Ti va di rischiare?

di Bijouttina
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Donne e motori, gioie e... ***
Capitolo 2: *** Un cappuccino per due ***
Capitolo 3: *** La temuta telefonata ***
Capitolo 4: *** Ansia da incontro ***
Capitolo 5: *** Aiuto, affogo! ***
Capitolo 6: *** Indagini poco velate ***
Capitolo 7: *** Lezione di nuoto ***
Capitolo 8: *** Alla disperata ricerca di un uomo ***
Capitolo 9: *** Flounder ***
Capitolo 10: *** Un pranzo da ricordare ***
Capitolo 11: *** La partita del cuore ***
Capitolo 12: *** Chi la fa, l'aspetti ***
Capitolo 13: *** Diablo ***
Capitolo 14: *** Che la nuova avventura abbia inizio! ***
Capitolo 15: *** Lui è un uomo morto! ***
Capitolo 16: *** Si può sempre contare sugli amici ***
Capitolo 17: *** Il pranzo della domenica ***
Capitolo 18: *** La scelta del vestito ***
Capitolo 19: *** Oggi mordo! ***
Capitolo 20: *** Serata tra amici ***
Capitolo 21: *** Una dolce domenica ***
Capitolo 22: *** Imprevisti del cuore ***
Capitolo 23: *** Croce e delizia ***
Capitolo 24: *** Che difficoltà sarà mai! ***
Capitolo 25: *** Aria di cambiamento ***
Capitolo 26: *** San Valentino in anticipo ***
Capitolo 27: *** Un Natale con i fiocchi ***
Capitolo 28: *** Capodanno da favola ***
Capitolo 29: *** Decisione importante ***
Capitolo 30: *** Non si invecchia, si diventa solo più saggi! ***
Capitolo 31: *** Buone nuove? ***
Capitolo 32: *** Le notizie corrono veloci ***
Capitolo 33: *** Primi cambiamenti ***
Capitolo 34: *** Un finale inaspettato ***



Capitolo 1
*** Donne e motori, gioie e... ***


Eccomi tornata con questa nuova storia. Un’altra romantica, sapete che non ne posso fare a meno. Dovete ringraziare Iladempsey se mi sono addentrata in questa nuova avventura. Io volevo spunti per una nuova OS, lei invece mi ha portato sulla cattiva strada e convinto a scrivere una long. E così è nata “Ti va di rischiare?”. Lei ha dato il suo benestare, leggendo man mano quello che scrivevo. Mi ha aiutato con i nomi, con la trama generale, mi ha spronato (anche usando termini poco lusinghieri), mi ha anche bacchettato quando battevo la fiacca. Ila, ti ringrazio tantissimo, senza il tuo aiuto questa storia non avrebbe preso vita. La dedico tutta a te ♥
Detto questo, spero vi possa far divertire, emozionare, qualsiasi cosa :)
Buona lettura e spero di sentirvi per sapere che cosa ne pensate.

 



1. Donne e motori, gioie e...
È stata una mattinata pesante e non vedo l'ora di tornarmene a casa. Manca ancora un'ora alla fine del mio turno, devo cercare di sopravvivere. Mi nascondo vicino al camerino e sistemo dei borsoni sportivi appena arrivati, meno gente mi nota, meglio sto. Ho avuto a che fare con clienti piuttosto esigenti oggi e non ne posso davvero più, la testa mi sta per scoppiare, ne sono certa. Chiudo gli occhi e respiro a fondo, mi massaggio le tempie con movimenti lenti e circolari. Devo ammettere che è un gran sollievo, o almeno lo era finché non arriva Luca a perforarmi un timpano.
«Tesoro mio, stai bene?», cinguetta il mio migliore amico. «Un'altra delle tue emicranie?».
Annuisco.
«Sì, tanto per cambiare. Il volume esagerato della musica non mi è di grande aiuto.», brontolo ancora con gli occhi chiusi.
«Se vuoi, vado a spaccare lo stereo, sai che per te lo farei.», sussurra con aria da cospiratore.
Mi decido finalmente a guardarlo e scoppio a ridere, le sue espressioni sono meravigliose, è un attore nato.
«Non serve, Luca, ma grazie per il pensiero.», gli accarezzo un braccio con affetto.
«Comunque se ti dovesse servire, mi trovi nel reparto racchette da tennis.», mi strizza l'occhio e si allontana sorridendo.
Scuoto la testa, divertita. Luca è il mio migliore amico da sempre ed è grazie a lui se ho trovato lavoro in questo negozio di articoli sportivi. Ero stata licenziata da poco e avevo urgente bisogno di uno stipendio, non sarei riuscita a pagare l'affitto e sarebbe stato anche peggio se mi avessero cacciato da casa. Fortunatamente è arrivato super Luca in mio soccorso ed eccoci qua a lavorare insieme, da ben due anni ormai. Non è il lavoro dei miei sogni, ma mi permette di pagare le bollette.
Osservo il mio amico consigliare una racchetta a un ragazzo piuttosto carino, alto, capelli biondi scompigliati, super abbronzato; credo passi moltissime ore all'aria aperta a giocare a tennis. Sospiro. Non esco con un uomo da qualche mese ormai, mi sto quasi rassegnando a rimanere sola. Ho detto quasi. Non sono alla disperata ricerca di qualcuno con cui accasarmi, mi basta qualcuno con cui divertirmi anche solo un po', giusto per avere un po' di compagnia. La mia vita sociale non è delle più attive, lo ammetto. Ho la mia cerchia di amici, ma ci divertiamo davvero molto a trascorrere le nostre serate libere a casa di Luca, a fare scorpacciate di film, preferibilmente romantici e strappalacrime, accompagnati da montagne di pop corn. In questo modo non incontrerò mai un uomo, forse dovrei andare a sbatterci contro.
Guardo l'orologio con crescente ansia, aspetto che la lancetta dei minuti raggiunga le due in punto e, quando questo avviene, corro nel retro come una pazza; recupero le mie cose, bacio Luca sulla guancia e scappo più veloce di un centometrista. Ho dovuto scartare un paio di ragazzi ben piantati che erano bloccati lungo la corsia dedicata al nuoto, ma alla fine riesco finalmente a raggiungere la porta d'uscita. Si apre automaticamente per lasciarmi passare, respiro a fondo il profumo della libertà. Sembro esagerata, lo so, ma oggi proprio non sarei resistita altri cinque minuti. Devo correre a casa a prendere le gocce per l'emicrania, mi martella la metà destra e non riesco più nemmeno a ragionare. Ho bisogno di chiudere gli occhi e rilassarmi un po', in totale silenzio.
Stasera c'è la nostra maratona cinematografica, come ogni venerdì e devo essere in forma. Non mi va di essere l'unica a non essere presente e, poi, tocca a me scegliere il film questa settimana. Al solo pensiero mi si dipinge un sorriso sulle labbra.
Frugo nella borsa in cerca delle chiavi della macchina, sono finite chissà come sotto strati e strati di oggetti inutili, come tutte le volte.
Salgo in fretta e lancio la borsa sul sedile del passeggero, rovesciando metà del contenuto sul tappetino. Che brutto vizio quello di lasciarla costantemente aperta! Mi abbasso a raccogliere il mio danno e, nel tornare in posizione, sbatto la testa sullo specchietto retrovisore. Andiamo di bene in meglio. Può andare storto ancora qualcosa? Ingrano la retro ed esco, mi rendo conto troppo tardi di aver stretto troppo l'angolo, sfiorando la macchina sportiva che era parcheggiata accanto alla mia. Sento rumore di vetri rotti. Cazzo! Sì, può certamente andare storto ancora qualcosa.
Scendo con le mani tra i capelli, maledicendomi con epiteti poco lusinghieri, degni di uno scaricatore di porto. Il mio fanale sinistro è andato in mille pezzi, sicuramente era quello il rumore che avevo sentito. Controllo la macchina accanto e noto un piccolo graffio sulla fiancata. È quasi invisibile, ma dubito che al proprietario passerebbe inosservato. E ora? Non vorrei fare la figura di quella che se la dà a gambe dopo aver commesso una stupidaggine. Lavoro qui e potrebbe ricordarsi del rottame che era parcheggiato accanto alla sua lucidissima sportiva nera. Pensa, Serena, pensa.
Decido di fare l'automobilista modello, per recuperare la figuraccia appena fatta.
Prendo un biglietto da visita del negozio dalla borsa e scrivo un messaggio sul retro.
 
Scusi, ho urtato per sbaglio la sua auto. Ripagherò i danni. Mi chiami a questo numero
345555635478. Mi scusi ancora. Serena
 
Metto il bigliettino sotto il tergicristallo posteriore e sospiro. Spero con tutto il cuore che non mi costi un occhio della testa.
Salgo nuovamente in macchina e m’immetto lungo la tangenziale. Il negozio in cui lavoro si trova all'interno di un villaggio dello shopping, tanti negozi di vario genere, e sempre piuttosto affollato. Fortunatamente ci metto solo una decina di minuti per raggiungerlo. Una volta in casa, lancio la borsa sul divano, facendola volare e finire a testa in giù. Prendo immediatamente le mie gocce, per poi fiondarmi sotto la doccia.
Lavo via la brutta esperienza, ci mancava solo che andassi a sbattere contro una macchina facendo manovra, sono anche larghi quei posteggi! Abbasso l'erogatore, finché l'acqua non diventa gelida. Emetto un gridolino isterico, ma mi adatto in fretta alla nuova temperatura, ne avevo bisogno.
Mi asciugo in fretta e indosso un vestitino senza maniche di un bel turchese, ci sono quasi trenta gradi fuori e qui non ho certamente l'aria condizionata. In estate preferisco di gran lunga rimanere in negozio, almeno lì dentro si respira.
Chiudo i battenti in camera, rimanendo completamente al buio. Mi sdraio sul letto, coprendomi gli occhi con una mano, la testa continua a martellare, anche se si sta attenuando. Credo di essermi addormentata, vengo svegliata dalla suoneria del mio cellulare che ho lasciato nella borsa. Controllo l'ora sul comodino, le sette. Cavolo, sono in ritardo! A quest'ora dovevo già essere da Luca. Mi alzo di scatto, inciampo sul tappeto e mi aggrappo alla porta per non cadere. Ci mancano solo dei lividi bluastri per concludere in bellezza la giornata.
Controllo il telefono ed era Luca, non avevo alcun dubbio a riguardo. Gli mando un messaggio per rassicurarlo che entro cinque minuti sarei stata da lui.
Mi risponde un secondo dopo con un gentilissimo Muovi il culo!
Tipicamente da lui.
Ci metto sul serio cinque minuti a raggiungerlo, mi aspetta appoggiato allo stipite della porta a braccia conserte e gli occhi ridotti a due fessure.
«Per colpa tua mangeremo la pizza fredda.», mi punta il dito contro, come se non avessi capito che era soltanto colpa mia.
«Potevate iniziare senza di me.», cerco di difendermi debolmente.
«No, mai, sai che dobbiamo essere presenti tutti e quattro!», mi ricorda.
Spio al di sopra della sua spalla e becco Stella con una fetta di pizza in mano, se la sta portando velocemente alla bocca.
«C'è qualcuno che non la pensa come te.», indico con un cenno del capo le nostre amiche piazzate comodamente sul divano.
Lui si gira di scatto e corre verso di lei. Ho paura che le strappi la pizza e le colpisca la mano, per insegnarle che certe cose non si fanno.
«Hey! Giù quelle manacce!», tuona infastidito.
«Se vuoi la sputo.», lo minaccia lei spalancando disgustosamente la bocca.
«Ma che schifo! Non ti vergogni? Per forza non hai ancora trovato un uomo!».
Stella scrolla le spalle con un sorriso e manda giù il boccone. Marica al suo fianco ride come una pazza. Mi chiudo la porta alle spalle e mi tuffo in mezzo a loro, rubo una fetta di pizza dal cartone, Marica mi segue a ruota. Sembriamo tre criceti che si stanno ingozzando.
«Ragazze, siete disgustose!», commenta Luca con espressione schifata.
Si serve anche lui e comincia a rilassarsi, sta sorridendo ora. Finiamo la pizza in silenzio, godendocela fino all'ultima briciola.
«Volete sapere che cosa ho combinato oggi?».
Devo sfogarmi con qualcuno e so che i miei amici muoiono dalla voglia di sentire queste mie storielle, ne ho almeno una la settimana, per loro immensa gioia.
Mi fissano tutti con immensa curiosità.
«Ti sembrano domande da fare?», commenta Marica. «Sputa il rospo.».
«Sai che vogliamo conoscere tutti i tuoi torbidi segreti.», aggiunge Luca, ammiccando.
Stella si limita a mettersi comoda sul divano e a fissarmi in trepidante attesa. Mi sto scavando la fossa da sola, ma ormai è troppo tardi per tirarmi indietro.
«Beh, quando sono uscita dal lavoro oggi, ho rifatto la fiancata alla macchina che era accanto alla mia facendo manovra.», comincio storcendo il naso.
«Vorresti dire che hai bozzato una macchina uscendo da quei parcheggi larghissimi?», Marica inarca un sopracciglio.
«Una classica manovra da donna.», sbotta Luca ridendo come uno scemo.
Noi tre ci sentiamo prese in causa e gli scocchiamo un'occhiataccia.
«È inutile che mi guardiate in quel modo, sapete benissimo che è la pura e semplice verità. Non potete negare l'evidenza.», continua senza alcuna esitazione.
«Parla l'automobilista modello! Mio nonno guida meglio di te. Manca poco che tu faccia i trenta in autostrada.», lo prende in giro Stella.
«La mia è solo prudenza!», sputa lui offeso.
«Sì, come no!», urliamo tutte e tre in coro.
«Non ero io il protagonista della conversazione, è inutile tergiversare, non ho ancora finito con te.», mi punta un dito contro, minaccioso. «Sei scappata?».
Scuoto la testa. Mi sto pentendo di aver cominciando questo racconto.
«Ho lasciato un biglietto, offrendomi di pagare i danni. Spero tanto che non mi contatti nessuno, quella macchina è un po' troppo costosa per le mie possibilità. Posso dirvi che era solo un graffietto e non si vede nemmeno.», borbotto.
«Che macchina era?», chiede Marica.
«Una sportiva nera, nuovissima e lucidissima.», rispondo con una smorfia.
«I casi sono due.», spiega Luca. «O il proprietario è una donna, con un marito con i soldi che gli escono dalle orecchie, o è un uomo giovane e benestante.».
«Quindi?», lo guardo dubbiosa.
«Se fosse donna, non ti chiamerà mai e farà finta di niente, ma se fosse il giovane uomo, ti chiamerà certamente.», dice sicuro di sé.
Okay, ora sono un po' confusa, ma non sono la sola, Stella e Monica hanno la mia stessa espressione perplessa.
«Perché dovrebbe chiamarmi certamente?», domando rompendo per prima quel silenzio.
«Per uno di questi due motivi.», comincia con aria teatrale.
Solleva il pollice e aggiunge: «Uno, è un uomo e gli hai rovinato il suo gioiellino. Cazzo, Serena, ti mangerà viva!».
Bene, dopo questa sua affermazione, mi sta salendo l'ansia a livelli esagerati.
Solleva anche l'indice e conclude: «Due, è un uomo. Punto.».
«Che cosa vorresti insinuare?», farfuglio senza capire dove voglia parare.
«Che spera tu sia gnocca e ci proverà con te.», si stringe nelle spalle.
Scoppio a ridere.
«Tu sei completamente fuori di testa.», gli lancio addosso un cuscino e lo centro in pieno viso.
«Io sono sicuro che sia un uomo, scommessina?», domanda con un sorriso malizioso sulle labbra.
«Va bene, che cosa vuoi?», acconsento alla fine.
«Ci pagherai una cena a base di pesce, il posto lo sceglierò io ovviamente.».
«E uscirai con lui se te lo dovesse chiedere, anche se fosse un vecchio bavoso in cerca di una giovane amante.», s'intromette Stella.
«Va bene la cena, ma l'uscita con un vecchio rincretinito no!», sbotto acida.
«Hai scommesso!», infierisce Marica.
«Okay, va bene, uscirò con lui! Ora, però, metti su quel dannato film! Comincio ad averne abbastanza di voi stasera.», incrocio le braccia al petto e sbuffo sonoramente.
È soltanto colpa mia, mi sono messa nei pasticci da sola e ora devo pagare le conseguenze se ricevo quella dannata telefonata. Comincerò a pregare che la proprietaria fosse una donna, mi risparmierei un sacco di grane. Ho come la sensazione che non sarò così fortunata, e questo mi preoccupa non poco. E se fosse davvero un vecchio bavoso in cerca di compagnia? Un moto di disgusto mi sale fino in gola, rabbrividisco al solo pensiero. Non posso far altro che incrociare le dita, comprese quelle dei piedi, non si sa mai.

 
***
 
Devo passare a prendere Lorenzo all'una e mezza quando va in pausa pranzo, vuole trascinarmi all'outlet per prendersi un costume nuovo da usare in piscina. Non capisco perché dobbiamo proprio andare là, ma non mi sono opposto, gli dovevo un favore. Inoltre, vuole a tutti i costi essere il primo a salire sulla mia nuova auto sportiva, l'ho ritirata soltanto ieri. Come posso negare a uno dei miei migliori amici questa possibilità? Non posso, appunto. Mi terrebbe il muso per giorni interi, come un bambino capriccioso. Arrivo puntuale davanti al suo ufficio, lui mi sta già aspettando.
«Wow!».
Si porta una mano alla bocca e saltella felice.
«È una bambolina stupenda, Marco!», passa delicatamente le dita sulla carrozzeria nuova e brillante. «T’invidio tantissimo in questo momento, sappilo.».
«Dai, salta su.», gli dico scuotendo la testa.
È in completa adorazione ed è piuttosto divertente guardare la sua espressione sognante. Sale continuando a tocchicciarla. Vorrei dirgli di smetterla, ma mi trattengo, in fondo non sta facendo niente di male.
«Doveva farsi perdonare qualcosa di grosso il paparino stavolta.», commenta aprendo il cassettino sul cruscotto e curiosandoci dentro.
Quando la smetterà di toccare tutto, sarà anche troppo tardi.
«Veramente l'ho comprata con i miei soldi.», gli faccio notare, immettendomi in strada.
Lui si volta completamente verso di me, basito.
«Sul serio?», chiede incredulo.
Annuisco.
«Avevo messo da parte la liquidazione del mio vecchio lavoro e l'ho usata per questa bellezza.», gli spiego.
«Doppio Wow! E io che pensavo avessi nuovamente approfittato del vecchio. Massima stima amico!», sbotta mettendosi comodo sul sedile. «Non avrei saputo scegliere meglio.».
Guidare con il vento che mi scompiglia i capelli è davvero rilassante, è la prima volta che possiedo una sportiva decapottabile e devo ammettere che è meraviglioso.
Lorenzo inforca i suoi occhiali da sole e incrocia le mani dietro alla nuca, si sta godendo al massimo questo viaggio, un sorriso compiaciuto si forma sulle mie labbra.
Raggiungiamo l'outlet in una decina di minuti e parcheggio accanto a un catorcio grigio topo. Era l'unico posto libero vicino al negozio di articoli sportivi, ma a dire il vero non mi sento molto tranquillo. Potrei starmene qui e fare la guardia alla mia bambina, ma Lorenzo mi trascinerebbe dentro per un braccio. Mi rassegno e scendo con pochissima convinzione. Fai la brava dico mentalmente, accarezzando la portiera.
«Dai, smettila, dobbiamo stare dentro qualche minuto. Non le succederà niente.».
«Disse l'amico un attimo prima che la sua macchina sia colpita da un meteorite.», aggiungo con una smorfia.
«Tu non sei normale, ma credo che tu lo sappia già.», mi scocca un'occhiataccia.
S’incammina verso il negozio scuotendo la testa.
La fa facile lui, tanto la macchina non è mica la sua. Ho usato tutti i miei fondi per comprarmela e non mi è rimasto un centesimo. Butto fuori un po' per volta l'aria che avevo incamerato nelle guance e lo raggiungo con una breve corsa.
Le porte scorrevoli si aprono e vengo colpito da un'ondata di aria glaciale. Sono un amante dell'aria condizionata, ma venti gradi in meno rispetto all'esterno mi sembra un tantino eccessivo. Il problema sarà quando dovremo uscire, mi viene già male.
Lorenzo raggiunge la corsia giusta senza alcun problema, è di casa in questo posto, io lo seguo con le mani in tasca, scazzato. Non amo andare in giro per negozi, soprattutto se non devo comprare niente. Mi guardo un po' in giro, non pensavo ci fosse molta gente a quest'ora, mi sbagliavo. Un ragazzo sui trent'anni, con i capelli corti neri, sta spiegando la differenza di alcune racchette da tennis a un ragazzotto biondo allampanato. Secondo me quel tipo non ha alcuna idea di come sia fatto un campo da tennis, tutto quel sole artificiale gli ha dato alla testa. Far finta di praticare uno sport non rende più fighi, è dura farlo capire alla gente. Io pratico pallanuoto da anni ormai, non mi reputo figo ma solo un atleta, c'è un'abissale differenza.
Quanto ci mette Lorenzo a scegliere uno stupido costume? Sbuffo. Mi gratto il mento con fare annoiato e per poco una donna non mi travolge. Che fretta mai avranno tutti?
Anche il mio amico si gira a guardarla, scrolla le spalle e torna a concentrarsi con un dito sulle labbra. Mi sta facendo venire l'ansia.
«Ti dai una mossa, o dobbiamo rimanere qua tutto il giorno?», chiedo cominciando a essere stanco di aspettare.
«È una scelta difficile.», risponde lui senza smettere di fissare i vari modelli.
«Cazzo, Lorenzo! Sono tutti uguali, prendine uno e andiamocene. Vorrei ricordarti che alle due e mezzo devi essere nuovamente in ufficio.», sbotto infastidito.
Lui sbuffa rumorosamente.
«Sei una rottura di palle, Marco! Non vengo più a fare compere con te.», tuona prendendo un costume blu con delle righettine oro e dirigendosi alla cassa.
"Sia lodato il Signore! ", borbotto a bassa voce rivolgendo lo sguardo al soffitto.
Usciamo dal negozio e, come avevo previsto, lo sbalzo di temperatura mi fa boccheggiare, che sensazione orribile.
A pochi passi dalla mia macchina, noto qualcosa di strano: ci sono dei vetri sull'asfalto e il catorcio non c'è più.
«Porca puttana!», tuono correndo verso la mia bambina.
Scorro le dita sulla fiancata, dopo essermi accertato che il fanale fosse ancora intatto, e noto una riga bianca sulla carrozzeria nera brillante. Mi sto per sentire male.
Lorenzo mi raggiunge un attimo dopo e si abbassa alla mia altezza.
«È stata certamente una donna.», commenta come se niente fosse.
Ora lo ammazzo.
«È tutta colpa tua.», ringhio. «Me l'hai tirata!».
Lui mi guarda inarcando un sopracciglio.
«Certo come no.», bofonchia punto sul vivo.
Mi rimetto in piedi e controllo anche il resto della carrozzeria, sembra tutto in ordine.
Lorenzo prende qualcosa in mano.
«È stata una certa Serena, ti ha lasciato il numero di telefono.», mi sventola un piccolo foglio davanti al naso.
Se me la trovo davanti, giuro che la massacro! Verbalmente s'intende, non alzerei mai le mani su una donna. Gli strappo il biglietto di mano.
Per lo meno non è scappata e si è offerta di ripagarmi i danni, ma poi mi sorge un dubbio e lo esterno.
«E se quel numero fosse finto?».
«L'avresti preso nel culo due volte.», osserva Lorenzo con la sua solita finezza.
Era proprio questo che non volevo sentire.
Facciamo il viaggio di ritorno in un silenzio tombale. La mia mente, però, stava creando scenari apocalittici, avrei tanto voluto fare una strage. Lascio il mio amico sotto il suo ufficio, si appoggia con le mani sul finestrino del guidatore e sorride. Che cazzo avrà da sorridere? A me sta venendo da piangere.
«Ci vediamo stasera da te per il poker.», mi dà una pacca sulla spalla. «Troveremo una soluzione con i soci.».
Sì, certo, come no. Sono proprio curioso di sapere che cosa s’inventeranno quei tre, non mi fido per niente. Lo liquido con un cenno della mano e me ne vado a casa, per questa settimana ho finito di lavorare e posso rilassarmi, o almeno provarci. Il mio pensiero continua a tornare su quel graffio e mi girano le palle in una maniera impressionante. È uscita dalla concessionaria meno di ventiquattro ore fa ed è già bozzata.
Deve essere per forza un incubo. Ora chiudo gli occhi e, quando li riaprirò, quel segno sarà scomparso come per magia. Stupidamente controllo, è ancora lì. Credevo davvero che potesse smaterializzarsi con un battito di ciglia? Devo essermi bevuto il cervello.
Lascio la mia bambina sola in garage e salgo in casa, tanto non posso fare niente per lei al momento. Recupero un pacco di birra dalla credenza e lo metto nel frigo, facciamo due pacchi, meglio abbondare. Credo che avrò voglia di bere stasera, magari smetto di pensare a quello che è successo. Frugo nella tasca dei pantaloni per recuperare le chiavi e appenderle in ingresso, mi ritrovo quel biglietto da visita in mano.
Leggo ancora quel nome, Serena. M’immagino una vecchia cariatide con degli spessi occhiali da vista, curva e sdentata. Chi altro guiderebbe un catorcio del genere? Ha usato un biglietto del negozio di articoli sportivi per scrivermi il messaggio, lo avrà certamente trovato per terra.
Passo la maggior parte del pomeriggio a rodermi il fegato e a cercare una soluzione per quel danno. Non sono venuto a capo di niente, mi è venuto solo un istinto omicida, che ho repentinamente archiviato in una parte del mio cervello, e lì dovrà rimanere.
Alle sette precise suona il campanello e in un attimo Lorenzo è in casa, seguito dagli altri due della banda, Giorgio e Paolo.
«Allora, come sta la tua bambolina?», chiede Giorgio prendendomi in giro.
Lorenzo ha già sparso la voce, lo incenerisco con lo sguardo.
Rispondo con un grugnito.
«No, non gli è passata.», commenta il traditore.
Apre il palmo della mano in direzione di Paolo, il quale tira fuori cinque euro dalla tasca e li sbatte con violenza. Lorenzo li guarda soddisfatto prima di metterli nel portafoglio.
«Ho notato che ti piace vincere facile.», brontolo indignato.
Lui si stringe nelle spalle e allarga le braccia.
«Io provo a fare scommesse serie, ma non è colpa mia se lui casca sempre in quelle più insulse.».
Paolo è un credulone e un bonaccione, si fa sempre abbindolare da Lorenzo e non se la prende mai, anche quando dovrebbe.
«Hai già deciso che cosa fare?», domanda Giorgio, appoggiando sul tavolo della cucina una crostata fatta con amore dalla sua dolce metà, Lara.
«Una bella sfuriata sicuramente.», borbotto sedendomi con un tonfo sul divano.
«E se fosse una bella gnocca?», Lorenzo ammicca nella mia direzione.
«E se fosse un’ottantenne con la dentiera?», mi esce una smorfia. Mi viene la pelle d'oca al solo pensiero.
«Scommessina?».
Lui non vedeva l'ora di poterlo fare, lo conosco troppo bene.
«Che cosa avevi in mente?», questa volta è Paolo a parlare.
Lorenzo si porta un dito alle labbra, fissa un punto davanti a sé, pensieroso e super concentrato.
«Sembra che tu sia pronto per espletare i tuoi bisogni.», gli fa notare Giorgio.
Mi ha tolto le parole di bocca, ma io l'avrei detto in un modo molto meno fine.
Lui lo fulmina con lo sguardo.
«Ve la siete cercata. Allora, tu domani chiamerai questa Serena e le chiederai di uscire.», comincia.
«Ma se fosse una vecchia senza denti?», piagnucolo infastidito.
Mi zittisce con un colpo secco della mano.
«Zitto, nessuno ti ha detto che potevi parlare. Non hai nessun diritto di replica in questa scommessa.», prosegue con fare dittatoriale.
Deve essere completamente impazzito, ma tengo questo commento per me. Muovo nervosamente le gambe, mi sto agitando non poco.
«Tu domani la chiamerai. Punto. Se fosse una vecchia ottantenne, uscirete per un caffè per discutere dei dettagli sul danno provocato alla tua bambina.», smette di parlare, con fare teatrale e poi finisce in bellezza. «Se fosse una gnocca da paura, dopo il caffè le chiederai un vero appuntamento. Magari è la volta buona che ci dà dentro anche il tuo gioiellino. Sbaglio o è un paio di mesi che non si batte chiodo lì sotto?».
«E anche se fosse?», borbotto incrociando le braccia al petto.
«E anche se fosse?!», sbotta inorridito. «Marco, amico mio, ma ti senti quando parli? Hai proprio bisogno di una sana e bella scopata.».
«Sei sempre così fine.», s'intromette Paolo.
Lorenzo scrolla le spalle con fare noncurante.
«È la pura e semplice verità. Allora, ci stai?».
«Ho altra scelta?», inarco un sopracciglio, dubbioso.
Lui fa finta di pensarci un attimo e risponde: «No, direi di no.».
«Va bene.», acconsento infine.
Lui corre verso il frigo, s'impossessa delle birre, le stappa e ne passa una ciascuno.
«A Marco e al risveglio del cobra!».
«A Marco e al risveglio del cobra!», ripetono gli altri due idioti.
La vedo brutta, molto brutta. Che Dio me la mandi buona, sennò la mia vita sarà un inferno. Spero soltanto non sia una vecchia rinsecchita, non credo di poterlo sopportare.
Bevo un lungo sorso di birra, ne ho davvero bisogno in questo momento.
***Note dell'autrice***
Eccoci qua con questa nuova avventura :) Spero che l'inizio sia promettente e che vi sia piaciuto. Io mi sto divertendo tantissimo a scrivere questa storia e spero possa far divertire anche voi :)
Ringrazio in anticipo chi passerà a leggerla e le darà una possibilità :)
A martedì prossimo!

Un grazie infinito a Maty and Clarity Fan Graphic per il banner che adoro :**

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Capitolo 2
*** Un cappuccino per due ***


 



2. Un cappuccino per due
Oh Signore che mal di testa! Apro un occhio e mi rendo conto di essermi addormentata accoccolata a Luca nel suo letto, il mio viso è appoggiato al suo petto, il suo braccio lungo la mia schiena. È rilassante ascoltare il battito del suo cuore, ma lo sarebbe anche di più se le mie tempie smettessero di martellare, devo aver esagerato con la birra ieri sera.
«Ti sei svegliata, cucciola?», chiede, strofinandosi gli occhi con la mano libera.
Mugugno sommessamente.
«Mal di testa?», mi accarezza i capelli dolcemente.
Annuisco affondando il naso nell'incavo del suo collo, lui mi stringe a sé, continuando a coccolarmi amorevolmente. È l'unica persona al mondo che mi conosce davvero, sarei persa se non facesse parte della mia vita.
Nessuno dei due lavora oggi, possiamo prenderci del tempo solo per noi. Gli bacio il mento ricoperto da un filo di barba nera incolta e gli sussurro un grazie.
Luca sa quanto lui sia importante per me, e sono certa di esserlo anch'io per lui.
«Che ne dici di andare qui sotto a fare colazione?», domanda, sollevandomi il viso con un dito e posandomi un lieve bacio sulla punta del naso.
«Direi che è un'ottima idea.», gli stampo un bacio sulle labbra e mi stiracchio.
Cerco di tirarmi su, ma cado nuovamente fra le sue braccia.
«Bene, dormiamo ancora un'oretta tesoro mio.».
Non me lo faccio ripetere due volte, mi addormento in un secondo netto.
Alle dieci, però, decidiamo che è ora di alzarsi. Ho proprio bisogno di un bel caffè per svegliarmi, e magari aiuta anche la mia testa.
Raggiungiamo la pasticceria sotto casa di Luca in totale silenzio, sbadiglio in continuazione, è più forte di me, non riesco a smettere. Veniamo spesso qui, le brioche sono davvero favolose e assolutamente imperdibili. Ci sistemiamo a uno dei tavolini e ordiniamo il solito: due cappuccini e due brioche con la crema. Due minuti dopo posso già gustarmi il mio primo caffè della giornata, lo finisco ancora prima di cominciare a mangiare, non ho saputo resistere.
Luca mescola il cappuccino con aria assorta, sembra immerso nel suo mondo.
«Stai bene?», gli chiedo in apprensione.
Lui mi sorride.
«Sto benissimo, devo aver bevuto troppo ieri sera e ora mi sento uno schifo.», risponde, storcendo il naso.
«Siamo troppo vecchi per queste cose, lo sai, vero? Non abbiamo più l'età.», affermo prima di dare un morso a quella delizia ricoperta di zucchero a velo.
«Sai, tesoro, credo che tu abbia ragione. Questa mattina te lo concedo perché non ho voglia di ribattere.».
Finalmente smette di mescolare e sorseggia piano quella bevanda schiumosa. Mi sta tornando voglia di cappuccino, non mi è bastato.
«Vado a prenderne un altro.», lo avviso, indicando la tazza vuota. «Vuoi ancora qualcosa?».
Scuote la testa.
«Sono a posto, grazie.».
Raggiungo il bancone lentamente e aspetto che Sergio, il proprietario, finisca di parlare con un cliente. Quando si accorge di me, gli chiedo un altro dei suoi strepitosi cappuccini e aspetto in trepidante attesa che finisca tra le mie mani.
Non ho fatto i calcoli con la mia poca lucidità e, nel girarmi, rovescio tutto il contenuto della tazza addosso al tizio con cui stava parlando fino a un attimo fa. La tazza cade con un tonfo sul pavimento e si rompe a metà. Mi porto entrambe le mani alla bocca, mi sento avvampare per la vergogna: tutti i clienti si sono girati a guardarmi.
«Ma guarda dove vai, cazzo!», sbotta l'uomo a cui ho fatto il bagno. «Era la mia camicia nuova!».
«Mi dispiace tanto, non l'ho fatto apposta.», cerco di scusarmi, con il viso completamente in fiamme.
«Ci mancherebbe anche che l'avessi fatto apposta!».
Si tampona la camicia con dei tovagliolini; una volta doveva essere bianca, ora è del colore del caffè latte. Quando mi guarda negli occhi, è furioso.
«Fammi avere il conto della tintoria, ti pagherò il danno.», farfuglio, intimorita dal suo atteggiamento.
Non mi piace neanche un po' il suo modo di fare e se devo pagare, pagherò. Tanto ormai mi sono rassegnata dopo quello che ho combinato ieri.
«Dai, stai tranquillo, non è successo niente.», viene in mio soccorso Sergio con una scopa e una paletta per raccogliere i cocci.
L'uomo grugnisce.
«Scusami Sergio, se mi presti uno straccio, pulisco io.», mi offro per sistemare il casino che ho fatto.
«Ma figurati! Te ne preparo subito un altro, vatti a sedere, te lo porto al tavolo.», mi strizza l'occhio.
Lo ringrazio con lo sguardo. Cerco di avvicinarmi all'uomo, ma mi respinge con un cenno della mano.
«Stai lontana da me, hai già fatto abbastanza.», tuona arrabbiato.
Ora mi sta decisamente antipatico. Va bene, ho sbagliato, ma ci sono modi e modi di dire le cose. Gli ho chiesto scusa, mi sono offerta di pagare il conto della tintoria, che altro dovrei fare? Fustigazione pubblica? Taglio della mano? Che cosa vuole da me?
«Stronzo.», sibilo sommessamente, a denti stretti.
«Che cosa hai detto?», ringhia a bassa voce.
«Ho detto che sei uno stronzo.», ripeto candidamente.
I suoi occhi azzurri sono iniettati di sangue. Non mi faccio mettere i piedi in testa da un borioso, cretino, che non riesce ad accettare le mie scuse.
«Tu sei... Tu sei...», comincia furioso, riesco a vedere il fumo che gli esce dalle orecchie.
«Fai avere il conto a Sergio, darò io i soldi a lui. Volevo ripeterti le mie scuse, ma mi è passata la voglia. Sono stanca e non ho voglia di perdere altro tempo con te a chiederti perdono. Se non vuoi accettare le mie scuse, è un problema tuo. Sei un cafone e pure un maleducato. Ti auguro una buona giornata.», dico tutto d'un fiato.
Lascio i soldi per la colazione sul bancone, compresi quelli del cappuccio extra e della tazza rotta, e torno da Luca. Osservo l'uomo con la coda dell'occhio e mi sta ancora fissando con odio. Peggio per lui.
Prendo Luca per mano e usciamo dalla pasticceria. Ho dato un bello spettacolo stamattina, che soddisfazione. Mi sento ancora gli occhi della gente addosso.
«Che figura di merda.», borbotto una volta in casa.
«Ehm, sì, in effetti è stato piuttosto divertente assistere a quella scena seduto bello comodo. Mi mancavano i pop corn.», commenta Luca, ridendo di gusto.
«Divertente? Giuro che se becco quel tizio per strada, lo prendo sotto con la macchina e poi ingrano anche la retro, per essere sicura di aver fatto un buon lavoro.», esclamo, gesticolando come una pazza.
«L'hai visto almeno?», chiede senza smettere di ridere.
«Chi? Il bastardo? Certo che l'ho visto, purtroppo!», rispondo alterata.
«Purtroppo? No, non sono sicuro che tu lo abbia guardato davvero. Era un gran pezzo di uomo e non te ne sei nemmeno resa conto. Io tornerei giù e gli chiederei di uscire insieme.», mi strizza l'occhio maliziosamente.
Un moto di disgusto mi prende la bocca dello stomaco.
«Io non uscirei mai con uno stronzo del genere, neanche se mi pagassero. Hai visto come mi ha trattato? Gli ho chiesto scusa più di una volta e a lui interessava soltanto la sua camicia firmata. Non voglio avere niente a che fare con un uomo come lui, piuttosto rimango zitella a vita.», tuono, esasperata.
«Al massimo ci sposiamo noi due.», propone, fingendosi serio.
Scoppio a ridere.
«Dovremmo essere entrambi molto disperati per arrivare a questa soluzione.».
Gli allaccio le braccia intorno al collo e lui mi prende per i fianchi, attirandomi a sé.
«Ammettilo, saremmo una coppia perfetta.», commenta, posandomi un lieve bacio sulle labbra.
«Una coppia di perfetti idioti sicuramente.».
Appoggio la testa sulla sua spalla e sospiro.
«Ti sei comportata perfettamente con lui. Concordo sul fatto che sia uno stronzo, non avrebbe mai dovuto trattarti in quel modo.», mi rassicura, massaggiandomi la schiena.
«Grazie di essere sempre dalla mia parte.».
«Sarò sempre dalla tua parte tesoro mio.», mi bacia dolcemente la fronte.
Rimaniamo abbracciati a lungo e senza dire una parola, poi decido di rompere il silenzio.
«Davvero era un bell'uomo?», chiedo, liberandomi dalla sua stretta e andandomi a sedere sul divano. Mi tolgo le scarpe e le calcio via, allungo le gambe sopra il tavolino.
Non ho voglia di fare niente oggi, voglio prendermela davvero comoda.
Luca incrocia le braccia al petto e inarca un sopracciglio.
«Oh, adesso ti interessa.», commenta divertito.
Mi stringo nelle spalle. Ho notato solo che era ben piazzato sotto il vestito firmato, doveva avere un gran bel fisico, gli occhi azzurri sarebbero stati anche ammalianti, se non fossero stati iniettati di sangue. I capelli castani erano scompigliati a regola d'arte. Tutto questo, però, era passato in secondo piano, la sua arroganza aveva preso il sopravvento e questo mi aveva fatto salire a dismisura il livello di stronzaggine. Non lo stavo osservando obiettivamente, lo stavo soltanto odiando con tutta me stessa.
Non è da me comportarmi in questo modo, ma non sono riuscita a trattenermi, è riuscito a tirare fuori il peggio di me, e non ne vado per niente fiera.
«No, non sono interessata, però vorrei sentire un parere esterno, da uomo. Quando ero di fronte a lui, volevo solo ucciderlo.», gli spiego con una smorfia.
Mi raggiunge sul divano con un tuffo, distende anche lui le gambe sul tavolino.
«Posso dirti che, se non fossi stata prima imbarazzata e poi incazzata, un po' di ginnastica sotto le lenzuola l'avresti fatta più che volentieri. È sicuramente il tuo tipo d'uomo, anche se devo ammettere che non è bello quanto il sottoscritto.», si indica, puntandosi contro entrambi i pollici.
«Sempre il solito narcisista.», lo prendo in giro, alzando gli occhi al soffitto.
«Tesoro, non ci posso fare niente se sono nato figo.», esclama, mettendosi in posa, come solo un attore consumato saprebbe fare.
Non resisto più e mi sciolgo in una risata liberatoria, la tensione sembra scivolare via e mi sento notevolmente meglio. Luca è un mago in queste cose, riesce sempre a fare miracoli sul mio umore.
«Nessuno può essere più bello di te, credimi.», lo rassicuro, stampandogli un bacio con lo schiocco sulla guancia.
«Farò finta di crederti. Comunque, tornando al nostro pezzo di manzo della pasticceria...».
Lo blocco immediatamente e lo prendo in giro: «È diventato un pezzo di manzo ora?».
Mi scocca un'occhiata eloquente, devo tapparmi la bocca e lasciarlo finire di parlare. Metto le mani avanti in segno di resa e faccio finta di sigillarmi le labbra con una chiave invisibile.
«Ecco, brava, buttala anche via, così per un po' non ti sentirò parlare.», brontola lui, fingendosi offeso. In tutta risposta gli mostro la lingua.
«Potrei chiamarlo anche quarto di bue se davvero volessi, o pezzo di gnocco... mi hai fatto perdere il filo del discorso!», sbuffa, stringendosi le braccia al petto.
Io non apro bocca, non ne ho il diritto, perciò aspetto, cercando di non ridere.
Luca sembra riscuotersi all'improvviso e riprende con il suo monologo.
«Vabbé, poco importa. Io, se fossi in te, tornerei giù a cercarlo e gli salterei addosso. È la volta buona che la tua topolina lì sotto si risveglia dal suo torpore.».
Eh no, dopo questa osservazione non posso più stare zitta.
«La mia topolina?», sbotto, inorridita.
«Preferisci patatina? Passerottina?», domanda con un luccichio divertito negli occhi.
«Ma dai!», faccio una smorfia, disgustata. «E poi non sono secoli che non vado con un uomo! Non sono mica disperata da andare con il primo su cui vado a sbattere.».
«Tre mesi sono un secolo, credimi. Ti si saranno già formate le ragnatele lì sotto.».
Bene, penso di aver toccato il fondo con questo commento. Le ragnatele!
Fa presto a parlare lui! Cadono tutti ai suoi piedi con uno schiocco delle dita. Io ci metto un po' ad aprirmi con un uomo, almeno vorrei conoscerlo un po' prima di andarci a letto. Le storie di una notte non fanno per me. Non dico che aspetto il principe azzurro che venga a raccattarmi in groppa al suo destriero bianco, ma non voglio nemmeno concedermi al primo che passa, se è pure stronzo, poi, lo evito come la peste.
Con uno come lui non ci andrei mai, mai e poi mai, neanche se fosse rimasto l'unico uomo sulla faccia della terra. Okay, forse a quel punto potrei anche decidere di dargli una possibilità, ma prima dovrebbe chiedermi perdono in ginocchio sui carboni ardenti per il modo in cui mi ha trattato. E sarebbe solo l'inizio... non la passerebbe per niente liscia con me.
 
***
 
Cazzo, che mal di testa! Lo sapevo che non dovevo bere tutta quella birra ieri sera, ma dovevo dimenticare... ecco, ora che sono quasi sobrio riesco a rivedere quel danno sulla mia bambina e mi sento di nuovo uno schifo. Mi metto seduto sul letto e mi tengo la testa tra le mani; appena la stanza smetterà di girare, cercherò di alzarmi.
Ci provo qualche minuto dopo e mi tengo alla pediera del letto per non cadere. Credo che ora vomiterò, mi metto una mano sulla bocca e corro, per quanto possibile, al bagno.
La giornata è cominciata proprio nel migliore dei modi, spero solo che non possa peggiorare.
Mi dirigo in cucina con la lentezza di un bradipo e mi accorgo che c'è qualcuno che russa sul mio divano. Allungo il collo per vedere meglio ed è Lorenzo. Ha la bocca spalancata, un rivolo di bava gli cola lungo un angolo della bocca. Che scena disgustosa. Scaccio quell'immagine dalla mia testa e mi fiondo sotto il getto della doccia, acqua rigorosamente gelata per riprendermi.
Decido di andare a fare colazione da Sergio, la sua pasticceria è alla fine della strada e posso andarci a piedi: non ho intenzione di far correre altri pericoli alla mia piccolina. E poi, a dirla tutta, non sono nemmeno nella condizione di guidare. La testa mi sta scoppiando e ho bisogno di un caffè bello forte, normalmente è la soluzione a tutti i problemi, non vivrei senza quella bevanda scura e aromatica.
Di sabato e a quest'ora c'è parecchio movimento.
«Hey Mister!», mi saluta Sergio appena entro nel suo locale.
«Ciao.».
Il mio saluto era un po' meno entusiasta.
«Che cosa è successo? Ti è morto il gatto?», chiede, inarcando un sopracciglio.
«No, nessun gatto che possa morirmi. È successo qualcosa di peggio, fidati.», rispondo, appoggiando i gomiti sul bancone di marmo.
Si avvicina con fare cospiratorio e mormora: «Non avrai mica un brutto male?».
Le mie mani finiscono entrambe sui miei gioielli di famiglia, in un gesto prettamente scaramantico. Perché la gente deve sempre pensare al peggio? Se il mio umore già non era dei migliori, ora è anche peggio.
«No! Mi hanno rigato la macchina nuova ieri.», gli spiego con una smorfia.
«Ah, okay, ora capisco la tua faccia da funerale.», mi strizza l'occhio.
«Fammi un bel caffè, va.», dico massaggiandomi una tempia.
Con Sergio ho una certa confidenza, vengo qua ogni martedì anche per lavoro. Sono rappresentante di materie prime per pasticcerie e gelaterie e la mia azienda fornisce anche la sua attività. A volte, nei periodi più tranquilli, chiacchieriamo per più di un'ora dopo aver preso l'ordinazione, è piacevole parlare con lui. È un cinquantenne solare e attivo, e con lui si parla volentieri di qualsiasi cosa.
Mi piazza davanti una tazzina di caffè bollente, l'aroma meraviglioso mi sta inebriando. Lo sorseggio lentamente gustandomelo fino all'ultima goccia.
«Meglio?», chiede lui, ridendo.
«Decisamente.», ammetto con un mezzo sorriso.
«Seratina poker ieri sera, vero? Dalla tua faccia direi che tu e i tuoi soci ci avete dato dentro con le birrette.», mi lancia un'occhiata particolarmente divertita.
«Sergio, credo di non avere più l'età per queste cose.», borbotto.
«Sei ancora giovane! Che cosa dovrei dire io?».
Incrocia le braccia al petto e mi osserva attentamente.
«Tu sei più vicino alla pensione di me.», commento, ridendo.
Una donna si appoggia al bancone e chiede un cappuccino a Sergio. Lui si scusa, lasciandomi ai miei pensieri. Aspetto che finisca per salutarlo e andare a svegliare quel pelandrone di Lorenzo. Ultimamente non va nemmeno più a casa dopo la nostra serata tra uomini, vive ancora con i suoi e non ha voglia di ascoltare le ramanzine di sua madre quando fa tardi. A trentadue anni suonati è piuttosto deprimente.
Mi distraggo un secondo e mi ritrovo inzuppato di cappuccino. Giuro che faccio una strage! È bollente, cazzo! La tizia che era accanto a me al bancone si scusa per il disastro che ha appena combinato, diventa rossa come un pomodoro. Non me ne faccio niente delle sue scuse, mi ha appena rovinato una camicia da cento euro. Ho già le palle girate di mio, questo ha fatto aumentare a dismisura la mia voglia di uccidere qualcuno.
Ha anche il coraggio di darmi dello stronzo! Ora sarei io lo stronzo? Lei mi ustiona con quel dannato cappuccino e poi si incazza pure perché le ho risposto male? Ma che vada a quel paese! Le mani mi pizzicano da morire. Che rabbia!
La guardo con odio mentre esce dalla pasticceria, trascinando con sé un uomo, probabilmente il povero Cristo che deve sopportarla ogni giorno. Non lo invidio per niente, con una così impazzirei prima.
Ho il fumo che mi esce dalle orecchie, giuro che se la becco per strada la prendo sotto con la macchina! No, non posso rovinare ulteriormente la mia bambina, troverò certamente un'altra soluzione.
«Tutto bene?», domanda Sergio con una strana espressione in volto, è un misto tra il preoccupato e il divertito.
L'intera clientela mi sta ancora fissando. Che cazzo avranno da guardare? Non ci si può neanche più alterare al giorno d'oggi? Devo andarmene da qua, o faccio una strage.
«Sì, bene.», ringhio a denti stretti. «Scusa, Sergio, non è proprio giornata. Meglio se me ne torno a casa.».
«Forse è meglio se stai lontano dai luoghi pubblici almeno per qualche giorno.», mi consiglia sul punto di scoppiare a ridere.
«Seguirò alla lettera le tue sagge parole.», brontolo.
Gli lascio l'euro del caffè sul bancone e lo saluto con la mano mentre esco.
Basta, Sergio ha ragione. Non uscirò da casa fino a lunedì quando tornerò al lavoro. Sta andando tutto storto in questi giorni e ne ho piene le scatole. Osservo la mia camicia mentre cammino verso casa e mi viene da urlare. Due donne rimbambite in due giorni sono troppo per me, non ce la posso fare.
Quando entro in salotto, trovo Lorenzo seduto sul divano, con le mani tra i capelli e la bocca spalancata in uno sbadiglio.
«Ben svegliato eh!», tuono nella sua direzione.
Mi saluta con un gesto della mano, sbadiglia nuovamente. Schiocca la lingua, fissandomi con gli occhi socchiusi.
«Che cosa è successo alla tua camicia?», chiede con voce arrochita, deve essersi appena svegliato.
La sbottono e la sfilo, gettandola con rabbia sulla sedia.
«Una cretina in pasticceria mi ha rovesciato il suo cappuccino addosso.», rispondo, sedendomi con un tonfo sul divano, accanto a lui.
«Era gnocca almeno?».
Lo incenerisco con lo sguardo.
«Ti sembra che abbia controllato come fosse? Ero incazzato nero.», borbotto sempre più infastidito.
«Sono cose essenziali e sono sicuro al cento per cento che tu sai perfettamente com'è, non puoi nasconderlo, non a me! Ti conosco troppo bene vecchio marpione.», mi punta un dito contro.
Lorenzo ha ragione, ho guardato ogni dettaglio, potrei descriverla minuziosamente. Sui trent'anni, un metro e settanta, un corpo da favola, occhi verdi meravigliosi e le labbra così carnose e invitanti. Oh sì, era fantastica, peccato per il livello esagerato di stronzaggine.
«Hai lo sguardo languido! Lo sapevo, non potevo sbagliarmi con te!», batte le mani soddisfatto. «Se non ti avesse fatto incazzare, tu ci avresti provato con lei!».
«Non credo proprio, era accompagnata da un bellone moro.», gli dico con una smorfia.
Lo ammetto, in questo momento lo sto invidiando, baciare quelle labbra deve essere semplicemente meraviglioso.
«Oh, ma te la saresti fatta, eccome se lo avresti fatto.», continua maliziosamente.
Muore dalla voglia di sapere tutti i dettagli, ne sono più che certo.
«Che cosa vuoi sapere?», sospiro, sconsolato.
«Le cose essenziali: bocca, tette, culo.», risponde, mettendosi comodo sui cuscini.
«Ti dico solo una cosa, era perfetta.».
«Ma...», mi sprona a continuare.
«È una stronza di prima categoria, acida, scorbutica, non andrei mai con una del genere, neanche se fosse l'ultima donna sulla faccia della terra.».
Sto per aggiungere altro, ma mi zittisce con un gesto.
«Non dire stronzate! Devi solo fartela, mica sposartela.», mi fa notare con la sua solita saggezza.
Sbuffo. Okay, per un istante ho pensato di sbatterla contro il bancone e baciarla come se non ci fosse un domani, ma è stata solo una frazione di secondo; per tutto il resto del tempo avrei voluto sbatterle la testa sul bancone. Non picchierei mai una donna, normalmente non avrei nemmeno questi pensieri omicidi. Tutto quello che è successo, mi ha reso irascibile e particolarmente nervoso. In un giorno normale avrei flirtato con lei e le avrei chiesto di uscire, con un sorriso ammaliante e seducente sulle labbra, sarebbe caduta ai miei piedi. Sfortunatamente l'ho trattata da schifo e me ne sono reso conto, perciò non avrò mai nessuna possibilità con lei. Beh, ha pure un uomo e io non rubo le donne degli altri.
«Non andrei mai con una donna già impegnata.».
«Magari era solo un amico o suo fratello.», ipotizza lui.
«Lorenzo, chissenefrega! Tanto non la rivedrò mai più. Punto.», sbotto alla fine.
Comincio a non poterne più di questa conversazione.
«Come sei acido! Hai proprio bisogno di una sana scopata, lasciatelo dire.», commenta, incrociando le braccia al petto e osservandomi a occhi socchiusi.
«Comunque mi sembra giunta l'ora di chiamare quella Serena e scoprire com'è.», continua come se niente fosse. «Magari sarà lei ad addolcirti.».
Lo guardo in cagnesco.
«Non ne ho voglia.», brontolo.
«Prendi quel dannato telefono e componi quel dannato numero, dannato idiota che non sei altro!», m’intima con una spinta.
«Ah, beh, se me lo chiedi gentilmente...», faccio una smorfia.
Mi romperà le scatole finché non avrò chiamato. Non credo di avere altra scelta e la cosa non mi piace neanche un po'.
«Pensa solo che lo fai per la tua bambina. Vuoi davvero tenere quel graffio in eterno?».
Ha toccato un nervo scoperto, e salto impercettibilmente sul posto. Sa benissimo che non riuscirò a resistere e chiamerò quel numero. Lo faccio solo per sistemare quella schifezza sulla carrozzeria. Spero soltanto non sia un numero fasullo.
Il citofono fa sussultare entrambi. Chi è che rompe a quest'ora del sabato?
«Sì?», rispondo brusco.
«Tesoro, sono la mamma.».
Ci mancava solo lei stamattina. La faccio salire e, mentre aspetto che arrivi, vado a infilarmi una maglietta, non vorrei che si facesse strane idee.
La signora Rossini ha sessantacinque anni, ma ne dimostra almeno una decina di meno, è sempre vestita e truccata con cura. Il suo più grande problema è che vuole a tutti i costi accasare il suo unico figlio maschio, che poi sarei io. Le mie due sorelle, Lucrezia e Chiara, sono entrambe sposate con figli, due a testa per la precisione.
Io sono lo scapolone d'oro, secondo lei; almeno un giorno sì e uno no, mi chiede se ho trovato la ragazza. L'ansia è assicurata. Non ho intenzione di sposarmi e mettere su famiglia, per lo meno non a breve. La cosa complicata è farlo capire a lei.
«Ciao amore.», mi saluta con un bacio sulla guancia. «Ti ho portato un po' di riso freddo per pranzo, sennò tu non mangi.».
Perché non dovrei mangiare? Okay, non sarò un grande cuoco, ma un piatto di pasta riesco ancora a farmelo.
«Grazie mamma.», dico, cercando di essere cortese.
Si sporge con la testa per vedere se c'è qualcuno con me e, quando nota Lorenzo, fa una smorfia.
«Ciao Lorenzo.», saluta lei con un sorriso.
«Salve signora.».
Appoggia la ciotola sul tavolo e mi fissa a braccia conserte. Che cosa ho combinato ora?
«Non sarai mica gay?», chiede sommessamente. Il panico nei suoi occhi aumenta a ogni secondo che passa. Sono tentato di risponderle con un bel Sì, sono gay, mamma!, ma non sono così bastardo.
«Sei per caso impazzita?», tuono, invece, disgustato. «Non sono mai stato gay!».
Sia ben chiaro che a me la banana non è mai piaciuta, sempre e solo patata!
Sembra riprendersi e tornare in sé dopo questa mia risposta, torna a respirare normalmente.
«Non ci sarebbe niente di male.», afferma con pochissima convinzione.
«Ma non è il mio caso mamma.», insisto.
«Va bene, ti aspetto domani a pranzo allora.».
Mi bacia sulla guancia e se ne va.
Gay! Ci mancava solo che mia madre credesse che mi piacciono gli uomini. Può qualcos'altro andare storto?

 
***Note dell'autrice***
Ecco a voi questo secondo capitolo! Come vi è sembrato questo primo incontro al buio? Nessuno dei due sa chi è l’altro e ci sarà da ridere quando si incontreranno davvero! :) Abbiamo conosciuto meglio i caratteri di Serena e Marco, caratteri belli forti, che dite? Fatemi sapere le vostre impressioni! Sono curiosa :)
Volevo ringraziare infinitamente chi ha dato una possibilità a questa nuova storia fin dall’inizio, non mi sarei mai aspettata tanto riscontro e mi avete davvero reso tanto felice! Spero di non deludervi man mano che la storia prosegue! Grazie davvero a tutti! :)
A martedì prossimo per la telefonata! LOL!

 
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Capitolo 3
*** La temuta telefonata ***


 



3. La temuta telefonata
Sono ancora a casa di Luca, non ho voglia di passare il sabato da sola e, soprattutto, non ho voglia di tornare a casa. Ho paura di commettere qualche altro disastro, non ne ho combinata una giusta in questi due giorni, e se il detto Non c'è due senza tre è reale, dovrà ancora succedere qualcosa. Non credo di poterlo sopportare, non oggi, perciò mi sono rinchiusa qui con il mio migliore amico.
Stiamo guardando una commedia romantica abbracciati sul divano, sembriamo due fidanzatini, se non fosse che proviamo solo uno sconfinato affetto l'uno per l'altra, niente di più; lui non è il mio tipo e io non sono il suo. Spesso la gente ci scambia per una coppia e noi ci divertiamo a non smentire.
La suoneria del mio cellulare fa fare a entrambi un salto sul divano. Chi cavolo è che mi cerca a quest'ora? Se fosse il nostro capo, non risponderò, questo è certo. È il mio giorno di riposo e non sostituirò proprio nessuno, non sarebbe né la prima né l'ultima volta che mi chiede di farlo. Osservo il telefono e non conosco il numero che appare sullo schermo.
«Pronto?», rispondo titubante.                                                                                                               
«Salve signora, ho trovato il suo biglietto sul tergicristallo della mia macchina ieri.», m'informa una voce maschile dall'altra parte della linea.
Prima cosa che non mi va: è un uomo. Speravo fosse la donna con i soldi che le escono dalle orecchie, mi sarei risparmiata una gran rottura di scatole.
«Oh, salve.», farfuglio io cercando di riattivare il mio neurone atrofizzato. «Mi dispiace davvero molto per quel graffio, non capisco proprio come ho potuto sbagliare manovra. Se mi fa sapere quanto le devo, le mando i soldi per la riparazione.».
Mi alzo dal divano e cammino su e giù per la sala, nervosamente. Luca mi guarda con un sorriso divertito stampato sulle labbra, cerca di attirare la mia attenzione, ma io faccio finta di non vederlo.
«Non so quanto costerà. Lunedì andrò dal carrozziere e faremo la conta dei danni.».
La conta dei danni. Comincio a sudare freddo, spero di potermi permettere il conto, altrimenti gli chiederò se posso darglieli un po' per volta. Ammetto che l'ansia mi sta aggrovigliando lo stomaco in questo momento. Credo che d'ora in poi prenderò l'autobus per andare al lavoro, non tirerò mai più fuori la macchina dal garage; non posso rischiare di rovinare altre macchine, nuove per giunta.
«Come ci regoliamo allora?», chiedo mordendomi un'unghia per il nervosismo.
L'uomo rimane in silenzio qualche secondo, probabilmente sta pensando a una soluzione adeguata.
«Le va di prendere un caffè lunedì pomeriggio così sistemiamo le varie cose?».
Lunedì, lunedì, lunedì... che programmi ho quel giorno? Ah già.
«Finisco di lavorare alle tre. Le va bene se facciamo alle quattro?».
«Alle quattro va benissimo. Conosce il bar che si trova in via Schilli?».
Dove cacchio si trova quella via? Mi sto spremendo le meningi, ma ho un vuoto totale, credo che anche lui se ne sia reso conto visto il mio silenzio.
«Il bar Rosa.», aggiunge sospirando.
Non deve essere un uomo molto paziente.
«Sì, certo il bar Rosa.», confermo, cercando di sembrare convincente.
Non ho la più pallida idea di che posto sia. Lo cercherò in internet, faccio prima.
Luca nota la mia espressione perplessa e dubbiosa, scoppia a ridere come un idiota. Lo fulmino con lo sguardo.
«A lunedì allora. Ah, mi scusi, io sono Marco, Marco Rossini, non mi sono nemmeno presentato.».
«Non fa niente, a lunedì signor Rossini.», saluto prima di concludere la telefonata.
Lancio il telefono sul tavolino e sprofondo tra le braccia di Luca.
«Sta per arrivare il giorno del giudizio.», borbotto con il viso premuto contro il suo petto.
«Ti pelerà?», chiede accarezzandomi la schiena.
«Non lo so ancora, lo scoprirò lunedì, ma ho un brutto presentimento.», bofonchio.
Mi stacco da lui e mi risiedo normalmente sul divano.
«Con la sfiga che mi ritrovo addosso ultimamente, mi costerà un occhio della testa. Sto ancora pensando a come recuperare quella somma di denaro. E se vendessi un rene?».
Luca spalanca la bocca e mi fissa come se avessi perso il senno.
«Sei sempre la solita esagerata! Tanto pagherà l'assicurazione, che problemi ti fai?», sbotta stupito.
«Se paga l'assicurazione, mi aumenteranno di sicuro la rata e non mi va. E se pagassi direttamente a lui?», domando sconsolata.
«Beh, pagherai tu il conto del carrozziere e finisce lì. Lunedì ti metterai d'accordo con questo signor Rossini.», ammicca maliziosamente prima di aggiungere: «Altrimenti potresti richiedergli un pagamento in natura.».
La mia espressione inorridita lo fa prorompere in una fragorosa risata.
«Sempre meglio che tirare fuori i soldi, non credi?», continua senza alcuna vergogna.
«Tu devi esserti completamente bevuto il cervello!», tuono infastidita.
Pagamento in natura! Non si vergogna a propormi una cosa del genere?
«E se fosse un gran pezzo di manzo come il bellone di stamattina?», il sorrisetto malizioso non abbandona le sue labbra.
«E se fosse un cinquantenne in crisi di mezza età?», mi esce una smorfia carica di disgusto.
«Non pensi più possa essere un vecchio bavoso?», inarca un sopracciglio e mi punta un dito contro. «Tu non me la racconti giusta.».
«Dalla voce non mi sembra un ottantenne, ma non posso dargli un'età. Sta di fatto che, se anche fosse un gran pezzo di manzo, non andrei mai comunque con lui solo per non pagare il carrozziere.».
Sta per aprire bocca per ribattere, ma lo zittisco mettendogli una mano sulla bocca.
«Fine della discussione.», lo ammonisco con lo sguardo.
Non ho più voglia di parlare di questo signor Rossini, di pagamenti e cose di questo genere. Voglio trascorrere il resto del sabato tranquillamente, cercando di rilassarmi il più possibile, ho accumulato troppo stress per i miei gusti nelle ultime ore.
 
A quanto pare non era abbastanza. Dopo quattro ore di lavoro di domenica mattina, senza Luca per giunta, mi aspetta il pranzo a casa Boissone. Il pranzo domenicale a casa dei miei ormai è diventato un rito, mia madre s’incavola da morire quando non mi presento e, sinceramente, non ho voglia che avvenga oggi.
Mi presento per l'una e mezzo, ancora in tenuta da lavoro. Non ho avuto tempo di andare a casa a cambiarmi e ho dimenticato di caricare in macchina la borsa con i vestiti della festa. Pazienza, non devo andare a un pranzo di gala.
Viene ad aprire mia madre, tutta in tiro. Forse ho sbagliato abitazione, controllo il nome sul campanello e guardo nuovamente la mia genitrice, no, la casa è quella giusta.
«Cucciola, potevi anche vestirti un po' meglio.», mi fa notare senza nemmeno salutare.
«Buona domenica anche a te mamma.», saluto sarcasticamente.
«Hai appena finito di lavorare?», chiede lasciandomi lo spazio necessario per entrare in casa.
Sagace! Normalmente mi vesto in questo modo per uscire la sera a caccia di uomini.
«Sì, ho appena finito e non avevo tempo per andare a casa a cambiarmi.».
«Vuoi che ti presti qualcosa di mio?», chiede scrutandomi dalla testa ai piedi.
Bene, è probabile che abbiamo la stessa taglia, ma è il gusto a essere completamente diverso. Non metterei uno dei suoi vestitini floreali neanche morta. E poi che cos'è questo esasperante desiderio di farmi vestire diversamente? È solo un pranzo!
Oppure sta succedendo qualcosa che io non so. Avrebbe senso.
«No, grazie mamma.», rispondo cercando di mantenere la calma.
I miei sospetti si fanno più reali, quando seduti a tavola, assieme a mio padre, ci sono mio fratello Alessandro e una ragazzina bionda, sembra una bambolina. Che cosa mi sono persa?
«Ciao fiorellino!», mio padre mi viene incontro e mi avvolge in un caloroso abbraccio.
«Ciao papà.», saluto baciandolo sulla guancia barbuta.
Mi fa sedere accanto a lui e mi stringe la mano amorevolmente. Adoro mio padre, lo ammetto.
«Stavamo aspettando te, tesorino. Tuo fratello doveva dirci qualcosa, ma voleva farlo solo se ci fossi stata anche tu.», mia madre mi lancia una frecciatina.
Come se io mi divertissi a lavorare anche la domenica.
Alessandro mi sorride stringendosi nelle spalle, sembra parecchio nervoso.
«Dai, amore, che cosa volevi dirci?», lo sprona lei.
«Prima di tutto, Serena, lei è Vera, la mia ragazza.».
Vera mi sorride timidamente, arrossendo visibilmente. Ricambio il sorriso e le dico: «È un piacere conoscerti.».
«Anche per me.».
È piuttosto carina e sembra anche parecchio timida.
«Beh, insomma, volevo dirvi che ci siamo fidanzati e le ho chiesto di sposarmi.», farfuglia mio fratello nel panico più totale.
La mia mascella sta toccando terra. Ditemi che non sto sognando. Ho capito davvero bene? Il mio fratellino di venticinque anni che si sposa? Vera è certamente incinta! Non ci sono altre spiegazioni!
Mia madre è sbiancata, potrebbe svenire da un momento all'altro.
«Ditemi qualcosa, vi prego!», implora mio fratello.
Mio padre è sotto shock. Ho capito, sono l'unica ancora mentalmente attiva in questa famiglia.
«È una notizia bellissima, Ale!», esclamo io con eccessiva enfasi. Fortunatamente non se n'è accorto nessuno.
Mio fratello riprende a respirare e mi ringrazia sommessamente. Mi alzo e vado a congratularmi, abbracciandolo forte. Abbraccio anche Vera.
«Benvenuta in famiglia.», le sussurro. «Non ti preoccupare, ora ci penso io a risvegliarli.».
Le strizzo l'occhio.
«Hey papà, mamma, devo dirvi qualcosa anch'io.», regalo loro un sorriso a quarantadue denti.
Quando mi sembra di avere la loro attenzione, lancio loro la bomba.
«Sono incinta!».
Okay, questa era davvero cattiva, ma non ho resistito. Ha avuto comunque l'effetto che speravo.
«Ma se non hai lo straccio di un ragazzo, come puoi essere incinta?», sbotta mia madre sgomenta.
«È scesa una luce dal cielo, mi ha completamente avvolto e un attimo dopo aspettavo un bambino, o un alieno... non sono certa di che natura fosse quella luce.».
La cosa più divertente è vedere le facce sconvolte dei miei genitori, non so come riesco a stare seria mentre racconto certe assurdità.
Mio fratello scoppia in una fragorosa risata, seguito a ruota da Vera.
«Mamma, non capisci mai quando sto scherzando!», la prendo in giro.
«Non sei per niente divertente.», borbotta offesa.
«Dai, smettetela, dite qualcosa a vostro figlio sennò mi fa un infarto!».
I venti minuti successivi sono serviti a far tornare il sorriso e la parola ai miei genitori, e il colorito sul viso dei due giovani innamorati. Sinceramente non mi sarei mai aspettata che mio fratello si decidesse a fare questo passo così velocemente e, soprattutto, molto prima di me. Sapevo che aveva la ragazza da un paio d'anni e che i miei l'avevano già conosciuta, ma io non avevo ancora avuto il piacere di farlo.
Ora mia madre è entusiasta di questa nuova situazione e non vede l'ora di organizzare tutto. Io se fossi Alessandro cambierei stato, no, non è abbastanza, meglio pianeta. Con nostra madre che s’improvvisa wedding planner, non c'è da stare rilassati.
«Allora Serena, tu che cosa aspetti a mettere la testa a posto?».
Ecco qua la domanda che stavo aspettando con impazienza, con molta, troppa impazienza. Non è ancora stato inventato il teletrasporto? Vorrei essere ovunque, tranne che in questa casa.
«Mi manca la materia prima.», rispondo arricciando le labbra.
«Non fai neanche molto per attirare l'attenzione di un uomo.», commenta in un sospiro.
«Che cosa vorresti insinuare?», chiedo riducendo gli occhi a due fessure.
«Sei un po' sciatta ultimamente, dovresti prenderti un po' cura di te. Potresti vestirti un po' più femminile, truccarti meglio...».
«Che altro?», sbotto infastidita. «Devo rifarmi anche le tette, farmi le labbra a canotto, togliermi le zampe di gallina. Che cosa vuoi da me, mamma? Quando troverò l'uomo giusto, potrò anche decidere di sposarmi. Fino allora, questa sono io. Se non ti vado bene, sono solo problemi tuoi.».
Sono stata crudele, ma non ne potevo più. Anch'io vorrei innamorarmi, ma non posso farlo a comando. Non so nemmeno se esista l'uomo dei miei sogni e, se esistesse, lo troverò quando arriverà il momento. Non tutti hanno la fortuna di trovare il vero amore in giovane età, molti lo trovano tardi e molti altri non lo trovano per niente. Potrei rientrare nell'ultima categoria per quanto ne so.
 
***
 
Lorenzo si è fermato da me anche per pranzo, non ha alcuna fretta di tornarsene a casa da sua madre. Sicuramente sta aspettando che io faccia quella telefonata e poi si eclisserà, vuole assicurarsi che io chiami sul serio quel numero. Non si fida completamente di me, come dargli torto, non avevo alcuna intenzione di farlo.
«Allora? Ti vuoi dare una mossa? Non ho intenzione di mettere radici in questa casa, avrei altro di meglio da fare.», dice bevendo tutto d'un fiato un bicchiere di acqua gassata.
Che rottura di palle! Può essere davvero petulante a volte e anche piuttosto irritante. Meglio accontentarlo, altrimenti non ne verrò più fuori.
Prendo in mano il biglietto da visita e compongo il numero segnato, suona libero. Per lo meno il numero esiste, è già un passo avanti.
Al quarto squillo, quando ormai stavo per perdere le speranze, risponde una voce femminile. Mi gratto il mento con aria indifferente cercando di evitare lo sguardo divertito del mio amico. Si è messo comodo sulla sedia, le mani intrecciate dietro la nuca e un sorrisetto malizioso. Cerco di non distrarmi. La tipa è piuttosto agitata, lo credo bene! Spero sia pentita di quello che ha fatto. Ci mettiamo d'accordo per incontrarci lunedì pomeriggio. Andrò da Gino a far controllare il danno prima. Ho come la netta sensazione che non voglia mettere in mezzo l'assicurazione, a nessuno fa piacere vedersi aumentare la rata. A me basta avere i miei soldi per ripagare il danno, non importa da dove arrivano, va benissimo anche un bell'assegno.
Ascolto attentamente la sua voce, sembra giovanile e anche piuttosto sexy. Se lunedì mi trovo davanti una sessantenne, giuro che picchio la testa contro il muro o mi prendo a schiaffi da solo, deciderò al momento. Chiudo gli occhi e me la immagino alta, bionda, occhi azzurri come il cielo e un davanzale da paura, con addosso un vestitino cortissimo che fa risaltare tutte le sue curve. Scaccio quell'immagine da davanti agli occhi, l'atmosfera si sta surriscaldando e non mi sembra il caso. Sono certo che rimarrò totalmente deluso quando la vedrò.
Una volta conclusa la telefonata, Lorenzo si rimette seduto normalmente.
«Allora?», chiede in fermento.
«Ci vedremo lunedì per un caffè.», gli rispondo versandomi un bicchiere di acqua ghiacciata.
«Come ti è sembrata? Ti sembra gnocca?».
L'immagine di lei che avevo creato nella mia mente riappare per magia davanti ai miei occhi.
«Lo spero tanto.», commento stringendomi nelle spalle.
«Tu, vecchio volpone, credi che lei sia una gran gnocca. Oh sì, tu lo credi sul serio.», mi guarda con gli occhi socchiusi, puntandomi un dito contro.
«Beh, la fantasia gioca brutti scherzi a volte.», mi giustifico.
«Io sono dell'idea che se il danno non è troppo oneroso, potresti farti pagare in natura. Sai che soddisfazione sarebbe?».
È anche orgoglioso della cazzata che ha appena sparato, giuro che a volte mi cascano le palle.
«Sei serio?».
So per certo che lo è, purtroppo.
«Io sono sempre serio su queste cose.», brontola.
«Ed è la cosa che mi preoccupa maggiormente.», esclamo concludendo il discorso.
Non ne voglio più parlare. Vorrei che se ne andasse fuori dai piedi, così potrò godermi in santa pace il resto del sabato.
 
Domenica mattina arriva troppo in fretta, mi sveglio alle dieci, ma non ho alcuna voglia di alzarmi e prepararmi per andare a casa Rossini, ne farei volentieri a meno. Questi pranzi in famiglia sono sempre una gran rottura di scatole. Litigherò con mio padre, come ogni santissima volta e mi sorbirò le lamentele di mia madre sul fatto che non l'ho ancora resa nonna alla mia età. Non le bastano quattro nipoti? Ha proprio bisogno di altri bambini in giro per casa? Certo, come può andare avanti il nome di famiglia se il loro unico figlio maschio non procrea? Che ridere se poi avessi soltanto femmine. Che cosa sto dicendo? Io non voglio figli, non ne sento il bisogno. Sto così bene da solo.
Mi concedo una doccia gelata, devo cacciare via questi pensieri senza senso. Mi vesto con una lentezza quasi snervante e aspetto finché non sono pronto psicologicamente.
Prendo un bel respiro e alle undici metto piede fuori di casa. Non posso nemmeno ritardare, altrimenti mia madre si arrabbia e, a dirla tutta, non vorrei sentirla brontolare ulteriormente. Lo fa già abbastanza di suo.
La villa dei Rossini si trova in collina, in mezzo a ettari di verde, dove da piccolo mi divertivo a correre come un pazzo. Mio padre ha un'azienda vinicola, prima di lui apparteneva a mio nonno. Avrebbe tanto voluto che continuassi con la tradizione di famiglia, ma non ha mai fatto per me, e lui non ha mai capito la mia scelta. Non ho la stoffa dell'imprenditore, non posso farci niente. Adoro fare il rappresentante, mi piace stare in mezzo alla gente. Non andrei d'accordo con mio padre, mi farei venire la gastrite, o peggio l'ulcera; ci tengo alla mia salute e alla mia sanità mentale.
Salgo sulla mia bambina, evitando di posare lo sguardo sulla fiancata, sono già piuttosto stressato di mio, quella vista mi farebbe sentire ulteriormente peggio.
Indosso i miei occhiali da sole a specchio e mi metto in marcia, con pochissima voglia.
Venti minuti dopo sono davanti al cancello della villa, i miei nipotini stanno correndo in giardino e si bloccano di scatto nel vedermi su una macchina che non avevano mai visto. Mia sorella Lucrezia mi fa entrare e parcheggio accanto alle loro station.
«Marco, ti sei fatto la macchina nuova e non mi dici niente?», commenta osservandola con occhio curioso e soffermandosi sul punto incriminato.
«Non aprire bocca, ti prego!», la imploro con lo sguardo.
Mette le mani avanti e non proferisce parola.
«Brava la mia sorellina.», soffio abbracciandola forte.
«Zio! Zio!».
Daniele, l'ultimogenito di Lucrezia sta correndo verso di noi. Allargo le braccia e ci si fionda immediatamente. L'unico nipote maschio della famiglia, il mio ometto.
«Ciao squaletto! Come stai?», lo saluto con un bacio sulla guancia.
Lui si avvinghia a me come un koala e sorride.
«Sto bene, era ora che arrivavi.».
«Era ora che arrivassi.», lo corregge mia sorella
Daniele alza le spalle con fare noncurante. Ha cinque anni, avrà tempo di imparare il congiuntivo. In effetti, ci sono parecchi adulti, anche di un certo livello, che non hanno la più pallida idea di che cosa sia.
«Dì alla tua mamma che il tuo zio preferito aveva capito lo stesso.», gli sussurro all'orecchio.
Lui ripete parola per parola, come un piccolo pappagallo, facendomi sorridere. Lo tengo stretto fra le mie braccia, adoro questo piccolo terremoto.
Senza nemmeno rendermene conto, mi ritrovo mia madre accanto.
«Marco, tesoro, sei arrivato finalmente.», cinguetta felice.
«Potevo mancare?», commento sarcasticamente.
Fortunatamente la signora Rossini sembra non capire il mio sarcasmo, o forse fa solo finta, a essere sincero non l'ho ancora capito. Preferisco rimanere nel dubbio.
«Beh, magari potevi avere altri impegni.», dice togliendo una fogliolina dai capelli di Daniele.
Sto per aggiungere una mia osservazione al vetriolo, ma lei mi batte sul tempo.
«Non hai voglia di averne uno tutto tuo?», stampa un bacio sulla guancia al nanerottolo e gli sussurra quanto è bello.
«Posso spupazzarmi lui, non va bene?», sbotto un po' più acido del dovuto.
«Certo che va bene, ma sai che cosa intendo. Hai già trentacinque anni, sarebbe ora che mettessi la testa a posto.».
Ecco che ci risiamo! Ogni domenica è sempre la stessa solfa, non cambia mai e sono certo non succederà finché non avrò trovato una donna da presentare alla mia famiglia. Onestamente non so se vorrei mai presentarmi qui con la donna che amo, avrei paura che cambiasse idea sulla nostra relazione una volta messo piede in questa gabbia di matti. Ambra, la piccolina di Chiara, si aggrappa alla mia gamba.
«Zio Marco, la vuoi vedere la mia bambola nuova?», chiede con un sorriso sdentato.
Colgo l'occasione al volo, afferro la manina della mia intelligentissima nipote di sei anni e mi allontano dalla mia genitrice senza degnarla di un commento sulla sua insinuazione. Mia sorella la sta rimproverando e io sorrido, voltando loro le spalle. Almeno Lucrezia è dalla mia parte.
Ambra mi porta in salotto e mi fa sedere sul divano; Daniele è ancora avvinghiato a me, non ha intenzione di staccarsi.
«Vuoi bene allo zio?», gli domando strofinando il mio naso contro il suo.
Lui mi bacia maldestramente la guancia.
«Tanto così!», risponde allargando le braccia.
«Oh, ma è tantissimo!», sorrido felice.
Ambra ci raggiunge un attimo dopo, ha una bambola bionda e ben vestita in mano. Mi ricorda molto la tipa cui avevo pensato mentre ero al telefono, e non va bene.
«Ti piace, zietto?».
Aspetta una mia risposta dondolandosi nervosamente sul divano.
«È bellissima, Ambra.», enfatizzo per renderla felice. «Come si chiama?».
«Si chiama Serena, come la mia amichetta che ho conosciuto all'asilo.».
Mi casca la mascella. Con tutti i nomi che esistono a questo mondo, doveva proprio scegliere quello? C'è qualcosa di strano nell'aria, ne sono certo.
«È un nome bellissimo, da principessa.».
Lei mi sorride radiosa, ho fatto centro. Almeno i miei nipoti li so conquistare alla grande.
«Zio, zio!», urlano in coro Cristina e Gioia.
In effetti, mancavano solo loro all'appello. Mi si gettano contro e mi riempiono di baci. Potrei soffocare e morire, ma almeno morirei felice.
«Mi siete mancate anche voi cucciole.», dico arruffando loro i capelli.
Mia sorella Chiara mi sta fissando appoggiata allo stipite della porta, con un sorriso stampato sulle labbra.
«Che ci posso fare, io sono lo zio preferito.», esclamo nella sua direzione.
Lei scoppia in una fragorosa risata.
«Dai, zio preferito, muoviti che il pranzo è pronto.», viene da me e mi stampa un bacio sulla testa e poi rivolta ai bambini aggiunge: «Voi mostriciattoli andate di corsa a lavarvi le mani!».
Loro eseguono senza commentare, corrono via come dei fulmini emettendo dei gridolini entusiasti. Sono davvero uno zio fortunato, lo ammetto ho un debole per loro.
«Lo sai che saresti un papà meraviglioso?».
Chiara mi offre le sue mani e mi aiuta ad alzarmi, una volta in piedi, la avvolgo in un abbraccio.
«Dubito che sarei in grado di prendermi cura di un marmocchio.», mi esce una smorfia involontaria.
«Puoi fare il duro con la mamma, ma non puoi fingere con la tua sorella preferita.», mi strizza l'occhio. «Tu hai un cuore enorme, ma lo tieni nascosto sotto a uno strato di cinismo e menefreghismo piuttosto spesso. Hai bisogno di una donna che ti dia del filo da torcere, che ti faccia soffrire...».
«Grazie eh?!», la interrompo infastidito.
«Sei abituato ad avere tutto e subito, Marco, è sempre stato così, non puoi negarlo.», mi guarda a braccia conserte e un sopracciglio inarcato.
«Non l'ho mai fatto.», brontolo.
«Perciò hai bisogno di una che ti renda la vita difficile, solo allora capitolerai.», termina con questa bellissima frase a effetto.
«Da dove arriva questa perla di saggezza? Da uno dei tanti romanzetti rosa che continui a leggere a valanghe?», borbotto storcendo il naso.
Mi punta un dito contro con aria minacciosa.
«Ascoltami bene, non ti permettere di offendere i miei gusti letterari, almeno io leggo romanzi, tu leggi solamente quei giornaletti sportivi.».
Avrei voluto aggiungere che leggo anche qualcos'altro, ma mi sono morso la lingua, mi sarei scavato la fossa da solo, visto che Chiara ha perfettamente ragione.
«E poi sai che prima o poi succederà, perderai la testa per una donna che te la farà sudare.».
Sto per aprire bocca, ma mi zittisce con un cenno della mano.
«Sì, intendo proprio quello, hai capito benissimo.», mi ammonisce con lo sguardo.
Non esiste! Nessuna donna resisterebbe al mio fascino, nessuna. Mia sorella non può aver ragione su tutto, soprattutto non ha idea di quanto il mio charme possa colpire una donna. Non ho comunque nessuna intenzione di capitolare, non è nei miei progetti a breve termine.
I miei cognati Giulio e Cesare ci raggiungono in sala. Sì, lo so, mi diverto tantissimo a prendermi gioco di loro, mi viene naturale. Come si fa a non prenderli per il culo con dei nomi così?
Riesco a sopravvivere a questo pranzo, con non poca difficoltà. I coniugi Rossini non hanno fatto altro che punzecchiarmi con frecciatine poco velate, alle quali ho risposto con il mio innato sarcasmo, facendo imbestialire più volte mio padre. Non c'è niente da fare, amo farlo incazzare, probabilmente sono un masochista nato.

 
***Note dell'autrice***
Ed ecco a voi il terzo capitolo di questa storiella :) La telefonata è stata fatta, l’appuntamento è stato fissato… ora non ci resta che aspettare con ansia questo temuto incontro. Che cosa succederà? Qualche idea a riguardo? Su, su, fatevi sentire! Sono curiosa di sapere che cosa pensate! :)
Abbiamo anche conosciuto le rispettive famiglie... ci sarà da divertirsi anche con loro!
A martedì prossimo!
Grazie infinite a chi sta seguendo e apprezzando questa mia storia… mi rendete davvero felice! Un grazie immenso a chi ha speso qualche minuto di tempo per farmi sapere la sua opinione, vuol dire molto per me ♥



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Bijouttina & i suoi vaneggiamenti

 

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Capitolo 4
*** Ansia da incontro ***


 



4. Ansia da incontro
Sono parecchio distratta oggi, l'ansia mi sta perseguitando da ore ormai. Ho il terrore di incontrare quell'uomo, ho paura mi possa spennare. Spero con tutto il cuore che questo incontro sia veloce e indolore.
«Meno uno all'ora x.», m’informa Luca con aria divertita.
Gli mostro la lingua. Non ho bisogno che me lo ricordi, sono già piuttosto agitata di mio e il suo modo di fare non mi aiuta per niente. Lui lo sa benissimo, ma si diverte un mondo a farmi impazzire. Prima o poi gliela faccio pagare, lo giuro.
«Dai che andrà tutto bene!», mi rassicura.
Sì, certo, almeno lui ha la certezza che andrà tutto bene, io un po' meno. Riempio le guance di aria e la rilascio un po' per volta, emettendo dei suoni strani.
Continuo a ripetermi che ce la posso fare, ottenendo come risultato, un gran mal di testa. Sto boccheggiando.
Mi sento scuotere per le spalle.
«Rilassati.», mormora il mio migliore amico avvolgendomi in un abbraccio. «Sembra che tu stia andando al patibolo.».
Rilassarmi? Come posso rilassarmi? Mi agito ancora di più quando non so quello che mi aspetta, non ci posso fare niente. Non sono un'ottimista come Luca, io vedo cose negative in tutto e vado nel panico. Vive certamente meglio lui, ma a trent'anni è difficile cambiare certi aspetti del proprio carattere.
Vado avanti a lavorare per inerzia, la mente si perde in mille pensieri catastrofici, in uno mi ritrovo tagliata a pezzettini in fondo al lago d'Iseo. E se fosse un maniaco e mi volesse davvero fare a pezzi? Per fortuna dobbiamo incontrarci in un luogo pubblico in pieno giorno, male che vada mi metto a gridare come una pazza, i carabinieri dovrebbero arrivare in un nano secondo. Luca ha guardato in internet dove si trova quel bar ed è proprio accanto a una caserma, meglio di così non poteva andarmi. Mi sento abbastanza protetta e tutelata.
«È ora... drin drin drin.».
Luca mi riscuote dai miei pensieri macabri, imitando il suono irritante della sveglia. Giuro che gli farò molto male uno di questi giorni.
«Grazie, sei gentile a ricordarmelo così dolcemente. Ti caverei gli occhi in questo momento, uno strappo netto, non sentiresti nemmeno molto dolore.», sibilo a denti stretti.
«Oh mio Dio, tesoro, che immagine disgustosa. Devi smetterla di guardare tutti quei telefilm violenti. Fallo per me. La mia Serena non può essere così aggressiva.», commenta con una smorfia.
«Posso eccome, non sfidare la sorte, tesoro!», lo prendo in giro con le mani piantate sui fianchi.
«Non sei divertente, sappilo e ti sto odiando parecchio.», borbotta infastidito.
«Bravo, continua pure a odiarmi mentre io vado al patibolo. Se fra qualche ora non mi dovessi sentire, chiama la polizia. Potrei aver fatto una brutta fine, e un po' sarebbe stata pure colpa tua.», gli punto un dito contro.
«Mia?», si indica con l'indice, sconvolto.
«Sì, è sempre colpa tua.», gli stampo un bacio sulla guancia. «Ti voglio bene lo stesso.».
«Per fortuna, pensa come mi tratteresti se mi odiassi.», mi prende per i fianchi e mi bacia lievemente sulle labbra. «Comunque anch'io ti voglio bene.».
Sospiro pesantemente e affondo il naso nell'incavo del suo collo.
«Andrà bene, ne sono certo. Ti chiamo alle cinque per sapere com'è andata.», mi rassicura.
«Va bene.».
Corro a casa a farmi una doccia e a rendermi presentabile. Mia madre dice che sono sciatta, forse ha ragione. Decido di indossare un vestitino rosa, senza maniche, e mi trucco il meglio possibile. Passo le mani fra i capelli per renderli più vaporosi, ho deciso perfino di mettermi un filo di rossetto. Mi guardo allo specchio e mi esce una smorfia: sono un po' troppo in tiro per un caffè pomeridiano, ma non posso togliermi tutto con la fatica che ho fatto. Spero solo che non interpreti equivocamente la mia voglia di sembrare più femminile. Non vado lì per conquistare un uomo, vado lì per farmi svuotare il portafoglio. Non ne sono per niente felice, ma ormai non posso più tirarmi indietro.
Prendo un bel respiro e salgo nuovamente sul mio bolide, ha ancora il fanale rotto, non ho avuto il tempo di andare a farlo cambiare. Ci penserò domani, giorno più giorno meno ormai non fa alcuna differenza.
Seguo le indicazioni scritte da Luca su un foglietto e raggiungo il bar senza alcuna difficoltà. L’auto sportiva che ho rigato è già parcheggiata davanti al locale. Lascio la macchina dall'altra parte della strada, non vorrei combinare qualche altro disastro. Attraverso stando attenta a non venire investita, è una strada piuttosto trafficata.
Una volta davanti alla porta, metto la mano sulla maniglia e respiro a fondo, l'ansia mi sta attanagliando lo stomaco. Entro titubante, non so chi possa essere. Ci sono un paio di tavolini occupati, ma nessuno di loro è solo. L'unico uomo non accoppiato è al bancone, di spalle. Ha un gran bel fondoschiena. Che cavolo mi passa per la testa?
Mi avvicino lentamente e, quando lo raggiungo, mi schiarisco la voce.
«Signor Rossini?».
Lui si gira di scatto e quando i nostri occhi s’incontrano, ho una fitta alla bocca dello stomaco.
«Ancora tu!», sbottiamo all'unisono.
Il suo sguardo si fa serio e m’incenerisce in un attimo; incrocio le braccia al petto e lo fisso con gli occhi socchiusi, piuttosto irritata. No, non posso sopportarlo. Giro sui tacchi e m’incammino verso l'uscita. Qualcuno mi afferra il braccio, la presa è salda, ma non abbastanza da farmi male.
«Non così in fretta, dobbiamo parlare.», mi ammonisce.
«Facciamo una cosa veloce, non voglio perdere tempo con te.», brontolo.
Inarca un sopracciglio, un angolo della bocca si solleva all'insù.
«Forse abbiamo cominciato con il piede sbagliato.», lascia andare il mio braccio e mi porge la mano. «Io sono Marco.».
«Serena.», mugugno.
Sono piuttosto impressionata dal suo cambio di umore, sta perfino sorridendo ora. Devo ammettere una cosa: aveva ragione Luca, è un gran pezzo di manzo.
«Vieni, sistemiamoci lì.».
Lo seguo lungo il locale e mi sposta una sedia per farmi sedere. Che galantuomo. Non ci starà mica provando con me? Ha capito male, non sono il tipo di donna che perde la testa per un uomo al primo sguardo.
«Che cosa posso offrirti?», chiede senza smettere di guardarmi negli occhi.
Ammetto che quei suoi occhi blu mi stanno facendo un certo effetto, mi sento arrossire. Per fortuna si perde sotto a uno strato di fondotinta, non dovrebbe accorgersene.
«Un caffè macchiato latte va più che bene.», rispondo distogliendo lo sguardo da lui e posandolo sulle mie dita che si muovono nervosamente sul tavolino di legno.
«Perché si macchia anche in un altro modo?».
La sua domanda mi fa corrugare la fronte, perplessa. Ritorno a guardarlo con espressione corrucciata.
«Pensavo che il caffè si macchiasse solo con il latte.», continua con aria divertita.
Sta cominciando a diventare fastidiosamente irritante.
«Quando hai finito di prendermi per il culo, fammelo sapere.», ringhio acida.
È antipatico da morire, gli toglierei quell'aria da strafottente a suon di pugni in faccia. Si crede un gran figo, invece è solo un cretino.
«Scusami, non era mia intenzione prenderti per il culo.».
Attira l'attenzione della barista e ordina due caffè macchiati, lei lo guarda in totale adorazione, io totalmente schifata. Non riesco a reprimere una smorfia, si forma incontrollata sul mio viso.
«Allora, quanto ti devo per il danno alla macchina?», domando senza troppi giri di parole, voglio andare via il prima possibile.
«Hai fretta di tornare a casa?».
Deve smetterla di guardarmi in questo modo, mi fa contorcere lo stomaco.
«Sono stanca e, sinceramente, mi stai sulle palle.», borbotto fissandolo con gli occhi ridotti a due fessure. Schietta e diretta. Probabilmente me ne pentirò, ma non sono riuscita a trattenermi, quelle parole sono uscite dalle mie labbra senza rendermene conto.
«Wow.», commenta appoggiandosi con la schiena alla sedia. «Nessuna donna me lo aveva mai detto prima d'ora.».
Un sorriso divertito non lascia le sue labbra.
«C'è sempre una prima volta.», dico muovendomi nervosamente sulla sedia.
«Su questo hai ragione. Comunque non è che tu sia Miss Simpatia, perché tu lo sappia.», aggiunge ridendo. Una risata cristallina che raggiunge dritta il mio cuore.
Nascondo il mio imbarazzo con un piccolo colpo di tosse. So di non essere molto cortese a volte, soprattutto quando sono nervosa, divento intrattabile, ma sentirselo dire da uno come lui non fa molto piacere.
«Dimmi quanto ti devo.», sbotto esasperata.
«Stasera a cena.».
Mi coglie totalmente impreparata con questo invito.
«Non mi sembra il caso.», scuoto la testa vigorosamente.
«Giusto, hai ragione, sei già impegnata.», borbotta rabbuiandosi improvvisamente.
Beh, potrei anche esserlo davvero, potrei avere un impegno inderogabile e poi non ho alcuna intenzione di uscire con lui a cena.
Beviamo il caffè in silenzio, il nervosismo è palpabile, si potrebbe perfino tagliare a fette.
«Mandami la fattura al negozio di articoli sportivi all'outlet, lavoro lì.», rompo il silenzio, era insopportabile. «Lasciami le coordinate della tua banca, ti farò un bonifico.».
Mi alzo di scatto e mi giro per andarmene.
«Aspetta...».
Marco mi raggiunge e posa una mano sul mio braccio. Cerca di dire qualcosa, ma io lo fermo immediatamente.
«Mi dispiace per la macchina e anche per il cappuccino. Addio Marco, spero che le nostre strade non dovranno più incrociarsi, non vorrei rigarti nuovamente l'auto per sbaglio.».
Mi allontano senza dargli il tempo di replicare, mi sento una strana sensazione allo stomaco e non capisco da che cosa sia dovuta. Sono stremata, ho voglia di tornarmene a casa e sdraiarmi sul divano. Questa conversazione mi ha tolto energia vitale e svuotato la testa.
Mentre aspetto di attraversare la strada, mi volto verso il bar. Marco sta uscendo proprio in quel momento e, appena mi vede, cammina velocemente nella mia direzione. Attraverso la strada al volo, rischiando di venire investita da un camion.
Salgo in macchina e scappo alla velocità della luce prima che possa raggiungermi. Guardo nello specchietto retrovisore, è immobile sul ciglio della strada, lo sguardo fisso nella mia direzione. Il mio cuore perde un battito.
Mi sta tornando l'emicrania, devo prendere per forza le mie gocce appena sarò a casa. Ci mancava solo la testa che martella per finire in bellezza questo incontro assurdo. Chiudo la macchina in garage e, una volta in casa, mi butto di peso sul letto, il viso premuto sul cuscino.
Alle cinque in punto il mio telefono comincia a suonare, Luca.
«Allora sei ancora viva!», tuona il mio migliore amico dall'altra parte della linea.
«Sì, sono ancora viva, anche se la testa mi sta scoppiando.», mi copro gli occhi con un braccio. Al buio va un po' meglio.
«Com'è andata? Ti ha chiesto tanti soldi? Era un vecchio bavoso?», mi stordisce con una sfilza di domande a raffica.
«È andata, non era un vecchio bavoso. Hai presente il tipo del cappuccino?», chiedo sospirando.
«Certo, il pezzo di manzo. Perché? Assomigliava a lui?».
«Ehm, non è che assomigliasse a lui, era lui.», rispondo con una smorfia.
Ripenso ai suoi occhi blu, a quelle labbra meravigliosamente perfette, a quel corpo scolpito nascosto sotto quei vestiti eleganti, mi stanno venendo le scalmane.
«Ah!», è tutto quello che riesce a dire.
«Voleva portarmi fuori a cena. Gli ho detto di mandarmi la fattura al negozio e che speravo di non rivederlo più.».
Sono stata davvero così idiota da dirgli una cosa del genere? La risposta a questa mia domanda la dà Luca, con la sua innata finezza.
«Vorresti dirmi che un pezzo di uomo del genere ti avrebbe invitato fuori a cena e tu avresti rifiutato in quel modo insulso?», fa una pausa a effetto e poi sbotta: «Ma sei rincoglionita o cosa?! Sere, riprenditi!».
«Gli ho anche detto che mi sta sulle palle.», mi mordo la lingua.
L'ho fatto davvero e mi sto vergognando terribilmente, ero un tantino nervosa.
«Sì, è certo, sei rincoglionita! Non ho altro da aggiungere.».
Non è vero, ha altro da aggiungere, va avanti per ben venti minuti a insultarmi poco velatamente per il mio comportamento da bambina dell'asilo. Avrà anche ragione, ma ormai il danno è fatto.
 
 
***
 
 
Ho appuntamento in carrozzeria da Gino alle dieci, ho tempo per passare da qualche cliente in zona prima di recarmi da lui. Non sono molto preoccupato per il costo del lavoro, tanto non sarò io a pagare. Spero vivamente che questa Serena non sia braccino corto, altrimenti non troveremo mai un accordo, e sinceramente non ho voglia di rimandare in eterno questa storia. Voglio sistemare al più presto la mia bambina.
Raggiungo l'officina con cinque minuti di ritardo, c'era un incidente in tangenziale e ho dovuto prendere un'uscita diversa; questi contrattempi riescono a farmi innervosire all'inverosimile.
«Scusa il ritardo, Gino. Un tir è andato in culo a una macchina in tangenziale e mi hanno chiuso l'uscita.», brontolo.
L'uomo, un cinquantenne brizzolato con un naso piuttosto pronunciato - potrebbe prendere la televisione a pagamento, usandolo come antenna - mi sorride radioso.
«Non è mica colpa tua, Marco!», si pulisce le mani sporche di grasso su uno straccio e mi dà una pacca sulla spalla.
Mi auguro non abbia lasciato le impronte sulla camicia, altrimenti lo picchio, giuro che lo faccio.
«Dov'è la bambolina bisognosa di cure?», chiede guardandosi in giro e posando gli occhi sulla mia bambina.
Emette un fischio di gradimento.
«Ragazzo mio, ti sei fatto proprio un bel regalo.», commenta avvicinandosi alla mia macchina.
«Anche una stronza mi ha fatto un bel regalo, guarda.», indico il punto incriminato con l'indice.
Gino osserva attentamente il graffio, grattandosi il mento.
«Sarebbe questo il danno incommensurabile che quella megera ti avrebbe procurato?», mi osserva inarcando un sopracciglio, ha l'aria di uno che vorrebbe scoppiare a ridere, ma che si sta trattenendo per non farlo.
«È un graffio enorme!», sbotto indicandolo con entrambe le mani, come se fosse una cosa ovvia.
Mi sta forse prendendo per il culo? Non mi piacerebbe neanche un po'!
«Marco, respira a fondo e guardami negli occhi.», mi schiocca le dita davanti al naso.
«Stai cercando di ipnotizzarmi per farmi credere che sia tutto soltanto un brutto sogno?», chiedo incrociando le braccia al petto.
Gli cadono le braccia lungo i fianchi e mi guarda attonito.
«Sei proprio serio.», conferma scuotendo la testa.
Sparisce nella sua officina e torna un attimo dopo con uno straccio in mano. Che diavolo ha intenzione di fare?
Strofina con vigore il punto graffiato per qualche minuto, due, forse cinque, non lo so, il tempo sembra essersi fermato. Mi gratto nervosamente la fronte, sto cominciando a sudare freddo. Si allontana di un passo e controlla il suo lavoro. Io non ho il coraggio di guardare.
«Et voilà!», esclama soddisfatto.
Et voilà? Che cosa significa?
«Posso sapere anch'io che cosa sta succedendo?», chiedo sempre più perplesso.
«Non ti sei accorto che il danno è sparito come per magia?».
Mi fissa a braccia conserte, un sorriso divertito appare sulle sue labbra.
«Come sparito?», mi abbasso e sfioro la carrozzeria con le dita.
Il graffio non c'è più sul serio, spalanco la bocca, non riesco a emettere nemmeno un suono. La mia bambina sta bene, è di nuovo in gran forma. Sembra un sogno.
«Non era un graffio, era solo un segno superficiale. Bastava passarci sopra un panno e sarebbe andato via in un batter d'occhio. Non ci avevi provato?».
Scuoto la testa. Ero talmente incazzato e demoralizzato che ho dato per scontato che fosse un segno permanente. Che figura di merda! Nessuno dovrà mai sapere questa storia, se i miei amici lo scoprissero, mi prenderebbero per i fondelli per il resto della mia vita. No, questo dovrà rimanere un segreto tra me e Gino.
«Non raccontarlo in giro, ti prego.», lo imploro posandogli una mano sul braccio, lo sguardo implorante.
«Sarò muto come un pesce.», mi rassicura.
Dubito che lo farà, sarò il protagonista delle sue storielle divertenti per moltissimo tempo, ne sono certo.
«Ti devo qualcosa per il disturbo?», domando cercando di darmi un po' di contegno.
«Mi offrirai da bere la prossima volta che passerai di qua.», mi strizza l'occhio.
«Più che volentieri.».
Ci salutiamo e vado a finire il giro di clienti, prima di tornare a casa e prepararmi per l'incontro con questa Serena. Non mi ha rovinato la macchina nuova, che figura ci faccio ora? Le dirò che non era così grave come pensavo e che non voglio essere pagato. Certamente non le dirò che bastava passarci sopra un panno per rimuovere il graffio.
Sono stato un vero coglione. Se Lorenzo venisse a sapere di questa storia, per prima cosa riderebbe come un pazzo e poi mi perseguiterebbe a vita. No, non ci penso proprio.
Sono a casa per le tre, giusto il tempo di una doccia e cambiarmi. Avevo ragione, Gino mi ha lasciato il segno delle dita unte di grasso sulla mia camicia, ora dovrebbe lui pagare da bere a me.
Arrivo al bar dell'appuntamento dieci minuti prima, aspetto in macchina, non mi va di farlo all'interno. Rispondo al messaggio che mi ha mandato Lorenzo, con la sua innata grazia mi ha scritto: Chiamami appena hai finito, voglio sapere se è gnocca.
Se malauguratamente non lo facessi, mi chiamerebbe lui e non smetterebbe finché non avrà soddisfatto la sua curiosità. Scuoto la testa, ridendo da solo.
Decido di entrare quando ormai sono già le quattro. Conosco la proprietaria e faccio due chiacchiere mentre aspetto, flirta con me come tutte le volte. Avrà una quarantina di anni, è una bella donna, ma non è il mio tipo.
Qualcuno alle mie spalle chiama il mio nome e, quando mi giro, mi cade la mascella. È lei! Serena è la stronza del cappuccino! Mi tratta da schifo anche oggi, cerca anche di andarsene, ma io la trattengo per un braccio. È furiosa. Acconsente di sedersi al tavolino e prendere quel caffè con me.
Devo ammettere che è ancora più bella di quanto ricordassi. Quel vestito rende onore alle sue curve perfette, intravedo il pizzo del reggiseno attraverso la generosa scollatura ed è piuttosto eccitante, vorrei esplorare il suo interno. Smetto di pensarci e mi concentro sulle sue labbra, pessima scelta. Il rossetto scarlatto le rende ancora più desiderabili.
Mi sta trattando acidamente, ha perfino detto che gli sto sulle palle, ma non m'importa. Non riesco a smettere di fissarla e di bramare quelle labbra meravigliose. Quanto vorrei sentirle sulle mie in questo momento, stringerla forte fra le mie braccia.
Mi chiede quanto deve pagare per il danno che ha procurato. Vorrei risponderle che non mi deve assolutamente niente, ma non ne ho il coraggio. Non avrei più alcuna scusa per rivederla e non potrei sopportarlo.
Le chiedo di uscire a cena con me. Il suo sguardo sconvolto mi rattrista non poco. E poi mi rendo conto della gaffe, ha già un uomo, non può uscire con me. E ora? Si alza di scatto e mi saluta come se fosse un addio. Un addio? No, non lo sarà. Io voglio rivederla, voglio conquistarla, fosse l'ultima cosa al mondo che farò.
Devo raggiungerla, devo baciarla, devo...
Esco a grandi falcate dopo aver pagato i due caffè. Sta per attraversare la strada e, appena mi vede, scappa, rischiando di essere travolta da un tir che sta passando in quel momento. L'autista suona insistentemente il clacson e la manda a quel paese urlando come un pazzo.
La guardo allontanarsi con la sua macchina. Se n'è andata senza permettermi di dirle una parola, ha deciso lei anche per me. Addio. Addio un par di palle! Io non mi arrendo così facilmente.
Se avesse ragione Lorenzo, e quello non fosse il suo fidanzato? Se fosse sola? Devo rischiare il tutto e per tutto. Conquisterò il suo cuore. Nessuna donna mi aveva mai trattato in questo modo, forse ha ragione mia sorella, ho sempre ottenuto tutto quello che volevo senza alcuna difficoltà. Serena, però, non è come tutte le donne che ho frequentato finora, lei non mi sopporta, conquistarla sarà un'impresa titanica. La cosa che lei non sa è che io amo le sfide. Non mi arrenderò finché non sarà mia.
Batto la testa contro il volante per la frustrazione, devo trovare un modo per rivederla, escogitare qualcosa per vederla spesso. Non so niente di lei, non conosco i suoi gusti, le sue abitudini, sarà davvero dura attirare la sua attenzione, ma qualcosa mi inventerò. Non mi arrendo di certo davanti alla prima difficoltà, non sarebbe da me.
Lungo tutto il tragitto verso casa, non ho fatto altro che borbottare frasi sconnesse. Fermo al semaforo, un tizio mi fissa come se fossi impazzito. Che cazzo ha da guardare?
«Vuoi una foto?», grido guardandolo in cagnesco.
Lui mi manda a quel paese senza tanti convenevoli.
Stronzo.
Una volta in casa, mi butto di peso sul divano, mi è pure venuto mal di testa. Prendo il telefono dalla tasca dei pantaloni e chiamo Lorenzo per informarlo sugli ultimi avvenimenti.
«Allora? Spara! Voglio ogni piccolo dettaglio, ma soprattutto...».
Finisco io la frase per lui: «Bocca, tette, culo.».
«Vedo che stai imparando, non ho bisogno di aggiungere altro. Vai.», mi sprona con enfasi.
«Beh, ha un corpo da favola, un seno bello pieno, una quarta direi, bocca meravigliosamente carnosa, un culo davvero fantastico.», comincio ripensando intensamente a lei.
«Quando te la scopi?», domanda ridendo.
«C'è solo un piccolo problema.», lo informo.
«Lo sapevo! È una vecchia rifatta dalla testa ai piedi!», sbuffa schifato.
«No, non è per niente vecchia, è semplicemente stupenda.».
Chissà che cosa starà facendo ora, se starà pensando a me almeno un po'.
«E quale sarebbe il problema allora?», bofonchia confuso.
«Ehm, è la ragazza che mi ha rovesciato il cappuccino sulla camicia l'altro giorno in pasticceria.».
«La gnocca stratosferica?», chiede incredulo.
«Già. E mi odia.», mi massaggio la tempia con le dita.
«Come fai a saperlo?».
Domanda lecitissima.
«Me l'ha detto in faccia. Testuali parole: mi stai sulle palle.», rispondo sconsolato.
«Ah però, ha fegato la ragazza! Tu, maschio alfa, avrai l'orgoglio sotto le suole delle scarpe, ferito in quel modo da una stronza malefica.».
«Peccato che quella stronza malefica mi sia entrata nella testa e ora la voglio disperatamente.».
Oh sì, voglio Serena, la voglio con tutto me stesso.
«Deve essere davvero un gran pezzo di gnocca se ti ha ridotto in quello stato.», commenta divertito.
Fosse solo quello...
«Devo trovare un modo per conquistarla, Lorenzo. Che cosa dovrei fare?», confido nelle sue perle di saggezza.
«Che cosa dovresti fare? Va da lei, sbattila contro il muro e fattela alla grande. E poi avevamo fatto una scommessa: se fosse stata gnocca, ci saresti andato a letto insieme. La scommessa è ancora valida.».
Perle di saggezze un corno! Speravo davvero di contare su di lui? Dovevo essere piuttosto disperato per chiedere consiglio a lui.
«Nessuna scommessa, sono stufo marcio delle tue scommesse. Ora la mia missione è conquistarla e farla innamorare di me.», mi sento deciso e carico.
«E se ci riuscissi? Poi che cosa faresti? Tu non resisteresti neanche due minuti in una relazione stabile. Facciamo una nuova scommessa. Tu la porterai in villa dai tuoi, la farai conoscere ai coniugi Rossini, se non scapperà, vorrà dire che è davvero innamorata di te, e se questo succedesse tu le farai la proposta.».
«Sei per caso impazzito?».
Che cosa ha bevuto?! Che cosa si è fumato?!
«No, affatto. Se tu la porterai da loro, vorrà dire che sarai innamorato di lei, non lo faresti altrimenti. E se sarai innamorato di lei, metterai la testa a posto. Per la gioia della tua mammina. Che ne pensi? Ti va di rischiare?».
Ho voglia di farlo? Non molta, ma non voglio tirarmi indietro.
«Ci sto!», esclamo con enfasi.
Amo le sfide, l'ho già detto e lo ripeto. So per certo che non succederà mai, non le chiederò di sposarmi, non sono tipo da matrimonio. Vincerò questa scommessa e mi vendicherò alla grande. Uomo avvisato...

 
***Note dell'autrice***
Finalmente si sono incontrati! Hanno fatto scintille… sì, certo. Serena non ha gradito per niente questo incontro, Marco, invece, ha gradito alla grande. Riuscirà a conquistare Serena? Che cosa si inventerà? Vedremo, vedremo. Lorenzo e le sue scommesse assurde, lasciamogli almeno quell’hobby. Come ve lo immaginate il prossimo incontro? Su, sentiamo le vostre idee :) Sono curiosa di sapere chi ci si avvicina anche solo un po’ :)
Ci vediamo martedì prossimo ♥
Ringrazio infinitamente chi sta seguendo, preferendo e recensendo questa storia. Rendete migliori le mie giornate ♥



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Bijouttina & i suoi vaneggiamenti

 

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Capitolo 5
*** Aiuto, affogo! ***


 



5. Aiuto, affogo!
Quel sabato ho promesso a mia sorella Lucrezia di portare Daniele in piscina. Lui mi ha praticamente supplicato, come potevo dire di no al mio piccolo campione? Non sono amante dei parchi acquatici, sono un po' troppo affollati per i miei gusti, soprattutto durante il weekend. La piscina è il mio habitat naturale, gli scivoli un po' meno.
Mi siedo sul bordo, i piedi nell'acqua e osservo mio nipote sguazzare felice, è già un nuotatore provetto. Sono uno zio davvero orgoglioso.
«Ciao.», sento salutare alle mie spalle.
Una donna piuttosto carina si siede accanto a me e mi sorride. Il mio fascino ha colpito ancora, ma stranamente non mi fa alcun effetto. Normalmente ci avrei provato con lei, finché non ci sarebbe stata, ora non mi passa nemmeno per l'anticamera del cervello.
«Sei qui con tuo figlio?», chiede indicando Daniele con un cenno del capo.
«È mio nipote.», rispondo guardandolo mentre nuota allegro e spensierato.
Non ho voglia che lei pensi io sia un padre single, sembra che le donne siano affascinate da quello status. A quanto pare lo era anche lei, la delusione si dipinge sul suo volto. Vorrei dirle di andarsene e di cercarsi un'altra preda, io non sono per niente interessato, ma non vorrei si offendesse. Faccio finta di niente e raggiungo Daniele nell'acqua. È molto meglio giocare con lui.
Sono giorni che continuo a pensare intensamente a Serena, non riesco a togliermela dalla testa e, sinceramente, nemmeno voglio. Chissà quando la rivedrò.
«Zietto, perché tu non hai la fidanzata? Io ce l'ho, si chiama Anna e viene all'asilo con me.».
Beata innocenza.
«Forse non ho ancora trovato la donna giusta.», mi confido con lui. «Me ne piace una, però, davvero tanto, ma io non piaccio a lei.».
Sono ridotto davvero male se parlo di questioni sentimentali con un bambino così piccolo.
«Ma lei lo sa?», domanda candidamente.
Sorrido. È più proficuo sfogarsi con lui che con Lorenzo, è assodato.
«No, lei non lo sa.», confesso.
«Allora come fai a sapere che non piaci a lei? Devi andare da lei e gli dici...», fa una pausa per pensare. Se ci fosse qui mia sorella, gli avrebbe fatto notare l'errore di espressione, ma io non lo farò, basta lei a fare la maestrina.
«Che cosa devo dire?», lo sprono, incuriosito dalla sua espressione concentrata. È davvero buffo.
«Mmm... gli dici... ciao, sei bellissima, sembri una principessa. Alle bambine piacciono molto le principesse, piaceranno anche a lei.».
«Credo che lo farò.», lo rassicuro, arruffandogli i capelli.
Lui mi butta le braccia al collo e mi bacia sulla guancia.
«Poi sarai felice anche tu zietto.», esclama convinto.
Non sembro felice? Io sono felice, ma a quanto pare a lui sembro triste, sono soddisfazioni.
A un tratto sento un urlo, seguito da un tonfo nell'acqua.
«Aiuto, affogo!», urla una voce femminile poco lontano da me.
Mi giro e qualcuno si sta dimenando come una tarantola.
«Resta qui, non ti muovere. Vado a vedere che cosa sta succedendo.».
Daniele annuisce, guardando preoccupato in direzione della donna che schiamazza disperata.
Mi avvicino velocemente. Quando sono a un passo da lei, mi rendo conto che è la mia Serena. Un ragazzo palestrato sta andando in suo soccorso, non la deve neanche guardare.
«Vattene.», ringhio al moro.
Lui mi incenerisce con lo sguardo, ma se ne va ugualmente, borbottando.
«Stai tranquilla.», le dico prendendola per un braccio.
Ha gli occhi chiusi, li apre solo quando le mormoro: «Serena, devi stare calma.».
Quando si rende conto che sono io, sembra trattenere il respiro.
Le metto una mano su un fianco e la attiro a me.
«Aggrappati a me, non annegherai, te lo prometto.», la rassicuro.
Mi allaccia le braccia intorno al collo, le gambe si attorcigliano sui miei fianchi. Le mie mani finiscono sulla sua schiena nuda, la tengo stretta fra le mie braccia. Che sensazione meravigliosa. Sento il suo respiro sul mio collo, il suo cuore sta battendo all'impazzata.
«Non so nuotare.», mi confessa flebilmente.
«Se vuoi posso insegnarti.», mormoro al suo orecchio. Lo sfioro appena con le labbra.
La voglia di baciarla sta crescendo ogni secondo che passa.
«Davvero lo faresti? Non sarei un'allieva modello, ho il terrore dell'acqua.».
Affonda il naso nell'incavo del mio collo e inspira lentamente, cercando di non farsi scoprire. Sento qualsiasi cosa di lei in questo momento, non mi sfugge neanche un battito di ciglia.
«Mi piacciono le sfide.», sussurro strofinando il naso sulla sua guancia, lievemente.
Farei qualsiasi cosa pur di poter passare qualche ora con lei, e le lezioni di nuoto sarebbero la scusa perfetta.
«Insegno nuoto ai bambini due volte la settimana, ti va di unirti a noi? Comincerai dalle basi, nell'acqua bassa.».
Lei finalmente mi guarda negli occhi, pensierosa.
Ti prego, dimmi di sì.
«Sarebbe divertente.», commenta regalandomi un timido sorriso.
Le sposto una ciocca di capelli, sistemandola dietro l'orecchio, i nostri sguardi continuano a cercarsi.
«Ti aspetto lunedì sera, alle otto, piscina comunale. Io sarò lì.», sono totalmente rapito dalla sua bellezza. Ho il cervello in pappa.
«Non mancherò.», sussurra fissando intensamente le mie labbra.
Riesco a sentire il suo respiro da questa distanza, chiude gli occhi mentre mi avvicino alla sua bocca. Le nostre labbra quasi si sfiorano, quando una voce alle mie spalle mi fa trasalire, rovinando il momento.
«Tesoro mio, stai bene?».
Lei si stacca da me come se si fosse accorta solo ora a chi fosse avvinghiata.
«Sto bene, sì.», farfuglia.
La sollevo per i fianchi e la faccio sedere sul bordo piscina. Lui, il bellone moro con cui era insieme in pasticceria, la avvolge in un abbraccio soffocante e le posa un lieve bacio sulle labbra.
«Mi hai fatto preoccupare tantissimo.».
Serena sembra confusa, continua a cercare il mio sguardo, ma io lo evito. Questa scena mi fa male, troppo. Dovrebbe essere tra le mie braccia, non le sue, dovrei essere io a baciarla, non lui. Una rabbia incontenibile mi sta montando dentro il petto.
Mi allontano da loro senza dire una parola. Che cosa credevo di fare? Lei ha già qualcuno che la rende felice, perché dovrebbe perdere tempo con me?
So già per certo che non si presenterà lunedì alla lezione. Cazzo! Perché dovevo perdere la testa per la donna di un altro? Perché dico io? Con tutte le single che ci sono in giro. Il problema è che io non posso smettere di pensare a lei, non voglio farlo.
Daniele è fermo dove l'ho lasciato, è un bambino davvero obbediente. Lo prendo in braccio e lo faccio uscire dall'acqua. Voglio andarmene da questo posto.
«Era lei?», chiede mio nipote avvinghiato a me come un koala.
«Era lei.», rispondo sommessamente.
«Sembra davvero una principessa.», commenta.
«Hai ragione, lo sembra davvero.».
Ci vestiamo velocemente e raggiungiamo la mia auto, non ne voglio più sapere di questo acqua park. Lungo il tragitto lui si addormenta sul seggiolino, è stremato. Io, invece, non riesco a smettere di pensare a lei. Riesco ancora a sentire il suo respiro sulle mie labbra. Se non fosse arrivato lui, l'avrei baciata, dolcemente, assaporando quel momento come fosse un regalo prezioso. E, invece, quel bastardo ha fatto la sua apparizione sul più bello, rovinando tutto. Batto le mani sul volante, con violenza.
Ho una rabbia addosso che spaccherei la faccia a qualcuno in questo momento, vorrei spaccare la faccia al suo uomo.
Parcheggio davanti casa di mia sorella, Daniele dorme ancora come un angioletto, vorrei essere spensierato come lui, non ha alcun problema al mondo alla sua età. Lo prendo tra le mie braccia e suono il campanello. Lucrezia mi fa salire in casa un attimo dopo. Adagio mio nipote sul suo letto e gli poso un delicato bacio sulla fronte.
Nell'uscire chiudo la porta alle mie spalle, mi strofino gli occhi con una mano e sbuffo.
«Che cosa c'è che non va?», chiede mia sorella, scrutandomi a braccia conserte.
«Va tutto bene.», cerco di rassicurarla.
«No, non è vero. Non provare a mentirmi.», mi minaccia puntandomi un dito contro.
Prendo un bel respiro e mi siedo con un tonfo sul divano. Lucrezia si siede sul tavolino davanti a me e mi prende le mani.
«Perché sei così nervoso? È successo qualcosa di brutto?», mi osserva preoccupata.
Che cosa dovrei dirle ora? Che ho preso una sbandata stratosferica per una donna già impegnata? Che cosa penserebbe di me? E poi non sono abituato a confidarmi con le mie sorelle. Che male potrà mai farmi se lo facessi? Probabilmente me ne pentirò amaramente.
«Sono solo incazzato con me stesso.», gli concedo alla fine.
«Perché? Hai messo incinta una delle tante donne che frequenti?», chiede come se fosse la cosa più naturale al mondo.
La guardo allibito e mi alzo di scatto. Perché hanno tutti una così bassa considerazione di me? Mi sento ferito nell'animo.
«Perché devi pensare una cosa del genere? Sono mesi che non vado con una donna e non vado con tutte quelle che mi vengono a tiro. Sai che cosa succede? Succede che sono cotto di una donna meravigliosa, bellissima, ma che purtroppo ha già un uomo. Mi sento da schifo, perché non posso averla e lei, per di più, non mi sopporta. Io farei qualsiasi cosa per lei e non se ne rende neanche conto. E voi continuate a pensare a me come a un puttaniere e non ne posso più. Ho un cuore anch'io, cazzo! Non ce la faccio più.».
Mi copro il viso con entrambe le mani, vorrei scomparire dalla faccia della terra. Mi sento avvolgere in un abbraccio, tolgo le mani e stringo mia sorella a me.
«Mi dispiace tanto Marco, non volevo offenderti.», mi sussurra con le lacrime agli occhi.
«Sono stanco di essere catalogato come uno stronzo. Mi piace davvero tanto quella donna. L'ho vista con lui ed è tutto sbagliato. Dovrei essere io al suo posto. Che cosa devo fare? Perfino tuo figlio mi ha consigliato di confessarle che mi piace. E poi? Non mi va di rubare la donna a un altro, ma allo stesso tempo non voglio rinunciare alla possibilità di poter stare con lei. Sono un caso disperato, vero?».
Mia sorella posa una mano sul mio viso.
«Non sei un caso disperato, sei solo umano. Al cuore non si comanda. Sarà anche un luogo comune, ma è vero. Non puoi decidere chi amare, è il cuore che decide per te. Se lei ti piace davvero, indaga un po', scopri se è impegnata sul serio, magari è solo un amico.».
«Ma le ha dato un bacio sulle labbra!», la interrompo io nervoso.
«Un bacio a stampo o un bacio vero?», chiede inarcando un sopracciglio.
«A stampo, credo. Mi sono girato subito, quella visione mi faceva solo sentire peggio. Lucrezia, l'ho quasi baciata oggi. Ho completamente perso la testa per lei. Lorenzo è convinto che se riuscissi a conquistarla, mi stancherei di lei dopo due minuti, ma io sono certo che non accadrebbe, non questa volta, non con lei. Non so perché dovrebbe andare diversamente dalle altre volte.».
«Perché lei non è caduta ai tuoi piedi al primo sguardo. E poi devi smetterla di dare ascolto a Lorenzo, lo sai anche tu che è un cretino.», commenta divertita.
«L'ho sempre sospettato, ma resta comunque il mio migliore amico.», sbuffo risedendomi sul divano.
«Che cosa pensi di fare ora?», domanda sedendosi accanto a me e appoggiando la testa sulla mia spalla.
«Non lo so proprio, non so dove andare a sbattere la testa.», rispondo mogiamente. «Mi sono proposto di insegnarle a nuotare, lei ha detto che verrà, ma io non ne sono tanto certo.».
«Quando dovrebbe presentarsi?».
«Lunedì, al corso con i bambini, deve cominciare dalle basi e ho pensato che fosse una cosa carina.», le spiego.
«Sai per caso dove lavora?».
«Sì, so dove lavora, in un negozio di abbigliamento sportivo all'outlet.».
«Allora lunedì ti presenterai da lei con una scusa e le ricorderai l'appuntamento di quella sera. Vedrai che non rifiuterà.», afferma con convinzione.
Tentare non mi costa niente, o la va o la spacca. Non rinuncerò a lei così facilmente, non posso farlo, me ne pentirei per il resto dei miei giorni. Ho bisogno di stare un po' con lei, conoscerla meglio, io posso darle molto se davvero lo volesse anche lei. Io sono disposto a rischiare tutto per lei.
 

