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Premessa. Questa
storia è ambientata a quattro o cinque anni di distanza dall’epilogo de “Il
Canto della Rivolta. Gale è tornato a vivere nel Distretto 12 da quasi un anno
assieme a suo figlio, Joel, e a Johanna Mason, che vive con loro da circa otto
anni.Joel è il figlioletto di Gale,
avuto da una relazione di breve durata con un’altra donna. Rory,
Vick e Posy sono ormai adulti e hanno unafamiglia
loro. In questa storia faranno comparsa alcuni dei loro figlioletti, assieme a
Joel e ai due bambini di Katniss e Peeta (Haley e Rowan). Allego qui lo
specchietto con i nomi dei vari bambini, in relazione alle foto di copertina:
Prima fila (a sinistra): Joel (figlio di Gale); Haley (figlia di Katniss e Peeta);
Prim (primogenita di Rory);
June (primogenita di Vick).
Seconda fila (a destra): Rowan (secondogenito di Katniss e Peeta); Adam & Noel
(gemelli – secondogeniti di Vick); Evan
(secondogenito di Rory).
Storia scritta per la 30 Day OTP challenge con il promptDay 16:Babysitting,
S.O.S. tataHawthorne
Cronache di due baby-sitters
(mica tanto) provetti.
Johanna sbuffò infastidita e diede un
calcio a un mattoncino di lego, stringendosi nelle braccia. Diverse paia di
occhi infantili le rivolsero un’occhiata incuriosita, alimentando il suo
nervosismo: rincasando dopo essere andata a riprendere Joel a scuola si era
trovata la casa infestata da sette mostriciattoli chiassosi, quasi tutti appartenenti
al clan degli Hawthorne. Tutto ciò che aveva voglia di fare in quel
momento era prendere da parte il suo ragazzo e schiaffeggiarlo.
“È solo per un paio d’ore” aveva
mormorato Gale in risposta alle sue proteste qualche minuto prima, prima di
salire a controllare il bambino più piccolo, che stava dormendo in camera di
Joel. In risposta a quelle parole Johanna aveva imprecato ad alta voce, per nulla frenata
dalla presenza dei bambini. Un paio d’ore le sembravano anche troppe perché
potesse superare la giornata senza risentirnementalmente, visti i soggetti con cuiavrebbero avuto a che fare. Fece scorrere lo sguardo per la stanza,
esaminando ogni bambino. Individuò Joel appollaiato su una sedia di fianco allo
stereo, con il pollice e l’indice occupati a mandare avanti e indietro la
rotellina del volume. Di fronte a lui sua cugina June
e la primogenita di casa Mellark, Haley, sembravano impegnate in una sorta di
macarena che si arrestava bruscamente ogni volta che la musica veniva
interrotta da Joel. Se il ragazzino cambiava canzone all’improvviso, le due
compagne di gioco ridacchiavano e inventavano nuovi passi di danza. Agli occhi
di Johanna i tre bambini non avrebbero potuto escogitare modo più stupido per
passare il tempo, ma il sorriso allegro e le risate di Joel la convinsero a
tenere per sé il pensiero di quanto risultassero ridicole le due femminucce
intente a saltellare per la stanza starnazzando come due ochette.
Si voltò poi in direzione di uno dei
gemelli, che stava facendo un baccano incredibile, rovistando fra mucchi di
pezzi di lego sparsi per il soggiorno e pestandone altrettanti. Noel e Adam,
che avevano tre anni e mezzo, erano i fratelli minori di June
e la loro iperattività irritava Johanna come ben poche altre cose erano in
grado di fare. Non riusciva ancora a capacitarsi di come un ragazzo tranquillo
come Vick Hawthorne avesse potuto generare due simili
demonietti.
Infine, vicino ad Adam e alla sua torre
di costruzioni, Rowan – il fratello minore di Haley – stava colorando con
espressione concentrata, disteso sul pavimento a pancia in giù. La sua
placidità sembrava quasi innaturale, se messa a confronto con i continui
movimenti e le urla degli altri bambini. Johanna aggrottò le sopracciglia,
contando mentalmente i presenti: mancavano tre ragazzini all’appello. Uno era
in cucina a combinare nonsapevacosa
rinchiuso nella credenza, e il più piccolo stava dormendo, ma non sapeva dove
si trovasse la terza marmocchia. Gale sciolse le sue perplessità facendo
ingresso in soggiorno con un bambino piccolo in braccio e un’altra nipote per
mano. Evan, il più piccolo dei cuginetti Hawthorne, doveva essersi appena svegliato dal riposino
pomeridiano, perché aveva i capelli arruffati sul davanti e gli occhi
assonnati. Sua sorella Prim stava raccontando
qualcosa allo zio, ma la sue voce timida non era facilmente distiguibile
attraverso il frastuono generato dagli altri ragazzini.
Gale diede un rapido sguardo al
soggiorno, prima di intercettare l'espressione irritata di Johanna.
“Sei sopravvissuta a dieci minuti sola
con sei bambini” osservò con un sorriso, chinandosi in avanti per appoggiarsi
al divano con i gomiti, “Sono colpito!”
Johanna lo fulminò con lo sguardo e tornò a guardare dritto di fronte a sé,
continuando a tenere le braccia conserte.
“Ce n’è uno che si è infilato nella
credenza” borbottò poi, indicando la cucina con un cenno del capo. Gale le
rivolse un’occhiata perplessa, non riuscendo a capire cosa intendesse, ma dopo
aver rivolto una rapida occhiata alla stanza fece sedere Evan
sul divano e uscì. Tornò poco dopo con Adam che gli trotterellava davanti.
“Ti ho già detto più volte che non devi
nasconderti dentro ai mobili” dichiarò in tono di voce fermo, mentre il bambino
si buttava a terra in scivolata, arrivando addosso al fratello gemello. Noel lo
spinse via e continuò a giocare imperterrito con le sue costruzioni. “Potresti
farti male o finire per addormentarti e nessuno riuscirebbe a trovarti.”
“Va bene!” esclamò allegramente il
piccolo, accumulando un po’ di pezzi di lego con le braccia e cercando di
sollevarli tutti assieme. Gale sospirò e
scoccò a Johanna un’occhiata che mescolava rassegnazione e rimprovero.
“Che c’è?” lo interrogò la donna,
distendendo le gambe per appoggiare i piedi a una sedia.
“Avresti potuto cercare di farlo
uscire” commentò, prendendo posto sul divano di fianco a lei; Prim si arrampicò automaticamente sulle sue ginocchia e
appoggiò la testa contro il petto dello zio. Johanna si strinse nelle spalle e
intrecciò le dita dietro la nuca.
“Sei tu che ti sei offerto di fare il
baby-sitter, mica io” osservò, prima di indicarePrim con un cenno
del capo. “Che ha la biondina?” chiese poi, notando come sembrasse preferire restare
in compagnia dello zio piuttosto che giocare con i coetanei. Nonostante
risultasse evidente che la bambina fosse molto attaccata lui, accadeva di rado
che Gale la chiamasse per nome e a Johanna veniva istintivo cercare di fare lo
stesso. La straniva ancora molto vederli così uniti, visto il modo un po’ goffo
con cui l’uomo aveva cercato di prendere le distanze da lei i primi tempi,
quando la bimba era ancora molto piccola[1].
“Non ha niente, è solo un po’ timida”
rispose Gale, allungandosi per prendere un libro sugli animali dalla copertina
mezza strappata, appoggiato sul tavolino. “Perché non vai a leggere questo con
Rowan? So che gli animali piacciono molto a tutti e due” le propose poi lo zio,
attirando l’attenzione del piccolo di casa Mellark. Rowan appoggiò il pastello
che stava usando sul foglio e li raggiunse, sorridendo alla ragazzina. Prim ricambiò, affondando il volto nella maglietta dello
zio. Infine, si convinse a scendere dalle sue ginocchia per seguire il coetaneo
sul tappeto, portando il libro sotto il braccio.
Nel frattempo, Haley e June avevano smesso di ballare e sembravano occupate a
discutere su qualcosa in maniera fin troppo vivace.
“Ma no che non esistono, sciocchina!”
stava esclamando Haley, con le mani ben piantate sui fianchi, “Gli scorpioni
sono neri!”
“No, questi sono rosa, te lo giuro!”
ribatté June con aria seria, portandosi una mano sul
cuore. “Sono scorpioni alieni e mangiano i pezzi dei lego! L’altro giorno ne ho
visti due nella Casa Blu Cielo di zia Posy[2].”
“Ehi, papà di Joel!” esclamò a quel
punto Haley, correndo da lui. Gli picchiettò con insistenza una mano sulla
gamba, fino a quando Gale non rivolse la sua attenzione verso di lei. June incominciò a fare la stessa cosa dall’altra parte, cercando di farsi
ascoltare dallo zio. Johanna roteò gli occhi, accavallando le gambe: detestava
quella mania del dover sempre toccare tutto e tutti tipica dei marmocchi.
“JuneHawthorne dice che prima ha visto uno scorpione rosa nella
cesta dei lego!” proseguì Haley, parlando più forte per farsi sentire oltre la
voce della coetanea e gli schiamazzi dei gemelli. Chiamava sempre l’amichetta
con il nome completo e a June non sembrava dispiacere
poi più di tanto. “Ma io non ho visto proprio niente e poi non esistono gli
scorpioni rosa, vero?”
“Credo che JuneHawthorne stesse incominciando ad avere nostalgia
delle storielle un po’ pazze che ci racconta ogni tanto” osservò con un sorriso
Gale, accarezzando il capo della nipote. Conosceva fin troppo bene il vizio
della ragazzina di inventare di sana pianta aneddoti fantasiosi o elaborate
teorie sulle cose che catturavano la sua attenzione.
“Ma sto dicendo una cosa vera!” si
impuntò June, sbattendo i piedi per terra. “Gli
scorpioni rosa esistono e so anche come ucciderli: muoiono per la troppa puzza!
Mi servono i calzini di Noel, così posso uccidere quello che c’è nel secchio
dei lego” concluse infine, mettendosi a quattro zampe e afferrando il
fratellino per la caviglia. Noel strillò e sgusciò via dalla sua presa, prima
di incominciare a scorrazzare ridendo per la stanza. Aveva un piede scalzo, poiché
la sua scarpa era rimasta in mano alla sorella. Adam si tolse le sue e
incominciò a correre dietro al gemello.
“Prendi anche me!” esclamò, mentre June li inseguiva entrambi per cercare di rubar loro i
calzini. Nonostante la teoria degli scorpioni rosa risultasse poco credibile
sia a Haley che a Joel, i due ragazzini diedero comunque una mano per cercare
di placcare i due fratelli. Risero entrambi, quando l’unica scarpa rimasta a
Noel volò per aria, prima di atterrare sul divano di fianco a Johanna. La donna
la fece cadere a terra con un gesto brusco della mano e si alzò, per spostarsi
dalla traiettoria del capannello di bambini che si stavano rincorrendo a
vicenda.
