The darkest time of Magic Itself

di AsfodeloSpirito17662
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il fuoco che purifica ***
Capitolo 2: *** Frequenze radio ***
Capitolo 3: *** La nuova era ***
Capitolo 4: *** Re Arthur ***
Capitolo 5: *** Il male di Albion ***
Capitolo 6: *** L'incontro ***
Capitolo 7: *** Un Destino ciascuno ***
Capitolo 8: *** Adesso siamo pari ***
Capitolo 9: *** Excalibur ***
Capitolo 10: *** Incertezze ***
Capitolo 11: *** A carte scoperte ***
Capitolo 12: *** Chance ***
Capitolo 13: *** Ultimatum ***
Capitolo 14: *** Punto di rottura ***
Capitolo 15: *** Un penny per i tuoi pensieri ***
Capitolo 16: *** Piano B ***
Capitolo 17: *** In volo verso Glastonbury ***
Capitolo 18: *** Merlin il Mago deve morire - I ***
Capitolo 19: *** Merlin il Mago deve morire - II ***
Capitolo 20: *** L'era mortale ***



Capitolo 1
*** Il fuoco che purifica ***


PRIMO CAPITOLO

1. Il fuoco che purifica




Londra, Gunnersbury, 17 luglio 2020

Notte


Charles aprì gli occhi all'improvviso, nello stesso modo dal quale ci si risveglia da un brutto sogno, da una caduta vertiginosa. Quando focalizzò il soffitto bianco sopra di lui, si rese conto che non era stato un brutto sogno ad averlo svegliato, ma le mani nervose di Hester che l'avevano scosso con violenza e che ancora continuavano a toccarlo.

"Si alzi, Charles!" gli ordinò la donna, non appena vide i suoi occhi azzurri aperti sul mondo.

Ciò che indusse il ragazzo a fare quello che gli era stato appena detto, fu l'evidente nota di urgenza che aveva fatto vibrare la voce profonda e roca della sua governante. Lei l'aveva lasciato andare ed aveva raccolto qualcosa da terra: una coperta marrone, di quelle che era solita tirare fuori soltanto durante le giornate più fredde; gli sembrava quasi di sentirne la consistenza ruvida e fastidiosa sulla pelle solo a guardarla.

Passando una mano sulla faccia Charles cercò di capire cosa diavolo stesse succedendo, ma non appena si alzò in piedi una fortissima esplosione fece tremare il pavimento della sua stanza, mandando in frantumi i vetri della finestra vicina. Entrambi persero l'equilibrio e caddero a terra: Charles si coprì istintivamente la testa con le braccia, mentre una pioggia di brillante cristallo gli cadeva addosso, sui vestiti e tra i capelli.

Si sentì decisamente più sveglio.

L'istinto di sopravvivenza gli suggerì di non alzarsi immediatamente e solo quando il tremore del pavimento fu passato, si azzardò a sbirciare la sua stanza oltre la fessura delle braccia: Hester era poco lontana da lui e già si stava rialzando in piedi, senza perdere tempo.

"Sta bene? Charles?" lo chiamò, avvicinandosi a lui con evidente apprensione. "Charles!"

"Sto bene, sto bene!" la rassicurò, provando la sconvolgente sensazione di star vivendo dentro una sorta di videogioco.

Quando guardò la sua governante, notò dei strani riflessi rossastri sui suoi capelli biondi, già striati da molte ciocche grigie. Si girò verso la finestra, perché la fonte di quella luminescenza non poteva provenire che da lì: attraverso le ante senza vetri, poté godere della vista di un enorme e furioso incendio, vivo ed ardente, ad un paio di isolati di distanza. Sgranò gli occhi e fu lì lì per dire qualcosa, ma Hester lo afferrò per un polso, trascinandoselo dietro con una certa prepotenza. Incespicò nei suoi stessi piedi, prima di opporre resistenza.

"Hester, aspetta, che stai facendo?" sbottò, senza capire le ragioni del suo comportamento. "Dove pensi di andare? È pericoloso uscire lì fuori, dobbiamo chiamare i vigili del fuoco!"

La donna scosse impetuosamente la testa, stringendo la coperta marrone sotto il gomito. Ricominciò a tirarlo verso le scale, quando quello che sembrò essere il ruggito di qualcosa di infernale fece sobbalzare entrambi sul posto. Il ragazzo svincolò dalla sua presa e si avvicinò di nuovo ad una finestra, nello stesso istante in cui un'ombra dalle dimensioni bibliche gettò il vicinato in un'oscurità più profonda della notte. Udì Hester inspirare bruscamente alle sue spalle.

"La prego, mi ascolti" tornò a parlare la donna, che sembrava avere fretta di andarsene. "Non siamo al sicuro qui, dobbiamo uscire!”

"Si può sapere di cosa parli?"

Si girò verso di lei e la guardò come se all'improvviso fosse diventata completamente pazza. "Esigo una spiegazione! Cosa succede?!"

"Attento!"


Hester corse verso di lui e se lo tirò addosso con forza: l'impeto fu talmente intenso che entrambi caddero a terra e per Charles fu inevitabile schiacciarla con il suo peso. Ritrovarsi distesi a terra fu però una fortuna, poiché l'enorme lingua di fuoco che irruppe dalla finestra spaccandone i vetri non poté così bruciarli, ma solo terrorizzarli a morte. Quando il getto diminuì di intensità, restando a lambire esclusivamente le tende e le intelaiature di legno, Charles rotolò da un lato e guardò con occhi vitrei il punto in cui si era trovato giusto qualche secondo prima. Con la mano afferrò la maglia bianca all'altezza del cuore che, furioso, batteva come avesse voluto uscirgli dal petto. Non riuscì a proferire nemmeno mezza parola. Se Hester non l'avesse afferrato bruscamente per buttare a terra entrambi, a quel punto sarebbe già morto carbonizzato.

O forse starei ancora soffrendo le pene dell'inferno nell'attesa di morire.


Tra i due doveva probabilmente essere Hester quella dal sangue freddo, poiché non aspettò che un secondo prima di rialzarsi in piedi, dando l'impressione di non essere rimasta poi molto traumatizzata dallo scampato incidente; approfittando del suo silenzio sconvolto, lo scrollò bruscamente e lo costrinse ad alzarsi in piedi.

La loro fuga da quella casa fu accompagnata da costanti gorgoglii e ruggiti bestiali: forse l'inferno aveva aperto le sue porte, vomitando diavoli e demoni sulla terra.


Charles non poté che confermare le sue paure, quando riuscirono a lasciarsi l'uscio dietro le spalle: non solo la sua casa, ma quelle dell'intero vicinato erano cadute sotto l'attacco di quelle fiamme misteriose, affamate ed implacabili; ne divoravano le fondamenta, tutto ciò che avevano contenuto e Dio solo sapeva se non anche gli occupanti. Avvertì le ginocchia diventare improvvisamente molli e l'odore di bruciato - le esalazioni, che come una cappa avevano abbracciato l'intero quartiere -, lo fecero tossire sin quasi a vomitare.

Hester aveva appoggiato la coperta sul naso e sulla bocca, ma il fumo le fece tuttavia lacrimare gli occhi verdi, contornati da alcune rughe; guardò il ragazzo con un velo d'apprensione, sovrastato da una sorta di determinazione che le accese lo sguardo. Tenendo ben salda la sua presa attorno al polso di Charles, con passo svelto - alla sua età mettersi a correre non le era davvero possibile -, lo costrinse a seguirla attraverso il vialetto carbonizzato.

Mentre Charles inghiottiva ciò che era stata la sua cena di nuovo giù per la gola, vide quello che restava dell'ulivo di sua madre, nell'angolo del giardino: i rami spogli e neri come l'inchiostro si innalzavano verso il cielo grigio e fumoso come in una muta richiesta di pietà. Sentì lo stomaco contrarsi ed una rabbia talmente intensa da accecargli la vista per qualche secondo: quella pianta era stata uno dei pochi ricordi che ancora aveva di lei ed ora era andata perduta per sempre.

La notte, resa luminosa e brillante dai numerosi incendi che avevano invaso il quartiere, sembrò per brevi secondi tornare alla sua oscurità più profonda ed originaria: una forte folata di vento scompigliò i suoi capelli biondi e quando alzò istintivamente gli occhi verso il cielo, non poté credere a ciò che vide.

Un drago dalle dimensioni di un immenso dirigibile volò sopra di lui, sputando fuori dalle fauci una fiammata talmente potente e calda che, nonostante si fosse abbattuta ad un paio di isolati di distanza, riuscì ad infastidirlo comunque a causa della sua elevata temperatura.

È ufficiale. Sto ancora sognando e questo è un videogioco.


Si girò verso Hester, che aveva allentato la presa sulla coperta: riuscì a vederle le labbra che tremavano. Nel giro di qualche secondo un altro drago solcò i cieli sopra le loro teste, diretto verso il centro di Londra. A quel punto, come risvegliatasi improvvisamente da una trance, Hester ricominciò a tirarlo come fosse stato un fantoccio privo di volontà e ad essere onesti, si sentiva proprio così.

Attorno lo scenario sarebbe potuto passare per un set post apocalittico: Charles guardò, come nei panni di uno spettatore, le macchine carbonizzate; si riempì le orecchie dei più disparati allarmi e delle grida della gente; respirò l'odore del fumo misto a quello della morte, delle vittime che erano già state colpite. Osservò una bambina che camminava in mezzo alla strada e che piangeva a pieni polmoni, invocando il nome della madre; il suo primo istinto fu quello di andare verso di lei, ma Hester lo trattenne con una forza inimmaginabile e scosse la testa più volte.

"Non c'è tempo, non c'è tempo!" esclamò, persistendo a camminare velocemente.

"Ma non possiamo lasciarla lì!" ribatté Charles, atterrito dal disinteresse della sua governante.

Il problema fu risolto da un uomo che, correndo fuori dall'interno di una casa, issò la ragazzina su una spalla e la caricò nella propria macchina. Ma nel momento in cui accese il motore, una bolla di fiamme e fumo abbracciò l'automobile nella sua interezza, carbonizzandola nel giro di pochi attimi. La fuga era stata stroncata dalla creatura alata.

Charles avvertì di nuovo l'intenso bisogno di vomitare, paralizzato dall'orrore.

Hester, al contrario, sembrava esattamente cosa fare e come muoversi: aveva evitato la vicinanza delle macchine come la peste, cercava riparo sotto gli alberi e sotto le tettoie e sfruttava le zone d'ombra più cupe. Quelli ed altri imbrogli, pur di celarsi all'acuta vista della mefistofelica creatura. Charles non parlava e non impediva più alla donna di trascinarlo Dio solo sapeva dove. Camminarono a lungo, facendo slalom tra i più disparati scenari di devastazione ed entrambi poterono così appurare come la furia di quelle mistiche creature si fosse abbattuta su tutta la città di Londra, senza lasciarne intatto un solo angolo. Quando raggiunsero miracolosamente indenni il parco di Richmond e furono al riparo dentro una delle grotte, Charles crollò sulle ginocchia, lo sguardo atterrito e rivolto verso i rivoli di fumo che si alzavano ancora dalle zone residenziali.

Hester soppesò pensierosamente se fosse il caso di lasciarlo lì da solo, poi sparì nelle profondità scure della caverna. Il ragazzo nemmeno se ne accorse.

Quando tornò indietro, lo trovò ancora immobile nella stessa posizione; poggiò a terra ciò che aveva recuperato dal fondo della grotta e si avvicinò, toccando con gentilezza la sua spalla.

"Suo padre non è in città" commentò lentamente, gli occhi pieni del bagliore delle fiamme lontane; "Non si preoccupi, Charles".

Ma Charles non stava pensando a suo padre: pensava all'ulivo morto nel giardino, quello che sua madre aveva accudito con tanta cura. Intimamente gli era sempre piaciuto pensare che la sua anima si fosse insidiata all'interno del tronco e nelle foglie, dopo la sua morte. Era come averla persa una seconda volta.

Hester gli poggiò la coperta sulle spalle e restò in silenzio: il vibrante ruggito dei draghi, che sembrava provenire direttamente dalle viscere della terra, riempì di echi oscuri tutta la caverna, minacciando i loro cuori.

È un sogno, pensò distrattamente Charles, stringendosi addosso la coperta, e voglio svegliarmi adesso.








NOTE DELL'AUTORE: Eccoci qui con il primo capitolo di questa nuova storicciuola. Sudata, anelata, rincorsa e bestemmiata per parecchi mesi, finalmente giunge su questi schermi. Ma io ve l'avevo promesso e lo sapete che le mie promesse vengono sempre mantenute. La storia si compone di 20 capitoli compreso l'epilogo, è già terminata ed aspetta solo di essere pubblicata. Avrete un nuovo capitolo ogni lunedì, a meno che cause di forze maggiori non mi impediscano di aggiornare (ma sono sempre stata estremamente puntuale con le pubblicazioni, quando ho avuto sul pc storie già concluse). Dedico questo primo capitolo a tutti i fan di Merlin ed a quelli che, nonostante dopo tutto questo tempo, ancora ci credono. Grazie di cuore a Mimiwitch che s'è presa la bella rogna di betare questa storia: sei un elemento davvero indispensabile e sei stata preziosa fonte di consigli quando le crisi mistiche minacciavano il mio estro di fanwriter. Grazie davvero.

Ultimo ma non meno importante: popolo fangirliano di Feis buk: IO. TI. ADORO.

Senza i vostri scleri le mie giornate sarebbe estremamente buie, grigie e tempestose.


P.S. Purtroppo per voi questa storia non avrà nulla di comico.

P.P.S. Però una risatina ogni tanto può darsi che riusciate a farla.

P.P.P.S. Un parere fa sempre piacere, purché sia spontaneo e non elemosinato.


Con tanto love,

Asfo

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Capitolo 2
*** Frequenze radio ***


SECONDO CAPITOLO

2. Frequenze radio


Londra, Richmond Park, 17 luglio 2020

Mattina


Il ronzio della radio che Charles stava cercando di far funzionare da circa un'ora, aveva costretto Hester ad alzarsi e fare la spola tra il fondo della caverna ed il punto in cui si erano accampati per la notte. Nessuno dei due era riuscito a chiudere occhio e non avevano spiccicato parola sino a quando, prendendo anche la sua coperta, Hester non aveva fatto rotolare fuori dalle pieghe una piccola radiolina; era già arrivata l'aurora quando Charles l'aveva raccolta e si era appoggiato contro la parete rocciosa, scorrendo febbrilmente i canali per bere ogni notizia mal trasmessa che riusciva a carpire.

Quando le era stato proposto di creare una sorta di falò, Hester aveva stroncato la scarsa geniale idea sul nascere, poiché l'acuta vista delle bestie alate avrebbe potuto individuarli da una considerevole distanza; tuttavia, per cucinare la sbobba contenuta nei barattoli che la governante aveva recuperato dal fondo della grotta, erano giunti ad un compromesso: il fuoco sarebbe stato utilizzato soltanto nella piena luce del giorno.

Hester, seduta davanti qualche ciocco di legno reso scuro dalle fiammelle, stava lasciando ribollire alcuni fagioli all'interno di un piccolo tegame; lanciò di soppiatto un'occhiatina verso Charles, chiedendosi con apprensione quando sarebbe cominciato l'inevitabile interrogatorio.

L'odore del muschio attaccato alle pareti della caverna, riusciva a mascherare un po' quello di bruciato che, ad ondate irregolari ed a seconda di come tirava il vento, giungeva dalla città. Alla luce di quella giornata cupa, il cui grigiume era anche alimentato dalla cappa di fumo che per giorni ancora avrebbe dominato i cieli di Londra, il devasto pareva ancora più terribile: i draghi erano scomparsi ore prima, diretti forse verso ovest, ed i loro ruggiti erano stati sostituiti dall'assordante fragore di interi edifici che, carbonizzati fino alle fondamenta, avevano finito per crollare come castelli di sabbia.

"Informiamo i fzzfzz non lasciate le strad-fzzfzz ripeto, non lasciate le fzzfzz".

Charles scrollò la radio, avvertendo il forte impulso di gettarla contro la parete e se non l'aveva già fatto, era perché quell'apparecchio rappresentava l'unico mezzo di informazione di cui disponessero.

Inspirando profondamente nel tentativo di calmarsi, inumidì le labbra secche e riprovò a far girare la rotella dei canali.

"Ogni passaggio è bloccato, l'attacco di ieri ha distr-fzzfzz la statale non è più agibi-fzzfzz imposs-fzzfzz -sciare Londra fzzfzz".

Chiuse gli occhi ed appoggiò la testa contro la parete, dandola vinta per qualche minuto alle frequenze instabili ed alla stanchezza. Le sue dita continuarono a far saltare la radio da un canale all'altro, ma chiuse totalmente le orecchie a quel ronzio insopportabile: per un po' avrebbe lasciato riposare la sua scarsa pazienza. Hester si era alzata in piedi e scrollata la lunga gonna marrone dalla polvere, con un'andatura un po' dondolante, gli si era avvicinata; durante la fuga della sera prima, nella fretta di mettere le vite di entrambi al sicuro, aveva preso una brutta storta e dopo che l'adrenalina era calata aveva iniziato ad accusare un considerevole dolore. La donna si fermò in prossimità dell'ingresso della grotta ed esaminò i numerosi rivoli di fumo che dalla città salivano ad alimentare le nubi scure nel cielo.

"A che cosa pensi?" le chiese Charles, che aveva socchiuso gli occhi udendo i suoi goffi movimenti.

Lei voltò la testa e lo guardò in silenzio, ma non rispose. La radio si ammutolì del tutto qualche breve istante, prima di ripartire dal ronzio. Charles attese ancora un po', continuando a cercare la frequenza giusta e poi tornò alla carica.

"Hester, posso sapere adesso che cosa sta succedendo?"

Neanche a dirlo, l'interpellata titubò ancora un poco sull'ingresso della grotta e poi se ne tornò vicina al falò, a mescolare quel pugno di fagioli che avrebbero mangiato per tappare un poco lo stomaco. Charles la seguì con gli occhi e l'ostinato silenzio della sua governante lo portò a serrare i denti con stizza. Restò seduto contro la parete della caverna, credendo che alzarsi in piedi non sarebbe stata una mossa saggia; si sentiva scombussolato da emozioni molto forti, ma simili tra loro: le più riconoscibili erano rabbia e paura.

"Hester" provò di nuovo, sorprendendosi per come il suo tono di voce risultò controllato. "Ti ho fatto una domanda. Perché sembri saperne qualcosa?"

Hester tolse il tegame dal fuocherello e dal sacco che aveva recuperato la sera prima dal fondo della caverna, tirò fuori due scodelle di plastica; con l'odore di cibo che stuzzicava il suo naso ed il suo palato, Charles si rese improvvisamente conto di essere molto affamato. Il suo stomaco borbottò indecentemente, come risvegliato da un sonno molto profondo. Inghiottì tutto l'eccesso di saliva che aveva nella bocca e si impose di non mollare ancora la presa.

"Come facevi a sapere che c'erano queste cose, qui nella grotta?" mosse il mento verso i fagioli che Hester stava versando nelle ciotole. "Ce le hai messe tu?"

Francamente iniziava a pensare che alzarsi in piedi potesse essere un'idea non così malvagia; l'altra non lo calcolava nemmeno per sbaglio e pretendeva di non udire nemmeno la sua voce. Determinata come un mulo, girava i fagioli dentro le scodelle per freddarli almeno un po', come aveva fatto abitualmente per Charles quando lui era ancora un bambino troppo pigro e viziato per freddare le cose semplicemente soffiandoci sopra.

"Perché siamo qui? Perché hai nascosto queste cose in questa caverna?"

Hester si tese versò di lui e gli porse la sua razione fumante di cibo. Lui non si mosse, cercando con i suoi gli occhi della donna.

"Perché non vuoi dirmi che succede?"

A quel punto Hester, esasperata da tutte quelle domande che comunque si era già aspettata, sbatté la ciotola di cibo ai suoi pedi e si ritirò infastidita.

"Che razza di domande sono?" esordì, burbera come era nella sua natura essere. "Non li ha visti i draghi? Ecco che succede!"

Ignorando del tutto l'odore allettante che saliva fino al suo naso, Charles si staccò dalla parete e si tese verso di lei: "E tu che ne sai?" domandò, nell'esatto istante in cui le sue dita trovarono miracolosamente una frequenza funzionante.

Entrambi si zittirono di colpo e l'attenzione fu tutta per lo speaker:

"A chiunque sia in grado di ascoltarci in questo momento fzzfzz -bandonate le case! Ripeto, abbandonate le vostre case! Non cercate di fug-fzzfzz-re se non a piedi, non usate le vostre macchine, non dirig-fzzfzz-vi verso gli aeroporti, tutti i voli sono stati cancellati! Ripeto, né treni né aerei sono più disp-fzzfzz-bili! Le forze dell'ordine invitano a mantenere la cal-fzzfzz e ci informano che in zona Wimbled-fzzfzz dei centri di accoglienza e di primo soccorso sono stati allest-fzzfzz per tutti coloro che fzzfzz-itano di cure. Ripeto, ci sono cent-fzzfzz zona Wimbledon. Mantenete le distanze da tutti gli edifici, per questioni di sicure-fzzfzz i pochi rimasti in piedi potrebbero crollare da un fzzfzz-mento all'altro. Che Dio ci assis-fzzfzz".


