Big bad world

di madelifje
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cool kids never die ***
Capitolo 2: *** Biciclette e lama ***
Capitolo 3: *** Quarantaquattresimo minuto ***



Capitolo 1
*** Cool kids never die ***


Il lessico è volutamente semplice e colloquiale. Se usassi un linguaggio troppo forbito, stonerebbe con il contesto.




BIG BAD WORLD

Capitolo uno: Cool kids never die
 


E sulla strada di casa trovano me un attimo prima
Di decidere, di scegliere, di scappare
-Lo stato sociale


Sono le ventitré e mezza di un mercoledì sera di inizio giugno.
Tre figure se ne stanno sedute sul camminamento in cima alla piccola diga di Hoeden, con le schiene appoggiate contro il muretto più a nord e le gambe distese in avanti.
Nell’aria c’è quel profumo tipico dei momenti che precedono un temporale, che si somma all’odore della sigaretta di Bjorn, ormai quasi finita. Colin tiene gli occhi chiusi e la testa scurissima appoggiata al muro, sembrando un messicano durante la siesta pomeridiana.
Tutti e tre sono stanchissimi, nonostante non abbiano fatto assolutamente nulla di produttivo, e la voglia di parlare è poca. Se non fosse per il vento forte che soffia dietro di loro, probabilmente ci sarebbe un silenzio quasi innaturale.
Lucas rabbrividisce e si strofina ripetutamente le mani sulle braccia magre. Fa caldo, tuttavia non abbastanza da starsene in maniche corte.
 

Sono le ventitré e mezza, circa la metà di uno dei mercoledì sera più improduttivi della storia.
Si trovano anche in quel momento della serata in cui Colin sente il bisogno impellente di lanciarsi in uno dei suoi discorsi filosofici, di conseguenza gli altri due devono cercare di farlo smettere, prima che li mandi fuori di testa.
“Ma ci pensate mai a quanto sia grande l’universo?”
“Dio, Colin” grugnisce Bjorn.
“No, sul serio!”
“L’universo si espande” sentenzia Lucas.
“Ma se l’universo è infinito, dov’è che si espande?”
“Lo chiedi a me?”
“E tu che gli dai pure corda!” sbotta Bjorn, facendo scoppiare a ridere gli altri.
Cala di nuovo il silenzio, durante il quale il ragazzo con i capelli castani ruba una sigaretta al suo amico, che fa finta di non accorgersene.
Lucas Owen non lo ammetterebbe mai, ma anche lui a volte si perde in quei pensieri assurdi sull’universo. Dopo un po’ però di solito gli gira la testa e si costringe a pensare a qualcos’altro.
Perché l’infinito è troppo grande, troppo… troppo per la mente umana, è impossibile riuscire a immaginarselo. E poi lui non è mica Colin.
“Oh” dice questi, a nessuno dei due in particolare.
“Eh” risponde Bjorn. Lucas ridacchia ancora.
“Secondo te il paradiso esiste?”
“Ma quanto hai bevuto?”
Tanto, vorrebbe rispondere Lucas. Prima, in quel locale, non ha mai visto il bicchiere di Colin vuoto. Bjorn non se n’è accorto perché era troppo impegnato a provarci con Lara, ma lui sì.
Lui non doveva fare colpo su nessuno.
Lo chiamano L’Inglese – sì, anche con l’articolo – nonostante si sia trasferito nei Paesi Bassi quando era solo un bambino di dieci anni ed abbia vissuto lì da allora. Lucas dice di odiarlo, ma in realtà essere lo straniero di turno comporta parecchi vantaggi. Non chiedetegli quali, sa solo che sono lì da qualche parte.
Hoeden non è un bel posto in cui vivere, lo sanno tutti.
Tanto per cominciare, le case non abusive si contano sulle dita di una mano e appartengono tutte ai ricconi di turno. Sono davvero un numero molto ristretto, d’altronde la stragrande maggioranza degli abitanti è composta da operai/disoccupati/lavoratori stagionali. Non è che possano aspirare a delle regge, loro, gli appartamenti occupati illegalmente vanno più che bene.
Hoeden è malfamato e anche i poliziotti hanno imparato a girare al largo – lo stesso vale per i turisti, naturalmente; Lucas si chiede sempre come mai l’unico albergo del paese non abbia ancora chiuso i battenti.  Senza forze dell’ordine tra i piedi, bisogna tenere sempre gli occhi aperti. Non puoi lasciare la casa vuota in piena estate senza chiudere porte e finestre in tutti i modi possibili, altrimenti qualcun altro potrebbe decidere di occuparla buttando i tuoi mobili giù dal quarto piano – oppure potrebbe tenerseli e allora tu saresti davvero nei guai. Non puoi dare fastidio alle bande. Non puoi fare concorrenza alle bande. Non ti devi meravigliare se senti degli spari. La scuola è, in sostanza, una presa in giro, così come gli altri enti pubblici.
Tutti gli abitanti di Hoeden sognano di andarsene da lì e Bjorn, Lucas e Colin non fanno eccezione. Peccato che quasi nessuno abbia i soldi per partire sul serio e cambiare vita.
 
 
Sono le ventitré e quarantacinque e i ragazzi sono ancora sulla diga. In teoria sarebbe vietato – lo dimostra il cancelletto che blocca l’accesso alle scale, lo stesso ammasso di ferro arrugginito che loro scavalcano da anni – ma in fondo chissenefrega.  Non hanno abbastanza soldi per scappare da lì, perciò si accontentano di guardare il Mare del Nord da lassù.
E Colin quando è particolarmente ubriaco si diverte a sputare acqua o Heineken controvento solo per vedersela tornare indietro, ma questa è un’altra faccenda.
“Se finisci la birra facendo così, ti ammazzo” lo avverte Bjorn, che stasera non è per niente in vena. Colin però è ubriaco, così non se ne accorge e fa per rovesciare tutto il contenuto della bottiglia verde dall’altra parte del muretto. La mano di Bjorn scatta per impedirglielo. C’è una collisione e la birra finisce inesorabilmente giù dallo strapiombo, bottiglia annessa.
“Merda” esclamano tutti e tre.
Segue il solito battibecco. - “Sei un idiota” “No, tu sei un idiota” “Ma se è colpa tua!” “Colpa mia?! Ma siamo impazziti tutti?!”. Ormai Lucas non ascolta più. Si appoggia al muretto sul lato opposto della diga rispetto agli altri due, quello che dà sul paese, e tiene lo sguardo fisso sulla bellissima stellata che c’è sopra la sua testa.
È costretto a guardare un po’ più in basso per scacciare una stupida zanzara e, quando mette a fuoco le sagome che attraversano la strada principale, gli si blocca la mano a mezz’aria.
“Inglese, di’ qualcosa!” sta protestando Bjorn, nel frattempo. “E se ripeti la parola ‘qualcosa’ giuro che ti-”
Lucas obbedisce. “Chi sono quelli?”
Gli altri due seguono la traiettoria del suo sguardo.
“A me sembrano delle roulotte” afferma Colin. “Forse è un circo, o una compagnia teatrale.” Sarà anche ubriaco fradicio, ma 'sta volta ci ha azzeccato.
Bjorn fa notare quanto questo sia strano, dato che solitamente circhi/compagnie teatrali/cantanti girano al largo da Hoeden. Gli altri concordano e la cosa finisce lì: tempo due secondi e la conversazione è già ritornata ai mondiali di calcio – perché tanto ormai si parla solo di quello – e nasce l’ennesima discussione su quale nazione sia la favorita.
Colin starà sicuramente difendendo la patria, Lucas potrebbe giurarci, anche se sta pensando ai fatti suoi. Invece Bjorn confida nel Brasile: i Paesi Bassi fanno abbastanza pena – qua scattano le proteste “Ma la finale contro la Spagna nel 2010, dove la mettiamo?” – e parlare così porta sfiga.
Lucas segue con lo sguardo la fila di roulotte fino a quando un boschetto non gli copre la visuale e allora fruga nello zaino eastpack che porta sempre con sé. Sta’ a vedere che magari si è portato un’altra birra.
Inizia a piovere.
 
