Striptease

di Amor31
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Capitolo V ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


Striptease






Capitolo I

 
Era un pomeriggio torrido. Il ventilatore era stato impostato al massimo fin da prima mattina, ma nell’ufficio si faceva comunque fatica a respirare.
Jellal Fernandes se ne stava seduto non troppo comodamente alla sua scrivania e teneva gli occhi fissi su una decina di pagine di appunti presi durante il suo ultimo viaggio. Stavolta il Direttore Makarov gli aveva assegnato uno speciale su una tribù indigena sperduta in una remota zona del Perù e dopo due settimane passate per lo più a masticare radici e tuberi arrostiti, era finalmente tornato alla civiltà, ringraziando il Cielo per l’esistenza di elettricità e acqua calda.
Ora, di nuovo al lavoro, il suo compito era battere a macchina l’articolo che aveva già preso forma nella sua testa; certo, non era facile concentrarsi con quel caldo afoso e la camicia zuppa di sudore incollata alla schiena, ma avrebbe fatto bene a darsi una mossa, se davvero desiderava tornare a casa e concedersi una rivitalizzante doccia fredda.
Sbuffò e rilesse attentamente le due righe che aveva appena aggiunto, cancellandole un secondo dopo, insoddisfatto; si rese conto di non star mettendo il proprio cuore in quello scritto e si passò entrambe le mani tra i capelli in preda alla disperazione.
Toc toc
Ebbe appena il tempo di alzare gli occhi sulla porta, aperta senza alcun permesso dal suo più stretto collaboratore.
-Si può?-, domandò Laxus Dreyar, avanzando verso la scrivania con un sorriso stranamente cordiale che insospettì subito Jellal.
-Potresti anche chiuderla-, gli disse con tono stanco, alludendo alla porta alle sue spalle.
-Dio, questa stanza sembra una fornace! Lascia passare un po’ d’aria-.
-Ho acceso il ventilatore, se non te ne sei accorto. Se la lasci aperta, andrà dispersa tutta la frescura-.
Laxus si lasciò scappare un ironico Ah-ah prima di chiudere la porta e compiacere il collega. Poi fece il giro della scrivania e si pose alle sue spalle, sbirciando l’articolo: -Makarov vuole il servizio pronto per domani sera. Pensi di farcela?-.
Jellal non rispose. Evidenziò e cancellò qualcosa, corresse di nuovo e infine fece aderire la schiena sudata alla poltroncina girevole su cui era seduto. Chiuse gli occhi per alcuni secondi, prima di replicare: -Sì, non dovrei avere problemi. Hai digitalizzato le tue foto?-.
-L’ho fatto stamattina-.
-E allora perché non te ne sei tornato a casa?-.
-Makarov mi ha affidato i rullini di Gray. Ha deciso di prendersi una pausa dal lavoro proprio nel momento più adatto-.
Era evidente che le parole di Laxus tradissero un certo risentimento, ma Jellal preferì non approfondire la questione.
-Dove è stato?-.
-Sulle Alpi per un articolo sullo sci. Noi sbattuti in Amazzonia…-.
-Perù-, lo corresse l’altro.
-Amazzonia, Perù… Quello che è! E lui in escursione in montagna. Makarov deve avercela con noi-.
Da bravo collega, Jellal avrebbe dovuto dire qualcosa come “Noi saremo in copertina” oppure “Ci affidano compiti difficili perché siamo più bravi ed esperti”, ma l’afa gli aveva assorbito gran parte delle energie e preferiva di gran lunga impiegare le rimanenti per portare a termine il suo articolo.
-A ogni modo-, proseguì Laxus, capendo che l’altro non avrebbe aperto bocca, -mi sembri parecchio stressato. Qualcosa non va?-.
-Tutto bene-, rispose a denti stretti Jellal, pigiando mollemente le dita sulla tastiera.
-Ha chiamato Meredy, poco fa-.
L’uomo trasalì, fermandosi nuovamente: -Cosa voleva?-.
-Ti cercava. A quanto pare non le avevi detto di essere tornato-.
-Già-, annuì dopo qualche istante, riprendendo a scrivere.
-E mi ha detto che era preoccupata anche perché non riusciva a contattarti, visto che il tuo cellulare risultava sempre irraggiungibile-.
-Vero anche questo-.
Laxus fissò la nuca del collega, indeciso se prenderlo a schiaffi o se parlargli ragionevolmente. Optò per un compromesso.
-Ascoltami bene-, disse in tono minaccioso, facendo voltare la poltroncina e obbligando Jellal a guardarlo negli occhi. -Meredy è tua sorella. È tutto quello che ti è rimasto. E vorresti estrometterla dalla tua vita?-.
-Non è questo il punto-.
-E allora cosa?-.
Jellal abbassò lo sguardo, ma strinse i pugni. Poteva forse dire al collega di essere geloso della sua cara sorellina? Poteva forse dire che le cose erano un tantino cambiate da quando la ragazza era andata a convivere con il giovane e rampante avvocato Lyon Bastia?
-Meredy è adulta e responsabile per se stessa. Non c’è bisogno che si preoccupi per me. Dovrei essere io a prendermi cura di lei, visto che sono suo fratello maggiore, ma so che non ha più bisogno della mia protezione, sempre che ne abbia mai avvertito la necessità-.
-Jellal?-.
-Che c’è?-.
-Sei un idiota. Lo sai, vero?-.
-Può darsi-.
-Da quanto tempo non esci con una ragazza?-.
E ora cosa c’entrava quella domanda con il discorso precedente?
-Scusa, ma non credo di aver capito il nesso-.
-Limitati a rispondere-.
Stizzito e ancora allibito, Jellal ripensò a come aveva vissuto nell’ultimo periodo. Calcolò qualcosa sulla punta delle dita e poi disse: -Tre anni-.
-Cosa?!-.
-La risposta che volevi. Tre anni-.
-No, no, no, fammi capire-, scosse la testa Laxus, incredulo. -Stai dicendo che non frequenti nessuno da…-.
-Sì, perché? Ti sembra strano?-.
Ma certo che lo era, pensò in un secondo momento. Stava pur sempre parlando con il fotografo Dreyar, rinomato playboy della redazione. L’unico uomo – il solo che Jellal avesse mai conosciuto, almeno – in grado di collezionare una ragazza dopo l’altra senza rimanere invischiato in storie troppo complicate; il classico dongiovanni che si ripeteva a mo’ di mantra il motto “Mai più di una notte”.
-E ci credo che sei stressato!-, sbottò il collega, gli occhi ancora strabuzzati. -Tre anni! Tre. Anni!-.
In propria discolpa – perché avrebbe dovuto giustificarsi, poi? – Jellal avrebbe potuto dire che per nessuno sarebbe stato facile intraprendere una nuova relazione dopo aver a malapena flirtato con la caporedattrice Ultear Milkovich; inoltre, come avrebbe fatto a gestire o anche solo ad iniziare un’altra storia, se il lavoro lo costringeva continuamente a stare lontano da casa? Le soluzioni erano due: o comportarsi come Laxus oppure restare da solo vita natural durante. La seconda opzione gli sembrava e gli era sempre parsa la più ragionevole, visto che, nonostante le apparenze, la sua timidezza era proverbiale.
-Facciamo una cosa-, disse il fotografo suo collaboratore, passandosi una mano sul viso, quasi avesse voluto rimuovere la rivelazione sconvolgente del collega. -Prova a finire questo dannato articolo entro le sei. Se non ci riesci, e credo proprio che sarà così, evita di continuarlo a casa. Questa sera ti prenderai una bella pausa e vedrai che domani ti sentirai molto meglio-.
-Grazie per il consiglio, Laxus, ma non penso che Makarov sia dello stesso avviso-.
-A lui importa solo che sia pronto entro le sei di domani-, sottolineò l’altro. -Hai tutto il tempo per finire il tuo capolavoro-.
Jellal colse una punta di sarcasmo in quelle parole, ma preferì passarci su.
-Che ne dici di uscire? Andiamo a farci una bella bevuta in qualche locale e poi dormiamoci sopra. Ti assicuro che sarai rigenerato. Con me funziona sempre-.
Quello doveva essere il metodo che gli aveva insegnato una delle sue ultime conquiste, una certa Cana. Jellal scosse la testa.
-Sono astemio, lo sai-.
-E che importa? Ti farò portare una cola, se l’alcol ti dà problemi-.
-Laxus, te lo sto dicendo con gentilezza: non ho intenzione di uscire. Non quando ho un lavoro da terminare-.
-Quante storie!-, proruppe il fotografo. -Lo sai anche tu che non hai né la voglia né la testa per completare il pezzo. Preferisci davvero startene da solo a casa? Non sarebbe meglio se ti divertissi un po’? Se comunque non aggiungerai un’altra riga allo scritto di oggi, tanto vale uscire con il tuo migliore amico, non ti pare?-.
Un punto a suo favore.
-D’accordo-, si lasciò convincere Jellal, battendo leggermente le mani sul bordo della scrivania. -Dove ci vediamo?-.
-Oh, non preoccuparti-, lo rassicurò Laxus, allontanandosi verso la porta. -Passerò a prenderti verso le nove, se non ti crea problemi-.
-Affatto-, rispose l’altro, ostentando una sicurezza che non aveva. -Ma sei sicuro di volermi dare un passaggio? Non sarebbe meglio se…-.
-Lascia fare al sottoscritto-, lo interruppe il collega. -Vedrai, non te ne pentirai-.

 

***

 

