Absolution

di MissShinigami
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo I ***
Capitolo 3: *** Capitolo II ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


“E questo che demone è?”
Xaldin la guardò negli occhi, le luccicavano come se le avesse appena regalato un pacco di caramelle. “Quale piccola?”
La bambina saltò giù dalla sedia e si diresse verso l’uomo alto con i rasta che la prese in collo paterno. Aveva in mano un libro della biblioteca del castello e gli stava mostrando un demone cane dal folto pelo nero, gli artigli sguainati e le corna appuntite.
Xaldin fu sorpreso di ritrovarselo davanti ma non batte ciglio, non voleva spaventarla, era così cauto con lei come se si potesse rompere. “Bhè … questo è una Fiera Maggiore, ne esistono diverse.”
“Perché ‘Maggiore’?” chiese sgranando ancora di più gli occhi neri.
L’uomo si concentrò sulla figura. “Non lo so piccola … io non li classifico! Li faccio fuori e basta!!” rise.
La bambina rise con lui. “Credi che un giorno potrò aiutarti!?” chiese speranzosissima.
Le poggiò una mano sulla testa e le scapigliò i capelli biondi. “Certo piccola, certo …”
Il tono con cui lo disse però era triste.
“Adesso andiamo a preparare la cena di stasera!” si riprese Xaldin.
 


“Perché non funziona!?”
L’urlò sconquassò il silenzio che si era creato nella stanza.
L’uomo era davanti alla parete di vetro dietro alla quale il suo esperimento stava andando in fumo, una donna gli stava accanto con il volto illuminato dalla luce bluastra dei monitor.
“Il livello di sangue demoniaco non è ancora salito … se non lo farà perderemo il soggetto.” disse lei.
I due scienziati si guardarono comprendendo cosa dovevano fare. La donna spinse qualche bottone mentre l’uomo prendeva delle strane fiale nere. Furono sistemate nel macchinario, poi la donna riprese a digitare numeri e lettere. La macchina si azionò e iniettò il liquido nero nel soggetto.
Un altro urlo, proveniente al di là del vetro, fece voltare i due.
“La volontà del soggetto si sta imponendo, stanno reagendo tutti i valori!”
“Sì! Finalmente!!”
Un colpo mandò in frantumi il vetro: una sottile lama nera era arrivata fino al volto dell’uomo, senza ferirlo.
Una bambina di sei anni uscì dall’ombra della sala, la sua mano era totalmente coperta da uno strano liquido nero che usciva dalla pelle e rifluiva nella lama.
“Perfetto …”
La bambina ebbe un sussulto poi all’improvviso svenne, il liquido nero si ritirò e la lama scomparve.
“Le servirà molta pratica però.”

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Capitolo 2
*** Capitolo I ***


Il treno arrivò in stazione con almeno un’ora di ritardo.
Tutti i passeggeri avevano dormito così pesantemente che avrebbero potuto rubar loro anche le sopracciglia; ovviamente c’era un eccezione: Ledi non aveva chiuso occhio, aveva passato tutto il tempo ad arricciarsi i capelli biondicci che da lisci adesso erano diventati crespi. Non che non avesse provato a dormire, ma la sua insonnia non le aveva concesso quel dono così prezioso, quando se n’era andata di casa aveva scambiato le sue pasticche con delle caramelle alla menta, cosa che, al solo pensarci, le faceva venir voglia di schiaffeggiarsi.
Scese dal treno trascinandosi dietro la sua vecchia sacca verde, era vestita con i suoi abiti preferiti, non che fossero i migliori ma in fondo non aveva davvero molto altro nel suo armadio, erano un semplice paio di jeans sul punto di strapparsi, una maglietta marrone scuro con delle scritte sbiadite e una felpa nera dalle rifiniture di un bianco sporco, il look si completava con delle vecchissime converse nere slacciate.
Si guardò intorno: nessuno la aspettava in quel posto, e ne era enormemente felice.
Una nuova città, una nuova casa, una nuova vita … l’unica cosa di cui avesse bisogno.
S’incamminò tra gli stretti vicoli di mattoncini arancioni, non si ricordava come si chiamava quel posto e non le importava; al momento doveva trovare il suo nuovo appartamento. Non fu facile districarsi tra quelle stradine piccole e tutte ugualmente arancioni; alla fine decise di abbandonare il progetto di trovare prima l’appartamento e poi il cibo e si concentrò esclusivamente su quest’ultimo, visto che la fame non le dava tregua da quasi un giorno ormai.
Riprese a vagare.
Girò l’ennesimo angolo dell’ennesima strada uguale a tutte le altre e si scontrò con qualcuno.
Entrambi caddero a terra.
“Scusa! Non volevo!” si fece subito avanti Ledi.
“Fa niente!” aveva risposto una ragazza dai capelli biondi, più dei suoi, con delle treccine e due o tre rasta in qua e là, portava gli occhiali da sole storti a causa della caduta. Portava delle buste della spesa enormi e pesanti ma non sembrava che le facesse fatica o che provasse il minimo sforzo. “Però, adesso, scusami! Se non rientro entro cinque minuti mi fanno al forno con le patate!!” si alzò, sistemandosi distrattamente la camicetta nera  sui pantaloni scuri, era un po’ più bassa di lei ma non poté osservarla bene perché fuggì subito, seguendo veloce i marciapiedi affollati.
Ledi sospirò e si guardò le scarpe sciupate: poco più in là notò un pacchetto di patatine alla paprica e formaggio. “Deve averle perse quella ragazza.”
Alzò lo sguardo: era ancora visibile tra le altre persone che camminavano nella strada. Così prese il pacchetto di snack e la seguì a passo svelto. Dopo due o tre svolte però la perse di vista, essendo finita nella periferia della città e non sapendo neanche come ci fosse finita, rinunciò.
Il suo stomaco ruggì furioso, così aprì sconsolata il pacchetto di patatine e iniziò a mangiarle, un po’ dispiaciuta.
Dopo un po’ decise di riprendere il suo vago peregrinare per la città, solo che adesso non sapeva neanche dove fosse oltre che dove fosse diretta.
“MA CHE STAI DICENDO!?!? SECONDO TE IL VENTO NON È ALLO STESSO LIVELLO DELLO SPAZIO? MA CHE HAI BEVUTO!?”
“LE STESSE COSE CHE HAI BEVUTO TU!!!”
Delle forti risate e urla di scherno attirarono la sua attenzione; si voltò di scatto, prima che una lancia le atterrasse accanto conficcandosi in terra.
“Eoooooooooooo!!! Scusa miravo a questo pezzo di cinghiale qui!!!” rise un uomo alto con i rasta corvini e le basette strane, aveva gli occhi piccoli e scuri, lo sguardo affilato.
