Un giorno, per caso. di Toki_Doki (/viewuser.php?uid=139579)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'Oceano ***
Capitolo 2: *** Mr Darcy ***
Capitolo 3: *** Miss Bennet ***
Capitolo 4: *** Occhi in tempesta ***
Capitolo 5: *** Non mi deluda Miss Bennet ***
Capitolo 6: *** Nessuna eccezione ***
Capitolo 7: *** Io vorrei... Non vorrei... ma se vuoi ***
Capitolo 8: *** Epilogo ***
Capitolo 1 *** L'Oceano ***
Cap 1. L'Oceano
L’Oceano.
Erano gli occhi più belli che avessi mai visto. Restai a
fissarli per interminabili istanti finché il suo sorriso non
attirò la mia attenzione riportandomi sulla terra.
Mi schiarii la voce e distolsi lo sguardo imbarazzata.
“Che piano?”
“Come scusa?” Chiesi non capendo.
“Io scendo al quinto piano, per te quale prenoto?”
“Ah.” Sorrisi appena goffamente.
“Anch’io scendo al quinto, grazie.”
Se volevo dire o fare qualcosa, quello era il momento giusto:
quell’occasione non sarebbe mai più ricapitata. Mi persi
nei miei pensieri cercando qualcosa da dire, anche un semplice ammiro te e il tuo lavoro ma avevo il buio
più
totale in testa. Perché la mia faccia tosta era scomparsa
lasciando posto alla timidezza?
“Che fai, non scendi?” La sua voce mi fece tremare
le ossa.
Quella voce che ritrovavo nei miei sogni, quelli che non raccontavo a
nessuno per non essere presa in giro; quei sogni in cui ero a Londra
con lui.
“Sono un po’ distratta oggi.” Mi
giustificai arrossendo.
Ridacchiò bloccandomi il cuore.
Mi maledii per aver tenuto lo sguardo basso perdendomi il suo adorabile
viso sorridente. Perché quando lui sorrideva, tutto il suo
volto
si illuminava e delle tenerissime e affascinanti rughette si formavano
sotto i suoi occhi trasmettendoti il sorriso. Quante volte avevo
desiderato esserne il motivo! Avevo perso il conto anch’io.
Scesi dall’ascensore e lo ringraziai per aver tenuto le porte
aperte.
“È stato un piacere.” Disse distaccato.
“Buona giornata.”
“Anche a te.” Sentii improvvisamente gli occhi
bruciarmi; una lacrima rigò il mio volto.
Sgranò leggermente gli occhi deglutendo.
“T-tutto bene?” Mi chiese con palese disagio. Mi
sentii morire per la pessima figura che stavo facendo.
“Sì, credo.” Risposi ridendo
nervosamente mentre col
dorso della mano asciugavo le mie lacrime. “Non so cosa mi
sia
preso!”
Mi fece una carezza sulla spalla, poi mise le mani in tasca. Era rimasto a fissarmi in silenzio con i suoi occhi meravigliosi.
“Non ho mai visto l’Oceano.” Dissi
all’improvviso pensando che avevano definito i suoi occhi del
colore dell’oceano in tempesta.
Mi guardò spiazzato poi scoppiò a ridere.
“Sei davvero strana.”
“M-mi dispiace, non sono sempre così. Anzi! Non lo
sono mai. Mi mandi in tilt.”
Fantastico! Come se non mi fossi resa abbastanza ridicola.
“Non mi piace fare questo’effetto alle
persone.”
Mi guardò in un modo che mi mise timore, quel modo che
rivedevo
spesso in alcuni scatti rubati o durante alcune interviste. Mi sentivo
nuda e impacciata: avevo rovinato un momento che sognavo da sempre.
Stavo per scoppiare a piangere ma strinsi i denti e mi costrinsi a
darmi un contegno: avevo 24 anni per la miseria!
“Non posso farci niente.” Dissi a fatica.
“Buona
giornata.” Gli augurai passandogli accanto e dirigendomi
verso lo
studio fotografico.
Ero stata una cretina; una deficiente ragazzina impacciata che insegue
i propri sogni ma non ha le palle di realizzarli.
Avevo incontrato finalmente Benedict Cumberbatch e avevo fatto la
figura di una malata di mente. Avevo immaginato quel momento in vari
modi; avevo pensato a mille e più frasi da dirgli per
esprimergli la mia ammirazione, quasi venerazione in realtà,
e
invece non avevo detto nulla. Anzi! Le poche cose che avevo pronunciato
avevano contribuito a fargli avere di me una brutta impressione.
Presi velocemente un fazzoletto dallo zaino e mi soffiai il naso
obbligandomi a smettere di piangere ed insultarmi mentalmente.
“Ehi, scusami!” Mi voltai sorpresa.
“Sì?”
“Sono stato maleducato ed indelicato. Non ho avuto un
risveglio
dei migliori e me la sto prendendo con chiunque.”
Sospirò.
“Non preoccuparti. Devo esserti sembrata una pazza quindi sei
giustificato.” Risi appena sperando di aver aggiustato un
minimo
l’idea che si era fatto di me.
“Nessun motivo può giustificare un comportamento
tanto scontroso. Ti chiedo ancora scusa.”
Sorrisi nel pensare che gli inglesi vivevano di pane e scuse.
“Ho già dimenticato tutto.”
“Lo spero.” Il suo sguardo e la sua espressione gli
davano
un’aria sempre seria e fredda. “Dove vai?”
“Sto seguendo un corso fotografico col Sig.
Miron. Mi ha voluto qui oggi per mostrarmi come si lavora ad un
servizio fotografico con un personaggio importante e di spicco del
mondo dello spettacolo.” Gli scappò un sorriso.
“Ti ha detto chi è o si giocherà la
carta dell’effetto sorpresa?”
“È rimasto sul vago dicendomi soltanto che
apprezzerò il suo invito e gli sarò riconoscente
a
vita.” Ridacchiò ancora.
“Ti sei fatta un’idea su chi possa
essere?” Feci no con la testa.
In quel momento non riuscivo a pensare a niente, sentivo solo il rumore
del cuore rimbombarmi contro il petto.
“Mi ha chiamato solo questa mattina, non ne ho avuto il tempo
materiale.” Ridacchiai pensando che, se fosse stato lui,
avrei
eretto una statua al Signor Miron al centro di Hyde Park.
“Spero per te che non resterai delusa.” Mi
guardò con uno sguardo furbetto.
“Non mi importa poi molto chi sarà: ho incontrato
te, non
può andarmi meglio.” Confessai ingenuamente.
Sentivo le
guance bruciarmi.
“Grazie.” Affermò serio. “Sto
facendo tardi, ti lascio. Buon lavoro.”
Lo salutai con un gesto della mano mentre si allontanava nel corridoio
vuoto e assolato.
“Vorrei davvero fossi tu.” Bofonchiai tra me e me
quasi fosse una preghiera.
Raggiunsi trafelata lo studio accorgendomi del ritardo
che mi si era accumulato, sperando di non essere rimproverata e punita
con l’esclusione dal servizio.
Entrai nell’ampia sala già pronta per iniziare il
lavoro;
rimasi sbalordita dallo sfondo e dagli attrezzi che riempivano la sala.
C’erano un sacco di persone che camminavano svelte per
sistemare
chi una cosa chi un’altra. Era la prima volta che mi ritrovavo sul campo; seguivo i corsi serali
di Miron dopo il lavoro ma poi, rimasto sorpreso dalle mie
qualità durante
un’uscita, si era deciso a chiamarmi quella mattina per
mostrarmi
come si lavora in modo professionale e per premiare il mio impegno e le
mie doti. Ne ero davvero felice e poi, grazie a lui, avevo incontrato
anche Ben-
“Monica!” Interruppe il flusso dei miei pensieri
chiamandomi.
“Signor Miron.” Gli sorrisi. “Grazie per
avermi dato quest’opportunità!”
“Ringraziami quando avremo finito.” Mi fece
l’occhiolino e, posandomi una mano sulla schiena, mi fece
strada
verso il centro del set.
Mi illustrò minuziosamente il programma; il motivo di quel
servizio fotografico e lo scopo delle foto.
“Quindi dobbiamo fare degli scatti che
accompagneranno l’intervista.”
“Esattamente. Se te la senti, puoi girare il video backstage
da
allegare alle foto. Con i moderni siti, le riviste amano pubblicare
questo genere di cose per invogliare a comprare la rivista.”
Mi illuminai e ne fui orgogliosa.
“Se lei si fida delle mie capacità, accetto
volentieri.”
“Di te mi fido, ma è la prima volta che lavori con
un
attore di questo livello e il tuo sangue freddo verrà messo
a
dura prova. Se le tue mani tremeranno, il tuo lavoro sarà
una
merda e totalmente inutile.”
“Ne sono consapevole.”
“Ti presenterò a lui poco prima di iniziare il
servizio quindi avrai poco tempo per smaltire la cosa.”
“È solo un attore, non è un
dio!” Risi per il suo discorso ridicolo.
Mi guardò sbieco, rimproverandomi con i suoi occhi neri
profondi.
“Sono costretto a farti questo discorso per prepararti e non
vanificare il tuo lavoro. Sei alle prime armi e non hai mai lavorato in
questo campo. Non sopravvalutarti: resti pur sempre un essere
umano.”
“Mi scusi, ha perfettamente ragione.”
Mi invitò a lasciare la borsa su un divanetto e mi diede una
piccola telecamera; mi spiegò le funzionalità per
usarla
al meglio e fare un buon lavoro per soddisfare a pieno le richieste del
direttore della rivista.
Dopo una decina di minuti, un assistente annunciò a Miron
che
l’attore era pronto e stava raggiungendo il set. In un attimo
la
stanza si svuotò e restarono soltanto Miron e
l’addetto
alle luci.
Il mio cuore accelerò i battiti: iniziavo a rendermi conto
di
cosa stava per accadere. Ripetei tra me e me le parole di Miron per
darmi una calmata. Chiusi gli occhi per qualche secondo, poi li riaprii
sentendo il mio insegnante salutare qualcuno.
Quasi mi mancò il respiro: la mia preghiera era stata
esaudita.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** Mr Darcy ***
Cap. 02 Mr Darcy
Mr Darcy
Restai a fissarlo senza dire nulla.
Il nostro primo incontro non era
stato dei migliori e temevo che potesse influire negativamente sul
lavoro che avremmo dovuto svolgere. Avrebbe dovuto passare le sue
prossime ore a farsi riprendere
incessantemente da una cretina che svalvolava davanti il suo attore pr-
“Lei è Monica.” Sospirò
preoccupato il Signor Miron presentandomi a Benedict.
Feci un leggero sorriso e gli tesi la mano sperando vedesse in quel
gesto un ti
prego ricominciamo da zero perché non ce la
posso fare!
Mi strinse la mano con aria impassibile, come ci fosse un manichino
davanti a lui. Mi sentivo a disagio e in difficoltà.
Ogni pensiero positivo abbandonò la mia testa e iniziai a
desiderare di trovarmi in tutt’altro luogo con
tutt’altre
persone. Non l’avrei immaginato mai e poi mai!
Non so per quanto tempo ce ne restammo in silenzio prima che Miron
prendesse di nuovo la parola:
“Potrà non sembrarti ma è una fotografa
talentosa.
È la sua prima volta su un set e con un personaggio
famoso.” Sorrise. “Poi devi sapere che è
tua
grandiss-”
“Direi che possa bastare come presentazione!” Quasi
urlai interrompendolo.
Mi lanciò un’occhiata divertita mentre vidi con la
coda
dell’occhio Benedict far vagare lo sguardo nella stanza.
“Neanche Mr Darcy, oh!” Bofonchiai irritata.
“Come scusa?” Mi chiese curioso puntandomi i suoi
occhi, ora azzurri, addosso.
“N-niente.” Mi sistemai i capelli dietro
l’orecchio facendo finta di nulla.
“Se non vi dispiace, iniziamo col servizio. Vieni Benedict,
sistemiamoci.”
Lo accompagnò al centro della stanza sistemandolo con la
schiena rivolta verso lo sfondo.
Li raggiunsi subito e, quando il Sig. Miron mi diede l’ok,
iniziai a riprendere.
Cominciò a fare dei commenti sulla luce; sullo sfondo che
risaltava il colore degli occhi di Benedict ed altri particolari
tecnici,
alcuni dei quali neanche capivo!
Iniziò con i primi scatti di prova e li osservarono subito
al
computer per vedere meglio cosa ci fosse da cambiare; a me
sembravano tutte foto stupende e mi vergognai anche un po’
nel
rispondere che per me erano perfette quando chiesero la mia opinione.
Mi sentivo un po’ una fangirl e per niente una fotografa con
giudizi obiettivi. Misà che quel lavoro non faceva proprio
per me! Mi demoralizzai un po’.
Il mio cattivo umore e pessimismo svanirono all’istante
quando
Benedict scoppiò a ridere nel tentare una posa buffa. Sentii
il
cuore riempirsi di calore. Perché non sorrideva
più spesso?
Passò in un’oretta il servizio e, prima di
congedarlo, il
Signor Miron mostrò ogni singolo scatto a Benedict. Tra le
varie foto ne aveva scattata una immortalando la risata,
l’unica in realtà, che si era fatto per quella
posa buffa. Istintivamente me ne uscii con:
“È la mia preferita.” I loro occhi si
fissarono su di me.
“Concordo.” Mi rispose sorridendo e lasciandomi
senza fiato. “Vuoi farmi qualche foto anche tu?”
“Ma io... non so. Non sono all’altezza.”
Cercai aiuto in Miron.
“Se non provi non puoi saperlo.” Insistette
Benedict.
La sua voce avrebbe potuto convincermi a fare qualsiasi cosa.
Miron mi porse la sua Reflex invogliandomi a tentare. In fondo che mi
costava? Presi coraggio ed accettai la sfida. Di sicuro il mio
adorabile insegnante se la stava godendo!
Benedict si riposizionò con le spalle al telo e
aspettò mie istruzioni. Restai a fissarlo per qualche
istante cercando di capire in che
pose mi sarebbe piaciuto ritrarlo; avevo il vuoto totale, poi mi
vennero alcune idee.
Di sicuro avrei dato risalto ai suoi occhi e alle sue labbra. Poi
dovevo puntare sui suoi fantastici capelli e le sue mani sensuali. Mi
sentii arrossire, soprattutto perché avevo fantasticato non
poco su di lui!
Gli spiegai come avrei voluto fotografarlo e si posizionò
con una
mano fra i capelli e il viso tirato leggermente indietro. Gli chiesi di
deglutire sentendomi un po’ depravata visto che mi faceva
impazzire solo vedendolo da uno schermo…
“Va bene così, grazie!”
“Sistemagli i capelli! Risalta i suoi ricci!” Mi
consigliò Miron. “Un altro paio di scatti,
su!”
Lo guardai intimorita: sistemargli io i capelli? NO.
Mi avvicinai timida e alzai leggermente la testa per guardarlo negli
occhi: così incuteva davvero timore! Sembrava anche
più
alto di 1 metro e 83. Ed io non ero poi così bassa col mio
metro e 70!
Restò a fissarmi mentre, con non poco imbarazzo, gli
sistemavo i
capelli realizzando il sogno di una vita. Ridacchiai nel pensarci e mi
guardò incuriosito, aggrottando la fronte.
“Te l’ho detto: sono distratta oggi.” La
vicinanza al suo viso mi stava mandando in confusione.
“Non è bello scoppiare a ridere in faccia a
qualcuno.”
“Perdonami, ma stavo pensando ad una
cosa…” Sorrisi imbarazzata.
“Cosa?” Scossi la testa.
“Niente.” Sembrava sempre più curioso.
“Se hai finito di pensare agli affari tuoi, facciamo questi
ultimi scatti che avrei da fare.” Mi
rimproverò scontroso.