 
Lucas ha lasciato una bottiglia vuota di birra sulla diga, ma non è abbastanza ambientalista da sfidare il temporale per andare a riprenderla e buttarla via. È però troppo presto per tornare a casa, perciò i tre si infilano nell’unico locale degno di questo nome del paese e ammazzano il tempo lì dentro. In un momento imprecisato della serata Colin si addormenta su uno dei divanetti. Gli altri due non hanno il coraggio – e nemmeno la voglia – di svegliarlo e lo lasciano russare in santa pace.
Senza Colin che straparla, possono discutere quasi in modo serio. E, vuoi per l’alcol, si ritrovano a sognare viaggi on the road in condizioni a dir poco pietose ma se ti trovi senza un soldo a fare l’autostop è più figo!. E poi basta andare via da lì, o no? Basta poter far finta di avere denaro, un titolo di studio quasi decente, la possibilità di trovare un lavoro, di prendere l’aereo, di vedere la finale dei mondiali dal vivo – “Ma tanto cosa te ne frega? L’Olanda non vincerà mai!” – di non marcire in quel buco fino alla fine dei tuoi giorni e nemmeno di morire a trent’anni perché al tuo vicino di casa tossicodipendente una mattina sono girati i cinque minuti e ti ha accoltellato.
Però sono stronzate, lo sanno bene. Hanno a malapena i soldi per pagare le due vodka lemon che hanno appena ordinato.
 
 
È l’alba.
Bjorn, il quale è ancora di cattivo umore, tira una gomitata a Colin e lo trascina fuori da lì, inveendo contro i taxi che a Hoeden non ci sono.
Lucas realizza di aver lasciato anche lo zaino sulla diga, a far compagnia alla bottiglia di birra.
In una piazzetta poco lontano, due ragazze attaccano un volantino a un lampione.
Ha smesso di piovere.
 
 
 
“Anya. Anya, sveglia!”
“Che diavolo vuoi, Pieter?”
“Siamo arrivati, Anya! Siamo arrivati!”
“Di già?”
“Sì! Dai, Anya, alzati!”
“Ma la pianti di ripetere il mio nome?”
“Ti dà fastidio, Anya?”
“Gesù!”
La ragazza spinge via il fratellino e finalmente si alza. Non ha bisogno di controllare l’orologio: se stanno per iniziare a montare il tendone, allora sarà mezzanotte. È sempre mezzanotte.
Scende dalla roulotte, seguita a ruota da Pieter, e inizialmente l’aria fresca di quella sera la fa rabbrividire. Non pensava che nel nord dei Paesi Bassi facesse così freddo. A giudicare dal cartello, sono giunti nel paesino di Hoeden. Mai sentito prima.
Pieter raggiunge in fretta i genitori, lasciando Anya libera di andare a cercare gli altri. Schiva Mangiafuoco, Zeke e i pali che trasportano, e vaga in giro per il loro nuovo campo cercando gli amici.
Clara, Nives e Marc non tardano a comparire.
Sono i più giovani del circo – tralasciando i bambini, ma questi ultimi ancora non lavorano – perciò è abbastanza naturale che abbiano fatto gruppo. Clara ha i capelli castano chiaro e una leggera spruzzata di lentiggini sul viso. Queste caratteristiche, a cui si aggiungono una voce sottilissima e le orecchie leggermente a punta, fanno sì che tutti tendano a… sottovalutarla. La considerano “la Piccola Clara”, quella dolce e amorevole, e non sanno quanto si sbagliano. Anche lei sa tirare fuori gli artigli quando vuole.
Marc saluta Anya battendole il cinque, abitudine che ha preso da quando il circo è stato nel nord della Germania. “Come se nel resto del mondo la gente non lo facesse”, sbuffano sempre gli altri tre. Ma dai pagliacci non ti puoi mica aspettare risposte sensate e comportamenti coerenti, no?
Sono riparati dalle roulotte, in modo da non essere visti dagli altri che invece stanno sgobbando.
L’unico maschio del gruppo si passa una mano tra i capelli corvini e accende una canna.
“Non dovremmo dare una mano?” propone Anya, indicando il resto del circo con un cenno del capo.
“Nah” rispondono immediatamente gli altri. “Sono già troppi, daremmo solo fastidio.” E , è palesemente una scusa. Rimangono a osservare tutti quelli che lavorano, montando il tendone, chiacchierando a bassa voce, proprio come sempre. All’alba avranno finito ed inizieranno ad appendere i volantini ai lampioni. Allora sì che i quattro dovranno collaborare.
“Avete sentito le storie su questo posto?” domanda Clara dopo un po’, rabbrividendo leggermente per il freddo.
“Saranno le solite stronzate” è il commento serafico di Nives. Nives è bionda. Risponde così quando le chiedono di descriversi e lo enfatizza schiarendo con lo schultz i capelli già biondi di loro. Quelli del gruppo sono abituati a Nives e al suo carattere difficile, ma il resto del mondo no. È bellissima, certo, e se vuole sa anche interpretare alla perfezione il ruolo della cocca di tutti, ma è anche un po’… come dire… Nives. 
“Pieter mi stava accennando qualcosa a cena” risponde Anya ignorandola.
“Non sono belle voci.”
“Clary, Clary, neanche su di noi circolano belle voci” fa notare Marc, ridendo. 
“Lo so, ma questo posto è-”
Marc! Porta qui il culo, che ci serve una mano” urla la voce di Mangiafuoco da uno dei camion.
“Vai, Marc” lo esorta Nives, notando l’aria abbattuta dell’amico. Marc la guarda con quello sguardo che è riservato solo a lei e la prende per un polso. “Però vieni anche tu.”
Nives finge di alzare gli occhi al cielo e lo segue, con un’eleganza che si acquisisce dopo tutta la vita passata a fare acrobazie con un nastro. Un po’ Anya la invidia.
“Che dici, andiamo ad attaccare volantini?” Anya non la vede, ma sente che Clara sta sorridendo.
 
