Striptease di Amor31 (/viewuser.php?uid=173773)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Capitolo V ***
Capitolo 1 *** Capitolo I ***
Striptease
Capitolo
I
Era un pomeriggio torrido. Il
ventilatore era stato impostato al massimo fin da prima mattina, ma
nell’ufficio si faceva comunque fatica a respirare.
Jellal Fernandes se ne stava seduto
non troppo comodamente alla sua scrivania e teneva gli occhi fissi su
una
decina di pagine di appunti presi durante il suo ultimo viaggio.
Stavolta il Direttore
Makarov gli aveva assegnato uno speciale su una tribù
indigena sperduta in una
remota zona del Perù e dopo due settimane passate per lo
più a masticare radici
e tuberi arrostiti, era finalmente tornato alla civiltà,
ringraziando il Cielo
per l’esistenza di elettricità e acqua calda.
Ora, di nuovo al lavoro, il suo
compito era battere a macchina l’articolo che aveva
già preso forma nella sua testa;
certo, non era facile concentrarsi con quel caldo afoso e la camicia
zuppa di
sudore incollata alla schiena, ma avrebbe fatto bene a darsi una mossa,
se
davvero desiderava tornare a casa e concedersi una rivitalizzante
doccia
fredda.
Sbuffò e rilesse attentamente le due
righe che aveva appena aggiunto, cancellandole un secondo dopo,
insoddisfatto;
si rese conto di non star mettendo il proprio cuore in quello scritto e
si
passò entrambe le mani tra i capelli in preda alla
disperazione.
Toc
toc
Ebbe appena il tempo di alzare gli
occhi sulla porta, aperta senza alcun permesso dal suo più
stretto
collaboratore.
-Si può?-, domandò Laxus Dreyar,
avanzando verso la scrivania con un sorriso stranamente cordiale che
insospettì
subito Jellal.
-Potresti anche chiuderla-, gli disse
con tono stanco, alludendo alla porta alle sue spalle.
-Dio, questa stanza sembra una
fornace! Lascia passare un po’ d’aria-.
-Ho acceso il ventilatore, se non te
ne sei accorto. Se la lasci aperta, andrà dispersa tutta la
frescura-.
Laxus si lasciò scappare un ironico Ah-ah
prima di chiudere la porta e
compiacere il collega. Poi fece il giro della scrivania e si pose alle
sue
spalle, sbirciando l’articolo: -Makarov vuole il servizio
pronto per domani
sera. Pensi di farcela?-.
Jellal non rispose. Evidenziò e
cancellò qualcosa, corresse di nuovo e infine fece aderire
la schiena sudata
alla poltroncina girevole su cui era seduto. Chiuse gli occhi per
alcuni
secondi, prima di replicare: -Sì, non dovrei avere problemi.
Hai digitalizzato
le tue foto?-.
-L’ho fatto stamattina-.
-E allora perché non te ne sei tornato
a casa?-.
-Makarov mi ha affidato i rullini di
Gray. Ha deciso di prendersi una pausa dal lavoro proprio nel momento
più
adatto-.
Era evidente che le parole di Laxus
tradissero un certo risentimento, ma Jellal preferì non
approfondire la
questione.
-Dove è stato?-.
-Sulle Alpi per un articolo sullo sci.
Noi sbattuti in Amazzonia…-.
-Perù-, lo corresse l’altro.
-Amazzonia, Perù… Quello che è! E lui
in escursione in montagna. Makarov deve avercela con noi-.
Da bravo collega, Jellal avrebbe
dovuto dire qualcosa come “Noi saremo in copertina”
oppure “Ci affidano compiti
difficili perché siamo più bravi ed
esperti”, ma l’afa gli aveva assorbito gran
parte delle energie e preferiva di gran lunga impiegare le rimanenti
per
portare a termine il suo articolo.
-A ogni modo-, proseguì Laxus,
capendo che l’altro non avrebbe aperto bocca, -mi sembri
parecchio stressato.
Qualcosa non va?-.
-Tutto bene-, rispose a denti stretti
Jellal, pigiando mollemente le dita sulla tastiera.
-Ha chiamato Meredy, poco fa-.
L’uomo trasalì, fermandosi nuovamente:
-Cosa voleva?-.
-Ti cercava. A quanto pare non le
avevi detto di essere tornato-.
-Già-, annuì dopo qualche istante,
riprendendo a scrivere.
-E mi ha detto che era preoccupata
anche perché non riusciva a contattarti, visto che il tuo
cellulare risultava
sempre irraggiungibile-.
-Vero anche questo-.
Laxus fissò la nuca del collega,
indeciso se prenderlo a schiaffi o se parlargli ragionevolmente.
Optò per un
compromesso.
-Ascoltami bene-, disse in tono
minaccioso, facendo voltare la poltroncina e obbligando Jellal a
guardarlo
negli occhi. -Meredy è tua sorella. È tutto
quello che ti è rimasto. E vorresti
estrometterla dalla tua vita?-.
-Non è questo il punto-.
-E allora cosa?-.
Jellal abbassò lo sguardo, ma strinse
i pugni. Poteva forse dire al collega di essere geloso della sua cara
sorellina? Poteva forse dire che le cose erano un tantino cambiate da
quando la
ragazza era andata a convivere con il giovane e rampante avvocato Lyon
Bastia?
-Meredy è adulta e responsabile per se
stessa. Non c’è bisogno che si preoccupi per me.
Dovrei essere io a prendermi
cura di lei, visto che sono suo fratello maggiore, ma so che non ha
più bisogno
della mia protezione, sempre che ne abbia mai avvertito la
necessità-.
-Jellal?-.
-Che c’è?-.
-Sei un idiota. Lo sai, vero?-.
-Può darsi-.
-Da quanto tempo non esci con una
ragazza?-.
E ora cosa c’entrava quella domanda
con il discorso precedente?
-Scusa, ma non credo di aver capito il
nesso-.
-Limitati a rispondere-.
Stizzito e ancora allibito, Jellal
ripensò a come aveva vissuto nell’ultimo periodo.
Calcolò qualcosa sulla punta
delle dita e poi disse: -Tre anni-.
-Cosa?!-.
-La risposta che volevi. Tre anni-.
-No, no, no, fammi capire-, scosse la
testa Laxus, incredulo. -Stai dicendo che non frequenti nessuno
da…-.
-Sì, perché? Ti sembra strano?-.
Ma certo che lo era, pensò in un
secondo momento. Stava pur sempre parlando con il fotografo Dreyar,
rinomato
playboy della redazione. L’unico uomo – il solo che
Jellal avesse mai
conosciuto, almeno – in grado di collezionare una ragazza
dopo l’altra senza
rimanere invischiato in storie troppo complicate; il classico
dongiovanni che
si ripeteva a mo’ di mantra il motto “Mai
più di una notte”.
-E ci credo che sei stressato!-,
sbottò il collega, gli occhi ancora strabuzzati. -Tre anni! Tre. Anni!-.
In propria discolpa – perché avrebbe
dovuto giustificarsi, poi? – Jellal avrebbe potuto dire che
per nessuno sarebbe
stato facile intraprendere una nuova relazione dopo aver a malapena
flirtato
con la caporedattrice Ultear Milkovich; inoltre, come avrebbe fatto a
gestire o
anche solo ad iniziare un’altra storia, se il lavoro lo
costringeva
continuamente a stare lontano da casa? Le soluzioni erano due: o
comportarsi
come Laxus oppure restare da solo vita natural durante. La seconda
opzione gli
sembrava e gli era sempre parsa la più ragionevole, visto
che, nonostante le
apparenze, la sua timidezza era proverbiale.
-Facciamo una cosa-, disse il fotografo
suo collaboratore, passandosi una mano sul viso, quasi avesse voluto
rimuovere
la rivelazione sconvolgente del collega. -Prova a finire questo dannato
articolo entro le sei. Se non ci riesci, e credo proprio che
sarà così, evita
di continuarlo a casa. Questa sera ti prenderai una bella pausa e
vedrai che
domani ti sentirai molto meglio-.
-Grazie per il consiglio, Laxus, ma
non penso che Makarov sia dello stesso avviso-.
-A lui importa solo che sia pronto
entro le sei di domani-,
sottolineò
l’altro. -Hai tutto il tempo per finire il tuo capolavoro-.
Jellal colse una punta di sarcasmo in
quelle parole, ma preferì passarci su.
-Che ne dici di uscire? Andiamo a
farci una bella bevuta in qualche locale e poi dormiamoci sopra. Ti
assicuro
che sarai rigenerato. Con me funziona sempre-.
Quello doveva essere il metodo che gli
aveva insegnato una delle sue ultime conquiste, una certa Cana. Jellal
scosse
la testa.
-Sono astemio, lo sai-.
-E che importa? Ti farò portare una
cola, se l’alcol ti dà problemi-.
-Laxus, te lo sto dicendo con
gentilezza: non ho intenzione di uscire. Non quando ho un lavoro da
terminare-.
-Quante storie!-, proruppe il
fotografo. -Lo sai anche tu che non hai né la voglia
né la testa per completare
il pezzo. Preferisci davvero startene da solo a casa? Non sarebbe
meglio se ti
divertissi un po’? Se comunque non aggiungerai
un’altra riga allo scritto di
oggi, tanto vale uscire con il tuo migliore amico, non ti pare?-.
Un punto a suo favore.
-D’accordo-, si lasciò convincere
Jellal, battendo leggermente le mani sul bordo della scrivania. -Dove
ci
vediamo?-.
-Oh, non preoccuparti-, lo rassicurò
Laxus, allontanandosi verso la porta. -Passerò a prenderti
verso le nove, se
non ti crea problemi-.
-Affatto-, rispose l’altro, ostentando
una sicurezza che non aveva. -Ma sei sicuro di volermi dare un
passaggio? Non
sarebbe meglio se…-.
-Lascia fare al sottoscritto-, lo
interruppe il collega. -Vedrai, non te ne pentirai-.
***
Alle
otto e mezza Jellal era già
pronto.
Aveva rinunciato a proseguire nella
stesura dell’articolo e si era rifugiato sotto
l’agognata doccia fredda che
aveva sognato per tutta la giornata, poi si era preparato e aveva dato
un’ultima sistemata ai capelli, pronti a ribellarsi
nonostante avesse usato
qualche goccia di gel per tenerli a bada. Riflettendosi nello specchio
della
sua camera aveva pensato che probabilmente il suo abbigliamento fosse
un po’
troppo elegante per una semplice uscita tra amici, soprattutto se si
immaginava
seduto al bancone di un bar o in una discoteca; il massimo
dell’imbarazzo si
sarebbe raggiunto nel momento in cui avrebbe chiesto una cola al posto
del
normale super alcolico, ma scacciò immediatamente quella
scena grottesca dalla
propria mente.
L’improvviso squillo del cellulare gli
fece capire che Laxus doveva essere arrivato. Si affacciò
allora alla finestra
e adocchiò la sagoma scura dell’auto del
fotografo, fermo proprio sotto casa.
-Visto? Puntuale come un orologio-,
gli sorrise l’amico, non appena si fu richiuso la portiera
alle spalle. -Però-,
aggiunse Laxus, -sei proprio un damerino chic, stasera-.
-È troppo vistoso?-, gli domandò
Jellal, guardando a disagio la giacca nera e la cravatta rossa.
-Diciamo pure che avrai parecchi occhi
puntati addosso-, lo prese in giro l’altro. -Ma hai fatto
bene, sul serio-.
-Dove stiamo andando?-, gli chiese
allora il giornalista, osservando prima la strada illuminata dagli
anabbaglianti, poi il viso del collega.
-È una sorpresa. Ti dirò, per un
attimo ho avuto paura che non ci fosse posto per noi, ma a quanto pare
altri
due clienti hanno dato forfait all’ultimo minuto e quindi
sono stato
richiamato. Prima fila per delle guest star come noi-.
Senza capire una singola parola,
Jellal rimase in silenzio e annuì, fissando
l’oscurità oltre il finestrino alla
sua destra. Laxus gli sembrava ancor più su di giri rispetto
al solito e ciò
non lo rassicurava affatto.
-È un locale in città?-, domandò
ancora.
-Dobbiamo imboccare l’autostrada e
uscire da Magnolia, in realtà-, lo informò il
fotografo. -Ci impiegheremo più o
meno tre quarti d’ora, prima di arrivare. Ma
l’attesa sarà ripagata, oh sì-.
-Ci sei già stato, vero?-.
-Come?-.
-Hai già visitato questo locale,
immagino-.
-Ah, certo. È stato tutto merito di
Gildarts Clive; te lo ricordi?-.
E come avrebbe potuto dimenticarlo?
Gildarts era stato il più famoso fotografo della rivista per
cui lavoravano, ma
aveva lasciato il giornale per un ingaggio maggiore offerto da una
redazione
lontana da Magnolia. Il suo posto era stato occupato da Laxus, che da
Clive
aveva assorbito svariati consigli utili su come lavorare al meglio per
ottenere
foto perfette.
-Era un tipo bizzarro. Me lo ricordo
bene-, annuì Jellal.
-La sera prima che sgombrasse il suo
ufficio, siamo usciti insieme per andare a bere. E cosa ha fatto? Mi ha
accompagnato all’Amnesia.
Non potrò
mai ringraziarlo abbastanza: quel posto è il Paradiso in
terra-.
-Amnesia?-.
Quel nome gli risultava familiare, ma non aveva idea di dove lo avesse
sentito.
-Già. Ah, se vuoi capire quello che
sto dicendo, devi farci un salto anche tu. Ecco perché ti ci
porto. E se
neanche questo dovesse tirarti su di morale, penso che faresti bene a
rivedere
le tue priorità-.
L’abitacolo sprofondò nel silenzio.
Jellal riprese a guardare il buio che scorreva dietro il finestrino e
Laxus
prestò particolare attenzione a guidare verso il casello
autostradale giusto.
-Vuoi che accenda la radio?-, gli
domandò il fotografo, mentre l’auto, ora sul
rettilineo, acquistava velocità.
-Come vuoi-.
Di lì a qualche secondo la voce della
giovanissima cantante Wendy Marvell fece tremare le casse poste alle spalle dei
sedili. Laxus resistette un minuto buono – e
Jellal fu sicuro che
quello fosse un nuovo record – prima di cambiare stazione.
-Eh no, non mi faccio guastare la
serata dall’ultima idol entrata in classifica-,
borbottò il fotografo, premendo
più volte il pulsante per lo spostamento di frequenza. -Una
volta la radio
trasmetteva canzoni decenti, non commercialate come questa-.
Per evitare di alimentare il dibattito
sulla musica contemporanea, Jellal rimase zitto ad ascoltare le
rimostranze
finali dell’amico. Solo allora, sbirciando
all’esterno, si rese conto di essere
vicino all’uscita dell’autostrada.
-Siamo…-.
-Quasi arrivati, sì. Dammi dieci
minuti-.
Sebbene fossero ormai fuori dal
rettilineo, Laxus incrementò ancora la velocità.
Probabilmente la multa lo
avrebbe salassato, se nelle vicinanze ci fosse stato un autovelox
pronto a
rilevare i chilometri orari in eccesso.
-Non pensavo che fosse così tanto
fuori dalla città-, rifletté a voce alta Jellal,
notando la strada farsi più
stretta e la vegetazione incrementare ai margini della viuzza. Stavano
attraversando dei campi spogli e dall’aria particolarmente
lugubre, complice la
leggera foschia che si era levata.
-È solo un’impressione-, replicò il
collega, aprendo i finestrini e facendo ricircolare l’aria
nell’abitacolo. -Una
volta arrivati, ti accorgerai che abbiamo semplicemente girato intorno
a
Magnolia e preso lo svincolo autostradale a sud. Che
c’è?-.
-Niente-, disse Jellal con tono
piatto. Era sicuro che l’amico si fosse reso conto della sua
tensione.
-Non dirmi che stai pensando ancora a
quell’articolo-, sbottò Laxus, lanciandogli una
fugace occhiata prima di
tornare a prestare attenzione alla strada.
-No, per carità. Sono uscito proprio
per evitare di rimuginarci sopra, no?-.
-Hai richiamato Meredy?-.
-No-.
-Sei davvero cocciuto. Che ti
costava…?-.
-Possiamo cambiare argomento?-, lo
bloccò Jellal. L’ultima cosa che voleva era
sentire una paternale. Da Laxus,
per giunta!
