Whispers

di Mallow92
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Meetings ***
Capitolo 3: *** Whispers In The Dark ***
Capitolo 4: *** Discoveries ***
Capitolo 5: *** Confusion ***
Capitolo 6: *** Memories ***
Capitolo 7: *** Pendant ***
Capitolo 8: *** Searches ***
Capitolo 9: *** Bad Dream ***
Capitolo 10: *** Why? ***
Capitolo 11: *** Unexpected ***
Capitolo 12: *** Truth ***
Capitolo 13: *** Doubt ***
Capitolo 14: *** Good Reasons ***
Capitolo 15: *** Pic-Nic ***
Capitolo 16: *** Instinct ***
Capitolo 17: *** Luna Park ***
Capitolo 18: *** Mistake ***
Capitolo 19: *** Favour ***
Capitolo 20: *** Dare ***
Capitolo 21: *** Past ***
Capitolo 22: *** Game Over ***
Capitolo 23: *** Decision ***
Capitolo 24: *** Goodbye ***
Capitolo 25: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Whispers

 

PROLOGO

 

- Scozia 1742 -

 

Era buio.

Faceva freddo.

La donna correva per il corridoio oscuro lasciando dietro di sé solo il rumore dei tacchi sul pavimento.

Era spaventata.

C’era un’unica cosa di cui lei era certa: lui era la sua speranza di salvezza perciò doveva raggiungerlo e doveva farlo al più presto.

Voltò l’angolo e non appena arrivò alla porta, la spalancò senza alcun indugio.

Ansimando si ritrovò nella sala da pranzo e lui era lì: ce l’aveva fatta.

Il ragazzo, palesemente sconvolto alla sua vista, si alzò dalla sedia bruscamente ma, un attimo dopo, riprese il suo tipico contegno, mentre le due guardie, che qualche secondo prima erano appoggiate al davanzale di una finestra, si portarono subito sull’attenti e le puntarono le spade contro. A quel gesto la ragazza intrecciò le braccia intorno al busto, in un tentativo di proteggersi.

“Fermi!”

Ma il solo suono di quella voce, così rassicurante, bastò a rassicurarla.

Intanto le guardie abbassarono le armi ma continuarono a scrutare la ragazza, guardinghi.

“Charlotte, che cosa..?”

“Lo-loro” Solo in quel momento Charlotte si rese conto di stare visibilmente tremando

così fece un profondo respiro nel tentativo di calmarsi, ma non servì a molto.

“I-io…”

Non riuscì nuovamente a terminare la frase perché scoppiò in un pianto disperato e incontrollato, così il ragazzo le si avvicinò con pochi passi ma decisi e appena le si ritrovò di fronte le cinse i fianchi nel tentativo di calmarla.

“Loro! Mi stanno cercando…” A queste parole un nuovo tremito la pervase.

“Chi? Perché?” Il ragazzo, spaventato si scostò da Charlotte per poterla guardare in faccia.

“Per l’amor del cielo, cos’è successo?” Esclamò, spaventato, scuotendola lievemente.

Charlotte si accoccolò di nuovo tra le braccia del suo amato e, solo grazie al suo calore, trovò la forze di spiegare l’accaduto.

Prese un grande respiro e tentò di calmare i fremiti del pianto.

“Io… Ero a casa con le mie sorelle, quando delle guardie sono entrare prepotentemente nella stanza e… Le hanno prese.” Singhiozzò nuovamente “Io sono riuscita a scappare e sono venuta qui subito.”

Tutto ciò lo disse continuando a fissare la spalla del ragazzo come se non guardarlo negli occhi rendesse le cose più facili.

“Cosa? Non è possibile? Perché mai avrebbero fatto una cosa del genere?”

“Continuavano a urlare ‘Strega! Strega!’ ma io non ho fatto niente di male! Non capisco…”

Dopo di che ricominciò a piangere e il ragazzo la strinse ancora di più a sé.

“Ci deve essere stato un errore! Non ti preoccupare, amore mio, non permetterò che ti accada niente. Te lo giuro!”

A quelle parole Charlotte alzò la testa e lo fissò in quei occhi in cui tante volte prima si era persa.

“Sapevo di poter contare su di te!”

“Sempre… Ora vai nelle mie stanze, presto ti manderò una cameriera che ti prepari un bagno caldo, conosci la strada?”

Charlotte annuì.

Il ragazzo le asciugò una lacrima dal viso, poi glielo prese tra le mani e la baciò delicatamente.

“Ti amo”

“Anche io ti amo.”

Charlotte si staccò da lui, sentendo subito dopo la mancanza del calore della sua pelle, poi si voltò verso la porta e la varcò, prima di richiuderla delicatamente dietro di sé.

Il ragazzo era rimasto al centro della stanza, il volto privo di espressione.

Le guardie si voltarono verso di lui con aria interrogativa.

“Prendetela!”

 

 

 

Ciao a tutti!!!

Ecco qui la mia prima fanfic scritta da sola…

È da un po’ che mi frulla quest’ideuzza in testa quindi ho deciso di metterla per iscritto, spero sia di vostro gradimento!

Mi raccomando recensite perché vorrei tanto sapere cosa ne pensate.

Al prossimo capitolo!!

Un mega kiss

 

Mallow92

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Capitolo 2
*** Meetings ***


 

Capitolo 1

Meetings

 

“I tried to, tried to replace you
with everything, but nothing seemed to fit.
I want to, but i can't replace you
this emptiness is all you've left me with.
All this emptiness”

 

Samantha Moore – Can’t Replace You

 

 

“Ecco, ma io lo sapevo!”

Soltanto due mesi, sono solo due mesi… Le vacanze estive finiscono in fretta, no?

Presi un enorme respiro e alzai lentamente il piede che mi era appena finito dentro una pozzanghera.

Magnifico! Pozzanghere in estate! Solo io potevo andare in Scozia per trascorrere le vacanze! Per carità, io adoro la Scozia, ma rimanere in un paesino sperduto, rinchiusa in casa perché fuori piove, per tre mesi all’anno, dopo un po’ stufa.

Meno male che qui c’era Jess, una delle mie più care amiche, confinata anche lei come me, al di fuori da ogni contatto umano.

Mi girai verso di lei imprecando, mentre lei rideva sotto i baffi.

Ma si! Io rischiavo il congelamento del pollice del piede sinistro e lei rideva!

Mi rivoltai verso la strada e ripresi a camminare più in fretta nel vano tentativo di scaldarmi.

“Roxy!! Vai un po’ più piano, per favore! Non ho già più fiato!”

“Perché la cosa non mi sorprende?”

Nuovamente Jess si mise a ridere e io la imitai.

“Si però muoviamoci perché fa freddo e io ho fame!”. Presi la mia amica per un braccio e la trascinai verso casa mia.

“Ehm… Scusa! Non ti ho detto che oggi non posso venire a pranzo da te!”
Cosa aveva detto? No, ditemi che avevo capito male!

“Stai scherzando??”

“Eh… Mio fratello ha anticipato la partenza e arriva a pranzo…” Notando la mia faccia sconvolta, Jess si affrettò ad aggiungere “Ma oggi pomeriggio sono tutta per te!!”

“Non puoi farmi questo! Io non reggo più i miei!! Per colpa di questi lavori di ristrutturazione mi stanno distruggendo psicologicamente, almeno se ci sei tu sono obbligati a comportarsi da… Umani!”

Era un incubo, quella ragazza mi voleva vedere morta!!

“Ma va!!! Su! Non essere melodrammatica! So per certo che non sono così terribili!! Dai vedrai che te la caverai!”

E detto questo scomparve dietro un angolo senza nemmeno lasciarmi il tempo di realizzare le sue parole. Era inquietante la velocità con la quale Jess era capace di defilarsi da certe situazioni.

Probabilmente rimasi a fissare l’angolo per qualche minuto nella speranza che la mia amica tornasse indietro ridendo e assicurandomi che era tutto uno scherzo.

Ma, non appena rabbrividii, mi ricordai di essere nel bel mezzo di una strada, a mezzogiorno e mezza ed inzuppata d’acqua da capo a piedi.

Gli ombrelli per me sono un optional, esatto.

D’accordo, non poteva essere così tragica la mia situazione.

Avevo solo qualche problema… Più precisamente quattro grossi, anzi enormi, problemi: mia madre, mio padre, l’arrivo di mia nonna e… Il fratello di Jess! Non era antipatico, per carità, ma era assolutamente appiccicoso come una sanguisuga. Ma a diciannove anni non si ha niente di meglio da fare che appiopparsi alla migliore amica di tua sorella? Evidentemente no.

Più in fretta di quanto avessi sperato, immersa nei miei pensieri, mi ritrovai di fronte a casa.

Ok ok, va tutto bene. Sorridi.

Percorsi il vialetto fino a raggiungere la porta di ingresso, tirai fuori le chiavi e la aprii: nessuno urlo di mia madre che mi avvertiva di togliermi immediatamente le scarpe.

Buono o cattivo segno?

Per sicurezza le scarpe le levai subito lo stesso: la prudenza non è mai troppa.

Urlai un ‘ciao’: nessuna risposta.

O mia madre era svenuta o era stata rapita dagli alieni o non era in casa.

Dopo, essermi svestita dalla giacca, mi precipitai in cucina dove trovai sul tavolo un biglietto.

“Ciao amore! Siamo mamma e papà” Bene, non era una lettera di riscatto. “Abbiamo deciso di andare a mangiare fuori al ristorante all’angolo, scusa se non ti abbiamo aspettato, ma non arrivavi più! Comunque abbiamo una bella notizia: abbiamo preso due biglietti per te e Jessica per una visita al castello locale, questo pomeriggio! Tua madre ci tiene molto che tu vada! A ‘sta sera! Un bacio!”

Proprio lì di fianco vidi due pezzi di carta che mostravano l’immagine stereotipata di un castello.

“Tua madre ci tiene molto che tu vada” che tradotto per me significava: “Tua madre ti spezza tutte le ossa se non ci vai”.

No, ok, non esageriamo… Al massimo me ne spezzerebbe due o tre.

Ma cosa mi importava? Ero riuscita a scampare un pranzo con i miei, andare a visitare un vecchio castello non sarebbe stata una tragedia.

Ora i problemi erano diminuiti decisamente.

In quel momento il mio stomaco brontolò rumorosamente.

Il pranzo!!

Sperai con tutte le forze che la mia adorata madre avesse pensato a lasciare qualcosa di pronto per la sua unica figlia, così mi aggirai per la cucina alla ricerca di una traccia di cibo commestibile.

Niente.

Splendido.

Evidentemente ai miei genitori non era piaciuto come era venuta fuori la casa dopo la ristrutturazione e avevano deciso di lasciarmi da sola  a prepararmi un pasto perché potessi distruggerla!

No, dai! Insomma, il fatto che, se mi avvicinavo ai fornelli, rischiavo di compromettere seriamente la salute fisica dei presenti, non significava che fossi del tutto negata per la culinaria, no?

L’importante è esserne convinti!

Allora… Presi in mano una pentola, che, speravo fosse quella giusta e, miracolosamente, riuscii a riempirla e a scaldare l’acqua senza creare danni. Dopo di che fui addirittura in grado di cuocere la pasta!

Mi sentivo alquanto realizzata. Soddisfatta, rovesciai il mio pranzo sul piatto e mi accomodai sul tavolo. Ero ancora viva! Wow!

Consumai il mio pasto ascoltando della musica e, appena ebbi finito, preparai tutto e pulii ogni cosa da cima a fondo, non si sa mai con una madre come la mia.

 

‘Dlin Dlon’

Puntuale come un orologio svizzero Jess era sulla soglia della porta di casa mia ad aspettarmi.

“Sopravvissuta, visto?”

“Di sicuro non grazie a te! Comunque i miei non erano in casa. Ho dovuto prepararmi il pranzo da sola…”

Non ebbi nemmeno il tempo di finire la frase che la mia amica si era catapultata in cucina per controllare che il mobilio avesse resistito alla dura prova cui lo avevo sottoposto, mentre io me ne restai sulla porta con un sopracciglio alzato in attesa che Jess tornasse indietro.

“… E non ho bruciato, rotto, rovinato o scalfito niente!” Terminai con uno sbadiglio appena la vidi entrare in salotto.

“Mi hai quasi fatto prendere un infarto!”

Sorrisi. Evviva la fiducia!

“Guarda, anche se sei un’amica degenere ti voglio bene lo stesso!” affermai con aria solenne.

“Ha parlato la signorina!!” Jess mi diede un buffetto sulla guancia. “Ma cos’hai in mano?” aggiunse, poi, vedendo i biglietti.

“Ehm… Mia madre…”

“Siiii?”

“Ci ha comprato dei biglietti per visitare il castello qui in città...”

“Ah”

“Non tutto questo entusiasmo, mi raccomando! Ma devi capirmi, lei mi ucciderà se non ci andrò!!”

Sospirando, rassegnata, Jess oramai aveva capito che tanto niente che lei avesse detto o fatto mi avrebbe dissuasa a tentare di salvaguardare la mia incolumità.

Niente discussioni inutili, meno male!

“Va bene, va bene! Quando?”

“Tra un’oretta…”

 

“E alla vostra destra potete ammirare la sala da pranzo, infatti dovete sapere…”

La voce della guida era talmente monotona che mi ritrovai a chiedermi come diavolo facessi ad essere ancora sveglia.

Ogni tanto mi toccava picchiettare la spalla di Jess per evitare che si addormentasse. Finalmente stavo per scoprire uno dei mistici segreti dell’umanità: un uomo può dormire in piedi?

Nonostante fossi molto incline a trovare una risposta, non credetti fosse una buona idea farlo in una sala piena di quindici persone, per questo cercai di rimanere al massimo concentrata.

Com’era quella canzone?

Era più forte di me, il mio cervello si rifiutava categoricamente di stare a sentire quella lagna era peggio del professore di filosifia!

“E ora passiamo alla sala successiva…”

Pregai che fosse l’ultima anche se ne dubitavo fortemente.

Il mio odio verso mia madre stava decisamente crescendo.

Mentre attraversavo la stanza per raggiungere il salotto regale, una quadretto dall’altezza di quindici centimetri catturò la mia attenzione. Aspettai che tutti i visitatori lasciassero la sala, compresa Jess che probabilmente era caduta in stato catatonico e le sue gambe procedevano per inerzia, e mi avvicinai circospetta.

Raffigurava una ragazza anche se era difficile dirlo con certezza: era ricoperto totalmente di polvere, evidentemente doveva essere molto antico.

C’era qualcosa in quei occhi azzurri che mi incuriosiva e, non so per quale motivo, ebbi l’impulso di toccarlo.

“Hey…”

Il mio cuore perse un battito, ritrassi la mano di scatto e mi voltai verso quella voce, elaborando mentalmente mille scuse plausibili.

Tutto mi aspettai di vedere: custodi, guide, un uomo, tranne quello.

Un ragazzo mi guardava con aria curiosa, non ostile, a differenza di quanto mi aspettassi.

Da dove diavolo era saltato fuori?

Ma, non appena misi a fuoco più lentamente la sua immagine, rimasi paralizzata per qualche secondo. C’era qualcosa in lui di estremamente… strano. Non saprei esprimerlo a parole ma era come se ogni cosa intorno fosse diventata assolutamente inutile e l’unica cosa importante fosse stare a guardarlo per l’eternità.

C’era come un alone intorno al suo corpo, era un po’ come vivere in un sogno.

Un sogno dal quale non si vorrebbe mai svegliarsi.

Quando commisi l’errore di fissarlo nei profondi occhi azzurri, mi persi completamente fino quasi a scordare chi ero.

“Ehm… Questo è tuo?”

Mi riscossi improvvisamente sa quella stato catatonico e dal suo tono divertito mi resi conto che la mia faccia non doveva avere un aspetto molto intelligente.

“Oh… Ehm… Io…” Deglutii nel vano tentativo di calmare i battiti del mio cuore che avevano accelerato improvvisamente.

Con molta fatica riuscii a distogliere lo sguardo dal suo volto e a fissare la mano aperta che mostrava sul palmo il mio biglietto di entrata al castello.

Non ricordavo di averlo perso, bhe, ma in quel momento non ricordavo nemmeno come mi chiamassi quindi la cosa non mi stupii.

“Si!” affermai scuotendo la testa nel tentativo di scacciare l’ondata di emozione che mi aveva investita. Ma non resistetti: rialzai il viso alla ricerca del suo.

Questa volta mi soffermai anche sui capelli, nerissimi e con un taglio un po’ all’antica. Mi ficcai la mano in tasca e strinsi le unghie contro il palmo per reprimere l’istinto di accarezzarglieli fino quasi a farmi male.

Oh mio Dio! Ma che mi stava succedendo?

Perché diavolo avevo una voglia matta di saltare addosso ad uno sconosciuto… A dire la verità mi sembrava quasi di averlo già visto da qualche parte, anzi mi sembrava proprio di conoscerlo.

Ma non poteva essere, sicuramente un volto come il suo non lo avrei scordato tanto facilmente. Intanto continuavo a fissare ostinatamente il terreno: non volevo che quella strana ondata di sentimenti mi travolgesse di nuovo, anche se tutto quello che avevo provato nel giro di pochi secondi era stranamente piacevole almeno quanto fosse doloroso.

Ok, presi un bel respiro profondo. Rialzai lo sguardo e…

Questa volta sostenni i suoi occhi razionalmente anche se una piccola parte di me desiderava ancora toccarlo.

Il mio cuore, intanto, riprese una corsa sfrenata.

“G-grazie…” Mormorai, prendendo il biglietto senza sfiorargli nemmeno la mano, meglio non rischiare di mettere alla prova la mia già precaria forza di volontà.

Intanto le sue labbra si aprirono in un sorriso sincero.

“Figurati…”

“Roxy! Eccoti qui!!! Ma perché sei rimasta indietro! Mi hai lasciata sola con mister-ti-faccio-cadere-in-coma-comatoso!!”

Mi voltai verso la voce di Jess, spuntata dalla sala che non avevo ancora visitato.

“Scusami… Avevo visto una cosa, poi mi è caduto il biglietto e lui…” Indicai con un pollice dietro le mie spalle.

“Lui chi?”

“Questo ragaz…” Ma la voce mi morii in bocca non appena mi girai e non vidi più nessuno.

“M-ma… C’era un ragazzo tre secondi fa…” Affermai convinta a Jess.

“Io non ho visto nessuno… Sicura di non esserti addormentata?”

“No… Io…”

Mi sentii sbiancare e Jess non mancò di notarlo, così cambiò strategia.

“Magari è andato via prima che lo vedessi…”

Improvvisamente ebbi l’improvviso bisogno di tornare a casa: mi sentivo come svuotata dentro senza la sua presenza.

“Già, forse hai ragione…”

Anche se non la pensavo per niente così, mi incamminai verso l’uscita, lanciando un’ultima occhiata speranzosa alla sala da pranzo.

 

 

Sorry sorry sorry!!!!!
Ci ho messo un sacco di tempo a postare il primo capitolo!!!

Perdono!!! Tutta colpa della scuola, abbiate pazienza! Ma presto mi metto d’impegno e mi porto avanti con il lavoro.

Cercherò di postare almeno due volte alla settimana ma non assicuro niente… Io ci provo! XD

Cmq passiamo ai ringraziamenti.

Ragazze vi ringrazio di cuore perché davvero non credevo di avere recensioni!!

Hatori: oh già è proprio un ragazzo cattivo… XD, grazie per i complimenti per la scrittura!!! Spero che tu abbia apprezzato anche questo capitolo, anche se forse è un po’ diverso da come lo si poteva immaginare.

Ice Queen Silver: Hihi… Grazie mille per il commento. Spero che il chap piaccia anche a te… Fammi sapere cosa ne pensi…

Un grosso bacio anche agli altri lettori.

Mi raccomando recensite!

Kiss kiss

Mallow92!

P.s. ho modificato questo capitolo perchè mi sono accorta che avevo scritto delle cavolate…

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Capitolo 3
*** Whispers In The Dark ***


Whispers In The Dark

 

 

“Why can't I breathe whenever I think about you
Why can't I speak whenever I talk about you
Its inevitable... it's a fact that we're gonna get down to it
So tell me...
Why can't I breathe whenever i think about you”

 

“Liz Phair - Why Can't I”

 

 

 

Quella notte non chiusi occhio.

Fu inevitabile. Continuavo a girarmi e a rigirarmi nel letto ma il pensiero di quello che era successo quel giorno continuava a farsi spazio nella mia mente e non c’era niente che io potessi fare per levarmi dalla testa gli occhi così azzurri di quel ragazzo.

Niente.

Così, alla fine, decisi di arrendermi e lasciai la mia mente libera a qualsiasi pensiero.

Subito dopo essere uscita dal castello, il senso di oppressione che mi appesantiva il cuore si era mano a mano affievolito fino quasi a scomparire, ma, al suo posto, era rimasto un vuoto dentro di me che, ne ero sicura, non sarei più riuscita a colmare se non avessi rivisto più quel ragazzo. Avevo provato a cercare una motivazione razionale per quell’ondata di emozioni, ma niente, non sapevo spiegarmi il perché il mio cuore avesse reagito così. Non avevo detto niente a Jess perché non volevo si spaventasse ancora di più, dato che da quando avevamo finito il giro turistico continuava a chiedermi come stessi: evidentemente la mia faccia non doveva avere un bell’aspetto. Io avevo tentato di scherzare e di essere più naturale possibile ma non avevo convinto la mia amica per niente, in effetti non riuscivo a convincere nemmeno me stessa.

Improvvisamente, nel dormiveglia mi apparve nella mente, per la millesima volta quella sera, la faccia del misterioso ragazzo e un’altra fitta al cuore seguita da un brivido invase tutto il mio corpo. Presi un respiro per calmare i battiti cardiaci accellerati e aprì gli occhi ansimando. Decisamente non potevo andare avanti così ma non riuscivo a fare a meno di tentare di ricordare tutti i suoi lineamenti il più dettagliatamente possibile. Era decisamente snervante tutto ciò. Provai a concentrarmi su qualsiasi altra cosa mi capitasse a tiro. Era difficile, però, concentrarsi su un oggetto, al buio assoluto di una camera. Sospirai forte, mi misi a pancia in giù e mi tirai le coperte fin sopra la testa, decisa a dormire, questa volta.

Dopo circa un minuto ero finalmente entrata in uno stato catatonico…

“Roxanne”

Fu poco più di un sussurro ma bastò a farmi alzare a sedere.

Il mio cuore perse un battito, probabilmente quella sera ero andata più volte molto vicina ad un infarto. Incominciai a sudare freddo e, dopo aver raccolto quel poco di coraggio che avevo, mi allungai verso l’abatjour sul comodino di fianco al mio letto per accendere la luce.

Nessuno.

Presi l’ennesimo respiro. Stavo incominciando a sentire le voci, non andava affatto bene! Ero sull’orlo della pazzia…

Splendido.

Dicevo? Ah si… Quella notte non dormii nemmeno un po’…

 

Ma la mattina arrivò lo stesso.

Avevo lasciato la luce accesa per tutta la notte me verso le sette ero riuscita ad appisolarmi. Ovviamente mi ero svegliata subito dopo, con la sensazione di essere spiata.

Quella storia doveva finire. Stavo decisamente iniziando a preoccuparmi.

Mi trascinai fino in bagno con gli occhi semichiusi per la stanchezza. Scrutai lo specchio e mi prese l’ennesimo spavento. Sembravo un fantasma! Mi avvicinai per controllare se quelle due mega borse che mi ritrovavo sotto gli occhi potessero essere ricoperte dal correttore. Intanto notai che i miei occhi erano completamente rossi intorno all’azzurro dell’iride. Era estate e io ero stressata! Magnifico.

Mi sentivo decisamente uno straccio così pensai che una bella doccia fredda mi avrebbe aiutata a schiarire le idee. Sotto il getto d’acqua, praticamente ghiacciata, riuscii in effetti a svegliarmi abbastanza da riprendere ad elaborare pensieri relativamente sensati. E abbastanza da rendermi conto che quella mattina avevo promesso di aiutare Jess con filosofia! Mi sentii mancare al solo pensiero. Bhe, almeno mi sarei distratta da tutta quella confusione che avevo in testa.

Uscita dalla doccia scrutai l’orologio: le otto e mezza. Avevo ancora mezz’ora prima che arrivasse la mia amica, per cui mi asciugai in fretta i capelli e tentai di restaurare il mio viso con fondotinta e matita. Alla fine il risultato fu migliore di quanto mi aspettassi: il trucco è un miracolo mandato dal cielo!

Alle 9.00 spaccate Jess era alla porta e io era quasi presentabile.

“Roxy!!! Che diavolo ti è successo??”

Ok, molto quasi…

“Eh… Non ho dormito molto questa notte… Sarà stato il caffè!” Tentai di giustificarmi appena mi accorsi dell’espressione dubbiosa comparsa sul viso di Jess.

“Si, ma non dovevamo studiare filosofia??”

Il sopracciglio di Jess si sollevò di qualche millimetro. Ma perché non riuscivo mai a darla a bere a questa ragazza?

Mi voltai e cominciai a dirigermi verso il tavolo del soggiorno seguita dai passi della mia amica.

“Allora?” Riprese non appena ci sedemmo.

Ma non aveva niente di meglio a cui pensare?

“Allora, cosa?” Tentavo di fare la finta tonta ma sapevo che questa farsa non sarebbe durata molto. Però mi aiutava a prendere tempo per cercare una scusa plausibile.

Dopo una notte insonne, cosa volete?

Il mio cervello aveva deciso di rendersi utile a singhiozzo! In quel momento, infatti, non ricevetti nessun aiuto dall’unico neurone che non si era addormentato, ma che evidentemente stava suonando la balalaica o giocando a briscola.

Il livello di stress si stava decisamente alzando, il che non andava affatto bene.

“È ancora per quel ragazzo?”

Ma non è possibile!!La perspicacia di Jess si fa vedere solo quando non dovrebbe.

“Quale ragazzo?” Mamma mia! Stavo dando fastidio perfino a me stessa con questo comportamento! Fortunatamente Jess era dotata di una pazienza relativamente maggiore rispetto la mia e così, anche se sbuffò, non si irritò più di tanto.

Bene…

“Hai intenzione di andare avanti così ancora per molto o vuoi dirmi che hai e la facciamo finita?”

Ma palesemente non si era persa d’animo.

“Niente! Perché dovrei avere qualcosa?”

“Ti conosco da quando sei nata e non ti ho mai vista in uno stato così pietoso!”

Come darle torto?

“Grazie tante!”

Il suo sopracciglio si stava sollevando nuovamente: cattivo segno.

Ok, quando non si dorme per ventiquattro ore, si ha il cervello in pappa e non si è in grado di inventare una scusa plausibile da raccontare alla tua migliore amica, è giunto il momento di dire la verità.

“D’accordo, però devi giurarmi di non ridere, fare commenti o cose del genere…”

“Parola di scout!” Jess si mise la mano sinistra sul cuore.

“Va bene, diciamo che non ho dormito perché… Sì, è colpa di quel ragazzo, non ho fatto altro che ripensare a lui per tutta la notte! Non riusciva a pensare ad altro, contenta?”

Mi sentii talmente stupida che probabilmente arrossii, cosa che mi accadeva di rado e abbassai immediatamente lo sguardo verso un nodo ligneo del tavolo che, improvvisamente, era diventato molto interessante.

Siccome dopo circa dieci secondi, mi accorsi del troppo silenzio che era calato nella stanza, alzai la testa verso la mia amica, sorpresa che non avesse ancora detto niente.

Ed eccolo lì! Quel maledetto sguardo! Ma perché non mi decidevo di chiudere la bocca, una buona volta! Mi segnai mentalmente di inserire nella lista delle cose da fare “autoflagellarmi senza ritegno”…

“D’avvero?”

Gli occhi di Jess si erano illuminati in una maniera sconvolgente e il suo sorriso si allargò per quasi tutta la faccia. Per un momento mi ricordò spaventosamente un teletubbies.

“Oh-Mio-Dio!! Roxy!!! Ma allora hai un cuore anche tu!! Non ci credooo!! Dobbiamo festeggiare! La mia bambina sta crescendo e ha capito che gli uomini non sono tutti un branco di idioti!!”

Oramai si era messa a saltellare di qua e di là per la stanza, non c’era verso di farla smettere.

“Di grazia! Ma quale cuore? Non è colpa mia se quello lì era di una bellezza sconvolgente!!”

Non mi ascoltava nemmeno!! Ma pensa te!! Io che la nutro, la ascolto e la istruisco e lei che fa?? Dice blasfemie in casa mia??

“Oh!!! È una cosa fantastica!! Dici che se rubo una bottiglia di Vodka a tuo padre, mi ammazza??”

“Jess!!!!!” Ma quella ragazza aveva gravi problemi con alcool, io l’avevo sempre detto! “Ma per te ogni scusa è buona?? Ubriacona!”

Immediatamente sulla sua faccia comparve quell’espressione da cucciolo abbandonato… “Ma io… Io non sono un’ubriacona!”

Tentava di impietosirmi?? Bhe, cascava male!! Il mio cuore di pietra non si smentisce mai.

“Comunque niente Vodka! Sono le 9 di mattino!!! Vuoi morire giovane? Va bene vivere la vida loca ma fino ad un certo punto!”

Jess sembrò ripensarci, poi mi fissò con disappunto. Dovevo preoccuparmi?

“Ok, ma non cambiare argomento!! Descrivimelo!!!”

“Ma non dovevamo ripassare filosofia?” Chi me lo aveva fatto fare?

“Oh, quella può aspettare!!”

“Facciamo così, prima ripassiamo filo e poi ti racconterò tutto quello che vuoi sapere… Sempre che tu faccia la brava…”

Questa volta provò il metodo del labbro tremulo ma io fui irremovibile.

“O così o niente!”

“E va bene, va bene! Sei impossibile! Io ti racconto sempre tutto!”

“Come se io lo volessi sentire, quello che mi racconti! Mi costringi ad ascoltarti, non è che io abbia molta scelta…” Ribattei convinta.

“Ma non è vero! Guarda che è da tanto tempo che non mi lamento!”

“Si, da due giorni!”

“Eh bhe?”

“Si, in effetti, per te è molto tempo! Ma comunque… Zenone…”

Presi il libro di filosofia che avevo portato prima in salotto e mi misi a sfogliarlo fino a quando non trovai la pagina che mi interessava. L’argomento era “I paradossi di Zenone”.

“Oddio no!! Zenone è il mio peggiore incubo! Io non ho ancora capito come faccia la tartaruga a vincere la gara se tutto è fermo!”

Almeno l’avevo fatta distrarre dai suoi interrogatori… Era già qualcosa.

“Ma si! Se la tartaruga è più avanti…”

“Ma come fa ad essere più avanti se è ferma?”

“Allora!! Take a breathe, be quiet! Don’t worry be happy!”

Presi la mia gomma rosa e l’evidenziatore dello stesso colore dal portapenne.

“Dunque… Questo è Achille…” E le sventolai davanti al naso l’evidenziatore. “Che si è appena comprato un bel vestito di Dior rosa shokking, perché devi sapere che il rosa andava molto di moda in quegli anni in Grecia, poi si era tinto di nero i capelli, perché, si sa, a Patroclo piacevano di più i mori!”

Jess attaccò a ridere mentre io continuavo a raccontare la mia storiella scimmiottando uno stilista con la erre moscia e molto “raffinato”.

“Ma non cincischiamo! Questa è la tartaruga!” Dissi prendendo in mano la gomma “Che si è fatta rosa pure lei per non sentirsi esclusa… Comunque! Questi due decidono di fare una gara, perché evidentemente non avevano niente di meglio da fare, e Achille dà un po’ di vantaggio alla tartaruga per non far vedere agli altri che frequentava certi animali…”

Jess oramai era sull’orlo delle lacrime ma io continuai imperterrita nella mia esauriente spiegazione.

“Quindi se la tartaruga è qui e Achille qui” Posizionai la gomma e l’evidenziatore l’una davanti all’altra “e se ogni cosa è ferma, vince la tartaruga perché è più avanti di Achille, chiaro?”

“Ehm…”

Sbuffai “Va bene, ho capito lasciamo perdere.”

“Ora mi racconti tutto?”

Le lanciai un’occhiataccia “Ti sembra che abbiamo finito?”

“Tipregotipregotipregotiprego!!!! Queste sono cose che capitano una volta nella vita!”

“Ou! Stai forse insinuando che sarò una zitella acida per tutto il resto della mia esistenza?”.

Mi misi una mano sul cuore fingendo che un pugnale mi avesse colpito al petto.

“Probabile…” sorrise la mia amica di rimando.

“Dillo ancora una volta e ti scordi per sempre la spiegazione.”

“Oh ma allora me lo racconti?” La speranza le illuminò nuovamente gli occhi.

“Cosa vuoi che ci sia da raccontare? Ero lì, poi è arrivato lui, mi ha dato il biglietto, io ho fatto una figura del cavolo e probabilmente si è spaventato, per questo si è defilato in meno di dieci secondi!”

Dissi tutto d’un fiato, con aria seccata. Non volevo dare a vedere che, in verità, la cosa era più grossa di quanto non sembrasse. Ma, evidentemente, il mio racconto non soddisfò per niente la mia interlocutrice, che, dopo avermi guardata truce per qualche secondo, decise di bombardarmi di domande. Non vi descrivo nemmeno la mia gioia incontenibile, pari a quella di un gatto spiaccicato.

“E quindi com’era?”

“Bello…”

“Occhi, capelli?”

“Azzurri, nerissimi…”

“Quanti anni avrà avuto?”

“Non lo so, sui diciassette o diciotto…”

Dopo circa mezz’ora continuata di domande che scendevano fino ai minimi particolari, (Jess riuscì addirittura a chiedermi se avessi visto di che colore fossero le sue mutande, ora ditemi se siamo normali!!) la mia amica era abbastanza soddisfatta delle informazioni che aveva ricevuto e se ne uscì con la domanda che avevo sperato con tutto il cuore evitasse.

“Cosa intendi fare adesso?”

La guardai con l’aria più innocente e falsa che mi riuscii.

“In che senso scusa?”

“Hai capito benissimo! Andrai a cercarlo allora?”

“Andare a cercarlo??” Ma non scherziamo!!”

Quella ragazza stava decisamente diventando più pazza di me e la cosa era alquanto preoccupante!

“Dove lo ritrovo poi?” aggiunsi quasi tra me e me, sussurrando, ma non abbastanza per evitare che Jess mi sentisse… Mannaggia a me!

“Ah ah! Allora ci hai già pensato! Ammettilo! Disgraziata!”

Le feci la linguaccia e mi misi a ridere.

“Su! Abbiamo trovato un ragazzo che ti ha conquistata e tu vuoi stare qui a fare niente? Andiamo a cercarlo!”

“No no no no no, carina! NOI non andiamo a cercare proprio nessuno e…”

“Roxanne…”

Di nuovo quella voce.

Sbiancai di colpo e mi sentii per un attimo girare la testa furiosamente.

Jess mi guardò allarmata, ma riuscii a recuperare il contegno quasi subito.

“Niente, è solo un capogiro…” Tentai di sorridere ma probabilmente mi uscì una smorfia “Non ho fatto colazione…” aggiunsi dopo a mo’ di spiegazione.

Questa volta non potevo sbagliarmi.

Quella voce…

“Sei sicura di stare bene?” insistette la mia amica.

“Non ti preoccupare, magari adesso mi vado a coricare…” dissi sventolando una mando davanti alla faccia per liquidare la faccenda.

Mi alzai dalla sedia e per un secondo il mondo vacillò, ma poi tutto tornò fermo.

Non desideravo rimanere sola, ma preferivo che Jess tornasse a casa: non volevo si preoccupasse ancora di più di questa faccenda.

“Adesso vado un po’ a dormire. Tu torna pure a casa, ti chiamo appena mi sveglio.”

“Vuoi che rimanga con te?”

L’espressione di Jess mi metteva paura: dovevo proprio avere un aspetto schifoso.
”No, no, tanto adesso tornano i miei.”

“Va bene…” Un po’ riluttante la mia amica uscì da casa, dopo avermi fatto promettere ripetutamente che l’avrei chiamata più tardi.

Nel momento in cui la porta si richiuse, il sorriso con il quale avevo congedato Jess, sparì dalla mie labbra e un brivido mi percorse la schiena.

Cercai di rischiarare le idee.

Jess non aveva sentito niente quindi non c’era nessuno in casa. Perché la cosa non mi rincuorava nemmeno un po’? Sentire voci era il primo passo verso la pazzia. Stavo davvero diventando matta? Eppure la voce era la sua, non potevo sbagliarmi. L’avevo sentita troppo nitidamente risuonare nella mia testa. Quel ragazzo mi stava distruggendo psicologicamente!

Mentre meditavo su queste cose, avevo salito le scale ed ero arrivata fino in camera mia. Mi buttai sul letto e caddi quasi subito in uno stato di semi incoscienza durante il quale mi accorsi di voler DAVVERO andare a cercare quel ragazzo e qualcosa dentro di me mi diceva che avrei potuto ritrovarlo al castello.

Con questi pensieri caddi in un sogno profondo, fortunatamente senza sogni.

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Capitolo 4
*** Discoveries ***


SCOPERTE

 

“You found me
When no one else was lookin'
How did you know just where I would be?
Yeah, you broke through
All of my confusion

The ups and the downs
And you still didn't leave
I guess that you saw what nobody could see

 

Kelly Clarkson – You Found Me

 

Ebbene sì.

Io. Roxanne. La ragazza più acida e senza cuore del pianeta, avevo perso la testa per un ragazzo.

Uno sconosciuto, tra l’altro.

Alla fine ero arrivata questa conclusione: non poteva esserci altra spiegazione.

Fu proprio per il fatto che ero diventata completamente ossessionata da lui che presi la folle decisione di andarlo a cercare.

Da sola.

Certo, ero sicuramente pazza, ma fino ad un certo punto: portare Jess era una brutta, anzi pessima idea. Non avrebbe fatto altro che aumentare il mio livello d’ansia, semmai ciò fosse stato possibile.

Avevo i nervi a fior di pelle tanto che quando mia madre entrò in camera mia quasi mi venne un infarto. Erano le 7 di sera, avevo dormito per circa dieci ore di fila e i miei non mi aveva svegliata perché, mentre tornavano a casa avevano incontrato Jess che aveva raccontato loro cosa era successo quella mattina. Così io ero rimasta accoccolata tra le coperte e mi ero appena svegliata.

“Tesoro stai un po’ meglio?”

Annuii con poca convinzione, non capivo il perché ma ero agitatissima.

“Io ancora non capisco perché mai tu non voglia mai fare colazione! Insomma come puoi arrivare fino all’una di pomeriggio senza toccare cibo?”

Perché me l’aspettavo quella ramanzina? Ah si! Forse perché me la sentivo ripetere da quando ero nata? Ma non è colpa mia se la mattina non ho fame. Non avevo voglia di discutere così lasciai che mia mamma si sfogasse, rispondendo a monosillabi.

Quando fu soddisfatta, mi sorrise e si sedette sul bordo del letto. Ora si sentiva in colpa perché stavo male.

“Vuoi che ti porti qualcosa da mangiare?”

“No, non ho fame: ho lo stomaco tutto in subbuglio”

“Va bene, rimani qui a riposare, ma tra un po’ mangia qualcosa che sei pallida come un cencio” Detto ciò sparì.

Ero sicuramente pallida, ma non perché non avessi mangiato.

Ero pallida perché c’era qualcosa che non andava in me da quando avevo visto quel ragazzo e avevo bisogno di capirne il perché. Anzi, avevo bisogno, sia fisicamente che mentalmente, di rivederlo.

Io VOLEVO rivederlo.

 

Mi ero riaddormentata, quasi senza rendermene conto.

Aprii gli occhi di scatto. Avevo appena avuto un incubo ma, fortunatamente, appena mi svegliai, ne persi ogni ricordo. Mi voltai verso la finestra e mi accorsi che fuori stava albeggiando. Mi sentivo ancora un po’ scombussolata ma piena di energie perciò mi vestii e mi truccai, sorprendendo perfino me stessa: non ero mai stata una tipa mattiniera.

Indossai le scarpe e, dopo aver lasciato un bigliettino ai miei, uscii silenziosamente di casa. Feci tutto ciò senza pensarci, come se lo avessi già programmato e, prima che il mio cervello potesse realizzare quello che stavo facendo, mi accorsi che le mie gambe mi stavano portando dritte dritte al vecchio castello. Ok, ero proprio impazzita di brutto. Mi fermai di scatto e mi sedetti sul gradino di un negozio per riflettere.

Erano le sei di mattina, faceva freddo, mi ero alzata, ero uscita senza dire niente ai miei e stavo per andare in un castello abbandonato, da sola, senza sapere nemmeno come fare ad entrare, visto che ero quasi sicura che le visite guidate per quella stagione fossero finite.

Stavo facendo una cosa del genere, la stavo facendo davvero!

Mi misi la testa tra le mani e tentai di auto convincermi che quella era una stupidaggine, ma tanto ero sicura che l’avrei fatta comunque. A quel punto perché tornare indietro? Mi resi conto che per la prima volta nella mia vita la ragione non riusciva a dominare i sentimenti. Stavo iniziando seriamente a preoccuparmi. Chiamai a raccolta tutta la parte cinica di me stessa, ma niente! Non c’era nulla che potessi fare: la decisione era presa.

Mi alzai di scatto, forse un po’ troppo perché la testa vacillo per un attimo: ma perché diavolo non avevo fatto colazione? E perché diavolo continuavo a farmi domande così stupide? Oh santo cielo che brutta cosa l’infermità mentale! Ma ammettere di avere un problema non era il primo passo verso la guarigione? Ebbene, l’averlo fatto non mi faceva sentire per niente meglio!

Quella piccola e razionale parte di me che voleva tornare indietro venne completamente sopraffatta mano a mano che mi avvicinavo al castello, mentre la paura e l’ansia mi accelleravano i battiti cardiaci. Ora la domanda era un’altra: il mio cuore avrebbe retto? No, perché stavo iniziando ad avere seri dubbi a riguardo!

Ma i piedi si muovevano da soli, almeno quella era una preoccupazione in meno.

Di sicuro la decisione non mi mancava.

Più o meno.

Ehm… Tralasciamo!

Ad ogni modo ora ero a due passi dall’entrata del giardino del castello… E adesso?

Mi scappò un risolino nervoso, probabilmente stavo ridendo da sola della mia stupidità, che tristezza!

All’improvviso sentì una folata di aria gelida che spostò le foglie in direzione di una fessura della cancellata che circondava il terreno della costruzione. Mi avvicinai lentamente e mi occorsi che, dietro un cespuglio, c’era una porticina, ed era aperta!

“Wow!” bisbigliai.

Senza esitazione, mi ci infilai, non prima di aver controllato che qualcuno mi stesse osservando.

Ma si! Oramai non sarei sicuramente più tornata indietro, tanto valeva andare fino in fondo.

Incominciai a camminare per la collinetta che portava al castello mentre il mio respiro si condensava con l’aria fredda, mano a mano che mi avvicinavo, l’ansia cresceva tanto che gli ultimi metri li percorsi quasi correndo. Mi arrestai davanti al portone del castello e mi misi a fissarlo come un’ebete, nella vana speranza che si aprisse da solo. Mannaggia agli Scozzesi e al giorno in cui erano nati! Adesso cosa avrei dovuto fare? Sfondare la porta? Già mi ci vedevo a prendere a spallate il portone.

Mi chiesi se esistesse una qualche azienda che vendesse arieti per corrispondenza.

Mi stava già salendo il nervoso, dopo tutto il portone non era così grosso, sarà stato alto più o meno due metri, poi il legno era un po’ ammuffito, magari…

Mi guardai nuovamente intorno e, dopo essermi accertata che non ci fosse nessun testimone dell’ennesima idiozia che stavo per compiere, presi la maniglia della porta e la strattonai avanti e indietro.

Niente! Non si era mossa nemmeno di un millimetro.

Ma che stress!

D’accordo, forse avevo un’altra possibilità: magari c’era un’altra porticina nei dintorni, del tipo quelle per i domestici, non so!

Incominciai a costeggiare il castello dalla parte destra ma, ovviamente, le mura erano chiuse e salde. Come avevo anche solo potuto sperare in due colpi di fortuna in una volta sola? Così decisi di ritornare all’ingresso, maledicendo con tutto il cuore sia me stessa che i costruttori di quello stupido castello.

Giunta di nuovo davanti al portone, tirai un sospiro per calmare i nervi e per chiarire le idee. Ci doveva essere un modo per entrare e io l’avrei trovato! A costo di scalare le mura con le nude mani.

Mentre escogitavo un piano geniale (del tipo comprare un trampolino e superare la cinta saltandoci sopra), per la frustrazione tirai un calcio allo stipite della porta, che, con mia grande meraviglia, si dischiuse.

Deglutii rumorosamente. Perché si era aperta?

Rimasi per qualche minuto davanti all’uscio semiaperto con mille pensieri che mi frullavano in testa: qualcuno l’aveva aperta dall’interno o non avevo usato abbastanza forza la volta prima? Cosa diavolo aspettavo a correre via da quel luogo? Perché me ne stavo imbambolata? Troppo dubbi, troppe paure, troppe indecisioni si erano insinuate dentro di me. C’era solo una cosa di cui ero assolutissimamente certa: dovevo incontrare quel ragazzo perché… Perché si è basta!

Raccolsi quel già poco di coraggio che mi rimaneva e varcai la soglia.

Mi aspettavo che, non so per quale stupido motivo, la porta si sarebbe chiusa alle mie spalle, un po’ come i film dell’horror. Ma non successe niente. Fortunatamente.

Pensai, però, che lasciare l’uscio aperto non fosse una buona idea, non dovevano esserci tracce del mio passaggio, oh mamma detta così sembrava stessi commettendo un delitto.

Pensai solo in quel momento che forse quello che stavo facendo poteva essere classificato come violazione di domicilio o roba del genere. Oddio, potevo finire in prigione?

Oh bhe…

Arrivata a quel punto, forse quella era la cosa migliore che mi sarebbe potuta capitare quel giorno. Quindi richiusi la porta dietro di me con non chalance. In fondo non ero agitata… Avere il cuore a mille e sentire che le proprie gambe non reggono più il peso del corpo non significa niente, giusto? Giusto, ecco si esattamente quello che penso io.

D’accordo. Ero dentro.

Mi guardai intorno: tutto esattamente come lo avevo visto la prima volta.

La stessa entrata semi vuota, priva di mobilio, che dava sulle altre stanze e alle scale per raggiungere il piano superiore.

Bene. Presi una grossa boccata d’aria, giusto per calmare un po’ i nervi, anche se ovviamente non servì a un bel niente.

In quel momento cominciai a rendermi conto del fatto che mi trovavo sola in un castello abbandonato

E mi prese l’ennesimo attacco di panico.

Continuavo a guardarmi nervosamente intorno: avevo la stranissima sensazione di essere spiata. Non so per quale assurdo motivo mi misi a correre su per le scale, come se fossi seguita da qualcuno. Col fiatone raggiunsi il piano superiore. Mi fermai, non appena salii l’ultimo gradino. Deglutii rumorosamente. Le mani mi sudavano e avevo il cuore a mille. Alle mie spalli udii un lievissimo rumore, mi voltai di scatto.

Niente.

D’accordo, in quel momento avrei potuto fare due cose: quella intelligente era scendere le scale, scappare a gambe levate da quel posto maledetto e dimenticare tutta quella brutta storia, ammesso che ci fossi riuscita; quella stupida era esplorare il castello alla ricerca di qualche indizio, o meglio, alla SUA ricerca.

Cosa credete che feci?

Bhe, ovviamente tutto il mio buon senso era andato a farsi benedire da oramai quarantotto ore, quindi, se volevo dimostrare la mia infermità mentale davanti ad un qualsiasi tribunale, almeno lo avrei fatto bene.

Mossi, quindi, un passo incerto verso il breve corridoio che si mostrava dinnanzi a me.

Con mia grande gioia scoprii che c’erano solo quattro porte. In quel momento mi ricordai che la prima a destra era la camera da letto che non era accessibile ai visitatori durante la  mia ultima, nonché unica, visita. Se fosse stato di nuovo il mio istinto, che mi aveva guidata nelle ultime, folli azioni, a condurmi verso quella stanza, non lo seppi mai. Comunque sia, mi avvicinai lentamente alla porta della stanza. Misi la mano sulla maniglia.

Prima di fare pressione con la mano per aprirla, però, valutai le possibilità di fuga. Insomma, non ero velocissima a correre, però… Possibilità di fuga? Oh mio Dio, stavo davvero “valutando le mie possibilità di fuga”? Fuga da cosa? Io che corro? Ma quando mai? Dovevo smetterla di guardare tutti quei film di spionaggio.

L’attesa mi rese, se possibile, ancora più inquieta.

Decisi di adottare il metodo “via il dente, via il dolore”.

Con un movimento velocissimo spalancai la porta.

Davanti a me si presentò una stanza quasi del tutto spoglia, se non per un gigantesco letto a baldacchino che troneggiava al suo centro. Le tende che ricadevano sui lati erano rosse, forse di seta, mentre le coperte e i cuscini erano ricoperte da una stoffa, di cui non riconobbi il tipo, cremisi.

Tutto era molto silenzioso. Il pulsare del mio cuore mi rimbombava nelle orecchie ed era così forte che ero convinta si potesse udire anche a distanza di qualche metro.

Raccolsi quel briciolo di coraggio rimastomi e mi sporsi all’interno della stanza per scrutare ogni cosa con più attenzione: la stanza era ben illuminata da una finestra posta sulla parete di fronte a me, poco più a sinistra della tastiera del letto; le pareti erano ricoperte di quadri: alcuni raffiguravano conti o contesse dalle espressioni severe, altri erano semplici paesaggi lacustri. Il lago di Loch Ness, immaginai.

Sulla parete destra notai un piccolo scrittoio di legno, decorato minuziosamente da piccoli ghirigori floreali. Sopra di esso vidi appoggiata una rosa rossa. Aggrottai un poco le sopracciglia perplessa. Che diavolo ci faceva una rosa perfettamente intatta lì?

Ma la mia scorta di coraggio era decisamente finita per quel giorno, così non mi arrischiai ad indagare oltre. Mi voltai e feci per uscire.

“Sei venuta, alla fine!”

Il mio corpo rimase come paralizzato.

Quella voce l’avrei riconosciuta tra mille.

Un brivido freddo mi percorse velocemente tutta la schiena.

“Credevo non mi avessi sentito chiamarti…”

Allora non ero pazza.

Ma da dove cavolo era saltato fuori?

Stavo per voltarmi. Ma mi bloccai, ricordando all’improvviso l’effetto che la sua vista avesse su di me.

Forse se fossi riuscita a non guardarlo negli occhi avrei anche potuto sostenere un qualcosa simile ad un discorso.

Ma, ovviamente, avevo troppa voglia di rivederlo e mi girai verso di lui.

Come la prima volta, anzi peggio, rimasi folgorata.

Finalmente potevo rivedere il contorno della sua faccia, le sue labbra, i suoi occhi così azzurri… Cercai di memorizzare bene i suoi tratti nella mia mente, nel terrore che quella potesse essere l’ultima volta in cui lo avrei visto.

In contrasto al ricordo sfuocato che avevo di lui, la sua bellezza era sconcertante.

Me ne rimasi lì imbambolata, esattamente come il giorno prima.

Non potevo vivere senza fare figuracce, non ce l’avrei mai fatta.

“Da dove… Cosa… Chi?”

Mi erano venute in mente troppo domande tutte insieme e, non sapendo quale scegliere, la mia bocca aveva preso a farfugliare qualcosa, prima di avere la decenza di collegarsi al cervello.

Mi sorrise, anzi diciamo che si trattenne dallo scoppiare a ridermi in faccia.

Incominciamo bene.

Continuai a fissarlo con uno sguardo che doveva essere alquanto sconvolto, ma non riuscivo a calmarmi. Mille pensieri mi frullavano nella mente: era stato lui a chiamarmi, ma come aveva fatto e, soprattutto, da dove era sbucato fuori? Da sotto il letto, forse? Ero letteralmente terrorizzata. Che fosse un pazzo maniaco?

Lui aveva l’aria di leggere tutte le mie paure dal mio viso, ma non faceva niente se non continuare a fissarmi con aria allegra e forse anche un po’ strafottente.

Cosa che mi fece alquanto irritare.

“Pensavo non venissi più… Ti ho aspettata tutta la notte” Il suo tono aveva assunto una lieve sfumature di rimprovero, che io, ovviamente, non mancai di notare.

Alzai un sopracciglio. Mi stava forse sgridando per essere arrivata, secondo lui, troppo tardi. Troppo tardi per cosa? E poi come si permetteva?

Il mio lato acido prese il sopravvento, come sempre.

“Allora sei stato tu a farmi venire quasi due infarti! Ora dovresti solo ringraziare il cielo che io sia ancora viva e, soprattutto che sia qui!”

Per un attimo mi guardò sconcertato, poi scoppiò a ridere.

La mia lucidità vacillò per qualche momento, ma ripresi il controllo di me stessa subito: stavo iniziando ad abituarmi alla sua presenza.

“Hai ragione, perdonami. Non volevo essere sgarbato.” Detto ciò mi porse la mano.

“Io sono Andrew…”

A quel gesto, talmente naturale, incominciai a tranquillizzarmi: solitamente i maniaci si presentano prima di compiere qualche delitto? Sperai tanto di no.

