Canto d'amore e di vendetta

di namary
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Una guerriera ferita ***
Capitolo 2: *** La resa dei conti ***
Capitolo 3: *** Verso nuovi orizzonti ***



Capitolo 1
*** Una guerriera ferita ***


Canto d'amore e di vendetta




Cap. I - Una guerriera ferita



Nella valle di Zandria, gli agricoltori erano alle prese con una situazione disperata. 
Le due settimane di pioggia torrenziale ininterrotta avevano seriamente danneggiato il raccolto, costringendo molti degli abitanti a spostarsi verso la più calda e fertile Korellia. I pochi rimasti nella valle erano anche quelli più benestanti, gli unici che possedevano abbastanza denaro per pagare un mago affinché, con l’inizio della bella stagione, lanciasse un incantesimo a lungo termine per riparare le coltivazioni dai danni del tempo atmosferico. 
I prezzi erano lievitati di conseguenza, rendendo la vita piuttosto difficile ai mercanti della zona, che trovavano sempre meno clienti con cui fare affari.
Guldar se ne stava rendendo conto per l’ennesima volta, mentre cercava di spiegare questa delicata situazione, con tutta la diplomazia di cui era capace, ad una mercenaria decisamente contrariata che aveva di fronte.
“Comunque sia, questo prezzo rimane troppo esagerato, per la qualità dei tuoi prodotti!” argomentò lei, guardando con sufficienza la mela che aveva in mano.
“Cercate di capire, signorina, io cerco solo di fare il mio lavoro… vi ho già spiegato che purtroppo, le piogge hanno…”
Gli occhi scuri della ragazza fiammeggiarono d’ira. Senza pensarci, serrò la presa sulla mela, nel tentativo di sfogare il suo nervosismo. Il frutto maturo si spappolò immediatamente, spruzzando pezzi di polpa ovunque.
“Non mi interessano le tue scuse. E’ mai possibile che un’onesta donna come me debba sempre essere vittima di persone avide e senza scrupoli?” esclamò la giovane, più rivolta a sé stessa che al mercante.
“Ehi, ma… la mia mela!” balbettò l’uomo. 
La ragazza gli sembrava un po’ isterica, forse era meglio tenere la bocca chiusa… 
Alla fine, ne era certo, l’avrebbe convinta a pagare il prezzo dovuto. 
Decise di tentare con le lusinghe.
“Suvvia, sono certo che, per un’intrepida avventuriera come voi, non sia certo difficile procurarsi la somma necessaria per pagare un po’ di frutta e del pane…”
Guldar seppe di aver fatto la mossa sbagliata quando vide l’espressione della sua cliente farsi ancora più furiosa.
“Mi stai dando dell’incapace?? Ascoltami bene, razza di troll imparentato con uno slurgar da parte di madre, se non vuoi vedere la tua bancarella ridotta a un cumulo di frutta secca mista a fango ed escrementi di topo, faresti meglio a darmi la frutta con… mmm, diciamo un buon ottanta percento di sconto! Ovviamente, se tu non fossi l’unico mercante in questo villaggio non sarei costretta a minacciarti, ma… stando così le cose, valuta un po’ che alternative hai” affermò lei a muso duro, scrocchiandosi le nocche.
“Se distruggete la mia bancarella però, anche voi rimarrete senza cibo. Non conviene raggiungere un compromesso?” avanzò lui sottilmente, sapendo di star per colpire nel segno.
La donna rimase di sasso: presa com’era dalla propria rabbia, non aveva minimamente considerato quell’ipotesi.
Arrossì e, dopo qualche minuto ancora durante il quale definirono l’accordo, comprò quel che le serviva ad un prezzo non troppo inferiore a quello di listino.
Caricò le provviste nella sacca e, sistemate le ultime cose, uscì dal paese borbottando tra sé. Arrivata ad un bivio poco distante dal centro abitato, prese la via che scendeva dalle montagne, diretta alla più vicina stazione di posta.
Dopo essersi fatta salassare da quel fruttivendolo non era affatto di buon umore, anche se per fortuna si sentiva un po’ meglio rispetto alle ultime settimane. 
Quando il bastardo l’aveva lasciata, ormai più di un mese fa, aveva seriamente rischiato di cadere in depressione. 
Chi avrebbe mai pensato che Ilenar la mercenaria, la cacciatrice di taglie, pronta a gettarsi in ogni battaglia e sprezzante di fronte al pericolo, potesse rimanere ferita in quel modo da una relazione amorosa?
Lei stessa era rimasta sconvolta nel constatare che Robyn, quel maledetto arpista figlio della moglie zoccola di un troll, le era entrato così profondamente nel cuore.
L’aveva conquistata con l’allegria e la sicurezza di sé, con sguardi pieni d’ammirazione sul campo di battaglia, e di desiderio la notte quando, stanchi dalle fatiche giornaliere, rimanevano nudi l’uno accanto all’altra, addormentandosi insieme dopo aver fatto l’amore.
Quando si erano conosciuti, su una carovana diretta a Ladinas, avevano deciso di stringere un accordo di comodo fino alla fine del viaggio. 
Non avevano tenuto conto però della crescente attrazione fisica, a cui avevano ceduto pochi giorni dopo il loro primo incontro.
Le settimane erano presto diventate mesi. 
Arrivati a destinazione, nessuno dei due pareva essere così propenso a sciogliere il loro accordo, e di fatto lo prorogarono fino a data da destinarsi.  
Questo finché lui non se ne andò di punto in bianco.
Solo a quel punto Ilenar aveva capito di essersi totalmente innamorata di lui.
Sconfortata, si era resa conto che di lei invece, a Robyn non era mai importato nulla. 
Quello che l’aveva fatta soffrire maggiormente però, non era tanto il fatto che l’avesse rivisto una settimana dopo, ubriaco tra le braccia di una prostituta, ma che non ci fossero stati chiarimenti tra loro, né addii. 
Era fuggita piangendo, da vera codarda.
I giorni successivi si era rintanata in umide locande, dormendo, piangendo e sperperando in cibo e idromele il denaro accumulato tanto faticosamente. 
Poi aveva ritrovato la ragione.
Non poteva certo stare lì ad abbattersi per uno stronzo del genere!
Chissà, si era chiesta, quante altre donne avevano sofferto per causa sua. 
Un uomo simile meritava di essere preso a calci da lì fino in capo al mondo.
Per questo ora era diretta ad Amaltea, ben decisa a fargliela pagare cara.
Dopo due giorni di cammino, raggiunse una stazione di posta dove noleggiò immediatamente uno dei leocorni più veloci per la capitale.
Di rado Ilenar aveva viaggiato sola: di solito preferiva la compagnia degli uomini, amici o amanti che fossero, per condividere allegramente le giornate e scaldare le notti silenziose.
Tuttavia, in quell’occasione si ritrovò ad apprezzare la sua rinnovata solitudine, che le diede modo di riflettere sull’ormai concluso rapporto con Robyn e la aiutò a lasciar andare un po’ il dolore.
Non ci volle molto, prima che il paesaggio iniziasse a mutare. 
In una settimana appena, i boschi e le asperità rocciose si ritirarono gradualmente per fare posto a verdi colline costellate di cipressi e fiori selvatici di eidelon bianchi e lilla. Costeggiò prati interamente ricoperti di rose carminate e chiar-di-luna che, all’imbrunire, parevano quasi tracciare sul terreno un magico sentiero, da quanto risplendevano.
L’odore della pioggia e della resina fu presto sostituito dal profumo del grano e del vento di prateria, che faceva cantare le chiome dei boschetti di betulla come fossero fanciulle. 
Ilenar osservò incantata quei luoghi di cui aveva tanto sentito parlare, ma che non era ancora riuscita a visitare di persona. 
All’alba dei suoi ventidue anni, non aveva infatti mai messo piede al di fuori dei confini di Zandria, sua terra natia. Ne conosceva a menadito le valli, le montagne dai pendii scoscesi, i boschi silenziosi nei quali transitavano soltanto cacciatori e tagliagole. 
Senza contare ovviamente il porto di Ladinas e le isole Calembrine…
Per anni, Zandria era stata teatro delle sue disavventure più singolari, e sarebbe sempre rimasta la sua casa, ma ora semplicemente sentiva di dover mettere fuori il naso dalla tana e partire alla ricerca di migliori guadagni e compagnie.
Era di fatto una vagabonda alla ricerca del suo futuro, ed aveva tutta l’intenzione di trovarlo.
 