*


Inghilterra, 17 luglio 2020

Pomeriggio


Erano anni che nessuno si avvicinava a quella casa. La gente del posto aveva iniziato ad evitarla quando, di punto in bianco, un vecchio burbero e maleducato vi si era trasferito. All'inizio in molti avevano tentato di farlo sentire il benvenuto, di coinvolgerlo nella comunità, ma ogni sforzo che era stato compiuto per lui era finito inesorabilmente per andare sprecato. Il vecchio Fitz -così era stato soprannominato, poiché nessuno conosceva davvero il suo nome-, non voleva essere avvicinato, era chiaro. Verso i bambini agitava il suo bastone, verso gli adulti imprecava con sentimento. Dopo un considerevole periodo di insistenza quindi, un bel giorno, il vecchio Fitz era stato lasciato definitivamente in pace.

La sua casa si trovava nella periferia ovest della cittadina e da circa una settimana, sembrava essere tornata disabitata.

Becky, la dodicenne figlia del sindaco, giurava che così non era: passando per di lì la mattina, diretta alla fermata dell'autobus che l'avrebbe condotta al campo estivo, aveva visto un paio di volte un bambino all'interno di una delle stanze al pian terreno, nascosto dietro i vetri della finestra. Derek il pescatore, invece, tornando una sera tardi dalle acque del lago vicino, aveva detto di aver visto una luce accesa ai piani superiori.

"È normale" aveva esordito una sera al pub. "Il vecchio Fitz non riesce a reggere in piedi nemmeno se stesso, figurarsi tenere a bada le erbacce! Ve lo dico io, un giorno di questi gli crollerà addosso la baracca e non se ne accorgerà nemmeno".

Non era che alcuni di loro non provassero apprensione per quel povero signore tutto solo, ignaro del pericolo che stava correndo; ogni volta che a qualcuno veniva lo sghiribizzo di andarlo a disturbare per controllare che tutto fosse a posto però, immancabilmente il ricordo del brutto e rinomato caratteraccio del vecchio Fitz invogliava a far tornare qualunque anima pia sui propri passi ed a mantenere quindi le distanze.

Era davvero bizzarro il modo in cui la vegetazione del cortile aveva preso possesso della casa. Una cosa del genere Derek non l'aveva mai vista, neanche quando, per vent'anni, non vi aveva abitato nessuno. I cespugli e l'erba dovevano aver raggiunto almeno l'altezza di un metro, tanto che sfioravano oramai i davanzali delle finestre. Lungo le mura di pietra si arrampicavano rami e radici, disegnando una ragnatela così fitta ed intricata da rassomigliare ad una mappatura delle vene del corpo umano. Nonostante fosse luglio ed il tempo più che buono, gli alberi erano spogli e rinsecchiti, come se qualcosa avesse succhiato loro tutta la linfa, la vitalità e l'energia; incastrate tra i fili d'erba ed i rami dei cespugli c'erano foglie grandi ed ingiallite, morte da nemmeno una settimana. Altri rami, lunghi come liane, avvolgevano il ferro della cancellata che spuntava sopra le mura di cinta, sbarrando il passaggio a qualsiasi curioso: sembrava che la casa volesse tenere lontani gli scocciatori, rispecchiando perfettamente il terribile caratteraccio del vecchio Fitz.

Anche quel pomeriggio Becky, tornando dal campo estivo, rallentò il passo e si issò sulle punte dei piedi; allungò il collo con il nasino puntato per aria e sbirciò oltre la barriera di rami e foglioline che cercavano di impedirle di ficcanasare. Per un po' non vide niente, il che la deluse: avere delle novità sul vecchio Fitz era sempre stato un buon modo per attirare l'attenzione. Fu quasi sul punto di rinunciare quando, in una delle finestre del piano inferiore, intravide un baluginio dorato; Becky si fermò di colpo e tentò di alzarsi ancora di più sulle punte delle scarpe. Afferrò con le mani le sbarre della cancellata e spinse quasi la faccia tra i rami spessi che le stavano di fronte; restò lì immobile ad attendere istanti che le parvero infiniti, quando eccolo di nuovo! Becky socchiuse le palpebre e si concentrò, ma ciò che vide la spaventò a morte. Con un grido acuto lasciò all'improvviso le sbarre di ferro, come l'avessero ustionata ed incespicando sui piedi iniziò a correre, allontanandosi il più in fretta possibile da quella casa.

Aveva visto di nuovo lo stesso bambino, ma sulla faccia della terra non esisteva nessuno, nessuno, che avesse gli occhi dorati.

Il vecchio Fitz aveva forse un alieno in casa?


*


Londra, Richmond Park, 17 luglio 2020

Sera


Dopo quell'incredibile colpo di fortuna, Charles aveva passato l'intero pomeriggio a percorrere il perimetro della grotta con la radio tra le mani, nel tentativo di trovare un punto che gli permettesse di captare le frequenze nel miglior modo possibile. Tutto quello che aveva sentito, nel mentre, l'aveva totalmente allontanato dalla discussione intrapresa con Hester poche ore prima e la donna ne aveva approfittato per riposare un po'.

"Non si allontani Charles, se non vuole finire nei guai" aveva detto, prima di coricarsi sulla sua coperta e chiudere gli occhi stanchi ed arrossati. Charles aveva annuito distrattamente e si era avvicinato all'entrata della grotta, alzando le braccia per aria -il cervello gli diceva che forse, puntando la radio verso l'alto, il segnale sarebbe miracolosamente giunto a lui per vie divine-. Trascorse delle ore composte da frasi inframmezzate e singhiozzi incomprensibili, il ragazzo aveva ben pensato di spegnere almeno per un po' la radio, per evitare di sprecarne le batterie: sarebbe stato imbarazzato dal descrivere tutte le posizioni assurde che aveva assunto nel tentativo di fungere da canale per le frequenze, ma comunque era stato tutto inutile. Tornò verso l'interno della caverna e ripose la radio vicino al sacco del cibo in scatola; come se il solo vederlo gli avesse causato uno squarcio nelle viscere, il suo stomaco iniziò di nuovo a brontolare, reclamando la sua seconda razione giornaliera.

Con un sospiro appena percettibile si voltò verso Hester che, sdraiata a terra, gli dava le spalle; cercando di fare meno rumore possibile le si avvicinò per dare un'occhiata: il suo volto era disteso e privo di linee, il respiro profondo e regolare. Preferì non disturbarla, considerate le ultime tumultuose ore che avevano vissuto e tirò su le maniche della maglia con tutte le buone intenzioni del mondo: avrebbe pensato lui alla cena!

Rovistò all'interno del sacco marrone per un po', constatando la maggiore quantità di legumi che avesse mai visto in vita sua. Non avendo quindi molta scelta, prese un barattolo di lenticchie e lo svuotò all'interno del tegame che Hester aveva usato per scaldare i fagioli; Charles storse il naso un po' schifato, ma se era vero che la necessità faceva la virtù...

Quando trovò i fiammiferi tra le pieghe della sua coperta, per poco non gli venne un colpo: la mano di Hester si era chiusa attorno al suo polso con una morsa davvero ferrea e gli aveva impedito di muoversi ancora. Il ragazzo si voltò verso di lei, gli occhi azzurri spalancati come due fanali nel buio della caverna: non l'aveva sentita muoversi così velocemente e si stupì del fatto che apparisse perfettamente sveglia.

"Cosa sta facendo?" lo interrogò duramente.

"Volevo scaldare la cena".

"È forse impazzito?!"

Hester gli strappò dalle mani i fiammiferi, tenendoli stretti ed al sicuro tra le sue.

"Non si ricorda già più di cosa abbiamo parlato stamattina? Niente fuochi, la sera!"

"Ma i draghi non ci sono più! È dall'alba che non li vediamo!" replicò a quel punto Charles, decisamente indispettito dall'atteggiamento della sua governante. Lo stava trattando come un bambino.

"E se dovessero tornare all'improvviso?" tornò ad attaccare la donna.

"Che cosa faremmo se ci vedessero? Questa grotta è sicura, ma può diventare la nostra rovina! Saremmo intrappolati qui dentro e quella creatura la farebbe diventare un grande, grandissimo forno crematorio!"

Il ragazzo aprì la bocca per rispondere, ma nessun suono ne uscì fuori. Hester aveva ragione, ma dalla sera precedente era capitato un po' troppo spesso che ne avesse. Inspirando bruscamente, Charles si protese verso di lei e piantò gli occhi nei suoi con una luce autoritaria.

"Ho sentito dire alla radio che le armi militari si disintegrano nell'aria ancora prima di riuscire a sfiorare quelle bestie" sibilò, rincorrendo sul suo volto qualsiasi ombra, qualsiasi piega che potesse fargli intuire quanto in realtà ne sapesse la sua governante; "Ma tu questo già lo sai, non è vero?"

Hester strinse le labbra come una linea sottile e lasciò il suo polso.

"Mi sembra ovvio che sia così" replicò piuttosto seccamente, "Solo un Signore dei Draghi può uccidere un drago".








NOTE DELL'AUTORE: è già lunedì D: che ansia tremenda. Vabbè, comunque (come promesso), ecco qui il secondo capitolo. Ci tengo a specificare che i capitoli non hanno una lunghezza specifica, ma solo quella giusta (cioè quando io ritengo sia necessario interrompermi per motivi di suspance lol). Ringrazio coloro che hanno recensito il primo capitolo, quelli che hanno solo letto in silenzio e quelli che hanno aggiunto la storia alle seguite. Vi dico già da ora che qui, ogni cosa accade a suo tempo: forse l'inizio potrà sembrarvi un po' lento, ma a parte qualche rara eccezione, quasi tutte le mie storie iniziano così. Vi auguro di trovare il coraggio per arrivare fino alla fine!

Mimiwitch è la mia beta, la sponsorizzo un sacco e la amo tantissimo!


Ci vediamo lunedì!


Asfo


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Capitolo 3
*** La nuova era ***


TERZO CAPITOLO

3. La nuova era


Inghilterra, 18 luglio 2020

Notte


Alecto era già stata in quel posto, ne era certa. Le pareti nebulose e grigiastre tentavano di confonderla, ma l'odore... l'odore era uguale a quello della sua vecchia stanza; sentiva quella punta dolciastra dovuta alla crema da notte di Claire, l'odore forte del deodorante di Stacy e quel lieve alone perenne di marijuana che impregnava a morte i vestiti di Kendra.

Come fosse stato improvvisamente smascherato, il luogo prese definitivamente forma attorno a lei, confermando i suoi sospetti: si trovava al collegio, al sicuro sotto le coperte e con indosso il pigiama che odiava tanto - quello color panna, pieno di pecore gialle. Anche se aveva gli occhi aperti, sentiva di stare ancora dormendo; tentò di voltare la testa verso i letti delle sue compagne, ma qualsiasi movimento tentasse di fare risultava impossibile.

Sto dormendo, è per questo che non posso muovermi, pensò distrattamente. All'accertata familiarità che il luogo le aveva suscitato, si aggiunse qualche istante dopo un destabilizzante senso di déjà vu. Ho già vissuto questo momento, si disse, non appena sentì la testa essere invasa dalla voce di un bambino. L'Alecto che stava sognando sapeva chi era quel bambino, ma l'Alecto che stava stesa nel letto cadde in totale confusione. Chi sei? Che cosa vuoi? furono le scontate domande che la giovane pose a quella voce. Il bambino la ignorò, continuando a ripetere il suo nome con maggiore convinzione: stava tentando di dirle qualcosa. La ragazza si mosse irrequieta nel letto, scalciando le coperte fino a ridurle ad un groviglio informe ed umido di sudore - eppure faceva freddo, sapeva che era così. Con la fronte corrugata per la concentrazione, si sforzò di capire che cosa lui le stesse dicendo.

Alecto, vieni. Vieni da me.

Venire dove? Dove sei?

Da me... vieni da me.

Non capisco. Come faccio a venire se non so dove sei?

Cercami... seguimi... trovami...

Seguirti? Che cosa intendi dire?

Alecto...

Aspetta!

Come se stesse appena riemergendo dalle profondità di un abisso, Alecto scattò a sedere e respirò malamente, con enormi boccate di aria. Sentì il suo cuore battere alla velocità della luce, ma c'era qualcosa che non andava; capì che stava ancora sognando solo dopo aver esaminato con gli occhi, di un celeste acquoso e slavato, l'intera scena che le si parò di fronte. Sapeva di essere lì fisicamente, ma in un altro momento eppure nello stesso.

Quando quel sogno sarebbe finito, era certa che avrebbe aperto gli occhi all'interno di quella casa. Nel sogno invece, si trovava giusto di fronte all'ingresso, seduta sull'erba. Lasciò correre lo sguardo sulla ragnatela d'edera che decorava le mura dell'edificio e sulle chiazze di muschio che ne scurivano la superficie; era esattamente uguale a come era nella realtà, eppure Alecto sapeva di star rivivendo ancora qualcosa di già vissuto.

Spinta da una forza invisibile, fu costretta ad alzarsi in piedi per spazzolare i vestiti e ripulirli dalla terra e dall'erba secca del giardino incolto, lasciato in un pietoso stato brado.

Nel momento in cui sollevò gli occhi dai jeans sobbalzò: non era più in giardino, ma nel salotto della casa, al pian terreno. Voltò la testa verso la finestra ed oltre le tende pesanti ed il vetro ricoperto dalla polvere, intravide una meravigliosa luna piena, che da sola avrebbe potuto illuminare anche le strade più buie. L'odore di vecchio e di umido le pizzicò le narici, ma non la infastidì: aveva avuto tempo per abituarsi a quel miscuglio stordente.

Come aveva sempre fatto da che era diventata inquilina abituale di quella malandata dimora, diresse lo sguardo verso il fondo del salotto, incontrando stranamente una fitta nebbia. Questa non c'è mai stata... si ritrovò a pensare con stupore, nel momento stesso in cui una piccola manina sbucò oltre quella coltre grigiastra, tendendosi verso di lei come a volerla risucchiare e inghiottirla tra le ombre.

La scena cambiò ancora ed il bagliore del camino lenì il tremore delle sue ossa; Alecto si tese inconsciamente verso quella fonte di calore, senza abbandonare la poltrona sulla quale si era ritrovata seduta. La luce del fuoco illuminava una piccola porzione del salotto, dalla carta da parati consunta ed ingiallita al tappeto mangiucchiato dalle termiti. L'elegante cornice che correva intorno alla bocca del camino in alcuni punti cadeva a pezzi, lasciando intravedere un po' di intonaco. I rami e l'edera che dall'esterno della casa davano l'impressione di averla inghiottita, si erano inoltrati implacabilmente anche al suo interno: i pavimenti erano spaccati in più punti da grosse radici e la carta da parati era strappata da numerosi ramoscelli, che crescevano direttamente dal cemento di quelle mura; dagli steli che si inerpicavano fin al soffitto del salotto, penzolavano pigramente alcune foglie secche. Accanto a lei sedeva lui, lo stesso bambino che l'aveva attirata in quella casa. Le gambette troppo corte a malapena sbucavano oltre il bordo della grande poltrona di pelle marrone e le manine erano poggiate morbidamente sul grembo; sarebbe apparso come un qualsiasi altro bambino della sua età - ma qual era la sua età? -, forse dall'aria un po' gracile, se non fosse stato per quei magnetici ed intensi - ma sono vivi!, aveva pensato -, occhi dorati. No, non gialli. Dorati.

All'inizio Alecto aveva creduto che il riverbero delle fiamme del camino giocasse strani scherzi su quelle iridi mobili e liquide, ma poi si era dovuta ricredere: c'era qualcosa di vivo che strisciava sinuoso in quegli occhi e per qualcosa di vivo, intendeva dire una presenza, un'entità, un parassita, un... un qualcosa! Quegli occhi ospitavano qualcosa, non poteva essere altrimenti.

"Capisci perché ho bisogno di te?" le stava dicendo lui, guardandola come si guarda la soluzione di un enigma.

"Non ho abbastanza forze per farlo da solo, ma insieme potremo riportare la magia in questo mondo e trovare altri Signori dei Draghi come me e come te, Alecto".

La sua voce la infastidiva; aveva la tonalità cristallina tipica dei bambini, ma le parole che uscivano da quella bocca ed il modo in cui venivano pronunciate, appartenevano ad un individuo senza tempo, senza età. Osservò il ramo che fuoriusciva direttamente dalla sua schiena e che strisciava lungo la poltrona, immergendosi in quella porzione di salotto rimasta avvolta dalla nebbia; ebbe un fremito di inquietudine e sentì i suoi occhi dorati scivolarle addosso come lava. In quel momento il calore del fuoco non bastò a farla sentire meglio.

"Noi siamo uguali" riprese il bambino. "Abbiamo la magia. Se non permetteremo a quelli come noi di venire alla luce, allora resteremo da soli per sempre e non potremo farne qualcosa di buono".

Qualcosa di buono. Alecto aveva una paura folle della solitudine; aveva una paura folle delle persone come sua madre. Lui le parlava di usare la magia per un bene superiore, quel tipo di bene che le avrebbe finalmente permesso di sentirsi parte di un gruppo, di essere accettata e non additata come mostro. Qualcosa di buono. Quando lui le parlava così, riusciva a sentirlo più vicino e più umano; vedeva le sue piccole mani paffute quasi prive di linee, i capelli neri e spettinati tra i quali sbucavano un paio di grandi orecchie buffe.

Qualcosa di buono aveva morso e stava già masticando la sua volontà.

*

Alecto aprì gli occhi per davvero quella volta, mettendo a fuoco il soffitto bianco della sua stanza, sul quale si allungavano ombre dall'ambigua natura. Restò immobile e distesa sul letto per un tempo che le parve infinito, durante il quale si concentrò nell'ascoltare il battito rassicurante e ritmico del suo cuore. Si sentiva fresca ed asciutta, ma poco riposata; voltò la testa verso il comodino: la sveglia elettrica segnava le tre e zero sette del mattino.

Dopo un sospiro silenzioso scostò le coperte di dosso e si mise seduta; dovette come sempre aspettare quasi un minuto prima di potersi alzare in piedi, o la testa avrebbe iniziato a girarle - qualche problema con la pressione piuttosto comune -. Mosse la lingua impastata contro il palato, accorgendosi di avere la bocca e la gola asciutte. Desiderò dell'acqua. Senza tergiversare oltre, uscì dalla sua spoglia stanza, percorrendo il buio e familiare corridoio e poi scese le scale. Come nel sogno, il riverbero proveniente dal fuoco che sicuramente era acceso nel camino, illuminava l'ingresso del salotto; Alecto giunse in fondo alle scale, ma invece di assecondare il richiamo di quel bagliore rossastro alla sua sinistra, si diresse dalla parte opposta, dov'era la cucina.

Il resto della casa era immerso nel buio e nonostante il suo aspetto fatiscente, non un asse del pavimento si era mossa sotto il peso dei piedi scalzi di Alecto, che risultò essere perfettamente silenziosa come un'ombra. Non aveva bisogno di accendere la luce e come avesse gli occhi chiusi, raggiunse in breve la cucina; i suoi occhi cercarono di abituarsi all'oscurità che la circondava, ma risultò essere stranamente impenetrabile. Scrollò le spalle e perfettamente consapevole di dove stesse mettendo i piedi, si diresse verso il lavandino; alzò le braccia, trovando a tastoni lo sportello della credenza sopra la tua testa.

Prese un bicchiere e lo riempì di acqua, ascoltando ancora il battito calmo del suo cuore: sembrava l'unico a produrre qualche rumore.

"Va tutto bene?"

Alecto strinse le dita attorno al bicchiere, che quasi le cadde a terra; si girò di scatto verso l'oscurità alle sue spalle e la prima cosa che intercettò, fu il bagliore dorato dei suoi occhi. Improvvisamente il buio non parve più così impenetrabile e come se le sue pupille si fossero finalmente adattate alle tenebre, iniziò a scorgere con più facilità il profilo del tavolo con le sedie, dei mobili e del bambino che l'aveva raggiunta in cucina. Lui la guardava in silenzio con un'espressione imperscrutabile: Alecto non era mai stata in grado di capire quali pensieri affollassero la sua mente e non era molto sicura di volerne venire a conoscenza. Lui non aveva fatto mai niente per spaventarla, ma le ispirava lo stesso un disagio primordiale, senza spiegazione logica.

"Sì" rispose in modo flebile. "Avevo solo sete".

Schiarì la gola per rendere la voce meno roca.

"Hai fatto un brutto sogno?" le domandò lui, rischiando quasi di farle arricciare la punta del naso: odiava quando dava l'impressione di sapere sempre tutto. C'erano cose che Alecto avrebbe voluto tenere per sé, ma aveva la sensazione che non sarebbe mai accaduto.

"Una specie..." commentò.

"Di nuovo il collegio?"

La ragazza lasciò passare qualche secondo, prima di rispondere. Decise che per raccontare una bugia efficace, una mezza verità poteva fare al caso suo.

"Sì" si ritrovò così a confermare, ma non aggiunse altro: avevano già parlato abbondantemente del periodo che era stata costretta a passare in quel posto.

"Pensavo non ne facessi più".

"Lo pensavo anche io".

Alecto posò il bicchiere vuoto dentro il lavandino e vi rimase appoggiata contro, indirizzando lo sguardo verso la finestra che le stava di fronte: da quel lato della casa la luna non era visibile.

"A volte mi chiedo se tu ti renda pienamente conto della tua importanza" esclamò ad un certo punto l'altro, spezzando il silenzio con forza. Lei non si voltò, ma irrigidì visibilmente la schiena.

"Sei parte integrante della nuova era che giungerà. La creeremo noi, insieme. Credi ancora che sia la cosa giusta da fare, non è vero?"

Prima di girarsi, Alecto inumidì le labbra asciutte. "Perché, se sono così importante, ti rifiuti di condividere alcune cose con me?" trovò il coraggio di chiedere. "Hai detto che sono una signora dei draghi, allora insegnami come posso comandarli".