Alle otto e mezza Jellal era già pronto.
Aveva rinunciato a proseguire nella stesura dell’articolo e si era rifugiato sotto l’agognata doccia fredda che aveva sognato per tutta la giornata, poi si era preparato e aveva dato un’ultima sistemata ai capelli, pronti a ribellarsi nonostante avesse usato qualche goccia di gel per tenerli a bada. Riflettendosi nello specchio della sua camera aveva pensato che probabilmente il suo abbigliamento fosse un po’ troppo elegante per una semplice uscita tra amici, soprattutto se si immaginava seduto al bancone di un bar o in una discoteca; il massimo dell’imbarazzo si sarebbe raggiunto nel momento in cui avrebbe chiesto una cola al posto del normale super alcolico, ma scacciò immediatamente quella scena grottesca dalla propria mente.
L’improvviso squillo del cellulare gli fece capire che Laxus doveva essere arrivato. Si affacciò allora alla finestra e adocchiò la sagoma scura dell’auto del fotografo, fermo proprio sotto casa.
-Visto? Puntuale come un orologio-, gli sorrise l’amico, non appena si fu richiuso la portiera alle spalle. -Però-, aggiunse Laxus, -sei proprio un damerino chic, stasera-.
-È troppo vistoso?-, gli domandò Jellal, guardando a disagio la giacca nera e la cravatta rossa.
-Diciamo pure che avrai parecchi occhi puntati addosso-, lo prese in giro l’altro. -Ma hai fatto bene, sul serio-.
-Dove stiamo andando?-, gli chiese allora il giornalista, osservando prima la strada illuminata dagli anabbaglianti, poi il viso del collega.
-È una sorpresa. Ti dirò, per un attimo ho avuto paura che non ci fosse posto per noi, ma a quanto pare altri due clienti hanno dato forfait all’ultimo minuto e quindi sono stato richiamato. Prima fila per delle guest star come noi-.
Senza capire una singola parola, Jellal rimase in silenzio e annuì, fissando l’oscurità oltre il finestrino alla sua destra. Laxus gli sembrava ancor più su di giri rispetto al solito e ciò non lo rassicurava affatto.
-È un locale in città?-, domandò ancora.
-Dobbiamo imboccare l’autostrada e uscire da Magnolia, in realtà-, lo informò il fotografo. -Ci impiegheremo più o meno tre quarti d’ora, prima di arrivare. Ma l’attesa sarà ripagata, oh sì-. 
-Ci sei già stato, vero?-.
-Come?-.
-Hai già visitato questo locale, immagino-.
-Ah, certo. È stato tutto merito di Gildarts Clive; te lo ricordi?-.
E come avrebbe potuto dimenticarlo? Gildarts era stato il più famoso fotografo della rivista per cui lavoravano, ma aveva lasciato il giornale per un ingaggio maggiore offerto da una redazione lontana da Magnolia. Il suo posto era stato occupato da Laxus, che da Clive aveva assorbito svariati consigli utili su come lavorare al meglio per ottenere foto perfette.
-Era un tipo bizzarro. Me lo ricordo bene-, annuì Jellal.
-La sera prima che sgombrasse il suo ufficio, siamo usciti insieme per andare a bere. E cosa ha fatto? Mi ha accompagnato all’Amnesia. Non potrò mai ringraziarlo abbastanza: quel posto è il Paradiso in terra-.
-Amnesia?-. Quel nome gli risultava familiare, ma non aveva idea di dove lo avesse sentito.
-Già. Ah, se vuoi capire quello che sto dicendo, devi farci un salto anche tu. Ecco perché ti ci porto. E se neanche questo dovesse tirarti su di morale, penso che faresti bene a rivedere le tue priorità-.
L’abitacolo sprofondò nel silenzio. Jellal riprese a guardare il buio che scorreva dietro il finestrino e Laxus prestò particolare attenzione a guidare verso il casello autostradale giusto.
-Vuoi che accenda la radio?-, gli domandò il fotografo, mentre l’auto, ora sul rettilineo, acquistava velocità.
-Come vuoi-.
Di lì a qualche secondo la voce della giovanissima cantante Wendy Marvell fece tremare le casse poste alle spalle dei sedili. Laxus resistette un minuto buono – e Jellal fu sicuro che quello fosse un nuovo record – prima di cambiare stazione.
-Eh no, non mi faccio guastare la serata dall’ultima idol entrata in classifica-, borbottò il fotografo, premendo più volte il pulsante per lo spostamento di frequenza. -Una volta la radio trasmetteva canzoni decenti, non commercialate come questa-.
Per evitare di alimentare il dibattito sulla musica contemporanea, Jellal rimase zitto ad ascoltare le rimostranze finali dell’amico. Solo allora, sbirciando all’esterno, si rese conto di essere vicino all’uscita dell’autostrada.
-Siamo…-.
-Quasi arrivati, sì. Dammi dieci minuti-.
Sebbene fossero ormai fuori dal rettilineo, Laxus incrementò ancora la velocità. Probabilmente la multa lo avrebbe salassato, se nelle vicinanze ci fosse stato un autovelox pronto a rilevare i chilometri orari in eccesso.
-Non pensavo che fosse così tanto fuori dalla città-, rifletté a voce alta Jellal, notando la strada farsi più stretta e la vegetazione incrementare ai margini della viuzza. Stavano attraversando dei campi spogli e dall’aria particolarmente lugubre, complice la leggera foschia che si era levata.
-È solo un’impressione-, replicò il collega, aprendo i finestrini e facendo ricircolare l’aria nell’abitacolo. -Una volta arrivati, ti accorgerai che abbiamo semplicemente girato intorno a Magnolia e preso lo svincolo autostradale a sud. Che c’è?-.
-Niente-, disse Jellal con tono piatto. Era sicuro che l’amico si fosse reso conto della sua tensione.
-Non dirmi che stai pensando ancora a quell’articolo-, sbottò Laxus, lanciandogli una fugace occhiata prima di tornare a prestare attenzione alla strada.
-No, per carità. Sono uscito proprio per evitare di rimuginarci sopra, no?-.
-Hai richiamato Meredy?-.
-No-.
-Sei davvero cocciuto. Che ti costava…?-.
-Possiamo cambiare argomento?-, lo bloccò Jellal. L’ultima cosa che voleva era sentire una paternale. Da Laxus, per giunta!
-Amico, devi scioglierti un po’. E infatti ci sono io, qui con te! Ah, eccoci arrivati-.
Buio. Nient’altro che buio.
-Laxus, si può sapere dove siamo finiti?-, domandò preoccupato il giornalista.
-Dammi almeno il tempo di parcheggiare, no? Lo spazio per le auto si trova sul retro del locale, ecco perché non vedi nulla-.
-Chiedere al Comune di preoccuparsi dei pali della luce ti sembra una richiesta esagerata? Non farei fatica a credere che il posto sia poco frequentato-.
-Ed è qui che ti sbagli. Dai retta a me, l’Amnesia è il luogo di culto per chi cerca compagnia. Proprio come te-.
Laxus parcheggiò con una manovra fluida e uscì dalla vettura, sbattendo la portiera e incamminandosi nell’oscurità. Dal canto suo, Jellal lo seguì con la seria intenzione di chiedergli spiegazioni.
-Aspetta un secondo-, disse al suo collaboratore, costringendolo a voltarsi. -Io starei cercando compagnia?-.
-Perché, non è quello che vuoi?-, ribatté il fotografo. -Andiamo, Jellal, non fare quella faccia! Quando mi hai detto che non frequenti una donna da tre anni ho sentito il bisogno di intervenire. È per il tuo bene, capisci? Sono tuo amico, prima di essere un tuo collega, e sono stanco di vederti stressato e giù di morale. Ho semplicemente pensato che passare una serata circondato da belle ragazze ti avrebbe…-.
Ormai erano giunti di fronte all’entrata del locale. Fu allora che Jellal, smesso per un istante di ascoltare Laxus, perse completamente l’uso della parola.
Una rossa insegna al neon recante la scritta Amnesia troneggiava proprio sopra la porta d’ingresso. Accanto alla “A” di inizio parola era stata sistemata una figura femminile dalla posa provocante che lampeggiava a intermittenza, richiamando l’attenzione dei visitatori.
-Mi hai portato a un night club?!-, esclamò Jellal, sul punto di strapparsi i capelli per l’esasperazione e l’imbarazzo.
-Il migliore in circolazione, aggiungerei. Dai, entriamo-.
-No, no. Forse non hai capito, ma io lì dentro non ci metto piede. Scordatelo-.
-Non fare l’idiota e seguimi-.
-Laxus, riaccompagnami a casa. Subito-.
-Ormai ho prenotato due posti. E prenotare significa pagare pur non essendo presenti in sala. Quindi fattene una ragione ed entra. Te lo sto dicendo con le buone, ma, se preferisci, posso sempre trascinarti all’interno con la forza-.
Le proteste si protrassero per qualche altro minuto, ma alla fine il fotografo ebbe la meglio. Jellal fu costretto a entrare, mantenendo la testa bassa come un cagnolino bastonato. Si soffermò un secondo sulla porta di ingresso per leggere un avviso che vi era affisso – Vietato l’ingresso ai minori di 18 anni – e poi si addentrò nel locale, augurandosi che quella tortura finisse presto.
Luci soffuse ovunque. Luci psichedeliche che si riflettevano sulle pareti ricoperte di specchi e davano alla testa, costringendo qualcuno a chiudere gli occhi di tanto in tanto. Luci che illuminavano dal basso il lungo palco su cui si stavano esibendo proprio in quel momento tre ragazze che a prima vista apparvero nude ai loro occhi. Solo osservandole più attentamente e da vicino sarebbero riusciti a distinguere i bikini color carne che indossavano.
-Buona sera, signori-, li accolse una bionda dal completo scollacciato. -Posso aiutarvi?-.
-Abbiamo prenotato un tavolo-, si lanciò a capofitto Laxus, mentre Jellal non sapeva se guardarsi intorno o se continuare a mantenere gli occhi abbassati per tutto il tempo.
-Nome?-, domandò la ragazza, aprendo un quaderno dalla rigida copertina nera.
-Dreyar-, continuò il fotografo.
-Dreyar, Dreyar… Ah, sì-, annuì la giovane, puntando l’indice sull’ultima pagina registrata. -Siete al tavolo sette. Venite, vi faccio strada-.
I due uomini la seguirono in silenzio. Il volume alto della musica non faceva che incrementare a ogni passo che li avvicinava al palco e Jellal ebbe paura di ritrovarsi ben presto con la testa in fiamme. Cosa aveva detto Laxus? Domani ti sentirai rigenerato? Sì, come no! Una bella emicrania era proprio quello che ci  voleva per riuscire a completare l’articolo da consegnare al Direttore Makarov.
-Accomodatevi pure-, li invitò la bionda, indicando loro il tavolo prenotato.
-La ringrazio-, le sorrise il fotografo.
-Godetevi la serata-, si congedò definitivamente lei, sparendo tra la folla.
-Allora? Che te ne sembra?-, domandò Laxus a Jellal una volta che la ragazza si fu allontanata.
-Che ne penso?-.
E cosa si aspettava che gli rispondesse? Che quello era “il Paradiso in terra”, come lo aveva definito lui poco meno di un’ora prima? Non avrebbe saputo mentire neanche se costretto e quindi disse soltanto “È un disastro”.
-Amico, hai voglia di scherzare?-, rise il fotografo. -Guardati intorno: siamo in prima fila, esattamente di fronte al palco. Decine di ragazze ci sfileranno davanti praticamente nude e altre ci porteranno da bere. A proposito…-.
E smettendo per un secondo di parlare, richiamò l’attenzione di una cameriera e ordinò due super alcolici.
-Sono astemio, dannazione! Quante volte te lo devo ripetere?-, esclamò Jellal, sempre più adirato.
-Rilassati e fidati di me. Serve a farti sciogliere un po’: sei teso più di una corda di violino!-.
Ma certo che era teso! Anzi no, non teso: profondamente arrabbiato e deluso. Imbarazzato e a disagio. Se lo scopo di Laxus era prendersi gioco di lui, allora complimenti, ci sarebbe riuscito.
-Per quanto tempo pensi che rimarremo?-.
-Finché il tuo umore non sarà migliorato. Penso che ci vorrà parecchio, già-.
Jellal sbuffò, guardando distrattamente una ragazza esibirsi in una pole dance. E finalmente ebbe l’illuminazione.
-Ecco dove l’avevo sentito!-, esclamò, sovrastando appena il frastuono della musica.
-Di che parli?-.
-Del nome Amnesia. Era nell’articolo-inchiesta redatto da Levy-.
-McGarden?-.
-Quante altre Levy conosci?-.
-Uhm, dipende-.
-Comunque sia… Sì, si trattava proprio di questo locale. Ora capisco perché ce l’aveva tanto con i night club-, continuò Jellal.
-Perché?-.
-Mi sembra di aver capito che il suo ragazzo fosse un frequentatore abituale di posti come questo-.
-Fosse? Credi davvero che non bazzichi più da queste parti?-.
-Non sono affari miei-.
-Ah, certamente. Era solo per dire che chi viene una volta qui ha due possibilità: o non tornare una seconda volta oppure diventare un cliente abituale. Stai pur sicuro che il fidanzato della McGarden continua a farci una visita, di tanto in tanto. Grazie-.
Laxus si era nuovamente rivolto alla cameriera, di ritorno con due cocktail dall’aria letale.
-Bevi-, il fotografo ordinò a Jellal, ingollando metà bevanda in un sol sorso.
Il giornalista se ne tenne a debita distanza. Era già abbastanza umiliante starsene lì, sotto al palco, mentre il suo amico non perdeva un’occasione per fischiare in direzione delle ragazze in segno di approvazione. No, non avrebbe ingerito quel veleno.
Per una mezz’ora Jellal cercò di calmarsi. La voglia di urlare contro l’amico e correre fuori dal locale era tanta, ma si costrinse a rimanere seduto per una questione di decoro. Ma a metà della quinta pole dance di fila a cui assisteva, perse definitivamente la pazienza e balzò in piedi, afferrando Laxus per un braccio e strattonandolo.
-Che ti prende?-, si lamentò il collega.
-Voglio andarmene-.
-Non puoi-.
-Allora dammi le chiavi della tua auto e lasciami tornare a casa da solo-.
-Vorresti lasciare qui il tuo migliore amico? La persona che ti ha offerto la serata per…-.
-Basta con questa solfa! Ne ho fin sopra i capelli di te e di questo posto!-.
-Ehi, voi due! Fate silenzio!-.
La voce di uno sconosciuto interruppe il litigio ed entrambi i contendenti si accorsero che la musica era cessata. Un innaturale silenzio regnava ora nel locale e le luci, già fioche, si abbassarono ancor di più.
-Che sta succ…-.
-Shhh!-.
Jellal si guardò intorno, perplesso. Provò a strattonare un’altra volta Laxus, ma qualcosa lo distrasse.
Due intense luci furono proiettate sul palco rispettivamente dalla destra e dalla sinistra della sala e incrociandosi corsero a illuminare il centro della scena. Il giornalista fissò scettico il punto evidenziato, aspettandosi che dalle cortine che demarcavano il dietro le quinte uscisse l’ennesima spogliarellista in bikini. La musica, suadente come mai era stata fino a quel momento, ripartì e oltre le tende si accese una terza luce che mostrò un’ombra appena visibile. La sagoma, inizialmente immobile, prese a intonare una canzone.
 

You had plenty money, 1922
You let other women make a fool of you
Why don’t you do right, like some other men do?
Get out of here and get me some money too

 

Jellal era semplicemente rimasto senza fiato.
Il sipario si era dischiuso e pian piano aveva fatto il suo ingresso una ragazza dai lunghi capelli rossi. Il pubblico era andato in visibilio nel vederla avanzare passo dopo passo, ondeggiando i fianchi sui cui teneva entrambe le mani poggiate e rivolgendo occhiate languide agli uomini che occupavano le prime file.
Jellal era tra quelli che non avevano parole per descrivere la meraviglia di cui si erano riempiti i loro occhi. Seguiva i movimenti della cantante senza battere ciglio, badando di non perdersi una singola espressione del suo delicato viso; aveva già perso interesse per il lungo abito di paillettes blu su cui aveva inizialmente concentrato la propria attenzione, anche se doveva ammettere che era alquanto difficile ignorare il profondo spacco che partiva da metà coscia, mostrando di tanto in tanto una gamba che avrebbe fatto invidia alla più quotata modella di Magnolia.
 -Perché non ti siedi?-.
-Eh?-.
Il giornalista fu distratto per un istante da Laxus, che lo fece ricadere senza troppe difficoltà sulla sedia. Un attimo dopo stava contemplando di nuovo la ragazza sul palco, che adesso pareva stesse guardando proprio nella sua direzione, puntandogli l’indice della mano destra contro.
 

You’re sittin’ there and wonderin’ what it’s all about
You ain’t got no money, they will put you out
Why don’t you do right, like some other men do?
Get out of here and get me some money too


Sembrava che le parole della canzone si rivolgessero davvero a lui. Jellal ne rimase ulteriormente colpito, soprattutto perché la donna aveva praticamente smesso di far scorrere lo sguardo sul resto del pubblico. I loro occhi si incontrarono per la seconda volta ed ebbe l’impressione che lei stesse sorridendo.


If you had prepared twenty years ago
You wouldn’t be a-wanderin’ from door to door
Why don’t you do right, like some other men do?
Get out of here and get me some money too


Quei capelli.
Ogni volta che la ragazza improvvisava una giravolta sembrava essere avvolta da una fiamma ardente. Era impossibile, per Jellal, non fissare quella chioma. E quando all’improvviso si rese conto di aver immaginato il suo profumo, capì di aver compiuto un passo che da tre anni si rifiutava di fare: voleva quella donna. Desiderava conoscerla, sapere come fosse arrivata a lavorare in quel locale. Si disse che forse il nome del night club lo aveva ispirato proprio lei: lui stesso, guardandola, era stato vittima di una piacevole Amnesia.

 

I fell for your jivin’ and I took you in
Now all you got to offer me’s a drink of gin
Why don’t you do right, like some other men do?
Get out of here and get me some money too
Why don’t you do right, like some other men do?


La musica scemò e il pubblico esplose in un fragoroso applauso, mentre Jellal, stordito e assuefatto dalla voce della ragazza, provava a tornare alla realtà afferrando il cocktail ordinato da Laxus e mandandolo giù con un solo sorso.
-Astemio, avevi detto?-, rise il fotografo, dandogli una pacca dietro la schiena vedendolo tossire.
Sentì la gola bruciargli, ma non era comparabile al fuoco scoppiato all’altezza del suo cuore. Batteva fin troppo rapidamente e Jellal temette che il muscolo avrebbe ceduto di lì a poco.
Ancora un bell’applauso per la nostra Scarlet!”, urlò uno speaker, mentre la cantante si inchinava al pubblico, sorridendo soddisfatta e con aria raggiante prima di uscire dalla scena e sparire di nuovo dietro le quinte.
“Scarlet”, pensò il giornalista. “Mai un nome fu più indovinato”.
-Allora? Piaciuta l’esibizione?-, chiese Laxus, facendo un cenno ad una cameriera nelle vicinanze e ordinando altro alcol.
-Credi che salirà ancora sul palco prima della fine della serata?-.
-Oh-oh, qualcuno è rimasto ammaliato, qui!-.
-Sta’ zitto!-, replicò Jellal. Se c’era una cosa che lo infastidiva, era essere punzecchiato.
-No, non penso-, rispose il collega senza smettere di sorridere. Poi aggiunse, guardando maliziosamente l’amico e alludendo alla canzone appena finita: -Di’ un po’, con lei lo berresti un bicchiere di gin, eh?-.
Jellal evitò di rispondere, provocando così una seconda ondata di risate da parte di Laxus. Ma stavolta non diede peso alla cosa: stava ancora pensando a Scarlet.
“Devo rivederla”, si disse, trangugiando il secondo cocktail servito dalla cameriera senza neanche rendersene conto.
Come aveva detto anche il suo collega a inizio serata, c’erano due possibilità: tornare una seconda volta al night club o dirgli addio per sempre.
Senza riflettere oltre, Jellal sapeva già cosa avrebbe fatto.

Avrebbe cercato e trovato Scarlet a qualunque costo.