Stava diventando odioso! Chi si credeva di ess- no, ok: gli stavo
facendo perdere tempo sul serio.
Mi scusai e finii con le ultime 5, 6 foto.
Non si fermò neanche a guardarle perché era in
ritardo
per un appuntamento. Ci rimasi male visto c’avevo messo
il cuore nel farle.
In compenso Miron mi fece i complimenti e mi disse che avrebbe mandato
anche quelle alla rivista specificando che erano state scattate da
un’apprendista.
Cercai di fargli cambiare idea ma mi convinse che sarebbe stato un
peccato tenerle per me senza dare loro la possibilità, anche
se
minima, di essere pubblicate.
Lo ringraziai per tutto e mi avviai a casa.
Era stata una giornata intensa e che sarebbe continuata a lavoro.
Mi sentivo stremata e non fisicamente, il che era peggio! Volevo solo
tornarmene nell’appartamento che dividevo con altri due
ragazzi e
starmene in camera a mangiare gelato guardando un film. Invece sarei
dovuta passare a casa solo il tempo di indossare la divisa e correre
alla caffetteria per il turno pomeridiano: avrei attaccato alle 15.00 e
staccato alle 20.00.
Lavoravo lì da ormai 6 mesi; mi ero trasferita a Settembre
e, grazie al
Cielo, avevo trovato subito lavoro. Non potevo lamentarmi neanche dei
miei coinquilini: uno era un ragazzo inglese di 27 anni che lavorava in
un’azienda farmaceutica; l’altro era una ragazza
italiana
di 22 anni, estetista in un negozio poco fuori città.
Poi c’ero io: una ragazza romana di 24 anni che si era
trasferita
per imparare l’inglese, realizzare il sogno di viversi Londra
e
magari imparare qualcosa di fotografia durante il poco tempo libero che
le restava tra un turno e l’altro.
Mi mancava Roma, la mia famiglia e i miei amici, ma avevo deciso che
sarei rimasta almeno un anno per dare una svolta e una ventata
d’aria fresca alla mia vita. E, dati gli ultimi eventi, ci
stavo decisamente riuscendo!
Rientrata, mangiai qualcosa al volo giusto per poter dire di aver
pranzato, e mi collegai ad internet.
Cercavo di farlo il più possibile perché, tramite
Facebook, ero rimasta in contatto con mia cugina, che poi era la mia
migliore amica e sorella. Controllai subito le notifiche e le scrissi
un messaggio per raccontarle del miracolo che era avvenuto quella
mattina. Mentre digitavo ogni singola lettera, le mani mi tremavano e
sentivo il
cuore in tumulto. Non credevo potesse farmi un effetto del genere! La
mia parte di romantica sognatrice si stava ancora crogiolando in
quel brodo e non mi avrebbe abbandonata presto. Non avrei mai smesso di
pensare a quell’episodio un po’ strano e
all’immensa
fortuna che avevo avuto.
Mi venne anche in mente che forse non avevo ringraziato abbastanza
Miron.
Verso le 2 spensi il computer, mi cambiai ed uscii per passare in un
negozio di dvd prima di andare a lavoro.
Arrivata al negozio, mi recai direttamente al reparto delle serie
televisive. Diedi una rapida occhiata poi andai a cercare Orgoglio e
Pregiudizio visto che la copia che avevo era
così rovinata che
si bloccava a metà film!
Mi avvicinai svelta notando che
era l’unica copia e feci per afferrarlo sicura di aver
conquistato il bottino, invece mi ritrovai a stringere una mano grande,
con la pelle chiara e calda. Alzai subito lo sguardo ed incrociai i
suoi occhi: mi ritrovai ancora una volta a navigare in
quell’Oceano.
“Ancora tu?”
“Potrei dire la stessa cosa.” Gli risposi con un
nodo in gola, determinata a non dargliela vinta.
Fece scorrere il suo sguardo su di me, poi si schiarì la
voce.
“Potresti lasciarmi la mano?” Il cuore non voleva
saperne di rallentare.
“Se tu mi lasci il dvd.”
“No, l’ho preso prima io!”
“Ci tengo davvero.”
“Anch’io.” Aveva uno sguardo
indecifrabile.
“Quello che ho casa si blocca ed è
inutilizzabile.” Puntai sulla dolcezza.
“E dovrebbe importarmi?” Chiese seccato.
“Ha ragione.” Lasciai la sua mano. “Lo
compri pure lei, Mr Darcy. Tornerò tra qual-”
“È questo che avevi detto sta mattina,
vero?”
Sembrò illuminarsi. “Mi hai chiamato Mr Darcy
anche sul
set!”
“Non ricordo!” Feci spallucce. “Se ora
vuole
scusarmi…” Feci un mezzo inchino e lo lasciai
lì,
senza aggiungere nulla.
“Il dvd non lo prendi?” Alzò leggermente
la voce per farsi sentire.
“L’hai preso prima tu: è tuo.”
Gli sorrisi e me ne andai.
Era tutto così strano! Invece di farci amicizia o tentare un
approccio più gentile, mi stavo impuntando! Non ero riuscita
neanche sta volta a sfruttare l’occasione!
Ero davvero una cretina.
Arrivai a lavoro con 10 minuti di ritardo. Dopo la ramanzina del capo
mi misi finalmente a lavoro e riuscii a non pensare più a
Benedict e alla mia goffaggine.
Mi piaceva il mio lavoro perché potevo osservare la gente, e
poi
dalle vetrine del locale c’era una bellissima vista di St Paul’s.
Era la cosa che più mi piaceva di Londra, dopo il Globe
ovviamente! Quando facevo il turno di mattina, ero solita attraversare
il Millennium Bridge e pranzare davanti al Globe. Da lì si
godeva di una vista splendida!
Ero follemente innamorata di quella città; della gentilezza
e
disponibilità degli inglesi, e della lingua stessa. Stavo
vivendo un sogno.
Pulii il bancone per l’ennesima volta, poi tornai a guardare
fuori notando che stava tramontando il sole.
Mi si bloccò il cuore per un attimo nel vederlo entrare.
Stava
diventando una persecuzione… una piacevole persecuzione!
Salutò e mi si posizionò davanti; mi sorrise ed
ordinò un tea ed alcuni pasticcini, poi si
accomodò al tavolo
più vicino al bancone.
Feci un bel respiro e gli portai il vassoio.
“Ecco a te.” Mi sforzai di sorridergli nascondendo
la confusione che avevo in testa.
“Stai attenta: ti tremano le mani.” Mi
fissò serio. Deglutii e tornai al mio posto.
Sperai se ne andasse presto visto che nelle condizioni in cui ero
piombata non sarei riuscita a superare quelle ultime due ore di lavoro!
Tra sguardi e sorrisetti ambigui finì la sua consumazione ed
andò in cassa a pagare. Prima di lasciare la caffetteria mi
chiese:
“A che ora stacchi?” Avevo il cuore a mille.
“A-alle 8.” Riuscii a dire a stento.
Guardò l’orologio, aggrottò la fronte e
poi mi mostrò una bustina.
“Posso lasciartela ora?”
“Cos’è?”
Me la passò sorridendo, poi mi salutò ed
uscì
senza neanche farsi salutare o ringraziare per il contenuto ancora
misterioso.
Guardai dentro e vidi che c’era il dvd di Orgoglio e Pregiudizio:
l’aveva comprato in un altro negozio apposta per me.
Il capo restò a fissarmi per qualche minuto poi, esasperato,
mi
diede il permesso di uscire un’ora prima vedendo lo stato di
inebetitudine che avevo raggiunto.
Lasciai il locale ancora frastornata: non potevo crederci che stava
accadendo proprio a me! Quello era stato decisamente il giorno
più bello della mia vita!
N.d.a.:
Buongiorno a tutti!! :)
Ecco il secondo capitolo!! Spero apprezzerete e vi godrete la lettura!!
Grazie in anticipo a chi recensirà ♥
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** Miss Bennet ***
Cap. 03
Miss Bennet
Era passata una settimana da quando avevo incontrato Benedict e non avevo ancora avuto il tempo di guardarmi il dvd.
Avendo la serata libera, decisi di godermi finalmente quel film.
Lo inserii nel lettore; mi sistemai sotto al piumone caldo con la mia
fedelissima tazzona di Earl Grey, e premetti play.
A neanche metà pellicola, fui interrotta da un sms del Signor
Miron che mi chiedeva se stessi meglio e se l’indomani me la
fossi sentita di raggiungerlo al suo studio. Aveva una cosa urgente di
cui parlarmi e non me la sentii di rimandare.
Accettai quindi quell’invito quasi disperato e continuai a guardare il film.
La mattina successiva arrivai all’appuntamento con una decina di
minuti di anticipo sperando di potermela svignare il prima possibile.
Il Signor Miron era un insegnante fantastico, pieno di talento e
gentilezza, ma era anche stravagante e delle volte ti tratteneva per
ore a parlare del nulla. Per questo dubitavo della serietà di
quell’incontro: per lui poteva essere questione di vita o di
morte anche scegliere il colore dei calzini.
Presi l’ascensore e, inevitabilmente, ripensai all’incontro
con Benedict: era diventata quasi un’ossessione. Persino a lavoro
non potevo fare a meno di guardare fuori sperando di scorgerlo; ma
niente: non si era più presentato in caffetteria. Ero addirittura andata nel negozio in cui aveva preso la copia di
Orgoglio e Pregiudizio che mi aveva regalato, ma niente: era sparito.
Guardai l’orologio sbuffando. Mi diressi a passo svelto nello
studio di Miron e bussai alla sua porta notando che la segretaria era
assente.
Mi fece entrare e accomodare sulla grande sedia in pelle nera di fronte
la sua scrivania. Continuò a firmare alcuni fogli, poi li
sistemò nella sua ventiquattrore sbiadita e mi rivolse il suo
sguardo.
“Come stai?”
“Un po’ meglio.” Dissi con la voce roca per il mal di gola.
“Torna presto al corso, mi raccomando!” Mi sorrise.
“Venerdì sarò di nuovo presente.” Abbozzai un sorriso.
“Vorrei parlarti di una cosa.” Si fece serio.
“È davvero importante e vorrei tu ci pensassi bene prima
di darmi una risposta.” Annuii e proseguì: “Quelli
della rivista X mi hanno contattato ieri pomeriggio per avere
informazioni su di te.” Sgranai gli occhi pensando mi stesse prendendo in giro. “Non
pubblicheranno le tue foto nell’intervista di Benedict
Cumberbatch, ma hanno voluto le tue credenziali e mi hanno chiesto di
farti collaborare al prossimo servizio fotografico. Credo vogliano
tenerti d’occhio.”
Avevo il cuore a mille.
“Non so davvero che dire.”
“Te la senti di iniziare un percorso con me?”
“Sotto la sua guida mi sento in mani sicure.” Sorrisi.
“Non speravo di avere un’opportunità del
genere.”
“Devi considerare i sacrifici che comporterà impegnarsi in
tale lavoro. Potresti aver bisogno di lasciare la
caffetteria; spostarti di continuo e accontentare i capricci della
gente. Pensaci bene.”
Mi spaventò un po’ e mi sentii demoralizzata.
Lo ringraziai per la fiducia che riponeva in me, per i consigli che mi
aveva dato e per il tempo che mi aveva lasciato per pensare.
Presi il cellulare e controllai che giorno fosse: 5 Marzo. Mi aveva
dato tempo fino al 16, quando sarebbe stato impegnato per un altro
servizio con quelli di X.
Avrei dovuto pensare a i pro e i contro; non potevo impegnarmi a
metà accettando solo l’incarico del 16 e poi sparire nel
nulla. Era stato chiaro su questo e di certo non l’avrei deluso.
Tornata a casa mi rinfilai il pigiama e mi misi al computer. Navigando
un po’ in rete trovai degli articoli sugli Oscar e mi
venne in mente che Benedict aveva presentato una categoria. Io
aspettavo il momento in cui avrebbe presenziato come candidato!
Fu così che mi venne l’illuminazione: probabilmente non
era ancora a Londra. Avevo sperato in una sua manifestazione miracolosa
e invece era dall’altra parte dell’Oceano.
Da una parte ero contenta che il motivo fosse quello, dall’altra
per niente perché avrei continuato ad aspettarlo
all’infinito ed invano. Stavo diventando patetica.
Mi ci voleva una vita sociale più attiva… anzi! Mi ci
voleva una vita sociale, e magari anche una sentimentale. Non potevo
restarmene chiusa nel mio mondo fatto di unicorni e fatine in eterno,
decisi quindi di mandare un sms ad un mio compagno del corso
fotografico per chiedergli di uscire. Mi rispose: Va benissimo. Io e i miei amici ci vediamo al Finix per le 10. Unisciti a noi ;) A dopo!
Optai per un sonnellino pomeridiano per non crollare la sera dato che
non ero abituata a far tardi. Impostai la sveglia alle 17.50 per poi
preparare la cena e preparare me all’uscita.
Non ero una che ci metteva ore nel sistemarsi, ma quella sera volevo
rendermi il più carina possibile perché volevo fare buona
impressione su Matthew e i suoi amici. C’eravamo conosciuti un
mese prima al corso
di Miron; aveva il tipico aspetto dei ragazzi nerd. Ero rimasta colpita
dai suoi occhiali da vista e l’aspetto da perfettino. Si era poi
rivelato un pasticcione casinista! Ci stavo bene con lui e finalmente
mi ero decisa ad uscirci e a smettere di rifiutare i suoi inviti.
Arrivai puntualissima al locale. Mi guardai intorno per trovare Matt,
ma di lui neanche l’ombra. Aspettai una decina di minuti poi
gli telefonai: entrò la segreteria telefonica. Iniziai a
preoccuparmi quando i minuti di ritardo divennero 45.
Camminavo nervosa su e giù per il marciapiede; il buttafuori mi
guardava come gli facessi pena. D’un tratto qualcuno alle
mie spalle, mi chiese se stessi bene: non stavo per niente bene! Mi
voltai con un finto sorriso per evitare di incappare nella compassione
di uno sconosciuto.
“Sto” sgranai gli occhi “bene.”
“Non te lo aspettavi, eh?!”
I suoi meravigliosi ricci rossi erano scomparsi. Continuai a guardarlo sbigottita.
“Matt! Ma quando li hai tagliati?” Si era rasato a zero!
“Oggi.” Mi sorrise divertito. “Scusa se ti ho fatto aspettare.”
Scrollai la testa.
“F-figurati. Entriamo?”
La serata passò… passò. Il locale era affollato nonostante fosse mercoledì; la gente
spingeva e pogava come fosse ad un concerto Metal; la mia testa stava
per esplodere e Matt era mezzo ubriaco.
L’idea che mi ero fatta era davvero sbagliata. Almeno avevo capito che con le prime impressioni non ci sapevo fare!
Guardai stufa l’orologio constatando che era ancora mezzanotte e
Matt si era scolato già 3 drink insieme ad un paio di suoi amici
fricchettoni. Quando tornò per l’ennesima volta dal bar,
mi prese per mano e mi trascinò a ballare; non tentai neanche di
opporre resistenza, tanto me la sarei svignata non appena si fosse
distratto.
Il mio piano fallì: mi restò appiccicato e con gli occhi
addosso per tutto il tempo. Mi sentivo mancare l’aria e le luci
mi stavano dando alla testa, così gli dissi all’orecchio
che avevo bisogno di uscire un attimo e mi voltai di scatto per
scappare da quella gabbia. Mi scontrai con un armadio a cui feci
rovesciare il drink sulla camicia bianca. Alzai lo sguardo impaurita
sperando si lasciasse intenerire dal mio sguardo di fanciulla spaesata.
“Mi dispiace.” gridai cercando di farmi sentire.
“Tranquilla.” Mi disse all’orecchio abbassandosi.
“Ti prendo dei tovaglioli.”