-Amico, devi scioglierti un po’. E
infatti ci sono io, qui con te! Ah, eccoci arrivati-.
Buio. Nient’altro che buio.
-Laxus, si può sapere dove siamo
finiti?-, domandò preoccupato il giornalista.
-Dammi almeno il tempo di
parcheggiare, no? Lo spazio per le auto si trova sul retro del locale,
ecco perché
non vedi nulla-.
-Chiedere al Comune di preoccuparsi
dei pali della luce ti sembra una richiesta esagerata? Non farei fatica
a
credere che il posto sia poco frequentato-.
-Ed è qui che ti sbagli. Dai retta a
me, l’Amnesia è
il luogo di culto per
chi cerca compagnia. Proprio come te-.
Laxus parcheggiò con una manovra
fluida e uscì dalla vettura, sbattendo la portiera e
incamminandosi
nell’oscurità. Dal canto suo, Jellal lo
seguì con la seria intenzione di
chiedergli spiegazioni.
-Aspetta un secondo-, disse al suo
collaboratore, costringendolo a voltarsi. -Io
starei cercando compagnia?-.
-Perché, non è quello che vuoi?-,
ribatté il fotografo. -Andiamo, Jellal, non fare quella
faccia! Quando mi hai
detto che non frequenti una donna da tre anni ho sentito il bisogno di
intervenire. È per il tuo bene, capisci? Sono tuo amico,
prima di essere un tuo
collega, e sono stanco di vederti stressato e giù di morale.
Ho semplicemente
pensato che passare una serata circondato da belle ragazze ti
avrebbe…-.
Ormai erano giunti di fronte
all’entrata del locale. Fu allora che Jellal, smesso per un
istante di
ascoltare Laxus, perse completamente l’uso della parola.
Una rossa insegna al neon recante la
scritta Amnesia troneggiava proprio
sopra la porta d’ingresso. Accanto alla
“A” di inizio parola era stata
sistemata una figura femminile dalla posa provocante che lampeggiava a
intermittenza, richiamando l’attenzione dei visitatori.
-Mi hai portato a un night club?!-,
esclamò Jellal, sul punto di strapparsi i capelli per
l’esasperazione e
l’imbarazzo.
-Il migliore in circolazione,
aggiungerei. Dai, entriamo-.
-No, no. Forse non hai capito, ma io
lì dentro non ci metto piede. Scordatelo-.
-Non fare l’idiota e seguimi-.
-Laxus, riaccompagnami a casa.
Subito-.
-Ormai ho prenotato due posti. E
prenotare significa pagare pur non essendo presenti in sala. Quindi
fattene una
ragione ed entra. Te lo sto dicendo con le buone, ma, se preferisci,
posso
sempre trascinarti all’interno con la forza-.
Le proteste si protrassero per qualche
altro minuto, ma alla fine il fotografo ebbe la meglio. Jellal fu
costretto a
entrare, mantenendo la testa bassa come un cagnolino bastonato. Si
soffermò un
secondo sulla porta di ingresso per leggere un avviso che vi era
affisso – Vietato
l’ingresso ai minori di 18 anni
– e poi si addentrò nel locale, augurandosi che
quella tortura finisse presto.
Luci soffuse ovunque. Luci
psichedeliche che si riflettevano sulle pareti ricoperte di specchi e
davano
alla testa, costringendo qualcuno a chiudere gli occhi di tanto in
tanto. Luci
che illuminavano dal basso il lungo palco su cui si stavano esibendo
proprio in
quel momento tre ragazze che a prima vista apparvero nude ai loro
occhi. Solo
osservandole più attentamente e da vicino sarebbero riusciti
a distinguere i
bikini color carne che indossavano.
-Buona sera, signori-, li accolse una
bionda dal completo scollacciato. -Posso aiutarvi?-.
-Abbiamo prenotato un tavolo-, si
lanciò a capofitto Laxus, mentre Jellal non sapeva se
guardarsi intorno o se continuare
a mantenere gli occhi abbassati per tutto il tempo.
-Nome?-, domandò la ragazza, aprendo
un quaderno dalla rigida copertina nera.
-Dreyar-, continuò il fotografo.
-Dreyar, Dreyar… Ah, sì-, annuì la
giovane, puntando l’indice sull’ultima pagina
registrata. -Siete al tavolo
sette. Venite, vi faccio strada-.
I due uomini la seguirono in silenzio.
Il volume alto della musica non faceva che incrementare a ogni passo
che li
avvicinava al palco e Jellal ebbe paura di ritrovarsi ben presto con la
testa
in fiamme. Cosa aveva detto Laxus? Domani
ti sentirai rigenerato? Sì, come no! Una bella
emicrania era proprio quello
che ci voleva per
riuscire a completare
l’articolo da consegnare al Direttore Makarov.
-Accomodatevi pure-, li invitò la
bionda, indicando loro il tavolo prenotato.
-La ringrazio-, le sorrise il
fotografo.
-Godetevi la serata-, si congedò
definitivamente lei, sparendo tra la folla.
-Allora? Che te ne sembra?-, domandò
Laxus a Jellal una volta che la ragazza si fu allontanata.
-Che ne penso?-.
E cosa si aspettava che gli
rispondesse? Che quello era “il
Paradiso
in terra”, come lo aveva definito lui poco meno di un’ora prima? Non avrebbe
saputo mentire neanche se costretto e quindi disse soltanto
“È un disastro”.
-Amico, hai voglia di scherzare?-,
rise il fotografo. -Guardati intorno: siamo in prima fila, esattamente
di fronte
al palco. Decine di ragazze ci sfileranno davanti praticamente nude e
altre ci
porteranno da bere. A proposito…-.
E smettendo per un secondo di parlare,
richiamò l’attenzione di una cameriera e
ordinò due super alcolici.
-Sono astemio, dannazione! Quante
volte te lo devo ripetere?-, esclamò Jellal, sempre
più adirato.
-Rilassati e fidati di me. Serve a
farti sciogliere un po’: sei teso più di una corda
di violino!-.
Ma certo che era teso! Anzi no, non
teso: profondamente arrabbiato e deluso. Imbarazzato e a disagio. Se lo
scopo
di Laxus era prendersi gioco di lui, allora complimenti, ci sarebbe
riuscito.
-Per quanto tempo pensi che
rimarremo?-.
-Finché il tuo umore non sarà
migliorato. Penso che ci vorrà parecchio, già-.
Jellal sbuffò, guardando
distrattamente una ragazza esibirsi in una pole dance. E finalmente
ebbe
l’illuminazione.
-Ecco dove l’avevo sentito!-, esclamò,
sovrastando appena il frastuono della musica.
-Di che parli?-.
-Del nome Amnesia. Era
nell’articolo-inchiesta redatto da Levy-.
-McGarden?-.
-Quante altre Levy conosci?-.
-Uhm, dipende-.
-Comunque sia… Sì, si trattava proprio
di questo locale. Ora capisco perché ce l’aveva
tanto con i night club-,
continuò Jellal.
-Perché?-.
-Mi sembra di aver capito che il suo
ragazzo fosse un frequentatore abituale di posti come questo-.
-Fosse? Credi davvero che non bazzichi
più da queste parti?-.
-Non sono affari miei-.
-Ah, certamente. Era solo per dire che
chi viene una volta qui ha due possibilità: o non tornare
una seconda volta
oppure diventare un cliente abituale. Stai pur sicuro che il fidanzato
della
McGarden continua a farci una visita, di tanto in tanto. Grazie-.
Laxus si era nuovamente rivolto alla
cameriera, di ritorno con due cocktail dall’aria letale.
-Bevi-, il fotografo ordinò a Jellal,
ingollando metà bevanda in un sol sorso.
Il giornalista se ne tenne a debita
distanza. Era già abbastanza umiliante starsene
lì, sotto al palco, mentre il
suo amico non perdeva un’occasione per fischiare in direzione
delle ragazze in
segno di approvazione. No, non avrebbe ingerito quel veleno.
Per una mezz’ora Jellal cercò di
calmarsi. La voglia di urlare contro l’amico e correre fuori
dal locale era
tanta, ma si costrinse a rimanere seduto per una questione di decoro.
Ma a metà
della quinta pole dance di fila a cui assisteva, perse definitivamente
la
pazienza e balzò in piedi, afferrando Laxus per un braccio e
strattonandolo.
-Che ti prende?-, si lamentò il
collega.
-Voglio andarmene-.
-Non puoi-.
-Allora dammi le chiavi della tua auto
e lasciami tornare a casa da solo-.
-Vorresti lasciare qui il tuo migliore
amico? La persona che ti ha offerto la serata per…-.
-Basta con questa solfa! Ne ho fin
sopra i capelli di te e di questo posto!-.
-Ehi, voi due! Fate silenzio!-.
La voce di uno sconosciuto interruppe
il litigio ed entrambi i contendenti si accorsero che la musica era
cessata. Un
innaturale silenzio regnava ora nel locale e le luci, già
fioche, si
abbassarono ancor di più.
-Che sta succ…-.
-Shhh!-.
Jellal si guardò intorno, perplesso.
Provò a strattonare un’altra volta Laxus, ma
qualcosa lo distrasse.
Due intense luci furono proiettate sul
palco rispettivamente dalla destra e dalla sinistra della sala e
incrociandosi corsero
a illuminare il centro della scena. Il giornalista fissò
scettico il punto
evidenziato, aspettandosi che dalle cortine che demarcavano il dietro
le quinte
uscisse l’ennesima spogliarellista in bikini. La musica,
suadente come mai era
stata fino a quel momento, ripartì e oltre le tende si
accese una terza luce
che mostrò un’ombra appena visibile. La sagoma,
inizialmente immobile, prese a
intonare una canzone.
You
had plenty money, 1922
You let other women make a fool of you
Why don’t you do right, like some other men do?
Get out of here and get me some money too
Jellal
era semplicemente rimasto senza
fiato.
Il sipario si era dischiuso e pian
piano aveva fatto il suo ingresso una ragazza dai lunghi capelli rossi.
Il
pubblico era andato in visibilio nel vederla avanzare passo dopo passo,
ondeggiando i fianchi sui cui teneva entrambe le mani poggiate e
rivolgendo
occhiate languide agli uomini che occupavano le prime file.
Jellal era tra quelli che non avevano
parole per descrivere la meraviglia di cui si erano riempiti i loro
occhi.
Seguiva i movimenti della cantante senza battere ciglio, badando di non
perdersi una singola espressione del suo delicato viso; aveva
già perso
interesse per il lungo abito di paillettes blu su cui aveva
inizialmente
concentrato la propria attenzione, anche se doveva ammettere che era
alquanto
difficile ignorare il profondo spacco che partiva da metà
coscia, mostrando di
tanto in tanto una gamba che avrebbe fatto invidia alla più
quotata modella di
Magnolia.
-Perché
non ti siedi?-.
-Eh?-.
Il giornalista fu distratto per un
istante da Laxus, che lo fece ricadere senza troppe
difficoltà sulla sedia. Un
attimo dopo stava contemplando di nuovo la ragazza sul palco, che
adesso pareva
stesse guardando proprio nella sua direzione, puntandogli
l’indice della mano
destra contro.
You’re
sittin’
there and wonderin’ what it’s all about
You ain’t got
no money, they will put you out
Why don’t you
do right, like some other men do?
Get out of
here and get me some money too
Sembrava
che le parole della canzone
si rivolgessero davvero a lui. Jellal ne rimase ulteriormente colpito,
soprattutto perché la donna aveva praticamente smesso di far
scorrere lo
sguardo sul resto del pubblico. I loro occhi si incontrarono per la
seconda
volta ed ebbe l’impressione che lei stesse sorridendo.
If you had prepared twenty years ago
You wouldn’t
be a-wanderin’ from door to door
Why don’t you
do right, like some other men do?
Get out of
here and get me some money too
Quei
capelli.
Ogni volta che la ragazza improvvisava
una giravolta sembrava essere avvolta da una fiamma ardente. Era
impossibile,
per Jellal, non fissare quella chioma. E quando
all’improvviso si rese conto di
aver immaginato il suo profumo, capì di aver compiuto un
passo che da tre anni
si rifiutava di fare: voleva quella donna. Desiderava conoscerla,
sapere come fosse
arrivata a lavorare in quel locale. Si disse che forse il nome del
night club
lo aveva ispirato proprio lei: lui stesso, guardandola, era stato
vittima di
una piacevole Amnesia.
I fell for
your jivin’ and I took you in
Now all you
got to offer me’s a drink of gin
Why don’t you
do right, like some other men do?
Get out of
here and get me some money too
Why don’t you
do right, like some other men do?
La musica
scemò e il pubblico
esplose in un fragoroso applauso, mentre Jellal, stordito e assuefatto
dalla
voce della ragazza, provava a tornare alla realtà afferrando
il cocktail
ordinato da Laxus e mandandolo giù con un solo sorso.
-Astemio, avevi detto?-, rise il
fotografo, dandogli una pacca dietro la schiena vedendolo tossire.
Sentì la gola bruciargli, ma non era
comparabile al fuoco scoppiato all’altezza del suo cuore.
Batteva fin troppo
rapidamente e Jellal temette che il muscolo avrebbe ceduto di
lì a poco.
“Ancora
un bell’applauso per la nostra Scarlet!”,
urlò uno speaker, mentre la
cantante si inchinava al pubblico, sorridendo soddisfatta e con aria
raggiante
prima di uscire dalla scena e sparire di nuovo dietro le quinte.
“Scarlet”, pensò il giornalista.
“Mai
un nome fu più indovinato”.
-Allora? Piaciuta l’esibizione?-,
chiese Laxus, facendo un cenno ad una cameriera nelle vicinanze e
ordinando
altro alcol.
-Credi che salirà ancora sul palco
prima della fine della serata?-.
-Oh-oh, qualcuno è rimasto ammaliato,
qui!-.
-Sta’ zitto!-, replicò Jellal. Se
c’era una cosa che lo infastidiva, era essere punzecchiato.
-No, non penso-, rispose il collega
senza smettere di sorridere. Poi aggiunse, guardando maliziosamente
l’amico e
alludendo alla canzone appena finita: -Di’ un po’,
con lei lo berresti un
bicchiere di gin, eh?-.
Jellal evitò di rispondere, provocando
così una seconda ondata di risate da parte di Laxus. Ma
stavolta non diede peso
alla cosa: stava ancora pensando a Scarlet.
“Devo rivederla”, si disse,
trangugiando il secondo cocktail servito dalla cameriera senza neanche
rendersene conto.
Come aveva detto anche il suo collega
a inizio serata, c’erano due possibilità: tornare
una seconda volta al night
club o dirgli addio per sempre.
Senza riflettere oltre, Jellal sapeva
già cosa avrebbe fatto.
Avrebbe cercato e trovato
Scarlet a
qualunque costo.
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Capitolo 2 *** Capitolo II ***
Capitolo
II
La
mattina dopo Jellal si svegliò con
una doppia certezza: avrebbe consegnato l’articolo a Makarov
e in serata
sarebbe andato all’Amnesia.
Dovette constatare anche un’altra
cosa: Laxus aveva avuto ragione. Non sapeva se quel senso di benessere
che
provava fosse causato dai tre cocktail assunti –
perché ne aveva bevuto anche
un terzo, giusto per alimentare la scia di calore che si portava dentro
– o dal
ricordo di Scarlet, ma era come se una nuova energia gli stesse
scorrendo nelle
vene e questo bastava per rianimarlo.
Una volta in ufficio, terminò il pezzo
entro la pausa pranzo delle due. Il collega fotografo non si era presa
la briga
di venire – e Jellal pensò che, se fosse andato a
trovarlo a casa, lo avrebbe
beccato a poltrire a letto – e così rimase da solo
per tutto il tempo. Fu
interrotto solo dall’arrivo della caporedattrice Ultear
Milkovich, andata a
complimentarsi con lui per l’articolo che aveva appena finito
di leggere, e poi
si preparò per tornare nel suo appartamento, aspettando
impazientemente che
scoccassero le nove per potersi mettere in marcia e recarsi al night
club.
-Fernandes!-.
Una voce maschile lo aveva bloccato
proprio nel momento in cui stava per uscire dalla redazione.
-Gray-, salutò il collega. -Di nuovo
al lavoro?-.
-Da stamattina, già-, rispose il
ragazzo. -Makarov mi ha richiamato con urgenza e mi ha assegnato uno
speciale
sull’inquinamento urbano-.