 
***
 

I miei amici mi hanno costretto ad andare all'acqua park oggi pomeriggio, per rilassarci hanno detto. Io sarei stata volentieri anche a rilassarmi sul divano, ho il terrore dell'acqua e ammetto che l'idea di andare in quel posto con tante piscine, mi fa salire l'ansia.
«Non serve che tu stia nell'acqua, puoi anche solo prendere un po' di sole. Scusa se te lo dico tesoro, ma sembri una mozzarella.», mi fa notare Luca guardandomi dalla testa ai piedi mentre mi sdraio sull'asciugamano.
Gli mostro la lingua.
Ha ragione, un po' di colorito in più può solo farmi bene. Resto in quella posizione, a rosolarmi, per quasi un'ora. Stella e Marica stanno salendo su degli scivoli altissimi, sono pazze. Mi vengono le vertigini solo a guardare loro. Luca è in piscina, sta chiacchierando con un ragazzo piuttosto carino.
E poi lo vedo, poco più in là, seduto sulla piscina per i più piccoli, i piedi in ammollo nell'acqua che controlla un bambino davanti a sé. Non sarà mica sposato con un figlio a carico? Ha un fisico statuario, ora posso ammirarlo senza vestiti ed è a dir poco fantastico. Una tipa si siede accanto a lui. Che sia la moglie? Una fitta improvvisa mi attanaglia lo stomaco. Lui non la guarda nemmeno e dopo un attimo lei se ne va sconsolata. Tiro un sospiro di sollievo.
Marco raggiunge il bambino in acqua, ha un'espressione così tenera e dolce.
Mi alzo quasi fossi ipnotizzata, lo sguardo fisso su di lui. Non è stata una buona idea: manco il bordo della piscina e cado in acqua con un tonfo.
Cazzo! Ora affogo, ne sono certa. Grido, mi dimeno come una pazza, bevo acqua e cloro a volontà, che schifo!
All'improvviso qualcuno mi afferra un braccio e dice il mio nome. Spalanco gli occhi che fino a un attimo prima erano chiusi e mi ritrovo a fissare gli occhi blu di Marco. Mi manca il respiro. Mi dice di attaccarmi a lui, che non mi avrebbe lasciato annegare. Le mie braccia finiscono automaticamente intorno al suo collo, le mie gambe si annodano ai suoi fianchi, mi sento piuttosto accaldata in questo momento. Mi sfiora l'orecchio con le labbra, provocandomi dei brividi lungo la schiena, amplificati dalle sue dita che si muovono lente sulla mia schiena. Affondo il naso nell'incavo del suo collo, il suo profumo mi manda completamente in crisi. Sarà anche stato uno stronzo, ma ora è molto dolce e protettivo, mi piace.
Si offre di insegnarmi a nuotare, sono piuttosto tentata di dirgli di no, ma quando i nostri occhi si incontrano, non riesco più a farlo. Acconsento con un sorriso piuttosto impacciato. Quando mi sposta un ciuffo di capelli che mi è finito davanti agli occhi, perdo completamente la testa. Le sue labbra sono un richiamo troppo forte per me, si avvicina lentamente, riesco a sentire il suo respiro. Si stanno per sfiorare, quando Luca si mette a gridare. Mi stacco in fretta e furia da Marco, sono in totale imbarazzo.
Giuro che ammazzo il mio amico, mi avrebbe baciato se non fosse arrivato lui. Forse è meglio così, ha un figlio, non vorrei impelagarmi in qualcosa più grande di me.
E se fosse anche sposato sarebbe anche peggio.
Mi aiuta a uscire dall'acqua. Luca mi stritola in un abbraccio e mi bacia sulle labbra, è piuttosto spaventato. Cerco lo sguardo di Marco, ma ormai non mi guarda più. Sembra arrabbiato. Lo osservo allontanarsi, una strana sensazione mi pervade. Prende il bambino in braccio, il piccolo mi regala un sorriso e mi saluta con la mano. Ricambio il saluto, cercando di sorridere, sembra un bambino così educato. Lui si allontana senza mai voltarsi indietro.
«Sei sicura di stare bene?», chiede Luca prendendomi il viso tra le mani.
Annuisco.
«Sto bene.», farfuglio evitando di guardarlo negli occhi.
Anche Stella e Marica ci hanno raggiunto, hanno visto la scena da lontano.
«No, tu non stai bene, non raccontarmi balle.», mi ammonisce.
«Lasciala respirare.», Stella mi prende per mano e mi riporta ai nostri teli. «Siediti e respira a fondo.».
Chiudo gli occhi e li copro con una mano, il suo sguardo cupo e arrabbiato fa la sua apparizione nella mia mente. Riapro gli occhi di scatto e reprimo un grido di frustrazione.
«Sei più pallida del solito.», mi fa notare Marica.
«Sono quasi annegata.», borbotto acida.
«Chi era quel tipo in acqua con te?», domanda Luca a braccia conserte.
Davvero non ha visto chi era?
«E perché eri avvinghiata in quel modo a lui?», aggiunge con lo stesso tono inquisitorio.
Il mio viso deve aver preso colore all'improvviso, me lo sento in fiamme.
La suoneria del mio cellulare mi salva da questa situazione imbarazzante. Lo cerco con mano tremante all'interno della mia borsa e riesco a leggere il nome di mio fratello sul display prima di rispondere.
«Sere, devi aiutarmi!», comincia lui senza nemmeno salutarmi. Brutto segno.
«Che cosa ha combinato stavolta la mamma?», chiedo esasperata.
Di solito mio fratello non mi chiama e, quando lo fa, è perché ha bisogno del mio aiuto per qualcosa, e il novantanove per cento delle volte c'è di mezzo nostra madre.
«Beh, mi sta facendo impazzire da quando le abbiamo annunciato di volerci sposare. Ha fissato la data fra due mesi, ti rendi conto? Dobbiamo fissarla noi la data, non lei! E poi, perché due mesi? Non abbiamo tutta questa fretta, vogliamo organizzare le cose per bene e con calma. Ti prego, Serena, cerca di farla ragionare.», mi supplica.
È la prima volta che sento mio fratello così disperato e posso anche capirlo. Nostra madre non ha alcun diritto di intromettersi nella vita di Alessandro in questo modo.
«Credi davvero che darà retta proprio a me? Sai che non andiamo molto d'accordo.».
«Lo so che non sarà facile, ma almeno provaci, ti prego. Ormai è partita per la tangente ed è praticamente impossibile fermarla. Sei la mia ultima speranza.».
Come faccio a dire di no al mio fratellino? Sospiro sconsolata.
«Va bene, proverò a parlarle.», gli concedo alla fine.
«Grazie Serena, sei la mia salvezza.».
Sì, come no, almeno posso provarci. Che giornata del cavolo, ci mancava solo questa. Mia madre deve essere impazzita per voler fare una cosa del genere. Che fretta ha di far sposare suo figlio? Non riesco a capirlo, non ce la faccio proprio.
«Che cosa voleva da te Ale?», chiede Luca aggrottando le sopracciglia.
«Nostra mamma sta dando di matto. Vuole che lui e Vera si sposino fra due mesi.», informo i miei amici massaggiandomi le tempie, l'emicrania sta tornando all'attacco.
«Due mesi?», ripetono tutti e tre in coro.
«Già. Ale vuole che provi a dissuaderla.», commento con una smorfia.
Mi fissano con la bocca spalancata, sanno benissimo anche loro che è impossibile far cambiare idea a mia madre quando si mette in testa una cosa.
«Sei fottuta.», esclama Luca scuotendo la testa.
Bene, era proprio quello che volevo sentirmi dire. Nascondo il viso tra le ginocchia e sbuffo. Ho bisogno di andarmene su un'isola deserta lontana da tutto e tutti, non dico per tanto tempo, una decina d'anni potrebbe essere sufficiente.
«Comunque è inutile che tiri fuori un sacco di scuse per non rispondere alla mia domanda. Chi era quello?», torna a guardarmi con gli occhi ridotti a due fessure.
«Chi era chi?», Marica mi scruta con una crescente curiosità.
Stella si limita a fissarmi in attesa di scoprire qualche notizia succosa.
«Perché è così importante saperlo?», sbotto muovendomi nervosamente sul posto.
«Perché? Tesoro, eravate in atteggiamenti un po' intimi perché lui non fosse nessuno.», afferma deciso. Non demorderà finché non avrà ottenuto la risposta che desidera.
«Era Marco.», borbotto, nascondendo di nuovo la testa tra le ginocchia.
«Marco?», ripetono nuovamente in coro, sta diventando un'abitudine fastidiosa.
«Il Marco della macchina rigata? Il Marco del bagno con il cappuccino? Il Marco da cui sei scappata come una furia? Il Marco super manzoso cui hai detto che ti sta sulle palle? Quel Marco?», Luca non smette più con la lista di domande insulse.
«Vai avanti ancora tanto?», brontolo sommessamente.
«Se lo odiavi tanto, come mai vi stavate per baciare lì nell'acqua?».
«Cioè vorreste dirci che ci siamo perse una scena epica?», si lamenta Marica, alquanto indignata.
«Oh sì, dovevate vederla. Era avvinghiata a lui modello polipo, lui la teneva stretta stretta e mancava poco che la baciasse.», le informa Luca.
«E come mai non l’ha fatto?», domanda Stella.
Punto un dito contro Luca.
«Forse sono arrivato nel momento meno opportuno, ma ero preoccupato per te.», si giustifica lui.
«Luca!», tuonano in coro le nostre amiche.
«Che ne sapevo io che stavano flirtando.», sbuffa.
«Non stavamo flirtando.», farfuglio arrossendo. «E poi lui ha un figlio.».
«Che cosa?!».
Il coretto, di nuovo.
«Era con un bambino, avrà avuto cinque anni.», li aggiorno mestamente. «Un bambino tenerissimo, mi ha anche salutato quando è scappato via.».
«Scappato?», commenta Marica.
«Quando mi ha visto con Luca se n'è andato. Sembrava arrabbiato e non so perché.».
«Te lo dico io perché: è geloso.», dice Luca.
«Perché mai dovrebbe essere geloso?», chiedo titubante.
«Tu gli piaci, è ovvio, e mi vede come una minaccia.», risponde deciso.
«No, non credo. Non voglio neanche saperlo. Ha un figlio, cazzo! E se fosse anche sposato?», mi sta scoppiando la testa.
«Allora, prima di tutto non abbiamo la certezza che sia suo figlio. Per quanto ne sappiamo, potrebbe essere suo fratello, suo nipote, figlio di un amico. Non possiamo trarre delle conclusioni, non abbiamo abbastanza prove.», mi fa notare Luca.
«Beh, non lo so. Non fa niente, tanto non ci devo mica uscire insieme. Anche se...», mi muoiono le parole in gola.
«Anche se...», mi sprona Marica.
«Si è offerto di insegnarmi a nuotare, lunedì prossimo e io ho accettato. Ho fatto male?», cerco il consenso dei miei amici.
«Certo che no, però così hai ammesso che ti piace.», afferma Luca come se fosse una cosa ovvia.
Sbuffo.
«Stavo pensando a una cosa.», comincia lui pensieroso.
Lo guardiamo in attesa di una delle sue genialate, non può resistere.
«Un caffè l'hai già preso con lui. Facciamo un'altra scommessa? Vediamo...».
Mi sto preoccupando non poco, non si è mai certi di quello che la sua mente può partorire.
«Allora, tu devi cercare di convincere tua madre a posticipare la data del matrimonio di tuo fratello, e noi tutti sappiamo che non ci riuscirai mai. Ma se per caso accadesse un miracolo e ce la facessi, tu inviterai Marco al matrimonio, come tuo cavaliere.».
«Perché mai dovrei farlo?», chiedo corrugando la fronte.
«Perché se lo facessi, e lui accettasse, vorrebbe dire che lui è innamorato di te.».
Non ho capito il senso di tutto questo, forse sono io che non ci arrivo.
«Non ha molto senso questa cosa.», commento.
«Certo che ha senso. Tu non hai mai avuto una relazione duratura, e se lui resistesse fino al matrimonio, significherebbe che tiene davvero a te e che potrebbe essere per sempre. Ti immagini? La sfuggente Serena che riceve una proposta di matrimonio durante il matrimonio di suo fratello. La tua mammina sarebbe la donna più felice sulla faccia della terra.».
Sembra davvero entusiasta di questa sua nuova scommessa.
«Ti va di rischiare?», inarca un sopracciglio e mi guarda intensamente con un sorriso malizioso sulle labbra.
Mi va di rischiare? Bella domanda. Tanto so per certo che non riuscirò mai a convincere mia madre e non ha senso che Marco possa innamorarsi di me, è praticamente impossibile, perciò che cosa ho da perdere?
«Ci sto!», rispondo alla fine.
Luca la perderà questa scommessa, non può sempre vincere.

 
***Note dell'autrice***
Avreste mai immaginato che si sarebbero incontrati in piscina? Posso dire con certezza che nessuno ci aveva pensato. In effetti non è che avessi dato molti indizi :) Che cosa ne pensate del salvataggio? Ora Serena pensa che Marco abbia un figlio… non può sapere che lui è suo nipote. E che dire di Daniele? Non è adorabile? ♥ E così ora dovrà accertarsi sullo status della sua bella… ce la farà? Che cosa succederà? Scopriremo anche qualcosa di moooolto sconvolgente (o almeno credo possa sconvolgere qualcuno)… non aggiungo altro, non vorrei parlare troppo! Avete qualche idea? Sapete che sono curiosa di sapere che cosa pensate :)
Okay, vi lascio prima di annoiarvi troppo! Grazie davvero tantissimissimo a quelle santissime donne che mi hanno lasciato un commento, mi avete reso davvero felice. Ringrazio anche tutti quelli che hanno messo la storia tra le preferite/seguite/ricordate… siete tantissimi, grazie davvero ♥♥♥
A martedì prossimo per ulteriori sviluppi! :)



Se volete passare a trovarmi
Bijouttina & i suoi vaneggiamenti

 

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Capitolo 6
*** Indagini poco velate ***


 



6. Indagini poco velate
Ho raccontato ai miei amici dell'episodio in piscina, sono rimasti sgomenti - soprattutto Lorenzo - del fatto che me ne sono andato in quel modo. Sono convinti che lei non si presenterà mai stasera alla lezione dopo la mia fuga. È vero, sono scappato, ma che altro potevo fare? Per salvarmi - loro testuali parole - mi accompagneranno al negozio in cui lavora. Non capisco perché dovrebbero venire con me, ma Lorenzo mi toglie questo dubbio con grazia.
«Voglio vedere con i miei occhi quant'è gnocca.».
«Non ti fidi del mio giudizio?», chiedo aggrottando la fronte.
«Certo che mi fido, ma voglio ugualmente vedere la fonte del tuo nervosismo.».
Sto per ribattere, ma lui mi blocca con un cenno della mano.
«Sei nervoso e non riesci a nasconderlo.», conclude serio.
«Vorrei vedere te se non fossi nervoso se ti piacesse la donna di un altro!», brontolo irritato.
«Ma che ne sai? Non hai la certezza che sia il suo ragazzo.».
Allarga le braccia e le fa ricadere immediatamente lungo i fianchi vedendo la mia espressione dubbiosa.
«Io non ho mai baciato una mia amica sulla bocca senza avere un secondo fine.», borbotto incrociando le braccia al petto.
«Perché sei un uomo all'antica, non sai stare alla moda! Tutto devo insegnarti, tutto!».
«Dai, scemo, prendi la tua macchina e andiamo a recuperare gli altri due. Spero solo possa essere al lavoro a quest'ora.», sospiro sconsolato.
Non ho idea se sia il suo giorno libero, o se faccia un orario diverso, mi auguro che lei possa trovarsi là, ho una voglia pazzesca di rivederla. Ho bisogno di sfiorare di nuovo la sua pelle e inspirare il suo profumo. Marco smettila! Devo sul serio finirla di pensare a lei, altrimenti impazzirò.
«Agli ordini, capo!», mi prende in giro il mio migliore amico.
Raccogliamo Paolo e Giorgio lungo il tragitto, lavorano entrambi nello stesso ufficio di un'azienda idrica e sono in pausa pranzo. Mi muovo nervosamente sul sedile del passeggero, ho un'ansia esagerata mai provata in precedenza. E se lei non ci fosse? E se non volesse parlarmi? E se non volesse venire stasera? E se...
Marco smettila di farti tutte queste paranoie! Sei un uomo, comportati da tale e tira fuori gli attributi!
Perfino la mia coscienza mi tratta poco elegantemente. Mi massaggio una tempia con le dita, magari riesco a rilassarmi quel tanto che basta per far funzionare al meglio il mio cervello. Non è molto efficace, ma almeno mi si è attenuato il mal di testa. Il tragitto sembra più lungo del solito, probabilmente sono io a essere troppo nervoso e vedo tutto nero. La mia gamba destra si muove senza alcun controllo, metto sopra la mia mano, cercando di farla smettere, ma senza alcun risultato. Ammetto che non mi era mai capitato prima d'ora. Normalmente sono piuttosto sicuro di me, oggi mi sento un completo idiota.
«Dovresti darti una calmata.», mi consiglia Paolo stringendomi una spalla.
Respiro a fondo, chiudo gli occhi e conto fino a dieci. Niente, non succede assolutamente niente. Dannazione!
«Hai perfettamente ragione, ma non ci riesco. Non sono mai stato così nervoso in tutta la mia vita.».
«Cazzo! Quella Serena ti ha spappolato le palle, ti stai comportando come una femminuccia! Riprenditi!», sbotta Lorenzo. «Siamo arrivati, perciò vedi di farlo in fretta, sennò ti prendo a calci nel culo.».
Si ottiene sempre tutto con qualche parolina dolce. Sbuffo.
Scendo dalla macchina barcollando, come se fossi ubriaco. Giorgio mi dà una pacca sulla spalla, cercando di infondermi coraggio. Gli sorrido mestamente.
Mi incammino verso il negozio, mi fermo sulla soglia: sono come paralizzato, non riesco a muovere un passo. Lorenzo mi afferra per un braccio e mi trascina all'interno. Arriverà il giorno in cui mi vendicherò, oh sì, arriverà.
Mi guardo in giro, nervoso, e poi la vedo, bella come sempre, intenta a sistemare dei teli da mare.
«È lei.», mormoro imbambolato. Non riesco a toglierle gli occhi di dosso.
I miei amici emettono un fischio di consenso.
«Oh sì, ora capisco perché sei ridotto in questo stato. Non pensavo fosse così intrigante.», commenta Lorenzo, continuando a mangiarsela con gli occhi. «Proprio un bel davanzale.».
«Smettila di fissarla in quel modo.», ringhio osservandolo con la coda dell'occhio.
«Qui c'è qualcuno che è parecchio geloso.», mi prende in giro lui.
Oh sì, non immagina nemmeno quanto! Nemmeno il mio migliore amico ha il diritto di fare certi apprezzamenti.
Mi distraggo un momento e vedo che c'è anche il moro: ora lo ammazzo. Si avvicina a Serena e parla con lei intensamente. Quanto vorrei pestarlo a sangue. Le mie mani si chiudono autonomamente a pugno e la mia mascella si contrae. Non ho più il controllo delle mie emozioni e questa cosa mi spaventa parecchio.
Ad un tratto lui si volta verso di noi e sorride radioso, ci raggiunge a grandi falcate.
«È lui.», sussurro, un attimo prima di trovarmelo davanti.
«Ragazzi, posso esservi utile?», chiede con un tono strano.
Lorenzo inarca un sopracciglio, Paolo e Giorgio si scambiano un'occhiata, io lo incenerisco con lo sguardo.
«Cercavo Serena.», lo informo con gli occhi ridotti a due fessure.
«Oh, è lì.», dice indicandola con il braccio teso. Mi guarda attentamente e poi cambia completamente espressione.
«Ma tu sei Marco!», si porta entrambe le mani alla bocca. «È un piacere conoscerti. Io sono Luca, il migliore amico di Serena.».
Migliore amico che se la porta anche a letto, sicuramente. Gli spacco quel naso perfetto, ora lo faccio.
Si accorge solo ora di Lorenzo al mio fianco.
«Tu chi sei?», gli domanda, mordendosi il labbro.
Mi è sembrato gli stesse facendo gli occhi dolci. Non sarà mica...
«Lorenzo, il migliore amico di Marco.», risponde lui a braccia conserte e alquanto vigile.
«Sei single.», chiede spudoratamente.
«Sono single, ma mi piacciono le tette grosse.».
Ha detto davvero una cosa del genere? Oh mio Dio, non può aver davvero risposto in quel modo.
«Peccato, avrei fatto volentieri un giretto con te.», Luca gli strizza l'occhio.
Lorenzo lo fissa schifato, ha un'espressione talmente disgustata, che vorrei avere un ricordo di questo momento. È troppo divertente.
«Quindi tu e Serena non state insieme?». Voglio essere certo prima di buttarmi a capofitto.
«Non è il mio tipo.», commenta fissando languidamente Lorenzo. «Siamo solo amici, da sempre.».
«Quindi... posso...».
«Puoi fare con lei tutto quello che vuoi, purché sia legale.», mi rassicura.
Bene, non avrei mai immaginato che avesse un amico gay. Non lo sembra per niente, ma dopo averci parlato due minuti insieme, posso garantire che è gay dalla testa ai piedi.
Poso nuovamente lo sguardo su Serena, si è accorta di me e mi sorride timidamente. Le  mie gambe si muovono da sole nella sua direzione, i miei occhi sono incatenati ai suoi.
Mi fermo ad un passo da lei, le prendo una mano e la tengo stretta nella mia. Il mio cuore sta battendo come un forsennato. Devo cercare di ricompormi un po', non mi va di sembrare un coglione ai suoi occhi.
«Ciao.». Saluto con voce roca. Mi sembra di aver ingoiato sabbia e la mia speranza di non sembrare un completo idiota è andata a farsi fottere.
«Ciao.», ricambia lei con un filo di voce.
Fortunatamente non sono il solo a essere un fascio di nervi: lei è nervosa almeno quanto me.
«Credevo fosse il tuo ragazzo, per questo sono scappato sabato.», confesso continuando a guardarla in quegli occhi così verdi e magnetici in grado di togliermi il respiro. «Non ruberei mai la donna di un altro.».
«È solo un amico.», farfuglia nervosamente.
«Ora lo so.», le dico. «Vieni stasera, non è vero?», chiedo avvicinandomi un po' di più a lei. Le poso l'altra mano su un fianco e la attiro a me, a lei sembra non dispiacere.
«Sì.», risponde flebilmente.
«Ti aspetto allora.».
La bacio sulla guancia, soffermandomi a lungo con le labbra sulla sua pelle morbida. Mi allontano appena e strofino lentamente il naso contro il suo. Sto bramando le sue labbra, così rosse e invitanti, vorrei morderle prima di farle mie. Non voglio baciarla qui, però, voglio che il nostro primo bacio sia speciale.
«A stasera.», mormora sfiorandomi le labbra con le dita. Riesco a baciargliele prima che le allontani.
Mi stacco a fatica da lei, non vorrei andarmene, starei con lei tutto il tempo. Ora che so che il suo cuore è libero, voglio entrarci, stringerla tra le mie braccia e inebriarmi di lei. Le soffio un bacio e lei arrossisce, le sue labbra si stendono in un sorriso sincero.
Viene distratta da una donna che le chiede consiglio per un acquisto, privandomi dei suoi occhi. Ora torno da lei e la rapisco, non la lascio in balia dei clienti. Sospiro. Sta lavorando, non posso intromettermi in questo modo, anche se lo farei immediatamente.
Torno dai miei amici, cercando di evitare gli ostacoli: sto barcollando. Che cazzo mi sta succedendo?
«Sei sicuro di non volermi dare nemmeno una possibilità? Sono bravo, sai?».
Luca ci sta ancora provando con Lorenzo, il quale non è per niente felice. A me fa ridere questa scenetta: la faccia schifata del mio amico è meravigliosa. Paolo e Giorgio hanno una mano sulla bocca e sghignazzano sommessamente.
L'unico che sembra non divertirsi è proprio il diretto interessato.
«Ascoltami bene, non te lo dirò ancora: non mi piacciono gli uomini. Amo le donne formose, con un bel davanzale e un po' di carne da toccare. Non mi piace prenderlo in quel posto, okay? Sono stato chiaro?», sbotta irritato.
«Sei stato chiarissimo e si vede chiaramente che sei irrimediabilmente etero, ma è stato troppo divertente prendermi gioco di te.». Luca prorompe in una fragorosa risata.
«Per fortuna che almeno tu ti sei divertito.», borbotta con una smorfia.
I nostri amici non resistono più e scoppiano anche loro a ridere. Lorenzo li fulmina con lo sguardo.
«A quanto pare non sei il solo.», brontola, incrociando le braccia al petto, un'espressione imbronciata sul suo volto.
Serena attira l'attenzione del suo amico, accanto a lei c'è un omone alto quasi due metri con in mano una racchetta da tennis.
«Scusatemi ragazzi, la mia principessa ha bisogno di aiuto. È stato un piacere conoscerti.». Sta per andarsene, ma dopo un paio di passi si blocca all'improvviso e si rivolge a me: «Non sei sposato con figli, vero?».
«Non che io sappia.», rispondo aggrottando la fronte.
«Bene, ciao ragazzi.».
Raggiunge Serena a grandi falcate, lei mi saluta con la mano prima di tornare al suo lavoro. Mi sento più leggero, il peso che avevo nel petto se n'è andato, lasciandomi un senso di pace e tranquillità. Lei non è fidanzata.
«Lei non è fidanzata.», ripeto ad alta voce.
«Sì, certo, Romeo. Ora andiamocene da questo posto. Credo che non metterò mai più piede qui dentro.», borbotta Lorenzo acido.
Io, invece, verrò spesso, ho un motivo per farlo, un motivo meraviglioso.
«E smettila di sorridere come un idiota!», mi ammonisce.
Perché mai dovrei smettere di sorridere? Mi sento così bene in questo momento.
«Lascialo in pace, non vedi che è completamente andato?», Paolo schiocca le dita davanti alla mia faccia, facendomi tornare per un attimo alla realtà.
«Che problemi hai?», chiedo a Lorenzo.
La sua risposta colorita non tarda ad arrivare.
«Che problemi ho? Non so se ti sei reso conto che l'uomo che fino a pochi minuti fa credevi fosse il fidanzato della tua donna, ha appena cercato di abbordarmi! Ma che schifo! Non mi era mai capitato prima di oggi.», borbotta inviperito.
«C'è sempre una prima volta.», commenta Giorgio. «Magari ti piace.».
Si morde la lingua per non scoppiare a ridere.
«Magari mi piace? Ma ti senti quando parli? Lo senti l'eco delle tue cazzate nella tua testa vuota?», sputa furioso.
«Se non provi, come fai a sapere che non ti piace.», infierisco io, cercando di rimanere serio.
«Ti ci metti anche tu ora? Guarda che torno lì dentro e mi sbatto Serena nel magazzino!».
Questo non doveva dirlo. Lo prendo per il bavero della polo e lo metto con le spalle contro la sua macchina, lo scuoto con violenza.
«Non osare nemmeno pensare a una cosa del genere.», ringhio a denti stretti. «Non la devi neanche guardare.».
«Stavo scherzando.», si giustifica lui perdendo in un attimo tutta la sua strafottenza.
«Non mi piacciono questi scherzi. Lei deve rimanere fuori da tutti questi discorsi senza senso. Anche noi stavamo scherzando, ma nessuno ti dava il diritto di dire una cosa del genere solo perché sei incazzato. Lascia stare Serena.».
Lo lascio andare con uno strattone e cerco di darmi una calmata. Solo l'idea che abbia pensato di sbattersi Serena, mi fa ribollire il sangue nelle vene. Nessuno può toccarla.
«Marco, calmati. Non c'è motivo di prendersela in questo modo.», mi fa notare Giorgio.
«Ti piacerebbe se qualcuno ti dicesse "ora vado a casa tua e mi sbatto tua moglie sul tavolo della cucina"?».
Digrigna i denti al solo pensiero, le mani si chiudono a pugno.
«Deve solo provarci.», tuona.
«Non è la stessa cosa.», s'intromette Paolo. «Serena non è la tua donna, non ancora per lo meno.».
Cambia espressione quando si accorge del mio sguardo infuocato.
«Lei mi piace e molto, farò qualsiasi cosa perché diventi la mia donna e poi ammazzerò chiunque le si avvicini. È una promessa.». Punto tutti e tre, a turno, con il dito.
«Non ti fidi di noi?», chiede Lorenzo sgomento.
«Non lo so.», rispondo salendo in macchina.
Mi fido di loro, ma si meritano di restare un po' sulle spine dopo quello che hanno detto. Lorenzo dovrà sudarsi il mio perdono, non siamo più dei ragazzini, e su certe cose non si scherza. Non si scherza su Serena.
 

 
***
 

Nuovamente lunedì, non voglio andare a lavorare. Nascondo la testa sotto il cuscino e sbuffo. Rimarrei volentieri tutto il giorno su questo materasso.
Lunedì, piscina, lezione di nuoto, Marco.
La mia mente elabora in modo contorto queste informazioni: rivedo lui, in costume da bagno, i suoi pettorali da urlo, i suoi occhi blu che cercano i miei e la sua bocca a sfiorare la mia. Lancio via il cuscino, colpendo in pieno la luce sul comodino, che cade a terra con un tonfo. Fortunatamente non si è rotta, non so nemmeno come sia potuto succedere visto il volo che ha fatto. Mi stendo sulla schiena e mi copro gli occhi con un braccio. Gli occhi di Marco mi perseguitano in ogni momento ed è destabilizzante. Vorrei sentire ancora la sue forti braccia intorno al mio corpo, inebriarmi del suo profumo, così maschio e così sensuale, che al solo pensiero mi sento smuovere tutta.
Oh mio Dio, non so cosa gli farei se fosse qui accanto a me! Oh certo che so quello che gli farei, ma devo smettere di pensarci, devo farlo assolutamente. In questo momento ho troppa voglia di stare con lui e non posso permettere ai miei ormoni impazziti di avere il sopravvento sulla mia mente. Ha un figlio, devo smetterla di pensare a lui.
Ma è così dannatamente sexy.
Non l'avranno vinta i miei ormoni! Mi alzo di scatto e mi infilo sotto la doccia, ghiacciata. Mi sfugge un gridolino di disappunto, ma è l'unico modo per raffreddare i bollenti spiriti.
Vado al lavoro con pochissimo entusiasmo, per fortuna Luca ha il mio stesso turno oggi, potrò contare sul suo sostegno morale.
«Che cos'è quell'aria da funerale?», mi chiede appena metto piede nello spogliatoio.
«Ho avuto una nottata movimentata.», rispondo con un sospiro.
«Sogni bollenti con il tuo salvatore?», insinua maliziosamente.
Mi sento avvampare.
«Oh sì, erano sogni piccanti. Che cosa avete fatto? Avete provato tutte le posizioni del kamasutra?», si appoggia all'armadietto e aspetta con ansia i dettagli più succosi.
«Tutte no, ma sicuramente più di una.».
Al solo pensiero mi ritornano le scalmane.
«Tesoro mio, voglio qualche dettaglio. Lo so che è solo frutto della tua fantasia perversa, però muoio dalla voglia di saperne di più. Dove l'avete fatto?».
Luca è davvero uno svergognato, vuole sempre sapere i dettagli piccanti, mi dice sempre che è più divertente che guardare un film hard. Lo accontento sempre, per poi pentirmene un attimo dopo.
«L'abbiamo fatto in piscina: eravamo rimasti chiusi dentro dopo l'orario di chiusura, nessuno si era accorto che eravamo ancora nell'acqua.», comincio sedendomi su uno sgabello.
«Continua. Mi piace l'idea di un po' di sesso in acqua. Hai davvero una mente perversa, tesoro.», commenta lui prendendo un altro sgabello e sedendosi di fronte a me.
«Beh, abbiamo cominciato a baciarci, sempre più appassionatamente, finché non mi ha slacciato la parte superiore del bikini e l'ha lanciata via.».
«Interessante, posso immaginare quello che ha fatto con quelle tue tette belle sode.», ammicca con un sorriso smaliziato.
Roteo gli occhi e sbuffo. Solo perché mi ha vista più di una volta senza vestiti non ha il diritto di fare questi commenti inopportuni.
«Evita certi commenti, fammi il piacere.», lo ammonisco incrociando le braccia al petto.
«Però è vero, sono certo che appena ti vedrà nuda per davvero, lo farai impazzire.», afferma deciso.
«Chi ti dice che mi vedrà mai nuda?», borbotto infastidita.
Sta dando per scontato qualcosa che probabilmente non accadrà mai e non mi piace neanche un po'. Inarca un sopracciglio e mi fissa con un sorriso irriverente.
«Credi davvero che voi due potreste resistere? Ho visto la tensione erotica che c'era tra di voi sabato, non lo puoi negare.».
«Sbaglio o stavamo parlando del mio sogno?», brontolo.
«Puoi cambiare discorso quanto vuoi, ma sai che io ho sempre ragione. Dai, troietta, continua il tuo racconto erotico.».
«Non so se ne ho voglia, mi hai chiamato troietta!», lo fisso con gli occhi socchiusi.
«Smettila di fare quella faccia e prosegui!», mi intima colpendomi con un dito sulla spalla.
«Uffa, sei di un fastidioso oggi!», esclamo rilassandomi un po'.
Non riesco a tenere il muso a Luca, se poi lui comincia con le sue battute, è davvero impossibile resistergli.
«Solo oggi? Sei fortunata allora!», mi posa un bacio sulla guancia e batte entrambe le mani sulle mie ginocchia. «Su che poi dovremmo anche cominciare a lavorare.».
«Dove ero rimasta?», chiudo gli occhi per concentrarmi.
«A lui che...».
Lo zittisco con un gesto secco della mano.
«Fermo, non ti azzardare a commentare ancora.».
Sbuffa.
«Bene, bravo. Insomma, dopo aver dedicato un bel po' di tempo ai... beh, hai capito... mi sfila anche l'altra parte del costume e...».
«E ci date dentro come dei ricci!», finisce lui per me.
Scoppio a ridere.
«Ci diamo dentro come dei ricci.», confermo. «Direi che per oggi abbiamo sparato abbastanza cazzate, andiamo a guadagnarci le pagnotta che è meglio!».
Mi alzo dallo sgabello e offro le mani a Luca, lo aiuto ad alzarsi e ci dirigiamo in negozio mano nella mano.
È tranquillo oggi, riesco anche a rilassarmi un po'. Sistemo i nuovi arrivi con la testa fra le nuvole, non ce la faccio proprio a non pensare a lui, è più forte di me. Continuo a rivedere i suoi addominali scolpiti, quelli non sono certamente ritoccati al computer. I suoi occhi blu come il mare, poi, li sogno anche di notte. Mi stropiccio gli occhi con le mani, cercando di scacciare la sua immagine dalla mia mente.
Luca si muove velocemente verso l'ingresso, avrà sicuramente visto qualche bel maschione. Ha il radar attivo quando si tratta di bei ragazzi e funziona certamente meglio del mio. Rimorchia alla grande non so proprio come faccia. Io, invece, non ne cavo mai un ragno dal buco. A volte invidio davvero la sua faccia tosta, probabilmente avrei più possibilità di conoscere qualche uomo interessante se fossi più intraprendente. Al momento, però, vorrei accalappiarne solo uno, ma non credo sarà possibile.
Osservo i suoi movimenti e rimango pietrificata sul posto: accanto a lui c'è Marco e mi sta fissando, un angolo della bocca sollevato all'insù.
Oh mio Dio, sto iperventilando, svengo, muoio qui sul posto. Si avvicina a me, lentamente, i nostri occhi sono incatenati tra loro. Quando mi prende una mano, trattengo il respiro. Spero di non diventare cianotica. Il suo odore mi sta dando alla testa, non capisco più niente. Mi spiega che è scappato perché credeva che Luca fosse il mio ragazzo, non sfiorerebbe mai la donna di un altro. È una cosa che gli fa onore e non è comunque la prima volta che ci scambiano per fidanzati.
Si assicura che mi presenti alla lezione stasera. Come potrei rifiutare questo gentile invito? Come se niente fosse, mi attira a sé, i nostri corpi sono talmente vicini che sento ogni mia cellula gridare di piacere. Quando posa le sue labbra sulla mia guancia, le mie gambe non mi reggono più per l'emozione. La sua barba appena accennata mi provoca un solletico piacevole. Il suo respiro sul mio viso mi provoca brividi lungo la spina dorsale. Quanto vorrei che mi baciasse in questo momento.
Si stacca dopo un tempo che sembra infinito, le mie dita indugiano sulle sue labbra, le bacia con dolcezza, senza smettere di guardarmi negli occhi.
Ora posso morire felice. Il cuore mi sta sfondando il petto, batte talmente forte che sembra esserci un martello pneumatico pronto a trapassarmi il torace. Non sono nemmeno stata in grado di formulare una frase di senso compiuto, come se il gatto mi avesse morso la lingua, anche se gatti non ne ho. Avrò certamente fatto la figura dell'idiota, ma a questo punto non mi importa. Sentirlo così vicino mi ha regalato un'emozione indescrivibile.
Si allontana da me lentamente, un sorriso bellissimo stampato sul suo viso. Mi soffia un bacio e mi sento avvampare come un'adolescente alla prima cotta. Gli sorrido di rimando, non riesco a farne a meno.
Vengo distratta da una signora che vuole sapere se è meglio l'asciugamano verde smeraldo o quello color malva. Mi verrebbe da risponderle che non me ne frega un beneamato, ma poi che razza di colore è il malva? Alla fine sceglie quello verde. Ha fatto la domanda a me e lei decide comunque di testa sua. In questo modo mi ha fatto perdere momenti preziosi che potevo usare per guardare quel gran pezzo di uomo che mi sta ancora tenendo d'occhio. Luca sta parlando con loro e vorrei esserci io al suo posto.
Mi sento toccare la spalla, nel girarmi mi trovo un omone altissimo davanti. Chi è questa montagna umana? Ha in mano una racchetta da tennis e mi chiede consigli a riguardo. No, non ce la posso fare. Chiamo Luca con un cenno della mano e mi raggiunge dopo aver salutato il gruppetto di uomini. Non sono nemmeno riuscita a salutare Marco come si deve. Oh, lo vedrò stasera. Al solo pensiero comincio ad agitarmi nuovamente, mi faccio aria con un volantino trovato sopra uno degli scaffali. Fa caldo qua dentro o sono io che ho le scalmane per via degli ormoni in subbuglio?
Credo di sapere perfettamente qual è la risposta.
Luca si precipita da me non appena ha finito di servire l'omone di tre metri. Sì, okay, forse è un po' troppo, ma vicino a me sembrava piuttosto alto.
«Allora?», chiede in agitazione. «Che cosa ti ha detto? Ti ha invitato a cena? E che cos'era quel bacio innocente sulla guancia? Non mi sembrava tanto innocente da come ti teneva stretta a sé. Oh mio Dio, quell'uomo è pazzo di te, fidati.».
Mi è venuto il mal di testa per cercare di stare dietro al suo entusiasmo, non ha nemmeno preso fiato tra una domanda e l'altra.
«Ha detto che era scappato perché pensava fossi il mio ragazzo.», gli dico.
«Dovevi vedere che sguardi infuocati mi lanciava. Appena ha saputo che non stavamo insieme, ha completamente cambiato espressione. È come se avesse ripreso a respirare dopo minuti interi in apnea. Ti ha invitato a cena?».
Si muove nervosamente sul posto, ansioso di avere risposte, come al solito.
«Mi ha ricordato la lezione di nuoto di stasera, ci vedremo lì.», lo informo.
Il solo pensiero di rivederlo senza vestiti mi provoca dei pensieri poco casti, davvero molto poco casti.
«Non vorrai mica far diventare realtà i tuoi sogni sconci, vero? Il tuo sguardo languido non promette niente di buono. Troietta che non sei altro!».
Oggi non fa altro che chiamarmi in quel modo, bene, forse me lo merito visto che mi stavo davvero immaginando con lui in piscina in atteggiamenti piuttosto infuocati.
«Ammetto che ci stavo facendo un pensierino.», commento mordendomi il labbro inferiore. «È talmente...».
«Talmente sexy, lo so. Ha anche un gran bel culo. Scusa, non ho potuto fare a meno di guardarlo.», aggiunge lui soddisfatto.
«Resta la questione del figlio...», non riesco a finire la frase che mi blocca animatamente.
«Alt, alt, alt. Nessun figlio e nessun matrimonio. Hai completamente via libera con lui, tesoro mio.».
«Che cosa? Non mi stai prendendo per il culo, vero?», chiedo sbigottita.
«Sai che non sei il mio tipo.».
Lo colpisco dietro al collo con la mano aperta.
«Ahi, perché l'hai fatto?», piagnucola massaggiandosi la parte dolorante.
«Smettila di fare commenti stupidi. Era una domanda importante.», lo sgrido.
«Lo so, scusa, mi hai servito la battuta su un piatto d'argento. Comunque non stavo scherzando, gliel'ho chiesto e lui ha negato. Non ha alcun figlio, Sere.».
Dentro di me sto saltellando come una bambina felice davanti a un nuovo gioco. Lui non è sposato, non ha figli, è libero come il vento. Come sono felice!
«Stai sorridendo come una scema, datti un contegno.», sbuffa vistosamente.
«Parla quello che ci stava provando spudoratamente con un uomo chiaramente etero.», lo guardo in cagnesco.
«Beh, Lorenzo, è così che si chiama l'amico del tuo uomo, è davvero un gran bonazzo. Dovevi vedere che culo che aveva, per non parlate dei muscoli che si intravedevano attraverso la polo attillata. Non ci voglio pensare sennò mi vengono le voglie, come a qualcuno di mia conoscenza.», mi strizza l'occhio.
Evito il suo commento e continuo a prenderlo in giro.
«Non mi sembrava molto contento della tua corte serrata.», gli faccio notare.
«Era incazzato nero. Continuava a ripetermi che amava le tette grosse manco fosse il più assiduo frequentatore di tettegrosse punto com.», scoppia in una fragorosa risata.
«Esiste davvero un sito del genere?», domando sgomenta, una smorfia appare sulle mie labbra.
«Oh, esisterà di sicuro.», risponde lui maliziosamente.
Scuoto la testa, che cosa stupida. Luca mi racconta il resto della loro conversazione, ma la mia mente è già proiettata a stasera. Non vedo l'ora di passare un po' di tempo con lui. Il fatto che non sia impegnato rende tutto più semplice. C'è solo un piccolo problema cui ho sempre cercato di non pensare: il mio terrore per l'acqua. Che Dio me la mandi buona.

 
***Note dell'autrice***
 
Posso affermare con certezza che solo una persona ha indovinato quale sarebbe stata la “notizia sconvolgente”. Mi dispiace deludere tutte le donzelle che speravano di spupazzarsi Luca… diciamo che ha altri gusti. Noi non lo amiamo di meno, giusto? ;) Lorenzo ora deve stare molto attento… c’è un nuovo spasimante in giro! xD Marco e Serena si sono chiariti. Per lo meno lui ora è certo che non è fidanzata e lei sa che non ha alcun figlio sparso per il mondo. Ora non ci resta che aspettare martedì prossimo per sapere come andrà la prima lezione di nuoto di Serena. Incrociamo le dita per lei. E chissà, magari riuscirà a mettere in pratica il suo sogno bollente ;)
Grazie a tutti voi che seguite/ricordate/preferite questa storia, un grazie immenso a chi la commenta, un grazie a tutti insomma… mi rendete felice ♥



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Bijouttina & i suoi vaneggiamenti

 

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Capitolo 7
*** Lezione di nuoto ***


 



7. Lezione di nuoto
Per fortuna lavoro in un negozio di articoli sportivi, mi sono resa conto, all'ultimo minuto, che non ho una cuffia per andare in piscina. Luca me ne consiglia una bianca con delle striature dorate, dice che si intona perfettamente con il mio costume nero.
«Mi raccomando, niente bikini! Ci saranno anche dei bambini e poi non va bene per le lezioni di nuoto.», mi fa notare.
«E io che volevo farmelo togliere dopo la lezione.», lo prendo in giro.
«Puoi farti togliere anche quello intero quando se ne sono andati via tutti.», mi strizza l'occhio. «Non fare stupidaggini e, soprattutto, non annegare!».
«Farò del mio meglio.» Lo rassicuro.
Alle sette e mezzo sono all'ingresso della piscina comunale, l'ansia sta salendo alle stelle. Acqua e Marco sono un'abbinata tremenda per le mie coronarie, potrei fare un infarto qui davanti e rimanerci secca.
Prendo un bel respiro e spalanco la porta, cerco lo spogliatoio con lo sguardo. Sono anni che non metto piede in questo posto. Se non fosse stato per lui, me ne sarei stata certamente alla larga ancora per un bel po'.
Mi spoglio, rimanendo con il mio costume nero, indosso la cuffia cercando di infilarci dentro tutti i capelli. Una ciocca ribelle continua a uscire, ma alla fine vinco io, non comanda lei. Ciabattine di plastica da cretina e sono pronta. Guardo il mio riflesso allo specchio e per poco non caccio un urlo. Mamma mia che orrore! Marco scapperà a gambe levate appena mi vedrà, ne sono certa.
Mi faccio coraggio e raggiungo la piscina. Noto subito Marco: sta parlando con lo stesso bambino con cui l'ho visto sabato. Appena mi vede, spalanca la bocca e continua a fissarmi finché non mi trovo a due passi da loro.
«Speravo venissi.» Le sue labbra si increspano in un sorriso talmente bello che mi scalda il cuore.
«Avevo promesso che sarei venuta.», farfuglio piuttosto impacciata.
Mi sento toccare il braccio, abbasso lo sguardo e il bambino mi sorride.
«Ciao, come ti chiami?», chiede educatamente.
«Mi chiamo Serena.», rispondo guardando Marco con la coda dell'occhio, sembra divertito. «Tu invece?».
«Io mi chiamo Daniele.» Mi guarda attentamente e poi aggiunge: «Sai, a mio zio tu piaci tanto, ha detto che sembri una principessa. Io gli ho detto di dirtelo, ma si vergogna così lo faccio io.». Lo dice tutto d'un fiato e le sue guance si colorano di rosso.
Anch'io devo essere diventata bordeaux in viso. Marco sgrana gli occhi per lo stupore.
Quando riesce a riprendersi, lo sgrida teneramente: «Che figura mi stai facendo fare?».
Daniele scrolla le spalle e si tuffa in piscina come se niente fosse, ci riserva un sorriso sdentato. È così tenero.
«E così lui è tuo nipote.», commento continuando a guardare il piccolo che nuota nell'acqua come un provetto nuotatore.
«Sì, l'unico maschietto. Come avrai capito è il mio preferito.», ammette affiancandosi a me e guardando nella mia stessa direzione.
«L'avevo immaginato. Pensavo fosse tuo figlio quando vi ho visto insieme sabato. Sembrate così affiatati.».
“E credevo fossi sposato”, aggiungo solo nella mia mente.
Mi prende la mano e intreccia le sue dita alle mie, come se fosse la cosa più naturale al mondo.
«Non ho figli.», mi sorride.
«Mogli, fidanzate o amanti?», chiedo in ansia.
Può anche non avere figli, ma essere comunque impegnato. Il solo pensiero che possa avere qualcuno mi fa ribollire il sangue nelle vene. Lo ammetto, sono piuttosto gelosa quando mi piace qualcuno. Marco mi piace tremendamente, il livello di gelosia è piuttosto elevato, direi nove punti su dieci.
«Non c'è nessuna donna, per ora.», risponde cercando il mio sguardo.
Era un messaggio subliminare? Mi manca il respiro.
«Zio, muoviti! Sei in ritardo!».
Una bambina bionda, molto carina e dagli occhi furbi lo prende per mano, staccandolo da me, e lo trascina in acqua.
«Gioia, non serve che mi tiri per un braccio, ce la faccio anche da solo.», le fa notare.
«Non ci credo. Facevi gli occhi dolci a quella signora.».
Mi porto una mano alla bocca e rido sommessamente. Beata innocenza.
Marco sospira roteando gli occhi, si stringe nelle spalle, regalandomi un sorriso. Altri quattro bambini si mettono in cerchio attorno a lui. È così dolce con loro, sorridono perfino i suoi occhi quando si rivolge a quei piccoletti. Mi sento sciogliere completamente. Mi fa cenno di raggiungerlo dentro la piscina.
Piscina... acqua...
La paura torna a impossessarsi del mio corpo e mi pietrifico sul posto, sto cominciando a sudare freddo. Chi me l'ha fatto fare a venire qua?
Marco spiega ai bambini l'esercizio da fare, prima di raggiungermi.
«Vuoi stare lì tutto il tempo?», chiede con le braccia appoggiate al bordo della piscina.
Annuisco. Anche la lingua non collabora, non riesco più a muovere un muscolo.
«Non annegherai, te lo prometto. Sarò con te tutto il tempo.», mi rassicura dolcemente.
Io mi fido di lui, so che con lui sarò al sicuro, ma il mio corpo non collabora.
«Siediti qui sul bordo e metti i piedi nell'acqua. Cercherò di farti passare questa paura un passo per volta, va bene?».
Annuisco nuovamente.
«Vuoi che ti aiuti?», la dolcezza nella sua voce mi fa vacillare.
Di nuovo un cenno del capo.
Marco scoppia a ridere.
«È la prima volta che ho a che fare con qualcuno terrorizzato dall'acqua a tal punto da non riuscire più nemmeno a parlare.».
Esce dalla piscina con un balzo atletico, i miei occhi si posano automaticamente sui suoi addominali scolpiti. Oh mio Dio, muoio.
Si mette dietro di me, le sue mani finiscono sui miei fianchi. Muoio ancora una volta.
«Siediti, ti tengo io.», mi soffia all'orecchio.
Le mie gambe obbediscono alle sue parole e mi ritrovo seduta sul bordo della piscina, i piedi nell'acqua fredda.
«Bravissima.», mormora sedendosi accanto a me. «Ora abitua le tue gambe, muovile lentamente. Prova a chiudere gli occhi, è rilassante. Prendi confidenza con l'acqua, devi fartela amica.».
La sua voce mi sta entrando lentamente nell'anima, mi sto rilassando davvero.
«Continua così Serena, brava. Riesci a stare da sola un momento? Vado a controllare i miei allievi.».
Apro gli occhi e gli sorrido. Mi sfiora la guancia con il dorso della mano prima di raggiungere il gruppetto di bambini che sta aspettando nuove indicazioni dal loro maestro. È stato molto dolce anche con me. Deve avere una pazienza immensa per stare dietro a una come me, io non mi sopporterei e mi sarei già mandata a quel paese da sola.
«Serena?».
Daniele attira la mia attenzione con la mano alzata. Si avvicina a me e chiede: «Perché non vieni dentro? Sai, non ci sono gli squali qui come nel mare.».
Mi viene voglia di abbracciarlo da quanto è tenero.
«L'acqua mi fa paura.», gli spiego.
«Lo zio dice sempre che va bene avere paura perché è pericolosa, ma ci deve anche piacere perché l'acqua è bella.».
«Ti sta importunando?», chiede Marco materializzandosi al suo fianco.
«No, per niente.», lo rassicuro.
«Serena?».
Daniele attira di nuovo la mia attenzione.
«Dimmi Daniele.», lo sprono dolcemente.
«Perché non ti fidanzi con lo zio Marco e fate tanti bambini? Così poi avrò altri cugini con cui giocare.».
Bene, questa domanda non me la aspettavo minimamente da un bambino che avrà sì e no cinque anni.
«Daniele!», lo ammonisce Marco.
Il piccolo sbuffa e torna a sguazzare felice nell'acqua.
Io sono un po' intontita dal suo discorso. Fidanzarmi con lui e fare tanti bambini? Impossibile.
«Scusalo, ti ha preso in simpatia.», commenta particolarmente a disagio.
«È un bambino dolcissimo.», affermo con un sorriso.
Lui mi guarda attentamente per qualche secondo e poi mi dice: «Fra poco la lezione sarà finita e mando a casa questi nanerottoli. Ho mezzora libera prima che arrivino i miei amici per l'allenamento, ti va di rimanere qui con me e provare a farti entrare in acqua?».
Indica la piscina con una mano, senza smettere di guardarmi negli occhi.
«Okay.», farfuglio incantata dalle sue labbra così invitanti.
Lo guardo tornare al suo lavoro e mi ritrovo a sorridere. È semplicemente perfetto. Perfino quando era odioso e intrattabile per via del cappuccino, era adorabile.
Dieci minuti dopo tutti i bambini corrono a raggiungere i loro genitori, tranne Daniele.
Viene da me, mi butta le braccia al collo e mi bacia sulla guancia.
«Se lo zio non si fidanza con te, lo faccio io.», dice con un sorriso spettacolare.
«Sarebbe un onore.», gli sorrido di rimando.
Corre via felice. Marco mi raggiunge velocemente, è ancora nell'acqua. Con una mossa fulminea mi afferra per i fianchi e mi trascina in piscina. Urlo dalla paura.
Le mie braccia finiscono intorno al suo collo, le mie gambe si allacciano ai suoi fianchi, di nuovo.
«Mi sembra di averla già vissuta questa scena.», sussurra a fior di labbra.
«Sei meschino, non ero pronta.», mugugno.
«Non lo saresti mai stata, fidati.», strofina il naso sulla mia guancia, lentamente.
Le sue labbra sfiorano appena le mie, sento il suo respiro caldo sul viso. Sono piuttosto accaldata.
«Potrei annegare.», mormoro senza pensarlo davvero.
«Non succederà.», mi rassicura.
Mi posa un lieve bacio all'angolo della bocca, si sposta appena e mi bacia sulle labbra. Le stuzzica con la punta della lingua finché non si schiudono, lasciandogli libero accesso. Esplora la mia bocca con una lentezza esasperante, facendo crescere in me un desiderio dirompente. Mi stringo di più a lui, le sue mani si posano sul mio sedere, spingendo il mio bacino contro il suo. Riesco a sentire il suo desiderio per me aumentare a ogni bacio infuocato. Vorrei tanto mettere in pratica uno dei miei sogni piccanti in questo momento. Si stacca dalla mia bocca, lasciandomi totalmente stordita, ne voglio ancora. Mi sfiora il collo con le labbra, delicatamente, delinea il contorno del mio viso con dei piccoli baci, per poi tornare a concentrarsi sulla mia bocca. I baci diventano sempre più roventi, l'eccitazione è alle stelle. Fra poco anche l'acqua comincerà a bollire, l'atmosfera si sta surriscaldando.
«Ho voglia di te.», mormora senza staccare la bocca dalla mia.
«Lo sento.», sorrido sulle sue labbra. La sua erezione sta premendo contro il mio ventre ed è una sensazione più che piacevole, anche se, a dirla tutta, un po' mi imbarazza.
«Scusami, è che sei bellissima.».
«Anche con la cuffietta?», chiedo maliziosamente.
«Oh sì, sei sexy.», risponde premendo nuovamente il suo bacino contro il mio.
Mi sfugge un gemito.
Mi fiondo sulle sue labbra, gli mordo quello inferiore e un mugolio di piacere si espande nell'aria.
«Vieni a cena con me domani sera?», domanda posandomi una scia di baci lungo la linea della mandibola.
«Oh sì.», esclamo mentre le sue dita scorrono lungo la mia coscia.
«Mi piace il tuo entusiasmo.», sorride divertito.
Mi sfugge un nuovo gemito quando le sue dita sfiorano il mio seno: il costume mette in risalto la mia eccitazione.
«Se non la smetti, non risponderò più delle mie azioni.», lo metto in guardia sfidandolo con lo sguardo.
«È così divertente torturarti.». Il suo sorriso malizioso è parecchio destabilizzante.
«Solo perché l'acqua è il tuo ambiente naturale, non vale approfittarsi di me, terrorizzata da tutto questo liquido.». Gli faccio notare, fingendomi offesa.
«Vale, oh sì che vale.», continua lui riprendendo a baciarmi come se niente fosse.
Baci che mi fanno completamente perdere la testa.
Un vociare sempre più insistente attira la nostra attenzione.
«Merda.», sbotta Marco posando la sua fronte sulla mia. «Sono già qua.».
La delusione sul suo viso è più che evidente.
«Ti farai perdonare domani sera.», mormoro sfiorando nuovamente le sue labbra con le mie.
«Sarà dura aspettare fino a domani.». Fa una smorfia e sbuffa.
«Anche per me.».
Mi sorride e mi regala un ultimo infuocato bacio. Le voci ora sono proprio dietro di noi. Mi solleva per i fianchi e mi fa sedere sul bordo della piscina.
«Ti chiamo domani così mi spieghi dove abiti, passo a prenderti.».
«Non vedo l'ora.».
Lo bacio sulle labbra provocando una serie di fischi da parte dei suoi amici. Li saluto con un cenno della mano prima di sparire nello spogliatoio. Sono ancora piuttosto accaldata, quello che è successo in piscina è stato spettacolare. Staccarmi da lui è stato davvero complicato, sembrava essere il mio posto.
 

 
***
 
 
Respira a fondo, Marco, respira a fondo.
Baciare Serena è stato straordinario. Le sue labbra sono così morbide, carnose, non ne avrò mai abbastanza. Sarei andato avanti a baciarla per ore e avremmo concluso in bellezza. Mi voleva, i suoi gemiti ne erano la prova ed erano pura gioia per le mie orecchie. Volevo baciarla fin dalla prima volta che l'ho vista e stasera non sono più riuscito a trattenermi. Ho perfino dimenticato le figuracce che mi ha fatto fare Daniele. Mio nipote deve imparare a tenere la bocca chiusa, ma non posso pretenderlo da un bambino così piccolo, lui l'ha fatto in buona fede, credendo di fare un favore al suo zio preferito. In effetti, è riuscito a far colpo su Serena: lo guardava con una tale dolcezza, che mi ha fatto sciogliere totalmente. Daniele ha conquistato anche lei. E lei ha fatto perdere la testa a me. La guardo allontanarsi e vorrei correre da lei, prenderla fra le mie braccia e non lasciarla più andare.
«Beh? Ci siamo persi qualcosa?», chiede Lorenzo a braccia conserte.
«Era lei?». Paolo sta fissando il sedere di Serena e schiocca la lingua, soddisfatto. «Ha una bella carrozzeria.».
«Era Serena», rispondo evitando lo sguardo di Lorenzo.
Non serve a molto.
«Marco, perché non vieni fuori da quella piscina e andiamo in quella per adulti?», inarca un sopracciglio, un sorriso malizioso affiora sulle sue labbra.
Lo fulmino con lo sguardo.
«Già, come mai?», infierisce Giorgio.
«State facendo gli stronzi e lo sapete benissimo.», brontolo infastidito.
«Che sta succedendo?», chiede Martino, uno dei nostri compagni di squadra.
Provo a zittire Lorenzo con uno sguardo infuocato, ma lui fa finta di non vedermi.
«C'è il risveglio del cobra.».
Lo odio in questo momento, lo odio profondamente. Scoppiano tutti a ridere quando capiscono il senso di quell'affermazione.
Faccio leva sulle braccia ed esco dalla piscina.
«Il cobra è a riposo.», sbotto spazientito. «Grazie, stavo così bene fino a due minuti fa.».
«Quindi era la tua ragazza quella?», domanda Mattia incuriosito da tutto questo trambusto.
Ci pensa Lorenzo a rispondere per me, tanto per cambiare.
«È quella che gli ha rigato la macchina.».
Sussulto impercettibilmente, non ho raccontato a nessuno quello che è successo davvero alla mia macchina, sarei lo zimbello della squadra per i prossimi cento anni.
«Quindi te la fai con lei?», questa volta è Riccardo a parlare.
Se a turno ognuno di loro mi fa una domanda, finiremo l'allenamento fra una settimana.
«Ci siamo solo baciati un po'.», li informo.
«Solo un po'? Il tuo cobra non si sarebbe risvegliato con dei semplici bacetti innocenti. Voi due ci avete dato dentro alla grande secondo me. Quando te la scopi?».
La finezza di Lorenzo mi lascia sempre un po' allibito, sembra che abbia in mente solo quello. Deve per forza trovarsi una donna e sfogarsi, altrimenti diventerà sempre più insopportabile.
«Quando arriverà il momento.», sibilo infastidito.
«Cazzo! Da quant'è che parli in questo modo? Il Marco che conosco la sbatterebbe contro il muro al primo momento utile.», sbotta spalancando gli occhi.
«Beh, non ho detto che non lo farei, ma deciderà lei quando.».
L'ho deciso ora. Serena mi piace davvero molto e non voglio forzare la mano, rischiando di farla scappare al primo appuntamento. Le donne sono sempre cadute ai miei piedi, non sono presuntuoso, è la verità, dovevo solo scegliere quella che più mi si addiceva. Lei è diversa. La prima volta che ci siamo visti mi ha mandato a quel paese, la seconda volta mi ha detto che le stavo sulle palle. Tutto questo l'ha resa speciale ai miei occhi, non ha perso la testa per me quando i nostri occhi si sono incontrati quella mattina in pasticceria. Io ero furioso per quello che era successo, ma sono rimasto immediatamente folgorato da lei. Pensandoci bene, sono io che sono letteralmente caduto ai suoi piedi. Stasera baciarla è stato talmente bello, che al solo pensiero mi ritrovo a sorridere come un idiota.
«Ma che discorsi sono? Da quando in qua è lei a decidere?».
L'espressione sgomenta di Lorenzo fa troppo ridere, mi mordo la lingua per rimanere serio.
«Da quando c'è la parità dei sessi.», viene in mio soccorso Giorgio.
«Ma che cazzate state sparando? Voi due dovreste scopare di più.», mugugna incrociando le braccia al petto.
Giorgio mi guarda di sottecchi e sorride, stiamo pensando esattamente la stessa cosa, ma è Riccardo a esternare questo nostro pensiero.
«Secondo me è qualcun altro che ha bisogno di una donna.», lo fissa con un sopracciglio inarcato.
Tutti fissiamo Lorenzo con un sorrisetto malefico sulle labbra. Il diretto interessato fa una panoramica dei presenti e poi sbotta, gesticolando come un pazzo.
«Eh no! Stavamo parlando di Marco! Perché ci sto andato di mezzo io, ora? Non mi piace neanche un po'. Sono quello più soddisfatto qui dentro!».
Si innalza un coro di "Sì come no!" che risuona in tutta la struttura.
«Federico a vent'anni lo fa sicuramente più di te.», gli fa notare Paolo.
Federico muove la testa su e giù per confermare, un sorriso malizioso dipinto sulle labbra.
«Cucco alla grande in disco.», commenta con aria soddisfatta.
«Io cucco alla grande ovunque, caro il mio pivellino! Ho un sacco di cose da insegnarti.», si fa pensieroso e poi aggiunge: «Ti va di fare una scommessina?».
Ci mancava solo un'altra delle sue stupide scommesse. Si diverte un mondo con queste cazzate, è più forte di lui.
«Sabato sera, dopo la partita, pizza tutti insieme come al solito, il primo che cucca vince, chi di noi due perde pagherà la cena a tutti.».
Questa scommessa mi piace, se Lorenzo dovesse perdere, dovrà tirare fuori il portafogli, una cosa piuttosto rara per lui.
«Ci sto!», dice Federico porgendogli la mano e sigillando l'accordo.
Ne vedremo delle belle sabato, sarà divertente. Comunque vada, avremo la cena pagata, non possiamo di certo lamentarci.
«Non per essere il solito guastafeste.», comincio mettendo un braccio intorno al collo di Lorenzo. «Lo sai vero che sei destinato a perderla questa scommessa?».
Lui grugnisce.
«Che poca fiducia che hai del mio fascino.», brontola.
«Non puoi competere con un ventenne, lui ti batterà sempre.», lo stuzzico.
È un modo come un altro per vendicarmi della figura di merda che mi ha fatto fare prima con i nostri compagni.
«Allora, mettiamo le cose in chiaro. Lui potrà abbordare le ragazzine, ma non avrà alcuna possibilità con una donna. In compenso anch'io potrei avere qualche possibilità con una ragazzina.», mi fa notare.
«Male che vada ti scambiano per un maniaco.».
Cerco di non ridere guardando la sua espressione irritata.
«Ma tu da che parte stai?», sbotta infastidito.
«Da quella del perdente, sarà lui a pagare.», gli strizzo l'occhio.
Più diretto di così non potevo essere. Mi sto divertendo un casino a prendermi gioco di lui.
«Quindi tu scommetteresti contro di me solo per la soddisfazione di vedermi offrire la cena a tutti voi?», l'indignazione nella sua voce è piuttosto evidente.
«Se vuoi metterla in questo modo...».
Mi schiaffeggia e poi mi punta un dito contro.
«Amici amici, amici un cazzo!», tuona inviperito. «Tu non hai idea di quanto godrò quando perderai completamente la brocca per quella Serena e le chiederai di sposarla. A quel punto potrò ritenermi soddisfatto. La scommessa della mia vita. Tu capitolerai... oh sì, che lo farai. Sei fottuto Marco, F O T T U T O!».
Enfatizza l'ultima parola, spingendomi via da lui e tuffandosi in piscina.
Lorenzo non riesce a stare agli scherzi, è uno dei suoi più grandi difetti. Dovrebbe smussare un po' quel suo carattere, potrebbe tornargli utile se davvero volesse mettere la testa a posto, prima o poi.
Non riesco a capire la sua fissazione: io non chiederò mai a Serena di sposarmi, perché mai dovrei farlo? La conosco appena, mi piace molto, ma questo non vuol dire che passerò il resto della mia vita con lei. Deve mettersi il cuore in pace, quella scommessa non la vincerà mai.
Lorenzo mi tiene il muso durante tutto l'allenamento, mi colpisce pure un paio di volte con il pallone mentre sono distratto, procurandomi un livido sull'avambraccio. Giuro che se non la smette, lo prendo a calci nel culo, mi ha rotto stasera.
Giorgio mi affianca e fissa anche lui Lorenzo.
«Che diavolo gli prende?», chiede corrugando la fronte.
«Se la prende per ogni minima cazzata, sai com'è fatto.», rispondo sedendomi sul bordo della vasca.
L'allenamento è finito e non vedo l'ora di tornarmene a casa, sono stanco e stufo marcio di starmene con tutti loro. Ho voglia di stare solo, ho voglia di chiamare Serena. Sì, ne ho l'esigenza, devo assolutamente sentirla. Scappo nello spogliatoio prima che anche gli altri possano raggiungermi, faccio una doccia al volo. Saluto tutti alla buona e corro alla macchina, riprendo a respirare normalmente. Mi ritornano in mente i baci scambiati con Serena solo un'oretta fa e mi ritrovo a sorridere. Vorrei baciarla ancora e vorrei farlo ora.
Mezzora dopo sono in casa e mi butto supino sul letto, il cellulare stretto nella mano.
Ormai sta squillando, non potrei mettere giù.
«Pronto?».
La sua bellissima voce mi arriva dritta al cuore, mi copro gli occhi con l'avambraccio, riesco a immaginarmela meglio.
«Ciao Serena, disturbo?», chiedo sommessamente.
«No, affatto. Finito l'allenamento?».
«Sì, sono a casa, avevo voglia di sentirti.», le confesso.
«Ti mancavo?».
Sta sorridendo, riesco a percepirlo.
«Da morire.», ammetto. «Stavo ripensando a quei baci in piscina...».
Lascio la frase in sospeso volutamente, sono curioso di sapere che cosa pensa, se anche lei si sente come mi sento io.
«Quei bacetti innocenti, dici?».
Il tono languido che sta usando, potrebbe risvegliare in fretta il mio cobra assopito.
«Erano innocenti per te?», domando divertito.
«Puoi fare di meglio secondo me.».
Mi sta stuzzicando e funziona, funziona alla grande.
«Domani sera ti farò vedere io, ragazzina.», la minaccio maliziosamente.
«Conterò i minuti fino allora.».
Se fosse qui davanti a me, la sbatterei sul materasso e le farei vedere di cosa sono capace. Lì nelle parti basse è tutto in subbuglio. Non mi ero reso conto di volerla tanto.
«Non arriverà mai troppo in fretta. Non so se potrò resistere un giorno intero senza vederti.», mugugno sconsolato.
«Hai vissuto tutta la vita fino a stasera senza di me, puoi resistere ventiquattro ore.», mi rassicura.
«Non ti avevo ancora baciato, però. Ora sono in crisi d'astinenza.».
Lo sono davvero, ora più che mai.
«Devo indossare la cuffia? Ho un vestito senza maniche che si abbina perfettamente.», m'informa.
«Indossa tutto quello che vuoi, sei perfetta comunque.».
Se ti presentassi senza vestiti, staresti sicuramente meglio.
Questo commento lo tengo per me, non vorrei esagerare.
«Come fai a dirlo?», chiede perplessa.
«Beh, ti ho vista in costume, al lavoro con la divisa, al bar con un vestitino che era la fine del mondo. Posso assicurarti che sei perfetta sempre e comunque.».
Dall'altra parte sento solo un silenzio assordante, colpita e affondata.
«Grazie.», farfuglia.
Parliamo per altri venti minuti, mi spiega come raggiungere casa sua, ci salutiamo con la voglia di vederci la sera seguente. Vorrei fosse già quel momento, ma devo aspettare.

 
 
***Note dell'autrice***
Ecco arrivato il tanto atteso bacio! Com’è andata la lezione di nuoto secondo voi? Stranamente Serena non ha combinato alcun disastro, sta migliorando :) Come vi sono sembrati insieme? Daniele è adorabile, almeno secondo me. Lorenzo, invece, è sempre il solito. Che caratteraccio!
Mi farebbe piacere sentire le vostre impressioni *modalità curiosa on*
Un grazie immenso a tutti voi che seguite questa storia e un grazie speciale a quelle sante donne che mi hanno lasciato un commento, non avete idea di quanto mi rendiate felice ♥
A martedì prossimo per ulteriori sviluppi :)



Se volete passare a trovarmi
Bijouttina & i suoi vaneggiamenti

 

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Capitolo 8
*** Alla disperata ricerca di un uomo ***


 



8. Alla disperata ricerca di un uomo
Alessandro continua a chiedermi quando parlerò con nostra madre. Mi sta stressando, ma ho promesso almeno di provarci. Dubito che mia madre mi darà mai ascolto, non c'è mai stato un gran bel dialogo tra di noi. Mi sono fatta forza soltanto perché fra tre ore Marco passerà a prendermi, devo pensare solo a quello, solo così potrò sopravvivere a mia madre.
Viene ad aprirmi in tenuta da spiaggia: indossa un bikini rosso fuoco e un pareo giallo, l'abbinamento è un pugno in un occhio.
«Ciao tesoro, stavo prendendo il sole in giardino, ti unisci a me?».
Ma anche no, ne faccio volentieri a meno, manca solo che mi offra un cocktail alla frutta con l'ombrellino, e il quadro è perfetto.
«Non posso mamma, ho poco tempo», mento.
Non mi va di rimanere qui più del necessario.
«Qual è l'onore di questa visita allora?», domanda adagiandosi sulla sua sdraio e indossando nuovamente gli occhiali da sole firmati.
«Mi ha chiamato Ale», rispondo sedendomi su una sedia accanto a lei.
Sbuffa. Credo abbia già capito dove voglio andare a parare.
«Ha mandato te a cercare di farmi cambiare idea? Bella mossa. Ci ha provato», borbotta con una smorfia.
«Perché ti sei fissata a farli sposare così presto? Loro non avevano tutta questa fretta», le faccio notare.
A volte, okay, praticamente sempre, è impossibile fare un discorso con lei. Vuole sempre avere ragione, su tutto, anche sulle cretinate più assurde.
«Ascoltami tesoro, perché tuo fratello avrebbe chiesto a Vera di sposarlo? Dai, dimmi, che cosa pensi a riguardo?», continua a prendere il sole, non mi degna nemmeno di uno sguardo.
«Perché si amano?».
Mi sembra più che ovvio che quei due si amano, che altri motivi potrebbero esserci?
«Sei così vecchio stile tesoro mio, dovresti leggere più riviste. Lo sanno tutti che c'è solo una spiegazione».
Ho sempre detto che prendere troppo sole fa male, sta già impazzendo.
«E quale sarebbe? Illuminami mamma.», sbotto esasperata.
«Vera è incinta, mi sembra ovvio».
È anche convintissima di quello che sta dicendo. Vorrei prenderla per le spalle e scrollarla forte, magari rinsavisce e recupera un po' di buonsenso, anche se dubito vivamente che possa accadere.
«Scusa mamma, ma questa cosa non ha senso», le dico. Lo so, a primo impatto l'avevo pensato anch'io, ma poi ho dovuto ricredermi.
«Serena, amore, certo che ha senso», commenta lei senza dare alcun segnale di cedimento.
«Se fosse stata incinta davvero, non credi che sarebbero stati i primi a voler accelerare i tempi?», le faccio notare.
«Avevano solo paura che noi lo scoprissimo, il mio aiuto toglierà tutti dagli impicci».
È seria o mi sta prendendo in giro? Perché se mi sta prendendo in giro non è affatto divertente.
«Quindi il matrimonio sarà celebrato fra due mesi, nessuna possibilità di scelta della data da parte dei futuri sposi?».
«Quindici settembre, ho già prenotato la chiesa».
L'ha fatto davvero? Io non ho parole, giuro, la cosa sta degenerando ed è preoccupante.
«Sarebbe anche bello se fossi accompagnata», prosegue con la sua sceneggiata senza un filo di vergogna.
«Bene, che bella notizia», sibilo, piuttosto irritata.
«Sai, Massimo, il figlio di Sandra, è libero e sarebbe felicissimo di uscire con te. Ho qui il suo numero se vuoi». Mi passa un biglietto da visita.
"Dottor Massimo Billi", leggo sul pezzo di carta.
«È un pediatra, cura i bambini». Tesse le sue lodi.
«Non sono interessata», sputo sempre più infastidita.
So trovarmi un ragazzo anche da sola e, sinceramente, Massimo mi è sempre stato sulle scatole, non l'ho mai sopportato nemmeno da bambino, perché mai dovrei farlo ora?
«Dagli una possibilità amore, suvvia!».
Suvvia un par di ciufoli! Non l'avrà vinta lei, non questa volta.
«Ho già un ragazzo».
Cazzo! Come ho potuto dirle una cosa del genere? Mi sono fregata con le mie stesse mani e me ne pentirò amaramente.
Si toglie gli occhiali e finalmente mi guarda negli occhi.
«Tu avresti un ragazzo?», chiede incredula.
«È così difficile da pensare?». Incrocio le braccia al petto e la fisso con gli occhi ridotti a due fessure.
«Come si chiama?». Mantiene il contatto visivo senza alcuna difficoltà.
«Marco», rispondo con decisione.
«Quanti anni ha?».
Prova a prendermi in castagna, ma non ci riuscirà. Ieri sera al telefono ci siamo detti tutto l'uno dell'altra, conosco tutte le informazioni base.
«Trentacinque».
Non l'avrà vinta con me, non glielo permetterò.
«Che lavoro fa?», continua imperterrita.
«Rappresentante».
Sono sicura di me e non crollerò.
«Di che cosa?».
Mi verrebbe da dire di preservativi, ma non sono in vena di scherzi in questo momento.
«Materie prime per pasticcerie e gelaterie».
Schiocca la lingua e continua a fissarmi combattiva.
«Massimo è un pediatra, salva i bambini».
«Marco regala dolcezza».
Questa mi è uscita per sbaglio, è la prima cosa che mi è venuta in mente. Mia madre inarca un sopracciglio.
«Aiuta a dilagare il diabete», commenta
«Tu faresti scoppiare le coronarie a un morto».
Okay, questa era davvero brutta, ma mi sta esasperando. Non ne posso davvero più.
«Dovresti stare attenta a come dici le cose. Comunque se questo Marco esiste sul serio, portalo qui a pranzo domenica».
Sono fregata!
«Non mi sembra il caso». Cerco di salvare la situazione, ma ormai è degenerata.
«Tesoro, io pretendo di conoscere questo Marco».
Oh, lei pretende!
«Se non ti presenterai domenica con lui, uscirai con Massimo. Sono già d'accordo con lui».
«Che cosa vorresti dire?», chiedo allibita.
Sto per commettere un matricidio e nessuno potrà ostacolarmi.
«Ho parlato con Massimo e lui non vede l'ora di uscire con te. Gli basta una telefonata».
A me basta una mazza da baseball per romperla sui denti a qualcuno. Sono furiosa, questa volta ha superato tutti i limiti.
«Tu hai qualche problema serio, mamma. Ciao!».
Mi alzo di scatto e me ne vado via da quel giardino. Alessandro me la pagherà, per cercare di aiutare lui, ci sono andata di mezzo io e non mi piace neanche un po' questa cosa. Nostra madre è uscita di senno, penso che questa possa essere l'unica ragione per il suo comportamento assurdo.
Io non uscirò mai con Massimo, se lo può scordare. Sono talmente nervosa, che devo per forza sfogarmi con qualcuno. Dieci minuti dopo sono sul divano di Luca e gli sto raccontando l'incontro assurdo con mia madre. Appoggio la testa sulla sua spalla e torturo le dita della sua mano.
«Ma ti rendi conto? Esiste una cura per la sua follia?», borbotto con gli occhi chiusi.
La testa mi sta scoppiando.
«Dubito esista qualcosa per la sua malattia», commenta e, dopo un attimo, aggiunge: «Ma davvero vuole farti uscire con quel Massimo?».
Annuisco.
«Era serissima. L'ultima volta che l'ho visto aveva quindici anni, l'apparecchio ai denti e l'acne. Era pure antipatico da morire. Perché mai dovrei uscire con uno del genere? Dovrei essere impazzita per poterlo fare».
«E poi c'è Marco», aggiunge il mio migliore amico.
«Già, c'è Marco e devo vederlo fra un'ora e mezza. Sono nervosa, Luca», sbuffo sconsolata.
«Vedrai che lui riuscirà a calmarti». Mi accarezza dolcemente i capelli.
«Non lo so, lo spero tanto. Con l'alone di nervosismo che mi avvolge, non prevedo di essere una compagnia piacevole stasera», brontolo.
«Guarda che poi non avrai il dolce alla fine della serata, se lo tratterai male». Mi fa notare lui, pizzicandomi una guancia.
«È la nostra prima uscita, non gliela avrei data comunque», mugugno con pochissima convinzione.
«Sì, certo, vallo a raccontare a un altro. Sai benissimo anche tu che voi due finireste a letto in un nano secondo».
Probabilmente ha ragione, ma non stasera, non sono al massimo della forma e andare con lui non è una priorità in questo preciso momento.
«Corri a casa ora, devi farti bella per lui. Non che tu ne abbia bisogno tesoro mio, sei una meraviglia». Mi bacia la tempia con affetto.
«E tu sei sempre troppo buono con me», sospiro.
Mi alzo in piedi e lo avvolgo in un abbraccio.
«Poi dovrai raccontarmi com'è andata. Quell'uomo deve essere uno stallone a letto!». Ammicca maliziosamente.
«Luca!». Lo sgrido colpendolo al petto con la mano.
«Li riconosco a naso, percepisco il loro testosterone a metri di distanza. Fidati, Marco è uno di questi. Voglio tutti i dettagli della vostra prima volta insieme, senza tralasciare niente». Mi punta un dito contro.
«Quando succederà, forse ti racconterò tutto». Lo prendo in giro.
«Togli il forse, è un obbligo, non puoi scappare dalle mie grinfie». Mi colpisce una spalla con un leggero pugno.
«Dovresti trovarti un hobby migliore, oppure un uomo da spupazzarti».
«Io un uomo da spupazzarmi l'avrei anche trovato, peccato sia etero fino al midollo», sospira sognante.
«Di chi stai parlando?», domando aggrottando la fronte.
«Di Lorenzo, ovvio! Quei suoi occhi scuri così magnetici mi hanno stregato, quel suo viso da duro, quei muscoli... basta, devo smetterla di pensarci». Si scuote da solo cercando di scacciare quell'immagine dalla testa.
«Ti ha fatto proprio perdere la ragione», commento con un mezzo sorriso.
«Non hai idea di che sogni spinti continuo a fare da quando l'ho conosciuto. Altro che i tuoi incontri bollenti in piscina! L'abbiamo fatto perfino sotto la doccia dello spogliatoio». Sembra perso in quei pensieri poco casti.
«Lo sai che non succederà mai, vero?». Gli faccio notare a braccia conserte.
«Lasciami almeno sognare». Mi ammonisce con lo sguardo.
La sua espressione cambia all'improvviso, un sorriso malizioso affiora sulle sue labbra.
«Non mi piace neanche un po'». Scuoto la testa.
«Se non sai nemmeno a cosa sto pensando».
«Qualunque cosa sia, non mi piace», ripeto convinta.
«E se gli estorcessi un bacio? Uno soltanto, muoio dalla voglia di scoprire come bacia».
Credo che anche Luca sia impazzito, deve esserci qualcosa nell'aria. Sono rimasta l'unica normale tra i miei conoscenti?
«E come vorresti fare? Braccarlo, legarlo e costringerlo a pomiciare con te?».
«Pomiciare? Che brutto termine», dice con una smorfia. «No, pensavo più a una scommessina con lui. Se lui perde, dovrà baciarmi».
«Tu sei fuso, sappilo», commento incredula.
«A me sembra un'idea geniale», esclama soddisfatto.
«Poi non venire a piangere da me se qualcosa andasse storto».
«Oh, non ti preoccupare per me».
È impazzito sul serio, meglio andare a casa, o potrei essere contagiata anch'io. Non ho parole, che cosa gli è saltato in mente ora? Si salvi chi può. Lo bacio sulla guancia e corro via anche da lui. Spero vivamente che Marco non abbia problemi di follia, altrimenti dovrò scappare anche da lui. Questa giornata non sta andando liscia come avrei sperato. Incrociamo le dita, non si sa mai.

 
***
 
 
Fra un'ora devo passare a prendere Serena, sono un fascio di nervi. Continuo a camminare su e giù per la camera, fermandomi ogni tanto davanti all'armadio e fissandolo nella speranza di trovare qualcosa di decente da mettermi. Non ho mai avuto alcun problema prima d'ora, ma non ero ancora uscito con Serena, voglio essere perfetto per lei. Normalmente mi sento sempre a mio agio nei miei panni, le donne mi sbavano dietro comunque, ma lei non è una donna qualunque. Affondo le dita tra i capelli e sbuffo: ora capisco che cosa prova una donna quando dice che non ha niente da mettersi davanti a un armadio stracolmo.
Il suono fastidioso del mio cellulare mi fa sobbalzare. Spero vivamente non sia lei. E se volesse disdire l'appuntamento? Non ci voglio pensare, sarebbe devastante. Ho troppa voglia di passare del tempo con Serena.
Rispondo senza guardare chi fosse a chiamarmi.
«Socio! Sei pronto?».
La voce squillante di Lorenzo mi spappola un timpano, credo di aver perso un po' di udito.
«Pronto per cosa?», domando confuso.
Non mi sembra di avergli raccontato dell'appuntamento, o l'ho fatto? Ho la testa tra le nuvole dai baci di ieri, non riesco a smettere di pensarci.
«Non devi uscire con la tua gnocca da sballo stasera?».
Gnocca da sballo tipico linguaggio di Lorenzo.
«E tu non eri arrabbiato con me?», domando allontanando l'attenzione dal mio appuntamento.
«Sì, beh, sai che non riesco a stare senza di te.», risponde imitando la voce di una donna.
«Sei un cretino, sappilo», sbuffo, sedendomi con un tonfo sul letto.
«Tu, invece, smettila di cambiare discorso. Sei pronto a...».
«Non finire quella frase!», lo zittisco immediatamente.
«Che diavolo ti prende? Di solito non fai altro che dire "Ora vado da quella gnocca e me la trombo alla grande"». Mi fa notare.
Ha ragione, lo so, normalmente avrei detto una cosa del genere, prima di conoscere Serena.
«Okay, lo ammetto, sono nervoso. Non so cosa indossare».
«Un paio di pantaloni perché due sono decisamente troppi. Una camicia, preferibilmente stirata e profumata. Per finire una bella spruzzata del tuo profumo da rimorchio. Che problemi hai?», sbotta all'improvviso.
«Non lo so, ho paura di fare brutta figura con lei», farfuglio.
«Tu che fai brutta figura con una donna? Non si è mai visto! Se fossi lì, ti prenderei a schiaffi, perciò fallo tu per me. Colpisciti forte così rinsavisci. Quella là ti ha spappolato quel poco cervello che hai! Muovi quel culo, vestiti e vattela a scopare! È un ordine», tuona lui infervorato.
«Farò del mio meglio», brontolo.
Chiudo la telefonata e mi lascio cadere sul materasso, frastornato. Lorenzo ha ragione, devo darmi una mossa, o di questo passo non arriverò mai puntuale da lei.
Indosso un paio di pantaloni neri, in assoluto il mio preferito, recupero una camicia bianca dalla gruccia e la porto al naso, profuma di pulito. Mi ravvivo i capelli con le dita, non hanno bisogno di tanta attenzione e, infine, mi spruzzo un po' del mio profumo preferito. Ne metto due gocce anche dietro l'orecchio, le donne ne vanno matte.
Rimiro il mio riflesso allo specchio, sono sempre io, ma nei miei occhi traspare tutta la mia ansia per quest’uscita, come se fosse la prima di tutta la mia vita.
Prendo un bel respiro e recupero la mia bambina in garage. Sono passato all'autolavaggio prima di rientrare in casa, ora brilla che è una meraviglia.
Dieci minuti dopo sono sotto l'appartamento di Serena. Vive in una zona tranquilla, poco frequentata, il palazzo è vecchiotto, sicuramente non naviga nell'oro.
Lei scende puntuale, la aspetto alla macchina e quello che vedo mi mozza il fiato: è talmente bella che credo di avere la bocca spalancata mentre rimiro ogni particolare.
Indossa un vestitino rosa, svolazzante, legato in vita da una cintura argentata. Non è troppo corto, le arriva al ginocchio, la scollatura non è volgare, ma mette in risalto le sue curve morbide e perfette. I capelli le ricadono setosi lungo il viso, il trucco delicato fa risaltare i suoi occhi verdi e il rossetto tenue rende le sue labbra ancora più desiderabili.
«Non ho mai visto niente di più meraviglioso», mormoro posando una mano sul suo viso.
Le sue guance si colorano di rosso. Possibile che sia addirittura più bella? E ora che cosa faccio? La bacio o non la bacio? È il nostro primo appuntamento e non vorrei rovinare tutto subito, ho il terrore di fare un passo falso.
È lei a togliermi da questo impiccio. Posa delicatamente le sue labbra sulle mie, regalandomi un bacio casto ma allo stesso tempo molto dolce.
«Grazie», farfuglia in totale imbarazzo. «Anche tu sei perfetto».
La prendo per mano e le apro la portiera, mi osserva titubante.
«Sei sicuro di volermi sulla tua auto dopo quello che ho combinato?», chiede preoccupata.
«Non era niente di grave, è già tutto sistemato. Guarda». Le faccio vedere il punto incriminato e lei sembra tornare a respirare normalmente.
«Devi ancora dirmi quanto ti devo per la riparazione», dice guardandomi negli occhi.
«Mi devi un bacio», sussurro completamente frastornato dalla sua bellezza e dal suo profumo. Devo sembrare patetico in questo momento, ma sono completamente andato.
«Ed è sufficiente?», domanda, un angolo della bocca sollevato all'insù.
«Sarebbe anche di più», commento.
Mi allaccia le braccia intorno al collo, sento le sue dita insinuarsi tra i miei capelli. Può fare di me tutto ciò che vuole, sono completamente suo.
La stringo tra le mie braccia, facendo aderire i nostri corpi, il mio cuore comincia a battere all'impazzata, come se avessi dei tamburi nel petto.
Quando le sue labbra si posano nuovamente sulle mie, chiudo gli occhi e lascio che lei si appropri della mia bocca. È famelica, avida, mi bacia come non ero mai stato baciato prima. Baci che mi fanno completamente perdere il controllo del mio corpo. Scendo a sfiorarle il collo con la lingua, le sue dita s'intrufolano sotto la mia camicia, strappandomi un mugolio di piacere. Salgo di nuovo a baciarle le labbra, lei mi accoglie con desiderio. Premo il mio bacino contro il suo, la voglio, la voglio ora.
«Forse è meglio se ci fermiamo», riesce a dire con un filo di voce.
Queste sue parole mi fanno tornare alla realtà. Ha ragione, stavamo esagerando, mi sono lasciato trasportare dall'istinto e dalla passione.
«Scusami, i tuoi baci mi danno alla testa». Le sorrido.
Lei ricambia dolcemente.
«Anche i tuoi non mi lasciano indifferente», ammette. «Ho ripagato il mio danno?».
«Direi di sì, con gli interessi».
L'aiuto a salire in macchina e le chiudo la portiera. Salgo al posto di guida, le rubo un altro bacio prima di mettere in moto. Sembra più rilassata ora. L'aria le scompiglia i capelli, ma non perde tempo a sistemarseli. Preferisce chiudere gli occhi e godersi la brezza, un sorriso nasce sulle sue labbra.
Mi sento bene, l'ansia che mi attanagliava lo stomaco se ne sta andando, lasciando solo una voglia esagerata di lei. Devo fare il bravo, non forzerò la mano, quando sarà pronta, lo sarò anch'io. Questo era solo un antipasto, decisamente piacevole ma pur sempre un antipasto. Io voglio arrivare fino al dolce.
Ho prenotato in un agriturismo poco lontano dalla villa dei miei, il proprietario è un amico di famiglia. Volevo andare sul sicuro, e Bruno ci tratterà sicuramente nel migliore dei modi.
«Marco! È un po' che non vieni a trovarmi!».
Bruno mi abbraccia con trasporto.
«Hai ragione, sai che evito questa zona se posso», dico con una smorfia.
«Sempre ai ferri corti con tuo padre?». Inarca un sopracciglio.
«Sai com'è fatto e sai meglio di me che non cambierà mai».
«Ragazzo mio, può solo peggiorare con gli anni, credimi!». Prorompe in una fragorosa risata.
«Non mi sei di grande sostegno», brontolo.
«Non mi presenti la tua donna? Non sapevo avessi messo la testa a posto». Sorride contento.
«Mi chiamo Serena». Si presenta lei. «Non stiamo insieme».
Ha messo subito le cose in chiaro e, a dirla tutta, non mi è piaciuta questa sua precisazione. È stata come una pugnalata nello stomaco, anche se quello che ha detto è la pura e semplice verità. Forse sono io che mi sto facendo troppe illusioni e non è da me. In fin dei conti me la voglio solo portare a letto.
Davvero voglio solo quello da lei? Questo dubbio s'insinua nella mia testa come un tarlo.
«È davvero un peccato, formereste proprio una bella coppia, anche se sei troppo di classe per uno come Marco», infierisce Bruno.
Nemmeno quest’affermazione fa bene al mio stomaco, già pugnalato in precedenza. Non mi va di essere sottovalutato in questo modo. La mia superficialità se n'è andata appena i miei occhi hanno incontrato quelli di Serena.
Dimostrerò a tutti che io sono degno di uscire con lei e che posso darle molto, più di altri uomini.
«Grazie, sei davvero un amico», borbotto stringendogli la spalla con la mano.
«Dai, sai che scherzo!», sbotta divertito e poi guardando Serena aggiunge: «Quest'uomo è una perla, trattamelo bene».
«Lo farò senz'altro», esclama lei regalando all'uomo un sorriso bellissimo.
«Venite, vi ho preparato il tavolo migliore».
Seguiamo Bruno lungo la sala luminosa, ha apparecchiato l'unico tavolino con vista sull'immenso parco, una candela accesa a rendere romantica l'atmosfera. Parliamo un po' di tutto, mangiamo molto e benissimo. Serena ha appetito, non si è tirata indietro e mi piace questa cosa. Sembra rabbuiarsi a un tratto, non ne capisco il motivo.
Le prendo una mano e la accarezzo dolcemente.
«C'è qualcosa che non va?», le chiedo in ansia.
Ho fatto o detto qualcosa di sbagliato senza rendermene conto?
«No, va tutto bene», risponde con un sorriso tirato.
«Non mentirmi, ti prego. Che succede Serena? Perché sei diventata così pensierosa all'improvviso? È colpa mia?». Le sfioro il viso con le dita.
Ansia, tantissima ansia.
Lei scuote la testa e sospira.
«Non è colpa tua, tu sei meraviglioso», comincia. «Mi è tornata in mente la discussione avvenuta oggi con mia madre prima che mi venissi a prendere».
«Posso fare qualcosa per farti stare meglio?».
Per fortuna la colpa non è mia, posso tirare, momentaneamente, un sospiro di sollievo.
«Potresti, ma non mi va di metterti in mezzo. Mia madre può essere folle quando vuole». Fa una smorfia.
«Lascia decidere a me, vorrei aiutarti».
Farei qualsiasi cosa per vederla sorridere di nuovo.
«Beh, voleva a tutti i costi farmi uscire con il figlio di una sua amica. Le ho detto che avevo già un ragazzo. Non mi ha creduto e vuole che lo porti domenica a pranzo. Ho detto che eri tu, mi dispiace Marco. Non sapevo come venire fuori da quella situazione assurda». Si copre il viso con entrambe le mani.
No, no, no! Col cavolo che lei uscirà con un altro uomo, dovrà passare sopra il mio cadavere. Serena è mia e nessuno dovrà sfiorarla. Se dovesse succedere, sarà un uomo morto. Serro la mascella al solo pensiero.
«Verrò con te», esclamo togliendole una mano dal viso e cercando il suo sguardo. «Verrò a pranzo dalla tua famiglia come il tuo ragazzo».
«Lo faresti davvero?», chiede con gli occhi lucidi.
«Certo, non permetterò che tu esca con altri uomini».
Mi guarda sorpresa.
«Scusami, tendo a dire tutto quello che penso. Tu mi piaci Serena, mi piaci davvero molto. Solo l'idea che un altro uomo ti possa anche solo guardare mi fa ribollire il sangue nelle vene. Sono geloso, lo ammetto, geloso di te, anche se ti conosco appena. È più forte di me. Verrò con te domenica perché vorrei avere una possibilità con te, una possibilità reale».
Credo di essermi esposto fin troppo, ho sbandierato i miei sentimenti ai quattro venti senza nemmeno rendermene conto, le parole sono uscite senza controllo dalla mia bocca. Che stupido sono stato, ora scapperà a gambe levate. Fisso le mie dita sopra il tavolo, tamburellano nervosamente, le mie gambe si muovono incontrollate.
«Non so che cosa dire», farfuglia.
Alzo lo sguardo e lei mi sta fissando, le labbra tremano leggermente, sembra sconvolta.
«Piccola, va tutto bene.». Le accarezzo il viso con le dita. «Vuoi che ti accompagni a casa?».
Annuisce decisa.
«Sì, grazie», risponde.
Pago il conto, salutiamo Bruno e saliamo in macchina. Le tengo la mano per tutto il viaggio, sembra ancora pensierosa. Forse ho davvero esagerato, ma il danno ormai è stato fatto.
La accompagno al cancello e la saluto con un lieve bacio sulle labbra.
«È stato bello», le sussurro.
Mi giro per andarmene e faccio a malapena un passo, mi sento afferrare un braccio. Si stringe a me.
«Resta con me stanotte», mormora con il naso premuto nell'incavo del mio collo.
«Farò tutto quello che vuoi», le dico circondandola con le mie braccia.
Mi prende per mano, accompagnandomi nel suo appartamento: è un monolocale, piuttosto piccolo, adatto a una persona. Si toglie il vestito e indossa un pigiamino corto verde, su di lei è perfino sexy. Si sdraia sul letto.
Mi spoglio, rimanendo in boxer e la raggiungo. La attiro a me, voglio sentire il suo corpo contro il mio. Non importa se questa notte non faremo l'amore, stare qui con lei è già meraviglioso. Mi guarda con una dolcezza infinita.
Le nostre bocche si uniscono in un bacio delicato, lieve, fino a trasformarsi in qualcosa di più profondo. Entrambi respiriamo a fatica. Ci baciamo e ci sfioriamo per non so quanto tempo. Si addormenta fra le mie braccia e la osservo a lungo, non riesco a farne a meno. Le sposto una ciocca di capelli dagli occhi, ascolto il suo respiro regolare, è una melodia fantastica per le mie orecchie. Delineo il contorno del suo viso con le dita, delicatamente, stando attento a non svegliarla. Mi ritrovo a sorridere, lei è semplicemente meravigliosa. Un pensiero assurdo percorre la mia mente, un pensiero talmente assurdo che non mi aveva mai sfiorato prima di questa sera: mi sto innamorando di lei. 

 
***Note dell'autrice***
Allora che cosa pensate di questo nuovo capitolo? Credete che la mamma di Serena sia pazza? Vi assicuro che farà anche di peggio e lo scopriremo presto! Com’è andato il primo appuntamento? Marco era agitatissimo, ma fortunatamente è andato tutto bene. Mi piacerebbe sapere un vostro parere :)
Grazie mille a tutti voi che state seguendo/preferendo/ricordando questa mia storia e un grazie immenso alle sante donne che mi lasciano un commento ♥♥♥
A martedì prossimo: per un risveglio un po’ movimentato ;)



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Capitolo 9
*** Flounder ***


 



9. Flounder
Quando apro gli occhi, Marco è ancora qui con me, mi ritrovo a sorridere. Dorme come un bambino, con la bocca leggermente aperta. Gli sfioro lo zigomo con il pollice, delicatamente, non voglio svegliarlo. Il filo di barba spuntato sul suo viso lo rende dannatamente sexy. Mi tiene stretta a sé, come se non volesse lasciarmi andare, e io non ho la minima intenzione di lasciare questo letto. Mi accoccolo al suo petto, lui aumenta la presa. Vorrei dirgli che non vado da nessuna parte senza di lui, ma non mi sembra il caso. Mi sento così bene, come non mi sentivo da anni ormai.
Mi ritornano in mente la cena e quell'ultimo discorso. Lui è disposto a venire a pranzo dai miei con me, ma non so se sia una buona idea, non voglio che mia madre lo faccia sentire a disagio con mille domande. Potrebbe cambiare idea anche su di me, e non potrei sopportarlo. Marco è un uomo fantastico, a modo suo dolce ma allo stesso tempo forte e sicuro di sé. Un pensiero sfugge al mio controllo, un pensiero che pensavo non potesse mai passare per la mia mente: mi sto innamorando di lui.
Mi metto a sedere sul letto in preda all'ansia. Non può essere possibile, è assurdo, lo conosco appena.
"Però è nel tuo letto", mi fa notare la mia coscienza.
È vero, è nel mio letto. Sono stata io a trascinarlo in casa e non sono pentita, è stato bellissimo svegliarsi accanto a lui.
Mi sento avvolgere i fianchi con un braccio e in un attimo mi ritrovo sopra di lui.
«Stai bene?», domanda accigliato.
«Sto benissimo.», rispondo con un sorriso.
Si tranquillizza sensibilmente e le sue labbra si stendono in un sorriso fantastico. Infila le dita tra i miei capelli e mi bacia sulle labbra, dapprima lentamente, poi con un desiderio sempre crescente. Mi siedo cavalcioni su di lui e mi tolgo la parte superiore del pigiama, rimango in reggiseno. Cerca nuovamente le mie labbra, mentre con una mano slaccia i gancetti, liberando i miei seni. Li rimira in adorazione prima di lambire un capezzolo, lo succhia dolcemente. Un gemito sfugge al mio controllo. Riserva lo stesso trattamento anche all'altro. Sento il suo desiderio per me crescere a ogni bacio infuocato, a ogni mio tocco.
«Mentirei se ti dicessi che non vorrei fare l'amore con te in questo momento.», mormora al mio orecchio. «Ti desidero come non ho mai desiderato nessun'altra donna in tutta la mia vita.».
Non so se sia una frase che usa normalmente per ottenere ciò che vuole, ma ha sicuramente colpito nel segno. Può fare di me tutto ciò che vuole.
«Sono tua.», sussurro a fior di labbra.
Con un movimento fulmineo ribalta le posizioni, ora sono sovrastata dal suo fisico perfetto. Riprende a baciarmi avidamente, mi lascia una scia di baci fino a fermarsi al pizzo delle mutandine. Le sta per sfilare, quando sento girare la chiave nella porta d'ingresso.
«Tesoro, ci sei?», grida Luca dall'ingresso.
Lo uccido, è una promessa!
«Cazzo!», sbotto coprendomi la bocca con le mani.
Marco mi fissa stupito.
«Aspettavi qualcuno?», chiede corrugando la fronte.
«È Luca, ti conviene vestirti, o rischi che ci provi con te.», sbuffo sconsolata. «Mi dispiace Marco.».
«Non scusarti piccola, recupereremo un'altra volta.», mi rassicura.
«Non sei arrabbiato?», chiedo rivestendomi al volo.
«No, per niente. Certo non ho gradito l'interruzione, ma non sono arrabbiato. Stai tranquilla.», mi dice dolcemente.
Si veste in fretta e furia. Si sta allacciando la cintura, quando la testa mora di Luca fa capolino nella stanza.
«Cazzo, scusate! Non sapevo avessi compagnia.».
L'espressione mortificata che appare sul suo viso mi fa sorridere.
«Ho interrotto qualcosa?», sussurra nella mia direzione.
Annuisco facendo una smorfia.
«Cazzo! Era una vita che non... beh, sai cosa intendo. Mi dispiace tesoro.».
Marco si schiarisce la voce.
«Non serve che bisbigli, ti sento lo stesso.», lo prende in giro.
Luca si gratta nervosamente la testa.
«Posso offrirvi la colazione per farmi perdonare? Ho portato le brioche.». Sventola un sacchettino bianco davanti al mio naso.
«Il caffè lo metto io.», dico ridendo.
Luca si dirige nell'angolo cottura, Marco ne approfitta per coccolarmi ancora un po'.
Mi cinge la vita con le braccia e mi attira a sé.
«Non ti ho nemmeno dato il buongiorno.».
Mi bacia dolcemente sulle labbra e aggiunge: «Buongiorno piccola. Sei bellissima anche appena sveglia.».
«Adulatore.», commento a fior di labbra.
«È la verità, dico sempre tutto quello che penso.».
«E che cosa stai pensando ora?», domando curiosa.
«Penso che tu sia straordinariamente bella, mi fai perdere la testa. Penso che se il tuo amico non fosse arrivato, a quest'ora staremmo facendo l'amore e al solo pensiero mi torna la voglia di te che, credimi, è tantissima. Penso che io potrei essere perfetto per te, ma la decisione spetta soltanto a te. Penso che se un uomo ti ronzasse intorno, a quest'ora sarebbe già sotto terra. Posso continuare ancora se vuoi.».
«Wow, sono senza parole.», farfuglio frastornata.
Non sono abituata a una dose così massiccia di sincerità.
«Se preferisci non sapere, non chiedere. Non ho peli sulla lingua, non ho filtri e a volte potrebbe essere un problema.». Si stringe nelle spalle e si acciglia impercettibilmente.
«Che c'è?».
«Stavo pensando al pranzo dai tuoi...».
Non lo lascio nemmeno terminare.
«Se non te la senti, non sei obbligato a venire...».
Mi zittisce infilandomi la lingua in bocca.
«D'ora in poi se non mi lascerai finire un discorso, ti farò stare zitta a modo mio.», mi sgrida .
«Ma...».
Mi morde il labbro inferiore per poi baciarmi avidamente.
«Ma niente, zitta. Non ho finito. La mia preoccupazione è di non riuscire a trattenermi nel rispondere a tono a tua madre. Se dovesse cercare di screditarti, potrei trattarla male e non vorrei procurarti problemi.».
Lui risponderebbe a tono a mia madre? Lo adoro!
«Se è questa la tua preoccupazione, è infondata. Se facessi una cosa del genere, te ne sarei grata per tutta la vita.».
Il sorriso che si forma sulle sue labbra, mi fa tremare le gambe.
«Puoi contare su di me Flounder.».
Come mi ha chiamato?
«Flounder?», ripeto senza capire il significato di quel termine.
«Non guardavi mai i cartoni animati da bambina?», chiede guardandomi negli occhi, l'aria di uno che si sta divertendo molto.
Scuoto la testa.
«Preferivo correre all'aria aperta.», rispondo decisa.
«Prometto che prima o poi scoprirai il motivo di questo nomignolo. D'ora in poi tu sarai Flounder per me.».
Mi bacia come se fosse una cosa essenziale per la sua sopravvivenza. Può chiamarmi come vuole, non m'importa, basta che non smetta di baciarmi in questo modo.
«Il caffè è pronto!», grida Luca dall'altra stanza. Stavolta decide di non raggiungerci in camera, saggia decisione, visto che stavamo pomiciando alla grande.
«Ti capita spesso in casa senza preavviso?», domanda prendendomi per mano.
«Molto spesso, ha le chiavi in caso di emergenza. Io faccio lo stesso a casa sua.».
«Vorrà dire che passerai del tempo nel mio appartamento.». Butta lì quasi per caso e, poi, quasi resosi conto di quello che ha appena detto aggiunge: «Se ti va ovviamente.».
«Dipende se farai il bravo.». Gli strizzo l'occhio.
Lui scoppia in una risata che mi scalda il cuore.
«Dai, Flounder, andiamo a fare colazione, prima che il tuo amico chiami la polizia per farci uscire da questa stanza con la forza.». Mette entrambe le mani sulle mie spalle e mi spinge nel salotto.
Mi sento stranamente rilassata e particolarmente felice stamattina, mi piace la compagnia di Marco, adoro la sua sfacciataggine. In effetti, non ho ancora capito che cosa non mi piace di lui, forse lo scoprirò con il tempo. Tempo. Ne voglio trascorrere molto con lui, finché non ne avrò abbastanza. Ne avrò mai abbastanza di lui?
Lo scoprirò, ne sono certa.
Luca ha apparecchiato per tre il piccolo tavolo della cucina, mi siedo tra loro due.
«Allora Marco, quand'è che ti spupazzi la mia Serena?», chiede candidamente, come se fosse la cosa più naturale al mondo.
Marco per poco non si soffoca con il caffè.
«Luca!», sbotto incredula.
Sono domande da fare queste? È la mia vita sessuale, non dovrebbe essere di dominio pubblico. Che vergogna.
«Che c'è?!», brontola il mio amico. «Mi preoccupo per la tua topina, non vorrei si atrofizzasse.».
Marco, questa volta, sputa il caffè nella tazzina. Non mi sono mai vergognata tanto in tutta la mia vita.
«Topina?», ripete lui allibito.
«Preferisci chiamarla in un altro modo? Patatina magari?», continua Luca sorseggiando il suo caffè.
«Patatina è già meglio.», commenta Marco divertito.
Mi copro il viso con entrambe le mani e scuoto la testa. Non sta succedendo a me, vero? Non posso avere un amico così idiota e un uomo che mi piace che gli dà pure corda. Non può essere reale, deve per forza essere uno scherzo.
«Non per essere scortese, ma io non mi metto a parlare dei vostri gingilli a colazione.», borbotto infastidita da questi discorsi fuori luogo.
«Gingilli?», dicono in coro, entrambi con aria schifata.
«Non fate quelle facce, avete capito benissimo a cosa mi riferisco. Non lo ripeterò e non troverò altri termini. È severamente vietato parlare di tutto questo mentre si beve il caffè...».
Luca mi interrompe e chiede: «Mentre si mangia la brioche?».
«No.», rispondo piccata.
«Durante un pranzo di famiglia?».
Ci si mette anche lui ora?
«Stai scherzando spero.». Lo fulmino con lo sguardo.
Si stringe nelle spalle. «Forse, lo scoprirai domenica.».
«Ti ucciderò se lo facessi davvero. Io ti ho avvertito.». Gli punto un dito contro.
Luca guarda prima me e poi lui.
«Aspettate un attimo. Che cos'è questa storia del pranzo di famiglia? Non credo di aver capito fino in fondo questo vostro scambio di battute.». Mi fissa con gli occhi socchiusi in attesa di saperne di più, come al solito.
È Marco a rispondere.
«Mi ha chiesto di accompagnarla a pranzo dai suoi domenica. Sua madre vuole presentargli un uomo, e io col cazzo che lo permetterò. Scusate il francesismo. Se la signora avesse qualcosa da ridire su Serena o sul sottoscritto, non esiterò a rivoltarla come un calzino. Non esiste che lei esca con un uomo che non sia io.».
Luca incrocia le braccia al petto e gli lancia uno sguardo infuocato.
«Tu non fai parte di quella categoria, Luca, non ti preoccupare. Non hai interessi fisici su di lei, non sei una minaccia. Puoi vederla tutte le volte che vuoi. Ti avverto solo di una cosa, la vedrai molto meno perché ho intenzione di passare molto tempo con lei. Regolati di conseguenza.».
Continua a lasciarmi completamente senza parole, non so come ci riesca.
«Devo per forza trovarmi un uomo anch'io.», sospira Luca. «Sicuro che il tuo amico Lorenzo non sia bisex?».
Marco inarca un sopracciglio, sta sicuramente cercando di capire se scherza o dice sul serio. Io sono certa della seconda, lo conosco fin troppo bene.
«Smettila Luca!». Lo colpisco dietro il collo con la mano aperta.
Lui sbuffa mettendo il broncio.
«Vado a lavorare.», annuncia Marco con pochissimo entusiasmo. «Passo stasera a prenderti. C'è la lezione di nuoto, non hai dimenticato, vero?».
Oh mamma, di nuovo in piscina? Non so se ce la posso fare.
«Devo proprio?», faccio gli occhi da cucciolo spaurito.
«Sì, devi. Ci vediamo stasera.».
Mi bacia abbondantemente, come se Luca non fosse presente. Lo lascio andare a malincuore, non vorrei che se ne andasse.
Il mio amico mi squadra con un sorriso malizioso sulle labbra, faccio finta di non accorgermene.
«Wow! Doppio wow! Triplo wow!», sbotta all'improvviso facendomi sussultare. «Hai presente che uomo ti sei trovata? Sere, è lui, è lui!».
Continua a ripeterlo e io ho la certezza di avere un amico cretino.
 
 
***
 
 
Svegliarmi accanto a Serena è stato a dir poco fantastico, una ventata di freschezza. Se non fosse arrivato il suo amico, avrei fatto l'amore con lei. Sì, l'amore: con lei non sarebbe stato semplice sesso dettato dalla passione. Lei è diversa da tutte le altre donne con cui sono stato, lei è...
Non trovo nemmeno le parole per descrivere quello che provo quando sono con lei. Adoro stringerla fra le mie braccia, baciare quelle meravigliose labbra, sfiorare il suo corpo con le dita e non solo.
L'arrivo di Luca mi ha fatto incazzare di brutto, ma non l'ho detto a lei, non era colpa sua. Le chiederò di dormire da me, saremo più tranquilli, nessuna interruzione da parte di amici impiccioni.
Domenica conoscerò la sua famiglia, da quanto ho capito, non ha un gran bel rapporto con sua madre. Oh cazzo! Devo chiamare anche mia madre per dirle che non sarò con loro quel giorno. Urge trovare una scusa adeguata, non posso di certo dirle che vado a conoscere i genitori di una donna che frequento da due giorni, darebbe di matto.
Marco pensa, pensa, pensa.
Non ne verrò mai a capo, tanto vale chiamarla e raccontarle una balla qualsiasi.
«Marchino, a cosa devo l'onore di questa telefonata?».
Bene, sono già infastidito. Sa benissimo che non sopporto quando mi chiama in quel modo e sembra che io non le telefoni mai. Okay, lo ammetto, non la chiamo spesso, ma se mi risponde con questo tono, la chiamerò addirittura meno.
«Domenica a pranzo non ci sarò.», comincio giocando con l'orlo della camicia.
«Coma mai? Hai qualche impegno impellente?», domanda acida.
«Sono stato invitato a pranzo e non potevo tirarmi indietro.», rispondo piccato.
«Da chi devi andare?».
Comincia il terzo grado, alquanto indesiderato.
«Non la conosci.», taglio corto io.
«Mmm... la conosco. Frequenti una donna e non mi dici niente?».
Ma porca... mi sono fregato con le mie stesse mani. Chiudo gli occhi e butto fuori un po' per volta l'aria che ho incamerato nelle guance.
«Non è che devo dirti tutto.», le faccio notare.
«Da quanto va avanti questa storia?».
Ecchepalle! Era meglio se le avessi mandato un messaggio.
«Non ha importanza, mamma.», sbuffo.
«Certo che ha importanza! Voglio conoscerla.».
«Non mi sembra il caso.». Scuoto la testa insistentemente, anche se non mi può vedere.
«E si può sapere il motivo?», chiede risentita.
Perché se vi conoscesse, non vorrebbe più saperne di me e io non posso perderla.
«Perché è ancora presto.», bofonchio.
Mia madre sospira rumorosamente.
«Marchino, domenica prossima la porterai qui a pranzo, nessuna scusa. Voglio conoscerla. Se non fosse una storia seria, non avresti saltato la nostra domenica in famiglia. Vi aspetto qui, solita ora. Se non arrivassi, manderei qualcuno a prenderti.».
Sono in trappola. E ora che cosa dico a Serena? Non voglio che conosca i miei, è un suicidio. Non posso nemmeno tirarmi indietro.
«Ci saremo.», acconsento infine. Non ho altre vie di fuga.
«Non vedo l'ora di conoscerla!», squittisce felice.
«Sì, anch'io non vedo l'ora.», borbotto irritato.
Lancio il cellulare con violenza sopra il letto, va a finire dietro un cuscino ornamentale.
Non ci voglio credere, deve essere per forza un brutto sogno. A questo punto la scommessa di Lorenzo non vale più, non farò conoscere Serena di mia spontanea volontà, perciò è saltato tutto. Meglio così, non avevo alcuna intenzione di chiederle di sposarmi, non succederà mai. Non ho voglia di fare progetti a lungo termine, non ora che siamo solo all'inizio. Non ho la smania di sposarmi, sto benissimo anche così. Hanno tutti questo desiderio di sistemarsi, bah, non lo capisco. Spero soltanto che mia madre non la tartassi con domande imbarazzanti e non la faccia scappare da me, non potrei mai perdonarglielo.
Passo l'intera giornata a cercare di dimenticare quella telefonata, concentrando i miei pensieri su Serena. Devo passare a prenderla fra venti minuti e non sto già nelle pelle.
Ho paura a dirle di mia madre, ma so già che non riuscirò a tenerglielo nascosto, peggiorerebbe soltanto la situazione. Che gran rottura! Ci mancava solo mia madre a creare altri casini. Ci sarà pur un motivo per cui non ho mai portato una donna a casa. Non che le mie storie siano mai state molto lunghe, non ho ancora trovato quella persona in grado di occupare continuamente i miei pensieri.
Serena
Il suo nome rimbomba nella mia testa e un calore strano si irradia nel mio petto. Torno a pensare a lei, a quel suo sorriso talmente dolce da penetrare il mio cuore indurito da tante delusioni passate. Con lei riesco a essere davvero me stesso, sento di poter essere sempre sincero e credo che per lei sia una cosa gradita. Ho sempre disprezzato chi usa giochetti per conquistare il cuore di una donna. Io sono diretto, a volte fin troppo, ma se lei mi piace, deve saperlo e capire che sono intenzionato a fare di tutto per entrare nel suo cuore.
Quando la vedo uscire dal portone di casa, non resisto e le corro incontro, sollevandola da terra. Emette un gridolino stupito che mi fa sorridere, si aggrappa forte a me per paura di cadere.
«Tu sei pazzo.», farfuglia seria, i suoi occhi fissi nei miei.
«Lo so.», mormoro avvicinando la mia bocca alla sua. Le sue labbra si schiudono al solo contatto con le mie, mi mancava baciarla, mi mancava da morire.
«Sono pazzo di te Serena, non so se te ne fossi accorta. Se non lo avessi fatto, ora lo sai. Mi sei mancata oggi.».
Riprendo a baciarla senza darle il tempo di replicare, ma da come accoglie i miei baci credo di esserle mancato anch'io.
«Dormi da me stasera.». La mia non era una domanda, era un'affermazione vera e propria. Non ho la minima intenzione di riaccompagnarla a casa dopo la lezione.
«Okay.», commenta infilando le dita tra i miei capelli e cercando nuovamente la mia bocca, famelica.
Non vorrei vantarmi, ma credo di essere riuscito a intrufolarmi nel suo cuore, ora devo solo fare in modo di restarci.
La porto in braccio fino alla macchina e la adagio sul sedile, lei mi regala uno dei suoi sorrisi meravigliosi. Devo fermarmi a prendere Daniele, poiché mia sorella non riesce ad accompagnarlo. Mio nipote non sopporta perdere le mie lezioni, così mi sono offerto di passare, a me non reca alcun disturbo.
Appena vede che Serena è con me, le corre incontro, si fa prendere in braccio e si avvinghia a lei. La mia donna ride spensierata buttando la testa all'indietro, è straordinaria. Daniele le posa un bacio sulla guancia, felice. È una scena meravigliosa.
Distolgo lo sguardo e mia sorella mi sta fissando a braccia conserte, un sopracciglio sollevato all'insù.
«Che c'è?», sbotto brusco.
«Lei chi sarebbe?», chiede osservandola con occhio attento. «Sbaglio o mio figlio ha una cotta per lei?».
Mi volto nuovamente verso di loro, non riesco a smettere di guardarla.
«Non solo mio figlio.», prosegue lasciando cadere le braccia lungo i fianchi. «È la donna di cui mi parlavi?».
Annuisco. «È lei, Serena.».
«La stai mangiando con gli occhi, datti una calmata.», mi colpisce con un pugno leggero sul braccio.
«Non mi va di darmi una calmata, le ho appena confessato di essere pazzo di lei. Dovrei mordermi la lingua prima di parlare, ma con lei non ci riesco. Secondo te potrebbe essere abbastanza interessata da mettersi con me?».
«Cioè, fammi capire, tu, signor mi trombo tutto quello che si muove, vorresti una storia seria con quella donna bellissima che si sta spupazzando il mio bambino?».
«Non mi trombo tutto quello che si muove.», borbotto e una smorfia appare sul mio viso.
«Per lo meno lo facevi prima di conoscere lei. Si è già concessa?», domanda con curiosità.
Scuoto la testa.
«No e non voglio farle fretta. Se non lo avessi ancora capito, lei è diversa da ogni altra donna con la quale io sia stato in tutti questi anni.».
Perché mi sto confidando di nuovo con mia sorella? Non è una cosa normale, almeno non lo è per me.
«Marco, fratellino, non ti sarai mica innamorato di lei?».
Posa entrambe le mani sulle mie spalle e mi obbliga a guardarla negli occhi.
«E se anche fosse?», brontolo piuttosto infastidito.
«Sarebbe una cosa nuova per te, credi di essere pronto per un sentimento così forte? Non scapperai alla prima difficoltà?».
Non ne posso più. Perché la mia famiglia crede che io sia una causa persa in amore? Farò loro cambiare idea, a qualunque costo.
«Io non scappo mai davanti alle difficoltà, sia ben chiaro! Se fosse così, avrei detto di no a nostra mamma!». Okay, questo commento mi è scappato in un impeto di eccessiva frustrazione.
«Detto di no a cosa?». Non riesco a sottrarmi dallo sguardo indagatore di mia sorella.
«Ehm... vuole che la porti al pranzo della domenica la settimana prossima.».
«Ooooh. Povero te!», esclama infine.
«Sei di grande aiuto come al solito. Ora il problema sarà dirlo a lei.», sospiro.
«Auguri.». Mi batte amorevolmente la mano sulla spalla.
Sì, mi è stata notevolmente di grande aiuto.
Raggiungo Serena e Daniele, mio nipote ha un sorriso sdentato davvero raggiante. Bacio la mia donna - sì, mi piace definirla così, lei è la mia donna - sulle labbra prima di entrare nello spogliatoio maschile. Lui saltella allegro al mio fianco.
«Zio, zio, zio!», attira la mia attenzione tirandomi l'orlo della camicia.
«Dimmi tutto, squaletto.», lo prendo in braccio per guardarlo meglio.
«È vero che ti sei fidanzato con Serena? Lei mi piace tanto e vorrei, vorrei, vorrei...». Si è incantato il disco.
«Che cosa vorresti?», chiedo dolcemente.
«Vorrei che fosse la mia zietta, non ne ho mai avuta una. Dai zio, ti prego, voglio che lei sia la mia zietta.». Mi mette perfino il broncio.
Che cosa dovrei rispondergli ora?
«Non sono io che devo decidere.», comincio. «L'ultima parola spetta a Serena. Sai, ci conosciamo da pochissimo e non so ancora come andranno le cose con lei.».
Penso che essere sincero con lui sia la soluzione migliore, mio nipote è piuttosto sveglio per la sua età.
«Ma lei mi ha detto che gli piaci tanto così.». Allarga le braccia per farmi vedere la sua unità di misura.
«Sei sicuro che ti ha detto così? Non stai esagerando un pochino perché tu vorresti che stessi con lei?», inarco un sopracciglio.
Lui scuote vigorosamente la testa, perdendo l'equilibrio. Fortunatamente lo tengo stretto e non può cadere.
«Gli ho anche chiesto...». Fa una pausa portandosi un dito alla bocca. Non bado nemmeno ai suoi classici errori di linguaggio, sono lo zio, non la madre perfettina.
«Che cosa le hai chiesto?», lo sprono.
«Gli ho chiesto quando la cicogna porterà un bambino anche a voi, così posso giocare con un maschio. Ci sono solo femmine in casa.», ammette candidamente.
Mi viene da ridere. Ha chiesto davvero un'assurdità del genere a Serena?
«E lei che cosa ti ha risposto?». Ora sono proprio curioso.
«Ha detto che è presto, ma che ci avrebbe pensato. È una cosa bella, vero, zio?».
Annuisco.
Ci avrebbe pensato. Che cosa avrà voluto dire con quell'affermazione? Probabilmente l'ha detto solo per zittire mio nipote. Credo proprio che sia l'unica ragione.
Ci cambiamo e, quando usciamo, vedo Serena appoggiata al muro, sta guardando la vasca piena d'acqua, noto panico e terrore nei suoi occhi.
Daniele corre verso di lei e la prende per mano, l'accompagna fino al bordo della piscina, facendola sedere lentamente. Sarebbe un ottimo istruttore.
Una volta assicuratosi che lei stesse bene, si tuffa in acqua e sguazza come un pesciolino. Mi siedo accanto a lei e le prendo la mano, mi sorride.
«Ti senti pronta, Flounder?», le chiedo.
La mia domanda è riferita a molte cose e dal luccichio nei suoi occhi mi rendo conto che ha colto il senso di tutto questo.
«Sono pronta.», risponde prima di regalarmi un bacio dolce e ricco di significato.
E lo sono anch'io, sono pronto a donarle tutto me stesso, soprattutto ciò che non ho mai dato a nessuno finora: il mio cuore.