È solo un ragazzo, è solo un ragazzo, continuai a ripetermi nella mente talmente tante volte che alla fine quasi ci credetti. Ovviamente, qualcuno che sbucava dal nulla e che stava dentro un castello abbandonato non poteva essere “solo un ragazzo” ma preferii ignorare quest’ultimo pensiero.

 Sorrisi timidamente anche io e, mentre stavo per alzare la mano per stringere la sua, lui la riabbassò, ripensandoci. Gesto che mi irritò alquanto. Ma dovevo rimanere calma.

Lo guardai interrogativa, ma lui mi ignorò. Si voltò verso lo scrittoio e lo raggiunse a passi molto lenti, quasi incerti, non sembrava molto convinto di quello che stava facendo. Iniziai a domandarmi che razza di intenzioni avesse Andrew. Finalmente quella faccia che aveva occupato i miei pensieri per gli ultimi due giorni aveva un nome.

Un nome anche molto bello. Mentre fantasticavo sulle nuove scoperte, mi resi conto che lui aveva afferrato la rosa rossa e me la stava porgendo, accompagnandola da un sorriso smagliante.

“Per te…”

La presi e sentii che tutto il sangue del mio corpo stava defluendo verso il mio viso, probabilmente il colore della mia faccia doveva averne assunto uno molto simile a quello del fiore che avevo in mano.

“G- grazie” Balbettai, un po’ lusingata, un po’ guardinga.

Da quando in qua un ragazzo, al primo incontro regalava una rosa ad una ragazza?

Mah…

Tutto sommato, però, quel gesto non mi spaventava: la semplicità con cui mi aveva offerto la rosa, mi fece perdere ogni diffidenza che avevo verso di lui.

Mi sentii anche in colpa per come avevo reagito poco prima e avevo la sensazione che forse sarebbe stato carino da parte mia aggiungere qualcosa ma, in quel momento, mi venivano in mente poche cose. E forse è meglio che evito di dire quali.

Comunque, non sapevo che fare. Perché non diceva niente? Si aspettava che parlassi io evidentemente. Decisi di accontentarlo.

“Chi sei?”

Quella domanda mi aveva assillato talmente tanto da non farmi dormire ma, ora, mentre la pronunciavo, sembrava alquanto stupida.

“Io direi che la domanda giusta è ‘cosa sei’…”

Eh? Che cosa stava tentando di dire?

“D’accordo, cosa sei?” Decidi di stare al suo gioco.

“Diciamo che sono l’ultima cosa che tu penseresti io sia.”

Ci misi due secondi ad assimilare quest’ultima affermazione. Intanto il suo sorriso si allargò ancora di più.

“E tu come lo sai?”

“Di solito le persone normali non ci arrivano subito. E se ci arrivano non ci credono.”

“Mettimi alla prova.”

Mi fissò con uno sguardo talmente penetrante che fui costretta ad abbassare gli occhi.

Dato che non accennava a rispondermi tentai di cambiare strada. Volevo delle risposte e le avrei ottenute.

“Come hai fatto a chiamarmi e soprattutto perché?”

“Dritta al sodo…” Sussurrò quasi tra se, poi tornò a rivolgersi a me.

“Credo che tu sia l’unica persona che possa aiutarmi…”

A fare cosa? Tutto questo mistero mi stava facendo innervosire. Ma perché non mi diceva chiaro e tondo quello che voleva?

Mi misi a camminare verso il letto.

“Cosa fai?” Mi domandò incuriosito.

“Mi siedo. Mi sa che sarò una cosa lunga, non è così?” Ero una ragazza che si rassegnava velocemente.

Diamine, le lenzuola di quel letto erano di seta e tutto era completamente pulitissimo.

“Va bene. Hai intenzione di dirmi cosa sta succedendo?” Chiesi, forse con un’aria un po’ seccata. Cosa volete? Mi hanno creata con un limite di sopportazione molto basso, non è colpa mia.

“Forse è meglio che, piuttosto di tentare di spiegarti, ti mostri una cosa.”

Il battito cardiaco accelerò. Ma la curiosità ebbe il sopravvento sulla paura.

Si avvicinò ad un quadro sulla parete e allungò la mano verso il paesaggio raffiguratovi sopra. Prima di poggiare la mano sopra il dipinto mi rivolse un’ultima occhiata incerta.

Poi lo fece.

Ovviamente non credevo alle storie di fantasmi, ma, in quel momento, ogni mia certezza a riguardo scomparve... Avete presente i racconti del terrore? Quelli che parlano di anime sospese tra la vita e la morte? Pensavo fossero solo stupide storie da raccontare ad Halloween... Ma evidentemente mi sbagliavo...

 

 

E fu così che resuscitò.

Mamma miaaaaaaaa!!! La scuola mi sta uccidendo! Non ho il tempo di vivere… Sono riuscita a malapena a ritagliare un po’ di tempo per scrivere questo capitolo.

Spero sia di vostro gradimento. Fatemi sapere che ne pensate… Anche se volete dirmi che fa schifo va bene lo stesso XD

Grazie Amarie. Sono contenta che la storia ti intrighi! So che per ora è un po’ noiosa ma ci saranno dei risvolti… Cmq sappi che ho adorato anche io scrivere il prologo, di piccole sadiche siamo in due... XD XD

Fammi sapere cosa pensi di questo nuovo capitolo.

Spero di ricevere nuovi commenti interessanti che mi aiutino a migliorare.

Ditemi come vi sembra la storia mi raccomando...

Un mega bacione

 

Mallow

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Capitolo 5
*** Confusion ***


CONFUSION

 

“Now that I've found you
And seen behind those eyes
How can I
Carry on?
For so bare is my heart, I can't hide
And so where does my heart, belong”

 

Portishead - Undenied

 

Deglutii a fatica, mentre il terrore mi assaliva.

Non ricordavo una situazione nella mia vita in cui avessi provato tanta paura come in quel momento: ero letteralmente paralizzata, seduta sul letto. Per qualche attimo mi sembrò che il mondo stesse vacillando e mi mancò la terra sotto i piedi. Il cuore batteva furioso, impazzito, sembrava volesse scoppiarmi nel petto e il respiro era diventato veloce e irregolare. Il mio cervello tentava in tutti i modi di respingere quello che avevo appena visto, ma la prova era inconfutabile. Non avrei potuto fare altro che arrendermi all’evidenza. Ma non ci riuscii. Scattai in piedi, meravigliandomi del fatto che le gambe riuscissero a sostenermi ancora in una posizione eretta, seppure tremassero visibilmente. Sentii lo sguardo di quel “ragazzo”, con cui pochi secondi prima mi ero sentita al sicuro, su di me e tutte le sensazioni che avevo provato fino ad allora mi sembrarono così lontane, quasi come se appartenessero ad un’estranea.

Non riuscii più a sostenere l’intensità di quei occhi che, non appena avevano visto la mia reazione, erano diventati irrequieti, dispiaciuti e, infine, rassegnati.

Non seppi bene come, ricordo solo che, pochi attimi dopo mi ritrovai a spalancare la porta della stanza e a richiuderla dietro di me con poca delicatezza.

Come se servisse a qualcosa, pensai amaramente.

Non mi importava se avesse provato a seguirmi o no, almeno dovevo provare a fuggire, di certo non me ne sarei rimasta lì, in balia degli eventi, a sperare in un miracolo dal cielo. Così corsi a perdifiato giù dalle scale e mi precipitai fuori dal castello.

Mentre correvo, giù per la collina, tentavo in tutti i modi di non pensare a nulla.

Provavo la stessa sensazione che si sente quando succede qualcosa che non ci si aspetta proprio per niente. Si tenta in tutti i modi di rifiutarlo, ma alla fine, inevitabilmente, si ritorna a pensarci. E io sperai con tutto il cuore che quel momento arrivasse molto tardi. Anche dopo essermi infilata dentro la porticina continuai a correre meccanicamente verso casa. Per la prima volta, durante la mia fuga, trovai il coraggio di voltarmi indietro: nessuno. A questa nuova scoperta il mio cuore rincominciò a battere ad un ritmo ragionevole. Rallentai il passo fino quasi a fermarmi. Notai alla mia destra un piccolo parco per bambini, fortunatamente deserto. Vi entrai senza esitazione, con il cervello ancora spento, e mi sedetti sulla prima panchina.

Chiusi gli occhi, mi concentrai solo sul mio respiro irregolare, tentando di calmarlo. Anche se fu difficile, alla fine ci riuscii. Ora sapevo cosa mi attendeva. Indugiare oltre non sarebbe servito a niente così permisi al mio cervello di rivivere gli ultimi terrificanti dieci minuti della mia vita.

Provai a formulare un pensiero che riuscisse a racchiudere ciò che era successo.

‘la.sua.mano.aveva.trapassato.il.quadro.’

Tremai. Pensarlo così esplicitamente lo faceva sembrare così… Vero.

Certo che non poteva essere vero! Era stato uno stupido, pessimo scherzo di cattivo gusto. Vero? Eppure… No! Non poteva essere. Doveva essere uno scherzo.

E allora perché cavolo sentivo che stavo solo cercando di autoconvincermi, senza riuscirci, fra l’altro?

D’accordo, ammesso che fosse vero, perché Andrew me lo aveva mostrato? Aveva detto di avere bisogno del mio aiuto, ma per cosa? All’improvviso mi fu tutto più chiaro: ecco perché intorno a lui c’era una sottospecie di “alone”, ecco perché non lo avevo notato dentro la stanza, ecco come aveva fatto a chiamarmi senza farsi vedere. Seppure impossibile, quella spiegazione sembrava l’unica plausibile. Cambiai posizione nella panchina, improvvisamente a disagio. Avevo paura. Chi mi diceva che in quel momento non mi stesse spiando? Mi guardai intorno circospetta. Ma, nei dintorni non c’era nessuno. Sentii il campanile di una chiesa battere le sette e trasalii come se qualcuno mi avesse spaventata, mi alzai di nuovo in piedi e corsi verso casa con le idee più confuse che mai: avevo paura ma volevo anche sapere cosa volesse da me. Senza contare che quella strana attrazione così intensa, che avevo provato verso Andrew la prima volta che lo avevo visto, non era scomparsa. E quindi, cosa avrei fatto?

 

Aprii piano la porta di casa per non fare troppo rumore e mi intrufolai nel salotto. Sentii il russare di mio padre nella stanza da letto e tirai un sospiro di sollievo: i miei genitori non si erano ancora svegliati, ciò implicava meno spiegazioni da dare.

Dopo aver stracciato il bigliettino che avevo lasciato in cucina solo qualche ora prima, anche se mi sembrava di aver passato almeno un mese fuori casa, salii le scale verso la mia camera, mi infilai le prime cose che trovai nell’armadio e mi avvolsi sotto le calde coperte del mio letto. Tremavo, un po’ per il freddo, un po’ per lo shock che avevo subito poco prima. Chiusi gli occhi nel vano tentativo di dormire ma, dopo essermi rivoltata nel letto circa un migliaio di volte, ci rinunciai. L’espressione dei suoi occhi poco prima di mostrarmi quello che era, mi balenava continuamente nella mente, mi aveva guardata con un’intensità tale che il solo ricordo mi aumentava il battito cardiaco.

Che stress quest’esistenza. Perché le cose tendevano sempre e perennemente a complicarsi nella mia vita? Perché avevo appena scoperto l’esistenza di un fenomeno paranormale e non me ne importava niente? Perché avevo la netta sensazione che avrei di nuovo preso la direzione sbagliata e sarei tornata al castello?

Non trovavo una risposta convincente da nessuna parte dentro di me. Ma mi accorsi che quella assurda sensazione di vuoto che avevo provato il giorno prima, prima di rivederlo di nuovo, era tornata.

Mi venne da piangere, non sapevo bene il perché, probabilmente la confusione, la frustrazione di non sapere cosa fare, lo spavento e la tensione si erano mescolate dentro di me e non aspettavano altro che uscire fuori prepotentemente. Piansi per un po’, finché non mi sentii un po’ meglio. Feci un profondo respiro, decisa a decidere se andare a rischiare la vita per un sentimento indefinibile che sentivo nel mio cuore, oppure ignorarlo rischiando di impazzire. Dato che pazza lo ero già, la risposta mi pareva ovvia. Il problema, ora che era passato lo spavento iniziale, era con che faccia mi sarei presentata da lui.

Forse si era aspettato quella reazione, forse no. Come facevo a sapere se si era arrabbiato o no? Anche se quest’ultima possibilità mi parve un po’ assurda: insomma doveva immaginarselo ciò che avrei potuto fare dopo aver visto che il suo corpo non era fatto di carne e sangue come il mio. E come quello di tutti gli esseri umani, specificai.

Senza contare il fatto che, anche se mi era difficile ammetterlo, la presenza di Andrew mi inquietava. Però aveva detto che aveva bisogno del mio aiuto, se avesse voluto farmi del male lo avrebbe già fatto, no? Sperai tanto di si. Lo avrei aiutato? Si o no, si o no? Queste due paroline mi ronzarono in testa scandite dal ticchettio della sveglia.

Eppure ero convinta che l’incontro con Andrew non fosse stato un caso. Il destino non fa mai accadere le cose per caso. MAI. E allora perché ci aveva fatti avvicinare? Perché aveva deciso che le nostre vite si sarebbero dovute incrociare?

Forse tornare da lui e lasciare che i fatti si succedessero avrebbe risolto questa questione… Già, forse… Con questi pensieri, che mi frullavano per la testa, cullata dal cadenzare lento della pioggia che avevo appena incominciato a cadere dal cielo, mi addormentai.

 

Fui svegliata bruscamente dagli squilli del mio cellulare che, ovviamente, avevo dimenticato di spegnere. Guardai il display, ancora assonnata. Jess. Controllai l’ora sulla sveglia: le 11:30. Cavolo! Mi ero completamente dimenticata di chiamarla! Adesso, come minimo, sarebbe stata convinta che mi avessero rapita gli alieni.

“Pronto?” La mia voce era ancora impastata dal sonno era tanto rauca che faticai a riconoscerla io stessa. Mi affrettai a schiarirla.

“Roxy?” Sentii la voce della mia amica, dall’altra parte della cornetta, sospettosa.

“Si, sono io ciao Jess, scusa se non ti ho chiamata prima, ma stavo dormendo...”

“Hai dormito per ventiquattro ore di fila?” Ecco, stava già iniziando a preoccuparsi, splendido.

“Ehm, no, diciamo che me ne ero dimenticata...”

“Ma brava! Lascia pure le tue amiche in stato di ansia!”

“Scusa...” Probabilmente qualcosa nella mia voce insospettì di nuovo la mia amica che, dopo qualche attimo di silenzio mi domandò come stessi.

“Meglio di prima, sicuramente!” Il mio tono mi tradì un’altra volta, mannaggia!

“D’accordo, sto venendo da te!”

Non ebbi nemmeno il tempo di ribattere che lei riagganciò la chiamata.

Splendido.

L’ultima cosa che volevo in quel momento era vedere Jess. Avevo già i miei problemi, non erano abbastanza? Lassù qualcuno mi odiava profondamente. E come se tutto ciò non bastasse mi stava venendo una forte emicrania. Bello eh?

Non ebbi nemmeno il tempo di elaborare una scusa decente da appiopparle che Jess bussò alla porta delle mia stanza, con voce svogliata la invitai ad entrare. Ma chi me lo aveva fatto fare? Potevo fingermi morta, avrebbe risolto molti dei miei problemi.

“Ciao” Mi accolse Jess con un sorriso “Come va? Tua mamma mi ha detto che eri ancora qui! Su, dai! Alzati che ti porto a fare una passeggiata!”

“Ma non scherzare! Ci saranno 5° là fuori!” Come a sottolineare le mie parole mi avvolsi ancora di più alle coperte.

“Va bene. Stiamo qui... Mi sembri ancora un po’ giù. Sei pallidissima! Sembra che tu abbia visto un fantasma...”

Rabbrividii impercettibilmente e sperai che Jess credesse fosse l’effetto del freddo.

Non sapeva quanto quello che aveva appena detto fosse vero. Lei si sedette sulla sedia della scrivania accanto al mio letto e mi guardò con uno sguardo che non mi piacque per niente.

“Non ci credo!”

“Che c’è?” Iniziava a spaventarmi quando faceva così.

“Sei andata a cercare quel ragazzo! L’hai fatto davvero!” Scandì ogni minima parola lentamente con l’ombra di un sorriso sulle labbra.

Mi si gelò il sangue. Come diavolo aveva fatto?

“N-no!! Ma che dici!! Se non ho messo il piede fuori di casa! Chiedi a mia madre?”

“Ah no??? Allora perché sei così agitata? Non mentire in mia presenza, ti conosco troppo bene. Forse riesci ad abbindolare gli altri ma non provarci con me!”

Fissai Jess per qualche istante negli occhi e capii che non c’era nessuna possibilità di farle cambiare idea.

“Va bene, ci sono andata...”

Il sorriso della mia amica si allargò in modo spropositato. Avrei voluto prenderla a badilate in testa in quel momento, perché doveva essere felice mentre io ero in crisi? Non lo trovavo affatto giusto.

“Allora? Cos’è successo?”

“Non è successo proprio un bel niente!” L’irritazione stava salendo, non avrei voluto risponderle così male ma era stata davvero una brutta giornata.

Mi fissò con lo sguardo da cucciolo abbandonato.

“Scusa, scusa...” non volevo litigare con lei, avevo già troppe cose a cui pensare.

“Va bene, se non ne vuoi parlare non importa” Diamine, l’avevo ferita. Splendido! Una bella dose di senso di colpa era proprio quello di cui avevo bisogno.

“Jess, te ne parlerei volentieri, ma non adesso, ok? Ti prego, ho bisogno di stare sola. Appena sarò abbastanza calma da farlo, ti racconterò tutto.” Cercai di essere più convincente possibile, anche se probabilmente non le avrei mai rivelato la storia intera.

“Va bene” Non ne sembrava molto convinta ma io feci finta che lo fosse.

Dopo che se ne fu andata mi sentii meglio. Non era una bella cosa ma era la verità: volevo solo starmene da sola con i miei pensieri confusi per tentare di mettervi ordine, anche se la cosa sembrava impossibile. Infatti, appena provai a concentrarmi su un qualsiasi pensiero in particolare, le vene delle tempie presero a pulsarmi in modo insopportabile. Decisi che avevo bisogno di aria fresca. Molta aria fresca. Mi vestii velocemente e mi precipitai giù dalle scale.

“Mamma...” La chiamai, dal salotto.

“Oh, bambina mia! Finalmente ti sei alzata! Come stai?” Sbucò dalla porta della cucina con in mano un mestolo.

“Meglio! Ascolta, posso andare a mangiare una pizza con Jess?” Mentii con una naturalezza che mi inquietò un po’, dire le bugie era sempre stata una mia dote innata.

“Va bene...” Acconsentì con un sorriso: era evidente che riteneva che uscire di casa non mi avrebbe fatto altro che bene.

“Non tornare tardi, mi raccomando!”

“Ok!” Urlai prima di chiudermi la porta dietro di me.

La mia pelle, a contatto con l’aria gelida, fu percorsa da un brivido, ma, nonostante tutto, mi sentii immediatamente meglio.

In quello stesso istante decisi che c’era un’unica cosa che potessi fare.

Dovevo mettere da parte le mie paure e i miei dubbi e andare in fondo a quella storia.

Poi avrei preso la mia decisione.

 

Mentre ripercorrevo per la seconda volta la strada per raggiungere il vecchio castello sentii il mio stomaco brontolare.

Fantastico! Era da più di un giorno che non mettevo qualcosa sotto i denti. Ma perché mi ero dimenticata di mangiare? Ah già! Forse era perché avevo appena scoperto dell’esistenza degli spiriti? Dettaglio trascurabile.

Anche se la sola idea di mettere sotto i denti qualcosa mi faceva venire la nausea, mi imposi di assumere qualche caloria, giusto quelle necessarie per non svenire addosso ad Andrew, anche perché non ero sicura che mi avrebbe potuto prendere in braccio o sostenermi in qualche modo.

Perciò mi rifornii di un paio di panini nel primo bar che incontrai e, dopo il primo morso, mi meravigliai della fame che avevo, così li spazzolai entrambi in pochi minuti, sperando che non mi venisse la nausea per l’agitazione. Bene, ero pronta. Bhe, io facevo finta di esserlo, l’autoconvinzione prima di tutto. Quindi mi diressi a passi veloci verso la collinetta e, dopo aver attraversato la porticina nascosta, ben presto mi ritrovai di fronte al portone. Mi sentii una deficiente, adesso avrei bussato e, con una bella faccia tosta, che avrei detto? Ma perché non mi ero preparata qualcosa di intelligente da raccontare? Va bhe, qualcosa in mente mi sarebbe venuto, come sempre. Al massimo sarei stata zitta e avrei aspettato che fosse lui a parlare oppure avrei sostenuto di essermi sentita male improvvisamente. In effetti era vero.

Va bhe, ma quello non era decisamente il problema principale in quel momento. Insomma stavo per mettermi a conversare amabilmente con una sottospecie di spirito e mi preoccupavo dell’impressione di me che avrei potuto dare.

Dovevo essermi bevuta il cervello.

Bussai piano alla porta. Dopo alcuni secondi, che mi parvero ore, la porta si aprii. Questa volta il mio cuore si limitò a fare una capriola, ma non rischiai infarti o cose del genere. Di nuovo vidi i suoi occhi che mi scrutavano in un misto di stupore, tristezza e quella solita aria superiore che mi irritava tanto. La ignorai.

“Allora sei una sottospecie di fantasma?”

Alzò un sopracciglio interrogativo.

“Bene ora che abbiamo chiarito questo punto, direi che siamo a posto.”

I suoi occhi si spalancarono visibilmente. Probabilmente si aspettava che gli dicessi di tutto tranne quello, il che mi incitò a continuare la mia finta farsa di assoluta tranquillità.

“Posso entrare?”

Era ancora tanto scioccato che non disse niente ma si limitò a scostarsi dall’entrata per lasciarmi passare. Era buffo: quella che aveva appena scoperto che il ragazzo che aveva conosciuto poco prima era un fantasma sembrava calmissima e, invece, quello spaventato era lui.

Lo fissai dalla testa ai piedi mentre lui seguiva il mio sguardo preoccupato.

“Niente catene? Niente lenzuola? Ma che razza di fantasma sei?”

Lo dissi anche con convinzione. Lo sapevo che avrei dovuto fare l’attrice da grande. Insomma, in quel momento, mi sentivo tutt’altro che tranquilla, però, vederlo in quello stato mi divertiva. Quindi, grazie alla sua reazione, mano a mano mi stavo calmando.

Lo fissai negli occhi in attesa di una qualsiasi risposta, che non arrivò. Era rimasto basito, lì, davanti a me, la bocca semi aperta come se stesse cercando una risposta che, evidentemente non trovava. Mi misi a ridere, non so se per la sua espressione o per il nervosismo. Dopo un altro attimo di esitazione anche le sue labbra si aprirono in un sorriso sincero.

“Tu sei pazza!”

“Probabile...” Assentii con convinzione.

Tornò a fissarmi serio.

“Perché sei tornata?”

“Perché mi hai chiamata?”

Avevo fatto tutta quella strada e avevo passato i due giorni più brutti della mia vita solo per trovarmi lì e adesso non avevo la minima intenzione di dirgli niente di me prima che lui avesse risposto a tutte le mie domande.

“Non si risponde con una domanda ad una domanda!” Mi rimproverò, ma capii solo che voleva sviarmi dal discorso, quindi feci finta che non avesse parlato.

“Comunque non hai risposto” lo incalzai.

“Nemmeno tu!”

Odiavo la gente che faceva quegli stupidi giochetti degni dei bambini di cinque anni, ma non potevo innervosirmi. Dovevo trovare un’altra strada. Mentre ci pensavo mi accorsi che fino a quel momento Andrew non si era mosso di un millimetro: non respirava. Dopo aver realizzato questa cosa mi ricordai improvvisamente con chi stessi parlando: da quando avevo messo piede nel castello non vi avevo più badato.

Il mio cuore accelerò.

“Che c’è?”

“Niente!”

Mi chiesi come diavolo avesse fatto ad accorgersi del mio lievissimo cambiamento di umore.

All’improvviso Andrew allungò la mano verso il mio viso, in un gesto così inaspettato che mi indietreggiai involontariamente di un passo sbarrando gli occhi.

“Scusa...” Mormorò e ritrasse il braccio.

Deglutii e sbattei le palpebre per tornare lucida.

‘stupida, stupida, stupida! Adesso mi odierà sul serio! Roxanne sei un’emerita idiota!’ continuai a ripetermi per circa un minuto durante il quale rimanemmo entrambi fermi a fissare qualunque cosa non fossero gli occhi dell’altro.

Avevo l’innata capacità a rendere le cose più difficili di quanto già lo fossero in ogni situazione, evidentemente non mi divertivo abbastanza nelle cose semplici. Secondo me era una sorta di autolesionismo masochista inconscio.

Mente i miei occhi vagavano per la stanza, soffermai lo sguardo sul suo petto dove penzolava una specie di ciondolo a forma circolare della grandezza di una moneta.

Non me ne ero mai accorta prima perché ero troppo presa dal suo viso e… Da tutto il resto. Ebbi come un dèja vù: mi sembrava di aver già vissuto quella scena. Mi avvicinai a lui di un passo.

“Che cos’è?” Chiesi indicando l’oggetto.

Lui seguì il mio dito e mise una mano sul ciondolo, protettivo.

“Piacerebbe saperlo anche a me...”

“E questo cosa starebbe a significare, scusa?”

Socchiuse un po’ gli occhi, poi si rilassò.

“Vuoi sapere tutta la storia, allora?” Scandì le parole lentamente, come se fosse poco convinto della sua richiesta.

“Sono qui per questo!”

Finalmente avrei avuto le risposte che volevo su questo misterioso ragazzo. Stranamente non ero preoccupata per quello che mi stava per dire: ero convinta che il peggio fosse passato. Più che altro lo speravo.

Presi un grosso respiro.

“Racconta...”

 

 

Questa volta sono stata più veloce.

Non sapete che agonia è stato scrivere questo capitolo!

Chiedo scusa in anticipo, lo so che non è il massimo, ma mi sono sforzata il più possibile per rendere l’idea dei sentimenti di Roxy, spero di esserci riuscita al meglio, anche se so che questo capitolo è noiosissimo. Però è essenziale.

Non vi preoccupate nella mia testolina le idee non mancano... Cmq, passando ai ringraziamenti...

Marty: tesorooooooo mioooooooooo!!!! Ma qnto ti adoro??? Grazie per il commento! Anche se non dovevi perché lo so quello che pensii! Mi sopporti praticamente ogni sera mentre mi lamento che non mi vengono le cose decenti e leggi la mia storia in tempo reale... Sei la mia consulente personale, come farei senza di te??? Eh già la mia schiera numerosissima di fan è proprio impaziente XD XD!!!! Cara ti voglio troppo bene grazie ancora!!!!!

Amarie: grazie milleeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee!!!!! Davvero sei stata tenerissima!! Sono contenta che la mia storia ti piaccia! Già ti chiedo scusa per questo capitolo ma era davvero necessario... Il prossimo sarà più interessante, lo prometto!! Intanto mi sto impegnando per darmi una mossa sennò alla fine aggiorno ogni mese XD. Cmq non ti preoccupare Andrew è un tantino “particolare” ma non aggiungo altro...

Bhe ragazzuoli...

Alla prossima allora!!

Un grosso baciuz!!

Mallow

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Capitolo 6
*** Memories ***


MEMORIES

 

“All of my memories keep you near
In silent moments
Imagine you'd be here
All of my memories keep you near
Your silent whispers, silent tears
Together in all these memories
I see your smile
All of the memories I hold dear
Darling, you know I'll love you
till the end of time”

Within Temptation – Memories

 

Ci dirigemmo nella sala da pranzo.

Lui mi faceva strada e io gli camminavo ad almeno un metro di distanza.

Mi sudavano le mani, dire che ero agitata era decisamente un eufemismo.

Mi sedetti su una delle sei sedie libere intorno al tavolo che si trovava al centro della stanza, invitata ad un suo cenno. Subito dopo si accomodò anche lui.

Stavo per esortarlo a cominciare, quando esclamò:

“Aspetta!”

Trasalii, mi stava angosciando quel ragazzo.

Che altro c’era?

“Torno subito.”

Fece come per alzarsi, poi si bloccò, ripensandoci. Mi guardò negli occhi, scosse la testa e uscì dalla stanza.

Andrew era proprio un tipo strano.

Molto strano.

E se stava andando a procurarsi un’accetta o qualcosa del genere?

Cominciai a strofinarmi i palmi delle mani sui jeans e a dondolare la gamba sinistra, in un movimento ansioso.

Poco dopo, Andrew tornò, in mano teneva la mia rosa rossa.

Mi rilassai visibilmente: per ora niente armi.

Continuò a fissarmi come se fosse interessato a ciò che stessi facendo, peccato che in quel momento non mi stessi dedicando a nessuna attività interessante.

Cosa non avrei dato per sapere a che diavolo stesse pensando! Mi dava sui nervi il continuo interesse che aveva per me.

“Cosa c’è?” Mi stava esasperando il suo atteggiamento, ma non aveva niente di meglio da guardare?

Evidentemente no.

“Ti spavento così tanto?” Me lo chiese come se fosse un’accusa.

Il mio limite di sopportazione stava nuovamente vacillando.

“A dire la verità sì!” Esclamai, forse a tono un po’ più alto del dovuto, ma cosa potevo farci? Non ho la fama di essere paziente.

Mi guardò di traverso.

“Perché?”

Ma che domande sono?

“Beh, diciamo che forse è perché non sei… Umano? Non ci hai mai pensato?”

Abbassò gli occhi, sembrava rassegnato.

Splendido, uno spirito depresso! Cosa altro avrei potuto desiderare dalla vita?

Sospirai.

“Senti, vuoi raccontarmi la tua storia si o no?”

Rialzò gli occhi di scatto. Il suo sguardo mi gelò le vene.

Lo avevo fatto arrabbiare?

Mi odiava, fantastico!

All’improvviso la sua espressione tornò neutra.

Ma aveva sbalzi di umore?

“Certo...”

“Aspetta, prima ho una domanda!”

Mente si sedeva, mi fissò interrogativo.

“Come fai a tenere in mano una rosa se non sei tangibile?”

Sorrise in modo inaspettato.

Il mio cuore protestò a cotanta bellezza, perciò tossii per mascherare il mio cambio di emozione.

Tornò serio e riprese a fissarmi con quell’intensità che il mio sguardo non riusciva a sostenere.

“Sii paziente, arriverò anche a questo...”

Suonava come una minaccia. Una dolce dolce minaccia...

Si mise a parlare e fui costretta a riattivare il mio cervello che sembrava volesse perdersi in strane fantasie.

“Dunque. Direi di cominciare dal principio. Sono nato il 5 Aprile 1724...”

Si fermò, per farmi assimilare la notizia.

1724.

Ah.

“Bene... Io nel 1990…” Risposi, impassibile.

Se cercava di impressionarmi, si sbagliava di grosso!

“A Londra, credo...”

“Già non hai la faccia da scozzese, in effetti...” Riflettei ad alta voce. Poi realizzai il resto della frase “Credo? Come ‘credo’?”

“Senti, facciamo così. Tu mi lasci parlare fino alla fine, poi io risponderò a tutte le tue domande.”

Lo fissai un po’ indispettita ma non lo diedi a vedere.

“Tutte?”

Mi fissò di traverso.

“Dunque. Vivevo in un paesino nei pressi di Londra, non ricordo quale. So solo che mio padre aveva una certa influenza a quei tempi, quindi io vivevo nel lusso.”

Alzai le sopracciglia e sospirai. Un figlio di papà: ora si spiegavano tante cose!

Si interruppe di scatto. “Che c’è?” Mi domandò un po’ irritato.

Bene, almeno eravamo in due!

Arrossii e spostai lo sguardo altrove.

“Ma non avevi detto che dovevo aspettare la fine della storia?” Lo scimmiottai.

Avevo l’impressione che volesse darmi l’attizzatoio del camino in testa, invece probabilmente pensò che, se poi fossi diventata come lui anche io, mi avrebbe dovuto sopportare per il resto dell’eternità. La prospettiva non allettava né me né lui, ad essere sinceri.

Quindi si limitò a lanciarmi un’occhiataccia e a continuare a parlare.

“Per farla breve: vivevo con i miei genitori e mio fratello. Sono sempre stato felice, ma un’estate uno dei miei zii invitò me e la mia famiglia a trascorrere qualche mese con lui, qui.” Ed indicò l’ambiente circostante. “Accettammo di buon grado: ci sembrava una buona idea.”

Sospirò e abbassò lo sguardo verso il camino, al suo fianco.

“Da quando ho messo piede qui, i miei ricordi diventano più confusi. Ho qualche stralcio di un funerale: quello dei miei genitori. Ogni tanto, mi vengono in mente alcune cose. Ma non è abbastanza per capire cosa ci faccio qui.

Ricordo solo buio.

Un giorno ho aperto gli occhi. Mi trovavo nel letto, solo. Non c’era nessuno intorno a me. Poi mi sono reso conto che il mio cuore non batteva più. Mi sono reso conto di non sapere nemmeno il mio nome. Poi, mano a mano, ho cominciato a ricordare. Sono uscito da qui e ho vagato per quelli che mi sono sembrati mesi. Probabilmente lo furono: il tempo non aveva più senso per me...”

La sua voce si era notevolmente abbassata, sembrava fosse un grande sforzo per lui raccontarmi tutto. Per un attimo mi intenerii. Ma solo per un attimo sia chiaro!

I nostri occhi si incontrarono per qualche secondo prima che io distogliessi il mio sguardo. All’improvviso la rosa che stava al centro del tavolo diventò estremamente interessante. Allungai la mano verso il fiore, cercando di guadagnare tempo per permettere al mio povero cuoricino di rallentare il battito cardiaco, e presi a giocherellarci. Sentivo il suo sguardo addosso, si aspettava che dicessi qualcosa.

Ma cosa voleva che facessi? Non riuscivo a dire cose intelligenti in sua presenza.

“Il tuo cuore...”

Alzai di scatto lo sguardo.

“Cosa?”

Scosse la testa.

“Niente...”

“Che cos’è successo dopo?”

Volevo sentire il resto della sua storia perciò, per allora, lasciai correre.

“Niente. Sono rimasto qui. All’inizio mi tenevo lontano dalla gente perché credevo di spaventarla, ma poi mi accorsi che, invece, se volevo potevo assumere delle sembianze più umane possibili e quindi cercai notizie della mia vita, ma niente...”

“Non sai nemmeno dove sei nato?”

“No...”

In quel momento provai una tristezza infinita. Cosa avrei provato se, un giorno, svegliandomi mi fossi accorta di essere morta? Se tutti miei ricordi fossero scomparsi e mi fossi ritrovata da sola? Probabilmente sarei impazzita.

“Mi dispiace...”

Era la cosa più stupida che avessi potuto dire in quel momento e infatti non esitai a farlo.

Lui sorrise. È inutile dire che caddi in uno stato di assoluta imbecillità e che il mio cervello smise di funzionare per qualche secondo.

Tentai di sorridere anche io ma probabilmente mi uscì una smorfia informe.

“Ora tocca a me?”

“Sono tutto tuo.”

Arrossì.

“Dunque, hai detto quindi che puoi diventare quasi umano?”

“Si, vuoi provare?”

Allungò una mano verso di me.

Un po’ titubante avvicinai la mia. Il mio cuore era completamente impazzito, sfiorai con l’indice il suo palmo e poi, in un impeto di coraggio, appoggiai la mia mano nella sua.

“Ho sempre voluto sapere che effetto fa la mia pelle...”

Quasi non gli badai. Era incredibile: al tatto la sua mano era liscia e morbida quasi come il velluto. Era stupefacente. Richiuse la mia mano nella sua.

“Allora?”

“Sei... Morbido!”

Sorrise di nuovo. “Immagino che sia un complimento!”

“E sei anche caldo.”

“Davvero?” La sua voce assunse un tono triste e nostalgico.

Che avevo detto?

“Che c’è?”

“Io non sento né freddo né caldo...”

Quest’ultima affermazione mi stupì.

“Wow... Ma tu cosa... Provi?” Mi fissò interrogativo. “Intendo dire, cosa senti?”

“Adesso?”

“Bhe, anche, volevo dire, in generale?”

Le nostre mani non si erano ancora separate e né lui né mostravamo l’intenzione di far cambiare loro posizione.

“Tutti i sentimenti umani... Dolore, rabbia, felicità, solitudine... è una sorta di limbo, credo” Aggrottò le sopracciglia nello sforzo di farmi comprendere la sua condizione.

“è come se tu avessi tutto quello che hanno gli umani ma ti mancasse la cosa essenziale...”

“Ovvero?”

“Il cuore...”

Quasi in risposta il mio sembrò accelerare.

“Ho dei sensi molto sviluppati, sento quasi tutto. Vedo con precisione. Sono un essere perfetto, ma sono imprigionato qui e non so come fare ad andarmene.”

Era modesto dopo tutto!

Mi sistemai una ciocca di capelli dietro le orecchie e mi accomodai meglio sulla sedia.

“E invece che succede quando sei… bhe… insomma...”

“Quando passo attraverso i muri?”

Non so che cosa ci trovasse di divertente in tutta quella storia, ma sta di fatto che continuava a ridere sotto i baffi.

Fantasmi... Valli a capire...

Ad un certo punto non sentii più il contatto con la sua mano, ma una ventata gelida investii la mia.

“AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAH!!!”

Ritrassi violentemente il braccio e ci mancò veramente poco perché cadessi dalla sedia. Intanto il mio simpatico interlocutore era scoppiato a ridere e, se avesse potuto piangere, probabilmente, lo avrebbe fatto fino alle lacrime.

Io ero ancora mezza scioccata con il cuore a mille. Mi portai una mano al petto e presi a cercare di respirare normalmente.

“Vuoi farmi venire un infarto?!?!?!? Vuoi uccidermi!!! È questo il tuo intento”

Ma lui non smetteva di ridere... Magnifico!

“Non è divertente proprio per niente!!”

“Oh si che lo è!!! Dovresti vedere la tua faccia!”

In effetti non dovevo avere un bell’aspetto. Ma cosa potevo farci? Tutte quelle emozioni in un giorno solo erano troppe per chiunque.

Quando mi fui calmata abbastanza da arrabbiarmi, ripresi il mio solito contegno.

“Fai un’altra volta una cosa del genere e giuro che mi alzo e me ne vado!”

“Scusa... Va bene, non lo faccio più...”

Mi parve tanto un bambino di cinque anni appena stato beccato ad aver rubato una caramella... E lui doveva avere più di 300 anni? Ma allora è proprio vero che il cervello maschile non si sviluppa nemmeno con l’età! Oramai avrei potuto scrivere un libro sui livelli di idiozia che un uomo può raggiungere.

Mente consideravo un mio futuro da scrittrice di trattati femministi, notai che Andrew era tornato serio.

Finalmente!

“Aspetta...” Volevo riprovare con calma.

Allungai la mia mano e la avvicinai alla sua.

Non si toccarono, la mia passò attraverso la sua. Ogni volta al posto della carne sentivo come dell’aria fredda.

“Wow...”

Dopo circa un minuto in cui io mi divertivo a passargli attraverso, tornò tangibile e mi afferrò di nuovo la mano dolcemente.

Ci guardammo per qualche secondo, finche il mio autocontrollo me lo permise. Dovevo ammettere di stare facendo dei progressi: riuscivo addirittura a pensare in modo quasi lucido, era tutta questione di esercizio, allora.

“D’accordo veniamo a noi... Che cosa c’entro io in tutta questa storia?”

Si sporse più verso di me, limitando la distanza tra noi due.

Si voltò verso la finestra, alla sua sinistra, all’improvviso sembrava a disagio.

“So che tu puoi aiutarmi...”

“Perché?”

Dovevo di nuovo cavargli le parole fuori di bocca, magnifico.

“Non lo so” Continuò a sostenere il mio sguardo indagatore per qualche attimo con aria beffarda. Capii che c’era dell’altro ma forse non era quello il momento di indagare.

Avrei avuto tempo per quello, forse...

“D’accordo, per ora mi basta, ma non credere di averla vinta così facilmente, caro!”

Scoppiò a ridere di nuovo. L’avevo capito: tentava di ammazzarmi!

“Sei semplicemente fuori di testa, lo sai?” Rise.

“Si grazie, me lo dicono in molti, ma non cercare di cambiare discorso con me! Allora, come posso aiutarti?”

“Ho bisogno che tu scopra chi sono” abbassò la voce, quasi si preoccupasse che qualcuno ci potesse sentire.

“Io??”

Ma che richiesta era?

In risposta si limitò ad annuire.

“Ah... Perché? Non puoi farlo tu? Insomma puoi mimetizzarti tranquillamente tra di... noi” Ma perché parlare così mi sembrava stupido?

“Tu sei più pratica, io non saprei da dove iniziare. Non so come si usano quei cosi... I campoter, o qualcosa del genere...”

“Computer?” Lo corressi con un sorriso.

“Si, infatti! Cosa ho detto?”

“Lasciamo perdere...”

Mise un finto broncio al quale io risposi con una linguaccia.

Scoppiammo a ridere entrambi.

“Allora, lo farai, per me?”

E come potevo dire di no a quegli occhioni?

“Ok...” Dissi decisamente poco convinta.

Il suo sorriso, se possibile, si allargò ancora di più.

“Grazie!!”

Bhe, almeno lo avevo fatto felice.

Ora avevo solo un piccolissimo problema da risolvere: non avevo né nomi né informazioni utili dalle quali cominciare la mia ricerca.

Fantastico...

“Ehm... Non è che sapresti dirmi qualcosa in più di te? Che ne so... Dove sei nato o qualcosa del genere...”

“Dove sono nato, non lo ricordo con precisione, ma se ti interessa il mio cognome è Bennett”

“Ah!” Ok, un cognome un po’ meno conosciuto, no eh? Sennò diventava tutto troppo facile e il divertimento dove stava?

In quel momento mi venne in mente una cosa che volevo chiedergli.

“Aspetta ma, insomma, tu…” mi schiarii la gola “Sanguini?”

Mi fissò come se stessi dicendo la cosa più stupida del mondo. Magari lo avevo appena fatto…

“Ehm... Direi di no!”

Eh bhe certo era ovvio...

“Ok, volevo solo sapere...”

Mamma mia, non si poteva parlare!

Intanto aveva preso a fissarmi di nuovo. Ma cosa dovevo fare?

Improvvisamente il cellulare nella tasca vibrò.

Feci un salto sulla sedia e ritrassi la mia mano dalla sua.

Non avrei voluto farlo.

Forse nemmeno lui avrebbe voluto che lo facessi.

In quel momento ebbi una voglia matta di uccidere chiunque mi avesse mandato il messaggio, così presi il cellulare e lo aprii.

Jess.

Figurarsi! Quella ragazza aveva un sesto senso per certe cose.

“Ehm... Ora io devo andare...”

Mi guardò con occhi estremamente tristi. Voleva che rimanessi? Perché?

Non poteva essere lo stesso motivo per cui io volevo rimanere.

Lui mi odiava! La rosa era stata solo un gesto di carineria.

Tutto qui.

Non volevo nemmeno pensare all’eventualità che...

No! Non ci volevo proprio pensare!

Mi alzai e lui stava per fare lo stesso ma lo fermai.

“Conosco la strada, non ti preoccupare!” Credo che la mia voce si fosse alzata di sei ottave. Perché mi agitavo tanto?

Il mio umore era decisamente altalenante. Avevo sempre avuto dubbi sul fatto che forse non ero molto normale. Bhe in quel momento ne ebbi la certezza.

“Ciao...”

Lo bisbigliai talmente piano che forse lui non mi sentii nemmeno e mi precipitai fuori dalla porta.

Chissà se pensava che non sarei più ritornata.

Sperai proprio di no, perché su quello non avevo più alcun dubbio.

 

Ragazzi… è mezzanotte… Io non so nemmeno come mi chiamo in questo momento...

Abbiate pietà di me...

Credo di aver perso quel già poco di capacità di scrivere che avevo...

È stata un’agonia scrivere questo capitolo! Ho fatto una fatica immensa e non so nemmeno perché…

Va bhe spero di riprendermi prestooo!

Grazie Amarie, cm sempre!

Ora vado che sennò inizio a scrivere cose strane a quest’ora della notte e poi vi spaventate!

XD

Un mega bacioooo

Mallow

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Capitolo 7
*** Pendant ***


Pendant

 

When you look at me i start to blush
and all that i can say is you and us
oh baby im so afraid to be in love
with you…
I wanna be in love with only you
I wanna watch the sky downgrade and blue
I wanna know the kiss thats always new
I wanna be in love with only you
just you

Plumb – Blush (Only You)

 

 

“Hey!!! Roxy?? Pronto?? Ci sei?”

“Eh?”

“Oh ma insomma! Oggi sei su un altro pianeta!! È la quarta volta che ti chiamo!” Sbuffò Jess ma poi aggiunse “Allora come mi sta?”.

Fece una piroetta su se stessa per farmi vedere il vestito che aveva intenzione di comprare. Come se credesse che le stessi prestando attenzione.

Annuii con tutta la convinzione e l’autocontrollo che riuscii a trovare: erano ore e ore che stavamo in quel negozio a provare e riprovare vestiti, o meglio, lei stava a provare e riprovare vestiti mentre io me ne stavo seduta davanti al camerino.

Io e la commessa ci scambiammo un altro sguardo esasperato mentre la mia pseudo-amica aveva trovato l’ennesimo paio di pantaloni.

Ripensando al messaggio che mi aveva mandato poco prima mi saliva ancora di più la rabbia. “Ciao cara! Devi assolutamente precipitarti da me! Ho una cosa importantissima da dirti!” E io, come un’emerita imbecille, un po’ perché volevo andarmene dal castello, ancora non ho capito perché, e un po’ perché pensavo che ciò che Jess volesse riferirmi fosse realmente importante, ero andata a casa sua.

Alla fine “la cosa importantissima” si erano rivelati i saldi in centro.

Al solo pensiero mi venne voglia di strozzarla con la cintura di pelle che stava guardando in quel momento.

Eppure non era colpa sua, anzi, anche se non lo avrei mai ammesso, avrei voluto ringraziarla: alla fine quel messaggio era stato solo un pretesto per andarmene. Avevo bisogno di stare lontana da Andrew per un po’, la sua presenza mi metteva in soggezione. Senza contare che era troppo bello per essere vero e per questo il mio cervello non capiva più niente se gli ero vicina.

Quando mi aveva preso la mano, poi... Quasi quasi sentivo ancora il calore della sua mano sulla mia...

“Roxanne!”

“Che c’è?!?!?!?!?!” Perché doveva interrompere le mie fantasie?

“D’accordo ora, in questo preciso istante, TU mi racconterai che diavolo hai!”

Iniziai a preoccuparmi: non mi piaceva proprio per niente quando Jess aveva quel tono.

Deglutii.

Intanto si era avvicinata in maniera inquietante, mi aveva afferrata per il braccio e mi aveva trascinata via per il negozio, senza comprare niente e lasciando la commessa interdetta.

Alla velocità della luce mi portò a casa sua senza spiccicare parola durante il tragitto.

Sembrava arrabbiata.

Chiuse la porta di casa dietro di sé facendola sbattere.

Ok, era decisamente arrabbiata e io cominciavo ad avere seriamente paura.

Mi trascinò su per le scale senza mollarmi il braccio. Anche se mi stava per slogare un polso non osai fiatare, volevo continuare a vivere... Ero ancora troppo giovane per morire.

Mi fece accomodare “con molta gentilezza” sul letto e poi si sedette di fronte a me.

“Allora!” Sbottò “Dimmi tutto, perché stai decisamente dando i numeri e io non posso permetterlo!”

Ancora un po’ intimorita, tentai di pensare a qualcosa da dire.

“Io... Bhe... Ecco...”

“No no no!! Niente io, bhe e tanto meno ecco! Voglio sapere dettagliatamente cosa hai fatto nelle ultime ventiquattro ore!” Quasi me lo urlò in faccia, bhe, alla fine non aveva tutti i torti, dopo il modo in cui l’avevo trattata, forse si meritava la verità.

Magari non proprio tutta.

“Sto aspettando!” Incrociò le braccia intorno al petto in atteggiamento di impazienza.

“Va bene, va bene!” Alla fine scelsi l’opzione “cerca di trascorrere una vita lunga e duratura senza rischiare di essere ammazzata dalla tua migliore amica”.

Alzò un sopracciglio e prese a sbuffare.

“Sto ancora aspettando!”

“Si, ma stai calma!” Adesso quella che iniziava a perdere la pazienza ero io! Capisco che volesse aiutarmi però non c’era bisogno di terrorizzarmi in quel modo.

“Dunque. Si! Ho incontrato di nuovo quel ragazzo...” esitai nel pronunciare l’ultima parola ma, fortunatamente, Jess non se ne accorse o fece finta di non accorgersene perché, nel preciso istante in cui terminai la frase, si mise ad urlare.

E io che mi ritenevo matta!

Poi si alzò dal letto e incominciò a saltellare per la stanza.

Mi augurai che suo fratello non fosse in casa, non sapevo perché ma, da quando era arrivato, non lo avevo ancora visto, non che la cosa mi dispiacesse, sia chiaro.

Ma ciò che mi preoccupava di più, in quel momento, era che sapevo benissimo che da un momento all’altro Jess si sarebbe messa a bombardarmi di domande.

E infatti avevo ragione.

“Quando? Dove? Chi? Ma come…”

Se proprio dovevo essere impazzita decisi di farlo bene, perciò piantai un urlo e ottenni addirittura il risultato sperato: far tacere Jess.

“Se lo rifai ancora una volta, prima di tutto voli giù dalla finestra e, poi non ti racconto più niente.”

“Non essere così crudele con meee!!” E tirò fuori lo sguardo da tigrotto abbandonato.

Quanto la odiavo quando faceva così!!

“Comunque… Stavi dicendo?” Mi incitò con un sorriso, sedendosi accanto a me.

“Allora... L’ho incontrato di nuovo…” cercai velocemente un luogo che non fosse il castello, sennò sarebbe risultato troppo strano “nel parchetto vicino al castello”

L’unica cosa che mi era venuta in mente era quale posto dove si trovava la panchina su cui mi ero seduta quella stessa mattina. Pensare che tutto era successo in così poche ore mi lasciò disorientata per un attimo.

“Come si chiama?”

Le lanciai un’occhiataccia. Ma non era proprio capace di stare zitta?

Comunque preferii far finta di niente e rispondere alla domanda.

“Andrew...”

“E sei cotta di lui!!! Ma che tenera!!”

Scommetto che era tutta la vita che aspettava di dirmi quella frase.

Non so cosa mi trattenne dal lanciarla giù dalla finestra. Forse il fatto che l’omicidio era ancora un reato o forse il fatto che eravamo al primo piano?

“Io-non-sono-cotta-di-lui!” Provai a scandire bene le parole in modo che anche Jess le potesse comprendere. Ma ovviamente ogni sforzo fu vano.

“Si, si, certo come no! Allora, vi rivedrete?” Mi si avvicinò alzando e abbassando le sopracciglia. “Dì la verità a zia Jess!”

Zia Jess?

Ok, stavamo delirando.

La guardai come se fosse ammattita ed evidentemente lo era.

“Si, ma questo non c’entra niente, ok? Io non sono innamorata di nessuno. Punto. Fine della storia.” Non c’era nient’altro da aggiungere. Lo avrei aiutato e basta.

“E chi stai cercando di convincere scusa? Me o te stessa?”

Fortunatamente il cellulare squillò.

Era la seconda volta che quell’aggeggio mi salvava la vita quel giorno. D’ora in poi mi sarei ricordata di trattarlo meglio.

“Pronto?”

“Roxy, quando arrivi? Fuori è già buio...” Avrei trattato meglio anche mia madre d’ora in poi.

“Si, sto arrivando” Risposi con convinzione.

“Ok, a dopo!”

“Ciao!”

Chiusi la comunicazione e mi voltai verso Jess.

“Ora devo andare!” Provai davvero a mascherare la mia felicità ma proprio non ci riuscì.

In risposta la mia amica mi guardò di sottecchi e mormorò un “Ok, ma non credere che sia finita qui!”

 

Spensi la luce.

Mi accoccolai meglio sotto le coperte perché faceva particolarmente freddo quella sera.

Finalmente ero sola.

Sola con i miei pensieri.

Appena chiusi gli occhi, il volto di Andrew mi tornò in mente: i suoi occhi, i suoi capelli, le sue labbra…

Mi sfiorai involontariamente la mano sinistra, quella che aveva stretto la sua.

Ma perché ci stavo pensando?

Io non DOVEVO pensarci assolutamente. Lui era un... fantasma! Facevo ancora fatica a crederci! Cioè io avevo appena scoperto che esistevano gli spiriti e me ne stavo tranquilla sotto le coperte a contemplare nei ricordi uno di loro in maniera poco consona?

Si, lo stavo facendo.

Bene, l’importante era esserne consapevoli.

Comunque io non potevo pensare a Andrew in quel modo, non potevo assolutamente anche solo provare una cotta per lui: insomma dovevo aiutarlo ad andarsene da questo mondo e basta. Il fatto che mi sentivo così “attratta” da lui non voleva dire proprio un bel niente. Insomma... Lui era un fantasma, io ero un essere umano.