 
 
In giro non c’è anima viva, ad eccezione del cane dell’edicolante e di qualcuno mezzo addormentato che torna dalla sua seratona. Bjorn ha trovato un pallone da calcio mezzo sgonfio in giro e adesso sta cercando di palleggiare, mentre gli altri due fumano e lo sfottono allegramente. Ammettiamolo, non è il nuovo Diego Armando Maradona. La palla gli sfugge inevitabilmente dopo appena due minuti, rimbalza via e rotola lungo la strada leggermente in discesa fino a scontarsi contro un lampione. Un lampione a cui due ragazze stanno attaccando un volantino verde chiaro.
“Palla!” urla Bjorn.
Quella con la gonna lunga e la giacca senza maniche di jeans dà un calcio al pallone e lo rimanda vicino a loro.
Bjorn ringrazia.
“Ma voi chi cazzo siete?” urla Colin, troppo ubriaco per ricordarsi quali comportamenti siano ritenuti accettabili nella loro società.
“Del circo” urla di rimando la ragazza con le lentiggini. “Venite allo spettacolo di domani sera!”
“Tesoro, io non butto via così i soldi” risponde prontamente Bjorn. Colin ride troppo sguaiatamente.
“Giusto, molto meglio bere.” La ragazza con la gonna lunga sorride.
“A mezzanotte, mi raccomando” continua l’altra, come se non avesse sentito i commenti.
“Ci saremo!” risponde Lucas. Le due ridacchiano e lasciano la piazzetta, per andare ad attaccare i loro volantini altrove.
“Tu sei fuori come un balcone, Inglese” commenta Bjorn. 



 


Buongiorno :)
Ho le valige già pronte, l'ipod che si sta aggiornando e assolutamente niente da fare. Così ho deciso di postare questa... "cosa" che da un po' vegetava nel mio pc. 
Non è stata scritta per essere pubblicata. È nata nella stazione centrale di Amsterdam un giorno di fine giugno ed ero sicurissima che me la sarei tenuta solo ed esclusivamente per me. Poi ho sentito la canzone "Youth" di Daughter, che sembra scritta appositamente per la trama che mi frullava nella testa e allora ho dovuto per forza continuare. Avete presente, no, quando vi viene quella specie di raptus? Ecco. Ho già pronti quattro capitoli e so esattamente dove andare a parare (lo so, sono a dir poco allibita anche io). 
Ci tengo tantissimo. 
È un contesto diverso dal solito e spero che anche la trama sia abbastanza originale. Non date niente per scontanto :) Questo capitolo voleva soprattutto presentarvi il trio: Lucas, Bjorn e Colin; i quali saranno un po' i protagonisti della storia. 
Boh, lascio la parola a voi :) Se tutto va bene dovremmo rivederci domenica prossima, quando sarò tornata dalle vacanze. 
Sotto trovate i miei contatti, nel caso vi venga voglia di fare due chiacchiere.

baci,

Gaia
 
 

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Capitolo 2
*** Biciclette e lama ***


 
Capitolo due: Biciclette e lama
 
 
 
We go out on our own, it's a big bad world outside
carrying our dreams and all they mean
trying to make it all worthwhile
-Kodaline


La nostra storia molto probabilmente potrebbe finire qui.
Ma.
Di solito, quando due persone si incontrano una seconda volta, c’è la tendenza ad incolpare il Destino. Io però voglio essere sincero, per cui devo specificare che in questo caso il merito è dell’anziana signora Dekker e della sua bicicletta.
La Dekker non è una vecchietta amorevole. Un metro e quaranta per quarantacinque chili al massimo, piccoli occhi scuri e capelli grigi, fa abbastanza paura ai bambini più piccoli. È conosciuta nel palazzo per aver assalito almeno una volta ciascun inquilino, spesso sputando anche sulla rispettiva porta d’ingresso (abitudine che le ha fatto guadagnare il soprannome “Il Lama” tra i ragazzi). Non ha figli e, che io sappia, non si è mai sposata. Come abbia fatto ad occupare il suo appartamento – e anche perché non sia stata ancora buttata fuori – è un mistero. La Dekker non ha la patente. È ancora un’ottima podista, a dispetto dell’età, ma preferisce di gran lunga spostarsi in bicicletta. Già, la bicicletta. Bordeaux, il tipico modello usato dagli anziani, con un freno rotto e la luce che funziona solo nei giorni dispari, è il tesoro della signora Dekker.
Quello che l’anziana donna non sa – o almeno, non sapeva fino a ieri – è che non è la sola ad usufruire di questo mezzo di trasporto.
Lucas Owen non ha mai posseduto una bicicletta. La signora Dekker, nei suoi settantadue anni di vita, non ha ancora imparato a legarla come si conviene. Lucas Owen e la signora Dekker vivono nello stesso palazzo. Traete voi le conclusioni.
 
“Lucas Owen!” urla l’anziana donna, bussando forte sulla porta d’ingresso alle sette e zero due del giovedì mattina. “Lucas Owen” ripete, “porta qui il tuo culo rinsecchito.”
La prima a sentire quelle grida è Hannah Owen, che va brontolando a svegliare il figlio e lo trascina fino alla porta d’ingresso.
Lucas sbadiglia. “’Ngiorno, signora Dek-”
Lo so, che sei tu. Non provare a negare.”
Lucas non ci prova.
“La gomma è bucata, disgraziato che non sei altro!”
Il ricordo della strada di campagna, dei sassi e delle buche è ancora stampato nella mente di Lucas, ma deve almeno cercare di scagionarsi.
“E io cosa c’entro? Le nostre strade non sono esattamente prive di bu-”
“La gomma è bucata, le ruote sono piene di terra e il parafango sbatte contro non so bene cosa ad ogni dosso. Come la mettiamo?”
“Cosa vuole che le di-”
Gli occhi piccoli del Lama brillano in modo sinistro mentre sbraita “Mi devi ripagare tutto, piccolo stronzo! Hai qualcosa da dire?”
“Io ce l’avrei anche, ma tanto lei non mi fa finire una fra-”
E allora parla!”
“Come sa che sono stato i-?”
“Mi ha detto Hanna Jessen che le ha detto John De Wit che ha sentito da Mira Vos che il suo figlioletto Adrian ti ha visto. E adesso mi ripaghi, oh se mi ripaghi!”
“Ma signor-”
No! Usi la mia bicicletta? Adesso voglio i soldi!”
“Ma non ho ce li ho nemm-”
“Lavorerai per me. Farai qualsiasi cosa io ti chieda. Sono stata chiara, pezzente?”
Gemito di sconforto. “Sì, signora Dek-”
“Adesso andrai a farmi la spesa. Ah, giovanotto? Rivoglio la catena della bici!”
E la Dekker sbatte la porta d’ingresso come se fosse casa sua. Lucas non fa in tempo ad appoggiare una mano sulla maniglia per riaprire, che da fuori proviene l’inconfondibile rumore della saliva dell’anziana donna che centra in pieno il legno. La sua abilità è quasi degna di ammirazione.
Lucas sospira, cercando di ricordare dove abbia messo la catena.
“Lucas? Cos’aveva la Dekker da urlare?”
“Niente. Sai com’è fatta.” Sua mamma lo sa. Rumore di passi strascicati, poi la porta della camera da letto sbatte.
 