Lui la trapassò con lo sguardo: oro incandescente come una fiamma che la faceva, contro ogni aspettativa, rabbrividire di freddo.

"Non è ancora giunta l'ora" rispose dopo un po', calibrando le parole - o forse il tono della voce?; "Devi avere pazienza, Alecto. La magia non è cosa che si possa imparare in un giorno, o un mese, o un anno".

"Quindi dovrò aspettare un anno per sapere come fare?"

"Dovrai aspettare il tempo necessario" la sferzò, lasciandosi sfuggire una punta di irritazione, che venne cancellata immediatamente dopo da un sorriso. "Mi piace la tua determinazione, Alecto. Cancella tutti i miei dubbi quando mi domando se hai davvero compreso che è questa, la cosa giusta da fare. Per tutti noi. Sia per quelli che hanno la magia, che per quelli che non ce l'hanno".

"Mia madre..."

"Tua madre starà bene" la interruppe, con l'aria di chi non voleva essere contraddetto. "Così come tutti gli altri. Ti ho mai mentito sino ad ora, Alecto? Pensi che la tua diffidenza mi faccia piacere?"

La ragazza strinse le labbra ed abbassò lo sguardo: ci provava sempre a sfidare la mobilità sinuosa dei suoi occhi, ma finiva inevitabilmente per perdere.

"Preferiresti tornare alla tua vita di prima? Al collegio?"

"No!" rispose d'istinto, compiendo un passo verso di lui. Il bambino la guardò dolcemente; Alecto era troppo agitata per accorgersi che l'altro aveva sulla faccia l'espressione di chi aveva ottenuto esattamente ciò che voleva. Sospirò, annuendo lentamente: "Neanche io voglio che tu te ne vada. Sono stato solo per tanto, tanto tempo. Siamo amici, no?"

Lei si limitò ad annuire e si avvolse la pancia con le braccia. Soddisfatto della conversazione avvenuta, il bambino le voltò le spalle e si diresse verso il salotto, trascinando con sé quel ramo solido e pieno di linfa che fuoriusciva dalla sua schiena e che mai lo abbandonava.

"Emrys, aspetta!" lo fermò Alecto, avvicinandoglisi ancora di qualche passo. Aveva come la sensazione di aver lasciato qualcosa in sospeso e non voleva che il bambino pensasse male delle sue convinzioni; lui si fermò, senza voltarsi: la stava così invitando a parlare.

"Lo so che quello che stiamo facendo è giusto. Verrà presto il tempo in cui la magia non sarà un problema e ti credo, quando dici che anche gli altri staranno bene. So che tutta questa violenza è necessaria per il cambiamento. Tu stesso hai detto che..."

"Che tutte le rivoluzioni efficaci sono mosse dalla violenza. Spero tu non abbia dimenticato che noi possiamo porre rimedio a qualsiasi tipo di male, grazie alla magia. Non sentirti in colpa".

"Non lo farò più. Si tratta pur sempre di un bene superiore, no?" tentò di abbozzare un sorriso, anelando l'approvazione di Emrys. Quello si girò appena verso di lei, lasciando intravedere un fugace sorriso sul suo volto.

"È per questo che ti ho scelta, Alecto. Sapevo che tu, fra tutti, avresti capito".

*

Qualche minuto più tardi, Alecto si chiuse la porta della sua stanza alle spalle. Vi appoggiò contro la schiena e sospirò rumorosamente; ci mise giusto un po', prima di accorgersi che c'era qualcosa di strano. Quando era uscita non aveva acceso la luce, eppure l'ambiente era schiarito da un tenue bagliore. Il suo cervello fece immediatamente il collegamento.

"Può essere che...?" sussurrò, allontanandosi dalla porta. Con passi decisi si avvicinò al suo zaino ed iniziò a rovistarvi dentro: il bagliore divenne via via sempre più intenso e nel momento in cui ebbe tra le mani l'oggetto delle sue ricerche, fu costretta a socchiudere gli occhi: il pulsare costante di quella luce, a tratti più tenue ed a tratti più intensa, era troppo da sopportare per lei, dopo il costante buio nel quale si era mossa.

Il Triskelion(1) composto di tutte e tre le sue parti brillava di una luce propria, celestina, e quello poteva voler dire soltanto una cosa.

"Un altro uovo è vicino".


*


Londra, Richmond Park, 18 luglio 2020

Mattina


Hester si spaventò a morte, quando Charles si mise seduto di scatto con gli occhi spalancati ed i capelli appiccicati alla fronte per colpa del sudore. Lasciò perdere ciò che stava facendo e si avvicinò al suo protetto, inchiodandolo con uno sguardo apprensivo.

"Che succede?" domandò, raschiando la voce contro la gola. Spostò dietro le spalle i lunghi capelli biondi striati abbondantemente di grigio e si accovacciò al suo fianco. Charles fissò i suoi occhi azzurri in quelli verdi della donna e sospirò bruscamente.

"Non lo so" rispose titubante, "Un... un sogno. Credo".

"Come sarebbe a dire credo?" Hester corrugò la fronte e lo osservò attentamente. L'altro scrollò le spalle e si stropicciò la faccia con una mano, tirando i capelli indietro dalla fronte.

"Cioè, sì. Un sogno. Era sicuramente un sogno..." mormorò, fissando la parete rocciosa della grotta senza vederla realmente. Ad Hester quell'aria assorta non piacque affatto, per una lunga serie di motivi, perciò decise di insistere.

"Di che genere? Senza dubbio tremendo".

Quando Charles la guardò interrogativamente, Hester abbozzò un sorriso. "Dovrebbe vedere la sua faccia. Pare abbia appena visto un mostro".

"Oh, no" rispose subito lui. "Nessun mostro, anzi. Tutto sommato credo si possa considerare... un bel sogno. Cioè, normale, ecco. E poi..." si bloccò improvvisamente e investì la sua governante con uno sguardo del tutto diverso.

"Un momento. Perché diavolo dovrei raccontarti i fatti miei quando tu non mi degni nemmeno di rispondere alle mie domande? È da ieri che fai finta di non sentirmi, ma ti assicuro, Hester, che la mia pazienza ha un limite!"

La donna roteò gli occhi verso l'alto e scosse la testa. "Non si arrende mai, vero, Charles? Testardo come suo padre, questa qualità avrebbe anche potuto lasciarla a lui. Se avessi fatto finta di non sentirla, per la cronaca, non le avrei nemmeno detto che l'unica cosa importante adesso è restare insieme. È fondamentale che lei stia con me, Charles. Il perché glie lo spiegherò, ma non è né il momento né il luogo adatto".

"E quando sarà il momento adatto? In quanto al luogo, credo che nessun posto sia più sicuro, quindi uno vale l'altro".

"No!" si impuntò la donna ed approfittò per rimproverarlo. "Lei dice così perché non sa. Non ancora almeno, ma tra breve non sarà più così. La pazienza, ecco! Quella avrebbe proprio dovuto prenderla, da sua madre".

Charles restò interdetto. "Tu sei arrivata poco prima della sua morte. Che ne sai di com'era?"

"Sono arrivata prima di quanto non pensi. Aveva solo cinque anni, non può pretendere di ricordarselo" rispose immediatamente Hester, distogliendo per brevi attimi gli occhi dai suoi.

"Comunque dobbiamo tornare in città" riprese il ragazzo, alzandosi in piedi. "Voglio verificare in che stato si trova la casa e sono preoccupato per mio padre".

"Ma non ha sentito le comunicazioni radio? Le strade sono tutte bloccate e Londra è stata evacuata! Tornare indietro è fuori discussione! Mi creda, Charles, se c'è qualcuno che si trova al sicuro, quello è sicuramente suo padre! L'America sta dall'altra parte dell'oceano, sa?"

"Perché tutto ciò che dici sembra volermi impedire di tornare a casa mia?" socchiuse le palpebre sugli occhi, guardandola con un'ombra di diffidenza.

Hester schiuse le labbra, ferita più di quanto avesse mai immaginato da quello sguardo; comprendeva perfettamente i dubbi che affollavano la mente di Charles e non poteva biasimare quell'atteggiamento nei suoi confronti, ma questo non lo rendeva meno doloroso. Aveva cresciuto quel ragazzo al meglio delle sue possibilità, era praticamente il figlio che non aveva mai avuto.

"Il giorno in cui ho iniziato a lavorare per la sua famiglia, ho promesso una cosa a sua madre e cioè che avrei sempre cercato di proteggerla, in qualsiasi circostanza. Tornare indietro è pericoloso e può stare certo che per farlo, dovrà passare sul mio cadavere" rispose, con un tono di voce così fermo e perentorio da fugare ogni dubbio: Charles sarebbe dovuto davvero passare sul suo corpo, prima di poter essere libero di fare ciò che voleva.

"Non ho più cinque anni, so badare a me stesso" ribatté per contro, come punto sul vivo. Ebbe la sensazione di essere appena stato trattato come qualcuno non in grado di intendere né di volere; secondo il punto di vista di Hester infatti, era proprio così: Charles non era in grado di fare nessuna delle sue cose perché non sapeva niente.

"Per quanto mi riguarda" riprese la donna, "potrebbe avere anche sessant'anni, ma non cambierebbe niente. Onorerò la mia promessa fin quando avrò vita in questo corpo e questo è quanto. Adesso, direi che è il caso di focalizzarci su qualcos'altro".

Charles non era molto d'accordo, avrebbe voluto dirle molte altre cose - tendeva a volerla sempre vinta lui -, ma in quel caso la curiosità ebbe la meglio sul suo orgoglio.

"Del tipo?" domandò monocorde, arcuando entrambe le sopracciglia.

"Del tipo che è arrivato il momento di spostarci. Dobbiamo approfittare di questa calma per andare in un posto".

"Che posto?" chiese immediatamente il ragazzo, con la netta impressione che non avrebbe ricevuto una risposta soddisfacente. Infatti andò proprio così.

"Lo vedrà da sé" replicò Hester, raccattando le poche cose che avevano portato: coperte, la sacca con all'interno il cibo in scatola e la radio.

"Piuttosto" continuò, invogliandolo a seguirla verso l'esterno della grotta, "Perché non mi parla del suo sogno?"


*


Inghilterra, 18 luglio 2020

Mattina


"L'hai sentito?"

Emrys stava seduto sulla poltrona come al solito e fissava le pietre del camino scurite dalle fiamme, in quel momento spente. Quando Alecto era entrata in salotto nemmeno si era voltato e non lo fece neppure a quella domanda.

"È ora che tu vada" disse quietamente, facendo dondolare le gambette oltre il bordo della seduta.

"Ho già tutto pronto" rispose la ragazza, che in effetti aveva lo zaino in spalla, i capelli biondi già legati ed un berretto blu notte calato sugli occhi. Emrys annuì seccamente e piegò la schiena in avanti, per poterla osservare. I suoi occhi non avevano mai smesso di essere dorati; una sera le aveva detto che era nato così.

"Stai attenta, d'accordo?" mormorò ed Alecto poté chiaramente percepire la sua apprensione. O forse era solo un'impressione. Non avrebbe saputo dirlo con certezza, tuttavia annuì e senza aggiungere altro se ne andò. Quando ebbe varcato il cancello che nascondeva alla vista dei curiosi l'incolto e tremendo giardino, estrasse dallo zaino il Triskelion e lo tenne stretto tra le mani.

"Taispeáin(2)" sussurrò come un comando e per una frazione di secondo, il celeste slavato dei suoi occhi fu sostituito da un baluginio dorato, neanche lontanamente paragonabile all'intenso oro che navigava negli occhi di Emrys. Il Triskelion continuò a pulsare nello stesso modo in cui, da quella notte, aveva iniziato a fare, ma Alecto sembrò comunque soddisfatta. Non le restò che avviarsi ed iniziare così la sua ricerca.


*


Londra, Marble Hill Park , 18 luglio 2020

Pomeriggio presto


Non era da considerarsi una grande vittoria, l'aver raggiunto Marble Hill Park in così tanto tempo; distava veramente poco dal Richmond Park, ma la devastazione in cui erano incappati lungo il cammino aveva rallentato notevolmente la loro marcia. Alla radio non avevano scherzato, quando avevano detto che le implacabili fiamme dei draghi avevano distrutto qualsiasi cosa; era vero: sembrava non avessero risparmiato neanche l'angolo più misero e dimenticato da Dio di Londra.

Sia Charles che Hester avevano compiuto tutto il tragitto in religioso silenzio, quasi di comune accordo; la desolazione che li circondava era un pianto per gli occhi e dopo i primi due corpi carbonizzati in cui erano incappati, Charles non era stato semplicemente in grado di articolare suoni intellegibili; i suoi occhi azzurri si erano piantati per terra ed aveva continuato a camminare rigidamente, ben deciso e volersi risparmiare quante più scene pietose possibile.

Hester teneva le labbra unite in una linea austera e guadava fisso davanti a sé, come avesse i paraocchi; nonostante il disturbo ed il dolore che quello scenario catastrofico le causavano, non si era mostrata titubante nemmeno per un secondo ed aveva avuto coraggio per entrambi: quello di andare avanti senza rallentare. Era capitato lungo il tragitto di aver incontrato due persone, entrambe rintanate dentro la loro casa; quando quelli - un uomo ed una donna piuttosto anziani -, li avevano fermati in cerca di informazioni, ad Hester si era stretto il cuore: con il caos che c'era in giro per le strade e tutte le comunicazioni interrotte, quei due non ce l'avrebbero mai fatta da soli a raggiungere il centro accoglienza allestito a Wimbledon, che era piuttosto distante da lì.

"Dobbiamo aiutarli" aveva detto Charles, mostrando ancora una volta quella indole altruista che poco si confaceva con l'aria da ragazzino viziato che andava ostentando in giro. Hester avrebbe voluto tagliarsi la lingua pur di non segare le gambe ai suoi propositi, ma dovette fare la parte dell'essere umano poco umano e limitarsi a fornire alla coppia di anziani le indicazioni necessarie per raggiungere il centro di accoglienza.

"Non possiamo fermarci" aveva spiegato poco dopo ad un Charles livido di indignazione. "È troppo pericoloso e non abbiamo tempo".

Il ragazzo non le aveva più rivolto la parola per tutto il giorno.

Dopo aver trovato una nicchia abbastanza riparata, la donna lasciò cadere a terra tutte le loro cianfrusaglie e si prodigò nell'aprire dei ceci in scatola. Charles si lasciò andare sull'erba e puntò gli occhi altrove, verso l'orizzonte lontano; sembrava non riuscire a non guardare la città distrutta, dalla quale si innalzava un silenzio innaturale. Hester gli porse una ciotola ed un cucchiaio e lui li prese senza aprire bocca.

"Non mi ha ancora raccontato del suo sogno" iniziò la donna, mescolando distrattamente la sua razione. Il ragazzo ingollò una cucchiaiata di ceci e finse di non aver sentito.

"Charles..." lo richiamò Hester, con accondiscendenza, "...per favore. Mi interessa saperlo".

"D'accordo" sentenziò allora lui, ben sapendo che continuare ad ignorarla l'avrebbe soltanto portato all'esasperazione. "Mi trovavo in una stanza. Una stanza grande, come quella di un castello, però non c'era luce, era tutto grigio e pieno di ragnatele. Stavo seduto ad un tavolo ed intorno a me c'erano un sacco di persone. E poi ho visto una vecchia..."

"Continui".

"C'era questa vecchia sdraiata sul pavimento, davanti a me e mi guardava con un tale odio che mi sono sentito in colpa senza neanche sapere perché. Ad un certo punto è successa una cosa strana... questa donna ha lanciato un coltello e sapevo che era diretto verso di me. Non solo l'avevo visto, ma sentivo che sarei morto, morto per davvero. E poi, tutto d'un tratto, mi sono ritrovato a terra e vicino a me c'era questo ragazzo con i capelli scuri. Mi sono girato verso di lui, l'ho guardato e... e niente. Nel sogno mi ha salvato la vita, capisci? Non ho mai visto quel ragazzo, né le altre persone presenti in quella stanza, eppure le ho sognate(3)".

"Perché questo sogno l'ha turbata così tanto, Charles?"

Hester teneva il cucchiaio a mezz'aria e lo guardava con un cipiglio così interessato che l'altro non poté che continuare.

"Non lo so..." mormorò, rigirando distrattamente i ceci dentro la ciotola. "Era tutto così... così vero. Non ho mai fatto un sogno così realistico! Quando quel ragazzo mi ha afferrato e poi gettato a terra, ho sentito dolore, capisci? E quando mi sono svegliato, la spalla mi doleva ancora, come se fossi davvero caduto per terra! Anche lui mi ha guardato, come non credesse a quello che aveva appena fatto e ho sentito odore di..." si interruppe ed alzò la testa, cercando di afferrare il termine che gli sfuggiva.

"Tipo di erboristeria" sentenziò alla fine, anche se erboristeria non era proprio il termine adatto e lui, stranamente, lo sapeva. Hester inspirò lentamente e mise giù il suo cucchiaio; il ragazzo poté chiaramente vedere quanto intensamente la sua governante stesse pensando e, come al solito, il suo primo istinto fu quello di porre domande.

"A cosa pensi?"

Lei alzò gli occhi e lo guardò attentamente, come lo stesse in qualche modo valutando. Charles si sentì quasi messo alla prova dall'intensità di quello sguardo.

"Come le ho detto stamattina..." iniziò dopo un po' la donna, calibrando con attenzione il tono della voce, "Ci sono molte cose che non sa. Ed ho tutta l'intenzione di rivelargliele, a tempo debito, perché è suo diritto sapere. Vede, Charles, il fatto che i draghi si siano risvegliati non è un caso".

Il ragazzo continuò a fissarla insistentemente, ma non aprì bocca per non interrompere l'idillio: finalmente sentiva che la donna stava per rivelargli qualcosa di concreto. Quando Hester ebbe accumulato abbastanza coraggio, continuò: "C'è solo un motivo per il quale i draghi possano essersi risvegliati e quel motivo è lei. Charles, lei è..." le parole si incrinarono e fu costretta a schiarire la gola.

"Lei è-"

Un lamento baritonale rimbombò nei pressi della nicchia, facendo loro vibrare la cassa toracica. Entrambi sgranarono gli occhi ed Hester schizzò in piedi come una molla, lasciando cadere a terra la ciotola con il pranzo. Si guardarono intorno con frenesia ed apprensione, fino a quando quel lamento tornò a farsi sentire, quella volta più vicino. Senza perdere tempo la governante afferrò il polso del suo protetto e lo trascinò dietro alla vegetazione, che sperò essere abbastanza fitta; facendogli cenno di restare in silenzio, entrambi si accucciarono tra la boscaglia e restarono in attesa. L'odore del cibo che si erano lasciati alle spalle, ben presto attirò una tra le creature più immonde che Hester avrebbe mai avuto la fortuna di poter vedere e dopo poterlo raccontare: la leggendaria bestia errante si stava nutrendo dei loro ceci. La sua mostruosità era indescrivibile e la sua ombra, da sola, bastava a nascondere alla luce buona parte della vegetazione. Si girò verso Charles e lo vide che aveva spalancato la bocca in un muto grido di terrore, ma lo shock era talmente grande che solo dei versi strozzati riuscivano ad uscirne. Hester rafforzò la presa intorno al suo polso e tornò a guardare la bestia con l'angoscia nel cuore; il battito era così schizzato alle stelle che lo sentiva ruggire pure nelle orecchie. La fortuna volle che l'allarme antifurto di una delle case circostanti il parco attirò l'attenzione della mortale creatura; dopo aver ingollato anche le ciotole come fossero state fatte di cartapesta, quella si girò ed i suoi passi pesanti coprirono il rumore acuto dell'antifurto.

Dopo circa cinque minuti di silenzioso terrore, Hester uscì dalla boscaglia, trascinando con sé un pallidissimo Charles.

"In qualsiasi caso" esordì la donna, senza riuscire a controllare il tremore della sua voce, "Non gli permetta di morderla, Charles. Se mai dovessimo sciaguratamente vedere ancora quella cosa, bisogna scappare. Alla velocità della luce. Mai, mai lasciare che ci morda, sono stata chiara?"

Il ragazzo annuì meccanicamente, l'aria decisamente sconvolta. Hester decise che per quel giorno avevano fatto abbastanza e trasferì tutte le loro cose nella fitta vegetazione, stabilendo che per quella notte avrebbero dormito riparati nel sottobosco. Sapeva bene tuttavia che non sarebbe riuscita a chiudere occhio: se c'era una cosa che era ancora più famosa del mortale morso della bestia errante, era il presagio di sfortuna che lasciava su chiunque avesse la disgrazia di vederla. Le era sempre stato detto, sin da bambina, che la comparsa della bestia errante(4) era segno di sciagura.







NOTE DELL'AUTORE: eccoci qui con il terzo capitolo. Spero che la storia si stia facendo più interessante e che l'aggiunta di nuovi personaggi non vi scoraggi troppo. Grazie a tutti coloro che stanno leggendo, seguendo e commentando. Il fatto che stiate dando una possibilità a questa storia mi rende una mocciosa molto contenta! Sono praticamente certa di aver voluto dire qualcos'altro ma ho dimenticato che cosa... e_e°... va bé!


(1) Triskelion: Il Triskelion è realmente esistente nella serie originale e quando le tre parti di cui è composto sono unite insieme, si illumina nel momento in cui un uovo di drago è nelle vicinanze. http://merlin.wikia.com/wiki/Triskelion

(2) Taispeáin: dal gaelico, vuol dire 'mostrare'.

(3) Il sogno che Charles racconta è una scena realmente avvenuta nel telefilm. Dal minuto 0.50 circa potete guardarla qui: https://www.youtube.com/watch?v=tL8eh8J2gkg

(4) Tutto ciò che è stato scritto sulla bestia errante (dalla descrizione a ciò che si dice su di lei), non è di mia invenzione, ma è stato tratto dal telefilm.


