Schegge di fuoco

di Tury
(/viewuser.php?uid=67599)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La festa è finita, chiudete le porte ***
Capitolo 2: *** Regalità e servitù ***
Capitolo 3: *** Irraggiungibile ***
Capitolo 4: *** Vuoi fare un pupazzo di neve? ***
Capitolo 5: *** Chiusa è la porta del passato, aperta quella del futuro ***



Capitolo 1
*** La festa è finita, chiudete le porte ***


“Elsa!”
Le corro dietro, sperando che si volti, sperando che punti quei suoi occhi cristallini nei miei. Nulla.
“Elsa, ti prego, ti prego! Non posso più vivere così io!”
Finalmente, mia sorella si volta e, guardandomi negli occhi, proferisce parole dolorose come schegge di ghiaccio.
 
Allora vattene
 
Parole che avrebbero fermato chiunque. Ma, come spesso succede, le parole possono celar menzogne. Mentre gli occhi, gli occhi sono lo specchio dell’anima. Ed io, dopo tanti anni, ho rivisto la tua, sorellona, così ferita. Così sola.
“Ma che cosa ti ho mai fatto?”
Cosa, per cui mi hai tenuta lontana, qual è il motivo per cui non mi hai più voluta al tuo fianco. Perché, nonostante la solitudine albergasse nel tuo cuore, non hai risposto ai miei inviti.
“Basta, Anna.”
Il tuo non è un ordine, è un invito, è un lamento. Stringi le braccia, ti chiudi in te stessa. Nel gelo della tua anima. Quel gelo che ci ha divise e che non ho saputo sciogliere.
“No! Perché mi respingi? Perché respingi tutti? Di che cosa hai tanta paura?”
Mi dispiace Elsa, ma non mi fermerò. Questa volta, non ci saranno porte che terranno. Questa volta, la barriera che ci divide la infrangerò e torneremo insieme.
Sei quasi giunta alla porta, sto per muovere un passo verso di te, per venirti a liberare, ma sono costretta a fermarmi.
“Ho detto basta!”
E, come se il freddo della tua anima avesse risposto al tuo ordine, ecco comparire schegge di ghiaccio, a proteggerti da noi. A proteggerti da me.
Mentre gli invitati al ricevimento restano a fissare quel ghiaccio magicamente comparso, io corro a cercare il tuo sguardo. E ciò che vendo mi uccide l’anima. Paura e terrore.
Restiamo per un attimo a guardarci, poi scappi via. Urlo il tuo nome, lanciandomi al tuo inseguimento, qualcuno mi trattiene ma mi libero dalla sua presa.
Sai, Elsa, per tanti anni mi sono chiesta il motivo del tuo silenzio. Credevo di non essere abbastanza per te, che ti vergognassi di me, forse per quella ciocca bianca che caratterizza i miei capelli e che tu fissavi sempre, quelle rare volte che ci incontravamo per casa.
Ma adesso tutto mi è più chiaro. Elsa, sorella mia, quanto dolore hai dovuto sopportare per proteggere tutti? Per proteggere me?
Sono finalmente fuori dal castello e ti vedo, come un animale in gabbia, circondata dal nostro popolo che inneggia il nome della sua regina. Arretri, finché le tue mani non toccano la fontana presente davanti alla piazza del castello, congelandola all’istante. E nel silenzio generale, si alza quella parola infernale.
 
Mostro
 
Stringo i denti e i pugni, inorridita. Vorrei rispondere a questa gente ma vedo che hai ripreso a correre e così inizio a correre anche io. Arriviamo finalmente al lago, ora sarai costretta a fermarti e finalmente potremo parlare, ma la mia speranza è destinata a morire. Appena i tuoi piedi prendono contatto con la nera acqua, ecco comparire tasselli di ghiaccio, per permetterti di scappare. Di allontanarti ancora da me. Senza esitazione, continuo ad inseguirti, pronta a servirmi del tuo ghiaccio per poter arrivare a te. Ma nel momento in cui vengo in contatto con esso, avverto un dolore lancinante alla testa, che mi fa crollare al suolo. E l’ultima cosa che vedo è il tuo mantello viola allontanarsi sempre di più.


____________________________________________________________________________________________________
Buonasera a tutti e grazie a chiunque sia giunto fino alla fine di questo primo capitolo che, come avrete potuto notare, non è altro che una trasposizione, quasi fedele, della scena rappresentata nel film in chiave letteraria. Purtroppo, per il momento, non ho potuto aggiungere molto rispetto alla trama originale, ma questo primo capitolo è indispensabile per l'evoluzione della storia. Bene, detto questo, uhm... non so che altro dire se non ringraziarvi ancora!