 
 
Alle sette e venti di giovedì mattina non c’è in giro un’anima. Lucas recupera la lista della spesa dalla Dekker, sorprendendo la vecchia signora mentre sistema la bicicletta in soggiorno, poi si avvia verso il vecchio e piccolo supermercato di Hoeden. Si chiama Tom’s Farm – nessuno sa la ragione di un nome del genere – ma alcune lettere dell’insegna non si leggono, quindi per tutti è il Tofam. Conta la bellezza di sei corsie e tre casse, di cui due perennemente chiuse e la restante gestita dalla stessa gentile signora dagli anni ’80. La gente preferisce andarci al mattino, perché al pomeriggio c’è L’Ora della Rapina e quindi è meglio essere prudenti.
Mentre Lucas spinge la spesa della signora Dekker sul nastro trasportatore rotto – “Buongiorno signora Ilona, come sta?” – ricorda finalmente che fine abbia fatto la catena: l’ha infilata nello zaino eastpack mentre prendeva in prestito la bici e poi si è completamente dimenticato di toglierla da lì. Lo stesso zaino eastpack che ieri sera ha lasciato… merda.
Lucas Owen deve tornare sulla diga e stavolta ci deve andare a piedi. 
 
 
Anya Keller non era mai salita su una diga prima d’ora. Forse è per questo che, quando finalmente si è decisa a farlo, ci è rimasta su per ore e ore.
L’idea originale era quella di vedere l’alba, ma purtroppo è arrivata troppo tardi. È bastato uno sguardo al Mare del Nord ed ha subito capito di non voler scendere. Per questo si è spostata una ciocca di capelli dietro all’orecchio e si è appoggiata al muretto, cercando di trovare una posizione comoda.
Questo succedeva circa alle cinque del mattino. Adesso sono le otto meno un quarto.
Anya Keller dovrebbe avere sonno. Stanotte – che poi forse sarebbe ieri notte, considerando che è sveglia da prima delle dodici in punto, ma lei non ha mai capito questo genere di cose – non ha praticamente chiuso occhio ed ha dovuto lavorare per qualcosa come cinque ore. Però non può mica dormire. Non può mica dormire quando in cielo non c’è neanche una nuvola, nell’aria c’è il tipico profumo del mare e non si ricorda da quanto tempo non vedeva un panorama così bello. Capite, davanti a questo genere di cose il sonno passa inesorabilmente in secondo piano.
Bisogna sapere cinque semplici cose su Anya Keller: 1) Non possiede un cellulare. 2) Riesce a toccarsi il naso con la lingua. 3) Preferisce non parlare del proprio passato. 4) Non ha mai avuto un ragazzo. 5) Non sa nuotare.
Quest’ultimo punto è forse quello che la fa stare peggio. Ogni volta che il circo si sposta in una località marittima o sul lago – e capite che questo succede spesso – lei è sempre quella che rimane a riva e guarda con invidia gli altri che fanno il bagno.
Sì, l’acqua le fa una paura tremenda. Non ci è mai nemmeno entrata, in mare. E starsene lì, su quella diga, a guardare le poche onde infrangersi contro i mattoni grigi, le provoca dei brividi di ansia mista all’emozione, perché si dà il caso che ad Anya Keller piacciano le sfide.
Sta appunto meditando su quanto sarebbe bello essere in grado di tuffarsi in quelle acque, quando i suoi pensieri vengono interrotti bruscamente da passi. Veloci, di qualcuno che sta correndo. Anya ne ha la conferma quando anche i respiri affannati diventano udibili e dalle scale spunta una testa castana. Il punto è che lei, quei capelli, li ha già visti. Quella stessa notte. Erano insieme a quelli del ragazzo di colore e del tizio che non sapeva giocare a calcio. Perciò salutare il nuovo arrivato con “Ehilà” non le sembra troppo inappropriato.
Lui invece sobbalza.
“Tu?!”
“Io.”
Ci sono alcuni attimi di silenzio, che servono al ragazzo per riprendere quel minimo di fiato necessario alla respirazione e smettere di ansimare così tanto, poi “Tu sei quella del circo?”
“Ah-ha.”
È evidente che lui non sappia più cosa dire. “Hai mica visto…?” si guarda intorno e finalmente gli occhi marrone chiaro si posano su di uno zaino che Anya non aveva notato.
“Oh, grazie a Dio! Il Lama a momenti m’ammazzava!”
Anya non riesce a trattenersi. “Il Lama?”
Sul serio, Lucas non saprebbe dire perché si sia messo a raccontare tutta la sua vita a una perfetta sconosciuta. Soprattutto perché farlo l’ha portato ad ammettere di essere un poveraccio che non può nemmeno permettersi una bicicletta.
La ragazza indossa ancora la gonna lunga e la giacca senza maniche di jeans della sera prima, questo vuol dire che A) se li è rimessi perché ancora puliti, oppure B) non è proprio andata a dormire. A giudicare dalle leggere occhiaie e dallo sbadiglio che dopo un po’ non riesce più a trattenere, Lucas propende per la B.
“Scusa, non te ne fregherà un cazzo.” Nei momenti che seguono, il ragazzo realizza di non sapersi esprimere in modo adeguato. Bjorn e Colin non fanno certo caso alla grammatica e alla finezza.
“No, invece mi interessa!” sbotta la ragazza. “Non ho mai avuto una vicina di casa che sputa sulle porte. Anzi, non ho proprio mai avuto vicini di casa.”
“Fidati, è meglio così. Quella vecchia è anche peggio di un lama vero.” Anya scoppia a ridere forte, scoprendo la fila di denti bianchissimi. Lucas stavolta ha l’occasione di osservarla meglio. Non è il genere di ragazza che lui potrebbe definire “bella”: gli occhi non sono grandi, ha le labbra carnose e i lineamenti un po’ troppo particolari. A Lucas però non importa proprio nulla dell’aspetto esteriore e questa ragazza ha una risata proprio bella.
“Io ne ho visti un po’, di lama.” Anya sorride divertita, come se stesse ricordando qualcosa di piacevole. “In Spagna uno ha rubato il panino a Pieter e poi gli ha sputato in faccia. Avrebbero dovuto fare un monumento a quell’animale!”
“Chi è Pieter?”
“Mio fratello. Cioè, in realtà non siamo parenti, però ormai vivo con loro da secoli ed è come se lo fossimo. Ha dieci anni e sogna di diventare un lanciatore di coltelli, hai presente il tipo?”
“Sì…” Anya lo osserva con un sopracciglio inarcato. Lucas ride. “No, per niente. Ma credo di immaginarlo.”
“È abbastanza scostante ed ha un debole per le leggende metropolitane. Ma perché stiamo parlando di lui?”
“I lama.”
“Ah, già.”
Pausa, durante la quale entrambi guardano il mare. “Comunque digli che ad Hoeden pare ci sia un lupo mannaro che vive in quel boschetto là. I dodicenni a volte si appostano da quelle parti per cercare di vederlo.”
“Immagino non ci siano ancora riusciti.”
“A dire il vero una volta sì. Solo che non era un lupo mannaro, ma il mio amico Bjorn una sera in cui era particolarmente fatto. Però, se incontri quei dodicenni, non dirglielo.”
Anya ridacchia ancora e fa per commentare, ma viene interrotta dalla vecchissima suoneria di Lucas, il quale legge la sfilza di numeri sul display e corruga la fronte.
“Pron-”
“Lucas Owen, se scopro che sei a drogarti da qualche parte coi miei soldi giuro che ti impicco!”
“Ma chi ca…cchio le ha dato il mio nu-”
“Se non sei a casa tra dieci minuti chiamo la polizia!” E la Dekker riappende.
Dio. È umanamente impossibile farcela in così poco tempo a piedi.
Lucas si rivolge di nuovo ad Anya.
“Scusa. Devo sbrigarmi a tornare a casa o questa è la volta buona che mi uccide.”
L’altra annuisce con aria comprensiva e gli passa lo zaino eastpack. I suoi occhi scuri incontrano quelli nocciola di Lucas ed improvvisamente nessuno dei due sa bene cosa dire.
Il ragazzo si avvia verso le scale, dopo aver promesso di andare allo spettacolo del circo di quella sera – magari accompagnato da qualcuno. È solo mentre sta già scavalcando il cancelletto che realizza un particolare.
“Ehi.” Anya si volta. “Come hai detto che ti chiami?”
 