Non poteva funzionare.

E comunque io non volevo che funzionasse. Io non lo sopportavo. Lui non mi sopportava, ricordavo? Ecco! Fantastico.

Eppure perché sembrava che stessi solo tentando di auto convincermi? Forse perché era così.

Wow.

Jess aveva ragione davvero!

Anzi no! Non aveva ragione per niente, perché io non provavo niente per lui. Niente.

Sbuffai e mi voltai a pancia in su con gli occhi spalancati che fissavano il soffitto senza vederlo.

Che vita grama!

Richiusi gli occhi, tentando invano di dormire, ma me ne pentii quasi subito. Mi venne in mente il suo sguardo quando gli avevo detto che dovevo andarmene. Era stato così... straziante, non trovai una parole che lo potesse descrivere meglio.

Ma perché?

Posso capire quello che io potevo provare per lui: era alto, era bello, molto bello, aveva due occhi da infarto e poi era dannatamente bello... E una miriade di altre ragioni! Ma non c’era niente in me per cui io gli potessi piacere. Ero alta un metro e un tappo, avevo gli occhi azzurri più banali di tutto il pianeta, dei capelli, poi, meglio non parlarne, senza contare il carattere! Va bene che nemmeno il suo era dei migliori, però... Insomma, non ero particolarmente bella. Eppure quello sguardo... Non che la cosa mi interessasse, sia chiaro! Era pura e semplice curiosità!

All’improvviso mi ricordai di quando, qualche giorno prima, avevo sentito la sua voce nella mia stanza mentre mi chiamava.

Oddio!

Mi aveva vista mentre dormivo? Magari mentre russavo o stavo con la bocca aperta e la bavetta? Oddio!! Per poco non mi prese un attacco di panico.

Io e lui avremmo fatto un bel discorsetto, molto presto.

Mi stavo preoccupando per il fatto che mi avesse potuta vedere in pigiama e non perché era entrato in camera mia di notte.

Bene.

Non ero per niente normale.

Cercai di appuntarmi mentalmente di stabilire delle regole di privacy con lui e sperai che non fosse nei dintorni in quel momento sennò l’indomani sarebbe finita davvero male. Ne sarebbe rimasto solo uno tra noi e quello non era lui!

Già, l’indomani. Al solo pensiero il mio cuore accelerò.

Sarei ritornata da Andrew ovviamente, non potevo abbandonarlo dopo avergli promesso il mio aiuto. Ero una persona educata, non c’era mica un secondo fine.

Assolutamente no.

Autoconvinzione prima di tutto.

Ed io ero molto convinta e motivata in quel momento. Poi il fatto che quando mi trovavo davanti a lui non capivo più niente era un altro problema.

Però c’erano ancora tante cose che volevo domandargli, ma per quello avrei avuto tempo. Questo pensiero mi fece sentire meglio e sorrisi involontariamente contro il cuscino.

Quant’ero scema?

Ma non ne potevo fare a meno. Sfiorai con le dita la mia rosa rossa appoggiata accanto a me sul comodino e desiderai che non appassisse mai.

Poi chiusi gli occhi e scivolai lentamente in un sonno tranquillo.

Ma i miei sogni ebbero sempre e solo un unico soggetto.

 

Perché diavolo non avevo preso la sciarpa?

Faceva un freddo cane e io avevo addosso solo il giubbotto.

Avevo in mano circa cinque libri che, a sentire le mie braccia indolenzite, dovevano pesare circa una tonnellata, e ovviamente non avevo assolutamente pensato alla possibilità di portarli in uno zaino.

A volte mi stupivo della mia intelligenza.

Dopo aver svaligiato la biblioteca per trovare dei libri che parlassero della storia della Scozia dalle sue origini fino ai giorni nostri, ero andata, il più velocemente possibile (ma solo perché faceva freddo, ovviamente) al castello.

Percorsi di corsa gli ultimi metri che mi separavano dall’entrata… E da Andrew.

Scossi la testa, tentando di scostarmi i capelli umidicci dalla fronte senza usare le mani che erano ancora intente a reggere quel pesantissimo carico.

Mi fermai davanti alla porta, presi un bel respiro e bussai con un piede, l’unico arto non impegnato nel reggere qualcosa.

Nessuna risposta.

Ritentai con più veemenza ma, di nuovo, senza risultato.

Dove diavolo poteva essersi cacciato? Anzi no, riformulai la domanda.

Dove diavolo poteva essere andato un fantasma?

E se si fosse offeso?

Ci doveva solo provare! Io non avevo fatto niente di offensivo il giorno prima. Bhe non proprio! Comunque ero lì per aiutarlo, mica perché mi divertivo.

Ehm...

Tralasciamo!

Mentre pensavo a quali posti potessero essere un passatempo per un allegro spiritello, le mie braccia protestavano violentemente. Mannaggia a me!

Sentii delle mani calde toccarmi la schiena.

“Bhu!”

Piantai un urlo degno di una cantante lirica e, per lo spavento, i libri mi caddero su un piede.

Il dolore si sostituì alla paura quando realizzai che cosa era successo.

“Ma sei proprio imbecille!!!” Urlai mentre lo prendevo a schiaffi sulle spalle.

La mia tecnica vendicativa non durò a lungo perché lui, ridendo ovviamente, divenne “trasparente” sfuggendo così ai miei ganci sinistri.

Poi il mio piede prese a pulsare e mi ricordai anche di lui.

“Porca... Che male!” Ma le mie parole furono quasi coperte completamente dallo scoppio di ilarità di Andrew che, nel frattempo, era tornato “normale”.

Odiavo quello stupido fantasma!

Mi chinai a riprendere i libri poi, non appena li ebbi tutti tra le mani, lo guardai e gli dissi “Non ti preoccupare! Non aiutarmi, ce la faccio benissimo da sola! Brutto idiota!”

“Ok!”

Bene, quella fu l’ultima goccia. Lo fissai con lo sguardo più truce che mi riuscii e gli lanciai i libri in mano e lui, preso alla sprovvista non riuscì ad afferrarli tutti così due gli colpirono un piede.

“Ora siamo pari!” Sibilai con un sorrisino sadico stampato in faccia, mentre lui imprecava.

“D’accordo, questa me la sono meritata. Scusa...” Sorrise tra le smorfie di dolore. “Però erano anni che non mi divertivo così!”

“Ah ah... Che risate...” Alzai un sopracciglio dubbiosa poi aggiunsi “Bene se adesso hai finito con le stupidaggini io e te avremmo da fare!”

Ma mi pentii subito di quelle parole, sperando che lui non avesse colto il lieve doppio senso.

Aprii la porta e mi diressi sicura in cucina mentre, questa volta, era lui a seguirmi con i libri tra le mani, che si affrettò a lasciare sul tavolo.

Sorrisi di soddisfazione: non avevo ancora ceduto al suo fascino. Era un record!

Prima di sedermi, però, mi bloccai al centro della stanza e lui, per poco, non mi venne addosso. Mi voltai verso di lui. Come al solito rimasi un attimo spaesata. Mannaggia! Il mio autocontrollo non aveva retto nemmeno per più di cinque minuti. Però stavo migliorando davvero.

Per un millesimo di secondo vidi qualcosa balenare nel suo sguardo prima che ritornasse neutro. Il mio cervello si bloccò per qualche secondo: eravamo troppo vicini.

Non andava bene.

“T… E… Uh...“ Blaterai lettere sconnesse ancora per qualche secondo.

Mi ero completamente dimenticata di come si componesse una frase di senso compiuto. Avete presente quando studi per cinque ore al giorno e sai perfettamente cosa dire ma, non appena sei davanti al professore non ti ricordi più un accidente di niente?

Ecco in quel momento provai la stessa cosa. Solo almeno diecimila volte peggio.

Mi sentivo un’emerita idiota. Anzi, lo ero!

Intanto lui continuava a fissarmi negli occhi, sembrava impassibile, ma c’era di nuovo quel qualcosa nel suo sguardo. Sembrava indeciso.

Fortunatamente fu lui a rompere il silenzio, dopo qualche istante che a me sembrò durare un’eternità.

“Cosa c’è?” Ma la sua voce era sempre stata così melodica? O era solo una mia impressione?

Con molta fatica riuscii a porre fine a quella dolce tortura spostando il mio sguardo su qualcos’altro per cercare di ricordare cosa volevo dirgli.

I miei occhi incrociarono il ciondolo che avevo notato al suo collo il giorno prima.

Senza nemmeno pensarci allungai la mia mano e lo sfiorai. Perché avevo di nuovo come l’impressione di averlo già visto da qualche parte?

Poi mi resi conto di quello che stavo facendo e ritrassi velocemente il braccio sotto lo sguardo incuriosito di Andrew.

Se prima avevo ancora qualche speranza di dargli un’impressione positiva su di me, ora di sicuro mi credeva fuori di testa e, a dirla tutta, non aveva nemmeno torto.

“Scusa” Mormorai mentre mi voltavo per sedermi ma lui mi bloccò afferrandomi il braccio. Rabbrividii al contatto con la sua pelle e il mio cuore accelerò.

Lo fissai interrogativa mentre lui spalancava gli occhi e mi lasciava andare.

Poi ci fu un ultimo sguardo di infinita tristezza, di cui non capii il motivo.

Poi scomparve e me lo ritrovai seduto al tavolo a fissare fuori dalla finestra alla sua destra. Questa volta io non avevo fatto niente di male. Almeno non credevo...

Mi sedetti anch’io e aspettai che Andrew dicesse qualcosa, ma lui continuava ad ignorarmi.

Io sapevo di non essere ancora in grado di parlare dopo quello che era successo.

Ma cosa mi era preso? E soprattutto cosa era preso a lui?

Dopo qualche minuto il mio autocontrollo riprese a fare il suo dovere.

“Ho portato un po’ di libri sulla storia della Scozia... Forse possono aiutarci a capire qualcosa.”

Forse la cosa migliore era fare finta di niente e cambiare discorso.

Andrew mi guardò come se si fosse appena ricordato della mia presenza.

Bhe grazie della considerazione!

“Oh...”

Continuava a guardarmi come se non mi vedesse.

Così presi un libro, lo aprii e cominciai a sfogliarlo.

Dopo qualche minuto, Andrew fece un gesto veloce e mi appoggiò accanto al braccio qualcosa.

Era il suo ciondolo. Lo fissai interrogativa ma lui aveva spostato lo sguardo di nuovo verso la finestra. Lo presi e mi accorsi che era uno di quei medaglioni apribili. Così feci scattare la piccola serratura e notai che, mentre il resto dell’oggetto sembrava placcato in oro, al suo interno era incisa una scritta d’argento: “Ubicumque es, sum”.

“Dovunque tu sia, io ci sono...” Mi tradusse la voce calda di Andrew.

“Chi…?”

“Non lo so” Mi interruppe. “Ma vorrei tanto saperlo...”

Continuava ad avere quel tono malinconico e quegli occhi così nostalgici.

Le parole mi uscirono spontaneamente.

“Non ti preoccupare... Lo scopriremo...”

 

 

Ok… E anche questo è andato...

Mamma mia... Credo che mi darò veramente all’ippica...

Cmq...

Grazie mille Amarie... Credo di stare iniziando a complicare un po’ le cose XD

Non ti lambiccare troppo il cervello mi raccomando XD XD poi la storia di Andrew verrà fuori... Anche se ci vorrà un po’ di pazienza...

Grazie veramente comunque!

Alla prossima!

Kiss kiss!!!!

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Capitolo 8
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Searches

 

Help, I have done it again
I have been here many times before
Hurt myself again today
And, the worst part is there's no-one else to blame


Ouch I have lost myself again
Lost myself and I am nowhere to be found,
Yeah I think that I might break
I've lost myself again and I feel unsafe”

Sia – Breathe Me

 

 

Ah ah...

Ero davvero simpatica.

Certo! Avremmo SICURAMENTE scoperto chi aveva regalato il pendaglio a Andrew. Era proprio la cosa da cui potevamo partire per trovare la soluzione a quel mistero.

Magari se avessi cercato “Chi ha regalato un ciondolo ad Andrew Bennett?” su google, sarebbe saltato fuori il nome della misteriosa donatrice.

Già. Doveva essere per forza stata una ragazza…

Bhe, ma anche se non l’avessimo scoperto non sarebbe importato a nessuno, no? La sua identità non era questione di vita o di morte... Bhe magari di morte si... Oddio, quella storia mi confondeva le idee.

Comunque fosse, io mi rifiutavo di sapere chi gli aveva regalato quell’oggetto, insomma... Cosa voleva quella ragazza? Non poteva farsi gli affaracci suoi?

Oh mamma! Ero gelosa di una donna morta da circa trecento anni. Era grave? Mi potevo rispondere da sola. Comunque, io non ero gelosa... Assolutamente no.

Presi a picchiettare nervosamente le dita sul tavolo mentre sfogliavo le pagine di un libro senza vederle. Perché mi ero cacciata in quella storia? Perché mia madre mi aveva preso quegli stupidi biglietti? Perché ero ritornata a cercare Andrew? E perché diavolo non trovavo una dannata risposta a tutti i miei problemi?

Iniziai a muovere avanti e indietro la gamba sinistra senza rendermene conto e attirai l’attenzione di Andrew, che stava cercando qualche notizia che ci avesse potuto aiutare.

Alzai di scatto lo sguardo verso il suo e, dopo qualche secondo di smarrimento, sbottai.

“Perché sono qui?”

Mi fissò come se avessi parlato in un’altra lingua e, come al suo solito, non rispose.

“Perché-sono-qui?” Sibilai a denti stretti.

“Perché mi stai dando una mano?” Tirò a indovinare lui.

“Non intendevo quello.” Sbuffai, lo sapevo che aveva capito benissimo cosa volevo dirgli. “Perché in tutto questo tempo non ti sei mai rivelato a nessuno ma hai deciso di farlo con me... Perché PROPRIO io?”

Silenzio.

Non ero disposta a cedere quella volta, perciò continuai a sostenere il suo sguardo.

In verità gli fissavo il naso: così era più facile fare la sbruffona.

“Non lo so” Ma credeva di darmela a bere?

“Si, invece!” Replicai decisa. “Lo so che lo sai, ma non vuoi dirmelo...”

Si scostò i capelli dal viso: era nervoso. Cosa mi stava nascondendo?

“D’accordo. Lo so ma non voglio dirtelo...”

Almeno lo aveva ammesso: era un notevole passo avanti.

“Perché?”

“Se ho detto che non voglio dirtelo non ti riferirò nemmeno il perché, ti pare?”

Mi rispose con quella sua solita aria di superiorità.

“No! Non mi pare affatto! Io sono qui per aiutarti quindi pretendo che tu sia sincero con me!” Chiusi gli occhi a due fessure.

Forse avrei dovuto prendere ripetizioni da Jess, lei sì che sapeva come cavarti fuori con la forza la verità. Chissà se il suo metodo funzionava anche coi fantasmi?

Mentre vagheggiavo con la mente commisi lo stupido errore di guardarlo negli occhi e lui non mancò di notarlo.

Improvvisamente il lampo di un sorriso gli attraversò lo sguardo.

Dannazione quella volta l’avrebbe avuta vinta lui, lo sapevamo entrambi.

Ma perché mi faceva quell’effetto?

“Ti fidi di me?”

“No...” Sussurrai.

Probabilmente si aspettava quella risposta perché le sue labbra si distesero in un sorriso.

“Io credo di si, invece.”

“Credi un po’ quello di pare...”

Odiavo quando gli altri si accorgevano che mentivo.

Mi rimisi a sfogliare il libro in silenzio.

“Sennò perché te ne staresti qui tutta sola con me?”

Non voleva lasciare cadere il discorso, splendido.

Ma se lui non dava risposte a me, non trovai una motivazione abbastanza convincente per cui io avrei dovuto fare il contrario. Quindi lo guardai con aria di sfida, non aprendo bocca, ovviamente.

“Allora, ho ragione?”

Non capivo perché volesse a tutti i costi sentire una conferma provenire dalle mie labbra, insomma, la risposta mi sembrava abbastanza ovvia. Forse non ne era convinto nemmeno lui?

Bene, ora ero io a condurre il gioco.

“Tu rispondi alla mia domanda e io farò lo stesso con la tua...”

Scosse la testa, ma sorrideva ancora.

Aveva vinto la battaglia ma non la guerra.

“Un giorno me lo dirai?”

“Forse...”

Almeno non era un no secco.

“D’accordo.”

Sorrise e la mia lucidità andò a farsi benedire.

“Ehm... Non è che c’è un bagno funzionante?”

Avevo bisogno di allontanarmi un po’ da Andrew, stare vicino a lui si rivelava ogni momento più difficile.

“Si... Lo hanno messo per il custode che, ovviamente, non c’è...” Disse, nascondendo un sorriso con la mano destra.

“Che gli hai fatto?” Non riuscii a trattenere l’ansia nella mia voce.

“Oh, niente! L’ho solo un po’, come dire, spaventato...”

“Allora non sei così idiota solo con me!”

“Con te soprattutto...”

Se non la smetteva di fare così gli sarei svenuta addosso veramente quella volta.

Mi misi nervosamente una ciocca dietro l’orecchio e mossi lo sguardo verso il corridoio buio dietro di me.

“Vuoi che ti accompagni?” Chiese gentilmente.

“No!” Quasi gridai, tanto che trasalii da sola. Il mio battito cardiaco accelerò.

“D’accordo... è l’ultima porta a destra, la riconoscerai” Aveva di nuovo parlato con quella voce che quasi mi faceva piangere.

Ma perché gli prendevano questi attacchi di malinconia? Quel ragazzo era una cosa impossibile!

Comunque feci finta di niente e uscii dalla stanza, chiudendo la porta alle mie spalle; camminai velocemente per il corridoio, seguita solo dal rumore dei miei stessi passi. C’era poco da fare: quel posto mi metteva i brividi e non solo perché facesse freddo.

Percorsa la strada, alla mia destra trovai una porta in legno dipinta di verde con un cartello su cui compariva la scritta “W.C.”

Alzai un sopracciglio.

“Ah!”

La mia voce risuonò nel corridoio vuoto.

Quant’era simpatico...

Aprii la porta e mi ritrovai un bagno molto simile a quelli della scuola.

Un’antisala con un lavandino, uno specchio e quell’apparecchio che sparava aria calda per asciugarsi le mani, odiavo quell’aggeggio: non funzionava mai! E poi c’era il gabinetto nascosto nel muro da una porta.

Mi sciacquai le mani e rimasi qualche minuto con le mani appoggiate al lavandino e gli occhi chiusi, concentrandomi solo sul mio respiro.

D’accordo Roxanne, non sta succedendo assolutamente niente. Va tutto bene. Datti una calmata e non fare o dire cose stupide. Almeno non più del solito.

Cercai di non passare troppo tempo in bagno: non volevo che Andrew pensasse che fossi scappata dalla finestra o che fossi svenuta.

Così, quando mi sembrava di essere in grado di intendere e di volere, uscii dalla stanza. Mentre ripercorrevo il corridoio mi accorsi di una stanza che, durante la visita, non ci avevano fatto vedere.

Magari era aperta. Mi guardai intorno, per assicurarmi che Andrew non stesse venendo a cercarmi.

Incuriosita, mi avvicinai alla porta e provai ad aprirla, sperando di non trovarci dentro qualcosa di strano.

Chiusa.

Un po’ delusa, tornai nella sala da pranzo, dove Andrew mi stava aspettando.

“Cosa c’è nell’ultima stanza a sinistra?” Chiesi mentre mi sedevo al mio posto.

“Perché?” Mi domandò nervoso, lasciando cadere la penna che teneva in mano e concentrandosi su di me.

“Niente, ero curiosa... Come mai è chiusa?”

Probabilmente gli avevo fatto una di quelle domande che lui avrebbe preferito tenessi per me. Ma che potevo farci? Ero un tipo curioso.

“Non lo so perché sia chiusa. È vuota.”

Deglutì e riprese a sfogliare il libro che aveva sotto mano.

Vidi passare sul suo viso la speranza che io lasciassi perdere, ma evidentemente non mi conosceva molto bene.

“Come sarebbe a dire vuota?”

“Nel senso che non c’è niente al suo interno.” Mi rispose come avrebbe fatto se avessi avuto cinque anni.

“Grazie, meno male che me lo hai spiegato! Non so come avrei potuto capirlo da sola.”

Lo fulminai con lo sguardo e alzai un sopracciglio.

E lui sorrise.

Chiusi gli occhi, tirai un respiro e abbassai lo sguardo verso il mio libro, tentando di concentrarmi sulle parole che c’erano scritte sopra.

Mi girava la testa.

“Non mi dirai neppure questo, vero?”

“No!”

Viva la sincerità!

Così riprendemmo le ricerche, in silenzio.

 

“Ma cosa stiamo cercando precisamente?”

Dopo circa un quarto d’ora, Andrew aveva deciso di rivolgermi la parola.

“Pensavo che questo lo sapessi tu!” Replicai, un po’ scocciata.

Insomma era la sua di vita, mica la mia!

“E che cosa dovrei sapere, scusa?”

Mi venne voglia di tirargli un pugno.

“Vuoi dire che siamo stati qui per un’ora sfogliando libri, senza sapere cosa cercare?”

Il suo silenzio fu molto eloquente.

“Non ci posso credere!” Sbottai.

Era proprio imbecille!!! Insomma, il fatto che io avessi sfogliato un libro di cinquecento pagine, pensando a tutt’altro, non giustificava il fatto che lui avesse potuto fare lo stesso.

E comunque io avevo le mie buone motivazioni per essere distratta.

Lui no.

“Va bene. Stiamo calmi!”

Evidentemente lui trovava molto divertente il fatto che i miei nervi stessere per cedere perché si mise a ridere.

“Cosa c’è di tanto divertente???” Quasi gli urlai dietro ed ero in procinto di andare da lui e prenderlo a botte.

“Adoro vederti arrabbiata” Ci misi un po’ a decidere se catalogare quell’affermazione come complimento o no, alla fine scelsi di far finta di niente. Anche se non potei evitare di arrossire e sperai tanto che lui credesse fosse un effetto della rabbia.

Chiusi gli occhi e contai fino a dieci.

Uno. Diamine ma chi me lo aveva fatto fare?

Due. Ammazzare un mezzo morto era considerato come reato?

Tre. “Roxanne, ti senti bene?

Quattro. Ignoralo!

Cinque. Andrew tossì, a disagio.

Sei. Continua ad ignorarlo.

Sette. Un altro colpo di tosse.

Otto. Il colpo di tosse si trasformò in risata.

Nove.

Aprì gli occhi di scatto.

“Giuro che se continui a ridere ti ammazzo!”

“Perché sei così agitata?”

Bella domanda! Mi stavo chiedendo la stessa cosa.

Almeno aveva smesso di ridere.

“Tu...” E gli puntai contro il dito “Mi farai diventare pazza!”

Sapevo che stava per rispondermi “Troppo tardi” o qualcosa del genere, ma il mio sguardo omicida lo fermò subito.

“Credo che tu non stia molto bene.”

Ma va??? Era molto perspicace.

Stavo per avere una crisi isterica e lui mi diceva che “forse non stavo molto bene??”

Chiusi gli occhi.

D’accordo.

Inspira.

Espira.

Non c’è motivo di sentirsi così.

Non avevo mai provato un miscuglio del genere di sentimenti: non ci stavo capendo più niente.

Ad un certo punto sentii delle mani calde sfiorarmi il viso.

“Tutto bene?”

Accadde talmente velocemente che non fui in grado di rendermi conto se fosse successo veramente o no.

Poi mi ritrovai in un corridoio buio a correre e sentivo il rumore di passi che mi rincorrevano.

Incominciai ad ansimare.

E aprii gli occhi.

Era sembrato tutto così reale.

“Cos’hai?”

Mi ritrovai di fronte il viso di Andrew che mi guardava con un’espressione seriamente preoccupata.

Stavo tremando.

Appoggiai la testa sul tavolo, gli occhi spalancati: avevo paura di chiuderli di nuovo.

Andrew mi stava dicendo qualcosa, forse tentava di calmarmi, ma non stavo ad ascoltarlo.

“Vuoi dell’acqua? Ti prego dimmi qualcosa!”

“No...” Mi stupii di essere riuscita a parlare.

Mi ero quasi calmata ma il mio cuore non la smetteva di martellarmi nel petto, poi se Andrew continuava a tenermi la mano, cosa di cui mi ero appena accorta, e a starmi così vicino, non mi aiutava affatto. Anzi...

“Sto bene...” Rantolai.

“Che cosa...”

Tossii. “Un calo di zuccheri”

Di solito funzionava bene come scusa. Se avessi risposto di aver avuto una sottospecie di visione non avrei di certo semplificato le cose.

“Un calo di zuccheri?”

Mi fissò dubbioso.

“Si!”

Di sicuro gli attacchi di panico non erano conseguenze dei cali di zuccheri, ma preferii tralasciare. Non ero nemmeno sicura di aver “visto” davvero quella strana scena.

Probabilmente era stata solo un’impressione.

“Sto bene, davvero!”

Non dovevo essere molto convincente perché Andrew continuava a guardarmi ansioso.

“Potresti… Allontanarti un po’?”

Non era una cosa carina da dire, in effetti. Però se mi stava appiccicato in quel modo, rischiavo seriamente la vita.

Non replicò, non disse niente. Semplicemente si volatilizzò e lo rividi seduto sulla sedia più lontana possibile da me.

Non potevo andarmene via di nuovo.

Non volevo andarmene.

Qualunque cosa fosse successo, sapevo che dovevo affrontarla lì, con Andrew: non potevo scappare. Se lo avessi fatto forse non avrei più avuto la forza di ritornare.

“Andrew...”

Non sapevo esattamente cosa dirgli ma avevo bisogno di parlare con lui.

Non mi rispose.

Cautamente mi voltai verso di lui e lo ritrovai che mi fissava un po’ preoccupato un po’ intristito.

Ma perché avevo l’unica capacitò di farlo stare così male?

Appoggiai un braccio sulla scrivania e poi la testa sul braccio: ero ancora un po’ debole.

“Andrew...” Allungai l’altra mano verso di lui.

Dopo un momento di esitazione, lui la prese.

“Che cosa ti è successo?” Sussurrò.

“Non lo so, davvero.”

“è colpa mia?”

Perché doveva dire stupidaggini del genere?

“No!”

“Forse dovresti tornare a casa...”

Se credeva di liberarsi così facilmente da me, si sbagliava di grosso!

“Io non voglio tornare a casa!” Esclamai decisa.

“Io non voglio che tu te ne vada a casa...”

Lo aveva detto più a se stesso che a me. Probabilmente si accorse troppo tardi di averlo affermato ad alta voce perché ne sembrava pentito.

Ma oramai lo avevo sentito.

Non era possibile.

No!

Non andava affatto bene.

Allora... Mi rifiutavo anche solo di formulare un pensiero del genere, quindi non lo feci.

Dovevo cambiare discorso. Si, dovevo decisamente cambiare discorso.

Roxy, pensa a qualcosa di sensato.

La sua mano era così calda.

Pensa a qual...

Aveva preso a fare dei piccoli cerchi sulla mia.

Rabbrividii.

“Hai freddo?”

Da quando in qua era così premuroso? Lui NON doveva essere così premuroso, noi dovevamo continuare ad odiarci e...

Perché i suoi occhi erano così azzurri?

Se avessi piantato un urlo sarei sembrata tanto pazza? Forse si.

Meglio non tentare.

“Roxy...”

Che c’è? Cosa? Non volevo che mi dicesse niente in quel momento.

“Eh?”

“Dove sei nata?”

Forse non avevo sentito bene... Mi aveva chiesto dove ero nata?

“Perché?”

Cercava di tranquillizzarmi o voleva davvero saperlo?

“Curiosità...”

“A...” Mi schiarii la gola “Londra”

Sembrava contento che gli avessi risposto, anche se non lo dava a vedere.

Sorrisi: era così tenero...

Oddio!

“Che ore sono?”

Avevo appena guardato fuori dalla finestra ed era buio pesto.

Andrew diede un’occhiata all’orologio appeso al muro dietro di me.

“Le 20 e...”

“Porca di quella miseriaccia!!!!”

Mi trattenei dal dire altro, ma giusto perché volevo sembrare educata.

“è tardissimo!!”

Mi alzai dalla sedia, forse un po’ troppo velocemente perché mi vorticò la testa per qualche secondo.

Ma Andrew mi si fece subito accanto. Stava per toccarmi ma poi si fermò.

Mi dispiacque ma feci finta di non essermene accorta.

“Tutto ok!” Lo rassicurai.

Mi infilai il giubbotto e mi avvicinai alla porta, ma prima di uscire, mi voltai verso di lui.

“Bhe, ciao...”

Aprii la porta.

“Aspetta!”

No... Io dovevo andarmene. Perché mi faceva questo?

Mi fermai, comunque.

Ma non mi girai. Non ce la facevo: forse un pomeriggio intero era stato troppo.

“Tornerai domani?”

Sarei tornata?

“Si...”

 

 

Uauauauaua... Mi sto incasinando la vita... Ma pazienza!!!

Dunque... Ho approfittato del ponte per scrivere un po’ più in fretta...

Però credo che non riuscirò a postare nulla di nuovo prima di una decina di giorni... Uff scusate ma sono stressata dai compiti e mi sa che non riuscirò neppure a collegarmi in  questi giorni...

Ma poi spero di rifarmi durante le vacanze... Va beh... Sopravvivremo!! XD

Grazie Amarie, as always, lo sho che Andrew è tanto tenero, io lo adoroooo!! ^^

Cmq grazias, sono contenta di riuscire a trasmettere le sensazioni di Roxy... Beh, cara, ho scritto questo capitolo, tanto per farvi chiarire le idee XD XD

Uh thank you volitiva!! Grazie mille per I complimenti... Eh eh, lo so Jess è un po’ incompresa però è brava!

Bene sono convinta di aver suscitato la vostra curiosità... Muauauaua... Come sono crudele, mi sa che vi toccherà pazientare ancora un po’...

A prestoo (bhe più o meno)

Besitos

Mallow

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Capitolo 9
*** Bad Dream ***


Bad Dream

 

“I wake up, it's a bad dream,
No one on my side,
I was fighting
But I just feel too tired
To be fighting,
Guess I'm not the fighting kind.”

Keane – Bad Dream

 

 

 

“Ti amo”

“Anche io ti amo”

L’ombra di un sorriso gli attraversò il volto.

Tentai di sorridere a mia volta fissando quegli occhi azzurri che tanto amavo.

Ero sicura, anzi sicurissima che lui mi avrebbe aiutata: avrei dato la mia vita per lui e lui avrebbe fatto lo stesso.

Era un’assoluta certezza.

Gli lasciai le mani, titubante e mi allontanai da lui.

All’improvviso ogni cosa divenne buia e io mi ritrovai a correre per un corridoio.

I polmoni mi scoppiavano e il mio cuore era preso da una paura tanto forte che faticavo a concentrarmi sui miei passi.

E così caddi.

Sentivo i loro passi avvicinarsi.

L’unica certezza in quel momento era che per me non ci sarebbe stato più niente da fare.

Era finita.

Non ebbi il tempo di vedere la faccia dei miei inseguitori, anche se sapevo perfettamente chi fossero, che di nuovo le tenebre mi circondarono.

Questa volta tutto divenne nitido a poco a poco.

Sentivo caldo.

Troppo caldo.

Non riuscivo quasi a respirare.

Tossivo.

Chiusi gli occhi: non volevo sapere.

Ma poi quella curiosità morbosa, quella che ti obbliga a guardare anche le cose più terrificanti, mi costrinse ad aprirli.

Ed ogni mia supposizione fu accertata.

Non mi accorsi di piangere fino a quando non vidi ogni cosa intorno a me appannata e, solo in quel momento, mi resi conto di essere circondata da una folla urlante.

Alzai lo sguardo e, tra tutte le persone che c’erano, ne riconobbi solo una.

Il dolore fu talmente grande che mi parve sentire qualcosa dentro di me frantumarsi in mille pezzi.

Poi persi i sensi con l’immagine di quegli occhi ancora impressa dietro le palpebre.

Aprii gli occhi di scatto.

Il mio cuore andava a mille e faticavo a respirare.

Sperai di non aver urlato. Quel sogno era sembrato così reale e così orribile: dovevo smetterla di mangiare pesante il sabato sera.

Iniziai a prendere dei respiri profondi per tentare di calmarmi ma non ci riuscivo.

Era come se tutto ciò che avevo visto fosse realmente accaduto. Provavo una fitta di dolore al cuore insopportabile e non capivo il perché. Tentai di concentrarmi sull’ultimo volto che mi era apparso ma niente. Ricordavo solo vagamente degli occhi.

Azzurri.

E basta...

Lentamente il mio battito cardiaco tornò ad un ritmo accettabile e del sogno non rimasero altro che ricordi sbiaditi, che scivolarono via, lentamente, lasciandomi nel buio della mia stanza.

Sola.

E caddi in un sonno agitato.

 

“Andrew???? Davvero???”

“Si... Vado da lui...”

“DAVVEROOOOO???? Oh ma allora è una cosa seria!!!”

La voce di Jess, all’altro capo del telefono, mi perforò un timpano.

Ma quale cosa seria? Non c’era nessuna “cosa” e di sicuro non era seria!

“Ah ah... Beh comunque, se ti dispiace esco con te, come avevamo deciso...” Dissi distratta mentre cercavo di far entrare l’ennesimo libro nella mia borsa con una mano sola.

“Nonononononoo!!! Per carità!!! Però lo voglio conoscere, prima o poi! Da come me lo hai descritto sembra uno strafigo!!”

Bhe in effetti...

“Si, un giorno te lo presento...” Mentii, di sicuro presentare il mio amico fantasma a Jess non era proprio tra le mie priorità.

Ma dove diavolo era la mia sciarpa?

“Comunque... Scusa ma che avete intenzione di fare?” Mi chiese Jess incuriosita.

“Niente! Lo sto aiutando in una ricerca! Te l’ho già detto!!” Stavo tentando di mettermi la giacca, la sciarpa, le scarpe con una mano sola, mentre con l’altra reggevo il cellulare, il tutto contemporaneamente.

Rischiavo di capitombolare giù dalle scale, ma non m’importava, ero in ritardo, come al solito! Non era colpa mia se mi ero riaddormentata dopo pranzo: stavo morendo di sonno. Quel sogno mi aveva terrorizzata la notte prima, ma, fortunatamente ogni mia paura era scomparsa con le tenebre.

“Ricerca??? Ah! Ma brava! Adesso si chiama così???” E scoppiò a ridere.

Arrossii e ringraziai il cielo che Jess non mi potesse vedere.

“Che imbecille! Sei proprio perversa!!” Sorrisi.

“Se seee, comunque io fossi in te comincerei a preoccuparmi per la tua anima se vai in giro a fare queste cose, tra l’altro senza informare la tua migliore amica!”

“Ma quale anima??? Non ti ricordi che oramai l’abbiamo venduta???”

“Ah già, di tanto in tanto dimentico questo insignificante dettaglio!”

Ci mettemmo a ridere entrambe.

“Senti, cara, io devo andare!!! Ci sentiamo dopoooooooo!!! Ciaooooooo” La salutai frettolosamente.

“Poi raccontamiiii ciaoo!!”

E riattaccai.

Dunque, ero pronta?

No, in effetti no! Ma pazienza.

Non si era mai pronti per quel genere di cose.

Ero sicura di una cosa, per lo meno, in tutta quella storia.

E nessuno sarebbe stato in grado di distruggere quell’unica convinzione.

Quindi aprii la porta di casa e mi diressi, per così dire, dove mi portava il mio cuore.

 

Bussai al portone del castello e mi voltai di scatto dietro di me: se Andrew mi avesse voluto fare qualche scherzo, non mi sarei fatta trovare impreparata, quella volta.

Sperai che anche lui, come me, facesse finta che il giorno prima non fosse successo niente, anche perché alla sola idea di quello che mi era successo provavo una vergogna sconfinata. E come mi era saltato in mente di prendergli la mano? Insomma, sembrava quasi che... Infatti! Sembrava, non avevo fatto mica niente di male: ero debole, ero stanca. Era ovvio che avessi bisogno di conforto. NO?

Intanto Andrew aveva deciso di aprire la porta come tutti i comuni mortali. Appena mi vide, mi sorrise. Feci un respiro profondo: quel giorno sarei riuscita a resistere, me lo ero ripromessa. Così strinsi i denti e raccolsi tutto il mio autocontrollo. Ma la sensazione che non avrei dovuto essere lì continuava a devastarmi, senza che io ne comprendessi il motivo.

“Come stai?”

“Benissimo, mai stata meglio!” E gli passai accanto per entrare in casa.

“Non si direbbe proprio!” La voce di Andrew mi raggiunse dalle mie spalle.

“Grazie!”

Continuai a camminare.

“Roxanne?”

Mi sedetti in cucina e appoggiai la pesante borsa che mi stava devastando la spalla sinistra.

“Si??” Gli chiesi, mentre mi massaggiavo gli arti doloranti.

“Scusa, ma hai davvero un aspetto...” Ma si interruppe non appena gli lanciai un’occhiataccia omicida “...Splendido, come sempre d'altronde!” aggiunse, poi, agitando le mani davanti a sé.

Non riuscii a trattenere una risata. Anche lui rise, ma si interruppe quasi subito, fortunatamente, vorrei aggiungere, altrimenti avrei rischiato seriamente l’infarto.

“No, seriamente... Hai l’aria di una che non ha chiuso occhio...”

Chissà perché?

“Beh, in effetti non ho dormito molto bene. Tu invece sei fresco come una rosa!”

Tirai fuori un plico, di circa cento fogli scritti fronte e retro, che avevo stampato quella mattina, nei quali erano scritti tutti i nomi dei personaggi più influenti nella Scozia dell’800. Rigorosamente in ordine sparso, giusto per facilitare un po’ le cose.

“Beh, sai... Visto che non dormo!” Ribatté intanto Andrew.

Mi fermai, di scatto, dallo sfogliare le fotocopie, ma, qualche secondo dopo, continuai come se niente fosse. E sperai ardentemente che lui non se ne fosse accorto.

Certo che non dormiva!! Era ovvio!! Ma come facevo ad essere così stupida?

Il fatto è che non ci avevo nemmeno mai pensato. Come sempre.

Va beh, oramai il danno era fatto.

“Certo che è strano!” Dissi tra me e me.

“Cosa?” Mi chiese mentre gli passavo una cinquantina di quei fogli.

“Il fatto che tu ti ricorda la tua data di nascita ma non il luogo...”

“Io sono sicuro di essere nato nei pressi di Londra, ma non nella città vera e propria, ero lì intorno. Ne sono sicuro, anche se non so il perché.”

Bene almeno eravamo in due ad essere confusi da qualcosa in tutta quella storia.

Io, ad esempio, continuavo a sentire una voce dentro la mia testa che mi diceva che quello che stavo facendo era dannatamente sbagliato.

Però la parte razionale di me, e anche un po’ quella emotiva (perché dovevo ammetterlo: anch’io ne possedevo una), mi rassicuravano e convincevano del contrario.

“Che cosa sono questi?” Andrew mi distrasse dai miei pensieri, riportandomi sulla terra.

“Nomi! Cerca il tuo cognome...” Ordinai, mettendomi a mia volta a farlo.

Sarebbe stato un lungo pomeriggio.

“Stai scherzando! Saranno un migliaio!” Esclamò, strabuzzando gli occhi.

“Ho la faccia di qualcuno che scherza? Ho dormito circa due ore e sono molto incline a commettere un omicidio...” Mi fermai, improvvisamente, rendendomi conto della pessima battuta che avevo appena fatto.

Ma perché il mio cervello non filtrava i pensieri prima di tramutarli in parole?

Abbassai lo sguardo arrossendo, avevo fatto più figure pessime davanti ad Andrew che in tutta la mia vita. Mi sembrava ovvio.

“Sc...” Incominciai ma la sua risata cristallina mi interruppe. Di nuovo.

Lo fissai interrogativa.

“Niente, niente... Dicevi?” Mi chiese, tornando a concentrarsi sulla lista.

Tentare di capire quel ragazzo era una cosa praticamente impossibile, per cui ci rinunciai.

“Dicevo che questa è una lista di personaggi più o meno importanti della Scozia del IX secolo. Cerca il tuo cognome qui, magari ci darà qualche indizio avere il nome di un tuo parente o dei suoi figli, cugini o mogli, visto che sono divisi per famiglie.” Affermai, pratica. Dopo di che mi misi al lavoro.

Dopo circa tre secondi maledissi mentalmente lo scarso interesse di internet verso la storia della Scozia, dato che, quando avevo provato a digitare il nome di Andrew Bennet sul motore di ricerca erano venuti fuori migliaia di siti riguardanti “Orgoglio e Pregiudizio”.

Ma Andrew aveva ragione: trovare qualche informazione in quel cimitero di nomi sarebbe stato un vero e proprio suicidio.

Intanto mi stavo domandando ancora cosa avessi mai fatto di male nel corso della mia vita.

Evidentemente gli stessi pensieri attraversarono la mente di Andrew perché mi fissò implorante.

“Sei assolutamente certa che dobbiamo farlo per forza?”

Eppure non sapevo più che pesci pigliare. Quella lista era l’unica cosa buona che ci avrebbe potuto aiutare, anche se significava tornare a casa con un bel mal di testa.

“Scusa, ma se hai un’idea migliore, sono tutta orecchi...”

Appoggiai la testa sul palmo della mano, in posizione di attesa, senza un minimo di speranza.

Come risposta ricevetti un sospiro ed Andrew si chinò su quell’infinita pena.

Il tempo non passava più mentre continuavo a scorrere l’interminabile lista. L’indomani mi sarei assicurata di portare del caffè.

E un’aspirina.

E dell’alcool.

Molto alcool.

Guardai l’ora: le 5 del pomeriggio.

“Ok, io direi che forse ci siamo meritati una pausa!” Informai il mio compagno di ricerche, che si stava dando da fare, sicuramente più di me.

Ma, appena assimilò le mie parole, alzò gli occhi dai fogli, con aria di immensa gratitudine.

“Grazie al cielo! Stavo meditando di dare fuoco a questi fogli ‘accidentalmente’”

Sorrisi. Quel giorno era particolarmente di buon umore, chissà perché…

“Beh, Roxanne, dal momento che tu hai sentito l’interessantissima storia della mia vita, ora tocca a te...”

“Ora tocca a me a fare cosa?” Lo interruppi, sperando di avere capito male.

“A raccontare...” Concluse lui.

“Ah...”     

Perché me lo stava chiedendo? Cosa gli importava?

Visto che oramai la possibilità di sembrargli una persona con un intelletto se non superiore, almeno uguale alla media, erano svanite dal primo momento in cui lo avevo guardato negli occhi, glielo domandai.

“E perché ti interessa?”

Non si aspettava quella domanda, probabilmente prevedeva un rifiuto ed era già pronto psicologicamente ad insistere.

Ma io adoro spiazzare la gente.

Tentennò un pochino, ma poi disse “Perché sono circa trecento anni che non sostengo una conversazione decente con qualcuno...”

Si e io mi chiamavo cappuccetto rosso.

“No, aspetta, per carità, non dirmelo! Questa è un’altra di quelle cose che io non potrò mai sapere, non è così?” Forse la mia voce uscì un po’ più acida del dovuto e quasi mi pentii delle mie parole, ma di certo non glielo avrei mai detto o fatto capire.

“Dipende...”

Dopo di che l’intensità del suo sguardo mi catturò e mi persi nei suoi occhi, esattamente come era successo la prima volta che ci eravamo visti.

Non so per quanto tempo rimanemmo così.

Probabilmente fino a quando la vocina acida e razionale dentro di me si mise ad urlarmi quanto ero idiota. Allora trovai la forza, non so in quale parte dentro di me, per interrompere quel contatto. Ma qualche secondo dopo me ne pentii amaramente: più lo conoscevo, più il bisogno di stare con lui aumentava ma, più gli stavo accanto, più avevo la necessità di stargli lontano.

Non era molto normale, però era così.

Si schiarii la gola, sembrava più confuso di me.

La reciproca vicinanza non era un bene per noi due, evidentemente.

Stavo per parlare, per dire non so nemmeno bene cosa, ma lui mi anticipò “Dai, su! Non farti pregare...”

Oh, di sicuro LUI non aveva bisogno di pregarmi per fare qualcosa.

E poi, in fondo, cosa mi costava?

“Oh, beh, allora preparati ad ascoltare una storia ricca di colpi di scena e tradimenti...” Affermai, sbadigliando, annoiata al solo pensiero di ripercorrere e a raccontare la mia emozionantissima vita.

Mi accomodai meglio sulla sedia, raccogliendo le mie innate doti riassuntive.

“Sono nata il 15 Ottobre 1990, a Londra. Vivo con mia madre e mio padre. Frequento un liceo a Londra. A scuola, me la cavo abbastanza discretamente.” Sospirai, cercando di carpire qualche informazione in più. “Vengo qui, in vacanza tutte le estati perché, non so per quale assurdo motivo e probabilmente non lo capirò mai, i miei si sono comprati una villetta nelle vicinanze.”

Mi fermai, pronta a terminare quella pietosa conversazione, se potevo definirla tale, più che altro era un monologo.

Andrew, siccome evidentemente non approvava, si limitò, con il suo solito snervante contegno ad alzare un sopracciglio.

“E...?”

Provava pure a farmi continuare. Dovevo ammettere che forse, molto forse, gli interessava davvero.

“E... Niente!” Tutto quello non era giusto: io non avevo la scusa dell’amnesia mentre lui si. Non è che potevo inventarmi le cose...

“Ah...”

Ah?? Come ah?? Mi ero già preparata a trovare mille scuse per indurlo a cambiare argomento e lui me la dava vinta così facilmente?

Eh no, caro mio!

Intanto, la sua solita aria impassibile avevo preso ad avvolgerlo come una coperta, all’interno della quale io, però, riuscivo a scorgere quell’infinita tristezza che non avevo e non avrei mai potuto vedere in un qualsiasi essere umano e che lui tentava di nascondermi.

Mi sentii improvvisamente in colpa.

“D’accordo... Sai, qui con me c’è la mia migliore amica: si chiama Jess...” Sorrisi, appena mi accorsi di avere destato il suo interesse. “è completamente pazza! Però le voglio un sacco di bene... Credo di non avere conosciuto mai nessuno che mi capisca come lei: le basta un’occhiata e zac! Ha già capito cosa c’è che non va e come aiutarmi. È incredibile! Anche se io ogni tanto la tratto un po’ male, lei c’è sempre quando ho bisogno, senza contare che insieme ci divertiamo da morire.” Mi riscossi, sorpresa da quanto fosse stato facile aprire il mio cuore davanti ad Andrew, normalmente non avrei detto queste cose nemmeno davanti al mio orsacchiotto.

Intanto lui aveva assunto un’espressione intenerita e un sorrisetto, per la prima volta, non di scherno, ma era davvero sincero.

Arrossì per l’ennesima volta e distolsi lo sguardo.

Detestavo sentirmi così vulnerabile e dimostrare i miei sentimenti apertamente, anche se, a volte, mi faceva stare bene. E quella era una di queste.

“Una volta, ci siamo messe a progettare di prendere a padellate l’idraulico, perché aveva suonato quando eravamo sole in casa e io ero convinta fosse un maniaco.” Al ricordo di me mentre cercavo una padella dalla credenza nella cucina della mia amica, scoppiai a ridere.

E anche lui fece lo stesso.

Non so che cosa mi spinse a continuare a parlare so solo che lo feci e passammo l’ora seguente a ridere degli aneddoti della mia vita. E sinceramente non mi interessava quello che Andrew poteva pensare di me, so solo che ci divertimmo molto.

Mi sarei aspettata tutto dalla mia vita, tutto. Ma ciò che non avevo mai preso in considerazione era trovarmi seduta in un castello a ridere con un fantasma.

E chi lo avrebbe mai pensato, dopo tutto?

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Capitolo 10
*** Why? ***


Why?

 

 

“I could keep your number for a rainy day.
That's where this ends.
No mistakes no misbehaving.
I was doing so well.
Could we just be friends?
I feel a weakness coming on.

It's not meant to be like this, not what I planned at all,
I don't want to feel like this, Yeah,
No it's not meant to be like this, not what I planned at all,
I don't want to feel like this, so that makes it all your fault”

Imogen Heap – The Walk

 

 

 

Mi faceva male la pancia da quanto avevo riso quel giorno.

Diedi un’occhiata sfuggente all’orologio che segnava le 6 e un quarto ma non vi feci caso: sinceramente tra lo stare lì a scherzare e il mettermi a cercare un cognome in una lista infinita, sceglievo la prima opzione.

Inoltre mi sentivo estremamente soddisfatta: quel giorno, a parte qualche lieve cedimento, il mio autocontrollo aveva retto benissimo.

Insomma, ero davvero felice.

E anche Andrew lo sembrava, era strano, ma questa certezza mi faceva stare ancora meglio. Era una bellissima sensazione.

Mi ricordai di avere messo una bottiglietta d’acqua nella borsa e approfittai di un momento di silenzio per bere un po’.

Intanto Andrew mi si avvicinò sospettosamente. Lo fissai interrogativa mentre ingoiavo a piccoli sorsi l’acqua, ma lui faceva finta di niente.

Così, improvvisamente, mi toccò la bottiglietta facendomi sbrodolare tutto addosso.

“MA ALLORA SEI PROPRIO UN IDIOTA!!!!!”

Chiusi la bottiglietta e mi alzai in piedi, pronta ad inseguirlo e a tirargliela in testa.

Lui, nel frattempo, continuava a ridere perché, evidentemente, trovava la cosa divertente e magari lo era davvero, se non si indossava una maglia fradicia d’acqua.

Così io, insieme alla mia fidata arma, incominciai a corrergli dietro sventolandola davanti a me, nel tentativo di colpirlo, ma niente da fare: indovinate un po’? Si! Era diventato trasparente.

Il fatto di non poterlo prendere a mazzate mi irritava ancora di più, però incominciai a ridere pure io. Dovevo essere davvero di buon umore quel giorno, in effetti.

“Uffa!!! Non è giusto, però!”

“Oh no, non lo è!!” Riuscii a distinguere quei monosillabi tra le risate di Andrew.

Intanto io continuavo ad inseguirlo per tutta la stanza, ma, ad un certo punto, Andrew decise di cambiare direzione e venire verso di me.

Il che mi fece preoccupare.

Incominciai ad arretrare.

Che voleva?

Intanto lui continuava a guardarmi con quel mezzo sorriso.

Appena la mia schiena incontrò un muro, non potei più sfuggire, così Andrew, passo dopo passo, mi fu vicino.

Il sorriso si allargò e incominciò a farmi il solletico.

“Nooooo, il-solletico-non-vale!!” Arrancai tra le risate, sventolando ancora la bottiglietta per colpirlo.

“Bastaaaa, ti prego!! Muoio!!” Risi, dopo qualche minuto, tenendomi lo stomaco, che aveva preso a dolermi.

D’accordo, quella con Andrew era decisamente una lotta impari, lo avevo capito.

“Mi arrendo, va bene. Hai vinto tu!”

Il sorriso di Andrew si allargò ancora di più, se possibile.

Dopo di che me ne resi conto: ero con le spalle al muro ed Andrew era di fronte a me, vicino.

Troppo vicino.

Vidi lo stesso mio ragionamento passare negli occhi di Andrew nello stesso istante in cui il mio cuore accelerò. Andrew assunse una strana espressione, come se stesse riflettendo su qualcosa che io non riuscivo a capire.

Poi si avvicinò.

I nostri occhi erano incatenati tra loro e, quella volta non avevo la forza di rompere il loro legame. Non riuscivo nemmeno a muovermi. Probabilmente perché non lo volevo.

Il suo viso oramai era a qualche centimetro dal mio.

Il mio cuore stava palpitando ad una velocità tale che sembrava quasi volesse uscire, tanto era lo sforzo che doveva provare in quel momento.

Senza pensarci, in un movimento meccanico, chiusi gli occhi e cercai di limitare ancora di qualche centimetro la nostra insopportabile distanza.

Ma poi sentii un’ondata inaspettata di freddo che mi fece sobbalzare.

Aprii gli occhi.

Ero sola.

Lo stato di confusione in cui mi trovavo non mi permetteva nemmeno di pensare.

Mi guardai intorno, ma di Andrew nemmeno l’ombra. All’improvviso sentii guancia sinistra bagnata e la toccai delicatamente.

Perché diavolo stavo piangendo?

Mi asciugai frettolosamente quell’unica lacrima e afferrai la giacca.

Ero arrabbiata.

No, ero furiosa.

Mi sentivo tradita.

Mi sentivo offesa come se fossi stata appena rifiutata da qualcuno. E forse era così.

Indossai l’indumento e mi precipitai fuori dalla casa lasciando lì tutto il resto.

Sinceramente non me ne importava più niente.

Che se lo trovasse da solo quel dannato cognome.

Sbattei la porta dietro di me, senza tanti complimenti, ma, prima di correre giù per la collina, lanciai un’occhiata alla casa.

Dietro una delle finestre, Andrew era lì.

Mi stava guardando.

Un’altra lacrima cadde ai miei piedi e io non potei fare niente per fermare quelle che la seguirono. Ma decisi comunque di voltarmi e raggiungere la strada.