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


Capitolo II

La mattina dopo Jellal si svegliò con una doppia certezza: avrebbe consegnato l’articolo a Makarov e in serata sarebbe andato all’Amnesia.
Dovette constatare anche un’altra cosa: Laxus aveva avuto ragione. Non sapeva se quel senso di benessere che provava fosse causato dai tre cocktail assunti – perché ne aveva bevuto anche un terzo, giusto per alimentare la scia di calore che si portava dentro – o dal ricordo di Scarlet, ma era come se una nuova energia gli stesse scorrendo nelle vene e questo bastava per rianimarlo.
Una volta in ufficio, terminò il pezzo entro la pausa pranzo delle due. Il collega fotografo non si era presa la briga di venire – e Jellal pensò che, se fosse andato a trovarlo a casa, lo avrebbe beccato a poltrire a letto – e così rimase da solo per tutto il tempo. Fu interrotto solo dall’arrivo della caporedattrice Ultear Milkovich, andata a complimentarsi con lui per l’articolo che aveva appena finito di leggere, e poi si preparò per tornare nel suo appartamento, aspettando impazientemente che scoccassero le nove per potersi mettere in marcia e recarsi al night club.
-Fernandes!-.
Una voce maschile lo aveva bloccato proprio nel momento in cui stava per uscire dalla redazione.
-Gray-, salutò il collega. -Di nuovo al lavoro?-.
-Da stamattina, già-, rispose il ragazzo. -Makarov mi ha richiamato con urgenza e mi ha assegnato uno speciale sull’inquinamento urbano-. 
-Mi dispiace che ti abbia rovinato le ferie-.
-No, non è questo il problema-.
Jellal lo guardò attentamente. L’espressione di Gray era indurita, come se fosse stato adirato.
-Che c’è, allora?-.
-Prima di mettermi a lavorare per il nuovo servizio ho bisogno di consegnare a Lluvia le foto che ho scattato sulle Alpi-.
-Quindi?-.
Gray inspirò, ora palesemente infastidito: -Quindi mi faresti un piacere se mi dicessi dove è stato messo il rullino che Makarov ha consegnato a Laxus-.
Jellal alzò le spalle: -Non ne ho la minima idea. Perché lo chiedi a me?-.
-Perché è da stamattina che provo a chiamare quell’imbecille, ma non si è mai degnato di rispondermi. Il cellulare è staccato, il telefono di casa squilla a vuoto. Dove si è cacciato?-.
-Sei sicuro che non abbia portato il rullino in sala sviluppo? Mi aveva detto di essersene occupato…-.
-Anche se fosse, le foto non si trovano. E io ne ho bisogno, altrimenti Lluvia non potrà consegnare il nostro articolo. Sai che per lei è un periodo di prova, no? Questa è già la seconda possibilità che il Direttore le concede e se dovesse andare male anche stavolta probabilmente la butterà fuori. E tutto perché quell’idiota del tuo amico non sa fare il suo lavoro!-.
-Gray, cerca di calmarti-, sbottò Jellal, poggiando entrambe le mani sulle spalle del collega. -Se vuoi posso provare a richiamare Laxus di nuovo-.
-È inutile, non risponde!-.
-Allora saliamo di sopra e controlliamo per bene. Dai, darò una mano a te e Lluvia-.
-Ti devo un favore-, lo ringraziò l’altro, precedendolo sulla rampa delle scale che portava agli uffici.
Dal canto suo e senza farsi notare, Jellal sospirò, afflitto: per quella sera Scarlet avrebbe dovuto attendere.

 

***

 

L’indomani non fu migliore.
Aveva trascorso il giorno prima tra le fotografie che Gray aveva ritrovato – e che erano sempre state in una cartella riposta da Laxus proprio in sala sviluppo – dando anche preziosi consigli all’inesperta Lluvia, mentre adesso si trovava nel proprio ufficio a scrivere un pezzo di repertorio sull’incidenza che il consumo di sigaretta aveva sullo sviluppo del cancro ai polmoni. Makarov glielo aveva commissionato all’ultimo minuto, proprio quando Jellal aveva finalmente pensato di essere libero, e il Direttore si era anche raccomandato di finirlo entro le nove di quella sera stessa. Giusto in tempo per la stampa notturna del quotidiano che la mattina seguente sarebbe stato in tutte le edicole di Magnolia.
Nonostante sapesse di doversi concentrare per cavare fuori un articolo che fosse almeno presentabile, i pensieri dell’uomo non facevano che correre all’attraente Scarlet. Sembrava passata un’eternità da quando l’aveva vista per la prima volta e il bisogno di incontrarla di nuovo diventava sempre più forte. Era arrivato addirittura al punto di sognarla, segno che la donna aveva davvero fatto breccia nel suo cuore. Oltre che in altre parti del corpo, come aveva pensato la sera prima, mentre era a letto cercando di prendere sonno.
Due sere da solo, nel suo appartamento.
Due sere in cui sarebbe potuto andare al night club, ma il destino – o semplicemente i suoi colleghi e superiori – gli aveva remato contro.
Alle quattro del terzo giorno, Makarov lo convocò nel proprio ufficio. Jellal entrò con passo pesante, senza sapere perché improvvisamente si sentisse così a disagio. Insomma, non aveva motivo di preoccuparsi: aveva lavorato duramente, si era distinto in più di un’occasione, era sempre disponibile quando gli si chiedeva di intraprendere lunghi viaggi per documentare avvenimenti importanti o scene di vita quotidiana… Doveva stare calmo.
-Voleva vedermi, Direttore?-.
-Siediti-, lo invitò il superiore, mantenendo un tono di voce tale da non far capire a Jellal quali fossero le sue intenzioni. -Volevo discutere con te di una decisione importante-.
-Devo iniziare ad allarmarmi?-, provò a scherzare il giornalista. Sfortunatamente, però, la sua battuta non sortì alcun effetto.
-Ho letto l’articolo di Lluvia Lockser-.
Makarov si fermò e Jellal trasalì.
-Come…?-.
-Mi è sembrato davvero molto buono, nonostante la ragazza sia solo agli inizi-.
L’altro riprese a respirare normalmente: -Se posso parlare con sincerità, Direttore, credo che quella ragazza abbia grandi capacità. Deve solo affinare la tecnica e fare esperienza-.
-Infatti-, concordò Makarov. -Ecco perché mi sono accorto che quella non era tutta farina del suo sacco-.
Jellal ingoiò a fatica un grumo di saliva. Il suo superiore manteneva uno sguardo severo e le mani intrecciate sotto il mento, segno che l’intera redazione sapeva non promettere nulla di buono.
-Direttore…-.
-Fernandes, ti conosco da dieci anni. Ho imparato ad apprezzare il tuo stile e dopo un decennio trascorso a leggere i tuoi pezzi, così come quelli dei tuoi colleghi, so distinguere bene cosa ha scritto la signorina Lockser e cosa invece è tuo. Espressioni, vocaboli usati più frequentemente… Tutti voi siete come libri aperti, per me. Quindi  conferma la mia certezza: sei stato tu ad aiutare la praticante?-.
Jellal annuì e abbassò gli occhi sulla scrivania del Direttore.
-Bene. E ora veniamo alla decisione che devo prendere-.
Makarov rimase in silenzio finché il giornalista non ebbe la forza di rialzare lo sguardo, poi continuò: -Normalmente un comportamento come il tuo sarebbe in qualche modo punito. E credimi quando dico che ho meditato a lungo se applicare o meno una sanzione nei tuoi confronti-.
Jellal trattenne di nuovo il fiato, il cuore sul punto di uscirgli dal petto per fuggire dalla finestra alle spalle del Direttore.
-Ma personalmente ritengo che sia sbagliato agire in questo modo; sarebbe davvero controproducente se decidessi di licenziarti per una sciocchezza del genere. No, no, ti dirò la verità: credo che tu ti sia comportato come un leader-.
Il giornalista strabuzzò gli occhi, incredulo.
-Hai agito correttamente. Hai aiutato una collega che aveva davvero bisogno di te; soprattutto, hai aiutato una ragazza alle prime armi, che quindi ha la necessità di farsi le ossa in questa professione. Una praticante come Lluvia Lockser non potrebbe mai migliorare se non ci fosse qualcuno come te a spiegarle dove e cosa sbaglia. Inoltre, ti sei sforzato di farle maturare uno stile tutto suo: ecco cosa ti rende leader. Un'altra persona probabilmente si sarebbe limitata a suggerirle parole non sue, con l’unica preoccupazione di consegnare il prima possibile l’articolo. E parlando esclusivamente del tuo operato, mi ritengo davvero soddisfatto: i tuoi ultimi pezzi sono stati magnifici. Hai la stoffa per diventare il simbolo di questa testata. Ed ecco perché vorrei proporti come nuovo caporedattore della sezione Attualità. Te la senti di assumere questo incarico?-.
Jellal, con la bocca secca per lo stupore, non riuscì ad articolare una parola.
-Prendi-, Makarov gli porse un bicchiere di plastica con dell’acqua fresca.
Bevve con la stessa foga con cui due sere prima aveva ingollato i tre super alcolici. La differenza stavolta fu netta: il liquido gelido diede nuova vita alla sua lingua, mentre i cocktail gli avevano bruciato la gola come se avesse ingoiato dei carboni ardenti.
-Direttore, non so davvero cosa…-.
-Basta un sì o un no-. Adesso il superiore gli sorrideva, incoraggiante.
-Ne sarei onorato-, esalò alla fine Jellal, stringendo ancora tra le mani il bicchiere.
-Bene, allora. Da domani ti trasferirai accanto all’ufficio di Ultear e con lei discuterai del nuovo assetto della sezione. Sarete una squadra formidabile, insieme-.
Jellal annuì con un cenno della testa, optando per non rivelare a Makarov quali tensioni corressero tra lui e la caporedattrice Milkovich. Si limitò a ringraziare il Direttore per l’assegnazione del nuovo incarico, che segnava l’inizio della sua scalata professionale all’interno del giornale.
-Posso andare?-, chiese, dopo che il superiore ebbe definito altri particolari.
-Certamente. Per stasera ti lascio libero, visto che hai passato gli ultimi due giorni in redazione-.
Si congedarono l’un l’altro e Jellal, soddisfatto come poche altre volte nella vita, uscì dall’edificio con un gran sorriso stampato sul volto.
Finalmente si sentiva felice.
E la ciliegina sulla torta sarebbe stata rivedere Scarlet di lì a poche ore.
Non si sarebbe lasciato scappare quell’appuntamento per nulla al mondo.

 

***

 

Era tornato a casa a notte fonda.
Era da poco passata l’una quando si liberò della camicia e crollò sul letto, stanco, ma entusiasta. Non riusciva a smettere di sorridere: il viso della bella cantante, quella sera avvolta in un abito nero che aveva fatto sbizzarrire la sua immaginazione, tornava davanti ai suoi occhi non appena li chiudeva, rendendogli praticamente impossibile dormire.
Si era presentato all’Amnesia in perfetto orario e aveva occupato lo stesso tavolo che Laxus aveva fatto riservare la prima sera. Aveva aspettato che Scarlet facesse la sua apparizione ordinando degli analcolici – e per questo ringraziò il fatto di essere solo e non in compagnia di un amante del liquore come il suo amico – senza badare alle altre ragazze che giravano tra i tavoli e si esibivano sul palco. E alla fine, dopo un’ora e mezza trascorsa a brindare in parte alla sua promozione, la donna era arrivata, svuotandogli la testa da qualsiasi altro pensiero o preoccupazione. Aveva cantato soavemente e come lei sola sapeva fare, tanto che Jellal, perso completamente nei suoi brillanti occhi castani, si era detto che avrebbe voluto essere svegliato ogni mattina da una voce così bella. Aveva lasciato la propria fantasia a briglie sciolte, ma non aveva lasciato che questa prendesse il sopravvento. Al contrario, aveva sempre mantenuto il contatto visivo con Scarlet e poco alla volta si era convinto che lei lo stesse davvero fissando con l’identica intensità con cui lui la osservava. Il loro era un gioco di sguardi che molti avrebbero invidiato; ma in quel momento il giornalista si chiese se in fondo quello non fosse sul serio solo un gioco. D’altronde quella donna era pagata per intrattenere il suo pubblico e molto probabilmente il suo contratto la invitava anche a flirtare con chi la guardava. A patto che il flirt rimanesse, appunto, solo un gioco legato al proprio lavoro.
Fu con quell’ultimo pensiero che Jellal si addormentò. Un dubbio si era improvvisamente insinuato in lui e una punta di gelosia andò a venargli il cuore: a quanti altri uomini aveva rivolto quegli occhi? A quanti altri aveva sorriso come aveva sorriso a lui? E il giornalista, da parte sua, cosa avrebbe fatto? Sarebbe tornato una terza volta o si sarebbe lasciato scivolare alle spalle quell’esperienza, nonostante questa avesse le sembianze di Scarlet?
Il suo sonno fu agitato, eppure al risveglio aveva già accantonato le domande che si era posto, certo di dover riandare da lei.
Una volta in ufficio incontrò Laxus. Non lo vedeva da tre giorni e lo salutò con una cordialità che il collega aveva dimenticato, talmente lontana era l’ultima volta in cui aveva visto contento l’amico.
-Ehi, che ti succede? Sto via per un paio di giorni e ti ritrovo in forma smagliante!-, lo prese in giro il fotografo.
-Già. Non mi sono mai sentito così bene-.
-Che ti avevo detto? Dai, concedimi una parte del merito-.
-Forse-, sorrise Jellal. -Ma la vera sorpresa è un’altra-.
-Cosa?-.
-Makarov mi ha promosso a caporedattore per l’Attualità-.
-Amico, congratulazioni-, Laxus lo abbracciò, sinceramente felice per lui. -Mi chiedevo se e quando il Direttore avrebbe riconosciuto il tuo lavoro-.
-In parte è stato anche grazie a te se ho raggiunto questo traguardo-, confidò Jellal, staccandosi dal collega. -Se non fosse stato per il rullino che hai sviluppato, ma che Gray non riusciva a trovare…-.
-No, no, vacci piano. Raccontami tutto. Diamine, non mi aspettavo che tre giorni di assenza potessero sconvolgere la vita della redazione!-.
Jellal non nascose alcun dettaglio. Riferì dell’arrabbiatura di Gray, di come lui avesse aiutato Lluvia con il suo articolo e del colloquio avuto con Makarov. Prese in giro l’amico per non essere stato reperibile per tutto il tempo e Laxus, a corto di scuse, dovette ammettere che sì, aveva trascorso due giorni in stato comatoso a letto per riprendersi non solo dalla mezza sbornia del night club, ma anche dalle fatiche del viaggio in Perù. D’altra parte, né lui né Jellal avevano avuto tempo di fermarsi da quando avevano fatto ritorno.
-Posso farti una proposta?-, domandò Laxus al termine del resoconto.
-Dimmi-.
-Visto che finalmente sei tornato a essere il Jellal che conoscevo, che ne diresti di festeggiare la promozione come fanno i veri uomini?-.
-Cosa intendi per “festeggiare”?-.
Il collega lo squadrò: -Alcol. Musica. Bella compagnia. Sei interessato o preferisci rimanere a casa a prendere polvere?-.
-Locale?-.
-Hai davvero bisogno che te lo dica?-.
Non servirono altre parole.