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Regalità e servitù ***


Un vociferare indistinto disturba il mio sonno. Apro piano gli occhi, cercando di mettere a fuoco ciò che mi circonda. Dove sono? Questa sembra quasi la mia stanza, ma cosa è successo?
“Vedo che si è svegliata, principessa.”
Mi volto a guardare il mio interlocutore. Cosa ci fa qui, il medico regale?
“L’abbiamo ritrovata sulle sponde del lago, priva di sensi. Date le circostanze, crediamo che il mostro di ghiaccio l’abbia attaccata.”
“Il mostro?” chiedo, confusa, cercando di mettermi a sedere.
“Ovvio, il mostro, chi altri avrebbe potuto?” la risposta arriva dal gruppo di falsi perbenisti che si è ammassato al mio capezzale, mosso solo dalla curiosità.
“Signori, potreste accomodarvi fuori, per favore? Vorrei parlare in privato con sua maestà.”
“Sua maestà?” chiedo, rivolgendomi al medico, che osserva le persone uscire dalla mia camera.
Quando anche l’ultimo invadente visitatore è uscito dalla stanza, i suoi occhi tornano a posarsi su di me.
“Allora?”
Il medico resta ancora un attimo a guardarmi, per poi sospirare.
“Sua maestà…”
“La smetta di chiamarmi così! Non sono io la regina, Elsa è la sovrana di Arendelle!”
“A proposito di questo, forse dovrebbe lasciarmi concludere, in modo da poterla mettere al corrente di quanto successo in questi tre giorni.”
“Tre giorni?” chiedo, sbarrando gli occhi.
“Sì, tre giorni. Questo è l’arco di tempo in cui lei è rimasta priva di coscienza, dopo che il mostro l’ha attaccata.”
“Ma di quale mostro parlate tutti quanti?”
Il medico mi guarda, con quel suo sguardo asettico, tipico di coloro che hanno fatto della loro vocazione un mero mestiere. E dal suo silenzio, giunge la risposta.
“No, non ditemi che il mostro per voi è mia sorella.”
“Dati gli ultimi avvenimenti...”
“Gli ultimi avvenimenti? Ma di cosa state parlando? Elsa non è un mostro, Elsa è la regina, la vostra regina! Ed è mia sorella!”
“Mi dispiace, ma non è più così ormai. Colei che vi ostinate a chiamar sorella non può nemmeno più esser considerata umana, dati i suoi poteri e il pericolo che ne deriva.”
Sento il mio respiro infrangersi e le lacrime correre agli occhi, pronte a scendere. Ma non darò a quest’uomo la soddisfazione di vedermi piangere.
“Dov’è, adesso, mia sorella?”
“Non lo sappiamo ancora. La squadra speciale di ricerca si è messa subito sulle sue tracce, ma non sono ancora riusciti a localizzarla.”
“La squadra speciale di ricerca? Ma non è il corpo armato del re indetto per…”
“Per difendere la pace del regno e la sicurezza del popolo.” mi interrompe.
Osservo gli occhi dell’uomo che mi fronteggia, la calma che alberga in essi, mentre la disumanità delle sue parole mi colpisce come il più glaciale dei venti.
“Avete deciso di ucciderla.”
Il mio è appena un sussurro, mentre osservo il mio interlocutore, con la speranza che un suo gesto, una sua parola, un suo sguardo possano rassicurare il mio cuore. Perché la deduzione alla quale sono arrivata non può essere la verità. Nonostante le mie speranze, nulla arriva a distruggere le mie paure. E l’ira si impossessa di me.
“Avete deciso di ucciderla! Di uccidere mia sorella, la vostra regina!”
“Non è più lei la nostra regina, ma voi. Dopo quanto successo al ricevimento, il gran consiglio si è riunito, per discutere di quanto accaduto e prendere una decisione. E la decisione presa è stata esiliare Elsa, vostra sorella, come vi ostinate a definirla, e passare il regno nelle vostre mani.”
“Io non voglio essere sovrana. Mia sorella è la regina e il trono spetta a lei! Ed io farò di tutto per riportarla qui.”
“Mi spiace, ma credo che questo non sia possibile. Il consiglio ha inserito vostra sorella nell’archivio dei ricercati più pericolosi del regno. Se tenterete di aiutarla, sarete ritenuta una traditrice e vi spetterà il suo stesso destino. È questo che desidera, sua maestà?”
Alzo lo sguardo, per puntarlo in quegli occhi così anonimi e irritanti, per permettergli di leggervi la determinazione, prima che la mia risposta giunga al suo udito.
“Sì, è questo che desidero.”
Lo vedo sogghignare.
“Mi dispiace, sua maestà, ma prima del desiderio del singolo viene il desiderio del popolo. Lei è la regina di Arendelle, adesso, ha la responsabilità non solo della sua vita, ma della vita di tutte queste persone. Guardi- dice, dirigendosi verso la finestra e aprendo i battenti- guardi questa neve, questo gelo, questo ghiaccio. È tutto opera di sua sorella, è tutto opera del mostro.”
“Mia sorella non è un mostro!”
“Sarà, ma così è considerata dal regno e voi non potete cambiare le cose.”
“Certo che posso. Permettetemi di…”
“Non le sarà permesso nulla, sua maestà. Lei ora deve solo riposare, non si è ancora ripresa del tutto dall’attacco.”
“Io sto bene!-e per avvallare quanto detto, scendo da letto e lo raggiungo, vicino alla finestra- Lasciatemi andare, lasciatemi andare da mia sorella. Il mio posto è con lei.”
“Di grazia, tra i due, sua maestà, il medico sono io e sono io a decidere quando considerare un paziente perfettamente rigenerato o meno. Per quanto riguarda il suo posto, è bene che capisca che il suo posto è qui e da nessun’altra parte. Dimentichi sua sorella e il suo ricordo. Che il suo cuore sia fedele solo al suo popolo. Mediti su queste mie parole, tornerò in serata per controllare la sua salute.” E detto ciò, fa un profondo inchino, per poi uscire dalla camera e chiudere a chiave la serratura.
Lacrime calde, ormai, rigano il mio volto, mentre i singhiozzi scuotono il mio corpo. Ma un suono cattura la mia attenzione. Alzo gli occhi verso il cielo e nella maestosità azzurra vedo volare un gufo reale. Il suo verso sembra esortarmi a ritrovare quella libertà a cui ho sempre anelato. Apro la finestra, attratta dai movimenti circolari del volatile, per poi spostare lo sguardo sui tetti delle abitazioni di coloro che sono i miei sudditi. Questo è il mio regno. No, questa è la mia prigione. Torno a guardare il gufo reale e un sorriso si stampa sul mio volto. Non credevo l’avrei mai pensato, ma sono felice che le porte del mio palazzo siano state chiuse per tanti anni. Ora so che il motivo di quella chiusura erano i poteri di mia sorella, ma tutto ciò, oltre ad impedire che il segreto di Elsa trapelasse oltre le mura, ha anche impedito ad Arendelle di conoscere le due sorelle e, soprattutto, di conoscere me, la vera Anna. Mi dispiace, Arendelle, ma non riuscirai a contenere la mia sete di libertà. E non ci saranno più porte che mi divideranno da mia sorella, nemmeno se fossero quelle del mio regno.
Elsa, ovunque tu sia, qualsiasi cosa tu stia facendo, sappi che sto venendo da te. Che sto venendo a salvarti. 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Irraggiungibile ***