Non so cosa lui stesse pensando, so solo che ricordo ancora quello sguardo.

Ma per quanto fosse pentito, non ero pronta ad ascoltarlo in quel momento e probabilmente non lo sarei stata per un po’.

 

Non toccai cibo a cena.

Passai il resto della serata accoccolata tra le coperte al buio a fissare un punto indefinito della mia stanza.

E a non pensare assolutamente a niente.

Non riuscivo a capire. Proprio no, così mi rifiutavo semplicemente di riflettere sull’accaduto: forse non farlo avrebbe fatto sì che me lo dimenticassi e che ogni cosa tornasse com’era prima.

Anche se tutto ciò non sarebbe mai stato possibile.

E io lo sapevo anche troppo bene.

Alla fine mi arresi alla stanchezza e ritrovai un minimo di felicità nell’oscurità dei miei sogni. Il mio unico conforto.

 

Mi dava fastidio, mi dava dannatamente fastidio il fatto che stavo così male.

Perché?? Io non volevo che quello che stava quasi per accadere accadesse. O almeno in teoria doveva essere così. Ma evidentemente ero di tutt’altra opinione.

Ma la cosa di cui davvero non riuscivo a capacitarmi era il perché delle sue azioni.

Insomma! Aveva fatto tutto da solo!

Più o meno…

Si, oddio...

Comunque, non era quello il punto! Non avrebbe dovuto farlo, cioè siccome io non gli piacevo, oramai io di quello ero assolutamente certa, non doveva... illudermi...

Ma illudermi di che?

Oh santi numi, ero davvero confusa. Ma perché?

La cosa più intelligente da fare era andare direttamente da lui a chiederglielo, ma ero troppo arrabbiata per farlo, senza contare che non ne avevo il coraggio.

Odiavo quello stupido fantasma...

Tutte quelle utilissime considerazioni le avevo fatte qualche secondo dopo essermi svegliata, fissando l’interessantissimo soffitto bianco della mia stanza.

Poi notai qualcosa di diverso sul comodino, così mi alzai e notai una rosa bianca appoggiata sopra la mia copia de “Il ritratto di Dorian Grey” con di fianco un bigliettino sul quale era riportata la parola “scusa” in bella grafia.

Mi si strinse il cuore. Dannato Andrew!

Ma perché a me?

Scusa? Per cosa? Scusa per avermi quasi baciata o scusa per essermi tirato indietro?

La prima, ovvio!

Io non sapevo se sarei riuscita a presentarmi di nuovo al castello sorridendo e facendo finta che non fosse successo niente. No, probabilmente non ce l’avrei mai fatta.

Che diavolo dovevo fare, allora?

Urgeva un aiuto esterno. Qualcuno con la mente abbastanza lucida. Ok, non pretendiamo troppo, andava bene l’aiuto esterno.

Presi il cellulare e digitai automaticamente il numero di Jess.

“Oh!! Finalmente ti fai sentire!”

“Jess, ho bisogno che tu venga qui...” Meglio arrivare dritti al punto.

Come al solito, la mia migliore amica capì al volo e, dopo avermi risposto un affrettato “ok”, diede fine alla conversazione.

 

“CHE HA FATTO????”

Dopo, averle raccontato una versione un po’ modificata dell’accaduto (ovvero avevo omesso il fatto che lui si fosse smaterializzato), la reazione di Jess era stata esattamente quella che mi ero immaginata.

“D’accordo... è evidente che è cotto marcio di te... STAI ZITTA! Non osare commentare o giuro che ti tiro una sberla!”

Seguii volentieri il suo consiglio.

“Dunque... Qualcosa lo deve avere fermato... Ma cosa???”

Il fatto che lui era un fantasma poteva essere in qualche modo rilevante?

“Non è che hai fatto qualcosa di strano?”

“Di strano???”

“Che ne so! Magari lo hai spaventato!! Non è che gli sei saltata addosso?” Tirò ad indovinare.

“Ma per chi mi hai presa?”

Non ero mica capace di cose del genere... Uhm... Per lo meno ne ero convinta!

“Uffa! Magari è solo idiota!” Ecco, quell’opzione mi garbava molto di più!

“Oh Jess!!! Ma perché il destino di noi donne è quello di soffrire per colpa di un branco di idioti????”

Domanda da un milione di sterline.

“Perché sennò sarebbe tutto troppo facile...” Disse, quasi soprappensiero, evidentemente si era concentrata in qualcos’altro di quello che avevo detto.

“Allora ti piace davvero tanto...” Aggiunse, seria.

Sospirai, oramai a chi volevo darla a bere?

“Si...”

Jess, seduta accanto a me, mi abbracciò e l’ennesima lacrima mi rotolò giù per la guancia.

“Sono sicura che sia stato un malinteso: devi parlare con lui!”

Uffa, aveva ragione, ma l’idea non mi piaceva nemmeno un po’.

“Oh, la mia bambina sta crescendo!!” Disse, poi, stringendomi sempre più forte.

Era sempre la solita pazza.

Risi piano, subito seguita da lei.

“Su, adesso! Facciamoci carine, così voglio vedere se Andrew riuscirà a resisterti questa volta!”

Detto questo inizio a pacioccare i miei capelli, pensando ad una pettinatura con cui acconciarmeli.

Quanto adoravo quella ragazza?

Il problema era che ero incavolata come una belva, oltre tutto. Che ci venisse lui a parlarmi di persona... Perché dovevo essere io a fare il primo passo?

Riferii i miei pensieri alla mia migliore amica.

“Ora inizio a riconoscerti!!” Disse, contenta, battendo le mani... “Però non facciamo scherzi, insomma, cavolo non fartelo scappare!!!”

Io??? Io che faccio fuggire a gambe levate gli uomini??? Quando mai????

“Però poi il titolo di ‘zitella acida’ va a farsi benedire!!”

“Pazienza, basto io!!” Affermò sicura Jess...

“Già, però il tuo titolo di ‘vecchia spugna’, dove ce lo mettiamo?”

Ed ecco che incominciavano i vaneggiamenti.

“Eh, va beh, avrà un nuovo compagno di giochi, così è contento!!”

Ridemmo.

Intanto sentii la porta di casa aprirsi.

Cavolo!! Ero ancora in pigiama ed era mezzogiorno. Balzai in piedi e incominciai a buttare all’aria l’armadio alla ricerca di qualcosa da mettermi addosso.

Mi cambiai alla velocità della luce, sotto lo sguardo divertito di Jess. Certo! Lei non rischiava la vita in quel momento.

Ma, prima che potessi finire di legarmi i capelli, apparve mia madre sulla soglia della porta.

“Tesoro… Oh ciao Jess!!”

“Ciao!” Rispose educatamente la mia amica.

“Senti... Io e tuo padre dobbiamo tornare a Londra per qualche giorno...”

Eh?

“Perché?”

“Perché tua nonna si è rotta il femore...” Disse, alzando gli occhi al cielo.

“Ah si?? E come sta??” Oh, poverina!

“Anche troppo bene a sentirla al telefono...”

Ridacchiai, ma poi mascherai la risata con un colpo di tosse, dopo l’occhiataccia di mia madre: evidentemente scoppiava di gioia al solo pensiero di dover accudire mia nonna.

“Comunque, non mi sembra il caso che venga anche tu, se non vuoi, anche perché prendere un altro biglietto aereo, non mi pare il caso.”

Mi trovavo d’accordissimo, il che era molto strano.

“Si, si ma non ti preoccupare, mamma! Quanto starete via?”

Intanto la mia mente stava già progettando mega pigiama party con Jess...

“4 o 5 giorni, in teoria... Ma se riusciamo, anche meno!”

“No no no, per carità!! Mica vorrai che tua madre stia male!!”

Probabilmente, se non fosse che ero la sua unica e adorata bambina, mia madre mi avrebbe defenestrata. E non aveva nemmeno tutti i torti: sapevo quanto poteva essere pedante mia nonna.

“Ringrazia che non ti porto con noi!” Aggiunse, poi, prima di richiudersi la porta alle spalle.

“Grazie!!” Urlai io, di rimando. Poi mi venne in mente una cosa. “Quando partite?”

“Sta sera!” Sentii, al di là della porta.

Mi voltai verso Jess.

“Pensi anche tu quello che penso io?”

“Puoi giurarci, bella!”

 

Avere la casa vuota avrebbe avuto i suoi bei lati positivi.

Il problema era che riuscire ad avere casa mia vuota si era rivelata una cosa più difficile del previsto: mia madre, tre ore prima di partire, aveva iniziato a farmi circa diecimila raccomandazioni.

“Spegni il gas prima di uscire.

Non aprire agli sconosciuti.

Chiudi bene tutte le porte e le finestre prima di andare a dormire.

Se hai paura, la notte, invita Jess a dormire.

Per carità di Dio, non metterti a cucinare che quando torno vorrei riavere ancora la mia casa…”

Mi stava venendo il mal di testa a forza di annuire.

“Si mamma, no mamma!! Ovviamente no!!”

“Hai capito??”

No, hai fatto una figlia deficiente.

“Si!”

“I soldi sono nel cassetto in basso a sinistra della cucina...”

Certo, meno male che me lo aveva ripetuto per la quarantesima volta sennò avrei rischiato di dimenticarmelo.

Pazienza, Roxy, pazienza.

Fai un bel respiro profondo, tra poco sarai libera.

E quel “tra poco” arrivò molto, molto lentamente. Però arrivò.

 

 

Aaaaaaah!!

We wish you a merry Xmas, we wish you a merry xmas we wish you a merry xmas and happy new year!!!

Ok!!! HIHI mi sono sfogata!! XD XD

Grazie Volitiva... XD XD beh io direi che Roxy è lievemente stressata... Povera, un po’ mi dispiace, la sto facendo impazzire... Però è il prezzo da pagare per Andrew uauauaua!!!

Beh, BUON NATALE A TUTTI!!!

P.s. se avete voglia, andate a vedere il mio nuovo blog sulle mie fanfic... Lo aggiorno con cosucce interessanti… Lo trovate nella mia pagina... ^^

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Capitolo 11
*** Unexpected ***


Cap.10

 

Unexpected

 

 

And this is how it feels when I ignore the words you spoke to me
And this is where I lose myself when I keep running away from you
And this is who I am when, when I don't know myself anymore
And this is what I choose when it's all left up to me
Breathe your life into me
I can feel you
I'm falling, falling faster
Breathe your life into me
I still need you
I'm falling, falling…

 

Red - Breathe Into Me

 

 

“Mi passi la Nutella?” Domandai a Jess, indicando l’enorme barattolo che troneggiava al centro della stanza. Jess me lo porse e io vi affondai dentro una bella cucchiaiata che andò a finire dritta dritta nella mia bocca.

Avevo bisogno di consolarmi!

“E poi, io voglio dire... Ma ti pare che adesso io debba presentarmi lì come se non fosse successo niente?”

Era da circa due ore che continuavo a parlare di Andrew ed effettivamente Jess era in procinto di tagliarsi le vene, oppure di tagliare la mia gola: vedevo l’indecisione passarle negli occhi. Poverina, la stavo davvero assillando, però almeno mi stavo vendicando per anni di lamentele gratuite.

E poi erano solo le 23, la notte era lunga...

“Senti Roxy!! Secondo me, tu dovresti aspettare qualche giorno, così magari si fa vivo lui e siamo tutti contenti! Sennò ci vai a parlare tu, così poi vi metterete insieme, vi sposerete, avrete tanti piccoli bambini e tu mi renderai una zia felicissima, ok???” Sperai che il tick al suo occhio fosse solo stata una mia impressione.

“Si, ok!” Uffa, però mi stavo divertendo a torturarla.

“D’accordo... Ora possiamo fare qualcos’altro?” Mi domandò, sgranocchiando un grissino ricoperto di cioccolata.

“Qualcosa cosa?” Non c’erano molte opzioni in camera mia.

Uno strano sorrisetto, che non mi piacque per niente, illuminò il viso di Jess.

Scattò velocemente dietro di lei e in meno di un nano secondo fui travolta da una miriade di cuscini.

Ma da dove li aveva tirati fuori?

Cercai anch’io un arma con cui difendermi e, dopo essere scampata all’attacco fulmineo di Jess, incominciai a mia volta a contraccambiare con gli interessi.

Incominciammo ad urlare e a correre per la casa.

In verità fui io a cominciare a scappare nelle altre stanze perché avevo paura di quella ragazza senza scrupoli.

“Dove credi di andare??”

Stavo già per svenire dopo aver corso per circa trenta secondi (dovevo ammettere di essere molto allenata, in effetti), così optai per una ritirata strategica.

Mi intrufolai nel bagno e chiusi la porta a chiave.

“Noooo, non vale!!! Apri!!!!” Sentivo la voce di Jess dall’altra parte del muro.

Incominciai a ridere più forte.

Ma un’altra risata mi agghiacciò.

Se io ero lì e Jess era fuori, chi altri c’era?

Mi voltai, col cuore in gola. Non c’era nessuno nel bagno, eppure…

Di nuovo la risata.

Quella volta la riconobbi.

“Andrew?” Sussurrai.

“EH?????” Urlò Jess nell’altra stanza.

Poi ci fu come una folata d’aria ed un biglietto mi cadde ai piedi.

Lo lessi: ‘dobbiamo parlare’...

“Beh mi pare il minimo!!” Esclamai, forse un po’ troppo ad alta voce, beh in verità lo urlai.

“Ma cosa??” Urlò di nuovo Jess.

“Niente!!”

Dobbiamo parlare...

Dobbiamo parlare??? Mi prendeva in giro??

Perché non ci veniva lui a parlare con me?

Idiota di un fantasma egocentrico e maschilista!

Se Andrew aveva cercato di migliorare le cose, bhe, gli era riuscito tutto il contrario.

Aprii la porta, facendola sbattere contro il muro, e mi diressi verso camera mia a passi decisi, sotto lo sguardo basito di Jess.

“Che è successo?” Sentii la mia amica inseguirmi per il corridoio.

“Niente!” Assolutamente niente, a parte il fatto che stavo per commettere un morticidio. Ma perché i fantasmi non si potevano uccidere una seconda volta? Io l’avrei fatto molto volentieri e finalmente la mazza da baseball, che tenevo accuratamente nell’armadio da circa dieci anni, sarebbe servita a qualcosa.

“Sei scema o cosa?!?”

Mi sedetti, anzi mi lanciai sul letto, e afferrai il fantastico antistress a forma di paperella, che mi aveva regalato mia madre a Natale, dal comodino, e presi a stritolarlo con tutta la forza che avevo in corpo.

“Si, sono scema!” Molto scema. Stupida me, ma io lo sapevo che dovevo nascere gatto.

I gatti mangiano, dormono, poi mangiano di nuovo e vengono coccolati ed accarezzati per tutto il giorno perfino, senza fare assolutamente nulla!

Questa sì che è un’ingiustizia!

Intanto Jess mi continuava a guardare sconvolta.

“Mi sono appena ricordata una cosa!” Sbottai, a mo’ di scusa.

“Oh no! Senti, tra un po’ ci vado a parlare io con sto qui!”

Presi a mordicchiare il cuscino.

“Dove hai detto che abita?” Mi domandò, improvvisamente incuriosita, la mia interlocutrice.

Alzai un sopracciglio. Giù le mani dal MIO fantasma!

“E lo vengo a dire a te?” Sbraitai aumentando la presa sulla povera paperella.

“Come minimo, dato che sono la tua migliore amica!”

Erano più persuasive le mie babbucce.

“Io giuro che domani vado lì e...”

“Sia lodato il cielo!! Vi prego chiaritevi che io non ce la faccio più!” Mi interruppe Jess.

“Macché chiarire! Io lo strangolo con le mie mani!” O era meglio una corda? Forse sarebbe stata più efficace.

“Brava, uccidi l’unico uomo sulla faccia della terra che ti sia mai interessato e che sembra essere all’altezza di Miss-io-non-perderò-mai-la-testa-per-nessuno!”

“L’unico uomo sulla faccia della terra...” Sussurrai.

Già. Peccato che non era proprio un uomo e peccato che era incastrato in questo mondo non so per quale ragione. Anzi, io avrei dovuto aiutarlo a trovare la risposta peccato che in quel momento fosse l'ultima cosa ke avrei voluto fare.

Ma come si faceva ad essere così imbecilli?

Probabilmente tutto questo ragionamento mi passò sul volto perché Jess esclamò “Credo che tu abbia le idee un po’ confuse, tesoro!”

Ma va?????

“Che ne dici se andiamo a letto così ti calmi?”

Calmarmi?

D’accordo... Era ora di ricomporsi.

Inspirai ed espirai.

Ero calma ok.

“Anzi vado a farti una camomilla, che ne dici?”

Prima che potessi risponderle, era già scappata dalla stanza.

Scaraventai la povera paperella contro la scrivania, presi un cuscino, me lo premetti in faccia e piantai un urlo.

Dopo di che mi sentii decisamente meglio così mi lasciai cadere a pancia in su sul letto.

“Non essere arrabbiata con me...” Le parole mi arrivarono alle orecchie come il vento, lontane.

Prima mi prese un infarto, poi mi alzai di scatto a sedere.

“Non mi piace che mi spii mentre sono in casa mia!” Esclamai al nulla, in effetti mi sentivo un po’ stupida.

Rise.

Ma dico? Ero uno spettacolo così esilarante?

“Sei un vigliacco!” Lo punzecchiai.

“Roxy, sai che ho sbagliato... Mi dispiace...”

Mi fece male.

Sentirlo dire dalle sue labbra mi fece più male di quanto mi sarei mai aspettata.

“Vai via...” Sussurrai.

Nello stesso momento Jess entrò nella stanza con due tazze in mano.

“Ecco qui...” Me ne porse una.

Poi mi guardò in faccia.

“Che c’è?” Domandò allarmata.

“Jess, credo che ora andremo a dormire.”

Posai la tazza ancora piena sul comodino e spensi le luci, mentre Jess era rimasta perplessa.

Poi sentii che anche lei si stendeva sulla brandina improvvisata.

Le volevo bene anche perché sapeva qual’era il momento migliore per non dire niente.

Chiusi gli occhi, ma dopo qualche istante mi sembrò di sentire qualcosa accarezzarmi la guancia, ma non aprii gli occhi.

E piansi.

 

Per quanto mi sforzassi non riuscivo più ad essere arrabbiata, oramai Andrew lo aveva ammesso ed io, sebbene fosse doloroso, non potevo fare altro che accettarlo.

L’unica cosa intelligente da fare sarebbe stata quella di alzare il mio bel sederino dal letto e tornare da lui per aiutarlo a fare quello che lui mi aveva chiesto, ma, siccome io avevo assodato di essere tutto fuorché intelligente, ero rimasta per circa due ore a fissare il soffitto, di cui oramai conoscevo a memoria ogni crepa e sfaccettatura, e non avevo la minima intenzioni di muovermi da lì.

“Roxy, ti senti meglio, vero??” Mi chiese Jess, appena si svegliò e si accorse che anch’io lo ero.

Mugugnai. Tanto era inutile provare a mentirle, quindi mi limitai a non rispondere.

“E dai! Oggi ti ci porto io a parlare con ‘sto qui!”

Che amica volenterosa e gentile!

“Tanto non ti dico dove abita!” La mia paura era anche quella che Jess avrebbe potuto andare a cercarlo e urlargli in faccia davvero.

Mi immaginai la scena e risi.

“Che c’è?”

“Niente, niente!” Mi tirai la coperta fin sopra la testa e mi appallottolai, abbracciando il cuscino. Se provavo a soffocarmi? Non era una cattiva idea, peccato che rischiavo di non finire bene il lavoro.

Jess mi strappò le coperte di dosso ed una ventata di freddo glaciale mi investì tutto il corpo. Piantai un urlo, ripresi le mie trapunt con forza e e mi rimisi nella posizione fetale di prima, decisa a passare il resto della mia futile vita lì.

Ma evidentemente Jess era di tutt’altro parere.

Mi scaraventò con poca gentilezza, diciamo, giù dal letto e in meno di tre secondi mi gettò addosso dei jeans e una maglia (perfettamente coordinati tra loro) e mi disse, con una calma agghiacciante “Ora tu ti vesti, tesoro, e andiamo a fare un giro! Muoviti!!!”

“Ma sono le due del pomeriggio” Piagnucolai io, ma Jess non mi ascoltò nemmeno.

Feci come mi aveva cortesemente ordinato la mia amica e mi preparai, pronta ad affrontare il gelo estivo della Scozia.

 

Passammo tutto il pomeriggio in giro per negozi, ma solo quelli che volevo io, quindi evitai accuratamente quelli di vestiti e mi intrufolai nelle librerie e nei negozi di elettronica e riuscii quasi a distrarmi.

Adoravo Jess, l’avevo già detto? Comunque era meglio ribadirlo, almeno la prossima volta che avrebbe fatto qualcosa di stupido me ne sarei ricordata.

Erano oramai le sette di sera quando decidemmo di tornare a casa.

“Senti, sta notte dormi pure a casa tua. Non ti preoccupare, sai, a mia madre deve essere sfuggito che ho quasi diciott’anni!”

Volevo starmene un po’ da sola a riflettere e la presenza di Jess mi costringeva ad usarla come valvola di sfogo, poverina.

“D’accordo... Chiamami se hai bisogno!” Mi diede due baci sulle guance e, dopo avermi scrutata con sguardo preoccupato per qualche secondo, mi salutò e si allontanò.

Io attraversai la strada, percorsi gli ultimi metri che mi separavano da casa e aprii la porta: finalmente un po’ di calduccio.

Posai in camera mia la busta con dentro i libri, che avevo comprato quel pomeriggio, e mi buttai di nuovo sul letto.

Non mi ero accorta di quanto mi sentissi stanca, anche se non avevo fatto praticamente niente. Così sprofondai piano piano in un sonno sereno.

 

Era già mattina?

Mugugnai e mi voltai sull’altro fianco. Ma da dove proveniva tutta quella luce?

Mi costrinsi ad aprire gli occhi anche se me ne pentii quasi subito.

Qualcosa mi afferrò con forza e mi scaraventò giù dal letto facendomi sbattere violentemente la testa contro uno spigolo del comodino.

La vista mi si offuscò e ci misi qualche secondo a recuperarla. Cercai di alzarmi da terra, tenendomi con la mano sinistra al letto. Mi guardai intorno, ma nella stanza non c’era nessuno.

Non era possibile che fossi caduta da sola.

Mi toccai la testa dolorante: per fortuna non sentii uscirne del sangue.

Col cuore a mille riuscii a barcollare fino alla finestra.

Gettai un’occhiata sulla strada: tutto era calmo.

Così accesi l’abatjour che si trovava sul comodino e mi misi a guardare se qualcuno era entrato nella stanza: ogni cosa era al proprio posto, sotto il letto non c’era nessuno e non c’erano armadi abbastanza grandi per ospitare una persona.

Mi veniva in mente solo una persona che avrebbe potuto fare questo, ma ero certa che non sarebbe arrivato a tanto.

Oppure...

Sentii una risata rimbombare per la stanza.

Ma era tutt’altro che maschile.

Rimasi di ghiaccio, impalata al centro della stanza. Mi sentivo come un animale in trappola.

Mi avvicinai lentamente alla porta anche se ero sicura che non sarei riuscita a sfuggire a quello che mi aspettava.

E infatti, come al solito, avevo ragione.

Davanti alla porta comparve dal nulla una donna. Una ragazza sui venticinque anni. La sua bellezza mi colpì anche in quel momento; aveva dei lunghi capelli biondi e degli occhi azzurri. Ma era morta.

“Dove credi di andare?”

Indietreggiai di un passo.

Incominciai a prendere in considerazione le vie di fuga, ma, a parte la finestra, non c’era nient’altro. La consapevolezza di non sapere cosa fare mi assalì e quasi mi tolse il respiro.

Intanto lei si avvicinava ed io, impietrita dalla paura, non mi muovevo di un millimetro.

“è impressionante!” Esclamò, scrutandomi da più vicino.

Finalmente qualcosa in me si riscosse. Forse la finestra non era una così cattiva idea oppure, per lo meno, avrei potuto tentare di raggiungere la porta se lei si fosse allontanata abbastanza.

“Chi diavolo...?”

“Mi chiamo Elisabeth, non te ne dimenticare! Ora sono passata qui solo per dirti una cosa, ma ti consiglio di ascoltare attentamente le mie parole se non vuoi che ritorni per tutt’altre motivazioni.” Mi disse con voce suadente, facendo un altro passo avanti, avvolta nella sua lunga veste marrone.

“Tu non devi più avvicinarti ad Andrew Bennett, mi hai capita? Non puoi aiutarlo ad andarsene o le cose si metteranno male!” Riprese, poi, aspra.

Poi mi afferrò un braccio e premette le sue lunghe unghie rosse sul mio polso, facendo uscire del sangue.

“Prendilo come un avvertimento!” Sussurrò.

Dopo di che scomparve.

Io rimasi lì, imbambolata al centro della stanza, dopo di che le mie gambe incominciarono a tremare e non riuscirono più a sostenere il mio peso, perciò caddi sul pavimento.

Avevo seriamente avuto paura quella volta e non volevo rimanere lì da sola.

Presa non so da quale impeto mi misi addosso le prime cose che trovai nell’armadio, scesi le scale, afferrai il giubbotto e le chiavi e uscii di casa, accorgendomi solo in quel momento che fuori stesse piovendo.

Non sapevo esattamente cosa stessi facendo.

Ero decisa a non seguire le parole della ragazza, anzi, volevo fare esattamente il contrario.

Mi misi a correre per le vie deserte, con lo sguardo appannato, un po’ dalla pioggia un po’ dalle lacrime che mi rigavano il volto, e con la testa che mi pulsava in modo insopportabile.

C’era un'unica immagine che occupava la mia mente: me e quell’unica persona che avrei voluto vedere in quel momento, l’unica che sarebbe riuscita a calmarmi e a proteggermi.

Per questo motivo mi stavo dirigendo da lui. O almeno così credevo.

Non appena fui arrivata, mi intrufolai senza esitazione nella porticina del cancello del castello e continuai a correre coi polmoni in fiamme.

Prima che potessi bussare, il portone si spalancò e io mi gettai singhiozzando nelle braccia di Andrew.

“Che cosa è successo?” Mi domandò lui allarmato.

Ma io non avevo la forza di rispondere. Avevo bisogno di assaporarmi quel momento di conforto, anche se ero fradicia e sotto shock.

Non mi importava quello che Elisabeth aveva detto, io avevo bisogno di lui e me ne resi conto solo in quel momento. Non mi importava se Andrew non avesse mai provato quello che sentivo io per lui, volevo solo stare con lui.

Per questo non feci altro che piangere e lasciare che lui mi consolasse e mi mormorasse qualcosa per confortarmi. Sapevo di essere masochista. Sapevo che prima o poi sarebbe finito tutto, ma quel momento lo volevo davvero.

Forse tutto ciò che provavo era dannatamente sbagliato, no, non forse, lo era sicuramente.

Eppure io ero innamorata di lui.

 

 

Waaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa!!!!!!!!

...

....

.....

Cmq... Dunque! Posterò il prossimo capitolo (che sto già scrivendo con tanta fatica) il 31, presumo!

Grazie volitiva!!! Ma qnto ti adoro??? Sei tenerissima!! Guarda io ti darei solo una medaglia perché sei riuscita ad arrivare a leggere il decimo capitolo di questa schifezza! Ma io imperterrita continuo a scrivere! XD

Credo di avere fatto abbastanza in fretta perché non sono arrivati fantasmi qui (per ora...) XD. Bene, se ti è piaciuto il capitolo natalizio, spero che adorerai quello di capodanno...!!! (Me sogghigna... uauauaua).

Grazie ancora.

Un bacione!!!

Mallow

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Capitolo 12
*** Truth ***


Cap.11

 

Truth

 

“You left me here
then I watched you disappear
you left this emptiness inside
and I cant turn back time
no, stay!
nothing compares to you
nothing compares to you
I can’t let you go
 I'll never be the same
not after loving you, not after loving you

I'll never be the same
I'm caught inside the memories
the promises, our yesterdays
and I belong to you
I just can't walk away
cause after loving you
I can never be the same

Red – Never Be The Same

 

 

Eravamo ancora abbracciati.

Non si era mosso di un millimetro mentre gli raccontavo cosa era successo, sebbene fossi bagnata: dovevo fargli davvero pena.

Mi cullò ancora un po’ tra e sue braccia. Poi riportò le mani sui fianchi e mi guardò negli occhi.

“Sei fradicia, devi metterti qualcosa addosso o ti prenderai un malanno.”

Tutto qui?

Credevo che si sarebbe messo a farmi domande a tutto spiano, invece si limitò a farmi cenno di precederlo per le scale.

Entrammo nella camera da letto ed Andrew di mise a cercare qualcosa nell’armadio.

“Non ho pigiami... Ehm... Credo di poterti dare una camicia, perché i pantaloni sono solo jeans, non credo che sarebbe molto comodo dormirci.”

Dormirci? Era un modo carino per invitarmi a passare il resto della notte lì?

“Tieni” Mi porse una camicia color cremisi, sembrava imbarazzato.

Io mi limitai a prenderla e a fissarlo.

“A-aspetto...” Si schiarì la gola “Aspetto fuori” Dopo di che, uscì dalla stanza.

All’improvviso mi venne un piccolo attacco di panico: non volevo rimanere da sola, così mi svestii velocemente ed infilai quel misero indumento che mi arrivava a mala pena a metà coscia.

Oddio! No! Non avevo la minima intenzione di farmi vedere conciata così da Andrew.

Mi guardai intorno perplessa. Aveva detto dormire, giusto?

Già, perché credeva che io avrei potuto dormire, che simpatico!

Comunque, mi sedetti sul letto, con le coperte tirate fin sopra la pancia, meglio essere certi che non riuscisse a vedere niente.

Arrossii e ringraziai tutti gli dei che conoscevo, che fosse buio, così non mi avrebbe vista tanto bene.

Mi vergognavo come una ladra.

E adesso? Che dovevo fare, chiamarlo? Mamma mia che indecisione.

Senza contare che mi accorsi solo in quel momento di stare ancora tremando.

Ma, prima che potessi scegliere cosa fare, sentii la porta riaprirsi ed Andrew rientrò, più bello che mai.

Oddio! Mi accorsi che si era tolto il maglione di lana e... ehm! Aveva solo una camicia a maniche corte addosso. Rischiai un collasso, ma riuscii a controllarmi e a fare finta di niente. Quel giorno avevano cercato di togliermi la vita in due, chi in un modo e chi nell’altro, io non ne potevo più.

Anche lui mi fissò per un attimo, ma poi spostò il suo sguardo verso la finestra e vi si avvicinò, dopo di che si sedette sul davanzale.

Rimasi per qualche minuto incantata a guardarlo, non riuscivo a staccargli gli occhi di dosso: la sua bellezza era ipnotizzante. Dopo un po’ Andrew se ne accorse e sorrise.

Io arrossii di nuovo e cominciai a giocherellare con le dita.

“La conosci?” Alla fine la curiosità prevalse “Elisabeth, intendo...”

“No...”

Il silenzio aleggiò nell’aria ancora per parecchi minuti.

“Stai bene?” Mi chiese all’improvviso.

“No” Mi toccai il punto della testa che aveva colpito il comodino e sussultai per il dolore, dopo di che mi accorsi di avere un forte mal di testa.

Feci una smorfia.

“Ti sei fatta male?” All’improvviso sembrò seriamente preoccupato.

“Ho sbattuto la testa” Ammisi “Ma credo non sia niente di grave...” Aggiunsi, poi, vedendo la sua espressione.

“Aspetta qui!” Disse, prima di dirigersi verso la porta.

Ma io non volevo stare da sola.

“No, aspetta, non andare via!” Lo fermai, decisa.

“Torno tra meno di un minuto, te lo prometto”

E sparì.

Attesi in ansia, chiudendo gli occhi e concentrandomi su qualunque rumore: ero terrorizzata all’idea che quella brutta arpia tornasse a tormentarmi.

Ma, per fortuna, Andrew mantenne la sua promessa e tornò poco dopo con in mano un bicchiere d’acqua e del ghiaccio.

“Vicini in vacanza” Disse facendo spallucce, rispondendo al mio sguardo interrogativo.

Mi porse il bicchiere dal quale io bevvi avidamente: avevo decisamente sete.

Poi mi spostò delicatamente la mano, che era ancora poggiata sulla testa, e mise al suo posto il ghiaccio.

Mi sentii subito meglio, dopo di che appoggiai le mie mani sul pacco di ghiaccio per tenerlo fermo e sfiorai impercettibilmente la sua. Cosa che mi fece saltare il cuore in gola, come sempre. Lui sorrise, il che non aiutava di certo.

Poi si andò a risedere al suo posto, accanto alla finestra e non parlammo più per un po’.

Questa volta fu lui a rompere il silenzio, improvvisamente.

“Te ne andrai di nuovo, non è vero?” Mi domandò, calmo, ma con una punta di asprezza nella voce.

Capii al volo quello che intendeva dire e non feci nemmeno lo sforzo di provare a sviare la conversazione, anche se in quel momento non volevo parlarne.

“Ho detto che ti avrei aiutato... Ma...”

“Ma te ne andrai domani mattina e farai finta che io non sia mai esistito” Concluse lui, rassegnato.

“Dammi un buon motivo per cui dovrei restare, Andrew!” Esclamai.

Lui rimase in silenzio, come sempre, non che mi aspettassi una risposta.

Poi, con la coda dell’occhio, non lo vidi più e comparve dalla parte opposta del letto, seduto.

Sussultai perché non me l’aspettavo, ma lui mantenne il solito contegno.

Si morse il labbro, come se fosse indeciso su quello che stava per dire, il che mi preoccupò non poco.

“Ho passato...” Si schiarì la gola “Ho passato le ultime notti della mia vita a fissare l’orologio, sai?”

Il cuore cominciò a battermi più velocemente e lui sorrise.

“Fissavo quelle stupide lancette e mi chiedevo perché si muovessero così lentamente, non potevo aspettare così a lungo.” Fece una piccola pausa e poi riprese a voce un po’ più alta “Mi sono accorto solo ultimamente quanto sia odioso il tempo, prima non ci aveva mai fatto caso, davvero. Ma da quando ti ho conosciuta, conto i minuti che ci separano.”

Cosa?

“All’inizio, quando ci siamo parlati per la prima volta, avrei voluto strozzarti con le mie mani: sei così odiosa, quando vuoi!” Sorrise.

Era una sottospecie di complimento?

Intanto la mia mente si era completamente svuotata, mi frullavano in testa le sue parole e si mescolavano tra di loro.

“Poi... Non lo so! È diventato tutto strano...” Si fermò pensieroso.

“C’è una cosa che non ti ho mai svelato di me...” Continuò. “Sai quando ti dissi che io non possiedo un cuore?”

Anche se non ce n’era alcun bisogno, annuii, continuando a fissarmi le mani.

“Probabilmente per sottolineare questa mancanza, noi fantasmi sentiamo benissimo il battito di quelli umani.” Quasi in risposta il mio fece una capriola ed Andrew ridacchiò di nuovo.

Non so perché ma io non ci trovai niente da ridere, anzi...

“All’inizio, ogni volta che mi avvicinavo a te...” Continuò, poi, con lo sguardo perso nel vuoto, quasi come se stesse rivivendo ogni momento di cui stava parlando “Sentivo che ti agitavi per questo dovevo reprimere quella forza che mi spingeva a toccarti.”

Mi guardò incuriosito, per vedere se avessi una qualunque reazione, ma io mi limitai ad alzare lo sguardo e fissarlo.

“Non volevo che tu avessi paura di me...” Aggiunse in un soffio.

Avrei voluto dirgli che io non avevo mai avuto paura di lui, ma non ci riuscii: non volevo rendere le cose ancora più difficili.

“Speravo che con il passare del tempo ti saresti abituata alla mia presenza, al fatto che io non fossi umano e me n’ero quasi accertato, ma poi... Ho capito che il tuo cuore non accelerava perché ti spaventavo. Ne ho avuto la conferma l’altro ieri.”

I miei ricordi vagarono sulla ferita ancora fresca e una fitta di dolore mi attraversò il petto.

Voltai il viso dall’altra parte.

“Andrew non mi importa... Senti...”

“No! Non è vero. Ascoltami, Roxy, io sto scontando non so quale pena, lo sento! Ho passato in questo limbo gli ultimi trecento anni, ma credimi, ne trascorrerei almeno altri seicento, se fossi sicuro di incontrare te.”

NO!!

No!! Stop!! Ferma tutto!! TAGLIA TAGLIA!!

Non erano queste le sue battute! Lui avrebbe dovuto dirmi che non provava niente per me e che...

“I-io non lo so se tutto questo è successo per portarmi da te... L’unica cosa di cui sono assolutamente certo è che tutto questo sia sbagliato.”

Mi stava decisamente confondendo le idee, però, per lo meno, aveva ricordato il copione.

E allora perché la cosa mi fece sentire decisamente peggio?

“L’altro giorno mi sono bloccato. Tu sei così viva... Io sono morto.” Deglutì “Non dovevo farlo, punto. Però l’ho fatto.”

Mi prese una mano, appena si accorse che io la stavo letteralmente stritolando con l’altra.

“Io non posso lasciarti andare, lo capisci? Non ci riesco.”

Eh va bene! Me ne sarei fatta una ragione.

“Vuoi una motivazione per cui dovresti restare, Roxanne?”

Lasciò improvvisamente la mia mano e poggiò la sua sul mio viso.

Non mi diede nemmeno il tempo di realizzare che il suo viso era decisamente vicino al mio, che poggiò delicatamente le sue labbra sulle mie.

Ma tutto durò troppo poco ed io non feci niente.

Mi sentii gli occhi umidi.

“Non farmi questo, Andrew...”

Aggrottò le sopracciglia, poi si allontanò.

“Tu... Io... Non avrebbe senso... Tu devi...”

“Non mi interessa!”

Scossi la testa con la poca convinzione che mi era rimasta.

Anche se stavo per cedere, lo sapevo.

“Perché sei venuta qui?”

Stava cercando di farmi ragionare, lo sapevo che lui era convinto di quello che provavo io. Il problema era un altro.

Perciò non risposi.

Sospirò.

“Roxy... Qui non si tratta di cosa sia giusto o cosa sia sbagliato, qui si tratta di cosa vuoi tu!”

“No...” sussurrai debolmente.

Se lo avessi fatto sarebbe stato un vero e proprio suicidio: io dovevo aiutarlo ad andarsene, lui non poteva rimanersene qui per sempre.

Non per me.

Mi avrebbe lasciata, perché ben presto si sarebbe accorto del suo errore, e io non avrei potuto sopportarlo.

“Andrew... Non puoi...”

Ma mi tappò la bocca con la sua.

E addio Roxy.

Quella volta risposi, non ci posso fare niente: io sono umana a differenza di qualcun altro.

Non fu proprio come la prima volta, no, non fu decisamente come la prima volta.

Era da troppo che volevo farlo e diciamo che glielo feci notare, infilai le mani sui suoi capelli e lo attirai verso di me.

Poi, come un’emerita imbecille, sbattei la testa contro la tastiera del letto.

“Ahia!!”

Lui scoppiò a ridere e mi guardò sottecchi.

“Dicevi?”

Gli tirai un debole pugno sulla spalla. Poi mi distesi lentamente sul letto e appoggiai la testa sui cuscini, fu una sensazione bellissima.

Poco dopo, lui si chinò per baciarmi di nuovo, la qual cosa non mi dispiacque per niente. Alla fine, finì coricato accanto a me e, non chiedetemi come perché non saprei rispondere, la camicia di Andrew volò ai piedi del letto qualche minuto dopo.

E fu opera mia.

Grazie, grazie, a dopo gli autografi.

Misi timidamente le mie mani sul suo petto caldo, ma lui non sembrava accorgersene, era decisamente impegnato a fare altro.

Ma perché non costringevano anche i ragazzi del ventunesimo secolo ad allenarsi con spade, armatura, eccetera, visto che il risultato era un fisico così perfetto?

Poi si allontanò un po’ e spostò il suo sguardo verso il suo petto nudo, tentando di mascherare un sorriso.

Io affondai la faccia nei cuscini e arrossii fino alla punta dei capelli.

“Mi dava fastidio!” Biascicai nel mio nascondiglio.

“Il verde non sta bene con i tuoi occhi” aggiunsi dopo, come se fosse una spiegazione plausibile.

Rise di nuovo e mi diede un bacio sui capelli, poi scese sul collo, provocandomi una serie di brividi sulla schiena.

Ma si interruppe quasi subito.

“è tardi, sai?”

“E allora???” Domandai, immediatamente io.

“Non ti pare che sia il momento di andare a dormire?” Mi diede un altro bacio.

“Se fai così direi proprio di no!” Sorrise di nuovo, poi fece per mettersi seduto e afferrò la camicia.

Io allungai il braccio, gliela strappai di mano con poca gentilezza e la lanciai dall’altra parte della stanza.

“Bruciala!” E lo attirai verso le mie labbra.

Dopo una serie di effusioni, affermai “E poi non ho capito perché io devo stare senza pantaloni e tu puoi tenerti la maglia!”

“Hai perfettamente ragione” Assentì lui.

“Come al solito.” Poi tornai seria.

“Andrew... Cosa faremo ora?”

“Non ne ho la più pallida idea...”

D’accordo.

“Tu...” Esitai, non ero sicura di volerlo sapere.

“No... Posso aspettare ancora, ora voglio stare qui con te.”

“Anch’io...”

Chiusi gli occhi e mi accoccolai tra le sue braccia.

“Vuoi vedere una cosa?” Mi domandò lui, all’improvviso.

Annuii.

Dopo di che Andrew incominciò ad emanare una luce, che non potrei definire in altro modo che ‘spettrale’, proprio come un vero fantasma. Beh, non che non lo fosse, ovviamente.

“Wow!! Sembri un fantasmino degli ovetti kinder…” Esclamai.

Alla sua espressione delusa si aggiunse il fatto che si ‘spense’.

Mi misi a ridere tanto che mi uscirono le lacrime.

“Niente... Niente!”

“Te l’ho già detto che sei completamente pazza?”

Feci finta di pensarci un po’, poi annuii con la testa.

“E io te l’ho già detto che sei un pallone gonfiato?” Dissi, mettendogli un dito sul naso.

“No!”

“Beh, ora lo sai!” E gli diedi un bacio a fior di labbra.

Lui mi abbracciò più forte e io mugugnai per il dolore alla fronte.

Poi ci godemmo il silenzio per un po’.

“Portami un cellulare!” Affermò Andrew, come se gli fosse appena venuto un lampo di genio. “Così se hai bisogno di me, mi chiami...”

“Ah... Va bene...” Risposi, poco convinta.

“Insomma, non posso starti dietro tutto il tempo, ho altro di più divertente da fare!”

E mi diede un bacio sulla fronte.

“Immagino!”

Io, di risposta gli tirai un altro pugno.

Uh, era così caldo...

Mi stava vendendo la sonnolenza, ma ad un tratto mi accorsi di una cosa che Andrew aveva appena detto.

“Come sai cosa sia un cellulare!?!?!?!?!”

“Sai, è noioso essere un fantasma... Così ogni tanto osservo la gente, giusto per tenermi aggiornato... Lo so anche usare, sai?” Aggiunse con orgoglio.

“Ah, e magari sai usare anche un computer...”

“Si, è mol...” Ma si interruppe.

C’era cascato, si era appena ricordato della patetica scusa che aveva utilizzato per indurmi ad aiutarlo, ma fece finta di niente.

Certo che mezz’ora prima credevo di stare per morire, invece adesso stavo amabilmente discutendo di cellulari, su un letto... Con Andrew.

Com’è strana la vita!

Lasciai correre pure io e mi sistemai sul suo petto scolpito e così caldo.

D’accordo, tutto ciò era sbagliato. Ma non mi interessava, era la verità!

Andrew mi aveva chiesto una cosa molto semplice poco prima: cosa volessi.

Ed io volevo solo una cosa in quel momento: il mio stupido ed egocentrico fantasma.

Mugugnai: oramai stavo scendendo nel mondo dei sogni,

Andrew mi coprì meglio con la coperta, poi mi baciò una guancia, stringendomi forte a sé, e sussurrò “Sogni d’oro, Roxanne”

 

 

Uauauauaua...

Volitiva: Ma lo sai che ti adoro, vero??? Come farei senza le tue recensioni, davvero non lo so! Spero che questo capitolo ti soddisfi (a me molto, adoro il mio fantasmaaaa!!!)... Cmq lasciamo perdere le canzoni, che ci metto sempre mezz’ora a sceglierne una adatta, però sono contenta che ti piaccia questa cosa!! Io l’adoro, perché mentre scrivo sento sempre la musica x farmi venire l’ispirazione! Uauaua…

Roxy è molto contenta di avere una spalla su cui piangere XD, anche se credo che ora ne abbia trovata un’altra... (Eh BEATA LEI!!!)

Un mega kiss!!!!

 

Beneeeeee...

BUON CAPODANNO A TUTTI!!! E UN FELICISSIMO 2009!!!!

Un bacione!!!

Mallow

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Capitolo 13
*** Doubt ***


Doubt

 

To me, you're strange and you're beautiful,
You'd be so perfect with me but you just can't see,
You turn every head but you don't see me.
I'll put a spell on you,
You'll fall asleep and I'll put a spell on you.
And when I wake you,
I'll be the first thing you see,
And you'll realise that you love me.

Aqualung – Strange And Beautiful

 

 

Mugugnai, abbracciando ancora più stretta quella pelle calda che mi ritrovavo tra le braccia. Nascosi il viso tra i cuscini perché la luce che filtrava dalla finestra mi infastidiva il sonno, poi mi costrinsi ad aprire gli occhi.

Andrew era lì, con gli occhi chiusi, a pancia in su.

Per un attimo il mio cervello rimase confuso, poi il ricordo di quello che era successo la notte prima mi ritornò alla mente e sorrisi inconsciamente, quasi del tutto dimentica della brutta avventura con Elisabeth.

Mi fermai per qualche secondo a guardare ancora il suo volto: la mascella squadrata, gli zigomi alti, le sopracciglia scure ben disegnate, le labbra carnose che sembravano quasi incurvate ad un sorriso, se quella era opera mia ne andavo molto orgogliosa. Era da definire quasi maniacale il fatto che probabilmente non mi sarei mai stancata di guardarlo. Peccato, però, che i suoi occhi mi erano nascosti dalle palpebre chiuse.

Quasi in risposta al desiderio di rivederli, Andrew li aprì e si voltò verso di me. Quella volta non ebbi timore di continuare a fissarlo, perché lui faceva lo stesso con me.

Rimanemmo per qualche minuto, così, in silenzio, lo sguardo dell’uno legato a quello dell’altra da una forza incontrastabile. Poi Andrew prese ad accarezzarmi la guancia. A quel contatto, il mio cuore ebbe la stessa reazione di sempre e, come al solito, Andrew sorrise. La nuova scoperta, del fatto che Andrew era sensibile ad ogni alterazione delle mie emozioni, mi irritava.

Comunque preferii fare finta di niente.

Sapevo che mi sarei dovuta alzare prima o poi, ma continuavo a far finta di niente, nella speranza che quel momento non arrivasse mai. Era come in quelle mattine in cui si sta talmente bene accoccolati sotto le coperte che si vorrebbe trascorrere il resto della giornata lì, l’unica sottilissima differenza era che io avevo un motivo in più per voler rimanere nel letto e quel motivo era a petto nudo accanto a me.

Mi coricai a pancia in su anch’io, ma, probabilmente, mi mossi troppo velocemente perché la testa prese a pulsarmi di nuovo, tanto che non riuscii a trattenere un lamento di dolore.

“Ti fa ancora male la testa?” Mi domandò, preoccupato.

Ma da quando era così perspicace?

“Un po’”

A quelle parole, si alzò dal letto, camminò fino al mio comodino e mi porse il ghiaccio, che non si era ancora scongelato dalla sera prima, grazie alla bassa temperatura.

In effetti, mi accorsi solo in quel momento quanto facesse freddo. Ma perché diavolo si era alzato? Sbuffai, attirando il suo sguardo interrogativo, al quale risposi scrollando le spalle.

Mi sedetti sul letto, con la schiena sulla testiera e il ghiaccio sulla testa, mentre Andrew recuperava la sua maglietta, lanciata con tanta destrezza dalla sottoscritta dall’altra parte della stanza. Durante il suo breve tragitto non potei fare a meno che scrutare alla luce del giorno la sua schiena così muscolosa... Per non parlare dei pettorali! Insomma, mi persi completamente nelle mie fantasie, ma in pochi secondi e con il mio totale disappunto, si rimise l’indumento addosso. Intanto io continuavo a guardarlo e, come ogni volta, lui mi beccò.

Distolsi lo sguardo, anche se ero sicura che a lui non fosse sfuggito nulla.
”Se vuoi me la ritolgo!” Ridacchiò.

Per tutta risposta gli volò un cuscino addosso, ma lui fu più veloce e lo scansò, diventando invisibile e ricomparendo di fianco a me.

Siccome non me l’aspettavo, sussultai un poco, ma lui non vi fece caso. All’improvviso la consapevolezza del fatto che molto probabilmente avevo un aspetto schifoso, mi colse. Velocemente presi l’elastico che tenevo sempre al polso e tentai di legarmi i capelli, nella vana speranza, di rendermi in qualche modo almeno guardabile.

Ma lui mi bloccò dolcemente la mano.

“Che fai?” Chiese, confuso. E per l’ennesima volta l’intensità del suo sguardo mi perforò tanto che non fui in grado di rispondergli.

“Mi piacciono i tuoi capelli...” Proseguì, a mo’ di scusa.

Poi tossicchiò e si alzò di nuovo.

“Vuoi qualcosa? La dispensa dei vicini e piena!” Sorrise, abbagliandomi e rendendomi ancora più difficile formulare un pensiero coerente.

“Caffè!” Esclamai io, in un impeto di idiozia.

“Ok! Quanto zucchero?”

Mi aveva appena chiesto quanto zucchero?

“Wow! Sai fare il caffè! Davvero?” Urlai e i miei occhi iniziarono a brillare.

“Si!” Disse, arretrando di qualche passo verso la porta. “Vado...”

Lo avevo spaventato, povero! Non è colpa mia se sono una caffeinomane!

Qualche minuto dopo, ritornò con una promettente tazza fumante che io afferrai avidamente. La sorseggiai, senza nascondere la mia titubanza, ma era buonissimo.

“Sai fare il caffè e lo sai anche fare bene! Sei l’uomo perfetto, lo sai?” Ammisi, strabiliata.

“Oh si, me lo dicono in molti...” Continuò a scherzare, sventolando la mano davanti alla faccia come se fosse cosa da nulla.

Dopo aver finito il mio adorato caffè, il cervello, che fino ad allora era rimasto assopito, riprese magicamente a funzionare e mi venne un orribile sospetto.

“Che ore sono?” Bofonchiai.

“Mmmm, le 11,15 mi pare!”

Piantai un mega urlo degno di una cantante lirica e balzai senza nemmeno pensarci in piedi, sotto gli occhi basiti di Andrew. Poi mi ricordai di un piccolissimo e insignificante dettaglio: avevo solo la camicia addosso, cosa che il mio fantasma non mancò di notare. La mia faccia assunse il colore della camicia e mi rinfilai alla velocità della luce sotto le coperte.

Sorrise di nuovo.

Evidentemente ero un fenomeno da baraccone! Sarei potuta andare a lavorare in un circo da grande!

Comunque, in quel momento il problema principale era un altro: Jess ed io avevamo un appuntamento circa un’ora e mezza fa.

Mi accorsi di non avere il cellulare dietro, dannazione!

“Che c’è?”

“Quella ragazza mi ammazzerà! E adesso cosa le racconto?!?” Mi misi a disperarmi ad alta voce.

“Ma chi?”

“Jess!!” Ma che domande!

Mi fissò interrogativo, con le braccia conserte, in piedi davanti a me. Probabilmente era in attesa di una qualche spiegazione.

“Jess ed io dovevamo vederci più di un’ora fa a casa mia!!”

Glielo stavo quasi urlando in faccia, ma lui non sembrava per niente preoccupato.

Il che mi rese ancora più nervosa.

“Passami i pantaloni!” Gli ordinai, esasperata.

Perché detta così sembrava una brutta cosa?

Lui me li diede ed io notai con tanta gioia che erano ancora bagnati e mezzi congelati, per di più.

Li infilai da seduta, senza tante cerimonie.

“Tieniti la camicia, la tua è tutta bagnata!” Mi suggerì, come se si fosse illuso che mi sarei spogliata davanti a lui, beh, la cosa non mi era passata nemmeno per l’anticamera del cervello.

Mi infilai la giacca e rabbrividii al contatto con l’indumento.

“I-io, scusa... Devo andare...” Balbettai.

Perché all’improvviso non sapevo che dirgli?

Lui mi sorrise tristemente e annuì.

Dopo di che uscii dalla stanza e corsi giù dalle scale, rischiando di cadere circa due volte e, ignorando il pulsare alle tempie, mi precipitai fuori dal giardino del castello fino alla strada.

Percorsi quella di casa mia, quasi di corsa, poi, mentre stavo quasi per arrivare, notai una ragazza venire verso la mia direzione.

“Merda!” Sussurrai.

“Roxy!!” Urlò quella che evidentemente era Jess.

Incominciai a sudare freddo, mentre il mio cervello cercava una scusa plausibile e convincente, senza però, ovviamente trovare qualcosa.