 

***

 

-Un tavolo per due. Il sette, visto che d’ora in poi saremo di casa-.
Laxus sorrise con fare seducente alla bionda che già tre giorni prima li aveva accolti all’Amnesia. Aveva detto quella frase per stuzzicare l’amico, poiché credeva che avesse accettato di tornare al night club solo per compiacerlo. Ignorava del tutto che Jellal avesse fatto una capatina la sera precedente: quello era l’unico dettaglio – un dettaglio fondamentale – che il collega aveva eliminato dal racconto fornitogli quella mattina.
-Pensavi che non avresti messo più piede in questo posto, eh?-, continuò Laxus una volta che furono seduti.
-Lo penso ancora-.
-A-ah, Jellal. Ricordi la legge della seconda volta?-.
-È solo una stupidaggine-, ribatté il giornalista. Peccato che sapesse lui per primo che fino a quel momento le teorie dell’amico si erano rivelate vere.
-Allora, vogliamo brindare?-, proseguì il fotografo, chiamando una cameriera.
-Solo perché te lo meriti-, lo prese in giro Jellal, afferrando il cocktail che la nuova venuta gli porgeva e portandoselo alle labbra subito dopo averlo fatto cozzare con un tintinnio contro quello del collaboratore.
-È incredibile vederti così felice-, notò Laxus, studiando l’espressione rilassata dell’altro. -Penserei che hai anche trovato una donna, se non sapessi già che è impossibile-.
-Perché? Non sarò un dongiovanni come te, ma sarebbe facile avere una ragazza, se lo volessi-.
L’amico sorrise, bevendo un altro sorso del cocktail: -Jellal, lo sai meglio di me che sei un timido di prima categoria. Se davvero fossi capace di trovare una donna e tenertela stretta, a quest’ora avresti adocchiato almeno un paio di bei bocconcini. Come quella lì, per esempio-.
Laxus indicò con discrezione un punto alle spalle di Jellal, che provò a voltarsi per vedere a chi si stesse riferendo.
-Non così in fretta!-, lo rimproverò il fotografo, dandogli un buffetto sul braccio. -Girati lentamente. È quella con la minigonna bianca, dall’altra parte della sala-.
Il giornalista impiegò un buon minuto prima di capire chi fosse la persona che stava cercando. La osservò servire ad alcuni tavoli e poi tornò a rivolgersi all’amico: -Molto carina, sì-.
-Carina?-, sbottò Laxus, spalancando gli occhi come se Jellal avesse appena pronunciato un’eresia. -Una bomba, vorrai dire!-.
-Mi dispiace, ma non è il mio tipo-.
-E chi ha detto che deve essere il tuo?-, lo fermò l’altro.
-Oh, be’…-.
-Su, sbrigati a vuotare questo bicchiere!-, lo sollecitò Laxus, bevendo fino all’ultima goccia del proprio drink.
-Ehi, datti una calmata-.
-Muoviti! Prima che serva quel tavolo laggiù in fondo!-.
Jellal obbedì. Sentì la bocca andare in fiamme e gli occhi bruciare, ma resistette stoicamente mentre l’amico alzava una mano per attirare l’attenzione della bella cameriera.
-Sta venendo da questa parte-, sussurrò il fotografo. -Ammira il maestro in azione-.
Jellal si costrinse a reprimere una risata. Non che non conoscesse le principali tecniche di abbordaggio che Laxus usava, ma lo divertiva vederlo comportarsi in modo tanto spudorato. Inoltre, c’era sempre la possibilità che la prescelta se ne andasse rifiutando categoricamente le avances del playboy di turno e il giornalista non si sarebbe mai perso uno spettacolo esilarante come l’espressione dell’amico nel momento del rifiuto.
-Posso fare qualcosa per voi, signori?-.
Ora che si era avvicinata, Jellal si rese conto di quanto fosse alta la ragazza. Le sue gambe longilinee erano risaltate dalla minigonna stropicciata che indossava, così come il seno prosperoso veniva esaltato da una scollatura che non sarebbe mai stata accettata se avesse lavorato in un normale bar; lunghi capelli le coprivano la schiena nuda.
-Sarebbe tanto gentile da portarci altri due gin? Il mio amico ha sete-, spiegò Laxus, mostrandole un sorriso smagliante che Jellal considerò fin troppo finto.
-Certamente-.
La cameriera si allontanò in direzione del bancone e si confrontò con lo shaker, tenendo gli occhi di Laxus costantemente incollati addosso.
-E questo sarebbe l’approccio del maestro?-, lo prese in giro Jellal, liberando la risata che aveva trattenuto.  
-Sta’ a guardare-.
-I vostri cocktail-, annunciò la ragazza di ritorno, poggiando sul tavolino i due bicchieri. -C’è altro di cui avete bisogno?-.
-Mi scusi, signorina, ma… Potrebbe soddisfare una piccola curiosità?-.
-Dica pure-, sorrise lei cordiale.
-Mi stavo domandando quale fosse il nome scelto per indicare una bellezza come la sua-.
Ci mancò poco che a Jellal non andasse di traverso il liquore che stava sorseggiando.
“Laxus”, pensò, facendo correre lo sguardo dall’amico alla cameriera, “ora hai davvero esagerato. Se non se ne va adesso…”.
-Mirajane, signor…?-.
-Laxus Dreyar, fotografo professionista-, rispose prontamente lui, estraendo dal taschino interno della giacca un biglietto da visita che Jellal immaginò si portasse dietro solo in occasioni come quella.
-Fotografo, ha detto?-.
La ragazza, arrossita nel sentirsi rivolgere l’iniziale domanda e nel dover rispondere, sembrò animarsi improvvisamente. I suoi occhi brillavano.
-Attualmente lavoro per il Fairy Magazine di Magnolia, ma ho anche esperienza nel campo della moda-.
-Davvero?-.
Da quel momento in poi, Jellal fu estromesso dalla conversazione. Laxus e Mirajane parlarono per minuti che a lui parvero interminabili, ma che corrisposero a una manciata di secondi dalla prospettiva dei due interlocutori. Sembravano quasi due vecchi amici che si rincontravano inaspettatamente dopo tanto tempo: ognuno cercava di sapere qualcosa di più dell’altro, rilanciando una domanda dietro l’altra. Alla fine del discorso – interrotto proprio sul più bello dalla bionda che Mirajane chiamò Lucy – Laxus aveva ottenuto il numero di telefono della ragazza e le aveva strappato la promessa di rivedersi, qualche volta.
-Visto?-, gonfiò il petto con fare orgoglioso. -Ecco come si fa, caro mio. Impara dal più grande seduttore di tutti i tempi-.
-È stata fortuna-.
-No, amico mio. È tutta strategia-.
Laxus gli fece l’occhiolino e bevve di nuovo, poi aggiunse: -Be’, io ho fatto la mia conquista. Tu, invece? Stai aspettando che il tuo angelo di fuoco compaia da dietro il sipario?-.
Aveva fatto di nuovo centro. Non che fosse difficile, visto che Jellal non aveva smesso di controllare l’orologio da una mezz’ora a quella parte.
-La sua esibizione sarebbe dovuta terminare dieci minuti fa-, disse a denti stretti il giornalista. -Ma di lei non c’è ancora traccia-.
-Abbiamo tutta la serata davanti. Dai, sono sicuro che tra poco sarà qui-, provò a consolarlo l’amico.
Invece non ci fu nulla da fare.
Alle due il locale chiuse e tutti i clienti sciamarono fuori, pronti a tornare a casa. Di Scarlet neanche l’ombra.
-Mi dispiace-, disse Laxus, dando al collega una pacca sulla spalla mentre si allontanavano verso l’auto. -Avrei voluto che fosse tutto perfetto, visto che siamo venuti apposta per festeggiare te-.
Jellal non proferì parola. Di colpo la sua gioia era svanita nel nulla ed era sprofondato di nuovo nell’apatia.
-Mira, devo correre subito a casa. Mi hanno appena telefonato dall’ospedale-.
-Cos’è successo?-.
-Natsu. Si è sentito male mentre era in discoteca con un gruppo di amici-.
-Oddio!-.
-Mi dispiace, ma non posso riaccompagnarti a casa. Probabilmente passerò tutta la notte in ospedale e…-.
-Cara, non preoccuparti per me. Mi farò dare uno strappo da qualcuno, tranquilla. Ora, però, promettimi di rimanere calma e lucida: Natsu ha bisogno di te-.
-Ci vediamo domani sera-.
-Se ci dovessero essere dei problemi parlerò io con il signor Ichiya-.
-Grazie davvero. Sei un’amica-.
Jellal e Laxus videro la giovane Lucy salire in macchina e sparire nella notte con un’espressione sconvolta. Mirajane, rimasta sulla porta d’ingresso del locale, seguì la sagoma della vettura finché non divenne del tutto invisibile.
-Serve aiuto?-, domandò il fotografo, abbandonando l’amico e avvicinandosi alla cameriera.
-Oh, Laxus. Credevo che fossi già andato via-.
-Ero sul punto di ripartire, in realtà. Cos’è successo?-.
Jellal li osservò parlare. Soltanto allora si rese conto che era bastato un niente a farli passare dall’uso del lei al tu.
-Il fatto è che non ci sono mezzi per tornare a Magnolia-, stava dicendo Mirajane, -e chiamare un taxi significherebbe aspettare un’ora. Ma mi converrà telefonare subito, se voglio velocizzare i tempi-.
-Qual è il problema?-, la interruppe Laxus. -Posso darti un passaggio, se vuoi. Anch’io abito in città e non mi creerebbe alcun disturbo aggiungere qualche altro chilometro a quelli che devo comunque fare-.
-Sicuro che non…?-.
-Fidati di me-.
-Ma… E il tuo amico? Prima mi hai detto che la tua macchina ha solo due posti a sedere-.
-Chi, Jellal? Tranquilla, non c’è problema. È grande e grosso: chiamerà un taxi e si farà riprendere. Giusto?-.
Giusto un accidenti. Ecco cosa avrebbe voluto urlargli. Lasciarlo lì, sperduto nel nulla, pur di riaccompagnare a casa una ragazza appena conosciuta: ecco uno dei comportamenti che odiava di Laxus.
-Veramente…-.
Non continuò la frase. Il collega gli stava rivolgendo uno sguardo a metà tra il minaccioso e il supplichevole, così che alla fine Jellal si ritrovò a dire “Sì, fate pure. Mi arrangerò da solo”.
-Visto? Anche lui è d’accordo-, Laxus sorrise a Mirajane. -Dai, ti riporto in città-.
-Dammi solo un secondo. Vado a prendere la borsa-.
La ragazza corse di nuovo dentro il locale. Nel frattempo fu Jellal a rivolgere al fotografo un’occhiata degna del più pericoloso serial killer.
-Erza, chiudi tu! Ci vediamo domani!-.
Mirajane comparve proprio nel momento in cui Laxus mimava al collega un inudibile “Sei un vero amico”. Corse verso la vettura e l’uomo, da vero – presunto, come pensò Jellal – gentleman di altri tempi, le aprì lo sportello, invitandola ad accomodarsi. Poi fece lui stesso il giro dell’auto e si mise al volante, salutando un’ultima volta il giornalista prima di partire con un ricercato rombo del motore.
“Esibizionista ed egoista”, si disse Jellal, prendendo dalla tasca esterna della giacca il cellulare. “Vediamo un po’ cosa si può fare per questo taxi”.

Bip!
Rabbrividì: quel suono preannunciava la sua fine.
Chiuse gli occhi, certo di non voler vedere la scritta apparsa sullo schermo del telefonino. Ma poi, dandosi dello sciocco, sbirciò la schermata e il suo timore si concretizzò in un incubo.

Batteria scarica
Ebbe solo il tempo di leggere quelle due parole, prima di vedere il display rabbuiarsi. Ora sì che era finito.
Come sarebbe tornato a casa? Laxus lo aveva abbandonato al suo triste destino, il cellulare era morto esattamente nel momento del bisogno e lo spiazzo in cui si trovava era buio e deserto.
Non c’era nessuno. Se ne erano andati tutti.
“No, aspetta”.
L’attenzione di Jellal fu catturata dalle finestre ancora illuminate del locale.
Cosa aveva detto Mirajane?

Erza, chiudi tu.
Significava che c’era ancora una persona all’interno. E che quindi, una volta chiesto il permesso, avrebbe potuto usare il telefono del night club.
Rinvigorito da quella speranza, Jellal avanzò a passi rapidi verso l’ingresso ed entrò. La sala era completamente vuota, sebbene le luci fossero quasi tutte accese. Tavoli e sedie erano stati riordinati, così da essere già pronti per la sera dopo.
-C’è nessuno?-.
Non una risposta.
Il giornalista si fece strada nel locale, sorpassando il bancone del servizio alcolici e avvicinandosi al palco. Ora l’Amnesia aveva assunto un aspetto spettrale che per un secondo lo fece rabbrividire.
-C’è nessuno?-, ripeté, stavolta con minor convinzione.
Il sipario era calato sui divertimenti messi in mostra fino a un quarto d’ora prima; le tende oscillavano appena.
E l’immaginazione prese il sopravvento.
Jellal si figurò la scena che quella sera non era avvenuta: una sorridente Scarlet avanzava nella sua direzione intonando una di quelle canzoni che sembravano essere state scritte apposta per lui. Non smetteva di fissarlo e finalmente l’uomo fu certo che i suoi occhi si rivolgessero davvero a lui, che non l’aveva soltanto sperato.
Poi le cortine si spostarono sul serio e la fantasticheria si trasformò in un reale sogno a occhi aperti.
Davanti a lui, sul palco, era di colpo apparsa Scarlet.
La vera Scarlet.

In carne e ossa
.
-Signore, serve aiuto?-.
Jellal non rispose, tanto era lo shock. Ma se fosse stato in grado di pronunciare una frase di senso compiuto, sarebbe stato indeciso se chiederle di chiamare un cardiologo o un bravo psichiatra.

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Capitolo 3
*** Capitolo III ***