 
***Note dell'autrice***
Bene, bene, bene… eccovi qui il tanto atteso capitolo :) Ve lo aspettavate così il risveglio? Qualcuno aveva intuito potesse andare in questo modo. Ormai è risaputo che il tempismo non è amico di Luca :) E così ora anche Serena dovrà conoscere la famiglia di Marco. Sono entrambi felicissimi di presentare i rispettivi genitori. Poveri! Nel prossimo capitolo scopriremo come andrà il pranzo a casa della famiglia di Serena. Secondo voi che cosa accadrà? Sua madre combinerà qualcosa? Lo scopriremo presto :)
Grazie mille a tutti voi che seguite e commentate questa mia storia… mi rendete davvero felice ♥
A martedì prossimo ♥



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Bijouttina & i suoi vaneggiamenti

 

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Capitolo 10
*** Un pranzo da ricordare ***


 



10. Un pranzo da ricordare
Ormai frequento Serena da qualche giorno, la notte è fissa da me e passiamo ogni momento possibile insieme. Lorenzo non mi crede quando gli dico che non lo abbiamo ancora fatto. La nostra ultima conversazione telefonica è stata piuttosto accesa.
«Ma non esiste che ci dormi insieme e non te la scopi! Impossibile! Come si fa a dividere lo stesso letto con una gnocca del genere e non darci dentro sotto le lenzuola. Tu sei malato, socio, sei malato gravemente!».
Ha riattaccato dopo queste perle di vita vissuta. Non mi ha dato il tempo di dire la mia a riguardo, tanto per cambiare. Da quando esco con lei, mi sono reso conto che il sesso non è tutto, non dico che non lo avremmo fatto, abbiamo solo deciso insieme di non correre, di non bruciare subito tutte le tappe. Abbiamo parlato molto in questi giorni, le ho anche confidato della telefonata con mia madre e del pranzo della settimana prossima. Non era entusiasta, si vedeva, ma ha accettato senza trovare inutili scuse; probabilmente lo fa solo perché si sente in colpa.
Fra un'ora saremo a pranzo dalla sua famiglia e mi sento teso come una corda di violino. È la prima volta che faccio la conoscenza dei genitori della donna che frequento e non so come devo comportarmi.
Serena mi ha consigliato di essere me stesso, aggiungendo che sono perfetto così.
Lei, però, è di parte, anche se sentirsi dire di essere perfetto dalla tua donna, fa sempre un certo effetto.
Passo a prenderla alle undici e trenta, lei mi sta già aspettando sul marciapiede, si vede chiaramente che è un fascio di nervi.
«Sei sicuro di quello che stai facendo?», chiede in apprensione. «Sei ancora in tempo per tirarti indietro.».
«Sono sicuro, non ti lascerò andare da sola.». Le prendo la mano e intreccio le mie dita alle sue. È una cosa che faccio spesso ultimamente e mi piace tantissimo.
«Mia mamma è uno squalo.», aggiunge con espressione seria.
«L'acqua è il mio ambiente naturale.», la rassicuro. «Flounder, stai tranquilla, so badare a me stesso e poi ci sarai tu al mio fianco. Andrà tutto bene.».
Il sorriso tirato che mi riserva non è molto convincente, ha qualche riserva a riguardo e non la biasimo. Le stringo la mano lungo tutto il viaggio, cerco di tranquillizzarla per quanto sia possibile, anche se non ci riesco fino in fondo.
Arrivati davanti alla villetta della sua famiglia, mi accorgo che c'è una macchina sportiva rossa fiammante parcheggiata nel vialetto. Anche Serena la sta fissando perplessa.
«Di chi diavolo è quella macchina?», borbotta con gli occhi sgranati.
«Credo che lo scopriremo presto.», rispondo fermando la macchina dietro a quella incriminata.
Scendiamo e prendo un bel respiro. Serena si aggrappa al mio braccio e sospira.
«Ci sono io con te.», mormoro baciandole la tempia.
Raggiungiamo l'ingresso lentamente, come se stessimo andando alla graticola. Lascia andare il mio braccio e fa scivolare la sua mano nella mia. Preme il bottone del campanello. Ora non possiamo più tornare indietro.
Viene ad aprirci un uomo sulla sessantina, i capelli radi sono ormai quasi del tutto bianchi.
«Passerotta, sei arrivata finalmente!». Abbraccia la figlia con trasporto. «Tua mamma è tosta oggi.».
Sembra accorgersi solo ora della mia presenza e mi osserva con attenzione.
«Buongiorno signor Boissone, io sono Marco.», mi presento porgendogli la mano.
Lui la fissa dapprima titubante, ma poi la stringe con vigore.
«Allora la mia bambina non scherzava quando diceva di avere un ragazzo.», commenta.
«Perché avrei dovuto?», brontola la diretta interessata.
L'uomo la guarda amorevolmente. «Sai benissimo perché avresti dovuto.».
«Di chi è quella macchina?», domanda sviando l'attenzione su un'altra questione.
«Ecco, questo potrebbe essere un problema.», risponde il signor Boissone.
«E sarebbe?». Serena si sta alterando a vista d'occhio.
Una donna ci raggiunge alla porta, sicuramente la padrona di casa.
«Che cosa confabulate qui sull’uscio, entrate dai.». Spinge la figlia e il marito in casa, accorgendosi all'ultimo della mia presenza.
«E lei chi sarebbe?», chiede guardandomi dall'alto al basso.
Mi mordo l'interno della guancia per non tuonare con una risposta al veleno, il suo modo di fare sta già urtando il mio sistema nervoso.
«Sono Marco, il fidanzato di sua figlia.». Ho marcato apposta la parola fidanzato, l'ho vista sussultare. Le consegno la bottiglia di spumante che ho preso con me.
Marco uno - vecchia strega zero.
«Questo è tutto da vedere.», sibila a denti stretti.
Serena alza gli occhi al cielo e mi fa entrare in casa prendendomi per mano. La sua ansia si è trasformata in rabbia, assomiglia molto a una draghessa, potrebbe sputare fuoco da un momento all'altro.
Sua madre ci accompagna in una grande sala, un'immensa vetrata illumina la stanza e regala una panoramica del giardino ben curato. Quello che attira maggiormente la mia attenzione è un uomo biondo appoggiato con un braccio al caminetto. Sta mangiando la mia donna con gli occhi. Ora glieli cavo, sì, penso che lo farò. Si inumidisce le labbra prima di raggiungere la megera che gli sorride entusiasta.
«Tesoro, lui è Massimo, ho pensato di invitarlo a pranzo, così per fartelo conoscere.». Si stringe nelle spalle con fare noncurante.
Il padre scuote la testa sconsolato, non deve essere facile avere a che fare con una donna del genere.
Questo Massimo - anche il nome mi irrita - si avvicina a Serena, le prende la mano e se la porta alla bocca, senza distogliere lo sguardo dai suoi occhi. Lei lo sta incenerendo poco velatamente e questo mi rincuora non poco.
«Ho sentito molto parlare di te. Tua madre ha ragione, sei una visione.», ammicca.
Serena con una smorfia commenta: «Vedo che vi servite dallo stesso spacciatore.».
Questa era bellissima. Nascondo un sorriso dietro la mano, suo padre mi imita. La madre, invece, è piuttosto indignata.
«Signorina, ti sembra una cosa intelligente da dire?». La sgrida come se fosse ancora una bambina.
«E per te è normale tendermi una trappola, quando ti ho chiaramente detto che ero già impegnata?». Il fumo ora le esce dal naso, manca poco perché arrivino anche le fiamme.
«Bene, andiamo che il pranzo è pronto.». Il padre batte le mani e indica il tavolo apparecchiato a festa.
Non mi piace neanche un po' come sono sistemati i posti: Massimo è di fronte a me e la megera alla mia sinistra, fortunatamente Serena si siede accanto a me. Mi stringe il ginocchio con la mano, è tesa, non la biasimo.
Quel verme biondo continua a fissarla con le bave alla bocca, le mie gambe si muovono nervosamente sotto il tavolo, ho voglia di pestarlo a sangue, una voglia impellente.
«Allora Massimo, tua madre mi ha detto che sei un pediatra di fama nazionale.». La strega tesse le sue lodi.
Un pediatra, certo, per sua figlia solo il meglio. Io sono solo un povero rappresentante, non posso offrirle molto.
«Mia madre esagera sempre. Tu, invece...». Mi fissa aspettando di sapere il mio nome.
«Marco.», trattengo a malapena un ringhio.
«Tu, Marco, che cosa fai nella vita?», chiede con le mani intrecciate sopra il tavolo. I suoi occhi, schifosamente color del mare, continuano ad accarezzare Serena. Come se io non me ne accorgessi, non sono mica un coglione.
«Faccio il rappresentante di materie prime per pasticcerie.», rispondo mantenendo il contatto visivo.
Non mi fai paura, stronzo!
La megera borbotta qualcosa di incomprensibile, ha sicuramente da ridire sul mio lavoro onesto.
«Interessante. Io ieri ho salvato la vita a un bambino di due anni, stava entrando in coma a causa di uno shock anafilattico.». Si vanta.
Legatemi alla sedia, o giuro che non esce vivo da questa stanza.
«Tu, invece, che fai per salvare il mondo?».
«Mamma!», sbotta Serena sgomenta.
La rassicuro toccandole un braccio, me la cavo anche da solo.
«Non salverò delle vite come il dottore qui presente, probabilmente non farò niente che possa salvare il mondo, però amo sua figlia, non le basta? La rendo felice, o almeno lo spero, posso prendermi cura di lei. Che altro vuole da me?».
«Riusciresti anche a mantenerla economicamente con quel lavoretto insignificante?».
«Giovanna, ora basta!», tuona il marito rosso in viso. «Hai superato ogni limite! Chiedi subito scusa a Marco.».
«Non fa niente signor Boissone.», m'intrometto con un gesto della mano.
«Invece deve scusarsi, non tollero queste mancanze di rispetto. Se mia figlia ti ha portato qui, vuol dire che tiene a te. È grande abbastanza per scegliersi un uomo da frequentare, senza che sua madre ci metta il becco.». Si alza di scatto da tavola.
«Papà, stai calmo, ti prego.».
Serena lo raggiunge e gli posa una mano sul braccio.
«Va tutto bene.». Lo avvolge in un abbraccio.
«Mi dispiace.», farfuglia sua madre nella mia direzione. «Non dovevo parlarti in quel modo.».
Sembra davvero dispiaciuta ed è una grande soddisfazione.
Marco due - vecchia strega zero
«Non fa niente.», le dico.
Si guarda intorno e, appena è certa che nessuno ci sta ascoltando, domanda: «Sei davvero innamorato, o sei stato costretto a venire qua oggi per fare un dispetto a me?».
Non mi va di parlare di queste cose con lei, i miei sentimenti per Serena sono solamente miei, ma il suo sguardo carico di attesa mi sta mettendo in soggezione.
«Sono davvero innamorato di lei.», le confesso. E lo penso davvero, mi sono reso conto di amarla.
«Lei lo sa?».
«No, non gliel'ho ancora detto.». Sposto lo sguardo su Serena. Sta ancora abbracciando il padre.
«Fallo, o te ne pentirai.», mi consiglia la madre prima di raggiungerli e unirsi all'abbraccio.
«È davvero un bel bocconcino, le darei volentieri una bella ripassata.», sussurra il verme sporgendosi verso di me.
«Prova anche solo ad avvicinarti a lei e ti stacco le palle. Lei non è disponibile.», sibilo tra i denti.
«Dubito che riuscirai a tenertela stretta, una come lei non starebbe mai con un poveraccio come te.», prosegue con cattiveria.
Vorrei fargli notare che la mia famiglia possiede molti vigneti e sono proprietari di una rinomata cantina, ma non mi abbasserò ai suoi livelli. Non sprecherò altro tempo con lui.
«Credi quello che vuoi.», ringhio infastidito. «Non ho intenzione di perderla. Chi cazzo sei tu? Non la conosci nemmeno.».
«No, non la conosco, ma so com'è quel genere di donna, sono tutte uguali. Regali loro un gioiellino, le porti fuori a mangiare in qualche ristorante di classe, le fai sentire speciali e loro te la danno finché tu non ti stancherai di loro e andrai alla ricerca di carne fresca.».
Si sente quando parla, o lo fa solo per dare aria alla bocca? Serena non è come tutte le donne e non si lascerebbe mai abbindolare da tutto questo materialismo. Lui non ha la minima idea di come sia lei e mai lo saprà, io non lo permetterò. Lo castro prima che si possa avvicinare a lei, può starne certo.
«Sei sempre così sicuro di te?», sputo acido.
«Sono sicuro delle mie potenzialità, sono un uomo di classe e le donne cadono puntualmente e irrimediabilmente ai miei piedi. Tu avrai anche un bel visetto, ma che cosa puoi offrirle? Farina e zucchero?». Ride come un cretino.
Si crede divertente? Deve avere qualche problema serio e la cosa assurda è che non se ne rende nemmeno conto, dovrebbe farsi fare un controllo approfondito da qualche suo amico medico.
«Almeno posso donarle dolcezza, tu sembri completamente privo di questa caratteristica.».
Non dovrei nemmeno dargli retta, ma è più forte di me, non riesco a stare zitto.
«Oh, posso essere l'uomo più smielato al mondo se serve alla causa.», sogghigna divertito. «Portarmele a letto, se non avessi capito e mettiti il cuore in pace, mi scoperò la tua donna.».
Buono, buono, calmo, calmo, ma solo fino a un certo punto. Mi alzo di scatto dalla sedia e lo prendo per il bavero della polo firmata.
«Ascoltami bene, stronzo, tu Serena non la vedrai nemmeno con il binocolo e se oserai anche solo avvicinarti a lei, ti uccido con le mie stesse mani. Ti ho avvertito, vedi tu quello che vuoi fare.».
Lo lascio andare e mi risiedo al mio posto come se niente fosse. Lui mi fissa con odio, che aumenta a vista d'occhio quando Serena torna al mio fianco e mi bacia poco castamente lì davanti a tutti.
Marco uno - verme schifoso zero
Non permetterò che sfiori la mia donna neanche con un dito, dovrà passare sopra il mio corpo freddo e rigido.
 
 
***
 
 
Mia madre ha superato se stessa oggi, in senso a dir poco negativo. Come ha potuto invitare Massimo a pranzo quando le avevo chiaramente detto che ero già impegnata? Giuro che non ho parole, è una cosa talmente stupida e irrazionale che non so che cosa dire. Lo ricordavo come un ragazzino fastidioso e antipatico, beh, non è cambiato negli anni, anzi è perfino peggiorato. Ora è anche borioso e si crede Dio in terra.
Quanto vorrei sputargli in un occhio.
La cosa che al momento mi dà più fastidio è il modo in cui mi sta fissando. Sembra a caccia, peccato che con me non avrà mai nessuna possibilità, è una causa persa in partenza.
Dopo la sfuriata di mio padre, l'atmosfera è sensibilmente cambiata. Mia madre è più gentile nei confronti di Marco, non gli rivolge più domande impertinenti o al limite del decente, riesce perfino a regalargli dei sorrisi sinceri. Mio padre deve averle dato una bella strigliata prima in privato.
I miei genitori si assentano per rassettare la cucina, rimanendo noi tre nel salotto.
«Allora, Serena, non hai mai pensato di cercarti un lavoro per quello che hai studiato? Sbaglio o hai frequentato il turistico? Siamo vicini al lago, potresti lavorare nel tuo settore.».
Massimo si siede sul divano e accavalla le gambe, si mostra interessato, anche se so per certo che non gliene frega un cavolo. Il suo unico scopo è provarci con me, ma non ha la minima idea di chi ha davanti.
«Sbaglio o tu volevi fare il ginecologo quando eri un ragazzino? Per fortuna ti sei dato alla pediatria...». Lascio volontariamente la frase in sospeso.
Non lo vorrei mai come ginecologo, porco com'è.
«Beh, ho cambiato idea.», grugnisce infastidito.
Mi stringo nelle spalle, non me ne può fregare di meno.
«Comunque a me piace il mio lavoro, mi soddisfa e riesco a pagare tutte le spese, non ho bisogno di altro.», gli dico.
«Magari ti piacerebbe avere un uomo che ti possa regalare uno stile di vita dignitoso... un uomo come me, per esempio.». Mi strizza l'occhio.
Marco digrigna i denti, le sue mani si stringono a pugno, è pronto ad attaccare; sembra un leone chiuso in gabbia che non vede l'ora di essere liberato.
«Ho già un uomo perfetto al mio fianco e, per la cronaca, io amo la mia dipendenza. Non ho davvero bisogno di un uomo spocchioso come te, non li ho mai sopportati. Mi faresti un piacere?».
«Tutto quello che vuoi, principessa.», ammicca maliziosamente.
Un senso di disgusto piuttosto accentuato mi pervade, lo prenderei a calci nelle parti basse.
«Smettila di provarci con me, ti stai solo rendendo ridicolo. Tu non mi piaci, non mi sei mai piaciuto e mai mi piacerai. Io sto con Marco, non ho intenzione di lasciarlo, quindi regolati di conseguenza.».
Marco mi prende la mano e intreccia le sue dita alle mie.
«Sei stata grande.», mi sussurra all'orecchio facendomi venire la pelle d'oca.
Voglio tornarmene a casa e stare un po' da sola con lui, ne ho abbastanza di questo pranzo. Raggiungo i miei in cucina, lasciando soli i due uomini, spero non servirà chiamare la polizia per separarli.
Appoggio la testa sulla spalla di mio padre che sta asciugando diligentemente i piatti che man mano mia madre gli passa. Sospiro.
«Mi dispiace per il mio comportamento, tesorino mio.», comincia lei asciugandosi le mani sul grembiule che ha legato in vita. «Sai, da come ne parlava sua madre sembrava un gran brav'uomo.».
«E invece?», la sprono a proseguire il discorso.
«Invece è un gran cafone! Un bel ceffone ci stava davvero bene. Marco è un signore, devo ammettere che hai scelto bene.». Mi sorride.
Mia madre che mi fa un complimento è una cosa rarissima, devo segnare l'evento sul calendario.
«Lo ami?», mi chiede a bruciapelo.
«È troppo presto per parlare di amore, ci frequentiamo solo da qualche giorno.». Mi sento avvampare all'improvviso, il viso è completamente in fiamme.
«So che non ti serve, ma ha la nostra approvazione.». Mio padre mi stupisce con queste parole.
«Grazie.», farfuglio in totale imbarazzo.
Mio padre prende in mano la bottiglia di spumante che ha portato Marco e la osserva con attenzione.
«Cantine Rossini. È uno dei migliori in assoluto.», commenta.
«Suo padre è il proprietario.», dico con noncuranza, sistemando una ciocca di capelli che continua a cadermi negli occhi.
Sbuffo, devo fare qualcosa per questi capelli. Quando torno a guardare i miei genitori, entrambi mi stanno fissando con gli occhi sgranati.
«Che c'è?», sbotto facendo cadere le braccia lungo i fianchi.
«Tu vorresti dirmi che Marco fa Rossini di cognome?», domanda mio padre in stato confusionale.
«Sì, che problemi ci sono?».
Non capisco tutto questo sbalordimento.
«Quindi esci con il figlio di uno degli uomini più ricchi della provincia?», prosegue mia madre slacciandosi il grembiule e appendendolo all'apposito gancio al muro, che però manca e finisce a terra.
«A quanto pare.». Mi stringo nelle spalle. «Domenica sono a pranzo da loro.».
Mia madre mi mette entrambe le mani sulle spalle e mi scuote vigorosamente.
«Ti prego, dimmi che hai qualcosa di decente da indossare!».
Potrei dare di stomaco se non la smette di agitarmi come uno shaker.
«Mamma, ti scongiuro, sto per vomitare.».
Fortunatamente comprende al volo e si ferma, tenendo comunque in ostaggio le mie spalle che stanno chiedendo pietà.
«Ho un sacco di vestitini carini in armadio.», brontolo.
Mio padre fruga nelle tasche e tira fuori il portafoglio, mi porge una banconota da cinquanta euro.
«Vatti a comprare qualcosa di appropriato.», mi consiglia.
A quanto pare per loro mi vesto da schifo. Potrei offendermi, ma non ne ho voglia. Prendo la banconota e ringrazio gentilmente, dando a entrambi un bacio sulla guancia. In fin dei conti lo fanno per il mio bene, almeno spero.
Quando torno in sala, Marco mi raggiunge a grandi falcate.
«Portami via da qua, o giuro che lo ammazzo. È un gran figlio di...», lo zittisco con un bacio.
«Andiamo a casa.», mormoro accarezzandogli dolcemente il viso.
Massimo prova ad avvicinarsi a noi, ma lo allontano tagliando l'aria con un gesto secco della mano, non ne voglio più sapere di lui. Marco lo incenerisce con lo sguardo, se potesse lo ammazzerebbe con le proprie mani e io non lo fermerei, probabilmente lo aiuterei.
Salutiamo i miei genitori, ora sono più felici del fatto che io frequenti Marco e ho anche una vaga idea del perché. Saliamo in macchina in fretta e furia e sgommiamo via.
Una volta in strada, mi lascio andare a una risata isterica, un modo come un altro per espellere tutto il nervosismo accumulato. Marco mi osserva di sottecchi e sorride.
Mi prende la mano e se la porta alla bocca, me la bacia con dolcezza. Mi sento decisamente meglio ora.
«Merda.», esclama una volta arrivati sotto casa sua. «Mi sono dimenticato che avevo appuntamento con Lorenzo.».
«Che problemi ci sono?», domando non capendo la sua frustrazione.
«Beh, avrei voluto passare del tempo da solo con te.», brontola buttando fuori un po' per volta l'aria che ha incamerato nelle guance. «E c'è anche la partita oggi.».
«Recupereremo stasera.», lo rassicuro.
«Dopo la partita c'è la pizza.», sbuffa.
«Vorrà dire che recupereremo stanotte.», mormoro allusiva.
Lui, parcheggia la macchina in garage e si volta a guardarmi.
«Voglio fare l'amore con te.», confesso a fior di labbra. «Lo desidero tantissimo.».
«Oh amore mio.», esclama baciandomi avidamente. «Fai di me tutto quello che vuoi, il mio cuore è nelle tue mani.».
Nessuno mi aveva mai detto una cosa così dolce in tutti questi anni, nessuno. Mi approprio nuovamente delle sue labbra e le assaporo finché non veniamo interrotti dal suo amico.
«È un'ora che ti aspetto qui fuori. Dove cazzo sei stato?», borbotta l'uomo.
Si ferma di scatto quando si accorge che Marco non è solo.
«Okay, ora si spiegano molte cose.», commenta con un sorriso malizioso sulle labbra. «Vieni a vedere la nostra partita? Puoi portare anche qualche amica se ti va.».
«Che siano donne, mi raccomando.», sussurra Marco senza farsi sentire.
«Io pensavo di portare anche Luca.», gli dico. «Ha una cotta pazzesca per lui.».
Marco scoppia a ridere.
«Ci sarà da divertirsi.».
«Che cosa c'è di tanto divertente? Voglio ridere anch'io!», esclama Lorenzo non nascondendo tutta la sua curiosità.
«Niente!», tuoniamo entrambi per poi ridere come dei pazzi.
«Voi non me la raccontate giusta.», borbotta mettendoci il broncio.
«Ho un paio di amiche davvero carine che potrei farti conoscere.».
Sulle labbra di Lorenzo si forma un sorriso grandissimo.
«Ora si comincia a ragionare.», gongola soddisfatto.
Marco scuote la testa e scende dalla macchina, viene di corsa dal mio lato e aiuta a scendere anche me. Lo ringrazio con un bacio sulle labbra, lui non perde l'occasione di approfondirlo, lasciandomi completamente senza fiato.
«Mi sento un tantino di troppo qui.», borbotta Lorenzo alle nostre spalle.
Marco non lo bada neanche, continua a sfamarsi della mia bocca, stringendomi ancora di più a sé.
«Va bene, ho capito. Vi aspetto in casa. Mi raccomando, usate precauzioni, sarebbe un problema se ci fosse un piccolo Marco in arrivo.».
Quando sento una porta chiudersi, smette di baciarmi, ma non stacca le sue labbra dalle mie.
«Volevo che se andasse.», soffia dolcemente.
«L'avevo intuito.», rispondo con il fiato corto.
Alzo lo sguardo, e i miei occhi rimangono incatenati a quelli blu di lui. Mi tiene a sé con un braccio, i nostri corpi aderiscono perfettamente. Mi posa la mano sulla guancia, delinea il contorno del mio viso con le dita, lentamente. Deglutisce faticosamente, sembra accigliarsi impercettibilmente. Sto per chiedergli che cosa c'è che non va, ma due dita si posano sulle mie labbra, intuendo la mia volontà di parlare.
«Volevo dirti una cosa e sono terrorizzato.», comincia.
«Tu, Mr Sicurezza, sei terrorizzato?». Lo prendo in giro cercando di non sembrare nervosa, ma la mia voce non collabora del tutto ed esce strozzata.
Si stringe nelle spalle.
«Mi hai beccato. Anch'io, purtroppo so essere insicuro, soprattutto da quando ti conosco.», ammette con un sorriso sghembo.
Vorrei aggiungere qualcosa, ma le parole mi muoiono in gola appena mi concentro sullo sguardo di Marco, spaventato, carico di attesa, ma allo stesso tempo incredibilmente dolce.
«Non so come dirtelo, non sono abituato a intrattenere questo tipo di conversazione, ma allo stesso tempo voglio che tu sappia.». Si schiarisce la gola e prende un bel respiro.
Il mio cuore comincia a battere all'impazzata, di questo passo mi sfonderà il petto.
"Ti prego Marco, questa attesa mi sta uccidendo.". Vorrei urlargli, ma mi mordo la lingua, lasciandogli il tempo di riordinare le idee.
Chiude gli occhi e, quando li riapre, le sue parole mi travolgono come un fiume in piena.
«Mi sono innamorato di te, follemente.».
La mia bocca si apre e richiude immediatamente senza che alcun suono esca, la mia mente è completamente svuotata, come se fosse stata resettata e non conoscesse più alcuna parola.
«Ti prego, dimmi qualcosa.», mi supplica, un filo di disperazione nella sua voce.
Una lacrima scende incontrollata, rigandomi una guancia. La asciuga senza esitazione con le dita tremanti. Sì, sta tremando e io non riesco a dire niente per tranquillizzarlo. Potrei dirgli che anch'io sono innamorata di lui, ma non ne sono certa e non voglio dirlo così, tanto per farlo sentire meglio. Potrei dirgli che sono felice di quelle parole, ma non so se lo sono davvero. Una moltitudine di sentimenti contrastanti tra loro si fanno strada nel mio cuore, non so proprio come comportarmi.
«Mi accompagni a casa?», chiedo dal nulla.
Con tutto quello che avrei potuto dirgli, il mio cervello ha formulato solo questa domanda assurda. Vedo la sua mascella contrarsi, il suo sguardo indurirsi, mi risponde solo con un cenno di assenso del capo. Mi lascia andare lentamente, lungo il tragitto non proferisce parola, mi lascia con un "Ci vediamo dopo" detto a fatica e senza nemmeno guardarmi negli occhi.
Credo di aver combinato proprio un bel pasticcio.

 
***Note dell'autrice***
Eccomi qui con questo capitolo intenso. Finalmente è arrivato il tanto atteso pranzo. Che cosa ne pensate? La madre di Serena ha superato ogni limite! Vi avevo avvertito che avrebbe combinato di peggio, molto peggio e Massimo è il risultato! Chi vuole unirsi al comitato “Randelliamo Massimo sui denti”? Marco alla fine ha confessato a Serena di essersi innamorato di lei. Povera, non ha saputo che cosa rispondergli… panico più totale. Lui ci è rimasto un po’ male. Che cosa accadrà ora? Qualche idea? Sono sempre curiosa :)
A martedì prossimo per la partita!
Grazie infinite a tutti quelli che hanno messo la storia tra i preferiti/seguiti/ricordati, ai lettori silenziosi e a tutte quelle donnine che mi lasciano sempre un commento: vi adoro tutti! ♥



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Capitolo 11
*** La partita del cuore ***


 



11. La partita del cuore
"Coglione, coglione, coglione!", continuo a ripetermi, sbattendo la testa contro il volante come un ossesso. Come diavolo mi è saltato in mente di dirle che mi sono innamorato di lei? Mi mozzerei la lingua con un morso netto. Quelle parole sono uscite come una valanga, e io sono rimasto sepolto sotto. Serena non ha detto niente e mi ha fatto male. Non le faccio una colpa, quella è soltanto mia, non avrei dovuto espormi tanto e, soprattutto, così presto.
Sono incazzato con me stesso, non sono nemmeno riuscito a guardarla negli occhi quando me ne sono andato. Sono fermo in un piccolo parcheggio a pochi metri da casa sua. Lorenzo continua a chiamarmi, non gli rispondo. Alla fine decide di mandarmi un messaggio.
"Dove cazzo sei finito?"
Appoggio la testa sul sedile e cerco di riordinare le idee, devo pensare a cosa fare. Non voglio che pensi che io me la sia presa per il suo silenzio, non lo sopporterei. Batto le mani sul volante con violenza e faccio inversione di marcia. Raggiungo casa di Serena in un attimo e mi attacco al campanello.
«Fammi salire, ti prego». La supplico appena risponde al citofono.
La serratura si apre con un click e corro su per le scale, due gradini per volta. La porta del suo appartamento è aperta, entro chiedendo permesso.
Serena mi fissa con espressione confusa, come se non capisse il motivo della mia presenza lì. Mi avvicino a lei lentamente e le prendo entrambe le mani, ho la salivazione azzerata per il nervosismo. Probabilmente farò la figura del cretino, ma non ha importanza, devo assolutamente chiarirmi con lei.
«Scusami, mi sono comportato malissimo, non dovevo andarmene in quel modo. Ero arrabbiato con me stesso, non avrei dovuto dirti quelle cose, non sono riuscito a trattenermi». Butto fuori tutto d'un fiato.
«Scusami tu, avrei dovuto dirti qualcosa, ma mi si era annebbiato il cervello e non riuscivo più a connettere. Io non...». Prova a continuare, ma la zittisco posandole due dita sulle labbra.
«Non importa, la cosa essenziale è che tu sappia che io non me la sono presa con te, per nessuna ragione. Non fa niente se non te la senti di darmi una risposta ora, a me basta che tu sia felice di trascorrere del tempo con me. Lo sei?».
Non risponde a parole, risponde con i fatti: le sue labbra si incollano alle mie e mi regala un bacio dolcissimo. Le accarezzo il viso.
«Ci vediamo dopo Flounder», La saluto prima di uscire da quell'appartamento.
Mi sento più leggero ora che ho chiarito con lei, posso affrontare la partita con una marcia in più.
Canticchio mentre torno a casa, mi sento felice e non è una cosa da poco vista la giornata particolarmente devastante che ho avuto finora. Se ripenso a quel Massimo, la mia mascella si serra automaticamente. Quel verme non è un uomo degno di essere chiamato tale. Ha minacciato di farsi la mia donna, ma non succederà neanche in un'altra vita, lo troverei anche lì e lo ucciderei a mani nude, come un vero uomo.
Parcheggio nuovamente la mia bambina in garage e salgo in casa di corsa. Lorenzo è steso sul divano con il telecomando in mano, intento a saltare da un canale all'altro come se non ci fosse un domani. Si tira su di scatto appena mi vede.
«Cazzo socio, ma dove ti eri ficcato? Stavo per chiamare i carabinieri!».
«Esagerato!», bofonchio sedendomi accanto a lui.
«Dove sei stato allora?», chiede incrociando le braccia al petto.
«Ho accompagnato a casa Serena e...».
«E ci avete dato dentro! Lo sapevo, vecchio porco che non sei altro!», conclude a modo suo il mio racconto.
Ora lo strozzo con le mie mani, deve perderlo questo brutto vizio di intromettersi nei miei discorsi, con uscite senza senso oltretutto. Lo incenerisco con lo sguardo.
«Non l'abbiamo fatto, l'ho solo accompagnata a casa», borbotto ancora piuttosto infastidito dal suo comportamento.
«Tu mi nascondi qualcosa». Mi fissa con gli occhi ridotti a due fessure.
A volte Lorenzo può essere una gran rottura di palle, gli voglio un gran bene, sia chiaro, ma spesso mi chiedo cosa ho fatto di male per avere un amico come lui.
«Non è vero, non ti nascondo niente», brontolo.
«Parla subito o stasera pagherai tu la pizza a tutti». Minaccia puntandomi un dito contro.
«La scommessa la perderai tu, io non c'entro niente in questa storia». Non mi faccio intimidire da lui.
«Sei esasperante quando rispondi con quel tono! Mi viene voglia di prenderti a calci in culo!», sbotta gesticolando come un pazzo.
«Provaci se hai il coraggio!». Lo incito sfidandolo con lo sguardo.
Lorenzo mi osserva attentamente, furioso. Piano piano la sua espressione cambia, fino a formarsi un sorriso soddisfatto sulle labbra. A cosa diavolo starà pensando? Mi preoccupa un po' quel ghigno.
«Ho capito», comincia avvicinandosi di più a me e colpendomi il braccio con un leggero pugno. «Tu ti sei innamorato di lei! Bastardo che non sei altro! Pensavi che non l'avrei mai capito? Guardati, hai la faccia da imbecille!».
Bene, ora ho pure la faccia da imbecille, sono soddisfatto.
«Grazie, ora che lo sai, mi sento meglio», commento sarcastico.
«Marco, giuro che non avrei mai immaginato che tu potessi mai innamorarti di qualcuno. Ho sempre pensato saresti sempre rimasto il classico scapolone che tutte vorrebbero accalappiare, ma che nessuna riesce ad avere. Sai, sono felice, ora posso essere io quel tipo di uomo. Come sono soddisfatto, posso continuare a divertirmi e lo farò anche per te». Incrocia le mani dietro la nuca e si rilassa.
A me scappa da ridere, l'unica cosa che gli viene in mente è che potrà comportarsi da scapolo d'oro, non ho parole.
«Lei ti ama?», domanda a bruciapelo, tornando serio.
«Non lo so, non mi ha risposto. Sicuramente è interessata a me, ma non so se sia innamorata. Non so cosa risponderti Lorenzo. Mi piacerebbe saperlo, sono sincero, ma non mi va di pressarla. Non sopporterei di allontanarla da me. Era quasi successo prima, ma sono tornato sui miei passi. Per questo ci ho messo un po' a tornare, volevo chiarire la questione con Serena. Secondo te ho fatto male a dirle che mi sono innamorato di lei?».
Credo di essere impazzito, lui non è adatto a rispondere a una domanda così complessa, sull'amore per giunta.
«Secondo me hai fatto la cosa giusta, è sempre meglio mettere le cose in chiaro. La sincerità è tutto in una relazione». Mi stupisce con questa sua risposta. A essere sincero non me lo sarei mai aspettato da lui.
«Spero solo che tu non rimanga scottato, mi dispiacerebbe», conclude, confondendomi ancora di più.
Siamo sicuri che sia stato Lorenzo a parlare? E se fosse stato sostituito da un suo clone? Tutto avrebbe molto più senso.
«Non pensavo fossi così profondo», gli dico accigliato.
«Nah, ho solo sentito mia sorella che parlava con la sua amica, ho preso spunto dal loro discorso». Minimizza con un gesto secco della mano.
Ah ecco, risolto l'arcano! Mi sembrava strano potesse essere farina del suo sacco.
Rimaniamo in perfetto silenzio per un po', nessuno dei due ha voglia di continuare a parlare di argomenti così importanti. Un'ora dopo decidiamo di darci una mossa, c'è una partita che ci aspetta. Ho bisogno di concentrarmi, devo assolutamente farlo. È una missione praticamente impossibile, gli occhi meravigliosamente verdi di Serena continuano a fare capolino nella mia mente. Avrà ancora voglia di passare la notte con me dopo quello che è successo oggi? Io me lo auguro. Non importa se non succederà niente come le altre notti, a me basta averla al mio fianco, mi accontenterei della sua presenza.
Raggiungiamo i nostri compagni nello spogliatoio, mi guardano tutti come se mi fosse cresciuta una seconda testa. Che succede oggi? Lascio cadere le braccia lungo i fianchi e li guardo con aria interrogativa, aspettando una qualsiasi reazione.
«Allora?», sbotto infastidito.
«Cioè, tu hai messo la testa a posto e non ce lo dici nemmeno?», comincia Giorgio, avvicinandosi a me e mettendomi un braccio intorno al collo.
«In che senso avrei messo la testa a posto?», chiedo grattandomi la fronte.
«In che senso? Sbaglio o qui qualcuno ha appena confessato alla sua donna di amarla?», prosegue Paolo puntandomi un dito contro.
Come diavolo fanno a saperlo? È preoccupante come le notizie corrano veloci, e so anche di chi è la colpa. Lorenzo fischietta tranquillo, facendo finta di niente.
«Perché avete così tanta voglia di farvi i cazzi miei oggi? No, così, tanto per sapere.», brontolo sedendomi sulla panca.
«E lo chiedi anche?». S'intromette Riccardo.
Sì, vorrei tanto sapere perché qui nessuno si fa i fatti propri, la mia vita privata non dovrebbe essere di dominio pubblico.
«Tu innamorato è una cosa a dir poco sensazionale, come possiamo non parlarne?», continua lui imperterrito.
«Vogliamo sentire la tua versione dei fatti», commenta Giorgio.
La mia versione dei fatti? Dove siamo, alla sbarra dei testimoni in tribunale? Io non ho parole, non potrebbero torturare qualcun altro? Sbuffo rumorosamente.
«Avete rotto le palle! Mi sono innamorato di Serena, va bene? Siete contenti? Non c'è altro da dire. La seduta è tolta», tuono frustrato.
«Andate in pace», conclude Lorenzo divertito.
«Amen!», esclamano i miei compagni in coro.
Frequento una combriccola di deficienti, è assodato.
Una volta pronti, usciamo dallo spogliatoio e raggiungiamo la vasca. Scorgo Serena sugli spalti, mi saluta con la mano, in totale imbarazzo. Le sorrido raggiante, è bellissima e riesco a vedere solo lei in mezzo a tutte quelle persone. Sono davvero felice che lei sia qui oggi, è emozionante avere la propria donna ad assistere, è la prima volta che mi capita.
Lorenzo mi affianca e guarda nella mia direzione.
«Cazzo, si è portata dietro anche quello là! Non è possibile, è una tortura», ringhia irritato, fissando in malo modo Luca.
«Però ci sono anche le altre due sue amiche». Gli faccio notare.
Non ho ancora avuto il piacere di conoscerle, ma ho visto le loro foto nell'appartamento di Serena e so dar loro un volto solo per questo motivo.
Lorenzo cambia espressione e le ammira con soddisfazione.
«Quella accanto a lei è un po' rotondetta, però una bottarella gliela darei lo stesso. Ha un bel visetto. L'altra è anche fin troppo secca, ma non si scarta niente», commenta.
Alzo gli occhi al soffitto e sospiro, è un caso disperato, ormai ho perso ogni speranza di recuperarlo.
«Invitale a mangiare la pizza con noi dopo la gara», propone.
«E Luca?», domando io con aria innocente. «Non possiamo non invitare anche lui, si offenderebbe».
Serena mi ha raccontato della cotta che ha preso per Lorenzo e sono davvero curioso di vedere se ha il coraggio di provarci nuovamente con lui.
Il mio amico fa una smorfia, è totalmente disgustato.
«Se proprio devi, invita anche lui, ma ti avverto: se dovesse provare a rimorchiarmi, lo prendo a calci nel culo».
Probabilmente sarebbe anche felice di essere sfiorato da Lorenzo anche solo in quel modo, ma non lo dico a voce alta, potrei peggiorare la situazione.
Do un ultimo sguardo a Serena e le soffio un bacio. Lei mi stupisce soffiandone uno anche nella mia direzione. Oh sì, io amo quella donna, non ci posso fare niente.
Non vedo l'ora che questa partita cominci: prima inizia, prima finisce.
Ho bisogno di stare con lei, di tenerla fra le mie braccia e sfiorare quelle labbra meravigliose. Non riesco a fare a meno di lei, e questa cosa mi destabilizza non poco, è la prima volta che mi succede, non so come dovrei comportarmi.
La cosa certa è che stavo aspettando lei.
 
 
***
 
 
Marco è tornato indietro per scusarsi. Lui l'ha fatto, ma quella che doveva scusarsi ero io. Non sono brava a parlare dei miei sentimenti e, ora come ora, sono pure parecchio confusi. Sto bene con lui, ma è amore? Non so dare una risposta a questa domanda. Sono stata davvero innamorata soltanto una volta in tutta la mia vita ed è stato un totale disastro, devo andare con i piedi di piombo. Non riesco a capire se sono innamorata o se sono soltanto attratta da lui, forse un giorno lo capirò. Non ho alcuna intenzione di prendermi gioco di lui, non se lo merita.
Mando un messaggio a Luca per dirgli dell'invito alla partita e mi risponde mezzo minuto dopo con entusiasmo.
 
Uomini muscolosi praticamente nudi che sguazzano nell'acqua? Passo a prenderti fra dieci minuti! Cerca di essere pronta!
 
Sembrava una minaccia, in effetti, detto da lui, poteva anche esserla. Mando un messaggio anche a Stella e Marica, entrambe mi rispondono che aspettano il nostro arrivo sotto casa. Lorenzo sarà felice di avere un po' di carne fresca da valutare, non ha idea di quello che gli aspetta con Luca in agguato. Quando si fissa su una cosa, va avanti a stuzzicare finché non ottiene quello che vuole.
Mi siedo sul divano, appoggio i gomiti sulle ginocchia, le dita tra i capelli. Ripenso a quello che è successo con Marco e sbuffo, non riesco a smettere di pensare a lui, non è normale. Dovrei cambiarmi, darmi una sistemata e, invece, sto qui a pensare a lui, come un'idiota.
Il suono insistente del campanello mi fa alzare con un balzo, il cuore in gola. Perfetto! Ora non ho più nemmeno il tempo di sistemarmi il trucco.
Raggiungo Luca di corsa, non sopporta quando sono in ritardo e sinceramente non ho voglia di sentire le sue lamentele.
«Dobbiamo passare a prendere...», comincio, ma mi blocca immediatamente.
«Sì, lo so, mi ha mandato un messaggio Stella», dice lui con un sorriso che va da orecchio a orecchio.
«Noto con piacere che qualcuno qui è felice». Lo osservo a braccia conserte.
Lui annuisce con soddisfazione.
«Non vedo l'ora di beccare Lorenzo mezzo nudo. Deve essere una favola», commenta in un sospiro, lo sguardo sognante.
Scuoto la testa. Non ho mai visto Luca così preso da qualcuno e il fatto che quel qualcuno sia etero, è parecchio preoccupante.
«Allora tesorino mio, com'è andato il pranzo? La strega malvagia ha avvelenato il tuo bel principe?», chiede concentrato sulla strada.
«Avvelenato no, ma fatto incazzare parecchio sicuramente. Ha invitato Massimo, il pediatra, a pranzo», rispondo accigliata, al solo pensiero mi torna la nausea. Quell'uomo è disgustosamente orripilante.
«Che cosa ha fatto?!», sbotta inchiodando al semaforo, per poco non sbatto la testa contro il cruscotto.
«Sta attento!». Lo sgrido con una mano sul petto. Il cuore me lo sfonderà, ne sono certa.
«Vorresti dirmi che ha invitato un altro uomo a pranzo, sapendo che saresti andata con Marco?!». Ripete allibito.
«Già», borbotto.
«Marco non l'ha ucciso?», domanda corrugando la fronte.
«Poco ci mancava! L'ho portato via quasi di peso. Massimo è un cretino, arrogante, megalomane...». Riprendo fiato prima di continuare con aggettivi poco carini.
«Davvero un signore!», esclama lui divertito.
«Ha detto di amarmi», sussurro fissandomi le unghie.
Lo so che questa sparata non ha alcun senso con il discorso che stavamo intrattenendo, ma non potevo più tenermi quel peso dentro.
«Ma se ti ha visto oggi per la prima volta!», tuona il mio migliore amico.
Davvero credeva che Massimo potesse arrivare a tanto?
«Non lui, Marco», farfuglio. Sono così nervosa che comincio a mordermi le unghie, una cosa che non facevo ormai da anni.
«Che cosa?». Inchioda nuovamente.
Stavolta sbatto davvero la fronte sul cruscotto, non ero preparata. Che dolore! Mi tengo il punto dolorante con la mano, abbasso il parasole e mi specchio, un segno rosso si è già formato. Ma dai!
«Se non la smetti, ti picchio!», sibilo esasperata.
«Non cambiare discorso!».
La macchina dietro di noi ci suona, il semaforo è tornato verde, ma Luca non ha alcuna intenzione di schiodarsi finché non avrà avuto una spiegazione.
«Prima parti, poi ti racconto». Gli concedo alla fine.
Lui esegue diligentemente, alzando il dito medio in direzione dell'uomo che continua a strombazzare insistentemente.
«Vai, hai promesso». Mi incalza sistemandosi un ciuffo ribelle.
«Quando siamo tornati dal pranzo, mi ha confessato di essersi innamorato di me. Follemente, ha aggiunto». Mi porto una mano tra i capelli e sospiro.
«E tu che cosa gli hai detto?».
«Di riportarmi a casa», borbotto sommessamente, magari non mi sente e sorvola su questa questione.
Inchioda davanti al palazzo dove abita Stella, le nostre amiche sono entrambe lì sul marciapiede ad aspettarci. Salgono sui sedili posteriori e ci guardano con aria interrogativa.
Luca mi sta fulminando con lo sguardo, lo sento, anche se sto guardando dall'altra parte, evitando volontariamente il contatto visivo.
«Che cosa sta succedendo?», chiede Marica sporgendosi in mezzo ai due sedili anteriori.
«Questa... trattenetemi sennò la strangolo!», risponde Luca in evidente agitazione.
«Cos'hai combinato?». Questa volta è Stella a rivolgersi direttamente a me.
Sto per aprire bocca, ma lui me la tappa con la mano aperta.
«Non ci provare nemmeno, devi tenere la bocca sigillata, preferibilmente con il mastice!». Esordisce gesticolando come un forsennato.
«La qui presente signorina Serena Boissone». Mi indica con un dito. «ha ricevuto una dichiarazione d'amore da quel pezzo di manzo e lei che cosa gli dice?».
«Che cosa gli dice?», ripetono in coro le nostre amiche.
Luca fa una pausa teatrale e poi risponde: «Portami a casa! Ma vi rendete conto?».
Stella e Marica mi fissano sbalordite.
«Sta scherzando, vero?», domanda Marica.
Io scuoto la testa, sconsolata.
«Mi aveva spiazzata, il mio cervello non ha collaborato e ha elaborato un commento fuori luogo». Mi giustifico, come se bastasse a migliorare la situazione.
«Tesoro, il tuo cervello ha bisogno di essere resettato, credimi. Non puoi rispondere in quel modo quando un uomo dice di amarti». Mi ammonisce Stella.
«Domanda da un milione di dollari: tu lo ami?».
È Marica a pormela, ma sono tutti e tre in attesa di una mia reazione. Il problema è che io non ne ho idea.
«Non lo so», farfuglio evitando i loro sguardi. Mi giro verso il finestrino e mi concentro sul palo della luce che c'è lì in fianco, davvero interessante. Sanno benissimo che quando mi comporto in questo modo significa che non ho più voglia di parlarne.
Luca sospira e mette in moto la macchina, nessuno parla durante il tragitto.
Tu lo ami?
Quella domanda continua a rimbombarmi nella testa. Non so davvero se lo amo, non posso dare una risposta, mentirei. La mia mente lavora a mille, non riesco a smettere di pensare e tutto questo rimuginare mi sta facendo tornare l'emicrania.
Fortunatamente siamo arrivati a destinazione, i ragazzi parlottano tra di loro, sono emozionati all'idea di vedere una partita di pallanuoto per la prima volta, più che altro non vedono l'ora di ammirare tutta quella carne nuda.
Marco è sul bordo vasca con Lorenzo, mi saluta con la mano, un sorriso bellissimo stampato sulle labbra. Il mio cuore perde un battito, i miei occhi sono incatenati ai suoi: in mezzo a tutte queste persone io vedo solo lui. Mi ritrovo a sorridere e quando mi soffia un bacio, io ricambio senza pensarci due volte. Non vedo l'ora che finisca la partita per stare con lui.
Luca commenta il fisico statuario di Lorenzo come se fosse la cosa più bella che lui abbia mai visto. È cotto, non c'è più niente da fare.
Seguiamo con interesse il match, anche se non ci capiamo un gran tanto, almeno è una cosa nuova e divertente.
Una volta terminato, usciamo nel parcheggio e aspetto Marco in trepidazione. Gli ho mandato un messaggio dicendogli che lo avrei aspettato fuori. Mi muovo nervosamente sul posto, non riesco a stare ferma.
Mi immobilizzo non appena lo vedo venire nella nostra direzione. Senza neanche salutare, mi afferra per i fianchi e mi bacia avidamente lì davanti a tutti, lasciandomi completamente senza fiato.
«Mi hai portato fortuna, Flounder. Se abbiamo vinto, è anche merito tuo», mormora a fior di labbra.
Volevo ribattere, ma non me ne dà il tempo, la sua bocca si incolla nuovamente alla mia e io lo lascio fare, in fondo è quello che voglio anch'io.
«Non vorrei sembrare scortese, ma noi tre saremmo in crisi d'astinenza e vedere voi due pomiciare non aiuta i nostri ormoni in subbuglio», commenta Luca con un sorriso malizioso sulle labbra.
Mi sento avvampare per l'imbarazzo, normalmente non mi piace per niente dare spettacolo con effusioni pubbliche, non capisco che cosa mi sia preso.
Provo a scusarmi, ma il mio migliore amico mi zittisce con un cenno della mano.
«So che cosa stai per fare, perciò non ci provare nemmeno».
«Vi dispiace se accompagno io Serena?», chiede Marco prendendomi per mano.
«È tutta tua», risponde Stella. «Vi seguiamo».
Marco mi accompagna alla sua macchina e mi apre la portiera, mi piacciono i suoi gesti galanti. Sale al posto di guida e, prima di mettere in moto, mi regala un altro dolcissimo bacio.
«Mi sei mancata», mormora sfiorandomi il viso con le dita.
Perché non riesco mai a collegare il cervello quando sono con lui? Non riesco mai a trovare qualcosa di intelligente da dirgli e tutto questo mi irrita non poco. Lui, fortunatamente, sembra non farci troppo caso, si limita a sorridermi.
Dieci minuti dopo siamo davanti a una pizzeria enorme, arriviamo praticamente tutti insieme. Marco mi presenta ai suoi compagni di squadra.
«Ragazzi, lei è Serena».
Faccio loro un cenno con la mano, in totale imbarazzo.
«Oh, allora sei tu che hai rubato il cuore del nostro amico», commenta un ragazzino biondo, che se non ricordo male dovrebbe chiamarsi Federico.
«Così sembrerebbe», mugugno io con un mezzo sorriso.
«Sai, se si rammollisce, dovrai sentirti responsabile», tuona Lorenzo, puntandomi un dito contro.
«Non spaventarla», Lo ammonisce Marco. Mi circonda la vita con le braccia e appoggia il mento sulla mia testa.
«Ah giusto, non avete ancora consumato, non posso farla scappare».
Marco si irrigidisce alle mie spalle, io mi sento infastidita da quel commento, come se lui stesse con me solo per portarmi a letto. E se fosse davvero così?
«Rimangiati quello che hai detto», ringhia Marco particolarmente seccato.
Un ragazzotto accanto a Lorenzo lo colpisce sul collo con la mano aperta.
«Ti sembrano cose da dire?». Lo sgrida. «Chiedi scusa a Marco e, soprattutto, chiedi scusa a Serena».
Il diretto interessato grugnisce e borbotta delle scuse poco comprensibili. Si scusano tutti e si dirigono all'ingresso, lasciandoci soli.
«Mi dispiace amore. Non lo sopporto quando si comporta come uno stronzo».
Mi gira in modo tale da potermi guardare negli occhi.
«Lo sai che non esco con te solo per quel motivo, vero? Mentirei se ti dicessi che non muoio dalla voglia di fare l'amore con te, ma non è tutto. Vorrei che tu fossi la mia donna, ti voglio nella mia vita a tempo indeterminato», dice tutto d'un fiato.
La mia bocca si apre, ma non faccio in tempo a far uscire nemmeno un suono, la tappa con la sua.
«Non dire niente, non ora, non qui. Baciami solamente». Mi supplica.
Allaccio le braccia intorno al suo collo e mi sfamo della sua bocca.
«Hai voglia di farla pagare a Lorenzo?», chiedo staccandomi dalle sue labbra per riprendere fiato.
«Che cosa avevi in mente, Flounder?».
Gli spiego il mio piano all'orecchio e lui scoppia a ridere.
«Devo stare attento con te, non vorrei mai mi facessi degli scherzi simili», esclama divertito.
«Non mi permetterei mai», affermo con aria innocente.
Mi bacia sulle labbra, felice. Ora non resta che dare il via libera a Luca: non vedrà l'ora di attuare il suo piano.

 
***Note dell'autrice***
Bene, eccoci di nuovo qui. Marco non se l’è presa con Serena per non avergli dato una risposta. Non è un amore? Serena sta cercando di far chiarezza nel suo cuore. Si vede lontano chilometri che è pazza di lui, ma non se ne rende conto fino in fondo. Diamole ancora un po’ di tempo.
Luca e il suo piano malefico! Martedì prossimo scopriremo che cosa combineranno e soprattutto come la prenderà Lorenzo. Ci sarà da divertirsi! E chissà… magari ci sarà anche il dopo cena ;)
Grazie infinite a chi segue/preferisce/ricorda questa mia storia, chi legge silenziosamente e chi commenta. Non mi stancherò mai di ringraziarvi ♥



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Capitolo 12
*** Chi la fa, l'aspetti ***


 



12. Chi la fa, l'aspetti
Raggiungiamo i miei amici che ci aspettano davanti all'ingresso e afferro Luca per un braccio, trascinandolo in disparte. Marco, nel frattempo, accompagna Marica e Stella all'interno. Luca mi guarda come se fossi impazzita.
«Che intenzioni hai?», chiede dubbioso.
«Hai ancora voglia di scommettere quel bacio con Lorenzo?».
Ora ho tutta la sua attenzione, strabuzza gli occhi per la sorpresa.
«Che cosa hai in mente brutta strega?».
Gli spiego la nostra voglia di fargli pagare il modo brusco e scortese con cui ha insinuato che Marco starebbe con me solo per portarmi a letto, lui è letteralmente entusiasta di aiutarci. Mi chiedo come mai.
«Lascia fare a me». Mi strizza l'occhio.
Mi prende sotto braccio e seguiamo gli altri nel locale. Marco mi raggiunge appena ci vede entrare, Luca mi lascia andare e si va a sedere accanto a Stella e Lorenzo. L'uomo lo fulmina con lo sguardo, mentre il mio amico lo mangia con gli occhi.
«Non lo sopporta proprio», commenta Marco divertito.
«No, neanche un po'. Ci sarà da divertirsi», aggiungo io posandogli un lieve bacio sulle labbra.
Marco si siede accanto a Lorenzo, io mi ritrovo vicino a lui e a Federico.
Ordiniamo da mangiare, si chiacchiera allegramente, finché Luca non lancia la bomba a Lorenzo.
«Ti va di fare una scommessa?».
Marco mi ha raccontato della sua mania per le scommesse, una cosa che lo accomuna con Luca. Non so che cosa ci trovino. Nemmeno Marco le ama e asseconda il suo amico, come io faccio con il mio.
Lorenzo lo fissa sbalordito, sta tentennando, si vede chiaramente. Si gratta nervosamente il mento.
«Vorrei ricordarti che ne hai una in ballo con me!». S'intromette Federico. «Ed è una scommessa piuttosto importante».
Un sorriso diabolico si forma sulle labbra del ragazzo.
«In che cosa consiste?», chiede Luca curioso. Mi lancia un'occhiata interrogativa, e io mi stringo nelle spalle, non ne sapevo nulla.
«L'avevo rimosso», sussurra Marco al mio orecchio, provocandomi dei brividi lungo la schiena.
«Il primo che rimorchia vince». Gli spiega Federico.
«E chi perde?», domanda il mio migliore amico.
«Paga la cena a tutta la tavolata», risponde allegro.
Credo sia convintissimo di riuscire a vincere quella scommessa, ora capisco l'espressione poco convinta di Lorenzo.
Luca si illumina improvvisamente, gli è venuto un colpo di genio.
«Ci sto anch'io!», esclama.
Tutti lo guardano sorpresi.
«Se posso, ovviamente». Si sente piuttosto osservato. «Così chi perde si divide il conto, penso sia un po' meno dispendioso per i perdenti. Se siete tutti e due d'accordo».
Lorenzo e Federico si scambiano un cenno di assenso.
«Okay, andata!», sbotta il biondino.
«Io aggiungerei una cosa». Si rivolge a Lorenzo. «Se io dovessi vincere...».
Il resto della richiesta gliela sussurra all'orecchio. Il viso dell'uomo si trasforma in una maschera di terrore. Scuote la testa velocemente.
«No, no, no», borbotta.
«Codardo». Lo stuzzica Luca, portandosi il boccale di birra alla bocca e bevendone un sorso.
Lorenzo stringe una mano intorno al suo bicchiere ancora colmo, socchiude gli occhi e sibila: «Io non sono un codardo. Ci sto!».
Luca gongola soddisfatto e mi strizza l'occhio. Marco sospetta quello che può avergli detto, sorride baciandomi la punta del naso con dolcezza.
«Quando parte la sfida?», chiede Luca circondando il collo di Lorenzo con un braccio, con nonchalance.
Il diretto interessato non gradisce molto questo genere di attenzioni e cerca di scrollarselo di dosso, facendo finta di niente, non riuscendoci.
«Mangiamo la pizza e poi parte la caccia», risponde Federico.
«Perfetto», commenta Luca con un sorriso a trentadue denti.
Li controllo con la coda dell'occhio mentre assaporo la mia cena e tutti e tre stanno sondando il terreno. Mi trattengo per non scoppiare a ridere.
Marco si avvicina al mio orecchio e sussurra: «Sono felice di essere riuscito a conquistare il tuo cuore, non mi sarebbe mai piaciuto dovermi imbattere in una sfida di questo tipo con il tuo amico. Guardalo».
Osservo Luca con attenzione e sta fissando un ragazzo seduto al bancone. Si stanno letteralmente mangiando con gli occhi.
«Direi che possiamo cominciare», esclama Federico fregandosi le mani.
Il mio migliore amico non aspettava altro, fa un cenno con un dito al tipo del bar, che si muove nella sua direzione senza staccare gli occhi dai suoi. Lorenzo e Federico osservano la scena con la bocca spalancata.
L'uomo, biondo con dei grandi occhi azzurri, si ferma accanto alla sedia dove è seduto Luca, il quale si alza.
«Io sono Luca». Si presenta.
«Alessandro», dice l'altro mordendosi il labbro. «Ti va di bere qualcosa con me?».
«Mi piacerebbe molto. Saluto i miei amici e ti raggiungo».
«Ti aspetto». Gli strizza l'occhio e se ne torna al bancone.
Un coro di fischi parte da Marco e i suoi compagni di squadra.
«Direi che abbiamo un vincitore», esclama il mio uomo alquanto divertito.
Luca, che adora essere al centro dell'attenzione, si atteggia da vera diva e si prodiga in mille inchini.
«Grazie, grazie, mi trovate qui fino a giovedì per gli autografi».
Si ferma all'improvviso e avvicina il viso a quello di Lorenzo.
«Quando sarai pronto, verrò a riscuotere il mio premio». Ammicca maliziosamente. «Ora, se volete scusarmi, avrei un appuntamento con quel fantastico biondino».
Si allontana lentamente, mettendosi di nuovo in mostra, è più forte di lui.
Lo seguo con lo sguardo, finché non si siede accanto ad Alessandro, la sua nuova vittima. Potrei anche chiamarlo conquista, ma secondo me è più una vittima tra le proprie grinfie.
«Ma come ha fatto? Non si è nemmeno alzato da tavola!». Federico è attonito e non lo nasconde.
«La sua è una dote naturale». Gli spiego.
«Non avete idea di quanti bonazzi ha accalappiato lui! Che invidia». S'intromette Stella con aria assorta.
Quando si accorge di avere dieci paia di occhi puntati addosso, sembra ridestarsi.
«Oh, l'ho detto ad alta voce?», chiede arrossendo visibilmente. «Scusate».
Stella è fatta così, vive in un mondo tutto suo e a volte riesce a fare delle figuracce epiche.
Lo sguardo di Lorenzo non mi piace neanche un po', si avvicina all'orecchio della mia amica e le sussurra qualcosa. Il viso di lei diventa di un bel rosso e lei annuisce accennando un sorriso timido. Ahia, qui qualcuno si è appena lasciato abbordare. Lo so che è grande abbastanza da prendere le sue decisioni da sola, ma mi preoccupo ugualmente per le mie amiche.
«Ti va di venire a fare una passeggiata al lago con me?», mi domanda Marco.
«Accompagno io a casa loro due, non ti preoccupare». Si offre Lorenzo, regalandomi un sorriso smagliante.
Ha in mente qualcosa, ne sono certa. Non lo conosco molto, ma mi sembra il classico uomo cui piace spassarsela. Lo fulmino con lo sguardo e gli punto un dito contro.
«Stai attento». Lo minaccio.
«A che cosa?». Si stringe nelle spalle con aria innocente, il lampo di malizia che ho notato nei suoi occhi tradisce però le sue vere intenzioni.
«Lo sai», dico sfidandolo con lo sguardo.
Se farà soffrire anche solo una delle mie amiche, è un uomo morto, può starne certo.
«Andiamo?». Mi rivolgo a Marco con un sorriso rassicurante.
I suoi occhi blu mi stanno chiedendo se me la sento sul serio di andare con lui, la sua mano indugia sul mio viso. Gli sfioro le labbra con le mie.
«Ho voglia di stare un po' con te, da sola», mormoro posando la mia mano sulla sua.
«Come siete teneri». Ci prende in giro un amico di Marco seduto di fronte a noi, Paolo, se non ricordo male.
«Ed è solo l'inizio», commenta il mio uomo, prima di togliermi il fiato con un bacio dolcissimo. «Andiamo amore, tanto la cena è gentilmente offerta da questi due».
Indica i suoi amici con entrambi i pollici.
«Amore?». Lorenzo inarca un sopracciglio e un sorriso strano compare sulle sue labbra.
«Sì, hai capito benissimo, non fare lo stronzo». Gli dà uno scappellotto e si alza dal suo posto.
Mi prende la mano, aiutandomi ad alzarmi.
«Noi andremmo, è stato un piacere. Tanto ci si vede anche domani».
Mi avvicino a Marica e Stella, infilo la testa tra loro due.
«State attente a questo qui, mi raccomando». Le metto in guardia.
«Sì, mamma!», esclamano loro in coro.
Roteo gli occhi e sbuffo, spazientita; io il dovere da brava amica l'ho fatto, ora sono cavoli loro.
Salutiamo tutti e usciamo da quel locale affollato, respirare l'aria fresca della sera è piacevole. Marco afferra la mia mano, delicatamente, raggiungiamo la sua macchina in silenzio. Lo spio con la coda dell'occhio e sta sorridendo, ha l'aria tranquilla e rilassata.
Il lago è bellissimo la sera, con tutte quelle luci a illuminare le coste, il riflesso della luna sull'acqua. È tutto così romantico.
Ci sediamo su una panchina e appoggio la testa sulla sua spalla.
«Sto bene con te». Gli confesso giocando con le dita della sua mano. «Sto bene davvero».
Appoggia la guancia sul mio capo, è meraviglioso averlo così vicino.
«Sai, Flounder, prima di conoscerti non avrei mai immaginato di portare una donna in questo posto. Tutto troppo perfetto, troppo sdolcinato, non volevo che si creassero inutili illusioni. E poi sei arrivata tu, con quel tuo caratteraccio, il tuo sorriso a dir poco spettacolare, semplicemente tu. Hai rivoluzionato il mio modo di vedere le cose, il modo di percepirle. Una passeggiata in riva al lago con te è qualcosa di magico. Mi hai rubato il cuore Serena, è diventato tuo un attimo dopo che mi avevi fatto il bagno con il cappuccino». Riprende fiato per poi proseguire con quella dichiarazione in piena regola. «Non l'ho mai detto a nessuna donna prima d'ora».
Mi solleva il mento con un dito e cerca il mio sguardo.
«Ti amo Serena».
Credo che potrei svenire in questo preciso istante, il cuore mi sta sfondando il petto. Il mio corpo reagisce in modo strano a queste sue parole, le mie labbra si incollano alle sue. Non posso ricambiare la sua dichiarazione, non ora, ma posso fargli capire che lui è davvero importante per me.
«Mi ami anche dopo quello che è successo oggi a pranzo dai miei? Mia madre ha superato se stessa», affermo dopo una sessione di baci poco casti che hanno surriscaldato l'atmosfera.
«Oh sì, ti amo nonostante l'imboscata di tua madre, nonostante l'incontro con quel pezzo di...».
Lo zittisco con un bacio, non ho alcuna intenzione di farmi rovinare questo momento perfetto da quel cretino di Massimo.
«Dicevi?», dico a fior di labbra, completamente stordita e senza fiato.
«Stavo dicendo che ti amo, niente di più», sussurra, un sorriso stupendo appare sul suo viso.
«Così va decisamente meglio», commento perdendomi in quel mare blu che sono i suoi occhi. «Andiamo a casa».
Sono stanca ma non abbastanza da non voler trascorrere la notte con lui. Mi sento pronta per il passo successivo, voglio fare l'amore con lui, lo voglio con tutta me stessa. Sento che posso fidarmi di lui, che non sparirà una volta successo. In passato non me n'era mai importato molto, ma con lui è diverso, tengo davvero a lui.
 
 
***
 
 
Per la prima volta in tutta la mia vita ho detto quelle due parole a una donna. Ho detto ti amo a Serena e mi sento magnificamente. Pensavo sarebbe stato traumatico quando fosse successo e, invece, è stato così naturale, speciale, meraviglioso. Non riesco a capire se anche lei è innamorata di me ma non importa, da come si comporta, per lei sono importante ed è sufficiente. È stata una serata particolare, divertente, ma ora ho voglia di passare un po' di tempo da solo con la mia donna.
Confessarle il mio amore è stato istintivo, non ho pensato a lungo a quello che volevo dirle, ho parlato a ruota libera. Lei non ha detto niente, ma la sessione di baci che c'è stata immediatamente dopo valeva più di mille parole.
«Secondo te Lorenzo ci proverà con entrambe le mie amiche?», mi chiede a un tratto mentre siamo per strada, diretti verso il mio appartamento.
«Probabile». Non ha senso mentirle. Conosco bene il mio migliore amico e so per certo che staserà tenterà di abbordarle, gliel'ho letto negli occhi.
«Basta che non si facciano male», commenta sistemandosi un ciuffo ribelle che continua ad andarle negli occhi.
«Che cosa ha scommesso Luca con Lorenzo?».
Non avevo ancora avuto occasione di chiederglielo e mi è rimasta la curiosità.
«Un bacio», risponde scoppiando in una deliziosa risata. «Con la lingua probabilmente. Conosco il mio pollo e non vedeva l'ora di poterlo fare».
«È pazzo se crede che Lorenzo lo lascerà fare», esclamo unendomi alla sua risata.
«La follia è il suo marchio di fabbrica e puoi star certo che lui avrà il suo agognato bacio, in un modo o nell'altro. E poi hanno scommesso!».
Si volta a guardarmi e io la osservo di sottecchi, non posso distrarmi alla guida, ma la tentazione di baciare quelle labbra perfette è fortissima.
«Hai ragione, hanno scommesso, ma ti immagini Lorenzo che si lascia baciare da un uomo?». Scuoto la testa. «Non succederà mai, Flounder, sono certo al mille per cento».
«Sei così sicuro?», chiede colpendomi la spalla con un dito.
«Oh sì, lo sono», confermo con sicurezza.
«Farei una scommessina con te, ma a dirtela tutta non le ho mai sopportate. Le lascio volentieri ai nostri amici». Si rimette comoda sul sedile e posa la sua mano sopra la mia, come se fosse la cosa più naturale al mondo. Le nostre dita si intrecciano automaticamente.
«Nemmeno io le ho mai sopportate. Lorenzo è ossessionato da tutte quelle stronzate, scommetterebbe su qualsiasi cosa. Se scommettesse soldi, ne perderebbe una vagonata».
«Ha scommesso anche su di noi?». Mi accarezza la mano con il pollice.
«Domanda di riserva?», borbotto. È una cosa stupida e non mi va di creare possibili tensioni.
«Lo sapevo! Anche Luca l'ha fatto!». Scoppia a ridere e il mio cuore perde un battito.
Si porta una mano alla bocca e mi racconta della scommessa saltata, di quanto fosse una cosa stupida e del fatto che avesse accettato solo per accontentarlo. Più la ascolto parlare, più mi rendo conto di essere pazzo di lei.
Alla fine mi convince a raccontare anche la scommessa di Lorenzo, del fatto che avrei dovuto chiederle di sposarla, se avessi mai deciso di presentarla ai miei genitori di mia spontanea volontà.
«Non ho mai presentato nessuna donna alla mia famiglia». Le spiego.
«Hai così paura di cosa loro possano pensare?», chiede inarcando un sopracciglio.
«No, non è quello. Le mie relazioni non sono mai state, come dire, molto stabili. Diciamo che mi è sempre piaciuto divertirmi. Mia madre vorrebbe che mi sposassi e prolificassi come le mie sorelle, non è nei miei piani. Potrei cambiare idea se al mio fianco ci fosse la persona giusta».
Sei tu quella giusta Serena.
«Mia madre ti ubriacherà con le sue domande domenica. Se cambiassi idea e preferissi saltare quella tortura, ti capirei Flounder. Non sarà una passeggiata».
«Tu hai tenuto testa alla mia, io lo farò con la tua, siamo una squadra. Ho deciso che d'ora in poi ti chiamerò Shark». Mi sorride radiosa.
Mi può chiamare come meglio crede, qualsiasi parola uscita dalla sua bocca ha un suono meraviglioso.
Parcheggio la mia bambina nel garage e prendo Serena per mano. Una volta in casa, chiudo la porta a chiave, quando mi giro verso di lei, mi sta fissando in modo strano.
Mi afferra per il bavero della camicia, trascinandomi in camera. Le sue dita scorrono lentamente sul mio petto, sembra pensare a che cosa vuole farne di me: qualunque cosa voglia farmi, io non avrò obiezioni.
Sbottona la camicia con una lentezza a dir poco esasperante, la sfila e la getta a terra.
«Sarebbe la mia camicia più bella». Le faccio notare, prendendola in giro.
«Signor Rossini, stia zitto». Mi ammonisce, sigillando la mia bocca con la sua.
Le mie mani scorrono sulle sue gambe nude, sollevano il suo vestito fino ai fianchi.
Le sue labbra esplorano il mio collo, scendono lungo il petto fino a fermarsi alla cintura, la slaccia senza alcuna esitazione. Fa scendere la cerniera, lentamente. È una piacevole tortura, lo ammetto. Sfilo i pantaloni e li lancio via con un calcio.
«Magari quelli erano i tuoi pantaloni migliori», esclama lei ironica.
«Zitta, Flounder».
Le sfilo il vestito dalla testa e i miei occhi apprezzano ciò che vedono: quel completino di pizzo rosso fuoco manda in subbuglio tutti i miei ormoni, che già erano piuttosto impazziti.
«Sei semplicemente meravigliosa», mormoro giocando con una ciocca dei suoi capelli.
Un sorriso malizioso spunta sulle sue labbra, porta le mani dietro la schiena e sgancia il reggiseno, che cade ai suoi piedi.
«E ora?». Mi stuzzica lei.
«Ora sei la perfezione, lo saresti ancora di più...».
Non mi lascia finire la frase.
«Se mi togliessi queste?». Si sfila le mutandine e le lancia via con un gesto teatrale.
«Mi hai letto nel pensiero, Flounder». Ammicco sfiorandole le labbra con le dita.
«Shark sei prevedibile».
Scuote la testa, sorridendo irresistibilmente.
«Probabile e visto che sono così prevedibile, che cosa sto pensando ora?».
Mi sfilo i boxer e li scalcio vicino ai pantaloni. Poso le mani sui fianchi e mi metto in posa come se fossi una statua greca. Lei si copre la bocca con una mano e trattiene una risata.
«Stai per caso ridendo di me?». Mi fingo offeso.
«Non mi permetterei mai, Shark». Si morde il labbro inferiore per non ridere.
«Hai visto che fisico statuario? Tu, signorina, non hai idea di chi hai di fronte».
Alla fine non resiste più e scoppia a ridere.
«So benissimo chi ho di fronte».
«Su, sentiamo, saputella».
L'attesa mi sta massacrando, la voglia che ho di lei sta aumentando di secondo in secondo, ma sono certo che varrà la pena aspettare.
«Di fronte a me c'è un uomo fantastico, che mi fa battere forte il cuore. Un uomo che non ha peli sulla lingua, pochi anche sul resto del corpo in effetti, ti fai la ceretta per caso?». Si gratta il mento divertita.
«Flounder, stai divagando e non risponderò a questa tua domanda impertinente». Incrocio le braccia al petto e la guardo con un sopracciglio inarcato.
Si stringe nelle spalle e prosegue con il suo monologo.
«Adoro la sfrontatezza di quest'uomo fantastico, il modo in cui riesce a farmi ridere, amo quando fa lo scontroso, l'irriverente e anche quando fa il super maschio come in questo momento. Ora però, questo meraviglioso pezzo di uomo deve farmi vedere che cosa sa fare sotto le lenzuola, altrimenti la sottoscritta potrebbe impazzire».
«Con molto piacere, amore mio», le sussurro a fior di labbra.
«Mi piace quando mi chiami amore», mugugna mentre scendo a sfiorarle il collo con la lingua.
La faccio sdraiare e mi concentro sui suoi seni, sono semplicemente perfetti. Lambisco un capezzolo e lo torturo, creando dei cerchi invisibili con la lingua; riservo lo stesso trattamento anche all'altro. I mugolii di piacere che emette sono pura gioia per le mie orecchie. Le sue gambe si allargano, dando la possibilità al mio membro pulsante di desiderio di sfiorare la sua intimità, che è già pronta ad accoglierlo. Voglio prolungare questo momento magico, non voglio finisca troppo presto. Le sue dita si insinuano tra i miei capelli e mi solleva il viso, si appropria della mia bocca e i baci che mi regala accendono un fuoco dentro di me.
«Ti voglio».
Quelle due parole escono rapide dalle sue labbra, cariche di desiderio e aspettativa.
Le mie sfuggono incontrollate: «Ti amo».
Le lascio dei piccoli baci lungo la linea della mandibola, mentre la mia mano scivola tra le sue cosce. Le accarezzo la sua intimità con il pollice, la sento sussultare piacevolmente. Entro in lei con un dito, mentre continuo a baciare ogni centimetro della sua pelle. Mi prega di non smettere. Come potrei non accontentarla? Non sono preparato a sentire le sue dita sfiorare il mio membro: mi sfugge un gemito arrochito. La sua mano lo avvolge e comincia a muoverla lentamente, regalandomi un piacere indescrivibile. Non posso resistere molto con lei che mi tortura così piacevolmente. Mi stacco da lei all'improvviso.
«Non ce la faccio più. Voglio che tu sia mia, ora», farfuglio in preda al desiderio.
«Sono già tua», commenta lei mordendosi il labbro.
La bacio avidamente, assaporandola e sfamandomi di lei.
Recupero un preservativo dal cassetto del comodino, me ne ha regalato qualcuno Lorenzo per ogni eventualità, ora tornano utili.
Entro in lei delicatamente, strappandole un gemito soddisfatto. Mi muovo rapidamente, con un desiderio che cresce a ogni spinta vigorosa. Le sue gambe si allacciano intorno ai miei fianchi, le sue unghie si infilzano nella mia schiena, spingendomi più in profondità. I suoi sospiri sono una melodia meravigliosa. Le mie dita sfiorano il suo corpo, sento la sua pelle bruciare a ogni tocco. Le mie labbra cercano in continuazione le sue, la riempio di baci bollenti sul viso e sul collo. Fare l'amore con lei è fantastico: voglio lei, per sempre.
Raggiunge l'apice del piacere, continuando a spingere il suo bacino contro il mio e godendosi appieno questo momento. Mi lascio andare anch'io un attimo dopo. Ricado sopra di lei, ansante, stanco, ma immensamente appagato. Le sue braccia mi circondano la schiena, con una mano mi accarezza dolcemente i capelli.
«È stato spettacolare», dice con un sorriso beato stampato sulle labbra.
«Spettacolare è a dir poco», commento sollevando il mento per guardarla negli occhi.
«Dimmelo di nuovo». La sua voce così melodiosa mi lascia stordito.
«Che cosa?», chiedo confuso.
«Che mi ami», mormora accarezzandomi il viso.
«Ti amo Serena, ti amo da impazzire».
Chiude gli occhi e sospira.
«Ha decisamente un bellissimo suono».
Mi sdraio accanto a lei e la attiro a me, appoggia il viso sul mio petto, intreccia una gamba alla mia, le sue dita si muovono lente sul mio petto, creando dei disegni invisibili.
Le accarezzo il braccio, sfiorandolo appena con i polpastrelli, non sono mai stato così felice come in questo momento-
«Flounder, ti devo dire una cosa che non avrei mai creduto di poter fare», comincio con le labbra posate sulla sua fronte.
«So già che ti fai la ceretta, non serve che tu me lo dica». Scherza stringendosi di più a me.
«Sei una ragazzina davvero impertinente». Le afferro una mano e me la porto alla bocca, la mordicchio per ripicca.
«Mi ami anche per questo, no?». Riprende l'utilizzo della sua mano e intreccia le sue dita alle mie.
«Decisamente», confesso senza alcun problema.
«Se non volevi parlarmi della tua depilazione, che cosa volevi dirmi?».
«Non so se ho ancora voglia di dirtelo, non mi piace essere deriso in questo modo da te solo perché la mia pelle è liscia come il culetto di un bambino». Metto il broncio e mi fingo risentito.
«Se non l'avessi capito, la mia è solo invidia».
Faccio scorrere le mie dita sulla sua gamba nuda, più volte.
«No, non puoi essere invidiosa, sei liscissima, perciò smettila. Se nomini ancora cerette, depilazioni e cazzate varie, giuro che domenica ti do in pasto a mia madre e non sto affatto scherzando». La minaccio puntandole un dito davanti al viso, che lei afferra al volo e succhia. Così non vale, per niente.
«Se non me lo dici, continuerò a stuzzicarti e ti lascerò insoddisfatto». M'intima lei, passandomi un dito nelle mie parti sensibili.
«Non mi piacciono questi vili ricatti», mugugno.
La afferro per un fianco e la trascino sopra di me. Mi bacia sulle labbra, dapprima castamente, poi il bacio diventa infuocato, risvegliando totalmente la mia voglia di lei.
Si scosta all'improvviso e si siede su di me, tenendomi i polsi bloccati con le mani, un'espressione maliziosa sul suo bel viso. Come posso resisterle?
«Sono felice che quel giorno tu abbia rigato la mia bambina». Confesso, perdendomi in quegli occhi così verdi, così grandi, così perfetti.
«La tua bambina?», ripete con un sorrisetto furbo.
«Sì, hai capito bene, non fare quella faccia. Lei è la mia piccola e tu hai rischiato di distruggermela dopo un solo giorno di vita. Se non fossi stata così meravigliosamente fantastica, probabilmente avrei rigato il tuo macinino con un cacciavite».
«Hey!». Mi colpisce con un leggero pugno sul petto. «La mia macchina non è un macinino!».
«Mi dispiace averti inferto questo brutto colpo, è difficile da digerire, lo so». Sospiro con fare teatrale.
«Scemo!», sbotta un attimo prima di fiondarsi sulla mia bocca e togliermi il respiro.

 
***Note dell'autrice***
Bene, bene, bene… la scommessina l’ha vinta Luca, ma noi non avevamo alcun dubbio, giusto? Riuscirà a riscuotere il suo premio? Chi vivrà vedrà! Hahah! Che ne pensate del dopo cena? Spero sia stato di vostro gradimento! ;)
A martedì prossimo per conoscere un nuovo personaggio! Chi è curioso di sapere di chi si tratta? Ipotesi? *curiosa*
Un grazie enorme a tutti: chi preferisce, ricorda, segue, chi legge in silenzio e chi commenta. Siete fantastici! ♥



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Bijouttina & i suoi vaneggiamenti

 

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Capitolo 13
*** Diablo ***


 



13. Diablo
La mattina seguente mi sveglio con una strana sensazione addosso. Allungo un braccio per cercare Serena, ma lei non c'è. Mi metto seduto e mi guardo intorno, i suoi vestiti sono ancora sparsi sul pavimento della mia camera. Non può essere andata lontano, questo è certo. L'aroma del caffè appena fatto mi riempie le narici, la mia donna ha preparato la colazione. Sorrido come uno scemo.
Appoggio i piedi sul pavimento fresco e raccolgo i miei boxer, non posso andare in giro per casa completamente senza vestiti. Non ci sarebbe niente di male, per carità, ma non mi piace.
Raggiungo Serena in cucina, è impegnata a versare il caffè in due tazze e non si accorge della mia presenza alle sue spalle. Indossa la mia camicia, solo due bottoni allacciati; devo ammettere che questa visione è parecchio eccitante.
«Smettila di fissarmi, non credere che non ti abbia sentito arrivare».
Si volta verso di me con un sorriso meraviglioso a illuminarle il viso.
«Ti stavo solo ammirando, buono, buono nel mio angolino». Mi giustifico.
«Se aspettavi un paio di minuti, te lo avrei portato a letto». Mi fa notare porgendomi una delle due tazze.
«A dirtela tutta non è stato piacevole svegliarmi e non trovarti accanto a me. Pensavo te ne fossi andata, ma poi ho visto i tuoi vestiti sparsi sul pavimento». Mi stringo nelle spalle.
«Beh, al giorno d'oggi non farebbe neanche più troppo scalpore se andassi in giro per strada nuda». Mi prende in giro lei.
«Sì, certo, come no! Poi verresti arrestata per esibizionismo e io col cavolo che ti pagherei la cauzione!», tuono divertito.
Prorompe in una risata cristallina.
«Tu guardi troppi telefilm americani, Shark».
«Forse», ammetto io con noncuranza. «Comunque non ti permetterei mai di girare svestita in un luogo che non sia uno dei nostri appartamenti, solo io posso vederti nuda. Cerca di non dimenticarlo o mi arrabbio davvero».
«Sei geloso?», chiede armeggiando con i bottoni della mia camicia.
Scopre il suo seno e io non capisco più niente.
«Sono geloso, possessivo, non sopporto che altri uomini possano guardare la mia donna, non tollero che altri uomini possano fare strani pensieri su di te. Flounder, sono geloso da morire di te».
Mi avvicino lentamente a lei e la afferro per un fianco.
«E poi ti amo, ti voglio solo per me».
«Tu uomo delle caverne...».
«Eh no, ora basta. Mi hai stancato piccoletta!».
La sollevo di peso e me la carico su una spalla.
«Ora ti faccio vedere io chi comanda!».
Scalcia, ride divertita, mi schiaffeggia sulla schiena.
«Mettimi giù!».
«Ti metterò giù dove e quando voglio, Flounder!». La schiaffeggio scherzosamente sul sedere.
«Hey!».
«Che cosa vuoi pretendere da un uomo delle caverne?!».
La lascio andare sul letto e mi sdraio sopra di lei.
«Ora me la pagherai, Flounder!».
Le tappo la bocca con la mia prima che possa ribattere: adoro giocare con lei.
 
 
La accompagno al lavoro, controvoglia, non mi va di separarmi da lei, non mi va per niente. Le ultime ore trascorse insieme sono state a dir poco meravigliose, non mi ero mai sentito così in sintonia con una donna prima d'ora. Serena capisce le mie battute, è irriverente proprio come me, le piace ridere e non si prende mai troppo sul serio.
Credo davvero che lei possa essere la donna della mia vita.
Lungo la tangenziale mi squilla il cellulare, rispondo dal vivavoce.
«Dimmi che te la sei scopata stanotte!». La voce squillante di Lorenzo riempie tutto l'abitacolo.
«No comment», rispondo io, svoltando alla mia uscita.
«Oh oh, te la sei fatta alla grande allora, lo sapevo!», sbotta con soddisfazione.
«Non avrai mica scommesso anche su questo spero?». La mia era una domanda retorica e trova conferma un istante dopo.
«Certo! Ho scommesso con Riccardo una birra. Lui diceva che lei non te l'avrebbe mai data. Pollo! È stata una vittoria facile». La soddisfazione nella sua voce è alquanto irritante.
«Come mai davi per scontato che ci sarebbe stata?».
Parcheggio la macchina nel primo posto libero che trovo e mi porto il telefono all'orecchio, non mi va che tutto il quartiere senta le idiozie che spara normalmente Lorenzo.
«Beh, uscite insieme da qualche giorno, avete già dormito nello stesso letto, non potevate resistere ancora a lungo senza darci dentro. Com'è a letto? Voglio i dettagli. È porca? Ha fantasia o è la classica donna da missionario e basta?».
«Ma ti sembrano domande da fare? Non risponderò, mettiti il cuore in pace».
«Oh deve essere una gran porca allora!». Ride come uno scemo.
«Smettila di parlare di lei in quel modo!», tuono con un certo fastidio.
«Sai socio, da quando c'è lei, sei piuttosto suscettibile». Mi fa notare in tono neutro.
«Sarò anche suscettibile, ma non parlerò della mia vita sessuale con te.», borbotto acido.
«Lo vedi? Stai usando ancora quel tono. Una volta mi raccontavi tutto delle tue avventure. Che cosa è cambiato? Che cos'ha di diverso questa Serena?».
«Che cosa è cambiato? Beh, questa non è un'avventura, non lo è proprio per niente. Mi sono innamorato di lei, ci sono cascato in pieno questa volta». Gli spiego. «Lei è diversa da tutte le donne che ho frequentato finora».
«Cazzo, è ancora peggio di quello che credevo». Commenta schifato.
Basta, sono stanco di questa conversazione, non ho più voglia di parlare di amore con lui, anche perché lui non ne capisce un fico secco.
«Tu, invece, che cosa hai combinato ieri sera con le amiche di Serena?», domando curioso.
«Diciamo che mi sono divertito con Stella stanotte. È un po' in carne, ma è stato piuttosto piacevole, lo ammetto. Stasera tocca all'altra... Come cazzo si chiama?».
Alzo gli occhi al cielo e scuoto la testa.
«Marica». Vado in suo soccorso.
«È vero, Marica! Comunque stasera mi divertirò anche con lei».
«Non hai paura che si sentano usate?».
Se lo venisse a sapere Serena, non ne sarebbe per niente felice, ma sono certo che lo scoprirà sicuramente.
«Nah, ho pregato Stella di non dirlo in giro e farò lo stesso con Marica stasera».
La sicurezza di Lorenzo mi spaventa parecchio, anche se ho come la sensazione che mi stia nascondendo qualcosa.
«Lo sai, vero, che io sto frequentando la loro migliore amica?». Gli faccio notare.
«E tu terrai la bocca chiusa perché sei il mio migliore amico». Mi minaccia poco velatamente.
Non ho alcuna intenzione di mentire alla mia donna per salvargli il culo, cercherò soltanto di non far andare il discorso in quella direzione alquanto pericolosa.
«Farò del mio meglio». Lo rassicuro.
«Bravo Marchino».
Ma che cosa gli passa per la testa? Spassarsela con entrambe le amiche di Serena è troppo anche per uno come lui. Si caccerà sicuramente nei casini, l'importante è che non tiri in mezzo anche me: se dovesse mettere a repentaglio la mia storia con lei, giuro che questa volta lo ammazzo sul serio, non la passerebbe liscia.
Apro la portiera, metto un piede fuori e il cellulare squilla nuovamente. Chi diavolo è che rompe ancora? Premo il tasto verde senza controllare chi sia a chiamare.
«Pronto?», rispondo seccato.
«Ti sembra il modo di rispondere?». Lucrezia mi ammonisce immediatamente.
«Scusami sorellina, ero al telefono con Lorenzo fino a un momento fa». Mi giustifico.
«Non aggiungere altro. Quel ragazzo mi dà i nervi, non so proprio come tu riesca a sopportarlo».
A volte me lo chiedo anch'io, ma forse ormai ci ho fatto l'abitudine.
«Ti serviva qualcosa?», le chiedo cambiando completamente argomento, ho già mal di testa stamattina.
«Emergenza familiare e solo tu puoi aiutarmi», comincia piuttosto agitata.
Come inizio non promette niente di buono e so già che ci andrò di mezzo io.
«Quale sarebbe questa emergenza?». Penso abbia notato il mio sospiro carico di rassegnazione, non fa niente.
«Daniele sta piangendo da più di un'ora. Ha trovato un gattino nel cortile di casa e vuole a tutti i costi tenerlo. Sto cercando, invano, di fargli capire che Giulio, il suo amatissimo papino, è tremendamente allergico al pelo di quel felino. Non c'è verso di farlo ragionare, tiene quella pallina infeltrita, che dovrebbe essere un gatto, stretta al petto e non ha alcuna intenzione di lasciarla andare. Ti prego, parlaci tu, sei la mia unica salvezza». Mi supplica.
«Dammi dieci minuti e sarò da te».
«Sei il fratello migliore al mondo». Mi manda un bacio e riattacca.
Solo quando fa comodo, ovviamente, meno male che sono pure l'unico. Ecco che mi sono lasciato invischiare ancora una volta in qualcosa di assurdo. Ora come posso convincere un bambino di cinque anni che non può tenere un piccolo gattino? Sarà un'impresa titanica, ma qualcosa mi inventerò.
Raggiungo casa di mia sorella il più velocemente possibile, lei mi sta aspettando sulla soglia.
«Finalmente sei arrivato! Non ne posso più!». Mi afferra un braccio e mi trascina in casa.
«Datti una calmata», le dico incespicando sui miei stessi piedi. La situazione sta degenerando ancora prima di arrivare da mio nipote.
«Vorrei vedere te!». Mi lancia sul divano accanto a Daniele.
La guardo in cagnesco. Che modi sono questi? Lascio perdere esclamazioni poco consone al luogo e non adatte a un pubblico di minori. Mi concentro sul piccoletto, ha le lacrime agli occhi, il naso che gli cola, non è esattamente una bella scena.
Una testolina minuscola, grigia e pelosa sbuca dalle braccia di Daniele, mi guarda con i suoi occhietti azzurri. Non sono mai stato un grande amante dei gatti.
«Hey campione! Mi fai conoscere il tuo nuovo amico?», chiedo avvicinandomi con il viso al suo.
Lui mi guarda di sottecchi.
«La mamma dice che non posso tenerlo, ma l'ho trovato io», piagnucola.
«Lo so, ma il tuo papà starà male se lo troverà qui. Ti piacerebbe vedere il tuo papà con gli occhi gonfi e rossi, che starnutisce e si soffia il naso tutto il tempo?».
Scuote la testa lentamente.
«No, non voglio che il mio papino stia male».
«Allora dobbiamo trovare una soluzione», gli dico passando un dito su quella testolina morbida. Il gattino mi osserva attentamente, è un fagottino di pelo.
L'idea che è appena balenata nella mia mente mi fa rabbrividire. So per certo che mi pentirò di questa soluzione, ma non vedo altre alternative.
«Facciamo così. Lo porterò a casa con me, potrai vederlo tutte le volte che vorrai».
Mi mordo la lingua, il danno è ormai fatto. Il viso di mio nipote si illumina.
«Davvero? Zio! Tu e Serena sarete bravissimissimi con lui!», commenta raggiante.
Serena ed io? Oh cavolo.
«Serena non può stare da me tutto il tempo», gli spiego.
«Ma... ma... voi vi volete bene, dovete sposarvi, fare tantissimi bambini e poi tu zio non ce la fai da solo. Serena sì che può, lei è bravissima». Tesse le lodi della donna che amo e mi ritrovo a sorridere.
«Hai ragione, lei è bravissima. Prometto che ne parlerò con lei e ci prenderemo cura di questa pallina di pelo insieme». Lo rassicuro.
«Va bene!», esclama mio nipote con ritrovata allegria.
Mi passa il micetto e lo prendo in una mano, è davvero minuscolo.
«Lo chiameremo Diablo», affermo guardandolo negli occhi, il felino sembra apprezzare.
«Mi piace, zio! Diablo!», ripete Daniele saltellando sul divano.
Mia sorella mi guarda con un'espressione sconvolta in viso, io mi stringo nelle spalle. Ci sarà da divertirsi.
 
 
***
 
 
Non ho alcuna voglia di lavorare oggi, continuo a ripensare alle ultime ore trascorse con Marco. Sono stata benissimo con lui, come non lo ero mai stata prima. Fare l'amore con lui è meraviglioso, prenderci in continuazione in giro è fantastico. Con lui mi sento davvero me stessa, mi fa ridere e adoro quando dice che mi ama. A essere sincera mi sento piuttosto in colpa, io non riesco a dirgli proprio niente. Sono ancora piuttosto confusa riguardo ai miei sentimenti. Non riesco a capire se quello che provo per lui può essere chiamato amore o sia solo sintonia.
Luca mi fa tornare alla realtà.
«Tesoro mio, il tuo sguardo perso nel vuoto non promette niente di buono».
«In che senso?», chiedo non afferrando quello che vuole dirmi.
«Sere, sei innamorata di lui! Te lo si legge in faccia!», sbotta scuotendomi poco elegantemente per le spalle.
«Vorresti dirmi che io non so che cosa provo per lui e, invece, la mia faccia lo sa benissimo? Non mi convince molto questa teoria, se devo essere sincera mi sembra una gran cavolata». Faccio una smorfia.
«Come fai a non sapere se sei innamorata di lui o no?», domanda sgomento.
«È così e basta, che ci posso fare? Sai benissimo anche tu che sono sempre stata una frana in amore». Mi siedo pesantemente su uno sgabello.
«Oh mio Dio, voi l'avete fatto!». Si porta una mano alla bocca per lo stupore. «Devi raccontarmi tutto».
Si guarda intorno controllando che non ci sia nessuno in vista e si inginocchia davanti a me.
«Com'è stato?». Abbassa il tono della voce, quando vuole anche lui sa che cosa vuol dire la parola discrezione.
«È stato perfetto, Luca, credimi. Lui è semplicemente meraviglioso, ha detto che mi ama. Non sono mai stata così bene con qualcuno in tutta la mia vita».
Rivedo i suoi bellissimi occhi blu, il suo corpo statuario, le sue labbra che si stendono in un sorriso malizioso. Devo smetterla, tutto questo mi ha fatto venire le scalmane.
«Sei proprio sicura di non sapere quello che provi per lui? A me sembra piuttosto lampante». Inarca un sopracciglio e posa le mani sulle mie ginocchia. «Credimi tesoro, tu lo ami. Mettiti l'anima in pace. Non è una malattia grave l'amore, non devi averne paura».
«Da dove proviene tutta questa saggezza?», chiedo titubante, mi sta nascondendo qualcosa, ne sono più che certa.
«Tutta farina del mio sacco». Mi bacia la punta del naso e sparisce a servire un cliente appena entrato.
Ora sono curiosa di sapere che cosa è successo al mio migliore amico, dovrò metterlo sotto torchio, ma aspetterò il momento giusto.
 
 
Quando vedo Marco entrare dalla porta del negozio, il mio cuore comincia a battere come un pazzo. Gli faccio cenno di aspettarmi un attimo, devo andare a cambiarmi prima di uscire, non voglio che lui mi veda in queste condizioni. Indosso un vestito azzurro, legato in vita da una cintura blu, un paio di sandali con il tacco. Sciolgo i capelli dalla coda di cavallo e li ravvivo con le mani, mi passo il lucidalabbra. Non sarò perfetta, ma almeno sono un po' più presentabile.
Marco strabuzza gli occhi appena si accorge di me.
«Sbaglio o sei sempre più bella?».
«Credo che tu ti stia sbagliando, magari hai perso qualche diottria fissando il sole venendo qui».
Un sorriso sghembo appare sulle sue labbra.
«No, io non sbaglio mai», commenta prima di sfiorare lievemente le mie labbra con le sue.
«Farò finta di crederti, Shark». Gli strizzo l'occhio.
Salutiamo Luca da lontano, è stato sfuggente oggi e non sono riuscita a cominciare quel discorso con lui. Sapeva benissimo che gli avrei fatto il terzo grado, mi ha evitato volontariamente. Una cosa è certa, però, non mi può sfuggire per sempre.
Marco sembra nervoso, non apre bocca finché non arriviamo alla sua macchina.
«Ehm, ci sarebbe un piccolissimo problema», comincia impacciato, grattandosi la testa.
«Ossia?», chiedo corrugando la fronte.
Apre la portiera della macchina e mi indica una piccola scatola di cartone appoggiata sul tappettino del passeggero, c'è qualcosa che si muove all'interno. Sussulto e mi aggrappo al braccio di Marco.
«Flounder, ti assicuro che quel cosino lì non morde».
«Non è un topo vero? Mi fanno schifo i roditori», piagnucolo.
«No, non è un topo, anche se ha la stessa dimensione».
Si abbassa e solleva la scatola, la mette davanti a me così posso guardarci all'interno. Un gattino piccolissimo, grigio, con qualche striatura bianca sta dormendo come un angioletto. Mi porto una mano alla bocca, è tenerissimo.
«Oh mio Dio, com'è cuccioloso», esclamo prendendolo in mano e accarezzando dolcemente quella testolina minuscola. «È bellissimo, Shark».
«Sono contento che ti piaccia». Si schiarisce la voce e aggiunge: «Dovremo prendercene cura noi».
Lo guardo stupita. Perché mai dovremmo tenere un gatto?
Lui sembra leggermi nel pensiero e continua con il resoconto: «L'ha trovato mio nipote Daniele, mio cognato è allergico, ma lui voleva tenerlo a tutti i costi. Mia sorella era disperata e ha chiesto il mio aiuto. Ho dovuto promettere a Daniele che lo avrei tenuto io».
«E io che cosa c'entro in tutto questo?», domando dubbiosa.
«Ha detto che tu sei bravissimissima e che saresti stata in grado di badare a lui. Ha detto che dobbiamo anche sposarci e fare tantissimissimi figli». Si stringe nelle spalle. «Ambasciator non porta pena».
Scoppio a ridere. Gli credo, Daniele può aver davvero detto tutto questo. Quel bambino è a dir poco adorabile.
«Come si chiama questa pallina di pelo?». Gli gratto il pancino.
«Diablo», risponde lui con espressione divertita.
«Vorresti dirmi che questo angioletto si chiama Diablo?». Inarco un sopracciglio. «Si può sapere il motivo?».
«Perché è un nome cazzuto», dice come se fosse una cosa ovvia.
È così irresistibile che non riesco più a trattenermi.
«Sei spettacolare Shark!».
Mi fiondo sulle sue labbra, le nostre lingue si cercano impazienti, mi mancavano i suoi baci, mi mancava lui. Quando ci stacchiamo, siamo entrambi senza fiato.
«Wow. Non pensavo che la scelta del nome perfetto potesse portare a un bacio mozzafiato. È un modo nuovo per rimorchiare», commenta con un sorrisetto furbo sulle labbra.
Tengo Diablo in una mano, con l'altra lo afferro per il bavero della polo, le nostre bocche quasi si sfiorano.
«Non voglio più sentire la parola rimorchio uscire da questa fantastica bocca. L'era del rimorchio è finita», sibilo cercando di essere convincente.
«La mia Flounder è gelosa. Mi piace». Azzera le distanze e mi bacia avidamente. «Ti amo da morire».
Bene, ora le gambe sono un ammasso di gelatina, rimango sempre sbalordita dall'effetto che mi provocano i suoi baci e le sue parole.
«Che cosa hai intenzione di fare con lui, ora?», chiedo cercando di ricompormi.
Diablo apre finalmente gli occhietti e mi fissa, cerca di prendermi un dito con le zampine, glielo lascio fare: lo annusa e, dopo un momento di titubanza, lo lecca. Che sensazione strana, non avevo mai avuto a che fare con un gatto prima d'ora.
«Non lo so, non ho idea di cosa devo fare con lui. Tu te ne intendi?».
Scuoto la testa.
«Neanche un po', però mi è venuta in mente una cosa. Vieni con me».
Lo prendo per mano e lo trascino lungo il viale, c'è un negozio di articoli per animali accanto a un ottico qui all'outlet.
Entriamo e un campanello avvisa i dipendenti del nostro ingresso. Non sono mai stata in un negozio di questo tipo, non ne ho mai avuto il bisogno.
«Che cosa facciamo ora?». Marco si guarda in giro spaesato.
«Forse è meglio se chiediamo consiglio a qualcuno.», rispondo cercando con gli occhi un commesso.
Ne passa uno proprio in questo momento e corro da lui.
«Scusami, avremmo bisogno di aiuto».
«Certo, di cosa avete bisogno?».
Il ragazzotto moro si chiama Sandro, o almeno così c'è scritto sul cartellino attaccato alla maglia rossa dell'azienda, ci guarda con impazienza.
«Il mio ragazzo ed io abbiamo trovato questo gattino davanti casa, vorremmo tenerlo, ma non siamo esperti. Che cosa ci serve per cominciare?».
Il commesso si porta un dito sul mento e poi ci dice di seguirlo.
«Avrà bisogno di mangiare alimenti indicati alla sua età: croccantini e umido per gattini. Sulle confezioni c'è scritto fino a quanti mesi devono nutrirsi con questi, poi passerete a quelli per adulti. Vi servirà una cassettina per i bisogni e i sassolini per riempirla. Avrete bisogno anche di una cuccetta, anche se quest'ultima non è fondamentale. Molti gatti la snobbano, preferendo dormire su sedie, letti o divani. In questo reparto troverete tutto quello di cui il micio avrà bisogno. Se avete ancora bisogno, mi trovate alla cassa». Ci rivolge un sorriso sincero prima di dileguarsi.
«Da che cosa cominciamo? Che pappa preferisci bel cucciolino?». Mi rivolgo a Diablo come se mi rivolgessi a un bambino.
Lui, ovviamente, non mi risponde.
«Okay, scegliamo noi». Lo rassicuro con una grattatina sulla testa.
Marco sta controllando minuziosamente ogni scatolina, ogni confezione di croccantini, lo sguardo concentrato, è talmente bello che mi incanto a guardarlo.
«Pollo o salmone?». Mi mostra due lattine di cibo umido.
«Uno e uno? Deciderà lui cosa preferisce, che dici?».
Sorride e annuisce.
«Dico che hai ragione, Flounder».
Prendiamo più gusti di croccantini, mettiamo il tutto in un cestino che Marco è andato a recuperare. Scegliamo una cassettina per i bisogni, sarà in grado di usarla da solo o dovremmo insegnargli noi che deve andare lì? Cavolo, non ci voglio pensare. Spero con tutto il cuore che seguirà l'istinto e sappia già di dover fare i suoi bisogni in quella sabbietta. Marco ne prende un sacco enorme, più conveniente.
Perdiamo un po' più di tempo per scegliere una cuccetta, ce ne sono molte e di ogni genere. Alla fine ne scegliamo una in vimini con un cuscino imbottito, sembra comodissima.
«Dovremmo prendergli anche uno di questi?». Indica un tiragraffi semplice con la base a forma di fiore e un'ape appesa a un filo.
«Non lo so», ammetto stringendomi nelle spalle.
«Io lo prendo lo stesso. È per il nostro cucciolo, mica per un gatto qualsiasi».
Si renderà conto di aver detto il nostro cucciolo? Mi ha fatto una sensazione strana.
Alla cassa apro il portafoglio per contribuire alla spesa, ma lo sguardo assassino di Marco mi fa desistere.
«Non ci provare nemmeno, tu non pagherai un centesimo». Mi minaccia estraendo la sua carta di credito e puntandomela contro.
Meglio non contraddirlo, non vorrei mai che se la prendesse. È un uomo vecchio stampo, non farebbe mai pagare alla sua donna.
Sua donna.
Sto cominciando a parlare come lui, non so se sia un bene o un male.
Ha speso un patrimonio per questa pallina di pelo, chissà che cosa spenderebbe per un regalo importante. Perché mi sto facendo domande così idiote? Può fare quello che vuole con i suoi soldi, sono io che devo stare sempre attenta a quello che compro, non posso sprecare inutilmente quel poco che guadagno.
«Andiamo a casa, amore? Dobbiamo gestire gli spazi per questo diavoletto». Le sue parole mi fanno tornare con i piedi per terra.
«Certo, andiamo». Gli sorrido e mi sento bene.
Osservo Diablo appisolato sul mio braccio ed è un amore, proprio come il suo padrone.

 
***Note dell'autrice***
Ed ecco a voi Diablo! E voi tutte a pensare a chissà quale personaggio avrebbe fatto la sua apparizione! Che cosa ne pensate del pelosetto? E dei suoi nuovi padroni? ;) Lorenzo e Luca hanno comunque fatto la loro apparizione ed è tornato anche Daniele, che è sempre un amore. Ci saranno un po’ di novità nel prossimo capitolo… belle o brutte non lo so ;) crudele!
Grazie mille a tutti quelli che passano a leggere questa mia storia…siete tantissimi e vi adoro tutti, dal primo all’ultimo!
A martedì prossimo :)



Se volete passare a trovarmi
Bijouttina & i suoi vaneggiamenti

 

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Capitolo 14
*** Che la nuova avventura abbia inizio! ***


   



14. Che la nuova avventura abbia inizio!
Serena è la dolcezza fatta persona. È seduta comoda sul mio divano, Diablo dorme tranquillo sul suo grembo. Gli accarezza delicatamente il pelo morbido, i suoi occhi trasmettono amore.
Abbiamo trascorso un'ora a preparare le cose per il micio. Quando abbiamo aperto i croccantini, ci siamo resi conto di non aver comprato le ciotole. Abbiamo usato un piattino da caffè, è talmente piccolo che non mangerà ancora molto.
Ha annusato i croccantini e ci ha guardati come per dire: "Beh, questo è il pane, dov'è la pappa sostanziosa?”. Entrambi ci siamo messi a ridere.
Ho aperto una scatoletta e ho versato un po' del contenuto in un altro piattino, l'ha annusato attentamente, l'ha leccato e quando è stato sicuro che fosse commestibile, l'ha divorato. Era talmente pasciuto che si stava per addormentare con la testa nel piattino.
Mi siedo accanto a lei sul divano e accarezzo la testa di Diablo, fa dei rumorini strani. Alzo lo sguardo e incontro gli occhi meravigliosi di Serena, le sfioro una guancia con il dorso della mano. È la prima volta che perdo totalmente la testa per una donna, farei qualsiasi cosa per lei. Il sorriso che nasce sulle sue labbra mi riempie il cuore di gioia, sta danzando nel mio petto.
La mia bocca si muove prima che il cervello capisca quello che il mio cuore vuole dire a ogni costo.
«Mettiti con me, Flounder. Vorrei che tu fossi ufficialmente la mia donna. Non è un'avventura per me e spero che anche tu la pensa in questo modo».
A Serena si dipinge un'espressione sbalordita in volto, mi rendo conto di aver esagerato, come al mio solito, e me ne pento.
«Scusami, non volevo farti alcuna pressione. Devo imparare a mordermi la lingua prima di parlare».
Mi alzo di scatto e vado a darmi una rinfrescata in bagno. Sono stato un cretino, non avrei dovuto dire quelle cose. Il problema è che sono follemente innamorato di lei e vorrei che lei fosse solo mia, che non andasse alla ricerca di un altro uomo perché ormai stanca di me. Vorrei che non ne avesse mai abbastanza di me, vorrei essere il suo tutto, ma forse sto chiedendo l'impossibile. Non posso pretendere che lei mi ami allo stesso modo, non posso pretendere che mi ami, punto.
Mi prenderei a schiaffi per la mia stupidità. Riempio le mani con l'acqua fredda e mi bagno il viso, ripeto l'azione un paio di volte. Mi asciugo lentamente, sbuffando.
Quando mi volto per tornare di là, mi rendo conto della sua presenza sulla porta. Mi osserva a braccia conserte, una spalla appoggiata allo stipite.
«Chiedimelo meglio Shark».
Mi avvicino a lei e le prendo una mano, le accarezzo il dorso dolcemente.
«Vuoi essere la mia donna, Flounder?».
Lei si libera dalla mia presa e mi butta le braccia al collo, la stringo a me.
«Sempre e soltanto tua, Shark», sussurra un attimo prima di posare le labbra sulle mie. «Voglio solo te».
Non posso credere alle mie orecchie, forse sto sognando.
«Dimmi che è reale, che tu sei reale». La supplico tra un bacio e l'altro.
«Sono reale amore mio», mormora saltandomi in braccio e allacciando le gambe intorno ai miei fianchi.
«Ti amo piccola».
Finiamo a fare l'amore con una passione travolgente e un sentimento che sembra crescere a dismisura attimo dopo attimo.
 
 
Un suono strano nel mio orecchio mi fa sussultare. Apro un occhio e Serena sta dormendo tranquilla accanto a me. Sento ancora quel suono. Qualcosa mi cammina sopra il collo e si piazza sul mio costato.
«Mao».
Diablo mi fissa attentamente, le sue unghie sottili mi stanno trapassando la pelle, non è per niente piacevole. Si avvicina lentamente al mio viso, mi annusa e mi lecca il mento. Che sensazione particolare, la sua lingua ispida mi fa il solletico. Lo sollevo con una mano e lo faccio volteggiare in aria, non sembra molto felice di non avere le zampine ben piantate su qualcosa.
«Che stai facendo?», chiede la mia donna con la voce impastata dal sonno.
«Questo cosino mi ha svegliato miagolandomi dritto dentro l'orecchio. Mi chiedo come sia riuscito a salire sul letto. È microscopico».
Lo passo a Serena, che aveva già una mano protesa verso di lui per la sua razione di coccole.
«Ciao piccolino, vuoi la pappa?».
Gli parla con una dolcezza infinita, sarebbe una madre meravigliosa. Da dove è saltato fuori questo pensiero assurdo?
«Mao», risponde il pelosetto, entusiasta.
«Ha già capito tutto dalla vita», esclamo divertito.
«Vado a preparare la colazione a entrambi i miei uomini, aspettatemi qui».
Mi ripassa il micio e mi bacia abbondantemente sulle labbra, prima di sparire in cucina. Mi sento così bene che lo griderei ai quattro venti. Passo un dito sul musetto di Diablo, lui cerca di mordermelo.
«Hai voglia di giocare piccolino?».
In risposta, lui si lascia andare a pancia in su sul cuscino di Serena, le zampine a mezz'aria provano a prendere il mio indice.
«Sei un gattino tenerissimo». Gli faccio notare mentre lecca allegramente il mio dito.
Non ho mai avuto un animale domestico da quando vivo solo. Nella tenuta della mia famiglia ci sono sempre stati cani, alcuni gatti provavano a passare di tanto in tanto, ma sparivano in brevissimo tempo. Non so se sarò in grado di gestire questa pallina di pelo che mi fissa con quegli occhietti vispi, ma certamente ce la metterò tutta. L'ho promesso a mio nipote, non posso deluderlo. E poi mi sono già affezionato a questo cosino.
«Tu ed io diventeremo ottimi amici», sussurro grattandogli sotto il mento.
«Hai davvero un cuore tenero, Shark».
Serena è ferma sulla porta e mi osserva con un sorriso meraviglioso dipinto sul suo viso.
«Che non si venga a sapere in giro, però. Devo mantenere la mia reputazione da duro, da uomo vissuto. Se sapessero che parlo con un gattino minuscolo, la mia vita diventerebbe un inferno».
«Non ti sembra di esagerare un po'?». Inarca un sopracciglio e si siede sul letto, un vassoio con la colazione tra le mani.
Mi stringo nelle spalle.
«Noi uomini duri...».
Mi ritrovo con un biscotto al cioccolato in bocca.
«Sta' zitto, uomo duro». Mi prende in giro scoppiando a ridere.
Mi metto a sedere e mastico lentamente quel dolcetto, continuando a perdermi negli occhi verdi di Serena.
«Quanto zucchero vuoi nel caffè?», domanda con il cucchiaino a mezz'aria.
«Niente zucchero», rispondo avvicinandomi lentamente a lei. «Ho già te che sei la cosa più zuccherosa che io abbia mai avuto».
«Nessuno mi aveva mai detto di essere zuccherosa prima d'ora», mormora posandomi un lieve bacio sulle labbra. «Mi era stato detto di essere acida, scorbutica, rompipalle, ma mai zuccherosa».
«Lo sei, perciò dovrai farci l'abitudine.», le dico ostentando sicurezza.
«Ci proverò. Nel frattempo la tua fonte personale di zucchero ha bisogno di una razione abbondante di coccole». Si morde il labbro e si sbottona la mia camicia che aveva indossato per andare in cucina, scoprendo l'ottava meraviglia del mondo.
«Oh sì, coccole in arrivo».
Gattono e mi sdraio su di lei.
«Adoro le coccole del mattino», mormoro stuzzicandole le labbra con i denti. «Anche quelle della sera, della notte...».
Mi infila la lingua in bocca, zittendomi.
«Abbiamo capito, Shark. Ora, però, datti da fare».
«Sei sexy quando impartisci ordini».
Allarga le gambe e io mi intrufolo tra le sue cosce con sommo piacere
Il suono fastidioso del campanello rovina il nostro momento d'intimità.
«Chi cazzo è che rompe le palle a quest'ora?», sbotto piuttosto infastidito.
«Se non vai ad aprire, non lo scoprirai mai». Mi fa notare.
Il campanello suona nuovamente. Ora sono davvero incazzato.
«Chiunque sia, è un uomo morto», ringhio.
«O una donna morta», aggiunge lei. «Se fosse una tua spasimante, la ucciderò io, stai tranquillo».
«La mia gelosona». La bacio avidamente prima di staccarmi da lei.
Indosso un paio di pantaloni della tuta, le sorrido e mi incammino verso la porta. Quando la apro, mi trovo Lorenzo davanti.
«Dove cazzo eri? È mezzora che sono qui fuori», tuona entrando senza tanti complimenti.
«Potresti anche salutare prima, comunque non sono cose che ti riguardano», commento infastidito.
«Oh, ti stavi trastullando pensando alla tua gnocca? Lei non te la dà e allora ti devi arrangiare da solo?», azzarda con un sorrisetto furbo sulle labbra.
Sto per ribattere, ma Serena mi batte sul tempo.
«No, veramente si stava trastullando con me, ma tu ci hai interrotti sul più bello».
Indossa soltanto la mia camicia sopra al suo completino intimo rosa confetto, le lunghe gambe completamente scoperte, scalza. Ora lo caccio e la riporto a letto, sono pronto a riprendere da dove siamo stati costretti a fermarci.
Lorenzo la fissa con gli occhi sgranati, le mani nelle tasche.
«Quindi voi due...», comincia impacciato.
«Noi due stiamo insieme», commenta Serena senza alcuna esitazione.
Diablo arriva velocemente dalla camera, incespica sulle proprie zampine corte e batte il musetto sul pavimento.
«Piccolino, ti sei fatto male?». Lo raccoglie e lo poggia al petto, accarezzandolo dolcemente.
«Come vorrei essere quel gatto in questo momento». Sospira il mio amico mangiando Serena con gli occhi.
Questo è troppo. Gli mollo uno scappellotto, con moltissima soddisfazione.
«Quel commento era inappropriato», sibilo tra i denti.
«Le cose belle vanno ammirate e, perché no, anche condivise con il tuo migliore amico».
«Stai pur certo che non condividerò mai Serena con te, lei è mia, ricordatelo». Sto marcando il mio territorio.
Lorenzo si degna di guardare me, invece che la mia donna e inarca un sopracciglio.
«Credi davvero che ti farei mai una cosa del genere? Volevo solo essere certo di quello che provi per lei», dice incrociando le braccia al petto. «Ma poi, da quando in qua tu hai un gatto?».
Serena ci raggiunge e porge la pallina di pelo al mio amico.
«Lui è Diablo». Lo presenta. «Attento che è un feroce predatore».
Lorenzo lo prende con entrambe le mani e se lo porta all'altezza del viso.
«Questo esserino sarebbe feroce?», chiede alquanto dubbioso.
Per fugare ogni eventuale dubbio, il predatore gli lecca il naso.
«Ferocissimo», confermo io.
«Scommetto che sei stato tu a scegliere questo nome inappropriato». Mi guarda con un'espressione divertita sul volto.
«È perfetto, invece. Guardalo, è un diavoletto». Lo prendo in giro io.
«Sì, certo, come no», bofonchia lui scuotendo la testa.
«Posso farti una domanda?». Serena si rivolge a lui grattandosi il mento.
«Ci mancherebbe, la donna del mio migliore amico può tutto».
Lo sguardo del mio amore non promette niente di buono, credo di sapere che cosa voglia chiedergli, mi siedo sul bracciolo del divano e mi godo lo spettacolo.
«Sei andato a letto con tutte e due le mie amiche?», gli domanda a braccia conserte.
Lui rimane spiazzato, mi guarda, ma io scuoto la testa: non ho aperto bocca con lei, non è stupida.
«Beh, sono entrambe libere, che c'è di male?».
Non l'ho mai visto così in difficoltà come in questo momento.
«Niente, ma se per caso tu spezzassi il cuore anche a solo una di loro, io spezzo te». Lo minaccia puntandogli l'indice contro. «Sono stata chiara?».
«Chiarissima», farfuglia il mio amico.
«Bene, bravo». Gli dà un buffetto sulla guancia prima di dirigersi verso la camera. «Amore, ti aspetto di là», dice, poi, rivolta a me.
«Arrivo subito». Le strizzo l'occhio.
Mi alzo e raggiungo Lorenzo, gli do una pacca sulla spalla.
«Hai trovato pane per i tuoi denti, amico mio».
«È una tosta, lo ammetto», commenta riconsegnandomi Diablo che si era addormentato fra le sue braccia. «È perfetta per te».
«Lo so», esclamo con un sorriso.
Lo accompagno alla porta e lo caccio educatamente, Serena ed io abbiamo un discorso in sospeso.
 
 
***
 
 
Ho messo in riga Lorenzo, se farà anche solo una minima cazzata con le mie amiche, non vedrà la luce del giorno. Non mi piace proprio per niente l'idea che possa prenderle in giro. Lo so che sono tutti adulti e vaccinati, ma restano comunque le mie migliori amiche, non voglio vederle in lacrime per colpa di qualche stronzo che vuole solo inzuppare il biscotto.
Marco mi osserva dalla porta, entrambe le braccia sullo stipite, i suoi muscoli in risalto, che visione magnifica.
«L'hai spaventato». M'informa con un sorriso divertito stampato sulle labbra.
«Era proprio quella la mia intenzione», gli dico con una scrollata di spalle.
«Volevo solo mettere le cose in chiaro: io non ho mai approvato il suo comportamento».
«Non lo metto in dubbio, anche perché non avresti più il diritto di entrare qui e sollazzarti.». Indico le mie parti intime con un dito. «Ha altro da riferirmi in sua difesa, Mr Shark?».
«Un'ultima cosa signor giudice: è tremendamente sexy quando fa la dura».
Lancia a terra i pantaloni della tuta e mi raggiunge a letto.
«Dove eravamo rimasti, Flounder?», chiede sdraiandosi sopra di me.
«Mmmm, se non ricordo male tu...». Entra dentro di me senza alcun preavviso, un gemito mi sfugge dalle labbra schiuse. «Sì, proprio questo».
«Ora ricordo», mormora appropriandosi della mia bocca.
Sussulto di piacere a ogni spinta. Le sue dita e le sue labbra non mi danno tregua, sfiorano sapientemente il mio corpo, facendomi perdere completamente la testa. La mia pelle brucia al contatto con i suoi polpastrelli. Un calore improvviso mi pervade, facendomi provare un piacere tale, da non riuscire a descrivere a parole.
Farei l'amore con lui tutto il giorno, tutti i giorni, non sono mai stata così appagata come in questo momento.
 
 
Separarmi da lui per andare al lavoro è una tortura. Ho coccolato a lungo Diablo prima di andare, l'ho adagiato nella sua cuccia, con il pancino all'aria e le zampine a cercare il mio dito. Quel gattino è un amore.
Marco mi ha accompagnato come al solito, ci sto prendendo gusto a farmi scarrozzare in giro, non devo nemmeno più preoccuparmi di andare contro ad altre macchine. Mi lascia con un lunghissimo bacio e con un ti amo sussurrato a fior di labbra.
Mi sembra di camminare a due metri da terra, non so, mi sento strana ma meravigliosamente bene. Raggiungo lo spogliatoio con la testa fra le nuvole e per poco non vado a sbattere contro una cesta colma di palloni di ogni genere che si trova accanto alla porta. Luca non è ancora arrivato, comincia fra un'ora: ho un po' di tempo per pensare a tutte le domande da porgli, il terzo grado è assicurato.
Esco senza vedere niente, il mio pensiero è fisso su Marco, sono distratta e non è da me.
Questa distrazione, però, può costarmi cara: mi schianto contro qualcuno nel voltare l'angolo. Dal torace possente e l'assenza di seno ad attutire il colpo, posso affermare con certezza che è un uomo.
«Mi scusi», farfuglio imbarazzata, cercando di allontanarmi dalla fonte del mio immenso imbarazzo.
L'uomo afferra la mia mano e mi blocca.
«Non pensavo fossi così ansiosa di saltarmi addosso», esclama il tizio con una certa malizia.
Decido di guardare in volto il proprietario di quella voce e una smorfia si forma sulle mie labbra.
«Che cosa ci fai qui, Massimo?», chiedo stizzita.
«Mi serviva un paio di scarpe da running», risponde tenendo stretta la mia mano nella sua e accarezzandone il dorso. La sfilo di scatto come se fossi appena stata punta da qualcosa di velenoso.
«Che cosa vuoi veramente?». Incrocio le braccia al petto e lo guardo in cagnesco.
Lui si appoggia con un braccio allo scaffale e mi rivolge un sorriso che dovrebbe sembrare ammaliante, ma che su di me ha l'effetto opposto.
«Pensavo l'avessi capito Serena. Io voglio te».
Giuro che ora lo prendo a calci dove non batte il sole, gli farò talmente tanto male che non ci sarà più alcuna possibilità per lui di mantenere vivo il nome di famiglia attraverso generazioni future.
«Ascoltami bene, stronzo. Tu non mi piaci e non cambierò mai opinione su di te. Ho già un fidanzato, sono innamorata e sono felice, togliti dalle palle», sibilo a denti stretti.
«E chi sarebbe? Quel bamboccio che ti sei trascinata a pranzo dai tuoi? Quello lì non ti merita e poi si vedeva chiaramente che non stavate insieme. Io posso darti tutto quello che vuoi». Ammicca credendosi un grand'uomo.
«Ho già tutto quello che voglio e, sinceramente, da te non vorrei proprio niente».
«Per quale motivo sei così astiosa nei miei confronti?». Inarca un sopracciglio.
«Sei borioso, sei viscido, sei disgustoso, non vorrei avere niente a che fare con te nemmeno se fossi l'unico uomo sulla faccia della terra».
Forse sono stata un po' troppo scortese, ma è riuscito a far emergere il mio lato peggiore.
«Dio, quanto sei sexy quando mi insulti. Ti sbatterei qui contro lo scaffale e ti farei gridare il mio nome in uno stato di pura estasi», commenta avvicinandosi a me.
Indietreggio di qualche passo.
«Io ti sbatterei a terra, con un battipanni!», ringhio alterata.
«Sbattimi dove vuoi, piccola».
Non ne posso più, lo schiaffeggio in pieno viso.
«Esci da qui e non farti più vedere».
Si massaggia la parte colpita e un ghigno si forma sulle sue labbra, è spaventoso.
«Se non ti avrò con le buone, ti avrò con le cattive. In qualche modo ti avrò».
Si allontana a grandi falcate e io crollo sullo sgabello, mi nascondo il viso tra le mani e sbuffo. Mi rendo conto solo ora che sto tremando. Non so per quanto tempo sono rimasta in quella posizione, ritorno alla realtà quando incontro gli occhi preoccupati di Luca, le sue mani si posano sulle mie spalle.
«Che cosa è successo tesoro mio?».
Si inginocchia davanti a me e mi solleva il mento con due dita.
«Un brutto incontro», farfuglio con un filo di voce.
«Sei sconvolta, chi ti ha ridotto in questo modo?», domanda con una punta di isterismo nella voce.
«Massimo», rispondo digrignando i denti.
«Il pediatra megalomane che ti ha presentato tua madre?».
«Sì, quel pezzo di merda! Lo ammazzo se me lo trovo ancora davanti, sarà la sua fine».
La rabbia sta tornando a livelli pericolosi.
«Lo investirò con una schiacciasassi, ingranerò anche la retro e ci passerò sopra finché non resterà niente di lui, te lo posso garantire!».
«Wow, tesoro! Devo dire che in questo momento metti paura. Fra un po' sputerai anche fuoco dalla bocca?».
«Un lanciafiamme! Potrebbe essere comodo per bruciargli quella macchina merdosa, sai dove posso procurarmene uno?». Lo fisso in attesa di una risposta sensata, ma lui mi guarda con la bocca spalancata e l'aria di uno che crede di aver appena visto un alieno.
«Fai sul serio?», domanda allibito.
«Perché non dovrei? Una donna ha il diritto di difendersi come meglio crede», rispondo sicura di me.
«E un lanciafiamme sarebbe l'arma perfetta?».
Luca è sempre più sconvolto.
«Mi accontento anche di una spranga. Dovrei riuscire comunque nel mio intento», dico sognante. «Mi immagino già la scena. Tamburello la spranga di ferro sul palmo della mano, mentre scruto attentamente il mio nemico. Massimo si piazza davanti alla sua macchina rosso fuoco, cercando di evitare l'impatto. Io, però, lo scarto con una finta degna di un giocatore di football e comincio a colpire il parabrezza, più e più volte, finché non va in mille pezzi. Infierisco poi sugli specchietti, li voglio vedere penzolare».
«Tesoro, smettila, ti prego. Se qualcuno ti sentisse, ti farebbe internare senza pensarci su due volte. Sembri un serial killer e sai che io odio la violenza». Mi avvolge in un abbraccio e mi accarezza la schiena.
«Lo so che cosa serve a te», mormora posandomi un bacio sulla fronte.
Lo guardo in stato confusionale.
«Una dose massiccia di sesso con quel gran pezzo di manzo di Marco». Mi sorride raggiante.
È riuscito nel suo intento, scoppio a ridere.
«Ero certo che c'era ancora la mia Serena dentro questo corpo posseduto». Mi bacia le labbra. «Lo so che si merita tutto quello che hai citato, ma credo che Marco sarebbe più che felice di fare anche di peggio. Appena scoprirà di questa sua visita indesiderata, darà di matto e a quel punto nessuno sarà in grado di fermare la sua ira!».
Luca ha ragione, ma vorrei togliermi uno sfizio anch'io, magari una bella rigata sulla fiancata con un cacciavite. Al solo pensiero, mi si forma un sorriso malefico sulle labbra.
È il momento perfetto per il mio terzo grado, non mi può sfuggire, sono dell'umore adatto. Mi servirebbe una bella lampada da puntargli dritta in faccia, fa molto interrogatorio da film americano. Non si può avere tutto dalla vita.
«Allora, tesorino mio bello...», comincio, fregandomi le mani.
«No, non ci provare nemmeno. Non mi piace quel tuo tono di voce, lo conosco e so che lo usi soltanto quando vuoi estorcermi delle informazioni. Mi dispiace, ma non cederò, non questa volta!». Mi fulmina con lo sguardo, le braccia conserte.
«Tesoro mio, amorino di Serena...», continuo a stuzzicarlo con lo stesso tono.
«No, no e ancora no!», tuona infastidito. «Non so che cosa tu abbia in mente, ma io non parlerò. Le mie labbra sono sigillate».
Mi alzo dallo sgabello e gli allaccio le braccia intorno al collo.
«È inutile che fai così», borbotta.
Affondo il naso nell'incavo del suo collo, lui sospira rassegnato.
«Sai che non resisto quando sei in modalità coccolosa». Mi stringe a sé e appoggia il mento sulla mia testa. «Che cosa vuoi sapere?».
«Vorrei sapere il motivo di questo tuo addolcimento. Che cosa è cambiato dall'ultima volta che ci siamo visti?».
«Davvero mi sono addolcito?», chiede sorpreso.
Annuisco.
«Non pensavo, ma se lo dici tu, vuol dire che è vero», commenta accarezzandomi lo zigomo con dolcezza.
«È successo qualcosa di bellissimo domenica sera, dopo la pizza in compagnia. Hai presente il biondino della scommessa?».
«Sì, me lo ricordo. Era proprio un bell'uomo», azzardo stringendomi di più a lui.
«Stupendo dentro e fuori. Abbiamo bevuto qualcosa insieme e poi siamo rimasti nel parcheggio a parlare fino a notte fonda, nessuno dei due voleva andarsene».
Riprende fiato e poi continua il suo racconto.
«A un tratto mi sono fatto coraggio e l'ho baciato sulle labbra. Avevo paura mi rifiutasse e, invece, mi ha preso il viso con entrambe le mani e ha approfondito quel bacio, lasciandomi completamente senza fiato. Sai, Sere, credo di sapere che cosa vuol dire avere le farfalle nello stomaco, non mi era mai capitato prima d'ora».
«Quindi, in fondo al tuo cuore, sei un gran romantico», affermo con decisione.
«Non credevo di esserlo, ma non mi dispiace per niente», aggiunge baciandomi la fronte.
«Avete già...». Provo a chiedere ma le parole mi muoiono in gola.
«Non ancora. Stasera usciremo insieme, il nostro primo appuntamento! Tu non hai idea di quanto sia nervoso!».
«Posso capirlo». Gli sorrido.
«Tu, invece? Non mi hai ancora detto niente! Parla!». Mi minaccia impugnando una racchetta da tennis e puntandomela contro.
«Oh sì, l'abbiamo fatto, l'abbiamo fatto alla grande». Mi tornano le vampate al solo pensiero.
«Porca che non sei altro, ora devi raccontarmi tutti i dettagli succulenti! Spara!». Mi sprona scrollandomi per le spalle.
«Ora sì che ti riconosco!». Lo prendo in giro.