Mentre maledicevo la mia amica in tutte le lingue che conoscevo, lei mi raggiunse.

“Dove diavolo sei...?” Poi le parole le morirono in bocca non appena mi scrutò meglio.

“OH-MIO-DIO!” Urlò, nel bel mezzo della strada.

Io la feci zittire, mettendole una mano sulla bocca, ma lei me la strappò e riprese a gridare e a saltellare come una pazza.

“Sei diventata scema?” Bisbigliai io. “Smettila di urlare!”

“Oddioooooo!!! Roxy... E non mi dici niente!! Le devo venire a sapere così le cose??” Mi rimproverò.

“Che stai dicendo?” Dovevo cercare di guadagnare tempo in qualche modo, mentre tentavo di elaborare qualcosa da raccontarle.

“Ma brava! Insomma tu passi la notte da questo misterioso ragazzo e non lo dici alla tua migliore amica, che, per tua informazione, sarei io!”

Alzai un sopracciglio.

“Io non... ho passato...”

Ma i suoi occhi caddero sull’apertura della giacca, che non avevo chiuso bene, che rivelavano la camicia di Andrew.

“E questa cosa sarebbe, scusa?” Mi domandò, con fare indagatorio “L’hai comprata durante la notte? Da quando in qua vai in giro con camicie da uomo addosso?”

“è una nuova moda!” Ribattei io, convinta delle idiozie che dicevo.

Lei si mise con le braccia incrociate, esattamente come aveva fatto Andrew poco prima, in attesa di spiegazioni.

“D’accordo, beccata!” Ammisi, alla fine. Jess stava per rimettersi ad urlare ma io la zittì. “Ma non abbiamo fatto niente...”

Quasi l’espressione della mia amica si rabbuiò.

“Cioè... Ehm... Ci siamo baciati...” E a queste parole Jess si illuminò. “Poi io gli ho... ehm... tolto la camicia...”

Quella volta non tentai nemmeno di trattenerla.

“Sei assatanata! E dimmi com’è senza maglia??”

E poi sarei io l’assatanata?

“è… è...” Cercai una parola abbastanza adeguata per descrivere Andrew, ma non la trovai.

“D’accordo, ho capito, non ti sforzare troppo...” Disse Jess battendomi una mano sulla testa.

“Eh brava la mia bambina, oramai è diventata grande e va in giro a denudare gli uomini!” Sorrise.

La ignorai, come avevo imparato a fare da quasi diciotto anni di conoscenza.

“Ora andiamo a casa che ho terribilmente bisogno di una doccia calda...”

 

Finalmente, ero nella mia calda cameretta, con solo l’asciugamano addosso, alla ricerca del mio vecchio cellulare, mentre Jess stava di sotto a guardare la tv.

Dopo aver buttato all’aria tutto l’armadio, lo trovai e, fortunatamente, c’era ancora la sim inserita.

Lo misi dentro la borsa, poi mi vestii e asciugai i capelli alla velocità della luce.

Scesi, infine le scale per raggiungere la mia amica. Dopo di che uscimmo di casa per dirigerci in biblioteca: un sano pomeriggio di studi ci attendeva, quale gioia!

Jess continuò a tempestarmi di domande per tutto il tragitto e, non appena, fummo davanti alla biblioteca, feci finta di essermi dimenticata di comprare una cosa.

“Tu entra pure, io arrivo subito!” La esortai.

Lei alzò le spalle e acconsentì.

Fortunatamente il castello non era lontano e, in meno di due minuti raggiunsi la porta, dietro la quale mi attendeva un Andrew raggiante.

“Scusa, scusa. Vado di fretta, tieni!” E gli porsi il cellulare. “Ti chiamo dopo, promesso!”

E corsi via, anche se sarei rimasta volentieri.

Molto volentieri.

 

Fortunatamente Jess non disse niente anche se ci avevo messo un po’ di più del previsto. Così passammo il pomeriggio a concentrarci sull’algebra, una delle materie di questo mondo che ritenevo insulse, inoltre non riuscivo a concentrarmi perché morivo dalla voglia di rivedere Andrew. Stavo diventando ossessiva.

Bene. Splendido.

La sera arrivò, anche se molto lentamente, Jess se ne andò, come il giorno  precedente, lasciandomi sola in casa, dopo avermi accompagnata.

Andai in camera mia e composi il mio vecchio numero. Dopo un paio di squilli la voce di Andrew mi rispose. “Ciao!”

“Vieni qui?” Saltai i convenevoli: lo volevo con me, subito.

“Sei sola?” Sentii la sua voce diventare ansiosa.

“Si...”

Staccò la conversazione e io attesi. Perché ero agitata?

Feci dei respiri profondi per calmarmi, ma Andrew distrusse ogni mio tentativo, comparendo all’improvviso nella mia stanza.

“Non mi piace che tu stia da sola!” Esclamò duro.

Bell’accoglienza.

“Anch’io sono felice di rivederti!” Ribattei io, altrettanto fredda.

Poi lui sbuffò e si venne a sedere di fianco a me.

“Scusa... è che dopo quello che è successo ieri... Mi hai fatto spaventare!”

“Figurati io!”

Appoggiai la mia testa sulla sua spalla e lui mi cinse i fianchi.

Poi mi prese il viso con la mano e mi fissò per qualche secondo prima di darmi un bacio.

Quella volta fu diverso: la notte prima, avevo desiderato così ardentemente quelle labbra che non le avevo davvero gustate, invece quel bacio fu delicato. La sua dolcezza mi travolse, sembrava che Andrew avesse voluto dimostrarmi tutta l’intensità dei suoi sentimenti. Ma come ogni volta, non durò mai abbastanza. Rimasi folgorata, quasi sconvolta da quell’ondata di sentimenti che provai, tanto che quasi mi mancò il respiro.

Oddio...

“Rifallo...” Sussurrai quasi sulle sue labbra.

“Cosa?”

“Quello che hai appena fatto...” Bisbigliai.

Avevo bisogno di una conferma.

Di nuovo le nostre labbra si incontrarono e sentii come un vuoto allo stomaco. Di nuovo quell’emozione mi assalì violentemente. La consapevolezza di quello che poteva stare a significare tutto ciò mi devastò.

Mi ritrassi velocemente e un po’ brutalmente.

Poi mi alzai ed uscii dalla stanza, sbattendo la porta dietro di me.

Non avevo alcun motivo apparente per comportarmi così, se non fosse che stavo per lanciarmi giù dalla finestra per la stupidaggine che avevo fatto.

Andrew non ci mise nemmeno più di cinque secondi a raggiungermi e a piazzarsi davanti a me, fermando così, la mia avanzata.

“Che ti prende?”

E tutti i dubbi, tutte le incertezze che avevo avuto solo pochi giorni prima riaffiorarono.

Ma oramai era troppo tardi. E ce ne rendevamo conto sia io che lui.

“Non era così che doveva andare!” Singhiozzai, con i pugni serrati. “E adesso? Cosa abbiamo intenzione di fare?”

Lui continuava a stare in piedi senza dire una parola.

Odiavo quando faceva così.

“Io avrei dovuto aiutarti e basta! Ma ora? Tu ed io! Non... non possiamo stare insieme, lo capisci?” A quelle parole persi quel poco di autocontrollo che avevo e i singhiozzi si trasformarono in lacrime.

Non sapevo se era il nervoso o l’assurda sensazione che tutto quello non sarebbe durato, però mi stavo comportando da pazza e ne ero addirittura consapevole.

Bene.

“Tu non puoi rimanere con me! Presto ti stuferai di me e te ne andrai e io...” Singhiozzai di nuovo e mi gettai tra le sue braccia.

“Hai finito?” Mi domandò con voce ferma, accarezzandomi la testa.

“No!! Non doveva succedere! Non doveva...”

“No, hai ragione... Vuoi che me ne vada?”

Mi ritrassi dalle sue braccia, un po’ sconcertata.

Mi stava forse lasciando scelta?

Comunque non risposi, quella domanda non me l’aspettavo proprio, rimasi a fissarlo.

Tutta quella storia avrebbe finito per uccidermi, lo sapevo.

“Perché ti comporti così?” Gli chiesi.

Tornai a dirigermi in camera mia e, appena aprii la porta, lui era lì ad aspettarmi.

“Potrei farti la stessa domanda...”

Ma come faceva a rimanere sempre così freddo e distaccato? Ah già, trecento anni di allenamento... A me forse non sarebbero mai bastati.

Incominciai a respirare per tentare di calmare i nervi, ma la cosa non mi riuscì tanto facilmente.

“Dì qualcosa!”

Dopo avermi fissato inespressivo, finalmente parlò.

“Io so che questo è sbagliato, so che non sarebbe dovuto succedere, però so anche quello che voglio. Tu no. Se tu mi dirai di andarmene, io me ne andrò. Se vuoi che rimanga, rimarrò. Io voglio che tu sia felice, con o senza di me. Ma devi decidere cosa vuoi... Io starò con te anche per sempre, ma devi essere tu a chiedermelo. Non posso fare una scelta che spetta a te.”

Perché i fantasmi sono così saggi?

“Hai ragione...” Mi alzai, andai verso di lui “Però non sei molto convincente...”

Mi sarei aspettata tutt’altra risposta, ma Andrew aveva ragione. Purtroppo nessuno poteva prendere quella decisione, a parte me.

Il problema era che io volevo che lui rimanesse con me... Per sempre... Lo so che per sempre è un concetto inconcepibile, almeno lo era per me. D’accordo, facciamo per tutta la mia vita. C’era un piccolo problema: io sarei diventata una vecchia decrepita e lui sarebbe rimasto perennemente giovane. Per non parlare del fatto che probabilmente le sue intenzioni erano diverse dalle mie.

Mentre facevo queste considerazioni, lui si era avvicinato pericolosamente a me.

Incominciò a baciarmi il collo e poi le lebbra, con passione ed io persi quel poco di barlume di lucidità che avevo. Poi si allontanò di un po’.

“Sono abbastanza convincente, ora? O preferisci che mi tolga la maglietta?”

Mugugnai.

“E se io ti dicessi di andare via?” Sussurrai.

“Non me ne andrei...” Sorrise Andrew.

“Allora mi prendi in giro?”

“Io so quello che voglio e sono disposto a fare di tutto per ottenerlo, quindi se vuoi che me ne vada, voglio una motivazione convincente” Mi baciò di nuovo, a lungo.

“Allora, vuoi che rimanga?”

Si allontanò di nuovo e si sedette sul mio letto, in attesa.

“Tu mi lascerai...” Affermai, a bassa voce, sedendomi, invece, sulla sedia della scrivania, a distanza di sicurezza in modo di poter riflettere senza distrazioni.

“Hai paura solo di questo?”

Solo?

Fece un sorrisetto quasi di scherno. “Io non ti lascerò mai, sciocca ragazzina petulante! Perché dovrei?”

“Perché sei uno stupido fantasma bugiardo!!”

“Ah ah...” Annuì, scomparendo e ricomparendo davanti a me.

“E tu sei pazza e paranoica!” Non riuscì a trattenere un sorriso.

“Tu... Tu sei...’’ Porca miseria, perchè doveva essere così dannatamente perfetto quel ragazzo?

Intanto lui era scoppiato a ridere. “Inutile, non troverai mai un unico difetto in me...”

“No, aspetta me ne è appena venuto uno: la superbia! È un peccato capitale, sai?”

“Oh, come potresti anche solo pensare che potrei stancarmi di te? Sei uno spasso!”

Gli tirai uno scappellotto sulla testa.

“Ahi, ok, scherzavo...“

Mi baciò di nuovo. Poi ancora e ancora. Fino a quando finimmo sdraiati sul mio letto.

Alla fine mi sussurrò. “Come ho potuto stare senza di te per trecento anni?”

 

 

Helloooooo!!!

Ciau teshoro!! Mamma miaaaa, Roxy sta sbarellando povera cita! Però ringrazia per i volantini, sono stati molto utili... XD Che tenero che è Andrew, io adoro il mio fantasma! Cmq... già già, non dimentichiamo il prologo… MMMMMMMM pure io sono impaziente di svelare tutta la storia però mi sa che ci andrà ancora un po’... Intanto vediamo di tentare di far rinsavire questa povera Roxy XD

Grazie mille, cara!!

Un kissone

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Capitolo 14
*** Good Reasons ***


Good Reasons

 

“I've found a reason for me
To change who I used to be
A reason to start over new
and the reason is you.”

 

Hoobastank – The Reason

 

 

 

Adoro i letti a una piazza e mezza.

Non sono né troppo piccoli per cui in due ci si sta stretti, né troppo grandi perché ci si stia troppo lontani. Ma chi era quel sant’uomo che li aveva inventati?

Mi appuntai mentalmente di trovare il suo nome per creare un santino in suo onore nella mia stanza. Nel frattempo mi accoccolavo nel petto di quello stupido fantasma che si era appropriato del mio freddo e duro cuore.

Oramai era tardi, eppure Andrew stava ancora tentando di “convincermi” a provare a non pensare a quello che sarebbe potuto accadere in futuro, ma a concentrarmi solo ed esclusivamente sul presente per godermi ogni attimo con lui.

In verità era esattamente quello che stavo facendo e mi ero già convinta da un pezzo, ma non mi sembrava una buona idea farglielo sapere, soprattutto perché le sue tecniche di persuasione erano più che valide.

Guardai distrattamente l’orologio: erano quasi le due di notte.

Certo che è proprio vero che il tempo passa troppo in fretta alcune volte.

In effetti incominciavo a sentirmi un po’ stanca tanto che non riuscii a trattenere uno sbadiglio.

“Hai sonno?” Andrew mi trafisse con uno di quei dannati sguardi che mi toglievano il respiro.

“Un po’...”

Andrew si appoggiò su un gomito e mi scrutò sospetto.

“Vuoi dormire?” A queste parole prese a giocherellare con una ciocca dei miei capelli.

Feci finta di pensarci un po’ su, poi affermai, sicura.

“No!”

Andrew annuì distrattamente, poi si voltò dalla parte del comodino e spense l’abatjour, lasciandoci quasi al buio.

“Noto con gioia e letizia che mi dai molto ascolto!” Lo rimproverai scherzosamente.

Lui alzò un sopracciglio, o almeno così mi sembrava, visto che l’unica cosa che ci illuminava, in quel momento, era la luna.

“Hai gli occhi rossi… È meglio che ti riposi un po’...” Dopo di che si sdraiò più comodamente, appoggiando la testa sul cuscino.

“Vieni qui, piccolo essere notturno!” Ridacchiò, cingendomi con un braccio il fianco e attirandomi verso di lui, io, ovviamente, non feci alcuna resistenza.

Alla fine si vive una volta sola, no? Tanto vale godersi ogni attimo.

Chiusi gli occhi contro il suo petto, però il sonno mi era passato quasi improvvisamente, così rinunciai a tentare di dormire.

Lo trovai che mi fissava.

“Che c’è?” Incominciai a pensare di avere qualcosa che non andava in faccia, ma lui mi disse semplicemente.

“Sei bellissima sotto i raggi della luna...”

Inutile dire che mi sciolsi completamente, persa nel suo sguardo di ghiaccio.

Quando mi accorsi di aver molto probabilmente assunto l’espressione di un pesce lesso, cercai di ritornare padrona di me stessa e, a fatica, ci riuscii.

E anche troppo bene.

“è un modo carino per dirmi che alla luce sono uno scorfano?”

Andrew, per tutta risposta, sbuffò e si stese a pancia in su. Sembrava arrabbiato.

“Cosa ho detto?” Gli domandai, un po’ perplessa.

“Niente...”

“Perché sei arrabbiato? Stavo scherzando...” Gli accarezzai una guancia e poi misi il mio braccio sul suo petto.

“Non sono arrabbiato...” Di solito era bravo a mascherare i propri sentimenti, ma in quel momento anche un bambino di tre anni sarebbe riuscito a capire che stava mentendo.

“Andrew...”

Si voltò verso di me e mi diede un bacio sulla fronte.

“Non sono arrabbiato, davvero, solo... pensavo ad una cosa...” Tentò addirittura di sorridere.

“A cosa?”

Ancora non capivo perché m ostinassi a fare domande di cui non avrei mai certamente ottenuto una risposta decente.

E infatti...

“Giuro che se ora non mi rispondi ti...”

“Ammazzo?” concluse lui.

“Esattamente, anche se devo ancora architettare come uccidere un fantasma, ma quelli sono dettagli!”

“Ovviamente...” Assentì lui soprappensiero.

Rimanemmo in silenzio per un po’, io in attesa e lui a riflettere.

Ad un certo punto, dal momento che ero consapevole del fatto che non sarei riuscita a cavare nessuna spiegazione esauriente dalla sua bocca, mi voltai dall’altra parte, decisa a dormire.

Qualche secondo dopo, sentii l’alito di Andrew sfiorarmi la nuca, dopo di che le sue labbra si appoggiarono sul mio collo.

Sussurrò: “Scusa...”

“Credi di cavartela così?” Mi alzai di scatto a sedere, tirandomi le coperte intorno al corpo. Il mio gesto fece sobbalzare Andrew indietro e ci mancò poco che non ci scontrammo.

“D’accordo ora te lo chiederò per la prima ed ultima volta, ma giura di essere sincero con me...”

Aspettai un qualsiasi cenno di assenso da parte sua, ma lui rimase immobile come una statua. Il che mi irritava.

Ma chi tace acconsente, non è così?

Lo guardai fisso negli occhi. Beh, non proprio fisso, preferivo sempre mirare al naso, tanto per essere sicura di riuscire ad azzeccare i congiuntivi.

“C’è qualcosa che vuoi dirmi?”

Per un attimo, l’autocontrollo di Andrew vacillò, infatti distolse lo sguardo per qualche secondo, ma poi tornò a fissarmi come se niente fosse.

“No...”

Annuii, facendo finta di essere convinta di ciò che dicevo.

“Ok, ti credo...”

Mi ristesi sul letto e, poco dopo, lui fece lo stesso.

Chiusi gli occhi abbracciandolo.

Sapevo che non mi stava dicendo la verità e che c’era qualcosa che forse avrei dovuto sapere. Però, se lui non voleva dirmelo, probabilmente era meglio che mi fidassi di lui.

“Roxy?”

La sua voce mi colpì, mentre stavo entrando nel dormiveglia e, per un attimo, pensai di averla sognata, poi riaprii gli occhi.

“Scusa, dormivi?”

Scossi la testa. “Dimmi...”

“Roxy, ascolta, sei davvero convinta allora?”

Probabilmente il colorito della mia faccia divenne bianco, perché Andrew si affrettò ad aggiungere. “Intendo dire che io non voglio obbligarti... Lo sai cosa voglio io!”

Beh in quel punto era stato particolarmente chiaro.

“No...” Affermai.

Quella volta fu lui a reagire male. Io ridacchiai.

“A dire la verità, preferirei sentire ancora un po’ delle tue ‘buone ragioni’”

Anche lui si lasciò andare ad un sorriso.

“Ah, chissà perché la cosa non mi sorprende nemmeno un po’...”

“Dalla faccia che hai fatto non si direbbe proprio...”

“Mi stai provocando?” Si avvicinò con fare scherzosamente minaccioso.

“Chi? Io??”

Incominciò a farmi il solletico.

“No!! Fermo!! Pietà!! I vicini!!”

Si bloccò perplesso “Che c’entrano i vicini?”

“Se mi sentono cosa credi che possano pensare, scusa?” Poi mi resi conto di averlo detto ad alta voce e arrossii.

“Ma quali vicini?” Continuò lui, facendo finta di niente. “Hai una casa praticamente dispersa nel nulla!”

Lo fissai scettica.

“Ha parlato quello che vive in mezzo ai lupi!” Lo stuzzicai.

“Vuoi sempre averla vinta, eh?” E si preparò ad un nuovo attacco di solletico.

“NO!!! Mi arrendo!”

Andrew ridacchiò.

“Comunque, di cosa stavo parlando prima che tu mi interrompessi?”

Feci spallucce. “Delle mie ‘buone ragioni’?”

Un lato della sua bocca si distese in un modo che non mi piacque per niente.

“Ragione numero uno: devi ammettere che non riesci a resistermi...”

“Ah no??”

In un gesto fulmineo, appoggiò il braccio destro vicino alla mia spalla destra e fece lo stesso con quello sinistro, così da trovarsi con parte del busto sollevato sopra di me.

Avvicinò la sua bocca alla mia ed il mio cuore accelerò.

“Allora?” Sussurrò sorridendo.

Tentai di far uscire un suono articolato, ma il risultato fu pessimo, diciamo che ero più impegnata a cercare di rimanere lucida.

Ma, come al solito, la presenza di Andrew aveva effetti tutt’altro che positivi sulla mia povera psiche.

Le nostre labbra si sfioravano però lui non si decideva ad avvicinarsi di più perché, probabilmente, aspettava la mia resa. La quale avvenne più in fretta del previsto.

Intrecciai le mani dietro la sua nuca e lo attirai a me. È proprio vero che se si vuole che le cose vengano fatte bene bisogna farsele da sole.

Se si aspetta che siano gli uomini a darsi una svegliata, si ha il tempo di invecchiare.

Infatti colsi Andrew di sorpresa, ma una sorpresa che non gli dispiacque affatto, anzi...

Qualche minuto dopo, quando entrambi avevamo ripreso a far funzionare i nostri cervelli in modo decente, Andrew mi fissò.

“Beh, devo dire che hai resistito addirittura tre secondi...”

Gli feci la linguaccia.

“Comunque mi aspettavo qualcosa di un po’ più convincente...” Lo sfidai.

“D’accordo... Motivazione numero due: è meglio che non mi rifiuti perché io sono molto determinato ad averti tutta per me... Anche se sei pazza e scocciatrice!”

“Iniziamo già con gli insulti? Guarda che potrei anche offendermi, sai? E in quel caso i tuoi giochetti non serviranno!”

“Nemmeno se mi tolgo la maglia?” Ridacchiò.

Sapevo che mi avrebbe presa in giro per il resto della mia vita per quel piccolo ‘incidente’ assolutamente involontario.

...

“Beh in questo caso...” Assunsi un’espressione dubbiosa.

Andrew mi abbracciò forte, ridacchiando.

“Ora è tardi...”

Già, era passata un’ora e solo allora mi accorsi di stare letteralmente morendo di sonno. Lo strinsi a me come se fosse un peluche. Sì, un peluche, grosso, a forma di uomo e che parlava e camminava.

Mi addormentai quasi subito tra le sue braccia, al sicuro, cullata dal mio stesso respiro, e con il sapore delle sue labbra ancora sulle mie.

 

D’accordo, avete presente quando state facendo il sogno più bello della vostra vita e la vostra cara mammina decide di passare l’aspirapolvere in camera vostra la domenica, alle otto di mattina, strappandovi dal vostro sonno beato?

Ecco, per me quella mattina fu l’esatto opposto. Fui svegliata dal sogno più bello che avessi mai potuto desiderare.

“Roxy...”

Mugugnai distrattamente, aggrappandomi a ciò che c’era al posto del solito cuscino: ah già un fantasma.

“Che c’è?”

“Ti è arrivato un messaggio” Avrei potuto registrare la sua voce e usarla come suoneria per gli sms: era così piacevole.

I miei pensieri mattutini erano sempre molto intelligenti, dovevo proprio ammetterlo.

Mi tirai la coperta fin sopra gli occhi: c’era troppo sole per i miei gusti.

“Ma chi è?” Piagnucolai.

Mi sentivo uno schifo. Raccolsi quel poco di forza che mi era rimasta e diedi un’occhiata fugace al’orologio: le 9.

Ma a chi diavolo poteva venire la stupida idea di mandarmi un messaggio alle 9 di mattina? Il criceto nel mio cervello incominciò a girare ed apparve, così, un unico nome nella mia mente che fu subito confermato dalla voce di Andrew.

“Jess...”

Chissà perché, ma la cosa non mi stupì nemmeno un po’.

Sbadigliai e tornai a raggomitolarmi al buio sotto le mie coperte.

“E che cosa vuole quella ragazza?”

“Allora, dice: ‘ Ma buongiorno, bell’addormentata! Come va? Che ne dici se domani usciamo io, te, il tuo bello e mio fratello? E poi tra l’altro devi ancora finire di raccontarmi come diamine hai fatto a spogliarlo così in fretta perché io non…’”

A quelle parole mi scoprii di scatto e gli strappai il cellulare dalle mani. Ma perché Jess non si faceva mai gli affari suoi?

Oramai la mia faccia stava andando in fiamme mentre Andrew ridacchiava e cercava di riprendersi l’aggeggio.

“Dai, fammi finire!!”

Ma io fui più veloce e corsi in bagno, seguita da Andrew, che, per lo meno, ebbe la decenza di non entrare nella stanza, non appena chiusi a chiave la porta, dietro di me.

Imprecando contro tutto ciò che mi capitava sotto mano, cancellai il messaggio incriminante, che, come sospettavo, terminava con una serie poco pudica di commenti sul petto nudo di Andrew.

Ne approfittai per lavarmi i denti, mentre lui, dall’altra parte della porta mi urlava qualcosa che non mi presi nemmeno la briga di tentare di capire.

Ancora in coma, uscii dal bagno e trovai Andrew che mi fissava col broncio.

“L’ho cancellato” Dissi, alzando distrattamente le spalle. “Puoi controllare...” E gli lanciai il cellulare tra le mani.

“Ma come sei antipatica! E dai! Cosa c’era scritto, sono curioso!”

“Te lo dirò non appena l’inferno si ghiaccerà!” Risposi, risoluta.

Andrew si avvicinò e mi prese in braccio come un sacco di patate, caricandomi su una spalla. Ignorando i miei urli di protesta, si avviò verso camera mia.

“E sta’ un po’ ferma! Guarda che non sei proprio un dolce peso!”

A quelle parole, presi a dimenarmi ancora di più.

Ma il tratto fu breve e, appena entrammo in camera, mi buttò senza tanti complimenti sul letto, seguendo, poi, il suo stesso esempio, si distese accanto a me.

“Questa me la paghi!” Incominciai a picchiarlo debolmente sulla spalla.

“Mi dici cosa c’era scritto sul messaggio?” Mi domandò tentando di evitare il cuscino che avevo appena afferrato per usarlo come arma.

“Manco morta”

“D’accordo...”

Mi afferrò i polsi e io lasciai andare il cuscino.

“Ragione numero tre: io sono molto più forte di te...”

Poi mi baciò teneramente a fior di labbra.

“E questo cosa c’entra?”

“Assolutamente niente...”

Allora non ero l’unica a sparare idiozie la mattina presto.

“Ok...”

All’improvviso mi venne un’idea, che quasi sicuramente non avrebbe mai funzionato, però tentar non nuoce.

“Io ti dico quello che c’era scritto sul messaggio, ma in cambio tu mi racconti uno dei tuoi segreti...” Controllai attentamente la sua espressione, ma, come al solito, non fece una piega e si rinchiuse nel suo solito silenzio contemplativo.

Io attesi invano per qualche minuto una risposta che, ovviamente, non arrivò.

Improvvisamente e con mia enorme sorpresa, ad un certo punto, parlò.

“Vuoi andare al luna park, domani, allora?”

“Stai tentando di cambiare discorso con me?”

Ignorò anche quest’ultima domanda. Stava diventando decisamente snervante.

“Tu che vuoi fare?”

Si lasciò andare ad un sorriso rilassato.

“Ho sempre sognato di andare in un Luna Park, mi ci porti?”

La tentazione di rispondergli di no, per vendetta, era molto forte, ma lui adottò la tecnica degli occhi da cucciolone bastonato e io non potei resistere.

“Ti preeeeeeego!!”

Sospirai: ma con che gente mi toccava avere a che fare?

“Se se...”

Mi baciò velocemente, raggiante...

“Beh, allora, che ne dici di un pic-nic, oggi?”

 Eh?

“Un pic-nic?”

“Si, hai presente? Un pranzo in mezzo a...”

“LO SO COS’è UN PIC-NIC!”

Andrew scoppiò a ridere.

“Mi stai chiedendo di fare un pic-nic sul prato bagnato, al freddo?” Domandai.

I suoi occhi rotearono per un momento.

“Si...”

Rischiavo di prendermi una polmonite o di morire congelata, senza contare che avrei mangiato solo io, però...

“Ok...”

 

 

Ce l’ho fatta... Scusate il ritardo... Pant pant... Uffi, ora che è ricominciata la scuola ci metterò anni e anni ad aggiornare... Non è giusto... :’-(

Cmq...

Amarie: Hey ciao!!!!! Quanto tempo!! Non ti preoccupare! Spero tanto che ora il periodaccio sia finito... Cmq oh già, i cattivi hanno un certo fascino XD... Anch’io adoro Jess, soprattutto perché l’ho fatta ad immagine e somiglianza della mia migliore amica, sai? XD Eh, già, hai assolutamente ragione... W il carpe diem… Infatti mi sa che adesso Roxy ha passato la fase della crisi hihi... Grazie mille... Bacione

Ice Queen Silver: hola!! XD… No no, non avevo abbandonato la storia, solo che non avevo avuto tempo per mettere il primo cap e c’ho messo un sacco XD... Sono contenta che la storia ti piaccia! Mmmmmmmm... Me non può rivelare dettagli... Cmq non ti preoccupare il mistero verrà svelato... hihi... Glassie mille!! Bacione!!

Alla prossima ragazzuole!!

KISSONE

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Capitolo 15
*** Pic-Nic ***


Pic-Nic

 

“Mysterious
That's what I call You
I'm curious about You
I'm scared and not sure that You are safe
But Your eyes seem to say that You are good

This is not a dream that I'm living
This is just a world of Your own...”

Rebecca St. James - Lion

 

 

Chi me l’aveva fatto fare ancora non lo avevo capito...

Era da circa tre ore che stavamo scarpinando su da una collina, che sembrava molto più simile all’Everest, dato che la cima pareva non arrivare mai.

Sentivo che mi stava per prendere un crampo ad entrambi i polpacci contemporaneamente, ma, non so bene perché, continuavo imperterrita a camminare.

Probabilmente era la forza della rassegnazione.

“Siamo arrivati?” Mi lamentai con il mio compagno di viaggio, che, in confronto a me, sconvolta e dolorante, era fresco come una rosa.

Strozzarlo stava diventando un impulso irrefrenabile, ma l’unica cosa che mi trattenne dal farlo era che almeno stava portando il mio pranzo.

“Tra poco...”

Quella era stata la sua risposta anche un’ora prima, il che mi fece decisamente preoccupare.

“Cosa intendi per ‘poco’?” Piagnucolai.

Quella volta Andrew non rispose.

Lui aveva voluto trascinarmi in mezzo al nulla a piedi e ora lui ne pagava le conseguenze, ovvero le mie più che dovute lamentele.

Infastidirlo, in quel momento, mi avrebbe resa sicuramente molto felice.

“Andrew! Sto per svenire! E poi se svengo cado a terra, rotolo giù dalla collina e ti toccherà rincorrermi fino a valle. Sei sicuro di voler fare tutta questa fatica? Senza contare che poi mi ci porti tu all’ospedale! E poi vogliamo parlare dei sensi di colpa?”

Tentava di ignorarmi, ma io sapevo essere davvero insopportabile.

“Ho fame, ho fame, ho fame...” Incominciai a saltellargli intorno tirandolo per la camicia, ma lui, imperterrito, non faceva una piega.

La sua indistruttibile pazienza mi stava decisamente stufando.

Mi fermai, incrociando le braccia al petto: volevo vedere fino a che punto era in grado di arrivare.

Dopo circa cinque passi, sentì la mancanza delle mie lamentele e si voltò, nemmeno molto sorpreso di vedermi imbambolata lì.

Senza dire niente tornò indietro verso di me e mi prese in braccio.

“Che cavolo fai?” Urlai.

Ovviamente Andrew non si degnò di rispondermi, non che ce ne fosse bisogno.

“Soffro di vertigini! Facciamo un buco nel terreno! E se ti fai male ti arrangi, sappilo! Io non voglio saperne niente!”

Gli scappò un sorrisino.

“Guarda che ti vedo, sai?” Dissi, chiudendo gli occhi a due fessure.

Ad un certo punto smisi di dimenarmi, punto primo perché era inutile, punto secondo perché rischiavo davvero di cadere.

Beh, almeno non stavo più faticando. Adoravo averla vinta, anche se un po’ mi sentivo in colpa per l’ernia del disco che avrei causato ad Andrew.

Ripensandoci non me ne fregava niente.

Dopo qualche minuto, finalmente, ci fermammo vicino ad un albero e potei fortunatamente rimettere piede a terra.

“Ora, siamo arrivati” Disse, con una ‘lievissima’ nota sarcastica nella voce.

Lo guardai alzando un sopracciglio.

“Ah, ma allora parli!”

Fece finta che non avessi parlato, come aveva fatto nelle ultime ore, e si tolse lo zainetto dalle spalle.

Lo fissai, aspettando che stendesse la tovaglia, domandandomi perché diavolo mi avesse fatto andare fino a lì, visto che il panorama non era cambiato nel corso della scarpinata.

Uomini...

Intanto Andrew si era seduto sul telo, io mi avvicinai sbuffando per l’enorme fatica che avevo compiuto quel giorno, dato che il massimo del movimento che facevo, di solito, era da camera mia alla cucina e dalla cucina in camera mia.

Beh, non dimentichiamo il tragitto verso il bagno, poi.

Comunque, mentre mi avvicinavo, Andrew mi sorprese, afferrandomi una mano e tirandomi verso di lui.

Con la mia solita ed innata grazia gli caddi addosso. Però quella volta non era stata colpa mia, sia chiaro.

Scoppiammo a ridere, mentre io mi trovavo sopra Andrew in una posizione un tantino equivoca, ma lui non mi lasciò alzare.

Per i successivi cinque minuti fummo occupati, fino a quando il mio stomaco non brontolò rumorosamente.

“Oh già, io avevo fame...” Guardai l’ora. Le 16:00.

Ah ecco perché.

Tirai fuori un panino dalla borsa.

“Ora io mi domando... Perché mi hai portata fino qui?”

Incominciai a mangiare avidamente.

“Vedrai...”

“Devo preoccuparmi?”

Mi fece un mezzo sorrisino che ebbe un brutto effetto sulla mia condizione mentale.

“Attenta che tra un po’ ti esce la bava...”

Lo fulminai con lo sguardo, progettando di creare un badile portatile in tinta con i miei vestiti, da tenere sempre con me per evenienze come quelle.

Finii alla svelta il mio panino, rimanendo in silenzio, con aria offesa ed ignorando le sue scuse.

“Ti perdonerò solo quando ti prostrerai ai miei piedi, strisciando su una gamba sola...”

Affermai alla fine.

“Su una gamba sola?”

“Precisamente” Annuii.

Andrew sorrise, ma non rispose. Così calò nuovamente il silenzio.

Fino a quando non mi venne un’idea geniale.

Non riuscii a nascondere un sorrisetto di trionfo ancora prima dell’attuazione del mio piano. Andrew si accorse della strana luce che era passata nei miei occhi e mi fissò spaventato.

Mi stampai un’espressione maliziosa sulla faccia e mi misi a gattonare verso di lui.

Mi sentivo un’emerita deficiente, però, alla fine, era divertente vedere la sua faccia in preda al panico.

Mi fermai quando le nostre facce si trovarono a qualche millimetro di distanza, dopo di che deviai l’obiettivo e mi diressi verso la guancia, su cui stampai qualche breve bacio.

Molto probabilmente Andrew pensava che fossi partita di testa, però abboccò all’amo e, senza tanti complimenti, rimediò a quella che era potuta sembrare una mia indecisione.

Dopo qualche minuto, io sorrisi trionfante.

“Beh, devo dire che hai resistito addirittura tre secondi...” Lo scimmiottai.

“Questa me la paghi!” Mi minacciò.

Gli spettinai i capelli. “Non ti preoccupare, sei solo un maschio! È una cosa normale...”

“Già, ma forse mi sono dimenticato di informarti della mia quarta buona ragione...”

Mi diede un bacio sulla punta del naso.

“E quale sarebbe, di grazia?” Quel giochetto mi stava iniziando a piacere.

“Io conosco il tuo punto debole”

Ok, come non detto.

“Io non ho punti deboli, lo sai che sono praticamente perfetta!”

“E poi ero io quello modesto...” Sbuffò Andrew, alzando gli occhi al cielo.

“Sto aspettando...” Ripresi il discorso.

“Il solletico...”

A quella parola, schizzai in piedi e cominciai a correre, sicura di aver già perso in partenza.

Infatti neanche dieci secondi dopo, ci ritrovammo nuovamente per terra a ridere come due idioti, io per il solletico e lui perché evidentemente era sadico.

Ad un certo punto Andrew decise che forse ne avevo già avuto abbastanza, anche perché rotolarsi nell’erba gelata come un cane non era proprio la nostra massima aspirazione, e si mise a togliermi i fili di erba che si erano attorcigliati sui miei già disastrosi capelli.

All’improvviso mi prese una fitta allo stomaco, non di dolore. Non sapevo come spiegarmelo. Poi mi mancò il respiro per circa un secondo, durante il quale ebbi come una sottospecie di visione come qualche settimana prima (N.d.A. capitolo 7 . Searches) nella quale mi apparve l’albero sotto cui ci eravamo sistemati poco prima e sentii una mano poggiata sulla mia guancia.

Dopo di che sbattei le palpebre più volte e trovai Andrew che mi chiamava preoccupato.

“Roxy, stai bene? Sei pallida...”

Mi toccai distrattamente una guancia, accorgendomi che non c’era nessuna mano sopra.

“S-si sto bene...” Balbettai “è solo che...”

Andrew aggrottò le sopracciglia, dubbioso.

“No, niente è che mi era sembrato che...”

La mano di Andrew sfiorò impercettibilmente la mia e mi ritrovai nuovamente proiettata sotto l’albero. Quella volta tutto fu più limpido.

Sentii la mia bocca allargarsi in un sorriso, mentre guardavo una piccolissima incisione sul tronco.

Di nuovo tornai al presente, rendendomi conto che mi stava scendendo lentamente una lacrima sulla guancia. Incominciai a respirare affannosamente, lottando contro l’ondata di panico che mi stava assalendo.

“Roxy, cos’hai?”

Mi alzai in piedi e barcollai fino all’albero, dopo di che mi chinai alla ricerca di quell’incisione.

E la trovai.

Raffigurava un cuore con all’interno incise le lettere “A+C”.

“Che cosa c’è?”

Raccontai cos’era successo, cercando di cogliere qualsiasi cambio di espressione di Andrew, il quale, ovviamente, adottò la tecnica della ‘faccia di marmo’.

“Come è possibile?” Chiese, alla fine della storia, guardando il tronco dell’albero.

La cosa negativa era che non conoscevo la risposta, quella positiva era che la sua domanda sembrava sincera.

“Non ne ho la più pallida idea!”

Le dita di Andrew corsero a toccare quella piccola scritta.

La A. poteva stare per Andrew. Il problema era che come facevo io a vedere quelle cose?

All’improvviso mi venne un’intuizione un po’ stupida, però poteva essere quasi una spiegazione.

“Eh se io fossi una sottospecie di medium? Hai presente? Quelle donne che riescono a parlare con i fantasmi e a rievocare i loro ricordi...”

Andrew alzò un sopracciglio, evidentemente la mia idea non era molto plausibile, però, se esistevano i fantasmi non capivo perché non potessero esistere anche i medium.

“Potrebbe essere, in effetti...”

Quella volta, mi accorsi che stava mentendo e, molto probabilmente, lo faceva per sviarmi da qualcosa che lui sapeva ed io no.

“Andrew...”

Distolse lo sguardo dal tronco dell’albero.

“Chi è C.?”

Mi guardò come se avessi fatto la domanda più stupida del mondo.

“Non lo so!” Esclamò.

Dal suo tono sembrava sincero, quindi i fatti erano due: o quella era la verità o era un attore da Oscar.

“Credi che potrebbe essere la ragazza che ti ha dato il ciondolo?”

Andrew sfiorò l’oggetto di cui stavamo parlando distrattamente, come soprappensiero.

“Non lo so...”

Ma si era incantato il disco?

“Va bene, ammettiamo che quello che penso io sia vero, cioè che A. sia tu... Mi hai portata qui apposta?”

Andrew scosse la testa.

“Non lo sapevo” Disse indicando l’incisione. “Non ricordo niente.”

Su questo io avevo molti dubbi, ma preferii non dare aria alla bocca con inutili domande alle quali Andrew non avrebbe mai dato una risposta.

“D’accordo, mi sono accorta di una cosa... Queste sottospecie di ‘visioni’ avvengono quando...” Mi vergognavo a dirlo ad alta voce.

“Quando...?” Ridacchiò Andrew.

Sbuffai.

“Baciami” Sussurrai.

“Eh?”

Lo fissai: sapevo che aveva capito.

Mi accarezzò una guancia, poi lui mi baciò esattamente come aveva fatto il giorno prima (N.d.A. capitolo 12 – Doubt).

Fu la stessa identica sensazione di ogni volta, quell’emozione a cui avevo paura di dare un nome.

“Lo senti anche tu?” Gli domandai dopo.

Lui si limitò a fissarmi.

“Questa è una delle cose che non posso dirti.” Rispose, poco dopo.

“Perché?”

Si limitò a prendere la mia mano e ad appoggiarla prima sul mio petto, all’interno del quale sentii il battito deciso del mio cuore, poi fece lo stesso sul suo, nel quale non sentii niente.

“Non è un motivo plausibile, lo sai... Anche se il cuore non ti batte in petto non significa che tu non ce l’abbia...”

Andrew non fece una piega.

“Sai sono stata poeta, in una delle mie vite...”

“Ah, ecco...” Sorrise.

Beh, almeno non era più triste.

Ci mettemmo sdraiati a fissare il cielo e, ben presto, il pallido sole tramontò.

“Era per questo che ti ho portata qui...” Sussurrò Andrew, quasi per non disturbare quello spettacolo magnifico, mentre guardavamo incantati l'orizzonte.

“Roxy...”

Volsi lo sguardo verso di lui, perché il suo tono non mi era piaciuto per niente.

“Che c’è?” Domandai spaventata.

Aprì e richiuse la bocca. Non lo avevo mai visto così indeciso da quando lo conoscevo.

Mi prese una mano.

Ok, cominciavo decisamente a preoccuparmi.

Mi trafisse con uno dei suoi soliti sguardi di ghiaccio che mi toglievano il respiro.

No, non ero pronta. Perché mi faceva questo?

Si avvicinò impercettibilmente a me.

Sentivo di stare per morire.

“Ti amo...”

Mi baciò per qualche secondo.

Deglutii a fatica. Dannazione!

“Anch’io ti amo...”

Oddio, no! Io non lo amavo... L’amore era troppo riduttivo in quel momento.

Mi accarezzò una guancia, sorridendomi, e io sentivo che presto o tardi sarei morta di una morte lenta e troppo, troppo piacevole.

Ci baciammo di nuovo, e ancora.

Fino a quando il sole tramontò definitivamente.

 

Il ritorno non era stato così faticoso come l’andata, però era stato più silenzioso.

In effetti avevamo tutti e due un po’ di cose su cui riflettere, anche se non erano pensieri del tutto piacevoli.

Punto primo: volevo assolutamente capire che cosa diavolo stesse succedendo, quindi tentavo di trovare un filo logico tra tutte le mie sottospecie di visioni, ma, per quanto mi sforzassi, non riuscivo ad arrivare ad una conclusione anche solo lontanamente plausibile.

Punto secondo: ero ancora frastornata: Andrew mi aveva detto qualcosa che non avrebbe dovuto dire! Insomma, ora era davvero una cosa seria. Non che prima non lo fosse, però...

Andrew notò il mio stato d’animo, così mi diede un buffetto su una guancia.

“Non ti preoccupare per quello che è successo oggi...”

Mi cinse i fianchi con il braccio, mentre ci dirigevamo finalmente a casa mia, e poi continuò.

“Anche se le tue teorie fossero vere, a me non interessa sapere nulla del mio passato... Ora sei tu l’unica cosa che conta per me...”

Il mio cuore fece un salto mortale e, come ogni dannatissima volta, Andrew non poté nascondere il suo solito, fastidioso sorrisetto.

Annuii poco convinta, facendo finta che lui non avesse notato il mio lieve cambio di emozioni.

Quando poco dopo arrivammo a casa, ero decisa a farmi una bella doccia rilassante, che mi schiarisse le idee, e a non seguire il consiglio di Andrew: dovevo arrivare alla soluzione.

Quindi, dopo averlo informato della prima parte delle mie intenzioni, mi fiondai in bagno, augurandomi che Andrew non si mettesse a fare danno nella mia stanza.

Feci il più in fretta possibile, infatti ci misi circa tre quarti d’ora: un record per me.

Però, sotto il getto d’acqua calda, non ero riuscita a pensare ad altro che a quel momento così magico al tramonto e a quelle due paroline, che forse aspettavo da un po’...

Tornata in camera, trovai Andrew seduto sul mio letto che guardava qualcosa di sospetto.

Oddio.

“Che stai facendo?” Sibilai tra i denti.

Andrew non mi degnò nemmeno di un’occhiata e continuò imperterrito a sfogliare il mio album di foto. Ad un certo punto, mentre decidevo se strozzarlo o no, si mise a spostare lo sguardo ad intermittenza tra me e una pagina.

“Chi è lei?” Domandò indicando una ragazza su una foto molto vecchia.

Mi avvicinai per vedere meglio.

“Ah, quella è mia madre quando era giovane.

“Ti assomiglia...”

Alla fine, mi accomodai anch’io sul letto e mi misi a descrivergli le persone nelle foto e le situazioni in cui erano state scattate.

“Eri una bella bambina, sai?”

“Si, poi sono cresciuta ed è stata la mia rovina...”

Non lasciai ad Andrew il tempo di rispondere, perché indicai una foto ed esclamai.

“Questa è Jess! Sei proprio sicuro di volerla conoscere? È pazza...”

“Non ti preoccupare, tanto sono già abituato con te!”

Non aveva tutti i torti, però lui non aveva mai parlato con la mia migliore amica.

“Lei è peggio, fidati...”

Dopo aver spaventato Andrew con queste parole, voltammo pagina ed io continuai a raccontare praticamente la storia della mia vita, accompagnata dalle foto dell’album, un album che, però, per il momento, non includeva ancora una cosa.

La più importante.

 

 

Eccomi qui!! Dopo 2 settimane ce l’ho fatta! Quasi non ci credo!! Mamma miaaaaa... Prometto che entro domenica prossima aggiorno, mi ci metterò di impegno! ^^

Ice Queen Silver: Hola! Uffi mi dispiace di essere così lenta, odio quella stupida scuolaaa!!! Ma adesso cercherò di fare più in fretta, anche se non prometto niente... Eh già, adesso le cose si stanno facendo ancora più complicate!! Ma, si sa, la verità, alla fine, viene sempre a galla, presto o tardi. Intanto godiamoci questo dolsce fantasmino (io amo il mio Andrew!!!) XD XD. Kiss!!

Beneeee spero che anche questo capitolo sia di vostro gradimento!

Un enorme bacio a tutti!

Mallow

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Capitolo 16
*** Instinct ***


Capitolo 15

Instinct

 

“Find Me Here, Speak To Me
I want to feel you, I need to hear you
You are the light That's leading me to the place
where I find peace, again.

You are the strength, that keeps me walking.
You are the hope, that keeps me trusting.
You are the light, to my soul.
You are my purpose, you're everything.
And how can I stand here with you and not be moved by you?
Would you tell me how could it be any better than this?

Cause you're all I want, you're all I need
You're everything”

Lifehouse - Everything

 

 

“Ti amo...”

Stava succedendo di nuovo: quella volta ero consapevole di stare sognando, ma non potevo evitare quello che sarebbe successo.

Non ebbi nemmeno il tempo di rispondere, perché improvvisamente ogni cosa divenne buia, esattamente come le altre volte.

La voce che avevo sentito poco prima se ne andò insieme alla persona che aveva pronunciato quelle parole, senza che io riuscissi a capire chi fosse.

Di nuovo mi ritrovai da sola.

Mi rannicchiai a terra, terrorizzata da ciò che sarebbe accaduto di lì a poco. Qualche secondo dopo, infatti, mi ritrovai circondata per l’ennesima volta da quel calore insopportabile.

“Roxy!”

Aprii violentemente gli occhi, trovandomi davanti quelli di Andrew che mi scrutavano preoccupati.

“Stai bene?”

Mi accorsi solo in quel momento di stare ansimando.

Ringraziai mentalmente Andrew per avermi salvata da quell’incubo che oramai continuava a perseguitarmi da troppo tempo, poi cercai di annuire, anche se non mi riuscii molto bene.

“Hai fatto un brutto sogno?”

Ero ancora in stato di shock, però finalmente riuscii per lo meno a sillabare qualcosa.

“S-si...”

Mi misi a sedere, con la schiena appoggiata alla testiera del letto e, qualche secondo dopo, Andrew fece lo stesso.

Strinsi le ginocchia attorno al mio petto, cercando di riportare alla mente quanto più possibile riuscivo a ricordare di ciò che avevo appena visto.

Per quanto la cosa potesse sembrare impossibile io ero certa che quei sogni c’entravano con le mie “visioni”, e quindi anche con Andrew, però non riuscivo a dare loro un senso e, soprattutto, non riuscivo a capire perché capitassero proprio a me.

Mi sentivo addosso lo sguardo indeciso di Andrew, mentre riflettevo se riferirgli o meno il contenuto del mio incubo.

“Roxanne...?”

Per quando mi sforzassi non riuscivo a calmarmi, anche se, oramai, stava scomparendo dalla mia mente ogni dettaglio del sogno, per fortuna. O forse no.

All’improvviso il solito vuoto allo stomaco mi assalì, tanto forte che non riuscii a evitare di tossire.

Andrew mi afferrò le mani per tentare di calmarmi, ma, non appena lo fece, il dolore aumentò e le uniche due parole che avevo sentito pronunciare nel mio sogno mi rimbombarono violentemente nella testa.

Mi ritrassi di scatto lontano da lui.

Stava succedendo di nuovo e io non sapevo come evitarlo.

Non sapevo chi dei due fosse più terrorizzato in quel momento, ma, fortunatamente Andrew si riprese molto prima di me: non disse una parola, scese dal letto e si mise nell’angolo della stanza più lontano a me.

Continuavo a fissarla ipnotizzata, con la vana speranza che forse se fossi riuscita a concentrarmi su qualcosa non sarei stata invasa dai ricordi di qualcun altro, ma appena vidi come lui guardava me, mi pentii di avere scelto proprio lui come soggetto: c’era come una tristezza talmente acuta che io non riuscivo nemmeno ad immaginare.

Intanto lui rimase lì, con lo sguardo rivolto alla finestra per quella che a me parve un’eternità, ma probabilmente non furono altro che pochi minuti.

“Andrew?”

“È colpa mia...”

Non era una domanda, era una pura e semplice affermazione, che, per quanto mi sforzassi, non riuscivo a confutare.

“Vieni qui...”

Oramai ero riuscita a riprendere a respirare quasi normalmente e, se mi fosse dovuta venire un’altra “visione”, probabilmente, sarebbe arrivata prima, quindi potevo considerarmi ‘fuori pericolo’. In quel momento c’era una sola persona che volevo, ma evidentemente lei non riusciva a capirlo, o, più probabilmente, tentava di aiutarmi.

“Ti prego...”

Mi guardò implorante, come se preferisse che gli dessi ragione dandogli la colpa di quello che era successo oppure che mi arrabbiassi con lui, ma non potevo assolutamente fare una cosa del genere.

Evidentemente non mi conosceva ancora tanto bene.

Così, con fare deciso, mi alzai e mi avvicinai io.

Mi fermai davanti a lui e allungai titubante la mia mano verso la sua, tanto per essere sicuri che non accadesse niente, però non ebbi il tempo di provare, perché Andrew scostò il braccio, non appena stavo per sfiorarlo.

Sbuffai rumorosamente, tentando di fargli capire che stavo decisamente perdendo la mia già limitata pazienza. Rifeci la stessa cosa e, quella volta, Andrew stette fermo.

Lo toccai e, fortunatamente, non successe niente. Tirammo entrambi un sospiro di sollievo.

“Non è colpa tua, non dipende da te...” Tentai di rassicurarlo.

Scosse la testa, come se non volesse stare a sentire le mie ragioni.

Cercare di convincere un muro sarebbe stato decisamente più facile.

Sospirai e lo fissai negli occhi, in modo che anche lui fosse costretto a fare lo stesso.

“Non so cosa stia succedendo, ma ho intenzione di scoprirlo, tu cosa credi...?”

A quelle parole Andrew spalancò gli occhi e urlò. “No!”

Quella reazione mi colse del tutto alla sprovvista. Cosa intendeva dire esattamente con ‘no’?

Dopo qualche secondo di titubanza gli domandai lentamente “Perché no?”

E come ogni santissima volta lui rimase in silenzio.

Decisi che il limite della mia pazienza era stato abbondantemente sorpassato.

“Andrew! Dannazione! Per favore, puoi dirmi la verità una volta tanto?”

Avevo un tantino alzato il tono di voce, ma non mi importava: era il momento di finirla con tutte quei segreti.

Scosse nuovamente la testa.

“Ho paura...”

Eh?

“Paura?”

“Si, paura che se scoprirò la verità dovrò andarmene lontano da te...” Distolse lo sguardo verso la finestra.