-Mi dispiace che ti abbia rovinato le
ferie-.
-No, non è questo il problema-.
Jellal lo guardò attentamente. L’espressione
di Gray era indurita, come se fosse stato adirato.
-Che c’è, allora?-.
-Prima di mettermi a lavorare per il
nuovo servizio ho bisogno di consegnare a Lluvia le foto che ho
scattato sulle
Alpi-.
-Quindi?-.
Gray inspirò, ora palesemente
infastidito: -Quindi mi faresti un piacere se mi dicessi dove
è stato messo il
rullino che Makarov ha consegnato a Laxus-.
Jellal alzò le spalle: -Non ne ho la
minima idea. Perché lo chiedi a me?-.
-Perché è da stamattina che provo a
chiamare quell’imbecille, ma non si è mai degnato
di rispondermi. Il cellulare
è staccato, il telefono di casa squilla a vuoto. Dove si
è cacciato?-.
-Sei sicuro che non abbia portato il
rullino in sala sviluppo? Mi aveva detto di essersene
occupato…-.
-Anche se fosse, le foto non si trovano.
E io ne ho bisogno, altrimenti Lluvia non potrà consegnare
il nostro articolo.
Sai che per lei è un periodo di prova, no? Questa
è già la seconda possibilità
che il Direttore le concede e se dovesse andare male anche stavolta
probabilmente la butterà fuori. E tutto perché
quell’idiota del tuo amico non
sa fare il suo lavoro!-.
-Gray, cerca di calmarti-, sbottò
Jellal, poggiando entrambe le mani sulle spalle del collega. -Se vuoi
posso
provare a richiamare Laxus di nuovo-.
-È inutile, non risponde!-.
-Allora saliamo di sopra e
controlliamo per bene. Dai, darò una mano a te e Lluvia-.
-Ti devo un favore-, lo ringraziò
l’altro, precedendolo sulla rampa delle scale che portava
agli uffici.
Dal canto suo e senza farsi notare,
Jellal sospirò, afflitto: per quella sera Scarlet avrebbe
dovuto attendere.
***
L’indomani
non fu migliore.
Aveva trascorso il giorno prima tra le
fotografie che Gray aveva ritrovato – e che erano sempre
state in una cartella
riposta da Laxus proprio in sala sviluppo – dando anche
preziosi consigli
all’inesperta Lluvia, mentre adesso si trovava nel proprio
ufficio a scrivere
un pezzo di repertorio sull’incidenza che il consumo di
sigaretta aveva sullo
sviluppo del cancro ai polmoni. Makarov glielo aveva commissionato
all’ultimo
minuto, proprio quando Jellal aveva finalmente pensato di essere
libero, e il
Direttore si era anche raccomandato di finirlo entro le nove di quella
sera
stessa. Giusto in tempo per la stampa notturna del quotidiano che la
mattina
seguente sarebbe stato in tutte le edicole di Magnolia.
Nonostante sapesse di doversi
concentrare per cavare fuori un articolo che fosse almeno presentabile,
i
pensieri dell’uomo non facevano che correre
all’attraente Scarlet. Sembrava
passata un’eternità da quando l’aveva
vista per la prima volta e il bisogno di
incontrarla di nuovo diventava sempre più forte. Era
arrivato addirittura al
punto di sognarla, segno che la donna aveva davvero fatto breccia nel
suo
cuore. Oltre che in altre parti del corpo,
come aveva pensato la sera prima, mentre era a letto cercando di
prendere
sonno.
Due sere da solo, nel suo
appartamento.
Due sere in cui sarebbe potuto andare
al night club, ma il destino – o semplicemente i suoi
colleghi e superiori –
gli aveva remato contro.
Alle quattro del terzo giorno, Makarov
lo convocò nel proprio ufficio. Jellal entrò con
passo pesante, senza sapere
perché improvvisamente si sentisse così a
disagio. Insomma, non aveva motivo di
preoccuparsi: aveva lavorato duramente, si era distinto in
più di un’occasione,
era sempre disponibile quando gli si chiedeva di intraprendere lunghi
viaggi
per documentare avvenimenti importanti o scene di vita
quotidiana… Doveva stare
calmo.
-Voleva vedermi, Direttore?-.
-Siediti-, lo invitò il superiore,
mantenendo un tono di voce tale da non far capire a Jellal quali
fossero le sue
intenzioni. -Volevo discutere con te di una decisione importante-.
-Devo iniziare ad allarmarmi?-, provò
a scherzare il giornalista. Sfortunatamente, però, la sua
battuta non sortì
alcun effetto.
-Ho letto l’articolo di Lluvia
Lockser-.
Makarov si fermò e Jellal trasalì.
-Come…?-.
-Mi è sembrato davvero molto buono,
nonostante la ragazza sia solo agli inizi-.
L’altro riprese a respirare
normalmente: -Se posso parlare con sincerità, Direttore,
credo che quella ragazza
abbia grandi capacità. Deve solo affinare la tecnica e fare
esperienza-.
-Infatti-, concordò Makarov. -Ecco
perché mi sono accorto che quella non era tutta farina del
suo sacco-.
Jellal ingoiò a fatica un grumo di
saliva. Il suo superiore manteneva uno sguardo severo e le mani
intrecciate
sotto il mento, segno che l’intera redazione sapeva non
promettere nulla di
buono.
-Direttore…-.
-Fernandes, ti conosco da dieci anni.
Ho imparato ad apprezzare il tuo stile e dopo un decennio trascorso a
leggere i
tuoi pezzi, così come quelli dei tuoi colleghi, so
distinguere bene cosa ha
scritto la signorina Lockser e cosa invece è tuo.
Espressioni, vocaboli usati
più frequentemente… Tutti voi siete come libri
aperti, per me. Quindi conferma
la mia certezza: sei stato tu ad
aiutare la praticante?-.
Jellal annuì e abbassò gli occhi sulla
scrivania del Direttore.
-Bene. E ora veniamo alla decisione
che devo prendere-.
Makarov rimase in silenzio finché il
giornalista non ebbe la forza di rialzare lo sguardo, poi
continuò:
-Normalmente un comportamento come il tuo sarebbe in qualche modo
punito. E
credimi quando dico che ho meditato a lungo se applicare o meno una
sanzione
nei tuoi confronti-.
Jellal trattenne di nuovo il fiato, il
cuore sul punto di uscirgli dal petto per fuggire dalla finestra alle
spalle
del Direttore.
-Ma personalmente ritengo che sia
sbagliato agire in questo modo; sarebbe davvero controproducente se
decidessi
di licenziarti per una sciocchezza del genere. No, no, ti
dirò la verità: credo
che tu ti sia comportato come un leader-.
Il giornalista strabuzzò gli occhi,
incredulo.
-Hai agito correttamente. Hai aiutato
una collega che aveva davvero bisogno di te; soprattutto, hai aiutato
una
ragazza alle prime armi, che quindi ha la necessità di farsi
le ossa in questa
professione. Una praticante come Lluvia Lockser non potrebbe mai
migliorare se
non ci fosse qualcuno come te a spiegarle dove e cosa sbaglia. Inoltre,
ti sei
sforzato di farle maturare uno stile tutto suo: ecco cosa ti rende
leader.
Un'altra persona probabilmente si sarebbe limitata a suggerirle parole
non sue,
con l’unica preoccupazione di consegnare il prima possibile
l’articolo. E
parlando esclusivamente del tuo operato, mi ritengo davvero
soddisfatto: i tuoi
ultimi pezzi sono stati magnifici. Hai la stoffa per diventare il
simbolo di
questa testata. Ed ecco perché vorrei proporti come nuovo
caporedattore della
sezione Attualità. Te la senti di assumere questo incarico?-.
Jellal, con la bocca secca per lo
stupore, non riuscì ad articolare una parola.
-Prendi-, Makarov gli porse un
bicchiere di plastica con dell’acqua fresca.
Bevve con la stessa foga con cui due
sere prima aveva ingollato i tre super alcolici. La differenza stavolta
fu
netta: il liquido gelido diede nuova vita alla sua lingua, mentre i
cocktail
gli avevano bruciato la gola come se avesse ingoiato dei carboni
ardenti.
-Direttore, non so davvero cosa…-.
-Basta un sì o un no-. Adesso il
superiore gli sorrideva, incoraggiante.
-Ne sarei onorato-, esalò alla fine
Jellal, stringendo ancora tra le mani il bicchiere.
-Bene, allora. Da domani ti
trasferirai accanto all’ufficio di Ultear e con lei
discuterai del nuovo
assetto della sezione. Sarete una squadra formidabile, insieme-.
Jellal annuì con un cenno della testa,
optando per non rivelare a Makarov quali tensioni corressero tra lui e
la
caporedattrice Milkovich. Si limitò a ringraziare il
Direttore per
l’assegnazione del nuovo incarico, che segnava
l’inizio della sua scalata
professionale all’interno del giornale.
-Posso andare?-, chiese, dopo che il
superiore ebbe definito altri particolari.
-Certamente. Per stasera ti lascio
libero, visto che hai passato gli ultimi due giorni in redazione-.
Si congedarono l’un l’altro e Jellal,
soddisfatto come poche altre volte nella vita, uscì
dall’edificio con un gran
sorriso stampato sul volto.
Finalmente si sentiva felice.
E la ciliegina sulla torta sarebbe
stata rivedere Scarlet di lì a poche ore.
Non si sarebbe lasciato scappare
quell’appuntamento per nulla al mondo.
***
Era
tornato a casa a notte fonda.
Era da poco passata l’una quando si
liberò della camicia e crollò sul letto, stanco,
ma entusiasta. Non riusciva a
smettere di sorridere: il viso della bella cantante, quella sera
avvolta in un
abito nero che aveva fatto sbizzarrire la sua immaginazione, tornava
davanti ai
suoi occhi non appena li chiudeva, rendendogli praticamente impossibile
dormire.
Si era presentato all’Amnesia
in perfetto orario e aveva
occupato lo stesso tavolo che Laxus aveva fatto riservare la prima
sera. Aveva
aspettato che Scarlet facesse la sua apparizione ordinando degli
analcolici – e
per questo ringraziò il fatto di essere solo e non in
compagnia di un amante
del liquore come il suo amico – senza badare alle altre
ragazze che giravano
tra i tavoli e si esibivano sul palco. E alla fine, dopo
un’ora e mezza
trascorsa a brindare in parte alla sua promozione, la donna era
arrivata,
svuotandogli la testa da qualsiasi altro pensiero o preoccupazione.
Aveva
cantato soavemente e come lei sola sapeva fare, tanto che Jellal, perso
completamente nei suoi brillanti occhi castani, si era detto che
avrebbe voluto
essere svegliato ogni mattina da una voce così bella. Aveva
lasciato la propria
fantasia a briglie sciolte, ma non aveva lasciato che questa prendesse
il
sopravvento. Al contrario, aveva sempre mantenuto il contatto visivo
con
Scarlet e poco alla volta si era convinto che lei lo stesse davvero
fissando
con l’identica intensità con cui lui la osservava.
Il loro era un gioco di
sguardi che molti avrebbero invidiato; ma in quel momento il
giornalista si
chiese se in fondo quello non fosse sul serio solo un gioco.
D’altronde quella
donna era pagata per intrattenere il suo pubblico e molto probabilmente
il suo
contratto la invitava anche a flirtare con chi la guardava. A patto che
il
flirt rimanesse, appunto, solo un gioco legato al proprio lavoro.
Fu con quell’ultimo pensiero che
Jellal si addormentò. Un dubbio si era improvvisamente
insinuato in lui e una
punta di gelosia andò a venargli il cuore: a quanti altri
uomini aveva rivolto
quegli occhi? A quanti altri aveva sorriso come aveva sorriso a lui? E
il
giornalista, da parte sua, cosa avrebbe fatto? Sarebbe tornato una
terza volta
o si sarebbe lasciato scivolare alle spalle quell’esperienza,
nonostante questa
avesse le sembianze di Scarlet?
Il suo sonno fu agitato, eppure al
risveglio aveva già accantonato le domande che si era posto,
certo di dover
riandare da lei.
Una volta in ufficio incontrò Laxus.
Non lo vedeva da tre giorni e lo salutò con una
cordialità che il collega aveva
dimenticato, talmente lontana era l’ultima volta in cui aveva
visto contento
l’amico.
-Ehi, che ti succede? Sto via per un
paio di giorni e ti ritrovo in forma smagliante!-, lo prese in giro il
fotografo.
-Già. Non mi sono mai sentito così
bene-.
-Che ti avevo detto? Dai, concedimi
una parte del merito-.
-Forse-, sorrise Jellal. -Ma la vera
sorpresa è un’altra-.
-Cosa?-.
-Makarov mi ha promosso a
caporedattore per l’Attualità-.
-Amico, congratulazioni-, Laxus lo
abbracciò, sinceramente felice per lui. -Mi chiedevo se e
quando il Direttore
avrebbe riconosciuto il tuo lavoro-.
-In parte è stato anche grazie a te se
ho raggiunto questo traguardo-, confidò Jellal, staccandosi
dal collega. -Se
non fosse stato per il rullino che hai sviluppato, ma che Gray non
riusciva a
trovare…-.
-No, no, vacci piano. Raccontami
tutto. Diamine, non mi aspettavo che tre giorni di assenza potessero
sconvolgere la vita della redazione!-.
Jellal non nascose alcun dettaglio.
Riferì dell’arrabbiatura di Gray, di come lui
avesse aiutato Lluvia con il suo
articolo e del colloquio avuto con Makarov. Prese in giro
l’amico per non
essere stato reperibile per tutto il tempo e Laxus, a corto di scuse,
dovette
ammettere che sì, aveva trascorso due giorni in stato
comatoso a letto per riprendersi
non solo dalla mezza sbornia del night club, ma anche dalle fatiche del
viaggio
in Perù. D’altra parte, né lui
né Jellal avevano avuto tempo di fermarsi da
quando avevano fatto ritorno.
-Posso farti una proposta?-, domandò
Laxus al termine del resoconto.
-Dimmi-.
-Visto che finalmente sei tornato a
essere il Jellal che conoscevo, che ne diresti di festeggiare la
promozione
come fanno i veri uomini?-.
-Cosa intendi per “festeggiare”?-.
Il collega lo squadrò: -Alcol. Musica.
Bella compagnia. Sei interessato o preferisci rimanere a casa a
prendere
polvere?-.
-Locale?-.
-Hai davvero bisogno che te lo dica?-.
Non servirono altre parole.
***
-Un tavolo per due. Il
sette, visto
che d’ora in poi saremo di casa-.
Laxus sorrise con fare seducente alla
bionda che già tre giorni prima li aveva accolti
all’Amnesia. Aveva detto
quella frase per stuzzicare l’amico, poiché
credeva che avesse accettato di tornare al night club solo per
compiacerlo.
Ignorava del tutto che Jellal avesse fatto una capatina la sera
precedente:
quello era l’unico dettaglio – un dettaglio fondamentale
– che il collega aveva eliminato dal racconto fornitogli
quella mattina.
-Pensavi che non avresti messo più
piede in questo posto, eh?-, continuò Laxus una volta che
furono seduti.
-Lo penso ancora-.
-A-ah, Jellal. Ricordi la legge della
seconda volta?-.
-È solo una stupidaggine-, ribatté il
giornalista. Peccato che sapesse lui per primo che fino a quel momento
le
teorie dell’amico si erano rivelate vere.
-Allora, vogliamo brindare?-, proseguì
il fotografo, chiamando una cameriera.
-Solo perché te lo meriti-, lo prese
in giro Jellal, afferrando il cocktail che la nuova venuta gli porgeva
e
portandoselo alle labbra subito dopo averlo fatto cozzare con un
tintinnio
contro quello del collaboratore.
-È incredibile vederti così felice-,
notò Laxus, studiando l’espressione rilassata
dell’altro. -Penserei che hai
anche trovato una donna, se non sapessi già che è
impossibile-.
-Perché? Non sarò un dongiovanni come
te, ma sarebbe facile avere una ragazza, se lo volessi-.
L’amico sorrise, bevendo un altro
sorso del cocktail: -Jellal, lo sai meglio di me che sei un timido di
prima
categoria. Se davvero fossi capace di trovare una donna e tenertela
stretta, a
quest’ora avresti adocchiato almeno un paio di bei
bocconcini. Come quella lì,
per esempio-.