“Accompagnami al bagno.” Al bagno con uno sconosciuto alto 1 e 90 con due spalle grosse così?!? Ehm…
“Il mio amico mi sta aspettando, non posso.”
Mi poggiò delicatamente la mano sulla spalla ed insistette; mi
scansai per farmi lasciare ma non mollò. Poi il suo sguardo fu
attratto da qualcosa, o qualcuno, dietro di me e mi lasciò per
poi avviarsi ai bagni. Sospirai di sollievo ringraziando mentalmente
Matt che era venuto in mio aiuto.
Mi voltai per poterci parlare ma rimasi di stucco: era lui, in carne ed ossa di nuovo davanti ai miei occhi. Deglutii e cercai di
lottare contro il mio corpo che voleva accasciarsi a terra.
Si avvicinò al mio orecchio e mi sussurrò un ciao.
Il cuore sembrava volermi esplodere. Lo salutai con un gesto della
mano, poi si avvicinò di nuovo e mi propose di uscire.
Quando respirai l’aria fredda della sera mi sentii come rinascere.
“Meno male che mi hai ricordato di prendere il giacchetto!” Gli sorrisi.
Si tirò indietro i capelli che gli si erano scompigliati, poi
alzò la testa al cielo e rimase in silenzio a guardare le stelle.
Mi avvicinai e mi poggiai anch’io al muretto. Con la mano
sfioravo la sua; avevo la testa in panne. Erano giorni che speravo di
incontrarlo e ora me lo ritrovavo così vicino!
“Non hai un bell’aspetto.”
Sgranai gli occhi e lo guardai sconcertata.
“Beh, grazie.” Distolsi subito lo sguardo imbarazzatissima.
“Intendevo dire che non sembri star bene.”
“Ho il mal di gola, ma credo che il mio terribile aspetto sia
dato dal mal di testa tremendo che mi hanno fatto venire quella musica
assordante e quelle luci fastidiose. Mi sentivo in gabbia.”
Sospirai rilasciando una nuvoletta nell’aria.
“Non è per te.”
“Decisamente.”
Restammo in silenzio non so per quanto tempo, però non era un
silenzio imbarazzante; non mi sentivo neanche in obbligo di dire
qualcosa: stavo bene così.
Con la coda dell’occhio lo vidi spostare il suo sguardo su di me.
“Stai meglio ora, ma ti consiglio di non rientrare.”
“Grazie dottore.” Gli sorrisi ma non ricambiò.
Era rimasto per tutto il tempo serio ed imperturbabile. Si
scostò dal muretto e mi si posizionò di fronte.
Restò a fissarmi per qualche istante.
“Rientriamo?”
“Mi hai appena det-”
“Non voglio lasciarti qui fuori da sola.”
Mi scostai anch’io e mi diressi al locale. Mi seguì in silenzio, poi poco prima di entrare, mi disse:
“Mi sono dimenticato di fumarmi la sigaretta.” Mi voltai
ridacchiando. “Mi fai compagnia?” Il mio cuore mancò
un battito.
Restammo vicino l’entrata il tempo di quella sigaretta. Lo
guardavo come fosse la cosa più bella e rara al mondo. Non mi
sarebbe mai passata se avessi continuato ad incontrarlo.
“Quando sei rientrato a Londra?”
Mi guardò per un attimo; espirò il fumo dalle labbra e poi mi rispose:
“La notte scorsa. Li hai seguiti in diretta?” Feci no con la testa.
“Non li ho ancora visti in realtà. Ho lavorato senza sosta per 3 giorni filati.”
Corrucciò la fronte.
“Come mai?”
“La mia collega è malata e devo fare anche i suoi
turni.” Sbuffai. “Oggi per fortuna ho avuto il giorno
libero perché mi ha sostituita la moglie del proprietario.”
Spense la cicca e la buttò nel posacenere del cestino dei rifiuti.
“È una caffetteria deliziosa.” Mi sorrise. Finalmente aggiungerei!
“Mi piace lavorare lì.” Mi tornò in mente la
proposta della rivista X ma cercai di non pensarci. Dopo qualche
istante aggiunsi: “Ah! Grazie davvero per il dvd! Non
dovevi.”
“Figurati. Non è stato difficile trovarlo, e poi i sensi
di colpa non mi avrebbero lasciato dormire se non avessi avuto il tuo
prezioso film.” Mi fece l’occhiolino.
Il cuore non voleva saperne di rallentarmi.
“L’hai vi-” Fui interrotta da Matthew che era uscito a cercarmi.
Mi si buttò praticamente addosso.
“Tu sei…?” Gli chiese puntandogli contro il collo
della bottiglia che aveva in mano. “Sei tu, vero?” Benedict
lo guardò torvo.
“Io sono io.” Mi rivolse uno sguardo gelido. “Ti lascio nelle mani del tuo ragazzo.”
Si voltò e rientrò dando quasi una spallata ad un ragazzo che stava uscendo.
Mi scrollai quel coglione di Matt da dosso e raggiunsi Benedict dentro;
lo cercai tra la folla ma non riuscii a trovarlo. Mi bruciavano gli
occhi: avrei voluto picchiare il mio ormai non più amico. Feci
un altro giro, anche tra i tavoli, ma niente: era sparito. Mi ricordai
poi che al piano superiore c’erano i privè; di sicuro
stava là.
Andai a salutare gli amici di Matt ed uscii per andarmene a casa senza
neanche salutare quel deficiente: mi aveva rovinato la serata.
Digrignai i denti nervosissima.
Uscendo, scorsi Benedict a fumare con un’altra persona; cercai di
capire chi fosse ma non lo avevo mai visto prima. Passandogli davanti
lo salutai con un timido sorriso ed un gesto della
mano, ma mi ignorò e tornò a parlare col suo amico. Mi
sentii morire: peggio di così non poteva andare!
Allungai il passo sentendomi gli occhi pieni di lacrime.
“Quanto corri!” Mi voltai e lo vidi al mio fianco. “Dove te ne vai tutta sola?”
“A casa.” Non riuscii a dire nient’altro.
Si mise le mani nelle tasche dei pantaloni e sospirò.
“Non fa proprio per te!” Fece un mezzo sorriso.
“Tu invece sei abituato…”
Feci sì con la testa senza aggiungere altro.
Più che altro continuava a camminarmi accanto; voleva accompagni fino a casa?
“Dove diavolo hai parcheggiato?” Chiese seccato.
“A parte che non ti ho chiesto io di seguirmi, quindi non alterarti, e poi sto andando a prendere un autobus!”
“Sei venuta con i mezzi?” Chiese sorpreso.
“Sì, ma per il ritorno contavo sul mio amico.”
“Hai fatto affidamento sulla persona sbagliata.”
Gli rivolsi il mio sguardo, ma lui fissava davanti a sé. Aveva un portamento davvero elegante; mi faceva impazzire.
“È la prima volta che esco con lui e i suoi amici. Mi ero
fatta un’idea completamente sbagliata di lui.” Sbuffai.
“È un errore giudicare qualcuno senza prima conoscerlo, Miss Bennet.”
Mi guardò e mi sentii arrossire. Distolsi subito lo sguardo.
“Q-quella è la mia fermata.” La indicai.
“Sicura di voler prendere un notturno?” Feci spallucce.
“L’alternativa è tornare con quel cogl- cretino.” Mi corressi e ridacchiò.
“Dove abiti?”
“Nella zona di Queensway. Ci vogliono 20 minuti scarsi da qui.” Gli sorrisi.
“Con la mia macchina ce ne mettiamo la metà.” Continuava a far vagare gli occhi sulla strada.
Avevo il cuore in gola.
“Ma no, figurati! Non voglio recarti tanto disturbo.” Iniziai a gesticolare imbarazzata.
Si grattò la nuca e sorrise tra sé e sé.
“Perdonami, non volevo metterti in difficoltà.”
Mi fermai davanti la fermata. C’erano un paio di ragazze che
iniziarono a fissarlo. Mi sentivo a disagio. Mi avvicinai per potergli
parlare senza esser sentita da quelle due.
“Meglio che torni al locale, non voglio che si rovini anche la tua di serata.”
Con un cenno del capo mi fece capire che voleva che tornassi indietro con lui.
Mi incamminai verso il locale senza proferire parola: ero completamente nel pallone!
Mi guidò verso la sua auto; mi aprì lo sportello e mi fece accomodare: era davvero un gentiluomo!
Arrivammo pochi minuti dopo. Si parcheggiò quasi davanti il
palazzo in cui abitavo, poi si slacciò la cintura e si
voltò verso di me.
“Buona notte.” Affermò serio.
Una vocina nella mia testa mi urlava di chiedergli di salire a bere
qualcosa, ma le mie labbra non ne volevano sapere di muoversi.
“Anche a te.” Dissi con un nodo alla gola. “Grazie
del passaggio.” Sorrisi appena e scesi dalla macchina.
Mentre chiudevo lo sportello già mi maledicevo mentalmente per
non aver avuto il coraggio di provare ad invitarlo. Non potevo
continuare a sperare nella buona sorte: dovevo decidermi ad agire in
modo concreto. Bussai al finestrino e lo aprì.
“Se passi in caffetteria ti offro un tea per sdebitarmi.” Gli sorrisi incerta.
“Vedremo.” Non si degnò neanche di sorridere come gesto di cortesia. Mi ero demoralizzata.
Mi salutò con un gesto della mano e ripartì lasciandomi
sola nel bel mezzo della strada a fissare il vuoto, con in testa mille
pensieri.
Mi buttai a peso morto sul letto ed iniziai ad immaginare cosa sarebbe potuto succedere se davvero fosse venuto per quel tea.
Almeno la fantasia nessuno poteva togliermela!
N.d.a.
Salve
a tutti!! Spero vi sia piaciuto :3 Voi avreste invitato Ben a salire?
E' una tentazione a cui non si può rinunciare, eh?! ;)
Alla prossima!!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** Occhi in tempesta ***
Cap. 04
Occhi in tempesta
Era venerdì e, come promesso, sarei tornata al corso
del Signor Miron. Sarebbe iniziato alle 5pm, ma decisi di andare un po’ prima
per parlare con lui.
Avevo in testa mille dubbi e paure e non riuscivo a capire quale fosse la
scelta migliore da prendere. Nonostante fossero passati soltanto due giorni da
quella proposta, non avevo fatto altro che pensarci e ammalarmi il cervello per
trovare subito una risposta da dare. Non c’era alcuna fretta ma, conoscendomi,
sapevo bene che non sarei riuscita a decidere se qualcuno non mi avesse
aiutato. Per le decisioni importanti ero sempre titubante; contavo sulla grande
passione per la fotografia ma non mi aiutava neanche quella. Avevo bisogno di
qualcuno con esperienza nel campo, che ascoltasse le mie innumerevoli pippe
mentali e che mi guidasse verso la direzione giusta.
Uscita dalla caffetteria, mi fermai in una tavola calda vicino lo studio per
mettere qualcosa sotto i denti e ripassare mentalmente le domande che mi ero
preparata in quei giorni.
Erano stati due giorni di inferno: Matt mi aveva riempito di sms per scusarsi
ed insultarsi per aver perso l’occasione di farsi piacere, mentre alternavo i
miei dubbi esistenziali sulla proposta di X a quelli su Benedict. Quell’uomo mi
aveva incasinato la vita senza neanche saperlo! Stavo sempre peggio ed erano
passate soltanto 48 misere ore da quando l’avevo visto l’ultima volta. Che poi
aveva confermato il soprannome che gli avevo affibbiato: Mr Darcy. Mi si bloccò
il cuore nel ricordare che lui aveva chiamato me Miss Bennet.
Sospirai lasciando il tavolo e recandomi nello studio di Miron.
Controllai l’orologio: 15.02. Era troppo presto, ma decisi comunque di entrare:
c’avrei parlato e poi mi sarei fatta un giro da quelle parti prima dell’inizio
del corso.
La segretaria mi diede l’ok e mi avvicinai alla porta chiusa del suo studio.
Presi un bel respiro e feci per bussare ma aprirono. Il ragazzo che uscì fece
un sorriso e si dileguò.
Mi accomodai sulla sedia, che stava diventando fin troppo familiare, ed
aspettai che Miron si voltasse: stava cercando un libro negli scaffali dietro
la sua scrivania. Forse non si era neanche reso conto della mia presenza; mi
schiarii la voce ma non riuscii ad attirare la sua attenzione come volevo.
“Buongiorno signor Miron!” Affermai allegra.
Si voltò con un libro aperto in mano, si aggiustò gli occhiali sul naso e tese
le labbra in un sorriso.
“Ciao Monica.” Si sedette e poggiò il libro accanto al computer.
“Mi scusi se sono venuta senza preavviso ma avrei bisogno di parlarle.”
Si tolse gli occhiali e si massaggiò le tempie restando con gli occhi chiusi.
“Dimmi pure.”
“Non riesco a prendere una decisione. So che sono passati soltanto due giorni,
ma la mia testa sta andando ancora di più in paranoia! Cosa devo fare per
capire qual è la scelta giusta?” Aprì un cassetto della scrivania e tirò fuori
una moneta. Sospirai incredula.
Restò a guardarmi serio per qualche istante e alla fine non riuscii a
trattenermi.
“La prego, il trucco della monetina no!” Mi guardò seccato. “Lo conosco e
vorrei evitarlo.”
“Non vuoi neanche tentare?”
Feci no con la testa chiedendomi come facesse a non sentirsi un minimo
imbarazzato per quell’ideona che gli era venuta.
“Sarà la mia ultima spiaggia.” Sorrisi appena.
“Quali sono i dubbi che ti affliggono?”
“Ho paura di non farcela. Di non sopravvivere in quel campo. La concorrenza è
spietata, gli artisti sono strani… Non so se mi piacerebbe percorrere quella
strada. Non è il tipo di fotografia a cui aspiravo.”
“Ma?”
“Ma potrebbe aprirmi le porte per altre esperienze. Arricchirebbe il mio
bagaglio personale e sarebbe un ottimo modo per farsi conoscere.”
“Beh, sì, ma stai sbagliando metodo di giudizio.” Lo guardai confusa. “Non
pensare ai pro e i contro, pensa a cosa ti renderebbe felice. Immagina come
potresti essere e dove potresti stare tra qualche anno grazie al lavoro che ti
hanno proposto e cerca di capire se è ciò che vuoi. Hai tutte le potenzialità
per cavartela in quel campo, e ci sono io ad aiutarti.” Mi sorrise paterno. “Ti
piace il lavoro in caffetteria?”
“Sì, lo adoro. Mi hanno accolta come una di famiglia dandomi l’opportunità di
imparare e migliorarmi, non solo dal punto di vista lavorativo, ma anche da
quello linguistico. Sono stati davvero pazienti. Devo loro tutto, anche la
voglia di restare a Londra.”
“Quanto intendi fermarti qui?” Bella domanda!
“Ero partita con l’intenzione di restare 6 mesi, ma poi mi hanno proposto un
contratto annuale dopo i primi 3 mesi ed ho deciso di accettare trovandomi
bene. Sapere di avere un lavoro fisso mi fa dormire serena la notte. Non voglio
tornarmene a casa con la coda tra le gambe e riniziare la mia vita
schifosissima.”
“Quando avevo 21 anni, la mia insegnante di filosofia al College mi propose di
partecipare ad un convegno come suo assistente. Accettai volentieri e ne sono
felice perché mi fece capire che non era ciò che volevo diventare; non volevo
essere un insegnante noioso e monotono ma volevo vivere e divertirmi. Mi sono
avvicinato alla fotografia a 30 anni e, mi chiedo ancora come, sono diventato
insegnante di quel campo. È assurdo no?” Gli brillavano gli occhi. “Ora ho 48
anni e sono fiero del mio lavoro, ma se non avessi avuto il coraggio di mollare
il College non avrei fatto questa vita che tanto amo. Ho girato il mondo;
scattato solo Dio sa quante foto e vissuto appieno questi 26 anni. Ho deciso di
stabilirmi definitivamente in quest’università non solo perché è un posto di
prestigio, ma anche perché ho bisogno di metter radici; voglio un posto da
poter chiamare casa.” Sorrise malinconico. “Pondera bene le tue scelte, ma non
con la testa.”
