questa volta, sono stata chiara- gli puntò il dito grasso contro, lui abbassò lo sguardo.

-Si, mammina- 

-Perfetto, d’ora in poi ripeterai perfettamente quello che ti dirò io come piccola fatina all’orecchio, e visto che la regina Elsa è inavvicinabile, è meglio che ci provi con la più piccola- rifletté, trasformandosi, con un colpo di bacchetta, in una fatina minuscola e quasi invisibile, e nascondendosi nella sua giacca elegante.

-Ma io voglio essere re- si lamentò lui -Non principe- 

-E lo sarai a tempo debito, devo solo organizzare la morte della regina- gli sussurrò la madre all’orecchio.

-E ora sbrigati, l’incoronazione sta iniziando- lo incoraggiò poi.

-Va bene, va bene- 

***

*Sono passati alcuni giorni da quando Roxanne ha iniziato a lavorare al Vampire’s café, e non ha avuto molto tempo per leggere il libro*

 

-Elisabeth, Elisabeth, Sveglia- Allison sta bussando con decisione alla porta della sorella, che dorme ancora della grossa, avvolta nel lenzuolo.

-Elizabeth, svegliati- la sorella accosta l’occhio alla serratura, per controllare le condizioni della camera.

-Vattene via, Allison, sto dormendo- e lancia con incredibile precisione il cuscino contro la serratura, facendo indietreggiare la sorella.

-Ma Eli, è domenica- a sentire questo, Elisabeth immediatamente si alza dal letto, con una velocità impressionante si veste con gli abiti più impersonali del suo guardaroba e sistema i capelli in un’elegante crocchia.

Poi apre la porta, ed esce fuori sotto lo sguardo sbalordito di Allison, che aveva aperto al bocca per dirle altro, ma non aveva fatto in tempo a pronunciare neanche una parola.

-Rapida- commenta, con un sorriso divertito.

-E’ tutto in ordine?- chiede Elisabeth, preoccupata.

-Ho messo a posto ieri sera- cerca di rassicurarla Allison.

-Perfetto, c’è molto da riordinare. Quando arriva la signora Charme?- chiede ancora ad Allison, mentre si avvia in cucina, per fare una colazione frugale e riordinare tutto.

-Non lo so, sono le nove e mezza, ha detto che arrivava alle dieci, perciò abbiamo una mezz’oretta ancora- Allison sembra molto tranquilla, ma Elisabeth non la vede allo stesso modo.

-Diamine, Allison, come hai fatto a combinare un tale casino. Sei sonnambula per caso?!- si lamenta Elisabeth prendendo i vestiti gettati a terra, e mettendo i piatti sporchi della colazione della sorella in lavastoviglie.

-Beh, in effetti potrebbe essere, ma non ne sono sicura. voglio dire, qualche giorno fa mi sono ritrovata appesa a testa in giù nell’armadio, e non credo che tu abbia il senso dell’umorismo necessario per…- la sorella segue Elisabeth come un’ombra, parlando a tutto spiano pensierosa, ma lei la interrompe.

-Allison, metti a fare la lavatrice, poi dai una sistemata ai tuoi libri, e spolvera gli scaffali. Puoi farlo? Non è troppo complicato, vero?- chiede, come se stesse parlando ad una bambina di tre anni.

-Ma certo che posso farlo, non sono stupida- si lamenta, prendendo gli abiti e avviandosi in bagno, ma scivolando sul tappeto e finendo a gambe all’aria.

-Allison, tutto bene?- chiede esasperata la sorella, facendo sporgere la testa dal salotto.

-Si, tutto bene- sepolta dagli abiti sporchi, Allison alza un dito e fa segno di OK.

Elisabeth alza gli occhi al cielo, poi ritorna alle sue faccende.

-bene bene bene bene- Allison prende gli abiti e li mette tutti in lavatrice, senza distinzioni di colore o altro, ma prima che possa combinare un macello, Elisabeth entra nella stanza e rimedia ai suoi disastri.

-Cavolo Allison… va bene, va a sistemare i libri e a spolve… ah, e fa i compiti- le impone, mentre mette a fare la lavatrice nel modo giusto, cacciandola dal bagno.

-Ma non riesco a farli in mezz’ora- si lamenta lei.

-Almeno fatti trovare da quell’arpia mentre li fai. Mi chiedo perché ti riduca sempre all’ultimo secondo. Non potevi farli ieri pomeriggio?- chiede, più a se stessa che ad Allison, mentre esce dal bagno per dare una passata di aspirapolvere in salotto.

-Ero in gelateria con te, hai bisogno di aiuto il sabato, è piano di gente- le urla dalla stanza affianco Allison.

-Quante volte ti ho detto di non sbanderare il nostro segreto ai quattro venti?! E’ così difficile tenere la bocca chiusa?- la rimprovera Elisabeth, irritata.

-Ops, scusa, non mi sono resa conto del pericolo, ma non devi preoccuparti, non avrai guai per la gel… per il piccolo Olaf- mentre Anna spolvera lo scaffale dei libri, sorride, orgogliosa del nome che lei ha dato alla gelateria.

-Devi essere più cauta, sai che se qualcuno di non fidato venisse a saperlo…- comincia Elisabeth, Allison sospira, ormai conosce il discorso a memoria.

-… finirei in prigione, e tu saresti riportata all’orfanotrofio, perche zia Pauline non ha la minima intenzione di prenderti con se- concludono insieme, Allison scimmiottando Elisabeth.

-Lo so, Eli, ma non possiamo vivere la vita nel terrore, e poi ho diciassette anni, non sarei confinata lì per sempre, e sono sicura che potrei fare una colletta con i nostri acquirenti per pagarti la cauzione- Allison cerca sempre di vedere il lato positivo di ogni faccenda, mentre Elisabeth, più pessimista, vede ogni volta il pelo nell’uovo.

-Hai sistemato i libri?- chiede alla sorella, mentre mette via l’aspirapolvere, e prende una tazza di caffè che non ha avuto il tempo di riscaldare.

-Si, ho sistemato tutto in ordine di colori, non hai idea di quanto sia carina la libreria così, sembra un arcobaleno- Allison prende i libri per iniziare i compiti per il giorno dopo, mentre Elisabeth viene a controllare il suo lavoro.

-Ma… la tua camera è in ordine- constata, sorpresa.

-Certo, che ti aspettavi, l’ho messa in ordine ieri- Allison sorride orgogliosa, ma la sorella non se la beve a lungo, e apre con decisione l’armadio, da dove esplodono una trentina di abiti messi alla rinfusa, che Elisabeth evita con grande agilità.

-Quante volte ti ho detto che non devi raggruppare le cose nell’armadio, ma….- 

-… piegarle con cura e metterle nei cassetti. Centinaia, ma sono troppi vestiti, non ho tempo- prova a giustificarsi la sorella minore, concludendo la litania per lei.

Elisabeth è fissata con le litanie, ha sempre qualcosa per ogni occasione che ripete come un mantra.

-Se lo facessi ogni volta non sarebbero così tanti- e porgendo alla sorella metà del mucchio, inizia a piegarli con cura.

-Sporco, macchiato, puzzolente, strappato… ancora?- Elisabeth elimina gli abiti dalla pila, e mette i restanti in ordine nello stesso tempo che Allison impiega per piegarne due.

La sorella sospira, e le da una mano per i restanti.

-Non potresti essere più veloce?- le chiede.

-Sei tu che lo sei troppo. Prenditi tempo per goderti la vita- Allison le sorride.

-Non vedo l’ora che sia questo pomeriggio- ammette Elisabeth, pregustando delle belle ore in gelateria, a vendere ottimi gelati e frullati e vedere la gente che va lì per isolarsi dalla terribile realtà che la circonda.

-Infatti, ma dobbiamo solo superare un’altra ispezione di quella brutta, cattiva e con un figlio ancora peggiore…- 

*Din don*

Allison chiude la bocca di scatto, ed Elisabeth mette gli abiti restanti nei cassetti senza piegarli, e si precipita ad aprire la porta, con un’ultima raccomandazione per la sorella.

-Compiti, ora!-

***

-Regina Elsa, è arrivata una lettera dai regnanti di Corona- Kai porse alla regina una lettera nel bel mezzo dei festeggiamenti, ma lei non parve seccata, anzi. Era piuttosto rilassata, perché la festa era quasi finita, e non aveva combinato niente di male, con suo grande sollievo.

-Grazie Kai- gli sorrise composta, e aprì la lettera, con le mani ancora fasciate dai guanti.

La aprì con grazia e la lesse.

“Nostra carissima nipote,

siamo davvero spiacenti di non essere potuti venire alla tua incoronazione, purtroppo i giorni hanno coinciso e dovevamo restare qui, per l’annuale ricorrenza della scomparsa di nostra figlia.

Non vogliamo assolutamente renderti triste con ritorni al passato, ma ci teniamo davvero a dirti che i tuoi genitori sarebbero incredibilmente orgogliosi di te e di tua sorella.

Vorremmo davvero tantissimo venire a trovarvi, e speriamo vivamente di poter organizzare una piccola gita ad Arendelle quanto prima, per congratularci di persona per la tua incoronazione.

Ti auguriamo un regno duraturo e buona fortuna per la guerra contro i mostri, siamo convinti che l’affronterai per il meglio, e ci teniamo davvero ad assicurarti che noi saremo sempre dalla tua parte.

Con un grandissimo abbraccio e congratulazioni,

Re Edward e Regina Primrose di Corona.”

La lettera la rattristò, ma le fece anche molto piacere.

Ripensare ai suoi genitori le faceva pensare che forse davvero potevano essere orgogliosi. Stava celando, domando e non mostrando, proprio come loro le avevano insegnato, ma accadde un fatto che mise molto alla prova il suo autocontrollo, e bruciò tutto ciò che aveva fatto fino a quel momento.

-Elsa, cioè, Regina… sono sempre io. Posso presentarti il principe Hans delle isole del Sud?-...

***

-E quindi Allison sta ancora facendo i compiti?- chiede Helga Charme, avviandosi verso la stanza della ragazza per assicurarsi che stia davvero studiando, e scuotendo la testa.

-Li ha quasi finiti- precisa Elisabeth.

Ha fatto del suo meglio, ma la signora Charme trova sempre il pelo nell’uovo, e ha una paura incredibile di perdere Allison.

-Una brava tutrice dovrebbe assicurarsi che la propria figlia li faccia il sabato pomeriggio- obietta Helga.

-Ma li ha fatti anche ieri, solo che non li ha finiti, perciò recupera stamattina- mente Elisabeth.

Sta combattendo con le unghie e con i denti per mantenere la custodia legale della sorella, ma i controlli settimanali sono un vero strazio. Helga sembra odiarla!

Senza neanche bussare, la signora Charme entra nella stanza, per trovare un’Allison china sui libri, che senza neanche girarsi sembra notare un’ultima cosa e li chiude.

-Finito! Evviva… Oh, signora Charme, salve, come va?- chiede, alzandosi in piedi e facendo cadere la sedia dietro di se.

-Oh, accidenti!- esclama, facendo per raccoglierla. Prima che possa combinare qualche altro macello Elisabeth si affretta ad aiutarla, e Allison porge la mano e la signora Charme la guarda e basta, senza stringerla, ma scrivendo altri appunti.

-Linguaggio poco educato, poca igiene personale e la sorella sembra non lasciarla libera, raccogliendo le cose per lei. Bene, continuiamo- senza degnarla di un altro sguardo, la signora Charme procede oltre.

Allison ha aperto la bocca per protestare sull’igiene personale, ma Elisabeth le lancia un’occhiataccia eloquente, e lei resta zitta, attingendo a tutto il suo, poco, autocontrollo, e inizia a seguire le due donne, da lontano.

-La casa non sembra particolarmente in disordine- sembra delusa da questa constatazione, ma i suoi occhi si illuminano di grande malignità.

-Vorrei visionare l’armadio di vostra sorella- Elisabeth impallidisce leggermente, è l’unica parte della casa che non ha finito di mettere in ordine, e con la severità della signora Charme, ha paura che questo potrebbe costarle Allison.

Con il cuore che batte furiosamente nel petto, annuisce, e tornano indietro.

Entrano nella camera di Allison, che sembra stranamente molto tranquilla, ed Elisabeth non capisce il perché.

La signora Charme, con grande lentezza, per gustarsi il momento della sconfitta delle due sorelle, apre l’armadio, per rimanere profondamente delusa.

-E’ in ordine, in perfetto ordine- constata, infastidita.

Elisabeth spalanca gli occhi, e guarda Allison, che le fa l’occhiolino.

-Molto bene, sembra che, dopotutto, puoi mantenere la tutela legale di Allison, ci vediamo domenica prossima- 

Esce con grande sdegno, sbattendo con violenza la porta.

Elisabeth ed Allison si guardano, poi, dopo qualche secondo, appena sentono la macchina uscire dal vialetto, scoppiano a ridere, per scaricare finalmente la tensione, e si abbracciano, felici.

***

Anna rimase totalmente sconvolta dopo il manifestarsi dei poteri della sorella.

Ci mise un intero quarto d’ora per riprendersi, e per ricominciare a parlare, un vero record per lei.

Poi, senza pensarci due volte, si era diretta con il cavallo dietro alla regina, aveva lasciato il principe in carica (con sua grandissima felicità) e aveva reclutato in un emporio una guida per le montagne che sembrava conoscere anche il fenomeno chiamato “neve” in corso, anche se, purtroppo, il vento glaciale le stava impedendo di proseguire oltre la foresta dei salici.

Provava da ore ed ore ad avanzare, con Kristoff che osservava scettico i suoi tentativi davanti al fuoco che avevano acceso per grazie della luna.

-Principessa, se devo essere sincero, non credo che i tentativi siano utili. Forse dovremmo tornare ad Arendelle finché la regina non si sarà calmata- provò  farla ragionare. La sua renna Sven era andata ad esplorare in giro.

-Puoi andartene se vuoi, io non mi arrendo- Anna era testarda, e il ragazzo sbuffò.

-Non ci penso neanche, mi devi una slitta, ed è meglio che tu sia viva per ricomprarmela- questa scusa nascondeva una seria preoccupazione per la principessa, o, più precisamente, per la sua salute mentale. Non era così cattivo da lasciare una ragazza di soli quindici anni in balia della tempesta.

-Ce la faccio, ce la faccio, ce la sto facendo- urlava Anna, con convinzione, come se la convinzione potesse fermare il vento, poi, dopo uno sforzo maggiore di altri, si lasciò cadere a terra, stremata.

-Avremmo bisogno di aiuto- constatò sull’orlo delle lacrime.

-Allora io sono per voi- esclamò una vocetta allegra, poco lontano.

Kristoff, dal carattere schivo, subito prese il piccone come arma, ma prima che potesse dire alcunché di minaccioso, Anna si alzò nuovamente piena di energie, e si avviò verso la provenienza della voce.

-Davvero? Puoi aiutarci?

Kristoff, alzando gli occhi al cielo, disse tra se e se.

-Ma questa ragazza vuole proprio morire- 

-Si, posso farlo. Io sono…- cominciò la voce arrivando alla luce e facendosi finalmente vedere.

-…Olaf- disse Anna di getto, senza capire da dove le venisse quel nome.

-Olaf?- chiese Kristoff, anche il pupazzo la guardò confuso.

-Tu… ti ha fatto Elsa?- chiese Anna, aveva avuto un piccolo flash, di loro due che da piccole giocavano su… sulla neve. Ma come?

-Credo di si- disse Olaf -Perché?- chiese poi.

-Noi, io ed Elsa, credo che ti abbiamo creato da piccole. Ma non ne sono molto sicura- Anna era davvero confusa, e il pupazzo di neve sembrò guardare alla sua destra, come a cercare spiegazioni da qualcuno, qualcuno che però era invisibile o non esisteva proprio, perché gli altri due non lo videro.

-Sai come fermare la tempesta?- chiese Kristoff, andando dritto al punto.

-No, so solo come rallentarla. A fermarla deve essere Elsa- spiegò il pupazzo di neve con aria pratica.

-Ah, interessante- 

-Allora, fallo!- lo incoraggiò Anna -Se vuoi, ovviamente- aggiunse, non le piaceva dare ordini.

-Ok- disse lui, tutto contento, e senza che facesse gesti con le mani o robe del genere, la tempesta si placò leggermente, giusto quel tanto che bastava per farli passare.

-Grazie, Olaf- Anna, senza curarsi del freddo, lo abbracciò forte, e il pupazzo aprì la bocca per dire qualcosa, per poi richiuderla, e sorridere e basta, ricambiando l’abbraccio.

-Che bella sensazione che dai, calore- disse poi.

-Ops, scusa, il calore scioglie il ghiaccio, giusto?- chiese a Kristoff, l’esperto in materia di ghiaccio, che annuì.

-Non ti ho sciolto, vero?- chiese la ragazza preoccupata.

-No, non temere, mi piace tanto il caldo, vorrei infinitamente conoscerlo e viverlo- disse con aria sognante, sembrava diverso rispetto a quando aveva detto di poterli aiutare, come se prima ripetesse una frase che qualcuno gli sussurrava all’orecchio.

Anna lo guardò intenerita, Kristoff preoccupato.

-Allora, andiamo da Elsa… ma i vostri nomi quali sono?- chiese poi, guardando Anna e Kristoff.

-Io sono Anna e lui è…- si presentò la ragazza, ma Kristoff la interruppe.

-Sven!- esclamò, vedendo la renna tornare tutta coperta di neve.

-Bene, bei nomi. Oh, e chi è la renna?- chiese poi girando la testa di 180° e vedendo la renna innevata.

-E’ Sven-

-Ah, hanno lo stesso… bene è più facile per me-

Kristoff aprì la bocca per contestare, ma Anna tagliò corto.

-Bene, andiamo da Elsa. Sven, come va, bello?- e con una carezza rivolta alla renna, l’intrepida ragazza si avviò con sicurezza verso l’ignoto, decisa più che mai a trovare la sorella.

-Il mio nome è Kristoff, veramente- borbottò il ragazzo, prendendo le provviste e spegnendo il fuoco prima di seguire la ragazza.

***

Per festeggiare la riuscita dell’ispezione, Elisabeth ha deciso di portare la sorella al Vampire’s Café per pranzo.

L’ha promesso ogni domenica, sempre senza riuscire poi ad avere tempo per accompagnarla.

Fino a questo momento sembra che qualche strana forza malvagia cerchi di limitare il più possibile il contatto tra le due sorelle, ma questa domenica, Allison lo sente, tutto andrà per il meglio.

E’ qualche giorno, infatti, che la ragazza sente che c’è qualcosa di positivo nell’aria, ed essendo una ragazza molto positiva e ottimista, spera vivamente che ci sia un bel cambiamento in agguato, qualcosa di grandioso e soprattutto duraturo.

Sorride estasiata mentre si avvia al parco cittadino, per svagarsi un po’ prima che la sorella la venga a prendere per pranzo, al quale manca poco.

Senonché il suo buon umore viene turbato da una presenza tutt’altro che gradita.

-Allison, che spiacevole incontro- una voce acida la fa voltare.

-Austin, lo spiacere è tutto mio. E visto che ci odiamo l’un l’altra non è forse meglio ignorarci e basta?- chiede rigirandosi e continuando per la sua strada, con il suo solito buon senso che la caratterizza, e che lo zittisce…

-Credo che mi provocherà più gioia rovinarti la giornata- ribatte lui.

…quasi sempre.

Anna lo guarda, ha ancora un livido sullo zigomo, dove, a detta sua, Fred Jackson l’ha colpito con un pugno.

-Perché, per una volta, non ti fai gli affaracci tuoi? Perché rovinarmi l’unica giornata felice che ho da molti anni a questa parte?- gli chiede, non riesce a concepire che alcune persone provino piacere nelle sventure altrui.

-Perché voglio che tu non viva neanche un giorno di felicità. Devi sempre essere triste, infelice e sta pur certa che mia madre non si arrenderà finché non ti avrà allontanato da tua sorella- la minaccia, facendola indietreggiare. Alla ragazza vengono le lacrime agli occhi, di rabbia e tristezza insieme.

-Ma perché?! Cosa mai ti ho fatto per meritarmi il tuo odio?! Io… non lo capisco, che razza di scopo è rendere infelice qualcun’altro. E’ disgustoso!- esclama, incrociando le braccia. 

-Senti, ragazzina…- comincia lui, prendendole con cattiveria le braccia.

-Ehi, tu!- lo interrompe una voce sconosciuta, ma che subito da un’enorme sicurezza ad Allison, che immediatamente ritrova il sorriso, mentre Austin la lascia andare.

-Fatti gli affari tuoi, Boggs- Austin fronteggia il ventenne avanti a se  a denti stretti, ma lui, dopo avergli lanciato un’occhiata obliqua, lo ignora totalmente e si avvicina ad Allison, per vedere le sue condizioni.

-Tutto bene?- le chiede, burbero.

E’ un ragazzo biondo, massiccio e dall’espressione buona.

Allison sorride.

-Si, tutto bene- risponde. Tutta la rabbia, la paura e le cattive emozioni sembrano essersi volatilizzate.

-Bene- lui sembra sollevato.

-Non devi impicciarti in cose che non ti riguardano, lo dirò a mamma, e lei ti aumenterà la tassa settimanale- lo minaccia Austin, irritato per essere ignorato.

Il cosiddetto Boggs, alza gli occhi al cielo.

-Anche tu eri nell’orfanotrofio?- chiede Allison, incapace di trattenersi. Si tappa la bocca appena pronuncia questa frase, ma il danno è fatto.

-Scusa, non volevo, insomma, resetta la mente e fa finta che non abbia detto niente- lui la guarda leggermente divertito.

-EHI! UN PO’ DI ATTENZIONE!!!- esclama Austin. E riceve un bel po’ di attenzione, solo che non è quella che si aspettava.

Un cane, infatti, di razza Norsk Lundehund arriva in quel momento a approfitta del solido appoggio della sua gamba per… come dire, marcare il territorio.

-AHH! Brutta bestiaccia!!! Non finisce qui, Brooks e Boggs!- e urlando indiavolato scappa via.

Allison ride, non può farne a meno.

-Ottimo tempismo, Scooter, ti sei meritato un bel biscotto per cani- e accarezzandolo, il ventenne prende un biscotto per cani e lo divide a metà, mangiandone un pezzo.

Una scena che dovrebbe disgustare Allison, le fa venire un tonfo al cuore.

Le sembra di conoscere quel ragazzo, eppure non l’ha mai visto prima.

-Grazie mille, non so cosa avrei fatto- la ragazza si avvicina ai due, e si inginocchia per accarezzare il cane.

-Attenta, è un po’… ma non fa in tempo a finire la frase che Scooter salta addosso ad Allison, e la riempie di feste.

-…diffidente- conclude, molto tra se.

-Ma che bel cucciolone- Allison  lo accarezza, facendo ingelosire leggermente Boggs.

-Oh, perdona la mia maleducazione, sono Allison, Allison Brooks- gli porge la mano, con un gran sorriso, e lui, un po’ titubante, ricambia.

-Christopher Boggs, e lui è il mio cane Scooter- 

***

-Pr quanto riguarda i miei amici… beh, dico amici, ma sono più una famiglia. Loro sono, come dire, poco convenzionali, nel senso che… non sono come te li potresti aspettare. Eravamo soli, Sven e io, e loro ci hanno accolti- cercava di spiegare Kristoff ad Anna, mentre l’accompagnava, con grandissimo rischio, dai suoi amici esperti in amore.

-Davvero?- chiese lei intenerita, con voce bassa. Sembrava così debole in quel momento, che Kristoff avrebbe tanto voluto riscaldarla, sostenerla, ma si impose di stare fermo, lei era una principessa, non poteva fare gesti equivocabili.

-Si, solo che… ecco…- non sapeva bene come prepararla a ciò che avrebbe visto, ma non poteva non portarla da loro, lei doveva stare meglio, e lui doveva fare tutto il possibile per aiutarla.

Altrimenti chi gliel’avrebbe comprata la slitta nuova.

Ma più si convinceva che lo faceva per la slitta, più capiva che non era assolutamente per quello, e non sapeva se esserne felice.

Da un lato, infatti, significava che non era un rude uomo di montagna senza cuore, dall’altro che si stava… insomma, con una persona totalmente irraggiungibile

-Ehm… tutto bene?- chiese Anna, era diventato troppo muto, preso dai suoi pensieri.

-Si, siamo arrivati. Ti presento la mia famiglia- si mise davanti alle rocce, e allargò le braccia.

Il sorriso di Anna sparì.

-Sono rocce- disse tra se, incredula.

-Ciao ragazzi, sono io. Sono tornato- si stava annunciando Kristoff, consapevole di stare facendo una figuraccia incredibile. Sperava solo ci mettessero poco a svegliarsi.

-E’ completamente pazzo- osservò Olaf, a bassa voce, cosicché solo Anna potesse sentirlo.

-Io lo distraggo, tu scappa- 

Olaf, dopo il loro primo incontro, non si era rivelato affatto un tipo capace di controllare neve e ghiaccio, ma solo un simpatico amante del divertimento, e aveva conquistato il cuore di Anna, a cui lui si era legato con una profonda amicizia.

-Ragazzi, sul serio, svegliatevi, ho veramente bisogno di voi-

continuava a dire Kristoff.

-Beh, io.. andrei…- aveva iniziato a dire Anna, ma le rocce, muovendosi, la interruppero.

E dalle rocce, comparirono tanti piccoli ometti blu.

-Kristoff, sei tornato- una degli ometti, una femmina, gli si precipitò addosso, abbracciandolo stretto, per quel poco che riusciva ad abbracciare.

Anna sgranò gli occhi.

Ok, Olaf era un mostro, ma l’aveva fatto la sorella, non valeva, ma quelli.

-Sono… MOSTRI!- urlò, in preda al panico.

Tutti gli ometti blu si girarono a guardarla, e lei indietreggiò di qualche passo.

-Sono Puffi, la mia famiglia, neutrali nella guerra- la assicurò lui, avvicinandosi alla ragazza.

Temeva che la sua reazione sarebbe stata quella.

-Puffi… quelli strani ometti blu, alti suppergiù due mele o poco più?- chiese Anna, che aveva letto una filastrocca in un libro.

-Si, sono buonissimi, mi hanno allevato. Possono aiutarti- le assicurò il ragazzo.

-Ha portato una donna!- fu l’unico commento di Puffetta, l’esserino che aveva accolto Kristoff.

-Oh, no!- sussurrò Kristoff. Anna non capì la sua reazione, almeno finché i puffi non la esaminarono da capo a piedi, credendola la fidanzata del biondo.

 

Nel frattempo, Elsa, cercava di calmarsi, di concentrarsi su buoni pensieri, di ripetersi la sua solita litania.

-Celare, domare, niente emozioni, niente emozioni, NIENTE EMOZIONI!!- ma le emozioni peggiori le disturbavano la mente.

Sentiva l’oscurità entrare nella sua testa, paura, sconforto, rabbia, e disperazione.

Poi, un piccolo vento anomalo, che non aveva creato lei di sicuro, portò la lettera dei suoi zii ai suoi piedi.

L’aveva accidentalmente portata con se. La raccolse e la rilesse.

“…i tuoi genitori sarebbero incredibilmente orgogliosi di te… Ti auguriamo un regno duraturo… noi saremo sempre dalla tua parte…”

Delle lacrime sgorgarono fredde dai suoi occhi, trasformandosi in ghiaccio non appena toccavano terra.

Ma comunque in questo modo un po’ si sfogò, anche se non abbastanza, e uno spirito invisibile non sapeva che altro trucco inventarsi.

***

Quando Elisabeth passa a prendere la sorella, rimane stupita nel trovarla a parlare allegramente con un completo sconosciuto.