 
***Note dell'autrice***
Eccoci qui con questo nuovo capitolo :) Marco ha chiesto a Serena di essere la sua donna… come rifiutare questa gentile proposta? ;) E che dire di Lorenzo che arriva nei momenti meno opportuni? Sempre il solito hahah! L’incontro con Massimo, invece, non è stato per niente piacevole. Io avrei paura a stare vicino a Serena quando è arrabbiata. Nel prossimo capitolo vedremo come la prenderà Marco… non prevedo niente di buono! LOL! Luca si sta per caso innamorando di Alex? Di sicuro è molto preso dalla sua nuova “conquista”. Ecco perché era parecchio strano ultimamente :)
Alla prossima settimana… ci sarà un nuovo incontro “indesiderato” che metterà in agitazione la nostra coppietta felice ;)
Grazie mille a tutti quelli che seguono questa storia. Siete in tantissimi e vi ringrazio dal profondo del mio cuoricino, uno a uno! Grazie di tutto! Un grazie particolare alle sante donne che mi lasciano sempre un commento *le stritola in un abbraccio di gruppo* Vi adoro♥

Ho cominciato una nuova storia... è un giallo romantico... se vi va di passare, la trovate qui:

Io ti credo


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Capitolo 15
*** Lui è un uomo morto! ***


 



15. Lui è un uomo morto!
Ho già terminato il mio giro di clienti oggi, d'estate è molto più rapido: più caldo, meno lavoro, meno ordini. Alle cinque in punto sono all'outlet a prendere Serena, la aspetto appoggiato alla portiera. Esce cinque minuti dopo, sembra pensierosa, turbata da qualcosa. Mi nota soltanto quando è a due passi da me.
«Ciao». Saluta cercando di sorridermi, ma non riuscendoci davvero.
«Che cosa è successo?», chiedo posandole una mano sul viso e alzandolo in modo tale da poterla guardare negli occhi. «Non rispondermi niente perché sai già che non ti crederò. Non mi sono mai piaciute queste tecniche. Devi andare sempre dritta al nocciolo della questione con me, non girarci intorno».
Lei mi prende in parola e sputa il rospo.
«Massimo è stato qua».
Okay, forse erano meglio i giri di parole, sento la rabbia crescere prepotentemente dentro il mio petto.
«Che cosa voleva quel bastardo?», ringhio alquanto infastidito da questa notizia.
«Indovina!». Sbuffa spazientita. «L'ho anche schiaffeggiato. Giuro che lo odio con tutta me stessa quel viscido porco, infame...».
La zittisco con un bacio, stringendola forte fra le mie braccia. Lentamente si rilassa, si avvinghia a me e mi regala un bacio che farebbe perdere la testa a qualsiasi uomo.
«Grazie», sussurra a fior di labbra quando ci separiamo per riprendere fiato.
«Ti prometto una cosa Flounder. Se lui si dovesse avvicinare ancora a te, è un uomo morto». Le accarezzo lo zigomo con il pollice, tenendole il viso con entrambe le mani. «Ora farò un discorso da uomo delle caverne, ti avverto. Tu sei mia e farò tutto il possibile per tenerti stretta a me. Non ho alcuna intenzione di perderti e farò qualsiasi cosa perché tu non ti possa un giorno stancare di me. Sono stato chiaro?».
«Discorso esemplare Shark. Potrò usarlo contro di te quando troverai carne fresca con cui sostituirmi». Mi prende in giro lei.
«Dopo questa affermazione poco carina nei miei confronti, dovrò fartela pagare quando arriveremo a casa». Le metto una mano sul sedere e spingo il suo bacino contro il mio.
«Non vedo l'ora». Mi morde il labbro inferiore delicatamente prima di concentrarsi sulla mia lingua.
Una volta nel mio appartamento, tutte le attenzioni di Serena sono state catalizzate da quel diavoletto di un gattino. Tutte moine e carezze, mi sento escluso, ho bisogno anch'io di attenzioni.
Mi siedo sul divano sbuffando e accendo la televisione, continuo a saltare da un canale all'altro finché non trovo qualcosa di decente dove fermarmi. Controllo Serena con la coda dell'occhio: sta strapazzando di coccole quel ruffiano minuscolo. Incrocio le braccia al petto e fisso il televisore, senza davvero vedere le immagini che mi scorrono davanti.
«Che cosa guardi?», chiede la mia donna, degnandosi di raggiungermi.
«Niente di che, non fanno niente», grugnisco.
«Normalmente che film ti piacciono?».
Dove vuole andare a parare?
«Azione, sangue, morti. Tanti morti», rispondo continuando a fissare l'apparecchio.
«Non ti piacciono i film... come dire...». Lascia la frase in sospeso e questo attira la mia attenzione.
La guardo attentamente, lo scintillio nei suoi occhi promette bene, ha qualcosa in mente.
Alza appena il vestito e si sfila le mutandine, me le lancia in faccia.
«Ma se a te piace solo quel genere di film...». Mi volta le spalle con fare teatrale.
«Adoro anche quelli piccanti», le dico con voce arrochita. Lo ammetto, il suo giochino mi sta eccitando da morire.
«Oh, che bello», commenta abbassandosi una spallina del vestito e scoprendo la spalla, mi dà ancora la schiena.
Lentamente si gira e mi mostra anche l'altra spalla. Mi metto più comodo sul divano e sistemo il mio cobra, è già pronto all'attacco, aspetta solo il via libera.
Fa scivolare il vestitino sul suo corpo perfetto, finché non raggiunge il pavimento, lo allontana con un piede. Non credo di poter resistere ancora a lungo senza poterla toccare e baciare.
Mi volta nuovamente le spalle, mettendo in bella mostra quel suo sedere meraviglioso. Slaccia il reggiseno e lo fa cadere a terra. Torna a guardarmi e si avvicina con una lentezza snervante. Armeggio con la cerniera dei miei pantaloni, sto scoppiando lì dentro. Lei muove l'indice più volte, non vuole che io lo faccia.
Non posso far altro che assecondare le sue fantasie, intreccio le mani dietro la nuca e allargo le gambe: la mia erezione sta spingendo prepotentemente attraverso i pantaloni.
Si siede cavalcioni su di me e, mordendomi il lobo dell'orecchio, sussurra: «Bravo Shark, questo è il tuo film a luci rosse privato».
Scende a baciarmi la linea della mandibola, raggiunge le mie labbra, le sfiora appena con la punta della lingua. Cerco di baciarla, ma lei mi blocca.
«Fermo, comando io oggi». Mi sgrida.
«Ci proverò, non è facile non poterti toccare». Le faccio notare chiudendo gli occhi.
«Arriverà anche quel momento», mormora un attimo prima di concedermi un bacio rovente.
Le sue labbra scendono lungo il mio collo, le dita sbottonano la camicia, fino a scoprire il mio torace. Mi lascia una scia di baci infuocati, l'eccitazione è alle stelle.
Scende dalle mie gambe, il suo seno è a due centimetri dal mio viso, come faccio a resistere? Semplicemente non posso. Lambisco un capezzolo e lo torturo, con la lingua e con i denti. Serena geme sommessamente.
«Non vale», mugugna.
«Tu allora non mettermi le tette in faccia».
Per vendicarmi ulteriormente, riservo lo stesso trattamento anche all'altro capezzolo. Le sue dita liberano finalmente il mio membro da quella stoffa opprimente, e il suo tocco delicato mi fa perdere la ragione. Perdo anche quel briciolo di razionalità che mi era rimasta, quando lo avvolge con le sue labbra. Lo lecca, lo bacia, si muove sapientemente, regalandomi un piacere unico. Si stacca per riprendere fiato, e io prendo subito in mano la situazione.
«Fanculo i film erotici», sbotto scalciando via scarpe, pantaloni e boxer.
La sollevo di peso e la faccio sedere su di me, entro in lei senza darle il tempo di rendersene conto.
«Hai mandato a monte i miei piani», brontola debolmente.
«Tu hai mandato in subbuglio i miei ormoni, è colpa tua. Ora stai zitta e amami».
«Oh sì, ti amo, Shark».
I nostri sguardi rimangono incatenati, attratti da una forza invisibile.
«Non credo di aver capito bene», balbetto stordito.
«Ti amo, Marco», ripete quelle parole con naturalezza e una dolcezza infinita.
«Dio, quanto ti amo!». Mi fiondo sulle sue labbra e mi sfamo di lei.
Mi muovo rapido dentro di lei, non riesco a trattenermi, la voglio con tutto me stesso. Serena raggiunge l'apice del piacere in breve tempo, io un attimo dopo: entrambi eravamo troppo smaniosi di provare quell'emozione così travolgente da toglierti il respiro.
La stringo forte a me e m'inebrio del suo profumo. Non avevo mai perso la testa per una donna in questo modo prima d'ora. Forse stavo solo aspettando quella giusta ed è stretta fra le mie braccia.
«Ti sembrerei troppo romantico se ti dicessi che tu sei la donna della mia vita?».
Lei ha il naso premuto contro il mio collo, la guancia sulla spalla. Prendo la sua mano e intreccio le mie dita alle sue, le bacio il dorso con dolcezza e continuo ad accarezzarla con le labbra.
«Forse un po', ma credo di potermene fare una ragione». Mi rassicura.
Un sorriso le si dipinge sulle labbra, lascio andare la sua mano e passo un pollice su quella bocca semplicemente perfetta.
Il campanello fa sobbalzare entrambi, perfino Diablo è rotolato giù dalla sua cuccetta per lo spavento ed è andato a nascondersi sotto il divano.
«Aspettami qui, vado a vedere chi è».
La aiuto a mettersi comoda sul divano e raggiungo la cornetta del citofono.
«Sì?».
«Tesoruccio, sono la mamma». Sento dire dall'altra parte della linea.
Cazzo! Lancio uno sguardo terrorizzato a Serena, la quale mi osserva preoccupata.
«Ciao mamma, che cosa ci fai qui?».
La mia donna si copre la bocca con una mano e scoppia a ridere. Le lancio un'occhiataccia, non c'è assolutamente niente da ridere.
«Ti ho cucinato qualcosina per cena. Fammi salire per favore». La sua voce squillante mi fa accapponare la pelle. Panico.
«Sono appena uscito dalla doccia, dammi due minuti». Mento spudoratamente.
«Va bene, aprimi il cancellino intanto». Ordina poco velatamente.
Premo il bottone con rassegnazione, riaggancio e corro a recuperare i vestiti sparsi sul pavimento.
«Nasconditi in camera! No, in bagno! No, oh cazzo!». Mi porto una mano alla fronte e mi muovo in stato confusionale.
«Amore, stai calmo».
«Se mi chiami amore ora, mi agito ancora di più», farfuglio nel panico.
«Vestiti!», comanda con enfasi. «Io vado a nascondermi sotto il letto, o nell'armadio. Non ho ancora deciso».
«Sfotti pure». Faccio una smorfia.
Mi bacia sulle labbra e mormora: «È solo tua madre, sopravvivrai».
Solo mia madre! Avrei più possibilità di scamparla se avessi davanti un feroce serial killer. La guardo allontanarsi con i suoi vestiti in mano, io indosso i miei al volo.
Sono sudato come se avessi appena finito la maratona di New York, altro che doccia!
Il campanello alla porta mi fa fare un balzo sul posto, vado ad aprire controvoglia e totalmente nel panico.
«Amore mio».
Quelle due parole dette da lei hanno lo stesso effetto di un pugno nello stomaco.
Mi annusa il collo, un'espressione schifata sul suo viso. Svio l'attenzione su altro, prima che possa dar vita ai suoi pensieri.
«Che cosa mi hai preparato di buono?», chiedo fregandomi le mani.
«Del roastbeef con i pomodorini dell'orto. Ti fa bene mangiare un po' di verdura».
«Io la mangio sempre, mamma». Le faccio notare.
Si stringe nelle spalle e porta la mia cena nel frigo. Si volta all'improvviso verso di me e mi squadra dalla testa ai piedi. Mi sento un attimino sotto pressione.
Si siede sul divano e continua a fissarmi. Io mi muovo nervosamente sul posto, le mani in tasca.
«Ti ricordi il pranzo di domenica, vero? Daniele non fa altro che tessere le lodi di questa fantomatica fidanzata dello zio Marco». Si sistema meglio sui cuscini e incrocia le braccia al petto. «Io sono come San Tommaso, non ci credo finché non vedo».
«Mamma, ti prego».
«Ti prego cosa? Chi è? Che cosa fa? Sta con te solo per il tuo nome? Sai che certe donne sono venute a letto con te solo per interesse!», borbotta acida.
«Lei è diversa».
Serena non farebbe mai una cosa del genere, lei non è come tutte le altre donne.
«Diversa?». Ride sarcastica. «Ne dubito».
Qualcosa sul divano attira la sua attenzione. Oh cazzo! Estrae le mutandine azzurre di pizzo che Serena mi ha lanciato durante il suo spettacolino privato.
«È qui?», domanda mia madre con aria disgustata.
«Sì, è qui». Non riesco a mentirle, l'avrebbe comunque scoperto.
«Voglio conoscerla, subito», ordina con fare autoritario.
«Mamma, ti prego non...».
Mi zittisce con un gesto secco della mano. Sospiro rassegnato e chiamo Serena ad alta voce.
Lei appare un attimo dopo, in tutto il suo splendore. Sembra appena uscita da una rivista patinata. Ha spazzolato i suoi lunghi capelli e si è messa un filo di trucco, è semplicemente perfetta.
«Mamma, lei è Serena, la mia fidanzata».
Mia madre le sta facendo la radiografia, arriccia le labbra e poi le porge la mano.
«È un piacere conoscerti Serena».
Lei la stringe educatamente.
«Il piacere è mio signora Rossini».
Il sorriso di Serena è talmente caloroso che scioglierebbe un intero ghiacciaio, o il cuore freddo e insensibile di mia madre. Qualcosa simile ad un sorriso appare sulle sue labbra. Devo cominciare a credere nei miracoli.
«Devo ammettere che mio figlio ha davvero buon gusto, sei un fiore cara».
Mia madre ha appena fatto un complimento a entrambi? Sì, i miracoli accadono!
«Da qualcuno deve averlo preso», commenta la mia donna, complimentandosi silenziosamente con la donna che ha davanti.
«Marco, mi raccomando, trattala bene», mi dice felice. «Vi aspetto a pranzo domenica, non tardate».
«Ci saremo. A domenica signora».
«Ciao tesorini miei».
Esce di scena canticchiando, la mia mascella sta toccando terra. Che diavolo è successo a mia madre?
«Che cose le hai fatto?», chiedo sconvolto.
«Magia!», risponde lei con fare teatrale.
 
***
 
Appena Marco ha detto che era arrivata sua madre, sono entrata nel panico. Lui lo era comunque più di me e ho cercato di infondergli un po' di coraggio, facendogli credere che sarebbe andato tutto bene. Quando mi ha chiesto di andare da loro, ho cominciato a sudare freddo. Sua madre mi ha squadrato dalla testa ai piedi, come se fossi un alieno.
Fortunatamente ho avuto la brillante idea di darmi una sistemata, non avrei fatto una gran bella figura altrimenti. Mi sono sentita un tantino a disagio, ma ho fatto finta di essere sicura di me e ha funzionato. È rimasta piacevolmente colpita da me e non posso che esserne felice. Perfino Marco era stupito, non avrebbe mai creduto fosse possibile compiacere sua madre.
«Flounder, tu sei fantastica! Non so come tu ci sia riuscita, ma ti adoro. Stava perfino canticchiando, ti rendi conto?». Mi prende per i fianchi e mi attira a sé.
Allaccio le braccia attorno al suo collo.
«Non canticchia mai?», chiedo ironica.
«Stai scherzando? Mia madre non lo farebbe mai! Tu hai dei poteri sovrannaturali, ammettilo. Che cosa sei veramente?». Mi osserva con un sopracciglio inarcato.
Devo recuperare parecchia forza di volontà per non scoppiare a ridere.
«Sono una creatura del mare, per metà discendo dal polipo». Gli salto in braccio e mi avvinghio a lui, facendolo barcollare. «Per l'altra metà discendo da una sirena, intendo quella cosina blu lampeggiante che emette quel rumore fastidioso».
Marco scoppia in una fragorosa risata.
«Sì, sei decisamente la donna della mia vita», commenta appoggiando la fronte sulla mia. «Amarti è così semplice».
«Perché mi conosci da poco, arriverà il giorno in cui ti stancherai di me e...».
Mi zittisce con un bacio, che diventa rovente in un attimo.
«Non mi stancherò mai di te», sussurra prima di riprendere a baciarmi con più ardore di prima.
«Ma...».
«Smettila di contraddirmi. Flounder stai un po' zitta e baciami, non devi far...».
Stavolta sono io a infilargli la lingua in bocca, questo nostro modo di zittirci mi piace davvero molto, non lo nego.
Un miagolio ai nostri piedi attira la nostra attenzione. Abbasso lo sguardo e Diablo mi guarda con occhi imploranti.
«Hai fame cucciolino?», chiedo scendendo da Marco con un balzo.
«Vorresti dirmi che la mia razione di coccole è finita qua perché quel cosino peloso vuole da mangiare?». Si finge offeso e incrocia le braccia al petto.
«Lui viene prima di tutto», dico prendendolo in braccio e accarezzandogli il musetto. Lui chiude gli occhi e comincia a fare dei rumorini simili alle fusa.
«Allora mentivi quando hai detto di amarmi?».
Mi porto una mano alla bocca, mi dipingo un'espressione sconcertata in viso.
«Oh tesoro, devi aver capito male, io non ho mai detto di amarti».
Le labbra di Marco si stendono in un sorriso.
«Rimangiati subito quello che hai detto». Mi minaccia puntandomi un dito contro.
«Non ci penso nemmeno». Scuoto la testa con decisione.
Cerca di afferrarmi per un fianco ma lo scanso, comincio a correre per la stanza ridendo come una ragazzina. Metto Diablo sulla sua cesta per avere maggiore libertà di movimento e ricomincio la mia corsa, con Marco alle calcagna.
«Se ti prendo vedrai che cosa ti faccio!», tuona divertito.
«Prima devi riuscire a prendermi».
Mi nascondo dietro una sedia, lui scatta nella mia direzione, scappo dalla parte opposta.
«Fermati Flounder!». Mi intima tenendosi un fianco con la mano.
«Sei un atleta, dovresti essere allenato». Lo prendo in giro raggiungendo il divano.
Lui mi fissa con sguardo deciso.
«L'hai voluto tu!».
Salta il divano con un balzo, mi afferra un braccio e mi fa cadere sui cuscini.
«Rimangiati tutto».
I suoi occhi blu riescono sempre a farmi sentire strana, brillano in questo momento.
«No, non lo farò», dico risoluta.
«Vuoi la guerra? Ti accontento subito, Flounder». Un sorriso malizioso si forma sulle sue labbra.
Mi scopre le gambe e osserva attentamente la mia nudità sotto il vestito.
«Qui qualcuno si è dimenticato di indossare le mutandine. Non va bene, non va bene per niente». Scuote la testa.
Che cosa ha in mente adesso?
«Ora me la pagherai», aggiunge prima di scendere con il viso tra le mie cosce.
La sua lingua comincia a stuzzicare la mia intimità, ho un sussulto, non mi aspettavo questa piacevole tortura. Marco ci sa fare e io mi lascio completamente andare alle sue carezze, al piacere. Lui mi guarda con soddisfazione.
«Dovevi per caso dirmi qualcosa?», chiede sdraiandosi su di me.
«Ti amo», mormoro in estasi.
«Così va meglio», commenta baciandomi sulle labbra. «Ora sistemiamoci, ti porto fuori a cena».
«Va bene».
Ho una fame da lupi, una cenetta è proprio quello che ci vuole, soprattutto dopo questa ginnastica improvvisata. Marco mi porta in un locale non molto lontano da casa sua. Conosce il proprietario, tanto per cambiare, scambiano due parole. Io non conosco mai nessuno quando esco con i miei amici, lui sembra conoscere il mondo intero. Invidio questa sua affabilità, io tendo a essere schiva e, se posso, evito il contatto con persone che non ho mai visto prima. Non sono una che attacca bottone facilmente e non faccio mai la prima mossa, al contrario di Marco.
Mangiamo chiacchierando del più e del meno, ridiamo come dei pazzi, mi sento benissimo con lui e mi rendo conto di essermi follemente innamorata di quest'uomo meraviglioso. Non mi era mai successo di sentirmi in questo modo, è una sensazione che non riesco a spiegare, ma che mi fa sentire appagata, felice.
«Che dici, ce ne torniamo a casa, Flounder? Ho voglia di coccole». Mi prende la mano e ne accarezza dolcemente il dorso.
«Tu hai sempre voglia di coccole». Gli faccio notare con un angolo della bocca sollevato all'insù.
«È una cosa grave desiderare attenzioni dalla donna che si ama?».
«Mmm, no. E dove si troverebbe questa donna?». Cerco di rimanere seria.
Lui si porta una mano alla bocca e ride.
«Dobbiamo fare in fretta prima che possa trovarsi un altro uomo». Rincaro la dose.
«In vita mia non ho mai avuto a che fare con una donna come te, mai», esclama scuotendo la testa, un sorriso meraviglioso appare sulle sue labbra.
«Buon per te, se avessi conosciuto altre come me, a quest'ora saresti rinchiuso in un manicomio. No, aspetta, in un istituto per malattie mentali». Faccio una smorfia. «Suona male anche così».
«Adesso ti porto via. Voglio rimanere da solo con te, è un'esigenza».
Si alza con un movimento veloce, fa traballare perfino il tavolo e mi afferra per un braccio, trascinandomi praticamente di peso alla cassa. Paga con la carta di credito e mi spinge fuori. Ridiamo come degli adolescenti. La risata mi muore in gola e mi blocco sul posto, quando davanti a noi appare Massimo. Marco si piazza davanti a me, nascondendomi agli occhi del viscido.
«Buonasera ragazzi, che coincidenza trovarci nello stesso locale», comincia fingendosi piacevolmente sorpreso di averci incontrato. Ovviamente, poi, deve vantarsi pur di qualcosa, non sarebbe da lui altrimenti.
«Sapete, questo posto è di un mio amico, siamo soci», prosegue soddisfatto.
Buono a sapersi, vorrà dire che avranno due clienti in meno. Io non ci metterò più piede qua, neanche fosse l'ultimo locale esistente sulla faccia della terra.
«Buon per te», commenta Marco serrando le mani a pugno. È pronto a sferrare un attacco se fosse necessario.
«Serena, tesoro, vorrei tanto offrirti una cena una sera di queste». Si rivolge a me come se l'uomo incazzato nero davanti a lui non avesse alcuna consistenza, come se non esistesse.
Schiocco la lingua.
«Guarda, sarei tentata di accettare, ma molto tentata, moltissimo davvero. Devo però rifiutare, non verrei a cena con te neanche morta». Gli regalo un sorriso radioso, estremamente finto.
«Sei scortese. Una donna meravigliosa come te non dovrebbe esserlo, dovresti essere grata del mio invito».
Vorrei tanto togliergli quel ghigno dalla faccia a suon di pugni o calci, vanno bene entrambi i metodi.
«Ascoltami bene coglione, non ti rivolgere in questo modo alla mia fidanzata!», ringhia Marco in mia difesa.
«Io non vedo nessun anello al dito, sono ancora in tempo a portartela via», sputa con astio il verme.
«Non ci sarà un anello, ma lei è la mia donna. Vedi di starle alla larga, pezzo di merda che non sei altro. Mi ha raccontato quello che hai fatto oggi e giuro che se dovesse succedere di nuovo, sarai un uomo morto», sibila a denti stretti.
«Mi stai forse minacciando?». Incrocia le braccia al petto e lo fissa con ostilità.
«No, era solo un avvertimento».
Il braccio di Marco si muove veloce nella sua direzione, le sue nocche colpiscono in pieno il naso di Massimo. Ha usato una tale forza che il cretino cade a terra, tenendosi il punto colpito con entrambe le mani per il dolore.
«Mi hai rotto il naso!», sbotta guardandosi i palmi sporchi di sangue.
«Vai a fartelo aggiustare da qualche tuo amico dottore. Sta alla larga da Serena, non te lo ripeterò più».
Fa finta di caricare un nuovo colpo, Massimo indietreggia spaventato. Mi prende per mano e cerca di trascinarmi via, ma devo fare qualcosa prima.
«Nessuna donna sana di mente starebbe con te. Lasciami in pace».
Gli assesto un calcio dove non batte il sole. Che soddisfazione guardarlo contorcersi per il dolore, mi sento davvero in pace con il mondo.
Un uomo si sta avvicinando a noi, sembra piuttosto preoccupato.
«Che cosa sta succedendo qui?», chiede fissando Massimo.
«Mi stava importunando, mi sono solo difesa. I corsi di auto difesa sono piuttosto utili durante le aggressioni». Stordisco l'uomo con le mie parole.
Ci allontaniamo prima che possa riprendersi, lasciandolo lì perplesso.
Noto la macchina di Massimo parcheggiata poco lontana da quella di Marco, mi dirigo verso l'oggetto del mio desiderio, ma mi trascina via.
«So che vorresti farlo, sono tentato anch'io. Non è il caso, credimi. Ha avuto quello che si meritava, per ora».
Mi apre la portiera e mi aiuta a salire, posandomi un lieve bacio sulle labbra.
«Voglio rigargli la macchina». Gli metto il broncio. «Anche solo un'insignificante righettina con l'unghia, staccargli uno specchietto e portarmelo via come souvenir, qualsiasi cosa».
Marco scoppia a ridere.
«Io pensavo di passargli sopra con un carro armato, ce n'è uno parcheggiato al parco, non deve essere difficile rubarlo».
«E se poi non parte?», chiedo interessata.
«Proverò a fare contatto con i cavi finché non si mette in moto. Prima o poi dovrà pur partire, no? Funziona sempre nei film». Mi fa notare.
«In quelli d'azione probabilmente, in quelli horror il serial killer ti avrebbe fatto fuori prima».
«Bene, dopo questa affermazione, non ci proverò più, ho perso ogni ispirazione», borbotta mettendo in moto e dirigendosi verso casa.
Dieci minuti dopo siamo sdraiati sul suo letto, Diablo è desideroso di attenzioni in mezzo a noi. Noto che le nocche della mano di Marco sono tumefatte, le accarezzo lievemente, cercando di non fargli male.
«Vuoi che te le medichi?», domando sfiorandogli il viso con le dita.
«No, sto bene, non mi fa male», risponde con un sorriso.
Diventa serio all'improvviso, accarezza distrattamente il pelo morbido del nostro gattino.
«C'è qualcosa che non va?», azzardo sommessamente.
Cerca il mio sguardo e, dopo un momento di esitazione, dice: «Lo sai che farei qualsiasi cosa per te? Voglio che tu lo sappia e che non lo dimentichi. Ti proteggerò sempre, mi prenderò cura di te».
Chiude gli occhi e deglutisce a vuoto. Li riapre quasi subito e continua a parlare.
«Serena, non avrei mai pensato di innamorarmi di qualcuno in questo modo. Non lo credevo possibile, invece è successo. Innamorarmi di te è stata la cosa più bella mi potesse mai capitare. Troppo sdolcinato, vero?».
Storco il naso e arriccio le labbra.
«Sì, forse un tantino eccessivo».
«Ti amo da morire, piccola».
«Io di più», affermo decisa.
«Impossibile», esclama lui.
«È poss...».
La sua lingua sta già esplorando la mia bocca.
«Devi imparare a stare un po' zitta». Mi sgrida un attimo prima di riprendere a baciarmi con fervore.

 
***Note dell'autrice***
Possiamo stappare lo spumante: Serena ha detto quel tanto atteso Ti Amo a Marco! *ovazione del pubblico* Ci ha messo un po', ma ce l'ha fatta! Che dite dell'improvvisata della madre di Marco? Credevo gli sarebbe venuto un infarto, poveretto! Per non parlare di quel bastardo di Massimo! Ci sono ancora posti nel club "Picchia anche tu Massimo e bruciagli l'auto con il lanciafiamme". Marco & Serena si sono sfogati su di lui e io ho goduto tantissimo a scrivere quella scena, spero sia piaciuta anche a voi! :)
Fra poco ci sarà il pranzo a casa Rossini, ancora un capitolo in mezzo e poi arriverà. So che lo state aspettando con impazienza ;)
Ringrazio infinitamente chiunque passi di qui... siete sempre numerosissimi e io vi adoro dal primo all'ultimo!


Se volete passare a trovarmi
Bijouttina & i suoi vaneggiamenti

 

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Capitolo 16
*** Si può sempre contare sugli amici ***


 



16. Si può sempre contare sugli amici
È la prima sera che passo senza la mia donna da quando stiamo insieme. Mi manca tremendamente, non mi vergogno ad ammetterlo. Ormai è diventata parte di me, della mia vita, del mio quotidiano, che, quando non è con me, è come se mi mancasse qualcosa. Non lo ammetterò mai apertamente, tanto meno con i miei amici che sono seduti attorno al tavolo di casa mia, scrutando attentamente Diablo che si è appisolato sopra le fiches della nostra consueta partita a poker.
«È normale che collassi in quel modo?», domanda Lorenzo arricciando le labbra.
Tocca la pancia del gattino con un dito, sperando di ottenere una qualsiasi reazione. Non si è mosso di un millimetro.
«Sei sicuro che non abbia tirato le cuoia?».
«Sicuro. Guarda». Mi avvicino al musetto e sussurro. «Diablo, pappa?».
Il diretto interessato apre gli occhietti di scatto e si mette in piedi a fatica. Posa il naso sul mio ed emette un fievole miagolio.
«Ha già capito tutto dalla vita!», esclama Paolo ridendo.
«Ora, però, dovrai dagli un contentino visto che l'hai svegliato a tradimento», aggiunge Giorgio accarezzandogli la testa.
«Credo che tu abbia ragione», affermo con un sorriso.
Afferro Diablo con una mano e lo porto in cucina, gli do un pezzettino di prosciutto cotto che Serena ha lasciato amorevolmente per lui nel frigo. Serena. Vorrei tanto essere con lei in questo momento.
«Che sguardo sognante!», dice Lorenzo apparendo al muretto che divide l'angolo cottura dal salotto. «Stavi pensando alla tua bella commessa, eh?».
Cerco di darmi un po' di contegno e metto la maschera dell'uomo duro.
«Stai scherzando? Non penso giorno e notte a lei», sputo fingendo un certo fastidio.
Sulle sue labbra appare un sorriso sghembo.
«Sì, certo, l'importante è che tu ci creda».
Rimetto Diablo nella sua cesta, crolla addormentato in un secondo netto, non so come ci riesca. Mi siedo nuovamente al mio posto, tre paia di occhi sono puntati su di me. Che cosa vogliono ora?
«Ci sei cascato in pieno, non è vero?». Giorgio mi osserva con un sorrisetto furbo.
«Che cosa intendi? Non capisco», rispondo accigliato.
«Tu, uomo da rimorchio, ti sei innamorato di quella Serena. Lo so che avevi già confermato, ma mi sembri diverso. È inutile che fai il finto duro con noi. Riconoscerei quell'espressione anche al buio», continua sicuro di sé.
«Le hai detto le paroline magiche?», chiede Paolo divertito.
«E quali sarebbero? Scusate l'ignoranza, ma stasera siete un po' troppo criptici per i miei gusti», commento storcendo il naso.
Loro tre si guardano e sbottano in coro: «Ti amo!».
«Ah okay, ora ho capito».
Muovo nervosamente le gambe sotto il tavolo, creando l'effetto di un terremoto sulle fiches abbandonate sopra il telo verde che si muovono incontrollate. Non ho mai amato sentirmi sotto esame.
«Vorrei ricordarti che non hai risposto», infierisce Lorenzo posando una mano sulla mia spalla e stringendola tra le dita, provocandomi una lieve fitta di dolore.
Mi porto una mano alla bocca e sospiro.
«Sì», mormoro con un filo di voce.
«Come, scusa? Non ti abbiamo sentito». Fra poco lo picchio se non la smette.
Sbuffo sonoramente e sfido i loro sguardi.
«Sì, ho detto di amarla e anche lei mi ama. Fine del discorso», borbotto incrociando le braccia al petto.
«Fine del discorso un corno!», tuona lui con decisione. «Ora comincia il bello. Ragazzi, diamo inizio al terzo grado!».
Se mi alzo con uno scatto degno di Diablo, potrei raggiungere la porta abbastanza in fretta da svignarmela prima che loro se ne possano rendere conto. Osservo tutte le vie di fuga possibili, ma delle mani si posano salde sulle mie spalle, obbligandomi a rimanere incollato su questa sedia.
«Conosciamo le tue intenzioni, grand'uomo, ma non puoi sfuggirci, non più ormai. Sei fregato». Paolo aumenta la forza della presa, non ho nessuna possibilità di scampo.
Lorenzo e Giorgio si siedono entrambi davanti a me, le dita intrecciate sopra il tavolo, lo sguardo inquisitorio.
«Allora», comincia Giorgio. «State insieme?».
Non ho altra scelta se non rispondere a tutte le domande che mi verranno poste, non ammetterebbero un mio silenzio.
«Stiamo insieme», confermo.
«Com'è a letto? È una porca, non è vero?». Lorenzo non si smentisce mai, la sua finezza non ha limiti.
«Non risponderò a queste domande, non ci provare nemmeno». Lo incenerisco con lo sguardo.
«Non te l'ha ancora data?», chiede Paolo alle mie spalle.
Chi me l'ha fatto fare? Era meglio evitarla questa serata tra amici.
«Certo che me l'ha data!», sbotto rabbioso. «Ma poi perché mai dovrei parlare della mia vita sessuale con voi?».
«Perché siamo i tuoi migliori amici», rispondono in coro come se la cosa fosse ovvia.
«Quindi ora ci dirai com'è a letto, almeno questo ce lo devi», aggiunge Lorenzo sorridendo come un idiota.
«Ve lo devo?». Aggrotto le sopracciglia.
«È scritto nel manuale del bravo migliore amico». S'intromette Giorgio. «Cita testualmente: ogni qualvolta uno dei tuoi migliori amici trova una fidanzata, egli ha il dovere di informare gli altri riguardo le loro performance sotto le lenzuola e/o altri eventuali incontri piccanti».
«Potete essere onesti con me. Avete fumato qualcosa di forte prima di venire qui, non è vero?», brontolo scuotendo la testa rassegnato.
«Non tergiversare sempre e rispondi a quella dannata domanda. Che cosa ti costa?», esclama Lorenzo esasperato. «Io ti dico sempre se ho fatto del buon sesso».
Mi guarda attentamente e spalanca la bocca.
«Non vorrai mica dirmi che è frigida?!».
«Ma sei scemo? Fare l'amore con lei è a dir poco meraviglioso, lo faremmo dovunque e in ogni momento ed è molto fantasiosa. Ha anche improvvisato uno spogliarello piuttosto eccitante l'altro giorno, l'abbiamo fatto un attimo prima che arrivasse mia madre», confesso tutto d'un fiato, senza neanche rendermene conto.
Paolo raggiunge gli altri due, e tutti mi fissano con un sorrisetto strano.
«Che c'è?», tuono infastidito.
«Mi sto immaginando la tua donna che si spoglia in modo sexy e devo ammettere che hai ragione, è piuttosto eccitante».
Comincio a lanciare le fiches contro a Lorenzo, questo commento era a dir poco fuori luogo.
«Io, invece, stavo rimuginando sulla tua affermazione prima che arrivasse mia madre», commenta Giorgio grattandosi distrattamente il mento.
«Già, che cosa intendevi?», infierisce Paolo prendendo una sedia e sedendosi accanto a loro.
Sembrano la giuria di qualche insulso reality che spopola in televisione, manca solo un pulsantone rosso davanti da poter premere al momento giusto. Questa serata entra a pieno diritto nella classifica delle peggiori in assoluto.
Mi copro il viso con entrambe le mani e, dopo un lunghissimo sospiro, appoggio il mento sulla mano chiusa a pugno, il gomito ben piantato sul tavolo.
«Mia madre si è presentata a casa mia quando ci stavamo coccolando dopo averlo fatto». Rendo partecipi i miei amici di questa esperienza traumatica. Avrei fatto volentieri a meno.
«E ha trovato le mutande di Serena abbandonate sul divano. Non vi dico la figura del cazzo che ho fatto».
I tre bastardi si guardano tra di loro e scoppiano a ridere.
«Che cosa ci facevano le mutande lì?», domanda Paolo asciugandosi le lacrime provocate dalle troppe risate.
«Me le aveva lanciate in faccia durante il suo spettacolino erotico».
Non devo pensarci troppo, lei non è qui con me al momento.
«E così tua madre, la signora Rossini in persona, ha conosciuto la donna che ti ha fatto perdere la brocca». Lorenzo incrocia le braccia al petto e mi osserva con un sopracciglio inarcato.
«Mi ha costretto a presentargliela, io non avrei voluto, ma sapete che quando si mette in testa una cosa, è difficile farle cambiare idea». Una smorfia mi esce involontaria.
«Com'è andata?», chiede Giorgio sinceramente interessato.
«Mia madre è andata via canticchiando, non aggiungo altro».
Tutti hanno un'espressione stupita stampata in volto.
«È andata addirittura così bene?». Lorenzo è davvero sbalordito.
«Ero sconvolto, credetemi. Non l'avevo mai vista così soddisfatta. Serena l'ha stregata, in fin dei conti ha stregato anche me. Dovevate vedere con che tranquillità si rivolgeva a lei, nonostante le occhiatacce dubbiose e la malfidenza di mia madre. Non so come ci sia riuscita. Deve avere qualche dote sovrannaturale».
«Non dire cazzate!», sbotta Lorenzo. «Tua madre è al settimo cielo perché finalmente ti vede con una donna! Non hai mai presentato nessuno ai tuoi e, ora che c'è Serena, lei ti vede già accasato con centomila figli urlanti che saltellano in giro per casa. In fin dei conti è quello che tua madre ha sempre voluto, no?».
«Avere centomila nipoti urlanti e saltellanti?».
Lui alza gli occhi al soffitto, esasperato.
«Sai benissimo che cosa intendo! Lei non vede l'ora di vederti con la fede al dito, come le tue sorelle perfette: maritate e figliate».
«Che brutto termine, figliate», mugugno.
«Come sei rompi coglioni stasera Marco!», brontola il mio migliore amico incrociando le braccia al petto. «Puoi rigirare la frittata come vuoi, ma tanto il significato rimane sempre lo stesso. Tua madre vuole vederti sposato, punto».
«Ma io non ho alcuna intenzione di sposarmi». Gli faccio notare.
«Cambierai idea, eccome se cambierai idea». S'intromette Giorgio con aria di uno che la sa lunga. «Quando ho conosciuto Lara non avevo alcuna intenzione di fare il grande passo, era lontano anni luce dai miei pensieri. Poi ho cambiato idea all'improvviso, è stato come un fulmine a ciel sereno».
«Sei rimasto folgorato?». Lo prendo in giro.
«Come sei spiritoso. Non sono rimasto folgorato, o meglio, potrei esserlo stato della sua bellezza», ammette con aria sognante. «Ma questa è un'altra cosa, non distrarmi. Stavo dicendo che ero sicuro di quello che provavo per lei e dopo neanche un mese che stavamo insieme le ho comprato un solitario e le ho chiesto di sposarmi».
«E lei ha risposto di no». Gli ricorda Lorenzo con un sorrisetto furbo.
«Non era pronta», aggiunge Giorgio con un sospiro.
«Intanto tu hai fatto la figura del perfetto idiota», continua lui.
«Quando si è innamorati si fa spesso la figura dell'idiota. Guarda Marco, per esempio: ha la faccia da cretino da quando ha conosciuto Serena, ha fatto una figura del cazzo con sua madre perché era distratto...».
Lorenzo lo interrompe con lo sguardo perso nel vuoto. «Nuova scommessina?».
«Basta con queste tue scommesse!», sbotto sbuffando.
«Hai paura di perderla?», domanda inarcando un sopracciglio.
«Non ho paura, è solo che hai rotto», rispondo acido.
All'improvviso parte un coro sommesso da parte di Paolo e Giorgio.
«Scommessina, scommessina, scommessina...».
«Ho capito, smettetela!», tuono alzando la voce. «Sentiamo, che cosa hai in mente questa volta?».
«Scommetto che ci impiegherai meno di due mesi per capitolare».
«Io dico uno». Si mette in mezzo Giorgio.
«Sei», azzarda Paolo.
Lorenzo lo guarda stupito.
«Sei?», ripete. «Questo qui non resisterà così tanto, ma fai come credi».
«Non succederà prima di qualche anno». Scommetto io.
Mi guardano tutti come se fossi ammattito.
«Sarà una vittoria facile!», Lorenzo si frega le mani soddisfatto. «Chi vincerà, potrà essere il tuo testimone di nozze, che dici?».
«Dico che sei impazzito!», grugnisco. «Ci sto!».
Questa volta non vincerà la scommessa, non ho alcuna intenzione di sposarmi, non a breve.
 
***
 
È la prima serata tra amici da quando sto con Marco, non ci eravamo mai separati nemmeno un sera. In effetti, fa piuttosto strano non essere con lui in questo momento.
Marica e Stella si sono impossessate delle due poltrone, non che avessero altra scelta visto che Luca ed io occupiamo l'intero divano. Loro sono arrivate in ritardo, perciò si beccano i posti peggiori. Bacio il mio migliore amico sulla guancia e gli sorrido, aspettavo con ansia questo momento per fargli la domanda che mi assilla ormai da ore.
«Com'è andato l'appuntamento con il biondino?».
Le sue labbra si stendono in un sorriso radioso e ne deduco che sia andato alla grande.
«Credo di essermi innamorato».
Getta la bomba come se niente fosse.
«Che cosa?!», sbottiamo noi ragazze guardandolo con la bocca spalancata.
«Perché siete così scioccate?», chiede aggrottando la fronte.
«Forse perché è la prima volta che ci confidi una cosa del genere», risponde Marica, avvicinandosi di più a noi.
«Beh, è la prima volta che mi innamoro davvero», ammette stringendosi nelle spalle.
«Su, raccontaci tutto». Prendo la sua mano e la tengo stretta nelle mie.
Luca si sistema i cuscini del divano e comincia a confidarsi con noi.
«Alex è stupendo. È molto dolce, ma allo stesso tempo è un po' pazzo come me. Mi fa ridere tantissimo». Si blocca all'improvviso, un'espressione trasognata si dipinge sul suo volto.
«Oooh, voi due l'avete fatto», sussurro estasiata.
Lui annuisce con decisione.
«Ieri sera ed è stato magico. Non so come spiegarlo, non era pura passione, c'era sentimento e c'era...».
«Amore», concludiamo noi in coro la frase, con aria sognante.
«Sì, ragazze mie, c'era amore. Avete presente quei film zuccherosi che adoriamo guardare?».
Muoviamo la testa su e giù in segno di assenso.
«Beh, è stato molto meglio».
Gli butto le braccia al collo e lo bacio sulla guancia.
«Come sono felice per te, tesoro mio», mormoro al suo orecchio. Lo sono davvero, enormemente, Luca merita solo il meglio perché è un uomo meraviglioso. E non lo dico soltanto perché è il mio migliore amico.
«Ora basta parlare di me. Come vanno le cose con pezzo di manzo?». Mi allontana da sé in modo tale da potermi guardare negli occhi.
«Lo chiamiamo così ora? Avrebbe anche un nome se te ne fossi dimenticato». Incrocio le braccia al petto e mi fingo offesa.
Alza gli occhi al soffitto e sospira.
«Come vanno le cose con Marco?». Mi accontenta, gesticolando come un pazzo.
«Così va già meglio», commento soddisfatta.
«Quindi?». Mi schiaffeggia delicatamente un braccio.
«Va tutto benissimo», dico alla fine.
«Tutto qui?», sbottano le mie due amiche all'unisono.
«Scusatemi tanto, ma che cosa vorreste sapere?», chiedo aggrottando le sopracciglia.
«Ogni minimo dettaglio, ovviamente», risponde Stella sedendosi sul tappeto davanti a noi. Intreccia la gambe e appoggia i gomiti sulle ginocchia, il mento sulle mani chiuse a pugno.
«Com'è a letto, quante volte l'avete fatto, cose di questo tipo insomma», infierisce Marica.
«Se finalmente hai capito di amarlo o no», aggiunge Luca con un sorrisetto malizioso.
«Questa mi sembra un'imboscata. Non sono tenuta a dirvi tutto sulla mia vita di coppia», brontolo incrociando le braccia al petto.
«Vita di coppia», ripete il mio amico inarcando un sopracciglio. «Credo che la qui presente signorina Boissone debba dirci moltissime cose».
Tre paia di occhi mi fissano in trepidante attesa, mettendomi anche un po' di ansia, se devo essere sincera.
«Cominciamo dall'inizio», propone Luca, fissandomi con gli occhi ridotti a due fessure. «Fate coppia fissa? Vi siete messi insieme?».
Annuisco decisa.
«Sì, ci siamo messi insieme», ammetto inumidendomi le labbra, ho la salivazione azzerata come se fossi sotto esame.
«Ti sei innamorata di lui?», domanda Marica, osservando attentamente ogni mia mossa.
Abbasso lo sguardo sulle mie unghie e mi metto a giocare con uno dei bracciali che ho al polso, lo giro e lo rigiro senza un motivo apparente.
«Sere?», richiama la mia attenzione Luca.
Sospiro.
«Sì, mi sono innamorata di lui e gli ho anche detto di amarlo», concedo loro alla fine.
«Oh tesoro mio, è una cosa meravigliosa!», esclama lui, avvolgendo le mie spalle con un braccio e attirandomi a sé.
«Boh, è tutto così strano, io mi sento strana, in qualche modo diversa», dico sommessamente.
«Non sarai mica incinta?!», sbotta Marica portandosi una mano alla bocca.
La guardo allibita, come può aver pensato una cosa del genere?
«No!», grido piccata. «Abbiamo sempre usato precauzioni, non siamo dei ragazzini alla prima esperienza».
Sembra tornare a respirare normalmente, si porta una mano alla fronte.
«Per un momento ho pensato al peggio».
Luca mi guarda di sottecchi, la fronte aggrottata.
«A parte il fatto che ci sono situazioni ben peggiori. Non che io voglia rimanere incinta, ma sarebbe comunque molto meglio di altro». Le faccio notare.
«Per esempio?», s'intromette Stella.
«La morte».
Okay, sono stata un po' drastica, ma forse è la volta buona che la smettono con queste assurdità. Luca mi pizzica un braccio, facendomi emettere un gridolino di dolore.
«Ti sembrano cose da dire?!». Mi sgrida con espressione truce.
Mi stringo nelle spalle e gli mostro la lingua.
«Ora, per punizione, ci dirai com'è farlo con un gnoccolone del genere». Mi pizzica nuovamente il braccio.
«Ahi, ho capito, smettila o ti stacco tutte le dita a morsi».
Lo rifà e questa volta mi lascia pure un segno rosso vicino al gomito.
«Continuo quanto voglio. Dopo la tua sparata, non hai alcun diritto di lamentarti. Ora parla o vado avanti fino a domani mattina».
Sbuffo sonoramente e gli sputacchio in faccia per vendicarmi.
«Sei disgustosa Sere, non so come faccia a sopportarti quel povero Cristo», borbotta passandosi una mano sul viso.
«Forse la sopporta perché lo soddisfa fisicamente». Viene in mio soccorso Stella con il suo innato candore.
«Oppure perché piaccio a sua madre». Questo commento mi esce senza neanche rendermene conto.
«Che cosa vorresti dire?», chiede lui alzando il tono della voce, incredulo.
«Erm... l'altro giorno è capitata a casa sua ed è stato costretto a farmela conoscere. A quanto pare le sono andata a genio. Marco è rimasto piuttosto sorpreso, nemmeno lui ha un rapporto idilliaco con la madre». Racconto loro, mordicchiandomi nervosamente le unghie.
«È positivissima questa cosa», commenta Luca battendo le mani sulle sue ginocchia. «Ora non ti resta che conquistare il resto della sua famiglia».
«Suo padre è un osso duro, incrociate le dita per me». Li prego con lo sguardo.
«Ti adorerà. Come potrebbe non adorare questo tuo bel visetto?». Il mio migliore amico me lo prende con entrambe le mani e lo stritola per benino, mi sta spezzando la mandibola.
Mi lamento sommessamente e lui, dopo un po', mi lascia finalmente andare.
«Basta, sono stanca di tutto questo parlare di amori, genitori e tutto il resto. Ce lo guardiamo questo benedetto film? Tocca a me scegliere, se ve ne foste dimenticati». Marica parla velocemente, sembra tarantolata, ci sta tenendo nascosto qualcosa.
Luca ed io ci scambiamo un'occhiata eloquente.
«Maricuccia nostra...», comincia Luca, posandole una mano sulla spalla.
Lei lo guarda accigliata, le braccia conserte.
«Sai che ti vogliamo bene...», continuo io, sbattendo velocemente le ciglia.
«Che cosa c'è che ti turba?», conclude Stella facendole gli occhi dolci.
Marica si copre il viso con le mani e scuote la testa.
«È impossibile tenervi all'oscuro di qualcosa», dice sconsolata.
«Impossibile», affermiamo all'unisono.
Guarda tutti e tre con affetto e poi scoppia a piangere come una fontana. Non va affatto bene. Scendo dal divano e la raggiungo, la avvolgo in un abbraccio.
«Ci siamo qui noi, tesoro». Le massaggio la schiena, cercando di calmarla un po'. «Ti va di raccontarci cos'è successo?».
Marica tira su col naso, poco elegantemente, ma non importa, in questo momento lei può tutto.
«Ho incontrato Michele stamattina», risponde tra i singhiozzi.
Bene, ora si spiegano molte cose.
«Quel Michele? Il Michele coglione che ti ha lasciato con un SMS dicendoti che non voleva stare più con te perché non ti amava più? Il Michele testa di cazzo che ti tradiva da mesi con quella baldracca di Pamela? Quel Michele? Perché se fosse quel Michele potrei incazzarmi di brutto».
Luca è piuttosto alterato. Tutti noi conosciamo benissimo la storia di Michele, sono stati insieme per quasi due anni, parlavano perfino di matrimonio. Lui un giorno si è svegliato e le ha mandato quel messaggio assurdo. Marica ha sofferto moltissimo a causa sua, aveva smesso di mangiare, passava le notti insonne. Noi tre abbiamo giurato che se mai lui fosse riapparso nella sua vita, avremmo fatto qualsiasi cosa perché lui non la prendesse nuovamente in giro.
«Che cosa voleva il bastardo?», chiedo digrignando i denti. Ho un'avversione assurda verso quel verme schifoso, senza palle.
«Mi ha chiesto di perdonarlo. Ha detto che è dispiaciuto per come mi ha trattato, che gli manco e che vorrebbe un'altra possibilità». Parla a fatica tra le lacrime.
«Tu l'hai mandato a quel paese, vero?», domanda Stella, lanciandomi un'occhiata preoccupata.
Scuote la testa debolmente. «Gli ho detto che ci avrei pensato».
No, non va bene. Pensare a cosa? Quell'uomo la stava distruggendo, non dovrebbe passarle nemmeno per l'anticamera del cervello l'idea di potergli dare un'altra occasione. Non esiste.
«Tesoro! Non dovevi dirgli una cosa del genere! È come se gli avessi detto di sì a quella sua assurda richiesta!», tuona Luca sconvolto. «Non ti ha già fatto abbastanza male? Lui non ti merita, tu sei troppo buona. È solo un bastardo traditore e deve soffrire le pene dell'inferno».
«Ma io lo amo ancora», piagnucola lei con gli occhi rossi e gonfissimi per le tante lacrime versate.
Andiamo di male in peggio.
«Non permetteremo che tu ci caschi ancora una volta. Ti farai male Marica», dico accarezzandole dolcemente il braccio.
«E se io volessi farmi del male?».
Bene, dopo questo commento mi lascio cadere pesantemente sul pavimento, appoggio la schiena contro il divano e abbraccio le ginocchia.
«Non ci credo che tu voglia davvero farti del male», azzarda Luca con pochissima convinzione.
«Lo so che voi lo state facendo per il mio bene, ma non ho mai smesso di amarlo. Tengo davvero molto a lui, sono stata felice al suo fianco. Vi prego, lasciatemi fare di testa mia, almeno questa volta. Se qualcosa dovesse andare storto, potrete dirmi che voi me l'avevate detto, ne avreste pieno diritto. Ho bisogno di rivederlo, di passare un po' di tempo con lui per capire che cosa provo veramente nei suoi confronti. Vi voglio bene ragazzi e sono felice che vi preoccupiate per me, vuol dire che ci tenete a me».
«Ti vogliamo un bene dell'anima», confermo a nome di tutti. «Promettici soltanto una cosa».
Lei annuisce e aspetta che continui il mio discorso.
«Non farti fregare ancora una volta da lui, non commettere gli stessi errori».
«Ve lo prometto». Ci regala un fievole sorriso.
Non so se darà mai ascolto ai nostri consigli, spero soltanto che non la faccia soffrire ancora una volta, o lo ammazzo con le mie stesse mani.

 
***Note dell'autrice***
Una serata tra amici ogni tanto ci vuole, peccato che questi amici siano davvero dei grandi impiccioni hahaha :D Non invidio Marco & Serena! Vi erano mancate le scommesse di Lorenzo? Era un capitolino un po' di passaggio, ma spero vi abbia fatto comunque divertire! Martedì prossimo saremo tutti a pranzo a casa Rossini! Vi voglio belle cariche!
Grazie infinite a tutti tutti tutti... mi rendete immensamente felice!


Se volete passare a trovarmi
Bijouttina & i suoi vaneggiamenti

 

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Capitolo 17
*** Il pranzo della domenica ***


 



17. Il pranzo della domenica
Sto osservando Marco dormire tranquillo accanto a me, mi è mancato tremendamente la scorsa notte. L'ho passata con Luca, a parlare di Marica, di Alex e anche di lui. Abbiamo parlato molto, come abbiamo sempre fatto, mi era mancato confidarmi con il mio migliore amico.
«Smettila di fissarmi», mugugna Marco, aprendo solo un occhio.
«Non ci penso nemmeno».
Poso il naso sul suo e lo osservo ancora più da vicino, mi mordo l'interno delle guance per non ridere.
«Flounder, stai rischiando grosso», borbotta mettendomi una mano sul fianco e avvicinando i nostri corpi.
«Non ho paura di te, Shark. Sei il mio uomo, e posso guardarti dormire quanto più mi pare e piace». Soffio sulle sue labbra.
«Te la sei cercata».
Con una mossa fulminea me lo ritrovo sopra di me, sono sovrastata dal suo fisico statuario. Mi morde il labbro inferiore, i lobi delle orecchie, mi mordicchia ovunque, tenendomi i polsi bloccati sopra la testa.
«Ora scoprirai che cosa succede quando tiri troppo la corda con il sottoscritto, piccoletta».
«Piccoletta a chi?». Intercetto le sue labbra e le mordo.
«A te!».
Continua a mordermi, non mi dà tregua. Mi dimeno come una pazza, ridendo a più non posso.
«Smettila, Marco, ti prego. Dovremmo prepararci o faremo tardi dai tuoi». Provo a dire tra le risate.
«Sì, dovremmo, ma ora non ne ho voglia». Lascia andare uno dei miei polsi e comincia a farmi il solletico.
«No, non il solletico, ti prego». Emetto dei gridolini isterici.
«Oh, ti dà fastidio?». Mi prende in giro lui con un sorrisetto malefico. «Buono a sapersi».
Riprende a torturarmi, come se avessi parlato con il muro fino a questo momento. Lo colpisco con dei leggeri pugni sulla schiena, non sortiscono l'effetto sperato.
«Tarantola, stai un po' ferma. Non riesco a torturarti se ti agiti in questo modo». Si lamenta, un attimo prima di baciarmi sulle labbra.
«Non ti sei vendicato già abbastanza. Amore, basta, ti scongiuro», piagnucolo chiudendo gli occhi.
«Solo se mi prometti una cosa?», azzarda lui.
«Che cosa?».
«Che ti fai la doccia con me prima di andare». Un sorriso malizioso si forma sulle sue labbra.
Scoppio a ridere.
«Tutto qui?».
«Tutto qui», conferma lui.
Si alza, trascinandomi con sé. Con una mossa da vero atleta, mi carica su una spalla come se fossi un sacco di patate.
«Cavernicolo!».
«Sei solo invidiosa perché tu non riesci a sollevarmi di peso», bofonchia schiaffeggiandomi il sedere.
«Oh sì, sono proprio invidiosa. E smettila di colpirmi», grugnisco, fingendomi offesa.
«Colpirti? Ma io non ti sto affatto colpendo!». Mi dà un'altra pacca sul sedere.
«Giuro che me la pagherai, Shark!», tuono.
«Sto tremando!».
Mi mette giù davanti la doccia, apre l'acqua e mi spinge dentro. Un urlo esce incontrollato dalla mia bocca: è ghiacciata.
Lo afferro per un braccio e lo trascino dentro.
«Così impari!». Mi vendico io.
«Sono abituato». Fa spallucce affondando le dita nei miei fianchi, avvicinandomi a sé e baciandomi fino a togliermi il respiro.
Mi ritrovo le sue mani sulle natiche, mi solleva fino ad allacciare le mie gambe attorno ai suoi fianchi. Ci scambiamo dei baci roventi. Sbatto la testa contro il porta sapone, lui scivola maldestramente sul tappetino. Scoppiamo entrambi a ridere.
«Come cazzo faranno a fare sesso nella doccia?!», sbotta lui divertito.
Mi rimette con i piedi per terra, prima che ci facciamo male sul serio.
«Non lo so davvero, nei film sembra così naturale!», commento io sputando acqua, poco elegantemente.
«Non fa per me». Scaccia l'idea con la mano.
«Potrebbe essere il modo migliore per rompersi l'osso del collo». Gli faccio notare.
«Su questo ti do ragione», dice prima di baciarmi le labbra.
 
 
Un'ora dopo siamo nella sua macchina, diretti verso la villa dei Rossini. Picchietto nervosamente le unghie sul bracciolo, fissando il paesaggio che scorre davanti a me.
«Se ti può consolare, sono parecchio nervoso anch'io». Avvolge la mia mano con la sua e stringe dolcemente.
«Non mi consola molto ma grazie lo stesso». Gli sorrido.
«Sai,Flounder, mia madre già ti adora. Lorenzo dice che ci vede già sposati con figli, potrebbe anche essere la realtà, conoscendola. Hai già conquistato il mio nipotino preferito. Avresti già un pretendente, se la nostra storia non dovesse funzionare. Nota bene, questa storia funzionerà, perciò non farti strane idee. Ora non ti resta che conquistare le mie sorelle, le mie nipotine e, soprattutto, mio padre».
«Non vorrei sembrare scortese, ma dovrei sentirmi meglio dopo questa consapevolezza? Tu almeno dovevi piacere soltanto ai miei, la tua famiglia è piuttosto numerosa». Gli faccio notare a braccia conserte.
«Almeno mia madre non farà apparire un'altra donna dal nulla per cercare di accasarmi». Punzecchia amabilmente, con un sorrisetto sulle labbra.
«Anche perché, se lo facesse, la pretendente farebbe una brutta fine ancora prima che apra bocca. Non so se lo avessi capito, ma tu sei il mio uomo, mio e di nessun'altra. Spero di essere stata chiara». Gli pizzico un braccio.
«Ahi, mi hai fatto male», brontola, massaggiandosi il punto incriminato mentre siamo fermi a un semaforo, gli ho lasciato un segno rosso.
«Mamma mia come siamo lagnosi oggi». Lo stuzzico.
In un modo o nell'altro devo vendicarmi del solletico e dei morsi di questa mattina.
«Tu invece rischi grosso oggi, stai molto attenta. Guarda che ti do in pasto a mio padre e non credere che sia una cosa piacevole. Comincerei a tremare se fossi in te».
«Lo sto già facendo».
«Ragazzina impertinente. Troverò un modo per farti pagare questo tuo comportamento sfrontato, oh sì che lo troverò», bofonchia con un angolo della bocca sollevato all'insù.
Mi ritrovo a sorridere beatamente.
Svolta in una stradina sterrata che sembra portare in mezzo al nulla, invece ci ritroviamo tra file e file di vigneti. In fondo alla strada si erge una villa enorme, circondata da una distesa immensa di verde. Osservo il tutto con la bocca spalancata: questo posto sprizza soldi da ogni angolazione lo si guardi. Ora la mia ansia sta aumentando a vista d'occhio. Io non sono abituata ad avere a che fare con gente ricca. E se facessi la figura della pezzente? Non voglio che Marco si vergogni di me. Ho usato i cinquanta euro che mi ha dato mio padre per comprarmi questo vestito azzurro. Me ne sono innamorata subito perché mi ricordava il colore degli occhi di Marco, ma non è così di classe. Se le sue sorelle mi squadrassero dalla testa ai piedi come se fossi una schifezza?
«Sei veramente convinto che io piacerò alla tua famiglia? Io... Io...». L'agitazione mi fa anche ammutolire e non è da me.
Marco ferma la macchina a metà strada, si volta verso di me e mi prende il viso con entrambe le mani.
«Non ci provare nemmeno. Flounder, per prima cosa tu devi piacere a me e per il sottoscritto tu sei una donna meravigliosa di cui non posso più fare a me. Se non dovessi piacere alla mia famiglia, non me ne frega niente. Ascoltami bene, io so per certo che piacerai loro, perciò non farti venire l'ansia per questo. Voglio vederti sorridere, lanciare frecciatine a destra e a manca, ammaliare tutti con questi tuoi favolosi occhioni verdi. Voglio che tu sia te stessa, perché tu sei semplicemente perfetta», dice tutto d'un fiato, lasciandomi completamente senza parole. «Ti amo Serena, tutto il resto passa in secondo piano».
Mi bacia dolcemente sulle labbra. Io non posso far altro che allacciargli le braccia intorno al collo e approfondire quel bacio.
«Grazie Shark», mormoro a fior di labbra. «Mi sento meglio ora».
«Sei pronta?», chiede strofinando il suo naso contro il mio, lentamente.
«Sono pronta», rispondo con decisione.
Lui mi sorride e ingrana la prima per riprendere quel breve tragitto che ci separa dalla villa; l'enorme scritta Cantine Rossini campeggia sopra il grande cancello come parte integrante della struttura in metallo. La osservo attentamente con il naso sollevato all'insù.
«Le manie di grandezza di mio nonno, non farci caso». Mi spiega stringendosi nelle spalle.
«In effetti perfino un alieno sulla sua navicella può trovarvi senza grossi problemi», commento divertita.
«Ecco perché c'erano dei disegni strani sul campo di grano là dietro. Ora si spiegano tantissime cose».
«Se vengo rapita dagli alieni, stai pur certo che è colpa dell'insegna di tuo nonno». Gli faccio notare.
«Lo terrò presente quando la polizia verrà a interrogarmi sulla tua sparizione», continua lui.
«E poi ti sbattono dentro. Chi mai ti crederebbe?».
«I Men in Black!», sbotta, prorompendo in una fragorosa risata.
«Quanto sei scemo!». Lo colpisco con un leggero pugno sul braccio.
«Mi ami anche per questo, no?». Mi strizza l'occhio.
«Senza ombra di dubbio».
Mi prende la mano e se la porta alla bocca, ne bacia il palmo con tenerezza. Ci fermiamo davanti al cancello, si apre un attimo dopo. Prendo dei respiri profondi, cercando di tranquillizzarmi. Fortunatamente, per ogni eventualità, ci sarà Marco al mio fianco.
«Flounder respira».
Non mi ero neanche resa conto di aver smesso di farlo. Okay, bene, ce la posso fare. Ferma la macchina accanto a due station nuove, lucide e pulitissime. Mi ci potrei perfino specchiare sulla carrozzeria. Ho deciso: il mio trabiccolo rimarrà chiuso per sempre nel garage, almeno fino a quando non deciderò di rottamarlo.
Scendo stando attenta a non cadere dai tacchi, con i sassi del vialetto non sono una bella abbinata. Mi sistemo il vestito, non vorrei che mi rimanesse incollato al sedere.
«Sei bellissima, smettila». Mi prende per mano e mi accarezza dolcemente una guancia con il dorso dell'altra.
La porta d'ingresso si spalanca all'improvviso, facendomi sussultare. Daniele ci corre incontro.
«Serena!», grida con un sorriso enorme sulle labbra.
Allargo le braccia e lui ci si fionda senza pensarci due volte. Si aggrappa a me, lo prendo in braccio, tenendolo stretto, le sue gambe sono allacciate intorno ai miei fianchi.
«Ciao Daniele. Come stai?», chiedo dopo avergli posato un bacio sulla guancia arrossata.
«Sto bene e tu sembri una principessa oggi», risponde, baciandomi maldestramente la guancia.
«Ehi campione, non si saluta più lo zio preferito?», domanda Marco, fingendosi offeso.
«Ciao zio», saluta dopo aver appoggiato la testa sulla mia spalla.
«A quanto pare preferisce le belle donne», commenta a bassa voce.
«Tutto suo zio», dico in un sussurro, strizzandogli l'occhio.
La signora Rossini ci raggiunge quasi di corsa, tacchi permettendo.
«Ragazzi miei, siete arrivati!».
Prende il viso di Marco tra le mani e lo sbaciucchia senza ritegno. Mi sarebbe piaciuto avere una macchina fotografica, l'espressione scioccata del mio uomo era certamente da immortalare.
«Serena, tesoro, sei un fiore», mi accarezza un braccio dolcemente. «Vedo che Daniele non è per niente timido».
«Serena è la mia principessa. Ha promesso che se non sposa lo zio Marco, sposa me», dice con l'innocenza dei suoi cinque anni. Riesce comunque a farmi arrossire.
«Anche mio nipote ha buon gusto», commenta lei ridendo.
«Deve essere un dono di famiglia, signora Rossini».
«Per carità, chiamami Rossella. Signora Rossini mi fa sentire vecchia». Scaccia quell'idea con un movimento rapido della mano. «Vieni che ti faccio conoscere il resto della famiglia».
Daniele non ha alcuna intenzione di staccarsi da me, me lo porto in giro come se fosse un marsupio. Marco continua a scuotere la testa incredulo, è rimasto turbato dal comportamento della madre e non lo nasconde. La seguiamo all'interno della villa. Credo che potrei perdermi in questo posto, spero ci sia un piano di evacuazione in caso di incendio, sennò faccio la fine del sorcio.
Ci porta in una grande sala, dove ci sono parecchie persone.
«Fratellino!», esclama una donna bionda con dei capelli tagliati molto corti, i suoi occhi sono blu come quelli di Marco.
«Lei è mia sorella Chiara. Sorellina, lei è Serena, la mia ragazza».
Chiara mi guarda con un sorriso enorme a illuminarle il viso.
«Serena, finalmente Marco ha deciso di mettere la testa a posto! Benvenuta in questa gabbia di matti!».
Marco rotea gli nocchi, sbuffando; io mi trattengo per non scoppiare a ridere.
Un'altra donna viene nella nostra direzione, la madre di Daniele.
«Mio figlio ti sta dando fastidio?», chiede, osservandolo con un sopracciglio inarcato.
«No, assolutamente, è un bambino adorabile». La rassicuro.
«Comunque io sono Lucrezia, non abbiamo avuto l'occasione di presentarci l'altro giorno». Mi sorride.
«È un piacere conoscervi», affermo, fingendomi sicura di me. L'ansia è ancora a un livello piuttosto elevato.
Mi presentano i loro rispettivi mariti, Giulio e Cesare - okay, per poco non ridevo loro in faccia - e le bambine, una di loro l'avevo già vista durante la prima lezione di nuoto. Manca solo una persona da conoscere: il capo famiglia, il temibile signor Rossini.
Un uomo sulla settantina viene verso di noi, le mani nelle tasche dei pantaloni eleganti, lo sguardo fiero e deciso. Deglutisco a vuoto. Daniele si fa prendere in braccio da sua madre e mi lascia indifesa, finora mi aveva fatto da scudo e mi sentivo protetta. Ora mi sento nuda come un verme.
Si ferma davanti a me e le sue labbra si stendono in un sorriso sincero.
«Finalmente! Che piacere conoscere la fidanzata di mio figlio!».
Mi avvolge in un abbraccio, per poco non mi stritola, mi solleva perfino da terra. Non so che cosa dire o fare, rimango immobile.
«Fatti guardare!». Mi prende entrambe le mani e si allontana quel tanto che basta per potermi scrutare. Sono in totale imbarazzo. Capisco da chi ha preso tutto il fascino Marco.
«Ragazzo mio, hai scelto proprio bene». Si rivolge al figlio, dandogli una pacca sulla spalla.
«La ringrazio signor Rossini», farfuglio frastornata.
Marco, se possibile, è ancora più sbalordito. Io, invece, mi sento piuttosto strana. Devo comunque aver superato l'esame.
 
***
 
No, non ci credo. Deve esserci qualcosa di strano nell'aria. Quelli non possono essere i miei genitori, non sono loro, ne sono certo. Se gli alieni fossero già passati di qua e li avessero rapiti? Tutto questo avrebbe senso. Sì, deve per forza essere successo qualcosa del genere, è l'unica spiegazione. Mio padre ha perfino sollevato Serena da terra, estasiato. Sono felice che la mia famiglia l'abbia accolta tanto calorosamente, ma non sono per niente abituato a questo tipo di effusioni da parte loro.
Serena sembra sconcertata almeno quanto me, decido di salvarla dalle grinfie di mio padre. Le metto una mano sulla schiena e l'avvicino a me.
«Sati bene?», chiedo posandole un bacio sulla tempia.
«Sto bene, Shark. Sono solo stupita. Immaginavo tuo padre un tantino diverso», risponde osservando i miei nipoti giocare tranquilli sul grande tappeto della sala.
«In effetti anch'io me lo ricordavo diverso. Devono averlo sostituito con un modello migliore», commento.
«Pensi che tua madre l'abbia rottamato?». Scherza con il sorriso sulle labbra.
«No, devono aver rottamato anche lei. Questi non sono i miei veri genitori, te lo posso assicurare».
Appoggia la testa sulla mia spalla, le passo un braccio lungo la schiena, tenendola stretta a me. Mia madre ci spia da lontano, un sorriso perenne sulle sue labbra colorate di rosso. Mi addolora ammetterlo, ma Lorenzo ha ragione: mia madre mi vede già con la fede al dito.
«Sbaglio o tua madre sembra piuttosto soddisfatta?», domanda dopo un attimo di silenzio.
«L'avevo notato anch'io. Sta già immaginando il nostro matrimonio e dei marmocchi», le dico reprimendo una smorfia.
«È così lungimirante?».
«Non immagini quanto, amore mio», sospiro sconsolato.
Lucrezia manda tutti a lavarsi le mani, anche noi adulti: il pranzo è pronto.
Che la tortura abbia inizio!
Daniele ha voluto a tutti i costi sedersi accanto a Serena, ha piagnucolato finché non l'hanno accontentato. Quel piccoletto vuole tutte le sue attenzioni, potrei perfino essere geloso di lui. Probabilmente lo sarei anche stato, se non avesse avuto cinque anni. Lui può tutto.
«Allora, Serena, che cosa fai nella vita?», comincia mio padre, versandole un bicchiere di vino rosso.
Ora la tartasseranno con mille domande, mettendola a disagio. Starò attento e, se dovesse succedere, mi intrometterò, mettendo fine al terzo grado non gradito.
«Lavoro come commessa in un negozio di articoli sportivi all'outlet», risponde la mia donna con un sorriso che farebbe perdere la testa a ogni uomo. Amo quel sorriso. Mi sto distraendo e non può succedere, devo monitorare questo scambio di domande e risposte.
«Articoli sportivi», ripete lui, pulendosi la bocca sul tovagliolo di cotone bianco. «È lì che vi siete conosciuti?».
«Più o meno», ammette lei. «La prima volta che ci siamo visti, gli ho rovesciato un cappuccino bollente addosso. Credo che non fosse stato amore a prima vista».
La semplicità con cui racconta quell'evento, mi fa sorridere. Non sarà stato amore a prima vista, ma poco ci mancava.
«Marco non ci ha mai raccontato di questo episodio», s'intromette mia madre.
«È successo poco prima che tu credessi che fossi gay». Le ricordo, scoppiando a ridere e contagiando l'intera tavolata.
«Che cosa vuol dire gay?», domanda Daniele a bassa voce.
«Te lo spiegherò quando sarai più grande». Gli promette Serena con una dolcezza infinita.
«Okay, ammetto di averlo pensato. Beccare il tuo amico Lorenzo che dorme a casa tua non è di grande aiuto». Mi fa notare, puntandomi un dito contro.
Alzo le mani in segno di resa, non ha tutti i torti.
«Mi sono tranquillizzata non poco quando ho scoperto questa bella donna. Non credevo nella sua esistenza, ma ho dovuto ricredermi».
«Serena, cara, ti ringrazio di questo. Mia moglie stava impazzendo!».
Mio padre le rivolge un sorriso rassicurante.
«Sono felice di aver fugato ogni eventuale dubbio», commenta la mia donna, regalandomi un bacio sulle labbra qui davanti a tutti.
«Ti amo», le sussurro facendola arrossire.
«Dimmi un po', cha lavoro fanno i tuoi?», continua mio padre tagliando a piccoli pezzi le fettine di arrosto che mia madre gli ha appena messo nel piatto.
«Mio padre è professore di matematica in una scuola superiore giù in città. Gli mancano un paio di anni alla pensione, se tutto va bene. Mia madre, invece, è casalinga. Si è sempre presa cura di me e mio fratello».
Deve essere sempre stata brava a scuola per come risponde diligentemente alle domande del signor Rossini.
«Oh, hai un fratello! Come si chiama?». Ora è mia madre a essere curiosa.
«Si chiama Alessandro, ha qualche anno meno di me. Si sposerà a settembre e mia madre lo sta tartassando». Si rabbuia per un momento, ma il sorriso non tarda a tornare sulle sue labbra. «Scusate, non credo che questo sia interessante».
«Un matrimonio! Che bello!», esclama mia madre entusiasta.
«Tu, invece, Marco?».
Che cosa vorrebbe insinuare mio padre con questa domanda?
«Lo sapete che lo zio Marco sta insegnando a nuotare a Serena? Lei ha paura dell'acqua, tantissimissima, ma io gli ho detto che non deve perché...».
Mio nipote si ferma un momento per riprendere fiato. Lo adoro, mi ha appena salvato da una domanda imbarazzante e, a mio parere, fuori luogo.
«...perché l'acqua è nostra amica e poi gli ho detto...».
«Le ho detto». Lo corregge mia sorella Lucrezia.
Daniele sbuffa e continua per la sua strada.
«...gli ho detto che non ci sono squali in piscina e che non deve avere paura. C'ero io a salvarla, lei è la mia principessa».
Serena lo bacia sulla fronte.
«Sono fortunata ad aver conosciuto un principe tanto valoroso».
Mio nipote sorride felice e le butta le braccia al collo.
«Cavolo, mio figlio si è preso proprio una bella sbandata», sbotta mio cognato Cesare. «Io starei attento se fossi in te».
«Controllo ogni mossa dello squaletto, non ti preoccupare». Gli strizzo l'occhio.
Le mie nipotine si avvicinano a noi, credevo volessero dirmi qualcosa e, invece, attirano l'attenzione della mia donna.
«Serena, vieni a vedere le nostre bambole nuove?», chiede Gioia, posandole una manina sul braccio.
«Più che volentieri», risponde lei, scusandosi con tutti noi e seguendo tutti e quattro i miei nipoti in salotto.
Ora sono totalmente indifeso, sono in balia della mia famiglia, sento tutti i loro occhi puntati addosso.
«Marco, Marco, Marco». È mia sorella Chiara a rompere quel silenzio imbarazzante.
La incenerisco con lo sguardo.
«Quindi ti sei fatto la ragazza», infierisce Giulio, suo marito.
«A quanto pare», borbotto io.
«Una commessa», sputa mio padre. Eccolo, ora lo riconosco! Non era stato rapito dagli alieni, aveva solo finto di essere migliore di com'è realmente.
«Qualcosa da ridire anche su di lei?», sibilo, indubbiamente infastidito dal tono che ha usato.
«Pensavo puntassi più in alto, o magari è lei che punta in alto», insinua incrociando le braccia al petto.
«Non osare parlare di lei come un'arrivista, non te lo lascerò fare», ringhio stringendo le mani a pugno sopra il tavolo.
«Marco, stai calmo, ti prego». Mia madre mi supplica, posando una mano sul mio braccio.
«Come posso rimanere calmo? Sta insultando la donna che amo e non glielo permetterò», dico guardandola negli occhi. «Può insultare me quanto vuole, ma Serena non la deve nemmeno tirare in ballo».
Respiro affannosamente, sono incazzato da morire.
«Sentimi bene, papà. Io amo Serena, la amo davvero e non m'importa se a te non piace, se non ti va a genio solo perché è una commessa. Tanto perché tu lo sappia, lei è diplomata e parla perfettamente tre lingue straniere, non è colpa sua se non ha trovato un lavoro migliore. Puoi offrirgliene uno tu se credi, ma dubito accetterebbe. Io non ti capisco proprio, non ci riesco. Perché non ti va mai bene niente di quello che faccio?».
Lo osservo attentamente, lui sta per aprire bocca, ma non glielo permetto.
«No, ti prego, non rispondermi. Toglieremo il disturbo».
Mi alzo dal mio posto e bacio mia madre sulla guancia.
«Grazie per il pranzo, mamma. Passa da me quando vuoi, saremo felici di vederti».
«Tesoro, non fare così», piagnucola.
«Non ti preoccupare per me, mamma. Ho la scorza dura». Cerco di sorridergli.
Saluto le mie sorelle e i rispettivi mariti con un cenno della mano. Voglio andarmene via da qua.
«Luigi, digli qualcosa!», tuona mia madre.
Lui è troppo orgoglioso, non ammetterà mai di aver sbagliato. Lui, del resto, non sbaglia mai.
Mi fermo di scatto, quello che vedo nell'altra stanza mi emoziona: Serena è circondata dai miei nipoti e giocano spensierati sul tappeto. Lei sta pettinando una bambola bionda e sta spiegando ad Ambra come fare una treccia. Si accorge della mia presenza e mi regala un sorriso meraviglioso. Sono pazzo di lei.
Sento dei passi alle mie spalle, li riconoscerei anche al buio, una mano si posa sulla mia spalla.
«Sai papà, sono stanco. Mi dispiacedi non essere mai stato il figlio che tu volevi, ce l'ho messa tutta. Io amo la mia vita, amo la mia famiglia, ora amo anche Serena».
Daniele le si siede in grembo e le circonda il collo con le braccia. Gli bacia la punta del naso, tenendolo stretto a sé per non farlo cadere. Gli sta parlando dolcemente e lui sorride entusiasta.
«Guardala». Appoggio la testa sullo stipite della porta e la osservo sognante. «Credi che faccia tutto questo solo perché provengo da una famiglia benestante? Pensi che stia fingendo? Se lo pensi, ti stai sbagliando di grosso. Lei è limpida, dice sempre quello che pensa, saprebbe tenere testa anche a te. Se le raccontassi della nostra discussione, lei verrebbe da te e te ne direbbe quattro, lo farebbe sul serio. Papà, ti chiedo solo una cosa: non giudicarla. Lei è perfetta per me, sono felice con lei».
Questo monologo mi ha sfinito, mi sento svuotato, spossato.
«Marco, mi dispiace».
Mi giro di scatto verso di lui, l'espressione dipinta sul suo viso mi dice che lo è davvero.
«Non avrei dovuto dirti quelle cose. È vero, non sono felice che tu non voglia prendere in mano la nostra azienda, ma non per questo vuol dire che io non sia fiero dell'uomo che tu sei diventato. Sono fiero di te, molto. E sono felice che tu abbia trovato una donna in gamba che ti rende felice. Serena è una brava ragazza, si vede chiaramente. Non volevo sminuirla, sono stato un idiota».
Allarga le braccia e io mi infilo al loro interno, mi stringe forte.
«Sono fiero di te, Marco. Non metterlo mai in dubbio. Ti voglio bene, ragazzo mio».
Le sue parole mi colpiscono dritto al cuore e mi lascio andare.
«Te ne voglio anch'io, papà», ammetto, chiudendo gli occhi.
Sciolgo l'abbraccio e guardo nuovamente Serena, ci sta osservando con un angolo della bocca sollevato all'insù. Le soffio un bacio, lei ricambia con un sorriso.
«Papà?».
«Dimmi Marco». Si affianca a me e guarda nella mia stessa direzione.
«Credi che io potrò mai essere un buon padre?», domando senza staccare gli occhi da Serena.
«Sarai un padre fantastico, ne sono certo», risponde senza alcuna esitazione. «Avete già fatto progetti a lungo termine?».
Scuoto la testa.
«Mi sembra un po' prematuro».
«Però senti che è lei quella giusta», azzarda.
«Sì, ne sono certo. È la donna con cui voglio invecchiare. Non sono mai stato così sicuro di qualcosa in tutta la mia vita, mi credi?». Lo osservo di sottecchi e sta sorridendo.
«Ci credo, Marco, ci credo», commenta divertito.
Sento il rumore dei tacchi di mia madre avvicinarsi alle nostre spalle, si schiarisce la gola prima di parlare.
«Ehm, Marco? Vi fermate per il dolce, vero?», chiede piuttosto agitata.
Mi giro a guardarla e le sorrido.
«Penso che rimarremo anche per il caffè».
Lei mi abbraccia di slancio e si asciuga una lacrima.
«Vado a tagliare la torta allora». Mi bacia sulla guancia, prendendomi il viso con entrambe le mani. «Il mio bambino è fidanzato».
Si dilegua un attimo dopo senza darmi la possibilità di commentare. Mio padre avvolge un braccio intorno alle mie spalle.
«La vita di coppia non è mai tutta rose e fiori, ma ti posso garantire che io, personalmente, non mi pento assolutamente di niente. Vostra madre e voi tre figli siete il mio dono più grande».
Questo pranzo aveva preso una brutta piega, sono felice di come sia andato a finire. Chiarirmi con mio padre è stato un momento inaspettato, ma molto gradito. Mi sento più leggero ora.

 
***Note dell'autrice***
Com’è andato il pranzo a casa Rossini? Come vi è sembrato? Ad un certo punto non aveva preso una bella piega, ma fortunatamente si è risolto tutto al meglio. Nel prossimo capitolo vedremo una Serena battagliera :)
Ringrazio tutti come sempre… grazie a chi legge, chi commenta e chi apprezza questa mia storia…  non so che cosa farei senza di voi *abbraccio forte forte*



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Bijouttina & i suoi vaneggiamenti

 

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Capitolo 18
*** La scelta del vestito ***


 



18. La scelta del vestito
A pancia in giù sul letto, coccoliamo il nostro Diablo. Lo stiamo facendo diventare matto, non sa se seguire il mio dito o quello di Marco. Riesce ad afferrare il mio, si tuffa di schiena, tenendolo in bocca: lo sgranocchia come se fosse un grissino. Reprimo un urlo.
«Cucciolino patatoso, il mio dito non è un pezzo di prosciutto». Gli faccio notare, sfilandolo a fatica.
«Ah no? Sembrava gradire», commenta Marco con il sorriso sulle labbra.
È passata quasi una settimana dal pranzo a casa dei suoi genitori. Mi ha raccontato della discussione e del chiarimento con suo padre già durante il ritorno. Avevo sentito dei discorsi accesi mentre giocavo con i suoi nipoti, ma non distinguevo quello che si stavano dicendo. Sono felice che i rapporti siano meno tesi tra di loro.
«Se vuoi ti mordo qualcos'altro, vediamo se poi gradisci». Lo prendo in giro, premendogli sulla fronte l'indice sbavato da Diablo.
Riduce gli occhi a due fessure e un sorriso malizioso appare sulle sue labbra.
«Credo che gradirei, proviamo?».
Gli lancio un cuscino in faccia.
«Sozzone che non sei altro!».
«Parla quella che venti minuti fa si dimenava sopra di me, chiedendomi di darle di più. E poi lo sozzone sarei io!», borbotta scuotendo la testa.
«Ehi! Non è esattamente la stessa cosa». Lo schiaffeggio amorevolmente sul braccio.
«No, in effetti no. Tu sei molto più sozzona di me!».
Vuole la guerra? Allora l'avrà! Sposto delicatamente Diablo di lato e mi tuffo sopra il mio uomo. Lui non se lo aspetta e grugnisce.
«Sei per caso impazzita, Flounder?».
«Tanto normale non lo sono mai stata», ammetto mordendogli il mento.
«Non era quella la parte anatomica che volevo mi mordessi». Mi fa notare avvolgendomi con le sue braccia.
Gli mordicchio il collo.
«Nemmeno quella», osserva scoppiando a ridere. «Sei per caso un vampiro?».
«Non che io sappia», rispondo prima di lasciargli dei piccoli morsi sulla spalla.
Scendo a mordergli il petto.
«Flounder, se volevi torturarmi, ci stai riuscendo perfettamente», mormora chiudendo gli occhi e godendosi le mie attenzioni. La sua erezione sta premendo contro il mio seno, devo ammettere che è piuttosto piacevole.
Mi sposto lentamente, fino a ritrovarmi a mordere l'elastico dei suoi boxer.
«Sì, lì sotto, Flounder», mugugna soddisfatto.
Sollevo l'elastico con le dita e lo rilascio con uno schiocco. Marco apre un occhio, un angolo della bocca si solleva all'insù.
«Bambina cattiva».
Mi prende il viso tra le mani e mi trascina nuovamente sopra di sé, impossessandosi della mia bocca.
«Non mi lascerai mica insoddisfatto ora, vero?», mormora senza staccare le labbra dalle mie.
È il mio cellulare a rispondere, cominciando a squillare come un ossesso.
«Una suoneria più moderna, come ogni comune mortale, tu non sei in grado di averla?». Mi prende in giro mentre raggiungo la mia borsa abbandonata sopra una sedia accanto alla finestra.
«A me piace», commento con una scrollata di spalle. «Mi ricorda il vecchio telefono fisso di mia nonna».
Lui si copre gli occhi con un braccio e ride. Non riesco a smettere di guardarlo, è semplicemente divino.
Rispondo senza neanche controllare chi fosse a chiamarmi.
«Sorellina, ho urgentemente bisogno del tuo aiuto».
La voce di mio fratello, carica di ansia e nervosismo, mi fa roteare gli occhi. Mi siedo sul letto, dando le spalle a Marco.
«Che cosa succede questa volta, Ale?», domando in un sospiro.
«La mamma».
Avevo forse qualche dubbio? Per una volta pensavo potesse essere qualcosa di diverso, ma non si smentisce mai. Le gambe di Marco mi avvolgono i fianchi, le sue braccia si allacciano sul mio ventre, posa il mento sulla mia spalla e mi bacia una guancia. Metto una mano sopra le sue e chiudo gli occhi, adoro sentirlo così vicino a me.
«Che cosa ha combinato questa volta?», chiedo accarezzando il braccio del mio uomo.
Sento il suo respiro sul viso, mi fa venire brividi lungo la schiena.
«Vuole a tutti i costi scegliere lei il mio vestito per il mio matrimonio», marca rabbiosamente l'aggettivo mio.
«Non le hai detto che sei grande abbastanza per scegliertelo da solo?», domando stringendomi di più a Marco in cerca di conforto e tenerezza.
«Pensi che non ci abbia provato? Sere, non ne posso più. Impazzirò, me lo sento», borbotta.
«Ale, stai tranquillo, vedrai che risolveremo tutto», lo rassicuro.
«E come credi di fare? Abbiamo appuntamento fra un paio di ore in negozio e io non ci vado con lei. Mi rifiuto categoricamente», tuona alterato.
«Ci andiamo noi con lui». Si intromette Marco che stava ascoltando tutta la telefonata.
«Come scusa?», chiede mio fratello perplesso.
«Marco ha detto che veniamo noi con te. Che ne pensi?».
«Marco?», ripete ancora più incerto.
«Cioè vorresti dirmi che c'è un uomo a casa tua?». L'incredulità di mio fratello mi sta irritando.
«No, veramente sono io a casa sua. Scusami eh, che cavolo c'entra tutto questo?», sbotto, infastidita.
«Perché mai un uomo con cui hai passato la notte vorrebbe aiutarmi?».
Possibile che i miei non gli abbiano detto niente?
«Ehm, Ale? Marco ed io stiamo insieme», lo informo. «Pensavo che la mamma te lo avesse detto».
«No, non mi parla mai delle cose importanti! Oh mio Dio, Serena! È fantastico! Non vedo l'ora di conoscerlo. Ci vediamo fra un paio d'ore, passo a prendervi a casa tua. Avvisa tu la mamma!».
Riattacca prima che potessi ribattere, sospiro sconsolata.
«Perché lo stai facendo?».
Ruoto il capo per poterlo guardare negli occhi.
«Domanda semplice a cui risponderò con altrettanta semplicità: perché ti amo».
Posa una mano sul mio viso e mi bacia dolcemente sulle labbra.
«Grazie», sussurro. Sono davvero grata del suo aiuto.
«Mi ringrazierai stasera a letto. Voglio una doppia razione di coccole».
«Tutto quello che vuoi, Shark».
Ora, però, devo avvertire mia madre e non ne ho per niente voglia. Non oso immaginare tutte le scuse che troverà pur di avere l'ultima parola. Sarà una dura lotta, già lo so.
«Non è che chiami tu la mia genitrice?», domando girandomi completamente verso di lui.
«Se vuoi», risponde con una scrollata di spalle.
«Lo faresti davvero?». Inarco un sopracciglio.
«Non avrei alcun problema a farlo». Mi posa una mano sul viso e sorride.
«Farei qualsiasi cosa per te, Serena».
Bene, se continua ad usare questo tono e continua a guardarmi in questo modo, io mi scioglierò qui ai piedi del letto e dovrà raccogliermi con il cucchiaino.
«Salteresti anche in un cerchio infuocato, tipo quello che usano al circo per i leoni?», farfuglio alquanto stordita.
Lui annuisce. «Anche se, in effetti, dipende da quanto è largo il cerchio. Sai, non mi piacerebbe rimanerci incastrato».
«Giusta osservazione». Gli concedo. «Salteresti da un cavalcavia per atterrare su un tir che passa in quel momento?».
Si trattiene per non ridere e annuisce ancora una volta.
«Andresti sui pattini?».
Marco piega la testa di lato e scoppia in una fragorosa risata.
«I pattini sono una cosa terrificante! Non so se lo farei, nemmeno per questo tuo bel visetto».
Mi prende il mento con una mano e preme le guance finché le mie labbra non si arricciano. Le bacia teneramente.
«Okay, mi hai convinto. Chiamo mia madre», borbotto liberandomi dalla sua presa.
Appoggio la testa contro il suo petto dopo aver composto il numero di casa dei miei. Mi avvolge in un abbraccio, accarezzandomi la schiena nuda.
«Mi rendi felice». Soffia al mio orecchio un attimo prima che la signora Boissone rispondesse.
Mi ritrovo a sorridere beatamente.
«Mamma, dobbiamo parlare».
Le mie parole l'hanno messa subito in allerta.
«Ti ha chiamato tuo fratello, non è vero?».
«Già. Vuole sceglierlo da solo il vestito», le dico. Al momento mi sto distraendo non poco, sto facendo fatica a rimanere lucida: Marco mi sta baciando dietro l'orecchio, lentamente, mentre con i polpastrelli sfiora la mia coscia.
«Volevo solo aiutarlo», mugugna risentita.
«Lo so, mamma. Lo aiuteremo Marco ed io. Penso che un parere maschile potrebbe essere utile».
Chiudo gli occhi, quando scende con la lingua lungo il mio collo, la sua mano sfiora la mia intimità e per poco non mi lascio sfuggire un gemito.
Sospira rumorosamente.
«Va bene», acconsente alla fine. «Ti prego soltanto di tenerlo d'occhio. Non farlo vestire come un cameriere, sai, quelli che sembrano dei pinguini».
«Te lo prometto, mamma», la rassicuro.
Ci salutiamo e lancio il telefono sopra il comodino. Cerco le labbra del mio uomo e me ne approprio, mi stava facendo impazzire.
«Non puoi torturarmi così mentre sto parlando con mia madre», brontolo sommessamente con le labbra premute sulle sue.
«Io posso tutto, Flounder».
Oh sì, lui può tutto: su questo ha perfettamente ragione.
«Dobbiamo vestirci e andare a casa mia». Provo a dire tra un bacio e l'altro.
«Sì, dovremmo, ma ora non mi va».
Si sdraia sul materasso, trascinandomi sopra di sé.
«Avevamo un discorso in sospeso noi due».
 
 
Un'ora e mezza dopo siamo sotto casa mia, Alessandro è già lì che ci aspetta.
«Sere, finalmente! Ero quasi sicuro aveste cambiato idea».
Scende dalla macchina e mi avvolge in un abbraccio.
«Non mi avevi dato un orario preciso». Mi giustifico.
«Vero, hai ragione. Sono solo un tantino sotto stress, perdonami». Si scusa lui in un sospiro. «Che cosa ha detto la mamma?».
«Che devo evitare che tu ti vesta come un cameriere», rispondo scoppiando a ridere.
Lui alza gli occhi al cielo e sbuffa.
«È assurdo», commenta.
«Niente è assurdo con la mamma, lo sai».
Alessandro annuisce con convinzione e, poi, concentra la sua attenzione su Marco, come se lo vedesse ora per la prima volta.
«Tu devi essere Marco, giusto?». Gli offre la mano e il mio uomo la stringe energicamente.
«In carne e ossa. È un piacere conoscerti».
«Devi essere un gran santo», dice mio fratello con un sorriso sghembo.
«Per sopportare tua sorella? Sì, lo so. Sono masochista, adoro farmi del male».
«Siete sempre così buoni con me...».
Salgo in macchina, fingendomi offesa.
«Non farci caso, le piace attirare l'attenzione su di sé», afferma Alessandro posando una mano sulla spalla di Marco, con fare cospiratorio.
«Voi due state rischiando grosso, vi avverto». Li minaccio riducendo gli occhi a due fessure.
«E noi dovremmo avere paura di te?». Marco inarca un sopracciglio, un sorriso divertito appare sulle sue labbra.
«Dovreste», confermo senza cambiare espressione.
«E che cosa faresti, sentiamo?», continua lui.
«Tu, signor Rossini dei miei stivali, dormiresti sul divano stanotte e scordati qualsiasi tipo di coccola».
«Avresti il coraggio di farmi questo?», chiede con gli occhi da cucciolo.
«Vuoi tentare la sorte?». Incrocio le braccia al petto e mantengo l'espressione da dura.
«Ne sarebbe capace, fidati», commenta mio fratello salendo in macchina.
«Non lo metto in dubbio», dice il mio uomo in un sospiro.
«Non credere di cavartela così tu!». Schiaffeggio Alessandro sulla nuca.
«Ed è pure manesca! L'avevi già notato?», continua a parlare con Marco come se io non fossi presente.
«Non cambiare discorso, nano! Ti do in pasto alla mamma!». Lo minaccio.
«Ti prego, la mamma no!», piagnucola.
«Allora smettetela di fare i cretini e metti in moto!». Ordino in tono autoritario.
«Come vuole lei, signora!», borbotta mio fratello ingranando la prima e immettendosi finalmente in strada.
Marco mi sorride dallo specchietto retrovisore, e io ricambio soffiandogli un bacio. Entrambi sanno benissimo che stavo scherzando, entrambi sanno quanto li adoro. Chiacchierano tra di loro lungo il breve tragitto, sembrano dei vecchi amici. Marco riesce a farsi amare da tutti, quando vuole. Adoro il suo carattere e per certi versi siamo molto simili.
 
***
 
Alessandro, il fratello di Serena, mi piace davvero molto, forse perché è così simile a lei caratterialmente. Chiacchiero con lui lungo il tragitto: mi racconta delle manie della loro madre, il desiderio della sua fidanzata di avere un matrimonio semplice tra amici.
Serena mi osserva attraverso lo specchietto, le sorrido e lei mi manda un bacio. La amo moltissimo, non posso farci niente.
Arriviamo in centro venti minuti dopo. Ferma la macchina davanti a un negozio di abiti da cerimonia. Una volta scesi, prendo Serena per mano e seguiamo Alessandro all'interno. Mi guardo un po' in giro e mi accorgo della donna che ci sta raggiungendo solo all'ultimo istante.
«Marco, è un piacere vederti», cinguetta lei sbattendo le ciglia in modo seducente.
Serena si irrigidisce al mio fianco.
«Grazia, non sapevo che tu lavorassi qui».
Se lo avessi saputo, non avrei mai messo piede in questo negozio. Sono uscito con lei per un mese, non lo rifarei nemmeno se mi pagassero. Non ho mai conosciuto una donna più appiccicosa di lei, è peggio di una sanguisuga.
«Oh sì, lavoro qui da un paio di anni. Sei impegnato stasera per cena?», chiede dal nulla noncurante del fatto che io non sia solo.
Si è accorta che sto tenendo per mano una donna bellissima, che, oltretutto, sta ringhiando al mio fianco?
«È impegnato stasera, domani sera e tutte le sere a seguire», sibila Serena a denti stretti.
Non ho il coraggio di guardare la sua espressione, ma dallo sguardo terrorizzato di Grazia, scommetto che la mia donna sia piuttosto incazzata.
«Magari un'altra volta», commenta con una scrollata di spalle.
Bene, non è mai stata un genio, ma a questo punto chiunque avrebbe capito che Serena stava marcando il suo territorio.
«Vado a controllare i vestiti da donna, voi arrangiatevi», sputa acida un attimo dopo.
Ci mancava solo che si arrabbiasse! Gira sui tacchi e si dirige a passo svelto nell'altro reparto.
«È la tua ragazza?», domanda passandomi un dito sul naso, un sorriso ebete affiora sulle sue labbra.
Che cazzo sta facendo? Indietreggio con una smorfia.
«Sì, è la mia fidanzata e non credo che sarò libero da qui ai prossimo cent'anni probabilmente», affermo avvicinandomi ad Alessandro.
«Potrei sempre farti cambiare idea». Si morde il labbro e mi squadra dalla testa ai piedi.
Serena sta tornando indietro: non l'ho mai vista così incazzata, fa quasi paura. Si piazza davanti a Grazia e le punta un dito in faccia.
«Ascoltami bene, perché non lo ripeterò una seconda volta: Marco è il mio uomo, stai lontana da lui, o ti faccio fare una brutta fine. Ora aiuterai il mio fratellino a scegliere un vestito per il suo matrimonio, dopo di che ce ne andremo e tu non romperai più le palle a Marco».
La donna la guarda come se fosse impazzita.
«Tu sei malata», farfuglia con aria schifata.
«Un motivo in più per non contraddirmi», aggiunge Serena prima di andarsene nuovamente.
Vorrei tanto correre da lei, ma ho l'impressione che voglia rimanere sola e, sinceramente, ho il terrore di essere sbranato.
«Bene, che vestito mi consigli?».
È Alessandro a toglierci da quel silenzio imbarazzante, e lo ringrazio con un cenno del capo. Lui mi mette una mano sulla spalla e la stringe appena.
«Vai a vedere come sta mia sorella. Credo di riuscire a cavarmela anche da solo qui». Mi strizza l'occhio e trascina Grazia lontano da me; lei non sembra molto felice e, a dirla tutta, non m'importa.
Raggiungo Serena a passo spedito, mi blocco a pochi metri da lei: indossa un vestito turchese, che le arriva poco sopra al ginocchio. Guardo il suo riflesso allo specchio ed è imbronciata. Si sistema le spalline e la stoffa all'altezza del seno; non si è accorta della mia presenza nella stanza. È un vestito semplice, elegante e fascia le sue curve, rendendola favolosa. Non ha alcuna scollatura volgare, ma allo stesso tempo rende giustizia al suo seno abbondante. È semplicemente divina.
I nostri sguardi finalmente si incontrano, le sorrido. Serena, dopo un momento di esitazione, sospira e ricambia. Mi avvicino e le bacio la nuca, le avvolgo la vita con le braccia, appoggiando il mento sulla sua spalla. Osservo il nostro riflesso allo specchio e amo quello che vedo: i suoi occhi verdi brillano di luce propria in questo preciso istante.
«Sei bellissima», mormoro stringendola di più a me.
«Pensi che possa andare bene per il matrimonio di Ale?», chiede accigliandosi.
«Secondo me è perfetto, ti sta d'incanto». La rassicuro.
Sembra credermi e prende tra le mani il cartellino del prezzo. Per poco non si mette ad urlare, si porta una mano alla bocca e si divincola dalla mia presa, chiudendosi nel camerino.
Rimango con le braccia allargate e l'espressione da pesce lesso. Che diavolo le è successo? Il suo comportamento non ha alcun senso, almeno non per me.
Busso alla porta del piccolo stanzino e sento un borbottio provenire dall'interno.
«Flounder, che succede?», domando appoggiando la fronte sull'avambraccio, la mano ancora sul legno.
Mi passa il vestito attraverso una piccola apertura superiore, lo afferro titubante. Che cosa ha questo vestito che non va?
«Flounder?», chiamo in un filo di voce.
Sento un sospiro attraverso la porta chiusa.
«Non posso indossare quel vestito», borbotta dopo un po'.
«Perché non dovresti? Ti sta divinamente.», le dico sinceramente. «Aprimi, ti prego».
Si sente armeggiare sulla serratura e apre di un spiraglio: è seduta su un piccolo sgabello, con la testa poggiata contro la parete.
«Mi sembrava di aver capito che ti piacesse molto». Le prendo una mano e la tengo stretta nella mia.
«Infatti», mugugna.
«Qual è il problema allora?».
Serena chiude gli occhi e sbuffa.
«Non posso permettermi quel dannato vestito! Non guadagno nemmeno in un mese tutti quei soldi! Cercherò qualcosa più alla mia portata, magari al mercato, sulla bancarella dei cinesi».
«Stai scherzando spero».
Cerco il cartellino con il prezzo e ho un sussulto: mille euro per questo pezzetto di stoffa? Si sono bevuti il cervello? Osservo lo sguardo sconsolato della mia donna e mi si spezza il cuore. Lei adora questo abito e lei lo avrà.
«Vieni, esci da questo buco».
La faccio alzare, tirandola per un braccio e lei si avvinghia a me, appoggia il viso sul mio petto.
«Sono una povera squattrinata e farò la figura della pezzente al matrimonio di mio fratello», piagnucola.
Faccio un cenno a una commessa bionda che si trova poco lontano da noi. Serena continua a borbottare frasi sconnesse contro il mio petto, tenendosi stretta a me.
La donna ci raggiunge e le porgo il vestito turchese. Estraggo il portafoglio dalla tasca posteriore dei miei pantaloni e le passo la carta di credito.
«Faccia una bella confezione regalo», le dico a bassa voce per non farmi sentire da Serena.
La commessa annuisce e sparisce verso la cassa. Serena non mi avrebbe mai permesso di regalarle questo abito, comprarlo di nascosto è l'unica soluzione. Desidero che lei sia felice, niente di più. Non voglio che si senta fuori luogo al matrimonio del suo unico fratello, cui vuole un bene dell'anima. Lei quel giorno sarà perfetta - non che ora non lo sia - e indosserà l'abito dei suoi sogni.
«Andiamo a vedere come se la sta cavando Alessandro?», chiedo sollevandole il viso con entrambe le mani.
La sua espressione muta all'improvviso, sembra arrabbiata, mi colpisce un braccio con un pugno.
«Ahi! Perché l'hai fatto?». Mi massaggio il punto colpito.
«Chi sarebbe quella là? Una tua spasimante?». Si allontana di qualche passo e mi fissa con sguardo truce.
«Ci sono uscito un mese soltanto, qualche anno fa, era insopportabile», rispondo con decisione. Al solo ricordo, mi torna un senso di nausea.
«Mi assillava con milioni di telefonate al giorno, se non rispondevo, mi arrivava immediatamente un messaggio, chiedendo il motivo del mio silenzio. Me la ritrovavo sotto casa ad orari improbabili, in lacrime perché non la degnavo delle attenzioni cui aveva bisogno. Un giorno sono esploso e l'ho lasciata, cercando di non sembrare scortese, dicendole che non ero pronto per una relazione seria, che la colpa non era sua, soltanto mia. Insomma, cazzate del genere».
Riprendo fiato, le ho raccontato tutto, non ho segreti per Serena e mai li avrò. Il nostro rapporto si basa su fiducia reciproca, o almeno spero lo sia.
Un angolo della sua bocca si solleva all'insù e, un attimo dopo, prorompe in una fragorosa risata. Che cos'ha adesso da ridere? Certo, però, che è bellissima quando lo fa: quelle fossette che si formano sul suo viso sono adorabili.
Si asciuga gli occhi con le mani e mi butta le braccia al collo.
«Come hai fatto a resistere un mese?». La sua domanda mi stupisce e sospiro.
«Non lo so, probabilmente ero in un momento particolare della mia vita. Avevo voglia di farmi del male e quello era un modo come un altro», affermo stringendomi nelle spalle, fingendomi serio.
«Ora ti stai facendo del male con me?». Posa le labbra sulle mie e mi regala un bacio leggero. «Stai attento a come rispondi».
«Mi sto facendo malissimo con te e mi piace molto», commento approfondendo quel bacio.
«Ti perdono solo perché baci da Dio», mormora rilassata tra le mie braccia.
«Non perché sono uno stallone a letto?». La prendo in giro.
«Adesso non montarti troppo la testa, stallone». Strofina il naso contro il mio e mi bacia nuovamente, togliendomi il respiro.
Afferra la mia mano e raggiungiamo suo fratello nell'altro reparto. Grazia gli sta mostrando diversi tipi di cravatta. Alessandro ci osserva ansioso.
«Per fortuna siete tornati! Sto impazzendo!», sbotta gesticolando nervosamente. «Quale scelgo?».
Indica tre diverse cravatte, Serena ed io le guardiamo attentamente e poi rispondiamo all'unisono: «Questa».
Scegliamo lo stesso modello nero con le cuciture bianche, si intona perfettamente con il vestito che indossa. Serena mi sorride e ancora una volta mi dico che è lei la donna giusta per me, è semplicemente lei.
«Grazie ragazzi! Mi avete salvato la vita!».
Alessandro mi dà una pacca sulla spalla e abbraccia la sorella con trasporto. Lei gli prende le mani e si allontana quel tanto che basta per osservarlo.
«Sei meraviglioso, Ale. Vera è una donna fortunata. Sono così orgogliosa di te». Si stringe a lui e chiude gli occhi, una lacrima scende a rigarle il viso.
«Oh Sere, non credo di averti mai detto quanto ti voglio bene», confessa lui baciandole la fronte e, poi, rivolto a me aggiunge: «Marco, rendila felice, o dovrai vedertela con me».
Renderla felice è l'unica cosa che ha importanza per me, non ho alcuna intenzione di ferirla, se mai dovesse succedere, sarò io stesso a menarmi. Serena merita solo il meglio, perché lei è il meglio che un uomo possa mai desiderare. Mi ritengo molto fortunato ad averla incontrata e ancora di più a essere amato da lei: il suo amore mi ha reso migliore.
«Non ho alcuna intenzione di prenderle da te». Lo rassicuro.
«Così mi piaci».
Grazia continua a lanciarmi delle occhiate languide, faccio finta di non notarle e concentro la mia attenzione su Serena. Mi ritrovo a sorridere, mi riprendo la mia donna e la stringo fra le mie braccia. Noto odio negli occhi di Grazia e non m'importa, può pensare quello che vuole, tanto non potrà mai avermi.
Il vestito che Alessandro ha scelto gli calza a pennello e, non avendo bisogno di modifiche, può portarlo già a casa. La commessa alla cassa gli consegna il suo acquisto e restituisce a me la carta di credito. Con un cenno le indico di dare la confezione regalo a Serena, recepisce immediatamente il messaggio. Le mette tra le mani una scatola, sapientemente incartata e con dei nastri turchesi che scendono soffici ai lati.
Serena spalanca la bocca e la richiude senza emettere alcun suono.
«Solo il meglio per te, amore», sussurro al suo orecchio.
Si volta a guardarmi, ha gli occhi lucidi.
«È quello che penso io?», chiede in un filo di voce.
Annuisco.
«Oh Marco!». Mi regala un bacio dolcissimo che mi lascia stordito.
Dopo questo momento di dolcezza, mi colpisce il petto con un pugno.
«Non dovevi! Sei un folle!», brontola.
Sì, la amo, decisamente.

 
***Note dell'autrice***
Serena gelosa è davvero pericolosa (mi è venuta pure la rima lol)... io se fossi Grazia emigrerei su un altro pianeta, magari assieme a Massimo. Non è stato un amore Marco a regalarle il vestito che tanto le piaceva? Beato lui che ha un conto in banca consistente lol. La settimana prossima ci sarà un evento non molto piacevole per la nostra Flounder... non aggiungo altro :)

Volevo inoltre rendervi partecipi del fatto che il prossimo 31 dicembre pubblicherò uno spin off di questa storia con protagonista *rullo di tamburi* ♥ Lorenzo ♥ LOL
Saranno solo 10 capitoli e andranno di pari passo con i prossimi capitoli di Marco & Serena, per questo motivo sto aspettando a pubblicare questa nuova storia. Non vorrei si creassero inutili spoiler o incomprensioni, visto che le trame si intrecceranno dal capitolo 19 (che pubblicherò il 30 dicembre) in poi. Diciamo che scopriremo un Lorenzo mai visto prima e spero possiate essere interessati a leggere anche questa storia che è comunque collegata alla principale. Ho pensato di pubblicarla il mercoledì, per non riempirvi di aggiornamenti lo stesso giorno e lasciarvi il tempo di metabolizzare il tutto.
Vi lascio con un piccolo pezzo del primo capitolo, così, per incuriosirvi un po' ;)

Vi abbraccio tutti uno a uno e vi auguro un bellissimo Natale! Un bacione Ire ♥

 

«Sicuro che verrà con qualcuno?», domando in ansia a Marco, per assicurarmi che lei mantenga la parola.
«Certo, non ti fidi?». Lui mi guarda con un sopracciglio inarcato.
«Ho paura che possa portare solo quel Luca», ammetto con una smorfia.
Non ho niente contro di lui, per carità, solo non deve mai stare dietro di me. Non si sa mai.
«Non lo farà, ne sono certo». Mi rassicura con un sorrisetto sulle labbra.
A volte vorrei prenderlo a calci nel culo: si diverte a prendermi per i fondelli, e io, permaloso come sono, spesso me la prendo. So di esserlo, l'ho sempre saputo. Non riesco a rimanere arrabbiato a lungo. In fin dei conti è il mio migliore amico, in qualche modo ho bisogno di lui, anche se non lo ammetterò mai, nemmeno sotto tortura.
Raggiungiamo la piscina, e Marco si incanta a guardare la sua Serena. È diventato così smielato da quando ha preso una sbandata colossale per quella commessa. Ammetto che ha scelto bene, sono un po' invidioso. 



Se volete passare a trovarmi
Bijouttina & i suoi vaneggiamenti

 

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Capitolo 19
*** Oggi mordo! ***





19. Oggi mordo!
Non ce la posso fare. Voglio starmene tutto il giorno sul divano, con il mio cuscinetto caldo sulla pancia, a sgranocchiare cioccolata. Non mi sembra di essere troppo esigente, vorrei concedermi queste coccole almeno una volta al mese. Oggi, invece, sono costretta a lavorare. Sono particolarmente nervosa, potrei perfino mordere se mi fanno girare le scatole e so per certo che qualcuno lo farà. Non vorrei trovarmi nei loro panni. Ho dimenticato perfino di prendere le mie gocce per l'emicrania e ora sembro uno zombie. Dovrebbero starmi tutti alla larga, tutti.
«Flounder, abbiamo finito il caffè!», grida Marco dalla cucina.
Io senza caffè non posso andare a lavorare. Grugnisco mentre mi raccolgo i capelli in una coda di cavallo.
«Posso prepararti del tè?», chiede affacciandosi alla porta del bagno.
Lo fulmino con lo sguardo.
«Io non bevo quella brodaglia. Non sono né inglese, né malata», sputo piuttosto infastidita da quell'offerta.
Devo essere davvero in punto di morte per ingurgitare quel liquido bollente; al solo pensiero mi viene il voltastomaco. Io ho bisogno di caffeina, non di teina, non me ne faccio assolutamente niente.
«Flounder, credo che tu abbia bisogno di un esorcista. Sembri posseduta questa mattina». La sua pacatezza e la serenità che emana mi fanno incazzare ancora di più.
«Shark non fare il cretino, ti prego», borbotto gesticolando nervosamente. «Non ho voglia di scherzare oggi, e non c'è nemmeno il caffè. Peggio di così non potrebbe andare».
Lui scoppia a ridere, gettando la testa all'indietro.
«Sei spettacolare, credimi! Anche quando sei acida, irascibile e intrattabile», esclama venendo nella mia direzione.
«Tu devi essere impazzito». Scuoto la testa e sbuffo.
«Beh, penso che questo ormai lo sapessi già, dopo un mese e mezzo che stiamo insieme dovresti aver imparato a conoscermi».
Mi afferra per un fianco e mi attira a sé con uno strattone inaspettato che mi fa sussultare.
«Se stai cercando di farmi cambiare idea riguardo la nostra relazione, hai sbagliato completamente approccio. Se stai cercando un modo per liberarti di me, non ci stai riuscendo minimamente. Sono peggio di una zecca, non ti libererai di me così facilmente, sappilo».
Sto per ribattere, ma mi tappa la bocca con la sua.
«Non ho ancora finito, miss acidità», mormora con le labbra incollate alle mie. «Non riuscirai a trovare una sola cosa in grado di allontanarmi da te».
«Nemmeno se andassi con Massimo?». Lo punzecchio.
«Questa cosa non dovevi assolutamente dirla. Ora, per punizione, mi bacerai finché non pregherai il sottoscritto di smettere. Io non ho alcuna intenzione di farlo, nemmeno sotto tortura».
«Devo andare a lavorare». Gli faccio notare.
«Non me ne frega un cazzo. Scusa la schiettezza». Mi mette una mano dietro la nuca e mi spinge contro di sé con irruenza, senza darmi nemmeno il tempo di brontolare. Sapeva che l'avrei fatto e mi ha zittito appena in tempo.
«Marco, ti prego», mugugno con pochissima convinzione, mentre mi riempie il viso di delicati baci.
«Mi devi supplicare». Sorride nel dirlo e, un attimo dopo, mi sta abbassando le spalline della canottiera. Tortura i miei capezzoli, uno alla volta, facendomi perdere il controllo del mio corpo. Si ferma all'improvviso, lasciandomi stordita e desiderosa di altre attenzioni.
«Ti prego, non smettere».
La mia supplica esce inversa: dovevo chiedergli di fermarsi, non di continuare! Oh, al diavolo!
«Oh, la mia acidella vuole di più». Mi solleva per le natiche e gli avvolgo le gambe attorno alla vita. «Non avevi fretta di andare a lavorare?».
«Stai zitto, coccolami ancora un po', visto che dovrò rimanere insoddisfatta. È tutta colpa tua, solo colpa tua», borbotto mordendogli il labbro.
«E perché sarebbe colpa mia?», chiede aggrottando le sopracciglia.
«Lo sai benissimo perché! Sai che non resisto quando mi torturi in quel modo». Mi incollo nuovamente alla sua bocca e gli tolgo il respiro.
«Sì, lo so. E io non resisto tutte le volte che sei vicino a me. Sono un caso anche più disperato», soffia sulle mie labbra. «Ti accompagno al lavoro, sennò ho paura di non riuscire a controllarmi».
Poggio la fronte sulla sua e sospiro. Mi rimette giù a malincuore, continuando a tenermi stretta a sé.
«Vestiti, ti porto fuori a fare colazione prima di accompagnarti in negozio». Mi dà una lieve pacca sul sedere e mi libera dal suo abbraccio.
Come si fa a non amare quest'uomo? Mi sento anche un po' meno scorbutica, per ora. Voglio proprio vedere quanto durerà l'effetto benefico dei suoi baci e delle sue attenzioni. Io spero tanto che durino il più a lungo possibile, questa sensazione potrebbe migliorare notevolmente la mia giornata.
Raggiungiamo la pasticceria a piedi, di sabato e a quest'ora è praticamente impossibile trovare parcheggio in quella via. Quattro passi non hanno mai ucciso nessuno. Sergio ci saluta calorosamente.
«Galeotto fu il cappuccino, eh?». Ci prende in giro un attimo dopo.
«Tanto rompere le scatole per un po' di caffè e latte sulla sua camicia bianca». Sto al gioco.
«Già, non ho ancora capito perché si fosse scaldato tanto». Sergio scuote la testa, fingendosi sconcertato.
«Mah, forse perché si era reso conto che la sua camicia nuova aveva un tocco di classe per merito mio e non lo avrebbe mai ammesso».
Marco ascolta il nostro scambio di battute con un gomito ben piantato sul marmo del bancone, un sorrido divertito si forma sulle sue labbra.
«No, hai sbagliato, amore. Ero arrabbiato perché quel dannato cappuccino era rovente». Prova a difendersi, colpendomi una spalla con un dito, con aria che dovrebbe sembrare minacciosa.
Incrocio le braccia al petto e inarco un sopracciglio.
«Non raccontarci balle, ammetti la verità». Sergio lo osserva con la mia stessa espressione dubbiosa.
Marco mette le mani avanti in segno di resa.
«Okay, va bene, mi avevi rovinato la camicia nuova e mi sono girate le palle. Soddisfatti?».
«Siamo soddisfatti?», chiedo al mio complice, che annuisce appena.
«Bene, sono contento. Possiamo fare colazione ora?», brontola girandosi completamente verso Sergio. «Ho bisogno di un bel caffè».
«Un cappuccino per me». Ordino un attimo prima di scoppiare a ridere.
Marco rotea gli occhi, fingendosi scocciato. Un attimo dopo, mi prende il viso con entrambe le mani e mi bacia avidamente lì davanti a tutti. Mi sento avvampare per l'imbarazzo.
«Questo era quello che avrei voluto davvero fare quel giorno», mormora a fior di labbra. «Ti amo, piccola».
Appoggio il viso contro il suo petto e chiudo gli occhi, mi faccio coccolare un altro po', mi deve bastare per le prossime sei ore.
«Oh, ma guarda chi c'è qui!».
La voce di Luca mi fa sussultare, mi ha praticamente urlato nell'orecchio.
«Ciao». Saluto lanciandogli un'occhiataccia.
«Ehi, Luca». Saluta entusiasta il mio uomo, dandogli una pacca sulla spalla.
«Vedi? È con questo entusiasmo che si dovrebbe salutare». Mi fa notare il mio migliore amico.
«Se tu non mi facessi venire un infarto, forse potrei anche salutarti più calorosamente», grugnisco io con una smorfia.
Luca posa una mano sul braccio di Marco e dice abbassando il tono della voce: «Ha le sue cose, non è vero?».
Lui annuisce soltanto, un sorriso divertito appare su quella sua fantastica bocca.
«Condoglianze. Non ti invidio proprio», scherza Luca. «Mi raccomando, dopo averla accompagnata al lavoro, fermati da qualche parte a comprarle delle stecche di cioccolato. Una quantità industriale, mi raccomando. Solo così la potrai tenere a bada».
«Grazie per i consigli, lo apprezzo molto». Ride di gusto osservando la mia espressione imbronciata. Non mi piace quando parlano di me, facendo finta che io non sia presente e, soprattutto, non lo sopporto oggi.
Mostro loro tutto il mio disappunto con un grugnito.
«Comprane un bancale, ti conviene». Luca mi bacia la guancia. «Sai che ti voglio bene».
«Sì, certo», borbotto.
Alza gli occhi al cielo.
«Ah, mi stavo quasi dimenticando. Stasera andiamo al pub con le ragazze, vi unite a noi?», chiede rivolgendosi a Marco.
«Certo, verremo sicuramente.», risponde lui senza neanche degnarsi di chiederlo anche a me.
«Scusate se esisto, eh?», dico stizzita.
Loro non mi badano nemmeno.
«Se vuoi invitare anche qualcun altro, fai pure. Più siamo più ci divertiamo», aggiunge Luca con entusiasmo.
E se io non avessi voglia di uscire? Se volessi stare tutta sera sul divano a mangiarmi l'intero bancale di cioccolata? Sbuffo. In questo momento conto davvero molto poco. Facciamo colazione al volo, se non ci diamo una mossa, arriverò in ritardo e davvero non mi va. Concordiamo l'orario e il posto, prima di tornare a grandi falcate a casa di Marco. Arriviamo all'outlet con cinque minuti di anticipo. Lo saluto con un bacio.
Esco al volo, sto per correre all'interno, quando mi viene in mente una cosa.
«Fondente, mi raccomando!». Urlo nella sua direzione.
Marco scoppia a ridere, mi raggiunge e mi toglie il fiato con un bacio.
«Fondente sia. A dopo, Flounder».
Questa volta devo scappare sul serio, odio arrivare in ritardo. Il responsabile del negozio, Mirco, mi rimprovera con un'occhiataccia. Mi scuso al volo e sparisco nello spogliatoio. Due minuti dopo sono già al lavoro. Sono accaldata, senza fiato e con i crampi alla pancia: meglio di così non potrebbe andare! Una sensazione strana alla bocca dello stomaco mi tramortisce. Mi è sembrato di vedere Massimo nella corsia delle scarpe da corsa. Probabilmente ho le visioni. Sono così preoccupata che la giornata possa rivelarsi una delle peggiori di tutta la mia vita, che vedo cose che non esistono.
Scuoto la testa per scacciare quei pensieri assurdi e mi concentro sulle nuove felpe appena arrivate. Le piego con cura e le sistemo negli appositi scaffali, stando attenta a separare le taglie. Quella strana sensazione continua ad infastidirmi e non mi piace nemmeno un po'. Vado a riordinare l'ultimo scaffale in fondo al negozio, dove ci sono le sneakers per i bambini. Mi gratto la fronte. C'è qualcosa che non va.
Mi giro di scatto e Massimo è davanti a me, con un ghigno sul viso che farei sparire a suon di pugni. Non mi dà il tempo di pensare a niente: mi sbatte con la schiena contro lo scaffale, togliendomi momentaneamente il respiro. Ne approfitta per infilarmi la lingua in bocca contro la mia volontà, mi blocca i polsi sopra la testa con una mano soltanto. L'altra cerca di insinuarsi sotto la mia maglia. Cerco di dimenarmi, di scrollarmelo di dosso, ma è molto più forte di me. Sento la sua erezione premermi prepotentemente contro il mio ventre. Mi viene da vomitare.
Non ho tempo per pensare a una soluzione adeguata, decido di seguire il mio istinto. Gli mordo violentemente il labbro inferiore, sento il sapore metallico del suo sangue in bocca. Lui si stacca da me quel tanto che basta per poter colpire i suoi gioielli di famiglia con una potente ginocchiata. Si porta le mani su quel punto e non si risparmia con le smorfie di dolore.
«Mirco! Mirco!». Mi metto ad urlare come una pazza. Vorrei scappare da lì, ma le mie gambe non vogliono collaborare.
Il responsabile arriva di corsa e mi trova in lacrime, il coglione mi lancia delle occhiate piene di odio.
«Che sta succedendo?», chiede Mirco posando una mano sul mio braccio.
«La troia mi ha morso!», sbotta Massimo livido di rabbia.
Mirco mi fa sedere su uno sgabello e si piazza davanti a me, togliendomi dalla visuale del pazzo.
«Ora chiamerò la polizia». Sfila il cellulare dalla tasca dei pantaloni della divisa e compone il numero.
Massimo glielo strappa di mano. «Non ci provare nemmeno».
Lo lancia a terra con violenza, aprendolo a metà.
«Non è finita qui». Mi minaccia a denti stretti, prima di andarsene, pulendosi le labbra con il dorso della mano.
Mirco recupera i pezzi del telefono e si piega sulle ginocchia per potermi guardare negli occhi.
«Stai bene?», domanda visibilmente preoccupato.
Scuoto la testa. Mi sento tutto fuorché bene. Se fossi stata a casa tutto questo non sarebbe mai successo.
«Dammi il tuo telefono, chiamo il tuo ragazzo. Ti sostituisco io oggi, non puoi lavorare in queste condizioni».
Prendo il cellulare dalla tasca dei pantaloni, la mano mi trema tantissimo.
«Vado a prenderti una bottiglietta di acqua. Resta qui tranquilla, torno in un attimo».
Si allontana portandosi il telefono all'orecchio. Sta parlando con qualcuno, ma non sento quello che sta dicendo. Chiudo gli occhi e cerco di regolarizzare il respiro. Fosse facile. Non c'è nemmeno Luca. Ripensare a quel viscido mi fa singhiozzare nuovamente. Avrei potuto infierire su di lui mentre si contorceva dal dolore, ma non ci sono riuscita, ero troppo scossa. Ho bisogno di Marco.
 