“Ahahahahah! Ma cosa vuoi colpire!?! L’aria!?!?” ribatté l’altro uomo con la testa innegabilmente zebrata che, oltre tutto, aveva una benda su un occhio, sembrava quasi un pirata.
“Ma sono ubriachi fradici …” fece tra sé e sé la ragazza.
I due intanto avevano ripreso a litigare su cosa, tra il vento e lo spazio, fosse il più forte. Dopo uno scambio di battute, che avevano poco da spartire con una conversazione normale, iniziarono a suonarsele di santa ragione.
Il tizio con i rasta atterrò l’altro scaraventandolo a terra, ai piedi della ragazza, rischiando nuovamente di colpirla.
“Hei, ragazzi! Calmi!”
Il pirata si rialzò. “Ma che credi di fare, cuoco del cavolo!”
“Che vuoi fare tu, zebra! Vieni qua che ti sfondo quella brutta faccia sfregiata che ti ritrovi!”
“Ok, adesso buoni, non fate così!!” era finita nel mezzo e, mentre ancora si stava chiedendo come, i due le rivolsero le peggiori occhiate che avesse mai ricevuto in vita sua.
“STANNE FUORI TUUUU!!” le urlarono contro.
Poi la attaccarono.
Scartò di lato facendoli sbattere l’uno contro l’altro; il pirata tentò di afferrarla, ma Ledi bloccò il suo gesto e gli mosse il braccio facendo finire la sua mano in faccia al rasta, che divenne paonazzo di rabbia; tirò un pugno all’altro che finì a terra, poi si rivolse a Ledi. La ragazza allora scattò in avanti e, con una mossa veloce, ed aiutata dal fatto che quello fosse incredibilmente ubriaco, lo fece finire a gambe all’aria.
“Hei, picchia meglio di te!” fece quello con la testa zebrata.
“Sta’ zitto!!” rise l’altro.
Poi persero i sensi entrambi per l’alcool e per le botte.
Ledi sospirò sconcertata da quell’incontro. Si guardò un po’ intorno in cerca di aiuto, poi notò che dalla tasca dei pantaloni di entrambi usciva un bigliettino, li prese e lesse la stessa scritta su entrambi: ‘In caso di ‘briaca pesa riportare in via Oblio numero 13, grazie’.
Ledi sollevò lo sguardo sul cartello all’inizio della strada: c’era proprio scritto ‘via Oblio’.
“Oh! Un po’ di fortuna!” si rallegrò la ragazza. “Ora devo solo trova il numero 13 …”
Da quel lato stava sopraggiungendo un vecchietto che stava portando il proprio cane a passo lento.
La ragazza gli si avvicinò sorridendo. “Scusi, lei vive qui?”
“Si, signorina.” rispose quello ricambiando il sorriso.
“Allora mi saprebbe dire dov’è la casa con il numero civico 13?”
Il vecchietto sgranò gli occhi e iniziò a tremare. “Laggiù in fondo!! Ma non le consiglio di andarci, sono tutti matti là!! Dei pazzi furiosi!!” disse indicando il fondo della strada, alle sue spalle.
Ledi si voltò per vedere la casa in questione: un castello enorme completamente bianco, distingueva male le varie costruzioni da lontano, davanti c’era un giardino ancora più grande, che cingeva l’intero edificio, si vedeva bene il cancello in ferro battuto da lì, che era completamente nero, sembrava nuovo, praticamente mai usato.
Come diavolo aveva fatto a non notarlo?!
“La … la ringrazio signor …”
Ma quello era già scomparso da un pezzo.
Ledi sbuffò e trascinò i due ubriachi davanti al cancello. Adesso poteva vedere bene il castello bianco: contava cinque torri con un numero incalcolabile di finestre, la maggior parte delle quali erano nel buio più totale, tutte terminavano con una guglia piuttosto alta; il resto della costruzione sembrava proprio esser stata costruita durante il medioevo, c’erano i merli su ogni parapetto e feritoie che, si immaginò, potessero ospitare arcieri e altri guerrieri pronti a colpirla. Tutto aveva un aria piuttosto spettrale e quasi abbandonata, ma non sembrava fosse sporco o anche solo polveroso. Il giardino era straordinariamente ben curato, l’erba era tagliata alla perfezione, sul retro si coglieva qualche fronda di un qualche tipo di albero, forse da frutto, ma erano ancora troppo distanti per carpirlo davvero. Per arrivare al portone d’ingresso, una magnifica porta di legno bianco a due battenti con le borchie in ferro nero, c’era una strada asfaltata che continuava con la strada normale, mentre accanto un piccolo vialetto in grandi pietre di un grigio chiarissimo conficcate pari al terreno, l’erba le sovrastava giusto di qualche millimetro.
Suonò il campanello con titubanza.
“Sì?” chiese una voce sospirosa al di là della cornetta.
“Hem … ecco ho raccolto due ubriachi dal marciapiede, i biglietti dicevano di portarli qui …”
“Ah … sì, ti apro il cancello, grazie mille.” fece la voce con un altro sospiro.
Ledi riprese a trascinare i due lungo il vialetto.
Un ragazzo dai capelli chiari, tendenti al blu, e il ciuffo emo aprì la porta.
"CHE VUOL DIRE CHE HAI PERSO LE MIE PATATINE ?! IO TI ABBRUSTOLISCO, SPECIE DI DOMESTICA CON GLI ANFIBI!!" l’urlo uscì dalla casa con tutto il suo fragore.
Il ragazzo sospirò ancora una volta, e la sciarpa bluastra che aveva al collo scivolò giù dal suo gilet bianco. “Hanno ripreso a litigare …” fece, poi si rivolse alla ragazza. “Scusa, ti do una mano.” si offrì.
Ledi poté vederlo meglio, aveva gli occhi una strana sfumatura di blu, che si intonava con la sua sciarpa, e sembrava davvero emo.
Insieme trascinarono i due uomini svenuti nella sala d’ingresso, enorme anche quello: due grandi scalinate di marmo bianco si ergevano ai lati della sala, entrambe portavano al piano superiore, sotto di esse si poteva scorgere una zona totalmente avvolta dalle tenebre.
Ledi finì di trascinare il pirata in casa e si voltò verso il ragazzo che le stava parlando.
“Grazie infinite per il tuo aiut …”
“FOTTITI AX! SONO SOLO DELLE PATATINE!!”
“SI, MA ERANO LE MIE PATATINE!! E OVVIAMENTE GLI SNACK PER MARLUXIA NON LI HAI DIMENTICATI!”
“LUI È A DIETA!!”
“Come fanno a urlare così?” si chiese il ragazzo e si sistemò la sciarpa. “Comunque io sono Zexion, piacere. Mi dispiace per il comportamento di questi due.” si presentò e si scusò. “Ma ti senti bene?” le chiese vedendola sbiancare.