“Non c’è modo di spegnerli?” borbottò
infastidita, prima di notare i movimenti esitanti del più piccolo della
combriccola. Evan era riuscito a scendere dal divano
e la stava osservando con gli occhioni blu ancora assonnati, che gli
attribuivano un’aria un po’ confusa. Johanna sbuffò, voltandosi dall’altra
parte. La sua naturale avversione nei confronti dei bambini era accentuata,
quando si trattava di ragazzini così piccoli come quello: sbavavano e vomitavano
dappertutto e, nonostante i genitori dei bambini di quell’età si vantassero
spesso compiaciuti dell’utilizzo corretto che i loro pupi facevano del vasino –
manco avessero scalato l’Osso o attraversato il mare del Quattro a nuoto – i
pargoli riuscivano a farsela addosso quando uno meno se l’aspettava, sorridendo
appagati come se ci godessero nel vedere un adulto sgobbare per pulir loro il
sedere.
Per questo, quando Johanna sentì la
manina appiccicosa di Evan sul suo polpaccio si
scostò, esibendo una smorfia infastidita. Guardò in basso, ricambiando lo
sguardo del piccolo: fatta eccezione per il colore degli occhi, Evan era la copia perfetta di Rory
in versione ridotta.
“Che vuoi, nano?”
Il bambino continuò a fissarla,
stringendosi un po’ intimidito le braccia contro il corpo. Infine, sollevò le
mani e le allungò verso di lei, molleggiandosi leggermente sulle gambe. Johanna
inarcò un sopracciglio.
“Sei scemo come tuo padre se pensi che
arriverei a prenderti in braccio” commentò. Evan
smise di agitare le gambe, ma continuò a fissarla confuso, con le mani ancora
rivolte verso l’altro. Gale, che stava leggendo una passaggio del libro sugli
animali a Rowan e Prim, se ne accorse e li raggiunse
per prendere in braccio il più piccolo dei ragazzini. Si sedette sul divano per
allacciare le scarpe al bimbo e sorrise a Haley, che era venuta a
sedersi di fianco a lui.
“Sei già stanca?” chiese, sorpreso. La
bambina scosse il capo e si appoggiò contro la sua spalla.
“No, ma volevo stare un po’ qui con
te!” spiegò, spingendo Evan verso destra, in maniera
da poter avere più spazio. Il bambino aggrottò le sopracciglia, rivolgendole un’occhiata
crucciata.
“Piano…” la ammonì l’uomo, sistemandosi
meglio il nipotino sulle ginocchia. Johanna guardò Haley con aria di
sufficienza e la bambina rispose con una smorfia.
“Dio, quanto è appiccicosa” borbottò poi
la donna, tornando a spostare lo sguardo in direzione di Joel e June, che stavano sfogliando un libro di origami. La
piccola Mellark aprì la bocca per risponderle, ma Gale fu più veloce.
“Perché tu e Joel non andate a fare qualche
gara di corsa in cortile?” propose a quel punto: sapeva bene che i due
ragazzini preferissero trascorrere il tempo all’aperto ed entrambi
prediligevanoi giochi di movimento. “June e i gemelli possono venire con voi. Magari, più tardi,
vi raggiungeranno anche i due biondini” aggiunse, indicando con un cenno del
capo Prim e Rowan che si erano messi a disegnare,
lavorando allo stesso foglio.
La bambina soppesò la sua proposta per
qualche istante, visibilmente indecisa sul da farsi.
“Ma poi tu resti da solo!”obiettò, aggrottando la fronte con poca
convinzione. Johanna inarcò un sopracciglio nella sua direzione.
“…Ed io chi sono, mini-ghiandaia? La vicina della porta accanto?”
“C’è Johanna a
tenermi compagnia” intervenne in fretta
Gale, aiutando Evan a scendere dal divano. Il piccolo
gli sorrise soddisfatto, prima di dirigersi verso i gemelli, che stavanocostruendo una seconda torre di lego.
“Ah, giusto!”
replicò Haley battendosi una mano sulla fronte, prima di balzare a terra,
facendo oscillare le trecce. “Voi siete sposati?” chiese poi,
rivolgendo a Johanna un’occhiata incuriosita.
Gale esitò per un istante, colto alla
sprovvista dalla sua domanda.
“No, sposati no” ammise, chinandosi per
poter essere alla sua altezza. “Siamo fidanzati, però.”
L’espressione di Haley si illuminò.
“Ma se non sei sposato allora, quando sono
grande, ti posso sposare io?” esclamò, tirandogli la mano. Gale le rivolse
un’occhiata sorpresa, mentre June li raggiungeva
ridacchiando.
“Halley, ma cosa dici?”la rimproverò Joel scuotendo il capo, lo
sguardo completamente assorbito dall’aeroplanino di carta che stava costruendo.
“Papà non si tocca, è di Johanna.”
“Perché invece non ti cerchi un fidanzatino
di sette, otto anni?” propose l’uomo, intercettando l’espressione infastidita
di Johanna. Quando distolse lo sguardo non riuscì a trattenere un sorrisetto
divertito. “Non c’è qualche bambino carino e simpatico a scuola?”
Haley ci rifletté un po’ su,
gironzolando attorno al divano mentre rifletteva.
“Umh… Ce ne
sono due, ma non sono in classe mia” rispose infine lentamente: le guance le si
tinsero di rosso. “Però non…”
“Ecco, vai a fare il tuo nido su qualche moccioso
della tua età” la interruppe Johanna, posandole le mani sulle spalle per
indirizzarla verso gli altri bambini. “Sciò, Hawthorne
è già prenotato.”
Haley storse la bocca in una smorfia
presuntuosa.
“Sei solo gelosa perché a me chiama
principessa e a te no!” osservò infine, mettendosi le mani sui fianchi.
J0hanna la fulminò con lo sguardo,
sfruttando l’espressione che, di norma, esibiva per intimidire e tenere alla
larga i piccoli della famiglia Hawthorne. Haley,
tuttavia, non sembrò scomporsi.
“Te la do io la principessa” commentò
seccata la donna, continuando a scrutarla con aria infastidita.
“Johanna…” mormorò Gale, sforzandosi di
non ridere. “…è una bambina.”
Lo sguardo di fuoco
della donna si spostò dalla ragazzina al fidanzato.
“No, quella è una bambina” replicò
indicando Prim, che stava chiacchierando vivacemente
con Rowan, ancora china sul proprio disegno. “Questa qui è una sanguisuga”
aggiunse poi, indicando Haley con un cenno brusco del capo.
Gale scosse rassegnato il capo e appoggiò una mano sulla
spalla della ragazzina.
“Andate a cercare qualche altro scorpione rosa in
cortile” propose. Lo sguardo di June si accese
d’entusiasmo e la ragazzina afferrò la coetanea per il polso.
“Dai, vieni, so io dove cercarli!” esclamò, guidandola
verso la porta. Haley la seguì di buon grado, del tutto dimentiche
dell’esitazione che aveva mostrato fino a qualche minuto prima.
Gale tornò a far vagare lo sguardo per il soggiorno,
controllando i vari bambini rimasti nella stanza. Era evidente che si stesse
sforzando di trattenere una risata e la fidanzata tornò a fulminarlo con lo
sguardo.
“Ridi pure” commentò freddamente, attraversando la stanza
per raggiungere Joel. “Più tardi facciamo i conti… Principessa.”
Gale fece la spola fra i gemelli ed Evan,
che gattonavano avanti e indietro, per raggiungere la donna.
“Come sei permalosa…” commentò con un
mezzo sorriso, afferrandola per i fianchi. Riuscì solo a sfiorarle il collo con
le labbra prima che lei si scostasse, per nulla intenzionata ad ammorbidirsi.
Lo sguardo di entrambi ricadde poi su
di Joel, che era occupato a fabbricare un terzo aeroplanino di carta, in
maniera che lui, June e Haley ne avessero uno a testa
da far volare in cortile. Il nervosismo di Johanna sfumò leggermente, mentre gli
occhi della donna seguivano con attenzione i movimenti curati con cui Joel
piegava la carta. L’aereo che il ragazzino aveva fra le mani era
particolarmente elaborato e la precisione con cui se ne stava occupando le
ricordò quella dei ragazzini del Distretto 7, che imparavano a maneggiare la
carta – così come il legno – sin dalla più tenera età. Le dita esili di Joel,
la sua carnagione olivastra che creava un contrasto con il bianco dei fogli,
non erano poi così diverse da quelle di suo fratello Sawyer,
spesso occupate a piegare pagine quadrettate per fabbricare origami. Johanna sapeva
bene che, se la passione per gli aeroplani di Joel era nata per via della
professione del padre, il suo interesse per gli origami era qualcosa a cui poteva
aver attinto solo da lei: l’arte del piegare la carta al Distretto 7 era
conosciuta da molti, perché veniva insegnata a scuola. Johanna e Joel non ne
avevano mai parlato, né lei si era mai presa la briga di sedersi accanto al
bambino per insegnargli a fabbricare
origami, ma quando Joel era più piccolo le era capitato spesso di mettersi a
giocherellare con qualche foglio, piegandolo fino a ottenere figure e animali
dalle fattezze spigolose. Mentre lei lavorava, il ragazzino esaminava
affascinato i suoi movimenti, chiudendosi in lunghi silenzi contemplativi. Crescendo,
il bambino aveva incominciato a cercare di imitarla, senza mai chiedere aiuto o
fare domande. Aveva imparato così: guardando e ripetendo ciò che vedeva.
Silenzioso e ostinato in nei suoi tentativi di produrre un lavoro che fosse
quantomeno accettabile. Proprio come
avrebbe fatto un Mason.
“Ti sembra a posto?” chiese Joel in quel momento, sollevando
l’aeroplanino per avere un parere da Johanna. Confrontò poi con occhio critico
l’immagine sul suo libro con il prodotto finito. La donna lo analizzò in
silenzio per qualche istante, sforzandosi di ignorare l’insistenza con cui quel
ragazzino cercava ancora spesso la sua approvazione.