Laxus indicò con discrezione un punto
alle spalle di Jellal, che provò a voltarsi per vedere a chi
si stesse
riferendo.
-Non così in fretta!-, lo rimproverò
il fotografo, dandogli un buffetto sul braccio. -Girati lentamente.
È quella
con la minigonna bianca, dall’altra parte della sala-.
Il giornalista impiegò un buon minuto
prima di capire chi fosse la persona che stava cercando. La
osservò servire ad
alcuni tavoli e poi tornò a rivolgersi all’amico:
-Molto carina, sì-.
-Carina?-, sbottò Laxus, spalancando
gli occhi come se Jellal avesse appena pronunciato un’eresia.
-Una bomba,
vorrai dire!-.
-Mi dispiace, ma non è il mio tipo-.
-E chi ha detto che deve essere il tuo?-,
lo fermò l’altro.
-Oh, be’…-.
-Su, sbrigati a vuotare questo
bicchiere!-, lo sollecitò Laxus, bevendo fino
all’ultima goccia del proprio
drink.
-Ehi, datti una calmata-.
-Muoviti! Prima che serva quel tavolo
laggiù in fondo!-.
Jellal obbedì. Sentì la bocca andare
in fiamme e gli occhi bruciare, ma resistette stoicamente mentre
l’amico alzava
una mano per attirare l’attenzione della bella cameriera.
-Sta venendo da questa parte-,
sussurrò il fotografo. -Ammira il maestro in azione-.
Jellal si costrinse a reprimere una
risata. Non che non conoscesse le principali tecniche di abbordaggio
che Laxus
usava, ma lo divertiva vederlo comportarsi in modo tanto spudorato.
Inoltre,
c’era sempre la possibilità che la prescelta se ne
andasse rifiutando
categoricamente le avances del playboy di turno e il giornalista non si
sarebbe
mai perso uno spettacolo esilarante come l’espressione
dell’amico nel momento
del rifiuto.
-Posso fare qualcosa per voi,
signori?-.
Ora che si era avvicinata, Jellal si
rese conto di quanto fosse alta la ragazza. Le sue gambe longilinee
erano
risaltate dalla minigonna stropicciata che indossava, così
come il seno
prosperoso veniva esaltato da una scollatura che non sarebbe mai stata
accettata se avesse lavorato in un normale bar; lunghi capelli le
coprivano la
schiena nuda.
-Sarebbe tanto gentile da portarci
altri due gin? Il mio amico ha sete-, spiegò Laxus,
mostrandole un sorriso
smagliante che Jellal considerò fin troppo finto.
-Certamente-.
La cameriera si allontanò in direzione
del bancone e si confrontò con lo shaker, tenendo gli occhi
di Laxus
costantemente incollati addosso.
-E questo sarebbe l’approccio del maestro?-,
lo prese in giro Jellal,
liberando la risata che aveva trattenuto.
-Sta’ a guardare-.
-I vostri cocktail-, annunciò la
ragazza di ritorno, poggiando sul tavolino i due bicchieri.
-C’è altro di cui
avete bisogno?-.
-Mi scusi, signorina, ma… Potrebbe
soddisfare una piccola curiosità?-.
-Dica pure-, sorrise lei cordiale.
-Mi stavo domandando quale fosse il
nome scelto per indicare una bellezza come la sua-.
Ci mancò poco che a Jellal non andasse
di traverso il liquore che stava sorseggiando.
“Laxus”, pensò, facendo correre lo
sguardo dall’amico alla cameriera, “ora hai davvero
esagerato. Se non se ne va
adesso…”.
-Mirajane, signor…?-.
-Laxus Dreyar, fotografo
professionista-, rispose prontamente lui, estraendo dal taschino
interno della
giacca un biglietto da visita che Jellal immaginò si
portasse dietro solo in
occasioni come quella.
-Fotografo, ha detto?-.
La ragazza, arrossita nel sentirsi
rivolgere l’iniziale domanda e nel dover rispondere,
sembrò animarsi
improvvisamente. I suoi occhi brillavano.
-Attualmente lavoro per il Fairy
Magazine di Magnolia, ma ho anche esperienza nel campo della moda-.
-Davvero?-.
Da quel momento in poi, Jellal fu
estromesso dalla conversazione. Laxus e Mirajane parlarono per minuti
che a lui
parvero interminabili, ma che corrisposero a una manciata di secondi
dalla
prospettiva dei due interlocutori. Sembravano quasi due vecchi amici
che si
rincontravano inaspettatamente dopo tanto tempo: ognuno cercava di
sapere
qualcosa di più dell’altro, rilanciando una
domanda dietro l’altra. Alla fine
del discorso – interrotto proprio sul più bello
dalla bionda che Mirajane
chiamò Lucy – Laxus aveva ottenuto il numero di
telefono della ragazza e le
aveva strappato la promessa di rivedersi, qualche volta.
-Visto?-, gonfiò il petto con fare
orgoglioso. -Ecco come si fa, caro mio. Impara dal più
grande seduttore di
tutti i tempi-.
-È stata fortuna-.
-No, amico mio. È tutta strategia-.
Laxus gli fece l’occhiolino e bevve di
nuovo, poi aggiunse: -Be’, io ho fatto la mia conquista. Tu,
invece? Stai
aspettando che il tuo angelo di fuoco
compaia da dietro il sipario?-.
Aveva fatto di nuovo centro. Non che
fosse difficile, visto che Jellal non aveva smesso di controllare
l’orologio da
una mezz’ora a quella parte.
-La sua esibizione sarebbe dovuta
terminare dieci minuti fa-, disse a denti stretti il giornalista. -Ma
di lei
non c’è ancora traccia-.
-Abbiamo tutta la serata davanti. Dai,
sono sicuro che tra poco sarà qui-, provò a
consolarlo l’amico.
Invece non ci fu nulla da fare.
Alle due il locale chiuse e tutti i
clienti sciamarono fuori, pronti a tornare a casa. Di Scarlet neanche
l’ombra.
-Mi dispiace-, disse Laxus, dando al
collega una pacca sulla spalla mentre si allontanavano verso
l’auto. -Avrei
voluto che fosse tutto perfetto, visto che siamo venuti apposta per
festeggiare
te-.
Jellal non proferì parola. Di colpo la
sua gioia era svanita nel nulla ed era sprofondato di nuovo
nell’apatia.
-Mira, devo correre subito a casa. Mi
hanno appena telefonato dall’ospedale-.
-Cos’è successo?-.
-Natsu. Si è sentito male mentre era
in discoteca con un gruppo di amici-.
-Oddio!-.
-Mi dispiace, ma non posso
riaccompagnarti a casa. Probabilmente passerò tutta la notte
in ospedale e…-.
-Cara, non preoccuparti per me. Mi
farò dare uno strappo da qualcuno, tranquilla. Ora,
però, promettimi di
rimanere calma e lucida: Natsu ha bisogno di te-.
-Ci vediamo domani sera-.
-Se ci dovessero essere dei problemi
parlerò io con il signor Ichiya-.
-Grazie davvero. Sei un’amica-.
Jellal e Laxus videro la giovane Lucy
salire in macchina e sparire nella notte con un’espressione
sconvolta.
Mirajane, rimasta sulla porta d’ingresso del locale,
seguì la sagoma della
vettura finché non divenne del tutto invisibile.
-Serve aiuto?-, domandò il fotografo,
abbandonando l’amico e avvicinandosi alla cameriera.
-Oh, Laxus. Credevo che fossi già
andato via-.
-Ero sul punto di ripartire, in
realtà. Cos’è successo?-.
Jellal li osservò parlare. Soltanto
allora si rese conto che era bastato un niente a farli passare
dall’uso del lei al tu.
-Il fatto è che non ci sono mezzi per
tornare a Magnolia-, stava dicendo Mirajane, -e chiamare un taxi
significherebbe aspettare un’ora. Ma mi converrà
telefonare subito, se voglio
velocizzare i tempi-.
-Qual è il problema?-, la interruppe
Laxus. -Posso darti un passaggio, se vuoi. Anch’io abito in
città e non mi
creerebbe alcun disturbo aggiungere qualche altro chilometro a quelli
che devo
comunque fare-.
-Sicuro che non…?-.
-Fidati di me-.
-Ma… E il tuo amico? Prima mi hai
detto che la tua macchina ha solo due posti a sedere-.
-Chi, Jellal? Tranquilla, non c’è
problema. È grande e grosso: chiamerà un taxi e
si farà riprendere. Giusto?-.
Giusto un accidenti. Ecco cosa avrebbe
voluto urlargli. Lasciarlo lì, sperduto nel nulla, pur di
riaccompagnare a casa
una ragazza appena conosciuta: ecco uno dei comportamenti che odiava di
Laxus.
-Veramente…-.
Non continuò la frase. Il collega gli
stava rivolgendo uno sguardo a metà tra il minaccioso e il
supplichevole, così
che alla fine Jellal si ritrovò a dire
“Sì, fate pure. Mi arrangerò da
solo”.
-Visto? Anche lui è d’accordo-, Laxus
sorrise a Mirajane. -Dai, ti riporto in città-.
-Dammi solo un secondo. Vado a
prendere la borsa-.
La ragazza corse di nuovo dentro il
locale. Nel frattempo fu Jellal a rivolgere al fotografo
un’occhiata degna del
più pericoloso serial killer.
-Erza, chiudi tu! Ci vediamo domani!-.
Mirajane comparve proprio nel momento
in cui Laxus mimava al collega un inudibile “Sei un vero
amico”. Corse verso la
vettura e l’uomo, da vero – presunto, come
pensò Jellal – gentleman di altri
tempi, le aprì lo sportello, invitandola ad accomodarsi. Poi
fece lui stesso il
giro dell’auto e si mise al volante, salutando
un’ultima volta il giornalista
prima di partire con un ricercato rombo del motore.
“Esibizionista ed egoista”, si disse
Jellal, prendendo dalla tasca esterna della giacca il cellulare.
“Vediamo un
po’ cosa si può fare per questo taxi”.
Bip!
Rabbrividì:
quel suono preannunciava la sua
fine.
Chiuse gli occhi, certo di non voler
vedere la scritta apparsa sullo schermo del telefonino. Ma poi, dandosi
dello
sciocco, sbirciò la schermata e il suo timore si
concretizzò in un incubo.
Batteria
scarica
Ebbe solo il tempo
di leggere quelle
due parole, prima di vedere il display rabbuiarsi. Ora sì
che era finito.
Come sarebbe tornato a casa? Laxus lo
aveva abbandonato al suo triste destino, il cellulare era morto
esattamente nel
momento del bisogno e lo spiazzo in cui si trovava era buio e deserto.
Non c’era nessuno. Se ne erano andati
tutti.
“No, aspetta”.
L’attenzione di Jellal fu catturata
dalle finestre ancora illuminate del locale.
Cosa aveva detto Mirajane?
Erza,
chiudi tu.
Significava che c’era ancora una
persona all’interno. E che quindi, una volta chiesto il
permesso, avrebbe
potuto usare il telefono del night club.
Rinvigorito da quella speranza, Jellal
avanzò a passi rapidi verso l’ingresso ed
entrò. La sala era completamente
vuota, sebbene le luci fossero quasi tutte accese. Tavoli e sedie erano
stati
riordinati, così da essere già pronti per la sera
dopo.
-C’è nessuno?-.
Non una risposta.
Il giornalista si fece strada nel
locale, sorpassando il bancone del servizio alcolici e avvicinandosi al
palco.
Ora l’Amnesia aveva
assunto un
aspetto spettrale che per un secondo lo fece rabbrividire.
-C’è nessuno?-, ripeté, stavolta con
minor convinzione.
Il sipario era calato sui divertimenti
messi in mostra fino a un quarto d’ora prima; le tende
oscillavano appena.
E l’immaginazione prese il
sopravvento.
Jellal si figurò la scena che quella
sera non era avvenuta: una sorridente Scarlet avanzava nella sua
direzione
intonando una di quelle canzoni che sembravano essere state scritte
apposta per
lui. Non smetteva di fissarlo e finalmente l’uomo fu certo
che i suoi occhi si
rivolgessero davvero a lui, che non l’aveva soltanto sperato.
Poi le cortine si spostarono sul serio
e la fantasticheria si trasformò in un reale sogno a occhi
aperti.
Davanti a lui, sul palco, era di colpo
apparsa Scarlet.
La vera
Scarlet.
In
carne e ossa.
-Signore, serve
aiuto?-.
Jellal non rispose,
tanto era lo
shock. Ma se fosse stato in grado di pronunciare una frase di senso
compiuto,
sarebbe stato indeciso se chiederle di chiamare un cardiologo o un
bravo
psichiatra.
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Capitolo 3 *** Capitolo III ***
Capitolo
III
Jellal deglutì
un paio di volte, gli
occhi ancora sbarrati.
Non era possibile.
Doveva star sognando, non c’era altra
spiegazione.
-Signore?-.
La voce della ragazza lo fece
sussultare e tornare alla realtà. Il giornalista
sbatté le palpebre e si
stropicciò gli occhi, temendo ancora di avere le traveggole.
Dopotutto aveva bevuto del gin, quella
sera. E lui non era abituato ai super alcolici.
-Lei è… Miss Scarlet?-.
Non aveva idea di come avesse fatto a
trovare la forza per formulare quella domanda. Per tutta risposta, le
labbra
della giovane si schiusero in un sorriso che gli fece sciogliere il
cuore già
messo a dura prova dall’inaspettata apparizione.
-Erza. È questo il mio vero nome-.
Jellal continuò a fissarla, ammutolito
e sorpreso.
-E Scarlet è…?-.
-Il nome che utilizzo per le
esibizioni, sì. Ma è anche il mio cognome-.
Avanzò sul palco e Jellal arretrò di
qualche passo vedendola avvicinarsi. La ragazza saltò
giù dalla pedana e lo
raggiunse, passandosi stancamente una mano sulla fronte: -Lei invece
è un
nostro nuovo e affezionato cliente, se non sbaglio-.
L’uomo deglutì di nuovo a fatica,
prima di convincersi a tenderle una mano per le presentazioni: -Jellal
Fernandes-, le disse.
-È un piacere fare la sua conoscenza,
signor Fernandes. Mi dica, come posso aiutarla?-.
Completamente dimentico della
situazione in cui si trovava, Jellal non le aveva ancora esposto il suo
problema.
-Vede, signorina-, iniziò lui
titubante.
-Mi chiami semplicemente Erza-, lo
interruppe lei, rivolgendogli uno di quegli sguardi che lo mandavano
fuori di
testa.
-Vede, Erza… Stasera
sono venuto qui insieme a un amico, ma lui mi ha
piantato in asso per riaccompagnare una ragazza appena conosciuta.
Dovrei
chiamare un taxi, ma il mio cellulare ha avuto la brillante idea di
mancare nel
momento meno indicato e dunque mi domandavo se potessi effettuare una
chiamata
con il telefono del locale-.
-Non c’è alcun problema-, lo rassicurò
lei, -ma non credo che le convenga aspettare il taxi.
Impiegherà come minimo
un’ora prima di arrivare qui e io sto per chiudere il
locale. La zona in cui
ci troviamo non è il massimo e non me la sento di lasciare
solo un cliente-.
-Cosa mi consiglia di fare, allora?-,
chiese Jellal, sinceramente perplesso, ma contento che la ragazza si
stesse
preoccupando per lui.
-Lei vive a Magnolia o nei dintorni?-.
-Centro città-.
-Le andrebbe se le offrissi un
passaggio?-.
Il giornalista non poteva credere alle
proprie orecchie.
-Come, scusi?-.
-Come le ho già detto, non mi è
permesso mantenere il locale aperto ancora a lungo e quindi non potrei
aspettare con lei l’arrivo del taxi. Davvero, sarei felice di
poterla aiutare.
Sempre che per lei non sia disdicevole-.
Disdicevole? Era un sogno che si
realizzava!
-Erza, non mi fraintenda-, Jellal si
affrettò a spiegarsi. -Capisco le sue esigenze e non la
costringerei mai a
restare qui. Piuttosto, è davvero sicura che non le crei
disturbo
accompagnarmi? È già molto tardi e ho paura di
farle perdere altro tempo-.
-Ci mancherebbe!-, esclamò lei,
sorridendo di nuovo. -Se fosse un problema, non glielo avrei proposto,
no?-.
Il giornalista non seppe replicare.