Dovevo buttarmi o no? Il suo discorso mi era servito ad acquisire più coraggio
ma mi si stringeva il cuore se pensavo di dover lasciare la caffetteria.
“Terrò a mente ciò che mi ha detto e ne farò tesoro.” Gli sorrisi davvero
grata.
“Devo chiedertelo!” Il suo viso assunse un’espressione divertita. “Che effetto
ti ha fatto lavorare con Benedict Cumberbatch?” Mi si bloccò il cuore.
“Beh, ecco… sono stata davvero felice di averlo incontrato.” Non mi sembrava il
caso di narrare le mie vicende comico-drammatiche. “Lei sa quanto io lo ammiri
come uomo e come attore.” Gli sorrisi debolmente, in visibile imbarazzo.
“Spero per te che avrai modo di vederlo ancora.”
“Perché mi guarda in quel modo?” Alzò le spalle.
“Mi stuzzica l’idea di saperti in balia di quell’uomo.” Sgranai gli occhi e mi
sentii bruciare le guance.
“Cosa?!?” Distolsi lo sguardo. “Non sono in balia di nessuno.”
“Era una situazione ipotetica.” Tossì appena. “Ti ha segnato quell’incontro,
vero?”
“Sono una donna, non una ragazzina che incontra la sua boyband preferita!”
Feci la sostenuta, o almeno ci provai. Non potevo ammettere che da quando
l’avevo visto la prima volta i miei pensieri ruotavano unicamente intorno a
lui: era patetico!
“Dalla scena muta che hai fatto direi che non sei una ragazzina: non hai urlato
né ti sei strappata i capelli.” Rise. Che c’era di divertente? “Gli sei
piaciuta.” Mi spiazzò.
“Cosa?!”
“Il giorno successivo è tornato per vedere gli scatti che gli avevi fatto.
Voleva chiederlo a te ma non c’eri.”
“Perché non me l’ha detto subito?”
“Non volevo farti credere in chissà cosa.”
“E perché ora me lo sta dicendo?” Inarcai un sopracciglio.
“Perché non sei una fangirl, come dite voi giovani.” Mi sorrise.
“Gli sono piaciute le mie foto...” Bofonchiai tra me e me come per assicurarmi
che fosse vero.
“Ne ha voluto una copia.” Mi sentivo felice.
“Di me…” mi schiarii la voce “…ha chiesto niente?”
Continuavo a far vagare lo sguardo da una parte all’altra della stanza
preparandomi alla batosta che stava per arrivarmi.
“Sei davvero tenera.” Lo guardai e mi sorrise. “Mi ricordi mia figlia.”
“Ha una figlia?” Annuì.
“Si chiama Anne, ha 18 anni.” Sorrise dolcemente. “Comunque mi ha chiesto il
tuo nome, che non ricordava, e la tua età. Quando gli ho detto che hai 24 anni
è rimasto perplesso: ti credeva più giovane.” Sorrisi istintivamente.
“Ne sono lusingata.”
“Sei arrossita.” Aveva un sorrisetto troppo divertito per i miei gusti. “Mi
dispiace dover interrompere qui il nostro colloquio, ma ho una riunione tra
mezz’ora.” Mi sorrise garbatamente.
“Non le ruberò altro tempo.” Mi alzai e gli tesi la mano. “Grazie di cuore per
tutto.” Mi strinse la mano con vigore.
“È sempre un piacere aiutarti.”
“Ci vediamo più tardi.”
Lasciai la stanza con le sue parole che rimbombavano nella mia testa; tutto ciò
che mi aveva detto si agitava confuso e i pensieri si mescolavano. Mi stava
venendo un cerchio alla testa! Controllai l’ora e decisi di fare un giro nella
City e poi andare a prendere un tea in caffetteria.
Entrai e subito Christian spalancò gli occhi e mi fece cenno di raggiungerlo al
bancone.
“Non potevi venire 10 minuti prima?” Chiese quasi urlando.
“Cos’è successo?” Sembrava non stare più nella pelle. Si guardò intorno
sorridendo, poi mi consigliò di sedermi.
“Dimmi che c’è!”
“Ti porto il tea e te lo dico!” Ridacchiò stupidamente.
Lasciai correre ed andai a sedermi. Poco dopo mi portò il solito e si sedette
con me.
“Dovresti tornare al lavoro.” Lo rimproverai.
“È venuto a cercarti un ragazzo.” Sbuffai.
“Ti prego: dimmi che non era Matthew!”
“Non era quel tipo.” Sorrideva come un ebete. “Non volevo crederci quando l’ho
visto!”
Iniziavo a perdere la pazienza. Lo guardai storto ma rimase in silenzio.
“Dimmelo e basta!”
“Benedi-”
“No!” Urlai sporgendomi verso di lui; quasi rovesciai la tazza con il tea. “Mi
stai prendendo in giro?” Avevo il cuore che stava per esplodermi.
Fece no con la testa e si mise a braccia conserte.
“Se ne è andato neanche 5 minuti fa.” Mi morsi il labbro dal nervoso.
“Ti ha lasciato detto qualcosa?”
“Mi ha chiesto quando avrebbe potuto trovarti e gli ho dato i tuoi turni.”
“Grazie! Grazie mille!”
“Come l’hai conosciuto?” Mi chiese inarcando un sopracciglio.
“Ti ricordi il servizio fotografico per la rivista X a cui il Signor Miron mi
ha fatto partecipare?” Fece sì con la testa. “Il soggetto delle foto era lui.”
Sorrisi.
“Perché non me l’hai detto?” Si arrabbiò.
“Non lo so! Non volevo farmi coinvolgere troppo da quell’episodio. E non volevo
risultare patetica.”
“Hai realizzato uno dei tuoi sogni, per la miseria! Credevo di essere il tuo
migliore amico!” Mi stava facendo sentire in colpa. “Mi hai sempre parlato di
tutto!” Incrociò le braccia al petto.
Non ritenevo nessuno amico per non starci troppo male una volta lasciata
Londra, ma con lui era diverso: di lui mi ero già affezionata al punto da
ritenerlo fondamentale nella mia vita.
Mi scusai e gli raccontai cos’era successo quel giorno e, alla fine, anche
degli altri incontri.
“Non nascondermi più niente, intesi? Devi pur parlarne con qualcuno e vorrei
che fossi io!” Mi guardò dolce.
“Mi dispiace! Da ora in poi saprai ogni minima cosa di me.”
Gli feci l’occhiolino, finii di bere e lo costrinsi a tornarsene al bancone per
adempiere ai suoi doveri.
Prima di andarmene lo ringraziai ancora e mi rassicurò dicendo che secondo lui
sarebbe tornato.
Era venuto per quel tea ripensai abbattendomi. Proprio il giorno che
avevo fatto mattina doveva andare a beccare? Sbuffai nervosamente scalciando un
sassolino.
Mi diressi verso l’ascensore con le più nere vibrazioni che si possano emanare.
Non sarebbe mai tornato; non aveva alcun motivo di stare ai miei comodi,
soprattutto per la vita che faceva. Il Signor Cumberbatch che deve far quadrare
gli impegni per incontrare una cameriera senza né arte né parte. Mi salirono le
lacrime agli occhi.
Premetti il tasto 8 per raggiungere l’aula in cui Miron teneva il corso, che
poi era la stessa in cui teneva le lezioni. Lavorava in quella prestigiosa
università da soli due anni ma godeva della stima e dell’ammirazione
dell’intero corpo docenti.
Le porte stavano per chiudersi quando qualcuno si fiondò dentro: aveva il
respiro corto; mi lasciò disarmata e senza parole.
“Tutto bene?” Mi obbligai a dire, fissando Benedict che cercava di riprendersi.
“Sì, più o meno.” Fissò i suoi occhi nei miei.
“Come mai qui?”
“Ho fatto un salto” pensai automaticamente alla sua foto degli Oscar e a quelle
ritoccate dai fan. Scoppiai a ridergli in faccia mentre aggiungeva qualcosa che
non sentii.
“S-scusami.”
Vederlo così serio e distinto e poi pensare a quella foto… Non riuscivo a smettere
di ridere. Cercai di guardarlo dandomi un contegno visto che si era fatto
serio.
Distolse lo sguardo e prenotò il piano terra; mi sentii morire. Dovevo dire
qualcosa per rimediare all’offesa che gli avevo recato ma non sapevo neanch’io
cosa!
“Non volevo offenderti.” Voltò appena il viso ma si rigirò subito. Deglutii a
fatica. “Mi dispiace.” Quasi sussurrai.
“Perché ti sei messa a ridere?”
“Ho ripensato ad una cosa buffa…” Fissavo il pavimento.
“Non è la prima volta che mi scoppi a ridere in faccia. Non mi piace.”
Che stupida ero stata! Mi maledii per essere stata così sciocca ed infantile.
“È qualcosa che mi riguarda che ti ha fatto scoppiare in una risata così
accorata?”
Feci sì con la testa e mi morsi il labbro sperando non volesse sapere cosa.
“Illuminami.” Lo guardai per un attimo: sembrava più calmo.
“Ripensavo ad una tua foto.” Corrucciò la fronte. “Agli Oscar. Dietro gli U2.”
“E quindi?”
“E quindi?!? Ma l’hai vista? Hai un’espressione impagabile!” Risi. “Poi devi
vedere tutte le foto in cui ti hanno photoshoppato! Ho passato un pomeriggio
intero a guardarle!”
Non aveva cambiato minimamente espressione.
“L’ho rivista.” Fece una breve pausa. “Ed hai ragione.” Fece una mezza risata e
tornò a guardarmi, col viso luminoso questa volta.
Il cuore saltò un battito.
“Mi piace vederti sorridere.” Confessai senza pensarci mentre le porte
dell’ascensore si aprivano al 5° piano per far salire delle persone, tra le
quali c’erano dei miei compagni di corso e Matthew.
Ci spostammo di lato per farli entrare. Gli davo le spalle; chiusi gli occhi
per un attimo sentendomi le gambe tremare.
Mi si avvicinò Matt, facendosi largo e scusandosi, e mi salutò con un abbraccio
e un bacio sulla guancia che non ricambiai: ero ancora arrabbiata.
Lo guardai torva mentre continuava a sorridermi come un cucciolo stolto di una
qualche razza aliena. Distolsi lo sguardo per fare la sostenuta, anche se mi
veniva da ridere per la sua faccia buffa, ed incrociai le braccia al petto. Mi
accarezzò dolcemente il viso e riportò i miei occhi nei suoi: stava cercando il
perdono ed era sinceramente dispiaciuto.
“Me la dai una seconda possibilità?” Quasi mi implorò. “Ci tengo davvero.”
“Potevi pensarci prima.” Mi arrivò il suo alito tra i capelli procurandomi un
brivido.
Mi voltai il tanto che bastava per guardare gli occhi meravigliosi di Benedict
e restammo, sia io che Matt, a fissarlo sorpresi.
Voltò leggermente il viso contro la parete e alzò le mani in segno di scusa;
per farlo quasi sfiorò la mia schiena. Il cuore mancò un battito.
Quando tornai con lo sguardo davanti a me, Matt mi fissava interrogativo ma io
ne sapevo quanto lui! Mi si avvicinò e fece per sussurrarmi qualcosa
all’orecchio; le sue labbra quasi mi sfioravano quando Benedict posò una mano
sul mio fianco e mi tirò delicatamente a sé privandomi della domanda del mio
quasi di nuovo amico. Stavo per entrare in iperventilazione nel sentire il suo
corpo contro la mia schiena.
“Dobbiamo scendere.” Si giustificò indicando con un cenno del capo le porte
aperte sul piano 8. Dobbiamo?! pensai scettica.
“Non tornavi giù tu?” Lo guardai con un sopracciglio inarcato.
Fece no con la testa e mi spinse per farmi uscire prima che l’ascensore si
chiudesse di nuovo. Matt mi cinse le spalle con il braccio e mi portò
praticamente via, probabilmente per chiedermi ciò che voleva sapere.
“State insieme?” Chiese quasi in un sussurro.
Mi si bloccò il cuore; elaborare una risposta non fu mai così difficile. Non
perché non la conoscevo, anzi! Un no si fa presto a dirlo, ma la domanda
in sé mi aveva mandato in crisi perché avevo sempre immaginato come potesse
essere starci insieme ed ora, che qualcuno potesse sospettare che fosse così,
mi sembrava una specie di miracolo; come se Babbo Natale avesse sceso il camino
di casa e mangiato i biscotti davanti i miei occhi. Insomma, era un miracolo
no?!
Ridacchiai nervosamente, giusto per cercare di fargli capire che era ridicolo,
poi scrollai la testa.
“No! Ti pare?”
Diede un’occhiata dietro di noi e, come una cretina, lo feci anch’io non
resistendo alla curiosità di vedere cosa facesse e alla voglia di guardarlo
camminare.
Stava con le mani nelle tasche dei pantaloni; la giacca aperta mostrava una
camicia bianca che gli stava a pennello; i capelli gli si muovevano, come se
danzassero al passo del suo andamento: era uno spettacolo della natura ed il
mio cervello stava di nuovo in panne.
Non appena alzò gli occhi incontrando i miei, mi voltai per riguardare dove
mettevo i piedi. Avevo il cuore in gola e quel sadico di Matt se la stava
ridendo alla grande. Gli diedi una gomitata per farlo smettere, ma servì solo a
sentire i suoi addominali di marmo. Sgranai gli occhi sorpresa.
“S-sei muscoloso!” Esclamai alzando leggermente la voce senza volerlo.
Si fermò all’improvviso, ed io con lui. Si aprì la giacca, alzò la maglietta e
mi mostrò il suo fisico scolpito.
“Prendetevi una stanza.” Ci rimproverò Benedict mentre passava fra noi. “Non a
tutti piace uno spettacolo del genere.”
L’unico spettacolo qui eri tu, brutto cretino! gli avrei voluto gridare
contro, ma mi morsi la lingua per non peggiorare la mia situazione e non
accrescere l’imbarazzo che stavo provando.
“Allora vieni a casa mia sta sera.” Mi rivolse un ghigno divertito, anche se
non mi era chiaro se stesse scherzando o no.
Nel dubbio declinai l’offerta ridendo e facendo una mezza battuta, poi mi
chiese:
“Ma da quant’è che Mr Simpatia ti conosce?”
“Non criticarlo, non sai niente di lui.”
“E tu sì invece?” Mi rattristai davanti
l’evidenza. “Scusa.” Sospirò.
“Cercherò
di non dire più cose stupide.” Mi sorrise e contraccambiai
sincera.
“Ed io cercherò di perdonarti per la bella serata che mi hai fatto passare
Mercoledì!”
Si grattò la testa mortificato; gesto che mi convinse a dargli una seconda
possibilità: in fondo tutti la meritano.
“C’è un film che vorrei andare a vedere.” Buttai lì fermandomi prima di entrare
nella stanza. “Saremo due, tre amici. Se vuoi unirti a noi ci organizziamo.”
Gli si illuminarono gli occhi; mi fece piacere ma non ero convinta di fare la
cosa giusta. Pregai la mia coscienza di diventare più sveglia e prendermi a
pugni se sentiva puzza di bruciato. O magari dovevo svegliare il mio cuore. Mi
chiedevo sempre più spesso perché facevo sempre affidamento alla parte
razionale di me e non quella passionale o sentimentale; insomma la parte
irrazionale se viene ferita o anche solo scalfita, si tiene tutte le cicatrici.
Ok, mi ero risposta da sola: non volevo star male, non più.
