Tienimi per mano

di Tigre Rossa
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Preoccupazioni ***
Capitolo 3: *** Colazione ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Tienimi per mano
 

Prologo
 
 

 
Tienimi per mano al tramonto,
quando la luce del giorno si spegne e l'oscurità fa scivolare il suo drappo di stelle...
Tienila stretta quando non riesco a viverlo questo mondo imperfetto...
Tienimi per mano... portami dove il tempo non esiste...
Tienila stretta nel difficile vivere.

Tienimi per mano... nei giorni in cui mi sento disorientata...
cantami la canzone delle stelle dolce cantilena di voci respirate...
Tienimi la mano, e stringila forte prima che l'insolente fato possa portarmi via da te...
Tienimi per mano e non lasciarmi andare... mai...

-Herman Hesse-
 

 
 
“Per te è finita, tartaruga!” gridò Karai, sollevando la katana per sferrare il suo ultimo attacco.
Raffaello, ormai troppo debole e troppo ferito per fuggire o combattere, si limitò ad alzare la testa ed a fissare con aria fiera la guerriera dai capelli neri negli occhi.
Se proprio doveva morire, voleva morire con onore, guardando la sua nemica negli occhi fino alle fine.
 
La lama maledetta si abbassò velocemente e la tartaruga strinse i denti per far si che il colpo mortale non gli sottraesse neanche un gemito.
 
Ma quel colpo non arrivò mai.
 
Un’ombra si era frapposta tra lui e la spada, facendogli scudo con il proprio corpo.
L’arma, fredda ed insensibile, non ebbe il tempo di fermarsi e l’attraversò da parte a parte.
L’ombra cadde a terra in una terrificante pozza di sangue senza nemmeno un grido e solo allora Raffaello si rese conto che non si trattava di un’ombra.
 
Era una tartaruga.
 
Una tartaruga con una maschera azzurra.
 
“Leonardo!” gridò Raffaello, sconvolto, sollevandolo da terra e dal suo stesso sangue “Leo, Leo!”.
Leonardo posò lo sguardo, già molto lontano ed oscurato, sul volto del fratello e alzò con difficoltà e dolore la zampa destra per accarezzargli la guancia.
“Ra-raffaello . . .” sussurrò con le ultime forze che gli erano rimaste “. . . prendi gli altri e scappa . . . occupati della nostra famiglia e . . . e abbi cura di Yakumo e Yamiko anche  . . . anche per me  . . . io . . . io . . .”
L’ultimo respiro gli sfuggi tra le labbra prima che potesse terminare la frase e la sua zampa e cadde inerme nella pozza di sangue.
Gli occhi ramati non stavano più guardando quelli dorati e tremanti di Raffaello.
Né l’avrebbero più fatto.
 
“No, no, no!” urlò disperatamente Raffaello, scuotendo il corpo del fratello ormai senza vita“No, non te ne andare! Non lasciarmi! Ti prego, Leonardo, apri gli occhi! No, no . . .
 
 
. . . Leonardo!”
 
Raffaello si svegliò urlando e con le guance rigate da fredde lacrime.
 
Per un po’ rimase immobile a guardare il nulla, con le immagini del suo incubo che ancora brillavano nei suoi occhi, sconvolto, ma poi si accasciò e si prese la testa tra le zampe.
 
Ancora quel incubo, quel maledetto, orribile incubo!
 
Erano dieci anni, ormai, che lo tormentava senza che lui potesse farci niente.
 
Erano dieci anni che continuava a infilarsi nei suoi sogni, torturandolo nel modo più terribile e spaventoso che potesse immaginare.
 
Erano dieci anni che, ogni notte, era costretto ad assistere ancora e ancora alla morte di suo fratello Leonardo, era costretto a rivedere il suo sangue, caldo e scarlatto, i suoi occhi spenti, il suo corpo martoriato, era costretto a risentire quel dolore insopportabile e quella terribile sensazione di impotenza e disperazione, era costretto . . .
 
Un gemito gli sfuggì dalla gola, ma lui si morse le labbra, e, facendosi forza,  si pulì il viso dalle lacrime con il pugno, si alzò, raccolse la sua maschera e la sua attrezzatura ninja e l’indossò, cercando di ignorare il dolore fitto ed infinito che gli avvolgeva il cuore e l’anima.
 
 
No, lui non poteva permettersi di piangere o di disperarsi, né di lasciarsi andare o farsi prendere dal dolore o dal rimorso.
 
Lui doveva essere forte, più forte della sofferenza e del dolore.
 
Doveva esserlo per suo padre, distrutto dal dolore e dalla vecchiaia, per i suoi fratelli, mutilati nel corpo e nello spirito, e sopratutto per Yakumo e Yamiko, i figli di suo fratello, ancora feriti nel profondo per la sua morte.
 
Doveva esserlo per la sua famiglia, la sua amata famiglia, così terribilmente fragile e debole, più fragile e debole di quanto si sentisse lui stesso.
 
Doveva farlo.
 
Dopotutto, era stata l’ultima cosa che Leonardo gli aveva chiesto.

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Capitolo 2
*** Preoccupazioni ***



Tienimi per mano
 


Preoccupazioni

 
 
 
 

 
Raffaello, dopo essersi sciacquato il volto per tentar di togliersi dalla mente gli ultimi frammenti del suo incubo, si guardò per un attimo allo specchio.
 
Attraverso la fredda superficie riflettente, una grossa e muscolosa tartaruga mutante lo fissava con aria ostile.
Mille e una cicatrici, alcune vecchie e sbiadite, altre più recenti, alcune piccole e sottili, altre grosse e terribilmente visibili, attraversavano la sua pelle verde smeraldo.
Addosso aveva solamente da una cintura ed da una serie di fasce che avvolgevano zampe e piedi alla maniera della lotta libera.
Due fedeli Sai, ormai datati ma ben affilati, lucidi e letali, erano infilati nei lati della sua cintura ed una vecchia maschera rossa, sbiadita e rovinata in più punti, incorniciava un paio di occhi dorati, simili a quelli di una vecchia tigre, occhi stanchi eppure forti, occhi spezzati eppure dignitosi, occhi da vecchio e allo stesso tempo da padre.
 
Il ninja sospirò.
 
Come era diverso dal giovane quindicenne testardo ed attaccabrighe che esplorava il mondo insieme ai suoi tre fratelli, convinto sul serio di poter fare la differenza, o dal ragazzo che aveva accusato il fratello maggiore, diventato padre ad appena diciotto anni, di avere tradito la loro famiglia, oppure dalla tartaruga sconvolta ed in lacrime che scuoteva disperatamente il fratello morto tra le sue braccia, incapace di accettare la realtà.
 
A quei tempi non si sarebbe mai aspettato di diventare così, di fuori forte ed irremovibile, un vero ninja e un vero capo, ma dentro rotto, spezzato, senza più alcuna forza.
No, non avrebbe mai creduto di diventare così.
 
Beh, dopotutto non aveva mai nemmeno immaginato di diventare zio, di perdere la persona a lui più cara e di ritrovarsi con l’intero peso di una famiglia sulle sue spalle.
Ma era successo.
Ed a lui non restava che andare avanti, nonostante se stesso e tutto il resto.
Perché era quello che doveva fare.
Era il suo compito, e lui lo doveva portare a termine.
Tutto qua.
 