 
 
È troppo presto per presentarsi fuori da casa di Colin. I genitori saranno fuori a fare uno di quegli schifosi lavori in cui sgobbano come schiavi e vengono pagati uno schifo, perciò Lucas è piuttosto sicuro che non gli aprirà nessuno. Ma deve ricredersi quando, dopo qualche urlo e svariati colpi alla porta, il fantasma di Colin gli grugnisce un saluto. Porta ancora quella t-shirt malconcia e i pantaloncini grigi che usa per dormire ed ha un aspetto a dir poco pietoso.
“Inglese, ma che voglia hai?” sbuffa. Lucas è felice di essere andato da lui: Bjorn, al suo posto, l’avrebbe pestato a sangue.
“Esci?”
“No.”
“Ma daaaaiiii.”
“Vai da qualcun altro.”
“Gli altri dormono.”
“Lo stavo facendo anche io, stronzo. Adesso ciao, me ne torno in letargo.”
“Ma in letargo si va in autunno…”
“Gesù, Inglese. Aspetta, vado a mettermi qualcosa di più decente.”
 
 
Colin scrocca una sigaretta e rimane in silenzio per circa mezz’ora, con la scusa di doversi svegliare. Purtroppo, Lucas decide di proporgli lo spettacolo del circo troppo in ritardo, quando ormai il cervello di Colin inizia già a comprendere anche qualcosa che non sia sonno-fumo-cibo. Lo guarda, con quegli occhi scurissimi in cui non si riesce neanche a vedere la pupilla.
“Odio ripetermi, Inglese, ma… che voglia hai?”
Lucas non sa se dire la verità – cioè che l’ha promesso alla tizia del circo – oppure inventarsi qualche boiata. Alla fine opta per il classico “Ma tanto non abbiamo niente di meglio da fare” che solitamente funziona, stamattina no.
“Vacci con Bjorn.”
“Ma Bjorn-”
“…Ti manderà a cagare sulle ortiche, lo so.”
Ridacchiano, quella risata affettuosa che possono condividere solo due amici quando parlano di un terzo amico.
“Inglese, sei come un fratello, ma non puoi sul serio trascinarmi a vedere quello spettacolo. I miei non mi daranno neanche i soldi.” Lucas in fondo lo sapeva, stava semplicemente cercando di non avere pesi sulla coscienza prima di mettere in pratica la sua vera idea.
 
 
Ogni paesino che si rispetti ha un eremita che vive in una casa stregata. Hoeden non fa eccezione.
L’eremita in questione è una donna sulla sessantina un po’ fuori di testa che vive in una villetta della zona “ricca” della cittadina, una villetta in cui le piante rampicanti hanno preso il sopravvento e che è stata riempita di statuette a forma di gatto. Questa donna risponde al nome di Julianne Boderwijk, è nata e crescita a Hoeden – probabilmente ci morirà anche – e non si fa vedere in paese da decisamente troppo tempo.
Il caso vuole che con la signora Julianne viva anche la nipote, una ragazzina a cui sono morti entrambi i genitori per colpa dell’eroina.
Ha i capelli chiari, di quel colore a metà tra il biondo e il castano, occhi chiari, pelle chiara, gambe e braccia sottili, nemmeno uno straccio di amico. È “Quella Strana”, lei.
Dovrebbe chiamarsi Maaike Boderwijk.
Lucas non è mai entrato nella casa stregata. L’ha già vista, ovvio, mica vive su Marte, quella villetta a schiera è il bersaglio preferito dei ragazzi di Hoeden; una volta lui ha anche mandato la palla nel cortile a causa di un calcio leggermente troppo potente, ma entrato mai.
In giro si dice che Maaike abbia una cotta per L’Inglese, ma che tuttavia nemmeno lui cadrebbe così in basso. Per via di quelle voci, Lucas Owen ha iniziato a stare alla larga dalla casa stregata e dalle due strane donne che ci vivono. Lui non odia Maaike, anzi, gli è perfino simpatica, però… è lei.
Oggi le circostanze sono diverse. Nessuno dei loro conoscenti si farà vivo allo spettacolo di mezzanotte del circo e l’idea di andarci da solo è veramente deprimente. Per questo Lucas si trascina fino al vialetto della villetta ricoperta dall’edera, fa cinque passi in direzione della porta…
…e si blocca.
Non è quel genere di persona. Non può sul serio prendere in giro quella povera ragazza, che già viene schernita da tutti.
Lucas Owen gira sui tacchi e praticamente corre via, senza notare un leggero movimento alla finestra del primo piano della villetta. Se l’avesse fatto, probabilmente sarebbe riuscito a scorgere l’ombra minuta che si nascondeva là dietro, l’ombra di qualcuno con i capelli chiari, gli occhi chiari e la pelle chiara. 