“C’è di peggio” rispose, sfilandoglielo
dalle mani per esaminarne la punta. Joel sorrise fra sé e raccolse gli altri
due modelli. Johanna lanciò quello che aveva in mano e il ragazzino lo prese al
volo, prima di spostarsi in cortile con le due compagne di giochi. Un lieve
sorriso si arrischiò a modellare le labbra della donna. Tuttavia, Johanna non
fece nemmeno in tempo a voltarsi, che fu costretta ad esibire una smorfia di
fastidio, nel sentire una mano premuta sulla sua gamba: questa volta, per
fortuna, non era appiccicaticcia di bava. Si voltò, indirizzando il suo
‘sguardo-spaventa-bambini’ verso il basso. Riconobbe la zazzera di capelli biondi
e mossi di Rowan e il suo sorriso dolce. L’espressione raggelante della donna non
ebbe alcun effetto sul piccolo, che si sollevò sulle punte dei piedi per
passarle il disegno a cui aveva lavorato assieme a Prim
fino a quel momento: come sua sorella non sembrava turbarsi facilmente.
“Ti piace?” chiese, mentre la compagna
di giochi si teneva più in disparte. Johanna prese il foglio e lo esaminò con
occhio critico: era pieno di rettangoli storti e tremolanti con gambe, braccia
e testa, che si distinguevano dagli altri solo per il colore dei capelli e la
statura. Alcuni omini erano stati disegnati decisamente meglio e dovevano
essere quelli fatti da Prim, che era di due anni più
grande di Rowan.
“Chi sono?” chiese la donna,
restituendo il disegno al bambino, perché potesse descriverglielo. Rowan fece
un respiro profondo, come se pensasse che raccontare il contenuto del suo
foglio fosse qualcosa di particolarmente impegnativo.
“Questi sono la mamma e il papà di Prim e quello è Evan” incominciò,
indicandole per ultimo una sorta di pallone da spiaggia rosa con due righe nere
a mo’ di capelli. “E questi invece siamo io, Haley, la mamma e il papà. Vedi,
la mamma e Haley hanno le trecce” aggiunse, picchiettando con il dito su quella
che doveva essere Katniss. Aveva un braccio lungo la metà dell’altro, la testa
grande il doppio rispetto il corpo e una mano sola – Rowan doveva essersi
dimenticato di farle l’altra. Si era ricordato però di disegnarle un arco e un
sorriso che andava da orecchio o orecchio e che risultava fuori luogo perfino
nella versione di carta e pastello dell’ormai ex-ghiandaia imitatrice. Quella che Rowan aveva indulgentemente
definito “treccia” a Johanna ricordava più un’antenna televisiva. La donna non
si sforzò di trattenere un ghigno, nel commentare: “Tua madre l’hai fatta
proprio uguale a quella originale.”
Rowan sorrise orgoglioso, non riuscendo
a cogliere l’ironia nel suo tono di voce. Si voltò per andare a mostrare il
disegno anche a Gale, ma lo trovò impegnato a cercare di far scendere Noel
dalla libreria.
“Come diavolo hai fatto a salire
lassù?” sbottò l’uomo, prendendolo in braccio e depositandolo a terra. Al suo
fianco Evan stava saltellando irrequieto, gridando
entusiasta: “Su! Su!”.
Noel ridacchiò e sgusciò via dalla
presa dello zio, prima di tornare alle sue costruzioni. Adam cercò di imitarlo,
appoggiando a sua volta un piede sul ripiano più basso della libreria, ma Gale
lo placcò subito e lo fece sedere per terra di fianco al gemello.
“Che demonietti…” osservò Johanna
scuotendo il capo e tornando a sedersi sul divano. Prim
la raggiunse poco dopo, brandendo un vassoietto di plastica pieno di
bicchierini giocattolo. Ne prese uno e lo porse alla donna, sorridendo
timidamente. Johanna rimase immobile, seppur ricambiando lo sguardo della
ragazzina.
“Ti ha preparato il tè” le venne in
aiuto Gale, suggerendole con un cenno del capo di accettare la tazzina di
plastica. Johanna alzò gli occhi al cielo e tirò su le gambe per appoggiare i
piedi sulla sedia.
“Ti ringrazio, Hawthorne,
non ci sarei mai arrivata se non me l’avessi detto tu” replicò ironica, prima
di tornare a voltarsi verso la bambina. “Non ho sete” dichiarò poi, in tono di
voce asciutto.
Gale sbuffò.
“Lo prendo io, quel tè” intervenne a
quel punto, raggiungendo la nipotina assieme a Rowan. “Rowan ed io abbiamo
proprio voglia di bere qualcosa.”
La bambina sorrise e passò un bicchiere
ad entrambi, sotto lo sguardo cinico di Johanna. Anche Evan
tese le mani verso l’alto per farsi passare una tazza.
“Mmmm!” commentò
poi, toccandosi la guancia con l’indice e facendo roteare il dito, per
dimostrare a Prim il suo gradimento. Rowan e la bimba
si misero a ridere.
“Anche io voglio il tè!” esclamò Adam a
quel punto, alzandosi di scatto e correndo fino al
divano.
“Anche io voglio il tè!” gli fece eco
Noel, buttandosi in scivolata dietro di lui. Si scontrarono e caddero addosso a
Prim, che fortunatamente ebbe la caduta attutita dal
divano. Il vassoio di plastica, però, volò per aria e un diluvio di bicchieri e
cucchiaini di plastica incominciò a piovere sulle teste dei presenti. Johanna
si allontanò in fretta dal divano, imprecando a denti stretti.
“Ops!”
esclamò Noel, agitando i piedini scalzi e stropicciandosi con una mano i
capelli spettinati. Suo fratello lo imitò, rivolgendo allo zio uno sguardo
colpevole.
“Siete due pasticcioni” li rimproverò
bonariamente l’uomo, chinandosi per controllare che nessuno si fosse fatto
male. Coccolò Prim, che ci era rimasta un po’ male
per via del servizio da tè volato per aria, e si assicurò che Evan non si fosse spaventato eccessivamente. Fortunatamente
l’unica bionda di casa Hawthorne si riprese piuttosto
in fretta: Rowan l’aiutò a raccogliere tutti i bicchieri e i cucchiai e i due allestirono
insieme un banchetto per le limonate vicino al secchio delle costruzioni.
Quei due lì mi stanno abbastanza
simpatici” osservò improvvisamente Johanna, indicandoli a Gale con un cenno del
capo. “Almeno non fanno troppo chiasso. Loro e il tuo possono restare, gli
altri dovremmo chiuderli tutti in cantina.”
“Ma se nemmeno ce l’abbiamo una cantina…”
osservò Joel, intrufolandosi nel soggiorno per andare a prendere altri fogli di
carta. Johannafece per rispondergli, ma
il suono delle sue parole vennero coperto da un sonoro e preoccupante rumore di
qualcosa che si rompe, proveniente dalla cucina.
To be Continued…
Nota dell’autrice.
Buonasera! Sono tornata a rompere le scatoline con i miei
marmocchi della Next Generation. Questa volta il clan
è quasi completo e Gale e Johanna non potevano mancare. Anche se avevo
progettato di scrivere qualcosa di simile parecchio tempo fa, il risultato
finale di questa storia è stato influenzato tantissimo dal mese che sto
trascorrendo a gestire 45 bambini di età compresa fra i due e i sette anni:
molti atteggiamenti dei protagonisti di questa storia sono ispirati ai
comportamenti dei loro coetanei che ho imparato a conoscere questo mese. Mi
sono divertita veramente un sacco a torturare Johanna con tutti questi
marmocchi e alla fine mi è uscita fuori una roba talmente lunga che, come al
solito, ho concluso per dividere in due. La prossima settimana cercherò di
pubblicare la seconda parte.
Che altro aggiungere? I bimbi protagonisti di questa
storia sono per la maggior parte già stati introdotti da altre parti. Haley e
Joel sono probabilmente quelli di cui ho scritto di più. Joelha fatto principalmente comparsa nelle storie
in cui si accenna al suo rapporto con Johanna (Shelter from the rain|Io non ho paura|Mi aggrappo a te|inhisboxers), mentre Haley e
la sua “cotta infantile” per Gale erano stati introdotte per lo più in “Di comete,
principesse e anime gemelle” e “Forse sbagliano
anche gli angeli”.June era stata solo menzionata
in questi due racconti, mentre i gemelli e Prim
faranno comparsa nuovamente a breve, nell’epilogo di “Il cielo non
crolla (ed io nemmeno). Rowan è presente in “Come un Pittore”,
“Come Finiscono le Favole” e “Mi Manca la sua Voce” (che sono tutte storie
incentrate sul personaggio di Peeta) + “La cometa del
Distretto 12". Non so che altro aggiungere! Il passaggio su Johanna, Joel
l’ho introdotto principalmente perché ho in programma di approfondirlo in una one-shot incentrata sul loro rapporto. Siccome il Distretto
7 è il distretto della carta e del legname, mi è sempre piaciuto immaginare che
la tecnica dell’origami venisse insegnata ai bambini del 7 a scuola, prima che
incominciassero a lavorare.
Ringrazio infinitamente chiunque sia passato a leggere
questo polpettone di marachelle infantili. Mi vergogno un po’ nel proporre
questa sciocchezza, ma in questo periodo sto trovando particolarmente
divertente scrivere questo genere di slice of life
senza pretese!
Un
abbraccio e a presto!
Laura
[1]Il motivo per cui la figlia di Rory e sua moglie Eileen si chiama Prim
(e non Primrose) viene spiegato nella mini-long E.Y.E.S O.P.E.N. Le difficoltà
incontrate da Gale nell’instaurare un legame con la nipotina dipendono
principalmente dal suo nome e da ciò che accadde alla sua omonima, Primrose.
[2]Fortino di legno blu costruito nel periodo
post-rivolta, a un mesetto di distanza dal ritorno degli Hawthorne
al Distretto 12. Il fortino è stato costruito per la piccola Posy Hawthorne, che all’epoca aveva 5 anni, e se ne parla nella
mini-long “Il cielo non crolla (ed io nemmeno)”.
Cronache di due baby sitters (mica tanto) provetti.
Gale si guardò rapidamente attorno e
sbuffò irritato, nell’accorgersi che i gemelli non erano più nella stanza.
Raggiunse in fretta la cucina e si meravigliò a stento del colorato mescolarsi
di pezzi di torta, smarties
e cocci di porcellana che decoravano il pavimento: il dolce che aveva preparato
Hazelle per la merenda dei bambini era ridotto a una
poltiglia di cioccolato spiaccicata di fronte ai piedi dei gemelli, che si
erano nascosti dietro le gambe del tavolo, spaventati dal trambusto che la loro
vivacità aveva generato. Realizzando che i due ragazzini non avevano le scarpe,
ma solo i calzini addosso, Gale si affrettò a sollevarli da terra.
“Fuori di qui!” sbottò irritato, trasportandoli
verso il soggiorno.
“È stato lui!” esclamò Noel non appena
lo zio li adagiò a terra, indicando il fratello. Adam s’indignò e incominciò a
sbattere i piedi per terra.
“Non è vero, è stato lui!” obiettò,
imitando il gesto del gemello.
“Stupido!”
“No, tu sei stupido!”