“Hem … si si, ciao, io sono Ledi, piacere.” si riprese la ragazza, colpita dalla parola ‘patatine’ urlata qualche istante prima. “E non ci sono problemi per loro due, ho visto di peggio!” sorrise comprensiva la ragazza.
“Senti, ti andrebbe di prendere un tè? Ti vedo un po’ emaciata.” chiese lui. “Così avrei anche modo di ringraziarti per il disturbo.”
Ledi non declinò l’offerta perché stava per morire di fame e le andava bene mettere nello stomaco qualsiasi cosa, ignorò perfino la definizione ‘emaciata’ e disse gentilmente: “Figurati, nessun disturbo.”
“Bene, adesso devo solo avvertire che quei due sono tornati.” si voltò verso il piano superiore e urlò: “Lexeaus!! L’hanno fatto di nuovoooooooo!!” sfoderando un tono e un volume della voce di cui non sembrava neanche lontanamente capace.
Ledi rimase un po’ stupita però non poté non avere un sussulto quando un uomo gigantesco, che pareva più un armadio a due ante che una parsona, dai capelli ricci e arancioni iniziò a scendere le scale. Il ragazzo enorme non si presentò neanche, prese solo i due ubriachi sotto braccio e li portò via, prendendo un corridoio a destra dell’ingresso.
Ma qui sono davvero tutti matti … pensò Ledi.
“Pregò, di qua.” le fece strada Zexion come se tutto stesse andando con normalità e tranquillità.
Il ragazzo dal ciuffo emo la portò in una sala grande con una parete totalmente occupata da enormi finestre che davano sul cortile davanti, al centro c’erano dei divanetti, tre poltrone e un tavolino basso bianco, poco più in là c’era anche un mobiletto di mogano, l’unica cosa scura in circolazione.
Poi passarono in un’altra sala con un tavolo enorme e anch’esso tutto bianco.
“Ok, potresti aspettare qui un attimo, vado a sentire se ci fanno un tè.” sorrise.
Ledi gli sorrise di rimando e annuì.
Zexion si affacciò ad una porta che dava su quella sala da pranzo e urlò: “Fraxy, ci faresti un po’ di tè perfavoreee?”
“Mi dispiace ma la CAMERIERA è troppo impegnata a farsi bruciare le treccine!!”
“AX NOOOOOOOOOOO!!”
“Bene!” Zexion urlò ancora, poi sorrise in direzione di Ledi.
Lei invece si stava seriamente preoccupando per ciò che poteva accadere nell’altra stanza.
Ci fu un piccolo botto e del fumo nero uscì dalla porta.
Dopo qualche istante dal fumo emerse una ragazza dai capelli biondi e qualche rasta, fumava da tutte le parti e la sua camicetta era quasi del tutto bruciata.
“Fraxy, dovresti cambiarti prima di mostrarti davanti agli ospiti.” la rimproverò Zexion.
“Zex, non è colpa mia e poi …” si voltò verso Ledi che era rimasta ferma, sorpresa di trovarsi davanti proprio quella ragazza. “Questa qua cos’è?” poi notò cosa ancora spuntava dalla borsa dell’altra ragazza. “Hei! Ce li avevi tu gli snack di Axel!”
“Ecco, visto li hai ritrovati, ringraziala così il piromane non finisce di arrostirti.” le disse Zexion sospirando.
“Troppo tardi.” sbuffò lei.
“Hem … mi sa che gli ho mangiato un po’ di patatine …”
“Tu cosa!?” scattò Fraxy.
“Scusa, non volevo è solo che ti ho perso tra la folla e stavo davvero morendo di fame!”
La bionda sbuffò di nuovo poi fece: “Ma sei davvero riuscita a mangiare quel miscuglio di gusti assurdi?”
Ledi annuì.
“E va bene. Andate pure in salotto, vi raggiungo subito. Il tè è già sul fuoco.” sorrise prima di scomparire nuovamente in cucina. Ma ne riemerse subito. “Hai detto di avere fame cosa ti piacerebbe mangiare? Dolce o salato?”
“Hem … dalla fame che ho andrebbe bene qualsiasi cosa …” fece, un po’ rossa in volto, Ledi.
“Bene, allora … mmmh … tramezzini alle salse.” disse pratica ed esaltata al tempo stesso Fraxy mentre alzava un pugno verso il soffitto e si voltava per tornarsene in cucina.
Dopo qualche minuto, comunque molto meno di quanto Ledi si aspettasse, il tè fu servito nel salottino in bianco, e gli attesi tramezzini si presentarono in tutto il loro splendore.
“Quelli con lo stecchino rosso sono al pomodoro, quelli in verde alle verdure e quelli gialli all’uovo.” spiegò la cuoca.
“Sono fantasticiii!!” si complimentò la ragazza dopo averne mangiato uno per tipo.
“Allora, signorina, perché si trovava da queste parti?” le chiese Zexion, addentando un tramezzino alle verdure.
“Già, non sembri una che consce le strade della città.” notò Fraxy mentre si sistemava in una posizione sghemba su una delle poltrone.
“Be’, ecco … mi sono trasferita proprio oggi e dovevo fare un po’ di spesa prima di entrare in casa, ma non ho trovato neanche un negozio aperto, né tanto meno la casa! Poi mi sono scontrata con lei.” fece indicando Fraxy.
“Sì, hehe, scusa. Avevo fretta, il cuoco aveva bisogno delle sue spezie!” rise lei. “Anche se poi l’ho scoperto ubriaco marcio qualche minuto fa …” prese a borbottare.
“Quindi stai cercando il tuo appartamento?” chiese Zexion, lasciando l’altra ai suoi monologhi.
“Sì … so la via e il numero ma le strade mi sembrano tutte uguali là fuori.”
“Già, l’arancione confonde.”  concordò la bionda dalla poltrona.
“Fraxy. Comunque se vuoi posso darti una cartina della città.” propose Zexion.
“Davvero!?” scattò su Ledi.
“Davvero …” fece Fraxy.
I due si scambiarono un occhiata, poi il ragazzo disse: “Sì, davvero.” si voltò verso Ledi. “Non ci sono problemi.”
“Grazie mille!!”
Ci fu qualche attimo di silenzio in cui Ledi prese un altro sorso dalla sua tazza. “E voi invece, cosa fate in un posto enorme come questo?”
“Oh, questa è una specie di Casa Famiglia.” iniziò Fraxy.
Il ragazzo annuì. “Già, e tutti noi qua svolgiamo dei compiti al di fuori del castello, ovviamente.”
“Anche se IO non ne faccio mai, ma lavoro per loro, qua dentro …”
“In realtà, non è che tu faccia un gran che …” una voce leggermente gracchiante era arrivata fino nella stanza, seguita poco dopo anche dal suo proprietario: un uomo biondo, abbastanza in là con gli anni, aveva un camice bianco addosso e due libri sotto braccio. “Di solito si chiede se gli altri vogliono favorire, signorina.” rimproverò Fraxy.