 
Cercando di scacciare quei cupi pensieri, Raffaello si stiracchiò, uscì dal piccolo bagno e si affacciò al salone, il locale più grande della casa dove lui ed il resto della sua famiglia abitavano ormai da quindici anni.
 
Situata sotto una biblioteca abbandonata, la ‘nuova’ dimora era molto simile alla tana doveva avevano vissuto subito dopo l’attacco degli AcchiappaTopi di Stockman, solo che era molto più piccola e con meno camere, e Donatello l’aveva trasformata in una vera e propria fortezza inaccessibile.
Visto la mancanza di spazio, il salone era diventato nello stesso tempo soggiorno, laboratorio e dojo e le quattro tartarughe avevano dovuto condividere le camere: Michelangelo infatti dormiva con Donatello, mentre in passato Raffaello aveva diviso la sua camera con Leonardo.
 
La tartaruga con la maschera rossa si guardò attorno, osservando il grande e silenzioso soggiorno completamente vuoto.
O meglio, quasi completamente vuoto.
 
Nell’angolo destro della stanza, infatti, di fronte ad un piccolo altare costruito in memoria di Leonardo, stava seduta una giovane tartaruga.
 
Raffaello sorrise con amarezza e scosse lentamente la testa.
Avrei dovuto immaginarlo pensò, e poi si avvicinò senza far rumore al maggiore dei suoi nipoti e gli si sedette accanto, guardandolo con tenerezza.
Era molto esile, ma muscoloso e forte, soprattutto considerato che aveva solo quindici anni, e la sua pelle era di un tenero verde muschio.
I suoi occhi, ramati e profondi come quelli del padre, erano fissi sulla foto posta al centro dell’altarino ed erano incorniciati da una maschera color blu notte. Le sue zampe, dotate di cinque dita, erano posizionate come durante la meditazione, ed accanto a lui era poggiata la sua katana Takumi.
Dio, gli assomiglia così tanto. . . la stretta attorno al cuore di Raffaello si rafforzò dolorosamente, ma lui cercò di ignorarla, per quanto fosse difficile.
 
 “Mattiniero come al solito, Yakumo?”.
L’interpellato non mosse neanche lo sguardo verso di lui “Non riuscivo a dormire.” si giustificò “E comunque, anche gli altri sono svegli. Zio Mich e zio Don stanno preparando la colazione per tutti e il nonno è in camera sua a bere un tè.”.
 “Quando ti sei alzato?”.
Il ninja più giovane si strinse nelle spalle “Un paio d’ore, credo. O forse tre. Non lo so con certezza.”.
Raffaello sospirò “Da quand’è che non ti fai otto ore filate di sonno?”.
“Dormo a sufficienza, stai tranquillo.”
“Certo, e io ti credo.”
“Dai, zio! Sto bene!”
“Sul serio, pulce. Non devi dormire così poco. Non ti fa bene, e lo sai.” lo rimproverò Raffaello.
“Sul serio, zio. Non devi preoccuparti così tanto.” ribatté il giovane, voltandosi verso di lui “Non ti fa bene, e lo sai.”.
 
Se fosse stato qualcun altro a rispondergli in quel modo, Yamiko magari, l’avrebbe punito molto ma molto duramente. Ma si trattava di Yakumo, ed a lui Raffaello perdonava quasi tutto.
Tra loro c’era sempre stato un legame speciale, fin da quando l’aveva stretto tra le braccia per la prima volta. Voleva molto bene anche al suo nipote più giovane, sia ben chiaro, ma quello che lo legava a Yakumo era qualcosa di unico.
Per lui, quel ragazzino dall’animo gentile e dagli occhi caldi era una delle poche ragioni per cui continuava ad andare avanti ed ad essere forte. Bastava un suo sorriso per farlo sentire l’essere più fortunato della terra e un suo sguardo di biasimo per farlo sentire il più terribile dei traditori.
Sarebbe morto per lui.
 
 “Uh, stai passando troppo tempo con Sharon, a giudicare dalla tua linguaccia lunga.” commentò ironico, limitandosi a lanciargli uno sguardo di rimprovero “A proposito, oggi non dovrebbe venire? è sabato, se non sbaglio.”.
Gli occhi ramati di Yakumo si illuminarono, come ogni volta che parlava di Sharon, del resto “Si, dovrebbe essere qui a momenti.” rispose sorridendo.
 
Proprio in quel momento la porta del salone si spalancò con un tonfo e qualcosa di incredibilmente simile ad un piccolo uragano entrò.
Non si trattava di un vero e proprio uragano, anche se ne aveva tutta l’energia, bensì di un ragazza di quindici anni con una lunga treccia color delle fiamme e con due frammenti di cielo al posto degli occhi.
Indossava un vecchio jeans e una semplice maglietta verde e al collo portava un ciondolo in agata, rappresentante lo Yin e lo Yang. Dalla spalla destra pendeva un zaino militare che probabilmente aveva visto giorni migliori e al fianco destro era legata la sua fedele Ninjato*, Yuuki.
 
Non appena la ragazza vide le due tartarughe le raggiunse di corsa con un grande sorriso.
“Yakumo!” esclamò felice, abbracciando il ninja più giovane, per poi buttarsi a terra accanto a lui, togliersi dalle spalle il grosso zaino militare ed iniziare a frugarci dentro “Devi vedere che cosa ti ho portato, davvero, sono certa che ti piacerà da morire! Ci ho messo tantissimo a trovarlo e finalmente ci sono riuscita! Ho dovuto fare un milione di ricerche, ma.  . .”.
“Buon giorno anche a te, Sharon.” le fece in modo ironico Raffaello, alzandosi e scuotendo lentamente la testa. Le buone maniere non erano mai state una sua caratteristica. Ma, dopotutto, cosa altro poteva aspettarsi dalla figlia di Casey Jones? “Non badare a me, eh, fai pure come se non esistessi!”.
Sharon  alzò appena la testa e lo guardò con i suoi occhi azzurrissimi “Non c’è bisogno che me lo ricordi, zio, lo faccio già di mio!” gli rispose tranquillamente, facendo ridacchiare Yakumo.
Il ninja dei Sai sbruffò “Vedremo se nel Dojo sarai così arrogante, ragazzina.” disse con aria severa, per poi dirigersi verso la camera del maestro Splinter per organizzare con lui gli allenamenti mattutini.
 
Da quando Leonardo era morto, infatti, era lui ad affiancare il maestro nell’addestramento quotidiano di Yakumo, Yamiko e Sharon. A dire il vero, la salute dell’anziano topo era peggiorata enormemente nell’ultimo periodo e così il rosso spesso si ritrovava da solo a dirigere sia gli allenamenti dei ragazzi sia quelli dei suoi fratelli.
E questo non faceva che aumentare le sue responsabilità e la sua frustrazione.
 
“Ah, ecco, l’ho trovato!” esclamò la ragazza, tirando fuori dallo zaino un grosso volume dall’aria vissuta scritto in giapponese “Un’antichissima raccolta di tutti gli haiku** più belli di Matsuo Basho!” disse orgogliosamente, porgendo il libro alla tartaruga.
“Uau!” Yakumo prese il libro tra le zampe, stupito. Adorava la poesia giapponese, come lei, del resto “Come hai fatto a trovarla?”.
“Segreto!” rispose Sharon facendogli l’occhiolino “Ti piace?”.
Il ninja strinse il volume al cuore “Tantissimo.” rispose con un sorriso.
Anche Sharon gli sorrise, per poi voltarsi e guardarsi attorno “Gli altri sono ancora a letto?” chiese contrariata.
La tartaruga dagli occhi ramati scosse al testa “Zio Mich e zio Don sono in cucina, mentre il sensei sta bevendo il tè.”.
“Yamiko si è già alzato?”
 “Stai scherzando? A quest’ora non lo sveglierebbero nemmeno delle cannonate.”.
 