“Va bene, basta così tutti e due!”
intervenne Gale, trattenendo Noel per evitare che si buttasse addosso ad Adam.
Tornò poi in cucina per cercare una scopa e rimediare al disastro del piatto
rotto, mentre Johanna teneva fermi i gemelli trattenendoli per le magliette.
Quando mise nuovamente piede in soggiorno il litigio fra i due fratellini
sembrava già essersi concluso: Adam e Noel stavano giocando con le costruzioni
assieme a Evan, in maniera relativamente tranquilla.
Dall’altra parte della stanza Rowan e Prim avevano
trasformato la loro attività dedita alla vendita delle limonate in un negozio
di animali. Pupazzi e figurine di plastica era stata allineati con cura sul
divano e i due stavano decantando i pregi e i talenti speciali di un’anatra di
peluche a Johanna che, pur non facendo alcuno sforzo per nascondere quanto i
loro discorsi la stessero annoiando, non si era allontanata, né stava dando in
escandescenze. A Gale venne quasi da ridere nel vederla seduta fra i due
bambini e tutti quei pupazzi, con le labbra strette in una smorfia infastidita
e le braccia conserte sul petto.
In quel momento June
e Haley s’intrufolarono correndo in salotto. Johanna roteò gli occhi, non
appena le vide avvicinarsi.
“Ci serve un velo da sposa!” esclamò Haley,
picchiettando con insistenza la mano sulla maglietta di Gale, per attirare la
sua attenzione.
“Che cosa?” domandò il suo
interlocutore, aggrottando perplesso le sopracciglia.
“Stiamo giocando al matrimonio!” spiegò
la ragazzina, intercettando lo sguardo dell’amica e sorridendo furbetta. “Io
faccio la sposa! È un gioco che ha inventato JuneHawthorne!” aggiunse, sventolando il mazzolino di fiori che
doveva aver raccolto in cortile.
“Come mai non ne sono sorpreso?”
commentò l’uomo, mentre le due ragazzine lo trascinavano verso il divano,
tirandolo per il braccio.
“Devi giocare anche tu, zio” ordinò June, mentre Haley annuiva con vigore.
“Ma perché invece non fate una partita
a nascondino tutti assieme?” propose Gale, nella speranza di sfuggire a quella
situazione. “O qualcosa di simile.”
“Nooo, a
quello ci abbiamo già giocato troppe volte!” replicò June,
raccogliendo uno dei cucchiaini di plastica che Prim
e Rowan avevano utilizzato per il banchetto della limonata. “Ecco, facciamo
finta che questo è un pettine, perché ti devo pettinare!”aggiunse con serietà, facendo sedere lo zio e
passandogli il cucchiaino fra i capelli.
“Ma come pettinare?” esclamò Gale,
allontanando il capo all’indietro per ritrarsi. “Siete spose o parrucchiere?”
June alzò gli
occhi al cielo e si sistemò sul bracciolo del divano.
“La sposa è Haley! Ed io sono quella che
pettina i capelli agli sposi, no?” replicò, passandogli il cucchiaino sulla
nuca. “Tu fai lo sposo, quindi devi essere a postissimo e invece sembri tutto
spettinato!”
Gale si affrettò a sollevarsi dal
divano, liberandosi dalla presa della nipotina.
“Sarà meglio che cerchiate un altro
sposo, allora…” osservò, arruffando i capelli di Rowan che si era avvicinato a
loro, incuriosito dal nuovo gioco. “…Possiamo farlo fare a Rowan!”
Haley si mise le mani sui fianchi e
scosse il capo con espressione esasperata.
“Ma che dici? Mica posso sposare mio
fratello!” ribatté, facendo ridere gli altri due bambini. “Lo devi fare tu,
tanto mica sei sposato!” S’impuntò, facendosi aiutare da June,
per far sedere nuovamente Gale sul divano. Prim e Rowan
accorsero in loro aiuto, e nel giro di un paio di un minuti tutti e cinque
stavano trafficando con dei cucchiaini di plastica per pettinare capelli,
sopracciglia e perfino l’accenno di barba allo ‘sposo’.
Sospirando, l’uomo allontanò i quattro
bambini da sé per sfuggire a quel gioco fastidioso. Intercettò lo sguardo di
Johanna e si accorse che la donna stava tenendo d’occhio tutte quelle
operazioni con un rinnovato sorrisetto sardonico a incresparle le labbra: era
evidente che vederlo in difficoltà la stesse intrattenendo ben più di quanto
avessero fatto i discorsi sull’anatra di peluche di Rowan e Prim
e di certo non avrebbe potuto sperare di ricevere aiuto da lei.
“Vuoi stare fermo, zio?” si lamentò a
quel punto June, cercando di riportarlo al divano. Sfuggendo
all’ennesimo colpo di cucchiaino sulla testa, Gale si diresse verso il figlio.
Dovette trascinarsi dietro anche i gemelli, che avevano deciso di aggrapparsi
alle sue gambe come se fossero due scimmiette.
“Guardate come sembra ben pettinato
Joel!” osservò, dando un colpetto sulla spalla al ragazzino. “Facciamolo fare a
lui lo sposo di Haley!”
Il bambino sollevò con riluttanza lo sguardo
dal libro sugli origami che stava sfogliando.
“Io non posso sposarla, è mia amica![1]”
obiettò poi, scoccando un’occhiata esitante alla piccola di casa Mellark.
Johanna gli rivolse un sorrisetto
compiaciuto.
“L’ho sempre detto che sei troppo
sveglio per essere figlio suo” commentò poi, alzandosi dal divano e indicando
il fidanzato con un cenno del capo. Gale la freddò con lo sguardo e si voltò
per prendere in braccio Evan, che stava rischiando di
cadere a terra per via del turbinio di bambini che gli scorrazzavano
vivacemente attorno. Johanna gli diede un colpetto con il fianco, riproponendo
il suo tipico ghigno beffardo.
“Ti sei offesa, principessa?” gli sussurrò poi in un orecchio. Gale sbuffò, ma
non si ritrasse quando la donna fece scivolare le braccia attorno al suo collo.
“No, ma Evan
sì” replicò poi, avvicinando il nipotino alla donna. “Sperava così tanto di
poter dare un abbraccio alla ‘zia Johanna’...” azzardò, abbozzando un mezzo
sorriso canzonatorio. Evan tirò fuori la manina dalla
bocca e sorrise, tendendo il braccio verso di lei.
“Zia!” ripeté, cercando di farle una
carezza. La donna si ritrasse bruscamente.
“Non sono tua zia” borbottò, fulminando
il bimbetto con lo sguardo. “E tieni a posto quelle mani piene di bava o giuro
che te le taglio e me le mangio.”
Per qualche ragione i due gemelli sembrarono
trovare le intimidazioni di Johanna piuttosto divertenti e dopo aver riso incominciarono
a rincorrersi, minacciandosi a vicenda di tagliare le dita all’altro.
“Ci servono degli anelli!” esclamò June in quel momento, passando in rassegna il soggiorno con
lo sguardo.
“Li posso fare io col pongo!” propose Prim, alzando entusiasta la mano.
“Ti aiuto, ti aiuto!” esclamò subito
Rowan, raggiungendo l’amica.
“Senti…” incominciò Haley, tirando un
lembo della maglietta di Gale e scuotendo il capo in un cenno di
disapprovazione. “ …Non ti puoi mica sposare vestito così, devi essere tutto
elegante! Ce le hai delle belle scarpe?”
Sospirando, Gale posò a terra Evan prima di scuotere la testa.
“Niente da fare, Hales, ho solo queste”
mentì, tenendo d’occhio i cambi d’espressione di Johanna, che aveva riesumato
il ghignetto beffardo di poco prima.
“Ma dei vestiti eleganti ce li avrai
pure!” insistette Haley, sistemando il mazzo di fiorellini ormai tutti
stropicciati che teneva ancora in mano.
“Ha la sua divisa da pilota” buttò lì
Johanna. “Hawthorne è sexy in camicia e cravatta” aggiunse
poi con un ghigno, voltandosi in direzione del fidanzato. Gale le rivolse
un’occhiata di ammonimento.
“Sì, usiamo quella!” si trovò d’accordo
la bambina, rivolgendole un sorriso luminoso.“Ce la puoi andare a prendere?”
“No, non può” rispose spiccio l’uomo,
trattenendo la fidanzata per i fianchi.
“Oh, sì che posso” commentò con un
sorrisetto la donna, sollevando il capo a ricambiare il suo sguardo. “Così la
prossima volta ci penserai due volte, prima di riempirmi la casa di
mostriciattoli urlanti e bavosi” annunciò poi, spingendogli il mento
all’indietro e sfilandosi dalla sua presa.
Gale sbuffò e la seguì in corridoio, seguito
a ruota da June, che stava farfugliando qualcosa a
proposito di un velo da sposa. Non fecero in tempo ad abbandonare il soggiorno
che un grido acuto costrinse l’uomo a tornare sui suoi passi, maledicendo a
denti stretti il momento in cui aveva accettato di dare un occhio ai nipotini
per l’intero pomeriggio.
Individuò in breve tempo il
proprietario delle urla – Noel era inciampato in un mucchietto di lego ed era
scivolato a terra–, ma impiegò parecchi minuti a calmarlo del tutto. Quando il
nipotino smise finalmente di tirare su col naso, Johanna era già tornata in
salotto da un bel pezzo e Haley aveva incominciato tallonare Gale con la sua
camicia da pilota in una mano e la cravatta nell’altra. Mentre sfuggiva
all’ennesimo attacco di cucchiai-pettini da parte di Prim
e Rowan, l’uomo notò una striscia di carta igienica appiccicata a una scarpa
della bambina. Frugò rapidamente il soggiorno con lo sguardo e si accorse che June ne stava srotolando un rotolo sul divano. In quel
momento stava strepitando contro Noel, che aveva afferrato una paio di strisce
per bendarsi braccia e gambe.
“Ma che fai, stupido! Mi servono per
fare il velo da sposa!” gridò stizzita la ragazzina, allontanando il fratello
con uno spintone.
“Questa è meglio se la porto di nuovo
in bagno” li interruppe Gale, confiscando quel poco che rimaneva del rotolo di
carta igienica. Diede un secondo sguardo al soggiorno per contare i bambini e
si accorse che ne mancava uno all’appello: Adam sembrava essersi nuovamente
nascosto.
Diede un’occhiata in cucina e nelle
camere da letto, prima di fare una capatina in bagno per posare la carta
igienica.