Lei sbuffò. “Vexen, vuoi un po’ di tè?”
“No.” fece andandosene via e dirigendosi in cucina.
Fraxy, in risposta, ringhiò.
“Ma … ma perché ha detto che in realtà non fai nulla?”
“Sta scherzando! Ovviamente. Io pulisco, spolvero, lavo, cucino, spazzo, stiro e faccio il bucato.” si sfogò contando le sue attività sulle dita delle mani.
“Ma se non ti riesce neanche!!” intervenne un'altra voce.
La ragazza roteò gli occhi.
Un ragazzo dai capelli ritti a riccio e rossi entrò dal lato della sala da pranzo, indossava dei jeans sotto una camicia color cachi con solo due bottoni agganciati alla fine, mostrando i pettorali scolpiti, la sua faccia era una maschera da sbruffone e il suo sorriso sghembo mostrava derisione. “Tu!!” l’accusò varcando la soglia. “HAI RESO LA MIA FIGHISSIMA CAMICIA NERA, UN MIX TRA IL ROSA E IL BIANCO ADATTO SOLO A MARLUXIA!” disse lanciando in faccia alla ragazza una camicia chiarissima.
“Dai, Ax, il rosa non ti sta così male.” intervenne Zexion senza neanche alzare gli occhi dalla sua tazza.
“Zitto tu!! La difendi solo perché è l’unica che ascolta le tue poesie!”
Fraxy si alzò tenendo la camicia tra le mani ed osservandola con occhio esperto. “AX!! Questa camicia … È DI MARLUXIA!!”
I due iniziarono a litigare animatamente.
“Smettila se non vuoi che che che … hei, ma questa da dove è uscita?” chiese il ragazzo, Axel, indicando Ledi che cercava di farsi piccola piccola nella poltrona gigante.
“Lei è la ragazza che ha riportato a casa Xigbar e Xaldin e … AXEL! ASCOLTAMI QUANDO PARLO!!”
Axel era chino accanto al divano di Ledi e ci stava spudoratamente provando. “Hei ciao, io mi chiamo Axel, A-X-E-L, l’hai memorizzato? Sai è raro trovare una ragazza carina in questo posto, le uniche due che ci abitano sono dei veri mostri …”
“Ax!!” Fraxy gli urlò contro poi scattò in avanti dandogli un calcio sulla nuca.
Il ragazzo volò sul tavolino, costringendo Zexion a salvare le tazze, sospirando.
Qui SONO tutti matti!!!! tremò Ledi.
“Ax, devi smetterla di rompere le palle a tutte le ragazze che trovi!!”
“Hei …” le fece il ragazzo avvicinando il volto a quello di lei. “È colpa tua che non mi coccoli mai …”
“Ma che stai dicendo!? Io …” iniziò a dire diventando sempre più paonazza. “MA CHE CAVOLO MI FAI ANCHE SOLO PENSARE!!??! BRUTTO RICCIO ROSSO!!”
Axel si fece un altro volo attraverso la stanza.
“Cos’è tutta questa confusione?” chiese entrando un altro ragazzo con i capelli turchesi, una grossa cicatrice a X gli segnava il volto, entrando nel salotto, il suo sguardo si posò sulla teiera fumante e sulle tazze. “C’è il tè? Fraxy, devi chiedere se le persone lo vogliono quando lo fai …”
La ragazza si batté una mano in fronte e si schiantò sulla poltrona.
“Saix, non si saluta?” fece Zexion con il naso ancora infilato nella tazza.
Il ragazzo si voltò verso Ledi. “Perché è qui?”
“Hem … ho riportato due dei vostri totalmente ubriachi qui e …”
“Ah, quei due mentecatti. Bene. grazie … ma forse è meglio se te ne vai adesso.” alzò lo sguardo su gli altri. “Xemnas sta per tornare.” disse poi si riempì una tazza, prese due tramezzini e se ne andò.
“Oh … in questo caso, mi sa che devi davvero andare Ledi.”
La ragazza guardò i volti dei ragazzi: Zexion era sempre concentrato sul suo tè, mentre Axel si era voltato verso Fraxy con un aria preoccupata, lei guardava a terra ostentando indifferenza.
“Okay, vado ma … hem … mi potreste dare quella cartina?”
“Certamente.” Zexion si alzò e estrasse una foglietto dai pantaloni.
Axel sorrise e disse: “Bene, io vado a prenderti la tua guida …”
“He?”
“Oh, tranquilla …” le fece Fraxy alzandosi. “Sarà affamato quando si sveglierà … gli vado incontro con i tramezzini.”
“Ledi, eccoti la tua cartina, ho segnato il luogo esatto dove dovrebbe trovarsi il tuo appartamento.”
La ragazza seguì  Zexion verso l’ingresso mentre si rigirava la cartina tra le mani.
“Eccoci qui.” fece il ragazzo. “Non ci resta che aspettare …”
Uno sbadiglio lungo e profondo riecheggiò nella sala d’ingresso: un ragazzo dai capelli biondi acconciati in stile anni ’80, corti davanti e lunghi dietro, scese le scale con estrema lentezza, girava a torso nudo e in jeans chiari e laceri, era scalzo; teneva in entrambe le mani tramezzini di gusti diversi. Arrivato davanti a Ledi fece: “E tu chi sei … no, un attimo! IO chi sono?”
“Dem, dormi da quasi venti ore … riprenditi e accompagna Ledi al suo nuovo appartamento.”
“Ti chiami Ledi, quindi … mmmmh … io sono Demyx, piacere.” le porse la mano, poi si accorse di avere ancora i piccoli panini in mano, li ingurgitò e gliela riporse.
“Dai, mettiti una maglietta e accompagnala!” urlò Axel affacciandosi dal parapetto del secondo piano. “Prendi!” e gli lanciò una maglia blu elettrico.
Demyx se la infilò e si mangiò l’altro tramezzino, si infilò gli anfibi e uscì urlando: “A dopo!”
“Grazie mille di tutto.” fece Ledi congedandosi, poi uscì.
Zexion la salutò con la mano poi chiuse la porta dietro di sé.
Con l’aiuto del ragazzo, lei riuscì a trovare la sua nuova casa.
“Be’ … grazie mille!” fece la ragazza sulla soglia già aperta.
“Figurati! Mi annoio in quella casa!! Non c’è mai nulla sa da fare e se c’è  troppo faticoso!!” rispose lui ridendo.
Si salutarono e Demyx se ne andò lascando Ledi nella sua nuova  casa a rimuginare su dove diavolo avesse cacciato la cartina che Zexion le aveva dato.

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Capitolo 3
*** Capitolo II ***


3:00
Notte fonda o lunedì mattina?