A quelle parole negli occhi color del cielo della ragazza brillò una luce maliziosa, una luce di cui il ninja conosceva fin troppo bene il significato.
Guai.
Tanti, ma tanti guai.
 
“E una bella doccia gelata, invece?” domandò con un sorrisetto Sharon.
 
Come volersi dimostrare.
 
“Prova, se hai voglia di morire in modo prematuro e molto, molto doloroso.” rispose Yakumo, alzandosi e stiracchiandosi. “Ma io non ho alcuna intenzione di condividere la tua sorte.”
“Come sei esagerato!” sbruffò la rossa “Dai, Yamiko non è poi così tremendo!”.
“Ah si? Te lo ricorderò quando verrò a trovarti in ospedale.” ribatté il ragazzo, prendendo la sua katana e legandosela al fianco destro.
“Uffa, quanto sei noioso!” si lamentò Sharon, alzandosi a sua volta “Beh, io lo faccio, con te o senza di te!”.
“Buona fortuna, allora.” le disse l’altro “Se fossi in te, però, subito dopo partirei per qualche terra lontana, tipo il Polo Nord o la Foresta Nera . . .”.
“Conoscendo Yamiko, sarebbe più sicuro nasconderti sulla Luna, Sharon” obbiettò una voce divertita dietro di loro “Anche se credo che riuscirebbe a raggiungerti lo stesso.”
I due adolescenti si voltarono verso la grande tartaruga con la maschera arancione che li aveva appena raggiunti.
 
Michelangelo indossava un vecchio grembiule tutto consumato, reggeva un grande vassoio con sopra ogni ben di Dio e gli sorrideva, mentre i suoi occhi ciechi vagavano nel nulla.
Erano anni che,  dopo quella maledetta esplosione, aveva perso la capacità di vedere, e, per quanto ciò lo facesse soffrire, ormai si era rassegnato e si affidava in tutto e per tutto agli altri sensi rimasti per continuare ad andare avanti.
“Ciao, zio Mich!” esclamò la ragazza, abbracciandolo e dandogli un veloce bacio sulla guancia. “Mmm, tu e zio Don avete fatto faville in cucina! Senti che odorino! Posso rubare una ciambella?”.
La tartaruga rise “Forse ti conviene restare a stomaco vuoto, visto ti toccherà scappare. Rifugiati pure in camera mia e di zio Don, se vuoi. E chiuditi a chiave. Yamiko è identico a zio Raph: se ti prende sei finita. Tanto, tanto finita. Ma dovresti saperlo, in fondo.”.
“Lo sa fin troppo bene.” intervenne Yakumo “Ma, anche dopo quindici anni e passa di scherzi, non ha ancora imparato a lasciarlo stare. Un giorno ti farà finire al cimitero se continui così.”
“Ma no!” ribatté Sharon, sorridendo “Yamiko fa tanto il duro, ma alla fine non mi farebbe mai del male! Sono troppo carina e coccolosa!”.
“Ceeerto.” fece il ninja con la maschera blu, scuotendo la testa “Carina e coccolosa come un cucciolo di piranha!”.
La rossa gli fece la linguaccia “Visto che qualcuno non ha intenzione di darmi una mano, vedrò di cavarmela da sola.” e così dicendo corse in cucina sotto lo sguardo divertito della tartaruga più giovane.
 
“Buongiorno, zio Don! Posso prendere il secchio e un po’ d’acqua?” gridò Sharon, entrando nella piccola cucina di corsa.
La tartaruga con la maschera viola si voltò verso di lei e le sorrise. “Ciao, Sharon. Sei bella vispa già di prima mattina, eh?” disse con dolcezza, sistemandosi i suoi occhialini da ‘strizzacervelli’, come li chiamava la ragazza, con la zampa robotica.
Anni fa, infatti, nella stessa esplosione che aveva sottratto la vista al più giovane dei quattro fratelli, lui aveva perso la zampa destra, ed era stato molto fortunato a non rimetterci anche al vita.
Per sostituire l’arto, comunque, aveva costruito con l’aiuto di April una zampa artificiale che reagiva agli impulsi nervosi del suo cervello e che funzionava come un vero arto, anzi, quasi meglio.
“Io sono sempre bella pimpante! Cioè, tranne quando è il mio turno in cucina . . . “ rispose guardandosi attorno alla ricerca del necessario.
“Cosa devi fare con l’acqua? Uno scherzo a Raph o . . .”
“Una bella doccia a sorpresa per Yamiko” rispose orgogliosa la ragazza, prendendo il secchio poggiato accanto alla porta ed aprendo il rubinetto del lavello per riempirlo d’acqua “Scherzi a zio Raph non ne faccio più, l’ultima volta mi ha tenuto nel Dojo per tre ore. A fare flessioni!”.
Se c’era una cosa che la rossa odiava più di tutto al mondo, dopo gli ipocriti, lavorare in cucina e il rosa, erano proprio le flessioni.
Don la guardò in modo scettico “Vuoi proprio farti ammazzare, eh?”.
“Uffa, ma perché mi dite tutti così? E no che non mi fa nulla! Magari si arrabbia un po’, ma poi gli passa subito, tranquillo!” ribatté la giovane riempiendo il secchio.
“Certo, gli passa . . . dopo averti rotto qualche osso, però.”
Sharon, che non aveva sentito l’ultima battuta della tartaruga, chiuse l’acqua ed uscì dalla cucina dicendo “Ecco, vado ora! Ci vediamo dopo!”.
Il genio scosse al testa, sconfortato ma anche divertito. L’allegria – o forse è più giusto chiamarla pazzia?- di quella ragazzina era una delle poche cose che impediva alla loro famiglia spezzata di cadere del tutto.
 
 
“Maestro, posso entrare?” chiese Raffaello, bussando lentamente alla porta del vecchio topo.
“Certo, entra pure, figliolo.” mormorò una voce rauca dall’interno del locale.
La tartaruga con la maschera rossa aprì la porta ed entrò.
Al centro della piccola stanza, seduto dietro il basso tavolino e con una tazza di tè ormai fredda tra le zampe, stava l’anziano Splinter.
 
Il tempo, il dolore e le preoccupazioni avevano lasciato più segno su di lui che su chiunque altro in quella famiglia. Numerose rughe attraversavano il suo viso ed il suo corpo iniziava a mostrare segni di debolezza e cedimento. Le vecchie ferite avevano iniziato a dargli più problemi del dovuto, il pelo cominciava a diventare sempre più rado e corto e la sua voce era sempre più bassa e sofferente.
Ma erano soprattutto il cambiamento avvenuto negli occhi che colpiva e faceva sanguinare di dolore i cuori dei suoi tre figli.
I suoi non erano più gli occhi forti e tenaci di una volta, occhi di pietra eppure amorevoli nel cui sguardo si erano tante volte rifugiati; erano occhi di granito, fragili, sul punto di sgretolarsi da un momento all’altro. In essi si potevano vedere riflesse tutte le disgrazie e tutte le sofferenze che aveva dovuto affrontare e tra tutte, vivida e chiara, brillava la morte del figlio maggiore, del suo amato Leonardo, per il quale non aveva mai smesso di piangere.
 