* * *

Un bagliore in lontananza la avvisò che presto sarebbe arrivata a destinazione. 
La leggenda narrava che le mura in cristallo di Amaltea, antica capitale di Korellia, furono costruite per magia in una sola notte, e rese indistruttibili dal volere divino della Dea Sonemara, Signora del Vulcano. 
Ilenar si fermò un attimo a rimirare il paesaggio, entusiasta, poi proseguì al galoppo, desiderosa di raggiungere al più presto quel miraggio.
A mano a mano che si avvicinava alla meta, Ilenar si accorse che la via principale, abbastanza larga da far passare tre carri l’uno di fianco agli altri, si stava riempiendo di gente, tanto che dovette rallentare per procedere poi a passo d’uomo.
C’erano mercanti, agricoltori, carovane umane e gnomiche trasbordanti di giocolieri, cantastorie, illusionisti da strapazzo e ciarlatani che si affaccendavano nel tentativo di divertire, stupire e rubare qualche soldo ai più creduloni. In mezzo a quel trambusto, vide perfino un paio di Siblis, gli uomini lucertola dei deserti occidentali, e famiglie intere di Nani dei monti Zagros intonare allegre canzoni con la loro voce aspra e dura.
Arrivata nei pressi della porta orientale della città, Ilenar non riuscì a trattenere un moto di meraviglia osservando da vicino le bianche mura di Amaltea riflettere la luce del meriggio, trasfigurandosi in un arcobaleno di sfumature rosa, rosse e arancio.
Dietro la città svettava l’imponente Monte Athos, il vulcano inattivo la cui cima era coronata da cirri. Ai piedi della montagna, giusto ai confini settentrionali delle mura, sorgeva il più importante tempio di Sonemara. 
Ilenar per un attimo ebbe la sensazione che questo viaggio le avrebbe cambiato la vita. 
Se non altro, si sarebbe tolta la soddisfazione di affrontare il suo ex compagno una volta per tutte e dargli quello che si meritava, alias una serie di calci là dove non batte il sole.
Era quasi assolutamente certa che Robyn fosse in città, o che ci sarebbe arrivato presto.
Considerando il suo talento come arpista, e il fatto che spesso le aveva fracassato le scatole con questo argomento, il fedifrago non poteva davvero essersi fatto scappare la possibilità di partecipare al torneo di Mezz’Estate.
La gara, ormai diventata un appuntamento fisso per gli artisti di tutto il continente,  veniva indetta annualmente per festeggiare la bella stagione ed onorare la Dea. 
Lei non chiedeva di meglio che aspettarlo al varco.
Si mise in fila dietro a una snervante carovana di gnomi. Mentre era intenta a tenere d’occhio quei furbastri che, con la scusa di inseguire le loro palline rimbalzine, si dedicavano ad alleggerire i borselli altrui, sentì una voce familiare chiamarla con insistenza.
“Ilenar! Ehi!”
Si guardò intorno, prima di scorgere il volto di suo cugino Bergon sorriderle e agitare le braccia per farsi notare in quella calca disumana. 
“Ci mancava solo questa…” sospirò seccata, affondando il viso nella folta criniera dorata del suo leocorno.
Facendosi largo a gomitate tra la folla, il ragazzo infine la raggiunse.
Da che l’aveva visto per l’ultima volta, quand’erano poco più che bambini, Bergon non era cambiato molto: aveva il viso ovale ed affilato di un uomo nel fiore degli anni, il naso leggermente storto verso destra e i lunghi capelli corvini raccolti in una coda. Gli unici dettagli che non ricordava erano una leggera barba scura che gli incorniciava il volto, e un piccolo corvo che riposava tranquillo sulla sua spalla.
“Guarda un po’ chi si vede!” esclamò lui aprendosi in un caloroso sorriso.
“Tra tutte le brutte facce che potevo incontrare, proprio la tua dovevo vedere!” scherzò lei.
“Piuttosto, vorrai dire che hai avuto la fortuna di incontrare il tuo alquanto giovane e attraente cugino, che da qualche anno è pure un mago” dichiarò solennemente.
In effetti, ora che lo osservava meglio, notava che Bergon era vestito con un completo di tessuto verde smeraldo misto a cuoio nero, che indicava la sua appartenenza all’ordine dei maghi di Oris.
Questo spiegava anche la presenza del volatile, in effetti…
“Conoscendo i tuoi esperimenti fallimentari con i gatti di nostra zia Clefis, dubito che tu sia uscito dall’accademia a pieni voti!” lo canzonò di nuovo Ilenar, che da piccola aveva assistito a molti dei suoi tentativi di controllare la magia.
“Al contrario, sono uscito con il massimo, mia come sempre gentile cugina” rispose lui serafico, sfoggiando un’espressione da schiaffi.
“Piuttosto, cosa ci fai qui? Non pensavo fossi interessato a un concorso per bardi”
“Potrei dire lo stesso di te. Comunque, non sono qui in visita di piacere. A questo proposito, ti andrebbe di cercare una taverna dove alloggiare insieme, in memoria dei vecchi tempi?”
Ilenar esitò, a disagio.
Temeva che Bergon le avrebbe solo fatto perdere tempo prezioso… però in fin dei conti, non se la sentiva di rifiutare. Forse passare una serata in compagnia le avrebbe fatto bene. 
Accettò con un sorriso forzato e, dopo aver passato il controllo di routine delle guardie cittadine e aver restituito il leocorno a noleggio, si misero a cercare una locanda che facesse al caso loro.
Ilenar quasi si pentì della sua scelta.
Prima di riuscire a trovare un posto decente dove passare la notte, girovagarono per la città per un buon paio d’ore, durante le quali Bergon blaterò a più non posso, raccontandole dell’accademia, dei suoi studi e della complessità di alcuni incantesimi, incluse ovviamente le teorie delle varie scuole di pensiero, di cui a lei non fregava proprio un accidente. 
Commentando con vari “Aha” “Mh” “Bene”, inframezzati da qualche “Però!”, raggiunsero una taverna situata in un quartiere vicino alle pendici del monte sacro.
“Il riposo del gigante” era un locale suggestivo, arredato nel tradizionale legnovivo di Amaltea, una particolare pietra del colore del legno chiaro, che emanava calore d’inverno, e manteneva l’ambiente fresco d’estate. 
Quella sera, a parte loro due non c’erano molti altri avventori, cosa che permise loro di essere serviti bene e velocemente. Pagarono due stanze per le notti a venire, una tinozza d’acqua calda la sera e pasti abbondanti tre volte al giorno, il tutto a soli centocinquanta falchi ciascuno. 
“A quanto pare abbiamo beccato l’unica taverna economica di questa città” commentò soddisfatto Bergon, sorseggiando un boccale colmo di birra scura.
“O forse hanno deciso di abbassare i prezzi in occasione della festa imminente. Non che gli sia andata molto bene” rifletté Ilenar osservando la sala deserta.
Stettero per un po’ in silenzio, gustandosi il delizioso polletto arrostito con spezie vulcaniche, poi il mago si incupì ed esordì senza preamboli. 
“Avrei bisogno del tuo aiuto”
Ilenar lo guardò diffidente. 
Da quando in qua il suo altezzoso cugino si abbassava a tanto, e per di più, con lei?
Dalla sua espressione seria e preoccupata però, Ilenar capì che non stava scherzando, così decise di essere professionale.
“Che cosa dovrei fare, esattamente?”
“Nulla di così complicato. Solo aiutarmi a recuperare un oggetto”
“Mh. E quanto sarebbe la paga?”
Lui sembrò soppesare un attimo la risposta, poi sputò.
“Duecento grifoni”
Ilenar, che si era immaginata qualcosa come al massimo cinquecento falchi d’argento, non riuscì ad impedirsi di sgranare gli occhi, sbigottita.
“Duecento mazze d’oro per una cianfrusaglia da mago? Ma per chi mi hai presa? Scommetto quello che vuoi che l’oggetto che ti interessa non vale neanche una briciola di quella somma. Non sono così stupida come credi, sai… per cui ti consiglio di non prendermi per il culo e andare a rifilare il tuo bidone a qualcun altro. Sempre che tu non voglia avanzare una proposta onesta, ovviamente” concluse lei arricciando le labbra in una smorfia che aveva tutta l’aria di dire “ti ho beccato!”.
Lui non si scompose, estraendo allora dalla tasca un sacchetto in cuoio.
Incredula, Ilenar constatò che era pieno fino all’orlo di grifoni dorati. 
Ci mancava poco che le cascasse la mascella!
“Questi sono solo cento pezzi, comunque non ti ho ancora mostrato tutto”
A quel punto le porse una pergamena.
Per riprendersi dallo stupore, Ilenar aveva cominciato a tracannare la sua birra a grandi sorsi, ma quando vide il volto che vi era raffigurato quasi rischiò di soffocare. 
Anche questa volta non riuscì affatto a nascondere la sua reazione, perché sputò di getto in faccia a Bergon quasi tutta la bevanda che aveva in bocca, poi iniziò a tossire.
“Lo conosci?” le chiese suo cugino in tono ironico, mentre si asciugava compostamente il volto con un fazzoletto.
“Diciamo di sì” rispose lei a fatica, schiarendosi la gola. “Ho lavorato assieme a lui un paio di volte”
La balla era abbastanza credibile. Sperava di non sembrare ancora così scossa come prima, non avrebbe voluto mettersi a nudo proprio con lui...
Con suo gran sollievo, Bergon non commentò.
“Allora, che ha combinato?” chiese lei infine, curiosa.
“Ha rubato un talismano al mio maestro”
Bergon abbassò gli occhi sul suo piatto, e Ilenar lo vide arrossire.
“Fammi indovinare…” esordì con un sorrisetto di scherno. “… Lo stavi custodendo tu, non è vero? E te lo sei fatto fregare da sotto il naso! Hahahaha!” 
“Ehi! Io… non è vero! Comunque sia, ora il mio maestro si è diretto verso Zefiria per partecipare ad una conferenza, mentre io sono stato incaricato di ritrovarlo a qualsiasi costo… per questo la gilda a cui appartengo ha messo una taglia sulla testa di quel maledetto”
“Urca… questo talismano dev’essere parecchio importante” rifletté Ilenar giocando con uno degli ossi del pollo.
“Più che altro aveva un valore affettivo” concluse il discorso Bergon.
“Valore affettivo, eh? Per un’intera gilda di maghi?” commentò lei sarcastica.
“Allora, ci stai?” tagliò corto lui, che evidentemente non aveva voglia di approfondire l’argomento.
“Mmm… quindi tutto quest’affetto non era disinteressato. Beh, visto che la notte porta consiglio… ci penserò su” sorrise Ilenar facendogli l’occhiolino.
Si alzò stiracchiandosi, per poi salutare suo cugino e dirigersi verso il piano superiore, senza dargli il tempo di ribattere.
Quando chiuse la porta della camera dietro di sé, si lasciò finalmente andare.
Vedere il volto di Robyn sulla pergamena l’aveva oltremodo turbata.
Caso o destino? Che questa fosse davvero l’opportunità giusta per ritornare in pista, guadagnare una barca di soldi e allo stesso tempo vendicarsi dell’uomo che l’aveva fatta soffrire in modo così orribile?
La faccenda però le puzzava un po’.
Suo cugino era stato piuttosto evasivo riguardo quel talismano, inoltre aveva la netta sensazione che non avrebbe mai visto tutti quei soldi…  
Sospirò, liberando dalla coda i suoi ricci capelli ribelli e buttandosi a peso morto sul letto. 
Doveva ammettere però che la proposta era decisamente allettante.
Considerando l’ipotesi che Bergon stesse facendo il furbo e intendesse pagarla anche solo con una minima parte dell’oro che le aveva promesso, quella somma sicuramente le avrebbe permesso di ripartire alla grande. 
Chissà, forse sarebbe potuta anche rimanere ad Amaltea per un po’ e proporsi alla guardia cittadina come cacciatrice di taglie. Di guai ce n’erano dovunque, e quella città dorata sicuramente non faceva eccezione.
C’era anche un altro fattore da non sottovalutare, e cioè che, se quel talismano valeva davvero un sacco di soldi, forse Robyn aveva già avuto modo di venderlo.
L’unica cosa che le appariva chiara in quel momento era che, se avesse davvero voluto rintracciare quel bastardo, non poteva disprezzare la mano che suo cugino le stava tendendo. E poi, lei non ci avrebbe guadagnato nulla rifiutando il suo aiuto, nonché la sua abilità come mago. 
Sì, ormai aveva deciso.