Ledi si rigirò nel letto per poi alzarsi immediatamente, capendo subito che in realtà non si sarebbe riaddormentata nuovamente, nonostante avesse voluto visto che il giorno dopo c’era il suo primo giorno di scuola e non voleva rischiare di arrivare in ritardo o di sembrare uno zombie. In casa non c’era nulla da fare, anche perché era ancora praticamente vuota. Ci si era trasferita da soli due giorni, impossibile trovare tutto quello di cui si ha bisogno in così poco tempo.
La ragazza si fece un bicchierone di cola e, mentre la beveva, fu assalita ancora una volta dal pensiero di aver perso la cartina che Zexion le aveva dato, non si dava pace: un attimo prima ce l’aveva in tasca, l’attimo dopo era scomparsa. Che l’avesse persa per strada? Possibile che l’avesse data a Demyx? Possibile … per mostrargli la via … ma che poi non l’avesse ripresa le sembrava davvero strano.
Sospirò ancora.
Alla fine, esasperata dalla noia, decise di fare una passeggiata nella città deserta.
Crepuscopoli era davvero strana di notte: tutto sembrava di una strana tonalità di blu, i lampioni non rischiaravano molto le strade, e tutto sembrava sommerso dall’acqua … ecco cosa.
Ledi scosse la testa, quanto poteva vagare il suo cervello quando andava in carenza di sonno?
Sbuffò e riprese a camminare, dapprima spedita poi sempre più lenta.
Faceva freddo, in fondo era quasi novembre ed il cielo era totalmente coperto di nuvole, non si sarebbe meravigliata se avesse iniziato a piovere o nevicare da un momento all’altro.
Con le strade deserte era più facile raccapezzarsi, così si ritrovò in fretta nella strada in cui aveva incontrato Fraxy la prima volta, sembrava essere quella principale: era piena di negozi, in quel momento chiusi e con le serrande abbassate; il pavimento era fatto di lastroni di pietra incastrati gli uni con gli altri e ogni tanto era attraversati da dei binari di ferro che dovevano servire per il tram urbano.
Giunse in una piazza piuttosto ampia.
Mentre osservava dove era capitata, le sembrò che il terreno si fosse mosso impercettibilmente sotto i suoi piedi. Si bloccò e alzò la testa. Poi la scosse velocemente maledicendo ancora la sua testaccia ultra stanca: non poteva esserci stato un terremoto, doveva essere molto più stanca di quanto credesse …
Infilò le mani nelle tasche della felpa e la sua mano destra incontrò qualcosa di freddo e squadrato, lo prese e se lo portò davanti agli occhi: era una piccola scatolina bianca. “Sì!! Le pasticche per dormire!!” esultò.
Se ne mise subito due in bocca ma non appena le toccarono la lingua capì che erano ancora una volta le mentine … le aveva scambiate … di nuovo.
S’infuriò talmente tanto che scagliò la scatoletta verso il centro della piazza.
Non appena quella toccò la pietra, la terra tremò così forte che Ledi cadde a terra.
Un orribile ed acuto stridio scricchiolò rimbombando sinistro tra i palazzi.
La ragazza si alzò in tempo per vedere due forme indistinte cadere dal cielo.
Non appena toccò terra la prima, più piccola e di forma quasi umana, la vide schizzare via velocissima evitando per un soffio gli enormi artigli della seconda. Questa si riprese dalla caduta, ricomponendosi e mostrandosi per ciò che era: un gigantesco corvo nero come la pece completo di artigli e becco tanto adunchi ed affilati che avrebbero potuto benissimo infilzarla senza tanti complimenti.
La figura più piccola si rialzò scattante, sembrava proprio un uomo, piuttosto alto, incappucciato e completamente vestito di nero. Fece un rapido movimento con le braccia e una grande falce gli si materializzò in mano. Poi l’uomo in nero attaccò.
Ledi rimase immobile, ma i suoi muscoli fremevano … il sangue le ribolliva … si alzò da terra e si voltò, pronta ad andarsene.
Un urlo di dolore squarciò l’aria notturna.
Lei si bloccò ancora per poi tornare sui suoi passi.
L’uomo era a terra, si teneva una spalla, mentre il suo sangue aveva tinto il becco del corvo.
Ledi scattò: il sangue le ribollì fuori dalla pelle e si solidificò subito, nero e più duro dell’acciaio, in una lunga lama affilata. Si parò tra l’incappucciato e il corvo, parando gli artigli di questo, poi, con un movimento molto ampio del braccio e saltando, lo fece anche un po’ indietreggiare.
“No! Ferma! È pericoloso!” urlò l’uomo.
Ma Ledi era già scattata in avanti, correndo per avere più slancio. Saltò e affondò la lama fatta del suo stesso sangue nel cranio del demone che non poté reagire, tanto fu veloce, e cadde al suolo morto.
Ledi atterrò poco più in là. Si fermò ad osservare la lama nera rientrare nel suo corpo e tornare a far parte del suo sangue assieme al sangue del demone corvo che vi era rimasto sopra. Per un attimo sentì delle vertigini e un incredibile senso di fame, le sembrò di essere sottosopra con i piedi agganciati al cielo invece che alla terra. Poi tutto passò come era cominciato.
“Chi sei?” una voce profonda, che arrivava dalle sue spalle, la riscosse.
La ragazza si voltò per rispondere: “Nessuno in particolare.” fece spallucce.
L’uomo in nero adesso era in piedi e la osservava da sotto il cappuccio, infine annuì. “Be’, ti ringrazio comunque.” disse e si tolse il cappuccio, alcuni petali di rosa rossa caddero a terra. “Piacere, io sono Marluxia e ti sono grato di avermi salvato la vita.” il suo volto era gentile come le sue parole e aveva i capelli tutti in disordine di una strana tonalità di rosa.
Il suo nome non le risultò estraneo, ma non si ricordava proprio dove potesse averlo sentito.
“Vorrei sdebitarmi con te in qualche modo, tuttavia credo che adesso per me sia meglio andare a farmi curare.” sospirò. “Per fortuna la nostra domestica è davvero brava in queste cose.”
“D-domestica?” Ledi non poteva credere alle sue orecchie, o meglio: non ci voleva credere.
“Sì, lei è …”
Un rumore di lamiera metallica accartocciata e stracciata frenò le sue parole e Marluxia si voltò verso il centro della piazza dove un alone, più scuro della notte in cui erano immersi, si stava formando praticamente dal niente.
L’uomo fece una specie di smorfia.
Dall’alone uscirono due figure completamente nere, vestite esattamente come lui.
“Finalmente il Corvo è morto.” fece la più alta con tono autoritario.
Era un uomo, probabilmente il capo, pensò Ledi.
“Ma … ti sei fatto notare …” continuò quello indicandola con un lento cenno della testa.
“No, si è fatto aiutare.” parlò il secondo, sembrava più giovane e familiare.
“Saix, neanche tu sei riuscito a farlo fuori, lei lo ha abbattuto con un solo affondo!” spiegò Marluxia sprezzante. “E poi ha dei poteri straordinari …”
“No, un momento! Saix?”