Vi bacio, vi abbraccio e vi spupazzo.

Asfo

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Capitolo 4
*** Re Arthur ***


QUARTO CAPITOLO

4. Re Arthur


Londra, 19 luglio 2020

Mattina


Alecto non avrebbe saputo stabilire se il cupo grigiore del cielo fosse dovuto al caratteristico tempaccio di Londra od ai fumi che il fuoco dei draghi aveva fatto salire sin lassù. I suoi occhi celesti assorbirono la forte luce di quella mattina e li sentì palpitare dal fastidio, così fu costretta a socchiudere le palpebre; con la pupilla così piccola, le iridi di colore scialbo sembrarono ancor più prive di qualsiasi attrattiva.

Abbassò la visiera del cappello sul viso e si sporse a guardare l'interno della voragine: le fiamme magiche avevano letteralmente creato un buco enorme in mezzo alla strada ed era talmente profondo e buio che non riuscì neanche a vederne il fondo. La cappa di umidità estrema che appesantiva l'aria le fece colare un rivolo di sudore lungo il lato del viso, ma si tenne stretto addosso il suo k-way grigio, sotto il quale il Triskelion pulsava come fosse stato una cosa viva. Inspirò profondamente, lasciando che quell'abisso oscuro soggiogasse la sua mente.

"È qui, è qui, ho capito" bisbigliò, con una punta di rassegnazione.

Voltò prima la testa verso destra e poi verso sinistra, ma quel quartiere della città sembrava essere stato totalmente abbandonato. Probabilmente se l'erano data tutti a gambe durante la notte dell'attacco; lo sguardo le cadde su una macchina occupata da quattro corpi, morti carbonizzati. Sono scappati tutti tranne loro, pensò, dando mostra di uno scadente humor nero. Stavolta il suo sguardo catturò il cielo grigio e storse le labbra con insofferenza.

Stanno arrivando. Devo sbrigarmi.

Senza lasciare il tempo alla sua mente di formulare qualsivoglia altro pensiero, senza nemmeno la minima traccia di esitazione o di paura, si lasciò cadere nel vuoto, le braccia spalancate verso l'esterno come fossero state delle ali; non un suono abbandonò le sue labbra durante la caduta - sembrò come se non fosse mai stata lì -.

Tornata alla precedente quiete silenziosa, la strada parve ancora più deserta; soltanto la porta dischiusa di una delle case lì vicine cigolava appena, di tanto in tanto, mossa dal vento. Dopo la sparizione di Alecto giù per la voragine buia, un gatto era schizzato fuori da sotto una macchina e saltellando agilmente tra i detriti che ricoprivano il terreno, si era fiondato dentro un'aiuola bruciacchiata. Nascosti dai rami intricati e fragili come cenere, i suoi occhi felini fissarono il punto in cui la ragazza era svanita; miagolò debolmente, leccandosi i baffi con la lingua e dopo quasi cinque minuti voltò la testa di scatto, come avesse sentito un rumore provenire alle sue spalle. Zampettò brevemente verso la casa semidistrutta presente nella proprietà in cui v'era l'aiuola nella quale aveva trovato riparo, quando un verso strozzato attirò di nuovo la sua attenzione verso la voragine.

All'improvviso una mano sbucò fuori oltre il ciglio e si aggrappò all'asfalto con energia; ad una mano ne seguì anche un'altra e poi una testa coperta da un berretto blu notte fece la sua comparsa: Alecto aveva il volto lievemente arrossato dalla fatica, sporco di terriccio proprio come i vestiti che indossava ed il sudore che le si appiccicava sulla pelle non aiutò a farla sentire meglio. Cadde a carponi sul terreno ed inspirò profondamente, beandosi per qualche meraviglioso minuto della lieve brezza che a tratti dava sollievo al suo viso accaldato; ebbe l'impulso di liberarsi del cappello, ma sarebbe stato troppo rischioso: non si poteva mai sapere chi stava a guardare.

Tolse lo zaino dalle spalle, che era diventato molto più voluminoso di prima e lo poggiò davanti a sé; mettendosi sulle ginocchia, Alecto lo aprì e subito spuntò fuori il profilo morbido e curvo di un uovo dalla sfumatura giallina. La ragazza lo afferrò con entrambe le mani e lo sollevò, fino a portarselo davanti gli occhi; anche se ne aveva già visti in precedenza, la visione delle uova di drago la lasciava sempre stupefatta ed affascinata. Il Triskelion aveva smesso di pulsare nell'esatto istante in cui, giù nella voragine, aveva stretto la presa sull'oggetto della sua ricerca. Con un sorriso soddisfatto rimise l'uovo nello zaino e dopo aver chiuso la lampo lo issò sulle spalle; si alzò in piedi e dalla tasca posteriore dei jeans estrasse un cellulare del tutto anonimo.

Ce l'ho, digitò velocemente, prima di premere invio.

Ebbe appena il tempo di farlo, perché improvvisamente qualcosa la colpì forte dietro la nuca ed il mondo divenne completamente buio.


*


Londra, Horsell Common Park, 19 luglio 2020

Pomeriggio


Verso le dieci del mattino, Hester e Charles erano stati bruscamente risvegliati da un ruggito selvaggio. Erano bastati pochi minuti per capire che i draghi erano tornati all'attacco ed avevano iniziato a bruciare con le loro fiamme magiche tutto ciò che di integro - o quasi -, era rimasto. La donna aveva intimato a Charles di sbrigarsi: dovevano assolutamente allontanarsi da Londra, non c'era alternativa. Radunati tutti i loro pochi averi e dimentichi di tutte le faccende in sospeso che avevano lasciato, entrambi avevano abbandonato la protezione della boscaglia con circospezione; non solo i draghi, ma anche la bestia errante era un pericolo. Dovendo scegliere tra il male minore, Hester non ebbe altra scelta che rischiare e, nonostante l'età, cercò di mantenere il più a lungo possibile un passo sostenuto.

"Ma è giorno!" aveva esclamato Charles, non appena aveva compreso a chi era dovuto il suo brutto risveglio.

"Evidentemente non glie ne importa un accidente!" aveva replicato Hester con voce roca, da fumatrice incallita - eppure non aveva mai provato una sigaretta in vita sua -.

Allontanarsi da Londra risultò più difficile del previsto: anche se si erano lasciati il centro alle spalle, il segno del passaggio di quelle creature enormi li circondava totalmente. Oltre alla capitale inglese, sembravano non essersi salvate nemmeno le zone periferiche. L'unico modo in cui riuscirono a spostarsi fu a piedi; il loro travagliato e difficoltoso tragitto fu accompagnato senza sosta dai gorgoglii a volte lontani - altre più vicini -, dei draghi tornati all'attacco. Charles si domandò distrattamente perché diavolo quelle creature fossero tornate a Londra dopo tutto quello che avevano combinato: non c'era più niente da distruggere, cosa volevano ancora? Come avesse intercettato i suoi pensieri, Hester indirizzò verso di lui uno sguardo apprensivo ed il ragazzo sembrò capire: possibile che fosse tutto a causa sua?

No, pensò di primo acchito, non intendo considerarmi il Percy Jackson di turno. Eppure il giorno prima, Hester gli aveva detto una cosa che l'aveva mandato in confusione: "Vede, Charles, il fatto che i draghi si siano risvegliati non è un caso. C'è solo un motivo per cui possano averlo fatto... quel motivo è lei". Che cosa voleva dire risvegliati, tra l'altro? Doveva forse davvero credere che i draghi fossero sempre esistiti, assopiti da qualche parte? Che per millenni avevano atteso il suo arrivo? Se non fosse incappato in un numero già indefinito di cadaveri e non avesse saputo che sarebbe stata una spesa troppo alta per il governo inglese da sostenere, avrebbe pensato di essere il protagonista di un lungo, disturbante scherzo di cattivo gusto.

"Basta!" esalò Hester, poggiandosi stancamente contro il tronco di un albero. "Basta così, Charles. Fermiamoci, devo riposare" aggiunse, non riuscendo a nascondere una smorfia di dolore non appena mosse la gamba - la storta presa qualche giorno prima le dava ancora dei problemi -.

Il ragazzo inspirò profondamente e si guardò attorno, senza stupirsi: si trovavano nell'ennesimo parco inglese, di quelli lasciati allo stato brado, poco somigliante ai Kensigton Gardens perfettamente curati e quasi geometrici grazie al volere di Sua Maestà, la Regina Elisabetta - conosciuta dai più come Highlander, l'immortale -. Lasciò cadere le poche cose che avevano sull'erba e si allontanò senza dire una parola.

"Dove sta andando?" lo interrogò immediatamente Hester, senza riuscire a celare il sospetto che l'altro avesse deciso di abbandonarla.

"A lavarmi" rispose seccamente lui, senza neanche voltarsi. "Puzzo da fare schifo."

In una situazione normale sarebbero dovuti passare sul suo cadavere, prima di convincerlo ad immergersi nelle acque poco limpide di un laghetto artificiale quale era quello dell'Horsell Common Park, ma... quella non era una situazione normale, per cui fu proprio quello che fece: dopo essersi tolto tutti i vestiti, sfregò ripetutamente la pelle con quell'acqua, preferendo l'odore di natura selvaggia a quello di sudore. La stessa sorte toccò ai suoi vestiti e nell'attesa che si asciugassero, si avvolse nella coperta con cui era solito dormire. Quando tornò nel punto in cui Hester aveva deciso di fermarsi per la notte, la trovò a cuocere un coniglio spellato.

"E quello da dove spunta?" domandò, inarcando le sopracciglia bionde.

"Si aggirava nei dintorni" fu la risposta laconica; "Si è avvicinato troppo, ma non se ne è reso conto. Per fortuna..." aggiunse, quando percepì gli occhi azzurri di Charles soffermarsi sulla sua gamba dolorante. Si stava ovviamente chiedendo come diavolo avesse fatto ad acchiapparlo.

Tuttavia, l'odore di qualcosa che non fosse legumi in scatola lo mise decisamente di buon umore e non fece ulteriori domande; dopo aver appoggiato alla meno peggio i suoi indumenti bagnati sull'erba, si sedette accanto ad Hester, vicino al fuoco. Il sole morente, semi nascosto dalle nubi che coprivano il cielo da quella mattina, immergeva il silenzioso parco in una cupa luce aranciata.

"Presto farà buio" commentò Charles, tirando su con il naso. I suoi occhi furono attratti dal guizzo delle fiamme.

"Prima di allora il coniglio sarà cotto" replicò la governante, distendendo la gamba davanti a sé per massaggiare il ginocchio. Lui si voltò per guardarla e studiò con aria assorta le rughe che caratterizzavano il suo volto, decisamente più numerose dai tempi di quando era bambino. Nonostante quel dettaglio, in uno strano modo Hester gli sembrava sempre la stessa. Si chiese da quanto tempo gli nascondesse delle cose e se quella persona che lui aveva conosciuto ed aveva imparato ad amare, non fosse altro che una menzogna vivente.

"Non ti seguirò più" si ritrovò a dire, ancora prima di rendersi conto d'aver davvero aperto la bocca. Si mostrarono sorpresi entrambi, da quell'osservazione.

"Charles, le ho già detto..."

"No" la interruppe lui con decisione. "Non mi hai detto niente".

Già che c'era, tanto valeva continuare: "Non mi piace dare ultimatum, specialmente a te, ma è quello che mi costringi a fare. Ieri stavi per dirmi qualcosa, prima che quella bestia..." un brivido di incomprensione misto a paura scosse visibilmente le sue spalle, "...sbucasse da non so dove. Ora, hai due opzioni: vuota il sacco, oppure me ne tornerò a casa e per impedirmelo non sarò io a dover passare sul tuo cadavere, sarai tu a dover passare sul mio".

Hester unì le labbra in una linea sottile e lo osservò con severità, ma Charles non si lasciò intimorire dai suoi occhi verdi: non era più un bambino. Si guardarono in silenzio per attimi lunghissimi, la tensione resa più morbida dal crepitio delle fiamme - era un suono così dolce. Alla fine, la donna dovette capitolare.

"Che cosa vuole sapere?" domandò debolmente, girando il coniglio sul fuoco affinché non si bruciasse.

"Posso fare qualsiasi domanda e tu risponderai?"

"Dipende..."

"Allora cominciamo da questo: perché non puoi rispondere a tutte le mie domande?"

"Perché ho giurato che le avrei detto tutto, a tempo debito. Si tratta di un tipo di giuramento che non posso infrangere senza subire delle conseguenze".

"Che genere di conseguenze?"

"Non lo so. Non l'ho mai infranto".

"A chi hai fatto questo giuramento? E perché?"

"Non posso dirlo".

"È un caso che tu abbia iniziato a lavorare per la mia famiglia?"

"No".

"È stato a causa mia?"

"Sì".

"Chi ti ha mandata?"

"Non posso dirlo".

Charles inspirò bruscamente, distogliendo lo sguardo per brevi attimi. Si stava innervosendo.

"Allora dimmi questo: perché ciò che sta succedendo sarebbe colpa mia? Cosa c'entro con i draghi?"

"Non è colpa sua!" replicò immediatamente Hester, accalorandosi. "È a causa sua!"

"C'è differenza?" risultò eccessivamente sarcastico.

"C'è tutta la differenza del mondo!"

"Cosa stavi per dirmi ieri?"

Hester tolse il coniglio dal fuoco che il sole era tramontato da appena due minuti. Fissò intensamente le basse fiamme crepitanti del piccolo falò, ma nelle orecchie di Charles c'era anche il suono del suo cuore, che aveva iniziato a battere più velocemente. Si sentiva stranamente inquieto. Quando la donna alzò gli occhi su di lui, il suo disagio aumentò esponenzialmente: il bagliore del fuoco gettava ombre grottesche sul viso di Hester.

"Charles... dopo aver visto dei draghi in carne ossa, dovrebbero essere ancora poche le cose in grado di sorprenderla".

"Mettimi alla prova" sussurrò di rimando, stringendosi addosso la coperta senza rendersene conto.

La donna si alzò in piedi, senza mai distogliere lo sguardo da lui. Poi, improvvisamente, fletté un po' la schiena in avanti, nell'accenno di un bizzarro e maldestro inchino. Charles sbatté più volte le palpebre, cercando di fuoriuscire dalla nebbia di confusione nella quale stava vagando il suo cervello.

"Hester..." tentennò, arretrando con la schiena. "Che stai facendo?"

"Porgo i miei omaggi a Re Arthur" fu la sua semplice risposta, caratterizzata da un tono che dire devoto, sarebbe stato riduttivo. Il ragazzo restò a guardarla con gli occhi sbarrati, mentre lei alzava la gonna e calpestava il falò, facendo calare entrambi nel buio della sera.


*


Londra, 19 luglio 2020

Pomeriggio tardi


Alecto gemette di dolore nel momento in cui riprese conoscenza. Non solo la testa le faceva un male cane, ma si sentiva estremamente intorpidita; provò a compiere qualche piccolo e cauto movimento, strusciando involontariamente la faccia contro l'asfalto ruvido. Contrasse il volto in una smorfia insofferente e socchiuse gli occhi: si trovava ancora vicino la voragine, ma la botta che aveva preso le aveva fatto perdere conoscenza per molto tempo. Quando osservò il cielo già imbrunito, si rese effettivamente conto di quante ore fossero passate. Un'improvvisa scarica di paura le fece battere più forte il cuore e come se avesse ripreso conoscenza tutto d'un botto, scattò a sedere velocemente; fu presa da un giramento di testa veramente tremendo, ma l'agitazione che provava in quel momento le impedì di cedere all'ondata di nausea che ne era conseguita. Con movimenti frenetici girò la testa a destra e sinistra, in cerca del suo zaino, ma già dal momento in cui aveva riaperto gli occhi aveva intuito che qualcosa non andava. Mentre si alzava in piedi, barcollando un po' sulle gambe, cominciò a sudare di nuovo. No, ti prego, no, ti prego, no...

Nonostante l'intensità dei suoi pensieri, scoprì che le sue peggiore paure si erano avverate: lo zaino era sparito e con lui, anche l'uovo ed il Triskelion.


*


Gorech non poteva francamente credere alla fortuna sfacciata che aveva avuto. Rubare l'uovo ed il Triskelion a quella ragazzina era stato sin troppo semplice - e pensare che si era trovato lì per puro caso, alla ricerca di qualcosa da rubare tra le macerie delle abitazioni crollate -. Ne era sicuro: ci avrebbe come minimo guadagnato un intero baule pieno di monete d'oro. Si leccò le labbra fini, al solo pensiero di tutto quel ben degli Dèi e di quello che avrebbe potuto farne; immaginò se stesso immergersi tra le monete come fossero state invitanti e calde acque profumate.

Che colpa ne aveva, lui, se era nato Goblin(1)?

I Goblin erano una razza praticamente perfetta, con un solo piccolo, irrisorio difettuccio: avevano una discreta quanto non trascurabile ossessione per le cose preziose.

E lui ne aveva appena rubata una che l'avrebbe fatto diventare ricco da fare schifo.





NOTE DELL'AUTORE: Allora. Innanzitutto ci tengo a dire che la mia beta, Mimiwitch, con i suoi occhi da falco cacciatore, mi ha salvata da una gaffe, ma una gaffe che più gaffosa non si può. La mia e la vostra incondizionata adorazione tutta a lei, per piacere. Passando oltre, come sempre i miei ringraziamenti a chi mi segue, anche se in silenzio: il fatto che letture siano davvero numerose mi fa molto piacere! Di seguito vi riporto l'unica nota presente nel capitolo:


(1) Le caratteristiche dei goblin non sono di mia invenzione, ma sono state prese direttamente dalla serie originale.


A lunedì!

Asfo


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Capitolo 5
*** Il male di Albion ***


QUINTO CAPITOLO

5. Il male di Albion


Inghilterra, qualche mese prima, 2020


Merlin irruppe nel bagno. Non fece in tempo a raggiungere il water e sollevare la tavoletta, che il suo corpo iniziò a rigettare tutto ciò che aveva ingerito da quella mattina - una quantità veramente scarsa di cibo -. Strizzò le palpebre e per lo sforzo dovuto ai rumorosi conati, i suoi occhi iniziarono a lacrimare; cadde pesantemente sulle ginocchia ossute e le spalle furono scosse da alcuni tremiti. Qualcuno mi uccida, pensò intensamente, sentendo che non aveva più nient'altro da rimettere a parte i suoi stessi organi. Quando l'ondata di nausea fu passata e si sentì in grado di aprire nuovamente gli occhi, notò che l'acqua all'interno del water era diventata rossa. Aveva vomitato sangue.


Il suo vecchio corpo si risvegliò ansante ed in un bagno di sudore. Piantò lo sguardo verso il soffitto, sentendo la magia palpitare attraverso le vene come un cane rabbioso. Quando aveva iniziato a disintegrare ogni piccola parte di ciò che più di mille anni prima aveva aiutato a far nascere, non aveva avuto idea che sarebbe stato così: i suoi poteri, da qualche tempo, si comportavano in maniera strana e questo lo spaventava; spesso aveva la sensazione che la sua magia volesse prendere il sopravvento su di lui, per comandarlo e spingerlo sempre di più al limite. Merlin si mise a sedere con una certa fatica e guardò le mani che gli tremavano: quando avvicinò i palmi tra di loro, delle piccole scariche elettriche percorsero le sue dita, fin quando sulle lenzuola bianche non iniziarono ad apparire delle piccole macchie scure, sempre più numerose. Il mago corrugò la fronte, toccando con incertezza la coperta; a quel punto un'altra macchia comparve, stavolta sulla sua mano. Mosso da un'intuizione oscura, portò le dita al viso e lo sentì bagnato di qualcosa di denso: le nuove scariche elettriche che fecero piegare le falangi fragili, illuminarono del sangue.


Guardò con un distacco del tutto nuovo ed estraneo il casino che aveva fatto. Il fumo che dalle macerie saliva in rivoli lenti verso il cielo, gli fece inumidire gli occhi. Scostò con un piede un grande tocco di quello che doveva essere stato il muro di una qualche stanza dalla carta da parati fiorita ed attraversò zoppicando la strada principale. Si complimentò con se stesso ad un certo punto, non poté proprio evitarlo: più esaminava il risultato della sua opera, più aveva la certezza che non avrebbe potuto trovare modo migliore per scatenare un terremoto. Guardò con indifferenza tutte le anime che avevano avuto la prontezza di uscire dalla propria casa prima che quella crollasse loro addosso e grugnì, poiché era impossibile non notare come la maggior parte degli abitanti di quella piccola cittadina fosse riuscita a sopravvivere. Merlin si arrestò accanto ad un palo della luce che non funzionava più e vi si appoggiò stancamente. Le persone che si erano riversate nella strada, si agitavano in un panico del tutto comprensibile. I soccorsi erano già stati chiamati.

Non provò assolutamente niente quando un gruppo di volontari riuscì ad estrarre dalle macerie di un garage i corpi di una donna ed una bambina, entrambi senza un alito di vita; l'urlo di profondo dolore di quello che ne era stato probabilmente marito e padre, riuscì soltanto ad infastidirlo. C'era davvero bisogno di gridare a quel modo?

Un ragazzino, dall'altro della strada, lo stava fissando.

Merlin ricambiò gelidamente il suo sguardo, ignorando qualcosa di copioso che gli colava dal naso e dalle orecchie. Con il maglione, la faccia e la barba imbrattati del suo stesso sangue, il vecchio schiuse le labbra...