Il suo istinto primordiale è assolutamente quello di andare dallo sconosciuto e congelarlo usufruendo della macchina dei gelati, ma decide di mantenere al calma, e si para solo davanti alla sorella con fare protettivo.

-Allison, sono venuta a prenderti, dobbiamo andare presto se vogliamo non fare tardi- la guarda molto seccata, ma Allison non si scompone.

-Certo, comunque lui è Kristoff. Mi ha aiutata con Austin, poco fa. E lui è il suo cane Scooter- Elisabeth lancia al ragazzo un’occhiata penetrante e sospettosa.

-Il mio nome è Christopher, veramente- obietta il ventenne a denti stretti.

-Oh, scusa, non sono molto brava con i nomi- si scusa la ragazza.

-Molto gentile da parte tua aiutarla. Ora, se vuoi scusarci, dobbiamo andare- Elisabeth si rivolge ad Allison, che non capisce l’atteggiamento della sorella.

-Eli, ma che ti prende?- chiede, confusa.

-Abbiamo fretta- taglia corto lei, poi la prende per mano e la trascina via.

-Arrivederci- la ragazza saluta sgarbatamente il biondo, che non fa nemmeno in tempo a ribattere che sono già scomparse.

Guarda Scooter con un sopracciglio inarcato, e il cane ricambia l’occhiata con espressione di chi non sa che pensare.

 

-Si può sapere che stavi facendo?!- appena voltato l’angolo la maggiore inveisce contro la sorella.

-Parlavo- Allison non capisce cos’ha fatto di sbagliato. Dopotutto lui è solo il taglialegna della città. Un po’ misterioso, un po’ isolato, forse, ma l’ha salvata da quel bulletto da strapazzo, perciò non crede ci sia poi niente di sbagliato a parlargli.

-Sai almeno chi è?- chiede la bionda, incredula.

-Christopher- risponde semplicemente Allison, con un sorriso a trentadue denti.

-Da quanto ne sai potrebbe essere un maniaco, avrebbe potuto prenderti e portarti chissà dove. Non devi parlare con degli sconosciuti, sopratutto se sei sola!!!- Elisabeth è fuori di se, e Allison perde totalmente il sorriso.

-Perché non hai mai fiducia nella gente. Io so che lui è una brava persona, lo sento- prova a dire.

-Sei giovane e ingenua, e lui è grande, è maggiorenne. Non voglio che tu lo veda mai più. Capito?- le ordina.

-Ma Eli…- prova a ribattere la sorella, quasi con le lacrime agli occhi.

-Capito?!- la sorella le prende i polsi, e mordendosi il labbro inferiore, Allison annuisce.

-Bene, io voglio solo il tuo bene, lo sai- Elisabeth sembra più sollevata, e lascia la sorella.

-Allora, andiamo al Vampire’s café o dobbiamo cenare dal piccolo Olaf?- chiede con voce atona Allison.

-Su, andiamo- 

***

-ANNA!- Elsa si trovava davanti a sua sorella, diventata di ghiaccio… per colpa solo sua.

Ma il suo dolore non sembrava volesse trasformarsi in tempesta, o spuntoni di ghiaccio, o altro.

Era un dolore sordo, troppo, troppo da sopportare, e non riusciva minimamente a sfogarlo se non in lacrime.

Abbracciò stretta la statua di ghiaccio, tra i singhiozzi.

Olaf guardava la scena a bocca semiaperta, devastato dalla visione, mentre Kristoff, giunto troppo tardi, si dovette appoggiare a Sven per non crollare a terra.

Hans, o meglio, Azzurro, come la principessa aveva scoperto si chiamasse realmente, era a terra, con la madre accanto, che si teneva la testa, stordita.

Quando, ad un tratto dal cuore della principessa cominciò ad espandersi una luce dorata, che lentamente sciolse la principessa.

Il primo ad accorgersene fu Olaf, che sollevò la testa per l’entusiasmo.

Poi Sven lo fece notare a Kristoff, che spalancò gli occhi per il sollievo e la speranza.

Quando Elsa se ne accorse, Anna era quasi totalmente sciolta, e appena prese il primo respiro, cadde tra le braccia della sorella, che l’afferrò incredula.

-Anna- Elsa l’abbracciò felice, e, confusa, la sorella ricambiò l’abbraccio.

-Ti sei sacrificata… per me?- chiese Elsa, commossa.

-Io ti voglio bene, non voglio che ti facciano del male- rispose semplicemente Anna, senza sciogliere l’abbraccio che per tanto tempo aveva desiderato.

-Un atto di vero amore scioglierà un cuore di ghiaccio- disse Olaf, ma Anna sentì come se lo dicessero due voci.

Elsa la strinse ancora più forte, e la sorella ricambiò, felice come non mai.

Elsa sentiva il cuore più caldo nel petto, e lentamente e inesorabilmente, come già accaduto per Anna, dalla riva del fiordo dove erano tutti riuniti il ghiaccio iniziò a sciogliersi.

-Ti prometto che da ora in poi andrà tutto meglio- sussurrò Elsa alla sorella.

Olaf e Kristoff guardavano la città sciogliersi, e i confini intorno, senza sapere bene che pensare, ma molto lieti di ciò.

-L’importante e che stiamo insieme, troveremo un modo di sciogliere tutto- continuò Elsa, che, avendo il volto sepolto nel mantello di Anna, non si era accorta dello scioglimento dei ghiacci.

-Beh, direi che sta funzionando- disse Anna, sorridente.

-Come?- chiese Elsa, sollevando il capo e osservando la città intorno a lei.

-Ma cosa…?- era incredula, e incredibilmente felice.

-Ce l’hai fatta, lo sapevo- Anna le mise una mano sulla spalla, sorridendole orgogliosa.

Elsa si guardò le mani, e sorrise a sua volta.

-Ohi, ohi ohi- la Fata Madrina si alzò in piedi, e la sua attenzione andò immediatamente alla regina e alla principessa davanti a lei.

Il resto poteva aspettare.

Approfittando della loro distrazione, sollevò la bacchetta pronta per un incantesimo mortale, ma un’altra cosa attirò la sua attenzione.

A protezione delle principesse si era parato un giovane ragazzo, invisibile a tutti ma non al suo occhio attento ed esperto di magia, che riconobbe la forma, e sussurrò incredula, a occhio sgranati e in modo che nemmeno il ragazzo al sentisse: 

-Jack?!- questo attimo di distrazione le giocò la possibilità di fare alcunché, perché le sorelle si voltarono nella sua direzione, e decise di arrendersi, scomparendo in una manciata di bolle per tornare a casa, prima che la sua copertura saltasse. 

Al figlio avrebbe pensato a tempo debito.

-Cosa ne facciamo di Hans, o meglio, Azzurro?- chiese Anna alla sorella.

-Io saprei esattamente che fargli- borbottò Kristoff a denti stretti, Anna lo guardò, accennando un sorriso, che però Elsa non apprezzò particolarmente, e guardò il ragazzo con sospetto.

-Dovremmo mandarlo in carcere, credo. Dato che non è davvero il principe delle isole del sud, è meglio che lo incarceriamo qui- disse invece, guardandolo con disgusto.

Poi alzò la mano, e gli legò le mani e i piedi con manette di ghiaccio.

-Aspetta, Olaf!- Anna si ricordò solo in quel momento che il sole scioglieva la neve e il ghiaccio, e si girò di scatto per controllare le condizioni dell’amico, che guardava intorno a se con espressione estasiata, ma non si stava sciogliendo, grazie al cielo, dava solo piccoli segni di surriscaldamento.

-Elsa, presto, fagli qualche incantesimo per farlo restare intatto- incoraggiò la sorella.

La regina alzò la mano per obbedire, ma il pupazzo di neve le fermò.

-No, io oggi devo andarmene- disse con semplicità, Anna scosse la testa.

-No, no, Elsa può farti vivere per sempre. Su, fa la magia- incoraggiò nuovamente la sorella, che guardava Olaf con sguardo rassegnato.

-Non sono stata io a farti vivere, vero?- chiese al pupazzo di neve, Anna fece passare lo sguardo dall’uno all’altra.

-Di che state parlando?- chiese.

-No, non sei stata tu. E la persona che mi ha fato vivere deve riavere il pezzo di anima che ha consegnato a me, altrimenti resterà musone per tutta la vita. Gli serve il divertimento e l’emozione, e l’infantilismo - spiegò, non sembrava minimamente spaventato dalla prospettiva della sua imminente morte, ma Anna non voleva che accadesse.

-NO! No, ti prego, Olaf. Non puoi andartene- si inginocchiò accanto a lui, che iniziava a sciogliersi, inesorabilmente. 

Lui l’abbracciò.

-Non temere, Anna. Io sarò sempre qui con voi- le assicurò. La ragazza lo abbracciò stretto, e pochi minuti dopo era scomparso, in una pozza d’acqua, e mezzo bastone a terra, che sembrò scomparire nell’aria non appena il pupazzo di neve fu sciolto del tutto.

La principessa singhiozzava, ma cercava di non darlo troppo a vedere.

Così Elsa, vedendo il dolore della sorella, trasformò i resti del pupazzo in una collana a fiocco di neve, che porse alla fulva.

-Così sarà davvero sempre con te. Non si scioglierà mai- le disse, Anna lo prese con delicatezza, attaccandola attorno al collo.

-Grazie Elsa- l’abbracciò di slancio.

-Ora che ci siamo ritrovate, non ce ne andremo mai più. E dobbiamo assolutamente andare a trovare i nostri zii a Corona- disse Elsa, pregustando una bella vita, da quel momento in poi.

 

***

-Allora, Fred, il solito frullato?- chiese Anna, andando al tavolo dove il moro stava osservando il menù da dieci minuti buoni.

-Oh… ciao Allison. Dopo aver osservato il menù e aver constatato che ci sono molte altre cose oltre al gusto gianduia, ho deciso di ampliare i miei orizzonti… e non prendere niente, per ora. Devo aspettare Marlene, è lei che ha la grana. Ma appena arriva ti faccio un fischio, e già premetto che prenderò Gianduia- le fa l’occhiolino, Fred è sempre stato un tipo molto simpatico ad Allison, benché non lo conosca poi così bene.

Sa solo che è davvero una persona molto divertente e infantile, ma non ha mai avuto molte occasioni di parlargli, è come se ogni occasione fosse stata bloccata sul nascere da qualcosa di misterioso che lei non si sa spiegare, ma approfitta del ritardo di Marlene per chiacchierare un po’. Tanto la gelateria è vuota a quest’ora.

-Sei sempre il solito, Fred- ridacchia, segnando l’ordinazione.

-Io sono così, adorato da molti e odiato dai più- scherza lui, atteggiandosi per finta.

-Non dire così, non sei odiato, solo dalla signora Charme… e dai professori… e da Buddy Green… e da Austin… e dal sindaco… e dal signor Black… e… insomma, solo gente poco importante- taglia corto la fulva, diventando più rosse dei suoi capelli.

-Hai appena citato i più potenti della città- le fa notare Fred, ridacchiando.

-Beh… la fortuna girerà. Poi andremo via da questa città e loro non avranno più potere su di noi- Allison usa il plurale inconsciamente, riferendosi anche a lei e alla sorella. Poi porta una mano alla collana che ha al collo, la sua solita collana che sembra fatta di cristallo, mentre probabilmente è solo semplice vetro.

-Speriamo che l’anno che ci separa dai diciotto anni arrivi in fretta- commenta Fred, guardandosi intorno per cercare la riccia amica.

-Speriamo, infatti, a me sembra di stare ferma ai diciassette anni da, non so, quaranta o cinquant’anni- sa di aver appena detto un’assurdità, ma entrambi non possono fare a meno di pensare, per un attimo, che sembra davvero che il tempo sia fermo.

-Comunque, la tua collana è davvero molto bella- Fred cerca di cambiare discorso, indicando il gioiello.

-Ah, Grazie! Ma l’ha regalata mia sorella circa… tanto tempo fa- la stringe con amore, quella collana le da sicurezza, e le trasmette davvero tanto calore.

-Oh, ecco finalmente il mio portafogli ambulante!- esclama Fred, mentre una chioma riccia, ma subito il suo sguardo si incupisce, perché la ragazza è accompagnata.

Allison non può trattenere un sorriso felice e leggermente spaventato.

Dopotutto Harry è pur sempre il figlio del poliziotto cittadino.

***

Ma purtroppo non tutto era destinato a durare per sempre.

Sei mesi dopo, mentre le due sorelle erano a Corona, per una riunione indetta dalla regina e dal re per entrare in terra neutrale nella guerra contro i mostri, accadde il peggio.

Elsa dormiva tranquillamente in una delle camere degli ospiti, mentre Anna era nella stanza accanto.

Ad un certo punto, un’anomala nebbiolina violetta avvolse il castello, rendendo il sonno di tutti presenti molto più profondo.

Poi Fata Madrina comparve nella camera della più giovane tra le sorelle, che nel sonno stringeva convulsamente la collana regalatale dalla sorella.

-Mai mettersi contro di me- sussurrò, con un sorrisetto malvagio, poi, con la magia, sollevò Anna e la portò via, in uno sbuffo di fumo violetto.

Elsa, nonostante l’incantesimo, si svegliò di scatto, ma era già troppo tardi.

-Anna- si precipitò nella stanza della sorella, per trovarla vuota.

-No- non poteva crederci.

Cercò in tutta la stanza una traccia che magari aveva potuto lasciare, controllò in giro per vedere se non si fosse nascosta, e trovò un biglietto attaccato alla finestra, scritto con una calligrafia farfallina.

“Arrenditi, qualsiasi cosa farai non riuscirai mai a ritrovare tua sorella, e se anche dovessi riuscirci, sta pur certa che non la riconoscerai nemmeno”

Nella stanza si espanse ghiaccio incontrollato, mentre la regina si abbandonava sul letto della sorella, incredula e con gli occhi sgranati.

-Anna, io ti troverò- le promise sottovoce, non l’avrebbe persa di nuovo.

***

Finalmente Roxanne è riuscita a finire anche questa storia, anche se sta andando molto a rilento, con il suo nuovo lavoro.

Ha fatto qualche giorno di prova, ed è terrorizzata, ma anche molto felice.

Sua madre non c’è mai, perciò non ha molte probabilità di essere scoperta, e lavora in cucina, così non rischia di essere vista da qualcuno.

Ha spiegato la situazione al capo, il signor Davis, che, facendole promettere di non rivelare a nessuna delle cameriere la sua vera identità, le ha permesso di lavorare.

Perché infatti nessuno ha mai visto la figlia del sindaco, nonostante tutti sappiano che ce ne sia una.

Il non uscire mai l’ha resa un fantasma per tutti, ad eccezione, ovviamente, dei compagni di scuola.

E il suo nome in codice è: Anna Frost.

Non sa perché, ma suona bene, e sono state le ultime due storie ad ispirarla.

Peccato che anche l’ultima che ha appena letto sia davvero con un finale deludente.

Gira la pagina sospirando.

“Finale deludente, eh?” c’è scritto a penna dietro.

-Eccome- sbuffa Roxanne, alzano gli occhi al cielo.

Quando li riposa sul libro c’è un’altra scritta, che, lei ne è piuttosto certa, prima non c’era.

Sgrana gli occhi, incredula, e legge.

“Questa storia continuerà dopo altre quattro storie, in quella dal titolo: Anna-stasia”

Presa dalla curiosità, Roxanne va avanti dei capitoli detti, ma prima di iniziare a leggere la storia, vede un’altra scritta a penna.

“Leggi prima le altre, fa come con Shrek, il lieto fine arriva alla fine, e sono convinta che la prossima storia ti piacerà”

Roxanne rimase di stucco, sembrava che le parole fossero comparse dal libro stesso, che il libro le leggesse nel pensiero.

Tornò al capitolo dopo “Il regno di Ghiaccio” e lesse il titolo.

-Il principe ranocchio. Suvvia, proviamoci!- fa per iniziare a leggere, ma la madre la richiama per la cena.

-Roxanne, vieni, è pronto a tavola- 

-Arrivo, madre- sbuffando silenziosamente, nasconde bene il libro e scende per dirigersi verso la cena, con la mente ancora al tristissimo finale per la principessa Anna e la sorella Elsa.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Legenda:

Signora Charme: Fata Madrina

Austin: Azzurro

Pauline Light: Primrose (mamma di Rapunzel)

Christopher Boggs: Kristoff Bjorgman

Scooter: Sven

 

(A.A.)

Eccomi qua, molto in ritardo.

Non vi rendo partecipi dei problemi che ho avuto nello scrivere questo capitolo, tra compiti in cui ho preso due e attività pomeridiane pesanti.

Cavoletti, sono felice di essere riuscita ad aggiornare, spero solo che il capitolo vi piaccia.

Al posto dei troll ho messo i puffi, perché credo possano essere validi sostituti.

Ho aggiunto la lettera e ho sostituito Hans con Azzurro e la sua madre impicciona.

Poi ho fatto finire malissimo la storia, con Olaf “morto” e Anna rapita.

Chi segue OUAT vedrà la citazione nel titolo, e nella collana, che però non ho preso da OUAT ma avevo già in mente prima di vedere la serie tv.

Comunque, spero davvero che il nuovo Frozen vi sia piaciuto, così come il rapporto tra le due sorelle a Talecountry.

Nel finale di Frozen, non l’ho specificato, Anna e Kristoff non si mettono insieme per le origini umili di lui, ed Elsa continua a vederlo con sospetto anche nel presente. Inoltre Anna non ha ricordato il vero nome del ragazzo, è solo una citazione a quando lei confonde il suo nome con Christopher nel film

Se mi lasciaste una recensione mi dareste davvero un sostegno incredibile, non avete idea di quanto sia importante per me.

Grazie comunque a tutti quelli che seguono, recensiscono o anche solo leggono questa storia, io davvero vi sono grata per il tempo che spendete a leggerla, mi fa sentire molto bene pensare che il mio lavoro piaccia a qualcuno.

Alla prossima :-*

 

P.s. Scusate per gli errori, non ho altro tempo per rileggere.

 

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Capitolo 7
*** Capitolo 6: L'avventura di due ranocchi ***


Once upon a Time in Otherland

Capitolo 6: L’avventura di due ranocchi

 

“Papà non ha mai avuto quello che voleva,

 ma quello di cui aveva bisogno si! 

Lui ha avuto l'amore! 

Non ha mai dimenticato cosa è 

importante e nemmeno io lo farò!”

-La principessa e il ranocchio

 

Tiana stava preparando la colazione per quel buono a nulla del principe Naveen quando una sua amica, ospite a palazzo glielo disse, dopo averlo sentito dal re in persona, mentre curiosava tra i corridoi del palazzo.

Al momento rimase di stucco, poi le venne una voglia irrefrenabile di fare ciò che non aveva mai avuto il coraggio e la compostezza di fare: sbattere il piatto della colazione in faccia al principe.

Tiana era una giovane ragazza, cameriera personale del giovane principe Naveen di Valdonia.

Lo detestava con tutto il cuore, e al suo odio si aggregava anche il maggiordomo personale del principe, Nathaniel.

Solo che a differenza del maggiordomo lei rispettava il re e i due principi.

O almeno cercava di dare una buona impressione, nonostante fossero davvero la peggior specie di persone.

La regina era stata davvero una persona rispettabile, ma era morta circa un mese prima.

Lo faceva per guadagnare abbastanza soldi per realizzare finalmente il suo sogno, e le mancava davvero poco per raggiungere il suo sogno.

Purtroppo quel giorno le arrivò uno scomodo intoppo.

-E perciò, capiscimi, Tia, se il re disereda il principe non potrò più venire qui a trovarlo, e come farò poi a sposarlo- si stava lamentando Charlotte, l’amica sopracitata.

-Charlotte, vedila da un punto di vista positivo, se il re lo disereda sarà in cerca di nuova fortuna, e potrà cadere dritto dritto nelle tue braccia. Anche se non capisco cosa tu ci trovi in lui- Tiana era molto entusiasta della notizia, ma non sapeva ancora cosa ciò avrebbe comportato per lei.

-Ora che mi ci fai pensare… OH! Potrebbe essere una fantastica possibilità! Oh Tia, Oh Tia, OH TIA!!! E’ una fantastica possibilità!! Anche se mi dispiace molto per te… magari posso chiedere a papone se può assumerti lui, anche se non vuole assumere amici- volteggiando allegramente eccitata per la stanza, si fermò pensierosa, sopra il tavolo dove Tiana cercava di lavorare.

-Assumere… ma di che stai parlan…- un lampo di consapevolezza la fece sbiancare -… do?- 

-Ah, non te l’ho detto? Se Naveen viene diseredato non servirà più una cameriera e un maggiordomo per lui personali, perciò verrete licenziati- lo disse con grande mortificazione, e Tiana rimase a bocca aperta, furente.

-Licenziati?! No, Charlotte, devi aver capito male, non possono licenziarmi, non ora che sono così vicina- si lamentò, Charlotte alzò le spalle.

-Lo spero tanto per te, sarebbe brutto non vederti più- le mise una mano sulla spalla, ma Tiana era troppo sconvolta e spaventata per rispondere, e sperò con tutto il cuore che la sua amica si fosse sbagliata.

 

Purtroppo andò esattamente come Charlotte aveva predetto, e nonostante vennero sbattuti tutti insieme fuori, Naveen non cambiò minimamente atteggiamento.

-Cameriera… Tessa, trovami un posto per questa notte. Norris, prendi le mie cose- ordinò ai due licenziati, che lo guardarono storto, la ragazza con odio mentre il maggiordomo con fastidio.

-Uno: Il mio nome è Tiana e il suo è Nathaniel;

Due: Se non l’avessi notato siamo stati licenziati, e non dobbiamo più fare niente per te, specialmente…- venne interrotta da una valigia praticamente sbattuta addosso a lei da Nathaniel.

-Non lamentarti, è comunque un principe e può renderci la vita un inferno- le sussurrò all’orecchio, in tono remissivo -Inoltre ho un’idea per sbarazzarci di lui una volta per tutte- aggiunse poi, leggermente malefico.

-Allora non vedo proprio l’ora che tu la metta in pratica- sibilò la cameriera, arrancando sotto il peso delle valige del viziatissimo principe.

-Non temere, è un piano che funzionerà- la rassicurò sicuro lui.

 

***

-Anna, potresti per favore consegnare tu l’ordinazione del tavolo tre? devo finire i bignè per l’arrivo del signor Diaz- chiede Tessa a Roxanne.

-Oh… io… non posso uscire dalla cucina- ribatte titubante la ragazza in incognito.

-Ti prego, solo per oggi, è l’ordinazione di Nick Ward, e più lo evito meglio è per tutti- la supplica Tessa.

-Oh, beh…- Roxanne osserva cauta fuori dalla porta delle cucine, e nota che non c’è nessuno che conosce. In effetti non c’è molta gente, per fortuna.

-… d’accordo- acconsente poi, un po’ titubante.

-Grazie, sei un angelo- 

Roxanne sorride, poi prende il piatto, controlla di non essere in disordine e nn avere macchie di cibo, poi esce, cauta, e si avvia in tutta fretta verso il tavolo tre, pronta a fare il suo dovere.

Nick Ward è un abituale cliente della locanda, ci viene ogni mercoledì alla solita ora, e stranamente il suo orario coincide sempre con quello del signor Diaz e della figlia Caroline, anche se questa settimana i due sono in ritardo.

-Ecco qui la sua ordinazione, signor Ward- enuncia Roxanne con un gran sorriso, posando il piatto di fronte al cliente, che posa la chitarra da un lato e la guarda con un sorriso seducente.

-Sei nuova qui? Non ti avevo mai vista- 

-Beh, si, più o meno. Sono qui da una settimana e mezzo, circa, ma non mi vedo perché non esco mai dalla cucina, io…- la porta si apre, e senza neanche concludere la frase Roxanne si precipita nuovamente in cucina, spaventata dalla possibilità che sia sua madre o qualcuno che la riconosca.

Nick, giratosi un attimo per vedere i nuovi arrivati, quando torna ad osservare la nuova cameriera resta un attimo confuso nel constatare che è sparita in meno di un nanosecondo, poi, alzando le spalle, si mette a mangiare.

Dopotutto c’è una sola cameriera che gli interessa, peccato che sia una tipa di gusti difficili.

-Tess!!!- come di consueto è arrivata Caroline, che si precipita in cucina a salutare la sua migliore amica.

-Tess!!- entra spalancando la porta che per poco non colpisce Roxanne in pieno volto.

-Caroline, non puoi stare qui. Sai quanto è rigido il signor Davis- la rimprovera Tessa, anche se da come lo dice sa già che le parole non serviranno a niente.

-Lo so, lo so, ma c’è una grande notizia! Oh, ciao Emma!- Caroline saluta sorridente Roxanne, che la guarda un po’ confusa e si gira per constatare che non c’è nessun altro oltre a lei.

-Il suo nome è Anna- sussurra Tessa al suo orecchio.

-Oh, scusa, Ella- 

-Ann… vabbè, lascia perdere, che grandi notizie ci sono?- chiede Tessa, prendendo il vassoio con i bignè già pronti per il signor Diaz e avviandosi dall’uomo, con un sorriso.

-Salve signor Diaz, la sua solita ordinazione- gli offre il vassoio.

-Grazie Tessa, sei sempre efficiente. Caroline, mettile la solita mancia- 

Roxanne osserva la scena molto circospetta, ha appena iniziato “Il principe Ranocchio” e deve dire che questa scena gli ricorda in qualche modo l’atmosfera che ha respirato leggendo l’inizio.

-Come mai alcuni di noi devono aspettare mentre altri non devono neanche ordinare?- chiede Nick a Tessa, con sguardo sexy, lei si irrigidisce, e si volta a guardarlo con un falso sorriso, irritata.

-Alcuni di voi non son clienti abituali- risponde, poi torna ad ignorarlo, e con il vassoio del signor Diaz fa per tornare in cucina.

-...O non sono il capo di tua madre- sussurra Nick tra se, mangiando un altro boccone.

Caroline si porta una mano alla bocca, sconvolta, persino per lei che ha una cotta per lui da anni questa insinuazione sembra troppo.

Tessa si immobilizza, poi si gira lentamente verso di lui.

-Come, prego?- chiede, in tono rigido.

Lui la guarda dall’alto in basso, rilassato, poi ripete, con calma.

-O non sono il capo di tua madre- come sfidandola a fare qualcosa.

Passano alcuni secondi di silenzio totale, poi, proprio mentre Tessa sta alzando il vassoio per tirarglielo in testa viene bloccata da Roxanne, che la prende per il polso.

-Tessa, la torta di mele sta bruciando nel forno, c’è bisogno del tuo aiuto- le prende il vassoio tra le mani e con grande disinvoltura si mette a pulire uno dei tavoli.

-Si, Anna, vado subito- respirando profondamente Tessa si avvia verso le cucine.

Roxanne finisce di pulire il tavolo e torna in cucina con tranquillità, sperando con tutto il cuore che il signor Diaz non l’abbia riconosciuta.

E’ il capo di tutti i negozi d’abbigliamento e tessitura della città, perciò anche della bottega della sarta Carmen Wood, la madre di Tessa. E’ anche venuto a cena un paio di volte dal sindaco, ma solo per parlare di lavoro, e Roxanne l’ha visto sempre di sfuggita.

-Chi era quella?- chiede alla figlia.

-Annette, credo. La nuova cameriera della locanda- risponde Caroline, il padre lascia perdere e si mette a mangiare, mentre Caroline poi si avvia verso Nick.

-Senti, caro, prova a far soffrire di nuovo la mia migliore amica e ad insinuare cose del genere e ti assicuro che la tua carriera da musicista Jazz da quattro soldi verrà messa a dura prova- lo minaccia, incrociando le braccia e alzando poi la testa per avviarsi in cucina.

Nick rimane molto sorpreso da questo comportamento così secco di Caroline. Lei è sempre esuberante, iperattiva, allegra, mai arrabbiata e ha una cotta per lui da che ne ha memoria.