Fin da quando ero piccola, ho sempre vissuto da sola. Nessuna amica con cui giocare, nessuna sorella con cui confidarmi. Solo porte chiuse e stanze vuote. I domestici erano troppo pochi e le cose da fare troppo numerose perché potessero dedicarmi anche solo un secondo della loro vita. E così, la mia infanzia si è svolta in queste anonime stanze, rigorosamente prive di ogni forma di vita. O meglio, di quella vita tangibile. Non ricordo quando cominciò tutto, quando decisi di rivolger loro la parola per la prima volta. Probabilmente, iniziai a parlare con loro più per la solitudine che, lentamente, metteva radici nel mio cuore che per puro divertimento. Così, giorno dopo giorno, quasi come se fosse diventato ormai un rito, mi dirigevo nella maestosa stanza dei dipinti e iniziavo a parlare con i personaggi storici ritratti nei quadri. Loro erano i custodi dei miei segreti, delle mie lacrime, dei miei silenzi e delle mie risate. E credo lo siano ancora. Ma, in quella maestosa stanza, tra quei maestosi dipinti, c’era un volto che più degli altri sentivo vicino, pulsante. Vivo. Il volto di Giovanna d’Arco. Spesso capitava che, dopo aver salutato doverosamente e in modo cortese gli inquilini di quel luogo, mi fermassi davanti al ritratto di Giovanna per ore interne. C’era qualcosa, nel suo sguardo, qualcosa di forte, magnetico, una scintilla di vita che non apparteneva a questo mondo, al mio mondo. La determinazione di chi, nonostante le difficoltà, persevera sulla strada che ha deciso di percorrere. Per tanti anni ho sperato che, osservando quella scintilla che l’artista aveva avuto cura di cogliere e di ritrarre nel suo sguardo, la determinazione di Giovanna entrasse anche nella mia anima, dandomi finalmente la forza di non assecondare i rifiuti di Elsa ma di affrontarli. Purtroppo, nonostante le mie speranze, tutto ciò non avvenne mai. E così, più il tempo passava, più io perdevo mia sorella, incapace di fermarla, di raggiungerla, quantomeno. Era tutto inutile, per quanto potessi correre, per quanto potessi chiedere al mio cuore di non cedere e all’aria di non venir meno, Elsa era sempre e comunque un passo avanti a me. Sempre irraggiungibile. E ad ogni fallimento, seguivano i miei periodi di silenzio, dove il mio dolore innalzava barriere che impedissero alle altre persone di entrare nel mio mondo. E, in quei periodi, l’unica cosa che poteva darmi conforto era il volto di Giovanna, così austero, così risoluto. Arrivai al punto di prendere, dalla biblioteca di famiglia, tutti i libri di storia che narrassero le vicende di quella piccola guerriera, pur di sapere tutto di lei, pur di far finta di aver vissuto con lei, di averla potuta toccare, guardare, consolare, abbracciare. Pur di sentirla come la sorella che non avevo mai avuto. Per i primi tempi, mi chiesi come mai, tra tutti i dipinti presenti in quella stanza, io avessi instaurato un legame così profondo proprio con lei, proprio con Giovanna, con quel suo passato così triste e ingiusto. E, oggi, finalmente, conosco la risposta. Forse, per tutto questo tempo, una parte di me aveva sempre saputo la verità, il motivo della chiusura di Elsa. E forse, proprio quella parte mi aveva spinta a sentire Giovanna come una sorella. Perché Giovanna d’Arco impugnò la spada per difendere la sua gente, per difendere la Francia, ma, invece di esser ripagata con la riconoscenza del suo popolo, fu ripagata con le fiamme della follia umana. E così Elsa, la mia Elsa, ha custodito dentro di sé il dolore di un segreto tanto grande per difendere il suo regno. E il suo regno l’ha ripagata condannandola a morte, definendola un mostro. Esattamente come Giovanna. Ma questa volta, l’epilogo sarà diverso. Questa volta, non ci saranno morti. Questa volta, l’unico fuoco che arderà sarà quello del mio spirito.
Nonostante amassi trascorrere pomeriggi interi nella stanza dei dipinti, ho comunque avuto modo di esplorare tutto il castello, di svelarne ogni segreto. Non ci sono corridoi, passaggi o stanze che mi siano ignote, conosco tutto di questo luogo e, soprattutto, conosco abbastanza stratagemmi per potermi sottrarre a questa regalità fittizia. Fortunatamente, le domestiche non hanno sciolto le mie trecce e, soprattutto, non mi hanno tolto le forcine, attrezzo di fondamentale importanza per qualcuno che vuole tentare la fuga del secolo. Mi avvicino alla porta e poggio il mio orecchio sul freddo legno, trattenendo il respiro in modo da riuscire a percepire anche il minimo rumore proveniente dal corridoio. Nessun suono, via libera. Estraggo una delle forcine dai miei capelli e la inserisco nella serratura. Conosco a memoria i passaggi da fare per poterla sbloccare subito, da piccola fuggivo sempre dalla mia stanza, per andare a vedere di nascosto la neve, per esplorare il castello stregato, come lo chiamavo io. O per osservare la porta bianca della camera di Elsa. Rigorosamente chiusa. Nonostante, in tutti questi anni, sia riuscita a imparare tutti i passaggi per sbloccare ogni singola serratura presente in questo palazzo, la sua era l’unica camera che, nonostante i mille tentativi, non ero in grado di aprire. Come se ci fosse qualcosa di duro e impenetrabile che impediva alla mia forcina di fare il suo lavoro. Ora so che ciò che mi impediva di aprire la sua porta era il suo ghiaccio. Un rumore appena percepibile mi distoglie da questi pensieri, la serratura ha ceduto. Apro appena la porta per assicurarmi che non ci sia nessuno fuori. Faccio passare qualche secondo, in attesa di un possibile rumore o dell’ombra di qualche domestico. Possibile che siano così stolti da non aver messo nessuno di guardia alla mia porta? Mi credono così mansueta e malleabile? Meglio così, vuol dire che il mio lavoro sarà facilitato. Mi tolgo le scarpe per poter correre senza far rumore e, invece di dirigermi verso l’uscita, imbocco la rampa di scale che porta nella torre situata nell’ala ovest del castello. La torre dimenticata. Pur di non farmi avventurare in questa zona del castello, i domestici avevano messo in giro la voce che quella torre fosse abitata da uno spaventoso fantasma. In realtà, lì sopra c’è solo una stanza abbandonata, piena di vecchie armature e divise dismesse. E armi, logorate dal tempo, ecco il vero motivo della nascita di quelle assurde storie che avevano avuto come unico effetto quello di incuriosirmi di più e di convincermi definitivamente che quella torre andava esplorata. Sono ormai arrivata alla porta, gioco un po’ con la serratura che, dopo qualche secondo, cede inevitabilmente. Nel buio della stanza, la mia mano sonda la superficie di legno del tavolo impolverato. Eccola, la candela che avevo lasciato qui e vicino ad essa i fiammiferi. Ne accendo uno e lo avvicino alla candela, che subito prende fuoco, illuminando, anche se in maniera tenue, le tenebre che mi circondano. Mi dirigo con passo svelto verso un cassa situata nel fondo della stanza, per poi aprirla e rilevarne il contenuto. Le divise smesse dell’unità speciale di ricerca. Poggio la candela per terra e, con entrambe le mani, frugo in quell’ammasso di vesti, cercando una divisa che possa adattarsi il più possibile alla mia statura. Eccola. Do uno sguardo fugace alla porta, per poi cominciare a spogliarmi Non ho molto tempo, i domestici potrebbero accorgersi da un momento all’altro della mia fuga. In meno di un minuto, indosso la casacca rossa e gialla, i pantaloni rigorosamente neri e gli stivali invernali. Da una cesta lì vicino, prendo l’elmetto, con il pennacchio dello stesso colore della casacca, simbolo rappresentativo dell’unità speciale di ricerca. Una volta messi i miei abiti in un sacco e dopo aver indossato il pesante mantello che copre la divisa, esco dalla stanza, scendendo il più velocemente possibile le scale, con la speranza di non incontrare nessun domestico. So che non dovrei perdere altro tempo prezioso, ma c’è una cosa da fare prima di lasciare questo castello che è stato per tanti anni la mia dimora. Facendo attenzione che nessuno mi vedesse, entro nella stanza dei dipinti e, senza guardare nessuno di quei volti, mi dirigo verso la scrivania presente sul lato opposto della sala. Apro uno dei cassetti e prendo uno dei tanti fogli immacolati, iniziando a buttar giù quello che sembrerebbe un ordine giunto dai confini del regno. Finito di scrivere, applico il sigillo reale e piego la lettera. Ma, prima di uscire, mi fermo davanti a quegli occhi che, anno dopo anno, mi hanno vista crescere. Giovanna è lì, come sempre, ad attendermi. Con quella sua scintilla di eterna determinazione nello sguardo.
“Ciao Giovanna, sono passata a salutarti. Sai, in questi ultimi giorni sono successe così tante cose che vorrei raccontarti, ma purtroppo non ho tempo. Sono diventata regina, Giovanna. Sì, proprio io, proprio quella bambina scapestrata che tante volte hai rimproverato per la sua sbadataggine. Ma questo non è il mio posto e questo castello non è più la mia casa. Sto partendo, Giovanna e non so quando tornerò. Hanno esiliato mia sorella e la stanno cercando per ucciderla e io devo trovarla. Devo proteggerla. A presto Giovanna, quando tornerò ti presenterò Elsa. Questa volta, vedrai, riuscirò a salvare mia sorella.”
Un piccolo bagliore sulla cornice dorata, lucidata, probabilmente, da qualche domestico, cattura la mia attenzione. E quando la vedo, il fiato mi viene a mancare. Eccola, finalmente. Eccola, nei miei occhi. La scintilla di Giovanna. Rivolgo per un’ultima volta lo sguardo al quadro, mentre dentro di me si fa largo una felicità mai provata, per poi correre via. Perché, finalmente, riesco a vedere la strada che mi è stata destinata. Appena sono nel vasto atrio del castello, abbasso la celata per nascondere il mio volto e, con passo sicuro, mi dirigo verso le stalle reali. Ma, proprio quando sto per varcare la soglia, una voce mi obbliga a fermarmi.
“Lei chi è, di grazia?”
Tra tutte le persone che ci sono in questo castello, chi dovevo incontrare? Ovviamente il medico e quel suo odioso intercale.
“Un cavaliere dell’unità speciale di ricerca.” rispondo, voltandomi appena e cercando di far assumere alla mia voce un tono maschile. La celata sembra aiutarmi in questo mio intento.
“E come mai porta l’elmo qui, tra le mura reali?”
“Disposizioni dell’ordine.”
“Che intende dire, mi scusi?”
“Quando noi, cavalieri dell’unità speciale di ricerca, siamo in servizio, non ci è dato toglierci l’elmo, nemmeno tra le mura del nostro regno. Questo per impedire un nostro possibile riconoscimento che potrebbe mettere a repentaglio le nostre vite o le vite dei nostri compagni. Quando siamo in missione, noi cavalieri ci muoviamo come un corpo unico e le nostre identità si annullano per il raggiungimento dell’obiettivo.”
Il medico schiude le labbra per controbattere, ma non gli do il tempo di proferire nemmeno una parola.
“Invece di continuare questo insulso interrogatorio alla mia persona, perché non cerca di rendersi utile per il regno? Questi sono gli ordini del fronte-gli dico, porgendogli la lettera che avevo precedentemente scritto- necessitiamo di una slitta, del cavallo più veloce di cui disponete e di una grande quantità di viveri. Mi faccia portare tutto nelle stalle reali da un suo inserviente.”
E detto ciò, esco a passo svelto dal castello, dirigendomi alle stalle reali dove chiedo allo stalliere di indicarmi il cavallo più veloce, di imbrigliarlo e preparare la slitta. Lo stalliere mi porta uno stallone, dal manto nero e lucido.
“Come si chiama, ragazzo?” chiedo, ammirando quel fantastico esemplare.
“Tempesta, signor cavaliere. È il più veloce che abbiamo ma, faccia attenzione, ha un carattere un po’ particolare. Non si lascia comandare facilmente.”
Sorrido, nell’udire il nome di quel maestoso destriero.
“Allora andremo d’accordo. Bene, preparamelo, per favore.”
Una volta pronto, aspetto, per un tempo che mi sembra interminabile, che uno dei domestici arrivi con quanto avessi chiesto. Più il tempo passa, più la paura che sia stata scoperta cresce dentro di me ma, quando sto per salire sulla slitta e partire, ecco arrivare tre uomini con tre sacchi sulle spalle. Lascio che posino il carico sulla slitta e, una volta ringraziati, do un colpo deciso alle redini e Tempesta, con un sonoro nitrito, parte, così velocemente da tener quasi testa al vento.
Sono ormai in viaggio da dieci minuti, quando sento, in lontananza, le campane suonare dalle torri del castello che un tempo era la mia casa. Qualcuno si è accorto della mia fuga. Mi tolgo l’elmo, per sentire l’aria gelida sulla mia pelle. Per sentire la carezza di Elsa sul mio viso. Le campane continuano a suonare ma è tutto inutile, ormai. Sono troppo lontana perché possano sperare di raggiungermi, troppo distante, perché possa sentire il rumore prodotto dagli zoccoli dei loro destrieri.
Vani sono ormai i loro tentativi. Perché io, adesso, sono irraggiungibile. 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Vuoi fare un pupazzo di neve? ***