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Note dell'autrice:

Avevo già pubblicato questa storia un paio di mesi fa, ora l'ho riveduta e corretta... la versione precedente di questa storia ha partecipato al concorso indetto da Dragone 97 sul forum di EFP - "Le basi del fantasy: Guerriero, Mago o Ladro?" classificandosi in seconda posizione. Visti i problemi che ci sono stati col contest, alias la contestazione dei giudizi, ho deciso di ripubblicare la versione che avevo già corretto e ampliato rispetto a quella che ho consegnato, considerandola come una storia a sé stante ed eliminando l'altra, praticamente come se non avessi partecipato.
Questo per più motivi: il primo, non in ordine di importanza, è che la storia che ho scritto per il contest comunque non mi soddisfaceva pienamente, così ho deciso di ampliarla e rimaneggiarla; il secondo perché finché non vengono chiariti i giudizi, preferisco tenere da parte la storia che ha partecipato. 
Se volete esprimere il vostro parere, sono qui e disponibile al confronto :)
Intanto spero di farvi divertire con questa piccola e semplice storia nata da sessioni altamente creative, alias demenziali, di D&D :)
Buona lettura, e a presto!

Namary

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Capitolo 2
*** La resa dei conti ***


Cap. II - La resa dei conti



Il mattino dopo comunicò le sue intenzioni a Bergon, che le sorrise soddisfatto.
Senza perdere altro tempo, si misero a discutere un piano d’azione. 
“Manca ancora una settimana all’inizio del torneo… io dico che è inutile aspettare con le mani in mano. Potremo darci da fare ed esplorare la città, nel frattempo” esordì il ragazzo passandosi pensosamente una mano sul mento.
“Non è una cattiva idea. Oltretutto, se riuscissimo a rintracciarlo prima che inizino le gare, sarebbe tutto tempo guadagnato no?” Ilenar si ritrovò a riflettere ad alta voce.
“Già. Il problema è che, se ci riusciamo, non credo che il nostro artista se ne starà buono buono ad aspettare che gli facciamo la festa. A proposito, che puoi dirmi di lui? Se non sbaglio ieri avevi detto di conoscerlo”
Ilenar suo malgrado distolse lo sguardo, puntandolo verso un orizzonte immaginario.
La maggior parte di ciò che ricordava di Robyn riguardava fatti molto personali, e certamente troppo dolorosi per poterli esibire davanti a un suo parente così come niente fosse.
Però, forse c’era qualcosa che poteva dire.
“E’ imprevedibile. Di solito quando si trova nei guai pensa sempre ad un piano alternativo per sfruttare le circostanze a suo favore… e la maggior parte delle volte ci riesce”
“Mh. Quindi la cosa migliore sarebbe riuscire a coglierlo di sorpresa… o sviarlo con un diversivo”
“Non ti preoccupare, pivello” gli sorrise, alzando il pollice. “Farò io da diversivo” affermò con decisione. 
“E cos’avresti intenzione di fare? Metterti una parrucca elfica addosso e sedurlo ballando la chakta? A parte che tu non riusciresti a sedurre nemmeno un troll…” 
Ilenar gli fece una smorfia irritata, mostrandogli la lingua.
“Spiritoso! Io e lui abbiamo un conto in sospeso, perciò lo tratterrò con una scusa”
“D’accordo” Bergon alzò le mani in segno di resa. “Vi lascerò risolvere in pace le vostre beghe, mentre io nel frattempo avrò preparato un paio di incantesimi che potrebbero tornarci utili”
Definiti i primi passi del loro piano, lui poi le spiegò che aveva alcune commissioni da sbrigare in città per conto del suo maestro, per cui per i primi giorni non avrebbe potuto esserle di grande aiuto.
“Sicura che per te non ci sia nessun problema?” 
“Cos’è, hai paura che non sappia più ritrovare la strada del ritorno? Ti ricordo che non sono io ad essermi persa a due stranghe di distanza da casa” rispose lei ridacchiando.
A dir la verità Ilenar aveva proprio sperato di restare sola.
Suo cugino era sempre stato un tipo noioso, sempre intento a leggere libri polverosi d’ogni sorta. Quasi certamente avrebbe finito per trascinarla dentro ad uno di quei fumosi negozi pieni di pozioni e altri manufatti dagli strani poteri… Meglio lasciar perdere, prima di finire sfregiata da qualche strana fiala esplosiva! 
E poi, da sola si sarebbe certamente divertita di più.
Passeggiare per le strade colorate e piene di vita della capitale le ridonò allegria: Ilenar fu ben felice di distrarsi fermandosi ad osservare le numerose botteghe dei rivenditori d’armi. 
Non sapeva proprio resistere davanti a dell’acciaio ben temprato!
Senza contare che ad Amaltea c’era davvero di che rifarsi gli occhi.
Tutta la regione limitrofa al Monte Athos era infatti famosa per la produzione di sciabole di cristallo nero, micidiali contro i nemici e ancor di più per le tasche, per non parlare delle spade di rasocrisio, un particolare metallo trasparente sempre di derivazione vulcanica, tanto leggero quanto resistente.
Era intenta a saggiare il bilanciamento di uno di questi capolavori, quando si sentì osservata.
Si girò d’istinto alla sua destra, incrociando lo sguardo con un uomo vestito di una lunga tunica bianco-dorata. Aveva corti capelli biondi, gli occhi d’un azzurro limpido e sulle labbra una smorfia compiaciuta che la infastidiva.
Che diavolo aveva quello, da guardare?
A giudicare dalle scorte di viveri che si portava appresso e dal gruppetto di poveracci che lo seguivano, doveva essere uno dei sacerdoti di Sonemara.
Ilenar sostenne lo sguardo a mo’ di sfida, ma lui non abbassò il proprio, anzi.
Lo sconosciuto la salutò con un cenno del capo, allargando ancor di più il proprio sorriso. 
Sorpresa da quel comportamento, Ilenar ricambiò goffamente prima di allontanarsi in fretta, sentendosi a disagio.
Proseguì per un po’ verso la piazza del mercato, ma ad un certo punto la calca si fece talmente soffocante che rinunciò ad avviarsi per quella strada.
Imboccò allora una laterale che le consentì di aggirare il traffico e sbucare sulla strada principale. 
Fu in quel momento che, guardando distrattamente i giullari e altri danzatori che, in vista del torneo, si stavano già esibendo nelle strade cercando di guadagnare l’interesse del pubblico, un’idea la colpì.
Ma certo!
Se Robyn era già arrivato in città, sicuramente si era già iscritto all’evento!