-Mi faccia finire di mettere a posto
alcune cose sul retro e sono di nuovo da lei. Si sieda, intanto; non
vorrà
rimanere in piedi per tutto il tempo, giusto?-.
Erza gli fece l’occhiolino con fare
complice e uscì dalla sala attraverso una porta laterale,
sparendo così alla
vista dell’uomo, che intanto si era accomodato a un tavolo
nelle vicinanze.
Non riusciva ancora a crederci.
Era solo con Scarlet… No, con Erza.
E la giovane, al centro dei suoi
sogni nelle ultime tre notti, gli aveva appena offerto un passaggio.
Ammise che quella sembrava una scena
estratta da uno di quei film melensi che d’estate spopolavano
in televisione.
Film stracolmi di cliché da quattro soldi, ma che ottenevano
comunque
l’approvazione del pubblico femminile.
Sarebbe andata così? Anche la sua
storia avrebbe preso la stessa piega?
Per un attimo sperò di trovarsi
davvero in un’opera di fantasia al termine della quale
sarebbe riuscito a
conquistare la ragazza; ma quella era la dura realtà e
sembrava già abbastanza
irrealistico che Erza gli avesse autonomamente promesso uno strappo
fino in
città.
-Perdoni l’attesa-, si scusò la
ragazza una decina di minuti più tardi. Jellal
notò che si era cambiata – aveva
riposto l’abbigliamento usato dalle sue colleghe cameriere e
aveva indossato un
sobrio due pezzi composto di camicia e jeans – e si
alzò vedendola venirgli
incontro.
-Vogliamo andare?-, chiese lei,
precedendolo e tenendogli aperta la porta.
-Non dovrei essere io a comportarmi da
gentiluomo?-, le domandò Jellal, ostinandosi a cederle il
passo. -Mi sentirò
ulteriormente in debito con lei, se manterrà questa
cortesia-.
-Ha mai sentito di lavoratori che
maltrattano i propri clienti?-.
Il giornalista la fissò e lei gli
restituì un nuovo sorriso. Il viaggio in macchina si
preannunciava
incredibilmente lungo.
Non ricevendo alcuna risposta, Erza si
chiuse alle spalle la porta dell’Amnesia
e chiuse girando tre volte la chiave nella toppa. Poi
abbassò la serranda e
fece scattare il lucchetto posto come ulteriore protezione.
-Da questa parte-, disse ancora la
ragazza, accompagnando Jellal alla vettura.
Era un’automobile color argento a due
posti. Da quell’ultimo particolare il giornalista dedusse che
Erza dovesse
essere single o semplicemente fidanzata. Non escluse che la giovane
avesse
scelto una macchina di taglia ridotta per comodità
– o magari perché i parcheggi
in città non erano il suo forte – ma non ebbe
bisogno di pensarci su un secondo
di più prima di scartare quell’argomento come
pretesto per discutere un po’.
Notò anche un piccolo peluche appeso allo specchietto
retrovisore e una volta
in marcia decise di usarlo come spunto per rompere il silenzio.
-Un orsacchiotto-, finse di dire tra
sé e sé.
-Già-, annuì Erza, scalando la marcia
e facendo oscillare il pupazzetto con la punta dell’indice.
-L’ho preso con la
raccolta punti del carburante. Me ne erano rimasti una manciata e ho
deciso di
acquistarlo per non sprecare i bollini rimasti. Sa
com’è, sarebbero scaduti di
lì a qualche giorno…-.
“Perfetto”, pensò Jellal. “Ci
è
cascata in pieno. Così adesso so che non è stato
un uomo a regalarglielo”.
Sorrise sotto i baffi: se Laxus avesse
potuto vederlo e ascoltarlo, sarebbe stato fiero di lui.
-Non deve consumare molta benzina-,
osservò ancora il giornalista. -La macchina è
piccola e i chilometri che
separano Magnolia dal locale non sono tanti-.
-Ha ragione-, asserì Erza. -Avrei
tanto voluto un’auto più grande, ma i miei mi
hanno convinta a prenderne una di
modeste dimensioni. E ho fatto bene a seguire il loro consiglio;
dopotutto, mi
serve solo per brevi spostamenti e finché non
avrò una famiglia tutta mia non
avrò motivo di acquistarne una più spaziosa. Per
il momento mi godo la
libertà-.
E così Jellal aveva fatto il pieno di
informazioni. Su tutto, aveva scoperto senza troppe
difficoltà che la giovane
fosse single.
-Ma come?-, finse di stupirsi.
-Possibile che una ragazza come lei sia sola? Non dovrebbero esserci
frotte di
spasimanti pronti a bussare alla sua porta?-.
Quella sì che era spavalderia! Lui
stesso si chiese dove avesse trovato una tale dose di intraprendenza,
ma non
riuscì a darsi una risposta: era troppo attento ad ascoltare
quale sarebbe
stata la replica di Erza.
-Non è uno spasimante quello che
cerco, ma un uomo che mi sappia amare davvero-.
Jellal zittì, spiazzato. Probabilmente
la ragazza aveva capito il suo gioco. Si diede dello stupido per essere
stato
tanto sfrontato.
-Tu… Posso darti del tu, vero? Dare
del lei a una persona che viaggia nella mia auto mi fa uno strano
effetto-,
proseguì la donna.
Il giornalista annuì e Erza continuò:
-Perché non mi parli un po’ di te, adesso? Io non
ho molto altro da
raccontare-.
-Cosa le piacerebbe sapere?-.
-L’uso del tu deve essere reciproco-,
specificò lei. -Non credevo che dovessi puntualizzarlo-.
Jellal arrossì e di colpo tornò a
sentirsi profondamente a disagio. Una volta superata la fase di
approccio spudorato,
era finito di nuovo a comportarsi in modo timido.
-Hai qualche domanda in particolare?-,
le chiese.
-Che lavoro fai, per esempio. Se hai
una famiglia o se vivi da solo. Ma immagino che la realtà
dei fatti sia più
vicina a questa seconda opzione, altrimenti non saresti venuto
all’Amnesia-.
Evidentemente il giornalista non era
il solo a possedere uno spiccato spirito d’osservazione. Ma a
stupirlo non fu
tanto questo, quanto la spontaneità con cui Erza gli aveva
domandato della sua
vita sentimentale.
-Hai indovinato, ma solo in parte-, le
disse. -E comunque sono un giornalista-.
-Professione avventurosa-, commentò
lei, imboccando il casello autostradale che li avrebbe riportati in
città.
-Viaggi spesso?-.
-A dire la verità sono da poco tornato
dal Perù-. Ecco: infarcire di fantasia il racconto che si
apprestava a
riassumere poteva intrigarla e renderlo più interessante ai
suoi occhi.
-Ci sei stato con il tuo amico? Quello
che ti ha dato buca stasera?-.
Jellal si voltò e guardò con fare
stupito il suo profilo.
-Come fai a…?-.
-Intuito-, sorrise lei. -È un tuo
collaboratore?-.
-È il mio fotografo di fiducia. Ed è
il mio migliore amico-.
-Lo avevo immaginato-.
Diamine! Come faceva a ricavare tutte
quelle informazioni da una semplice occhiata? Ci sarebbe mancato solo
che
riuscisse a indovinare il nome di Laxus al primo tentativo.
-E quindi viaggi molto-, riprese Erza.
-Non ti stanca stare lontano dalla tua città natale?-.
-Al contrario. È liberatorio-.
-Ma una vita del genere non ti
permette di coltivare gli affetti, no?-.
Aveva centrato in pieno il problema.
-Sì-, confermò Jellal, -ma non ne
soffro poi così tanto-.
-Perché non hai ancora trovato la
persona giusta. Quando la incontrerai, ti accorgerai che è
la persona della tua
vita perché non vorrai mai lasciarla-.
Una maga, ecco cos’era. Una maga che
era stata capace di irretirlo con un solo sguardo. Jellal non avrebbe
mai avuto
il coraggio di dirle ciò che aveva provato per lei dalla
prima volta che
l’aveva vista, ma per rimanere vago e mantenere alto il suo
improvviso
interesse proferì un malinconico “Credo di averla
trovata, invece. Ma non sa
ancora che io sto vivendo solo per lei”.
Erza accelerò: il rettilineo
dell’autostrada si stendeva a perdita d’occhio
davanti a loro, illuminato solo
dai fari delle altre vetture.
-Allora perché sei venuto in un locale
come l’Amnesia, se quello
che cerchi
non è compagnia femminile?-.
Glielo aveva domandato con un tono che
Jellal non seppe decifrare. Era a metà tra
l’incuriosito e lo stizzito, ma non
aveva la più pallida idea del perché la ragazza
dovesse improvvisamente
avercela con lui.
-È una storia lunga da raccontare-, si
grattò la nuca il giornalista. Ora sì che sarebbe
sprofondato nella vergogna.
-C’è tempo-, lo invitò a continuare
Erza. -Ci vorranno almeno quaranta minuti per arrivare a Magnolia. Dai,
illuminami-.
Sì, era decisamente nervosa.
Jellal evitò accuratamente di
domandarle che cosa le stesse prendendo e si lanciò nel
resoconto. Le disse di
come Laxus lo aveva invitato per una serata tutta al maschile,
sottolineando il
fatto che le intenzioni dell’amico non gli erano state chiare
finché non si
erano fermati nel parcheggio del night club.
-Probabilmente non sarei mai entrato
in un posto simile, se fossi stato da solo-, ammise, chiudendo il
proprio
discorso.
-Facciamo i perbenisti, adesso?-, lo
prese in giro Erza, tornata a sorridere. Il giornalista si
domandò cosa fosse
stato a rasserenarla.
-Non è perbenismo-, replicò lui, -è
solo una scelta. Non critico chi frequenta locali notturni
così come non
biasimo chi ci lavora onestamente-.
-Significa che non sei uno di quelli
che etichettano una ragazza a partire dal mestiere che esercita?-.
-Ogni mestiere è dignitoso, se
onesto-.
Erza rimase in silenzio per una
manciata di secondi, prima di riprendere: -Usciresti mai con una
spogliarellista?-.
-Cosa?-.
-Mi piacerebbe se rispondessi-.
Ma da dove tirava fuori quelle
domande?
-Non lo so. Dipende da che tipo di
persona è-.
-Ma se tu non avessi avuto la
possibilità di conoscerla-, insistette Erza, -se
l’unica cosa che sapessi di
lei è che lavora in un night club… Usciresti con
lei?-.
Jellal aveva la netta sensazione che
la risposta a quella domanda fosse una lama a doppio taglio.
C’erano almeno tre
teorie che si stavano facendo strada nella sua testa e solo una lo
rassicurava.
Innanzitutto, la ragazza poteva aver
capito che anche lui, come Laxus, fosse un donnaiolo. D’altra
parte,
l’approccio diretto che aveva usato per estorcerle alcune
informazioni non
poteva averle fatto pensare altro.
Secondo: lo stava mettendo alla prova.
Era curiosa di sapere se sarebbe rimasto coerente o meno con
ciò che aveva
affermato poco prima.
Terzo: in realtà, come nei peggiori
film americani che aveva ricordato in precedenza, lei provava un certo
interesse nei suoi confronti e aveva paura di essere respinta solo in
base
all’apparenza. Doveva quindi accertarsi che lui non avesse
pregiudizi.
Jellal era praticamente certo che la
verità si trovasse a metà strada tra il primo e
il secondo punto, ma la vena
stupidamente romantica che con il tempo era cresciuta in lui si
ostinava a
illudersi che l’intento della ragazza fosse il terzo.
-Cercherei con tutte le forze di
conoscerla fuori dal lavoro-, rispose, provando a regolare il respiro
per non
tradire tutta la propria agitazione. -Le chiederei le circostanze per
cui è
finita a lavorare in un night club, se è felice o meno di
ciò che fa, se si
sente bene con se stessa. E ovviamente le domanderei dei suoi
interessi, di
cosa fa nel tempo libero… Domande di routine. Mi comporterei
come faccio di
fronte a una ragazza di cui non conosco nulla-.
Cadde il silenzio. L’unico rumore
percepibile all’interno dell’abitacolo era il
rumore ovattato del motore e, di
tanto in tanto, lo scatto del cambio di marcia.
Jellal guardò con la coda dell’occhio
Erza ed espirò silenziosamente: la risposta che le aveva
fornito doveva esserle
risultata gradita, perché – come si accorse in un
secondo momento – le rosse
labbra della ragazza erano tornate a distendersi in un sorriso
compiaciuto.
-Ti ho interrogato abbastanza-, gli
disse lei, rompendo il mutismo. -Puoi ricominciare a intervistarmi, se
ti va-.
Bene. Jellal si sarebbe finalmente
trovato nel proprio ambiente naturale.
-Da quanto lavori all’Amnesia?-,
si lanciò senza ulteriore
indugio.
-Due anni-.
-E hai cominciato a…?-.
-Non si chiede l’età a una donna!-,
esclamò lei, ridendo. -Ma solo perché sei tu, ti
rivelerò un segreto:
venticinque anni compiuti qualche mese fa-.
“Tre anni di differenza”, pensò
Jellal. “Non molti, dopotutto”.
-Come hai conosciuto il locale?-.
-È stata la mia amica Mirajane a
presentarmi il gestore, il signor Ichiya. Lei sapeva quanto avessi
bisogno di
soldi in quel momento: ero da poco andata a vivere da sola e mi
sostenevo con
alcune piccole commissioni. Ma la paga era troppo bassa e per un
momento ho
avuto paura che sarei dovuta tornare dai miei; così Mirajane
mi ha proposto di
fare un colloquio per avere un posto all’Amnesia.
Mi sono fidata perché mi aveva detto che lei stessa aveva
trovato un impiego-.
-E come ti sei trovata sul posto di
lavoro?-.
-Molto bene-, annuì Erza, sorpassando
due vetture e posizionandosi nella corsia più a sinistra.
-All’inizio ero un
po’ spaesata, ovviamente, ma le altre ragazze mi hanno fatto
sentire come a
casa. Soprattutto, mi hanno consigliato di non fare troppo caso agli
atteggiamenti del signor Ichiya: è uno di quegli uomini che
perde il senno non
appena vede passare un paio di gambe femminili, però ha un
gran cuore. Adora
scherzare con le proprie dipendenti, ma lo fa per metterci alla prova e
verificare
così come ci comporteremmo se un potenziale cliente tentasse
di avvicinarci con
cattive intenzioni-.
Jellal continuava a prendere appunti
mentalmente, senza perdersi una virgola della testimonianza della
ragazza. Si
voltò e la fissò con particolare
intensità quando lei parlò del gestore del
locale, ma strinse la lingua tra i denti per evitare di esprimere tutta
la sua
disapprovazione: il pensiero che un uomo di mezza età
cercasse di allungare le
mani su Erza gli dava alla testa.
-Sei felice del tuo lavoro?-, le
domandò.
-Ne sono abbastanza soddisfatta. Mi
diverte-.
-E cosa fai oltre a cantare?-.
-Mi impegno come cameriera nei giorni
in cui si esibisce qualcun’altra al mio posto. Proprio come
è successo
stasera-.
Perplesso, Jellal rifletté sul modo
migliore per porle la domanda successiva.
-Hai mai ballato una pole dance o
improvvisato uno spettacolo di burlesque?-.
Stavolta fu Erza a girarsi e a
osservarlo come se avesse detto qualcosa di inopportuno.
-Raramente-.
-Raramente cosa?-.
-Non amo particolarmente la pole
dance-, spiegò lei. -Mi sono esibita non più di
tre volte e solo perché
richiesto dal signor Ichiya. Sai, ero in prova per due settimane ed era
nel suo
interesse di imprenditore verificare che fossi duttile-.
-E il burlesque…?-.
-Mi sono sempre rifiutata di fare
spogliarelli-, disse con tono secco. -Non ho problemi a vestirmi in
modo
succinto, ma preferisco non ostentare inutilmente il mio corpo-.
Jellal tirò un silenzioso sospiro di
sollievo. Fino a quel momento aveva avuto paura che anche Erza fosse
disinibita
tanto quanto le altre colleghe, ma avere la conferma del contrario non
fece
altro che renderla ancor più diversa ai suoi occhi.
-Eppure molti frequentatori del locale
sembrano mangiarti con il solo sguardo-, le fece notare.
-Cosa vuoi dire?-.
-Che… Insomma, è tua abitudine
flirtare con il pubblico, no? Fa parte del copione che devi recitare-.