Sono ormai tre giorni che sono in viaggio. Intorno a me non c’è altro che neve e ghiaccio e perdersi, in queste distese immacolate, è incredibilmente facile. Non so dove devo andare, quale strada seguire per poter arrivare ad Elsa. Ci fosse almeno una traccia del tuo passaggio, sorellona. Ma qui è tutto fermo, stazionario. Tutto così bianco. Eppure, tutto così magico. Elsa, sorella mia, è davvero questo il tuo potere? Riuscire a ridare alla natura la magia di cui, noi umani, l’abbiamo sottratta? Elsa, se solo tu fossi qui, se solo tu potessi vedere questi paesaggi, questa magia. Questa natura ritrovata che è figlia delle tue mani. Ma hai preferito chiudere gli occhi, hai preferito non vedere cosa il tuo potere fosse in grado di generare. No, siamo stati noi, noi comuni uomini, noi, sognatori disillusi, a chiuderti gli occhi, ad impedirti di vedere ciò che realmente sei. L’unica figlia di questa natura selvaggia, libera. E fa paura, Elsa, fa paura. Fa paura quando qualcuno è diverso da noi, quando esce da quegli schemi che ci siamo prefissati, chissà poi per quale arcano motivo. Fa così paura che tendiamo a non accettarlo, a non crederlo reale. Ad indicarlo come diverso o, nel tuo caso, ad indicarlo come mostro. Ma i veri mostri qui siamo noi, noi che ci ostiniamo a portare l’appellativo di umani quando di umano, ormai, non ci è rimasto più niente. Perché siamo solo capaci di accusare il prossimo, senza ascoltarlo, senza guardarlo negli occhi. Accusiamo gli altri, cercando di mettere a tacere la nostra coscienza, di non sentire le sue urla. Perché dovremmo essere noi stessi l’oggetto della nostra accusa.
 