Seguendo la crescente concentrazione di bancarelle e baracchini che si affollavano sulla strada per raggiungere la meta, dopo poco si ritrovò di fronte all’anfiteatro di Amaltea.
Questo si trovava sulla Collina del Sole, a poca distanza dal palazzo della regina Arissa. A differenza dei quartieri popolari, più rustici e moderni, in quella parte della città si respiravano ancora gli echi del passato. 
Le antiche e alte torri in marmo bianco, verde e grigio, ancora abitate dai nobili del regno, erano collegate tra loro a più livelli grazie a una serie di ponti, archi e portici che rendevano la zona simile a un labirinto. 
Probabilmente, se non ci fossero state la musica e le bancarelle ad indicarle la via, Ilenar si sarebbe persa in quel dedalo di strade e passaggi arcuati.
Al centro di quella strana foresta di pietra, si apriva una radura che ospitava il grande anfiteatro.
Circondato da un cerchio di alberi secolari, somigliava quasi ad una torre più bassa e larga delle altre, presa d’assedio da una fila di artisti che pareva interminabile.
Ilenar si morse il labbro, nervosa. 
Di quel passo, avrebbe fatto notte!
In fondo però, lei non doveva iscriversi…
Senza pensarci un secondo in più, Ilenar partì a passo spedito e saltò in blocco la coda, ignorando volutamente i cori di protesta degli artisti infuriati per quella mancanza di rispetto.
“Razza di maleducata! Sono in fila da prima dell’alba, non permetterò a una donnaccia travestita da uomo come te di rubarmi il posto in modo così sfacciato!” starnazzò una danzatrice dalla pelle olivastra, tentando di bloccarla.
Ad Ilenar bastò alzare la mano destra per bloccare quel debole pugno, poi deviò la mano della sua avversaria di lato, come avrebbe fatto con un insetto.
Alzò un sopracciglio, per nulla impressionata.
“Senti, oggi non ho proprio intenzione di perdere tempo. Devo solo chiedere un’informazione, quindi rilassati!”
Il funzionario incaricato di raccogliere le adesioni però aveva assistito alla scena e, quando Ilenar si avvicinò a lui baldanzosa, questi si dimostrò tutt’altro che disponibile ad accontentare le sue richieste. 
“Non c’è nessun partecipante iscritto al momento con questo nome. Comunque, anche se lo fosse, non sono tenuto a rivelare i nomi degli illustri artisti alla prima poco di buono che passa per strada!” le rispose in un tono che non ammetteva repliche.
Ingoiando una rispostaccia, Ilenar se ne andò mordendosi la lingua, furiosa per aver sprecato una simile occasione. 
Si mise in disparte, nel tentativo di placare il proprio nervosismo, quando vide un uomo venire verso di lei.
Non appena fu abbastanza vicino, ne riconobbe subito i lineamenti.
Istantaneamente si chiese come fosse possibile che due sconosciuti si potessero incontrare casualmente due volte a distanza di poche ore, per di più in una città grande come quella.
Notò che era poco più alto di lei, l’espressione gentile ma fiera.
“Non hanno accettato la vostra iscrizione al torneo?”
Fu lui per primo a rivolgerle la parola, e la sua voce per un attimo le sembrò così familiare che ebbe la strana sensazione di conoscerlo da tempo.
Ilenar con un cenno gli mostrò la spada che portava al fianco, facendogli intendere che lei non era il genere di donna che amava cantare.
“Non sono qui per partecipare… sto cercando qualcuno”
“Posso aiutarvi in qualche modo?”
Ilenar ci pensò su, indecisa se confidarsi con quello strano tipo.
“Cerco un cantastorie… ha i capelli rossi come il fuoco, occhi azzurri più o meno come i vostri, lineamenti affilati e carnagione chiara. Porta un orecchino sul lobo destro e ha un tatuaggio sul collo. Una fata che regge un’arpa”
Lui aggrottò le sopracciglia, riflettendo per qualche secondo.
“Mi sembra di aver notato un tipo simile al tempio, giusto ieri pomeriggio. Ovviamente potrei sbagliarmi, dato che in questi giorni sono arrivati un sacco di musicisti a chiedere la benedizione della Dea… peccato che, nella maggior parte dei casi, non servirà a nulla”
Ilenar assunse un’espressione interrogativa.
“E voi come fate a dirlo? Non siete forse un po’ troppo presuntuoso?”
“Direi di no. Sonemara non concederebbe mai la sua approvazione ad un artista privo di talento… oltretutto, è una divinità che apprezza in modo particolare lo sforzo personale. Vincerà il migliore, e questo è tutto”
Ilenar sorrise, divertita.
Aveva sempre pensato che i sacerdoti fossero persone troppo ligie al dovere e noiose, invece lui…
“Siete uno strano sacerdote”
“Lo prendo come un complimento” le sorrise lui di rimando.
“Fate bene, mi piace il vostro modo di pensare”
Questi piegò per un attimo la testa in segno di ringraziamento.
“E’ bello ricevere un complimento da una donna con uno sguardo tanto affascinante come il vostro” ribatté lui, spiazzandola.
Ilenar si ritrovò a trattenere il fiato per qualche secondo.
“Ehi, vacci piano. Non è saggio prendere in giro una come me in questo modo, specialmente se, come hai potuto notare, ho un’arma appesa alla cintura” rispose d’istinto, ignorando per un attimo la forma di cortesia.
“Non mi permetterei mai, infatti. Ero serissimo”
Lei si morse il labbro, imbarazzata.
“Ma voi sacerdoti non dovreste essere tutti votati alla castità?”
Oddio, che le era venuto in mente?
“No, direi di no, anche se è una credenza piuttosto comune. Il culto di Sonemara non è così severo come quello di Uldin” rispose lui, tranquillo.
Rimasero ad osservarsi per qualche attimo in silenzio.
“Qual è il vostro nome?”
“Ilenar. E il vostro?”
“Phelios”
“Beh allora, Phelios… grazie lo stesso dell’aiuto”
“Avrei voluto poter fare di più. Anzi, aspettate…”
Ilenar lo guardò mentre estraeva qualcosa da una delle sue tasche.
Scoprì che era una semplice collanina votiva d’argento. Aveva un pendente raffigurante il volto sereno della Dea, con i tipici capelli fiammeggianti rivolti verso l’alto.
“Che Sonemara possa aiutarvi nella ricerca”
“Certo che siete proprio un tipo strano… perché dovrebbe aiutare me, se sceglie di sua spontanea volontà chi favorire?”
“Ve l’ho già detto, Ilenar. Sonemara apprezza la bellezza” le disse, facendole l’occhiolino.
E detto questo se ne andò, lasciandola imbambolata a guardare il ciondolo sul proprio palmo aperto.