“Zio, guarda, ho un’astronave!” lo
informò in quel momento la voce di uno dei suoi nipoti. Gale annuì
sovrappensiero, ansioso di tornare in soggiorno per non lasciare Johanna sola
con i sette bambini troppo a lungo. Si fermò poi di scatto, chinandosi per
essere all’altezza della lavatrice: Adam aveva infilato la testa e parte del
busto nel cestello, lasciando visibili solo i piedini scalzi.Gale sbuffò e lo tirò fuori, facendo attenzione
ad evitare che si facesse male.
“La lavatrice non è un gioco” dichiarò
secco, prendendolo in braccio per tornare in soggiorno. “Guai a te se ti becco
di nuovo là dentro.”
Quando rientrò in salotto le prime
avvisaglie di nervosismo incominciarono a metterlo a dura prova. I bambini
avevano preso a saltellargli attorno, lanciando pezzi di lego per aria e
urlando: “Viva lo sposo!”
Cercò Johanna con lo sguardo, ma si
accorse che non era più nella stanza. La trovò in cucina, intenta a sfogliare
il libro sugli origami di Joel con espressione visibilmente seccata.
“Se nessuno viene a prenderseli entro mezzora
li sbatto tutti fuori” sbottò, quando il fidanzato venne a sedersi di fianco a
lei.
Dieci minuti più tardi il campanello
suonò per la prima volta nel corso del pomeriggio. Johanna raggiunse subito la
porta, felice di potersi sottrarre per qualche minuto alle urla e alla vivacità
degli otto bambini. Il bisogno disperato che aveva di liberarsi di quei
ragazzini, tuttavia, non le impedì di accogliere con una smorfia seccata il
nuovo arrivato, quando scoprì che si trattava del mezzano dei fratelli Hawthorne. In quel momento i gemelli si precipitarono di
corsa nell’ingresso, incuriositi dal trillo del citofono.
“Zio Rory!”
esclamarono all’unisono, saltellando verso i due adulti. Rory
– con cui Johanna era solita battibeccare in continuazione - sorrise sghembo e
fece per entrare, ma la donna fu più veloce.
“Ci sono già abbastanza marmocchi, qui,
non me ne serve un altro” commentò asciutta, chiudendogli la porta in faccia. Adam
e Noel protestarono a gran voce e si alzarono sulle punte dei piedi per cercare
di tirare giù la maniglia. Gale, che li aveva seguiti all’ingresso, si affrettò
a riaprire, prima di tornare in soggiorno dai bambini. L’espressione interdetta
di Rory sfumò non appena l’uomo mise piede in casa e
il suo sguardo tornò a posarsi su Johanna.
“Vuoi che ti dimostri che non sono più
un marmocchio?” commentò poi, facendole l’occhiolino. La donna inarcò un
sopracciglio.
“Vuoi che ti spacchi il naso a suon di pugni?” borbottò,
afferrando ciascuno dei gemelli per un braccio e spingendoli verso di lui.
“Tieni, renditi utile una volta tanto e portati via questi due.”
“Questi non sono i miei…” le fece notare Rory, chinandosi per essere all’altezza dei nipotini.
“Fa lo stesso, un Hawthorne
vale l’altro” replicò Johanna, alzando gli occhi al cielo. “L’importante è che
te ne porti via qualcuno.”
“Ehi, teppistelli!” esclamò Rory, aiutando Adam e Noel ad arrampicarsi sulle sue
ginocchia. “Ci venite a fare un giro con zio Rory?”
“Sì!” esclamarono i due bambini all’unisono,
allacciandosi con le gambe al suo torace. Nell’udire la voce del mezzano dei
fratelli Hawthorne, Prim si
precipitò alla porta, seguita a poca distanza da Evan.
“Papà!” lo chiamò la bambina, superando
Johanna per abbracciarlo. Il fratellino le andò dietro goffamente e cercò di
farsi spazio sulle ginocchia dell’uomo.
“Ciao, pastrocchietti miei!” li salutò Rory, baciandoli entrambi sulla testa. “Mi siete mancati!”
Johanna si mise a braccia conserte e
rimase a osservare per qualche istante gli scambi affettuosi fra il padre e i
due bambini: secondo il suo punto di vista i maschi della famiglia Hawthorne sembravano rincretinire completamente quando
c’erano di mezzo i loro bambini; forse era per quello che non facevano altro
che figliare, diventando la causa del suo mal di testa ogni volta che spedivano
la prole a infestare il suo salotto.
Dopo aver salutato il fratello e i
nipotini, Rory prese con sé sia i gemelli che i due
figli, per portarli a fare una passeggiata. Vick venne a recuperare June mezzora più tardi e, con gran sollievo da parte di
Johanna, anche i Mellark rincasarono attorno a quell’ora.Casa Hawthorne
tornò a riempirsi di un silenzio e una tranquillità quasi innaturali e a Gale
non rimase altro da fare che raccogliereposate di plastica, aeroplanini stropicciati e i vari mattoncini di lego
disseminati in giro per il soggiorno. Johanna accumulò con qualche calcio ben
assestato le strisce di carta igienica sparpagliate sul pavimento ed imprecò a
denti stretti quando rischiò di cadere, inciampando nell’anatra di peluche che Prim e Rowan le avevano sventolato di fronte agli occhi in
continuazione, quel pomeriggio.
Sollevò il pupazzo per il becco e gli
rivolse un’occhiata di puro sdegno, prima di gettarlo nella cesta dei giochi.
“Guai a te se mi metti incinta, Hawthorne” borbottò infine, liberando il divano degli
ultimi giocattoli per sprofondarvici sopra. “Con la maratona mocciosi di questo pomeriggio ne ho abbastanza per i
prossimi dieci anni. E non voglio vedere, né sentir parlare di marmocchi almeno
fino al mese prossimo.”
Gale sospirò e raccolse la sua camicia
da pilota, dopo averla sfilata a uno degli orsacchiotti che aveva lasciato lì Evan.
“Vuol dire che devo andarmene?” le
chiese Joel, sfogliando pigramente le pagine del suo libro sugli origami. Johanna
fece una smorfia.
“Tu non sei mai stato un bambino”
replicò, intrecciando le dita dietro la nuca. “Dai quattro anni in poi eri
praticamente un adulto.”
“Porta pazienza ancora sei o sette anni”
commentò a quel punto Gale, piegando la camicia e appoggiandola sul tavolo
assieme alla cravatta. “Quando saranno cresciuti tutti, non rischieremo più di
trovarci in situazioni simili” concluse infine, prendendo posto sul divano di
fianco alla donna.
Circa sei o sette anni
dopo…
Johanna si chiuse alle spalle la porta
della cucina e sbuffò irritata. Le grida infantili di due ragazzini e un rumore
insistente di passetti irrequieti risuonavano dal soggiorno,
ignorando il confine tracciato dai muri fra le due stanze.
“Non voglio giocare ai dinosauri con
te!” stava strillando una bambina. “Smettila subito o ti tiro un pugno!”
“Nessuno tira pugni a nessuno, Sawyer!” la ammonì Gale con fermezza, prima di fare ingresso in cucina. Un ragazzino si precipitò
a seguirlo, agitando le braccia ed emettendo versi striduli. “E tu, Davey, lascia stare le bambine!” aggiunse l’uomo,
scompigliando la zazzera corvina del piccolo: David Gale Mellark[2]
aveva i tratti tipici del Giacimento – capelli neri, carnagione olivastra e
occhi grigi – e un’espressione furbetta addolcita dalla lieve spruzzata di
lentiggini che aveva sul naso.
“Non sono Davey,
io sono il T-Rex!” esclamò il bambino, balzando su una sedia e arricciando le
dita a mimare gli artigli di un dinosauro. “Anzi, adesso sto facendo lo
pterodattilo!” si corresse poi, saltando giù e riprendendo ad agitare le
braccia. ‘Volò’ in tondo attorno al tavolo per qualche minuto, alimentando il
nervosismo di Johanna: sembrava instancabile e, nei rari momenti in cui
interrompeva le sue corse, si arrampicava sulle sedie digrignando i denti nella
sua più fedele imitazione del tirannosauro.
“Ha una bella faccia tosta, la Everdeen, a smollarcelo qui quasi tutti i pomeriggi”
borbottò a un certo punto Johanna, fulminando il bambino con lo sguardo. “Probabilmente
non riesce piùa sopportarlo nemmeno
lei. È una specie di diavolo nano con la permanente” aggiunse, accennando ai
capelli mossi del bambino.
Gale le indirizzò un’occhiata penetrante,
ma non disse nulla. Interruppe poi le
corse di David tagliandogli la strada, e lo sollevò da terra per fargli il
solletico. Il bambino rise e cercò di liberarsi dalla sua presa, scalciando
furiosamente.
“Mi hai preso, brutto stegosauro!” si lamentò infine,
continuando a dimenarsi. Gale abbozzò un sorriso.
“Ah, quindi oggi sono uno stegosauro?”
chiese, sostenendogli le gambe per farlo oscillare a testa in giù. “Pensavo di
essere il tuo padrino.”
Il ragazzino riuscì a tirarsi su e
annuì con vigore, sorridendo furbetto.
“Sì! Anzi, no, sei un T-Rex come me! Perché
sei il mio amico!” precisò, riprendendo ad agitarsi per farsi mettere a terra.
Il sorriso di Gale si estese.
Con un’ultima occhiata irritata in
direzione del bambino, Johanna diede le spalle ai due e tornò in soggiorno:
l’ultima cosa che voleva era sorbirsi i versetti striduli e l’iperattività di
quel moccioso dinosauro per il resto
del pomeriggio. Scoccò una rapida occhiata fuori dalla finestra e fece una
smorfia, nel riconoscere i gemelli ed Evan, impegnati
in una partita di calcio nel vialetto di fronte a casa. Dopo tutti quegli anni
non era ancora riuscita a spiegarsi come mai, con tutti i posti che quei
ragazzini avessero a disposizione in giro per il Distretto 12, i nipoti di Gale
scegliessero sempre di bighellonare da quelle parti. Johanna trovò poi sua
figlia Sawyer seduta a gambe incrociate sul divano,
in compagnia della cuginetta Leah. Le due bambine stavano fingendo di medicare
una volpe di peluche con del cotone e la donna fu contenta di costatare che il
loro fosse un gioco relativamente silenzioso.Fece del suo meglio per ignorare la voce squillante di David proveniente
dalla cucina ed era quasi riuscita a rilassare la sua espressione quando le
voci concitate di due adolescenti s’intrufolarono in corridoio, facendosi gradualmente
più vicine.
“Si è praticamente auto-invitata e mi
sembrava brutto dirle di no…” stava spiegando Joel, in tono di voce nervoso.
“…Così le ho proposto di venire con noi. Che c’è di tanto fastidioso in tutto
ciò?” aggiunse, superando Johanna e incrociando l’espressione seccata di Haley.