Capitolo III

Jellal deglutì un paio di volte, gli occhi ancora sbarrati.
Non era possibile.
Doveva star sognando, non c’era altra spiegazione.
-Signore?-.
La voce della ragazza lo fece sussultare e tornare alla realtà. Il giornalista sbatté le palpebre e si stropicciò gli occhi, temendo ancora di avere le traveggole.
Dopotutto aveva bevuto del gin, quella sera. E lui non era abituato ai super alcolici.
-Lei è… Miss Scarlet?-.
Non aveva idea di come avesse fatto a trovare la forza per formulare quella domanda. Per tutta risposta, le labbra della giovane si schiusero in un sorriso che gli fece sciogliere il cuore già messo a dura prova dall’inaspettata apparizione.
-Erza. È questo il mio vero nome-.
Jellal continuò a fissarla, ammutolito e sorpreso.
-E Scarlet è…?-.
-Il nome che utilizzo per le esibizioni, sì. Ma è anche il mio cognome-.
Avanzò sul palco e Jellal arretrò di qualche passo vedendola avvicinarsi. La ragazza saltò giù dalla pedana e lo raggiunse, passandosi stancamente una mano sulla fronte: -Lei invece è un nostro nuovo e affezionato cliente, se non sbaglio-.
L’uomo deglutì di nuovo a fatica, prima di convincersi a tenderle una mano per le presentazioni: -Jellal Fernandes-, le disse.
-È un piacere fare la sua conoscenza, signor Fernandes. Mi dica, come posso aiutarla?-.
Completamente dimentico della situazione in cui si trovava, Jellal non le aveva ancora esposto il suo problema.
-Vede, signorina-, iniziò lui titubante.
-Mi chiami semplicemente Erza-, lo interruppe lei, rivolgendogli uno di quegli sguardi che lo mandavano fuori di testa.
-Vede, Erza… Stasera sono venuto qui insieme a un amico, ma lui mi ha piantato in asso per riaccompagnare una ragazza appena conosciuta. Dovrei chiamare un taxi, ma il mio cellulare ha avuto la brillante idea di mancare nel momento meno indicato e dunque mi domandavo se potessi effettuare una chiamata con il telefono del locale-.
-Non c’è alcun problema-, lo rassicurò lei, -ma non credo che le convenga aspettare il taxi. Impiegherà come minimo un’ora prima di arrivare qui e io sto per chiudere il locale. La zona in cui ci troviamo non è il massimo e non me la sento di lasciare solo un cliente-.
-Cosa mi consiglia di fare, allora?-, chiese Jellal, sinceramente perplesso, ma contento che la ragazza si stesse preoccupando per lui.
-Lei vive a Magnolia o nei dintorni?-.
-Centro città-.
-Le andrebbe se le offrissi un passaggio?-.
Il giornalista non poteva credere alle proprie orecchie.
-Come, scusi?-.
-Come le ho già detto, non mi è permesso mantenere il locale aperto ancora a lungo e quindi non potrei aspettare con lei l’arrivo del taxi. Davvero, sarei felice di poterla aiutare. Sempre che per lei non sia disdicevole-.
Disdicevole? Era un sogno che si realizzava!
-Erza, non mi fraintenda-, Jellal si affrettò a spiegarsi. -Capisco le sue esigenze e non la costringerei mai a restare qui. Piuttosto, è davvero sicura che non le crei disturbo accompagnarmi? È già molto tardi e ho paura di farle perdere altro tempo-.
-Ci mancherebbe!-, esclamò lei, sorridendo di nuovo. -Se fosse un problema, non glielo avrei proposto, no?-.
Il giornalista non seppe replicare.
-Mi faccia finire di mettere a posto alcune cose sul retro e sono di nuovo da lei. Si sieda, intanto; non vorrà rimanere in piedi per tutto il tempo, giusto?-.
Erza gli fece l’occhiolino con fare complice e uscì dalla sala attraverso una porta laterale, sparendo così alla vista dell’uomo, che intanto si era accomodato a un tavolo nelle vicinanze.
Non riusciva ancora a crederci.
Era solo con Scarlet… No, con Erza. E la giovane, al centro dei suoi sogni nelle ultime tre notti, gli aveva appena offerto un passaggio.
Ammise che quella sembrava una scena estratta da uno di quei film melensi che d’estate spopolavano in televisione. Film stracolmi di cliché da quattro soldi, ma che ottenevano comunque l’approvazione del pubblico femminile.
Sarebbe andata così? Anche la sua storia avrebbe preso la stessa piega?
Per un attimo sperò di trovarsi davvero in un’opera di fantasia al termine della quale sarebbe riuscito a conquistare la ragazza; ma quella era la dura realtà e sembrava già abbastanza irrealistico che Erza gli avesse autonomamente promesso uno strappo fino in città.
-Perdoni l’attesa-, si scusò la ragazza una decina di minuti più tardi. Jellal notò che si era cambiata – aveva riposto l’abbigliamento usato dalle sue colleghe cameriere e aveva indossato un sobrio due pezzi composto di camicia e jeans – e si alzò vedendola venirgli incontro.
-Vogliamo andare?-, chiese lei, precedendolo e tenendogli aperta la porta.
-Non dovrei essere io a comportarmi da gentiluomo?-, le domandò Jellal, ostinandosi a cederle il passo. -Mi sentirò ulteriormente in debito con lei, se manterrà questa cortesia-.
-Ha mai sentito di lavoratori che maltrattano i propri clienti?-.
Il giornalista la fissò e lei gli restituì un nuovo sorriso. Il viaggio in macchina si preannunciava incredibilmente lungo.
Non ricevendo alcuna risposta, Erza si chiuse alle spalle la porta dell’Amnesia e chiuse girando tre volte la chiave nella toppa. Poi abbassò la serranda e fece scattare il lucchetto posto come ulteriore protezione.
-Da questa parte-, disse ancora la ragazza, accompagnando Jellal alla vettura.
Era un’automobile color argento a due posti. Da quell’ultimo particolare il giornalista dedusse che Erza dovesse essere single o semplicemente fidanzata. Non escluse che la giovane avesse scelto una macchina di taglia ridotta per comodità – o magari perché i parcheggi in città non erano il suo forte – ma non ebbe bisogno di pensarci su un secondo di più prima di scartare quell’argomento come pretesto per discutere un po’. Notò anche un piccolo peluche appeso allo specchietto retrovisore e una volta in marcia decise di usarlo come spunto per rompere il silenzio.
-Un orsacchiotto-, finse di dire tra sé e sé.
-Già-, annuì Erza, scalando la marcia e facendo oscillare il pupazzetto con la punta dell’indice. -L’ho preso con la raccolta punti del carburante. Me ne erano rimasti una manciata e ho deciso di acquistarlo per non sprecare i bollini rimasti. Sa com’è, sarebbero scaduti di lì a qualche giorno…-.
“Perfetto”, pensò Jellal. “Ci è cascata in pieno. Così adesso so che non è stato un uomo a regalarglielo”.
Sorrise sotto i baffi: se Laxus avesse potuto vederlo e ascoltarlo, sarebbe stato fiero di lui.
-Non deve consumare molta benzina-, osservò ancora il giornalista. -La macchina è piccola e i chilometri che separano Magnolia dal locale non sono tanti-.
-Ha ragione-, asserì Erza. -Avrei tanto voluto un’auto più grande, ma i miei mi hanno convinta a prenderne una di modeste dimensioni. E ho fatto bene a seguire il loro consiglio; dopotutto, mi serve solo per brevi spostamenti e finché non avrò una famiglia tutta mia non avrò motivo di acquistarne una più spaziosa. Per il momento mi godo la libertà-.
E così Jellal aveva fatto il pieno di informazioni. Su tutto, aveva scoperto senza troppe difficoltà che la giovane fosse single.
-Ma come?-, finse di stupirsi. -Possibile che una ragazza come lei sia sola? Non dovrebbero esserci frotte di spasimanti pronti a bussare alla sua porta?-.
Quella sì che era spavalderia! Lui stesso si chiese dove avesse trovato una tale dose di intraprendenza, ma non riuscì a darsi una risposta: era troppo attento ad ascoltare quale sarebbe stata la replica di Erza.
-Non è uno spasimante quello che cerco, ma un uomo che mi sappia amare davvero-.
Jellal zittì, spiazzato. Probabilmente la ragazza aveva capito il suo gioco. Si diede dello stupido per essere stato tanto sfrontato.
-Tu… Posso darti del tu, vero? Dare del lei a una persona che viaggia nella mia auto mi fa uno strano effetto-, proseguì la donna.
Il giornalista annuì e Erza continuò: -Perché non mi parli un po’ di te, adesso? Io non ho molto altro da raccontare-.
-Cosa le piacerebbe sapere?-.
-L’uso del tu deve essere reciproco-, specificò lei. -Non credevo che dovessi puntualizzarlo-.
Jellal arrossì e di colpo tornò a sentirsi profondamente a disagio. Una volta superata la fase di approccio spudorato, era finito di nuovo a comportarsi in modo timido.
-Hai qualche domanda in particolare?-, le chiese.
-Che lavoro fai, per esempio. Se hai una famiglia o se vivi da solo. Ma immagino che la realtà dei fatti sia più vicina a questa seconda opzione, altrimenti non saresti venuto all’Amnesia-.
Evidentemente il giornalista non era il solo a possedere uno spiccato spirito d’osservazione. Ma a stupirlo non fu tanto questo, quanto la spontaneità con cui Erza gli aveva domandato della sua vita sentimentale.
-Hai indovinato, ma solo in parte-, le disse. -E comunque sono un giornalista-.
-Professione avventurosa-, commentò lei, imboccando il casello autostradale che li avrebbe riportati in città. -Viaggi spesso?-.
-A dire la verità sono da poco tornato dal Perù-. Ecco: infarcire di fantasia il racconto che si apprestava a riassumere poteva intrigarla e renderlo più interessante ai suoi occhi.
-Ci sei stato con il tuo amico? Quello che ti ha dato buca stasera?-.
Jellal si voltò e guardò con fare stupito il suo profilo.
-Come fai a…?-.
-Intuito-, sorrise lei. -È un tuo collaboratore?-.
-È il mio fotografo di fiducia. Ed è il mio migliore amico-.
-Lo avevo immaginato-.
Diamine! Come faceva a ricavare tutte quelle informazioni da una semplice occhiata? Ci sarebbe mancato solo che riuscisse a indovinare il nome di Laxus al primo tentativo.
-E quindi viaggi molto-, riprese Erza. -Non ti stanca stare lontano dalla tua città natale?-.
-Al contrario. È liberatorio-.
-Ma una vita del genere non ti permette di coltivare gli affetti, no?-.
Aveva centrato in pieno il problema.
-Sì-, confermò Jellal, -ma non ne soffro poi così tanto-.
-Perché non hai ancora trovato la persona giusta. Quando la incontrerai, ti accorgerai che è la persona della tua vita perché non vorrai mai lasciarla-.
Una maga, ecco cos’era. Una maga che era stata capace di irretirlo con un solo sguardo. Jellal non avrebbe mai avuto il coraggio di dirle ciò che aveva provato per lei dalla prima volta che l’aveva vista, ma per rimanere vago e mantenere alto il suo improvviso interesse proferì un malinconico “Credo di averla trovata, invece. Ma non sa ancora che io sto vivendo solo per lei”.
Erza accelerò: il rettilineo dell’autostrada si stendeva a perdita d’occhio davanti a loro, illuminato solo dai fari delle altre vetture.
-Allora perché sei venuto in un locale come l’Amnesia, se quello che cerchi non è compagnia femminile?-.
Glielo aveva domandato con un tono che Jellal non seppe decifrare. Era a metà tra l’incuriosito e lo stizzito, ma non aveva la più pallida idea del perché la ragazza dovesse improvvisamente avercela con lui.
-È una storia lunga da raccontare-, si grattò la nuca il giornalista. Ora sì che sarebbe sprofondato nella vergogna.
-C’è tempo-, lo invitò a continuare Erza. -Ci vorranno almeno quaranta minuti per arrivare a Magnolia. Dai, illuminami-.
Sì, era decisamente nervosa.
Jellal evitò accuratamente di domandarle che cosa le stesse prendendo e si lanciò nel resoconto. Le disse di come Laxus lo aveva invitato per una serata tutta al maschile, sottolineando il fatto che le intenzioni dell’amico non gli erano state chiare finché non si erano fermati nel parcheggio del night club.
-Probabilmente non sarei mai entrato in un posto simile, se fossi stato da solo-, ammise, chiudendo il proprio discorso.
-Facciamo i perbenisti, adesso?-, lo prese in giro Erza, tornata a sorridere. Il giornalista si domandò cosa fosse stato a rasserenarla.
-Non è perbenismo-, replicò lui, -è solo una scelta. Non critico chi frequenta locali notturni così come non biasimo chi ci lavora onestamente-.
-Significa che non sei uno di quelli che etichettano una ragazza a partire dal mestiere che esercita?-.
-Ogni mestiere è dignitoso, se onesto-.
Erza rimase in silenzio per una manciata di secondi, prima di riprendere: -Usciresti mai con una spogliarellista?-.
-Cosa?-.
-Mi piacerebbe se rispondessi-.
Ma da dove tirava fuori quelle domande?
-Non lo so. Dipende da che tipo di persona è-.
-Ma se tu non avessi avuto la possibilità di conoscerla-, insistette Erza, -se l’unica cosa che sapessi di lei è che lavora in un night club… Usciresti con lei?-.
Jellal aveva la netta sensazione che la risposta a quella domanda fosse una lama a doppio taglio. C’erano almeno tre teorie che si stavano facendo strada nella sua testa e solo una lo rassicurava.
Innanzitutto, la ragazza poteva aver capito che anche lui, come Laxus, fosse un donnaiolo. D’altra parte, l’approccio diretto che aveva usato per estorcerle alcune informazioni non poteva averle fatto pensare altro.
Secondo: lo stava mettendo alla prova. Era curiosa di sapere se sarebbe rimasto coerente o meno con ciò che aveva affermato poco prima.
Terzo: in realtà, come nei peggiori film americani che aveva ricordato in precedenza, lei provava un certo interesse nei suoi confronti e aveva paura di essere respinta solo in base all’apparenza. Doveva quindi accertarsi che lui non avesse pregiudizi.
Jellal era praticamente certo che la verità si trovasse a metà strada tra il primo e il secondo punto, ma la vena stupidamente romantica che con il tempo era cresciuta in lui si ostinava a illudersi che l’intento della ragazza fosse il terzo.
-Cercherei con tutte le forze di conoscerla fuori dal lavoro-, rispose, provando a regolare il respiro per non tradire tutta la propria agitazione. -Le chiederei le circostanze per cui è finita a lavorare in un night club, se è felice o meno di ciò che fa, se si sente bene con se stessa. E ovviamente le domanderei dei suoi interessi, di cosa fa nel tempo libero… Domande di routine. Mi comporterei come faccio di fronte a una ragazza di cui non conosco nulla-.
Cadde il silenzio. L’unico rumore percepibile all’interno dell’abitacolo era il rumore ovattato del motore e, di tanto in tanto, lo scatto del cambio di marcia.
Jellal guardò con la coda dell’occhio Erza ed espirò silenziosamente: la risposta che le aveva fornito doveva esserle risultata gradita, perché – come si accorse in un secondo momento – le rosse labbra della ragazza erano tornate a distendersi in un sorriso compiaciuto.
-Ti ho interrogato abbastanza-, gli disse lei, rompendo il mutismo. -Puoi ricominciare a intervistarmi, se ti va-.
Bene. Jellal si sarebbe finalmente trovato nel proprio ambiente naturale.
-Da quanto lavori all’Amnesia?-, si lanciò senza ulteriore indugio.
-Due anni-.
-E hai cominciato a…?-.
-Non si chiede l’età a una donna!-, esclamò lei, ridendo. -Ma solo perché sei tu, ti rivelerò un segreto: venticinque anni compiuti qualche mese fa-.
“Tre anni di differenza”, pensò Jellal. “Non molti, dopotutto”.
-Come hai conosciuto il locale?-.
-È stata la mia amica Mirajane a presentarmi il gestore, il signor Ichiya. Lei sapeva quanto avessi bisogno di soldi in quel momento: ero da poco andata a vivere da sola e mi sostenevo con alcune piccole commissioni. Ma la paga era troppo bassa e per un momento ho avuto paura che sarei dovuta tornare dai miei; così Mirajane mi ha proposto di fare un colloquio per avere un posto all’Amnesia. Mi sono fidata perché mi aveva detto che lei stessa aveva trovato un impiego-.
-E come ti sei trovata sul posto di lavoro?-.
-Molto bene-, annuì Erza, sorpassando due vetture e posizionandosi nella corsia più a sinistra. -All’inizio ero un po’ spaesata, ovviamente, ma le altre ragazze mi hanno fatto sentire come a casa. Soprattutto, mi hanno consigliato di non fare troppo caso agli atteggiamenti del signor Ichiya: è uno di quegli uomini che perde il senno non appena vede passare un paio di gambe femminili, però ha un gran cuore. Adora scherzare con le proprie dipendenti, ma lo fa per metterci alla prova e verificare così come ci comporteremmo se un potenziale cliente tentasse di avvicinarci con cattive intenzioni-.
Jellal continuava a prendere appunti mentalmente, senza perdersi una virgola della testimonianza della ragazza. Si voltò e la fissò con particolare intensità quando lei parlò del gestore del locale, ma strinse la lingua tra i denti per evitare di esprimere tutta la sua disapprovazione: il pensiero che un uomo di mezza età cercasse di allungare le mani su Erza gli dava alla testa.
-Sei felice del tuo lavoro?-, le domandò.
-Ne sono abbastanza soddisfatta. Mi diverte-.
-E cosa fai oltre a cantare?-.
-Mi impegno come cameriera nei giorni in cui si esibisce qualcun’altra al mio posto. Proprio come è successo stasera-.
Perplesso, Jellal rifletté sul modo migliore per porle la domanda successiva.
-Hai mai ballato una pole dance o improvvisato uno spettacolo di burlesque?-.
Stavolta fu Erza a girarsi e a osservarlo come se avesse detto qualcosa di inopportuno.
-Raramente-.
-Raramente cosa?-.
-Non amo particolarmente la pole dance-, spiegò lei. -Mi sono esibita non più di tre volte e solo perché richiesto dal signor Ichiya. Sai, ero in prova per due settimane ed era nel suo interesse di imprenditore verificare che fossi duttile-.
-E il burlesque…?-.
-Mi sono sempre rifiutata di fare spogliarelli-, disse con tono secco. -Non ho problemi a vestirmi in modo succinto, ma preferisco non ostentare inutilmente il mio corpo-.
Jellal tirò un silenzioso sospiro di sollievo. Fino a quel momento aveva avuto paura che anche Erza fosse disinibita tanto quanto le altre colleghe, ma avere la conferma del contrario non fece altro che renderla ancor più diversa ai suoi occhi.
-Eppure molti frequentatori del locale sembrano mangiarti con il solo sguardo-, le fece notare.
-Cosa vuoi dire?-.
-Che… Insomma, è tua abitudine flirtare con il pubblico, no? Fa parte del copione che devi recitare-.
-In parte-, si limitò a ribattere Erza.
Quella risposta così vaga non piacque affatto a Jellal, che continuò: -E “in parte” starebbe per…?-.
-Non tutti i clienti sono uguali. Flirtare con chi ti guarda rientra nel gioco di seduzione che sta alla base dell’Amnesia, ma le mie occhiate variano a seconda di chi ho davanti-.
-E quando hai visto me?-.
Era una domanda rischiosa, Jellal ne era ben cosciente. Pensò di essersi esposto troppo, ma non se ne curò: aveva bisogno della verità.
-Tu sei unico-.
Il giornalista inghiottì rumorosamente un grumo di saliva.
-Sai-, continuò Erza, -tra tutti gli occhi che mi fissavano, solo i tuoi sembravano eccitati, ma spaventati allo stesso tempo. Mi sei piaciuto per questo. Di solito i clienti del locale si fermano a contemplare le forme di chi si esibisce e di tanto in tanto, oltre a fischiare, gettano qualche spicciolo sul bancone. Tu invece sei rimasto fermo al tuo posto, senza proferir parola. Sembravi paralizzato. Mi ha colpito il fatto che tu mi abbia guardato negli occhi per tutto il tempo. Spero di esserti piaciuta almeno un po’-.
Jellal rimase inebetito. Fissò un punto imprecisato di fronte a sé e ammutolì, contorcendosi le mani per l’agitazione.
Quello era davvero troppo.
Possibile che Erza fosse così spontanea? Possibile che fosse rimasta davvero colpita dal comportamento che lui aveva tenuto? Eppure si erano visti solo in tre occasioni e non avevano mai parlato prima di quella sera… Dire che il giornalista si sentisse confuso, ma comunque entusiasta, era dir poco.
-Devo pensare che la mia esibizione ti abbia shockato?-.
Erza stava sorridendo apertamente, mentre usciva dall’autostrada e si immetteva sul raccordo cittadino.
-Io… No, ma che dici?-, esclamò Jellal. Ci mancava soltanto che la ragazza fraintendesse quel suo momento di silenzio. -Sei stata meravigliosa! Assolutamente stupenda-.
-Allora tornerai a trovarmi, qualche volta?-.
Lui deglutì a vuoto, nuovamente in cerca delle parole giuste.
-Se il lavoro me lo consentirà, verrò a sentirti cantare. Hai una bella voce-.
Hai una bella voce. È tutto qui quello che sai dire?”, pensò allo stesso tempo Jellal. “Non dovresti forse dirle che ti è bastato un suo sguardo per essere soggiogato? Che le ultime tre sere…”
-Jellal, mi togli una curiosità?-.
Il giornalista fu distolto dalle proprie riflessioni e annuì.
-Tutto quello che vuoi-.
-Prima mi hai detto che non saresti mai entrato in un night club di tua spontanea volontà, tanto che è stato il tuo collega ad accompagnarti. Ma allora… Perché sei tornato? Perché da solo, intendo-.
“Questa donna è maledettamente scaltra. E ciò me la fa piacere sempre di più”.
-Perché la serata precedente si era rivelata sorprendentemente piacevole e allora ho deciso di…-.
Si fermò. Stavano rientrando in centro e di lì a poco sarebbe dovuto scendere dall’auto.
-Erza, fermati pure al prossimo semaforo-, le disse. -Non impiegherò molto per arrivare a casa-.
-Scherzi? Ormai sono qui, tanto vale fare un servizio taxi completo. Piuttosto, dimmi dove e quando girare, almeno eviterò di sbagliare strada-.
“Spontanea. Sincera. Amichevole. Passionale, almeno fino a prova contraria. Bella. Intelligente. Simpatica. Dio, è la donna perfetta. E tra dieci minuti dovrò separarmi da lei”: era la lista completa di tutti gli aggettivi che Jellal si era mentalmente appuntato nel corso del tragitto in auto. E adesso doveva prendere una decisione.
-Quindi mi stavi dicendo?-, lo esortò a continuare Erza, mentre lui le indicava di svoltare a destra all’incrocio successivo. -Hai passato una bella serata con tua grande sorpresa e? Cos’altro?-.