Non dovevano esserci più Luca a farmi male; ad approfittare di me per poi
lasciarmi non riuscendo a tenermi testa. Codardo di un Luca! Pensare a lui mi
faceva odiare all’istante l’intero genere maschile.
Borbottai tra me e me una sequela di imprecazioni contro quel dannato Luca
mentre mi sedevo e sistemavo la borsa sullo schienale, poi una risata mi
riportò sulla terra e subito feci vagare lo sguardo fino alla porta aperta per
guardare in corridoio. Purtroppo da dove ero non riuscii a scorgerlo.
Un foglietto appallottolato raggiunse il mio banco. Ero all’asilo per caso? Lo
aprii senza sapere se fossi più divertita o più curiosa.
Il tuo amato sta flirtando con tutte le ragazze del corso e tu te ne stai lì
seduta?
Guardai automaticamente quel cretino di Matt e gli imbruttii. Aggiunsi di
seguito la mia risposta: Chissenefrega!!!!! Glielo lanciai
sperando raggiungesse il suo banco vicino la porta. Da lì, effettivamente,
poteva davvero vedere cosa succedeva. Mi guardai intorno notando che c’eravamo
seduti in 5 ed io ero l’unica donna. Mi accigliai ma mi sentivo anche
tremendamente arrabbiata. Un rumore attirò la mia attenzione. Spiegai il foglio
e cercai la risposta alla risposta: Con la scusa di sapere quando inizia la
lezione, esci e fatti spazio! Non fare l’ameba incazzata e tira su quella
testa! Tira fuori le unghie, tigre!
Doveva sicuramente lavorare sui discorsi di incitamento, ma almeno servì a
scuotermi. Tirai indietro la sedia e, dopo aver disegnato un cuoricino sul
foglietto, mi alzai; lasciai a Matt la mia profonda risposta zen e raggiunsi
quelle tro- ragazze fuori. Se ne stavano tutte intorno a lui e al Signor Miron
che sembrava rosso di vergogna, ma probabilmente aveva solo caldo.
Mi schiarii la voce per attirare l’attenzione e parlai:
“Scusi, ma quando iniziamo? Siamo in ritardo già di 10 minuti.”
“Il corso non si terrà. Almeno non in modo convenzionale.” Sospirò. “Il mio
amico c’ha fatto visita e come vedi c’è un po’ di scompiglio.” Incrociai le
braccia al petto.
“Quindi?” Inarcai un sopracciglio e rivolsi un’occhiata fugace al disturbatore.
“Entriamo in aula e tartassiamo Benedict di domande.” Civettò Marica, se
ricordavo bene il nome, e subito si voltò per non perdersi neanche un istante
dell’occasione che si era presentata.
Se era lì era merito mio! Mi lamentai mentalmente convinta che fosse lì per me.
Volevo fosse un’esclusiva… ero una ragazzina egoista e capricciosa. Non era il
mio giocattolo, né la mia lecca- lecca. Ok, esempio sbagliato! Mi sentii
arrossire. Ma perché la mia mente vagava in così poco tempo?! Mi maledii per
poi accorgermi che stavano entrando.
Benedict e Miron fecero passare prima le ragazze e restarono a guardare me, fissa
immobile su quelle due mattonelle lisce di marmo. Deglutii e abbassai lo
sguardo.
“Se ti sembra una perdita di tempo puoi tornare a casa.” Mi provocò Benedict
con gli occhi in tempesta.
Mi rivolsi al Signor Miron: “Possiamo porgere le domande che vogliamo?”
Annuì.
Feci un sorrisetto sghembo al mio sogno proibito e raggiunsi il mio posto che
ora sembrava troppo vicino alla cattedra.
Allungai le gambe incrociandole e mi misi a braccia conserte ad osservarli
parlottare alla cattedra.
Dopo aver attirato l’attenzione di tutti con un colpo di tosse e aver riportato
il silenzio in aula, Benedict fece una breve presentazione- nome, età,
professione- e lasciò subito spazio alle nostre domande.
Decisero di fare per alzata di mano; a me sarebbe sembrato più logico seguire
l’ordine dei banchi, ma contenti loro contenti tutti.
La prima a parlare fu Marica che gli chiese subito se era fidanzato. Alzai la
mano per protesta e, di sicuro, Miron lo intuì perché mi diede la parola
sbuffando.
“Possiamo evitare argomenti futili e pensare solo al lato professionale?” Di
vederlo evasivo e scoglionato per le domande impertinenti non mi andava.
Ovviamente si alzò subito un borbottio di lamenti e di insulti parafrasati.
Benedict mi fissò con un leggero sorriso e l’unica cosa a cui pensavo era la
sensazione che mi era presa alla bocca dello stomaco.
“Non parlo della mia vita privata ma visto che la risposta è no, posso darvela
tranquillamente.”
Sapevo che era stato fidanzato per 10 anni e che poi si erano lasciati per
lavoro. Viversi Ben per 10 lunghi anni… Avevo le farfalle nello stomaco solo a
pensarci.
Le domande seguenti non furono poi così migliori: gusto di gelato preferito;
film preferito; musica e dolce preferito.
Stufa, alzai la mano cercando di risollevare le sorti del Q&A.
Miron, come avesse avuto l’apparizione di un angelo, mi diede subito la parola;
nel frattempo Benedict si grattava la fronte e faceva vagare lo sguardo dalle
sue scarpe a quelle del ragazzo seduto di fronte a lui.
“Com’è stato lavorare con Tom Hiddleston? Ti piacerebbe poter recitare di nuovo
con lui, magari a teatro?”
Avevo avuto la fortuna di ottenere i biglietti per Coriolanus:
l’esperienza più bella e sconvolgente della mia vita. Il prossimo passo era
vedere lui a teatro.
“È un attore eccezionale e un ragazzo brillante. Siamo ottimi amici e spero
ricapiteranno occasioni future.” Sorrise appena. Miracolo! “Il teatro resta
sempre la più grande passione di entrambi. Chissà, magari un giorno…” Mi fece
l’occhiolino; tesi le labbra in un sorriso e distolsi lo sguardo sentendomi
avvampare.
Dopo aver esaurito le domande- alcuni ne fecero più di una- una ragazza propose
speranzosa di fare qualche foto a Mr Darcy che, ovviamente, non si tirò
indietro ma si rese disponibile. Alzai di nuovo la mano per prendere parola e
Ben, vedendomi, trattenne una risata.
“Dicci tutto.” Affermò divertito. Non me lo sarei mai aspettato!
“Andiamo nel giardino sul retro? Gli alberi sono in fiore e potrebbe essere
carino… sì insomma… Sempre chiusi in gabbia questi attori!” Lo sguardo
dell’insegnante si accese.
“Sta sera c’è luna piena, quindi il giardino sarà piacevolmente illuminato.”
Sorrise e con lui Ben: mi tolse il fiato. “Prendete le vostre cose e
spostiamoci fuori.”
Batté le mani per metterci fretta.
Raccolsi le mie cose e raggiunsi Matt che mi stava aspettando in corridoio. Si
complimentò per l’idea che avevo avuto e per essere uscita prima
della lezione a farmi valere.
Scegliemmo l’albero con i fiori più belli e meglio illuminato.
“Ecco come faremo: avrete un paio di minuti per pensare a come volete fare la
foto. Potete farne una a testa visto che siete 12 e non abbiamo tutta la
notte.” Ridacchiò.
A turno indicò una persona, le fece fare lo scatto e poi chiamò l’altra.
Aspettavo impaziente il mio turno visto che avevo in mente cosa fare e avevo il
timore che a qualcun altro potesse venire la stessa idea.
Finalmente toccò a me.
Mi avvicinai con l’agitazione che aumentava.
“Potresti poggiarti con la spalla destra al ciliegio?” Mi accontentò. “Metti le
mani in tasca, per favore.” Lo fece. “Guarderesti la luna?” Gliela indicai;
alzò gli occhi e ne rimase sbalordito: era grande e proprio sopra di lui.
Scattai al volo per cogliere quell’espressione di meraviglioso stupore. Tornò
subito a guardarmi, con gli occhi ancora leggermente sgranati.
“Posso vederla?” Agli altri non l’aveva chiesto.
Mi avvicinai di nuovo a lui; si abbassò leggermente per poterla veder meglio.
Evidentemente non era soddisfatto ed afferrò la mano con cui tenevo la
fotocamera per sistemarla come più gli piaceva. Avevo il cuore che mi
martellava nel petto.
“Posso?” Mi chiese garbatamente.
La mia Reflex non la lasciavo in mano a nessuno, ma per quelle mani avrei fatto
un’eccezione. Mi assicurai che la tenesse ben salda, poi abbassai la mano. Se
la portò vicina al viso; fece lo zoom ed iniziò a studiarsela, dettaglio dopo
dettaglio.
Il Signor Miron prese a tamburellare il piede sull’erba umida; le ultime
ragazze in fila cominciarono a schiarirsi la voce per avere il loro turno.
“Credo che debba ridarmi la macchinetta e cont-” Posò i suoi occhi nei
miei e tutto finì: il brusio; il vento freddo; il tamburellare di Miron… Non
c’era più nessuno, più niente se non quell’oceano in tempesta nei suoi occhi
accesi.
Mi sorrise teneramente: Benedict Cumberbatch mi aveva sorriso teneramente. Mr
Darcy aveva…
“Tieni.” Nel prenderla sfiorai le sue dita fredde.
“Dovresti metterti dei guanti.” Perché me ne uscivo sempre con qualcosa di
tremendamente stupido?
“Dovrebbero regalarmene un paio allora.”
“Non ci credo che tu non ne abbia! Vivi a Londra: fa sempre freddo!”
“Per te che non ci sei nata e cresciuta.” Affermò beffardo. Misi una mano in
vita e lo guardai storto.
“Scusate?!” Si innervosì Miron. “Potreste continuare in un altro momento?”
Lo guardammo entrambi: io scocciata per averci interrotto e lui… lui anche. Ne
rimasi stupida quando, guardandolo con la coda degli occhi, avevo trovato la
sua espressione seccata.
Mi schiarii la voce e tornai nel gruppo di chi aveva già scattato le foto.
Inutile dire che fui assalita: vollero vedere subito quello scatto miracoloso
che aveva sciolto il ghiaccio. Restarono a fissarlo per un po’ ma ne ero
ridicolmente gelosa.
Ripresa la macchinetta, lo guardai anch’io visto che non avevo avuto modo di
farlo minuziosamente. Ero riuscita ad immortalare lui e il suo viso stupito; il
ciliegio dai fiori rosa e la luna piena. Non per vantarmi ma era stupenda,
forse la foto più bella che avessi mai fatto. Sorrisi felice: sarebbe stato il
mio tesoro. Appena spensi la macchinetta, Matt mi si avvicinò con quel sorriso
che mi aveva colpito dal primo giorno in cui lo vidi. Sorrisi di rimando
pensando che una seconda possibilità se la meritava.
“Ho una cosa per te.” Disse piano. Mi porse la sua digitale: c’era un video.
“Ci hai ripresi?” Chiesi sorpresa. Fece sì con la testa e mi invitò a guardarlo
subito. “È venuto davvero bene.” Mi complimentai con le mani che tremavano. “Mi
piace vederci insieme.”
“A quale donna non piacerebbe vedersi insieme a lui?” Sorrisi imbarazzata.
“Hai ragione.” Sospirai.
“Dovresti invitare lui al cinema, non me.” Scoppiai a ridere sentendomi lo
sguardo di tutti addosso.
“Non essere ridicolo! Non uscirebbe mai con una come me!”
“Perché non ci provi?”
“Per non fare la figura della ragazzina speranzosa, ingenua e stupida!”
“Giusto, meglio che lasci perdere.”
Si riprese la fotocamera e si avvicinò al professor Miron che aveva richiamato
l’attenzione del gruppo. Sospirai facendo lo stesso.
Ci ringraziò per il lavoro svolto, poi ci chiese gentilmente di fargli avere le
foto scattate per pubblicarle sul giornale dell’università.
Una gli chiese se potevamo pubblicarle sui social network- sennò come avrebbe
saputo il mondo che aveva incontrato Benedict?- e il diretto interessato, dopo
una smorfia, diede il consenso per non privare una piccola bionda del suo momento
di gloria.
Il gruppo ringraziò Benedict per la disponibilità e lo invitarono a tornare di
nuovo se ne avesse avuto piacere. Ci salutò e restò a chiacchierare con Miron.
Iniziammo ad andarcene ma io volevo aspettare fino all’ultimo: come facevo a
tornarmene a casa sapendo che lui era ancora lì? Ok, stavo facendo i capricci.
Non appena me ne resi conto, raccolsi la mia borsa e feci per andarmene.
“Miss Bennet” mi bloccò la sua voce profonda “mi concede un minuto?”
Mi voltai dopo aver preso un respiro profondo e li raggiunsi. Il signor Miron
mi sorrise e ci salutò lasciandoci soli.
Non riuscivo a guardarlo negli occhi: ero troppo agitata e avrebbe solo
peggiorato la situazione!
“Non chiamarmi Miss Bennet, per favore. Sono lusingata, ma non sono come lei.”
“Neanch’io sono come Mr Darcy, ma tu continui a pensare che lo sia.”
“Non puoi saperlo.” Lo guardai.
“Te lo leggo negli occhi. Ogni volta che sono distaccato; che sono freddo o sto
sulla difensiva, tu lo pensi ed io lo capisco.” Il mio cuore cominciò a battere
frenetico. “E capisco anche quanto ti piace.” Avvampai e distolsi lo sguardo.
Non dissi nulla perché non riuscivo neanche a pensare: uccideva le mie facoltà
mentali. Poi, così vicino, potevo sentire il suo profumo dolce che riempiva
l’aria.
“Devo andare.” Tornai a guardarlo. “Buona serata.” Non sorrise come avrei
voluto. Non finiva mai bene.
“Anche a te.” Si voltò per andarsene. “I-io…” Non si girò nemmeno;
evidentemente non mi aveva sentito.
Non avevo il coraggio di dirgli che mi piaceva da morire; che aveva ragione su
tutto e che avrei voluto… scrollai la testa per non pensarci. Sentivo gli occhi
bruciarmi. Con la coda tra le gambe mi avviai alla fermata dell’autobus. Passai
la serata a maledirmi per aver perso l’ennesima occasione. Mi convinsi, alla
fine, che forse non era destino e che non potevo chiedere tanta fortuna dalla
vita.
N.d.a.
Ecco il nuovo capitolo :D
Vorrei ringraziare chi ha messo tra le preferite e le seguite questo racconto
:) Grazie di cuore!! Spero di non deludervi.
Alla prossima!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 5 *** Non mi deluda Miss Bennet ***
Capitolo 05 Non mi deluda Miss Bennet
Non mi deluda Miss Bennet
“Due
anni?!?”
“Non
gridare!”
“Non ci credo che
non sei stato con nessuna
donna per tutto questo tempo!” Ridacchiai imbarazzata.
“Ho detto che non
ho una fidanzata da due
anni. Non ho parlato di sesso.” Ammiccò malizioso.
Avevo 24 anni ma restavo
comunque una
ragazzina ingenua. Alzai le mani in segno di
resa e rise finché
non fu richiamato, da un colpo di tosse, all'attenzione di una cliente
che
probabilmente aveva sentito tutto.
Mi sentii arrossire e mi
dileguai con la scusa
di pulire un tavolo appena liberato da un gruppetto di mocciosi
irritanti e
maleducati.
Quella mattina non c'era
molta gente, persino
i turisti sembravano svaniti nel nulla.
Sbuffai annoiata: preferivo
di gran lunga
quando c'era più movimento.
“E' libero?”
Mi chiese una voce alle mie spalle. Un brivido percorse la mia schiena
fin
sulla nuca.
Deglutii prima di voltarmi
a rispondere a
Benedict.
