The Guy Who Turned Her Down

di CinderNella
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologue ***
Capitolo 2: *** 1. The One With the New Flatmate-To-Be ***
Capitolo 3: *** 2. The One In Which He’s Gallantly Darth-Vader-Cooking ***
Capitolo 4: *** 3. The One In Which They’re Watching Disney ***
Capitolo 5: *** 4. The One With The Thief On The Roof And The Drunk Actor In The Room ***
Capitolo 6: *** 5. The One In Which He Drags Her Jogging ***
Capitolo 7: *** 6. The One With The Cat And The One Night Stand ***
Capitolo 8: *** 7. The One In Which Someone Of Hers Falls For Someone of His ***
Capitolo 9: *** 8. The One With The Awkward Awakening ***
Capitolo 10: *** 9. The One In Which She Goes To The Theatre With His Friend ***
Capitolo 11: *** 10. The One In Which He Hears About The Best Friend ***
Capitolo 12: *** 11. The One In Which Someone of His Calls Her ***
Capitolo 13: *** 12. The One With The Not Needed Pyjama Party ***
Capitolo 14: *** 13. The One In Which He Finally Tells Her ***
Capitolo 15: *** 14. The One With The Reconciliation and The Transoceanic Skype-Call ***
Capitolo 16: *** 15. The One With The Awkward Phone Call And The Almost Stalker ***
Capitolo 17: *** 16. The One With His Nosy Friend And The Talk ***
Capitolo 18: *** 17. The One With The Awkward Checking-On-Eddie Visit ***
Capitolo 19: *** 18. The One With The Messed-Up Party And The Embarrassed Confession ***
Capitolo 20: *** 19. The One With The Lawrence Olivier Awards ***
Capitolo 21: *** 20. The One With The Morning After And Everybody’s Questions ***
Capitolo 22: *** 21. The One With The Call For Back-Up And The Situation Awareness ***
Capitolo 23: *** 22. The One With The Surprise Arrival And Her Best Friend’s Sassitude ***
Capitolo 24: *** 23.The One With The Talk, The Frozen’s Songs And The Booooring Night ***
Capitolo 25: *** 24. The One With The “That’s A Wrap!”, The Call And The Return ***
Capitolo 26: *** 25. The One With The Kidnapping And The Arthurian Castle ***
Capitolo 27: *** 26. The One With The Countryside Tour, The Cornish Pasties and The Kiss ***
Capitolo 28: *** 27. The One With The Exotic Gardens, The Present And The Party ***
Capitolo 29: *** 28. The One With The Dance, The Last Visit And The Homecoming ***
Capitolo 30: *** 29.The One With His Confession To His New Friends And Her Reunion With His Old Ones ***
Capitolo 31: *** 30. The One In New York City ***
Capitolo 32: *** Epilogue ***



Capitolo 1
*** Prologue ***


Duuuunque, piccoli accorgimenti: i titoli di ogni capitoli sono in onore di FRIENDS; non so se lo sapete, ma in inglese ogni episodio iniziava con la frase "The One With..." e sarà così anche per ogni singolo capitolo della storia, in onore di una delle sitcom migliori della storia - se non proprio LA migliore.
Per ogni capitolo ci sarà una foto diversa: alcune sono state prese da internet, diverse altre sono state proprio scattate da me. Questa storia è nata, prima che come fanfiction, come omaggio a questo terzo anno universitario passato benissimo in una casa da studentesse fuorisede... ci sono stati tanti momenti assurdi, ridicoli, spaventosi - alcuni non li ho nemmeno riportati, ma altri sì. Poi, ovviamente, da brava scrittrice seriale di fanfiction, ho voluto rendere protagonista uno degli attori per cui sono in fissa -seriamente, insomma, dovrei scollarmi ora - da non so quanti mesi, quindi ecco a voi Hiddleston! (in realtà volevo scrivere da un botto di tempo qualcosa su di lui: questo omaggio a quest'ultimo anno è stata l'occasione che ho preso al volo per renderlo protagonista)
Spero che il prologo vi piacerà - sebbene sia parecchio corto, diversamente dai capitoli ecco -  e vi sembrerà abbastanza realistico, e... buona lettura!







 
The Guy Who Turned Her Down
 
 
I can't believe I found
A girl who turned my life around
She suddenly
Came onto me
Pin me down
On the ground
I could have pushed away
But I didn't know what she'd say
But I'm glad I'm not the guy who turned her down.



 
Prologue
 
Il suo padrone di casa l’aveva gentilmente informato che finalmente era riuscito a vendere casa e quindi lui avrebbe dovuto andarsene. In meno di una settimana. Come diavolo avrebbe fatto a trovare una casa adatta in così poco tempo con tutti i pomeriggi impegnati a teatro?
Era una bella domanda, ed era costretto a dover ideare qualcosa a breve. Iniziò a spulciare annunci su internet e a chiamare diversi amici, fin quando Luke non gli aveva riferito che era con un’amica che aveva intenzione di lasciare Londra e lasciava una camera libera in zona tra Soho e Covent Garden. Centrale e non troppo dispendiosa.
Avrebbe voluto baciare Luke per aver trovato quella ragazza, ma si limitò a ringraziarlo in tutte le lingue che conosceva via sms. Poi ebbe il nome e il numero di quella tipa e si sentì subito più contento, deciso a contattarla subito, mentre continuava senza fretta a scorrere la pagina degli annunci su internet.
«Colette!» aveva immediatamente stretto di più con lei, da quando aveva messo piede in quella casa. E ora la ragazza dai capelli rosa – ma era sua amica, prima di tutto – aveva detto all’ultimo, a tutte, che se ne sarebbe tornata a casa. Ovviamente questo non significava che non si sarebbero più viste, ma non avrebbero più convissuto insieme, e quello era un duro colpo da incassare. Soprattutto perché Colette le aveva già avvisate di aver trovato qualcuno.
Camminava avanti e indietro in cucina mentre parlava alle tre ragazze, due delle quali sedute in cucina, mentre lei se ne stava seduta sul bracciolo della poltrona.
Quindi loro tre avrebbero dovuto accettare in casa un estraneo dopo almeno tre anni che condividevano tutto insieme, le situazioni più disparate, i cibi più in procinto di scadere, tutto. E chissà chi sarebbe stato questo “tipo che lei conosceva tramite un’amica il cui fratello lavorava per lui”: sarebbe stato un bel terno al lotto.

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Capitolo 2
*** 1. The One With the New Flatmate-To-Be ***


Piccola nota: il titolo è tratto da una canzone dei McFly, per l'appunto "The Guy Who Turned Her Down". La foto del capitolo è stata scattata da me, il banner è stato egregiamente creato da _Lith_ (scusami per non averti nominata nel prologo, l'avevo completamente dimenticato!)
Buona lettura!













 
The Guy Who Turned Her Down








 
 
1. The One With the New Flatmate-To-Be 


 
Colette l’aveva appena avvisata del fatto che fosse in ritardo poiché era andata all’aeroporto a prendere un suo amico che veniva dalla Svezia, quindi sarebbe dovuta essere lei, l’unica presente in casa in quel momento – in realtà era appena arrivata, affannata e puzzolente dall’università – ad esibire la casa allo sconosciuto che si sarebbe presentato a breve davanti alla sua porta. Era corsa dall’università proprio per far trovare qualcuno a casa, sebbene non spettasse a lei, visto che lì ci sarebbe rimasta almeno per quell’anno.
Sbuffò, si cambiò e attaccò il cellulare sottocarica, infilandosi subito il pigiama – avrebbe avuto un lungo pomeriggio davanti. Il telefono vibrò nuovamente:
“È arrivato?” chiedeva Colette, interessata. Rispose che di lui ancora non c’era nessuna traccia e si sistemò i capelli in una treccia, aprendo la porta della camera che sarebbe spettata allo sconosciuto. Inizialmente si sentiva un po’ strana per il fatto che avrebbe condiviso una casa con un uomo.
Insomma, Colette aveva detto che quel Tom era simpatico e ammodo, ma lei, Colette ed Elspeth erano sempre state con delle ragazze in casa… Tranne il modello. Ma lui non stava mai a casa. Laire era l’ultima aggiunta, una matricola alla loro stessa università e si trovavano benissimo, ma erano sempre state solo ragazze.
E ora Colette le mollava per tornare al suo paese natio e le lasciava in balia di un tipo che nemmeno conoscevano. Era un po’ ingiusto.
Ma se Colette lo conosce in qualche modo e dice che è alla mano, gentile e ha viaggiato molto, ci si potrà fidare…
Sobbalzò non appena sentì il campanello suonare: non ebbe neanche il tempo di dare uno sguardo dalla finestra per vedere come si presentasse lo sconosciuto, scrisse un veloce messaggio a Colette e andò a rispondere al citofono per poi aprire la porta di casa. Dopotutto, i vantaggi di abitare al secondo piano che si raggiungeva in trenta secondi in un palazzo piccolo e basso erano quelli. Ma lei amava il suo palazzo in mattoni rossi e infissi bianchi, e amava la sua finestra che dava sulla strada interna che non poteva essere percorsa da auto, amava la vista di quattro rossissime cabine inglesi e di Pizza Express, se solo si fosse sporta un poco più in là oltre la finestra.
Sovrappensiero e con le braccia strette al petto sorrise tra sé e sé: amava la sua casetta e le sue coinquiline a lungo termine. Adorava Colette ed Elspeth e le sarebbero mancate. Colette già da ora, mentre Elspeth dall’anno successivo… e chissà dove sarebbe finita lei dopo. E poi si era già affezionata a Laire, come avrebbe fatto senza di lei?
Si stava facendo prendere da troppi sentimentalismi. Dopotutto non sarebbero partite in guerra, o sarebbero andate in Erasmus o avrebbero cambiato casa, non era un granché diverso e sicuramente si sarebbero continuate a sentire. O almeno sperava.
Lo straniero tossì per attirare la sua attenzione e lei scosse la testa, rendendosi conto del fatto che fosse già lì e si ergesse in tutta la sua altezza: «Mio Dio, scusami. Ero sovrappensiero!»
«L’avevo notato.» aveva risposto quel Tom, con lo sguardo acuto e le labbra arcuate in un sorriso lieve. Sembrava un sorriso birichino che voleva ma non poteva farsi spazio su quelle labbra sottili, perché sarebbe stato molto scortese da parte sua ridere di lei e del suo pigiama di Snoopy.
«Prego, entra. Questo è il mini-ingresso… e io sono Aneira.»
«Piacere di conoscerti, Aneira. Io sono Tom.» si strinsero reciprocamente le mani e la ragazza iniziò a vagare oltre l’arco dagli infissi bianchi senza nemmeno dargli il tempo di presentarsi meglio.
«Scusa il macello, sono appena tornata dall’università e ci sono solo io ora» Aneira diede un’occhiata sfuggente al salotto con i tre stendibiancheria posati in mezzo «Ma non è che la situazione sia molto diversa quando abbiamo il tempo di mettere a posto.» si corresse da sola, e Tom non poté non emettere uno sbuffo che era terribilmente simile ad una risata soffocata.
«Questo è il salotto, come puoi ben vedere. La stanza sulla destra che abbiamo appena superato era quella di Elspeth e questo a sinistra è il bagno armadio delle scope…»
«Perdonami, armadio delle scope?» Tom sbarrò gli occhi chiarissimi, lievemente stupito.
«Sì» Aneira non sembrava turbata e indicò il bugigattolo dove erano presenti un piccolo lavandino, un gabinetto e tante scope «Lo chiamiamo armadio delle scope, ma è anche un bagno.»
«D’accordo…» Tom non sapeva se quella fosse la sua sistemazione migliore. Ma l’avevano sfrattato – in realtà quando aveva preso quella casa in affitto sapeva che i proprietari avrebbero voluto venderla, ma non credeva ce l’avrebbero fatta così in fretta, e invece non poteva esser stato più in errore – e tutto sommato non era brutta. Oh beh, ancora non aveva visto la sua camera, perlomeno.
«Ovviamente noi usiamo questo bagno. Ma se prometti di non sporcarlo lo facciamo usare anche a te» dichiarò candidamente Aneira e per poco Tom non soffocò: notò chiaramente che quel bagno era molto più ampio – Doccia e vasca, già lo amava! – sebbene pieno di roba femminile. Assorbenti e mille phon con mille aggeggi. Dopotutto era una casa popolata da sole donne fino a quel momento…
«Non penso sporcherò più del necessario» commentò lui, ricevendo un’occhiataccia da quell’Aneira: «Noi non sporchiamo, e se sporchiamo, puliamo. Ovviamente c’è una signora delle pulizie che viene una volta a settimana, ma se sporchi, pulisci.» il tono che aveva usato era vagamente minaccioso, ma l’uomo non volle soffermarcisi troppo.
«Dunque, Tom, quella lì è la camera di Laire e lì in fondo» lo costrinse a raggiungere la fine del corridoio «C’è la cucina. È un po’ anni sessanta, ma ti ci abituerai. Probabilmente come i vetri sono ancora degli anni venti il forno è dello stesso periodo, essendo a gas» Tom soppresse un altro sbuffo che sarebbe voluto essere una risata, dato che quella ragazza dava l’impressione di essere tanto sarcastica e ironica, ed esserlo spesso «Ma è un adorabile posticino e quelle poltrone sono mie e di Elspeth. Cioè, non sono nostre, ma noi ci mettiamo sempre lì a parlare dopo cena o prima di uscire… mai in salotto. La poltrona sulla destra è un po’ sfasciata, ma è la preferita da tutte.» e aveva ottime capacità di raffigurare qualcosa. Insomma, Tom già amava quella casa sebbene fosse un bel po’ cadente «Adesso ti faccio vedere la tua camera…»
Aneira riattraversò il corridoio e spalancò la porta all’angolo dei corridoi, dove quello che portava all’ingresso si incrociava ad angolo retto con quello che portava alla cucina, accendendo le luci ed invitandolo ad entrare con un gesto della mano destra «Colette è ossessionata dai fiori. E dalla roba etnica. Ovviamente puoi togliere tutto quello che vuoi, non penso sia del tuo gusto, come quello di nessuno» Tom singhiozzò, incapace di tenere dentro una mezza risata «La finestra porta direttamente sul tetto, nel caso tu voglia vedere la bellissima via pedonale con il rischio di congelarti. La vista è ottima, il rischio di cadere un po’ meno… ma è bello e liberatorio. Ovviamente ci sono un letto, un armadio, una scrivania e una libreria…»
«L’avevo notato!» convenne il riccio, alzando un sopracciglio «Sembra proprio la stanza per uno studente.»
«Lo è. Ma è la migliore stanza di studente che ti sarebbe mai potuta capitare! Insomma, chi ha la finestra che ha accesso sul tetto con le tegole scivolose da cui puoi guardare giù?» Aneira fece spallucce, come se stesse dicendo la cosa più attraente del mondo: Tom non poté non trattenere un sorriso.
«E poi puoi farci quello che vuoi: puoi liberarti della scrivania e prenderti un divano, insomma scegli tu…»
«Io penso che la scrivania mi servirà.» la bloccò Tom prima che partisse in quarta come aveva già capito era solita fare «Ma risistemerò la camera.»
«Oh, okay. Dunque viene tutto cinquecento sterline al mese, bollette comprese, il che è praticamente ottimo per una casa in questa zona. Devo darti il numero dei signori Smith, vogliono mettersi al più presto in contatto con te… sono i padroni di casa, se Colette non te l’avesse detto.» Aneira scomparve per poi ricomparire con un telefono in mano, che iniziò a manovrare con poca leggiadria «Eccolo qui.» gli porse il telefono e Tom segnò il numero sul suo «E avrò bisogno del tuo numero, così lo do al signor Smith che probabilmente mi inizierà a tormentare di telefonate non appena varcherai quella porta.» Aneira indicò vagamente l’ingresso.
«L’ho già salvato sulla tua rubrica.» spiegò il tipo, e Aneira si soffermò attentamente ad osservarlo: «Ehi, ma tu cosa fai? Insomma, perché ti sei deciso a cercare casa così tardi? Normalmente le cercano tutti prima…»
«Lavoro. Purtroppo i padroni della vecchia casa in cui abitavo l’hanno venduta e son dovuto andarmene con breve preavviso…»
«Ed è legale?»
«Non lo so, dimmelo tu, sei tu l’economista!» ribatté quello, alzando un sopracciglio.
«Hai detto bene, mica giurista!» rispose Aneira, tirandosi giù la maglia del pigiama, lievemente imbarazzata «E comunque dove ti ho visto? Hai un volto conosciuto. Insomma, spero tu non sia come uno dei nostri coinquilini passati, era un modello, scompariva per giorni.. ci siamo più volte preoccupate per la sua incolumità fisica quando poi l’unica cosa che faceva era andare a casa delle sue varie fanciulle. E noi che ci preoccupavamo anche per lui, capisci?!»
Quella Aneira parlava assai, senza ombra di dubbio. Tom si massaggiò le tempie e ravviò i ricci con una mano, riponendo lo smartphone in tasca. Aneira lo stava già conducendo verso l’uscita, quando si fermò all’altezza del bagno per guardarlo… trucemente?
«Lo sai che se vuoi prenderla devi avvisare il signor Smith, vero? Perché sennò lui lo chiederà a me e poi…»
«D’accordo, lo farò!» non sarebbe potuto andare a prepararsi per il teatro con quel mal di testa procuratogli dalla parlantina di una delle sue future coinquiline, assolutamente no.
«Non era un tono gentile.»
«Scusami. Avete la lavatrice?» chiese sorpreso subito dopo, dando un’occhiata più attenta al bagno più grande.
«Certo! Una delle poche case nei dintorni ad averla… e ce l’abbiamo noi!» Aneira esclamò, orgogliosa. Come se avere una lavatrice in casa aggiungesse un quid a tutto quello «E non osare sminuirla come fa certa gente, è assolutamente importante. Non devi uscire e andare in lavanderia due volte a settimana se non più!»
Quella Aneira era così strana. Tom diede una veloce occhiata al salotto, vedendo una porta oltre quello aperta: «Cos’è?»
«Oh, la mia camera.» Aneira fece strada e lui la seguì, come del resto aveva fatto fino al momento prima con qualsiasi altra parte della casa «Sì, lo so, parecchio nerd.»
Quello che si stagliava davanti a lui era qualcosa di totalmente nerd: non aveva mai visto così tanto nerd tutto in una camera. Che non fosse di un maschio, poi. C’erano riferimenti – e poster! – delle Cronache del Ghiaccio e del Fuoco e del Signore degli Anelli ovunque, insieme a tante foto di amici e famiglia. Quella Aneira era una tipa davvero strana. Gettò uno sguardo sulla libreria nascosta dietro alla porta, notando tanti romanzi fantasy – e ancora nerd! – ma anche letteratura vittoriana, regency e… Shakespeare. E anche diversi libri di Sophie Kinsella, e non se lo sarebbe aspettato.
Ma nel complesso era una camera bella: era arredata secondo un ordine. Lo percepiva, sebbene sembrasse anche un po’ in disordine, con la borsa malamente posata su una sedia e i libri che sovrastavano la scrivania di fronte alla finestra, mentre dalla lampada vintage rossa pendevano strani cartellini. Era una camera che dava un’idea di… contentezza.
«Allora, vuoi prendere il posto di Colette?» strana scelta delle parole, quella: Tom si voltò a indagare il volto di Aneira, che arrossì lievemente. Si riferiva alla camera? No, più probabilmente al posto emotivo che occupava quella Colette nei loro cuori.
«Penso prenderò la camera, sì. E chiamerò il signor Smith come mi hai precedentemente e caldamente suggerito di fare.» era una nota ironica nel tono della sua voce? Forse l’aveva tediato un po’ troppo con quella faccenda?
«Oh, okay. Ti trasferisci domenica?»
«Penso proprio di sì. Ti trovo?» l’uomo – effettivamente non sapeva se chiamarlo ragazzo o uomo, sembrava un ragazzo, ma anche un uomo… sarebbe stato troppo scortese chiedergli l’età? Dopotutto, non è che Colette fosse piccola, eppure era parte della loro famiglia fuorisede… – era indaffarato a controllare qualcosa sul suo smartphone, ma poi alzò gli occhi sulla figura di Aneira in attesa della risposta.
«Sì, penso di sì.» rispose la ragazza, posandosi sulla porta «Ehi, toglimi una curiosità: sei vecchio?»
«Come, scusa?» quella ragazza non cessava di stupirlo. Ed era stato in quella casa venti minuti.
«Sì, insomma, quanti anni hai?»
«Ne farò trentatré a breve. Perché?» non gli sfuggì l’espressione sul viso di Aneira «Non sembra, ti davo del ragazzo.»
«Beh, mi sento un ragazzo.» rispose candidamente lui, facendo spallucce.
«Comunque, ci vediamo domenica! Buon pomeriggio!»
«A domenica!»
«Ehi dimenticavo: vuoi un tè?» chiese lei, quando era già a metà rampa di scale: Tom scoppiò a ridere e non si trattenne «Stai davvero facendo gli onori di casa quando me ne sono ormai andato?»
«Avevo altre cose da dire prima!»
«Comunque no, ma grazie. Ho da fare tra dieci minuti…»
«D’accordo, sarà per un’altra volta. Tanto abbiamo un intero scaffale pieno solo di tè e infusi…» disse più a se stessa che a lui, chiudendo la porta.
Tom uscì dal portone, tirando un sospiro di sollievo: quell’Aneira era una tipa stramba. In positivo, ma lo era.
L’aveva convinto a prendere la camera sebbene non fosse assolutamente la migliore opzione, ma nel suo essere una tipa a sé gli aveva già fatto sentire la casa come sua, come se ne volesse fare parte. Ed era anche vicinissima a dove stava lavorando in quel periodo e non l’aveva riconosciuto. Insomma, gli aveva chiesto se l’avesse già visto in giro – a buon ragione, visto che a quattrocento metri c’era un teatro che aveva le locandine con la sua faccia stampata sopra un po’ ovunque – ma non l’aveva di fatto riconosciuto.
E si era presentata con uno smartphone dell’anteguerra – lei che tanto denigrava gli orpelli antichi della cucina – e in pigiama. A presentare casa in pigiama. Ripensandoci, Tom emise una debole risata, incredulo. Poi si rese conto d’aver raggiunto il teatro e sospirò rilassato: era l’ora di iniziare a prepararsi.

 

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Capitolo 3
*** 2. The One In Which He’s Gallantly Darth-Vader-Cooking ***


Ed eccomi di nuovo qui! Ci tengo a ricordare che il banner l'ha fatto _Lith_, che l'ispirazione sul tipo di titolo me l'ha data FRIENDS e che "The Guy Who Turned Her Down" è una fantastica canzone dei McFly. E la foto post-titolo del capitolo l'ho fatta io, proprio nella casa che ha ispirato tutto. Eeee buona lettura!









 
The Guy Who Turned Her Down












 
2. The One In Which He’s Gallantly Darth-Vader-Cooking
 
Era in dannatissimo ritardo: aveva promesso a quel Tom che ci sarebbe stata tutta la giornata, se non altro per indirizzarlo per quanto riguardava i posti in cui avrebbe potuto trovare detersivi e altro. E se non ci fosse stato nessuno in casa? Laire ed Elspeth normalmente erano in giro tutta la giornata ed essendo Domenica probabilmente sarebbe andata così anche quel giorno… sbuffò pesantemente e prese le chiavi dalla borsa, maledicendosi per essere rimasta più tempo a casa di Nath a coccolare il suo gatto. Insomma, era anche vero che una delle sue più care amiche aveva bisogno di sfogarsi perché ancora non aveva superato quel deficiente del suo fidanzato, ma aveva promesso che ci sarebbe stata…
Aprì la porta di casa col fiatone per colpa delle scale che aveva appena scalato salendo i gradini due a due – avrebbe dovuto iniziare dell’attività fisica prima o poi, la panzetta aumentava e il fiatone si presentava dopo neanche cinque minuti di corsetta – e urlò: «Sono a casa!»
Mollò giacca e borsa in camera e raggiunse la cucina: aveva mangiato abbastanza da Nath, ma aveva bisogno del suo tè della sera. Peccato che non ci sarebbero state Laire o Elspeth con cui condividerlo.
«Oh, buonasera! Mi hai quasi ucciso un timpano, sappilo.» spiegò Tom, che stava armeggiando ai fornelli con il grembiule di Darth Vader addosso.
«Tom! Scusami, scusami, scusami! Avrei dovuto essere qui per accoglierti, solo che poi sapevo che gli Smith ti avrebbero dato le chiavi e Nath stava svalvolando…» poi lo guardò con attenzione e notò la camicia… e il grembiule di Darth Vader da sopra. Scoppiò a ridere, trattenendosi la pancia per qualche secondo «Che cosa stai indossando?!»
L’uomo inglese da manuale che stava cercando di scrostare una frittata sbriciolata dalla padella alzò un sopracciglio, perplesso: «C’era solo questo tra i grembiuli appesi dietro la porta. A quanto pare siete una casa molto nerd.»
«E non ti sei trovato quando io ed Elspeth abbiamo fatto la maratona intera di Star Wars!» spiegò la ragazza, spostandolo lontano dalla cucina spingendolo per un fianco per poi iniziare a macchinare con la spatola di legno, la frittata sfracellata e delle spezie. Poi mise tutto in un piatto e lo posò sul tavolo traballante della cucina, prendendo una bottiglia d’acqua e mettendola accanto al piatto: «Ti devo prendere anche le posate?!»
«In realtà non ti ho chiesto io di cucinarmi questa cosa…» ribatté piccato Tom, prendendo forchetta e coltello e sedendosi al tavolo, mentre Aneira riprendeva il suo posto sulla sua poltrona preferita, giocherellando con la sua treccia bionda: «Sì, ma se non fossi intervenuta io metà frittata sarebbe rimasta attaccata alla padella.»
«E comunque… non usate questo per cucinare?» indicò il grembiule che ancora indossava.
«No, perché noi non cuciniamo in camicia e braghe eleganti, Sir!» ribatté la ragazza, con un cenno del capo verso l’abbigliamento del ragazzo, mentre scioglieva i capelli per poi arrangiarli in una confusa crocchia.
«Da dove l’hai tirato fuori questo termine, dal salottino di Sir Elliot?»
«Oh sì, ci teneva a specificare che avrebbe voluto invitarti, soprattutto perché il tuo è un ottimo partito per la figlia Elizabeth, non sicuramente per la povera Anne ancora innamorata di Wentworth, ma per Elizabeth sicuramente, Sir… Aspetta, come fai di cognome? Non penso di avertelo chiesto!» Aneira terminò il rocambolesco periodo sinceramente curiosa: lo straniero non si era presentato con il suo cognome la prima volta che l’aveva incontrato tre giorni prima. Perché? Aveva proprio la faccia di uno che si presentasse con il nome e cognome…
«Thomas William Hiddleston, Miss…?»
«Oh. Oh è vero. Miss Hier.» aggiunse immediatamente lei, arrossendo leggermente. Anche lei non si era presentata con il cognome… ma lei non era solita farlo, mentre lui sembrava proprio di sì «E ometto il nome perché come ben sai, l’appellativo della primogenita è solo “Miss” seguito dal cognome…»
«Nel 1800. Lo so perfettamente, Miss Hier, ho letto Jane Austen.» terminò per lei Tom, alzando gli occhi al cielo per cacciare giù un altro boccone di frittata sfracellata «Tu non ceni?»
«Ho già cenato da Nath.»
Probabilmente non avrebbe voluto chiederlo, ma il sopracciglio destro di Tom si alzò impercettibilmente e si decise a dare delle spiegazioni: «Nathalie è una delle mie più care amiche qui. Purtroppo è stata mollata da un amico in comune da diversi mesi ma non l’ha ancora superata…»
«E hai preso le sue parti?»
«In realtà no. Essendo amica di entrambi ho cercato di essere obiettiva, ma non sono riuscita a stare vicina anche a lui, e ora non mi parla da Settembre. Cioè, mi parla, ma solo se sotto torchio. E passavamo tutti i giorni in università insieme, prima.» spiegò Aneira, alzandosi a prendere il bollitore e riempirlo d’acqua.
«Strano.» commentò l’uomo dai capelli ricci, masticando l’ultimo boccone della frittata speziata.
«Sì, ma ho smesso di farmi domande dopo esser stata delusa da altri due amici.»
«Ancora maschi?»
«No, non questi altri due. Però ecco, non mi faccio più tante domande. La gente delude per la maggiore.» Aneira fece spallucce «Vuoi anche tu del tè?»
«Sì, grazie. Non vedo l’ora di provare i mirabolanti infusi con cui volevi trattenermi in casa  giovedì!» rispose Tom con un espressione buffa, lasciando il piatto e le posate nel lavabo per poi andare a sedersi su una poltrona.
«Non quella. L’altra. Rispetta la gerarchia.»
Tom, che aveva già gli occhi sul suo tablet, le rivolse un’occhiata perplessa.
«Okay, non c’è una vera gerarchia, anche se io ed Elspeth siamo seconda e prima nel voler stare su quella poltrona. È solo che ho bisogno di essere coccolata dalla mia poltrona preferita rotta…» spiegò la ragazza con un’espressione pensierosa.
«Prego, tutta tua!» Tom occupò la poltrona dall’altra parte del tavolino, riprendendo a sfogliare virtualmente il documento sul suo tablet.
«Cosa preferisci? Earl grey, tè ayurvedico, magia del natale, tè invernale, limone e zenzero, del monaco, alla pesca, alla vaniglia, ai frutti rossi, alla mela, qualcosa non meglio identificabile ma molto buono e profumato…»
«Voglio essere impavido, vada per l’ultimo.» rispose quello, scrutandola con entrambe le sopracciglia inarcate per poi tornare a rivolgere la sua attenzione al marchingegno elettronico.
Rimasero qualche minuto in silenzio ed Aneira prese ad osservarlo: sapeva di averlo visto da qualche parte. Ma questo le capitava più o meno un giorno sì e l’altro pure, dato che scambiava le persone che aveva conosciuto a St. Ives per quelle che vedeva a Londra… però no, lui l’aveva già visto da qualche parte. Dove?
Si portò una mano sul mento con fare pensieroso, mentre Tom iniziava a parlare: «L’acqua bolle…»
«Oh sì! Giusto» spense l’acqua e posò l’infusore nel bollitore, iniziando a muoverlo qua e là nell’acqua per poi lasciarlo a mollo mentre iniziava a lavare i piatti.
«Ehi… che fai?! Ferma, li posso lavare io!»
«Nah, sono pochi, non preoccuparti… ho quasi finito!» spiegò quella a voce lievemente più alta per sovrastare il rumore dell’acqua.
«Ma dai, ho sporcato tutto io…» Tom aveva lasciato perdere il tablet sul tavolino per raggiungere la ragazza cocciuta, tirando su le maniche della camicia ed afferrando un’altra spugna per aiutarla «Così siamo più veloci, visto che non vuoi lasciarmi il posto!»
«Ma stavi facendo qualcosa e io non avevo niente da fare...» ribatté quella, strofinando con cura il piatto azzurro.
«Insisto.» gli inglesi dagli occhi azzurri e l’accento britannico avevano sempre avuto un ascendente su di lei, tanto che per poco non fu decisa a lasciarglielo fare dopo lo sguardo che le aveva rivolto. Ma poi ripensò alla sua motivazione e continuò, lasciandogli solo le posate da lavare e solo perché avrebbe dovuto versare il tè nelle tazze.
«Quokka o Canguro?»
«Quokka.» rispose sovrappensiero Tom, strofinando le posate «Aspetta, cosa?» si voltò sconvolto verso Aneira, per poi notare che stava versando il tè in due tazze bianche, una con un canguro disegnato sopra e l’altra con il quokka.
«Zucchero?»
«No, grazie.» rispose lui, bloccando il flusso dell’acqua: asciugò le mani sul grembiule di Darth Vader – probabilmente l’avrebbe abbandonato solo per mettersi il pigiama, gli piaceva tutto sommato – e afferrò la tazza con il quokka, mentre Aneira sciacquava il filtro del tè e zuccherava decisamente abbondantemente il suo tè, per poi raggiungerlo sulla sua poltrona.
«Sei dispotica.»
«Come, prego?» alla faccia dell’inglese educato e gentiluomo!
«È vero, sei dispotica. Mi cacci dalla cucina e poi dal lavabo…»
«Solo perché credevo di farti un piacere!» ribatté quella, sentendosi attaccata.
Vedi un po’ se bisogna difendersi dall’attacco di aver fatto una cosa carina… «Ma l’hai fatto in modo dispotico.»
«E va bene, hai ragione. Sono un po’ dispotica. Ma solo in certi casi.»
«Lo immaginavo… sei dispotica nel tuo habitat, quello che conosci.» osservò, più tra sé e sé che per Aneira, che continuava a sorseggiare il suo tè, raggomitolata sulla sua poltrona preferita.
«Tom, ti sei trovato bene a svuotare gli scatoloni? Hai bisogno di una mano per pulire la camera?»
«No grazie» sorrise: era dispotica, ma anche cortese. Si proponeva di aiutarlo anche dopo averlo scacciato via dalla cucina… strana personcina «Ho già pulito tutta la camera.»
«Sempre col grembiule di Darth addosso?» lo rimbeccò lei, nascondendo un sorriso e buttando giù un altro sorso di tè, ricevendo di tutta risposta un’occhiataccia del diretto interessato.
«E ho anche sistemato tutto al posto giusto. Vuoi vedere lo spazio che ho ricavato risistemando la stanza?»
«Sì, magari dopo.» rispose Aneira, osservando la luna fuori dalla finestra. Strano che non fosse coperta miseramente dalle nuvole come ogni sera.
«Che piani hai per domani?»
«Oh, nulla di particolare. Penso studierò, le lezioni non ricominceranno fino alla penultima settimana di Gennaio, e ho da consegnare uno scritto riguardo al disarmo internazionale…»
«Come prego?» Tom sgranò gli occhi, credendo di aver capito male.
«Oh, è un corso aggiuntivo che sto frequentando con l’università. Dobbiamo parlare di cose di questo tipo perché poi a fine marzo andremo a simulare un accordo delle Nazioni Unite negli Stati Uniti.»
«Sembra interessante.»
«Lo è!» una luce si accese negli occhi della ragazza dispotica e testarda che la fece sorridere automaticamente «È tutto tremendamente interessante, non credevo potesse essere così.»
«Quindi fingerai di essere un delegato ONU?»
«Praticamente sì.»
«Lo farai in pigiama?» la motteggiò lui, ricevendo di tutta risposta un’occhiataccia che si trasformò in un’espressione soddisfatta: «Se potessi sì. Siccome non posso e non sono solita stirare le camicie e tu ne hai molte, mi stirerai le camicie, contento?»
«Penso di sì, è la giusta punizione.» ammise lui, terminando il suo tè e portando la tazza nel lavabo.
«Tu?» chiese Aneira, guardando Tom ancora raggomitolata sulla poltrona. Allora lui capì: «Penso andrò a correre… e poi ho dei meeting di lavoro.»
«Palloso.»
«No, non tutto.»
«Mi riferivo al correre.» spiegò beata Aneira, e Tom alzò gli occhi al cielo: «Buonanotte, dispotica.»
«’Notte!» rispose quella, terminando il tè e lasciando anche lei la tazza nel lavabo per poi spegnere la luce della cucina e mettere piede finalmente in camera.
Si cambiò e infilò il suo amato pigiama per poi buttare un cioccolatino in bocca ed accendere il PC: aveva ricevuto mille notifiche su Tumblr e voleva capirne il perché, non è che fosse mai stata così popolare.
Notò infastidita che dipendeva da tutte la roba che aveva rebloggato nel pomeriggio, quando era particolarmente ammorbata dagli ennesimi sproloqui di Nath su Gale e si era data a quello che aveva soprannominato il “reblog matto”. Poi però, ritrovatasi sulla dashboard, aveva iniziato a scorrerla pigramente fin quando non si trovò di fronte ad un gif-set tratto da “Thor 2 The Dark World”. E lo osservò attentamente. Aveva persino visto quel film al cinema…
«Fanculo, è Loki
«Lo sai che la parete è sottile e ti sento, vero?» ribatté tre secondi dopo il diretto interessato, ma Aneira piombò direttamente in camera sua.
«Ehi! E se fossi stato nudo?!»
«Sei Loki!»
«No, sono Tom…»
«Oh, insomma, l’hai interpretato! E non me l’hai detto! Sei quel Loki!»
«Lo sai che sono stato molte altre cose, vero?»
«Oh, certo che lo so, guardo la TV! E anche parecchi film!» ribatté quella, oltraggiata, nel suo pigiamone di pile con gli orsetti.
«Non sono solito presentarmi come “Tom Hiddleston, quello che ha fatto questo, quello e quell’altro” a meno che non mi trovi ad un colloquio di lavoro. Avrei dovuto allegare il mio CV al messaggio che ho scritto a Colette per far parte di questa casa?»
«Fai poco il sarcastico, non ti avevo riconosciuto!» ribatté quella, spintonandolo per la spalla.
«Tuo problema! Effettivamente, mi chiedevo quando l’avresti scoperto, data la tua immensa nerd—
«Ero solo un po’ distratta, ultimamente!» ribatté quella, nervosa del fatto che l’attore stesse tranquillamente ridendo sotto i baffi di lei.
«Bel pigiama, comunque.» ironizzò dalla sua postazione Tom, ridacchiando.
«Anche il tuo! Specialmente le renne ricamate, Hiddleston!» ribatté quella, indicando un punto preciso della maglia prima di tornare nella sua camera, sbuffante.
«Buonanotte!» proclamò ad alta voce Tom, ancora sorridendo vittorioso: era divertente prenderla in giro.
«Buonanotte!» soprattutto notando che gli aveva risposto, sì, ma con ancora una nota offesa nella voce. Scosse la testa e alzò gli occhi al cielo, spegnendo la luce prima di seppellirsi sotto le coperte un po’ meglio: puntò la sveglia sul cellulare e si voltò dalla parte del muro, chiudendo gli occhi.
Data la melodia non troppo nascosta di “Mamma Mia!” dovette assumere che Aneira non avrebbe avuto intenzione di dormire molto presto. Sentiva ancora il tamburellare incessante delle dita sui tasti del computer. Ringraziò mentalmente di avere il sonno pesante e si addormentò senza nemmeno rendersi conto di star canticchiando mentalmente un’altra canzone degli ABBA.

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Capitolo 4
*** 3. The One In Which They’re Watching Disney ***


Ci tengo sempre a ricordare che il banner l'ha fatto _Lith_, che l'ispirazione sul tipo di titolo me l'ha data FRIENDS e che "The Guy Who Turned Her Down" è una fantastica canzone dei McFly: la foto post-capitolo è un fermo immagine di Brave - Ribelle, il film della Disney del 2012. Buona lettura!
PS: I link dell'intervista di TopGear (di fretta non ne ho trovati di migliori):

https://www.youtube.com/watch?v=Y_9ueVIpz9o
https://www.youtube.com/watch?v=jiZGXmY7ZrM











 
The Guy Who Turned Her Down






3. The One In Which They’re Watching Disney


Non appena sentì partire la sveglia – per carità, una canzone della colonna sonora di “Orgoglio e Pregiudizio” che amava, ma pur sempre una sveglia – la spense immediatamente, sveglissima. Si trascinò fuori dal letto con sommo dispiacere, prese una coperta e se la posò addosso: uscì dalla camera diretta in cucina dove vi trovò Laire sveglia e pimpante tanto quanto lei.
«Mh.»
«Mh.»
«Dio mio, siete proprio mattiniere!» Tom Hiddleston le guardava con entrambe le sopracciglia arcuate da sopra il Telegraph che stava leggendo.
Laire ed Aneira si scambiarono uno sguardo sfiduciato che poi dirottarono verso l’uomo, senza rispondergli: la più nerd delle due tirò fuori i biscotti dalla sua credenza mentre versava il latte in una tazza e lo metteva a scaldare nel microonde, mentre Laire armeggiava con il bollitore per fare il cappuccino e preparava il caffè.
«Vi siete appena svegliate?» chiese l’uomo, che da quel che sembrava stava cercando in tutti i modi di far conversazione.
«Sono le nove.» si limitò a rispondere Aneira, andando a prendere la tazza dal microonde per poi tornare ad accucciarsi sulla sua poltrona preferita.
«Beh, sì. Io sono appena tornato dalla corsa mattutina… ho fatto colazione fuori.» una settimana che vivevano insieme e quello faceva ogni giorno un’ora di corsa… mah.
«Buon per te.» Aneira sgranocchiava il biscotto con le scaglie di cioccolato, per poi inzupparlo nel latte e smangiucchiarlo ulteriormente; Laire beveva finalmente il suo cappuccino sfogliando passivamente il Courrier International, con una mano che reggeva la testa.
«Probabilmente fate una dieta troppo pesante, siete così addormentate…»
«Sono le nove, è normale che siamo così addormentate!» ribatté pacatamente Laire, continuando a leggere l’articolo sull’Afghanistan.
Tom passava lo sguardo da Laire ad Aneira e viceversa, fin quando non entrò anche Elspeth nella stanza. Speranzoso si rivolse a lei, la quale passò lo sguardo su tutti prima di pronunciare anche lei «Mh.»
«Sul serio?!» ribatté sconvolto Tom, lasciando il giornale sul tavolo basso per squadrare tutte e tre. Elspeth lo guardò accigliata: «Sto facendo il tè, vuoi un tè per calmarti?»
«Ma io sono calmo!»
«Oh, dai, basta urlare! È prima mattina!» si ribellò Aneira, portando una mano alla testa.
«Ma sono le nove!» per poco non emise un suono troppo acuto per essere maschile.
«Appunto.» convenne Elspeth, mettendo l’acqua sul fuoco. Prese due tazze e riempì l’infusore con del tè verde «Va bene il tè verde, no?»
Tom annuì, sconvolto: sembravano tre zombie. Completamente assonnate e reattive tanto quanto gli alcani. Riprese a leggere il giornale, non credendo che potesse esistere tanta pigrizia messa tutta insieme in una casa.
Aneira si alzò e riportò la scatola dei biscotti in credenza e la tazza sporca nel lavello, accucciandosi sulla sedia tra la poltrona di Tom e il tavolo, mentre Elspeth portava i tè sul tavolino e occupava la poltrona vecchia e rotta.
Nel silenzio più assoluto, dopo essersi quasi addormentata sulla sedia, trovò nel leggere il giornale di Tom un pretesto per non dormire, così sporse la testa per leggere l’articolo economico che lui aveva barbaramente saltato.
«Ehi! Stavo leggendo!»
L’uomo alzò un sopracciglio, ma tornò alla pagina precedente e ci rimase finché non ebbe un cenno affermativo da Aneira per voltare pagina e fece così fino alla fine del giornale. Poi lo ripiegò elegantemente e lo lasciò nelle mani della ragazza: «Se vuoi leggere la prima metà. Ora mi tocca andare a Dunsfold Park.»
«Strano, mai sentito.» commentò Laire, senza staccare gli occhi dalla rivista.
«Perché è un aeroporto!» ribatté Aneira «Che ci vai a fare?»
«Ex - aeroporto» la corresse Tom «A rendermi ridicolo sulla pista di Top Gear.»
«Con questo tempo?»
«E che devo farci? Buona giornata» salutò il riccio, uscendo dalla cucina. Elspeth, Laire ed Aneira scambiarono un’occhiata e quest’ultima si sistemò sulla poltrona appena lasciata libera, pronta a leggere la prima metà del giornale. Dopo cinque minuti sentirono la porta di casa aprirsi e chiudersi subito dopo.

Aneira non aveva minimamente voglia di lasciare il suo letto dalle coperte dai colori caldi – ed erano l’unica cosa calda presente nella stanza assieme alla sua stufetta ad olio – mentre guardava la pioggia che cadeva pesantemente fuori dalle sue due finestre, con il vento forte che produceva un rumore terribile.
Andare a guidare con quel tempaccio, che pazzia. Alzò gli occhi al cielo e girò una pagina di “Persuasione” di Jane Austen, che aveva deciso di ricominciare a leggere. Era uno dei suoi preferiti e, avendoci scritto una storia a riguardo per un concorso, le era tornata la voglia di rileggerlo.
Così se ne stava stesa in un barbaro modo obliquo nel suo adorato letto a una piazza e mezzo, spostando lo sguardo dal tempaccio al libro e viceversa, sbuffando sonoramente: si sarebbe ammazzato quel deficiente. Non riusciva a capire se fosse più un genio lui, il suo caro Luke o i produttori che lo facevano comunque andare in scena con un tempo da paura. E loro erano britannici, vivevano di pioggia e temporali.
Oh, amava Wentworth. Perché non esistevano Frederick Wentworth nella realtà? Sfogliò un’altra pagina e sospirò profondamente, voltandosi dall’altra parte, mentre il computer sull’altro lato del letto emetteva un suono.
Aneira si avvicinò per controllare cosa fosse, ma era solo una stupida notifica di Facebook che riguardava il gruppo del suo corso di Università. Saltò su non appena notò la porta della sua camera spalancata.
«Laire?»
«Vuoi un tè? Sono appena tornata dalla biblioteca con questo tempaccio, sono fradicia!»
«Vai a farti una doccia, metto l’acqua nel bollitore» sorrise alla piccola scozzese tanto simile ad un pulcino bagnato in quel momento, che lasciò la porta aperta dirigendosi al bagno.
Aneira raccattò tutte le forze che poté e mise i piedi fuori dal letto: menomale che la casa era indecentemente calda, sennò non avrebbe mai e poi mai lasciato il letto senza la sua copertina gialla.
Si trascinò fino alla cucina, tirando fuori dalla credenza la tazza con il canguro e quella del MOMA che aveva portato Elspeth da New York l’anno prima: versò l’acqua nel bollitore e lo mise sul fornello più grande.
Poi notò la sua poltrona preferita libera e vi si piazzò sopra, di lato, come riusciva a stare comoda probabilmente solo lei: in realtà Elspeth e Laire avevano dei modi altrettanto strani di occupare quella poltrona, ma lei non era la persona più normale per giudicarle, assolutamente no. Probabilmente se avessero dovuto eleggere un elemento del mobilio la loro mascotte, nominerebbero tutte quella… Tom ancora non ci era arrivato a bramarla come loro. Probabilmente perché ancora non ne aveva compreso la sua bellezza… e perché non ci si era mai seduto sopra per colpa loro, visto che si spostava sempre per far loro spazio sapendo che la amavano, senza capirne ancora il motivo.
«Sei sempre in cucina a mettere su tè?» Aneira si voltò verso il possessore della voce che aveva appena emesso quella frase: Tom, in tuta, si stanziava in tutta la sua – non poca – altezza e dava l’idea di essersi bagnato non poco sotto la pioggia… ma ormai era più che asciutto. E i capelli erano più che arruffati.
Aneira non poté trattenersi dal sorridere: «Se vuoi ho messo abbastanza acqua anche per te. Elspeth è fuori e il bagno è occupato da Laire.»
«Immaginavo» sospirò profondamente lui, dirigendosi verso l’altra poltrona.
«No!» esclamò all’improvviso la ragazza, alzandosi dalla Sacra Poltrona.
«Cosa c’è?» chiese il ragazzo, perplesso, notando che la ragazza gli stava lasciando il posto.
«Devi sederti tu. Per fare sinceramente parte di questa casa devi capire la bellezza di questa poltrona. È importante» spiegò la biondina, occupando la poltrona di fronte in attesa che Tom occupasse quella preferita.
L’uomo la guardò ulteriormente perplesso: capiva che fosse un gesto importante, una sorta di cerimonia di iniziazione, ma non comprendeva cosa ci potesse essere di così speciale in una semplice poltrona. Ma non poteva deludere le aspettative di Aneira, che lo guardava in attesa che si sedesse, quindi si abbassò e sedette comodamente. E quella poltrona era davvero comoda.
«È… smollata?»
«Tra le tante cose.» rispose lievemente esaltata la ragazza, con un sorriso carico d’aspettativa.
«Ed è piacevole.»
«Ci sei vicino, Hiddleston. Ma per capirla al meglio avrai tanto tempo, non preoccuparti» si alzò per andare a spegnere il fuoco e passandogli vicino gli diede due pacche sulla spalla, mentre quello cercava la posizione più comoda su quella che effettivamente era davvero una bella poltrona. Ma ancora non ne afferrava il significato più profondo… ce l’avrebbe fatta, prima o poi.
«Hai particolari preferenze?»
«Tè invernale. L’ho odorato una volta e sembrava troppo buono…»
«E lo è.» convenne la ragazza, riempiendo il filtro di una manciata di tè invernale e lasciandolo a mollo nel bollitore. Poi si voltò verso Tom, lasciò Persuasione sul tavolo e sorrise maliziosa «Com’è andata alla pista?»
Il suo interlocutore alzò un sopracciglio per poi spostare lo sguardo su com’era conciato e riposarlo su di lei: «Secondo te?»
«Era proprio per questo che te lo chiedevo.» dichiarò vittoriosa, andando a occupare nuovamente l’altra poltrona «Sapevo ti saresti fatto una doccia là fuori. È già tanto che sei tornato vivo
Hiddleston roteò gli occhi e mimò molto poco elegantemente un paio di corna con le dita di una mano, mentre Aneira ridacchiava divertita: «Superstizioso?»
«No, ma hai appena detto che dovrei essere morto… meglio abbondare con gesti scaramantici.» spiegò lui, alzandosi per andare a prendere la tazza del quokka dalla credenza e posizionarla accanto alle altre.
«Dovremmo spostare qui il divanetto piccolo che è in salotto.» dichiarò pensierosa Aneira, guardando lo spazio sotto la finestra «Sennò quando siamo tutti in cucina due persone dovranno sedere sulle sedie sbilenche.»
«Penso non sia una cattiva idea» rispose l’altro, incamminandosi verso il salotto venendo rincorso da un’Aneira trotterellante – perché dava esattamente quell’idea per come gli correva dietro.
«Ehi, aspettami!»
«Uhm…»
«Che c’è, non sai come tirarlo su?» lo motteggiò la ragazza, evitando lo stendibiancheria per andare a prendere una parte del divanetto e tirarla su «Dai, è un divano Ikea, è leggerissimo!»
Tom le dedicò un’occhiata scettica ma poi eseguì, copiandola e conducendo la difficile passeggiata alla cucina.
«Attenta a come lo giri, non dobbiamo… appunto.» scosse la testa non appena si ritrovarono incastrati nell’angolo del corridoio, proprio mentre Laire usciva dal bagno in accappatoio: «Cosa… state facendo?» perplessa, incrociò le braccia e rimase a guardarli.
«Oh, cerchiamo di spostare il divano in cucina.»
«Sì, lo immaginavo, mi chiedevo il perché!»
«Potremmo parlarne davanti al tè e non ora? Non è piacevole stare contro un muro!»
«Tom, sei tu che devi liberarci! Se ti spostassi un po’ più a destra — No, la tua destra! Ahio!»
«Sarebbe così bello farvi un video, peccato che il mio telefono è in camera» dichiarò Laire con un sorrisetto sadico, ancora a braccia incrociate, ricevendo un’occhiataccia dai due coinquilini.
Quando riuscirono a districarsi dall’intricato corridoio ebbero lo stesso problema alla porta della cucina, ma dopo trenta secondi riuscirono finalmente a liberarsi del divano per occupare le poltrone, mentre Laire riempiva le tazze da tè e le portava sul tavolino, occupando tutto il divano contenta.
«Dovrei decisamente farmi una doccia» sbuffò Tom, dopo il primo sorso di tè.
«Dovresti sicuramente» convenne Aneira, con il supporto di Laire che annuiva energicamente.
«State indirettamente dicendo che puzzo?»
«No, solo che sembri uno di quei poveracci che vengono schizzati dalle macchine in corsa al bordo della strada… e poi non penso che avere l’acqua delle pozzanghere addosso possa essere piacevole» spiegò candidamente Laire, facendo spallucce.
«Lai, mi hai tolto le parole di bocca!»
«Come siete dolci e gentili!» ribatté l’uomo, passandosi una mano tra i ricci – e rendendosi conto che dopotutto non avevano tutti i torti. Continuò il tè seppur bollente, mentre Laire e Aneira zuccheravano e mescolavano i loro.
«Sei andata da Cami?»
«Sì, dovevo passare a lasciarle degli appunti che mi aveva prestato… nel mentre è cominciato il diluvio e ne sono stata colpita in pieno.»
«Qui ha anche smesso di piovere nel frattempo?» chiese stupito Tom, che doveva aver sperimentato cose completamente diverse in quella giornata: le due ragazze annuirono, sospettose «Io ho guidato nelle pozzanghere. Per tutto il tempo.»
«Divertente. Non vedo l’ora di vedere la puntata!» dichiarò sadica Aneira, e lui alzò gli occhi al cielo per poi terminare il tè «Donne, vado a occupare il bagno. Prima che torni Elspeth e rimanga fregato di nuovo»
Hiddleston lasciò la tazza con il fondo ancora sporco nel lavabo e s’incamminò lontano dalla cucina, mentre le due ragazze rimanevano lì a gustarsi con calma il loro tè.


Aneira si raggomitolò su se stessa e fece partire il film: voleva vedere “Brave” da quando era uscito al cinema ma non ci era mai riuscita. Sarebbe dovuta andarci con compagne di università che poi ha perso di vista… e si era ritrovata a farsi passare il DVD da un’amica e ora poteva vederlo. E non sapeva a cosa sarebbe andata incontro. Insomma, adorava la Disney, e aveva amato Rapunzel – sebbene la sua preferita rimanesse Belle – ma non aveva ancora provato a vedere come fosse quella Merida. E sinceramente preferiva i vecchi film con i disegni, ma beh… aveva visto anche Rapunzel, e non è che fosse troppo diverso da Brave.
Arrotolata su se stessa e con il computer di fianco già amava i paesaggi digitali – beh, sapeva che la Scozia era davvero così – del film, fin quando la porta della camera sua non venne spalancata: mise subito in pausa il film e si voltò a guardare chi l’aveva fermata.
Tom la guardava perplesso, con i capelli ancora bagnati e un’espressione indecifrabile: «Stai per caso guardando un porno?»
«Ma anche no!» esclamò quella, rivolgendogli l’espressione più sconcertata possibile.
«L’hai bloccato proprio appena sono entrato…»
«Stavo vedendo Brave. Della Disney, del 2012. E l’avevo appena iniziato» spiegò la ragazza, ancora basita.
«Oh okay. Posso unirmi a te? Porto dei biscotti come pegno dell’imbarazzo subito dalla vostra signoria, Milady.» rispose allora lui, entrando in camera e chiudendosi dietro la porta senza aver nemmeno ricevuto un cenno di assenso della ragazza, che proprio per quel motivo continuò a guardarlo perplessa. Poi ficcò la mano nella busta di biscotti e ne prese uno, sancendo la fine della leggera e breve diatriba tra i due.
«Ti piace la Disney?» chiese poi Aneira, portando nuovamente la mano nella busta dei biscotti e prendendone un altro «Insomma, hai trent’anni e sei maschio, normalmente la Disney non è la vostra prima scelta…»
«Io guardo di tutto, cara. Non mi faccio problemi… E poi sono cresciuto con Sarah ed Emma, sono stato costretto ad un’infanzia bella prolungata di film Disney… e non si può non amare Walt Disney per quello che ha fatto, pur essendo un misogino razzista insostenibile. E poi amo il Libro della Giungla della Disney.»
«Hai due sorelle?» chiese incuriosita la ragazza, mentre vedeva una piccola Merida dai capelli folti e rossi giocare a nascondino con la madre.
«Sì… Sarah è più grande ed è una giornalista in India… Em è un attrice qui.» spiegò lui, prendendo un altro biscotto dalla busta, mentre Aneira incrociava le gambe e posava la schiena sulla parete alle spalle del letto, avvicinandosi e spostando di conseguenza il computer più vicino a lui.
«Oh, adoro Emma Thompson!» esclamò la ragazza non appena la madre di Merida iniziò a parlare.
«Sembra abbastanza stronza in questo film!» ricevette una spallata da Aneira, correlata di occhiataccia «“Armi giù dal tavolo”!» fece il verso lui, con tanto di accento scozzese.
«Oooh è vero! Tu sei un attore! Puoi fare tutti gli accenti che voglio!» batté le mani contenta la ragazza, mentre Tom iniziava categoricamente a scuotere la testa.
«Dai, è divertente!»
«Lo sai che quando parli velocemente hai un forte accento dell’ovest, vero?»
«Stai dicendo che sono una campagnola della Cornovaglia?» alzò un sopracciglio, guardandolo minacciosamente.
«No, no, assolutamente no!» le rispose lui, marcando il suo accento e ricevendo di tutta risposta uno spintone.
«E fammi vedere il film, che l’orso ha mangiato una gamba a Kevin McKidd e Merida ed Emma Thompson stanno scappando.»
«Hai seri problemi a distinguere attori e ruoli.»
«No, è che non so ancora i nomi dei personaggi e quindi è più facile per me chiamarli così. E shhh!» lo riprese la ragazza, prendendo un altro biscotto e concentrandosi sul film, crollando sempre più a sinistra durante la visione.

Poco prima della fine del film erano tutti e due raggomitolati su loro stessi, tempia contro tempia e il computer tra di loro, con gli occhi lucidi e stringevano la coperta tra le mani, all’altezza del naso.
«Ehi ‘Nei hai per caso un fog—ah. Che state facendo?»
«Ma ma ma…» iniziò Aneira, indicando lo schermo «Non può rimanere un orso!»
«‘Nei?» Laire spalancò gli occhi, osservando perplessa la scena che le si parava davanti: Tom dava pacche ripetute sulla spalla di Aneira, che era in procinto di piangere… e avevano entrambi gli occhi lucidi «Ma cosa state guardando?!»
«Brave!» rispose sconsolata Aneira, abbracciandosi le gambe «Ora voglio la mamma.»
Tom continuava con le pacche sulla spalla, tirando su col naso «Sono raffreddato.»
«Ahem, certo. Passo dopo?» chiese Laire, ancora più basita.
«No, non preoccuparti, i fogli sono accanto la libreria» rispose la biondina, continuando ad abbracciarsi le ginocchia e prendendo il telefono per scrivere un SMS alla madre.
«Era ovvio che ritornasse umana!» ribatté lui, con un tono lievemente innervosito «Perché devono sempre far credere che non stia per accadere? Sono crudeli, fanno stare male»
«Lo so! È crudeltà pura!» ribatté la ragazza, azzannando l’ultimo biscotto rimasto mentre Tom accartocciava il sacchetto e lo lanciava ai piedi del letto.
Laire, sempre più perplessa, prese i fogli e chiuse la porta della camera. Non avrebbe mai creduto che avrebbe potuto trovare Tom ed Aneira in un letto… soprattutto a vedere un film della Disney. Non credeva ancora a ciò che i suoi occhi avevano visto, in realtà.






PPS: La scena del divano è un semi-onore a quella di Friends dove Ross compra un divano e si fa aiutare da Rachel e Chandler per portarlo su a casa sua salendo le scale a piedi... e ripete sempre "Pivot, pivot, pivot!" nel suo modo pedante. Insomma, è una delle scene più divertenti di FRIENDS - e sì, mi sa tanto che ne sono un po' ossessionata XD
PPPS: Tom è davvero per metà scozzese però, da parte di padre mi pare.

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Capitolo 5
*** 4. The One With The Thief On The Roof And The Drunk Actor In The Room ***


Yup, il banner l'ha fatto _Lith_, la struttura del titolo del capitolo è liberamente ispirata a quella di tutti gli episodi di FRIENDS e la foto è stata presa da internet per poi essere modificata da me: e voi probabilmente vi sarete rotti di leggerlo ogni volta XD
Buona lettura!















 
The Guy Who Turned Her Down



4. The One With The Thief On The Roof And The Drunk Actor In The Room
 
Le lezioni erano ricominciate e la occupavano per tutta la settimana agli orari più disparati, per non parlare del fatto che le lezioni per il progetto delle Nazioni Unite stavano per finire ma richiedevano tantissimo impegno e lei aveva purtroppo solo ventiquattr’ore a disposizione per giornata.
Faceva difficoltà ad incontrare Laire ed Elspeth per casa, giusto ogni tanto si scontrava con Tom nel traffico per il bagno ed era terribilmente stressata. Voleva calma, dormire e bearsi nel suo letto nelle giornate di pioggia.
Invece doveva affaticarsi, correre a lezione perché usciva leggermente in ritardo di casa – in realtà arrivava sempre appena in tempo per la lezione e quasi sempre sudata per la corsa che era stata costretta a fare – e mangiava fuori: voleva la sua casetta, per un po’.
La lezione era finita un quarto d’ora prima e lei si era catapultata a casa: con tutto il cappotto si era gettata letteralmente sul letto, a braccia e gambe spalancate, come se volesse abbracciare tutta la camera.
Sospirò contenta e si rotolò sorridendo: finalmente la settimana era finita.
«Aneira… cosa stai facendo?» Thomas William Hiddleston si stagliava in tutta la sua figura con il cappottone e la guardava con il sopracciglio alzato.
La ragazza rotolò dall’altra parte per guardarlo e gli sorrise: «Rotolo!»
«E anche questo l’ho notato!»
«Semplicemente mi godo le gioie di casa, finalmente casa.» esalò contenta, e se solo ci fosse stata della neve sotto di lei avrebbe fatto un Angelo di Neve con quei movimenti.
«Ho capito, sei stata troppo tempo fuori di casa per una settimana. Ti direi ci vediamo dopo il teatro, ma non so se ti ritrovo sveglia…»
«Esci?»
«Sì, e non so quando torno. Buona serata!»
«Buono spettacolo!» quasi un mese che lo conosceva e non era ancora andata a vedere Coriolanus. Lei che amava Shakespeare e il teatro poi!
Si alzò dal letto, si liberò del cappotto e infilò il pigiama e l’onesie da Pikachu – aveva tanto freddo, e adorava quel maxi-pigiamone-meglio-conosciuto-dal-mondo-intero-come-onesie – per poi capitombolare per la sua gioia tra le coperte.


Doveva essersi addormentata senza rendersene conto quel pomeriggio: si svegliò di soprassalto e controllò l’orario sul cellulare, notando che erano quasi le due. Solo dopo si rese conto del motivo per il quale si fosse svegliata, ossia Laire che la osservava terrorizzata e in procinto di piangere alla porta.
«Laire—cos’è successo?» chiese immediatamente, stropicciandosi gli occhi.
«C’è un uomo dietro la mia finestra.»
«Come?» Aneira abbassò la voce, riflettendo. Era impossibile, insomma, come ci arrivava a camminare su un tetto un uomo?
«Ho sentito un tonfo enorme, mi sono svegliata e ho visto un ombra umana da dietro la tenda. E sono corsa qua… Elspeth non c’è e Tom è al buio…»
«D’accordo…» il suo cervello macchinava in fretta e la mano andò immediatamente al cassetto, afferrando un martello «Se davvero c’è qualcuno dobbiamo essere preparate.»
Laire emise una risata strana, dovuta alla figura pronta di Aneira con un martello dal manico arancione in mano e la seguì, mentre quella accendeva tutte le luci della casa, controllava le altre finestre e tutte le ante – di armadi, di armadietti e porte – facendo più rumore possibile.
Avevano appena finito di controllare il bagno e Laire ne uscì, iniziando a dirigersi verso la sua camera…
Un urlo squarciò l’assordante silenzio della casa e Laire per poco non prese il martello dalle mani di Aneira per darlo in testa allo sconosciuto rosso mezzo ubriaco che appariva dalla porta della camera di Tom.
«Laire, ferma!» la bloccò Aneira, l’unica che stava pensando qualcosa di vagamente logico in quel momento «Tom, ti sei dato alla sodomia con Eddie Redmayne?»
Dopo quella domanda, Hiddleston comparve sconvolto accanto al rosso «Eh? Che ci fai con un martello in mano?!»
«Shhh!» lo riprese la ragazza, entrando in camera sua seguita da Laire.
«Ma che—
«Laire ha visto un uomo dietro la sua finestra, sul tetto. Shhh, ora.» spiegò la ragazza, camminando furtivamente verso la finestra, mentre Tom strabuzzava gli occhi e si piazzava dietro di lei, lasciando Laire tra lui ed Eddie, che probabilmente era troppo ubriaco per essere utile nel caso di uno scontro con il misterioso ladro.
Aneira spalancò la finestra della camera dell’uomo facendo rumore e sporgendosi per vedere meglio, e sembrava tranquillo: ma non era certa che l’ombra a diversi metri da lei fosse un comignolo: «Ehi tu, vedi di non tornare mai più!»
Nel caso in cui fosse stato davvero un lui e non un comignolo. Tom fece per uscire sul tetto anche lui, ma invece si ritrovò a tirare dentro Aneira, che chiuse la finestra basita, e con il martello ancora in mano.
«Thorneira!» esclamò tra un singhiozzo e l’altro Eddie, ridacchiando palesemente e suscitando la perplessità dei presenti mentre indicava la ragazza col martello in mano.
«Controlliamo le altre stanze» Aneira non si sentiva sicura – soprattutto perché l’aveva creduto impossibile, ma aveva anche lei visto un’ombra umana… e voleva esserne sicura. Perfettamente sicura.
Spalancò la porta della camera di Laire e cercò qualsiasi cosa ovunque, per lasciare per ultima la cucina, fin quando non si sedette sulla sua poltrona preferita, sospirando profondamente e posando il martello sul tavolino di fronte.
«Ma l’hai visto?!» chiese terrorizzata Laire, ma Aneira scosse la testa: «Non sono sicura di averlo visto. Era un’ombra e magari ero solo condizionata…»
Tom la raggiunse sull’altra poltrona, mentre Eddie occupava una sedia movendo lentamente la testa da una parte all’altra: «Ma credi di averlo visto?»
«Non lo so. Non so nemmeno se lo voglio sapere… però c’era quell’ombra e non sembrava un comignolo…» afferrò per sicurezza il martello e tutti ridacchiarono.
«Cerco di tornare a dormire. Grazie per la missione di salvataggio in potenza, ‘Nei.» Laire li salutò con una mano, prima di andare a chiudersi in camera.
Aneira fissava un punto indefinito sul tavolino, mentre Eddie si serviva di una sigaretta del pacchetto lasciato sul tavolino da Elspeth due giorni prima e Tom gliela toglieva immediatamente di mano «Fermo tu! Già sei imbevuto di alcol come una spugna, ti ci manca questo!» e la ripose nel pacchetto, andando a prendergli un bicchiere d’acqua per poi porgerglielo.
La ragazza sorrise guardando quello scambio di gesti e frasi, mentre Tom rioccupava subito dopo l’altra poltrona «Cosa ci fa lui a casa?»
«Era troppo sbronzo per tornare alla sua di casa e l’ho ospitato. Anche se ha vomitato…»
«Non pulirò il vomito di Eddie Redmayne, sappilo. E nemmeno la signora delle pulizie»
«Rilassati, l’ho fatto io» rispose il biondastro con un’espressione schifata «Non avrei mai lasciato a te questo onore.»
«Immagino!» rise la ragazza, rendendosi conto di avere davvero fame – non aveva cenato, era crollata dal sonno alle sei del pomeriggio – e iniziando a tirare fuori un hamburger dal frigo e metterlo sulla piastra.
«Che… stai facendo?» chiese nuovamente curioso il coinquilino.
«Ceno. Non l’ho fatto stasera perché mi sono addormentata per sbaglio alle sei. Volete qualcosa?»
«Sìììì! Voglio una bistecca!» esclamò sognante Redmayne e la ragazza alzò un sopracciglio «Mi dispiace, Campione, ma qui ho solo pollo oltre a questo mio hamburger. Allora?»
«Pfff va bene» acconsentì il rosso mentre lei iniziava a preparare entrambi i piatti, dando un’occhiata ogni tanto alla carne in cottura.
«Lo voglio al sangue!» esclamò sempre delirante Eddie, mentre Aneira lo contraddiceva «E poi muori. Campione, il pollo si cuoce completamente o rischi di stare male!»
«Uffa!»
«Magari smette di ciarlare appena assume del cibo» commentò semplicemente Tom, andando ad aiutare Aneira con l’insalata.
 «Scusatemi ancora: ‘Nei, ho trovato delle chiavi…» Laire, in pigiama, con un’espressione perplessa rendeva altrettanto perplessi tutti i presenti nella cucina.
«E?»
«Penso siano per le sbarre alle finestre. Per chiuderle. Mi aiuti?»
«Sto cucinando per me e per il Campione laggiù…» indicò con il capo Eddie, che giocava con la carta da cucina «Puoi andare tu?» chiese voltandosi verso Tom, e quello annuì, seguendo Laire ancora un po’ preoccupata.
«Ed, vuoi del curry o altre spezie sul poll—
Aneira non riuscì nemmeno a terminare la frase che Eddie prese un vasetto pieno di curry e lo riversò brillantemente sulla sua fettina di pollo «Ma hai finito tutte le nostre scorte di curry!»
«Curryyy
«Ma quanto ha bevuto…» disse tra sé e sé Aneira, alzando gli occhi al cielo e servendo in un piatto il curry al pollo e l’insalata al Campione che era ritornato al tavolo della cucina, mentre portava il suo piatto alle poltrone.
«Cosa è successo?» Tom si ripresentò alla porta con Laire alle calcagna, che si passò stancamente una mano tra i capelli per poi lasciare le chiavi in cucina: «Il tuo brillante amico ha buttato tutto il nostro curry sul suo pollo. Ma quanto l’hai fatto bere?»
«Non è che l’ho forzato…»
«Oh sì, lo so. Lo immagino» aggiunse la ragazza, con entrambi gli occhi spalancati, non appena Eddie iniziò a sputacchiare soffocandosi con il “Curry al Pollo” creato da lui stesso.
«Lo lasci morire?»
«Oh, si riprenderà. Dagli dosi ingenti di acqua e preparagli l’aspirina per domattina» spiegò la ragazza, lanciandogli un’aspirina che Tom prese al volo, stropicciandosi gli occhi.
«Voglio amore-eeeeh!» Eddie si appiccicò a Laire in un abbraccio, e la ragazza iniziò a schiaffeggiargli bonariamente la testa, fin quando lui finalmente non la mollò.
«Pensa che è stato tutto il tempo abbracciato così a me nel letto. Hannah ci ammazzerà. Tutti.» spiegò Tom, sbattendo le palpebre, convinto.
«Tanto non si ricorderà nulla: rivivrà giusto ogni tanto l’esperienza pre-morte dell’urlo di Laire e il fatto che è stato picchiato da lei, avrà qualche flash…» iniziò Aneira, mentre Laire li salutava nuovamente con una mano ed Eddie buttava giù tutto il pollo, troppo preso a strozzarsi con quello e con i pomodori per dare attenzione alla loro conversazione «Oh, non voglio averlo sulla coscienza.»
Aneira versò della Pepsi in un bicchiere e la porse al rosso, che la buttò giù tutta d’un sorso, contento: «Ho sonno! Tommy, andiamo!»
«Tommy, andate!» la ragazza sbatté le ciglia verso il coinquilino, che si passò entrambe le mani tra i capelli «Da ubriaco è insopportabile.»
«Guarda, non me n’ero resa conto!» lo rimbeccò la ragazza, mentre vedeva il gigante di Westminster trascinare il rosso ubriaco fuori dalla cucina con difficoltà e ridacchiava senza ritegno.
«Ridi meno, e buonanotte!»
«‘Notte, innamorati!»
«Sta’ zitta!»
Aneira diede un bacio rumoroso all’aria, conscia del fatto che Tom l’avesse sentito e ridacchiò subito dopo: chi l’avrebbe mai pensato che avrebbe cucinato del Curry al Pollo per un Eddie Redmayne ubriaco e che sarebbe stata anche abbastanza irritata dalla sua presenza, mentre combattevano un’ombra umana non meglio identificata che era atterrata alla finestra di Laire?
La mattina dopo non ci avrebbe sicuramente creduto, avrebbe pensato piuttosto a un sogno. Se non fosse per il fatto che era così spaventata dall’ombra sul tetto che aveva deciso di portare con sé sotto le coperte il suo fidato martello: non l’avrebbe lasciato per molto tempo.

Si svegliò con il campanello che suonava. Chi suonava a quell’ora della mattina? Aneira spalancò gli occhi, si liberò dalle coperte e saltò su con il martello in mano. Iniziò a camminare furtivamente verso la porta, il cui campanello continuava a suonare. Guardò dallo spioncino, non riconobbe la figura e la spalancò, brandendo malamente il martello davanti a lui: «Sei il ladro di ieri sera?! Identificati!»
«Ladro?! Tom sta bene?» il ragazzo entrò in casa automaticamente e Aneira, non più certa che fosse il ladro, portò il martello vicino alla sua gola «Sono Luke, l’agente di Tom. Non sono un ladro, e sono venuto a prendere Eddie per riportarlo a casa!»
«Oh. Okay. Per caso ti occupi anche di riparare ai suoi danni? Perché ci ha appena finito il curry da ubriaco fradicio…»
«No, di quello se ne occupa lui appena si rende conto del casino che ha fatto da ubriaco. È particolarmente irritante da disinibito.»
«L’ho notato!» esclamò Aneira, facendo spallucce e chiudendo la porta d’ingresso. Iniziò a fargli strada verso la camera di Tom, ma lui – in compagnia dell’ormai sobrio Eddie – spuntò da dietro l’angolo, facendola saltare su e brandire nuovamente il martello.
«Aneira! Che ci fa Luke qui?»
«Oh beh, potresti dirmelo tu. L’ho appena conosciuto!»
«Dopo avermi puntato il martello alla gola. Vi hanno rapinato?!» chiese subito dopo Luke, evitando di rispondere alla domanda del suo assistito – si poteva chiamare assistito colui del quale era pubblicista? O gli assistiti sono solo i pazienti dei medici? Eppure aveva assistito Tom parecchie volte in diverse situazioni – poiché non la riteneva importante in quel momento.
«No. Però Eddie ci ha vomitato in bagno, Aneira che hai appena conosciuto è saltata sul tetto e ha urlato contro la supposta ombra umana brandendo il suo martello che hai appena visto e poi Eddie ha rischiato di morire soffocato dal curry che ha eccessivamente messo sul pollo che ‘Nei gli aveva cucinato.»
«Nottata difficile!»
«Nottata impegnativa!» lo contraddisse Aneira, incrociando le braccia fin quando Eddie non le si parò davanti con le dieci dita delle due mani intrecciate: «Perdonami! Non volevo spaventarti…»
«In realtà hai terrorizzato Laire. Lei ha lanciato l’urlo e voleva fracassarti il cranio»
«Oh okay. Dovrei chiederlo a lei…»
«Però potresti scusarti per il curry…»
«E per il vomito…» commentò a bassa voce Tom, guardandosi intorno.
«Hiddleston, non farmelo pesare! Mi hai portato tu in quel pub!»
«E tu poi ne hai finito le scorte!»
«Due bambini!» li rimbeccò Aneira, puntando l’indice contro entrambi.
«Le mie opinioni convergono con quelle della mia nuovissima conoscenza. Redmayne, muoviti, Hannah mi ha lasciato venti chiamate sul cellulare, alla ventunesima ho risposto e mi ha quasi perforato un timpano. Dovrai strisciare ai suoi piedi questa volta»
«Diamine!» il rosso si ravviò i capelli con una mano, fece gli occhi dolci ad Aneira per l’ennesima volta con le mani giunte e poi si incamminò verso la porta con Luke «Arrivederci, Thorneira
«Ah, questo te lo ricordi!» ribatté la ragazza, sentendo la risatina del rosso prima del rumore della porta che si chiudeva.
Tom Hiddleston rise apertamente della sua espressione oltraggiata e lei gli puntò un dito contro: «Vado a fare la spesa prima di andare a lezione, devo comprare il curry che il tuo simpatico strambo e ubriaco amico ci ha finito e il latte. Vuoi che prendo qualcosa anche per te?»
«Avrei bisogno di succo alla pesca…»
«D’accordo.» fece per dirigersi verso il bagno – con tutto il martello, ovviamente – ma venne bloccata dal ragazzo che le piantò un bacio sulla tempia, sebbene lei si fosse inizialmente ribellata «Buongiorno.»
«Lo fai solo per arruffianarmi perché il tuo amico ha fatto casino stanotte.»
«Può darsi. Ma il buongiorno c’è sempre!» rispose comunque l’uomo, lanciandole un sorriso birichino e scomparendo dietro l’angolo. Aneira scosse la testa ed entrò in bagno: finalmente avrebbe potuto iniziare la giornata in modo apparentemente normale.