Diglielo.
No, stai zitto.
Te ne pentirai.
Ma vi siete appena conosciuti.
Parlate come se vi conosceste da una vita.
Lei non ti vorrà. Mettitelo in testa.
Casa tua è lì in fondo, la vedi? Se uscirai da quest’auto senza averle detto niente, te ne pentirai per sempre.

-C’eri tu-.
Di colpo aveva scacciato tutte le voci che si accavallavano nella sua testa, riprendendo il controllo della situazione – o almeno ci stava provando – e raccogliendo tutto il coraggio di cui era in possesso. Perché, diamine, un giornalista che non aveva paura di affrontare i più rischiosi viaggi per conto del proprio Direttore non poteva temere di parlare con una donna. Sì, quella donna era Erza, il suo Angelo Rosso, come l’aveva chiamata Laxus, ma c’era poco da fare: ormai aveva parlato. E lo aveva fatto proprio mentre la vettura si accostava al marciapiede e si fermava definitivamente.
-Jellal…-, lo chiamò lei, voltandosi lentamente. Le sue guance avevano preso colore e risaltavano ancor di più perché accarezzate dolcemente da quella fiammeggiante chioma scarlatta.
-Non voglio farti perdere altro tempo-, la interruppe lui, rendendosi conto che quel comportamento improvvisamente scortese non gli avrebbe di certo fatto guadagnare punti. -Sul serio, è tardi, e domani mattina…-.
Uno schiocco di labbra gli impedì di aggiungere altro.
Erza gli rubò il resto del fiato con un bacio su cui Jellal non avrebbe mai scommesso. Se solo tre giorni prima qualcuno gli avesse detto che avrebbe stretto tra le braccia la donna dei suoi sogni, non ci avrebbe creduto.
E in parte non riusciva a persuadersene nemmeno adesso, nonostante le loro bocche continuassero a cercarsi per farli perdere l’uno nell’altra.
-Ora puoi andare-, gli sussurrò Erza a fior di labbra. -Non ti avrei mai permesso di andartene senza avere in cambio il giusto compenso per la mia gentilezza-.
Sorrisero entrambi e si baciarono ancora; improvvisamente Jellal aveva perso voglia di aprire lo sportello e tornarsene a casa.
-Fai in modo di esserci, quando tornerò all’Amnesia-, le disse lui, accarezzandole i capelli e fissandola intensamente. -Non farmi aspettare come è successo stasera-.
-Non ti è andata poi così male, no?-.
Erza aveva ragione. Viaggiare con lei in auto e chiudere la serata tra i baci più ardenti che Jellal avesse mai provato era stata una ricompensa che aveva ripagato tutta la precedente attesa.
-Sarà meglio che tu vada-, lo incoraggiò, lasciandosi strappare un altro bacio.
-E se restassi con me?-.
-Non oggi-, esalò lei, mentre Jellal affondava le mani tra i suoi capelli e ne inspirava il profumo.
-Questo tono di voce mi ucciderà, prima o poi-, le soffiò in un orecchio il giornalista.
-Allora lo conserverò per la prossima volta che ci vedremo-.
Rimasero stretti per qualche altro minuto ancora. Poi, come svegliandosi dal sogno in cui si era immerso, Jellal tornò alla realtà e uscì dall’auto salutando Erza, che mise di nuovo in moto l’auto.
La vide partire e sparire dietro l’angolo della strada. Sospirò felice mentre recuperava dalle tasche le chiavi di casa ed entrava nel condominio; se la vecchia Porlyusica, la vicina con cui condivideva il pianerottolo, lo avesse visto in quel momento, avrebbe notato i suoi occhi brillare di gioia nell’oscurità.

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Capitolo 4
*** Capitolo IV ***


Capitolo IV

Spossato. Ecco quale era la parola che meglio avrebbe definito il suo stato fisico.
Si stropicciò gli occhi e mise lentamente a fuoco la propria stanza. Un sorriso gli distese le labbra non appena ripensò agli eventi della sera prima, ma la contentezza sparì dal suo viso quando spiò la sveglia sul comodino e si accorse di essere in ritardo per il lavoro.
“Non il secondo giorno dopo la promozione!”, pensò, scattando immediatamente in piedi e preparandosi per uscire. Afferrò al volo una fetta biscottata dal pacchetto rimasto aperto nella credenza – si rese conto che nel frattempo aveva assunto la stessa consistenza della plastica – e salì in macchina, sperando di non rimanere imbottigliato nel traffico cittadino.
Mezz’ora dopo era in ufficio. Salì le due rampe di scale che portavano ai piani alti ed entrò sorridendo nel suo nuovo reparto, ostentando una sicurezza probabilmente fuori luogo per chi si era presentato con quindici minuti di ritardo.
-Ben svegliato-, lo accolse ironicamente la caporedattrice Ultear Milkovich, seduta nel suo studio e intenta a scrivere qualcosa sul proprio PC.
-Il traffico…-, provò a giustificarsi lui, sebbene non fosse stato la vera causa della sua mancata puntualità.
-Certo, certo-, fece finta di ascoltarlo lei. -Benvenuto nella tua nuova stanza, comunque-.
-Grazie. Ti dispiace se inizio a spostare qui le mie cose? Makarov mi ha detto di liberare l’altro studio il prima possibile-.
-Fa’ pure. Non mi disturbi affatto, se è questo che temi-.
Nonostante la collega mantenesse un tono di voce distaccato e severo, Jellal si sentì parzialmente rassicurato e passò l’ora successiva a correre da una stanza all’altra per portare tutto il materiale di cui aveva bisogno nell’ufficio che ora condivideva con Ultear.
-Ah, a proposito…-, lo fermò, mentre lui era intento a catalogare alcuni fascicoli nei cassetti della scrivania.
-Sì?-.
-Abbiamo una riunione con i redattori dell’Attualità, oggi pomeriggio. Inizieremo alle tre-.
-Bene-.
-Ci sarà anche Makarov, visto che ti ha promosso-.
-D’accordo-.
-E sarebbe opportuno che tu presentassi qualche idea per migliorare la sezione. Il Direttore non ti ha trasferito qui proprio per questo?-.
Jellal annuì.
-Non preoccuparti, ho già pensato ad alcune proposte da avanzare. Spero che deciderai di appoggiarmi, Ultear-.
La donna alzò le spalle: -Solo se le tue saranno idee veramente brillanti-.
-Non ti deluderò-.

 

***

 

-E con questo possiamo dire conclusa l’assemblea. Da domani la sezione si rinnoverà completamente, perciò auguro a tutti voi buon lavoro e auspico buona fortuna soprattutto al nuovo caporedattore, Jellal Fernandes. È tutto-.
I quindici giornalisti chiamati a raccolta sciamarono fuori dalla stanza non appena Makarov li ebbe congedati. Gli ultimi a uscire furono proprio il Direttore, Jellal e Ultear.
-Enfatizzare il bisogno di collaborazione è stato essenziale-, Makarov si complimentò con entrambi i sottoposti. -Questo reparto è pieno di gente pronta a dire la sua, ma nessuno è mai disposto ad aiutare altri all’infuori di se stesso. Spero proprio che tu riesca a cambiare le cose, Fernandes-.
-Me ne assicurerò personalmente, Direttore. Io e Ultear riporteremo allo splendore l’Attualità e il Fairy Magazine tornerà in vetta agli indici di vendita-.
-Ottimo, ottimo. Non mi aspetto altro da due professionisti del vostro calibro-.
Makarov li salutò con entusiasmo e i due si diressero verso l’ufficio.
-Sappi che ti terrò comunque d’occhio, Jellal-, gli disse la collega. -Sono dodici anni che lavoro in questa sezione e non lascerò che tu mi faccia le scarpe. Sono stata chiara?-.
-Ultear, non ce l’avrai ancora con me per…?-.
-Non provare a mischiare le faccende private con quelle che riguardano il lavoro-, sbottò lei, risentita.
-Ma se sei stata tu a dire di non voler più avere niente a che fare con me!-.
-Non rivangare il passato, d’accordo? Pensi che sia felice di aver saputo che collaborerai fianco a fianco con me? Ah, Makarov non poteva avere un’idea peggiore!-.
-Ultear, quello che c’è stato tra di noi non influenzerà il mio modo di lavorare così come tu non dovresti preoccupartene. Dio, comportiamoci da adulti e finiamola con questa guerra fredda! Siamo colleghi, no? Cos’è che abbiamo appena detto agli altri? Collaborazione. E tu cosa fai? Mi prometti battaglia? Andiamo, non continuare a…-.
-Oh oh, che sorpresa! La coppia più bella della redazione è finalmente tra noi!-.
Un sorridente Laxus aveva appena fatto il suo ingresso nel reparto, avvicinandosi a passo svelto verso i due colleghi e interrompendo la loro conversazione.
-Torno allo studio-, sibilò con freddezza Ultear, lanciando un’occhiata glaciale al fotografo. -Non voglio essere disturbata-.
E detto questo, girò sui tacchi e riparò nella propria stanza, lasciando Dreyar e Fernandes a fissarsi reciprocamente.
-Che le è preso, adesso?-, domandò Laxus.
-Lascia perdere. È una lunga storia-.
Jellal sospirò e si passò una mano sul viso, stanco.
-Non hai voglia di parlare un po’ con il tuo amico?-.
-Laxus, non adesso…-.
-E non mi chiedi cosa ho fatto ieri sera?-.
Di colpo il giornalista si illuminò. Guardò il collega ed esaminò attentamente la sua espressione da perfetto dongiovanni.
-Dimmi che non c’entra quella ragazza, Mirajane-.
-Cosa te lo fa pensare?-, sorrise Laxus, sfregandosi le mani in un modo che a Jellal non piacque per niente.
-Dimmi che non hai fatto ciò che temo-.
-Oh, come sei prevenuto!-, lo prese in giro l’altro. -Sono un gentiluomo, non un maniaco-.
-Sì…-.
-Non ti sento troppo convinto-.
-Non lo sono-.
-Be’, allora sta’ a sentire: indovina chi è riuscito a ottenere un vero appuntamento con Mirajane Strauss?-.
Strauss? Adesso sapeva anche il suo cognome?
-Non ci credo-, scosse la testa Jellal. -Ti sei davvero comportato come un uomo normale? Nessun atteggiamento da pervertito?-.
-Fernandes, pensi davvero che io non abbia un cuore?-.
-È quello che ne potrebbe dedurre chi ti conosce da una vita come me-.
-Ma stavolta è diverso-, disse con convinzione Laxus. -Stavolta potrebbe essere sul serio la ragazza giusta. Ecco perché non mi sono spinto oltre. Voglio dire, già il fatto di averle dato un passaggio fino a casa non è un qualcosa che capita tutti i giorni, no? A proposito di casa… A che ora è arrivato il tuo taxi?-.
-Quale taxi?-.
Il fotografo lo guardò con aria impassibile: -Mi prendi in giro?-.
-Ah, il taxi!-, esclamò un secondo dopo Jellal, reagendo in un modo che lui stesso ritenne esagerato. -Sì, sì… Ci ha impiegato un’oretta, ma sono tornato sano e salvo. Altrimenti non sarei qui a parlarne, no?-.
Sorrise, ma immaginò che il collega non si fosse bevuto quel racconto di terz’ordine inventato sul momento.
-No, certo. Non saresti qui a parlarne-.
-Già-.
-Hai impegni per questa sera?-.
-Sono libero-.
-Non è che ti andrebbe di venire con me? Sai, l’appuntamento con Mirajane è per domenica, ma non mi dispiacerebbe affatto vederla prima…-.
Jellal sospirò: -Va bene-, finse un tono arrendevole. -Se ti senti così insicuro da aver bisogno della mia compagnia…-.
-Guarda che lo faccio anche per te!-, si schermì il fotografo. -Sbaglio o hai aspettato invano che cantasse il tuo Angelo Rosso?-.
Jellal fece fatica a reprimere una risata: se Laxus avesse saputo come erano andate realmente le cose, forse non gli avrebbe neanche proposto di fare una visita all’Amnesia.
-Sì, sì, hai proprio ragione-. Ma quanto poteva risultare scherzosa la sua voce?
-Allora ti va bene? Vieni con me?-.
-Solo se non mi dai buca come ieri-, lo provocò Jellal, sperando però intimamente che Laxus non gli desse retta.
-Tranquillo, ti restituirò il favore-.