***
 
È divertente stuzzicare Serena quando non è dell'umore adatto. È irresistibile anche quando mi tiene il broncio. Parcheggio davanti al supermercato ed entro a fare scorta di cioccolata fondente per la mia donna. Amo viziarla, lo ammetto.
Prendo il cestino rosso e cerco la corsia giusta. Una volta trovata, sbanco lo scaffale. Non so quale sia la sua marca preferita, perciò prendo un po' di tutto.
Vado alla cassa e la donna mi guarda sbalordita.
«Sua moglie ha le voglie?», chiede con espressione divertita.
«Qualcosa del genere», rispondo con un sorriso.
Pago ed esco con il mio sacchetto in mano. Il cellulare vibra nella tasca dei pantaloni, cerco di estrarlo, ma non abbastanza velocemente. La chiamata va persa. Un attimo dopo riprende a vibrare: è Serena.
«Ti mancavo già?». Scherzo in tono malizioso.
Sento un fruscio dall'altra parte della linea e della musica in sottofondo.
«Serena?».
«Ciao, scusa. Sono Mirco, il responsabile del negozio».
Che cazzo sta succedendo? Perché questo tizio mi sta chiamando con il telefono della mia donna?
«Dov'è Serena?», chiedo in apprensione.
«Dovresti venire qua. Un uomo la stava importunando, è sconvolta. Volevo chiamare la polizia, ma il bastardo mi ha rotto il telefono», mi spiega concitato.
«Arrivo subito».
Salgo in macchina lanciando il cellulare sul sedile del passeggero. So benissimo chi era quell'uomo e giuro che lo ammazzo! Se ha osato anche solo sfiorarla...
Non ci voglio pensare, devo concentrarmi alla guida e correre da lei, ha bisogno di me. Dieci minuti dopo parcheggio davanti al negozio. Scendo senza preoccuparmi né di recuperare il telefono, né di chiudere la macchina: niente è più importante di Serena in questo momento. Entro come una furia, la cerco con lo sguardo e la trovo seduta su uno sgabello, in fondo al negozio. Un uomo sulla quarantina, con i capelli scuri e cortissimi, sta parlando con lei.
«Serena», dico quando sono a un passo da lei.
Alza lo sguardo, i suoi occhi sono rossi e gonfi, le lacrime versate hanno lasciato il segno del sale sul suo viso. Si alza di scatto e si butta fra le mie braccia.
«Dimmi che cosa ti ha fatto quel bastardo. Io lo ammazzo davvero, ne ho piene le palle di quel pezzo di merda», ringhio a denti stretti. Se ha alzato le mani sulla mia donna, non vedrà più la luce del giorno.
«Mi ha sbattuto contro lo scaffale, con violenza, e mi ha messo la lingua in bocca. Una cosa disgustosa». Riesce a raccontarmi quello che è successo, ma con non poca difficoltà. Se quel borioso del cazzo fosse qui davanti a me, lo prenderei a calci fino a spaccargli tutti i denti, fino a renderlo incosciente.
«Che cosa vuoi che io faccia? Vuoi denunciarlo?». Più che ad una denuncia, stavo pensando all'evirazione e, successivamente, ad una morte lenta e dolorosa.
Lei sospira.
«Non so nemmeno io che cosa fare. Voglio solo che la smetta. L'ho morso e anche preso a ginocchiate sulle palle. A dirtela tutta avrei voluto fare di peggio, ma non ne ho avuto la forza».
La mia donna ha spirito di iniziativa ed è combattiva, ma adesso sarò io a risolvere la questione.
«Credo di sapere a chi rivolgermi. Ti fidi di me?», le chiedo.
«Al mille per mille», risponde lei, alzando finalmente lo sguardo e cercando i miei occhi.
Le accarezzo lo zigomo con il pollice.
«Risolveremo tutto, te lo prometto».
Ringrazio il suo responsabile per essersi preso cura di lei in mia assenza, prima di accompagnarla alla macchina. Ho come l'impressione che, appena si riprenderà dallo shock, diventerà indomabile e vorrà vendetta.
Si raggomitola sul sedile e fissa un punto imprecisato davanti a sé, immersa in mille pensieri. Se avessi davanti quello stronzo, non so quello che gli farei. Non aveva il diritto di molestare la mia donna e pagherà per quello che ha fatto. Per cosa, poi? Serena non c'è stata, e lui non lo sopporta? Che uomo senza palle! Se lo incontrassi per strada in questo momento, lo metterei sotto, senza pensarci su due volte. Non sono mai stato violento, ma quel bastardo sta tirando fuori il mio lato peggiore. Non si avvicinerà più a Serena, o sarà l'ultima cosa che farà in tutta la sua vita.
Sfioro la sua mano per farle sapere che io ci sono per lei e che ci sarò sempre: mi prenderò cura di lei. È una cosa che mi sento di fare, che voglio fare. Fermo la macchina nell'unico parcheggio che ho trovato e la aiuto a scendere.
«Dove stiamo andando?», chiede rompendo finalmente quel silenzio carico di tensione.
«Da un avvocato», rispondo senza aggiungere altro.
Suono il campanello e, dopo essermi annunciato, la porta d'ingresso del condominio scatta. Saliamo al secondo piano e veniamo accolti da un profumo di biscotti appena sfornati. La porta è socchiusa ed entriamo. Serena sembra perplessa, si guarda in giro per cercare di capirci qualcosa.
Ci accoglie la padrona di casa, con un grembiule sporco di farina legato in vita.
«Ciao Marco. È da un po' che non ti vedo».
«Buongiorno signora Zanna. Un paio di anni probabilmente». Le sorrido.
«Come vola il tempo! E io continuo a invecchiare». Scuote la testa con un sospiro. «Cercavi mio figlio?».
«Sì, se non è impegnato», rispondo.
La donna osserva Serena e si acciglia.
«Stai bene, cara?», domanda posandole una mano sul braccio.
«Non molto».
È particolarmente pallida e sembra stia per dare di stomaco.
«Siediti, ti porto qualcosa da bere». La signora Zanna la accompagna sul divano e la fa sedere. Non sopporto vederla in questo stato per colpa di un coglione. Stringo le mani a pugno, la mascella mi si contrae senza neanche rendermene conto.
«È in camera sua». Mi informa la donna, prima di sparire in cucina.
«Torno subito,
 amore». La bacio sulla fronte e mi dirigo verso la stanza. Busso sul legno e, un attimo dopo, la porta si apre di un spiraglio.
«Socio! Che cazzo ci fai qua?».
Lorenzo aggrotta la fronte e spalanca la porta. Capisco la sua perplessità: non vengo spesso a casa sua. Di solito è lui a fermarsi da me. Per lui non è semplice vivere ancora con i suoi, ma allo stesso tempo non si sogna minimamente di andarsene. È un contro senso unico.
«Ho bisogno del tuo aiuto». Lo informo muovendomi nervosamente sul posto.
«Che cosa è successo?». Deve aver capito che la situazione è seria e ha cambiato completamente tono.
«Il figlio di puttana del pediatra ha molestato Serena un'ora fa al negozio. Non deve più succedere niente del genere», ringhio. La rabbia sta salendo nuovamente di livello.
«Non lo conosco, ma mi sta sul cazzo!», sbotta il mio migliore amico. «Che cosa volevi da me?».
«Volevo chiederti se si poteva fare qualcosa. Non voglio che lui si avvicini ancora alla mia donna. Stavo pensando all'omicidio, ma non ho intenzione di andare in galera per lui». Mi esce una smorfia involontaria. L'idea dell'omicidio non è affatto male: non molesterebbe più nessuno.
Lorenzo non deve nemmeno pensarci su troppo, ha già la soluzione.
«Gli facciamo una bella diffida».
«Come funziona?». Non ho la più pallida idea di come si gestisce una cosa del genere.
«È semplicissimo. Scriviamo una bella letterina al nostro dottorino, dicendogli di stare almeno a cinquecento metri da Serena. Se malauguratamente lui non dovesse mantenere la distanza, potremmo portarlo in tribunale. Che ne pensi?».
«Penso che potrebbe essere interessante. Parliamone con Serena. Spetta a lei l'ultima parola», dico dandogli una pacca sulla spalla.
«Certo, intanto prendo carta e penna così buttiamo giù la letterina per Babbo Natale». Lorenzo scherza sulla questione e fa bene, c'è bisogno di stemperare un po' l'atmosfera.
Una volta recuperato il necessario, raggiungiamo le due donne in salotto.
Serena sgrana gli occhi appena mi vede tornare, seguito da Lorenzo.
«Tu saresti un avvocato?», gli chiede inarcando un sopracciglio.
«Sì, lo so, non si direbbe guardandomi. Modestamente sono il principe del foro. Ovviamente ogni allusione era puramente casuale». Le strizza l'occhio e si siede accanto a lei sul divano.
«Non avevo dubbi», commenta lei accennando un sorriso.
Prendo una sedia e mi accomodo di fronte a loro.
«Bene, bene, bene», comincia Lorenzo fregandosi le mani. «Il tuo qui presente fidanzato mi ha spiegato la situazione e io avrei una soluzione poco invasiva ma efficace».
«Che cosa avresti in mente?», domanda lei incuriosita.
«Una bella diffida». Le spiega come funziona questa cosa e lei ascolta con molta attenzione, sorseggiando il caffè che la madre di Lorenzo le ha preparato.
«La spediamo tramite raccomandata. Hai l'indirizzo?».
Serena annuisce. «Devo avere ancora il suo biglietto da visita da qualche parte».
«Benissimo, procediamo?», chiede Lorenzo con entusiasmo.
Lei mi guarda, aspettando un mio cenno che non tarda ad arrivare. Mi sorride.
«Facciamolo», risponde mettendosi più comoda sul divano.
«Che figata!», sbotta il mio migliore amico emozionato. «La mia prima diffida!».
Entrambi lo guardiamo poco convinti.
«È un onore, non credete?». Lui sorride raggiante.
«Lo è». Serena gli posa un bacio sulla guancia e lui ammutolisce all'improvviso. «Grazie Lorenzo».
«Figurati», farfuglia imbarazzato.
Non l'ho mai visto così in difficoltà. Ci vuole un'oretta per scrivere tutto alla perfezione. Lorenzo, poi, lo avrebbe battuto al computer, stampato e inviato. Il bastardo avrebbe ricevuto la lettera al massimo in un paio di giorni.
«Stasera usciamo con i miei amici, ti va di unirti a noi?», gli chiede Serena mentre sta ultimando le ultime righe.
«Te la senti?». Non vorrei che si stancasse o altro, mi preoccupo per lei.
«Non rinuncerò a una serata in compagnia per colpa di quello stronzo. Non gli permetterò di rovinarmi la vita, lo stronco prima!».
Eccola qui la mia piccola combattente: ha tirato fuori gli artigli. Massimo non avrà vita facile con noi.
«Allora, ci vieni?». Si rivolge nuovamente al mio amico.
«Ci sarà anche Stella?».
Serena mi lancia uno sguardo strano, io mi stringo nelle spalle. Non ho la più pallida idea del perché abbia chiesto di lei. Questa è nuova anche per me.
«Credo di sì», risponde sincera.
«Va bene, vengo con voi. Non si dice mai di no a una bella birretta». Lorenzo sorride radioso. Che diavolo gli è preso? C'è qualcosa che non torna e stasera lo scoprirò.
Lo ringraziamo e ce ne torniamo da Diablo. Credo che quel diavoletto possa far tornare nuovamente il sorriso alla mia donna. Ci sdraiamo sul letto, con il micio in mezzo a noi che si fa coccolare con la pancia all'insù. Serena sembra ancora assorta nei suoi pensieri, almeno finché non decide di rompere nuovamente il silenzio.
«Credi che funzionerà?», mi chiede continuando ad accarezzare assorta il pelo morbido del nostro gatto.
«Deve funzionare, sennò sarà peggio per lui». Le faccio notare.
«Sai una cosa? Io spero tanto che non mantenga le distanze così potrò pestarlo a sangue», afferma guardandomi dritta negli occhi. Le accarezzo una guancia, delicatamente.
«E io ti darò una mano», aggiungo con decisione.
Diablo è talmente felice, che le sue fusa riempiono la stanza, sembra un piccolo trattore. Serena torna a guardarlo con infinita dolcezza.
«Potremmo anche darlo in pasto a lui», propone con il sorriso sulle labbra. «È un abilissimo gatto da guardia, potrebbe esserci d'aiuto».
«È ferocissimo, farebbe scappare qualsiasi malintenzionato», dico accarezzandogli la testina. Lui mi prende il dito al volo e se lo infila in bocca, cominciando a mordere. I suoi denti sono affilatissimi, non è proprio piacevolissimo.
«Pensi che a Lorenzo possa piacere Stella?», chiede ad un tratto.
Bella domanda. Non è il tipo di donna che normalmente frequenta, non saprei proprio che cosa rispondere a riguardo.
«Non lo so, Flounder. Stasera indagheremo, sono curioso anch'io di scoprirlo».
Rimane in silenzio un attimo, prima di baciarmi le labbra.
«Grazie», sussurra.
«E di cosa?», domando posandole dei delicati baci sul viso.
«Semplicemente di amarmi», risponde con gli occhi chiusi.
«Lo farò per sempre». Questa promessa la manterrò, non ho intenzione di amare nessun'altra donna.

 
***Note dell'autrice***
Come avrete notato, i bastardi non muoiono mai! Massimo è tornato alla carica, con violenza questa volta. Se non sta attento, qui qualcuno gli farà fare una brutta fine e noi gongoleremo quando accadrà! Chi di voi avrebbe mai pensato che Lorenzo potesse essere un avvocato? Nessuno avrebbe scommesso un centesimo su di lui lol. Domani arriverà lo spin off tutto suo, tenetevi pronti! ;)
Un grazie immenso a chiunque passi da qui *abbraccia tutti*
Vi auguro un buon inizio anno!
Un bacione


Una OS sul nostro Luca può interessarvi? Volevo dargli un po' più di spazio ed è uscita questa storia, spero vi piaccia :) 
Rischiamo insieme

Se volete passare a trovarmi
Bijouttina & i suoi vaneggiamenti

 

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Capitolo 20
*** Serata tra amici ***





20. Serata tra amici
L'ansia provocata da quel viscido schifoso di Massimo si è trasformata in rabbia: se lo avessi qui davanti a me, gli cambierei i connotati. Non è un uomo, è un verme orribile e dovrà vedersela con la mia ira funesta. Lorenzo spedirà la diffida lunedì, e sarei proprio curiosa di vedere la sua faccia quando aprirà la busta. Mi ritrovo a sogghignare da sola al solo pensiero. Marco inarca un sopracciglio e mi osserva divertito.
«Quel tuo sguardo non promette niente di buono», commenta spostando di lato Diablo per potersi avvicinare di più a me. «Che cosa stai tramando?».
«Vendetta», rispondo in tono minaccioso.
«Non contro di me, mi auguro». Posa una mano sul mio fianco e mi attira a sé.
«Hai fatto qualcosa perché io possa vendicarmi?». Socchiudo gli occhi.
«Non che io sappia», dice baciandomi la punta del naso.
«Buon per te, signor Rossini».
Lo bacio sulle labbra, stringendomi forte a lui.
«Mi dai il permesso di farlo fuori, se me lo trovassi davanti?», domanda strofinando il naso contro il mio.
«Dovrei portarti le arance in prigione e, sinceramente, non è stagione ora». Lo prendo in giro, godendomi le sue attenzioni.
«Aspetterò ancora qualche mese allora».
«Potrei prepararti una torta e infilarci la lima dentro». Propongo fievolmente, mentre scende a baciarmi il collo.
«Non sei una gran pasticcera». Mi fa notare lui, infilando una mano sotto la mia maglietta.
«Solo perché una volta ho bruciato una crostata, non vuol dire che sia pessima nel preparare dolci e, poi, avevo dieci anni. Ale non aveva il diritto di raccontarti certe cose. Potrei essere migliorata nel frattempo». Cerco di difendere la mia dignità.
«Potresti», mugugna lui, concentrando la sua attenzione su uno dei miei seni. Le sue dita lo sfiorano dolcemente, le sue labbra cercano le mie.
«Domani ti dimostrerò che posso farcela», mormoro tra un bacio e l'altro.
«Non vedo l'ora», commenta delineando il contorno del mio viso con dei piccoli baci.
«Non sto scherzando». Gli faccio notare in totale balia delle sue coccole.
«Lo so, amore».
Tutta la rabbia provata pochi istanti fa se n'è andata, lasciando solamente un senso di tranquillità. Marco riesce a rendere speciale qualsiasi momento trascorso insieme, anche il più banale. Sono sincera: nessun uomo prima di lui era mai riuscito a farmi sentire tanto amata, speciale. E io non ho mai amato nessuno quanto amo lui, non potrei amare nessun altro allo stesso modo, nessuno.
Il campanello fa sussultare entrambi. Marco guarda l'ora sul suo orologio e sbuffa.
«Abbiamo fatto tardi, è certamente Lorenzo», borbotta sistemandomi la maglia e accarezzandomi, poi, una guancia. «Cambiati con calma, vado ad aprirgli, prima che sfondi la porta».
Nel dire quelle parole, il campanello suona ancora una volta.
«Al terzo avviso, scardinerà il legno». Si alza sospirando e si sistema i pantaloni. Okay, la mia mano non ha resistito e si è insinuata dentro ai suoi boxer, a lei piace sempre molto quello che trova lì dentro. Marco mi strizza l'occhio e si avvia verso l'ingresso.
Mi stendo meglio sul letto e mi copro gli occhi con il braccio, le mie labbra si stendono in un sorriso rilassato.
«Mao».
Qualcuno mi sta camminando sullo stomaco, tranquillo e beato.
«Cucciolino». Lo afferro con entrambe le mani e me lo porto davanti al viso, gli bacio la testina. È cresciuto un bel po' da quando Marco l'ha portato a casa. Mangia come un maiale, non poteva essere altrimenti.
«Mao», ripete lui con convinzione.
«Sì, sei il mio bel maialino». Lo appoggio al mio petto e liscio il suo pelo, lentamente. Lui chiude gli occhietti e si gode le mie carezze, emettendo dei rumorini soddisfatti.
«Sei proprio un bel diavoletto», esclamo non appena si stanca di tutte quelle effusioni e mi morde un dito. Lo metto sul pavimento e lui corre via; probabilmente sta andando da Marco a chiedergli qualcosa da mangiare. Sento i due amici parlottare tra loro e decido di darmi una mossa. Stavo bene sdraiata a letto con il mio uomo, ma ho anche voglia di un po' di svago e di una bella birra. Dobbiamo incontrarci con i miei amici in un locale a Brescia. Non ci sono mai stata prima, ma Marco mi ha assicurato che è un locale davvero carino, in stile bavarese e, soprattutto, hanno delle birre favolose. Non chiedo di meglio.
Indosso al volo un paio di jeans blu e una canottiera azzurra. Lascio i capelli sciolti, liberi di andarsene dove vogliono, nessuna costrizione stasera. Mi trucco leggermente e raggiungo i due uomini in salotto.
Lorenzo si è spiaggiato sul divano, a gambe larghe, come fa tutte le volte che viene qui. Ormai lo conosco bene: lui ha un debole per quel pezzo di arredamento.
«Avvocato». Lo saluto irriverentemente. Che lui potesse essere laureato, non mi era mai passato per l'anticamera del cervello. Guardandolo in faccia sembrerebbe un tipo cui piace divertirsi e basta, invece sa anche essere molto professionale.
«Donna del mio socio». Ricambia lui con la sua solita insolenza. Si alza dal divano e mi raggiunge. Un attimo dopo mi ritrovo avvolta in un caloroso abbraccio.
Bene, sono un po' confusa. Da quando Lorenzo si lascia andare a questo genere di effusioni? Le mie braccia restano lungo i miei fianchi, inermi. Ammetto di non sapere come comportarmi in questo momento.
«A cosa devo tutto questo?», chiedo chiedendo silenziosamente aiuto a Marco, il quale se la sta ridendo sotto i baffi.
«Sono solo felice», risponde stritolandomi ancora di più.
«Perché normalmente non lo sei?».
Continuo ad essere un tantino confusa, non capisco proprio questo comportamento strano di Lorenzo.
«Certo che lo sono, ma oggi ho un motivo in più per esserlo», commenta allegro.
«E quale sarebbe? Se non sono troppo indiscreta». Ormai la mia curiosità ha preso il sopravvento e devo sapere.
«Avevi bisogno di aiuto e ti sei rivolta a me. Ti sei fidata di me. Non ti ringrazierò mai abbastanza».
Un Lorenzo tanto insicuro non lo avevo ancora visto. Evito di precisare che è stato il suo migliore amico a portarmi da lui e lascio che si goda il momento.
«Ora, però, potresti lasciarmi respirare? Credo che tu mi abbia rotto una costola», brontolo.
Lui mi libera dalla sua morsa e si scompiglia nervosamente i capelli.
«Scusa, non riesco a dosare la mia forza inaudita», dice tornando il solito vecchio Lorenzo dalla faccia da schiaffi.
Marco scuote la testa divertito e gli dà una pacca sulla spalla.
«Socio, non credevo avessi quest'animo gentile». Il mio uomo prende in giro il suo amico e lui, stranamente, sembra non prendersela.
«Sai che perdo la testa quando ho una bella donna davanti».
Marco gli molla una scappellotto.
«Ahi!», piagnucola Lorenzo.
«Così impari. La bella donna di cui parli è la mia, perciò evita», borbotta lui, nascondendo un sorriso.
«Come se non lo avessi capito. Senza offesa, lei non è il mio tipo». Lorenzo lancia quel commento facendo finta di niente.
Marco aggrotta le sopracciglia.
«Nessuna offesa», dico io. «Nemmeno tu sei il mio tipo».
Mi stringo nelle spalle e ammicco al mio uomo. Lui mi sorride radioso: Dio quanto amo quel sorriso! Mi sciolgo tutte le volte che me ne riserva uno.
«Benissimo!», esclamo. «Ora che abbiamo chiarito questa cosa senza senso, direi che possiamo andare a sfondarci di birra».
«Ben detto, socia!».
Ora sono diventata anch'io socia? Non resisto. Scoppio in una fragorosa risata. Entrambi mi guardano perplessi.
«Scusate, è che nessuno prima d'ora mi aveva chiamata socia». Li informo, asciugandomi gli occhi con una mano, cercando di non levarmi anche il mascara. «Andiamo bei culetti, vi offro da bere».
A quell'affermazione si scambiano un'occhiata complice, ma li zittisco ancora prima che possano aprire bocca.
«Sì, l'ho detto e non lo ripeterò, perciò muovetevi».
L'atmosfera che si respira in macchina è di pura allegria, e io mi sento decisamente bene, nonostante la brutta esperienza di questa mattina. Marco e Lorenzo parlano spensierati e io mi godo la brezza serale.
Arrivati sul luogo dell'appuntamento, vedo Luca intento a parlare con Alex, accanto a loro ci sono Stella e un uomo che non conosco. È molto alto, con dei capelli lunghi e scuri raccolti in una coda bassa, un filo di barba a coprirgli il mento. Non l'ho mai visto prima d'ora.
«Chi cazzo è quello?», tuona Lorenzo, fissandolo in malo modo.
«Non ne ho idea», rispondo ricambiando lo sguardo stupito di Marco attraverso lo specchietto retrovisore.
Lorenzo borbotta qualcosa di incomprensibile a orecchio umano, prima di scendere dalla macchina.
Marco mi prende per mano e, avvicinandosi al mio orecchio, sussurra: «Che diavolo gli è preso?».
«Credo che gli piaccia davvero Stella e non gradisca quello là», commento indicando il capellone con un cenno del capo.
Il tipo sta tenendo la mano di Stella e sembra piuttosto interessato a lei. Perché la mia amica non mi ha detto niente? E dov'è Marica? Non mi piace essere all'oscuro di cose tanto importanti.
«Lo faccio fuori». Lorenzo inspira nervosamente il fumo dalla sigaretta appena accesa e butta fuori il fumo dalle narici: sembra un drago incazzato, molto incazzato.
L'uomo posa un leggero bacio sulle labbra di Stella, lei sorride timidamente.
«È un uomo morto». Lorenzo getta a terra il mozzicone della sigaretta e lo pesta con la suola della scarpa, continuando a fissare quella scena. Sembra voglia ridurre a pezzetti lo sconosciuto.
«Stai calmo, socio». Marco mette la mano sulla spalla dell'amico.
«Calmo un cazzo. Quello lì... quello lì...». Sibila a denti stretti. È talmente nervoso, che non riesce nemmeno a terminare la frase.
«Non sapevo ti piacesse la mia amica», dico prendendolo sotto braccio.
Lui si blocca all'improvviso e sospira.
«Non lo sapevo nemmeno io, almeno non del tutto. Vederla con lui mi fa male, molto».
Wow! Qui sta per scoppiare il finimondo.
«Non eri tu che volevi solo spassartela? E come la mettiamo con Marica?».
Lorenzo mi guarda con la coda dell'occhio e si mette a giocare nervosamente con il suo orologio.
«Beh, ecco...», comincia titubante.
«Puoi fidarti di noi». Lo rassicuro, massaggiandogli delicatamente il braccio.
«La verità è che non sono mai stato con Marica», confessa con un filo di voce.
«Ah no?», commento stupita.
«No, ecco... dopo essere stato con Stella... beh, sono stato bene con lei. Benissimo, aggiungerei». Non ho mai visto Lorenzo tanto impacciato e mi fa una gran tenerezza.
«Quindi?». Marco lo sprona a proseguire la sua confessione.
«Quindi cosa?», borbotta acido.
Sta tornando il Lorenzo che conosco, quello scorbutico e scontroso.
«Che cosa vorresti fare?», chiedo dolcemente, lanciando un'occhiataccia al mio uomo, che alza gli occhi al cielo.
«Non lo so, qualcosa mi inventerò», risponde divincolandosi dalla mia presa e incamminandosi verso il gruppetto.
«Lascialo stare, amore. Vedrai che se la caverà». Rassicuro Marco con queste poche parole. Lorenzo è adulto e vaccinato, saprà gestire la situazione come meglio crede.
Raggiungiamo gli altri a passo spedito e Luca mi accoglie con un caloroso abbraccio.
«Il mio tesorino bello. Come stai, cucciola?», chiede prendendomi il viso tra le mani.
Gli ho raccontato dell'accaduto, non ho segreti per il mio migliore amico. Si è incazzato da morire ed era già pronto ad andarlo a cercare per pestarlo a sangue.
«Sto bene». Gli sorrido e capisce che non sto mentendo, mi conosce troppo bene.
Mi bacia la fronte con affetto.
«Se hai bisogno, io ci sarò sempre». Non ho alcun dubbio a riguardo, lui farebbe qualsiasi cosa per me, e io farei lo stesso per lui.
«Lo so». Poso la fronte sulla sua e ci scambiamo uno sguardo complice.
Qualsiasi cosa accada, potrò sempre contare su di lui.
Ora, però, devo interrogare Stella, non la passerà liscia.
«Andate a prendere posto, noi vi raggiungiamo subito».
Luca capisce al volo e trascina tutti all'interno. Afferro Stella per un braccio e la blocco prima che possa raggiungere gli altri.
«Tu ed io dobbiamo fare un discorsetto. Chi è quel tipo? Perché io non ne so niente?».
La osservo a braccia conserte e gli occhi ridotti a due fessure. Stella sembra cadere dal pero.
«Lui è Walter, un mio vicino di casa». Mi informa, come se questa cosa potesse avere senso per me.
«E...». Voglio sapere altro, voglio sapere tutto.
«E ci stiamo divertendo un po'», ammette con una scrollata di spalle.
«Vorresti dirmi che vai a letto con quello là?». Sgrano gli occhi, stupita.
«Beh, sì. È un bravo ragazzo e a letto è accettabile». Non mi sembra molto convinta di quello che ha appena detto.
«Tu mi stai nascondendo qualcosa, signorina». Le punto un dito contro.
«Marica è uscita con Michele!». Lancia questa bomba per allontanare la mia attenzione da lei e ci riesce perfettamente.
«Cazzo!». Non riesco ad aggiungere altro.
 
 
***
 
 
Quando mi volto, Serena non è più dietro di me. Che fine avrà fatto? Luca mi toglie immediatamente ogni dubbio.
«Tranquillo, la tua donna sta mettendo sotto torchio Stella». Mi strizza l'occhio e raggiunge il suo ragazzo che si trova a pochi passi davanti a noi.
Fa ancora parecchio strano vedere due uomini che stanno insieme, ma ci sto facendo l'abitudine. Sono davvero una coppia ben assortita e si amano: non credo serva altro.
Mi distraggo un momento e Lorenzo affianca il capellone e lo osserva con la coda dell'occhio. Si vede lontano chilometri che lo vorrebbe fare fuori.
«Tu e Stella state insieme?», domanda il mio migliore amico in tono brusco.
L'altro sembra non notarlo, o forse fa solo finta di niente.
«Nah, scopiamo soltanto.», risponde come se fosse la cosa più naturale del mondo.
Lorenzo serra le mani a pugno, la mascella si contrae.
«Non starei mai con lei, è troppa, non so se mi capisci». Sorride al mio amico, il quale non ricambia minimamente.
«Allora perché esci con lei?», chiede digrignando i denti.
«Mi ha chiesto di accompagnarla, non voleva reggere il moccolo». Si stringe nelle spalle. «A me va bene così, mi ha promesso una scopata in cambio».
Blocco il pugno di Lorenzo prima che vada a segno. Il capellone non si accorge di niente. Allontano il mio amico e lo metto con le spalle al muro.
«Respira a fondo. Tu sei un uomo, comportati da tale. Prenditi la donna che ti piace, senza fare a botte».
«Quello è uno stronzo!», ringhia alquanto infastidito. «Pensa solo ad inzuppare il biscotto».
«Tu no?». Incrocio le braccia al petto e inarco un sopracciglio
«Io non direi mai che è tanta», sbotta acido.
«L'hai detto la prima volta che l'hai vista». Gli ricordo senza cambiare espressione.
«Sì, ma...». Prova a difendersi, ma lo blocco immediatamente.
«Sì, ma, un cazzo. Tu ora ti prendi Stella come farebbe un qualsiasi galantuomo. Non credo abbia bisogno di uno stronzo accanto».
«Io non sono mai stato un galantuomo». Sbuffa sonoramente.
«Puoi sempre diventarlo, se ci tieni davvero a conquistarla». Lo scuoto per le spalle.
Serena ci sta raggiungendo, Stella è al suo fianco. Lascio andare Lorenzo, il quale non smette di fissare la fonte del suo desiderio.
«Ciao Stella». La saluta arruffandosi nervosamente i capelli.
«Lorenzo», farfuglia lei. Le sue guance si colorano di rosso e abbassa lo sguardo, imbarazzata.
«Sei bellissima stasera», dice il mio migliore amico.
«Grazie». Gli sorride impacciata e corre all'interno del locale.
Lui la osserva allontanarsi, finché non sparisce dalla sua vista. Gli sfugge un sospiro.
«È un buon inizio». Lo rassicuro trascinandolo verso l'ingresso.
Serena si presenta al mio fianco e intreccia le sue dita alle mie. Osserviamo entrambi Lorenzo: è teso come una corda di violino. La sua facciata da duro è crollata non appena ha posato gli occhi su Stella in quel corridoio poco fa.
«Vanno solo a letto insieme», dice la mia donna a bassa voce.
«Lo so. Ha chiesto informazioni al capellone. Stava anche per prenderlo a pugni». La rendo partecipe di quello che è appena successo.
«Davvero?», chiede incredula.
Annuisco deciso.
«Comunque Stella non mi ha detto tutto. Ha sviato la mia attenzione su altro. È furba la ragazza. Devo sapere», borbotta.
«Sono certo che riuscirai ad estorcerle tutte le informazioni che vorrai. A proposito, hai scoperto come mai Marica non è venuta?», domando con curiosità. Normalmente sono sempre insieme e non è da lei mancare un'uscita in compagnia.
«L'ho scoperto e non mi piace neanche un po'», commenta alquanto turbata.
«Che cos'è successo?».
«Beh, è uscita con il suo ex stronzo. Se osa ferirla ancora una volta, lo castro. Non capisco che cosa le sia preso. Tornare da lui, dopo tutto quello che le ha fatto, non ha senso. Non lo capisco». Gesticola nervosamente con la mano libera.
«Magari lei è ancora innamorata.».
Non è stata un'affermazione felice: mi incenerisce con uno sguardo soltanto, e so per certo di aver fatto una stronzata. Credo di essere pronto per il cazziatone.
«Senti dottor Stranamore dei miei stivali, anche se lo fosse, lui non lo è. Lo dimostra il suo comportamento infantile. Si stancherà nuovamente di lei e, poi, la mollerà come nulla fosse. Io non voglio che Marica soffra ancora in quel modo», sputa arrabbiata.
Ci fermiamo un attimo, e le prendo il viso tra le mani.
«Scusami, non volevo». La guardo dritta negli occhi, mentre le dico queste tre parole.
Lei sospira e scuote la testa. «Scusami tu».
Allaccia le braccia attorno al mio collo e mi regala un bacio che potrebbe far dimenticare a chiunque qualsiasi cosa brutta.
«Ora raggiungiamo gli altri. Devo tenere sotto controllo Lorenzo, prima che commetta un omicidio».
«Non avrei mai immaginato di vederlo in questo stato per una donna». Fa scivolare la mano nella mia ed entriamo nel locale che si trova al primo piano del palazzo. «Non vorrei dire una cavolata, ma sembra quasi innamorato di Stella. No, impossibile».
Scaccia quell'idea assurda con un gesto secco della mano. Lorenzo non mi ha mai parlato della notte passata con lei e, sinceramente, non l'ha nemmeno mai nominata in tutto questo tempo. Il suo comportamento, però, mi è sembrato parecchio strano stasera e ammetto che qualche dubbio mi è venuto.
Hanno già preso tutti posto quando raggiungiamo i nostri amici. Serena si siede accanto a Luca e io tra lei e Lorenzo.
«Ti sei calmato un po'?», gli chiedo a bassa voce per non farmi sentire dal resto della tavolata.
Lui serra la mascella e non promette niente di buono. «Sarebbe meglio se lui non esistesse», ringhia sommessamente. Gli lancia delle occhiatacce che incenirebbero chiunque.
Stella è seduta di fronte a noi e continua a lanciare delle occhiate timide in direzione di Lorenzo. Walter non sta zitto un momento, continua a parlare di cose stupide, annoiando buona parte della compagnia.
Mi nascondo dietro al menù e sbuffo, mi stanno sanguinando le orecchie.
«Io ordinerei il wurstel da quaranta centimetri». L'idiota comincia a ridere come uno scemo. «Stasera vedrai il mio di wurstel». Dà una gomitata a Stella, che lo guarda allibita.
Il mio migliore amico comincia a muovere nervosamente le gambe sotto il tavolo e stringe con violenza la lista, le nocche sono diventate perfino bianche.
«Da quando in qua Marica si vede con quello là?». Serena cerca di sviare l'attenzione su un altro argomento per togliere tutti da quell'imbarazzante uscita.
Luca si schiarisce la gola, in imbarazzo. Anche lui è sgomento per il comportamento di Walter ed è tutto dire visto che lui non è il tipo di persona che si impressiona facilmente.
«Diciamo che questa è la loro seconda uscita», risponde alla sua amica, picchiettando ritmicamente due dita sopra il legno.
Serena afferra la sua mano e commenta incredula: «Seconda?!».
«Sono usciti anche ieri sera». Stavolta è Stella a parlare, evitando di incontrare lo sguardo inferocito della mia donna.
«Perché sono sempre l'ultima a sapere le cose?». Appoggia la schiena sulla panca e sbuffa sonoramente.
«Io l'ho scoperto oggi, quando le ho chiesto se le andava di uscire con noi». Si giustifica Luca. «Non te l'ho detto prima al telefono perché eri già scossa per quello che era successo e non volevo agitarti ulteriormente».
«Che cosa è successo?». Questa volta l'amica la guarda ed è visibilmente preoccupata.
Rispondo io per lei, questa storia mi sta facendo innervosire nuovamente.
«Quella merda del pediatra le ha fatto un'imboscata al lavoro», tuono parecchio infastidito all'idea che le abbia messo le mani addosso.
«Mi ha messo la lingua in bocca. Una cosa disgustosa». Rabbrividisce per lo schifo.
«Oh mio Dio, tesoro! Che cosa pensi di fare?».
Do una gomitata a Lorenzo, è giunta l'ora per lui di farsi bello agli occhi di Stella. Lui mi guarda in tralice, prima di parlare.
«La aiuterò io».
La donna lo guarda corrucciata, non capendo di cosa stia parlando.
«Mi ha chiesto assistenza legale e lunedì spedirò una diffida da recapitare al coglione». Le spiega senza staccare gli occhi dai suoi.
«Davvero?». Le esce in un sussurro.
Lui annuisce solamente.
Le guance di Stella si colorano di rosso mentre continuano a guardarsi. Oh sì, anche lei è cotta, senza ombra di dubbio! Questi due non me la raccontano giusta.
«Vedi anche tu quello che vedo io?». Serena sussurra al mio orecchio, regalandomi un brivido lungo la schiena.
«Sì, io vedo tutto», rispondo ammiccando.
«Hai gli occhi anche dietro la testa? Altrimenti credo sia impossibile che tu veda tutto». Mi prende in giro lei con un sorrisetto furbo sulle labbra.
«Flounder, non dovresti essere tanto irriverente con me, potresti pentirtene». Le sfioro una ciocca di capelli che le copre una guancia.
«Sai che non ho paura di te, Shark». Mi stuzzica avvicinandosi di più a me.
Parliamo sommessamente, ma a quanto pare qualcuno si è divertito a origliare il nostro scambio di frecciatine.
«Cazzo, ragazzi, voi due sembrate pronti a scopare». Walter parla con la bocca piena e un pezzo del suo panino finisce a pochi centimetri dalla mia mano. Lui ride come un cretino, mentre tutti noi lo guardiamo allibiti.
«Chiedi scusa ai miei amici». Lorenzo sembra pronto alla guerra, non solo verbale. Scrocchia le dita sopra il tavolo, apre e chiude la mano destra come se si stesse preparando a colpire.
«Ehi amico, stavo solo scherzando». L'uomo mette le mani avanti in segno di resa.
«Sarà meglio per te», ringhia a denti stretti.
L'atmosfera si rilassa un po' al secondo giro di birre, anche se il mio migliore amico non riesce proprio a rimanere calmo. Finge che vada tutto bene, ma mi rendo conto dal muoversi incontrollato delle sue gambe che c'è qualcosa che lo tormenta. La colpa è sicuramente di quel coglione di Walter. Urta il mio sistema nervoso con tutte le sue battute che dovrebbero sembrare divertenti e, invece, risultano soltanto ridicole e di pessimo gusto. Per non parlare di tutte le frecciatine a doppio senso che lancia a Stella. Se potesse farlo, lo prenderebbe a calci nelle palle e, secondo me, farebbe solamente un bene all'umanità.
Dopo l'ennesima battutaccia, Lorenzo si alza di scatto con la scusa di fumarsi una sigaretta. Lo seguo fino alla porta che dà sulle scale.
«Stai bene, socio?», chiedo in ansia. Non l'ho mai visto così incazzato in tutta la mia vita e mi spaventa un po'.
«Devo uscire, sennò lo ammazzo! Sono stufo di ascoltare tutte le stronzate che escono da quella bocca!», risponde con astio.
Esce dal locale senza aggiungere altro. Forse dovrei seguirlo, ma credo che abbia bisogno di rimanere solo per sbollire la rabbia. Pochi minuti dopo anche Stella abbandona il suo posto con la scusa di andare in bagno. Serena ed io ci scambiamo un'occhiata eloquente: ha preso la porta dell'uscita, spiando che nessuno se ne accorgesse.
«Che cosa fai nella vita?», domanda Luca al cretino, per sviare l'attenzione sul fatto che Stella se l'è svignata di soppiatto.
«Bah, niente di che. Sono uno studente fuori corso, parecchio fuori corso in effetti». Ride ancora una volta.
«E come fai a mantenerti?». Questa volta è Alex a parlare. Anche lui è parecchio infastidito dal comportamento dell'uomo. Devo ancora trovare qualcuno che non lo sia in effetti.
«Mio padre paga tutto senza battere ciglio», risponde stringendosi nelle spalle.
«Mio padre mi avrebbe già preso a calci nel culo», commento io in tono brusco.
«Sono un ragazzo fortunato».
Bene, dopo questa affermazione, credo di averne davvero abbastanza.
Si guarda un attimo in giro e si rabbuia. «Che fine hanno fatto quei due?».
Si alza dal suo posto ed esce di corsa.
«Non so voi, ragazzi, ma questo qui mi ha spappolato i maroni». Alex se ne esce con questa esternazione e scoppiamo tutti e tre a ridere.
«Altroché!», confermo io con enfasi.
«Ma dove cazzo l'ha tirato fuori questo qui, Stella?», chiede Luca buttando giù l'ultimo sorso di birra rimasto nel boccale.
«Non voglio neanche saperlo». Serena gesticola animatamente. «Spero con tutto il cuore che lo liquidi stasera e che si concentri su Lorenzo, che è un milione di volte meglio».
«Ma allora non avevo visto male!», esclama Luca con enfasi. «Mi sembrava che quei due mi nascondessero qualcosa!».
«Non sei geloso?», chiede la mia donna punzecchiandolo.
«Oh no, tesorino mio bello, la mia cotta per lui è passata». Guarda il suo uomo e si scambiano un delicato bacio sulle labbra. «Ho già il mio pezzo di manzo personale».
«Ma non ti offendi quando ti chiama in quel modo?». Mi rivolgo ad Alex con un sorriso divertito.
«Nah, io dico di peggio», risponde ridendo.
«Ah beh, allora è tutto a posto».
Attiro Serena a me e la coccolo un po': sono stanco e ho voglia di stare solo con lei. Affondo il naso tra i suoi capelli, inspirando a fondo il profumo meraviglioso che emanano. Il tempo passato con lei non è mai abbastanza, ne voglio di più, ne ho bisogno.

 
***Note dell'autrice***
Lorenzo è proprio cotto e Walter è un pirla, per usare un termine carino. Stella poteva scegliersi qualcuno di meglio da portarsi dietro. Credo che anche lei fosse pentita lol. Luca e Alex ormai fanno coppia fissa, Marica è uscita con il suo ex per la gioia di tutti e i nostri piccioncini, beh, non ho molto da dire su di loro :)
A martedì prossimo, capitolo dolce ;)
Un grazie immenso a chiunque passi da qui, a chi legge soltanto e a chi mi dedica sempre qualche minuto… vi adoro!
Un bacione, Ire 



Eccovi lo spin off su Lorenzo :)
Un amore di avvocato

Se volete passare a trovarmi
Bijouttina & i suoi vaneggiamenti

 

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Capitolo 21
*** Una dolce domenica ***





21. Una dolce domenica
Che cosa è stato? Mi sveglio all'improvviso e mi sembra di avere un peso sullo sterno, mi manca l'aria: oddio, mi sta venendo un infarto! Quando questi pensieri catastrofici hanno fatto ormai capolino nelle mia testa, mi trovo un naso umido sulla mia bocca. Metto avanti le mani e mi ritrovo quel fagotto di pelo di Diablo. Marco dorme pacifico al mio fianco, non si è accorto di niente. Potrei anche essere morta, e lui continuerebbe a ronfare tranquillo e beato. Uomini!
Mi alzo tenendo al petto il mostriciattolo, che fa le fusa felice. Chiudo la porta della camera alle mie spalle, non mi va di disturbare il mio uomo che dorme, in fin dei conti sono solo le sette della domenica mattina. Avrei dormito anch'io ancora un po', ma ormai sono del tutto sveglia e mi sono pure tornati i crampi. Che palle!
«Sei un maialino peloso», dico al nostro gatto che si stiracchia sull'anta della cucina dove teniamo le sue scatoline.
«Mao», esclama lui soddisfatto.
«Sì, certo, te la do la pappa. Spostati, dai». Salta sopra il mobile e si struscia sul mio viso, mettendomi la coda in bocca.
«Il tuo lato b non è il tuo lato migliore e potresti essere anche meno irruento», bofonchio sputando peli, dopo avermi dato una testata sui denti.
I suoi miagolii si fanno insistenti mentre armeggio con la scatola di latta e svuoto il suo contenuto nella ciotola.
«Giù dal mobile», ordino con tono autoritario. Diablo obbedisce e si punta sulle mie ginocchia con le zampe anteriori, reclamando la sua colazione.
«Sì, ho capito!», borbotto mettendogli a terra la ciotola. «Sembra che non mangi da sei mesi».
Mi lavo le mani e vado a sedermi sul divano. Accendo la tv, salto da un canale all'altro finché non ne trovo uno di cucina: stanno insegnando a preparare un dolce. Cavolo! Io dovevo dimostrare a Marco di non essere un totale disastro in cucina e questo è il momento giusto per dimostrarglielo! Gli preparerò questo dolce, ho deciso. Mi armo di carta e penna e comincio a segnare gli ingredienti. Seguo i vari passaggi con attenzione, accarezzando distrattamente il pelo morbido del micio che mi ha raggiunto non appena ha svuotato completamente la sua ciotola. Fatto da un pasticcere sembra facilissimo, potrei riuscirci anch'io, non mi sembra tanto complicato. Che ci vuole a fare una semplicissima torta di mele!
Mi servono solo farina, burro, uova, zucchero, latte, lievito e mele. Marco avrà tutti questi ingredienti in casa? È un rappresentante di materie prime per pasticcerie, dovrà pur avere il necessario per fare una torta! Deve per forza! Appoggio Diablo sul cuscino e torno in cucina. Apro tutti gli sportelli, cercando di non sbatterli. Riesco a trovare un pacchetto di farina ancora sigillato, dietro ad alcuni pacchi di pasta, lo zucchero è nel barattolo. Curioso nel frigo: burro c'è, uova ci sono, latte pure. Guardo nel porta frutta sopra al tavolo e ci sono esattamente quattro mele e un gatto! Me lo ritrovo ovunque questo mostriciattolo. Okay, gli ingredienti ci sono tutti, o quasi: non ho trovato il lievito. Spero non fosse un ingrediente fondamentale per la riuscita del dolce, altrimenti sono fottuta.
Apro il pacchetto della farina, che sfugge immediatamente al mio controllo. Una piccola quantità atterra sul pavimento. Impreco sommessamente. Diablo va subito a controllare se è qualcosa di commestibile, annusa quella polvere bianca e va via schifato.
Cerco una frusta nel cassetto e la trovo in mezzo a un sacco di altri utensili da cucina, che secondo me non ha nemmeno mai usato. Primo passaggio: montare il burro con lo zucchero. Bene, non deve essere complicato. Mi muovo con rapidità, con la stessa manualità di un muratore. Con questo composto potrei stuccare benissimo un muro. Ci aggiungo le uova e amalgamo il tutto, aggiungendo, poi, il latte a filo. Me ne cade un po' in terra, ma il mio aspirapolvere peloso si occupa prontamente a pulire. Sembra perfino soddisfatto.
Uff, ora non mi resta che aggiungere la farina. Me ne va ancora un po' in terra, sul tavolo, sulla mia canottiera, ovunque. Okay, ora devo mettere il tutto in una teglia per torte. Oh cazzo! E ora dove la trovo? Apro tutti gli sportelli, sposto tutte le pentole, faccio un rumore del diavolo e non ottengo un cavolo. Mi siedo a terra e mi porto le ginocchia al petto. Tutta questa fatica e non posso nemmeno infornare la torta. Che nervi! Sono davvero un disastro!
«Che sta succedendo qua dentro?». La voce di Marco alle mie spalle mi fa trasalire.
«Volevo dimostrarti di essere in grado di fare una torta, ma ho perso in partenza», piagnucolo. «Avevate ragione tu e Ale, sono completamente incapace».
«Allora, prima di tutto la mia donna non può essere incapace, la mia donna può essere solo una vincente». Mette le mani sotto le mie ascelle e mi solleva di peso, rimettendomi in piedi. «Secondo: nessuno è nato imparato».
Un sorriso affiora sulle mie labbra.
«Come terza cosa mi devi un caffè per avermi svegliato all'alba. Che cosa stavi cercando? Se posso chiedere». Posa le mani sui miei fianchi e avvicina i nostri corpi.
Sospiro. «Una teglia per cuocere la torta».
«Facciamo così: io ti recupero la teglia, tu prepari la colazione. Scommetto che non hai ancora preso niente». Posa la fronte sulla mia con dolcezza.
Annuisco.
«Come immaginavo. Ti prometto un sacco di coccole mentre la torta cuoce».
«Me lo dai un anticipo?». Sbatto le ciglia in modo seducente.
«Come posso resistere, Flounder».
Le nostre labbra si incontrano immediatamente, allaccio le braccia attorno al suo collo e mi godo quel bacio, che in una frazione di secondo diventa rovente. Scende a baciarmi il collo con una lentezza esasperante. Mi solleva dalle natiche e mi fa sedere sul mobile della cucina. Abbassa le spalline della canottiera, scoprendo i miei seni.
«Sono armi improprie queste», dice con voce arrochita, mentre mi stuzzica un capezzolo con il palmo della mano, facendomi ansimare. «Potrei perdere la ragione per colpa loro».
Inarco la schiena, agevolando la sua lingua e le sue labbra, che creano cerchi invisibili, regalandomi un piacere indescrivibile. Si stacca all'improvviso, tornando a baciarmi le labbra.
«Questo era solo l'antipasto», sussurra al mio orecchio.
Un mugolio insoddisfatto sfugge al mio controllo. «Così non vale».
«Oh sì che vale». Mi morde delicatamente il lobo.
Mi fa scendere e conclude in bellezza dandomi una pacca sul sedere.
«Ehi!», esclamo colpendolo sul petto con un leggero pugno.
Mi mostra la lingua. Che impertinente! Quanto lo amo! Sorrido da sola come una scema, ma il sorriso muore sulle labbra quando mi volto verso il tavolo.
«Diablo!», urlo facendolo scappare a zampe levate.
«Se volevi farmi perdere dieci anni di vita, ci sei riuscita alla grande», brontola Marco con una mano all'altezza del cuore. «Guarda, ho già qualche capello bianco».
«Quelli li avevi già, non provare a infinocchiarmi, Shark». Incrocio le braccia al petto e lo osservo con gli occhi socchiusi. «Il tuo gatto aveva il naso nell'impasto della mia torta e stava beatamente assaggiando».
Ho marcato volontariamente sugli aggettivi possessivi.
«Come mai quando è buono o bravo, il gatto è tuo e quando fa disastri è il mio?», chiede corrugando la fronte.
«Perché è così e basta», borbotto.
«Sarà così anche quando avremo dei figli?». Quella domanda buttata lì per scherzo mi fa uno strano effetto. Sta davvero pensando che noi due, un giorno, potremmo fare dei bambini? Cerco di riprendermi dallo shock momentaneo, sbattendo velocemente le palpebre.
«Io... ehm...». No, okay, non ce la faccio. Come risultato sembro una completa idiota.
«Davvero vorresti dei figli da me?», domando sedendomi sulla sedia e mordendomi nervosamente le unghie.
«Beh, direi che vorrei dei figli in futuro, e se fossero nostri potrei esserne solo felice. La mia era solo una battuta, Flounder. Non agitarti senza motivo. Non ho intenzione di diventare padre ora».
Mi prende il viso tra le mani e mi bacia delicatamente le labbra. Anche se era una battuta, mi ha lasciato una strana sensazione addosso. L'idea di diventare madre, in un futuro molto lontano, mi spaventa tremendamente. Non credo di essere portata per quel ruolo, non sono in grado di crescere un figlio. Per carità, adoro i bambini, ma non so se ne vorrei uno mio. E se lo dimenticassi in giro? Se non riuscissi a cambiare i pannolini? Se crescendo mi odiasse? Se diventassi petulante come mia madre? Rabbrividisco al solo pensiero.
«Terra chiama Serena». Marco mi richiama schioccando le dita davanti al mio naso. «Ci sei ancora, o ti ho perso definitivamente? Abbiamo una torta condita da pelo di gatto da infornare, ricordi? Flounder reagisci!».
Questa volta mi scuote poco elegantemente, facendomi storcere il naso.
«Okay, ci sono, fermati».
«Oh, avevo paura di dovermi cercare un'altra donna». Mi prende in giro.
Mi parte un calcio e lo colpisco ad una gamba. «Questo è meschino! Non puoi già rottamarmi, non è ancora scaduto il contratto!».
«Appunto! Mica ti rottamavo! Chiedevo solamente una Serena sostitutiva». Mi tappa la bocca con la sua, prima che potessi ribattere ancora una volta. «Discorso terminato, amore. Non ti cambierei con nessun'altra al mondo».
«Okay, messaggio ricevuto», borbotto nascondendo il viso tra i suoi addominali scolpiti. Dovrebbe essere considerato reato girare per casa a torso nudo, soprattutto quando dei muscoli favolosi sono belli in vista. Li bacio delicatamente, scendendo poi sulla pancia dannatamente piatta. Che invidia! Io mi sento un belenottero in questo momento e lui non ha un filo di grasso. Scendo ancora un po' e trovo il paradiso. Dire che quest'uomo è perfetto in tutto è riduttivo. Spio all'interno dei boxer e alzo lo sguardo, incontrando gli occhi blu carichi di desiderio di Marco.
«Qualcuno qui si è risvegliato». Mi mordo il labbro inferiore, controllando di nuovo il contenuto di quel pezzo di stoffa. Quello che vedo mi piace davvero molto.
«È sveglio e pronto all’azione», commenta lui con voce roca.
«Mi è stato detto che c'è una torta da finire». Lo punzecchio stringendomi nelle spalle.
«Sei dannatamente crudele e se non fossi straordinariamente bella, ti avrei sostituita davvero. Purtroppo devo tenermi il modello vecchio. Si dice che gallina vecchia faccia buon b-rodo».
L'ultima parola gli esce strozzata, mentre la mia bocca avvolge quella meraviglia. Direi che è un ottimo modo per vendicarmi: fargli sfiorare il cielo con un dito e, un attimo prima che possa toccarlo, staccarmi da lui, lasciandolo in balia degli ormoni impazziti.
«Oh mio Dio, questa è la cosa più perfida tu potessi mai farmi», commenta ansimando. «Ti prego, amore, farò tutto quello che vuoi, ma non lasciarmi così. Amore, ti scongiuro».
È divertente vederlo pregare in questo modo, ma non sono così cattiva. Gli faccio toccare quel cielo che tanto bramava.
«Soddisfatto o rimborsato?», chiedo maliziosamente.
«Se ti chiedessi un rimborso più tardi, ti offenderesti?».
«Dipende dalla riuscita della torta di mele. Se riuscirai a recuperare i miei danni, avrai il tuo premio». Mi alzo e poso le mie labbra sulle sue. «E poi sei dannatamente sexy, come posso rifiutare una tale richiesta».
Mi stringe forte a sé e i suoi occhi sembrano brillare di luce propria. Trattengo il respiro.
«Non riesco proprio a capire che cosa ho fatto per meritarti, più mi cruccio per scoprirlo, più non trovo una spiegazione. L'unica cosa che so è che tutto ruota intorno a te, a noi due insieme. Serena, non hai idea di quanto tu abbia cambiato la mia vita. Ti amo più di ogni cosa al mondo, non dimenticarlo mai».
Mi sento avvampate, le mie guance si arroventano per l'emozione. Ormai dovrei essere abituata a queste sue dichiarazioni d'amore in piena regola, invece, ogni volta rimango stordita e completamente senza parole. E credo anche che lui gongoli nel farlo. Un sorrisetto furbo, infatti, appare sulle labbra, a sostegno della mia tesi.
«Adoro zittirti con frasi da film romantico», soffia sulla mia bocca. «e, ancora di più, farlo con baci mozzafiato. Ti amo, stronzetta».
Oh sì, lui può togliermi il respiro tutte le volte che vuole.
Ora, però, dobbiamo sul serio fare qualcosa con quell'impasto, altrimenti dovremmo buttare via tutto e mi sembra solamente uno grande spreco. Marco recupera uno stampo da un armadietto in alto: non ci sarei mai arrivata lì, ecco perché non l'ho trovato. Pelo le quattro mele, mentre lui imburra la teglia e ci versa dentro il composto di stucco da me realizzato. Mi aiuta a tagliare gli spicchi in fettine sottili e le adagio in cima all'impasto, proprio come avevo visto fare in televisione.
«Che stile», commenta Marco baciandomi una spalla.
«Hai visto? Potrei andare anch'io ad uno dei milioni di miliardi di reality sulla cucina che vanno in onda, no?».
«Beh, perché no? Al massimo fai saltare in aria lo studio televisivo», risponde lui cingendomi la vita con le braccia.
«Quanta fiducia! Sarò anche una pasticciona, ma addirittura far esplodere un intero studio?», brontolo fingendomi risentita.
«Sì, potresti riuscirci e, siccome non vorrei mai che mandassi a fuoco anche il nostro appartamento, infornerò io la torta».
Faccio appena in tempo a spolverare le mele con lo zucchero, che mi ruba la teglia da sotto il naso. Rimango con le mani protese in avanti e una strana sensazione allo stomaco. Ha detto davvero nostro appartamento?
«Quanti gradi?», chiede all'improvviso.
«Come scusa?». Ho il cervello annebbiato e perfino delle semplici domande fanno fatica ad ottenere risposte.
«A quanti gradi deve cuocere la torta?». La pazienza che quest'uomo ha con me è ammirevole.
«Centottanta», rispondo sedendomi di nuovo sulla sedia, mi sento la gambe molli.
«Per quanti minuti?». Ha la mano sulla manopola del timer in attesa di un mio segno di vita.
«Quaranta».
Fisso la punta dei miei piedi, totalmente intontita. Quella frase continua a ronzarmi nella testa.
«Perché hai detto nostro appartamento?».
Non ho più avuto controllo della mia bocca, e quella domanda è uscita in un sussurro. Forse gli è solamente scappato, forse non intendeva proprio un bel niente, forse...
Lo sguardo carico d'amore che Marco mi sta riservando in questo momento fa perdere più di un battito al mio cuore.
«Vieni a vivere con me».
La sua non era una domanda, era quasi una supplica, un'esigenza.
La mia bocca si apre e si richiude senza emettere alcun suono.
 
***
 
Sapevo che l'avrei mandata in crisi con la mia richiesta, ma l'ho esternata ugualmente, pentendomene un istante dopo. Era da qualche giorno che ci stavo pensando, aspettavo soltanto il momento giusto per proporglielo. I suoi occhi si muovono rapidi, una lacrima solitaria scende a rigarle il viso. La raggiungo immediatamente e le asciugo quella stilla con un bacio.
«Non volevo metterti in difficoltà, amore mio, scusami». Le mie labbra percorrono delicatamente ogni centimetro di pelle del suo viso. «Mi dispiace».
«Perché vorresti che venissi a stare da te?», domanda in un sussurro.
«Perché ti amo da morire e voglio poter stare con te ogni giorno», rispondo con un nodo che mi stringe la gola. «Passi già moltissimo tempo qui con me, vorrei averne la totalità. Sembra un discorso alquanto egoistico, lo so e mi scuso di questo. Fai finta che non abbia detto niente».
Le bacio le labbra prima di dirigermi al forno e mettere dentro la torta di mele. Appoggio entrambe le mani sul mobile e chiudo gli occhi, con la speranza che quella morsa che mi attanaglia lo stomaco la smetta di tormentarmi. Avrei dovuto immaginare che potevo solo crearle ulteriori ansie, eppure la mia boccaccia ha fatto ancora una volta di testa propria. I suoi silenzi sono come un pugno in faccia, un suo eventuale rifiuto mi spezzerà il cuore. Sono un coglione! Continuo a desiderare di portare la nostra storia ad un livello successivo, in tempi relativamente brevi, probabilmente sto correndo troppo con lei. Ci frequentiamo da quasi due mesi, per me sono stati come due anni. È da stupidi, lo so. Normalmente sono le donne che fanno questi progetti, che non vedono l'ora di allargare la famiglia. Tutti questi pensieri non mi avevano mai lontanamente sfiorato prima di conoscere Serena e, sia chiaro, non sto pensando al matrimonio. Quello è un passo troppo grande anche per me, anche se ne ho meno paura rispetto a prima.
Quello di cui sono certo è che voglio solo lei nella mia vita, per sempre.
All'improvviso mi sento avvolgere la vita dalle sue braccia, il suo viso premuto tra le mie scapole. Appoggio le mani sulle sue e sospiro.
«Sei sicuro di volermi tutto il tempo tra i piedi? Hai visto come posso ribaltarti casa in un attimo», mormora con un filo di voce.
«Sono sicurissimo. Ti vorrei con me anche se mi facessi esplodere l'intero appartamento. Ti vorrei con me sempre e comunque», rispondo staccando le sue braccia e voltandomi verso di lei.
I suoi occhi sono velati dalle lacrime, le sue guance sono arrossate.
«Non devi risponder-».
Le sue labbra si incollano alle mie, stordendomi. La stringo a me e approfondisco quel bacio con ardore.
«Va bene, verrò a vivere con te», mi dice ad un tratto. La sua voce è incrinata dall'emozione, ma riesce comunque a sorridermi. I suoi grandi occhi verdi luccicano, e io non so se ridere o piangere per la gioia che sto provando in questo momento.
«Non mi stai prendendo in giro, vero?», chiedo prendendole il viso tra le mani.
Scuote la testa.
«Oh amore mio». La sollevo di peso, le sue gambe mi avvolgono i fianchi, le nostre bocche si cercano fameliche. «Non sono mai stato così felice in tutta la mia vita».
«Ti amo, Marco, ti amo da morire», dice lei tra lacrime di felicità.
La porto sul divano e la faccio sdraiare, stendendomi, poi, sopra di lei. Ci scambiamo dei baci appassionati, le dedico mille attenzioni: la mia donna verrà a vivere con me. Il cuore mi sta sfondando il petto per la contentezza.
Rimaniamo abbracciati sul divano fino a quando il timer del forno non suona.
«È l’ora del giudizio!», esclamo alzandomi di scatto e offrendole le mie mani.
Lei le afferra con decisione e la aiuto ad alzarsi.
«Comincia ad incrociare le dita, Shark. Ho un bruttissimo presentimento», piagnucola al mio fianco.
«Non essere così pessimista. Secondo me i peli di Diablo danno un tocco in più al tuo dolce. Guarda, ora ti insegno una cosa». Apro il forno ed estraggo la teglia aiutandomi con delle presine. «Tu come controlleresti se la torta è pronta?».
Lei arriccia le labbra e risponde: «Lo chiederei alla diretta interessata. Scusami, torta, sei cotta?».
Scoppio in una fragorosa risata.
«Oh mio Dio, Flounder, quanto sei scema da uno a dieci?».
«Cento, probabilmente. Avresti dovuto rendertene conto prima di chiedermi di venire a vivere con te, ora non puoi più tirarti indietro». Mi prende in giro lei, cercando di restare seria, ma non riuscendoci del tutto.
«Non avevo ancora stilato il contratto, perciò non ho ancora la tua firma. Posso ancora cambiare idea», commento mordendole una spalla.
«Sei crudele». Mi mette il broncio. «Stavo già immaginando l’appartamento dipinto tutto di rosa».
Apro lo sportello della credenza e prendo uno stuzzicadenti.
«Evito di commentare, non vorrei sembrarti insensibile», le dico strizzandole l’occhio.
«Che cosa hai intenzione di fare con quel pezzo di legno?», domanda perplessa.
«Controllo se la torta è cotta», rispondo come se fosse una cosa ovvia.
«Ehm, scusa l’ignoranza, ma come funziona questa cosa?». Posa una mano sul pianale della cucina e osserva attentamente quello che sto facendo. Infilo lo stuzzicadenti all’interno della torta e lo estraggo un attimo dopo, passandoci il pollice e l’indice in tutta la sua lunghezza.
«È decisamente pronta», asserisco con certezza.
«Come fai a dirlo?». Non riesce a nascondere tutta la sua perplessità.
Le passo il bastoncino, lei lo osserva titubante, ma lo afferra ugualmente.
«Prova tu». La sprono a ripetere la mia stessa azione.
Lei si stringe nelle spalle ed esegue senza fare ulteriori domande. Dopo averci passato le dita mi guarda con un punto interrogativo enorme stampato sulla fronte.
«Come ti sembra il bastoncino?», chiedo incrociando le braccia al petto.
«A me sembra asciutto», risponde.
«Allora vuol dire che la torta è pronta. Se fosse stato umido, voleva dire che doveva cuocere ancora un po’». Le spiego con il sorriso sulle labbra.
«Shark, sono arrivata ad una conclusione piuttosto semplice», comincia prendendo un piatto dalla credenza per metterci il dolce appena sfornato.
«E sarebbe?», domando aggrottando le sopracciglia.
«I dolci non fanno per me! La prossima volta ti preparerò le lasagne, sono decisamente più portata per quelle!». Scoppia a ridere e mi butta le braccia al collo
«Guardiamo il lato positivo: l’appartamento è sano e salvo, e la torta non è carbonizzata. Non poteva andare meglio di così». Le bacio le labbra e mi rendo conto di non essermi mai sentito così bene come negli ultimi tempi, da quando Serena è entrata prepotentemente nella mia vita.
Chiederle di venire a vivere con me è stato naturale, voglio trascorrere con lei ogni giorno della mia vita, ogni momento, sempre e soltanto con lei. Se qualche mese fa mi avessero detto che avrei trovato l’amore e che sarei andato a convivere, non ci avrei creduto minimamente, ritenevo fosse impossibile che questa cosa potesse accadere. E, invece, eccomi qui. Tengo tra le mie braccia una donna meravigliosa che mi ha rivoluzionato completamente la vita e con la quale mi sento davvero me stesso. Ora so che cosa significa essere veramente felici.
Il campanello fa sussultare entrambi. Chi diavolo sarà alle undici della domenica mattina?
«Aspettavi visite?», domanda accigliata.
«No, direi di no», rispondo dirigendomi al citofono. «Sì?».
«Fratellino, so che magari sei super impegnato e non ti ho nemmeno avvisato, ma tuo nipote vuole assolutamente vedere quella peste di roditore peloso». Lucrezia mi aggredisce con questo fiume di parole e mi ritrovo a sorridere. A quanto pare non è molto felice di presentarsi qui la domenica mattina, ma Daniele avrà sicuramente cominciato a fare i capricci e l’unico modo per farlo smettere è stato assecondarlo. È furbo il mio squaletto, non c’è che dire.
«Sei presentabile?», chiede in un sospiro. Sento mio nipote parlottare in sottofondo. «Sì, amore, ora vedrai il tuo bel gattino».
«Salite», dico aprendo il portone.
Corro in camera ad indossare almeno un paio di pantaloni e una maglietta. Non è bello farmi vedere solo in boxer da mia sorella e da mio nipote.
«Chi era?». Serena fa capolino alla porta della camera e mi osserva mentre mi sistemo i capelli con le mani.
«Il tuo piccolo spasimante e sua madre impicciona», rispondo appoggiando le mani sulle sue spalle e spingendola fino in salotto.
Mia sorella sta entrando ora nell’appartamento, mettendo la testa dentro per controllare la situazione. «Si può?».
Mio nipote non si ferma davanti a questi controlli, entra dentro come una furia e si dirige direttamente dalla mia donna.
«Serena!». Le salta in braccio e lei lo prende al volo, ormai ci ha fatto l’abitudine.
«Ciao cucciolino, come stai?», gli chiede baciandogli la punta del naso.
«Sto bene. Tu sei sempre bellissima». Che ruffiano. Questo ometto spezzerà un sacco di cuori quando crescerà, ha preso tutto dallo zio, modestamente.
Serena lo porta sul divano e si siede con lui avvinghiato come un polipo. Diablo salta immediatamente al loro fianco e si struscia sul braccio di Serena. Daniele è al settimo cielo. Lo prende con entrambe le mani, sbilanciandosi non poco. La mia donna lo tiene stretto e si assicura che non cada. Mette il nostro gatto davanti a sé, schiacciandolo con i loro due corpi. Quel diavolo di un gatto si lascia torturare da mio nipote senza tirare fuori nemmeno un’unghia. Serena gli sta parlando con una dolcezza infinita, Daniele ascolta con il sorriso sulle labbra, mentre accarezza il pelo di Diablo.
«Marco, cavolo, sei proprio innamorato perso. Hai un sorriso trasognato mentre la guardi che quasi mi fai paura. Non ti ho mai visto ridotto in questo stato per una donna», commenta incrociando le braccia al petto e inarcando un sopracciglio.
«È una brutta cosa?», chiedo andando in cucina. La torta si sta raffreddando sopra il tavolo. Apro uno sportello della credenza e prendo dello zucchero a velo, spolvero il dolce con un po’ di quella polvere bianca. Mia sorella mi ha seguito e si appoggia con la schiena al lavello, osservando ogni mia mossa.
«Sei strano», dice arricciando le labbra. «Che cosa è successo?».
«Perché deve per forza essere successo qualcosa?». Afferro un coltello dal portaposate che si trova alle spalle di mia sorella e comincio a tagliare a fette la torta di mele.
«Stai evitando di rispondermi, o sbaglio? Marco, sono la tua sorellina preferita, a me puoi dirle certe cose». Si avvicina lentamente a me e mi butta le braccia al collo. Mi posa un bacio sulla guancia.
«Sei una ruffiana. Ora capisco da chi ha preso tuo figlio», borbotto abbracciandola.
«Sì, probabilmente hai ragione, però tu stai continuando ad evitare il discorso. Sai che non hai scampo con me. Ti darò il tormento finché non sputerai il rospo. E sai benissimo che riuscirò ad ottenere tutto quello che voglio».
Oh sì, lo so perfettamente. Mia sorella è una gran rompiscatole quando ci si mette, lo è sempre stata fin da piccola e con gli anni è pure peggiorata.
«Dai, fratellino, prometto che non ti darò più il tormento, se mi dirai che cosa ti frulla in questo bel cervellino». Mi arruffa scherzosamente i capelli, facendomi sbuffare sonoramente.
«Non mi darai più il tormento fino alla volta successiva. Tu non riesci a stare senza sapere per filo e per segno che cosa succede nella mia vita, vero? Perché non rompi mai le scatole a Chiara?», brontolo mettendo in mezzo nostra sorella.
«Perché con lei non c’è soddisfazione, con te è molto più divertente. E sono quasi certa che di qualunque cosa si tratti, c’entra Serena, o forse mi sbaglio?». Mi osserva con sguardo indagatore. Quando ci si mette, è davvero una spina nel fianco. Ricordo ancora quando una volta, avevo diciassette anni, lei mi tormentò un intero pomeriggio perché voleva sapere con chi sarei uscito. Avevo appuntamento con una ragazza della mia classe e dovevamo andare al cinema quella sera. Alla fine cedetti per esasperazione e le raccontai tutto. Soddisfatta, tornò in camera sua a studiare. Se lo avessi fatto prima, probabilmente mi sarei risparmiato una gran rottura di scatole, proprio come sta succedendo in questo momento.
«Non sbagli», confermo la sua teoria con un sospiro esasperato.
«Che cosa hai combinato questa volta? L’hai messa incinta?». Ma che cos’è questa sua mania che devo per forza mettere incinta la mia donna di turno? Non è mai successo finora, perché dovrebbe succedere adesso?
«Ho scommesso con mio marito quanto tempo ci avreste impiegato a concepire. Secondo lui passate ogni momento libero sotto le lenzuola a fornicare. Okay, non ha usato proprio questo termine, ma il concetto è sempre lo stesso».
Adesso ci si mettono anche loro con queste scommesse del cazzo? Giuro che non ho parole. Ci deve essere un virus della follia nell’aria e se lo stanno beccando tutti, senza esclusione di colpi. Mi auguro solamente di non contrarlo anch’io, altrimenti sono fottuto.
«Sorvolo sulla questione scommessa, non trovo il senso di commentare una cosa tanto assurda. Secondo me non siete tanto normali, questo, però, volevo dirtelo. Almeno così ti metterai il cuore in pace. Secondo: ma sei impazzita? Io non ho messo incinta proprio nessuno. Non siamo due ragazzini, sappiamo come funzionano quelle cose e usiamo delle precauzioni. Non ho ben compreso il motivo per cui io ti stia dicendo tutte queste cose. Non ti dovresti impicciare della mia vita sessuale e nemmeno di quella mia privata. Ora che Serena verrà a stare da me…».
Oh cazzo!
«Beccato! Lo sapevo che ci saresti cascato e avresti confessato senza nemmeno rendertene conto! E così le hai chiesto di venire a vivere con te? Wow, Marco, questa è una notizia bomba! Aspetta che lo sappia nostra mamma, sta già preparando il corredo per il vostro primo figlio». Si stacca da me e comincia a scuotermi per le spalle. «Finalmente il mio fratellino ha messo la testa a posto».
«Che cosa intendevi con “la mamma sta preparando il corredo per il primo figlio”?», chiedo allibito da questa notizia alquanto priva di senso.
«Sta ricamando bavaglini, ha preparato delle scarpette e dei berrettini a maglia. Si sta dando da fare insomma», risponde stringendosi nelle spalle. «È felice che tu abbia la fidanzata e sta già immaginando il vostro matrimonio nella villa di famiglia».
«Lei cosa?». Impallidisco all’idea di mia madre che organizza il mio matrimonio solo dopo due mesi che frequento Serena. La cosa che mi mette ancora più ansia è che si sta preparando all’arrivo di altri nipoti. E se non dovessero mai arrivare? E se noi non li volessimo mai? Oh mio Dio, mia madre deve essere impazzita del tutto. Questa cosa deve essere fermata sul nascere o mi faranno diventare pazzo. Non ho parole, davvero, non può davvero fare una cosa del genere.
«Oh sì, caro mio, è il tuo turno di sorbirti mamma chioccia», commenta Lucrezia scoppiando a ridere.
C’è davvero poco da ridere! Questa è pura follia!

 
***Note dell'autrice***
E così Marco ha chiesto a Serena di andare a vivere con lui…  che ne pensate? Lucrezia gli ha rotto le scatole finché non ha confessato, involontariamente! L’idea della madre che sta già preparando il corredo per il futuro nipote mi fa morire dal ridere.  Marco ride un po’ meno! Hahah! È tornato anche il piccolo Daniele… vi era mancato?
Okay, bene, per oggi vado. Spero che il capitolo sia stato di vostro gradimento :)
Un grazie immenso a tutti quelli che passano da qui e alle sante donne che mi lasciano sempre un commento *vi abbraccia tutti uno a uno*
A martedì prossimo e a domani per il nuovo capitolo su Lorenzo :)

 

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Bijouttina & i suoi vaneggiamenti

 

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Capitolo 22
*** Imprevisti del cuore ***





22. Imprevisti del cuore
Sto finendo il mio giro dei clienti in città e sono finalmente pronto a fermarmi un po’ per pranzo. Avevo appuntamento con Lorenzo durante la sua pausa, ma mi ha mandato uno strano messaggio. Non è da lui mandarmi SMS criptici e la cosa un po’ mi preoccupa. Mi ha pregato di scusarlo e che avrebbe chiamato lui in serata. Vorrei sentirlo per sapere che cosa è successo, ma non mi va di disturbarlo. Se mi ha scritto quelle parole, avrà avuto i suoi buoni motivi, magari è occupato con il lavoro. Non mi impiccerò, normalmente è lui a farlo con me, anche se nell’ultimo periodo mi è sembrato parecchio strano. Che sia successo qualcosa con Stella? Quei due mi sembravano parecchio su di giri sabato sera e quando lo abbiamo riaccompagnato alla macchina sembrava esaltato. Probabilmente sono io che mi sto facendo un sacco di problemi e lui se la starà spassando come al solito. Attenderò la sua telefonata per sapere qualcosa di più.
Serena lavora oggi e devo passarla a prendere alle sei, fortunatamente ha lo stesso turno di Luca, così la tiene d’occhio. Sono d’accordo con lui che se dovesse vedere qualcosa di sospetto, mi deve chiamare immediatamente. Lorenzo doveva spedire stamattina la diffida, perciò ci vorrà qualche giorno perché Massimo la riceva e io non mi fido di quel bastardo. Se dovesse presentarsi ancora una volta al negozio, Luca ha il permesso di spaccargli quel brutto muso al posto mio. So che potrò contare sul suo aiuto, lui adora Serena e tiene tantissimo a lei, non permetterebbe a nessuno di sfiorarla. Mi sento un po’ più tranquillo a saperla con lui.
Mi fermo in un piccolo ristorantino e mi siedo in un angolo appartato. Ordino un piatto di tagliatelle con i funghi porcini, qui le fanno di una bontà infinita. Mentre aspetto di essere servito, controllo il mio telefono. Mando un messaggio a Serena per sapere come va da lei, mi risponde un attimo dopo inviandomi una sua foto: mi manda un bacio virtuale. Scuoto la testa e sorrido. Fisso quell’immagine in totale adorazione, perfino con la divisa del negozio è stupenda. Non avrei mai creduto di sentirmi così per una donna, ancora adesso provo un’emozione indescrivibile quando sto con lei, come se fosse sempre la prima volta. A occhio esterno potrei essermi rincoglionito per lei, con molta probabilità hanno perfettamente ragione e, sinceramente, non mi dispiace affatto.
«Oh, che coincidenza, anche tu qui?».
Quella voce melensa, odiosa, mi perfora la corteccia cerebrale e mi fa venire voglia di prendere il coltello e puntarglielo alla gola.
«Grazia, che piacere rivederti», mento spudoratamente sperando che noti la nota di sarcasmo nella mia voce.
«Oh, davvero?». No, non ha notato il mio sarcasmo, era prevedibile. Non è mai stata molto perspicace, per mia sfortuna.
«Vieni spesso qui a mangiare?», chiede scostando la sedia e sedendosi accanto a me. Che cosa non è chiaro per lei? Non le sono bastate le minacce di Serena quando siamo stati al negozio? A quanto pare non sono servite a molto.
«Non spesso», rispondo vago. Non vorrei che poi si presentasse qui ogni giorno con la speranza di beccarmi.
«Oh, io, invece, vengo tutti i lunedì, i giovedì e i sabati», cinguetta lei sbattendo le ciglia in un modo alquanto fastidioso. Non me ne frega niente di quanti giorni pranzi in questo ristorante, certamente io me ne starò alla larga d’ora in poi. Una pala di cactus dove non batte il sole, probabilmente, sarebbe meno fastidiosa di lei.
«Fai bene, si mangia divinamente», commento dando una nuova occhiata al mio cellulare. Sto pregando con tutto il cuore che cominci a squillare per togliermi da questa situazione imbarazzante, ma quando serve, nessuno mi chiama. Che palle!
«Che ne dici se uno di questi giorni pranziamo insieme?». Mi sfiora la mano con le dita e mi osserva con aria sognante.
«Mi dispiace sono impegnato». Deve aver perso qualche rotella per strada, mi sembra più fusa del solito e la cosa mi preoccupa un tantino.
«Sempre?». Mi mette il broncio e una smorfia mi esce involontaria. Ma che cazzo vuole da me? Non ho alcuna intenzione di pranzare con lei, né ora, né mai. Se avessi gradito la sua compagnia, non l’avrei lasciata, ma siccome con lei non mi sono affatto divertito, non sarebbe davvero il caso di riprovarci, nemmeno se fossi stato libero. Credo che dovrò essere brutale, se con le buone non lo capisce, non vedo altre alternative.
«Senti, Grazia, io sono fidanzato e sto per andare a convivere con la mia donna. Non ho alcuna intenzione di uscire con te, non sono interessato». Più chiaro di così si muore.
Lei mi guarda con la fronte corrugata e una strana espressione in volto.
«Ma io ti amo», piagnucola. Si avvicina pericolosamente a me e prova a baciarmi sulle labbra. Mi scanso appena in tempo e per poco non cade in terra.
«Io no, mettiti il cuore in pace. Vedi di lasciarmi stare. La nostra storia è finita ormai da un po’, a volte non è affatto piacevole rivangare il passato».
«Sono disposta anche a fare l’amante». È seria? Un’espressione allibita si fa strada sul mio viso. Deve per forza essere impazzita per propormi una cosa del genere.
«Punto numero uno: sono fedele. Amo la mia donna e non la tradirei per nessuna ragione al mondo. Punto numero due: ti sei per caso bevuta il cervello? Sentimi bene, mi dispiace che tu possa pensare che io sia una persona orribile, ma non verrei a letto con te neanche se fossi l’unica donna sulla faccia della terra. Ora se non ti dispiace, vorrei pranzare in tutta tranquillità».
Grazia frigna come una bambina dell’asilo a cui hanno tolto la bambola del cuore e si soffia rumorosamente il naso su un fazzoletto di carta.
«Non sei stato affatto gentile con me», farfuglia con le lacrime agli occhi.
«Lo so, mi dispiace». Non mi piace per niente comportarmi in questo modo, ma lei è riuscita ad esasperarmi. Non voglio avere niente a che fare con lei, deve metterselo bene in testa. A quanto pare è un concetto troppo complicato per lei. È ancora seduta accanto a me, aspettando che io cambi idea. Peccato che io non lo farò mai, per nessuna ragione al mondo.
«Non mi vuoi dare nemmeno una possibilità?», prova a farmi sentire in colpa, ottenendo soltanto un sospiro esasperato da parte mia.
«No, nessuna possibilità, scusa». Nonostante la mia sincerità e la mia totale chiarezza, lei sembra non voler capire. Ho la tentazione di alzarmi in piedi e sbatterla fuori dal ristorante a calci nel culo, ma io sono un gentiluomo e spero ancora che se ne vada con le proprie gambe.
«Ti prego». Continua imperterrita.
Basta, non ne posso più! Il mio cellulare comincia a squillare sopra il tavolo e mi salva da questa situazione assurda. Ne approfitto per alzarmi e rispondere fuori dal locale.
«Tutto bene, mamma?». Avevo visto che era lei a chiamarmi e ho pensato ci fosse qualcosa che non andava. Non mi sbagliavo.
«Tesoro, abbiamo portato tuo padre in ospedale. Non è stato bene». Mi spiega con la voce carica di preoccupazione.
«Come sta?», domando muovendomi nervosamente sul posto.
«Non lo so, gli stanno facendo un sacco di esami», risponde scoppiando in lacrime.
«Arrivo subito», le dico.
Mi spiega in che ospedale è stato ricoverato, torno dentro a pagare e corro alla macchina. Grazia ha provato a raggiungermi, ma sono scappato alla velocità della luce. Ora sono in agitazione per mio padre. Che cosa gli sarà mai successo? Non ha mai avuto grossi problemi di salute, nonostante fumasse come un turco. Spero non sia niente di grave. Percorro la strada che mi separa dall’ospedale in preda all’ansia, mia madre era agitatissima e ha fatto spaventare anche me. Dovrei avvertire anche Serena, ma aspetto di sapere che cosa gli è successo prima di far preoccupare anche lei. Parcheggio nel primo posto libero che trovo e raggiungo mia madre in cardiologia. È seduta in una piccola sala d’attesa, con un fazzoletto tra le mani che continua a rigirare e lo sguardo perso nel vuoto.
«Mamma». Lei si gira immediatamente verso di me e si alza di scatto, buttandomi le braccia al collo.
«Per fortuna sei arrivato. Non ho avvertito le tue sorelle, non volevo si preoccupassero», mi dice con il viso premuto contro il mio petto.
«Hai fatto bene». La rassicuro massaggiandole dolcemente la schiena. «Che cosa è successo?».
Lei sospira e comincia a raccontarmi. «Sai com’è fatto tuo padre, vuole sempre fare tutto da solo senza chiedere aiuto a nessuno. Ha sollevato una damigiana da non so quanti litri e si è sentito male. Ha cominciato a sentire un forte dolore al petto, gli mancava il respiro e ho pensato gli stesse venendo un infarto. Mi sono spaventata tantissimo e l’ho portato qui al pronto soccorso. Lui non voleva, ma l’ho obbligato a salire in macchina. Il dolore non gli passava più e io non sapevo che altro fare». Scoppia in lacrime.
«Sei stata bravissima, mamma. Hai mantenuto il controllo della situazione». Le prendo il viso tra le mani e le bacio la fronte.
«Sei stata bravissima». Lo ripeto e una sorta di sorriso appare sulle sue labbra.
Un medico entra nella stanza e ci osserva per un momento prima di presentarsi. «Signora Rossini? Sono il dottor Luisi, ho in cura io suo marito».
«Come sta?», gli chiede staccandosi da me e piazzandosi davanti a lui con gli occhi ancora lucidi.
«Ora sta meglio», risponde con decisione.
«Ha avuto un infarto?», domando preoccupato.
«No, non ha avuto un infarto, fortunatamente. È stato colpito da angina pectoris. I sintomi sono simili a quelli dell’infarto e si verifica quando il cuore non riceve abbastanza ossigeno». Mi tranquillizza. «È molto frequente in soggetti di una certa età».
«Che cosa può averlo provocato?». Sono io a porre tutte le domande. Mia madre si è attacca al mio braccio e ascolta tutto in silenzio.
«Può essere stato provocato da molte cose: quando i vasi sanguigni che portano ossigeno al cuore si ostruiscono, valvole cardiache anormali, un ritmo cardiaco irregolare, l’anemia. Può essere anche stato provocato da uno sforzo eccessivo».
La signora Rossini esplode come una bomba a orologeria.
«Quel brutto zuccone! Mi sentirà, oh, eccome mi sentirà!».
Il medico la guarda alquanto confuso.
«Possiamo vederlo?». Cerco di sviare la sua attenzione su di me. Mia madre sembra una pentola di fagioli, continua a borbottare al mio fianco. Credo che mio padre si prenderà una bella lavata di capo non appena metteremo piede nella sua stanza, non vorrei essere nei suoi panni in questo momento.
«Certo, venite». Ci conduce lungo il corridoio ed entra in una stanza alla nostra destra.
Mio padre è sdraiato a letto, gli occhi chiusi.
«Deve riposare e assumere dei farmaci. Dovrà anche seguire degli accorgimenti», ci spiega avvicinandosi al paziente, che nel frattempo ha aperto un occhio e fa finta di niente. Sicuramente il medico avrà spiegato anche a lui queste cose e sa che mia madre non gliela farà passare liscia.
«Per esempio?», chiedo desideroso di saperne di più
«Deve smettere di fumare», comincia con decisione.
Uno sbuffo proveniente dal letto mi fa sorridere.
«Sono cinquant’anni che fumo, non smetterò di sicuro adesso», borbotta il diretto interessato.
Mia madre lo fulmina con lo sguardo. «Tu ora stai zitto, voglio sentire che cosa ha da dire il dottore».
Mio padre continua a bofonchiare sommessamente, cercando di non farsi sentire dalla moglie.
«Deve fare una dieta equilibrata, povera di grassi».
A quelle parole, il signor Rossini rotea gli occhi. Lui adora mangiare e più ci sono intingoli dove immergerci il pane, più lui è contento. Se non fossi preoccupato per la salute di mio padre, scoppierei a ridere.
«Deve tenere sotto controllo il colesterolo: i grassi si depositano sotto forma di placche sui vasi sanguigni del cuore, provocando l’aterosclerosi. Tutto questo può portare all’ischemia», prosegue il medico.
Mia madre ha un sussulto.
«Quando torniamo a casa ti butto via tutte le sigarette, cucinerò tutto senza grassi e».
«Non ci provare nemmeno, Rossella!», tuona mio padre gesticolando con una mano.
«Luigi, non fare il bambino!». Lo riprende lei con sguardo truce.
«Smettetela entrambi». Li ammonisco io con le mani piantate sui fianchi.
«Tu farai tutto quello che il dottore ti dirà». Punto un dito contro mio padre e lo minaccio con un’occhiataccia.
Mia madre gongola, ma ne ho anche per lei. «Tu, invece, non gli farai alcuna pressione».
«Ma», prova a dire lei, ma la blocco ancora prima che possa obiettare.
«Ma, un corno!», sbotto io. «O così, o così, non avete alternative».
«Va bene», commentano loro all’unisono, con pochissima convinzione.
«Bravi bambini». Mi rivolgo, poi, nuovamente al dottore. «Che cosa deve fare mio padre oltre a una dieta bilanciata?».
«Per prima cosa deve stare a riposo per un po’. Dovrà evitare sforzi e stare alla larga dallo stress», risponde lui rivolgendosi direttamente a me. Ho preso in mano io la situazione, sono l’unico che riesce ancora a ragionare razionalmente qua dentro.
«Te l’ho sempre detto io che sarebbe ora che andassi in pensione e dessi in mano l’azienda a qualcuno di più giovane. Non puoi continuare a fare tutto da solo, non hai più trent’anni». Mia madre si avvicina al letto e gli prende la mano. «Non voglio che tu ci rimanga mentre sollevi una damigiana, può farlo anche qualcun altro, devi imparare a delegare».
«Io non mi fido di nessuno, non lascio la nostra azienda allo sbaraglio. Ve lo potete scordare», brontola mio padre indignato.
«E se fossi io ad aiutarti?». Le parole fluiscono senza che me ne renda davvero conto, senza pensare alle conseguenze che questa mia offerta di aiuto potrebbe portare. Sono stato impulsivo come al solito e probabilmente me ne pentirò amaramente, ma voglio bene a mio padre, so quanto tiene all’azienda di famiglia e vorrei rendermi utile ora che ne ha bisogno.
Entrambi mi guardano sconvolti, nessuno dei due si sarebbe mai immaginato questa mia reazione.
«Vorresti davvero lavorare con me in azienda?». Gli occhi di mio padre si umettano e una lacrima solitaria scende a rigargli il viso. Non l’ho mai visto così incredulo e commosso, mi si stringe il cuore.
«Almeno finché non ti sarai ripreso», rispondo cercando di non dargli troppe speranze.
Non credo che sarà un’impresa semplice lavorare insieme e, sinceramente, dubito che resisterei a lungo. Lui, però, ha bisogno di me e io sono disposto a sacrificarmi per lui, per il bene dell’azienda fondata con tanti sacrifici da mio nonno.
«Oh, figliolo». Afferra la mano di mia madre e se la porta alla bocca, baciandone il dorso. Anche lei sta piangendo.
Credo di aver appena reso orgogliosi i miei genitori e, se non fossi un uomo duro, mi commuoverei anch’io. Mi limito ad avvicinarmi a loro: stringo la spalla a mio padre con la mano, sorridendogli e bacio la tempia a mia madre. Non sarà facile, ma in fin dei conti niente nella vita lo è e io non mi tiro mai indietro.
 
***
 
Stamattina ho ricevuto uno strano messaggio da parte di Stella. Vuole parlarmi non appena finisco di lavorare e mi ha chiesto di passare da lei, perché aveva bisogno di vedermi. Avrei voluto chiamarla, ma poi per una cosa o per l’altra non ne ho avuto il tempo. Sinceramente sono un po’ preoccupata. Stella non è mai così criptica e raramente mi chiede di andare a casa sua per parlare. Spero non sia successo niente di grave, o che almeno sia qualcosa di risolvibile. Mi è rimasta una strana sensazione alla bocca dello stomaco e vorrei già sapere che cosa c’è che non va.
«Ha scritto anche a te Stella?», chiedo a Luca beccandolo nella corsia delle felpe.
Lui mi osserva con la coda dell’occhio mentre finisce di piegare alcune maglie e le pone sull’apposito scaffale.
«No, non la vedo o sento dall’altra sera che siamo usciti tutti insieme. Perché?».
Mi appoggio al muro con la schiena e sospiro. «Non lo so, mi ha mandato un SMS, ma mi è sembrato parecchio strano. Non so che cosa pensare», gli racconto arricciando, poi, le labbra.
Lui mi osserva accigliato.
«È successo qualcosa con Lorenzo?», domanda prima di tornare a fare il suo lavoro.
«So che avrebbero dovuto sentirsi al telefono dopo che lo abbiamo lasciato sotto casa di Marco, ma sinceramente non so che cosa sia successo», rispondo stringendomi nelle spalle.
«Non mi piace questa cosa, abbiamo il diritto di sapere che succede. Ora la chiamo», borbotta il mio migliore amico estraendo il suo cellulare dalla tasca dei pantaloni.
«Magari è al lavoro e la disturbi». Provo a dissuaderlo dal fare una chiamata poco gradita. Se Stella mi ha scritto quel messaggio, credo che non avesse voglia di parlare con nessun altro.
Luca allontana il telefono dall’orecchio e lo fissa incredulo. «È staccato. Lei non lo spegne neanche di notte il telefono».
Ha ragione, lei non lo farebbe mai, ha sempre paura che suo padre possa avere bisogno di lei e non lo spegne mai. Ora sono davvero preoccupata, ma cerco di non farlo vedere a Luca.
«Magari le è soltanto morta la batteria». Azzardo con noncuranza.
«Può essere», commenta con pochissima convinzione.
Stella non ha contattato nessun altro a parte me e la questione si complica ulteriormente, non vorrei che Luca fosse geloso. Cerco di portare l’attenzione su un altro argomento, meglio togliersi da questo campo minato.
«Non riesco a credere che fra pochi giorni mio fratello si sposa», esclamo aiutandolo a sistemare lo scaffale per velocizzare il lavoro.
«Con la sorella di Lorenzo oltretutto!», esclama lui scoppiando a ridere.
Quando l’ho scoperto ci sono rimasta di sasso! Non avevo idea che Vera fosse la sorella del migliore amico del mio uomo. Anche Marco non se lo aspettava, e nemmeno Lorenzo a dire il vero. È stato tutto così strano. Mia madre mi aveva avvisato che sarebbe venuto il fratello di Vera a prendere le bomboniere che lei mi aveva mandato a ritirare quella mattina. Andai ad aprire la porta e mi ritrovai Lorenzo davanti. Ci guardammo sbalorditi per un momento e poi lui chiese: “Saresti tu la famosa Serena, sorella di Alessandro?”.
“E tu saresti il famoso Lorenzo, fratello maggiore di Vera?”, domandai io con un sorriso.
“In carne e ossa”, rispose. “È un piacere conoscerla, signorina”.
“Smettila di fare il provolone con la mia donna!”. Marco si era presentato al mio fianco e aveva dato una pacca sulla spalla all’amico per salutarlo.
Diciamo che ora siamo come una grande famiglia allargata. Ad un tratto mi rendo conto di una cosa abominevole. Afferro il colletto della polo di Luca e comincio a strattonarlo come un ossesso.
«Che diavolo ti prende, Sere?». Posa le sue mani sulle mie braccia e mi obbliga a fermarmi.
Oh porco cazzo!
«Ho completamente dimenticato il regalo di matrimonio del mio fratellino! Che sorella snaturata! Come ho potuto dimenticarmi una cosa di tale importanza?». Riprendo a scuotere Luca e lui mi avvolge in un abbraccio con non poca difficoltà.
«Per prima cosa cerca di darti una calmata. Cazzo, Sere, sembri ammattita!», sbotta massaggiandomi delicatamente la schiena. «Prendi un bel respiro e cerca di tornare in te. Quando mi accorgerò che il mio tesorino bello è tornato, cominceremo a vagliare tutte le varie opzioni. Ci sarà pure qualcosa che potrebbe rendere felice il tuo unico fratello. Ci vorrebbe qualcosa di unico, speciale, qualcosa che si ricorderà per tutta la vita».
Luca ha perfettamente ragione: devo pensare che cosa potrebbe piacere ad Ale.
«Hai già qualcosa in mente?», chiedo affondando il naso nell’incavo del suo collo e godendomi le sue coccole. Riesce sempre a tranquillizzarmi. Mi ritengo una donna super fortunata ad avere un amico come lui su cui poter sempre contare. Sarei persa senza di lui.
«Prima voglio constatare che sei tornata in te», risponde baciandomi la fronte. «Da quanto tempo non fai sesso con il tuo uomo?».
«Ehi!». Mi stacco di scatto da lui e lo colpisco al petto con un pugno. «Ti sembrano domande da fare queste?».
Lui si massaggia il punto colpito, con il sorriso sulle labbra. «Okay, sei tornata stronzetta come al solito, perciò possiamo cominciamo a parlare di questioni più serie».
«Tu non sei a posto con la testa, lo sai, vero?», brontolo incrociando le braccia al petto.
Lui scrolla le spalle ed evita di rispondere alla mia provocazione.
«Che cosa piace ad Ale? A parte spupazzarsi quella bambolina di Vera».
Lo colpisco ancora una volta, con meno violenza di prima. «Smettila con questi commenti fuori luogo, o ti invito al matrimonio e ti faccio sedere accanto a mia madre».
Il volto di Luca si trasforma in una maschera di terrore. «No, tua madre… oh mio Dio, al solo pensiero mi sto sentendo male!».
«Quanto sei idiota! Sei fortunato che quel giorno sarai via con il tuo Alex per un weekend romantico. Beato te che puoi permetterti di andare via qualche giorno», commento in un sospiro.
«Beh, se lo chiedessi a Marco, credo che ti porterebbe volentieri da qualche parte». Mi fa notare con un sorriso.
«Probabile, ma non mi permetterei mai di chiederglielo. Ha già speso un patrimonio per quel vestito e poi ora che andrò a vivere da lui…».
«Aspetta, aspetta, alt! Che cosa hai detto signorina Boissone?». Pianta le mani sui fianchi e mi osserva con una strana espressione in volto.
«Che ha già speso un patrimonio per…».
«Non quella parte, furbetta! Quella dopo!». A Luca non sfugge proprio niente. Non gli avevo ancora raccontato quella novità e me la sono lasciata sfuggire senza neanche accorgermene.
Mi siedo su uno sgabellino posizionato accanto allo scaffale e sospiro.
«Marco mi ha chiesto di andare a vivere con lui e io ho accettato», dico dopo un po’.
«Immagino che tu ti sia fatta un sacco di pippe mentali prima di dare una risposta a quel poveretto». Mi lancia un’occhiataccia prima che possa provare a difendermi. «Non provare nemmeno a raccontare palle a me, signorina bella, ti conosco fin troppo bene. Quell’uomo è un santo per sopportarti».
«Grazie, eh?! Sei sempre un amore», borbotto alzandomi dallo sgabello e voltandogli le spalle.
Mi sento avvolgere la vita dalle sue braccia e posa la guancia sul mio capo. «Sai che ti voglio bene, cucciolina patatosa».
«È inutile che fai il ruffiano con me», brontolo appoggiando le mie mani sulle sue.
«Sei il mio amorino zuccheroso». Continua a coccolarmi amorevolmente. Chiudo gli occhi e farfuglio frasi senza senso, godendomi le attenzioni del mio migliore amico.
«Se fossi stato etero, saresti la donna della mia vita», mormora con un filo di voce.
«Non lo sono più? Hai trovato un’altra donna e mi hai già sostituito? Che tristezza immensa e io che pensavo di essere insostituibile. Hai fatto presto a trovarti qualcun altro da coccolare», mugugno stringendomi di più a lui.
«Sei un’idiota». Mi bacia la guancia e mi lascia andare, facendomi quasi cadere. Ero completamente rilassata fra le sue braccia.
«Tu non sei da meno». Gli mostro la lingua.
Un cliente attira l’attenzione di Luca e lo raggiunge immediatamente, lui è molto più bravo di me a consigliare quei strumenti di tortura. Sì, io credo che tutti quegli aggeggi per allenarsi a casa siano delle armi improprie. Quegli elastici per rassodare non so cosa, sono qualcosa di incredibile. Una volta ho voluto provarli e per poco non mi sono cavata un occhio. Tutte quelle cose non fanno proprio per me.
Torno a sistemare il mio reparto preferito, quello con gli articoli sul nuoto. Lo so, è più forte di me. Da quando ho conosciuto Marco, mi sono innamorata di tutto quello che riguarda quella disciplina, solo perché amo immensamente lui e purché non debba io praticarla. Le mie lezioni sono terminate già sul nascere: diciamo che preferisco di gran lunga sguazzare tra le lenzuola che nell’acqua. Marco non mi ha mai obbligata a presentarmi in piscina, fortunatamente. Non ho mai sopportato le costrizioni e sinceramente continuo a non amare quel liquido trasparente. Se mai decidessi di cambiare idea, so per certo che lui non mi negherebbe le sue lezioni private, anche se ho come l’impressione che passeremmo la maggior parte del tempo ad allenarci nella respirazione bocca a bocca.
«Tesoruccio». Mi volto titubante e mi ritrovo mia madre a pochi passi da me. Non viene mai qui in negozio e il fatto che lei sia qui ora mi preoccupa un po’.
«Ciao mamma, che cosa ci fai qui?», chiedo aggrottando la fronte. «È successo qualcosa?».
«Deve essere per forza successo qualcosa per venire a trovare mia figlia al lavoro?».
Non mi convince proprio. Smetto di fare quello per cui sono pagata e scruto attentamente la mia genitrice.
«Lo sai che non ti credo, vero? Puoi raccontarmi un sacco di storie, ma non ti crederei comunque. Che cosa succede?».
La signora Boissone si siede sullo sgabellino che c’è lì in fianco e sbuffa.
«Ho chiesto a tuo padre di tagliarsi quel brutto barbone ispido per il matrimonio del suo unico figlio maschio e lui mi ha riso in faccia», risponde alla fine.
Oh Signore! Mai obbligare mio padre a fare qualcosa, per dispetto non lo farà certamente.
«Glielo hai chiesto gentilmente almeno?». So già come funzionano i metodi di mia madre e a volte sono proprio lontani anni luce dalla gentilezza, sembrano più dittatoriali.
«Certo che sì!», sbotta lei indignata.
La osservo a braccia conserte e scuoto la testa. «Sai che con me non attacca».
Sbuffa ancora più sonoramente di prima. «E va bene! Abbiamo litigato e ho cominciato ad urlare e gli ho intimato di tagliarsi quella stupida barba, altrimenti non avrebbe messo piede in chiesa il giorno del matrimonio!».
«Mamma!». La rimprovero come se fosse una bambina che aveva appena fatto una delle tante marachelle. «Ma ti sembrano cose da dire?! Certo che papà verrà al matrimonio di Ale, con o senza barba! Non credi che lui sia libero di decidere se vuole tenerla o no? Mi sembra grande abbastanza. E poi a me piace la sua barba».
Lei mi guarda allibita. «Per forza, lui è sempre stato il tuo preferito in famiglia».
E no, i piagnistei a sessant’anni no!
«Smettila di fare la bambina. Vai a casa e chiedi scusa a papà. Giuro che se farete casino quel giorno, vi picchio tutti e due e non sto scherzando! Solo Alessandro e Vera dovranno essere al centro dell’attenzione sabato, sono stata chiara?». Ma guarda te se devo strigliare mia madre per farla rinsavire!
«Limpida e cristallina», borbotta con la coda tra le gambe.
Si alza per andarsene, mi volta le spalle cominciando a muoversi verso l’uscita.
«Non ti sembra di esserti dimenticata qualcosa?», chiedo inarcando un sopracciglio.
Lei si ferma e mi osserva confusa. Allargo le braccia, mi sorride incerta, ma un attimo dopo ci stiamo abbracciando.
«Lo so che sei nervosa perché Ale si sta per sposare e andrà via di casa. Va tutto bene, mamma». La rassicuro accarezzandole la schiena.
«Non è mai facile quando i tuoi bambini se ne vanno. Che cosa farò ora da sola con tuo padre? Non ci sarà nessuno che ci terrà d’occhio. Non so se sarò capace di sopportarlo, soprattutto quando andrà in pensione», piagnucola sulla mia spalla.
«Andrà tutto bene, ne sono certa», continuo a dirle cercando di tranquillizzarla. «Mamma?».
«Dimmi tesorino mio».
«Ti voglio bene». Non so perché gliel’ho detto proprio ora. In un certo senso mi sento in colpa perché non voglio confessarle che andrò a vivere con Marco, almeno non ora. È già in ansia per il matrimonio di mio fratello, non voglio che cominci a dare di matto.
«Oh, bambina mia, non hai idea di quanto io ne voglia a te». Mi prende il viso tra le mani, ha gli occhi lucidi e si sta trattenendo per non piangere. Mi posa un bacio sulla fronte.
Sciogliamo l’abbraccio e se ne va salutandomi con la mano, fa lo stesso non appena vede Luca. Mia madre aveva solo bisogno di rassicurazioni. Un po’ se l’è cercata, visto che non avevano così fretta di sposarsi. Ale mi ha giurato che Vera non è incinta, le aveva chiesto di sposarlo solo perché erano pazzi l’uno dell’altra e volevano rendere il tutto ufficiale. Devo dire che mia madre non è così convinta che lei non aspetti un figlio, ma dovrà ricredersi.
Che giornata convulsa oggi, non vedo l’ora che finisca per potermene stare un po’ tranquilla con il mio uomo. Il mio cellulare comincia a vibrare nella tasca della mia divisa. Lo prendo e controllo chi mi sta chiamando. Si parla del diavolo…
«Ciao amore». Lo saluto con entusiasmo.
«Ciao piccola, hai un minuto per parlare?», chiede con un tono strano che non riesco a interpretare.
Il cuore comincia a martellarmi nel petto per l’ansia. Non avrà mica intenzione di lasciarmi? Oh mio Dio, al solo pensiero comincio a boccheggiare.
«Certo», farfuglio completamente nel panico.
«Mio padre è stato ricoverato in ospedale e ora sono qui con lui. Non so se riesco a passare a prenderti».
La paura di essere lasciata si trasforma in preoccupazione.
«Come sta?».
«Ora sta un po’ meglio, ma deve riposare. Ehm, Flounder?». L’incertezza nella sua voce mi spaventa.
«Sì?».
«Gli ho promesso che lo avrei aiutato in azienda. È stato l’unico modo per convincerlo a staccare un po’ la spina. Io non so se ne sarò capace». Sta avendo un crollo emotivo e io non posso essere con lui in questo momento e stringerlo forte a me, rassicurandolo.
«Sarai in grado di aiutarlo, ne sono certa. Io mi fido ciecamente di te». Non credo che le parole possano avere lo stesso risultato, ma non posso fare di più al momento.
«Amore», sospira. «Non volevo farti preoccupare, ma avevo bisogno di sentire la tua voce».
«Andrà tutto bene», gli dico dolcemente.
«Lo spero tanto. Ti amo piccola, faccio il prima possibile».
«Stai tranquillo, mi faccio accompagnare da Luca. Devo fermarmi anche da Stella che mi ha chiesto di passare da lei. Ci vediamo più tardi e ricordati che anch’io ti amo tanto».
Cavolo! Marco non avrebbe mai lavorato nell’azienda di famiglia se non fosse stata un’urgenza. Spero tanto che suo padre non lo faccia impazzire, anche se sarà difficile. Se prima la giornata mi sembrava difficile, ora è perfino peggiorata. L’ora successiva vado avanti per inerzia, non vedo l’ora di staccare. La mia testa comincia a risentire di tutto questo stress e mi martella, ho bisogno delle mie gocce. Mi massaggio la tempia con le dita e sospiro, ne ho davvero piene le scatole. Con tutto questo trambusto non sono nemmeno riuscita a trovare un regalo decente per mio fratello e la cosa mi irrita non poco. Ho solo quattro giorni per trovare qualcosa, il tempo stringe. Non posso presentarmi a mani vuote al matrimonio di mio fratello. Che gran rottura di scatole! Come ho fatto ad essere così sbadata!
Luca mi accompagna sotto casa di Stella senza alcun problema, deve però lasciarmi lì perché ha un appuntamento con Alex, tanto per cambiare. Suono il campanello e mi annuncio quando risponde al citofono. Salgo al suo piano, la porta è socchiusa. Entro chiedendo permesso e la trovo seduta sul divano, che si mangia le unghie. Appena mi vede si alza e corre da me, mi butta le braccia al collo e comincia a piangere disperata.
«Che succede, tesoro?».
Se non muoio di crepacuore oggi, non lo farò mai più
«Ho combinato un gran casino», farfuglia tra i singhiozzi.

 
***Note dell'autrice***
Eccomi qui con un capitolino ricco di eventi. Prima Grazia che vuole perfino fare l'amante (non deve essere tanto normale), poi il padre in ospedale e la decisione di aiutarlo in azienda! Quante novità per Marco! Per Serena è andata un po' meglio, anche se si è completamente dimenticata del regalo per Ale e ha dovuto strigliare la madre! E che cosa sarà successo a Stella? Lo scopriremo domani nel capitolo di Lorenzo :) Che cattiva, lo so ;) A martedì prossimo per festeggiare il matrimonio di Ale!
Un grazie immenso a tutti voi che state amando questa storia... siete meravigliosi! 



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Bijouttina & i suoi vaneggiamenti

 

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Capitolo 23
*** Croce e delizia ***





23. Croce e delizia
Alla fine ho passato l’intera sera da Stella, cercando di rassicurarla. Avevo ragione che c’entrava Lorenzo! I due sconsiderati ci avevano dato dentro senza usare precauzioni e ora Stella ha il terrore di essere rimasta incinta. Come hanno potuto essere così distratti? Va bene farsi travolgere dalla passione e, da quanto ho capito, ce n’è parecchia tra di loro, ma non sono cose che dovrebbero succedere. Lei ha cacciato Lorenzo in malo modo, era spaventatissima e ha preferito allontanarlo. Ho provato in ogni modo a farla ragionare, a dirle che stava sbagliando. Lui ha il diritto di decidere se prendersi le proprie responsabilità, non è giusto che decida lei per entrambi. Mi ha fatto promettere di non dire niente a Lorenzo quando lo avrei visto, lei per lui sarebbe stata sempre bene anche se, ovviamente, non era affatto vero. Secondo me Stella si è innamorata di lui, ma non lo ammetterà mai. Pensa di non essere abbastanza bella per uno come lui, sono tutte stronzate e prima lo capirà meglio sarà. Si sottovaluta sempre ed è una cosa che mi dà sui nervi: lei è una donna meravigliosa, nonché un’amica fantastica e, secondo me, anche Lorenzo se n’è accorto. Non che io sia la sicurezza fatta persona, ma lei è molto peggio di me. Spero vivamente che apra gli occhi e permetta a quell’uomo di entrare nella sua vita. Credo che entrambi abbiano bisogno l’uno dell’altra, anche se forse non lo sanno ancora.
Marco è preoccupato per il suo amico: Lorenzo si è sfogato con lui e gli ha confessato tutte le sue paure. Mettendo insieme i discorsi di entrambi, ci siamo resi conto che quei due provano qualcosa. È dura fare la parte del migliore amico, senza potersi intromettere e far loro da paciere. Credo che la cosa migliore sia che la storia segua il proprio corso e, come si usa dire, se son rose fioriranno.
I giorni precedenti al matrimonio di mio fratello sono stati super impegnativi. Ho reso partecipe Marco del fatto che non avevo minimamente pensato al regalo e lui si è messo a ridermi in faccia, dicendomi che era proprio da me. Lui ha passato molto tempo in ospedale da suo padre e io sono rimasta da sola troppo spesso, senza sapere che cosa inventarmi. Almeno fino a due giorni fa: è venuto a prendermi in negozio e ha esordito con un “Ho trovato il regalo perfetto per Ale”.
Ho cercato di estorcergli qualche indizio, ma non ha voluto dirmi niente. Perciò sarà un regalo a sorpresa anche per me e la cosa mi spaventa anche un po’. Preferirei sapere di cosa si tratti, ma fra qualche ora lo scoprirò con i miei occhi.
Mi sono svegliata all’alba, ho appuntamento dalla parrucchiera con mia madre alle otto in punto e io sto morendo di sonno, per non parlare dell’ansia che mi sta facendo impazzire. Mio fratello oggi si sposa e io sono un fascio di nervi. Capirei se fossi io quella che deve presentarsi all’altare, ma non ci posso fare niente. È il mio fratellino a fare il grande passo e io sono emozionatissima.
«Questo vestito è favoloso», esordisce mia madre non appena mi vede arrivare.
Mi prende le mani e si allontana un po’ per osservarmi meglio.
«Ti sta d’incanto, tesorino mio. Dove l’hai preso?».
Non lo avevo fatto vedere a nessuno, l’ho tenuto nella sua confezione fino a stamattina.
«Nel negozio dove ha preso il vestito Ale», rispondo nervosamente. Ricordo ancora la mia scenata di gelosia nei confronti di quella commessa e il mio sbigottimento alla vista del prezzo di questo pezzo di stoffa.
«Deve esserti costato un occhio della testa allora!», commenta mia madre sconcertata. Sa benissimo che non ho molti soldi da parte e che probabilmente non guadagno abbastanza per permettermi di comprare in un posto simile.
«Me l’ha regalato Marco», ammetto arrossendo tremendamente, il calore mi arriva fino alla punta delle orecchie. «Costava troppo per me».
«Oh, quell’uomo è un amore», dice varcando la soglia del salone della sua amica Anna.
Vorrei dirle che all’inizio non credeva nemmeno che fosse il mio ragazzo. Okay, all’epoca non lo era ancora davvero e avrebbe comunque fatto di tutto per far saltare la nostra relazione. Non devo pensare a come voleva accasarmi con quel viscido di Massimo. È da allora che quella sottospecie di uomo mi dà il tormento. La diffida gli è arrivata sana e salva, mi ha chiamato immediatamente, imprecando e bestemmiando come un turco. Mi ha dato della troia, della pazza e molti altri epiteti poco lusinghieri. Marco a quel punto mi ha strappato il telefono di mano e ha cominciato ad urlargli parole poco carine. Mi ha difesa fino allo sfinimento e ha riattaccato, uscendo in terrazza come una furia. L’ho trovato appoggiato con gli avambracci sulla ringhiera, la mascella contratta e lo sguardo perso nel vuoto. Non lo avevo mai visto così arrabbiato. Non so se Massimo la smetterà ora che ha in mano quel pezzo di carta, ma è talmente malato che secondo me avrò presto nuovamente sue notizie.
«Chi è un amore?», chiede Anna, facendomi tornare alla realtà.
Mi fa sedere ad una delle postazioni libere e comincia a sfiorare i miei capelli, osservandoli attentamente.
«Marco, il fidanzato di mia figlia», risponde mia madre come se non fossi presente.
«Tesoro, ti sei fidanzata? E nessuno me lo dice?», commenta la donna facendo ruotare la poltrona per potermi guardare meglio in volto e non solo attraverso lo specchio.
«Beh, non siamo fidanzati ufficialmente», biascico in imbarazzo. Perché quando si vengono in questi posti non si fa altro che spettegolare? Non si può farlo di qualcun altro? Forse è per questo che non mi piace molto venire dalla parrucchiera.
«E che cosa state aspettando? Non sei più una ragazzina», continua la donna controllandomi la frangia.
Grazie per avermi fatto capire che sto diventando vecchia e non mi sono ancora sistemata. Che brutta gente! Solo perché non ho un anello al dito, non vuol dire che sono una vecchia decrepita!
«Secondo me le chiederà presto di sposarla. Dovresti vedere com’è dolce con lei! Le ha regalato anche il vestito che indossa oggi per il matrimonio». Mia madre spiffera tutto come se fosse una notizia di dominio pubblico. E, soprattutto, da quando in qua pensa che Marco mi chiederà presto di sposarlo? E se io non volessi sposarmi? Mai pensato a questa eventualità? L’ansia sta aumentando a vista d’occhio.
«Noi non ci sposeremo», borbotto infastidita.
«Ma allora è un amore sul serio», cinguetta Anna senza nemmeno badare al mio commento da zitella acida.
«Non ho alcuna intenzione di sposarmi a breve», riprovo a dire la mia, ma nessuna delle due donne è interessata a sentire il mio parere.
«È un uomo davvero affascinante e la sua famiglia possiede la cantina Rossini». Mia madre snocciola queste nozioni come se niente fosse. Mai pensato che magari a me dà fastidio che lei si vanti con la gente del fatto che lui provenga da una famiglia benestante?
«Allora è davvero un buon partito», infierisce la parrucchiera battendo le mani entusiasta. «Serena, cara, che cosa aspetti a sposarlo? Ormai l’orologio biologico sta ticchettando da un po’, non pensi sia ora di mettere su famiglia?».
«Non ho intenzione di sposarmi», ripeto per la terza volta, sperando che sia quella buona.
«Ma che stai dicendo? Certo che ti sposerai!», tuona mia madre incenerendomi con lo sguardo.
Ci rinuncio, tanto qualsiasi cosa io dica, avranno sempre qualcosa da obiettare. Orologio biologico! Ma che palle! Hanno davvero intenzione di ammattirmi questa mattina? Mi sta venendo l’emicrania e io non voglio avere mal di testa al matrimonio del mio fratellino. Decido di starmene muta come un pesce tutto il tempo, sbuffando e sospirando. L’argomento principale di conversazione siamo Marco ed io. La signora Boissone continua a tessere le sue lodi in una maniera quasi esasperante. Deve essersi fumata qualcosa di buono stamattina per colazione, non trovo altre spiegazioni. Se non sto attenta, si metterà ad organizzare anche il nostro di matrimonio e la cosa mi terrorizza! Non ci voglio neanche pensare o darò davvero di matto!
Mezzora dopo siamo entrambe pronte e dirette verso la villetta dei miei.
Mio padre sta aiutando Ale ad allacciarsi la cravatta. Bacio la guancia sbarbata di mio padre; eh sì, alla fine, per il quieto vivere, si è rasato per il matrimonio. Se la sarebbe fatta ricrescere dopo, almeno così mia madre ha smesso di stressare l’anima a tutti. Stava diventando una vera tortura ed era alquanto spiacevole sentirla lagnarsi tutto il tempo. Si lagna già abbastanza, farlo per un po’ di barba incolta mi sembrava piuttosto eccessivo. Mio padre, fortunatamente, ha deciso di dargliela vinta almeno per questo giorno. Ale ed io abbiamo tirato un sospiro di sollievo.
Mi soffermo su mio fratello e gli occhi mi si umettano.
«Il mio fratellino si sposa», piagnucolo.
Lui mi avvolge in un abbraccio e mi stringe forte a sé. «Non piangere che ti cola il mascara, poi sembreresti un cucciolo di panda».
«Perché proprio un cucciolo?», chiedo baciandogli la guancia.
«Perché sei tenera e cucciolosa. Sei la mia sorella preferita, lo sai vero?». Mi prende il viso tra le mani.
Scoppio a ridere. «Lo spero proprio, visto che sono anche la tua unica sorella».
Lo colpisco al petto con un leggero pugno.
«Volevo farti tornare il sorriso, come tu hai sempre fatto con me. Sei una sorella fantastica e Marco è davvero un uomo fortunato. Sai, Sere, sono felice che tu abbia trovato l’amore, te lo meriti».
«Così, però, mi farai commuovere!». Mi asciugo gli angoli degli occhi con un fazzolettino di carta che mi passa mia madre.
«È il mio compito far commuovere tutta la famiglia oggi. L’importante è che non mi metta a piangere io, altrimenti che figura ci farei!». Scoppia in una fragorosa risata e la tensione se ne va, almeno un po’
I pochi parenti invitati cominciano ad arrivare e i nostri genitori li vanno ad accogliere, lasciandoci soli. Ale mi prende entrambe le mani e sospira.
«Sono nervoso, Sere». Confessa mio fratello saltellando da un piede all’altro.
«Andrà tutto bene. È comunque normale che tu sia spaventato. Stai per sposarti, Ale, non sono bazzecole. Vera sarà una sposa bellissima ed è una donna fortunatissima perché avrà te al suo fianco. Sono così orgogliosa di te, fratellino».
Riesco a malapena a terminare questo mio discorso carico di sentimento, che qualcuno bussa alla porta. La testa di Marco fa capolino.
«Posso?», chiede educatamente.
«Entra pure. Ti restituisco la tua bellissima fidanzata», risponde Alessandro lasciando andare le mie mani.
«Non volevo disturbare». Si scusa il mio uomo entrando nella stanza, posa una mano sulla spalla di mio fratello. «Pronto per fare il grande passo?».
Ale sorride nervosamente. «Me la sto facendo addosso dalla paura».
«Via il dente, via il dolore. Una volta passato questo ostacolo sarà tutto una passeggiata», lo rassicura Marco con un sorriso convincente da bravo venditore.
«Farò finta di crederti», commenta mio fratello. «Il matrimonio può essere una croce e anche una delizia. Speriamo che la parte deliziosa sia quella predominante».
Mia madre entra nella stanza senza nemmeno bussare, facendo venire un colpo a tutti i presenti.
«Tesoro, ti stanno tutti aspettando di là. È ora». Avvisa dell’imminente partenza verso la chiesa.
«È ora». Ale si rivolge a noi in un sospiro. «Se non ho un infarto oggi, non lo avrò mai più».
Segue la nostra genitrice e rimango da sola con Marco.
Mi prende le mani, osservandomi attentamente, dalla testa ai piedi.
«Sei così bella da togliermi il respiro», dice con gli occhi che brillano. «Non posso ancora credere che tu sia mia».
Le guance mi si arroventano all’istante, in totale imbarazzo.
«Sei sempre il solito esagerato», farfuglio.
«È la pura e semplice verità». Mi bacia le labbra lentamente. «Ti amo da morire».
Approfondisco quel bacio con desiderio. Lui dice che sono bellissima, ma il mio uomo non è da meno. Con questo completo nero, la camicia bianca e una semplice cravatta nera con delle righe viola, è semplicemente favoloso. Tutte le donne presenti al matrimonio si gireranno sicuramente a guardarlo, ma lui è mio, soltanto mio.
«Ti sbaveranno tutte dietro oggi». Lo ammetto sono gelosa di lui e non l’ho nemmeno mai nascosto.
«Peccato che io abbia occhi soltanto per una donna. È talmente bella e dolce che non posso fare a meno di dirle quanto sia fantastica e perfetta per me. Tutto il mio mondo ruota intorno a te, Flounder».
Come riesce a farmi diventare tutte le volte le gambe di gelatina? Mi sento una ragazzina che ha perso la testa per il ragazzo più desiderato della scuola, il ragazzo che non avrebbe mai potuto avere, ma che invece aveva scelto lei.
«Ti amo, Marco». Non riesco ad aggiungere altro, sono completamente stordita e senza parole. Appoggio la fronte sulla sua e prendo un bel respiro. «Non amerò mai nessun altro uomo».
Non potrei essere più diretta di così. Sono follemente e irrimediabilmente innamorata di lui e niente e nessuno potrà mai farmi cambiare idea.
«E io amerò sempre e soltanto te», mormora a fior di labbra.
Mia madre viene a recuperare anche noi, agitata più che mai. È ora di andare in chiesa, non possiamo fare tardi. Marco fa scivolare una mano nella mia e la seguiamo senza dire una parola. Sono parecchio nervosa anch’io oggi, ma avere l’uomo che amo al mio fianco mi dà maggiore forza. Saluto i parenti che nel frattempo sono arrivati e presento loro Marco. Tutti sono contenti di sapere che finalmente ho deciso di fidanzarmi. Cavolo, ho trent’anni, mica ottanta! Sembravano tutti preoccupati che rimanessi zitella a vita. Marco se la ride sotto i baffi, gli mollo una gomitata nelle costole. Non c’è assolutamente niente da ridere.
Raggiungiamo la chiesa con la macchina di Marco, accompagniamo anche Ale: l’utilitaria di mio padre non faceva una gran bella figura. Prendiamo i posti a noi assegnati senza perdere altro tempo. Lorenzo non è ancora arrivato, lo vediamo entrare in chiesa dieci minuti dopo assieme alla madre. Lo salutiamo con la mano e lui ricambia. Non mi sfugge un lampo di tristezza nei suoi occhi e la cosa non mi piace. Dovrebbe godersi il matrimonio di sua sorella e, invece, sembra con la testa da un’altra parte. Vorrei chiedere a Marco se è riuscito a parlare con lui oggi, ma la marcia nuziale appena partita non me lo permette.
Una Vera emozionatissima al braccio del signor Zanna fa il suo ingresso e comincia a percorrere la navata della chiesa, è semplicemente bellissima. Si vede chiaramente che trema come una foglia per la paura, ma non appena incontra gli occhi di mio fratello, il suo sorriso diventa radioso. L’amore che li unisce è enorme e si vede chiaramente. Alessandro è agitatissimo, non riesce a stare fremo sul posto. Quando ha visto Vera i suoi occhi si sono illuminati e un sorriso meraviglioso è apparso sulle sue labbra. Sono così belli insieme. Una lacrima sfugge al mio controllo e mi riga la guancia. Marco afferra la mia mano e la stringe delicatamente, ne accarezza il dorso con il pollice. Appoggio la testa sulla sua spalla e mi asciugo gli occhi con le dita, cercando di non togliermi il trucco.
La cerimonia è emozionante, mia madre piange come una fontana, io cerco di trattenermi anche se non è semplice. Marco tiene la mia mano nella sua per tutto il tempo, rassicurandomi solamente con la sua presenza. Sarebbe stato tutto più difficile senza di lui. Tutto sarebbe più complicato senza di lui. Dopo le varie foto di rito, finalmente usciamo all’aria aperta. Cominciava a mancarmi l’ossigeno lì dentro.
«Stai bene?», chiede Marco posando una mano sul mio viso.
«Sto benissimo», rispondo con un sorriso. È vero, sto benissimo in questo momento, sto bene perché lui è qui con me. Qualcun altro, però, non lo è per niente. Vedere Lorenzo così serioso non è affatto normale.
 