 

Buona domenica!
Sono stata puntuale; sì, è una cosa incredibile e no, non so se sarà sempre così. 
Questo capitolo è un po' Lucas-centrico, me ne accorgo solo ora :) Abbiamo il primo incontro con Anya, l'introduzione della signora Dekker e di Maaike Boderwijk, che sarà un personaggio molto importante. 
Ho cambiato titolo. Questo omaggio alla canzone dei Kodaline mi sembrava più appropriato.
Voglio ringraziare chi ha recensito/messo la storia in qualche categoria, perché non mi aspettavo che qualcuno si interessasse già al primo capitolo. I capitoli dovrebbero essere tra i quindici e i venti, non so ancora dirlo con certezza. Per ora sto scrivendo il sesto :)
Vi lascio come al solito i miei contatti, tra cui aggiungo anche il profilo di facebook, nel caso vogliate fare due chiacchiere. 
baci,

Gaia

 

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Capitolo 3
*** Quarantaquattresimo minuto ***




Capitolo tre: Quarantaquattresimo minuto
 
We stay up late and draw the lines to every constellation 
We live with all our sorrows tied to age and separation 
These are the days of love and life 
These are our expectations 
We stay up late to live tonight 
This is our destination 

- Imagine Dragons


 
Le maglie per lo staff sono sempre troppo accollate e costituite da un tipo di cotone (sicuramente sintetico) troppo pesante. Maaike inizierà a squagliarsi da un momento all’altro, ne è sicura (a meno che non muoia strangolata da quell’orrenda t-shirt col logo del Sunshine Center sul davanti e un errore di stampa sul retro).
Il Sunshine Center, oltre a un nome a dir poco brutto, vanta anche una mensa - la quale attenta in continuazione alla vita delle povere anime costrette a frequentarla -, personale per niente qualificato e bambini sovrappeso che cercano di dimagrire. Maaike non smetterà mai di domandarsi quanto debbano essere disperati i genitori per mandare i propri figli in un posto del genere. Questa gabbia di matti però è l’unico posto ad aver preso anche solo in considerazione l’idea di assumerla, quindi non può fare a meno di sentirsi grata.
“Maaike?” Sbatte le palpebre, tornando sulla Terra, e cerca il proprietario della vocetta. Joel è un bambino con un’enorme massa di capelli ricci e arancioni, le lentiggini,  due denti da coniglio e un carattere abbastanza insopportabile. Maaike lo adora.
“Eh?”
“Ma perché la tua maglia crede che tu sei un uomo?”
Sia, Joel. E non è la maglia che lo pensa.” Solo quell’incompetente che l’ha ordinata sbagliata.
Sì, perché sul retro della maglietta c’è scritto “Mick”; e adesso lei sta cercando in tutti i modi di convincere i bambini di essere una ragazza, non quello dei Rolling Stones.
È l’ora del gioco libero. Un gruppo di bambini sta litigando per salire sull’altalena, tre undicenni si sono date al punto croce e Joel è sempre lì sul muretto, vicino a lei, con le solite macchinine mezze rotte. Forse dovrebbe andare a separare i litiganti. Da quando una bambina anche più in carne degli altri ne ha sfondata una, sono rimaste solo tre altalene degne di questo nome. Naturalmente i litigi per salire sono aumentati in maniera esponenziale.
La ragazza fa per alzarsi. Una delle undicenni prende una manciata di terra. Maaike cambia immediatamente idea. Ci penserà qualcun altro.
“Che sfigata che sei, Maaike.”
“Joel?”
“Mh?”
“Ma tu non hai niente di meglio da fare?”
“No.”
“Ah ecco.”
Rita e quel nuovo animatore di cui non ricorda il nome sono in pausa sigaretta. Gli educatori più esperti saranno a fare le parole crociate da qualche parte. Maaike è lì a guardare i bambini. Che poi stia pensando all’Inglese nel vialetto di casa sua, è un dettaglio insignificante.
Chissà cosa ci faceva lì. E soprattutto, perché se n’è andato senza neanche bussare?
Magari voleva fare uno scherzo idiota, ma Maaike non è convinta. Non è da lui, in genere quelli sono i suoi amici.
Ogni volta che lo vede va in iperventilazione, è da quando ha quattordici anni che cerca di farsi passare quella cotta, eppure niente. In fondo non c’è nulla di male. Se lei non fosse lei e loro non vivessero a Hoeden.
Sì, e se la Terra fosse popolata da unicorni, pensa con rabbia.
“Maaike” dice ancora Joel, “a Hoeden c’è per davvero il circo?”
“Non lo so. Forse.”
“Ci vai? La mamma ha detto che in quel paese non mi porta.”
“La tua mamma fa bene, Joel, fa molto bene.”
 
 
 
Anya Keller sbircia da dietro il pesante telone nero. Il tendone non è pieno, esattamente come si aspettavano. La gente del posto non ha soldi da buttare e tutti pensano la stessa cosa: chissenefrega del circo. Probabilmente anche Anya ragionerebbe così, al loro posto.
Nives ha tirato giù la platea con il suo numero sul nastro. Tre quarti del pubblico si saranno spellati le mani a furia di applaudire, una reazione che Anya non ha mai ottenuto in vita sua. Chissà se tra quelle facce tipicamente olandesi c’è anche quel tale, Lucas.
Chissà se aveva già intenzione di venire o se l’ha fatto per causa sua.
Sempre che sia venuto, ovvio.
Lo stomaco è stretto nella solita morsa che le ricorda che sì, davvero si sta per esibire e davvero rischia di fare una figura di merda. O rompersi il collo. O entrambe.
Qualcuno le tocca una spalla. È Mangiafuoco che le dice di prepararsi, che tra un attimo tocca a lei.
Si arrampica su per l’alta scala che la porterà allo stesso livello del trapezio, nascosta dall’assenza di luci. Una volta arrivata, afferra il legno con le mani e si prepara a saltare.
Quando finalmente i fari le colpiscono in pieno gli occhi, Anya riesce ad avvistare Lucas. Poi salta e ci sono solo lei, il trapezio e il fiato sospeso del pubblico.
 