“Allora credi che tutto questo c’entri con te?”

Annuì.

Forse come motivazione potevo accettare questa sua ultima affermazione: sicuramente nemmeno io volevo che lui se ne andasse. Però non capivo il motivo per cui non avesse voluto dirmelo prima, di sicuro sapeva che io avrei capito.

Evidentemente c’era dell’altro e la cosa non mi sorprese per niente.

“Anch’io ho paura... Di non poter controllare queste... Cose... Io voglio solo sape...”

Andrew mi afferrò le braccia e mi fece fare un mezzo giro su me stessa spostandomi con la schiena contro il muro e tanendomi immobilizzati entrambi gli arti superiori.

Il suo sguardo aveva qualcosa di strano che mi spaventò.

“Roxanne...” Parlò lentamente, ma con voce dolce, per niente arrabbiata, quasi per compensare quel suo atto così avventato e privo di senso.

Intanto il mio cuore batteva all’impazzata sia per la paura, che, per quanto cercassi di autoconvincermi che quel terrore era insensato, non se ne andava, sia per la sua vicinanza. Mi fissò con il suo sguardo carico di qualcosa che non avevo mai visto in lui. Evidentemente nemmeno io lo conoscevo troppo bene. Comunque, come al mio solito, non riuscivo a difendermi da Andrew, in nessun modo: ero completamente alla sua mercè.

“Tu non vuoi che io ti abbandoni... Io so che mi ami... Io so esattamente quello che provi, conosco ogni tuo sentimento, ogni tua emozione, vedo passare tutto nei tuoi occhi. Sento ogni minimo cambiamento di battito del tuo cuore. Io ti conosco meglio di chiunque altro e, per qualche assurdo motivo, ti conoscevo anche prima di incontrarti. Non stavo aspettando altri che te... Non ho più il mio cuore perché sono sicuro che batta nel tuo petto.”

Dopo di che si avvicinò pericolosamente e, a un soffio si labbra dalle mie sussurrò

“Tu sei mia, adesso...”

Io ero pietrificata dall’intensità di quello che aveva appena detto tanto che non proferii parola, ma, fortunatamente, non ce ne fu bisogno, perché ben presto quella futile distanza fra noi venne colmata.

 

Mi svegliai con un forte mal di testa, ma non avevo voglia di aprire gli occhi. Notai che la solita luce che inondava camera mia la mattina non c’era: doveva essere molto presto.

“Andrew...” Fu il mio primo pensiero quel mattino, perché, per qualche strana ragione avevo un brutto presentimento.

Piano piano riaffiorarono alla mia mente tutti i ricordi della nottata: di come Andrew era riuscito a distogliermi da tutti i miei intenti e di come aveva distrutto ogni cosa solo per mezzo di una semplice frase. A questi ricordi, mi costrinsi ad aprire gli occhi e mi accorsi con grande delusione di essere sola.

Mi tirai a sedere di scatto, colpita da un’angoscia che quasi mi mozzò il respiro, mentre il mio sguardo indagatore vagava per tutta la stanza in cerca della persona tra le cui braccia mi ero addormentata.

Poi una mano accarezzò la mia. Sobbalzai, sorpresa, poi voltai la testa e lui era lì, seduto accanto a me.

Avrei anche dovuto spiegargli che, se voleva evitare che un infarto prematuro mi cogliesse, doveva smetterla di apparire improvvisamente vicino a me. Ma, probabilmente, quello non era il momento giusto per affrontare quel tipo di discorso.

“Scusa, non volevo spaventarti... Stai bene?”

Accarezzò la mia guancia.

“Si...”

Abbassai lo sguardo.

Un momento di imbarazzo mi colse impreparata: era impossibile non notare la freddezza nel suo sguardo e nei suoi movimenti.

“Dov’eri?”

L’unica risposta che ottenni fu un sospiro, dopo di che Andrew fece per alzarsi dal letto, ma io gli afferrai una mano.

In pochi secondi Andrew mi afferrò i polsi e mi fece sdraiare sul letto, con poca gentilezza. Tenendomi stretta in quella morsa, lui si teneva con il busto sollevato sopra il mio.

Mi fissò con un intensità tale che io non riuscii più a fare niente, indifesa come ero.

Il silenzio inondò violentemente la stanza, tanto che riuscivo indistintamente a sentire il battito del mio cuore e il mio respiro.

“Tu hai paura di me...”

“P-perché ti comporti così?”  Singhiozzai, senza riuscire a trattenere le lacrime, che, inesorabili, scorrevano calde sulle mie guance.

“Perché, anche se non vuoi saperlo, io devo farti sapere quello che sento...”

“Io voglio saperlo... è questo...” Feci voltare le pupille intorno a me “quello che senti?”

“Io... Io sento qualcosa che non riesco a fermare, qualcosa che devo tenere a freno... Qualcosa che ora non sto controllando. È come un’emozione incontrastabile che mi tiene legato a te. Indissolubilmente.” La sua voce divenne quasi un soffio “Qualcosa che ieri è uscito fuori... E ti ha spaventata...”

Quasi concorde alle sue parole il mio battito non accennava a diminuire.

“Io... Credi che non ci abbia pensato? Credi che non abbia le tue stesse paure? Eppure tu ho quasi costretta ad ammettere i tuoi sentimenti, io... Non ti ho lasciato scelta...” Tirava fuori ogni parola con fatica, lentamente, quasi come se cercasse quelle più adatte da dirmi.

“E la cosa terribile è che non ho intenzione di farlo... Il problema è che io non posso nemmeno immaginare di stare senza di te…” Sospirò e guardò altrove “Non posso…”

“Andrew...”

“è quella parte di me che non vuole permetterti di allontanarmi da te.. è quello che mi spinge a... Io non ci riesco.” Incominciò ad accarezzarmi lentamente una guancia.

“Io non voglio allontanarmi da te...” Tentai in qualche modo di rassicurarlo perché vedevo quanto grande fosse la sua sofferenza in quel momento.

“Lo so...” Quasi sorrise “Non piangere...”

Annuii, anche se non sapevo come mantenere la mia promessa.

“Quello che ti ho detto ieri... è la verità... Lo sai...”

Di nuovo risposi di si.

“Mi dispiace, non volevo...Non voglio” Si corresse “essere brusco...” Ammise, alla fine.

Non volevo che si scusasse. Io riuscivo a capire quello che sentiva, perché era la stessa cosa che provavo io.

“Non chiedermi scusa...”

L’idea che si rimangiasse le cose che mi aveva detto mi terrorizzava.

A seguito delle sue parole, Andrew tentò di scostarsi dalla sua posizione, liberandomi i polsi, ma io riuscii a trattenerlo.

“Io... Ho bisogno di te più di qualunque altra cosa, Roxanne...” Mi baciò sul collo, teneramente.

“Anch’io...”

“Sei davvero sicura della tua scelta?” Tornò a fissarmi negli occhi.

“Non sono mai stata più sicura di qualcosa in vita mia, anche se tu non mi avessi messo alle strette, diciamo... Non ce l’avrei fatta... Era solo questione di tempo...”

“Prima che tu ti lasciassi andare...” Terminò la mia frase.

Ora ne ero assolutamente certa: capivo ciò che sentiva.

Appoggiai la mano che lui aveva liberato dalla stretta sul suo petto.

“Sento... Sento di avere bisogno di stare con te, ma so anche che questo è sbagliato. Mi fa impazzire... Tu mi fai impazzire!”

Detto questo, Andrew avvicinò le sue labbra alle mie e io mi aggrappai al suo collo, mentre lui mi tirava su a sedere con le sue braccia, tenendomi abbracciata stretta a lui.

“Oh, io sono già pazza... Però hai ragione: non riesco a resisterti, è inutile...” Riuscii a balbettare, poco dopo.

Andrew rise piano, per non interrompere l’intensità del momento.

Dopo di che appoggiò la sua testa sulla mia spalla e rimase così, immobile. Io fui un po’ stupita di quella strana azione: non lo avevo mai visto così vulnerabile, però non riuscii a resistere dal tenerlo stretto a me e a cullarlo come se fosse un bambino.

“Sento il tuo cuore, lui batte anche per me, ricordatelo...”

Annuii.

Era strana per me quella conversazione, credevo che Andrew fosse uno di quei ‘ragazzi’ che sanno esattamente cosa vogliono: non avevo ancora scordato il modo in cui mi aveva convinta a stare con lui. Invece, avevo appena scoperto che provava una sottospecie di desiderio morboso nei miei confronti.

In effetti un po’ la cosa mi preoccupava, ma soprattutto nei suoi confronti.

“Roxanne... Vuoi dormire ancora un po’...”

In effetti avevo sonno, però non ero sicura di voler tornare nel mondo dei sogni, anche perché sapevo che non sarei riuscita a chiudere occhio. Però con un po’ di riposo, forse...

“Non... Riesco a riflettere, se tu stai così vicino a me.”

Mi pentii quasi subito di quelle parole avventate, perché Andrew mi lasciò andare dal suo abbraccio di ferro.

“No!” mi aggrappai con tutte le mie forze al suo collo “Non voglio riflettere...”

Sorrise, con le labbra di nuovo vicinissime alle mie.

“Meglio così.”

Già, probabilmente aveva ragione.

Ci sdraiammo di nuovo sul letto, io rimasi a fissarlo per un po’, mentre lui faceva lo stesso, accarezzandomi i capelli.

“Scusa...”

Scossi la testa, per fargli capire che la cosa non aveva importanza. Anche se non riuscivo ancora a togliermi dalla testa lo sguardo che aveva poco prima.

“Adesso ti stai trattenendo?” Gli domandai.

“No... Non è una cosa che mi capita sempre... è la tua vicinanza...” Cercava le parole adatte per tentare di spiegarmi cosa stesse provando, ma evidentemente era troppo complicato.

Forse non avrei capito fino in fondo, però ero sulla buona strada.

Esiste qualcosa che ci fa fare cose che non ci saremmo mai aspettati, qualcosa che, a volte, non riusciamo a fermare, qualcosa a cui ogni tanto è meglio dare ascolto.

Si chiama istinto.

Ed io il mio lo avevo ascoltato anche troppo bene.

Non capivo bene il motivo, probabilmente era la tensione accumulata fino a quel momento, ma mi misi a piangere, senza nemmeno accorgermene.

Andrew mi baciò le guance, stringendomi a sé.

“Non piangere...”

“O-ok...”

“Chiudi gli occhi... Veglierò io su di te...” Bisbigliò.

Dopo di che si sporse verso il comodino, probabilmente per afferrare qualcosa, ma, dal tonfo e la seguente imprecazione che sentii, doveva aver calcolato male le distanze.

Ridacchiai, ma il sorriso mi morii sulle labbra, non appena Andrew si girò verso di me: era terrorizzato.

Mi spaventai, senza nemmeno sapere il perché, ma la risposta alla mia paura arrivò presto. Spostai il mio sguardo sulla sua mano e quasi mi sentii mancare.

Dopo di che una goccia di sangue cadde sul mio letto.

 

 

D’accordo... Mi sto ancora domandando cosa mi sia saltato in mente... Mamma mia...

Mah, lasciamo perdere che è meglio. Sto capitolo è indefinibile... Chiedo già scusa!

Amarie: don’t worry, cara! Ti capisco, con sta maledetta scuola non si ha il tempo di fare niente… Uffa! Cmq credo di stare complicando un tantino le cose... Uauauaua, giusto per la cronaca, io adoro le cose complicate, non so se si era capito... Cmq grazias muchos, sono contenta davvero molto che la mia storia ti appassioni ^^

Alla prossima (spero di muovermi...)

Un bacione.

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Capitolo 17
*** Luna Park ***


CAP.16

LUNA PARK

 

“See the mirror in your eyes;
See the truth behind your lies
Your lies are haunting me
See the reason in your eyes
Giving answer to the why:
Your eyes are haunting me
Falling in & out of love
in love, in love”

 

Armin van Buuren - In and Out of Love (Feat. Sharon den Adel)

 

 

“Mi spaventai, senza nemmeno sapere il perché, ma la risposta alla mia paura arrivò presto. Spostai il mio sguardo sulla sua mano e quasi mi sentii mancare.

Dopo di che una goccia di sangue cadde sul mio letto...”

(Cap.15)

 

Aprii lo scaffale del bagno, cercando di controllare il tremito che ancora percorreva il mio braccio, dopo di che afferrai i primi cerotti che mi capitarono sotto mano.

Presi un respiro profondo e mi voltai verso Andrew, appoggiato alla parete del muro con uno sguardo che riempiva il mio cuore di nuova angoscia.

Mi avvicinai a lui, quasi con il timore di toccarlo, ma mi accorsi ben presto che sembrava non si accorgesse della mia presenza. Teneva lo sguardo fisso verso qualcosa che non mi presi nemmeno la briga di identificare.

Afferrai la sua mano e mi misi a disinfettare la ferita delicatamente, cercando di farla sembrare una cosa di naturale.

Naturale.

Che cosa intendevo per ‘naturale’, oramai?

Era ‘naturale’ stare insieme ad un fantasma? Era ‘naturale’ che questo sanguinasse? Era ‘naturale’ che in quel momento io lo stessi curando?

Decisamente no.

Gli applicai velocemente il cerotto, dopo di che rimisi tutto in ordine lentamente, con la vana speranza che il mio cervellino riuscisse a trovare qualcosa da dire.

Non ti preoccupare?

Decisamente stupido.

Non è niente di grave?

Beh se quello non era da considerarsi grave, allora...

D’accordo, è ufficiale: non sono in grado di consolare le persone. È inutile, qualunque cosa dica sembra una stupidaggine.

Probabilmente perché lo è.

Senza nemmeno accorgermene ero rimasta a fissare Andrew, che, improvvisamente si era ricordato della mia presenza.

Mi prese le mani e mi attirò verso di sé, dopo di che mi fissò negli occhi.

“Ti amo, lo sai vero?”

Alzai un sopracciglio.

“Scusa, ma che c’entra?”

Scosse la testa e mi baciò.

Già, una risposta alquanto esauriente.

“Mmmm ma noi non avevamo un appuntamento?” Mi domandò poco dopo.

“Che??” All’improvviso mi ricordai di una ragazza, con capelli castani, occhi scuri e in mano un badile che mi rincorreva per essermi dimenticata di lei.

“Porca miseriaaaa!!!” Mi precipitai in cucina a vedere l’ora: le 13.27.

Mi resi conto che, in verità, non era mattina presto, come avevo dedotto dal fatto che il sole non fosse sorto. Ma quando mai c’è un po’ di sole in Scozia?

A volte mi stupivo delle mie capacità mentali.

“Oddio!!” Piantai un urlo e mi misi a correre avanti e indietro per la casa, continuando a ripetere che era tardi, sotto lo sguardo basito e divertito di Andrew.

“Tu sei completamente fuori di testa!”

Ignorai questo commento, anche se ero perfettamente d’accordo con lui.

Ad un certo punto, però, mi fermai e lo guardai seria.

“Sei sicuro che...” Indicai la sua mano e tossicchiai, senza la ben che minima idea di come proseguire la frase.

Andrew scosse la testa.

“Non ti preoccupare...”

Ok, perché lui stava tentando di rassicurare me? C’era qualcosa che non andava, ma se era lui a non volerne parlare, di sicuro non sarei stata io a riprendere il discorso.

Anche se tutto ciò mi pareva strano perché probabilmente stava a significare che, tanto per cambiare, quel ragazzo la sapeva più lunga di quanto sembrasse.

Ma avevo fatto una promessa e avevo intenzione di mantenerla.

Annuii, assumendo un’aria convinta. Evviva le mie doti ingannevoli.

Stavo tentando in tutti i modi di ignorare ciò che era successo poco prima, ma non potevo negare di essere molto turbata.

Il fatto di non riuscire a capire che diavolo stesse succedendo mi rendeva nervosa.

Che mi stesse mentendo sulla sua natura, era da escludere, perché avevo visto con i miei occhi quel ragazzo attraversare più volte i muri, quindi, a meno che non fossi sotto l’effetto di sostanze allucinogene, ero sicura che Andrew mi avesse detto la verità.

Almeno su quello.

Eppure dal suo sguardo si capiva che era preoccupato e che era rimasto turbato e sconvolto come me da quella situazione.

Però ero certa che ci fosse qualcos’altro

Dannazione! Avevo bisogno di sapere!

Mentre mi rodevo nella mia curiosità, mi ero cambiata e preparata nella mia stanza.

Appena ebbi finito, Andrew entrò disinvolto. Mi domandavo come diavolo facesse a capire sempre quando poter entrare.

Mi venne improvvisamente il sospetto che forse Andrew possedesse la vista a raggi x.

Impallidii al solo pensiero e lui mi guardò preoccupato.

“Dimmi...” Incominciai con aria innocente “Tu che ne sai di superman?”

Sollevò un sopracciglio.

“Oramai non mi sorprendo più delle cose che dici... Peggio di così”

“Che cosa intendi dire, scusa??”

Maledetto ingrato che non era altro.

Scrollò le spalle.

“Come osi rivolgerti a me in questo modo?” Gli urlai contro, tentando di trattenere una risata.

“Oh, ha ragione, sua maestà, potrebbe cortesemente scusare la mia così inopportuna ironia?”

Gli tirai uno scappellotto mentre Andrew si avvicinava a me cingendomi i fianchi, con un sorrisino che non prometteva niente di buono.

“Mmm ci dovrei pensare… Magari potresti essere un po’ più convincente...”

Beh, dovevo ammettere che con Andrew non bisognava essere particolarmente insistenti.

Nel giro di qualche secondo ci ritrovammo, ancora non ho capito bene come, sul mio letto.

Ad un certo punto mi ricordai che effettivamente noi avevamo un appuntamento. Ed eravamo già in ritardo, quindi piantai un urlo, giusto per staccarmi Andrew di dosso.

Non che la cosa mi facesse molto piacere.

“Che c’è???” Si tirò a sedere di scatto, muovendo la testa a destra e a sinistra come se stesse cercando il motivo della mia improvvisa preoccupazione.

Si volse di nuovo verso di me con aria interrogativa e io sorrisi innocente.

“Siamo in ritardo...”

Con l’aria di chi volesse commettere un omicidio, Andrew mi lasciò scendere dal letto, mentre io, preoccupata che il suo obiettivo fossi io, mi slanciai velocemente davanti allo specchio e mi misi a ricompormi i capelli in modo da sembrare per lo meno guardabile con disinvoltura.

“Ok, andiamo.”

 

Grazie alla proverbiale capacità di Jess di arrivare in ritardo, io e Andrew riuscimmo a fare addirittura finta di essere in anticipo, come dimostrai con la mia falsa faccia scocciata, a causa di un’attesa lunga quasi cinque minuti.

La salutai con la mano, mentre la vedevo arrivare insieme a suo fratello, ma, come mi ero aspettata, Jess nemmeno mi degnò di uno sguardo, dal momento che si stava letteralmente mangiando con gli occhi il MIO ragazzo.

E vorrei sottolineare il ‘mio’.

“Ciaoooo Jessica!!”

In quel momento quella che teoricamente doveva essere la mia migliore amica si rese conto della mia presenza spostando gli occhi da me a Andrew e viceversa con gli occhi strabuzzati.

Improvvisamente udii uno sbuffo provenire dalla mia schiena, mi voltai e vidi Matt, il fratello di Jess.

“Oh ciao!” Lo salutai cortesemente, domandandomi da dove fosse sbucato.

Dopo essersi assicurato che Andrew avesse notato la sua occhiata omicida, mi salutò con un sorriso a trentacinque denti, senza trattenersi dal darmi due baci sulle guance.

Intanto Jess non si era ancora ripresa dallo shock di aver visto Andrew, il quale, dopo aver notato l’eccessivo affetto che Matt aveva nei miei confronti si era curato di afferrarmi per i fianchi e tenermi stretta a sé.

Risultato: la mia migliore amica era sconvolta dalla bellezza del mio ragazzo, suo fratello stava escogitando un modo per uccidere Andrew, lui tentava di tenermi alle dovute distanze da Matt, io, invece, ero alla disperata ricerca di una via di uscita da quella strana situazione.

Però... Era andata meglio di quanto mi sarei mai aspettata.

“Dunque!!!!” Urlai con una vocina un po’ stridula “Ci siamo tutti, vedo!! Allora, lei è Jess” Affermai indicando la diretta interessata. “Lui è Matt...” Feci lo stesso con lui.

“E…” Mi schiarii la voce. “Lui è Andrew, il...”

“suo ragazzo, precisamente” concluse lui in tono di sfida, fissando negli occhi Matt.

Veramente non era proprio quello che avevo intenzione di dire, ma pazienza...

“Bene!! Direi che possiamo andare!” Tirai per la maglia Andrew, dirigendomi verso il Luna Park, che non si trovava molto lontano da lì.

“Ti prego, fai il bravo!! Poi, se tutto va bene, ti do una caramellina!” Sussurrai ad Andrew nella speranza che Matt, che ci stava alle calcagna, non sentisse.

Dopo qualche minuto ci inoltrammo nel caos del Luna Park e, mentre io mi dirigevo lontano dalle giostre più spericolate, Jess mi si avvicinò e mi prese per un braccetto aumentando il passo così che ci trovammo a camminare un paio di metri più avanti rispetto ai due ragazzi.

“Ma sei forse impazzita? Quei due si accoppano!”

“Oh sii!! Io punto su And...” Il mio sguardo omicida riuscì ad interromperla prima che dicesse qualcosa di cui poi io le avrei fatto pentire.

“Comunque... Roxy... Ma dove cavolo l’hai trovato?? Sei sicura che non abbia un fratello, un parente… Un lontano cugino che gli somigli un po’ da presentare alla tua amica?!?!” Mi guardò speranzosa.

“Ehm...”

Improvvisamente Jess si rabbuiò.

“Su su...” La rassicurai battendole la mano sulla testa.

“Mamma mia... Certo che è proprio... Un figo assurdo!!!” Urlò.

Io le intimai di non gridare, ma ero sicura che Andrew avesse sentito tutto, visto che Jess era in grado di farsi riconoscere e sentire anche in una folla di mille persone.

A confermare i miei sospetti fu il sorrisino che comparve sul volto di Andrew.

“Andrew, dimmi!! Che fai nella vita?” Senza che nemmeno me ne accorgessi Jess si era affiancata a suo fratello e ora era in procinto di intrattenere un’allegra conversazione con Andrew.

Dannazione!

Perché non avevamo pensato a che cavolo raccontare a quella pazza ragazza?

Guardai impanicata Andrew, che, al contrario, mi sembrava particolarmente calmo.

“Beh, io studio...” Andrew tirò fuori uno dei sorrisi che fanno sembrare sacrosante le sue parole, per quanto stupide siano.

“Oh e che cosa...?”

“Uuuuh guarda!!! Banane!!!” Urlai, indicando dei pupazzi a forma di banane, premio di uno di quegli stupidi giochi in cui bisogna sparare a delle lattine per vincere.

I tre miei accompagnatori mi guardarono con l’espressione di chi sta guardando qualcuno che è destinato ad essere chiuso in un manicomio.

Effettivamente come potevo dare loro torto?

Ma io stavo cercando semplicemente di cambiare discorso, perché nessuno mi capiva?

“Vuoi un pupazzo, Roxy?” Quella domanda venne esattamente da chi non doveva venire.

Matt, esattamente.

“Eeeehm... Veramente io...”

Ma oramai era troppo tardi, Matt stava già pagando un biglietto.

In una delle mie vite precedenti dovevo essere stata davvero molto cattiva per

meritarmi tutto quello.

Andrew aveva deciso che tutto quello non gli garbava e mi aveva nuovamente stretta a sé con fare protettivo, il che irritò ancora di più Matt.

Alla fine vinsi un coniglio rosa di peluche.

Decisamente vomitevole.

“Ok, perché non lasci provare anche me?” Erano le esatte parole che Andrew NON avrebbe dovuto dire in quel momento.

Prese in mano la pistola, il che già mi fece deglutire.

“Amore... Ricordati di mirare alle lattine...”

Andrew trattenne un sorrisino. “Tenterò di ricordarmelo.”

Ovviamente Andrew fece tutti i centri e, ovviamente questo non fece altro che fomentare la competività di Matt.

Ma il peggio non era quello. Indovinate un po’? Il primo premio era proprio lui: il bananone!

Mentre Jess si stava morendo dalle risate, io venivo sommersa da peluche.

“Ok, ragazzi, ora basta...”

...

“Ragazzi??”

...

“Secondo me sono partiti di testa!” Intervenne Jess.

“Oddio tra un po’ indosso un gonnellino e mi metto a ballare la hola, per attirare la loro attenzione!!!”

“Secondo me attiri l’attenzione di tutti tranne la loro...”

“Oddio, ho appena dato inizio alla terza guerra mondiale... Dici che non si metteranno a spararsi sul serio, vero???” Piagniucolai.

“Io spero che tu abbia equipaggiato il tuo ragazzo con un giubbotto antiproiettile, non si sa mai!” Mi rispose Jess, ancora intenta ad asciugare le lacrime.

“Ok, ora basta! AMOREEEEEEEE!!” Piantai un bel grido in modo tale da attirare l’attenzione di tutti nel giro di dieci metri.

Andrew e Matt si voltarono contemporaneamente, era evidente che quest’ultimo non si era reso conto che non mi stavo rivolgendo a lui. Quel ragazzo stava decisamente incominciando a darmi sui nervi.

“Ho appena deciso che stiamo andando.” Gli afferrai la mano e lo trascinai lontano, dimenticandomi “casualmente” dei pupazzi sul bancone.

Quando fummo abbastanza lontani mi voltai verso Jess e Matt, sorridendo.

“Dunque... Che si fa ora?”

 

“La prossima volta che vuoi invitare tuo fratello ricordami quanto lo odio...” Finii di sorseggiare la mia coca, mentre seguivo i movimenti della giostra in cui Andrew e Matt avevano deciso di salire per dimostrarmi quanto fossero veri uomini.

Effettivamente il loro comportamento assomigliava molto di più a quello di bambini di 5 anni e, probabilmente i neuroni erano gli stessi.

La giostra si chiamava ‘Giro della morte’. In quel momento sperai con tutto il mio cuore che il nome non mentisse, perché probabilmente, se non ci avesse pensato la giostra ad ammazzare quei due, lo avrei fatto molto volentieri io e l’unico problema che mi sarei posta dopo, sarebbe stato quello di dove occultare i loro cadaveri.

A riportarmi alla realtà fu Jess che piantò un urletto.

“AAAH un crampo!!!”

Dopo di che prese a stirasti il muscolo tirandosi il piede contro la natica e saltellando sull’altro per tenersi in equilibrio. (Ogni riferimento è puramente casuale XD N.d.A.)

E infatti, grazie alle sue innate doti ginniche, dopo circa trenta secondi, cadde per terra.

Io scoppiai a ridere e fu la fine.

Oramai ero diventata un caso irrecuperabile tanto che per la mezz’ora seguente ebbi attacchi di ridarella ogni volta che aprivo bocca.

Andrew oramai era rassegnato alla mia pazzia, mentre Matt si sforzava di ridere nel vano tentativo di farmi credere che non mi riteneva pazza, ma forse non aveva capito che le cosa non mi interessava minimamente.

Quel pomeriggio mi aveva fatto ricordare quanto non sopportassi Matt Stewart.

Io tentavo di essere carina con lui, però era più forte di me.

Guardai l’ora e fortunatamente mi resi conto che erano le 6 e un quarto e che oramai il nostro tempo a disposizione stava esaurendo. Come la mia pazienza.

“Mmm che ne dite di un giro sulla ruota panoramica?” Ho già detto che adoro la mia migliore amica?

Sorrisi apertamente. “Siii!!”

La ruota panoramica era l’unica giostra che non odiavo.

Dopo aver preso i biglietti, ci accingemmo sederci in una cabina e, ovviamente, Matt pretendeva addirittura di sedersi con noi.

Meno male che Jess aveva ereditato un po’ di buon senso, ancora non avevo capito da chi, probabilmente da un suo lontano parente, così riuscii a convincere suo fratello a non rompere l’anima, almeno per qualche minuto.

Sia lodato il cielo.

Alla fine io e Andrew riuscimmo a starcene soli. Anche se, ben presto mi accorsi che Matt era riuscito ad accalappiarsi la cabina dietro la nostra. E io ne approfittai per farlo arrabbiare.

Mi accoccolai ben bene tra le braccia di Andrew e gli diedi un lunghissimo bacio che lui sembrò apprezzare.

Poi gli occhi mi caddero sulla sua mano e mi accorsi che non aveva più il cerotto che gli avevo applicato con tanto amore tentando di non svenire alla vista della minuscola ferita, ma la cosa che mi stupì di più fu che il taglio era scomparso.

Gli afferrai la mano e la avvicinai per esaminarla più attentamente.

“Beh??”

“Si è rimarginata...” Disse Andrew facendo spallucce.

“Ah beh, si certo, che stupida... Dopo tutto è normale che una ferita si rimargini in meno di sei ore!!”

Imitò nuovamente il gesto di prima.

Guardai il tramonto dall’alto della ruota.

Tirai un sospiro.

Ero sorpresa: ero davvero disposta a lasciare cadere ogni mio dubbio, ogni mia domanda solo per amore; ero davvero disposta a non chiedergli più nulla se questo mi avesse assicurato che lui sarebbe rimasto con me. Non mi importava per quanto.

Anche se sapevo, da qualche parte dentro di me, che quello che desideravo non sarebbe accaduto.

Non per molto, almeno.

 

 

Eccomi qui!!!

Speravate di esservi sbarazzate di me e invece…

Uauauauauaua…

Bene, in questo periodo ho creduto di impazzire!! Meno male che c’è stata questa settimana di semi riposo... La scuola mi sta lentamente risucchiando tutte le energie...

Prometto che durante le vacanze di Pasqua recupero tutto il tempo persooooo!!!

Lettrici: nono per carità non ti disturbare!!

Me: -.-‘

XD

Ad ogni modo...

MakyMay: Heyyy ciaoo!!!! Oh come sono contenta!! Un’altra recensitrice!! (mi sa che sta parola non esiste, ma facciamo finta di niente) oooooh grazieeee!!! Sei gentilissima!!! Me è mucho contentissimaaaaaa!!! Alluraaa effettivamente non ho descritto molto Roxy, però io me la immagino così --à http://i43.tinypic.com/vgjybp.jpg. Mentre se ti interessa Andrew così à http://i44.tinypic.com/2hdwo5g.jpg.

^^

Bacettiiii!!!

 

Amarie: eh cara, ti capisco benissimo!! Bene bene beneeeee, guarda te, io mi sto angosciando da sola a scrivere sta storia XD XD. Uauauauaua... Ok, prometto che tra poco darò un po’ di risposte ;-)

A prestooooo Bacione!!!

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Capitolo 18
*** Mistake ***


Cap.17

Mistake

 

“We spent some time 
Together walking
Spent some time just talking 
About who we were
You held my hand so 
Very tightly
And told me what we 
Could be dreaming of
 
There's nothing like you and I
Nothing like you and I
There's nothing like you and I”
 
The Perishers – Nothing Like You And I

 

“Ero sorpresa: ero davvero disposta a lasciare cadere ogni mio dubbio, ogni mia domanda solo per amore; ero davvero disposta a non chiedergli più nulla se questo mi avesse assicurato che lui sarebbe rimasto con me. Non mi importava per quanto.

Anche se sapevo, da qualche parte dentro di me, che quello che desideravo non sarebbe accaduto.

Non per molto, almeno.”

(Cap. 16 – Luna Park)

 

Mugugnai qualcosa e tastai la parte del letto che doveva occupare Andrew e, infatti, toccai un petto nudo. Sorrisi, ricordandomi che il merito del fatto che ci fosse un ragazzo seminudo sdraiato di fianco a me era tutto mio.

Era da molto tempo che non avevo così voglia di svegliarmi la mattina, ma sfido chiunque a non voler aprire gli occhi per poter vedere Andrew senza camicia.

Ok, forse era giunto il momento di fare almeno finta di essere un po’ casti e, per l’appunto, in risposta Andrew, che si era accorto che ero sveglia, mi prese per i fianchi e in un attimo mi ritrovai sdraiata supina e lui sopra di me.

Beh… Se il buongiorno si vede dal mattino...

Improvvisamente sentii un rumore sospetto. Mi si accapponò la pelle.

“Ma porca di quella...” Con una forza sovraumana scaraventai Andrew giù dal letto e lui si ritrovò per terra allibito e ancora mezzo incosciente.

Non si era ancora abituato ai miei scatti isterici, ma, quella volta c’era davvero da allarmarsi.

Gli lanciai addosso la sua camicia.

“Per l’amor del cielo perché sei ancora mezzo nudo??” Bisbigliai, tentando di non urlare.

Ancora più sconvolto di prima, se possibile, Andrew mi guardava senza capire.

Certo che le mie babbucce erano più perspicaci di lui.

Con il mio solito tatto e senza perdere la calma, gli dissi:

“I miei sono tornati!!! Te ne vai???”

Alla parola ‘miei’ Andrew si era già volatilizzato fuori dalla mia stanza.

Wow... Ero riuscita a far andare via il mio ragazzo più in fretta di quanto ci avessi messo per averlo. Avrei potuto scrivere un manuale: “centouno modi per far scappare gli uomini”. Sarebbe stato sicuramente un best seller.

Mentre cercavo di risistemare me stessa e la stanza la mia cara e dolce mammina fece la sua trionfale entrata.

“Tesoro come st… Oh!! Ma come hai ridotto camera tua?? E ti sei appena svegliata!! Ma ti rendi conto che è mezzogiorno passato?? E guarda!! Tutti i vestiti sparsi per terra... Roxanne sei un caso disperato!!”

“Ciao mamma, anch’io sono contenta di rivederti!” Provai a sorridere, ma probabilmente mi uscì solo una smorfia informe.

Mentre mia madre parlava io stavo cercando di capire come diavolo avessi fatto a dimenticarmi del loro arrivo: ricordavo perfettamente la telefonata che i miei genitori mi avevano fatto la sera prima per dirmi che sarebbero tornati l’indomani mattina. Poi mi venne in mente che stavo per comunicarlo ad Andrew e poi... Arrossii involontariamente al ricordo di ciò che era successo dopo e mi voltai dall’altra parte, facendo finta di dover mettere a posto una maglia, ma senza riuscire a nascondere un sorrisino.

D’accordo. Era giunto il momento di fare le persone civili.

Buttai l’occhio nel mio armadio e per poco non svenni: c’era un’altra maglia di Andrew lì.

Come non detto.

Ma quante volte gli avevo detto di non venire troppo vestito? Ok, i miei pensieri stavano prendendo decisamente una brutta piega.

Fortunatamente mia madre era troppo impegnata a farmi la predica per notarmi mentre scagliavo la maglia nell’angolo più angusto dell’armadio.

Sbuffai: stava ancora parlando e io non stavo ascoltando neanche una parola e, molto probabilmente, mia madre se n’era accorta.

“Tesoro... Credo che dobbiamo parlare...”

Sbiancai.

Non mi piaceva quando pronunciava quella frase.

Si sedette sul mio letto ancora da rifare e mi fece cenno di fare lo stesso accanto a lei. Un po’ titubante feci quello che mi chiedeva.

“Mmm... Mi sono giunte delle voci.”

Voci??? Quali voci??

Dopo di che la sua bocca si aprì in un sorriso spontaneo.

“Sicura che non ci sia nessuna novità da raccontarmi?”

Oddio... Doveva essere stata quella pettegola della vicina! Lo sapevo che non c’era da fidarsi di quella maledetta donna! Ma perché a me?

“Novità... Di che genere?” Cercai disperatamente di prendere tempo, anche se sapevo che era tutto inutile, ma tentar non nuoce.

“Roxy... Non fare la finta tonta... Racconta tutto alla mammaaaaa!!!”

Ecco, la sua voce si era alzata di almeno dieci ottave. Era giunto il momento di iniziare a preoccuparsi.

“Parlerò solo in presenza di un avvocato!” Affermai io decisa.

Mia madre alzò un sopracciglio con fare minaccioso.

“Chi è? Come si chiama? Lo conosco? È il fratello di Jess, ammettilo!!!”

Piantai un urlo “Papà!!”

“Eh?” Sentii mugugnare dal piano di sotto.

“Aiutooo! Mamma sta delirando!!”

“Io non ne so niente...”

“Ma è tua moglie, fa’ qualcosa!!” Gridai.

“Ma ci devo dormire io con lei, non tu!!”

Ok i miei genitori erano ufficiosamente e ufficialmente pazzi psicopatici. Stavo iniziando a capire da chi avessi preso. Alla fine non era del tutto colpa mia se ero fatta così anche io.

Intanto mia madre ridacchiava sotto i baffi: ormai sapeva di avermi incastrata.

Questa donna mi avrebbe fatta impazzire, perché avrebbe adottato la stessa tecnica di Jess, ovvero lo sfinimento. Ecco spiegato perché la mia migliore amica e mia madre andavano così d’accordo: erano praticamente uguali.

A parte il fatto che mia madre era molto più stressante.

“Raccontami tuttooooo!!! Quando lo potrò conoscere?? Devi assolutamente portarlo qui in casa... Terrò io tuo padre rinchiuso da qualche parte con la museruola!!”

Mia madre si mise a saltellare sul letto, tutta convinta del fatto che io le avrei fatto incontrare Andrew.

Certo come no. Mi immagino la scena: Andrew, mia madre. Mamma, questo è Andrew, sai... Dovresti sapere che è morto, ma non è niente di grave, non ti preoccupare.

“Mamma... Non ho la minima intenzione di...” Ma ovviamente non ebbi nemmeno il tempo di pensare al resto della frase che la mia dolcissima genitrice mi interruppe.

“Perfetto! Allora portalo qui oggi pomeriggio!!”

Ditemi che era un brutto sogno. Avevo assoluto bisogno di sentire quelle parole.

“Ok, allora lo aspetto! Preparo una tor... Anzi! La faccio fare da tuo padre!”

“Mamma non scherzare!!! Non lo porterò mai qui!”

Cioè... In verità lì c’era stato e non poche volte, ma quelli erano dettagli sorvolabili.

Ma ovviamente mia madre, non chiedetemi come, era già in cucina a schiavizzare mio padre.

Povero uomo.

Povera me.

Povero Andrew.

 

“Pronto?”

“Roxy! Ma buongiorno! Ti sei completamente scordata della tua migliore amica?” La voce di Jess quasi mi perforò un timpano.

Capii dal suo tono di voce che il peggio di quella giornata doveva ancora arrivare.

Guardai distrattamente il calendario appeso in cucina.

Cavolo!

“Jess!!! Scusa scusa scusa scusa!!” Mi era completamente dimenticata che quel giorno ci saremmo dovute vedere per fare i compiti. “Ma tu non puoi capire!! Mia madre mi ha obbligata a portare in casa Andrew!”

“Davvero!?!?! Adoro tua madre! Quella donna è una grande, possibile che tu non abbia preso proprio un bel niente da lei?” Ecco. Vedete? Come posso sopravvivere in una tale gabbia di matti?

A confermare questi ultimi miei pensieri sentii il tonfo di qualcosa che cadeva in cucina. E le urla di mia madre contro mio padre.

“Ma perché ti sei dimenticato di spegnere il forno?? La MIA torta!!”

“Veramente quella l’ho fatta io! E comunque io ero sotto la doccia, te ne dovevi occupare tu! Ma cosa stavi facendo??”

Dal silenzio di mia madre compresi che era meglio che la conversazione finisse lì oppure sarebbe davvero stata la fine.

Tornai a concentrarmi sulle parole di Jess, che, nel frattempo, aveva fatto un mega discorso, di cui non avevo ascoltato nemmeno mezza sillaba. Meno male che con Jess non bisognava fare lo sforzo di starla a sentire, a lei bastava sapere che c’era qualcuno dall’altra parte del telefono, giusto per non sentirsi una pazza che parlava da sola.

Ma quella volta il mio cervello era proprio in un altro mondo e stavo ripensando alla telefonata che avevo fatto ad Andrew.

Lui l’aveva presa molto meglio di quanto pensassi, anzi, ne era sembrato quasi contento, come se il fatto di conoscere i miei genitori rendesse più possibile un futuro insieme.

Futuro.

Forse era meglio non esagerare e stare a pensare al presente.

“Allora, passo da te?”

“Eh?”

Scesi improvvisamente dal mondo delle nuvole per tornare tra i comuni mortali.

“Roxy!! Ma mi stai a sentire? Posso passare da te a prendere gli appunti che ho lasciato la scorsa settimana?” Rispose seccata la mia amica.

“Oh si si... Così magari mi salvi da qualche silenzio imbarazzante.

“Ok, vengo tra un po’. Ciao!”

“Ciao!”

Riattaccai il telefono.

In quello stesso momento sentii suonare il campanello.

Mi prese il panico. Sperai con tutta me stessa che Andrew si ricordasse tutto quello che avevamo accordato al telefono poco prima: ci eravamo inventati una scusa credibile, o almeno lo speravo, riguardo la sua identità. L’importante era che i miei non si mettessero a fare domande troppo precise.

Incrociai le dita e feci un profondissimo respiro per calmare i nervi: andava a finire che sarei tornata dalle vacanze più stressata di quando ero partita.

Mi avvicinai alla porta e la aprii con molta calma, per ritrovarmi davanti ad un Andrew più bello e sorridente che mai.

L’unica cosa che mi trattenne dal saltargli addosso era il fatto che se mi avesse vista mio padre saremmo morti entrambi.

No. Nemmeno quello riuscii a fermarmi. Infatti in meno di un nano secondo mi appioppai a lui senza ritegno.

Ero proprio un caso disperato.

Ovviamente mia madre non si curò del fatto che la bocca di Andrew fosse lievemente occupata e si precipitò a dargli il suo “affettuoso” benvenuto, cercando, allo stesso tempo, di trattenere mio padre dall’ammazzare lui e dal diseredare per sempre la sua unica figlia.

“Ciao!!!!!! Tu devi essere Andrew!!!!! Io sono Cath, la madre di Roxy!! Ma ovviamente tu lo sai già!!” E si mise a ridere sguaiatamente senza motivo.

“Mamma...”

“Oooooh, prego, vieni entra!!!!”

Andrew aveva un’espressione misto divertita e sconvolta, anche se sembrava cominciasse a capire da chi avessi preso la mia indomita pazzia.

Alla fine preferì adottare l’espressione divertita e la sua bocca si aprì in un sorriso da far addolcire perfino me. Il che era tutto dire.

“Buonasera…”

Finalmente riuscì a salutare in uno di quei rari momenti in cui mia madre prendeva fiato.

Mio padre lo stava ancora scrutando in cagnesco, ma Andrew si muoveva con naturalezza. Ma come cavolo faceva? Ah già sempre la solita storia: anni e anni di pratica.

“Comunque sono molto dispiaciuta ma per colpa del qui presente mio marito non abbiamo niente da offrirti!” Disse la mia carissima madre, puntando un dito accusatorio contro mio padre.

“M-m-ma io non c’entro niente!” Balbettò scherzosamente lui.

Andrew rise.

“Oh, non fa nulla!”

“Sicuro? Magari vuoi qualcosa da bere... Succo d’arancia? Tè? Whisky?”

“Ok, Cath!!! Ora basta... Perché non lasci un po’ in pace questi poveri ragazzi?”

Ringraziai mentalmente mio padre, memorizzando mentalmente che gli sarei stata debitrice per il resto della mia vita per essere riuscito a salvarmi dalle grinfie della mamma. Anche se, effettivamente, la colpa era anche un po’ sua che si era scelto una donna degenere!

“Ma ma ma...” Mio padre trascinò in cucina mia madre che sembrava alquanto contrariata.

Appena sentii la porta chiudersi, tirai un sospiro di sollievo.

“Beh... Non è andata tanto male...”

“Sono simpatici!!” Esclamò Andrew.

“Si! Prova a viverci per 365 giorni l’anno e ne riparleremo...”

Andrew mi guardò con un sorrisetto che non mi piacque per niente: mi inquietava quando faceva così quel ragazzo.

E infatti mi si avvicinò con uno scatto fulmineo e mi prese in braccio.

Piantai un urletto di cui, però, mi pentii subito. Andrew mi tappò la bocca e si diresse verso le scale per poi entrare in camera mia e adagiarmi sul letto.

Ridacchiai contro le sue labbra.

“Sei completamente fuori di testa, sai?”

“Oh ma mai pazzo come te!” Mi rispose lui.

“Beh, questo mi pare ovvio! Ne hai di strada da fare ancora... Ma non ti preoccupare mio discepolo, un giorno diventerai anche tu custode della completa pazzia...”

Mi baciò per farmi evitare di continuare queste stupidaggini.

“Ma cosa vuoi? Non è colpa mia... Da quando sto con te il mio criceto ha fatto le valige...”

“Il tuo criceto?”

“Massi Jhonny! Quello che fa girare le rotelle nella mia testa...” Gli spiega come se la cosa fosse ovvia.

“Si... Jhonny! Certo! Come ho potuto non pensare a lui...”

Gli feci la linguaccia e lui ne approfittò per baciarmi ancora.

“Si però è colpa tua... L’hai fatto scappare... Sapeva che nel mio cuore c’era posto solo per un uomo della mia vita! Così si è sentito di troppo. Povero Jhonny! Un po’ mi manca!” Feci gli occhioni da cucciolo abbandonato.

Andrew scosse la testa, oramai rassegnato a questo genere di monologhi.

“Già povero... E dov’è andato?”

“Boh... Pare sia scappato con una cricetina da qualche parte... Ance se quella lì non me la contava mica giusta!”

“Ovviamente”

Andrew rise nuovamente e prese a baciarmi.

Nel giro di pochi minuti, anzi, facciamo secondi, il mio ragazzo finì senza maglia.

Gliel’avevo già spiegato che il verde non gli donava, come glielo dovevo dire?

Oh beh... Probabilmente me ne sarei fatta una ragione.

Mentre gli mordicchiavo il labbro inferiore mi misi a fargli il solletico.

Andrew cominciò a ridacchiare, spostandosi per tentare di sfuggire alle mie grinfie, ma io persistevo: era ora di vendicarsi per settimane di solletico non retribuito.

Insomma! Era necessario mettere in chiaro chi comandava!

Ma mi ero momentaneamente scordata che il mio ragazzo era come dire? Un tantino morto?

E infatti adottò la solita tecnica e io non potei più toccarlo.

Mi veniva un nervoso quando faceva così! L’avrei strozzato!

Mentre tentavo invano di picchiarlo, lui, tanto per cambiare, rideva delle disgrazie altrui e in particolare delle mie, così ci accorgemmo troppo tardi della voce di Jess, al di là della porta.

“Siete vestiti, vero?? Oh beh io non mi scandalizzo per così poco!”

Dopo di che la porta si spalancò troppo velocemente perché io o Andrew riuscissimo ad avere una qualche reazione.

Tutto accadde come nei film, in cui sembra quasi che il tempo si fermi.

Ebbi tutto il tempo di vedere la faccia di Jess cambiare da allegra a sconvolta e di seguire il suo sguardo con il mio sulla mia mano, che stava bellamente metà fuori e metà dentro allo sterno di Andrew.

Dopo di che io e lui ci fissammo negli occhi ancora più scioccati di Jess, se ciò fosse stato possibile.

Dopo di che i secondi tornarono a scorrere normalmente e io tirai indietro la mano di scatto. Mentre Andrew si precipitava a tappare la bocca di Jess prima che piantasse uno dei suoi leggendari urli che erano in grado, ne ero sicura, di spaccare un vetro.

La mia amica si mise a dimenarsi, cercando di liberarsi dalla morsa di Andrew, ma senza risultati. Fortunatamente oserei aggiungere.

“Jess! Calmati!!”

Guardai Andrew, completamente in preda al panico, ma lui non sapeva che diavolo fare.

E nemmeno io.

La via oramai era solo una.

Dire la verità.

 

 

Oddio!!!! Ragazzeee perdonatemi!!!! Insomma! Prima mi salta la connessione, poi vado in gita, poi mi strariempiono di verifiche! È un complotto contro la mia povera vita.

Questa volta vi posso dire che prima di due settimane non penso di aggiornare, perché sono assolutamente ricoperta di interrogazioni e test che metà basta.

Sorry sorry!!! :’-(

 

Tetide: muchos grazias! Sono contenta che la storia ti piaccia! =D Grazie x gli auguri e anche a te (anche se “lievemente” in ritardo XD) Spero continuerai a leggere. Bacio!

MakyMay: Uauauaua… Sorry sorry sorry!! Ora ce l’ho fatta... è un miracolo! Ma veramente! Il mio computer ha deciso di abbandonarmi in tale modo... Che tristezza... Va beh prometto di fare più in fretta d’ora in poi... Sempre che mi sia permesso perché a questo punto se mi cadesse un pianoforte in testa la cosa non mi sorprenderebbe affatto. XD Cmq... Povero Matt... Però ben gli sta XDXD Alla prossima cara! Grazie per il sostegno! Bacio bacio

Amarie: Si va beh... Dettagli! Al massimo ammazza di nuovo il nostro povero Andrew che sta partendo pure lui di testa a forza di stare con Roxy XD

Muchos grazias! Alla prossima! Bacio!

Angel Texas Ranger: Hola! Hihi ce l’ho fatta ad aggiornare! Strano ma vero! Grazie mille per i complimenti! Uauaua.. Beh direi che divina è un pochino esageratooo Uauaua... Ehhh cara... Sorry ma non ti posso rivelare nienteee! L’unica cosa che puoi fare è continuare a leggere XD XD

Baciooooo

 

Mallow92

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Capitolo 19
*** Favour ***


CAP.18

Favour

 

“I'm quiet you know
You make a frist impression
I've found I'm scared to know I'm always on your mind

Even the best fall down sometimes
Even the stars refuse to shine
Out of the back you fall in time
I somehow find
You and I collide”

Howie Day – Collide

 

 

<< La mia amica si mise a dimenarsi, cercando di liberarsi dalla morsa di Andrew, ma senza risultati. Fortunatamente oserei aggiungere.

“Jess! Calmati!!”

Guardai Andrew, completamente in preda al panico, ma lui non sapeva che diavolo fare.

E nemmeno io.

La via oramai era solo una.

Dire la verità. >>

 

Cap. 17 – Mistake

 

Dopo aver scongiurato Jess di non urlare, ci mettemmo tutti e tre seduti sul letto, con la promessa che io e Andrew avremmo raccontato la verità.

Ehm...

La verità... Già! Qual’era la verità?

Fissai Andrew in una tacita richiesta che fosse lui a trattare quell’argomento, ma fu tutto inutile: il suo sguardo era rivolto a qualcosa di non ben definito della parete opposta al letto di camera mia.

D’accordo! Come al solito me la sarei dovuta cavare da sola! Io e Andrew avremmo dovuto fare un bel discorsetto, molto presto.

Jess, ancora mezza sconvolta, mi fissava aspettando una spiegazione.

Mi schiarii la gola, nel vano tentativo di attirare l’attenzione di quello che doveva essere il mio ragazzo. Ma evidentemente il muro era ancora più interessante di me.

Mi sarei anche potuta offendere, effettivamente.

Ma quello non era il momento di preoccuparsi di quelle cose: dovevo concentrare la mia attenzione su Jess.

“Allora!?!?! Che diavolo significa???” Urlò la mia amica, come per farmi ricordare di lei.

“Ti prego, non urlare!!!” Sussurrai io.

“Ma che roba è??” Domandò lei, indicando Andrew e senza dare nemmeno il minimo peso alla mia richiesta.

“è... è...” Cercavo una parola che fosse in grado di dire la verità, ma che non traumatizzasse ancora di più la povera Jess.

“Morto...” Completò la mia frase Andrew, che sembrava essersi riscosso.

Sì, non avrei proprio usato quella parola! Però aveva reso l’idea.

Jess si mise a ridere istericamente.

“Ah ah... Certo! E io sono la fata madrina!!!”

Fissai Andrew, che si era alzato di scatto dal letto, con aria interrogativa.

Lui si avvicinò alla parete e fece la stessa cosa che aveva fatto con me, per rivelarmi il suo “segreto”.

E Jess fece esattamente ciò che mi aspettavo.

Urlò.

Mi lanciai su di lei e, per miracolo, le tappai la bocca. Dopo di che rimasi in ascolto per qualche secondo: per fortuna i miei non si erano allarmati. Tutto sembrava tranquillo.

Già, effettivamente erano tutti e due abituati a sentire Jess urlare, dato che era il suo sistema di comunicazione preferito.

“Certo che potevi essere un po’ più delicato!!” Gridai dietro a Andrew, ma me ne pentii subito, dopo che notai quanto dal suo sguardo si sentisse in colpa.

Così tentai di rassicurarlo.

“Oh non ti preoccupare! Jess è già rimasta scioccata tante volte, (soprattutto quando era piccola) solo così si spiega come sia potuta venire su così.”

Jess alzò un sopracciglio e mi strappò la mani che tenevo sulla sua bocca.

La aprì, ma subito dopo ci ripensò e la chiuse di nuovo.

Wow. Eravamo riusciti a far rimanere senza parole Jess.

“Cioè.Tu.Sei.Un.Fantasma???”

Come non detto.

“In un certo senso...” Risposi io, anche se la domanda era esplicitamente rivolta ad Andrew.

“Che diavolo significa???”

Ok, l’aveva preso meglio di quanto sperassi.

“Ehm... è morto... E ora è un fantasma!” Dissi io con semplicità, guadagnandomi un’ennesima occhiataccia da parte della mia amica.