Il ragazzo si tolse il cappuccio nero.
“Cosa sta succedendo?” domandò l’uomo ancora incappucciato.
“Questa ragazza l’altro giorno ha riportato a casa Xigbar e Xaldin dopo una delle loro solite uscite, in pratica ci conosce.”
“Ma non avevate detto di essere una specie di casa famiglia?!”
“Casa famiglia?” fece confuso Marluxia. “Ah, giusto … la copertura …”
Anche l’ultimo uomo si tolse il cappuccio, rivelando un volto dai lineamenti affilati e la pelle scura, i capelli erano bianchi tenuti pettinati all’indietro. “Siamo un’organizzazione segreta che mantiene l’ordine, noi siamo l’ordine. Controlliamo le attività dei demoni e freniamo le loro pulsioni omicide. Io sono il loro Superiore, mi chiamo Xemnas.” spiegò atono. “Da come hai combattuto, deduco che non sei estranea a questo mondo …”
Ledi strinse i denti ma non disse niente.
“Sei interessante …” proseguì allora quello. “Vorrei che ti unissi a noi nella nostra missione. Così imparerai anche come controllare il meglio il tuo potere e potrai …”
“Mai.” scattò la ragazza. “È stato solo un caso che passassi di qua stanotte, non ho intenzione di tornare in quella realtà … mi sono ripromessa di non farlo più. Non accetto.”
Saix rimase sorpreso dalla risposta così decisa poi la sua espressione divenne di disgusto, fece per fare qualcosa ma il Superiore alzò una mano e lo fermò dicendo rivolto a Ledi: “Bene, hai un giorno per pensarci come si deve.” poi si voltò verso l’alone nero che ancora non si era richiuso assieme all’altro
“Hei ma non mi avete sentito?! Io non accetto!” iniziò a dire la ragazza e visto che non la degnavano di uno sguardo finì urlando: “E NON ACCETTERO’ MAI!”
Il varco si chiuse.
Marluxia le mise una mano sulla spalla. “Lasciali perdere quei due, è una tua decisione non farti influenzare.” sospirò. “Adesso sarà meglio che vada davvero.” fece un movimento con il braccio sano e un altro di quei cosi scuri si aprì davanti a lui. “Ci vediamo, Ledi.”
La ragazza lo fissò mentre attraversava il buio e vi scompariva dentro. Rimase ferma lì per qualche minuto, prima di andarsene e tornare a casa, rivolse la sua attenzione alla carcassa del Corvo che ormai si era quasi del tutto tramutata in cenere, molti demoni lo facevano. Sulla strada di casa fu assalita anche da altre vertigini, una volta dovette addirittura appoggiarsi ai mattoncini arancioni di una casa per non cadere. Perché doveva essere sempre così quando combatteva? Riprese a camminare e giunse, non appena giunse a casa, si buttò sul letto stravolta dalla stanchezza.
Fu svegliata dal sole che entrava prepotentemente dalla finestra della stanza, evidentemente le nuvole se ne erano andate, avrebbe potuto andare a scuola senza il peso dell’ombrello …
Schizzò in piedi tirandosi dietro coperta e lenzuola. “MIODDIOLASCUOLA!!” scattò in bagno e si preparò in qualche decimo di secondo, poi uscì di casa lanciando uno sguardo triste al frigo ancora completamente vuoto, niente colazione quella mattina.
Nonostante si fosse alzata tardi, riuscì ad arrivare in segreteria prima della campanella.
Una donnina un po’ rachitica le spiegò come funzionava un po’ la scuola, spiegazioni che nonostante le apparenze le servirono molto, poi le indicò la classe in cui doveva andare e l’orario delle lezioni. Per quella mattina nessuno l’avrebbe rimproverata se non aveva con sé nessun libro, in fondo l’anno era iniziato da poco e non si era persa praticamente nulla.
La sua classe era la 4J al secondo piano.
La scuola, come d’altronde tutta la città, era di mattoni regolari, tanto da sembrare essa stessa un mattone, dava su una piazzetta circolare dove i ragazzi si radunavano prima di entrare.
Salendo le scale vide ancora qualche studente ritardatario entrare in qualche aula o qualche furbo che già si aggirava nei corridoi fingendo di dover fare chissà cosa; trovò la sua classe piuttosto in fretta, bussò ed entrò. “Buongiorno …” si affacciò.
“Oh, sì! Entra pure!” la professoressa d’italiano se non ricordava male l’orario la invitò sorridendo. “Ragazzi questa è una nuova studentessa che si aggiunge ora tra le vostre schiere, mi raccomando trattatela bene.” disse e tutti gli occhi furono su Ledi. “Su, presentati per bene poi prendi pure posto.”
La ragazza annuì. “Piacere, mi chiamo Ledi Kuroichi.”
Qualche ragazzo azzardò a salutare di rimando ma in pochi lo fecero davvero. Sembrava così strana?
“Adesso va pure a posto, là in ultima fila c’è un banco libero, sì quello accanto a quello ancora vuoto che dovrebbe essere della signorina Scarlett …” guardò l’orologio che aveva al polso. “Che prima o poi arriverà.”
“Detto fatto prof.” si sentì dire praticamente da fuori della porta. Immediatamente dopo dalla porta entrò una biondina vestita di nero che si stava aggiustando la tracolla viola su una spalla.
“Fraxy … va a posto.” fece la professoressa.
“Ciao, Ledi.”
“TU!”
Metà classe si voltò a vedere l’incontro tra le due.
“Hei, sei famosa Fraxy!”
“Aahahaha! Sembra che già ti odi!”
“Tacete!” si sedette la ragazza tirando fuori libro e quaderno.
La lezione iniziò e Ledi non riusciva a concentrarsi a dovere per capire cosa doveva fare, a che punto erano del programma; teneva la penna in mano, scriveva qualche appunto sul quaderno che si era portata dietro poi non andava oltre. Gettava occhiate furtive a Fraxy alla sua sinistra che non la degnava di uno sguardo, anzi sembrava veramente interessata alla lezione, rispose addirittura a qualche domanda relativa al contenuto di qualche antico mito greco.
Dopo un’interminabile ora, la campanella suonò.
Fraxy posò la penna e la chiuse dentro il quaderno per poi alzarsi e uscire dalla classe.
Ledi decise di seguirla e la fermò vicino alle scale. “Si può sapere che ci fai tu qui?”
“Io? Io sono a scuola. Cosa ci fai tu nella mia classe?”
La ragazza non seppe che rispondere. “Non ti hanno mandato quelli dell’Organizzazione?”
“Tsk, certo che no!” sbottò l’altra. “Quelli non sanno far altro che dar ordini a destra e a manca, certo! Ma sono io che ho deciso di frequentare questa scuola! Anzi sono riuscita a convincerli anche troppo tardi!”