-In parte-, si limitò a ribattere
Erza.
Quella risposta così vaga non piacque
affatto a Jellal, che continuò: -E “in
parte” starebbe per…?-.
-Non tutti i clienti sono uguali.
Flirtare con chi ti guarda rientra nel gioco di seduzione che sta alla
base
dell’Amnesia, ma le mie
occhiate
variano a seconda di chi ho davanti-.
-E quando hai visto me?-.
Era una domanda rischiosa, Jellal ne
era ben cosciente. Pensò di essersi esposto troppo, ma non
se ne curò: aveva
bisogno della verità.
-Tu sei unico-.
Il giornalista inghiottì rumorosamente
un grumo di saliva.
-Sai-,
continuò Erza, -tra tutti gli occhi che mi fissavano, solo i
tuoi sembravano
eccitati, ma spaventati allo stesso tempo. Mi sei piaciuto per questo.
Di
solito i clienti del locale si fermano a contemplare le forme di chi si
esibisce e di tanto in tanto, oltre a fischiare, gettano qualche
spicciolo sul
bancone. Tu invece sei rimasto fermo al tuo posto, senza proferir
parola.
Sembravi paralizzato. Mi ha colpito il fatto che tu mi abbia guardato
negli
occhi per tutto il tempo. Spero di esserti piaciuta almeno un
po’-.
Jellal rimase inebetito. Fissò un
punto imprecisato di fronte a sé e ammutolì,
contorcendosi le mani per
l’agitazione.
Quello era davvero troppo.
Possibile che Erza fosse così
spontanea? Possibile che fosse rimasta davvero colpita dal
comportamento che
lui aveva tenuto? Eppure si erano visti solo in tre occasioni e non
avevano mai
parlato prima di quella sera… Dire che il giornalista si
sentisse confuso, ma
comunque entusiasta, era dir poco.
-Devo pensare che la mia esibizione ti
abbia shockato?-.
Erza stava sorridendo apertamente,
mentre usciva dall’autostrada e si immetteva sul raccordo
cittadino.
-Io… No, ma che dici?-, esclamò
Jellal. Ci mancava soltanto che la ragazza fraintendesse quel suo
momento di
silenzio. -Sei stata meravigliosa! Assolutamente stupenda-.
-Allora tornerai a trovarmi, qualche
volta?-.
Lui deglutì a vuoto, nuovamente in
cerca delle parole giuste.
-Se il lavoro me lo consentirà, verrò
a sentirti cantare. Hai una bella voce-.
“Hai
una bella voce. È tutto qui quello che sai
dire?”, pensò allo stesso tempo
Jellal. “Non dovresti forse dirle che ti è bastato
un suo sguardo per essere
soggiogato? Che le ultime tre sere…”
-Jellal, mi togli una curiosità?-.
Il giornalista fu distolto dalle
proprie riflessioni e annuì.
-Tutto quello che vuoi-.
-Prima mi hai detto che non saresti
mai entrato in un night club di tua spontanea volontà, tanto
che è stato il tuo
collega ad accompagnarti. Ma allora… Perché sei
tornato? Perché da solo,
intendo-.
“Questa donna è maledettamente
scaltra. E ciò me la fa piacere sempre di
più”.
-Perché la serata precedente si era
rivelata sorprendentemente piacevole e allora ho deciso di…-.
Si fermò. Stavano rientrando in centro
e di lì a poco sarebbe dovuto scendere dall’auto.
-Erza, fermati pure al prossimo
semaforo-, le disse. -Non impiegherò molto per arrivare a
casa-.
-Scherzi? Ormai sono qui, tanto vale
fare un servizio taxi completo. Piuttosto, dimmi dove e quando girare,
almeno
eviterò di sbagliare strada-.
“Spontanea. Sincera. Amichevole.
Passionale, almeno fino a prova contraria. Bella. Intelligente.
Simpatica. Dio,
è la donna perfetta. E tra dieci minuti dovrò
separarmi da lei”: era la lista
completa di tutti gli aggettivi che Jellal si era mentalmente appuntato
nel
corso del tragitto in auto. E adesso doveva prendere una decisione.
-Quindi mi stavi dicendo?-, lo esortò
a continuare Erza, mentre lui le indicava di svoltare a destra
all’incrocio
successivo. -Hai passato una bella serata con tua grande sorpresa e?
Cos’altro?-.
Diglielo.
No,
stai zitto.
Te
ne pentirai.
Ma
vi siete appena conosciuti.
Parlate
come se vi conosceste da una vita.
Lei
non ti vorrà. Mettitelo in testa.
Casa
tua è lì in fondo, la vedi? Se uscirai da
quest’auto senza averle detto niente,
te ne pentirai per sempre.
-C’eri tu-.
Di colpo aveva
scacciato tutte le voci
che si accavallavano nella sua testa, riprendendo il controllo della
situazione
– o almeno ci stava provando – e raccogliendo tutto
il coraggio di cui era in
possesso. Perché, diamine, un giornalista che non aveva
paura di affrontare i
più rischiosi viaggi per conto del proprio Direttore non
poteva temere di
parlare con una donna. Sì, quella donna era Erza, il suo Angelo Rosso, come l’aveva
chiamata Laxus, ma c’era poco da fare:
ormai aveva parlato. E lo aveva fatto proprio mentre la vettura si
accostava al
marciapiede e si fermava definitivamente.
-Jellal…-,
lo chiamò lei, voltandosi
lentamente. Le sue guance avevano preso colore e risaltavano ancor di
più
perché accarezzate dolcemente da quella fiammeggiante chioma
scarlatta.
-Non voglio farti
perdere altro
tempo-, la interruppe lui, rendendosi conto che quel comportamento
improvvisamente scortese non gli avrebbe di certo fatto guadagnare
punti. -Sul
serio, è tardi, e domani mattina…-.
Uno schiocco di
labbra gli impedì di
aggiungere altro.
Erza gli
rubò il resto del fiato con
un bacio su cui Jellal non avrebbe mai scommesso. Se solo tre giorni
prima
qualcuno gli avesse detto che avrebbe stretto tra le braccia la donna
dei suoi
sogni, non ci avrebbe creduto.
E in parte non
riusciva a
persuadersene nemmeno adesso, nonostante le loro bocche continuassero a
cercarsi per farli perdere l’uno nell’altra.
-Ora puoi andare-,
gli sussurrò Erza a
fior di labbra. -Non ti avrei mai permesso di andartene senza avere in
cambio
il giusto compenso per la mia gentilezza-.
Sorrisero entrambi
e si baciarono
ancora; improvvisamente Jellal aveva perso voglia di aprire lo
sportello e
tornarsene a casa.
-Fai in modo di
esserci, quando
tornerò all’Amnesia-, le disse lui,
accarezzandole i capelli e fissandola intensamente. -Non farmi
aspettare come è
successo stasera-.
-Non ti
è andata poi così male, no?-.
Erza aveva ragione.
Viaggiare con lei
in auto e chiudere la serata tra i baci più ardenti che
Jellal avesse mai
provato era stata una ricompensa che aveva ripagato tutta la precedente
attesa.
-Sarà
meglio che tu vada-, lo
incoraggiò, lasciandosi strappare un altro bacio.
-E se restassi con
me?-.
-Non oggi-,
esalò lei, mentre Jellal
affondava le mani tra i suoi capelli e ne inspirava il profumo.
-Questo tono di
voce mi ucciderà,
prima o poi-, le soffiò in un orecchio il giornalista.
-Allora lo
conserverò per la prossima
volta che ci vedremo-.
Rimasero stretti
per qualche altro
minuto ancora. Poi, come svegliandosi dal sogno in cui si era immerso,
Jellal
tornò alla realtà e uscì
dall’auto salutando Erza, che mise di nuovo in moto
l’auto.
La vide partire e
sparire dietro
l’angolo della strada. Sospirò felice mentre
recuperava dalle tasche le chiavi
di casa ed entrava nel condominio; se la vecchia Porlyusica, la vicina
con cui
condivideva il pianerottolo, lo avesse visto in quel momento, avrebbe
notato i
suoi occhi brillare di gioia nell’oscurità.
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Capitolo 4 *** Capitolo IV ***
Capitolo IV
Spossato.
Ecco quale era la parola che
meglio avrebbe definito il suo stato fisico.
Si stropicciò gli occhi e mise
lentamente a fuoco la propria stanza. Un sorriso gli distese le labbra
non
appena ripensò agli eventi della sera prima, ma la
contentezza sparì dal suo
viso quando spiò la sveglia sul comodino e si accorse di
essere in ritardo per
il lavoro.
“Non il secondo giorno dopo la
promozione!”, pensò, scattando immediatamente in
piedi e preparandosi per
uscire. Afferrò al volo una fetta biscottata dal pacchetto
rimasto aperto nella
credenza – si rese conto che nel frattempo aveva assunto la
stessa consistenza
della plastica – e salì in macchina, sperando di
non rimanere imbottigliato nel
traffico cittadino.
Mezz’ora dopo era in ufficio. Salì le
due rampe di scale che portavano ai piani alti ed entrò
sorridendo nel suo
nuovo reparto, ostentando una sicurezza probabilmente fuori luogo per
chi si
era presentato con quindici minuti di ritardo.
-Ben svegliato-, lo accolse
ironicamente la caporedattrice Ultear Milkovich, seduta nel suo studio
e
intenta a scrivere qualcosa sul proprio PC.
-Il traffico…-, provò a giustificarsi
lui, sebbene non fosse stato la vera causa della sua mancata
puntualità.
-Certo, certo-, fece finta di
ascoltarlo lei. -Benvenuto nella tua nuova stanza, comunque-.
-Grazie. Ti dispiace se inizio a
spostare qui le mie cose? Makarov mi ha detto di liberare
l’altro studio il
prima possibile-.
-Fa’ pure. Non mi disturbi affatto, se
è questo che temi-.
Nonostante la collega mantenesse un
tono di voce distaccato e severo, Jellal si sentì
parzialmente rassicurato e
passò l’ora successiva a correre da una stanza
all’altra per portare tutto il
materiale di cui aveva bisogno nell’ufficio che ora
condivideva con Ultear.
-Ah, a proposito…-, lo fermò, mentre
lui era intento a catalogare alcuni fascicoli nei cassetti della
scrivania.
-Sì?-.
-Abbiamo una riunione con i redattori
dell’Attualità, oggi pomeriggio. Inizieremo alle
tre-.
-Bene-.
-Ci sarà anche Makarov, visto che ti
ha promosso-.
-D’accordo-.
-E sarebbe opportuno che tu
presentassi qualche idea per migliorare la sezione. Il Direttore non ti
ha
trasferito qui proprio per questo?-.
Jellal annuì.
-Non preoccuparti, ho già pensato ad
alcune proposte da avanzare. Spero che deciderai di appoggiarmi,
Ultear-.
La donna alzò le spalle: -Solo se le
tue saranno idee veramente brillanti-.
-Non ti deluderò-.
***
-E
con questo possiamo dire conclusa
l’assemblea. Da domani la sezione si rinnoverà
completamente, perciò auguro a
tutti voi buon lavoro e auspico buona fortuna soprattutto al nuovo
caporedattore, Jellal Fernandes. È tutto-.
I quindici giornalisti chiamati a
raccolta sciamarono fuori dalla stanza non appena Makarov li ebbe
congedati.
Gli ultimi a uscire furono proprio il Direttore, Jellal e Ultear.
-Enfatizzare il bisogno di
collaborazione è stato essenziale-, Makarov si
complimentò con entrambi i
sottoposti. -Questo reparto è pieno di gente pronta a dire
la sua, ma nessuno è
mai disposto ad aiutare altri all’infuori di se stesso. Spero
proprio che tu
riesca a cambiare le cose, Fernandes-.
-Me ne assicurerò personalmente,
Direttore. Io e Ultear riporteremo allo splendore
l’Attualità e il Fairy
Magazine tornerà in vetta agli indici di vendita-.
-Ottimo, ottimo. Non mi aspetto altro
da due professionisti del vostro calibro-.
Makarov li salutò con entusiasmo e i
due si diressero verso l’ufficio.
-Sappi che ti terrò comunque d’occhio,
Jellal-, gli disse la collega. -Sono dodici anni che lavoro in questa
sezione e
non lascerò che tu mi faccia le scarpe. Sono stata chiara?-.
-Ultear, non ce l’avrai ancora con me
per…?-.
-Non provare a mischiare le faccende
private con quelle che riguardano il lavoro-, sbottò lei,
risentita.
-Ma se sei stata tu a dire di non
voler più avere niente a che fare con me!-.
-Non rivangare il passato, d’accordo?
Pensi che sia felice di aver saputo che collaborerai fianco a fianco
con me?
Ah, Makarov non poteva avere un’idea peggiore!-.
-Ultear, quello che c’è stato tra di
noi non influenzerà il mio modo di lavorare così
come tu non dovresti
preoccupartene. Dio, comportiamoci da adulti e finiamola con questa
guerra
fredda! Siamo colleghi, no? Cos’è che abbiamo
appena detto agli altri? Collaborazione.
E tu cosa fai? Mi
prometti battaglia? Andiamo, non continuare a…-.
-Oh oh, che sorpresa! La coppia più
bella della redazione è finalmente tra noi!-.
Un sorridente Laxus aveva appena fatto
il suo ingresso nel reparto, avvicinandosi a passo svelto verso i due
colleghi
e interrompendo la loro conversazione.
-Torno allo studio-, sibilò con
freddezza Ultear, lanciando un’occhiata glaciale al
fotografo. -Non voglio
essere disturbata-.
E detto questo, girò sui tacchi e
riparò nella propria stanza, lasciando Dreyar e Fernandes a
fissarsi
reciprocamente.
-Che le è preso, adesso?-, domandò
Laxus.
-Lascia perdere. È una lunga storia-.
Jellal sospirò e si passò una mano sul
viso, stanco.
-Non hai voglia di parlare un po’ con
il tuo amico?-.
-Laxus, non adesso…-.
-E non mi chiedi cosa ho fatto ieri
sera?-.
Di colpo il giornalista si illuminò.
Guardò il collega ed esaminò attentamente la sua
espressione da perfetto dongiovanni.
-Dimmi che non c’entra quella ragazza,
Mirajane-.
-Cosa te lo fa pensare?-, sorrise
Laxus, sfregandosi le mani in un modo che a Jellal non piacque per
niente.
-Dimmi che non hai fatto ciò che
temo-.
-Oh, come sei prevenuto!-, lo prese in
giro l’altro. -Sono un gentiluomo, non un maniaco-.
-Sì…-.
-Non ti sento troppo convinto-.
-Non lo sono-.
-Be’, allora sta’ a sentire: indovina
chi è riuscito a ottenere un vero
appuntamento con Mirajane Strauss?-.
Strauss? Adesso sapeva anche il suo
cognome?
-Non ci credo-, scosse la testa
Jellal. -Ti sei davvero comportato come un uomo normale? Nessun
atteggiamento
da pervertito?-.
-Fernandes, pensi davvero che io non
abbia un cuore?-.
-È quello che ne potrebbe dedurre chi
ti conosce da una vita come me-.
-Ma stavolta è diverso-, disse con
convinzione Laxus. -Stavolta potrebbe essere sul serio la ragazza
giusta. Ecco
perché non mi sono spinto oltre. Voglio dire, già
il fatto di averle dato un
passaggio fino a casa non è un qualcosa che capita tutti i
giorni, no? A
proposito di casa… A che ora è arrivato il tuo
taxi?-.
-Quale taxi?-.
Il fotografo lo guardò con aria
impassibile: -Mi prendi in giro?-.
-Ah, il taxi!-, esclamò
un secondo dopo Jellal, reagendo in un modo che
lui stesso ritenne esagerato. -Sì, sì…
Ci ha impiegato un’oretta, ma sono
tornato sano e salvo. Altrimenti non sarei qui a parlarne, no?-.
Sorrise, ma immaginò che il collega
non si fosse bevuto quel racconto di terz’ordine inventato
sul momento.
-No, certo. Non saresti qui a
parlarne-.
-Già-.
-Hai impegni per questa sera?-.
-Sono libero-.
-Non è che ti andrebbe di venire con
me? Sai, l’appuntamento con Mirajane è per
domenica, ma non mi dispiacerebbe
affatto vederla prima…-.
Jellal sospirò: -Va bene-, finse un
tono arrendevole. -Se ti senti così insicuro da aver bisogno
della mia
compagnia…-.