“Prego.”
Lo invitai a
sistemarsi con un gesto.
Mi sorrise lievemente; si
sedette e sistemò
quello che sembrava una sceneggiatura, sul tavolino insieme a delle
chiavi.
Estrassi il blocchetto e la
penna dalla tasca
del grembiule e gli sorrisi aspettando l'ordinazione.
Erano passati interminabili
secondi, forse un
paio di minuti, ed era ancora immerso in una profonda e minuziosa
lettura del
menu.
Iniziai a muovere
nervosamente la gamba
destra: era un mio tic. Alzai gli occhi al cielo mordendomi il labbro intimandomi, con un
monologo
interiore, di calmarmi perché non c'era niente di cui essere
nervosa. Il mio
cervello avrebbe dovuto collaborare di più visto che le
spalle tese iniziavano
a formicolarmi.
“Credo che
prenderò” si interruppe osservando
ancora quelle due semplicissime pagine “un pudding alle
noci.” Iniziai a scrivere per poi
bloccarmi a pudd.
“Non
c'è nel menu.” Affermai disorientata e
incrociando i suoi occhi. Il suo viso era divertito. Il cuore mancò un battito.
“Volevo
verificare la tua soglia di
attenzione.” Chiuse il menu e me lo porse. “Un tea
alla vaniglia, grazie.” Lo
afferrai ancora incredula.
Feci un piccolo cenno con
il capo e scappai a
preparargli l'ordinazione.
I miei pensieri, la mia
coscienza... tutto
taceva: nella mia testa ormai risuonava solo la sua voce.
Una leggera gomitata mi
riportò all'attenzione
facendomi notare che avevo riempito troppo la teiera. Sbuffai
sonoramente e
ringraziai il mio amico.
“Rinfrescami la
memoria: da quant'è che non lo
vedi?” Mi sussurrò Chris attento a non farsi
sentire.
Immersi la bustina e
sistemai tutto sul
vassoio. Lanciai un'occhiata veloce al calendario: Venerdì 11 Aprile 2014.
“Un
mese.”
“Ouch!”
Gli imbruttii: non avevo bisogno di
qualcuno che infierisse. “Ci penso io?”
Allungò le mani
verso di me per prendere il
vassoio, ma feci no con la testa e mi diressi al suo tavolo.
Era stato un mese intenso:
avevo iniziato ad
uscire con Matt una settimana dopo che Ben era- che Benedict era venuto
al
corso di fotografia; uscivamo sempre più spesso e mi piaceva
sempre di più.
Sorrisi nel pensare alle sue battute idiote. La sua faccia buffa mi
faceva
rilassare.
Mentre poggiavo la tazza,
la teiera e il piccolo
bricco in ceramica con il latte, Benedict era impegnato e completamente
assorto
a leggere la sceneggiatura.
Allungai l'occhio per
cercare di capire cosa
fosse.
Ero già
emozionata all'idea di poterlo
rivedere presto in un nuovo film!
Il mio cuore
iniziò ad accelerare quando notai
un nome che risaltò ai miei occhi: William Shakespeare.
Intenta a fissare la
copertina di quel quaderno
ad anelli, non mi ero accorta che lui era intento a fissare me.
Arrossii di
colpo e mi scusai.
“La
curiosità è donna.” Biascicò
riprendendo a
leggere.
La curiosità
è fan, ma non avevo intenzione di
umiliarmi. Girai sui tacchi e raggiunsi il bancone borbottando qualcosa
che
neanche ricordo.
Servii altri clienti
aiutando Chris che mi
guardava preoccupato.
Quando quelle poche persone
uscirono dal
negozio lasciandoci di nuovo con le mani in mano, mi sentii stringere
il fianco per poi finire
contro un altro.
Guardai confusa Chris che
mi si avvicinò all'orecchio,
quasi lo sfiorò con le labbra.
“Scommetti?”
Mi scansai per guardarlo
dubbiosa. “Che il tuo amichetto è
geloso.” Mi spiegò.
Deglutii a fatica mentre
portavo lo sguardo su
Benedict, che aveva gli occhi fissi su di noi.
“Non faccio
queste cose.” Gli imbruttii. “E
non dovresti provocarlo. Non che abbia la presunzione di pensare che
sia
davvero geloso, o che gli freghi qualcosa di me, ma preferirei evitare
certi
giochetti.”
Gli diedi un pizzicotto sul
fianco, gli
sorrisi e andai a pulire un tavolo.
Per fortuna che non volevo
ricorrere a quei
mezzucci! Sorrisi tra me e me mentre asciugavo le macchie di cappuccino
dalla
superficie del tavolino.
Quando ebbi finito, trovai
una sorpresa molto
poco gradita: il suo tavolo era vuoto.
Sentii una stretta al cuore
e mi pentii
all'istante di essermi comportata da idiota!
Anche se non era certo per
quel piccolo
dialogo con Chris che lui se ne era andato!
Sbuffai e lasciai il
vassoio sul bancone
chiedendo al mio amico di occuparsene lui mentre andavo a prendere una
boccata
d'aria.
“Ti farai
prendere una crisi nervosa!” Mi
sgridò. “Guarda come ti tremano le
mani!” Sbuffò e continuò. “
Dai, vai a
prendere un po' d'aria.” Mi sorrise.
“Grazie.”
Lo abbracciai ed uscii.
Anche se eravamo
già ad Aprile, l'aria era
ancora fredda e mi ritrovai a stringermi le braccia al petto per
coprirmi il
più possibile.
Sospirai e alzai gli occhi
al cielo: era di un
azzurro intenso e le nuvole grandi e bianche.
La rarità di
quel cielo così sereno su Londra,
te lo faceva apprezzare ancora di più.
Avrei voluto fare una
passeggiata a Hyde Park
ma ero di turno per un'altra ora.
A
pranzo!
mi dissi sorridendo.
“Ciao!”
Sussultai e mi voltai di
scatto con due occhi
così sgranati che probabilmente stavano per cadermi.
“C-ciao.”
“Sei in
pausa?”
Perché la sua
voce era più calda di quello che
ricordavo? Eppure l'avevo sentita neanche 10 minuti prima.
“Una boccata
d'aria al volo.”
Mi sorrise mentre gettava
la cicca.
“A che ora
stacchi?” Voleva farmi morire?
“Tra
un'ora.”
“Hai
programmi?” Uscire con lui senza che lo sapesse valeva?
Stavo per dir di no quando
mi ricordai
l'appuntamento con Matt.
“Sì.”
Mi scrutò curioso. “Devo uscire con un
amico.” Un po' più di amico ormai, ma dettagli.
Gettò
un'occhiata nella caffetteria.
Probabilmente pensava a Chris.
“A
presto.” Fece un sorriso tirato e
palesemente finto.
Grandi doti recitative,
complimenti! Borbottai
tra me e me, ma fu un secondo: si voltò e con il viso scuro
mi si avvicinò.
“Come
scusa?” Mi morsi la lingua maledicendomi
perché dicevo sempre qualcosa di troppo o sbagliato.
Fanculo a me!
Scossi la testa in senso di
diniego sperando
non volesse approfondire la cosa.
Continuava a scrutarmi e
studiarmi con quei
suoi occhi accesi.
“Era buono il
tea?” Ormai ero andata. Mi
imbarazzai un po' per aver detto qualcosa di così stupido e
che non c'entrava
assolutamente niente in quel momento. Ma che potevo dire? "Dimmi quello
che ti passa per la testa, brutto idiota!!!"? No di certo!
Iniziò a ridere:
si lasciò andare ed iniziò a
ridere.
Il cuore mi martellava nel
petto fino a farmi
male.
Si coprì la
bocca, quelle meravigliose labbra,
con il dorso della mano e cercò di darsi un tono.
“Molto
buono.” Mi si avvicinò appena. “Mi
piace l'odore della vaniglia.”
Mi guardò... malizioso?! Era una mia fantasia? Ma
perché avrebbe dov- Mi
bloccai intuendo: il mio bagnoschiuma era alla vaniglia. Usavo sempre e
solo
quello.
Sentii le guance andarmi a
fuoco e si infiammò
anche qualcos'altro, a dirla tutta.
Gli diedi un pugno sulla
spalla. Sgranai gli
occhi: gli avevo dato... il pensiero mi morì nella testa.
“Accetterebbe di
cenare con me, signorina Bennet?” Stavo boccheggiando,
peggio di un pesce. E i suoi dannatissimi occhi fissi nei miei non
aiutavano!
“Q-quando?”
Facoltà
mentali, a me!
“Sta
sera.” Stavo per
annuire ma pensai a Matt.
“Ho un
impegno.” Affermai
poco convinta e molto pentita.
“Disdicilo.”
Ghigno
soddisfatto. Brutto arrogante!
“Non è
carino.” La mia
voce flebile gli stava, probabilmente, facendo già cantare
vittoria.
“Il ragazzo
dell'appuntamento?” Altro sorriso beffardo e un centimetro in
meno che ci
separava.
“Non posso
disdire...” Mh,
sempre meno convinta. Non mollare Mony!!!
Si fece improvvisamente
serio.
“Neanche per
me?” Mi guardò
intensamente.
Chi si credeva di essere?
Benedict Cumberbatch, ecco chi era, ed io stavo facendo la sostenuta
con
BENEDICT CUMBERBATCH! Un'idiota patentata, ecco cos'ero io!
“Non
posso.” Fu solo un
sussurro.
Pregai che il cuore non
sollevasse la maglia: ormai batteva così forte che stava per
uscirmi dal petto.
“Accetta.”
Un altro breve
passo verso di me.
Il suo profumo mi arrivava
chiaro e distinto. Chiusi gli occhi per un attimo, poi tornai a
guardarlo
dritto negli occhi.
Oh, Matt! Mi morsi il
labbro.
“Domani.”
Provai a
rilanciare l'offerta.
Potevo pretendere che
stesse ai miei comodi?
“Disdici
l'appuntamento ed
esci con me.”
Mi portai una mano sul
petto, seriamente preoccupata del dolore che provavo.
“D-domani.”
Ritentai meno
convinta.
“Non
sarò la tua seconda
scelta.” Sospirò. “Esci con me sta
sera.” Scandì ogni singola parola, con tono
basso e solenne. Ma che dovevo fare? Stavo
per collassare, cazzo!
“Non saresti la
seconda
scelta.” Affermai ritrovando un po' di sicurezza.
“Ho fissato
quest'appuntamento due giorni fa. Non posso rimandarlo.”
Sorrise appena, forse
deluso.
“Buona serata,
Miss
Bennet.” Fece un lieve inchino e si voltò per
andarsene ma gli afferrai il braccio,
più muscoloso di quanto pensassi.
“Domani?”
Stavo quasi
implorando. Per la miseria, che vergogna!
“Ho anch'io i
miei
impegni.” Sorriso beffardo e uscita di scena in grande stile.
Iniziarono ad uscire le
lacrime che non mi ero neanche resa conto di aver accumulato ai bordi
degli
occhi.
“Sono una
cogliona!!!”
Gridai in italiano, nel bel mezzo del marciapiede, con la gente che mi
fissava.
Rientrai asciugandomi gli
occhi e mi scusai con Chris per la lunga assenza.
Mi perdonò
soltanto perché
aveva visto dalla vetrina che stavo parlando con Benedict.
Finimmo il turno insieme e
andammo a mangiare dei panini a Hyde Park come avevo pensato.
Mi sfogai con lui che non
fece altro che ripetermi che ero stata una povera idiota.
Iniziai a ridere e
piangere contemporaneamente mandandolo in crisi, visto che non sapeva
come
farmi smettere.
All'improvviso mi
arrivò
un sms e cercai di calmarmi per riuscire a vedere lo schermo.
Mi asciugai per bene gli
occhi, mi soffiai il naso e rovistai nella borsa alla ricerca del
telefono che
continuava la sua canzone.
Un messaggio da un numero
che non avevo in rubrica.
Guardai confusa Chris che
mi spinse a leggerlo subito: era più curioso di me.
Sta
sera, alle 8. Dimmi di
sì.
Sussultai.
“S-secondo te
è... lui?”
“Certo che
è lui.” Mi
sorrise.
Iniziò a vibrare
e suonare
di nuovo il cellulare.
La
aspetterò al ristorante
Paradise, alle 8. Non mi deluda Miss Bennet.
N.d.a.
Buongiorno a tutti!!! Ho pubblicato con un po' di ritardo perché
è stata una settimana più che piena!! Spero l'attesa sia
ripagata in pieno ;)
Alla prossima e buona lettura ♥
|
Ritorna all'indice
Capitolo 6 *** Nessuna eccezione ***
Capitolo 06 Nessuna eccezione.
Nessuna eccezione
Ero
in ritardo, troppo in ritardo! Ero rimasta fino alle 3 al parco con
Chris e non
mi ero resa conto del tempo.
Mi
sbrigai a raggiungere l'appartamento per cambiarmi ed incontrare Matt.
Mi
vestii al volo dopo una rapida doccia ed uscii per giungere al
più presto sul
luogo dell'appuntamento.
Arrivai
affannata e accaldata per la corsa che avevo fatto dalla fermata
dell'autobus,
all'entrata della National Gallery.
Ero
davvero entusiasta di passare così quel venerdì
pomeriggio.
Cercai
con lo sguardo Matt e lo scorsi davanti le scale laterali a destra, che
guardava l'orologio e poi la piazza. Ed ecco di nuovo i sensi di colpa.
Mi
rendevo perfettamente conto che non erano solo per il ritardo.
Fino
all'ultimo ero indecisa sull'accettare o meno la cena di Benedict, ma
non me la
sentivo di tradire così la fiducia del mio più
che amico. Non lo meritava dopo
averla riconquistata con fatica.
Si
comportava in modo esemplare con me, anche se a volte faceva il cretino
con
battute da ragazzino. Sorrisi nel ripensarle.
Mi
avvicinai piano piano e gli tappai gli occhi.
“Chi
è?” Chiesi in falsetto facendolo ridere.
“La
mia bella Monica?!”
Tolsi
le mani con il cuore in tumulto mentre i girava e mi lasciava un
leggero bacio
sulle labbra.
Una
semplice domanda mi sorse spontanea: mi riteneva la sua ragazza? Non mi
aveva
chiesto di mettermi con lui. Insomma, le coccole che ci scambiavamo non
facevano
automaticamente di me la sua ragazza, giusto? Giusto?
Quel
pensiero mi spaventò, forse più del dovuto.
“Iniziamo
il giro?”
“Non
vedo l'ora.” Mi prese la mano. Ops! “Non sapevo ti
piacesse venire qui.”
“Da
quando sono a Londra, ci torno come minimo una volta al mese e mi
dedico ad
un'area alla volta. Mi sembra sempre di vedere qualcosa di nuovo o un
nuovo
particolare in un quadro. Sta quasi diventando il mio posto
preferito.”
Mi
guardava con gli occhi luminosi e un gran sorriso.
Era
sempre solare e pieno di vita. Non come Benedict... Pensare a lui mi
diede un
brivido.
Non
potevo non accettare il suo invito. Perché ero
così cocciuta da non volergliela
dare vinta? Mi ero impuntata di dimostrargli che non cadono tutti ai
suoi piedi
e che- La mano di Matt si strinse di più sulla mia ed
attirò la mia attenzione.
“Sei
pensierosa. Tutto bene?”
Non
avevo pronunciato più una parola e mi ero persa nel mio
mondo.
“Sono
un po' stanca, niente di che.”
“Per
fortuna che almeno il corso di Miron è sospeso!”
Aveva
sospeso le lezioni fino alla fine di Aprile perché aveva
avuto dei problemi in
famiglia. Mi dispiaceva per lui e speravo che si risolvesse tutto.
“Mi
dispiace per lui. Spero stia bene.” Mi sorrise premuroso.
“Non
preoccuparti, Mony.” Mi fece l'occhiolino e mi diede un bacio
a stampo.