PS. per chi fosse interessato alla veridicità della situazione: è davvero atterrato sul balcone della mia coinquilina un uomo, l'anno scorso. O almeno... così pensavamo. E comunque non so se siano effettivamente ottimi amici Eddie e Tom, sicuramente erano a Eton e a Cambridge nello stesso periodo e se la fanno spesso insieme in quel di Wimbledon durante il torneo XD
E l'onesie di cui parlo è questa: http://picture-cdn.wheretoget.it/bcwndm-i.jpg !
Alla prossima!!!

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Capitolo 6
*** 5. The One In Which He Drags Her Jogging ***


Il banner l'ha sempre fatto _Lith_, la struttura del titolo del capitolo è liberamente ispirata a quella di tutti gli episodi di FRIENDS e la foto l'ho fatta e modificata io! E scusate il ritardo, ma sto traslocando da una camera all'altra e sono super-iper-impegnata in questi giorni >.<
Buona lettura!









 
The Guy Who Turned Her Down



5. The One In Which He Drags Her Jogging


«Mhhrhghr…» il verso emesso da Aneira non aveva senso e non avrebbe voluto averne, e la ragazza spalancò gli occhi, sentendosi spostata nel suo letto. Prima di guardarsi intorno, però, si passò il bordo della manica sulla bocca: odiava sbavare nel sonno. Si guardò intorno, rintracciando ai piedi del letto Tom – con le mani attorno alle sue caviglie – che cercava di smuoverla probabilmente per svegliarla. O almeno sperava, perché l’alternativa sarebbe stata ucciderla.
«Mh?»
«Finalmente sei sveglia!» esclamò lui, buttando giù un bibitone verdognolo che era posato sulla sua scrivania mentre lui cercava di trascinarla per la camera.
«Mh?!» l’intonazione dello sconvolgimento della ragazza si fece più in allerta e quella si voltò pancia sopra, tirandosi su verso la parete dietro al letto. Poi emise uno strano verso dovuto alle labbra secche e fece per rintanarsi sotto le coperte, ma Tom la fermò: «No, no, no.» indicò il paio di scarpe da ginnastica che aveva messo al posto delle sue ciabatte «Esci dal letto e metti quelle.»
Effettivamente si chiedeva perché fosse in tuta e con un orribile smanicato…
Non aveva voglia di parlare, quindi si limitò ad eseguire. Non capì però come poi si ritrovò in piena  Broad Court in pigiama e con un felpone del ragazzo addosso.
«Andiamo a correre.» aveva allora annunciato lui, iniziando a farlo sul posto mentre lei rimaneva accasciata contro la statua della ballerina che avevano di fronte a casa, raggomitolata su se stessa.
«Mhmh.»
«Ti ho portata come un sacco di patate fin qua, posso farlo fino a St. James. Su, su, c’è bisogno di allenarsi!»
«Ti muovi su e giù. Voglio vomitare.» sentenziò lei con quel poco di energia che aveva a prima mattina «Voglio cibo.»
«E lo avrai: quando finiremo la corsetta quotidiana.» Tom iniziò a correre verso la Royal Opera House, ma Aneira rimaneva seduta alla statua della ballerina, imperterrita.
«Ho un muffin nella tasca.» dichiarò lui, tirandolo fuori e correndo più veloce, notando che la ragazza, sebbene camminando, lo stesse perlomeno seguendo. Come uno zombie, ma lo seguiva.
«Se arriviamo in dieci minuti al parco lo puoi mangiare!» sentenziò, seguendo la strada che scendeva verso il fiume e notando la timida – più probabilmente stanca e piena di bestemmie dedicate a lui – camminata della ragazza.
Quando era arrivato su The Mall e già riusciva a vedere il parco decise di voltarsi per vedere se Aneira avesse ingranato e si fosse messa a correre, e sorpreso la ritrovò dietro di lui, camminando molto velocemente.
«Voglio il mio muffin, mi spetta. Sono nove minuti e quaranta secondi e siamo nel parco.» dichiarò quella, agguantando il muffin che l’uomo le stava porgendo e ingurgitandolo, continuando a camminargli dietro, velocemente.
«Non credevo fossi così veloce a camminare!»
«Sicuramente cammino più velocemente io di quanto tu non corra lentamente.»
«E adesso riesci addirittura a pronunciare frasi di senso compiuto! Wow!» esclamò sorpreso lui, prendendola non troppo sottilmente in giro e guadagnandosi un’occhiataccia della ragazza, che ormai s’era abituata all’aria fredda del mattino londinese e camminava velocemente a grandi falcate di sua spontanea volontà.
«Vedi che fa bene stare al fresco? Già sei sveglia e reattiva e parli!»
«Tutto ciò che mi porta avanti a compiere un passo dopo l’altro è il fatto che mi offrirai la colazione. Sto camminando e vivendo in funzione di quello, ora.»
«Ma bisogna fare fiato! Su, dai, corriamo! Ce ne hai già tanto di fiato camminando!» la rimproverò bonariamente lui, prendendo un vialetto che portava verso il lago e aumentando la velocità.
Aneira lo rincorse fin quando non arrivarono al lago, dove volatili di tutti i tipi presenziavano sulle banchine, a proprio agio tra cigni e anatre – e altri volatili non meglio riconosciuti da lei. Un cartello diceva persino che talvolta era possibile vedere dei gufi e delle civette lì.
«Muoversi, Hier!»
«Non dico cosa vorrei dirti, Hiddleston!» gli urlò dietro lei, ricominciando a correre per arrivare al suo passo… ma era sempre più avanti e la sua milza non poteva farcela.
Si portò una mano sul ventre e si avvicinò alla prima panchina possibile, stendendocisi sopra come se fosse stato un qualsiasi clochard. Anzi, probabilmente un clochard avrebbe avuto più dignità e non si sarebbe stravaccato su una panchina di legno con una gamba a terra e una sulla spalliera.
Rimase lì per diversi secondi, fin quando non vide l’alta figura di Hiddleston stagliarsi davanti a lei, e sbuffò palesemente.
«Dai, non puoi non farmi raggiungere le quattro miglia quotidiane!»
«A quanto sei?»
«Una e mezza!»
«E corri, vai, io ti aspetto qui. Se faccio un altro passo cado a terra e tu devi chiamare l’ambulanza.»
«Ma è impossibile! L’importante è che quando ti senti male, quando ti fa male la milza, continui!... Rompi il fiato!»
«Ti rompo le costole semmai.» dichiarò la ragazza, sedendosi quasi decentemente e posando i gomiti sulle ginocchia, respirando affannosamente.
«Per le prime volte ti concedo anche di camminare velocemente, basta che non ti fermi come hai fatto adesso!»
Aneira si era tirata su e aveva ricominciato a camminare a grandi falcate, sentendosi bene dopo qualche minuto. Quando però riuscì ad estorcere il telefono da Tom si ritrovò a fare foto per tutto il parco, tanto che qualche tempo dopo – non sapeva quanto, in realtà – si ritrovò l’uomo inglese-per-eccellenza alle spalle che camminava normalmente «Hai finito l’allenamento per la maratona?»
«Sì, dai, andiamo a colazione. Mi hai riempito la memoria del cellulare di foto?»
«Sì, ma le passerò tuuutte sul mio PC!» dichiarò quella, contenta, seguendolo nel parco. Arrivarono circa a metà e all’altezza del ponte proseguirono verso sud, su un vialetto più stretto fin fuori il parco, su viuzze tranquille e semidisabitate a quell’ora della mattina.
«Uh, Scotland Yard. Uhhh… Metro
«Non abbiamo le tessere, non esaltarti. Torneremo a piedi a casa.» la riportò Tom con i piedi per terra, e quella esalò un verso sconsolato: aveva già fatto l’attività fisica di una vita per quello che pensava lei.
«Voglio dormireeee.»
«Per ora ti farò mangiareee
«Ma perché mi porti a fare queste cose orrende?» si lamentò lei, seguendolo dentro lo Starbucks correndo quasi più velocemente di quanto avrebbe mai potuto nel parco. Aveva fame.
«Perché è sano, e fa bene, e ti fa calare la pancia che hai…»
«Ma sono affezionata alla mia pancia! Certo, stavo meglio senza, ma mi piace mangiare… e poi non lo so, sei un attore, mica un personal trainer, non puoi portarmi a vedere Coriolanus invece di correre come se gli Estranei mi stessero inseguendo?!»
Tom si voltò verso di lei e alzò un sopracciglio, al che lei glielo spiegò con tre parole: «Game of Thrones.»
«Immaginavo fosse qualche roba nerd. E comunque…» prese un muffin alle more e uno al cioccolato facendo la fila alla cassa «D’accordo, ti porto a vedere Coriolanus. L’unica cosa… dovrò stare sul palco e non farti compagnia, mi dispiace.» era sarcastico fino al midollo, ma non le dispiaceva «Oh beh, sono abituata ad andare al cinema da sola, potrò farlo anche a teatro!»
«Buongiorno! Un cappuccino e un…» Tom guardò Aneira, che guardava il menù sognante «latte!» esclamò, pregustando la sua colazione agognata «E un latte, grazie!»
«Da mangiare qui!» aggiunse la ragazza, impaziente.
Quando si sedettero al tavolino per lei era già stata un’attesa troppo lunga, tanto che iniziò a trangugiare il suo muffin in piedi.
«Sei una lady quando ti strafochi, Miss Hier.»
«Ti vergogni a farti vedere in giro con me? Dovevi pensarci prima di farmi uscire di casa!»
«Non ho mai detto questo. E, in effetti, avevo paura che prendessi fuoco se fossi uscita alla luce del sole di mattina presto…» iniziò lui, ridacchiando e bevendo il cappuccino.
«Ah-ah, sei troppo ilare.» commentò quella con un sopracciglio alzato, ritornando a mangiare senza pietà. Solo quando ebbe finito poté accasciarsi sulla sedia, sorridendo come un’ebete.
«Ti vedo fisicamente più rilassata!» commentò lui, seduto come sempre composto sulla sua sedia.
«Ho mangiato, sono felice. E tu mi hai promesso un biglietto gratis per uno spettacolo figo, quindi perché non dovrei esserlo?» commentò quella, in panciolle.
«Ti preferisco quasi implorante. Sai quando mi guardi infuriata chiedendomi di smettere di correre come un forsennato…»
«Aaaah, io mi preferisco così!» dichiarò quella, raggomitolata sulla sedia a osservare tutto ciò che si ritrovava intorno, specialmente il cartello rotante con “Scotland Yard” scritto sopra che spariva e ricompariva ogni tot secondi. Quando notò che Tom aveva finito il muffin e la stava osservando incuriosito capì che doveva alzarsi: era il suo modo gentile di dirle di alzare il culo dato che dovevano tornare a casa. Beh, perlomeno lui era molto gentile: ma non soffriva di lunatici cambiamenti d’umore dovuti all’esser stati buttati giù dal letto per fare una delle cose che più odiava fare al mondo – movimento fisico – quindi era più che normale per lui non avere riserve a essere gentile.
«Accetto la tua muta richiesta di ritornare a casa, va bene.» dichiarò Aneira con un cenno della mano e Tom si aprì in un sorriso, facendole strada: «Aspettavo esattamente quello!»

Tornata a casa dalla “corsetta mattutina” – gli avrebbe salato il tè quella sera, lo avrebbe fatto – aveva avuto tanti dolori: alla schiena, alle gambe e anche alle braccia. E alle piante dei piedi. Così si era rintanata nel letto con il libro che doveva studiare per il corso di Economia Sperimentale e il suo PC, conscia che fino a cena non si sarebbe mossa di lì.
Aneira calzò nuovamente gli occhiali dopo averne pulito le lenti sulla sua maglietta del pigiama – non che quella fosse l’emblema della pulizia, a dirla tutta… – e si rigirò tra le coperte per cambiare posizione. Sentiva già la voce di suo padre nella testa “Ti sono già venute le piaghe da decubito?”. Scosse il capo e voltò pagina, sentendo il citofono suonare e poi la porta fare la stessa cosa. Guardò l’orologio ed erano quasi le quattro, probabilmente aveva risposto Tom, visto che sarebbe sceso di casa dopo un po’.
«Oh, sì, l’avviso che sei arrivata…»
«Non c’è bisogno…»
Ma era la voce di Jules quella? Aneira si sedette sul letto all’improvviso, proprio in tempo per trovarsi una delle sue più care amiche che aveva conosciuto a Londra in tutta la sua rabbia: Jules Devereux.
«Tu non hai idea di quello che mi è successo.»
«Ed ecco qui la tua amica!» esclamò Tom che seguì la ragazza in camera a ruota, spostando lo sguardo perplesso dalla nuova arrivata alla coinquilina.
«Jules, che ci fai qui?»
«Allora ha un nome!» riprese parola Tom, guardando la ragazza con la giacca da tailleur e le sneakers con i tacchi. Accostamento opinabile, ma perlomeno non passava tutto il giorno in pigiama come Aneira.
«Scusa, ma chi è questo?» chiese allora Jules, fermandosi a guardarlo attentamente dopo averlo indicato mentre stava ancora guardando Aneira che la osservava ferma come un’ebete seduta sul letto.
«Il nostro nuovo coinquilino…»
«Tom, Hiddleston, piacere.» Tom le porse la mano e di proposito calcò sul cognome: voleva stupire quella matta in qualche modo, magari avrebbe rivalutato il comportamento avuto fino a quel momento – o magari si sarebbe giusto fermata a pensare… quella era la speranza.
«Jules Devereux, piacere. Insomma, tu non puoi capire…»
Tom sbarrò gli occhi, entrambe le sopracciglia si inarcarono e scosse la testa: ovviamente dovevano essere un po’ fuori di testa per essere amiche di Aneira.
«Cosa stai pensando?» ma la ragazza rivolse l’attenzione a Tom, assottigliando lo sguardo con un indice puntato nella sua direzione: si liberò dalle coperte e infilò i piedi nelle ciabatte alzandosi in piedi per arrancare verso di loro, non senza fatica «Ahi - ahi. Ahi.»
«Ma Jules non è un nome da maschio?» rispose dopo un po’ rivolgendo un’occhiata perplessa alla nuova arrivata, che si esibì in un plateale gesto stufato per poi dire: «Ci risiamo. Ai miei genitori piaceva, pur essendo il maschile francese di Julie. Amavano la S finale, e quindi sono stata una primogenita sfigata.» terminò lei, incrociando le braccia.
«Oooh.» esclamò Tom, ancora perplesso ma contento di aver evitato la domanda di Aneira «E comunque esagerata, per una corsetta.»
«Sei andata a correre?! Non vieni mai con me!» Jules esclamò con un cipiglio lievemente offeso.
«Non ha avuto scelta, l’ho trascinata di peso. Letteralmente.» spiegò brevemente il coinquilino, sorridendo soddisfatto e guadagnandosi l’occhiataccia della diretta interessata «E comunque te lo dico quando torno. E inoltre: dopo lo spettacolo vedo di passare da un supermercato, se lo trovo aperto. Vuoi qualcosa?»
«Ho finito il latte. E prendimi dei donut per domattina, lo farai?» Aneira sbatté più volte le palpebre, di fronte a un contrariato Tom: «Poi ingrassi.»
«Con l’attività fisica di stamattina ho perso tutto quello che recupererò con i donut di domattina, non preoccuparti!» sorrise quella, sorniona, mentre lui le salutava con una mano già in procinto di uscire di casa «E buona performance!»
«Performance?» chiese Jules con un sopracciglio alzato non appena lui se ne fu andato.
«Recita come ogni sera alla Donmar.»
«Coriolanus? Fighissimo!» esclamò l’amica con lo sguardo sbrilluccicante: aveva degli occhi davvero belli. Certo, la loro grandezza era paragonabile a quella del suo naso – ma era controbilanciato dalla bocca altrettanto piena e un viso rotondo, quindi nel complesso era più che una bella ragazza. Se non entrava in casa delle amiche come una furia, si intendeva.
Aneira alzò gli occhi al cielo e, acciaccata, iniziò a farsi strada verso la cucina: «Tè o caffè?»
«Camomilla?»
Aneira le rivolse un’occhiata allibita mentre la ragazza la seguiva per poi sedersi su una delle poltrone, comoda.
«Allora, cos’è successo di tanto sconvolgente?» chiese alla fine Aneira, mettendo l’acqua sul fuoco e raggiungendo l’amica sull’altra poltrona.
«Non ne hai idea! Ero con Carla, stavamo organizzandoci per la spartizione dei ruoli nel lavoro di gruppo…»
«Beh, si sa che Carla è sempre stata parecchio ossessiva, maniaca del controllo…»
«Sul serio parli tu?» rimbeccò Jules e alzò un sopracciglio con aria di sfida.
«Ehi, io sono maniaca del controllo nella mia vita, non quando faccio i lavori di gruppo in uni!»
«Questo è vero. Ma insomma, Carla ha iniziato ha fare il boss qua e là, decidendo lei come ci saremmo dovute spartire il lavoro e parla sempre lei col prof…»
«Jul, non è una novità. È sempre stata così primadonna e ossessiva!» esclamò quella, notando che l’amica non gliela stesse contando giusta «Juuules…»
«Ma dov’è che ho già visto il tuo nuovo coinquilino?»
«Non cambiare discorso perché senti questo tono!» la riprese l’amica, alzandosi a versare l’acqua bollente nelle tazze da tè «Jules, dov’è la cacca?» adorava utilizzare la frase di Lily di “How I Met Your Mother” per sbugiardare gli amici. Sapeva sempre quando stavano nascondendo qualcosa.
«No ma davvero, l’ho già visto da qualche parte oltre che alla Donmar!» continuò l’amica, guardandosi intorno per poi agguantare la tazza di camomilla – sebbene Aneira avesse messo l’infusore dentro solo due secondi prima.
Di conseguenza Jules si ustionò la lingua e iniziò a soffiare aria con le espressioni più assurde possibili, mentre Aneira continuava a girare il cucchiaino di zucchero nel tè, in attesa.
Solo dopo che l’amica si riprese tornò all’attacco: «Allora, Jules, dov’è la cacca?»
La ragazza non rispose e prese a fissare con costanza la tazza di camomilla, giocherellando con l’infusore, per poi decidersi a sputare il rospo: «Mi sono sentita con Ted.»
«Jules!!!» Aneira posò la tazza di tè sul tavolino con un movimento di stizza e diverso tè bollente fuoriuscì da essa, bruciandole parte del ginocchio inesorabilmente.
«Lo so, lo so!» esclamò la ragazza, con tono colpevole «Ma mi ha chiesto di parlarne e ci siamo visti al bar di facoltà.»
«Jules!!!» ripeté allora l’amica, col suo migliore tono moralizzatore.
«Lo so.» ribatté allora Jules, con le ginocchia vicine e lei stessa immersa nella tazza di camomilla «È che… volevo sapere che avesse da dire.»
Aneira scosse la testa, contrariata. E poi decise di mollare la bomba: «E comunque il mio coinquilino nuovo è Loki.»
«Scusa?» chiese perplessa, Jules, non volendo comprendere più che altro.
«Tom. Ha fatto Loki. In “Thor” e “The Avengers”. Insomma, stava anche in “Miss Austen Regrets”!»
«Oh mio dio!» urlò Jules gettando metà camomilla a terra – lo sapeva che avrebbe reagito con qualcosa della Austen, lo sapeva – e la discussione passò direttamente ad altro, surclassando l’argomento Ted.

 

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Capitolo 7
*** 6. The One With The Cat And The One Night Stand ***


Duuunque il banner è ancora stato fatto da _Lith_, il titolo del capitolo è ancora ispirato ai titoli dei singoli episodi di FRIENDS e la foto l'ho presa da Tumblr (purtroppo non ricordo il nome dell'account) per poi editarla io. Spero vi piaccia, è uno dei miei capitoli preferiti. Buona lettura *-*








 

The Guy Who Turned Her Down



6. The One With The Cat And The One Night Stand
Per colpa di Tom ora si svegliava presto tutte le mattine. E siccome non le andava di vegetare tra la camera e la cucina rischiando di fare incontri pericolosi – con gente che conosceva Tom, o gente che conosceva la loro ex-coinquilina prima di Colette che ogni tanto ritornava a piazzarsi sul divano in salotto – e quindi usciva per una passeggiata mattutina. Camminava un po’, faceva colazione fuori, anche se non tutti i giorni, e ritornava a casa.
Solo che quella mattina, ad aspettarla alla statua della ballerina sotto casa c’era un imprevisto: pelosetto e batuffoloso, tutto bianco con musetto, orecchie e fine della coda nera.
«Oh mio piccino adorato chi ti ha lasciato qui?» spuntava da una busta di carta e miagolava a perdifiato in attesa che qualcuno lo ascoltasse: Aneira lo prese in braccio – mentre con l’altra mano aveva già le chiavi pronte – e si diresse al portone di casa, iniziando a riscaldare il gattino con la sua sciarpa mentre lui riduceva pian piano i miagolii disperati.
«Tesorino batuffoloso, riavrai una casa a breve.» aprì le porte dell’ascensore e le richiuse, aprendo poi la porta di casa e richiudendosela dietro. Aveva ancora il pelosetto in mano. Lasciò le chiavi in borsa e notò che dalla finestra di Tom entrava la luce: sapeva dove avrebbe fatto le presentazioni per prima.
«Tom, ti presento Mycroft!» aveva spalancato la porta, incurante di quello che avrebbe potuto trovarci dentro e aveva lasciato il piccolo batuffolino sulla spalla di Tom, che si guardò intorno perplesso. Poi notò la ragazza mezza nuda che armeggiava con gli scuri della finestra e sbarrò gli occhi. Per poi pronunciare tranquillamente «Ciao signora ospite. Hai visto, Tom? Avremo un gatto domestico!»
«Come, scusa?» Hiddleston aprì gli occhi e si sedette sul letto con il gattino in braccio – che gli faceva già apertamente le fusa – mentre Aneira era già fuggita in cucina a macchinare qualcosa.
«Oh. Strani risvegli qui. Ma non avevi detto ieri sera che eri un tipo da cane?» commentò solo la ragazza, passandosi pigra una mano tra i capelli.
Probabilmente quel risveglio non sarebbe stato il più assurdo – dopo aver sperimentato quello di Laire e Aneira con un martello – ma sicuramente sarebbe rientrato nella classifica dei più strani: ancora parecchio perplesso si limitò a proferire un “Uhm, sì” per poi seguire Aneira in cucina, solo in mutande e con Mycroft ancora in braccio.
«Quando abbiamo parlato di adottare un gatto?» chiese allora apertamente, scalzo e davanti alla porta.
«Non ne ho parlato con nessuno e l’ho appena preso dalla strada: l’avevano lasciato in una busta di carta e non avrei potuto lasciarlo là. E poi ho sempre voluto un gattino.» si difese lei, versando del tè in una tazza «E non far finta di non essertene innamorato, Mycroft ti sta praticamente abbracciando. Vuoi del tè?»
Tom annuì e andò a sedersi sul divano, scosso: come se fosse un mantra accarezzava la testolina del micino, che sorrideva beato «Ma poi capirei se l’avessi chiamato Draco Malfoy, insomma, il pelo…»
«Ci avevo pensato…»
«Ma Mycroft! Che razza di nome è Mycroft?!» esclamò allora, tenendosi attaccato al petto il micino con una mano mentre con l’altra sorseggiava il tè.
«Come Mycroft Holmes. Magari gli compriamo una targhetta su cui ci facciamo incidere MH, che ne dici?»
Tom scosse la testa e chiuse gli occhi, come se schifasse apertamente quell’idea: «Dobbiamo più che altro comprare la lettiera. E il trasportino. E fare una visita dal veterinario… E non lo chiameremo Mycroft!»
«Ma Mycroft è fighissimo! Come il personaggio del tuo collega…»
«Non chiamerò il nostro gatto come Mark Gatiss! O insomma, non chiamerò Mark Gatiss come il nostro gatto! Oh…» si portò la mano libera dalla tazza al viso, ispirando profondamente «D’accordo, Mycroft. Vediamo, a lui piace? A proposito, è un lui?»
«Non lo so, controlla!» rispose semplicemente Aneira, lasciando cappotto, borsa e sciarpa sull’altra poltrona.
«Come dovrei…?»
«Apri le zampette posteriori e guarda, no?»
«Preferirei aspettare la visita dal veterinario. E dovremmo andarci presto, anche a comprare le cose…»
«Ehi Tom, io vado. Ci sentiamo!» la ragazza che dieci minuti prima era mezza nuda in camera sua ora era tutta incappottata e li salutava dalla porta «Ciao signora ospite!»
«Ohi ciao! Buona giornata…»
«Ti ricordi il suo nome, perlomeno?» alzò un sopracciglio, perplessa, Aneira.
«Certo… solo non ora.» spiegò candidamente Tom, lievemente imbarazzato. Trovò in Mycroft un giusto spettacolo alternativo: si era accoccolato all’altezza del suo stomaco e faceva tante fusa.
«Se vuoi venire dal veterinario conviene andare a vestirti…» alzò gli occhi al cielo Aneira.
«Ma Mycroft mi sta dormendo addosso!» esclamò allora lui, come se quella fosse la cosa più ovvia del mondo da dire: la ragazza scosse la testa e prese il gattino tra le mani «Ora non ti è più addosso. Vatti a lavare e vestire. E per carità, la prossima volta che vuoi uscire dalla camera dopo un rendezvous romantico con una tipa da una botta e via, mettiti perlomeno un paio di pantaloni!» lo riprese Aneira, ma Tom era già da un po’ in bagno. Tanto meglio, si sarebbe coccolata un po’ di più il piccolo Mycroft.
Dopo qualche minuto sentì la porta del bagno aprirsi e Tom arrancare verso la camera, allora si decise a indossare cappotto e sciarpa, pronta ad affrontare il freddo esterno, conscia che il ragazzo sarebbe stato pronto in qualche decina di secondi: poi, con Mycroft nella tasca del cappotto – non sembrava lamentarsi, con la piccola testolina e le zampette che fuoriuscivano da essa – bussò alla porta di Laire «Laire? Abbiamo appena adottato un gattino!»
«Che?!»
«Sì, e quella matta di ‘Nei l’ha chiamato Mycroft!» gridò dalla sua camera Tom.
«Cosa?!»
«Ora io e Tom lo portiamo dal veterinario!» non ottennero altre risposte scioccate – probabilmente non aveva più parole – da parte di Laire e percorsero cinque secondi dopo il corridoio fino alla porta di casa.
«Awww
«Sì, lo so, Mycroft è un amore nella mia tasca. Per curiosità: sai da chi stiamo andando?»
«Ho chiesto a Luke velocemente il nome di un veterinario, mi ha mandato per sms il suo indirizzo.»
«Fammi capire, ma Luke è il vostro tuttofare?» chiese molto perplessa Aneira, prima di entrare in ascensore, ma ricevendo da Tom solo un cenno del capo negativo, accompagnato da uno sbuffo.

«Ma quindi, va tutto bene, ne è sicuro?» la parentesi apprensiva nel tono di Tom faceva sorridere il veterinario e scuotere la testa ad Aneira.
«Sì. L’abbiamo appena sverminato e potete tranquillamente tornare tra una settimana per i prossimi controlli. È stato già sterilizzato… quindi si presuppone che sia stato abbandonato da qualcuno e che abbia passato anche un po’ di tempo per strada. Siete stati davvero buoni di cuore a salvarlo, con questo freddo non so dove si sia potuto riparare…»
Aneira avrebbe avuto qualcosa da ridire in proposito, visto che era stata lei a salvarlo dalla strada, Tom non era nemmeno d’accordo all’inizio. Per i primi cinque secondi, perlomeno. Ma il veterinario li aveva già chiamati “genitori apprensivi”, ci sarebbe mancato solo un comportamento da tali! E poi era stato gentile: aveva dato loro un trasportino che avrebbero potuto restituire la settimana dopo, e Mycroft era comodo lì. Ora dovevano solo comprare la sabbia per la lettiera, il mangime e tutta quella roba lì.
«E va bene solo quella marca di croccantini, non dobbiamo prenderne altre —
«Gliele ho indicate sul foglio, tutte.» il veterinario sorrise comprensivo «Ora non vorrei sembrare scortese, ma c’è una fila di pazienti…»
«Andiamo subito. Grazie mille, di tutto!» si gettò Aneira, sperando che Tom tenesse la bocca chiusa; gli strinse la mano ed uscì con il trasportino nell’altra mano, e Mycroft che miagolava qualcosa. Dopo qualche secondo venne raggiunta da Tom: «Non abbiamo chiesto per le successive sverminazioni…»
«Hiddleston, sul serio, tranquillo. Lo rivedi la settimana prossima, tanto.»
«Perché non sei preoccupata?!»
«Perché sta bene, è in forma e rivediamo il veterinario tra sette giorni. E anche perché c’è già una mamma apprensiva nella coppia, e non sono io!»
«Mi stai dando della mamma apprensiva?» chiese lui, impettito, aprendole la porta per lasciarla passare.
«Ti sei perso sicuramente la parte in cui ci ha chiamati genitori apprensivi, vero?»
«Non ne tenevo conto. Perché è importante sapere tutto prima…»
«Se mai avrai figli, sappi che non saprai tutto prima. O sarai uno di quei padri che leggono i libri “Cosa aspettarti quando stai aspettando” al posto della madre?»
Il verso altezzoso che aveva emesso l’uomo non era per niente virile: ma glielo lasciò fare, era particolarmente rompiballe quando ci si metteva, e lo sapeva benissimo; difatti gongolò soddisfatta.
«Dove stai andando, di grazia? Abbiamo lasciato la macchina da un’altra parte…»
«Al negozio che ci ha indicato il veterinario! Ha detto che questo è buono!»
«Ma venderanno le cose sicuramente al supermercato vicino casa…»
«Ma ci ha consigliato questo e ci ha detto già cosa avremmo trovato!»
Aneira alzò la mano libera al cielo «Va bene, scegli tu. Andiamo in questo negozio»
«Lo vorrai pur far mangiare Mycroft, no?»
«Certo. Ma ai gatti randagi, a casa, io davo il latte con le briciole di pane ammorbidite dentro. E vivevano comunque.»
«Mycroft mangerà bene!»
«E ci credo, con quel nome!» ribatté lei, ben conscia del fatto che era stata lei stessa a darglielo «E poi, sinceramente, non vedo l’ora che ti ritroverai a chiamare Mycroft anche Mark Gatiss, e ci sarà il gatto presente… sarà ilare!» ridacchiò lei.
«A differenza di qualcuno che conosciamo bene io non identifico gli attori con i loro ruoli. Sai, sennò molto probabilmente sarei riconosciuto come Loki.»
«E lo sei, difatti, da mezzo mondo!» esclamò Aneira, sorridendo sorniona.
«Fa nulla, di’ quello che vuoi» aveva detto, gesticolando qualcosa e prendendo un carrellino all’entrata nel negozio… e Aneira era certa che lui fosse uno di quelli che se devono scegliere qualcosa mentre fanno della spesa specifica, ci mettono ore. Sperava vivamente che nel frattempo Mycroft trattenesse i bisognini abbastanza per farli a casa, nella sabbietta della lettiera.
Venti minuti dopo erano usciti dal negozio, “carichi come ciucci” aveva specificato lei. Tom sembrava avesse preso le provviste per l’inverno: diversi tipi di croccantini e anche cibo che avrebbero dovuto mettere in frigo. Per non parlare dei cinque chili di sabbietta. Cinque.
Ovviamente gli aveva lasciato l’onere di portare tutta quella roba, lei già portava Mycroft – e aveva suggerito la metà di quello. Avevano diviso le spese a metà… nella speranza di non dover fare di nuovo una spesa del genere.
«E per tornare al discorso di mamma apprensiva: sei una mamma apprensiva particolare, con la Jaguar.» commentò lei, sedendosi difficoltosamente al posto del passeggero con Mycroft sulle ginocchia.
«Dovrebbe essere un insulto o una sorta di sbeffeggiamento?»
«Non lo so. Però ero ironica.»
«Lo sei praticamente sempre. Tranne quando piangi per qualche film Disney…»
«Qualche film Disney per cui magari piangi anche tu, per caso
«Avevo gli occhi rossi per il raffreddore.» ribatté lui, ingranando la marcia.
«Sì, certo. Proprio per il raffreddore.» terminò Aneira, guardandolo di sguincio e scuotendo la testa: non l’avrebbe mai e poi mai ammesso.
Non riusciva a trovare Mycroft: era stato tutto il giorno con lei – a parte quando se ne andava elegantemente in bagno ad espletare il suoi bisognini – e ora ne sentiva la mancanza. Insomma, erano la coppia perfetta: tutto il giorno a letto, lei a studiare, lui a sonnecchiare o ricevere coccole, e quella loro routine era pressoché quotidiana. Erano passati solo due giorni da quando l’aveva accolto in casa e si erano abituati così. Ogni volta che tornava dall’università lo trovava sulla porta ad aspettarla per darle il benvenuto miagolando. E allora perché in quel momento era sparito?
Una decina di minuti dopo – aveva finito di studiare l’articolo sulla Teoria del Prospetto – si alzò per fare il tè e per andare a cercarlo in giro: le mancava, ma soprattutto voleva sapere che fine avesse fatto.
Quando lo ritrovò in cucina, spanciato sul busto di Tom addormentato come se stesse cercando di abbracciarlo tutto – le zampine anteriori in direzione delle spalle e quelle posteriori verso i fianchi del coinquilino, nemmeno gli stesse cadendo di dosso e dovesse aggrapparsi al maglione del ragazzo – non poté non esimersi dal fare una foto e postarla su Instagram. Erano dannatamente ridicoli e teneri contemporaneamente.
Scosse la testa e mise il bollitore sul fuoco, prendendo una tazza dalla credenza per poi andare allo “Scrigno dei Tè e delle Tisane” per scegliere quale tipo di tè bere: optò per un classico Earl Grey e si sedette di fronte ai belli addormentati, decisa a leggere la copia del National Geographic Magazine di Laire.
Dopo qualche minuto e diverse pagine sfogliate, Tom si svegliò leggermente di soprassalto rischiando di far cadere Mycroft – ma il braccio andò direttamente sul gattino e lo sorresse automaticamente.
«Da quanto sono qui?»
«Non lo so, sono arrivata cinque minuti fa per il tè. Ne vuoi una tazza?»
«Sì, perché no, mi servirebbe.»
«Non hai lo spettacolo oggi?»
«No… a proposito, ho un biglietto per te. Coriolanus. È per Sabato prossimo e c’è anche un’altra mia amica…»
«Okay, perfetto! Ti sei addirittura preoccupato che non andassi da sola?»
«No, in realtà ho solo beccato due piccioni con una fava, come si suol dire. Lei già sarebbe venuta…»
«Okay. Basta che me la presenti prima che mi sieda accanto a lei e chieda in modo molto imbarazzante alla persona accanto a me “Ehi, sei tu l’amica di Tom?” e magari è quella sbagliata.»
Il coinquilino scosse la testa ridendo mentre continuava ad accarezzare Mycroft, che ronfava ancora sul suo stomaco.
«Farò in modo che ti riconosca. Vi incontrate davanti all’entrata dieci minuti prima dell’ora prestabilita?»
«Per ora prestabilita intendi quella che impone il buon senso di stare mezz’ora prima a teatro o dieci minuti prima che inizi lo spettacolo?» Aneira macchinava con il bollitore e metteva l’infusore con le foglie di Earl Grey dentro al suo posto, impostando il timer e tornando alla sua poltrona.
«Ovviamente la prima. Avrei potuto mai intendere la seconda?»
«No, ovviamente.» sfogliò un’altra pagina, mentre alzava platealmente entrambe le sopracciglia a mo’ di sfottò nei confronti del suo interlocutore «A proposito: è una tua amica amica o è una trombamica? Vorrei evitare momenti imbarazzanti in cui le dico della volta che ti ho portato il gatto in camera e c’era la signora ospite…»
Tom scosse nuovamente la testa prima di rispondere: «Amica amica. E comunque sono più che certo che dirai qualcosa di imbarazzante… ma sono anche certo che le piacerai di più proprio per quel motivo.»
«Oh beh. Allora mi è già simpatica, a prescindere.» sfogliando un’altra pagina del magazine e iniziando a leggere l’articolo che aveva sottomano: poi Mycroft si svegliò, si stiracchiò addosso a Tom – non negandogli qualche graffio sul petto, a cui lui rispose non propriamente in modo felice e contento – e corse sulle sue gambe, bisognoso di coccole.

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Capitolo 8
*** 7. The One In Which Someone Of Hers Falls For Someone of His ***


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Titoli ispirati ancora a FRIENDS
Foto: fatta e editata da me.
Buona lettura *-*














 
The Guy Who Turned Her Down




7. The One In Which Someone Of Hers Falls For Someone of His

Aneira era piazzata sulla sua poltrona e aveva Mycroft sulla pancia, ed era l’unico motivo per il quale Elspeth non l’aveva fatta sloggiare da lì quando l’aveva trovata in cucina a parlare con Colette: era tornata a Londra per qualche giorno e stava da un’amica e per quella sera era passata a trovarle.
Allora le aveva presentato il loro nuovo gattino salvato dalla strada e Colette, amante dei gatti anche lei, aveva giocato con lui per un po’ per poi ordinare giapponese con la sua ex-coinquilina e chiacchierare un po’. E poi si era aggiunta Elspeth che era appena tornata dalla cena con il suo fidanzato, mentre Laire era ancora fuori di casa con amici: ma non importava, dopotutto erano prima di tutto Colette, Elspeth e Aneira. Laire si era aggiunta solo dopo, non faceva parte del gruppo originario.
«Oh, il dormiglione s’è svegliato!» aveva esclamato la ragazza dai lunghi capelli fucsia indicando il piccolo gattino bianco che si liberò dalle coccole della padroncina per saltare sulle gambe dell’ospite, senza negarle qualche graffio «Sapete quanto ha?»
«No!» Aneira fece spallucce, mentre Elspeth metteva su il tè «Però è stato già castrato, quindi avrà sicuramente più di sei mesi. Ma è ancora un piccoletto!» gli diede un buffetto, sebbene quello fosse oltre il tavolino, a bearsi delle coccole dell’ospite sconosciuta.
«Sembra una piccola peste…»
«Lo è. Ogni tanto.» aggiunse Elspeth «Da quando è qui chiudo sempre la porta della camera con la paura che mi faccia nuovamente cadere tutti i libri. E no, non sono tomi leggeri di Scienze Politiche!» aveva esclamato la ragazza, sbattendo le palpebre.
«Quando sta in camera mia sta sempre spanciato a sonnecchiare.»
«Sì, perché prende la mia e quella di Laire come parco giochi! Da te e Tom va sempre a dormicchiare!» aggiunse Elspeth, sorridendo e andando a dare anch’ella un buffetto a Mycroft, come se volesse scusarsi del fatto che lo stesse incolpando di qualcosa. Ma lui non aveva sentito nulla e non aveva nemmeno voglia di separarsi dall’ospite.
«A proposito, come vi state trovando con la star? Ha già dato festini o cose del genere?» Colette ammiccò alle due amiche, che ridacchiarono contemporaneamente, ma Elspeth fu la prima a rispondere «Fa più feste Laire di lui.»
«A parte quando ospita colleghi ubriachi o trombamiche!»
Elspeth sgranò gli occhi: «Queste me le sono perse!»
«Eri da Andrew! Laire ne sa qualcosa. Perlomeno, della prima.»
«E per la seconda sembri tu un po’ gelosa!» incalzò Colette, ammiccando nuovamente: Aneira arrossì e la guardò trucemente, per poi ricomporsi «In realtà lo sembrava di più lei. Perché dopo averla salutata chiamandola “signora ospite” ho lasciato Mycroft sul muso di Tom e lui non l’ha calcolata fin quando non ha fatto la sua camminata della vergogna fuori di casa.» fece spallucce, mentre Colette ed Elspeth scoppiavano a ridere contemporaneamente, così tanto che la prima dovette asciugarsi le lacrime dagli occhi mentre Mycroft, per il trambusto, sceglieva di piazzarsi sul divano e sonnecchiare tranquillo.
«Quindi a quanto pare l’ho scelto bene… le coinquiline prima delle donne!» commentò quella, mentre Aneira infilava un cucchiaino di yogurt alla frutta in bocca «Beh, lei non sembrava particolarmente contenta.»
«Ci credo!» esclamò Elspeth, versando l’acqua bollente in una tazza dove poi aggiunse anche l’infusore.
Sentirono la porta di casa aprirsi e diverse voci farne capolino: dopo qualche minuto tre volti conosciuti attraversarono la cucina, e uno di quelli era la diretta ricevente di un’occhiataccia eloquente di Tom.
«‘Nei, guarda chi ho trovato sul pianerottolo…»
«Jules!» Aneira saltò su per abbracciarla e poi si rivolse a Tom «Come è andato lo spettacolo?»
«Non ho fatto una plateale figuraccia davanti a tutti, non preoccuparti.» poi il ragazzo si rivolse verso l’ospite «Tu devi essere Colette, vero? Luke ti aveva descritto così.»
«Non cerchi di accogliermi con un martello in mano oggi, Hier?» chiese il Luke in questione che si trovava con le mani in tasca accanto ad un’imbarazzata Jules che non sapeva dove guardare nella stanza. Con lei avrebbe fatto i conti dopo.
«Così come, rosa?» Colette strinse la mano che le porgeva Tom e rimase in piedi, andando ad abbracciare Luke, mentre Tom si appropriava della poltrona e Mycroft gli saltava addosso per salutarlo leccandogli la mano.
«Quando gli hai puntato il martello contro?» chiese alla fine Elspeth, guardando lo sconosciuto basita per poi presentarcisi.
«Lunga storia…» iniziò Aneira.
«Te la racconteremo un giorno. Anzi, sarebbe divertente sentire la versione di Laire.» terminò ridacchiando Tom, accarezzando il gattino bianco.
«Beh, io sono venuto solo a prendere lei» indicò Colette «Non a controllare che faceste i bravi e non cercaste ladri sul tetto. Quindi buona serata, noi abbiamo una rimpatriata!» e con la mano sulla spalla di Colette i due uscirono dalla stanza, in cui in quel momento regnava uno strano silenzio.
«Jules…?» chiese Aneira, perplessa. Era insolitamente taciturna e non sapeva dove guardare «Cosa hai fatto?»
«Niente!»
«Jules… dov’è la pupù?» chiese nuovamente, con fare inquisitorio, Aneira.
«Non ho fatto niente, davvero!» esclamò la ragazza sulla difensiva, mentre dall’altra parte Elspeth e Tom si scambiavano uno sguardo preoccupato.
«D’accordo. Ti verso l’acqua calda. E ti do una tisana. E andiamo in camera, ora.» lo sguardo concentrato di Aneira non presagiva niente di buono e Jules lo sapeva. Ma continuò a non guardare nessuno precisamente, per poi salutare i presenti nella stanza seguendo Aneira in camera.
«“Dov’è la pupù”?!» Tom era basito.
«Hai presente Lily di “How I Met Your Mother”..?» rispose Elspeth, mentre il coinquilino annuiva «Ecco, quando sta per indagare su qualcuno e poi strigliarlo di conseguenza usa la sua frase. Bislacco, ma ti ci abitui dopo un po’.»
Ancora con l’espressione perplessa, Tom annuì. Per poi scoppiare sinceramente a ridere scuotendo il capo.

Aneira aspettava qualcosa uscire dalle labbra carnose dell’amica, che invece si limitavano a sorseggiare dalla tazza nera la tisana. Lei nel frattempo aveva optato per il tè – e quando mai – e attendeva pazientemente. E sperava con tutte le sue forze che non c’entrasse l’ex fidanzato Ted.
Quando Jules si decise a parlare, Aneira sbarrò gli occhi e rimase ancor più perplessa, conscia che qualcosa non quadrasse: «Luke… sta con Colette?»
«No, sono amici. Perché?»
«Oh… per sapere.» No, decisamente non gliela contava giusta. Aneira prese un sorso del tè, osservandola accuratamente: «C’è qualcos’altro, vero?»
«Ho… incontrato qualcuno.»
«Chi?»
«Un tipo, carino. All’intervista per il giornale di facoltà. Mi ha chiesto di uscire, solo che ha orari improbabili…»
«Dimmi tutto! E io credevo che fosse Ted! Grazie al cielo non c’entra nulla!»
«Beh, con lui mi sono vista questo pomeriggio per un altro caffè.»
«Jules!» la rimproverò l’amica, e lei fece spallucce «Ma tanto non mi interessa più in quel senso!»
«Forse a te. Ma magari a lui… magari lui la pensa diversamente. Ricorda sempre che sei stata tu a mollarlo e lui s’è chiuso nel suo guscio. E ora ne è uscito magicamente?»
«Oh, non mi interessa. Ma Luke è…»
«Il pubblicista di Tom. Non è Luke il tipo che ti ha chiesto di uscire, no?» chiese perplessa l’amica, alzando un sopracciglio; ma Jules reagì in modo bizzarro, perché iniziò a scuotere veementemente la testa, arrossendo e negando incondizionatamente.
«Mi stai quasi facendo credere che sia lui.»
«No… si chiama Matthew, lavora per un’azienda di “Built in London”… insomma, è sommerso di lavoro.»
«Semplice, ti trovi sempre le cose semplici.» commentò ironicamente l’amica.
«Puoi dirlo forte. Dal mammone allo stakanovista. Ehi, potrei scriverci un articolo!»
«Sarebbe più che interessante, ma non penso che Michael te lo pubblicherebbe.» scherzò Aneira, rivolgendole un sorriso «Com’è andata la presentazione?»
«Tranquillamente si può dire, ha fatto tutto lei…»
«Come al solito, del resto.» ridacchiò tra sé e sé Aneira, trascinando dopo un po’ anche Jules, il cui morale parve risollevato fino a quando non iniziò a fare gli occhi dolci all’amica «Ti prego, non iniziare a chiedermi dove sia la merda…»
«Mi hai letta nel pensiero!»
«Posso rimanere a dormire qui? Non mi va di tornare a casa e ho il pigiama di ricambio…» iniziò a mani congiunte Jules, e Aneira, già in pigiama, le sorrise: «Non devi nemmeno chiederlo. Questa casa è sempre aperta per te!»
«Grazie mille!» tirò un sospiro di sollievo ed iniziò a tirare fuori dalla borsa il pigiama in questione. Allora Aneira si defilò, dichiarando un “Torno subito” e lasciando la camera. Prima o poi Jules le avrebbe detto i problemi che le impedivano di tornare a casa – o più probabilmente, le toglievano la voglia di farlo.
Senza tante cerimonie spalancò la porta della camera di Tom, trovandolo sul letto a coccolare Mycroft mentre leggeva qualcosa sul tablet: «Ehi! E se fossi stato nudo?!»
«Devo ricordarti di quando mi hai seguita in mutande in cucina con Mycroft attaccato a te?» ribatté lei con un sopracciglio alzato per poi piazzarsi sul letto dell’uomo, scavalcandolo e finendo dal lato del muro.
«Cos’ha Jules?»
«Allora anche tu l’hai notato!» esclamò la ragazza puntandogli il dito contro.
«Sono un bravo osservatore, che ci vuoi fare!» commentò lui, semi-gongolante, sfogliando virtualmente una pagina sul suo I-Pad, mentre lei coccolava Mycroft che si trovava al centro del lettone «Che cos’ha?»
«Non lo so. Cioè è strana… credo sia perché Ted l’ha ricontattata, ma ha anche questo intrallazzo aperto con questo Matthew… ma secondo me c’è qualcos’altro sotto.»
«Non te ne ha ancora parlato?» non la guardava perché era occupato a leggere, ma le stava dando attenzioni, sebbene parziali.
«Non ancora. E poi penso che abbia sviluppato nei cinque minuti che li hai presentati una piccola cotta per Luke.»
Tom scoppiò a ridere, non distogliendo lo sguardo dalle pagine: «Togliglielo dalla testa, è gay.»
«Oh peccato. Se non altro così c’è meno carne a cuocere per quanto riguarda la sua vita incasinata.»
«Le posso presentare qualche altro mio amico che può interessarle!» propose lui, spostando finalmente lo sguardo dal tablet per posarlo sulla coinquilina, che giocava con i piedi sull’armadio.
«Non ha bisogno di un altro uomo in questo caso, proprio no.» commentò la ragazza, scuotendo la testa e portandosi la mano libera alla fronte, pensierosa «Eppure non riesco a togliermi dalla testa il fatto che ci sia qualcos’altro sotto, qualcosa di serio…»
«Tipo?»
«Non so, qualcosa che riguarda la famiglia. O la confusione negli studi… qualcosa che la destabilizzi più del suo ex-fidanzato, ecco.»
«Gli ex-fidanzati possono essere molto destabilizzanti, eh.»
«E tu sei esperto in materia?» alzò un sopracciglio e Tom schioccò contrariato le labbra: «Per quanto ti possa sembrare strano, ho avuto anche io ex-fidanzate.»
«Oh, credevo ex-fidanzati!» gongolò lei, prendendolo in giro.
«Quanto sei scema» commentò lui, alzando gli occhi al cielo e riprendendo a coccolare Mycroft sotto il musetto, che si beava delle coccoline emettendo fusa a destra e a manca.
«Ti suona il telefono» lo avvisò Aneira, sebbene il telefono non suonasse ma fosse illuminato perché qualcuno lo stava effettivamente chiamando: «Ed? Okay. Sì, non fare casino.»
«Eddie?»
«Ovviamente. Chi beve al pub sotto casa?»
«Ha seriamente questi problemi con l’alcol?!» chiese lei, perplessa.
«Oh, anche io. Solo… non a casa.»
«Confortevole.» commentò la ragazza, con Mycroft che si era piazzato accanto al suo petto e ronfava beato.
Tom lasciò la sua camera per dirigersi al citofono, al quale si attaccò senza che suonasse: «Eddie? Ci sei?»
«Sì… mi apri?»
Tom eseguì e aspettò l’amico sulla porta, il quale uscì poco dopo dall’ascensore: ma non era così barcollante come si sarebbe aspettato. Anzi, in realtà era solo un po’ brillo.
«Vuoi un posto letto?»
«Non mi dispiacerebbe. E no, non sono qui perché sono ubriaco, ma ho litigato con Hannah.»
«Simpatico.» aveva commentato Tom leggermente perplesso, facendo strada verso la sua camera: ne spalancò la porta, pronto a cacciare di lì Aneira perché sarebbe stato il suo momento di chiacchiere con un amico, ma la trovò ronfante – come Mycroft del resto – sotto le sue coperte e attaccata al gattino.
«È bello Mycroft. Ma che ci fa lei qui?» fu il turno di Eddie di essere perplesso, e alzò un sopracciglio di conseguenza.
«Stavamo parlando… Ehi, cosa ne sai di Mycroft?!» chiese allora Tom, facendo strada verso la cucina e socchiudendo la porta della sua stanza: no, non avrebbe svegliato Aneira per buttarla fuori dalla camera, sembrava troppo stanca.
«Beh, Aneira posta tutte le foto su Instagram che lo riguardano. E su Facebook. E anche su Twitter.»
«…Non hai tutti i torti.» commentò il padrone di casa, versando l’acqua bollente – che ormai era tiepida – rimasta per servire un tè a Eddie, che accettò di buona lena.
«Mi dispiace, ma dovrò metterti a dormire altrove.»
«Da Laire?»
«Nah. Il letto di Aneira è libero per una parte.»
«Per una parte…?»
«Oh, l’altra è occupata dall’amica di Aneira con piccoli problemi di cuore ed altri più gravi di cui non sappiamo nulla.»
«Il “non sappiamo nulla” è in riferimento al discorsetto che stavate facendo tu e Thorneira prima che arrivassi?»
«Eeeesattamente.» rispose Tom, sfogliando il giornale, per poi riporlo sul tavolino accanto «Allora, vogliamo parlare del litigio?»
«Preferirei parlare dei problemi sconosciuti dell’amica di Aneira, ma se proprio devo…» iniziò Eddie, sistemandosi comodo in poltrona. Quella sarebbe stata una lunga nottata.
«Proprio devi.» Tom iniziò a sgranocchiare e ad ascoltare, curioso.

Aneira si svegliò la mattina dopo che era ancora presto, e si trovava tra Mycroft e il muro. Oltre, in realtà, c’era Tom che ronfava: doveva essersi addormentata la sera prima mentre aspettava che lui tornasse.
Cercò malamente di scavalcarlo, colpendolo e finendo a terra: no, non era decisamente atletica di mattina. In generale non lo era, ma di mattina ancora peggio: Tom mormorò qualcosa e aprì gli occhi, mentre lei si scusò e cerco di alzarsi in piedi facendo meno rumore possibile.
Sperava di poter riprendere a sonnecchiare sul suo letto, ma quando arrivò in camera per poco non esclamò dalla sorpresa.
«Avevi detto che Jules sembrava avere una cotta per Luke, ma qui io vedo che è caduta per Eddie.»
«Per favore, Tom, lo sai che le tue freddure prima delle nove del mattino non si possono sopportare.»
Aneira, tant’era concentrata per capire che cavolo fosse successo quella notte in camera sua, non aveva neanche sussultato quando Tom aveva parlato dopo essere arrivato di soppiatto vicino a lei: ma in quel momento era più occupata a cercare di capire perché Jules fosse avvinghiata a Eddie e perché entrambi fossero caduti a terra alla parte del letto dove stava Eddie e non si fossero svegliati.
«Ma Ed ha il sonno pesante?»
«Molto. Anche Jules, noto.»
«Dici che dovremmo lasciarli così?»
Tom fece spallucce, decretando che l’inizio della giornata solo con una frase: «Io vado a fare il tè.»
Aneira continuò ad osservare il duo improvvisato, li scavalcò per prendere il telefono e fece loro la foto: poi, con tutta calma, raggiunse Tom in cucina per il suo tè mattutino.


 

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Capitolo 9
*** 8. The One With The Awkward Awakening ***


Banner: _Lith_
Titoli: ispirati liberamente dalla struttura di quelli di FRIENDS
Foto: ovviamente non fatte da me ma modificate (e si vede, per come sono malamente modificate con Paint) da me!
Buona lettura!










 
The Guy Who Turned Her Down



8. The One With The Awkward Awakening
Quando Jules si fu svegliata per poco non urlò terrorizzata. E non perché la terrorizzasse il tipo sul quale era spaparanzata in quella posizione poco comoda tra il letto di Aneira e il pavimento della sua camera, quanto perché non conoscesse il tipo in questione e lui stesso si stava limitando a guardarla senza strattonarla via.
«Piacere, Eddie. E buongiorno!» esclamò lui, sorridendo.
Lei sbatté nuovamente le palpebre e prese la mano del ragazzo, stringendogliela subito dopo – mentre cercava di ritornare sul letto «Piacere, Jules. Ti direi buongiorno, ma ho la schiena spezzata…»
«Anche io. E non so come siamo finiti così.»
L’espressione esplicativa della ragazza nel pigiama con gli unicorni suggeriva che anche lei si stesse ponendo la stessa domanda, seguita poi da un’altra ancora più urgente: «Ma… Aneira?»
«Stava parlando di te con Tom nel suo letto e si è addormentata lì. Poi sono arrivato io e Tom ha deciso di mettermi a dormire qui.»
«Oh… okay.» si limitò a dire lei, infilandosi le ciabatte e legando i capelli in uno chignon improvvisato «E sai per caso dove siano finiti?»
«No. Immaginavo che se fossero stati da Tom si sarebbero precipitati qui dopo il tuo urlo…»
«O, visti i tipi, più probabilmente sarebbero scoppiati a ridacchiare sommessamente dello scherzone ai nostri danni.» aggiunse Jules, prendendo degli asciugamani dall’armadio di Aneira.
«Quella era decisamente l’altra ipotesi plausibile!» convenne il rosso, ridendo tra sé e sé del fatto che cinque secondi prima avesse avuto lo stesso pensiero dell’amica di Aneira.
«Cerchiamo qualcuno in casa?» propose Jules, tra il perplesso e il confuso.
«Questa è la seconda volta che lo faccio in questo appartamento, ma perlomeno ora sono sobrio.»
La risposta di Jules fu un’eloquente alzata di spalle, iniziando la ricerca degli ipotetici esseri umani lì presenti dalla stanza di Elspeth: solo due minuti dopo in cucina si resero conto di essere gli unici esseri viventi in quella casa, eccetto Mycroft che sonnecchiava sul letto di Tom e non aveva intenzione di smuoversi di lì.
«Oh, la ciotola è anche vuota!» Jules si piegò per cambiare l’acqua alla ciotola dell’acqua e mettere i croccantini in quella vuota «E pensare che sono così attenti al micio.»
«Duuunque…» era decisamente imbarazzante aver dormito con qualcuno che non si conosceva minimamente, averla spaventata e ora ritrovarsi soli in una casa non loro «Colazione?»
«In questa casa c’è solo tè…»
«E io ora avrei bisogno di caffè.» aveva dichiarato Eddie, facendo sussultare Jules che lo guardò incredula: «Anche io.»
«Il bello è che non sono solo Tom e Aneira: se i pazzi fossero solo loro due mi limiterei a dire: “Ah, si sono proprio trovati!” invece no, anche Elspeth e Laire vivono di tè.»
«Ho bisogno di caffè.» dichiarò sbuffando Jules, guardando l’orario sull’orologio della cucina «Ed è anche tardi…»
«Dai, scendiamo, ti offro la colazione.» propose il rosso, indicando poi il pigiama della ragazza «E dovresti liberartene. Per quanto siano carini quegli unicorni, non ci puoi uscire.»
L’occhiataccia imbarazzata che Jules gli rivolse era tutto un programma: non si riusciva a capire se fosse più imbarazzata o tentata dal rimproverarlo. Però la ragazza ubbidì e si andò a rintanare in bagno, mentre Eddie tirava fuori dalla tasca il cellulare per scrivere un SMS all’amico: “Che diavolo di fine hai fatto? Ed x”
“Sei incazzato ma mi mandi i baci baci? Che cucciolo! Tom x”
“Non mi hai risposto. E”
“Sto correndo. T”
“Con Aneira?”
“Ti pare?! Lei sarà a passeggio come al suo solito”
“Scommetto che è colpa tua se cammina di prima mattina…”
“Temo di esser colpevole. Ti ritrovo a casa quando torno? T x”
“Non penso, sto per offrire la colazione a Jules. E x”
“Se lo sa Hannah ti ammazza.”
“Lo so. Ci sentiamo, Tom! Ed X”
«Sono pronta!» lo scambio di messaggi con l’amico doveva esser durato un bel po’, dato che Jules lo aspettava sulla porta già pronta, con la borsa sul braccio e il cappotto addosso «Non hai una bella cera per essere pronto per uscire.»
«Ti direi lo stesso, ma in bagno devi esserti rassettata parecchio.»
«Che bei complimenti che fai.» si limitò a commentare lei, schioccandogli un’occhiata non proprio simpatica.
«Beh, abbiamo entrambi dormito a metà tra il letto e il pavimento. Dovrebbe essere ovvio che non siamo pronti per uscire»
«E invece ci tocca.» commentò la ragazza, tenendogli la porta aperta per poi chiudersela dietro non appena il rosso ne uscì «Dove vuoi andare a fare colazione?»
«C’è una “Patisserie Valerie” in Bedford Street…» iniziò Eddie, entrando in ascensore.
«Okay.» si limitò a dire Jules, facendo spallucce. Dopotutto, non c’era mai stata.
Solo quando erano ormai in strada si decise che forse era il caso di fare conversazione: era troppo strano aver dormito appiccicata a qualcuno tutta la notte e non conoscerne quasi niente oltre il nome.
Camminando per Floral Street si decise a prender parola: «Cosa fai per vivere?»
Jules notò una nota di stupore nello sguardo di Eddie, che sparì subito dopo.
«Recito. Tu?»
«Mantenuta dai miei. Per ora almeno, mi laureo quest’anno.»
«Cosa studi?»
«Ho iniziato Management con Aneira ma poi sono finita a Consulenza… strade diverse, insomma.»
«Perché, lei cosa fa?»
«In realtà studia presso il dipartimento di Antropologia lei. Il suo corso è un mix strano di Antropologia, Economia e tutta la parte cognitiva che riguarda entrambi… è un casino, ma è parecchio figo. S’è allontanata in un certo senso dall’economia tradizionale.»
«Beh, tu sei andata nella parte super-competitiva e molto ragionieristica se così si può dire.»
«Sì, forse… ma non mi dispiace. Neanche per lei, ecco.» spiegò Jules, sorridendo «E tu? Che studi hai fatto?»
«Mi sono laureato in Storia dell’Arte.»
«Dove?»
«Trinity College.» sembrava come se stesse per lanciare una bomba: ed effettivamente la reazione di Jules fu simile a quella che avrebbe avuto se quella fosse stata una bomba «Cambridge?!»
L’espressione colpevole del rosso assieme al suo annuire l’avevano convinta che dicesse la verità «E come ti sei trovato a recitare? Insomma, se io avessi fatto Storia dell’Arte…»
«Deduco che tu ami l’arte, vero?» incalzò Eddie, notando la luce negli occhi di Jules «Comunque ho sempre voluto recitare. Anche quando ero lì.»
«Woah. No comunque… sì insomma, dipingo. Ma amo anche l’arte, sì.» commentò Jules, che era arrossita, proprio mentre voltavano su Garrick Street.
«Artista preferito?»
«Van Gogh.» l’aveva chiesto così velocemente che la risposta di getto di Jules venne spontanea «Ma amo molto gli impressionisti.»
«Sei andata a vedere la mostra alla National Gallery? Ci sono le due copie dei Girasoli…» aveva iniziato Eddie, ma Jules lo bloccò scuotendo la testa «Non ancora. Non ho avuto ancora tempo…»
«Ti va di andare insieme domenica prossima?» probabilmente anche quella domanda era partita di getto, e probabilmente avrebbe dovuto ritirarla subito dopo… ma voleva andarci sul serio.
E poi Jules, lievemente sorpresa, aveva annuito e sembrava davvero felice per quell’idea: «Sì, mi piacerebbe molto!»
«Okay. Allora poi…»
Jules gli porse un biglietto da visita, entrando nel cafè «Mi scrivi per dirmi l’orario.»
Eddie sorrise, scuotendo la testa «Che professionalità!»
«Li ho dovuti fare per uno stage l’estate scorsa… tanto vale usarli, no?» fece spallucce lei, dirigendosi al bancone.
«Un èclair au chocolat, s’il vous plaît?»
«Wow, internazionale…» commentò Eddie, e Jules ne notò la leggera ironia: «Era in Francia lo stage. E comunque prendi meno in giro, l’ho detto automaticamente.»
«Scherzavo. Hai una bella pronuncia francese, però.» aggiunse poi, chiedendo alla ragazza in attesa del suo ordine una torta al doppio cioccolato: fortunatamente, pensò Jules, aveva distolto abbastanza lo sguardo per non vederla arrossire nuovamente.
Presero posto ad un tavolino nell’angolo ed Eddie fece portare due caffè neri: e doveva averci preso anche con i gusti di Jules, perché lo sguardo di lei era espressivamente sinceramente grato, più di quanto avrebbe potuto fare un “Grazie” subito dopo. Che, per inciso, Jules disse comunque.
Entrambi lo portarono direttamente alle labbra, senza metterci zucchero: e parvero avere lo stesso sguardo sollevato quando anche solo un po’ di caffè entrò in circolo.
«Cosa stai facendo, ultimamente?» Jules riprese a parlare solo dopo aver spazzolato metà Èclair au Chocolat.
«Uhm… ultimamente non molto, ma ho girato un film qualche mese fa. In realtà mi sto godendo una lunga vacanza, prima di girarne un altro.» prese un cucchiaino della torta, mentre Jules sorseggiava il caffè, annuendo «Non avevo capito che eri tanto famoso da poter stare in vacanza da un bel po’.»
Fu il turno di Eddie di arrossire – e con la pelle chiara che si ritrovava, risaltava non poco –  e prendere parola subito dopo «Ehm… non così tanto. E poi è piacevole… non sai nulla di quello che sanno tutti di me. È bello avere conversazioni così.»
Jules sorrise, facendo spallucce: terminò il dolce e il caffè e diede un’occhiata all’orologio.
«Devi andare?» Eddie si alzò immediatamente, prendendo il caffè ma lasciando il dolce non ancora finito.
«Sì, ma ti prego, finiscilo. Non voglio andare…»
«Ma devi. Hai lezione?»
«Magari. Mi devo vedere con alcune colleghe… si tratta di un lavoro di gruppo. E nei lavori di gruppo, la gente impazzisce.»
«Solo le persone troppo competitive.» aggiunse lui, terminando la torta per andare a pagare alla cassa: Jules non fece in tempo a bloccarlo che Eddie era già tornato al tavolino con un sorriso a trentadue denti.
«Sarò costretta a farti una cena, visto che ti sei ostinato a pagare tutto tu.»
«Quando vuoi, sono disponibile!» commentò lui, non accennando a far sparire il sorriso sornione e mantenendole la porta aperta mentre quella la attraversava e prendeva Bedford Street andando a sud.
«E comunque, la tua considerazione la devo prendere come negativa?»
«Quale, perdonami?»
«Solo le persone competitive…»
«Assolutamente no. Dipende dal tipo di competitività, in realtà.» commentò lui, seguendo la ragazza.
E l’espressione contrariata che aveva dipinta in viso Jules la diceva lunga sul tipo di competitività cui faceva riferimento: «Allora liberati semplicemente dalle persone nocive.»
«Non è così facile.»
«Lo è, quando ne hai abbastanza.»
L’espressione di Jules era ancora molto chiara: non l’aveva convinta.
«Ma se vuoi possiamo parlarne meglio domenica. Sai, l’arte concilia bene i discorsi sui massimi sistemi relazionali.»
Jules ridacchiò e lo guardò di sottecchi, mentre voltava su Strand «D’accordo, allora si può rimandare il discorso sui massimi sistemi relazionali. A domenica.»
«Perfetto.» concluse lui, sorridendole di rimando.
Passarono i dieci minuti successivi in silenzio, controllando la strada prima di attraversare e ad una distanza troppo vicina per essere due sconosciuti ma troppo lontana per essere amici… o altro. Arrivati davanti alla London School Of Economics And Political Sciences, Jules si era già allontanata e si era voltata per salutarlo con una mano. Eddie rispose nello stesso identico modo, sorridendole. E poi controllò spontaneamente che entrasse nella struttura, decidendosi poi a prendere il telefono per chiamare Tom, che rispose immediatamente: «Alla buon’ora! Hai intenzione di tornare a casa?»
«Temo di aver fatto un casino.»
«Dov’è la pupù?!» la voce di Aneira fece capolino nel ricevitore, e non sembrava contenta.
«Vengo a casa.» si limitò a dichiarare, percorrendo Drury Lane verso nord e chiudendo la chiamata.

Quando arrivò a casa trovò Aneira e Tom ad aspettarlo a braccia incrociate sul divano. E c’era una sedia – che pensò a buon ragione che fosse per lui – esattamente di fronte a loro. Ci mancava soltanto una lampada che puntava dritto verso la sedia. Perlomeno c’era Mycroft che rasserenava la scena, difatti i due se lo passavano coccolandolo prima l’uno, poi l’altra.
«È… successa una cosa.»
«Siete andati a fare colazione insieme.» terminò per lui Tom, che più che nervoso sembrava… rassegnato.
«Sì.»
«Volevo fare la poliziotta simpatica e non quella cattiva, ma… che diavolo ti è saltato in mente?! Sei fidanzato!»
«Io e Hannah abbiamo litigato, ok?» saltò su Eddie, come se fosse stato punto da una vespa, mentre Aneira scuoteva vigorosamente la testa: «Non è un buon motivo.»
«Io e Jules andiamo a vedere i Girasoli di Van Gogh alla National domenica.» Eddie lo buttò fuori rapidamente, dando all’amico e ad Aneira la possibilità solo di esclamare all’unisono un «Sul serio?!» molto risentito.
«Eddie…» Tom scuoteva la testa, sospirando.
«Se si innamora di te e poi fate cose strane e lei rimane col cuore spezzato, io ti picchio.» lo minacciò solennemente Aneira, puntandogli il dito contro. Poi prese Mycroft e lasciò la cucina con il suo tè, prendendo la strada della sua camera.
«Cosa devi dire tu?» Eddie si aspettava una strigliata ben peggiore da Tom. Ma lui si limitò a scuotere la testa e a sorridergli: «Non incasinarti. Parla con Hannah. Magari parlale di Jules. Magari diventate amici…»
«Penso che la strigliata di Aneira sia meglio.»
«Non vuoi presentare Jules ad Hannah?»

«E dirle cosa? “Ciao tesoro, ho per caso dormito nel suo stesso letto stanotte perché avevamo litigato”? O ancora meglio “Jules, ehi, ciao, ti avevo promesso un pomeriggio al museo e invece ti presento la mia ragazza”?»
«Beh, Ed… le cose sono così, di fatto.» spiegò chiaramente Tom, annuendo pensieroso.
«Lo so…» Eddie sbuffò, guardando le gocce di pioggia che scorrevano lungo il vetro della finestra «E se aspettassi fino a domenica? Magari non richiamo Hannah…»
«Ti incasinerai l’esistenza e probabilmente dovrai tornare strisciando ancora di più da Hannah, ma se questa è la tua scelta… per carità, non l’appoggio, però sono con te.»
«Questo è molto contorto, lo sai?»
«Sì, ma non importa.» Tom girò il cucchiaino nel tè, prendendone poi un sorso «Ti piace davvero Jules?!» l’espressione schifata che aveva accompagnato quella frase quasi sconvolta l’aveva fatto scoppiare a ridere.
«Diciamo pure che non vedo l’ora di andare alla mostra con lei. E non ci ho pensato su due volte per chiederglielo.»
«E aggiungiamo che sei pure in una situazione particolare con Hannah… sì, è la ricetta giusta per un bel casino. Ma capisco che tu ne possa aver bisogno. Di andare al museo con Jules, intendo.»
«Ovviamente.» convenne Eddie, guardando negli occhi l’amico, che si limitò a raccomandarsi di un’ultima cosa «Solo… cerca di non farla soffrire troppo. Ancora non sappiamo che abbia… e se la precipiti, Aneira ti ammazza davvero.»
«Non ne ho l’intenzione, promesso. Sarò sincero, se succede qualcosa.» dichiarò lui, roteando gli occhi e finendo per guardare la scatola delle spezie «Per fare ammenda dovrei comprarne chili di quelle, vero?»
«Forse anche quintali.» sorrise Tom, dandogli una pacca sulla spalla per poi dirigersi verso il bagno.
Eddie rimase solo a guardare le gocce di pioggia che s’inseguivano lungo il vetro della cucina, conscio del fatto che rappresentassero perfettamente l’animo suo quella mattina.

 

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Capitolo 10
*** 9. The One In Which She Goes To The Theatre With His Friend ***


Ed eccomi di ritorno! Il banner è sempre stato fatto da _Lith_, lo stile del titolo è sempre ispirato a FRIENDS (sì, c'ho preso gusto a scriverlo come usciva sul titolo della sigla) e la foto non è stata scattata ovviamente da me (magari, a questo punto avrei anche una foto con Lara Pulver e Andrew Scott) ma modificata da me. Buona lettura!