Eppure ha preso con decisione le parti della persona che piace a lui, a modo suo.

Talecountry è proprio strana!

-Tess! Stai bene? Lo sai che io so che lui non sta dicendo la verità, non fare in modo che lui ti metta queste cose in testa. Devi solo ignorarlo, come hai detto a me di fare- appena entra inizia a girarle intorno cercando in tutti i modi di farla stare meglio, mentre lei, a denti stretti, continua a lavorare.

-Mi avrebbe fatta licenziare, più o meno come anche tu stai facendo, vi siete messi d’accordo per caso?-  chiede all’amica, mentre esce per servire un’ordinazione al tavolo sette, posto fuori dal locale.

Roxanne segue la conversazione uscendo un attimo dal retro e facendo il giro della locanda.

Caroline resta un attimo ammutolita, e ferma, ma si riprende quasi subito.

-So che non lo stai dicendo davvero? Comunque ti dovevo dare una grande notizia, no?- cerca di cambiare argomento, per distrarla, sempre girando e muovendosi come una farfalla iperattiva.

-Non mi interessa, devo lavorare, e non puoi sempre distrarmi- le urla contro, scansandola per poi fare per rientrare.

-Ma che altro posso fare, tu sei sempre a lavoro. L’unico modo che ho per vederti e venire qui. Credi davvero che a me piacciano i bignè o i cornetti? Sono a dieta, lo sai. E posso venire solo una volta a settimana con mio padre, dato che il resto del tempo è impegnato e io devo fare i corsi di recitazione. Non posso vederti se non qui. E sei la mia migliore amica- la bionda abbassa la testa in tono ferito, e Tessa si gira verso di lei, desolata.

-Lo so, mi dispiace, solo che lui… è troppo seccante, e io… io…- sospira -… puoi perdonarmi, Carol?- chiede all’amica, che facendosi tornare il sorriso l’abbraccia di slancio.

-Allora, qual è la grande notizia?- chiede poi Tessa.

-Ho seguito il tuo consiglio. Smetterò definitivamente di essere ossessionata da quel montato musicista indipendente- si porta indietro i capelli con fare molto soddisfatto di se, e Tessa non poteva sentire notizia migliore… e più strana.

-Davvero?- chiede, incredula.

-Si, ho deciso di piantarla ieri sera, alle otto e mezza circa. Mi è venuto… come uno sblocco. So che è un po’ strano, ma credo che Nick debba stare con una persona che ami e che lo ami. Ed io… credo di non aver mai provato niente di reale per lui. Strano a dirsi, vero?- Caroline sembra molto confusa, ma il sorriso le torna quasi immediatamente.

-Sono molto felice di sentirlo, finalmente non ti fai più abbindolare dalla sua bella faccetta- e quando Tessa rientra nel locale gli lancia un’occhiata molto maligna.

Una persona non molto felice di sentirlo è invece Roxanne, che sentendo che la donna ha dimenticato il suo eterno amore alle otto e mezza della sera precedente inizia a sudare freddo, perché alla stessa ora lei ha iniziato “Il principe ranocchio”.

***

-Ora ti metti a remare anche tu. E’ colpa tua se siamo finiti in questa situazione!- ordinò Tiana a Naveen. Erano rane da un’ora e lui continuava a trattarla come fosse sua cameriera personale.

-Ah, ti prego, cameriera. Non sono io che complottavo alle mia spalle- la insultò lui, in tono tranquillo, mentre suonava una chitarra di fortuna creata con ragnatele e legnetti.

Lei si impose di restare calma.

-Se io avessi complottato alle tue spalle l’uomo ombra NON avrebbe trasformato anche me. La mia sola colpa è quella di essere stata BUONA con uno che mi ha sempre trattata come spazzatura!!!- per accusarlo smise di remare, e Naveen la guardò dall’alto in basso.

-Cameriera, è meglio se continui a remare, o non arriveremo mai dall’uomo della luna- le suggerì. Lei strinse convulsamente i pugni.

-Calma, Tiana, calmati- si disse tra se.

-E parlare da sola è anche un segno di pazzia, probabilmente la trasformazione te la sei andata a cercare- commentò il principe poi.

Tiana fece per fiondarsi su di lui presa dall’ira, ma venne bloccata da una voce allegra.

-Hey, come andiamo? Sbaglio o state cercando L’uomo nella luna?- chiese una voce alla riva, che attirò l’attenzione dei due spaventati neo-ranocchi.

-Noi… noi…- Tiana non sapeva che cosa dire al ciuco parlante appena spuntato. Era un mostro (nel senso razziale del termine)!

-Perché cercate l’uomo nella luna se siete mostri?- chiese nuovamente il ciuco, leggermente confuso, piegando la testa.

-Tieniti forte amico orecchiuto. Non siamo mostri, noi siamo persone umane- rispose Naveen, con molta poca intelligenza.

Tiana si prese la testa tra le mani.

Non si poteva andare in giro in una palude di mostri dicendo di essere esseri umani e sperare di raccontarlo. Erano pur sempre in guerra!

-Oh, avevo sentito di mostri trasformati in esseri umani, ma mai di esseri umani trasformati in mostri. Comunque credo dovreste rivolgervi alla divinatrice. Ha aiutato Shrek, non vedo perché non dovrebbe aiutare anche voi- il ciuco fece loro cenno di seguirli, mentre i due ranocchi si guardarono confusi.

-Un momento, ma Shrek non è il re di Molto, Molto Lontano?- chiese Tiana, confusa.

-Ehm… forse… non posso parlarne. Comunque sono Ciuchino, piacere. Sono qui a Maldonia…- venne interrotto da Naveen e Tiana insieme.

-Valdonia!- lo ripresero -Molti confondono il nome, alcuni la chiamano Maldonia…- cominciò Tiana -… o Andalasia, molti l’hanno chiamata così per un periodo di tempo- continuò offeso Naveen. -Quello era uno stupido errore, come quella volta che qualcuno la chiamò Puffolandia- lo riprese Tiana.

-Comunque alcuni la chiamano Weaselton- 

-O Venice- 

-O Cinandonia, che poi era solo il nome della scuola di Kung Fu-

-Ma il suo vero nome è Valdonia, dalla famosa fondatrice Valka Bludvist- concluse infine Tiana. Ciuchino restò un po’ zitto, poi continuò il suo discorso come se niente fosse.

-…sono qui a Maldonia con Shrek e Fiona per una vacanza che i due si sono voluti prendere. Non volevano che io e Gatto venissimo, perciò Shrek ci ha buttati fuori casa. Comunque Gatto deve essere qui…- mentre il suo “Ehm… forse…” veniva giocato in meno di un secondo, Naveen venne preso con grande rapidità da un gatto che indossava degli stivali.

-AHHHH! Cameriera!!!- urlò il ranocchio.

-Gatto, non fargli del male, sono degli umani trasformati in ranocchi- si lamentò Ciuchino.

-Perdoname, el ciuco. Ma mi es mui affamato- si lamentò il gatto.

-Mettilo giù- gli ordinò Ciuchino.

-Io sono il principe Naveen di Valdonia, ed esigo che tu mi lasci andare- ordinò Naveen.

-Un principe rana?- chiese confuso il gatto.

-Un principe diseredato senza diritti di comando rana- corresse Tiana, maligna.

-Puoi mangiarlo senza problemi, guarda, a me ha creato solo guai- continuò poi, e il gatto fece per eseguire, ma venne interrotto da Ciuchino.

-Eh no! Se è un principe dobbiamo aiutarlo-

-Ma es deseredato- obiettò il gatto, tenendolo fermo.

-Infatti, è diseredato- gli diede man forte Tiana.

-A nessuno interessa il mio parere?- chiese isterico Naveen.

-No!- risposero tutti e tre insieme.

 

Alla fine Ciuchino vinse e convinse anche il gatto ad accompagnarli verso la divinatrice, che in precedenza aveva già aiutato Shrek con una pozione per farlo diventare umano, ma questa è un’altra storia, e la si dovrà raccontare un’altra volta.

Nel frattempo, a molte miglia di distanza, un oscuro uomo stava sgridando il servitore poco ubbidiente.

-L’avete fatto scappare! Ho bisogno del suo sangue per ricaricare l’amuleto. Mi spieghi con che coraggio chiedi il mio aiuto se poi non riesci ad intrappolare una rana e ucciderne un’altra?!- si rivolgeva a Nathaniel carico d’ira il dottor Facilier.

-Erano vi_viscidi e sal_saltavano da tutte le parti. I_io non credevo che fossero così im_importanti- balbettò Nathaniel, spaventato a morte.

Avrebbe dovuto imparare a non fidarsi degli stregoni, ma non riusciva a fare a meno di cercare una sorta di protezione nel potere.

-Sei una vera delusione!- gli puntò un dito contro e l’uomo si ritrovò circondato da ombre oscure.

-Si_signore, il piano è ancora valido, ba_basta solo ritrovarli- provò a suggerire balbettando Nathaniel.

-Certo che è ancora valido, ma dovrò rivolgermi alle ombre dell’aldilà, e odiano essere disturbate- Facilier guardò il maggiordomo grassoccio con sguardo freddo e duro, che lo fece tremare fin dentro le ossa.

-Sappi solo che la pagherai, Nathaniel, anche se ora non ne ho il tempo- e con questa minaccia, l’uomo ombra scomparve in un vortice nero di pura oscurità.

***

Roxanne è tornata a casa ed è in camera a leggere in tranquillità.

Sua madre è in cucina a preparare la cena, che verrà servita momenti, purtroppo, e che la distoglierà dalla lettura che si sta facendo sempre più interessante.

Le arriva un messaggio sul cellulare, e si stacca un attimo dal libro per controllare il mittente.

Harry: “Ehi, allora, colazione alla solita ora domani?” non riesce a trattenere un grande sorriso.

Con suo grandissimo stupore è riuscita in circa una settimana e mezzo a fare amicizia con Harry, e non solo, anche con Fred e Marlene, e fanno colazione insieme quasi ogni mattina.

Hanno accettato senza problemi il nome in codice e Fred ha anche commentato che il cognome le sta molto bene, facendola arrossire leggermente.

Insomma, Jack Frost è stato finora il personaggio di certo più affascinante, non che ci fosse poi molta concorrenza tra Shrek, Naveen e Azzurro.

Ah, certo, anche Hiccup è un bel personaggio, ma Jack ha quella traccia di mistero e malinconia che lo rende davvero affascinante.

Quanto vorrebbe conoscere il suo passato, ma purtroppo ancora non è arrivata a quella storia, sempre se ci sia, in effetti.

Spera vivamente di si.

Risponde affermativamente al messaggio di Harry, e pregusta già una bella colazione il giorno dopo.

Le cosa stanno andando davvero molto bene, e sua madre non sospetta niente.

O almeno così crede.

-Roxanne, vieni subito, voglio farti conoscere una persona- la chiama la voce squillante della madre.

Lei sospira, nasconde il libro sotto una mattonella rimovibile del pavimento, e si avvia tranquilla verso la cucina, senonché, scendendo le scale, sente una voce familiare.

-Non capisco, signora sindaco, perché mi vuole far conoscere sua figlia, dopotutto sono solo la cameriera che le ha portato la cena- 

“Tessa?!” dopo una settimana e mezzo che ci lavora a stretto contatto non può non riconoscere quella voce.

-E’ importante che mia figlia non faccia la maleducata e riconosca il merito di chi fa dei grandi servizi per noi. Ultimamente la vedo molto altezzosa- risponde pratica Norma Goth.

-Roxanne, stai arrivando? La signorina ha fretta- con un sorriso soddisfatto e trionfante che Tessa non riesce a capire chiama nuovamente la figlia, che cercando di non far trasparire l’ansia che le attanaglia le viscere, assume il sorriso più tranquillo del suo repertorio ed entra in cucina.

Tessa assume un’espressione confusa, ma prima che possa dire qualcosa Roxanne si precipita a stringerle la mano e presentarsi.

-Salve, io sono Roxanne Goth, la figlia del sindaco- mentre con gli occhi cerca di dirle “Non dire a mia madre che lavoro con te, ti prego”

Tessa sembra capire il messaggio, e risponde in un tono che non lascia trapelare emozioni.

-Piacere di conoscerti, io sono Tessa Wood, e lavoro al Vampire’s café- 

-Oh, deve essere un bel posto, mia madre non mi lascia andarci, però- 

-Avrà le sua buone ragioni. Ha davvero una splendida figlia, signora sindaco- quando Tessa si rivolge nuovamente a Norma non può fare a meno di notare con sospetto che l’espressione soddisfatta e trionfante ha lasciato posto a un’espressione contrita e delusa.

-Grazie, Roxanne, ora va a lavarti le mani, stiamo per cenare- ordina alla figlia, guardando Tessa.

-Certo madre, vado subito- si avvia verso il bagno al piano di sotto, e alle spalle della madre mima con le labbra un “grazie” e con le dita le fa segno “Ti spiego dopo”

-Allora io vado, arrivederci signora Goth. Spero che la cena sia di vostro gradimento- continuando a mostrare massima estraneità riguardo alla collega, Tessa si avvia alla porta, ma la signora Goth le si para davanti, con sguardo molto serio.

-Sai cara Tessa, non è un mistero che a te servano soldi per aprire un ristorante tutto tuo- Tessa resta zitta, e Norma continua.

-Quindi un piccolo aiuto potrebbe solo farti comodo, no?- 

-Arrivi in fretta dove vuole arrivare perché ho fretta- taglia corto Tessa, mantenendo un tono abbastanza rispettoso.

-Mi è giunta voce che mia figlia stia iniziando a frequentare gente non molto raccomandabile. Mi è stato riferito anche che è stata vista al Vampire’s café, tu hai visto niente?- chiede, in tono indagatore.

-No, non l’avevo mai vista, me lo ricorderei- risponde Tessa alzando le spalle.

-Se mai dovessi vederla, dimmelo, e ti darò un compenso, oltre a mettere una buona parola su di te con il signor Black- Tessa inorridisce leggermente a quella proposta, è totalmente ingiusto, ma cerca di non darlo molto a vedere.

-Ok, signora Goth, ma non credo che servirà, sembra una brava ragazza- cercando di essere il più spontanea possibile, Tessa supera il sindaco ed esce dalla porta.

-Non serve dirle che se non mi dirà qualcosa il suo sogno non si realizzerà mai, vero?- sono le ultime parole che Tessa sente e che la fanno rabbrividire.

Non risponde, e procede sulla sua strada, diretta verso la locanda.

 

Il giorno dopo Roxanne, disdetto l’appuntamento con Harry e gli altri, raggiunge il Vampire’s café poco prima di entrare a scuola per parlare con Tessa.

-Tessa, ci sei?- entra dal retro, e viene accolta dalla ormai familiare figura.

-Ciao Anna, come va? Non credevo cominciassi il turno a quest’ora. Non hai scuola?- chiede la cameriera come se niente fosse.

-Si, ho scuola, ma dovevo parlarti di ieri- risponde Roxanne, ansiosa.

-Ieri? Ah, si. Riguardo a quello che è successo con Nick Ward, grazie mille, sei stata molto gentile e non lo dimenticherò- la guarda con un sorriso e uno sguardo eloquente, ma Roxanne ci mette comunque un po’ a capirlo.

Poi spalanca gli occhi sorpresa e con un sorriso commosso abbraccia Tessa di slancio.

-Grazie, grazie, grazie-

-E’ il caso che tu vada a scuola, Anna- con un grande sorriso le da una pacca sulla spalla, e velocemente Roxanne si precipita a lezione, prima del suono della campanella.

Tessa spera solo di non pentirsi del proprio altruismo.

***

Il viaggio verso la divinatrice fu pieno di ostacoli, e vennero persino attaccati da delle ombre oscure a circa un chilometro dalla meta. Ombre che vennero sconfitte da Tiana con un ramo fiammeggiante acceso in fretta.

Il rapporto tra le due ranocchie divenne molto stretto, parlarono dei loro sogni, del loro passato e di loro stessi.

Tiana capì che tutta l’arroganza del principe derivava dalla paura di non essere all’altezza, che il padre lo aveva sempre trattato come un debole, e che era merito solo della madre se non era stato cacciato prima.

Naveen capì che la ragazza aveva perso il padre in giovane età, e che stava facendo dei sacrifici incredibili per realizzare il loro sogno: aprire un ristorante tutto loro.

Quando arrivarono dalla divinatrice fu quindi per loro quasi un momento triste, perché Tiana sapeva che lui non appena fosse tornato umano avrebbe sposato la sua amica Charlotte, e lei sarebbe stata assunta da loro e avrebbe ricevuto dei soldi per l’aiuto, come lui le aveva promesso.

All’improvviso il suo sogno non sembrava più tanto perfetto.

-Allora, ragazzi di cosa avete bisogno?- chiese la capra, seduta accanto al fuoco.

-Noi, ecco, vorremmo tornare umani, e Ciuchino e Gatto ci hanno detto che lei può aiutarci- rispose Tiana in tono leggermente tremante.

-Ah, Ciuchino e Gatto, che grande piacere rivedervi, come stanno Shrek e Fiona?- chiese la divinatrice, girandosi nella loro direzione e facendo un sorriso ai due mostri.

-Stanno mui bueno, ma lei già sa quiesto- rispose il gatto.

-In effetti già lo sapevo, ma è bello sentirselo dire. Peccato solo per… vabbè, manca ancora del tempo. Allora, Tiana e Naveen di Valdonia, volete tornare umani, vero?- chiese la divinatrice, squadrandoli.

Tiana non era poi molto convinta delle capacità della vecchia capra.

Insomma, tutti ad Otherland sapevano che l’Uomo nella Luna era il migliore sotto questo punto di vista, o meglio, tutti gli umani.

Iniziava a chiedersi quanto ci fosse di vero in tutto quello che sapeva.

-Oh, Tiana, tutti abbiamo delle informazioni a metà, ma su quello che pensi non ci piove: l’Uomo nella Luna è molto più potente di me- rispose la divinatrice alla domanda non posta.

-Io non…- provò  a ribattere la ranocchia, ma la divinatrice la interruppe, ridacchiando.

-Non preoccuparti, cara, io sono la divinatrice, so cosa pensa la gente e conosco il futuro. Gli incantesimi non sono il mio forte, ma aiuto chiunque me lo chieda. A prescindere da cosa pensi di me, e poi trovo che tu sia una ragazza molto in gamba, e vi dirò il modo per spezzare l’incantesimo, anche se avrebbero potuto dirvelo tranquillamente i due mostri qui davanti a voi- guarda Gatto e Ciuchino, che si guardano confusi.

La divinatrice alza gli occhi al cielo.

-Vi do un indizio: è l’antidoto per ogni cosa, che sia semplice o gravosa, lo utilizzano proprio tutti…- cominciò la divinatrice.

-…ricchi, poveri e farabutti- concluse Ciuchino, continuando però ad essere confuso. La divinatrice lo guardò sospirando.

-Suvvia, ci sei quasi- lo incoraggiò.

-Oh, divinatrice, mi lo sa, mi lo sa- Gatto alzò la mano, mentre le due rane continuavano ad essere confuse come non mai, facendo passare lo sguardo dalla divinatrice ai due amici mostri.

-Ok, Gatto, qual è la risposta?- la divinatrice concesse la parola al gatto con gli stivali, che guardò Ciuchino con sguardo di superiorità.

-Es mui semplice: un… pesce fresco- rispose, nella sala calò il silenzio.

-No, ora ricordo, è… una lasagna- lo contraddisse Ciuchino, guardando speranzoso la divinatrice.

-Non impareranno mai- con un sorriso intenerito la divinatrice li lasciò a battibeccare su cosa fosse meglio tra lasagne e pesci e condusse i due ranocchi davanti al fuoco.

-L’antidoto per ogni magia oscura è sempre qualcosa che sia abbastanza puro da cancellarla, così come il controincantesimo per qualcosa di davvero buono è un gesto di malvagità superiore alla bontà- gli confessò.

-E sarebbe?- chiese Naveen, confuso. Tiana cominciava a capire.

-Un atto di vero amore- rispose la divinatrice -Quindi credo sia il caso di tornare in città se volete trovare Charlotte prima che sposi Nathaniel che ha preso le tue sembianze- aggiunse poi, lanciando un’occhiata obliqua a Tiana, che a sentire la divinatrice parlare di Charlotte rimase delusa.

Insomma, è vero che Naveen le aveva detto che aveva intenzione di prenderla in moglie, ma aveva creduto che non fosse poi vero amore. Credeva che lui lo facesse solo per i soldi.

Anche Naveen sembrava poco contento di questa notizia.

Mentre Tiana abbassava lo sguardo lui le lanciò un’occhiata carica di rimpianto, poi si rivolse alla divinatrice.

-Si, andiamo, puoi aiutarci a trovare un mezzo per condurci presto lì?- chiese, speranzoso.

-Certo che no. L’unico modo per raggiungere il vostro obiettivo è pensarci da soli- con sguardo enigmatico la divinatrice li spedì dentro il fuoco dove si aprì un portale che li condusse nel luogo dove avevano trovato Ciuchino e Gatto.

-Quella donna! Lo sapevo che dovevamo rivolgerci all’Uomo nella Luna!!- si lamentò arrabbiata Tiana.

-Credo che il termine corretto sarebbe “capra” più che “donna”, o “mostro” se vogliamo- la corresse Naveen.

Tiana gli lanciò un’occhiataccia.

-Ma ora non è importante, ok?- il ranocchio si guardò intorno.

-Allora, come torniamo a Valdoniaaaaaaaaaaaaaaaah- prima che potesse fare alcunché venne preso da altre anime oscure, e Tiana non riuscì a fare niente per liberarlo, così, presa da un istinto suicida, si attaccò ad una di esse, per farsi trasportare da Facilier.

In qualche modo sarebbero tornati nel regno… insieme.

 

-Aspetti, dove sono Tiana e Naveen?- chiese Ciuchino alla divinatrice, dopo essersi accorto che lei tornava dal focolare senza averli accanto.

-Oh, non dovete più preoccuparvi di loro. Se le mie predizioni sono esatte avranno il loro atto di vero amore prima della mezzanotte. Siete stati bravissimi a portarli qui da me. Volevo proprio conoscere la prossima regina di Valdonia- e con questa frase enigmatica la Divinatrice dette una lasagna a Ciuchino e un bel pesce al gatto, poi li fece tornare con un portale da Shrek e Fiona, che, ne era certa, a quel punto si erano preoccupati non poco della scomparsa dei due animali parlanti. 

***

Sono passati un paio giorni e Tessa non ha dato segni di riconoscere Roxanne come la figlia del sindaco con nessuno, e la ragazza non può che sentirsi in debito con lei per il suo altruismo.

Nel frattempo la ragazza ha quasi finito la storia del principe ranocchio, e quando ha letto che il sogno di Tiana è lo stesso di Tessa non ha potuto fare a meno di confrontarle in tutto, e deve ammettere che sembrano davvero la stessa persona, anche se Roxanne è consapevole del fatto che Tiana sia solo il personaggio di una storia, e che non esiste davvero.

Non ha potuto fare a meno di notare anche che Nick Ward, che in questi giorni ha iniziato a comportarsi davvero male con Tessa, le ricorda davvero tanto Naveen, e dato che inizia a tifare molto per Tiana e Naveen come coppia non può fare a meno di notare che Nick sembra comportarsi così solo per cercare di attirare l’attenzione di Tessa, e che, come Naveen nella storia, che è dopotutto solo una storia ma può dare degli insegnamenti, potrebbe essere molto meglio se solo abbassasse la corazza di arroganza che forse, e Roxanne sottolinea il forse nella sua mente, ha costruito solo per paura di non essere all’altezza.

Cerca di non pensarci molto, dopotutto ha già i suoi bei problemi tra lavoro, scuola e segreti.

Non esce mai dalla cucina perché la prudenza è davvero importante con sua madre che si fa ogni giorno più sospettosa, ma osserva le cose dalla finestrella della porta che da sui clienti.

In questo momento Tessa sta servendo a Samson Sullivan, che fregandosene di tutte le regole ha portato dentro sia il gatto che il cane.

-Allora, un piatto di pesce per Boot, uno di lasagne per Chuck e quindi immagino che il pollo sia per lei, signor Sullivan- accarezza il gatto e il cane, poi con un saluto al loro padrone torna in cucina.

-Lasagne al cane e pesce al gatto?- chiede Roxanne, sconvolta.

-Si, lo so che sembra strano ma Chuck e Boot lo prendono sempre e non è mai successo niente- Tessa alza le spalle, sorridendo -Le tartine sono pronte?- chiede poi, Roxanne si affretta a prenderle e a sistemarle sul piatto per farle servire dall’amica.

Ma in testa ripensa a Ciuchino e Gatto, che proprio nella scena letta quella mattina additavano esattamente quei piatti come loro preferiti.

La sua attenzione viene attirata da Nick Ward, che entrando in cucina con il suo piatto (da quando ha avuto quella lite con Tessa mercoledì viene ogni giorno) per poco non la fa finire a gambe all’aria.

-Ma che diavolo ti prende, possibile che devi sempre cercare di rovinarmi la vita?!- esclama urlando la donna, recuperando in extremis le tartine.

Roxanne rimane molto ammirata dalla sua abilità, ma non ha tempo da perdere se vuole evitare che Tessa venga licenziata per oltraggio a un cliente.

-Signor Ward, posso fare qualcosa per lei?- chiede parandosi tra lui e Tessa.

-Si, certo, puoi levarti dalle scatole perché devo parlare con la cameriera qui presente- fa un cenno a Tessa con un sorrisino molto irritante.

Roxanne si impone di restare calma.

-Se ha una critica da fare sul piatto può rivolgerla a me. Sono io che ho preparato la sua ordinazione- mente spudoratamente, con grande, inaspettata, credibilità.

Sia Nick che Tessa restano ammutoliti.

-Tessa, le tartine- ricorda all’amica, che si affretta ad uscire.

-Allora, hai qualche commento da fare?- chiede a Nick, che non sa più che dire.

-Io… si vede che le hai fatte tu, sono meglio del solito- prova a riprendersi.

-Sei molto gentile, lo dirò a Tessa, allora- risponde Roxanne con un sorriso.

-Aspetta, ma…!- prova a ribattere Nick, ma Roxanne gli metta un dito davanti alla bocca per zittirlo, lasciando perdere il sorriso e guardandolo dura.

-Smettila di fare così- gli ordina, secca.

-Chi sei tu per dirmi cosa devo fare. Sei una bimbetta che frequenta ancora l’asilo- con queste parole sputate in faccia alla ragazza si volta per andarsene.

La sua arroganza e faccia tosta non irritano Roxanne, che più che altro lo compatisce.

-L’unico bambino dell’asilo che vedo sei tu- sussurra con semplicità, più a se stessa che a Nick, che però si blocca.

-Come, prego?- chiede, rigirandosi.

Roxanne decide di rischiare, anche se le sue supposizioni potrebbero rivelarsi del tutto inesatte.

-Smetti di nasconderti dietro un velo di arroganza solo per nascondere il fatto che hai paura di non sentirti all’altezza- sa che molto probabilmente ha detto la più grande stupidaggine del mondo, e l’espressione di Nick non fa che confermare la sua ipotesi.

Passano alcuni secondi di puro silenzio, poi, quando Roxanne si volta per andare a controllare se la crostata si sta bruciando, Nick parla di nuovo.

-All’altezza di cosa, esattamente?- chiede, cercando di fare il duro, ma la voce gli esce leggermente tremante.

-Credo sia una domanda alla quale devi risponderti da solo. Comunque smetti di ferire Tessa- e detto questo la ragazza si rimette ai fornelli, con un chiaro segno di congedo.

Nick Ward, pensieroso, se ne va.

E non disturba più Tessa.