 

***

 

La serata si concluse tra le risate generali dei due uomini. Laxus non si lasciò sfuggire nessuna occasione per scambiare qualche parola con Mirajane, evidentemente felice di rivederlo di nuovo al locale, e Jellal si beò ancora della stupenda voce di Erza. Era tutto perfetto.
-Sembra che ce l’abbia proprio con te-, gli sussurrò a un orecchio il fotografo mentre la ragazza si esibiva. -Mi sembrava che l’altra volta ammiccasse anche al resto del pubblico, ma oggi… Non fa che guardare nella nostra direzione-.
-Ah ah-.
-Sta puntando me, è chiaro-, rise Laxus, con Jellal che gli dava uno schiaffo sulla mano destra.
-Smettila di provocare e dacci un taglio con tutto questo alcol! Sei già al terzo cocktail e siamo arrivati da appena un’ora-.
-Amico, sono felice. E quando sono felice, festeggio. Cosa c’è di meglio che essere qui, insieme alla ragazza che mi piace e al mio migliore amico?-.
-Devo risponderti?-.
-Domande retoriche a parte-, continuò a ruota libera Laxus, -sarebbe davvero grandioso se anche tu trovassi la donna giusta. Perché non ci provi con la cantante? Posso chiedere a Mirajane di presentartela, se vuoi-.
-No davvero-, disse Jellal. -Non mi pare proprio il caso-.
-Ma sì che lo è! Appena si avvicina… Ehi, Mira!-.
La ragazza, intenta a servire dei cocktail appena shakerati, si congedò dai clienti e si diresse al loro tavolo.
-Laxus, sono contenta che tu sia qui, ma devo anche lavorare, capisci? E hai bevuto troppo…-.
-Non ti ho chiamata per me-, le spiegò il fotografo, -ma per Jellal-.
-Il tuo amico? Ti serve qualcosa?-, domandò lei, rivolgendosi al giornalista.
-Non dargli ascolto, è ubriaco-.
-Sono ancora sobrio, per il momento!-, ruggì Laxus. -Sei tu a non aver ingerito abbastanza alcol: se lo avessi fatto, saresti già andato a parlare con l’Angelo Rosso-.
-L’Angelo Rosso?-, ripeté Mirajane, confusa.
-Intende Scarlet-, disse Jellal. -Ma davvero, non dargli retta…-.
-Potresti presentargliela? È venuto con me stasera solo per vedere lei… È cotto a puntino, non ti pare?-.
-Laxus, sta’ zitto!-.
-Dai, è palese! Non guardi nessun’altra ragazza… E bevi solo quando finisce la sua esibizione… Mira, per favore, falli conoscere. Sono sicuro che l’Angelo Rosso non si tirerà indietro, quando vedrà il mio amico-.
-Jellal, per me non c’è alcun problema. Se vuoi, posso far venire Scarlet qui al tavolo-, disse la cameriera, sorridendogli benevola.
-No, tranquilla…-.
-Non mi ci vorrà tanto-.
-Sentito? Cinque minuti e Mira sarà di nuovo qui con… Come hai detto che si chiama? Scarlet?-, fece Laxus, cercando di far gocciolare dal bicchiere l’ultima stilla di alcol depositata sul fondo.
-Vado a chiamarla-, annunciò la ragazza, allontanandosi verso il dietro le quinte tra le suppliche di Jellal e gli incitamenti del fotografo.
-E vedi di mettere in pratica le tecniche che ti ho insegnato-, si raccomandò Laxus. -Questa è la tua grande occasione. Devi fare colpo, capisci? Devi fare in modo che si ricordi di te. Soltanto così avrai qualche speranza di successo. Io ti aiuterò il più possibile, certo; ti accompagnerò qui anche tutte le sere, se basterà a…-.
Ma Jellal non lo stava ascoltando. Mirajane stava tornando indietro e alle sue spalle, stretta in un ammaliante tubino verde, c’era Erza.
-Signori, vi presento la stella dell’Amnesia, la nostra Scarlet-, disse la ragazza, mentre l’amica si poneva proprio di fronte a Jellal. -Scarlet, loro sono due nostri nuovi clienti. È la terza sera che ci vengono a far visita e…-.
-Mira mi ha detto che c’è qualcuno che ha desiderio di conoscermi-, la interruppe Erza, scrutando i volti dei due uomini che aveva davanti. -Posso sedere al tavolo con voi?-.
 -Si accomodi, Miss Scarlet!-, l’accolse Laxus, mentre Mirajane correva a prendere una sedia e la poneva accanto a Jellal. -Sì, sì, è esatto: il mio amico, qui, non fa che parlare di lei da due giorni-.
-Ma davvero?-, si finse stupita lei. Nel frattempo il giornalista, mai in imbarazzo come in quel momento, mollava sotto al tavolo un calcio al collega.
-È rimasto abbagliato dalla sua bellezza, sa? Per non parlare della sua voce: mi ha costretto a venire qui, stasera, perché ieri non ha assistito alla sua esibizione e se ne è crucciato parecchio-.
-Lo immagino-.
Erza sorrideva, seriamente divertita. Jellal avrebbe tanto voluto urlare a Laxus di stare zitto, ma se lo avesse fatto avrebbe anche corso il rischio di svelare cosa era successo il giorno prima.
-Be’, di’ qualcosa, no? Miss Scarlet è venuta qui per te; non farle perdere tempo!-.
“L’unica cosa che sto perdendo è la pazienza”, pensò Jellal. “E di certo non per colpa di Erza”.
-Il suo amico mi sembra un po’ a disagio-, notò la cantante. -Forse mi immaginava diversa, guardandomi da lontano-.
-Al contrario-.
Stavolta il giornalista era intervenuto prima che Laxus potesse di nuovo prendere la parola. Bevve un sorso di ciò che rimaneva del suo cocktail e si raschiò la gola, cercando di riprendere possesso di un tono di voce normale: -Lei è esattamente come credevo che fosse-.
-Mi dica-, lo invitò Erza. Gli stava reggendo il gioco perché si era resa conto che Laxus non sapesse nulla, ma d’altro canto voleva sentire ciò che Jellal le avrebbe detto.
-È un sogno che diventa realtà. È un vortice di energia che ti risucchia al suo interno e da cui non puoi scappare neanche se lo volessi. È un labirinto in cui un uomo desidererebbe perdersi e non tornare più indietro. I suoi occhi sono magnetici, le sue labbra irretiscono; e i suoi capelli sono come una fiamma in cui mi lancerei senza paura di bruciarmi. Perché nessuno ha davvero idea di quanto lei sia splendida-.
Laxus era rimasto a bocca aperta, guardando ora il collega ora la cantante.
Dopo un intenso minuto passato a fissarsi reciprocamente, Erza domandò: -Lei si chiama Jellal, giusto?-.
-Sì-.
-Mira mi ha detto il suo nome. E lei deve essere Laxus, vero?-.
Il fotografo annuì, ancora sotto shock.
-Ha una penna?-, chiese ancora la ragazza.
Laxus si tastò inebetito la giacca e tirò fuori dal taschino interno una biro nera che porse alla cantante.
-La ringrazio-, gli disse Scarlet. -Tornando a lei, Jellal…-.
Prese un tovagliolo di carta dal portatovaglioli posto al centro del tavolo e vi scrisse sopra una serie di numeri, poi poggiò la penna e sventolò la salvietta sotto il naso del giornalista: -Questo è il mio telefono. Si senta libero di chiamarmi in qualsiasi momento. E sappia che mi deve un appuntamento-.
Gli schioccò un bacio sulla fronte, lasciandogli il segno evidente del suo rossetto, e tornò dietro le quinte sotto gli sguardi attoniti dei clienti seduti ai tavoli vicini al loro.
-Spiegami cosa è appena successo-, mormorò Laxus.
-Non chiederlo a me-, replicò il collega.
Fissò il numero e lo lesse parecchie volte, sicuro che non lo avrebbe dimenticato facilmente. Poi guardò il fotografo.
-Il suo cellulare-, fiatò lui, -hai avuto il suo cellulare. Come accidenti ci sei riuscito?-.
-Ho imparato dal miglior maestro, no?-, sorrise Jellal, strappando una risata all’amico.
Ma dentro di sé aveva già pronto il piano di azione e la mossa successiva gli era stata appena suggerita dalla diretta interessata.
Erza aveva acconsentito a uscire con lui come una coppia qualsiasi.

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Capitolo 5
*** Capitolo V ***


Capitolo V

I due mesi successivi furono i più belli che Jellal avesse mai vissuto.
Lui e Erza facevano ormai coppia fissa e in qualche occasione il giornalista aveva addirittura acconsentito a un’uscita a quattro insieme a Laxus e Mirajane.
L’unica condizione che aveva dettato era stata “Non all’Amnesia”.
Di certo non era quello il locale in cui avrebbe portato Erza, così come Laxus aveva da qualche tempo smesso di frequentare il night club.
-Mira mi farà rimettere la testa a posto-, aveva detto un giorno a Jellal.
-E tu che credevi che il fidanzato di Levy McGarden fosse un cliente abituale dei locali notturni!-.
-D’accordo, d’accordo; mi ero sbagliato-.
-Wow, abbiamo finalmente trovato qualcosa che ti fa ammettere i tuoi errori-.
-Sarebbe?-.
-L’amore-, lo aveva preso in giro il giornalista, che aveva dovuto sopportare per i cinque minuti successivi le proteste di Laxus, desideroso di ribadire che in lui nulla fosse davvero cambiato.
Ma a Jellal importava poco di quello che diceva l’amico: la realtà era che la vita di entrambi aveva subito una piccola rivoluzione e le cose sembravano volgere sempre al meglio.
Sul posto di lavoro, dopo la promozione, lui aveva costretto Ultear a lasciarsi il passato alle spalle e Laxus… Laxus era ancora in attesa che Makarov si decidesse almeno ad aumentargli lo stipendio, ma era comunque soddisfatto del proprio operato. Sebbene Jellal fosse diventato caporedattore, la collaborazione con il fotografo era stretta più che mai, anche se, rispetto a prima, ora il giornalista non doveva più viaggiare tanto e spesso. Ciò era un bene, perché poteva gestire serenamente la propria relazione con Erza; eppure non gli sarebbe dispiaciuto lasciare Magnolia per qualche giorno, fosse stato anche solo per un reportage a Crocus o a Clover Town.
L’occasione gli si presentò quando il Direttore gli commissionò uno speciale su Galuna, la piccola isola considerata perla del Mare Meridionale. Settembre era ormai alle porte e Makarov gli spiegò che sarebbe stato bello avere un resoconto della appena trascorsa stagione estiva. Essendo Jellal a capo della sezione d’Attualità, chi meglio di lui avrebbe potuto gestire le interviste ai gestori dei numerosi e lussuosi stabilimenti balneari che costellavano le spiagge dell’isola?
-Quanto tempo starai fuori casa?-, gli chiese per prima cosa Erza, quando lui la informò.
-Non più di una settimana-.
-Vai da solo?-.
-Veramente saremo in tre. Oltre a me e Laxus, verrà anche Lluvia, la praticante. Il Direttore pensa che questa esperienza le farà bene e io sono d’accordo con lui-.
-Promettimi che ti comporterai bene-, si raccomandò la ragazza, canzonandolo un po’.
-Avrò un premio, se farò il bravo?-, rise Jellal.
-Uhm, chissà. Sarà una sorpresa-.
E baciandosi con trasporto si salutarono, entrambi desiderosi che quei sette giorni passassero alla svelta.

 

***

 

-Le foto di Dreyar sono impeccabili come al solito. Avete qualche idea su come approcciare la tematica?-.
-Io e Lluvia ci stiamo già lavorando. Non è vero?-.
La praticante annuì in silenzio, senza avere la forza di guardare negli occhi Makarov.
-Bene. Pensate di riuscire a terminare il pezzo entro giovedì sera? Il venerdì normalmente è dedicato alle notizie d’ambito economico e sarebbe magnifico se in prima pagina proponessimo il vostro reportage-.
-Consegneremo il giorno stesso della scadenza: ci divideremo il lavoro e riassembleremo il tutto in sede di stampa. O preferisce controllare prima della pubblicazione?-.
-È mio dovere farlo-, asserì Makarov. -Questo articolo deciderà il futuro della signorina Lockser e dunque è bene che legga il risultato finale, prima di mandarlo in stampa-.
-Come desidera, Direttore-.
-Andate, adesso. Avete altri tre giorni per finire il pezzo-.
Il superiore li congedò e Jellal si richiuse la porta alle spalle. Al suo fianco, Lluvia tremava come una foglia.
-Che succede?-, le domandò lui.
-L-Lluvia ha paura-, balbettò la giovane.
-Paura? E di cosa?-.
-Lluvia non vuole sbagliare. Lluvia desidera davvero avere questo lavoro e continuare a collaborare con Gray-.
-Sta’ tranquilla-, la rassicurò Jellal. -Il Direttore ti ha affidata a me proprio perché si è reso conto delle tue grandi potenzialità. Scriveremo il miglior articolo che sia mai stato pubblicato sul Fairy Magazine, d’accordo? E a quel punto non solo sarai assunta a tempo indeterminato, ma diventerai tu stessa una reporter di prim’ordine. Sai questo che significa?-.
La praticante scosse la testa e tirò su con il naso.
-Che avrai bisogno di un fotografo che ti segua ovunque tu vada. E Gray sarà la scelta migliore, visto che è stato reclutato da poco. Diventerete un duo formidabile. Ma non provate a battere me e Laxus, perché non ci riuscirete mai-, la prese in giro Jellal, mettendole un braccio intorno alle spalle e scuotendola un po’.
-Credi sul serio che il talento di Lluvia sboccerà?-.
-Ma certo!-.
-E Gray accetterà di lavorare con una praticante?-.
-Ascolta-, le disse ancora Jellal. -Sai cosa mi ha detto Gray due mesi fa, quando pensava di aver perso le foto scattate sulle Alpi?-.
La ragazza scosse di nuovo la testa.
-Mi ha detto che avrei dovuto aiutarvi per il tuo bene. Perché se non aveste consegnato l’articolo in tempo, Makarov ti avrebbe detto di andare via. Avrei anche potuto rifiutare di darvi una mano, ma non l’ho fatto. E questo perché negli occhi di Gray si leggeva quanto tenesse a te. Era davvero furioso; non tanto per il fatto che il suo lavoro sembrava essere stato inutile, ma perché tu stavi correndo un grosso rischio. Quindi dammi retta: impegnati a fondo in questo pezzo e poi potrai chiedere al Direttore di essere affiancata a Gray. Sono sicuro che anche lui ne sarà felice-.
Lo sguardo di Lluvia si illuminò poco a poco. Infine, tanta era la gioia, abbracciò Jellal, ringraziandolo per tutto quello che le aveva detto.
-Ora rimettiamoci al lavoro-, il giornalista riprese il controllo della situazione. -Io mi occuperò delle interviste, tu del contesto. Mi raccomando, tieni sempre sottomano gli appunti presi durante il viaggio e i grafici che ho stampato stamattina: ti serviranno per annotare le percentuali esatte dei rendimenti degli stabilimenti-.
La ragazza annuì con un convinto cenno della testa.
-Torno nel mio ufficio. Se hai bisogno di aiuto, vieni a chiamarmi-.
E detto questo si separarono, ognuno rivolgendo il pensiero al proprio compito.