Splinter, per quanto avesse tenuto duro e cercato di farsi forza per i suoi figli superstiti e per i suoi giovani nipoti, era ormai troppo vecchio, troppo ferito, e, soprattutto, troppo, troppo stanco.
Aveva vissuto una vita lunga e piena, ed ora non aveva più la forza di continuare ancora per molto ad affrontare le insidie di quel mondo crudele e giovane.
Ma continuava a lottare, nonostante tutto.
Anche se sapeva che non sarebbe riuscito a farlo ancora a lungo.
 
“Avvicinati, figlio mio, ed inginocchiati.” sussurrò, guardando attentamente il suo secondogenito, il figlio che tanto l’aveva aiutato e sostenuto in tutti quegli anni.
Raffaello fece come gli era stato comandato e, dopo un attimo di silenzio, domandò “Come ti senti oggi, padre?”.
Splinter sorrise “Oh, non preoccuparti per me, Raffaello.”.
Sapeva che i suoi tre figli erano molto in ansia per la sua salute. Più volte, negli ultimi tempi, era stato preda di febbri acute e di una debolezza tale da costringerlo a letto per molti giorni. Ma non voleva che loro pensassero a lui, non con tutto ciò con cui dovevano fare i conti. L’educazione di Yakumo e Yamiko, ad esempio. O gli ultimi ed insistenti attacchi del Clan del Piede.
“Per oggi, comunque, vorrei che fossi tu a dirigere gli allenamenti, sia per quanto riguarda i tuoi fratelli sia per quanto riguarda Yakumo, Yamiko e Sharon. Non ti lascio direttive: decidi tu su cosa farli lavorare, per quanto tempo e in che modo. Ti lascio il comando, diciamo. io resterò a guardare.”.
La tartaruga parve sorpresa da quella richiesta.
“Sei . . . sei sicuro? Forse sarebbe meglio che te ne occupassi tu. Dopotutto, sei tu il maestro, qui.” chiese esitante.
 “Voglio osservare con calma l’andamento generale di tutti” spiegò il vecchio topo “E mi troverei molto meglio se non dovessi dirigere io tutto. Lo so, è una richiesta . . . bizzarra, per così dire, ma vorrei che tu mi accontentassi.”. Non voleva spiegare la vera ragione che stava nascosta dietro a quella inusuale richiesta. Non ancora almeno.
“Io . . . d’accordo, come desideri, padre.” accettò Raffaello, seppur confuso.
Splinter sorrise.
 
Anche il suo sorriso, come il resto del suo corpo, era cambiato molto. Era più fragile, più freddo, più triste. Non era più un vero sorriso. Ne lo sarebbe più stato.
 
L’anziano genitore osservò il figlio per un attimo, con occhi socchiusi, e mormorò  “La tua anima è preda di un forte turbamento, Raffaello. Un turbamento più forte del solito. Vuoi parlarne?”.
 “Non è niente, padre, stai tranquillo.” negò, scuotendo leggermente la testa.
Il volto del topo si rattristò “Figlio mio, non devi tenerti tutto dentro. Ti fa solo male.”.
Raffaello si morse un labbro, insicuro se confidare al vecchio le sue preoccupazione, le preoccupazioni che lo tormentavano e gli toglievano il sonno, o meno.
Non voleva preoccuparlo più di quanto già fosse.
Ma qualcosa nello sguardo di Splinter, un qualcosa di ormai raro, un’antica scintilla di dolcezza, cancellò i suoi dubbi.
“Ecco . . . è che non so più come comportarmi con i ragazzi. Yamiko continua a chiedere insistentemente di poter andare in superficie da solo, come facevamo e facciamo tuttora noi, e anche Yakumo inizia a sentirsi chiuso in gabbia, qua dentro. Vogliono uscire, essere più liberi, iniziare a combattere sul serio. Vogliono vivere. Sono forti, sono giovani, e sono impazienti.
Ed io li capisco. E non me la sento di continuare a tenerli qui come due prigionieri, quando noi . . . noi quattro, alla loro età, giravamo liberi per la città e ci buttavamo in tutte le risse possibili ed immaginabili. “ esitò, ma poi prese un respiro profondo e continuò a parlare “Ma mandarli fuori è troppo pericoloso, soprattutto ora che le attività del Clan stanno aumentando e i ninja di Karai hanno ripreso a cercarci. Se i ninja li trovassero, non so cosa potrebbe accadergli.
E poi mi chiedo se . . . se continuare a nascondergli la verità sia la cosa giusta, soprattutto ora che non sono più bambini. Se sapessero, farebbero sicuramente qualche sciocchezza. Ma forse potrebbero farne anche senza essere a conoscenza della verità. Anzi, sicuramente.
In fondo, Karai ha ucciso . . . ” la voce gli si spezzò” . . . ha ucciso loro padre. E tu meglio di tutti noi puoi immaginare la rabbia ed il desiderio di vendetta che ciò ha causato nel loro animo, e, soprattutto, nell’animo di Yamiko. Lui è così arrabbiato con il mondo, così furioso, così . . . così simile a me. Se lo lasciassi uscire liberamente, alla prima occasione cercherebbe sicuramente di vendicarsi. Anche al costo di perdere la vita.”
Splinter continuò a guardarlo in silenzio.
“Non so che cosa devo fare, padre. Non so cosa sia meglio per loro. Io . . . io . . .” Raffaello sbatté un pugno sul tavolino, stringendo gli occhi con forza  “Dovrebbe esserci Leonardo a prendere queste decisioni! Dovrebbe esserci lui, non io! Era lui il capo della squadra ed il padre dei ragazzi, lui! Non io!” gridò quasi, per poi prendersi la testa tra le zampe e mormorare “Non io . . .”.
 
Il cuore di Splinter ebbe un fremito, vedendo il suo povero figliolo in quello stato.
 
Da quando Leonardo era morto, Raffaello aveva assunto il suo ruolo di leader e protettore della famiglia, il ruolo che tanto a lungo aveva desiderato e che molte volte era stato causa di scontro con il fratello, ma l’aveva assunto per necessità e con riluttanza.
Lui non era nato per fare il capo, per quanto avesse molte delle qualità necessarie.
Era sempre stato una creatura solitaria, una persona che badava per di più a sé stessa e che faceva tutto ciò che gli pareva.
Ma, quando aveva dovuto raccogliere il peso di un’intera famiglia, si era reso conto di essere inadeguato.
Aveva capito che ogni sua distrazione o debolezza era pericolosa per il resto del gruppo.
Aveva scoperto che ogni sua azione o sbaglio si ripercuoteva sulle persone che amava, danneggiandole.
Aveva scoperto che, se lui cadeva, tutti cadevano.
Era stato dura per lui, soprattutto all’inizio. Occuparsi di tutta la sua famiglia e proteggere addirittura due bambini! E con l’anima a pezzi, poi.
Splinter stesso aveva dubitato che ci sarebbe riuscito. Anzi, aveva creduto che il suo secondogenito sarebbe caduto sotto tale peso.
Ma Raffaello l’aveva stupito. Si era fatto carico di tutto e tutti, lentamente, ma l’aveva fatto.
Aveva cambiato molti aspetti della sua vita e del suo carattere per riuscire a proteggere la sua famiglia ed a educare i suoi nipotini.
Aveva addirittura smesso di fare giri in moto, di uscire ogni sera con Casey Jones per dare la caccia ai delinquenti, di guardare film horror fino alle due di notte, di portare birre di nascosto in camera sua, di infrangere le regole e di agire d’istinto.
Era cambiato molto, dentro e fuori, per essere all’altezza del suo compito.
Raffaello riusciva a portare quel peso, nonostante tutti i suoi barcollamenti.
Ma detestava tutte quelle responsabilità di cui era pieno ed era terrorizzato al pensiero che, a causa di un suo sbaglio o di un suo errore di giudizio, le persone che amava e, soprattutto, i ragazzi che Leonardo gli aveva affidato e che costituivano per lui tutto il suo mondo, potessero soffrire.
Era un compito troppo pesante per lui.
Troppo pesante.
Ma nessun altro poteva farsene carico.
 