“Forse il fatto di dover essere il
terzo incomodo, mentre tu e SheeraSunlock passerete il tempo a farvi gli occhi dolci come due
piccioncini?” sbottò, scostandosi un ciuffo di capelli dagli occhi e tornando a
incrociare le braccia sul petto. Joel sbuffò.
“Non farò gli occhi dolci proprio a
nessuno!” replicò bruscamente. “Dobbiamo andare a una partita di baseball, non ad
un appuntamento.”
Haley gli rifilò un’occhiata
penetrante, prima di stringersi nelle spalle.
“Non credo che Sheera
la veda così” obiettò infine.
“E anche se fosse?” ribatté l’amico,
passandosi una mano sulla nuca. “L’importante è quello che penso io, no? Voglio
andare alla partita di baseball dei gemelli per vederli giocare, non per
flirtare o passare del tempo con qualche ragazza. Mi è indifferente chi viene
con me” concluse, alzando le spalle. L’espressione di Haley si indurì
ulteriormente.
“Perfetto, allora vacci da solo!”
sbottò infine, dandogli le spalle per raggiungere la porta del soggiorno. Joel
la osservò uscire con aria perplessa e trasalì quando, dieci secondi più tardi,
sentì sbattere la porta del bagno.
“Hales!” esclamò Gale dalla cucina, cercando
di parlare sopra i versi da dinosauro di David. “Se la porta si rompe, poi ce
la ripaghi tu?”
“E adesso che diavolo le ho detto di
sbagliato?” commentò fra sé Joel, raggiungendo il divano e lasciandosi cadere
fra le due bambine.
To beContinued…
Nota dell’autrice.
Ed eccomi qui con la seconda parte di
questa storia! Ovviamente, come al solito, non mi sono potuta smentire e
scrivendo mi sono resa conto che il secondo capitolo stava venendo fuori troppo
lungo, così ho fatto che dividere in tre e tagliare la testa al toro. In teoria
la parte ambientata “6 o 7 anni dopo” avrebbe dovuto essere molto corta, giusto
per smentire la previsione di Gale, ma essendoci un paio di personaggi nuovi mi
sembrava giusto approfondirli e così mi sono dilungata. Primo fra tutti un qual
certo bambino dinosauro… Che finalmente, dopo averlo tanto menzionato in lungo
e in largo in varie note dell’autore, così come nel gruppo facebookThe Capitol, ha fatto la sua prima comparsa ufficiale. Tengo
veramente moltissimo al personaggio di David, perchè
ha dei retroscena un po’ particolari, ma per ora preferirei non dire nulla, perché
spero di poter prima o poi scrivere qualcosa che abbia esclusivamente a che
fare con lui. Non pensavo che avrei mai scritto qualcosa su di lui – o Sawyer –ma sono
contenta di essere riuscita a introdurli in qualche modo! Di Davey, per ora, basta sapere che è iperattivo, ossessionato
con i dinosauri e che è visibilmente molto affezionato al suo padrino (e Gale a
lui). Per quanto riguarda SawyerAkir
(la figliola di Gale e Johanna), verrà approfondita meglio nel prossimo (e
ultimo, I swear) capitolo, vi basti sapere che,
nonostante in apparenza sia dolce e tranquilla, sotto sotto è un peperino come
la mamma u.u Infine, Leah, la piccolina di casa, è la
primogenita di Posy e suo marito Dru. Joel e Haley li
conoscete già, quindi su di loro non mi dilungo u_u
Conto di pubblicare il prossimo capitolo fra un paio di
settimane, di ritorno dalle vacanze. Spero di riuscire a rispondere le
recensioni prima di partire, ma in caso contrario lo farò appena torno! Un abbraccione e a presto!
Laura
[1]Citazione del “Re Leone”: è una
frase di Simba da cucciolo e mi ricordava troppo Joel, per non usarla!
[2]Ultimo arrivato in casa Mellark
(terzogenito di Katniss).
Cronache di due baby sitters (mica tanto) provetti.
“E adesso che diavolo le ho detto di
sbagliato?” commentò fra sé Joel, raggiungendo il divano e lasciandosi cadere
fra le due bambine.
“Lele!” lo salutò un’entusiasta Leah,
indicandolo con l’indice: chiamava il cugino così da sempre, nonostante
quell’appellativo avesse più a che spartire con il suo nome, che non con quello
di Joel. Il ragazzo ricambiò il sorriso e le fece una carezza sulla testa. Sawyer appoggiò la volpe di peluche sulle ginocchia del
fratello e continuò a fingere di medicarla con il cotone.
“Ultimamente sembra che abbia ogni
giorno il ciclo, visto quant’è sclerotica” proseguì poi il giovane,
rivolgendosi a Johanna. “L’attimo prima chiacchieriamo tranquilli e quello dopo
incomincia a gridarmi contro come una matta senza motivo.”
La donna, che aveva tenuto d’occhio i
due adolescenti per l’intera durata del battibecco, inarcò un sopracciglio in
direzione della porta da cui era appena uscita Haley.
“Tu non c'entri” borbottò infine, voltandosi verso il ragazzo. “Èlei che ha qualche rotella fuori posto: come
sua madre…" aggiunse, picchiettandosi un dito sulla tempia.
Joel scosse il capo e sorrise debolmente,
prima di spostare la sua attenzione verso le due bambine.
“State medicando Soldier?[1]”
chiese poi, tirando le zampette della volpe pupazzo. Soldier
era stato il primo giocattolo di Joel e ci era sempre stato particolarmente
affezionato, ma nell’ultimo periodo Sawyer sembrava
averlo adottato come suo peluche preferito e il ragazzo l’aveva ceduto
volentieri alla sorellina.
La bambina annuì energicamente,
continuando passare il cotone sul peluche con espressione concentrata.
“Sì, ha tutti dei tagli sulla schiena come
papà[2]!”
commentò con espressione triste, accarezzando l’animale di stoffa. “Gli fanno
molto male, ma adesso lo stiamo facendo guarire” concluse, mentre il fratello
le scostava con delicatezza la frangetta castana dagli occhi: era decisamente
troppo lunga, ma nessuno era ancora riuscito a convincere la piccola ad
accorciarla. Sawyer detestava tagliarla e protestava
a gran voce ogni volta che i genitori la portavano dal parrucchiere.
“Ecco fatto!” annunciò infine la
ragazzina, sollevando il peluche e mostrandolo a Leah, che aprì un po’
goffamente la manina per accarezzargli il muso. “L’abbiamo guarito, mamma!”
aggiunse allegramente, sventolando il pupazzo in direzione di Johanna. “Ci
porti un altro animale malato?”
“Ce n’è uno con vostro padre in cucina
che è da abbattere” borbottò la donna, raccogliendo un peluche a caso dalla
cesta dei giochi e consegnandolo alla figlia. “È quello che fa i versi da
dinosauro.”
“Quasi quasi alla partita dei gemelli
ci vado con Soldier e Akir[3]”
annunciò in quel momento Joel, afferrando la sorellina per i fianchi e
sistemandosela sulla ginocchia.
La bambina annuì, prima di appoggiare
il capo contro il petto del fratello.
“Dovrebbe esserci anche Sebastian[4],
questo week-end” lo informò Gale, rientrando in soggiorno con David al seguito.
“Lui e Annie hanno telefonato ieri per dircelo.”
“Così tu e
Sebastian mi aiutate a picchiare tutti quelli che dicono che ho un nome da
maschio[5]!” esclamò
Sawyer, mostrando i pugni al fratello maggiore. Joel sorrise.
“Li
prendiamo tutti a calci!” le diede man forte, facendole il solletico. “Jo ci aiuta” aggiunse, voltandosi per intercettare lo
sguardo della donna, che gli rivolse un sorrisetto beffardo.
“Come no?
Potrei incominciare facendo pratica con te” commentò, chinandosi per dare uno
schiaffetto sulla nuca al ragazzo.
“Ehi!” si
lamentò Joel, ritraendosi di scatto. Johanna si sporse sul sofà e attirò
l’adolescente a sé per strofinargli con forza un pugno sui capelli. “Ehi,
questo è sleale! Papà, aiutami!”
“Smidollato…”
commentò la donna con un ghigno, facendo l’occhiolino a Sawyer.
Gale
appoggiò i gomiti allo schienale del divano e sorrise, scuotendo poi il capo
con espressione rassegnata. Leah si aggrappò alla sua manicaper aiutarsi a mettersi in piedi sui cuscini
e gli indicò incuriosita la zuffa fra Johanna e il cugino; Gale annuì.
“Che famiglia, eh?” commentò poirivolto
alla nipotina, prima di allungare le mani all’indietro per placcare David, che
aveva incominciato a tendere agguati alle sue gambe, balzandoci sopra come un
animaletto.
“Rawr!”
esclamò il ragazzino, digrignando i denti e fingendo di colpire l’uomo con le
dita piegate ad artiglio. Si accorse poi della presenza di Haley, che era appena
rientrata in soggiorno, e scattò in piedi per saltellarle incontro, prima di
stritolarla in un abbraccio. La ragazza gli scompigliò i capelli, lasciandosi
finalmente andare ad un sorriso.
“Hai fatto arrabbiare Haymitch, oggi?”
chiese, sapendo bene che il fratellino adorava sentirsi porgere quella domanda.
David accompagnava spesso i genitori a trovare l’ex-mentore del Distretto 12 e
capitava spesso che combinasse qualche marachella ai danni del vecchio
Abernathy.
Il bimbo annuì energicamente,
sorridendo orgoglioso.
“Ho fatto bere il tavolo!” spiegò poi,
giocherellando con le mani della sorella. La ragazza aggrottò le sopracciglia.
“In che senso?”
David non le rispose: la sua attenzione
era ormai completamente assorbita dai braccialetti colorati che Haley portava
al polso e aveva incominciato a tirarli, dimenticandosi della conversazione che
stava avendo con la maggiore dei fratelli Mellark.
“Gli ha allagato la cucina…” venne in loro aiuto Gale,
abbozzando un sorrisetto divertito. “…E quando vostra madre gli ha chiesto
perché l’avesse fatto, lui ha risposto che la stanza aveva sete.”
Haley e Joel scoppiarono a ridere.
“Tu hai preso lezioni di inventiva da JuneHawthorne, ammettilo!” osservò poi la ragazza,
chinandosi per essere all’altezza del fratellino. Lo strinse a sé per fargli il
solletico, e David riprese a divincolarsi, lottando con furia. “Sei il mio
piccolo mito, però!” aggiunse Haley, riuscendo a tenerlo fermo il tempo
sufficiente per dargli un bacio sulla testa.
“E tu sei un allosauro!” replicò David, sgusciando via
dalla sua presa e fiondandosi sul divano fra Joel e Leah. Infastidita dalla
troppa vicinanza con quel ragazzino così iperattivo, Johanna si scostò e
attraversò la stanza, esordendo in una smorfia seccata.