 

***

 

Alle cinque di quel pomeriggio, contro ogni previsione, era rientrato a casa.
In realtà lui ed i suoi colleghi erano stati praticamente cacciati dagli uffici a causa di un controllo imposto dal Comune. Per verificare la sicurezza dell’edificio, come avevano spiegato gli addetti ai lavori, portandosi dietro rilevatori che Jellal non aveva mai visto prima e strumenti di cui era impossibile capire la funzione a una prima occhiata.
Entrò nell’appartamento e si diresse immediatamente in camera da letto, deciso a continuare la sua parte per l’articolo commissionato da Makarov. Accese il portatile, lasciato in bella vista sul comodino, e sedette sul letto, poggiandosi il computer sulle ginocchia; aspettò che le icone sul desktop si caricassero e inserì la chiavetta USB in una delle tre porte sul lato destro del PC, aprendo il file che gli interessava e rileggendo ciò che aveva scritto in ufficio.

L’anno scorso la stagione è stata magnifica, ma quella appena passata ha battuto ogni record: più di trecentomila bagnanti hanno scelto le nostre spiagge per riprendersi dalle fatiche lavorative. La maggior parte dei clienti è rappresentata da famiglie, piccole o grandi che siano, ma è cresciuto anche il numero dei single che decidono di andare in vacanza senza la compagnia degli amici. Gli affari non sarebbero potuti andare meglio: le spiagge sono state affollate perfino nei giorni in cui si è fatta sentire la pioggia. Dal punto di vista delle attività ricreative, offriamo servizi illimitati e per tutte le fasce d’età, ma la nostra priorità rimane il benessere dei bambini: abbiamo uno staff di professionisti che lavorano abitualmente con |

Jellal sentì il cellulare squillare. Lo recuperò dal comò – lo aveva appoggiato lì non appena aveva fatto ingresso nella stanza – e lesse il nome apparso sul display con un sorriso.
-Erza-, salutò l’interlocutrice, -tutto bene?-.
*Ieri non ti sei fatto sentire, ma ho saputo da Mirajane che eravate tornati. Potevi chiamarmi…*
-Ero stanco morto-, ammise lui, grattandosi nervosamente la nuca. -Mi sono addormentato sul divano non appena ho acceso il televisore-.
*E io non me la sono sentita di disturbarti, visto che ho ricevuto la notizia a mezzanotte passata*
-Non preoccuparti-, la rassicurò. -Ti avrei telefonato già stamattina, ma Makarov non mi ha dato un attimo di respiro-.
*Capisco. Quando torni a casa? Ho voglia di rivederti*
-A dire la verità ci sono già-.
*Come?*
-Problemi logistici in ufficio. Ce ne siamo dovuti andare tutti-.
*Hai da fare?*
-Stavo giusto continuando l’articolo condiviso con Lluvia. Per il resto, non ho altri impegni-.
*Ti disturbo se vengo da te? Volevo farti sentire una cosa in anteprima*
-Cosa?-, chiese curioso Jellal.
*Dimmi solo se posso venire*
-Ma certo! Quando vuoi-.
*Allora aspettami. Tra tre quarti d’ora sarò lì, promesso*
-Va bene. Non mi muovo-.
*Jellal?*
-Uhm?-.
*Ti amo*
Senza che il giornalista potesse replicare, Erza chiuse la chiamata, lasciandolo ancora in linea.
“Chissà cosa le è preso, stavolta”, si domandò lui, poggiando il telefono sul comodino e riprendendo a scrivere indisturbato.

 

***

 

Alle sei e mezza il trillo del citofono lo costrinse ad abbandonare una seconda volta l’articolo – che aveva ormai abbondantemente superato le tre pagine – e a correre alla porta.
-Un attimo!-, gridò, avvicinandosi all’ingresso e aprendo.
Erza gli si buttò tra le braccia l’istante successivo, lasciando cadere a terra una maxi borsa dall’aria estremamente pesante. Lo baciò come lei sola sapeva fare e lo lasciò senza fiato, sorridendo felice.
-Mi sei mancato-, gli disse, affondando il viso nel suo petto. -Com’era Galuna?-.
-Bella, ma non tanto quanto lo sarebbe stata se ci fossi stata anche tu-.
La ragazza gli schioccò un secondo bacio sulla guancia: -Sei naturalmente portato a lusingare tutte le donne che frequenti?-.
-Solo te-, le rispose, cullandola tra le proprie braccia. -Allora… Cos’è che mi volevi far sentire?-.
-Questo CD-, disse lei, raccogliendo la borsa e mostrandogli un disco che aveva tutta l’aria di essere stato masterizzato.
Jellal lo prese e se lo rigirò tra le mani, perplesso: -Cos’è?-.
-C’è della musica che ho trovato su Internet. Voglio un tuo consiglio, se non ti dispiace-.
-Assolutamente no. Piuttosto, a cosa ti serve il mio parere?-.
-È per lavoro-, spiegò lei, dirigendosi in salotto. -Hai un impermeabile?-.
-Scherzi?-.
-Niente affatto. Ce l’hai o no?-.
-Ma certo-.
-Potresti andare a prendermelo, allora? Fa parte dell’esibizione-.
-OK-.
-Questo stereo funziona?-, domandò ancora Erza, indicando un vecchio apparecchio sistemato su un ripiano accanto al televisore.
-Dovrebbe. Non lo uso da parecchio, ma credo che faccia al caso tuo-.
-Perfetto. Uhm, c’è ancora qualcosa da sistemare, qui…-.
Jellal la lasciò mormorare tra sé e sé e andò a recuperare l’impermeabile che gli era stato richiesto. Aprì l’armadio nella propria stanza, si barcamenò tra stampelle e pantaloni piegati alla bell’e meglio e finalmente tornò in salotto.
-Tieni-, le disse, porgendole l’impermeabile dal colore indefinito: era a metà strada tra il beige e il grigio. Il giornalista non avrebbe saputo dire che razza di tonalità fosse.
-Grazie-, rispose Erza, che ne frattempo aveva abbassato le serrande delle finestre, lasciando la stanza nella penombra.
-Ora posso ascoltare il tuo CD o…?-.
-Non ancora-, lo bloccò la ragazza. -Dammi solo un secondo. Siediti sul divano, intanto: devo simulare un’esibizione e l’atmosfera deve essere simile a quella dell’Amnesia-.
-Va bene-, disse Jellal, esibendo un tono di voce esitante e guardando la giovane uscire dalla stanza trascinandosi dietro la borsa. Sentì una serratura scattare e capì che doveva essersi chiusa in bagno.
“C’è qualcosa che non va”, pensò preoccupato. Vedere Erza comportarsi in quel modo lo agitava un po’. “Deve avere in mente chissà cosa… Spero solo che non sia niente di particolarmente… Esagerato, ecco. Se dovesse essere troppo provocante, le dirò sinceramente di scegliere un’altra esibizione. Abbiamo già chiarito che deve solo cantare; lei stessa mi ha assicurato che non farà mai altro. Però…  Non vorrei darle l’impressione di essere geloso o preoccupato. È il suo lavoro, dopotutto, e io non ho alcun diritto di interferire. Ma lei rimane comunque la mia ragazza; no, no, ho il dovere di dirle le cose come stanno. Ora mi sentirà. Sul serio, cos’è questa storia del…”.
La porta del bagno si aprì e Jellal percepì i passi di Erza in avvicinamento.
“È qui”, si disse. “Vediamo che cosa ha escogitato”.
-Ho una premessa da fare-.
La ragazza rientrò in salotto esordendo così, evitando che il giornalista potesse dire qualcosa prima di lei.
-Innanzitutto, quella a cui stai per assistere è un’anteprima; te l’ho già detto a telefono, ma è meglio ripeterlo. Secondo: non ho molta esperienza in questo campo, quindi sarei felice se non mi prendessi in giro, ma anzi, apprezzassi lo sforzo. Terzo: non parlare. Quarto: non smettere di guardarmi-.
Jellal, ammutolito, rimase a fissarla, aspettando che facesse partire la musica. Dal canto suo, Erza attese qualche altro secondo prima di decidersi a inserire il CD nello stereo e ad alzare il volume.
E la musica partì.

 

Peach Lady, take a peek

You’re looking at me

Come to get me

You know I want you badly

 

Erza giocherellò con la cintura dell’impermeabile, annodata così tanto da strizzarle la vita già sottile, e iniziò a slacciarla lentamente, cantando con fare sensuale le note sprigionate dallo stereo. Fissò i propri occhi in quelli di Jellal e ammiccò nella sua direzione, sfilando a poco a poco la cinta dai passanti; ondeggiò i fianchi e portò le dita ai larghi bottoni del trench, sganciandoli dalle asole uno alla volta, ma nascondendo ancora ciò che indossava sotto quel primo strato di stoffa.
Jellal ebbe appena la forza di deglutire: non si aspettava di certo che la ragazza improvvisasse uno striptease solo per lui.

 

Peach Lady, don’t hesitate

Keep moving closer to me

You will know, my lips taste like candy

Oh yesterday, yes I do, yes I do, I feel real love

Uhmm – never sour…

 

Erza si passò un dito sulle labbra, quasi a invitare il fidanzato a baciarla. Ma il giornalista capì che non era quello l’intento della donna: era una provocazione, un modo per mandarlo fuori di testa. Come se ne avesse avuto realmente bisogno!
La guardò fare una giravolta e lei gli diede la schiena, continuando ad ammaliarlo con il suo canto e con quelle movenze sinuose. Jellal immaginò che stesse portando nuovamente le mani all’altezza dei bottoni, perché l’istante successivo Erza aprì l’impermeabile e, stendendo il braccio, lo gettò a destra, come se nulla fosse, svelando un mini abito ricoperto di paillettes color rubino che poco lasciava all’immaginazione.
Gli dava ancora le spalle e Jellal, impaziente, si domandò quando avrebbe deciso di voltarsi.
Dovette aspettare ancora prima di veder esaudite le proprie preghiere: Erza sollevò i capelli, dandogli la possibilità di ammirare la schiena completamente nuda, e li lasciò ricadere lentamente, provocando ben più di un fremito al giornalista.

 

Oh, Peach Lady
Hey, boy! I know you’re looking at me
Not a game, just both of us
Come fall in love with me

 

Si girò ancor più lentamente e finalmente Jellal tornò a guardarla negli occhi. A dire la verità, fu difficile, per lui, mantenere l’attenzione sul viso della ragazza: tutta colpa di quel vestito, che aderiva perfettamente alle forme di Erza, scivolandole addosso come una seconda pelle.
E il giornalista iniziò a sudare. Sentiva la camicia incollarglisi alla schiena e le mani fumare vapore. Che dire poi del suo stomaco? Non dava più segnali di vita da almeno due minuti e l’uomo si convinse di averlo perso per sempre. Come se non bastasse, si disse di non prestare attenzione alla scossa che di tanto in tanto gli affliggeva il basso ventre, spostandosi in regioni che avrebbe dovuto mettere a tacere. Ma come poteva riuscirci, quando aveva davanti agli occhi il suo Angelo Rosso?

 

Peach Lady
Uh hu Uh huh… Uh huh…
The way you’re moving and dancing, every moment
Oh, boy! You coming too

 

Erza avanzò piano, incrociando i passi e facendo oscillare per l’ennesima volta i fianchi.
“Mi vuole morto”, pensò Jellal. “Questa donna riuscirà a –“.
Il suo cervello staccò la spina e il flusso dei pensieri si arrestò immediatamente.
Il resto del corpo non rispondeva più a nessun ordine: era andato in tilt.
E a provocare quel cortocircuito era stato il vestito di Scarlet.
Vestito che era scivolato a terra nel momento in cui la ragazza si era liberata delle spalline.
-E-Erza-, mormorò lui, balbettando e sgranando gli occhi.
Lei sorrise e si portò un dito sulle labbra, indicandogli di fare silenzio. L’unica cosa che indossava adesso era l’intimo coordinato e dello stesso colore dell’abito appena tolto.

 

Peach Lady – I drive you crazy – Peach Lady – I got you

 

La donna era a pochi centimetri da lui. Avrebbe potuto sfiorargli le gambe con le ginocchia.
Ma fece di peggio.
Fece qualcosa con cui riuscì a far avvampare ulteriormente Jellal, il cui viso aveva già acquistato una tonalità di rosso simile a quella dell’intimo indossato dalla sua fidanzata.
Si mise a cavalcioni su di lui, scorrendo le proprie mani sulla camicia umida del giornalista; avvicinò le labbra alla sua bocca e lo illuse di dargli un bacio. Sorridendo ancora, gli mordicchiò il lobo dell’orecchio sinistro e soffiò un sensuale “Sono abbastanza brava con il burlesque?”.
Jellal non seppe mai quale divinità lo aiutò a restare calmo – anche se calmo era un parola grossa. Mantenne il controllo, seppur con difficoltà, e trovò la forza di chiederle se davvero quella era la prima volta che si esibiva in uno striptease.
-La prima, la prima-, confermò Erza. -Ho solo messo in pratica alcune mosse speciali che le mie colleghe usano sul palco-.
Che cosa avrebbe dovuto dirle? Che era riuscita a fargli saltare le coronarie?
-Promettimi che lo farai solo per me-, esalò lui, guardandola e specchiandosi nei suoi occhi.
-Non c’è bisogno di prometterlo-, replicò la ragazza. -Questo è il premio che ti spetta per esserti comportato bene a Galuna. Non ti avevo detto che avresti potuto ricevere una sorpresa, una volta che saresti tornato?-.
Erza sorrise e lo sguardo del giornalista si illuminò.
Non avrebbe mai trovato un’altra donna come la sua Scarlet.
-Ma il premio non è ancora completo-, puntualizzò lui. La ragazza lo fissò con aria perplessa e Jellal continuò: -Non mi hai ancora dato un bacio-.
Ed Erza non se lo lasciò ripetere una seconda volta.
Gli sollevò il viso con entrambe le mani e strinse tra le proprie labbra quelle del fidanzato, dando inizio a una danza proibita che sarebbe durata ancora a lungo.
-Non devi lavorare stasera?-, le domandò Jellal, riprendendo momentaneamente fiato.
-È il mio giorno libero-, sillabò lei. -Abbiamo un’intera notte davanti a noi-.
Non ci fu tempo per rispondere.
Le bocche si incontrarono ancora, incendiando la passione che era scorsa tra di loro fin dal primo sguardo. Le dita si intrecciarono, i corpi si incastrarono in una combinazione perfetta.
Quello sarebbe stato solo l’inizio della loro storia d’amore.






Angolo dell'Autrice

Salve a tutti i lettori che si sono spinti fin qui ^^
Non ho molto da dire, se non ringraziarvi: grazie per tutto il supporto e la passione che mi è arrivata tramite recensione e commenti privati.
Sul serio, non pensavo che questa mini Long potesse avere un così largo riscontro; significa che la Jerza si sta facendo strada nei vostri cuoricini di shippers <3
Di nuovo, grazie a tutte le persone che hanno inserito questa storia tra le preferite, seguite e ricordate; grazie a tutti coloro che hanno anche semplicemente letto con costanza ogni singolo capitolo.
Sperando di tornare presto in questo Fandom (probabilmente con un'altra mini Long. Perdonatemi, ma sono prolissa '^^), vi saluto tutti.
Alla prossima,

Amor31

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