“Cosa?” adesso Ledi era confusa.
“Già, sono più grande di due anni di tutti voi. Ho perso anni in quella casa …” smise di parlare all’improvviso e la sua bocca assunse una specie di broncio. Quando si accorse che la ragazza la stava fissando riprese: “Adesso con permesso!” le diede una spallata e scese le scale.
Ledi rimase ad osservarla mentre spariva tra la folla dei ragazzi al piano inferiore.
“Oh, un’altra persona in trauma dopo aver incontrato la Scarlett.”
“Ti ha sicuramente sentito.”
“Be’ ma è vero.”
“Zitta, Ell!”
Ledi si voltò e vide un gruppetto di quattro ragazze che se ne stavano appoggiate ad un termosifone e la fissavano.
Una di loro, quella con i riccioli neri e vestita di tutto punto, la salutò energicamente, seguita a ruota da un’altra castana mentre rideva.
“Oddio no.” fece la piccoletta al centro del gruppo e anche l’ultima ragazza rideva della sua reazione mentre si faceva una coda alta per trattenere i suoi riccioli. “Dovete smetterla di importunare le persone.”
“Suvvia, Mai, è nuova dovremmo aiutarla.” disse  quella alla sua sinistra.
Ledi decise di avvicinarsi. “Ciao … hem, voi conoscete quella ragazza?”
“Conoscere è un termine forte, diciamo che si fa notare.” disse quella che doveva chiamarsi Ell.
“In realtà sappiamo solo che abita in una casa famiglia e che sono praticamente tutti pazzi.” sospirò Mai. “Forse ti conviene lasciarla perdere.” passandosi una mano tra i capelli scuri.
“Mmmh … comunque io sono Ledi.” si presentò.
“Io sono Kelsey.” disse la ragazza che per prima l’aveva salutata.
“Ellen.” sorrise la castana.
“Io Iris …” fece la ragazza con la coda poi indicò quella più bassa. “ … e quella che se parla sembra cattiva è Mai.”
“Chi sarebbe cattiva, scusa?”
“Tu!” rise Ellen.
“Avanti ragazze, avanti!” le redarguì Kelsey.
Ledi si massaggiò una tempia: iniziava a farle male la testa, una volta fuori dalla scuola avrebbe dovuto comprare quelle dannate pasticche contro l’insonnia e tentare di fare almeno una notte di sonno come si doveva.
“Hei, tutto bene?” le chiese Iris.
“Sì, sì … scusate ho troppe cose per la testa.”
“Ti sei trasferita da poco giusto?” domandò Kelsey.
La ragazza annuì. “E devo fare ancora molte cose nella nuova casa, per questo sono un po’ stanca.”
“Ma i tuoi?”
“Hem … i miei genitori …” inspirò profondamente. “Loro sono rimasti nella vecchia città. Avevano molto da fare e hanno pensato che fosse meglio per me se frequentavo questa scuola che è un po’ più adatta alle mie capacità.”
Il gruppetto rimase un attimo in silenzio, Ledi iniziò a temere che non se la fossero bevuta poi Ellen disse: “Devono fidarsi molto di te per averti lasciato andare via di casa, he?”
Espirò: “Sì, che fortuna, he?”
“Oh! Ecco la prof!” scattò Kelsey. “Sarà bene che torni in classe.”
“Ciao!”
“A ricreazione!”
“Se vuoi siamo qui anche a ricreazione, Ledi.” disse Mai guardandola da sotto in su.
La ragazza annuì poi si voltò, ora aveva la lezione d’arte e doveva cambiare aula.
La professoressa, una donna sulla sessantina piuttosto abbondante sui fianchi, la salutò con energia e sorridendo poi la invitò a sedersi e a tentare di fare ciò che stavano facendo gli altri: una composizione di foglie in chiaro scuro.
Accanto a lei, che ancora una volta si era presa l’ultima fila perché si era persa per i corridoi, c’era Fraxy, che invece sembrava farlo apposta di arrivare tardi a lezione. Stava distrattamente finendo di dare l’ombra ad una foglia d’edera
Tutta la classe era impegnata o meno in discorsi detti a bassa voce, la professoressa sembrava non accorgersene da dietro il suo computer, oppure faceva finta di niente e lasciava correre.
Così anche Ledi disse: “Quindi non sei qui per convincermi ad entrare nella vostra Organizzazione.”
“Non sembra una domanda.”
“Non lo è.”
“Mmh.”
La ragazza batté più volte la punta del lapis su foglio che le avevano dato poiché ne era ancora sprovvista, poi iniziò a disegnare le sue foglie.
“Quindi ti hanno chiesto di unirti ...” fece una strana pausa. “… a loro.”
Ledi continuò a tracciare linee più o meno curve sul suo foglio. “Mi confondi le idee.”
Fraxy non rispose, non la guardò neppure.
“La fai sembrare una cosa bella.” continuò a parlare. “Trovo che …”
“Non mi interessa come trovi la faccenda.” si scostò una delle sue treccine da davanti agli occhi. “Quand’è che te lo avrebbero proposto?”
“Dopo che ho salvato la vita a Marluxia, questa notte verso le quattro.”
Fraxy sorrise sarcastica. “Complimenti allora.”
Ledi rimase interdetta. “Con te non ci si può parlare, he?”
“No, da cosa l’hai capito?” sbottò alzando finalmente gli occhi dal suo foglio e puntandoli su di lei. “Dal mio tono sardonico, dal mio sguardo omicida, dal fatto che …” si fermò di botto spostando lo sguardo da Ledi alla finestra alle sue spalle. Poi aggrottò la fronte e tornò al suo disegno senza aggiungere altro.
Ledi si voltò per vedere cosa l’aveva fatta reagire in quel modo, e vide l’uomo zebrato e con la bende sull’occhio che aveva riportato al castello solo qualche giorno prima appeso a testa in giù alla trave di sostegno esterna della finestra. Si spaventò, ebbe uno scossone tanto forte che cadde dal panchetto su cui era seduta e si trascinò dietro anche Fraxy che non riuscì a reggersi al banco.
“Hei! Voi due laggiù in fondo!” le riprese la professoressa. “Che state combinando!?”
La classe intanto si era completamente ammutolita.
La ragazza con i rasta e le treccine si rialzò in fretta. “Ci scusi prof, la nuova arrivata non ha dimestichezza con le sedie.”
Si misero tutti a ridere come matti.
“Simpatica. Molto simpatica!” disse arrabbiata Ledi mentre si risedeva.
“Sei stata fortunata che io non abbia trovato altro da dire, so essere molto più cattiva.”
“Ma chi ti ha morso?”
La lezione proseguì in silenzio per le due ragazze.
Una volta rientrate in classe dopo la ricreazione, Ledi lesse che ci sarebbe stata un’ora di matematica, con un professore chiamato Fod. Quando entrò nell’aula teneva in una mano una valigetta di pelle marrone scuro, nell’altra la giacca del completo e al collo una sciarpa blu.