***

Facilier era un avversario infido, questo Tiana l’aveva capito fin da subito.

Era in vita da molti più anni di quanti ne dimostrasse, e aveva forze sotto il suo comando di grandissima potenza distruttiva.

Lei invece era una semplice diciottenne trasformata in una rana, e non aveva nessuno al suo fianco, dato che Naveen era in una gabbia poco lontano.

Era riuscita a non farsi ancora vedere dall’uomo ombra, ma non aveva molo ottimismo riguardo alla sua sopravvivenza.

Dopotutto Facilier aveva detto chiaro e tondo che lei non serviva al piano di conquista di Valdonia, perciò non avrebbe avuto esitazioni ad ucciderla non appena l’avesse vista.

-Nathaniel, ti prego, non farlo. Capisco di non essere mai stato un grande capo, ma per favore, non è la via del male la soluzione- Naveen, terrorizzato, cercava di convincere il suo ex-maggiordomo a lasciar perdere piani di vendetta, naturalmente senza avere il minimo successo.

-Oh, no. L’oscurità è proprio ciò che mi serve. Già una volta ho fatto l’errore di abbandonarla. Non lo farò mai più- disse Nathaniel in tono malvagio.

-Davvero avresti il coraggio di uccidermi… ok, non ci vuole molto coraggio ad uccidere me. Ma davvero avesti ucciso Tiana?- chiese il ranocchio disgustato.

-Tiana? Non la chiami più “Tessa” o “Cameriera” o “schiavetta personale”? Comunque si, avrei avuto il coraggio, ma non è qui per farmelo dimostrare- Naveen si sentì oltraggiato nel profondo a farsi ricordare come trattava la ragazza non molto tempo prima, ed era molto sollevato che lei fosse rimasta nella radura. Almeno era viva.

La ragazza, mentre ascoltava la conversazione, si chiese per un momento se non fosse davvero totalmente sbagliato lasciare il ranocchio a marcire in una gabbia. Dopo tutto quello che le aveva fatto passare era il minimo. Però durò solo un istante. Perché il Naveen che aveva imparato a conoscere era molto diverso dal viziato principe.

Era un Naveen che piano piano si stava facendo breccia nel suo cuore, mettendo persino da parte il sogno che coltivava da una vita.

Un sogno, che, ora come ora, non sembrava più importante come prima, e che non sarebbe mai stato completo senza Naveen al suo fianco.

Ma lui avrebbe sposato Charlotte.

Dal suo nascondiglio dietro un barattolo la ragazza cercò di liberare la mente e pensare a un piano per uscire vivi dalla situazione.

Doveva liberare Naveen, ma non poteva farlo se Nathaniel era lì con loro.

Un suono deciso alla porta la fece sobbalzare, e per poco non venne scoperta.

-NAVEEN! MUOVITI, DOBBIAMO SPOSARCI!!!- rimasero tutti molto sorpresi, persino Nathaniel che sapeva che la ragazza sarebbe arrivata.

-Charlotte è in anticipo- sussurrò tra se, preoccupato, poi tappò la bocca a Naveen prima che potesse chiedere aiuto, e urlò per farsi sentire dalla futura moglie.

-Arrivo subito, tesoro, devo finire di vestirmi- 

Tiana pensò che poteva urlare per chiedere aiuto a Charlotte e a suo padre, ma proprio in quel momento una voce proveniente dall’ombra la fece desistere.

-Eccomi qui Nathaniel, vedo che non lo hai fatto scappare nuovamente- la sua sola presenza era terrificante per Tiana, che rimase zitta e ferma nel suo nascondiglio, troppo spaventata dall’oscurità emanata dal quell’uomo, sempre se così lo si potesse definire.

-Su, si sbrighi, Charlotte è alla porta- lo incoraggio Nathaniel tremante.

L’uomo ombra si avvicinò a Naveen con il congegno infernale che avrebbe fatto assumere a Nathaniel il suo stesso aspetto.

Il principe ranocchio cercò di allontanarsi il più possibile, ma era confinato nella gabbia, e fu tutto inutile.

-AH!- Facilier prese il suo sangue, aprendogli una ferita in pieno petto.

Quel suono così dolorante sbloccò Tiana da quello stato di terrore in cui era sprofondata. La ragazza sentì il dolore come se lo provasse lei stessa, e decise che avrebbe fatto qualcosa, al diavolo la sua vita e il suo sogno.

“Mi dispiace papà” disse tra se e se, e appena i due uscirono (Facilier nell’ombra e Nathaniel dalla porta per sposarsi) saltò verso la gabbia e l’aprì.

Naveen la guardò ad occhi sgranati.

-Che diavolo ci fai qui? Se dovessero tornare saresti spacciata!- le sussurrò, preoccupato per la sua incolumità.

-Loro sono spacciati. Va a cercare Charlotte e… compi l’atto di vero amore- le costò molto dirlo, ma sapeva che erano così che le cosa dovevano andare, dopotutto l’aveva detto la divinatrice.

Gli applicò una fasciatura di fortuna e prima che potesse dire alcunché uscì, diretta saltellando verso la carrozza dove lo sposo stava salendo, e con riflessi degni di Gatto saltò sopra la sua spalla.

Nathaniel fu preso alla sprovvista, ed ebbe solo il tempo di dire 

-AH!- attirando così l’attenzione di Charlotte, già sull’auto, che si sporse per vedere cosa stava succedendo.

-Naveen, co…AHHHHHH!!!- Tiana riuscì a rimuovere la collana in fretta, e Charlotte poté vedere lo “splendore” del suo promesso sposo senza maschere.

-TIANA!- Naveen, uscì arrancando dalla prigione, e Charlotte non sapeva se essere più spaventata dal finto principe o dai due animali parlanti.

Fu un’altra cosa però ad attirarla.

-Tiana?- chiese, guardando la rana confusa.

Si fissarono per qualche secondo, ma poi TIana fu afferrata da alcune ombre, che volevano il medaglione, e venne trascinata via.

-NO!- Naveen provò a saltare, ma la ferita al petto lo sbilanciò e cadde a terra, dolorante.

-ATTO DI VERO AMORE!- riuscì a urlargli Tiana prima di scomparire dalla visuale dei due.

-Un momento, cosa sta succedendo?- chiese Charlotte al ranocchio, squadrandolo.

-Signorina Charlotte, stia lontana dal mostro- il conducente della carrozza prese una spada e fece per avventarsi contro Naveen, ma Charlotte stessa lo bloccò in tempo.

Cacciandosi la scarpa colpì il conducente col tacco, poi fece lo stesso con Nathaniel, che stava cercando di scappare.

-Scusa Phil- disse al conducente, desolata.

-Allora, cosa sta succedendo?- chiese al ranocchio, tenendo il tacco avanti a se come protezione.

-Io sono il vero Naveen di Valdonia- rispose il principe, distratto e spaventato dalla sorte toccata a Tiana.

-E che vi è successo?- chiese la ragazza, portando una mano alla bocca.

-E’ tutta colpa mia- disse il ragazzo con voce spezzata.

 

Tiana venne portata da Facilier in persona, e tenne stretto il medaglione al petto, in modo che nessuno potesse prenderlo.

-Ed io che credevo saresti rimasta zitta e buona dietro il barattolo- rifletté ad alta voce l’uomo ombra.

-E’ incredibile come tu sia fastidiosa e tenace. Incredibile e fastidioso. Però voglio fare un accordo, credo che tu possa meritarlo- Tiana lo guardò con occhi freddi e duri, stringendo ancora di più il medaglione.

-Non voglio avere a che fare con te- gli disse a denti stretti, guardandolo con disgusto.

-Oh, lo so- Facilier tirò fuori dalla tasca un carta e la mostro a Tiana -Ma potresti ottenere più benefici che altro- era l’esatta copia del disegno fatto con il padre del suo ristorante dei sogni.

Tiana esitò un attimo.

 

-Dobbiamo andare a salvarla, allora- Charlotte credette senza riserva all’assurda storia di Naveen, e si alzò prendendolo in mano per avviarsi in direzione della sua migliore amica.

-Non sappiamo neanche che direzione hanno preso, e credo sia molto più facile se… l’incantesimo viene rotto- provò a suggerire Naveen. Charlotte lo guardò, tenendolo in mano e portandolo vicino al suo viso.

-E come si rompe l’incantesimo?- chiese, Naveen, aveva evitato di dirlo.

Lui non voleva farlo, lui non l’amava, ma avrebbe potuto tentare, la divinatrice aveva detto questo.

Avrebbe voluto provare per Charlotte i sentimenti che sentiva di provare per Tiana, ma purtroppo non era così, benché lui si stesse sforzando per provarli.

Ma doveva, doveva farlo per Tiana. Perché con i soldi che lui le avrebbe dato avrebbe finalmente realizzato il suo sogno, e sarebbe stata felice.

E benché Naveen non volesse vivere una vita intera con Charlotte, nonostante la reputasse una simpatica ragazza, la felicità di Tiana era per lui la cosa più importante, e lei l’avrebbe raggiunta solo se lui si fosse sacrificato.

-Solo un atto di vero amore può spezzare l’incantesimo- disse, a denti stretti.

-Il bacio del vero amore?- chiese Charlotte sorpresa.

Naveen annuì.

***

Roxanne è piuttosto infastidita dalla piega che sta prendendo il libro.

Non può essere più favorevole alla coppia Naveen/Tiana, ma lui sta rinunciando a tutto e con i precedenti del libro la ragazza crede che finirà male pure questa storia.

-Se finisce male ho chiuso, te lo giuro- ha raccontato i suoi fastidi a Tessa durante una pausa da lavoro.

La cameriera l’ha ascoltata divertita per tutto lo sfogo.

Ha preso Roxanne molto in simpatia, e da quando lei ha zittito Nick la situazione tra i due sta andando molto meglio.

Anzi, Tessa deve ammettere che il nuovo Nick è quasi simpatico.

Sono passati altri due giorni e lei si è ritrovata spesso davanti a un Nick cortese. Si è persino scusato (e sembrava stranamente sincero) del suo comportamento.

-Sai, quel tuo racconto mi ricorda molto un film della Disney, anche se credo ci siano inseriti anche i personaggi di Shrek all’interno- commenta alla fine Tessa.

-Un film della Disney? Davvero? Io non ho il permesso di vedere film, purtroppo, ma mi piacerebbe molto. Che film sembra?- chiede Roxanne molto incuriosita.

-La principessa e il ranocchio. E’ un bel film, io…- viene interrotta dal suono del campanello di fine pausa.

-Si torna a lavoro- dice alzandosi e indossando il grembiule.

-Oh, cavolo! Io devo andare, il mio turno è finito da un po’. Scusa, Tessa, ci vediamo domani- la saluta.

-Domani è sabato- le ricorda lei.

-Ah, giusto. Allora a Lunedì- si corregge lei, prendendo le sue cose.

-Dopo raccontami come finisce- si fa promettere l’amica.

Con un’ultimo cenno la ragazza esce dal retro, e viene accolta da una piacevole sorpresa.

-Non sei un po’ in ritardo?- chiede Fred confuso.

-Hey, Fred, come va?- chiede lei, con un gran sorriso, poi guarda l’orologio e il sorriso sparisce.

-Scusa, devo sbrigarmi o mia madre…- lui la interrompe.

-Lo so, non preoccuparti, sono qui solo per chiederti se domani puoi sgattaiolare via da casa- mentre Roxanne si avvia in fretta verso casa lui la segue.

-Non lo so, dipende da mamma. Quando lo so magari avverto Marlene o Harry- risponde lei. E’ un peccato che lui non abbia il cellulare.

-Ok, va bene. Ne varrà la pena, fidati- lui le fa l’occhiolino.

-Stare con voi vale sempre la pena- Roxanne alza le spalle, sorridendo, poi sale dalla finestra di camera sua ed entra in camera.

Dopo aver posato la borsa si affaccia alla finestra e saluta Fred con un bacio a distanza.

-Spero di riuscire a vederti domani- lo saluta.

-Ci spero tanto anche io- e con un cenno il ragazzo se ne va.

Marlene, Fred e Harry sono la cosa migliore che le sia mai capitata, su questo non ci sono dubbi.

***

Tiana stava saltellando cercando di tornare da Naveen. Dopo tutto quello che Facilier le aveva fatto vedere aveva capito che non poteva rinunciare a Naveen. Non le importava cosa la divinatrice le aveva detto, doveva dirglielo, anche se credeva non ricambiasse.

Lo vide con il volto a pochi centimetri da quello della sua migliore amica.

-Naveen- rimase un attimo ferma, sussurrando il suo nome, poi riprese a saltellare, per arrivare in tempo, prima che le loro labbra si toccassero.

“Lo faccio per te, Tiana” pensò Naveen, poi chiuse gli occhi e si rassegnò all’idea che avrebbe rinunciato alla sua tanto amata libertà per il sogno di Tiana.

Fu in quel momento che accadde.

Senza che nessuno se lo aspettasse, ad eccezione forse della divinatrice, prima che le loro labbra si toccassero, un velo di luce circondò Tiana e Naveen, e di due si ritrasformarono in umani.

Charlotte lasciò andare il ranocchio e si girò in direzione dell’amica.

-Tiana!- esclamò, sollevata, ma la ragazza non ebbe tempo di rimirare la trasformazione, e corse incontro a Naveen, seduto a terra per effetto della caduta e ancora ferito al petto.

-Tiana, sei salva!- cercò di alzarsi ma lei, abbracciandolo, lo fece restare a terra.

-Naveen, io ti amo- lo disse tutto d’un fiato, il volto sepolto nella casacca comparsa dopo la trasformazione (per grazia della luna!)

Lui rimase allibito dalla rivelazione, ed anche estremamente felice.

-Ma il tuo sogno…?- provò ad obiettare.

-Il mio sogno non sarà mai completo senza di te- sciogliendo l’abbraccio lei lo guardò negli occhi.

Charlotte, poco distante, osservata tutta la scena, dovette asciugarsi gli occhi per la commozione.

-Oh, Tia. Hai trovato il vero amore- non era per niente triste o delusa, ma solo molto felice per l’amica, come d’altronde sarebbe stata anche Tiana per lei. 

-Lui avrebbe sposato me pur di farti realizzare il tuo sogno, è questo l’atto di vero amore che vi ha liberati- aggiunse poi la bionda, con un gran sorriso.

-Tu l’avresti fatto per il mio ristorante?- chiese Tiana, guardandolo negli occhi.

-Io avrei fatto qualsiasi cosa per te- rispose lui, e i due si baciarono.

E’ bello raccontare che poi, dopo alcuni anni di lavoro dalla sua migliore amica, Tiana riuscì a realizzare il suo sogno, e lei e Naveen aprirono il ristorante migliore di tutti i cinque regni, che divenne ancora migliore dopo circa sette anni divenne ancora migliore, con un piccolo aiuto.

Ma questa è un’altra storia e la si dovrà raccontare un’altra volta.

Facilier però non rimase morto a lungo.

Appena infatti tornò dai suoi “amici” dell’aldilà riuscì ad ultimare con loro un ultimo patto, di gran lunga molto più pericoloso dei precedenti.

In cambio della vita eterna sarebbe tornato su Otherland come spirito oscuro e avrebbe devastato i cinque regni con una nuova forma di potere: gli incubi.

Fu questa l’origine di Pitch Black

***

Quando Roxanne chiude il libro è davvero molto molto felice.

Tiana ha avuto il lieto fine, e non vede l’ora di dirlo a Tessa.

Non ha la minima idea che in questo stesso istante Tessa è con Nick, davanti alla porta di casa sua, che parlano amichevolmente.

Non sa che tra pochi istanti lei lo inviterà ad entrare e mangiare qualcosa per cena con lei.

Vuole sbirciare il nome del prossimo capitolo, ma prima c’è un singolare messaggio.

“Non ti è venuto ancora nessun dubbio?” 

Roxanne non capisce il significato di quella frase, non c’entra con niente, ma la lascia molto confusa.

Vede il titolo del capitolo: “Il libro del potere” e decide di iniziare a leggerlo il giorno dopo, prima di vedersi con Fred e gli altri.

Spera davvero che le cose procedano così, sia nel libro che nella realtà.

-Roxanne, vieni a mangiare!- la chiamata di sua madre diventa ogni giorno più secca e infastidita, chissà perché.

Nasconde il libro e si avvia diligentemente in sala da pranzo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Legenda:

Tessa Wood: Tiana

Nick Ward: Naveen

Norris Lawrence: Nathaniel

Caroline Diaz: Charlotte

Signor Diaz: Granpapà La Bouff 

Samson Sullivan: Shrek

Chuck: Ciuchino

Boot: Gatto

 

 

(A.A.)

Capitolo orribili e per di più in straritardo.

Scusatemi davvero tantissimo, vorrei poter avere la scusa dei compiti e della scuola, ma eravamo in vacanza.

Ho scritto il capitolo veramente in tantissimi giorni diversi, non avevo voglia di continuarlo perché credevo sarebbe diventato troppo lungo e senza cose interessanti.

Il prossimo, ve lo prometto, sarà molto, ma molto meglio, pieno di cose importanti sui protagonisti e narrato dal punto di vista di Hiccup, o meglio Harry, quindi sarà davvero buono, è una promessa.

Cercherò di aggiornare presto, ma su questo non vi prometto niente perché è ovvio che non riuscirei a mantenere promesse.

Devo aggiornare la profezia delle quattro bacchette e i grandi quattro, quindi no, non farò molto in fretta.

Comunque il prossimo capitolo sarà, dato che non si capisce dal titolo, preso dal film “Sinbad” della Dreamworks, quindi vi incoraggio a rivederlo se volete, anche se cambierò davvero tante, tante cose.

Che altro dire, Talecountry sta cambiando, Roxanne sta rimettendo inconsciamente le cose apposto e Gothel non apprezza particolarmente ciò.

Inoltre ha fatto amicizia, e nel prossimo capitolo si vedrà anche questo.

Concludo con ringraziare tutti quelli che seguono, recensiscono o ance solo leggono questa storia, ogni volta le visualizzazioni e le recensioni mi riempiono sempre di gioia immensa.

Grazie davvero di cuore <3

Alla prossima, spero presto :-*

P.s. Perdonate gli errori, non ho riletto troppe volte e quelli sfuggono come ranocchi.

 

 

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Capitolo 8
*** Capitolo 7: I pirati sanno essere molto vichinghi ***


Nelle puntate precedenti:

Dopo il sortilegio di Madre Gothel, i personaggi dei cinque regni Molto Molto Lontano, Corona, Arendelle, Dumbroch e Valdonia sono confinati in un mondo senza magia, senza ricordi del proprio passato.

Roxanne/Rapunzel ha trovato un libro con tutte le loro storie, e, giorno dopo giorno, sta leggendo, e il mondo terribile della realtà sta iniziando a dare il lieto fine ai suoi personaggi.

Così l’orologio ha ricominciato a funzionare, Harry/Hiccup ha ritrovato il suo Spelato/Sdentato, un segreto nell’orfanotrofio è stato scoperto da Marlene/Merida, Tessa/Tiana ha trovato il suo principe ranocchio e i Grandi Quattro, gli unici che possono spezzare il sortilegio, stanno pian piano facendo amicizia.

 

Once upon a Time in Otherland

Capitolo 7: I pirati sanno essere molto vichinghi

 

“Farei volentieri due chiacchiere 

ma ho delle cose da fare: 

posti dove andare,

 roba da rubare…!”

-Sinbad

 

In effetti Stoik non si può dire che fosse sempre stato un uomo di legge.

Era un pirata, un tempo remoto, il pirata più temuto dei cinque mari, anche se quasi tutti quelli che lo avevano incontrato assicuravano che sotto l’aspetto duro e temerario che tutti gli associavano, era davvero solo un giovane uomo in cerca di fama e soldi facili, che usava solo trucchi per ottenere il bottino.

Questo però non era affatto vero.

Aveva una parlantina da capo, e abbastanza carisma, ma non aveva solo quello.

I suoi muscoli e la sua grande abilità con la spada, infatti, erano pari solo a quelle di re Fergus, che strano a dirsi era il suo più vecchio amico, e uno dei più cari, se non si contava il fidato braccio destro della sua nave, l’inimitabile Skaracchio.

La nostra storia si apre il giorno in cui Stoik cercò di rubare il libro del potere dalla nave di Molto Molto Lontano che lo trasportava a Dumbroch.

Tutti i regni erano in fibrillazione, e preoccupazione, perché quel libro era la fonte dei più potenti e oscuri sortilegi di Otherland, recuperati dall’Uomo nella Luna e fatti custodire dai reggenti di Molto Molto Lontano, il regno centrale e quindi il più sicuro. O almeno così si credeva.

Molto Molto Lontano era diventata meno sicura dopo il grande rapimento della principessa Fiona, e ci erano voluti tantissimi anni per organizzare la spedizione che avrebbe condotto il libro a Dumbroch, ora considerata la città meglio protetta a causa delle mura solide e dei guerrieri migliori.

Stoik, però, bramava il libro per se, e già si figurava l’abbondante riscatto che avrebbero chiesto i reggenti di tutti i regni per evitare che lui lo vendesse a qualche stregone malvagio.

Però lui non sapeva che una giovane strega era interessata al libro, una strega desiderosa di vendetta e in cerca di un modo per preservare la propria giovinezza.

Eris, già potente e con molti anni alle spalle, forse tanti quanti il creatore del libro, preparava il suo attacco con lo stesso ardore di Stoik, ma era destinata a fallire.

E non era neanche l’unica interessata, in quanto anche Facilier di Valdonia era interessato alla conquista del pericoloso cimelio, così come i due criminali Stabbington, che però erano troppo impegnati altrove, e confondendo le date si lasciarono sfuggire l’occasione, benché il loro altro impegno fu ugualmente devastante.

Ma questa è un’altra storia, e la si dovrà raccontare in seguito.

Stoik, a bordo della sua nave, si preparava per l’assalto.

-Skaracchio, a quanto dista il bottino?- chiese al fedele braccio destro, che controllò con il binocolo dalla cima dell’albero maestro.

-Non molto, Stoik, ma sei proprio sicuro di voler rubare quel libro, credo che porti più guai di quanto vale- rispose lui, un po’ dubbioso, scendendo dall’albero e prendendo in mano una spada per prepararsi all’attacco.

-Sono queste le battaglie che vale la pena combattere, non trovi anche tu. Tutti vogliono questo libro, e chi lo avrà sarà il più potente dei cinque regni- ribatté Stoik, con sicurezza, poi si rivolse al resto della ciurma.

-E quando finiremo qui… ci ritiriamo nella Radura Incantata!- un boato trionfante accolse questa considerazione.

-Siamo una ciurma di pirata scalmanati contro un esercito reale, due stregoni potentissimi e chissà quanti altri, ma si, ce la faremo- sarcastico, Skaracchio si diresse verso prua, per controllare la migliore strategia di attacco.

-Ma certo che ce la faremo, siamo la migliore ciurma di pirati scalmanati del regno, e nessuno è abile nell’antica arte della scherma come il sottoscritto, e anche con l’ascia non mi batte nessuno- si vantò con sicurezza il capitano, raggiungendolo e osservando la nave reale che si avvicinava in fretta.

-E anche in modestia, non c’è che dire- commentò ridacchiando Skaracchio, guadagnandosi un’occhiataccia di Stoik, che poi si diresse verso gli altri membri dell’equipaggio per ultimare i preparativi.

 

L’attacco, inutile dirlo, fallì miseramente, anzi, i pirati venuti a rubare il libro alla fine si ritrovarono a salvarlo da Eris e Facilier.

Il fatto è che a proteggere il potente cimelio era stato chiamato lo stesso principe Fergus, e Stoik non se l’era sentita di rubare sotto il naso del suo vecchio amico, anche se più che altro era stata una decisione inconscia, dato che l’attacco dei due potenti maghi si era coalizzato contro entrambe le imbarcazioni.

Avevano sconfitto i mostri di ombra di Facilier senza molti problemi, ma l’attacco della strega Eris si era rivelato molto più insidioso.

Era una strega non molto votata alle arti magiche, ma nell’inganno era una maestra, e si confondeva tra i membri della ciurma, attaccando con incredibile mira e con altrettanto silenzio.

Ma alla fine Fergus e Stoik, lavorando come erano soliti fare un tempo, erano riusciti a eludere i suoi attacchi e a circondarla, anche se, proprio alla fine, riuscì a fuggire, non senza aver però trascinato Stoik con lei sul fondo dell’oceano.

-Sei un abile spadaccino per essere un pirata- una volta portato in una bolla d’aria sul fondo dell’oceano, Eris iniziò a parlargli come se stessero prendendo un tè con i biscotti.

Stoik si limitò a guardarla storto, e il sorriso affabile della donna si incrinò un poco.

-Volevo proporti un accordo- ammise la donna, guardandolo fisso negli occhi verdi.

-Francamente tendo a non fidarmi delle streghe che mi rapiscono e mi tengono sott’acqua, ma dato che non mi sembra di avere molte alternative… che genere di accordo?- chiese Stoik, facendo tornare un sorriso tutto denti alla donna con gli occhi grigi tempesta.

***

Harry si è svegliato prima del solito, come ormai fa tutte le mattine da quando ha Spelato, più o meno.

Austin si è fatto sempre più insopportabile e dopo aver fatto quasi scoprire Spelato nascosto nello zaino ha deciso di andare ogni giorno a scuola a piedi, tanto alla fine non dista che un paio di chilometri o poco più, se si prendono le strade giuste.

Inoltre di strada c’è il Vampire’s café, quindi passa direttamente lì, fa colazione con i nuovi amici, e poi dritti a scuola.

Insomma, da quando il gatto è entrato nella sua vita, essa non ha fatto altro che migliorare.

Prende la giacca dall’appendiabiti, controlla che non ci sia suo padre nei paraggi, poi chiama il gatto e si avvia alla porta per uscire.

In città si inizia a notare che Harry nasconde qualcosa, ma la cosa viene ignorata dai più. In questa città vige una regola non scritta che tutti rispettano: “Se una cosa è fuori posto, tira avanti e non ti immischiare” 

Perché se poi il sindaco scopre che in quel qualcosa ci sei di mezzo anche tu, passi i guai.

Harry trova che Talecountry sia il posto più ingiusto della terra, alle volte, ma non lo dice mai apertamente, onde evitare di essere preso di mira dal sindaco, una donna davvero disprezzabile.

Anche se una cosa buona la fa: da talmente tanto lavoro al padre che è assai improbabile che scopra Spelato.

-Harry, sono a casa- la porta che si apre e fa entrare un omone stanco fanno rimangiare a Harry tutto quello che ha appena pensato

-Per la Luna!- impreca, mentre fa cenno al gatto di nascondersi nel primo luogo disponibile.

-Che?- chiede Steve Hill, avvicinandosi al figlio.

-Ciao papà… ciao papà, che bella sorpresa!- esclama, mettendo su un sorriso falso e teso.

-Perché stai uscendo adesso? Non devi prendere l’autobus tra un quarto d’ora?- chiede, posando la giacca e avviandosi in cucina, dove il gatto si è andato a nascondere.

-Ehm… veramente stavo andando a piedi- Harry lo segue, per assicurarsi che non trovi Spelato.

-Perché?- chiede Steve, corrucciato, girandosi a guardare il figlio e aprendo uno sportello per prendere una ciotola.

Harry in quel momento fa un grandissimo errore: spalanca gli occhi, perché Spelato è proprio nascosto lì, e Steve, notando lo sguardo del figlio, si gira a guardare, e si ritrova proprio con il muso del gatto a pochi centimetri dal suo.

Una piccola parentesi da aprire su Steve.

Lui odia profondamente i gatti, non perché sia allergico, ma perché ha sempre paura per il figlio, ed è talmente fissato con la caccia ai gatti che se non fosse già poliziotto a tempo pieno sarebbe accalappiagatti, poco ma sicuro.