L'incantesimo che aveva avuto intenzione di pronunciare per far comprendere a quel moccioso che mai, in nessun modo alcuno, sarebbe esistito qualcuno che avrebbe avuto il permesso di guardarlo a quel modo, gli morì nella bocca. Avvertì un forte dolore al petto, una fitta talmente acuta che il mago cominciò a strattonarsi il maglione all'altezza del cuore, come volesse scavarsi nella pelle per estrarre il muscolo stesso e gettarlo via. Si sorresse al palo della luce e piegò la schiena in avanti, gli occhi strizzati forte per il dolore ed i denti digrignanti. Era insopportabile. Con la vista sfocata dalle lacrime a stento trattenute, vide che il bambino ancora lo guardava immobile, fisso come una statua; Merlin sputò a terra saliva mista a sangue e lottò intensamente contro se stesso. Era come se una parte di lui volesse a tutti i costi punire la curiosità di quel ragazzino, mentre la restante metà cercasse in ogni modo di fargli annodare la lingua per farlo morire soffocato.

Con il dolore che proprio non accennava a diminuire, il vecchio decise di aver fatto abbastanza per quel giorno e con evidente fatica, voltò le spalle alla miseria che aveva scatenato con le sue mani, ignorando le due belve che, dentro di lui, ancora stavano cercando di mangiarsi l'un l'altra.


Aveva degli spaventosi vuoti di memoria, non avrebbe potuto ignorare quel fatto un minuto di più. Non quando il continuare a negarlo era diventato praticamente impossibile. Si guardò attorno, tossendo più volte a causa della gola infiammata e della bocca asciutta. L'odore forte di bruciato lo costrinse a portare la manica del cappotto davanti la faccia, con la nausea che era prepotentemente salita poco dopo aver ripreso conoscenza - o forse non l'aveva mai persa e semplicemente non se lo ricordava? - Un gemito di profonda angoscia traboccò dalle sue labbra, mentre gli occhi bevevano ciò che era accaduto e si lasciò cadere pesantemente sulle ginocchia malandate: una riserva, un'intera riserva naturale inglese completamente incenerita dalle fiamme. Morta. Andata. Cancellata dalla faccia di Albion. Merlin abbassò lo sguardo sulle sue mani, che pulsavano di dolore: numerose piaghe dovute ad ustioni ne deturpavano i dorsi ed i palmi.

Lo sapeva. Sapeva che era stato lui. Ma perché non lo ricordava? Voltò di scatto la testa e mormorò qualcosa a fior di labbra, in una lingua sconosciuta, poi iniziò a negare con veemenza, come stesse parlando con qualcuno. La distruzione di Albion doveva funzionare, era l'unica chance che aveva, l'unica carta che gli era rimasta da giocare. Aveva deciso molto tempo prima di attaccarla, di indebolirla e danneggiarla, eppure alle volte l'angoscia ed i sensi di colpa lo atterrivano con una potenza così devastante da mandarlo totalmente in confusione. Ma perché non ricordava niente? Aveva deciso lui di sputare su tutto quello che, con fatica, aveva costruito insieme ad Arthur. L'aveva fatto con consapevolezza, l'aveva voluto con tutta l'anima.

Odiava Albion. La odiava. Da secoli non significava più niente per lui, eppure aveva atteso, aveva lasciato che il destino facesse il suo corso, che il tempo continuasse a scorrere. Aveva pazientato. Fin quando, un bel giorno, la sua pazienza era andata a farsi allegramente benedire ed aveva quindi deciso di rimboccarsi le maniche.

Afferrò della terra scura come il carbone e ne saggiò la consistenza con le dita. Non sentì niente a causa delle ustioni che gli coprivano le mani, soltanto un intenso bruciore di realtà. Era lì, lo era per davvero. Non stava sognando, aveva distrutto lui quel lembo di terra e tutte le piccole e medie città che si era lasciato alle spalle. Ma come sono arrivato qui? si domandò, lasciando cadere tra le dita la poca terra che aveva raccolto.


Si lasciò cadere stancamente sulla vecchia poltrona marrone, che aveva posizionato davanti al caminetto acceso. I suoi occhi blu, incredibilmente vividi nonostante l'età, si fissarono sul gioco di ombre che le fiamme creavano lungo il tappeto consunto. Gli inglesi credevano che la loro amata patria fosse caduta vittima di qualche strana maledizione, poiché da qualche mese a quella parte, con dell'insistenza che aveva dello spaventoso, una miriade di calamità naturali si stavano abbattendo - senza nessuna apparente logica -, su disparate parti del paese.

Merlin grugnì con disappunto, schioccando la lingua contro il palato; miserabili imbecilli, non poté fare a meno di pensare. Eppure sapeva che per loro era praticamente impossibile imputare a lui la causa di tutte quelle devastazioni. Non esiste la magia. Certo, continuò la mente del mago, lo vedremo se non esiste. Nessuno si era accorto che quei disastri imprevedibili una logica l'avevano eccome. E come potrebbero notarlo? ponderò in silenzio, Merlin. In effetti, nessuno avrebbe mai potuto farci caso, perché già da secoli fin al 2020, nessuno conosceva più per davvero la reale locazione ed estensione del regno di Albion, anzi! La sua terra era diventata addirittura materia di improbabili fiabe. Eppure... eppure era così facile da capire. Non stava abbattendo la sua ira a caso. La stava abbattendo esclusivamente su Albion.

Nonostante tutta la devozione estrema che aveva messo nel disintegrare quello che da sogno si era tramutato nel suo incubo più ricorrente, i suoi sforzi non avevano nemmeno vagamente accennato a voler dare i loro frutti. Non aveva avvertito nulla, non aveva sentito nulla, non aveva sognato nulla. Eppure Kilgarrah aveva parlato chiaro: il Re sorgerà di nuovo quando Albion ne avrà più bisogno. Con ironia sprezzante, Merlin piegò le labbra secche e pallide nell'ombra di un sorriso: se Albion non aveva davvero bisogno di lui in quel momento, allora non ne avrebbe mai avuto. Quindi il destino aveva voluto prenderlo in giro sin dall'inizio?

In tutti quei mesi, Merlin era diventato il riflesso opaco di se stesso: la sua pelle aveva un pallore anormale, simile a quello di una persona malata, profonde occhiaie gli segnavano la porzione di pelle sotto gli occhi, le labbra erano spaccate in più punti, la barba era sporca di sangue secco, così come il contorno delle orecchie ed una lieve patina di sudore imperlava perennemente il suo volto. Quel vecchio stanco ed emaciato, abbandonato su quella poltrona, sembrava essere già con un piede dentro la fossa. Ma quegli occhi... gli occhi erano ardenti, vivi, mutevoli. Bastava guardarlo fisso lì, per capire che non aveva nessuna intenzione di morire. Come se avesse potuto farlo, poi. Il destino aveva deciso di deriderlo anche su quello.

No, disse Merlin al demone che lo tormentava, c'è un'ultima cosa che devo provare. Una mano raggrinzita sparì all'interno della tasca dei pantaloni e ne estrasse qualcosa; il mago portò quella che era la riproduzione in miniatura del Big Ben di Londra davanti al viso, per fissarla intensamente. Finora abbiamo giocato con i pesci piccoli. Vediamo se quelli più grossi riescono ad attirare la tua attenzione, Sire.


Si era addormentato. Il Big Ben gli era scivolato dalle dita ed ora giaceva riverso sul tappeto, illuminato debolmente dal fuoco morente nel camino. Il suo respiro era pesante, ma regolare, e l'unica cosa che lasciava intendere una profonda agitazione interiore, era il continuo muoversi degli occhi sotto le palpebre chiuse. Ad un certo punto, dalle labbra semi aperte fuoriuscì un lungo, ma flebile sospiro e poi all'improvviso il suo petto smise di muoversi. Un'immobilità innaturale calò sul quel vecchio corpo stanco, lo avvolse come una coperta nera e l'aria lì attorno parve cristallizzarsi all'istante. Se non fosse stato impossibile, per uno come lui, chiunque l'avrebbe dato per morto, chiunque avrebbe attribuito a quell'ultimo, lungo e flebile sospiro, il termine di tutte le sue fatiche che abbandonavano il piano materiale. Tutto sommato, quello sarebbe stato un buon modo per morire: uno con la coscienza sporca come la sua, non se lo sarebbe proprio meritato, perciò sarebbe stata una vera fortuna per lui. Eppure c'era l'immortalità, con cui dover fare i conti: non l'avrebbe mai avuta vinta così.

Ci fu il rumore di un lento strappo e poco dopo, dei sottili fili scuri fuoriuscirono oltre lo schienale della poltrona dove il mago stava abbandonato. La luce del fuoco era appena sufficiente per comprendere, ad un'analisi più attenta, che non si trattava di semplici fili, bensì di fragili ramoscelli; mano a mano che i ramoscelli si facevano strada lungo la pelle della poltrona, diventavano via via più robusti, più spessi. Scivolando sinuosamente come serpenti in una lenta ed ipnotica danza, alcuni di loro arrivarono ad accarezzare il volto del vecchio mago. Si strinsero intorno al suo collo, lo abbracciarono amorevolmente come una madre, si allacciarono ai suoi polsi ed alle sue caviglie. Uno di loro, forse il più meschino o il più astuto, strisciò silenziosamente fin sul suo petto, risalendo lungo una delle gambe; quando raggiunse l'altezza del cuore si arrestò, quasi indugiando. La morbidezza dei suoi movimenti fu brutalmente cancellata nel momento in cui, con un colpo secco, penetrò spaventosamente nelle carni dell'inerme Merlin, facendosi strada tra strati di muscoli e pelle fino a raggiungere il cuore, sul quale si avvolse gelosamente.

Di colpo, un'intensa esplosione spense immediatamente le poche fiamme rimaste ad alimentare le braci nel camino: i vetri delle finestre erano saltati in aria e la brezza invernale si era immediatamente insinuata nella casa, abbracciando l'intera stanza con le sue gelide spira. I vetri che erano andati a cospargere il pavimento del salotto, vennero poco dopo smossi da quello che sembrava essere un piccolo terremoto; le mattonelle si spaccarono in diversi punti e, direttamente dal terreno sottostante la casa, delle enormi radici si fecero strada sin dentro la stanza occupata dal mago. Attraverso le finestre vuote, la natura divenuta improvvisamente incolta e selvaggia del giardino pretese la sua strada: invase in breve tempo il salotto, ricoprendone le mura ed il soffitto, marcando il territorio anche sulle facciate esterne della malandata abitazione.

Era il caos. La magia di Merlin, alimentata direttamente dalle forze della natura, era stata sopraffatta dalla natura stessa; quella si era ribellata, probabilmente non approvando più il modo in cui il mago le sottraeva energia per utilizzarla con scopi ben lungi dall'essere degni di onore.

Dal ramo che si era infiltrato sin nel cuore di Merlin, nacque un bocciolo. Il gambo che alimentava il bocciolo, lo accompagnò sino a farlo poggiare con delicatezza sul pavimento dissestato; il suo colore scuro non era dovuto al gioco di ombre nel quale era calata la gelida stanza, per niente: era davvero nero come la pece, non si trattava solo di un'impressione. Il bocciolo aumentò notevolmente le sue dimensioni e non ci volle molto tempo, prima che iniziasse a schiudersi.

A quel punto, accadde una cosa strana: più quello si ammorbidiva e si apriva, più il Merlin imprigionato contro la poltrona perdeva le sue rughe. La barba gli cadde a ciuffi dal volto, i capelli tornarono ad essere più folti oltre che neri e lucenti, la pelle diventò nuovamente liscia ed elastica. Nel giro di qualche minuto, del vecchio Merlin non c'era più alcuna traccia. Quello ad essere tenuto stretto tra spire di rami, più come un figlio che un ostaggio, divenne un mago nel pieno della sua giovinezza, più ragazzo che uomo.

Dal bocciolo oramai completamente dischiuso, si erse su due gambe insicure un bambino completamente nudo. Il gambo che aveva gentilmente guidato ciò che l'aveva racchiuso sin sul pavimento, si era inerpicato morbidamente lungo la sua piccola schiena, sparendone all'interno proprio in mezzo alle scapole. Quello stesso gambo, era ancora connesso con l'altro che era penetrato nel petto di Merlin.

Il bambino dischiuse lentamente le palpebre ed i suoi occhi dorati baluginarono malignamente nel buio spesso della stanza, come quelli di un gatto.

E se di un gatto non si trattava, allora doveva per forza essere il diavolo.








NOTE DELL'AUTORE: Eccoci qui con il quinto capitolo. Buon inizio settimana a tutti! Sinceramente questo è uno dei capitoli che temo di più, perché ho come la sensazione di non essere riuscita ad esprimere bene ciò che realmente intendo trasmettere. Spero però che non sia andata così male come penso. Finalmente la storia comincia a delinearsi un po' e credo che, dopo oggi, alcune domande che sicuramente vi state facendo inizieranno a chiarificarsi. Ringrazio come sempre Mimiwitch per il suo betaggio e tutti coloro che leggono/recensiscono/seguono. Il capitolo è stato VOLUTAMENTE scritto in 'colonne' di destra e sinistra, vi avviso quindi che dal cellulare potrebbe essere visualizzato male :D Mi farebbe piacere cosa ne pensate di questo Merlin completamente perso in se stesso :)

Un bacetto,

Asfo

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Capitolo 6
*** L'incontro ***


SESTO CAPITOLO

6. L'incontro


Londra, 19 luglio 2020

Sera


Alecto strofinò la fronte sudata con il palmo della mano altrettanto umido e fissò lo schermo del telefonino. Il cuore le batteva all'impazzata ed una sorta di ansia profonda le aveva fatto annodare lo stomaco come una treccia. Doveva chiamarlo, non aveva alternative. Non avrebbe potuto fingere per sempre di star ancora cercando l'uovo, prima o poi l'avrebbe capito da solo che qualcosa non andava - e se qualcosa non andava, era meglio che Emrys venisse a saperlo direttamente da lei -.

Cercò di inumidire le labbra secche passandoci la lingua sopra e si accorse di avere la bocca completamente asciutta. Pensò di tergiversare bevendo un po' d'acqua - giusto per rimandare di qualche altro secondo ancora l'inevitabile brutta notizia -, ma prima di mettere in atto quell'inutile escamotage, premette il pulsante verde della chiamata. Rimandare avrebbe allungato semplicemente l'agonia. Portò il cellulare vicino l'orecchio e dovette attendere sino a quattro squilli, prima di ottenere una risposta.

"".

"Sono io" esordì lei, con voce arrochita; schiarì la gola, cercando di suonare abbastanza tranquilla.

"Lo so. Ce l'hai?"

"No" sputò fuori velocemente, non lasciando così il tempo alla sua lingua di annodarsi per il panico. "C'è stato un problema".

"Che genere di problema?"

"Sono stata sorpresa alle spalle. Non ho più niente, mi è stato rubato tutto."

Breve silenzio dall'altro capo del telefono. Alecto poté immaginare, con chiarezza disarmante, la profonda disapprovazione del suo interlocutore: anche se separati da un cellulare, poteva sentirla scivolare malevola sulla pelle, tanto che quella finì per incresparsi.

"L'hai visto?"

"No. Come ho detto, mi ha presa alle spalle".

"Perché non sei stata attenta!"

Il sibilo che le ferì le orecchie, per una frazione di secondo tradì tutta l'ira che quella notizia aveva suscitato nell'altro. Alecto fece per ribattere qualcosa in sua difesa, ma Emrys la interruppe: "Devi ritrovarli. È una priorità. Ti ricordi cos'è successo l'ultima volta che hai fallito in qualcosa, non è vero? Io non voglio arrabbiarmi. E non lo vuoi nemmeno tu.

La gola della ragazza si mosse come per inghiottire qualcosa, gli occhi celesti puntati da nessuna parte in particolare.

"No" ammise, perdendo per un attimo il controllo sulla sua voce, che tremò appena. "Lo ritroverò, lo sai che lo farò. Non accadrà mai più".

"Certo" rispose la vocetta da bambino dall'altro capo del telefono; "Certo che non accadrà più. Ma come pensi di ritrovare l'uno se hai perduto anche l'altro?"

Alecto avrebbe voluto ribattere che non aveva perso niente, che qualcuno l'aveva aggredita, invece, e che era stata derubata, ma che comunque grazie tante, sto bene, non preoccuparti. Non lo fece soltanto per non sentirsi dire un lo so, l'hai già detto. Il silenzio che fece seguire alla domanda postale da Emrys, non riuscì a metterla a disagio semplicemente perché la sua mente fu troppo impegnata nel roteare forsennatamente, alla ricerca di qualche soluzione intelligente da proporre. Non capì che quella domanda le era stata fatta di proposito.

"Dammi una creatura" si lasciò sfuggire, ancora prima di rendersi conto dell'assurdità della sua affermazione. Non appena l'ebbe detto, sgranò gli occhi e si appoggiò la mano sulla bocca, come a voler intimare a se stessa di tacere. Dall'altro capo del telefono giunse un verso infastidito.

"No" fu l'ovvia risposta. "Anche se tu perlustrassi il territorio dall'alto, non potresti concludere niente perché non hai visto il tuo aggressore. Inoltre, sai bene quanto me che una creatura è appariscente. È vero che potrebbe percepire la vicinanza di un suo simile, seppure ancora chiuso in un uovo, ma non sarebbe sicuro. Saresti sicuramente vista ed attireresti l'attenzione di gente che non vogliamo tra i piedi. Non sai nemmeno comandarla, una creatura... come spereresti di fare?"

"Potresti finalmente spiegarmi come si fa".

"Non credo proprio. Ti ho già detto che te lo insegnerò, ma a tempo debito. E non è certo qualcosa che si possa fare per telefono. Sono stufo di dover sempre tornare sull'argomento, Al. È fastidiosa la tua insistenza".

La ragazza si morse la lingua ed abbassò gli occhi, mandando giù il senso di frustrazione che le saliva alla gola ogni qualvolta si toccava quell'argomento. Era una Signora dei Draghi, ma non lo era forse abbastanza per meritare di sapere come poterlo essere sul serio?

"La Diamar(1)" esordì all'improvviso il bambino, atono. Alecto corrugò la fronte... la chi? Emrys sembrò intuire, dal suo persistente silenzio, in quale stato di confusione vorticasse la ragazza e sospirò pesantemente.

"Devi andare dalla Diamar e costringerla con ogni mezzo a darti le risposte che cerchi. Tenterà di impietosirti, ma non lasciarti ingannare: per difesa appare agli occhi di chi incontra come una creatura gracile ed eterea, ma la sua reale natura è quella di una bestia. Devi essere furba, Al. E stare attenta per davvero stavolta. Pensi di poterlo fare?"

La Diamar. Cosa diavolo era una Diamar? Era pericolosa? Avrebbe rischiato la vita, andando a cercarla? Come l'avrebbe riconosciuta? In che modo avrebbe dovuto avvicinarsi? E come si convinceva una Diamar a fare quello che le si diceva di fare? Era abbastanza sicura che Emrys le avesse appena chiesto qualcosa. Non seppe perché, ma l'istinto le fece sussurrare un di cui non era convinta neppure lei. La Diamar. Perché il bambino non le aveva mai parlato della Diamar? Come poteva pretendere che affrontasse una cosa - una bestia - del genere senza neppure sapere come diavolo fosse fatta? Dovette smettere di preoccuparsi della Diamar per concentrarsi sulle parole di Emrys, che aveva iniziato a spiegarle dove poterla trovare - secondo una leggenda, si aggirava per una miniera abbandonata -.

La stava mandando al macello o sapeva per davvero quello che faceva?


*


Woking, Brookwood Lye, 20 luglio 2020

Pomeriggio


Cadendo malamente a terra e con il fianco sinistro dolorante, Charles cercò di ricordare come diavolo fossero arrivati a quel punto. Dopo la sconvolgente rivelazione che Hester gli aveva fatto il giorno prima, invece di continuare a sotterrare la donna di domande, aveva avvertito il bisogno di alzarsi ed andare a fare una camminata. Era stato come se il suo cervello si fosse improvvisamente intoppato e l'unico modo che aveva avuto di farlo funzionare nuovamente, fosse stato quello di schiarirsi le idee.

Dopo aver passeggiato intorno al lago nel quale si era dato una lavata, era tornato nel punto in cui si erano accampati ed aveva trovato Hester addormentata. Aveva dovuto quindi aspettare sin al mattino dopo, per dirle cosa pensasse davvero di tutta quella faccenda. Le aveva ovviamente detto che era pazza da legare e non aveva usato mezzi termini nell'esprimere il concetto. Charles non aveva creduto ad una sola parola delle fandonie che Hester gli aveva rifilato ed ignorava totalmente il motivo per il quale la donna lo stesse trattando così. Più cercava di sforzarsi ad immaginare quali potessero essere i suoi scopi, più si ritrovava a brancolare nel buio.

L'esistenza dei draghi purtroppo era innegabile, li aveva visti con i suoi occhi ed aveva visto anche la scia di morte e distruzione che si erano lasciati alle spalle. Ma Re Arthur? Lui? Ah! Re Arthur era una leggenda che si raccontava ai bambini per farli addormentare. Era una favola che, tra le altre cose, non finiva nemmeno bene. Non poteva essere davvero morto guidando il suo esercito in battaglia; le sole parole esercito e battaglia gli erano del tutto estranee, tranne che per i videogiochi spara-tutto con i quali era solito perdere i pomeriggi.

Guardò il grifone(2) alzarsi sulle zampe posteriori e leonine: seguendo soltanto il suo istinto, Charles scattò, rotolando di lato prima che quelle anteriori della bestia - fornite di grossi artigli da rapace -, gli piombassero sul petto per affondare nella pelle.