Ok,
uscivamo da un mese e sempre più frequentemente. A volte
passavamo un'intera
giornata insieme. A volte ce ne stavamo chiusi in casa a guardare un
film e a
farci le coccole- non quel genere di coccole- ma quei semplici baci li sentivo diversi; lui era
diverso.
Sembrava più... dolce. Oddio! Si stava prendendo una bella
cotta per me
probabilmente.
Mi
lasciai distrarre dalle opere appese alle pareti e non pensai
più a nulla.
Visitammo
anche l'ultima ala, poi mi trascinò a sedermi su una
panchina di Trafalgar
Square.
Mi
mise un braccio intorno alla spalla e mi strinse a lui.
Perché
mi sentivo così a disagio nonostante succedesse di continuo?
“Dove
ti va di cenare oggi?”
Al
Paradise pensai istintivamente e mi si formò un nodo in gola.
Dovevo
andarci; volevo andarci; volevo vederlo.
Guardai
l'ora e, per fortuna erano ancora le 7.10 e avrei fatto in tempo a
raggiungerlo.
“P-pensavo...”
Cosa? Se gli avessi detto di voler cenare a casa da sola, avrei fatto una
pessima
figura! “Ho detto a Chris che avrei cenato con lui.”
Rimase
sorpreso.
“Non
immaginavi che il mio invito includesse la cena?”
Certo
che lo immaginavo, visto che era sempre così.
“E'
il mio unico amico ed ha bisogno di me.” Abbassai gli occhi
sulle scarpe.
“Non
devo esserne geloso, vero?” Geloso? Oh cielo! Aveva delle
aspettative che avrei
deluso.
“No.”
Iniziavo ad avere paura.
Per
quanto Matt mi piacesse, non avevo mai pensato di mettermi con lui. Non
prima
di un paio di mesi almeno! La mia vita era un casino; non sapevo
neanche quando
sarei rientrata a Roma e cosa mi avrebbe portato l'aver accettato di
lavorare
per la rivista X. Non potevo avere un ragazzo, qualcuno da sostenere e
da amare
e-
“Tutto
bene?” Mi chiese allarmato.
Non
mi ero resa conto di essere entrata in iperventilazione.
“Scusa.”
Mi strinse la mano e si alzò.
“Ti
accompagno a casa.”
Lo
ringraziai e mi lasciai guidare fino all'appartamento.
Come
una deficiente, mi venne spontaneo invitarlo a salire. Per fortuna non
accettò
facendomi notare che avrei fatto aspettare troppo Chris per la cena.
Ero
una merda. Una merda liquida. Me lo ripetevo mentre tiravo su la lampo
laterale
del vestito rosso che avevo scelto.
Indossai
anche le scarpe e passai al trucco; un trucco leggero, una spazzolata
ai
capelli ed ero pronta. E terribilmente in ansia.
Presi
un taxi per arrivare con meno ritardo possibile visto che erano passate
le 8 da
un pezzo. Sperai con tutta me stessa che non se ne fosse già
andato.
Lasciai
la mancia al tassista e mi avvicinai all'entrata.
Presi
un bel respiro e feci per aprire la porta, ma qualcuno mi
anticipò
dall'interno.
Mi
ritrovai davanti lui che mi
guardò sbalordito, come fossi un'apparizione o una visione
nel deserto.
Il
mio cuore ormai era abituato a fare capriole, salti mortali, wrestling.
Come
faceva a dimenarsi e a dare così tanto fastidio?
“Salve.”
Salve? Davvero? Cervello mio, già mi abbandoni?
“Salve.”
Mi sorrise dolcemente. Ora anche le gambe avevano deciso di darmi il ben
servito
iniziando a tremare.
Si
scansò di lato e, continuando a tenere la porta aperta, mi
fece entrare.
Il
locale era davvero carino, anche se le foto che avevo trovato su Google
non gli
rendevano giustizia.
Si
avvicinò al caposala e gli disse qualcosa; sembrava
lievemente in imbarazzo.
Forse
se ne era appena andato con chissà quale scusa e ora voleva
di nuovo il tavolo.
Mi sentii in colpa e all'improvviso
un'immagine si impossessò della mia mente: lui, da solo al
tavolo, ad aspettarmi
senza sapere se fossi andata; a rimandare indietro il cameriere per non
ordinare perché non c'ero ancora.
Chissà
come si era sentito in quei 40 minuti.
Lo
guardai dispiaciuta mentre mi faceva strada al tavolo; per fortuna era
di
spalle- e che spalle!- e non poté notarlo.
Come
non poté notare il sospiro che mi scappò mentre
guardavo la sua schiena.
Mi
scansò la sedia e mi fece accomodare.
La
candela al centro del tavolo era consumata e la cera stava ancora
colando.
Sentii una stretta allo stomaco.
“Per
fortuna non hanno subito occupato il nostro tavolo.”
Nostro?
Mi mancò il respiro per un attimo.
Sorrisi
appena in completo imbarazzo. Non potevo comportarmi così
tutta la sera: era
la mia occasione cavolo!
Ci
si avvicinò un cameriere chiaramente spazientito che chiese
a Benedict se
finalmente era pronto per poter ordinare.
“E'
stata colpa mia! Sono arrivata in ritardo.” Lo giustificai
alle velate accuse
del cameriere, che rimase un attimo sulle sue e poi tirò
fuori il palmare.
Presi
velocemente il menu e con una rapida occhiata decisi che prendere ma
feci
parlare prima lui.
“Prendiamo
l'antipasto, ti va?” Mi chiese sorridente ed
annuì. “Due antipasti, una
bottiglia di vino e una d'acqua liscia.”
Il
cameriere gli consigliò qualche vino e si fidò del
suo giudizio facendo decidere
lui.
Ordinammo
anche la seconda portata e il cameriere ci lasciò soli.
Iniziai
a stritolare la tovaglia che scendeva e si posava quasi sulle mie gambe.
“Come
è andato il lavoro?” Chiese ridacchiando.
“Bene.
Non c'era molta gente oggi. Mi sono persino annoiata.”
“Devo
tornare più spesso allora.” Sembrava divertito.
Dopo
qualche istante di silenzio mi feci coraggio.
“Posso
chiederti una cosa?”
“Tecnicamente
l'hai già fatto!” Pignolo!
“Altre
due?” Rimase spiazzato e un po' deluso.
Di
sicuro si aspettava che gli chiedessi un'altra domanda rispondendomi
che anche
quella l'avevo tecnicamente già fatta. Fregato!
“Mi
sorprendi, lo sai?” Sorrisi, col cuore che iniziava
già a dare di matto.
Il
cameriere- da dove era sbucato?- ci lasciò le bevande ed il
cestino del pane e
si defilò.
“Chiedi
pure: ti sei meritata la mia risposta.”
Mi
schiarii la voce.
“Cosa
leggevi in caffetteria? E' per un nuovo film?”
Fece
no con la testa. “Una serie, per BBC Two.”
Rimasi
felicemente sorpresa.
“Aaah!
Riccardo III!” Forse ero stata troppo entusiasta.
“Ti hanno già dato la
sceneggiatura? ” Mi illuminai. “Quando inizierete a
girare se dovrà andare in
onda nel 2015?” Mi
guardò divertito.
“Sei
sempre ben informata, eh?!”
Cioccata!
Iniziai
a giocare con i capelli... oh no! Poteva pensare fosse una mossa di
seduzione!
Seducente io?! Quasi scoppiai a ridere.
Mi
schiarii la voce e cercai di salvarmi.
“Mi
piaci.” Si fece serio. “Intendevo dal punto di
vista lavorativo. Sei un
eccellente attore.” Per
l'amor del cielo: TACI! Mi rimproverai in un altro monologo interiore.
Poggiò
il gomito sul tavolo e il mento sulla mano: mi
stava studiando come fossi una cavia da laboratorio o una scimmia allo
zoo?
Iniziai
a sentirmi a disagio e ad innervosirmi. Come
facevo a voler passare del tempo con lui se mi sentivo così?
“M-mi
metti a disagio se mi guardi in quel modo...”
“Che
modo?” Come se non lo sapesse!
“Curioso.
Come fossi una scimmietta allo zoo.”
Oddio,
non potevo essermi paragonata ad una scimmia! Non con Benedict!
Immaginai
di sbattere con violenza la fronte contro lo spigolo del tavolo.
“Mi
dispiace, scusami.”
Se
lo diceva con quel tono e con quel sorriso strafottente, di certo non
potevo
credere che fosse dispiaciuto sul serio!
Prese
una fetta di formaggio e la mangiò.
Un
attimo: fermi tutti! Abbassai gli occhi e trovai il piatto con
l'antipasto, poi
guardai il suo con già qualcosa in meno.
Da
dove diamine erano usciti fuori?
Ce
li aveva portati un ninja?
“Eri
troppo impegnata a guardarmi.” Mi sentii avvampare.
“Che?!”
Ma come diavolo...?!?!?
“Non
ti sei accorta di quando ce li ha portati perché eri persa
nei miei occhi.”
Oh
Cielo!
Presi
la forchetta e iniziai a mangiare senza dire nulla e senza azzardarmi a
guardarlo, poi
non resistetti e lo fissai mentre si puliva il lato della bocca con il
tovagliolo.
Aveva
l'aria scocciata: grandioso! Sbuffai appena.
“Scusami,
ma non puoi pretendere che io non reagisca in quel modo dopo essermi
sent-” Mi
interruppe.
“Lo
so.” Posò lo sguardo nel mio; sembrava dispiaciuto
sul serio.
Pregai
con tutte le mie forze che non accadesse più nulle di
imbarazzante.
Arrivò
il cameriere a portar via i piatti e riempì i nostri
bicchieri di vino. A me il
vino non piaceva. Perfetto.
Inutile
dire che il mio cervello aveva iniziato a formulare mille discorsi su
come
evitare di ubriacarsi o di bere qualcosa che non riuscivo neanche ad
assaggiare.
Poi mi insinuò altri dubbi: se avesse pensato che fossi una
ragazzina perché
non apprezzavo un buon vino? Beh, a quel punto erano problemi suoi
visto che la
maturità di cer-
“Se
non vuoi, non berlo.”
Innanzitutto
un grazie per aver interrotto il flusso assurdo dei miei pensieri, e
poi...
perché mi capiva sempre? Era frustrante!
“Il
vino non mi piace.”
“Vogliamo
ordinare altro oltre la bottiglia d'acqua?”
Perché
ero così stupida da sentirmi ridicola a bere aranciata?
“L'acqua
va benissimo.” Sorriso tirato e occhi in giro per il locale:
ero pessima.
A
dimostrazione che andava bene, ne presi un sorso e lanciai una
maledizione al
cameriere che era tornato con il primo. L'ho già detto che
lo stavo odiando?
Prima
che se ne andasse, gli ordinò una lattina di aranciata.
Sgranai
leggermente gli occhi. Leggeva nel pensiero? Aveva acquisito poteri
extrasensoriali?
Quando
incontrò la mia espressione sorpresa, si
imbarazzò. Benedict si imbarazzò.
“Perché
quella faccia?” Chiesi divertita. I ruoli si stavano
invertendo!
Scrollò
la testa e distolse lo sguardo.
Poggiai
il gomito sul tavolo e il mento sulla mano, imitando ciò che
aveva fatto lui,
ed iniziai a guardarlo incuriosita.
Sospirò
e decise di rispondere alla mia domanda:
“Ti
ho visto bere una lattina di aranciata una volta; me ne sono ricordato
e te ne
ho ordinata una.” Mi si bloccò il cuore e il
respiro.
“Non
c'è nulla di male ad avere una memoria di ferro.” O forse ciò che lo imbarazzava era quando o come mi avesse
visto. Anche perché
ricordo ogni dettaglio delle poche volte in cui ci eravamo incontrati e
l'aranciata non compariva.
Ora,
avevo due opzioni: chiedere o lasciar correre.
“Hai
deciso se accettare il lavoro alla rivista X?”
Se
ne uscì dal nulla spiazzandomi.
Per
tenermi occupata, aprii la lattina appena portata e me ne versai un
bicchiere.
Quasi lo bevvi tutto d'un fiato.
“Che
ne sai di quel lavoro?”
“Ho
i miei informatori.” Il Signor Miron, ovvio!
Alzai
gli occhi al cielo sbuffando.
“E'
inquietante lo sai?” Lo guardai di sottecchi: stava
sorridendo divertito.
Passammo
il resto della serata parlando della redazione di quella rivista; delle
foto
che avevo già fatto per tre servizi e del fatto che forse
sarei partita 15
giorni in Agosto per occuparmi di un servizio sulle principali capitali
Europee.
Durante
quell'ora e mezza mi aprii totalmente, su tutto: la mia famiglia; la
mia città
natale; i miei amici; la mia ex scuola superiore; il mio primo lavoro
da barista
e i miei amori. Ecco, quell'argomento lo evitai con cura rispondendo in
modo
vago e cioè: sono stata con uno per un anno, poi ha fatto lo
stronzo e tanti
saluti.
Mi
chiese, a quel punto, come andassero qui le cose da quel punto di vista.
Scattai
subito sulla difensiva e risposi semplicemente che non lo sapevo
neanch'io. Una
risposta che avrebbe potuto interpretare come voleva, ed era proprio
quello il
mio scopo.
Dopo
il dolce lasciammo il ristorante esasperati dalle occhiatacce del
cameriere che
evidentemente non veda l'ora che le ultime coppie sbolognassero.
Ultime
coppie? Mi prese un colpo solo a pensarci.
“Ti
accompagno a casa.” Perché mi suonò
come una domanda?
Feci
solo sì con la testa ed aspettai che si dirigesse alla
macchina.
Camminavamo
da 5 minuti buoni ma della sua auto non c'era traccia. Mi
guardò sorridendo e rispose ai miei dubbi, che di certo
lesse sul mio viso.
“Non
ci vuole molto a piedi. Ci facciamo una passeggiata.”
Tanto
i tacchi 12 ce li avevo io!
Però
ero contenta della mia scelta perché con quelle scarpe
eravamo spalla a spalla
e mi faceva sentire più sicura non doverlo guardare dal
basso. Mi
sorrise e piegò il braccio per permettermi di appoggiarmi a
lui; un semplice
gesto che mi mandò in tilt. Poggiai
la mano delicatamente, cercando di non stritolarlo visto che avevo
voglia di stringerlo
forte per paura che fosse un sogno o che scappasse da un momento
all'altro.
Passeggiammo
in silenzio fino a casa mia; ogni tanto aveva alzato la testa per
guardare le
stelle, io invece ero concentrata sul battito irregolare del mio cuore.
Arrivati
al portone, presi le chiavi ed iniziarono i dubbi: invitarlo a salire o
non
invitarlo?
“Grazie
per la bella serata.” Lui ringraziava me?
“Grazie
a te.” Mi morsi un labbro e distolsi lo sguardo.
“Grazie anche per avermi
aspettata.”
Mi
afferrò il mento e riportò i miei occhi nei suoi.
“Grazie
per aver scelto me.” Si avvicinò e mi
lasciò un bacio... sulla fronte!
Non
che non mi provocò un turbamento sentire le sue labbra e il
suo profumo, ma
quelle labbra avrei voluto sentirle sulle mie.
“Buona
notte Benedict.” Sussurrai.
“Buona
notte.”
Aprii
il portone e mi voltai a sorridergli; fece lo stesso e si
allontanò. Ma volevo davvero che si allontanasse? No: Avrei voluto abbracciarlo da
dietro per non incontrare i suoi occhi che mi avrebbero tolto ogni
coraggio, e avrei voluto invitarlo in casa. Ma non ero così, non al primo appuntamento.
Nessuna
eccezione. Nessuna. Neanche per Benedict Cumberbatch. Neanche per il
mio sogno proibito.
N.d.a.