 
The Guy Who Turned Her Down


9. The One In Which She Goes To The Theatre With His Friend

 

Aneira non aveva la più pallida idea di come vestirsi. Era pieno febbraio, ma doveva andare a teatro… e doveva anche vedere qualcuno che molto probabilmente l’avrebbe valutata. E non era una sua amica diretta, era qualcuno di sconosciuto… Aneira si passò disperata una mano tra i capelli. Che diavolo avrebbe potuto mettere?
Tom era passato più volte quella mattina davanti alla sua porta, ridendole praticamente in faccia e dicendole che non si sarebbe dovuta preoccupare così tanto perché erano persone tranquille… persone?!
Ormai era uscito e non avrebbe potuto chiederglielo, ma persone?! Quante persone avrebbe dovuto incontrare? Sì passò una mano sulla fronte, guardando miserabile l’armadio.
Gli unici vestitini carini che aveva erano estivi, ma non si sarebbe mai vestita così con quel tempo. Lei aveva freddo e di certo non si scosciava per un’amica di Tom.
Però c’era sempre l’opzione vestiti natalizi…
Scosse la testa categoricamente e tirò infine fuori dall’armadio un paio di jeans skinny, una camicia e un cardigan che lei stessa chiamava da nonnina, essendo beige, con i particolari rossi e le maniche a tre quarti. Lanciò tutto malamente sulla sedia – tranne la camicia, quella la sistemò accuratamente, era stata stirata dalla madre l’ultima volta che era stata in Cornovaglia e doveva conservarla con cura dato che lei non stirava roba – e tirò un sospiro di sollievo, soddisfatta. Finalmente non aveva più l’incubo del “non saper cosa mettere”: non che avesse scelto roba particolarmente stilosa, però era comoda e decente, quindi poteva andare. Poi si ricordò del fatto che il pomeriggio dopo Eddie e Jules sarebbero andati alla National Gallery insieme e ricadde nello sconforto più assoluto: si decise a scrivere un messaggio ad Eddie – e non a Jules, perché da come ne aveva parlato non vedeva davvero l’ora di uscirci insieme e non avrebbe voluto dirle la verità sul conto di Eddie – chiedendogli se si fosse sentito con Hannah. Non voleva infierire sulla questione Jules, perché Jules sembrava più contenta… ma lui era ancora fidanzato, ecco.
Seccata e sconsolata si limitò a lanciare il cellulare nel bel mezzo del letto non appena inviò il messaggio e si attaccò al PC, mentre Mycroft le saltò sulle gambe e iniziò a fare le fusa.
Controllò le notifiche su Twitter – diamine, le preferiva quando si chiamavano “interazioni” – e notò che Tom aveva messo tra i preferiti la bellissima foto – ovviamente era ironica – che ritraeva lui e Mycroft dormienti sulla poltrona: e insieme a lui tante altre persone sembravano aver fatto lo stesso. Ma che diamine?!
Che l’aumento di follower, retweet e favoriti fosse dovuto all’aver postato foto di Tom? Scosse la testa, perplessa, coccolando la testolina del gattino a metà tra il caldo PC e le sue gambe e saltando su e prendendo immediatamente il cellulare non appena lo sentì vibrare: aprì immediatamente il messaggio, sperando in qualche risposta illuminante, ma ricevette solo un “No…”.
«Dannato Redmayne!»
“Eddie!!! Non vi parlate da quando avete litigato?”
“Esattamente” aveva risposto immediatamente lui.
“Ma lei ha provato a contattarti e tu l’hai evitata?”
“In realtà non ci ha proprio provato a quanto pare. E neanche io… non so se considerarmi ancora fidanzato o meno”
“Beh, fino a prova contraria lo sei. A meno che non vuoi fare le cose per bene e decidi di parlarne per lasciarvi…”
La risposta arrivò solo dopo dieci minuti: “Non ho proprio voglia di parlarle, in realtà. Non ci voglio nemmeno pensare…”
“Vuoi parlarne su Skype?”
Perché ne era diventata la confidente?! Per la miseria, lui rischiava di infinocchiare – neanche troppo volontariamente – una delle sue più care amiche e siccome stava avendo dei problemi con la ragazza lei lo aiutava?! Era decisamente troppo buona.
“Non hai FaceTime?”
“Ti sembro una tipa da I-Phone, Apple e merde varie?!”
Non ricevette risposte per un po’, fin quando non si ritrovò direttamente la chiamata di Eddie: rispose appena in tempo per sentire la voce del ragazzo che affermava «No, assolutamente. Sembri la tipica mentecatta che non usa ancora la Apple.»
«Mentecatta sarà tua sorella!»
«Ehi, ce l’ho una sorella!»
«Ebbeh, mi hai dato della mentecatta!»
«Va bene, diciamo solo che non sei all’avanguardia. Ti va bene?»
«Uhm… d’accordo. E comunque odio la Apple, e ancora di più gli I-Phone.»
«Scommetto che usi Windows.»
«Windows sul PC e Nokia come telefoni.» dichiarò soddisfatta Aneira, prendendo Mycroft in braccio e sentendo un verso disgustato di Eddie.
«Sto bene, comunque.»
«Ovvio che stai bene, non ci vuoi pensare.» il verso seccato che aveva emesso il ragazzo dall’altra parte del telefono non aveva fatto altro che darle ragione, ma non aggiunse altro. Era dieci anni più grande di lei anagraficamente parlando, ma si stava comportando come un bambino offeso. E lei stava cercando di dimostrare invece molta più maturità in materia.
«È solo che… uff, penso che nelle coppie ci siano sempre dei momenti di incomprensioni, dove tu non vuoi proprio dare spiegazioni…»
«Io lo capisco perfettamente, che tu voglia un po’ distaccarti e stare per conto tuo… ma non pensi di starti comportando leggermente male se esci con una ragazza che ha evidentemente idee pseudo-romantiche con te e nemmeno le dici che provi queste cose controverse?!»
«Jules ha idea pseudo-romantiche su domani?!»
«Sul serio, l’unica cosa che ti è rimasta impressa del mio discorsetto è stata quella?! Ma sei sicuro di amarla ‘sta Hannah?!»
«Beh, le ho detto che la amo.»
«Redmayne!»
«Sì, la amo! Solo che sono seccato…»
«Non è buon motivo! La ami o no?»
«Non basta solo quello!»
«Lo so, dannazione!» i toni si erano fatti così elevati che Mycroft aveva pensato bene di porgere indignato il sederino alla padroncina, come segno di disapprovazione nei confronti di quelle urla. Poi saltò giù dal letto e andò a posizionarsi sul libro di JoJo Moyes che era sul comodino e che Aneira stava leggendo in quei giorni.
«Mycroft, scendi giù da lì…»
«Scusa?!»
«No, parlavo col gatto. Comunque sono dell’idea che dovresti dirglielo. Non penso reagirà bene, ma sempre meglio essere sinceri che farlo di nascosto.»
«Tu pensi che se me ne uscissi con un “Ehi, mi vedo con una domani al museo?” la prenderebbe bene?»
«No, assolutamente. Ma saresti sincero. E poi magari potreste parlarne. E risolvere la faccenda. O lasciarvi definitivamente, in caso. Però ecco… c’è almeno una base di sincerità. E quella non guasta mai.» terminò la ragazza, trascinando il gattino dal suo comodino al centro del letto sebbene Mycroft non sembrasse molto incline a tale azione.
«Non è un piano infallibile.»
«Al contrario, probabilmente è un piano suicida, Ed. Ma è sincero, e la sincerità in amore paga. Se ovviamente, l’altra parte è sincera con te. Sennò andrebbe mandata a cagare a prescindere, in tutte le relazioni vale questo.»
«Sei una persona molto leale, vero?»
La ragazza annuì impercettibilmente, per poi decidersi a parlare dopo un silenzio leggermente più lungo: «Molto. Come hai ben visto passo la maggior parte della mia vita a casa e ho davvero pochi amici… ma ci investo tanto. E come sono una delle persone più leali pretendo tanta lealtà.»
«Sei stata ferita da poco, vero?»
«Sì. Ma niente di romantico.»
«Orrendo comunque?»
«Sì. Per un po’ di giorni. Poi mi sono resa conto che non ne valeva la pena, anzi, meglio essersi resi conto di quelle due persone di merda in tempo, prima che diventassero amiche per più tempo.»
«Mi dispiace… Non dev’essere piacevole.» commentò lui. Chissà dove doveva essere, c’era uno strano silenzio dall’altra parte della cornetta.
«Non lo è. E non so se Hannah sia così… ma so che Jules valuta molto la lealtà e la sincerità. Quindi se la merita. E comunque, se la vostra è una relazione seria… con Hanna, intendo… la merita anche lei.»
«D’accordo… le parlerò. E se mi molla per un po’?»
«Ti molla per un po’ e fai baldoria con Jules. Che problema c’è?»
«Non so che cosa pensare su questa tua prospettiva. Insomma, Jules è tua amica…»
«E voglio che si diverta. Cioè, non è che debba per forza essere una relazione seria…»
«Mi sa che qui stiamo parlando di cose troppo ipotetiche…»
«Lo temo anche io.» convenne Aneira, coccolando distrattamente Mycroft e scrollando la dashboard di Tumblr verso il basso «Pensaci, Redmayne. Se poi ti caccia dalla tua stessa casa c’è un posto letto da noi.»
«Non voglio parlarle!»
«Devi. Su, fatti coraggio! Sennò quel cognome che c’hai è inutile.»
«In che senso?»
«Beh, dà l’idea di una persona coraggiosa e forte. Vedi di non deluderne le aspettative.»
«Non mi tranquillizzi, così.»
«Dai!»
«D’accordo. Ti avviso su cosa succede.» rispose sbuffando il ragazzo, espirando profondamente.
«Perfetto, attendo con ansia!»
«Ah, e buon spettacolo! Tom mi ha detto che ti ha procurato un biglietto per stasera!»
«Grazie! Buona fortuna, Ed!» lo salutò un’ultima volta e chiuse la chiamata, controllando l’orario. Se avesse voluto arrivare in tempo all’appuntamento davanti al teatro – e lo desiderava – sarebbe dovuta andare nella doccia in quel momento. Così lasciò Mycroft spanciato sul letto – che inoltre aveva emesso un verso insoddisfatto quando lei si era allontanata da lui – e andò a ficcarsi nella doccia.


Mancavano dieci minuti all’appuntamento e lei aveva appena finito di sistemarsi i capelli in uno chignon laterale: poteva anche fare il freddo più glaciale ma aveva sempre caldo sulla nuca, così preferiva sempre i capelli raccolti.
Aveva detto di star andando a teatro a Elspeth e quella si era proposta di truccarla: non troppo, ma le aveva fatto un trucco niente male agli occhi. Poi Aneira aveva aggiunto il rossetto – rosso, rigorosamente: se doveva truccarsi doveva farlo per bene, e lei odiava i lucidalabbra – così infilò il cappottone grigio, il cappello e la sciarpa Corvonero – e no, non le sarebbe interessato se Tom avesse avuto qualcosa da ridire a riguardo quando sarebbe uscito dal teatro – prese la borsa e uscì di casa.
Alla fine aveva optato per i suoi stivaletti, che la alzavano di altri sei centimetri ma erano una delle cose più comode che conoscesse al mondo: e poi non avrebbe avuto molto da camminare, quindi anche se fossero state scomode… beh, non sarebbe stato un grosso danno.
In quattro minuti fu di fronte alla Donmar Warehouse, ma si rese conto di non avere con sé il biglietto. E Tom, in realtà, non gliene aveva mai dato uno: si girò intorno, conscia del fatto che non sarebbe potuta entrare senza nulla e non avrebbe neanche potuto chiamare Tom dato che sarebbe uscito sul palco a minuti.
Chiuse gli occhi, come se dovesse spremere le meningi per ricordare dove fosse, quando una voce che doveva aver già sentito da qualche parte le si rivolse direttamente: «Sei tu l’amica di Tom?»
Aneira spalancò gli occhi, ma la voce fu più veloce di quelli: «Sì!»
Poi si rese conto di chi fosse l’amica in questione di Tom – e non era neanche sola – e spalancò la bocca. Se le avessero detto che c’erano entrate dentro delle mosche l’avrebbe anche considerato plausibile per come lo shock l’aveva colta quando aveva capito chi fosse: «Oh… non mi aveva detto che la sua amica era Irene Adler.»
«Lui invece mi aveva detto che probabilmente mi avresti chiamata così» sorrise lei, annuendo e porgendole il suo biglietto «E mi ha anche detto di conservare questo biglietto per te. L’ho avuto io tutto questo tempo.»
«Oh. Grazie.» Aneira la osservava senza sbattere le ciglia e non solo perché amasse profondamente “Sherlock”… insomma, come si permetteva a non avvisarla?!
«Oh, se ti diverti a chiamarci così, piacere di conoscerti, io sono Jim Moriarty!» si presentò l’uomo accanto a lei e per poco Aneira non saltò su con un urletto: «Oh mio buon caro — Lo ucciderò. Ucciderò Tom.»
«Nah, non farlo. Si diverte a prendersi queste piccole gioie. Specialmente se sei stata una che ci ha parlato per due giorni e ti sei accorta che era lui solo dopo e scrollando Tumblr!» ridacchiò Lara. Era davvero bella, anche in jeans, camicia, giacca e senza trucco. Quanto era bella!
«Non dirmi che te l’ha detto…»
«Ovviamente. Mi ha effettivamente raccontato un bel po’ di te…» continuò Lara, decidendo di presentarsi comunque, sebbene Aneira li avesse riconosciuti entrambi «Lara Pulver, comunque.»
«Andrew Scott qui!»
«Aneira Hier.» si presentò lei infine, ancora sottosopra. Tom gliel’avrebbe pagata, sicuramente. Non era nemmeno una minaccia solo una promessa: e lei era solita mantenere le promesse necessariamente sempre.
Strinse le mani di entrambi e si incamminò assieme al duo di colleghi – e amici, a quanto pare – all’interno del teatro, mostrando i loro biglietti.
«Siete venuti a vedere Gatiss?»
«Beh, io anche Tom in realtà. Conoscendo entrambi…»
«Più Tom me ne parla più ho l’impressione che vi conosciate tutti in quell’ambiente. Insomma, dopo che ti ritrovi a chiamare al telefono Eddie Redmayne senza neanche averlo premeditato…»
«Oh sì, Luke mi ha detto che sta passando parecchio tempo a casa vostra» iniziò Lara, cercando il suo posto «Problemi con Hannah, mi ha accennato…»
«E ovviamente conosci anche Luke!»
«Sì, e so anche che l’hai minacciato con un martello perché temevi che fosse il ladro delle tegole del tetto!» era una risatina quella che aveva emesso Lara mentre si sedeva al suo posto tra lei e Andrew?
«Beh… dopo la nottata che avevamo avuto dovevo difendermi.» commentò Aneira, arrossendo. Era forte, quella Lara. Ironica, pungente e a quanto pareva, sincera.
«Oh, assolutamente! E con metodi poco convenzionali!» esclamò quella, sorridendo «Ribadisco: Tom me ne ha raccontate tante.»
«E immagino che ora debba vergognarmi molto…» iniziò a blaterare Aneira, con lo sguardo più basso del necessario, fin quando non fu interrotta da Moriarty: «Assolutamente no! Chiunque cerchi di difendere casa con un martello è un genio, non si discute!»
«Posso considerarlo un momento imbarazzante?»
«Oh no, piuttosto un momento ilare. E quando Luke mi ha detto che la vostra coinquilina ha cercato di spaccare il cranio a Red ubriaco?! Sul serio, non riuscivo a smettere di ridere!» esclamò Lara, ridacchiando ancora un po’. A quel punto si unì alla risata anche Aneira: ricordava bene quella notte, ed era stata più che non convenzionale.
Le luci si abbassarono e il sipario si aprì: segno che avrebbero dovuto decisamente tacere. Diede un’ultima occhiata a Lara e Andrew – e ancora non poteva credere di essere lì con loro, a parlare con loro! – e sorrise, guardando il sipario assestarsi ai lati del palco: non vedeva l’ora di vederlo recitare sul serio. Probabilmente, a mo’ di scambio, un giorno avrebbe introdotto Tom di nascosto alla London School of Economics, per fargli provare quello che studiava e a cui partecipava lei ogni giorno.

 
 

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Capitolo 11
*** 10. The One In Which He Hears About The Best Friend ***


Ed eccomi di ritorno! Il banner è sempre stato fatto da _Lith_, lo stile del titolo è sempre ispirato a FRIENDS (I'LL BE THERE FOR YOUUUUU) e la foto è scattata e modificata da me medesima XD. Buona lettura!
Ps. CI SONO DEGLI SPOILER PER CHI NON HA LETTO "Io Prima di Te" XD tenetelo a mente!









 
The Guy Who Turned Her Down

10. The One In Which He Hears About The Best Friend



 
Tom stava prendendo il tè in cucina e non vedeva Aneira da quando erano tornati a casa la sera prima da teatro. E non avevano fatto eccessivamente tardi, ma era l’una del pomeriggio e lei non era ancora uscita dalla camera: perplesso, versò del tè in una tazza, e prendendo anche quella da cui stava già bevendo da un po’, arrivò davanti alla porta della camera della coinquilina e vi entrò senza bussare – si poteva abbassare una maniglia con un gomito, ma non bussare. E poi Aneira non bussava mai quando entrava in camera sua, ecco.
Lo spettacolo che si ritrovò davanti non se lo sarebbe aspettato così facilmente: Aneira ancora nel letto ma senza le coperte, con un libro tra le mani da un lato e un rotolo di carta igienica dall’altro e scossa dai singhiozzi.
«‘Nei?» posò le due tazze di tè sulla scrivania e si sedette subito sul letto accanto a lei «Cos’è successo?»
«Cioè… Will è morto… per davvero… è andato fino in fondo…» moveva sconnessamente il libro che aveva tra le mani, tirando su col naso e stropicciandosi gli occhi.
«Will…?» Tom strabuzzò gli occhi, abbracciandola «Ah, “Io prima di te”!»
«Sì, sì, i libro!» esclamò quella, continuando a singhiozzare «Insomma, l’avevo capito da quando seppi dei sei mesi… però… dopo che Lou…»
Non aveva mai sperimentato quel tipo di pianto per lutto da personaggio inventato, ma sembrava che Aneira ne fosse rimasta particolarmente turbata, quindi tutto quello che poté effettivamente fare che servisse a qualcosa fu abbracciarla… sebbene quella singhiozzava anche sulla sua felpa.
«Non voglio infierire, ma… se tu dovessi leggere “Colpa delle Stelle” quando sono a Toronto come farai?»
«Non voglio leggere le robe famose…» iniziò lei, tirando su col naso «E voglio correre ad abbracciare Sev.»
«…Aneira, stiamo parlando di Severus Piton?» chiese ulteriormente perplesso Tom.
«No, sciocco! Sevi, la mia migliore amica!»
«Grazie, sempre per le tue gentili parole…» commentò ironico Tom, mentre Mycroft saltava sul letto e iniziava a strusciare il capo contro Aneira, come per chiedere che cosa avesse.
«Quel gatto è più umano di noi. Mi si sta spezzando il cuore, come sta facendo…»
Non l’avesse mai detto: Aneira cominciò a singhiozzare ancora di più e si strinse con un braccio a Tom e con l’altro al micino.
«‘Nei, ma ti deve venire il ciclo?»
La ragazza scosse la testa, mogia.
«E perché stai così, libro a parte? Capisco la depressione post-libro di JoJo Moyes, ma sinceramente, prenderla così male…»
«Ho letto qualcosa, prima, su Tumblr. Una ragazza che parlava di come fossero cambiate le relazioni di amicizia che aveva alle scuole superiori, quando praticamente passava tutto il suo tempo con i suoi più cari amici e poi, facendo vite diverse, si sono persi per strada… insomma, non facevano più l’uno parte della quotidianità dell’altro…»
«Beh, capita…» iniziò Tom, carezzandole sistematicamente la spalla a mo’ di calmante. O meglio, con la speranza che si calmasse con quel movimento.
«No ma… cioè, io non riuscirei ad immaginare una vita in cui non condivido la mia quotidianità con Sev. Non sto parlando di vedersi tutti i giorni… insomma, lei vive alla Falmouth. Io sono qui… ma non potrei mai non sentirla. Mi sento male al solo pensiero. Ma so che le relazioni cambiano, è naturale… ma come si fa a non sentirsi per mesi? Non potrei mai, non con lei…»
«Sono comunque sicuro che tu abbia troppi estrogeni in circolo.» dichiarò lui, abbracciandola nuovamente mentre la testa della ragazza finiva automaticamente contro la sua spalla.
«È triste. E orrendo. E non voglio che ci accada. Insomma, con Morvoren è cambiato il nostro rapporto, e non ci sentiamo spesso… ma la conosco da quando ho 2 anni, è ovvio che negli anni il rapporto cambi! Ma io so com’è la sua vita, anche se ci sentiamo dopo tanto… e io… oh, non lo so!» e ricominciò a piangere.
«Ti… ho portato il tè» Aneira annuì contro la sua spalla, continuando a piangere silenziosamente «E comunque: hai amiche dal nome normale?»
La ragazza ridacchiò impercettibilmente, allontanandosi dalla spalla del ragazzo per guardarlo negli occhi, sospirando profondamente.
«Allora, non è che semplicemente… ti manchi Sev?»
«Non lo so…» la ragazza si distese meglio dalla sua parte del letto, portandosi Mycroft al petto per coccolarlo meglio «Potrebbe darsi. Però non so cosa mi sia preso…» Aneira afferrò il telefono e cominciò a scrivere a qualcuno, concentrata.
«Scrivi a Sevi?»
«Sì. Non questo, cioè…»
«Non le stai scrivendo una dichiarazione d’amore, ho capito. Ti ho inquadrato in questo tempo… tu non fai le dichiarazioni, se devi dimostrare qualcosa.»
Aneira alzò lo sguardo su di lui, annuendo, ancora con gli occhi rossi: poi terminò di scrivere e ripose il telefono a posto, insieme al tormentato libro che aveva appena finito di leggere.
«Come va, ora? Sei capace di prendere il tè?»
«Sono ancora un po’ triste, in realtà.»
«Devo abbracciarti in modo molto stretto come si fa con le mucche?»
«Non mi ricordare come fanno morire le povere mucche! È orrendo e malefico!»
«Beh, volevo solo dirti che l’abbraccio è fisicamente molto terapeutico…» iniziò Tom. Ma lei stava guardando un punto imprecisato fuori dalla finestra, in silenzio. E chissà quali altri pensieri le stavano passando per la testa, quindi decise che avrebbe agito direttamente: si avvicinò a lei, facendo attenzione che Mycroft non venisse schiacciato e l’abbracciò nonostante entrambi fossero distesi sul letto. Probabilmente le serviva proprio qualcuno che la stringesse, in quel momento.

Per raggiungere le stanze della mostra dei Girasoli dovevano fare una fila lunga – e anche un po’ lenta, considerando che erano lì da mezz’ora ed erano arrivati solo in quel momento all’ultimo giro del serpentone di persone che aspettavano – per avere dei foglietti gialli che poi avrebbero scambiato all’ingresso della sala con delle specie di fiches colorate che avrebbero restituito all’uscita della sala dov’era la piccola e raccolta mostra. E quindi loro due erano leggermente imbarazzati, in attesa in fila. Era una giornata di sole, sebbene fredda, e al piano -1 entrava la luce direttamente dalle vetrate sul soffitto ed Eddie aveva un paio di occhiali da sole che sembravano voler anticipare la primavera.
«Quindi…» erano rimasti in silenzio per un po’, dato che qualcuno li aveva osservati più di una volta, e non era sicuramente per il fatto che fosse andata a sbattere due volte contro un muretto. Beh, sarebbe potuto essere anche per quello, in realtà.
«Non ci fare caso, ogni tanto succede. Dopo un po’ smettono» spiegò lui, sapendo il motivo del suo imbarazzo.
«Dai per scontato che ci guardino per la tua presenza?» Jules alzò un sopracciglio, beffarda «Egocentrico.»
«Beh, generalmente è per quello… Anche se, hai ragione, effettivamente sarebbe anche potuto essere per la tua performance di mimo fallita… sì, mi riferisco a quando sei finita contro il muretto. O contro il muro.» incalzò lui, facendo spallucce, mentre la sua accompagnatrice diventava non poco rossa e distoglieva lo sguardo dal suo viso.
«Avrei dovuto aspettarmelo, insomma, sei amica di Aneira.»
«Stai cercando di continuare a insultarmi?» non che lo stesse prendendo sul serio come insulto, ma era leggermente offesa. Sebbene sapesse con certezza di essere un po’ imbranata mentre camminava, e condivideva sicuramente quello con l’amica.
«No, mi limito a osservare la realtà.» espresse con semplicità il rosso, avanzando qualche passo verso l’uomo che distribuiva i bigliettini gialli «Tu e Aneira condividete quello.»
«Beh, ‘Nei più di me.» ammise Jules, ed Eddie scoppiò sinceramente a ridere «È vero. Quando è salita sul tetto avevo paura che scivolasse giù per le tegole, e dal terzo piano non è piacevole.»
«Oh, la notte dell’uomo sul tetto?»
«Esattamente.» annuì lui, prendendo due bigliettini gialli e passandone uno a Jules, per poi salire le scale che conducevano al pianterreno e fermarsi alla fila per le fiches colorate.
«Ne parlate così tanto tutti che sarei voluta esserci!»
«Non ti sei persa molto, a parte una mia morte precoce in potenza… anzi, due, e me visibilmente ubriaco.»
«Hai un problema con l’alcol?»
«Nah, bevo semplicemente come una spugna come tutti gli inglesi.» rispose sinceramente lui, sorridendole sornione «In realtà solo ogni tanto…»
«E scommetto che Tom è sempre lì, sobrio, a tirarti su dal pavimento del bagno, dove ti sei addormentato dopo aver vomitato l’anima ovviamente a casa sua?»
Eddie annuì, sorridendo: «Va più o meno così. Ma Tom è sempre quello brillo, non sta mai male.»
«Proprio come Aneira: lei può bere e bere e non sta mai male. Mai stata ubriaca da quando la conosco.»
«O hanno un fegato d’acciaio o fanno finta di bere.»
«Non penso. Insomma, Aneira spesso fa fuori cocktail in meno di due minuti. E sta comunque bene…»
«Allora è una strega!» sentenziò sorridendo Eddie, scambiando una fiche con i due loro bigliettini gialli per poi mantenere la porta per far passare Jules per prima. La richiuse dietro, ma Jules era già scappata al centro della saletta buia, di fronte ai due quadri quasi perfettamente uguali e disposti uno accanto all’altro.
«Bellissimi, vero?»
«Eppure ci sono tante differenze. Guarda, a quella tela è stato addirittura applicato un prolungamento: se ci fai caso è come se fosse spaccato…»
«La firma qui è scura… lì è lilla.»
«Per non parlare dei colori che sembrano molto più vividi qui.» indicò Jules, trasognante. Adorava Van Gogh e voleva andare da troppo tempo a quella mostra: Eddie si voltò a guardare gli occhi di lei brillare, osservando prima i quadri e poi leggendone le similitudini e differenze sulla tavola esplicativa accanto.
Non volle infierire, sapeva come ci si sentisse davanti a qualcosa di bello: lui sosteneva che i musei si possono vedere massimo in due persone, e la seconda persona di norma è quasi sempre di troppo. Probabilmente se fosse stata la prima volta a quella mostra anche per lui, avrebbe pienamente condiviso quel pensiero che gli era stato trasmesso per la prima volta da un’illuminante professore di Arte che aveva seguito a Eton, ma siccome ci si era già perso precedentemente, in quel momento si sarebbe limitato a seguire Jules e vedere le sue reazioni a tavole, dipinti e radiografie degli stessi capolavori.
Quando uscirono da quella sala, Jules non proferiva parola, ma sorrideva beata.
«Ti va di tornare dagli Impressionisti?» le chiese lui, conscio di quanto effettivamente li amasse.
«Sì, mi piacerebbe molto» rispose lei annuendo e prendendolo sotto braccio, sorridendogli subito dopo.
«E impressionisti siano!» Eddie conosceva a memoria quel museo: aveva la tessera soci per quanto spesso lo visitava e quanto lo adorava. Quindi avrebbe saputo dove andare anche se l’avessero bendato e fosse tutto buio intorno a loro.
«Non ti dispiace se dopo passiamo dal bookshop della mostra? Vorrei comprare alcune cose…»
«D’accordo. Immaginavo avresti voluto qualche ricordo.»
«Sì, adoro prendere le cartoline dei quadri preferiti che vedo in un museo.» spiegò lei, sorridendogli e seguendolo da una sala all’altra.

Alla fine Aneira si era calmata: l’aveva trascinata di peso a pranzo – in realtà le aveva addirittura “cucinato qualcosa”: ossia le aveva riscaldato lo sformato di patate che aveva in freezer – mentre lei coccolava senza sosta Mycroft. Aveva anche fatto attenzione che finisse tutto. Dopo avevano passato un bel po’ di tempo a discorrere e leggere in cucina, fin quando non fu arrivato per lui il tempo di andare a teatro: quando tornò a casa sperò di trovarla in cucina, ma di lei non c’era traccia, e nemmeno di Mycroft. Le porte dei bagni erano entrambe spalancate, quindi non c’era nessuno dentro, ed Elspeth e Laire erano visibilmente fuori di casa, dato che non proveniva alcuna luce dalle loro camere.
Decise di aprire la porta della camera, ma quando si voltò verso il suo letto per poco non urlò: Aneira era lì con Mycroft sulla pancia – lo coccolava sotto il musetto – mentre scriveva qualcosa al computer, illuminata solo dallo schermo di esso.
«Cosa ci fai qui?!»
«Ti aspettavo. Metti il pigiama e vieni qui, ci vediamo Frozen.»
«Potevi almeno salutarmi quando sono entrato in casa!»
«Ero impegnata! E non volevo spaventare Mycroft!» esclamò lei, difendendosi, facendo partire il file video e fermandolo subito dopo, mettendo il computer al centro del letto e prendendo il micino tra le mani per alzarlo a livello della testa: Mycroft la osservava con due occhioni dolci, e Aneira rispondeva intenerita di conseguenza.
«Non scioglietevi troppo di dolcezza, voi due nel mio letto!» Tom si diresse in bagno e ne tornò cinque minuti dopo, impigiamato e pronto a ficcarsi nel letto.
«Quindi Frozen, oggi?»
«Sev mi ha detto di vederlo a tutti i costi. Anche mia madre, in realtà.»
«Stiamo seguendo i consigli filmici di tua madre?»
«Certo, lei ha buon gusto in materia di Disney.» commentò lei, fiera.
«Oh beh.» Tom prese in braccio il piccolo Mycroft e iniziò a solleticargli il collo, e il micino sembrava apprezzare.
Aneira fece partire il video mentre Tom si stendeva poggiandosi sul cuscino a metà tra il letto e il muro e si abbracciava Mycroft, che faceva le fusa. Lei invece preferiva stare seduta contro al muro, comoda con il suo cuscino dietro la schiena.
«Bella musica.»
«Sì, concordo.»
«Ma essere spacca ghiaccio è un mestiere?» chiese lui, indicando il monitor del computer dove un piccolo ometto e una renna cercavano di imitare gli uomini grandi e le loro faccende ghiacciate.
«Sinceramente non lo so… magari a nord della Norvegia sì. Anche se effettivamente, trovando ghiaccio ovunque…»
«Beh, nella pratica se lo trovi di fronte a casa tua non è detto che tu possa utilizzarlo…»
«Ma poi per cosa lo usi, quel ghiaccio?» chiese candidamente Aneira, accigliata.
«Bella domanda.» convenne allora lui, mentre Mycroft si piazzava sul suo fianco senza nessuna intenzione di muoversi «Per caso hai saputo cos’è successo tra Eddie e Jules?»
«Eddie mi ha mandato un messaggio dopo che gli ho fatto la ramanzina dicendomi che aveva avvisato Hannah dell’uscita… e poi nient’altro.»
«Si sono baciati o andati oltre?»
«Non sono così intima con Eddie da chiederglielo» gli rivolse apertamente un’occhiataccia.
«Credevo ti avesse scritto anche Jules!» si difese lui, alzando un braccio al cielo.
«No. Non le ho neanche chiesto nulla, però…» prese il telefono, decisa a controllare se avesse ricevuto qualche messaggio dall’amica.
«Ti ha scritto?» chiese subito lui, prendendo il telefono dal comodino per indagare scrivendo a Eddie.
«Sì, dei puntini sospensivi» decisa a risponderle, interruppe il film, ma Tom le rivolse un’occhiata stranita «Tanto stiamo facendo gli asociali cercando di scoprire i fatti loro, possiamo riprendere dopo.»
Lui le diede ragione, annuendo, e si sedette infastidendo il povero micino che si ritrovò disteso tutto ad un tratto sul letto, mentre i due coinquilini, seduti a gambe incrociate sul letto di Tom, si affaccendavano per scoprire qualcosa di più sull’uscita dei loro due amici.
Sarebbero sicuramente finiti a vedere Frozen a notte fonda.





Ps. Le descrizioni della mostra dei due quadri dei Girasoli di Van Gogh è così dettagliata perché lo scorso Aprile l'ho vista anche io XD

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Capitolo 12
*** 11. The One In Which Someone of His Calls Her ***


Bonjour! Il banner è sempre stato fatto da _Lith_, lo stile del titolo è sempre ispirato a FRIENDS e la foto non è mia ma è stata modificata da me. Buona lettura!





 
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11. The One In Which Someone of His Calls Her



 
Il giorno dopo Tom aprì gli occhi di scatto, credendo che Aneira fosse ancora lì: in realtà c’era solo Mycroft, che ronfava beato su buona parte del suo cuscino – di cui aveva preso possesso nella notte, facendo finire un mezzo dei suoi padroncini sull’orlo di esso senza che quest’ultimo se ne pentisse minimamente – e poi si ricordò che aveva cacciato Aneira nella sua camera quando avevano finito di vedere Frozen e che lei si era di tutta risposta rifiutata di fare il tè e portarglielo in camera, facendogli sentire l’odore del bergamotto passando accanto alla porta della sua camera e lasciandolo a buon ragione insoddisfatto.
Conseguentemente, quella mattina si trascinò in cucina proprio per prendere il suo adorato Earl Grey allungato con il latte, anche a costo di averlo sullo stomaco per tutta la durata della corsa: ne aveva voglia dalla sera prima ma non l’avrebbe data vinta ad Aneira che gli aveva detto che se avesse voluto avrebbe dovuto alzarsi.
Piuttosto si sarebbe alzato presto il giorno dopo per berlo. E magari le avrebbe pure lasciato un messaggio sbeffeggiante sul comodino prima di uscire di casa, tsé.
Non diede nemmeno un’occhiata a chi fosse presente nella stanza, corse subito a mettere il bollitore sul gas, e solo quando si voltò verso il resto della cucina riconobbe Laire nella figura raggomitolata su se stessa e con una tazza di tè fumante in mano, mentre nell’altra c’era un plico di materiale accademico.
«Buongiorno. Tutti mattinieri oggi!»
«Tutti?»
«Cinque minuti fa Aneira è scesa a fare la sua passeggiata mattutina invernale che ha iniziato a fare per colpa tua… perlomeno così se devo comprare qualcosa di mattina va lei. Ed Elspeth è andata a lezione di cinese.»
«A quest’ora?!» la faccia schifata che aveva manifestato in quel momento doveva esser stata plateale, perché Laire reagì immediatamente con un sorrisino sardonico «Dovresti prendertela con la LSE, si diverte nel suo sadismo a mettere le lezioni di lingua opzionale a quest’ora.»
«Adoro le lingue straniere, eh… però doverle studiare così presto… insomma, al massimo vai a correre a quest’ora!»
Laire alzò le braccia al cielo «Io neanche questo. A quest’ora si poltrisce studiando, al massimo. Si corre di sera.»
«Io di sera sono leggermente su un palco…»
«Chi può, ovviamente. La tua cara ‘Nei non lo farebbe neanche se la pagassimo.»
«Io ce l’ho portata di peso!»
«Ci riuscì una volta anche Colette, ma solo perché le aveva detto che l’avrebbe portata a fare colazione fuori.»
«…È esattamente il modo in cui l’ho convinta io quando sono riuscito a trascinarla fuori dal portone.»
«E così adesso cammina ogni mattina. Perlomeno cammina
«Ma sì, buone abitudini…»
«Però batte il mattiniero di casa ora, quindi mi sa che dovremo passare lo scettro…» iniziò a prenderlo in giro Laire, e lui parve visibilmente contrariato «Assolutamente no! Possiamo instituire dei premi mensili però. Chi si sveglia ed esce prima in un mese non perché è costretto da lavoro o studio vince.»
«E quando partirai?»
«Dovrete fidarvi dell’orario che vi dirò via sms.»
Tom si alzò dalla poltrona per versare il tè nella tazza dal bollitore che fischiava, mentre Laire, pensierosa, alzò lo sguardo dalla biscottiera: «L’hai detto che partirai, ad Aneira?»
«Sì, lo sapeva!»
«Riformulo: le hai detto che il prossimo weekend partirai?»
«No… non l’ho specificato, ma sapeva che sarei andato a Toronto per “Crimson Peak”…»
«Ricordaglielo.»
«Dici che potrebbe prenderla male?»
«No… però fai in modo che si abitui. Lei come Mycroft: sono molto simili, anche se il piccoletto lo dà molto più a vedere.»
Poi prese un sorso di tè e riprese la lettura, come se quello fosse stato un discorso normale, da tutte le mattine. Tom prese la sua tazza e si diresse in camera sua, pronto a coccolare il micino che continuava a ronfare sul suo cuscino, con l’unica differenza che ora aveva deciso di occuparlo tutto.

Aneira passeggiava verso ovest per Henrietta Street, vagando senza una meta. Aveva pensato di passare da Tesco a prendere qualche donut o muffin, ma se ne avesse avuto ancora l’intenzione l’avrebbe fatto dopo, o si sarebbero irrimediabilmente rovinati nella sua passeggiata.
Svoltò a sud per Bedford Street, ricevendo in quel momento una telefonata: rispose immediatamente, credendo fosse la madre, trovando insospettabilmente Eddie dall’altra parte della cornetta.
«Ed?»
«Thorneira
«Vorresti spiegarmi il motivo della qui presente chiamata?»
«Soooono da Jules.»
«Te la sei portata a letto e non le hai detto che stai con Hannah?! Vengo lì a picchiarti!» fece per chiudere la chiamata, ma lui la bloccò immediatamente: «Non abbiamo fatto nulla. Ma non gliel’ho ancora detto.»
«Ti picchio comunque!»
«Ma non abbiamo fatto nulla!»
«Vi sarete baciati sicuramente, o non saresti rimasto là!»
«In realtà non sono tornato a casa mia perché credo ci sia Hannah…»
«Ed!» il tono era decisamente incazzato. E ammonitorio «Non puoi comportarti da bambino e non tornare a casa perché sennò devi affrontare Hannah!»
«E comunque sì, ci siamo baciati»
«Ah, ora cambi discorso!»
«Mi piace»
«Chiarisci.con.la.dannatissima.Hannah.»
«Non è dannata!»
«Era per sottolineare il concetto.»
«…Lo so. Tra un po’ dovrò tornare da lei comunque.»
«Avrai intenzione di informare anche Jules dell’altra parte interessata, magari?»
«Sì… le sto portando i muffin e i donut per addolcirla. Spero non me li butti in faccia.»
«Io invece lo spero. Così magari capisci che stai giocando col fuoco!»
«Ma lo so!»
«E prendi una dannatissima decisione, allora.» incalzò la ragazza, sorridendo malefica mentre scendeva per Villiers Street.
«Glielo dirò.»
«A entrambe.»
«A entrambe.»
«Ci sentiamo dopo!»
«A dopo… e buongiorno!» da quando in qua era diventata così confidente di Eddie e perché, soprattutto?! Doveva stare dalla parte di Jules se quella avesse deciso di buttargli olio bollente addosso come vendetta.
Beh, anche per Jules quello sarebbe stato tanto. E anche per la situazione: insomma, non l’aveva complicata troppo. Era già complicatissima di suo, ma non necessitava di un po’ di olio bollente.
Entrò nei Victoria Embankment Gardens e diede un’occhiata a quel poco di Tamigi che si vedeva, come a volergli dare il buongiorno. Quando sentì di nuovo il telefono squillare diede per scontato che fosse Eddie che aveva avuto qualche ripensamento e rispose apertamente in malo modo: «Ancora?! Glielo-devi-direeee.»
«Sei… Aneira?!» la voce dall’altra parte della cornetta era femminile. Oddio, non è che era quella Hannah e credeva che l’altra fosse lei perché aveva trovato il suo numero nel telefono di Eddie…?
«Sì?»
«Ehi! Sono Lara. L’amica di Tom?»
«Grazie a Dio! Per un attimo credevo di dovermi aspettare una strigliata dalla fidanzata di Eddie… per inciso, ti ho risposto così male perché credevo fossi lui. Anzi, scusami!»
«Non preoccuparti! Ti sta assillando perché deve decidere cosa dire a Hannah, vero?»
«E a Jules. Non so come io sia diventata la sua confidente, ma è parecchio di coccio. E ogni tanto vorrei andare lì a tentare di ficcargli le idee per osmosi, sbattendo la sua testa contro un muro.»
«Ti capisco: ogni tanto Luke dice la stessa identica cosa!» convenne Lara, con un tono molto pratico «Allora… dove sei?»
«Victoria Embankment Gardens, perché?»
«Perfetto. Volevo parlare di una festa che io e Luke vorremmo organizzare a casa tua… per la fine di Coriolanus.»
«Oh… okay. Devo preparare qualcosa?»
«Sì, ti mando via sms le cose che ho bisogno che siano lì… per il resto ce la vediamo noi. Ci sei, in caso?»
«Sì, certo… ma quando?»
«La sera stessa dopo l’ultima messa in scena, il 13…»
«Oh, giovedì… okay!»
«Allora posso mandarti la lista?»
«Certo!»
«Allora ci sentiamo a breve, grazie tante, ‘Nei!» chiuse la chiamata dopo un po’, rimanendo interdetta: Tom doveva smetterla di dare via il suo soprannome così facilmente. Ora la riconoscevano per guerriera cinese – beh, effettivamente quel nome dava l’idea – ovunque, ci mancava solo Ed a chiamarla così! Ma lui non l’avrebbe mai fatto: piuttosto l’avrebbe chiamata Thor-qualcosa all’infinito.
Alzò gli occhi al cielo, andando a controllare subito i messaggi: che il malato in questione avesse provato a chiamarla mentre era al telefono con Lara? Fortunatamente no: buttò il telefono in borsa ed inspirò profondamente, vagando tranquillamente per i giardini, finalmente.

La promessa che aveva fatto a se stesso – quella di andare a correre nonostante il tè ingerito – l’aveva mantenuta: aveva fatto addirittura due miglia e mezzo correndo per la città pur di arrivare a Regent’s Park e dilettarsi nella corsa in uno dei suoi parchi preferiti di Londra.
Ovviamente dopo neanche un’ora aveva il tè con il latte sullo stomaco, ma avrebbe portato a termine la corsa a costo di stare male a pranzo.
E poi doveva pensare: quello che gli aveva detto Laire l’aveva turbato. Che dovesse davvero tenere più conto di Aneira per quanto riguardava la faccenda Toronto?
Insomma, era vero che aveva un rapporto più particolare con lei rispetto a quello che aveva con Laire ed Elspeth, però non credeva di doverla in qualche modo… preparare. Come diavolo avrebbe fatto a preparare Mycroft?
Ma soprattutto: come poteva preparare Aneira senza sembrare troppo apprensivo nei suoi confronti e senza farle notare la sua preoccupazione?
Era davvero difficile. E non si sarebbe aspettato tanto acume e tanta cura da Laire, che sembrava più defilata. Elspeth sì, Elspeth l’avrebbe potuto sottolineare: ma Laire se ne stava per i fatti suoi. E invece l’aveva avvisato.
Scosse la testa, più per schiarire i suoi pensieri che per evidenziare fisicamente un qualche rifiuto nei confronti di quella situazione complicata: non credeva di dover dare qualche addio, anche perché dopo qualche mese sarebbe tornato. Insomma, non era poi così difficile!
Ma era anche vero che non aveva mai avuto dei coinquilini di cui tener conto, e non aveva mai avuto dei coinquilini preferiti: come ci si comportava in quel modo?
Rallentò la corsa e prese il cellulare, cercando il numero di Eddie: risultò occupato, allora decise che l’avrebbe contattato dopo. Passò a Luke, lui sicuramente l’avrebbe trovato disponibile «Luke?»
«Ma buongiorno, bell’addormentato!»
«Sono già in giro, è inutile che sfotti!»
«Io sono già a lavoro
«Beh, sì, puoi avere da ridire allora.»
«Ecco. Che dovevi dirmi? Qualcosa riguardo un certo rosso di nostra conoscenza che ha dormito a casa di sconosciute?»
«Ed è rimasto da Jules?!»
«Pensavo che la tua dolce metà ti avesse informato…»
«Scusami, dolce metà?» era davvero difficile continuare a correre mentre aveva tutte queste notizie stupefacenti.
«Intendo la tua coinquilina preferita… non posso fare battute, per caso?!»
«Oh certo, fa pure. Tanto dopo quello che ti chiederò so già che non ti starai zitto per un bel po’.»
«Di’ pure, caro. Non vedo l’ora di avere un bel po’ di carne sul fuoco, così da poterti prendere in giro per tutti i mesi che sarai a Toronto. Magari ti informerò anche sulla tua dolce metà…»
«La vuoi smettere di chiamarla così?!»
«Ti dà forse fastidio?» poteva vedere chiaramente Luke sbattere le ciglia sebbene non ce l’avesse davanti: aveva davvero un pubblicista sadico e stronzo, certe volte.
«Non ti rispondo nemmeno.»
«Dai! Va bene, la smetto. Cosa c’è?»
«Laire mi ha fatto notare che Aneira è la mia coinquilina preferita.»
«E quindi? Non è una novità.»
«E che è molto simile a Mycroft.»
«Anche questo era facilmente intuibile.»
«Mi sento un idiota quando decidi di uscirtene con queste battute alla Sherlock Holmes!»
«Chiama il tuo caro amico Ben per quelle!»
«Luke!»
«Sì, sì, va bene, torniamo al problema. Perché dovrei sconvolgermi del fatto che Aneira sia simile a Mycroft? Dopotutto lei è per un mezzo padroncina di quella bestiola.»
«Sì, ma… forse dovrei avere più cura nel ricordarle di Toronto?»
«Non le hai ricordato che parti sabato?!»
«Beh, sì, è capitato, in una discussione…»
«Non le hai fatto il discorso?!»
«Ma che discorso dovrei farle?! Tanto ci vediamo tra qualche mese…»
«Tu farai per tre o quattro mesi il gotico milleottocentesco, ma lei ha un semestre di mezzo. Quando tornerai avrà magari anche finito gli esami finali…»
«Non riesco a capire cosa stai cercando di farmi capire… non è che sia la mia fidanzata!»
«Ma è legata a te, ed è sensibile, e dovresti averne cura quando la saluti per andare a Toronto. E lo stesso vale per Mycroft.»
«Perché mi sto facendo riprendere da te riguardo la mia relazione con una coinquilina e con un gatto?»
«Perché sono fantastico e favoloso e lavoro per te! E tu torna a correre, mollaccione!»
«Grazie, sei sempre un tesoro.»
«Anche tu, ci sentiamo!»
Quando chiuse la chiamata scosse la testa, stremato. Parlare con Luke terminava sempre in una discussione animosa, tendenzialmente perché il suo pubblicista e amico riusciva spesso a farlo reagire con risposte particolarmente irritate.
Perché sapeva benissimo come prenderlo in giro, ecco perché.
Rallentò il ritmo della corsa e si decise a chiamare Eddie, il quale gli doveva diverse risposte dopo che non aveva lui stesso risposto a tutti i messaggi che gli aveva lasciato. Dopo due squilli sentì finalmente rispondere «Ed? Finalmente!»
«Tom!...»
«Devo dedurre qualcosa?»
«Ho detto a Jules che sono fidanzato e sono appena stato cacciato da casa sua. E si è pure tenuta donut e muffin.»
«Sono sorpreso che non ti abbia versato dell’olio bollente dalla finestra, in realtà.»
«Come se fossimo nel Medioevo!»
«E comunque, ne aveva tutte le ragioni.»
«Lo so… ma mi piace!»
«Non voglio sembrare Aneira, davvero, non voglio…» iniziò Tom, rendendosi conto che probabilmente, scuotendo la testa con gli auricolari attaccati alle orecchie e correndo non doveva essere molto lontano dal sembrare un cane scodinzolante.
«...Ma devo prendere una decisione e parlare con entrambe. Lo so, me l’ha ribadito anche prima che mi costringesse a dirlo a Jules. Ma comunque aveva ragione, era giusto così.»
«Esattamente. Ora, proverai a riconquistarla in qualche modo?»
«Devo pensarci su. Per ora devo tornare a casa… da Hannah.»
«Buona fortuna, e spero che lei non ti getti l’olio bollente addosso…»
«Al massimo il bollitore del tè. Buona giornata!»
Tom chiuse la chiamata e ripose il telefono in tasca, alzando gli occhi al cielo: la giornata non era neanche cominciata del tutto e Aneira aveva indirettamente già combinato diversi casini.

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Capitolo 13
*** 12. The One With The Not Needed Pyjama Party ***


Guten Abend! Il banner è sempre stato fatto da _Lith_, lo stile del titolo è sempre ispirato a FRIENDS e la foto non è mia ma è stata modificata da me. Buona lettura!









 

The Guy Who Turned Her Down

12. The One With The Not Needed Pyjama Party



 


In tre giorni ce l’aveva fatta a procurarsi senza destare alcun sospetto in casa le cose che Lara aveva chiesto che ci fossero: ogni volta che rientrava con buste e bustoni salutava urlando sulla porta del salotto e sgattaiolava via in camera per nascondere velocemente tutto in uno dei due armadi, e fino a quel momento Tom non aveva sospettato nulla.
Certo, ogni tanto si chiedeva come mai ogni volta che lei tornava c’erano tutti quegli strani rumori: gruccette che si spostavano, tonfi e bestemmie varie – dovuti alla mancanza di coordinazione di Aneira nel correre a nascondere tutto più che a qualche effettiva difficoltà per la specie umana nel compiere quelle semplici azioni – ma nulla di diverso dal solito. Insomma, quella ragazza andava a sbattere contro porte e muri un giorno sì e l’altro pure, quindi non era niente di fuori dal comune.
«Sei viva? Non rientri a casa da stamattina…»
«Nemmeno mia madre me l’avrebbe chiesto a fine giornata» rispose la ragazza, lasciando cappotto e borsa su una sedia e sedendosi ai piedi del letto per liberarsi degli stivaloni invernali.
«Beh, sei uscita stamattina prima di me, sei stata tutto il giorno fuori e sei tornata anche dopo che io tornassi da teatro…»
«Dovevo sbrigare delle faccende, frequentare le lezioni, collaborare con il mio fantastico e stronzissimo gruppo improvvisato per un progetto e riorganizzare gli appunti presi a lezione… è già tanto che sia viva e sia riuscita a fare la spesa.» terminò di raccontare la sua rocambolesca giornata lasciandosi cadere a braccia spalancate sul letto, inspirando profondamente.
Subito dopo si ritrovò il piccolo Mycroft che le annusava il viso e le faceva il solletico leccandole i capelli, e in quel momento non poté proprio non scoppiare a ridere.
«A quanto pare qualcuno ha sentito parecchio la tua mancanza»
«Beh, è bello essere accolta così, tutto sommato. Soprattutto dopo questa giornata.»
«Non pensi sarebbe strano se io, Elspeth e Laire ti aspettassimo tutte le sere sulla porta per leccarti i capelli?»
«Buon Dio no, non vorrei un’accoglienza del genere da voi!» esclamò inorridita «Mycroft basta e avanza!» gli grattò la testolina e lui parve apprezzare.
«L’avrei immaginato» Tom rimase sulla porta, come se dovesse dire qualcosa: Aneira si alzò tutta d’un tratto, tanto da infastidire Mycroft; al che lo prese in braccio e passò a Tom, superandoli entrambi e dirigendosi in cucina «Avete mangiato?»
«Hai intenzione di cucinare anche per Mycroft?»
«Spero che tu gli abbia riempito la ciotola quando sei tornato da teatro o ti picchio.»
«L’ho fatto, ovviamente.»
«Hai cenato anche tu?»
«Sì, stavo morendo di fame!» Tom e Mycroft la seguirono e si piazzarono accoccolati su una poltrona ad osservarla saltare da una parte all’altra della cucina mentre spaccava uova sulla padella e le versava malamente lì dentro.
«Cosa stai preparando esattamente?»
«Qualsiasi cosa esca dagli ingredienti in procinto di scadenza che sono in frigo e in credenza.»
«All’altezza di Gordon Ramsay!»
«E Masterchef, anche!»
«Chiaramente.» terminò l’attore con entrambe le sopracciglia alzate e le braccia attorno a Mycroft, che si dilettava a mordicchiargli le dita.
Aneira tirò fuori dal frigo uno yoghurt, mentre le uova sembravano quasi star friggendo nella padella, allora aggiunse un po’ di formaggio già grattugiato.
«Sei consapevole di aver messo lì dentro almeno sessanta grammi di parmigiano, sì?»
«Fa nulla, s’insaporisce.»
«Sta per scadere anche quello?»
«Perché, scade?» si voltò per guardarlo, interdetta.
«Oh mio dio, me lo stai chiedendo sul serio!»
«Eh sì!»
«Certo che scade! Non velocemente quanto delle uova, ma scade!»
«Beh ma non è che sia qui da più di un anno…»
L’unico suono che sentirono dopo fu quello della mano di Tom che sbatteva di proposito contro la sua stessa fronte, a evidenziare quanto quello scambio di battute l’avesse lasciato basito – e anche un po’ senza speranze.
Quando Aneira si sedette al tavolo con il suo piatto pieno di tante cose non meglio identificate, la bottiglia di Pepsi accanto al bicchiere e lo yoghurt accanto alla banana all’altro lato del piatto, Tom sapeva già cosa avrebbe fatto dopo: come tutte le routine di ogni pasto – o altre singole cose che si ripetevano spesso, come quando doveva pulire la lettiera o dare da bere e mangiare a Mycroft, o semplicemente occupare il bagno di mattina – prima di mettersi a mangiare, soprattutto di sera, doveva accendere il fuoco sotto al bollitore pieno di acqua.
Così lo liberò dell’acqua rimasta – era certa che Laire l’avesse lasciata lì dal pomeriggio, era ormai fredda e leggermente putrida – lo lavò e riempì nuovamente di acqua prima di metterlo sul fuoco.
«‘Nei?»
«Mh?» rispose distrattamente, tornando a dargli la sua completa attenzione solo dopo essersi seduta al tavolo «Cosa c’è?»
Doveva farle il discorso di Toronto, non perché non lo sapesse, ma perché davvero sarebbe tornato tardi. Ma non voleva farglielo in quel momento, erano lontani, e aveva paura che avesse una reazione come quella della domenica prima ma non davanti a lui, lontano, come fanno i gatti quando vanno a soffrire in un angolo lontano da tutti per non farsi vedere e muoiono lì: scosse la testa, inorridito al pensiero che Mycroft potesse fare così…
«C’è da cambiare l’acqua di Mycroft.»
L’occhiataccia che Aneira indirizzò dritto verso di lui gli fece capire che non solo aveva sbagliato a ripiegare su quella frase invece di fare il discorso, ma aveva sbagliato proprio a farle notare una cosa del genere: aveva fame, era stanca e si era appena ri-seduta; toccava a lui riempire di nuovo la ciotola dell’acqua del micio.
Così si alzò e versò l’acqua nella ciotola – rigorosamente dalla bottiglia, perché loro potevano bere il tè infuso nell’acqua del rubinetto, ma Mycroft avrebbe bevuto l’acqua dalla bottiglia! – per poi tornare a sedersi ma non sulla poltrona. Occupò la sedia sbilenca di fronte ad Aneira, che alzò un sopracciglio perplessa non appena lo vide sbilanciarsi mentre intrecciava le mani.
«Cosa c’è?»
«Ehm…»
«Sembra che devi dirmi che sei incinto e sono il padre! Che c’è, sputa il rospo! Mycroft sta male?» lo sommerse di parole – non che fosse una cosa insolita, ma così non avrebbe mai trovato le parole giuste per dirglielo.
«No, Mycroft sta bene. Ho richiamato il veterinario dopo la seconda visita e si è accertato di tutto… mi ha di nuovo chiamato mamma apprensiva, ma sta bene!»
«Oh, bene.»
Il problema gli si ripresentava nuovamente, perché c’era quel trillo persistente nella sua mente che gli ricordava costantemente che doveva farlo, soprattutto ora che il weekend era così vicino, ma non riusciva a trovare né il tempo, né l’occasione, né le parole e a dirla tutta nemmeno la voglia.
«Bonsoir a tout le monde
Aneira tossì, riuscendo a mandare giù l’ultimo boccone di uova solo dopo essersi aiutata con una generosa dose di Pepsi: Eddie Redmayne occupava il centro della cucina come se fosse un palcoscenico, e accanto a lui un meglio-riconosciuto-a-tutto-il-mondo-come-Sherlock non era da meno.
«Non conoscerò tutto il cast di Sherlock scazzata nella vita di tutti i giorni, no!» dichiarò solennemente Aneira, rinforzando quell’affermazione posando poco gentilmente il piatto e gli utensili nel lavandino «E non ti abbiamo neanche aperto la porta!»
«Lo ha fatto Laire» spiegò brevemente Ed, con un’impertinente faccia da schiaffi accompagnata da un sorrisino altrettanto sbeffeggiante.
«Oggi le sarebbe potuto servire il mio martello» ribatté l’altra, sorridendo malefica.
«Sta’ buona, Thorneira
«‘Mpf.» rispose quella, guardandolo in cagnesco mentre occupava con grazia ed eleganza l’intero divanetto.
«Perché si odiano?» chiese sinceramente l’alticcio Benedict, rimanendo interdetto.
«In realtà è il loro intimo e privato modo di dimostrarsi affetto l’un l’altra. Si sentono anche più di quanto ci sentiamo ormai io ed Eddie.» spiegò Tom, abbracciandolo con Mycroft che gli si aggrappava sulla spalla.
«Ma chi è questo tenero cucciolo?!»
«Oh, è tuo fratello, si chiama Mycroft!» rispose con un sorriso non necessariamente libero da qualche motivazione leggermente maligna Aneira.
«‘Nei, dovresti sinceramente smetterla di stordire così gli inglesi brilli. Potrebbero sentirsi male e credere che tu li odi.»
«Ma se la sera che ci siamo conosciuti per poco non finivi schiacciato dal mio martello – non per colpa mia – e ti sei quasi soffocato col mio curry – per colpa decisamente tua!»
«Ma tu mi hai stordito, come stai facendo ora con il caro Ben.»
«Oh, la mia prima Cumberbitch!» esclamò il caro Ben interessato, aprendo le braccia in direzione di Eddie, che gli rispondeva con un sorriso tutto per lui.
«C’è troppa gaiezza nell’aria. E troppo poco testosterone.»
«E quando dormo dalla tua amica mi vuoi uccidere, quando mi lascio andare a dolci effusioni con un mio caro amico sono gay…»
«Il giusto mezzo, Eddie, il giusto mezzo.» lo riprese la ragazza, facendo a pezzetti la banana e lasciandola cadere nello yoghurt, mentre dal canto suo Tom faceva gli onori di casa e prendeva il cappotto di Ben, che si dilettava a coccolare Mycroft come se l’avesse sempre conosciuto sulla poltrona.
«Ignorali.» aggiunse dopo all’amico che non vedeva da tanto, sedendoglisi accanto «Allora, cosa ti porta da queste parti?»
«Il pub qua vicino. Mi ci ha trascinato Ed.»
«Perché non vuole ancora affrontare la sua ragazza.» completò per Ben Aneira, annuendo certa.
«Non è vero! Abbiamo parlato, io e Hannah!» ribatté lui, come se ne fosse particolarmente fiero.
«E?» incerta sul credergli, Aneira guardò attentamente tutti gli altri presenti nella stanza, come se loro potessero farsi sfuggire qualcosa di fondamentale: cosa che effettivamente accadde, quando Benedict eruppe letteralmente in una risata «E l’ha cacciato di casa minacciandolo di versargli addosso del tè bollente!»
Tom ebbe il buonsenso di trattenere la risata e limitarsi a sorridere dispiaciuto guardando l’amico, che, stoico, accettava le risate degli altri due presenti nella stanza, che non avevano decisamente lo stesso suo criterio – o semplicemente erano troppo disinibiti, chi dall’alcol chi per l’evidente faccia tosta che stava dimostrando in quell’occasione, per comportarsi in maniera socialmente accettabile.
«Scusa» disse sinceramente Aneira, ma solo dopo che ebbe finito di ridere «Ma è la tua casa. Non dovrebbe andarsene lei?»
«Aneira cara, tu sei una donna, più di tutti dovresti capire: cosa si fa se c’è una donna arrabbiata con tè bollente in casa tua che ti vuole fuori di lì subito?» pose il quesito Eddie, sorridendo amaramente e continuando ad annuire ritmicamente con il capo e senza avere la più pallida intenzione di smetterla con quel movimento fastidioso.
«Sì scappa. Ma solo per salvarti la pelle!» rispose quella, costretta a dargli ragione.
«Ma ha ragione. Insomma, ho dormito da Jules…»
«Ma sa che l’hai solo baciata?»
«Gliel’ho detto. Del tè è caduto per terra.»
Aneira si portò una mano alla fronte, mentre con l’altra continuava a immergere il cucchiaino nello yoghurt.
«Ma se la facessi sfrattare su ordinanza giudiziaria?» propose dopo un po’ di silenzio l’unica ragazza della stanza, facendo scuotere la testa a tutti e tre gli interlocutori nello stesso istante.
Contemporaneamente Ben indirizzava un pensiero molto carino a Tom «La tua coinquilina sa proprio come conquistare qualcuno!» mentre Eddie rientrava nella fase riflessiva, in cui dimostrava di pensare effettivamente alla sua ancora per qualche assurdo motivo fidanzata, alternando quei pensieri saggi ai più frivoli “però mi piace Jules”.
«E comunque non se lo merita, di finire per strada per colpa mia…»
«Posso convenire che sia poco ortodosso cacciarla di casa con un’ordinanza giudiziaria» Tom rivolse un’occhiata perforante – “Ti sto giudicando!” – ad Aneira «Ma non è che Hannah sia proprio povera, insomma...»
«Ma non se lo merita…» continuò Eddie, facendo spallucce.
«Ma è casa tua!» ribatté Aneira, infervorata come se dovesse essere lei stessa a difendere il suo territorio «Insomma, potrai anche essere stato uno stronzo di fidanzato, ma non le puoi cedere un soggiorno no-limits a casa tua solo perché ti senti in colpa!»
«Beh…» iniziò lui, distogliendo lo sguardo.
«La ragazza esprime dei concetti giusti!» esclamò Ben, con la stessa intonazione di uno che avrebbe chiesto un altro bicchiere di Rhum.
«Beh… si vedrà.» concluse il rosso, passandosi una mano tra i capelli «Per stasera rimango comunque a dormire da voi!» concluse con un sorriso a trentadue denti.
«E anche io, se posso. Sono un po’ troppo brillo per tornare a casa vivo.» ne approfittò Benedict, continuando a coccolare senza sosta Mycroft, che sembrava preso così tanto dalle coccole da ignorare bellamente tutti gli altri presenti nella cucina.
«Redmayne, dormi con me: non ho voglia di farti il letto in salotto e soprattutto di dover lavare altre lenzuola nuove per te»
«Ma l’unica volta che ci ho dormito ero dalla tua parte!»
«Non ti darò il mio cuscino e nemmeno il mio lato. Ti accontenti di stare con la faccia contro l’armadio e sul ciglio del lato sinistro: o preferisci tornare a dividere il letto con Hannah?»
Il negare categorico del ragazzo – e il suo scappare dritto in camera di Aneira – le fece capire che avrebbe potuto usare la carta “Hannah” per farlo stare buono per un bel po’.
«Signori, buonanotte. Non che muoia dalla voglia di condividere il letto con il mio caro confidato Redmayne, ma oggi sono davvero stanca.» tagliò corto lei, buttando il cucchiaino nel lavabo e il contenitore dello yoghurt nella pattumiera, salutando con la mano il coinquilino e il suo ospite, che sembrava essersi innamorato di Mycroft: subito dopo che Aneira ebbe lasciato la cucina iniziò a parlare con il micino come di norma le donne parlavano ai bebè.
Tom ritenne che fosse il caso di mettere Ben a letto, anche perché iniziava a diventare imbarazzante: avrebbe anche potuto fargli un video che si sarebbero ricordati a vita, ma optò per lasciargliela passare e soprattutto non sprecare eccessive forze per umiliarlo pubblicamente – o privatamente, sarebbe stato in entrambi i modi divertente – così lo trascinò in camera e lo fece sedere sul divano «Ben, ti serve un pigiama, no?»
«Ho solo bisogno di questo piccolino… Oh, e comunque sono venuto a dirti che ho deciso di chiedere la mano di Sophie.»
«Per favore, dimmi che stiamo parlando di matrimonio e che non ti è venuta quest’idea stasera...»
«No, è stata ben ponderata.» rispose candidamente Ben, grattando la testolina del micino «L’ho già deciso da un po’ e beh... volevo dirtelo.»
«Allora mi sa che le congratulazioni sono d’obblig...» fece per andare ad abbracciarlo, ma lui scosse la testa vigorosamente: «Non ha ancora accettato! Ma sei matto?!»
Tom lo guardò perplesso e lo abbracciò comunque – sembrava averne bisogno, avendo raggiunto la sua fase dell’iperattività post-pub – e poi gli sottrasse Mycroft per portarlo in camera di Aneira, dove la coinquilina ed Eddie stavano visibilmente litigando – e quando mai… – per il cellulare di lei «Cosa sta succedendo qui?»
«Voglio sapere cosa dice Jules di me!» in quel preciso momento di distrazione, Aneira si riappropriò del suo telefono, colpendo il rosso con uno scappellotto che di tutta risposta la guardò in cagnesco, mentre quella andava a prendere il piccolo Mycroft e se lo avvicinava al viso «Vieni da mamma, lontano dai pazzi inglesi ubriachi!»
Tom si passò una mano sulla fronte, scuotendo la testa: poi si limitò ad osservare la scena che gli si parò davanti – Eddie che piegava il cuscino per stare un po’ più comodo e usava il computer di Aneira come se fosse suo e lei che non sbatteva un ciglio a riguardo e glielo lasciava clementemente fare – sorrise e fece per chiudere la porta «Buonanotte, non strappatevi vicendevolmente i capelli!»
«‘Notte Tom!» gli rispose il rosso, continuando a scrivere sul computer, mentre Aneira lo raggiungeva alla porta con Mycroft in braccio salutandolo muovendo la zampina del micino «Newotte Tom!»
«La pazzia non è stata raggiunta solo dai pazzi uomini inglesi ubriachi…» iniziò lui, ma Aneira gli chiuse la porta in faccia con un sorriso sornione «Non importa, notte!»
E poi andò a piazzare Mycroft tra lei ed Eddie, e il piccolo micino sembrava davvero interessato a cosa stesse facendo il ragazzo a quell’ora della notte su Facebook.
«Eddie! Cosa combini?»
«Potrei star stalkerando Jules. E nel mentre chatto con Luke.»
Perlomeno ebbe la decenza di adottare un tono vergognato, perlomeno.










Vi è piaciuto? Io l'ho trovato particolarmente ilare da scrivere :P
Alla prossima, dearies! (No, vi prego, non scambiatemi per Rumplestiltskin, anche se lo sto sfortunatamente citando)

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Capitolo 14
*** 13. The One In Which He Finally Tells Her ***


Guten Tag! Il banner è sempre stato fatto da _Lith_, lo stile del titolo è sempre ispirato a FRIENDS e la foto è mia (sì sono un porco che mangiava sempre pizza) ed è stata modificata da me. Buona lettura!








 
The Guy Who Turned Her Down

13. The One In Which He Finally Tells Her




Si sentiva leggermente tradita, a dirla tutta. E non perché fosse propriamente lei la cornuta – di fatto lo era Hannah, e inoltre non è che ci avesse fatto troppo con Eddie – però si era creata una connessione. Una bella connessione con una bella persona che era anche categoricamente occupata. Certo, il fatto che glielo avesse detto prima di finire a letto era davvero ammirevole – sebbene avesse comunque tradito la sua ragazza, anche se solo baciandone un’altra – però era stato del tempo sprecato. E ora le piaceva anche qualcuno – le interessava qualcuno come persona, perché le piaceva “come testa” – e quindi si sentiva impegnata. Per uno che aveva la ragazza.
Diamine, avrebbe voluto picchiarlo per quel particolare. Perché aveva fatto in modo di interessarle e poi le aveva detto dopo il primo appuntamento – beh, secondo, se si considerava primo la colazione post-dormita-scomoda-metà-sul-letto-metà-a-terra – che era impegnato. Che razza di ragazzo era?! Non poteva dirglielo prima, quando si erano conosciuti?! Oppure non poteva non dirglielo semplicemente mai?
Ma non doveva pensare questo: lui era stato onesto – con entrambe, visto che a quanto pare Hannah sapeva di lei dal giorno prima… – e lei paradossalmente non lo apprezzava. Voleva apprezzarlo, voleva farlo davvero, ma aveva rovinato tutto. Perché con la sua onestà ora lei sapeva dell’altra, che altra non era perché era quella ufficiale, e ci stava male. Perché lei, in realtà, voleva conoscerlo a tutti i costi. Voleva incontrarlo alle mostre, e fare tutte quelle cose che raramente si fanno ai primi appuntamenti, perché bisogna ammetterlo, chi ti porta al museo a vedere uno dei tuoi artisti preferiti all’inizio? Nessuno. E lui in pochissimi giorni si era guadagnato l’appellativo di persona interessante, che le aveva fatto perdere di vista altri pensieri negativi e le aveva fatto passare effettivamente dei bei momenti.
E perché diavolo tutte le persone interessanti dovevano essere impegnate, perché? Quale scherzo del destino era quello?
Per non parlare del tipo-che-sarebbe-stato-meglio-non-nominare-in-nessun-altro-modo con cui teoricamente si stava sentendo. Ma lo start-upper aveva perso buona parte del suo fascino, perché sebbene fosse uno con la testa a posto, non lo era quanto Eddie.
E questo la faceva marcire di rabbia nei confronti di quest’ultimo, perché l’aveva cacciato di casa… e lui se l’era anche meritato.
Però no, perché era stato onesto prima di essere un bastardo, e quindi non avrebbe voluto cacciarlo… ma lui non avrebbe capito se non l’avesse cacciato. E il risultato era chiaro: lo rivoleva, voleva frequentarlo e si odiava per questo, perché sarebbe stata l’altra, in tal caso.
E lui? Lui voleva? Insomma, essere cacciati di casa dopo aver nuovamente dormito nella stessa casa con qualcuno – sebbene la prima volta fosse stata palesemente involontaria – non doveva essere piacevole per nessuno dei due, ma soprattutto per lui che era stato cacciato.
E il pessimo sunto della storia era che lei l’aveva cacciato per fargli capire quanto non accettasse quella cosa, ma lo rivoleva. Perlomeno, lo rivoleva come era stato fino a quel momento: educato, gentile, amabile e adorabile conquistatore di fanciulle amanti dell’arte. Oh beh, magari anche solo di lei.
Si stropicciò gli occhi, sbuffando mentre rileggeva il bilancio consolidato di una multinazionale fittizia che doveva analizzare e ricordare perché il giorno dopo avrebbero dovuto discuterne in classe e non ne poté più: si alzò e raggiunse il suo cucinino, accese il gas e ci mise sopra il bollitore colmo di acqua.
Differentemente da Casa Hier – Hiddleston, lei non aveva bisogno di tè per stare bene: probabilmente, con tutto il caffè che beveva, se avesse anche preso il tè sarebbe scoppiata. Quindi optava sempre per una camomilla addolcita dal miele, per calmare le sue paturnie sentimentali e la sua ansia accademica.
Se avesse avuto un dispensatore di Valium sarebbe andata anche meglio, ma probabilmente si sarebbe dovuta accontentare della roba omeopatica che le passava il suo medico.

Aveva preparato tutto quello che Lara le aveva chiesto e si erano anche nuovamente sentite – più volte – ed era già arrivato il tredici, quindi aspettava solo la donna. E poi lei avrebbe aspettato gli ospiti: non avrebbe voluto fare gli onori di casa. Probabilmente quella sera casa sua sarebbe stata teatro delle interazioni del jet-set londinese – o forse no, considerato che del jet-set londinese facevano parte solo tre dei più cari amici del suo coinquilino, mentre gli altri conoscenti non sarebbero stati tutti VIP – e lei… non avrebbe sinceramente voluto vederlo.
E non solo perché lei quei volti era abituata a vederli in TV, ma anche e soprattutto perché non aveva voglia di vedere un ipoteticamente diverso Tom per via dei presenti più o meno amici. Magari tra gli invitati c’era qualcuno che portava sulla bocca dello stomaco e si sarebbe comportato diversamente… e non avrebbe voluto vederlo.
Lara era arrivata ed era adorabilmente sportiva, quindi ringraziò silenziosamente: non voleva dei tipi vestiti da pinguini quella sera.
«Bell’onesie, Aneira.» commentò lei, appena l’ebbe vista sulla porta.
«Grazie! Anche tu stai bene, sebbene non sembri ridicola tanto quanto me, visto che non sei vestita da Pikachu gigante» commentò la bionda della casa, e la bruna rispose con una risata.
«Ho portato qualcosa, dov’è il frigorifero?»
«Vieni pure di qua» Aneira le fece strada e iniziò a indicarle tutti i posti che le sarebbero potuti servire dovendo gestire quell’“evento”: arrivò anche a mostrarle i bagni – fortuna che la signora delle pulizie avesse pulito il giorno prima – le offrì del tè, ma quando iniziarono ad arrivare gli ospiti si ritirò a vita privata.
Non che non volesse vedere Eddie – o Ben, era quasi certa che ci sarebbe stato pure lui – ma non avrebbe voluto vedere il resto, proprio non le andava.
Le dispiaceva anche lasciare Lara per un po’ sola a guardarsi intorno in una casa non sua, ma lei aveva da fare. Aveva da finire di editare alcuni articoli per il giornale di facoltà – o probabilmente Jules l’avrebbe ammazzata – e aveva anche da finire il compito per una parte del documento finale che avrebbe portato con sé oltreoceano in pochi mesi.
Sbuffò sonoramente e osservò lo schermo del computer: aveva da fare anche quel giorno, sebbene non fosse nulla di strettamente universitario,  o quasi. Quindi non poteva permettersi di svagare – o sì, tanto avrebbe comunque finito entrambi i lavori – e soprattutto non voleva con troppe persone. Odiava sempre doversi trovare ad avere a che fare con tante persone, perlopiù sconosciute. E soprattutto se Lara avesse avuto la cattiva idea di invitare la signora trombamica… no, non avrebbe voluto rivedere la biondona, proprio no.
Scosse la testa, ritornando a guardare il file di Word attentamente e a scrivere e controllare tutto come un ossessa. Dovevano proprio affibbiarle un articolo di facoltà su cose alquanto strane di cui lei non era solita parlare, eh?
Doveva essere passato un bel po’ di tempo, perché quando rialzò gli occhi dai due articoli si ritrovò Redmayne che era strisciato dentro la sua camera senza fare rumore.
«Eddie?» chiese perplessa, chiudendo il file word e guardandolo basita.
«Buoooonasera.»
«Non hai portato Hannah o Jules, no?»
«Assolutamente
Un solo suo sguardo indagatore lo fece crollare: «Non ho portato nessuna delle due… E ho anche detto tutto ad Hannah.»
«Tutto in che senso? Non le avevi già parlato?»
«Sì, ma non  le avevo detto che avevo baciato Jules e poi ero stato cacciato da casa sua.» dichiarò candidamente il rosso, sedendosi al bordo del letto.
Le braccia di Aneira sarebbero cadute fisicamente a terra per esprimere il suo attuale pensiero e stato d’animo, però doveva ammettere che era quasi galante. Poteva essere considerato anche un pezzodimerdatraditore, però era carino informare entrambe. Certo, era un bel po’ confuso e contorto, però era stato di fatto onesto con entrambe, ed era da ammirare.
«E lei che ha detto?»
«Beh, ritiene che sia una cosa passeggera e che poi ritornerò sulla giusta via
Gli occhi di Aneira lo fulminarono automaticamente, ma lei volle dimostrarsi comprensiva: «E tu pensi che sia così?»
«So che mi uccideresti se la dovessi pensare così, ‘Nei. Che senso avrebbe venirlo a dire a te?»
«Oh, perché sono la tua confidente, ovviamente, Red.»
«Oddio, è vero. Contorto e perverso, ma è vero.» si portò una mano tra i capelli, sbuffando.
«Allora?»
Dallo spiraglio della porta in quel momento arrivò un arruffato e parecchio incazzato Mycroft, che doveva sicuramente aver ricevuto troppe attenzioni per i suoi gusti e ora tornava a rintanarsi dalla cara Aneira.
«Io… non penso sia così. Al momento non me la sento di lasciare Hannah…»
«Ma nemmeno Jules.»
«Beh, non stiamo effettivamente insieme.»
«Ma la vuoi rivedere. Anche se t’ha cacciato di casa.»
«Soprattutto perché mi ha cacciata di casa.»
La biondina alzò un sopracciglio, perplessa.
«Beh, mi ha fatto capire che non ci starebbe differentemente. Però fino a quel momento mi ha anche fatto capire che sono importante.»
«In che senso che sei importante?» Aneira chiuse il PC e lo mise di fianco, non avrebbe mai capito quella persona tortuosa.
«Mi dà attenzioni in un modo che le altre non hanno mai fatto. E sì, tra le altre c’è anche la mia ragazza.»
«Uhm…»
«È un casino, vero?»
L’espressione di Aneira rappresentava candidamente quello che lei stava pensando in quel momento e sì, era un casino.
«Non voglio esortare nessuno dei due, sia chiaro» iniziò lei, inspirando profondamente ed espirando dopo qualche secondo «Né te né Jules. Però se provate queste cose…»
«Anche lei?» chiese speranzoso. Aneira lo incendiò con uno sguardo e lo ignorò, continuando poi con la sua affermazione: «Se provate queste cose, dovreste continuare. E sì, va bene anche se sei onesto con entrambe, e anche se soffriranno in qualche modo entrambe.»
«Ma soffro anche io!»
«Loro di più, perché la scelta non dipende da loro stesse, ma da te. Immagina come dev’essere orrendo.»
Eddie annuì, comprendendo «Ma io ho anche bisogno di capire…»
«Io so che sei confuso, ok?» gli prese una mano – non voleva sempre urlargli contro, aveva in qualche modo contorto iniziato a tenerci «Però tieni sempre conto che per loro è più difficile e stai facendo qualcosa sicuramente non convenzionale e considerata immorale o qualcosa di simile dalla maggior parte delle persone.»
«Ma a me non interessa cosa dicono gli altri, ma cosa pensano loro. E poi se c’è comunque qualcuno che non pensa sia immorale…» indicò con un cenno del capo la ragazza, che scosse la testa e alzò gli occhi al cielo: «Probabilmente se si fosse comportato così il primo coglione per strada con Jules o un’altra mia amica l’avrei castrato. Però ti capisco, e capisco che dal tuo punto di vista possa anche non essere una cosa come “ne voglio due”. Ma anche e più probabilmente qualcosa del tipo “Ho conosciuto qualcosa che mi piace tanto ma sono impegnato e devo capire”. E va bene, finché prenderai una decisione, prima o poi.»
«Okay.»
«Mi raccomando.» l’espressione era davvero comprensiva, e non se la sarebbe assolutamente aspettata da una cara amica della ragazza per lui interessante. Era decisamente qualcosa di inusuale.