C'era qualcosa che non andava: erano stati attaccati da quella creatura mentre stavano attraversando il parco di Brookwood Lye, nel distretto di Woking e nonostante le fortunate – miracolose - volte in cui Charles era riuscito a colpirla, quella bestia sembrava risultare immune a qualsiasi tipo di attacco. Erano oramai un paio di ore, - o così gli sembrò, data la stanchezza oscena che avvertiva in tutto il corpo e che lo minacciava di un torpore davvero inopportuno, per una situazione delicata come quella -, che cercava di proteggere lui ed Hester dalle beccate ed artigliate del grifone, ma in quel momento cominciava ad accusare seriamente tutto lo sforzo a cui il suo corpo non era abituato.

La creatura sembrava averli presi particolarmente in simpatia, perché nonostante tutte le pietre lanciate e le bastonate e le percosse ricevute, pareva fermamente decisa a cibarsi delle loro interiora.

Ad un certo punto, Charles aveva potuto addirittura disporre di una spada di legno, grazie ad Hester che era accorsa in suo aiuto. Una parte di lui, quella più umana ed attaccata alle logiche di una società dettata da leggi naturali - e non soprannaturali -, avrebbe voluto con tutta la semplicità del mondo - ed un pizzico di isteria cronica, ammettiamolo -, fare ssshhh! alla bestia imbizzarrita, per zittirla un attimo.

Perché lui doveva sapere.

Doveva capire come diavolo avesse fatto Hester a tramutare un tocco di legno in una spada e, che cazzo, per pranzo non li avevano più mangiati quei funghetti trovati nel sottobosco, quindi non poteva aver avuto un mini viaggio allucinatorio-mentale.

L'aveva visto per davvero.

"Hester!" abbaiò il ragazzo a quel punto, schivando per un pelo una zampata che l'avrebbe mandato sicuramente al creatore. La donna, ai margini della radura, guardava la scena con un assodato principio di infarto, tanto le rughe sul suo volto s'erano approfondite a causa della preoccupazione.

"Voglio sapere-" si gettò a terra e l'ala del grifone, sfiorandogli la testa, scompigliò tutti i suoi capelli biondi.

"Come diavolo hai fatto-" non fece in tempo a rotolare abbastanza in là, così il becco acuminato della bestia lo afferrò per la maglietta. Charles provò a tirarsi via da quella presa, ma alla fine l'unico modo in cui riuscì ad allontanarsi dalle sue fauci, fu quello di sgusciare all'infuori dell'indumento, abbandonando la maglietta nel becco del grifone. Per metà nudo come un verme, zampettò a carponi sul terreno e si rifugiò sotto le sue gambe.

"A fare quello che hai fatto!" concluse, mentre la bestia torceva il collo come posseduta, nel tentativo di capire dove diamine fosse finito quel misero umano con lo stuzzicadenti.

La governante, invece di rispondere, si coprì le mani con la bocca e gemette di puro terrore quando il becco del grifone si chiuse attorno alla caviglia della sua preda; lo sollevò come Charles fosse stato un fuscello e quello si ritrovò a penzolare con la testa in giù. Prima che la bestia riuscisse ad ingoiarlo in un sol boccone, però, emise un profondo verso strozzato e si piegò pesantemente sulle ginocchia anteriori. Charles cadde rovinosamente a terra ancora prima di capire che il grifone l'aveva lasciato andare e nonostante la botta piuttosto dolorosa, trovò la forza di trascinarsi il più lontano possibile da lei, ai margini della radura; Hester lo raggiunse di corsa e si inginocchiò accanto a lui, afferrandolo per le spalle.

"Sta bene?" domandò ansiosamente, passando le sue mani morbide sul volto del ragazzo, che annuì senza aver neanche distolto lo sguardo da quello che stava accadendo: il grifone sembrava essere incapace di respirare normalmente, come ci fosse qualcosa che lo stava soffocando dall'interno.

Dopo attimi di lunga agonia, durante i quali i lamenti della bestia fecero attorcigliare lo stomaco di Hester come fosse stato fatto di gomma, gli occhi del grifone si rovesciarono all'indietro e poi cadde pesantemente al suolo, alzando intorno a sé un considerevole polverone. Con il respiro ancora pesante dalla paura e dalla lotta sostenuta, Charles rimase immobile tra le braccia di Hester che ancora lo stringeva, gli occhi sgranati all'inverosimile ed il volto pallido come quello di un morto.

Nessuno dei due sembrava avere intenzione di muovere un muscolo.

"Che... che è successo?" soffiò lui, con voce roca. "Sei stata tu?" aggiunse, inghiottendo con difficoltà. La donna scosse la testa, ma non riuscì a spiccicare parola: il cuore le batteva ancora troppo forte e lo spavento che si era presa, l'aveva mandata in stallo mentale.

"Sono stata io" esclamò una voce da qualche parte, proveniente dalla boscaglia.

Hester si irrigidì visibilmente e Charles scattò a sedere, cercando di individuare chi avesse parlato. Avvertì un fruscio alla sua destra e quando voltò la testa in quella direzione, vide fuoriuscire da dietro il tronco di un albero una ragazza; era addirittura più pallida di lui, aveva lunghi capelli biondi - talmente biondi da sembrare bianchi - legati in una coda alta e gli occhi di un celeste chiarissimo, ma spento ed acquoso. Camminò verso di loro e si fermò all'incirca ad un paio di metri di distanza.

"Chi sei?" domandò immediatamente Hester e Charles non poté fare a meno di cogliere la piega dura che aveva assunto la sua voce.

La ragazza piegò la testa di lato ed osservò l'altra intensamente.

"Cos'è, il grifone ti ha mangiato la lingua, ragazzina?" la governante tornò di nuovo alla carica, quando l'interpellata non ebbe dato cenno di voler aprire bocca. Quella volta lo fece.

"Ho appena salvato la vita di entrambi" disse, arcuando le sopracciglia; "Potresti almeno ringraziarmi".

Hester fece per risponderle per le rime, ma Charles intervenne prima di lei.

"Grazie" esclamò con semplicità, evidentemente sincero nelle sue intenzioni. La ragazza spostò lo sguardo su di lui ed accennò un piccolo sorriso.

"Mi chiamo Alecto" disse lei, evidentemente rivolta a Charles, l'unico che pareva avere uno straccio d'educazione in più rispetto a quella vecchia bisbetica.

Anche lui sorrise e si alzò in piedi per tenderle la mano. Ebbe qualche difficoltà a mantenere l'equilibrio: i suoi muscoli urlavano pietà e la caviglia che il grifone aveva morso gli faceva male. Alecto osservò qualche istante la sua mano, prima di stringerla con poca convinzione. Al contrario, la stretta di Charles risultò forte e decisa.

"Io sono Charles" esclamò il ragazzo, zoppicando un po'; "E quella è Hester. Non fare caso a lei, dà l'impressione di una che morde, ma non è davvero così".

La suddetta Hester grugnì poco amichevolmente, scambiando uno sguardo veloce con l'ultima arrivata. Come si fosse improvvisamente ricordato di qualcosa, Charles si girò verso la sua governante ed assottigliò le palpebre.

"A proposito..." esordì infatti, "...c'è qualcos'altro di cui vorresti mettermi al corrente, Hester, a parte i draghi, le cose di cui non puoi parlarmi e quella?" alzò la mano destra ed indicò la spada di legno che, poco più in là, giaceva a terra, abbandonata.

Lo sferzante tono sarcastico che aveva usato non scalfì la donna di una virgola, che rispose: "Non al momento, Charles. Se mi verrà in mente qualcos'altro, glie lo dirò sicuramente".

"Sempre che tu possa farlo".

"Sempre che io possa farlo, certo".

Alecto altalenò lo sguardo dall'una all'altro ed inarcò le sopracciglia, esprimendo così la sua perplessità. Aveva uno strano senso di dejà-vù... niente niente, poteva essere che quell'Hester ed il piccolo Emrys fossero amici? Guardò Charles con un moto di fraterna comprensione.

"Tu hai la magia" esordì ad un certo punto la governante, inchiodando Alecto con uno sguardo che sembrava dardeggiare. "Non provare neanche a negare, la magia è proprio l'unica cosa che avrebbe potuto uccidere il grifone".

La ragazza sorrise. "Se anche tu non fossi padrona della magia, probabilmente avrei negato" esordì con tranquillità, stringendosi nelle spalle.

Fu il turno di Charles, quello di mostrare una buona dose di perplessità. Zoppicò un paio di passi indietro, per avere entrambe nel suo campo visivo.

"M-magia?" balbettò, le sopracciglia che quasi toccavano l'attaccatura dei capelli; "Hester... sei... sei una strega?"

A quell'epiteto, la donna arricciò la punta del naso e negò immediatamente. "Non del genere che immagina lei" rispose, la voce roca. "Sono una serva della natura, il che non ha niente a che vedere con la definizione di strega che abbiamo in quest'era".

Charles sbatté più volte le palpebre, se possibile anche più scioccato di prima. "Perché... perché non hai ucciso tu il grifone, allora? E perché soltanto la magia poteva fare una cosa del genere?"

"Perché la sua magia non è abbastanza forte" rispose allora Alecto, soffermando gli slavati occhi celesti sulla donna. "Non è così?"

Hester sollevò appena il mento, come a volerla sfidare a provare le sue capacità, ma non rispose. Percepiva che la magia di Alecto era più forte della sua. Hester era una donna orgogliosa, ma anche saggia e non era il caso di finire a litigare con un individuo come Alecto. Quando tornò a parlare, fu per rispondere all'ultima domanda di Charles: "Il grifone poteva essere ucciso solo dalla magia perché è una creatura nata dalla magia. Le creature magiche possono essere eliminate soltanto dalla magia stessa".

"Quindi la spada che mi hai dato era completamente inutile!" ribatté il ragazzo, con una nota di risentimento.

"Che cosa avrei dovuto fare? Anche se avessimo cercato di scappare, il grifone non ce lo avrebbe permesso. Non a me, per lo meno. Non ho più l'età per queste cose, Charles. Se le avessi detto di lasciarmi indietro, lei non l'avrebbe mai fatto, nonostante questo dovrà cambiare in futuro. Dovevo pur tentare qualcosa".

Charles rimase in silenzio, la testa talmente affollata di domande da non sapere nemmeno con quale cominciare. Più i giorni passavo, più gli interrogativi che aveva, invece di chiarirsi, si accumulavano. Sospirò pesantemente ed osservò Alecto, intenta a guardarsi intorno, come incuriosita da qualcosa.

"Dove state andando?" domandò ad un certo punto la ragazza, riportando gli occhi su di loro.

Si sentiva... eccitata. Era la prima volta che incontrava una persona con della magia, oltre Emrys, e nonostante fosse meno potente della sua, la curiosità la stava già divorando. Quella donna sembrava sapere molte cose che forse, a lei, sarebbero potute tornare utili. Anche se Alecto sapeva di avere la magia, sapeva molto poco su come usarla, proprio perché Emrys le insegnava ciò che doveva sapere con il conta gocce; ad esser completamente sinceri, da un bel po' aveva iniziato a sentirsi stretta nei ritmi d'apprendimento in cui il bambino la costringeva e se c'era qualcosa che avrebbe potuto imparare da Hester, era intenzionata a farlo, anche se non ci voleva un genio per capire che la donna non provasse chissà quale gran simpatia per lei. Alecto sperò di poter fare un po' di strada in loro compagnia.

"Perché ti interessa?" la aggredì immediatamente Hester, già accusandola di chissà che cosa con lo sguardo.

Alecto corrugò la fronte, domandandosi cosa avesse fatto per meritarsi tutta quella diffidenza e maleducazione. Dal modo in cui la governante era avanzata per mettersi più o meno davanti Charles, però, la ragazza capì che era spaventata. Spaventata per lui. Spaventata da lei.

"Non ho intenzione di farvi alcun male" esclamò allora, guardando la donna negli occhi. "Non sono in cerca di guai. Mi sto dirigendo dalla Diamar, suppongo tu sappia già di chi si tratta".

Prima che Hester potesse dire qualunque cosa, sul volto di Charles si allargò un sorriso: "Che coincidenza! Anche noi stiamo andando da questa Diamar!"

La donna si voltò verso di lui con uno scatto repentino e lo incenerì con lo sguardo. Maledetta lei e quando, quella stessa mattina, si era fatta estorcere dall'insopportabile insistenza di Charles dove fossero diretti. Il ragazzo corrugò la fronte e ritirò la testa all'indietro. Ho detto qualcosa di sbagliato? non poté fare a meno di pensare.

"Ma che coincidenza..." ripeté lentamente Alecto, arricciando gli angoli delle labbra all'insù. "Potremmo fare la strada insieme. Vi va?"

Hester si irrigidì immediatamente e dopo aver masticato con fatica uno 'scusaci un momento', marciò dritta verso Charles e lo afferrò per il gomito, trascinandolo qualche metro più in là, per ottenere un po' di privacy. Ignorò crudelmente le sue lamentele riguardo la caviglia dolorante. Meritava di soffrire per la sua immensa, immane stupidità! Alecto li seguì per un po' con lo sguardo, poi voltò loro le spalle ed iniziò ad aggirarsi pigramente per la radura, fingendo di guardarsi intorno con aria interessata. Quando Hester si voltò come una furia verso di lui, Charles arretrò per istinto, spalancando gli occhi. Se non lo avesse ucciso in quel momento, pensò, non l'avrebbe fatto mai più.

"Che cosa le salta in testa?!" sibilò, avvicinando il suo volto a quello dell'altro; "Le persone che hanno la magia sono pericolose, Charles! Non la conosciamo nemmeno, non possiamo fidarci di lei!"

"Anche tu hai la magia" replicò quello, guardingo; "Vuol dire che non devo fidarmi di te? Il che, scusa se te lo dico, avrebbe anche un certo senso, considerando tutte le cose che mi hai tenute nascoste e le cose che continui a tenermi nascoste".

Hester strinse le labbra in una linea sottile, incassando il colpo in silenzio. Aveva ragione, ma quello non cambiava niente.

"Se io sono qui, accanto a lei, è per proteggerla. Se non le ho mai detto niente, se tuttora continuo a non dirle tutto è per lo stesso, identico motivo. Per proteggerla! Perché, dannazione, perché non vuole capirlo?!"

"E chi me lo assicura, a me, che sia questa la verità?"

Charles seppe di aver detto qualcosa di profondamente sbagliato nel momento stesso in cui gli occhi verdi di Hester furono inondati da uno sguardo più che ferito. La donna lo guardò in silenzio per dei lunghi istanti, non volendo credere a quello che aveva appena sentito. Aveva cresciuto quel ragazzo come fosse stato suo figlio... come poteva dubitare di lei? Capiva la sua rabbia, la sua frustrazione, la sua confusione... ma la mancanza di fiducia? Il solo pensiero che Charles potesse aver pensato male di lei... Hester abbassò lo sguardo, inspirando profondamente.

"Hester, non... non intendevo dire sul serio, mi dispiace, io-"

"No" lo interruppe lei, con fin troppa calma. "Ha ragione. Le ho nascosto molte cose, perché mai dovrebbe fidarsi di me?"

Charles boccheggiò, alla ricerca di qualcosa da dire per rimediare alla situazione. "Senti" esordì, mantenendo un tono di voce basso e tentando di non diventare isterico; "Siamo fuggiti da casa in piena notte, sono giorni che ci aggiriamo come selvaggi per i parchi dell'Inghilterra, non mangio un pasto decente da non so nemmeno quando, per poco dei draghi non ci friggono vivi come kebab, una bestia orrida ed impronunciabile, che porta anche sfiga, si è mangiata la mia cena, ho scoperto di aver comandato un regno in una qualche mia vita passata, ho appena finito di lottare un grifone e vengo a sapere che sei una strega. E che non sei nemmeno l'unica. Visto che quando tutto questo sarà finito, avrò sicuramente bisogno di andare in psicoanalisi... Me la fai passare liscia, per una volta? Almeno questa?"

Hester lo adocchiò ed il ragazzo unì le mani sotto il mento, come in preghiera. Quando lui la vide indugiare, sporse anche il labbro inferiore.

"Non aveva detto che mai, mai avrebbe creduto di essere la reincarnazione di Re Arthur?" azzardò la donna, mantenendo un atteggiamento scostante.

"Sì, l'ho detto. Poi però tu mi hai promesso che, se ti avessi seguita, mi avresti dimostrato che è vero. Vuoi rimangiarti la parola data proprio adesso?"

Hester allungò una mano e tirò con determinazione l'orecchio di Charles, come aveva spesso fatto quando lui era soltanto un bambino. Il ragazzo mugolò di dolore e la guardò con tanto d'occhi. "Perché l'hai fatto?!" esclamò con indignazione, massaggiando il lobo arrossato.

Hester lo guardò severamente. "Perché la deve smettere di rigirarsi la frittata come e quando pare a lei!"

"Questo vuol dire che me la sono cavata?"

"Questo vuol dire che se proprio è intenzionato a lasciarsi accompagnare da quella signorina, oltre che da me, prima di dire qualsiasi cosa le passi per la testa, ha il dovere imperativo di consultarmi! E non si azzardi ad uscirsene con la storia di Re Arthur, o non mi limiterò a tirarle le orecchie! Sono stata chiara?"

Charles incassò la testa nelle spalle ed annuì. Hester sapeva essere veramente tremenda, quando decideva di sgridarlo. Dal canto suo, la donna si mostrò piuttosto soddisfatta dal seme di terrore appena piantato nella testa del suo ingenuo protetto e disse seccamente: "Adesso lasci parlare me".

Quando Alecto si voltò verso di loro, le sembrò che quei due fossero finalmente giunti ad un comune accordo. Restò in silenzio ed attese che le si avvicinassero.

"Come fai a sapere dove si trova la Diamar, ragazzina?" la interrogò Hester, fermandosi a poca distanza da lei.

L'interpellata si strinse nelle spalle e ciondolò da un piede all'altro.

"Pensavi di essere l'ultima rimasta, ad avere la magia?" domandò per contro, arcuando le sopracciglia con scetticismo. In effetti sì, dovette ammettere Hester: anche se l'aveva creduto, non aveva mai potuto verificare con certezza le sue supposizioni. Alecto era una prova lampante del fatto che avesse pensato male.

"Ne ho conosciuti altri come me - come noi" aggiunse la ragazza, quasi leggendole nella mente; "Soltanto due" mentì, "E, come me, preferiscono evitare di andare ad urlare ai quattro venti di cosa siamo capaci. Non vorrei ritrovarmi costretta contro un tavolo da laboratorio, non so se mi spiego".

Charles seguiva il loro scambio di battute in silenzio, proprio come lui ed Hester avevano pattuito.

"Tu invece, come lo sai?" domandò Alecto, senza la minima traccia di diffidenza nel tono di voce; tuttavia, il suo modo di porsi - così tranquillo e poco pretenzioso -, non parve essere abbastanza da farle guadagnare se non la simpatia, per lo meno il rispetto di Hester.

"Questo non ti riguarda, le domande le faccio io" rispose quella infatti, mantenendo una rigida linea di ferro. Non si sentiva minimamente in colpa, nel riservare alla ragazza tutta quella sfiducia gratuita, perché quell'Alecto aveva ancora tutto da dimostrare, a partire dal fatto che fosse realmente chi diceva di essere; per Hester, l'incolumità di Charles era l'unica priorità che potesse valere qualcosa.

"Cosa vai a fare dalla Diamar?" tornò alla carica allora la governante, non intenzionata a darle tregua sin quando non si fosse sentita un po' soddisfatta. Alecto la guardò come per dire 'non è ovvio?'

"Voglio sapere che cosa sta succedendo" si ritrovò a dire alla fine. "Un conto è sapere di avere la magia. Un conto è quando di punto in bianco spuntano fuori dei draghi. È un po' troppo da accettare e basta, persino per me" concluse con una scrollata di spalle.

Abbassò gli occhi sul terreno, ma niente nel suo tono di voce aveva lasciato intendere la reale natura della menzogna che aveva appena raccontato. Non poteva certo dire di aver perso un uovo di drago ed il Triskelion e che andava dalla Diamar per farsi aiutare a ritrovare entrambi. A parte la segretezza della missione, Emrys l'avrebbe definitivamente uccisa - ed una parte di sé le suggerì di non pensarlo come tanto per dire -. Hester strinse le labbra e soppesò la ragazza in un pesante silenzio.

"Noi ci andiamo per lo stesso motivo" decise di intervenire Charles ad un certo punto, infrangendo la regola del non parlare e stai buono.

Hester si accigliò e si girò verso di lui, ma quello continuò a parlare rivolto ad Alecto: "I draghi hanno raso al suolo quasi tutta Londra, compresa la mia casa. Il giorno dopo l'incendio, Hester ha detto che avrebbe scoperto che cosa stava accadendo e così l'ho seguita. Anche se non..." titubò solo per un secondo, lasciando scivolare brevemente gli occhi sulla sua governante; "Anche se non sapevo come avrebbe fatto, né chi fosse veramente. Ho pensato soltanto che se davvero c'era un modo per scoprire qualcosa su tutta questa faccenda, beh... avrei voluto saperne anche io. Voglio dire, ho pur sempre perso la mia casa, che era anche casa sua" concluse, con un cenno della mano verso Hester.

Voleva dimostrare a quella che praticamente gli aveva fatto da madre, che anche lui poteva venirle in aiuto senza necessariamente lasciarsi sfuggire qualcosa di stupido. Credeva di aver trovato una spiegazione più che buona e comunque, l'evadere l'ennesima domanda di Alecto non sarebbe stato saggio, ma l'avrebbe fatta soltanto insospettire di più. La ragazza lo guardò e gli sorrise ed Hester rilassò impercettibilmente la sua postura rigida. Poteva funzionare.