 
L’Inglese e Colin sono seduti tre file sopra Quella Strana. Lucas dovrebbe amarlo – solo non in senso letterale – perché aveva cose nettamente migliori da fare, lui, come andare all'Anfiteatro e vedere di scroccare qualche canna. Però il suo amico sfigato un po’ gli faceva pena, allora Il Vero Uomo che è in Colin ha accompagnato L’Inglese a vedere il circo. E deve ammettere che, dopo il numero di quella bionda col nastro, essere qui non gli dispiace più così tanto.
“Oh” dice all’Inglese.
Lui distoglie lo sguardo dalla trapezista e “Ma sai che quella la conosco?”
Accenna con il capo alla ragazza che ha appena spiccato un salto da chissà quanti metri d’altezza.
“E a me? Comunque senti, Quella Strana sta usando il riflesso sullo schermo del cellulare per guardarti. È la quarta volta che lo fa in… tre minuti?”
“Esagerato.”
Giuuuro!”
“Urla un po’ di più, eh, forse non ti ha sentito.”
Colin borbotta qualcosa e torna a guardare lo spettacolo.
“Oh.”
Sbuffo seccato che Colin prende come una risposta.
“Perché conosci la trapezista?”
 
 
 
Sette euro e cinquanta spesi abbastanza bene. Maaike Boderwijk non era mai stata al circo, perché il circo non era mai venuto da loro - in questo caso quel detto su Maometto e la montagna non vale. Infatti è ancora fermamente convinta che questi qua abbiano sbagliato strada.
Si avvia verso casa, cercando di non calpestare le fughe tra i ciottoli della strada, tanto perché non sa cosa fare. Ovviamente, mentre si diverte con questo passatempo stupido, deve scontrarsi con la schiena dell’Inglese. Il suo amico nero la stava guardando. Fantastico.
Si salutano.
Maaike non sa cosa dire. Quale frase non la farebbe sembrare pazza?
“Bello lo spettacolo?” Banale.
“Bah, abbastanza” dice quello nero – com’è che si chiamava? – con l’aria di voler fare il superiore.
“Carino” commenta invece Lucas.
“Anche a me è piaciuto!” esclama Maaike con troppa enfasi, felice di avere qualcosa in comune con lui, e subito dopo sentendosi patetica.
Lucas è chiaramente imbarazzato. “Be’ dai, son contento…”
Maaike è una delle poche persone a Hoeden a possedere un computer. Rettifica: è una dei pochi a possedere un computer funzionante. Una dei pochissimi ad avere anche, toh!, una connessione ADSL. Lentissima, ma permette di accedere a Internet. A volte, la ragazza si è avventurata su quei siti hipster che nel resto del mondo vanno così tanto di moda e non ha potuto fare a meno di notare quella cavolo di scritta YOLO. Che un po’ è una boiata perché sì, è vero che si vive una volta sola, ma uno vorrebbe anche trascorrere in pace il tempo che gli manca, senza doversi rovinare per una cazzata fatta in un momento di follia. No? Ecco, questa è più o meno la filosofia di Maaike Boderwijk.
Filosofia che, questa sera al circo, è probabilmente andata a farsi un giro. Perché Maaike apre la bocca e invece di qualsiasi frase intelligente dice “Ma tu oggi mica eri a casa mia?”.
Può quasi sentire l’ultimo briciolo di buon senso buttarsi da un ponte, mentre l’istinto di sopravvivenza le urla di girare sui tacchi e smammare. Inutile dire che Maaike non lo fa.
Lucas è visibilmente stato preso alla sprovvista. Non sa cosa dire – né a lei né ad un allibito Comesichiama – e sembra cercare una via di fuga. Ovviamente non c’è.
“I-io… Be’ forse sì… ma…” Illuminazione. “Il postino ha consegnato a me una lettera che in realtà era per te. Solo che non era seriamente per te, ma per la casa di fianco. Me ne sono accorto a metà vialetto, ho detto ‘Boia, la casa non è questa!’ e sono tornato indietro.”
Maaike non sa se ridere di gusto, piangere, o complimentarsi per il tentativo.
“A che ora ci aspetta Bjorn?” Non vorrebbe nemmeno sembrare paranoica, ma quest’ultima frase del ragazzo di colore sa tanto di scusa.
Impressione che viene confermata dall’occhiata perplessa dell’Inglese, che sembra significare che Bjorn non li sta affatto aspettando, ma il ragazzo ha la decenza di non dire niente.
Lucas dichiara di non saperlo e l’altro suggerisce che forse dovrebbero iniziare ad andare, perché Bjorn è meglio non farlo arrabbiare. Maaike forza per l’ennesima volta un sorriso e li guarda andare via, col cuore che piange. Quanto le piacerebbe essere un’altra persona.
“Mi devi raccontare qualcosa, eh?” dice la voce del ragazzo di colore, ancora abbastanza vicina da essere sentita.
“Colin, sei più pettegolo di mia zia.”
“Ma tu non hai una zia.”
Colin, ecco come si chiama.
 
 
 
Lucas non se ne vuole andare. Non senza salutare Anya e farle i complimenti. C’è anche l’immagine di Maaike che ogni tanto fa capolino tra i suoi pensieri e allora un po’ si sente una merda. Però cosa ci può fare? Lui non ricambia i sentimenti di quella ragazza. Non può mica fingere. Lucas Owen ha diciassette anni e una sola storia alle spalle, durata una settimana e mezza, con una ragazza più grande di un anno. Non hanno approfondito la relazione – si sono a malapena baciati, diamine – ma in confronto a Maaike si può considerare un playboy. Nessuno si è mai avvicinato a quella ragazza, non in quel paesino superstizioso e non con le storie che girano sul conto di lei. Già Lucas viene guardato in un modo un po’ strano perché è straniero, figuriamoci se peggiorerebbe tutto cercando di “conoscere meglio” Quella Strana!
Colin non ha creduto alla storia del postino sbadato. Lucas si è rifiutato di raccontare la verità – anche perché non la conosce con esattezza neanche lui. Hanno battibeccato. Sono finiti all'Anfiteatro a scroccare sigarette. Tanto per cambiare.
Lucas comincia a detestare la propria vita.
Poi gli viene in mente Anya, che gli ha urlato un saluto mentre loro imboccavano la discesa che porta al Teatro. Lui si è voltato e le ha fatto “ciao” con la mano. È sicuro di averla vista sorridere.
 