Quindi Harry sa che anche se gli dicesse che Spelato non gli fa allergia, il padre lo ucciderebbe comunque, solo per precauzione.

Quindi, oltre ad essere molto rapida, la scena seguente sarà anche un po’ esagerata, e leggermente cruenta.

Steve infatti prende il primo oggetto che gli capita in mano e tira una padellata in faccia al gatto, che cade leggermente frastornato sul tavolo, e se non ci fosse Harry a prenderlo in fretta in braccio si beccherebbe un’altra padellata.

-Harry, sta attento! Mollalo subito è pericoloso- lo mette in guardia il padre, facendo per acchiapparlo.

-No, papà, è tranquillo, non mi fa allergia, lascialo stare- Harry indietreggia in fretta, accarezzando il gatto con l’intento di calmarlo.

-Lascialo subito, non si può mai sapere!- lo riprende il padre, ma prima che Harry possa ribattere, o scappare, come infatti vorrebbe fare, Spelato si riprende, e si libera dalla presa del ragazzo per salire sul tavolo e soffiare in direzione di Steve, come se volesse… proteggere Harry?

Il padre solleva la padella, Spelato però è più rapido e gli salta in viso, cominciando a graffiarlo

-Spelato!- lo rimprovera Harry, staccandolo a forza dal viso del padre e beccandosi, una padellata sulla spalla e nello stesso tempo un graffio sulla guancia.

Mentre Steve non sembra accorgersi di aver colpito il figlio, Spelato si volta di scatto a guardarlo preoccupato, ma questo attimo di distrazione gli costa abbastanza caro, e Steve, staccandoselo dalla faccia, lo prende con malagrazia e lo butta fuori dalla finestra che essendo chiusa, si rompe sotto il peso del gatto.

-NO!- Harry scansa il padre con una spallata e si getta fuori dalla finestra a sua volta, che per fortuna è al piano terra.

Il padre prova a richiamarlo, ma Harry è più veloce, prende Spelato in braccio senza badare per il momento alle sua condizioni e scappa via, fregandosene di tutto.

Non sa neanche se deciderà di tornare, in quella casa.

Non riesce a credere che sua padre sia stato così aggressivo.

Ma che diavolo gli hanno fatto di male i gatti?!

***

Quando Eris vide che Stoik stava ritirandosi dalla missione che doveva compiere alzò gli occhi al cielo, e sbuffò.

-Uff, devo fare sempre tutto da sola- si lamentò, ma alla fine non le costava più di tanto fingere di essere Stoik.

Era sempre stata bravissima in inganni e trucchi di distrazione. Era riuscita a imbrogliare la morte per tantissimi anni, a creare un mondo dove ciò che si desiderava avveniva, e tutto le era stato portato via da due stupide e ingenue ragazzine, che ora sarebbero diventate il suo grande piano di vendetta, un piano di vendetta che ancora oggi è in corso.

Ma questa è un’altra storia, e la si dovrà raccontare un’altra volta.

Comunque assunse l’aspetto del giovane pirata, e con il coltello a lui rubato con l’inganno sul fondo dell’oceano, si materializzò nell’edificio dove tenevano il libro, protetto da un migliaio di guardie, fossati, e sistemi di sicurezza contro ogni magia.

Per fortuna lei non dipendeva dalla magia nei suoi piani, ma dall’astuzia e dal carisma, anche se quest’ultima dote non venne utilizzata per prendere il libro, dato che doveva assolutamente sembrare Stoik, e per questo essere decisa e veloce, senza però evitare di farsi vedere da tutte le guardie.

Per prima cosa spense le luci, poi sguainò il pugnale e mise fuori gioco le guardie d’entrata, senza però alzare un dito contro quella responsabile di dare l’allarme.

Se la prese con comodo, e si fece ben notare dal re e dal principe Fergus, prima di sparire con un’occhiolino fuori dalla finestra lasciando come traccia del suo passaggio solo il pugnale, dritta verso la nave che Stoik, ironico dirlo, aveva ancorato proprio lì sotto.

Prima che qualcuno nella nave pronta a salpare potesse accorgersi dell’arrivo imminente, la donna si smaterializzò.

Cosa poi sarebbe successo non le importava, l’unica cosa che voleva era l’incantesimo di immortalità di quel potentissimo oscuro signore.

E, naturalmente, la sua vendetta su quelle due terribili sorelline che le avevano rovinato la vita tre anni prima.

Niente poteva fermarla!

 

-Non posso fermarla, cara principessa, è una strega potente, e io non ho la minima intenzione di finire servito in un’insalata di mare- obiettò Stoik, nella sua cabina, mentre fronteggiava la principessa Elinor promessa sposa di Fergus.

-Quindi il tuo intento è di lasciare Fergus al suo destino, dopo che si è sacrificato per te?!- lo insultò lei, alterata e a braccia incrociate.

-Non gli ho chiesto io di sacrificarsi per me, e dato che è impossibile sopravvivere a questa impresa, almeno il suo sacrificio si rivelerà utile, perché io non morirò, no?- mentre lo diceva aveva una faccia da schiaffi tale che Elinor per poco non gliene mollò uno, ma si impose di restare calma.

-Ok, immaginavo che sarebbe stato difficile convincerti, perciò mi sono portata un incentivo- disse con il massimo contegno che riuscì a tenere, anche se non era mai stato il suo forte avere contegno.

Poi cacciò un sacchetto pieno di gioielli e pietre preziose, che Stoik osservò una ad una, iniziando ad interessarsi.

Poi si guardarono negli occhi per qualche secondo, verde nel verde, e Stoik uscì sul ponte, urlando:

-Cambiate la rotta! Andiamo verso Corona, dritti verso il libro!!- 

Elinor, a sentire queste parole, non riuscì a fare a meno di sorridere, trionfante.

***

Harry sta aspettando che l’ufficio della veterinaria si apra, e nel frattempo accarezza con dolcezza Spelato, che fa le fusa sulle sue ginocchia.

Ha molti vetri infilati nella carne, ma non sembra curarsene più di tanto, e probabilmente è più spaventato Harry di lui, che sopporta il dolore a denti stretti ed è felicissimo che almeno il ragazzo sia salvo.

Il telefono, nella tasca del giubbotto che Harry ha portato con se e che ha usato per avvolgere il gatto, suona, e il ragazzo, con difficoltà, lo prende e lo porta all’orecchio.

-Harry, dove diavolo sei?!- gli chiede la voce di Marlene dall’altro capo della cornetta.

-Marlene, ciao. Ho dimenticato di avvertirti, oggi non vengo a scuola- risponde lui.

-Beh, capirai, questo l’avevo capito. Ma DOVE diavolo sei?!- insiste lei, parlando a bassa voce ma comunque molto seccata.

-Davanti al veterinario. Papà ha… diciamo che ha scoperto Spelato- ammette il ragazzo a denti stretti. -Non so se riuscirò a venire al Piccolo Olaf questo pomeriggio, mi dispiace- 

-Oh, cielo! E come sta Spelato?- chiede Marlene, cambiano di scatto tono e passando al preoccupato.

Non è che abbia un gran rapporto con il gatto, ma le sta simpatico, anche se non ha mai avuto il coraggio di provare a toccarlo, dato che Fred ci ha provato e ha ancora i segni.

-Non lo so- risponde Harry con voce spezzata, osservando il gatto che si è voltato a guardarlo e sembra cercare di rassicurarlo con lo sguardo -E’ pieno di vetri e… non muove più la zampa posteriore sinistra. Non ho voluto provare a rimuovere i vetri per paura di ferirlo maggiormente, ma sta perdendo molto sangue- ammette, a bassa voce, preoccupato.

C’è un grande momento di silenzio, e quando Harry sta per riattaccare pensando di aver perso la linea, Marlene parla.

-Steve non mi sembrava un tipo così violento- sussurra, quasi tra se, inorridita.

-Magari non dirlo a Roxanne e Fred prima che non ne sappia qualcosa in più, ok?- le chiede, in tono supplichevole.

-Tranquillo, non lo dirò, ma tu fammi sapere cosa succede, e comunque… cerca di esserci questo pomeriggio- riprende il tono leggermente seccato, e nonostante l’ansia, l’insensibilità del tono di Marlene e tutto il resto, Harry non riesce a fare a meno di sorridere.

Ha capito Marlene, anche se non la conosce poi da molto.

Lui è bravo a capire le persone e Marlene gli sembra proprio il tipo di persona dura, ma sensibile. E che il suo mezz’ordine di andare al Piccolo Olaf è un modo per distrarlo, per fargli pensare ad altro, probabilmente anche per dire “Hey, la vita continua, e ti attendono tanti raggi di sole alla fine del buio”

Anche dopo che Marlene chiude la chiamata per tornare alle lezioni, Harry resta con il telefono all’orecchio, sovrappensiero, a pensare a lei.

Viene riscosso solo quando Spelato, probabilmente con uno sforzo immane, gli tira una testata sullo stomaco, per attirare la sua attenzione.

-Era Marlene- risponde Harry alla tacita domanda posta dal gatto, rimettendo a posto il telefono.

Il gatto lo guarda malizioso, e Harry alza gli occhi al cielo.

-Pensa alla tua salute, invece di badare alla mia vita sentimentale- lo riprende, ben felice che nessuno sia presente mentre parla con un gatto.

-Buongiorno, sei il figlio di Steve, o sbaglio?- la voce di una donna all’incirca di 45 anni lo fa sobbalzare, e il gatto si lamenta, perché il colpo gli ha spostato i vetri.

-Scusa, Spelato. Si, sono io, Harry-

La donna lo guarda sospettosa. Ha capelli lunghi castani legati in una treccia, occhi verdi e un’aria… familiare.

-Tuo padre è dentro? Ti ha mandato come palo mentre prende un altro gatto e lo fa fuori? Oh, santo cielo! Quando imparerà ad essere tollerante.- commenta seccata, ed entra, senza badare ad Harry un secondo di più.

-Ma..- prova a ribattere lui, prendendo Spelato con la massima delicatezza ed entrando dietro a lei.

-STEVE! Lo so che ci sei! solo perché sei il poliziotto non vuol dire che puoi fare tutti i tuoi comodi!!- 

-In verità io non sono venuto con mio padre- ribatte il ragazzo, posando Spelato sul bancone.

La donna guarda un attimo Harry, poi il suo sguardo si sposta sul gatto, e sgrana gli occhi.

-Night!- esclama, sorpresa. Il gatto alza gli occhi al cielo e sbuffa.

-Night?- chiede Hiccup, confuso.

-Night è uno dei gatti che ho salvato dalle grinfie di tuo padre. Una vera furia. Però è scappato alcune settimane fa. Vedo che non è riuscito a tenersi fuori dai guai- la veterinaria fa per accarezzargli il capo, ma lui soffia e prova a graffiarla.

-Scusalo, è poco incline a farsi accarezzare- Hiccup lo calma un po’.

-Non da te, sembrerebbe. Non eri allergico ai gatti?- chiede, interessata e curiosa.

-Non a lui… comunque non è importante, potrebbe solo aiutarlo? Mio padre l’ha lanciato fuori dalla finestra chiusa, e non muove la zampa sinistra. Inoltre sta perdendo molto sangue. Parleremo dopo, ok?!- con una punta di panico Harry per poco non urla, ma la veterinaria non si scompone.

-Se lui me lo permette lo farò con piacere- il gatto però sembra restio a voler collaborare, e alla fine è Harry a togliere tutti i pezzo di vetro con le pinzette, seguendo le indicazioni della veterinaria: Vera Fields.

***

-INUTILE!!! E’ TUTTO INUTILE!!!- esclamava Eris, gettando il libro da una parte all’altra, e osservando nel frattempo anche una brodaglia in un calderone.

Non riusciva a trovare l’incantesimo che voleva, e intanto quel pirata ficcanaso si avvicinava sempre di più, e tutto ciò che lei gli inviava si rivelava inutile.

Ogni cosa era inutile.

Dove diavolo l’aveva messa la formula per l’immortalità, quel signore oscuro del cavolo!?!

-A me non pare del tutto inutile- obiettò un uomo, materializzandosi davanti a lei e facendola sobbalzare.

-Uomo nella Luna!- esclamò lei, con tutto l’odio del mondo.

-Tu che conosci bene questo libro… DOVE LUNA E’ QUELLA DANNATISSIMA FORMULA?!?!- gli urlò in faccia, piena d’ira.

L’uomo non si scompose di una virgola.

-Non sono nella testa di quell’uomo…- Eris sbuffò -…Ma se fossi stato malvagio e lui sono piuttosto sicuro che l’avrei fatto e non l’avrei infilato nel libro. E’ una magia che una persona cattiva vuole tenere tutta per se, ma se veramente vuoi prolungare la tua vita puoi sempre usare il fiore- le suggerì, come fossero vecchi amici, e non due aghi opposti della bilancia.

-Quando vorrò dipendere da qualcosa per sopravvivere ti farò sapere. Per ora perché non vai ad addestrare i tuoi cari cinque cicloni? …Ops, dimenticavo il grande assalto a Cinadonia.- lo stuzzicò, colpendo un tasto dolente. L’uomo stinse i denti. -Ho parlato con Po, sembrava così distrutto che ho deciso di aiutarlo, spero solo che sfrutti il suo novo “dono” in modo giusto- girò poi il coltello nella piaga.

L’Uomo nella Luna trattenne a stento un ghigno.

-Ho capito, me ne vado. Pagina 99, se proprio vuoi condannarci tutti.- le suggerì poi, come una presa in giro, scomparendo in una nuvola grigia.

La donna andò sospettosa a quella pagina.

“Il sortilegio” 

Scosse la testa, quella era magia incredibilmente potente e ugualmente impossibile. Nessuno era mai riuscito a lanciarlo, neanche il grande signore oscuro.

Gettando un’altra volta il libro a terra, osservò nel calderone, e fece per mandare una brutta tempesta di fulmini a colpire l’audace marinaio.

Poi si bloccò.

-Bah, che venga pure, questo libro non mi è di alcuna utilità- rifletté ad alta voce, ma si disse che forse qualcosa di utile ci stava nella morte del principe di Dumbroch, unico erede al trono. 

Così mandò comunque quella tempesta di fulmini, che seguiva l’onda delle sirene, dell’aquila gigante e della tromba d’aria che aveva colpito Stoik.

 

-PURE QUESTO!!! SOLO QUESTO CI MANCAVA!!! Ed è tutta colpa tua, naturalmente, tua e dei tuoi stupidi gioielli!!- Stoik ormai si era proprio stancato di quella impresa, anche se non si voleva arrendere. Dopotutto Fergus era il suo più vecchio amico, e l’idea di avere la sua morte sulla coscienza proprio non gli piaceva.

-Mia!! Non è colpa mia se una strega ti odia! E comunque sono stata io a salvare la nave dalle sirene e dalla tromba d’aria!!- ribatté Elinor, cercando di trovare un modo di deviare i fulmini.

-Ma chi è che ti ha salvata quando quella bruttissima aquila ti ha quasi mangiata?! E tu non l’avevi neanche VISTA!!- obiettò Stoik, prendendo tutto il metallo inutile che conservavano in stiva.

-Ti ho già ringraziato. Mentre non mi sembra che tu sia stato così cortese quando sono stata io a salvarti la vita!- continuò Elinor, mentre usava il metallo per creare pendi fulmini che non avrebbero danneggiato la nave e sarebbero stati convertiti in energia per farla andare più veloce.

-Invece ti ho ringraziata! Controvoglia ma l’ho fatto!- continuò a urlare irritato Stoik.

-Sai che ti dico! Sono convinta che se mi avessi lasciato parlare con quell’aquila ora avremmo trovato anche un altro mezzo per fare più in fretta!- 

-Un capitano non abbandona mai la sua nave per cavalcare un nemico. Ma forse hai ragione, avrei dovuto lasciarti con quel simpatico mostro. Sono certo che con la guerra ancora in corso avreste proprio fatto un’ottima chiacchierata- rispose sarcastico il pirata, irritando ancora di più, se possibile, Elinor.

-I mostri sono meglio di voi stupidi umani! E sta pur certo che quando diventerò regina farò finire questa stupida e rivoltante guerra- 

Prima ancora che finissero il discorso, riuscirono ad arrivare oltre la tempesta.

Stoik rimise a bordo gli acchiappafulmini, poi si avvicinò ad Elinor.

-Sarebbe bellissimo, se i mostri ragionassero- e sembrava sincero dicendo che sarebbe bellissimo, così Elinor iniziò a credere che forse quel pirata non era proprio un caso senza speranza.

Oltre al fatto che in quella convivenza aveva davvero iniziato a scorgere un grande uomo sotto la corazza da pirata rozzo e rude.

Non voleva ammetterlo, ma quell’uomo iniziava ad attrarla, ma lei non doveva uscire dal suo percorso, e la sua unica possibilità per realizzarlo era sposare il principe Fergus.

 

Quella sera, circondati da lanterne, i pirati fecero un punto della situazione, dato che ormai mancava una notte di viaggio e sarebbero arrivati a destinazione.

-Allora, Stoik, propongo di andare noi due, come ai vecchi tempi- Skaracchio prese due asce, molto convinto dei suo piano.

-Pure io vengo- si offrì Elinor.

-Non è un lavoro da donne- obiettò Stoik, con talmente poca convinzione che neanche lui si prese sul serio.

-Guarda che non lo stavo chiedendo!- 

-Solo in due possiamo andare- sbuffò Stoik -E uno devo essere per forza io- Era stanco, e con un cenno incitò Skaracchio ed Elinor a vedersela tra loro.

Elinor guardò il pirata, e sbatté le ciglia.

-D’accordo- cedette lui.

-Grazie, Skaracchio- la donna gli diede un buffetto sulla guancia, e Skaracchio si limitò ad alzare gli occhi al cielo, sorridendo tra i baffi.

-Perfetto, ora che è tutto deciso, tutti a dormire- provò a suggerire Stoik, che al momento crollava dal sonno.

-Ma non cantiamo “Se tu mi sposerai” come ogni giovedì?- chiese un membro della ciurma, speranzoso e ridacchiante.

-Quando c’è una donna a bordo, non è una presa in giro, ma una dichiarazione- obiettò Stoik.

-No, ti prego, fatemela sentire- li incoraggiò Elinor, interessata.

-E’ Stoik quello che la sa cantare meglio- lo incoraggiò Skaracchio, facendogli l’occhiolino.

Il pirata sbuffò.

-Uff, ma solo perché è un rito del giovedì- acconsentì controvoglia.

Così iniziò a fischiettare.

-Per ogni mar navigherò ma non avrò paura; le onde io cavalcherò 

se tu mi sposerai.- iniziò, annoiato, senza metterci particolare enfasi o passione.

Elinor però lo guardò interessata, sorridendo, e mettendogli più forza. 

-Né il sole, sai né il freddo, mai mi impedirà il ritorno

se mi prometterai il tuo cuor…- prima che potesse concludere la strofa Elinor lo interruppe e continuò al posto suo.

-… e amore per l’eternità.- tutti i pirati la guardarono stupiti.

-Come fai a conoscerla? E’ una danza popolare- Stoik la guardò confuso e leggermente sospettoso.

-Ecco… io… l’ho.. me l’ha insegnata Valka, la mia cameriera personale a palazzo- si riprese Elinor, cercando di mostrare sicurezza. Poi, visto che sul ponte era calato un silenzio di tomba, si alzò in piedi e continuò.

-Amato mio, oh mio tesor tu cerchi di stupirmi. Parole non ti serviranno ti basterà abbracciarmi.- fece cenno a Stoik di continuare, e lui, lasciando perdere i pensieri, si alzò a sua volta.

-Anelli d'or ti porterò, ti canterò poesie! 

Da tutto ti proteggerò se tu vorrai sposarmi!- e i due si misero a ballare, mentre la ciurma batteva le mani a ritmo di musica.

-Anelli d'or non servono, non voglio le poesie!

Le mani tue desidero..- 

-..da stringer tra le mie!-

E poi continuarono insieme.

-Ti abbraccerò, ti bacerò e danzerò per sempre e felice io sarò

non smettere d’amarmi.- due marinai si scambiarono uno sguardo e fecero una muta scommessa.

-Per ogni mar navigherò ma non avrò paura; le onde io cavalcherò 

se tu mi sposerai!- a fine canzone Elinor e Stoik erano abbracciati, i visi a pochi centimetri l’uno dall’altro, e tutta la ciurma sembrava trattenere il fiato.

Dopo qualche secondo, Stoik lasciò andare Elinor.

-Beh, allora, abbiamo fatto la canzone, domani ci attende un brutto scontro quindi tutti sotto coperta. Skaracchio, tu stai al timone- ordinò ai marinai, come se non fosse successo niente.

A malincuore la scommessa venne pagata e in fretta tutti i marinai tornarono sotto coperta, ad eccezione di Elinor.

-Stoik…- provò a chiamarlo.

-Non hai sentito, sotto coperta- le ordinò in tono rude. Poi aggiunse, con una nota di malinconia:

-Domani dobbiamo salvare il tuo promesso sposo- e si avviò verso la sua cabina, senza degnare la donna di uno sguardo.

Lei sospirò, poi si avviò a riposare.

***

Harry mangia il suo gelato molto lentamente, senza convinzione o gioia di vivere, tanto che ormai è da un’ora che Elisabeth glielo ha dato ed è praticamente ancora tutto lì.

Fortuna che ha preso la coppetta e non il cono, altrimenti, dato che ormai si è completamente sciolto, avrebbe sicuramente fatto un bel macello.

Ma non lo si può biasimare. Spelato è ricoverato dalla veterinaria, che lo sta operando per amputargli la zampa sinistra. Infatti l’impatto al suolo e i vetri che gli sono entrati molto in profondità nella carne, lo hanno infettato e procurato delle lacerazioni gravi che potrebbero ucciderlo se non venisse operato i fretta.

Harry voleva restare lì fino ad operazione conclusa, ma la veterinaria gli ha assicurato che lo chiamerà appena il gatto starà un tantino meglio.

Non può lasciare che un ragazzino resti lì in giro, specialmente se, come crede, il padre lo sta cercando dappertutto.

Harry alza un attimo lo sguardo dal gelato e osserva i suoi amici.

Quando Roxanne è entrata in gelateria sembrava una bambina che ha appena scoperto che si festeggerà il Natale in anticipo, e ora, con un gelato di nocciole che gocciola dappertutto, canta al karaoke con Allison, che l’ha subito presa incredibilmente in simpatia.

Infatti Roxanne è molto diversa da come appare sempre a scuola. Una volta rotti i muri che la circondano, è l’esuberanza e l’allegria in persona.

Tiene il cono gelato come un microfono, e, tra una leccata e l’altra, canta allegra sulle note di “Ho un sogno anch’io” del film Rapunzel. Film che, a detta sua, non ha mai visto, anche se, dalla sicurezza con cui canta la canzone pare impossibile che non l’abbia mai sentita, almeno una volta.

Fred la osserva incantato e sorridente, mentre Marlene, con un frullato alla mela che beve con la cannuccia seduta su un tavolino lì vicino, guarda la scena divertita.

Nessuno sembra fare caso a Harry, ma per il ragazzo questo va benissimo.

Non gli va di dare spiegazioni sul suo cattivo umore, anche se sa che prima o poi dovrà giustificare la perdita della zampa di Spelato, sempre che l’operazione vada bene.

Gli scappa un singhiozzo soffocato pensando che potrebbe non andare, ma decide di pensare positivo, e prega che Spelato non mandi a monte l’operazione ribellandosi alla veterinaria.

-Harry, va tutto bene?- alla fine della canzone, Allison, ripreso il vassoio, si avvicina al ragazzo per riprendere la coppetta, e rimane molto sorpresa nel vederla ancora piena.

-Si, si, tu_tutto bene- risponde lui poco convinto, con sguardo basso.

-No, non va tutto bene, e dato che sicuramente non è il gelato, perché mangiare il gelato è sempre bello, allora è successo qualcosa. Vuoi parlarne?- chiede, preoccupata

Lui scuote la testa, e prende un’altra cucchiaiata di gelato, che, Allison ha ragione, sembra tranquillizzarlo un po’.

-Umm… va bene. Quando hai finito chiamami, o metti la coppa sul bancone- decide di lasciarlo stare, e non insistere.

Lui annuisce, sempre senza guardarla.

-Harry, va tutto bene?- però dopo Allison, è il turno di Roxanne.

Il ragazzo sbuffa ed alza gli occhi al cielo.

-Si, va tutto bene- risponde, secco.

-E’ successo qualcosa a Spelato?- chiede Roxanne preoccupata, non vedendo il gatto.

Harry sospira, ma non risponde.

-Oddio, che è successo?- Roxanne porta le mani alla bocca.

-Roxy, non credo sia il caso di insistere- Marlene le mette una mano sulla spalla, e Harry non può fare a meno di lanciarle un’occhiata riconoscente.

-Roxy? Cos’è, il nome di un cane?- chiede Fred, raggiungendoli.

-Non mettertici anche tu, Jackson- Marlene gli tira una gomitata.

-Dico solo che Anna Frost le sta bene. Sopratutto Frost. Suona bene come cognome per te- l’ha già detto un po’ di volte, ma senza rendersene conto continua a ripetersi.

-Questo l’hai già detto più volte. Io sinceramente le vedrei meglio il cognome… Fitzherbert o Rider, dato che se lei fosse un personaggio di un film sarebbe senz’altro Rapunzel- Marlene gli stronca l’idea.

Harry continua a mangiare il gelato, senza intervenire nella conversazione ma iniziando a distrarsi, poi il cellulare che vibra nella tasca lo fa sobbalzare, e se Marlene non avesse i riflessi pronti che per fortuna ha, la coppa si frantumerebbe al suolo.

-Harry, cosa…?- prova a chiedergli preoccupata, ma lui prende il telefono e corre fuori, per parlare in privato.

-Dottoressa Fields?- chiede con voce rotta.

-Harry, caro, l’operazione è andata bene, Spelato sta dormendo e l’ho messo in una delle gabbie dei ricoverati. Quando si sveglia gli faremo gli ultimi controlli, poi te lo riporto a casa- lo rassicura.

-NO!- urla lui, preso dal panico.

-Cosa?- Vera è confusa.

-Non lo riporti a casa, lo vengo a prendere io! Mio padre sennò… Probabilmente non ci ritorno più neanche io, a casa- lo dice a voce bassa, e la veterinaria acconsente.

-Ok, verrai tu, ma devi chiarirti con tuo padre- prova a spronarlo, e Harry taglia corto.

-Si. Scusi, ma ora devo andare- e riattacca prima di riuscire a sentire la risposta della donna.

Poi tira un grande sospiro di sollievo.

-Spelato sta meglio?- chiede Marlene, che lo ha raggiunto e tiene la coppa di gelato in una mano e il suo frullato quasi finito nell’altra.

-L’operazione è andata a buon fine- sussurra lui, senza guardarla negli occhi, ma prendendo il suo gelato.

-L’operazione?- chiede lei, confusa.

-Gli… gli hanno amputato la gamba posteriore sinistra- ammette in un sussurro.

Marlene abbassa lo sguardo e si morde il labbro inferiore.

-Mmmmm… Beh, almeno… almeno…- non riesce a trovare un lato positivo.

-Mio padre fa schifo- sbotta Harry, prendendo una cucchiaiata di gelato e mangiandola con forza.

-Non dire così, anche io a volte credo che mia madre faccia schifo, ma è comunque…- si interrompe, riflettendo.

-Tua madre ha mai cercato di ammazzare un tuo amico?- chiede Harry, gettando da un lato in cucchiaino e bevendo direttamente dalla coppa, dato che ormai più che un gelato è diventato un succo freddo.