Basta che l’ape svolazzi accanto a me
 
Sobbalzo e d’istinto tiro le redini. Tempesta, contrariato per il mio scatto brusco, inizia ad agitarsi ma si calma subito, non appena inizio ad accarezzargli la folta criniera. Resto in ascolto, per capire da dove provenga la voce.
 
ed io ricordo in un attimo quel che amo
 
Mi guardo intorno, cercando di percepire anche il minimo movimento o un’ombra, dato che le montagne producono un’eco che mi impedisce di capire quale sia l’origine del suono.

Un drink? Lo vorrei!
 
Calma, Anna, calma. Respira e chiudi gli occhi. E, ora, ascolta.
 
Magari anch’io mi abbronzerei

Mi concentro, cercando di risalire al primo suono. Eccolo. Apro piano gli occhi, quasi timorosa. Che sia uno dei cavalieri? Resto per un attimo indecisa se avvicinarmi con la slitta o proseguire a piedi. Opto per la seconda e, dopo aver legato Tempesta ad un ramo abbastanza saldo, inizio ad avvicinarmi. Fortunatamente, la neve attutisce del tutto il suono dei miei passi, in modo da non tradire la mia posizione al nemico. Sono quasi giunta nel luogo dove, credo, dovrebbe trovarsi il cavaliere. Mi nascondo dietro i rami di un albero, cercandolo con lo sguardo, ma tutto ciò che vedo è sempre e solo questa distesa bianca. Possibile che quella canzone fosse stata solo frutto della mia immaginazione?
“Cercavi me?”
Urlo dallo spavento e, incespicando nei miei passi nel tentativo di mettermi in fuga, cado sulla neve. Serro gli occhi, in attesa che qualcosa succeda, ma, dal momento che sembra non accader nulla, li riapro lentamente, cercando di mettere a fuoco la sagoma che mi sta di fronte. Quando, finalmente, la vista mi ritorna nitida, mi ritrovo a fissare uno strambo pupazzo di neve, probabilmente fatto da qualcuno che è passato da queste parti, ma del cavaliere nemmeno l’ombra. Mi rialzo, ripulendomi dalla neve che mi ha coperto gli abiti. Do un ultimo sguardo alla distesa, per poi iniziare ad incamminarmi verso Tempesta, intenzionata a riprendere il mio viaggio. Ma, improvvisamente, sento tirarmi il mantello e sono costretta a fermarmi. Mi volto di scatto, certa di incrociare lo sguardo del cavaliere, ma non c’è nessuno dietro di me. Si può sapere che sta succedendo qui? Sento di nuovo tirare il mantello e questa volta abbasso lo sguardo, ritrovandomi a fissare il pupazzo di neve.
“Ciao, piacere di conoscerti! Il mio nome è Olaf.”
Lo guardo per qualche secondo, incredula, per poi urlare e darmi alla fuga, non pensando minimamente al fatto che, qualora ci fosse stato realmente qualche cavaliere nei paraggi, ora era a conoscenza della mia presenza.
“Aspetta! Aspetta, non scappare!”
Continuo a correre, incurante delle sue preghiere. Sciolgo in fretta il nodo che teneva legato Tempesta all’albero e, saltando sulla slitta, do il comando di partire al mio destriero.
“Ti prego, non andare! Fermati, non scappare! Fermati, Anna!”
Anna? Come fa a sapere il mio nome? Tiro le redini di Tempesta, intimandogli, in questo modo, di fermarsi. Il pupazzo di neve, dopo un’estenuante corsa, o meglio, qualcosa che dovrebbe assomigliare ad una corsa, mi raggiunge. Lo guardo, senza scendere dalla slitta, le redini strette in pugno, pronta a ripartire al minimo pericolo.
“Come sai il mio nome?”
Il pupazzo attende il ritorno regolare del respiro, prima di rispondermi.
“Non ti ricordi più di me, Anna?”
Ricordarmi? E perché mai dovrei ricordarmi di lui?
“No. Insomma, non ci siamo mai visti, come potrei ricordarmi di te?”
“Non è vero, questa non è la prima volta che ci vediamo.”
“Che intendi dire?”
“Sei diventata un cavaliere, Anna? Perché sei qui?”
“Sto cercando mia sorella.”
“Perché? Cosa vuoi da lei?”
Le sue domande iniziano ad infastidirmi. Perché vuole sapere tutte queste cose?
“Devo e voglio ritrovarla.”
Sto per dare il comando a Tempesta di ripartire, ma la domanda che Olaf mi pone mi costringe a desistere.
“Hai intenzione di tradirla?”
Lo guardo, esterrefatta, non potendo credere alle sue parole. Io, tradire mia sorella?
“No… io… ma come ti salta in mente?” il mio tono è alterato, forse più di quanto avessi voluto.
“Porti la divisa dei cavalieri.” mi risponde, con tutta la tranquillità di questo mondo, per nulla colpito dal mio tono.
Abbasso lo sguardo e mi tasto la divisa, osservandola come se fosse la prima volta.
“Sì, ma...- sospiro, chiudendo per un attimo gli occhi- è difficile da spiegare. In ogni caso, come fai a sapere dei cavalieri?”
“Vado a cercare un po’ di legna, sta per scendere la notte.”
“La notte?- guardo il cielo sereno sopra di noi- Ma se è ancora giorno.”
“Non pensare all’andamento dei giorni nel tuo regno, qui il tempo cambia velocemente.”
E detto questo, sparisce tra i rami degli alberi e il bianco di questa neve. Nell’attesa, decido di dar da mangiare a Tempesta. Come predetto da Olaf, il tempo è cambiato improvvisamente. Inizio a prepararmi per affrontare la notte. Il freddo gelido viene a farci visita, come ogni sera. Passa ancora del tempo, ma del pupazzo di neve nemmeno l’ombra. E un pensiero irrompe nella mia testa, così forte da bloccarmi. Olaf sa dell’esistenza dei cavalieri, possibile che sia un loro alleato e che ora li stia guidando verso di me? Mi guardo intorno, con la paura di veder comparire da un momento all’altro l’intera squadra speciale.