Lentamente, l’anziano padre si alzò da suo posto, girò attorno al tavolo e, con le sue sottili e vecchie braccia, abbracciò Raffaello, proprio come faceva quando era bambino.
E Raffaello, come quando era bambino, si strinse a lui, cercando nel conforto delle braccia paterne il coraggio e la forza che gli mancavano.
“Hai ragione, figlio mio.” mormorò dolcemente, accarezzando la testa del suo secondogenito “Avrebbe dovuto essere Leonardo a prendere queste decisioni, e non tu. Ma se lui ha affidato i suoi figli, il suo bene più prezioso, proprio a te, è perché sapeva che tu saresti riuscito a prenderti cura di loro al posto suo. Non temere. Vedrai che, quando sarà il momento, riuscirai a capire qual è la cosa migliore da fare. E ricorda, Raffaello, che non sei da solo. Io ed i tuoi fratelli siamo qui con te. E Leonardo, anche se non puoi vederlo, ti è sempre vicino.”.
Una lacrima, una sola, scivolò lungo la guancia della tartaruga, ma il suo cuore aveva trovato finalmente un po’ di conforto.
I due si sciolsero dall’abbraccio, lentamente, e Raffaello sussurrò un tremulo “Grazie . . . padre.”.
Splinter sorrise e per un fragile istante gli parve di avvertire una terza presenza nella stanza, una presenza che conosceva fin troppo bene e il cui volto gli mancava da morire.
Ma fu solo un attimo, e la presenza scomparve, silenziosamente e dolcemente come era venuta.
 
Raffaello si alzò e, con il pugno chiuso, si pulì il viso, per poi fare un inchino al maestro e dire con voce ferma “Vado, ora.”.
Il vecchio topo si inchinò a sua volta ed aprì la bocca per dire qualcosa, qualcosa che però fu coperto da un grido di rabbia .
 
“Shaaaaaron!!!”
 
 
 
* Ninjato: anche se tutti credono che l’arma principale dei ninja fosse, come per i samurai, la katana, in realtà era la ninjato, ossia una spada molto più corta e dritta, con un‘impugnatura più lunga. Era fatta di metalli differenti da quelli usati dalla katana e, essendo più piccola e leggera, era ottima nei combattimenti a corta distanza e/o in luoghi chiusi e poteva essere facilmente nascosta.
 
** Haiku: è una forma di componimento poetico tipicamente giapponese, nato nel XVII secolo, composto da tre versi; il primo doveva – nella poesia odierna non è più obbligatorio- avere cinque sillabe, il secondo sette e il terzo di nuovo cinque. Molti dei più famosi haiku furono realizzati dal poeta Matsuo Basho, il maggior esponente di questo tipo di poesia. Uno dei suoi più noti haiku è questo: Nel vecchio stagno/ una rana si tuffa/ il rumore dell’acqua.

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Capitolo 3
*** Colazione ***


Colazione
 

 
 
“Shaaaaaron!!!”
 
 
La ragazza dai capelli rossi, ridendo a crepapelle, attraversò di corsa il vasto salone inseguita da una tartaruga arrabbiatissima e bagnata fradicia.
“Deficiente! Ti faccio vedere io, ora!” urlava quest’ultima, incavolata nera, cercando di afferrare la piccola fuggitiva.
Quella però si infilò subito dentro la camera dei suoi zii e chiuse la porta a chiave, sempre ridendo.
Il ragazzo ringhiò, infuriato più che mai, e prese a prendere a pugni la porta “Esci da lì, codarda!”.
 “Cosa c’è?” domandò innocentemente dall’altra parte Sharon, prendendolo in giro “Non riesci a prendermi con la porta chiusa? Oh, poverino! Non dirmi che adesso ti metti anche a piangere!”.
“Tu . . .” il giovane stava letteralmente fumando di rabbia “ . . . aspetta solo che butti giù la porta e . . .”.
“Se la butti giù, Yamiko, sarai tu quello nei guai, e non Sharon.” disse una voce tranquilla alle sue spalle “Zio Raph non ti perdonerà un’altra porta scassata, non dopo la dozzina che hai distrutto solo nelle ultime due settimane.”.
Yamiko si voltò di scattò verso il fratello maggiore, che lo guardava divertito con i suoi grandi occhi ramati.
“Cos’è, stai cercando di proteggerla, Yakumo?” sbottò “Traditore! Dovresti essere dalla mia parte, e non dalla sua!”.
“Io non sono dalla parte di nessuno.” rispose Yakumo, avvicinandosi al minore e porgendogli un asciugamano con un leggero sorriso “Dai, lasciala perdere. Lo sai come è fatta. Si diverte solo con questi scherzi stupidi. E poi, se proprio vuoi vendicarti come si deve, ti conviene farlo durante il Tris.”
 
‘Tris’ era il soprannome che i ragazzi avevano dato ad una delle fasi del loro allenamento quotidiano, ed in realtà era più un gioco per loro.
Era stato ideato da Leonardo durante il loro primo anno di addestramento e consisteva in due combattimenti, uno iniziale tra Sharon e Yamiko e poi uno finale tra il vincitore della sfida precedente e Yakumo. Ogni volta che uno di loro otteneva tre vittorie, gli altri erano costretti a pagare pegno nel modo prescelto dal vincitore.
Era un ottimo modo per mettere un po’ di sana competizione tra i tre guerrieri –che comunque non era mai mancata- e per permettere a Splinter ed a Raffaello di giudicare in maniera più completa il loro stile di combattimento, e i ragazzi l’adoravano, visto che era un ottimo sistema per mettere fine alla loro varie liti. O per scatenarne nuove ancora peggiori.
 
Yamiko squadrò il fratello per una manciata di minuti, per poi sbruffare e prendergli sgarbatamente l’asciugamano dalle zampe.
“Bah.” fu il suo unico commento, prima di allontanarsi in direzione del bagno.
La tartaruga con la maschera blu sorrise lievemente ed aspettò che il fratello fosse sparito dalla sua visuale prima di bussare appena alla porta dietro alla quale si era rifugiata Sharon e sussurrare “Puoi uscire, ora.”.
Lentamente la ragazzina fece girare la chiave nella toppa e mise fuori la testa, guardandosi attorno con aria attenta. Solo quando fu certa che Yamiko fosse abbastanza lontano si decise ad uscire.
“Uau, Yakumo!” esclamò, guardando il ninja ammirata “Sei davvero incredibile! Un momento prima voleva spellarmi viva e subito dopo ecco che se ne va con la coda tra le gambe! Ma come diavolo fai?”.
 