-Non proprio, anche se l’ha cacciato via, però… infatti tuo padre, ora che ci penso, fa proprio schifo, ma non è comunque il caso di tagliare totalmente i ponti con lui, dato che non hai altro posto dove andare… a meno che…?- si fa pensierosa.

-A meno che?- la incoraggia Harry.

-Senti, per ora stai a casa, però puoi cercare di convincere il signor Davis a darti alloggio al Vampire’s hotel. Ha assunto Roxy, può fare un’eccezione anche con te- gli suggerisce.

Lui ci pensa un po’ su.

-Sai, è un’ottima idea- le sorride, poi si rabbuia leggermente -Ma mentre mi organizzo come faccio con Spelato?- riflette tra se -Non posso riportarlo a casa mia, è troppo a rischio con mio padre che ficca il naso dappertutto- 

-Magari… posso… dargli alloggio io… per un po’- propone Marlene a denti stretti, anche se l’idea non la entusiasma particolarmente.

-Davvero?- chiede il ragazzo incredulo.

Lai annuisce, con un sorrisino poco convinto.

-Grazie, mi salvi la vita, cercherò di convincerlo a trattarti bene- solleva la coppetta, per fare un brindisi.

-A cosa brindiamo?- chiede Marlene.

-Facciamo… ai genitori seccanti che comunque riusciamo a fregare?- propone Harry.

-Questo è un brindisi da proporre anche a Roxanne e Fred- commenta Harry, che ridacchia.

-Hai proprio ragione, forse è il caso di renderli partecipi dei miei problemi- 

***

-Non ero sincero. A dirla tutta non credo che mai riuscirò a perdere la vita per lui- ammise Stoik, dopo che entrambi vennero cacciati dalla strega, senza riuscire a prendere il libro.

Aveva dovuto rispondere a una semplice domanda con sincerità “Se non riesci a prendere il libro, tornerai a Dumbroch e ti farai uccidere?” ma non era comunque riuscito a dire la cosa giusta.

-Senti, Stoik, io… non dobbiamo per forza tornare a Dumbroch- Elinor era molto combattuta, ora che le sue due possibilità erano: o perdere Fergus e non diventare regina; o perdere Stoik, l’uomo che aveva scoperto di amare, e che mai avrebbe voluto perdere.

-Devo andare, Fergus è il mio migliore amico, e poi tu devi sposarlo, diventare regina e finire questa brutta guerra, no? Io non servo a nessuno, da vivo- Stoik abbassò lo sguardo.

-Non dire così- Elinor non riuscì a trattenere le lacrime, e prese il volto di Stoik tra le mani, sollevandolo in modo che i loro occhi si guardassero.

-Io ho bisogno di te, vivo- e lo baciò, velocemente ma intensamente, anche se Stoik non sembrava voler cambiare idea, e la guardò con tristezza.

-Lui si è sacrificato per me, e non posso lasciare che il mio più vecchio amico muoia per colpa mia. Devo fare l’uomo, per una volta- cercò di farsi coraggio, e si avviò verso la nave, dove Skaracchio lo stava aspettando.

-Eccoti qui! Sapevo che non saresti morto! Hofferson, sgancia. Ho vinto la scommessa- lo accolse felice, ma notando lo sguardo di Stoik, si rabbuiò.

-Dov’è il libro?- chiese, confuso.

-Non siamo riusciti a recuperarlo- rispose Stoik, abbattuto.

-E adesso che si fa?- Skaracchio sperava in un buon piano, quindi -Torniamo a Dumbroch- non era certo la risposta che si aspettava.

-Ma ti giustizieranno!- provò ad obiettare.

-Sono il capitano, quindi vi ordino di levare l’ancora, spiegare le vele, e fare subito rotta verso Dumbroch, dobbiamo tornare prima dell’alba di domani. Sono certo che Eris ci lascerà in pace, ora che ha ottenuto quello che vuole- ordinò rude ai suoi inferiori, con una punta di malinconia.

Elinor si ritirò nella propria cabina, e non si fece vedere per tutta la traversata.

 

Solo quando giunsero ai confini del regno di Dumbroch, vicini al porto, Elinor fece rivedere la sua faccia a bordo, cercando il capitano.

-Stoik! Stoik! Devo parlarti- sembrava aver avuto un grande confronto con se stessa, e con grande determinazione cercò in lungo e in largo per tutta la nave.

Alla fine si arrese, e chiese a Skaracchio

-Dov’è Stoik?- 

-Non posso dirtelo. Non vuole proprio essere disturbato- le rispose lui, desolato.

-Ti prego, devo proprio dirglielo. Non voglio portarmi questo segreto nella tomba e vivere con il rimpianto di non avergli detto la verità- lo supplicò lei.

Skaracchio ci pensò un po’, ma alla fine cedette.

-E’ nella stiva, nascosto in una stanza segreta dietro le cassette delle patate- glielo sussurrò nell’orecchio, rischiando di perdere la rotta.

-Grazie, Skaracchio- e corse in direzione del posto segreto, sperando di non fare tardi.

Quando arrivò, prima di entrare decise di bussare.

-Skaracchio, ti ho detto di non disturbarmi e restare al timone- le venne detto dalla parte opposta, con voce rotta.

-Non sono Skaracchio- la donna entrò, e trovò Stoik seduto in una piccola stanza con la vista sull’oceano sconfinato, un po’ fuori e un po’ dentro.

-Che ci fai qui?!- chiese lui, squadrandola.

-Sono venuta a dirti una cosa, io non sono quello che tu credi- lei si sedette accanto a lui, cerano di trovare la forza per dirgli tutto.

-Non vedo come questo possa cambiare le cose- tagliò corto lui, distogliendo lo sguardo e fissandolo sul mare.

-Non lo so neanche io, ma devo dirtelo, io sono…- ma il suono che annunciava la terra interruppe la rivelazione di Elinor, e Stoik, dopo aver tirato un gran sospiro di rassegnazione, si preparò a scendere dalla nave con le brutte notizie.

Arrivò nella corte del re di Dumbroch poco prima che il principe venisse giustiziato, durante un’accesa discussione tra il re e il consiglio dei cinque regni, zittendo tutti, che si girarono a guardarlo.

Prima che però potesse parlare, una figura sinistra uscì dall’ombra, applaudendo, e facendo girare tutti.

-Ma bravo, Stoik- commentò Eris, a denti stretti. Tutti i membri del consiglio misero le mani alle armi, e la strega fece comparire il libro tra le sue mani.

Tutti la guardarono confusi, lei era arrabbiata.

Stoik non riusciva a capire, ma un lampo di genio lo fece sorridere.

-Non ho mentito… ciò significa, che devi restituirmelo. Non era nei patti?- e le si avvicinò, trionfante.

-Devo ammetterlo, mi hai stupita- lei glielo consegnò, con un ghigno.

-Ma non crediate che sia finita qui per voi. Non avrò più il libro, ma compierò la mia vendetta, è una promessa!- e con questa ultima minaccia rivolta ai membri del consiglio, scomparve in un vortice nero.

I membri della ciurma, arrivarono trafelati solo in quel momento, ma tra loro mancava una persona.

-Dov’è Elinor?- chiese Stoik, dopo aver mostrato il libro e averlo restituito al re di Dumbroch.

-Le guardie reali l’hanno catturata, non abbiamo capito perché- spiegò Skaracchio, confuso.

-Probabilmente perché non è la vera Elinor- una voce femminile si unì alla conversazione, mentre una donna molto simile a Elinor di corporatura, ma con viso più tondo e occhi castani, si avvicinava alla ciurma, cogliendoli in contropiede.

-In che senso?- chiese Stoik, turbato.

-Io sono la vera Elinor, lei è Valka, la mia cameriera personale- spiegò in tono pacato.

-Un momento, che cosa?- Fergus, che era stato in cella tutto il tempo, non sapeva degli ultimi avvenimenti, e guardò la nuova Elinor in uno stato di piena agitazione.

Prima che Elinor, quella vera forse, potesse spiegarsi meglio, l’altra Elinor, quella che alle voci dovrebbe essere Valka, entrò nella stanza scortata da due guardie.

-Lasciatemi! Vi prego, fatemi almeno dire addio a… Stoik! Non sei morto!- a vederlo così, vivo e confuso, sorrise tra le lacrime, poi spostò lo sguardo sulla vera Elinor.

-Elinor, ma tu che ci fai qui?!- chiese in un sussurro, mentre le guardie continuavano a spingerla bruscamente per portarle nelle segrete.

-Lasciatela andare!- provò ad opporsi Stoik, correndo verso di lei, ma Elinor stessa fece cenno alle guardie di fermarsi.

Le due donne si scambiarono degli sguardi che tutti i presenti non riuscirono a capire, poi Elinor raccontò la sua storia.

-Lasciatela andare, si è finta me perché gliel’ho chiesto io. Circa cinque anni fa sono stata rapita da alcuni mostri mentre ero in viaggio per venire qui a Dumbroch per conoscere il mio futuro sposo, Fergus. Questi mostri mi hanno portata a Cinadonia, la scuola di Kung Fu, e mi hanno tenuta lì, prigioniera, perché volevano che scoppiasse una guerra tra Valdonia e Dumbroch. Io, temendo che sarebbe successo qualcosa di simile, avevo chiesto precedentemente a Valka, la mia cameriera personale e grande amica, di prendere il mio posto qualora un fatto del genere fosse accaduto, quindi non imprigionatela, non è stata colpa sua se si è finta me- nonostante tutto quello che venne detto, le due non sembravano in buoni rapporti.

-Chi ci dice che tu sia la vera Elinor? E come hai fatto a scappare da Cinadonia?- chiese Stoik, che non credeva che Valka avesse mentito così.

-C’è stato un attacco a Cinadonia, un paio di giorni fa, probabilmente da alcuni mostri che speravano di spronare i praticanti di Kung Fu ad attaccare gli umani invece di difendersi e basta, e io sono riuscita a fuggire. Inoltre mio fratello mi ha riconosciuto, è un membro del consiglio. Senza contare i ritratti di famiglia che mi danno ragione e il medaglione con il marchio reale che sono riuscita a tenere con me anche a Cinadonia- rispose Elinor, in tono semplice e pratico.

-E’ questo che ti volevo dire, Stoik- ammise Valka, con sguardo basso.

-Io non sono una principessa, ma una semplice cameriera umile e povera- anche se la guardie l’avevano lasciata, sembrava messa in gabbia. Delle due possibilità tra le quali non sapeva scegliere: Stoik e Fergus, ora non ne aveva nessuna.

O almeno così credeva, perché Stoik le si avvicinò, e le prese le mani.

-Se posso dirlo senza paura di venire giustiziato, non potrei desiderare una cosa migliore di questa- le disse, e lei sollevò lo sguardo sorpresa, incontrando prima i suoi occhi, e poi le sue labbra.

***

Spelato, strano a dirsi, sembra apprezzare molto il fatto di stare a casa di Marlene, infatti non si ribella neanche per un secondo quando Harry lo porta davanti all’uscio di casa sua, oppure è semplicemente ancora intontito dall’anestesia.

Suona al campanello, e subito Marlene gli apre, leggermente preoccupata.

-I miei non ci sono, e i gemellini terranno la bocca chiusa, sono molto bravi a tenere i miei segreti in cambio dei dolcetti- gli fa strada all’interno della casa.

-Marlene, tu non sai quanto mi, anzi, gli, anzi, ci stai salvando la vita- la ringrazia Harry, accarezzando il gatto senza gamba, che osserva tutto molto tranquillo e incuriosito.

-Allora, mangia sopratutto bocconcini di pesce, ma accetta anche quelli di carne e odia i croccantini, giusto?- chiede Marlene, che non sa come occuparsi di un gatto e ha paura di sbagliare qualcosa, specialmente con quel gatto.

-Si, super esatto- 

-Bene, gli ho preparato per dormire vicino alla finestra, ma accanto al termosifone, così avrà aria fresca ma non sentirà freddo, e l’ho coperto in modo che mamma non lo veda quando entra in camera per svegliarmi- gli dice, mentre apre la porta di camera sua.

Harry di imbarazza leggermente, dopotutto non è mai entrato nella camera di una ragazza, e trova che una camera da letto sia un posto molto personale, quindi non sa se è appropriato o no.

-Guarda, se vuoi posso lasciarti Spelato e andare, non mi va di invadere il tuo spazio- suggerisce, lei lo guarda con le sopracciglia aggrottate.

-Non farai sul serio, voglio sperare. Su, entra, non fare complimenti. E poi mi spaventa un po’ prendere in braccio Spelato- entra nella stanza e gli fa cenno di seguirla.

-E’ molto carina- commenta lui.

Certo, è disordinata, ma quale camera non lo è. E’ tutta verde acqua e bianca, al muro sono appesi poster di qualche sportivo famoso, e c’è un arco appeso al muro, con una faretra accanto.

-Non sapevo tirassi con l’arco- commenta, osservando l’arma, che Spelato squadra con sospetto.

-E’ più che altro un divertimento. Mi ha insegnato papà, e spesso i pomeriggi liberi li passo a lanciare frecce nel bosco, su appositi bersagli che abbiamo costruito insieme- spiega lei, cercando di distrarlo e prendendo la maggior parte dei vestiti che stanno sul letto e sulla scrivania e buttandoli dentro l’armadio.

-Forte. Io non sono mai stato molto bravo negli sport, sono più un nerd e…- con la coda dell’occhio osserva Marlene che rimette tutto in “ordine” e non riesce a trattenere una risatina -… quindi passo la maggior parte del tempo in biblioteca e in bottega- conclude, cercando di mantenere lo stesso tono.

-Almeno guadagni qualcosa, e poi i tuoi lavori sono utili- lo consola Marlene.

-Allora, torniamo a noi. Questa è la cuccia di Spelato, e spero che vada bene, ho riciclato quella che usavo per il mio cane Aaron, prima che i miei lo dessero via- ripensò all’avvenimento con tristezza.

-Se riesci a nascondere un gatto, non vedo perché non riusciresti a nascondere un cane- prova a suggerire Harry.

-Un conto è un gatto per pochi giorni, un conto è uno smooth collie per tutta la vita. E poi Aaron era molto iperattivo, non faceva altro che correre in giro per le stanze- sorride a ripensarci, poi decide di cambiare argomento.

-Comunque, la cuccia è di suo gradimento?- chiede a Harry, che posa Spelato su di essa.

Il gatto si sistema cauto, ma sembra proprio apprezzarla, perché annuisce e si accoccola.

-Ah, bene. Per un paio di giorni siamo a posto- Marlene osserva contenta il gatto, tirando un sospiro di sollievo a e alzando le spalle.

-Non smetterò mai di ringraziarti, se c’è qualcosa che posso fare…- 

Marlene taglia corto con un gesto della mano 

-Non preoccuparti, è un piacere. E’ a questo che servono gli amici- gli sorride.

Spelato, sollevando la testa, fa una cosa che non ha mai fatto prima ad eccezione che con Harry.

Si solleva, si avvicina alla ragazza senza che lei se ne accorga, e preme il muso contro la sua mano.

Entrambi i ragazzi restano stupefatti.

 

Quando Harry torna a casa capisce subito che il padre non è a lavoro.

Infatti è dentro e litiga furiosamente con una voce femminile, che ha la voce allo stesso suo volume.

Resta un attimo interdetto sul vialetto, poi respira per darsi forza, ed entra.

-Papà, sono a casa- si annuncia, le voci in cucina si interrompono, e cala il silenzio nella casa.

Dopo qualche secondo il padre risponde, con voce un po’ incerta.

-Sono in cucina- 

“Come se non l’avessi capito, con tutto il baccano che fai” pensa tra se Harry, che vorrebbe andare direttamente in camera.

Però, preso dalla curiosità e dalla voglia di preparare la cena perché sta morendo di fame, decide di raggiungere il padre in cucina, e rimane sorpreso nel trovarci la veterinaria.

-Dottoressa Fields?- chiede, confuso.

-Stava andando via- annuncia il padre, in tono fermo.

-Infatti, assolutamente. Stammi bene, Harry. E puoi passare da me quando vuoi- gli da una pacca sulla spalla, prende la borsa che aveva lasciato sul tavolo, e si avvia fuori dalla porta.

-Voglio sperare che non lo farai, con l’allergia che hai e tutti i gatti che lei tiene in ambulatorio- il tono di Steve ha una traccia di minaccia, e Harry lo ignora solamente, passando oltre a lui e aprendo il frigo per cercare qualcosa da mangiare.

-Harry- il tono del padre è esasperato -Ammetto di essere stato un po’ brusco stamattina, ma l’ho fatto per il tuo bene- prova a convincerlo.

-Per il mio bene. Non mi fa allergia, e hanno dovuto amputargli la gamba posteriore sinistra per colpa tua- gli urla contro Harry, sbattendo la porta del frigo dopo aver preso un avanzo di salmone norvegese conservato in una ciotola.

Il padre indietreggia leggermente.

-Meglio così, Harry. Non sai cosa potrebbe farti, e ho già perso tua madre, non voglio perdere anche te- si riavvicina cercando di fare ammenda, ma questa volta è Hiccup ad indietreggiare.

-Ci sono tanti modi per perdermi- gli sussurra a denti stretti, per poi uscire dalla stanza e andare in camera sua.

***

Con la benedizione del re Fergus e la regina Elinor si celebrarono anche le nozze di Valka e Stoik, e i due vissero felici per molti anni, vivendo in amore.

Stoik abbandonò il ruolo di pirata e divenne la guardia reale più fedele di Fergus, ma, sotto guida della moglie, operò solo in difesa del popolo dagli attacchi dei mostri, e mai in attacco.

Senonché, pochi mesi dopo aver dato alla luce il primo figlio, Hiccup, durante un’assalto da parte dei mostri, Valka uscì, come al solito, per aiutare nella difesa, e cercare anche di convincere i mostri a fare una piccola tregua, una pace.

I suoi sacrifici si rivelarono vani, e quella notte, con la luna coperta da grigi nuvoloni, Valka scomparve, presa da un drago senza più fare ritorno a Dumbroch, e lasciando il padre e il figlio.

Fu in quel preciso momento, mentre vedeva la moglie tanto amata che gli veniva portata via, che Stoik decise di intensificare la guerra contro i mostri.

Loro l’avevano portata via, uccisa chissà dove e forse anche mangiata a colazione. Lei, che aveva passato la vita a difenderli e a cercare di costruire la pace. 

Fu in quel preciso momento che Stoik capì che i mostri erano solo macchine senza cuore che uccidevano per il gusto di farlo, e il suo cambiamento fu così profondo, che solo molti anni dopo, grazie all’aiuto dello stesso figlio, riuscì a cancellarlo parzialmente.

Ma questa è un’altra storia, e la si dovrà raccontare un’altra volta.

***

-MA CHE CAVOLO!!!!- esclama indignata Roxanne, mentre legge l’ennesimo finale brutto.

Ora che si è affezionata a questa coppia, ecco che viene distrutta, come tante altre cose prima di lei.

Anche se, deve ammetterlo, questo finale se lo aspettava, dato che in Dragon si accenna al fatto che la madre di Hiccup è morta.

Comunque è ugualmente seccante, e le verrebbe voglia di buttare il libro nei rifiuti, dato che è l’ennesima brutta notizia che riceve.

Harry ha detto a tutti loro la triste sorte accaduta a Spelato, e per poco non è scoppiata a piangere di fronte a lui.

Adora quel gatto, le ricorda tanto Sdentato del suo libro, e non vuole che si faccia così male.

-Roxanne, va tutto bene?- chiede sua madre dal piano di sotto, dopo aver sentito la sua esclamazione irritata.

-Si, madre, ho solo… fatto cadere il cofanetto della cipria- si inventa lì per lì, e poi lo butta per davvero per rendere a bugia più credibile.

-Oh, cielo! Fa un po’ di attenzione- si lamenta sua madre, sempre restando sotto.

Roxanne tira un sospiro di sollievo e sbircia la pagina bianca dopo la fine della storia, quella dove di solito ci sono le scritte a penna.

Questa volta c’è solo un’enorme parola: “CONTINUA”

E non capisce se sia un invito o un dato di fatto, nel senso che la storia continuerà.

Decide di continuare, e sbircia il capitolo seguente.

“Mamma orsa” 

Deve ammetterlo, il titolo è curioso.

Guarda l’ora, capisce che tra un po’ sua madre la chiamerà per andare a cena e decide di precederla.

Nasconde il libro, mette le ballerine (sua madre non approva che vada in giro scalza, valla a capire) e si avvia giù per le scale.

Sta per annunciare la sua presenza quando sente che sua madre sta parlando a bassa voce al telefono.

-Si, Steve. Lo capisco, trovo che le tue argomentazioni siano davvero valide, chiamerò il signor Black e vedrò di farlo chiudere. Non possiamo permettere che altri gatti infettino le nostre case. Anche se forse è meglio chiusi in gabbia che… ottima idea, davvero ottima. Ne parliamo domani al Vampire’s café? Si, certo. Arrivederci- e chiude la telefonata, con un ghigno.

Stoik Haddock le è sempre piaciuto, è l’unico uomo nella storia che sia mai riuscito a fregarla con il suo stesso trucco, quindi lo ammira davvero molto, e, ora che gli ha fatto scoprire quel gatto, lo ha finalmente dalla sua parte.

-Madre, con chi stavi parlando?- chiede Roxanne, facendo sobbalzare la madre.

-Con Steve Hill, di un affare che discuteremo domani. Niente che ti riguardi, tesoro. Comunque un tempismo perfetto, è pronta al cena- taglia corto Norma, ma Roxanne è molto preoccupata, e inizia a sospettare che centri la madre con la scoperta di Spelato da parte del padre.

Deve andare a fondo sulla faccenda.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Legenda: 

Steve Hill: Stoik

Vera Fields: Valka/Finta Elinor

Norma Goth: Eris

Signor Davis: Dracula

Aaron: Angus

 

 

(A.A.)

Ma ciao a tutti, eccomi qui, sono riuscita alla fine ad aggiornare.

Tra tutte le unioni che ho fatto finora devo dire che questa è quella che trovo più azzeccata, oltre a Flynn/Jack.

Insomma, ci sta tantissimo che Stoik e Valka si sono conosciuti così.

Però è stato anche molto difficile da scrivere, perché ci ho dovuto aggiungere riferimenti a storie che verranno raccontate solo nella seconda serie, quindi ho cercato di non rivelare troppo.

Cinadonia, già nominata nello scorso capitolo, è il nome dato alla scuola di Kung Fu di Kung Fu Panda, e, beh, non voglio fare troppi spoiler.

E il rapporto tra Valka ed Elinor sarà una vera bomba quando verrà rivelato, almeno spero.

Ammetto che odio Valka alla follia, ma ho cercato di renderla accettabile, per ora.

Mentre adoro Stoik, ma mi serviva sottolineare il suo carattere intollerante verso ciò che potrebbe ferire il figlio.

Insomma, Stoik, Dracula e Madre Gothel potrebbero andare d’accordo in iperprotettività, ma non è importante adesso.

Mi è piaciuto molto scrivere la parte For the Dancing and the dreaming e anche molto la piccola scena Mericcup. Anche la loro storia è molto intricata nel passato.

Come al solito ringrazio tutti quelli che seguono, recensiscono o anche solo leggono questa storia e vi incoraggio a lasciare un commentuccio per farmi sapere cosa ne pensate. Non vi costa niente e mi aiuta molto in fatti di autostima, carica e molto altro, dato che scrivere è l’unica cosa che mi è rimasta in questo periodo.

Un bacione a tutti e alla prossima :-*

P.s. Ho aggiunto un piccolo riassunto dei capitoli precedenti perché la cosa inizia a farsi complicata

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Capitolo 9
*** Capitolo 8: Matrimonio (s)combinato ***


Nelle puntate precedenti:

Dopo il sortilegio di Madre Gothel, i personaggi dei cinque regni Molto Molto Lontano, Corona, Arendelle, Dumbroch e Valdonia sono confinati in un mondo senza magia, senza ricordi del proprio passato.

Roxanne/Rapunzel ha trovato un libro con tutte le loro storie, e, giorno dopo giorno, sta leggendo, e il mondo terribile della realtà sta iniziando a dare il lieto fine ai suoi personaggi.

Nello scorso capitolo Harry/Hiccup ha conosciuto la veterinaria dopo che il padre ha ferito il gatto Spelato/Sdentato.

E Roxanne ha scoperto un possibile complotto tra sua madre e Steve/Stoik.

 

Once upon a Time in Otherland

Capitolo 8: Matrimonio (s)combinato

 

“Io non sarò mai come te!

Preferirei morire

che essere come te!”

-Ribelle

 

La prima mattina era il momento preferito della cacciatrice per godersi appieno la libertà che il cappuccio le offriva.

Solitamente, prima che tutti a casa sua si svegliassero, amava uscire di nascosto con l’arco in spalla, salire sul suo destriero e scoccare frecce a destra e a manca sui bersagli che aveva costruito nel corso degli anni.

Purtroppo ormai questo piccolo lusso non poteva più permetterselo.

E tutto per colpa di quel dannatissimo ragazzo-drago.

Da quando aveva convinto tre regni su cinque a ritirare le armi contro l’armata Transylvania, Dumbroch si era ritrovata a fronteggiare praticamente da sola la guerra, e la regina aveva preso l’abitudine di ritirarsi nel luogo sicuro insieme ai figli per assicurarsi che stessero bene, dato che il palazzo non poteva più proteggerli.

Tu, lettore, potresti chiederti cosa aveva a che fare questo con la cacciatrice.

Beh, questo aveva tutto a che fare con la cacciatrice, perché purtroppo la cacciatrice era Merida, primogenita discendente dei reggenti del regno di Dumbroch e, a detta di tutti i pochi che avevano fatto la sua conoscenza, la ragazza più mite, educata e servizievole di tutti i regni.

Poveri illusi!

La principessa in realtà era un osso duro, amante delle armi, dell’azione e della libertà, ma l’unico modo per viverla era nascondersi dietro un cappuccio magico ritrovato nello scantinato del castello, con una treccia bionda finta per sviare i sospetti su Astrid Hofferson, una semplice contadinotta che però aveva deciso di stare al gioco, e a volte la aiutava per far rimanere ignorante la regina, che per fortuna non sembrava nutrire sospetti.

Quella mattina Merida non era riuscita a uscire, e sua madre, entrando nella stanza per svegliarla, l’aveva trovata a rimuginare davanti alla finestra aperta della sua camera, intenta a guardare l’alba.

-Merida, la colazione è pronta, credevo stessi ancora dormendo- Elinor le si avvicinò, e le mise una mano sulla spalla.

-La guerra finirà presto, tesoro, non devi temere, io e tuo padre abbiamo trovato un’ottima soluzione- cercò di rassicurarla.

Merida avrebbe voluto sbuffare, avrebbe voluto dirle che qualsiasi battaglia che non l’avesse vista da partecipante attiva sarebbe stata persa, come infatti stava già accadendo, ma si impose di restare zitta e usò il tono più costernato del suo repertorio.

-Oh, madre, speriamo davvero. Vorrei così tanto dilettarmi nel cucito all’ombra di un grande albero invece che a casa- come se le piacesse cucire, era una frana totale, ma naturalmente Elinor non lo sapeva, perché i suoi tre fratelli le rubavano sempre qualche arazzo già completo ogni volta che lei doveva mostrare le sue opere alla madre.

Era una vera fortuna averli alla sua parte.

-Su, vieni a colazione, Se tutto va bene oggi dovrebbero arrivare notizie- Merida annuì, si alzò con grazia, e seguì la madre alzando gli occhi al cielo mentre lei non guardava.

Quando arrivarono a colazione, tre lettere attendevano la regina, posate con cura al lato del suo piatto.

Il volto di Elinor si illuminò, e subito prese le lettere, aprendole con cura e iniziando a leggerle una ad una, impaziente.

Merida non ci badò più di tanto, e si limitò a sedersi, salutando il padre e i fratellini.