Aveva lasciato la camera solo perché aveva fame e l’aspettava la pizza surgelata da scaldare in cucina – e poi aveva bisogno di andare in bagno. Quando aveva trovato il freezer vuoto aveva avuto i cinque minuti, ma Lara si era prostrata ai suoi piedi per scusarsi, dicendo che non sapeva chi avesse combinato quel macello e che l’avrebbe scovato e punito.
Aneira non aveva ancora capito come – ci sarebbe dovuto essere un detto, “ Le strade di Lara sono infinite” – ma era certa che l’avrebbe fatto: poi si rintanò in camera sua decidendo che non l’avrebbe lasciata fin quando la casa non sarebbe stata libera delle persone inutili. In pratica avrebbe voluto fuori tutti tranne Tom, Lara ed Eddie.
Alla fine aveva scoperto che Ben aveva dato forfait, ma lo immaginava: chissà in che parte del mondo era quel giorno.
Così decise che sarebbe morta di fame sul letto assieme a Mycroft – che però era sgattaiolato in cucina a mangiare e dopo qualche minuto era ritornato indenne e sicuramente non fermato da nessuno, perché non si sarebbe fatto bloccare di nuovo – fin quando non sarebbe stata libera degli invitati.
Solo quando Tom si palesò nella sua camera all’una passata di notte si rese conto che il rumore che proveniva dalle zone comuni era sparito: e provò anche a guardarsi intorno ed era tutto lindo!
«Immaginavo avessi fame» dichiarò lui, lasciandole uno scatolo della pizza sulle gambe, che lei guardò come se fosse acqua nel deserto «Ne sto morendo.»
«Perché non ti sei presentata al buffet? Lara mi ha detto che hai messo su un bel po’ di cose…» le si sedette accanto sul letto, mentre lei mangiava e rispondeva facendo spallucce «Non mi andava di vedere tutte quelle persone… pfff.»
«Misantropa.»
«Sì… forse.»
«Quasi certamente, piuttosto.» Tom si stese dall’altra parte del letto, mentre Mycroft gli saltava letteralmente addosso.
«Lara ha trovato l’assassino della mia pizza?» chiese Aneira dopo un po’, terminando in tempo record quella cena improvvisata.
Tom ridacchiò, sia per la scelta delle parole che per la conoscenza che aveva dell’assassino: «Non ti piacerà la risposta…»
«Era la signora trombamica, vero?!»
«Sì, immagino abbia voluto vendicarsi del fatto che le hai rubato il trombamico – che poi non siamo neanche troppo amici – con un gattino… e comunque Lara l’ha cazziata.»
«Già adoro Lara.» sorrise sadica Aneira, posando la schiena contro il cuscino e portandosi il computer sulle gambe, iniziando a vagare virtualmente su internet.
«Oh, ci avrei scommesso!» rispose lui, scuotendo la testa e prendendo a coccolare Mycroft, che si stese sul busto del ragazzo come se fosse la cosa più comoda del mondo «Come farò senza di lui…»
«Ah, non lo so. Più che altro dovresti chiederti come farà Mycroft senza la sua poltrona preferita per mesi…»
«‘Nei?»
«E con poltrona preferita intendevo te.» terminò lei, voltandosi non appena si sentì afferrare il gomito «Sì?»
«Io parto domani.»
«Lo so…?» il tono era a metà: era perplessa, non sapeva se domandarsi il perché riguardo al fatto che gliel’avesse detto con così tanta cura o meno. Insomma, lo sapeva, ne avevano già parlato in precedenza…
«So che lo sai, però… te lo dovevo dire.»
«Okay… tanto tornerai prima o poi, no?» fece spallucce quella, guardando le dita di Tom che grattavano la testolina di Mycroft, che attendeva altre coccole e grattatine beato.
«Sì, certo.» rispose automaticamente, riflettendoci su: sicuramente sarebbero passati mesi, ma sarebbe tornato «…Prenditi cura di Mycroft.»
«E tu di te.» rispose quella, guardandolo finalmente negli occhi «Perché nessuno ti porterà i donut a qualsiasi ora di giorno.» sorrise impercettibilmente.
Lui ridacchiò e scosse la testa «Penso proprio di no. Notte ‘Nei.»
Le passò una mano sulla spalla a mo’ di saluto, mentre Mycroft si aggrappava alla sua di spalla e osservava tutto ciò che lo circondava dall’alto della sua nuova posizione mentre Tom usciva dalla camera.

 

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Capitolo 15
*** 14. The One With The Reconciliation and The Transoceanic Skype-Call ***


Avevo così tanta voglia di postarlo che sì, appena ho letto 30 Novembre l'ho postato. Anzi, ho iniziato ad editarlo ancora prima! Il banner è sempre stato fatto da _Lith_, lo stile del titolo è sempre ispirato a FRIENDS e la foto è mia (no, non ho salvato dei miei veri amici con quei nomi. Ho modificato però uno screenshot di chat di gruppo appena creata quel giorno... sì, sono tanto malata quanto molto committed!) ed è stata modificata da me. Buona lettura!



















 
The Guy Who Turned Her Down



14. The One With The Reconciliation and The Transoceanic Skype-Call




Era strano. Non tanto non avere sempre tra i piedi Tom – perché spesso e volentieri non capitava, essendo sempre un VIPsuperimpegnato come era solita chiamarlo lei – ma sapere che non sarebbe tornato per mesi. Sarebbero stati lei, Mycroft, Elspeth e Laire. E con quella “famiglia”, Mycroft era quello con il nome più normale.
«Buonasera buonasera!» e ovviamente Eddie. Non aveva capito decisamente quando quella fosse diventata la seconda casa del rosso, però non le dispiaceva neanche più tanto.
«A cosa dobbiamo la tua presenza?» replicò, acidamente come al suo solito, Aneira. E di tutta risposta, il gentleman inglese per eccellenza – beh, chiamava Tom così. Però lui era metà scozzese, quindi poteva rivolgersi a Eddie così – decise di esordire con un: «Tanto lo so che mi ami. Ti amo anche io, non preoccuparti.»
E dopo la dichiarazione – lei avrebbe specificato unilaterale, ma non aveva avuto la possibilità di ribattere – d’amore si piazzò accanto alla ragazza, accarezzando un piumoso Mycroft che era contentissimo di ricevere coccole da una mano maschile dopo ore che non ne riceveva.
«Comunque, cara, mi vedrai più spesso.»
Aneira alzò un sopracciglio, perplessa: «Sei già qui tutti i giorni, più volte al giorno… cosa intendi?»
«Hannah mi ha cacciato di casa. Ho deciso di rimanere qui fin quando non ne trovo una migliore.»
«Ma... non può! È la tua casa!»
«Vuoi chiamarla e dirglielo?» indicò il suo telefono, sorridendo malefico «Quindi... saremo compagni di casa!»
«Oh, Gesù…» la ragazza si passò una mano tra i ciuffi ribelli nati da poco all’attaccatura dei capelli e alzò gli occhi al cielo «Tom almeno lo sa?»
«Glielo diremo appena atterra.» dichiarò Eddie, con un sorriso a trentadue denti, iniziando a tirare verso di sé il computer di Aneira.
«Molla l’osso!» lo redarguì lei, schiaffeggiandogli la mano incriminata «è molto probabilmente già atterrato. Sono le nove... ma magari vuoi aspettare che arrivi in hotel, si sistemi, stia meglio?»
«No che non voglio aspettare! E poi mi deve avvisare quando atterra!»
Il telefono del rosso suonò e Aneira notò che anche il suo emetteva una luce intermittente che di solito si illuminava solo quando riceveva qualche messaggio: lo afferrò e notò che era una notifica su Whatsapp.
«Ma che caz—
«Oh... oooh.» i versi poco esplicativi di Eddie non miglioravano la situazione.
«Lara ha creato un gruppo?!»
«Sì.»
«Chi sono i due numeri a me sconosciuti?»
«Il numero americano di Tom e quello di Luke.»
«Perché c’è sia il numero americano che quello inglese di Tom? Che senso ha?!»
«Penso che Tom se lo porterà comunque indietro... e si attaccherà al Wi-fi… no?»
«Ma non ha una doppia sim?»
«Gli I-Phone hanno la sim doppia?»
«Lo sai che non ha più un I-Phone, vero, Ed?» sbarrò gli occhi Aneira, memorizzando i nuovi numeri e leggendo che cosa aveva scritto Lara: “Così è più semplice per lui avvisare tutte le persone che sono in attesa di un suo messaggio. L x
Ehi, è mia la firma “L x”! L x” aveva scritto Luke, aggiungendo l’emoji che sbuffava sonoramente.
Hiddleston, sai che ci devi avvisare, vero? Sennò partono le chiamate preoccupate” aveva digitato con la mano libera Eddie, mentre l’altra coccolava Mycroft.
Mi raccomando, fatti riprendere dalle gentili hostess e steward della British Airways per avere acceso il telefono prima che l’aereo si fosse fermato, eh!” aveva commentato Luke, ridendo.
Mamma mia come siete asfissianti! Però scrivi, Hiddles. ORA.” Aveva aggiunto subito dopo Lara, e Aneira ancora si chiedeva perché facesse parte di quel gruppo. Del gruppo degli amiciVIP di Tom. O, includendo anche lei, delle persone a lui care...? Deglutì a fatica, cercando di metabolizzare il tutto: Che cosa aveva in mente Lara?
«Che c’è, Thorneira? Hai ancora il martello sotto le coperte?...» iniziò a tastare sotto le coperte all’altezza del suo sedere, cercando il martello irrimediabilmente arancione.
Aneira continuava a osservare un punto fisso sulla finestra, per poi decidersi a digitare qualcosa: “Sei arrivato?
Contemporaneamente aveva risposto anche lui alla caterva di messaggi di Luke, Lara ed Eddie: “Mi sarei dovuto aspettare un saluto del genere da tutti voi. Nemmeno metto piede in Canada e già mi tormentate...
‘Nei? Non sono ancora in hotel... e ovviamente non mi riferivo a te, ma a quei pazzi di E, L e L.” aveva aggiunto subito dopo Tom, continuando a scrivere “E non sapevo nemmeno ci fossi anche tu nel gruppo...
Beh la prossima volta leggi i nomi dei partecipanti!” l’aveva ripreso con una linguaccia Lara, mentre Luke dedicava alla suddetta una serie di emoji che le rivolgevano un’occhiataccia.
E comunque ha senso, che ci sia anche tu.” aveva aggiunto infine Tom, prima che tornasse in silenzio radio e che Lara e Luke ricominciassero a battibeccare.
E comunque, quando sei sistemato e tranquillo in hotel facci un fischio. Che sono a casa a tua e io e Aneira vogliamo videochiamarti!” era l’ultimo messaggio che aveva letto su quel gruppo. Poi aveva chiuso l’applicazione, lasciato il telefono sopra il libro sul comodino e ripreso tra le mani il PC. E Mycroft aveva mollato Eddie per piazzarsi al centro delle sue gambe intrecciate all’indiana e prendersi le sue coccole distratte.
«Ehi!» si era lamentato il rosso, ma tutto quello che ricevette dal gatto in risposta fu un movimento stizzito – e orgoglioso – del capo e del sedere. E così piazzato – ossia, rivolgendogli il sedere – si era accucciato su Aneira e aveva iniziato a ronfare e a fare le fusa.
«Dopotutto, sono io la sua umana.»
«E Tom! E come amico di Tom dovrei avere un posto riservato nel cuoricino di Mycroft!»
«Beh, Tom è la sua poltrona. Ma è anche il suo umano... e tu sei suo amico. Ti figurerà come amico dell’umano, probabilmente...»
«E sono anche tuo amico! Sono amico dei suoi umani, non posso essere suo amico?!» di tutta risposta, Aneira allungò una mano per dargli due pacche sulla spalla, e il gatto fece lo stesso dalla sua comodissima posizione sul letto.
«Sul serio, mi spaventate.» aggiunse lui, avvicinandosi all’orecchio di Mycroft «Entrambi. Sappilo, gattino.»
Il verso infastidito che era partito da Mycroft fece scuotere la testa di Eddie, che ciabattò fino alla cucina.
Aneira era in procinto di alzarsi e seguirlo per chiedergli dove diavolo avesse trovato delle ciabatte per lui in casa loro, ma venne bloccata dall’arrivo di qualcuno che era entrato come una furia – come al solito – nella sua camera.
«Perché ci sono tutte quelle scatole nell’ingresso?» aveva chiesto come prima cosa Jules, senza nemmeno salutarla: poi prese in braccio Mycroft – che inizialmente si dibatté, ma poi decise che era inutile e si accoccolò tra le sue braccia – e salutò con un bacio Aneira, che la osservava spiazzata «Ehm...»
«Non importa. Oggi c’è stata la presentazione!» aveva poi irrotto la ragazza, battendo le mani – a quanto pareva a se stessa – contenta.
«E ehm...come è andata?»
«Benissimo! Doveva parlare per forza lei, la primadonna...»
«Carla?»
«Ovviamente! Ma alla fine, dopo che ognuno di noi aveva detto la sua parte, il prof era interessantissimo e ha chiesto di chi fosse l’idea di esaminare le no-profit, ed era stata mia, e quindi abbiamo iniziato a parlare e...»
«Non hai più hamburger in frigo. Perché non hai più hamburger nel frigo?» Eddie si trascinò fino alla sua camera e pose la domanda solo quando fu sulla porta: ed era già troppo tardi. «Oh. Ehm. Ciao!»
«Che ci fa lui qui?!»
«Ehm...»
«Mi sono trasferito!»
«Tom non lo sa ancora!» ribatté Aneira, puntandogli il dito contro con un’espressione poco affabile.
«Si è trasferito?!»
«L’ha deciso da solo...»
«Non hai una casa?» Jules decise di rivolgersi direttamente a lui, a braccia conserte.
«Hannah l’ha cacciato dalla sua stessa casa.» rispose Aneira per lui, visto che non aveva intenzione di dire nulla e stava comunque sbarrando la porta con un pacco di patatine in mano.
«‘Neira!» si lamentò lui, sbuffando.
«Perché?» chiese allora Jules, decisa a scavare ma rimanendo accigliata.
«Le ho detto di te.» spiegò allora Eddie, sbuffando «Abbiamo litigato perché mi aveva chiesto se fosse una cosa da una botta e via o meno... e le avevo detto che ci siamo visti più volte e che non era una cosa da niente.»
«Noi non abbiamo fatto sesso, come poteva essere da una botta e via?» ribatté quella, puntandogli il dito contro.
Eddie fece spallucce, con entrambe le mani sul pacchetto di patatine: Mycroft osservava la scena con Aneira – ne aveva approfittato subito ed era scappato non appena Jules si era distratta – ed entrambi movevano la testa da destra a sinistra, per osservare prima l’uno e poi l’altra.
«Immagino abbia capito che fosse una cosa seria, visto che mi ha cacciato fuori da casa mia
L’espressione seria di Jules vacillò e Aneira scorse un lampo di contentezza mista a confusione per qualche secondo, ma poi ritornò imperturbabile.
«Perché, visto che non ho hamburger, non andate a discuterne a cena insieme?» buttò lì Aneira, unendo le mani e intrecciando le dita con un sorriso che andava da guancia a guancia.
Jules ed Eddie la guardarono spaesati contemporaneamente, sentendosi quasi traditi da quella proposta, che non sarebbe dovuta venire dalla loro amica: «Non ho cibo per tre. Non sapevo ci sareste stati entrambi qui. E ridatemi di grazia le mie ciabatte e uscite. Tutti e due.»
Il tono era diventato autoritario e i due seguirono l’ordine dell’amica traditrice: un po’ perché aveva ragione e avevano davvero bisogno di parlarne, un po’ perché una cena sarebbe stata l’ovvia conclusione logica della discussione dato che non c’era abbastanza cibo in casa.
Solo quando sentì il chiaro rumore della porta di casa che si chiudeva Aneira prese con una mano il piccolo Mycroft e si alzò in piedi, canticchiando: «Ma loro non sanno che ho nascosto le pizze surgelate...»
E con Mycroft che nel frattempo si era arrampicato sulla sua spalla e guardava fiero il mondo da lassù, si diresse soddisfatta e affamata alla sua cucina, che attendeva solo che due dei suoi cinque (all’occasione sei – nel caso in cui Eddie decidesse di rimanere lì... e lo faceva spesso) abitanti avessero bisogno di lei.

Quando Eddie fu di ritorno era solo e dall’umore non decifrabile. Non era arrabbiato, ma non era nemmeno felice. Era pensieroso? Forse, ma con un guizzo di contentezza. Non lo capiva, e avrebbe saputo solo se avesse chiesto. Era in procinto di farlo, quando lui si piazzò sul letto suo insieme a Mycroft e decise di aprire bocca: «Tom mi ha scritto, ha detto che è pronto.»
«Tom ha scritto anche a me, e un’ora fa. Lo sa che eri con Jules. Allora, com’è andata?»
«Perché non lo chiedi a lei?!»
Eddie chiuso in se stesso non lo accettava: al che gli puntò un dito contro al petto e gli disse chiaramente «Perché sei mio amico anche tu, idiota. E lo sto chiedendo a te. Anche perché non sembri stare bene. Ma nemmeno male.»
«Devono succedere cose strane per avere una dichiarazione di amicizia da te?»
«Forse.»
«Ne avrò altre?» sorrise sornione quello, e Aneira volle seriamente prenderlo a schiaffi: «Se continui così, no.»
«Comunque...»
«E ho detto a Tom che l’avremmo chiamato solo quando avresti finito di spiegarmi.»
«Niente di che, ‘Neira. Semplicemente non mi odia, ed è già tanto, ma non vuole neanche vedermi a breve. Forse. Non è che puoi aiutarmi ad incontrarla per caso altre volte, no?»
«Non l’ho fatto apposta, Ed. Non sapevo che sarebbe venuta a trovarmi... e neanche di te sapevo, se è per questo.»
«Lo so, ma... insomma, facciamo questo patto? Voglio riconquistarla. E come mi avevi ordinato tu, ho parlato con entrambe.» le porse timidamente la mano, che la ragazza accettò roteando poi gli occhi al cielo «D’accordo. Ma niente più sotterfugi!»
«Ma c’è stato solo il grande elefante nella stanza all’inizio!»
«Stai dicendo che Hannah è un elefante?» ipotizzò Aneira, collegandosi su Skype.
Eddie scoppiò a ridere, prendendo in braccio Mycroft e avvicinandosi a lei «Beh, non proprio lei. Ma sì, in riferimento a lei.»
Non appena Tom rispose alla videochiamata – rigorosamente in pigiama e già nel letto – Eddie e Aneira gli piazzarono Mycroft di fronte alla Cam e il micino guardò lo schermo del computer, ammaliato.
«Amore!»
«Oh, tesoro!» aveva risposto – con una voce molto frivola – Eddie, scoccandogli un bacio dall’altra parte del monitor: Tom scosse la testa e si rivolse anche a ‘Nei «Buonasera.»
«Tom, perché sei in pigiama alle sette di sera?» chiese argutamente la ragazza, guardando il suo orologio «Sono le sette, vero?»
«Sono stanco. Tredici ore tra aerei e aeroporti. E il fuso orario... e ho già cenato. Non voglio vedere nessuno... e poi a casa stavo sempre così, a qualsiasi ora!»
«Awww, gli hai passato la misantropia e anche la pigrizia!» esclamò allora Eddie, col tono fintamente addolcito. Ricevette un’occhiataccia sia dal monitor che dalla sua destra.
«Sei passato dalla banca per i Dollari Canadesi?» chiese tutt’ad un tratto Aneira, pensierosa. Tom ridacchiò: «Sì. Anche se non ci fossi andato, probabilmente ora sarebbe troppo tardi.»
«Sì, decisamente.»
«Com’è il tempo lì, Canadese?»
«Come sei british, Ed.»
«O mamma apprensiva. Vanno bene entrambi» aggiunse Aneira, sorridendo soddisfatta.
«Appunto. Comunque bene. Quando sono arrivato c’era qualche nuvola...»
«E il volo com’è andato?»
«Redmayne, hai paura del volo che devi prendere tra due settimane?» incalzò Tom, sogghignando «Comunque bene. Qualche turbolenza sull’Atlantico ma niente di particolarmente sconvolgente.»
«Aneira, non va bene. Gli hai passato pure il sadismo...»
«Ma perché è colpa mia?!» ribatté quella, sbuffando.
«Perché sì!» esclamò Eddie, sicuro «Inizi domani?»
«Lunedì. Senti... ma perché siete insieme?» chiese finalmente Tom, accigliato.
«Eh, spiegaglielo, Ed. Spiegaglielo.» incalzò non appena ne ebbe l’occasione Aneira.
«Hannah mi ha cacciato di casa. Ho portato la mia roba qui. Posso occuparti la camera fin quando non torni e fin quando non trovo casa?»
«Ma non era casa tua, quella?» Tom ebbe la stessa identica reazione confusa di Aneira, che annuì ripetutamente e con sicurezza.
«Beh, fin quando contatto il mio avvocato ci vorrà un po’ di tempo...»
«Vuoi sfrattarla con l’avvocato?!» esclamarono all’unisono Tom e Aneira, ma quest’ultima fu subito pronta ad aggiungerci altro «Vuoi che ti bruci casa?»
«La casa è assicurata per furti e incendi.»
«Oh beh, vuoi che ti rovini la reputazione allora. Fidati, lo farà.»
Tom annuiva dal monitor: «Sei sicuro che sia la mossa più saggia?»
«Ho paura che mi getti davvero dell’olio bollente addosso se torno a parlarle.» rispose allora il rosso, roteando gli occhi e accarezzando Mycroft.
«Comunque sì, stai pure in camera mia.» aveva risposto Tom dopo un po’, scuotendo la testa «E davvero, non mandarle l’avvocato. È una PR, potrebbe distruggerti, socialmente parlando.»
«Sì, probabilmente se domani le mandi l’avvocato dopodomani girerà voce che ce l’hai piccolo o che non ti si rizza. O qualcosa del genere»
«O peggio: che sei andato a letto con qualcuno per ottenere il ruolo di Les Mis...» aggiunse Tom, vagliando le diverse opzioni.
«O potrebbe distruggere interamente la figura pubblica Eddie Redmayne e dire che picchi le donne...»
«Ma non lo faccio!» esclamò indignato lui «E non scenderebbe così in basso!»
«Fammi capire, tutto il resto che abbiamo detto è vero?» chiese allora Aneira, accigliata: di tutta risposta ricevette un’occhiataccia dal diretto interessato, che poi sbuffò sonoramente.
«Quindi devo parlarle?»
«Decisamente.» rispose sicuro Tom, annuendo.
«Ma lascia passare un po’ di tempo, o si vendicherà comunque. E non farle sapere che ti stai vedendo con Jules o che vuoi riconquistarla, dille soltanto che ora sei single. O qualcosa del genere.»
«Ricevuto. Avete finito di impartire consigli ora, voi due?» indicò il monitor e accanto a sé, e i due diretti interessati annuirono, sorridendo sornioni.
«Dio li fa e poi li accoppia...»
«Come?!» chiesero entrambi, contemporaneamente: ma Aneira aveva sentito bene.
«Niente, niente! Vado in bagno!» e alzando le mani al cielo scese dal letto, dirigendosi davvero alla toilette.

 

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Capitolo 16
*** 15. The One With The Awkward Phone Call And The Almost Stalker ***


Hola!  Il banner è sempre stato fatto da _Lith_, lo stile del titolo è sempre ispirato a FRIENDS e la foto magari fosse mia (Mycroft <3) ma è stata modificata da me. Buona lettura!










 
The Guy Who Turned Her Down
15. The One With The Awkward Phone Call And The Almost Stalker



Era una mattina indaffarata – e lei era come al solito in ritardo per l’università – e corse in cucina, rimanendo interdetta vedendo Eddie che vagava per la stanza. Aveva già spostato tutti i suoi scatoloni lì, ingombrando buona parte delle superfici libere della stanza e accatastando quelli dei vestiti contro la finestra – perché giustamente quelli avrebbe dovuto appenderli nell’armadio – quindi la camera aveva anche perso in luminosità, che quella mattina, grazie al cielo plumbeo, entrava comunque sferzante dalla finestra. Aneira passò oltre e andò a prendere un muffin dalla scatola che Eddie aveva portato – stava cercando di ingraziarsele tutte? – loro dopo essere uscito a colazione con Jules – in realtà lei aveva fatto da spia e gli aveva detto in quale Costa Coffee fosse, e lui si era preparato e profumato ed era corso via per “incappare” provvidenzialmente in lei – e dopo aver bevuto un bicchiere di latte velocemente, con già tutto il cappotto e lo zaino addosso tornò a lasciargli Mycroft, che stava coccolando con la mano libera, e a puntargli confusamente il dito contro: non sapeva nemmeno consciamente il perché, ma lo spinse volontariamente contro lo sterno di Ed.
«Non cambiare nulla della camera di Tom. Okay?»
Perplesso, lui alzò un sopracciglio, prese ad accarezzare quasi compulsivamente Mycroft – quando era così seria gli faceva paura – e annuì: «Okay. Non ne avevo intenzione. Ma perché
Aneira parve pensarci solo in quell’istante: si guardò intorno, verso la cucina e sul mobile in corridoio alla sua sinistra, continuando a guardare poi verso il corridoio che lo incontrava ad L per tornare infine su Eddie. Parve quasi folgorata quando si decise a rispondere: «Non lo so. Buona giornata Ed, vedi di non stare sempre a poltrire sul divano che abbiamo montato io ed Elspeth.»
«Posso avere i movimenti di Jules? Sai, tipo a quale celle telefoniche si connette...»
La ragazza, basita, si voltò a guardarlo, ma lui rispose prontamente: «Sto scherzando, ovviamente! Però se sai dov’è...»
«Non devi tramutarti nel suo stalker. Un incontro casuale ogni due giorni va bene.»
«Ma ti prego!»
«Se vuoi vederla, parlale, duh!» espresse il verso finale sonoramente e come se fosse carico di ovvietà – e forse per la gente normale lo era «Ma non hai da lavorare, tu?»
«Beh... ho finito da poco di girare qualcosa, devo riprendere subito?»
«Ah, mi ero dimenticata che c’avessi i soldi che ti escono dal didietro. E poi è periodo di Awards, giusto...» si allontanava passeggiando all’indietro e facendo su e giù con le sopracciglia in un movimento strano e che implicava qualcosa. E lui sapeva anche cosa...
«Sì, ci sono stati i BAFTA e ci sono dovuto andare con lei. Anche agli Oscar... avevamo già prenotato tutto. Anche per lei a Los Angeles.»
«Se dovesse esserci una turbolenza che crederai mortale sul volo di andata con chi ti confidi e a chi stringi la mano se siete seduti accanto?» chiese la bionda, tirando un morso convinto al muffin al triplo cioccolato.
«Miracolosamente non lo siamo. Sebbene mesi fa la pensassi diversamente» sospirò profondamente lui.
«Oh, lo so. Buona giornata, fancazzista
«Anche a te, fancazzista
«Ehi, io studio!»
«Seh, come no, aspettando che carichino online i sub di New Girl!» e fu l’ultima battuta che Aneira sentì, perché dopo l’unica cosa che Eddie poté udire fu il suono della porta che chiaramente si chiudeva. E anche sbattendo.
Quella ragazza doveva imparare ad avere un po’ di grazia ed eleganza, ogni volta che parlavano di elefanti nella stanza non poteva non pensare di fare il paragone con lei che si spostava per casa con la pesantezza di quell’animale. Ma quando poi era solito farglielo presente, ‘Neira dichiarava di essere contenta e soddisfatta per esser stata paragonata a un elefantino adorabile, e lui rimaneva sempre basito. Soprattutto dal fatto che sapeva che, in un modo o nell’altro, Tom aveva un debole per lei. E in certi momenti non riusciva proprio a capacitarsene, anche se in altri era completamente ovvio il perché e non poteva assolutamente biasimarlo: lui non riusciva a provare neanche una leggera antipatia per lei, eppure si insultavano sempre. Però aveva quel modo di fare che... pur prendendoti spudoratamente in giro – e neanche troppo velatamente – traspariva comunque quello che davvero pensava e provava per te. E nel loro caso erano sempre sentimenti positivi, quindi non avevano di che lamentarsi, assolutamente.

Tom guardò la sua insalata, rapito: stava scambiando messaggi furiosamente con Eddie – o meglio, era Eddie a farlo, lui si limitava a rispondergli educatamente da bravo amico – nella pausa pranzo, e a quanto aveva capito il rosso era già a casa sua e non aveva un PC sottomano, quindi usava quello di Aneira.
Era più che certo che se l’avesse scoperto, ‘Nei l’avrebbe sicuramente ucciso, ma evitò di pensare alla futura quasi sicura dipartita di Redmayne.
“Tieni d’occhio LINE, sto per chiamarti.”
«Eh?!» fu l’unico verso che ebbe il tempo di lasciar fuoriuscire Tom, udendo subito la fastidiosissima suoneria associata all’applicazione verde.
«Redmayne.»
«Hiddleston.»
«Non avevi nulla di meglio da fare che allietare il mio pranzo?»
«Sto meditando e cercando casa dal computer di ‘Neira. Lei ovviamente non è ancora tornata»
«Lo immaginavo.»
«Però sono un bravo coinquilino, le ho anche cercato e trovato i sub di New Girl.»
L’espressione basita di Tom venne percepita da Eddie pur essendo a quasi seimila chilometri di distanza «Preferisce vederlo coi sub. Non chiedermi il perché, li aspetta come se fosse Natale.»
«Ma... perché?»
«Non lo so... capirei se fossero degli australiani a parlare...»
«Oh, va beh. Hai fatto qualcosa di produttivo, Redmayne, oggi?»
«Vi siete messi d’accordo, vero?»
«Come?»
«Una delle tante cose che mi ha detto stamattina Aneira. Di non stalkerare Jules e di fare qualcosa che non sia poltrire sul divano.»
«Mi sembra legittimo.» soppesò Tom, inforcando un’altra foglia d’insalata e portandola alla bocca «E hai seguito quel consiglio?»
«Ovviamente sì, ho usato il suo computer tutto il giorno!»
«Per vedere film o per cercare casa?»
«Entrambe?» aveva risposto – ma non aveva nessuna parvenza di risposta, quel tono – Eddie, sorridendo in modo quasi colpevole.
«Posso vedere le estremità delle tue labbra così in alto da dare l’idea che sia un sorriso falso, lo sai, vero?»
«Non mi piacciono queste vostre capacità di vedere senza vedere.»
«Nostre?»
«Tue e di Aneira, no? Te le ha passate lei, purtroppo.»
«Ah» non ci aveva mai pensato, a dirla tutta. In quante altre cose era cambiato senza accorgersene? Doveva aspettarsi una qualche battutina di Luke – che sarebbe arrivata, prima o poi – come i toni lamentosi e scherzosi di Eddie?
«Pensi che dovrei fare alla griglia il roast beef?»
«Come?!»
«Beh, per cena...»
«Non lo so, cosa vuoi mangiare?!»
«Non lo so. Vorrei uscire, mi sento recluso in casa...»
«Da quanto sei in casa?»
«Due ore!»
«...Mi sembra logico.» commentò Tom, alzando gli occhi al cielo, e poi decidendosi a dargli un consiglio «Nel retro del freezer, tra uno scompartimento e l’altro, è incastrata la pizza surgelata di emergenza di Aneira. Se sei troppo triste per uscire o cucinare mangia quella.»
«Oh...Ohhh!» esclamò tutt’ad un tratto estasiato Eddie.
«Ora devo andare... ciao Ed!»
«Buon proseguimento, Tom!» e così chiuse la telefonata, riportando lo smartphone sul tavolo. L’avrebbe voluto infilare in tasca, ma così facendo avrebbe rovinato i calzoni neri e visibilmente ottocenteschi non suoi, quindi decise di evitare di fare qualcosa per la quale si sarebbe subito pentito e si limitò a giocherellarci spostandolo qua e là su quella superficie di legno terminando il suo pranzo.


«Com’è mai possibile non rendersi conto del fatto che se porti una scollatura del genere senza reggiseno sembri una con la latteria appesa?» esordì dal tavolo Aneira, seduta sulla sedia sbilenca a gambe incrociate, mentre Eddie controllava le pizze nel forno.
Alla fine l’aveva trovato in cucina a cercare di afferrare la pizza che lei nascondeva nel freezer verticalmente, al che gli aveva tirato uno scappellotto e poi gli aveva porto le pizze surgelate che aveva comprato quel giorno tornando a casa dall’università.
«Fammi vedere!» esclamò Eddie, allontanandosi dal forno per adocchiare la foto sulla  timeline di Facebook sul PC di Aneira «Ewww
«Il tuo verso schifato non arriva nemmeno lontanamente a ciò che sta provando intensamente il mio cervello ora.» commentò lei, scrollando schifata la pagina e andando pigramente avanti per vedere cos’altro ci fosse di così poco interessante sul social network.
«Sto immaginando un “Ewww” quadruplicato e contornato da conati di vomito. Ma chi è quella e perché ci sono le sue foto sulla tua timeline?»
«Una provincialotta di St. Ives.» spiegò semplicemente Aneira, spostando il PC sul bancone accanto al tavolo ed iniziando ad apparecchiare con tovagliette, posate, tovaglioli e bicchieri.
«Dovrei capire il tuo legame con quella da questa frase? E da quando in qua fai parte della Fashion Police
Aneira alzò entrambe le sopracciglia guardandolo a lungo, per poi decidersi a rispondere: «Da sempre. Solo che non ho mai avuto nulla da ridire su te. O Tom. O Jules. A parte le sue sneakers col tacco che brucerei con una tanica di benzina.»
Eddie scoppiò a ridere spontaneamente, passandosi una mano sulla fronte, per poi ammettere: «Allora non sono l’unico che le odia.»
«Piuttosto le direi: vieni con i tacchi a spillo in università, ma ti prego, getta quelle sneakers dal palazzo. Ti supplico
«Ma va bene anche senza tacchi, non è mica bassa!»
«Lo so! Era solo per... enfatizzare il concetto.»
«Penso che tu l’abbia enfatizzato abbastanza quando hai iniziato a parlare di taniche di benzina.» aggiunse con uno sbuffo molto simile ad una risata il rosso, tirando fuori le pizze dal forno e posandole sui piatti che aspettavano solo loro sul bancone.
«Oh beh.» commentò semplicemente lei, facendo spallucce e aspettando che Eddie portasse le pizze sul tavolo per iniziare a tagliarle.
«E perché hai la provincialotta sulla timeline di Facebook?» passò al contrattacco Redmayne, aspettando che Aneira gli passasse le forbici per iniziare a tagliare la sua pizza.
La ragazza roteò gli occhi e poi tornò a guardare il coinquilino improvvisato: «La conoscevo quando vivevo lì. Non che fosse mia amica o cosa, ma avevamo amici in comune.»
«E se ti stava sulle balle perché ce l’hai su Facebook?»
«Perché se qualcuno ti aggiunge tu che fai, rifiuti e dici “No scusa, mi stai troppo sulle palle per vederti ogni giorno sulla mia timeline”?»
«Beh, teoricamente sarebbe giusto fare così.» convenne Eddie con tranquillità, annuendo sicuro.
«E tu faresti mai così?» cambiò domanda Aneira, alzando un sopracciglio.
«Ovviamente no!»
«Appunto.» ribatté Aneira, soddisfatta «E poi dovevo tenerla d’occhio.»
«Perché?»
«Tipa strana. Invischiata con una mia amica di Penzance.»
«Sevi?»
«No!» esclamò basita la bionda, ingurgitando un altro pezzo di pizza «Non è Sevi, lei è di St. Ives. E avrei parlato di lei come Sevi, visto che ero certa del fatto che Tom ti avesse detto di lei. Si tratta di un’altra amica... con questa tipa amica. Che non me la conta giusta.»
«Detective, da quanto tempo la tieni d’occhio aspettando che faccia un passo falso?» il tono schernitore di Eddie era facilmente individuabile, soprattutto perché era certo – sapeva – che sicuramente Aneira era in modalità “detective”.
Difatti quella arrossì e distolse lo sguardo: «Arriverà. E quando arriverà avrò le mie prove.»
«Ti conosco troppo bene!»
«Meh, ora non esageriamo!» ribatté quella, lanciandogli un’occhiataccia.
«Lo sai che quest’altra amica...»
«Diamole un nome, mi secca parlare numerando le persone: Morvoren.»
«Che cavolo di nome è?!» esclamò sconvolto lui, ricomponendosi subito dopo «Morvoren non ti crederà neanche se le porti le prove, se è così offuscata dall’amicizia di questa tipa stramba, comunque.»
«Allora sei saggio, da qualche parte lì dentro!» esclamò Aneira, prendendo il pugnale dalla parte del manico per prenderlo nuovamente in giro.
«Ah ah ah, simpatica!» ribatté quello, ma non ebbe neanche il tempo di capire qualcosa che Aneira aveva già preso piatto e PC e, blaterando un “devo rispondere a questa chiamata”, era scappata via.
Eddie sbatté le palpebre un paio di volte, perplesso, e poi riprese a mangiare, decidendosi a dare nuovamente la morte a Tom, scrivendogli persistentemente.


«Tom?» dall’altra parte del telefono – e dell’oceano – Aneira sembrava affannata e incuriosita.
«‘Nei. Che stai facendo?»
«Per risponderti credendo fossi caduto in qualche burrone o qualcosa del genere ho trascinato velocemente il PC e il piatto di ceramica in camera. Che ti è successo?»
«Tu sei veramente messa male.» commentò lui, annuendo «Come sta Mycroft?»
«Qui con me, spanciato sulle mie gambe non appena mi sono seduta. Presumo ti saluti, anche se ora sta ronfando.»
«Oh beh, si è adattato in fretta.»
«Anche Eddie, se è per questo.» ribatté lei: non sapeva il perché, pur essendole totalmente simpatico come persona – e l’aveva preso a cuore, visto che stava cercando in tutti i modi di riappacificarsi e conquistare il “merito” di uscire con Jules – le dava particolarmente fastidio il fatto che fosse subentrato in casa al posto di Tom. Non era casa sua, non avevano scelto lui come coinquilino. Anche se si sarebbe potuto obiettare che nemmeno Tom l’avevano scelto, si erano solo trovate particolarmente bene con lui fortuitamente.
«Noto un tono non contento?»
«No, niente di che. Eddie è sempre Eddie... e va bene così. Solo che... manchi in casa.» fece spallucce, e poi promise immediatamente dopo a se stessa che non avrebbe mai più parlato a caso. Spontaneamente. Rischiando di fare casini come al solito.
«...Mi manchi anche tu.» E ora come doveva archiviare questa informazione in più?
Aneira si guardò intorno impreparata, per poi rilassarsi solo nel momento in cui incrociò lo sguardo di Mycroft.
«Okay. Ahem...» un boato provenne dalla cucina, tanto che il micino saltò su.
«Cos’è successo?»
«Penso che Eddie si sia appena fatto molto male. Spero di no. Ci sentiamo, Tom...» e chiuse la chiamata.
Ancora vestito da idiota – o meglio, così l’avrebbe definito il caro Eddie se l’avesse visto dal vivo – controllò i messaggi, notando l’insistenza del rosso in questione che lo tormentava per passare il tempo. O almeno, quella era stata la definizione che aveva dato Redmayne alla sua persistenza nel contattarlo sempre, chiedendogli le cose più disparate. Gli rispose, ma poi aprì la conversazione con Luke, confuso.
“Penso di aver fatto qualcosa di strano.”
“Tom... in che casino ti sei messo?”
“Beh, ‘Nei aveva detto che mancavo in casa... e io le ho risposto che mi manca anche lei.”
L’unica risposta che ebbe da Luke subito dopo – perché non poteva dire assolutamente che il suo agente e amico fosse lento nel rispondergli – fu un “Ouch” non meglio spiegato.

 

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Capitolo 17
*** 16. The One With His Nosy Friend And The Talk ***


Hi there! Il banner è sempre stato fatto da _Lith_, lo stile del titolo è sempre ispirato a FRIENDS e la foto non è la mia assolutamente (ma Jess e Tom <3) ma è stata modificata da me. Buona lettura!












 
The Guy Who Turned Her Down

16. The One With His Nosy Friend And The Talk






Stava controllando sul set – e sotto l’ombrellino nero, perché sebbene fosse primavera e stessero a Toronto, prendere il sole completamente vestito di nero e con tutto quell’ammasso di tessuti addosso non era piacevole –  il cellulare durante una pausa, quando l’altrettanto milleottocentescamente acconciata Jessica si era sporta oltre la sua spalla per dare un’occhiata.
«Cosa fai, sempre a guardare il telefono in ogni pausa? Non ti ricordavo così tecnologia-dipendente!»
Tom mise via il telefono non appena lei fece capolino dalla sua spalla, e scosse la testa: «Diciamo che lo sono di più negli ultimi tempi.»
«Non dirmi che era Luke a stressarti. Potevi anche star controllando i tuoi scambi epistolari messaggistici con lui, ma prima no. Chi è la fortunata?» la rossa, in quel momento con la parrucca scura e ingombrante, prese ad aggrottare le sopracciglia buffamente ed in un modo poco consono se lo si fosse paragonato al loro abbigliamento, ma quel comportamento apparentemente buffo che avrebbe in situazioni normali potuto fargli nascere spontaneamente una risata non lo distrasse dalla domanda principale: allora arrossì, impercettibilmente sotto i chili di fondotinta e per pochi secondi, distogliendo lo sguardo.
«Stavo parlando con la mia coinquilina, in realtà.»
L’espressione confusa di Jessica lo indusse a fornire ulteriori spiegazioni: «Il mio padrone di casa mi ha sfrattato a Gennaio. Dovevo trovare assolutamente un posto vicino al Donmar dove andare a dormire, e Luke aveva un’amica che viveva a quattro minuti a piedi da lì. Lei doveva tornare in Francia... e beh, mi ha ceduto la sua stanza. I padroni di quella casa hanno dovuto solo mettere il mio nome al posto del suo nel contratto annuale e non c’è stato alcun problema.»
«Aspetta... mi stai dicendo che condividi una casa con una persona?»
«No, con ben tre altre studentesse, in realtà.»
Jessica scoppiò a ridere e per poco gli occhialetti da sole tondi non le caddero dal viso: «Sul serio?!»
«Sì. Studiano alla LSE, perciò hanno casa là.»
«Oh.» la sua amica e collega era ancora parecchio basita, così si arrischiò e decise di aggiungere qualcos’altro: «E io e una di loro abbiamo anche un gatto. Beh, in realtà siamo solo i suoi umani. Ha scelto noi due tra tutti e quattro gli abitanti della casa.»
«Ohhh... e lei è quella speciale?» infierì Jessica, alzando le sopracciglia e ammiccando soddisfatta. Tom roteò gli occhi per poi sbuffare leggermente «Non è speciale. Non nel senso che intendi tu, perlomeno.»
«E invece lo è, caro mio, perché non avresti aggiunto “in quel senso” se foste soltanto semplici coinquilini. Avresti detto che non è importante e basta, dopotutto sarebbe stata solo qualcuno con cui condividere l’appartamento in attesa di trovarne uno migliore.» aggiunse argutamente lei, sorridendo vittoriosa.
Al che lui si decise ad ammettere qualcosa: «Beh, siamo molto vicini, sì.»
«Quanto?!» Jess si morse un labbro, continuando a fare strani giochetti con le sopracciglia.
«Smettila di fare allusioni!» ribatté lui, lievemente innervosito. Non sapeva nemmeno perché gli dessero così fastidio, in realtà.
«Mi stai dando tanti più motivi per cui continuare con queste. Tra un po’ inizierò a cantare: “Tra rose e fior, nasce l’amor...”» iniziò a blaterare lei, sogghignando e battendo le mani soddisfatta.
«Sul serio?! Mi sento di nuovo di tre anni, complimenti, Jess.»
«Oh beh, sei tu l’oggetto del divertimento.» fece spallucce lei, abbandonando la canzoncina e gli sfottò per il momento «Voglio vedere la foto di questa tipa. E del gatto.»
«Sono abbastanza sicuro che se cerchi “NerdyRavenclaw” su Twitter e Instagram troverai tutto quello che stai cercando.»
«Non lascerò che tu mi ripeta nuovamente quest’informazione.» tirò il cellulare fuori dalla manica del vestito vittoriano e iniziò a cercare.
«Non l’avrei ripetuto, non preoccuparti. Era giusto il modo adatto per placare il tuo animo.»
«Ma è carinaaa!» aveva esclamato lei, scorrendo il suo profilo su Instagram «Vive su questo social network, ma è carina! E Mycroft è stupendo, tesorooo
Con il raggiungimento da parte di lei di quei decibel, Tom ebbe la certezza che non avrebbe più fatto domande riguardo alla natura della loro relazione: era troppo presa dal cucciolo di felino per pensare ad altro. E ancora una volta, Tom avrebbe dovuto ringraziare senza riserve il suo piccolo gatto.



Il weekend successivo agli Oscar era stato terribile. Avendo passato cinque giorni insieme non avevano potuto evitare il discorso del punto in cui si trovasse la loro relazione – e lui aveva avuto la felice idea di mettere in chiaro che non erano più insieme e basta. A quanto pareva Hannah aveva capito che le sue intenzioni non fossero vere, sennò lui sarebbe ritornato a casa e l’avrebbe cacciata... e invece, sul volo di ritorno da New York – dove avevano avuto la coincidenza per Londra – avevano finalmente affrontato quello che credeva sarebbe stato il loro ultimo discorso in cui almeno una delle due parti credeva di stare ancora insieme all’altra.
Ed era passata una settimana da quel weekend, ma era ancora distrutto. Non emotivamente, quanto fisicamente: in tutto quel tempo a stretto contatto non ce l’aveva fatta a fingere, quindi era un discorso che era ritornato più volte a LA, e non era per nulla piacevole. Lui aveva la faccia di bronzo mentre Hannah piangeva alla fine di ogni conversazione su quella materia, e si sentiva di merda per quel motivo, ma non sapeva cos’altro fare, dato che dare una minima parvenza di esitazione avrebbe potuto convincere la sua ormai ex-ragazza di avere ancora qualche speranza.
Ma in realtà, stare da Aneira gli aveva dato il coraggio di prendere la decisione più difficile: lasciare il porto sicuro per avventurarsi in un’ipotetica relazione con qualcuno che conosceva da pochissimo, ma che l’attirava tantissimo sotto diversi punti di vista. Aneira, pur non volendo che Hannah soffrisse o che lui scegliesse la cosa meno sicura, l’aveva reso sicuro: doveva fare quel passo. O probabilmente in due mesi sarebbe finito fidanzato ufficialmente con Hannah e si sarebbe pentito di quell’errore magari anni dopo: perché non poteva che essere un errore nel momento in cui si invaghiva così facilmente di un’altra quando erano ancora insieme e ritenendo, inoltre, di essere una coppia parecchio affiatata. Evidentemente non era così, non per lui, e questo lo sconvolgeva anche di più.
Era arrivato a metà marzo ed era pronto a riprendere a fare la stalker a tempo pieno – sempre con i tempi suggeriti da Aneira, ovviamente. E aspettava Jules fuori dall’università, dopo che aveva per giorni tormentato la sua nuova coinquilina per avere l’orario delle lezioni della sua amica, riuscendoci, ma solo alla fine.
La vide uscire con alcune ragazze e attraversare la strada, e in quel momento decise di alzare un braccio per farsi notare: riuscì a cogliere un lampo di sorpresa negli occhi della ragazza, seguito da un’espressione quasi innervosita. Poi Jules salutò le due amiche e si diresse nella sua direzione, brandendo l’indice destro come arma verso di lui: «So cosa stai facendo!»
«Come, prego?»
«Sei in modalità “stalking”! Non ti ho visto per giorni e ho creduto che avessi lasciato perdere, e invece—
Il clacson di un furgoncino attirò la loro attenzione ed Eddie tirò via dalla strada Jules, che poi si lisciò automaticamente la giacca, come per spazzare via qualcosa – che visibilmente non c’era – da lì. Ma in realtà era solo imbarazzata, visto che mentre inveiva contro di lui si era così dimenticata di dove fossero che lui aveva dovuto salvarle la vita. O almeno una gamba, insomma.
«Grazie.»
«Dicevi?» l’espressione sbruffoncella di un Eddie che sapeva di avere il coltello dalla parte del manico – l’aveva sempre salvata, dopotutto – le diede il nervoso, così tanto che tornò a puntargli il dito contro.
«Mi stai stalkerando.»
«L’ho fatto in piccole razioni per un po’ di tempo, sì. Chiedevo ad Aneira di dirmi quando eri dove, così da poterti incontrare.»
«La ammazzo!» esclamò lei, prendendolo per il collo della giacca che indossava lui.
«Ma adesso ho smesso.» dichiarò sicuro Eddie, facendo spallucce con le mani ancora nelle tasche dei jeans.
«E perché sei qui, allora?»
«Perché sono uscito allo scoperto. Ho ribadito alla mia ex-ragazza il fatto che ormai fossi single—
«Sì, ho visto le foto degli Oscar.» ribatté quella, a braccia incrociate e quasi sputando la frase successiva «Sembravate una bellissima coppia.»
«Avevo prenotato il posto per lei da mesi! Se non si fosse presentata avrebbero parlato! E poi era ancora certa di essere la mia ragazza, dopo cinque giorni di litigate e un volo transoceanico dove non ci siamo parlati se non per ribadire il nostro status di single ha capito che non provo più nulla per lei!» aveva alzato la voce: e di conseguenza diverse teste si erano girate verso di loro.
«Andiamo a parlare altrove.» sentenziò Jules, dandogli il beneficio del dubbio: e i piedi portarono entrambi verso casa di Aneira, e quando arrivarono al portone rimase stupita dal fatto che Eddie ne possedesse le chiavi.
Il ragazzo, ancora in silenzio, aprì il portone e lo mantenne per lei, poi le fece strada – strada che ben conosceva – fino all’ascensore... ed erano ancora in silenzio. Fin quando non si chiusero – passando per la casa e senza salutare nessuno, neanche Laire che li guardava perplessi trovandoseli tra i piedi appena era uscita dal bagno – nella camera di Tom ed Eddie riprese a parlare.
«Non ti sto prendendo in giro.»
«No, quello l’hai già fatto all’inizio, nascondendomi la fidanzata e uscendo con me come se fossi libero.» rispose chiara e tagliente la ragazza, liberandosi della giacca e rimanendo in camicetta, portandosi le mani chiuse a pugni sui fianchi dopo aver lasciato la borsa in un angolo.
«Mi hai preso così tanto che non sapevo neanche di potermi trovare in una situazione del genere! Proprio non capisci?!» emise esasperato lui, a metà tra un’esclamazione e una domanda «Io non sono un fedifrago, amavo la mia ragazza e le sono sempre stato fedele, credevo fossimo una bella coppia affiatata... fin quando non sei arrivata tu.»
E Jules non seppe davvero come rispondere, rimanendo in silenzio e dandogli la possibilità di continuare il suo discorso tremendamente simile a una dichiarazione d’amore.
«Non sapevo... come gestire la situazione, come gestire quel che provavo per te: che per inciso, all’inizio era curiosità, sebbene tu mi piacessi già come persona. E di norma non sono curioso di conoscere altre ragazze, quando sto con qualcuno.» dichiarò quasi solennemente «Ma tu eri diversa, eri speciale: così affine a me, abbiamo connesso subito. E io non sapevo sinceramente cosa provare per te, per Hannah, per questa situazione... per tutto. Ma non ho mai avuto l’intenzione di mentirti di proposito solo per portarti a letto, altrimenti ora non sapresti nulla e avremmo già fatto sesso da parecchio.»
Jules stava respirando pesantemente – quasi fosse in affanno e in procinto di ringhiargli conto – ma non parlava.
«Insomma... le mie intenzioni con te sono state sempre innocenti: non ho mai voluto prenderti in giro e all’inizio credevo saremmo rimasti semplici amici. Poi mi sei piaciuta... anche in quel senso. Insomma, eri attraente anche in quel senso.»
«Stai forse dicendo che ero asessuata per te?» alzò un sopracciglio, perplessa.
Lui ridacchiò, rilassando finalmente le spalle e avvicinandosi a lei: «Più o meno. Per i primi cinque minuti.»
Anche Jules emise una risatina, facendo due passi verso di lui con ancora le braccia lungo i fianchi: poi lo guardò negli occhi verdi – che quel giorno sarebbero sembrati più verdi del solito, se solo fosse stato possibile – e allacciò le braccia attorno alla sua vita, sorridendogli alla fine: «Diciamo che te la faccio passare, per questa volta. E sei completamente perdonato. Ma se lo fai un’altra volta, ti eviro con le mie stesse mani. Ed è una promessa.»
L’espressione dolorosa – la stava fingendo decisamente bene – che aveva avuto ascoltando la penultima frase scomparve quando posò la fronte contro quella di Jules, che continuava a sorridere imperterrita: e siccome si era anche scocciata di aspettare che lui facesse qualcosa, decise di tirarlo letteralmente a sé per il collo della camicia, quasi scontrandosi quando le loro labbra si unirono. Ma standosi già baciando non ebbero nulla da ridire su come fosse avvenuto quel contatto, per quanto irruento che fosse.
«Tra dieci minuti staranno emettendo suoni di natura ben diversa, quanto ci scommettiamo?» aveva dichiarato in corridoio Aneira, con Mycroft in braccio e Laire di fianco, che scoppiava a ridere: «Lo penso anche io. Povero Tom, non vorrei mai dormire in quel letto. Insomma, se sapessi che un mio amico ci ha fatto sesso... nel mio letto poi!»
«E sono anche certa che Eddie glielo dirà. Quando terminerà la fase del “Jules Jules Jules!” come se fosse un drogato, ma glielo dirà. E il povero Tom soffrirà.»
«Vorrò vedere la sua espressione sofferente in quel momento!»
Aneira rise, sedendosi sul divanetto: «...Anche io. Non vedo l’ora!»
E così dicendo terminarono gli sbeffeggiamenti nei confronti della coppia ad un muro da loro – che in quel momento sicuramente non aveva alcun pensiero per il mondo esterno – e del coinquilino dall’altra parte dell’oceano, che Aneira avrebbe personalmente – e con gioia estrema – informato riguardo alla copulazione che era in procinto di avvenire quel giorno nella sua camera.


Aveva Mycroft aggrappato alla sua spalla – si era preso la razione quotidiana di coccole che di norma pretendeva da Tom, ma in quei giorni la prendeva metà da Eddie e metà da Laire e raramente da Elspeth – e stava tornando verso la sua camera, pronta a mangiare il suo amato Haägen Dazs alla noce di macadamia direttamente dalla scatola, quando sentì suonare il campanello: non aspettava nessuno, ma sarebbe tranquillamente potuto essere Luke, o qualcuno per Eddie. Si avvicinò alla porta di casa con Mycroft che le ficcava le unghiette – non tanto “ette” – nella spalla e controllò dallo spioncino: Lara.
Che diamine ci faceva lì?
Aprì la porta, senza neanche chiedere chi fosse: l’aveva riconosciuta, e sembrava sgarbato neanche salutare per chiedere “Perché sei qui?!”
«Lara?»
«Buonasera! Come ti va?» chiese lei, gettandosi a salutarla con due baci sulle guance per poi prendere Mycroft e spupazzarlo tutto.
«Uhm, bene. Perché?»
«Mi chiedevo come stessi senza Tom. E quindi son venuta a fare un salto. C’è anche Eddie?»
«Sì, è in camera di Tom, ma...» non fece nemmeno in tempo a finire di spiegare a Lara che il ragazzo in questione aveva compagnia, che quella si era già catapultata lì, col cappotto ancora addosso e Mycroft tra le braccia.
«Oh mio dio siete nudi!»
«Se tu imparassi a bussare! Ehi che fai—
«Informo nel modo migliore Tom. Insomma, l’uso che fai del suo letto...»
«Ma che cavolo?...»
Visto che si sarebbe potuta considerare una festa, anche Aneira entrò in camera: «Ciao Jules, ciao Ed. Vi ho sentiti copulare ma non entrare in casa. Come va?» in realtà erano coperti dalle coperte fino al collo, quindi Lara non aveva fotografato un bel niente, ma doveva essere sembrato comunque poco piacevole per quei due. Ma lei continuò a squadrarli mangiando il gelato, mentre Lara sorrideva malefica ai due piccioncini.
«Bene?» le aveva risposto basita Jules, seppellendosi poi ancor di più nelle coperte mentre Eddie affrontava lo sguardo delle due ragazze, che insieme erano deleterie: «Volete un invito formale per uscire dalla mia camera?»
«No, ma è tanto bello guardarti diventare rosso come i tuoi capelli!» esclamò, sorridente, Lara.
«E non è il tuo letto, è di Tom.» specificò Aneira, prima di spingere fuori dalla camera Lara e tirarsi dietro la porta. Poi fece gli onori di casa e la condusse in cucina, offrendole un tè.
«Sì grazie. Che fai di questi tempi, ‘Nei?»
«Niente di che: studio, vedo serie TV... tu?»
«La versione più patinata di quello che in realtà stai facendo tu.» rispose lei, sorridendole, per poi lasciare Mycroft tranquillo sul divanetto per andare a scegliere i tè dalla scatolina apposita.
«Ti va di uscire? Che so, fare due passi qualche volta... dopotutto abito qua vicino!» propose Lara, sorridendole ancora. Con tutti quei sorrisi sembrava particolarmente malefica, o perlomeno, sembrava avere un piano in mente.
Aneira annuì, circospetta: «Certo. Hai un giorno in particolare in mente?»
«Anche domani per un aperitivo. O sabato per una cena. O domenica per il tè.»
«Okay, andiamoci piano, eh!» esclamò Aneira, sorridendole nonostante la volontà quasi spaventosa di Lara di uscire insieme. Perché poi?
«Perfetto, allora ci sentiremo per questi giorni. E vorrei il tè della buonanotte!»
«Lo prendo subito.» Aneira si voltò verso la credenza e le stava dando le spalle, mentre si affaccendava per trovarlo: l’avevano sepolto troppo dietro rispetto al resto di tè e tisane e ora non lo trovava più.
Ma Lara ne approfittò e tirò fuori il cellulare, furtiva:
“Confermo la mia presenza per il 13 Aprile, e la informo che il mio ospite risponderà al nome di Aneira Hier. Spedisca pure entrambi gli inviti al mio indirizzo, Lara Pulver.”
E Aneira armeggiava tranquillamente con la credenza, ignara di quello che l’avrebbe aspettata di lì a un mese.







Ps.: "Sei tu l'oggetto del divertimento!" non sapevo come renderlo. Spesso i dialoghi li penso in inglese e in questo caso m'è venuto in mente "The joke's on you" ma ecco... se suona strano è perché non sapevo come renderlo al meglio per l'appunto in Italiano XD

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Capitolo 18
*** 17. The One With The Awkward Checking-On-Eddie Visit ***


Good evening!  Il banner è sempre stato fatto da _Lith_, lo stile del titolo è sempre ispirato a FRIENDS e la foto non è la mia assolutamente (magari ad averlo visto così vicino lui XD) ma è stata modificata da me. Buona lettura!














 
The Guy Who Turned Her Down

17. The One With The Awkward Checking-On-Eddie Visit










«Ciao!» Lara era ben conscia del fatto che a Toronto fossero le cinque del mattino e che molto probabilmente con quella chiamata avrebbe svegliato Tom: ne era pressoché sicura. Non per nulla premeditava di chiamarlo dalle nove di quella mattina, orario inglese.
«Lara, ma che ore—
«Le dieci inglesi, le cinque canadesi.» rispose prontamente lei, sorridendo al cellulare «Se non volevi essere svegliato da una mia chiamata potevi silenziare il telefono, no?»
Il verso poco regale che emise il gentleman anglo-scozzese avrebbe potuto riassumere tutta la stanchezza che l’uomo stava provando in quel momento dall’altra parte dell’oceano: ma pazientemente, dopo aver inspirato profondamente, si decise a risponderle «Per caso è successo qualcosa di particolare?»
«In realtà volevo solo chiederti se tornassi per i Lawrence Olivier Awards.»
«Il tredici aprile?» si passò una mano tra i capelli, riflettendoci su e sedendosi sul letto: ormai era sveglio, e se non lo fosse stato in quel momento sarebbe comunque dovuto esserlo in mezz’ora «Sì, arrivo quella mattina, Coriolanus è nominato. Perché?»
«Oh, per dirti che ci sarò anche io! Sono stata invitata. E non avendo nulla da fare...»
«E mi hai svegliato alle cinque di mattina per dirmi che supporterai me e Mark quel giorno?» chiese Tom, con un’intonazione che velava malamente l’istinto omicida che stava provando nei confronti dell’amica in quel momento «Per carità, ne sono onorato, ma un’altra mezz’ora di sonno mi sarebbe piaciuta...»
«Se vuoi ti lascio...»
«Sono già fuori a passeggiare.»
«Oooh! Alle cinque e cinque di mattina?»
«Che mi devono fare nel giardino dell’hotel? Al massimo mi rapisce un orso polare.»
«So che sono molto affabili con gli inglesi.» aggiunse lei, e Tom sorrise, scuotendo la testa: menomale che aveva indossato il cappotto pesante, a quell’ora faceva troppo freddo.
«Che stai combinando oggi?»
«Domani sera esco per una cena con Aneira...»
«Aneira esce con te?» chiese automaticamente l’attore, senza nemmeno nascondere o mitigare il suo interesse dopo essersi ormai smascherato: arrossì lievemente, ma soltanto gli orsi polari avrebbero potuto accorgersene a quell’ora del mattino.
«Sì, mi porta ad una cena di universitari. Mi ha detto che è gente che non sopporta, il compleanno di una che abita a Maida Vale e che ha una casa stratosferica e i soldi che le escono dal deretano. E non la regge proprio perché è una tipa strana all’università. Ma tipo... più di lei. E l’ha detto lei, non la sto insultando io!»
«Sei crollata così in basso che il sabato sera lo passi con la mia coinquilina ad una misera festa di compleanno di un’universitaria che per giunta ‘Nei odia?»
«Sì, sarà divertente. Jules ha disdetto all’ultimo perché organizzeranno una cena romantica nel tuo letto.»
Il verso schifato che emise Tom subito dopo la fece scoppiare a ridere: «Già. E comunque se manca Aneira ed è con me avranno tutta casa libera. A parte Mycroft ovviamente, che son più che certa farà il guardone se non chiudono bene la porta della camera.»
«Non voglio che me lo traumatizzino!» esclamò Tom, sinceramente preoccupato per il suo cucciolo di felino.
«Spero anche io che non lo facciano.» convenne Lara, annuendo «Laire ed Elspeth sono più che certa che usciranno.»
«Fammi capire, conosci meglio di me le abitudini di casa mia
«Per capirle basta starci due giorni!»
«Probabilmente non hai tutti i torti.» gli diede ragione lui, camminando in cerchio per poi guardare l’orologio «Lara, devo lasciarti. Dovrò farmi almeno la doccia prima di presentarmi a colazione...»
«Assumo di sì, a meno che non vorrai stupire tutti con la tua puzza mattutina.»
«No, non mi sembra proprio il caso. Grazie della sveglia mattutina non desiderata, buona giornata!»
«Anche a te, buone riprese. Ci sentiamo, Tom!» e chiuse la chiamata.
Aveva avuto la certezza che voleva, e ora sarebbe bastato solo comunicare con Luke per sapere le opinioni di Tom. L’Operazione Neto era cominciata, e neanche il suo compagno di affari – o meglio crimini... Luke, insomma – lo sapeva.


Aneira si stiracchiò, ancora nel letto, con Mycroft che si appropriò del suo cuscino non appena lei spostò il capo da lì: com’era contenta di avere solo due lezioni nel pomeriggio di venerdì. Certo, pesavano, ma almeno non si sarebbe dovuta svegliare presto.
Prese il cuscino che era sotto al suo e lo posò lì accanto, spostandoci sopra Mycroft – che le rivolse un’occhiataccia magistrale – per poi rioccupare da sola il suo cuscino. Voleva dormire un altro po’ e il micino avrebbe dovuto imparare che, sebbene lei volesse la sua compagnia nel lettone in camera sua, ognuno aveva i propri spazi. Quindi non avrebbe condiviso il suo cuscino – dove voleva posare la testa comodamente – con tutto il corpo del micino: aveva l’altro cuscino che era solita usare da spessore tutto per lui. E dopo un po’ sembrò anche esserne contento: si voltò dall’altra parte e, porgendole la schiena, arrotolò la coda intorno al corpo, iniziando a ronfare.
Aneira sorrise, voltandosi anche lei dall’altra parte, chiudendo gli occhi e iniziando ad appisolarsi dolcemente... fin quando dei rumori di più che chiara natura interruppero la sua calma discesa nell’oblio per risvegliarla con orrore.
«Yack!»
Iniziò a sbattere ripetutamente la mano contro al muro «Almeno quando si portava le trombamiche, Tom lo faceva in silenzio! Qua una persona sta cercando di dormire!»
Dopo udì due risatine ben identificate e i rumori terminarono: non sapeva se perché avessero deciso di graziarla e smetterla di fare ininterrottamente sesso da tre giorni – beh, non proprio ininterrottamente... ma passavano sedici ore al giorno in un letto – o avessero semplicemente abbassato il volume dei loro versi e l’intensità dei loro movimenti – il solo pensiero le faceva venire il voltastomaco – ma almeno avevano finito di fare rumore.
Però ora lei aveva smesso di appisolarsi nel momento in cui era stata pronta a crollare nel sonno ed era più che sveglia: afferrò da un cassetto la confezione di Oreo e si trascinò in cucina, venendo seguita immediatamente da Mycroft che evidentemente aveva deciso di volere la pappa in quel momento con la padrona.
Con la vestaglia di pile – e a forma di Dalek – si trascinò fino alla credenza, prese il cibo per gatti e lo versò nella ciotolina vuota di Mycroft. Poi, con una lentezza strabiliante, versò il latte in una ciotola, che ficcò subito dopo nel microonde... e si sedette ad aspettare sulla poltrona, iniziando a controllare i messaggi e le notifiche sul cellulare.
Quando udì il trillo che segnava il termine del minuto necessario per riscaldare la ciotola, si trascinò fino al microonde, prese il latte da lì dentro e ritornò sulla poltrona. Si accovacciò su se stessa, lasciando penzolare i piedi dal lato sinistro e mangiucchiando liberamente dei biscotti, masticandoli e inzuppandoli nella tazza a turno.
Quando vide entrare in cucina Eddie e Jules che tubavano mano nella mano e iniziavano a cucinare la colazione insieme, emise un altro verso schifato che li fece voltare entrambi verso di lei per poi scuotere automaticamente la testa in un gesto sconfortato «Stiamo solo cucinando insieme!»
«Yack. Sento ancora il rumore di voi due che spostate il letto con la forza dell’amore!» li canzonò Aneira guardandoli torvamente e continuando a inzuppare i biscotti nel latte. I due ragazzi arrossirono e tacquero, ma continuarono a cucinare per loro insieme ed in silenzio.
Soltanto quando tutti e tre udirono il suono del citofono la situazione ritornò normale, Aneira lasciò la tazza sporca nel lavabo e si diresse ad aprire il portone e la porta di casa: dopo trenta secondi si trovò di fronte Luke Windsor che le sorrideva imbarazzato. O almeno, presumeva che fosse un sorriso: si limitò a dargli il buongiorno e lasciarlo passare, per poi seguirlo a ruota per vedere se effettivamente stesse per cazziare i comportamenti poco plausibili di Ed.
«Sono lietissimo del fatto che tu ti sia trovato una nuova compagna in così poco tempo, Redmayne, ma Just Jared inizia a parlare. E in generale internet.» Luke si fermò solo per dare il buongiorno a tutti «E buongiorno Aneira, Jules. Oh, Mycroft!»
Non appena il gattino gli premette una zampina sul piede, Luke mollò il cappotto a terra per prenderlo in braccio e fare nasino nasino con lui.
«Ma se sono stato praticamente chiuso in casa per quattro giorni!»
«Penso che Hannah abbia parlato. A proposito» mollò a terra Mycroft, che corse da Aneira per piazzarsi sulle sue cosce «Che ci fa Jules a quest’ora qui?»
La ragazza arrossì imbarazzata, mentre roteava gli occhi in direzione di Eddie, le cui guance si colorarono di rosso quanto i suoi capelli — ed era un rosso molto scuro, quasi castano, quindi si poteva capire quanto fosse cambiato il suo colorito.
«Non hai visto la foto che ha postato Lara sul gruppo?!»
«Beh ma non si vedeva la tua compagna nella foto! Credevo fosse soltanto del sesso vario post-rottura insignificante!» esclamò sconvolto Luke, facendo due più due non appena si rese conto di Jules con addosso solo una vestaglia di Eddie.
«Yack! Vedi?!» ne approfittò allora Aneira, indicando la neo-coppietta a Luke, che la imitò: «Davvero, yack
«Qualcuno che mi capisce, finalmente!» terminò alzando le braccia al cielo Aneira, per poi ritornare ad accarezzare Mycroft che richiedeva molte attenzioni.
Ripresosi dallo sconvolgimento – solo dopo aver scrollato la testa, come se volesse togliere brutte immagini dalla mente solo con quel movimento – Luke tornò all’attacco: «Penso che Hannah abbia detto qualcosa. Non chiaramente il suo nome, ma che è stata mollata... penso proprio di sì. E qualcuno ha scritto a Just Jared che ti ha sentito discutere con una ragazza per strada vicino alla LSE. Assumo sia stato con lei, circa tre giorni fa?»
Eddie annuì, passandosi una mano tra i capelli, mentre Jules macchinava con il bacon e le uova sulla padella grande alla cucina.
«La cosa positiva è che sanno che lei si trova ancora a casa tua, e hanno già immaginato che tu sia stato tanto gentile da lasciargliela per darle il tempo di risistemarsi: inoltre, vivendo con altre tre persone a casa di Tom non penseranno mai che sia Jules, vedendola uscire di qua. Insomma, ci escono tranquillamente altre tre ragazze...»
«Al massimo possono pensare che mi sia trovato altre quattro concubine, no?» esordì sarcastico lui – e fu l’unico motivo per cui non ricevette uno schiaffo sul braccio da Jules, che era già pronta a darglielo. In compenso, l’occhiataccia di Aneira la ricevette sul serio: «Lo sai che se trascinano Laire in questa cosa ti ammazza, vero?»
«Ma come, sembra la più tranquilla tra di voi! Mi aspetterei un omicidio da parte tua, piuttosto!» ribatté tagliente lui, facendo a fette del pane e mettendole nella tostiera.
«Se invadono la sua privacy, sei finito.» spiegò lei, avvicinandosi a Jules per mettere il bollitore sull’acqua: poi spinse il fianco sinistro contro quello destro dell’amica, che sobbalzò sovrappensiero «Avresti bruciato il bacon. E andrà tutto bene.»
Jules annuì, distratta, per poi tornare a dedicare tutta la sua attenzione al bacon per girarlo.
«Tu... cerca di non farti vedere troppo spesso in giro con Jules, okay? Magari riusciamo a mantenere la sua identità segreta per un po’.»
«Non sto di certo pianificando di portarmela alla prossima premiazione o alla prossima premiére!»
«Non sto dicendo questo...» iniziò Luke, ma venne bloccato da una Jules che brandiva molto sicura la forchetta di legno verso Eddie: «Non farei mai la tua borsetta da passeggio ad una premiére, caro mio!»
«Perché in questa casa continuate a brandire impropriamente utensili domestici come armi...» iniziò a borbottare Luke, tirando un sospiro di sollievo non appena Jules allontanò l’arnese da lui per utilizzarlo per scrostare bacon e uova dalla padella e metterle nei piatti.
«Comunque, ricevuto: non usciamo insieme fuori, a meno che non sia in posti appartati e semi-sconosciuti, non la porto alle premiére o nulla...» venne interrotto da Jules che ribatteva borbottando “Tanto non ci sarei venuta comunque...” «Praticamente mi faccio vedere in giro solo da solo. Idem per lei, ma non avendola ancora identificata...»
«E se vi fate vedere insieme, niente smancerie in pubblico!» lo redarguì Luke, avvicinandosi ad Aneira per coccolare Mycroft.
«Senti un po’, ma perché sei qui tu e non i miei agenti?» chiese, sinceramente curioso, Eddie; lo guardò dritto negli occhi, accigliato.
«Probabilmente perché essendo tuo amico sto più attento a te...»
«Stalker!»
«Questa è bella!» esclamarono Jules e Aneira all’unisono, guardando direttamente in direzione di  Eddie – dopotutto fino a qualche giorno prima sarebbe stato lui lo stalker nella stanza – che arrossì impercettibilmente.
«E forse perché dovresti assumermi. Siccome sei mio amico, però, non ti accetto come cliente. Trovati un altro agente, magari posso chiedere a...»
«Grazie Luke, ma per ora vedo come se la vede D. In caso faccio uno squillo alla tua sede!» Eddie gli fece un occhiolino, ma Luke roteò gli occhi: diede un buffetto a Mycroft e anche ad Aneira – che si voltò sconvolta per guardarlo di traverso – per poi decidersi a salutare la strana combriccola «Sono venuto qui solo per avvisarti, comunque. Ci si vede!»
Eddie si alzò dalla sedia e lo seguì per accompagnarlo alla porta, mentre Aneira osservava basita l’ultimo punto della stanza in cui aveva visto Luke: «Dici che mi ha preso per l’estensione del gatto?»
«Potrebbe darsi. O magari ti dimostra il suo affetto così. Anche se penso sia la tua ipotesi la più accreditata.» terminò Jules, mettendosi in bocca un pezzo di bacon per poi prendere un sorso di aranciata e chiudere lì la conversazione.