***
 
Serena è davvero emozionata oggi che è il grande giorno di suo fratello. Ora che la cerimonia è terminata, si è rilassata sensibilmente. Appena l’ho vista con quel vestito che tanto adorava, truccata e pettinata a regolare d’arte, il mio cuore ha perso più di un battito. Non avevo mai visto niente di più bello. Non posso credere che questa donna sia mia, soltanto mia.
Lorenzo si avvicina a noi con un sorriso tirato sulle labbra.
«Ciao soci». Mi dà una pacca sulla spalla e bacia Serena sulla guancia.
«Come ti senti ora che la tua sorellina ha la fede al dito?». Cerco di alleggerire l’atmosfera, non riuscendoci del tutto. Lui finge di essere sereno e felice, ma si vede chiaramente che c’è qualcosa che lo turba.
«Mi sento un vecchio zitellone. La mia piccola Vera si è sposata e io sono ancora qui tutto solo», risponde con finta leggerezza.
Un istante dopo si rabbuia e si rivolge alla mia donna: «Come sta Stella?».
Eccoci al punto nevralgico della questione, Stella. Negli ultimi giorni Lorenzo si è chiuso in se stesso e non ha voluto sfogarsi molto, nonostante la mia costante presenza e pressione. Lei lo ho cacciato da casa sua dopo aver passato la notte insieme. I due sconsiderati non hanno usato precauzioni e ora probabilmente Stella è incinta, o per lo meno lei ha paura di esserlo. Da quel giorno, Lorenzo sembra un’ameba. Vorrei prenderlo a calci e dirgli di reagire. Se davvero tiene a Stella, dovrebbe andare a prendersela, ma credo che sia terrorizzato all’idea di diventare padre senza nemmeno averlo programmato. Già non è portato per una relazione stabile, una famiglia, poi, non era mai stata contemplata. Posso capire la sua paura e, secondo me, si sentirebbe un po’ meglio se si aprisse con il suo migliore amico.
«Sta bene», mente Serena con un sorriso.
So benissimo che Stella non sta per niente bene, non fa altro che piangere disperata. Almeno lei si è sfogata con la sua amica e in questi giorni Serena le è stata vicina, cercando di rassicurarla. La mia donna mi racconta ogni cosa e so per certo che Stella è pazza di Lorenzo, è solo spaventata a morte da tutta questa situazione. Non credo che lei abbia mai messo in preventivo l’idea di diventare madre e la sua innata insicurezza fa dubitare delle buone intenzioni del mio amico. In parole povere avrebbero bisogno di parlare e chiarirsi, ma nessuno dei due lo ha ancora fatto. O meglio, Lorenzo ha mandato un sacco di messaggi a Stella, ma lei lo sta evitando e non si è mai fatta viva. Stanno sbagliando entrambi e non mi voglio schierare dalla parte di nessuno. Lo sbaglio lo hanno fatto in due e devono sistemare le cose insieme, almeno è quello che farei io nella loro situazione. Purtroppo non siamo tutti uguali e ognuno pensa con la propria testa, o con qualche altra parte anatomica.
«Sono felice che lei stia bene», commenta lui fingendosi sollevato. «Siete pronti a mangiare come dei maiali e a bere come delle spugne?».
«Certo che sì!», esclamo io con entusiasmo circondandogli il collo con un braccio.
«Non puoi bere troppo», mi ricorda saggiamente la mia donna. «Se poi ti fermano per strada sono cazzi».
«Vorrà dire che guiderai tu», dico stringendomi nelle spalle.
Lei spalanca la bocca sconvolta, Lorenzo mi scrolla di dosso e mi osserva come se fossi impazzito.
«Tu faresti guidare la tua bambina a una donna?», chiede lui alquanto allibito.
«Lei non è una donna, è la mia donna». Gli faccio notare con decisione.
«So benissimo chi è lei, ma non l’hai mai fatta guidare nemmeno a me!», sbotta scioccato.
«No, scusate un secondo». Serena gesticola per attirare la nostra attenzione. «Io non ho alcuna intenzione di guidare nessuna macchina, perciò regolati di conseguenza. Se bevi troppo e ti fanno l’alcol test, io non c’entro. Prenditi le tue responsabilità, io non guiderò mai la tua macchina!».
Ha marcato l’accento sul mai, sperando che io recepisca il messaggio.
«Cazzo, sto per gestire una cantina e non posso nemmeno bere un goccio di vino. Che cosa abominevole!», borbotto scuotendo la testa. «Dovrebbe essere vietato dalla legge. Come si fa ad andare a un ricevimento e non bere nemmeno un goccio? Tutto questo è assolutamente ingiusto!».
«Smettila di fare la recita, Shark». Serena mi colpisce un braccio con un pugno. Oggi mi sta facendo venire dei lividi ovunque. Mi fa male ancora il fianco dove mi ha piantato il gomito quando stavamo parlando con i suoi zii. Come potevo rimanere serio? Tutti credevano che non si sarebbe mai sistemata e che sarebbe rimasta da sola tutta la vita. Sono il primo uomo che presenta ufficialmente a tutta la sua famiglia, non se lo aspettavano. L’espressione sul suo viso era troppo spassosa e quella dei parenti ficcanaso lo era ancora di più. Ho faticato parecchio per non ridere loro in faccia. Che poi la cosa ancora più buffa, è che una sua zia ha cinquant’anni suonati e non si è mai sposata. Serena ne ha trenta e ora ci sono io, perciò...
«A proposito, come sta tuo padre?». Lorenzo mi fa tornare con i piedi per terra con questa domanda.
«Brontola dalla mattina alla sera, per cui credo che stia cominciando a stare meglio», rispondo in un sospiro. «Deve stare a riposo e non deve strafare. Con le medicine che gli hanno dato da prendere dovrebbe tenere sotto controllo l’angina, anche perché non va presa sotto gamba. Rischia un’ischemia e poi lì sono davvero cazzi».
«E ci credo!», commenta lui stringendomi la spalla con la mano. «Ti ci vedo bene a mandare avanti l’azienda. Tu che ci stavi alla larga come se fosse qualcosa di potenzialmente pericoloso». Scoppia a ridere.
«Mi fa piacere che tu trova la cosa divertente. Per me non lo è affatto! Non so nemmeno da che parte iniziare e avrò mio padre tra i piedi tutto il tempo. Oh cazzo, so già che mi farà uscire di testa», brontolo portandomi una mano tra i capelli.
«Andrai benissimo, socio. Ne sono certo». Mi strizza l’occhio e mi regala un sorriso rassicurante.
«Lollo ha ragione, sarai bravissimo», aggiunge la mia donna sicura di sé.
«Ehm, non per essere rompipalle, ma Lollo sembra il nome di un cane». Fa una smorfia in direzione di Serena e lei prorompe in una fragorosa risata.
«Okay, scusami, prometto che non ti chiamerò mai più così, almeno non in tua presenza». Gli sfodera il suo miglior sorriso e lui sospira scuotendo la testa.
«Ti perdono solo perché sei la donna del mio socio».
Un milione di foto dopo, è giunto il momento di raggiungere l’agriturismo prenotato per l’occasione. Non credo di essere mai stato immortalato tanto come oggi, non sono mai stato un grande amante delle foto, anche se da quando sto con Serena ce ne siamo fatti un bel po’ insieme e le custodisco preziosamente nel mio cellulare. Almeno così posso rimirarla tutte le volte che voglio, soprattutto quando sono costretto a stare lontano da lei per tante ore. Mi sento un personaggio dello spettacolo in questo momento, manca solo un bel tappeto rosso e tutto sarebbe perfetto. In effetti il tappeto rosso lungo tutta la navata della chiesa c’era, potrei chiedere al fotografo di scattarmi qualche foto lì con la mia donna. Lasciamo perdere che è meglio.
Serena mi trascina alla mia macchina e sale in fretta e furia. Soltanto quando parto capisco il motivo di tutta quell’urgenza: Massimo ha avuto la faccia tosta di presentarsi davanti alla chiesa. Quel brutto figlio di puttana! L’ho visto attraverso lo specchietto retrovisore e avrei tanto voluto ingranare la retro e metterlo sotto, passandoci sopra un bel po’ di volte, tanto per essere certo di ottenere il risultato sperato. Che cosa gli passa per la testa? Per prima cosa non potrebbe nemmeno avvicinarsi a Serena dopo la diffida che gli ha fatto recapitare Lorenzo. Seconda cosa: come fa ad avere il coraggio di presentarsi qui dopo tutte le imprecazioni che gli ho lanciato al telefono quando aveva chiamato Serena? Non lo credevo così stupido.
«Grazie per essere partito alla velocità della luce», dice la mia donna ad un tratto, rilassandosi contro il sedile.
«Se lo avessi visto prima lo avrei investito», ammetto digrignando i denti.
Posa la mano sulla mia e la accarezza delicatamente.
«So che lo faresti». Si volta verso di me e mi accarezza la guancia con il dorso della mano. «Ora, però, scordiamoci di lui e godiamoci il resto di questo giorno speciale. Non voglio che quel bastardo rovini tutto, avrebbe vinto lui in questo modo e io non glielo permetterò».
«Hai perfettamente ragione, amore». Resta il fatto che io vorrei tornare indietro e farlo fuori, ma questo mio desiderio omicida lo tengo per me. Ho promesso di fare il bravo, almeno per oggi.
«Non mi hai ancora detto qual è la sorpresa per Alessandro. Dovrebbe essere il nostro regalo e io sono all’oscuro di tutto. Ti sembra una cosa giusta? Secondo me non lo è, ma è soltanto il mio parere e non so quanto possa contare». Mi mette il broncio, fingendosi offesa e risentita.
«È una cosa più che giusta. Tu non saresti riuscita a tenere quella tua boccaccia chiusa e avresti spifferato tutto». La prendo in giro tentando di rimanere serio.
«Bugiardo! Io non farei mai una cosa del genere! Sei crudele e hai detto pure che ho la boccaccia. Bene, questa me la lego al dito: questa bocca per te sarà off limit d’ora in poi!».
«Che cosa? Non puoi privarmi di quelle labbra meravigliose!», sbotto incredulo.
«Oh sì, posso eccome! Così impari a sottovalutarmi». Incrocia le braccia al petto e si volta verso il finestrino.
«Dai, su, amore. Sai che stavo scherzando». Provo a corromperla con qualche parolina dolce.
Lei, in tutta risposta, grugnisce.
«Sei l’amore della mia vita, la mia anima gemella, la donna più fantastica che
io abbia mai conosciuto, l’unica donna che amerò fino alla fine dei miei giorni», continuo imperterrito, sfiorandole la guancia con le dita.
«Sei solo un ruffiano», mugugna.
«Ti amo, cucciola, ti amo più di ogni cosa al mondo. Farei qualsiasi cosa per renderti felice». Posso andare avanti tutto il giorno se davvero vuole.
«Okay, ho capito», sbuffa una volta fermata la macchina nel parcheggio davanti al ristorante.
Si volta nuovamente verso di me e sfiora le mie labbra con le sue.
«Solo perché sei maledettamente dolce, sexy e ti amo più della mia stessa vita», sussurra sulla mia bocca.
«Mi basta», dico fiondandomi su quelle labbra che adoro e approfondendo quel bacio con ardore. «Ora scoprirai qual è il nostro regalo per Alessandro. Vieni che te lo presento».
Lei mi guarda perplessa, non ha idea di che cosa io stia parlando, ma fra pochi minuti lo scoprirà la aiuto a scendere dalla macchina e la prendo per mano, accompagnandola sotto il portico dell’agriturismo. Lì ad attenderci c’è Charlie. Lei si porta una mano alla bocca.
«Non ci credo», farfuglia sgranando gli occhi.
Charlie è un cantante famoso nel bresciano, e sapevo quanto Alessandro amasse la sua musica. È un nostro cliente ed è stato semplice per me chiedergli di partecipare al matrimonio, lui non si tira mai indietro quando si tratta di aiutare un amico.
«Lei è Serena, la mia fidanzata, nonché sorella dello sposo». La presento al musicista.
«È un piacere conoscerti». Lui le sorride e le porge la mano, che lei stringe prontamente. Ha perso l’uso della parola per lo stupore e a me viene da sorridere.
«Ci vediamo dopo», gli dico prendendola nuovamente per mano e trascinandola nel ristorante.
«Tu sei fantastico», dice dopo un po’. «È la cosa più bella che tu potessi mai fare. Ale sarà al settimo cielo non appena lo vedrà».
«Te l’ho detto che farei qualsiasi cosa per renderti felice».
Sapevo che la sorpresa le sarebbe piaciuta e ora ne ho pure la certezza.
«Ma come hai fatto a convincerlo? Avrà avuto un sacco di impegni».
«Oggi non ne aveva, altrimenti non avrebbe mai accettato. E poi gli ho promesso una cassa del nostro vino migliore. Conosce mio padre da un bel po’ di anni e si serve da noi, perciò non è stato poi così complicato. Sono contento che la sorpresa sia riuscita».
«Oh, è riuscita alla grande!». Mi butta le braccia al collo. «Sei il miglior fidanzato sulla faccia della terra».
«E tu sei l’amore della mia vita», mormoro un attimo prima di baciarla poco castamente in quella sala preparata a festa. Ci stacchiamo solamente quando sentiamo arrivare il resto degli ospiti, non perché ne avessimo voglia.
Il ricevimento si svolge in allegria, tra tante risate e tanti brindisi. Alessandro ci ha ringraziato tantissimo per il regalo che gli abbiamo fatto, si è perfino commosso. Non se lo sarebbe mai aspettato e ha detto che gli abbiamo reso questo giorno ancora più speciale di quanto già non fosse.
Ora tocca agli sposi ballare sulle note di una canzone romantica, e io voglio farlo con la mia donna.
«Posso avere l’onore di questo ballo?», chiedo offrendole la mia mano.
Serena annuisce con un sorriso meraviglioso. Allaccia le braccia attorno al mio collo, le mie mani finiscono in fondo alla sua schiena, faccio aderire i nostri corpi. Le note di questa dolce melodia riempiono la grande sala. 
«I tò öcc jè du öcc de sièta», canta Charlie accompagnato dalla sua chitarra acustica.
«I tuoi occhi sono occhi di civetta», traduco soffiando sulle sue labbra.
«Du balcù, du lanterne del ciél».
«Due balconi, due lanterne del cielo». Lei sorride imbarazzata. Non so nemmeno se sto traducendo giusto, ma credo che sto facendo un buon lavoro. Mi bacia dolcemente le labbra.
Anche altre coppie si sono fatte coraggio e ci stanno facendo compagnia sulla piccola pista.
«La tò boca ü bochì de coràl», continua a cantare.
«La tua bocca un beccuccio di corallo». Sfioro la sua bocca con il pollice, è così rossa e carnosa che avrei la tentazione di fiondarmici immediatamente e sfamarmi di lei.
«Dove i gràssie e i bazì, i bazì i ghe ridùla».
«Dove i grazie e i bacetti vi rotolano». Le bacio nuovamente le labbra, ottenendo un sorriso raggiante in cambio.
«E i fa l’òm diventè ü siforàl».
«E fanno diventare l’uomo un buono a nulla». Oh sì, sono decisamente andato, perdutamente innamorato di questa donna meravigliosa e sono un perfetto imbecille quando si tratta di parlare d’amore.
«Sei il mio buono a nulla preferito», mormora un attimo prima di baciarmi con ardore davanti a tutte queste persone che stanno applaudendo i novelli sposi. «Grazie di amarmi».
Sono io che dovrei ringraziare lei: è solo merito suo se ora so dare un significato alla parola amore.

 
***Note dell'autrice***
E anche Alessandro si è sposato! Come vi è sembrata questa giornata emozionante? Serena era nervosissima, ma fortunatamente Marco è riuscita a tranquillizzarla. Non per dire: ma Massimo ci è o ci fa? Marco avrebbe fatto davvero bene a ingranare la retro! Lorenzo sta malissimo per Stella e lei sta male per lui, ma sono entrambi di coccio. Quando decideranno a parlarsi? Che ne pensate del regalo che alla fine Marco ha presentato? Beh, io adoro Charlie, ma immagino lo avevate già capito. L'ho visto un sacco di volte dal vivo e ormai ogni volta che mi vede mi manderà a quel paese hahah! A parte gli scherzi, questa è una delle mie canzoni preferite. Se volete ascoltarla, guardando un bel video casereccio (sì, l'ho filmato io *orgogliosa dei suoi filmati*) vi lascio qui sotto il link :) 
Charlie Cinelli - Serenada
A martedì prossimo per vedere come se la caverà Marco in azienda :)
Un grazie immenso a tutti voi che leggete, commentate e mi seguite... mi rendete felice :)
Un bacione
Ire


Se volete passare a trovarmi
Bijouttina & i suoi vaneggiamenti

 

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Capitolo 24
*** Che difficoltà sarà mai! ***





24. Che difficoltà sarà mai!

Lavoro nell’azienda di famiglia da due giorni e vorrei già scappare a gambe levate. Prima di tutto non ho idea di che cosa dovrei fare. Mio padre vuole che tenga d’occhio tutti. Va bene, posso anche farlo, ma come faccio a sapere se fanno bene o male il loro lavoro? Questa rimarrà sempre un’incognita per me. Fanno tutto facile loro! Non sono abituato a rimanere chiuso in un ufficio o in azienda per tutto il giorno, mi manca muovermi in macchina e andare a trovare i miei clienti. Mi tocca prendere ordini telefonici in questi giorni. Ho parlato con il mio capo e gli ho spiegato i problemi di mio padre, mi è venuto incontro e lo ringrazio infinitamente per questo. Fortunatamente ho a che fare con persone in gamba e intelligenti, non avrei saputo come gestire la cosa altrimenti.

«Marco, hai controllato se Tiziano ha preparato l’ordine per il signor Tronchi?». Mio padre arriva alle mie spalle e faccio un balzo sul posto.

«Che cosa ci fai qui? Tu dovresti essere a letto a riposare». Lo ammonisco socchiudendo gli occhi.

Scaccia quell’idea tagliando di netto l’aria con un movimento rapido della mano.

«Sto bene e non posso perdere del tempo prezioso disteso in un letto a fare niente. E poi Tronchi mi ha appena telefonato e vorrebbe l’ordine domani anziché la settimana prossima come era previsto. È nostro cliente da più di trent’anni, non posso mica scontentarlo».

«Non ho mica detto che dovresti scontentarlo, stavo solo cercando di capire perché non potevi dirmelo per telefono e continuare a riposarti». Cocciuto come un mulo! Il dottore gli ha detto che deve rimanere a riposo il più possibile, e lui è già qui che impartisce ordini.

«Smettila di trattarmi come se fossi moribondo. Sto bene», bofonchia estraendo il pacchetto di sigarette dalla tasca dei pantaloni.

Eh no, questo è troppo! Glielo strappo di mano e lo getto nel cestino dello sporco sotto la scrivania che mi ha assegnato nell’ufficio principale. Lui mi fulmina con lo sguardo, se potesse, mi mangerebbe vivo.

«Hai promesso di fare il bravo. Il fumo fa male al tuo cuore e, sinceramente, non ho voglia di organizzare il tuo funerale». Lo osservo a braccia conserte e gli occhi ridotti a due fessure. Fra un po’ parte la musichetta da film western ed estrarremo le pistole.

«Quel pacchetto era nuovo». Si lamenta mio padre. «Mi devi cinque euro».

«Toglimelo dallo stipendio», dico senza staccargli gli occhi di dosso.

«Dovrei anche pagarti?», domanda sorpreso.

Scuoto la testa.

«No, non serve, non sono un tuo dipendente. Sono qui solo per darti una mano finché non ti sarai completamente rimesso. Dopo di che tornerò al mio lavoretto sottopagato che tanto adoro», borbotto voltandogli le spalle e andando alla ricerca di questo Tiziano.

«Stai andando dalla parte sbagliata». Mi riprende mio padre scoppiando a ridere. «Smettila di fare il saputello con me. Fino a prova contraria, sono io che comando in questo posto».

«Non ho intenzione di comandare proprio nessuno», borbotto tornando sui miei passi e oltrepassando il grande capo.

Come riesce a farmi innervosire lui, non ci riesce nessun altro. Spero con tutto il cuore che si rimetta in fretta, non ho alcuna intenzione di invecchiare in questo posto. Non fa per me, mi manca l’aria, mi sento sempre sotto esame e a me questa cosa non piace nemmeno un po’. Mi piace essere libero, gestirmi il lavoro come meglio credo.

Che difficoltà sarà mai gestire questo posto!”, continuo a ripetermi, cercando di trovare qualcosa di positivo in tutta questa situazione e non trovando assolutamente niente.

Incontro molte persone lungo il cammino, saluto sempre con il sorriso sulle labbra, anche se non ho la più pallida idea di chi siano e quali possano essere le loro mansioni. Già sanno quello che devono fare, non sarò certo io a intromettermi.

Trovo Tiziano dopo varie peripezie e dopo averlo chiesto a tre persone diverse. Sta sistemando dei cartoni nel magazzino. È un uomo sulla cinquantina, capelli brizzolati e un naso piuttosto pronunciato.

«Oh salve, signor Rossini». Mi saluta non appena si accorge della mia presenza, mi regala un sorriso.

«Chiamami pure Marco, signor Rossini è solamente mio padre», dico con una smorfia. Non mi piacciono tutti questi convenevoli, sono una persona diretta e mi piace avere un certo tipo di rapporto con la persona che ho davanti, soprattutto se ci devo lavorare insieme.

«Va bene, Marco. Ti serviva qualcosa?», chiede continuando a fare il suo lavoro per non perdere minuti preziosi. Ammirevole da parte sua.

«Mio padre ha chiesto se sono già pronti i cartoni per l’ordine di Tronchi, li vuole consegnati domani». Lo informo.

Lui si acciglia e sbuffa.

«Dovrebbe perderlo quel vizio di cambiare tutte le volte la data di consegna. Lo fa sempre ed è una gran rottura». Scuote la testa e si sposta in un angolo del magazzino per prendere dei cartoni vuoti.

«Quanti ne vuole?», domando. Se non sono molti, non dovrebbero esserci tanti problemi per preparare l’ordine.

«Un centinaio», risponde grattandosi la testa.

«Di bottiglie?».

«Di cartoni».

«Sti cazzi!», sbotto incredulo. E io che pensavo fossero quattro bottiglie in croce.

«Abbiamo pochissime consegne pronte oggi. Il personale si è ridotto notevolmente negli anni e io non riesco più a gestire tutto. Normalmente c’è un ragazzo che mi aiuta, ma si è dato malato oggi e non credo di riuscire a farcela ad evadere tutti gli ordini da solo». Mi rende partecipe dei suoi crucci e l’unica soluzione è rimboccarmi le maniche.

«Ti aiuto io». L’azienda è della mia famiglia e spetta anche a me fare il lavoro duro, se voglio che tutto vada per il verso giusto. Se i clienti non riceveranno la merce richiesta per tempo, mio padre si incazzerà da morire e non mi sembra davvero il caso. Lui non deve alterarsi e, soprattutto, io non voglio sentire le sue lamentele, ne faccio volentieri a meno.

«Come, prego?». Tiziano sembra non aver capito che voglio aiutarlo, l’incredulità sul suo volto è ben visibile.

«Se ti do una mano, riusciremo a cavarcela prima di sera. Immagino che tu non abbia voglia di rimanere a lavorare anche stanotte. Non so te, ma io ho una donna meravigliosa che mi aspetta a casa per cena».

«Mia moglie mi prepara i casoncelli fatti in casa stasera», mi dice con un sorriso sghembo.

«Motivo in più per darci una mossa». Batto le mani. «Dimmi quello che devo fare, e io lo farò».

L’uomo mi dà una manata sulla spalla, scoppiando a ridere, e comincia a impartirmi ordini.

«Con tuo padre non avrei mai potuto farlo», commenta divertito.

«Ma io non sono lui». Gli faccio notare stringendomi nelle spalle.

In due il lavoro risulta meno noioso e, soprattutto, riusciamo a preparare tutte le consegne per il giorno seguente. Chi lo avrebbe mai detto? Ci siamo presi qualche pausa per riprendere fiato, berci un caffè e scambiare due parole. Tiziano è un uomo alla mano, mi ha parlato molto della sua famiglia e dal luccichio nei suoi occhi si capisce che è ancora pazzo della moglie, nonostante i tanti anni di matrimonio. Hanno due figli maschi, vanno entrambi alla scuola superiore. È orgogliosissimo di loro e non lo nasconde. Enrico di sedici anni è un campione del basket, vorrebbe un giorno giocare in prima squadra; Nicola ha diciotto anni e l’anno prossimo si diplomerà, vorrebbe diventare ingegnere civile. L’amore che vedo nei suoi occhi quando parla di loro non è descrivibile a parole. Piacerebbe molto anche a me avere un figlio, crescerlo con amore ed essere orgoglioso di lui. Quest’uomo mi sta facendo venir voglia di diventare padre e, a dirla tutta, era una cosa cui non avevo mai pensato seriamente. Ho quasi trentasei anni e se avessi un figlio anche solo l’anno prossimo, ne avrei cinquantaquattro quando lui diventerà maggiorenne. Non mi piace l’idea di essere troppo vecchio per correre dietro ad un fagottino somigliante a me o a Serena. Che cosa mi sta passando per la testa? Lei non sarà mai pronta per un passo così importante, non a breve. Ho visto il suo sguardo terrorizzato quando ho scherzato con lei quel giorno. Forse Lorenzo diventerà padre per sbaglio e io sono qui a pensare davvero di voler concepire un figlio. Se me lo avessero detto qualche mese fa, avrei riso loro in faccia. A me è sempre piaciuto divertimi, non ho mai pensato a costruirmi una famiglia, non mi era mai lontanamente passato per l’anticamera del cervello di pensare ad avere un figlio. Non so proprio che cosa mi sia preso!

«Tu sei sposato?». La domanda che Tiziano mi pone mi fa tornare momentaneamente in quel magazzino illuminato dalle luci artificiali.

«No, non sono sposato. Ho chiesto da poco alla mia fidanzata di venire a vivere da me», gli rispondo ripensando nuovamente a quella mattinata strana. Non ci avrei mai scommesso un centesimo sulla sua risposta positiva a quella mia richiesta, avrei giurato che mi avrebbe tenuto in ballo per non so quanto tempo per avere un cenno da parte sua. Invece mi sbagliavo. È come se vivessimo già insieme, anche se è obbligata a pagare l’affitto ancora per qualche mese. Nel frattempo, le sue cose sono ancora tutte lì e questo mi mette un po’ di agitazione. Non credo possa cambiare idea e rimangiarsi tutto, ma l’ansia è una brutta bestia e io ho il terrore che si possa stancare di me, lasciandomi come il peggiore dei cretini. Lei è una donna meravigliosa e non ci metterebbe molto a trovare un altro uomo che possa amarla. Io, però, non posso permettere che questo accada. Niente e nessuno potrà metterci i bastoni tra le ruote: io voglio solo Serena nella mia vita e, se non posso avere lei, non avrò nessun’altra.

Il cellulare comincia a squillare nella tasca posteriore dei miei pantaloni. Lo estraggo e controllo chi mi sta chiamando.

«Si parla del diavolo», dico a Tiziano prima di allontanarmi da lui per rispondere. «Amore mio».

«Amore mio un corno!», tuona lei incazzata di brutto.

«Che succede?», chiedo uscendo dal magazzino per respirare un po’ di aria fresca. La voce alterata della mia donna mi ha tolto momentaneamente il respiro.

«Che succede? Ora te lo spiego», comincia senza cambiare minimamente il tono. «Sono a casa tua e fuori dal cancello ho trovato quella tua ex del cazzo».

Oh porca troia!

«Chi è che c’era?», domando sperando di aver capito male.

«La stronza imbecille della boutique, quella che ti sbavava dietro senza mezze misure, quella con cui sei uscito due mesi e poi avresti lasciato. Quella stronza che ti stava aspettando sotto casa perché le avevi promesso una cena!».

Allontano il telefono dall’orecchio, il mio timpano deve aver subito qualche lesione.

«Io non le ho promesso proprio niente!». Cerco di difendermi, ma non vuole nemmeno ascoltarmi.

«Allora perché non mi hai detto che avete pranzato insieme l’altro giorno?». Abbassa il tono della voce, ma la sento ansimare. Vorrei essere a casa in questo momento e guardarla negli occhi mentre le racconto la mia versione dei fatti.

«Non abbiamo pranzato insieme. Io stavo…».

«Non me ne frega un cazzo! Stanotte dormo da Luca».

Il suono della chiamata interrotta mi riempie la testa, un capogiro mi investe. Che cazzo è successo? Per quale motivo non vuole credermi? Per quale cazzo di motivo ha dato retta a quella pazza furiosa? Non mi va di essere trattato come un possibile traditore! E non permetterò che quella odiosa gattamorta l’abbia vinta! Ora mi sentirà Serena, non la passerà liscia. Mi dovrà ascoltare per forza, non me ne andrò finché non avrò finito la mia arringa difensiva! Non ho mai sopportato le litigate, ma quando ci vuole ci vuole. Io stavo perfino immaginando di avere un figlio con lei ed è così che vengo trattato? No, non mi va giù questo comportamento assurdo, proprio per niente.

Rientro in magazzino come una furia.

«Problemi?», chiede Tiziano vedendomi un tantino alterato.

Mi porto una mano alla fronte e cerco di respirare normalmente, sono ancora parecchio scosso da questa telefonata insulsa.

«Che cosa fai quando tua moglie si convince di una cosa che non è vera e non vuole sentire ragioni?». Sicuramente lui è molto più esperto di me nella vita di coppia, io sono ancora un novellino in confronto, oltretutto spaurito e incosciente.

«La prendo per sfinimento. Continuo a ripeterle le mie ragioni, finché qualcosa nei suoi occhi non cambia e allora capisci che si è resa conto di aver esagerato. Normalmente comincia a piangere e io la stringo a me in silenzio. Ascoltami, Marco, è normale che nascano delle incomprensioni in una coppia. Secondo me a volte le donne lo fanno solo per avere delle conferme perché si sentono in qualche modo minacciate. Si credono forti, ma spesso sono soltanto fragili e basta un nonnulla per farle crollare come un castello di carte. Hanno bisogno di essere rassicurate e a volte le parole non servono, bastano i gesti. Non sai che miracoli possa fare un solo abbraccio».

Prenderla per sfinimento. È proprio quello che ho intenzione di fare. Non posso permettere che la nostra relazione crolli per colpa di una donnetta con la quale non voglio minimamente avere a che fare. Dopo aver chiarito con Serena, anche Grazia mi sentirà! Se pensa davvero di potersela cavare con questo suo comportamento ignobile, ha capito davvero male. Non ha idea di che cosa le aspetti, non sa con chi ha a che fare.

«I tuoi consigli mi sono stati davvero preziosi, grazie di cuore». Gli stringo una spalla con la mano, sono davvero riconoscente del suo aiuto.

«Ora vai da lei, ti starà aspettando in ansia». Mi strizza l’occhio e si incammina verso il piccolo ufficio.

Sono stanco morto e stressato, litigare con la mia donna è davvero l’ultima cosa che io voglia fare. Non è mai successo fino ad ora, ma se serve a farle capire che io tengo davvero alla nostra storia e che non permetterò a una sciacquetta qualunque di rovinare quello che di meraviglioso c’è tra noi, allora lo farò. Mi sentiranno urlare in tutto il quartiere e non me ne frega un cazzo di quello che la gente potrà pensare. Serena deve mettersi in testa una volta per tutte che è lei quella che voglio, è lei quella che vorrò per il resto dei miei giorni, sempre e soltanto lei, nonostante tutte le sue insicurezze, incertezze e sbalzi d’umore. Se non lo capirà con le parole, glielo dimostrerò con i fatti, ma prima o poi dovrà cedere, dovrà farlo per forza. Non ho intenzione di continuare in eterno ad avere paura di perderla per delle stronzate del genere.

Raggiungo i miei genitori in casa, li saluto e salgo velocemente sulla mia macchina: ho una missione da compiere.

 

***

 

Sto sonnecchiando davanti alla televisione, quando il campanello mi fa quasi rotolare giù dal divano. Oggi ho un intero giorno a casa e mi sto annoiando a morte. Marco è impegnato in azienda e io mi sento un tantino sola. Mi alzo controvoglia e raggiungo la cornetta: è Marica.

Sono giorni che non la sento o vedo e, ad essere sincera, cominciavo un po’ a preoccuparmi. La aspetto alla porta.

«Ciao». Mi saluta non appena richiudo l’uscio alle nostre spalle.

«Ciao, ti avrei chiamata più tardi. Che fine avevi fatto?», chiedo accompagnandola al divano e chiedendole di sedersi con un cenno della mano.

Mi sistemo accanto a lei e incrocio le gambe sui cuscini, mettendomi comoda.

«Ehm, sono stata impegnata», risponde alquanto vaga.

«Perché ho la netta sensazione che quello che stai per dire non mi piacerà minimamente?». La osservo a braccia conserte e lei mi offre un sorriso sghembo.

Ultimamente le mie amiche vengono a confessarsi da me, come non avevano mai fatto in precedenza. Normalmente ero io quella che mi rifugiavo da loro in cerca di conforto dopo una delusione d’amore, ora la cosa sembra essersi capovolta e sono io la loro spalla su cui piangere. Una lacrima scende a solcarle una guancia.

«Michele, non è vero?», dico in un sospiro.

Lei annuisce appena e scoppia in un pianto disperato. Lo sapevo che l’avrebbe fatta soffrire nuovamente quel bastardo infame. Gli stacco le palle con un machete non appena lo incontro per strada! Anzi no, vado a cercarlo sotto casa e gliele taglio in giardino! Non doveva far soffrire di nuovo la mia migliore amica! Le aveva già spezzato il cuore in un milione di piccoli pezzettini e li aveva calpestati senza alcun ritegno e ora è tornato alla carica, continuando da dove era rimasto. Non posso tollerarlo.

«Sere, dimmi che cosa devo fare. Io lo amo disperatamente, non riesco a farne a meno», farfuglia tra i singhiozzi.

«L’idea migliore sarebbe liberarsi di lui», borbotto cinicamente.

«Il problema è che lui è dolcissimo, mi ricopre di attenzioni e io non riesco a liberarmi di lui. Non voglio farlo, Sere, ma ho paura. Ho paura che si ripeta tutto dall’inizio e io non potrei sopportarlo. Non questa volta. Lui dice di amarmi, abbiamo fatto l’amore».

Okay, questa cosa non volevo sentirla. Come ha potuto infilarsi di nuovo nel letto di quell’infame?

«Voi cosa?», sbotto incredula.

«Ieri sera mi ha portata fuori a cena, è stato galante, impeccabile. L’ho fatto salire nel mio appartamento, volevo offrirgli un caffè».

La interrompo poco elegantemente. «Lui voleva altro».

Lei scuote la testa, asciugandosi le lacrime con il dorso della mano.

«È stata tutta colpa mia», dice stringendosi nelle spalle.

«Che cosa hai combinato?», domando chiudendo gli occhi e sospirando rumorosamente.

«L’ho baciato, volevo sapere che cosa provavo ancora per lui», risponde appoggiando la testa sul cuscino del divano.

«E che cosa ne hai dedotto?». Ormai non riesco nemmeno più ad incazzarmi, il danno è già stato fatto.

«Che lo amo ancora alla follia. Quel bacio è diventato infuocato senza neanche accorgermene e ci siamo ritrovati a fare l’amore nel mio letto, come facevamo un tempo». Il suo sguardo è perso nel vuoto e i suoi occhi castani si accendono di una strana luce mentre ripensa alla scorsa notte.

«Sere, è stato fantastico, perfino più bello che in passato». Torna a guardarmi e mi sorride.

«Ma hai paura che se ne possa andare di nuovo». Le prendo una mano e la tengo stretta nelle mie.

Annuisce con decisione.

«Che cosa vuoi sentirti dire, tesoro? Sai benissimo che cosa penso di lui e sai ancora meglio che lo ucciderei se ti facesse ancora soffrire. Non posso obbligarti a non vederlo più, di lasciarlo perdere, o qualsiasi altra cosa. Credo che tu sappia benissimo a che rischio tu stia andando incontro. L’unica domanda che ti posso fare è: a te va di rischiare?».

Non so che cosa farei se mi trovassi nella sua stessa situazione, l’amore è talmente complicato e ognuno lo vive a proprio modo. Marica è ancora pazza di Michele, chiunque potrebbe accorgersene soltanto guardandola in volto. Il problema è che non sapremo mai se è lo stesso per lui. È scappato così velocemente la scorsa volta, chi può assicurarci che non lo farà ancora? Potrebbe essere un codardo recidivo e noi non possiamo saperlo in anticipo. Sinceramente non voglio che la mia amica lo scopra sulla sua pelle, ma a quanto pare è l’unico modo per farlo, purtroppo.

«A me va di rischiare», risponde avvicinandosi a me e baciandomi la guancia. «Sono fortunata ad averti come amica».

La avvolgo in un abbraccio e la stringo forte a me. «E io sono fortunata ad avere te».

Rimaniamo strette l’una all’altra a lungo, Marica aveva davvero bisogno di essere confortata e, in un certo senso, anche di avere il mio consenso per quanto riguarda questa follia. Se lei se la sente, non sarò di certo io a fermarla. Merita di essere felice e se quella felicità riesce ad ottenerla solo grazie a quel fetente, non posso farci assolutamente niente. Dovrà fare qualcosa di davvero eclatante per ottenere nuovamente la mia stima, se mai la otterrà. Non so se sarò mai in grado di perdonarlo fino in fondo, anche se non credo gli possa importare molto di me, in fin dei conti sono solo l’amica della donna cui ha spezzato il cuore.

«Quand’è che ti trasferisci definitivamente da Marco?», chiede ad un tratto, liberandomi dalla sua presa.

«Ehm, non lo so», rispondo evitando il suo sguardo indagatore.

«Tesoro, tu te la stai facendo addosso. Perché gli hai detto di sì, se poi non te la senti di andare a stare da lui?». Stavolta è lei a prendere una delle mie mani e a giocare distrattamente con le mie dita.

«Io… non lo so», farfuglio in preda al panico. Ha perfettamente ragione, l’idea di andare a convivere mi terrorizza. E se ritenesse ridicole le mie fatine che colleziono e non vorrà che le metta sullo scaffale in bella vista? E se non sopportasse il mio essere disordinata cronica e mi cacciasse via? E se si stancasse di me dopo una settimana fissa a casa sua? E se trovasse un’altra donna migliore di me?

«Dallo sguardo che hai in questo momento, ne deduco che ti stai facendo le tue solite paranoie assurde. Lui non ti lascerà per un’altra, a lui non darà fastidio raccogliere i vestiti che sparpaglierai per la camera, lui non si stancherà di te alla prima occasione». Mi colpisce una gamba con un leggero pugno. «Che cosa credi? Che io non ti conosca come le mie tasche? So perfettamente che cosa passa per questo tuo cervellino».

Mi punta un dito alla fronte e mi sorride. «È normale essere spaventati, ma se non provi, non scoprirai mai come sarà. Lui ti ama e tu ami lui, che cosa ti serve ancora? Quell’uomo farebbe follie per te».

«Lo so», mugugno. Colpita e affondata in pieno, sto annaspando nel mare delle mie paranoie. «Mi accompagni a casa sua? Voglio fargli trovare la cena pronta quando tornerà dal lavoro».

«Così mi piaci. Ragionamento da brava mogliettina». Mi strizza l’occhio e io scoppio a ridere.

Recupero la spesa nel frigo, prendo la mia borsa che ho lasciato cadere dietro al divano e scendiamo di sotto. La macchina di Marica è parcheggiata proprio di fronte al cancello. È riuscita a scuotermi dal mio torpore e mi sento decisamente meglio. I miei amici hanno ragione, mi faccio sempre un sacco di problemi dove non esistono. Dovrei dare più fiducia a Marco, credergli quando mi dice che senza di me non riesce proprio a stare. È che a me fa ancora piuttosto strano tutto questo, non sono abituata a una relazione stabile e mi sembra sempre di essere sotto esame. Marco non mi fa pesare niente, lui è perfetto, sono io che mi faccio mille domande e vado in paranoia. E poi mi viene l’emicrania, come in questo momento.

Marica si ferma davanti al cancello del suo palazzo e quello che vedo non mi piace assolutamente.

«Che cazzo ci fa lei qui?», sbotto scendendo di corsa dalla macchina e dirigendomi dalla donna. Marica mi segue di gran carriera, non capisce che cosa stia succedendo.

«Che cosa ci fai qua?». Questa volta la domanda la pongo direttamente all’interessata che, appena sente la mia voce, si volta verso di me e mi regala un sorriso smagliante. Ora le spacco tutti i denti con un pugno, spero conosca un buon dentista dove andare.

«Sto aspettando Marco, mi ha promesso una cena», risponde la sfacciata senza smettere di sorridere come una demente.

«E quando te l’avrebbe promessa?», chiedo a braccia conserte e gli occhi ridotti a due fessure. Non credo minimamente che Marco possa averle promesso una cosa del genere.

«Qualche giorno fa, abbiamo pranzato in un bel ristorantino in centro». Si vanta di questa cosa come se avesse pranzato con la regina d’Inghilterra.

Ora la ammazzo! Marica blocca il mio polso che stava già viaggiando nella giusta direzione: la faccia da cretina di Grazia.

«Oh, ma non te lo ha detto? Se ne sarà dimenticato».

Riprendo l’utilizzo della mia mano e le mollo uno schiaffo sulla guancia.

«Ma sei scema?», sbotta indignata.

«Stai lontana dal mio uomo!», urlo facendo marcia indietro e tornando nella macchina della mia migliore amica. Lei mi raggiunge un istante dopo.

«Riportami a casa», ordino in preda alla rabbia. Estraggo il telefono dalla borsa e chiamo Marco. Ora mi sentirà anche lui. Sincero, sincero, solo quando vuole lui però! Non mi ha mai detto di aver rivisto la sua ex e tanto meno di averci pranzato insieme! Ora mi sentirà, non la passerà liscia.

Non appena risponde, lo travolgo come un fiume in piena e lo tramortisco con la mia furia. Non sono mai stata tanto incazzata come in questo momento. Riaggancio senza nemmeno dargli il tempo di ribattere, non ho proprio voglia di sentire tutte le sue patetiche scuse.

«Cerca di calmarti». Marica posa una mano sul mio braccio appena ci fermiamo davanti casa mia.

«Non ho alcuna intenzione di calmarmi. Grazie per il passaggio». La bacio sulla guancia e mi fiondo in casa, buttandomi a pancia in sotto sul letto.

Perché mi ha fatto questo? C’era proprio bisogno di nascondermi il fatto che l’avesse rivista? Mi ha mentito quando ha detto di non provare più niente per lei? Se lo avesse fatto, ne morirei. E se lui si fosse accorto che lei è migliore di me? Al solo pensiero le lacrime fanno capolino agli angoli dei miei occhi e cominciano a scendere lungo il mio viso, senza alcun controllo. Odio piangere, non sopporto proprio farlo, ma in questo momento ne ho bisogno. Vorrei che Marco fosse qui, che mi dicesse che sono una sciocca, che io sarò sempre l’unica donna per lui, che mi ama come non ha mai amato nessun’altra donna prima. Ho bisogno delle sue rassicurazioni, ho bisogno di lui.

È dura da ammettere che senza di lui non riesco proprio più a stare, mi sento inutile, sola, mi manca qualcosa. Mi manca una parte di cuore quando lui non è con me. Il dolore al petto che provo in questo momento mi spaventa tremendamente e vengo scossa dai singhiozzi.

Non so per quanto tempo me ne sto qui sul letto a piangermi addosso e a darmi della cretina megagalattica. A un tratto mi sento avvolgere completamente da delle braccia possenti, il suo profumo mi arriva fino al cervello, nonostante il naso tappato per colpa delle tante lacrime versate. Come ha fatto ad entrare se non ha le chiavi? Ma chissenefrega, lui è qui con me e non mi importa altro. Affonda il naso tra i miei capelli e io ricomincio a piangere con il viso premuto contro il suo petto.

«Sono qui con te, amore. Sarò sempre con te», mormora in tono rassicurante.

Il mio cuore sembra riprendere vita, sta ricominciando a battere normalmente.

«Mi dispiace, mi dispiace tanto», biascico sbavando sulla camicia ancora profumata del mio uomo.

«Amore, va tutto bene, non ti preoccupare». La sua voce dolce mi fa piangere ancora di più.

Mi stacco da lui quel tanto che basta per poterlo guardare negli occhi. «No, non va tutto bene. Perché non mi hai detto che hai pranzato con lei? Hai avuto un ritorno di fiamma?».

Le vampate stanno venendo a me al solo pensiero che il mio uomo possa aver solo pensato di fare certe cose con una donna che non sia io.

Mi prende il viso tra le mani, costringendomi a guardarlo negli occhi, quelle pozze blu che mi stanno perforando l’anima.

«Piuttosto di farmi bruciare da un ritorno di fiamma, mi sparerei un colpo in bocca. Con lei, poi? No, non è plausibile. Tu sei l’unica donna della mia vita, sei tu che accendi un fuoco dentro di me e solo tu hai il potere di mantenerlo vivo».

Oh mio Dio, nessuno mi aveva mai detto una cosa del genere, ha uno strano effetto sul mio stomaco, è tutto in subbuglio. Mi asciuga una lacrima ribelle e mi sorride, baciandomi lentamente la guancia arrossata.

«Non ho mai pranzato con lei, si è seduta al mio tavolo mentre stavo ordinando, senza nemmeno chiedermi se poteva. Quella donna urta il mio sistema nervoso e l’unica cosa che vorrei fare è prenderla a calci in bocca. Lo so, forse sono troppo eccessivo, ma è quello l’istinto ogni volta che la vedo. Sai che cosa ha osato chiedermi?». Accarezza il mio zigomo con il pollice, lentamente.

Scuoto la testa, non ho più voglia di parlare, lascio che sia lui a farlo. Sono felice che si stia aprendo con me e mi stia raccontando quell’episodio, non sopportavo non sapere.

«Voleva che le dessi una possibilità, voleva perfino venire a letto con me mentre stavo con te. Ti rendi conto? Le ho risposto in malo modo, era inconcepibile che mi proponesse una cosa tanto assurda. Per prima cosa io non tradirei mai la donna che amo, che saresti tu per la cronaca. Seconda cosa non andrei con lei neanche se fosse l’unica donna rimasta sulla Terra».

Mi sfiora le labbra con le sue, baciandole teneramente.

«Non ti ho raccontato di questo incontro assurdo solo perché avevo altro per la testa. Prima che potessi cacciarla a pedate, ho ricevuto la telefonata di mia madre e sono corso in ospedale. Non ho più ripensato a quello che era successo, l’ho rimosso completamente. Non so se tu voglia credermi, ma spero che tu lo faccia. Sai che non ti ho mai nascosto niente, non ho segreti per te. Ti amo, Serena, ti amo davvero con tutto me stesso e non permetterò che una pazza furiosa rovini quello che c’è tra noi. Nessuno può -».

Sigillo le sue labbra con le mie, evitando che possa continuare quello che stava dicendo. Ne ho abbastanza di tutto questo, voglio solo stare con lui e godermi tutte le sue attenzioni. Mi stringe nuovamente a sé e approfondisce quel bacio con desiderio. Mi fa sdraiare sul materasso e si stende sopra di me. Delinea il contorno del mio viso con dei piccoli baci.

«Dopo una litigata, bisogna riconciliarsi, giusto?», mormoro ad occhi chiusi, beandomi di quel contatto così piacevole.

«Giustissimo, Flounder», risponde lui infilando una mano sotto la mia maglia e torturando piacevolmente un mio seno. «So anche come fare».

Ci è voluto davvero poco per far tornare l’armonia tra di noi e di una cosa sono certa, ora più che mai: sono pronta ad andare a vivere con lui, non desidero altro.

 

***Note dell'autrice***

Come vi è sembrato Marco in azienda? Suo padre ha tentato in ogni modo di fargli saltare i nervi, ma credo che sia riuscito a gestire al meglio la situazione. La litigata con Serena non ci voleva. Noi donne possiamo essere delle testone assurde. Per fortuna che ci vuole poco per farci tornare il sorriso. Grazia ha superato il limite, deve avere qualche serio problema. L’importante è che non abbia portato troppo scompiglio nella vita dei nostri piccioncini. A martedì prossimo per il trasloco e ritroveremo anche Luca ♥
Un grazie immenso a chiunque segua questa mia storia… siete in tantissimi e io vi adoro tutti ♥



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Capitolo 25
*** Aria di cambiamento ***





25. Aria di cambiamento

Ammetto che non pensavo di avere così tante cose in questo appartamento. Quando lo avevo preso in affitto tre anni fa, era già arredato: non avevo voglia di mettermi a cercare dei mobili e, sinceramente, non credevo sarei rimasta a lungo in questo posto. Ho sempre pensato che prima o poi avrei avuto abbastanza soldi da potermi permettere un mutuo e comprarmi una piccola casetta, magari in riva al lago. Questo sogno non si è mai avverato e sono rimasta in questo buco striminzito per tre lunghissimi anni. Le cose accumulate sono parecchie e sto riempiendo un numero considerevole di scatoloni con l’aiuto di Luca. Anche lui non lavorava oggi e ha voluto a tutti i costi darmi una mano.
«Sei sicura di voler tenere tutte queste riviste?», chiede inscatolando un pacco di settimanali che probabilmente non sono nemmeno mai riuscita a leggere per mancanza di tempo e di voglia. Mia madre mi aveva regalato l’abbonamento a questa rivista per Natale, e molti numeri sono ancora avvolti nella plastica.
«Magari un giorno mi verrà voglia di scartarle e leggerle», rispondo continuando ad avvolgere le mie fatine in fogli di quotidiani che mi ha portato lui da casa. Alex compra il giornale ogni giorno e li ha tenuti apposta per me, sapeva che mi sarebbero serviti. Quell’uomo è davvero un tesoro e sta rendendo felice il mio Luca. Come potrei non voler bene a quel biondino?
«Io non credo che tu lo farai mai, avrai altre cose a cui pensare ora che vivrai con un’altra persona. Lo sai che dovrai pulire l’appartamento, cucinare, lavare i panni anche di Marco, stirargli le camice?». Luca mi osserva con espressione divertita e io gli mostro la lingua.
Io odio stirare, lo odio con tutto il cuore. Normalmente prendo i miei vestiti direttamente dallo stendibiancheria, senza passare per l’asse da stiro. Saranno un attimino sgualciti, ma a chi importa? Tutte le volte mia madre mi guarda scuotendo la testa e sospirando esasperata, non ha mai sopportato che andassi in giro conciata in quel modo – sue testuali parole. Non ci penso nemmeno a mettermi a stirare le camice firmate di Marco! Se mi dimenticassi il ferro da stiro su quel cotone di lusso? Chi lo sentirebbe poi il mio uomo?! Io non lo sentirei più di certo, le sue urla mi spappolerebbero i timpani e rimarrei lesionata a vita. Okay, forse sono un tantino drastica, ma sta di fatto che io non le stirerò mai comunque, non mi va di rischiare.
«Continuerà a fare come ha fatto finora. Pignolino com’è, se le stirerà da solo e non mi permetterà di avvicinarmi al ferro da stiro», commento stringendomi nelle spalle con aria noncurante.
«Credi davvero alla cazzata che hai appena sparato? Noi uomini non vediamo l’ora che ci sia qualcuno disposto a lavare e a stirare per noi. Non credo che il tuo bel pezzo di manzo sia da meno. Comincerei anche a fare un bel corso di cucina. Non vorrei che lo avvelenassi con la tua cucina alquanto alternativa». Luca posa entrambe le mani sulle mie spalle e mi osserva con la testa piegata da un lato. Da un certo punto di vista ha perfettamente ragione, ma la parte orgogliosa e permalosa di me vuole assolutamente ribellarsi.
«Cavolo, me lo rinfaccerai a vita?», borbotto risentita.
«Che cosa? Quella pasta completamente scotta e il sugo completamente senza sale? La pasta credo di averla usata come colla. La mensola nel mio garage è ancora ben ancorata al muro per merito di quegli spaghetti. Spaghetti, mah, è davvero una parola grossa. Sembrava più un ammasso informe di qualcosa di alquanto vischioso. Devo avere ancora la foto da qualche parte nel mio telefono». Estrae il cellulare dalla tasca e si mette ad armeggiare senza alcun ritegno.
Mi siedo sul divano e lo fisso con sguardo truce. Mi ero dimenticata che la pasta era a cuocere ed ero andata a farmi la doccia. Quando tornai in cucina, la pasta aveva assorbito tutta l’acqua ed era diventata simile a un nido di uccello. I miei amici mi hanno preso in giro a lungo e, a quanto pare, Luca trova ancora quell’episodio piuttosto divertente.
«Eccola! Guarda qui che roba! Io se fossi Marco comincerei a preoccuparmi ad averti in giro per la cucina». Scoppia a ridere senza alcun ritegno e io lo colpisco con un leggero pugno allo stomaco. Lui non si aspetta questa mia reazione e mi guarda in malo modo. Per vendicarsi si butta di peso su di me e crolliamo entrambi stesi sul divano. Allaccio le braccia attorno al suo collo e gli bacio la guancia.
«Mi mancheranno questi momenti di pura follia solo tu ed io», mugugno strofinando il mio naso contro il suo.
«Mancheranno anche a me, tesorino mio bello». Sfiora le mie labbra con le sue. «Questa casa racchiude un sacco di ricordi tutti nostri, ma rimangono comunque dentro di noi».
«Come sei diventato profondo». Lo prendo in giro io guardandolo negli occhi.
«Tu sei una meraviglia da quando stai con Marco. Se mi piacessero le donne, in questo momento ci proverei con te». Lo colpisco alla nuca con una manata, lui non si scompone. «È un uomo fortunato e io sono dannatamente geloso».
«Tu sarai sempre il mio migliore amico e se fossi stato etero, probabilmente a quest’ora tu ed io faremmo coppia fissa. In un certo senso siamo anime gemelle». Gli sorrido e a lui si inumidiscono gli occhi.
«Hai detto una cosa dolcissima». Mi bacia nuovamente le labbra, delicatamente. Rimaniamo abbracciati a lungo, aggrappandoci l’uno all’altra. Mi mancherà da impazzire Luca, anche se continuerò a vederlo tutte le volte che vorrò. Saranno questi momenti di assoluta simbiosi che mi mancheranno maggiormente, solo noi due a ridere e scherzare come quando eravamo degli adolescenti. C’è sempre stato questo affiatamento con lui, che non ho mai provato con nessun altro. Con Marco è diverso, il nostro affiatamento è di un altro genere, ma non per questo motivo è meno intenso. Luca è stato parte della mia vita per vent’anni e non butterò via un’amicizia così profonda e duratura, il mio uomo non mi chiederebbe nemmeno di farlo. Sa benissimo quanto il mio legame con Luca sia profondo e non ne è geloso, almeno credo.
«Continueremo lo stesso i nostri venerdì tutti insieme?», piagnucolo affondando il naso nell’incavo del suo collo, cercando di imprimermi bene nella mente il suo profumo.
«Tesoro, stai andando a vivere con il tuo pezzo di manzo, non ti stai mica chiudendo in un convento di clausura!». Mi fa notare alzando lo sguardo per guardarmi negli occhi. «I nostri venerdì insieme non ce li toglierà nessuno!».
«Sennò poi io come farò a giocare a poker con i miei amici?». Marco appare in salotto con altri scatoloni vuoti tra le mani. «Serate di pura follia con tanta birra».
«L’importante è che non ci siano anche delle belle donnine nude attaccate a un palo da pompiere», borbotto io guardandolo con gli occhi socchiusi.
«Non un palo da pompiere, amore. Assomiglia più al palo dell’autobus». Gli lancio un cuscino trovato ai piedi del divano e lo colpisco in pieno viso.
«Aspettate, non vorrei trovarmi in mezzo alla vostra lite tra innamorati». Luca si alza e si allontana, portando in macchina un paio di scatoloni già pronti.
Marco si avvicina a me e si stende nella stessa posizione in cui era il mio amico un istante prima. L’effetto che mi fa è completamente diverso. Le mie cosce si allargano, dandogli maggiore spazio. Si puntella su un gomito e continua a guardarmi negli occhi, senza dire una parola. Le mie guance si arroventano all’istante.
«Non vorrei sembrarti geloso o scortese, ma questa posizione spetta solo a me». Mi bacia le labbra che si schiudono all’istante a quel contatto. Approfondisce il bacio, accendendo un fuoco nel mio basso ventre.
«Ti va di salutare questo posto nel modo che piace di più a noi?», chiede sollevandomi la gonna e insinuando le dita all’interno delle mie mutandine. «Mi sembra che tu sia già pronta qui sotto e la cosa mi eccita da morire».
Mi ritrovo ad ansimare sotto il suo tocco delicato, le sue labbra sfiorano ogni centimetro di pelle del mio viso, scendendo poi lungo il collo. Slaccio i suoi pantaloni con foga, voglio sentirlo dentro di me, subito.
«Oh cazzo!». Luca si copre gli occhi con entrambe le mani e si allontana. «Scusate ragazzi, continuate pure. Vi aspetto di sotto».
Marco non sembra affatto intenzionato a fermarsi, nonostante il tempismo perfetto del mio amico. Mi sfila le mutandine e si abbassa i pantaloni quel tanto che basta per riuscire nel suo intento. Ci lasciamo travolgere dalla passione del momento. I baci si fanno sempre più infuocati, le sue mani sollevano la mia maglia per poter lambire i miei capezzoli, suggendoli fino a farmi impazzire.
«Ti voglio, ora», ansimo sfiorando il suo membro con le dita e aiutandolo ad entrare in me.
«Mi piaci così intraprendente», dice lui muovendosi rapidamente, facendomi gemere ad ogni colpo.
Marco mi tappa la bocca con la sua, soffocando le mie grida di piacere. È tutto così naturale con lui, così perfetto. Da quando prendo la pillola è ancora meglio, non dobbiamo più stare attenti a quando e come lo facciamo, con il terrore di dimenticarci di usare il preservativo. Oh no, ora è decisamente fantastico. Sentirlo davvero, senza barriere, per non parlare di quella sensazione appagante quando si riversa completamente dentro di me, come in questo momento.
«Ti amo da impazzire». Glielo sussurro ancora con il fiato corto, perdendomi in quei suoi occhi blu che riescono ancora a togliermi il respiro ogni volta che li posa su di me.
«Ti amo più di ogni cosa al mondo», mormora lui prima di riprendere a baciarmi come se non ci fosse un domani. Ci baciamo e ci sfioriamo a lungo, dimenticandoci completamente di quello che stavamo facendo prima che lui si adagiasse su di me, risvegliando tutti i nostri sensi.
«Che ne dici di andare a casa?», chiede a un tratto. All’improvviso la parola casa prende tutto un nuovo significato, questo posto pieno di ricordi, non lo sento più mio. Casa è dove c’è anche Marco, l’uomo che amo e con cui voglio stare fino alla fine del nostro tempo. Mi rendo conto che la mia vita è cambiata completamente da quando lui è entrato a farne parte e si è preso il mio cuore. Non avrei mai pensato di potermi sentire in questo modo e la cosa, a essere sincera, non mi spaventa più. Credo di aver raggiunto una stabilità emotiva che mi era sempre mancata, ed è tutto merito di questo uomo che mi sta guardando con un amore tale da togliermi il respiro.
«Sono pronta», rispondo con un sorriso. Non sono mai stata più pronta di così in tutta la mia vita.
Cerchiamo di darci una sistemata e, mentre Marco porta giù gli ultimi scatoloni con l’aiuto di Luca, io mi guardo in giro. Non credo che sentirò la mancanza di questo appartamento, ho una nuova vita ad attendermi, una nuova vita con la persona che voglio accanto e che in questo momento sta prendendo la mia mano, intrecciando le sue dita alle mie. Chiede il permesso di andare con uno sguardo e io acconsento con un cenno del capo. Ci chiudiamo la porta alle spalle, pronti a cominciare la nostra convivenza.
«Ma guardate come siete belli rilassati!», esclama Luca non appena lo raggiungiamo alla macchina. «Giuro che non ho visto niente quando sono salito prima».
«Lo spero per te!». Lo bacio sulla guancia nel salire in auto.
«Forse ho visto un pezzettino di pelle nuda». Si stringe nelle spalle e scoppia a ridere. «E anche qualcosa che non avrei voluto vedere».
«Non aggiungere altro!». Lo ammonisco guardandolo in tralice.
Lui si cuce la bocca con un gesto della mano e poi scoppia a ridere, stringendo la spalla del mio uomo.
«Ti affido il mio tesorino bello. Giuro che se la farai soffrire, ti staccherò le palle a morsi». Colpisce il petto di Marco con un dito, ripetutamente. «Sono stato chiaro?».
«Sei stato chiarissimo», risponde lui serio. «Mi prenderò cura di lei, te lo prometto».
«So che lo farai». Luca lo abbraccia di slancio, stupendo Marco che mi guarda incredulo. Io gli sorrido con una lacrima che mi riga la guancia. Marco allora gli dà delle piccole pacche sulla schiena, rassicurandolo.
«Anche perché se non lo facessi verrei a cercarti e ti assicuro che la tua morte sarebbe lenta e dolorosa», aggiunge Luca staccandosi dal mio uomo e lanciandogli un’occhiataccia. «Sai benissimo che non sto scherzando. Il mio tesoro non deve assolutamente soffrire, altrimenti io farò soffrire te».
«Lo so, Luca, lo so. E se dovesse succedere, sei libero di uccidermi come meglio credi, perché se la facessi soffrire, vuol dire che mi sono completamente bevuto il cervello. Serena è la mia ragione di vita e l’unica cosa che voglio fare è renderla felice, sempre». Oh cavolo, mi viene da piangere. Marco è sempre così dolce quando parla di me e io mi sento strana ogni volta che esterna i suoi sentimenti. Non si vergogna minimamente a dire a tutti quello che prova per me, io non lo farei mai, mi vergognerei a morte. Già ora sento le mie guance arroventarsi e sarò certamente rossa come un peperone in questo momento.
«Sarebbe tutto più semplice se tu fossi uno stronzo», commenta Luca colpendolo con un leggero pugno su un braccio e sorridendo. «Meglio che vada ora. Le mie raccomandazioni le ho fatte, buon inizio, ragazzi. Se avete bisogno di una mano con gli scatoloni, fatemi un fischio».
Saluta con un cenno della mano e si dirige verso la sua macchina. Marco sale alla guida e mi osserva attentamente con la testa appoggiata al sedile.
«Tutto bene, amore?», chiede sfiorandomi una guancia umida con il dorso della mano.
«Più che bene», rispondo io allungandomi verso di lui e baciandogli le labbra.
Mette in moto e io guardo il mio palazzo farsi sempre più piccolo mentre ci dirigiamo verso la nostra nuova vita insieme. Poso la mano sulla sua gamba e un istante dopo le sue dita si intrecciano alle mie, un sorriso felice si forma sulle sue labbra. Credevo che gli uomini fossero terrorizzati all’idea di andare a vivere con la propria donna, che amassero la loro indipendenza o non volessero lasciare la casa comoda dei genitori. Marco, però, non è mai stato come tutti gli altri uomini con cui ho avuto a che fare in passato. Fin da subito si è dimostrato migliore in tutto e io mi sono follemente innamorata di lui, della sua spontaneità, della sua sincerità. Devo ancora trovargli un difetto, di quelli che ti fanno dire “Oh cacchio, ma chi me l’ha fatto fare a stare con uno come lui?”. Lui per me è la perfezione, un uomo meraviglioso in tutto, premuroso e amorevole. Grazie a lui ho scoperto che cosa vuol dire amare davvero qualcuno. Credevo di amare anche i pochi ragazzi che ho avuto in passato, ma ora mi rendo conto che non era così. Prima dell’arrivo di Marco, non avevo mai amato nessuno. Sono felice che sia stato lui ad aprirmi gli occhi e, soprattutto, il cuore. Mi sento così felice in questo momento che mi metterei a saltare come una scema. Ho perfino dimenticato la brutta esperienza con quella cretina di Grazia. Io mi sono sempre fidata di Marco, ero solo arrabbiata perché mi aveva tenuto all’oscuro di quell’incontro ravvicinato. Mi ha dimostrato in ogni modo quanto io sia importante per lui e che non vorrebbe nessun’altra donna al proprio fianco. Avevo bisogno di sentirmelo dire e lui non si è tirato affatto indietro. Amo quest’uomo, lo amo tantissimo e spero che lui mi creda quando gli dico che amerò solo lui, per sempre.
 

***

 
Abbiamo salutato a modo nostro il vecchio appartamento di Serena e, ora che stiamo scendendo dalla macchina parcheggiata nel mio garage, diamo inizio alla nostra nuova vita insieme. Sono emozionato, tantissimo. Non riesco a smettere di sorridere da quanto sono felice. Non avrei mai creduto di esserlo così tanto andando a convivere. Probabilmente è il fatto che sta accadendo con Serena che rende tutto perfetto e magico. Mi sento euforico! Metto le mani sui fianchi della mia donna e la stordisco con un bacio a tradimento. È il regalo più bello che mi potesse mai fare. Domani è il mio compleanno e non potrei chiedere di meglio. Non voglio niente di materiale: ho già tutto quello di cui ho bisogno, ho lei.
Lasciamo gli scatoloni in macchina, andremo a recuperarli dopo, non c’è alcuna fretta. Ho una piccola sorpresa per lei prima. La prendo per mano e la porto in casa, facendola entrare per prima. Appena varcata la soglia, si porta entrambe le mani alla bocca. Ho apparecchiato il tavolo per una cenetta romantica, ci sono anche le candele profumate e ho riempito la sala di rose rosse. Ho dovuto chiudere Diablo nella zona notte perché non rovinasse tutto il mio lavoro. Non ci avrebbe pensato due volte prima di saltare sopra il tavolo, o di aggrapparsi alla tovaglia, tirando giù tutto. Ho cucinato per lei e spero che gradisca la sorpresa.
«Hai fatto tutto questo per me?», chiede con le lacrime agli occhi.
«Volevo festeggiare il tuo arrivo», rispondo stringendomi nelle spalle. «Aspettavo con ansia questo momento e tu meriti solo il meglio. Ti ho anche preso un regalo».
«Un regalo?». Si acciglia impercettibilmente. «Dovrei essere io a farti il regalo visto che domani invecchi».
«Mettiamo le cose in chiaro: io non invecchio, divento solamente più saggio. Il mio regalo più bello sei tu e non ho bisogno di nient’altro, non ho bisogno di cose materiali, mi basta il tuo amore per festeggiare il mio giorno alla grande. E poi è il mio primo compleanno da quando ci sei tu nella mia vita, sarà il più bello di sempre».
Sono riuscito a farla commuovere con le mie parole, si sta asciugando le lacrime con le dita.
«Vieni, amore». Le prendo entrambe le mani e la porto in un angolo della sala dove ho infiocchettato una vetrinetta. «So quanto tieni alla tua collezione di fatine e ho pensato che questa fosse perfetta per metterle in mostra e, cosa non da poco, Diablo non potrà fartele cadere».
Osserva il mio regalo con la bocca spalancata e, un attimo dopo, mi ritrovo la sua bocca premuta contro la mia. La stringo forte fra le mie braccia e approfondisco quel bacio. La sollevo da terra, allacciandomi le sue gambe attorno ai fianchi.
«Non so che dire», mormora a fior di labbra. «Sei meraviglioso».
Riprendiamo a baciarci con foga, apro la porta del corridoio con un gomito e la porto in camera. Diablo corre in sala, passandomi come un fulmine in mezzo ai piedi, rischiando di farci cadere. La faccio sdraiare sul letto e mi adagio sopra di lei. La cena può anche aspettare, abbiamo altro di meglio da fare in questo momento. Sono già dentro di lei, quando il suono del campanello si fa insistente.
«Chiunque sia può aspettare», ansimo al suo orecchio, continuando a muovermi e facendola gemere.
Quel rumore continua ad infastidirmi e mi toglie concentrazione. Chi cazzo è che rompe i coglioni mentre sto facendo l’amore con la mia donna? Niente, non vuole proprio smettere.
«Vado ad ammazzare qualcuno, tu non ti muovere che fra un attimo torno e ti farò vedere il paradiso». Le bacio le labbra, uscendo da lei controvoglia.
«Fai presto, amore, ammazza rapidamente chiunque sia alla porta e torna da me». Mi fa vedere tutte le sue grazie e a quella visione mi ringalluzzisco.
Raggiungo la cornetta del citofono e rispondo acidamente, ho le palle girate per questa interruzione.
«Sono Giorgio, ho bisogno di parlarti».
Che diavolo ci fa qua il mio amico?
«Devi farlo proprio ora?», chiedo grattandomi nervosamente il mento.
«Non so da chi altro andare». Il tono che sta usando non mi piace assolutamente. Decido di farlo salire e scoprire che cosa sta succedendo. Io non nego mai il mio aiuto agli amici, come loro non lo farebbero mai a me se mai ne avessi bisogno.
Mi rivesto rapidamente e mi sistemo alla buona.
«Giorgio sta salendo, c’è qualcosa che non va», spiego alla mia donna.
«Gli è successo qualcosa?», chiede rivestendosi. Ormai non possiamo più continuare quello che avevamo iniziato, riprenderemo stasera con calma.
«Non lo so, ma mi sembrava parecchio agitato», rispondo allacciandomi i pantaloni.
Raggiungiamo la sala mano nella mano e il mio amico entra proprio in quel momento. Appena ci vede, le sue spalle si incurvano e un’espressione afflitta appare sul suo volto. Peggiora ulteriormente quando vede il tavolo apparecchiato per due.
«Ragazzi, ho rovinato la vostra cenetta romantica, non avete idea di quanto mi dispiace». Si passa nervosamente una mano tra i capelli.
«Non ti preoccupare, Giorgio». Lo rassicura la mia donna, avvicinandosi a lui e posandogli una mano sul braccio.
«Che sta succedendo, socio?», domando trascinandolo vicino al tavolo e obbligandolo a sedersi su una sedia.
Lui sospira rumorosamente e guarda prima me e poi Serena. «Lara mi ha appena cacciato di casa e non sapevo dove altro andare».
«Che significa che ti ha cacciato di casa?». Loro due litigano in continuazione per ogni stupidata, ma non sono mai arrivati a questo punto. Sono sempre stati super innamorati, nonostante le incomprensioni che sono comunque a mio parere normali nella vita di coppia.
«Proprio quello, mi ha detto di non tornare a casa stanotte», risponde posando la fronte sul tavolo imbandito. «Credo di aver fatto una cazzata enorme».
«Ti va di raccontarci com’è andata?». Serena prende una sedia e si siede accanto a lui. Mi rivolge uno sguardo apprensivo, anche lei è preoccupata per il mio amico.
«Oggi era l’anniversario del nostro primo incontro e lei se l’è presa perché me ne sono completamente dimenticato. Festeggiamo l’anniversario di matrimonio, non dovrebbe bastare? Non credevo che tenesse tanto anche a questo giorno. Mi sono presentato a casa e ho chiesto che cosa c’era per cena ed è scoppiato il finimondo. Per poco non mi lanciava contro le pentole», ci racconta monocorde.
Serena gli accarezza il braccio dolcemente. «Sei sicuro che se la sia presa per questo motivo?».
«Io credo di sì. Ho provato a chiederle il motivo di quella rabbia nei miei confronti, ma lei non faceva altro che gridare quanto fossi insensibile, che mi importava solo di mangiare, che non le chiedo mai come si sente. Poi ha urlato qualcosa che non ho capito. Ha parlato di ritardo, ma di cosa? Ammetto di non averci capito molto e mi ha cacciato fuori quando le ho fatto notare che stava dicendo cose senza senso, che io non ero in ritardo per niente».
Serena aggrotta le sopracciglia e mi lancia un’occhiata strana.
«Ehm, Giorgio?». Attira la sua attenzione colpendolo amorevolmente sulla spalla.
Lui in risposta grugnisce sconsolato.
«Io credo che Lara volesse darti una notizia importante, ma era spaventata e ha preferito litigare pur di non affrontare l’argomento». Serena deve aver capito qualcosa che a noi uomini sfugge. Non è semplice entrare nella loro testa a volte.
«E che cosa avrebbe dovuto dirmi?», borbotta alzando finalmente la testa e guardando Serena.
«Credo che spetti a lei dirti certe cose. Ora dobbiamo solo trovare un modo per farti riammettere a casa senza essere preso a calci». Gli sorride e lui si rilassa un po’.
«Davvero mi aiuteresti?», chiede incredulo.
«Perché mai non dovrei? Sei uno degli amici del mio uomo e ho il dovere di rendermi utile», risponde lei come se fosse la cosa più naturale al mondo.
Lui per un momento sembra titubante e, poi, di slancio la abbraccia, facendola barcollare sulla seggiola. A me scappa da ridere. Ultimamente i miei amici sono piuttosto irruenti nei confronti della mia donna, probabilmente perché riesce a farsi apprezzare da tutti con la sua disponibilità e innata dolcezza. Lei ricambia l’abbraccio in totale imbarazzo, le strizzo l’occhio per rassicurarla, ricevendo in cambio un suo sorriso. Non so come sarei mai riuscito a venire fuori da questa situazione se non ci fosse stata lei con me. Io non sono mai stato bravo con le questioni di cuore e non me ne intendo minimamente di matrimonio. Giorgio e Lara sono sposati ormai da otto anni, dovrebbero essere rodati e, invece, è venuto da me a chiedere il mio aiuto. Deve essere stato davvero disperato per rivolgersi a me.
«Speravo di trovarti qua, Serena. A dirtela tutta era con te che avrei voluto parlare di questa cosa. Avevo bisogno di un punto di vista femminile», confessa il mio amico senza alcun ritegno.
«Grazie per la considerazione». Scherzo scoppiando a ridere. Mi sembrava strano che volesse un mio parere.
«Senza offesa, socio, ma tu non avresti cavato un ragno dal buco. Sei ridotto peggio di me nelle relazioni di coppia», dice lui stringendosi nelle spalle. «Per fortuna che è arrivata lei a salvarti, altrimenti non saprei proprio dove saresti finito».
Serena si mette a ridere a crepapelle. «Hanno tutti una gran considerazione di te, amore mio».
Come potrei non amare questa donna meravigliosa?
«Siete degli ingrati». Mi fingo offeso e mi accomodo sul divano. Diablo mi raggiunge immediatamente e si acciambella sulle mie gambe, non prima di aver fatto cinque o sei giri per trovare la posizione perfetta. Accarezzo il suo pelo morbido e lui comincia a fare le fusa felice. Sono contento di averlo portato a casa con me quel giorno, adoro questa palla di pelo, nonostante sia un mezzo disastro e mi stia distruggendo il fondo del divano a forza di farsi le unghie lì invece che sul tiragraffi.
«Lascialo perdere, Giorgio. Abbiamo del lavoro da svolgere noi due». Serena gli sorride e lui torna a guardarla con una nuova luce negli occhi.
«Dimmi che cosa devo fare». Il mio amico si mette completamente nelle mani della mia donna e questa cosa mi rende davvero molto orgoglioso di lei.
Non riesco a smettere di guardarla mentre si informa su quello che piace a Lara. Lei ascolta per filo e per segno quello che Giorgio le dice e gli consiglia come comportarsi con la moglie. Sembra una seduta dallo strizzacervelli.
«Non so come ringraziarti». Bacia la mia donna sulla guancia e si alza dalla sedia mosso da un nuovo entusiasmo. «Vado a corteggiare mia moglie».
Mi dà una pacca sulla spalla e se ne va sorridendo.
«Mi sono sentito inutile», bofonchio sprofondando un po’ di più sui cuscini del divano.
«Non avresti potuto fare molto, aveva bisogno di una donna. Sai quanto possiamo essere contorte. Voi uomini siete esseri semplici e diretti». Mi raggiunge e si siede accanto a me. Appoggia la testa sulla mia spalla, mentre con una mano accarezza il nostro gattone.
«Hai appena detto che sono un essere?».
Mi colpisce un ginocchio con il palmo della mano. «Scemo! Sai benissimo che cosa intendo, non fare il finto tonto».
«Non faccio finta, sono tonto davvero», continuo a stuzzicarla, sorridendo come un cretino.
«Sei tonto solo quando ti fa comodo», borbotta prendendo la mia mano e mettendosi a giocare con le mie dita.
«In questo momento credo di esserlo davvero, perché non ho la più pallida idea di che cosa Lara intendesse dire e perché lo abbia cacciato in malo modo». Le faccio notare riprendendo l’uso della mia mano e sollevando il braccio in modo tale da avvolgere le sue spalle e stringerla di più a me.
«Beh, ha parlato di ritardi. Non ti dice niente? Considerando che Lorenzo e Stella hanno lo stesso problema, o tutti stanno perdendo il treno, o qui c’è un’epidemia di gravidanze. La cosa mi preoccupa anche un tantino. Almeno Giorgio e Lara sono sposati da anni, immagino avessero già preso in considerazione l’idea di diventare genitori».
Okay, ora mi sembra di cadere dalle nuvole. Davvero intendeva quello Lara?
«Pensi che sia davvero incinta?», chiedo accigliato.
«Sì, lo credo. Come mai mi sembri particolarmente sorpreso di questa notizia?».
«Mah, forse perché mi sembra una cosa strana visto che Giorgio mi aveva detto che non sapeva se sarebbero mai riusciti ad avere dei figli. A quanto pare ci avevano già provato, senza alcun risultato», rispondo accarezzandole la spalla con i polpastrelli.
«Allora dovrebbe essere ancora di più una bella notizia», commenta lei alzando la testa in modo tale da potermi guardare negli occhi.
«Se dovesse essere vero, sarò felice per loro. Vedremo come andrà. Comunque tu sei stata fantastica con lui. Hai ragione, io non sarei riuscito ad aiutarlo in questa situazione».
«Stai ammettendo i tuoi limiti, Shark?». Mi prende in giro lei con il sorriso sulle labbra e poi tornando seria aggiunge: «Hai saputo niente di Lorenzo? Ti ha telefonato?».
Stella avrebbe dovuto fare il test in questi giorni per sapere se fosse incinta o no, entrambi erano super nervosi e non li biasimo. Non avrebbero mai voluto diventare genitori, questo è poco ma sicuro.
«No, non l’ho ancora sentito. Proverò a chiamarlo domani. Nemmeno Stella ti ha fatto sapere qualcosa?». La risposta la conosco già, però provo a chiederglielo lo stesso.
«Niente di niente. Le ultime volte che l’ho sentita non faceva altro che piangere disperata. Secondo me è tutta colpa degli ormoni ed è incinta, ma ovviamente finché non ne avremo la conferma, non posso dire molto. Mi limito a rassicurarla e spero che Lorenzo si prenda le sue responsabilità, altrimenti lo castro».
«Non perché è il mio migliore amico, ma sono convinto che non la lascerebbe sola se aspettassero davvero un figlio. Sarà anche un po’ stronzo, ma hai visto anche tu come guarda Stella. Quei due sono pazzi l’uno dell’altra e magari è la volta buona che una donna gli farà mettere la testa a posto. Almeno sappiamo com’è lei, non è un’estranea e io mi sento più tranquillo a saperlo tra le grinfie affilate della tua migliore amica. Saremo una bella famigliola allargata». Scoppio a ridere all’idea di andare tutti a casa dei genitori di Serena per il pranzo di Natale. In fin dei conti suo fratello ha sposato Vera, la sorella di Lorenzo, perciò sarebbe invitato anche lui con i suoi genitori.
«Manca solo che rimanga incinta anch’io e poi abbiamo chiuso il cerchio», dice ridendo.
Lei lo dice scherzando, non ha idea che a me piacerebbe davvero molto avere un figlio da lei. Non ho intenzione di parlarne con lei, aspetterò che sia pronta, sperando che un giorno lo sia davvero.
«Ora basta impicciarci dei fatti degli altri, noi due avevamo un discorso in sospeso». La attiro sopra di me e la bacio con fervore. La tengo stretta fra le mie braccia mentre mi alzo e la porto nuovamente in camera. Finiamo il discorso che avevamo iniziato prima che ci interrompessero. 

 

***Note dell'autrice***

Marco & Serena hanno salutato il vecchio appartamento di lei (a modo loro) e sono pronti a cominciare la loro nuova vita insieme. Ce la faranno i nostri piccioncini? Io credo proprio di sì, sono ottimista. Vi era mancato un po’ Luca? Sembrava davvero strano che Giorgio fosse andato a chiedere consigli amorosi proprio a Marco LOL! Per fortuna che Serena ha sistemato tutto.
Mi scuso in anticipo se dovesse essermi scappato qualche errore, l’ho corretto con la febbre e ho fatto del mio meglio.
Vi aspetto sabato per un capitolo speciale per San Valentino ♥
Ringrazio tutti voi che leggete, seguite, commentate questa storia… vi adoro tutti, dal primo all’ultimo ♥
Un bacione, Ire ♥



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Capitolo 26
*** San Valentino in anticipo ***


 



26. San Valentino in anticipo
Sto girovagando per questo grande magazzino da più di venti minuti e non ho ancora trovato niente che attiri davvero la mia attenzione. Forse sono io che ho gusti strani e non mi piace niente, non so che pensare. Sta di fatto che non indosserei niente di tutto questo. Probabilmente sono diventata schizzinosa io, pazienza. Sbuffo prendendo tra le mani un vestitino di lana bianco, talmente corto che non mi coprirebbe neanche metà coscia. Ma chi indosserebbe mai una cosa del genere? Una commessa si avvicina a me e noto con orrore che lei lo sta indossando. Bene, ora so chi lo farebbe.
«Posso esserti utile?», chiede con un sorriso a trentadue denti.
Avrei voglia di borbottare qualcosa di poco carino, ma faccio finta di niente visto che si sta avvicinando il Natale e si dovrebbe essere tutti più buoni.
«Sto solo guardando in giro, ma se ho bisogno, te lo dirò». O anche no. Le rivolgo un sorriso abbagliante, ma totalmente e irrimediabilmente falso e raggiungo Stella che sta curiosando tra i completini intimi. Tiene tra le mani un reggiseno di pizzo fucsia.
«Dici che a Lorenzo possa piacere?», domanda arricciando le labbra.
«Credo che a lui interessi di più il contenuto», risponde Luca al posto mio. Ha riempito un cestino con non so quanta roba. A quanto pare qui qualcuno ha trovato qualcosa di decente, beato lui.
«Ma quanto sei idiota!». Lo colpisce con un leggero pugno al petto e scoppia a ridere. «Credo che lo prenderò, gli farò una sorpresa stasera quando torna da allenamento».
«Tu, signorinella bella, non fai alcuna sorpresa al tuo pezzo di manzo? Gli allenamenti stancano, ma credo che qualche posizione del kamasutra la farebbe più che volentieri quando tornerà a casa». Luca mi strizza l’occhio e mi osserva con un sorrisetto malizioso sulle labbra, aspettando una mia risposta al vetriolo che non tarda ad arrivare.
«Non è che bisogna per forza farlo tutti i giorni», borbotto arrossendo fino alla punta delle orecchie. Non lo faremo ogni santo giorno, ma poco ci manca. A volte lo facciamo anche più di una volta, dipende da molte cose. Certamente non mi metto a spifferare tutto per filo e per segno ai miei migliori amici.
«Però bisogna mantenere viva la fiamma», dice Marica appena tornata con un vestitino nero tra le mani. Mancava solo lei a rompermi le scatole.
«Perché? Non lo starei facendo?», brontolo socchiudendo gli occhi.
Tutti e tre mi fissano a braccia conserte, lo sguardo di Luca è quello che mi preoccupa di più in assoluto.
«Che cosa indossi sotto quel maglione sgualcito?». Questa domanda fatta da qualsiasi altra persona sarebbe suonata parecchio strana e perversa, ma detta da lui ha un unico significato: umiliarmi in un luogo pubblico.
«Un reggiseno», rispondo lasciando cadere pesantemente le braccia lungo i fianchi. Che cosa mai potrei indossare di diverso? Non mi sembra che servano molte cose per sorreggere il mio seno che fra qualche anno seguirà la forza di gravità.
«Che tipo di reggiseno?». L’espressione di Luca non cambia di una virgola e mi torturerà finché non avrà ottenuto quello che vuole.
«Un reggiseno nero, comodo», farfuglio con un filo di voce.
Mi punta un dito contro. «Ecco! Era qui che ti volevo!», esclama dirigendosi pericolosamente verso di me.
Mi stringo nelle spalle per paura di venire picchiata da lui, ne sarebbe capace.
«Indossi quello schifo di reggiseno sportivo, tanto comodo quanto poco sexy! Mi chiedo come tu riesca a far arrapare il tuo uomo se ti vesti sempre come una suora di clausura!», borbotta scuotendo la testa.
«Forse perché a lui non interessa che cosa indosso, preferisce quello che trova sotto quegli strati di stoffa». Provo a difendermi, ma con scarsissimo risultato.
«Stronzate!», sbotta agitando le mani come un pazzo. «Gli uomini vanno stuzzicati. Che cosa ho fatto di male con te? Perché non riesco a cambiare questa tua sciattaggine?».
«Luca, calmati, o ti parte un embolo». Lo prende in giro Stella cercando di non ridere. Sappiamo tutte benissimo che quando Luca comincia ad agitarsi in questo modo, sarà difficile farlo calmare, almeno fino a quando non sarà soddisfatto.
«Mi calmerò quando avremo rimesso a nuovo questa suora». Mi afferra per un braccio e mi trascina nel reparto dei vestiti. «Ora ti sistemo io».
Oh mamma! Sono fregata!
Mi fa provare delle cose talmente assurde che mi domando se vorrebbe seriamente che le indossassi. Secondo me non è tanto normale. L’ultimo vestito che provo, però, non mi sta affatto male e potrei perfino pensare che mi doni. Continuo a specchiarmi e a controllare come mi sta: è un vestito semplice, nero, ma mi fascia nei punti giusti, mettendo in mostra le mie gambe e il decolté, riuscendo a non essere volgare.
«Direi che è perfetto. Ora ti manca un completo intimo sexy, preferibilmente non spezzato». Luca mi osserva attraverso lo specchio e poggia la testa sullo stipite del camerino. Lo fulmino con lo sguardo. «Lo sto facendo per il tuo bene di coppia, non guardarmi in quel modo. Poi mi dirai se Marco non avrà apprezzato tutto questo. Anche l’occhio vuole la sua parte. Non credo che tu voglia che si metta a guardare altre donne quando esce con te».
«No, decisamente. Lo prenderei a pugni se lo facesse», mugugno infastidita da quell’affermazione del mio migliore amico.
«Allora fai in modo che non gli venga voglia di farlo. Prenditi cura di te, tesorino mio». Entra nel camerino e chiude la piccola porta alle sue spalle.
«Questo posto è un po’ stretto per due, non credi?». Gli faccio notare. «E poi che cosa penserà la gente che gira in questo posto?».
«Penserà che stiamo facendo gli sporcaccioni in questo camerino. Ora che ci penso è sempre stata una delle mie fantasie erotiche. Dovrò dirlo ad Alex», commenta mettendomi le mani sui fianchi e attirandomi a sé.
«Quell’uomo prima o poi si stancherà della tua esuberanza», dico baciandogli una guancia.
«Non credo proprio, cucciola. Lui non potrebbe mai stancarsi del sottoscritto». Posa le sue labbra sulle mie e mi stampa un bacio. «E se ci mettessimo a simulare un amplesso?».
«Ma sei scemo?». Lo colpisco al petto con la mano aperta e mi sento arrossire tremendamente.
«Sarebbe divertente, non credi? Fai solo finta che io sia Marco». Mi stuzzica con un sorriso malizioso sulle labbra.
«Se non ti conoscessi come le mie tasche, crederei che tu mi stia rimorchiando». Lo guardo con gli occhi ridotti a due fessure e lui scoppia a ridere.
«Magari lo stavo facendo davvero». Mi strizza l’occhio e mi bacia nuovamente le labbra.
Mi lascia andare, non prima di avermi dato una pacca sul sedere.
«Dai, suor Serena, andiamo a cercare un completino dannatamente sexy da mandare in subbuglio tutti gli ormoni al tuo uomo».
Mi rimetto i miei vestiti comodi e appena metto un piede fuori dalla cabina, vengo afferrata di nuovo per mano e trascinata nel reparto dove avevamo lasciato Stella e Marica.
«Alla buonora! Vi stavamo dando per dispersi», sbotta Marica guardano l’ora sul suo orologio. «Avrei un appuntamento con Michele tra meno di un’ora».
«Allora ti conviene andare». Le fa notare Luca. «Qui ne avremo fino a sera».
Alzo gli occhi al soffitto e sospiro. Chi me l’ha fatto fare a venire qui con loro? Marica bacia tutti e tre sulla guancia e ci lascia nelle grinfie di Luca, il quale si sta già fregando le mani.
«Stella, abbiamo una missione da compiere. La nostra suora di clausura ha bisogno di intimo sexy e stivali da abbinare a questo vestito meraviglioso». Si porta un dito alla bocca e sempre colto da illuminazione divina. «Ah! Anche un cappotto decente da usare quando esce con quel sant’uomo di Marco».
«Non vorrei sembrarti ingrata, ma io non è che abbia fondi illimitati. Non so se posso permettermi tutte queste cose», gli dico a braccia conserte e ormai rassegnata a soccombere, non avrei altre alternative. Forse la fuga farebbe al caso mio, ma Luca è molto più atletico di me e mi raggiungerebbe immediatamente.
«Se non ne hai abbastanza, li anticiperò io. Non ti devi preoccupare assolutamente di niente. Penso io a tutto». Mi mette le mani sulle spalle e mi scuote appena.
È proprio questo che mi spaventa. Lasciare carta bianca a Luca non porta mai a niente di buono. Stella se la sta ridendo, cercando di non farsi beccare da lui, non gliela farebbe passare liscia, nonostante la sua dolce attesa.
Due ore dopo usciamo con un numero indefinito di sacchetti contenenti vestiti, completini di pizzo, stivali, cappotto e altro ancora, ormai ho perso il conto delle cose che Luca mi ha fatto comprare.
«Ora hai tutto il necessario per far girare la testa al tuo uomo», commenta Luca soddisfatto da questa seduta di shopping forzato. «Fai finta che stasera sia un San Valentino anticipato. Ti accompagno a casa, ti prepari, accendi qualche candela profumata, chiudi quella peste di gatto nello sgabuzzino così non romperà le palle e aspetti che arrivi il tuo pezzo di manzo. Appena ti vedrà tirata a nuovo perderà la ragione in una frazione di secondo. L’importante è che tu non ti metta a cucinare, altrimenti penserà solamente al disastro che avresti potuto creare in cucina».
Mi esce una smorfia involontaria.
«È inutile che fai così, sai benissimo che sei negata tra i fornelli e prima ti metterai il cuore in pace, prima farai un bene all’intera umanità», borbotta guardandomi in tralice.
Riceve un mio sbuffo di disappunto. Questa volta Stella scoppia a ridere fino alle lacrime.
«Voi due siete esilaranti insieme. Dovrebbero fare una sit-com su di voi, sarebbe un successo planetario», riesce a dire tra le risate. «Oh mamma, mi viene da vomitare».
Si porta una mano alla bocca e corre in fondo al parcheggio, lasciando un ricordino del nostro passaggio. Ritorna da noi pulendosi la bocca con un fazzoletto.
«Scusatemi, a quanto pare ridere così tanto non fa bene al mio stomaco».
«Stai bene ora?», chiedo preoccupata. Le accarezzo un braccio e aspetto in ansia la sua risposta.
Lei annuisce, regalandomi un timido sorriso. «Sto meglio, grazie».
«Ti accompagniamo a casa, cucciola. Lorenzo arriverà tra poco e non vedrà l’ora di prendersi cura di te». Luca le strizza l’occhio.
L’abbiamo strapazzata per benino oggi e mi sento tremendamente in colpa. Dovrebbe riposarsi un po’, non dovrebbe stare in giro tutto il pomeriggio, in piedi soprattutto. La lasciamo sotto casa sua, con le nostre mille raccomandazioni. Luca fa lo stesso con me quando arriviamo.
«Mi raccomando, ricordati quello che ti ho detto: l’uomo ha bisogno di vedere. Sono certo che Marco ti farà un bel servizietto stasera!».
«Luca!». Lo colpisco al braccio con un pugno e scendo indignata dopo questo suo commento. «Mi fai sentire una zoccola in questo modo».
Mi raggiunge di corsa e mi avvolge in un abbraccio. «Scusami, tesorino mio bello, forse ho esagerato. Tu non saresti mai una donnaccia. Sei la mia cucciolina e io ti adoro».
«Ruffiano», borbotto.
«Verissimo, sono ruffiano, ma non sopporto che tu sia arrabbiata con me. Mi perdoni?». Mi guarda con occhi da cucciolo e io che cosa dovrei fare? Sospiro rassegnata.
«Come potrei non farlo. Ti adoro anch’io». Stavolta sono io a baciarlo sulle labbra. «Ora vai, Alex si starà preoccupando».
«Domani voglio sapere i dettagli». Mi strizza l’occhio e sale in macchina.
Aspetta che entri nel palazzo prima di ripartire. Che cosa farei senza il mio Luca?
Una volta in casa, mi spoglio al volo, faccio una doccia veloce e mi preparo, come da lui suggeritemi. Mi osservo allo specchio e sono soddisfatta del risultato. Sexy ma non volgare. Spero solo che anche Marco apprezzi lo sforzo, altrimenti mi faccio rimborsare tutta la spesa da Luca.
Il mio uomo dovrebbe tornare a momenti. Accendo qualche candela profumata, abbasso le luci e mi siedo ad aspettarlo sul divano. Diablo sta dormendo pacifico nella stanza degli ospiti: ho dovuto sfamarlo prima, sennò non si sarebbe mai messo il cuore in pace.
Un messaggio arrivato sul mio cellulare mi fa sobbalzare. Lo leggo e sbuffo.
Abbiamo fatto tardi ad allenamento, sarò a casa tra mezzora
Trenta minuti sono lunghissimi da aspettare. Spero almeno porti qualcosa per cena, sto morendo di fame. Sono rimasta lontana dai fornelli come mi aveva suggerito Luca, ma ho decisamente bisogno di mettere qualcosa nello stomaco. Il problema principale è che sono stanca e non ho voglia di alzarmi dal divano, Luca mi ha massacrata oggi e ho i piedi a pezzi. Gli stivali nuovi non aiutano nemmeno, mi fanno tremendamente male. Appoggio la testa sul cuscino e in un attimo mi ritrovo nel mondo dei sogni.
 
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Stasera abbiamo fatto dannatamente tardi in piscina, probabilmente perché abbiamo cazzeggiato un sacco nello spogliatoio prima di cominciare e lo stiamo facendo anche ora. Sono sotto la doccia e la voce di Lorenzo mi fa venire un colpo.
«Scusa la domanda indiscreta. Tu e Serena ci date dentro di brutto da quando vivete insieme?», chiede come se niente fosse.
Non apro nemmeno gli occhi per non farmi finire lo shampoo dentro e sinceramente non ho nemmeno voglia di mangiare la schiuma. Perché cavolo mi sta facendo queste domande insulse, proprio ora poi? Nemmeno un po’ di privacy si può avere?
«E anche se fosse, perché dovrei venirlo a dire a te?», rispondo sputacchiando acqua da tutte le parti.
«Ancora con questa storia? Perché sono il tuo migliore amico e certe cose ho il diritto di saperle», borbotta imbronciato.
«Se poi non mi guardassi i gioielli mentre mi sto facendo la doccia, mi sentirei anche più tranquillo». Gli faccio notare chiudendo l’acqua.
Mi passa un asciugamano e sbuffa. «Da quando in qua ti fai tutti questi problemi? Ti ho visto come la signora Rossini ti ha fatto fin da quando avevi vent’anni. Sei fastidioso quando ti ci metti».
«Tu invece? Quante volte lo fai con Stella?», domando con un sorrisetto sghembo. Ho il diritto anch0’io di porgli certe domande inopportune.
«Diciamo che lo facciamo tanto e spesso. Da quando è incinta ha sempre voglia», risponde soddisfatto.
Vorrei ricordargli che prima che lo fosse c’era stato solo due volte e non ha molto materiale per fare dei paragoni, ma mi trattengo, non vorrei sembrare il solito rompi coglioni.
«Beato te!», commenta Giorgio apparendo improvvisamente accanto a noi. «Lara, invece, è intrattabile e vomita di continuo. Uno schifo».
Lorenzo gli dà una pacca sulla spalla. «Mi dispiace amico».
Chissà come sarà Serena quando rimarrà incinta. Oh mamma! Ancora questi pensieri assurdi. Scuoto la testa per scacciarli dalla mia mente. I tempi non sono ancora maturi, anche se la mia voglia di paternità cresce a vista d’occhio. Ogni volta che Lorenzo mi racconta di quanto si sente alla grande con la sua Stella e che non vede l’ora di stringere fra le proprie braccia quel fagottino, mi sento un completo imbecille perché vorrei provare anch’io quelle sensazioni. Spero che un giorno non troppo lontano possa anch’io parlare tranquillamente di queste cose con i miei amici, sapendo di venir capito.
«Comunque tu non hai risposto». Lorenzo mi punta un dito contro e mi guarda con aria minacciosa.
Sbuffo sconsolato e consapevole di non poter rimandare ancora la questione.
«Sono pienamente soddisfatto. Ti basta come risposta?», grugnisco sconfitto.
«Pienamente soddisfatto? Mmm, tu non me la racconti giusta. Non sarà mica una di quelle donne che va a dormire con il pigiamone felpato e i calzini di lana?», sbotta il mio migliore amico sgomento.
«I calzini non li porta», commento asciugandomi i capelli con un lembo dell’asciugamano.
«Ma il pigiamone felpato sì!». Scoppia a ridere come un cretino.
«Che male c’è? Serena è freddolosa». Spezzo una lancia in favore della mia donna.
«Se già all’inizio si presenta vestita con strati di vestiti, non oso immaginare che cosa indosserà fra vent’anni! Dovrebbe indossare della lingerie striminzita, che strizzi le sue curve che te lo faccia venire duro in un secondo netto».
Okay, credo di aver toccato il fondo dopo questa affermazione.
«Stiamo cadendo nello squallore», dico con una smorfia.
«Da quando in qua fai il santarellino? Ammettilo che con quel pigiama ti passa pure la voglia di farlo». Gesticola animatamente e mi dà una manata sul coppino.
«Ma sei impazzito?». Mi massaggio il punto colpito e lo guardo con gli occhi ridotti a due fessure.
«Ammettilo che se indossasse un completino in pizzo, non ci penseresti un attimo prima di darci dentro con lei anche durante la notte. Scommetto che voi lo fate soltanto mentre siete ancora svegli». Non aspetta nemmeno che mi possa difendere e aggiunge: «Che cosa triste!».
Normalmente di notte dormiamo, anche se mi è capitato più di una volta di fare dei sogni talmente vividi che mi svegliavo con la voglia di fare l’amore con lei. Come potrei svegliarla mentre dorme beatamente? Resto con la voglia e aspetto che sia mattina, poi non è nemmeno detto che si concluda.
«Dovresti dirle di indossare una bella sottoveste di seta per andare a dormire, vedi come ti tira dopo». Gli lancio contro l’asciugamano. Ne ho abbastanza di tutti questi discorsi sulla mia vita privata. Non mi manca assolutamente niente.
«Come sei suscettibile. Ora vai a casa a spassartela, sono sicuro sarai meno rompipalle poi!». Scappa via prima che gli potessi lanciare anche il flacone del doccia schiuma.
Sento ancora le sue risate dall’altra parte dello spogliatoio. Che palle! Da quando in qua la mia vita sessuale dovrebbe essere di dominio pubblico? Ho come l’impressione che i miei amici si stiano prendendo gioco di me: stanno sghignazzando a più non posso. Ma ora mi vendicherò io.
Li raggiungo, lancio l’asciugamano in terra e dico: «Vediamo chi ha il coraggio di raccogliermelo».
Mi guardano tutti come se fossi impazzito e parte un coro di “Nah”.
«Sei pericoloso con quel coso in mezzo alla gambe e sinceramente ci tengo alla mia incolumità», borbotta Federico, scappando a gambe levate.
«Smettetela di sfottermi, o ve la farò pagare aspramente». Li minaccio a turno puntando loro un dito contro.
«Se fossi stato dell’altra sponda, mi sarei preoccupato maggiormente». Mi prende in giro Lorenzo raccogliendo quel pezzo di cotone e passandomelo. «Copriti, ti prego, ho già visto fin troppo per oggi, mi sta passando la voglia di cenare».
Sapevo che avrebbero smesso di fare gli sbruffoni in questo modo, mi sento molto soddisfatto e ora posso tornarmene a casa dalla mia donna. Non la vedo da stamattina e mi manca tremendamente, ho bisogno di stare un po’ con lei. Saluto i miei amici e mi dirigo alla macchina, decido di fermarmi a un take away a prendere qualcosa da mangiare prima di andare a casa. Non credo che Serena abbia preparato la cena, anche se ce la sta mettendo tutta. Ogni volta che esce con Luca, però, le rinfaccia di non saper cucinare e lei si deprime, perciò non si avvicina nemmeno alla cucina. Per fortuna che so tutte le volte che esce con lui, perciò vado sul sicuro: stasera la cena la porto io.
Salgo in casa con dei panzerotti caldi nel sacchetto e trovo Serena addormentata sul divano, in una posizione scomodissima oltretutto. Mi guardo intorno e vedo candele profumate ovunque, le luci sono soffuse e lei si è messa in tiro per me. Credo che non si aspettasse questo mio ritardo. Mi avvicino a lei lentamente e le bacio la fronte.
«Amore, sono tornato», sussurro a bassissima voce per non spaventarla.
Osservo il vestito che indossa, deve averlo comprato oggi, ha ancora il cartellino del prezzo attaccato: è proprio dalla mia Serena fare una cosa del genere. Mi ritrovo a sorridere e, scendendo con lo sguardo, noto anche un paio di stivali neri che le arrivano quasi alle ginocchia. Devo ammettere che è parecchio sexy vestita così, non che normalmente non lo sia, ma l’ormone mi si è attivato all’istante.
Serena apre finalmente gli occhi, confusa.
«Mi sono addormentata?», biascica con la bocca impastata dal sonno. Si mette più comoda sul divano e si volta verso la cucina. «Non ho cucinato niente, scusa».
«Non ti preoccupare, piccola. Ho pensato a tutto io». Le faccio vedere il sacchetto che tengo ancora tra le mani.
«Sei fantastico», mugugna stiracchiandosi.
«Lo so». Ammicco nella sua direzione e mi dirigo in cucina. Apro uno degli armadietti e prendo un piatto per servire i panzerotti ancora caldi. Appoggio tutto su un vassoio, mettendoci sopra anche un paio di bicchieri e una bottiglia di vino rosso. Ne bevo un sorso prima di presentarmi di là.
Serena si è alzata e sta sistemando i cuscini del divano. Azione particolarmente insignificante, se non fosse per la visuale: il vestito parecchio corto mi sta dando la possibilità di osservare le sue lunghe gambe e, quando si abbassa, intravedo il pizzo delle mutandine. Appoggio il vassoio sul tavolo e mi posiziono dietro di lei, affondando le dita nei suoi fianchi. La mia virilità sta già premendo contro il suo sedere. Mi ci è voluto davvero poco per perdere completamente la testa.
«Non ti dovresti mettere in certe posizioni quando io sono nei paraggi. Sai che poi non resisto», mormoro con la voce arrocchita dal desiderio di farla mia qui all’istante.
Lei non si scompone minimamente, anzi mi stuzzica ancora di più.
«E se fosse una mossa studiata per sedurti?», commenta raddrizzandosi e premendo la mano sulla mia per avvicinare ulteriormente i nostri corpi. Con l’altro braccio mi circonda il collo da dietro, incurvando la schiena e mettendo ancora più in risalto i suoi seni. Le bacio il collo, salendo con la lingua fino all’orecchio, le mordo il lobo.
«Se fosse tutto studiato, allora ci sei riuscita perfettamente». Una mano le sfiora un seno attraverso la stoffa, soffermandosi sul capezzolo che richiama tutta la mia attenzione. L’altra mano risale lungo la sua coscia, sollevando completamente quel vestito che non vedo l’ora di toglierle. Ruota il collo per potermi baciare sulle labbra. Ci scambiamo dei baci infuocati, sto scoppiando all’interno dei pantaloni. Comincia ad ansimare sommessamente quando le mie dita scostano quel pizzo e s’insinuano nella sua intimità, carezzandola delicatamente. Continua a strusciarsi su di me, mandandomi letteralmente fuori di testa.
«Ti voglio dentro di me, ora». Mi supplica togliendo la mia mano e voltandosi verso di me. Riesco a leggere tutta la sua voglia di me nei suoi occhi. Le sue labbra si schiudono a contatto con le mie, le sue mani armeggiano con la fibbia della cintura fino a sfilarla e lanciarla sul pavimento, continuando a baciarmi fino a togliermi il respiro. Slaccia i pantaloni e li fa scivolare a terra, liberando per ultimo il mio membro che svetta fiero verso di lei, voglioso di soddisfarla il più a lungo possibile.
«Non così in fretta, amore. Non vorrai mica che finisca tutto subito?». Delineo il contorno della mandibola con dei piccoli baci, mentre la sua mano afferra saldamente la sua fonte del desiderio, cominciando a muoversi lentamente e regalandomi dei brividi di piacere lungo la schiena. Mi ritrovo ad ansimare sulla sua pelle che brucia a ogni mio tocco, a ogni mio bacio.
«Non vale così», dico debolmente appropriandomi di un suo capezzolo con la bocca, lo suggo, lo torturo. Lei aumenta la velocità della sua mano mandandomi su di giri. Le sfilo il vestito e lo lancio a terra, facendo fare la stessa fine al reggiseno. Mi sta facendo impazzire e io ho bisogno di farla mia, qui, subito. La sollevo dalle natiche e la faccio sedere sul tavolo della sala. Abbasso la cerniera di entrambi gli stivali, li sfilo e li lancio all’indietro, con la speranza che non rompano niente nell’impatto. Per ultimo le sfilo le mutandine, gettando anche quelle da qualche parte, non mi interessa dove atterrano: ho bisogno soltanto di soddisfare la mia donna.
«Amore, ti supplico». Inarca la schiena per agevolare la mia bocca sul suo seno. Creo dei cerchi invisibili con la lingua, facendola gemere. Le sue dita si insinuano tra i miei capelli e mi solleva il capo.
«Ora». Il suo era un ordine e io non posso contraddirla.
La afferro per i fianchi e la trascino verso di me, penetrandola con decisione. Le sue gambe mi circondano la vita e si appoggia con le mani al tavolo, aggrappandosi al bordo per darsi più spinta. Ci siamo fatti talmente travolgere dalla passione, che non siamo nemmeno riusciti a raggiungere il letto o il divano. Il tavolo non è il luogo più comodo, ma in questo momento è semplicemente perfetto. Adoro fare l’amore con la mia donna, non importa dove, non importa quando, basta che siamo insieme.
Mi muovo dentro di lei, facendola tremare di piacere ad ogni spinta. Mi sembra sempre di toccare il cielo con un dito quando sono con lei, come in questo istante. Raggiungiamo l’apice nello stesso momento e mi rilasso contro il suo petto, cercando di riprendere fiato. Mi accarezza dolcemente i capelli e io non vorrei essere da nessun’altra parte in questo momento.
«Ti amo», dice lei baciandomi teneramente il capo.
«Anch’io ti amo da morire». Mi alzo quel poco che basta per poterle baciare le labbra.
Ci rivestiamo lentamente e ci sediamo sul divano a cenare. I panzerotti ormai si sono raffreddati, ma a noi non importa minimamente.
«Mi piace il vestito nuovo». Serena è accoccolata con la testa sulle mie gambe e le accarezzo il viso con le dita. «L’ha scelto Luca, non è vero?».
«Sì e no», risponde con una smorfia. «Me ne aveva passati di assurdi, questo mi è piaciuto subito quando l’ho indossato».
«Ti sta bene, anche se ti preferisco senza», ammicco maliziosamente.
«Vorresti dirmi che ho comprato tutte queste cosette sexy per niente?», domanda accigliandosi.
«Non ho detto questo. Ho solo precisato che è molto meglio quando non indossi niente». Sto dicendo la pura e semplice verità. Ammetto che vederla con addosso quel vestitino striminzito e quella biancheria intima sexy ha acceso le mie voglie, ma sarebbe stato lo stesso se avesse avuto addosso un paio di insulsi jeans e un maglioncino qualunque. Diciamo che ho sempre voglia di stare con la mia donna e la voglia non cambia a seconda di ciò che indossa. Nuda, poi, è decisamente il massimo.
«Ero già pronta a farmi rimborsare da Luca, è stato lui a costringermi a prendere tutta questa roba. Come se non ne avessi abbastanza in armadio. Si lamenta sempre, peggio di una donna», commenta sbuffando. «Mi ami anche se a volte non sono molto presentabile?».
«Sei sempre presentabilissima e ti amo sempre e comunque, anche con il pigiamone pesante». Scoppio a ridere e lei mi segue a ruota.
«Non so se hai fatto la scelta giusta mettendoti con me. Non sono sexy come certe donne che si vedono per strada», mugugna cercando il mio sguardo.
«Non so che donne tu veda per strada, ma sicuramente tu sei più sexy di ogni altra donna sulla faccia della terra». Lei è la perfezione per me e non la cambierei con nessuna al mondo.
«Secondo me lo dici soltanto perché hai delle fette di salame sugli occhi». Mi prende in giro con un sorriso sghembo.
«Il salame è buono e tu sei scema, ma ti amo anche per questo». Afferro la sua mano e ne bacio il palmo.
«Mi ami perché sono scema?». Aggrotta le sopracciglia e fa un’espressione da cucciolo.
«Decisamente, ti amo soprattutto per quello».
Amo Serena, la amo davvero tantissimo e senza di lei io sarei completamente perso. Ogni attimo trascorso con lei è speciale e io sono immensamente felice di averla al mio fianco.
***Note dell'autrice***

Ecco qui il capitolo extra per San Valentino, come promesso ♥ Spero sia stato di vostro gradimento. Non ho potuto inserire il vero giorno, in quanto il prossimo capitolo si svolgerà a Natale, ma penso che possa andare bene lo stesso... in fin dei conti dovrebbe essere San Valentino tutti i giorni quando ci si ama ♥ 
Al momento sto scrivendo un altro capitoletto con Luca come protagonista, lo sto finendo e spero di darvelo a breve ♥
Detto questo, vi aspetto martedì per il capitolo "normale".
Un grazie immenso a tutti voi che passate ♥ vi adoro ♥
Ila, grazie per il nuovo banner ♥
♥♥ sai quanto ti voglio bene ♥
Un bacione, Ire ♥



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Capitolo 27
*** Un Natale con i fiocchi ***


 



27. Un Natale con i fiocchi
Ho come l’impressione che il tempo ultimamente stia volando. È già Natale, sono sei mesi che frequento Marco e due che viviamo insieme. Posso dire con certezza che questi centottantacinque giorni – sì, lo so, non sono normale a mettermi a contare da quanti giorni sto con lui - sono stati i più intensi e meravigliosi di tutta la mia vita. Abitare sotto lo stesso tetto, condividere ogni cosa, aiutarsi nelle faccende domestiche ci viene tutto così naturale che sembrano essere passati anni da quando mi sono trasferita qui nell’appartamento di Marco. Sono migliorata anche in cucina, non di tanto, ma me la cavicchio. Diciamo che se si offre di cucinare, lo faccio fare volentieri a lui e se mi porta fuori a cena è ancora meglio. Se non abbiamo voglia di uscire, ordiniamo da asporto. Non moriamo certamente di fame.
Oggi siamo tutti a pranzo nella tenuta dei Rossini. Mio fratello è dai suoi suoceri, anche i miei genitori sono invitati da loro. Quest’anno ci siamo divisi, anche se abbiamo fatto la Vigilia tutti insieme ieri sera dai miei. Marco sta ancora dormendo tranquillo e beato, insieme al maiale del nostro gatto che ronfa in mezzo ai suoi piedi acciambellato. Con questo freddo non si alzerebbe mai dalla trapunta calda e se non sto attenta, me lo ritrovo addirittura sotto, come stanotte. Ho colpito qualcosa di peloso con il ginocchio e non era certamente Marco. Il ruffiano si era incollato al mio fianco e non riuscivo più nemmeno a muovermi. Non avrei mai creduto possibile di dormire sacrificata per un gatto!
Mi giro su un fianco pronta ad alzarmi per andare a preparare il caffè, ma vengo afferrata per un braccio e trascinata nuovamente sotto le coperte. Mi ritrovo incollata al mio uomo, le sue labbra a sfiorare le mie.
«Non provare nemmeno ad andartene senza nemmeno darmi un bacio», brontola con la voce impastata dal sonno.
«Andavo solo a preparare il caffè, poi sarei tornata». Gli faccio notare posando una mano sul suo viso.
«Io, però, mi sarei svegliato senza trovarti al mio fianco e non lo avrei sopportato. Sai che mi vengono le paranoie, penso subito che tu te ne sia andata con un altro, lasciandomi qui solo a leccarmi le ferite». Mi mette il broncio e io scoppio a ridere.
«Sei un idiota, Shark, e la cosa che mi sorprende maggiormente è che ti amo da impazzire, nonostante tutto». Gli bacio le labbra e lui mugugna sommessamente non appena mi stacco da lui.
«No, no, non lo voglio un bacetto così insulso. Voglio un bacio vero, uno di quelli che mi tolgono la ragione, uno di quelli che mi fanno venire voglia di strapparti questo pigiamone della nonna che indossi ogni santa notte». Gli tappo la bocca con il palmo della mano.
«Sai che soffro il freddo! Non potrei mai indossare una sottoveste sexy in pieno inverno, morirei assiderata all’istante», borbotto fingendomi offesa da questa suo commento poco lusinghiero nei confronti del mio pigiama felpato con una mucchina simpatica disegnata davanti, il mio preferito.
Mi morde la mano in modo tale da farmela togliere e sussurra: «Flounder, ci sono io a scaldarti».
Insinua una mano sotto ai tremila strati di vestiti che indosso e le sue dita sembrano bruciare la mia pelle. Come diavolo farà ad essere così caloroso? Lui non sembra mai aver freddo e mi fa un’invidia tremenda! Le sue dita scaldano immediatamente la mia pelle e anche altro. Mi stanno venendo le scalmane! La sua mano finisce tra le mie cosce, intrufolandosi all’interno dei pantaloni.
«Chissà come mai, qui sotto è sempre caldo». Mi prende in giro lui solleticando i miei sensi.
«Me lo chiedo sempre anch’io», dico chiudendo gli occhi e godendomi le sue attenzioni.
«Amore, questo è il Natale più bello di tutta la mia vita», soffia sulle mie labbra un attimo prima di togliermi il respiro con un bacio mozzafiato.
Ci coccoliamo a lungo, nessuno dei due ha voglia di uscire da questo letto così caldo e confortevole. Diablo, bisognoso di attenzioni anche lui, passeggia allegramente sopra i nostri cuscini, salta di peso sul mio fianco e spinge con la testa finché non sparisce sotto le coperte. Ce lo ritroviamo in mezzo a noi due, fa le fusa contento e felice.
«Dovremmo dargli meno da mangiare, sta diventando un ciccione e fa malissimo quando mi salta addosso. Sembra un carrarmato quando si butta. I felini non dovrebbero essere leggeri e delicati?», chiedo accarezzandogli lentamente la testa.
«I felini sì, ma il nostro è un maiale, perciò non puoi pretendere che si muova con agilità», risponde lui prendendolo con entrambe le mani e mettendolo a terra. «Ed è anche un impiccione. Non posso nemmeno fare le sconcerie con la mia donna, che lui si mette subito in mezzo perché è geloso. So benissimo che tu sei la sua preferita, non credere che non lo abbia capito».
In tutta risposta il nostro maialino salta con immensa leggiadria sullo stomaco di Marco, facendolo gemere dal dolore.
«Credo che tu te la sia cercata stavolta». Rido di gusto mentre Diablo cammina sopra di lui fino ad arrivare da me per prendersi le sue coccole.
«Niente pappa stamattina». Lo minaccia il mio uomo puntandogli un dito sul naso, che prontamente morde. «Verrai ancora a chiedermi i croccantini…».
Sembriamo due idioti che parlano con un gatto, ma la cosa divertente è che sembra capire tutto quello che gli diciamo. E poi hanno il coraggio di dire che gli animali sono stupidi.
Alla fine decidiamo di alzarci e prepararci. I suoi ci aspettano per mezzogiorno e alle undici siamo ancora sotto la doccia. Ce la stiamo prendendo con molta calma stamattina. Abbiamo mangiato tantissimo ieri sera e, sinceramente, l’idea di introdurre ancora cibo nel mio organismo mi fa venire il voltastomaco. So per certo che la signora Rossini cucinerà per un intero reggimento e sono altrettanto sicura che ci darà dietro qualche avanzo per paura che possiamo morire di fame. Sa che non amo cucinare e spesso si presenta da noi con teglie di lasagne, arrosti già pronti, sugo da mettere nel congelatore, così noi dobbiamo cuocere solo la pasta. Si preoccupa del nostro deperimento e non ce ne sarebbe affatto bisogno. Marco prova sempre a dirle che non serve che cucini per noi, ma lei non gli dà nemmeno ascolto. Lo fa volentieri e alla fine ci abbiamo rinunciato a farla desistere.
Ma, poi, chi è che ha detto che a Natale bisogna per forza ingozzarsi come le oche? Mia madre aveva preparato tutto a base di pesce per la cena della Vigilia. Diciamo che ha cucinato per venti, anche se eravamo soltanto in sei. Non ne potevo più! Quando mi sono alzata da tavola, non riuscivo più nemmeno a camminare. Credevo di esplodere! Non sono una super mangiona, ma non mi tiro mai indietro davanti a un buon piatto, in fin dei conti mi piace mangiare bene. In certe occasioni, però, preferirei di gran lunga riuscire a dire di no, altrimenti divento una balena.
Prendiamo la moltitudine di regali che abbiamo comprato per la famiglia di Marco: lui adora viziare i suoi nipoti e io adoro cercare giocattoli. Già ne hanno ricevuti tantissimi per Santa Lucia, per non parlare della valanga di dolci in cui li abbiamo sommersi. Daniele era così felice che non smetteva un attimo di sorridere. Per il mio uomo non era però abbastanza e ha voluto prendere loro ancora qualcosa. Sono davvero curiosa di vedere la faccia di suo nipote quando scarterà il suo pacchetto. Sono convinta che Marco ha comprato qualcosa anche per me. Ammetto di aver curiosato un po’ in giro mentre lui era al lavoro, ma non ho trovato niente. È furbo, deve averlo nascosto bene. Sono peggio di una bambina quando si tratta di regali. Dico sempre che non serve che me ne faccia e lui, regolarmente, arriva con un pacchettino da farmi scartare, anche senza un motivo particolare, lasciandomi tutte le volte spiazzata.
Lui mi osserva con attenzione, le braccia incrociate al petto.
«Non ti ho comprato alcun regalo», comincia con una strana espressione in viso.
La delusione deve essersi impadronita del mio corpo e lui prorompe in una fragorosa risata.
«Dio, quanto sei bella!». Mi prende per i fianchi e mi bacia le labbra. «Credi davvero che io possa averti lasciato senza un pensierino il giorno di Natale?».
«Non si sa mai», farfuglio allacciandogli le braccia intorno al collo. «Magari sono stata una bambina cattiva e non merito proprio niente».
«Tu meriteresti la luna, ma quella non posso regalartela, perciò dovrai accontentarti di questo». Estrae un pacchettino dalla tasca dei pantaloni e me lo porge. Io lo afferro al volo, con la curiosità a mille e un sorriso idiota sulle mie labbra.
Strappo la carta, non sono mai stata molto accorta in queste cose, ho sempre fretta di sapere che cosa c’è all’interno.
«Sei la persona più curiosa che io abbia mai conosciuto!», esclama lui ridendo.
Mi stringo nelle spalle e arriccio le labbra. Che me ne importa! Il mio uomo mi ha appena regalato qualcosa e io non vedo l’ora di vedere il contenuto. Apro la scatolina di una gioielleria famosa che si trova in città e trovo un paio di orecchini spettacolari: sono dei pendenti d’oro, con un cuore all’estremità, al suo interno un brillante.
«Sono veri?», chiedo con la bocca spalancata per lo stupore.
«Per vero, intendi sapere se quelli sono diamanti?». Mi prende il viso con entrambe le mani e cerca i miei occhi. Annuisco appena.
«Allora sì, sono veri», risponde.
«Tu sei pazzo». Lo colpisco con un leggero pugno sul petto. «Non -».
Mi tappa la bocca con la sua e mi bacia fino a farmi rilassare tra le sue braccia. «Indossali e non borbottare. Sai che tu sei l’amore della mia vita e comprerò sempre e soltanto il meglio per te».
Quando riuscirò a fargli un regalo degno di essere chiamato tale, sarà anche troppo tardi. Non credo che quello che gli ho incartato l’altra sera sarà all’altezza. È un regalo fatto con tanto amore però e spero sarà gradito.
Mi sfilo i miei orecchini di bigiotteria e indosso queste meraviglie. Spero solo di non perderli, mi piangerebbe il cuore se accadesse. Non ho idea di quanto un paio di orecchini con diamante possa costare, ma certamente più di un mese del mio stipendio. Li sento perfetti e continuo a sfiorarli felice.
«Ti stanno un incanto», sussurra il mio uomo regalandomi un bacio dolcissimo.
«Grazie, amore. Sono stupendi». Mi rendo conto di non averlo ancora ringraziato per questo regalo a dir poco meraviglioso.
«Tu lo sei di più e leggere la gioia nei tuoi occhi è per me il regalo più grande».
Bene, sono nuovamente senza parole, ma dopo tutti questi mesi ci ho fatto l’abitudine, o quasi.
Carichiamo i regali in macchina e ci dirigiamo verso la villa dei Rossini. Ormai andiamo a mangiare da loro uno domenica sì e una no, l’altra è destinata alla mia famiglia, non sono più così nervosa di andare dai genitori di Marco. Loro mi trattano come fossi un’altra figlia e mi sento ben accetta, questo rende tutto più semplice e naturale. Parcheggiamo accanto alla macchina di Lucrezia, Chiara deve ancora arrivare.
«Tesorini!». La signora Rossini ci accoglie con un sorriso a trentadue denti, abbracciandoci e baciandoci entrambi con la stessa enfasi. «Buon Natale».
«Buon Natale anche a lei», dico una volta libera dalla sua morsa.
Osserva il figlio carico di borse e scuote la testa. «Non ti sembra di essere il solito esagerato?».
«Perché?», risponde lui con aria da innocente.
«Serviva fare tutti quei regali?», continua la madre chiudendo la porta alle nostre spalle.
L’aria è parecchio fredda, hanno previsto neve dopodomani e si sente già nell’aria. Mamma che freddo! Lascio che i due continuino a battibeccare per la mole immensa di pacchetti, mentre mi dirigo nella grande sala e mi metto davanti al caminetto. Sto morendo di freddo.
«Serena!».
Daniele mi raggiunge di corsa e mi salta in braccio. Non l’ha perso il vizio e, sinceramente, a me non dispiace.
«Cucciolo». Riempio di baci le sue guance e lui ride contento. Adoro questo bambino, lo adoro tantissimo. Ogni volta che lo vedo e ci passo del tempo insieme mi ritrovo a pensare a come sarebbe bello avere un figlio da poter spupazzare come faccio con lui. Un piccolo ometto che corre per casa e non desidera altro che avere le attenzioni della mamma e del papà. Ogni volta scaccio quell’idea, dandomi della stupida. È presto per pensare di allargare la famiglia. Famiglia. Oh cavolo, mi immagino sull’altare con un Marco sorridente e bellissimo che mi attende, e un bambino che tengo per mano mentre lo raggiungo lungo la navata.
L’arrivo del signor Rossini mi fa tornare con i piedi per terra. A volte questi miei pensieri mi spaventano a morte, non avevo mai desiderato diventare madre finora.
«Ciao tesoro». Il capofamiglia mi bacia la guancia e scompiglia i capelli dell’unico nipote maschio. «Buon Natale».
«Buon Natale. Come sta?», chiedo con un sorriso.
«Oh, sto benissimo, mai sentito meglio. Mia moglie mi ha vietato di toccare alcolici, fumo e cibo grasso anche oggi che è un giorno di festa. Ti sembra giusto?», borbotta.
«Immagino che un goccino di vino non le farà male», dico cercando di tirarlo su di morale.
«Almeno qualcuno di intelligente c’è in questa famiglia». Mi strizza l’occhio un attimo prima che Marco ci raggiunga.
«Che cosa state confabulando voi due?», domanda il mio uomo rubandomi Daniele dalle braccia per poterselo sbaciucchiare tutto.
«Niente», rispondiamo il padre ed io all’unisono.
Lui inarca un sopracciglio e fa finta di crederci. Si concentra sul suo nipote preferito e gli parla dolcemente. Sono così belli insieme. Immagino che stia tenendo in braccio nostro figlio e mi rendo conto che Marco sarebbe un padre meraviglioso. Devo smettere di pensare a queste cose!
«Lo sai che Babbo Natale è passato da noi stanotte e ci ha lasciato dei pacchettini anche per te?», gli sta dicendo con tenerezza.
«Sono stato bravo allora!», commenta Daniele con un sorriso sdentato.
«Oh sì, sei stato bravissimo». Mi intrometto io avvicinandomi a loro e appoggiando la testa sulla spalla di Marco. Accarezzo la guancia di nostro nipote con il dorso della mano e lui allarga le braccia per poter tornare da me. Lo afferro con decisione e lui mi circonda il collo.
«Serena, sei la mia zietta preferita, ma non dirlo alla zia Chiara sennò magari poi ci rimane male». Mi si umettano gli occhi, lo stringo di più a me. Quelle semplici parole mi hanno smosso tutta.
«Anche tu sei il mio preferito, il mio cucciolo. Ti voglio bene». Gli bacio la punta del naso e lui mi sorride.
«Tanto anch’io», dice appoggiando il viso sulla mia spalla.
Incontro gli occhi di Marco e mi stanno perforando l’anima, brillano di luce propria e sembrano perfino lucidi. Gli mimo un Ti amo e lui mi sorride raggiante, togliendomi il respiro. Sono pazza di questo uomo, non è più un segreto per nessuno.
«Vado a vedere se tua madre ha bisogno di una mano». Devo cambiare aria un attimo, mi sento scombussolata. Marco prende Daniele in braccio e si sistema sul divano insieme al padre.
Raggiungo l’immensa cucina con le gambe che mi tremano. Perché mi sento così strana?
La signora Rossini sta finendo di sistemare dei crostini con il salmone affumicato su un vassoio d’argento. Lucrezia, invece, sta lavando l’insalata nel lavello.
«Posso aiutarvi a preparare qualcosa?», chiedo con un sorriso tirato.
«Vieni cara, se ti va, ci sarebbero da riempire dei vu-la-vent». La donna mi sorride e mi mostra quello che dovrei fare. Non è complicato, credo di riuscire a fare questa cavolata.
Dopo averne riempiti dieci, mi ritrovo Lucrezia accanto.
«Posso farti una domanda?», chiede dandomi una mano a terminare quel lavoro che a me non piace per niente.
«Certo», rispondo concentrata sulla salsa al tonno.
«Mio fratello ti ha già chiesto di sposarlo?».
Che cosa? Perché mai avrebbe dovuto farlo?
«Ehm, no», rispondo muovendomi nervosamente sul posto. «Perché me lo chiedi?».
«No, niente. Mia sorella ed io abbiamo scommesso su quanto ci avrebbe impiegato a chiedertelo». Si stringe nelle spalle con noncuranza.
Ci si mette anche la sua famiglia ora a scommettere? A quanto pare deve essere una cosa divertente, soprattutto se si scommette su persone che si conoscono.
«Non credo che lo farà». Oso commentare facendomi piccola piccola.
«Oh sì, lo farà». Questa volta è la madre a parlare e mi sento avvampare.
Davvero credono che Marco mi chiederà di diventare sua moglie? E io sarò pronta a dirgli di sì? Perché hanno deciso tutti di farmi venire questi dubbi proprio il giorno di Natale? Mi sta venendo l’emicrania.
 