Eccomi col nuovo capitolo!!
Scusate se vi ho fatto aspettare più del dovuto ma sono stata
impegnata con la storia che sto scrivendo a 4 mani con mia cugina e che
vorremmo tentare di far pubblicare :3
Avrei voluto mettere questo capitolo il 19 Luglio (per ovvi motivi :P) ma non ce l'ho fatta visto che non ero a casa >.<
Godetevi la lettura e grazie a chi recensirà e leggerà ♥
|
Ritorna all'indice
Capitolo 7 *** Io vorrei... Non vorrei... ma se vuoi ***
Capitolo 07
Io vorrei... non vorrei... ma se vuoi...
Aprii
la porta e lo feci accomodare sul divano mentre prendevo un cartone di
succo di
frutta alla pesca dal frigorifero.
Ne
presi due bicchieri e li posai sul tavolino davanti il divano. Rimase
a guardarmi perplesso, poi dopo un mio sbuffo sonoro, si decise a
parlare.
“E'
andata così male ieri sera?” Sgranò gli
occhi, come avesse avuto una rivelazione. “Non dirmi che non ci sei
andata?!?”
“Alla
fine ci sono andata.” Chris si mise a braccia conserte, segno
che dovevo
iniziare il racconto minuzioso della serata. “Sono arrivata
con 40 minuti di
ritardo. Se ne stava andando.”
“Almeno
ha capito che c'è qualcuno che non gli cade ai
piedi.” Ridacchiò. “Si è
comportato bene?” Feci sì con la testa.
“Hai dormito sta notte? Stai uno
schifo!”
“Non
ho chiuso occhio. Meno male che ho riposo.” Sospirai
sollevata.
“Il
motivo è che non eri sola...?” Chiese cauto.
Lo
fulminai.
“Ero
sola! Non l'ho invitato a salire, nonostante volessi... eccome se
volessi!”
Misi la testa tra le mani.
“Te
la tieni troppo stretta!” Lo guardai stizzita.
“Ma
come ti permetti?! Non voglio sentirti dire queste stronzate!”
Sorrise
divertito.
“Te
l'ho detto apposta, scema! Lo so come la pensi.” Gli
imbruttii e bevvi il
succo.
“Mi
vuoi fornire i dettagli o vuoi farmi morire di
curiosità?” Chiese inarcando un
sopracciglio.
Sbuffai
e gli raccontai tutto: come si era comportato; cosa aveva detto e
fatto; come
mi guardava; come lo guardavo- meglio sorvolare- e gli parlavo. Gli
dissi
persino dell'aranciata, come fosse stato il punto clou della cena.
Mi
sorpresi che si sorprese così tanto.
Restammo
tutto il pomeriggio a scherzare sul mio matrimonio con Benedict e su
come
sarebbero stati i nostri figli. Chris sapeva sempre come tirarmi su di
morale!
Lo
convinsi anche a restare a cena nonostante non volesse disturbare i
miei coinquilini. Non capivo perché non riusciva ad andarci
d'accordo; in fondo li aveva visti solo un paio di volte e non li
conosceva per niente. Chris era un tipo che restava sulle sue se non
aveva subito un'impressione positiva di qualcuno, ma così mi
sembrava esagerato. Bah!
Mentre
mettevamo a cuocere le patate, mi squillò il telefono ed
entrai in
iperventilazione; restai
immobile a fissare il tavolo su cui l'avevo lasciato.
Il
mio amico mi guardava sconcertato, con un'espressione buffa che mi avrebbe
fatto ridere se non fossi stata tanto impegnata a ricordarmi come si
respirasse!
“E'
la suoneria che ho impostato per Benedict.” Le mani mi tremavano.
“Spero
per te che sia un sms!” Feci sì con la testa.
La
suoneria finì ed io non avevo ancora avuto il coraggio di leggere il messaggio. Mi
ci volle un buffetto sulla guancia di Chris ed il suo sorriso smagliante a
convincermi a farlo.
Mi
sentivo ridicola, impacciata, goffa, stupida! La mia testa aveva preso ad
insultarmi per essere rimasta una ragazzina che viveva nel mondo delle fiabe.
E, in effetti, forse una favola la stavo iniziando a vivere.
Sbloccai
il BlackBerry e aprii il messaggio.
Salve! Domani
parto per gli Stati Uniti. Non tornerò a Londra prima di un paio
di mesi. In realtà
non so perché te lo stia dicendo, ma è stato
naturale pensarti mentre preparavo
la valigia e, istintivamente, ho voluto avvertirti. Passa delle belle
giornate
ed ogni tanto pensami.
Ed
ogni tanto pensami? Ma che...?! Strabuzzai gli occhi e rilessi il testo altre
tre volte, poi passai il telefono a Chris come per accertarmi che quelle parole
esistessero sul serio. La sua reazione fu 'leggermente' diversa dalla mia:
scoppiò a ridere.
Io
non sapevo più che pensare e lui si divertiva!
Gli
diedi un pugno sulla spalla dopo essermi riappropriata del mio adorato Blerry-
ebbene sì: aveva un nome- e smise, finalmente, di ridere.
“Mi
dispiace Mon! Non so che dirti!” Trattenne un'altra risata. “E' un sms
strano... se così si può definire. Davvero: non so che pensare.” Si fece serio
e puntò i suoi occhi verdi nei miei. “Rispondigli.”
“E
cosa dovrei scrivergli?” Mi grattai la fronte nervosamente. “Due mesi...”
Bofonchiai come in trance.
Si
avvicinò e mi abbracciò forte: mi sentii più tranquilla in un istante. Sospirai
sul suo petto e, dopo qualche istante, sciolsi l'abbraccio.
“Devo
rispondergli.”
Mi
accarezzò una guancia e mi lasciò scrivere il testo:
Salve! Anche se è scontato, ti
auguro buon viaggio e buon divertimento... o buon lavoro! Sono contenta
che
me l'abbia detto, così non passerò i prossimi mesi a chiedermi
"perché
non si fa vivo? Cos'ho fatto di male?" ;) Buona giornata e ancora buon
viaggio.
Lo feci leggere a Chris, che approvò, e poi lo inviai.
“Mi
ha chiesto di pensare a lui.”
“Te
ne esci dal nulla? Potevi far riferimento a quella parte nel messaggio, no?”
“NO,
NO e poi NO! L'ha scritto solo per provocarmi e prendermi in giro.”
“Se
lo dici tu!”
“Non
è che lo dico io, è che è così! Ti pare che abbia bisogno di dire ad una
giovane fanciulla di pensarlo? Non capisce che non farei comunque altro,
soprattutto dopo la cena di ieri?” Sparai tutto d'un fiato.
Fece
un sorriso dispiaciuto e tornò ai fornelli per controllare le patate.
“Perché
ha pensato a me mentre preparava la valigia? Che poi sarà più di una visto che
starà via...” Mi incupii. “...due mesi...” Guardai implorante il mio amico,
come se lui potesse farci qualcosa.
Sbuffò
e mi fece una ramanzina.
“Dovevi
immaginare in che guaio ti stavi cacciando! Sei una sua fan, cazzo! Ti mandava
ai matti anche prima di conoscerlo! Dovevi evitare di farti trascinare in
questa situazione che non sapresti definire neanche tu. Hai deciso di vederlo
nonostante immaginassi, perché non ci credo alla tua totale ingenuità, che
avresti sofferto e saresti impazzita non capendo le intenzioni di Benedict.” Pronunciò
il suo nome imitando la mia voce, ma con un po' di rabbia. “Dovevi uscire con
Matt. E' con lui che dovresti stare! Ti fa sentire bene, no?” Mi spiazzò.
Chris
era il primo a dirmi che dovevo buttarmi perché la vita è una sola ed ora
sembrava rimangiarsi ogni singola parola di incitamento che mi aveva rivolto.
“Perché
mi parli così? Sei stato proprio tu a dirmi che dovevo sfruttare l'occasione, o
sbaglio? Non eri tu quello che mi incoraggiava ad agire per non pentirmi in
futuro di aver buttato un'occasione del genere?” Lo rimproverai lasciandolo
basito.
“Sì,
è vero, ma non avrei dovuto buttarti fra le sue braccia!”
“Non
sei stato tu a spingermi a farlo, ma il mio cuore e il mio istinto!” Che frase
smielata!
Portò
le mani sui miei fianchi e mi avvicinò leggermente a sé.
“Scusami.”
Sbuffò alzando la testa al cielo. “E' solo che non voglio vederti star male.”
“Lo
so, ma andrà bene. E' inutile dirti che non mi sono illusa, o che non mi sono
creata delle aspettative, ma non ho mai pensato ad un lieto fine. Né ad un
inizio. Ho solo voluto vivere una serata che potessi ricordare col sorriso.”
Mi
scese una lacrima che mi asciugò svelto col pollice.
“Uscirai
con Matt?” Sorrisi.
“Credevi
avrei aspettato Benedict?” Risi. “Lo vorrei; lo vorrei davvero, ma non posso.
Non posso credere in niente; non posso aspettare qualcosa che non ci sarà.
Andrò avanti senza pensarci.” Sorrisi amaramente trattenendo le lacrime.
Mi
diede un bacio sul naso e cercò di consolarmi.
Cenammo
una mezz'oretta più tardi, poi guardammo un film mentre mi strafogavo di
gelato. Per colpa di Ben sarei anche ingrassata!
A più di metà film mi arrivò un sms; il tempo di
allungare la mano sul tavolinetto che ne seguì un altro.
Il
primo era di Matt:
Ciao Mony! Lunedì ti va di andare a teatro?
Sono riuscito a trovare i biglietti per King Lear e so che ami Shakespeare.
Lo spettacolo inizia alle 7.30 e, se non ricordo male, hai il turno di mattina.
Fammi sapere! Un bacio.
Il
secondo di Benedict:
Sono
un egoista pieno di sé, ma se
non te lo dico impazzisco: aspettami. Aspetta il mio ritorno. Voglio
vederti di nuovo; voglio conoscerti e voglio farmi conoscere.
N.d.a.
Ciao
a tutti!! Come sempre grazie a chi legge e recensisce :) Ho sempre da
fare per un altro racconto, quindi ho pubblicato un pochino in ritardo
anche questo cap. Spero vi piaccia e non vi deluda ;)
Ah!! Il titolo riprende una canzone di Lucio Battisti. Ascoltatela se non la conoscete ;)
Alla prossima :3
|
Ritorna all'indice
Capitolo 8 *** Epilogo ***
Epilogo
Epilogo
Cercavo
disperatamente la mia maglietta preferita da abbinare ai nuovi shorts
che avevo comprato durante la mia vacanza-lavoro a Roma. Il mio armadio
era ormai un campo di battaglia quando ricordai di averla lasciata a
casa del mio ragazzo. Sorrisi nel pensare a lui in quei termini.
Gli
inviai un sms per scusarmi del ritardo e scelsi una nuova maglia.
Non
ero mai
stata brava nel fare le scelte giuste: sbagliavo nella scelta delle
Barbie a 5 anni; dello zaino per le scuole medie; dei vestiti del primo
giorno di liceo; del ragazzo a cui concedermi la prima volta; delle
amiche di cui fidarmi.
L'unica
cosa
giusta che avessi mai fatto era stato aspettare Benedict. Due mesi
lontani eppure mi riempiva di messaggi appena poteva e mi rincuorava
dicendo che mancava sempre meno al nostro incontro. Quando
tornò
a Londra, si precipitò praticamente a casa mia e cominciammo
a
frequentarci: cene fuori, serate a teatro, premiere dei film a cui lo
invitavano, serate di gala...No, ok. Basta raccontare la favola della
buona notte.
Le
cose erano
andate così: avevo scelto lui; avevo scelto di aspettarlo
perché mi sarei pentita a vita chiedendomi come sarebbero
andate
le cose se c'avessi provato, quindi avevo deciso di non uscire
più con Matt, se non da amici, spiegandogli cosa mi stava
succedendo. Era stato comprensivo ed aveva apprezzato la mia
sincerità.
Per le prime due settimane, io e Benedict eravamo
rimasti davvero in contatto: mi scriveva sms semplici, per sapere come
stavo e che facevo, nulla di più. Le
settimane divvennero tre e i messaggi sempre più radi; ero
io che mi facevo sentire e lui a malapena rispondeva. Quarta
settimana e il silenzio assoluto. Rinunciai a chiamarlo e a farmi viva
perché lui si stava godendo quei giorni mentre io piangevo
disperata per l'illusione che mi ero creata.
Chris
e Matt mi
rimasero vicini finché non partii in Agosto per il servizio
sulle capitali europee per la rivista X. Tre settimane a girare
l'Europa e una settimana a Roma, poi ero tornata a Londra.
Era stata un’esperienza che mi aveva aperto gli occhi e
insegnato
che i sogni si realizzano, anche se a volte solo per metà, e
che
non bisogna mai smettere di inseguirli e lottare per realizzarli.
Era
passato un anno e mezzo dall’ultimo sms di Benedict ed ormai
ero andata avanti con la mia vita.
La
suoneria del cellulare mi destò dai miei pensieri: Sempre
la solita! Ti perdono solo perché ti amo ;) Non vedo
l’ora di vederti!
Sorrisi
e mi
avviai in caffetteria, dove avevamo appuntamento. Dalla vetrata potei
vederlo seduto al tavolo, con i capelli in disordine come sempre e la
camicia a quadri che gli avevo regalato per il compleanno. Entrai con
un gran sorriso e lo salutai con un bacio a fior di labbra.
“Hai
già ordinato?” Fece sì con la testa.
“Ti
ho preso il solito.” Mi fece l’occhiolino mentre mi
sedevo.
“Grazie!
Ah! Ho lasciato da te la maglietta dei Mars!” mi lagnai.
“Dopo
passiamo e la prendiamo…Perché non resti da
me?”
“Chris!”
Sbuffai. “Te l’ho detto che non posso passare da te
ogni
notte! Casa mia è un’altra. E pago pure
l’affitto!”
“Trasferisciti
da me allora.” Mi si bloccò il respiro.
Stavamo
insieme
da 7 mesi. Non sapevo neanch’io come fosse successo, ma alla
fine
c’eravamo trovati così vicino da renderci conto
che la
nostra non era solo un’amicizia, né un affetto
fraterno:
era amore.
“Vedremo.”
Feci la sostenuta per mascherare la paura che stava nascendo in me.
Inclinò la testa e mi fece gli occhioni dolci.
“Stai
sempre da me; passiamo i nostri giorni liberi insieme; a volte
lavoriamo insieme… Il prossimo passo è la
convivenza,
no?” Mi grattai la fronte. “A casa mia hai
lasciato: uno
spazzolino, un pigiama, le pantofole ed un cuscino. Un cuscino, ti
rendi conto?” Ridacchiai imbarazzata, ma proseguì: “Proviamoci.”
Mi guardò serio. “Risparmieresti i soldi
dell’affitto e staresti più vicina alla
caffetteria.” Sorrisi.
“Il
contratto d’affitto mi scade il mese prossimo.” Gli
occhi
gli si illuminarono. “Se fai il bravo non lo
rinnovo.” Fece
un gran sorriso e si sporse a baciarmi.
“Ti
amo.”
“Ti
amo anch’io” gli dissi mentre pensavo che quella
era stata la decisione migliore che avessi mai preso.
N.d.a.
Ed
eccoci arrivati alla conclusione della mia ff. Fino all'ultimo istante
sono stata indecisa sul da farsi, ma purtroppo non ho il tempo
né la testa per dedicarmi ad una long finction. Spero di
tornare presto con una nuova storia, magari nella sezione originali :)
Prima di allora, vi saluto e vi auguro tutto il meglio ♥
Buone vacanze e grazie per aver letto e recensito!! Spero di non aver
deluso nessuno con questo epilogo :3
Baci
a tutti e spero di ritrovarvi presto ;)
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=2668128
|