Yakumo era sempre stato l’unico capace di calmare e far ragionare quel vulcano attivo che era suo fratello, fin da quando erano bambini.
Yamiko poteva infuriasi, rompere tutti gli oggetti presenti in un arco di cento chilometri, urlare fino a fare crollare le pareti, eppure bastava che lui gli si avvicinasse, lo guardasse negli occhi e gli sussurrasse qualche parola e si calmava di botto.
Era davvero stupefacente. Nemmeno loro padre, quando era ancora in vita, riusciva a controllarlo in quel modo.
 
Il ragazzo le fece l’occhiolino “Se te lo dicessi, non sarei più tanto incredibile, non credi?” scherzò “Dai, andiamo a mettere qualcosa sotto i denti, prima che torni e decida di voler fare i conti in anticipo.”.
Sharon annuì, allegra, e si mise a correre gridando “L’ultimo che arriva butta le candele consumate di Splinter per una settimana!”
 
 
La tavola era piena di ogni ben di Dio, come ogni giorno del resto.
Al centro del tavolo faceva mostra di sé una gigantesca crostata alla cioccolata, mentre intorno, disposti in vari vassoi, c’erano cereali, brioche alla crema, ciambelle, biscotti al cioccolato, uova strapazzate –la specialità di Michelangelo fin da quando era giovane- a più non posso ed i più svariati tipi di dolci. Uno spettacolo magnifico, soprattutto per gli eternamente affamati stomachi dei ragazzi.
 
Michelangelo era sempre stato un cuoco provetto, ma da quando era diventato zio aveva affinato molto le proprie abilità in cucina. Certo, cucinare senza l’ausilio della vista era un bel problema, ma con un po’ di organizzazione, pazienza e l’aiuto volenteroso e dolce di Donatello ormai se la cavava egregiamente.
Spesso Raffaello rimproverava i fratelli di esagerare e di viziare troppo i nipoti con tutte quelle prelibatezze, ma la tartaruga in arancione allontanava le sue critiche con un’alzata delle spalle.
Gli piaceva troppo cucinare. Ed inoltre, da quando aveva perso la capacità di vedere, credeva che fosse l’unico modo per essere ancora utile alla sua famiglia.
Comunque, i ragazzi non si lamentavano di certo.
 
Quella mattina ebbero tutto il tempo di fare fuori, tra una chiacchiera e l’altra con Don, Mich e Raph, tre fette di crostata, due ciambelle, tre porzioni di uova strapazzate e una mezza dozzina di biscotti prima che Yamiko, sbadigliando, li raggiungesse.
 
Yamiko somigliava a Raffaello tanto quanto Yakumo somigliava a Leonardo.
Alto esattamente come suo fratello maggiore gemello, era però molto più muscoloso e massiccio e trasmetteva forza da tutti i pori. La sua pelle era di uno splendido verde smeraldo e segnata da piccole e quasi invisibili cicatrici, che il giovane però mostrava con orgoglio. Alla cintura portava due Sai fasciati di nero ed al collo una sottile collanina di metallo con sopra inciso il suo nome. I suoi occhi verdi come la giada, così diversi da quelli dei suoi familiari, erano incorniciati da una maschera nera un po’ malandata, ed un’ eterna espressione corrucciata faceva bella mostra di sé sul suo volto.
Somigliava così tanto a Raffaello che quando questi lo guardava gli sembrava di vedere sé stesso a quindici anni. E ciò lo faceva rabbrividire.
 
“Scusate il ritardo.” disse la tartaruga, prendendo posto accanto al fratello ed afferrando una piatto pieno di uova strapazzate. “ Sarei arrivato prima, se qualcuno non mi avesse fatto fare una doccia gelata fuori programma.” sibilò, lanciando un’occhiataccia a Sharon.
La ragazza assunse un’aria da finta innocente così buffa che Yakumo si lasciò sfuggire una risatina.
“Che hai da ridere, tu?!” sbottò Yamiko, voltandosi verso il fratello che cercava disperatamente di tornare serio, senza però riuscirci, visto che Sharon prese imperterrita a fare facce buffe alle spalle del ninja in nero.
Prima che la situazione potesse degenerare, Raffaello scosse la testa e fermò sul nascere l’ennesimo litigo “Voglio proprio vedere se alla fine dell’allenamento che vi farò fare oggi avrete ancora l’energia di scherzare in questo modo.”.
D’un colpo tutti e tre i ragazzi spostarono la loro attenzione su di lui “Cosa? Ma . . . ma oggi non ci allena il maestro?” esclamò Sharon, diventando all’improvviso seria.
“Negativo.” rispose il ninja in rosso “Assisterà all’allenamento, ma sarò io ad organizzarlo. Mi ha lasciato carta bianca.”.
“Ca-carta bi-bianca?” balbettò la ragazza, per poi voltarsi e guardare i ragazzi, preoccupati quanto lei. Tutte le volte che Splinter aveva lasciato carta bianca a zio Raph, alla fine dell’allenamento si erano puntualmente ritrovati stesi a terra, senza la forza di muovere nemmeno un dito e con almeno una dozzina di ossa rotte.
“Ehm . . . cosa hai in programma, zio?” domandò cautamente Yakumo.
 “Oh, un po’ di tutto” disse l’altro con aria distratta “Un’ora o forse due di riscaldamento, altre due di kata, tre di lotta a mani nude e altrettante con le armi . . . si, credo che faremo così, per oggi.”.
I volti dei giovani guerrieri sbiancarono improvvisamente e le loro espressioni, che andavano dal disperato al terrorizzato, erano così buffe che il ninja dei Sai dovette trattenere a stento un sorrisetto.
Improvvisamente, però, la suoneria di un cellulare si intromise nella conversazione, facendo voltare tutti verso Donatello.
“Ehm, scusate” mormorò il genio, prima di prendere il suo tarta-cellulare e di rispondere.
“Ehi, ciao, dimmi pure. . . . cosa . . . si si, stai tranquilla, è qui da . . . aspetta. . .dai, è tutto a posto . . . come? Va bene, un momento . . .” si voltò verso Sharon e le porse delicatamente il telefonino, prima di mormorare con aria triste, quasi come se si stesse scusando per qualcosa “ è tua madre.”.
A quelle parole il viso della ragazza perse tutto il poco colore che gli era rimasto e Yakumo e Yamiko si lanciarono un’occhiata, mentre Raffaello alzava gli occhi al cielo sconfortato e Mich sospirava.
La rossa prese il telefono e lo portò con cautela all’orecchio, come se fosse una bomba sul punto d’esplodere.
“Dimmi.” La sua voce aveva perso ogni traccia dell’allegria che la caratterizzava ed anzi era spenta, fredda ed ostile. Sembrava che a parlare fosse un’altra persona, una persona completamente diversa. “Si, sono alla tana, come ogni sabato mattina da quindici anni a questa parte . . . come, ‘perché non ti ho avvertita’?. . . avevi dormito si o no tre ore stanotte, non volevo svegliarti . . . cosa? Non è certo colpa mia se ti chiudi tutto il tempo in quello stupido laboratorio! E . . . non sto alzando la voce . . . si, mi fermo fino a lunedì ed ho con me tutto l’occorrente e . . . scusa, ma adesso che centra? Se papà passa di qui certo che ci parlo! E poi . . . guarda che sei tu a non permettergli di vedermi nei giorni predefiniti! Io . . . aspetta, lasciami parlare . . .” la giovane guerriera rimase in silenzio per un manciata di minuti, attonita, per poi mormorare un paio di parole incomprensibili e chiudere la telefonata con aria cupa.
Poggiò il cellulare il più lontano possibile da sé e si alzò dalla tavola, dicendo con voce sommessa “Scusate, ma non ho più fame.”
Detto questo, afferrò il suo zaino militare e si diresse verso la camera dei ragazzi, che si alzarono a loro volta appena ebbe chiuso la porta e la seguirono sotto lo sguardo sconfortato degli zii.
Michelangelo sospirò “Povero bambina. Certe volte mi fa così pena.” mormorò tristemente.
Donatello annuì “Già. Non vorrei essere nei suoi panni.” commentò riprendendo il cellulare, mentre Raffaello continuava a guardare pensoso la porta chiusa della stanza dei giovani.
 