-Merida, Merida, abbiamo visto Jack Frost stamattina, ci ha salutati- le disse Hamish, da sempre il più chiacchierone dei tre, anche se in generale non parlavano poi molto. Si limitavano a ridacchiare e fare scherzi.

-Ragazzi, non esiste Jack Frost- li riprese distrattamente il padre, che non credeva all’esistenza dei guardiani dei cinque regni di cui parlavano spesso i bambini della città.

-Ma si che esiste! Merida, tu l’hai visto, vero? Quando stavi…- Merida fulminò Hamish con lo sguardo.

Lei non credeva in Jack Frost, ma fingeva di averlo visto mentre dava la caccia ai tre fratelli, per farli contenti. Solo che non dovevano dire a nessuno che lei stava loro dando la caccia, altrimenti era la fine.

Hamish taque di botto, spaventato da quello sguardo.

Merida era l’unica cosa che spaventava i ragazzi, che reagivano molto bene a draghi, zombie e mostri di ogni genere. Quei tre avevano combattuto senza paura contro un malvagio spirito dell’oscurità.

Ma Merida arrabbiata era peggio di tutti gli incubi dell’uomo nero messi insieme.

-Fergus- Elinor chiamò il marito, con gli occhi ancora fissi sulle lettere.

Il re continuò a mangiare senza badare alla moglie, ma probabilmente solo perché non l’aveva sentita.

Il tono di Elinor però attirò l’attenzione di Merida, che si voltò a guardarla, con un nodo allo stomaco che iniziava a formarsi, anche se la principessa non ne conosceva l’origine.

-Fergus- la voce della regina divenne più forte, anche se ancora non si capiva bene il tono, che sembrava un misto tra costernazione, ansia, delusione, soddisfazione e felicità, anche se non aveva senso.

-Si, Elinor?- chiese il marito, finalmente sentendola e rivolgendole tutta la sua attenzione.

Lei sollevò gli occhi dalle lettere e li puntò su quelli del marito, con un timido sorriso.

-Hanno accettato tutti- esclamò, poi lo sguardo si posò sulla figlia, che cercò di non mostrare il suo sguardo da “Mamma, stai impazzendo per caso?!” e assunse un’espressione cautamente curiosa.

-Chi ha accettato cosa, mamma?- chiese con voce tranquilla.

Elinor cercò l’aiuto di Fergus, che si rivolse a Merida leggermente imbarazzato.

-Ehm… Merida… ecco… tu… ehm…- non  era mai stato bravo nei discorsi.

Elinor alzò gli occhi al cielo e decise di dare la notizia da sola.

-Tre lord di regni vicini presenteranno i loro figli come pretendenti per il tuo fidanzamento. Verrano organizzati dei giochi al termine dei quali tu sposerai uno dei tre e tutti e tre i regni ci aiuteranno nella guerra contro i mostri. Hanno accettato tutti- per Merida questa non fu una notizia gioiosa come la madre credeva che fosse, ma una vera e propria bomba atomica gettatale nello stomaco.

Rimase a bocca aperta per una decina di secondi, mentre il sorriso lasciava il volto della madre, poi la facciata da figlia perfetta crollò senza che potesse fingere niente.

-Che cosa?!- chiese con voce ferma e carica di odio, confondendola

-Merida, è un’ottima opportunità per vincere finalmente contro i mostri- le spiegò pacatamente.

-E io devo fare da bottino per un principino solo per vincere una guerra?!- Merida sbattè i pugni sul tavolo, alzandosi in piedi e facendo sobbalzare tutti i presenti, tavolo compreso.

-M_Merida, io non… non capisco la tua reazione- sua madre la guardò come se fosse un’estranea ai suoi occhi, spaventata.

Beh, in effetti Merida era davvero un’estranea per sua madre.

La Merida che lei conosceva non era quella vera.

-Non ho intenzione di sposarmi con qualcuno che non conosco!- esordì con convinzione, guardando la madre dritta negli occhi con sfida che non aveva mai mostrato prima.

Elinor, stranamente, si riscosse dalla sorpresa abbastanza presto, di certo prima di Fergus, che guardava la figlia a bocca aperta e occhi sgranati.

-Merida, una principessa deve adempiere ai suoi doveri- le disse con voce ferma, alzandosi a sua volta per guardarla dall’alto.

-Io non ho mai chiesto di essere una principessa! Non ho intenzione di farlo! E tu non puoi obbligarmi!!- detto questo Merida spinse indietro la sedia, che cadde a terra, e corse via dalla sala da pranzo, dirigendosi in camera propria.

Elinor si prese il volto tra le mani, sospirando.

-Dovevo aspettarmelo- disse solo, poi lentamente e con eleganza la seguì.

***

Per la prima volta in tutta la sua vita, in un giorno di scuola Marlene si sveglia senza che sua madre la venga a chiamare, e questo destabilizza parecchio la donna, che quando la vede già pronta che scivola dal corrimano delle scale diretta in auto, rimane a bocca aperta e quasi non pensa a quanto si è vestita inappropriatamente.

Quasi.

-Marlene, ti sembra questo il modo di vestirsi per andare a scuola?! Oggi che hai un po’ di tempo, vatti subito a cambiare- le ordina, indicando le scale.

-Non posso, mamma, oggi vado a piedi. Io, Harry e Ro… Fred, ci incontriamo prima al Vampire’s per discutere di una cosa importante-  e senza neanche un “Ciao” o un “ci vediamo dopo” Marlene esce dalla porta e corre verso il Vampire’s café, passando per il parco e stradine poco conosciute che la fanno arrivare nel giro di dieci minuti.

Si ferma un attimo per riprendere fiato, poi apre lo zaino, dal quale esce un infastidito Spelato, che la guarda storto, soffiando leggermente.

-Senti, coso, scusa se ti ho sbatacchiato di qua e di là, ma ero parecchio in ritardo- evidentemente a Spelato non piace sentirsi chiamare coso, o semplicemente non gli piace il tono di Marlene, perché le volta le spalle.

La ragazza alza gli occhi al cielo, e si appoggia contro il muro, rimettendosi lo zaino su una sola spalla.

-A quanto pare non sono l’unica in ritardo qui- prende il telefono e guarda i messaggi, ma non c’è niente di nuovo, così rivede il messaggio che Roxanne gli ha mandato la sera prima.

“SOS Mia madre architetta qualcosa. Dobbiamo vederci tutti al Vampire’s alle 8. Credo sia qualcosa di serio”

Il suo cellulare indica che sono le otto e cinque, ma non sembra esserci proprio nessuno all’orizzonte.

Quando sta per chiamare Harry, una mano la afferra e la trascina nel retro del café.

Marlene prova a ribellarsi, ma subito capisce che non c’è nulla di cui preoccuparsi, perché la proprietaria della mano non è altri che Roxanne.

-Roxy, ma che diavolo…?- appena guarda l’amica, per poco non scoppia a ridere.

-Che… che ti sei messa addosso?- le chiede, trattenendosi a stento.

Roxanne indossa dei grandi occhiali scuri, un cappello fatto di rami, e vestiti mimetici che a giudicare dalla taglia sono senz’altro di una persona più grande, probabilmente un uomo.

Si guarda intorno circospetta, e Marlene nota che ha anche il volto dipinto di verde e marrone.

La sua ilarità non può che salire.

-Mi mimetizzo, cosa credi! Ho finto di non stare bene così mia madre non mi ha fatto venire a scuola e ha lasciato Norris a farmi da babysitter. Io gli ho ordinato di non entrare in camera mia perché vorrò dormire tutto il giorno, e lui ha paura che se entra io mi lamenterò con mamma, quindi non entrerà. Comunque mamma è dentro, e io non posso permettermi di essere riconosciuta- le spiegò velocemente e a voce bassa.

-Ehm, lo sai che siamo in città e non nella foresta? Attiri parecchio l’attenzione vestita così. E chi ti ha prestato i vestiti, se posso chiedere?- chiede ridacchiando indicando i capi giganteschi.

-Nick. Ho chiesto a Tessa se poteva prestarmi qualcosa e dato che lei non aveva niente ha chiesto a Nick- spiega sbrigativa Roxanne, avviandosi in cucina lentamente.

Marlene la segue, confusa.

-Ma lei e Nick non si odiavano?- chiede con le sopracciglia aggrottate.

Per tutta risposta non appena entrano in cucina vede Tessa intenta a girare una crema mentre ridacchia a una battuta del musicista jazz da quattro soldi, che la guarda sorridente, e poi si gira per controllare le nuove venute.

-Hey, Anna. Ti stanno bene quei vestiti- la saluta, con un occhiolino.

Tessa osserva le ragazze lasciando perdere il sorriso.

-Hey, qui dovrebbero vigere delle norme igieniche. Merida non potrebbe entrare e, Anna, perché ti sei messa un albero in testa?- chiede confusa.

-Beh, senti chi parla- Roxanne indica Nick, e Tessa arrossisce.

-Era solo… due minuti… ahh, touché! Ma non fatevi beccare dal signor Davis. Potrebbe tornare dal bed and breakfast a momenti- le mette in guardia, indicando la porta che da sul bed and breakfast annesso al Vampire’s café.

-Tranquilla, ho una spalla che terrà occupato il signor Davis- la rassicura Roxanne e prende Merida per un braccio per portarla alla porta con finestrella per osservare i clienti.

-Chi è la spalla?- chiede Marlene, anche se ha già in mente di chi potrebbe trattarsi.

-Ma Harry, ovviamente. Sta cercando di convincerlo a farlo stare lì per un po’. Dopo quello che ha fatto suo padre non posso biasimarlo. Potessi farlo anche io- Marlene non ha mai visto l’amica così determinata e arrabbiata. Sua madre deve avere intenzione di fare qualcosa di davvero terribile.

-Eccola, è lì. Ora tu recuperi Fred, entrate al Vampire’s e vi mettete vicino a loro in modo da sentire quello che dicono, io mi metto nascosta in modo da vedere quando escono e provare a seguirli con l’auto. Poi Harry va a scuola, mentre tu e Fred mi aiutate a vedere cosa complotta e se ci dividiamo ci teniamo in contatto con i nostri cellulari. Potremmo chiamarla… operazione… magari il nome lo scegliamo dopo- è molto fomentata, e Marlene inizia ad essere leggermente preoccupata per lei.

-Ehm… Roxy, non che mi dispiaccia saltare la scuola, per l’amor di Dio, ma non credi di stare esagerando?- chiede distogliendola dalla sua visione della madre e trascinandola verso l’uscita.

-No, non sta esagerando- appena escono si ritrova davanti un Harry nello stesso stato d’animo di Roxanne, che tiene in braccio Spelato e lo accarezza affettuosamente.

-Hey, non dovevi distrarre il signor Davis?- chiede Marlene, confusa.

-Roxanne, missione annullata. Ho scoperto cosa vogliono fare mio padre e tua madre- Harry la ignora e si rivolge a Roxanne in tono grave.

-E’ quello che pensavamo?- chiede Roxanne preoccupata.

-Ehm, mi volete spiegare?- prova a intromettersi Marlene.

-Peggio, molto peggio. Dobbiamo subito andare ad avvertire Vera, al diavolo la scuola!- Harry continua a ignorarla e risponde a Roxanne.

Marlene si arrabbierebbe, ma è troppo occupata a restare a bocca aperta per il fatto che Harry ha intenzione di saltare la scuola per il secondo giorno di fila. E dato che la prima volta è stata per la quasi morte del gatto che tiene in braccio, questa seconda emergenza deve essere davvero grave.

La determinazione nello sguardo di Harry, inoltre, lo rende parecchio… figo?

Un momento, l’ha davvero pensato?!

-Che l’ “operazione salva-randagi” abbia inizio!- esclama Roxanne, alzando un pugno.

***

Come se un discorsetto sentito potesse rendere quieta Merida!

Sua madre era appena uscita dalla sua camera dopo aver raccontato sempre le stesse stupide storie di antichi regni e egoismo, probabilmente per farla sentire in colpa, ma Merida aveva comunque intenzione di scappare.

Sua madre ormai sapeva che era meno quieta di quanto lei credesse, ma ancora non sospettava che fosse la cacciatrice e che avesse assi nella manica, quindi non doveva essere un problema scappare via ed evitare quel matrimonio.

Inoltre Angus era il cavallo più veloce del mondo, e non era una cosa detta così per dire, ma un vero e proprio dato di fatto. 

Merida non sapeva perché, ma Angus raggiungeva velocità davvero incredibili, e una volta era andato così veloce che era riuscito a superare un lago. Era stata davvero una bella esperienza.

Prese il mantello, mise un comodo abito che usava come cacciatrice e si accinse ad uscire dal castello, senonché i tre gemelli la bloccarono sull’uscio.

-Ragazzi, lasciatemi passare- ordinò loro, con il tono più minaccioso che riuscì ad ottenere.

Loro scossero la testa, leggermente timorosi ma fermi sulle proprie idee.

-Perché vuoi scappare?- chiese Hamish, triste.

Merida osservò i suoi fratelli. e fosse scappata probabilmente non li avrebbe più rivisti.

-Io non posso sposare una persona che non amo. In realtà io non posso sposare nessuno- provò a spiegarsi, sperando che capissero.

Voleva loro molto bene, ma non poteva diventare la schiava di un principe e perdere definitivamente la sua libertà.

-Non vuoi sposare nessuno- precisò Hamish.

-E’ la stessa cosa- Merida alzò gli occhi al cielo.

-Chi ti dice che devi sposarlo?- chiese Hubert.

Merida sospirò. Spiegare a tre bambini di cinque anni tutta la faccenda dei giochi era davvero l’ultima cosa che le andava di fare, ma Hamish non gliene lasciò il tempo.

-Devi sposare il vincitore dei giochi, giochi ai quali possono partecipare i primogeniti di ogni famiglia reale- i tre fratelli la guardarono complici, e Merida arrivò al loro ragionamento con un botto.

Li guardò e li stritolò in un abbraccio.

-Siete tre piccole canaglie! Vi adoro!- e detto questo i tre se la svignarono, e Merida decise di fare qualche bell’esercizio prima di andare a dormire.

I suoi pretendenti sarebbero arrivati tra una settimana, e lei avrebbe fatto di tutto per essere dieci volte più preparata di loro. Non per niente era la migliore combattente di tutto il regno, e probabilmente anche di tutti i quattro regni vicini.

Qualsiasi fosse stata la gara, sarebbe stata lei a vincerla, e a conquistarsi la sua mano.

Inoltre era convinta che Astrid sarebbe stata ben felice di fare la cacciatrice per una giornata.

 

Il giorno dell’arrivo, Merida si chiese perché avesse sprecato tutte quelle ore ad allenarsi.

I lord sfilarono insieme alla loro scorta di gente e ai propri figli fino ai troni in fondo alla sala, e persino Elinor si chiese se quella fosse stata una buona idea.

Infatti i pretendenti sembravano tutto fuorché principi possenti e possibili protettori di un regno.

Merida lanciò un’occhiata a sua madre, che li guardava incerta.

Le venne da ridere.

Una volta che tutti si furono sistemati, Elinor fece cenno al marito di parlare.

Fergus si schiarì la voce, in un disperato tentativo di prendere tempo, poi allargò le braccia come ad accogliere tutti in un abbraccio stritola ossa, iniziando a farfugliare un discorso che Elinor gli aveva preparato e fatto imparare.

Merida lo guardava leggermente divertita.

Suo padre, nonostante fosse un re, era una schiappa incredibile nella parte burocratica del suo lavoro. Il suo carisma e i suoi discorsi lasciavano sempre a desiderare, anche se era uno spadaccino incredibile.

Sua madre, nell’altro lato, era tutto meno che una combattente, e si occupava delle faccende politiche.

Si completavano completamente l’un l’altra, e anche se Merida sapeva che erano insieme solo per via di un matrimonio combinato, le piaceva credere che si amassero, anche se lei per prima non era una grande fan dell’amore, né dei matrimoni combinati.

Ma pensare che i suoi genitori non si amassero era una cosa orribile.

Probabilmente non voleva sposarsi con un estraneo anche perché non voleva che i suoi eventuali futuri figli (le veniva la pelle d’oca anche solo all’idea di avere dei figli) crescessero con due genitori che non si amassero, perché lei era convinta che qualsiasi uomo fosse stata costretta a sposare sarebbe stato il secondo della lista delle persone a lei più odiate.

Al primo posto ci sarebbe stata sua madre, ovviamente.

Fergus farfugliò per circa un minuto, prima che, con sguardo intenerito e con un’alzata di occhi, Elinor non lo fermasse e continuasse per lui.

-Allora, grandi clan dell’est, siamo qui riuniti per la presentazione dei pretendenti  alla mano della principessa di Dumbroch. Come ben sapete al termine dei giochi l’alleanza che formeremo servirà ad affrontare una minaccia che incombe sui cinque regni da più di un secolo, e che insieme potremo sconfiggere una volta per tutte- i lord non prestarono molto attenzione alla sue parole, e si limitarono a fissare Merida, come a chiedersi se fosse davvero una principessa degna dei loro figli.

Merida si infuriò parecchio.

Non solo le toglievano la libertà, ma la guardavano anche male. Sapeva di non essere bella come le principesse degli altri regni ma non si dovevano permettere di guardarla così.

Avrebbe voluto prendere il suo arco e lanciare un paio di frecce vicino alle facce dei suoi possibili futuri suoceri.

Ma si consolò pensando che molto probabilmente avrebbero avuto un’amare sorpresa, quindi rimase ferma e composta.

-Allora, sarei onorata se i clan presentassero i pretendenti. Ricordo che solo i primogeniti potranno partecipare, in una sfida che sarà scelta dalla principessa- queste parole colpirono Merida.

Avrebbe potuto scegliere lei il campo di battaglia? Non riuscì a trattenere l’euforia, e non badò minimamente ai pretendenti che le venivano presentati davanti. 

Si impose solo un aggettivo ciascuno per riconoscerli tra loro: Il grasso, il basso e il sottile.

Non sarebbe stato certo un problema batterli nel tiro con l’arco.

***

A quanto pare il piano malvagio di Norma Goth consiste nel chiudere l’ufficio della veterinaria, e fin qui non è poi un piano così malvagio, ma Harry ha scoperto dal signor Davis che l’ha scoperto da sua figlia Mary Katherine, che l’ha sentito da Norma Goth e Steve Hill in persona, che hanno intenzione di sopprimere tutti gli animali del centro di adozione annesso all’ambulatorio.

-Vera! Apra per favore! E’ importante!- Harry batte con forza alla porta dell’ambulatorio chiuso.

Sono riusciti a recuperare Fred e a spiegargli tutta la faccenda, e ora si sono divisi in modo che Marlene e Harry avvertano la veterinaria mentre Fred e Roxanne terranno d’occhio le mosse del poliziotto e del sindaco.

Inizialmente Roxanne si è proposta di aiutare Harry, ma lui ha insistito per avere Marlene al suo fianco, e la ragazza non capisce il perché, e non sa se essere onorata o imbarazzata.

Di certo è confusa, ma cerca di non darlo a vedere e di dare il suo contributo al massimo delle sue possibilità.

Una voce dietro di loro la riscuote dai suoi pensieri.

-Harry, che ci fai qui? Non dovresti essere a scuola?- chiede la veterinaria guardandolo confusa e sospettosa.

-Non c’è tempo per la scuola, signora Fields. Dobbiamo spostare tutti gli animali e portarli in un luogo sicuro, in fretta- Harry è preoccupatissimo, e incoraggia la veterinaria ad aprire velocemente la porta dell’ambulatorio.

-Non capisco, cosa sta succedendo. E chi è la tua amica?- chiede la dottoressa, indicando Marlene, che si presenta, cercando di apparire educata, ma… fallendo abbastanza.

-Marlene Donner, può spicciarsi, prima che i suoi animali vengano uccisi e usati per imbottire cuscini?!- dopotutto c’è anche Aaron lì dentro, non può rischiare di perdere tempo.

-Come, prego?!- chiede Vera, guardando Harry in cerca di spiegazioni.

-Mio padre ha parlato con il sindaco e l’ha convinta a chiudere il centro di adozione e sopprimere tutti gli animali- spiega velocemente il ragazzo.

La veterinaria impallidisce, poi si affretta ad aprire la porta e si precipita all’interno del rifugio per gli animali, come per controllare se sono ancora tutti lì, e nel frattempo parlando con Harry, che le spiega gli ultimi avvenimenti.

Merida li segue, guardandosi intorno, e iniziando a sospettare che l’interesse di Harry nel farla venire con se fosse più che altro per farle rivedere Aaron ed essere sicura che stesse bene, dato che Harry, non conoscendo il cane, non avrebbe potuto controllare per lei.

Se è così, Harry si sta rivelando una persona ancora più sensibile di quanto già Marlene sospettasse.

-…e così il nostro piano era quello di spostare tutti gli animali in un rifugio sicuro. Marlene, puoi chiamare tuo padre per farlo venire con il furgone?- dopo aver spiegato tutta la questione alla veterinaria, Harry si rivolge all’amica, che annuisce e compone il numero del padre, mentre la veterinaria apre il rifugio per gli animali.

-Oh, Harry, non so quanto questo sia possibile. Come vedi…- apre la porta, rivelando una stanza gigantesca, piena zeppa di parecchi animali di varie razze e dimensioni chiuse in gabbie messe una sopra l’altra, a formare grossi corridoi stipati -… ci sono parecchi animali qui. Non so quanto in fretta riusciremo a salvarli- sembra parecchio abbattuta, ma Harry non si da per vinto, ed entra, seguito da un tentennante Spelato.

-Allora chiamerò Anna e le dirò di distrarre il sindaco…- nessuno deve conoscere il nome vero di Roxanne, neanche la veterinaria -… e andremo nelle case cercando di far adottare gli animali dagli abitanti, mettendo nel rifugio solo quelli che avanzano- MArlene è così stupita dal comportamento deciso del moro, che quando suo padre le risponde al telefono, ci vuole un po’, prima che si renda conto che le sta parlando.

-…Eh? Oh! Si papà, sono io, Marlene. Ti volevo chiedere se potevi passare dalla veterinaria con il furgone- si fidava di suo padre. Forse non era la persona più affidabile della città, ma era sempre dalla sua parte, e la incoraggiava ad essere se stessa e a seguire i suoi ideali.

-Cosa? Marlene, ma non devi essere a scuola? Tua madre si arrabbierà parecchio- le risponde lui dall’altra parte della cornetta.

-Ti prego, papà, è importante. Il sindaco ne sta facendo una delle sue, e se non mi aiuti tutti gli animali verranno soppressi- gli spiegò in fretta lei, con una nota di panico nella voce.

-Steve ne ha fatta una delle sue?- chiede rassegnato Frank Donner, Marlene non gli risponde, così lui sospira.

-Uff, d’accordo, porterò il furgone, ma non lo guiderò io. Non mi piace mettermi contro Steve. Però se vuoi metto una buona parola con tua madre per Aaron- Marlene rimane stupita dalla proposta del padre.

Si aspettava che lui portasse il furgone e basta, non che la incoraggiasse a riprendere il cane.

Sorride leggermente commossa, e risponde sollevata

-Grazie papà. Ti aspetto presto- 

-Arrivo tra cinque minuti- la rassicura lui.

Quando interrompe la conversazione scopre che anche Harry ha chiamato Roxanne e che lei e Fred distrarranno il poliziotto e il sindaco, e che probabilmente hanno guadagnato un’oretta.

-Ci servirebbero più persone se vogliamo sperare di caricare tutti gli animali in così poco tempo- osserva Marlene, pensierosa, ma Harry la rassicura subito.

-Ho trovato almeno due persone- si guarda intorno per assicurarsi che Vera sia lontana, e una volta appurato che sta iniziando a prendere le scatole in altro, specifica -Roxanne ha chiesto aiuto a Tessa, e lei ha rimediato Nick, che è riuscito a convincere Samson Sullivan, che porterà un secondo furgone. Ha poi promesso a Roxanne che farà girare la voce alla tavola calda, quindi forse riusciremo a rimediare qualcun altro. Dovrebbero arrivare tutti tra qualche minuto. Per fortuna non siamo molto distanti dal Vampire’s Café, in macchina- la rassicura, poi si avvia ad aiutare la veterinaria.

-Sei sicuro che non sarà un problema per quel tipo tenere tutti gli animali?- chiede Marlene un tantino pessimista.

-Fred dice che è parecchio disponibile- Harry alza le spalle, deciso a non farsi abbattere.

-E tu ti fidi di Fred?- chiede lei, aggrottando un sopracciglio.

-Intanto pensiamo a salvarli. Prima o poi troveremo una soluzione, e poi devi pensare a trovare Aaron, ci vorrà un po’- la incoraggia a seguirlo, indicando la sezione cani, e Marlene si decide a fargli la domanda che la tormenta da un po’.

-Mi hai chiesto di venire per questo, vero?- 

Lui la guarda e le sorride, leggermente imbarazzato

-Beh… volevo sdebitarmi, in qualche modo, e non conoscendo di persona il cane ho pensato…- Marlene lo interrompe.

-Grazie, ma non dovevi sdebitarti, per me è un piacere prendermi cura di Spelato. Comunque… è stato davvero un bel pensiero- arrossisce leggermente, ma quel momento viene interrotto dalla veterinaria, che stranamente infastidita, li richiama all’ordine.

-Scusate, ragazzi, ma ho bisogno di aiuto. Potreste rimandare?-

-Cosa? Si, arrivo subito!- Harry si precipita ad aiutarla, seguito da Spelato, e Marlene si avvia nel reparto cani.

Il lavoro procede a rilento, almeno finché non arriva la cavalleria, composta dai già previsti Nick e Samson, e da un gradito Christopher Boggs, che sia Harry che Marlene non hanno mai visto in vita loro, ma che Vera saluta come un vecchio amico.

-Oh, Christopher, come va? Vedo che Scooter sta ancora bene nonostante l’età. Ne sono felice- 

Il lavoro quindi si velocizza, nonostante Frank non rimanga ad aiutare, e dopo un quarto d’ora di spostamenti, finalmente Marlene ritrova il cane.

-Aaron!- lui abbaia forte quando la vede, e senza pensarci due volte lei lo libera, e lo abbraccia stretto.

-Chi è il mio bel cagnolino?- gli chiede, inondandolo di coccole.

Gli altri sono talmente impegnati che non sembrano accorgersi della distrazione della ragazza, ad eccezione di Harry, che osserva per un po’ la scena, con un sorriso sulle labbra, per poi lasciare ai due un po’ di privacy.

Gli piace vedere Marlene essere così affettuosa.

Dopo un po’ di coccole, Marlene decide di continuare il lavoro, dato che non hanno molto tempo prima che il sindaco e il poliziotto li raggiungano.

Anche se conosce Fred, e sa per certo che qualunque sia il suo piano, riuscirà a tenere a bada i due per molto più di un’ora.

Quando ci si mette, quel ragazzo è un genio del male.

***

Batterli non era stato un problema, e neanche scappare fregandosene di tutti era stato un problema.

Poi la missione delle mele d’oro per quella strega antipatica era stato un giochetto da ragazzi, anche se la compagnia non era stata delle migliori.

Il problema fu constatare che la pozione che aveva guadagnato con tanta (si fa per dire) fatica si rivelò essere una vera fregatura, e che sua madre si era trasformata in un orso.

-Perché un orso?!- continuava a chiedersi Merida, mentre con sua madre cercava il covo della strega, per spezzare il sortilegio.

Sua madre, in versione orso, si limitava a guardarla in cagnesco, anzi, in orsersco, offesa per quello che la figlia le aveva fatto.

-E non guardarmi così, non le ho chiesto di trasformarti in un orso, volevo solo farti cambiare idea, e possibilmente personalità- Elinorso sbuffò, sollevando i capelli di Merida, che le andarono tutti davanti agli occhi.