 
 
 
* * *

Quello strano incontro riuscì a risollevarle un po’ il morale, anche se il resto della giornata trascorse in fretta, senza novità.
Bergon non si preoccupò molto quando apprese del suo fallimento, anzi le annunciò che si era liberato prima del previsto, e che quindi avrebbe potuto contribuire attivamente alle ricerche.
Fecero rapidamente il punto della situazione e stabilirono le loro successive mosse.
Scelsero di dividersi alcune zone della città da setacciare e così, a partire dal giorno seguente, si misero alla ricerca di Robyn, ognuno sperando di beccarlo prima dell’altro. Tuttavia, la fortuna sembrava non girare dalla loro parte. 
Perlustrarono le taverne, gli ostelli e le piazze senza riuscire a cavare un ragno dal buco. Spinti dalla frustrazione, iniziarono a prendere in considerazione perfino i bordelli, anche se l’idea faceva venire il voltastomaco a Ilenar.
“Da quando in qua sei diventata così pudica? Mi ricordo che quando eravamo bambini eri tu a corteggiare i maschietti! E poi, una notte di piacere per poche monete d’argento non è uno scandalo, al giorno d’oggi… senza contare che ci lavorano anche diversi uomini…”
“Lo so benissimo, grazie! Nonostante tu creda il contrario, sappi che io NON ho bisogno di pagare per convincere un uomo a venire a letto con me…”
“Già, scusami, mi ero proprio scordato che tramortisci le tue vittime, prima di approfittarne!” sputò lui, scoppiando a ridere.
Ilenar arrossì e strinse i pugni, prima di rifilarne uno dritto nell’occhio di suo cugino. 
“Ouch!” boccheggiò lui, prima di alleviare il dolore con un leggero incanto di guarigione. Con delicatezza, si passò la mano sulla lesione sussurrando parole che Ilenar non riuscì ad udire, e pochi secondi più tardi il rossore sembrò ritrarsi nella pelle, quasi che l’occhio stesso si fosse rigenerato a una velocità tripla rispetto a quella normale.
“Uuuh… allora non stavi mentendo. Sei davvero un mago” replicò Ilenar, sbalordita da quel semplice incantesimo.
“Proprio così. Ti sarei grato però se non mi facessi sprecare tutti gli incanti curativi in questo modo poco appropriato” borbottò lui guardandola di sbieco.
Alla fine se la giocarono ai dadi, e Bergon fu ben felice di perdere per andare così a fare una capatina nelle case di piacere. Ilenar invece ricontrollò un’ultima volta il viale principale, ormai pieno di musicisti impazienti di mostrare le loro doti alla regina Arissa. 
Anche questi ultimi tentativi di rintracciare il loro obiettivo fallirono però miseramente, e così si ritrovarono a tornare alla locanda con la coda tra le gambe, un giorno prima del grande evento.
“Potrebbe anche non essere ancora arrivato in città, per quel che ne sappiamo. Nemmeno il tuo pennuto l’ha visto, o sbaglio?” chiese Ilenar sconsolata.
“No, purtroppo Enros è già anziano e la sua vista non è più quella di una volta” rispose lui carezzando il volatile, che becchettava tranquillo dalla sua vaschetta.
“Non ti preoccupare, sono certo che lo troveremo al torneo… inoltre, ho un piano di riserva” le confidò, facendole l’occhiolino.
“E sarebbe?”
Ilenar era poco convinta, e non riuscì a trattenere una smorfia scettica quando lui estrasse dalla tasca un anellino dorato grande abbastanza per il suo mignolo.
“E cosa ci dovrei fare con questo? Appendermelo al collo e correre a gettarlo nella bocca di un vulcano?” lo derise lei, riprendendo le parole della famosa Ballata della Terra Perduta.
“No, ma forse ci sei andata vicino” ridacchiò Bergon, che ben conosceva quella storia.
“Devo davvero gettarlo in un vulcano?” 
Ilenar aveva un’espressione talmente idiota in faccia che Bergon non riuscì ad impedirsi di ridere.
“Hahaha, certo che no! Ora vuoi ascoltarmi, per favore?”
Ilenar si zittì e non aprì bocca nemmeno per un istante mentre Bergon le spiegava attentamente il piano.
Alla fine, si meravigliò di quanto risultasse semplice eppure efficace.
“E perché non me l’hai detto prima, razza di briccone! Questo ci semplifica di molto le cose!” esclamò allegra.
“Era un piano di riserva, da usare solo in casi d’emergenza. Non pensavo ti entusiasmasse tanto” sorrise lui, complice.
La maggior parte del lavoro avrebbe dovuto farlo lei, come al solito, ma la cosa non la disturbava affatto, anzi già non vedeva l’ora di passare all’azione!
Quella sera lucidò un paio di pugnali da lancio, la sua inseparabile spada corta e, per l’occasione, decise di indossare un completo di cuoio con cui sarebbe riuscita a intrufolarsi all’interno dell’anfiteatro senza fare il minimo rumore. 
Era tutto pronto ormai.
Passeggiando per la stanza in preda all’agitazione, si soffermò un secondo davanti allo specchio. 
La collanina d’argento che Phelios le aveva regalato sporgeva da sotto il suo completo, risaltando piacevolmente sulla sua pelle abbronzata. 
La guardò per un attimo e, anche se non aveva mai creduto nell’esistenza di un Dio o di una Dea, si ritrovò a sperare che le portasse fortuna.
Chissà poi se l’avrebbe rivisto…
Ilenar quasi dormì vestita quella notte, e quando fu il momento, si precipitò giù dalle scale della locanda, pronta finalmente per compiere la sua vendetta.
Anche Bergon sembrava impaziente quanto lei e, ripassati gli ultimi dettagli del piano, si confusero presto nella marea di gente allegra e festosa diretta all’arena.
Gnomi e bambini umani correvano dappertutto alzando in aria aquiloni colorati, mentre donne e uomini chiacchieravano tra loro, lanciando coriandoli e intonando canti festosi.
Non appena furono giunti nei pressi della piazza principale, addobbata con stendardi bianchi, rossi e dorati, i due cugini si affrettarono a separarsi dal resto della marmaglia, per raggiungere un angolo isolato.
“Ti aspetterò sotto i portici qui a fianco. Non dovrebbe essere troppo lontano, per te” disse Bergon indicando un vicolo abbastanza appartato rispetto all’anfiteatro, dove di sicuro sarebbero riusciti a passare inosservati.
Ilenar annuì, infilandosi l’anello al mignolo. 
Subito si sentì avvolta da una specie di campo di forza, e osservò compiaciuta… di non vedersi più!
Con quel trucco, aggirare i controlli sarebbe stato facile come bere un bicchier d’acqua.
Senza perdere tempo si arrampicò agevolmente oltre le cancellate metalliche.
Superò il primo posto di blocco passando tranquilla sotto il naso delle guardie, per inoltrarsi poi in uno dei corridoi laterali all’interno dell’edificio.
La costruzione era assai imponente, e più che ad un teatro, Ilenar pensò che somigliava quasi ad una cattedrale. 
Le volte ad arco nanico davano un’aria di maestosità all’intero ambiente, accentuata anche dagli affreschi dipinti a colori vivaci raffiguranti le più famose storie popolari di Korellia.
Il corridoio terminava poi in un architrave in pietra nera, tramite il quale si accedeva ad una grande sala semicircolare piena zeppa di costumi di scena, strumenti musicali e scenografie. Questa era animata dalle voci di decine di artisti, alcuni dei quali se ne stavano in disparte a chiacchierare tra loro, altri invece stavano ripassando la successione delle esibizioni.
I suoi occhi presero a scrutare instancabilmente i volti dei presenti finché, con un tuffo al cuore, si fermarono sul volto che così a lungo aveva cercato. 
Robyn era lì, a pochi passi da lei, intento a flirtare con una ragazza dai lunghi capelli biondi e un seno prosperoso. 
Era giunta la resa dei conti.