April O’ Neil e Casey Jones, i genitori di Sharon, avevano sempre avuto un rapporto molto difficile ed erano divorziati da quasi due anni.
Il loro rapporto incasinato aveva sempre fatto soffrire la ragazza, ma il divorzio era stato una vera e propria pugnalata al cuore che non aveva ancora smesso di farle male, benché cercasse di nasconderlo con i suoi grandi sorrisi e la sua gioia spensierata.
Come se non bastasse, dopo il divorzio il poco di buono che c’era precedentemente nel legame con i suoi genitori si era deteriorato.
April, a cui Sharon era stata affidata, oltre a chiudersi per giorni e giorni nella “O’Neil Tech” da lei fondata, lasciandola sola in continuazione, le impediva tutte le volte che poteva di incontrare suo padre e la due discutevano per qualsiasi cosa.
Casey, da parte sua, cercava di vedere la figlia il più spesso possibile, ma ciò lo portava a scontrarsi spesso e volentieri con la sua ex-moglie. Nonostante i loro mille litigi, però, l’uomo riusciva a vedere la figlia solo raramente e per poco tempo, e la maggior parte delle volte i loro incontri, sempre più freddi e distaccati, avvenivano proprio nella tana.
 
Sharon detestava quella situazione.
 
All’inizio, con l’aiuto dei suoi cugini e del resto della famiglia, aveva cercato di convincere i due a tornare insieme, ma con il passare del tempo aveva smesso di cercare di risolvere tutto.
Ora tutto quello che faceva era cercare di soffrire il meno possibile.
Stava lontana da casa sua e cercava di avere pochissimi contatti con entrambi i genitori. Occupava le sue giornate di mille interessi, allenamenti e risate, tentando di dimenticare tutto, e trascorreva ogni secondo libero nella tana con Yakumo e Yamiko. Ormai, aveva detto una volta alle due tartarughe, solo lì si sentiva a casa.
Il resto della famiglia comprendeva bene la tristezza ed il dolore che la giovane si portava dietro e cercava di starle vicino, di confortarla, di esserle d’aiuto, ma lei nascondeva tutto il suo dolore dietro quel eterno sorriso, misto di finzione e realtà, e si teneva ogni cosa dentro.
 
Yakumo e Yamiko, però, non demordevano.
Sharon gli era stata sempre vicina con la sua dolce allegria e la sua luce abbagliante, soprattutto quando avevano perso il padre, e loro non avevano alcuna intenzione di abbandonarla.
No, loro non l’avrebbero mai lasciata da sola.
Mai.
Dopotutto, erano una famiglia, no?
 
 
Le due tartarughe aprirono lentamente la porta della loro stanza, dopo essersi lanciati un altro sguardo d’intesa.
 
La loro camera da letto, la più grande della tana, era divisa in due parti completamente diverse tra loro.
 
La parte destra, dove dormiva Yakumo, era estremamente ordinata ed organizzata.
Un solido letto di legno di quercia e rifatto a regola d’arte era poggiato contro il muro, il quale era ricoperto da numerosi fogli pieni di scritte in kanji e katakana.
Ai piedi del letto una piccola cassapanca di bambù conteneva la maggior parte degli affetti personali del giovane ninja e poco lontano da questa era posizionata una piccola scrivania.
Su numerose mensole attaccate alla parete erano allineati volumi di vari generi, argomenti e lingue, mentre sullo scaffale più basso erano deposti con estrema cura un piccolo flauto, una spada di legno, una bandana blu scuro, un minuscolo bonsai, un vecchio leoncino di peluche ancora in buone condizioni ed una fotografia che raffigurava la loro famiglia dieci anni prima.
 
La parte sinistra della stanza, quella di Yamiko, era completamente diversa.
Al posto del letto c’era un’amaca mezza distrutta, ancora umida dopo lo scherzo di Sharon, e dietro di essa c’era una sorta di armadietto di metallo ricoperto da scritte e adesivi.
La parete era quasi completamente spoglia, a parte qualche poster dei Breaking Benkamin o degli Skillet, ed a terra erano buttate alcune riviste su armi e motociclette, che il ragazzo adorava.
Un grande stereo era posato poco lontano dall’armadietto, mentre un vecchio sacco un po’ malconcio pendeva dal soffitto. Un computer portatile d’ultima generazione o quasi era posato in bilico su uno sgabello, ma le uniche cose in ordine erano vari pesi e strumenti d’allenamento, posizionate con cura accanto all’amaca.
 
Esattamente al centro della camera era posizionato invece un lettino di ferro, il classico scomodo letto che si affibbia agli ospiti, per permettere a Sharon di dormire insieme ai ragazzi ogni qualvolta si fermava, e quindi praticamente sempre.
E proprio lì sopra la rossa si era raggomitolata, sospirando ed accarezzando l’elsa di Yuuki, come se questa potesse rassicurarla e tranquillizzarla.
 