Dopo la parentesi di Luke a casa – e i tanti messaggi di Lara durante la giornata, che le chiedeva costantemente se un tale outfit fosse buono per la loro serata del giorno dopo... nemmeno dovesse andare a una premiazione! – si era decisa ad occupare la scrivania per scrivere un saggio che avrebbe dovuto consegnare la settimana dopo e tra una cosa e l’altra era arrivato il pranzo, le lezioni, la spesa... solo quando fu a casa poté tirare un sospiro di sollievo e riabbracciare Mycroft. Finalmente quella settimana era finita, e avrebbe passato molto volentieri il weekend distesa nel letto. Se non fosse per quella minuscola festa a Maida Vale dove fortunatamente ci avrebbe trascinato Lara – non potrebbe sopportarla senza nessun viso amico, ora che Jules l’aveva mollata da sola per il suo rendez-vous con Eddie.
Infilò il pigiama e la vestaglia da Dalek – purtroppo gli onesie erano tutti sporchi... avrebbe decisamente dovuto fare qualche lavatrice nel weekend – e si trascinò fino alla cucina, dove vi trovò Laire con Mycroft sulla pancia – doveva esserle saltato su poco prima che arrivasse in cucina – ed Elspeth che fumava leggendo dei plichi molto spessi di fogli.
«Buonasera!» dichiarò lei, stropicciandosi gli occhi.
«Come te la stai cavando col ninfomane al posto di Tom?» chiese Laire, muovendo il capo in direzione della camera che ora occupava Eddie.
«Penso sia orribile, soprattutto perché so che si sta facendo ripetutamente la mia amica.» dichiarò con stoicismo Aneira, infilando dei totani fritti surgelati nel forno assieme a delle patatine fritte: poi fece partire il timer e si sedette al tavolo, posandoci la fronte subito dopo.
«Stanca?» chiese Elspeth, non alzando gli occhi dal foglio.
«Voglio solo che arrivi il weekend – e non la festa di domani sera.»
«Ci vai con l’amica di Tom... Lara, vero?» continuò Elspeth, dato che Laire era troppo assorta nella sua lettura e nelle coccole a Mycroft per continuare quella discussione.
«Sì, ed è l’unica nota positiva.» dichiarò Aneira, sbattendo le palpebre e guardando attentamente i fogli della coinquilina «Che stai studiando?»
«Qualcosa di tremendamente scocciante dopo che arrivi alla settantesima pagina sui rapporti segreti della guerra fredda.»
«Che cosa diavolo è?!»
«Sarebbe storia, ma in realtà sono giusto robe in più sulle quali il professore pretende che stendiamo un saggio... in due giorni. Altro che weekend di relax, dovrò stare chiusa in casa a scrivere questa roba...» si passò una mano tra i capelli, per poi ritirarli su nella coda di cavallo prima di sbuffare sonoramente.
«Non ti invidio per nulla.»
«Nemmeno io.» le fece eco Laire, che ricevette un’occhiataccia dalla diretta interessata, la quale tornò a leggere quei fogli.
Aneira invece attese altri dieci minuti, poi prese i totani e le patatine, li riversò in un piatto e salutò le due ragazze con un cenno della mano.
«Vieni per il tè dopo?» chiese Laire, sobbalzando non appena Mycroft saltò giù per seguire Aneira.
«Se non muoio prima nel letto, sì!»
Inutile dire che per la fame buttò giù totani e patatine prima che si intravedessero i titoli iniziali dell’episodio di Grey’s Anatomy della sera prima in streaming, tanto che passò il resto del tempo a spiluccare Oreo.
Quando terminò Grey’s Anatomy passò a The Big Bang Theory, ma alla fine di quell’episodio mise il computer da parte e si lasciò cadere ancora più sotto le coperte, tirando un sospiro di sollievo: Mycroft si accucciò contro il suo braccio e iniziò a fare le fusa, mentre lei controllava il cellulare per l’ultima volta prima di lasciarlo definitivamente sul comodino.
“Niente tè stasera?” Aneira guardò l’orario e poi sorrise.
“Sono troppo stanca per alzarmi dal letto e raggiungere la cucina”
“Avrei dovuto immaginare una risposta del genere”
“Stai forse implicando qualcosa, Hiddleston?”
“Assolutamente nulla che tu non sappia già, Hier. Quei due mi hanno già sfondato il letto?”
“Spero di no. Fossi in te non riuscirei a dormirci, DOPO...”
“E infatti ho già deciso che ora che se ne va da casa lo cambio, il letto. E quello se lo porta lui...”
“Yack.”
“Ti ho immaginata mentre lo dicevi, con tanto di espressione oltraggiata in viso!” Aneira sorrise nuovamente, tornando a digitare qualcosa.
“Ed è proprio così che ho fatto. Come va lì, Tom?”
“Tutto normale, giriamo, mangiamo, dormiamo... qualche volta usciamo. Per esempio, ora sono a passeggio...”
“C’è Jessica lì con te?”
“No, solo come un cane. Perché?”
“Vorrei chiederle come l’è mai venuto in mente di seguirmi su Instagram e mettere mi piace a tutte le mie foto. Con Mycroft. E senza.”
“Oh, le ho parlato di te e Mycroft ed è uscita pazza.”
“Avrei dovuto immaginarlo. Niente di nuovo all’orizzonte?”
“Torno tra un mese per i Lawrence Olivier. Ti trovo a casa?”
“Sempre.”
“E allora ti lascio a Morfeo, so quanto sia tardi a Londra. ‘Notte, ‘Nei!”
“Buona serata e buonanotte, Tom!”
E uscì da Whatsapp con il sorriso sulle labbra.

 

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Capitolo 19
*** 18. The One With The Messed-Up Party And The Embarrassed Confession ***


Heeeello!  Il banner è sempre stato fatto da _Lith_, lo stile del titolo è sempre ispirato a FRIENDS e la foto non è la mia assolutamente (Però ecco, io adoro lei come Aneira! L'ho proprio immaginata così XD) ma è stata modificata da me. Buona lettura!











 
The Guy Who Turned Her Down
18. The One With The Messed-Up Party And The Embarrassed Confession

Quando si risvegliò il giorno dopo aveva Mycroft che le dormiva sulla pancia – fece attenzione nel spostarlo, non voleva fare movimenti bruschi rischiando di farlo cadere – e stava morendo di fame. Si alzò, infilò la vestaglia-Dalek che era appallottolata sul computer e afferrò il pacco di biscotti che era sulla scrivania, trascinandosi in cucina.
Fu piacevolmente sorpresa nel trovare un vassoio di éclair au chocolat sul tavolo della cucina, tanto che spostò lo sguardo sui presenti più volte prima di riporre i biscotti nella credenza e sedersi sull’unica poltrona libera — la sua.
Poi si rese conto di un altro particolare: Jules era vestita di tutto punto e sul retro del divano c’era il suo cappotto «Stavo aspettando solo te per il buongiorno» si alzò dal divanetto, abbracciò Aneira e le porse il vassoio «Per i rumori. E molla l’osso tu!» riprese Eddie, tirandogli uno schiaffo sulla mano che lui aveva allungato per afferrare uno dei dolcetti.
Poi salutò Luke con una mano, Eddie con un bacio e scomparve oltre la porta della cucina.
«Se è sempre così gentile quando la soddisfi sessualmente può trasferirsi qui, eh.» esclamò soddisfatta – dal dolcetto che teneva in mano, ovviamente – Aneira, prima di ingurgitarlo senza tante cerimonie.
«Sei sempre molto diretta, ‘Neira!»
«Buongiorno, eh!» si accorse di Luke solo in quel momento.
«Ah, ci sei anche tu?!»
«Da quando sei entrata in cucina. Solo che eri sconvolta dalla fame per accorgertene.» spiegò praticamente il ragazzo, congiungendo le mani.
«Ne vuoi una?» gli porse il vassoio, prendendo un altro dolcino e alzandosi per versare i croccantini e l’acqua nelle ciotoline di Mycroft, dato che si era alzato dal letto per reclamare cibo. Versò il latte nella sua tazza e lo mise a riscaldare nel microonde, per poi tornare sulla poltrona per mandare giù un altro éclair au chocolat, contenta.
«Grazie, cara. Quello screanzato del tuo nuovo coinquilino non ha avuto la decenza di offrirmi nulla. Preferivo il precedente.»
«Se solo ti avessi fatto avvicinare a quel vassoio prima, Jules mi avrebbe ucciso. E poi sarebbe passata a te.»
Luke gli fece il verso e alzò gli occhi al cielo, mentre Aneira li ignorava bellamente e andava ad appropriarsi della sua tazza di latte caldo, in cui a breve ci avrebbe inzuppato un altro dolcino. Giusto per stare male entro quella sera, insomma.
«Comunque, mi sono informato. Ho chiesto a un tipo con cui son stato in passato – lavora con Hannah – cosa dicesse in giro...»
«Aaron? Ma lui è amico di Hannah...»
«Difatti ho dovuto sparare merda su di te per riconquistarlo. Non appena ho detto due o tre cose che l’hanno reso contento, ha iniziato a parlare: a quanto pare lei è stata molto civile e sta già togliendo le robe da casa tua, non ha fatto uscire niente... difatti è stato Aaron.»
«Che cosa?!»
«Hannah si era confidata con lui e ha deciso di fartela pagare mettendo in giro la voce che fosse per Jules. Beh, senza che sappiano il nome, ma ti ha fatto passare per lo stronzo. Che per inciso, nella situazione, lo sei. Che poi tu abbia fatto la cosa migliore perché sennò te ne saresti pentito e non avrebbe avuto senso stare con qualcuno che non amavi più non conta agli occhi della gente.»
«Oh che bello. E ora?»
«Ora penso tu debba far calmare le acque, comportarti sempre civilmente riguardo a quello che ti chiederanno su Hannah e non far vedere Jules in giro. Le stesse cose che ti ho consigliato ieri, insomma.» fece spallucce e spostò lo sguardo su Aneira, che ingurgitava l’ultima parte del dolcino che aveva inzuppato nel latte per poi finire in due secondi il rimanente latte, nemmeno stesse bevendo un cicchetto di...qualcosa. L’espressione allucinata di Luke, che si ritrovò a confrontare non appena posò la tazza sul tavolo, non la smosse di un millimetro «Beh? Che c’è?»
Luke era troppo inorridito per formare una risposta sensata, al che lei lasciò la tazza nel lavandino e, seguita da Mycroft, tornò in camera sua, pronta per una giornata di relax sfrenato.

«Perché sei su Just Jared?!»
«Scusami?!» non aveva creduto che fosse davvero sua sorella a chiamarla a mezz’ora dalla festa – o meglio, dal momento in cui sarebbe arrivata Lara con l’auto – era ancora indaffarata e quella ragazzina se ne usciva con quelle assurdità.
«Sei con il tipo di Les Mis. Quello con il Gladiatore e Wolverine, per intenderci.»
«Sta vivendo qui a casa da noi, ma non capisco...»
«Te le mando su Whatsapp.» dichiarò la ragazza, e dopo due secondi Aneira le aprì dopo aver messo Alis in vivavoce.
«Ma che diavolo?!...»
«Giudicando dal tuo pigiama, ritengo steste andando a fare la spesa, vero?» riusciva a sentirla sogghignare dall’altra parte del telefono.
«E hai ragione. E per essere giusti, anche lui ha il pigiama. Solo che i pantaloni del suo pigiama non sembrano... pigiamosi come il mio.»
«Beh, comunque non hanno scritto nulla su di te. Sei un’amica, a quanto pare.»
«Dev’essere che hanno visto gli sguardi omicidi che gli lanciavo quando mi lasciava portare la busta più pesante.»
«Cosa stai facendo? Ti sento indaffarata.»
«Oh, sto cercando di truccarmi. Stando al telefono.»
«Dooove vai?!»
«Ho la festa di una tipa dell’università... ci vado con Lara.»
«Chi?»
«Un amica di Eddie e Tom.»
«Tom sarebbe Loki, vero?» Aneira trattenne una risata, conscia del fatto che se Tom avesse sentito la domanda di Alis avrebbe sbuffato sonoramente ripetendo che “Per l’ennesima volta, devi smetterla di identificare le persone con i personaggi che interpretano!”.
«Non azzardarti!..»
«Alis? Lo sai che mi stai rallentando, vero?»
«Tu stai uscendo con la Adler! La Adler, di Sherlock!»
«Ah, ora la riconosci!» ribatté Aneira, scoccando un’occhiataccia al telefono: come se Alis potesse vederla.
«L’ho googlata!»
«Alis, hai qualcos’altro da dire?»
«Se papà lo sapesse chiederebbe di portarla a casa per conoscerla. Ma penso gli andrebbe bene anche Sherlock.»
«Oh, lui l’ho visto ubriaco!»
«‘Fanculo, Aneira!»
«Ti voglio bene anche io Al!» e così chiuse la chiamata.
Tirò un sospiro profondo e si guardò intorno: che mancava? «Ah, sì.»
Mise mano nel beauty case semirigido alla sua sinistra e riprese a macchinare con l’ombretto e il mascara, per poi osservare il risultato allo specchio: «Non sembro un clown, è già tanto.»
«Meow.» Mycroft la guardava da laggiù, incuriosito.
«Lo so, lo so, tesorino, stasera dovrò lasciarti. E non c’è nemmeno Tom... però ci sono Eddie e Jules. Che spero non ti lasceranno guardare le loro porche abitudini o li ammazzo.» accompagnò la simpatica minaccia di morte con un sorriso malefico, prese la cartella a tracolla nera e ci ficcò portafogli e rossetto dentro, per poi andare a trasferire il resto della borsa da tutti giorni nella tracollina. Tirò un sospiro di sollievo quando vide che mancavano ancora cinque minuti: infilò gli stivali, poi il cappotto e il cappello, sganciò il cavo del caricabatterie dal telefono e afferrò la borsa. Diede un bacio a Mycroft, che le rispose facendo le fusa – e rimanendo sul suo lettone – e si incamminò fuori dalla camera.
«Uooh, dove si va?»
«A una festa di un’idiota con Lara. Passa a prendermi in due minuti. E ringrazia il cielo che su Just Jared sono finita come tua amica, perché se mi avessero preso per la tua nuova fiamma ti avrei ucciso.»
«Siamo su Just Jared?»
«Sì. In pigiama. Entrambi. Ma essendo il mio rosso si vede che lo è.»
«Quella volta che sei uscita in UGG per andare a fare la spesa?» iniziò a ridacchiare lui, soddisfatto.
«...Sì. Ti auguro di non riuscire a concludere stasera, infimo ridacchione.»
«Ci riuscirò e verrò anche a dirtelo!» le mandò un bacio volante – o almeno, il suono era quello – e Aneira corse giù scuotendo la testa. Quando trovò il macchinone parcheggiato su Bow Street sbarrò gli occhi: che era quella roba?
Lara abbassò il finestrino e le sorrise: «Non è mia.»
«Significa che l’hai rubata?» ribatté Aneira, salendoci nonostante tutto.
«Ovviamente no, è Über!»
L’espressione poco brillante di Aneira la convinse a continuare con la spiegazione: «Una app che ti trova delle macchine così per accompagnarti a eventi. O dove vuoi tu insomma. Funziona in diverse città... e praticamente tu mandi la tua posizione e loro vengono a prenderti. Ma questo è un mio amico, quindi non sto buttando quattrini con questa roba.»
«Grazie per aver sottostimato così tanto il mio mestiere, L!» disse di tutta risposta l’autista, che tacque subito dopo.
Quando partirono, Aneira prese a guardare con tanto d’occhi fuori dal finestrino: erano rare le volte che era stata in auto a Londra. Principalmente perché costava tanto, ma anche perché preferiva di gran lunga la metro. E ancora più rare erano le volte che si trovava a sfrecciare per Londra in un auto seduta ai sedili posteriori, come quando era piccola e viaggiava per la Scozia con i suoi genitori. Insomma, era un bel revival di emozioni.
Lara diede l’indirizzo all’autista per conto suo, e poi si sedette comoda sul sedile, posando il capo contro il poggiatesta, rilassata.
Passarono una mezz’oretta nel fitto traffico londinese delle otto, arrivando però perfettamente in tempo per l’orario consigliato: uscendo dall’auto Aneira si strinse nel cappottone e aspettò che Lara la raggiungesse.
«Quindi... questa è la casa di una tua compagna di corso.»
«Sì. Non oso nemmeno pensare a quanti metri quadri siano.»
«È un grande parallelepipedo. A due piani. Con una porta rossa. Cioè...»
«A Maida Vale. Maida Vale, Lara. Penso che non potrò mai permettermi una cosa del genere nella mia vita.»
«Non posso permettermi io una cosa del genere. È imbarazzante, non so neanche se conosco qualcuno che possa permettersela!» aggiunse la donna, sbarrando gli occhi mentre si avvicinava alla porta di casa.
«Non sei certo la figlia di un banchiere inglese, Lara. Probabilmente questa è solo una delle tante.» osservò Aneira, decidendosi a suonare il campanello.
Non appena quella che doveva essere la festeggiata – vestito lungo turchese?! Sul serio?! – aprì la porta, Aneira le fece gli auguri e la salutò con due baci sulle guance, presentandole poi Lara: che le sorrise, fece gli auguri ed entrò in casa.
«Porca vacca.» mormorò Lara nell’orecchio di Aneira, lasciando la giacca sull’appendiabiti per poi affiancare quello di Aneira al suo.
«Puoi dirlo forte.» commentò la ragazza, entrando nel salotto: la musica sembrava diffondersi dal soffitto e non c’erano casse nella stanza. Com’era possibile?
«No, probabilmente sarebbe poco educato.» convenne Lara, seguendola.
Si avvicinarono al tavolo del buffet, dove Aneira trovò altra gente di facoltà – o meglio, altre persone con cui aveva studiato prima di cambiare campo di studi con il Master’s Degree. Aveva parlato per un po’ con loro e aveva presentato loro Lara, che si era comportata da ospite impeccabile ed era contenta fosse la migliore di tutti i presenti lì: non che fosse normale portare una trentatreenne come più uno ad una festa di compleanno universitaria, ma almeno avrebbe avuto qualcuno con cui sparlare che non fosse qualcuno che odiava... o mal sopportava, insomma.
Quando finalmente erano state lasciate sole nell’angolino tra il tavolo e l’arco che portava al maestoso – e tremendamente troppo dorato – salotto, Aneira tirò un sospiro di sollievo.
«Odi così tanto i rapporti sociali?»
«Solo con le persone che reggo poco.»
«Effettivamente quella Kendra è insopportabilmente sincera. Ma non la sincerità positiva, sai... quella che nasce dai rapporti profondi. Sembra giusto qualcuno che deve sbatterti in faccia il suo modo di pensare a tutti i costi, o quella che ritiene la verità... così, per fare male.»
«Non è male, sai? O almeno, non sempre.» rispose Aneira, buttando giù l’ennesima focaccina della serata.
«Dovremmo esplorare la casa. Sarei curiosa di sapere che impianto di sicurezza hanno, considerato che può essere una casa da almeno cinquanta milioni di—
«Tutto bene?» la festeggiata si palesò davanti alle due ragazze, sulle cui labbra si gelò immediatamente un sorriso eccessivamente... sorridente.
«Tuuutto perfetto. Bel buffet. Casa notevole.» commentò Aneira, sorridendo come se qualcuno stesse scattando loro una foto.
«Perfetto! Di là stiamo per fare il brindisi...»
«Oh, arriveremo!» rispose immediatamente Lara, con un sorriso altrettanto immobile e finto quanto quello di Aneira.
Quando la festeggiata si fu allontanata riprese parola: «Dobbiamo davvero andare? C’è gente ubriaca che canta l’inno del Tottenham e io non voglio andare di là!..»
Aneira sentì la sedia cedere sotto di lei e dopo due secondi si ritrovò lì sopra traballante: Lara scoppiò a ridere ma cerco di contenere il volume, continuando ad indicare la gamba della sedia staccata dal resto e venendo ripetutamente fulminata da Aneira, che si alzò, si sistemò la gonna e dichiaro «Dobbiamo decisamente andare, ora.»
«Temo proprio di sì, hai appena devastato una sedia da duemila sterline. Muoviti!» esclamò Lara, spingendola lungo l’arco che conduceva al salotto e poi verso la terrazza.

Era finalmente tornato a casa e non a un orario raccomandabile: perlomeno era ancora sobrio, lucido e capace di fare connessioni logiche. Non avrebbe potuto sopportare un dopo sbornia la mattina dopo, doveva lavorare anche di Domenica, sebbene non ufficialmente.
Sbatté le palpebre e dopo esser passato dal bagno si cambiò e infilò il pigiama. Solo quando fu già nel letto si rese conto delle due chiamate senza risposta sul cellulare... ed erano di Tom.
S’infilò nel letto e lo richiamò, sicuro che sarebbe stato libero e sveglio per quell’ora... dopotutto erano solo le dieci di sera a Toronto.
«Luke?»
«Tom! Hai chiamato, come mai?»
«Oh, non sono uscito. E volevo parlare con qualcuno, e so che Aneira e Lara sono fuori, Eddie è con Jules e immagino siano molto impegnati e Ben... non so che fine abbia fatto Ben, sinceramente.»
«Oh, quindi sono la tua ruota di scorta?! Che gentile!»
«Luke! Sai che non è vero.» lo riprese Tom, scalciando via le scarpe e buttandosi sul letto.
«Sì, sì, lo so, scherzavo. Allora, quali mirabolanti problemi hai?»
«Come sta ‘Nei?»
«Scusa, non puoi chiederglielo tu?! Non stasera, in generale.»
«Me lo chiedevo... insomma, ci sarà qualcuno che le guarda le spalle, no? Qualcuno che la tiene d’occhio...»
«Sono confuso.» dichiarò Luke, accigliato «Mi stai chiedendo di tenerla d’occhio perché è una sconsiderata che si getta in guai terribili – ma non mi pare che sia così nella realtà – o di tenere i maschi lontani da lei?»
«Cosa?»
«Come?» ribatté Luke, ancora perplesso.
«Mi chiedevo soltanto... come stesse.»
«Non ti manca un po’ troppo per essere una coinquilina e basta, amico?» e aveva posto la fatidica domanda. Non pianificava di farlo, in realtà: erano amici, ma Luke non voleva farsi così tanto i fatti suoi. Però era qualcosa che gli ronzava per la testa da tempo, e con Lara che vaneggiava su “Operazioni Neto” varie non lo rassicurava per nulla.
«Forse.»
«Cosa significa “forse”?»
«Beh, ci tengo a lei.»
«Sì... la mia domanda è: non ci tieni un po’ troppo?»
«Mi stai chiedendo se in qualche modo sono sentimentalmente coinvolto con lei?»
«No, lo so che non state insieme e non avete pericolose liaison nascoste. La mia domanda è... provi per lei quello che non dovresti provare essendo la vostra situazione particolarmente delicata visto che probabilmente è più il tempo che passereste staccati che insieme?»
«Potrei. Ma non lo so. Tu puoi darle un’occhiata, per favore?» il fatto che, dall’altra parte dello stagno, Tom stesse giocando nervosamente con il bottone di un polsino della camicia non andava a suo favore.
«Oh, buon... d’accordo. Ti allontano tutti gli uomini da lei. Ma esce così poco di casa che se li allontana da sola, non preoccuparti.» dichiarò Luke, passandosi una mano sulla fronte.
«Grazie. So che sono le tre del mattino lì... buonanotte, Luke!»
«Notte, Tom. Non incasinare tutto.» e con quella massima – poco poetica ma molto realistica – Luke chiuse la telefonata e si tirò le coperte fin sopra la testa, sospirando profondamente. 

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Capitolo 20
*** 19. The One With The Lawrence Olivier Awards ***


Buone Festeeee! Le state passando bene? Il banner è sempre stato fatto da _Lith_, lo stile del titolo è sempre ispirato a FRIENDS e la foto non è la mia assolutamente (Aneira <3) ma è stata modificata da me. Buona lettura!











 
The Guy Who Turned Her Down

19. The One With The Lawrence Olivier Awards


In poco più di tre settimane aveva avuto molto da fare: era andata dall’altra parte dello stagno per la simulazione, aveva stretto amicizie diversamente da come avesse mai fatto e tornando a casa dal lato giusto dell’Atlantico si sentiva... svuotata. Non perché non fosse stata un’esperienza positiva, ma perché fondamentalmente non si sentiva più tanto a casa. E quella cosa andava avanti da qualche giorno anche a Londra, e non riusciva a capirne il perché. Però dopo averci pensato a lungo, già  quando era fuori — l’aveva collegato all’idea e alla possibilità di prendere un biglietto del treno per Toronto e andare a trovare Tom. Era un’idea stupida e irrealizzabile, però ci aveva pensato e non era riuscita a scollarsela dalla testa fin quando non era salita sull’aereo di ritorno per Londra. E a renderla pensierosa non era stato tanto il fatto di non aver potuto raggiungere Tom a Toronto, quanto l’averne avuto il desiderio. Perché? Dopotutto prima o poi si sarebbero rivisti, no? Che senso aveva andarlo a trovare lì dall’altra parte dell’Atlantico? Però dopo un mese e mezzo erano di nuovo nello stesso continente eppure non avevano avuto l’occasione di vedersi. E questo la rendeva un po’ titubante, perché non riusciva a capacitarsi del perché volesse.
Ma le sue elucubrazioni mentali erano state bloccate dal suono del citofono che la avvertiva della presenza di Lara al portone: perplessa la fece entrare e la aspettò sulla porta.
«Buon pomeriggio?»
«Aneira!» quella sorrise e allargò le braccia: cosa voleva dire quel gesto? Il sorriso era anche lievemente malefico.
«Lara?»
«DomaniseilamiapiùunoaiLawrenceOlivierAwards.» aveva dichiarato tutto d’un fiato mentre l’abbracciava e Aneira ebbe un coccolone.
«Ripeti?!»
«Ti ho teso un’imboscata e domani vieni ai Lawrence Olivier con me. Questo è il tuo invito.» le porse un elegante busta con il suo nome sopra.
«Tu sei... sei matta! Ma come ti è venuto in mente?! Cosa ci faccio io a una premiazione teatrale?! Vedo il red carpet da casa tutti gli anni dalla finestra, cosa ci faccio io lì?! No no no, no, e poi no!» ribatté quella, scuotendo le mani categoricamente.
«Pensavo ti avrebbe fatto piacere supportare Tom. Sai, è candidato per Coriolanus...» Lara dovette aver pronunciato le paroline magiche, perché Aneira si ammutolì immediatamente e non aggiunse nessun’altra buona ragione per cui non poterci andare. Lara lo interpretò come un punto a suo favore e un altro livello avanzato per la sua Operazione Neto.
«Oh. Tom è candidato? E sta tornando?»
«È attualmente su un volo per Londra dalla cara sottoposta Canada.» sentenziò soddisfatta Lara «Non lo sapevi?»
«Nessuno l’ha scritto sul gruppo!..»
«Beh, vuoi venire quindi?» chiese Lara, certa che quelle paroline magiche che le aveva detto prima l’avessero già convinta. Aneira fece spallucce, annuendo: «D’accordo. Ma non ho vestiti lunghi e non ho intenzione di spendere un soldo, quindi metterò uno dei vestiti più sobri che ho e basta.»
«Puoi anche venire in onesie, per me non c’è problema!» dichiarò quella, alzando le mani al cielo.
«Oh, non penso proprio: attirerei troppa attenzione e non la voglio sicuramente quella!» ribatté sicura Aneira, scuotendo la testa.
«Vengo a prenderti con l’auto dell’organizzazione domani pomeriggio. Au revoir
«Aspetta, sei venuta fin qui solo per lanciare questa bomba? Hai pianificato tutto questo per sconvolgermi e—
Ma Lara se n’era già andata. A pensarci bene, non si era neanche liberata del cappotto e della borsa, quindi aveva davvero avuto solo l’intenzione di dire quello dal primo momento che aveva messo piede quel giorno in quella casa.
Aneira scosse la testa e abbracciò Mycroft: certe volte Lara era davvero una pazza. Non riusciva a capire mai se avesse qualche secondo fine o fosse solo tanto, tanto – simpaticamente – stralunata.


Non aveva ancora compreso perché diavolo il red carpet fosse così presto. Insomma, luce del sole e naturale e tutto quello che vuoi, ma fino a quella sera che avrebbero fatto, si sarebbero rigirate i pollici? E poi lei cosa diavolo c’entrava in un red carpet? Insomma, era giusto il più uno di qualcuno: non voleva comparire nelle foto. Avrebbe potuto mascherarsi e piazzarsi assieme agli agenti, poco dietro le star. Ma era più che certa che la Lara dai rocamboleschi piani – che non aveva ancora scoperto, ma ci sarebbe riuscita presto – non gliel’avrebbe permesso.
Non aveva visto Tom da quando era arrivata: la sera prima si era addormentata imbarazzantemente presto e il mattino dopo non c’era traccia di lui in casa, quindi probabilmente si sarebbero rincontrati dopo due mesi direttamente quella sera.
Aneira afferrò la clutch a forma di anguria – quale momento migliore di quello per usarla? Dopotutto non è che uscisse spesso con delle borse così, doveva sempre portarsi la casa dietro, e quindi aveva bisogno di borse belle grandi – e ci riversò il necessario dentro, diede un’occhiata allo specchio fuori in corridoio e accarezzò la testolina di Mycroft: quando sarebbe ritornata quella sera, il cucciolo avrebbe avuto entrambe le sue mamme apprensive lì presenti.
Quando scese di casa si avventurò a destra, verso l’inizio di Bow Street: la folla iniziava ad esserci già sotto casa sua e le auto non potevano passare.
Non è che facesse proprio freddo, ma uscire senza giacca con sedici gradi non era comunque raccomandabile: ma non avrebbe voluto portare a mano anche la giacca, e poi... era davvero sotto casa. Insomma, che le poteva succedere?
Entrò in auto e salutò Lara: «Spero sia per un buon motivo. È presto
«Siamo i nessuno della serata!» spiegò la donna, sfregandosi le mani «Ma non hai freddo?»
Aneira fece spallucce «Non sapevo che giacca abbinare con queste scarpe e non avevo intenzione di portare anche quella a mano.»
«Sei davvero la pigrizia fatta persona, allora.» dichiarò quella, e l’altra si limitò ad annuire, quasi soddisfatta.
Ci misero un quarto d’ora per arrivare dall’altra parte della strada: quando avrebbero potuto tranquillamente attraversarla a piedi.
«A piedi saremmo arrivati in cinque minuti, anche tagliando la strada e non stando in mezzo a tutte quelle persone.» dichiarò sbuffando Aneira.
«Non camminerò su queste scarpe.»
«Oh, sul carpet dovrai
«Mi darai una mano! Tanto i tuoi sono... camminabili
«Secondo te ne avrei messi, di non camminabili?» ribatté Aneira aprendo la portella dell’auto prima che potesse farlo qualcun altro e raggiungendo dall’altra parte Lara.
«È altamente imbarazzante stare accanto a te. Sei più alta di me e io ho anche i tacchi molto più alti!»
Aneira fece spallucce, seguendo la donna che si dirigeva a firmare autografi per i fan ma rimanendo un po’ più dietro «Non so che dirti, la prossima volta mi metto le ballerine così mi raggiungi.»
«Questo è ancora più imbarazzante!»
«Chi è lei?» chiese qualcuno a Lara, mentre quella, impegnata, andava da un foglio all’altro.
«Oh, il mio più uno.»
«Intendi la tua ragazza?» ridacchiò qualcuno – Aneira li osservò inorridita, beccandosi un’occhiataccia di Lara che l’aveva volontariamente colta sul fatto.
«Non sono ancora lesbica, mi dispiace. È un’amica.»
Chiuse la conversazione andando più avanti, fin quando non l’avvisarono – o più realisticamente spostarono – che era finito il tempo e dovevano rientrare.
«Aneira, dammi il braccio.»
«Non ho intenzione di finire in nessuna foto!»
«Sei già finita in non so quante foto, accompagnami o cado!»
«Perché hai indossato quelle scarpe?!»
«Mi sono state amabilmente date in mano dalla stylist. Non potevo mica dire: non ne porto da mesi!»
La ragazza roteò gli occhi e la seguì a braccetto, tentando di avere una parvenza perlomeno tranquilla e non di quella trascinata lì contro la sua volontà. Quando finalmente arrivarono alla Royal Opera House non attese che Lara finisse le foto e sgattaiolò dentro, aspettandola lì. Non appena Lara la ritrovò le rivolse un’occhiataccia, a cui Aneira ebbe la prontezza di rispondere: «Che c’è?! Volevano te, non me. E mi ero rotta di stare ferma al freddo!»
«Vieni, andiamo a salutare persone. Ce la fai o inizi a ringhiar loro contro?»
Di tutta risposta la ragazza roteò gli occhi, ma la seguì e si dimostrò cordiale e gentile, quando qualcuno si presentava o le rivolgeva la parola: stare accanto a Lara Pulver aveva il pregio di sembrare parecchio invisibile ai più e così la maggior parte delle persone nemmeno si rendevano conto della sua presenza – fortunatamente, avrebbe aggiunto lei.
Giocherellava con la zip della clutch e aveva appena terminato di controllare il telefono, quando udì la folla più vicina all’entrata urlare ripetutamente “Tom, Tom!” e allora alzò lo sguardo sulla figura alta e slanciata nel suo vestito nero e con papillon abbinato, che rimaneva persistentemente vicino ai fan per soddisfarli con foto e autografi. Per poco non dovettero trascinarlo letteralmente via davanti all’entrata per le foto.
Aneira scosse la testa e sorrise, continuando a guardarlo mentre Lara parlava con qualcuno di cui sinceramente non le poteva interessare meno: Tom non stava cinque minuti fermo – temeva che quei poveri fotografi là fuori avessero ben poco materiale fotografico decente, con lui come soggetto – e si voltò verso l’ingresso. Non appena intercettò il suo viso fra la folla all’interno, entrò nell’edificio – seguito da Luke che, accortosi di tutto, borbottò tra sé e sé un “Lara sarà contenta, i fotografi per poco non lo bestemmiavano perché è corso via da qualcuno...” ma nessuno, a parte lui, se ne accorse.
«Cosa ci fai qui?!» chiese allora Tom, stupito, abbracciando la coinquilina. Aneira posò la mano sulla sua spalla prima di lasciarlo andare – doveva ancora capire perché ebbe quasi un momento di panico non appena i loro sguardi si incrociarono, come se volesse scappare via all’istante – e pronunciare la risposta «Mycroft mi ha detto di tenerti d’occhio.»
«Ed è ovviamente colpa mia!» dichiarò sorridente Lara, voltandosi per salutare l’amico dopo aver liquidato velocemente il tipo con cui stava dialogando da cinque minuti.
«Ehi Luke» salutò Aneira subito dopo, agitando la mano.
«Aneira. Ed sta ancora imboscato con Jules?»
«Ovviamente, cosa ti aspettavi?» alzò un sopracciglio quella «Ormai prima di tornare a casa dall’università Jules passa sempre da noi. A meno che non rimanga proprio.»
«Vi prego, non mi state dicendo che la mia camera è piena dei loro germi, vero?» lo sguardo implorante di Tom fece sorridere le due ragazze – sebbene Lara avesse un sorriso particolarmente beffardo... quasi come se stesse macchinando qualcosa – mentre Luke metteva in scena la sua migliore espressione corrucciata «Cosa ti saresti aspettato da quei due, soprattutto Eddie, scusa?»
L’uomo sbuffò sonoramente e dopo vennero tutti invitati a spostarsi altrove, al che iniziarono a camminare nella direzione indicata dalla security.
Tom si avvicinò ad Aneira e le diede una spallata gentile, che attirò la sua attenzione: «Allora, come va?»
«Spero che Mycroft stando sempre a casa con i piccioncini non abbia imparato il kamasutra, Laire alterna lo studio matto e disperato alle serate fuori fino alle quattro del mattino ed Elspeth ha il suo solito metodo organizzato e ben collaudato. Ed Eddie è in modalità “è una bella giornata, gli uccellini cantano e il sole splende” da più o meno un mese. Sta diventando fastidioso, se lo si prende in dosi giornaliere assieme alla contentezza di Jules, anche.»
Tom ridacchiò, però poi la guardò negli occhi – e lei volle scappare di nuovo, doveva affrontare quella nuova sensazione, decisamente – e riprese a parlare: «Intendevo come va a te. Non a casa, anche se è sempre buono saperlo.»
Quella fece spallucce: «Tutto normale, non succede nulla di speciale.»
«Va bene, ne parliamo a casa.» le posò una mano al centro della schiena e la guidò così fino alla sala, per l’enorme felicità di Lara che dietro di loro pungolava il braccio di Luke con un dito continuando a dire “Hai visto?! Hai visto?!”.


Quando terminò tutto i quattro spostarono la festa – definita da Lara “commiserazione”, dato che Tom non aveva vinto – al pub che erano soliti frequentare Eddie, Tom e Ben, e rimasero lì fino alle due. Poi Lara si rese conto dell’ora e prese il cappotto, maledicendo le scarpe.
«Luke, accompagnami al taxi. Voi due non avete bisogno dello chaperon, dato che abitate qua dietro. Buonanotte!» e così i due uscirono dal pub: ovviamente Lara avrebbe passato tutti i minuti necessari per aspettare il taxi a vantarsi della prima missione riuscita con un Luke che avrebbe scosso ripetutamente la testa, sconsolato.
«Dovremmo andare, non lascio Mycroft solo di sera praticamente mai.» dichiarò Aneira, alzandosi dallo sgabello e dirigendosi verso la porta.
«D’accordo, andiamo!» Tom si liberò della giacca e la piazzò sulle spalle della ragazza, che come previsto si ribellò: «Io sto bene, sono due passi, morirai di freddo così!»
«Vengo dal Canada, ricordi? Qui, a confronto, è quasi estate.» ribatté lui, prendendola sottobraccio «E poi un semplice grazie è anche più semplice talvolta, eh.»
Aneira arrossì leggermente ma questo non le impedì di rivolgergli un’occhiataccia, della quale si dimenticò non appena si ricordo di una cosa: allora gli diede un colpetto con la mano sui capelli, dichiarando solennemente che stava stempiando.
«Sai davvero come consolare qualcuno!» ribatté quello, scuotendo la testa «E comunque ho sempre avuto la fronte alta, io!»
«Oh, lo so, ma ce l’hai più alta di prima!»
«Non è vero!»
Aneira fece spallucce, ma poi sorrise sinistramente, e Tom non poté far altro che scuotere la testa «Mi era mancata la tua testardaggine.»
Non appena entrarono nel portone, Aneira si liberò della giacca e gliela piazzò tra le braccia: «Qui non fa più freddo.»
«In realtà sì.» Tom gliela rimise addosso «Ma sono ridicola con questa cosa enorme addosso!»
«Almeno non prendi freddo» sentenziò, trascinandola fino all’ascensore per un braccio.
Alla fine Aneira riuscì a liberarsi della giacca solo in camera sua, dove smollò le scarpe in un angolo e la clutch sulla scrivania: non appena infilò i piedi nelle ciabatte sospirò profondamente, era finalmente a casa. Non che non si fosse divertita, ma era a casa.
Si sedette sul suo letto e posò il computer sulle gambe, venendo poi interrotta da Tom che, con un coccoloso Mycroft in braccio, si palesò sulla porta «Immagino che potrei rimanere traumatizzato se tornassi in camera mia, vero?»
Aneira annuì, indicandogli l’altra parte del letto con un colpetto della mano: «Mycroft potrebbe non cederti molto facilmente il suo cuscino, però.»
«Ce lo litigheremo. Quali erano i progetti della serata, prima che Lara te li distruggesse?»
«In realtà i progetti della giornata era una maratona di Shakespeare. Volevo rivedere il Mercante di Venezia, ma poi si sono aggiunti altri film...»
«E ora è diventato il progetto della nottata. Metti pure il Mercante di Venezia, subito!» dichiarò Tom, afferrando una coperta dall’armadio e stendendola sopra lui, Mycroft e una gamba di Aneira – che nel frattempo faceva diligentemente partire il film per poi accucciarsi contro il cuscino sul muro, parte della spalla di Tom e sotto le coperte, prendendo a coccolare il gattino che sembrava essere nel suo paradiso personale, tra le coccole dei suoi umani e al calduccio.
«Non sarà comodo con questi vestiti.» dichiarò la ragazza, tirando la coperta un po’ di più dalla parte sua.
«Non fa niente.» passò un braccio attorno alle spalle della ragazza e spostò lo sguardo in basso per darle un’occhiata: quella guardava assorta l’inizio del film, coccolando passivamente Mycroft. Poi alzò lo sguardo «Che c’è?»
Ma Tom scosse la testa, tornando a dedicare l’attenzione al film, stringendo a sé il gattino e la coinquilina che gli erano tanto mancati.




Allora, allora?! Avevate indovinato il piano di Lara?! *-*

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Capitolo 21
*** 20. The One With The Morning After And Everybody’s Questions ***


Ehilààà! Sono appena tornata dalla visione di The Imitation Game ed è davvero fantastico. Grande Benedict *-* (E anche la mia Keira, ma il mio amore per lei è sconfinato in altre millemila fanfiction <3) Duuunque il banner è sempre stato fatto da _Lith_, lo stile del titolo è sempre ispirato a FRIENDS e la foto non è la mia assolutamente (sono, da sinistra a destra, Laire ed Elspeth!) ma è stata modificata da me. Buona lettura!





 
The Guy Who Turned Her Down

20. The One With The Morning After And Everybody’s Questions





 
«Lo sai, vero, che stai sbavando su un vestito perfettamente fantastico e sicuramente sartoriale?» la voce di Laire sembrava lontana, ma non appena Aneira aprì gli occhi – rendendosi conto in quel momento del fatto che il dolore al collo era dovuto alla posizione poco comoda nella quale quello era rimasto tutta la notte – se la ritrovò sulla porta con due tazze di un qualcosa fumante.
«Ehrm...» si grattò il capo, guardandosi intorno, per poi alzare lo sguardo verso Tom, che era ancora lì... abbastanza costretto sotto il suo peso e quello di Mycroft.
«Io il mio l’ho già bevuto. Non oso pensare che ore abbiate fatto ieri sera per essere in queste condizioni a quest’ora.» Laire sorrise ad entrambi, posò le loro tazze di tè sul comodino e lasciò la camera scuotendo la testa.
«Buongiorno. Non è che mi passeresti la tazza col quokka? Credo che ci abbia anche messo del latte...» Tom indicò il comodino, mentre Mycroft si arrampicava sulla sua spalla.
«Scusa per la camicia.» mormorò Aneira, allungandosi alla sua destra.
«Non preoccuparti, in realtà ti sei addormentata sulla coperta, quindi... hai sbavato lì.»
«Dovrei controllare le mie...Non lo dico nemmeno.»
«Oh, no, ti prego, non stavo aspettando altro!..» ridacchiò dopo lui, con un sorriso malefico.
«Quando mi sono addormentata?»
«Più o meno quando abbiamo iniziato Macbeth. Allora ho spento tutto e l’ho spostato ai piedi del letto.»
«Per spegnere tutto intendi abbassare lo schermo, vero?» chiese Aneira, passandogli la tazza col quokka e prendendo la sua con il canguro.
«Ovviamente.» rispose Tom, con un’espressione abbastanza logica in volto per aver dormito su un letto non suo con coperte di pile addosso e gli stessi abiti della sera prima.
«Amate davvero l’Australia qui, eh?» indicò il quokka sulla sua tazza con un cenno del capo «Non ti ho mai chiesto il perché.»
«Questa è la roba che ci porta Elspeth. Sai, in realtà è metà australiana, anche se i suoi vivono qui. Il fratello studia lì» spiegò Aneira «È sempre lei che ci porta queste cose carine.»
«Com’è andata dall’altra parte dell’Atlantico?» chiese allora lui, dopo un po’ che sorseggiava il tè – Mycroft nel frattempo si faceva tranquillamente le unghie sulla giacca del ragazzo, lasciata piegata sullo schienale della sedia della scrivania.
«Oh, dove tu stai per ritornare, dici?» il tono sembrava vagamente accusatorio «Bene, credo. Alla fine son riuscita a giostrarmi veramente bene e... oh, vedo le altre mercoledì prossimo.»
«Hai addirittura fatto amicizia con delle persone! Come una persona normale! Mi rendi fiero!»
«Smettila col sarcasmo, Hiddleston, non ti si addice.» Aneira alzò un sopracciglio e Tom riprese ad ascoltarla «Comunque sì, anche se c’è stata gente odiabile.»
«Non saresti stata tu se non avessi odiato qualcuno.»
«Appunto. Ma con la parte buona del gruppo abbiamo fatto buone simulazioni e buona amicizia. Sono stata addirittura più volte trascinata a ballare.»
Tom rise: «E questo è qualcosa che vorrei vedere.»
«E... niente. Ho visitato la città, ho conosciuto gente da tutto il mondo... è stata una bella esperienza, ma già lo sapevo.»
«Quindi promuovi gli Stati Uniti?»
«Assolutamente no. Solo la città che non dorme mai. Non potrei mai promuovere quel paese.» era quasi schifata mentre pronunciava l’ultima parola «Quando riparti?»
«Ho il volo alle quattro.»
«Pfff.» emise uno sbuffo – e non lo fece appositamente, ovviamente non riuscì a controllarlo – come non controllava la sua bava quando dormiva, yack!
«Lo sai che ritorno tra un mese e mezzo, no?» stava forse cercando di rassicurarla?
«In realtà no. Ma va comunque bene...» gli lanciò un’occhiata di nascosto, osservandolo accuratamente. Probabilmente l’ultima volta per un bel po’ di tempo.
«Vado a pretendere i miei vestiti dalla mia camera, almeno quelli potrà lasciarmeli Ed...»
«Penso proprio di sì. Lo spero, almeno...» fu l’ultima cosa che Tom udì da Aneira, prima di raggiungere la porta della sua camera e iniziare a bussarvi sopra.
Incrociò Laire che entrava nella sua camera con un’altra tazza di tè e con la quale scambiò un’occhiata d’intesa, alla quale la ragazza rispose con un sorriso furbo: «Non preoccuparti, non le dirò che in realtà l’hai svegliata con un bacio sulla fronte. Bocca cucita!» esclamò quella, chiudendosi dietro la porta della camera.


Erano stati più o meno insieme fin quando non era passato il taxi a prendere Tom per accompagnarlo all’aeroporto: poi Aneira era riemersa dalla solitudine della sua camera – beh, solitudine, era pur sempre con Mycroft... – dopo pranzo, per un tè post frutta e trovò Laire ed Elspeth sedute sulle loro poltrone, apparentemente impegnate nelle loro rispettive occupazioni: quando però Aneira mise su il bollitore, Laire abbassò il giornale per osservarla con uno sguardo furbetto.
«Allora, cosa succede tra te e Tom?» il tono della ragazza era parecchio allusivo, e lo sguardo vispo. Cosa insinuava?
«In che senso?»
«E dai, è da quando è tornato che non vi separate. Almeno da quando è tornato e vi siete rivisti!» irruppe allora Elspeth, mollando il libro sul tavolino tra il divano e le poltrone.
«Beh... abbiamo passato il tempo insieme.»
«Tom non è entrato in camera sua – dove c’era Eddie, per intenderci – fin quando non ha dovuto prendere la sua roba. È rimasto sempre con te.» Laire sembrava stesse spiegando qualcosa di banale a un bambino un po’ lento di comprendonio, ma la coinquilina della Cornovaglia si limitò a fare spallucce: «Abbiamo semplicemente trascorso il nostro tempo disponibile insieme. Lo facevamo anche prima...»
«Ma questa volta è tornato da Toronto per la premiazione e poi avete praticamente passato tutto il vostro tempo disponibile insieme. Tutto!» ridacchiò Laire, come se fosse soddisfatta delle inferenze che il suo cervello faceva.
«Insomma... come fidanzatini!» eruppe Elspeth, ridacchiando allora anche lei, in quel momento.
Aneira arrossì leggermente, ma negò categoricamente scuotendo la testa: «Non siamo... fidanzatini. Mi mancava, però. E poi ieri sera volevamo fare una maratona di Shakespeare sullo schermo...»
«Oooh, Romeo e Giulietta!» esclamò, prendendola visibilmente in giro, Laire.
«No. Abbiamo iniziato col Mercante d Venezia. Volevamo continuare col Macbeth e altri che avevo precedentemente selezionato io ma poi mi sono addormentata.»
«Sulla sua spalla. Abbracciati.» poco ci sarebbe mancato e Laire avrebbe iniziato a muovere sconsideratamente le sopracciglia.
«Insomma, ti ha anche...» partì in quarta Elspeth, ma venne bloccata da uno sguardo omicida di Laire.
«Mi ha anche cosa, El?»
«...Ti ha abbracciato. Ti ha anche abbracciato.» terminò, non come avrebbe voluto, la più grande delle coinquiline storiche.
«Beh, quella non è mai stata una novità! Insomma, ci siamo sempre abbracciati, e abbiamo anche qualche volta dormito nello stesso letto!» sentendosi in qualche modo attaccata, Aneira decise di difendersi.
Laire si limitò a lanciarle un’occhiatina eloquente, mentre Elspeth – sentendosi in colpa per quello che stava per lasciarsi sfuggire, violando la promessa che Laire aveva fatto all’altro loro coinquilino –  riprese parola: «Non pensi sia leggermente differente da come si comporta con noi? Non trovi differenze?»
Aneira rimase interdetta; effettivamente... «Ma vi vuole bene!»
«Sono sicura che si sia abituato alla vita in questa casa, che gli siamo simpatiche... ma voler bene... a te, certamente, vuole bene.» Elspeth era quella che aveva più tatto tra le tre. Era quella che faceva capire loro le cose. Ma da questo punto di vista Aneira non era certa di volerlo capire, proprio no.


«Mi sento osservata. E non da Mycroft.» Aneira aveva sentito la porta aprirsi sebbene chi l’aveva fatto fosse stato molto accorto e silenzioso, allora si voltò verso essa e si liberò degli occhiali: aveva una certa idea che non sarebbe potuta tornare a leggere per molto tempo, quindi sarebbero stati inutili.
Jules stanziava sulla porta con un sorriso leggermente sinistro, reso ancora più diabolico dalla presenza di un vassoio pieno di muffin tra le sue mani.
«Vuoi?»
«Sai che non direi mai di no a un dolce. Perché me lo chiedi?» Aneira assottigliò gli occhi, afferrando un muffin con circospezione e girando la sedia nella direzione di Jules, che con i guanti da cucina e il vassoio ancora tra le mani si sedette al bordo del letto della ragazza, proprio nel posto che un indispettito Mycroft aveva dovuto lasciare per fare posto a lei.
«Sto aspettando.» Aneira tirò un morso al muffin, ostinata.
«Checosaèsuccessoierinotte?» chiese tutto d’un fiato Jules, con gli occhi che le brillavano.
«Lara mi ha trascinato ai Lawrence—
«Sì, sì, ho visto le foto di quello! Intendo quando siete tornati a casa!» ammiccò la ragazza, interessata.
«Oddio ci sono le foto.»
«E beh, sì.»
«Yack. Comunque, abbiamo visto “Il Mercante di Venezia”.»
«Dimmi per favore che è una parola in codice per qualcosa di più interessante.» ammiccò nuovamente Jules, sorridendo diabolicamente.
«Abbiamo davvero guardato “Il Mercante di Venezia”.» si limitò a rispondere Aneira, afferrando un altro muffin e dandogli un morso. Poi Eddie arrivò nella camera con lo stesso intento e prese ad aggiungere: «È più che probabile e plausibile che abbiano fatto quel che lei afferma. Dopotutto Shakespeare per lui è paragonabile al sesso.»
«Questa frase mi disturba, e mi disturba ancora di più il fatto che abbiano davvero solo guardato quella roba.»
«Ehi, è bello Shakespeare!» ribatté il rosso, mangiando – facendo irrimediabilmente cadere diverse briciole sul parquet di Aneira – voracemente il muffin per poi prenderne un altro.
«Non lo metto in dubbio, ma... cavolo, si rivedono dopo mesi e guardano Shakespeare! Cioè!» Jules prese a gesticolare nervosamente, mentre Aneira rimaneva impassibile e afferrava il terzo muffin: «Io invece mi chiedo perché siete rispettivamente la terza e quarta persona a chiedermi cosa sia successo ieri, alludendo a qualcosa di sentimentale e sessuale tra me e Tom. Sul serio. Perché?»
«Ah, ci arriverai.» Eddie si limitò a picchiettarle amorevolmente la spalla con una mano, mentre Jules eruppe in uno sconsiderato e sconclusionato movimento delle mani accompagnato da un verso che trasudava insofferenza da tutte le parti. Poi afferrò la teglia e attraversò la porta della stanza, dando solo a Eddie la possibilità di rubare un ultimo muffin velocemente. Poi Eddie si voltò verso Aneira, che aveva inforcato nuovamente gli occhiali, e fece spallucce, cedendole il muffin: «Ne avrai più bisogno di me, è te che non capisce, stavolta.»
«E ancora non ne capisco il perché.»
«Nah, lo capisci. È solo che lo ignori perché non vorresti capirlo.» si limitò a pronunciare Eddie, sparendo dietro la porta chiusa della sua camera e ritornando in cucina. Mycroft nel frattempo si era posato con tutta la grazia possibile sul suo libro, rendendole impossibile continuare lo studio. Era stato così silenzioso che non se n’era neanche accorta. E senza libro da studiare avrebbe o potuto prendere il PC, o coccolare – come del resto lo pretendeva – Mycroft o pensare a quello che la nuova coppia d’oro le aveva riferito, ma l’ultima cosa l’avrebbe evitata volentieri.

Amava Heathrow. Se avesse dovuto scegliere tra tutti gli aeroporti del mondo, avrebbe scelto quello. Perché tendenzialmente era sempre l’aeroporto da cui partiva, quindi c’era l’eccitazione della partenza, la gioia... e poi era bello. E c’erano tante belle citazioni su Heathrow, e per un certo periodo in uno dei Terminal c’era pure un TARDIS. Insomma, non poteva non amare Heathrow: nelle giornate di pioggia, di sole, di neve, di tempesta. Era pur sempre il suo Heathrow.
Quella volta però non amava dover partire. Era contento di dover tornare a Toronto, ma non altrettanto contento di dover necessariamente lasciare Londra. E non solo perché c’erano i suoi amici lì... beh, sì. Contava Aneira come tale, quindi sì.
Avrebbe preferito rimanere a Toronto e non tornare proprio a Londra: lo stress di fare due voli transoceanici a distanza di un giorno e mezzo, la stanchezza, la gioia e sequenziale leggero sconforto di rivedere e lasciare tutti subito... col tempo si era abituato, però certe volte faceva più effetto. Gli stava già mancando Luke, ed era lì di fronte a lui in quel momento.
«Non so se stai per addormentarti o sei semplicemente pensieroso.»
Tom rise: «Potrei risponderti dicendo “Entrambi”, in realtà.»
«Oh, perfetto. Sai che tra un po’ dovresti attraversare i controlli, vero?»
Tom annuì, guardando i banchi di controllo, dove brulicava gente di tutte le nazionalità e destinata alle più svariate destinazioni.
«Il tuo essere taciturno mi sta preoccupando.»
«Sono solo stanco.»
«E ti manca Aneira. Rivederla per così poco tempo ti ha fatto desiderare di passare più tempo con lei, cosa ovviamente impossibile al momento. Sarebbe stato meglio non vederla proprio.» Luke diede voce chiaramente al pensiero – uno dei tanti, ma abbastanza principale in quel momento – nella sua testa, e ogni tanto si chiedeva come facesse ad essere così in sintonia con tutte le persone con cui lavorava. Si chiedeva sempre se fosse così solo con lui – dopotutto lo reputava suo amico, non solo suo agente – o con tutti i suoi clienti. Avrebbe dovuto chiedere agli altri, quando li avrebbe incontrati – perché sarebbe accaduto sicuramente, prima o poi – in futuro.
Ma Tom non rispose alla dichiarazione di Luke, allora lui suppose di avere ragione. Lo sapeva, dopotutto, lo conosceva molto bene.
«In realtà stavo pensando che mi mancavi già tu, ma penso che hai colto la situazione generale.»
«Tom, mi spiace deluderti, ma non sei proprio il mio tipo. Sentimentalmente parlando, intendo!» rispose subito dopo l’amico, e Tom rise, scuotendo la testa.
«Sono distrutto.»
Luke si guardò intorno, circospetto, e poi guardò attentamente l’altro: «Ah, intendi fisicamente. Beh, dormirai sull’aereo, no?»
«In che altro modo dovrei essere distrutto, scusa?»
«Niente, niente, lascia perdere. Ho sempre il terrore che prima o poi dovrò sorbirmi tue paturnie sentimentali simili a quelle di altre persone con cui lavoro...»
«Non chiederò nulla a riguardo. Non so e non voglio sapere chi siano tali persone...»
«Ecco, perché non posso dirtelo. Anche se tanto lo sai già.»
«Ovvio che lo so, l’ho pensato e sono anche certo di avere ragione!» rispose Tom, certo di sapere a cosa – e  soprattutto a chi – si riferisse Luke.
«Non ne avrei dubitato.» Luke alzò gli occhi sul cartellone delle partenze e poi guardò l’orologio, sospingendo con una mano l’amico «Beh, è ora di andare. Prima riesci a salire sull’aereo, prima puoi addormentarti.»
«Tu sì che sai come convincere le persone, Luke!»
«Lo so, caro!» ammise quello orgoglioso «Buon viaggio!»
L’ultima cosa che vide fu la mano di Tom che lo salutava con un leggero movimento del polso, e poi lui si immerse nel mucchio di persone che faceva la fila per i controlli.

 

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Capitolo 22
*** 21. The One With The Call For Back-Up And The Situation Awareness ***


Buonsalve! Ancora devastata dalla notte per i Golden Globe, vi saluto! Dunque, il banner è sempre stato fatto da _Lith_, lo stile del titolo è sempre ispirato a FRIENDS e la foto non è la mia assolutamente (Jessica stanotte era fantastica <3) ma è stata modificata da me. Buona lettura!








 
The Guy Who Turned Her Down

21. The One With The Call For Back-Up And The Situation Awareness



 
Non vedeva Jules che girava per casa da un bel po’: dopo Pasqua erano tornati normalmente ad essere lei, Laire, Elspeth ed Eddie. Si era decisamente abituata alla sua presenza lì, sebbene fosse un rinomato rompiballe non sarebbe stato lo stesso senza di lui – come non era lo stesso senza Tom, ma la presenza di Eddie alleviava quella “sofferenza”, dato che riusciva sempre, in un modo o nell’altro, a catturare la tua attenzione. Per la maggior parte delle volte facendola innervosire, ma le andava comunque bene così.
«Ehi, ‘Neira.» aveva aperto la porta della camera e si era piazzato sul lato di letto che normalmente occupava Tom quando rimaneva lì, e prese a carezzare la pancina di Mycroft, che se ne compiaceva beato.
«Ed.»
«Sei triste da giorni.»
«Non sono triste.»
«Okay, pensierosa.»
«Un po’...» rispose quella, non spostando lo sguardo dallo schermo del PC.
«Sei un po’ depressa se passi il tempo vedendo “Cloud Atlas”, dai. Per non parlare dei film di ieri...»
Aneira mise in pausa il film, stropicciandosi gli occhi e scivolando ancora più sotto le coperte.
«Non c’è niente di male nell’ammettere che provi qualcosa per lui, sai?» la incoraggiò Eddie, serio e per la prima volta si mostrava molto comprensivo.
«Non provo niente per nessuno.»
«Certo, e ti trovi nella tua corazza di ferro imperturbabile.» ribatté con un sopracciglio alzato il ragazzo, cingendole nonostante tutto le spalle con un braccio e tirandola a sé. Aneira non si oppose e per un po’ nascose la testa sotto al copriletto, tornandoci sopra solo quando Ed aveva fatto riprendere il film da dove lei si era fermata.
«Non voglio che tutti pensino ci sia una strana relazione sentimentale tra noi.»
«Ma c’è di fatto una strana relazione tra voi. Non puoi negarlo.»
Per quanto poté, Aneira accennò un movimento simile al fare spallucce, ma apparve molto strano, trovandosi stesa e limitata nei movimenti: accettò il conforto del coinquilino, per quanto non volesse in realtà dimostrare di aver bisogno di esser confortata.
«Oh, e comunque tifiamo per voi. Io e Jules perlomeno.»
Aneira gli rispose con un gesto stizzito della mano, come se volesse chiudere la discussione in quel momento, ma Eddie era sempre solito fare di testa sua: «E dai, non puoi non esserti accorta di come siete diversi tra di voi!»
E lei continuava a tacere e avere gli occhi fissi sullo schermo.
«Tu non vuoi sentire. E non capisco il perché. Si vede lontano un miglio che Tom ha una debolezza – chiamiamola così – per te... e tu, anche tu ci tieni a lui! Ma non fate nulla! O meglio, finora lui è quello che si è messo più in gioco, se proprio dobbiamo dirla tutta. Ed è lui, insomma.»
Aneira non diceva nulla ma lanciò un’occhiata a Eddie. Proprio non capiva.
«E dai, almeno mi merito una risposta!»
«Eddie, ma che cosa ti aspetti?! Tu e Jules state bene insieme, e siete costretti a chiudervi qui in casa. E quando ritornerai a lavorare e lei starà qui o altrove già per voi sarà difficile. Io non so dove sarò l’anno prossimo, Tom non sa dove sarà il mese prossimo probabilmente, cosa puoi pretendere in una situazione del genere?! È irrealistico e infattibile, e sbagliate a farmi pensare a ipotesi del genere. Potrete simpatizzare per un ipotetico e molto poco plausibile “noi”, ma non c’è, se non come coinquilini e come mamme di Mycroft che si vedranno una volta ogni tanto. Non c’è. Punto.» la voce le si incrinò leggermente alla fine, ma Eddie notò che era infastidita. Non era particolarmente triste, quanto contrariata da tutte quelle allusioni, consigli, esortazioni.
Al che non poté far altro che tacere, iniziare a guardare “Cloud Atlas” anche lui e tirarle un pizzico amichevole all’altezza della vita «Scusa.»
«Fa nulla.»


Aveva sottratto il telefono ad Aneira mentre quella era in bagno a farsi la doccia e si era piazzato sul suo letto a coccolare Mycroft. Poi prese il suo telefono e chiamò Jules: «Sto in università, sarà meglio che sia un buon motivo.»
«La migliore amica di Aneira si chiama Sev o Sevi?»
«Sevi, ma il soprannome è Sev. Perché?» chiese Jules, incuriosita.
«Non so come ce l’ha salvata sul cellulare...» Eddie scorreva i numeri in rubrica pigramente.
«Penso Sev. La chiama sempre così, assumo l’abbia salvata così. Beh, ora devo andare. Ci vediamo stasera?»
«Sì. Da me o da te?»
«Possiamo da te? Finisco tardi e ho una riunione...»
«D’accordo, a dopo!» chiuse la chiamata e fece partire l’altra chiamata dal telefono di Aneira, in attesa.
«‘Nei?»
«No, Eddie. Sei la migliore amica di Aneira, vero?»
«Chi diavolo sei tu?»
«Assumo di sì, dal forte dialetto del sud-ovest e dalla tua attitudine particolarmente accogliente!»
«Oh, tu sei l’amico rompiballe di Tom!» a differenza di Aneira, era facilmente individuabile da dove provenisse. Ogni tanto aveva degli scivoloni linguistici – in Cornovaglia parlavano davvero stranamente – ma tutto sommato era comprensibile. Aveva paura che quella Sevi invece iniziasse a parlare direttamente il dialetto loro e lì non ci avrebbe capito più nulla.
«Hai quest’accento insopportabile perché sei rimasta da quelle parti?»
«Sei davvero una spina nel fianco, allora!»
«Già, me l’aveva detto. Comunque non ho tempo da perdere: quando sei libera?»
«Scusami?»
«Non penso che Aneira stia tanto bene. Non so se sai che io, Lara e Jules le abbiamo un po’ rotto l’anima con la faccenda di Tom...»
«Che cosa avete combinato?»
«Nulla!» il tono del rosso era troppo acuto per non essere in minima parte colpevole «Semplicemente penso abbia bisogno di una persona cara accanto. È tornata a casa per solo tre giorni a Pasqua e poi è subito ricorsa qui... e non c’era neanche nessuno ad aspettarla. Non ho idea del perché, ma è un po’ giù, ecco.»
«Avete avuto una discussione.» doveva mentirle? No, probabilmente se si fossero visti dal vivo poi l’avrebbe picchiato e non sarebbe stato piacevole per lui.
«Ehm, più o meno. Diciamo che sono stato particolarmente insistente... però poi le ho offerto conforto! Allora, quando sei libera?»
«La prima Bank Holiday di Maggio. Immagino debba sentirmi con te per tutto, non le hai detto nulla, visto che mi hai chiamato dal suo telefono?»
«Ti mando il mio numero di telefono dal telefono di Aneira. Grazie mille!»
«Sei davvero una spina nel fianco.»
«E tu sei davvero troppo schietta.»
«Ed è un male? Ci sentiamo.»
«Cheerio!» salutò il rosso, con un sorriso sbeffeggiante sul viso.
«Dannato Redmayne.» fu l’ultima cosa che Eddie udì prima di chiudere la chiamata: e subito dopo scrisse il suo numero sulla chat di Whatsapp, lo inviò a Sevi – tramite quell’applicazione sarebbe stato tutto più facile, visto che era l’ultima chat attiva quella della tipa – e poi cancellò tutte le prove di quella telefonata.
Allora uscì dalla camera di Aneira – Mycroft lo guardava ancora sospettoso, aveva capito che c’era qualcosa di strano – e afferrò il suo telefono, componendo un numero che ormai, purtroppo, vedeva tutti i giorni: «Lara? Ti aspetto per il tè alle sei da Primrose Bakery, dobbiamo parlare.»
Non le diede neanche il tempo di chiedergli il perché, che chiuse l’ulteriore telefonata e andò a occupare la sua stanza preferita della casa.


«Sei altrove.» Jessica si piazzò comodamente – per quanto il vestito lo permettesse – seduta alla sua destra, picchiettandogli una spalla con la punta dell’indice.
«Hai fatto un’affermazione, non saprei come controbattere.» rispose Tom, notando che il picchiettare dell’amica non si fermava.
«Oh, non hai recepito la mia domanda telepatica accessoria a quella dichiarazione?»
Tom scosse la testa, sorridendo: talvolta Jess sapeva essere contemporaneamente dolce e tenera, ma anche assurda. Gli ricordava in parte qualcuno, sebbene la rossa fosse molto più posata.
«No, mi dispiace.»
«Allora sei davvero concentrato a macchinare profondamente con il cervello. Che c’è, Hiddleston?» chiese direttamente quella, posando entrambi i gomiti sulle ginocchia e il mento sulle mani.
«Sai quando pensi troppo a qualcosa... e non dovresti pensarci troppo?»
La donna annuì così vigorosamente che parrucca e cappello di mossero con la sua testa, rischiando di cadere «Sta’ attenta con quella roba!» la redarguì, indicandoli con un cenno del capo.
«Non ne vuoi proprio parlare se ti fermi per guardare il mio cappello, eh? Non preoccuparti, se crolla tutto qualcuno lo sistemerà. Allora? Sì, conosco quella sensazione.»
«E più non vuoi pensarci più ritorna sempre nei tuoi pensieri.»
«Sì, funziona più o meno così... è logico. Tom, perché ti stai facendo tutti questi problemi?» lo guardò negli occhi, e in quel momento Tom seppe che lei sapeva. Non ne avevano mai parlato, era abbastanza improbabile che Luke o Eddie o Lara le avessero riferito qualcosa, perché si conoscevano probabilmente solo di nome – a parte Luke, ovviamente.
«Ti conosco abbastanza bene, sebbene ti veda poche volte l’anno, Hiddleston.» rispose la rossa, dandogli un buffetto sulla guancia smunta «Allora?»
«...Non lo so. Non dovrei proprio pensarci.»
«Ma perché?» chiese Jessica, incuriosita.
«Perché non so neanche cosa prova lei a riguardo.»
«Oh, se è solo quello il problema, lei sembra molto interessata anche da chilometri e oceani di distanza, Hiddleston!» ribatté la rossa, lanciandogli un’occhiata che in realtà diceva chiaramente “Non prendermi per i fondelli” «Smettila di dire cavolate, e continua con le altre cose che ti tormentano. Non sono scema, lo sai?»
«Jess, sono dieci anni di età, e due mondi diversi. Completamente. Io non ho una casa fissa e sono praticamente un nomade, ed essendo due mondi diversi potrebbe diventare anche lei una nomade ma in altri posti. È praticamente impossibile.»
«Dovevate pensarci prima di adottare un gatto insieme, genio.» lo riprese la rossa, posandogli poi una mano sul ginocchio, nondimeno comprensiva.
«E non sto neanche pensando a Mycroft. Come funziona, affidamento congiunto?» Tom si passò una mano sulla fronte, ricordandosi subito dopo del trucco e imprecando di conseguenza.
Jessica ridacchiò per la scenetta, ma poi gli sorrise: «Credo proprio che Mycroft lo terrà lei. Sebbene tu sia la mamma più apprensiva.»
«Per via del fatto che non posso portarmi un gatto ovunque in giro per il mondo.»
«E neanche una fidanzata come se fosse una borsetta, no.»
«Appunto.» terminò lui, sbuffando profondamente.
«Però... esistono le storie a distanza. Insomma, non è che tu reciti sempre dall’altra parte del mondo. E so per esperienza che una storia a distanza non è troppo brutta. Insomma, con Gianluca riusciamo a giostrarci abbastanza bene, anche su due continenti. Non ti sei mica innamorato di una persona che vive in Australia, suddai!»
«Non tieni conto dei dieci anni di differenza.»
«Penso siano undici. E comunque non credo che tu sia in modalità “Mettiamo su famiglia e sforniamo una squadra di calcetto”, sei un demente che fa la bella vita di un venticinquenne e lei non sembra una stupida ragazzetta di vent’anni.»
«Grazie per le gentili parole, ed è più vecchia di vent’anni, fortunatamente. Mi sarei sentito pedofilo, sennò.»
«Ma è vero, sei un demente. Ti voglio bene, ma hai diversi tratti demenziali, o comunque non hai le aspettative che generalmente ha la gente della tua età. E poi, sinceramente, dove la trovi una che si fa le maratone di Shakespeare di sua spontanea volontà? Non l’hai neanche dovuta costringere. L’avrebbe fatta anche da sola. Se sapesse dei pentametri giambici non rimarrebbe neanche sconvolta, magari.»
Tom rise: «Non so neanche perché ho ammesso quella cosa davanti a un microfono.»
«Eri molto probabilmente diventato un adorabile nerd che non riusciva a tenere la bocca chiusa in quel momento, perché ti stavano chiedendo qualcosa su cui tu fangirli come una quindicenne.» fece per scompigliargli i capelli – o meglio, la parrucca – ma ricevette un’occhiata omicida bella e buona da parte di una truccatrice, allora fermò a mezz’aria la mano. Dopotutto non aveva tutti i torti, avrebbe distrutto tutto il lavoro di quella mattina.
«È comunque qualcosa per cui non andarne particolarmente fieri, ecco.»
«Ma piantala, magari lei parla in Alto Valiryano o Elfico! Mi aspetterei anche qualcosa sul runico! In camera sua c’è la scritta del “Signore degli Anelli”. In lingua originale
Tom ridacchiò, scuotendo la testa: Jessica aveva ragione, probabilmente.
«Non sei contento? Hai fatto jackpot. Non troverai mai qualcuno così malato, simile ai tuoi livelli. E no, parlo di quelli che i microfoni non conoscono.»
«Non è molto alta l’opinione che hai di me, eh, Jess?»
«Al contrario, Tom. Ti voglio bene nonostante la tua pazzia. E poi non sono necessariamente qualità negative, tienilo bene a mente. E ora torniamo a lavorare, su!» si alzò in piedi e porse la mano libera dall’ombrello all’uomo, che la afferrò e si tirò su subito dopo.
«Muoviti Hiddleston, e smettila di frignare.»
«Va bene, va bene, milady.» aveva risposto lui, seguendola.


Eddie era arrivato alla Primrose Bakery in anticipo, e aspettava seduto a un tavolino da un rosa particolarmente femmineo. Quando Lara entrò nel locale lo individuò subito nel suo cardigan beige e spessi occhiali quadrati – avrebbe aggiunto da nerd, ma probabilmente lui l’avrebbe presa a male parole – e non poté nascondere una risata: «Ti sei dato alla pasticceria, Redmayne?»
«Vuoi aggiungere qualcosa anche sulla mia poca virilità, magari?» rispose quello, alzando un sopracciglio.
«No, no, certo. Allora, perché ci stiamo vedendo qui e non a casa?»
«Diciamo che non voglio farmi sentire da ‘Nei.»
«E per l’“Operazione Neto”?!» esclamò Lara, con gli occhi che le brillavano.
«Sì... temo debba finire.»
«Ma anche tu li trovi perfetti insieme!»
«Se vogliono faranno da soli.» spiegò Eddie, fermo.
«Ma dai, sai quanti problemi si fa Tom, e non inizio nemmeno a parlare di Aneira...»
«Non sta bene. Le dà fastidio, e non la biasimo nemmeno. Lei è realistica e... ha ragione. Anche a me piacerebbero insieme, ma hanno le loro vite. E non è detto che convergano. E mi dispiace che lei ci debba stare male, quando l’obiettivo della tua missione è teoricamente quello di far stare loro meglio insieme, non peggio da soli
Lara sbuffò sonoramente, ordinando un caffè nero, mentre guardava di sottecchi Eddie che terminava il suo red velvet cupcake.
«Quindi devo smettere di vederla?»
«Ovviamente no!» ribatté Eddie, ridacchiando «Vieni a trovarci quando vuoi, solo sospendi l’Operazione. Non devi mica allontanarti da Aneira!»
«Oh, menomale! Anche se continuo a vederli bene insieme.»
«Lara...»
«Sì, sì, ho capito, va bene! È sospesa, per ora. Vedremo che faranno loro.» ammise l’altra, guardandosi intorno.
«Bene, perfetto.»
Dopo un po’, Lara tornò a osservare Eddie, sorridendo soddisfatta. «Che c’è?» chiese lui, perplesso.
«Ci tieni davvero a lei. Sei amico di Tom, ma ci tieni a lei.»
Quello roteò gli occhi, sorseggiò un po’ del suo cappuccino e tornò a guardare l’altra: «Siamo amici, ma non dire che te l’ho detto.»
«Non sia mai che dichiariate il vostro affetto pubblicamente!» terminò Lara, alzando gli occhi al cielo e dando un buffetto al rosso, che in quel café dai colori di un marshmellow sembrava esser tornato bambino.

 

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Capitolo 23
*** 22. The One With The Surprise Arrival And Her Best Friend’s Sassitude ***


Bonjour bonjour! Buon Blue Monday a tutti! Dunque, il banner è sempre stato fatto da _Lith_, lo stile del titolo è sempre ispirato a FRIENDS e la foto non è la mia assolutamente, ma è stata modificata da me. Buona lettura!