Ledi alzò lo sguardo per osservarlo meglio in volto, era come se non riuscisse davvero a metterlo a fuoco ma quando ci riuscì avrebbe preferito non farlo: davanti alla lavagna c’era certamente il professore, ma aveva il volto di Zexion. Sgranò gli occhi e iniziò quasi a tremare. “Non è possibile … non può essere …” sussurò.
Fraxy, accanto a lei, si portò una mano alla fronte disperata, fingendo di non vedere.
Sembrava che nessun altro si fosse accorto della cosa e dopo qualche minuto di lezione e qualche stropicciata d’occhi il professore tornò normale.
All’uscita, Ledi si ritrovò davanti le ragazze che aveva incontrato tra la prima e la seconda ora.
“Eeeh … Ledi!” la indicò Ellen.
“Sì.”
“Ci ho dato!” cinguettò la ragazzina.
“Com’è andato il primo giorno?” le chiese Mai.
“Be’ …”
“Poteva andare meglio, he?”
“Il primo giorno è sempre uno schifo.” si unì alla conversazione Kelsey.
“Immagino di sì.” accondiscese. “Adesso dovrei fare qualche commissione in centro …” iniziò a dire.
“Vuoi una mano?” si propose Iris.
“Hem … non importa, grazie. Credo di non perdermi più ormai.” sorrise Ledi.
E si salutarono, dividendosi per le varie vie che si ramificarono dalla piazzetta.
Ledi si ritrovò a fare un pezzetto di strada assieme a Mai, parlarono per un po’, poi la bionda iniziò a sentirsi strana, le sembrava che qualcuno la stesse osservando. Si girava di tanto in tanto, con circospezione, fingendo di interessarsi a questo o quello ma dopo un po’ Mai disse: “Tutto bene? La giornata storta non ti permette di fare la strana.”
Ledi riprese una postura umana e prese fiato per rispondere ma poi disse: “Mi hai per un attimo ricordato Fraxy.”
“Aha.”
“Che ridi?
“È strana.”
Ora su Ledi a ridere. “Ma alla fine il problema non è lei, anche se la prima volta che ci siamo viste mi sembrava simpatica e adesso sembra che mi odi.”
“Quale sarebbe il problema?” chiese Mai.
“Come potrei dire … ecco … mmmh … la sua famiglia.” fece alla fine.
“Perché ne ha una?”
Ledi non sapeva più che rispondere. “Sì e no, cioè vive in una casa famiglia … e boh, non lo so … diciamo che hanno proposto anche a me di entrarci, ecco sì. Sì!”
“Convinta tu. E la tua risposta?”
“No.”
“Perché?”
“Non voglio.”
“Non vedo il problema.”
“Sono piuttosto insistenti.”
“Allora accetta.”
“Ma non voglio!”
“Allora rifiuta.”
“L’ho fatto!”
“Okay, cos’è esattamente che vuoi sentirti dire?”
Ledi non rispose e osservò la morettina continuare a camminare a testa alta. “Sono confusa … ci penserò ancora … ho tutto il pomeriggio.”
Arrivarono davanti ad un bivio, a sinistra la strada proseguiva lungo un ponticino mentre a destra arrivava a delle scale che portavano alla piazza centrale.
“Io vado di qua.” disse Mai indicando la sinistra.
“Io vado a comprare la cena e la colazione per domani … ciao!”
“Ciao!”
E si divisero.
Ledi camminò tranquilla fino ad un minimarket dove si procurò il cibo di cui aveva bisogno, mentre era alla cassa fu assalita ancora una volta da quella strana e appiccicosa sensazione di essere seguita. Scosse la testa e tentò di non farci caso, contemporaneamente la cassiera le rivolse uno sguardo preoccupato.
Poi la ragazza si diresse a comprare le sue beneamate pasticche contro l’insonnia e, alla fine, poté tornare a casa.
Continuava a pensare e ripensare alla proposta, alla fine non è che potesse pensare a molto altro.
“Cavolo però! Uno arriva in una nuova città deciso a non fare più niente del genere e si ritrova subito invischiato in faccende forse anche peggiori?! Ma vadano a farsi fottere!” finì di mangiare il toast che si era preparata, se ne sarebbe fatto anche un altro ma prima voleva farsi una doccia rilassante, dopo di che decise che sarebbe andata subito dai tizi nel castello e avrebbe detto loro definitivamente di no.
Entrò in doccia e iniziò a lavarsi; dopo circa un quarto d’ora aveva già finito, nonostante ciò rimase ancora per un paio di minuti sotto il getto d’acqua calda che le colpiva la schiena e la rilassava sempre di più. Chiuse gli occhi e si concentrò sul rumore dell’acqua che cadeva a terra, sembrava quasi ritmico.
Dopo un po’ le sembrò di sentire degli scricchiolii più forti, le sembrava provenissero dalla cucina. Che avesse lasciato il tostapane acceso? Quanto poteva essere sbadata in quei giorni?
Riaprì gli occhi e oltre ai vetri distorti della doccia le sembrò di vedere due sagome. Si bloccò sul punto di urlare, poi scacciò il vapore che si era creato nel bagno con rapidi movimenti della mano e quello che aveva visto scomparve. Se l’era immaginato. Sicuramente. Sicuramente
Rimase sotto la doccia ad ascoltare, ma non sentì altri rumori fuori del normale e decise di uscire e vestirsi in tutta fretta.
Si ritrovò a correre con i capelli bagnati lungo le stradine di Crepuscopoli fino a giungere al castello, ansimante.
Suonò il campanello, ma non attese neanche la risposta ed entrò scavalcando il grande cancello. Arrivata alla porta Zexion le aprì e lei entrò sorprendendolo. “ALLORA?!” urlò Ledi. “NON VOLETE UNA MIA RISPOSTA?!”
Xemnas comparve dal fondo delle scale, quasi dall’oscurità stessa. “Eccoti, Ledi …” scandì il suo nome con attenzione e cura.
Dalle porte ai lati della scalinata uscirono delle persone, la maggior parte uomini, alcuni li aveva già visti, c’erano Saix, Axel e Demix, poi sulla sua sinistra vide Fraxy con il volto apatico e accanto a lei anche una donna bionda in pantaloni neri e t-shirt gialla che la guardava incuriosita appoggiandosi allo stipite della porta, dietro di loro spuntava Marluxia che le sorrise.
Ledi era al centro dell’attenzione di tutti, ne contava dodici in tutto, dovevano essere dodici nell’Organizzazione, sapendo che la sua compagna di scuola non ne era un membro effettivo.
“Allora? La tua decisione?” chiese il Superiore con un tono che le sembrò più una minaccia che un invito a proseguire.
La ragazza deglutì. “Accetto.”

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