***
 
Osservare Serena coccolare mio nipote mi ha riempito il cuore di gioia. Ammetto che vederla così presa da lui mi ha fatto venire ancora più voglia di avere un figlio tutto nostro. Per non parlare del fatto che anche Lorenzo e Stella diventeranno genitori fra qualche mese, sarebbe bello se i nostri figli crescessero insieme. Il desiderio di paternità si è accentuato notevolmente negli ultimi mesi, da quando Serena è venuta a vivere con me. Se fosse un maschio, mio padre sarebbe al settimo cielo: un Rossini che potrà portare avanti il nome della nostra famiglia.
«Quando glielo chiederai?». La domanda di mio padre mi riscuote dai miei pensieri e mi volto a guardarlo con aria corrucciata.
«Che cosa?». Non credo di aver capito che cosa intendeva.
«Quando chiederai a Serena di sposarti?». Ora la domanda è decisamente più chiara e mi ritrovo a mordermi nervosamente il labbro inferiore.
«Non lo so», rispondo mentendo spudoratamente. So quando e dove glielo chiederò, ma non lo dirò di certo a lui, con la presenza di mio nipote, oltretutto, che ha la lingua lunga.
«Mi stai raccontando una palla, ti conosco, ma non indagherò. Sei un uomo adulto e so che farai le cose per bene con questa ragazza. Non so se te l’ho mai detto, ma mi piace molto e se diventasse mia nuora non mi dispiacerebbe affatto». Mi avvolge le spalle con un braccio.
«Davvero chiederai a Serena di sposarti, zio Marco?». Lo squaletto mi guarda con curiosità, un sorriso sincero sulle labbra che non lo abbandona mai.
Annuisco con decisione. «Sarà un nostro segreto, però. Nessuno deve saperlo, sennò Babbo Natale verrà a riprendersi tutti i regali ancora prima che tu possa scartarli». Gli punto un dito davanti agli occhi con aria minacciosa. Lui sigilla le labbra con un invisibile lucchetto e getta la chiave all’indietro. «So che posso contare su di te, squaletto. Serena non deve sospettare niente».
Daniele raggiunge il padre che è appena entrato nella sala e gli salta in braccio. Li osservo con aria sognante, pensando a quanto piacerebbe che il mio futuro figlio mi accogliesse con tanto amore.
«Lei lo sa che vorresti diventare padre?». Un’altra domanda che mi confonde e mi stordisce. Come diavolo…
«Come faccio a saperlo? Mi basta guardarti, Marco. Ti illumini quando vedi Daniele e ho notato come guardavi Serena in adorazione mentre lo coccolava prima. Un padre certe cose le capisce, sono segnali inequivocabili».
Batte una mano sul mio ginocchio e si alza dal divano, lasciandomi solo con i miei pensieri. Mi chiedo come mio padre possa aver capito tutte queste cose solo dal mio sguardo. Sono così prevedibile? Se l’ha capito lui, lo avrà capito anche Serena? Prima o poi dovrò decidermi ad intavolare questo discorso con lei, ma non è ancora arrivato il momento.
L’arrivo di mia sorella Chiara, con relativa famiglia a seguito, è come una manna dal cielo, almeno smetto di pensare a tutte queste cose che mi stanno rendendo nervoso. Ho paura che Serena non sia pronta per questo passo importante e sono terrorizzato all’idea che possa rifiutare la mia proposta. Non so che cosa farei se lo facesse davvero. Forse sono il solito frettoloso, ma le ho preso l’anello ancora un mese fa. Non ho detto a nessuno di averlo fatto e lo tengo al sicuro nella piccola cassaforte in casa. Non ho mai raccontato a Serena dell’esistenza di quella cassetta nel muro, onde evitare che possa mettersi a curiosare in giro. Lo farò non appena le darò l’anello. Mi è costato una fortuna, ma non mi importa: per lei svuoterei il mio conto in banca in un baleno, solo per vedere i suoi occhi brillare e il suo sorriso risplendere, scaldandomi il cuore. Sono io che adoro riempirla di regali, lei non mi chiede mai niente e la maggior parte della volte mi prende pure a parole, dicendomi che non devo spendere per lei. E per chi dovrei allora? Non mi va di spenderli per me, non ho bisogno di niente, ho solo bisogno di lei.
«Fratellino!». Chiara mi butta le braccia al collo e mi bacia la guancia, lasciandomi il segno del rossetto. Mi pulisce con la mano. «Scusa, aspetta che elimino ogni prova, non vorrei che Serena pensasse che tu ti sia trovato un’altra donna».
«Si arrabbierebbe di brutto», le dico stringendola a me.
«Puoi starne certo e credo anche che non avresti vita facile. Se quella dolcezza di ragazza si incazzasse, ti farebbe vedere i sorci verdi». Scoppia a ridere non appena Serena si presenta al nostro fianco, con il sorriso sulle labbra.
«Oh no, non faresti in tempo a vederli, te lo assicuro». Si intromette lei incrociando le braccia al petto.
Oggi indossa un vestitino rosso di lana e delle calze pesantissime bianche, le manca solo un cappellino verde e sembrerebbe un elfo. Un elfo dannatamente sexy, per giunta.
«Ahia, qui la vedo brutta», commenta mia sorella divertita. «Ti lascio nelle grinfie della tua bella».
Le mie nipotine si mettono a correre nella sala, inseguite da Daniele. I miei cognati parlottano accanto al camino, mentre Chiara abbraccia nostro padre. L’aria di festa che si respira qui dentro mi fa sentire davvero bene. Afferro la mano di Serena e la tengo stretta nella mia. Mi rendo conto all’improvviso che le sto accarezzando l’anulare, dove si dovrebbe trovare l’anello che ho preso per lei. Si stringe a me e le bacio la fronte.
«Sarai sempre l’unica donna per me», le sussurro accarezzandole lo zigomo con il pollice. «L’unica che amerò fino alla fine dei miei giorni».
Mia madre attira la nostra attenzione prima che Serena possa dire qualcosa. Mi ero lasciato andare e credo che la mia linguaccia avrebbe pronunciato parole che non avrebbe dovuto. Non è questo il momento giusto per dire quello che tengo dentro da un po’. C’è bisogno dell’occasione perfetta e soprattutto dobbiamo essere soli.
«Chi è che vuole aprire i regali?». I bambini le corrono incontro e cominciano a saltellare entusiasti. Non vedono l’ora di scartare i loro pacchetti che si trovano sotto il grande albero.
«Quest’anno tocca alla nuova arrivata smistare i regali». Mio padre mi ruba la donna e la accompagna a destinazione. Lei mi guarda senza capire.
«Tesoro, ogni anno un membro della famiglia sceglie i pacchi e li consegna al legittimo proprietario. È il tuo turno, visto che è il tuo primo Natale qui con noi». Spiega passandole il primo dono e leggendo il bigliettino. «Questo è per Marco e lo devi consegnare al tuo compagno».
Serena mi raggiunge e mi porge quel pacchetto.
«Questo è il mio regalo per te», dice porgendomelo. «Buon Natale, amore».
Torna in postazione e comincia a consegnare doni a tutti i membri della famiglia. Tengo tra le mani quella confezione, legata da un nastro di raso rosso. Non mi aspettavo alcun regalo da parte sua e devo ammettere di essere rimasto alquanto sorpreso. Si siede accanto a me, ha con sé quattro o cinque pacchetti, compreso l’altra parte del mio regalo. Credeva davvero che le avrei regalato solo quegli orecchini?
La osservo mentre scarta il primo: le mie sorelle le hanno regalato una bellissima sciarpa rosa, sembra caldissima. Serena ringrazia esibendo il suo sorriso migliore. I miei genitori le hanno regalato un pigiama felpato, un profumo di marca e la borsa che le piaceva tanto. Non hanno proprio badato a spese. I suoi occhi si inumidiscono per l’emozione. Tiene il mio pacchetto per ultimo.
Daniele comincia a lanciare degli urletti soddisfatti non appena si accorge che cosa contiene uno dei pacchi.
«Ma è la macchina dello zio Marco!». Si alza dal tappeto e mi butta le braccia al collo. «È stupendissima. Babbo Natale come faceva a sapere che mi piaceva così tantissimo?».
«Amore, non si dice così tantissimo». Lo corregge mia sorella Lucrezia.
Mio nipote sbuffa e aspetta una mia risposta alla sua domanda.
«Babbo Natale sa ogni cosa». Lui sembra soddisfatto, mi bacia la guancia e torna a scartare il resto dei suoi regali.
Serena posa una mano sul mio ginocchio, il suo sorriso non è mai stato così radioso. Lei adora questo giorno, adora tutte le decorazioni, le luci intermittenti. Ha voluto che la aiutassi a decorare l’albero nel nostro appartamento. È stato meraviglioso e credo che diventerà una nostra tradizione, lo faremo sempre insieme ogni anno. Sinceramente non mi era mai importato molto di avere un albero in casa, ma mi piace l’atmosfera che crea. Anche Diablo ha gradito la novità: l’altro giorno l’ho trovato arrampicato a metà, con la testina che sbucava tra le varie decorazioni. Siamo stati fortunati che non ha tirato giù tutto, altrimenti ci sarebbe stato coniglio per pranzo!
«Scartiamo insieme?», propongo baciandole la guancia arrossata.
Lei annuisce con convinzione.
«Tre, due, uno». Al mio via strappiamo entrambi la carta. Che cosa mi ha regalato? Una macchina fotografica?
«Tu, tu, tu». Sembra un disco rotto. Mi volto verso di lei e ha una mano sulla bocca, le lacrime le stanno rigando il viso. Le ho regalato anche una collana, con un ciondolo a forma di cuore e un brillante nel centro, proprio come gli orecchini.
«Ti piace?», chiedo titubante.
Mi colpisce la spalla con un pugno. «Sei un folle!», brontola. «Hai anche il coraggio di chiedermi se mi piace? È stupenda! Io, io, sono senza parole».
«Adoro sorprenderti». Le bacio le labbra, il mio cuore sta scoppiando di felicità.
«Oh, ci riesci sempre alla grande, fidati». Si scosta i capelli da un lato e mi chiede silenziosamente di allacciargliela al collo, lo faccio più che volentieri. Accarezza quel cuore d’oro con le dita, gli occhi sono umidi.
«Il mio regalo sembra una schifezza in confronto», mugugna incupendosi.
Le prendo il viso tra le mani e la obbligo a guardarmi negli occhi. «Non ci provare nemmeno, Flounder. Solo per il fatto che sei stata tu a regalarmelo è meraviglioso. Qualunque cosa sarebbe fantastica, però non dovevi spendere soldi per me».
«Perché non avrei dovuto? Sei l’amore della mia vita e volevo -». Le tappo la bocca con la mia, stordendola.
«Ti amo, amore», le soffio sulle labbra totalmente ebbro.
Mi ricompongo e apro la confezione contenente la fotocamera digitale, è anche una delle migliori marche. Inserisco la batteria al litio e la accendo, funziona. La prima foto che scatto è a Serena, ancora emozionata. È molto fotogenica, anche se lei dice sempre il contrario.
«Aspettate, ve ne faccio una insieme». Lucrezia allunga la mano nella mia direzione e le passo la macchina fotografica. Avvolgo le spalle della mia donna con un braccio e la attiro a me. Mia sorella ci scatta più di una foto. Mi ritrovo a posare una mano sulla guancia di Serena e a baciarle le labbra con desiderio.
«Sono felice con te», mormoro per poi riprendere a baciarla. Mi dimentico di dove siamo, mi dimentico della mia intera famiglia che probabilmente ci sta guardando mentre sbaciucchio la mia donna, esistiamo solo noi in questo preciso istante.
«Io vi consiglierei di riprendere fiato». La voce di mia sorella si insinua nella mia testa e io la scaccio con un gesto secco della mano, senza staccare la bocca da quella di Serena. Lei è aggrappata a me come se fossi la sua ancora di salvezza, come se non volesse lasciarmi andare. Io non ho intenzione di andare proprio da nessuna parte.
È lei la prima a staccarsi, completamente senza fiato. Le sue guance sono di un bel rosso porpora, le sue labbra sono così rosse che ricomincerei a baciarle immediatamente, il suo profumo mi solletica i sensi, mi sto inebriando di lei.
«Ti amo». Questa volta è lei a sussurrarlo, perdendosi nei miei occhi. «È il Natale più spettacolare di tutta la mia vita».
«Posso farti una domanda stupida?», chiedo continuando a tenerla stretta tra le mie braccia.
«Le tue domande non sono mai stupide e poi tu puoi chiedermi tutto quello che vuoi», risponde passandomi teneramente le dita tra i capelli.
«Perché proprio una fotocamera?», domando curioso.
«Non lo so. Ho notato che fai sempre un sacco di foto con il tuo telefono e ho pensato che sarebbero molto più belle se usassi una vera macchina fotografica. Puoi scaricarle sul portatile, farne quello che vuoi. Insomma, io ho pensato che fosse una buona idea, ma non sono certa al cento per cento della mia scelta», farfuglia totalmente insicura.
«È un pensiero meraviglioso, amore», le dico un attimo prima di posare nuovamente le mie labbra sulle sue.
«Mi dispiace rompere il vostro momento romantico, ma il pranzo è pronto». Mia sorella mette la macchina fotografica davanti ai nostri nasi, così siamo costretti a separarci. «Avrete tempo per stare insieme e avrete anche tempo per stancarvi di farlo».
Mi pizzica la guancia, strizzandomi poi l’occhio e raggiungendo il marito. Sono già tutti al loro posto quando ci sistemiamo ai nostri assegnati al grande tavolo. Come ogni volta, Daniele è posizionato accanto alla mia donna, non potrebbe essere altrimenti. Serena se lo sta coccolando per bene e lo aiuta a servirsi. È così dolce e premurosa con lui. Non che con le mie nipoti non lo sia, ma si vede che il legame con l’unico maschietto è diverso.
Spesso incontro lo sguardo di mio padre che ci osserva attentamente, con il sorriso sulle labbra. Sono felice che approvi la nostra storia e che adori Serena. Da quando gli sto dando una mano in azienda si è un po’ addolcito nei miei confronti, probabilmente perché le sue speranze che io un giorno possa prendere in mano l’attività sono aumentate a vista d’occhio. Io, sinceramente, non so ancora che cosa fare. Ammetto di averci pensato molto e di aver valutato tutti i pro e i contro. In questi due mesi sono migliorato molto nella gestione dell’azienda, conosco ogni singolo dipendente e sembrano tutti felici di avermi tra i piedi. Se non lo fossero, sono bravi a nasconderlo. Temono tutti mio padre anche se lo stimano davvero molto. È il migliore nel settore, tende soltanto ad essere alquanto brontolone e autoritario, ma basta sapere come prenderlo. Io sto imparando a farlo e riusciamo a convivere decentemente. Qualche bisticcio e incomprensione ci sarà sempre, ma non siamo mai venuti alle mani. Devo anche fare in modo che non si stressi troppo, non può affaticarsi e non deve alterarsi o rischia di avere una ricaduta. Non vorrei gli venisse un infarto, non si sa mai. Devo dire che mi piace lavorare nella nostra cantina, al contrario di quello che avrei mai immaginato. Ho paura a lasciare il mio lavoro, però. E se poi mandassi tutti all’aria e non riuscissi a portare avanti l’attività? Mio padre non me lo perdonerebbe mai. Ne ho parlato anche con Serena e lei mi appoggerà qualsiasi decisione prendessi. Lei è convinta che andrei alla grande, ma io non ne sono così sicuro. Non devo prendere una decisione stasera e nemmeno domani vedrò sul da farsi nel prossimo futuro.
Sposto lo sguardo e incontro gli occhi lucidi di mia madre, mi manda un bacio e io le sorrido. Lei è sempre stata entusiasta di Serena, fin dal primo giorno che l’ha incontrata al mio appartamento. Ha sempre pensato che fosse quella giusta, quella a cui avrei dato l’anello e avrei sposato. Aveva ragione Lorenzo – l’importante è non dirglielo, sennò poi si monta la testa -, mia madre mi vedeva già con famiglia, nonostante avessi conosciuto Serena da poco. Voleva solo che mettessi la testa a posto e che pensassi al mio futuro, come avevano già fatto le mie sorelle. Mi ha confessato di essere felice che io abbia trovato questa donna meravigliosa e che vede quanto lei mi rende migliore. Ha detto che sono cambiato da quando c’è lei nella mia vita, che sono meno scontroso – tratto di carattere che ho preso da mio padre – e che sorrido molto di più, prima non lo facevo quasi mai. A quanto sembra avevo davvero bisogno di qualcuno al mio fianco che mi aprisse gli occhi alla bellezza della vita di coppia. Adoro vivere con Serena, anche se a volte correre dietro a sistemare il suo disordine non è semplice. Lo faccio senza problemi, però, perché lei è parte fondamentale della mia vita e quando ho scelto lei, l’ho presa con tutti i suoi pregi e i suoi difetti. È normale avere qualche piccola incomprensione, è normale battibeccare per delle cretinate, abbiamo caratteri diversi, ma l’importante è che alla fine tutto si sistemi e che torniamo ad essere felici come sempre. Io amo Serena, la amo più della mia stessa vita e voglio passare ogni giorno da qui all’eternità con lei al mio fianco.
«Facciamo un brindisi». Comincia mio padre alzando il suo calice. Noi tutti lo imitiamo e sorridiamo.
«Alla nostra famiglia: pazza, brontolona e meravigliosa».
Un brindisi davvero perfetto! La nostra famiglia è davvero pazza, ma ci vogliamo un gran bene ed è questo quello che conta.
***Note dell'autrice***

Che cosa ne pensate di questo Natale in famiglia? Marco non ha badato a spese per quanto riguarda i regali che ha dato a Serena. Avreste mai immaginato che lei potesse essere tanto curiosa? hahaha! Daniele è sempre un amore e forse, grazie a lui, Serena comincia a farsi un sacco di domande e film mentali. Che anche lei cominci a pensare di avere un figlio? Staremo a vedere. Marco ha già pronto l’anello... chissà che cosa avrà in mente! Lo scopriremo presto :) A martedì prossimo :*
Un grazie immenso a tutti voi che passate ♥ vi adoro ♥
Un bacione, Ire ♥



Se volete passare a trovarmi
Bijouttina & i suoi vaneggiamenti

 

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Capitolo 28
*** Capodanno da favola ***


 



28. Capodanno da favola
«Si può sapere dove vuoi portarmi stasera?».
Serena mi sta dando il tormento da giorni ormai, da quando le ho detto che avremmo passato un ultimo dell’anno solo noi due e che avevo in programma qualcosa di speciale. Non le avrei dovuto dire niente per non alimentare la sua curiosità patologica, ma gli amici ci avevano chiesto se festeggiavamo tutti insieme e io ho dovuto spifferare che avevo altri programmi per questa sera. Lei, ovviamente, continua ad indagare senza ritegno, buttandomi ogni tanto qualche domandina all’apparenza insignificante, ma che non lo è affatto. Non mi frega. Le ho solo detto di mettere qualche vestito caldo in un piccolo trolley e uno elegante per stasera. Fra poco scoprirà dove siamo diretti, deve avere soltanto un po’ di pazienza.
«Non te lo dico», rispondo lisciandomi il cappotto elegante che ho indossato per questa occasione speciale.
Fuori sta nevicando, qualche fiocco qua e là, ma è sempre comunque neve. Io amo la neve, se devo stare in casa tutto il giorno davanti al caminetto acceso. Se devo viaggiare in macchina, invece, ne farei volentieri a meno. Mi sono fatto prestare il quattro per quattro di mio padre, con quello posso andare ovunque. Non che dobbiamo andare chissà dove, ma è meglio essere prudenti. Non mi va di rischiare per strada, visto che la serata non promette una temperatura gradevole.
«Sei crudele», mugugna allacciandosi al collo il ciondolo che le ho regalato a Natale.
Per l’occasione ha indossato un vestito nero molto elegante che fascia il suo corpo alla perfezione e mette in risalto le sue curve mozzafiato. Si è raccolta i capelli in un elegante chignon, lasciando ricadere due riccioli lungo il suo viso. Non riesco a credere che questa donna meravigliosa sia mia. La aiuto a indossare il suo cappotto, anch’esso nero e le lego al collo la sciarpa rosa regalata dalle mie sorelle. Mi incanto a guardarla e lei mi sorride radiosa.
«Io sarò anche crudele, ma tu sei di una bellezza unica». Lo dico in un sussurro e le sue guance si arroventano in un attimo. È così tenera quando arrossisce e lo fa spesso, nonostante i mesi passati insieme. Sfioro le sue labbra con le mie, lievemente per non toglierle il rossetto, non voglio rovinarle il trucco dopo tutto il tempo che ha impiegato per farsi bella per me. Non ne avrebbe bisogno, ma ora con quelle labbra così rosse, i suoi grandi occhi verdi messi in risalto dall’ombretto, la matita e il mascara, è ancora più bella.
«Ho dimenticato i guanti in camera, torno subito». Mi allontano con una scusa per recuperare una scatolina importante. Sposto il quadro sopra la sedia in camera nostra e apro la piccola cassaforte. Recupero al volo l’oggetto incriminato e rimetto tutto a posto. Ripongo l’anello nella tasca del cappotto e torno da lei. Sta indossando i guanti di lana e si sistema la borsa sulla spalla.
«Hai dimenticato ancora qualcosa?», chiede regalandomi un sorrisetto divertito.
«No, ho tutto. Almeno credo. Se mi fossi dimenticato qualcosa, ne farò a meno. Andiamo, amore». Le metto una mano sulla schiena e la accompagno fuori, chiudendoci la porta alle spalle. Saliamo in macchina e partiamo verso la nostra destinazione segreta.
«Non mi vuoi proprio dire quello che hai in mente, vero?». Non si dà per vinta e continua a torturarmi anche ora che siamo in viaggio.
Alza il riscaldamento al massimo e si stringe nel cappotto. Non so come faccia a stare con questa temperatura tropicale, mi sembra di soffocare.
«Assolutamente no. Come fai a respirare con tutto questo calore che esce dai bocchettoni?». Guardo attentamente la strada. Sono le cinque di sera e ormai fa già buio. La neve continua a cadere lenta e soffice, attaccandosi sul terreno ghiacciato. Fortunatamente lo spargisale è già passato, assieme allo spazzaneve, e le strade sono abbastanza pulite.
«Fa un freddo del diavolo! La temperatura dovrebbe essere ancora più alta!», brontola lei.
«Ah beh, se è del diavolo dovrebbe essere sicuramente una temperatura infernale», commento io scoppiando a ridere.
Lei mi guarda e sbuffa sonoramente. «Non sei poi così spiritoso, Shark. Credo di avertelo già detto altre volte, ma a quanto pare non lo hai ancora capito», bofonchia e poi riprende il discorso precedente. «Quanti gradi ci sono fuori?».
Si allunga per guardare sul cruscotto e legge ad alta voce: «Meno due? Oh mamma, per forza ho freddo perfino dentro le ossa».
Rabbrividisce e a me viene da ridere. Io sto sudando qua dentro e mi viene la tentazione di abbassare il finestrino per tornare ad una temperatura normale. Ho paura che se lo facessi, mi prenderebbe a calci.
«La cosa che mi preoccupa di più è l’escursione termica. Meno due fuori, quaranta dentro l’abitacolo di questa auto!».
«Quaranta? Tu sei fuori! Ce ne saranno al massimo dieci, ma a far tanto», borbotta incrociando le braccia al petto.
«Sì, certo, l’importante è che tu ci creda». Imbocco l’autostrada in direzione Verona e proseguo il viaggio osservando di tanto in tanto la mia donna imbronciata al mio fianco. Le prendo la mano e me la porto alla bocca.
«Sei bellissima anche quando fai lo scontrosa, perciò puoi anche smettere perché non ho alcuna intenzione di abbandonarti lungo la strada. So che lo stai facendo per liberarti di me, ma non ce la farai mai». La prendo in giro dandogli un buffetto sulla guancia.
«Sei davvero un idiota, ma il problema è che ti amo talmente tanto che farò finta di non aver sentito», mugugna dandomi uno piccolo scappellotto.
«Ha ragione tuo fratello quando dice che sei manesca e io che ho provato in ogni modo a difenderti». Scuoto la testa.
Percorriamo il resto del tragitto prendendoci in giro e ridendo come dei pazzi, il tempo passa più velocemente in questo modo. Un’ora e mezzo dopo siamo arrivati. Serena osserva a bocca aperta il luogo dove soggiorneremo le prossime due notti: il castello di Bevilacqua.
«Noi». Lo indica con l’indice, protendendo il braccio in quella direzione.
«Noi dormiremo in questo castello del trecento e saluteremo il nuovo anno tra queste mura», le spiego baciandole la tempia. «Spero che la sorpresa sia riuscita».
Lei si volta verso di me e lo stupore non ha ancora abbandonato il suo viso. «Io, io non so che dire. Riesci sempre a sorprendermi».
Mi bacia con ardore, togliendomi il respiro. «Grazie».  
«È un piacere», dico un attimo prima di riprendere a baciarla, mandando a monte l’idea di non rovinarle il trucco. Credo di aver divorato buona parte del suo rossetto, non ho potuto farne a meno.
Dopo una sessione di baci poco casti, prendiamo le nostre cose e raggiungiamo la reception. Serena si guarda intorno con gli occhi sgranati, ammirando la bellezza di questo posto incredibile. Ero già venuto qui, volevo fare un sopraluogo e ho prenotato queste due notti. Se avessi aspettato ancora un po’, non ci sarebbe stato più un posto libero e il mio piano sarebbe andato a monte.
Ci accompagnano nella nostra stanza e veniamo avvertiti che il veglione di Capodanno sarebbe iniziato alle nove. Una volta soli, ispezioniamo la stanza: è enorme, con un letto a baldacchino. La cosa che attira maggiormente la mia attenzione è la vasca idromassaggio nel bagno, ci sono dei petali di rosa ovunque e rendono l’atmosfera davvero romantica. Ho fatto mettere dei mazzi di rose rosse ovunque. Voglio che questa serata sia indimenticabile e che non possa mai dimenticarla.
«È tutto perfetto, amore. Sembra di essere dentro a una favola, mi sembra di sognare», commenta con il naso all’insù mentre osserva il soffitto affrescato.
«Fai finta di essere una principessa finché saremo qui, la mia principessa». La scatolina all’interno della mia tasca sembra pesare una tonnellata, ma non è questo il momento di tirarla fuori. Voglio aspettare ancora qualche ora, devo trovare il momento perfetto.
«Non sarà difficile con un principe come te al mio fianco». Allaccia le braccia intorno al mio collo e si stringe a me, baciandomi le labbra.
Si stacca da me e passa una mano sulla trapunta decorata finemente. «Ci stai su questo letto? Mi sembra un po’ corto. Vabbè che nel trecento gli uomini erano leggermente più bassi».
«Vorrà dire che mi raggomitolerò accanto a te, staremo anche più caldi, visto che qualcuno qui ha sempre freddo. Fossimo al Polo Nord potrei capirlo, ma -». Mi raggiunge a passo spedito e mi ficca la lingua in bocca per zittirmi.
«Smettila di prendermi in giro», bofonchia con le labbra premute sulle mie.
«Okay», balbetto frastornato.
«Penso che sia ora di scendere». Mi informa lei facendo scivolare la sua mano nella mia, le dita si intrecciano automaticamente.
«Sì, lo credo anch’io». Confermo baciandole la tempia e inebriandomi del suo profumo.
Raggiungiamo la grande sala preparata per l’occasione. Serena continua a guardarsi in giro con gli occhi sgranati, come se non avesse mai visto nulla di simile. Mi ritrovo a sorridere, osservandola con la coda dell’occhio, e mi convinco di aver scelto il posto giusto per farle la mia proposta. Questo castello sprizza romanticismo da ogni angolo.
Ci accompagnano al nostro tavolo e ci accomodiamo uno di fronte all’altra.
«Sei felice di essere qui, o avresti preferito essere con i nostri amici?». Azzardo muovendo nervosamente le gambe sotto al tavolo. Ogni tanto la mia sicurezza va a farsi un giro, abbandonandomi da solo e facendomi fare la figura dell’imbecille. Se fino a un attimo fa ero convinto della perfezione di questo castello, ora i dubbi cominciano ad assalirmi. Ho paura di aver esagerato e, se lo avessi fatto, mi mangerei le mani. Non vorrei mai mettere a disagio la mia donna.
«Sono felice, amore. È tutto così affascinante». Alza lo sguardo verso il soffitto e rimane con la bocca aperta. «Non sono mai stata all’interno di un castello prima d’ora ed è tutto perfetto. I nostri amici possiamo vederli tutte le volte che vogliamo e poi non sono mai stata un’amante dei grandi festeggiamenti per la notte di San Silvestro. Stare da sola con te per me è stupendo».
Mi rilasso sensibilmente dopo le sue parole, è riuscita a rassicurarmi con il suo splendido sorriso. Poso una mano sulla sua e ne accarezzo il dorso. L’ansia comincia a impadronirsi di me e lo stomaco si chiude. E se facessi la figura del cretino mettendomi in ginocchio davanti a lei? Se rifiutasse? Avevo smesso di pensare a queste cose, ma più il momento fatidico si avvicina, più divento nervoso. Comincio a sudare freddo. Fingo sicurezza e continuo a parlare con lei come se niente fosse, ma dentro di me sto urlando e mi sto agitando come un forsennato. Sono sempre stato piuttosto sicuro di me, ma in questo momento non scommetterei nemmeno un centesimo sul sottoscritto. Faccio fuori un bicchiere di vino in brevissimo tempo. Forse se mi intontisco con l’alcol, avrò più possibilità di non impazzire.
«C’è qualcosa che non va?», chiede lei accigliandosi.
«No, perché?». Le regalo un sorriso tirato e continuo a muovermi come tarantolato. Mi sembra che il peso della scatolina nella mia tasca sia aumentato, nonostante abbia sfilato il cappotto. Infilo una mano per controllare che si trovi ancora lì e mi tranquillizzo un po’. Ci mancherebbe anche che me lo portassero via!
«Non lo so, mi sembri strano. Non è che ti stai prendendo l’influenza?». La sua mano finisce sulla mia fronte, controllandomi la temperatura. «No, sei bello fresco. Non farmi preoccupare».
Farla preoccupare è l’ultima cosa che vorrei, devo per forza darmi una calmata!
«Scusami, vado un attimo al bagno», le dico alzandomi di scatto dalla sedia.
Raggiungo la mia destinazione a grandi falcate ed entro borbottando da solo come un pazzo. Poso entrambe le mani sul lavandino e butto fuori un po’ per volta l’aria che ho incamerato nelle guance. Faccio scorrere l’acqua e riempio le mani, bagnandomi il viso. L’acqua gelata potrebbe farmi rinsavire. Mi guardo allo specchio e mi schiaffeggio da solo.
Ripigliati, cazzo! Devi solo chiederle di sposarti, non devi mica disinnescare una bomba!
Fosse facile!
Un uomo appare alle mie spalle, lo vedo attraverso il riflesso dello specchio.
«Tutto bene?», chiede lui lavandosi le mani poco più in là.
«Abbastanza», rispondo in un sospiro.
«C’è qualcosa che non va?». Lui è gentile, per carità, ma non può andare a farsi un giro da un’altra parte così posso continuare a prendermi a parole e a schiaffi da solo? Ne ho tutto il diritto!
Invece di cacciarlo, mi ritrovo a sfogare con lui le mie ansie.
«Devo chiedere alla mia compagna di sposarmi e me la sto facendo sotto», ammetto sconfitto. Devo sembrare così patetico in questo momento.
«Auguri!», commenta lui sarcastico scoppiando in una risata amara. «Io ho portato mia moglie qui per festeggiare il nostro ventesimo anniversario di matrimonio e da quando siamo arrivati non fa altro che lamentarsi di ogni santissima cosa. Se tornassi indietro non mi sposerei più, questo è certo!».
Bene, ora mi sento decisamente meglio! Ma chi me l’ha fatto fare a sfogarmi con uno perfetto sconosciuto, che non sopporta la moglie per giunta!
«Allora perché si è sposato? Se non sono troppo indiscreto». Ho il diritto ora di sapere.
«È stata lei ad insistere e io non ho saputo dire di no. Sai, era davvero una bella ragazza all’epoca e io ero pazzo di lei. Poi con il tempo lei ha preso trenta chili, è diventata identica a sua madre e non fa altro che brontolare dalla mattina alla sera». La sua espressione disgustata mi fa impressione. Davvero si diventa così dopo tanti anni di matrimonio? I miei non sono mai arrivati a questo punto e sono sposati da molto più tempo di loro. Ho come l’impressione di aver chiesto consiglio alla persona sbagliata.
Sento tirare lo sciacquone e, un attimo dopo, un uomo sulla sessantina fa la sua apparizione accanto a me. Mi scosto per lasciargli il lavandino e lui mi ringrazia con un sorriso.
«Lascia perdere, non ti sposare», ripete ancora una volta il pazzo prima di uscire.
Mi ritrovo a fissare la porta che sbatte alle sue spalle, le sue parole riempiono ancora il grande bagno. Se diventassi come lui, vorrei essere soppresso prima. Dovrò scriverlo nel mio testamento.
«Non badare a quello che ha detto quel tipo. Non sa nemmeno che cosa vuol dire sposare la donna della propria vita, credimi». L’uomo mi sorride attraverso il riflesso dello specchio e ricambio incerto.
«Io sono felicemente sposato da quarant’anni con la stessa bellissima donna che ho conosciuto quando avevo quindici anni. Lo rifarei altre mille volte e non me ne pentirei mai. Tu ami la tua donna? Stai bene con lei? Non riesci a guardare altre donne da quando c’è lei? Ti fa ridere? Ti rende felice? Sono tante domande, lo so, ma se hai risposto affermativamente a tutte, allora sai quello che devi fare. Non hai bisogno di alcun consiglio, men che meno da gente come quello là». Indica la porta con un movimento del pollice. Mi dà una pacca sulla spalla e torna anche lui nella grande sala.
Amo Serena, sto bene con lei, non esiste nessun’altra donna per me, mi fa morire dal ridere, mi rende immensamente felice. Voglio passare il resto dei miei giorni con lei.
Ora sono pronto!
 
***
 
Marco si comporta in maniera davvero strana stasera. In effetti è da Natale che il suo comportamento mi preoccupa parecchio. Non so che cosa gli prenda e mi auguro che non sia niente di brutto. Se avesse voluto lasciarmi, dubito che mi avrebbe fatto tutti questi regali super costosi. Mi ritrovo ad accarezzare il ciondolo a forma di cuore che ho appeso al collo. Non avrebbe dovuto spendere tutti quei soldi per farmi dei regali, non ce n’era bisogno. Mentirei se dicessi che i suoi doni non sono stati graditi, ma a volte mi spaventa un po’ indossarli quando vado in giro. Non sono abituata ad avere dei diamanti al collo e alle orecchie. Mi guardo intorno e tutti i tavoli sono occupati da coppie sorridenti intente a bere e a mangiare gli antipasti che sono appena stati serviti.
Che fine ha fatto Marco? Sarà in bagno da dieci minuti ormai e sto cominciando a preoccuparmi. Sento arrivare un messaggio sul mio cellulare, magari è lui. Controllo, ed è Luca.
“Allora? Dove ti ha portato il tuo pezzo di manzo? Dai, su, non puoi tenerci sulle spine fino al tuo rientro!”.
Sono tutti a casa sua a festeggiare insieme, sarebbe piaciuto anche a me passarlo con loro. Sia chiaro, sono felice di essere qui con Marco, ma non lo so, tutto questo mi sembra fin troppo eccessivo perfino per lui. Non capisco perché mi abbia portato in questo castello meraviglioso, proprio stasera per giunta. Potevano esserci altre occasioni.
“Siamo in un castello e mi sento una principessa questa sera”. Vorrei aggiungere che vorrei essere lì con loro e spupazzarmi Stella che da quando aspetta un bambino da Lorenzo è di un coccoloso oltre ogni immaginazione. Sembra così radiosa, felice e non ho nemmeno mai visto Lorenzo così entusiasta di diventare padre. Sono tanto contenta per loro. Una lacrima rotola lungo la mia guancia, finendo sulla tovaglia immacolata. Perché cavolo sto piangendo ora? Non mi sembra davvero né il luogo né il momento per farlo.
“Wow! Tesoro! Divertitevi e poi ci devi raccontare TUTTO! Ti vogliamo bene”.
Oh, il mio Luca. “Vi voglio un bene immenso anch’io”.
Rimetto il cellulare in borsa ed estraggo lo specchietto per controllare che il mascara non mi coli sul viso. Fortunatamente quella lacrima non ha rovinato il mio trucco.
Devo andare a cercarlo? Proprio mentre stavo pensando di chiamare una squadra di soccorso, lo vedo tornare da me, con un sorriso meraviglioso a illuminargli il volto. Mi bacia le labbra.
«Scusami, non pensavo di trovare la coda in bagno». Si giustifica lui tornando a sedersi di fronte a me.
«Oh, non fa niente, stavo per chiamare uno squadrone di recupero, munito anche di cani da salvataggio». Mi stringo nelle spalle e lui scoppia a ridere. «Per fortuna sei arrivato appena in tempo, stavo già per allertare la protezione civile».
«Sei sempre la solita esagerata», sbotta senza smettere di ridere. Mette una mano sopra la mia e la stringe lievemente.
«Sarò anche esagerata, ma mi stavo preoccupando sul serio, non tornavi più», dico ora tornando seria. «E poi mi sembri strano. Mi stai forse nascondendo qualcosa?».
O la va, o la spacca. Cerco di capire il suo comportamento, di carpire ogni indecisione, ma non sono mai stata brava in questo genere di cose e mi sembra impassibile, il sorriso non abbandona le sue labbra.
«Non ti sto nascondendo assolutamente niente», risponde sicuro di sé.
I camerieri arrivano proprio mentre stavo per sommergerlo con altre domande. Sono certa che mi stia nascondendo qualcosa e prima o poi sarebbe ceduto. Ora, però, non posso più farlo. Che tempismo hanno avuto! Marco non smette di sorridere, io ricambio, cercando di nascondere la mia ansia. Sento che c’è qualcosa che non mi torna, ma non riesco a capire che cosa sia e tutto questo rimuginare mi sta facendo venire il mal di testa. Parliamo, ridiamo, scherziamo fino alle undici e mezza e poi non ne posso più. Ho bisogno di uscire da questa stanza, l’aria si è fatta irrespirabile e sto boccheggiando.
«Ti dispiace se esco un attimo? Il vino mi ha fatto venire un mal di testa tremendo e ho bisogno di aria fresca».
Marco mi guarda con aria preoccupata. «Ti accompagno».
«No, non ti preoccupare, faccio presto». Prendo il mio cappotto, lo indosso al volo e scappo verso l’uscita. Ci sono altre persone all’esterno, intente a fumare e a parlottare tra di loro. Io mi allontano da loro, stringendomi nel mio soprabito e mettendomi in un angolo appartato. Prendo dei respiri profondi e trattengo le lacrime. La neve sta ancora scendendo copiosa, la pace e la tranquillità che emanano quei soffici fiocchi mi fanno singhiozzare. Non so nemmeno io perché sto piangendo, mi sembra di essere una stupida. Il comportamento strano di Marco mi ha messo parecchia agitazione addosso, soprattutto quello di stasera. Prima di sparire nel bagno sembrava teso, nervoso, cercava di nasconderlo e io ho fatto finta di niente. Non lo so, sapere che mi sta nascondendo qualcosa non mi piace affatto. E se avesse incontrato un’altra donna negli ultimi tempi e avesse capito che io non sono poi così importante per lui? Se avesse cambiato idea sulla convivenza solo dopo due mesi? Un nodo alla gola mi opprime, fatico a respirare. E se non mi amasse più?
«Amore, che succede?». La sua voce alle mie spalle mi fa sussultare. Mi asciugo velocemente la traccia delle lacrime dal mio viso.
«Mi ami ancora?», chiedo tremante, fissando un punto imprecisato davanti a me.
«Che cosa stai dicendo?». Mi gira intorno e mi prende il viso tra le mani. «Io ti amo più della mia stessa vita».
Una lacrima si fa strada lungo la mia guancia e lui la asciuga prontamente.
«Allora perché sei così strano? Mi hai tradito con un’altra donna? Ti prego, Marco, sto impazzendo. Io non voglio perderti». Ora le lacrime scendono copiose, non riesco a fermarle.
«Amore mio». Mi avvolge in un abbraccio e mi tiene stretta a sé. «Come potrei tradirti o pensare di lasciarti. Senza di te io non vivrei, sei il mio ossigeno. Lo so, sono stato strano ultimamente e mi scuso tantissimo. Non avrei mai pensato di causarti tutte queste ansie, non avrei mai voluto».
«Allora dimmi che succede, dimmi che cosa c’è che non va, ti supplico». Lo imploro con il viso premuto contro il suo petto.
Il suo cuore sta battendo fortissimo, lo sento agitarsi e, dopo quelli che sembrano minuti interminabili, si stacca da me.
«Avrei voluto aspettare almeno la mezzanotte per farlo, ma non credo che ormai abbia più senso. Rischierei solo di aumentare la tua ansia e anche la mia». Chiude gli occhi e lo vedo deglutire più volte a vuoto. Quando li riapre, rimango senza fiato: c’è una luce nuova, diversa in quelle sue iridi azzurre come il cielo e mi toglie il respiro.
«Serena, tu sei l’amore della mia vita, la mia migliore amica, complice, amante, sei tutto questo per me. Non avrei mai immaginato di innamorarmi perdutamente di te, dopo quello che hai fatto alla mia piccola. Invece mi hai rapito il cuore, mi sei entrata nelle vene, nella testa e rivoluzionato la mia vita. Mi hai reso migliore, mi hai insegnato ad amare e nessuno mai potrebbe prendere il tuo posto nel mio cuore, quello è soltanto tuo, per l’eternità».
Prende un bel respiro e un attimo dopo lo ritrovo ai miei piedi, con un ginocchio nella neve e una scatolina protesa verso di me. La apre e appare un solitario con un diamante a forma di cuore. Mi porto una mano alla bocca e comincio a piangere a dirotto, come una ragazzina.
«Serena, amore mio, vuoi diventare mia moglie?».
La sua proposta arriva inaspettata, la sua voce è rotta dall’emozione e le sue mani stanno tremando visibilmente. Che cosa dovrei fare ora? Una strana euforia mi pervade e cado sulle ginocchia davanti a lui, ora i nostri occhi sono incatenati da una forza invisibile.
«Non voglio altri che te nella mia vita, amore», rispondo buttandogli le braccia al collo e facendolo cadere di schiena sulla neve. Mi ritrovo sopra di lui, le nostre labbra incollate tra loro.
«Era un sì?», domanda incerto.
«Decisamente». Riprendo a baciarlo senza dargli il tempo di reagire.
Rimaniamo stessi sulla neve a lungo, scambiandoci dei baci infuocati. Sussultiamo quando sopra di noi appaiono dei magnifici fuochi d’artificio.
«Buon anno, amore mio», soffia sulle mie labbra.
«Buon anno, Shark».
Delle voci sempre più vicine ci richiamano al mondo reale. Mi tiro su a fatica e offro le mani al mio uomo, che afferra con decisione. Lo aiuto ad alzarsi e, in un attimo, mi ritrovo fra le sue braccia. Una giovane coppia si avvicina a noi e ci squadra con aria interrogativa. Che cavolo vogliono? Non si può nemmeno limonare in pace in mezzo alla neve. Marco li fulmina con lo sguardo e si allontanano immediatamente.
«Incuti terrore». Lo prendo in giro io.
«Oh sì, Flounder, la gente è terrorizzata da me. Sarà questa mia espressione rabbiosa». Ringhia sonoramente e io scoppio a ridere come una pazza.
«Dovresti scappare a gambe levate, non dovresti ridere», commenta Marco pizzicandomi una guancia.
«Non mi fai paura», dico con una certa sicurezza.
«Sbagli a non averne». Si avvicina pericolosamente al mio viso e mi morde il labbro inferiore, per poi succhiarlo e rilasciarlo con uno schiocco.
Gli do una sonora pacca sul sedere. «Sei un villano e pure maleducato».
Mi fingo offesa e lui diventa improvvisamente serio.
«Hai ragione, sono un villano. Sto continuando a fare l’idiota e non ti ho nemmeno infilato l’anello al dito. Come ho potuto dimenticare una cosa del genere?». Si stacca da me quel poco che basta per aprire la scatolina, ma un urlo esce involontariamente dalla mia bocca quando mi rendo conto che è vuota.
«Cazzo!», sbotta Marco completamente nel panico.
«Cerchiamo di rimanere calmi». Provo a dire muovendomi nervosamente sul posto.
«Giusto, hai ragione». Si porta una mano alla fronte e un attimo dopo lo trovo in terra, entrambe le ginocchia affondate nella neve, che sta cercando in quello strato bianco.
Lo raggiungo un attimo dopo e sbatto il ginocchio destro sul cemento sottostante. Trattengo un urlo, che male!
Smuovo la neve con entrambe le mani, sono un pezzo di ghiaccio e sto perdendo la sensibilità alle dita. Non può essere andato perso! Gli sarà costato un occhio della testa e non è ancora riuscito a darmelo. Oh mamma, mi viene nuovamente da piangere.
«Mi dispiace, è tutta colpa mia», riesco a dire tra i singhiozzi.
«Non dirlo nemmeno, non è colpa tua». Mi bacia la fronte e riprende a frugare tra quella neve ghiacciata. «Trovato!».
Lo tiene trionfante tra il pollice e l’indice, il respiro accelerato per la folle ricerca. Afferra la mia mano e la bacia.
«Credo che starà meglio sul tuo dito». Lo infila all’anulare, entra alla perfezione, senza alcuno sforzo.
Lo osservo con gli occhi ancora umidi per le lacrime di frustrazione versate: è semplicemente meraviglioso. Lo colpisco ancora una volta al petto con un leggero pugno.
«Ora basta spendere un patrimonio per me, va bene? Basta, Marco, ti prego». Lo ammonisco con un’occhiataccia.
«Farò il possibile», dice lui con un sorriso.
Si alza da terra e si pulisce i pantaloni. Mi aiuta ad alzarmi e noto del sangue dove sono caduta. Il mio ginocchio sta sanguinando nel punto dove ho sbattuto.
«Amore, dobbiamo andare a medicare quella ferita».
«Non è niente, è solo un graffio». Lo tranquillizzo io con un sorriso.
«Lascia a me giudicare l’entità del trauma, ero un dottore in un’altra vita». Mi strizza l’occhio.
Mi prende per mano e mi trascina all’interno del castello. Si ferma alla reception, si fa dare del cotone, disinfettante e cerotti, portandomi poi quasi di corsa nella nostra stanza. Mi fa sedere sul letto e si inginocchia sul tappeto davanti a me. Mi alza il vestito, con un sorriso malizioso su quelle sue labbra perfette, mi sfila le calze pesanti.
«Se mi volevi spogliare, bastava che me lo dicessi», farfuglio stordita da questa serata folle e inaspettata.
«In effetti non vedevo l’ora di toglierti questo vestito di dosso, ma prima devo disinfettarti questo taglio». Imbeve un batuffolo di cotone con l’alcol e me lo passa sul ginocchio. Stringo i denti, brucia tantissimo. Pulisce bene il taglietto e poi mi mette un cerotto.
«Ecco, ora è tutto a posto». Sfiora le mie gambe con i polpastrelli, lentamente, risalendo fino all’elastico delle mie mutandine di pizzo rosso. «Che ne dici di festeggiare il nostro fidanzamento ufficiale?».
Annuisco inebetita.
Raggiunge il piccolo tavolo e prende una bottiglia di spumante che era nel ghiaccio. Si siede accanto a me sul letto e la stappa, offrendomi il primo sorso. Niente bicchieri, perciò bevo dalla bottiglia. Un po’ di spumante mi cola dalla bocca, ma non faccio in tempo a pulirmi, le labbra di Marco lo fanno al posto mio. La sua lingua scorre lungo il mio collo, sensualmente, chiudo gli occhi, godendomi appieno le sue attenzioni. Gli passo la bottiglia e anche lui ne beve un sorso, prima di poggiarla sul comodino. Contorna la linea della mia mandibola con dei piccoli baci mentre mi abbassa la cerniera del vestito, slacciandomi anche il reggiseno. Con l’altra mano scopre il mio corpo, scendendo immediatamente con la bocca sui miei seni. Lambisce un capezzolo, lo sugge, lo morde lievemente, facendomi impazzire. Riserva lo stesso trattamento anche all’altro, mentre la mia mano si infila all’interno dei suoi pantaloni, dopo averli slacciati. Il suo membro pulsa di desiderio e io mi sento letteralmente in fiamme. Le sue dita scendono a sfiorare la mia intimità, la sua lingua sta ancora torturando i miei seni. Mi ritrovo ad ansimare sotto al suo tocco delicato e non capisco più niente. Mi lascio andare sul materasso e lo trascino sopra di me. Le nostre labbra si cercano avide di baci, le nostre lingue danzano fameliche. Gli slaccio la camicia e gliela sfilo, dopo aver lanciato via la giacca del completo. Si scosta per levarsi i pantaloni, li lancia sul pavimento, assieme ai boxer. Si fa rimirare per alcuni secondi, prima di adagiarsi nuovamente sopra di me e penetrarmi con decisione. Stringo le coperte tra le dita mentre si muove rapido, facendomi gemere ad ogni colpo. La sua bocca e la sua lingua non mi danno tregua, mi lascio torturare da loro con moltissimo piacere. È sempre spettacolare fare l’amore con lui, ma stasera sembra diverso dal solito, sembra esserci una nuova passione, che mi inebria e mi toglie il respiro. Esce da me lasciandomi insoddisfatta e torna a sfiorare il mio corpo con le labbra, la sua lingua crea dei disegni invisibili sulla mia pelle, che brucia ad ogni suo tocco. Le mie cosce si allargano, bramando ancora di sentirlo dentro di me. Mi sta torturando, ne voglio ancora. Ruota sul materasso, trascinandomi sopra di sé. I nostri occhi si cercano, leggo un desiderio indescrivibile nei suoi. Mi siedo su di lui, è meraviglioso sentirlo ancora in me. Le sue mani cercano i miei seni, le mie accarezzano lentamente il suo petto. Chiude gli occhi e lascia che sia io a prendere in mano la situazione. Cerco le sue labbra e mi sfamo di loro. Gli sussurro un ti amo, continuando a muovermi. Raggiungiamo l’apice del piacere nello stesso momento, perdendomi un istante dopo nei suoi occhi. Mi scosta una ciocca di capelli, baciandomi poi le labbra.
Sembra prendere un bel respiro e, all’improvviso, dice tutto d’uno fiato: «Facciamo un bambino».
Apro la bocca per lo stupore, non esce alcun suono. Forse è il troppo vino a parlare per lui.
***Note dell'autrice***

Serena era andata completamente nel panico... credeva che Marco le nascondesse qualcosa. Beh, in effetti qualcosa le stava nascondendo davvero, ma non era esattamente quello che credeva lei. Ovviamente non poteva dire di no a quella proposta. Vi è piaciuto come è accaduto il tutto? Anche Marco era totalmente in crisi e si è sfogato con l'uomo sbagliato lol. Per fortuna che l'altro signore è andato in suo soccorso! E dell'uscita finale di Marco che cosa dite? Alla fine le ha detto quello che gli passata per la testa da un po'. Come credete la possa aver presa Serena? A martedì prossimo per avere queste risposte lol :*
Una valanga di grazie a tutti voi che leggete, commentate e passate ♥ vi adoro ♥
Un bacione, Ire ♥

Ho scritto un secondo capitolo interamente su Luca, lo trovate qui se avete voglia di leggerlo :)
Ansia da Natale



Se volete passare a trovarmi
Bijouttina & i suoi vaneggiamenti

 

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Capitolo 29
*** Decisione importante ***


 



29. Decisione importante
 
«Facciamo un bambino».
Sto raccontando della proposta di Marco ai miei migliori amici, durante il nostro immancabile venerdì a casa di Luca. Tutti e tre mi stanno fissando con la bocca spalancata. Stella, senza rendersene conto, sfiora il suo ventre rotondo, dove sta crescendo la sua bambina. Ora conosciamo anche il sesso di quel fagiolino e siamo stati tutti felicissimi per lei quando abbiamo visto la foto in 3D dell’ecografia.
È Luca a riprendersi per primo dallo shock. «Vorresti dirmi che Marco ti ha chiesto di fare un figlio con lui?».
Vorrei fare una battutaccia, dicendo che sicuramente non vorrebbe che lo facessi con un altro uomo, ma mi trattengo, non mi sembra il caso.
«Sì», confermo stringendomi nelle spalle.
«E tu che cosa gli hai risposto?». Stavolta è Marica ad aprire bocca. La vedo più serena ultimamente. Sta dando una seconda occasione a Michele, sta andando con i piedi di piombo stavolta e lui sembra essere davvero pentito di averla fatta soffrire. Lo spero vivamente per lui, altrimenti partirà una spedizione punitiva, e i suoi gioielli di famiglia faranno una brutta fine.
«Che cosa volete che gli abbia risposto!». Mi copro gli occhi con una mano e sbuffo.
Non sono riuscita a dare una risposta quella sera a Marco, ero troppo sconvolta. Lui mi aveva sorriso e si era scusato per la sua solita irruenza, non pensava mai prima di dare aria alla bocca. Era dispiaciuto per avermi messo in difficoltà, ma mi aveva confermato la sua volontà di voler diventare padre, era da un po’ che ci stava pensando. Aveva, però, paura di rendermi partecipe dei suoi pensieri, credeva non fossi pronta. Beh, aveva perfettamente ragione: non ero pronta ad affrontare un discorso così complicato. Un figlio? Non credevo lui desiderasse averne uno così in fretta. Okay, forse qualche avvisaglia l’avevo avuta, ma lui si giustificava dicendo che era solo uno scherzo. Io non so se sono pronta a fare questo passo. Già il matrimonio sembra una cosa assurda! Sta succedendo tutto così in fretta, che i miei neuroni si sono surriscaldati e non riesco più a ragionare come dovrei. È abbastanza preoccupante.
«Oh, Sere! Lo farai morire di crepacuore prima o poi!», sbotta Luca scuotendo la testa.
«Gli hai detto che ci avresti pensato?», si intromette Stella.
«No, è stato lui a dirmi che avrebbe aspettato una risposta quando sarei stata pronta», rispondo appoggiando la testa sul cuscino del divano.
«Quell’uomo lo faranno santo prima o poi. Secondo me gli hanno già eretto una statua in mezzo ai vigneti. A volte mi domando quanta pazienza possa ancora avere. Io l’avrei già consumata tutta se fossi stato il tuo ragazzo». Il mio migliore amico si sistema meglio sul suo cuscino e gesticola animatamente.
«Lasciala stare, Luca! Non lo vedi com’è pallida?». Stella si siede accanto a me e mi avvolge le spalle con un braccio, baciandomi una tempia. «Non dargli ascolto, tesoro mio. Lui non sa che cosa voglia dire avere un figlio. Non sono decisioni semplici da prendere. Guarda me, io non ho nemmeno avuto la possibilità di scegliere, è capitato e basta».
«Ma tu ami Lorenzo», mugugno stringendomi a lei e posando delicatamente la mano sul suo ventre. Qui dentro sta crescendo la mia nipotina e so per certo che la vizierò tantissimo non appena nascerà.
«E tu ami Marco, o hai per caso qualche dubbio? Mi sembra che quel pezzo di lampadario che hai al dito voglia dire che tu abbia accettato la sua proposta di matrimonio, che oltretutto hai rischiato di rovinare per colpa delle tue assurde paturnie!». Luca non me ne sta facendo passare una liscia stasera. Forse merito di essere trattata come una pezza da piedi per la mia immensa stupidità.
«Certo che lo ama! Smettila di parlarle con quel tono da saccentone». Stella lo minaccia puntandogli un dito contro. Mi accarezza un braccio, infondendomi un po’ di serenità.
«È vero, amo Lorenzo, ma quando abbiamo concepito nostra figlia non eravamo ancora innamorati e non avevamo programmato questa gravidanza. La tua situazione è completamente diversa, non puoi paragonarti a noi. Marco ti ha chiesto di sposarlo e ha espresso il desiderio di paternità. Devi anche capirlo, a trentasei anni magari comincia a sentirsi vecchio per queste cose».
«Lo credi davvero?», mormoro lasciandomi cullare dalla mia amica.
«Avere un figlio a vent’anni non è lo stesso che averlo a quaranta. Per carità, è più problematico per una donna più si va su con l’età, ma credo che anche l’uomo abbia paura di sembrare il nonno più che il padre del bambino», continua Stella con dolcezza.
«Secondo me ha perfettamente ragione», commenta Marica. «Correre dietro a un bambino quando si ha cinquant’anni suonati deve essere parecchio faticoso».
«Quindi, secondo voi, dovrei dirgli che sono d’accordo?», domando incrociando lo sguardo di Luca.
«Ascolta, tesoro, noi non possiamo dirti che cosa dovresti fare. Solo tu puoi saperlo e sono certo che non dirai di sì al tuo uomo solo per accontentare un suo capriccio, lo faresti perché anche tu lo vuoi», dice il mio migliore amico ormai più tranquillo.
Mille domande scorrono vorticose nella mia testa, una miriade di dubbi e altrettante perplessità. Non so se sono pronta a diventare madre, non so se ne sono capace. Chiudo gli occhi e butto fuori un po’ per volta l’aria che ho incamerato nelle guance.
«Davvero vuoi aspettare che nasca la bambina prima di sposarti?», chiede Stella facendomi tornare alla realtà.
«Certo che sì. Come ti ho già detto e ribadito ho bisogno anche di te per organizzare tutto e ti voglio in forma. Lasci la bimba a Lorenzo e segui me nei preparativi», rispondo sicura di me.
«Saremo una squadra imbattibile», aggiunge Luca. «Altro che quegli sfigati di wedding planner che si vedono ogni tanto alla televisione!». Una smorfia disgustata appare sul suo volto e noi ragazze scoppiamo immediatamente a ridere.
«Sono felice di farvi divertire tanto, tesorine mie». Ci mostra la lingua, unendosi poi alle nostre risate. «A parte gli scherzi, organizzeremo dei matrimoni da favola per voi donzelle».
«Perché stai parlando al plurale?», domanda Stella perplessa.
Luca la guarda e indica il pancione con un cenno della mano. «Hai intenzione di crescere quella povera bambina senza sposare il padre?».
«Beh, non è obbligatorio sposarsi», risponde Marica andando in soccorso alla nostra amica che sta ancora osservando Luca con un’espressione sconvolta.
«Però sarebbe tutelata. Sempre meglio avere quel contratto firmato per non avere problemi», continua il nostro amico a difesa della sua tesi.
Ammetto che non ha tutti i torti: è sempre meglio essere sposati, soprattutto quando ci sono di mezzo dei figli. Da questo punto di vista, la penso ancora all’antica, anche se spesso si fanno prima dei bambini e poi ci si sposa.
«Lorenzo ed io non abbiamo mai parlato di matrimonio e non penso che lo faremo a breve. Un passo alla volta. Sono solo al quarto mese di gravidanza, ne ho altri cinque davanti e poi vedremo come andrà. Magari mi vedrà grassa come una balena e non vorrà più stare con me perché gli farò schifo». Dette queste parole, Stella scoppia in lacrime, in preda agli ormoni.
Stavolta sono io ad avvolgerla in un abbraccio e a cullarla. «Non dire scemenze, quell’uomo ti adora e non ti abbandonerebbe mai. E poi è già innamorato perso della vostra bambina e non è nemmeno ancora nata».
«Lo pensi davvero?», chiede lei pulendosi il naso sulla manica del maglione azzurro.
«Serena ha ragione, Lorenzo è pazzo di te. Smettila di dire che sei grassa e cazzate del genere. A lui piaci così, altrimenti non sarebbe mai venuto con te, non credi?». Luca si alza dal divano e si inginocchia davanti a lei sul tappeto, prendendole una mano e tenendola stretta nelle sue. «Sei una donna meravigliosa ed era ora che qualcuno se ne accorgesse. E almeno uno di noi due ha scoperto come bacia quel gnoccolone».
Stella scoppia a ridere davanti alla faccia da schiaffi del nostro migliore amico. Gli butta le braccia al collo e gli posa un bacio con lo schiocco sulla guancia.
«Ti adoro», gli sussurra stringendosi forte a lui. «Vi adoro tutti, senza di voi non saprei proprio che cosa fare».
Si stacca da Luca e bacia anche Marica, lasciando me per ultima, prende la mia mano e la tiene fra le sue. Sono io a baciare la sua guancia, dove le lacrime versate hanno lasciato la traccia del sale.
«E noi adoriamo voi», dico sfiorando il ventre della mia amica.
A quel contatto, mi ritrovo a sfiorare anche il mio, inconsapevolmente. Stella mi sorride.
«Saresti una mamma meravigliosa», mormora con gli occhi lucidi.
«Io, io non lo so. Non credo di poter essere una buona madre, non so se ne sono capace», borbotto sospirando sonoramente.
«Mettiti in testa una cosa», comincia Luca ritornando a sedersi accanto a me, Marica ne approfitta per prendere il suo posto sul tappeto. È bello essere tutti così vicini.
«Nessuno sa come si fa la madre. Magari alcune donne hanno un istinto materno più accentuato di altre, ma è normale avere paura. Credi che Stella non abbia paura?».
«Sono terrorizzata, ma allo stesso tempo sono felicissima di donare la vita a questa principessina. Lorenzo le parla in continuazione, è già innamorato perso di nostra figlia. Lui che non aveva nemmeno mai lontanamente considerato l’idea di diventare padre un giorno. Nemmeno padri si nasce e molti uomini scappano alla prima occasione, dicendo che non sono pronti a fare questo passo. Lui è rimasto e lo amo sempre di più. Marco desidera diventare padre e ti ha espresso questo suo desiderio, lasciandoti il tempo necessario per pensarci. È stato onesto, non ti obbliga a diventare madre se non te la senti, rimarrebbe comunque al tuo fianco perché innamorato di te».
«Ma gli mancherebbe sempre qualcosa», aggiungo sovrappensiero.
«Se ne farebbe una ragione», commenta Marica. «Non ti lascerebbe per questo motivo, ne sono certa».
Non lo so, anch’io credo che non mi lascerebbe mai, ma rimarrebbe insoddisfatto e io non voglio che questo accada. Mi vengono in mente tutti i momenti trascorsi con i nipoti di Marco, ogni attimo passato con il mio piccolo Daniele e mi vengono le lacrime agli occhi. Amo quel bambino e lui adora me, mi sento bene quando sto con lui e ho visto come gli occhi del mio uomo brillano quando passa del tempo con suo nipote. Forse è stato merito di Daniele se a Marco è uscito l’istinto paterno, o almeno credo. Probabilmente è vero che non voglia essere troppo vecchio per crescere un figlio, nemmeno io vorrei essere una madre tardona.
Madre
Questa parola continua a risuonare nella mia testa, facendo impazzire ulteriormente i miei pochi neuroni ancora funzionanti. Rivedo il sorriso solare di Daniele e quello meraviglioso del mio uomo, immagino che quel bambino possa essere il nostro e mi si inumidiscono gli occhi. Dare la vita a qualcuno deve essere una cosa stupenda, se poi quella vita è frutto dell’amore tra due persone deve essere ancora più magico. Riesco ad immaginarmi con il pancione, mentre Marco sussurra parole dolci al mio ventre, come vedo sempre fare Lorenzo con Stella. Vedo degli occhi azzurri identici a quelli di Marco in un esserino che un attimo dopo dorme pacifico tra le mie braccia, riesco a vedere la gioia negli occhi del mio uomo, una gioia difficile da descrivere a parole. E se fossi davvero pronta a compiere questo passo, nonostante le mie mille insicurezze che non mi abbandoneranno mai nemmeno quando sarà rincretinita, rinsecchita e senza denti?
«Credo che andrò a casa ora», farfuglio ancora stordita da quel flusso di pensieri.
Tutti e tre mi guardano come se avessi appena detto una cosa senza senso. Come dar loro torto, devo sembrare completamente fuori di testa stasera.
«Come mai?», chiede Stella aggrottando la fronte.
«Devo parlare con Marco, devo farlo immediatamente», rispondo con lo sguardo perso nel vuoto.
«Ti accompagno io, così mi riporto a casa il mio uomo», dice Luca alzandosi dal divano e offrendomi le mani che afferro prontamente.
«Porta qui anche il mio». Stella si mette più comoda sul divano e si massaggia il ventre con dolcezza. «La principessa mi ha tolto tutte le energie e ho sonno». Chiude gli occhi e un attimo dopo si addormenta.
Come cavolo ha fatto a collassare tanto in fretta? È sorprendente.
«Resto qui io finché non tornate, state tranquilli». Ci rassicura Marica prendendo una copertina da sotto il tavolino e coprendo Stella. Sembra così tranquilla e rilassata.
Ci imbacucchiamo per uscire al freddo e al gelo, salutiamo la nostra amica e ci incamminiamo mano nella mano. L’aria pungente mi fa lacrimare gli occhi, affondo il naso nella sciarpa di lana e cerco di scaldarmi un po’. Luca rompe il silenzio dopo un attimo.
«Hai deciso che cosa fare, tesoro mio?», chiede in un sussurro.
«Non sono ancora sicura, per questo voglio parlare apertamente con lui». Sto per aggiungere altro, ma le parole mi muoiono in gola quando vedo l’uomo che appare sulla strada davanti a noi.
Porta le mani avanti ancora prima che possa mettermi ad urlare.
«Sono qui in pace, ti volevo solo chiedere scusa», comincia Massimo con l’aria afflitta.
«Lei non vuole parlare con te». Luca mi passa un braccio lungo la schiena e mi attira a sé, evitando che lui si possa ulteriormente avvicinare.
«Due minuti soltanto, poi non ti disturberò più, te lo prometto». Mi sta implorando con lo sguardo e io non so che cosa fare. Sono mesi che non si fa vivo e non capisco perché lo stia facendo proprio ora. La mia curiosità ha la meglio.à
«Hai cinque secondi per dirmi che cazzo ci fai qua, poi non ne vorrò più sapere di te». Forse sono stata fin troppo dura, ma dopo quello che mi ha fatto passare credo di potermelo permettere.
«Lo giuro su me stesso». Si porta una mano sul cuore e si avvicina di un passo.
Luca aumenta la stretta, lo sguardo minaccioso fisso su Massimo.
«Le lancette continuano a muoversi, tic tac». Gli faccio notare mettendogli ancora più pressione.
«Mia madre mi ha detto che ti sei fidanzata, è vero?».
Alzo la mano e gli faccio vedere il solitario che brilla al mio anulare, non ho voglia di rispondere a parole, non ho niente da dire, non sono affari che lo riguardano.
Lui affonda le mani nelle tasche e si stringe nelle spalle.
«Ti auguro tutta la felicità possibile». Mi regala un sorriso e sembra perfino sincero. «Scusami ancora di tutto».
Mi saluta con la mano e sparisce nella via accanto, un attimo dopo lo vedo sfrecciare sulla sua auto rossa fiammante.
«Gli hanno fatto il lavaggio del cervello?», sbotta Luca sorpreso.
«Non ne ho idea e non mi interessa. Spero che questa sia l’ultima volta che me lo trovo davanti. Andiamo dai nostri uomini». Faccio scivolare la mia mano nella sua e raggiungiamo in silenzio il mio appartamento. Ora più che mai ho bisogno di parlare con Marco.
 
 
***
 
«Sei un coglione!».
È questo il commento di Lorenzo quando racconto ai miei amici quello che è successo dopo la mia proposta di matrimonio a Serena.
«Ma ti rendi conto di quello che hai fatto? Un figlio? Ma ti sembrava il momento di chiederglielo? Dopo una scopata? Ti sei per caso rincoglionito?». Il mio migliore amico continua a scuotere la testa e a giocare con le fiches sopra il tavolo.
«Ero troppo felice e mi è scappato. Era da tempo che volevo proporglielo e».
Finisce lui la frase al posto mio: «E l’orgasmo ti ha dato alla testa, facendoti uscire con quella sparata fuori luogo».
«Se proprio vuoi metterla in questo modo», borbotto infastidito.
«Sai almeno a quello che andrai incontro? La tua donna lieviterà, diventerà sempre più acida. Una volta nato il frugoletto ci saranno poppate, pannolini nauseanti da cambiare, notti insonni e, soprattutto, niente più sesso!», continua lui infondendomi una voglia esagerata di prenderlo a sberle.
«Non per essere il rompi palle di turno, ma senti da che pulpito arrivano queste perle di grande stile!». È Alex a parlare. Luca l’ha cacciato di casa perché non poteva rimanere insieme alle sue ragazze, e io l’ho accolto più che volentieri qui per la nostra seratina del poker. Alex è un uomo in gamba, non ha peli sulla lingua e in questo momento lo sto quasi amando – non letteralmente sia chiaro.
«Quello che non voleva lasciare la sua donna con gli amici per non doversi separare da lei e dalla sua principessa». Gli fa notare incrociando le braccia la petto, un sorriso beffardo appare sulle sue labbra.
«Nessuno deve toccare la mia principessa», brontola Lorenzo punto sul vivo.
«Ecco, appunto». Alex guarda me e poi Paolo, segnando il nostro amico con il palmo della mano sollevato all’insù. «Come volevasi dimostrare».
Giorgio questa sera ci ha dato buca, aveva promesso a Lara di portarla fuori a cena per il loro anniversario che capitava giusto stasera. Alla fine Serena aveva ragione: anche loro stanno aspettando un figlio. Poi mi chiedono come mai mi sia venuta voglia di diventare padre! Due dei miei migliori amici lo saranno fra qualche mese e sarebbe meraviglioso che i nostri figli potessero crescere insieme.
Mi abbandono sulla sedia, con le gambe larghe e le braccia ciondolanti lungo i fianchi.
«Però su una cosa hai ragione». Mi rivolgo a Lorenzo, il quale mi guarda inarcando un sopracciglio. «Forse non è stato il momento perfetto».
La mia ammissione di colpa fa allargare le braccia al mio amico e sorridere soddisfatto. «Qui ti volevo!».
«Volevo aspettare il momento adatto e, invece, ho mandato tutto a puttane come al solito». Stasera sembro una pentola di fagioli, non faccio altro che borbottare. Sono passati nove giorni da quella sera e con Serena non ne abbiamo più parlato. Le ho detto di prendersi tutto il tempo che voleva per pensarci, ma questa attesa mi sta logorando. Credo di aver fatto davvero una cazzata. Le avevo appena chiesto di sposarmi, era scombussolata già di suo per quello e le chiedo perfino di fare un figlio! Chissà che cosa avrà pensato di me, probabilmente che il vino bevuto mi aveva dato alla testa e che stavo vaneggiando. Come si può essere tanto stupidi?
«Non essere così duro con te stesso». Mi ammonisce Paolo prima di dare un sorso alla nuova birra appena stappata. «Ormai Serena dovrebbe essere abituata ai tuoi exploit, non ci avrà nemmeno fatto più di tanto caso».
«Oh, ci ha fatto caso eccome». Si intromette Alex nel discorso. «Ho sentito Luca parlarle al telefono e stavano discutendo proprio di questo, o almeno credo. Mi ha chiuso la porta in faccia quando si è accorto che stavo origliando».
«Perché ti ha chiuso la porta in faccia?», chiede Paolo perplesso.
«Non gli piace quando ascolto le telefonate che si scambia con la sua donna», risponde indicandomi con un cenno del capo e un sorriso sghembo sulle labbra. «Se non fossi sicuro di quello che prova per me, potrei anche essere geloso di lei».
«Quei due hanno un rapporto unico che noi non capiremo mai», ammetto sprofondando ancora di più sulla sedia. «Se ti può consolare, spesso sono geloso anch’io anche se a lei dico di non esserlo. Meglio non litigare anche su questo argomento».
«Proprio no!», sbotta in una fragorosa risata. «Non ci impiegherebbero molto a darci il bel servito. Meglio stare tranquilli e lasciarli fare, non abbiamo niente di cui preoccuparci».
Alex mi strizza l’occhio e poi concentra la sua attenzione su Lorenzo.
«Senti un po’, tu». L’uomo incrocia le braccia al petto e lo osserva con sguardo attento.
Il mio migliore amico si muove nervosamente sulla sedia aspettando che prosegua.
«Luca mi ha parlato della scommessa della sera in cui ci siamo conosciuti», comincia senza cambiare espressione, Lorenzo, invece, cambia colore in viso. «Avresti davvero permesso che ti baciasse?».
Lorenzo fa una smorfia disgustata. «Non ho niente contro il tuo uomo, sia chiaro, ma piuttosto di farmi baciare da lui mi sarei tagliato l’uccello».
«Addirittura?», sbotto sistemandomi decentemente sulla sedia e avvicinandomi di più al mio amico.
«Ma avete idea dell’assurdità della cosa? Io baciare un uomo? Ma per carità!». Rabbrividisce e tira fuori la lingua.
«Meglio così, altrimenti te lo avrei tagliato io se ti fossi avvicinato al mio uomo», commenta Alex cercando disperatamente di rimanere serio.
«Senza offesa, ma non sono mai stato interessato a lui o a nessun altro uomo sulla faccia della terra».
«Nessuna offesa». Lo rassicura. «Posso stare tranquillo allora».
«Tranquillissimo, guarda. Ho la mia Stella e mi basta». Lorenzo beve un lungo sorso della sua birra per riprendersi da questo discorso parecchio spiacevole per lui. Io mi sono divertito tantissimo a vederlo in difficoltà e mi sento meno giù di morale. Ringrazio Alex con un cenno del capo, lui ricambia, sorseggiando un po’ di quel liquido ambrato che c’è ancora nella sua bottiglia.
Paolo continua a guardare Alex con uno sguardo strano. Che diavolo gli sta passando per la testa?
«Ma i tuoi genitori non hanno detto niente quando hai confessato di essere gay?», domanda dopo un attimo di esitazione.
Mi batto la mano sulla fronte. Come cazzo fa a saltare fuori con queste domande fuori luogo e strettamente personali?
Alex si stringe nelle spalle e gli sorride. «All’inizio mi hanno guardato come se stessi scherzando, ma quando hanno capito che stavo facendo sul serio sono stati felici per me».
«Ah, capisco», dice il mio amico ancora concentrato e curioso di sapere altro. Lorenzo ed io ci scambiamo un’occhiata eloquente.
«Ma non sei mai andato con una donna?», continua lui imperterrito.
Alex scuote la testa. «No, mai».
«E come fai a sapere che non ti piace?». Oh mamma! Mi sto vergognando io per lui.
«Tu sei mai andato con un uomo?», gli chiede lui con un sorrisetto furbo.
Paolo risponde con una smorfia.
«Come fai a sapere che non ti piace se non hai mai provato?». Alex è un grande, non c’è niente da dire.
«Okay, abbiamo capito. Discorso terminato». Mi intrometto io alzandomi dalla sedia e andando a recuperare altre birre nel frigo. Ne abbiamo tutti un disperato bisogno. Diablo mi segue speranzoso e curiosa dentro al frigo, saltando sopra il pianale della cucina. Adocchia un pezzo di prosciutto cotto destinato a lui e comincia a miagolare disperato, come se da quel pezzo di carne dipendesse la sua intera esistenza.
«Sì, ho capito, ora te lo do. Gatto viziato e ciccione che non sei altro!», esclamo afferrandolo per la pancia e mettendolo a terra. Ingoia soddisfatto il pezzo di prosciutto, lo manda giù intero come se non avesse consistenza. Ne avrà sentito almeno il sapore? Ne dubito fortemente.
«Socio?». Lorenzo appare accanto a me e si appoggia con la schiena al lavello.
«Che c’è?». È stranamente serio e la cosa mi spaventa un po’.
«Hai fatto bene a dirlo a Serena, nonostante il pessimo tempismo. Se diventare padre per te è importante, era giusto che lei lo sapesse. Probabilmente se non aspettassi una figlia, non ti avrei mai detto una cosa del genere. Avrei detto che eri un coglione, che avresti dovuto spassartela finché eri in tempo, ma ora non posso più farlo. Non dopo aver sentito il cuore di mia figlia battere e aver visto la sua foto. Lo so, sembro un cretino, ma non mi importa: amo mia figlia e amo la mia donna. Conta sempre su di me, socio, per qualsiasi cosa». Mi stringe la spalla, lasciandomi nuovamente solo in cucina, con Diablo che mi osserva con la speranza che piova qualche altro pezzo di prosciutto dal cielo.
Ho decisamente voglia di diventare padre e ho deciso che stasera ne parlerò con Serena. Un discorso sensato e non un’uscita fuori luogo dopo aver fatto l’amore, lei lo merita e io ho bisogno di sapere che cosa pensa davvero. E se andassi adesso? Ho bisogno di parlare con lei subito, ora che ho trovato un po’ di coraggio. Raggiungo la camera, indosso il cappotto pesante e la sciarpa e mi presento in sala tutto imbacuccato.
«Dove stai andando? In Siberia?». Mi prende in giro Lorenzo. Sto per rispondere acidamente, ma lui mi blocca con un cenno della mano. «Vai, corri, teniamo d’occhio noi Diablo».
Lo ringrazio silenziosamente e mi precipito fuori casa. Appena svoltato l’angolo mi scontro con Serena.
«Amore mio», balbetto frastornato.
«Dobbiamo parlare», dice lei. La vedo arrossire nonostante la fioca luce proveniente dal lampione sopra la nostra testa.
«Vi lascio soli, raggiungo il mio uomo». Luca ci sorpassa e va verso casa nostra.
Le prendo entrambe le mani e mi perdo in quei suoi occhi così verdi e profondi da farmi innamorare nuovamente di lei ogni volta che li guardo.
«Mi dispiace tanto, piccola. Non avrei dovuto dirti quella cosa e, soprattutto non in quel momento. Non so perché l’ho fatto, o meglio lo so anche fin troppo bene». Parlo tutto d’un fiato e mi manca il respiro, devo fermarmi e riprendere l’utilizzo dei miei polmoni.
«Marco, io». Le tappo la bocca con la mia.
«Ti prego, lasciami finire». La supplico con lo sguardo e lei annuisce.
«Ero così felice che tu avessi accettato di diventare mia moglie, che l’euforia mi ha dato alla testa. Era da un po’ che pensavo al desiderio di diventare padre, ma stavo aspettando l’occasione giusta per parlarne con te, aspettavo che tu fossi pronta. Invece ho rovinato tutto, uscendo con quella frase infelice e mettendoti a disagio. Prima o poi questa mia boccaccia ti farà allontanare da me e questa cosa mi spaventa a morte».
Stavolta è lei a zittirmi con un bacio.
«Shhh», sussurra con le labbra premute sulle mie. «Sono pronta, amore. Voglio avere un figlio con te, se non hai già cambiato idea».
Mi gira la testa. Ha davvero detto di essere pronta?
«Ho sentito bene?», farfuglio mettendole le mani sui fianchi e attirandola a me.
«Spero di sì. Ti amo, non vedo l’ora di diventare tua moglie e da stasera cominceremo a darci dentro per allargare la nostra famiglia», mormora insinuando le dita di una mano tra i miei capelli e accarezzandomi dolcemente la nuca.
In questo momento vorrei mettermi a gridare per la contentezza! La gioia di questa sua decisione mi sta facendo battere il cuore all’impazzata e se non sto attento mi sfonderà il petto.
«Non so che dire». Stavolta sono io completamente senza parole e capita davvero raramente.
«Non dire niente, baciami soltanto». Esaudisco il suo desiderio, fondendo le nostre labbra. Ci baciamo per attimi interminabili qui sul marciapiede, finché lei non comincia a tremare per il freddo.
«Ti porto a casa, amore. Stai gelando qui fuori». Avvolgo un braccio lungo le sue spalle e la attiro a me. Le bacio la tempia prima di incamminarci. Svoltiamo l’angolo e apro il cancellino.
«Ehm, prima ho incontrato Massimo». Mi lancia la bomba e io per poco non inciampo sui miei stessi piedi.
«Che cosa?!», sbotto parecchio infastidito da questa confessione.
«Non ti preoccupare, Luca era con me e mi ha protetta lui. Mi ha chiesto scusa e voleva la conferma che mi fossi davvero fidanzata», mi racconta entrando nell’atrio del palazzo.
«Che cazzo gliene frega a lui?!». Odio quell’uomo profondamente, non posso farci niente! Ha osato mettere le mani addosso alla mia donna e io non ho nessuna intenzione di perdonarlo per quello che ha fatto, nemmeno in un’altra vita.
«Mia mamma deve averlo detto alla sua durante una delle loro solite riunioni di creme. Sai come sono fatte, non riescono a tenere la bocca chiusa e poi mia mamma era così felice quando le ho detto che mi avevi dato l’anello», mi dice con un piede sul primo gradino.
Adesso fa i salti di gioia perché la figlia sta per sposarsi, ma certamente non ho dimenticato il nostro primo incontro e come non mi sopportava. Al solo pensiero che volesse addirittura accasarla con quel coglione di Massimo mi sale l’istinto omicida. Per carità, da allora mi ha accolto più che bene nella loro famiglia e non mi ha mai trattato male, però quei ricordi ogni tanto tornano a galla e non mi piacciono per niente.
«Anche la mia l’ha detto al mondo intero e sta già pensando a come sistemare la tenuta per celebrare lì il nostro matrimonio. Io le ho detto chiaro e tondo che avremmo deciso noi due come, dove e quando sposarci, ma ha fatto finta di non sentirmi. Che cosa dovrei fare con lei?». Ho allontanato volontariamente l’attenzione da quel viscido di Massimo, non ho più voglia di parlare di lui, non voglio che rovini questa serata speciale, soprattutto non voglio che si metta nuovamente in mezzo.
«Lasciala fare, amore. Se a lei fa piacere, ci sposeremo lì. Io non ho alcun minimo problema. Adoro la tenuta dei tuoi e secondo me verrebbe un matrimonio da favola. Forse fin troppo eccessivo per me e te che amiamo le cose semplici». Torna nuovamente davanti all’ingresso e mi circonda il collo con le braccia. «Non importa dove avverrà, l’importante è che ci sarai tu ad attendermi all’altare».
«Sarò sicuramente nel posto giusto, ad ammirarti mentre mi raggiungi lentamente nel tuo vestito bianco», commento sfiorandole le labbra con le mie.
«E se volessi vestirmi di rosso?», ipotizza lei sorridendo.
«Non sarebbe da te», rispondo con assoluta certezza.
«Hai ragione, non sarebbe da me», commenta strofinando il suo naso contro il mio. «Non mi lascerai a poche ore dal grande passo, vero?».
La stringo di più a me, non passerebbe nemmeno uno spillo tra i nostri due corpi. «Stavo pensando di lasciarti sull’altare, per dare un po’ di spettacolo e uscire in bellezza».
«Avresti il coraggio di farlo davvero?». Inarca un sopracciglio e un angolo della bocca si solleva all’insù. «Lo sai che, facendo una cosa del genere, alle nostre madri verrebbe certamente un infarto? Sei sicuro di farcela ad averle sulla coscienza poi?».
«Mmm, sai che non lo so?». Mi fingo titubante e pensieroso. «No, credo che non potrei mai farlo. Voglio vedere il tuo sorriso illuminare la chiesa al tuo ingresso, voglio vedere i tuoi occhi brillare quando incontreranno i miei. Di una cosa sono certo: l’infarto verrà a me quando ti vedrò quel giorno. Sarai talmente bella che continuerò a guardarti, con il cuore che batterà a mille e le mani sudaticce per l’ansia. Sarò io terrorizzato all’idea che tu possa cambiare idea e lasciarmi ad un passo dall’altare, come il peggiore dei cretini».
«È la cosa più crudele che si possa mai fare. Non so come ci riescano. Se non ami più una persona, lasciala prima, ma non quel giorno. Io ne morirei». Si incupisce e io non sopporto quando accade.
«Non sarà di certo il nostro problema. Quel giorno sarà tutto perfetto e diventerai mia moglie e io sono emozionato già ora all’idea. Potrò chiamarti signora Rossini e al solo pensiero il mio cuore sta danzando». Le prendo una mano e me la porto al petto.
Lei torna a sorridere e mi regala un bacio dolcissimo.
«Mi piace come suona», commenta a fior di labbra.
Non so ancora quando sarà quel giorno, ma sarà certamente uno dei più belli di tutta la mia vita. Quante cose sono cambiate in pochi mesi. Io che ero allergico alle relazioni fisse, alla parola matrimonio, sto pensando a come sarà meraviglioso mettere la fede al dito alla donna che mi ha rubato il cuore. Io, che ero terrorizzato all’idea di costruire una famiglia, sto progettando di avere un figlio ancora prima di sposarmi. Ammetto di essere un po’ spaventato, credo sarebbe strano il contrario, ma la gioia che tutto questo mi sta donando è decisamente maggiore. Tutti i pezzi del puzzle si stanno incastrando al posto giusto, rendendo perfetta la mia esistenza.

 
***Note dell'autrice***

Com'era previsto Serena non aveva dato alcuna risposta a Marco e lui le aveva lasciato del tempo per pensarci. Non eravate molto convinti che Serena rispondesse positivamente a quella richiesta di Marco e, invece, ha sorpreso tutti, vero? Un po' di fiducia potevamo concedergliela ;) I loro amici sono sempre i soliti, per lo meno Luca e Lorenzo che non hanno perso un attimo per rompere le scatole :) Allora, che dite di questa decisione importante?
Venerdì vorrei mettere un capitolo extra come ringraziamento... lo so, sto rinraziando molto ultimamente, ma mi sento in dovere di farlo. Farò del mio meglio per scriverlo in tempo! 
Un bacione, Ire ♥

 


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Bijouttina & i suoi vaneggiamenti

 

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Capitolo 30
*** Non si invecchia, si diventa solo più saggi! ***


 



30. Non si invecchia, si diventa solo più saggi!
 
Oggi è il compleanno di Serena ed è il primo che festeggiamo insieme. Ho dovuto prometterle che non le avrei regalato niente di super costoso dopo i gioielli che le ho donato a Natale e l’anello che porta fiera al dito. Non è stato semplice, ma ho mantenuto la mia parola, non me lo avrebbe mai perdonato altrimenti. È il dodici di aprile, una giornata limpida e con una temperatura gradevole: sarebbe l’ideale per una breve gita fuori porta.
Sta ancora dormendo tranquillamente al mio fianco, alcuni raggi di sole filtrano dalla tapparella e illuminano appena la stanza. Si stringe di più a me e affonda il naso nell’incavo del mio collo, mugugna sommessamente dopo aver inspirato a lungo.
«Stai controllando se sono davvero io?», chiedo scostandole i capelli dal viso e accarezzandole la guancia con i polpastrelli.
«Qualcosa di simile. Stavo sognando che venivo rapita da un aitante uomo, alquanto rude e sexy. Aveva il tuo profumo», farfuglia con la voce impastata dal sonno.
«Ero io l’aitante uomo rude?». La cosa mi diverte parecchio. Che razza di sogni fa la mia donna? Devo cominciare a preoccuparmi? Forse non sono abbastanza rude per lei.
«No, era molto più affascinante», risponde mordendomi leggermente il collo.
«Screanzata!». La schiaffeggio sul sedere, debolmente.
Lei ridacchia intrecciando la sua gamba alla mia.
«Oggi mi metterò a urlare in giro che invecchi e ti farò fare brutta figura. Così impari a sostituirmi nei sogni», bofonchio fingendomi risentito.
«Io non invecchio, divento solo più saggia», commenta trattenendo a stento una risata.
«Da chi impari certe brutte cose?». Faccio scivolare le dita sulla sua coscia nuda, lentamente.
Svegliarsi la mattina con lei accanto è la cosa più bella al mondo. Le prendo la mano e intreccio le mie dita alle sue, me la porto alla bocca baciandole l’anulare dove si trova il mio anello. Ancora mi emoziono quando glielo vedo al dito.
«Da un aitante uomo rude e dannatamente sexy».
In un attimo me la ritrovo sopra di me, la visuale del suo seno strizzato in un reggiseno di pizzo nero, che mette in risalto le sue curve mozzafiato, mi fa deglutire a vuoto. Come se questo non avesse già risvegliato la mia voglia di lei, continua a strusciarsi lentamente su di me, mandandomi fuori di testa in brevissimo tempo.
«Sarei rude?», mugugno accarezzandole la schiena con i polpastrelli.
«Oh sì, sei il mio uomo delle caverne. Con questa barbetta incolta, poi, hai un’aria ancora più sexy». Delinea il contorno della mia mandibola con dei piccoli baci, e io cado ancora di più in balia di quelle sue attenzioni.
«Mmm». Ammetto che ora il mio cervello è completamente andato, l’unica cosa che desidero è farla mia in questo istante. «Che cosa vuoi come regalo di compleanno?».
«Tu», risponde unendo le sue labbra alle mie. «Voglio solo te, non ho bisogno di altro. Amami».
«Per l’eternità», le dico slacciandole il reggiseno con una mano sola e lanciandolo sul pavimento. Deve essere finito in testa a Diablo perché l’ho sentito scappare via spaventato.
Ci amiamo lentamente, senza alcuna fretta e senza pensare a niente: desidero che questo giorno sia semplicemente perfetto. Farò tutto quello che desidera, sarò il suo schiavetto se necessario, oggi lei può tutto. Rimaniamo stretti uno accanto all’altra, accaldati e felici.
«Pensa come sarebbe bello se concepissimo nostro figlio oggi», mormora accoccolandosi di più a me.
«Sarebbe la perfezione», commento io con il sorriso sulle labbra. Finora non abbiamo avuto alcuna fortuna, avevamo tenuto conto della possibilità che non potesse succedere tanto in fretta. Ci si spera sempre però. Continueremo a provare, prima o poi accadrà, noi non demorderemo.
«Sei pronto ad andare a pranzo dai miei oggi?», mi chiede dopo un po’.
«Non sono mai del tutto pronto a fronteggiare tua madre, ma credo di potercela fare. Tanto ci sei sempre tu al mio fianco pronta a difendermi», rispondo accarezzandole distrattamente un braccio.
«Sei fortunato, è migliorata molto negli ultimi mesi. Riesco a sopportarla perfino io!». Scoppia a ridere e io sorrido. Adoro quand’è così spensierata, amo la sua solarità. Mi rattrista parecchio quando la vedo sconsolata, ma purtroppo non si può essere felici ventiquattro ore su ventiquattro e sette giorni su sette.
«Questa consapevolezza dovrebbe farmi sentire in qualche modo meglio?», domando cercando di non ridere.
«Non lo so, però ci saranno anche Ale e Vera, magari riusciamo a spostare l’attenzione su di loro. Mi raccomando non ho mai detto a nessuno della mia famiglia che stiamo provando ad avere un bambino, perciò acqua in bocca». Mi ricorda lei, come se fossi tanto stupido da intavolare quel discorso proprio con la sua famiglia. Non lo farei nemmeno con la mia, con i miei futuri suoceri sarebbe anche peggio.
«E io che volevo prendere tuo padre in disparte e dirgli Scusi, signore, sto cercando di ingravidare sua figlia, spero non le dispiaccia». La prendo in giro io.
Mi colpisce debolmente sul petto con la mano aperta.
«Idiota! Ti sembrano discorsi da fare con mio padre? Lui non avrebbe niente da ridire. Devi dirlo a mia madre!».
Stavolta non resisto e prorompo in una risata divertita. Oggi il mio amore è più scemo del solito, ma penso dipenda solo dal fatto che è il suo compleanno, posso concederglielo.
«E che cosa mi consigli di dirle?». Sono proprio curioso di sentire che altro sparerà ora.
«Mmm, vediamo. Potresti dirle Scusi, signora Boissone, sua figlia ed io stiamo copulando come dei ricci con l’unica intenzione di farla diventare nonna. Spero di non recarle alcun disturbo».
«Distinti saluti, Marco Rossini», aggiungo io asciugandomi le lacrime agli occhi con una mano. Non riesco a smettere di ridere.
«In effetti sembrava molto una lettera commerciale», ammette Serena schioccando la lingua. «Altrimenti potresti dirle Senta, Serena ed io passiamo la maggior parte del tempo a rotolarci sotto le lenzuola. Probabilmente fra qualche mese arriverà un nipote urlante per la sua gioia. Questa è ancora più bella, senti qua». Serena sta dando il massimo di se stessa, e io non mi sono mai divertito tanto a immaginare la faccia sconvolta di sua madre. «Signora Boissone, sto per mettere incinta la sua bambina, spero che per lei non sia un problema».
«Te l’ha mai detto nessuno che non sei normale? Io, secondo te, dovrei dire queste cose a tua madre? C’è un’altissima probabilità di finire come portata principale del pranzo per i tuoi-».
Mi tappa la bocca con la mano aperta.
«Non provare nemmeno a dire ad alta voce quanti anni compio oggi!».
Se comincia adesso a farsi tutti questi problemi, che cosa farà quando ne compirà cinquanta? Meglio non esternare questo mio pensiero, rischierei di fare una brutta fine e non è che ci tenga.
«Flounder, sei ancora una ragazzina», le dico scostando la sua mano e tenendola stretta nella mia.
«Rispetto a te sicuramente», borbotta.
«Come se avessimo vent’anni di differenza!». La prendo in giro ridacchiando.
«Cinque anni sono tanti. Alla mia età potrei perfino permettermi un toy boy».
Oh mio Dio, questa è proprio il massimo!
«Sì, probabilmente andrebbe ancora alle elementari», sbotto senza pensarci due volte. «Se tu puoi permetterti un toy boy, allora io potrei esserlo per una cinquantenne. Sai quante sarebbero pronte a venire con un ragazzino come me?».
«Tu saresti un ragazzino?», chiede lei dubbiosa.
«Oh sì, decisamente», rispondo trascinandola nuovamente sopra di me. Mi osserva accigliata.
«Non hai intenzione di farti un’amante tardona, vero?».
«Tu non hai intenzione di farti un toy boy?».
Rimaniamo entrambi seri per pochissimi secondi e poi scoppiamo a ridere come dei pazzi. Ci baciamo a lungo, nessuno dei due ha necessità di sostituire l’altro. Dopo questo nostro scambio di battute senza senso, decidiamo di farci una doccia e di prepararci per andare a pranzo dai suoi.
Serena non era del tutto entusiasta di festeggiare con la famiglia, avrebbe preferito un pranzo tranquillo solo lei ed io, ma rifiutare l’invito di sua madre sarebbe stato un suicidio. Diciamo che le ho preparato una sorpresa per stasera.
Osserva il suo cellulare accigliata e sospira.
«Che succede, amore?».
«Si sono tutti dimenticati di me oggi?», chiede rimettendo il telefono nella borsa.
«Staranno ancora tutti dormendo». Giustifico i suoi amici con una scusa qualsiasi, cercando di non sbilanciarmi troppo.
«Forse», bofonchia lei con pochissima convinzione.
La prendo per mano e usciamo di casa, riesco a farle tornare il sorriso con qualche battuta stupida. So benissimo che non sono bravo a raccontare cose divertenti, ma so anche che a lei piace ricordarmelo, perciò ho pensato fosse il metodo migliore per rallegrarla. Quando arriviamo davanti la villetta dei Boissone, la macchina del fratello è già nel vialetto. Siamo sempre gli ultimi, tanto per cambiare.
Suo padre viene ad aprirci non appena suoniamo il campanello.
«Ecco qui la mia piccolina che oggi invecchia!». L’uomo avvolge la figlia in un abbraccio, mentre la diretta interessata comincia a borbottare come al solito.
«Perché volete per forza farmi sentire vecchia oggi? Io non invecchio, uffa!».
«Oh sì che invecchi, sorellina. Io, invece, rimango sempre giovane e figo». Alessandro appare accanto a noi e arruffa i capelli di sua sorella.
Serena gli mette il broncio e, dopo averlo osservato attentamente, gli dice puntandogli un dito sulla testa: «E questi cosa sono? Sbaglio o sono capelli bianchi?».
Un ghigno divertito si forma sulle labbra della mia donna, e io mi stringo nelle spalle quando Ale cerca il mio sostegno morale. Non ho alcuna intenzione di mettermi contro la mia donna oggi.
«Non sono capelli bianchi, è la luce che crea certi effetti!», bofonchia suo fratello cercando di difendersi in qualche modo.
«Sì, certo, la luce», commenta Serena alzando gli occhi al soffitto.
«In compenso hai fatto venire i capelli bianchi al tuo uomo». Alessandro si vendica per non averlo assecondato.
«Ehi, brizzolato è sexy», borbotto incrociando le braccia al petto, fiero dei miei pochi capelli grigi.
Il mio futuro suocero scoppia in una fragorosa risata.
«Questa devo dirla a mia moglie, visto che continua a tartassarmi perché vorrebbe che mi tingessi i capelli».
«La mamma cosa?». Serena non nasconde tutto il suo sgomento.
«Dice che con i capelli bianchi sembro mio nonno», risponde con un’alzata di spalle.
«O il tuo bisnonno», aggiunge la signora Boissone raggiungendoci in salotto.
«Si parla del diavolo…», bofonchia il marito con un sorriso beffardo sulle labbra.
«Tesorino mio, buon compleanno!». La donna abbraccia di slancio la figlia e le riempie il viso di baci.
«Mamma, ti prego, mi lasci il segno del tuo rossetto ovunque!», brontola con un’espressione disgustata.
«Hanno inventato l’acqua e il sapone, e guarda caso ne abbiamo una buona quantità nel bagno». Le indica la direzione giusta con un cenno della mano.
Vera ci raggiunge e viene a salutarci, mi abbraccia timidamente, concentrandosi poi su Serena. Lei è tutto il contrario di suo fratello: Lorenzo è espansivo e brontolone, lei è introversa e di una dolcezza infinita. A volte mi chiedo se provengano davvero dalla stessa famiglia.
Serena sospira mentre si fa abbracciare da Vera e le dice: «Chi te l’ha fatto fare a finire in questa gabbia di matti?».
«Ho sempre avuto l’istinto da crocerossina», commenta la moglie di Alessandro con un sorriso.
«Io svengo alla vista del sangue», borbotta Serena con una smorfia.
In un attimo di distrazione della sua famiglia, prende il cellulare abbandonato dentro la sua borsa e controlla nuovamente se le sono arrivati messaggi. Sorride, ma quel sorriso sparisce subito dopo aver visto il mittente. Bofonchia qualcosa riguardo al gestore e ai messaggi promozionali.
Sua madre ci richiama tutti all’ordine, il pranzo sta per essere servito. Alla mia donna ritorna l’allegria non appena le piazzano davanti una serie di pacchetti. Le sue guance si colorano di rosso per l’emozione che la sorpresa le ha donato. I suoi familiari l’hanno coccolata con tanti piccoli pensieri, rendendola felice. Nessun pacchetto da parte mia da scartare, è stata davvero durissima resistere alla tentazione di sorprenderla ancora una volta, ma glielo avevo promesso e io mantengo sempre la parola data. Anche se non le do alcun pacchetto da aprire, non vuol dire che me ne sono rimasto con le mani in mano. Serena sbaglia di grosso. Come posso non fare niente per rendere questo suo compleanno magico? È il primo che festeggiamo insieme, seguirà una lunga serie, ma questo è pur sempre il primo.
«Questa è per te». Le consegno una busta mentre tutti sono indaffarati a chiacchierare tra di loro.
Lei mi guarda accigliata, un angolo della bocca sollevato all’insù.
«Non ti avevo mica pregato di non comprarmi niente?». Inarca un sopracciglio e mi osserva divertita.
«Infatti non ti ho comprato niente, l’ho fatto con queste mie manine sante». Le faccio vedere i palmi e agito le dita velocemente, facendola ridacchiare.
«Vediamo che cosa hai combinato questa volta». Solleva il lembo della busta rossa ed estrae un biglietto dello stesso colore. Mi sono fatta prestare del cartoncino colorato da Chiara, ha sempre una quantità industriale di cose del genere in quanto si diverte a creare biglietti d’auguri. Mi ha insegnato come fare e mi ha prestato un pennarello indelebile con la punta sottile per scrivere al meglio su quella superficie. Una cosa da professionisti insomma.
Apre il biglietto e legge avidamente le parole impresse. Ho scritto e riscritto quel discorso al lavoro su un foglio bianco, per non dover sbagliare poi quando avrei dovuto scriverle sul cartoncino rosso. La mia gamba si muove incontrollata sotto il tavolo mentre osservo il suo volto cambiare espressione, gli occhi si inumidiscono e una lacrima solitaria scende lungo la sua guancia. Si porta una mano alla bocca e cerca i miei occhi. Poso una mano sul suo viso e lei si appoggia, sorridendomi tra le lacrime.
«Questo è il regalo più bello potessi mai ricevere», mi dice emozionata. «Ti amo da morire».
Le nostre labbra si uniscono in un bacio delicato. Sono davvero felice di aver colpito nel segno con questo mio piccolo pensiero per lei. Amo Serena più di ogni cosa al mondo e volevo che lo sapesse.
 
***
 
Marco è riuscito a emozionarmi tantissimo con quel suo bigliettino fatto a mano. Un pensiero semplice, ma di una dolcezza unica, tanto che le lacrime sono scese senza alcun controllo. Mi assento un attimo per rinfrescarmi il viso nel bagno al piano superiore e mi ritrovo a rileggere quelle parole bellissime.
 
Buon compleanno, amore della mia vita!
Questo è il tuo primo compleanno che trascorriamo insieme e sono emozionato all’idea che sarà il primo di moltissimi altri. Mi hai pregato di non farti alcun regalo, ma non potevo lasciarti a mani vuote e ho pensato a questo biglietto dove poter scrivere tutto quello che provo per te. Volevo imprimere su carta i miei sentimenti, così, se mai ti verrà qualche dubbio, potrai rileggere queste parole e tornare a sorridere. Non so se ti ho mai detto che io amo il tuo sorriso, se non lo avessi mai fatto, lo farò ora: amo il tuo sorriso. In effetti non ho ancora capito che cosa non amo di te, ma credo di sapere da che cosa dipenda: io amo tutto di te. Amo il tuo carattere, nonostante le tue mille insicurezze, il tuo milione di paturnie. Tutto passa in secondo piano quando i nostri occhi si incontrano e i tuoi cominciano a brillare di una luce straordinaria. Sei entrata nella mia vita quasi un anno fa, i mesi sono passati rapidamente con te al mio fianco. Vivere sotto lo stesso tetto è meraviglioso, potermi addormentare la sera, stringendoti forte tra le mie braccia, svegliarmi la mattina con un tuo bacio. Mi domando come fosse la mia vita prima che tu ne facessi parte, ma mi rendo conto che non era vita. Mi trascinavo avanti per inerzia in attesa che arrivassi tu a salvarmi. Sei la mia gioia di vivere, Serena, sei la mia metà perfetta. Ti amo più della mia stessa vita e ti amerò fino alla fine dei miei giorni. Il tempo da trascorrere con te non sarà mai abbastanza, ma voglio godermelo al massimo. Quando hai accettato di diventare mia moglie, volevo mettermi a urlare per la felicità. Avevo il terrore che non fossi pronta a fare questo passo con me, ma ho dovuto ricredermi e quella sera mi sono innamorato nuovamente di te. La decisione di allargare la nostra famiglia è stata improvvisa, e so di averti messo in difficoltà, ma ancora una volta sei riuscita a stupirmi. Non è vero che solo io riesco a farlo, anche tu ci riesci alla grande, credimi. Mi hai reso l’uomo più felice al mondo quella sera. Sei semplicemente perfetta nei tuoi mille difetti e io ti amo, ti amo come non amerò mai nessun’altra donna. Ti amerò per l’eternità.
Per sempre tuo, Marco.
 
Mi asciugo ancora una volta gli occhi con le mani. Come fa a essere così dannatamente dolce? Nessuno in vita mia mi aveva mai scritto un biglietto d’amore, perché è questo quello che è. Marco mi ha aperto nuovamente il suo cuore, ma questa volta ha voluto rendere indelebili le sue parole e mi ha sorpreso. Ammetto che credevo sarebbe arrivato con un pacchetto, nonostante la mia richiesta di non farlo. Invece ho dovuto ricredermi, è stato di parola e questo biglietto è di gran lunga più emozionante di qualsiasi oggetto potesse trovare in un negozio.
Mi guardo allo specchio e sbuffo: i miei occhi sono rossi e gonfi per le lacrime versate. Non avrei mai pensato di commuovermi tanto di fronte a delle semplici parole. Controllo di nuovo il mio cellulare e non c’è alcuna notifica. È possibile che i miei migliori amici si siano dimenticati del mio compleanno? Non era mai successo prima d’ora e questa cosa mi rattrista non poco. Sono tutti impegnati con le loro nuove vite e non hanno più tempo per me. Non credo ci voglia molto per mandarmi un semplice Buon compleanno, ma a quanto pare hanno di meglio da fare che correre dietro alla sottoscritta.
Mi risciacquo ancora una volta il viso con l’acqua fredda e sospiro. Meglio tornare dal mio uomo, almeno lui è felice di passare del tempo con me.
Lasciamo casa dei miei, dopo averli salutati abbondantemente. Cominciavo a sentirmi stanca e avevo voglia di stare da sola con Marco.
«Che cosa vuoi fare ora, amore?», chiede lui una volta in macchina
«Non lo so. Che cosa mi consiglia il mio autista di fiducia?».
Marco si porta una mano al mento e sorride.
«Vediamo un po’. Sono le quattro e per le otto ho prenotato in un bel posticino, solo tu ed io, perciò abbiamo quattro orette libere», comincia guardandomi attentamente.
«Davvero mi porti fuori a cena stasera?», domando posandogli una mano sulla gamba.
«Non vorrai mica metterti a cucinare proprio stasera?». Mi prende in giro lui cercando di non ridere.
«No, direi proprio di no. Non lo farei nemmeno in un giorno normale, stasera men che meno!», rispondo con decisione, scacciando quell’idea assurda con un gesto secco della mano.
«Immaginavo». Mi bacia le labbra. «Allora? Hai deciso che cosa ti va di fare?».
Non ho la più pallida idea di che cosa potremmo fare, a me basta stare con lui, il resto è solo un contorno.
«Stupiscimi!», esclamo alla fine. Penso che la cosa più sensata da fare sia lasciargli carta bianca. Mi fido ciecamente di lui e so che sceglierà bene.
«Bene, Flounder, farò del mio meglio».
Mette in moto la macchina e lasciamo il vialetto dei miei. Mi rilasso contro il sedile e mi godo il paesaggio. Non so dove mi sta portando e non ho nemmeno intenzione di chiederglielo. Ho deciso di godermi la mia sorpresa e non cominciare a fare mille domande come al solito per assecondare la mia curiosità patologica. Ammetto che sto facendo fatica a non fargli il terzo grado riguardo la nostra destinazione. Credo che anche Marco abbia notato questa cosa: mi osserva di sottecchi con un sorrisetto sulle labbra. Mi sento davvero bene in questo momento, nonostante i miei amici si siano dimenticati di me. Ecco, ora ci sto pensando di nuovo e mi sto per deprimere. Decido, però, di non farlo. Non voglio rovinarmi questa giornata trascorsa con l’uomo che amo.
Ferma la macchina dopo un’oretta di viaggio. Non credevo mi avrebbe portato tanto lontano, ma non mi dispiace vedere posti nuovi.
«Benvenuta a Borghetto, uno dei Borghi più belli d’Italia». Marco indica l’ingresso di un piccolo paesino molto caratteristico con il braccio teso.
Una volta scesi dalla macchina, mi prende per mano e passeggiamo tranquillamente, senza alcuna fretta. È anche un buon metodo per smaltire il pranzo di mia madre, che ha cucinato per venti come tutte le volte. L’aria è frizzante, rabbrividisco impercettibilmente, ma Marco se ne accorge subito e mi passa un braccio intorno al collo, avvicinandomi a sé. Il mio finisce intorno la sua schiena e mi stringo a lui. Il calore del suo corpo mi fa stare meglio piuttosto in fretta.
Devo ammettere che questo piccolo borgo è davvero molto carino e anche piuttosto frequentato. È una domenica pomeriggio di aprile, c’è il sole, è una giornata alquanto piacevole.
«Ti piace?», mi chiede fermandosi a metà del ponte e fissando l’acqua scorrere veloce. Non sarebbe affatto male vivere in un posto come questo, lo ammetto.
«Molto», rispondo massaggiandomi un braccio per cercare di scaldarmi.
Marco mi attira a sé e mi accarezza velocemente la schiena. «Direi che siamo stati qui abbastanza, torniamo indietro così ti scaldi».
Mi bacia dolcemente le labbra prima di prendermi nuovamente per mano e tornare con calma alla macchina. Mi sono divertita, mi è piaciuta questa passeggiata fuori programma e avevo proprio bisogno di staccare un po’ la spina, respirare aria nuova.
Marco mi tiene la mano tutto lungo il viaggio di ritorno, parliamo del più e del meno e il tempo scorre veloce. Quasi non mi rendo conto che siamo già arrivati a destinazione.
«Dove siamo?», chiedo guardandomi intorno sorpresa. Marco si è fermato davanti a una piccola casa in riva al lago, le luci al suo interno sono spente.
«Questa è la casa delle vacanze dei miei, me l’hanno prestata per questa sera, per festeggiarti», risponde con il sorriso sulle labbra.
«Non avevo idea che i tuoi avessero anche una casa sul lago», commento corrugando la fronte.
«Se è per questo ne hanno anche una in montagna e ne avrebbero anche una al mare, ma lì non ci vanno mai e la danno in affitto», dice stringendosi nelle spalle.
Non mi sorprende che abbiano molte proprietà visto il loro tenore di vita, ma non ne sapevo niente. Non che Marco fosse tenuto a dirmi tutte le case che possiedono i suoi genitori, in fin dei conti non sono mica sue.
«Ah okay», commento confusa. Perché ha voluto portarmi proprio qui stasera? A volte sa essere davvero misterioso e criptico.
«Non mi chiedi come mai ti ho portato qui?». E sa anche leggere nel pensiero. Devo cominciare a preoccuparmi?
«L’ho solo pensato», ammetto sorridendogli impacciata. «Spero tu non voglia uccidermi e gettarmi nel lago con una pietra legata al collo».
Marco scoppia in una fragorosa risata. «Flounder, perché mai dovrei farlo? Sulla proprietà della mia famiglia oltretutto! Avrei potuto farlo a Borghetto, se avessi davvero voluto».
«C’era un po’ troppa gente, troppi testimoni da corrompere, ti avrebbero salassato». Ora mi sta venendo da ridere, ma sto cercando disperatamente di rimanere seria.
«In effetti a questo non avevo pensato». Si porta una mano al mento e osserva davanti a sé con aria pensierosa. «Ormai il mio piano di farti fuori è andato a monte, ci conviene entrare e festeggiare i tuoi trent-».
Gli tappo la bocca con la mano e lo fulmino con lo sguardo. «Non ci provare nemmeno, Shark!».
Lo libero dopo qualche istante e lui ricomincia a ridere. Apre il cancello con il telecomando e parcheggia la macchina di fronte alla basculante di un garage.
«Dai, rompipalle, entriamo e godiamoci questa serata!».
«Potrei anche -». Non faccio nemmeno in tempo a terminare la frase, che mi zittisce con un bacio mozzafiato. Allaccio le braccio attorno al suo collo e mi rilasso completamente contro di lui.
«Dicevi?». Mi prende in giro lui mordendomi il labbro inferiore.
«Niente di importante, andiamo». Ci vuole poco per addolcirmi e lui ci riesce sempre alla grande.
Infila la chiave nella toppa, apre la porta e fa entrare me per prima. La luce si accende all’improvviso e mi ritrovo a fissare in fondo alla sala: tutti i nostri amici sono presenti e gridano “Buon compleanno” nella mia direzione. Mi porto entrambe le mani alla bocca, i miei occhi si inumidiscono non appena vedo Luca correre verso di me. Mi stringe forte fra le proprie braccia e mi bacia ripetutamente la guancia.
«Tanti auguri, cucciolina mia».
Mi stringo a lui e comincio a singhiozzare. Come ho potuto pensare che si fossero dimenticati di me? Devo essere impazzita!
«Oh tesorino mio, credevi che avessimo scordato il tuo compleanno?», domanda massaggiandomi amorevolmente la schiena.
Io riesco solamente ad annuire.
«Che scema. Come avremmo mai potuto fare una cosa del genere?».
«Magari eravate troppo impegnati per pensare a me», borbotto sommessamente, con il naso affondato nell’incavo del suo collo.
«Non saremo mai troppo impegnati per te, ricordalo sempre. Ti adoro, cucciolina mia». Mi prende il viso con entrambe le mani e mi bacia la punta del naso.
«Anch’io ti adoro», gli dico asciugandomi gli occhi con una mano.
Anche gli altri ci raggiungono e, a turno, mi abbracciano e mi fanno gli auguri. Stella è l’ultima a farmeli e rimaniamo abbracciate a lungo.
«Sei una sciocchina, ma ti voglio un bene dell’anima», sussurra al mio orecchio.
«Anch’io, tesoro mio».
Quando sciogliamo l’abbraccio, abbiamo entrambe gli occhi lucidi. Lei per via degli ormoni, io per l’emozione e la felicità di festeggiare con tutti i nostri amici.
Mi butto tra le braccia del mio uomo e mi faccio coccolare da lui. È solo merito suo se questo giorno è stato perfetto.
«Mi dispiace, amore. Non volevo che pensassi si fossero dimenticati. Sono giorni che stiamo organizzando questa festa in tuo onore e sai benissimo quanto è difficile fare tutto a tua insaputa». Si giustifica Marco posando la guancia sul mio capo.
«Non dispiacerti, è tutto meraviglioso. Grazie, Shark», mormoro alzando il viso e incontrando i suoi bellissimi occhi blu che mi tolgono ogni volta il respiro.
«Per te questo e altro». Sigilliamo questo momento con un bacio che di casto ha ben poco.
I nostri amici cominciano a fischiare e a fare un gran chiasso. Ci stacchiamo in totale imbarazzo, per lo meno io sono imbarazzata da morire, Marco un po’ meno. A lui non ha mai dato fastidio dimostrare il suo amore per me in pubblico.
«Su, su, stappiamo le birre!», grida Luca euforico. «Dobbiamo ubriacarci! Tu no, Stella!».
Lei lo guarda scuotendo la testa divertita. «Non avevo alcuna intenzione di sfondarmi di alcol. Volevo far fuori la scorta di aranciata!».
Luca mi spinge su un piccolo divano e mi obbliga a sedermi.
«Ora tu te ne stai qui buona buona e ti fai servire e riverire. È la tua festa!».
Marco fa partire della musica da uno stereo situato sopra un mobiletto. Sono attrezzati bene questa sera! Lorenzo mi porge un piattino con degli stuzzichini davvero invitanti e Alex mi porta un bicchiere con dello spumante. Marica si siede accanto a me e mi bacia la guancia.
«Sei la prima del quartetto a invecchiare, dovrai dirmi come ci si sente ad aver superato i trenta!», esclama scoppiando a ridere un attimo dopo. Deve aver notato la mia espressione alquanto infastidita.
«Scusatela, ma non vuole parlare della sua età». Mi prende in giro Marco abbassandosi alla mia altezza e posandomi un lieve bacio sulle labbra. «Il mio amore avrà trent’anni per il resto della sua vita».
Lo colpirei con un pugno sul petto, ma ho entrambe le mani occupate e rischierei di fare un danno.
«Ritieniti fortunato che non posso colpirti». In effetti avrei i piedi liberi, ma non vorrei mai fargli male davvero.
«Solo gli altri invecchiano, vero?», commenta Lorenzo girando una sedia nella nostra direzione e sedendosi cavalcioni, una bottiglia di birra in una mano.
«Voi di sicuro!». Indico lui e Marco con un cenno del capo.
«Per fortuna non ha messo in mezzo noi». Luca sembra tirare un sospiro di sollievo mentre passa una birra al suo uomo. Alzo gli occhi al soffitto.
Mi guardo intorno e manca una persona all’appello. «Dov’è Michele?».
Marica si stringe nelle spalle e arriccia le labbra. Non se la sarà mica data a gambe ancora una volta? Lo sapevo che non dovevo fidarmi di quello là!
«Sono qui», risponde il diretto interessato apparendo in salotto con una torta tra le mani, piena zeppa di candeline accese. «Stavo lottando con i fiammiferi. Buon compleanno, Serena».
Posa la torta sul tavolo e viene a darmi un bacio sulla guancia.
Okay, forse non avrei dovuto pensare subito male di lui, ma visti i precedenti non ho una grande fiducia nei suoi confronti.
«Grazie», farfuglio osservando quella delizia ricoperta di panna.
Sto per commuovermi ancora una volta. «È il più bel compleanno che io abbia mai avuto».
Passo il bicchiere a Marco e mi asciugo gli occhi con la mano finalmente libera.
«Vi adoro tutti, dal primo all’ultimo, grazie!».
Sono felice questa sera, sto trascorrendo del tempo con i miei amici e l’uomo che amo, non potrei chiedere di meglio. Mi sento una donna fortunata e, soprattutto, mi sento amata. Non avrei dovuto dubitare dei miei amici, ma non averli sentiti per tutto il giorno mi ha fatto agitare. Fortunatamente era tutto infondato e loro ora sono qui che parlano e ridono come dei pazzi. L’atmosfera magica che si è creata mi fa sorridere. Osservo tutti, uno alla volta, e mi rendo conto che la mia vita è migliorata tantissimo da quando Marco ne è entrato a farne parte: le mie amicizie si sono allargate e siamo tutti innamorati.
***Note dell'autrice***

Eccovi un capitolo di ringraziamento come promesso! Spero vi sia piaciuto. Ho pensato di inserire il compleanno di Serena, per festeggiare insieme a lei i suoi trent- *qualcuno le strappa via la tastiera e non riesce a finire la parola*
Okay, abbiamo capito :) Non succede niente di speciale in questo capitolo, ci sono solo una buona dose d'amore e tanta allegria... ogni tanto basta questo per rallegrare la giornata :) Ci vediamo martedì con un capitolo piuttosto importante... tenetevi pronti! Grazie infinite per esserci sempre, mi rendete felice! 
Un bacione, Ire ♥

 


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Bijouttina & i suoi vaneggiamenti

 

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Capitolo 31
*** Buone nuove? ***


 



31. Buone nuove?
Stella ha dato alla luce una bellissima bambina, Eleonora, un mese fa. È semplicemente meravigliosa e quando l’ho tenuta in braccio per la prima volta mi sono emozionata e ho cominciato a piangere come una scema. Quel fagottino di carne ha riempito il mio cuore di gioia e mi ha completamente rapito. La mia piccolina. Anche il mio uomo aveva gli occhi lucidi quando l’ha presa in braccio. Continuava a ripeterle quanto fosse bella e a baciarle la fronte. Credo che il desiderio di averne uno nostro avesse raggiunto livelli altissimi quel giorno.
Marco ed io stiamo provando ad avere un figlio dalla sera del nostro chiarimento. Quasi sette mesi senza alcun risultato e sto cominciando a deprimermi. A Stella è bastata un’unica volta e un po’ la invidio. È sempre la stessa storia: più lo cerchi, meno arriva. E se non ci riuscissi affatto? Ogni tanto ci penso e mi sale l’ansia. Se non riuscissi a rimanere incinta, Marco mi lascerebbe?
«Ancora niente?». Stella sta spingendo la carrozzina al mio fianco, Eleonora dorme come un angioletto, senza alcun pensiero o preoccupazione.
Deve essersi accorta del mio sguardo perso nel vuoto e mi osserva preoccupata.
«No, ancora niente», rispondo in un sospiro.
«Ti è già venuto il ciclo questo mese?». Sta cercando di rassicurarmi in ogni modo, ma tanto sono certa che anche questo mese andrà buttato.
«Dovrebbe venirmi la settimana prossima». Nel frattempo abbiamo raggiunto il piccolo parco accanto casa della mia amica e mi siedo su una panchina all’ombra. Fa parecchio caldo oggi e non ho proprio voglia di sudare come un cammello.
«Allora abbiamo ancora qualche speranza», commenta Stella sedendosi accanto a me e posando una mano sul mio braccio.
«Beata te che sei ottimista», borbotto sconsolata. «Io ormai le ho perse tutte mese dopo mese. Sinceramente pensavo sarebbe stato più semplice».
«Non siamo tutte uguali. C’è chi rimane incinta alla prima botta come la sottoscritta, o chi ci impiega anche anni. Purtroppo non possiamo sapere quanto ci si possa impiegare, ci sono molti fattori da tener presente».
«Sì, lo so. Spero soltanto di non doverci impiegare degli anni. Vedo lo sguardo deluso di Marco tutte le volte che mi arriva il ciclo». Per non parlare dei miei pianti quando sono sotto la doccia e la sensazione di essere inutile.
«Perché ci tiene davvero, non perché te ne faccia una colpa. Marco non lo farebbe mai e anche tu lo sai, tesoro».
Lo so, non me ne farebbe mai una colpa, lo faccio già io abbastanza per entrambi. Ci abbiamo impiegato un po’ a capire di voler diventare genitori e ora che lo vogliamo ardentemente sembra non essere mai il momento giusto, per quanto noi ci proviamo. Tutta questa pressione non aiuta di certo, lo stress è la peggior cosa al mondo per queste cose.
Eleonora si sveglia, attirando la nostra attenzione con un pianto spaccatimpani.
«La principessina ha fame», dice Stella alzandosi e prendendo in braccio sua figlia. Si guarda intorno e, dopo essersi assicurata che non ci fosse nessuno nei paraggi, si scopre un seno e allatta la piccola. Lei succhia avidamente, affamata. Le accarezzo la guancia arrossata con due dita. La sua pelle è così liscia e morbida. Mi ritrovo a sorridere guardandola sfamarsi e una lacrima solitaria scende lungo il mio viso. Negli ultimi giorni piango spesso, senza un motivo particolare, o forse piango solamente per la frustrazione, non lo so. Cerco sempre di farlo senza che Marco se ne accorga, non voglio spaventarlo. Lui si preoccupa sempre per me e vedermi piangere lo farebbe stare solo male e io non posso tollerarlo.
«Posso tenerla un po’ in braccio?», domando alla mia migliore amica una volta che Eleonora è sazia e pronta per un nuovo sonnellino.
«Certo. È la tua figlioccia, puoi tenerla tutto il tempo che vuoi», risponde lei con un sorriso.
Stella sembra sempre così felice da quando è diventata madre e Lorenzo è cambiato radicalmente: stravede per le sue donne e con sua figlia ha il cuore di gelatina.
Cullo la mia piccolina tra le braccia, si addormenta quasi subito. La osservo mentre dorme e stavolta la vista si annebbia a causa delle lacrime. Singhiozzo come una cretina, stringendo a me quel fagottino bellissimo. Stella avvolge le mie spalle con un braccio e appoggia la fronte sulla mia testa.
«Andrà tutto bene, tesoro mio, andrà tutto bene». Mi rassicura con dolcezza.
 
 
Le settimane successive scorrono veloci: Marco è impegnato in azienda la maggior parte del tempo e io sto aiutando la mia famiglia a ridipingere tutta casa, la nuova fissazione di mia madre. Non è divertente passare le mie uniche due settimane di ferie con il pennello impregnato di pittura in mano. Ovviamente la mia genitrice non poteva farci usare un rullo che avrebbe facilitato la cosa, no, bisognava usare rigorosamente il pennello. Sono dieci giorni che passo buona parte delle mie giornate in casa con loro e non ne posso davvero più. Lei non è che sia di grande aiuto, si limita a brontolare se non facciamo bene il nostro lavoro o a impartire ordini. Ale è fortunato a lavorare, sono io la sfigata di turno. Ammetto che la colpa è anche mia, visto che mi sono offerta di dar loro una mano, ma mai avrei pensato che ci avrebbero messo tanto. Facevano prima a chiamare un imbianchino, questo è poco ma sicuro!
Mia madre arriva con un vassoio colmo di stuzzichini per i lavoratori, che saremmo mio padre ed io.
«Avrete fame», dice lei offrendomi una pizzetta appena sfornata.
Il profumo del pomodoro misto a quello dell’origano mi riempie le narici. Ne afferro una, ma una fitta allo stomaco mi colpisce, una nausea assurda. Non ho mangiato niente da stamattina a colazione, forse ho lo stomaco vuoto. Metto in bocca ugualmente la pizzetta, ma era meglio se non lo avessi mai fatto. Mi copro la bocca con la mano e corro nel bagnetto della lavanderia, infilando immediatamente la testa nella tazza. Oh mio Dio, mi sento uno schifo. Mi pulisco le labbra con il dorso della mano e mi lascio cadere sul pavimento, portandomi le ginocchia al petto.
«Stai bene?». Mia madre si abbassa alla mia altezza e mi sposta i capelli dal viso. «Non hai per niente un bel colore in viso. Non è che hai esagerato in questi giorni?».
«Non lo so, mamma. Mi sento stanchissima e ho lo stomaco sotto sopra». Finisco appena in tempo quella frase e mi fiondo nuovamente a vomitare. Mia madre mi scosta i capelli e mi sorregge la fronte, come faceva quando ero una bambina.
«Ti porto nella tua stanza, devi riposare». Mi aiuta a rimettermi in piedi e mi aggrappo a lei, non ho alcuna voglia di mettermi a brontolare in questo momento. Da sola con le mie gambe non riuscirei a raggiungere nemmeno la porta di questo piccolo bagno. Non mi sono mai sentita così male in tutta la mia vita. La strada verso la mia vecchia camera sembra interminabile e, quando riesco finalmente a sdraiarmi sul letto, mi addormento in una frazione di secondo.
 