"Allora, direi che possiamo anche incamminarci a questo punto, no?"













NOTE DELL'AUTORE: Buon inizio settimana ;) finalmente siamo giunti al momento in cui i nostri eroi incrociano le loro strade, con Hester antipatica come al solito. Che cosa mai succederà? :-0 restate sintonizzati su questi schermi e lo saprete! Grazie a Mimiwitch che ha betato il capitolo, a chi ha letto e recensito il precedente ed a chi segue questa storia! Avete il mio quore!


(1) La Diamar è realmente esistente nel telefilm ed occupa realmente una miniera. Ecco una sua immagine, per chi non se la ricordasse: http://i.imgur.com/nT7PC.jpg


(2) Il grifone è una bestia realmente esistente nel telefilm. La sua descrizione è ripresa fedelmente.

La discussione telefonica tra Alecto ed Emrys è stata scritta in modo volutamente criptico, poiché i due cercano di stare attenti alle intercettazioni telefoniche.



Arcobaleni ed unicorni,

Asfo


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Capitolo 7
*** Un Destino ciascuno ***


SETTIMO CAPITOLO

7. Un Destino ciascuno


Bath Stone (Corsham-Combe Down), distretto di Bath, 23 luglio 2020

Pomeriggio


Quando Charles si ritrovò davanti all'ingresso della miniera, dovette esercitare tutto il suo autocontrollo per non intonare un inno alla gioia. Erano già tre giorni che camminavano senza sosta, fermandosi soltanto per ingurgitare qualcosa o per dormire; al sopraggiungere della mattina, si erano sempre alzati all'alba per approfittare di tutto il tempo di cui avrebbero potuto disporre per proseguire. La sua caviglia ferita era stata più o meno guarita da Alecto che, non avendo una perfetta padronanza delle proprie capacità, aveva fatto quel che aveva potuto. In condizioni normali ed in possesso di una macchina, sarebbero servite soltanto un paio di ore per raggiungere il distretto di Bath ma, mano a mano che si erano allontanati da Londra, Charles aveva potuto miseramente constatare che la furia cieca dei draghi non aveva devastato solo la capitale, ma anche tante altre zone al di fuori ed il disastro che avevano visto per le strade aveva creato loro qualche difficoltà di percorso.

Il sospetto che l'intera Gran Bretagna fosse stata bersagliata dagli attacchi delle bestie aveva attraversato velocemente la mente del giovane, che quella stessa mattina si era ripromesso di provare a far funzionare nuovamente la radio e vedere di cavarne qualcosa. Nel corso di quei tre giorni, Charles aveva notato un traffico sempre maggiore di elicotteri ed aerei appartenenti all'esercito della corona e si era chiesto se la milizia avesse finalmente trovato il modo di gestire quelle creature che fino ad una settimana prima aveva creduto frutto di sole favole e leggende.

Fermo davanti all'ingresso della miniera, Hester devastata dalla stanchezza alla sua destra ed Alecto trincerata nel suo caratteristico silenzio alla sua sinistra, piegò con una punta di amarezza gli angoli delle labbra verso l'alto.

Una settimana.

Era bastata una settimana per sconvolgere tutta la sua vita, chi aveva creduto di essere e cosa ne aveva pensato del mondo.

"Direi di dividerci" esordì Alecto, lo zaino in spalla ed il cappello blu di nuovo ben piantato sulla testa. "Questa miniera è stata abbandonata secoli fa ed è piena di gallerie. Se prendiamo strade diverse, avremo più possibilità di trovare la Diamar".

Hester la guardò, ma non disse niente; si era seduta su un masso nei pressi dell'ingresso e sembrava non avesse la forza di fare altro tranne che respirare. Charles distolse con stizza lo sguardo da lei, non potendo minimamente sopportare il modo in cui la donna gli sembrasse più invecchiata, affaticata com'era. Non poteva accettare una cosa del genere.

"Come le sai queste cose?" preferì domandare invece, attirando gli spenti occhi di Alecto su di sé; la ragazza gli indirizzò un sorrisetto derisorio, prima di indicare un cartello posto poco distante dall'ingresso. Perso com'era nei suoi pensieri, Charles non l'aveva nemmeno notato. Si avvicinò per leggere: proprietà e patrimonio dello stato d'Inghilterra. Per informazioni sugli orari ed i giorni delle visite guidate, contattare il seguente numero...

A quel messaggio, seguiva una breve descrizione di quanto si supponesse fosse realmente vecchia la miniera e di come i suoi cunicoli fossero abilmente intersecati tra loro. Alecto si era avvicinata all'entrata della miniera e ne stava sbirciando l'interno con uno strano sguardo apprensivo.

"Che cosa c'è?" le chiese Charles, studiando il buio nel quale il cunicolo affondava, lì dove la luce del giorno non riusciva ad arrivare; "Hai visto qualcosa?" aggiunse, in un sussurro.

La ragazza compì un paio di lenti passi indietro e lo guardò, come a volerlo soppesare attentamente. Charles arcuò le sopracciglia, confuso dal suo improvviso cambio di atteggiamento e vagamente a disagio, sotto l'esame di quegli occhi così spenti e pallidi.

"Ho sentito delle brutte storie, sulla Diamar" mormorò la ragazza, senza distogliere lo sguardo da lui, con aria greve.

"Del tipo?" le chiese allora Charles, corrugando la fronte.

"Del tipo che non ci si può fidare di lei. Che è una creatura che appare eterea, ma che nasconde sembianze demoniache. Ho sentito dire che cerca di ingannare chi la ascolta e che è molto pericolosa..."

La fragorosa risata di Hester si intromise tra di loro, spezzando quel principio di tensione che aveva iniziato a serpeggiare nell'aria. Il suo modo di fare le permise di guadagnarsi un paio di facce equamente stupite. Con ancora il sorriso a piegarle le labbra, Hester scosse lentamente la testa, come si fa quando si ripensa a qualcosa di divertente che non si crede possa essere successa per davvero.

"Mi stupisce che tu sia stata in grado di arrivare sino a qui solo per sentito dire" esclamò la donna, un luccichio di divertimento ad animare gli occhi verdi; "Considerata la quantità incredibile di sciocchezze che hai appreso nello stesso identico modo".

Alecto non fu minimamente turbata dal tono divertito appena riservatole e si limitò a corrugare la fronte. "Che cosa intendi dire?" chiese, non senza una certa diffidenza. Quella donna stava insinuando che Emrys le avesse mentito?

Hester sospirò e si alzò in piedi, ritenendo di essersi riposata abbastanza; in realtà era ben lungi dal sentirsi pronta per mettersi di nuovo in cammino, ma non c'era tempo per bighellonare: erano finalmente arrivati alla miniera e non poteva più aspettare, perché anche lei aveva bisogno di risposte, esattamente come Charles.

"Quello che intendo dire" iniziò lentamente, avvicinandosi all'ingresso dove già sostavano gli altri due, "È che nessuno sa davvero quale aspetto abbia la Diamar. Si dice che solo un paio di persone siano riuscite ad incontrarla e la mia paura è che noi, oggi, non rientreremo in questa ristretta cerchia di fortunati, anche se spero non sia così. Che abbia l'aspetto etereo o di una bestia è probabile, entrambi i casi hanno le stesse possibilità di essere veri, perché molte informazioni su di lei sono andate perdute durante il corso dei secoli. Ma la Diamar è un essere sacro, anche se non ha niente a che fare con l'antica religione. È una creatura neutrale, al di sopra delle cose. È osservatrice e conoscente di tutti i destini possibili, conosce quelli di tutte le persone venute al mondo, dal più irrilevante al più decisivo. Non è nei suoi interessi raggirare ed ingannare, ha più il ruolo di una guida che di un'incantatrice..."

Alecto era confusa ed arrabbiata. Confusa perché non capiva come mai la versione che Emrys le aveva dato fosse così differente da quella di Hester; arrabbiata perché non aveva possibilità di chiedere spiegazioni, non senza essere costretta a raccontare del bambino e di quello che le aveva detto. Se avesse nominato Emrys, naturalmente un'altra serie di inevitabili domande sarebbero sorte in conseguenza e la situazione sarebbe degenerata in qualcosa che Alecto non voleva far accadere. D'altro canto, se avesse chiamato il suo mentore per chiedere a lui, delle spiegazioni, avrebbe anche dovuto dirgli che non era sola, che si stava facendo accompagnare da un ragazzo ed un'altra persona con la magia. Non sapeva perché, ma l'istinto le suggeriva che non era necessario far sapere ad Emrys con chi stesse viaggiando.

In aggiunta, intendeva mantenere il silenzio anche per un pizzico di ripicca: il bambino aveva un sacco di segreti, perché lei non poteva averne di suoi? Al momento però, la domanda più importante era: di chi doveva fidarsi? Suppose che l'avrebbe presto scoperto da sola, una volta trovata la Diamar - perché,, trovarla era imperativo, come le aveva detto Emrys! Non poteva neanche contemplare l'opzione di un buco nell'acqua, non era nemmeno un'eventualità -.

Alecto continuò a restare in silenzio, limitandosi ad osservare Hester con un cipiglio meditabondo.

"La tua idea è buona, comunque" riprese quest'ultima, dopo qualche istante di silenzio "Dividiamoci. Io e Charles andremo verso sinistra, tu verso destra. Non ti spiace andare per conto tuo, vero?" Abbozzò un sorriso di circostanza. "Del resto, la tua magia è più forte della mia. Saprai difenderti da sola, in caso di necessità".

Alecto si limitò a fare un breve cenno d'assenso... d'altro canto, cosa avrebbe potuto dire? Indugiarono solo qualche altro secondo e poi entrarono nella miniera; anche se lei non lo notò, Charles le rivolse una lunga occhiata penetrante, prima di immettersi nel cunicolo con Hester.


*


"Perché la tratti così?" domandò Charles dopo cinque minuti buoni da che avevano iniziato ad esplorare la miniera. Hester teneva davanti a sé una torcia che riusciva ad illuminare ben poco oltre i loro piedi, a causa della fitta oscurità del cunicolo. Charles si sentiva irrequieto, il buio non gli era mai piaciuto e quando il rumore dei loro passi non era assordante, percepiva chiaramente una quantità di animaletti strisciare lungo le pareti rocciose della miniera. Con una punta di nera ironia, pensò che lì dentro erano loro gli intrusi, gli ospiti indesiderati. Il fascio di luce della torcia illuminò brevemente una serie di lampade rettangolari, con i bordi smussati, che avevano l'aspetto di luci d'emergenza; erano montante lungo le pareti dei cunicoli ed una robusta striscia di ferro le teneva ancorate in alto.

"Non puoi... che so, accendere quelle?" domandò Charles, sperando che almeno a quello Hester avesse voglia di rispondere. "Hai... hai la magia, no?"

"Neanche io posso fare miracoli, Charles. Siamo in pieno blackout elettrico. Non posso creare l'elettricità con la magia. Avrei potuto farla arrivare alle lampade, se ce ne fosse rimasta un po', ma così non è".

Hester svoltò a destra, sembrando totalmente a suo agio sul terreno dissestato della miniera. "E per quanto riguarda la sua nuova amica" continuò, la voce priva di qualsiasi inflessione, "La domanda che mi ha fatto è troppo generica. Com'è che la tratterei, di preciso? Se si riferisce alla diffidenza che giustamente le riservo, sappia che lo faccio anche a causa della sua ingenuità".

Charles sbatté le palpebre con perplessità, pensando di aver sentito male. "La mia ingenuità?" ripeté, realizzando che Hester l'aveva detto davvero. La governante fece un mezzo sorriso, senza mai distogliere gli occhi dal percorso.

"In buona fede, Charles, lei darebbe il beneficio del dubbio anche ad un terrorista. Non dico che la sua generosità e la sua fede nel prossimo siano sbagliate, ma bisogna saper essere preparati ad ogni eventualità. Dare fiducia a qualcuno non deve voler necessariamente dire fidarsi di quella persona, ma si può anche intendere come un lasciarle la possibilità di dimostrare qualcosa. Le persone vanno messe alla prova, non si può fare affidamento su chiunque".

"Perché mai dovrei mettere le persone alla prova? Che motivo avrebbero per tentare di imbrogliarmi?"

Hester sospirò con leggerezza, piena di pazienza. "Lo capisco, sa. Voglio dire, neanche a me verrebbe naturale pensare a me stessa come la Regina di un regno perduto, dopo aver vissuto venticinque anni convinta di essere qualcun altro. Ma se le posso dare un consiglio, dovrebbe cercare di abituarsi in fretta a ciò che è in realtà, Charles, perché tenteranno di imbrogliarla proprio a causa di questo. Lei è un pericolo".

"Frena, frena, frena" rispose il ragazzo, alzando le mani per aria come a volerla rallentare anche fisicamente. "Io non ho vissuto ventiquattro - sono ventiquattro, Hester! - anni convinto di essere qualcun altro. Io sono quel qualcun altro. Sono Charles, prima di essere... quello che dici tu. E non riuscirai a farmi cambiare idea neanche tra mille anni, non su questo! Potrò anche essere stato un Re nella mia vita precedente, ma non lo sono in questa vita! Non ho niente da spartire con il passato, se non qualche sporadico sogno strambo! E perché diavolo sarei un pericolo, adesso? Perché sono tra i primi dieci della nazione a detenere il record di Call of Duty?" concluse con una sferzante nota di sarcasmo.

Hester roteò gli occhi verso l'alto e scosse piano la testa.

"Lei è un pericolo, Charles, perché se la sua coscienza si è risvegliata, è solo per mettere i bastoni tra le ruote a coloro che intendono distruggere il regno di Albion. È destinato a salvarci tutti, non l'ha ancora capito?"

Charles pensò, con una dolorosa fitta di nostalgia, ai tempi in cui essere tra i primi dieci di tutta la nazione a COD lo faceva sentire un maledetto eroe. Avrebbe pagato oro per essere destinato a restare sui livelli di quel tipo di eroismo e basta. Fece per dire qualcosa, poi un bagliore in fondo al cunicolo distrasse entrambi.

"Cos'è?" domandò immediatamente il ragazzo, strizzando le palpebre per vederci meglio. "È bianca..."

"Resti dietro di me" sussurrò Hester, fermandosi poco dopo. La luce si stava muovendo verso di loro.


*


Alecto strinse ancora di più le ginocchia contro il petto e vi affondò la faccia. Buio, era tutto troppo buio e quella volta non c'era nessuno a distrarla, ad allontanarla dai suoi pensieri. Tutto si ripeteva, ancora una volta. La inseguiva come un'ombra, era una sorte inevitabile, ma stupidamente aveva sempre continuato a correre. A cosa le era servito?

Era di nuovo sola. Sapeva che sarebbe andata a finire così, non importava quante volte venisse salvata da se stessa o quante persone le promettessero che non sarebbe più stata allontanata o lasciata da parte... era di nuovo sola e quello, Emrys avrebbe dovuto prevederlo. Le aveva promesso che si sarebbe preso cura di lei, ma dov'era in quel momento? Dov'era quando il sudore le appiccicava la maglietta alla schiena, quando le vertigini le impedivano di stare in piedi e quando il groppo alla gola non le permetteva di respirare bene? Alla fine dei conti, le promesse erano esattamente quel che erano: parole, parole date all'aria, parole pronunciate senza intenzioni, parole che la lasciavano risalire di qualche metro dal fondo prima di rigettarla giù ancora più violentemente della volta precedente. Alecto non sapeva quante altre botte sarebbe riuscita a sopportare prima di spezzarsi. Sentiva le sue ossa scricchiolare.

Contro le palpebre serrate con forza, vide materializzarsi l'immagine di sua madre che la guardava come non l'avesse mai realmente conosciuta; vide lo sguardo pieno di orrore di Richard Smith e la barella su cui era stata adagiata Hanna Dixon, il collo piegato in una curva innaturale.

Il buio la teneva con tenaglie indistruttibili e la costringeva a rivivere ancora l'isolamento forzato cui i suoi amici, spaventati da lei, l'avevano costretta a scuola e rivisse in un veloce ma doloroso flash, il momento in cui era stata gettata in pasto alle suore del collegio dove sua madre l'aveva fatta rinchiudere. Ha il demonio in sé, aveva detto alla direttrice, con la voce che aveva tremato per il disgusto e con lacrime di rabbia ad inumidirgli gli occhi; salvate la mia bambina aveva concluso, stringendo il ciondolo a forma di croce nel pugno, come fosse stato un'ancora di salvezza. E la direttrice aveva accolto molto seriamente il suo disperato grido di aiuto.

Alecto ricordò, con un brivido guidato da un forte senso di nausea, come quelle religiosissime istitutrici avessero cercato in tutti i modi di farla sentire sbagliata. Di farla sentire cattiva e destinata alla dannazione. Apri le braccia a Dio, erano le classiche parole che precedevano la sua reclusione nella Gola: una stanza stretta, spaziosa quanto un ripostiglio delle scope, senza finestre, adibita all'unico scopo di far scontare punizioni di varia natura alle studentesse del collegio. Veniva chiamata la Gola non solo per le sue scarse dimensioni e la mancanza di luce, ma anche a causa del fatto che, ad un certo punto, si arrivava ad avere la sensazione di essere ingoiati dall'oscurità pressante.

Alecto credeva che una tortura fisica sarebbe stata meno peggiore e non lo pensava semplicemente perché soffriva di attacchi di panico, no: aveva visto ragazze piegarsi come fuscelli e cadere nel mutismo per giorni, dopo essere state dentro quella stanza. I pensieri potevano corrodere come acido, se veniva permesso loro di scivolare liberi nella mente come nuvole e le istitutrici erano sempre state troppo furbe per non poterlo capire. Tutte le ragazze che erano finite in quel collegio, a loro modo, avevano diversi demoni sulle spalle e peccati da espiare agli occhi delle loro famiglie: era semplicemente una tentazione troppo perfetta per non poterne approfittare.

Desiderò l'oblio. Desiderò che quella particolare crisi, - era da molto che non ne aveva di così forti -, le togliesse talmente tanto il respiro da farle perdere i sensi. Desiderò così tanto l'incoscienza che ad un certo punto, forse per auto difesa, immaginò una luce, un tenue bagliore bianco. Si concentrò su quella luce più intensamente che poté e cercò di vederla aumentare sempre di più; tentò di intuire che cosa avrebbe potuto provare se quella luce l'avesse avvolta, se l'avesse abbracciata e cullata al di fuori dell'oscurità, ma niente l'avrebbe potuta preparare alla sensazione che avvertì quando la luce, letteralmente, la toccò.

Sussultò spaventata e spalancò definitivamente gli occhi. Dovette metterci qualche secondo, prima di decidere che cosa fare. Per la precisione, urlò. Urlò con voce piena di spavento e si appiattì contro la parete della miniera in modo così repentino che la luce - una creatura dall'aspetto indescrivibile -, sobbalzò e si ritrasse, come scottata. Alecto la fissò, i pallidi occhi sgranati ed il respiro accelerato.

La cosa che le stava davanti - dal sesso indefinibile, poiché priva di qualsiasi curva -, aveva la testa allungata e dalla forma ovale, mostrava guance incavate che mettevano in risalto un paio di alti zigomi, non aveva sopracciglia e neanche i capelli. La sua pelle sembrava traslucida, un reticolo di vene era infatti visibile sotto l'epidermide grigiastra e sottile, mentre i suoi grandi occhi, scuri come le profondità in cui poco prima si era persa, la stavano fissando in modo che non riuscì a decifrare; soltanto quando riuscì a riportare il respiro ad un ritmo normale, notò che il bagliore che aveva creduto di immaginare proveniva principalmente dalla sua testa a forma di uovo, oltre che dalle mani sottili e lunghe come quelle di uno scheletro.

"Alecto" soffiò la creatura, con un tono di voce roco - di chi non parlava mai - e dalla tonalità misteriosa. Se ne stava tutta piegata su se stessa ed uno strano mezzo sorriso le inclinava le labbra piene. Ad Alecto sembrò che non intendesse sorriderle veramente, ma che quello fosse solo il modo in cui teneva chiusa la bocca.

"Tu sei... sei la Diamar?" biascicò la ragazza, tenendosi una mano premuta all'altezza del cuore.

"Senza dubbio" soffiò quella in risposta, "E tu mi stavi cercando".

Chiaramente non era una domanda.

"Sì, io..." esitò. "Io vorrei sapere-"

"Non è quello, che vuoi sapere" la interruppe la Diamar, in modo suadente, nonostante lo sgradevole grattare della voce contro la gola. Alecto corrugò la fronte e restò in silenzio ad osservarla, non avendo la più pallida idea di cosa intendesse dire.

"Quello che realmente ti serve sapere" riprese la creatura, senza distogliere un attimo i profondi occhi da lei, "È che tutte le creature, nel momento in cui vengono al mondo, sono destinate a qualcosa. Non sempre è chiaro lo scopo od il significato di ciò che finiamo per essere o di ciò che arriviamo a compiere, ma la cosa importante non è la riposta. È trovarsi nel posto giusto al momento giusto, proprio quando così deve essere".

"Credo di non capire..." balbettò Alecto, sempre più confusa. Dove aveva intenzione di andare a parare? La curiosità era così opprimente che dimenticò tutti gli avvertimenti di Emrys; la Diamar non le sembrava pericolosa e neanche meschina. Piuttosto, Alecto si sentiva messa in soggezione dall'immensa aura di saggezza che la creatura sembrava aver incisa su ogni centimetro del suo fragile corpo sottile.

"Perché cerchi la risposta" ribatté la Diamar, dicendo tutto e non dicendo niente. "La cerchi nel modo sbagliato".

"Ti prego, sii più specifica, perché non riesco davvero a seguirti..." la pregò la ragazza, mollando la presa sulla maglia tutta spiegazzata.