Se tu vuoi spiegarmi come
 
Questa canzone…

Faremo un bel pupazzo insieme
 
Ecco tornare il dolore. Stringo la mia testa tra le mani, in un vano tentativo di placarlo. È tutto inutile. Sento le forze abbandonarmi, e, inevitabilmente, mi accascio al suolo, cercando di lottare contro quest’invisibile forza che mi blocca i movimenti e mi toglie il respiro. Sento, indistintamente, il nitrito di Tempesta. Qualcuno corre verso di me, qualcosa di ruvido e freddo mi sostiene, impedendomi di unirmi in maniera indissolubile a questa neve e questo ghiaccio.



Anna! Anna mi senti? Anna, per favore, apri gli occhi!







Allooooora! Buonasera a tutti! Chiedo infinitamente scusa per la mia prolungata assenza e so che questo capitolo è brevissimo e per niente soddisfacente, da un punto di vista di sorprese. Diciamo che è un capitolo di transizione, indispensabile. Ci stiamo avvicinando al momento cruciale! Comunque, sono stata assente a causa dell'università ma, in ogni caso, sono riuscita a vedere Maleficent! Per ben DUE volte! (e già da qui potete capire quanto mi sia piaciuto...) Che dire, quel film è stupendo! Per chi non l'avesse ancora visto, ve ne consiglio la visione e anche al più presto. Per la prima volta un film non solo è stato all'altezza delle aspettative che mi ero fatta guardando il trailer, ma le ha anche superate!
Vabbè... penso di starmi dilungando così tanto che forse questa piccola (piccola?!) parentesi rischia di diventare più lunga del capitolo stesso. 
Mi sento di ringraziare, per questa storia, la mia amica VIDEL (sì, tu ti chiami Videl e basta, guarda come te l'ho scritto grande, così leggi bene!) che mi ha fatto conoscere Frozen e, di conseguenza, mi ha permesso di scrivere questa storia.
Ringrazio ancora Taylor_28, Nive95 e saitou catcher. Che dire... grazie a voi e alle vostre bellissime parole riesco sempre a caricarmi per poter andare avanti con questa storia. Quindi grazie, davvero. Il merito di tutto questo è anche e soprattutto vostro. Detto questo penso di dovervi augurare solo la buonanotte per l'ora tarda! Al prossimo capitolo! Sperando, come sempre, di non deludervi. Grazie a tutti coloro che leggono! È sempre un onore poter condividere con voi le mie storie. 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Chiusa è la porta del passato, aperta quella del futuro ***