 
 


L’Olanda sta vincendo tre a uno contro la Spagna.
Probabilmente ci sperava solo Colin, gli altri erano già pronti a dire ciao agli ottavi di finale. Convinzione che è durata fino al quarantaquattresimo minuto del primo tempo, quando l’Olanda ha segnato. Sono tutti a casa di Gebren, Quello Col Televisore Figo; stipati sul divano un po’ sfondato, che riesce incredibilmente sia a ospitare sei persone – otto, contando i due sui braccioli – che a fornire un buon appoggio ai quattro seduti dietro. La tensione è così alta che, se in questo momento cadesse un bicchiere, verrebbe un attacco di cuore a tutti.
È estate, fa caldo, dalle finestre spalancate provengono gli echi della telecronaca della partita, trasmessa dai televisori di tutte le case, e il ronzio di chissà quanti ventilatori che funzionano nello stesso momento. Da qualche parte qualcuno sta anche grigliando delle salamelle, facendo aumentare la salivazione a tutto il vicinato. La fame però passa in secondo piano, dato che, non so se avete capito bene, ma l’Olanda sta vincendo tre a uno contro quei maledetti che li hanno fatti arrivare secondi nel 2010.
Lucas è seduto nel punto più a destra che è riuscito a trovare, perché durante la finale in Sudafrica era a sinistra e quella partita l’hanno persa. Non è superstizioso, eh, però non si sa mai. Bjorn dalla tensione ha già fatto fuori cinque sigarette, intossicato tutti i presenti e tirato tre calci negli stinchi al povero Pavel, colpevole solo di essersi seduto di fianco a lui. Colin è dietro, che mastica rumorosamente delle patatine e s’incazza perché i cappelli arancioni, riciclati dalle precedenti edizioni del mondiale, gli ostruiscono la visuale.
C’è anche Anya, che non ha ancora capito bene come abbia fatto a finire lì.
È il ventisettesimo minuto del secondo tempo. L’Olanda inizia un’azione.
Tutti coloro che fino a qualche secondo fa erano sul divano scattano in piedi, urlando “dai dai dai! DAI DAI! DAAAII!” con tanto di movimento di braccia per dare enfasi.
La palla entra in rete. È gol.
“Goool!” strilla Bjorn, con la voce più alta di un’ottava.
“GOOOOOL!” risponde gridando Pavel.
Baci, abbracci, strette di mano, risatine isteriche, Van Persie che diventa eroe nazionale e commenti poco carini sugli spagnoli.
Poi tutti ripiombano di colpo sul divano – che per poco non si sfonda del tutto – e ritornano alle occupazioni di prima: sigaretta numero sei per Bjorn, pellicina numero tre del pollice di Lucas, pacchetto di Fonzies per Colin e inalatore contro l’asma di Pavel.
Nessuno si azzarda a dire le fatidiche parole, perché ‘sti bastardi potrebbero anche rimontare, ma la gioia è ben visibile sui volti di tutti.
I “dai” che incoraggiano le azioni e gli “uuuh” di quando la Spagna si avvicina troppo alla porta. Gli insulti contro Colin che mastica troppo rumorosamente e contro Ube che ha portato troppa poca birra. Tutte cose che Anya Keller non aveva mai visto.
“Sai che non sto capendo quasi niente, vero?” sussurra all’orecchio di Lucas, che è proprio da parte a lei. Lo sente soffocare una risatina.
“Se Bjorn si toglie la maglietta, vuol dire che abbiamo vinto. Tu urla quando gridiamo noi e vedi che non se ne accorge nessuno.”
L’Olanda vince cinque a uno contro la Spagna, grazie alla spettacolare rete del sessantaquattresimo.
Una mandria di dieci persone galoppa fuori dal minuscolo appartamento di Gebren, lasciando Anya e Lucas da soli.
“Non vieni?” domanda lui. Gli risponde con un cipiglio interrogativo.
“Al bar, a intonare cori da stadio e bere alla faccia degli spagnoli. Non è squallido come sembra.”
Anya ride, fa finta di pensarci un attimo e annuisce.
 
 
Forse è davvero una cosa squallida, ma Anya non ha termini di paragone. Il circo è formato da persone provenienti da ogni angolo del globo, perfino qualche isoletta dell’Indiano che dovrà rimanere senza nome – Mangiafuoco giura di non ricordarselo, naturalmente non ci crede nessuno. Di conseguenza, durante i mondiali di calcio non si crea quello spirito di unità e amicizia che c’è adesso nell’unico bar decente del paese, il Fox. Hanno riempito tutti i tavoli. I proprietari del locale non sono mai stati così felici, non si sa se per la partita o per tutti i soldi che guadagneranno questa sera. Probabilmente la combinazione dei due fattori.
Un brindisi dietro l’altro; prima per argomenti seri, adesso per stronzate.
“Alla nuova maglia di Ube, che stranamente è guardabile!”
Cin-cin. Un idiota fa tintinnare il proprio bicchiere con quello del vicino, obbligando tutti gli altri a fare lo stesso perché “altrimenti porta iella”, spiega Bjorn all’unica ragazza del tavolo.
Anya Keller si è sentita così bene poche volte nella vita.
“A Pavel, che mi ha regalato una paglia!”
I bicchieri si alzano ancora una volta.
Era sulla diga con Lucas. Non si erano dati appuntamento, erano semplicemente capitati lì alla stessa ora. Poi era arrivato di corsa un ragazzo di colore, che aveva imprecato contro L’Inglese per tutta la strada che gli aveva fatto fare e successivamente aveva gridato che la partita stava iniziando. Quale partita? Ma in che mondo vivevano? Mai sentito parlare dei mondiali?
Lucas era partito per la tangente, non prima di averla afferrata per un braccio. E si era trovata sulla sedia dietro al divano sfondato di Gebren.
“Ad Anya, che non aveva mai guardato una partita di mondiale!” Il bicchiere di Lucas si solleva, circondato da un’improvvisa incredulità. Lo stupore generale comunque dura poco e tutti fanno il brindisi.
Poi, di punto in bianco, Lucas si irrigidisce. Anya segue la traiettoria del suo sguardo e vede una ragazza con capelli, pelle e occhi chiari, che gli fa un timido cenno di saluto con la mano.
Cenno a cui Lucas non risponde, anzi, fa finta di non aver visto niente.
Se c’è una cosa che invece Anya vede benissimo, è l’ombra di tristezza pura che attraversa quegli occhi pallidi. 


 

Eto voilà!
Il capitolo che, non so perché, non vedevo l'ora di pubblicare. La scena della partita mi ronzava in testa sin dall'inizio, quindi spero che vi sia piaciuta :)
Vi avevo detto che la cara Maaike Boderwijk sarebbe stata importante. È molto diversa dai ragazzi, trovate? Non solo per la condizione economica, ma anche nel modo di pensare. E poi, Maaike lavora. 
Ringrazio tutti quelli che seguono questa storia. Non sapete quanto mi sia d'aiuto :)
Oggi sono leggermente di fretta, quindi non mi dilungo oltre. Vi lascio con i miei contatti e spero che commentiate il capitolo!
bacioni,
Gaia

   

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