La cosa che turbava di più Elinor non era tanto essere diventata orso, ma quello che sua figlia, la sua perfetta e principesca figlia, aveva fatto solo per impedire di sposarsi.

Non che lei stessa fossa stata poi da meno, quando si era trattato del suo matrimonio, ma le faceva male sapere di non conoscere minimamente sua figlia.

Se lei si fosse confidata, probabilmente avrebbero trovato una soluzione, e invece aveva dovuto scoprire nel modo peggiore che lei era la cacciatrice.

Per poco non le era venuto un infarto per la sorpresa.

Anche se avrebbe dovuto aspettarselo, dopotutto il mantello usato da sua figlia era senza ombra di dubbio il suo, quello che usava quando era giovane.

-Eccola, è lì! Adesso le faccio un…- iniziò a dire Merida, Elinor le ringhiò contro il suo disappunto, e Merida alzò gli occhi al cielo, e si corresse. -…a lavata di testa che se la ricorderà per tutta la vita-  

“Una principessa non si esprime in questo modo” avrebbe dovuto dirle, ma purtroppo era un orso a tutti gli effetti, e non poteva parlare.

Quella strega era proprio una farabutta, se proprio doveva trasformarla, non avrebbe potuto trasformarla in un animale parlante? Certo, era un mostro, e lei odiava abbastanza i mostri, ma almeno avrebbe potuto strigliare sua figlia come si deve.

Ma quando sarebbe tornata umana avrebbe visto i sorci verdi, ne poteva star certa.

Inoltre avrebbe distrutto tutte le sue armi e il mantello, e sua figlia non avrebbe mai più visto la luce del sole, se non in stretta sorveglianza. Inoltre avrebbe sposato Dingwall, la minaccia di guerra sarebbe cessata e tutto si sarebbe risolto per il meglio.

Però, mentre osservava la figlia bussare pesantemente alla porta, lanciando epiteti contro la strega e tentando di sfondarla a spallate, non riuscì a fare a meno di pensare che la Merida che aveva davanti agli occhi, benché assolutamente poco principesa, rude e sfacciata, era dieci volte migliore della Merida che per anni era stata la sua figlia perfetta, perché era reale, era sua figlia, ed Elinor, nonostante tutto l’amava quanto prima, se non di più.

Oltre al fatto che si riconosceva tantissimo in lei.

Chissà, forse non era il caso di punirla con un matrimonio, magari poteva far scegliere a lei il compagno con cui passare il resto della sua vita.

Poi però una vecchia minaccia le tornò alla mente, e scosse la testa.

Non poteva permettere che il cuore di Merida venisse spezzato così, e l’unico modo per salvarla era fermarla.

Ma non era quello il momento di pensarci, c’erano cose ben più gravi a cui pensare.

-Ah… era aperta- Merida aprì la porta e subito notò un calderone con un denso fumo verde, che componevano la faccia della strega, che guardava Merida con sufficenza.

“Eris?” pensò sconvolta Elinor. Sembrava proprio la potente strega che aveva restituito il libro della pace parecchi anni prima, ma era invecchiata… parecchio anche.

-Strega!- Merida la indicò, accusatrice.

-Sei tornata, vedo. Immaginavo che non ti sarebbe andata a genio la pozione, ma vedi, tua madre se lo merita, e così ora può vivere insieme alla persona che ha ferito più al mondo… se questi non la faccia a pezzi prima- Eliorso impallidì (per quanto un orso possa impallidire) e indietreggiò, guaendo piano.

-Di cosa accidenti stai parlando?! Guarda che non mi freghi con i tuoi giochetti. Dimmi come faccio a farla tornare normale o sappi che non mi fermerò finché non ti avrò trovata e distrutta. Guarda che avevamo un accordo!- la minacciò Merida.

Elinor dovette ammettere che una figlioletta perfetta non avrebbe mai minacciato una strega così potente per lei.

-Un accordo che ho rispettato. Perché ci tieni tanto a riavere tua madre? Sbaglio o proprio tu hai detto che ti sta rovinando la vita, togliendoti la tua libertà. Non è più semplice lasciarla vagare nei boschi e scappare come volevi fare dal principio? Dopotutto a te che importa del regno?- Merida abbassò la testa, per un attimo sembrò davvero tentata di accettare l’offerta, ma poi rialzò lo sguardo, mostrando la sua indole combattiva.

-Io sono Merida, primogenita discendente del regno di Dumbroch, e forse non sarò la principessa più elegante del mondo, ma mi sono battuta ogni giorno contro questa schifosa guerra per le persone che amo. E Hamish, Hubert e Harris hanno bisogno di una madre, così come mio padre ha bisogno di sua moglie. E’ vero, non me ne frega niente del regno, ma nessuno deve osare fare del male a mio padre e ai miei fratelli! Quindi dimmi come fermare la maledizione, e forse, dico forse, non triturerò le tue ossa per farci il pane come fanno i giganti- la nube con il volto della strega sembrò sorpreso.

-Ah, beh, se la metti così… - e rivelò le informazioni che Merida voleva tanto sapere.

 

Dopo essersi accampate per la notte e aver fatto una bella colazione il mattino dopo, divertendosi un mondo a pescare nel lago, era arrivato il momento dell’evento che avrebbe rovinato tutto.

In effetti non fu molto inaspettato, dato che Merida lo sentiva che un momento così perfetto con sua madre sarebbe stato rovinato in qualche modo, quindi quando il gigantesco orso che terrorizzava Dumbroch da tempo immemore le attaccò, fu abbastanza svelta a prendere l’arco e provare ad attaccarlo.

Stranamente, però, l’orso non voleva lei, bensì sua madre, o almeno era quello che Merida constatò non appena vide che il mostro la inseguiva per tutta la foresta, mentre lei cercava invano di scappare, facendo cenno alla figlia di allontanarsi.

Merida però era testarda, e non avrebbe mai lasciato la madre in balia di quel terribile mostro (non nel senso razziale del termine, ma più che altro in quello razzista) 

Prese l’arco, e corse nella loro direzione.

La madre sembrava urlargli qualcosa in orsese, ma se Mor’du la capiva di certo non la stava ascoltando, perché non smise neanche un attimo di inseguirla, anche se le ringhiò contro tutta la sua furia.

Per quanto riguardava Elinor, era terrorizzata, più per la figlia che per e stessa, e sperava vivamente che l’orso che un tempo era suo amico non scoprisse quanto era importante Merida per lei.

Perché Mor’du non era sempre stato un orso crudele. Un tempo era simpatico, gentile e imbranato, ed Elinor gli era parecchio affezionata.

Poi c’era stato un grande tradimento, e lui aveva subito sospettato di lei, cosicché era stata costretta a scappare e da quel giorno lui le dava la caccia, sperando di ucciderla con le sue nuove capacità di orso con la forza di dieci uomini.

Una freccia si conficcò nel collo dell’animale, che rallentò leggermente, e girò la testa verso la ragazza che correva da un albero all’altro lanciandogli frecce contro, che andavano sempre a segno.

Quando una gli si conficcò nella zampa inciampò, ed Elinor ne approfittò per fare cenno alla figlia di salirle in groppa per scappare al castello, dove avrebbero preso l’arazzo e ricucito lo strappo di cui aveva parlato la strega.

-Mamma, che diavolo voleva da te Mor’du?!- chiese Merida con parecchia enfasi alla madre, mentre seminavano l’inseguitore che nel frattempo cercava di raggiungerle con pochi risultati, ancora bersagliato dalle potenti frecce della rossa.

“Non è il tempo di parlarle” disse Elinor, ma gli uscì solo un ringhio.

-Quando sarai tornata umana voglio sapere tutto!- 

“Se ci torno, umana” pensò Elinor. Perché in veste di orso ogni luogo per lei era una minaccia.

***

-Salve, lavoriamo nell’ufficio della veterinaria. Ha mai pensato che la sua vita sia triste e monotona senza un amichetto peloso che le faccia compagnia?- chiede Marlene, come in una televendita, all’ennesimo uomo che apre la porta di casa sua.

-No- risponde il sopracitato.

-Allora deve iniziare a pensarci, perché un amichetto peloso è proprio quello che fa per te, glielo garantisco. C’è una vasta gamma di animali tra cui scegliere: Cani, gatti, conigli, criceti, furetti…- insiste Marlene, ma l’uomo alla porta non sembra affatto interessato.

-Sono un maniaco del pulito, non mi piacciono gli animali in casa, sopratutto quelli pelosi- obietta, e fa per chiudere la porta, quando Marlene lo blocca.

-Allora che ne dice di adottare un volatile, anche di questi abbiamo una vasta scelta: pappagalli, canarini, altri tipi di uccelli di cui non so il nome… oppure un pesce, che ne dice? Non sporcano in casa e offrono compagnia- la ragazza non vuole darsi per vinta.

-No, grazie, non siamo intere…- ma una donna è di tutt’altro avviso, e blocca il marito prima che possa chiudere la porta.

-Aspetta, hai detto pappagalli? Carl, possiamo prenderne uno? Adoro tutti quei colori- supplica il marito, e guarda Marlene come a chiederle di aspettare un attimo.

-Ma Ellie…- prova a farla desistere il marito, ma si vede che sta già cedendo.

-Sono gratis, giusto?- chiede Ellie a Merida.

-Certo! Se non riusciamo a farli adottare potrebbero essere soppressi per ordine del sindaco- confessa Marlene, Ellie si porta una mano alla bocca.

-Carl, dobbiamo assolutamente adottarne almeno uno- è quasi un ordine, ed il marito cede, a malincuore.

-Ok, ma solo uno- 

Marlene sorride soddisfatta, e passa il catalogo degli uccelli a Ellie.

Grazie al cielo Harry lavora in biblioteca, così non è stato difficile fare tante fotocopie e creare diversi cataloghi di animali.

Lei sta nella zona sud della città, con determinati esemplari; Harry nella zona est, con altri; mentre Fred è nella zona Nord e Vera in quella ovest.

-Oh, guarda quanti esemplari meravigliosi. Non pensavo ce ne fossero così tanti nel rifugio- commenta Ellie.

-Con me ho solo gli esemplari dalla pagina 1 alla pagina 6, ma posso chiamare un mio collega per portarne un altro se è quello che vuole- spera vivamente di no, ma l’importante è trovare una casa agli animali.

Con lei c’è Samson Sullivan e il suo furgone, che l’aspetta in strada.

-Oh, non serve. Adoro questo, com’è che si chiama? Kevin- e indica un bellissimo pappagallo multicolore.

-Ottima scelta- commenta Marlene -Però devo avvertirla, Kevin è una femmina e non possiamo separarla dai suoi cuccioli. Spero che lei possa capire. Se vuole può cambiare idea o…- Ellie non le da il tempo di finire la frase.

-A noi va più che bene! Vero Carl?- il marito sospira, ma annuisce.

-E poi posso dare solo un’occhiata ai cani? Ne ho sempre voluto uno- 

-Ma Ellie…- prova a lamentarsi Carl.

-Solo un’occhiata, solo un’occhiata- lo rassicura lei, e Marlene le porge il catalogo dei cani

-Ho solo quelli da pagina uno a pagina sei, comunque mentre lei guarda io posso andare a prendere il suo nuovo meraviglioso animale- propone, certa che alla fine prenderà anche il cane, ma decisa a darle parecchio tempo per decidersi.

 

Alla fine ha preso anche il cane, e in generale sono stati in molti ad adottare nuovi animali, tanto che sono rimasti in pochi nel rifugio di fortuna organizzato a casa di Buddy Green con grande fastidio dell’agricoltore.

Marlene ha deciso di riprendere Aaron, mentre Harry non ha preso nessuno dato che Spelato sembrava parecchio geloso, e Fred ha optato per un piccolo colibrì che può essere facilmente nascosto dalla signora Charme e non necessita di incessanti cure.

Persino Roxanne ha deciso di prendere un animale per ribellarsi completamente alla madre, e la sua scelta è ricaduta su un minuscolo camaleonte, che ha chiamato Pablo.

Ora Marlene deve affrontare solo l’ultimo ostacolo della giornata, poi potrà finalmente andare a dormire senza problemi.

Ha chiesto gentilmente a Spelato di raggiungere la finestra di camera sua così lei potrà aprirgli da lì e non rischierà che sua madre lo veda, e ora si prepara ad entrare in casa con Aaron appresso, che, felice come una pasqua, scodinzola come un matto sbavando da tutte le parti.

-Mamma, sono a casa- annuncia la sua presenza urlando dal portone, che chiude alle sua spalle.

Subito sua madre si precipita da lei, come una furia, decisa più che mai a punirla per bene per aver saltato la scuola.

-Eleanor- dietro di lei Frank sembra parecchio preoccupato, e cerca di calmarla.

-Marlene Donner! Tu non hai idea di quanto tu sia in punizione! Non uscirai mai più di casa fino al compimento dei ventitré anni di età, e se oserai un’altra volta fare una cosa così illegale, sta pur certa che rimarrai chiusa in casa persino per studiare, e non vedrai più le cuffiette, il cellulare o il computer neanche a tredici chilometri di distanza…- a quel punto sembra accorgersi del cane, che si è messo seduto e la guarda con la lingua penzoloni, sempre scodinzolando come un pazzo.

-No!- Eleanor scuote la testa, indicando il cane -Non ci pensare nemmeno. Non esiste che tu lo tenga. Riportalo al ricovero. L’ultima cosa di cui la nostra famiglia ha bisogno è l’odio del sindaco- apre la porta, e fa cenno al cane di uscire.

Lui piega la testa, confuso.

-Sono io che dico “no”, mamma. Per una volta non ho colpe, quindi non permetterò che tu lo faccia uccidere- Marlene chiude di scatto la porta, e lei e sua madre hanno un faccia a faccia pieno di rancore.

-Non hai pensato che il sindaco avesse buoni motivi per chiudere quel centro? Molti di quegli animali hanno la rabbia e parecchie malattie infettive. E tu li hai portati nelle case di tutta Talecountry. Sono io che non t permetto di farti uccidere i tuoi fratelli- Eleanor apre nuovamente la porta, facendo cenno al cane di uscire.

-La veterinaria li ha visitati tutti, e stavano benissimo. Il sindaco vuole solo rovinare questa città più di quanto non lo sia già. Sai che non permetterei mai a nessuno di fare del male ai miei fratelli- su quest’ultimo punto Eleanor non poteva ribattere, ma sul resto aveva parecchie obiezioni da fare.

-La veterinaria è l’ultima persona di cui mi fiderei. Probabilmente ti ha mentito solo per salvare quelle bestie. Il sindaco dice che la sua licenza non era valida, quindi è naturale che volesse…- ma Marlene è stufa.

-DI ME TI FIDI?!- chiede interrompendola, e lasciandola senza sapere cosa dire.

Dopo una pausa di qualche minuto, in cui le due si guardano, Eleanor sente qualcosa scattare dentro di lei, e cede.

-Si- sospira -Mi fido di te- 

Il cane le si avvicina e le lecca una mano, affettuosamente.

Eleanor lo accarezza leggermente.

-Ma se vuoi tenerlo sarai tu a portarlo a spasso, a spazzolarlo, a dargli da mangiare e sopratutto comprargli da mangiare. Quindi è meglio se ti trovi un lavoro part-time. Comunque la cena sarà pronta tra cinque minuti, quindi ti voglio vedere a tavola. E trovagli una sistemazione in giardino- MArlene non riesce a credere di averla convinta.

Tutta l’ansia che aveva provato lascia il suo stomaco come tante bollicine, e abbraccia di slancio la madre.

-Troverò un lavoro part-time senza problemi, sta tranquilla, e grazie infinite- poi fa cenno ad Aaron di aspettarla mentre prende tutto il necessario per legarlo in giardino, ma ovviamente lui la segue su per le scale, e i tre gemelli, sentendo il trambusto, si precipitano fuori dalla camera e si mettono a subito in grembo ad Aaron, che divertendosi come un matto li porta in giro per tutta la casa.

Frank osserva la scena divertito, Eleanor preoccupata, al ché il marito le mette una mano sulla spalla, e le sussurra incoraggiante

-Hai fatto la cosa giusta- 

Lei sposta lo sguardo su di lui, guardandolo amorevolmente, poi lo abbraccia, e si lascia rassicurare dalla sua presa possente che è sempre il suo inamovibile appiglio.

Nonostante le liti, i problemi, i figli ribelli e i soldi che scarseggiano, loro tengono duro e restano uniti.

E’ un amore che neanche il sortilegio è riuscito a spezzare

***

-Miei lord, capisco che la situazione si sia rivelata parecchio problematica, ma ora che tutto è tornato alla normalità, mi pare sia ora di risolvere una volta per tutte il problema iniziale causato da mia figlia- Elinor era tornata umana, Mor’du era morto con grande costernazione della regina e tutto sembrava essere tornato come prima, ad eccezione del rapporto di Elinor e Merida, che era fiorito come non era mai riuscito a fare in tutti quegli anni.

Ma i problemi non erano finiti, e Merida si stava preparando a dire addio alla sua libertà, non senza una certa dose di fastidio. Ma aveva capito che non poteva discostarsi troppo dal suo ruolo se non voleva che le cosa andassero a finire come era accaduto a sua madre.

I lord guardavano la regina in attesa di una decisione, tenendo a portata di mano spade e asce nel caso non fosse andata come speravano.

-E la decisione che io e mio marito abbiamo preso…- cominciò calma, poi guardò la figlia con amore, e tornò a guardare i lord -… è di non far avvenire alcun matrimonio- concluse, con tono leggermente di sfida.

Si levò un mormorio di disapprovazione dalla folla, che non aveva la minima intenzione di accettare le condizioni di Elinor.

-Credo sia opportuno che i nostri figli scelgano la persona che li accompagnerà per tutta la vita. Perché, certo, una volta può andare bene…- guardò il marito, che le sorrise, felice di averla riavuta indietro -… ma la base di un buon regno sta in due buone persone che si amano e sono pronte a governarlo mano nella mano. Così, invece di preoccuparsi dei problemi di matrimonio, potranno pensare solo ai problemi dei sudditi e rendere il regno un posto migliore- il discorso non faceva una piega, ma i tre lord non sembravano molto entusiasti dell’idea.

Quando Macintosh stava per ribattere, il figlio si rivelò dalla parte di Elinor.

-Ha ragione. Lasciate che siamo noi a decidere chi sposare. Una bella principessa elegante, non questa inopportuna ribelle- Merida fu tentata di tirargli una freccia contro, ma si trattenne. Con lui avrebbe fatto i conti in privato.

-Hey, non offenderla. Non sarà l’idolo delle principesse, ma almeno non è così debole. Comunque sono d’accordo con la regina, non voglio sposarmi così giovane, anche se la principessa sembra simpatica- il giovane MacGuffin la difese, a modo suo, e Merida alzò gli occhi al cielo.

-Anche io sono d’accordo con la regina. La principessa mi mette troppo in soggezione, non mi va proprio di sposarla- anche il piccolo Dingwall si rivelò dalla sua parte, e i tre lord non potevano fare altro che acconsentire alle richieste dei tre figli.

Macintosh sospirò, e parlò a nome di tutti.

-Acconsentiamo di non far sposare i nostri figli con la principessa e a non muovere le armi contro Dumbroch…- iniziò.

“Anche perché vi batterei tutti con una sola freccia” pensò Merida, felicissima del traguardo ottenuto.

-… ma non offriremo il nostro aiuto nella guerra contro i mostri- concluse poi, con sguardo di sfida.

La regina sospirò, se lo doveva aspettare.

-Accetto le vostre condizioni, e vi ringrazio per la comprensione. Spero che i nostri regni possano essere in rapporti di fratellanza nonostante tutto- si augurò, poi fece un cenno di congedo ai lord con un inchino, che loro ricambiarono prima di uscire, seguiti dai figli e dalla scorta dell’esercito.

Non appena l’ultimo fu uscito, e le porte furono chiuse, Elinor si abbandonò sul trono, e tirò un sospiro di sollievo.

-Non mi aspettavo che avrebbe funzionato- ammise, portandosi una mano al petto, e guardando Fergus, che le diede un bacio sulla fronte prima di sedersi al suo fianco.

-I tuoi piani funzionano sempre, tesoro- la rassicurò

-Mamma, sei stata grande- Merida le si gettò tra le braccia, entusiasta che le nozze fossero saltate.

-Beh, non è il momento di esultare, siamo ancora nel bel mezzo di una guerra, e se non fermiamo il giovane Haddock rischiamo seriamente di perdere. Dobbiamo incaricare i cacciatori più esperti del regno di ritrovarlo, e…- Elinor iniziò a pensare ad alta voce, ma venne interrotta dalla figlia, che con naturalezza ed entusiasmo propose

-Ci vado io!- 

L’esclamazione venne accolta con un silenzio di tomba.

-Che c’è? Ormai non è un segreto per voi che io sono la cacciatrice, quindi se sono assente qualche giorno non vi cambia niente, no? Sapete dove sono. Ed è da quando quell’imbroglione mi ha fregato nell’arena che pianifico un modo di vendicarmi e catturarlo per il suo tradimento. Con Angus ci metterò un paio di giorni a trovarlo, poi ucciderò il drago, catturerò Hiccup e verrà rinchiuso in gattabuia per il resto della sua vita- era vero che aspettava il momento buono per fargliela pagare da quando lo aveva visto volare via in groppa a quel drago nero, anche se il suo astio nei confronti del ricercato non era tanto per il suo tradimento, quanto per averla battuta nell’arena, averla quasi uccisa durante un assalto e sopratutto per essere stato la causa principale del suo quasi matrimonio.

Fergus guardò la moglie, interessato all’idea.

Lei era oltremodo agghiacciata. 

Non poteva permettere che sua figlia e Hiccup Haddock avessero un faccia a faccia. Oltre ad essere oltremodo terrorizzata da quel ragazzo e dal suo drago, non poteva permettere che cercasse di corrompere sua figlia.

Ma d’altra parte impiegare troppi cacciatori per la cattura di Hiccup sarebbe stato controproducente nella guerra contro i mostri, e sua figlia aveva un cavallo molto veloce, quindi ci avrebbe messo meno tempo a trovarlo.

Cercò di trovare la forza per acconsentire, ma ci volle tutta la sua forza di volontà, e un respiro parecchio profondo.

-Va bene, ma fa attenzione- cedette, e non si sentì affatto bene.

-Tranquilla, mamma, ormai mi conosci. Sono un osso duro- e con un bacio sulla guancia la salutò e andò a prepararsi per partire.

Quello che Merida trovò mentre cercava il fuorilegge è davvero una bella storia, ma si dovrà raccontare in seguito.

***

Roxanne ha letto tutta la storia in un giorno, precisamente in un pomeriggio, mentre aspettava che Harry le scrivesse per dirle quanti animali erano stati salvati.

Lei non ha potuto fare molto, tranne improvvisarsi meccanica e distruggere l’auto di sua madre mentre lei e il poliziotto cercavano di acciuffare Fred dopo che lui aveva imbrattato il vetro di uova.

Era stato grande, anche se aveva dovuto scontare un’ora in prigione, prima di riuscire ad evadere portandosi con se Gabe Clark, il criminale più sfigato della storia dei criminali, che poi li aveva aiutati e aveva anche adottato un bruttissimo cane parecchio aggressivo.

Purtroppo Roxanne è dovuta tornare a casa prima, dato che il sindaco aveva chiamato Norris chiedendogli di controllarla.

Perciò è rimasta tutto il pomeriggio a letto a leggere, cercando di distrarsi, e ora, poco prima di cena, ha finito la storia di “Mamma Orsa” e le è piaciuta davvero tanto, anche se l’ha vissuta nell’ansia.

Per una volta la storia è finita bene, così come l’”operazione salva-randagi” 

Peccato che sua madre non ne sia felice.

-Roxanne!- la chiama da sotto le scale, lei si affretta a nascondere il libro, ma prima che possa rispondere urlando “arrivo madre” si ricorda che ufficialmente è ammalata, quindi non può urlare, e finge di dormire, mettendosi sotto le coperte.

Pochi minuti dopo sua madre entra in stanza e le si avvicina, nervosa.

-Roxanne- la smuove, cercando di mantenere un tono gentile.

-Mmmm… che c’è, madre?- chiede, con la voce più impastata che riesce a tirare fuori.

-Come ti senti?- Norma le tocca la fronte, che è abbastanza fresca.

Roxanne si strofina gli occhi, e prova a mettersi a sedere.

-In effetti mi sento meglio, anche se ho ancora un po’ di mal di testa. Dormire mi ha fatto proprio bene- le sorride leggermente.

Norma sorride a sua volta, ma solo per un attimo, perché è subito serissima.

-Posso vedere il tuo cellulare?- chiede alla figlia, che per poco non perde un battito, ma si impone di restare calma

-Certo, solo che… non so bene dov’è- poi si prende la testa tra le mani, in una perfetta interpretazione -Mamma, ti prego, p_posso dartelo domani. Ora vorrei tanto dormire- Norma sospira, poi cede. 

-D’accordo, inoltre non ti manderò a scuola, ma prima di andare a lavoro voglio salutarti e prenderò il cellulare, così non avrei onde elettromagnetiche che ti danno fastidio- la scusa è pessima, ma è l’unica che le viene in mente.

-E se devi chiamarmi?- chiede Roxanne, confusa.

-Allora chiamerò il telefono fisso. Buonanotte, tesoro- le da un bacio sulla fronte ed esce, spegnendo la luce e chiudendo la porta  chiave.

Roxanne tira un sospiro di sollievo. E’ il caso di comprare un nuovo telefono da usare con gli amici.

Però, prima di cancellare tutti i numeri e i messaggi compromettenti, decide di sbirciare il titolo del prossimo capitolo. 

Se deve passare una mattinata all’insegna della lettura, vuole sapere a cosa andrà in contro 

“Un ladro dal cuore d’oro”

Sorride alla vista del titolo, e nasconde nuovamente il libro.

 

 

 

 

 

 

 

Legenda:

Tessa: Tiana

Nick: Naveen

Signor Davis: Dracula

Mary Katherine Davis: Mavis

Steve: Stoik

Vera: Valka

Samson: Shrek

Christopher: Kristoff

Buddy Green: Bunnymund 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(A.A.)

Scusate il supermegaiper ritardo, ma ho avuto parecchi problemi familiari (uno, ma grosso) e non avevo più ispirazione per fare niente.

Praticamente quello che vedete è il risultato (disastroso) di una intera giornata di lavoro (il mio sedere sta chiedendo pietà per quanto è stato schiacciato sulla sedia)

Quindi siate clementi, non vi chiedo trentamila recensioni, ma sappiate che mi sono impegnata davvero tantissimo per non bloccare questa storia alla quale tengo molto e se non fosse stato per la mia forza di volontà probabilmente non avreste visto questo capitolo prima di gennaio.

Comunque spero che il capitolo vi sia piaciuto, secondo me è più carino di “La storia di due ranocchi” ma lascio a voi le conclusioni.

Ellie e Carl sono ovviamente i due coniugi di Up, che hanno i loro nomi perché non sono importanti nella storia, quindi sono più che altro camei random perché mi andava (infatti non li ho aggiunti alla legenda)

Il prossimo capitolo sarà un po’ inutile, e parlerà di Cattivissimo me.

Già si è accennato a Gabe Clark, no? ;)

Comunque credo sia tutto, spero che apprezziate il mio sforzo e scusate se ci sono errori ma in una storia così complicata sfuggono anche all’ennesima rilettura.

Un grande bacione e alla prossima :-*

 

P.s. Io non sono una tipa che implora recensioni, dato che non voglio forzare gli altri a farmele, ma sarebbe parecchia gradita una recensione, dato che sto passando davvero un periodo tremendo e mi solleverebbe parecchio il morale. Però non vi obbligo, era solo una piccola richiesta di una piccola autrice triste

 

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