Haley tornò a incrociare le braccia sul petto.
“Un che? Spero per te che sia un dinosauro carino!”
replicò, ignorando lo sguardo insistente del migliore amico, che stava cercando
di incrociare il suo sin da quando la ragazza aveva fatto ingresso nella
stanza.
“È un dinosauro carnivoro!” esclamò David, appoggiandosi
allo schienale del divano. “Vuol dire che mangia la carne e anche gli altri
dinosauri!”
“Allora posso mangiare te!” rispose Haley, avvicinandosi
al divano con le mani sollevate a mo’ di artigli. “E magari anche Akir e Leah: sembrano proprio due bocconcini succulenti!”
aggiunse, punzecchiando con l’indice la pancia delle due bambine, che si
rannicchiarono su se stesse, ridendo.
“No, io sono il T-Rex! Non mi mangia nessuno!” la
contraddisse David, arricciando poi il naso e digrignando i denti in
un’espressione minacciosa. “Puoi mangiare lui!”aggiunse poi, buttandosi su Joel, che lo afferrò per i fianchi e se lo
sistemò sulle ginocchia di fianco a Sawyer.
“Buona idea…” commentò Haley, indirizzando
un’occhiataccia al migliore amico.
Il ragazzo sospirò.
“Ma perché?” chiese solo, lasciando ciondolare la testa
all’indietro, sullo schienale del sofà.
“Perché sei un emerito cretino” replicò schiettamente la
ragazza, tornando a dirigersi verso la porta. Joel fece scendere i due bambini
dalle sue ginocchia e si alzò per seguire la ragazza.
“Questo lo sapevo già, hai incominciato a darmi dello
stupido quando avevo tipo otto anni…” borbottò, sparendo in corridoio dietro a
Haley.
Una volta usciti di scena i due
adolescenti, la situazione in soggiorno tornò a farsi tranquilla, fatta
eccezione per gli schiamazzi di Evan e dei gemelli, provenienti
dal cortile, e dai saltuari “Rawr” di David, che
aveva deciso di unirsi a Leah e a Sawyer con il gioco
del veterinario.
Gale attraversò il salotto e
raggiunseJohanna che stava facendo del
suo meglio per tenersi a debita distanza da bambini e da fonti di rumore troppo
forti.
“I tuoi sei o sette anni sono passati…”
osservò la donna, tornando a mettersi a braccia conserte. “…E questa casa continua
a essere invasa dai mostriciattoli nani. Più sento i loro versi spacca-timpani
e più mi viene voglia di prenderti a pugni.”
“Tu vuoi prendermi a pugni praticamente
sempre” replicò il fidanzato, “L’unica cosa chepreferisci al prendermi a pugni è portarmi a letto.”
“Hai dimenticato il prenderti a
schiaffi…” lo corresse Johanna, accennando un sorrisetto beffardo. “…Vedere
l’espressione che fai quando ti becchi un bel cinque in faccia è quasi più
appagante che portarti a letto.”
Gale sospirò e si mise a sua volta a
braccia conserte.
“E comunque a me sembra che i bambini
oggi si stiano comportando abbastanza bene” osservò poi, dando uno sguardo
fuori dalla finestra per controllare i tre nipoti maschi. “Non hanno rotto
niente, non si sono azzuffati e non ci sono stati piagnistei, né litigi troppo
animati. Nessuno ha cercato di farsi prendere in braccio da te e non hai
nemmeno dovuto fingere di bere bevande immaginarie, per cui…”
Meno di cinque minuti più tardi l’uomo
fu costretto a ricredersi.
Un grido improvviso spinse lui e
Johanna a voltarsi giusto in tempo per vedere la figlia spingere David giù dal
divano. Il bambino capitombolò a terra prima che Gale potesse raggiungerli in
tempo per impedirlo.
“Sawyer!” sbottò
l’uomo, indirizzandole un’occhiata di rimprovero.
“Mi ha morso!” si lamentò la bambina,
mostrando l’indice al padre e guardando male il compagno di giochi. David si
alzò lentamente a sedere, massaggiandosi il punto della schiena in cui aveva
battuto. Si guardò attorno con aria sconsolata e incominciò a piangere, più per
lo spavento che non per il dolore dovuto alla caduta.
Sul volto di Johanna fece capolino un’espressione
compiaciuta.
“La prossima volta spingilo più forte” commentò con un
ghigno, rivolta alla figlia. Gale la ammonì con lo sguardo, ma la donna rimase
impassibile.
“Che hai da fare quella faccia? Magari così impara a
tenere a posto quei denti” commentò poi, stringendosi nelle spalle.
Gale prese in braccio David e cercò di calmarlo, ma il
bambino sembrava inconsolabile: continuò a piangere, stropicciandosi gli occhi
con le mani.
“Shh, non è niente” cercò di
rassicurarlo il padrino, appoggiando il mento sui suoi capelli. “Adesso passa.”
Esaminò poi la mano della figlia, che fortunatamente
sembrava solo un po’ arrossata.
“Ci soffi sopra?” chiese la bambina, appoggiando la
fronte contro la sua spalla. Il padre eseguì, allentando di poco il nervosismo
che aveva fatto capolino nel suo sguardo.
“Che cosa è successo?” chiese infine, mentre David tirava
su con il naso, affondando il volto nella sua maglietta. Leah prese uno dei
suoi batuffoli di cotone e lo premette sulla schiena del compagno di giochi, dandosi
da fare per ‘guarirlo’ come aveva fatto poco prima con la volpe di peluche.
Sawyer sospirò.
“Allora…” incominciò, mettendosi le mani sui fianchi. “…Davey voleva giocare ai dinosauri – lui vuole sempre
giocare ai dinosauri! – ma gli ho detto di no, perché io e Leah stavamo
giocando all’ospedale degli animali. Ma lui ha fatto finta lo stesso di essere
un T-Rex e mi ha morso! ”
“Non ho contato” mormorò a quel punto il bambino,
stropicciandosi un occhio con il pugno. Gale aggrottò la fronte.
“Non hai contato?”
“Fino a quattro” specificò David, sollevando quattro dita
e mostrandogliele. Solo in quel momento l’uomo capì a cosa si riferisse:ogni tanto Gale gli ricordava di contare fino
a quattro prima di fare qualcosa che avrebbe potuto metterlo nei guai[6].
“Non importa” lo rassicurò infine l’uomo, arruffandogli i
capelli. “Ma questa cosa del mordere non mi piace per niente, Davey. Non va bene e penso proprio che tu lo sappia.”
Il bambino annuì e balzò a terra, seppur tenendo il capo
chino, manifestando il suo senso di colpa: per i suoi standard era rimasto
immobile fin troppo a lungo. Sawyer ne approfittò per
prendere il suo posto sulle ginocchia del papà.
“Mi è passato il male al dito!” annunciò allegramente,
agganciandosi al suo collo con le braccia. Gale lo esaminò ancora una volta, per
controllare che non fosse rimasto il segno dei denti sulla pelle.
“David ha sbagliato…” osservò poi, facendo oscillare uno
dei codini della bambina. “Ma anche tu ti sei comportata male, quando l’hai
spinto. Non voglio più vederti dare spintoni simili. Chiaro?”
La bambina aggrottò le sopracciglia.
“Ma la mamma dice sempre che se qualcuno mi fa male, io
devo fargliene ancora di più!” rispose, voltandosi verso di Johanna. La donna
le fece l’occhiolino.
“La mamma scherza…” replicò in fretta Gale, posandole un
bacio sulla fronte. “…Ti prende in giro. Dai, fate la pace, adesso.” concluse,
depositando la bambina a terra. David smise di trafficare con i blocchi delle
costruzioni e corse incontro a Sawyer per stringerla
energicamente a sé, come aveva fatto prima con la sorella. Lo slancio fu tale
che i due bambini quasi non caddero a terra.
“Scusa!” esclamò David, senza lasciar andare la compagna
di giochi. “Sei ancora mia amica?”
Sawyer rise e cercò di divincolarsi.
“Sì, ma adesso lasciami, mi stai
strozzando!” commentò, spingendolo via con poche cerimonie. David le rivolse un
sorriso luminoso e si passò una mano sulla guancia ancora umida di pianto,
prima di tornare al suo gioco preferito: saltare sul divano fingendosi un velociraptor, sotto lo sguardo astioso di Johanna.
“Alla prossima capriola che fa, giuro che lo sbatto
fuori…” sibilò la donna, tornando ad incrociare le braccia sul petto.“…e non mi interessa se fa il matto perché
non ci sta con la testa o se è per via di quel cazzo di ABC…”
“ADHD[7]…”
la corresse Gale, indirizzandole un’occhiata impensierita. “…E sua madre
dovrebbe venire a prenderlo a momenti” la rassicurò poi, afferrando il telecomando
e accendendo il televisore, nella speranza di sfruttarlo per cercare di tenere
a bada l’irrequietezza del ragazzino. Trovò un programma per bambini che
catturò subito l’attenzione di Sawyer e Leah, ma che
non sortì lo stesso effetto su di David, cui interesse era ancora completamente
assorbito dal suo gioco scalmanato.
“Se domani
faccio il bravo la mamma mi dà un gettone, sai?” annunciò il bambino, quando
Gale prese posto sul divano di fianco a lui. “Con cinque gettoni posso comprare
un nuovo velociraptor di quelli piccoli così” spiegò,
mettendosi in ginocchio sulle sue gambe e mostrandogli la misura avvicinando i
palmi delle mani. “Ma oggi non ho vinto nessun gettone” aggiunse poi,
lasciandosi cadere di scatto e appoggiando il capo contro il petto di Gale.
“E come mai?”
David si strinse
nelle spalle.
“Oggi sono stato un
po’ bravo e un po’ cattivo” spiegò poi riprendendoad agitare le ginocchia e tornando a
rivolgere lo sguardo al televisore. “Ma più cattivo.”
Gale sorrise appena,
prima di chinarsi in avanti per sfiorargli il capo con le labbra.
“Tu non sei mai
cattivo” mormorò poi, appoggiando il mento sui suoi capelli. “Ogni tanto fai le
cose senza pensarci e combini qualche pasticcio, ma questo non significa essere
cattivi.”
David annuì,
rigirandosi fra le mani il suo dinosauro.
“Sei ancora il mio
amico?” chiese poi, arrampicandosi sullo schienale del divano per mettersi a
cavalcioni. Incominciò a colpirlo con i talloni, sfregandosi poi una guancia con
la manica della felpa. “Anche se faccio i pasticci?”
Gale lo osservò
giocare per un po’, ignorando le occhiatacce di Johanna rivolte ai piedini
irrequieti del bambino e alla loro vittima: lo schienale sempre più mal ridotto
del sofà.