Nonostante la rabbia che sentì improvvisamente farsi largo in lei, non riuscì a fare a meno di provare un senso di vuota tristezza, ripensando a tutto ciò che c’era stato tra loro. Proprio in quel momento lo vide sfiorare il braccio della compagna con malizia, per poi cingerle la vita e incatenarla in uno di quei baci appassionati che tante volte aveva dedicato a lei.
Ilenar serrò la mano sull’impugnatura della spada, lottando violentemente contro il desiderio di picchiarlo con tutta la forza che aveva in corpo. 
Poi, il suo temperamento ebbe la meglio, e di colpo gettò all’aria tutto ciò che avevano programmato. Si tolse l’anello e se lo ficcò in tasca, dirigendosi poi a grandi falcate verso di lui.
Quando Robyn si accorse della sua presenza, immediatamente le rivolse un sorriso di scherno, che la fece infuriare ancora di più. La sua mano a quel punto sembrò animarsi di vita propria, e così scoccò una sonora sberla sulla guancia del traditore.
“Ehi! Come ti permetti razza di…” esclamò la biondina inferocita, prima di ammutolire, gelata da un’occhiata della guerriera.
“Tu zitta, sottospecie di pagliaio ambulante dalle tette d’oro. Io e lui abbiamo un conto in sospeso, per cui, se non ti dispiace, te lo ruberò per qualche secondo”
Dopo essersi massaggiato la guancia, Robyn la osservò cauto, come per decidere la sua prossima mossa. Accennò infine un inchino nei confronti dell’ex compagna.
“Chi non muore si rivede” commentò lui, riservandole un sorriso ironico.
“Seguimi, io e te dobbiamo parlare” gli ordinò secca, prima di prendere e trascinarlo in uno dei molti corridoi laterali.
“Sempre i soliti modi da troll delle caverne, vedo. Forse dovresti farti un esame della coscienza se vuoi capire perché ti ho lasciata, Ilenar”
Per tutta risposta lei serrò di più la presa e lo gettò di peso nella prima stanzetta vuota che trovò.
Lui si rialzò senza colpo ferire.
“Allora… eccoci di nuovo qui” riprese lui, incalzandola. “In effetti, stavo cominciando a domandarmi quando saresti ricomparsa. E’ commovente che tu sia venuta fino ad Amaltea per riconquistare il mio amore, però ormai sono già occupato, come vedi. Oppure ti sei già consolata con il primo babbeo che hai trovato?” 
Il volto di lei divenne paonazzo.
Estrasse fulminea la spada e gliela puntò con decisione al petto.
“Ti conviene chiudere quel becco insolente, se non vuoi che siano i corvi a suonare le tue ultime canzoni al posto tuo. Inoltre, dubito che il pubblico qui presente noterebbe la tua assenza, visto che l’unico talento che hai è quello di sedurre le donne per poi abbandonarle”
“Almeno io ne ho uno. Allora, vuoi continuare a minacciarmi tutto il giorno o ti decidi a dirmi cosa vuoi? Sai, dovrei cominciare a prepararmi per l’esibizione”
“Nemmeno io ho tempo da perdere. Se sono venuta fin qui, è solo perché ci terrei a presentarti ad un certo mago al quale devi aver accidentalmente rubato qualcosa”
Robyn impallidì. 
“Stai scherzando, vero?”
Ilenar sorrise e negò con decisione, compiaciuta di averlo intimorito.
Non si scherzava con un mago dell’ordine di Oris, nient’affatto.
Lo vide trattenere il fiato.
“Sai, ho promesso che ti avrei consegnato a lui… ma sono disposta a fare uno strappo alla regola, se vorrai consegnarmi il medaglione, più tutto l’oro che hai in tasca. E la spada che ti ho regalato quando eravamo a Ladinas. Oh, dimenticavo, ovviamente voglio sentirti chiedere perdono in ginocchio, e dovrai anche consegnarmi immediatamente tutti i tuoi vestiti. Voglio vederti andare in giro nudo, come il verme che sei” gli disse senza mezzi termini.
“Razza di sanguisuga! Se pensi che io…”
Ilenar aumentò di un poco la pressione della spada sul suo petto.
“Ah-ha. Prendere o lasciare”
Robyn si passò nervosamente una mano tra i capelli color del fuoco, indeciso.
“Accetto” mugugnò, consegnandole intanto tutto il denaro che possedeva, la spada e il talismano.
Ilenar si soffermò un attimo ad osservare quest’ultimo.
Era d’argento, e sembrava quasi risplendere di una luce propria… al centro, vi era scolpito un drago sdraiato sopra una pila di teschi, e reggeva tra gli artigli una sfera infuocata.
“Davvero complimenti, Ilenar. Non pensavo lavorassi per i Seguaci della Notte. Avrei portato quell’oggetto al tempio subito dopo il torneo, ma mi hai preceduto”
Lei alzò lo sguardo, confusa.
“Ma che stai dicendo, idiota? Non è affatto…”
“Così?” tuonò una voce sarcastica alle loro spalle.
Bergon era appena apparso dietro di loro, e i suoi lineamenti erano contratti in una smorfia di oscuro compiacimento che Ilenar non era abituata a conoscere. 
Prima che lei potesse impedirlo, il medaglione schizzò come una scheggia tra le mani del mago. L’espressione folle che gli illuminò il volto non le lasciò più alcun dubbio.
“Bergon! Tu… dimmi che è uno scherzo”
“Ora, è tempo di sistemare questa faccenda”
Improvvisamente, il volto di Robyn divenne una maschera di puro terrore e, lanciando un grido strozzato, crollò al suolo esanime.
Un brivido ghiacciato percorse la schiena di Ilenar, schiacciandone il respiro all’interno dei polmoni. Robyn era morto.
“Robyn!” urlò lei, in preda a uno smarrimento che non aveva mai provato prima.
“Adesso tocca a te” esclamò Bergon con voce tagliente.
L’orrore e lo sdegno inondarono il cuore di Ilenar come un gelido torrente di montagna. Se aveva ancora qualche dubbio circa le intenzioni di suo cugino, quest’ultima frase li cancellò definitivamente.
Le sue mani scattarono rapide alla cintura, più veloci del pensiero.
Scagliò uno dei suoi pugnali verso Bergon, colpendolo ad un braccio.
“La pagherai cara, verme assassino!” tuonò poi, gettandosi alla carica. 
L’urlo di dolore di Bergon fu sostituito in un secondo da un’espressione di puro odio. 
Con uno sforzo, tese il braccio dolorante in avanti.
Fu come se l’oscurità stessa fosse calata sui suoi occhi… ma fu solo un attimo e, d’improvviso, una luce risanatrice si fece largo nella sua mente, ridonandole la vista appena perduta.
“Che cosa??” esclamò Bergon, furente. 
Qualcosa l’aveva salvata. 
Ilenar non aveva tempo però per pensare, e con tutta la forza che aveva in corpo si scagliò di nuovo contro il suo nemico.
Il sangue le circolava nelle vene come impazzito, travolto da una scarica di adrenalina. 
Che ne era stato, di suo cugino? Chi era l’essere dallo sguardo diabolico e privo di ogni umanità che ora le si era parato davanti?
Fu questione di un attimo: stavolta fu lui ad essere più svelto, e rotolò di lato giusto un attimo prima di essere colpito all’addome.
“Muori, Ilenar!”
Nessuno scudo, nulla riuscì a difenderla stavolta, e mentre lui artigliava l’aria con i polpastrelli, squarci profondi le si aprirono istantaneamente su tutto il corpo, strappandole le carni e la voce in un urlo terribile. 
Trafitta da lame invisibili, Ilenar cadde a terra tra i singhiozzi, coperta di sangue. 
Non riusciva a muoversi… sentiva che le forze le stavano scivolando via assieme alla vita… era giunta la fine?
“Peccato che non ti vedrò esalare l’ultimo respiro, mia stolta cugina. Purtroppo ho un impegno urgente che mi attende a Zefiria e non ho più tempo da dedicarti. Buona dipartita” le sussurrò lui, non riuscendo a reprimere una risata mentre spariva alla vista del mondo, in una nuvola di fumo.
Dopo quelli che le sembrarono attimi interminabili, sentì i passi pesanti di uomini in armatura correre verso di lei, seguiti da altri più leggeri.
Lottando per respirare, Ilenar strinse a sé il ciondolo di Sonemara, pregando per trovare la forza di rialzarsi. Sola, disperata, pensò all’unica persona a cui avrebbe mai potuto chiedere aiuto in quella città.
“Phelios…” sussurrò, prima di piombare nella più totale incoscienza.