 
The Guy Who Turned Her Down


22. The One With The Surprise Arrival And Her Best Friend’s Sassitude



“Lo sai che non sarò qui questi giorni, solo ora per venirti a prendere alla stazione, vero? Parto domani per New York e poi non torno direttamente a Londra...”
“Così è anche meglio, Redmayne.”
“Se continui con questa gentilezza ti lascio a quattro stazioni di metro, Moyle. Non sono neanche troppe.”
Non ricevette risposta. Doveva assumere che probabilmente avrebbe voluto mandarlo a quel paese, ma non poteva perché sennò avrebbe dovuto attraversare la stazione – e anche quelle della metro – in valigia e avrebbe preferito avere un passaggio.
Non sapeva come spiegare ad Aneira che usciva a quell’ora e prendeva anche l’auto: gliel’aveva dovuto riferire perché non ricordava minimamente dove avesse parcheggiato e ci avrebbe messo troppo se avesse deciso di basarsi solo sui suoi ricordi, così aveva inventato la cavolata che avrebbe fatto un salto a casa sua per vedere se Hannah avesse ancora la sua roba lì.
“Il treno dice che farà cinque minuti di ritardo, sappilo.”
“Sarà stato bloccato da un gregge di pecore sulla strada per il Devon.”
“Vuoi proprio essere picchiato, eh, Redmayne?”
Gli piaceva davvero prendere in giro per le sue origini quella Sevi, molto più di Aneira. Probabilmente quella sera le avrebbe tormentate – anche perché voleva proprio conoscere questa tipa della quale aveva sentito parlare addirittura da Tom. E nemmeno lui la conosceva direttamente.
«‘Nei, sto uscendo. Tornando passo da Costa Coffee, vuoi qualcosa?»
«Mi porti un Iced Latte? Inizia a fare caldo» Aneira era seduta alla scrivania, e con una mano accarezzava Mycroft, mentre con l’altra sfogliava le pagine del manuale che stava studiando.
«Sono dodici gradi, dove lo senti il caldo?»
«Beh, qui al sole fa caldo!» ribatté quella, spostando lo sguardo dal libro al rosso che era piazzato oltre la porta della sua camera e la osservava.
«Di’ pure che hai solo voglia di qualcosa di freddo, Hier, non ti giudico mica!» rispose lui, risistemandosi gli occhiali e tirando su il cappuccio «Sei particolarmente nerd con gli occhiali da lettura e il pigiama di Darth Vader.»
«Ringraziamo Dio che non ne ho bisogno fuori, sennò girerei con la scritta nerd in fronte, secondo questa tua dichiarazione!»
«Ci vediamo dopo, lingualunga.» Eddie salutò con la mano e si diresse verso la porta di casa: era contento che si fosse ripresa, insomma, da quel che sapeva si stava sentendo ancora con Tom, ma Lara aveva abbassato la guardia e non era più in modalità “Operazione Neto”, quindi lui sarebbe tranquillamente potuto tornare a Bilbao senza l’ansia che Lara combinasse qualcosa. Certo, la vita da viaggiatore settimanale non era piacevole – soprattutto perché Portogallo–Gran Bretagna era fattibile, mettendoci anche New York un po’ meno... – ma volendo vedere Jules poteva solo fare così. E poi dopo sarebbe stato in seduta stabile a Londra, quindi non c’erano problemi: sarebbe potuto stare con lei e tenere d’occhio Aneira senza dover diventare il principale cliente – e finanziatore, con tutto quello che ci spendeva – della British Airways.
Quando arrivò alla stazione era più in ritardo di quanto sarebbe potuto esserlo il treno – sapeva di star per beccarsi una ramanzina o violenza fisica direttamente – ma avrebbe attribuito tutta la colpa al traffico giornaliero londinese.
“Come ti riconosco?”
“Sono all’inizio del binario 9, ritardatario!”
“Non posso arrivare ai binari senza biglietto. Non puoi attraversare i tornelli più vicini? Mi trovi a quelli del tuo gruppo di binari.”
Non ricevette risposta, ma si guardò intorno: sarebbe stato possibilissimo vederla arrivare da qualsiasi direzione, quindi era meglio tenere tutto d’occhio.
«Non sei tanto brillante se ti dico che sono al binario e tu guardi altrove.» il saluto della persona la cui voce aveva sentito fino a quel momento solo via telefono fu una leggera tirata d’orecchio, e quando si girò si ritrovò davanti – alla sua stessa altezza, ma che diavolo, non si aspettava una valchiria! – una tipa bionda sui vent’anni.
«In Cornovaglia vi annaffiano tutti i giorni?» fu la prima frase che le rivolse, ricevendo uno spintone leggero – doveva considerarlo leggero, visto che probabilmente se l’avesse spintonato sul serio lui sarebbe finito dall’altra parte della stazione «Eddie, comunque.» le porse la mano, che lei strinse con vigore – e probabilmente fece così appositamente.
«Sevi. Anche se è strano, ci siamo sentiti praticamente per una settimana e ci presentiamo solo oggi.»
«Benvenuta nel mondo degli adulti, allora, Sevi.»
La ragazza alzò un sopracciglio, seguendolo però lungo la stazione: «In che senso?»
«Beh, sai, per lavoro... sai quanta gente sentirai prima di presentartici dal vivo?» le rivolse un’occhiata, notando poi il borsone blu «Anche se ci riesci benissimo da sola...» glielo tolse di mano e lo mise in spalla, lasciandola interdetta «Beh, sono sempre un gentleman.»
«Oh, wow, allora non insulti solo, sei anche gentile!»
«Ovviamente!» rispose sogghignando il rosso. Uscì dalla stazione e proseguì in direzione dell’auto, che aprì a dieci metri di distanza con il telecomando.
«Bella macchina!» Sevi osservava la Jaguar rapita, non credendoci nemmeno per un secondo che fosse effettivamente sua.
«Se ti stai chiedendo se me la posso permettere, sì, me la potrei permettere, ma non è mia. L’ho fregata a Tom visto che per lui è inutile, dall’altra parte del mondo.»
«Sai che sei davvero simpatico, vero?»
«Riconosco una nota di sarcasmo nella tua frase.» lasciò la valigia nel portabagagli ed entrò dal lato del conducente.
«Anche quello è arrivato in Cornovaglia, assieme alla TV satellitare e la fibra ottica, Redmayne!»
Il rosso non voleva ridere, non voleva darle quella soddisfazione, ma dopo un po’ che si tratteneva dovette ridere, o sarebbe stato peggio. Si era già gonfiato come un palloncino rosso prima di scoppiare in una risata, e non era una cosa positiva.
Sevi alzò un sopracciglio, sorridendo soddisfatta, per poi riprendere a parlare: «Allora, visto che non è tua, me la fai provare, Redmayne?»
«Se succede qualcosa all’auto, Tom mi ammazza. Probabilmente vorrebbe ammazzare anche te, ma poi finirebbe per scusarsi perché la sua macchina ti ha torto un pelo delle sopracciglia. Però mi ucciderebbe, sì. Quindi no, Moyle. E comunque non sei abituata alle auto che ti sfrecciano a destra e a sinistra, al massimo alle mucche che ti attraversano la strada!» ribatté quello, guadagnandosi un’occhiataccia della sua passeggera.
«Potresti benissimo distruggere l’auto anche tu, Redmayne, non mi pare che tu abbia il permesso di Tom per usarla!»
«La mia è parcheggiata sotto casa mia, se è ancora intera.»
«Per via di Hannah?»
«Lo sai anche tu?!» il tono lievemente esasperato dimostrò che probabilmente quella non se la sarebbe aspettata.
«Lo sai che Aneira parla molto con me, vero?!»
«...Effettivamente. Quindi sai anche di Jules.»
«Ovviamente. Anche dei rumori per i quali Aneira ti avrebbe volentieri castrato e cacciato Jules fuori di casa. Però poi l’avete riconquistata con l’éclair au chocolat.»
«Dunque sei ben informata, mi fa piacere.» svoltò a sinistra, imprecando contro un motociclista «E comunque sono emotivamente legato alla mia Audi.»
«Come se ti trattassi male anche tu!»
«Beh, ma è quella che ho comprato col mio primo guadagno serio!» ribatté Eddie, in un tono lievemente lamentoso, ma anche orgoglioso.
«Che compera provincialotta, Redmayne, la prima auto figa non appena hai guadagnato più del solito! Con questa cosa vai a far parte della media dei contadini della Cornovaglia!»
Sevi ricevette un’occhiataccia, ma poi Eddie tornò a concentrarsi sulla strada. Quando ripresero a parlare non erano più tanto sul piede di battaglia: «Mi è dispiaciuto per Hannah. Nel senso, conoscendo Jules tifavo ovviamente per lei, ma non è stato un comportamento molto giusto. Però se era quello che provavi...»
«Ho detto tutto a tutte prima che succedesse qualcosa di fondamentale, eh!»
«Sì, so che hai aspettato di lasciarla per portartela a letto, Red. Ma in generale, il fatto che tu l’abbia lasciata su due piedi... non deve esser stato per nulla piacevole per lei. Non dico che sia giustificata a spaccarti l’auto, soprattutto perché sei affettivamente legato a questa, ma potrebbe tenerlo in considerazione se continui a lasciargliela sotto il posto in cui vive.»
«Dispiace anche a me... non l’ho proprio vista arrivare.»
«Jules o questo tuo stato d’animo?» chiese Sevi, curiosa.
«Entrambi.» sorrise lui, ma non era un sorriso contento «Però ora sto bene, mi dispiace solo che non possa essere lo stesso per lei. Ma se avessimo continuato non sarebbe stato giusto comunque.»
«Probabilmente sì.»
Come erano arrivati ad essere in vena di confidenze, se si conoscevano da appena una settimana? Non si questionò ulteriormente, ma riprese a parlare: «E tu, come sei amica di Aneira?»
«Ad onor del vero, sarei io a dovertelo chiedere.»
«Sì, sì, tu la conosci da più tempo... ma lo sai come sono suo amico, te l’avrà raccontato lei!»
«Ed è vero anche questo.» ammise la ragazza alla sua sinistra, giocherellando con alcuni ricci dei capelli «Andavamo a scuola insieme, stessa classe fino ai sedici anni. Poi dopo i GCSE abbiamo scelto indirizzi diversi... ma in realtà ci siamo avvicinate tanto solo dopo. Abbiamo entrambe continuato con i livelli AS e A, però studi diversi... ma lì nella nostra scuola. Ci siamo riavvicinate dopo perché una mia amica e una sua amica erano diventate particolarmente amiche nel loro corso di studi e ci siamo ritrovate a uscire sempre insieme. Poi quando loro due son partite abbiamo trascorso l’estate praticamente insieme... e insomma, siamo diventate unite. Non so nemmeno precisamente quando e come, sarebbe potuto essere anche prima, ma comunque, negli ultimi anni.»
«Anche io e Tom andavamo a scuola insieme, stessa classe fino all’università, poi eravamo in college diversi. Però poi nel gruppo di teatro...»
«E siete ancora amici nonostante il vostro lavoro vi spedisca ovunque?»
Eddie fece spallucce: «Beh, sì. Certe cose rimangono sempre, tipo Wimbledon da vedere insieme.» notò l’occhiata che Sevi gli lanciò, tra l’incuriosito il nervoso «Che c’è?»
«Voi dal vivo, noi dal divano di casa mia.»
«Oh!... Oh. Seguite il tennis insieme?» Eddie strabuzzò gli occhi e distolse lo sguardo dalla strada, ritornandovi subito dopo a prestarci attenzione.
«Sì, quando siamo insieme sì. Non lo sapevi?»
«No! Però non ne abbiamo ancora parlato in sua presenza, probabilmente.»
«E poi se vede qualcosa è chiusa in camera a seguirla sul PC e urlare contro i tennisti, i commentatori e gli arbitri.» ridacchiò la ragazza, scuotendo la testa.
«Allora quando la sento urlare non si sta arrabbiando con qualcuno, ma con la partita!»
«Probabilmente sì.» confermò Sevi, osservandosi intorno: conosceva Londra, probabilmente era l’ennesima volta che la vedeva e la quinta – o sesta? Non lo ricordava – che andava a trovare Aneira, ma era sempre così spettacolare che si chiedeva come fosse possibile concentrarsi e studiare lì. Insomma, alla Falmouth era tutto più facile, a misura d’uomo. Lì di gigante, probabilmente.
«A cosa pensi?»
«Come diavolo fa la gente a studiare qui?» le uscì dalla bocca prima che Eddie poté finire la sua domanda, ma lui inaspettatamente annuì vigorosamente: «Non ne ho la più pallida idea! Il me ventenne sarebbe stato sempre in giro!»
«Dove ti sei laureato?»
«Trinity College.» rispose semplicemente lui, parcheggiando l’auto al posto dov’era prima che la prendesse, ancora miracolosamente libero.
«Dublino?»
«No, quello di Cambridge. Come avrei potuto essere collega di università di Tom se fosse stato quello di Dublino? Lui Pembroke, io Trinity.»
«Siete dei fottutissimi laureati di Cambridge!» e per quel motivo, Eddie si beccò una spinta – leggermente più forte della precedente, e che sentì più dell’altra, trasportando il borsone verso casa.
«Avresti potuto iscriverti anche tu, eh!»
«Non navigo ancora nei soldi, Redmayne!» ribatté insolente quella, seguendolo «E comunque la spinta non era per sottolineare che fossi un privilegiato, riccone. Solo per lo choc.»
«Sei impertinente, sai? E comunque, non te l’ha detto Aneira?» infilò le chiavi nella toppa del portone e si diresse a controllare la posta, prendendo dalla cassetta un involucro per poi richiuderla.
«Non passiamo il nostro tempo a parlare della vostra educazione, sai!» rispose quella, seguendolo nell’ascensore.
«Ora sta’ zitta, così le facciamo la sorpresa.»
Sevi avrebbe voluto ribattere che non seguiva i suoi ordini, ma Eddie stava girando la chiave nella toppa ed effettivamente aveva ragione. Lo seguì lungo il corridoio – sperando vivamente di non perdersi, data la sua lunghezza – e attese che dicesse qualcosa.
«Diamine, ‘Nei, mi sono dimenticato il tuo Iced Latte!» esordì il ragazzo, avvicinandosi alla camera della ragazza e ricevendo un’occhiataccia che sembrava volerlo morto «Ti va bene se ti ho portato qualcuno al posto di quello?» prese per un polso Sevi e la trascinò vicino alla porta, e Aneira boccheggiò «Sev?»
«Ti sembro qualcun altro, scusa?!» rispose allora l’amica, accogliendola in un abbraccio non appena vide la corsa che aveva fatto per raggiungerla – e probabilmente saltarle addosso.
«Ma voi neanche vi conoscete!» ribatté Aneira, spostando lo sguardo da Sevi a Eddie e viceversa.
«Eddie ha visto che eri giù, ha rubato il mio numero dalla tua rubrica e mi ha chiamato.» spiegò direttamente Sevi, ma Aneira era già saltata al collo di Eddie, stritolandolo.
«Mi fa piacere che tu sia contenta, ma se lo dimostri uccidendomi non penso possa farmi davvero piacere...» Aneira si staccò dal ragazzo per rivolgergli un’occhiata, ma poi lo riabbracciò «Ahio! E poi le dimostrazioni di affetto da parte tua mi inquietano, Thorneira
Aneira abbracciò entrambi e poi li lasciò andare contemporaneamente, mentre Mycroft camminava tra una gamba e l’altra dei presenti.
«Ma è Mycroft! È piccolissimo!» Sevi si piegò per coccolare il gattino e poi lo prese in braccio – e lui non parve assolutamente lamentarsi.
«Io ho comunque davvero dimenticato di passare da Costa Coffee. Ci andiamo?» chiese Eddie, con le mani in tasca e la giacca ancora addosso.
«Scusa, Ed, ma penso che ce la porterò tra un po’. Se sei bisognoso di compagnia possiamo passare la serata insieme dopo.»
«Ingrata.» rispose quello, prendendo le chiavi di casa dal tavolo.
«Ma non è vero!» Aneira corse di nuovo ad abbracciarlo – o meglio, racchiuderlo in una morsa semi-mortale da dietro – «È solo che preferisco passare un po’ di tempo sola con lei, ora. Ci vediamo dopo, tanto!»
«Sì, sì. Scendo a prendermelo da solo il cappuccino, comunque.» le rivolse un’occhiata, sorrise e scosse il capo «Buon pomeriggio!»
«Non soffocarti col cappuccino, privilegiato
«E tu con la tua stessa saliva, campagnola!» ribatté Eddie, prima di chiudersi dietro la porta di casa.
«È proprio scoccato l’amore fra voi due, eh?»
«Allora sei tu che l’hai reso così sarcastico! È da quando abbiamo iniziato a parlare che mi prende in giro per le nostre origini.»
«Gli dai troppo credito tu, lascialo parlare, spesso lo fa per dare aria alla bocca!» spiegò l’amica, portando il borsone dentro la sua stanza, mentre Sevi si sistemava sul letto coccolando Mycroft.
«L’affetto che provi per lui traspare sempre dalle tue parole.» dichiarò altrettanto sarcasticamente Sevi, e Aneira ridacchiò: «Se prometti di non fare la spia ti potrei anche dire che sotto sotto gli voglio bene. Però molto in fondo, e non quando ha i suoi comportamenti più odiabili!»
«Oh, l’avrei immaginato.»
Se avessero cominciato con le confidenze in quel momento, probabilmente non avrebbero più messo il naso fuori di casa: ma non se n’erano nemmeno rese conto e, tra gatti e valigie, erano finite a parlare a lungo, dimenticandosi del Costa Coffee dietro l’angolo.



Spero vi piaccia nonostante l'assenza di Tom e la quasi-totale assenza di Aneira XD ma dovevate vedere questi due in azione!

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Capitolo 24
*** 23.The One With The Talk, The Frozen’s Songs And The Booooring Night ***


Buongiorno! Dunque, il banner è sempre stato fatto da _Lith_, lo stile del titolo è sempre ispirato a FRIENDS e la foto non è la mia assolutamente, ma è stata modificata da me. Buona lettura!







 
The Guy Who Turned Her Down

23.The One With The Talk, The Frozen’s Songs And The Booooring Night

Aneira e Sevi cenarono a casa e poi tornarono in camera con Mycroft, dopo esser state un po’ con Laire ed Elspeth per il tè della buonanotte – per le due coinquiline, almeno. Eddie non era ancora tornato, ma non se ne erano preoccupate: erano più che certe che quando sarebbe tornato da casa di Jules sarebbe finito in camera di Aneira per dar loro fastidio, quindi non è che aspettassero proprio con particolare ansia quel momento.
Sevi stava coccolando Mycroft – che aveva scoperto in lei un’altra persona preferita, dopo la lista infinita che partiva con Aneira e Tom, per passare per Eddie, Luke, Laire, Elspeth e Jules per poi terminare con Lara – e doveva riuscirci proprio bene, visto che il gattino era steso beatamente sul letto, con le zampe anteriori stiracchiate lungo la testa e quelle posteriori rilassate verso il basso insieme alla coda: con gli occhietti chiusi si prendeva tutte le coccole, facendo tante fusa e miagolando di tanto in tanto.
Aneira passò dalla scrivania al letto con il resto della tazza fumante – ancora per poco – di tè e si raggomitolò su se stessa, osservando l’ebete Mycroft che si prendeva le coccole: anche quando lo coccolava Tom e lui reagiva così si divertiva a guardarlo, era così scricciolo e beato!
«‘Nei...»
«Mh?»
«Eddie mi ha chiamata per un motivo, sebbene sia stata subito pronta a partire alla prima Bank Holiday disponibile e mi faccia sempre piacere tornare qui.»
«Sì, so che è per quel motivo.»
«Ti interessa elaborarlo meglio?»
«Preferirei di no, perché ammetterlo a qualcuno lo rende reale.»
«Non sono “qualcuno” e lo sai che se sei a questo punto è già abbastanza reale. Se se ne accorge qualcuno che, per quanto abbia vissuto un po’ di mesi con te, è una persona conosciuta da poco...»
«Potrei o non potrei avere sentimenti per Tom. E questo mi spaventa da morire.»
«Sorvoliamo questa tua frase ipotetica e diamo per scontato che provi qualcosa per Tom.»
«Devo proprio ammetterlo?»
«Oh, dai, lo sa anche Mycroft!» esclamò Sevi, interrompendo le coccole al suddetto gatto, che aprì gli occhi per guardarla sonnacchioso – e anche lievemente disturbato: Come si era permessa quell’umana di interrompere le sue coccole?
«Tengo a Tom più di quanto possa tenere a un coinquilino o a un amico. Questa è la verità più vera, l’ho ammessa, e comunque ne sono spaventata.»
«Okay. Perché?»
«Non me lo stai chiedendo sul serio, vero?»
«Io lo immagino, ‘Nei, ma sei tu a doverlo ammettere.» spiegò chiaramente Sevi, grattando la testolina di Mycroft.
«Non mi accrediterai questa come prima seduta, vero?» scherzò Aneira, sorridendo.
«Non posso trattare gli amici, stupida!»
«Sì, lo so, ma è sempre divertente fare battute a riguardo.» rispose l’altra, sospirando profondamente «Comunque perché non ho voglia di mettermi in gioco, penso.»
«In che senso? Cioè, non vuoi proprio sapere cosa ne pensi lui a riguardo?»
«È meglio se non lo so. Non sapendolo, ipotizzandolo soltanto, non ne ho la certezza. E non avendone la certezza posso vivere tranquillamente sapendo di non aver perso nessuna opportunità. Perché, parliamoci chiaro, quante opportunità avremmo di sopravvivere?»
«Perché dobbiamo tirare fuori delle statistiche?»
«Dai, differenza di età elevata, appartenere a due mondi, o ancora meglio, vite con ritmi completamente diversi, essere per la maggior parte del tempo uno in un posto diverso dall’altro. Non c’è solo l’amore o quelle cazzate là, lo sai anche tu.»
«“Eeeh, la distanza!” direbbe qualcuno!»
«Non citare quell’idiota, per favore!» l’espressione schifata di Aneira la disse lunga su come la pensasse a riguardo, sebbene avesse più motivi Sevi di detestare quella frase che lei stessa. Ma tendenzialmente si detestano determinati ragazzi idioti in gruppo, per solidarietà femminile amicale «E poi mi ci vedi a dover presenziare a delle premiere proprio come fidanzata, magari perché quella è una delle poche volte che potrei vederlo? E poi, ha undici anni in più, diamine! È praticamente vecchio!»
«Non sembrava esser stata tenuta tanto in considerazione l’età, quando hai stabilito che provi qualcosa per lui.»
«Perché di quella si tiene conto solo quando si inizia a parlare di ipotetiche relazioni, assieme alla distanza e tutta l’altra roba simpatica.» rispose Aneira, passandosi una mano tra i capelli per poi prendere un altro sorso di tè «Insomma, ovunque sarò l’anno prossimo lui dovrebbe raggiungermi spesso. Potrei anche io, ma non pensò avrò la disponibilità economica di prenotare voli intercontinentali due giorni prima di partire, quindi sarebbe sempre lui a raggiungermi, e alla lunga peserebbe. Assieme all’età e alla distanza.»
«Possiamo cercare di non pensare a tutti i possibili scenari apocalittici con i quali potrebbe finire la vostra molto ipotetica relazione le cui basi ancora sono incerte? Non credi di star correndo un po’ troppo? Non pensi che potrebbe andare tutto bene, o perlomeno, non così male?»
«Per un po’ potrebbe essere tutto rose e fiori. Poi partirebbero le litigate, che ci sono sempre. E poi? Cos’è più facile fare, a chilometri di distanza? Preferirei risparmiarmi tanta sofferenza.»
«Stai considerando solo gli aspetti negativi di questa ipotetica relazione, senza nemmeno dare una chance a quelli positivi. E quelli positivi già li conosci, da quello che mi ha raccontato Eddie – e che mi hai raccontato anche tu, senza definirli romanticamente!»
«Sev, lo sai che non sono una persona romantica. Se dovessimo pensare agli aspetti positivi e romantici potremmo benissimo chiamare Millie e Alia, allora!»
«Io sto ragionando razionalmente come te: dopotutto sono pur sempre una terza parte, sei tu quella innamorata di lui, non io!» il fatto che l’avesse detto a voce alta anche Sev traumatizzò leggermente Aneira: che poi scosse la testa, come se fosse percorsa da brividi di disgusto «Che c’è?»
«È troppo strano.»
«Cosa?»
«Ammettere che mi possa essere innamorata di qualcuno di cui sarei potuta benissimo essere una fan girl in un’altra situazione, in un altro momento.»
«Oh, dai, è come se stessi vivendo in una fan fiction. Penso che in molte potrebbero invidiarti, sai.»
«E il solo pensiero mi disturba.»
«Non vuoi dare una chance a quel povero ragazzo per colpa di altre persone?»
«Il pover’uomo in questione non si è dichiarato e io non l’ho mandato a quel paese, quindi non c’è proprio nulla da commiserare...»
«Ma lo faresti se lo facesse.»
«Con delle buone ragioni.» ribatté, sicura di sé, Aneira.
«Ti precluderesti dell’ipotetica felicità, anche se dovesse durare per poco tempo, per paura della sofferenza, che comunque proveresti non provandoci nemmeno. Sei tu che studi economia, ma lo so anche io che è un comportamento economicamente sbagliato, sai?»
«Cosa c’entra, non sto scegliendo tra guadagno sicuro o ipotetico e perdita sicura o ipotetica! Starei scegliendo di non imbarcarmi in una relazione che alla fine mi farebbe comunque soffrire!»
«Ma la cui mancanza, auto inflittati, peraltro, ti farebbe comunque soffrire. Stai assolutamente scegliendo la perdita sicura al 100% di 80 sterline invece di quella ipotetica al 50% di 100 sterline.»
«Perché preferirei perdere sicuramente l’opportunità di stare con lui senza avere speranza piuttosto che illudermi di avere qualche speranza di far funzionare qualcosa e poi fallire miseramente e stare anche peggio, magari.» ammise infine Aneira, spossata.
«Ecco il punto, il fulcro. Abbiamo trovato quello che ti fa stare male. La paura!»
«Beh, a dirla tutta, quella settimana che ho fatto preoccupare Eddie ero solo particolarmente ameba. Sai, nel letto, mangiando biscotti e vedendo film deprimenti e discutibili, facendo poco e nulla. Ma era solo perché mi mancava, non pensavo alla paura.» rispose la diretta interessata, grattandosi il capo per poi coccolare il pancino di Mycroft.
«Beh, ma quella è alla base del tuo tormento, no?»
«Penso di sì, sì.»
Sevi smise di coccolare il micio, pensando alle parole giuste con cui esprimere al meglio il concetto: «Se voi doveste malauguratamente parlarne, un giorno... e vi trovaste sulla stessa linea d’onda, quindi sareste entrambi interessati l’uno all’altra e viceversa... in quel caso dovresti fare la scelta. Non ti sto assolutamente dicendo di buttarti tra le sue braccia, lungi da me – ma considera l’ipotesi. Perlomeno, nel caso in cui si presentasse la rara occasione in cui entrambi volete quasi le stesse cose e sareste disposti a farla funzionare, insomma. Non sto dicendo che è rose e fiori, ma è tremendamente raro trovare qualcuno con i tuoi stessi interessi o quasi, con delle abitudini simili o la volontà di cambiarle per te, insomma. Non potrebbe ricapitarti presto.»
«Parlandone e scegliendo di non provarci almeno conserverei per sempre il bel ricordo di quello che sarebbe potuto essere e del sentimento intatto e puro così com’era. Se invece ci provassimo e andasse male...»
«Sarebbe dura e brutta dopo, se dovesse finire. Ma almeno sarebbe la realtà. È meglio un ottimo ricordo o una realtà fatta di alti e bassi?» e quella era un’altra fatidica domanda che Sevi le aveva posto. Tendenzialmente avrebbe sempre detto la realtà, ma nella situazione surreale di lei e Tom probabilmente avrebbe preferito preservare un ricordo puro, ottimo, intatto di quel poco che c’era stato e quel tanto che ci sarebbe potuto essere ma che era stato evitato per non danneggiare ciò che c’era stato e non era stato detto in passato. Ma doveva ammetterlo anche lei che per il suo pragmatismo – o quello di un qualsiasi altro essere umano vivente sulla faccia della Terra – era un discorso abbastanza stupido e insensato.
Aneira sospirò profondamente, incrociando le braccia: in seguito alla mancanza di coccole da entrambe le ragazze, Mycroft scese dal letto e saltò prima sulla sedia e poi sulla scrivania, indignato.
«Lo sai che non mi sognerei mai di dirti di correre da lui per coronare il vostro sogno d’ammore o altre cose di questo genere, però è realisticamente un peccato buttare tutto all’aria per una paura, se dovesse presentarsi il caso di volersi bene e voler farla funzionare insieme. Insomma, sarebbe come... sarebbe ingiusto nei confronti di quelli che non hanno questa possibilità. C’è chi c’ha il pane e non ha i denti, ecco!» terminò Sev, lasciando cadere le spalle.
«Detta così sembra come se dovessi farlo per la comunità
«Sì, per giustizia nei confronti dei poveri sfortunati che non hanno occasioni del genere. E anche perché non ti farebbe poi tanto schifo, ecco, diciamocela tutta.» aggiunse infine Sevi, alzando un sopracciglio in un’espressione così comica che fece sinceramente scoppiare a ridere Aneira in una risata senza pensieri, di quelle che non faceva dall’ultima volta che aveva visto Tom, insomma.
«Oh, e comunque non te la sei cavata tanto male sul red carpet. In quelle poche foto in cui ci sei non sembri star uccidendo nessuno, non ho visto sguardi omicidi!» continuò l’amica, annuendo.
«Sono stata brava, eh?»
Il rumore della porta aperta l’avevano sentito già una ventina di secondi prima, ma solo in quel momento videro sbucare Eddie dalla porta della camera, mollare il cappotto in salotto e al volo per poi saltare sul letto, al centro tra Aneira e Sevi: «Vi sono mancato, eh?»
«Come la lebbra e la peste nera, Redmayne.»
«Anche tu, Moyle, anche tu. Allora? Avete parlato?» chiese subito dopo, posando il mento sulle mani chiuse a pugno, rimanendo steso ancora a pancia sotto per guardare in viso le due ragazze.
«Ma un pacco di fatti tuoi?» ribatté proprio Sevi, mentre il ragazzo si sistemava bene tra le due: «Va beh, non mi interessa, tanto me lo racconterà prima o poi Aneira. Vediamo un film? Non ho sonno anche se dovrei dormire visto che domani parto presto!»
«Non è una cattiva idea!» convenne Aneira, avvicinandosi il computer con le mani «L’unica cosa è che non saprei che proporvi.»
«Tom ha una caterva di film di là.» spiegò Eddie, indicando la – ormai – sua camera.
«Non guarderò niente in cui c’entri Shakespeare a quest’ora della notte.» dichiarò categoricamente Sevi, mentre Eddie sbuffava pesantemente.
«Ho Frozen sul computer, vi va bene a entrambi?»
«Sìììì!» aveva esclamato contenta Sevi, mentre Eddie aveva iniziato a cantare “Reindeers are better than people”.
«Aggiudicato!» aveva terminato Aneira, facendo partire il video, sistemandosi meglio – come gli altri – contro al muro utilizzandolo come se fosse una spalliera.


Considerare una camera d’hotel casa non era creduto generalmente normale, però in quei periodi diventava la regolarità e non era tanto sicuro che gli piacesse. A fine giornata avrebbe voluto condividere un momento di comunione con Aneira, Laire ed Elspeth – e magari anche Eddie, visto che ormai anche lui era di casa, prendendo il tè, invitando qualcuno a casa. Invece era completamente solo e in una camera di hotel.
Non avrebbe chiamato Eddie o Aneira, sapeva che Eddie aveva invitato Sevi da loro per qualche giorno, sebbene non sapesse il perché: ogni volta che aveva sentito Aneira sembrava stare bene, come al solito, insomma, e non sapeva il motivo di quell’inaspettata visita a sorpresa organizzata proprio da Eddie, poi. Ma avrebbe indagato. Alla peggio avrebbe chiesto a Lara, lei sapeva sempre tutto.
Accese la TV e iniziò a fare zapping, passando per la CTV, la CBC e addirittura Ici – e il suo francese era troppo rudimentale per poterci capire davvero qualcosa; si limitava a capire qualche parola qui e là e non era particolarmente piacevole. Era persino incappato in una replica dell’episodio di Reign di due giorni prima, e non è che fosse proprio così appassionato di quel tv show da rivedere la stessa puntata due giorni dopo. In realtà non l’aveva mai tenuto in considerazione, data la scarsa veridicità storica e il pubblico target, visibilmente e mediamente dieci anni più piccolo di lui – se non di più – però non c’era nient’altro di interessante in TV, oltre a quello e un documentario inquietante sulle bestie più pericolose e letali per l’uomo in Australia — quindi aveva optato per qualcosa in costume, che sicuramente non gli avrebbe fatto venire gli incubi di notte. Ma non poteva di certo riguardarlo due giorni dopo.
Doveva farsi una vita anche lì, decisamente. Che avevano fatto gli altri? Neanche lo sapeva.
Spense la TV, infilò la vestaglia – perché poi, da sotto era vestito per uscire – e si trascinò fino al piano inferiore, bussando infine al numero 1621.
«Buonasera, Hiddles. Qual buon vento ti porta qui?» chiese Jessica dopo avergli aperto la porta ed esser subito dopo tornata al suo posto sul suo letto, con il MacBook sulle gambe.
«Il vento della noia.» Tom si sedette al posto libero accanto a lei sempre sul letto, accendendo la TV e sbuffando rumorosamente.
«Lo sai che sono rimasta qui per videochiamare appositamente Gianluca, vero?»
«Quando vi sentite vado a nascondermi in bagno.»
«Ma lì non c’è la TV!»
«Giocherò al cellulare.»
«Tom, che diavolo hai? Di solito sei tu l’ottimista che tira su gli altri, non mi piace la versione pensierosa di te.»
«Non so perché Eddie abbia chiamato Sevi.» dichiarò lui, tamburellando le dita della sua mano sinistra sulla fronte, pensieroso.
«Lo sai che non so di cosa tu stia parlando, vero?»
«Eddie sta occupando la mia camera al momento e domani viene da questo lato dell’Oceano. A casa questo finesettimana c’è la prima Bank Holiday di Maggio... e ha chiamato Sevi di nascosto da Aneira, per Aneira. Ma io quando l’ho sentita stava bene. Perché ha dovuto chiamare i rinforzi se lei stava bene?»
«Forse non stava bene e non voleva preoccuparti?»
«Grazie Jess, tu sì che sai come tirare su di morale qualcuno!» rispose Tom, sorridendole, nonostante ci fosse una base di verità innervosita in quella frase.
La rossa fece spallucce, impossessandosi del telecomando: «È vero, solo così ha senso. Magari lei non era al top per qualcosa che riguarda te. Dopotutto non è che tu lo sia, da quando sei ritornato. Magari anche lei ha reagito così ed Eddie voleva stare tranquillo mentre era assente. Magari la sta solo tenendo d’occhio.»
«Mi dà fastidio che non possa farlo io, ecco tutto. Lui lo sa, ma non me l’ha detto.»
«Tom, Ed è tanto amico tuo quanto di Aneira. Magari è prima tuo amico che suo, certo, ma probabilmente è una situazione sottile nella quale tu c’entri... e magari sarebbe anche meglio per te non saperlo. Se si è comportato così, sicuramente non è stato per danneggiare qualcuno, né te né tantomeno Aneira.»
«Lo so, lo so...»
«E allora?! Dai, se questa Sevi è lì ed è la sua migliore amica la tirerà su di morale, qualsiasi cosa sia successo. E tra due settimane sarai a casa, quindi potrai tenerla d’occhio tu stesso.»
«Due settimane?»
«Riusciamo a terminare prima, non lo sapevi?»
Tom scosse la testa, spostando lo sguardo sulla TV. Però poi sentì la familiare suoneria di Skype, che li informava che finalmente Gianluca si era deciso a chiamare Jess, e quindi lui si sarebbe rintanato in bagno.
Jess gli lanciò un’occhiata e gli indicò il bagno con un cenno del capo, a cui lui rispose alzando gli occhi al cielo e seguendo quella direzione: Abbassò la tavoletta e il copri-water, chiuse la porta e ci si sedette sopra.
Sperò vivamente che la loro chiacchierata non durasse più di due ore, o non avrebbe saputo cosa diavolo fare e il suo telefono si sarebbe anche scaricato, considerando che la batteria era al quaranta per cento e lui aveva intenzione in quel momento di iniziare a leggere un file lungo diverse pagine che gli aveva spedito Luke.


Frozen era finito da diversi minuti e Aneira e Sevi si erano ritrovate a parlottare di una nemica – o più probabilmente infimamente stupida persona che entrambe conoscevano a St. Ives – in comune e allora Eddie aveva deciso di appropriarsi del computer della bionda alla ricerca di qualcosa.
Quando Aneira, tra una chiacchiera e l’altra, aveva notato che il ragazzo fosse alla ricerca spasmodica di qualcosa di preciso, portò entrambe le mani chiuse a pugno contro i fianchi e iniziò a guardarlo malamente «Cosa diavolo stai cercando?»
«Cose compromettenti. Visto che mi state estraniando dalla conversazione...»
«Noi non ti stiamo estraniando dalla conversazione...» iniziò Aneira, ma non ebbe il tempo di finire la frase che il ragazzo fece partire un video «Non ci credo, sei riuscito a trovare qualcosa...»
«C’era scritto “Jules Little Mix”, che diavolo è?» esclamò il ragazzo, preoccupato.
«Vedrai.» sogghignò Aneira, pronta a scoppiare a ridere da un momento all’altro «Cercavi qualcosa di compromettente che mi riguardasse, e invece...»
Dopo qualche secondo comparve nel video Jules, con i pantaloncini del pigiama, una felpa e delle ciabatte che cantava “Wings” delle suddette Little Mix e ballava liberamente.
«Perché Jules sta ancheggiando al ritmo di “Mama told me not to waste my life”?» fu la naturale domanda di Sevi, che osservava lievemente basita lo schermo del computer, mentre le due Aneire – sia quella del video che quella reale – morivano contemporaneamente dal ridere e Eddie non riusciva a proferire parola.
Al trentesimo secondo del video, Eddie si era però ripreso ed era scoppiato a ridere insieme alle due ragazze, indicando lo schermo e gridando: «La mia ragazza è la quinta Little Mix!»
«Se sa che l’hai visto mi ammazza!»
«Domani le farò ripetere quest’esatta scena in camera!» esclamò lui, continuando a indicare il computer e mantenendo con l’altra mano la pancia, ridendo ininterrottamente.
«Probabilmente mi scagionerà solo dire la verità: che mi hai rubato il computer sotto gli occhi.»
«Ti prego, dimmi che ci sono altri video di quando vivevate insieme!» aveva esclamato il ragazzo, mentre Sevi scuoteva la testa e Aneira cedeva: gli avrebbe fatto vedere tutto il repertorio musicale e danzante della casa dell’anno prima, e probabilmente alla fine il rosso ne sarebbe uscito sconvolto. Ma ne sarebbe valsa la pena per quella serata.

 

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Capitolo 25
*** 24. The One With The “That’s A Wrap!”, The Call And The Return ***


Buongiorno! Stavolta il capitolo l'ho controllato ieri notte per poterlo postare oggi! Spero vada bene (anche se rileggendolo non m'è piaciuto troppo). Dunque, il banner è sempre stato fatto da _Lith_, lo stile del titolo è sempre ispirato a FRIENDS e la foto è mia ed è stata modificata da me. Buona lettura!







 
The Guy Who Turned Her Down


24. The One With The “That’s A Wrap!”, The Call And The Return


Sevi era tornata a casa da giorni ed Eddie ancora non era ritornato da Bilbao, quindi le cose a casa erano normali: essendo solo lei, Laire ed Elspeth, erano tutte e tre in modalità “chiusone da esame*”, quindi passavano intere giornate a casa, molto spesso senza uscire né vedere anima viva. Ormai tornavano dall’università correndo a casa per studiare e poi spesso passavano la serata senza avere nemmeno la forza di leggere, dedicandosi a qualche stupida sitcom o telefilm non troppo impegnativi.
Essendo quasi sempre distrutte, trascorrevano i pochi attimi liberi insieme a bere il tè e chiacchierare, non riuscendo a occupare il cervello con qualcosa di più gravoso: e finivano o a mangiare di tutto e di più, o a mettere lo smalto insieme – che spesso veniva poi rovinato da Mycroft.
Aneira si stava sentendo con Tom come al suo solito, ma ora era molto più tranquilla: avrebbe preso le cose così come sarebbero venute, sebbene fosse ancora contraria a un’ipotetica relazione. Però, essendo molto impegnata con gli esami finali, non aveva davvero tanto tempo da perdere, quindi finiva sempre per dedicare al ragazzo quei venti minuti della loro telefonata giornaliera.
La cosa sorprendentemente strana era che, da quando Eddie era tornato a lavoro – e non era più in città – Luke veniva spesso a trovarla: non sempre, ma spesso. Quasi come se volesse tenerla d’occhio... e non ne capiva il perché. Da quel che sapeva, nemmeno gli stava tanto simpatica. Tom non ne era a conoscenza – e probabilmente non gliel’avrebbe mai detto – ma una volta l’aveva sentito fare commenti poco carini su di lei: qualcosa riguardo alla sua flaccidità – e voleva davvero capire cosa c’entrasse la sua simpatia o meno con il fatto che non fosse propriamente muscolosa... ma era pigra, lo era sempre stata! – e al fatto che non fosse nulla di che... e allora perché tornava sempre a visitarla? Cosa diamine voleva?
Ma la domanda che le sorgeva naturalmente e che lei stessa sopprimeva frequentemente era: che l’avesse mandato Tom a sorvegliarla? E poi, perché?
Fortunatamente portava spesso Lara con sé, quindi poteva anche intrattenere discussioni piacevoli e normali con qualcuno che non abitasse in quella casa: sebbene non vedesse l’ora che tornassero Eddie e Tom – per quest’ultimo avrebbe dovuto aspettare di più, ma almeno se ci fosse stato Eddie ci sarebbe stato qualcuno da prendere in giro, sgridare e con il quale battibeccare amichevolmente – era contenta di vedere Lara.
Non l’aveva vista spesso dopo i Lawrence Olivier, non sapeva se avesse fatto qualcosa di sbagliato che magari l’aveva fatta arrabbiare... sembrava solo essersi allontanata. Ma quando l’aveva rivista era tale e quale a prima, quindi probabilmente era semplicemente stata molto impegnata.
Anche quella sera, mentre sorseggiava il tè della buonanotte e coccolava un Mycroft che stanziava beato sulla sua pancia, godendosi le carezze, ronfando e facendo le fusa, suonò il citofono. Data la comoda posizione di Mycroft, solo indicando la porta a Laire quella capì che sarebbe dovuta andare a rispondere lei, e dopo quaranta secondi si ritrovò davanti Lara e Luke, – quasi – puntuali come al solito.
«Buonasera!» esclamò Lara, posando sul tavolo un vassoio di dolcini «Vengo da una festa, hanno ridistribuito il cibo rimasto e ho pensato di portarlo alle studentesse indaffarate. Ho fatto bene?»
«Posso amarti?» fu l’unica risposta di Laire, che tolse la carta che rivestiva il vassoio per servirsene subito.
«Mettiti in fila!» rispose Lara con un gesto della mano, mentre Luke si sedeva sull’altra poltrona e Lara lo seguiva sul divanetto. Aneira aveva ancora Mycroft addosso, quindi rimase immobile nella stessa posizione, mentre iniziava a parlare con i due ospiti, continuando comunque a coccolarlo.
«Allora, la vostra giornata è stata sempre la stessa?» chiese Lara, battendo le mani.
«Cosa vuoi fare in periodo d’esame, Lara?» ribatté Aneira, facendo spallucce.
«Che so, speravo foste uscite di casa per qualche minuto, almeno.»
«No, ormai ci siamo chiuse al mondo!» scherzò la ragazza, mentre Luke la osservava semi serio. E non riusciva a capirne il perché. Cosa diamine voleva sapere? Era serio per motivi personali? Cos’era successo? E perché era venuto a trovarla insieme a Lara, che almeno stava dimostrando di essere interessata – e soprattutto di essere una persona rispettabile che perlomeno faceva conversazione e si informava sulle persone che era venuta a trovare?
Luke guardava nervosamente il suo polso sinistro, era visibile dalle dita della mano destra che tamburellavano incessantemente sul ginocchio, e a distanza di quindici secondi controllava l’orologio, sempre.
«Luke, tutto bene?» chiese preoccupata Aneira. Non fosse stato per i commenti poco carini le sarebbe stato simpatico, ma comunque era strano vederlo così.
«Sì, sì, è solo che ho un appuntamento...»
«E sei in ritardo?»
«In realtà non lo so.» tirò un sospiro pesante, fermando la mano che ormai si moveva per conto proprio.
«Scusami, in che senso?» sbatté le palpebre Aneira, mentre Mycroft saltava giù dalle sue gambe per salire su quelle di Luke: solo in quel momento l’uomo si rilassò, iniziando a coccolare il gattino, che faceva le fusa tranquillo sulle sue gambe.
«Sto per incontrare un cliente particolarmente matto. Nel senso, fa parecchie sfuriate. In modo completamente random. Ogni volta ho il terrore che possa licenziarmi, anche senza motivo.»
«Per la tua salute psicofisica non sarebbe meglio licenziarti tu da lui?»
«Vallo a dire tu alla Public Eye.»
«Cederlo a qualcun altro?» propose Aneira, andando a mettere sul fuoco il bollitore «Qualcuno vuole del tè?»
«Non penso sia possibile, vuole proprio tormentare solo me.» Laire e Lara risposero positivamente alla domanda di Aneira, che aggiunse altra acqua al bollitore.
«E allora fa’ in modo di fargli un bel discorsetto. Non sei mica il suo schiavo.» terminò Aneira, preparando tazze, zucchero e cucchiaini.
«Dovrei... quando smetterà di avere così tanta influenza su di me.»
«Sembra proprio un comportamento da donna manipolatrice.» commentò Aneira dal fondo della cucina, mentre Luke spostava Mycroft sul bracciolo della poltrona e si alzava «Lo è, lo è. Beh, buona serata, ragazze!» strinse con una mano una spalla di Lara, di Laire e grattò la testa di Mycroft, il quale accettò la coccola beato. Poi passò accanto ad Aneira e le diede un buffetto sulla guancia, e questa volta lei non poté tacere: «Lo sai che non sono un gatto, vero?»
«Ci sei così simile che non posso non farlo. Buona serata!» terminò lui, e dopo qualche secondo udirono la porta di casa chiudersi.
Lara aveva occupato la poltrona sul cui bracciolo era pigramente steso Mycroft, che le saltò però addosso non appena si sedette lì: «Oh!»
«Che è successo?» chiese Aneira, voltandosi preoccupata non appena sentì le zampine del micino che atterravano da qualche parte. Poi notò lo sguardo tra il preoccupato e il curioso della donna e quello rilassato di Mycroft che la osservava e si decise a far loro una foto «Awww! Questa va dritta sul gruppo!»
«Rovinerai la mia reputazione da non amante degli animali.»
«Non dimenticare che Mycroft ha convertito Tom, che era un amante dei cani.»
«...Avrei dovuto arrendermi a questo micino molto prima, allora.» dichiarò Lara, coccolandogli la testolina con un solo dito. Sembrava avesse paura di fargli male, sebbene fosse intenzionata a non finirla lì con le coccole. E Mycroft non avrebbe mai voluto interromperle.
Per quella sera Lara sostituì Elspeth – che era uscita con Becks e altre ragazze – nel loro tè della buonanotte, coccolando per una buona dose di tempo il gattino: tra loro due era scoccato l’imprinting e quella non se ne poté staccare fin quando non fu costretta dovendosene andare. Non appena Aneira la accompagnò alla porta, richiudendola subito dopo, udì il telefono suonare: “E quindi ora il nostro gatto è di dominio pubblico, dimmi un po’?”
“Assolutamente no, Hiddles, però sai quanto sia coccoloso...”
“Ha conquistato persino Lara? Sul serio?!”
“Ovviamente. Come si fa a resistere a questo musetto adorabile?” era tornata nel suo letto e Mycroft era con lei, sul suo cuscino personale e con un’espressione adorabile: Aneira gli scattò una foto e la spedì a Tom, che le stava già scrivendo in risposta.
“È un cucciolino adorabile... non vedo l’ora di tornare a casa. Lo sai che mi mancate entrambi, no?”
Sì, lo sapeva decisamente. Perché anche a lei mancava lui, sebbene fosse molto più restia di Tom a confessarglielo.

Era andato a vedere la ripresa dell’ultima scena, e quando sentì il fatidico “abbiamo finito” tirò un sospiro di sollievo. Aveva sempre amato il Canada, ma la capitale della Madrepatria ormai lo chiamava a gran voce e lui non vedeva l’ora di lasciare i panni di Sir Thomas Sharpe e tornare finalmente a casa.
«So che al tuo interno stai ridacchiando felicemente, uomo.» Jessica, ancora in abiti da lavoro – se fosse stato possibile definire quel costume in tal modo, sebbene di fatto lo fosse – era apparsa da dietro picchiettandogli la spalla e alzando un sopracciglio, soddisfatta.
«Potrei, potrei.» rispose Tom, sorridendo in modo quasi sogghignante, e Jessica gli diede una leggera spallata.
«Sai, nessuno ti dice nulla se dovessi per esempio correre all’aeroporto ora, eh.»
«No, ho un bel po’ di tempo, posso passare la serata con voi prima di volare indietro.»
«Come fai a —
«Avevo le valigie pronte. Non fraintendermi, mi son trovato benissimo con tutti voi...»
«Ma vuoi tornare a casa dalla tua amata.» quando terminò la frase si beccò contemporaneamente l’espressione quasi tradita di Hiddleston e quella curiosona di alcune persone della crew attorno a loro «Oh, comunque seguo Aneira su Instagram.»
«Lo so. Me l’ha detto subito dopo che hai iniziato a stalkerarla.»
«Cosa?— Oh, che traditrice
«Mi chiedeva come mai fossi particolarmente interessata. Poi mi ha anche confessato che la seguivi. Era un po’ allarmata, a dirla tutta.»
«Sì, probabilmente trovarsi in poco tempo catapultata tra Luke, Lara ed Eddie non deve esser stato scevro di conseguenze.»
«Cosa intendi?»
«Beh, tutto questo interesse nei suoi confronti da parte di persone che prima di quel momento erano praticamente estranei – estranei famosi, ma pur sempre estranei – deve averla lasciata un po’ basita.»
«Penso che ora lei ed Eddie siano più amici di quanto lo siamo io e lui, forse. Ma effettivamente è solo Eddie, dato che mi ha sostituito come coinquilino, praticamente.»
«Quindi... ora che torni vai dritto nel letto di Aneira?» oramai le sopracciglia di Jessica avevano vita propria e il loro movimento convulso lasciava immaginare cose che in realtà non erano accadute: ma lui scosse la testa, alzando gli occhi al cielo.
«Penso proprio di sì, non ho intenzione di essere un cattivo ospite e cacciare dalla mia camera Redmayne, che si sta ancora barcamenando tra le gioie di una nuova relazione e i problemi di quella vecchia. Non so neanche se si è riappropriato della casa o meno... o della sua macchina. E sono più che certo di sapere quale sia quella che ha usato recentemente...» il sorriso che fece subito dopo era leggermente tirato: menomale che si fidava della sua guida, perlomeno.
«Oh, povero Hiddleston, ha dovuto lasciare la ragazza di cui è innamorato e la sua auto in balia di Redmayne. Chissà come si è comportato!»
«La smetteresti di prendermi in giro così ad alta voce? La gente ci guarda.»
«La gente sta ascoltando il discorso finale di Guillermo. Però ti do il beneficio del dubbio, qualcuno potrebbe davvero starci sentendo, qui intorno.» gli rispose immediatamente la rossa «E comunque come farai a gestire i tuoi sentimenti se il solo prenderti in giro ti fa arrossire e guardarti intorno? Insomma, glielo devi dire!»
«Jess!»
«Oh, dannatissimo Hiddleston!» gli tirò un pizzico – non del tutto leggero – all’altezza dei fianchi, nervosa «Sei un dannatissimo attore, quindi sei già andato contro tutte le probabilità, e pure egregiamente. Quindi vedi se le parli. O attraverso io lo stagno per parlarle per conto tuo!» e con quella che avrebbe potuto decisamente considerare una ramanzina – e lo era a tutti gli effetti, probabilmente – ritenne la conversazione chiusa, per il momento.


Non appena rimise piede in casa – finalmente, avrebbe aggiunto, se gliel’avessero chiesto – trovò il silenzio inquietante: era certo che Laire ed Elspeth stessero dormendo, dato che sicuramente la sera prima erano uscite, ma Eddie e Aneira erano soliti essere svegli a quell’ora. Trovò la porta della sua camera aperta e la stanza vuota: le coperte erano disfatte e in giro c’era anche la roba di Jules, quindi erano stati lì... ma che fine avevano fatto?
Scosse la testa, lasciò le valigie in camera e posò la giacca sulla sedia, iniziando a prendere le cose di cui avrebbe avuto bisogno – perché quando sarebbero tornati probabilmente non avrebbe avuto tutte queste possibilità.
Per curiosità passò dalla camera di Aneira – la cui porta era chiusa, quindi sarebbe potuta benissimo essere lì dentro a dormire – per controllare che fosse lì, ma trovò solo Mycroft che si gettò letteralmente ai suoi piedi e iniziò a camminargli tra le gambe per pretendere coccole.
«Cucciolo! Ti prometto che dopo avrai tutte le tue coccole...» non si dirigeva in cucina, quindi non aveva fame. Però lo seguì in bagno e non lo lasciava un minuto libero: si era quasi rassegnato a fare la doccia davanti al micio che non aveva intenzione di mollarlo neanche per cinque secondi, quando suonò il telefono.
Non avrebbe atteso che Laire o Elspeth si svegliassero, e dato che era già disponibile lui corse a rispondere: «Pronto?»
«Oh! Non c’è Aneira?»
«Temo sia uscita, sono Tom. Posso lasciarle un messaggio?»
«Sono la madre.» sembrava in imbarazzo... cosa doveva chiedere?
«Prego, mi dica!»
«Probabilmente dovrei parlarle direttamente, ma... so che hai in un certo senso influenza su di lei.» dove voleva andare a parare? «Tra una settimana è il suo compleanno, e cerco di convincerla a tornare a casa da giorni, ma non ne vuole sapere nulla. È il weekend tra le due settimane degli esami finali e non vuole proprio tornare...»
Perché diavolo Aneira non voleva tornare a casa? Sicuramente non sarebbe riuscito a convincerla, se era così sicura... però avrebbe potuto fare altro, effettivamente.
«Ma lascia perdere, ti sto chiedendo decisamente troppo.»
«No!» eruppe lui, forse troppo velocemente «Intendevo dire che no, non è un problema.» poi si preparò psicologicamente a quello che stava per dire e che gli era venuto in mente pochi secondi prima, quindi avrebbe dovuto sicuramente pensarci di più... ma non c’era tempo «Se vuole posso portargliela.»
«Come, scusa?» la voce della donna raggiunse un’ottava critica.
Tom cercò di rielaborare l’idea geniale – e malefica, ma solo in piccola parte – che aveva avuto poco prima: «Non credo di poterla riuscire a convincere, ma posso... rapirla. E portarla da voi.»
«Quindi portarla a St. Ives contro la sua volontà?»
«Beh, all’inizio non glielo dirò, ma poi penso capirà... soprattutto se lei ha già provato a convincerla, da tempo. Lei dovrà solo aspettarci lì!»
«Oh... Oh! È perfetto!»
«Ma si figuri, signora Hier...»
«Chiamami pure Nessa!» rispose quella, quasi inorridita dal fatto che lui le si fosse rivolto dandole del lei per tutto quel tempo «Allora è certo? Come ci teniamo in contatto?»
«Le scrivo per messaggio il mio numero. Arrivederci, Nessa!»
«Buona giornata, Tom!» aveva salutato la donna, e subito dopo ripose la cornetta del telefono al suo posto. Non sapeva chiaramente in che cosa si fosse imbarcato, ma avrebbe sicuramente conosciuto la sua famiglia. E non aveva ancora sbattuto ciglio a riguardo.


Quando era tornata dalla colazione fuori con Eddie e Jules si era resa conto del fatto che qualcosa fosse diverso dalla porta della sua camera aperta e Mycroft ancora al suo interno: si diresse immediatamente lì, liberandosi della giacca di pelle e lasciando la borsa a terra, prima di entrare in camera e rendersi davvero conto di cosa – o meglio, chi – ci fosse di diverso.
«Tom!» sospirò – e non avrebbe voluto farlo, però era già accertato che non rispondeva ai comandi del cervello in quelle situazioni. L’uomo dormiva con Mycroft sulla pancia – come al solito, del resto – ed era coperto dal suo piumino fiorato: non sapeva chi stesse ronfando di più tra i due.
Aneira scosse la testa e lasciò le sue cose al solito posto: poi si diresse verso la cucina, per preparargli un tè caldo – rigorosamente earl grey, con un po’ di latte – versarlo nel thermos e portarlo in camera.
«È tornato Tom!» si limitò a dire Eddie, indicandole la valigia nella camera.
Aneira annuì «Sì, lo so. Sta dormendo in camera mia con Mycroft addosso.»
«E tu gli stai portando il tè?»
«Per quando si sveglia, no?» ribatté lei, facendo spallucce.
Eddie scosse la testa, guardando poi Jules: «Che mi guardi? Non è colpa mia se quelli si comportano da fidanzatini senza saperlo!»
Aneira lasciò il thermos sul comodino e si rinfilò il pigiama, portando il computer e i libri sul letto e inforcando gli occhiali: gli esami sarebbero iniziati il giorno dopo e lei aveva ancora un bel po’ di cose da ripetere, ma di certo non avrebbe rinunciato al tepore delle sue coperte – e finalmente di nuovo con Tom e Mycroft, entrambi, accanto.





*chiusone da esame: se avessi potuto esprimerlo in inglese l’avrei espresso con “all-nighter, che sarebbe stato molto meglio.

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Capitolo 26
*** 25. The One With The Kidnapping And The Arthurian Castle ***


Passaggio superveloce e torno a studiare: il banner è sempre stato fatto da _Lith_, lo stile del titolo è sempre ispirato a FRIENDS e la foto non è mia ed è stata modificata da me. Buona lettura!







 
The Guy Who Turned Her Down


25. The One With The Kidnapping And The Arthurian Castle




La prima settimana degli esami era quasi passata – e mentre Aneira andava avanti a libri, tè e dormite molto lunghe, Tom progettava la fuga in Cornovaglia alle sue spalle, contattando Nessa Gedye in Hier per sapere di più sul tempo che faceva lì, su cosa consigliasse di far portare alla figlia e anche a lui. Non andava in Cornovaglia da quando era piccolo – o almeno, non ci andava per piacere – e non ci era mai andato con qualcuno del posto. Ed era tutto molto più difficile se la persona del posto non sapeva neanche di starci per andare, quindi doveva pianificare tutto senza che Aneira se ne accorgesse: ma era abbastanza impantanata tra esami e ripetizioni dell’ultimo minuto per accorgersi del fatto che Tom passasse tutto il suo tempo al computer in cucina – o al telefono, e quando passava lei vicino spesso abbassava la voce. L’aveva notato, ma non c’aveva fatto caso: credeva fosse per non darle fastidio, a dirla tutta.
Venerdì era arrivato e Tom tirò il suo borsone da sotto al letto: aveva messo al corrente – per forza di cose, visto che oramai occupavano la sua stanza – Eddie e Jules di quello che aveva organizzato assieme alla mamma di Aneira il giorno dopo che si erano messi d’accordo, mentre Laire ed Elspeth solo dopo: sembravano fin troppo eccitate della prospettiva di quel mini-viaggio, e non aveva ancora ben inteso il perché, se per qualche motivo personale o perché li volessero entrambi, con Mycroft al seguito, fuori dai piedi per il weekend.
«Tom, hai bisogno di una mano per identificare i vestiti di Aneira?» chiese Laire, che in compagnia di Elspeth – rigorosamente in pigiama, in versione studio matto e disperato in preparazione per il lunedì dopo – stanziava sulla porta con un sorriso imbarazzato dopo aver sentito l’ennesima creativa semi-imprecazione del ragazzo dalla sua camera.
«Temo di averne bisogno. La madre mi ha fatto una lista di quello che sicuramente si porterebbe, ma non sono sicuro di poter trovare questa roba.»
«Dai qua» disse con fare spiccio Elspeth, prendendo la lista e iniziando a spostare roba dall’armadio sul letto, mentre Laire faceva lo stesso con l’altro armadio. In nemmeno due minuti avevano trovato tutto e Tom le osservava strabiliato «Come avete fatto?»
«Tutti i mesi che tu eri a Toronto noi eravamo qui, e sappiamo dove mette le cose e come si veste.»
«Io poi lo stesso, ma da tre anni!» aggiunse Elspeth, facendo spallucce «E penso che stia già con le sue scarpe più comode, ma aggiungerei quel paio» ne indicò un paio da ginnastica «al borsone.»
«Oh... Okay. Grazie!»
«Di niente.» rispose Elspeth, sorridendogli, mentre Laire si limitò a fare un gesto con una mano; entrambe ritornarono a studiare nei loro posti preferiti – la prima in camera, l’altra in cucina.
Doveva solo prendere le cose di Mycroft e sistemarle nel suo borsone, preparargli il trasportino, preparare se stesso e andare ad aspettare – per tenderle l’agguato – Aneira fuori dall’università. Per le dodici e un quarto era puntuale e l’attendeva su Portugal Street, all’angolo con St. Clement’s Lane, dove Jules ed Eddie l’avrebbero condotta casualmente, mentre tornavano a casa – perché Eddie da bravo fidanzato era andato a prendere Jules dall’università dopo la mattinata di esami.
Mycroft era tranquillo: stava sonnecchiando nel suo trasportino, beato, come se il fatto di non avere un’intera casa a disposizione non lo disturbasse, anzi. Stava così bene a dormicchiare lì, non miagolava nemmeno un po’.
Intravide da lontano la chioma rossa – solo perché alla luce del sole – di Eddie e quella castana di Jules, che stava gesticolando animatamente parlando di qualcosa: era più che certo che riguardasse il suo esame e non lo stesse facendo per tenere Aneira occupata. Quando arrivarono di fronte alla sua auto, quelle due nemmeno se ne accorsero, e lui dovette abbassare il finestrino per richiamare l’attenzione: «Hier, sali in auto!»
Aneira saltò su, emettendo un verso quasi spaventato: che diavolo ci faceva lui qui? Eddie e Jules nel frattempo se la ridevano con tranquillità sotto i baffi.
«Che ci fai qui?! E con l’auto... E Mycroft?!»
«Aneira, non fare domande, non posso spiegarti.» rispose lui, con tono grave, ma poi sorrise. Quella incrociò le braccia e alzò un sopracciglio, mentre alcune persone – probabilmente del corso di Jules o di lei stessa, perché salutarono entrambe – si avvicinavano e li guardavano incuriositi, ma la ragazza rimaneva a guardarlo in attesa di una risposta «Finché non mi dici dove stiamo andando non ho intenzione di salire in auto!»
«D’accordo... ragazzi!» con un cenno della mano in direzione loro, Eddie e Jules iniziarono a spingere Aneira verso l’auto, fin quando non la costrinsero ad occupare il sedile del passeggero e metterle la cintura.
«Vi dovrei denunciare tutti per sequestro di persona! Con l’aggravante di esser sotto esame!» aveva finito di sbraitare quando Eddie chiuse la portiera e Tom metteva la sicura «Questo è un rapimento bello e buono!»
«Grazie mille! Ed, Jules, ci rivediamo lunedì!» salutò i piccioncini con una mano e fece retromarcia, immettendosi nuovamente nel traffico della Kingsway.
«Visto che ormai non posso più uscire di qui, mi diresti gentilmente dove mi stai portando contro la mia volontà?»
Tom sorrise – ed era un sorriso che aveva un che di sinistro, sicuramente: «No, lo scoprirai da sola tra un po’.»
«Io ho già i miei dubbi, Hiddleston. E penso anche di sapere con chi hai orchestrato il rapimento. O meglio, il mandante.» dichiarò la bionda, prendendo la borsa e cercando il porta occhiali: lasciò quelli da lettura e infilò quelli da sole, lanciando un’occhiataccia all’abile guidatore alla sua destra.
«È inutile che ti mascheri, sento il tuo sguardo ammonitorio addosso, Hier.»
«Bene, meglio.» commentò quella, iniziando a mettere mano alla radio «E visto che tu decidi la destinazione, io decido la musica. E torturerò i tuoi timpani per ben cinque ore, se ho capito dove stiamo andando.» dichiarò lei, cercando di strappare una qualsiasi dichiarazione dal coinquilino, che però si limitò solo a sorridere e a continuare a tenere lo sguardo sulla strada.


Prima ancora di uscire da Londra – e di solito ci si metteva tanto – Aneira si addormentò con la testa di lato contro il poggiatesta del sedile, quasi ronfando come Mycroft. Quando riaprì gli occhi erano in aperta campagna e il micino in questione la osservava curioso. Masticò aria – facendo un verso abbastanza imbarazzante con la bocca – e si guardò intorno «Dove siamo?»
«Vicino Wincanton, bella addormentata nel bosco.» le aveva risposto Tom, voltandosi brevemente solo per sorriderle.
«Avevo ragione, la mandante è mia madre!» esclamò dopo diversi secondi lei – o meglio, solo dopo essersi effettivamente svegliata - «Stiamo andando in Cornovaglia!»
«Beh, ormai posso affermarlo, siamo troppo lontani da Londra per tornarvi subito: sì, è tua mamma, ti ha chiamata a casa per convincerti domenica scorsa ma tu eri fuori, allora ho proposto di portarti di peso lì, visto che tua mamma voleva che ti convincessi ad andare... ed ecco tutto!»
«Lo sapevo!» esclamò la ragazza, guardandosi intorno: «Quando mi sono addormentata?» chiese subito dopo.
«Oh, dieci minuti dopo che sei entrata in auto. Ma insomma, studi e fai esami ininterrottamente da cinque giorni... anche io sarei crollato al posto tuo.»
Aneira strofinò il polsino del cardigan contro la fronte, sbuffando: «E ho ancora sonno.»
«Non mi dispiace fare il viaggio da solo, non preoccuparti.» rispose Tom, il cui sorriso birichino la infastidiva molto.
«Ah, no, nono!» ribatté quella, che si era precedentemente liberata delle scarpe per abbracciarsi le ginocchia, ma dopo decise di risedersi normalmente per iniziare a scuotere un indice da destra a sinistra e viceversa vicino all’orecchio del compagno di viaggio «Hai capito proprio male!»
Poi mise mani alla radio ed estrasse il cd che stava ascoltando «Ehi, ma che stai facendo?!»
«Ti tormento. Te lo sei meritato» rimise il disco nella sua custodia «Bon Iver, niente male.»
«Ora che ho avuto la tua approvazione possiamo ritornare ad uno dei miei cd...?»
«No!» esclamò Aneira, iniziando a macchinare con la radio, facendo zapping con l’intento di fermarsi solo quando avrebbe trovato qualcosa di davvero fastidioso per lui. Si fermò su Radio1 solo quando riconobbe le note di “Don’t Stop” dei 5 Seconds of Summer «Avrei preferito gli One Direction, sarebbero stati più una tortura per te. Ma questo va comunque benissimo.»
«Ma perché, perché...» iniziò Tom, scuotendo la testa impercettibilmente mentre superava una Mini avanti a loro.
«Don’t stoooop! ‘Cause you know that I like iiiit!»
«Lo sai che non sei proprio un usignolo, vero?»
«Ed è proprio per quello che sto cantando, Hiddleston.» aveva risposto quella, sorridendo soddisfatta mentre riprendeva a cantare e a muovere i pugni per aria, sotto lo sguardo perplesso di Mycroft che la osservava attentamente non sapendo cosa aspettarsi.
Sarebbe stato decisamente un lunghissimo viaggio.


Eddie era davvero contento di come fossero andate le cose – e non solo perché aveva casa libera, ma anche perché Tom era riuscito nel suo intento... o meglio, quello della madre di Aneira. Ma quel weekend fuori avrebbe fatto bene a entrambi. In quel momento, però, gli sovvenne qualcosa di importantissimo in mente: quei due erano in Cornovaglia nel weekend del compleanno di Aneira, e anche Sevi studiava lì. A poco meno di un’ora e mezza di treno da St. Ives, quindi ci sarebbe potuta essere anche lei. Compose il numero di telefono della ragazza – e se Jules l’avesse visto probabilmente sarebbe stata gelosa... ma tanto poi gliel’avrebbe riferito comunque – e aspettò che qualcuno rispondesse.
«Che cosa, Redmayne?»
«Ma buon pomeriggio anche a te, Sevi!» rispose gioviale lui, camminando per la camera.
«Lo sai che la tua contentezza immotivata mi insospettisce e mi irrita, vero?»
«Allora sarò breve: Tom ha rapito Aneira e per il suo compleanno, su richiesta della madre, la sta riportando in Cornovaglia. Non penso la tua cara migliore amica voglia fare qualcosa domenica, ma appena la madre la costringerà penso proprio vorrà anche te lì.»
«Non dovrebbe dirmelo lei?»
«Lei ancora non sa che le faranno la festa, probabilmente in tutti i sensi.»
«Se è a sorpresa la odierà.» dichiarò pratica Sevi, annuendo.
«Anche se non lo è. Ad ogni modo, ti ho avvisato perché ti tocca tornare a St. Ives e tenerti libera per domenica.»
«D’accordo... grazie, Redmayne.»
«Addirittura grazie!» rispose quello, portandosi una mano al petto, fingendo stupore – sebbene una puntina di stupore fosse vera sul serio.
«Non ti ci abituare. Sono partiti oggi?»
«Sì, l’abbiamo messa in auto verso le dodici e venti... ora dovrebbero perlomeno essere in Devon.»
«Dipende da quanto va Tom.»
«Nah, è coscienzioso!»
«Ma... messa in auto?» chiese Sevi, incuriosita.
«Non voleva entrare perché aveva il dubbio che c’entrasse la madre e il tornare in Cornovaglia ed è in modalità chiusone da esami. Però io e Jules l’abbiamo comunque spinta dentro l’auto appena è uscita dall’università.»
«Che associazione a delinquere, voi tre.»
«Ad un certo punto voleva denunciarci, effettivamente.»
«E non avrebbe avuto tutti i torti.» rispose Sevi «Senti, Redmayne, mi ha fatto quasi piacere sentirti, ma a breve ho un esame anche io quindi è decisamente il caso di chiudere.»
«Fammi sapere come va, buona fortuna!»
«Cià.» salutò quella prima di chiudere. “Che tipa” pensò il ragazzo, sinceramente e dal profondo del suo cuore: non avrebbe saputo esprimere meglio con altre parole quel pensiero.


Dopo un’oretta e mezza Aneira aveva smesso di fare zapping tra i canali radiofonici per cercare il peggio della musica nazionale e non al fine di tormentare Tom e quando entrarono in Devon gli aveva lasciato carta bianca sulla “musica da viaggio”, come l’aveva ribattezzata lei.
“Grazie a Dio!” era stata l’unica risposta di Tom, che aveva subito aperto lo scomparto del cruscotto per prendere il cd che stava ascoltando prima e rinfilarlo nel lettore dell’auto.
«Ti ho davvero turbato, eh?»
«Infastidito, più che altro. E no, non era la tua voce soave, quanto l’intento che la motivava a emettere suoni atti a disturbarmi.»
«Penso che questa sia la cosa più cattiva che tu mi abbia mai detto, e se non la prendessi per l’ironia che è potrebbe anche fungere da complimento. Che persona gentile ed educata che sei!»
«Colgo del sottile sarcasmo sotto la tua parvenza di complimento.»
«Forse, forse, Hiddleston. E comunque, visto che mi stai riportando a casa, direi che è il caso di fidarti di me: a Launceston prendi la A395 che ti devo far vedere un posto.»
«Non andiamo direttamente a casa?»
«No. Devi vederlo, so che l’apprezzerai.» fu il turno di Aneira di sorridere birichina, ma Tom non fece domande: per buona parte della giornata lui non aveva risposto alle sue, quindi avrebbe potuto gustarsi tranquillamente la sorpresa finale.
Oltrepassarono Exeter e tutti gli altri paesini fino ad arrivare a Launceston, dove Tom rallentò per vedere le direzioni: «Ora?»
«Prosegui dritto sull’A30. Poi troverai un cartello per la Cornovaglia del Nord... ti avviserà prima della corsia di decelerazione. Penso più o meno dopo Tregadillett. Dovrebbe darti anche Wadebridge Camelford come destinazione. E ci sarà anche scritto A395.»
«Stai riprendendo un forte accento dell’ovest anche solo varcando il tuo territorio, Hier.»
«Che ci vuoi fare, sarò patriottica!» ribatté quella, facendo spallucce.
«E sei anche meglio di un navigatore! Quante mappe hai, salvate in quel cervellino?» avvicinò un indice alla tempia della ragazza, ma tutto quello che ricevette in risposta fu un’occhiataccia perplessa.
Quando vide l’uscita per Tregadillett Tom iniziò a guardarsi intorno per le indicazioni per la Cornovaglia del Nord, ma fu abbastanza semplice e dopo qualche minuto erano sulla A395 in direzione di... non sapeva bene cosa. Iniziò a capirci qualcosa quando, circa venticinque minuti dopo, all’altezza di Hallworthy, Aneira gli fece prendere la B3262. Quando furono sulla A39 iniziavano già a comparire i cartelli pubblicitari e le direzioni per la maggiore attrazione turistica in quella zona.
«Non ci credo! Mi stai portando a Tintagel! Il Castello di Re Artù!» esclamò esaltato l’uomo, seguendo di sua spontanea iniziativa le indicazioni, senza tenere più conto delle strade della ragazza.
«Per l’esattezza si pensa sia il luogo dov’è nato Re Artù.»
«Sì, insomma... È Tintagel!»
«Non l’hai mai visto... da bambino, che so?»
«No!» era davvero esaltato.
Aneira sorrise, scuotendo la testa «Un bimbo felice.»
Parcheggiarono dopo qualche minuto su Castle Road, mentre Aneira macchinava già per liberare Mycroft dal trasportino: «Hai portato la pettorina, vero?»
«Sì, ma è nel mio borsone. Aspetta che vado a prenderla.»
«Prendi anche i suoi croccantini!» gli ricordò, coccolando il piccolo e adorabile Mycroft che esibiva le migliori fusa tutte per lei.
Tom le porse il tutto dal finestrino, mentre si schermava la vista osservando il castello e la strada che proseguiva su Tintagel Island «Mi passi gli occhiali da sole? Li ho lasciati sul sedile...»
«Sì, aspetta un attimo...» finì di sistemare la pettorina al gattino, che bramava la libertà fuori dall’auto, e passò la bestiolina adorabile a Tom, che la prese in braccio. Poi sistemò i croccantini in borsa e prese gli occhiali da sole, prima di uscire finalmente dall’auto.
Non appena mise un piede fuori si accorse dell’aria di casa – sebbene fosse ancora a più di cinquanta miglia lontana, l’aria era simile. E anche l’umidità che le entrava dritta nelle ossa – doveva ringraziare l’Atlantico per quello. Rabbrividì nella sua giacca per poi cercare Tom con lo sguardo: si trovava benissimo nel suo cardigan e non sembrava avere nessun problema con il freddo. Inoltre aveva già posato Mycroft a terra, che annusava circospetto il terreno e la zona circostante, mentre una delle sue mamme lo tratteneva per il guinzaglio.
«Allora, andiamo?» sembrava sempre più un bimbo estasiato: Aneira sorrise e poi annuì, seguendo i due uomini di casa.
Non appena pagarono il biglietto ed oltrepassarono l’entrata, Tom e Mycroft trotterellarono verso lo spazio che sembrava dare direttamente sul mare: subito dopo la costrinsero a fare mille scalini, in salita e discesa tra il giardino basso e quello più in alto, dove finalmente si fermarono per respirare a pieni polmoni mentre Aneira cercava di riprendere fiato e non morire nella dimora infantile di Re Artù facendo foto qua e là, un po’ al paesaggio e un po’ a Mycroft e Tom.
Il pezzo particolarmente difficile però – lo era sempre stato per lei – fu arrivare al cortile vero e proprio, quello sull’isola: non tanto per il fiatone o perché non ne valesse la pena, anzi... quanto perché dovevano percorrere scalini stretti e alti e ponticelli dove il vento soffiava forte. E non è che le piacesse tanto l’idea di ritrovarsi con una folata di vento sulle rocce o nell’oceano. Stanca, fece cenno a Tom di fermarsi – lui non sentiva nulla di tutto ciò, era troppo conquistato dalla visuale – che si lasciò raggiungere dalla ragazza: «Non mi fido a far camminare Mycroft da solo su quel ponte.»
«Ma è col guinzaglio.»
Aneira gli rivolse un’occhiata preoccupata, e poi si guardò la tasca. Tom scosse la testa e roteò gli occhi: «Su, piccoletto, nella tasca della mamma.» prese il piccoletto tra le braccia e lo lasciò nella tasca del cappotto di Aneira: Mycroft non sembrò troppo riluttante, anzi, non appena finì lì dentro si accoccolò e nascose completamente, fino a lasciar vedere solo la forma di sé da fuori, ma nemmeno una zampina spuntava da lì.
«Okay, andiamo.» dichiarò titubante, ricominciando a camminare.
«Sì, vieni pure qua... pisciasotto.» aggiunse Tom, lanciandole un’occhiatina soddisfatta prima di attirarla a sé e prenderla per mano. Aneira era quasi in procinto di ribattere per difendere la sua dignità, ma aveva davvero un leggero timore per quel passaggio, quindi tacque e accettò la sua mano senza pensarci un attimo in più: la strinse di risposta e lo seguì lungo il sentiero.
Camminarono così per tutta l’isola – eccetto per Mycroft, che dopo essere arrivato all’Iron Gate volle uscire dalla tasca per zampettare qua e là sotto la supervisione di Aneira e della pettorina – esplorandola in lungo e in largo fino ad arrivare alle scogliere a sud dove c’era la chiesa di St. Materiana.
Ritornarono all’entrata e fecero quasi dietrofront, pronti a tornare all’auto, quando Aneira alzò un indice, come se si fosse scordata di qualcosa: «La grotta di Merlino!»
«Come?»
«Andiamo in spiaggia, visitiamo la grotta di Merlino!» esclamò subito dopo, trascinandolo per una mano verso la spiaggia – fortunatamente c’era la bassa marea ed era visitabile, ma ce la fecero per poco: il castello avrebbe chiuso a breve.
Quando tornarono in auto erano stanchi, ma soddisfatti e anche sazi: passando per il café sulla spiaggia Aneira aveva convinto Tom a provare già da quel momento le famose paste della Cornovaglia, e sebbene lui si fosse opposto perché “era solo il bar di un centro turistico”, alla fine si era lasciato convincere ed era stato ulteriormente contento per quello quando le aveva provate.
Dopo la non tanto breve parentesi di Tintagel si rimisero sulla strada – e Mycroft fu più che contento di ritornare al suo caldo trasportino – più rilassati e meno sul piede di guerra – almeno, Aneira non lo era più, quindi la tranquillità regnava sovrana – rispetto a prima.
«Lo sai, oltre ai miti arturiani, Tintagel è famoso anche per Tristano e Isotta.»
«In realtà lo sapevo, saputella» aveva ribattuto lui, arricciando il naso «Non sono solo delle belle rovine a caso, hanno molte connessioni interessanti.»
«Ma anche se fosse vero, di Re Artù, i paesaggi rimangono la cosa più bella. E nei paesaggi ci includo anche le rovine.»
Dopo un’ora e mezza furono finalmente arrivati – o perlomeno entrati – a St. Ives, e in quell’occasione Tom dovette affidarsi completamente alle indicazioni di Aneira, fin quando non si ritrovò in una via che rispondeva al nome Carrack Dhu.
«Parcheggia pure qui.» indicò un posto libero al lato della stradina e dopo che Tom spense il motore la ragazza si catapultò fuori dall’auto, prendendo il trasportino di Mycroft, la borsa e correndo ad aprire il portabagagli.
«Sta’ ferma, Hier, prima che fai qualche casino.» l’aveva rimbeccata Tom, prima di prendere entrambi – come sempre – i borsoni e seguirla attraversando la strada: Aneira si diresse verso una delle case più grandi – o meglio, meno piccole – della via, dagli infissi bianchi e i mattoncini chiari – e un giardino in parte curato e in parte morto: non dovevano avere il pollice verde in quella famiglia... – e dopo aver oltrepassato il cancelletto con un passo senza avere nemmeno la briga di provare ad aprirlo con le mani, almeno per Tom, andò a suonare il campanello.
Le aprì la porta una donna che poteva essere sulla cinquantina, alta, bionda come lei e con gli occhi chiari: doveva essere la madre. Si abbracciarono, mentre da dietro comparve un’adolescente esile e dai capelli neri e lisci, con gli occhi chiari come quelli della madre: con quella che doveva essere la sorella si scambiarono un’occhiata diffidente prima di abbracciarsi comunque – sebbene non poté identificare chi fosse quella delle due che era rimasta meno contenta di quel contatto fisico.
E il padre?
«Oh, vieni Tom, entra, sarai stanco!» la donna gli fece strada nel piccolo corridoio che terminava con una porta sul giardino interno e gli fece lasciare i bagagli vicino al sottoscala, mentre Aneira apriva il trasportino di Mycroft, che saltò fuori immediatamente e iniziò ad osservare la casa e a nascondersi ovunque, pronto ad esplorarla. Probabilmente sarebbe stato il più soddisfatto di quella casa, tra loro.
Lasciò il trasportino vicino ai bagagli e i croccantini in cucina, tornando dalla madre e Tom che discutevano amabilmente del più e del meno – andando decisamente troppo d’accordo, quei due geni del male – vicino alla porta che dava sul giardino interno, mentre Alis si era già volatilizzata nel nulla, probabilmente in camera sua al piano superiore.
Uscì insieme alla madre e a Tom nel giardino interno, per nulla sconvolta dal fatto che suo padre stesse giocando a tennis nel loro giardino interno con un suo amico.
«Ciao Pa’, sorpresa!» salutò quella, irrompendo nel campo con tono particolarmente ironico – calcato sulla parola “sorpresa” – e fermando il gioco per il momento: abbracciò l’uomo pelato e in tenuta sportiva, che dopo qualche chiacchiera le aveva fatto capire che avrebbe dovuto liberare il campo – o meglio, il giardino – per permettergli di finire la partita.
«Avete un campo da tennis in giardino!» l’espressione meravigliata di Tom sembrava esser diventata la sua espressione di base quella giornata.
«Oh, William deve ringraziare solo me, la mia benevolenza e il mio pollice nero. A parte quell’amaca e quel dondolo laggiù, abbiamo un giardino-campo da tennis.» aveva risposto Nessa, orgogliosa.
«Ed è la cosa più spettacolare che abbia mai visto finora in una casa.» commentò l’uomo, seguendo due delle donne di casa all’interno, dopo aver interrotto ulteriormente il gioco del padre di Aneira per presentarsi.
«Oh, vero, Loki! Ecco dove t’avevo visto!» aveva commentato infine lui, prima di riprendere la partita da dove l’aveva lasciata.
Ecco da chi Aneira aveva preso a identificare i personaggi con gli attori che li interpretavano, era solo colpa del padre!