Apro lentamente gli occhi. Cosa è successo? E dove sono? Cerco di alzarmi ma una fitta improvvisa alla testa mi fa desistere dal mio intento. Un piccolo lamento si leva dalle mie labbra.
“Anna, Anna! Finalmente ti sei svegliata.” dice Olaf, precipitandosi verso di me.
“Cosa è successo?”
“Non lo so. Ero andato a prendere la legna e quando sono tornato tu eri a terra priva di sensi e…”
“E…?” lo incito.
“Fredda come la morte.- mi dice puntando il suo sguardo nei miei occhi- Ero preoccupatissimo, Anna. Ma cosa è successo?”
In quel momento mi ricordo della canzone, quella che ho ascoltato poco prima di svenire. Il fatto che io avessi udito proprio quella canzone poteva significare solo una cosa.
“Dov’è Elsa?”
“Cosa c’entra Elsa?” mi chiede Olaf, confuso.
“Prima di svenire- cerco di mettermi seduta- ho sentito una canzone. Quella canzone l’ho inventata io e nessuno l’ha mai ascoltata. Nessuno, tranne Elsa, perché è la canzone che per tanti anni ho cantato fuori la sua porta, con la speranza di vederla aprirsi. Ma se io l’ho sentita vuol dire che Elsa è qui!” sorrido al solo pensiero. Sono finalmente vicina a te, Elsa. Finalmente sono qui e sono qui per salvarti.
“O significa che qualcun altro l’ha ascoltata.” Dice Olaf, con lo sguardo basso.
Tutta la mia felicità scompare in un attimo. Osservo Olaf, sperando che continui, ma così non è.
“Che cosa intendi dire? Olaf, sono sicura che mai nessuno ha ascoltato quella canzone tra le mura del mio palazzo. Nessuno, eccetto Elsa.”
“Forse nel tuo palazzo nessuno l’ha mai ascoltata, ma in altri palazzi questa canzone è stata cantata e altre orecchie hanno potuto udirla.”
Resto per qualche secondo in silenzio. Cosa sta succedendo, se non era Elsa a cantare quella canzone, allora chi? Guardo di nuovo Olaf e vedo che continua a tenere bassa la testa, quasi come se un peso troppo grande gli impedisse di sollevarla. Infine, volge il suo sguardo su di me e, sospirando, ammette la sua colpa.
“Ero io a cantarla, non Elsa. Ma non avrei mai immaginato che sarebbe successo… quello che è successo. Devi credermi.”
Ora è tutto chiaro.
“Va tutto bene, Olaf. Ma da questo momento in poi voglio che tu sia sincero con me.- lo guardo per qualche secondo- Tu sai dov’è Elsa?”
Olaf non risponde.
“Coraggio, Olaf, mi credi così stupida? Hai detto che quella canzone è stata cantata in altri palazzi e di qualsiasi palazzo si tratti, Elsa deve essere lì perché solo lei può conoscere quella canzone e solo lei avrebbe potuto cantarla. E se tu l’hai sentita e hai avuto modo di impararla, vuol dire che tu sai dove si trova. Dov’è mia sorella? Chi la tiene prigioniera?”
Olaf sospira.
“Nessuno la tiene prigioniera, Anna. Elsa ha deciso di vivere nella solitudine. È vero, ho ascoltato quella canzone nel suo palazzo e impararla è stato estremamente facile, oltre ad essere inevitabile.”
“Cosa intendi dire?”
“Elsa canta quella canzone ogni mattina. Non passa giorno che non la canti.”
“Davvero?” chiedo, sentendo già le lacrime salire agli occhi.
“Davvero.” dice Olaf, abbassando lo sguardo.
Mi asciugo velocemente le lacrime che sono scese inevitabilmente.
“Quindi non mi ha dimenticata.”
“Non avrebbe mai potuto.”
“E non mi odia.”
“Scherzi?- alza immediatamente lo sguardo puntandolo su di me- Pensi che Elsa avrebbe potuto odiarti?”
“Visti gli ultimi avvenimenti avrebbe potuto e dovuto.”
“Ascoltami, Anna. Non c’è nessuna persona al mondo, nessuna, che Elsa ami più di quanto ami te. Tua sorella avrebbe dato la vita per te e… sotto alcuni aspetti l’ha fatto.”
Le lacrime tornano a rigarmi il viso.
“Perché non me l’hai detto prima?”
“Dirti cosa?”
“Dove si trova mia sorella.”
Lo vedo sospirare di nuovo.
“Anna, l’hai visto anche tu, la stanno cercando.”
“Lo so.”
“E io dovevo accertarmi che tu non volessi tradirla. No, aspetta, non dire niente.- dice, vedendo che sto per parlare- Io so quanto Elsa ti ami, ma non sapevo se lo stesso si potesse dire di te.”
“Pensi che avrei potuto odiare mia sorella al punto di desiderare la sua morte?”
“Penso che l’essere umano, quando è deluso, sarebbe capace di azioni sconsiderate. E poi temevo che una volta visto il potere di tua sorella, la tua memoria sarebbe tornata.”
“Che cosa? Ma di cosa stai parlando?”
“Io so più cose di quanto tu stessa non sappia. Ci sono altri segreti che Elsa custodisce gelosamente e di cui non parlerà facilmente.”
“Perché?”
“Per proteggerti dal mostro che è diventata.”
“Mostro? Anche tu la consideri un mostro?”
“Lei si considera così, Anna.”
“Perché lei non vede ciò che realmente è! Elsa non è un mostro, Elsa è la sovrana di Arendelle e, soprattutto, mia sorella. E io non tollero che qualcuno le attribuisca un titolo così ignobile!”
Vedo comparire di nuovo sul volto di Olaf quel buffo sorriso che lo contraddistingue.
“Allora tu la vuoi davvero aiutare.”
“Certo che la voglio aiutare, sto cercando di convincertene da quando ci siamo incontrati. Ma, c’è una cosa che non capisco.”
“Cosa?”
“Perché ha preferito confidarsi con te su quei segreti e non con me?”
“A dire il vero, non l’ha fatto nemmeno con me. Probabilmente non ne parlerà mai con nessuno.”
“E allora tu come fai a saperlo?”
“Non ha importanza questo, adesso.”
“Almeno dimmi cosa è successo. Ho il diritto di sapere.”
“No, Anna. È qualcosa di cui dovete parlare voi due e solo voi due. Io non posso, non ne ho alcun diritto.”
“Ma se lei non ne parlerà mai con nessuno, vorrà dire che non saprò mai cosa è successo.”
“È vero, lei non ne parlerà mai con nessuno. Ma forse deciderà di parlarne con sua sorella, la persona più importante della sua vita.” mi dice, sorridendomi e facendomi sorridere a mia volta.
Improvvisamente, mi ricordo di un dubbio che non ero ancora riuscita ad esporre.
“Olaf, come fai a sapere dei cavalieri?”
“Giusto, non ho ancora risposto. Come ti ho detto noi già ci conosciamo, Anna, ma dopo quel nostro nefasto incontro, io ho smesso di vivere, almeno fin quando Elsa non ha deciso di ricrearmi.”
“E perché l’ha fatto?”
“Credo che sia perché io simboleggio il periodo più felice della sua vita, dato che sono stato creato quando tu… beh…”
“Quando io avevo ancora la memoria.”
“Quella vera, almeno. Sì, so che nel tuo passato non c’è nemmeno un periodo di cui tu non ti ricordi, a parte quelli che riguardano i tuoi primissimi anni di vita. Ma sono tutti falsi ricordi.”
“Falsi ricordi? Perché ci sarebbe stato bisogno di farmi avere falsi ricordi?”
“Per proteggerti, ovviamente. Tornando ai cavalieri, quando sono stato ricreato, conservavo ancora tutte le peculiarità della mia vita precedente, prima tra tutte quella di non riuscire a stare mai in uno stesso luogo.”
“Eppure, tu sei ancora qui.”