Fortunatamente intervenne Andrew.

“Non ricordo quasi nulla della mia vita. Soprattutto non ricordo come sono morto e cosa ci faccia qui.”

“Ah...”

Dopo di che Andrew raccontò la sua storia con le stesse identiche parole che aveva usato per raccontarla a me, quasi come se se la fosse studiata prima di dirmela.

I miei sospetti stavano aumentando in maniera spropositata, soprattutto perché notai che mentre parlava non fissava negli occhi né me né Jess.

Ok, era ufficiale. Non riuscivo a fidarmi completamente di Andrew.

Lo amavo? Certo.

Mi fidavo di lui? Per niente. Era inutile continuare a prendersi in giro. Era quella la verità.

Comunque, dopo aver terminato in poche parole di raccontare ciò che teoricamente si ricordava della sua vita, si mise a parlare di quello che era successo dopo che ci eravamo incontrati.

Io rimasi in silenzio, anche se ogni tanto intervenivo per definire qualche dettaglio.

Alla fine della storia, Jess rimase in silenzio, come aveva fatto fino a quel momento.

Credo avesse battuto ogni suo record: non l’avevo mai sentita stare zitta per così tanto tempo.

Dopo di che tossicchiò.

“Ehm... Andrew... Scusa potresti rimetterti la maglia? Giusto perché tra un po’ collasso.”

Lanciai addosso un cuscino a Jess, mentre Andrew e lei ridevano. Alla fine mi unii anch’io ai due, felice che la cosa si fosse risolta bene.

Eh già! Avevo proprio un’amica fantastica.

Il mio ragazzo un po’ meno, dato che continuava a rimanere svestito e a ridacchiare.

In tutta risposta gli scagliai addosso la sua maglia.

“Ooooh ma non ti illumini al buio??” Chiese Jess avvicinandosi a lui come se lo vedesse per la prima volta. Poi si mise a battere le mani.

“Jess... Non è una lampada che si accende a sensibilità acustica...”

La mia amica si volse verso di me, con aria dispiaciuta.

“Ah...”

Povera, sembrava esserci rimasta davvero male.

“Wow... Questa cosa sembra impossibile...” Disse soprappensiero, poco dopo.

“Cosa? Che sia un fantasma oppure che non si illumini a comando?” Domandai io, raggiungendo Andrew e sedendomi accanto a lui sul letto.

“Cioè! WOW!!! Sei proprio morto morto!!! Effettivamente fa un po’ schifo ‘sta cosa...”

Ecco! Jess non si smentiva mai! Infatti si mise a parlare a raffica, senza respirare.

Mi ricordava molto mia madre quando faceva così.

“Eh, non per farmi gi affari vostri, ma quindi cosa avete intenzione di fare?”

A quelle parole il mio cuore accelerò e non potei fare niente per impedirlo, anche se sapevo benissimo che Andrew lo sentiva forte e chiaro.

La cosa peggiore della non fiducia era il dubbio.

Già. Era proprio una bella domanda.

Quando Jess si accorse che entrambi non sapevamo dare una risposta a quel quesito, tentò di cambiare argomento.

“Oh beh su! Nessuno è perfetto! Comunque, Andrew, ripensandoci, se hai caldo puoi ritoglierti la maglia!”

 

Chiusi la porta, dopo aver salutato Jess e Andrew, tirando un enorme sospiro di sollievo,

Mi ero tolta un peso. Mi ero decisamente tolta un peso.

Mia madre era ancora alla finestra che faceva ciao con la mano ad Andrew.

“Oh!!! Amore, ma dove lo hai trovato?? È così carino!! E poi hai visto che muscoli???”

No, effettivamente quelli non li avevo proprio notati.

Mio padre mugugnò qualcosa nell’altra stanza, ma mia madre lo ignorò e io sorrisi.

“Già” Assentii con mia madre.

Dopo di che mi defilai in camera mia per sfuggire al suo ennesimo interrogatorio. Appena aprii la porta per poco non corsi il serio pericolo di finire all’ospedale: Andrew era seduto sul mio letto.

“Certo che potresti anche avvisare prima di presentarti qui! O, per lo meno non sbucare fuori dal nulla!”

Andrew sorrise e ogni mio tentativo di sgridarlo svanì insieme a quel barlume di lucidità che avevo avuto prima.

Lucidità?

No, ok, non mi pare il caso di esagerare con le parole dato che si stava parlando di me!

Andrew intanto si era alzato dal letto e si stava avvicinando pericolosamente a me. Mi cinse i fianchi e mi diede un lungo, lunghissimo bacio appassionato.

“Mmm... Sei ancora arrabbiata con me?” Sussurrò ad un soffio dalle mie labbra.

“Non so... Credo dovresti farti perdonare...” Sorrisi spostando il mio sguardo sulla sua camicia.

Ok. Ero un caso disperato.

L’importante era esserne consapevoli.

E comunque sfido chiunque a non volere denudare Andrew.

Intanto il diretto interessato mi fissò con uno sguardo rassegnato: oramai quasi non si stupiva più di mie certe uscite.

“Si si come no! Prima, però...” E mi spostò di un lato per avvicinarsi alla porta e chiudere a chiave la porta.

“Oh...”

Lo amavo anche perché era più sveglio di me. Anche se ci andava decisamente poco.

“Onde evitare spiacevoli incidenti!” Mi disse con tono un tono lievemente di rimprovero.

“Potevi pensarci tu, bello mio!”

“Scommetto che sapevi che Jess sarebbe dovuta venire, ma te ne sei completamente dimenticata!”

Aprii la bocca per replicare, ma mi accorsi che effettivamente Andrew aveva ragione.

Ma perché doveva avere sempre ragione quel ragazzo?

“Scusa se ero impegnata a fare altro!!” Alla fine decisi di non cedere, anche se sapevo che facendo così non saremmo arrivati a capo di niente, dato che, quasi sicuramente nessuno dei due aveva intenzione di darla vinta all’altro.

E infatti...

“Beh ma se ti distrai per così poco...” E cominciò a sbottonarsi la camicia.

Stava per caso provando a tentarmi?

No perché di sicuro non ci sarebbe riuscito.

Rimasi a fissarlo come se niente fosse. L’importante era rimanere concentrati sugli occhi e non su quei pettorali così scolpiti... E i muscoli ben disegnati delle spalle... e nemmeno su... Si! Gli occhi. Esatto! Anzi no! Meglio il naso.

Intanto Andrew stava vedendo l’indecisione passare davanti ai miei occhi e non faceva altro che aspettare.

Beh allora sarebbe dovuto rimanere in attesa per un bel po’.

Incrociai le braccia intorno al petto e così cominciammo a fissarci, io con aria strafottente e lui con aria di superiorità.

Dopo un po’ però il suo sguardo assunse un’espressione diversa da qualunque cosa mi sarei mai immaginata.

Si avvicinò a me, mentre io, soddisfatta credevo di aver vinto.

Poi fece qualcosa che non mi sarei aspettata. Cioè... Me lo sarei aspettato, ma non in quel momento.

Dire che mi saltò addosso sarebbe proprio un eufemismo. Però se la vogliamo mettere così...

Finimmo entrambi sul letto ed entrambi senza maglia.

Quando anche la mia di camicetta finì sul pavimento, guardai Andrew come se fosse impazzito.

“Che c’è?”

“No, ma niente...” E mi guardai il corpo semi svestito.

“Mi dava fastidio...” Sorrise lui. “Il viola non sta bene con i tuoi occhi...”

Riconobbi le stesse parole che avevo usato la prima notte in cui avevo dormito con Andrew. La prima volta che gli avevo tolto la camicia. Ovvero tre secondi dopo che ci eravamo messi insieme.

Gli tirai uno scappellotto.

“Si ma come mai, ora?”

“Ti stavo guardando e pensavo che sei troppo bella... Poi mi sono chiesto come eri senza maglia...”

Arrossii fino alla punta dei capelli. Quella poco casta e pura dovevo essere io!

“E come sono senza maglia?” Biascicai, tentando di nascondere l’imbarazzo.

“Anche se lo pensavo impossibile... Ancora più bella.”

Sorrisi inconsciamente senza rispondere a quest’ultima affermazione, anche perché non mi veniva in mente niente di intelligente da dire, tanto per cambiare.

Avevo già detto che amavo quel ragazzo?

Beh meglio ribadirlo, non si sa mai.

Dopo qualche minuto mi fissò negli occhi.

“Vieni a dormire da me, ‘sta notte...” Non era decisamente una domanda.

“Ehm... Non so se la cosa può esserti sfuggita, ma ci sono anche i miei in casa...”

“Inventati una scusa...”

Effettivamente avrei anche potuto dire che sarei andata a dormire da Jess. Ammesso che i miei mi avessero creduto.

Beh, tentare non nuoce.

“D’accordo aspetta.”

Presi il cellulare e composi meccanicamente il numero della mia migliore amica che, al terzo squillo rispose.

“Roxanneeeee!!!! Lo sapevo che non esistevano uomini adatti a te su questa terra! Infatti sei andata a pescarti addirittura un morto! Cioè ma dico io! Si può??”

Si, ma era una cosa impossibile fare un dialogo con quella ragazza!

Approfittai di un momento in cui Jess riuscì a stare zitta per un millesimo di secondo e riuscii addirittura ad inserirmi nella conversazione.

“Se se... Comunque!! Ho bisogno di un favore!”

“Che genere di favore? Mi devo alzare??” Rispose la voce di Jess, già agitata all’idea di dover lasciare per qualche secondo il divano e di dover compiere la fatica di reggersi su due gambe.

Effettivamente era quasi peggio di me.

“Ma no! Non ti chiederei MAI una cosa del genere!”

“Oh, allora tutto quello che vuoi.”

“Ok! Non è che posso far finta di venire a dormire da te?” Chiesi con riluttanza, preparandomi psicologicamente ad un mega urlo.

E, infatti, dopo qualche secondo di silenzio Jess diede il meglio di sé.

“COSA COSA COSA???? MA BRAVAAAA VAI A TRASCORRERE LA NOTTE IN GIRO!! Ma guarda te ‘sta scostumata di un’amica che mi ritrovo!!”

Dopo di che ci fu un altro momento di silenzio, seguito da un ulteriore urlo.

“Roxy... MA ANDREW è UN FANTASMA!! E QUINDI NIENTE...!!!!”

Le chiusi il telefono in faccia, dopo aver raggiunto il limite di sopportazione.

Arrossii di nuovo, domandandomi come mai Jess ci avesse messo così tanto ad arrivare a quelle conclusione.

Intanto Andrew si stava sganasciando dalle risate, tenendosi la pancia.

Lo guardai con aria di sufficienza, alzando un sopracciglio e facendo finta che la mia faccia fosse di un colore normale.

Dopo qualche minuto Jess mi richiamò.

“E va beh, però!! Non si può proprio dire niente!!”

Il mio silenzio fu molto eloquente.

“Comunque per me ve bene...”

Ecco, erano queste le esatte parole che volevo sentirmi dire. Non chiedevo molto, no???

“Grazie!”

“Prego! Però domani devi telefonarmi perché io voglio sapere cosa è successo!”

“Certo certo...”

 

 

Muauauaua... Alla fine c’ho messo meno del previsto...

Già perché al posto di studiare, me ne sto qui a scrivere XD XD

Eh va beh!!

Angel Texas Ranger: eh cara, che vuoi farci... Roxy è svampita!! Si dimentica questi dettagli non sorvolabili... Cmq grazie mille x le recensioni!! Bacio bacio

nikoletta89: Hey ciao!! Grazie mille per i complimenti sono proprio contenta che la mia storia ti piaccia =D Ad ogni modo, già già Andrew è proprio una bella gatta da pelare... Mmmm non dovrei farlo ma lo dico... Oramai siamo vicinissimi a scoprire la verità... Diciamo... Nei prossimi capitoli... Sssssh io non ho detto niente, né!!! XD

Ancora muchos grazias Ciauuuu

 

Beh alla prossimaaaaaaaaa

Kiss kiss

 

Mallow92

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Capitolo 20
*** Dare ***


Cap.19

Dare

 

One more kiss could be the best thing
Or one more lie could be the worst
And all these thoughts are never resting
And your not something I deserve

In my head there's only you now
This world falls on me
In this world there's real and make believe
And this seems real to me
And you love me but you don't know who I am
I'm torn between this life I lead and where I stand
And you love me but you don't know who I am

So let me go

 

And no matter how hard I try
I can't escape these things inside
I know, I know
But all the pieces fall apart
You will be the only one who knows”

 

3 Doors Down – Let Me Go

 

 

<< “Vieni a dormire da me, ‘sta notte...” Non era decisamente una domanda.

“Ehm... Non so se la cosa può esserti sfuggita, ma ci sono anche i miei in casa...”

“Inventati una scusa...” >>

 

Cap. 18 – Favour

 

 

Mi infilai sotto le coperte con il mio fantastico pigiamone rosa con disegnate sopra delle mucche.

Probabilmente sembravo sexy come le mie babbucce, ma sinceramente la cosa non mi interessava più di tanto. Sapevo solo che stavo morendo di freddo e quindi, senza tanti complimenti, mi appioppai a polipo sul petto caldo (e nudo) di Andrew.

Tremavo un po’, per cui lui infilò la mano sotto la mia maglia e incominciò a strofinarmi la schiena.

“Mmmm io ho un’idea migliore per scaldarci...” Ridacchiai io.

“Davvero?” Mi chiese lui, con fare innocente (effettivamente gli mancava solo l’aureola in testa).

“Certo! Facciamo una bella corsetta intorno alla casa... Che dici?”

Come al solito rimase senza parole e mi guardò come se avessi detto una megagalattica cavolata.

Beh, non gli potevo mica dare tutti i torti.

D'altronde mi aveva scelta lui, quindi aveva solo da prendersela con se stesso, non era colpa mia se da piccola avevo preso più di qualche botta in testa ed ero diventata fuori di testa com’ero.

Io continuavo a sostenere anche la teoria che probabilmente era colpa dei miei genitori degeneri.

“Amore mio...”

Il mio cuore fece una capriola, poi un salto mortale avanti, uno indietro, si fermò all’autogrill per un caffè poi riprese la sua corsa quasi a velocità normale.

Ma da quando in qua aveva deciso di chiamarmi così? No, perché almeno poteva avere la decenza di avvertirmi prima di dire una cosa del genere, oppure rischiavo di svenirgli lì sul colpo.

“Si?”

“Ma lo sai che ti amo?”

Questa volta il cuore non accennava a voler ripartire.

“Mmm... No... Questa cosa mi suona nuova...” Dopo di che sorrisi e gli diedi un fugace bacio sul collo.

Di nuovo rimase senza parole, mi aspettavo apparisse la tipica gocciolina dei cartoni animati.

Ma feci finta di niente e mi accoccolai meglio sul suo petto.

“Si, comunque, non so se la cosa ti poteva essere sfuggita, ma ti amo pure io...”

Anche se era buio, riuscii a distinguere la traccia di un sorriso comparire sul suo volto.

Inconsciamente incominciai a disegnare delle linee immaginarie seguendo i tratti del volto fino a scendere al collo e al petto.

Dopo di che chiusi gli occhi e poggiai la mia mano sul suo petto, all’altezza del cuore, e subito dopo lui mise la sua sopra la mia.

In quel tepore fu inevitabile per me entrare nella fase rem. Lo so, ma non è colpa mia se ogni volta che sono in posizione orizzontale e al calduccio cado in catalessi.

Mi sembravano passati solo pochi secondi, ma notai una luce strana e mi parve di avere un déjà vu. Ma ero ancora troppo addormentata per rendermi effettivamente conto di cosa stesse accadendo.

Poco dopo sentii la presa di Andrew farsi più stretta intorno alla mia vita.

“Che diavolo…?”

Ancora per qualche attimo credevo di stare sognando, ma sentivo che c’era qualcosa che non andava, così mi costrinsi ad aprire gli occhi.

Quello che vidi non mi piacque per niente.

Il mio peggiore incubo si era avverato: Elisabeth stava lì, troneggiava al centro della stanza in tutta la sua spaventosa bellezza. Andrew cercò di mantenere il più possibile la calma, ma si vedeva che era agitato.

Io, invece, mi sentivo il sangue pulsare nelle vene e quell’orribile sensazione di terrore che si prova quando si sa di stare per assistere ad una scena spaventosa in un film dell’horror: da una parte sei curioso di sapere cosa succederà, dall’altra non si vuole conoscere cosa nasconda l’oscurità.

Nonostante tutto riuscii a notare quanto Andrew non rimase stupito della presenza di Elisabeth: in fondo sembrava se l’aspettasse e soprattutto sembrava proprio che la conoscesse.

Comunque tutto ciò non durò altro che pochi secondi, perché Andrew mi afferrò per i fianchi e mi trascinò fuori dal letto per allontanarci il più possibile da lei, sotto il suo sguardo tra il disgustato e il divertito.

Il suo sorrisino si allargò ancora di più quando vide che Andrew si mise davanti a me, con fare protettivo.

“Chi diavolo sei?” Per quanto conoscessi bene Andrew, il suo tono di voce non mi sembrò per niente naturale, il che mi spaventò ancora di più.

“Oh, Andrew Bennett, forse con lei i tuoi trucchetti possono anche funzionare, ma non provare a fare il finto tonto con me...” Sibilò Elisabeth, avvicinandosi pericolosamente a noi. “Ti credevo più intelligente Roxanne... O magari è lui che è un attore da Oscar...”

Strinsi più forte la mano che Andrew mi aveva appena porto.

“Ribadisco la mia domanda... Chi diavolo sei?” Urlò Andrew.

In un attimo Elisabeth scomparve e riapparve a pochi centimetri da noi.

Io piantai un mezzo urletto, facendo un passo indietro, seguita subito dopo da Andrew che cercava in tutti i modi di non lasciare che io mi allontanassi da lui.

“Complimenti... Non so come tu faccia a rimanere impassibile davanti a me... E ancora di più mi domando con quale coraggio tu possa farlo davanti a lei.” La calma con cui parò fu inquietante.

‘Rimanere impassibile?’

“Smettila!!” Questa volta alzò il tono di voce anche lei e io, se era possibile, mi agitai ancora di più.

Ma di che diavolo stava parlando?

“Non ti preoccupare” Aggiunse quella donna rivolgendosi a me. “Non ho alcuna intenzione di fare del male a te...”

“Lasciala stare!” Andrew coprì lo spazio che si era andato a creare tra me ed Elisabeth con il suo corpo.

“Non osare, Andrew Bennett, dirmi cosa posso o non posso dire a lei!!”

Ma Andrew rimaneva quasi impassibile a tutte le provocazioni, anche se notavo la sua irrequietezza.

Per qualche secondo aleggiò il silenzio, sembrava la quiete prima della tempesta.

Andrew ed Elisabeth continuavano a fissarsi in cagnesco, mentre il mio sguardo saettava dall’uno all’altro, assetato di conoscere la verità.

“Pensavo che non avresti avuto il coraggio di fare una cosa del genere... E invece eccoti qui! Ma io non ti permetterò di farle del male... Non un’altra volta!” Gli occhi glaciali che si posarono nuovamente su di me, mi parvero per un attimo così simili ai miei.

Un altro tuffo al cuore seguì a questa scoperta.

“Roxanne... Ti avevo detto di stare lontana da lui... Non volevo che soffrissi di nuovo, ma ora è troppo tardi...” Pronunciò quella frase quasi con dolcezza, incominciando ad ondeggiare col suo lungo abito bianco verso di noi.

Cercai in qualche modo di distrarmi per far per lo meno cessare il mio cuore di battere all’impazzata, così mi accorsi solo in quel momento che quello che indossava Elisabeth era un abito da sposa. Il pensiero che fosse morta il giorno delle sue nozze per un istante me la face vedere molto più umana.

Che fosse l’amata di Andrew? Perché diavolo ce l’avevo a morte con lui? E perché Elisabeth non poteva parlare chiaro?

Mille domande si stavano facendo spazio nella mia mente, ma per quanto mi sforzassi non riuscivo a pronunciare nemmeno mezza sillaba, per cui mi limitai a stare in silenzio e ad ascoltare ciò che Elisabeth aveva da dire.

Magari lei avrebbe dato una risposta a tutti i dubbi che mi stavano assalendo da oramai settimane.

“Andrew Bennett... è inutile che fai finta di non ricordare...”

“Dimmi che cosa vuoi...”

Non riuscivo a capacitarmi di come Andrew riuscisse a mantenere il sangue così freddo. Ma finalmente compresi a fondo le parole che Elisabeth aveva appena pronunciato.

‘È inutile che fai finta di non ricordare’. Significava che Andrew ricordava?

Mi meravigliai del fatto che questa scoperta non mi stupii per niente.

Oramai avevo capito che stavano per arrivare quelle risposte che, finalmente, mi avrebbero spiegato tutta quella complicatissima vicenda.

Ma non sapevo se ero pronta a conoscerle.

Mi resi conto che effettivamente non volevo sapere la verità, perché ero sicura che le risposte che cercavo non mi sarebbero piaciute per niente. Senza contare che si stava avvicinando il momento che avevo sempre temuto ed il momento in cui tutte le mie illusioni sarebbero crollate.

“Che cosa pensavi di fare? Credevi che me ne sarei stata zitta, in disparte e avrei permesso che tu ti avvicinassi di nuovo a lei? Dopo quella che le hai fatto? Dopo quello che CI hai fatto? Con quale coraggio riesci a fissarla negli occhi e a dirle che la ami?!”

Senza nemmeno pensarci, Andrew prese il braccio di Elisabeth che, in uno scatto fulmineo aveva tentato di afferrargli la gola. Si misero a fissarsi nuovamente in cagnesco per qualche secondo, fino a quando la donna afferrò con l’altra mano il braccio di Andrew e ci piantò le unghie dentro.

Non uscì sangue quella volta.

Nessuno parlò.

Rimasero lì con gli occhi incatenati gli uni agli altri, carichi d’odio più che mai.

Immobili in una maniera disumana, senza nemmeno l’ombra di un respiro.

“Che intenzioni hai?” Sussurrò Andrew a pochi centimetri dal suo volto.

“Voglio che lei sappia la verità, così si allontanerà una volta per tutte da te... E questa volta sarà per sempre, non ti preoccupare”

“Non te lo permetterò...”

Fissai Andrew basita.

“Andrew...” Non mi resi conto che quella che aveva parlato ero io e non mi accorsi nemmeno delle lacrime che mi stavano rigando le guance.

Lui lasciò la presa ferrea e si avvicinò nuovamente a me tentando, poi, di abbracciarmi, ma io mi allontanai.

“Cosa...?” La mia voce si spezzò rotta da un singhiozzo. Deglutii, feci un respiro profondo e tentati di terminare la frase, ma ciò che mi uscii furono parole ben poco identificabili.

“Non è niente… Ssssh...” Quella volta non mi sottrassi da quell’abbraccio perché avevo la terribile sensazione che sarebbe stato l’ultimo e, per un istante, sperai che qualunque cosa sarebbe accaduta non me ne sarebbe importato niente, ma ero consapevole che non sarebbe stato così, quindi lasciai che Andrew cercasse di consolarmi.

“Oh, è bella, vero? Assomiglia terribilmente a Charlotte... Il modo in cui si muove, in cui parla, in cui ride, perfino come piange...” Elisabeth continuava a parlare in modo provocatorio: era palese che cercasse di far arrabbiare Andrew.

E ci riuscì.

In pochi secondi non sentii più il suo abbraccio confortante e lo rividi nell’altra parete con la mano ferramente stretta intorno al collo di Elisabeth, che, nonostante la posizione in cui si trovava, non smetteva di mantenere quel sorrisino beffardo dipinto sul volto.

“Ho sopportato anche troppo questa stupida farsa... Vattene!”

Non avevo mai visto Andrew così fuori di sé: di solito manteneva la sua innata capacità di rimanere freddo e distaccato.

“Di farsa qui ce n’è solo una... E di certo non la sto recitando io!” Dopo questa parole la ragazza divenne ‘trasparente’ e riapparve di fianco a me.

Io mi allontanai prima che potei, ma lei mi afferrò, ma solo per qualche secondo, perché Andrew venne immediatamente a mio soccorso e si frappose tra noi due.

“Allontanati da lei!” Urlò il mio ragazzo, oramai era fuori di sé.

“Dimmi... Ogni volta che la guardi negli occhi non ti ricorda Charlotte... Non ti ricorda il suo sguardo quando ti stava implo...”

Ma non riuscii a finire la frase perché l’urlo di Andrew la fece tacere.

“ZITTA!! Tu non sai cosa sia successo, non hai il diritto di giudicare!!”

Un altro milione di domande si fece strada nella mia mente.

Chi diavolo era Charlotte? Cosa era successo? E soprattutto perché nessuno era in grado di dirmi una volta per tutte come stavano le cose?

Continuavo a piangere. Non sapevo perché, però la cosa mi sembrava molto appropriata.

“Sono passati quasi trecento anni... Ti sono bastati per fare finta che non sia successo niente? Vuoi rifare lo stesso errore anche con lei?”

Andrew si avvicinò di nuovo a me e mi abbracciò stretta.

“Perché diavolo sei ancora qui??” Domandò Andrew.

“Le ho fatto una promessa, prima che morisse e ho tutta l’intenzione di mantenerla... Tu non sarai MAI più felice! Questa è un’evenienza che non avevo calcolato, ma rimedierò ora!” Elisabeth scandì l’ultima parola con molta cura, per fare in modo che non ci potesse in alcun modo sfuggire.

“Roxanne... Vuoi conoscere la verità?”

Ci misi un po’ a capire che si stava rivolgendo a me. Fino a quel momento avevo avuto l’assurda impressione di essere semplicemente una spettatrice di un brutto, bruttissimo sogno che stava piano piano frantumando i già fragili pezzi di una realtà che mi ero faticosamente costruita, fatta di menzogne.

“Lasciala stare!” Ribadì per l’ennesima volta Andrew, stringendosi ancora di più a me.

“Non me ne andrò... Non questa volta!”

Oramai la maschera di ghiaccio di Andrew era completamente caduta. Ce n’eravamo accorti tutti. Lo guardai negli occhi, ma mi parve di vedere uno sconosciuto dalla sua espressione insieme terrorizzata e accesa di un furore disumano.

“Non ti permetterò di portarmela via!”

“Chi è causa del proprio male pianga se stesso...”

Dopo di che Elisabeth pronunciò qualche parola per me incomprensibile e tutto ciò che vidi dopo fu solo buio.

 

 

Ok... Inspiriamo... Espiriamo!

FINALMENTE è FINITA LA SCUOLA!!!

Uauauauaua...

Beh ragazze... Oramai la fine è vicina (Lettrici: Finalmenteeeeeee!!!)

XD XD

Massu un po’ di pazienza... Oramai il mistero verrà svelato... Uff però mi dispiace finire questa mia prima fanfiction... Eh va beh sapevamo tutti che sarebbe arrivato questo momento! Ma bando ai sentimentalismi che manca ancora qualche capitolo!!

Cmq...

nikoletta89: Muchos graziasss!! Nuoooo io adoro quell’attoreeee!! XD XD Mi piace un saccooo secondo me è bellissimo! :-P Massiiii la bellezza è soggettivaaa! Cmq... Ci ho messo un po’ ad aggiornare (Tanto x cambiare)... E lo so sono un disastrooo ma come al solito i miei professori hanno deciso di concentrare mille verifiche in due settimane... Eh va beh! Ora non avrò più questo problema per un pezzo =D

Bacioneeee alla prossima!!

Tetide: Uauauaua certo che sono proprio cattiva a non voler spiegare ancora niente... Eh ma non è colpa mia se mi hanno fatta così XD XD Grazie mille per i commentuzzi!!! Spero continuerai a dirmi cosa ne pensi perché io adoro le vostre recensioni!!

Bacione enorme!!

Angel Texas Ranger: Eccola qui la tizia mortaaa, per la giuoia di Roxy! XD... Cmq Jess è completamente fuori di testaaaa!!! Si si ma io lo dicevo che quella ragazza non era tanto a postooo Uauauaua…

Alla prossimaaaa grazie millee

Bacioneeee!!

Kissotti a tutti

 

Mallow92

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Capitolo 21
*** Past ***


Cap.20

 

Past

 

 

Catch me as I fall
Say you're here and it's all over now
Speaking to the atmosphere
No one's here and I fall into myself
This truth drives me
Into madness
I know I can stop the pain
If I will it all away

Don't turn away
(Don't give in to the pain)
Don't try to hide
(Though they're screaming your name)
Don't close your eyes
(God knows what lies behind them)
Don't turn out the light
(Never sleep never die)

I'm frightened by what I see
But somehow I know
That there's much more to come
Immobilized by my fear
And soon to be
Blinded by tears
I can stop the pain
If I will it all away

 

Evanescence - Whisper

 

<< “Chi è causa del proprio male pianga se stesso...”

Dopo di che Elisabeth pronunciò qualche parola per me incomprensibile e tutto ciò che vidi dopo fu solo buio. >>

Cap. 19 - Dare

 

 

“Ahia!!”

Ely si massaggiò la coscia che le avevo appena punto involontariamente con uno spillo.

“Scusa, scusa! Però tu potresti anche cercare di stare un po’ più ferma!”

Sbuffai, cercando di puntare per l’ennesima volta la stoffa del vestito.

Dopo altri vari tentativi (dovevo ammetterlo, cucire non era proprio il mio forte), mi alzai in piedi per rimirare il mio lavoro.

Feci un mezzo giro e mi ritrovai, così, di fronte alle mia sorellona. Con un cenno le feci capire di stare ferma.

Cavolo... Madre natura aveva dato a lei tutto quello che non aveva dato a me: un corpo da favola, dei lunghissimi capelli biondi e degli occhi fantastici.

Il vestito le calzava a pennello, non c’era nulla da dire.

“Allora?” Vidi l’impazienza nei suoi occhi.

“Sei bellissima!”

Un sorriso a trentaquattro denti le illuminò il viso.

Poi mi si buttò tra le braccia.

“Oh!! Come sono contenta!”

Forse si era dimenticata un piccolo particolare: gli spilli.

Piantai un mezzo urletto e lei si allontanò subito chiedendomi scusa, dopo di che ci mettemmo a ridere entrambe.

Il nostro scoppio di ilarità fu interrotto dall’entrata di Rose.

“Uh! Sorellina mia adorata, capiti a proposito!” Esclamai io.

Anche gli occhi di Rose si riempirono di meraviglia: Ely era davvero uno splendore.

“Che bella che sei!” Urlicchiò la nostra sorellina.

“Tutto grazie alle mie innate doti da sarta!” Intervenni.

“Si si... Ma se ci hai messo ore a puntarmi tre spilli!” Ribatté scherzosamente Elisabeth, alzando un sopracciglio.

“Punto primo ci ho messo ‘solo’ tre quarti d’ora e punto secondo gli spilli erano cinque”

Rose Mary ridacchiò.

“Secondo me appena Jhon ti vedrà così gli verrà un infarto”

Ely si voltò verso lo specchio.

“O magari ti salterà direttamente addosso!”

La mia sorellona mi tirò un bello scappellotto dietro lo nuca, diventando tutta rossa.

“Ahi...”

“Tu sei ancora troppo piccola per questo genere di cose!” Mi riprese subito dopo, senza che il rossore scomparisse dal suo volto.

“Si, certo...”

Il mio pensiero non poté fare altro che rivolgersi ad Andrew.

Chissà se un giorno anche lui mi avrebbe chiesto di sposarlo. Al solo pensiero non potei fare altro che sorridere, cosa che Rose non mancò di notare.

“Oh già, come sta il nostro caro Andy?”

Sollevai un sopracciglio con aria di superiorità, chiudendomi in un dignitoso silenzio.

All’improvviso qualcuno bussò violentemente alla porta.

Sobbalzai, domandandomi chi diavolo potesse essere, dato che nessuna di noi aspettava visite.

Ci guardammo tutte e tre interrogative, poi Rose andò ad aprire la porta.

Non ebbi nemmeno il tempo di capire chi fosse, che una mano spuntò da dietro lo stipite e afferrò senza tanti complimenti il polso di Rose.

Mi ritrovai impietrita e terrorizzata nel giro di qualche secondo, completamente incapace di capire cosa stesse accadendo, fino a quando vidi quattro guardie precipitarsi all’interno di casa mia e raggiungere me e Elisabeth.

Non seppi come, però, dopo che quegli uomini riuscirono ad imprigionare anche l’altra mia sorella, le mie gambe decisero di funzionare di nuovo e, senza nemmeno pensarci un istante, corsi verso la cucina, dove sapevo ci fosse la porta di servizio.

Sentivo le guardie inseguirmi e urlare qualcosa di simile a ‘strega’, anche se non ne compresi il motivo.

Probabilmente la forza della disperazione mi fece correre più veloce di loro tanto che, voltando in diversi vicoli più e più volte riuscii a seminarli una volta per tutte.

Mi fermai per qualche secondo, giusto per riprendere il fiato, ma lo shock e la confusione non accennavano a cessare.

Non riuscivo a capacitarmi del perché fosse accaduto tutto quello, senza contare che ero terrorizzata all’idea di quello che sarebbe potuto capitare alle mie sorelle.

Mi infilai in un vicolo semi buio: oramai il sole stava tramontando.

Chiusi gli occhi, cercando di far regolarizzare il respiro, e per capire quale sarebbe stata la cosa migliore da fare, ma una nuova ondata di panico mi pervase.

Non riuscii a fermare le lacrime anche se sapevo benissimo che quello non era per niente il momento adatto di piangere.

Mi lasciai andare solo per qualche minuto, dopo di che ripresi il controllo di me stessa.

Avevo una confusione immensa nella testa: mille perché e mille sensazioni si mescolavano senza sosta.

C’era una sola cosa chiara nella mia mente.

Un unico volto.

Andrew.

 

Bussai furiosamente alla porta.

Non sapevo come avevo fatto ad arrivare fino a lì, ma ringraziai mentalmente il fatto che fosse il crepuscolo e che quindi non ci fosse quasi nessuno in giro per le strade.

Mi aprii la cameriera un po’ affannata: evidentemente stava facendo qualche lavoro domestico.

“Devo vedere Andrew!” Preferii saltare i convenevoli e, fortunatamente, la donna, evidentemente dopo aver visto la mia faccia, non sprecò inutile tempo in domande e mi fece accomodare.

Finalmente mi fu concesso di raggiungere Andrew.

Percorsi il corridoio buio e silenzioso, se non fosse per il solo rumore dei tacchi che scandivano la mia corsa.

Mi ritrovai finalmente di fronte alla porta della sala da pranzo.

Decisi di aprirla senza bussare.

Andrew era lì.

Vidi il suo sguardo spaventato nel vedermi: probabilmente dovevo essere in uno stato davvero pietoso. Ma per fortuna non si fece prendere dal panico e, dopo essersi alzato, incominciò a dirigersi verso di me.

Stavo per avvicinarmi anch’io, ma quei dannati scimmioni che scortavano Andrew ovunque da quando i suoi genitori erano morti, mi puntarono le loro spade contro.

Cercai di non innervosirmi più del dovuto anche se sapevo benissimo che loro mi conoscevano bene, quindi non capivo proprio il motivo di quella farsa.

“Fermi!”

Ringraziai il cielo che lì ci fosse Andrew.

Rivolsi di nuovo la mia attenzione a lui.

“Charlotte, che cosa..?”

“Lo-loro” Solo in quel momento mi resi conto che mi mancava il respiro per terminare la frase. Cercai di prendere un grosso respiro, ma non servì a molto.

“I-io…”

Niente da fare.

Al pensiero di ciò che era accaduto un nuovo attacco di panico si fece strada tra i miei già poco saldi nervi, così scoppiai di nuovo a piangere.

Andrew finalmente mi raggiunse e mi abbracciò.

Quelle braccia furono un vero e proprio conforto.

Mi lasciai stringere forte da lui: finalmente mi sentivo al sicuro.

Poi mi resi conto che si stava aspettando una spiegazione, per cui cercai di articolare un discorso, ma la cosa fu più difficile del previsto.

“Loro! Mi stanno cercando…”

“Chi? Perché?” Andrew mi scosse impercettibilmente e mi fissò negli occhi, con aria molto preoccupata.

“Per l’amor del cielo, cos’è successo?”

Dovevo sforzarmi di riattivare il cervello, così presi l’ennesimo respiro.

“Io… Ero a casa con le mie sorelle, quando delle guardie sono entrare prepotentemente nella stanza e… Le hanno prese. Io sono riuscita a scappare e sono venuta qui subito.”

“Cosa? Non è possibile? Perché mai avrebbero fatto una cosa del genere?” Andrew mi strinse ancora di più a sé.

“Continuavano a urlare ‘Strega! Strega!’ ma io non ho fatto niente di male! Non capisco…”

Dopo di che le parole furono spezzate da nuove lacrime involontarie.

“Ci deve essere stato un errore! Non ti preoccupare, amore mio, non permetterò che ti accada niente. Te lo giuro!”

Ovviamente Andrew seppe trovare immediatamente le parole per farmi stare meglio.

“Sapevo di poter contare su di te!”

“Sempre… Ora vai nelle mie stanze, presto ti manderò una cameriera che ti prepari un bagno caldo, conosci la strada?”

Certo che la conoscevo. Annuii.

Stavo per allontanarmi, quando Andrew mi prese il viso tra le mani.

“Ti amo”

Il mio cuore prese a battere furiosamente.

“Anche io ti amo.”

Dopo di che uscii dalla stanza. Mi ritrovai di nuovo nel corridoio buio, ma non ebbi nemmeno il tempo di fare qualche passo che la porta si riaprì di nuovo.

Mi voltai nella speranza che Andrew avesse deciso di accompagnarmi e, invece, mi ritrovai quei due brutti ceffi con un’aria tutt’altro che amichevole.

Li guardai terrorizzata.

Che diavolo volevano da me?

Uno di loro si avvicinò con aria minacciosa e con uno scatto fulmineo tentò di afferrarmi un braccio, ma io ringraziando la mia prontezza di riflessi riuscii a sfuggirgli.

Automaticamente cominciai a correre, non sapevo nemmeno dove, ma l’unica cosa di cui ero certa era che non volevo che mi prendessero.

Le lacrime mi offuscavano la vista.

Perché stava accadendo? Perché le guardie di Andrew stavano cercando di catturarmi?

Non sapevo per quanto avessi corso, magari erano solo pochi minuti, ma già non mi sentivo più le gambe e ogni respiro mi bruciava in maniera insopportabile nella gola.

Così inciampai.

Non provai nemmeno a rialzarmi, convinta che quello fosse un orribile sogno. Non poteva stare succedendo veramente.

Pensai che poco tempo prima ero a ridere e scherzare con le mie sorelle e quella situazione mi parve ancora più assurda.

Ascoltai i passi delle guardie che mi raggiungevano.

Non alzai il volto, preferii lasciarmi trascinare nel baratro di quel buio così confortante.

Mi sentii sollevare da due pesanti braccia. Non opposi resistenza: sapevo che tanto sarebbe stato tutto inutile.

Il silenzio che aleggiava in quel corridoio buio era inquietante. Silenzio che fu interrotto dal rumore di altri passi.

“Andrew!” Alla sua vista non potei far altro che pronunciare il suo nome, come se farlo potesse farmi rendere conto che effettivamente lui si trovava lì.

Ma non appena vidi il suo sguardo illuminato da una torcia che teneva in mano, capii che c’era qualcosa che non andava in lui.

I suoi occhi erano carichi d’odio, come se stesse guardando il suo acerrimo nemico.

“P-perché?” Fu l’unica cosa che mi venne spontaneo dire.

E la sua risposta furono due parole che mi spezzarono letteralmente il cuore.

“Portatela via!”

Per qualche secondo non riuscii a respirare.

“No!! No!! Perché??? Andrew!! No!” Urlai con il poco fiato che avevo in gola, ma fu tutto inutile: il suo sguardo rimase lo stesso di poco prima.

“Andrew!!!” Urlai il suo nome fino a quando non mi trascinarono via nell’oscurità e non potei più vederlo.

Capii che quella sarebbe stata l’ultima volta.

 

Aprirono una cella e mi ci gettarono dentro senza tanti complimenti.

“Charlotte!” Una voce familiare mi colpì.

“Eli...” Cercai nell’oscurità della cella e finalmente trovai gli occhi di mia sorella.

Le corsi incontro e la abbracciai, trovando finalmente un po’ di conforto in una persona che sapevo non mi avrebbe mai tradita.

Dopo qualche minuto riuscii a calmarmi un po’.

“Dov’è Rose?”

Non ero sicura di volere sapere la risposta.

“L’hanno portata via perché continuava ad urlare”

Altre lacrime mi bagnarono le guance.

É stato Andrew!! È stato lui!!!” Gridai.

“Ssssh...” Elisabeth mi strinse di nuovo tra le sue braccia, accarezzandomi dolcemente la testa.

“Non ti preoccupare, vedrai che si sistemerà ogni cosa.”

“Ma che diavolo sta succedendo?” Urlai di nuovo.

Una guardia ci intimò di fare silenzio e anche Elisabeth mi fece capire che era meglio ascoltare il suo consiglio se non volevamo essere separate anche noi.

“Non lo so, non lo so...” Quella volta anche lei scoppiò a piangere.

“Perché mi ha fatto una cosa del genere?”

Parlavo più con me stessa che con Elisabeth.

“Charlotte... Siamo state accusate di stregoneria...” Cercò di pronunciare quelle parole in modo che mi scioccassero meno del dovuto.

Ma il risultato non fu quello sperato.

Mi prese un attacco di panico, tanto che non riuscii più a respirare.

Sapevo benissimo qual’era il risultato di un’accusa per stregoneria.

Rogo.

“No, no, non può essere!”

Cominciai a tremare.

“No! Non voglio morire!” Mi alzai barcollando e mi diressi verso le sbarre della prigione.

“NO! Non voglio morire!!” Urlai senza alcuna speranza che qualcuno mi svegliasse da quell’incubo.

Già, perché non poteva essere altro che un brutto sogno.

Perché Andrew mi aveva rinchiusa? Io ero convinta che lui mi amasse.

La cosa che mi faceva stare ancora più male era che non capivo il motivo di tutto quello che stava succedendo.

Elisabeth mi fece sedere e tentò di convincermi di non urlare, ma io continuavo a piangere e sapevo che avrei continuato a farlo fino a quando avessi avuto lacrime da versare.

“Perché? Perché?” Continuavo a sussurrare.

A tutto ciò di aggiungeva anche il terrore di perdere le mie amate sorelle.

Non poteva essere.

No.

Ma la voce di Elisabeth diede una conferma a tutte le mie paure e i miei dubbi.

È finita...”

 

 

*Lettrici scaraventano un badile contro Mara.*

Ouch!

Mara *con un bernoccolo in testa* prende uno scudo per difendersi.

XD XD

Ok, ragazzuole, sappiate che io vi voglio bene... Ma, ebbene sì è ora che voi lo sappiate, sono mooooolto sadica!! XD XD (Nel caso non ve ne foste rese conto)

*Lettrici tentano di fare fuori una volta per tutte la “scrittrice”*

Va bene... Giuro che nel prossimo capitolo spiego TUTTO!!

XD XD

nikoletta89: Hola! Muchos grazias... Il capitolo prima non mi era piaciuto grancè, ma sono contenta che tu l’abbia apprezzato... Cmq se prima ti ho lasciato col fiato sospeso, non voglio immaginare ora XD XD

Va bene... Ora mi muoverò di nuovo ad aggiornare sennò qui mi sa che non arrivo viva a fine Giugno. XD

Bacione grande!

Tetide: Mmm, beh, oramai penso di aver fatto capire chi sia Elisabeth... E per quanto riguarda le congetture... Risponderò al prossimo capitolo (cmq diciamo che sei sulla buona strada) XD

Un pochetto di pazienza, tanto oramai si capisce quasi tutto... Ma sentiamo cosa ha da dire a sua discolpa il nostro fantasmino.

Bacione grande!

MakyMay: Ehi ciau!! Sono contenta che sei di nuovo qui! XD Bene! Io invece sono identica a Roxy, mentre Jess è la copia sputata della mia best friend XD! Ed effettivamente se sei uguale ad entrambe la cosa è preoccupante (Nuoooo scherzo :-P). Alla prossimaaa!

Bacione grande!!

 

Ok al prossimo capitolo (che posterò alquanto prima)

Kissoni!!

Mallow92

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Capitolo 22
*** Game Over ***


Cap.21

 

Game Over

 

 

“Lie awake in bed at night
And think about your life Do you want to be different?
Try to let go of the truth
The battles of your youth
’Cause this is just a game

It's a beautiful lie
It's a perfect denial
Such a beautiful lie to believe in
So beautiful, beautiful lie makes me

It's time to forget about the past
To wash away what happened last (happened last)
Hide behind an empty face
Don't ask too much, just say
'Cause this is just a game”

 

30 Seconds To Mars – A Beautiful Lie

 

<< Non poteva essere.

No.

Ma la voce di Elisabeth diede una conferma a tutte le mie paure e i miei dubbi.

È finita...” >>

 

Cap. 20 – Past

 

­­­­­­­­­­­­­

“Roxy!!”

Riaprii bruscamente gli occhi e battei più e più volte le ciglia per cercare di mettere a fuoco l’ambiente circostante.

Mi doleva la testa e ancora non riuscivo a capire bene che diavolo stesse succedendo.

Poi i ricordi che avevo appena vissuto mi ritornarono alla mente, insieme a ciò che era accaduto poco prima. Vidi per prima cosa il volto di Andrew.

Lo guardai sconvolta e, probabilmente a causa della sottospecie di sogno che avevo fatto, mi misi a piangere.

Non sapevo perché, ma ero sicura che quello che avevo visto fosse vero.

Charlotte.

Chi diavolo era? Perché Andrew le aveva fatto una cosa del genere? E io cosa c’entravo con tutto questo?

Comunque fosse, il fantasma cercò di allungare una mano verso di me, ma io lo scansai.

Oramai non potevo più fidarmi di lui: non mi aveva raccontato la verità e aveva ucciso una donna che aveva detto di amare.

Era come se ciò che Andrew avesse fatto a Charlotte lo avesse fatto a me.

Senza contare che aveva detto pure a me di essere innamorato.

Lo fissai come se non riuscissi a pronunciare nemmeno mezza sillaba tanto ero scioccata per la scoperta ed effettivamente era proprio così.

Io ed Andrew ci fissavamo senza dire niente.

Solo dopo qualche minuto mi resi conto che Elisabeth era ancora lì.

Ebbi un enorme moto d’affetto verso di lei che quasi mi venne voglia di abbracciarla, come si fa con una sorella che non si vede da tanto tempo.

Lei mi sorrise tristemente.

“Mi dispiace Roxanne...”

Andrew sembrava sotto shock.

“Perché?” Sussurrò. “Perché lo hai fatto?”

Evidentemente era rivolto ad Elisabeth, ma lei fece finta di niente.

Cercai di alzarmi, ma il risultato fu che barcollai tentando di reggermi in piedi e, in meno di un nano secondo, mi ritrovai accasciata al suolo con un milione di puntini neri che mi offuscavano la vista.

Andrew quella volta fu più veloce di qualunque mio tentativo di allontanarlo da me per poter aggiungere l’unica persona che ero convinta mi fosse veramente amica.

Ma lui riuscì ad abbracciarmi e io non avevo la forza per ribellarmi.

“Lasciami!” Finalmente riuscii a riscuotermi da quella sottospecie di torpore.

Andrew mi fissò come se lo avessi appena pugnalato, cosa che, se avessi potuto, avrei fatto volentieri.

“Come... Come hai potuto?”

Avevo sempre creduto che il segreto che Andrew custodisse era qualcosa di grosso, ma non avrei mai creduto che lui fosse in grado di fare una cosa del genere.

Mai.

Andrew mi lasciò andare e rimase lì. Una statua di ghiaccio, priva di ogni espressione.

Non voleva che scoprissi il suo segreto. Questo era ovvio e capivo anche il perché.

Ciò che non capivo era il motivo per cui aveva deciso di parlare con me ed inventarsi tutta quella storia per avvicinarmi.

Che fosse un fantasma maniaco omicida?

Però ora comprendevo il perché mi aveva detto tutte quelle cose.

Capivo che effettivamente era impossibile che si fosse innamorato di me.

Ora tutto aveva un senso.

Mi venne in mente anche la scritta che avevamo visto incisa sull’albero: “A + C”

Magari Andrew voleva far fare la stessa fine anche a me.

Ma quale sadico avrebbe fatto innamorare ben due ragazze di sé per farle fuori?

Era una cosa che andava al di là della crudeltà.

Quando queste considerazioni si fecero strada nella mia testa provai di nuovo un dolore insopportabile, come se il mio cuore si fosse realmente frantumato in mille pezzi.

Ora ne ero sicura: non avrei voluto conoscere quella storia.

Ma oramai era troppo tardi.

Continuai a fissare Andrew, che guardava un punto non definito della stanza, con un’espressione indecifrabile.

“C’è ancora una cosa che devi sapere, Roxanne...”

Sobbalzai, completamente dimentica di Elisabeth.

Mi voltai verso di lei con aria stremata.

“Vieni con me...” Mi incitò lei, porgendomi la mano.

Io, ancora un po’ titubante, la afferrai.

Andrew, invece, non si oppose in nessun modo e rimase lì, immobile.

Così seguii Elisabeth che mi portava nel corridoio, camminammo quasi fino al bagno, ma la ragazza si fermò di fronte a quella porta che qualche tempo prima era chiusa e che io avevo provato ad aprire senza risultato.

Avevo anche chiesto ad Andrew cosa ci fosse al suo interno, ma, ovviamente, non mi era stata data risposta. (Cap.7 – Searches N.d.A.)

Tutti quei ricordi mi sembravano lontanissimi, come se appartenessero ad un’altra persona: in quel momento ero convinta che non ci sarebbero stati altri momenti così felici per me.

Senza cuore è difficile provare la felicità.

Forse me ne sarei dovuta accorgere prima.

Intanto, non so come, Elisabeth riuscì ad aprire la porta.

Senza pronunciare una parola barcollai dietro di lei dentro la stanza buia. La ragazza fantasma si avvicinò ad una finestra e tirò le tende impolverate.

Per un attimo rimasi accecata dalla luce, così fui costretta a battere più volte le palpebre.

Quando riuscii a vedere di nuovo, mi resi conto che Elisabeth era in piedi di fronte a me e mi stava fissando, come se si aspettasse una qualche mia reazione a qualcosa.

Io la guardai con aria interrogativa, poi mi accorsi che il suo sguardo era sfrecciato alla mia destra.

Anche se con un po’ di paura di ciò che avrei potuto trovare, mi voltai e l’unica cosa che notai era che sulla parete c’era appeso un quadro che ne ricopriva gran parte.

Fu l’ennesimo shock quel giorno.

Vi era raffigurata una ragazza.

Aveva lunghi capelli bruni che le cadevano con morbidi ricci sulle spalle, gli occhi erano di un azzurro intenso, che perforavano chiunque la fissasse; le labbra ben disegnate erano lievemente incurvate in un sorriso.

Aveva un’aria un po’ imbarazzata.

Era più bella.

Ma era identica a me.

A guardarla bene, quella ragazza aveva dei piccolissimi particolari che la rendevano per certi versi differente a me.

Forse l’atteggiamento.

La fissai con gli occhi spalancati, senza comprendere come ciò fosse possibile.

Indietreggiai di qualche passo: avevo intenzione di voltarmi verso Elisabeth per domandarle che diavolo significasse tutto quello, ma, per quanto mi sforzassi, non riuscivo a staccare gli occhi da quel quadro.

All’improvviso posai il mio sguardo sulla targhettina in basso.

“Charlotte Jenksin” Lessi ad alta voce.

Dopo quella scoperta, un rumore mi fece sobbalzare e mi voltai verso l’entrata della stanza.

Vidi Andrew che mi fissava con quella sua espressione che mi faceva morire di tristezza. Non riuscii a nascondere la mia, letteralmente terrorizzata e confusa.

“Vattene...” Quell’unica parola mi trafisse come un colpo di spada.

Deglutii a fatica, come per ingoiare quell’enorme groppo alla gola che mi stava soffocando. Poi le lacrime caddero di nuovo copiose.

Continuavo a non capire niente di quell’assurda situazione.

“VATTENE!”

Quella volta Andrew aveva deciso di sottolineare quell’ordine alzando la voce, ma io sembravo come sorda alle sue imposizioni, così me ne stavo lì, in piedi come un’idiota, con l’assurda speranza che qualcuno mi spiegasse qualcosa o che, per lo meno, qualcuno si decidesse a svegliarmi da quell’incubo.

Ma a quanto pareva dovevo essere caduta in un sonno molto profondo.

Un sonno dal quale non mi sarei mai più svegliata.

Dopo qualche secondo Elisabeth mi afferrò dolcemente la mano.

“Andiamocene...”

“N-no...” Bofonchiai, ma nessuno mi stette a sentire, così la ragazza mi portò fuori, sotto lo sguardo di Andrew, che scomparve.

Ed ebbi paura che sarebbe sparito per sempre.

 

Dopo aver percorso qualche metro del giardino del castello, mi accasciai al suolo, incapace di compiere qualsiasi movimento, come schiacciata dal peso di tutte quelle scoperte.

Furono inutili tutti i tentativi di riscuotermi di Elisabeth: avevo deciso che sarei rimasta lì a piangere fino a quando non mi sarei sentita pronta a rialzarmi.