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Capitolo 3
*** Verso nuovi orizzonti ***


Cap. III - Verso nuovi orizzonti


Per primo, fu il suono sereno del silenzio a riscuoterla.
Per secondo, un buon profumo di pulito. Poi, il tocco gentile di una carezza.
Lentamente, Ilenar riaprì gli occhi, trovandosi davanti la figura, sfocata e poi via via sempre più nitida, di una sacerdotessa dai lunghi capelli scuri e il volto paffuto.
Questa quasi trattenne il respiro, prima di sorriderle con gioia.
“Ben svegliata” la accolse con un sussurro, prima di affrettarsi a darle da bere e farle mangiare lentamente qualche pezzo di mollica, tenendole il capo. 
Come provò a mettersi seduta, fitte di dolore acuto le contrassero i muscoli in spasmi involontari, facendola digrignare i denti.
“No, no! Non è ancora tempo di alzarsi. Devi stare in assoluto riposo!” la riprese la sacerdotessa, come fosse una bambina piccola.
Guardandosi attorno, Ilenar capì di essere nel tempio di Sonemara.
La stanza in cui si trovava era ampia e molto luminosa: le pareti erano di pietra bianca, lucide come specchi, mentre l’arredamento era essenziale. Divideva quello spazio con altri due pazienti già avanti con gli anni, che si facevano i fatti propri.
“Come…?” azzardò, ma scoprì che anche parlare le risultava faticoso.
“Niente domande, per ora” tagliò corto lei, andandosene subito dopo, non prima però di averle annunciato che a breve sarebbe tornata per portarle qualche altra cosa da bere.
Non appena fu sola, Ilenar osservò meglio la stanza, e i suoi occhi si posarono distrattamente su un piccolo tavolino accanto al suo letto.
Su di esso, era poggiato il ciondolo votivo che Phelios le aveva regalato.
Stranamente, si sentì sollevata nel vederlo lì accanto a lei, e lo indossò nuovamente, prima di cadere in un sonno profondo.
Rivide Phelios proprio il giorno successivo.
Fino a quel momento aveva cercato, come le aveva detto Elanai, questo era il nome della donna, di riposare il più possibile ma, non appena lui entrò nella stanza, qualcosa in lei si ruppe e gli occhi le si riempirono di lacrime.
Improvvisamente, immagini sconnesse le apparvero nella mente, e ricordò.
“Lui… lui l’ha ucciso e io… non ho fatto nulla… io… è colpa mia se…”
Provò a lottare contro il dolore e il rimorso che provava, ma nulla sembrava poter arrestare il pianto. 
Gli occhi di lui erano colmi di pietà. Vergognandosi, chiuse le palpebre e voltò il capo verso il muro, per nascondersi dal suo giudizio e dalla compassione.
Non aveva nessun bisogno di essere compatita. Poteva davvero considerarsi ancora una guerriera? Era stata un’inetta e un’incapace…
“Non parlare, sei ancora troppo debole… devi riposare. Cerca di dormire ancora un po’”
“Non mi interessa” biascicò lei.
“Fa’ come ti dico. Vado a preparare subito dell’altro unguento, ma fino ad allora cerca di non pensarci, anche se so che può essere difficile in questo momento…”
Sempre rivolta verso il muro, Ilenar chiuse gli occhi e lentamente anche il suo respiro si calmò. 
Non sentì Phelios uscire dalla stanza, ma il dolore, fisico e non, le impedirono di riposare abbastanza. Poi finalmente Elanai venne a portarle un infuso di lapiskali, che la fece scivolare in un sonno profondo.
Al suo risveglio, tuttavia, la sua mente veniva di nuovo intasata da mille domande.
Perché non aveva saputo difendere la vita di Robyn? Perché aveva accettato di collaborare con suo cugino? Eppure, in cuor suo aveva avuto il sentore che ci fosse qualcosa che non quadrava… non aver ascoltato il suo istinto, quello era stato il suo errore più grande.
Il senso di colpa, la vergogna per non essere riuscita a combattere Bergon e a difendere nemmeno sé stessa, la divoravano come un tarlo notte e giorno.
Era stata così sciocca…
Non aveva mai avuto intenzione di uccidere Robyn. Non avrebbe mai potuto…
Lei era una guerriera, non un’assassina senz’anima. Desiderava umiliarlo, schernirlo, ma non ucciderlo.
Elanai e Phelios vennero a trovarla frequentemente.
La donna, accompagnata spesso da altre infermiere, la medicava e la lavava ogni giorno con acqua vulcanica, mentre Phelios aveva preso l’abitudine di tenerle compagnia durante i pasti, nonostante se ne stessero in silenzio la maggior parte delle volte. Veniva a trovarla anche il pomeriggio, per spalmarle un unguento dal forte odore di erbe putrescenti, nei punti in cui le sue ferite facevano fatica a rimarginarsi.
Ilenar lo lasciava fare, evitando di guardarlo negli occhi.
Non riusciva a sopportare la pietà nel suo sguardo…
“Come va oggi? Meglio?” chiese lui improvvisamente, continuando a spalmare sulla sua coscia quell’intruglio umido.
“Un po’, grazie”
Cercò di rispondere freddamente. 
Lui sembrò non cogliere quella sua nota di distacco e continuò, imperterrito.
“Mi fa piacere. Senti ancora dolore al ventre?”
Lei per tutta risposta si alzò a sedere senza fatica.
“Ti ringrazio per le tue cure, anche se probabilmente avrei meritato di morire lì dov’ero” rispose lei, asciutta.
Era una semplice constatazione, anche se amara. 
Soltanto il più forte meritava di sopravvivere, e lei l’aveva imparato molto tempo fa. 
Avrebbe fatto meglio a non dimenticare più quella lezione…
Phelios si fermò, poi sospirò e la guardò con scetticismo.
“Perché dici questo? Te la senti di raccontarmi quello che è successo?”
Ilenar rimase in silenzio per un po’, indecisa.
Non voleva confidarsi con lui, ma non poteva continuare a tenere nascosto quello che Robyn le aveva detto poco prima di morire.
“Sono stata ingannata da un mago che mi aveva assoldata per recuperare un medaglione” sputò infine con voce atona. Descrisse accuratamente quello che ricordava sull’oggetto magico, soprattutto il fatto che sembrava quasi brillare di luce propria.
“Lui… aveva detto che, se non fosse stato per me, l’avrebbe portato subito al tempio, appena finito il torneo. Ha accennato vagamente alla setta dei Seguaci della Notte. Poi siamo stati attaccati alle spalle”
Phelios annuì, grave, prendendole poi una mano tra le sue.
Di nuovo, ebbe la strana sensazione che lui le fosse familiare. Così familiare che…
“Per caso, ti ricordi anche…”
“Non chiedermi altro, d’accordo? E smettila di tenermi per mano come se stessi per morire!” sbottò infine, distogliendo lo sguardo da lui. “Vattene, ne ho abbastanza delle tue premure e delle tue domande” aggiunse infine, sciogliendo la presa e dandogli le spalle.
Odiava essere debole… e il suo modo di fare la faceva sentire dannatamente fragile. Sarà stata quella sua tendenza ad ascoltare e compatire gli altri propria dei sacerdoti, ma in quel momento non riusciva proprio a sopportarlo.
“Come vuoi. Forse avrei dovuto aspettare a chiedertelo, mi spiace. Cerca di riposare” concluse lui andandosene.
Phelios non si fece più vedere nelle sue stanze, tanto che, passato qualche giorno, cominciò a pensare di essere stata fin troppo brusca con lui. 
Ilenar avrebbe voluto muoversi, alzarsi, fare qualsiasi cosa pur di non rimanere ancora a lungo inchiodata a letto a rimuginare su ciò che le era successo.
Avrebbe desiderato sfuggire a quei pensieri, ma Elanai fu tassativa in proposito, così fu costretta a rimanere a letto ancora qualche giorno.
Quel suo stato di apatia e frustrazione fu interrotto una sera, quando ricevette una visita inaspettata, all’incirca sul calar del sole.
Dopo che ebbero finito di medicarla, venne a trovarla un vecchio dai radi capelli bianchi, che gli avvolgevano la nuca come fossero una corona, e un naso piuttosto pronunciato. I suoi occhi grigi, sepolti sotto sopracciglia sporgenti e ancora folte, trasudavano saggezza e pace.
Il vecchio doveva essere un tipo a cui non piaceva perdere tempo, perché non si perse in inutili convenevoli.
“Mi hanno riferito che le tue ferite si sono rimarginate, ma che la luce nei tuoi occhi si sta spegnendo, e ciò è un male. Senza la guarigione dell’anima, non può esserci vera guarigione”
L’uomo parlava ancora con voce forte e sicura, nonostante l’avanzata età.