 

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Capitolo 27
*** 26. The One With The Countryside Tour, The Cornish Pasties and The Kiss ***


Olèèè la sessione d'esame è finitaaa! E tra 5 capitoli lo sarà anche questa storia :(  Il banner è sempre stato fatto da _Lith_, lo stile del titolo è sempre ispirato a FRIENDS e la foto non è mia ed è stata modificata da me. Spero questo capitolo vi piaccia, è bello lungo e ricco di avvenimenti. Buona lettura!








 
The Guy Who Turned Her Down
 

26. The One With The Countryside Tour, The Cornish Pasties and The Kiss
 
 
 
Aprì gli occhi infastidita: non avrebbe mai pensato che sarebbe tornata a casa e l’avrebbero messa a dormire su una poltrona letto. Avevano ceduto il letto della stanza – la stanza degli ospiti. Degli ospiti. Sua madre si era dimenticata di comunicarle, in una delle loro tante telefonate, che avevano ceduto la sua camera ad Alis e ora a lei toccava la camera degli ospiti ogniqualvolta sarebbe tornata –  a Tom, che si era offerto più e più volte la sera prima di cederlo a lei, ma Aneira aveva rifiutato categoricamente tutte le volte, perché dopotutto “era lui l’ospite”. E se si fosse presa il letto molto probabilmente sua madre avrebbe compiuto un figlicidio per mancata ospitalità. E comunque era ancora sconvolta dal fatto che suo padre avesse acconsentito a mettere lei e un uomo nella stessa camera a dormire in casa sua. Quando la madre gliel’aveva riferito, il padre non aveva battuto ciglio, anzi aveva invitato Tom a fare una partita a tennis come prima cosa la mattina dopo – e difatti il coinquilino in questione non era nel suo letto in quel momento – e lei era rimasta a bocca aperta davanti a loro per ben più di cinque secondi, mentre Tom con tranquillità non aveva avuto problemi ad accettare immediatamente l’invito del padrone di casa. Doveva davvero averli minacciati per bene Alis in caso le avessero ridato per tre giorni la sua camera, se avevano acconsentito addirittura a quello.
Aneira sbuffò a pieni polmoni e coccolò Mycroft, che aveva dormito quasi tutta la notte ai suoi piedi – quando non era sullo stomaco di Tom, nel letto – e si era riavvicinato a lei non appena aveva posato i piedi a terra, e poi si tirò su.
Legò i capelli, controllò di essere decente – per quanto potesse essere decente una maglia bianca macchiata di salsa di pomodoro proprio al centro – e scese le scale, con Mycroft al seguito. Il rumore inconfondibile di una racchetta da tennis – anzi, probabilmente almeno due – che colpiva una pallina ripetutamente la attrasse nel giardino interno: si sporse sulla porta, notando la competizione tra gli unici due uomini presenti in casa – beh, a parte Mycroft – e Alis che, seduta al tavolino, sorseggiava del caffè dalla sua tazza, impassibile.
«Lo sapete che non state alla finale di Wimbledon, vero?»
«Mi è tanto mancato il tuo sarcasmo, Aneira.» rispose ironicamente il padre, chiudendo il punto in quel momento ed esultando.
«Beh, ma chi sta vincendo?» chiese lei, incrociando le braccia. I due fermarono il game – Tom era alla battuta – e il padre rispose: «Ha vinto il primo set 6 – 4 e ora siamo a 4 – 3 per lui. Ma non è ancora detta l’ultima parola!»
«Sta’ attento, Hiddles, che se poi vinci tu se la legherà al dito!» si raccomandò la ragazza, con un ceno del capo.
«Non è vero, non ascoltarla!» rispose il padre, preparandosi a rispondere, mentre invece Aneira mimava nuovamente un “Invece è vero!” a Tom, che scuoteva la testa sorridendo.
«Aneira, se disturbi ancora la partita inizierò a lanciarti palline addosso.»
«Va bene, va bene, buona partita!» terminò lei, alzando le braccia al cielo dirigendosi dalla madre – che lavava i piatti, da sola – in cucina.
«Ti sei divertita a infastidire tuo padre come prima cosa questa mattina?» chiese la donna, alzando un sopracciglio ma non distogliendo lo sguardo dal piatto che stava scrostando.
«In realtà il mio obiettivo era infastidire entrambi, ma con Tom è miseramente fallito. Dev’essere che è ormai troppo abituato ai miei commentini per far sì che gli faccia effetto.» rispose lei, prendendo la scatola dei croccantini di Mycroft dalla credenza per versarglieli nella ciotola.
Nessa si asciugò le mani a uno straccio vicino al lavandino e versò il latte in una ciotola, prese i biscotti che aveva sfornato quella mattina e li portò sul tavolo, attendendo che la figlia si sedesse: «Perché ho la terribile sensazione che tu stia per farmi una sorta di discorso importante?»
La donna glissò la domanda della figlia, mentre quella iniziava a inzuppare i biscotti nel latte, trangugiandoli subito dopo.
«Di che natura è la tua relazione con Tom, cara?» e Aneira per poco non soffocò, iniziando a sputacchiare pezzetti di biscotti ovunque. Persino Mycroft iniziò a osservarla allarmato.
«Come... scusa?»
«L’hai portato fin qui. Stai cercando di presentarcelo come tuo fidanzato?»
«Eh no!» iniziò la ragazza, con l’indice sinistro che puntava al cielo «Non è giusto. Io sono stata letteralmente rapita da lui e tu eri il suo mandante, non puoi chiedermi se l’ho portato in veste di fidanzato! L’hai praticamente fatto venire tu, con me al seguito!»
«Non hai risposto alla domanda!» ribatté la donna, acuta.
Aneira riprese a bere il latte, scuotendo la testa: «No, è il mio coinquilino. Oserei dire anche un amico, ma io non ho portato nessuno qui. Tu ce l’hai fatto venire.»
«Oh, grazie al cielo!» Nessa tirò un sospiro di sollievo, e Aneira alzò un sopracciglio «No, non fraintendermi: è davvero un ragazzo ammodo. Gentile, elegante, bello, simpatico... ma è vecchio
Aneira scoppiò in una risata: «Lo sai che hai vent’anni più di lui, vero?»
«No, intendo... vecchio per te. Insomma, alla sua età vorrà pure sistemarsi...»
Aneira fece spallucce, non avendoci sinceramente mai pensato prima: «Non so cosa voglia lui. Sta di fatto che io non so nemmeno dove sarò tra sette mesi, quindi non ho per nulla intenzione di sistemarmi con nessuno.»
Nessa rimase interdetta – e per qualche secondo sperò il contrario di quello che aveva appena ammesso: «In che senso, Aneira?»
«Ho fatto diverse richieste per internship dall’altra parte dello stagno. Ve ne avrei parlato – a tutti – se mi avessero preso. Ancora non lo so, quindi non è sicuro. Ma non so effettivamente dove starò da Gennaio in poi.»
«Oh... Oh.» la donna parve spiazzata da quella notizia.
«Scommetto che ora avresti preferito sapere che Tom era il mio fidanzato, vero?» aggiunse la figlia subito dopo, finendo la colazione.
«Eh sì, temo proprio di sì.» rispose Nessa, ancora confusa da quella notizia.
«Non c’è nulla di certo ancora, comunque. Va beh, vado a farmi una doccia.» tagliò corto Aneira, salendo al piano superiore – seguita fedelmente da Mycroft, che era corso con lei non appena aveva terminato la sua pappa.

Dopo aver vinto la partita, Tom aveva preso possesso del bagno e successivamente della cucina – dove Nessa l’aveva viziato con tutti i dolci e biscotti possibili, quasi come se volesse metterlo all’ingrasso... o sistemarlo con la figlia per non farla eventualmente partire attraverso qualche leccornia che aveva preparato, Aneira non aveva ancora deciso quale delle due opzioni fosse la più giusta – e poi prima di uscire in esplorazione, come aveva spiegato la ragazza, erano stati riforniti di cibo dalla madre di lei. Avrebbero voluto portarsi appresso Mycroft – e probabilmente anche lui non sarebbe voluto rimanere solo con gente praticamente estranea in una casa sconosciuta – ma per una giornata intera non sarebbe stato fattibile.
Quando Tom vide che non si stavano dirigendo al luogo dove avevano parcheggiato la sua auto la sera prima, osservò la ragazza incuriosito: poi quella fece ondeggiare un mazzo di chiavi davanti alla sua vista e la sua espressione mutò impercettibilmente «Mi dispiace deluderti, Hiddleston, ma si va con la mia oggi.»
Raggiunsero un vecchio maggiolone giallo parcheggiato poco più avanti e Aneira occupò il posto del conducente – e Tom per un millesimo di secondo la guardò terrorizzato.
«Hai qualcosa di simpaticamente ironico da dire in merito alle donne al volante?»
«No, no, assolutamente no!» rispose lui, tornando impassibile e occupando il posto del passeggero.
«Bene. Anche perché non sopporteresti più di ventotto chilometri su strade a doppia corsia ma dalla larghezza di strade a senso unico.»
E dopo quella dichiarazione – che terrorizzò oltre ogni modo Tom – accese il motore, alla volta di Sennen Cove.

Quando arrivarono a destinazione, Tom osservava estasiato il piccolo paesino semi-diroccato che affacciava direttamente sul mare, le cui onde si infrangevano quasi direttamente sulla strada. Era un piccolo angolo di paradiso – burrascoso, quella mattinata, sebbene un pallido sole facesse capolino tra le tante nuvole – ma era stupendo lo stesso. Nemmeno si era reso conto di aver iniziato a fare foto su foto con il suo smartphone – purtroppo non aveva pensato di portare la macchina fotografica prima di partire in tutta fretta da casa.
Dopo dieci minuti Aneira però era già ripartita con l’auto, lasciandolo interdetto: «Ehi! Era bello! Credevo avessimo fatto un giro!»
«No.» scosse la testa lei «Ti porto da un’altra parte, più spettacolare ancora.»
«Ma questa va benissimo!» ribatté lui – molto più simile a un bimbo a cui avevano tolto il giochino preferito che a qualcuno della sua età.
Dopo dieci minuti in auto si trovavano sempre a Sennen, ma da un’altra parte. E di fronte a loro c’era solo una distesa immensa di acqua.
«Penso che questo sia il luogo più a ovest del Regno Unito, se togli le Highlands. Di fronte a te c’è solo tutto l’Oceano Atlantico, e poi i cugini canadesi.» dichiarò quella, parcheggiando e girando la chiave, per poi uscire dall’auto e indossare la giacca a vento. Tom la seguì subito dopo, confuso: «Non chiudi a chiave l’auto?»
«Tom, siamo solo io, te e l’oceano. E probabilmente i clienti di quella locanda, che non penso vorranno fregarmi l’auto sotto gli occhi.» gli rispose lei, andandosi a sedere su una panchina direttamente affacciata sul mare. Alla destra delle quattro panchine in legno c’era una Union Jack che si moveva in balia del vento.
Tom le si sedette accanto, rendendosi conto dell’immensità che aveva di fronte solo dopo averla davvero guardata: si perse nel mare con gli occhi, cercando di osservare terra – cosa praticamente impossibile, visto che era almeno a cinquemila chilometri di distanza – ovviamente inutilmente.
Ad un certo punto Aneira scoppiò a ridere: Tom si voltò a guardarla, perplesso «Mi sono perso forse una battuta del Signor Oceano?»
La ragazza scosse la testa, avvicinandosi al suo accompagnatore: «No, pensavo a mia madre che oggi mi ha fatto il discorso.»
«Cosa intendi con il discorso, ‘Nei?» era ancora stupito, con un sopracciglio arcuato fisso in quella posizione.
«Oh beh, mi ha chiesto se ti ho portato a casa in veste di fidanzato. Quando è stata lei a mandarti alla LSE per rapirmi e portarmi a casa. Insomma!»
Tom non rispose: era un argomento delicato che non sapeva come affrontare. Ovviamente non c’era nessun legame di quel tipo – non erano in una relazione senza saperlo, insomma! – però Nessa non era la prima persona che li aveva scambiati per fidanzati. E non è che da parte sua ci fosse proprio la volontà di non esserlo, ecco. Ma effettivamente non c’era nulla di ufficializzato – e non sapeva nemmeno il parere di Aneira a riguardo, a dirla tutta.
«Non ci baderei, sai. Insomma, non mi dispiacerebbe.»
Aneira allora scoppiò nuovamente a ridere, posando poi la testa sulla sua spalla: «Che dichiarazione romantica, Hiddleston. Davvero, sai come corteggiare le donne.»
Tom rimase nuovamente interdetto: stava per iniziare ad affrontare sul serio una specie di dichiarazione, ma rimase spiazzato da quello che Aneira aveva aggiunto candidamente dopo – e ne era certo, senza volerlo appositamente buttare giù «E comunque penso sia infattibile. Quando parti tu per l’Irlanda? O comunque, quanti giorni sarai effettivamente a Londra prima di muoverti un po’ ovunque? E io non so nemmeno dove sarò dal prossimo Gennaio.»
Non le rispose, le sue ipotesi erano vere, ma non poté non chiederle il perché dell’altra dichiarazione, sul dove sarebbe stata lei dal Gennaio successivo in poi.
«Ho fatto domanda per diverse internship a New York. Non so quando mi risponderanno e cosa mi diranno, ma... c’è quella possibilità.»
«Oh.» fu l’unica risposta neanche troppo sensata di Tom.
«Sì.» aggiunse quella, avvicinando le ginocchia al petto e accoccolandosi ancora di più sulla spalla dell’uomo «E, per inciso, non sarebbe dispiaciuto troppo neanche a me.» non poté non stringerla a sé, sebbene la natura di quell’asserzione fosse più che chiara: non era possibile niente tra loro due. E non perché si fossero rifiutati vicendevolmente, quanto perché probabilmente sarebbero potuti essere a un oceano – o più oceani – di distanza l’uno dall’altra l’anno dopo – o anche solo qualche mese dopo.

Quando iniziò a piovere si rintanarono in auto, e Aneira decise di guidarlo alla meta successiva della giornata: Minack Theatre, il più famoso teatro all’aperto della Cornovaglia – e probabilmente il più scenico. Sapeva avrebbe apprezzato, da bravo attore, e l’aveva anche preso in giro chiedendogli perché avesse quella forma e a chi si sarebbe potuta attribuire: da bravo classicista aveva risposto correttamente a tutto, non deludendola in nessun modo possibile. Poi guidò per quattordici chilometri fino a Mousehole, dove pranzarono seduti sulla spiaggia – da quella parte della costa il mare era calmo e piatto, e quella baia era perfetta per sedersi lì, pensierosi, a rimuginare e guardare il paesaggio mangiando. Poi avevano vagato per il paesino composto perlopiù da case di residenti, a parte per la strada principale che costeggiava la baia in cui erano ormeggiate tante barchette e dove c’era qualche negozietto e diverse locande, rigorosamente mano nella mano, nonostante il discorso di quella mattina.
Nel primo pomeriggio raggiunsero poi l’ultima meta della loro giornata: l’aveva condotto a Marazion, con l’intento di visitare l’isola di St. Michael’s Mount per poi osservare dalla terra ferma il tramonto, bevendo Cream Tea rigorosamente alla maniera della Cornovaglia e mangiando paste della Cornovaglia.
«Tra te, le paste della Cornovaglia e tua madre sarò costretto ad andare in palestra non appena torneremo a Londra.» commentò Tom, spalmando su una metà del suo scone prima – necessariamente – la marmellata e poi la panna. Aveva già finito il dolce serio – come l’aveva chiamato Aneira – quindi poteva dedicarsi agli scone e al tè liberamente.
«Non ti farebbe male mettere un po’ di morbidume su quegli addominali, eh.» rispose immediatamente la ragazza, posando entrambe le mani sulla pancia, sazia.
«Certo, dillo a Luke. O anche a qualche regista a caso, così, per vedere cosa ne pensano.»
«Al massimo quelli che scelgono il cast ti dicono di fare una dieta ferrea...»
«Che eviterei volentieri, appunto!»
«È una vita triste, quella con pochi dolci.» sentenziò la ragazza, e lui scosse la testa con un sorriso: se la sarebbe aspettata una dichiarazione del genere da lei.
Avevano continuato e terminato la loro pausa tè quando il sole ancora tramontava, ma Aneira decise che era il caso di tornare a casa: nei venti minuti che impiegarono per arrivare a St. Ives non parlarono molto, sia per la stanchezza che per l’intensità della giornata.
E appena arrivati, erano stati per un po’ lontani, Tom con Mycroft e William Hier e Aneira con la madre e Alis, che sosteneva che quei due dovessero assolutamente accompagnarla al punto d’incontro con i suoi amici, perché sarebbe stata molto più una tipa interessante se fosse stata la sorella della fidanzata di Tom Hiddleston. Aneira aveva ribattuto che non era quella la verità, ma ad Alis non interessava: potevano anche odiarsi, ma voleva confermare il suo status da tipa “cool” del gruppo quella sera.
Aneira raggiunse mezz’ora prima di uscire Tom in giardino – che era già vestito di tutto punto – e alzò gli occhi al cielo: «Detesto dover interrompere le vostre accorate chiacchiere su chi sia il migliore giocatore di tennis di tutti i tempi, ma dobbiamo accompagnare Alis in centro, Tom. Deve vantarsi del fatto che io e te ci conosciamo.»
«Oh. Sfrutta la conoscenza indiretta per conquistare cosa, per essere ben chiari?» le chiese lui, seguendola in casa.
«Per conquistare e sancire il suo status nel gruppo. Vuole essere riconosciuta dalla marmaglia come persona figa. Sei fondamentalmente la sua campagna di Marketing.»
«Ouch. Mi sento oggettificato.»
«Non sono i principi con cui siamo cresciute noi, ma Alis è particolarmente senza scrupoli in merito al suo status sociale. Quindi le faremo da chaperon.» fece spallucce Aneira, aspettando nell’ingresso assieme a Tom l’arrivo di Alis.
«Non supporto la tua fase emo, sappilo, Alis. Fa molto anni 2007.» dichiarò lei non appena la sorella si fece strada nel giardino esterno.
«Le mode arrivano tardi a St. Ives, e non mi pare di aver chiesto la tua approvazione.» aveva risposto quella, guidandoli su Carrack Dhu.
«Mi limitavo ad osservare che nel mondo reale va più l’hipster dell’emo, cara sorellina.»
«Difatti mi sto evolvendo, sarò la portatrice dell’esser hipster a St. Ives.»
«Che sarà sicuramente la cosa più figa in assoluto, vero?» ribatté la maggiore, beccandosi un’occhiataccia di Alis grazie al tono particolarmente sarcastico con il quale aveva pronunciato quella frase.
Non appena arrivarono sulla costa, Alis si voltò verso di loro, puntando un dito contro entrambi: «Ora, non mi interessa quale sia la vostra relazione in questo momento, o in generale, odiatevi pure, ma...» afferrò la mano di Aneira, poi quella di Tom e le intrecciò insieme «Tenetevi per mano. Ne va della mia reputazione.»
«Alis, cosa hai detto ai tuoi amici?» Aneira seguì gli ordini della sorella, ma assottigliò gli occhi impercettibilmente.
«Mah, niente di particolare... solo che state insieme da un po’ e che tu lo neghi categoricamente perché non vuoi essere vista e riconosciuta dal mondo intero solo come la fidanzata di Tom Hiddleston. Insomma, tutte quelle cavolate del “voglio trovare il mio posto nel mondo e non essere vista come la figlia di qualcuno, o la fidanzata di qualcuno”. Cose che tu hai detto nella realtà... solo modificate un po’.» sorrise quella, facendole una chiara linguaccia.
Aneira divenne color pomodoro e iniziò a sbraitarle – a bassa voce – contro: «Ma non è vero! Hai detto diverse bugie!»
«Rilassati, non lo diranno a nessuno!» aveva risposto con calma Alis, spavalda «E poi tutto il resto è vero. Quella storia della figlia, fidanzata, moglie...»
E Tom lo sapeva: Alis, pur avendo montato quella bugia per fare in modo che andasse a suo favore, sapeva che la base che riguardava Aneira era vera; lei non sarebbe mai stata la borsetta di qualcuno. Sarebbe probabilmente andata dall’altra parte dell’Atlantico per affermare ciò, per seguire la sua carriera – e aveva ragione, la ammirava per quello. Ma era anche il motivo principale per cui non sarebbero mai – probabilmente – potuti stare insieme: pensando entrambi alle proprie carriere quando avrebbero potuto pensare a loro come ipotetica coppia? E questo lo rendeva un po’ più malinconico.
«Alis! È sbagliato!»
«Zitta, ci stanno guardando. Sorridi e annuisci.» la riprese la minore, facendo lo stesso anche lei: Aneira continuò a guardarla malissimo, ma venne seppellita dall’abbraccio palesemente finto della sorella, che coinvolse sia lei che Tom, per poi correre dai suoi amici.
«Aneira, dalla colorazione del tuo viso posso assumere che stai per esplodere.» Tom le diede una pacca affettuosa sulla spalla, mentre lei passava a diverse altre sfumature di rosso.
«Quella ragazza sarebbe un’attrice fottutamente brava, è già falsa da morire per affermare il suo status!» borbottò lei in risposta, riafferrando brutalmente la mano del ragazzo, nervosa.
«Me l’hai quasi arpionata. Calmati. Tu non hai mai fatto queste cose da giovane?»
«Avevo Sev, Alia e Millie, cosa me ne importava dello status sociale?! E Morvoren, che conosco da una vita. Non me n’è mai potuto fregare nulla davvero di quello che pensavano i coetanei. Certo, passare per quella strana non era piacevole, ma non ero così interessata a mostrare... diamine, non è nemmeno la realtà!»
Tom le diede un’altra pacca affettuosa sulla spalla, come per tirarla su di morale: «Sono un uomo, non so cosa siano questi giochetti da donna. Nel senso, l’ho visto fare, ma quando ero ormai grande. Non ho visto molte ragazze tra i tredici e i diciott’anni, o almeno, non abbastanza a lungo per studiarne il comportamento.»
«Ah, già, il collegio maschile. O meglio, Eton. Beh non ti sei perso assolutamente nulla.»
«Non sarebbe stato un brutto studio antropologico, però.» ammise lui, ridacchiando.
«Sarebbe stato uno studio sicuramente variegato.» concluse lei, sapendo esattamente dove si stessero dirigendo – o meglio, le sue gambe lo sapevano – ma senza prestarci troppa attenzione: doveva prima sbollire la rabbia per godersi veramente la cena nel suo locale preferito di St. Ives.

Chiacchierando, passeggiando sulla sabbia e poi in città, tra artisti di strada e localini caratteristici, alla fine le era passato il nervosismo: aveva davvero portato Tom nel suo locale preferito, ma dopo erano tornati subito a casa. Per dispetto non aveva aspettato Alis – che avrebbe sicuramente fatto più tardi di loro, essendo stanchi come due turisti all’estero – e sapeva che ciò avrebbe costretto il suo gruppo ad accompagnarla fino a casa: sperò che non facessero casino, sennò li avrebbe sgozzati indistintamente tutti nel caso in cui l’avessero svegliata.
Aveva raggiunto la camera degli ospiti poco dopo rispetto a Tom, e l’aveva trovato a occupare la poltrona letto – ma era ancora sveglio.
«No! Non dormi lì! Io non dormo nel letto!»
«E invece sì.» aveva ribattuto lui, impuntatosi.
«E invece no.» ma nessuno avrebbe mai battuto Aneira in quanto a testardaggine e spirito di contraddizione, così si infilò con lui nella poltrona letto «Se vuoi stare scomodo tu, dormiremo entrambi scomodamente.» dichiarò quella fermamente.
Tom aveva imparato a conoscerla e non ribatté, si limitò a passarle un braccio attorno alla vita e a mormorare qualcos’altro: «Non ti caccerò e non ribatterò: e so quanto questo ti darà fastidio.» aprì un occhio per bearsi dello sguardo infuocato di Aneira – che probabilmente voleva davvero sputargli fuoco addosso in quel momento – e ridacchiò «Buonanotte, Hier.»
«Mpf! Buonanotte!» aveva risposto lei in uno sbuffo, tirando più su le coperte ma non voltandosi dall’altra parte: quella poltrona letto era imbarazzantemente piccola, corta e scomoda per tutti e due, ma ormai era diventata una questione di principio.
Lo stava osservando da un po’ – non capiva se fosse ancora in quella fase di dormiveglia, quando sei ancora semi-cosciente di quello che accade intorno a te o se fosse già crollato in un sonno profondo – ma nel frattempo si dimenticò per un po’ del suo spirito di contraddizione, ripensando alla frase meno romantica della storia, probabilmente, ma che per lei era stato comunque un colpo al cuore: “Non ci baderei, sai. Non mi dispiacerebbe.”. Stava cercando di dire qualcosa di molto importante dandogli meno peso, conscio del fatto che se ne avessero parlato sul serio non sarebbe andata a finire bene. Ma aveva, più o meno, reso chiari i suoi pensieri – e le sue emozioni. Sorrise, nonostante tutto. E lasciò scorrere l’indice lungo la sua fronte alta, il naso imponente, il labbro superiore che non lo era per nulla e quello inferiore che era leggermente più carnoso, per poi fermarsi alla barba ispida del mento: riusciva a riconoscere persino qualche efelide sul viso, sebbene l’unica luce che entrava dalla finestra fosse quella della luna. Se si fosse avvicinata un po’ di più, se l’avesse baciato, probabilmente lui non l’avrebbe saputo: magari avrebbe potuto ricordarselo vagamente, ma non sapendolo distinguere dalla realtà. Non era una certezza: poteva tranquillamente non essere accaduto nulla. Ed era l’unica cosa – che avrebbe saputo solo lei – che avrebbe sancito in qualche modo il loro interesse romantico mai espressamente palesato a parole. Che era a quanto pareva presente, ma non era mai stato esplicitamente portato fuori. E poi voleva conoscere il sapore delle sue labbra, il suo inconscio se lo chiedeva da un po’ di settimane – venendo quasi sempre brutalmente zittito dalla ragione e dal cervello della stessa. Si avvicinò di qualche altro millimetro, percepiva chiaramente il suo respiro sul viso: era curiosa. Si stava avvicinando a lui in un misto di curiosità e sentimenti, domande, pensieri. Non sapeva che senso avesse, ma a quel punto lo voleva e basta. Non stava nemmeno più pensando alle motivazioni sensate o poco sensate che aveva, era arrivata a un punto di non ritorno: l’avrebbe baciato e basta.
E allora posò le labbra sulle sue: candidamente, innocentemente, velocemente. Era in procinto di ritrarsi, quando qualcosa che non si sarebbe mai aspettata – e che, se l’avesse saputa prima, l’avrebbe sicuramente fatta desistere dal provare quello che aveva tentato di fare, riuscendoci – accadde: Tom rispose. Lui era sveglio, manteneva ancora gli occhi chiusi, ma era più che sicuramente sveglio: e aveva risposto al bacio intensamente, passionalmente, completamente e per nulla innocentemente. Era un bacio ricco di sentimenti, che coinvolgeva entrambe le parti nello stesso modo, con la stessa veemenza e con lo stesso bisogno di suggellare quel momento e ricordarlo come probabilmente unico nel suo genere, unico tra di loro. Si cercavano ripetutamente, cercavano l’unico contatto fisico che avrebbero mai potuto avere – l’unico che avevano deciso di avere – l’unico che sapevano di bramare e nel quale erano incappati un po’ per la situazione, ma per buona parte volendolo. Senza però averlo pianificato.
Quando si separarono, Tom diede un altro chiaro segnale del suo essere vigile: le baciò la punta del naso, poi la fronte; e aprì gli occhi. Passò un braccio sotto la vita di Aneira, mentre l’altro la liberava e la mano andava a posarsi sul viso, lievemente. Era il primo bacio sulla fronte del quale Aneira fosse a conoscenza, il primo di cui sapesse l’esistenza: lo impresse quasi con forza, come se volesse che la sua permanenza lì fosse eterna – anche quando sarebbero stati sicuramente lontani.
E poi la guardò negli occhi: lei non si nascose, rispose allo sguardo con fermezza, senza spostarlo di un millimetro. Si guardarono così a lungo che probabilmente a un certo punto sarebbe potuto diventare imbarazzante, ma non lo era per loro.
Poi però cercarono ognuno la presenza fisica dell’altro, nello stesso momento: Tom l’attirò a sé, molto più vicino di qualsiasi altra notte che avevano passato a dormire insieme, e Aneira si nascose letteralmente sulla spalla del ragazzo, passando la gamba destra tra quelle di lui. Non sarebbero potuti essere più intrecciati in quell’abbraccio, ma per quella sera sarebbe andata bene: dovevano rimanere così, non avrebbero sopportato null’altro, in nessun’altro modo. Tom spostò la mano sinistra sulla nuca di lei, avvicinandola un altro po’ a sé: non gli importava quello che sarebbe accaduto la mattina dopo, quando avrebbe percepito entrambe le braccia palesemente intirizzite.
Avrebbe accettato volentieri il formicolio delle braccia la mattina dopo per giorni e giorni, se quello avesse significato che avrebbe potuto tenere Aneira stretta a sé così, in quello stesso identico modo, sempre.
 

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Capitolo 28
*** 27. The One With The Exotic Gardens, The Present And The Party ***


Buongiorno! Scusate immensamente per il ritardo, so di avervi fatto aspettare ben più di una settimana, ma purtroppo non ho avuto la possibilità di controllare il capitolo... l'ho fatto solo ieri! E sono 8 pagine, quindi non era una passeggiata XD Il banner è sempre stato fatto da _Lith_, lo stile del titolo è sempre ispirato a FRIENDS e la foto (che rappresenta Portloe) non è mia ed è stata modificata da me. Buona lettura!











 
The Guy Who Turned Her Down


27. The One With The Exotic Gardens, The Present And The Party


 
Quando la mattina dopo si ritrovò comunque avvinghiata a Tom, l’imbarazzo della notte prima prese a fare capolino. In realtà non sembrava esserci nulla di diverso dal solito – insomma, aveva sbavato sulla sua maglietta e sulla sua camicia più volte, ci sarebbe potuto essere qualcosa di più imbarazzante? – però era diverso. Era cambiato tutto: lei l’aveva baciato credendolo addormentato e lui non lo era assolutamente. Anzi, aveva risposto e aveva sottolineato aprendo gli occhi alla fine che era ben sveglio, non poteva essere frainteso.
Rimase in quella posizione ancora per un po’, mentre lui indeboliva la stretta, lasciandole la possibilità di separarsi da lui: ne approfittò solo dopo diversi minuti, liberando prima una gamba e poi posandosi sulla schiena, osservando il soffitto. Non era ancora del tutto pronta, però: infilò la mano sotto le coperte, cercando quella di Tom e trovandola subito dopo. Lui rispose alla stretta e intrecciò le dita a quelle di lei.
«Buongiorno.» disse infine Aneira, voltandosi infine a guardarlo: sarebbe stato imbarazzante? Diverso? Si sarebbe persa tutta la loro complicità, o sarebbe anche peggiorata e non sarebbero riusciti a stare l’uno lontano dall’altra?
«Buongiorno. E buon compleanno, Aneira.» oh già, il suo compleanno. Se n’era completamente dimenticata il giorno prima. E adorava l’inflessione della sua voce quando pronunciava il suo nome per intero, perché paradossalmente lui azzeccava anche la pronuncia gallese, quella giusta. Ed era uno dei pochi – in realtà l’unico, a parte sua madre – e in quella situazione le fece venire la pelle d’oca. Ovviamente – purtroppo – in positivo.
Gli lanciò un’occhiata, sbattendo le palpebre: «Grazie.»
«Dove mi porti, oggi?» sdrammatizzò – fortunatamente, la tensione del momento la stava lentamente uccidendo – Tom, sorridendo sornione.
«Oh beh, guidi tu. Però Penjerrick Garden, porto di Falmouth e Portloe. Baie e giardini, insomma.»
«Menomale!» rispose lui – ma non si riferiva in realtà alla sua guida, sebbene lei l’avesse interpretata così e gli avesse risposto con un pugno leggero sul braccio: non aveva tirato il regalo di compleanno per lei fuori dal portabagagli da quando l’aveva comprato. Quindi non sapeva neanche di stare per riceverne uno, e non l’avrebbe saputo fino al momento in cui lui l’avrebbe tirato fuori. Sarebbe stato qualcosa di conosciuto solo da loro due – e da Eddie, che l’aveva accompagnato a fare compere – e una vera e propria sorpresa.
«Eviterò commenti sul tuo simpatico “Menomale”. E comunque faremo all’incirca centotrenta chilometri in tutto, andando e tornando, e non so se il maggiolone possa farcela. Io sicuro mi seccherei a guidare, quindi ti concedo l’onore di scarrozzarmi in giro il giorno del mio compleanno.» sorrise lei, sadica, in risposta.
Ma a Tom non dispiaceva assolutamente guidare – e nemmeno scarrozzarla per la Cornovaglia, a dirla tutta. Alla fine Aneira si sedette sulla poltrona-letto, con un mal di schiena non trascurabile – non osava pensare in che condizioni fosse lui – e si alzò, alla volta del cellulare: diversi messaggi di auguri, tra sms, chat su Whatsapp, Facebook e Twitter, ma lei stava cercando un numero. Fece partire la chiamata e attese in linea, per poi riconoscere l’inconfondibile voce di Sevi dall’altra parte del telefono.
«Buongiorno, non ti farò gli auguri perché ti vedrò stasera.»
«Stasera?» chiese Aneira, perplessa.
«Non c’è la festa da te?» chiese l’amica, trascinando un borsone per la stazione di Falmouth.
«Ucciderò mamma.» rispose l’altra, sorridendo sadicamente.
«Me l’ha detto Eddie... credevo mi avessi chiamata per quello!»
«In realtà sì, cioè ti ho chiamata per chiederti se fossi qui oggi, visto che ci sono finita per rapimento da parte di Tom con l’aiuto di mamma, e volevo vederti. Ma non sapevo di nessuna festa, anche se avrei dovuto immaginarlo.»
«Sto partendo da Falmouth proprio in questo momento!» aveva risposto Sevi «Ma quindi da te comunque, stasera?»
«Certo. Ti scrivo l’orario con certezza, devo prima costringere mia madre a confessare e poi porto Tom ai giardini di Penjerrick.»
«A proposito, come sta andando la situazione Tom?»
«Te lo dirò stasera.» esalò Aneira, roteando gli occhi.
«Oh cielo. È grave?»
«Non lo so?»
«Gravissimo.» dichiarò allora con sicurezza Sev «E c’è Tom lì, vero?»
«Sì.»
«D’accordo, d’accordo. Beh, ci sentiamo dopo allora. Non è che puoi scrivermelo...?»
«No! A voce.»
«Okay, okay.» Sevi si sarebbe rassegnata ad aspettare qualche ora, sebbene volesse saperlo subito. Avrebbe chiamato Eddie, magari lui l’aveva saputo tramite Tom «Buona giornata, a stasera!»
«A dopo» aveva risposto Aneira, scendendo in modalità battagliera al piano di sotto. Tom era certo che non l’avrebbe rivista fin quando lei non avrebbe ottenuto quello che voleva, così si ristese nel letto e incrociò le braccia dietro la nuca.

Non appena chiuse la chiamata con Aneira, Sevi compose immediatamente il  numero di Eddie, e quello avrebbe dovuto rispondere o l’avrebbe chiamato a casa. Ma non ce n’era stato bisogno: dopo due squilli, seppur con voce assonnata, il ragazzo rispose «Sevi?»
«Buongiorno, dormiglione! Sai cos’è successo tra Tom e Aneira?»
«Cos’è successo tra Tom e Aneira?» la voce di Jules fece capolino dall’altra parte del ricevitore, curiosa.
«Non lo so! Perciò lo sto chiedendo a voi! Aneira mi ha detto che deve dirmi qualcosa, ma non so che cosa, e credevo che Tom te ne avesse parlato!»
«Tom non mi ha ancora detto nulla. Ancora. Glielo estorcerò.» da come lo dichiarò sembrava che quella sarebbe stata la missione della vita di Eddie.
«No! Sennò saprà che Aneira mi ha accennato qualcosa e che io l’ho detto a te e tu stai indagando per tutti!»
«E beh?»
«E non sappiamo che cosa sia, magari hanno pure ucciso qualcuno insieme e non si doveva sapere!»
«E perché Aneira dovrebbe averlo detto a te, a quel punto?»
«Perché ovviamente l’avrei aiutata ad occultare il cadavere!» spiegò con tono ovvio Sevi, alzando gli occhi al cielo e spiazzando Eddie e Jules «E comunque non penso abbiano ucciso qualcuno. Ma qualcosa è successo, e non sappiamo di che entità sia.»
«Io voglio indagare!» dichiarò Eddie, imbronciato.
«Se lo devi fare, fallo con discrezione. Son più che certa che quando lo saprò io, probabilmente Tom l’avrà detto anche a te. Teniamoci in contatto.»
«E se lui lo dice prima a Luke o a Lara?» ipotizzò Eddie, sbuffando.
«Minacciali e convincili a dirtelo.» rispose Sevi, determinata «Buona giornata, riccone
«A te, campagnola
Eddie non ebbe nemmeno chiuso la chiamata che già stava scrivendo a Luke e a Lara: la notizia si stava diffondendo a macchia d’olio, senza che si sapesse effettivamente quale fosse nella realtà.

Aneira era uscita di casa solo dopo aver costretto la madre a promettere solennemente che quella piccola riunione della serata avrebbe compreso solo loro quattro, Tom e Sevi. Se solo si fosse permessa di invitare altra gente aveva dichiarato che sarebbe uscita a mangiare fuori e si sarebbe portata Tom e Sevi appresso.
Era particolarmente soddisfatta di sé, a metà tragitto verso Penjerrick. Sorrideva sorniona, tamburellando con le dita sulla sua gamba destra e canticchiava le canzoni che venivano trasmesse.
«Le hai praticamente inveito animosamente contro per dieci minuti buoni, penso che alla fine ha semplicemente dovuto arrendersi.» commentò pratico Tom, aggrottando le sopracciglia.
«Beh, sa quanto odio le sorprese, e soprattutto le feste e i raccoglimenti familiari a sorpresa: è il mio compleanno, non il suo, sta a me decidere chi posso invitare e chi no.»
«Ah, come sei di coccio.» per esprimere meglio il concetto, se solo non fosse stato alla guida, avrebbe chiuso a pugno una mano e l’avrebbe avvicinata al palmo dell’altra mano, ripetutamente: ma non poteva o probabilmente sarebbero finiti nella campagna insieme ai trattori.
«Non che sia una novità.»
Tom scosse vigorosamente la testa: «Assolutamente no.»
Per quel giorno le concesse di scegliere la musica – anche perché non voleva avercela contro, dopo la discussione di quella mattina con la madre – ma lei proprio per quel motivo non si vendicò e scelse cose tranquille, che non l’avrebbero mentalmente distrutto. Ad un certo punto aveva addirittura aperto il vano del cruscotto di fronte a lei, iniziando a macchinare con tutti i cd del ragazzo.
«Cosa stai cercando?»
«“For Emma, Forever Ago”» rispose semplicemente, emettendo un verso soddisfatto non appena lo trovò.
«Come mai?»
«Non ho potuto finire di ascoltare tali Bon Iver l’altro giorno!»
«Perché li hai tolti tu!»
«Dovevo vendicarmi!» spiegò Aneira, come se stesse dicendo la cosa più razionale al mondo.
Dopo qualche canzone e a dieci minuti dall’arrivo, si decise a esprimere un parere «Sarebbero perfetti in Grey’s Anatomy.»
«E infatti han fatto da colonna sonora.»
«Questo è esser nerd riguardo a qualcosa, Hiddleston!» ribatté quella «E comunque è un complimento. Io amo il genere di canzoni che passa Grey’s Anatomy. Praticamente me ne fa conoscere a bizzeffe, la musica che ormai ascolto deriva tutta da telefilm, principalmente scene molto angst.»
«Lei riconosce una tipologia di canzoni e la etichetta “Grey’s Anatomy” e poi sarei io il nerd, certo.» svoltò a destra, scuotendo la testa e seguendo la strada.
«E comunque mi piacciono, non sono male.» commentò infine lei, facendo spallucce.
Passarono la mattinata a passeggiare tra foreste tropicali e piante sconosciute, tanto da sembrare un paesaggio degno di Jurassic Park.
Per pranzo si avvicinarono alla città, camminando lungo la costa e guardando le millemila barchette presenti nel porto di Falmouth, fermandosi a pranzare – e a bere birra prodotta in Cornovaglia, visto che Tom ancora non l’aveva provata – lì per poi partire alla volta di Portloe. Lì l’avrebbe sicuramente costretto a passeggiare sulla spiaggia: era una delle baie più piccole e caratteristiche che avesse mai visto. E il colore dell’acqua era spettacolare.
«Ho una domanda che mi torna in mente: per caso stiamo andando con la mia proprio perché tu non vuoi guidare per tre ore buone?»
«Sì, ovviamente: te l’ho praticamente detto stamattina!»
«Mi sento sfruttato.» dichiarò lui, tenendo d’occhio Aneira che macchinava nuovamente con i suoi cd «Cosa cerchi?»
«Dato che ritengo che questi Bon Iver, oltre a essere interessanti, siano anche tra i tuoi preferiti, sono più che certa che troverò altri cd qua dentro. Indi per cui continuerò a cercare finché non li trovo, perché sono rilassanti.»
«Ottima deduzione, Watson!» la punzecchiò apertamente lui, mentre lei gli rispondeva con un’occhiataccia: «Pensi forse di poter essere Sherlock?»
«Vorresti essere tu Sherlock? E poi certo, dal mio punto di vista sì, sono io il protagonista!»
«Egocentrico.»
«Ehi, mi sono scelto un protagonista odiato da molti!»
«Non cambia il fatto che tu sia egocentrico, se vuoi essere il protagonista!»
«Anche tu vuoi esserlo, quindi potresti essere considerata egocentrica anche tu.»
«Beh, ma perché Sherlock è intelligente. E odioso. Quindi non posso non amarlo. Amo anche Watson, eh, però Sherlock è più una divah, quindi non può non spiccare rispetto agli altri.» trovò il cd e lo inserì nel lettore.
«Secondo questa teoria non dovremmo essere né io né te Sherlock. L’unica diva che conosciamo...»
«È Eddie!»
«È Eddie.» terminò Tom, all’unisono con Aneira, che scoppiò a ridere «Ecco, appunto.»
«Ma non è abbastanza brillante per esserlo.» ribatté la ragazza, pensierosa.
«Nemmeno noi due, a dirla tutta.»
«Mycroft?»
«No, con quel nome Mycroft è Mycroft, allora!»
«Irene può esserlo anche nella realtà Lara.» convenne lei, annuendo.
«Io potrei anche essere Watson, ma tu saresti una Molly perfetta!»
«Grazie mille, Hiddleston!»
«Non riesco a capire se sei sarcastica o dici sul serio.» commentò lui con un sopracciglio alzato.
«In realtà dicevo sul serio, io adoro Molly. Ma tutti adorano Molly, come si può non adorare Molly!»
Trascorsero tutto il pomeriggio in spiaggia, seduti un po’ ovunque a guardare l’oceano e le rocce che spuntavano in ogni dove. Alla fine Aneira aveva steso un po’ meglio la coperta e si era stesa, e Tom l’aveva imitata, fin quando non si rialzò per guardare nuovamente l’oceano: «Ma voi non entrate in acqua? Per esempio, per fare il bagno?»
«Con nemmeno venti gradi, no. Però magari, nelle giornate molto calde... per la maggior parte dell’anno il massimo che puoi fare è camminare sulla spiaggia.» fece spallucce lei, mettendosi seduta e seguendo con lo sguardo Tom che si alzava «Che fai?»
«Devo andare a prendere una cosa.»
«Che cosa? Ehi!» ma lui sparì comunque risalendo la spiaggia e andando verso la strada «Mah.» si ristese, non aveva intenzione di seguirlo, piuttosto avrebbe chiuso gli occhi e aspettato che tornasse, prima o poi. Un po’ come faceva spesso con Mycroft.
Quando tornò, Aneira era arrivata a buon punto nell’addormentarsi, ma il suo dormiveglia fu smosso dai suoi passi e soprattutto dalla sua domanda: «Non starai mica dormendo, vero?»
«Quasi.» aprì gli occhi e si girò su un fianco, trovandosi Tom con un pacco regalo in mano in piedi davanti a sé «Che cos’è?»
«Il tuo regalo di compleanno.» rispose quello, riprendendo il suo posto su un lato della coperta mentre lei si tirava su seduta e spostava lo sguardo, accigliata, dal regalo a lui. Tom glielo porse, ma lei continuava a scrutare lui, prima di iniziare a scartarlo e trovarci una scatola. Non era una scatola, vero? Quello sarebbe stato un ottimo regalo per Mycroft.
«Tu non hai fatto quello che hai fatto.» commentò lei, aprendo finalmente la scatola – squarciandola, anche peggio di come avrebbe fatto Mycroft – e osservando il libro basita. In realtà inizialmente era solo curiosa, poi aveva iniziato a sfogliarlo e aveva notato che c’era qualcosa di diverso.
«Temo di sì, ‘Nei.» annuì lui, sorridendo.
«Ma è un’edizione del 1857!» esclamò lei, non sapendo più dove posare quella copia, aveva anche paura di respirarci sopra quando s’era resa conto della data di pubblicazione.
«Non è una prima edizione di “Persuasione”, ma...»
«Stai scherzando?! È stupenda! È stata pubblicata neanche quarant’anni dopo, è bellissima!» senza lasciare un secondo il libro, si gettò al collo di lui: sembrava quasi volesse stritolarlo nell’abbraccio.
«Le uniche prime edizioni che abbia mai avuto sono quelle di Harry Potter... e questa per me va benissimo come prima edizione, anche se non lo è effettivamente. Grazie.» lo liberò dall’abbraccio, ricominciando a sfogliare il libro, curiosa.
«Sai, stavo quasi per riprenderti perché non avevi ancora ringraziato.»
«Anche se fosse, l’avevo mostrato con i fatti, e non con le parole. E comunque non potevi riprendermi, ti ho ringraziato!» ribatté quella, alzando lo sguardo per qualche secondo giusto per incontrare quello di Tom «E sfigurerà nella mia libreria. Nel senso... tutti gli altri libri sfigureranno.»
«Sì, probabilmente sì, non farà bene alla loro autostima.» commentò lui, annuendo con dispiacere «Non sarà una bella giornata per loro, quando li presenterai. Poveri, poveri libri.»
«Ti chiamerei stupido, ma poi non sarebbe carino, quindi mi limiterò ad avvicinarmi e ad abbracciarti.»
«Quando mai ti sei fatta problemi a darmi dell’idiota?» ribatté Tom, tirandola giù per una mano e passandole un braccio intorno alle spalle, mentre quella continuava imperterrita a sfogliare il libro: «Mi sembra giusto.»
«Non consumarlo troppo» indicò con un cenno del capo il libro, che Aneira aveva posato sulle ginocchia.
«Se non è vissuto, che gusto c’è?»
«Mi sarei decisamente dovuto aspettare una risposta del genere da te.» le scompigliò i capelli – ma lei non ci fece nemmeno caso, tanto era persa dai periodi della prefazione; e probabilmente avrebbero passato il resto della scampagnata così, entrambi: abbracciati e rapiti da pensieri e parole.

All’entrata di St. Ives aveva avvisato Sevi di tenersi pronta e dopo neanche cinque minuti l’aveva costretta a salire nell’auto di Tom: «So che siamo quattro gatti, ma non mi hai neanche fatto finire di usare il phon. Ho ancora i capelli bagnati. Oh, ciao, Jaguar del mio cuore!» aggiunse, accarezzando i sedili posteriori.
«Pardon?» alzò un sopracciglio Tom e incrociò lo sguardo della ragazza nello specchietto retrovisore.
«Oh, ehm, probabilmente non dovrei dirtelo ma quando sono venuta a Londra, Eddie è venuto a prendermi con la tua auto. Volevo guidarla, ma mi ha detto che se te la rompevamo tu rompevi lui, quindi, sebbene ci sia andato lui stesso vicino più volte, alla fine è uscita incolume.»
«Oh, Redmayne mi sentirà...» iniziò Tom, scuotendo la testa e svoltando su Carrack Dhu, infilandosi poi nel primo parcheggio.
«Oops.» commentò Sevi – in realtà era sempre un po’ contenta di portare qualche rogna a Eddie «Perché abbracci quel libro come se fosse tuo figlio, ‘Nei?» chiese, uscendo dall’auto.
«Tom mi ha regalato un’edizione del 1857 di “Persuasione”» spiegò quella, stringendosi al petto il libro «Non penso la smollerò molto presto, una copia del genere.»
«Fa’ vedere!» esclamò Sevi, iniziando a sfogliare il libro.
«Ah, e ora che avete entrambi le mani libere – Sev, molla il libro – Tom, ti presento Sevi, Sevi vi presento Tom. Avete entrambi sentito parlare abbastanza l’uno dell’altra e viceversa per dover aggiungere altro.»
Tom porse una mano alla ragazza, che Sevi strinse, guardandolo accigliata: avrebbe dovuto inquadrarlo in una sola serata.
«Beh, andiamo a scoprire che cosa ha preparato madre per stasera.» Sevi chiudeva la fila, spostando lo sguardo dal libro a Tom, più volte. Le aveva fatto un regalo decisamente importante, e aveva organizzato il tutto in solo una settimana. Doveva assolutamente capire le sue intenzioni.

In realtà Nessa Gedye aveva ordinato le pizze e per tutta la giornata non aveva avuto alcuna intenzione di cucinare null’altro se non la Victoria Sponge Cake. Rientrando, avevano trovato Mycroft che saltava per casa – e tranciava con le unghie i pantaloni di pelle di Alis, che lo stava odiando molto durante la sua permanenza lì – euforico e il padre era alla TV – ovviamente sintonizzato sul tennis... poteva trovare qualcuno che parlava di tennis in qualsiasi momento, in qualsiasi luogo, in qualsiasi situazione – mentre la madre apparecchiava la tavola per sei.
«Oh, ciao Sevi, come va cara?»
«Vado in bagno.» dichiarò Aneira, salendo su per le scale.
«Salgo un attimo in camera.» aveva aggiunto Tom, mentre Mycroft smetteva di avere a che fare con i pantaloni di Alis e lo seguiva, trotterellandogli intorno.
Aneira ripose con tanta cura il libro in un telo, per poi metterlo dentro al borsone e andare in bagno: quando uscì trovò Tom che macchinava con il borsone, riponendo le ultime cose che erano piegate sul letto.
«Sei salito in camera subito dopo esser tornato a casa per finire di fare la valigia? Quando c’è del cibo al piano di sotto?»
«Sono rientrato proprio col pensiero, mia cara Aneira.» spiegò lui, lasciando solo una camicia piegata sul letto «E poi devo cambiarmi.» si liberò della maglietta e andò in bagno, mentre Aneira rimaneva sul posto imbambolata. No, decisamente gli ormoni non le facevano bene in quei giorni.

Dopo cena, Sevi aveva avvicinato Tom in giardino mentre Aneira aiutava la madre in cucina, e gli aveva piantato un indice molto poco dolcemente nella spalla.
«Tu non mi convinci.»
«Ahio! Perché avete questi modi tu e ‘Nei?!» ribatté lui, voltandosi verso la ragazza – una delle poche che in realtà poteva osservare senza dover piegare il collo.
«Oh, chiamalo essere dirette, o semplicemente più manesche della media.» spiegò quella, guardandolo dritto negli occhi, corrucciata.
«Avete già parlato, da sole?»
«No, penso succederà quando mi riaccompagnerà a casa. Allora, che ci fai qui?»
«No, prima una cosa.» disse lui, guardandosi intorno: osava contraddirla e avere qualcosa da dire riguardo Aneira prima di lei? Sevi gli rivolse un’occhiataccia, ma tacque «Non... essere troppo diretta. Quando parlerete.»
«Come scusa?»
«Qualsiasi cosa ti dirà, ma penso che sarà tutta la verità, non essere diretta in modo rude. Lei lo è, molte volte, e con persone in un periodo particolare diciamo che... ha avuto più danni che altro. Per le altre persone.»
«Stiamo parlando di Eddie, vero?»
Tom strabuzzò gli occhi, ma annuì: «Sì. Io ritengo sia in un periodo particolare. In una fase di scelta... aggravata anche da altre cose.»
«La tua situazione, no?»
«Oh, dovrei essermi abituato dopo sei mesi con Aneira.» disse più a se stesso che come rimprovero a Sevi «Lei non voleva nemmeno ritornare qui. Non so il perché, non so se c’entrino i suoi in qualche modo, se possano cambiare la sua scelta... so solo che l’ho dovuta trascinare. Sii solo... non so, sincera, come al vostro solito, ma calibra le parole. Non so come potrebbe prenderla della sincerità poco pensata al momento, soprattutto da te.»
«Scusami? Soprattutto da me?» alzò un sopracciglio, incrociando le braccia: cosa voleva dire con quella frase?
«Ti vuole tanto bene. Tiene molto in considerazione il tuo parere, sei praticamente parte della famiglia per lei, una seconda sorella – una che ritiene intelligente e rispetta e di cui tiene conto molto più di quella effettiva. E le manchi parecchio, e le mancheresti se scegliesse di...»
«Andare a New York, lo so.»
«Ecco. Semplicemente... Non lo so, sii presente per lei. Io non ci potrò essere.» fece spallucce, spostando lo sguardo per qualche secondo – lo sguardo severo di Sevi si ammorbidì: stava davvero parlando solo per interesse nei confronti di Aneira.
«Sarò diretta con discrezione.» dichiarò allora, e lui sorrise «Ma non sta a te dire di esserci. Io ci sono, sempre, anche a distanza!» alzò un indice in direzione dell’uomo, che se lo vide troppo vicino al viso, a dirla tutta.
«Va bene.» ammise, tirando un sospiro di sollievo quando Sevi abbassò la mano: «E comunque sono venuta a cercarti per farti diverse domande.»
«Oh, mi sarei aspettato un interrogatorio, dopo quello che mi ha raccontato Eddie...» il tono che lasciava intendere più di quello che probabilmente voleva fece riapparire l’indice accusatorio di Sevi, e Tom saltò su, roteando gli occhi «Quel tuo dito mi destabilizza ogni volta.»
«Cosa vuoi dire?!»
«Niente, niente, solo che mi ha parlato di te. Non so neanche in che modo siate diventati amici...»
«Quel bastardo dice che siamo amici?!»
«Mi aveva avvisato che avresti reagito così.» annuì Tom, mentre Sevi digrignava i denti mormorando tra sé e sé “Oh, mi sentirà, Eddie mi sentirà...”.
«Allora, l’interrogatorio?»
«Cosa ci fai qui?» l’indice accusatorio era tornato: avrebbe dovuto farci l’abitudine.
«Per riportare ‘Nei a casa per il compleanno, mi sono messo d’accordo con la madre.»
«Non sono stupida, Tom. Intendo dire, perché hai voluto trascinarla fin qui? E non dirmi perché te l’ha chiesto Nessa, non l’avrebbe mai fatto, non direttamente.»
Quella Sevi era davvero intelligente e furba: qualità che avrebbe apprezzato anche in quel momento se non fossero state usate palesemente contro di lui «Generalmente ritengo che chiunque, chiunque debba passare il proprio compleanno circondato da persone che gli vogliono bene. Non capisco perché lei si dovesse estraniare da tutti trascorrendolo a casa, quando poteva benissimo tornare.»
«Hiddleston, voglio il motivo profondo! Dai, lo sai che non mi prendi in giro!» esclamò quella, alzando gli occhi al cielo.
«Ma se già lo sai che ci tengo tanto a lei, perché devo ammetterlo?»
«Oh, perché se lo ammetti sei un passo avanti. L’hai elaborato e accettato.»
«Sai che cosa positiva ammetterlo davanti a qualcuno e sapere che tanto la situazione non cambierà.» sbottò lui, passandosi una mano tra i ricci.
«Come, scusa?»  chiese Sevi, curiosa, ma Tom scosse la testa «Questo non sta a me dirtelo. E scusami, per il piccolo sfogo.»
«Oh, tendo a stressare molto la gente in interrogatori del genere.» ammise lei, annuendo «E comunque, d’accordo. Hai passato il test. E non sarò troppo dura, insomma, possiamo parlare di sincerità cauta.»
«Sincerità controllata?»
«No, in termini più dolci al massimo. Niente bugie, Hiddleston.»
«Sì, lo so, lo so, so come funzionate.» sospirò lui, scuotendo la testa «Ora possiamo tornare dentro? Temo che stiano pensando che tu stia per uccidermi.»
«Beh, la mia espressione potrebbe aver lasciato intendere quello.» rispose Sevi, attraversando la porta che Tom le stava tenendo aperta. Poi si diresse come se niente fosse sul divano, dove Mycroft decise che sarebbe stata il suo cuscino per il resto della serata piazzandosi addosso a lei non appena quella si sedette.
«Allora, cosa vi siete detti?»
«Oh mio dio!» saltò su Tom, visibilmente sovrappensiero «Perché cammini come un ninja in questa casa! Ed esci dall’ombra!»
«Non è colpa mia, è la moquette!» ribatté Aneira, alzando gli occhi al cielo «Allora?»
«Oh, tanto ne parlerete tra voi, non c’è bisogno che te lo dica io.» rispose lui, sorridendole un’ultima volta prima di sfidare a ping pong il signor Hier.
Aneira raggiunse Sevi sul divano e cambiò canale, coccolando per un po’ Mycroft: «Perché mio padre accetta sfide che non sa di stare per perdere?»
«Mh?»
«Tom batte chiunque a ping pong. Si vanta ancora di quando ha fatto fuori tutto il cast di Avengers. Forse è una delle poche cose per la quale l’ho sentito vantarsi.»
«Oh, non mi perderò la sconfitta del signor Hier, allora!» esclamò l’amica, prendendo in braccio Mycroft e uscendo sul retro, mentre Aneira la seguiva dopo aver spento la TV: «Giustamente, cosa te ne fai del tennis in TV quando puoi vedere una disfatta semi-tennistica dal vivo?»
Ma nessuno la stava ascoltando: la partita era già entrata nel vivo e nessuno dei presenti avrebbe distolto gli occhi dalla palla da quel momento in poi, nemmeno il piccolo Mycroft.

Era mezzanotte passata e aveva fermato il maggiolone sul vialetto di Casa Moyle: doveva dirglielo, e voleva, però aveva anche timore di come avrebbe potuto reagire l’amica.
«Quando ripartirai?»
«Taglia corto, ‘Nei. Che è successo? Perché ne ha fatto riferimento pure lui, e ha detto che dovevi dirmelo tu. E comunque riparto tra circa cinque ore, sarò fortunata a dormirne tre.» rispose infine Sevi, guardandola accuratamente.
«Non so da quale delle due cose partire.»
«Partiamo dalla quasi dichiarazione che ti ha fatto e il fatto che comunque “sia tutto impossibile”? Cosa accidenti gli hai detto?!» proprio sincerità cauta, certo. Doveva frenare la lingua prima di uscirsene così, ma ormai il danno era fatto: anche se Aneira non sembrava averla presa male. Sembrava più che altro in difficoltà per quello che avrebbe dovuto ammettere di lì a poco «Gli ho detto che mamma mi ha fatto il discorso sul “È il tuo fidanzato? Spero di no”. E lui mi ha detto che non gli sarebbe dispiaciuto se fosse stato così.»
«Di classe!» commentò Sevi, alzando entrambe le sopracciglia.
«In realtà temo di averlo traumatizzato io ridendogli in faccia. Penso sia stato in procinto di dire altro, ma poi gli ho detto di New York. E che non avrebbe fatto schifo nemmeno a me se fosse stato vero.»
«Siete davvero una coppia di romantici, non c’è che dire!» commentò ulteriormente Sevi «E poi?»
«E poi abbiamo continuato come al solito. Abbiamo passeggiato mano nella mano, sia per nostra scelta che costretti da Alis...»
«Questa dovrai spiegarmela in futuro – ma comunque, è un comportamento davvero normale per una non-coppia, eh!»
«Smettila col sarcasmo Sev, l’ho baciato, diamine!» esplose Aneira, mettendosi entrambe le mani sul viso.
«Eeeeh?!» probabilmente l’aveva sentita tutto l’isolato «No, cioè... come...»
«Mi ero impuntata. Si era messo a dormire sulla poltrona letto. Al che mi sono messa accanto a lui, perché avevo deciso che se avesse voluto dormire lì, avremmo dormito entrambi scomodamente. Però poi ho ripensato a quello che ci eravamo detti quella mattina, alla quasi - dichiarazione, ed eravamo vicini...»
«E non hai saputo tenere a freno gli ormoni.» Aneira le lanciò un’occhiataccia molto breve: «Ero certa che stesse dormendo. Volevo solo provare. Tanto non l’avrebbe mai saputo...»
«E invece era sveglio, vero?»
«Sì. E ha risposto al bacio. Per un bel po’ di tempo. Poi ci siamo addormentati abbracciati. Ma comunque non cambia nulla.»
«Io capisco sinceramente la sua frustrazione.»
«Ah, la sua sì e la mia no? Insomma, oggi si è anche spogliato davanti a me...» Aneira sbuffava e scuoteva la testa contemporaneamente, stressata.
«La tua la capisco perché immagino che sia diventata frustrazione sessuale, però intendo, insomma... lui ha fatto tutta la fatica. Si è quasi dichiarato e ti ha portata qui e tutto... e tu gli hai detto che è fondamentalmente impossibile, ma che non ti sarebbe dispiaciuto e gli hai pure messo la lingua in bocca. Dev’essere un po’ confuso. E ti ha anche regalato un’edizione di secoli fa di “Persuasione”. Insomma, ti conosce proprio!»
«Cosa stai suggerendo, Sev?» chiese Aneira, accigliata.
«Nulla. Sai come la penso, semplicemente... capiscilo. Non ha tutti i torti a essere nervoso e a sbottare.»
«Non ha sbottato con me.» rispose l’altra, perplessa.
«Sì, l’ha fatto con me, insomma, l’ho messo sotto torchio prima.» mormorò quella, roteando gli occhi «Ma adesso come vi state comportando?»
«Ci abbracciamo. Camminiamo mano per la mano.»
«Slinguazzate?»
«No, direi che quello complicherebbe le cose, fatto ulteriormente e alla luce del sole.» spiegò Aneira, annuendo turbata.
«Aaah, chi ha il pane e non ha i denti...» commentò Sevi, aprendo la portella del maggiolone.
«Mi hanno accettata, a New York.» l’amica richiuse la portella, guardandola negli occhi: «Come?»
«Mi hanno chiamato oggi. Un azienda. Proprio per fare dei test ed esami di economia comportamentale per conto loro. Un internship. Dal prossimo Gennaio.»
«Non l’hai detto ancora a nessuno?» chiese Sevi, mettendole una mano sulla spalla sinistra. Aneira scosse la testa: «Non ancora, sei la prima. Penso di doverlo dire, prima o poi, ai miei...»
«E Tom?»
«Non so neanche quando non lo vedrò più. Non so quando ritornerò a casa, ma lui sicuramente... partirà prima. Non voglio dirgli addio.»
«Sempre meglio salutarlo che non chiudere proprio, però.» rispose Sevi, sospirando rumorosamente «Beh, vado. Le ore di sonno si riducono magistralmente...»
«Penso passeremo a salutarti, domani. All’ora di pranzo sei libera?» già a metà strada fuori dall’auto, Sevi annuì «Sarò a studiare in università di mattina e poi vi aspetto all’entrata per quell’ora. Sai già quando torni qua?»
«Non ancora, ma te lo farò sapere, Sev.» rispose Aneira, baciandole una guancia «Buon ritorno in treno e buona notte, per quanto sia quasi finita per te.»
«Ci vediamo domani, prima che ritorniate nel profondo est.» rispose l’altra, incamminandosi sul vialetto e salutandola con una mano solo quando era ormai entrata in casa.

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Capitolo 29
*** 28. The One With The Dance, The Last Visit And The Homecoming ***


Buongiorno! Questa volta sono in tempo e in orario e vi lascio con un capitolo più breve rispetto agli standard ai quali vi ho abituate recentemente XD Spero vi piaccia comunque, però! Il banner è sempre stato fatto da _Lith_, lo stile del titolo è sempre ispirato a FRIENDS e la foto (non ricordo dove sia, ma comunque è una delle tante bellezze della Cornovaglia!) non è mia ed è stata modificata da me. Buona lettura! 








 
The Guy Who Turned Her Down


28. The One With The Dance, The Last Visit And The Homecoming
 



Parcheggiò il maggiolone e iniziò a cercare le chiavi del cancelletto, ma non appena vide le luci dell’auto di Tom prendere vita da sole per poco non lanciò un urlo: poi guardò all’interno e ci trovò Tom – che rideva come un dannato – che indicava due coperte che aveva su una mano. Sarebbe salita in auto anche solo per picchiarlo: le aveva fatto prendere un coccolone bello e buono, all’una di notte ad accendere luci in una viuzza buia e sperduta – quella di casa sua, per giunta.
«Cosa stai facendo?»
«Ti rapisco.»
«Di nuovo?!»
«Solo per una passeggiata questa volta.» spiegò lui con un sorriso angelico – che aveva qualcosa di diabolico.
«E le coperte?» Aneira aggirò l’auto e prese posto sul sedile del passeggero, ancora visibilmente perplessa.
«Farà freddo a stare seduti sull’auto senza coperte, no?» ammise con nonchalance lui, mettendo in moto e dirigendosi a sinistra non appena uscì dalla stradina.
«Non mi dici dove andiamo?»
«Ad osservare le stelle ti va bene come risposta?»
«E come puoi aver trovato il luogo migliore per osservare le stelle se non ti ho perso d’occhio per due giorni?»
«Shhh. Tra meno di cinque minuti saremo arrivati.» rispose lui, indisponendola non poco: Aneira incrociò le braccia e attese, fin quando lui non si decise a fermare l’auto accanto al parcheggio del “The Island” – che in realtà era solo un promontorio, non aveva mai scoperto perché l’avessero chiamato così – ma senza entrarvi.
«Perché siamo qui?»
«Sì, un attimo.» mise nuovamente in moto, si spinse lungo la viuzza stretta che portava alla spiaggia accanto al promontorio e spense definitivamente il motore solo lì.
«Su, siamo arrivati.» Tom uscì dall’auto e stese una coperta sulla parte anteriore dell’auto, coprendo anche la visuale ad Aneira, che non era ancora uscita dal veicolo.
«Ho dell’edera rampicante alla mia sinistra.» dichiarò la ragazza spostando lo sguardo sul mare, dopo esser salita e aver posato la schiena sul parabrezza.
«Se ci fossimo fermati in una viuzza del genere a Londra probabilmente avresti della spazzatura alla tua sinistra, quindi non lamentarti.» tagliò corto lui, stendendosi e alzando lo sguardo verso il cielo.
«E il tuo parabrezza è scomodo.» commentò Aneira, alzando un sopracciglio.
«Vieni qui, lamentona.» spostò il braccio nella sua direzione e lei si posò sulla sua spalla, togliendogli di mano la coperta per mettersela addosso «Posso averne un po’ anche io?» chiese lui, sorridendole.
«Tirala verso di te.»
«Finirò per scoprire te.»
«Riconquisterò la mia parte della coperta con le unghie e con i denti, Hiddleston.» Tom eseguì, ma Aneira aveva altro da aggiungere «La tua auto potrà anche costare un bel po’, ma è così scomoda che persino la tua spalla è più comoda.»
«So quando mi stai facendo un complimento, Hier, e questo è proprio un complimento.» rispose lui, mentre la ragazza arrossiva visibilmente e non gli rispondeva. L’unica cosa che emise dopo un po’ fu un “Shhh” sommesso.
«Appunto.»
«Perché guardiamo le stelle se tanto sappiamo che non cadranno, non in questo periodo almeno?»
«Perché è bello guardarle anche senza aspettarsi nulla.» spiegò Tom, stringendola col braccio sinistro. Era per caso una metafora, quel discorso sulle stelle?
«Ma non ha senso. Ti aspetterai comunque qualcosa, sennò non staresti a guardarle per ore senza motivo.»
«Magari sono semplicemente belle, affascinanti, e le vuoi guardare anche se non si smuovono.» rispose lui, spostando lo sguardo su Aneira, che scuoteva la testa, non convinta: «Ma non accadrà nulla.»
«Ma sei contento comunque, anche se non hai espresso nessun desiderio. Sei semplicemente contento di averle viste per quel poco tempo che ne hai avuto la possibilità.» ma non stava più guardando le stelle da diversi secondi.
«In una sorta di teoria “Goditela finché dura”?» chiese lei arricciando il naso, perplessa, ma alzando comunque leggermente il capo verso Tom, che aveva decisamente smesso di guardare verso l’alto.
«Più o meno, sì.» rispose lui, avvicinandosi di qualche millimetro al suo viso, già peraltro molto vicino.
Aneira non si ritrasse, ma non si avvicinò nemmeno: continuava a guardarlo dritto negli occhi, ma sapeva che era un errore, soprattutto alla luce della chiamata di quella mattina.
«Vieni, andiamo.» Aneira rimase stordita: Tom stava per baciarla – sapendo chiaramente di essere entrambi coscienti – ma si fermò e la trascinò giù dall’auto «Dove?»
«Non senti la musica?» chiese lui, voltandosi verso la città.
Prima di rispondere, Aneira dovette davvero aguzzare l’udito per poi riconoscere “She” di Elvis Costello che proveniva da lontano. Ma nel frattempo Tom l’aveva già portata sulla spiaggia – dove la musica era ben più udibile – e aveva iniziato a condurla in un lento.
«Ballo del mattone, sul serio?! Mi sarei aspettata di meglio da te, Hiddles.»
«Con questa musica? Neanche io ci riesco a ballare in modo fantasticamente assurdo su questa, mi dispiace.» rispose lui, facendo spallucce, mentre i piedi di entrambi affondavano nella sabbia, rendendo tutto molto più lento e goffo «E poi tu come lo sai?!»
«Ho internet, Tom. Hai presente Tumblr? Sei il Re dei Ballerini di Tumblr.» spiegò lei con un tono che lasciava trasparire ovvietà da tutti i pori.
«Me lo sarei dovuto aspettare.» si rimproverò lui, sedendosi sulla sabbia non appena non udì più nessuna nota: Aneira lo imitò, con un’espressione di evidente disgusto che andava dipingendosi in viso «Cosa c’è?»
«La sabbia. È schifosamente umida.»
«Viziata.» commentò a bassa voce lui, beccandosi – e meritandosi ampiamente – un pizzico sul fianco, mentre la ragazza terminava di fare strane facce e posava nuovamente il capo sulla sua spalla. Tom la strinse a sé automaticamente, senza nemmeno pensarci: era diventata la normalità, una normalità che sarebbe stato difficile sradicare quando sarebbero tornati a casa.
«Dal prossimo cinque Gennaio sarò in seduta fissa a New York. Almeno per sei mesi.» le uscì di bocca anche solo pensandoci: aveva detto a Sevi che non avrebbe voluto dirglielo, e invece era la seconda persona a saperlo dopo di lei.
Tom si voltò per osservarla, ma Aneira fissava il mare con un’espressione imperscrutabile: «Oh.»
«Godiamocela finché dura?» chiese di getto lei, non pensandoci minimamente, voltandosi per guardarlo negli occhi.
«Assolutamente.» rispose altrettanto velocemente lui, scagliandosi sulle sue labbra senza darle la possibilità di aggiungere altro.
Quando si separarono per prendere fiato, però, Aneira riprese parola: «Fino a Londra, però.»
«Abbiamo ancora sedici ore.» rispose lui, guardando l’orologio.
«Meglio non perdere tempo, allora.» passò una mano tra i ricci dell’uomo – cosa che aveva desiderato fare anche la notte prima, ma aveva avuto paura di svegliarlo... senza sapere che era in realtà già sveglio – e riconquistò le sue labbra, non intenzionata a lasciarle andare molto presto.