Nel dormiveglia sento una mano che mi accarezza il viso delicatamente, il respiro caldo vicino al mio viso. Sollevo appena le palpebre e, quando riesco a mettere a fuoco, incontro gli occhi carichi di preoccupazione di Marco.
«Che mi combini, amore?», chiede in un sussurro.
«Credo di aver preso un virus. Non serviva che mia madre ti chiamasse», brontolo chiudendo nuovamente gli occhi.
«Ha fatto bene, invece. Ti porto a casa, te la senti?», chiede massaggiandomi dolcemente un braccio.
Come risposta grugnisco, facendolo sorridere.
«Forse è meglio se riposi ancora un po’». Mi bacia le labbra.
Sento aprirsi la porta della stanza e mia madre mi posa una mano sulla fronte.
«Tesorino, ti ho portato un anti acido, dovrebbe aiutarti a sistemare lo stomaco», mi dice con dolcezza. «Mi sentivo come te quando ti stavo aspettando, ma tu non sei incinta, giusto?».
Mi metto seduta di scatto, spaventando a morte sia Marco, sia mia madre. Afferro il bicchiere che la signora Boissone tiene ancora in mano e bevo tutto il suo contenuto, trattenendo il respiro, per non sentirne il sapore disgustoso; ho sempre odiato prendere le medicine.
Marco è sorpreso e non lo nasconde, sembra chiedermi silenziosamente se quello che ha appena detto mia madre è vero. Io mi stringo nelle spalle, non ne ho idea. Cerco di concentrarmi, massaggiandomi gli occhi e mi rendo conto di una cosa: il ciclo non mi è venuto quindici giorni fa e non è mai in ritardo.
«Non lo so», rispondo a mia madre che mi guarda ancora in attesa di una conferma.
«Non sai che cosa? Se sei… oh mio Dio!». Si porta una mano alla bocca. «Potrei diventare nonna?».
La sua voce diventa sempre più fievole e i suoi occhi si riempiono di lacrime. Io annuisco mordendomi l’interno della guancia.
«Oh, Serena, ma è meraviglioso!». Questa volta lascia che le lacrime si sfoghino e scendono a rigarle il viso. Mi abbraccia forte, baciandomi poi la fronte. Ricambio l’abbraccio di mia madre, mentre Marco continua ad osservare la scena in ansia. Sono certa che voglia scoprirlo al più presto.
Quando la mia genitrice mi libera dalla sua morsa, mi alzo in piedi. Le gambe mi tremano un po’, ma il mio uomo si presenta subito al mio fianco e mi sorregge senza alcuna fatica.
«Andiamo a casa?», chiedo posandogli una mano sulla guancia.
Lui annuisce soltanto, sembra aver perso l’uso della parola. Se devo essere sincera mi spaventa un po’ quando è così silenzioso, ma sono certa sia dovuto solo allo shock. Sono sette mesi che aspettiamo questo momento e, se dovesse essere un altro buco nell’acqua, non sarebbe facile da digerire.
Salutiamo i miei in fretta e furia, e salgo in macchina. Non mi ha nemmeno aperto la portiera da quanto è pensieroso, non lo avrebbe mai fatto normalmente. Si siede al posto di guida, ma non mette in moto.
«Non lo sapremo mai se non faccio il test, lo sai, vero?». Le mie parole riempiono l’abitacolo super silenzioso, sembra perfino ci sia l’eco.
Marco finalmente si decide ad aprire bocca.
«E se fosse negativo?».
«E se fosse positivo?», ribatto io. «Amore, ho bisogno che tu ci sia con la testa. Io non mi sento tanto bene e devi aiutarmi. Ti prego, riprenditi».
Lui sbatte ripetutamente le palpebre e sembra ridestarsi improvvisamente dal torpore in cui era caduto, come se qualcuno gli avesse versato un secchio di acqua gelata in testa.
«Hai ragione. Che cazzo mi è preso?». Mette immediatamente in moto e ingrana la prima. «Andiamo a prendere un test in farmacia. Devo sapere».
La nuova sicurezza che si è impossessata di lui mi fa sorridere: finalmente è tornato il mio uomo. Non potevo permettere che rimanesse quell’automa muto, non mi serviva a niente.
«Guida piano, però, altrimenti vomito qui dentro». Un conato mi assale e continuo a mandare giù la saliva, per non rischiare di dare davvero di stomaco sui sedili.
«Non ci provare nemmeno, Flounder. Se ti senti male, avvertimi, che mi fermo sul ciglio della strada». Mi minaccia puntandomi un dito contro.
«Adesso», dico premendomi una mano sulla bocca.
Marco inchioda, spostandosi in una piazzola di sosta e io scendo di corsa, dando di stomaco sulla poca erba che si trova poco più in là. Il mio uomo mi raggiunge subito e mi sorregge amorevolmente la testa.
«Che cosa posso fare per te?», chiede passandomi un fazzoletto di carta per pulirmi la bocca.
«Credo che tu non possa fare molto al momento, portami solo a casa. Ho bisogno di sdraiarmi», rispondo con un sorriso mesto. Mi sento uno straccio e ho perso tutte le forze. Non mi era mai capitato di sentirmi tanto stanca e non penso sia dovuto alla tinteggiatura.
«Ti accompagno subito e corro in farmacia». Mi scorta alla macchina e questa volta mi aiuta a salire, allacciandomi perfino la cintura.
«Fin lì credo di riuscirci», commento cercando di ridere, ma la risata muore nella mia gola ed esce quasi un rantolo. Oh mamma!
«Sei sicura che non debba portarti al pronto soccorso? Non ti vedo tanto bene». Mi guarda con aria preoccupata.
«Forse avresti bisogno di fare una visita oculistica allora», brontolo chiudendo gli occhi.
«Okay, non stai morendo se non hai perso il tuo sarcasmo». Mi bacia la guancia e si rimette nuovamente in tangenziale.
Credo di essermi addormentata perché non ricordo niente del tragitto. Marco parcheggia sotto casa nostra e mi prende fra le sue braccia.
«Posso anche camminare», borbotto con un filo di voce. Allaccio le braccia attorno al collo del mio uomo e annuso il suo profumo, sembra più buono del solito, nonostante il senso costante di nausea.
«Ma io non te lo lascerò fare. Non farmi preoccupare», mormora sfiorando le mie labbra con le sue.
«Devo fare parecchio orrore in questo momento», farfuglio prendendo un bel respiro.
«Tu non sei mai un orrore, non potresti mai esserlo. Sei sempre la donna più bella al mondo per me».
Ora più che mai credo che abbia bisogno di una bel paio di occhiali. Una volta in casa mi fa sdraiare sul letto e Diablo viene a controllare immediatamente la situazione. Si accoccola al mio fianco e si fa lisciare il pelo, emettendo dei rumorini soddisfatti.
«Ti lascio in buone mani. Vado e torno, amore. Se hai bisogno di me, chiamami». Mi mette il cellulare tra le mani e mi bacia la guancia. «Ti amo, non scordarlo mai».
Non sento nemmeno la porta d’ingresso chiudersi, mi addormento immediatamente. Mi sveglio qualche minuto più tardi e mi sembra di stare un po’ meglio. Il senso di nausea sembra essersi attenuato, lo stomaco va un po’ meglio, probabilmente ha fatto effetto la bustina che mi ha dato mia madre. La ringrazio mentalmente per il sollievo che mi ha donato. Mi giro sull’altro fianco e mi ritrovo il naso umido del nostro gatto contro il mio. Continua a fare le fusa felice.
«Beato te che non hai alcun problema al mondo», mormoro accarezzandogli dolcemente la testa. Rotola sulla schiena e mette in bella mostra la sua pancia, tenendo gli occhietti chiusi, si fida ciecamente di me.
La mia mano finisce sul mio ventre, senza quasi rendermene conto. Che stia davvero crescendo un piccolo esserino dentro di me? Nel profondo del mio cuore lo spero vivamente. Sono sette mesi che proviamo ad avere un figlio e sarebbe meraviglioso se stavolta fosse quella buona. Non mi illudo più, ho smesso di farlo, fa troppo male vedere il fallimento mese dopo mese. Non pensavo mi sarebbe importato tanto, mai prima d’ora ho desiderato tanto diventare madre. Non è un compito facile, è tutto nuovo, ma sono disposta a metterci tutta me stessa, con l’aiuto dell’uomo che amo più della mia stessa vita, che è sempre al mio fianco e che so lo sarà per sempre.
 
***
 
Sono completamente frastornato. Ho lasciato Serena sul nostro letto, non stava affatto bene e la cosa mi preoccupa parecchio. Non l’ho mai vista così sofferente in un anno che stiamo insieme. E se fosse davvero incinta? Sarebbe una gioia immensa per me, per noi, lo desideriamo da mesi ormai. Ci stavamo provando praticamente ogni giorno, ma finora non avevamo avuto fortuna. A essere sincero non credevo sarebbe stato così difficile, pensavo sarebbe successo in fretta, o almeno lo speravo.
Raggiungo la farmacia a piedi, si trova giusto dietro l’angolo, non devo nemmeno riprendere in mano la macchina. Non ho idea di dove cercare il test, meglio affidarsi al farmacista. Al contrario di molte persone, non mi vergogno minimamente a chiedere quello che mi serve. Non ho messo incinta per sbaglio una donna qualsiasi, non ho niente da nascondere.
«Mi servirebbe un test di gravidanza per la mia compagna». Mi rivolgo all’uomo dietro al bancone dopo averlo salutato cortesemente.
«C’è questo test classico». Mi fa vedere una confezione di cartone rosa. «Oppure questo indica anche di quante settimane è incinta».
«Mi dia questo». Scelgo il secondo, così sapremo meglio quando è successo, se aspettasse davvero un bambino, ovviamente.
«Bebè in arrivo?», chiede il farmacista con un sorriso.
«Io lo spero», rispondo rimettendo via il portafoglio dopo aver pagato. «Lo stavamo cercando».
«In bocca al lupo allora», dice lui consegnandomi la borsina con il mio acquisto.
«Crepi». Lo saluto con un cenno del capo.
Esco in strada e mi incammino verso il nostro appartamento, guardando il sacchettino che tengo stretto tra le dita. È un oggetto parecchio importante in questo momento: ci dirà se la nostra famiglia si allargherà o no. Sto cominciando a sudare freddo per l’ansia. Svoltato l’angolo, quasi mi scontro con un passante.
«Dove stai andando tanto di corsa?». Luca mi guarda divertito. Alex lo raggiunge un istante dopo e mi saluta con una calorosa pacca sulla spalla. Non ho voglia di fare conversazione in questo momento, devo tornare da Serena, sono già via da dieci minuti.
«Sono passato in farmacia, Serena non sta tanto bene», gli spiego muovendomi nervosamente sul posto.
«Che cos’ha?», chiede in ansia. «No, non dirmelo, veniamo con te».
Che cosa? Ci manca anche che ci sia altra gente per casa quando dobbiamo controllare una cosa tanto importante e delicata.
«Non credo sia il caso». Provo a dissuaderlo, ma Luca è irremovibile. Mi prende per un braccio e mi trascina davanti al mio cancello.
«Devo assicurarmi che non hai avvelenato il mio tesorino», dice incrociando le braccia al petto.
Alex inarca un sopracciglio e scuote la testa rassegnato. Ormai sa che con Luca non si può ragionare, soprattutto quando si tratta di Serena.
«Amore, credo che loro due vogliano rimanere soli». Viene in mio soccorso il suo uomo.
«Lo faranno dopo», ribatte lui fregandosene altamente. «Non saranno mica questi cinque minuti che fanno la differenza».
Apro il cancello con un sospiro, tanto non potrei cacciarlo via e lui non se ne andrebbe neanche volendo.
«Ehi socio!».
Ecchecazzo! Tutti qui devono essere oggi? Mi volto verso il marciapiede e Lorenzo ci sta raggiungendo a passo svelto.
«Che cosa c’è stasera, un pokerino anticipato?», chiede guardando Luca e Alex.
«Niente pokerino», borbotto io voltandogli le spalle e aprendo la porta del palazzo.
«Perché sei così scontroso? È successo qualcosa?», domanda ora preoccupato.
«Serena non sta tanto bene», risponde Luca al posto mio. «Io sto andando a controllare che cos’ha che non va».
Ho voglia di urlare in questo momento. So io che cosa non va in Serena e vorrei tanto rimanere solo con lei, ma cacciare i nostri amici non sarebbe gentile, anche se vorrei farlo con tutto il cuore. Le mani mi tremano per il nervosismo e la borsina della farmacia cade a terra, facendo uscire il suo contenuto. Cazzo! Addio riservatezza.
Luca si porta una mano alla bocca. «Lei è…».
«Non lo sappiamo», dico rassegnato. Ormai non ha più senso tergiversare, il danno è stato fatto.
«Vedi perché volevano stare da soli?». Alex lo guarda con tenerezza.
«Beh, ora più che mai voglio sapere!», sbotta lui spingendomi all’interno dell’androne.
«Cazzo, socio! Dici che sia la volta buona? Finalmente avresti assestato il colpo giusto!». Lorenzo mi stringe una spalla e io lo fulmino con lo sguardo. Viene da vomitare anche a me in questo momento.
Ma chi me l’ha fatto fare a uscire? Avremmo potuto fare il test domani mattina e non avremmo avuto questi problemi. Avere degli amici impiccioni a volte è parecchio fastidioso, soprattutto quando hai bisogno di un po’ di intimità.
Mi seguono lungo le scale ed entriamo tutti nel nostro appartamento. Serena è in cucina e sta bevendo un bicchiere d’acqua. Mi lancia un’occhiata carica di significato e io mi stringo nelle spalle sospirando.
«Che cosa ci fate voi qui?», chiede lei raggiungendoci in sala.
I tre ospiti indesiderati non hanno nemmeno la cortesia di rispondere, sono stranamente in imbarazzo.
«Loro sanno», mugugno io avvolgendola in un abbraccio. «E ora vogliono il responso. Mi dispiace tesoro, ho provato a liberarmi di loro, ma sai che non è una cosa semplice».
Lei si stringe di più a me e sbuffa.
«Direi che non abbiamo altre alternative, non se ne andranno finché non saranno soddisfatti», commenta con il naso premuto contro il mio collo.
«Lo credo anch’io, amore. Via il dente, via il dolore. In questo caso andranno via loro, almeno spero».
«Visto che ormai siete qui e non ve ne andrete, fate come se foste a casa vostra», dice loro rassegnata. Afferra la mia mano e mi trascina nel bagno, chiude a chiave la porta.
«Almeno qui dentro non entreranno e non ci disturberanno», commenta lei sedendosi sul bordo della vasca da bagno.
«Tu dici?». Inarco un sopracciglio. Non ne sarei tanto convinto.
«Okay, apri anche il rubinetto dell’acqua così aumentiamo il rumore e non possono ascoltare dalla porta». Si mette a ridere sommessamente.
La vedo più tranquilla ora e il colore del suo viso non è più cadaverico: le sue guance sono di un bel rosa. Sono felice che la nausea se ne sia andata per il momento, ma se fosse incinta, dovrò farci l’abitudine. Mi dispiace solo vederla sofferente, non deve essere affatto bello.
Apro il rubinetto della doccia e mi siedo accanto a lei sulla vasca. Apro la confezione che tengo stretta nella mano da quando mi è caduta sotto casa ed estraggo quell’aggeggio di plastica.
«Sai già come funziona?», le chiedo scostandole i capelli dal viso per poterla guardare meglio.
Lei annuisce afferrando il test e prendendo un bel respiro. Lo scarta e si siede sulla tazza. Forse non dovrei guardare, non credo sia educato, ma non me ne frega molto in questo preciso istante e poi non abbiamo mai avuto problemi a trovarci nel bagno mentre c’era già anche l’altro. Appoggio i gomiti sulle ginocchia e mi copro il viso con le mani: non sono mai stato così nervoso in tutta la mia vita. Se fosse nuovamente un falso allarme, giuro che mi metto a urlare per la frustrazione.
Serena si siede nuovamente accanto a me e appoggia la testa sulla mia spalla. Attendiamo in totale silenzio che quei minuti interminabili trascorrano.
«E se dovesse essere negativo?». Stavolta è lei ad essere pessimista, non la biasimo. So quanto sia pesante tutto questo per lei. Ha sempre finto di stare bene, mese dopo mese, ma la sentivo piangere, anche se cercava in ogni modo di farlo di nascosto. La pressione stava raggiungendo livelli alti e non avrebbe fatto bene a nessuno dei due. Questa potrebbe essere la volta buona, ma finché non ne avrò la certezza, non voglio dire niente.
«Ci riproveremo all’infinito, finché quel dannato test non diventerà positivo», rispondo con decisione, baciandole poi il capo. «Faremo lo sforzo di fare l’amore giorno e notte».
Lei solleva il viso e mi sorride. «Non avresti niente da obiettare, immagino».
«Assolutamente no», dico baciandole le labbra. «Sarebbe un lavoro durissimo, ma sono disposto a passare ogni notte insonne».
«So che ti impegneresti al massimo». Si accoccola al mio fianco e io le passo un braccio intorno alle spalle, attirandola a me.
Rimaniamo nuovamente in un silenzio quasi religioso, solo il rumore del getto dell’acqua che continua a scorrere nella doccia. Qualcuno bussa alla porta, ma noi facciamo finta di non aver sentito. Non ho voglia di vedere i nostri amici, soprattutto non prima di sapere qual è il responso.
Serena controlla l’ora sul suo orologio e si alza lentamente, raggiungendo il lavandino dove aveva abbandonato il test. È arrivato il momento di scoprire se la nostra vita cambierà o no. La raggiungo immediatamente, nonostante le gambe non vogliano collaborare.
Serena fissa la finestrella senza battere ciglia e poi passa il test a me. Si porta una mano alla bocca e comincia a piangere senza alcun controllo. No, ti prego, non dirmi che nemmeno stavolta diventerò padre! Ho una paura fottuta di leggere quelle due parole che tanto temo: non incinta.
Tengo quel pezzo di plastica tra le mani e mi faccio coraggio, deglutendo più volte a vuoto. Forse non ho letto bene. Riprovo e ritrovo la stessa identica scritta: incinta 2-3
«C-che cosa vorrebbe dire?», balbetto frastornato.
Serena si asciuga le lacrime e risponde: «Che aspettiamo un bambino».
Lancio il test nel lavandino e sollevo da terra la mia donna, facendola volteggiare senza esagerare, non vorrei che mi vomitasse in faccia. Sono così felice che non riesco nemmeno a parlare, mi ritrovo a stringere l’amore della mia vita tra le braccia e a piangere di felicità. Sì, lo ammetto, sto piangendo e non mi importa di quello che gli altri possano pensare. Stordisco Serena con dei baci sulle labbra, per poi riempirle anche il viso. La gioia che sto provando in questo momento mi sta togliendo il respiro.
«Ti amo, ti amo, ti amo», continuo a ripeterle baciando ogni centimetro di pelle che la mia bocca trova lungo il suo percorso.
Serena continua a piangere aggrappata a me. Le sue lacrime sono di un’altra natura, però, lo si legge nei suoi occhi, nella sua espressione: è felice, come non lo era da un po’.
«Amore», mormora sulle mie labbra. Ci scambiamo un bacio rovente, bagnato dalle nostre lacrime di contentezza. Ci aggrappiamo l’uno all’altra con forza, senza smettere un solo istante di sorridere. Abbiamo aspettato per mesi questo momento e, ora che è arrivato, il mio cuore sta scoppiando di gioia. Mi siedo nuovamente sul bordo della vasca e mi asciugo gli occhi con le mani, le mie gambe sono diventate molli all’improvviso per la forte emozione. Serena si posiziona davanti a me. Avvolgo il suo busto con le braccia, appoggiando il viso sul suo ventre. Le sue dita si insinuano tra i miei capelli e mi accarezzano dolcemente la nuca. Non credo di aver mai provato un’emozione tanto forte prima d’ora. Chiudo gli occhi e mi lascio coccolare dalla mia donna.
Un bussare insistente alla porta mi fa sospirare. Non mi va di uscire e incontrare gli sguardi curiosi dei nostri amici, ma non possiamo rimanere chiusi qui dentro per sempre.
«Forse è meglio uscire, prima che Lorenzo e Luca si mettano a sfondare la porta», dice lei baciandomi la fronte. Ha perfettamente ragione: l’unico che non farebbe una cosa tanto insensata è Alex, ma dubito che riuscirebbe a farli desistere.
Si allontana di un passo e mi porge la mano, la afferro immediatamente e la raggiungo al suo fianco. Chiudo l’acqua all’interno della doccia ed entrambi prendiamo un bel respiro. Esco per primo, seguito a ruota dalla mia donna.
«Allora?», sbotta Luca prendendo il viso di Serena tra le mani. «Volevate farci morire di crepacuore? Stavamo per tirare giù la porta».
Come se non lo avessimo saputo. Alex mi rivolge uno sguardo carico di comprensione: quell’uomo è un santo. Lorenzo mi affianca e mi stringe la spalla con una mano.
«Socio, ti prego, dicci qualcosa». Non ho mai visto il mio migliore amico tanto nervoso. Sa quanto tenessi a diventare padre e si è preoccupato per me in tutti questi mesi. Quando è nata Eleonora ho provato una gioia enorme e tenerla tra le mie braccia mi ha aperto un nuovo mondo. Ho sognato a lungo di tenere un figlio tutto mio tra le braccia e, se tutto andrà bene, fra qualche mese lo farò. Al solo pensiero mi ritrovo a sorridere felice.
«Dalla tua espressione direi che ci sono delle buone nuove», commenta lui allontanandosi di un passo e mettendosi al fianco di Luca, il quale ha lasciato andare il viso dell’amica e continua a guardare prima me e poi lei.
«È vero?», chiede lui sgranando gli occhi.
Serena mi mette un braccio lungo la schiena e si stringe a me, le bacio una tempia. Entrambi annuiamo, ammutoliti da tutta questa emozione.
Luca si porta una mano alla bocca, Lorenzo la spalanca poco elegantemente: sono parecchio buffi.
«Diventerò zio!», esclamano all’unisono, facendoci scoppiare a ridere. Alex segue il nostro esempio e ride anche lui fino alle lacrime.
I due diretti interessati ci fulminano con lo sguardo, ma poi le loro espressioni si addolciscono. Luca butta le braccia al collo di Serena.
«Oh, tesoro mio! Sono così felice per voi». Le bacia ripetutamente una guancia, stringendola forte a sé.
Lorenzo, invece, mi abbraccia di slancio, dandomi delle leggere pacche sulla schiena.
«Ben fatto, socio! Stavolta non hai ciccato il colpo». È il suo modo di dire di essere contento per noi, non potrei mai arrabbiarmi per la sua poca delicatezza.
Riusciamo a cacciarli di casa dopo una ventina di minuti, avevamo bisogno di rimanere finalmente soli. Stava diventando un affare di stato e mi sentivo un tantino sotto pressione. Serena si è sdraiata a letto perché le girava un po’ la testa e io la raggiungo immediatamente. Mi sdraio accanto a lei e la attiro a me, i nostri nasi ora si sfiorano. Le accarezzo il viso, scostandole i capelli. I suoi occhi cercano rapidi i miei e una lacrima scende lungo la sua guancia, la asciugo con due dita. Non credo servano parole per descrivere quello che entrambi stiamo provando in questo momento. Mi sposto lentamente e scosto la sua maglietta, scoprendone il ventre. Lo bacio teneramente, appoggiandomi poi con la guancia. Qui dentro crescerà nostro figlio e io ancora stento a crederci. Chiudo gli occhi e mi lascio cullare dalle carezze della mia donna. Questo ultimo anno è stato il più spettacolare di tutta la mia vita e credo che il meglio debba ancora venire. C’è un matrimonio da organizzare, una gravidanza da gestire. La nostra famiglia si sta allargando e io mi sento al settimo cielo. Mi auguro solo che vada tutto bene, senza complicazioni. Oggi comincia una nuova parte della nostra vita insieme, io sono decisamente pronto. Alzo lo sguardo e incontro i meravigliosi occhi verdi di Serena, brillano di luce propria e io mi sento un uomo fortunato.   

 
 
***Note dell'autrice***

Capitolo alquanto intenso e che molti di voi stavano aspettando con ansia: Serena & Marco aspettano un bimbo! Hanno avuto qualche difficoltà, ma alla fine la perseveranza è stata premiata :) Luca e Lorenzo sono davvero il massimo: mai momento fu peggiore per trovarsi tutti sotto casa di Marco! ahaha! Non li ho invidiati proprio per niente. Spero che il capitolo vi sia piaciuto :) Meno tre alla fine... volevo dirvelo così da prepararvi psicologicamente. Ci ho messo un po' a capire dove fermare la storia, ma ce l'ho fatta. Non sarà, però, un addio definitivo :)
Un grazie infinito a tutti voi che leggete, seguite e lasciate commenti... vi adoro dal primo all'ultimo ♥

Un bacione, Ire ♥


Se volete passare a trovarmi
Bijouttina & i suoi vaneggiamenti

 

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Capitolo 32
*** Le notizie corrono veloci ***


 



32. Le notizie corrono veloci
Non abbiamo ancora detto niente alle nostre famiglie riguardo la mia gravidanza, un po’ perché dobbiamo ancora riprenderci noi da questa notizia meravigliosa, un po’ perché stavamo aspettando il momento giusto. Probabilmente non esiste il momento perfetto per informare i propri genitori che diventeranno nonni, abbiamo soltanto deciso che sarà oggi. Mia madre mi assilla per sapere qualcosa: mi chiama tutti i giorni chiedendomi come sto e se so qualcosa. Io tutte le volte cerco di glissare sulle risposte, girando intorno alla questione. Ora, però, non possiamo più farlo. È in ansia per me e non la biasimo. Conoscendola starà già pensando che io abbia un brutto male, perciò credo sia giunto il momento di informarla sulle novità.
«Amore, mi ha appena chiamato mio padre. Devo andare urgentemente in azienda». Mi informa Marco facendo capolino alla porta del bagno.
«Oh, è successo qualcosa di grave?», chiedo preoccupata. Non vorrei mai che il signor Rossini si sia sentito nuovamente male.
«No, niente di grave, ma hanno fatto un casino con delle consegne e mio padre vuole che gestisca tutto quel marasma, prima di fare una strage», risponde scuotendo la testa. «Sai che mio padre diventa una belva quando si incazza».
«Assomiglia molto a una persona di mia conoscenza», commento divertita.
«Che donna insolente!». Mi raggiunge e mi tappa la bocca con la sua, stordendomi.
«Rimandiamo?», domando una volta ripreso a respirare normalmente.
Lui sembra pensarci un attimo. «Non ha senso rimandare. E se tu lo dicessi ai tuoi e io ai miei? Almeno così ottimizziamo il tempo e non ci pensiamo più».
La sua non è una brutta idea anche se non ho alcuna intenzione di presentarmi da sola a casa dei miei genitori. Ho bisogno di un diversivo, qualcuno che possa distrarli un po’ e credo anche di sapere su chi fare affidamento.
«Prima lo facciamo, meglio è», gli dico con un sorriso.
«Ci vediamo dopo la partita?». Posa la fronte sulla mia e mi stringe a sé.
«Non mancherò». Gli bacio delicatamente le labbra. Mi saluta con un bacio sul ventre: da quando abbiamo scoperto di aspettare un figlio, non fa altro che sussurrare parole dolci a quell’ammasso informe di cellule. Gli ho fatto notare che è un pochino presto per farlo, ma lui con una scrollata di spalle mi ha detto che non gli importa, ama già follemente nostro figlio.
Una volta sola, mi lascio andare tra i cuscini del divano: ho una fiacchezza addosso che me ne tornerei a dormire, altro che andare dai miei. Non ho per niente voglia di uscire, mi sta tornando pure la nausea. Diablo mi raggiunge e si acciambella sulle mie gambe per la sua razione di coccole, non mi lascia mai sola un attimo quando sono a casa, è peggio della mia ombra. Gli accarezzo il pelo distrattamente, mentre con l’altra mano mando un messaggio alla mia ancora di salvezza che mi passa a prendere venti minuti dopo l’invio.
«Come sta la mia figlioccia?». Sollevo in aria Eleonora che mi sorride felice. «Ma quanto sei bella con questo vestitino rosa».
Le bacio la punta del naso, prima di stringermela al petto. Lei è la mia piccolina, la coccolo e vizio senza alcun ritegno. Marco è pazzo di lei, la strapazza di baci tutte le volte che può.
«Mia figlia riesce a comprare chiunque con quel suo bel faccino», commenta Stella divertita.
«Appunto per questo ti ho chiesto di venire con me dai miei, da sola non potrei mai farcela», le dico restituendole la bimba per poterla mettere sul suo seggiolino. «Ho bisogno di un diversivo, non voglio che l’attenzione sia tutta per me, non vorrei soffocare».
Rendo partecipe la mia migliore amica di questa mia ansia e lei mi sorride, rassicurandomi con un abbraccio.
«Sono qui per te, tesoro», sussurra massaggiandomi dolcemente la schiena.
Non so che cosa farei senza i miei amici. Marica si è un po’ allontanata da noi da quando ha cominciato a frequentare di nuovo Michele. Spero solo non stia facendo una cazzata delle sue, è piuttosto brava in questo. Ieri è comunque venuta al nostro venerdì film e sembrava piuttosto tranquilla, speriamo bene. Noi la teniamo d’occhio in continuazione, ma non possiamo metterla sotto torchio, faremmo peggio.
Luca è sempre il solito, passa tutto il tempo con noi quando non è impegnato con il suo Alex. È contentissimo di diventare zio e ogni giorno mi chiama per sapere come sto, quando non passa a trovarmi o facciamo lo stesso turno. Al lavoro mi controlla come un segugio, osserva ogni mia azione e non mi fa sollevare neanche un peso, per paura che possa succedere qualcosa al bambino. È iperprotettivo, più di quanto non lo fosse prima. A volte sembra perfino peggio di Marco, il che vuole dire tutto! Mi trattano come se fossi malata e si preoccupano in continuazione. Da un certo punto di vista mi fa piacere che si preoccupino per me, ma dall’altro mi sento un po’ oppressa, a volte mi sembra di soffocare.
Stella è l’unica a sapere come mi sento in questo momento particolare della mia vita e mi è vicina ora più che mai. Lorenzo rassicura e consiglia il suo migliore amico come fosse il guro della paternità. A volte mi ritrovo a sorridere davanti alla sua espressione seria. Ricordo ancora quanto fosse un bambinone quando l’ho conosciuto per la prima volta, ora sembra tutta un’altra persona. Diciamo che la paternità e le responsabilità gli hanno fatto bene. Mi piace questo nuovo Lorenzo più maturo e adulto, anche se a volte mi fa un po’ paura.
Dieci minuti dopo siamo davanti la villetta dei Boissone e comincio già a sudare freddo. Credo che vomiterò nella siepe prima di suonare il campanello. Non è proprio il massimo, ma il mio stomaco sta facendo le capriole in questo momento e non vedo altre alternative. Mi sento decisamente meglio dopo averlo fatto. Ora sono pronta a vedere i miei genitori, o quasi.
Stella mi raggiunge con in braccio la piccola e il cancellino si apre un attimo dopo che ho suonato. Mio padre ci sta già aspettando sulla porta.
«Qual buon vento?», chiede con un sorriso a trentadue denti. La barba è nuovamente incolta, nonostante le continue sfuriate di mia madre. Appena vede Eleonora, si illumina come un albero di Natale e protende le mani verso di lei.
«Ma ciao, angioletto», la saluta baciandole la fronte. La mia figlioccia è contenta delle attenzioni che mio padre le sta riservando e non si lamenta minimamente. Il signor Boissone le fa le facce buffe e le parla dolcemente: sarà sicuramente un nonno meraviglioso, ma non avevo alcun dubbio a riguardo.
«C’è la mamma?», domando non appena ci siamo chiusi la porta alle spalle.
«È andata a chiedere il caffè alla vicina, siamo rimasti completamente a secco e non avevamo voglia di andare al supermercato solo per quello», risponde con una smorfia.
«Se me lo dicevate, ve lo avrei portato io», dico sedendomi sul divano, la mia mano finisce automaticamente sul mio ventre, come a proteggere quello che sta crescendo dentro di me. Mi fa ancora parecchio strano pensare che fra qualche mese darò alla luce un esserino come Eleonora. Mi emoziono al solo pensiero e mi si inumidiscono gli occhi. Gli ormoni mi fanno dei bruttissimi scherzi in questo periodo e piango per un nonnulla, facendo spaventare ogni volta Marco che è super apprensivo.
«Come facevamo a sapere che saresti passata?». Mio padre mi osserva con un angolo della bocca sollevato all’insù, mentre continua a cullare la mia figlioccia che si è addormentata fra le sue braccia.
In effetti anche lui ha ragione, non li avevo avvisati e, a quanto ho capito, non hanno ancora ricevuto il dono della preveggenza.
«Francesco, quand’è che vai finalmente in pensione?». Stella mi salva da questa mia gaffe involontaria, distraendo immediatamente mio padre. I miei amici sono cresciuti con me e hanno sempre dato del tu ai miei genitori, sono quasi membri della nostra famiglia.
«Se tutto va bene l’anno prossimo. Un po’ mi dispiace lasciare i miei studenti, ma tutto sommato troverò altro da fare». Le strizza l’occhio con fare cospiratorio, come se loro due sapessero qualcosa che io non so.
Mi estraneo momentaneamente dal mondo, mentre loro due continuano a chiacchierare tranquillamente. Mi gira un po’ la testa e comincio a sentirmi nuovamente uno schifo. Sono incinta da un paio di settimane, non oso immaginare come saranno i prossimi mesi. Chiudo gli occhi per una frazione di secondo, ma è sufficiente per farmi cadere in un sonno profondo.
Quando apro gli occhi, mia madre è seduta accanto a me sul divano e mi sta carezzando amorevolmente un braccio.
«Stai bene, tesoro?», chiede sommessamente scostandomi i capelli che mi sono caduti sul viso mentre ero nel mondo dei sogni.
«Sì, sto bene, mamma, grazie». Mi metto più comoda sui cuscini e mi stropiccio gli occhi.
«Sei incinta, vero?». La sua domanda diretta mi fa sorridere. Che senso ha girare intorno al discorso, tanto lo aveva già sperato dopo essermi sentita male qui qualche giorno fa.
Annuisco solamente, sorridendole. Mio padre sta parlando ancora con Stella e non ha seguito il nostro discorso fatto a bassa voce. Mia madre si porta una mano alla bocca e una lacrima scende lungo la sua guancia.
«Oh, bambina mia!». Mi avvolge in un abbraccio e mi accarezza amorevolmente i capelli. Erano anni che non mi sentivo così protetta tra le sue braccia. Ho sempre pensato fosse una gran rompiscatole, che non faceva altro che giudicarmi, ma da quando sto con Marco ho visto dei cambiamenti in lei e il nostro rapporto è decisamente migliorato. Riusciamo perfino a fare un discorso normale, senza darci contro. Ricambio la sua stretta e mi lascio andare contro di lei, godendomi quelle attenzioni e dando libero sfogo alle lacrime.
«La mia piccola è diventata una donna. Oh mio dio, sto per diventare nonna!». Quando si rende conto di questo, si unisce al mio pianto e versiamo lacrime insieme, allagando quasi il divano.
«Che avete voi due da piangere? Siete per caso impazzite?». Mio padre si accorge che c’è qualcosa che non va e ci osserva con espressione mista tra preoccupazione e curiosità.
Mi asciugo gli occhi con entrambe le mani, mi alzo e lo raggiungo. Eleonora è tra le braccia di Stella, così prendo il suo posto e mi siedo sulle gambe di mio padre, come facevo quando ero piccola. Lui mi avvolge le spalle e mi tiene stretta a sé.
«Che succede? Mi stai facendo preoccupare», dice baciandomi la tempia e solleticandola con la barba.
Mi stringo di più a lui e gli bacio la guancia.
«Diventerai nonno». Lo sussurro con la testa appoggiata alla sua spalla e lui sembra trattenere il respiro.
«Vorresti dirmi che aspetti un figlio? La mia bambina aspetta un figlio?». Sembra un disco rotto e credo sia anche un po’ sotto shock. Mia madre non gli aveva accennato la cosa dopo il mio malessere? Da come sta reagendo, direi che non gli ha detto proprio niente.
«Sì, aspetto un figlio. Marco ed io lo stavamo cercando da un po’». Rendo partecipe il mio papino del nostro desiderio di diventare genitori. Lui è sempre stato il mio preferito, non è mai stato un segreto per nessuno. A lui ho sempre detto tutto, non mi è mai servito mentirgli, è sempre stato dalla mia parte qualunque decisione prendessi.
«Diventerò nonno», ripete imbambolato.
«Sei contento?», lo chiedo con un filo di voce, quasi avessi paura che possa dirmi di no.
Mi solleva il viso con una mano e mi sorride, baciandomi poi la punta del naso.
«Come potrei non esserlo? Un nipotino da viziare!», commenta poi scoppiando a ridere. «Non vedo l’ora!».
Ora mi sento decisamente più leggera. Mio padre mi riempie il viso di baci e io comincio a ridere come una bambina. Mi sembra di avere nuovamente dieci anni e mi sento bene. Mia madre ci osserva con gli occhi ancora lucidi e un fazzoletto ridotto a brandelli tra le mani. Allungo le braccia verso di lei e ci raggiunge di corsa, stringendosi a noi. Non avevo bisogno di distrarre i miei genitori con Eleonora, ma sono felice che Stella sia qui con me in questo momento importante. Anche lei si sta asciugando le lacrime, sono riuscita a far commuovere anche la mia migliore amica.
«Siamo così felici, tesorino nostro», farfuglia mia madre.
Rimaniamo abbracciati tutti insieme per un po’, fino a quando non comincia a mancarmi l’aria e mi assale nuovamente la nausea. Ho bisogno di uscire all’aria aperta, anche se fuori fa parecchio caldo. Fra un’ora comincia la partita dei ragazzi e dobbiamo pure darci una mossa. Dobbiamo prendere posto sulla gradinata, non vorrei dovermene restare in piedi tutto il tempo. Luca e Alex ci raggiungono lì, non si perderebbero una partita neanche per sbaglio, ormai ci hanno preso gusto.
Salutiamo i miei, che sono ancora parecchio scossi e commossi e saliamo nuovamente in auto. La mia figlioccia è stata bravissima e non ha mai pianto. È davvero un angioletto e spero che anche nostro figlio sarà così bravo. Parlo al maschile perché non so che cosa sperare. Non so se mi piacerebbe un maschio o una femmina, non ne abbiamo mai parlato davvero con Marco. Quello che arriverà, sarà perfetto, indipendentemente dal sesso. L’importante è che sia sano, un genitore non potrebbe volere altro.
«Credo che tu ti sia preoccupata per niente». Mi fa notare Stella concentrata alla guida.
«Lo credo anch’io», commento con un sorriso. Pensavo sarebbe stato più complicato dirlo ai miei genitori, ma è andato tutto a meraviglia.
Raggiungiamo gli spalti quasi di corsa, siamo in ritardo. Fortunatamente Luca ci ha tenuto due posti accanto a loro.
«Siete sempre le solite», borbotta il nostro amico prendendosi Eleonora e riempiendola di baci. «Solo tu non hai alcuna colpa, cucciolina dello zio. Mi raccomando, quando crescerai, non prendere dalla tua mamma, sennò siamo fregati».
Stella alza gli occhi al soffitto e scuote la testa con il sorriso sulle labbra. Luca non si smentisce mai, ma noi lo adoriamo così com’è. I nostri uomini escono dagli spogliatoi e guardano verso di noi. Uno strano vociare alle mie spalle, mi fa accigliare.
«Ma hai visto come sono boni quei due lì? Guarda, guarda, stanno salutando noi».
Mi giro di scatto e noto due donnette tutte tirate a nuovo che fanno gli occhi dolci al mio Marco e a Lorenzo. Do una gomitata a Stella, che non si è persa una parola del duo: le sta fulminando con lo sguardo. Marco mi manda un bacio e io ricambio felice.
«Hai visto? Ha mandato davvero un bacio a me?». La tipa bionda ossigenata con le ciglia finte e le labbra gonfie come due canotti si sta pavoneggiando.
Lorenzo mima un Ti amo alla mia amica che arrossisce come un pomodoro.
«Oooooh, ma com’è dolce il morettino», cinguetta l’altra.
E no, ora mi sono rotta le palle! Mi alzo con le mani piantate sui fianchi e le incenerisco. Le due oche mi fissano come se fossi impazzita.
«Non per illudervi, ma quei due bei maschioni sono già impegnati». Stella si mette accanto a me, con la bimba tra le braccia. Entrambe mostriamo il solitario che sfoggiamo all’anulare.
«E per la cronaca, il bel morettino è il padre di mia figlia», infierisce la mia amica con sguardo truce.
Le due donne spalancano la bocca e si fanno piccole piccole nel loro posto.
Stella ed io torniamo a sederci e ci sorridiamo: abbiamo zittito quelle galline e ci sentiamo alla grande. Luca ed Alex ci osservano divertiti. Abbiamo dato un po’ spettacolo, ma quando ci vuole, ci vuole!
 
 
***
 
Non avrei mai voluto lasciare Serena da sola e, soprattutto, non avrei mai voluto informare la mia famiglia della novità per conto mio. Sarebbe stato tutto più semplice se lei fosse stata con me, ma non volevo strapazzarla. Sono dovuto venire qui in azienda di corsa, su richiesta di mio padre. Era parecchio agitato al telefono e lui non deve assolutamente innervosirsi, ne va della sua salute. Il suo cuore deve reggere ancora parecchi anni. Deve veder crescere suo nipote, deve poterlo viziare come ha fatto con tutti gli altri. Abbiamo aspettato qualche giorno prima di rendere partecipi le nostre famiglie di questa meravigliosa notizia, avevamo bisogno di metabolizzare la cosa. Dopo tutti i mesi “sprecati”, finalmente è successo. Non avevo mai desiderato diventare padre così tanto come negli ultimi tempi, ora che sta per succedere davvero, sembra tutto un bellissimo sogno. Ancora non ci credo che fra qualche mese stringerò mio figlio tra le braccia e al solo pensiero mi si inumidiscono gli occhi per la contentezza. Cominciavo a non sperarci davvero più, ma fortunatamente il miracolo è avvenuto, e Serena porta in grembo il frutto del nostro amore, frutto tanto desiderato.
Una volta arrivato in ufficio, trovo mio padre che cammina su e giù come un pazzo.
«Quell’imbecille del corriere ha fatto su una cazzata tremenda e ha invertito le consegne. Giuro che se me lo trovo davanti, gli rifaccio i connotati», tuona parecchio alterato.
«Papà, cerca di darti una calmata», dico posandogli entrambe le mani sulle spalle e obbligandolo a fermare quella camminata senza senso.
«Calmarmi? Come faccio a calmarmi? Stanno mettendo a dura prova i miei nervi in questi ultimi giorni. Secondo me, mi vogliono vedere morto e sepolto, con una bella croce piantata su un cumulo di terra», continua lui imperterrito.
«Smettila di dire cavolate, nessuno vuole vederti morto». Lo scrollo appena, ma non ottengo l’effetto sperato.
«Ai miei tempi non succedevano mai queste cose. Voi giovani moderni non riuscite a prendervi le vostre responsabilità», borbotta peggio di una pentola di fagioli.
Eh no, questi luoghi comuni non mi piacciono, sta tirando in mezzo anche me e questa cosa non mi va, assolutamente.
«Prendo in mano l’azienda di famiglia, è ora che tu vada in pensione e lasci a me il compito di strigliare tutti a destra e a manca». Oh cazzo! Le parole sono fluite senza alcun filtro e ora non posso più tornare indietro. Era un po’ che pensavo a questa cosa e stavo aspettando il momento giusto per informare tutti della mia decisione. Ne ho parlato con Serena giusto ieri sera e lei è con me al mille per mille, rispetta la mia decisione ed è fiera di me. Non so se questa fosse l’occasione giusta per sganciare la bomba, ma ormai è troppo tardi per ogni eventuale rettifica.
«Tu vorresti prendere il mio posto nell’azienda di famiglia?». Mio padre sembra sconvolto e dal pallore sul suo viso ho il terrore che gli stia per venire un infarto, e sarebbe tutta colpa mia.
«Sì, vorrei farlo», confermo con decisione. «Se non hai cambiato idea».
Lui mi prende il viso tra le mani e mi scuote leggermente.
«Non cambierei mai idea, mi hai appena reso il padre più orgoglioso sulla faccia della Terra».
Visto che siamo in ballo, tanto vale ballare: gli sgancio anche la seconda bomba. Almeno se vorrà venirgli un infarto, arriverà tutto in una volta soltanto.
«Papà, diventerai nuovamente nonno», annuncio guardandolo negli occhi.
Lui mi osserva attentamente, con la bocca leggermente aperta per lo stupore.
«Tu? Voi?».
«Aspettiamo un figlio». Un sorriso stupido appare sulle mie labbra, senza neanche quasi rendermene conto. Sono al settimo cielo e non vedevo l’ora di dire a tutti quanto fossi felice di diventare padre.
«Oh, ragazzo mio!». Mi abbraccia di slancio e mi dà delle pacche sulle spalle. «Sono così fiero di te».
Noto con mio immenso stupore che si sta asciugando gli occhi con le mani, cercando di non farsi beccare con le lacrime che colano lungo il viso. Gli uomini duri non piangono, mai!
«Prega Dio che sia un maschio. Ci sono già abbastanza femmine in questa famiglia e poi manca un Rossini che possa portare avanti il nostro buon nome». Mi minaccia puntandomi un dito contro. Come se potessi decidere qui seduta stante il sesso di nostro figlio.
«Quel che sarà, sarà», dico io seraficamente. Non importa se sarà un maschio o una femmina, sarà comunque amato incondizionatamente e viziato all’inverosimile.
Ora, però, devo dirlo a mia madre e ho come la sensazione che la sua reazione sarà alquanto diversa: si preannunciano inondazioni.
«Tua madre è in casa». Mio padre sembra avermi letto nel pensiero, forse la mia espressione parla per me ancora prima che io possa aprire bocca.
Lo ringrazio con un cenno del capo e raggiungo la villa a grandi falcate. Non ho molto tempo, devo essere in piscina fra un’ora e non posso arrivare in ritardo. La porta sul retro è aperta e trovo la signora Rossini in cucina, intenta a preparare l’insalata per la cena.
«Ciao mamma», saluto andandole vicino lentamente e baciandole la guancia.
«Ciao tesoro. Che cosa ci fai qua? No, non dirmelo, è stato tuo padre, vero? Ancora quella storia del corriere?», chiede asciugandosi le mani sullo strofinaccio prima di abbracciarmi e baciarmi la guancia con trasporto.
«Direi di sì», rispondo con un sospiro.
«Tuo padre deve smetterla di comportarsi come se fosse ancora un ragazzino. Non vuole rassegnarsi al fatto che sta diventando vecchio e non può più correre dietro a tutto». Sbuffa sonoramente portandosi una mano sulla guancia accalorata.
«Lo so, per questo gli ho appena detto che prendo in mano io l’azienda di famiglia».
Mia madre sgrana gli occhi e spalanca la bocca poco elegantemente.
«Oh, tesoro, hai preso una decisione alla fine», esclama ancora parecchio sconvolta da questa mia notizia. Non ha ancora sentito l’altra!
«Sì, penso sia la cosa giusta da fare. In fin dei conti in questi mesi mi sono trovato bene a lavorare qui, nonostante papà rompesse parecchio».
Lei prorompe in una fragorosa risata e scuote la testa. «Tuo padre è fatto così, lo sai meglio di tutti noi, ma ti vuole un bene dell’anima».
«Io, però, dovrei dirti anche un’altra cosa», comincio prendendo il discorso alla larga.
«Che cosa devi dirmi?», domanda guardandomi attentamente e osservando ogni mio piccolo gesto.
Mi appoggio con la schiena al mobile della cucina e prendo un bel respiro. Ho fatto meno fatica a dirlo a mio padre, stento perfino a crederci.
«Marco, mi stai facendo agitare. È successo qualcosa a Serena?».
Mia madre si sta preoccupando per la mia donna e la cosa mi fa sorridere, la mia famiglia adora Serena e quando ci sentiamo al telefono mi domandano prima di lei e poi, se si ricordano, chiedono anche di me.
«Diciamo che c’entra Serena». Incontro i suoi occhi carichi di preoccupazione e decido di sputare il rospo. «È incinta. Aspettiamo un bambino».
Un altro peso si è tolto dal mio petto e mi sento più leggero.
La mia genitrice ammutolisce, ma i suoi occhi si riempiono di lacrime.
«Il mio bambino diventerà padre», farfuglia tra i singhiozzi. «Dio, come sono felice».
Mi butta le braccia al collo e si mette a piangere contro il mio petto. A quanto pare ho fatto piangere tutti con questa notizia.
«Quasi non ci speravo più. Credevo non mi avresti mai fatto diventare nonna», borbotta soffiandosi il naso su un fazzoletto di cotone che teneva nella tasca del grembiule.
Ah ecco, c’era qualcosa da recriminarmi! Non me la prendo minimamente, perché lo sguardo dolce che mi sta riservando in questo momento mi fa sciogliere completamente. Lei è felice per me e io non potrei chiedere di meglio dalla vita.
«Che considerazione che hai sempre di me!». La prendo in giro bonariamente.
«Non sei più giovincello nemmeno tu, caro mio». Mi pizzica una guancia per poi baciarmela un attimo dopo.
«Vorrei ricordarti solo una cosa: se non sono più giovane, vuol dire che tu stai». Mi tappa la bocca con il palmo della mano.
«Non provare nemmeno a terminare la frase! Screanzato che non sei altro!». Mi mette il broncio per mezzo secondo e poi scoppia a ridere. «Va bene, hai ragione. Sto diventando vecchia e sono felicissima di poter vedere nascere un altro nipotino. Non si è mai vecchi per quello!».
«Comunque più gli anni passano, più ringiovanisci e diventi bella».
Lei mi osserva divertita. «Sei un adulatore, come lo era tuo padre alla tua età».
«Buon sangue non mente». Le strizzo l’occhio e lei ridacchia, accarezzandomi un braccio. «Ore devo andare, però. Ho la partita e sto già facendo tardi».
Guardo l’ora sull’orologio appeso alla parete della cucina e mancano solo venti minuti all’inizio. Se non mi do una mossa, non arriverò mai in tempo.
«A domani, mamma, scappo». Le bacio la guancia e raggiungo di corsa la mia macchina parcheggiata davanti la villa.
Credo di aver battuto ogni record oggi, spero di non aver beccato alcuna multa, altrimenti mi girerebbero davvero le scatole. I ragazzi sono già tutti pronti quando li raggiungo nello spogliatoio.
«Sì, lo so, sono in mega ritardo», bofonchio prima che Lorenzo possa aprire bocca.
Tutti i miei compagni mi circondano e mi osservano con aria divertita.
«Che sta succedendo? Non avete altro di meglio da fare che fissare tutti me?». Li fulmino con lo sguardo, uno alla volta e loro si allontanano di un passo.
«Un uccellino ci ha detto che qui qualcuno sta per diventare papà». È Federico ad avere abbastanza fegato da parlare dopo avermi fatto girare le scatole.
«Un uccellino piccolo?». So già chi è stato e ora mi divertirò io a sfotterlo per benino.
«Ehi! Piccolo sarà il tuo!», sbotta Lorenzo mettendosi davanti a me con le mani piantate sui fianchi.
«Volete fare a gara a chi ce l’ha più grosso?». Si intromette Giorgio, scoppiando a ridere come un cretino un attimo dopo.
«Non ce n’è bisogno. Sappiamo già chi è il vincitore», dico sfidando con lo sguardo il mio migliore amico.
«Dio, sei insopportabile!». Mi avvolge il collo con un braccio e mi stritola. Queste sono le sue dimostrazioni d’affetto.
«Comunque ho notato che qui le notizie corrono veloci», borbotto dopo che Lorenzo lascia andare la presa. «Fra un po’ lo sapevate prima voi che i miei genitori».
«A proposito, come l’hanno presa?», chiede Lorenzo mettendosi nuovamente accanto a me.
«Bene direi. Mia madre mi ha detto che era anche ora e che stava perdendo le speranze di farla diventare nonna. Mio padre mi ha minacciato, vuole assolutamente un nipote maschio».
«Altrimenti il nome dei Rossini cadrà nell’oblio», aggiunge lui prorompendo in una fragorosa risata.
«Vedo che hai colto perfettamente il nocciolo della questione! Non so proprio come tu abbia potuto farlo». Scuoto la testa ridendo. «Mio padre è così prevedibile».
«Credo che dovrò per forza fare un altro figlio, altrimenti anche il nostro nome cadrà nel dimenticatoio». Lorenzo salta fuori con questa affermazione e lo guardiamo tutti in modo strano.
Quando lui se ne accorge sbotta: «Che c’è? Non penserete mica che lasci la mia principessa figlia unica! Voglio un maschietto ora».
Questa cosa mi fa davvero ridere: lui che pensava solo a spassarsela ogni sera con una donna diversa, ora sta soppesando l’idea di avere un secondo figlio dalla sua compagna.
«Stella lo sa?», chiede Paolo grattandosi pensierosamente il mento.
«Non ancora», risponde il mio amico con una smorfia. «Lo saprà presto».
Mi cambio al volo mentre loro continuano a disquisire di bambini, pannolini e cose di questo tipo. Fra qualche mese potrò unirmi a quei discorsi, ma al momento preferisco vivere nell’ignoranza. Non muoio dalla voglia di cambiare pannolini puzzolenti, ma saranno quelli di mio figlio, mi adatterò. Già ora sto pulendo tutti i giorni la lettiera di Diablo. Non lo faccio più fare a Serena, meglio se sta alla larga durante la gravidanza. Non è un lavoro che faccio con passione, ma bisogna pur farlo: quel gattone mangia come un vitello!
«Siete pronti?», chiedo battendo le mani e attirando la loro attenzione.
«Non per sembrarti scortese, ma qui quello che non era pronto eri tu», commenta Giorgio stringendomi la spalla nel passare.
«Dettagli», bofonchio incamminandomi fuori dallo spogliatoio.
Cerco con lo sguardo il mio amore sugli spalti e la noto immediatamente. La fisso in adorazione. Quella donna è tutta la mia vita e diventa ogni giorno più bella. Finalmente si degna di ricambiare le mie occhiate cariche d’amore. Lorenzo si mette al mio fianco e amoreggia con lo sguardo con la sua Stella. È diventato così smielato da quando si è innamorato.
«Che cos’hanno quelle due tipe dietro le nostre donne da agitarsi? Credono davvero che potremmo mai essere interessate a loro?». Il mio migliore amico mi dà una leggera gomitata per attirare la mia attenzione. In effetti due donne si stanno facendo aria con le mani, soprattutto dopo che ho soffiato un bacio a Serena.
«Non abbiamo perso il nostro fascino», commenta scoppiando a ridere.
«No, non lo abbiamo perso, ma fra due secondi quelle due perderanno dei denti». Serena e Stella si sono piazzate davanti a loro e stanno sicuramente marcando il loro territorio.
«Oh, le nostre cucciole hanno tirato fuori gli artigli». Lorenzo esce con questa affermazione e a me scappa da ridere. Le nostre cucciole. Il cervello gli è andato certamente in pappa.
La partita va alla grande, vinciamo, ovviamente, e siamo tutti euforici. Ora ho bisogno di riabbracciare la mia donna e scambiare qualche parolina con il mio futuro figlio. Mi piace parlare con lui, anche se lo so che non serve a niente in questo momento.
Ci facciamo una doccia al volo, ci cambiamo e raggiungiamo le nostre compagne all’uscita della struttura. Le prime persone che incontriamo appena varcata la soglia, sono le due tipe che ci facevano gli occhi dolci, che non hanno ancora smesso. Sono vestite come se fossero appena state in discoteca, truccate fin troppo e credo si siano pure fatte il bagno nel profumo, mi viene da vomitare. Scambio uno sguardo eloquente con il mio migliore amico e le scartiamo come se nemmeno esistessero. Loro ci guardano con il broncio, possono fare quello che vogliono, l’importante è che stiano alla larga da me. Faccio di corsa gli ultimi passi che mi separano da Serena e la sollevo in aria per poi baciarle le labbra, stringendola forte fra le mie braccia. Lorenzo prende Eleonora e se la coccola per benino, prima di baciare abbondantemente Stella. Oh sì, siamo diventati due romanticoni e padri di famiglia. Va bene, io non lo sono ancora, ma sono sulla buona strada. Bacio il ventre della mia donna, mentre lei mi accarezza amorevolmente i capelli. Non ho bisogno di altro per essere felice.
 
***Note dell'autrice***

Hanno aspettato un po' per dirlo alle famiglie, ma a quanto pare tutti l'hanno presa nel migliore dei modi. Marco ha anche preso la decisione importante di prendere in mano le redini delle Cantine Rossini, rendendo il padre orgoglioso. Un'altra svolta alla loro vita :) Le ragazze hanno anche marcato il loro territorio in piscina... nessuno può toccare i loro uomini! Bene, meno due alla conclusione di questa prima parte di storia. Il seguito è necessario: ho ancora troppe cose da raccontare di loro e non potevo continuare in eterno in questa storia ♥ Detto questo, ringrazio tutti voi che seguite con affetto questa mia storia e che trovate il tempo di lasciarmi un commento, vi adoro! A martedì prossimo!

Un bacione, Ire ♥


Se volete passare a trovarmi
Bijouttina & i suoi vaneggiamenti

 

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Capitolo 33
*** Primi cambiamenti ***


 



33. Primi cambiamenti
Serena è sempre stanca in questo periodo. Siamo andati dal suo ginecologo l’altro giorno e ha detto che è normale sentirsi spossati alla quinta settimana di gravidanza. Ha fatto la sua prima ecografia e non si vede assolutamente niente, non c’è ancora traccia di nostro figlio. Ammetto di essere rimasto un po’ deluso. Lo so che il medico ci aveva avvisato di questo, però vedere con i proprio occhi è tutta un’altra cosa. Sembrava un grosso buco nero, niente di più. Ci ha spiegato che cosa sarebbe cambiato in Serena, a che cosa saremmo andati incontro. Ho ascoltato tutto come un bravo scolaretto, non volevo perdermi una sola parola, ho intenzione di prendermi cura della mia donna e di mio figlio, non le dovrà mancare niente e non dovrà affaticarsi. Potrà sempre contare su di me in ogni momento della giornata.
Sto preparando il caffè in cucina, quando lei appare dal muretto e appoggia i gomiti sul ripiano. Fa una smorfia disgustata e si tappa la bocca con una mano.
«Che succede?», chiedo in apprensione. La nausea si è accentuata ultimamente e il ginecologo le ha consigliato di prendere delle bustine da sciogliere in acqua, adatte alle donne in stato interessante.
«L’odore del caffè mi dà il voltastomaco», risponde un attimo prima di correre in bagno.
Verso quella bevanda scura in una tazza e la bevo tutta d’un fiato, rischiando di ustionarmi. Lavo la tazza, la moka e spalanco di più la finestra, in modo tale che l’odore esca dalla cucina. E pensare che lei era una caffeinomane che dava di matto se non poteva avere la sua tazza di caffè di prima mattina. Ora non sopporta più nemmeno l’odore e mi fa parecchio strano.
Ritorna dopo qualche minuto, pallida e sbuffante.
«Se avessi saputo che sarei stata tanto male, non so se avrei mai voluto rimanere incinta», bofonchia avvolgendo il mio busto con le braccia e affondando il viso contro il mio petto.
Le accarezzo dolcemente i capelli con una mano, mentre con l’altra le massaggio amorevolmente la schiena.
«Lo so che non è facile per te, amore», le dico baciandole il capo.
«Mi sento uno schifo e non faccio altro che vomitare. Non l’ho mai fatto così tanto in tutta la mia vita», continua a borbottare stretta a me.
«Mangia un cracker, ti aiuterà a mettere a posto lo stomaco scombussolato». Le consiglio sommessamente.
«Non ho voglia di mangiare», brontola. «Anzi, no, ho voglia di patatine fritte. Non quelle schifose del sacchetto, quelle fritte al momento, con una montagna di sale».
Mi ritrovo a sorridere.
«Sono le otto di mattina. Non andrebbe meglio una brioche?», le domando cercando di non ridere.
«Ma che schifo! Non ho voglia di dolci, mi fanno venire la nausea», risponde con una smorfia.
«Disse la donna che non viveva senza una fetta di dolce dopo i pasti». La prendo in giro bonariamente. Non lo avessi mai fatto! Si stacca da me e mi guarda con gli occhi ridotti a due fessure.
«Vorrei vedere te nei miei panni, sai? La maggior parte delle cose che adoravo mi fanno venire il voltastomaco, passo più tempo con la testa nella tazza che sul divano a riposare, piango ogni cinque secondi per delle stronzate e tu hai anche il coraggio di prendermi in giro? Sei un insensibile!».
Parlarono gli ormoni impazziti.
Questa battuta stavolta la tengo per me, non vorrei che la questione degenerasse per una cretinata. Mi sono pure beccato dell’insensibile, ma non ci faccio nemmeno caso, non è la mia Serena a parlare. Allungo le braccia e la attiro nuovamente a me. Borbotta qualcosa senza senso e poi sospira con il viso nascosto.
«Scusami», dice dopo un po’. Alza lo sguardo per potermi guardare negli occhi e il suo broncio è adorabile.
«Non c’è niente da scusare». Le accarezzo lo zigomo con il pollice e le sorrido. «Puoi usarmi come punching bag, valvola di sfogo, picchiami, urlami contro. Usami come meglio credi, sono a tua completa disposizione».
«Come fai a sopportare questi miei sbalzi d’umore?», domanda in un sospiro.
«Secondo Luca ci riesco perché sono un santo», rispondo con un sorriso sghembo. «Io, invece, credo sia per il fatto che ti amo più della mia stessa vita e che porti in grembo mio figlio. Non credo di avere altre risposte sensate».
Serena mi sorride e si accoccola nuovamente contro il mio petto. «Io ne avrei una perfetta».
«Sentiamo, saputella». La prendo in giro accarezzandole dolcemente i capelli.
«Perché ti manca qualche giovedì». Sghignazza sommessamente e io scoppio a ridere.
«Mi manca anche qualche venerdì se è per questo, però non è gentile da parte tua ricordarmi che sono sprovvisto di qualche rotella». Le faccio notare.
«Era un modo gentile per dirti che sei pazzo, Shark».
«Sai che non lo avevo proprio capito? Devo essere più stordito del solito», borbotto baciandole il capo.
Il campanello fa sussultare entrambi.
«È già ora?», grugnisce poco elegantemente.
«Credo di sì e, se entro due minuti non sarai giù, Luca salirà e verrà a prelevarti di peso». Le faccio notare con una punta di divertimento nella voce.
«Lo so, ma non ho voglia di andare a lavorare», brontola nascondendo il viso tra le mani.
«Ti capisco». Le bacio la fronte e sospiro. «Dai, stasera siamo a cena da Stella e Lorenzo, ci rilassiamo un po’».
«Okay», piagnucola.
Si stacca da me con immensa fatica e mi viene da ridere: il broncio non ha abbandonato le sue labbra ed è talmente adorabile che la terrei tutto il giorno stretta fra le mie braccia. La lascio andare dopo un lunghissimo bacio e aver salutato mio figlio, tra gli sbuffi della mia donna. Non mi importa se non mi può sentire, io ci parlo insieme quanto voglio, è un mio sacrosanto diritto.
Stamattina ho appuntamento con mia madre, devo accompagnarla a comprare una borsa nuova. Non ho ancora capito il motivo per cui dovrei essere io ad andare con lei, ma non me la sono sentita di tirarmi indietro: mi ha velatamente minacciato che se non la avessi portata in quel negozio, non mi avrebbe più rivolto la parola per almeno un mese. Devo ammettere che ero quasi tentato di declinare, sarebbe stato bello un momentaneo silenzio stampa. Purtroppo sono troppo buono e non sono riuscito a dirle di no. In questo modo ritarderò pure in azienda e non mi fido più molto a lasciare tutto in mano a mio padre. Ultimamente si arrabbia per un nonnulla ed è quasi impossibile ragionarci insieme. Credo che non si sia ancora rassegnato al fatto che deve lasciare in mano le redini della cantina al sottoscritto. Sia chiaro, è fiero e orgoglioso di me e della mia scelta, ma non riesce a farsene una ragione. Sono più di cinquant’anni che lavora nella nostra azienda e per lui andare in pensione suona come una sconfitta. Non vuole sentirsi vecchio e non lo biasimo. Non può, però, forzare il suo già provato cuore. Mi preoccupo per la sua salute.
Passo a prendere mia madre alle nove, mi sta già aspettando fuori dal cancello.
«Sei in ritardo», mi rimprovera salendo in macchina e baciandomi poi la guancia, lasciandomi il segno del rossetto scarlatto. Pulisce la traccia con le dita.
«Mi avevi detto alle nove». Le faccio notare.
«Infatti! Sono le nove e due minuti!», esclama con enfasi.
Mi volto verso di lei e la fisso con un sopracciglio inarcato. Le faccio vedere il mio orologio e segna le nove precise. Lei si muove nervosamente sul posto e fa finta di niente. Arriccia le labbra, sistemandosi la cintura.
«Andiamo, dai», mi dice ravvivandosi i capelli.
È bello riuscire a zittire i propri genitori una volta ogni tanto. Anche se fossi stato in ritardo di due minuti, non vedo quale fosse questo gran problema. Forse sono io che non ci arrivo. Evitiamo eventuali scontri verbali e faccio inversione di marcia per tornare sulla strada principale.
«Dove ti devo portare?», le chiedo prima di immettermi in tangenziale, almeno per sapere in che direzione andare.
«Giù in città c’è una mia mia amica che ha un negozietto adorabile, accompagnami lì», risponde mettendosi più comoda sul sedile.
Spero solo di non incontrare nuovamente Grazia andando in centro. È da un po’ che non si fa viva, fortunatamente, ma non vorrei mai trovarmela sotto casa. Serena la farebbe fuori questa volta, e io non la fermerei, anzi farei il tifo guardando la scena in disparte in un angolo. Deve essere piacevole vedere la propria donna che lotta per te. Non che le permetterei mai di battersi per me, nel suo stato poi! Non metterei mai a repentaglio la vita sua e di nostro figlio.
Mi ritrovo a pensare a come sia cambiata radicalmente la mia vita in questi ultimi mesi, rifarei tutto dall’inizio, senza pensarci due volte. Serena è la cosa più bella mi sia mai capitata e quello che sta accadendo tra di noi è davvero meraviglioso. Non avevo mai pensato alla possibilità di diventare padre prima di conoscere lei, non era mai stato nei miei piani.
«C’è qualcosa che non va, tesoro? Mi sembri pensieroso». Le parole di mia madre mi fanno tornare bruscamente alla realtà. Ero immerso nel mio mondo e non stavo facendo molto caso a quello che succedeva intorno a me, avevo inserito il pilota automatico.
«Va tutto bene, mamma», le rispondo cercando di offrirle qualcosa di simile a un sorriso.
Lei si volta verso di me e piega la testa di lato.
«Sei nervoso per quanto riguarda la gravidanza?», domanda accigliandosi impercettibilmente. Siamo fermi a un semaforo e osservo la sua espressione con la coda dell’occhio.
«Serena sta bene?», continua cominciando a preoccuparsi. «Se non stava bene, potevamo rimandare. Devi prenderti cura di lei».
Come se potessi fregarmene se la mia donna non sta bene. Mi preoccuperò per lei finché avrò vita.
«Serena sta bene, solo la sua solita nausea. Luca è passato a prenderla per andare al lavoro. Baderà a lei in mia assenza», la aggiorno riprendendo finalmente a muovermi lungo la strada, questo semaforo non diventava più verde.
«Quel ragazzo sembra un amore. Non sei geloso?», chiede a bruciapelo.
Dipende di che gelosia sta parlando. Potrei esserlo del rapporto simbiotico che quei due hanno, ma sicuramente lui non mi porterà mai via l’amore della mia vita, questo è poco ma sicuro.
«Lui è fidanzato, non sono geloso di lui», rispondo serenamente. Non credo di averle mai detto che lui fa coppia fissa con Alex, non so se sia pronta per questo genere di informazione.
«Ma si sa che la carne è debole e loro passano fin troppo tempo insieme». Ha proprio voglia di farmi diventare geloso? Non ci riuscirà mai.
«Se avessero davvero voluto stare insieme, avrebbero potuto farlo anche prima di conoscermi, non credi?». Provo a farla desistere, ma mia madre ha proprio voglia di rompermi le scatole stamattina.
«Sì, ma si può sempre cambiare idea e Serena è una bella donna».
Non c’è niente da fare! A male estremi, estremi rimedi.
«Mamma, Luca non sarà mai interessato a lei. È gay», le dico fermando la macchina davanti al negozio di pelletterie.
Lei si gira completamente verso di me e mi guarda attonita.
«Hai presente Alex, il ragazzo biondo che ti ho fatto conoscere una volta?». Mi sembra di parlare con una bambina ammutolita in questo momento.
Mia madre annuisce impercettibilmente.
«È il fidanzato di Luca, stanno insieme da mesi ormai».
Lei sembra ridestarsi all’improvviso. «Ora si spiegano molte cose. Certo, però, che tutti i bei ragazzi sono fuori dal mercato».
Dopo questa affermazione, direi che la questione è conclusa. Devo ammettere che ha preso davvero bene questa notizia e non mi sembra nemmeno turbata dalla cosa. Mia madre è moderna e nemmeno lo sapevo. Si dirige a passo spedito all’interno del negozio, ma io non la seguo. Non ho la minima intenzione di perdere tempo dietro a delle borse.
Poco più in là noto qualcosa di più interessante: un negozio per bambini. In vetrina ci sono carrozzine, passeggini, giocattoli vari e io mi ritrovo a sorridere. Metto la mano sulla maniglia ed entro senza pensarci due volte.
La commessa alla cassa mi saluta immediatamente, con il sorriso sulle labbra. Ricambio, ma mi perdo immediatamente in quell’infinità di oggetti per bambini.
«Cercava qualcosa di particolare?», chiede la donna, una cinquantenne molto elegante e dall’aspetto curato.
«Non lo so, la mia compagna è di sole cinque settimane», rispondo senza nemmeno pensarci.
«Un futuro padre felice a quanto vedo», commenta lei osservandomi con occhio esperto.
«Al settimo cielo», confermo io senza alcuna vergogna. Abbiamo cercato tanto questo figlio e non potrei essere più felice di così in questo momento.
Mi lascia un po’ di libertà e mi guardo in giro. Vorrei prendergli un pensierino, nonostante dovrò aspettare mesi per poterglielo dare. Non mi va di uscire da questo posto a mani vuote. Fra un po’ porterò qui anche Serena e sceglieremo insieme il necessario per il nostro bambino, tutte le decisioni a riguardo le prenderò con lei. Mi fermo davanti a uno scaffale pieno zeppo di pupazzi per neonati e scorgo immediatamente un bel gatto di peluche: un Diablo tutto per nostro figlio. Lo prendo tra le mani e mi ritrovo a ridacchiare da solo, sembra una palla, proprio come il vero felino. Decido che sarà questo il mio primo regalo per lui o lei, andrà bene qualunque sia il sesso.
La commessa mi sorride radiosa. «Vedo che ha trovato qualcosa di suo gradimento».
«In effetti ci sono troppe cose di mio gradimento. Porterò qui la mia compagna non appena sapremo di più sul nostro bambino e faremo la spesa», le dico con un sorriso ebete sulle labbra. Non vedo l’ora di spendere e spandere per nostro figlio, lo vizieremo all’inverosimile, questo è certo.
Noto mia madre fuori dalla vetrina e mi raggiunge affannata.
«Credevo mi avessi lasciata qua, non ti ho più visto», brontola colpendomi fievolmente sul braccio.
«Mamma, non te lo farei mai». O almeno credo, potrei fare un’eccezione se mi facesse girare le scatole per qualche motivo assurdo.
«E lo credo! Mi vedresti davvero infuriata altrimenti». Si blocca all’improvviso e fissa il mio nuovo acquisto con aria schifata. «Non avrai mica intenzione di comprare quel coso per mio nipote?».
«L’ho appena fatto», le rispondo rimettendo il portafoglio nella tasca posteriore dei pantaloni.
«Ma… ma…», balbetta sconfortata.
«A me piace e piacerà anche a mio figlio. Fine della discussione. Tu potrai prendergli tutto quello che vuoi, ma questo è il mio primo pensiero per lui». La prendo sottobraccio, saluto la commessa alla cassa e trascino la mia genitrice fuori dal negozio.
«Non hai buon gusto, lo sai, vero?», brontola lei una volta salita in macchina.
«Dovrei offendermi?», domando inarcando un sopracciglio. Non riuscirei a farlo per così poco, ma mi diverto a stuzzicarla.
Lei arriccia le labbra e sospira. «No, non farlo».
E brava la mia mammina! «Hai trovato quello che cercavi?».
A questa mia domanda sembra illuminarsi e mi fa vedere il suo nuovo acquisto: una borsa enorme dove ci starei dentro pure io. Ho come l’impressione che non troverà mai niente al suo interno, ma questa considerazione la tengo per me. In fin dei conti è lei che deve andare in giro con un borsone da viaggio sulla spalla. Lascio che si sfoghi, descrivendo tutte le qualità di quell’oggetto a mio avviso alquanto inutile. Ma che cosa posso capirci io? Sono solo un uomo.
 
***
 
Questa mattina mi sento uno schifo totale, non che le altre mattine sia meglio, ma oggi sembra addirittura peggio. Luca sta guidando diligentemente verso l’outlet e mi controlla con la coda dell’occhio. La cosa positiva di farsi scarrozzare da lui è che non farà mai cose azzardate: è ligio alle regole e piuttosto fa venti chilometri orari in meno che superare il limite anche solo di un paio. A volte mi fa venire l’ansia perché un nonno con il bastone andrebbe più veloce a piede di lui in macchina, ma devo starmene zitta, altrimenti si arrabbia e comincia a borbottare frasi poco carine.
«Stai bene, cucciola?», chiede posandomi una mano sul ginocchio.
«Sono stata meglio», rispondo prendendo dei respiri profondi per non vomitare qui nell’abitacolo, non me lo perdonerebbe mai.
«Per fortuna che sono nato uomo. Non avrei mai sopportato una gravidanza», commenta con una smorfia. «Hai un aspetto orribile».
«Siamo in vena di complimenti stamattina vedo», borbotto massaggiandomi delicatamente il ventre. Fa strano pensare che dentro di me sta crescendo una nuova vita, è una sensazione particolare, difficile da descrivere a parole.
«Potresti metterti almeno un po’ di fondotinta. Il look cadaverico non ti dona molto», continua irremovibile per la sua strada. Sta rischiando di brutto, potrei perfino decidere di non trattenermi e dare di stomaco qui sui sedili.
«Tu potresti metterti del nastro adesivo sulla bocca, così la smetteresti di sparare cazzate», bofonchio parecchio infastidita.
«Wow! Che gran risposta acida. Gli ormoni sono parecchio sboccati oggi». Luca non se la prende minimamente per le mie parole poco carine. Sa benissimo che non lo faccio apposta, sono solo parecchio irritabile in questo periodo e mi dà fastidio quando mi parlano con un certo tono. Sono più permalosa di quanto lo sarei normalmente e fortunatamente sembrano avere una gran pazienza con me.
«Credo di sì, ho maltrattato anche Marco prima», gli dico in un sospiro.
«Non lo invidio per niente. Deve essere parecchio fastidioso averti in giro per casa con questo tuo bel caratterino», commenta con il sorriso sulle labbra.
«Se non mi sopporterà più e dovesse cacciarmi di casa, mi trasferirò da te. Alex sarebbe disposto a darmi un tetto sopra la testa, ne sono certa». Osservo il mio migliore amico spalancare la bocca e fare una smorfia poco elegante.
«Quell’uomo non ti caccerà mai di casa e, se dovesse farlo, di sicuro non ti ospiterò, non in queste condizioni», borbotta.
«Sei il migliore, Luca». Gli bacio la guancia e lui si volta impercettibilmente verso di me, un angolo della bocca sollevato all’insù.
«Tu resti sempre la mia cucciola». Mi prende la mano e la tiene stretta nella mia.
Non riuscirei mai ad arrabbiarmi con Luca, per nessun motivo al mondo. Facciamo il resto del breve viaggio in silenzio, non c’è bisogno di dire altro.
La mattinata al lavoro passa piuttosto in fretta, tra corsette al bagno e quattro chiacchiere rubate qua e là con il mio migliore amico. Non mi ha permesso di sollevare alcun scatolone, è stato come la mia ombra, ovunque andavo, me lo ritrovavo accanto. Aveva davvero paura che potessi fare qualche cretinata e si accertava che facessi tutto senza sforzi. Deve aver fatto un patto con Marco, ma nessuno dei due me ne vuole parlare. Di una cosa sono certa: Luca ha il compito di badare a me quando Marco non può farlo. Mi sembra di essere sotto scorta!
All’una mi siedo su uno sgabello e mi mangio un pacchetto di cracker, il mio stomaco reclamava qualcosa di solido.
«Tesorino mio!».
Mi è sembrato di sentire la voce di mia madre, devo avere le traveggole. Quando me la ritrovo davanti, mi rendo conto che non me lo ero affatto immaginato.
«Ciao mamma. Che cosa ci fai qua?», le chiedo gettando la carta del mio snack nel cestino dello sporco accanto a me.
Mi bacia la fronte. «Passavo da queste parti e ho pensato di venire a darti un salutino».
«Tu che passi volontariamente di qua?». Inarco un sopracciglio e la guardo con aria dubbiosa. Mia madre non verrebbe mai qui all’outlet ed è anche piuttosto fuori zona da casa sua per esserci capitata per caso. Non me la racconta giusta.
Mia madre sbuffa rassegnata. «E va bene, sono venuta apposta per portarti qualcosa da mangiare. Non vorrai mica tirare le due con quel misero pacchetto di cracker?».
«Veramente stacco alle tre». La correggo in un sospiro. Sono già stanca ora, non so come farò a lavorare ancora due ore.
«Motivo in più per mangiare qualcosa di sostanzioso». Mi fa notare lei porgendomi un sacchettino di carta della panetteria che si trova vicino a casa dei miei.
Lo afferro curiosa di sapere che cosa mi ha comprato e lo apro, ficcandoci il naso dentro. Un profumo invitante mi riempie le narici.
«La mia preferita, la focaccia alle olive», esclamo con il sorriso sulle labbra. Ne strappo un pezzetto e lo porto alla bocca, assaporandolo lentamente. Finisco quella delizia in brevissimo tempo e non ho nemmeno un filo di nausea, anzi, ne vorrei ancora un pezzo. Era da un po’ che non mangiavo la focaccia della Nella, la prendevo sempre prima di andare a scuola e la mangiavo durante la ricreazione, molto meglio delle merendine confezionate.
Mia madre mi accarezza dolcemente i capelli e mi sorride. «Meglio?».
«Decisamente», le rispondo con enfasi. «Anche se».
Non riesco a terminare la frase, lei mi porge un sacchetto di plastica con all’interno un altro di carta come quello che ho appena appallottolato.
«So quanta fame si ha in certi momenti». Mi strizza l’occhio con aria cospiratoria. «Non mangiarla tutta che poi stai male, tienila per quando finisci. Golosona!».
Ho già il naso dentro il sacchetto e la bocca piena.
«Prometto che non la mangio tutta», la rassicuro chiudendo tutto e facendo perfino un nodo alla borsina di plastica per non cadere in tentazione.
«Brava la mia bambina». Mi bacia amorevolmente la fronte. «Ci vediamo domenica a pranzo. Salutami Marco».
«Grazie mamma». Mi alzo di scatto dallo sgabello e le allaccio le braccia attorno al collo, appoggiando la testa sulla sua spalla.
«Oh, che bella scenetta», cinguetta Luca unendosi al nostro abbraccio e avvolgendoci entrambe.
Mia madre ed io scoppiamo a ridere.
«Scusate, non ho resistito», dice lui senza lasciarci andare. «Le donne di casa Boissone sono troppo tenere».
La mia genitrice gli prende il viso tra le mani e gli lascia il segno del rossetto su una guancia.
«Avresti fatto perdere la testa a un sacco di donne!». Lo prende in giro lei.
«Nessuno resiste al mio fascino». Sta al gioco il mio migliore amico strizzandomi l’0cchio.
«Ragazzi, ora vi lascio al vostro lavoro. L’uomo di casa mi starà aspettando già seduto a tavola e non ho niente di pronto». Ci saluta entrambi con un altro bacio sulla guancia e torna dal mio papino affamato. Lui non si sognerebbe mai di mettersi ai fornelli, proprio come sua figlia, ma almeno lui ha la scusante di essere un uomo.
Mi sento molto meglio dopo aver mangiato la mia focaccia e riesco a sopravvivere le altre due ore di lavoro, non lo credevo possibile prima dell’arrivo di mia madre. Quando arrivano i nostri colleghi a darci il cambio, Luca ed io sgattaioliamo via alla velocità della luce. In effetti siamo stati più veloci a piedi che poi il mio amico in macchina, come al solito. Almeno sono arrivata a casa sana e salva. Ci salutiamo con un lungo abbraccio e aspetta che sia in casa prima di andarsene, lo saluto dalla finestra delle sala, mandandogli un bacio. Lui ammicca nella mia direzione e sparisce dalla mia visuale.
Diablo viene subito ad accogliermi, strusciandosi sulle mie gambe. Lo sollevo da terra e lo prendo in braccio. Marco non vuole che sollevi pesi, vale anche per il nostro gatto? Cinque chili di felino che fa le fusa come un trattore. Mi siedo sul divano e gli liscio il pelo, lui gongola con gli occhi chiusi, sistemandosi poi sulle mie gambe e mettendosi a dormire.
Un attimo dopo sto sognando di essere su un’isola caraibica.
«Svegliati, dormigliona». Una voce in lontananza mi fa grugnire. Delle labbra, poi, si posano sul mio viso, riempiendolo di piccoli e delicati baci
Apro faticosamente gli occhi e Marco è seduto sul tavolino, mi guarda con un sorriso adorabile sulle labbra.
«La mia bellissima addormentata. O forse sei Pisolo, uno dei nani. Devo ancora decidere». Mi prende in giro il mio uomo.
«Shark, stai facendo un miscuglio di fiabe», commento stiracchiandomi. Diablo salta in braccio a Marco e si coccola sul suo viso, mettendogli poi la coda in bocca. Lui sputacchia poco elegantemente.
«Botolo, non sono un grande amante del tuo pelo», lo sgrida affettuosamente.
Il felino se ne frega delle sue parole e fa un altro giro, mettendogli ancora una volta la coda in bocca.
«Certo che anche tu potresti scansarla». Gli faccio notare scoppiando a ridere.
«Non voglio nemmeno immaginare dove fosse prima di venirmi a salutare», bofonchia lui mettendolo giù di peso.
«Io credo di saperlo, ma è meglio se non te lo dico». Anche gli animali hanno bisogno di andare alla toilette. A questo mio pensiero scoppio a ridere come una scema. Marco ha un’espressione buffissima, deve aver immaginato a che cosa mi riferivo e tira fuori la lingua con aria disgustata.
«Bene, vado a lavarmi la bocca con la candeggina», dice alzandosi dal tavolino e dirigendosi in bagno.
Lo seguo prima che faccia davvero una stupidaggine simile e me lo ritrovo appoggiato allo stipite del bagno, un sorriso malizioso sulle labbra.
«Volevo vedere quanto ci avresti messo a raggiungermi. Pensavi davvero che avrei potuto fare una cosa tanto stupida?», chiede afferrando una mia mano e trascinandomi contro di sé.
«Non mi stupirei più di niente con te», rispondo lasciandomi andare contro il suo petto e avvolgendo il busto con le braccia.
«Quanto sei idiota». Mi dà una leggera pacca sul sedere. «Dai, laviamoci e cambiamoci, dobbiamo essere da Lorenzo fra meno di un’ora».
«Ho dormito così tanto?». Non mi ero nemmeno resa conto che fossero passate delle ore da quando mi ero appisolata sul divano.
«Direi di sì». Mi trascina nel bagno e comincia a spogliarmi delicatamente.
Un’ora dopo siamo sotto casa dei nostri amici, con una bottiglia di spumante tra le mani e un dolce comprato in pasticceria nella scatola: Marco si era fermato da Sergio nel tornare a casa. Se non ci fosse lui a pensare a tutto! Lorenzo ci aspetta sulla soglia, con Eleonora che dorme tranquilla tra le sue braccia.
«Ha appena fatto il ruttino ed è collassata». Ci rende partecipe il nostro amico.
Stella appare alle sue spalle e lo colpisce delicatamente sul collo.
«Fai sembrare nostra figlia un maialino così! Non bastava che dicessi che aveva appena mangiato e, avendo gradito, si è poi addormentata come un angioletto?». Le fa notare lei trascinandoci dentro casa e chiudendo la porta con un piede.
«Sì, avrei potuto, ma sembrava uno scaricatore di porto», borbotta lui passandomi Eleonora. Ero già con le braccia protese verso di lei, avevo davvero voglia di coccolare un po’ la mia figlioccia.
«Ha preso tutto dal papà», commenta Marco ridacchiando.
Lorenzo si illumina notevolmente. «Modestamente è bellissima come il suo papà».
«A me sembra che il tuo socio abbia detto un’altra cosa». Gli fa notare Stella con un angolo della bocca sollevato all’insù. «E prendi le cose che ci hanno portato, fai il bravo padrone di casa».
«Mi comanda a bacchetta, come vedi. Non oso immaginare che cosa farà quando saremo sposati!». Lorenzo scuote la testa rassegnato, sorridendo sotto i baffi. Si divertono a punzecchiarsi almeno quanto amiamo farlo Marco ed io.
«Meglio se rimani nell’ignoranza, amore». Lo bacia sulle labbra, per poi dargli una sonora pacca sul sedere.
«Siamo solo i loro oggetti del desiderio, sappilo». Si rivolge sommessamente a Marco, con aria cospiratoria.
Stella alza gli occhi al soffitto e viene da me, mettendomi un braccio intorno alle spalle e baciandomi la guancia.
«Come stai, tesoro mio?», mi chiede sistemando il bavaglino che su figlia ha ancora legato al collo.
«Sto abbastanza bene, dai. Ho avuto solo stamattina la nausea, sto migliorando. Ho anche un certo appetito stasera», rispondo baciando poi la fronte di quell’angioletto che dorme pacifico tra le mie braccia.
«Ho fatto qualcosa di leggero, non volevo appesantirti troppo. So che cosa vuol dire avere sempre lo stomaco sottosopra». Stella è sempre così premurosa con me e sa perfettamente come mi sento in questo momento. Mi coccola come non aveva mai fatto in precedenza e, a dirla tutta, mi piace davvero tanto essere coccolata dalle persone che amo.
«Grazie di aver pensato a me», farfuglio con gli occhi lucidi.
«Tu mi sei stata molto vicina quando ne avevo bisogno, ora tocca a me prendermi cura del mio tesoro». Mi bacia nuovamente la guancia.
Le sorrido con le lacrime agli occhi. Devo ancora gestire questa forte emotività, ma non credo sarà molto facile.
«Non dovevate portare niente!», brontola Lorenzo dopo aver messo la torta in frigo. Marco ha preso una crostata di frutta fresca, perfetta per questa serata afosa. Stranamente il profumo del dolce non mi aveva dato alcun fastidio quando Marco mi aveva fatto spiare all’interno della scatola prima di partire, a quanto pare succede solo al mattino.
«Perché secondo te venivamo a mani vuote? Ma fammi il piacere!». Il mio uomo lo colpisce sul coppino con la mano aperta. Questi due non hanno ancora smesso di comportarsi come dei ragazzini, nonostante siano dei padri di famiglia, o lo stanno per diventare. La loro amicizia è profonda ed è bello vederli così affiatati.
«Solo perché adesso gestisci l’azienda di famiglia e hai le palanche che ti escono anche dal culo, non puoi venire qui a farmi fare la figura del pezzente», esclama Lorenzo scoppiando a ridere un attimo dopo.
«Disse il super principe del foro che si fa pagare un occhio della testa solo per scrivere due righettine su un pezzo di carta. Lui ha il nome importante, lui si crede figo», continua a sfottere Marco gesticolando come un pazzo e un sorriso beffardo che non abbandona le sue labbra.
«È qui che ti sbagli, socio, io sono figo! È un dato di fatto». Lorenzo si passa una mano tra i capelli come un vero divo.
«Dai, figo, aiutami a portare i piatti in tavola». Stella gli dà un’altra pacca sul sedere e scoppia a ridere. «Non fateci caso, lui si crede più figo di quello che in realtà è».
Lorenzo sparisce in cucina borbottando come una pentola di fagioli.
«A quanto pare si può essere peggio di Luca», commento io divertita.
«Se la giocano ad armi pari!», sbotta lei.
Passiamo una serata all’insegna delle chiacchiere e dell’allegria, per non parlare del buon cibo: Stella è una bravissima cuoca, Lorenzo è un uomo fortunato. Marco mi tiene la mano tutto il tempo e sorride senza sosta. Non credo di averlo mai visto così felice e sereno come in questo ultimo periodo, questa consapevolezza mi riempie il cuore di gioia.
Lo osservo mentre tiene Eleonora tra le sue braccia e sono convinta di una cosa: sarà un padre meraviglioso.

 
***Note dell'autrice***

Serena ha qualche crisi, ma penso sia normale nel suo "stato" e le si perdona tutto. Marco è un santo a sopportare tutti i suoi sbalzi d'umore, ma chi non lo farebbe per amore della propria donna? Luca e Lorenzo sono sempre i soliti, non si smentiscono mai :) Come vi sembrano i due piccioncini a questo punto della storia? Siete pronti al "gran finale"? Lo so che probabilmente non lo siete, ma poi arriverà il seguito, non vi abbandono mica! Datemi solo un po' di tempo per organizzare le idee e poi tornerò :) Vi ringrazio infinitamente per seguire questa storia con tanto affetto... vi adoro!
A martedì prossimo!

Un bacione, Ire ♥


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Bijouttina & i suoi vaneggiamenti

 

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Capitolo 34
*** Un finale inaspettato ***


 



34. Un finale inaspettato
Accarezzo distrattamente il pelo di Diablo mentre osservo Marco che si prepara per andare in azienda. Ormai è diventato un imprenditore a tutti gli effetti e non gli dispiace questo suo nuovo ruolo. Aveva sempre evitato di entrare nell’azienda di famiglia per non scontrarsi con la testardaggine di suo padre, ma ora sa come tenergli testa e lo costringe a tornarsene in casa quando comincia a esagerare. Il mio futuro suocero – fa strano chiamarlo in questo modo – non dovrebbe agitarsi e innervosirsi, ma tenerlo lontano dalla cantina è praticamente impossibile. Vorrebbe avere ancora tutto sotto controllo, nonostante ora spetti a Marco questo compito. Gli ha lasciato lo scettro, è orgoglioso di questa sua scelta e, nonostante ciò, vuole ancora dire la sua su tutto, è più forte di lui.
A volte Marco torna a casa esasperato e crolla sul divano sbuffando. Vorrei poter fare di più per lui, ma mi limito a sedermi accanto e rassicurarlo come meglio posso.
«Hai visto per caso la cravatta che indossavo al matrimonio di tuo fratello?», mi chiede a un tratto, facendomi tornare bruscamente alla realtà.
A me chiede dove l’ha messa? Lui che è Mr Perfettino e io la regina del disordine?
«Non ne ho idea, amore. Sai benissimo che io non metto mai il naso nella tua parte di armadio», rispondo continuando a coccolare il nostro gattone che fa delle fusa esagerate.
«Tranne quando vai a caccia di regali nascosti, vero?». Mi osserva appoggiato all’alta aperta dell’armadio, un sorriso di uno che la sa lunga sulle labbra.
«Io non curioso nel tuo armadio alla ricerca di regali», bofonchio punta sul vivo.
«Allora perché a dicembre ho trovato tutti i miei maglioni alla rinfusa un giorno?». Inarca un sopracciglio, continuando a fissarmi divertito.
Come faccio a dirgli che ha ragione? Non posso, poi si monterebbe la testa dicendo che lui ha sempre ragione. Va bene, ho spiato nel suo armadio e credo di aver fatto cadere accidentalmente qualche maglione di lana durante la mia caccia al tesoro. Oltretutto non è servita a niente, visto che aveva chiuso tutto nella cassaforte, di cui, per la cronaca, non ero nemmeno a conoscenza.
«È stato lo spiritello della lana», gli dico cercando di rimanere seria.
Marco si copre gli occhi con una mano e ridacchia senza alcun ritegno.
«Oh mio Dio, Flounder, questa mi mancava! Lo sai che potrei scrivere un libro con le cazzate che spari ogni giorno?».
«Pensa a tutte quelle che ho sparato prima di conoscerti e quelle che sparo quando non siamo insieme!», aggiungo io scoppiando a ridere, non sono più riuscita a trattenermi.
«La sacra Bibbia delle stronzate! Un best seller mondiale!», commenta il mio uomo raggiungendomi e sedendosi accanto a me sul letto.
«Milioni e milioni di copie vendute nel mondo. Immagino già la copertina con il mio bel faccione con su scritto “Le cazzate di Serena” a caratteri cubitali». Gesticolo con la mano disegnando in aria la prima pagina immaginaria.
«Io lo comprerei subito solo perché c’è il tuo bel faccione». Marco mi bacia la tempia e sposta a terra in nostro gattone, il quale non è molto felice di questo cambiamento di posizione, non aveva ancora finito la sua razione di coccole. Si avvicina di più a me e mi passa un braccio intorno alle spalle.
«Ho già un ammiratore, che bello!», esclamo stringendomi a lui.
«Il tuo fan numero uno». Posa due dita sulla mia guancia e mi ruota il viso in modo tale da poterlo guardare negli occhi. «Sei sempre più bella».
Sto per ribattere, ma le sue labbra si posano sulle mie e non mi lascia il tempo di dire una sola parola.
«Quand’è che mi sposi?», soffia sulla mia bocca. Sono ancora stordita da questo suo bacio mozzafiato e non credo di aver capito bene la sua domanda.
«Come, scusa?», farfuglio con un filo di voce. Sono alquanto confusa in questo momento.
«Voglio che tu diventa mia moglie prima che nasca nostro figlio», mormora lasciandomi dei delicati baci sul viso. Chiudo gli occhi e mi lascio cullare dalle sue piccole attenzioni che mi fanno sempre girare la testa.
«Sei sicuro di volerlo davvero?», domando aggrappandomi a lui, gli occhi ora spalancati e il cervello reattivo. Mi sono ridestata all’improvviso, come se prima fossi dentro a un sogno.
Lui annuisce, sorridendomi dolcemente. «Voglio fare le cose nell’ordine giusto, anche se un po’ abbiamo barato, avendo già concepito nostro figlio. Tu pensaci, non avere fretta. Tanto so che un giorno diventerai mia moglie, ti chiedo solo di pensare all’idea di poter anticipare questo evento importante della nostra vita. Ora vado, altrimenti mio padre mi farà il cazziatone. Passo a prenderti da Luca alle tre. Fai la brava».
Mi lascia con un lunghissimo bacio e io crollo sul materasso portandomi una mano al ventre. Sposarci. Che giornatina si prospetta oggi! Dopo questa sua richiesta, sono ancora più spaventata.
Sono già passate undici settimane da quando sono rimasta incinta e oggi devo fare la mia seconda ecografia. Ho appuntamento alle quattro, così dovrò stare in ansia tutto il giorno in attesa di scoprire se il nostro bambino sta crescendo come dovrebbe.
Decido di darmi una mossa e raggiungo casa di Luca: aspetterò qui con lui l’arrivo di Marco, non avevo alcuna intenzione di starmene a casa da sola, mi sarei agitata maggiormente. Non sopporto essere nervosa tutto il tempo, ma non posso fare altrimenti. E se ci fosse qualcosa che non va? Prendo un bel respiro e mi faccio aria con un giornale che trovo sopra il tavolino.
«Hai le vampate?», domanda il mio migliore amico, sedendosi pesantemente sul divano e tenendo tra le mani una grossa ciotola colma di popcorn.
«Più o meno», rispondo io senza smettere di sventolare quei fogli davanti la mia faccia e dentro la scollatura della maglia.
Luca scoppia a ridere e qualche popcorn finisce sul tappeto, avendo colpito il recipiente con un ginocchio. Lui li raccoglie al volo e li mette in un angolo del tavolo, per gettarli in un secondo momento. Conoscendolo avrebbe potuto anche metterseli in bocca, visto che per lui era un’eresia sprecare tale bontà. Credo che possa averlo fatto con Alex, per non ripeterlo mai più. Che scena disgustosa! La cosa positiva è che non ci sono animali domestici che passeggiano sul tappeto.
«Stavo pensando di prenderti uno di quei piccoli ventilatori a batteria. Sarebbe comodo per farti aria alle tette», esclama divertito.
«Ah ah ah», borbotto gettando il giornale su un bracciolo del divano e prendendo posto accanto a lui. «Vorrei vedere te nella mia situazione».
Luca mi avvolge le spalle con un braccio e mi bacia la tempia.
«Andrà tutto bene, cucciolina mia. Non devi agitarti prima del dovuto, ma io sono certo al mille per mille che quel cosino che hai nella pancia sta bene».
Il mio migliore amico non è uno stupido, aveva capito fin dall’inizio qual era la mia preoccupazione reale.
«Lo spero tanto». Appoggio la testa contro la sua spalla e arraffo qualche popcorn, riempiendomi la bocca come un criceto.
Luca fa partire il DVD che aveva inserito nel lettore prima di sedersi. Mi avvinghio a lui e finiamo velocemente il contenuto della ciotola, sono golosissima di popcorn e lui lo sa più che bene. Non si è lamentato quando si è reso conto che li stavo mangiando quasi tutti io: il potere di essere incinta e venire perdonata per qualsiasi cosa. Normalmente avrebbe cominciato a chiamarmi con nomi non proprio carini e mi avrebbe mandato letteralmente a quel paese. Mi è andata davvero bene oggi.
Gli occhi mi si riempiono di lacrime in una delle scene clou e comincio a singhiozzare, piangendo come una fontana. Luca mi passa un fazzoletto di carta, mi soffio rumorosamente il naso, asciugandomi anche gli occhi. Non credo di aver mai pianto tanto come in questo periodo! Gli ormoni mi stanno davvero facendo dei brutti scherzi.
«Se non chiudi il rubinetto, mi allagherai casa». Mi prende in giro lui avvolgendomi di nuovo le spalle con un braccio e stringendomi a sé.
«Non è colpa mia», comincio con il mio solito borbottio.
«È colpa degli ormoni». Finisce lui la frase al posto mio. «È davvero comoda la scusa degli ormoni. Dovrei provarci anch’io la prossima volta che vado al cinema. Se comincio a piangere come un disperato, poi mi giustifico dicendo che è tutta colpa degli ormoni. Dici che mi crederebbero?».
«Nah, ne dubito. Crederebbero solo a me, perché ho un aspetto tenerissimo da futura mamma», gli dico ridacchiando.
«Una futura mamma con le occhiaie e dal pallore di uno zombie», commenta lui, beccandosi subito un pugno sul petto da parte mia.
«Sei sempre il solito zoticone. Non dovresti prendermi in giro, resto comunque bellissima», borbotto fingendomi risentita. Sono proprio l’ultima persona al mondo che possa pensare che io sia bella.
«Su questo hai ragione, sono proprio uno zoticone», commenta per poi scoppiare a ridere un attimo dopo.
«Quanto vorrei prenderti a pugni in questo momento! Sono stanca, però, e per questa volta ti risparmio, ti è andata bene», bofonchio incrociando le braccia al petto.
«Mi è andata davvero alla grande, anche perché non avrei mai potuto difendermi e li avrei presi tutti», dice scoccandomi un bacio sulla testa.
Finiamo di guardare il film in un silenzio quasi religioso e, quando cominciano i titoli di coda, il campanello fa sobbalzare entrambi. Guardo l’ora sul mio orologio, ma è troppo presto perché sia già Marco. Alex è al lavoro e poi ha le chiavi, non avrebbe senso che suonasse il campanello. Luca si alza sbuffando, mentre io continuo a fare le mie congetture mentali.
Un attimo dopo, Stella e Marica, con Eleonora al seguito entrano dalla porta d’ingresso.
«Come mai qui, ragazze?», chiedo alzandomi rapida e prelevando la mia figlioccia dalla carrozzina per coccolarla come si deve. Ogni giorno diventa più bella e io la adoro. Le bacio la punta del naso, la fronte, la guancia, lei si lascia torturare da me senza un minimo lamento.
«Beh, immaginavamo fossi nervosa per l’ecografia, così siamo venute a infonderti un po’ di coraggio», risponde Marica controllando la ciotola dei popcorn e trovandola irrimediabilmente vuota.
«Ero parecchio in ansia anch’io, perciò ti capisco perfettamente, tesoro». Stella si avvicina a me e mi bacia la guancia. «Come stai?».
«Abbastanza bene, dai, non mi posso lamentare», rispondo con un sorriso.
«Piange solo come una disperata alla gogna, però fa niente», aggiunge Luca allungando le mani verso di me per avere la sua razione di coccole da parte di Eleonora.
Io, per dispetto, la stringo ancora di più a me e mostro la lingua al mio migliore amico.
«Non ti darò la principessa, non prima che tu mi abbia chiesto scusa per il modo poco gentile in cui mi tratti». Lo minaccio puntandogli un dito contro e voltandogli poi le spalle quando cerca di avvicinarsi e prendermi alla sprovvista. Ho ancora i riflessi pronti e non mi frega.
Lui sbuffa sonoramente.
«Va bene, mi dispiace per tutto». Rotea gli occhi e un attimo dopo posa le labbra sulla mia guancia. «Se non ti adorassi tanto, ti avrei già mandata a fanculo».
Dopo questa dichiarazione d’affetto, gli porgo la nostra star del momento che non si lamenta del cambio di coccole: a lei basta essere cullata e coccolata da tutti noi, non ha ancora preferenze.
Mi siedo nuovamente sul divano, sono spossata; l’ansia mi fa sempre questo effetto e la gravidanza certamente non aiuta. Stella e Marica si sistemano ai miei lati, Luca rimane in piedi come uno stoccafisso.
«Non vale rubare i posti così!». Si lamenta con una smorfia. «A casa mia per giunta! Quello sarebbe il mio divano».
«Mio, mio, mio. Come sei diventato petulante ed egocentrico», commenta Marica trattenendo una risata.
«Ha ragione, lo sai? Una volta condividevamo tutto, ora è tutto tuo». Infierisce Stella con un sorriso beffardo sulle labbra.
«Se è tutto mio, allora è mia anche questa bellissima principessa dagli occhioni tanto dolci. Di’ alla mamma che ti tengo qui con me d’ora in poi, così la smette di trattarmi come un cretino. Di’ anche alle tue ziette che non si meritano più le tue attenzioni e da oggi saranno solo per il tuo zietto preferito». Luca parla a Eleonora con dolcezza e io mi ritrovo a sorridere. È meraviglioso vederlo così preso da quella bimba e so per certo che anche mio figlio riceverà tanto amore da parte sua.
«Eh no, lei è mia. Mia, mia, mia». Stella si alza di scatto e recupera sua figlia, per poi risedersi immediatamente accanto a me.
Il nostro amico rimane con le braccia protese verso di noi e l’espressione da pesce lesso. «Ti rendi conto che mi hai rubato la mia nipotina da sotto il naso e senza alcun ritegno? Oltretutto ti sei impossessata nuovamente del mio divano».
Luca socchiude gli occhi e posa il suo sguardo su di me, puntandomi anche un dito contro.
«Tu, signorina Boissone, vedi di sfornare un maschio, perché qui cominciate davvero a essere un po’ troppe da gestire e non credo di potercela fare».
Scoppio a ridere davanti alla sua espressione seria e concentrata.
«Non sto scherzando! Voi donne siete perfide. Ecco, l’ho detto». Incrocia le braccia al petto e alza il mento con convinzione.
Io mi alzo lentamente e gli butto le braccia al collo.
«Non ci provare nemmeno, non riuscirai a corrompermi, non questa volta!», esclama deciso.
Affondo il naso nell’incavo del suo collo.
«Sei il mio tesoro, il mio cucciolo coccoloso», comincio con una serie di paroline dolci.
«Sono un uomo duro, non l’avrai vinta! Non cederò», dice lui rilassandosi impercettibilmente.
«Ti voglio un bene immenso. Sei il mio patato». Mi mordo l’interno della guancia per non ridere.
Lui ridacchia al posto mio. «Patato mi mancava nella lista dei nomignoli che mi hai affibbiato negli anni».
«Oh sì, sei il mio patato dolcissimo», continuo imperterrita. Gli bacio il mento ricoperto da un filo di barba e lui sospira.
Le sue braccia finalmente mi avvolgono in un abbraccio, stringendomi contro il suo petto.
«Come faccio a resistere? Mi freghi tutte le volte e io, da scemo, finisco per diventare un ammasso molliccio di gelatina», borbotta baciandomi poi la fronte. «Ti adoro, cucciolina mia».
E io adoro lui, non smetterò mai di farlo.
«Marco mi ha chiesto di sposarci prima della nascita di nostro figlio», dico a un tratto, chiudendo gli occhi e lasciandomi andare completamente tra le braccia del mio migliore amico.
«E tu che gli hai detto?», domanda Stella alle mie spalle.
«Non ho detto niente, come al solito», rispondo in un sospiro. «Non so nemmeno io che cosa fare».
«Beh, la sua richiesta non è strana», commenta Luca liberandomi dalla sua presa. «In fin dei conti hai già accettato la sua proposta di matrimonio».
«Voi che ne pensate?», chiedo sedendomi nuovamente al mio posto.
Marica sembra nervosa, non capisco il motivo di questo suo comportamento, ma lascio correre. Se ha bisogno di sfogarsi per qualche strano motivo, noi saremo sempre qui per lei e lo sa.
«Solo tu puoi sapere che cosa fare, tesoro», dice Stella baciando la fronte della figlia che si è addormentata fra le sue braccia.
Già, solo io posso saperlo e come tutte le volte non so che risposta darmi. Non c’è molto tempo per organizzare un matrimonio, fra qualche mese sembrerò una balena e ficcarmi in un abito bianco non sarebbe davvero il massimo. Oh mamma, mi sta venendo il mal di testa. Prima o poi capirò che cosa rispondere a Marco, ma non devo decidere ora, non posso farlo, non ci riesco proprio.
 
***
 
Chiedere a Serena di sposarmi prima della nascita di nostro figlio è stato puramente istintivo. Non vedo davvero l’ora che diventi mia moglie e vorrei succedesse prima di diventare genitori. Sarà tutto più complicato poi, ne sono certo e la data slitterà, magari di anni e io non ho voglia di aspettare così a lungo. Serena, però, deve volerlo davvero. Non la obbligherò a fare questo passo se non si sentisse ancora pronta. Posso aspettare, sarebbe dura, ma lo farei. Amo Serena più della mia stessa vita e farei qualsiasi cosa per lei, voglio solo che sia felice.
«Marco, hai visto la mia spillatrice?», chiede mio padre entrando nel mio ufficio. Stavo cercando di riordinare le fatture emesse il mese scorso, ma ho la testa tra le nuvole e non ho combinato proprio un bel niente. Non sono molto produttivo oggi.
«Prendi la mia». Gli porgo l’oggetto che tengo sopra la mia scrivania e torno a fissare le carte davanti a me.
«C’è qualcosa che ti turba?». Mio padre prende una sedia e si siede di fronte a me.
Mi passo una mano sul mento e sospiro. Ammetto di essere un po’ in ansia per l’ecografia di Serena. Finché non saprò se tutto sta andando bene, non sarò del tutto tranquillo.
«Diciamo che ho bisogno di sapere come sta crescendo mio figlio», gli confesso appoggiandomi con la schiena alla sedia e intrecciando le mani dietro la testa. Riempio le guance di aria e la butto fuori un po’ per volta, cercando di rilassarmi.
«Non ti dovresti agitare tanto, sarà tutto perfetto, vedrai». Mi rassicura lui con un sorriso. «Pensa che quando tua madre aspettava te, non c’erano nemmeno tutti questi controlli e abbiamo saputo che eri un maschio solo quando sei nato. Adesso si ha il tempo di organizzare tutto a seconda del sesso del figlio, una volta non era così. È tutto molto più semplice al giorno d’oggi».
Si alza, mi strizza l’occhio e mi lascia da solo con i miei mille pensieri. In effetti in passato era tutto più complicato, dovremmo ritenerci fortunati. Questa consapevolezza, però, non mi fa sentire meno agitato, stiamo pur sempre parlando di nostro figlio.
Per qualche ora mi estraneo dal mondo: cerco di fare il mio lavoro al meglio, ma la mia mente è continuamente proiettata verso le quattro di questo pomeriggio, quando finalmente sapremo qualcosa. In questo marasma di pensieri ho immaginato anche il mio matrimonio con Serena: sarà sicuramente bellissima nel suo abito bianco e rimarrò completamente senza fiato a quella vista. Mi ritrovo a sorridere da solo, mordicchiando il tappo di una penna.
Un bussare alla porta aperta del mio ufficio mi fa sussultare. Agata, una delle nostre impiegate più anziane, mi sta sorridendo dall’uscio.
«Scusami se ti disturbo, Marco. C’è un certo Lorenzo che chiede di te». Mi avvisa la donna. «Ci sono altri due ragazzotti con lui».
Scuoto la testa rassegnato. Che diavolo ci fanno qua i miei soci?
«Grazie, Agata. Mi prendo una piccola pausa». La informo alzandomi dalla sedia e stiracchiandomi. Una boccata di aria fa proprio al caso mio, questa parte del mio nuovo lavoro è particolarmente noiosa e mi stavo abbioccando.
L’impiegata asserisce con un cenno del capo e torna nel suo ufficio. Mi slaccio la cravatta, la sfilo e la abbandono sopra la scrivania. Raggiungo i miei amici che mi aspettano in giardino seduti a un tavolo, con del pane, salame nostrano e un bicchiere di vino davanti. Mia madre sta sbaciucchiando Lorenzo sulla guancia. La temperatura è ancora gradevole nonostante sia Ottobre.
«Vedo che ci state dando dentro alla grande!», esclamo controllando l’ora sul mio orologio. «Un quarto alle due e voi andate di vinello».
«Tutta colpa di tua madre, ci vuole viziare», commenta Lorenzo facendomi posto accanto a lui sulla panca.
«È il mio compito viziare, perciò mangiate e non rompete le scatole». La signora Rossini mi scocca un bacio sulla testa e se ne torna alla sua cucina.
«Scommetto che non hai ancora mangiato niente per il nervoso». Giorgio mi offre il piatto con il salame tagliato a fette e io lo afferro mollemente.
«Già, ho lo stomaco chiuso», brontolo appoggiando quel ben di Dio sopra il tavolo. «Non ho voglia di mangiare».
«Se avrai un calo di zuccheri al volante sarebbe peggio. Mangia almeno un boccone». Lorenzo mi offre il panino che si era appena preparato per lui.
Prendo un bel respiro e, con pochissima convinzione, do un morso. Mastico lentamente, appoggiando il viso sul palmo della mano, il gomito ben piantato sul legno.
«È solo una visita di routine». Mi fa notare Paolo azzannando un pezzo di pane e bevendo, poi, un sorso di vino.
«Sì, lo so». Riesco a dire mandando giù quel boccone.
«Cazzo, socio, reagisci!». Lorenzo mi dà una sonora pacca sulla spalla, che per poco non mi fa finire con la faccia sul tavolo.
«Non otterrai niente con la violenza», dice Giorgio venendo in mio soccorso. «Dopo l’ecografia, tornerà il nostro vecchio Marco. Lasciamolo crogiolare nella sua ansia ancora per qualche ora, lo fortificherà».
«Che cazzo stai dicendo?», sbotta il mio migliore amico. «Lui non può crogiolarsi! C’è già Serena che sarà nel panico più totale, lui deve essere forte per lei. È un uomo, cazzo! Non può comportarsi come una ragazzina in piena crisi ormonale!».
Le parole di Lorenzo mi colpiscono come un pugno nello stomaco e hanno l’effetto sperato. Mi raddrizzo sulla schiena, rubo il panino di mano al mio socio e lo divoro in un attimo.
«Ora sì che ti riconosco!», esclama lui stringendomi una spalla con la mano.
«Scusate, ragazzi, non so che cosa mi sia preso», dico dopo aver bevuto un sorso di vino per mandare giù il pane e salame.
«È normale essere nervosi, l‘importante è saperlo nascondere alla propria donna». Lorenzo si stringe nelle spalle, un’espressione da saputello sul suo volto. Ovviamente, ora che è padre, sa tutto lui. Nemmeno Giorgio che ha un figlio, Mirco, nato un paio di settimane prima di Eleonora si vanta come fa lui. Alziamo tutti e tre gli occhi al cielo mentre Lorenzo continua a parlare come se fosse un bravo psicologo.
«Ho chiesto a Serena di sposarmi prima della nascita di nostro figlio». È stato un buon modo per zittire Lorenzo, che ora mi guarda con la bocca spalancata.
«Perché hai sempre così fretta di fare le cose? Tu non sei normale! Hai tutto il tempo per organizzare le cose fatte bene e, invece, vai di corsa. Non lo perderai mai questo brutto vizio», borbotta scuotendo la testa.
«Magari avresti anche qualcosa da ridire sul fatto che ho voluto un figlio». Comincio a muovere nervosamente le gambe sotto il tavolo. Sto cominciando a innervosirmi e stavolta non è per colpa dell’ecografia.
«Non mettermi in bocca parole che non ho detto e che non direi mai». Lorenzo socchiude gli occhi e mi osserva attentamente.
«Le pensi solamente, vero?». Gli lancio un’occhiataccia.
«Galletti, abbassate la cresta». Si intromette immediatamente Paolo. «Non ha alcun senso che voi vi mettiate a litigare per un motivo tanto assurdo. Marco voleva diventare padre e aveva tutto il diritto di farlo sapere alla sua compagna. Punto. Fine della discussione».
Mollo uno scappellotto al mio migliore amico. «Fine della discussione».
Ora mi sento del tutto soddisfatto. Non sopporto discutere con i miei amici, ma a volte lui riesce a irritarmi oltre ogni limite, purché gli voglia un gran bene.
Lui ricambia il mio gesto d’affetto. «Okay, fine della discussione».
Ci guardiamo per una frazione di secondo e scoppiamo in una fragorosa risata. Gli passo un braccio intorno al collo e lo stritolo per benino. Tutto quello che ci siano detti negli ultimi minuti fanno già parte di un lontano passato.
Continuiamo a ridere e a scherzare, smorzando la tensione creata in un baleno, almeno finché non arriva per me il momento di andare a prendere Serena a casa di Luca. L’ho lasciata con lui perché sapevo che sarebbe stato in grado di tranquillizzarla mentre io ero al lavoro. Da sola avrebbe cominciato a farsi un milione di paranoie. È stato carino da parte dei miei amici a venire a rincuorarmi e a rasserenarmi, non lo avrei mai immaginato. Ho la certezza che potrò contare sempre su di loro.   
Salgo in macchina e percorro i quindici chilometri che mi separano dalla mia destinazione in uno stato quasi catatonico. Devo sapere al più presto che cosa questa ecografia mi dirà, altrimenti impazzisco. Quando Luca mi apre la porta del palazzo, salgo i gradini due alla volta per fare prima. Una volta in casa, Serena si fionda fra le mie braccia. La stringo forte a me, affondando il naso tra i suoi capelli che profumano di bergamotto.
«Ti sono mancato così tanto?», mormoro senza lasciarla andare.
«Non immagini nemmeno quanto», dice lei con il naso premuto nell’incavo del mio collo.
«Non mi serve immaginarlo, so quello che si prova. Anche tu mi sei mancata da morire, amore mio». A queste mie parole lei alza lo sguardo e posa le labbra sulle mie, regalandomi un bacio dolcissimo.
Luca, Stella e Marica ci osservano con il sorriso sulle labbra. Anche qui c’è tutta la banda al completo: è decisamente meraviglioso poter sempre contare sugli amici. Li salutiamo e torniamo alla macchina, non prima di aver riempito di baci e coccole la mia figlioccia, adoro quella bambina.
Nessuno dei due ha voglia di parlare lungo il tragitto. Serena si mordicchia le unghie, non lo fa spesso, ma quando succede vuol dire che è davvero nervosa. Io ho le mani sudaticce e continuo a sbuffare impercettibilmente, normalmente mi serve per stemperare la tensione, oggi non funziona per niente. Raggiungiamo l’ospedale in una ventina di minuti. Una volta scesi, prendo per mano la mia donna e raggiungiamo gli ambulatori. Manca ancora mezzora al nostro appuntamento, perciò ci sediamo ad attendere. Minuti interminabili che non vogliono passare. La mia gamba si muove senza alcun controllo, facendo traballare anche le altre sedie legate alla mia. Serena mi lancia un’occhiata strana e cerco di darmi un contegno. Posa una mano sulla mia, le nostre dita si intrecciano.
«Non essere nervosa». Cerco di rassicurarla, baciandole la tempia. «Andrà tutto bene».
«Non mi sembra di essere la sola a essere nervosa in questa stanza». Un sorriso sghembo si forma sulle sue labbra e mi rilasso impercettibilmente, lei ha sempre questo effetto su di me.
«Hai ragione, scusa. Ora cerco di tornare in me». Prendo un bel respiro e butto fuori l’aria un po’ per volta.
«Sei umano, Marco, è normale esserlo. Stiamo parlando di nostro figlio». Mi accarezza dolcemente lo zigomo con il pollice e io mi sciolgo completamente, perdendomi in quegli occhi verdi che tanto amo.
«Nostro figlio. Suona così bene», farfuglio beandomi di quelle sue piccole attenzioni.
Quello che succede immediatamente dopo lo ricordo come se lo avessi vissuto al rallentatore.
Un’infermiera ci chiama all’interno della piccola stanza e fa sdraiare Serena su un lettino. Mi metto accanto a lei e le tengo la mano. Le scoprono il ventre, cospargendolo di quel gel blu. Il suo ginecologo comincia a passare il sondino sul punto interessato. L’uomo continua a parlarci, a chiedere informazioni sullo stato di salute di Serena, se ha avuto problemi o altro. Mi sembra di essere in un mondo tutto mio, sento tutto ovattato e non riesco a capire tutto quello che il medico sta dicendo.
Due sacche.
Quelle due parole, seguite dallo sguardo attonito della mia donna, fanno ripartire in quarta tutti i miei neuroni momentaneamente atrofizzati.
«Scusi un attimo», comincio attirando l’attenzione dell’uomo con un cenno della mano. «Che cosa significa che vede due sacche?».
Serena mi stringe più forte la mano e credo di aver sentito un piccolo scricchiolio all’interno delle ossa.
«Significa che ci sono due feti, in due sacche distinte. Sono due gemelli», risponde serafico il ginecologo con un sorriso rilassato sulle labbra.
Oh cazzo! Gemelli? Okay, sono un uomo duro, posso farcela! No, non ci riesco: ho bisogno di sedermi.
L’infermiera deve avermi visto sbiancare all’improvviso ed è venuta in mio soccorso con una sedia. Mi lascio andare pesantemente su quel prezzo di plastica e mi copro la bocca con una mano.
Serena continua a fissare il monitor con la bocca spalancata.
«Ne è proprio sicuro?», chiede passandosi una mano tremante sulla fronte.
«Sì, sono sicuro al cento per cento», afferma l’uomo con decisione. «Congratulazioni».
Stampa le immagini dei nostri figli – non sono abituato a parlare al plurale – e le passa all’infermiera.
«Direi che va tutto bene», continua lui strappando un pezzo di carta da un rotolo e porgendolo a Serena per togliere i residui del gel dal suo ventre.
Tutto bene.
Una lacrima solitaria scende lungo la guancia di Serena e io la asciugo con due dita, soffermandomi sul suo viso.
Non so che cosa sia successo dopo, sono andato avanti come un automa, con il cervello che lavorava a mille. Serena era muta al mio fianco, confusa e stordita almeno quanto me.
Va tutto bene.
Queste tre parole continuano a rimbalzare nella mia testa e alla fine mi rendo conto di una cosa: va davvero tutto bene. Nostro figlio, anzi, i nostri figli stanno crescendo nel ventre della donna della mia vita, ho sentito i loro cuori battere, ma ero troppo sconvolto per rendermene davvero conto. Solo ora capisco di aver vissuto questa esperienza come dentro a un sogno, un sogno bellissimo che rivivrei altre mille volte. Un sorriso appare sulle mie labbra e mi ritrovo a ridacchiare da solo mentre lascio la macchina nel garage di casa nostra. Serena mi osserva perplessa, non può capire la gioia che mi ha appena pervaso.
Una volta in casa, la prendo per i fianchi e la attiro a me, riempiendole il viso di baci. Sono felice come non mai in questo momento. Lo shock iniziale sembra già un brutto ricordo, ora vedo solo due bimbi, frutto del nostro amore.
«Dio, quanto ti amo!», esclamo stordendola con un bacio.
Non sarà facile crescere due figli contemporaneamente, ma insieme possiamo farcela: lei ed io possiamo tutto.
Sta per dire qualcosa, ma le tappo nuovamente la bocca con la mia. Non ho voglia di parlare in questo momento, sono troppo agitato, emozionato, felice, per esprimere a parole quello che sto sentendo. Spero che anche lei stia provando anche solo un decimo della mia gioia.
«Sposiamoci», mi soffia sulle labbra a un tratto.
Quella semplice e unica parola mi fa venire un capogiro, mi manca il respiro.
«Sposiamoci, amore», ripete riprendendo a baciarmi un attimo dopo.
La mia vita ha preso una piega alquanto strana da quando mi sono scontrato con Serena la prima volta quel giorno di luglio.
Io, Marco Rossini, cui piaceva divertirsi, che non aveva alcuna intenzione di sistemarsi e mettere su famiglia, sto per sposarmi con una donna meravigliosa che ha rivoluzionato il mio mondo e che porta in grembo i miei figli, tanto desiderati e che saranno amati sopra ogni limite.
Se me lo avessero detto poco più di un anno fa, avrei cominciato a ridere come un cretino per l’assurdità della cosa. Oggi, invece, sono pronto a rischiare tutto pur di rendere felice l’amore della mia vita e crescere al meglio i nostri figli: loro tre sono il mio rischio più bello.

 
 
***Note dell'autrice***

Ed eccoci arrivati al “gran finale”. Tanti di voi  stavano aspettando un matrimonio o una nascita, ma la mia testolina stava già andando verso altri lidi. Diciamo che troverete tutto ciò nel seguito che, appena avrò un attimo di respiro, comincerò a scrivere. Abbiate un attimo di pazienza, ma tornerò a rompervi le scatole ogni martedì come ho sempre fatto. In effetti farà strano non avere niente da pubblicare. Oh mamma, ora vado in crisi! *respira  a fondo*  Okay, ci sono.
Marco e Serena aspettano due gemelli. So di certo che alcuni di voi staranno facendo i salti di gioia ora! Era da un po’ che avevo in mente questa cosa e ho dovuto starmene zitta, soprattutto quando in molti speravano che Stella avesse un parto gemellare. Nah, Marco può gestirlo, Lorenzo no! Ahahah! A parte gli scherzi, era già in programma così nella mia testa e così è andata.
Se non ci avete fatto caso, ve lo dirò io: il titolo del seguito sarà “Il mio rischio più bello”, che sono le ultime parole dette da Marco in questa storia. Per questo titolo devo ringraziare Ila, stavo andando in crisi da titolo come al solito e mi venivano in mente solo un sacco di cavolate. Per fortuna che c’è sempre lei a salvarmi! Spero piaccia anche a voi, almeno quanto piace a me.
Per ultima cosa volevo ringraziare immensamente ognuno di voi per avermi seguito fino alla fine, per il vostro entusiasmo e per il vostro affetto. Senza di voi non sarei andata proprio da nessuna parte. Non vi nominerò uno a uno, non vorrei mai dimenticare qualcuno, siete tutti importanti in egual modo per me. Grazie di cuore, di tutto!!! ♥♥♥ vi adoro ♥♥♥
Appena pubblicherò il primo capitolo della nuova storia, ve lo farò sapere.
A presto!
*si asciuga le lacrime*

Un bacione, Ire ♥


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Bijouttina & i suoi vaneggiamenti

 

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