-Guarda che lo faccio anche per te!-,
si schermì il fotografo. -Sbaglio o hai aspettato invano che
cantasse il tuo
Angelo Rosso?-.
Jellal fece fatica a reprimere una
risata: se Laxus avesse saputo come erano andate realmente le cose,
forse non
gli avrebbe neanche proposto di fare una visita all’Amnesia.
-Sì, sì, hai proprio ragione-. Ma
quanto poteva risultare scherzosa la sua voce?
-Allora ti va bene? Vieni con me?-.
-Solo se non mi dai buca come ieri-,
lo provocò Jellal, sperando però intimamente che
Laxus non gli desse retta.
-Tranquillo, ti restituirò il favore-.
***
La serata si concluse tra
le risate
generali dei due uomini. Laxus non si lasciò sfuggire
nessuna occasione per
scambiare qualche parola con Mirajane, evidentemente felice di
rivederlo di
nuovo al locale, e Jellal si beò ancora della stupenda voce
di Erza. Era tutto
perfetto.
-Sembra che ce
l’abbia proprio con
te-, gli sussurrò a un orecchio il fotografo mentre la
ragazza si esibiva. -Mi
sembrava che l’altra volta ammiccasse anche al resto del
pubblico, ma oggi… Non
fa che guardare nella nostra direzione-.
-Ah ah-.
-Sta puntando me,
è chiaro-, rise
Laxus, con Jellal che gli dava uno schiaffo sulla mano destra.
-Smettila di
provocare e dacci un
taglio con tutto questo alcol! Sei già al terzo cocktail e
siamo arrivati da
appena un’ora-.
-Amico, sono
felice. E quando sono
felice, festeggio. Cosa c’è di meglio che essere
qui, insieme alla ragazza che
mi piace e al mio migliore amico?-.
-Devo risponderti?-.
-Domande retoriche
a parte-, continuò
a ruota libera Laxus, -sarebbe davvero grandioso se anche tu trovassi
la donna
giusta. Perché non ci provi con la cantante? Posso chiedere
a Mirajane di
presentartela, se vuoi-.
-No davvero-, disse
Jellal. -Non mi
pare proprio il caso-.
-Ma sì
che lo è! Appena si avvicina…
Ehi, Mira!-.
La ragazza, intenta
a servire dei
cocktail appena shakerati, si congedò dai clienti e si
diresse al loro tavolo.
-Laxus, sono
contenta che tu sia qui,
ma devo anche lavorare, capisci? E hai bevuto troppo…-.
-Non ti ho chiamata
per me-, le spiegò
il fotografo, -ma per Jellal-.
-Il tuo amico? Ti
serve qualcosa?-,
domandò lei, rivolgendosi al giornalista.
-Non dargli
ascolto, è ubriaco-.
-Sono ancora
sobrio, per il momento!-,
ruggì Laxus. -Sei tu a non aver ingerito abbastanza alcol:
se lo avessi fatto,
saresti già andato a parlare con l’Angelo Rosso-.
-L’Angelo
Rosso?-, ripeté Mirajane,
confusa.
-Intende Scarlet-,
disse Jellal. -Ma
davvero, non dargli retta…-.
-Potresti
presentargliela? È venuto
con me stasera solo per vedere lei… È cotto a
puntino, non ti pare?-.
-Laxus,
sta’ zitto!-.
-Dai, è
palese! Non guardi
nessun’altra ragazza… E bevi solo quando finisce
la sua esibizione… Mira, per
favore, falli conoscere. Sono sicuro che l’Angelo Rosso non
si tirerà indietro,
quando vedrà il mio amico-.
-Jellal, per me non
c’è alcun
problema. Se vuoi, posso far venire Scarlet qui al tavolo-, disse la
cameriera,
sorridendogli benevola.
-No,
tranquilla…-.
-Non mi ci
vorrà tanto-.
-Sentito? Cinque
minuti e Mira sarà di
nuovo qui con… Come hai detto che si chiama? Scarlet?-, fece
Laxus, cercando di
far gocciolare dal bicchiere l’ultima stilla di alcol
depositata sul fondo.
-Vado a chiamarla-,
annunciò la
ragazza, allontanandosi verso il dietro le quinte tra le suppliche di
Jellal e
gli incitamenti del fotografo.
-E vedi di mettere
in pratica le
tecniche che ti ho insegnato-, si raccomandò Laxus. -Questa
è la tua grande
occasione. Devi fare colpo, capisci? Devi fare in modo che si ricordi
di te.
Soltanto così avrai qualche speranza di successo. Io ti
aiuterò il più possibile,
certo; ti accompagnerò qui anche tutte le sere, se
basterà a…-.
Ma Jellal non lo
stava ascoltando.
Mirajane stava tornando indietro e alle sue spalle, stretta in un
ammaliante
tubino verde, c’era Erza.
-Signori, vi
presento la stella dell’Amnesia, la nostra Scarlet-, disse
la
ragazza, mentre l’amica si poneva proprio di fronte a Jellal.
-Scarlet, loro
sono due nostri nuovi clienti. È la terza sera che ci
vengono a far visita e…-.
-Mira mi ha detto
che c’è qualcuno che
ha desiderio di conoscermi-, la interruppe Erza, scrutando i volti dei
due
uomini che aveva davanti. -Posso sedere al tavolo con voi?-.
-Si
accomodi, Miss Scarlet!-, l’accolse Laxus,
mentre Mirajane correva a prendere una sedia e la poneva accanto a
Jellal. -Sì,
sì, è esatto: il mio amico, qui, non fa che
parlare di lei da due giorni-.
-Ma davvero?-, si
finse stupita lei.
Nel frattempo il giornalista, mai in imbarazzo come in quel momento,
mollava
sotto al tavolo un calcio al collega.
-È
rimasto abbagliato dalla sua
bellezza, sa? Per non parlare della sua voce: mi ha costretto a venire
qui,
stasera, perché ieri non ha assistito alla sua esibizione e
se ne è crucciato
parecchio-.
-Lo immagino-.
Erza sorrideva,
seriamente divertita.
Jellal avrebbe tanto voluto urlare a Laxus di stare zitto, ma se lo
avesse
fatto avrebbe anche corso il rischio di svelare cosa era successo il
giorno
prima.
-Be’,
di’ qualcosa, no? Miss Scarlet è
venuta qui per te; non farle perdere tempo!-.
“L’unica
cosa che sto perdendo è la
pazienza”, pensò Jellal. “E di certo non
per colpa di Erza”.
-Il suo amico mi
sembra un po’ a
disagio-, notò la cantante. -Forse mi immaginava diversa,
guardandomi da
lontano-.
-Al contrario-.
Stavolta il
giornalista era intervenuto
prima che Laxus potesse di nuovo prendere la parola. Bevve un sorso di
ciò che
rimaneva del suo cocktail e si raschiò la gola, cercando di
riprendere possesso
di un tono di voce normale: -Lei è esattamente come credevo
che fosse-.
-Mi dica-, lo
invitò Erza. Gli stava
reggendo il gioco perché si era resa conto che Laxus non
sapesse nulla, ma
d’altro canto voleva sentire ciò che Jellal le
avrebbe detto.
-È un
sogno che diventa realtà. È un
vortice di energia che ti risucchia al suo interno e da cui non puoi
scappare
neanche se lo volessi. È un labirinto in cui un uomo
desidererebbe perdersi e
non tornare più indietro. I suoi occhi sono magnetici, le
sue labbra
irretiscono; e i
suoi capelli sono come
una fiamma in cui mi lancerei senza paura di bruciarmi. Perché nessuno
ha
davvero idea di quanto lei sia splendida-.
Laxus era rimasto a
bocca aperta,
guardando ora il collega ora la cantante.
Dopo un intenso
minuto passato a
fissarsi reciprocamente, Erza domandò: -Lei si chiama
Jellal, giusto?-.
-Sì-.
-Mira mi ha detto
il suo nome. E lei
deve essere Laxus, vero?-.
Il fotografo
annuì, ancora sotto
shock.
-Ha una penna?-,
chiese ancora la
ragazza.
Laxus si
tastò inebetito la giacca e
tirò fuori dal taschino interno una biro nera che porse alla
cantante.
-La ringrazio-, gli
disse Scarlet.
-Tornando a lei, Jellal…-.
Prese un tovagliolo
di carta dal portatovaglioli
posto al centro del tavolo e vi scrisse sopra una serie di numeri, poi
poggiò
la penna e sventolò la salvietta sotto il naso del
giornalista: -Questo è il mio
telefono. Si senta libero di chiamarmi in qualsiasi momento. E sappia
che mi
deve un appuntamento-.
Gli
schioccò un bacio sulla fronte,
lasciandogli il segno evidente del suo rossetto, e tornò
dietro le quinte sotto
gli sguardi attoniti dei clienti seduti ai tavoli vicini al loro.
-Spiegami cosa
è appena successo-,
mormorò Laxus.
-Non chiederlo a
me-, replicò il
collega.
Fissò il
numero e lo lesse parecchie
volte, sicuro che non lo avrebbe dimenticato facilmente. Poi
guardò il
fotografo.
-Il suo cellulare-,
fiatò lui, -hai
avuto il suo
cellulare.
Come
accidenti ci sei riuscito?-.
-Ho imparato dal
miglior maestro,
no?-, sorrise Jellal, strappando una risata all’amico.
Ma dentro di
sé aveva già pronto il
piano di azione e la mossa successiva gli era stata appena suggerita
dalla
diretta interessata.
Erza aveva acconsentito a
uscire con
lui come una coppia qualsiasi.
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Capitolo 5 *** Capitolo V ***
Capitolo
V
I
due mesi successivi furono i più
belli che Jellal avesse mai vissuto.
Lui e Erza facevano ormai coppia fissa
e in qualche occasione il giornalista aveva addirittura acconsentito a
un’uscita a quattro insieme a Laxus e Mirajane.
L’unica condizione che aveva dettato
era stata “Non all’Amnesia”.
Di certo non era quello il locale in
cui avrebbe portato Erza, così come Laxus aveva da qualche
tempo smesso di
frequentare il night club.
-Mira mi farà rimettere la testa a
posto-, aveva detto un giorno a Jellal.
-E tu che credevi che il fidanzato di
Levy McGarden fosse un cliente abituale dei locali notturni!-.
-D’accordo, d’accordo; mi ero
sbagliato-.
-Wow, abbiamo finalmente trovato
qualcosa che ti fa ammettere i tuoi errori-.
-Sarebbe?-.
-L’amore-, lo aveva preso in giro il
giornalista, che aveva dovuto sopportare per i cinque minuti successivi
le
proteste di Laxus, desideroso di ribadire che in lui nulla fosse
davvero
cambiato.
Ma a Jellal importava poco di quello
che diceva l’amico: la realtà era che la vita di
entrambi aveva subito una
piccola rivoluzione e le cose sembravano volgere sempre al meglio.
Sul posto di lavoro, dopo la promozione,
lui aveva costretto Ultear a lasciarsi il passato alle spalle e
Laxus… Laxus
era ancora in attesa che Makarov si decidesse almeno ad aumentargli lo
stipendio, ma era comunque soddisfatto del proprio operato. Sebbene
Jellal
fosse diventato caporedattore, la collaborazione con il fotografo era
stretta
più che mai, anche se, rispetto a prima, ora il giornalista
non doveva più
viaggiare tanto e spesso. Ciò era un bene, perché
poteva gestire serenamente la
propria relazione con Erza; eppure non gli sarebbe dispiaciuto lasciare
Magnolia per qualche giorno, fosse stato anche solo per un reportage a
Crocus o
a Clover Town.
L’occasione gli si presentò quando il
Direttore gli commissionò uno speciale su Galuna, la piccola
isola considerata
perla del Mare Meridionale. Settembre era ormai alle porte e Makarov
gli spiegò
che sarebbe stato bello avere un resoconto della appena trascorsa
stagione
estiva. Essendo Jellal a capo della sezione
d’Attualità, chi meglio di lui
avrebbe potuto gestire le interviste ai gestori dei numerosi e lussuosi
stabilimenti balneari che costellavano le spiagge dell’isola?
-Quanto tempo starai fuori casa?-, gli
chiese per prima cosa Erza, quando lui la informò.
-Non più di una settimana-.
-Vai da solo?-.
-Veramente saremo in tre. Oltre a me e
Laxus, verrà anche Lluvia, la praticante. Il Direttore pensa
che questa
esperienza le farà bene e io sono d’accordo con
lui-.
-Promettimi che ti comporterai bene-,
si raccomandò la ragazza, canzonandolo un po’.
-Avrò un premio, se farò il bravo?-, rise
Jellal.
-Uhm, chissà. Sarà una sorpresa-.
E baciandosi con trasporto si salutarono,
entrambi desiderosi che quei sette giorni passassero alla svelta.
***
-Le
foto di Dreyar sono impeccabili
come al solito. Avete qualche idea su come approcciare la tematica?-.
-Io e Lluvia ci stiamo già lavorando.
Non è vero?-.
La praticante annuì in silenzio, senza
avere la forza di guardare negli occhi Makarov.
-Bene. Pensate di riuscire a terminare
il pezzo entro giovedì sera? Il venerdì
normalmente è dedicato alle notizie
d’ambito economico e sarebbe magnifico se in prima pagina
proponessimo il
vostro reportage-.
-Consegneremo il giorno stesso della
scadenza: ci divideremo il lavoro e riassembleremo il tutto in sede di
stampa.
O preferisce controllare prima della pubblicazione?-.
-È mio dovere farlo-, asserì Makarov.
-Questo articolo deciderà il futuro della signorina Lockser
e dunque è bene che
legga il risultato finale, prima di mandarlo in stampa-.
-Come desidera, Direttore-.
-Andate, adesso. Avete altri tre giorni
per finire il pezzo-.
Il superiore li congedò e Jellal si
richiuse la porta alle spalle. Al suo fianco, Lluvia tremava come una
foglia.
-Che succede?-, le domandò lui.
-L-Lluvia ha paura-, balbettò la
giovane.
-Paura? E di cosa?-.
-Lluvia non vuole sbagliare. Lluvia
desidera davvero avere questo lavoro e continuare a collaborare con
Gray-.
-Sta’ tranquilla-, la rassicurò
Jellal. -Il Direttore ti ha affidata a me proprio perché si
è reso conto delle
tue grandi potenzialità. Scriveremo il miglior articolo che
sia mai stato
pubblicato sul Fairy Magazine, d’accordo? E a quel punto non
solo sarai assunta
a tempo indeterminato, ma diventerai tu stessa una reporter di
prim’ordine. Sai
questo che significa?-.
La praticante scosse la testa e tirò
su con il naso.
-Che avrai bisogno di un fotografo che
ti segua ovunque tu vada. E Gray sarà la scelta migliore,
visto che è stato
reclutato da poco. Diventerete un duo formidabile. Ma non provate a
battere me
e Laxus, perché non ci riuscirete mai-, la prese in giro
Jellal, mettendole un
braccio intorno alle spalle e scuotendola un po’.
-Credi sul serio che il talento di
Lluvia sboccerà?-.
-Ma certo!-.
-E Gray accetterà di lavorare con una
praticante?-.
-Ascolta-, le disse ancora Jellal.
-Sai cosa mi ha detto Gray due mesi fa, quando pensava di aver perso le
foto
scattate sulle Alpi?-.
La ragazza scosse di nuovo la testa.
-Mi ha detto che avrei dovuto aiutarvi
per il tuo bene. Perché se non aveste consegnato
l’articolo in tempo, Makarov
ti avrebbe detto di andare via. Avrei anche potuto rifiutare di darvi
una mano,
ma non l’ho fatto. E questo perché negli occhi di
Gray si leggeva quanto
tenesse a te. Era davvero furioso; non tanto per il fatto che il suo
lavoro
sembrava essere stato inutile, ma perché tu stavi correndo
un grosso rischio.
Quindi dammi retta: impegnati a fondo in questo pezzo e poi potrai
chiedere al
Direttore di essere affiancata a Gray. Sono sicuro che anche lui ne
sarà
felice-.
Lo sguardo di Lluvia si illuminò poco
a poco. Infine, tanta era la gioia, abbracciò Jellal,
ringraziandolo per tutto
quello che le aveva detto.