“Io sarò sempre il
tuo amico” lo rassicurò infine.
“Promesso?” chiese conferma David, rivolgendogli un
sorriso luminoso.
“Promesso.”
Il bambino diede un
ultimo colpetto al divano con il piede e si arrampicò sullo schienale,
mantenendosi a stento in bilico. Prima ancora che Gale potesse rendersene conto,
David gli era già balzato sul collo, aggrappandosi alla sua schiena con forza.
“Ehi!” lo
rimproverò giocosamente, sostenendolo per le gambe. “Mi devi avvertire quando
fai lo spericolato, lo sai!”
“Uno…”
incominciò a contare il bambino, coprendogli gli occhi con le mani “…Due, tre…”
Gale non
riuscì a trattenere un sorriso.
“Devi
contare fino a quattro prima di fare qualcosa, Davey.
Non dopo.”
“Quattro!”
annunciò con entusiasmo il bambino, chinando la testa in avanti per
intercettare lo sguardo del padrino.“Combatti, brontosauro!”
Dieci minuti più tardi la situazione
era tornata a farsi tranquilla. Sawyer e Leah stavano
guardando la televisione sedute una di fianco all’altra sul tappeto e perfino
David si era convinto ad imitarle, pur continuando a correre per la stanza di
tanto in tanto, per raccattare questo o quel giocattolo. Lo strimpellare di una
chitarra, proveniente dalla camera di Joel, accompagnava la voce di Haley, cui
canto raggiungeva a stento il soggiorno, per via della porta chiusa. Nel
sentirli suonare e cantare assieme, Johanna immaginò che avessero trovato il
modo di accantonare i loro screzi. La donna frugò il soggiorno con lo sguardo,
prima di indirizzare un’occhiata seccata all’orologio appeso alla parete:
ancora venti minuti e la sua casa si sarebbe finalmente svuotata degli
schiamazzi infantili provenienti dal cortile, così come delle musichette
petulanti ripetute di continuo nei cartoni animati che stavano guardando i tre bambini
più piccoli. Si azzardò a prendere posto sul divano, seppur mantenendosi a
debita distanza da David e dai suoi piedini irrequieti, che non accennavano a
star fermi nemmeno mentre l’attenzione del ragazzino era focalizzata sul
televisore. Appoggiò le gambe su quelle di Gale e si rilassò sui cuscini,
intrecciando le dita dietro la nuca. Aveva appena inarcato un sopracciglio,
pronta ad esordire con qualche commento critico nei confronti del programma
televisivo che i bambini stavano seguendo, quando
un improvviso rumore di vetri infranti la fece sobbalzare.Le esclamazioni dei ragazzini in cortile si
interruppero di scatto; Gale intercettò l’espressione furibonda di Johanna ed
emise un lungo sospiro, prima di alzarsi in piedi con una lentezza quasi
innaturale. L’espressione collerica dell’uomo tradiva l’apparente calma con cui
raggiunse la finestra per guardare fuori e capire a cosa fosse dovuto il frastuono.
Trovò Adam, Noel ed Evan appostati sotto una seconda
finestra, quella della cucina, intenti a scambiarsi espressioni colpevoli: un
buco frastagliato più grosso di un pallone da calcio troneggiava nella parte
inferiore della lastra di vetro. Altri frammenti, grandi come i piedi dei
ragazzini, erano disseminati sul terreno a circondare le loro scarpe da
ginnastica. Noel si accorse di essere osservato e diede di gomito al gemello,
attirando l’attenzione di Evan. Quando il minore dei
tre bambini notò l’espressione colma di rabbia dello zio arretrò d’istinto,
intimorito dal pensiero di averla combinata grossa. Il silenzio insolito di
Gale non faceva altro che metterli ulteriormente in soggezione.
“Vado a prendere una scopa…” mormorò a quel
punto Adam, affrettando il passo per non essere più costretto a sostenere lo
sguardo furibondo dello zio. Gli altri due bambini gli andarono dietro,
spaventati al pensiero della sfuriata che li attendeva una volta che sarebbero
entrati in casa: non vennero smentiti. La sgridata che ricevettero fece passare
loro la voglia di giocare a pallone nei dintorni di casa Hawthorne
per un bel pezzo.
Dieci minuti più tardi, dopo aver ripulito
dai vetri il cortile, Gale tornò in soggiorno con la stessa espressione nervosa
di poco prima, mitigata da un’improvvisa punta di stanchezza.
“Papà, lo sai che fai un po’ paura quando fai quella
faccia e non urli, ma si vede che sei tanto arrabbiato?” commentò Sawyer, arrampicandosi sul divano di fianco alla madre.
“Sì, sembri proprio un T-Rex!” le diede man forte David,
sorridendo ammirato, come se gli avesse appena fatto il complimento più bello
del mondo.
“Però io non ho paura di te” si sentì in dovere di
specificare la ragazzina, mettendosi in piedi sul divano per essere all’altezza
del padre. “Solo gli altri ce l’hanno!”
Gale fece scorrere lo sguardo da un bambino all’altro,
prima di arrendersi a un sospiro irritato.
“L’idea di chiuderne qualcuno in cantina in comincia a
non sembrarmi poi così malvagia…” ammise, ricambiando l’abbraccio della
figlioletta e voltandosi con espressione stanca in direzione della
fidanzata.“…Anche se non abbiamo una
cantina.”
“C’è pur sempre il capanno degli attrezzi” osservò
Johanna, prima di rivolgergli un’occhiata eloquente. “Da domani i tuoi fratelli
cambiano baby-sitter” dichiarò infine, tornando a stravaccarsi sul divano. “E
lo stesso vale per i Mellark.”
Gale sbuffòe si passò una mano fra i capelli, prima di
sedersi di fianco alla donna: quella frase Johanna gliela ripeteva di continuo
e, qualche volta, sfinito dalle sue lamentele e dalle marachelle dei nipotini, aveva
concluso per acconsentire, trovandosi d’accordo con lei. Tuttavia, il giorno
successivo casa loro tornava sempre a essere invasa da giocattoli che volavano
in tutte le direzioni e piccole pesti urlanti. E, seppur sorprendendosi ad
annuire, Gale Hawthorne fu costretto ad arrendersi
all’idea che l’indomani non avrebbe fatto eccezione.
Nota dell’autrice.
Prima di tutto lascio un piccolo ed imbarazzoso
angoletto pubblicitario: ho aperto una piccola
pagina facebook dedicata alle mie storie su Hunger Games, dove poter inserire
informazioni sui vari personaggi, gli aggiornamenti, anticipazioni e via
dicendo. Se vi fa di venire a trovarmi e magari mettere un mi piace, mi trovate
QUI ! ** (però fate
attenzione ai dinosauri e alle piogge di cucchiaini-pettine lungo il cammino,
mentre mi raggiungete u_ù)
Ed eccoci finalmente arrivati all’epilogo di questa
piccola, folle maratona di bambinetti un po’ troppo vivaci e baby sitters stremati. Questa terza parte è decisamente più
piatta e meno “densa di avvenimenti” rispetto alle due precedenti, un po’ perché
qui i bimbi sono pochini e un po’ perché ci tenevo molto ad approfondire David,
Sawyer e le dinamiche che li legano al resto della
famiglia Hawthorne perché questa è la loro prima
comparsa ufficiale e c’erano un po’ di cose da dire per inquadrarli. Cosa aggiungere?
Ho scritto un sacco di cose inutili nelle noticine a piè di pagina, ma mi piace
creare “ponti” fra le varie one-shots in maniera che
non manchino tesserine del puzzle al lettore durante la lettura, visto che
faccio spesso affidamento a cose menzionate in altre storie o cose non ancora
pubblicate. In questo capitolo abbiamo visto un po’ di più Johanna nei panni di
mamma, che non è esattamente la figura
materna per eccellenza xD Ed è, tra l’altro, un po’
di parte quando si tratta dei suoi due figli (sì, ormai includo anche Joel).
Gale, d’altro canto, è davvero molto legato al suo figlioccio e qui si nota
ancora di più. C’è un motivo, ma spero di riuscire a parlarne più avanti, anche
se in un certo senso già ho detto tutto disseminando cosine qua e là xD Vero è anche che l’80 % di chi segue questa storia sa
già tutto su David XD Ma preferisco comunque non soffermarmi su quest’aspetto
della sua storia, perché mi piacerebbe scriverci di nuovo su in futuro. Penso
di aver detto tutto! Grazie per essere passati a conoscere (quasi) tutti i
pargoletti della Next Generation <3 Ne manca
ancora qualcuno che non è ancora nato (i fratellini minori di Leah), ma prima o
poi sento che faranno comparsa anche loro! Il prima possibile passerò a
rispondere alle recensioni!
Un abbraccione e a presto!
Laura
[1] Da piccolo Joel aveva chiamato il suo pupazzo “Soldier, perché gli piaceva allinearlo sul pavimento
assieme ad altri pupazzi e incominciare a spartire ordini al suo gruppo di
soldati giocattolo, fingendosi il comandante di un piccolo esercito.
[2]Sawyer fa riferimento alle cicatrici sulla schiena di Gale: i segni della
fustigazione.
[3]Akir è il secondo nome di Sawyer e in famiglia la
bimba viene spesso chiamata così.
[4]Finnick Sebastian (Sebastian) è il figlio
di Annie Cresta e Finnick Odair. Essendo il
figlioccio di Johanna frequenta spesso la famiglia di Gale ed è molto legato ai
due “pargoletti” (Joel e Sawyer).
[5]Sia Sawyer che Akir sono nomi maschili. Sawyer è
stato scelto perché era il nome del fratello minore di Johanna, a cui la donna
era molto legata. Il femminile di Akir esiste e
sarebbe “Akira”, ma è stato scelto “Akir” perché è un
nome da quattro lettere e rispetta quindi la tradizione degli Hawthorne secondo la quale (secondo il mio head-canon personale) tutti i discendenti portano un nome da
quattro lettere.
[6]Piccola strategia introdotta per cercare
di domare l’impulsività di David che Gale ha “preso in prestito” da suo padre
Joel sr. che era affetto a sua volta da ADHD. Nel
primo capitolo della raccolta “Tutto ciò che ho”, infatti, un mr. Hawthorne adolescente dice a Hazelle:
“Quando ero piccolo mio padre mi ricordava sempre di contare fino a
quattro prima di dire o fare qualcosa che avrebbe potuto mettermi nei guai. La
gente, di solito, conta fino a cinque, ma per me erano già troppi: mi distraevo
prima. Così abbiamo scalato a quattro secondi.”
[7] David soffre di ADHD (Disturbo da
Deficit di Attenzione/Iperattività), e questo comporta difficoltà di attenzione
e concentrazione, impulsività e iperattività.