“Mi chiamo Thesarus, sono uno degli Anziani di questo sacro tempio, e sono qui perché ho una proposta da farti”
La osservò attentamente, aspettandosi una risposta. 
Ilenar annuì soltanto, facendogli segno di continuare.
“Il talismano che hai visto… se è vero ciò che hai raccontato a Phelios, sappi che quello in cui ti sei imbattuta è un potente artefatto dell’Ombra. Ve ne sono pochi in circolazione, tutti molto pericolosi e dotati di un potere magico difficilmente soggiogabile. Da giovane, ho avuto la sfortuna di posare gli occhi su uno di questi… e per poco non ne sono stato sopraffatto”
“Le anticipo già che se si aspetta che vada a recuperarlo per voi, non ne ho la minima intenzione. Ho chiuso con la magia”
Il vecchio sospirò.
“Non pretendo certo questo, però permettimi di esprimere ciò che penso”
Si prese una pausa per respirare profondamente e aspettare il via libera della ragazza.
“Visto ciò che ti è successo, credo che aiutarci a rintracciare quel mago potrebbe dare un senso al dolore che stai provando in questo momento. Di certo il tuo aiuto ci sarebbe prezioso. Non voglio che tu mi dia una risposta adesso, ma spero che ci rifletterai sopra. Che Sonemara ti porti presto la luce che cerchi”
Detto questo si congedò. Stava per uscire, quando si bloccò proprio mentre aveva la mano serrata sulla maniglia della porta.
“Ricordati, sei libera di prendere qualsiasi strada tu voglia”
La porta si richiuse poi dietro le spalle curve del saggio, lasciandola sola nel buio.
Qualsiasi strada.
Ilenar sospirò, lasciando sfuggire in un soffio l’ansia che la attanagliava.
Che cosa doveva fare? Partire di nuovo? Se sì, per dove? Sarebbe soltanto andata a farsi ammazzare per una causa che non le apparteneva?
Che Sonemara ti porti presto la luce…
La luce…
Da una delle tasche della sua veste, estrasse il ciondolo che le aveva regalato Phelios.
Possibile che fosse stato quello a salvarla dalla cecità durante il duello con Bergon?
Che fosse un segno?
Lei non aveva mai creduto agli Dei, perché non le sembrava giusto che un’entità soprannaturale si arrogasse il diritto di decidere il destino degli uomini. Era più logico pensare che fossero le singole persone a costruire la propria vita.
Lasciò scivolare dentro di sé le domande e i pensieri, assieme ai giorni, finché non riacquistò la piena forma fisica.
Elanai la accompagnò nei primi passi, che furono molto stentati a dir la verità, per cui in un primo momento si limitò ad andare avanti e indietro nella sua stanza. Dopo poche ore per fortuna, già riuscì a fare a meno dell’aiuto della sacerdotessa e camminare da sola. Quando finalmente riuscì a riacquistare sicurezza alle gambe, fu Phelios a presentarsi alla sua porta.
Ilenar fu sorpresa di vederlo ancora.
“Ben guarita” le si avvicinò lui, sorridendo. “Ti va una passeggiata?”
Accettò volentieri.
Non appena uscirono dall’area più modesta dell’ospitaleria, si imbatterono in una serie di stanze quadrate senza porte, tutte di marmo bianco, collegate tra loro attraverso brevi corridoi. 
Alcune erano adibite a piccole cappelle dedicate alle diverse forme della Dea, altre invece risultavano semplicemente vuote. I delicati raggi del sole filtravano da ampi lucernari posti sul soffitto, senza contare che in molte sale si aprivano numerose finestre che davano sui cortili esterni. Quel particolare gioco di luci e geometrie dava ad Ilenar l’impressione che l’intero edificio fosse un luogo sospeso nel tempo, ricco di luce a tutte le ore del giorno. Ogni chiostro era abbellito da file ordinate di faggi e ulivi, mentre piante di edera selvatica si arrampicavano pigramente sulle colonne degli archi dei portici.
Passeggiarono in silenzio per un po’, poi fu Ilenar a rompere il ghiaccio.
“Quanto tempo è passato?” 
“Due settimane esatte”
“Mi sono sembrati anni…”
Continuarono a camminare fino a raggiungere un passaggio.
Superarono una serie di archi ed iniziarono a salire una lunga scalinata che infine li portò verso l’alto, sulle prime pendici del monte, dove si apriva un sentiero a terrazze progressive costellato di statue della divinità, ulivi e vigneti nel pieno della loro fioritura.
“L’abbiamo sepolto nel cimitero sul lato orientale del Monte. Vuoi fargli visita?”
Ilenar provò un groppo allo stomaco. 
Phelios non era certo uno stupido… doveva aver intuito, dal poco che gli aveva raccontato, che la sua storia era molto più complicata di quanto aveva cercato di far credere. Ormai era inutile fingere.
“No. Quello che è passato è passato. Ora voglio guardare avanti”
“Hai pensato a quello che vuoi fare?”
“Non ancora. L’unica cosa che so, è che non ho più nulla che mi lega a questo posto, ormai, né avrebbe senso tornare da dove sono venuta” si ritrovò a pensare ad alta voce.
Phelios sorrise.
“Non è anche questa una risposta?”
Si fermarono sotto l’ombra di un faggio, sul ciglio del sentiero.
“Forse. Ma non credo di essere in grado di occuparmi di questa storia, vi sarei solo di peso”
“Io invece credo proprio il contrario” la incoraggiò lui.
Si interruppe un attimo, grattandosi il mento con fare pensoso, poi riprese il discorso.
“Sai, stamattina sono stato convocato dall’Anziano Thesarus, che mi ha affidato l’incarico di recuperare il medaglione. Se devo essere sincero, spero che deciderai di accompagnarmi” aggiunse, titubante.
Un piccolo sorriso increspò le labbra dell’avventuriera.
“Tu? Un sacerdote tutto libri e preghiera?”
“Si vede che non mi conosci. Ti dirò, non sono il tipo da stare inginocchiato tutto il giorno davanti a un altare”
“Non dirmi che sai combattere” lo provocò lei.
“Potrei sorprenderti, a dire il vero” disse lui, con un moto d’orgoglio nella voce. 
Si guardarono negli occhi, sorridendo nella luce del mezzogiorno, il vento che giocava tra i loro capelli.
“Allora è fatta” disse lei, finalmente.
“Veramente? E la tua indecisione?” domandò lui, divertito.
“Oh, al diavolo! Non ho più voglia di stare chiusa in quest’ospizio. Elanai sarebbe capace di legarmi al letto, pur di non farmi fare troppi sforzi! E poi, come ti ho già detto… non ho più motivo di restare, adesso. Tanto vale partire”
“Ne sono felice”
Chissà come, l’anziano sacerdote non sembrò affatto sorpreso della sua decisione, che definì il primo passo nella sua nuova vita.
“Bene. Sono certo che non deluderete la Dea” disse soltanto, prima di istruirli a dovere sui loro compiti.
Diede a ciascuno dei fondi iniziali per poter affrontare le prime spese del viaggio, assieme a molte, sfibranti raccomandazioni e alcune mappe aggiornate del continente. Aggiunse, con somma soddisfazione di Ilenar, anche due favolose spade di rasocrisio, e due armature miste di cuoio e acciaio.
Il giorno della partenza arrivò in fretta. Non appena si fece chiaro, Ilenar raggiunse Phelios nelle scuderie, dove lui l’aspettava con due leocorni palomini già sellati.
Notò che si era cambiato d’abito.
Ora non indossava più la tunica bianca tipica del suo ordine, bensì una larga camicia verde oliva e pantaloni in pelle chiara.
Lasciarono Amaltea proprio mentre il sole stava sorgendo.
Allontanandosi in direzione di Zefiria, Ilenar si voltò un attimo verso il Monte Athos.
“Ti manca?” chiese lui, preoccupato.
Lei lo guardò di rimando, un’ombra di tristezza nel suo sguardo. Non gli rispose.
“Che ne diresti di cominciare a mettere un bel po’ di polvere tra noi e questa città?” sorrise, facendo partire al galoppo il suo destriero. “Ci vediamo alla prima stazione!” gli gridò, scoppiando in una risata.
“Vigliacca… Così non vale! Ha!” spronò l’animale con i talloni, partendo al suo inseguimento.
Da oriente, il sole d’estate li osservò allontanarsi veloci sul sentiero di una nuova avventura, finché non scomparvero all’orizzonte. 







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Note dell'autrice:
Eccoci giunti al finale... :) Spero che la storia vi sia piaciuta, nonostante abbia lasciato un finale aperto a un possibile seguito. 
Grazie a chi ha letto fin qui e un grazie ancora a chi commenterà e vorrà aiutarmi a migliorare :)


 

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