Volevo solo una spiegazione. Una semplice spiegazione, era chiedere troppo?

Evidentemente si.

Alla paura e allo shock si aggiunse anche molta rabbia e l’improvviso desiderio di mettermi ad urlare, ma effettivamente era solo l’alba e quella non sembrava una cosa molto intelligente da fare.

In verità mi sembrava che di intelligente da fare in quel momento non ci fosse proprio niente. Così preferii rimanere lì, con il mio pigiama con gli orsacchiotti a fare qualcosa di tremendamente stupido.

Dopo un po’ anche Elisabeth capì che non c’era niente che lei potesse fare o dire perché io mi potessi in qualche modo calmare, per cui si alzò e scomparve, lasciandomi sola con i miei pensieri ed una voglia immensa di rimanere lì per sempre, convinta che niente sarebbe mai più tornato come prima.

E questa constatazione mi faceva sprofondare ancora di più nel baratro della realtà.

Cercavo in tutti i modi di non farmi risucchiare da tutto ciò che era successo, ma l’impresa sembrava impossibile. Ogni tassello del puzzle sembrava piano piano ricomporsi, ma sapevo che le mie erano solo supposizioni dato che una spiegazione vera e propria non mi era ancora stata data del tutto.

Ma avevo come la sensazione che riceverla dall’unica persona che avrebbe potuto darmela sarebbe stata un’impresa molto, ma molto complicata.

Alla fine, però, ero sicura di volevo davvero conoscere il suo punto di vista?

Mi importava davvero sentire altre bugie uscire dalla sua bocca?

Senza contare che avrei dovuto fare i conti con il mio orgoglio, con il mio cuore e soprattutto con Elisabeth, per poter riuscire di nuovo ad avvicinarmi a lui.

Come uscita dal mio filo illogico di pensieri, la ragazza tornò da me con in mano un paio di jeans, una maglietta e un bicchiere d’acqua. Me li porse gentilmente, con un odioso sorriso di compassione stampato in faccia.

Quasi quasi preferivo l’espressione beffarda.

Dopo essermi cambiata velocemente, ringraziando che quel giorno non facesse così freddo, presi il bicchiere d’acqua e bevvi a piccoli sorsi senza averne la minima voglia.

“Perché non me lo hai detto prima?”

Evidentemente non si aspettava una reazione diversa da me, ma i suoi occhi si incupirono lo stesso.

“Mi dispiace... Non volevo turbarti con tutta questa storia...”

Sorrisi amaramente.

“Turbarmi? TURBARMI? Perché mai mi sarei dovuta ‘turbare’, dopo tutto? Ho solamente scoperto che esistono i fantasmi, me ne sono innamorata di uno, ho scoperto che ha ucciso una donna uguale a me e che io sono una sua specie di reincarnazione!! NON VEDO UNA MOTIVAZIONE VALIDA PER CUI DOVREI ESSERE TURBATA!!”

Alzai palesemente la voce.

Sapevo che quella era l’ennesima cosa stupida che stessi facendo, ma non riuscii a trattenermi. Dovevo prendermela con qualcuno.

E la malcapitata era Elisabeth.

La guardai aspettando un qualsiasi tipo di reazione, ma lei teneva lo sguardo fisso sui suoi piedi.

Respirai affannosamente.

“Voi fantasmi siete tutti uguali. Bugiardi e senza cuore...”

Mi voltai e corsi verso l’uscita.

Non riuscii a fermare di nuovo le lacrime e mi costrinsi a non guardare indietro.

Quello stupido gioco mi aveva spezzato il cuore, aveva ridotto ogni mia speranza in briciole e mi aveva bruscamente riportato alla realtà.

Ma ora era finito.

E io non avevo ancora capito chi aveva perso.

 

Arrivai fino a sotto la finestra di Jess. Non sapevo perché ero andata lì, probabilmente il mio subconscio si era accorto che avevo bisogno di un po’ di conforto.

Non potevo suonare alla porta e presentarmi in quello stato ai genitori di Jess, così mi arrampicai su un albero che si trovava vicino alla finestra, come facevo quando ero piccola. Fu un po’ faticoso perché avevo i muscoli indolenziti e la testa mi doleva spaventosamente.

Appena mi trovai di fronte alla finestra sbirciai dentro e vidi che, fortunatamente, Jess non stava dormendo, ma era sul letto a leggere un libro.

Bussai piano per evitare di spaventarla e lei si voltò incuriosita verso di me.

La sua espressione curiosa si trasformò in una spaventata. Si precipitò giù dal letto e mi aprì in meno di un nano secondo.

“Che diavolo è successo?”

Non trovai la forza di rispondere così, dopo essere entrata nella stanza, abbracciai Jess e scoppiai nuovamente in lacrime, dato che mi sembrava l’unica cosa che sarei stata in grado di fare per un bel po’ di tempo.

“Roxy, che hai?”

Non le risposi, fino a quando non riuscii a calmare i singhiozzi, dopo di che le parole mi scivolavano via fluide, senza la fatica che avevo pensato di provare.

Era come raccontare una storia. Una storia talmente assurda che non poteva altro che essere finta e quasi me ne convinsi.

Jess ascoltava ogni mia parola ed era sempre più scioccata.

“Oh mio Dio...”

Fu il suo unico commento finale.

Presi l’ennesimo kleenex dalla scrivania della mia migliore amica e mi asciugai gli occhi.

“Oh Roxy, non sai quanto mi dispiace!” E mi abbracciò di nuovo.

“Dove si trova Elisabeth?” Mi domandò poco dopo.

“Non lo so e non mi importa... Vorrei solo che tutto questo non fosse mai accaduto.”

Sapevo di stare pronunciando un’enorme bugia, ma volevo auto convincermi davvero di ciò che stavo dicendo. Però sapevo che se c’era anche una minima possibilità di tornare indietro avrei fatto la stessa identica cosa.

Non avrei mai potuto rinunciare al mio amore per Andrew, perché, benchè fosse stato estremamente doloroso, era stata la cosa più bella di tutta la mia vita.

A seguito di questi pensieri mi arrabbiai con me stessa.

Come potevo pensare a questo genere di cose? Non era logico...

Già? Ma non ricordavo quando era stata l’ultima volta che avevo fatto qualcosa di logico.

“Jess...” Guardai la mi amica implorante, come se lei possedesse la soluzione di tutti i miei problemi. “Sto così male...”

Ed era la pura verità. Solo che ‘stare male’ era decisamente un eufemismo.

Mi sentivo distrutta, sia psicologicamente che fisicamente. Ero a pezzi e avevo solo voglia di addormentarmi.

E non svegliarmi mai più.

 

 

Mmmmm...

Ok ho fatto in fretta perché ci tengo alla mia vita! Sono ancora troppo giovane per morire XD

Dunque dunque dunque... Oramai ci stiamo avvicinando alla fine...

nikoletta89: Uauaua... Sono sempre più crudele. Mi sa che adesso mi uccidi XDXD Nuoooooo, volemose bene!! Cmq... Già... Alla fine Roxy è proprio la reincarnazione di Charlotte, oramai non ci sono dubbi... Ora vediamo se Andrew potrà discolparsi...

Bacioneeee

Tetide: Oh già... Nono le tue congetture alla fine (posso dirlo) sono vere... Oh già puoi dirlo forte che Andrew è un carognone XD!

Mmmm beh! Alla prossimaaaaaa Bacioneee!!

MakyMay: Oh già... Uffi povera Roxy... Mi sto sentendo tremendamente in colpa. L

Piccola... Va beh non deprimiamoci così... Vediamo come va avanti la storia...

Bacione!!

Angel Texas Ranger: Ok mi sa che ti ho lasciato un po’ senza parole XD XD... Però devi ammettere che ho aggiornato presto!! *Spunta l’aureola a Mara*.

Bacione!!

 

Mmmm penso che dopo questo capitolo mi odierete ancora di più...

L

BACIOOOOO

Mallow92

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Capitolo 23
*** Decision ***


Cap.22

 

Decision

 

“Heaven bend to take my hand
And lead me through the fire
Be the long awaited answer
To a long and painful fight
Truth be told I tried my best
But somewhere long the way
I got caught up in all there was to offer
But the cost was so much more than I could bear

Though I've tried I've fallen
I have sunk so low
I messed up
Better I should know
So don't come round here and
Tell me I told you so

We all begin with good intent
Love was raw and young
We believed that we could change ourselves
The past can be undone
But we carry on our back, the burden
Time always reveals
In the lonely light of morning
In the wound that would not heal
It's the bitter taste of losing everything
that I've held so dear...”

 

Sarah McLachlan - Fallen

 

<< “Jess...” Guardai la mi amica implorante, come se lei possedesse la soluzione di tutti i miei problemi. “Sto così male...”

Ed era la pura verità. Solo che ‘stare male’ era decisamente un eufemismo.

Mi sentivo distrutta, sia psicologicamente che fisicamente. Ero a pezzi e avevo solo voglia di addormentarmi.

E non svegliarmi mai più. >>

 

Cap.21 – Game Over

 

 

Mi sciacquai velocemente la faccia con il terrore di guardarmi allo specchio, anche se ero convinta che non potesse andare peggio di così, ma, dopo aver scrutato la mia immagine riflessa cambiai immediatamente idea.

Facevo spavento.

‘Sembra tu abbia visto un fantasma’, già sarebbe stata proprio una bella battuta, adatta al momento.

Fissai il mio sguardo: era dannatamente vuoto.

Il peggio era che non provavo assolutamente niente. E forse era meglio così.

Anzi, era decisamente meglio così, decisi.

Afferrai l’asciugamano e mi asciugai violentemente il viso, come per togliere ogni traccia di ricordo, ma ogni tentativo fu ovviamente vano.

Jess, un po’ titubante, entrò in bagno con qualcosa di caldo in mano. Era la seconda volta in meno di due ore che qualcuno mi offriva qualcosa da bere e quella constatazione mi fece decisamente innervosire, anche se non ne capivo appieno il motivo.

Probabilmente fu la mia faccia a convincere Jess che quello non era proprio il momento, così uscì dal bagno e io la seguii, perché mi sentii immediatamente in colpa: dopo tutto sapevo che stava solo cercando di aiutarmi.

Anche se le sue intenzioni non avevano alcun effetto, presi lo stesso il bicchiere e mi sforzai di bere, sebbene avessi una grandissima voglia di sputare tutto.

Mi sedetti sul letto di Jess e guardai l’orologio: le 9 e un quarto. Era passato poco tempo, eppure i ricordi erano già sfumati e vaghi. Cercai di distrarmi in qualche modo così mi concentrai sulla mia migliore amica, che mi guardava con aria tra il compassionevole e il preoccupato.

“Sto bene...” Sussurrai tra un sorso e l’altro.

Ma a chi volevo darla a bere?

A Jess? No di certo. A me stessa? Nemmeno per scherzo.

“Ehm... Lo so che forse è troppo presto per chiedertelo...” Jess aveva volutamente ignorato le mie precedenti parole. “Ma cosa hai intenzione di fare?”

Domanda da un milione di dollari.

La risposta era che non ne avevo la più pallida idea.

La scelta migliore era di lasciare stare tutto e aspettare solo di andarmene da quel luogo. Ma oramai era chiaro che ero troppo masochista per poter prendere la decisione giusta. Sapevo, però che avevo bisogno di chiarirmi dentro.

E quell’impresa non sarebbe stata per niente semplice, solo che quello non era né il momento né il luogo adatto.

Prima dovevo andarmene senza dare nell’occhio, dal momento che i genitori di Jess non sapevano niente del fatto che io mi trovassi lì.

Scossi la testa e mi accorsi, così, che quel movimento mi fece aumentare il dolore alle tempie.

“Devo andare...”

Jess mi guardò allarmata, ma non disse nulla quando uscii nello stesso modo in cui ero entrata.

D’accordo almeno una decisione, per quanto stupida e piccola, l’avevo presa: avevo bisogno di riposare.

 

Ringraziai il cielo che i miei fossero già usciti quando tornai a casa, perché non sarei riuscita a trovare spiegazioni abbastanza convincenti per il fatto che la mia faccia avesse quell’orribile aspetto.

Attraversai casa con il desiderio di non avere più brutte sorprese, almeno quel giorno, fino a quando giunsi in camera mia, dove mi lasciai cadere a pancia in giù sul letto.

In quel momento desiderai di non essere mai andata al castello e di non aver mai conosciuto Andrew: la rabbia aveva deciso di prendere il sopravvento su tutto il miscuglio di emozioni che gironzolavano nella mia povera e dolorante testolina.

Presi un cuscino e me lo premetti forte sulla testa. Dopo di che chiusi gli occhi, senza nemmeno la vaga speranza di riuscire a dormire, ma col desiderio di scacciare tutti i miei pensieri.

Cercavo di distrarmi, stando ad ascoltare tutti i minimi rumori che riuscivo a percepire: il debole cinguettare di qualche uccellino, qualche macchina in lontananza... Ma ciò che non potevo fare a meno di sentire era il battito del mio cuore, a tratti irregolare.

E questo mi fece venire in mente un’unica cosa.

Mi domandai subito dopo se le lacrime di una persona fossero inesauribili, ma sapevo che o quel giorno o nei successivi avrei potuto dare una risposta a quel quesito.

Mi asciugai rabbiosamente l’ennesima gocciolina salata che mi rotolava giù dalla guancia e soffocai un urlo nel cuscino.

Non ce la facevo più.

Desiderai intensamente di non essere mai nata.

 

“Roxy...”

Aprii bruscamente gli occhi, con il cuore che mi batteva a mille.

Chi diavolo…?

Mi alzai a sedere di scatto, tenendo gli occhi puntati sull’ambiente circostante.

Non c’era nessuno.

Pensai di avere sognato quella voce, più che altro lo sperai.

Ricaddi supina sul letto, facendo grandi respiri per calmare i nervi.

Fortunatamente ero riuscita a dormire senza sognare niente, esattamente come avevo sempre fatto nella mia vita prima che questa brutta faccenda avesse inizio.

Mi domandai che ore fossero, ma alla fine non me ne fregava.

Oramai non mi importava più di niente.

Decisi, però, che quello che era successo non era una buona motivazione per il mio comportamento: non volevo finire depressa come qualcuno che, quando viene lasciato dal ragazzo o cose del genere, desidera lanciarsi giù da un balcone e, magari, poi lo fa anche.

Sapevo che la vita sarebbe andata avanti.

Con o senza Andrew.

Senza, decretai, alla fine.

E allora perché continuavo a sentirmi così?

Perché avevo perso la voglia anche solo di alzarmi dal letto?

Non avevo mai creduto all’amore prima di incontrare Andrew, questo dovevo ammetterlo. Non c’era mai stato nessun ragazzo che mi piacesse così tanto da farmi perdere la testa.

Ero convinta che l’”amore” per eccellenza andasse lasciato alle storie Disney o a chi si convinceva di averlo trovato.

Sorrisi amaramente, pensando che forse avevo ragione.

Probabilmente appartenevo a quella stupida categoria di persone che credevano di essersi innamorate.

Ad alcuni va bene così: non si pongono tante domande sul fatto che forse la loro è semplicemente un’illusione.

Per me non andava bene così: alla fine, per quanto ci si fidi di una persona, non si può mai conoscere fino in fondo ogni suo pensiero e, quindi, alla fine, tutto può trattarsi di una semplice menzogna.

Io avevo deciso di credere ad Andrew, anche se nel mio profondo sapevo che non sarebbe mai potuto essere così. Eppure mi ero auto convinta che mi sarei potuta fidare di lui.

Ed ecco qual era stato il risultato.

Ma sapevo bene che non potevo vivere in una bugia per sempre, eppure non avevo scelto io la strada della verità, era lei che aveva scelto me.

Ma ancora non mi sentivo di ringraziarla.

Come si dice? Togli ad un drogato la sua eroina e non ti ringrazierà, non subito almeno.

Ma sarebbe arrivato il giorno in cui sarei riuscita a vedere ciò che era successo con occhi diversi, nuovi; a dare un significato all’accaduto; a riuscire in qualche modo a trovare i lati positivi delle cose?

No.

Ma ora il punto era un altro.

Volevo che tutta quella storia finisse così?

Si o no?

Decisi che quello era il momento di prendere una decisione definitiva.

Sì, volevo dimenticare tutto, volevo chiudermi da qualche parte per non uscirne più, volevo andare avanti con la mia vita, volevo riuscire a trovare qualcuno che mi consolasse o che mi capisse...

No, volevo sentire che cosa aveva da dire Andrew a sua discolpa, volevo stare tra le sue braccia almeno un’altra volta, volevo che fosse lui la persona che mi avrebbe consolato e capito, perché sapevo che era così, anche se questo avrebbe fatto ancora più male, eppure, dannazione, lo amavo ancora.

O almeno ero convinta di amarlo.

Ma come diavolo potevo essere ancora innamorata di lui?

Ero autolesionista, oramai questa era diventata una certezza nella mia vita.

Come potevo amare un uomo del genere?

Avevo bisogno di sentire la verità, ma chi mi assicurava alla fine che, se nel caso avessi parlato con lui, quelle che sarebbero uscite dalla sua bocca non sarebbero state soltanto altre bugie?

Mi stavo accorgendo pure da sola che i miei pensieri non stavano seguendo minimamente un filo logico.

Il che era decisamente preoccupante.

Afferrai ancora con rabbia un fazzoletto dal comodino.

Solo allora mi accorsi di una rosa rossa che si trovava proprio accanto al pacchetto.

La fissai.

E continuai a farlo per diversi minuti.

Non sapevo cosa provare, davvero, non lo sapevo.

Allora quella voce non era stato un sogno.

Deglutii a fatica e mi sdraiai di nuovo, lasciando la rosa lì, intonsa.

“Andrew...” Sussurrai, quasi senza accorgermene.

Nessuna risposta.

Mi appallottolai sotto le coperte, stringendole forte forte, come per rimanere attaccata a quel poco di razionalità che era rimasta nella mia testa.

Dopo di che afferrai la rosa e me la portai al cuore.

Sperai che in quel momento anche Andrew stesse ascoltando i suoi battiti, per mezzo di quel fiore. Dopo di che la appoggiai delicatamente sul cuscino di fianco alla mia faccia e lasciai che si nutrisse delle mie lacrime e di tutto il mio dolore.

 

Mi resi conto di essermi di nuovo addormentata, anche se ero in una specie di dormiveglia.

Così quella volta notai molto bene la luce più o meno forte provenire da un punto indefinito della mia stanza.

Aprii gli occhi e trovai naturalmente Elisabeth.

“Che vuoi?” Domandai alzandomi a sedere.

Lei scrutò prima la rosa ancora intatta di fianco a me.

Sospirò, ma non disse niente.

“Come stai?” Mi chiese  semplicemente.

Feci un lungo respiro prima di rispondere e contai fino a dieci per mantenere la calma.

Sapevo che Elisabeth mi voleva solo aiutare, eppure non potevo evitare di essere arrabbiata anche con lei.

Beh, effettivamente ce l’avevo un po’ con il mondo, ma quelli erano dettagli.

Comunque non potevo sopportarla in quel momento perché sapevo che era colpa sua se ora ero lontana da Andrew, magari senza di lei a quest’ora sarei ancora insieme a lui.

Nel mio mondo di menzogne.

Ok, era ufficiale: la verità non l’avevo mai voluta.

Un po’ era stata anche colpa mia.

Però era stata una mia decisione. In quel momento avevo capito che, siccome ne conoscevo solo una parte, volevo conoscere il resto.

E la volevo sentire uscire solo dalle labbra di una persona.

“Bene...” Risposi alla fine, con una voce più acida di quanto volessi.

Mi schiarii la voce.

“Bene...” Ribadii abbassando la voce.

Magari così me ne sarei convinta pure io, anche se la vedevo piuttosto dura.

“Ascolta Roxanne...” Ma si bloccò, come se non sapesse cosa dire.

No, anzi, come chi aveva provato più e più volte la sua parte, ma che poi, trovatasi di fronte al pubblico, si era dimenticata le battute.

Un vero peccato perché ero sicura che il suo sarebbe stato proprio una bel discorso.

La continuavo a fissare senza espressione, in attesa di ascoltare ciò che aveva da dire.

Dopo qualche titubanza prese fiato.

“Mi...”

“NO!” Urlai, senza essermi nemmeno accertata se i miei fossero ancora fuori.

“Giuro che se dici mi dispiace ancora una volta...”

Cercai una minaccia appropriata per un fantasma, ma non trovai niente di peggio della morte e, dato che Elisabeth era già morta, non mi sembrava una cosa molto furba da dire.

Preferii, quindi, lasciare la minaccia in sospeso.

“Cosa vuoi?” Ribadii, dopo qualche secondo di silenzio.

“Volevo solo dirti che non volevo che succedesse tutto questo, non volevo coinvolgerti...”

“Ora è un po’ troppo tardi per le scuse, non credi?”

Diavolo, quanto ero insopportabile?

Elisabeth mi ignorò e continuò il suo monologo.

“Avevo fatto una promessa a Charlotte quel giorno... Le avevo assicurato che Andrew avrebbe patito le pene dell’inferno...”

Si fermò per controllare la mia espressione, che rimase comunque neutra.

“Non volevo farle patire anche a te... Volevo solo che lo sapessi...”

Annuii distrattamente, provando un moto di tenerezza per quella che in una mia vita precedente era stata mia sorella. In effetti stava solo cercando di essere fedele alla sua adorata sorella: avevo sentito quanto Charlotte ed Elisabeth si volevano bene.

“Grazie...”

Elisabeth rimase stupita di questa parola. Mi fissò stranita per qualche secondo, dopo di che sorrise.

Io mi alzai e, un po’ titubante la abbracciai.

“Non tornare da lui, ti prego...”

Io non risposi, non le potevo promettere qualcosa che probabilmente non avrei mantenuto.

Dopo di che Elisabeth mi sorrise ancora una volta e scomparve.

Ed ebbi la sensazione che non l’avrei più rivista per un bel pezzo.

Anche io sorrisi, anche se non sapevo bene il perché, però ne sentivo il bisogno.

Mi voltai verso l’armadio e, senza pensarci, mi vestii.

Raggiunsi la porta di casa, feci un bel respiro ed uscii.

Finalmente anche se forse era sbagliata, avevo preso la mia decisione.

 

 

D’accordo belle giuoie! Mmmm io consiglio di tenere d’occhio il mio account domani o nei prossimi giorni perché ci sarà una sorpresina... J

Mmmm, poi stavo prendendo in considerazione l’idea di fare un seguito di Whispers... Voi che ne dite?

*Lettrici: nuoooooooooooooo bastaaaa!!!

Me: Sniff sniff*

XD

Ad ogni modo...

 

nikoletta89: Holaaaaa... Muchos grazias... Oh parbleau... Innocente agnellino, Andrew? XD... Mica tantooo uauaua... Oh già... Povera Roxy... Mmmmmm dai... Ancora un piccolissimo sforzo... Ora Andrew finalmente ci darà una spiegazione... =D

Alla prossima, cara...

Tetide: Hello, dear! XD il mio intento di farvi andare fuori di testa è andato a buon fine XD XD... Nuoooo nel prossimo capitolo finalmente ci capirai qualcosa, promesso ;-)

Baciooooo

MakyMay: Nuoooooooo io vi voglio tanto beneee, non mi volete uccidere, vero?? L

Mimimimi (labbro tremulo) XD...

Kissone e muchos graziassss

 

BACIONIIIIIII ONI ONI ONI!!!

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Capitolo 24
*** Goodbye ***


Cap.23

 

Goodbye

 

Some things we don't talk about
better do without
just hold a smile
we're falling in and out of love
the same damn problem

Together all the while
you can never say never
when we don't know why
time and time again
younger now then we were before


don't let me go,
don't let me go,
don't let me go...”

 

The Fray - Never Say Never

 

 

Anche io sorrisi, anche se non sapevo bene il perché, però ne sentivo il bisogno.

Mi voltai verso l’armadio e, senza pensarci, mi vestii.

Raggiunsi la porta di casa, feci un bel respiro ed uscii.

Finalmente anche se forse era sbagliata, avevo preso la mia decisione.

 

Cap.22 – Decision

 

 

Ero ai piedi del castello e il cuore mi continuava a martellare nel petto, come impazzito.

Mi sembrava tanto di essere tornata all’inizio di tutta quella storia, quando per la prima volta ero andata a cercare Andrew, dopo averlo visto proprio in quell’edificio che ora troneggiava di fronte a me.

In quel momento mi sentivo tanto come allora: confusa, senza sapere cosa diavolo stessi facendo e, soprattutto, spaventata.

Anzi terrorizzata.

Comunque sapevo che avrei dovuto farlo, tanto valeva tagliare la testa al toro.

Anche se forse il toro non era ancora nato.

E poi mi dispiaceva renderlo acefalo, povero! Ok, stavo decisamente cominciando a divagare e a pensare idiozie.

Bene, forse stavo un tantino tornando in me stessa.

Quella era una cosa positiva, no?

Ehm...

Feci un respiro profondo e cominciai a camminare lentamente verso il castello, forse un po’ troppo lentamente.

Accelerai il passo, rimanendo afferrata, non sapevo quale modo, a tutte le mie precedenti convinzioni.

Convinzioni.

Non esageriamo. Non ero convinta di qualcosa da non ricordavo quanto tempo.

Comunque, seguendo sempre il mio filo illogico di pensieri, mi ero ritrovata, quasi senza accorgermene, di fronte al portone del castello.

Oramai ero sicura che Andrew sapesse che mi trovavo lì, a causa del battito frenetico del mio cuore. Probabilmente, infatti, il suo rumore si sarebbe potuto sentire anche in lontananza non ravvicinata ad orecchio nudo.

Senza curarmi di bussare, aprii la porta che, naturalmente, non era chiusa a chiave.

Il silenzio mi perforava i timpani e avevo come l’impressione di sentire un ronzio continuo intervallato dal pulsare del mio sangue nelle tempie. Non mossi nemmeno un passo, titubante e indecisa com’ero, non avevo la più pallida idea di cosa fare.

Il piano era quello di arrivare fino lì, dopo di che c’era il vuoto più totale, ma andare allo sbaraglio, a quel punto, era la cosa più stupida, per cui io lo feci.

Comunque mi guardai intorno in un movimento meccanico per cercare Andrew.

Niente.

Soffocai la voglia improvvisa di piantare un urlo: non ne potevo proprio più di quelle storia.

Anche se il mio desiderio più profondo era che Andrew avesse una qualsiasi spiegazione convincente in modo tale che io lo avrei potuto perdonare e sarei potuta tornare finalmente tra le sue braccia che tanto mi mancavano.

Ma la vedevo molto dura.

Decisi che un sospiro sarebbe stato molto più appropriato di un urlo.

Alla fine le mie gambe decisero di rispondere ai deboli impulsi che mandava il cervello e così mi avvicinai a quella che un tempo era la sala da pranzo.

Non vi trovai nessuno e, per qualche istante, mi venne il timore che Andrew se ne fosse andato per fare in modo che io non lo trovassi mai più.

Però sapevo anche che probabilmente dovevano esserci molti ricordi per lui in quel castello, infatti ricordavo chiaramente che, quando avevo visto quelli di Charlotte, lei era entrata in quel castello, che evidentemente apparteneva ad Andrew o ad un suo parente.

Giunsi, infine, alla conclusione che lui doveva trovarsi di sopra.

Dunque tornai indietro e decisi di salire le scale con il mio solito passo lento e per nulla deciso. Quando mi trovai di fronte alla porta della camera da letto, ebbi la certezza che all’interno di quella stanza avrei trovato esattamente quello che stavo cercando. E non sapevo se quello sarebbe stato un bene oppure no.

Alla fine lasciai che le cose seguissero il loro corso e afferrai la maniglia della porta.

Dopo ancora qualche secondo di esitazione la aprii violentemente.

Probabilmente per qualche secondo il mio cuore decise di non battere per poi ricominciare la sua frenetica corsa.

Andrew era lì.

Sdraiato a pancia in su sul letto, con lo sguardo fisso sul soffitto, ma perso in qualcosa che non potevo conoscere.

Non fece una piega, nonostante la mia entrata a dir poco rumorosa.

Rimasi lì, senza fare più alcun movimento per un po’, forse secondi, o forse parecchi minuti. Oramai il tempo era un concetto di cui avevo perso l’abitudine di preoccuparmi. Mi sentivo le lacrime pungere negli occhi, desiderose di uscire precipitosamente, ma io non potevo cedere, perché sapevo che se lo avessi fatto sarebbe davvero stata la fine e non mi sarei più ripresa davvero.

Quindi mi auto convinsi che andava tutto bene e le ricacciai dentro. O per lo meno ci provai, ma con scarsissimi, per non dire nulli, risultati.

“Perché sei tornata?” La sua voce dura mi colpì nuovamente senza che avessi il tempo di prepararmi psicologicamente.

Dopo qualche secondo di titubanza, il mio cervello trascurò il tono con cui mi era stata rivolta quella domanda e si preoccupò del suo contenuto.

Il piccolo problema era che non sapevo che diavolo rispondere, perché non ne avevo la più pallida idea.

Così forse era meglio rispondere con la verità.

“Non lo so...” Biascicai.

Un momento. Certo che lo sapevo!

“Anzi... Voglio che tu mi dica la verità una volta per tutte!” Quella volta alzai il tono di voce, ricordandomi che l’unico modo per far parlare Andrew era dimostrargli che non avevo paura né di lui né di quello che aveva da dirmi.

O almeno far finta che fosse così.

“Vattene...” Ribadì quella parole esattamente come aveva fatto la volta prima.

“No...” Convenni io.

Finalmente rivolse il suo sguardo verso di me, per nulla sorpreso di quella affermazione: oramai mi conosceva abbastanza bene da sapere che raramente buttavo la spugna e le poche volte che lo facevo erano quelle in cui lo guardavo negli occhi.

Per cui fissai il copriletto.

“Non credi di dovermi una spiegazione?”

Mi stavo sforzando oltre ogni limite per riuscire a mantenere un tono di voce neutro e dovevo dire di essere soddisfatta della mia performance.

Lentamente mi avvicinai al letto, senza sapere effettivamente a cosa stavo andando incontro e soprattutto senza sapere cosa fare.

Sotto lo sguardo basito di Andrew, mi avvicinavo sempre di più a lui, fino a quando giunsi al bordo del letto e decisi che forse era meglio sedersi.

A quel gesto Andrew ‘scomparve’ e lo ritrovai dalla parte opposta della stanza.

“Roxanne...” Era da molto tempo che non mi chiamava così, tanto che per qualche secondo pensai si stesse rivolgendo a qualcun altro “Ti prego... Non puoi voler parlare ancora con un mostro del genere come me, non dopo essere venuta a conoscenza di ciò che Elisabeth ti ha mostrato...”

Utilizzò di nuovo un tono di voce che mi fece salire un groppo alla gola, così che dovetti deglutire un po’ di volte prima di parlare, ma, nonostante ciò, la mia voce tremò appena tentai di pronunciare qualche parola.

“Dimmi perché...” Volevo aggiungere qualcosa, anche se non sapevo bene che cosa, ma comunque il mio autocontrollo cedette e io non riuscii a completare la frase.

Tentai di rimanere calma, facendo lunghi e profondi respiri con il naso, ma le lacrime non accennavano a fermarsi.

Spostai il mio sguardo verso la finestra, alla disperata ricerca di qualcosa da fissare.

Sentii un sospiro provenire dalla bocca di Andrew, che, in un’altra frazione di secondo si trovò di nuovo sul letto a pochi centimetri da me.

Un po’ titubante provò ad allungare la sua mano verso la mia e, quando vide che io non opponevo alcuna resistenza, molto lentamente mi abbracciò.

Io respirai a pieni polmoni il suo profumo, meravigliandomi di quanto mi fosse mancato.

Chiusi gli occhi e provai ad immaginare che non fosse accaduto niente, ma non fu molto semplice. Eppure c’era quella parte di me, che tentava di concentrarsi su qualunque particolare della stanza per poter evitare di pensare a qualunque cosa, che riuscii a prendere il sopravvento.

“Non sopporto vederti così, soprattutto se il motivo del tuo male sono io. Roxanne... Lo so che sembra stupido, ma, per quello che può servire, mi dispiace.”

Non dissi nulla, quella volta era lui a dover parlare.

“Ti amo, Roxanne... So che non ci crederai, ma avevo bisogno di dirtelo...”

Quella nuova affermazione non fece altro che rendere tutto più dannatamente difficile.

Rimanemmo altri minuti abbracciati e saremmo stati avvolti da un assoluto silenzio se non fosse stato per i miei singhiozzi che lo interrompevano bruscamente di tanto in tanto.

Era una cosa stupida.

Era una cosa dannatamente stupida il fatto che io fossi voluta tornare lì ed era ancora più stupido il fatto che, se io lo stavo a guardare negli occhi, credevo ad ogni minima sua parola, perfino alle ultime due che mi aveva detto.

Forse perché anche per me era lo stesso.

Andrew sospirò nuovamente.

“Perché sei tornata da me, Roxanne? No...” Vedendo che prendevo fiato per rispondergli, mi interruppe con un gesto di non curanza “Lo so perché sei venuta qui... Sei tremendamente testarda... Ma sei sicura di voler sapere veramente come sia andata? Non preferiresti allontanarti per sempre da una persona spregevole come me, come è giusto che sia?”

Tentai di rispondere di no, ma la voce mi mancò di nuovo, così mi limitai a scuotere la testa con convinzione.

“D’accordo...” Sciolse il nostro abbraccio, ma dopo pochi secondi io gli tornai tra le braccia: sapevo che non sarei riuscita a fissarlo negli occhi e sapevo anche che non volevo che il nostro contatto fisico si interrompesse.

Fissare la sua spalla era molto più facile.

“Quando è arrivata l’estate del mio diciottesimo compleanno sono venuto qui con i miei genitori, da mio zio...”

Incominciò ad accarezzarmi con la mano la schiena.

“è stato qui che ho conosciuto Charlotte...” Annuii contro la sua spalle per fargli notare che lo stavo a sentire, anche se sapevo che non ce n’era assolutamente bisogno.

“All’inizio non la potevo vedere... Poi... Non lo so nemmeno io cosa sia successo...” Si lasciò andare ad una lieve risata, immerso nei suoi ricordi.

Mio malgrado, sorrisi anch’io.

“La amavo... Tanto...” Tirava fuori ogni parola a fatica, come se gliela stessero strappando fuori con violenza, eppure sembrava proprio che si ricordasse ogni cosa come fosse accaduta il giorno prima.

“Era uguale a te, sai?” Sentii la sua bocca sulla mia spalla aprirsi in un sorriso “Era assolutamente irritante, soprattutto perché non chiudeva mai la bocca.

“Ero innamorato perso di lei... Un giorno, però, i miei genitori morirono... E non fu un incidente...”

Fece una breve pausa.

“Vennero avvelenati, così io assunsi una sottospecie di...” Pensò un attimo a che termine utilizzare “diciamo investigatore per scoprire chi fosse stato...

“Sai... Ero molto ricco... Era probabile che chi avesse fatto ciò fosse una persona a noi vicina che voleva impadronirsi del nostro patrimonio. Ed era anche probabile che avrebbero voluto fare fuori anche me perché gestivo io i soldi di famiglia, dopo la morte dei miei genitori.

“Mio fratello aveva solo sedici anni” Aggiunse a mo’ di spiegazione.

“Comunque nel frattempo Charlotte mi aiutò molto per superare quel momento ed io ero oramai in procinto di domandarle di sposarmi...” La sua voce si spezzò, come interrotta da un silenzioso singhiozzo.

“Il mio migliore amico si stava per sposare con Elisabeth... Non me lo ha mai perdonato...” Disse quasi più a se stesso, alludendo, pensai, al fatto che aveva fatto in modo che le nozze non avvenissero mai.

“Eppure un giorno il mio ‘investigatore’ venne da me a dirmi che aveva risolto il caso... Disse che erano state le sorelle Jenksin. Feci di tutto per non credergli, ma tutti gli indizi portavano a voi... C’era perfino un movente valido: se Charlotte avesse sposato me avrebbe avuto accesso a tutte le mie ricchezze.”

Sospirò, probabilmente aspettando una qualsiasi mia reazione che, però non arrivò.

Così continuò a raccontare la sua storia.

“Trovandomi di fronte a delle prove così schiaccianti non potei fare a meno che crederci e, quando me ne convinsi, fui accecato da un odio furioso.

Sono quasi impazzito a quell’idea, ho subito dato l’ordine di catturarle e, per non fare in modo che avvenisse un regolare processo le ho additate alle autorità come streghe... Allora ad una minima accusa le donne venivano bruciate sul rogo.”

Il mio cuore accelerò e il mio respiro divenne più pesante, perché cercavo disperatamente di non piangere, ma ogni mio tentativo non servì a nulla.

Non sapevo cosa stessi provando, se rabbia, se dispiacere, se pena... Non lo sapevo, perciò preferii tacere, anche se mi sentivo scottare la pelle al contatto con Andrew, come se in qualche modo stessi tradendo la memoria di Charlotte... Oppure me stessa, ancora non l’avevo capito.

Così sciolsi il nostro abbraccio e Andrew non fece nulla per fermarmi, oramai rassegnato.

“Mi dispiace...” Biascicò.

Io mi rimisi a fissare la finestra.

“Ho fatto l’errore più grosso della mia vita... Ma me ne sono reso conto troppo tardi.”

Andrew continuava ad aspettare una qualsiasi mia parola, ma il mio cervello si rifiutava di formulare pensieri coerenti, impegnato com’era a mettere al loro posto tutte le tessere di quell’intricata faccenda. Ed effettivamente ogni cosa funzionava.

“Ho passato quasi trecento anni a pentirmi di quello che ho fatto. Ma l’eternità non basterà per pagare il mio debito. Non basterà.”

Commisi il terribile errore di fissarlo negli occhi.

Quello che ci vidi dentro era qualcosa di indescrivibile: secoli di dolore che riaffioravano in uno sguardo, fu qualcosa che sapevo non avrei mai scordato in vita mia.

“Nonostante tutto sono riuscito a rifare lo stesso errore, ma è stato più forte di me. Quando ti ho vista... Era come se mi fosse stata concessa un’altra possibilità e, come uno stupido, l’ho colta al volo, senza riflettere sulle conseguenze...

Avevo bisogno di parlare con te. Eri, anzi sei” si corresse “come lei... La rivolevo con me... Mi mancava tremendamente. È questo il mio inferno: un’eternità bloccato qui, senza la possibilità di raggiungerla di nuovo...”

Si passò, dopo di che, una mano sul viso, in un gesto di estrema stanchezza.

Non riuscii a trattenermi dal prendergli una mano: avevo una voglia intrattenibile di consolarlo.

Anche se forse era meglio che prima qualcuno consolasse me.

“Non lo so cosa diavolo mi prese, feci tutto senza pensare... Ero giovane, ero impulsivo... Ma non posso pensare di giustificarmi... Mi dispiace...”

Mi fissò di nuovo con quello sguardo che mi pugnalava il cuore.

“Come ho potuto fare una cosa del genere? Una cosa irrimediabile e imperdonabile.”

A quel punto avrei dovuto saperla lunga, eppure ero certa che Andrew non mi stesse mentendo, per quanto fosse un bravo attore quello sguardo diceva tutto ciò che lui non era in grado di comunicarmi a parole.

Ad un certo punto mi affiorò un dubbio.

Un terribile dubbio.

Non so come, ma riuscii ad aprire la bocca e addirittura ad articolare a fatica qualche parola che avesse un senso compiuto messa insieme alle altre.

“Andrew...” Sollevò gli occhi, che aveva abbassato qualche secondo prima, stupito del fatto che stessi parlando. “Come sei morto?”

Vidi della nuova indecisione passargli davanti allo sguardo, come se non sapesse se informarmi anche di quel dettaglio.

Alla fine decretò che tanto non aveva più niente da perdere né da guadagnare e anche che mi meritavo la verità.

“Veleno...”

Aggrottai le sopracciglia, senza comprendere appieno il significato di quella parola.

“Mi sono suicidato...” Spiegò in un sussurro veloce.

Rimanemmo in silenzio per qualche minuto.

“Te l’ho detto: il mio inferno è vivere senza Charlotte... Credevo che non ci sarebbe stato niente di peggio e invece ora devo dire addio anche a te... Ma forse è la punizione adatta...”

Diciamo che detti retta poco a queste ultime frasi, scioccata com’ero dalla nuova scoperta che Andrew si fosse suicidato.

Quella era la prova del nove del fatto che amava davvero Charlotte. Anche se le aveva fatto una cosa orribile.

Dunque, forse Andrew era davvero bloccato qui perché aveva, diciamo, qualcosa in sospeso. Di solito almeno nelle storie era così: il fantasma non riusciva a ‘trapassare’ perché qualcosa glielo impediva.

Forse era il fatto che si dovesse scusare in qualche modo con Charlotte e forse noi ci eravamo incontrati per quello.

“Andrew...” Non sapevo bene come andare avanti. “Tu pensi di essere qui perché devi qualcosa a Charlotte?”

Wow... Riuscii addirittura a formulare una frase abbastanza articolata, ero quasi fiera di me stessa.

Di nuovo rimase stupito della mia domanda.

“Certo...”

Quindi c’era una possibilità che potesse porre fine a quell’inferno... Molto probabilmente c’era.

“Andrew... Vuoi andartene?”

Per la prima volta nella mia vita, capii che quando si ama qualcuno non importa quanto male si faccia a se stessi se si riesce in qualche modo a donargli anche solo un sorriso.

E io sapevo del male che mi sarei fatta, facendo quella scelta, che, però, oramai avevo preso, anche se non sapevo bene quando, probabilmente era stata un’idea che mi era balenata qualche secondo prima da qualche parte nel mio subconscio, nell’angolo più masochista della mia testolina.

Perdere la propria metà avrebbe fatto male.

Molto male.

Ma sapere che esiste e in qualche modo essere a conoscenza del fatto che non la si può più vedere, forse sarebbe stato peggio.

Almeno se non sarebbe più esistita non avrei avuto scelta e sarei riuscita a resistere alla tentazione di tornare da lui.

Ma quello lo stavo facendo per lui.

Non per me.

“Cosa vuoi dire?”

Abbassai lo sguardo, avendo paura che lui riuscisse a leggere quello che avevo in mente.

“Ho una teoria...”

Dopo tutto se lo meritava. Trecento anni di sofferenza erano troppi, sapevo anche che lui non avrebbe mai permesso che stessimo ancora insieme, non dopo che io avevo scoperto quello che era accaduto.

Ero arrabbiata?

Abbastanza, perché sapevo che mi aveva mentito su tante cose, il nostro era un rapporto basato sulla menzogna, ma anche lui, come me, aveva cercato di crearsi un piccolo mondo di felicità. Del tutto fasullo, ma in un certo modo ci eravamo riusciti: lui dimenticando il passato, io non volendo conoscere la verità.

Però ci amavamo.

Comunque io avevo appena deciso che lui ne doveva aver avuto abbastanza.

Era giunto il momento di lasciarlo andare.

“Roxanne, non... Cosa hai in mente?”

Ripeté la domanda.

“Basta soffrire, Andrew...”

Già oramai era deciso.

“Non devi rimanere qui... Ancora...” Aggiunsi.

“Cosa stai dicendo?”

“Che basta! Andrew... Basta! È ora che tu te ne vada... Anche se io non voglio...”

Rimase sconvolto dalle mia parole.

“Qui non si tratta di quello che voglio io, qui si tratta di ciò che è giusto e ciò che non lo è... è inutile che tu te ne stia qui... Io ti amo ed è giusto che ti lasci andare...” A queste ultime parole le lacrime riaffiorarono.

“Cosa?” Andrew mi abbracciò e io persi ogni mia resistenza.

Lo baciai come non avevo mai fatto prima, come se non lo vedessi da tempo.

Come se fosse l’ultima volta.

“Vuoi allontanarmi da te?” Mi domandò Andrew, qualche minuto dopo, con aria calmissima.

“No, idiota! Voglio avvicinarti a lei.”

“Ma sei tu lei...” Ribattè lui.

“Tu giurami che non ti auto punirai allontanandomi da te e io non lo farò...”

“Farò cosa?!”

“Tu giuramelo!” Insistei io.

“No... Sai che non ti permetterò di stare vicino ad un assassino come me...”

Sospirai: mi ero aspettata quella risposta.

“Allora non puoi permettermi di andarmene facendo finta che non sia successo niente. Fammelo fare, ti prego...”

Andrew abbassò lo sguardo.

“Oramai ho deciso, lo farò comunque, con o senza la tua approvazione.”

Mi gettai tra le sue braccia.

“Non rendere le cose ancora più difficili...” Piagnucolai.

Rimanemmo così per qualche minuto.

“Ti amo...” Mi sussurrò nell’orecchio, provocandomi una serie di brividi lungo la schiena.

“Anch’io ti amo...”

“Giuro che ti verrò a cercare... Se c’è un paradiso o un inferno, non mi interessa, giuro che troverò la tua anima e non la lascerò mai più... Ricordati che sei mia...”

Non trattenni di nuovo le lacrime.

Andrew mi prese il viso tra le mani e mi diede un bacio dolcissimo a fior di labbra, dopo di che si tolse la collana che portava sempre con sé, vicino al cuore.

“Tieni... Me lo ha dato Charlotte prima di...” Lasciò cadere la frase. “Glielo avevo regalato io e voglio che ora l’abbia tu...”

Me la infilò e io la strinsi a me con la mano.

“Dovunque sei, io ci sono... Ricordatelo, amore mio...” Disse infine.

Sapevo che in verità se avessi aspettato ancora del tempo sarebbe stato peggio, ma la cosa fu più difficile di quanto immaginavo.

“Andrew Bennett io... Io ti perdono... Sei libero...”

Non sapevo se avrebbe funzionato, ma tentar non nuoce.

Andrew mi baciò e io ricambiai con tutta me stessa, tra le lacrime.

Poi avvertii freddo e persi il contatto con la sua pelle.

“Ti amo...” Sentii solo quest’ultimo sussurro.

Dopo di che il dolore mi sopraffece e fu talmente grande che mi tolse il respiro.

Mi accasciai sul letto, naturalmente pentita di ciò che avevo appena fatto: sapevo che avrei dovuto fare i conti col fatto che mi sarebbe mancato da morire.

Mi sarebbero mancati i suoi baci, le sue carezze, la sua voce, il suo profumo... Tutto.

Cercavo di appigliarmi ad un’unica certezza: le nostre anime erano destinate a stare insieme e lo sarebbero state per l’eternità.

Il mio compito era quello di lasciarlo andare e il suo è quello di ritrovarmi.

Lui avrebbe continuato a cercarmi per l’eternità e io avrei fatto lo stesso con lui finché un giorno ci saremmo ritrovati e avremo potuto finalmente stare insieme.

E quando sarebbe accaduto, sarebbe stato per sempre.

 

 

Hola!

Ok... A questo punto penso che non arriverò a domani XD

Wooooooow quanti commenti!!! ^^ Me è proprio feliceeeee

MakyMay: J Bene bene… Mi sa che mi tocca dormire con un occhio aperto se non voglio che mi strangoli XDXD... Cmq va beneeee mi metto al lavoro per il seguito =D!!

Bacioooooneeee

Tetide: Bho... Diciamo che alla fine Andrew non è stato proprio costretto... Però mi sa che un po’ carognone lo è :-P. Vabbè... Povera Roxy patpat... Grassie per i complimenti!! ^^ Bacione!!

nikoletta89: Finalmente Roxy è andata da Andrew, visto?? Uauauaua... Cmq Grazias!

Dai su ora non ti faccio più soffrire tanto ^^ cioè... Più o meno... uauaua

Bacione!!

Angel Texas Ranger: ci ho messo un po’, sorry!!! Sono stata stra impegnata L comunque alla fine ho aggiornato con un cap più lungo del solito e spero di essermi fatta perdonare! Grazias per i commenti

Bacione!

Ice Queen Silver: Heilà ciauuuuu!!! Sono contenta che tu sia approdata di nuovo qui!! ^^ Grazieeee per i commentuzzi!!!!!!!!!!!!!!!! Me è felice che la sua storia piaccia!!!

Bacioneeeee

valevre: Hola!!! Ho risposto a quasi tutte le tue domande, visto?? ^^ Comunque sono contentissima di avere una nuova faaann!!! Ke bellooooooooooo!!!! Grazie mille per i complimentiiii!!! Alla prossimaaa

Bacioooo

 

Beh... C’è da dire che alcune cose sono rimaste in sospeso... Alcune domande non hanno ancora la loro risposta... Mmmh mi raccomando ricordatevi che c’è un seguitoooo

Bacione a tuttiiiii!!!!!!!

 

Mallow92

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Capitolo 25
*** Epilogo ***


Epilogo

 

Elisabeth porse a Charlotte il ciondolo che le aveva regalato qualche tempo prima Andrew..

“Devi fare in modo che lo riprenda!” Le afferrò le mani, scuotendole veementemente, come per sottolineare l’importanza di quell’azione.

Charlotte aggrottò le sopracciglia come se non avesse del tutto afferrato le sue parole, domandandosi cosa avesse in mente la sorella.

“Charlotte, fidati! Ti giuro che in questo modo Andrew non sarà mai più felice...”

L’altra annuì. Anche se con poca convinzione.

Si diresse verso la guardia per domandargli di portare quell’oggetto al suo destinatario.

“Aspetta...” Sussurrò Elisabeth, appoggiandole una mano sulla spalla per fermarla “Devi fare in modo che non lo doni mai a nessuno, d’accordo? Oppure non oso immaginare cosa succederebbe...”

Anche se Charlotte continuava a non capire si fidava della sorella abbastanza da non fare domande.

Sapeva comunque che non ci sarebbe stato bisogno di fare quella raccomandazione ad Andrew.

Era certa che lui non lo avrebbe mai regalato a nessun altro.

 

Accarezzai distrattamente il monile che tenevo appeso al collo.

Mia madre mi scrutò con un occhio dal posto del passeggero, mentre mio padre, intento alla guida non fece caso a quel piccolo gesto.

A loro avevo raccontato che io e Andrew avevamo deciso di chiudere la nostra storia perché sarebbe stato troppo complicato cercare di vederci durante l’anno.

Anche se mia madre aveva protestato, io ero rimasta ferma nelle mie affermazioni, così alla fine aveva ceduto.

Non riuscii a trattenere l’ennesimo sorriso amaro.

A Jess, invece, avevo ovviamente raccontato la verità. Risparmio il racconto delle lacrime eccetera.

Mentre stavamo attraversando il paesino per raggiungere l’aeroporto, l’occhio mi cadde inevitabilmente sul castello.

Fu l’ennesima pugnalata al cuore.

Chiusi gli occhi e tentai di calmarmi, per non far notare a nessuno dei miei il mio cambiamento di umore.

Non sarei mai più tornata in quel luogo. Era una mia scelta.

Dopo tutto dovevo solo vivere la mia vita e quando questa sarebbe finita avrei rincontrato Andrew.

Punto. Oramai me ne ero quasi fatta una ragione.

Detto così sembrava una brutta cosa, però era la verità.

Quindi mi lasciai trasportare dal panorama e dai ricordi, cullata da una pioggerellina che cadenzava ogni mio pensiero.

Poco dopo mi addormentai, con un sorriso stampato sulle labbra al ricordo dei giorni trascorsi in quel posto.

Sprofondai così in un'altra piccola bolla che mi ero appena creata: molto più falsa della precedente, ma all’interno della quale potevo essere davvero felice.

I miei sogni.

 

Fine

 

 

Aaaaaaaah che tristezza :’-(...

La mia fanfictionnnn!! Mi mancherà tantuuu...

Va beh, penso che mi consolerò con il seguito perché non posso abbandonare Roxy e Andrew!! J

Ice Queen Silver: Hola!! Già pensavo che mi avreste tutte scannato! J Mi sa che il mio subconscio mi ha suggerito qualche frase di Twilight XD XD... Cmq grazie per i complimenti *me arrossisce*... J Sono muchos contenta che la mia storia ti sia piaciuta...

Bacioniiiiiiii!!!!!!!!!!!!!

nikoletta89: Glassie!! J Nuoooooooooo non dirmi che ti shei commossa!! Che poi mi sento in colpa! XD... Già, però, hai ragione... Povero Andrew *piccolo, pat pat*... J

Grazias muchos, ancora!!

Bacioni!!!

Tetide: Hola! Shi shi... Alla fine Andrew si è quasi fatto perdonare! Cmq... Mmmm in via teorica la continuo presto presto... Tipo domani o dopo domani penso che posterò il prologo del seguito J

Bacioni!!!

valevre: shi ora è proprio finita finita! Nuoooo non volevo far piangere nessuno!! XDXD Cmq il seguito arriva tra poco... Molto poco... Il titolo... Uhm... Va beh lo dico, dai! È “ShadowsJ

Bacioni!

Angel Texas Ranger: Uauauaua... oki… Ti ho un pochino scioccata? Hihihi... Povera Roxy... Pat pat... Alla fine mi dispiaceva un sacco... Massi, dai! Grazie mille cmq!!

Bacioneeee

 

Alur vi aspetto per il seguito, né! Mi raccomando ci conto!!

1, 2, 3, 4, 5... Uauauaua!

Ok, pessima battutaaaaaa

Alla prossima, vi voglio muchos bene!!!

Bacioniii

Mallow92

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