-Ora rimettiamoci al lavoro-, il
giornalista riprese il controllo della situazione. -Io mi
occuperò delle
interviste, tu del contesto. Mi raccomando, tieni sempre sottomano gli
appunti
presi durante il viaggio e i grafici che ho stampato stamattina: ti
serviranno
per annotare le percentuali esatte dei rendimenti degli stabilimenti-.
La ragazza annuì con un convinto cenno
della testa.
-Torno nel mio ufficio. Se hai bisogno
di aiuto, vieni a chiamarmi-.
E detto questo si separarono, ognuno
rivolgendo il pensiero al proprio compito.
***
Alle
cinque di quel pomeriggio, contro
ogni previsione, era rientrato a casa.
In realtà lui ed i suoi colleghi erano
stati praticamente cacciati dagli uffici a causa di un controllo
imposto dal
Comune. Per verificare la sicurezza
dell’edificio, come avevano spiegato gli addetti ai
lavori, portandosi
dietro rilevatori che Jellal non aveva mai visto prima e strumenti di
cui era
impossibile capire la funzione a una prima occhiata.
Entrò nell’appartamento e si diresse
immediatamente in camera da letto, deciso a continuare la sua parte per
l’articolo commissionato da Makarov. Accese il portatile,
lasciato in bella
vista sul comodino, e sedette sul letto, poggiandosi il computer sulle
ginocchia;
aspettò che le icone sul desktop si caricassero e
inserì la chiavetta USB in
una delle tre porte sul lato destro del PC, aprendo il file che gli
interessava
e rileggendo ciò che aveva scritto in ufficio.
L’anno
scorso la stagione è stata magnifica, ma quella appena
passata ha battuto ogni
record: più di trecentomila bagnanti hanno scelto le nostre
spiagge per
riprendersi dalle fatiche lavorative. La maggior parte dei clienti
è
rappresentata da famiglie, piccole o grandi che siano, ma è
cresciuto anche il
numero dei single che decidono di andare in vacanza senza la compagnia
degli
amici. Gli affari non sarebbero potuti andare meglio: le spiagge sono
state
affollate perfino nei giorni in cui si è fatta sentire la
pioggia. Dal punto di
vista delle attività ricreative, offriamo servizi illimitati
e per tutte le
fasce d’età, ma la nostra priorità
rimane il benessere dei bambini: abbiamo uno
staff di professionisti che lavorano abitualmente con |
Jellal
sentì il cellulare squillare.
Lo recuperò dal comò – lo aveva
appoggiato lì non appena aveva fatto ingresso
nella stanza – e lesse il nome apparso sul display con un
sorriso.
-Erza-, salutò l’interlocutrice,
-tutto bene?-.
*Ieri non ti sei fatto sentire, ma ho
saputo da Mirajane che eravate tornati. Potevi chiamarmi…*
-Ero stanco morto-, ammise lui,
grattandosi nervosamente la nuca. -Mi sono addormentato sul divano non
appena
ho acceso il televisore-.
*E io non me la sono sentita di
disturbarti, visto che ho ricevuto la notizia a mezzanotte passata*
-Non preoccuparti-, la rassicurò. -Ti
avrei telefonato già stamattina, ma Makarov non mi ha dato
un attimo di
respiro-.
*Capisco. Quando torni a casa? Ho
voglia di rivederti*
-A dire la verità ci sono già-.
*Come?*
-Problemi logistici in ufficio. Ce ne
siamo dovuti andare tutti-.
*Hai da fare?*
-Stavo giusto continuando l’articolo
condiviso con Lluvia. Per il resto, non ho altri impegni-.
*Ti disturbo se vengo da te? Volevo
farti sentire una cosa in anteprima*
-Cosa?-, chiese curioso Jellal.
*Dimmi solo se posso venire*
-Ma certo! Quando vuoi-.
*Allora aspettami. Tra tre quarti
d’ora sarò lì, promesso*
-Va bene. Non mi muovo-.
*Jellal?*
-Uhm?-.
*Ti amo*
Senza che il giornalista potesse
replicare, Erza chiuse la chiamata, lasciandolo ancora in linea.
“Chissà cosa le è preso,
stavolta”, si
domandò lui, poggiando il telefono sul comodino e
riprendendo a scrivere
indisturbato.
***
Alle
sei e mezza il trillo del
citofono lo costrinse ad abbandonare una seconda volta
l’articolo – che aveva
ormai abbondantemente superato le tre pagine – e a correre
alla porta.
-Un attimo!-, gridò, avvicinandosi
all’ingresso e aprendo.
Erza gli si buttò tra le braccia
l’istante successivo, lasciando cadere a terra una maxi borsa
dall’aria
estremamente pesante. Lo baciò come lei sola sapeva fare e
lo lasciò senza
fiato, sorridendo felice.
-Mi sei mancato-, gli disse,
affondando il viso nel suo petto. -Com’era Galuna?-.
-Bella, ma non tanto quanto lo sarebbe
stata se ci fossi stata anche tu-.
La ragazza gli schioccò un secondo
bacio sulla guancia: -Sei naturalmente portato a lusingare tutte le
donne che
frequenti?-.
-Solo te-, le rispose, cullandola tra
le proprie braccia. -Allora… Cos’è che
mi volevi far sentire?-.
-Questo CD-, disse lei, raccogliendo
la borsa e mostrandogli un disco che aveva tutta l’aria di
essere stato
masterizzato.
Jellal lo prese e se lo rigirò tra le
mani, perplesso: -Cos’è?-.
-C’è della musica che ho trovato su
Internet. Voglio un tuo consiglio, se non ti dispiace-.
-Assolutamente no. Piuttosto, a cosa
ti serve il mio parere?-.
-È per lavoro-, spiegò lei,
dirigendosi in salotto. -Hai un impermeabile?-.
-Scherzi?-.
-Niente affatto. Ce l’hai o no?-.
-Ma certo-.
-Potresti andare a prendermelo,
allora? Fa parte dell’esibizione-.
-OK-.
-Questo stereo funziona?-, domandò
ancora Erza, indicando un vecchio apparecchio sistemato su un ripiano
accanto
al televisore.
-Dovrebbe. Non lo uso da parecchio, ma
credo che faccia al caso tuo-.
-Perfetto. Uhm, c’è ancora qualcosa da
sistemare, qui…-.
Jellal la lasciò mormorare tra sé e sé
e andò a recuperare l’impermeabile che gli era
stato richiesto. Aprì l’armadio
nella propria stanza, si barcamenò tra stampelle e pantaloni
piegati alla
bell’e meglio e finalmente tornò in salotto.
-Tieni-, le disse, porgendole
l’impermeabile dal colore indefinito: era a metà
strada tra il beige e il
grigio. Il giornalista non avrebbe saputo dire che razza di
tonalità fosse.
-Grazie-, rispose Erza, che ne
frattempo aveva abbassato le serrande delle finestre, lasciando la
stanza nella
penombra.
-Ora posso ascoltare il tuo CD o…?-.
-Non ancora-, lo bloccò la ragazza.
-Dammi solo un secondo. Siediti sul divano, intanto: devo simulare
un’esibizione e l’atmosfera deve essere simile a
quella dell’Amnesia-.
-Va bene-, disse Jellal, esibendo un
tono di voce esitante e guardando la giovane uscire dalla stanza
trascinandosi
dietro la borsa. Sentì una serratura scattare e
capì che doveva essersi chiusa
in bagno.
“C’è qualcosa che non va”,
pensò
preoccupato. Vedere Erza comportarsi in quel modo lo agitava un
po’. “Deve
avere in mente chissà cosa… Spero solo che non
sia niente di particolarmente… Esagerato,
ecco. Se dovesse essere troppo
provocante, le dirò sinceramente
di scegliere un’altra esibizione. Abbiamo già
chiarito che deve solo cantare;
lei stessa mi ha assicurato che non farà mai altro.
Però… Non
vorrei darle l’impressione di essere
geloso o preoccupato. È il suo lavoro, dopotutto, e io non
ho alcun diritto di
interferire. Ma lei rimane comunque la mia ragazza; no, no, ho il dovere di dirle le cose come stanno. Ora
mi sentirà. Sul serio, cos’è questa
storia del…”.
La porta del bagno si aprì e Jellal
percepì i passi di Erza in avvicinamento.
“È qui”, si disse. “Vediamo
che cosa
ha escogitato”.
-Ho una premessa da fare-.
La ragazza rientrò in salotto esordendo
così, evitando che il giornalista potesse dire qualcosa
prima di lei.
-Innanzitutto, quella a cui stai per
assistere è un’anteprima; te l’ho
già detto a telefono, ma è meglio ripeterlo.
Secondo: non ho molta esperienza in questo campo, quindi sarei felice
se non mi
prendessi in giro, ma anzi, apprezzassi lo sforzo. Terzo: non parlare.
Quarto:
non smettere di guardarmi-.
Jellal, ammutolito, rimase a fissarla,
aspettando che facesse partire la musica. Dal canto suo, Erza attese
qualche
altro secondo prima di decidersi a inserire il CD nello stereo e ad
alzare il
volume.
E
la musica partì.
Peach Lady, take a peek
You’re looking at me
Come to get me
You know I want you badly
Erza giocherellò con la
cintura
dell’impermeabile, annodata così tanto da
strizzarle la vita già sottile, e
iniziò a slacciarla lentamente, cantando con fare sensuale
le note sprigionate
dallo stereo. Fissò i propri occhi in quelli di Jellal e
ammiccò nella sua
direzione, sfilando a poco a poco la cinta dai passanti;
ondeggiò i fianchi e
portò le dita ai larghi bottoni del trench, sganciandoli
dalle asole uno alla
volta, ma nascondendo ancora ciò che indossava sotto quel
primo strato di
stoffa.
Jellal ebbe appena la forza di deglutire: non
si aspettava di certo che la ragazza improvvisasse uno striptease solo
per lui.
Peach Lady, don’t hesitate
Keep moving closer to me
You will know, my lips taste like candy
Oh yesterday, yes I do, yes I do, I feel
real love
Uhmm
– never sour…
Erza si passò un dito
sulle labbra, quasi a
invitare il fidanzato a baciarla. Ma il giornalista capì che
non era quello
l’intento della donna: era una provocazione, un modo per
mandarlo fuori di
testa. Come se ne avesse avuto realmente bisogno!
La guardò fare una giravolta e lei gli diede la
schiena, continuando ad ammaliarlo con il suo canto e con quelle
movenze
sinuose. Jellal immaginò che stesse portando nuovamente le
mani all’altezza dei
bottoni, perché l’istante successivo Erza
aprì l’impermeabile e, stendendo il
braccio, lo gettò a destra, come se nulla fosse, svelando un
mini abito
ricoperto di paillettes color rubino che poco lasciava
all’immaginazione.
Gli dava ancora le spalle e Jellal, impaziente,
si domandò quando avrebbe deciso di voltarsi.
Dovette aspettare ancora prima di veder
esaudite le proprie preghiere: Erza sollevò i capelli,
dandogli la possibilità
di ammirare la schiena completamente nuda, e li lasciò
ricadere lentamente,
provocando ben più di un fremito al giornalista.
Oh, Peach Lady
Hey, boy! I
know you’re looking at me
Not a game,
just both of us
Come fall in
love with me
Si
girò ancor più lentamente e
finalmente Jellal tornò a guardarla negli occhi. A dire la
verità, fu
difficile, per lui, mantenere l’attenzione sul viso della
ragazza: tutta colpa
di quel vestito, che aderiva perfettamente alle forme di Erza,
scivolandole
addosso come una seconda pelle.
E il giornalista iniziò a sudare.
Sentiva la camicia incollarglisi alla schiena e le mani fumare vapore.
Che dire
poi del suo stomaco? Non dava più segnali di vita da almeno
due minuti e l’uomo
si convinse di averlo perso per sempre. Come se non bastasse, si disse
di non
prestare attenzione alla scossa che di tanto in tanto gli affliggeva il
basso
ventre, spostandosi in regioni che avrebbe dovuto mettere a tacere. Ma
come
poteva riuscirci, quando aveva davanti agli occhi il suo Angelo Rosso?
Peach Lady
Uh hu Uh huh…
Uh huh…
The way you’re
moving and dancing, every moment
Oh, boy! You coming
too
Erza
avanzò piano, incrociando i passi
e facendo oscillare per l’ennesima volta i fianchi.
“Mi vuole morto”, pensò Jellal.
“Questa donna riuscirà a –“.
Il suo cervello staccò la spina e il
flusso dei pensieri si arrestò immediatamente.
Il resto del corpo non rispondeva più
a nessun ordine: era andato in tilt.
E a provocare quel cortocircuito era
stato il vestito di Scarlet.
Vestito che era scivolato a terra nel
momento in cui la ragazza si era liberata delle spalline.
-E-Erza-, mormorò lui, balbettando e
sgranando gli occhi.
Lei sorrise e si portò un dito sulle
labbra, indicandogli di fare silenzio. L’unica cosa che
indossava adesso era
l’intimo coordinato e dello stesso colore
dell’abito appena tolto.
Peach Lady – I
drive you crazy – Peach Lady – I got you
La
donna era a pochi centimetri da
lui. Avrebbe potuto sfiorargli le gambe con le ginocchia.
Ma fece di peggio.
Fece qualcosa con cui riuscì a far
avvampare ulteriormente Jellal, il cui viso aveva già
acquistato una tonalità
di rosso simile a quella dell’intimo indossato dalla sua
fidanzata.
Si mise a cavalcioni su di lui,
scorrendo le proprie mani sulla camicia umida del giornalista;
avvicinò le
labbra alla sua bocca e lo illuse di dargli un bacio. Sorridendo
ancora, gli mordicchiò
il lobo dell’orecchio sinistro e soffiò un
sensuale “Sono abbastanza brava con
il burlesque?”.
Jellal non seppe mai quale divinità lo
aiutò a restare calmo – anche se calmo
era un parola grossa. Mantenne il controllo, seppur con
difficoltà, e trovò la
forza di chiederle se davvero quella era la prima volta che si esibiva
in uno
striptease.
-La prima, la prima-, confermò Erza. -Ho
solo messo in pratica alcune mosse
speciali che le mie colleghe usano sul palco-.
Che cosa avrebbe dovuto dirle? Che era
riuscita a fargli saltare le coronarie?
-Promettimi che lo farai solo per me-,
esalò lui, guardandola e specchiandosi nei suoi occhi.
-Non c’è bisogno di prometterlo-,
replicò la ragazza. -Questo è il premio che ti
spetta per esserti comportato
bene a Galuna. Non ti avevo detto che avresti potuto ricevere una
sorpresa, una
volta che saresti tornato?-.
Erza sorrise e lo sguardo del
giornalista si illuminò.
Non avrebbe mai trovato un’altra donna
come la sua Scarlet.
-Ma il premio non è ancora completo-,
puntualizzò lui. La ragazza lo fissò con aria
perplessa e Jellal continuò: -Non
mi hai ancora dato un bacio-.
Ed Erza non se lo lasciò ripetere una
seconda volta.
Gli sollevò il viso con entrambe le
mani e strinse tra le proprie labbra quelle del fidanzato, dando inizio
a una
danza proibita che sarebbe durata ancora a lungo.
-Non devi lavorare stasera?-, le
domandò Jellal, riprendendo momentaneamente fiato.
-È il mio giorno libero-, sillabò lei.
-Abbiamo un’intera notte davanti a noi-.
Non ci fu tempo per rispondere.
Le bocche si incontrarono ancora,
incendiando la passione che era scorsa tra di loro fin dal primo
sguardo. Le
dita si intrecciarono, i corpi si incastrarono in una combinazione
perfetta.
Quello sarebbe stato solo l’inizio
della loro storia d’amore.
Angolo dell'Autrice
Salve a tutti i
lettori che si sono spinti fin qui ^^
Non ho molto da
dire, se non ringraziarvi: grazie per tutto il supporto e la passione
che mi è arrivata tramite recensione e commenti privati.
Sul serio, non
pensavo che questa mini Long potesse avere un così largo
riscontro; significa che la Jerza si sta facendo strada nei vostri
cuoricini di shippers <3
Di nuovo, grazie a
tutte le persone che hanno inserito questa storia tra le preferite,
seguite e ricordate; grazie a tutti coloro che hanno anche
semplicemente letto con costanza ogni singolo capitolo.
Sperando di tornare
presto in questo Fandom (probabilmente con un'altra mini Long.
Perdonatemi, ma sono prolissa '^^), vi saluto tutti.
Alla prossima,
Amor31
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