Quando Eddie ricevette alle quattro del mattino un messaggio con su scritto “Si sono baciati.” non aveva capito. Poi aveva letto il nome del mittente e aveva iniziato a strillare come una ragazzina, facendo svegliare Jules di scatto e in un modo terribile. L’aveva guardato sconvolta e poi aveva portato le mani intorno al suo collo: «Io ho un esame, domani! Che diavolo hai da strillare?»
«Sevi mi ha scritto che si sono baciati!» Eddie le piazzò il telefono di fronte agli occhi, ma Jules fu più veloce a collegare il tutto e iniziò a strillare anche lei, saltando per la camera abbracciando il ragazzo. Si fermò solo dopo un po’, guardandolo negli occhi: «E ora?»
«In che senso?»
«Beh, lei non voleva mettercisi insieme...»
«Chiamiamo Sevi.» non aveva nemmeno terminato la frase che il telefono stava già squillando.
«Eddie. Sono le fottutissime quattro del mattino. Che c’è?»
«Mi hai scritto tu! Si sono baciati!»
«Smettetela di fangirlare, tutti e due. Si sono baciati, sì, e  anche semi-dichiarati, ma non staranno insieme.»
«In che senso?»
«Ed, lui partirà a breve, lei da Gennaio. Come pensi che potrebbero mai stare insieme?»
«Beh ma... le relazioni a distanza...»
«Eddie, ci hai parlato anche tu con ‘Nei...» rispose visibilmente stanca Sevi, mentre Jules osservava la parete più vicina con un’espressione indecifrabile.
«Non è giusto.»
«Lo so. Mi dispiace persino per Tom...» rispose la ragazza dall’altra parte del telefono «Ora, per quanto mi farebbe piacere continuare la nostra chiacchierata, sto salendo su un treno...»
«Ci sentiamo, Sevi.» salutò lui, chiudendo la chiamata «Non è giusto.»
«Pensiamoci domani... dormi, Ed.» gli aveva detto Jules, tirandolo giù nel letto e coprendosi con le coperte fin sopra la testa.

Il giorno dopo erano stati svegliati dal bussare della madre di Aneira sulla porta dopo neanche tre ore che erano andati a dormire, ma nonostante tutto – per salutare perlomeno tutti i membri della famiglia – si trascinarono fuori dal letto e furono abbastanza bendisposti nel fare colazione con loro e accompagnarli alla porta: Alis era corsa a scuola uscendo di casa prima di tutti, poi Nessa e William uscirono insieme – la donna lo accompagnava sempre a lavoro, prima di andare al suo – e Tom e Aneira non richiusero la porta finché non terminarono tutti i saluti.
«Dovremmo mettere da parte le cose di Mycroft...» iniziò sbuffando la ragazza, posando la schiena contro la porta di casa.
«No, mancano solo nove ore.» rispose il coinquilino che-si-sarebbe-potuto-comportare-come-fidanzato-per-le-successive-nove-ore; le cinse la vita in un abbraccio e la baciò, lentamente, accuratamente «Buongiorno, Aneira Hier.»
«Buongiorno, Tom.» rispose quella, sorridendo sorniona. Dopo nove ore sarebbe ritornato tutto alla normalità.
«Tuo padre mi ha raccontato che in realtà hai fatto tennis per tutta la tua infanzia e adolescenza. Non posso non sfidarti, Hier!»
«Ma dobbiamo andare a breve!»
«Beh, tu battimi in fretta e andiamo subito!»
Tre set dopo – di cui due vinti dalla ragazza – si prepararono e costrinsero il povero Mycroft – che aveva passato gli ultimi due giorni saltando per il cortile interno e le scale – nel trasportino, mettendosi in auto solo dopo aver ripreso tutti i bagagli, aver messo in borsa il pranzo a sacco che Nessa Gedye aveva amorevolmente preparato loro e aver chiuso casa.
In poco più di un’ora arrivarono al Campus di Falmouth – proprio in orario per l’incontro con Sevi, che li attendeva all’entrata e faceva loro strada verso il parco, mentre Tom, Mycroft – nel trasportino portato proprio da lui – e Aneira la seguivano. Quando si furono sistemati su un angolo di prato, quest’ultima si dileguò andando in bagno, mentre Sevi iniziava a scrutare incessantemente Tom.
«Devo avere paura?» chiese lui, sospirando profondamente.
Sevi scosse la testa, fece per aggiungere qualcosa ma Tom fu più veloce: «Mi ha detto di New York.»
«E ora come siete rimasti?»
«Che ci comportiamo da fidanzatini fino a Londra.»
«Che idea stupida.»
«Non dirlo a me!» ribatté quello, coccolando attraverso l’apertura del trasportino il piccolo Mycroft.
«La terrò d’occhio anche per conto tuo.» aggiunse poco dopo la ragazza, iniziando a pranzare «Quando tornerà a casa. E se non lo farà, mi troverà alla porta di casa vostra in piena estate.»
«Sono contento tu abbia accettato.» rispose Tom, sorridendole. Sevi decise di rispondere al sorriso, passando però subito dopo a uno sguardo un po’ truce – ma anche sicuro: «Ti approvo, sai. E non do la mia approvazione facilmente. nemmeno se fossi Loki.»
«Qui voi avete un serio problema a distinguere persone e personaggi.» commentò lui, scuotendo la testa.
«Ehi, io sono nerd, Aneira è nerd, da noi tocca aspettartelo. Più che altro dai suoi genitori... potrebbe sembrare strano.»
«E imbarazzante, non dimenticarti imbarazzante.» commentò lui, roteando gli occhi, ma terminando non appena ritornò Aneira. Sevi aveva capito – e soprattutto accettato – la sua richiesta: ed era quella la cosa importante. Si fidava decisamente più di lei che di Luke, sebbene avesse fatto anche lui il suo lavoro egregiamente – ma temeva che quello fosse dipeso più dalla mancata intraprendenza di Aneira quanto dal ferreo controllo di lui, a dire il vero.

Quando arrivarono a casa, la grandezza della promessa fatta poco più di sedici ore prima li colse in pieno: non ci sarebbe dovuto più essere niente, e avrebbero dovuto farlo capire a Eddie, che doveva decisamente smammare per un po’.
Ma quando arrivarono a casa non ebbero nemmeno il tempo di far uscire Mycroft dal trasportino e portare le proprie cose nelle rispettive camere, che Jules ed Eddie li assalirono – ognuno in separata sede, ma contemporaneamente e proprio con quell’intento.
«Vi siete baciati!» sembrava quasi che Jules stesse sputando un’accusa invece di un’esclamazione, mentre Aneira non negava niente: anzi, si limitava a disfare le valigie e a porgerle un qualcosa incartato in dei panni.
«Che cos’è?»
«Me l’ha regalato lui per il compleanno.» spiegò Aneira, riponendo croccantini e suppellettili di Mycroft sulla scrivania.
«Oddio... è un’edizione del 1857! Ti ama!» sputò fuori Jules, rigirandosi tra le mani il volume e sfogliandolo – perdendo d’occhio per diversi istanti il suo obiettivo, ossia far parlare e farsi spiegare tutto da Aneira.
«Eppure abbiamo finito di sbaciucchiarci e deciso solennemente di non farlo più non appena saremmo tornati a Londra.»
«L’avete deciso o l’hai deciso tu?» ribatté l’amica, rivolgendole un’occhiataccia e incrociando le braccia.
«Io, ma non mi pare si sia opposto, Jules. Penso si renda conto della situazione impossibile anche lui.» spiegò la ragazza, mentre Mycroft si piazzava al centro del suo letto.
«Quando riparte?»
«Credo tra due settimane e mezzo.»
«Beh, ma quindi avete...»
«No. Sarebbe solo più difficile, salutarsi molto probabilmente dicendosi addio dopo aver accettato che c’è qualcosa che potrebbe durare più di sedici ore.» tagliò corto Aneira, riponendo il borsone ormai vuoto dentro l’armadio: poi si gettò sul letto e sospirò pesantemente.
«Tu come stai?» chiese infine Jules, sedendosi accanto a lei e passandole un braccio intorno alla spalla. Non aveva senso continuare a tifare per loro se tanto loro stessi non avevano intenzione di andare oltre quel poco che era già successo tra loro.
Aneira fece spallucce: «Rassegnata. Occupata. Penso di dover ripetere, domani ricomincio con gli esami... ma penso anche che stasera vorrò vedere un film con Tom.»
«Un po’ controproducente, non credi?» chiese l’amica, sorridendole in modo lievemente malinconico.
«Sì, probabilmente. ma sarà uno degli ultimi giorni insieme, uno degli ultimi giorni che saremo coinquilini e che probabilmente lo vedrò. Quindi mi va bene anche se è controproducente.» fece nuovamente spallucce, guardando finalmente l’amica negli occhi – probabilmente ne avrebbe fatto a meno Jules, non le andava di vederla rassegnata, triste – perché era palesemente triste, non lo si poteva negare – e sorridente comunque, essendo quello un sorriso malinconico: non sarebbe nato niente di buono da ciò, in futuro.

Dopo esser stato letteralmente assalito di domande – più o meno private – da parte di Eddie, si era ritrovato in cucina a cenare con la presenza del coinquilino acquisito per caso e di Luke, che era appena passato a trovarli.
O meglio, a trovare lui. E probabilmente anche a fare qualche domanda scomoda.
«Ho solo due domande, non mi interessa il resto.»
«Anche perché probabilmente te l’ha già spiegato tutto nei minimi dettagli Eddie.» convenne Tom, annuendo.
«No, è stata Lara, ma insomma il primo a passarci le informazioni era, sì, Eddie. Allora...»
«Vai, spara.» rispose Tom, pronto a qualsiasi domanda: beh, star cucinando con addosso il grembiule di Darth Vader lo rendeva effettivamente più sicuro di sé.
«Siete andati a letto insieme e come stai?»
«No. E spero bene, per ora non ci sto pensando. E tra poco più di due settimane sarò concentrato dall’altra parte del mare irlandese e non ci penserò. O almeno, spero sarà così, lo spero vivamente.»
«Bene, sennò avrebbe complicato tutto.» rispose Luke, tirando un sospiro di sollievo – nel frattempo,  Eddie si ribellava «Non è giusto! Lui ti ha chiesto qualcosa a cui non c’ero nemmeno arrivato e gli hai risposto!»
«Eddie, caro, lui non era interessato a quello solo per fare gossip!»
«Ma nemmeno io!» ribatté il rosso, imbronciato.
Il silenzio calò nella stanza non appena la testa di Aneira, con Mycroft sulla sua spalla, fece capolino: «È pronto tutto?»
«Sì, lo porto di là tra un po’. Il film?» chiese Tom, sorridendole nonostante tutto.
Aneira annuì, rispondendo al sorriso: «Tutto pronto.» e poi ritornò in camera.
«Se questi sono i fatti, dovresti decisamente smettere di illuminarti non appena entra nella stanza, Tom.» lo redarguì Eddie, sebbene lui fosse il primo fan – dopo Lara, probabilmente – di quella coppia in potenza.
«Non è facile, Ed, non è facile.» rispose l’amico, liberandosi del grembiule e portando malamente due piatti in una mano e una bottiglia d’acqua nell’altra.
Eddie si voltò a guardare Luke, che fece spallucce «Non ho la più pallida idea di come andrà a finire.»
«E per una volta, nemmeno io.» aggiunse il rosso «So solo che la mia dolce e simpatica ragazza mi sta intimando da tre ore di passare la notte da lei, e penso sia proprio per lasciare la camera di Tom a Tom.»
«Quindi Aneira le avrà detto qualcosa.» disse Luke, pensieroso.
«Probabilmente. Non so cosa, ma glielo estorcerò.»
«Non sarà piacevole, se ti sta praticamente facendo trasferire da lei per un po’.»
«Ma l’hai vista come sta, da quando è tornata? Aneira, intendo.» ribatté con tono ovvio il rosso «Non sarà sicuramente piacevole. Ha l’espressione di un condannato a morte, allietata solo da qualche scambio di sorrisi, rigorosamente con Tom. Dimmi tu se potrà mai essere una cosa piacevole, quella che si son dette.»
«E riguarda Tom.» aggiunse Luke, guardando Eddie negli occhi – lui nel frattempo era già pronto per uscire e aspettava solo che l’altro si alzasse.
«Sicuramente. Le ha anche regalato un’edizione del 1857 di “Persuasione”.» spiegò Eddie a Luke, che non lo sapeva.
«Oh... è quasi una tacita dichiarazione d’amore. Per entrambi, penso. Aneira potrebbe ricambiare solo con Shakespeare.» Luke prese il telefono dal tavolo e iniziò a seguire l’altro.
«E lo farebbe pure, secondo me.» aggiunse Eddie, aprendo la porta di casa «Solo che non possono. Non possono o renderebbero tutto ancora più problematico di quello che già è.»
Luke si limitò ad annuire, tirarsi dietro la porta di casa e a seguirlo in ascensore: non gli piaceva proprio quella situazione, per nessuno dei due. Si era – ormai – anche affezionato ad Aneira, e, sebbene in dimensione minore rispetto a Eddie o Lara, gli dispiaceva che dovesse andare a finire così: anche se non aveva mai fatto effettivamente parte della missione “Neto” messa in atto mesi prima dalla intraprendente Lara. E faceva davvero schifo il fatto che dovesse finire così, c’era un dieci per cento di giustizia da una parte, ma il restante novanta era completamente sbagliato, doloroso e triste.

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Capitolo 30
*** 29.The One With His Confession To His New Friends And Her Reunion With His Old Ones ***


Bonjour! Il banner è sempre stato fatto da _Lith_, lo stile del titolo è sempre ispirato a FRIENDS e la foto non è mia (hint: questo posto l'abbiamo già visto nella storia... riuscite a ricordare quale sia?) ed è stata modificata da me. Buona lettura! 







 
The Guy Who Turned Her Down



29.The One With His Confession To His New Friends And Her Reunion With His Old Ones



 
Era passato quasi un mese dalla fine degli esami, ma era rimasta a Londra nonostante tutto: non solo per salutare definitivamente Tom, ma anche perché aveva diversi impegni burocratici da portare a termine prima di tornare in Cornovaglia e prima che finisse l’estate, o concluderli a Dicembre sarebbe stato ancora più problematico.
Guardava lo schermo del computer sbuffando sonoramente, cercando di capirci qualcosa: doveva ancora chiedere il visto – perché l’ESTA che aveva fatto per l’Aprile precedente era ormai bello e scaduto e non sarebbe comunque andato bene per quello che avrebbe dovuto fare lei lì – e non sapeva da che parte cominciare. Si era data tre settimane di vacanze e ora, a meno di due settimane dal ritorno in Cornovaglia, non sapeva dove andare a parare.
Si massaggiò le tempie, togliendosi gli occhiali e chiudendo gli occhi: Tom era già partito da due settimane – non si sentivano come prima, quando era in Canada... dopotutto, che senso avrebbe avuto?
Eddie, invece, occupava ancora la stanza dell’amico: sebbene per le due settimane tra il weekend in Cornovaglia e la partenza per l’Irlanda si era stanziato da Jules, le sue cose erano ancora nella camera di Tom e, prima della partenza di quest’ultimo, aveva fatto anche in modo di diventare il locatario effettivo della camera. Tom prima di partire aveva messo tutte le cose che non avrebbe portato con sé negli scatoloni e, per quello che lei aveva saputo per vie traverse, sarebbe andato a prenderli per portarli nella casa nuova solo dopo esser tornato dall’Irlanda – probabilmente quando lei sarebbe stata anche a St. Ives.
«‘Nei?» Eddie si affacciò sulla porta in jeans, t-shirt e occhiali da vista praticamente del suo stesso modello – in quel periodo lo vedeva molto spesso vestito così, non aveva capito se fosse ricollegato al caldo o al senso di colpa di star frequentando una ragazza nove anni più piccola. A suo favore c’era da dire che però sembrava molto più giovane della sua età, come Jules sembrava molto più grande.
«Ehi, Ed.»
«Stai avendo problemi per quella roba?»
«Sì, non so dove andare per iniziare. Non so proprio dove mettere mani...» sbuffò, portando le ginocchia al petto.
«Io sto andando a fare la spesa: se vuoi ancora impazzire appresso al visto d’accordo, ma quando torno si esce.»
Aneira gli rivolse uno sguardo perplesso, aspettandosi una spiegazione. Non arrivando, si decise a parlare: «Dove dobbiamo andare?»
«Mi vedo per un tè con Lara e Luke in un posticino qua vicino. Lara mi ha chiesto di te, visto che ti sentiva un po’ fredda... e io ti ci trascino, e non mi interessa cosa tu potrai dire in difesa della tua vita da reclusa. E non osare controbattere nulla, visto che oramai esci solo con Jules e ogni tanto con quella Natalie.»
«Ed, io ho davvero da fare...»
«Ritroverai la burocrazia americana ad attenderti anche quando tornerai a casa dopo l’uscita, non preoccuparti!» spiegò con un sorriso caustico lui, dando una coccolina sul capo a Mycroft «E comunque me lo devi: il tuo regalo di compleanno è la finale di Wimbledon.»
Aneira si voltò nella sua direzione, ma Eddie era già oltre il salotto: lo inseguì e fermò per un braccio, strabuzzando gli occhi «Finale di Wimbledon? Che?»
«Ho deciso che porto Jules all’Audi International, così il mondo del gossip sarà contento di vedere la ragazza per cui la coppia trottolina che eravamo io e Hannah è scoppiata. Sto ovviamente citando un qualche giornale di cui non ricordo il nome, ma ricordo di aver trovato qualcosa del genere annotato sul fascicolo di Luke.»
«Questo non spiega Wimbledon!»
«Oh, è il tuo regalo di compleanno da parte mia. Tom mi ha raccontato di tuo padre e del fatto che avete un campo in giardino, e anche del fatto che l’hai battuto giocando. Io neanche ci provo a sfidarti perché sono una schiappa, però ti porto alla finale. Dovrei andare anche il tre, ma non so con chi andare... è troppo presto per portarci già Jules.»
«Ma se hai detto che la porti alla partita di Polo!» esclamò Aneira, guardandolo implorante. Sì, voleva andare a vedere la finale di Wimbledon dal Royal Box. E sarebbe volentieri andata a vedere anche le semifinali da lì.
«Ma sì, dai, porto te anche il tre! Però tu ti prepari e usciamo!»
«Grazie mille!» Aneira gli saltò letteralmente al collo, abbracciandolo «Dove andiamo, comunque?»
«Primrose Bakery.»
«Quella tutta rosa in Tavistock Street?» l’espressione schifata di Aneira la disse lunga su quanto amasse quel colore.
«Il rosa e il bianco sono un bellissimo accostamento. E poi fa dei cupcake fantastici.» si giustificò il ragazzo, a testa alta «E vuoi che ti prendo qualcosa dal supermercato?»
«Prendi i croccantini per Mycroft, sono finiti!» gli ricordò lei, chiudendogli dietro la porta e tornando con più zelo al PC: ora che sapeva che avrebbe passato ben due giornate a Wimbledon la settimana successiva non c’era motivo di prolungare la noia a visualizzare pagine inutili. Avrebbe esplorato il resto di siti consigliati dalla compagnia e poi si sarebbe preparata: sebbene avesse limitato le conversazioni con Lara – per colpa di Tom, a dirla tutta... sentirla glielo ricordava, e questo le dava parecchio fastidio, essendosi imposta di non pensarci più – non avrebbe voluto. Non l’avrebbe mai fatto, se non fosse stato con l’intenzione di cancellare per un certo periodo l’immagine di Tom dalla mente. E a esser sinceri... le mancava davvero Lara.


Era sempre stata una persona che faceva amicizia facilmente, ma con Luke* era stata una cosa quasi istantanea: anche lui doveva essere molto ben disposto all’estroversione – e alle amicizie portate fuori dal set con gente conosciuta a lavoro – e si era subito creato un certo feeling. Ormai passavano tutti i momenti liberi sul set a prendersi vicendevolmente in giro – e a fare casino – e spesso uscivano insieme.
E gli aveva parlato quasi subito di Aneira: inizialmente presentandola solo come una coinquilina con cui aveva stretto maggiormente e con cui era rimasto in contatto. Ma dopo qualche breve chiacchierata, Luke aveva già collegato tutto e inteso la situazione.
Quindi si era aperto e gli aveva raccontato praticamente tutto, senza però dargli la possibilità di entrare troppo nella faccenda: non gli aveva detto di dare un’occhiata a Mycroft sul suo account Instagram, o al tipo di persona che fosse tramite Twitter. Quello andava bene con Jessica, che era interessata, ma soprattutto... andava bene in un periodo in cui c’era ancora la speranza che si creasse qualcosa. Non essendoci più, non aveva senso fare in modo che anche Luke le desse un volto.
«Cosa c’è, Romeo?» si burlò di lui l’amico, tirandogli una spallata amichevole.
«Notavo che... non mi ha più scritto.»
«Sta diventando patetica come scenetta, lo sai?»
«Non dargli del patetico!» lo riprese quella che aveva da subito – e con un ottimo occhio – identificato come la biondina tutto pepe del set. Sienna rivolse uno sguardo ammonitorio a Luke, infilandogli un indice nella spalla «È un piccolo pulcino innamorato. Uno dei pochi, considerato il vostro meschino sesso, quindi non prenderlo in giro!»
Ovviamente l’aveva saputo subito anche lei: le era bastato sentire di sfuggita qualche conversazione e parteciparvi in qualche altra e aveva capito subito. Lei avrebbe voluto volentieri dare un’occhiata a quell’Aneira – soprattutto perché lei era una forte sostenitrice delle relazioni con differenza d’età: e non poteva essere altrimenti con il fidanzato che aveva. Quattro anni non erano tanti, ma se era lei ad esser più grande...
«Vivi una relazione felice e sei comunque così crudele verso di noi, non capisco il perché.»
«Perché il vostro genere mi ha fatto dare parecchio di matto nel corso degli anni, mettiamola così.» ribatté la donna in direzione di Luke, con un sopracciglio alzato.
«E comunque non la biasimo.» continuò la donna, avvicinandosi nuovamente ai due «Insomma, se hai già specificato che non c’è possibilità...»
«Sono più che certo che in questo momento stia preparando tutto il necessario per l’internship. E per passare sei mesi oltreoceano, ovviamente.»
«Ma chi dei due non è disposto ad avere una relazione a distanza?»
«Chi è disposto ad averla in assoluto?» chiese inorridito Luke, scuotendo la testa. Sienna lo incendiò con una sola occhiata, aspettando una risposta di Tom: «In realtà, lei. Ma penso sia dettata anche dalla paura.»
«Cioè?»
«Lei sarebbe nella Grande Mela, io potrei essere a casa o in Corea o in Canada o in Spagna. Come potremmo mantenere una sorta di equilibrio? È un tipo di vita completamente diverso, dove lei, sebbene sia fuori, ha comunque una stabilità maggiore: sa dove sarà tra due mesi, sa dove sarà poi fino a Giugno. Sa tutto. Io lo decido a progetto.»
«Ed è un tuo problema o suo?» mormorò la coetanea, pensierosa.
«Suo, penso. Credo proprio sia la sua maggiore paura.»
«Essendo donna penso anche che non dovrebbe esser facile per lei tenere conto di avere un fidanzato che non solo vaga il mondo, ma che è anche circondato sempre da tante donne affascinanti. E non lo vedrebbe nemmeno spesso... Non è una buona posizione, la sua, c’è da ammetterlo.»
«Questa è una stupidaggine.» tagliò corto Tom, scuotendo la testa – di certo non era la gelosia a tenerli separati.
«Mettendo da parte la mia indole particolarmente gelosa, sappi che anche se fosse la persona meno gelosa sulla faccia della terra, se fosse provata dalla lontananza, dallo stress degli orari e della vita diversa e se ci aggiungessi anche il tuo esser sempre perennemente circondato da donne... lo metterebbe a dura prova il rapporto, insomma.» spiegò la biondina, annuendo.
«Nah, è lui quello più geloso. Quella sta a casa dalla mattina alla sera e lui manda il suo agente a controllare che non le girino maschi intorno. Non è proprio lei quella che si preoccuperebbe di una cosa del genere.» prese parola Luke, con tanta nonchalance quanto l’imbarazzo che era salito sotto forma di rossore alle guance di Tom.
«Oooh, che cosa carina! L’hai fatta controllare dal tuo agente per fare in modo che non ci fossero altri ragazzi di mezzo?!»
Tom annuì, aggiungendo subito dopo qualcos’altro: «Non è qualcosa di cui vado fiero, diciamocelo.»
«Secondo me è una cosa bellissima. Un po’ esagerata, ma questa sarebbe una predica che verrebbe dal pulpito sbagliato: ritengo che con la gelosia si dimostri anche affetto, quindi non sarei da consultare al riguardo.»
«No, non lo saresti assolutamente!» controbatté Luke, beccandosi un’altra occhiataccia della donna. Rimasero così, a parlare del più e del meno – dopo che ebbero finito un esauriente discorso su Tom e Aneira e sul perché dovessero finire insieme o meno – fin quando non dovettero tornare a lavoro.


Quando Eddie tornò, lei era già pronta: aveva i capelli raccolti in una coda di cavallo imbarazzantemente incasinata, ma perlomeno era pronta per uscire – ed era abbastanza decente.
Lui aveva messo la spesa a posto e aveva riempito le ciotole di Mycroft di acqua e croccantini. Poi era passato dalla camera della ragazza per vedere a che punto fosse, e la trovò seduta al bordo del letto, in attesa, con ancora gli occhiali addosso.
«Possiamo andare?» chiese automaticamente lei, sorridendo.
«Addirittura con un vestito vestito addosso!» commentò Eddie, sbeffeggiandola apertamente.
«È l’ora del tè, merita eleganza. Nonostante il posto dove stiamo andando sia il re del trash.»
«Ma non è vero, è elegante!» ribatté il rosso – che ormai era più castano che altro – «Insomma, è bianco e rosa. Ed è buonissimo. Che hai da lamentarti?»
«Nulla, nulla.» rispose Aneira, sorridendo: salutò con una carezza Mycroft e seguì Eddie fuori di casa, con la borsa su una spalla e il telefono in mano.
«‘Nei, non vorrei buttarti giù, ma sai di avere ancora gli occhiali addosso?» aveva chiese lui, solo dopo essere scesi in strada.
«Sì, Redmayne. È una scelta cosciente, sai, dopo che stai un giorno intero a leggere delle scritte minuscole, ti viene mal di testa. E siccome avrò un menù da leggere... non ho intenzione di sfruttare ulteriormente i miei poveri occhi.»
«Oh, sembriamo due adorabili nerd così, insieme, tutti e due a passeggio fuori di casa!» esclamò lui, indicando prima il suo paio di occhiali e poi quello della ragazza, mentre quella ridacchiava scuotendo la testa.
Dopo dieci minuti passati passeggiando e a parlare del più e del meno – non toccarono minimamente l’argomento “Tom” – arrivarono alla Primrose Bakery, dalla cui vetrina che dava sulla strada potevano vedere che Luke e Lara erano già arrivati: anche questi ultimi se ne accorsero e salutarono i nuovi arrivati con un gesto della mano, sorridendo automaticamente.
Non appena li raggiunsero, Lara saltò letteralmente al collo di Aneira, che si guardò intorno, perplessa: «Sì, lo so che le manifestazioni di affetto in pubblico ti mettono ansia, ma mi sei mancata!»
Aneira scosse la testa e le sorrise, salutando poi l’altro: «Luke! Da quanto tempo...» disse ironicamente, sedendosi accanto a Lara e iniziando a dare un’occhiata al menù.
«Ed, come l’hai convinta a uscire di casa?»
«Le ho detto che la porto anche il tre a Wimbledon.» spiegò con un sorriso sardonico il coinquilino, mentre Luke annuiva: «Mi sembra giusto.»
«Perché hai gli occhiali?» chiese invece Lara alla diretta interessata, che in quel momento stava proprio giocando con la montatura «Cioè, so che li usi solo quando leggi...»
«Oh, è stata tutto il giorno a leggere roba infinitamente pallosa e minuscola e burocratica. Le è venuto mal di testa e ora ha paura di uscirci senza, nel caso il menù possa farla sentire male.»
«Avrei potuto rispondere io, Redmayne.» ribatté quella, lanciandogli un’occhiataccia.
«Ma se l’avessi fatto tu non avrei potuto prenderti in giro!» rispose quello, con un espressione angelica.
«Appunto, era proprio quello che volevo evitare.» tagliò corto Aneira, tornando a dedicare tutta la sua attenzione a Lara, lasciando i due uomini a disquisire per conto loro.
«Allora? Com’è andata in Cornovaglia?» Lara sapeva. Ma voleva comunque vedere come reagiva. Aneira roteò gli occhi per poi posarli su un tavolino più in là: «Bene. Insomma, gliel’ho fatta girare un po’ tutta... c’è stata una sorta di riunione familiare anche con Sevi... e beh... ci siamo baciati.» lo ammise, ma Lara lo sapeva già. E Aneira se ne rese conto data la sua non-reazione. Sbuffò, sapendo che era colpa di Eddie: non sapeva tenersi un cecio in bocca.
«Ci siamo baciati per sedici ore.» mormorò in aggiunta dopo, e Lara strabuzzò gli occhi: «Questo non lo sapevo! E poi... in che senso?»
«Nel senso che dopo che è successo il danno ci siamo baciati di nuovo... la sera dopo. E stavamo facendo dei discorsi assurdi sulle stelle... e fondamentalmente siamo arrivati a dirci “godiamocela finché non finisce”, stabilendo la fine al nostro ritorno a Londra.»
«No!» esclamò Lara, con un’espressione sconfitta «Perché?»
«Perché lui è in Irlanda, domani potrebbe essere in Giappone, e io sarò a New York.»
«È un domani figurativo, vero?»
«Per New York no. A Gennaio parto davvero.»
«A fare cosa?!» il tono della donna era salito di qualche ottava.
«Un internship.» spiegò con calma Aneira, facendo poi spallucce «È fondamentalmente impossibile, ora.»
«Ma ora, vero?! Dopo sarà possibile, no?»
«Lara... diciamoci la verità, non rivedrò mai più Tom. Lui ha preparato tutti i pacchi, se ne andrà quando io sarò a St. Ives. Non lo rivedrò più. Non sarà possibile nulla, dopo.» ammise Aneira, con un sorriso lievemente melanconico.
«Non mi potete fare questo, sono la vostra fan numero uno! La vostra shipper! Ho iniziato io l’Operazione Neto
«Oh-oh. Sta implodendo» commentò Luke, guardando lo scambio di battute tra le due ragazze, ed Eddie lo imitò.
«Non è giusto!» esclamò ad alta voce Lara, sbuffando sonoramente: la cosa positiva era che con quell’uscita si era riavvicinata alla donna e non l’avrebbe persa per strada come Tom — la cosa negativa era che non sapeva che Lara li volesse così tanto insieme da dare inizio a un’operazione. Non aveva la più pallida idea di avere addirittura delle shipper. Chi se lo sarebbe mai potuto aspettare, insomma? A parte Eddie, ma lui era una sorta di Re del Gossip tra i suoi amici, quindi ci sarebbe potuta arrivare. Ma Lara... Che Operazione era?
Aneira sbuffò sonoramente, osservando l’escalation di sentimenti – alcuni anche contrastanti – che passavano sul viso di Lara, che era rimasta davvero, completamente e intensamente contrariata. Contrariata e innervosita dalle loro scelte e dalle loro decisioni.




*Luke: qui intendo Luke Evans, non Windsor XD

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Capitolo 31
*** 30. The One In New York City ***


Ohibò, siamo quasi alla fine! (E io sono in stra-ritardo, ma in anticipo a quando ho detto che avrei pubblicato, yay!) Il banner è sempre stato fatto da _Lith_, lo stile del titolo è sempre ispirato a FRIENDS (in particolare questo, essendo in NYC... <3) e la foto non è mia ed è stata modificata da me. Buona lettura! 








 

The Guy Who Turned Her Down



30. The One In New York City


 
Non si era ancora abituata alle temperature tendenzialmente più alte della media di New York: erano sei mesi che era lì, dalla parte sbagliata dell’Atlantico, e non riusciva ancora a capacitarsi della neve quasi sempre presente tra Gennaio e Febbraio e del caldo equatoriale a Giugno — a dirla tutta, ventisei gradi di massima non si poteva considerare propriamente “caldo equatoriale”… ma lei era inglese, e per lei era ben oltre la soglia quella, come temperatura!
Come aveva potuto osservare in quei mesi, gli statunitensi non avevano mezze misure – parlando di temperature, di grandezza di strade, case, gradini... tutto. Non sembravano esser proporzionati. Erano anche un bel po’ megalomani – ma forse quello era un tratto spiccato dei newyorkesi. Persino Charlie, con cui aveva legato un po’ di più lavorandoci assieme, sapeva come fare una scenata – era anche quella che l’aveva scarrozzata in giro per la East Coast, facendole notare – “Era ora!”, avrebbe detto lei – la differenza fra New York e il resto degli Stati Uniti.
E sebbene non amasse molto quella parte dello stagno, la nuova amica era rimasta contenta dal fatto che lei preferisse New York a tutto il resto che aveva potuto vedere di quel continente.
Aneira aveva trovato la sua routine perfetta anche lì, a un oceano di distanza da casa: costretta da Charlie aveva però iniziato a vedere di più il mondo, con occhi curiosi ma sempre una certa diffidenza. La nuova amica sosteneva almeno una volta a settimana che la presenza di due gatti in casa a parte lei la stava trasformando sempre più in un felino e che prima o poi avrebbe risposto al capo soffiando – ogni volta Aneira rideva, anche perché sarebbe potuta essere una cosa molto plausibile.
E sì, aveva adottato un altro batuffolino: Sherlock. Non erano propriamente fratellini – anche perché Sherlock era una femminuccia striata di grigio e col petto bianco, oltre a essere stata adottata oltreoceano – e la nuova arrivata era più piccola di Mycroft, ma erano stupendamente adorabili. Condivideva il monolocale a Brooklyn – perché aveva scoperto che era molto più a misura d’uomo di Manhattan e inoltre alcuni monolocali costavano molto meno – solo con loro due e, sebbene avesse riflettuto a lungo riguardo alla scelta di accoglierla in casa o meno, alla fine aveva ceduto: Mycroft aveva bisogno di un compagno di giochi, soprattutto se lei era costretta a stare tutto il giorno fuori di casa – e ormai era una cosa abituale, quindi non poteva stare completamente solo, o, anche con la TV accesa, sarebbe impazzito.
Si era anche abituata a passeggiare per i parchi newyorkesi – però entrava a Central Park solo quando doveva mostrarlo a qualcuno che era venuto a trovarla dall’altra parte dell’oceano, come avevano fatto i suoi genitori insieme ad Alis per Pasqua e separatamente Sevi, Eddie e Lara in ben altri periodi – e adorava Prospect Park, anche se a dirla tutta passava molto più tempo a Fort Green Park, sia con i due gattini che, con il bel tempo, da sola a leggere – ma solo se aveva abbastanza forza di volontà per alzarsi dalla sua poltrona.
Era diventata una cultrice dei viaggi in metro, e non solo perché doveva necessariamente farne almeno due tutti i giorni: era divertente osservare le persone nella loro quotidianità, vedere i turisti e anche gli artisti sui treni. Continuava a preferire il Tube di Londra, nonostante tutto.
«Aneira, è venerdì e abbiamo avuto il permesso di uscire prima, dai, muoviamoci! Stasera dobbiamo essere al Bowery per le sette e io devo prepararmi!» Charlie la osservava dall’alto, mettendole fretta tamburellando con le dita della mano destra sul divisorio, ininterrottamente.
«D’accordo, d’accordo, un attimo!» aveva terminato di aggiornare alcuni dati di un test fatto il giorno prima e aveva spento il computer, appena in tempo per afferrare borsa e giacca al volo e per inseguire Charlie verso l’ascensore, che aveva deciso in extremis che avrebbe potuto davvero metterle fretta solo andandosene da sola.
«Oh, finalmente! Allora, vieni da me a cambiarti o devi passare da casa?»
Aneira scosse la testa «Devo dare da mangiare a Sherlock e Mycroft.» Charlie soppresse una risatina: da quando l’altra aveva chiamato il suo secondo gatto Sherlock non poteva non fare battute riguardo la sua completa e totale inglesaggine – o almeno così l’aveva chiamata lei «Non posso lasciarli una sera senza cibo, Charlie. E poi devo cambiarmi...»
«Tranquilla, tranquilla, la mia era solo una proposta per renderti più semplice il trasporto. Se vuoi farti Manhattan – Brooklyn e viceversa non è un problema mio.»
«Sei così adorabilmente acida!» si complimentò ironicamente l’inglese, arricciando il naso.
«Lo sai che ti devo punire per la tua decisione di tornare a Londra, in qualche modo.»
«Non rifiuti P&G, Charlie. Non si può rifiutare un’offerta di lavoro di P&G, è un imperativo morale.»
«Sì... lo so.» sbuffò la newyorkese, camminando verso la stazione della metro più vicina «Però mi mancherai.»
«Anche tu.» Aneira sorrise sinceramente «Potrai sempre venirmi a trovare dal lato giusto dello stagno però! Magari approfittarne per vedere Londra...»
«Ehi ehi ehi, lato giusto dello stagno lo vai a dire a qualcun altro!» ribatté Charlie, sbandierandole un indice davanti agli occhi «E poi potresti anche tornare prima o poi tu qui, no?»
Aneira sorrise: aveva imparato ad amare New York e a considerarla una seconda casa... ma la prima rimaneva sempre la sua Londra «Forse... chi lo sa!»
«Non mi interessa se non ritorni a vivere qui, ma tu ci ritorni almeno in vacanza! È un ordine questo!» le aveva intimato la ragazza, scendendo gli scalini della metro seguita dall’amica, che sorrideva «D’accordo, lo farò sicuramente.»
«Promesso?»
«Promesso. E noi le promesse le prendiamo molto sul serio!» aggiunse Aneira, passando la metro card sul lettore.
«Non so se è un insulto velato alla popolazione americana, la tua dichiarazione, ma per questa volta te la faccio passare. Però stasera evita di mettere un tailleur...»
«Ma se io non ne uso!» aveva controbattuto l’altra, inorridita «Quella sei tu!»
«Sì insomma, evita le gonne svasate e le giacche abbinate. Già ti vedo tutti i giorni a lavoro così. E se proprio vuoi mettere una giacca perché è un evento “da lavoro”, mettiti almeno un dannato vestito. E i tacchi!»
«Ma ce li ho addosso!» ribatté l’inglese, alzando lievemente uno dei due piedi mentre si manteneva ad un appiglio sul vagone.
Charlie espose la sua espressione schifata migliore per poi decidersi a rispondere solo molto dopo: «Intendo tacchi seri, da almeno dieci centimetri, non da quattro!»
«Ma sono scomodi!»
«Ma cosa ti potrà mai accadere? Siamo in un hotel a bere e mangiare a spese dell’azienda... e se hai paura di cadere ti sorreggo io. Su, dai, promettimelo!»
«Posso fare uno sforzo.» ammise alla fine, stremata, Aneira, prima di controllare la fermata successiva.
«Perfetto!» aveva risposto con un sorriso sornione Charlie, iniziando a salutarla con la mano.
«Ci vediamo dopo!» Aneira uscì dal vagone e si diresse – correndo, perché Manhattan le aveva insegnato per forza di cose a correre su qualsiasi tipo di scarpe – dall’altra parte della stazione, dove avrebbe potuto prendere la linea verde.
Non voleva assolutamente andare ad una festa – premiazione, insomma, quello che era – aziendale, avrebbe di gran lunga preferito rimanere a casa con Sherlock e Mycroft a guardare pigramente qualcosa in TV, ma se le avesse dato buca, Charlie l’avrebbe ammazzata. Già di norma l’avrebbe fatto, a maggior ragione nella loro ultima settimana insieme.
Aneira identificò il treno giusto e corse al vagone più vicino, entrandovi per un pelo: per fortuna quello l’avrebbe portata fin sotto casa. Niente più corse, cambi, nulla di nulla: dopo quella sera l’attendeva un weekend fatto di relax, passeggiate tra i mercatini delle pulci di Brooklyn, o nei vari parchetti, e se fosse stata abbastanza audace avrebbe persino attraversato il ponte per portare i micetti a spasso a Central Park... pigrizia permettendo, ovviamente.
Quando venti minuti dopo rientrò a casa si gettò direttamente sulla sua poltrona, ancora con addosso i vestiti da lavoro ma con i suoi due gattini preferiti sulle gambe: facevano le fusa e pretendevano – a buon ragione – le coccole. Accese la TV: fortunatamente si sarebbe potuta godere quelle due ore di relax prima di prepararsi in fretta e furia – per scelta – e correre a Noho.

«Sei pronto?» Luke – Windsor, dell’altro Luke non sapeva che fine avesse fatto – sfregava le mani tra loro, mettendogli non poca ansia mentre si stava sistemando la cravatta.
«Quasi, Luke, quasi. Non siamo in ritardo, sai?» aveva delle occhiaie inimmaginabili: il volo di andata per New York era partito all’1, a pranzo, e non era riuscito a chiudere occhio per tutte le sette ore. Quindi il risultato erano due occhiaie da fare paura e la necessità di trovare qualcuno che le nascondesse – ma quel problema era già stato risolto.
La Press Conference e l’Afterparty erano in due punti diversi della città – non così lontani, ma era noto che il traffico newyorkese non fosse dei migliori – e Luke aveva iniziato a mettergli ansia già due ore prima dell’inizio della prima, probabilmente perché nemmeno lui si era trovato bene a volare e non dormire per tutte quelle ore. E la conseguenza effettiva era la sua iper-preoccupazione che si manifestava direttamente mettendo angoscia a lui.
«Dobbiamo essere lì un’ora prima...»
«Ma per raggiungerlo non ci mettiamo mica un’ora!» ribatté Tom, guardandosi intorno alla ricerca di qualcosa che avrebbe potuto dimenticare e che invece avrebbe dovuto ricordare «Non sarò di casa qui, ma so che non ci vuole così tanto ad arrivare a Midtown da dove siamo!»
«Ma hanno chiaramente detto di essere puntuali...»
«E lo saremo, lo saremo, Luke.»
In verità non comprendeva tutta quell’ansia. Immotivata, soprattutto, considerato il fatto che Luke era una delle persone più calme che avesse mai conosciuto.
«Vi siete sentiti?» chiese dopo qualche minuto – e con calcolata nonchalance – l’altro, evitando lo sguardo di Tom: sapevano entrambi a chi si riferisse, sapevano entrambi che lei era lì da almeno sei mesi.
«No. Non ci sentiamo da Dicembre, più o meno.»
«Dicembre?»
«Gli auguri di Natale.»
«Non vi siete degnati della dovuta educazione a Pasqua?»
«Non... penso sarebbe stata la cosa migliore.» commentò Tom, cauto.
«Un semplice “Buona Pasqua” è innocuo, sai? E poi sei libero, ancora senza legami... non capisco cosa ci sia di male a risentirvi.» spiegò Luke, facendo spallucce «Non sono mai stato un vostro fan, insomma, come Lara... però non sentirsi per alcun motivo non ha neanche molto senso, considerato quanto foste legati.»
«Luke... non la richiamo giusto perché sono capitato accidentalmente a New York. Sai che lei non è mai stata una faccenda da una botta e via.»
«No, voi siete stati una coppietta di innamorati per sedici ore, vi siete probabilmente amati  unilateralmente l’un l’altra senza poi mai più riferirvelo e senza nemmeno la botta, a dirla tutta!» commentò in modo lievemente sarcastico l’amico, lanciando un’occhiata a Tom per vedere la sua reazione.
«Appunto.» sbuffò lui, trafficando con l’acqua «Che senso avrebbe? “Ehi ciao, sono qui per quarantotto ore, ti va di bere qualcosa?”»
«Non sai nemmeno se rimarrà qui, potrebbe tranquillamente essere la sua ultima sera a New York. Converrebbe sapere che fa della sua vita. Anche perché, diciamoci la verità, per quanto io a tratti non la regga, tu non è che te la sia proprio tolta dalla testa.» non si poteva sentire che stava parteggiando per l’unione di quei due: Lara ed Eddie sarebbero stati molto orgogliosi di lui.
Tom espirò profondamente e scosse la testa: «Ci penseremo dopo. Ora dobbiamo solo raggiungere la Press Conference.»
«Ah, cinque minuti fa non andava bene un’ora prima, ora che affrontiamo un discorso scomodo sì!» ribatté Luke, alzando un sopracciglio in sua direzione.
«Potremo tranquillamente continuare il discorso scomodo in auto, sebbene io ritenga che non ha assolutamente alcun senso.»
«Ti stai comportando in modo completamente da Aneira: testardo!» gli aveva gridato dietro Luke, per poi accelerare il passo e seguirlo all’ascensore.

Ringraziava la sua prudenza nell’aver scelto di fare un abbonamento a internet per il cellulare: erano più le chiamate intercontinentali che riceveva tramite Line che quelle da numeri americani. E generalmente l’unica che la chiamava da lì era Charlie, o qualcuno da lavoro.
In quel momento si trovava proprio in quella situazione: arrancava con difficoltà verso la stazione di Nevins Street e si ritrovava a sorbirsi le paturnie intercontinentali di Eddie che l’aveva chiamata perché aveva appena litigato con Jules e non sapeva come farsi perdonare.
«Eddie, non voglio giustificarla, ma.. è stressata. Ha un progetto da consegnare a lavoro, e tu fai l’acido premestruato senza ovaie. Non ha tutti i torti, insomma, lei sarebbe in diritto di farlo, non tu... sei ancora spanciato a non fare nulla.»
«Beh ma la mia era solo una battuta...» aveva adottato il tono da cane bastonato.
«Non mi conquisti con quella vocina. E comunque sappi che pur scherzando spesso rendi insofferenti le persone.»
«Va bene, ho capito, vado a chiederle scusa in ginocchio!» sbuffò lui, probabilmente incrociando le braccia, offeso «Senti ma... tu quando ritorni in Madrepatria?»
«Il sei luglio inizio da P&G, ma devo ancora trovare casa, quindi ho prenotato per il venti giugno. Domenica ventuno vi toccherà venirmi a prendere!»
«Carico in auto anche Sevi per il comitato d’accoglienza?» ecco l’altra novità: Sevi nel frattempo si era trasferita a Londra, anche lei per un internship – che però avrebbe continuato e trasformato in lavoro effettivo. E, tornando domenica, anche lei sarebbe potuta essere presente.
«Non lo so, devi chiedere a lei!» esclamò Aneira, alzando gli occhi al cielo e avvicinandosi finalmente agli scalini della metro.
«Ah, porto lei a Wimbledon. Alla finale, perlomeno. Ci sei anche tu?»
«Ma quella povera ragazza della tua fidanzata la porterai mai a Wimbledon?» chiese Aneira, scuotendo il capo.
«Ma lei non se ne frega niente! Può rivestire il ruolo di fidanzata ufficiale in pubblico alla partita di Polo!»
«Se va bene a voi... comunque sì, Ed. Non tradirei mai Wimbledon.»
«Mi dispiace che ti sia ritrovata a New York nel periodo inutile, in assenza degli US Open.»
«Magari ai prossimi ti trascinerò io da questa parte dello stagno!» ribatté lei «Anche perché se lascio Charlie per più di due mesi da sola dopo averla mollata qui mi ammazza.»
«Ah sì, la tua amica psicopatica americana.» disse lui «Beh allora la prendo come promessa!»
«Non ho promesso nulla, Redmayne! Senti, sono quasi alla fine della scala, non prenderà più!»
«Va bene, buona serata: svaccati e ubriacati pure per me!»
«Sai che non lo farei mai!»
«Ah, un’ultima cosa: per quando torni hai bisogno di un posto in casa? Se vuoi scaccio la tipa che occupa ora la tua camera. O vai da Sevi?»
«Penso starò un po’ da Sevi, mentre cerco casa. Se poi ne ho bisogno ti avviso e tu la fai scacciare, genio del male!» ridacchiò Aneira, salutandolo subito dopo e facendo passare la metro card sul lettore, per poi sedersi su una delle classiche panchine in legno ad aspettare il treno. Fortunatamente, beccando quello giusto, avrebbe dovuto soltanto aspettare per dieci fermate sul mezzo e poi, dopo una camminata di quattro isolati, sarebbe arrivata direttamente al Bowery.

A quella dannatissima premiazione cibo e bevande erano finiti appena prima che venissero presentati – e inneggiati con applausi e tante dichiarazioni di affetto da parte di esimi esponenti dell’azienda – i premiati, e Charlie e Aneira, che avevano notato che al piano di sotto c’era un’altra festa, avevano pensato bene di dileguarsi e andare a cercare cibo lì. Magari sarebbe stata anche più interessante di quella noia mortale – e tanto erano state ritratte in diverse foto, quindi la loro presenza sarebbe stata dimostrata da prove.
La musica sembrava migliore – e la location lo era sicuramente, considerato che si trovavano nel giardino interno – e il cibo non terminava mai – sembrava che qualcuno avesse incantato i vassoi per fare in modo che si riempissero nuovamente non appena vuoti.
«Mi piace questo posto!» aveva esclamato Charlie, nel suo imbarazzante – almeno per Aneira – vestito bodycon fucsia. Ma la ragazza se lo poteva permettere e non si faceva problemi a mostrare la mercanzia: era molto, molto americana. Sotto certi aspetti non riusciva proprio a capirla, mentre sotto altri erano terribilmente simili – non per altro in sei mesi avevano litigato non poco.
«Aneira?» era certa di non avere allucinazioni uditive, non ne aveva mai avute. Però sentirsi chiamare da qualcuno con quella voce – era per forza la sua, non ce n’erano di altre così al mondo – le fece avere un coccolone – e perdere almeno cinque anni di vita in una botta sola – bello e buono. Quando si voltò nella direzione da cui proveniva la voce appurò la sua effettiva presenza lì e le parve nuovamente di perdere un battito: che diavolo ci faceva lui dalla parte sbagliata dell’Atlantico?!
«Tom?!» chiese, incredula «Che cosa ci fai qui?»
Anche lui aveva chiesto contemporaneamente la stessa cosa, ma poi le fece cenno di parlare per prima.
«Ohhh, è quel Tom!» comprese solo dopo qualche momento Charlie, decidendosi a prendere il tipo da cui era accompagnato quel Tom – Luke – sottobraccio per allontanarlo dalla scena «Su, accompagnami a prendere delle tarte tatin!»
«Oh, ehm...» si aggiusto nervosamente una ciocca di capelli dietro l’orecchio, arrossendo «Eravamo qui per una festa aziendale. Una premiazione. Ma il cibo faceva schifo ed era finito, quindi siamo venute qui. Ma non sapevamo... non so ancora, in realtà, cosa sia.»
«Oh, è un afterparty. Sono qui per alcune press conference.» spiegò lui, annuendo.
«Di quel film che hai girato in Irlanda?» chiese lei, mentre lui rispondeva annuendo «Come ti stai trovando... No, prima tu.» si era interrotta Aneira, notando che avevano nuovamente iniziato entrambi a parlare nello stesso momento.
«Come ti stai trovando qui?» chiese Tom, sinceramente interessato.
«Oh, bene. Lavoro e sto a casa, ogni tanto passeggio per Brooklyn...»
«Ci avrei scommesso!» esclamò lui con sicurezza, arrossendo leggermente sotto lo sguardo lievemente inquisitorio e incuriosito della ragazza «Cosa?»
«Che avresti vissuto nella parte più hipster della città.» spiegò lui, annuendo.
«Oh beh... costava di meno.» spiegò pragmaticamente lei, facendo spallucce «E quando non sono impegnata in queste cose passo il mio tempo con Sherlock e Mycroft.»
Tom la guardò stupito, non comprendendo: allora lei si diede la briga di spiegarglielo «Ho adottato una gattina qui. E l’ho chiamata Sherlock. Sai... è un nome da femmina...» aveva deliberatamente citato una frase di un episodio dell’anno prima di Sherlock e probabilmente se ne era pentita subito dopo, poiché aveva incrociato il suo sguardo per poi separarsene e guardarsi imbarazzantemente intorno.
«Hai adottato un altro gatto...» commentò, stupito e contento, Tom «E hai trovato lo Sherlock della situazione.»
«La Sherlock.» lo corresse lei, sorridendogli.
«Ora mi tocca andare a vivere con lei e diventare il suo John Watson!» commentò lui, facendo riferimento a un loro discorso di circa un anno prima: Aneira ridacchiò, aggiungendo qualcosa «E ti tocca anche conquistarla, prima.»
«E poi tu chi sarai? Mary Morstan?» propose lui, con un sopracciglio alzato.
«Mi dai dell’intelligente assassina? Beh, non che mi dispiacerebbe...» ridacchiarono entrambi sommessamente, scambiandosi un’occhiata complice. Sorvolò sul fatto che la Morstan sarebbe diventata la moglie di Watson, perché quello le dava un breve e sottile – ma pungente – dolore al cuore.
«Beh perché no! Ti ci vedrei nei suoi panni. E ovviamente Ed sarebbe...»
«Lestrade!» terminò Aneira, incrociando nuovamente lo sguardo con Tom.
«E Luke potrebbe essere... Anderson?»
«No, mi dispiacerebbe dargli il ruolo dell’idiota. Al massimo lo scambiamo con Eddie e diventa lui Anderson.» rispose lei, divagando completamente nel nonsense.
«E Sevi sarebbe Molly?»
«Probabilmente se lo sa ti ammazza, ma io adoro Molly, quindi ci starebbe.» annuì Aneira, convinta.
«Vuoi venire a vederli dopo la festa?!» aveva pronunciato lei subito dopo senza nemmeno pensare a come sarebbe potuto suonare alle orecchie di un estraneo – o anche a quelle di Tom, dopo che non si vedevano o parlavano da mesi.
«Mi piacerebbe molto.» rispose in un sorriso sincero lui, portando poi una mano dietro la vita di lei «Dai, ti accompagno al buffet. Prima che vai in astinenza da cibo e ammazzi tutti.»
E così fece: la condusse al tavolo oltrepassando tantissime persone che sembravano ignorarli – e  probabilmente una buona parte li ignorava appositamente per la presenza della sconosciuta Aneira – mentre non si vedeva neanche l’ombra di Charlie – e di Luke appresso a lei.

Per trovare Luke aveva lasciato Aneira sola per diverso tempo – in realtà poi era stata assalita di domande dall’altro Luke e da Sienna, e quello era anche peggio – e infine l’aveva trovato relegato all’interno e – misteriosamente – da solo.
«Ti ho cercato ovunque!»
Luke alzò un sopracciglio nella sua direzione, indicando poi il bicchiere che aveva davanti: «Sono stato rapito da Charlie.» il verso che accompagnò quella dichiarazione era quasi schifato «Sul serio, quando è peggiorata così tanto in fatto di amicizie, Aneira?»
«Non ti rispondo nemmeno, non dico nulla.»
«Ma dai, è vero! Non è mica Jules o Sevi!»
Tom alzò un sopracciglio: «E tu come la conosci Sevi?»
«Eddie mi fa due palle così notte e giorno perché deve trovare un modo nuovo per prenderla in giro. Conosco quasi più cose di lei che di Jules, tramite quel ragazzo.» spiegò pratico Luke, sorseggiando il liquido ambrato.
«Comunque, non sono qui per commentare le nuove scelte amicali di Aneira...»
«Oh no, sei qui per avvisarmi che non torni in hotel.» dichiarò Luke, guardandolo poi negli occhi per cogliere l’espressione colma di stupore dell’amico: era un veggente. O probabilmente non ci sarebbe voluto molto, conoscendolo, per arrivare a quella conclusione.
«Effettivamente... sì.»
«L’avevo immaginato. In realtà spero solo che non l’abbia immaginato anche tutto il resto della gente qui presente, visto che da quando l’hai vista non hai degnato praticamente nessun’altro della tua attenzione.»
Tom non rispose a quell’asserzione, non potendo effettivamente controbattere con niente.
«Ed è ancora morbida.» commentò sempre Luke, osservando attentamente la reazione insofferente di Tom, che ribatté subito: «È splendida così com’è.»
«Bada bene, non ho detto flaccida perché tu sei ancora irrimediabilmente un piccioncino innamorato che avrebbe reagito anche peggio se l’avessi fatto. Buona tubata, piccioncini!» dichiarò sfacciatamente l’amico, sorridendogli e facendo un cenno col capo a mo’ di saluto.
Tom tornò in giardino solo per ritrovare Aneira, strapparla dalle grinfie di Luke e Sienna – che insieme potevano essere un accoppiamento peggiore di Eddie e Lara – e condurla fuori, passando nuovamente davanti a Luke, che in quel momento però era coinvolto in una discussione parecchio infervorante per Charlie e completamente deprimente per lui.

Dopo esser fondamentalmente scappati via – di nascosto – dalla festa, Aneira l’aveva costretto a camminare per quattro isolati senza dirgli dove lo stesse portando, per poi condurlo alla stazione metro senza dargli alcun indizio. Quando gli fece aprire gli occhi lui aveva esordito con un “Avresti potuto dirmelo, non sono schizzinoso!” e lei gli indicò il rivenditore automatico di biglietti, rispondendogli con un “Vai a fare il biglietto, non schizzinoso!”.
Poi l’aveva trascinato a Brooklyn fino a casa sua – in realtà l’immagine sarebbe potuta esser definita in modo contrario: dopotutto era lei che non riusciva quasi più a camminare per il dolore ai piedi e si appigliava a lui per non cadere – e fino al decimo piano, e quando riaprì finalmente la porta del suo monolocale, i suoi gatti le saltarono addosso.
«Oh, piccoli amori!» carezzò il capo a entrambi i felini, che poi diressero tutta la loro attenzione al nuovo arrivato: Sherlock lo annusò per qualche secondo, cadendo poi ai suoi piedi e richiedendo esplicitamente coccole, mentre Mycroft era più diffidente, e per nulla disposto a farlo rientrare nelle sue grazie.
Aneira calciò le scarpe in un angolo e lasciò la giacca sull’appendiabiti, crollando finalmente sulla sua poltrona: poi Mycroft le saltò sulle gambe, mentre Sherlock e Tom amoreggiavano nell’ingresso.
«Assumo che l’unico posto libero dove possa sedermi sia il letto...» iniziò lui, prendendo tra le braccia Sherlock e coccolandola, mentre Aneira, con gli occhi chiusi e Mycroft sulla pancia, annuiva dalla poltrona «Non è un appartamento molto grande.»
«Considerato il tuo grande amore per le persone ritengo che trenta metri quadri siano la misura giusta di una tua casa.» commentò lui, seduto su un angolo del letto con Sherlock che gli faceva le fusa addosso e non aveva minimamente intenzione di spostarsi da lì. Aneira, ancora con gli occhi chiusi e rilassata con la testa contro un angolo della poltrona, ridacchiò, non osando contraddirlo – perché fondamentalmente era la verità.
«Pensi che Mycroft non mi riconosca o che me la stia facendo scontare perché l’ho in qualche modo abbandonato?»
«Temo la seconda.» aprì gli occhi, incrociando lo sguardo dell’uomo che si era spostato da Sherlock per qualche secondo: «Dovrei chiedere l’affidamento congiunto, allora.» scherzò lui, ma Aneira fu pronta a controbattere «O potrei venire a vivere da te.»
«Beh sì, una casa a New York effettivamente mi manca...» annuì Tom con fare ironico.
«In realtà mi ritrasferisco a Londra.» controllò l’orologio da polso, cercando la data «Esattamente tra otto giorni sarò su un volo che mi porterà dall’altra parte dell’Atlantico. Quella giusta, si intende.»
«Oh. Hai il mio stesso volo. Da JFK, no?» chiese conferma lui, ma in realtà stava elaborando un’altra notizia molto più importante – una che non si sarebbe aspettato e che era arrivata come un fulmine a ciel sereno. Ma un bel fulmine, perlomeno «Ma davvero torni?»
Aneira annuì dalla poltrona, decidendosi a dargli qualche altra spiegazione: «Sono stata assunta da P&G. E poi non mi andava di rimanere qui, lontana da tutti e... insomma, sebbene mi piaccia, non sarà mai come Londra. Mi è mancata molto.»
«Oh.» l’aveva spiazzato ed era rimasto senza parole, accarezzando pigramente Sherlock che non ne voleva sapere di esser relegata in secondo piano: così si andò a piazzare al centro del letto, ignorandolo completamente «Hai già trovato casa?»
«Non ancora, penso andrò a piazzarmi da Sevi per un po’ mentre la cerco. In ogni caso, Eddie si è offerto di cacciare la tipa che ha occupato la mia camera, ma tengo questa opzione solo come ultima.» spiegò quella, scuotendo la testa e ridendo contemporaneamente «Temo che lo farebbe sul serio, Eddie, se qualcuno glielo chiedesse.»
«Sì, penso proprio di sì.» convenne Tom, dando uno sguardo intorno per poi ritornare ad Aneira «Hai già... trovato qualcuno con cui andare a vedere la finale a Wimbledon?»
«Me l’ha proposto Eddie, a dire il vero. Ma sta già portando Sevi, quindi a meno che non abbia pass infiniti...»
«Probabilmente avrebbe voluto appiopparti a me.» terminò il suo interlocutore, annuendo fermamente «Un’altra cosa che ci si potrebbe aspettare da lui.»
«Assolutamente.» gli diede ragione lei, venendo abbandonata da Mycroft che aveva fatto un salto atterrando sul letto e si stava dirigendo – sempre emanando diffidenza da tutti i pori – verso Tom. Si fermò accanto a lui, gli rivolse un’occhiataccia, lo annusò nuovamente e poi gli si strusciò contro. Una parvenza di fusa venne emessa dal micino, che però continuava contemporaneamente a guardarlo male e a pretendere le coccole.
«Ti ama ancora.» dichiarò Aneira, indicando con un cenno del capo Mycroft, che non sapeva come porsi nei confronti del suo altro – ex – umano.
«Così pare...» commentò Tom, prendendo il gatto in questione in braccio, che rispose con un verso contrariato, ma senza scappare via e continuando a fare le fusa «Ed è anche molto combattuto.»
«Non è mai stato troppo diverso dall’altra sua umana. Probabilmente tu saresti molto più affine a Sherlock che non a Mycroft.»
«Oh, non c’era dubbio che tu influenzassi particolarmente la bestiolina. Non per niente nei tuoi momenti no lui scappava da me.» ammise lui, facendogli una grattatina sotto il collo: ma subito dopo Sherlock si piazzò sulle sue gambe, pretendendo attenzioni «Sì, d’accordo, d’accordo...»
«Dato che sei particolarmente richiesto, io vado in bagno» prese qualcosa di appallottolato sotto al cuscino e si diresse verso la parte opposta della camera, scuotendo la testa in direzione dei due gattini che lo stavano liberamente assalendo di leccate, fusa e morsi amichevoli.
«Posso arrischiarmi a chiederti se per caso hai anche qualcosa per me?» sperava dicesse di no, perché se avesse detto sì probabilmente sarebbe stato un qualche rimasuglio di un qualche ragazzo americano – e l’aveva pensato con un tono pieno di rancore e disgusto – che era rimasto lì una notte con lei, però non voleva dormire in camicia.
La testa di Aneira sbucò dalla porta del bagno: «Ho delle pantofole che possono andarti. E ti ricordi il pigiama oversize di Snoopy...?»
Lo sguardo di Tom si illuminò: «Quelli andranno benissimo, grazie.»
«Sono nell’armadio, da qualche parte. Ti direi di cercarli, ma se distogli l’attenzione da quella primadonna di Sherlock probabilmente ti graffierebbe in pieno viso, e non voglio che tu rimanga sfigurato.» spiegò quella da oltre la porta, uscendo qualche secondo dopo da lì indossando con molta nonchalance un pigiama raffigurante un’enorme mucca.
«Mi neghi i privilegi offerti agli ospiti se ti do della mucca?»
«Forse, Hiddleston, forse.» rispose quella, lanciandogli il pigiama in questione e osservandolo camminare verso il bagno, mentre Sherlock e Mycroft lo seguivano senza ritegno.
«È normale che mi seguano in bagno?»
«Avevi forse privacy quando c’era Mycroft in casa?»
«Come non detto: prego, gatti adorabilmente impiccioni.» mantenne la porta aperta per entrambe le bestioline e prima di richiuderla osservò Aneira che si spaparanzava sul letto accendendo la tv.
Sperò che ci fosse una sorta di meta-discorso tra la volontà di Aneira di farlo stare più spesso con Mycroft e la dichiarazione – tramite la voce della ragazza – d’amore del gatto nei suoi confronti, sperava in realtà che non fossero solo “parole” del gatto... ma pensieri così profondi mentre si cambiava in un bagno un metro per due con Mycroft steso nel lavandino e Sherlock che lo osservava sognante non era il caso di farli «Ci mancava la gatta guardona...» la gatta in questione sembrò rispondergli con un “Meoow” irritato e gli voltò le spalle, saltò sulla maniglia della porta e la aprì, uscendone senza degnarlo di uno sguardo.
«Dannaz—aah.» tirò su i pantaloni del pigiama a quadri e seguì la gatta con i suoi vestiti piegati sul braccio, scuotendo la testa non appena Aneira lo vide e scoppiò a ridere «Come sei sexy con Snoopy addosso.»
«Sherlock ha aperto la porta.» dichiarò lui, stendendosi sull’altro lato del letto e passandosi una mano tra i capelli.
«Sì, lo fa.» rispose la ragazza, soddisfatta «È brava, eh?» non appena la gatta in questione saltò sulla pancia di Tom – si era proprio innamorata di lui – Aneira le arruffò il pelo, beccandosi subito dopo un’occhiataccia. Mycroft, invece, si era piazzato al centro tra loro due, come faceva molto tempo prima, e osservava interessato la tv.
«Avresti potuto dirmelo.»
«Nah, vederti uscire imprecando dal bagno è stato molto più divertente.» rispose quella, tirando fuori il telefono – uno nuovo, non quello dell’anteguerra che aveva l’anno prima – e scattandogli una foto in pigiama e tra gatti «Non posso non mandarla a Eddie. E a Luke. E a Lara.»
«Fai. Prego. Non ho più dignità con loro, tanto!»
«Fatto!» dichiarò quella, mettendolo via per poi osservare Tom alle prese con Sherlock: l’essere umano muoveva l’indice, dal quale il felino non staccava gli occhi. E ogni tanto lo acchiappava per morderlo.
«Direi che è imprinting.» commentò allora, continuando a osservarli ma prendendo il pelosetto Mycroft tra le braccia: il gatto emise un verso seccato, ma dopo un po’ prese a fare le fusa, mentre guardava il programma con la sua umana.
«Sai, ti porterò a Wimbledon.» dichiarò Tom, dopo un po’ di tempo che erano in silenzio, chi amoreggiando con Sherlock e chi impegnato alla tv «E non te lo sto chiedendo proprio per non darti la possibilità di dare di matto come l’anno scorso per altri motivi.»
«Io non sto obiettando nulla, Hiddleston, stai facendo tutto tu.» ribatté quella, scambiando un’occhiata con lui per poi tornare alla sua occupazione. Un tacito accordo, appuntamento, non era in realtà importante che cosa fosse: era importante il loro essersi trovati in sintonia su qualcosa che sarebbe potuto essere tanto un ritrovo tra amici quanto un vero e proprio appuntamento sotto l’occhio di tutti – e ancora, tutti – e nessuno dei due aveva avuto il bisogno di specificarne la natura. Andava bene a entrambi qualsiasi forma esso avrebbe preso e nessuno dei due si sarebbe tirato indietro – non più, perlomeno.

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Capitolo 32
*** Epilogue ***


Vi imploro e chiedo venia: il mio ritardo è imperdonabile perché l'avevo già finita la storia... purtroppo non ho avuto tempo di correggere l'epilogo fino ad ora ç_ç scusatemi! Comunque, siamo arrivati all'epilogo: è la fine. Spero davvero vi sia piaciuta, vi abbia emozionato quanto ha emozionato me - almeno in alcuni punti - scriverla. Questa storia mi ha fatto innamorare della Cornovaglia ed era nata innanzi tutto come "ringraziamento" alla casa che ho occupato l'anno scorso (se vi interessa: a Giugno ci ritorno per un mese! Molto probabilmente NON incontrerò Hiddleston, però spero di rincontrare le persone che hanno ispirato i personaggi di Elspeth e Laire XD) si è trovata solo dopo a essere anche una fanfiction su Hiddleston. E spero davvero non sia molto forzata, perché non amo le fanfiction di quel tipo. Come al solito, il banner è stato fatto da _Lith_, essendo l'epilogo non c'è titolo e non ci sono foto. Per l'ultima volta, almeno in questa storia, buona lettura! 








 
The Guy Who Turned Her Down



Epilogue


Aneira era tornata da New York e stanziava da Sevi da tre settimane: stava cercando ininterrottamente casa, ma nel frattempo aveva già iniziato a lavorare e il tempo per cercarne attivamente una era diminuito notevolmente.
Quella sera era tornata distrutta a casa dell’amica e si gettò sul divano – che era ormai il suo letto da più di venti giorni – e Sevi le passò accanto mangiando uno yogurt con nonchalance: «Sai, la tipa matta con cui condivido casa e che odia Luke e Leia se ne va. Ormai Mycroft e Sherlock si sono abituati a condividere la casa con altri due gatti e tutta la tua roba è già in questa casa, se prendi la sua camera almeno non vivi da sfollata. E non potrai mai essere peggio di quella. Insomma, una sera si stava facendo morire di fame piuttosto che uscire dalla camera e andare in cucina mentre c’ero io a cucinare e a dare da mangiare a Luke.»
«Sai davvero come convincere le persone, Sev!» commentò ironicamente Aneira, scuotendo la testa per poi annuire «Grazie. Quando se ne va?»
«Considerato l’odio profondo che prova per tutti e quattro i gatti? Secondo me in questi giorni. Ha già tutto impacchettato, se un alieno dovesse venire a rapirla oggi scapperebbe con lui di sua spontanea volontà.»
Aneira rise spontaneamente pensando al caso umano che stava oltre la porta di fronte a lei e scosse la testa, passandosi poi una mano tra i capelli «Perlomeno ora non dovrò più cercare casa nei dintorni di Balham.»
«Beh, ci sei! Siamo praticamente sopra la stazione.» rispose Sevi, facendo spallucce «E comunque non è un problema se Tom rimane per la notte.»
«Tom non rimane per la notte.» la corresse Aneira, arrossendo.
«Oh lo so che non rimane sul mio divano.» aggiunse Sevi, posando il contenitore dello yogurt ormai finito sul tavolino di fronte a loro «Intendo in generale, quando prenderai la camera. Tanto oramai rimane spesso anche Eddie, senza alcun apparente motivo.»
«Io penso che quel ragazzo abbia seri problemi a stare da solo: ogni volta che non c’è Jules con lui ha bisogno di dormire da qualcuno. Che sia tu o Tom. Secondo me non ci riesce proprio da solo.» commentò Aneira, facendo spallucce: l’espressione contrariata di Sevi spiegava già di per sé tutto «Preferisce dormire sul mio divano piuttosto che stare in casa con quelle matte, mi sa. In realtà odia pure la mia matta, dice che deve avere qualche problema o semplicemente è di natura simpatica “come se avesse perennemente un palo su per il culo”. Questa è una sua diretta citazione, eh.»
«Scommetto che l’ha anche urlato quando lei era presente in casa, vero?»
«Ovviamente. È Eddie, deve sempre farsi riconoscere.» scosse la testa contrariata Sevi.
«Siete così carini, siete diventati amici anche se vi siete insultati da sempre!» esclamò Aneira, sorridendo come un’ebete.
«‘Nei, noi ci insultiamo ancora, perennemente, senza sosta.»
«Ma vi volete bene, e siete così carini!» continuò la ragazza con un tono di un’ottava più alto.
«Sì, assumo si possa dire così. Sviluppa la mia creatività, visto che con la sua vicinanza sono sempre messa alla prova alla ricerca di nuovi epiteti solo per lui.» convenne poi Sevi, annuendo tra sé e sé.
Il campanello suonò e Sevi si diresse alla porta, spalancandola dopo aver controllato chi fosse dallo spioncino: «Hiddles! Buonasera.» poi si voltò verso il divano «‘Nei, il tuo accompagnatore è arrivato, sloggia dal divano che mi serve per vedere il finale della quinta stagione di Game of Thrones prima che tu me lo spoileri.»
La ragazza si alzò, afferrò borsa e cellulare e si fermò sulla porta, dove Tom stava cercando di salutare – e coccolare – Leia, Luke, Mycroft e Sherlock tutti e quattro insieme – volevano tutti le sue attenzioni e Leia e Sherlock erano particolarmente non soddisfatte se non le ottenevano.
«Tsé, e poi non sarebbe un gattaro.» fu l’unica parvenza di risposta che arrivò da Sevi, che, spaparanzata sul divano, scuoteva la testa con il telecomando in mano aspettando che Luke si piazzasse accanto a lei.
«Buona visione di Game of Thrones!» salutò Aneira, mentre Tom aggiungeva «Buona serata!»
«A voi due, siete voi quelli che state uscendo.» fece un ultimo cenno con la mano prima che i due scomparissero dietro la porta e i quattro gatti si piazzassero tutti davanti alla tv «Tutti interessati al decimo episodio della quinta stagione?» nessuno dei quattro osò spostarsi da lì «Tutti interessati. D’accordo, partiamo.»
Sul pianerottolo, i due avevano iniziato a scendere le scale, quando Aneira finalmente pronunciò: «A quanto pare ho trovato casa.»
«Ti sei finalmente decisa a stabilirti ufficialmente qui!»
«Ehi, non sapevo che la matta se ne andasse. E Sevi me l’ha chiesto e l’ha ufficializzato solo oggi.» cercò di discolparsi lei, mentre Tom scuoteva la testa prendendo la mano sinistra di Aneira nella sua «Io l’ho saputo da Eddie circa dieci giorni fa.»
«Oh.» aveva ribattuto molto intelligentemente lei, seguendolo per le scale «Avrei dovuto chiederlo prima a lui, magari mi avrebbe anche trovato una casa, considerato com’è informato.»
«Sai come sono loro.» in realtà quel “loro” era ormai diventato un miscuglio che comprendeva da Eddie a Jules, Luke, Lara e anche Sevi. Molto confusamente includeva tutte quelle persone a loro care che sembravano essersi ritrovate intrecciate l’uno con l’altro, grazie al rapporto che si era creato un anno e mezzo prima tra Tom e Aneira: dopo Wimbledon quei due avevano continuato a vedersi, senza ancora specificare nulla. Nessuno dei due aveva obiettato – e nemmeno Sevi lo aveva fatto – quando Tom si era presentato alla loro porta di casa dando inizio ad una lunga serie di incontri non necessariamente in programma. Ma continuavano a portarli avanti, sotto lo sguardo e l’interesse di tutti loro – e senza ancora aver chiara la natura del loro rapporto. Ma andava bene così.


 
I could have pushed away
But I didn't know what she'd say
But I'm glad I'm not the guy who turned her down.





 

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