“Sì ed è per proteggere Elsa. Mentre andavo girovagando per queste montagne innevate, sentii delle voci umane. Eccitato dall’idea di poter incontrare altre persone, non ci pensai due volte a correre nella loro direzione, ma quando arrivai, ciò che vidi mi paralizzò. Le voci venivano da un accampamento. Non avevo mai visto uomini vestiti in quel modo, pieni di oggetti appuntiti e con occhi così spietati. Si stavano scambiando dei fogli, ma non capivo cosa ci fosse rappresentato sopra, finché una folata di vento non ne fece volare via uno. Immediatamente lo afferrai e quando lo aprii l’orrore si impossessò di me. Su quel foglio era rappresentato il volto di Elsa. Era una taglia, Anna, una taglia sulla testa di tua sorella.”
Nonostante già fossi a conoscenza di tutto ciò, non posso impedire al terrore di impossessarsi di me. Cerco di calmarmi, ormai sono vicina e, cosa più importante, c’è Olaf con me e lui sa dove si trova Elsa. Sono in vantaggio su quegli spietati cavalieri.
“Olaf, perché non sei tornato indietro ad avvisare mia sorella?”
“L’ho fatto, Anna, ma sembrava che ad Elsa non importasse.”
“Perché?”
“Perché aveva perso te.”
“Ma lei non mi ha persa!”
“Ma questo lo sappiamo io e te, non lei. Quando Elsa ha costruito il suo palazzo, era sicura che la sua decisione fosse la più giusta. Ha cercato di illudersi che nella solitudine avrebbe ritrovato la sua felicità, ma la verità è stata più forte. La verità della tua mancanza. È vero, per tanti anni voi non vi siete viste, divise da una porta. Ma lei sapeva che tu eri oltre quella porta, sapeva che ogni mattina lei avrebbe udito la tua voce ed era questo che la faceva andare avanti. Tu eri tutto per lei, eri la sua speranza. Ma ora che quella speranza era volata via, che motivo c’era di lottare?”
Mi alzo e mi dirigo verso Tempesta.
“Dove vai?”
“Spegni il fuoco, Olaf. Partiamo.”
“Partiamo? Adesso? Ma è notte fonda.”
“Quanto dista il castello da qui?”
“Un giorno a cavallo.”
“Perfetto, allora non c’è tempo da perdere. Se partiamo subito saremo al castello domani mattina.”
“Anna, non fare cose avventate, devi riposarti, hai perso i sensi prima!” dice Olaf, mentre arranca dietro di me.
Mi fermo, voltandomi verso di lui.
“Ascolta, Olaf, se ciò che dici è vero, Elsa pensa di avermi persa per sempre ma non è così. E io non lascerò che lei viva un secondo più del dovuto in quel modo.”
“Ora capisco perché Elsa è tanto legata a te. Sei davvero speciale, Anna.”
“E quando arriveremo lì, Olaf, capirai perché io voglia così disperatamente salvarla. Perché se c’è qualcuno di speciale, tra noi due, quella persona è Elsa. E no, non mi riferisco al suo potere.”
Lo vedo sorridere.
“Che aspettiamo, allora? Partiamo subito.”
Con una velocità e un’abilità che non credevo di possedere, attacco la slitta a Tempesta e, assicuratami che Olaf stia in una posizione comoda e dalla quale non rischi di cadere, do l’ordine a Tempesta di partire.
Viaggiamo tutta la notte, circondati solo dal silenzio della natura e dal verso di qualche rapace notturno. Nemmeno una parola viene proferita oltre alle indicazioni che Olaf mi dà per raggiungere quanto prima il castello. Altre parole sarebbero superflue, tutto ciò che dovevamo sapere lo avevamo già appreso.
“Rallenta, Anna, siamo quasi arrivati.”
Quando Olaf pronuncia queste parole, i primi raggi del sole iniziano a squarciare le tenebre.
“Da qui in poi dovremo continuare a piedi, quindi lega tempesta a qualche albero.”
“Ma Olaf, io non vedo nessun castello.” Gli dico, un po’ scettica.
“Lo vedrai presto, fidati di me.”
Scendo dalla slitta e lego Tempesta all’albero più vicino, esattamente come mi aveva chiesto Olaf.
“Bene, ora possiamo andare.” Gli dico.
Iniziamo ad incamminarci su per il monte. Camminiamo per circa un chilometro, ma del castello nessuna traccia. Mi fermo e incrocio le braccia, aspettando che Olaf si accorga che non lo sto più seguendo. Quando finalmente se ne accorge, si volta verso di me.
“Allora?” mi chiede.
Alzo un sopracciglio e incrocio le braccia.
“Allora lo dovrei dire io. Stiamo camminando da ore e del castello nessuna traccia. Dì un po’, non è che mi stai prendendo in giro?”
“Non riesci proprio a fidarti di me? In ogni caso, se vuoi farmi la grazia di seguirmi ancora per qualche metro, vedrai che avevo ragione.”
Sbuffando sciolgo le braccia e riprendo a seguirlo.
“E sia, ma solo per qualche altro metro, altrimenti giuro che… Cavolo.”
Sono appena arrivata vicino ad Olaf e lo spettacolo che mi si para di fronte è indescrivibile. Un castello altissimo, eretto sulla vetta del monte, che riflette i raggi solari, inondando di luce tutto ciò che lo circonda.
“È…”
“Stupendo? Sì, lo è. Bene, Anna, come vedi siamo arrivati al castello di Elsa.”
“Ma è tutto ghiaccio?”
“Dalle fondamenta fino alla punta della torre più alta. Ora andiamo, ma con calma.”
Senza ascoltarlo inizio a correre verso il castello, gli occhi fissi solo su quella costruzione di ghiaccio.
“Fossi in te mi fermerei seduta stante, altrimenti, credimi, il volto di tua sorella non lo vedrai mai più.”
Mi fermo all’istante e mi accorgo di essere sul margine di un burrone di cui non mi ero minimamente accorta.
“Perché tentare di volare quando lì c’è una scala che ci porta direttamente all’entrata del castello?” chiede Olaf che nel frattempo mi ha raggiunto. Vedo che indica una scala, anch’essa di ghiaccio, parzialmente nascosta dalla vegetazione di quel luogo.
“Mi sa che hai ragione.” gli dico.
“Bene, allora seguimi.”
In silenzio percorriamo i metri che ci dividono dalla scala, per poi cominciarla a salire.
“Tutto questo è bellissimo.” dico.
“Sì, lo è. Ma Elsa non riesce a vederlo.”
“Allora glielo mostrerò io.”
Finalmente, arriviamo alla porta del castello. Sollevo la mano, pronta a bussare, ma qualcosa mi blocca.
“Cosa succede?” mi chiede Olaf.
“È che… e se non volesse vedermi?”
“Anna… non mentire. Sei forse la persona che Elsa desidera vedere più di qualsiasi cosa al mondo. Cosa ti turba veramente?”
“Per tutta la vita- dico, iniziando a piangere- ho bussato alla sua porta, per tutta la vita. E la porta non si è mai aperta. Ho paura, ho paura che succeda ancora.”
“Beh, ma se non ci provi, non lo saprai mai. Non avere paura, Anna. Fai ciò che è giusto fare, fai ciò per cui sei venuta qui.”
Incoraggiata dalle parole di Olaf, batto due colpi, ma non succede nulla. Mi giro, pronta ad andarmene, ma un rumore mi fa voltare di nuovo.
La porta, contro ogni mia aspettativa, si è aperta.

_____________________________________________________________________________________________________________________________
Buonasera a tutti, so che sono stata via parecchio e di questo mi scuso, ma ho avuto problemi al pc e dopo sono partita per le vacanze. Ne approfitto per consigliare, a chi ancora non seguisse questa serie, Once upon a time. Ho letteralmente divorato le tre stagioni e trovo che sia una serie che meriti, oltre al fatto che tra un mese inizierà la quarta stagione e, udite udite, ci saranno proprio Elsa ed Anna. Beh, come sempre ringrazio chi mi segue e chi ha appena iniziato. Grazie della vostra fiducia e della vostra fedeltà.
Vostra, Tury


 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2605876