Appena vide i suoi cugini entrare, la ragazza si raddrizzò e simulò la sua solita aria allegra, mentre afferrava lo zaino militare e iniziava ad estrarre gli abiti per l’allenamento mattutino.
“Come mai qui?” chiese, lanciandogli un’occhiata scherzosa “Gli zii vi hanno cacciato dalla tavola perché vi ingozzavate troppo?”.
 “Io a dire il vero non ho ancora toccato cibo, a causa di certe pesti di mia conoscenza.” sbruffò Yamiko, mentre il fratello gli rifilava una gomitata nel fianco “Ahi! Ma che c’è? è vero!”.
Il maggiore sospirò sconsolato e si sedette accanto a Sharon, che continuava a fare finta di niente. “Tutto ok?” chiese gentilmente.
“Si, certo! Perché non dovrebbe?” rispose la giovane, senza però guardarlo negli occhi e concentrando tutta la sua attenzione nella ricerca di una scarpa.
 “Forse perché hai appena litigato con tua madre?”
“E allora? Io e lei litighiamo sempre!” sbruffò la giovane “Possiamo cambiare argomento, ora? Lo sai che odio parlare di lei, tanto meno il sabato mattina! è come vedere un film horror che all’improvviso si blocca proprio nel momento in cui il cattivo sta uccidendo il protagonista!”.
“Ho presente la sensazione, ma non è poi tanto male. Per lo meno, si può fare una pausa per prendere i pop-corn.” commentò ironicamente dall’altra parte della stanza Yamiko, che nonostante lo sguardo disinteressato aveva ascoltato attentamente tutto. Anche se spesso e volentieri si mostrava insofferente o infastidito dalla sua pazza cugina, non riusciva a vederla triste o che si fingeva allegra per non farli preoccupare e, quando questo capitava, la lasciava nelle zampe esperte e delicate di Yakumo, che sapeva sempre come trattarla, a differenza di lui.
La ragazza trattenne un sorrisetto divertito, e Yakumo ne approfittò per tornare all’attacco.
“Lo so che lo detesti, ma non si può fare tutto ciò che ci piace. Allora, cosa ti ha detto?”.
La rossa sbruffò “E che cavolo, non demordi mai, eh?” si mise a giocherellare con il suo ciondolo “Se proprio lo vuoi sapere, si è lamentata delle solite cose. Dove ero finita, perché non l’avevo avvisata, di non azzardarmi a cercare papà o di parlargli se viene qui . . . contento adesso?”.
La tartaruga le accarezzò la testa “Dai, Sharon, lo so che è bruttissimo, ma ormai sai che è fatta così. Devi cercare di non starci male, anche se è molto difficile.”
“E chi ha detto che ci sto male? Hai fatto tutto da solo! Sto benissimo, davvero! Yamiko, a te sembra che sto male?” chiese, rivolgendosi al cugino minore.
“Oh si. Stai male dalla nascita. Infatti ancora mi chiedo perché non ti hanno mai rinchiusa in un manicomio.” ribatté il ragazzo, sorridendo ironicamente.
In tutta risposta, Sharon gli lanciò dritto in faccia il cuscino della sua brandina.
“Ohi! Ma di che è fatto sto cuscino, di cemento?” gemette Yamiko, massaggiandosi il volto.
La giovane sorrise vittoriosa, per poi voltarsi verso Yakumo “Allora, finita la seduta psichiatrica?”.
La tartaruga sospirò ed annuì sconfortato. Era inutile parlare con lei quando decideva di fare orecchie da mercante.
La rossa allora si alzò e si stiracchiò “Bene allora. Pronti per stasera?”.
Yamiko alzò gli occhi al cielo “Ti prego, non dirmi che hai scelto per l’ennesima volta Harry Potter o Il Signore degli Anelli, o ti strangolo seduta stante!”
 
Come era tradizione ormai da anni, infatti, il sabato sera era la ‘sera del cinema’. Visto che le tartarughe non potevano andare al cinema, o comunque erano costrette ad andare sotto copertura, ogni sabato, a turno, un membro della famiglia sceglieva un film da vedere tutti insieme con pop corn e coca cola. Era sempre stato un appuntamento fisso per tutti, ma con la morte di Leo, l’incidente di Mich e Don, il divorzio di April e Casey e la cattiva salute di Splinter era diventato essenzialmente una piccola tradizione continuata solo dai ragazzi e, occasionalmente, da Raph.
 
Sharon si mise le mani suoi fianchi “Come fai a dire una cosa del genere? Harry Potter e Il Signore degli Anelli sono dei capolavori inimitabili ed assolutamente perfetti.”
“D’accordo, ma dopo averli visti rispettivamente 1563 e 1781 volte, diventano seccanti, noiosi ed odiosi.” ribatté il ninja in nero.
“Questi film non potranno mai essere seccanti, noiosi od odiosi. E comunque, non mi stavo riferendo a loro.”
“No, non dirmi che tocca di nuovo ad Hunger Games! Cosa ci trovi di bello in un film così schifoso?”
“Schifoso? Schifoso?! Vogliamo parlare dei tuoi amati film dell’orrore o d’azione, eh?”
“Quelli sono perfetti sotto ogni punto di vista e, a differenza dei tuoi, hanno anche senso logico.”
“Senso logico? Che senso logico hanno un tizio che si butta da un grattacielo di 98 piani, un pazzo maniaco che prima di uccidere le vittime le telefona, uno che ammazza poveri sfortunati poliziotti in diretta streaming e un pazzo che si sogna una vita alternativa in una casa abbandonata?”
“Ok, adesso basta.” Yakumo si mise in mezzo, interrompendo al discussione “Ogni film ha i suoi aspetti negativi e positivi e può piacere come può non piacere, ma non bisogna farne una questione di Stato. E poi, i migliori film sono quelli storici, non c’è nulla da fare.”
Sharon e Yamiko guardarono la tartaruga come se fosse un alieno.
“Si, fratello, certo.” il mutante scosse la testa, mentre la ragazza continuava “Per i vecchi centenari, però.”.
Il ninja li fulminò con lo sguardo, mentre loro trattenevano a stento una risatina.
“Comunque” riprese a dire la rossa, mentre si scioglieva i capelli “Non era al film che mi riferivo.”.
Yamiko la fissò “E a cosa, allora?”.
“All’evento top secret di stasera, ovvio.” rispose con un sorriso Sharon.
“Ci vai davvero, quindi?” esclamò il cugino, con gli occhi che gli brillavano.
“Certo. Mi dispiace solo che voi non possiate venire.”
“A dire il vero, nemmeno tu potresti andarci.” Yakumo incrociò le braccia, mentre il suo volto assumeva la famosa espressione da ‘fratello maggiore’.
“Oh, andiamo, Ya’, ne abbiamo già parlato!” esclamò la kunoichi “è la mia grande occasione! Sono mesi che mi preparo.”
“I tuoi non vogliono, e lo sai fin troppo bene.”
“I miei non vogliono fin troppe cose. Voglio iniziare a fare ciò che voglio io, non solo ciò che vogliono loro. Non pensi che sia un po’ giusto?”
“Certo, ma non in questo modo.”
“Dai, andrà bene, vedrai. Non lo saprà nessuno, non mi succederà niente e avrò finalmente anche io una mia piccola soddisfazione. Certo, se nessuno di voi due mi tradirà.” Sharon sbatté in modo civettuolo le ciglia “Tu non mi tradirai, vero, Hamato Yakumo?”.
Yakumo divenne rosso come un peperone “Ecco . . .ehm . . .io . . .”.
La ragazza gli sorrise dolcemente e lo abbracciò, stampandogli un bacio gigante sulla guancia “Sapevo che eri dalla mia parte.” gli mormorò sensualmente all’orecchio, per poi allontanarsi da lui e riprendere a trafficare con la sua roba.
Yamiko scosse la testa, divertito. Sharon sapeva raggirare suo fratello, che non riusciva mai a dirle di no, con un’abilità pazzesca e convincerlo a fare ciò che voleva lei. Dopotutto, era una giovane kunoichi. Forse non ancora molto affascinante né particolarmente bella, ma era comune una kunoichi. Il fascino e l’inganno le scorrevano nelle vene.
“Ora uscite, che devo cambiarmi.” sbottò la rossa, indicando ad entrambi la porta.
“E perché mai? Tanto non c’è niente che valga la pena nascondere. Sei piatta come una tavola da surf.” la prese in giro il ninja in nero, che subito si abbassò per evitare il fendente della ragazza.
“Fuori!” urlò Sharon, impugnando con più forza la spada.
Yamiko seguì, ridacchiando, il fratello fuori dalla stanza.

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