"Credi di essere capitata qui per caso?" domandò per contro l'altra, senza sbilanciarsi. Alecto scrollò la testa.

"Ci sono venuta perché l'ho deciso e perché ho bisogno di informazioni".

"Sei qui perché dovevi essere qui, adesso, in questo momento".

"Cosa stai cercando di dirmi? Che hai visto questo momento? Sei una veggente?"

"Io sono la chiave della conoscenza, giovane Alecto. Conosco al di sopra dello scorrere del tempo, al di sopra della materia e delle energie sottili. Devi fidarti della mia parola, quando ti dico che il tuo destino è quello di rimanere al fianco dei tuoi attuali accompagnatori".

A quelle parole, la ragazza strabuzzò gli occhi: tutto si era aspettata, tranne che quella rivelazione.

"Ma li conosco appena!" replicò con incredulità, guardando la Diamar come fosse impazzita.

"Perché il tuo cammino è appena cominciato" le rispose la creatura, ancora con quello strano mezzo sorriso ad inclinarle le labbra.

"E con quale scusa dovrei ancora affiancarmi a loro? Se dicessi che ti ho incontrata e che me l'hai detto tu, di farlo, non mi crederebbero mai!"

Alecto fece una smorfia e pensò che, per essere precisi, probabilmente sarebbe stata la vecchia a rifiutarsi di crederle. "Forse potresti parlarci tu..." soggiunse, quasi speranzosa. Soltanto un secondo dopo, si rese conto della richiesta che aveva tentato di fare e rimase di stucco.

Che cosa stava succedendo? Non poteva restare al fianco di quei due, lei ed Emrys avevano una missione, doveva aiutarlo a riportare la magia alla luce e doveva aiutare tutti quelli come lei a conquistare il giusto posto nel mondo. Niente più nascondigli, niente più fughe, basta con la paura e con i sotterfugi; avere la magia non voleva dire essere pericolosi, lei ed Emrys l'avrebbero dimostrato in larga scala. Il loro progetto era ambizioso ed una volta realizzato non sarebbe stata mai, mai più sola. Corrugò la fronte e stavolta guardò la Diamar con sospetto.

"Che cosa mi stai facendo?" soffiò, guardinga. "Stai tentando di manipolare la mia mente?"

La Diamar, che fino a quel punto era rimasta in silenzio ad osservarla, allungò una mano verso di lei e prima che Alecto glie lo potesse impedire, le sue dita le toccarono la fronte; la ragazza sussultò ed il suo intero corpo fu pervaso da una freschezza pura ed indescrivibile, come se avesse insieme la primavera e l'autunno a scorrerle nelle vene. Con quel contatto, ebbe modo di toccare l'assoluto disinteresse che quella creatura aveva nel mentire. Tramite quel contatto, sentì sulla pelle la sua sincerità. Non la stava aiutando. Non la stava nemmeno ostacolando. Stava soltanto esponendo dei fatti ed i fatti erano inconfutabili, quando a propinarli era la Chiave di tutta la conoscenza.

Scossa da un profondo brivido, Alecto mise di nuovo a fuoco il volto della Diamar, notando che quella aveva ritirato la mano; si toccò la fronte con circospezione ed il cuore ancora le batteva a ritmo dei piacevoli strascichi che quell'esperienza le aveva fatto provare.

"Perdonami" mormorò, sentendosi incredibilmente sciocca per aver dubitato di lei. Emrys le aveva detto che la Diamar avrebbe tentato di ammaliarla, ma dopo quello... era certa che il bambino avesse avuto torto - per una volta, aggiunse una piccola parte di lei, con meschina soddisfazione -.

"Il tuo Destino è affar tuo soltanto, Alecto" tornò a parlare la creatura, con cautela. "Sta' accanto a loro e tutto ti sarà più chiaro. Scegli un'altra via e ciò che temi di più, finirà per avverarsi".


*


Nello stesso momento...


"Quali prove?" la interrogò Hester, senza però osare avvicinarlesi di un passo di troppo. La Diamar stava accucciata davanti a loro, le lunghe dita accarezzavano il terriccio della miniera e la sua candida luminescenza si infrangeva sulle pareti rocciose in un modo che rivelava, di quando in quando, i piccoli e numerosi insetti che le popolavano. Charles stava poco dietro di lei e ancora non aveva deciso se prendersi a schiaffi da solo per capire se stesse sognando oppure mettersi a ridere istericamente. Quella cosa aveva tutto l'aspetto di un alieno, solo che al posto del classico colorito verdognolo, ce n'era uno grigiastro.

La Diamar scosse piano la testa ovale e disse: "La natura delle difficili prove che vi troverete ad affrontare lungo il cammino, non è rilevante al fine della salvezza di Albion, nonostante dobbiate superarle ad ogni costo. Se vorrete avere successo, vi occorrerà il giusto... aiuto".

Hester corrugò la fronte, gli occhi verdi si muovevano veloci sul volto della Diamar come in cerca di una risposta.

"Stai... stai parlando della magia?" tentennò, ipotizzando nel modo più logico possibile. La creatura piegò la testa da un lato e sembrò che le sue labbra si inclinassero ancora di più.

"In un certo senso..." rispose, con un baluginio particolarmente intenso ad attraversale le lunghe dita spettrali. "Sto parlando di ciò che anticamente rese Re Arthur degno del suo titolo e protagonista di immortali leggende..."

"Excalibur..." mormorò allora Hester con una certa reverenza, lo sguardo lontano e perso in luoghi remoti della sua mente.

Charles fissò i suoi lunghi capelli biondi striati di grigio e sgranò gli occhi: aveva sentito bene? Excalibur?

"Esiste davvero?" si ritrovò a domandare a voce bassa, quasi temesse di essere preso in giro solo per averlo chiesto. Ma certo che no, sciocco! gli avrebbero sicuramente risposto, prima di ridere di lui. Hester si girò e lo guardò, quasi avesse notato la sua presenza solo in quel momento. La sua occhiata fu davvero indecifrabile.

"Le avevo detto che le avrei dimostrato tutto, Charles. Non se lo ricorda più?" e senza aspettare risposta, tornò a rivolgersi alla Diamar: "Sono vere, le leggende? E' ancora che la troveremo?"

La Diamar annuì.

"E magari in omaggio troveremo anche la tavola rotonda..." borbottò Charles, mascherando il suo scetticismo con un colpo di tosse. Venne elegantemente ignorato. La Diamar si mosse verso di loro, come volesse rendere ancora più reali le sue stesse parole.

"Recuperate la spada e salvate il regno di Albion. È questo, il destino che deve essere compiuto. In caso contrario..." i suoi enormi occhi, scuri come pozzi interminabili, agganciarono con forza lo sguardo di Charles. "In caso contrario, sarà la fine di tutto ciò che conosciamo".


*


"Che ansia" sputò fuori Charles, non appena mise piede al di fuori della miniera; strizzò le palpebre alla luce grigiastra del giorno, non riuscendo a tenerli aperti per più di due secondi. Dopo tutto quel buio, il minimo che i suoi occhi potessero fare era protestare con vivacità a quel cambio di luminosità e palpitare dolorosamente. Quando si fu abituato all'ambiente circostante, notò che Alecto li stava già aspettando, seduta su una sporgenza distante una decina di metri. I pallidi occhi della ragazza li stavano osservando, ma studiando il suo volto, Charles ebbe l'impressione che fosse turbata da qualcosa.

"Tutto bene?" le domandò, avvicinandosi con Hester alle calcagna. La donna si era tutta irrigidita e fissava l'altra con circospezione.

Alecto si strinse nelle spalle, sospirando.

"Potrebbe andare meglio" rispose con un velo di delusione; "Se solo fossi riuscita ad incontrare la Diamar. Voi siete stati più fortunati?"

"No" intervenne rapidamente Hester, scavalcando Charles con poca grazia. Aveva usato un tono fermo ed autoritario, non lasciando neanche intendere risposte che fossero diverse da una negazione più assoluta. "Non l'abbiamo vista anche noi".

Calò il silenzio. Per un paio di minuti il trio stette lì a ciondolare, a scambiarsi sguardi non ben interpretabili ed a cercare di fare chiarezza. Avevano tutti parecchie cose su cui riflettere. Alla fine, la prima a parlare fu Hester.

"Direi che a questo punto possiamo-"

"Continuare il viaggio insieme" la interruppe Alecto, che aveva alzato velocemente gli occhi su di lei. Le due si studiarono a lungo, occhi negli occhi: la più giovane fremeva di aspettativa, mentre mordeva il labbro inferiore e la più anziana sembrava essere stata appena insultata in modo pesante.

"Bé, pensateci un attimo" riprese la ragazza, coinvolgendo con forza anche Charles nella discussione, che sembrava averla presa molto più in simpatia di quella bisbetica di una governante. "Il nostro obiettivo è comune, cerchiamo tutti delle risposte qui. Potrei... potrei aiutarvi con la mia magia, tra l'altro. Sai, nel caso in cui..." guardò il ragazzo con un pizzico di titubanza, "...cioè, se dovesse spuntare fuori qualche altro grifone, ecco, credo che potrei aiutare".

"Charles" iniziò a quel punto Hester, tentanto di risultare persuasiva, ma il ragazzo alzò una mano e la interruppe; continuò a guardare Alecto negli occhi, cercando di cogliere qualsiasi indizio che potesse indurlo a non fidarsi di lei.

Da quando si era unita a loro, Hester non aveva fatto altro che trattarla come un'appestata, ma non si sentiva nella posizione di poterla biasimare del tutto, perché si stava finalmente rendendo conto dei reali rischi che stavano correndo. Eppure... eppure c'era qualcosa di quella ragazza, quando la osservava, che lo spingeva a non volerla allontanare da sé; aveva come la sensazione che fosse lei, quella ad avere bisogno della loro vicinanza, e non il contrario. Gli sembrava semplicemente qualcuno che si era perso e aveva come l'istinto di volerle tenere la mano per non farla perdere ancora di più.

Pensò ad Excalibur ed all'imperativo di segretezza che Hester tentava in tutti i modi di fargli rispettare, ma si disse che, una volta arrivati dove sarebbero dovuti arrivare, avrebbe pensato al da farsi ed a come allontanare Alecto per un breve lasso di tempo, per tenerla all'oscuro delle loro intenzioni. Un problema alla volta, si disse.

Quando ad alta voce informò le due che avrebbero continuato il viaggio tutti insieme, Hester tentò di opporsi senza darlo troppo a vedere, ma Charles la conosceva troppo bene per non accorgersene e le lanciò un'occhiata; gli bastò una singola, veemente occhiata per far comprendere alla sua governante che tornare sull'argomento sarebbe stato del tutto inutile. Alecto sarebbe andata con loro, fine della storia.

Camminando qualche passo dietro di loro, Alecto si crogiolò nell'improvvisa vampata di calore che le aveva invaso il petto: occhi bassi, un sorriso che non voleva saperne di abbandonare le sue pallide labbra e la consapevolezza che, davanti ad una scelta, qualcuno aveva deciso di non lasciarla sola.


*


Hayes wood, distretto di Bath, 23 luglio 2020

Sera



"[...] inviati ci comunicano che la situazione è la stessa, da Londra a Gloucester, arrivando fino a Portsmouth e Weymouth, il grado di devastazione non pare avere risparmiato neanche i fzzfzz più piccoli. Fzzfzz militari presiedute da fzzfzz conferenza ad uno dei centri di accoglienza allestiti in varie zone del paese. Per chiunque fosse in ascolto, ricordiamo che potrete trovare socc-fzz a Wimbledon, Camden Town, Stanfo-fzzfzz, Bethnal Gr-fzzfzz, Oxford, Cambridge-"


Hester guardò Alecto tornare a stendersi nel fondo della grotta, dopo aver spento la radio. La osservò dare loro le spalle per provare a dormire e non protestò. Charles aveva aperto gli occhi per osservare la scena, poi li aveva richiusi, restando appoggiato contro la parete rocciosa del loro rifugio d'emergenza. Gli dolevano tutti i muscoli del collo e la schiena cominciava a non essere da meno; in quel momento pensò che avrebbe anche potuto dare via un braccio, per un letto vero. Due braccia per un letto ed un pasto decente. Due braccia ed una gamba per un letto, un pasto decente ed una doccia calda. Arricciò la punta del naso, l'odore di sudore misto a terra a stuzzicargli le narici; aveva pensato che ci avrebbe fatto l'abitudine, con il passare dei giorni, ma così non era stato.

"Non lo capiranno mai..." sussurrò ad un certo punto Hester, con gli occhi fissi sulla parete di fronte.

Il fuoco si era spento, ma le braci brillavano ancora nel buio, regalando un fioco senso di sollievo. I barattoli di quella che era stata la loro cena, giacevano vicino le ceneri. Charles voltò la testa verso di lei ed aprì piano gli occhi, riuscendo a distinguere solo i contorni del suo viso.

"Che cos'è che non capiranno?" mormorò a sua volta, per non disturbare Alecto; nonostante non riuscisse a vederla bene a causa dell'oscurità, il suo respiro profondo era segno inequivocabile del fatto che si fosse appena addormentata. Hester si girò verso la ragazza a sua volta, traendo la sua stessa conclusione. Fu forse a causa di quello, che si sentì finalmente libera di rilassare le spalle; un mugolio di sollievo le sfuggì dalle labbra e la donna allungò le gambe davanti a sé, dando sollievo alle articolazioni indolenzite. Non era mai stata così stanca in vita sua.

"Non se n'è accorto, Charles?" domandò a quel punto la donna, con un sospiro lieve. "I draghi non hanno attaccato tutta la Gran Bretagna. Non hanno attaccato nemmeno tutta l'Inghilterra, ma solo alcune zone. Questo non le sembra strano?"

Charles corrugò la fronte, realizzando che Hester aveva ragione. Fu solo a quel punto, che quella cosa gli risultò strana.

"Tu sai perché?" chiese, mantenendo un tono così basso e morbido che anche da sveglia, Alecto avrebbe fatto probabilmente fatica a distinguerne le parole. Hester inumidì le labbra secche con la punta della lingua ed accarezzò la stoffa della gonna con le mani, distrattamente.

"È Albion" rivelò con una sorta di timore ed a quel punto, il buio sembrò vibrare di elettricità. "Durante il passare dei secoli, le mappe con la precisa estensione di Albion sono andate perdute e sono rimasti in pochi a ricordare fin dove arrivassero i suoi effettivi domini".

"E tu sei tra quelle persone" commentò Charles, scoprendo di non esserne poi tanto sorpreso. La donna annuì, un movimento che il ragazzo poté solo intuire.

"A quanto pare, anche i draghi lo sanno - o chi per loro. Stanno distruggendo soltanto Albion e le calamità naturali dei mesi precedenti sono state solo l'inizio. Deve essere per forza così, non posso più credere che siano state una casualità. Non dopo la violenza con cui si sono manifestate".

"Hester, senti... come fai a sapere tutte queste cose? Da quando la nostra casa è stata attaccata, ho come la sensazione di non sapere più chi sei".

Nel buio, Charles scorse il debole bagliore delle braci morenti riflettersi negli occhi verdi della donna, che aveva girato la testa verso di lui. Lei allungò una mano, cercando a tentoni la sua e quando la trovò, la strinse forte. Sembrava combattuta tra il desiderio di parlare e quello di tacere. Charles ricambiò con affetto la sua stretta.

"Si ricorda quando ho ammesso che l'essere diventata governante in casa sua non è stato un caso?" trovò il coraggio di dire ad un certo punto, parlando ancora più piano di prima. Charles dovette avvicinarsi di più, per poterla sentire.

"In realtà, prima della sua nascita, avevo preso in affitto una casa nei pressi della sua per osservare sua madre, Charles. Prima di me l'aveva fatto mia madre e mia madre aveva osservato anche suo nonno. E mia nonna, oltre suo nonno, aveva vegliato sul suo bisnonno".

"Aspetta, fammi capire" la interruppe il ragazzo, che nella testa aveva già dato il via ad un via vai frenetico di pensieri e considerazioni. "Tu hai osservato mia madre e dopo che sono nato, sei rimasta per me. Tua madre ha osservato la mia e mio nonno. E tua nonna ha osservato mio nonno ed il mio bisnonno..." si interruppe, come aspettandosi di essere corretto, ma non avvenne. Allora continuò: "Ti rendi conto di quanto tutto questo suoni... malato?"

"No" rispose Hester, bisbigliando. "È semplicemente compiere il proprio destino. La mia famiglia è a guardia della discendenza Pendragon dai tempi di Camelot, Charles. È stata designata dalle Disir, che lei può conoscere forse con il nome di veggenti. Le donne della mia famiglia, di secolo in secolo, si sono tramandate il compito di vegliare sulla linea di sangue reale, in attesa del ritorno di Re Arthur e dei tempi in cui Albion ne avrebbe avuto più bisogno".

Si zittì all'improvviso e si voltò verso Alecto, ma quella aveva iniziato a respirare pesantemente, come fosse un po' raffreddata. Nell'oscurità della grotta, per un breve istante gli occhi di Hester brillarono di una tonalità dorata: avrebbe dovuto verificare prima di dire certe cose, se Alecto stesse veramente dormendo oppure no; quello che l'incantesimo rivelò, tuttavia, la fece rilassare. Non si trattava di una farsa.

"Di generazione in generazione, anche se il sangue è andato mischiandosi ed il cognome Pendragon è andato perduto" continuò rassicurata, "La famiglia Carrow non è mai venuta meno ai suoi doveri. Stavamo tutte aspettando lei, Charles. Per me è un onore, essere quella a cui è toccato il compito di guidarla verso la salvezza di Albion".

Charles aveva uno sguardo indecifrabile e l'espressione di chi fosse stato appena messo sotto un treno, ma il buio si era intensificato ed Hester non ebbe occasione di notare alcunché; lei gli strinse di nuovo la mano, quando avvertì la sua stretta vacillare.

"È stato un errore da parte mia, quello di entrare a far parte della sua famiglia. Nessuna di noi era mai entrata in contatto con voi sangue reale, ma quando sua madre è morta..." la sua voce si incrinò e Charles avvertì la pelle della mano cedere sotto le unghie di lei, "... non ho potuto farne a meno. Lei era così piccolo, Charles... così piccolo... come avrei potuto...?"

Hester si piegò in avanti e premette una mano sulla bocca con forza, gli occhi verdi inondati dalle lacrime. Attraverso la mano che lo stringeva ancora, Charles la sentì tremare, scossa dai singhiozzi che stava cercando di reprimere in tutti i modi. Avrebbe voluto consolarla, davvero, ma anche lui era umano; era umano e le continue, nuove informazioni che stava ricevendo, sembravano via via renderlo sempre più incapace di reagire con scaltrezza. Rimase lì, avvolto da un buio che gli era infinitamente caro, a lasciarsi stringere la mano dalla donna che l'aveva cresciuto come una madre e che, come la sua famiglia prima di lei, aveva sempre vegliato sulla sua.

Come si supponeva avrebbe dovuto reagire una persona normale a scoperte del genere?

Charles non lo sapeva. Si sentiva spettatore della sua stessa vita, aveva come la sensazione che tutto quello non stesse accadendo davvero a lui. Era assurdo. Ogni cosa era assurda e l'assurdità rendeva la situazione ancora più irreale. Come sarebbe potuto mai scendere a patti con quelle informazioni? Era impossibile. Fece per sottrarsi alla stretta di Hester, ma all'improvviso una forte fitta di dolore gli attraversò la testa e si ritrovò a gemere di dolore senza neanche accorgersene.

La governante si irrigidì immediatamente e mettendo con una facilità disarmante i suoi sentimenti in un cantuccio, si tese verso di lui con espressione tirata.

"Ancora quelle fitte, Charles?" domandò apprensiva.

Il ragazzo annuì, sperando che bastasse quello, perché di parlare proprio non ne aveva voglia; i suoi brevi ma intensi mal di testa erano iniziati nel momento in cui aveva cominciato a fare dei sogni strani, tra cui quell'unico che aveva condiviso con Hester. La donna gli scostò la frangia dalla fronte e gli chiese di raccontare il suo ultimo sogno; Charles fece una smorfia e scacciò il senso di nausea che lo aveva assalito.

"C'era di nuovo lui..." mormorò, tenendo gli occhi chiusi, perché tanto sarebbe stato uguale al tenerli aperti. "Il ragazzo con i capelli scuri e le orecchie a sventola. Lo sogno quasi sempre, è una persecuzione..." sospirò pesantemente, passando le mani sulla faccia sudata. Dentro la grotta faceva un caldo terribile.

"(1)Mi trovavo in una stanza e... ed avevo una spada in mano. Una spada di quelle vere, Hester! E poi è entrato lui e non mi ricordo bene... so solo che abbiamo iniziato a litigare, lui non voleva che facessi una cosa... parlava di dimostrare saggezza, che non c'era più bisogno di coraggio ed io continuavo a dire che no, lui non capiva, io dovevo farlo... dovevo farlo... c'era qualcuno che dovevo affrontare e mi stava aspettando nel cortile... abbiamo continuato a discutere sempre di più e ad un certo punto, quando per la rabbia gli ho puntato la spada alla gola per spaventarlo e farlo smettere di parlare, mi sono svegliato".

Charles tenne le mani sul volto, come a voler allontanare quella sensazione di senso di colpa che non gli apparteneva; non era stato mica lui a puntare contro quel ragazzo la spada alla gola, era stato l'altro, quello del sogno. Perché diavolo doveva sentirsi così? Stropicciò gli occhi con forza e sentì Hester muoversi accanto lui, probabilmente cercando una posizione più comoda.

"Da ciò che la mia famiglia si tramanda riguardo quella dei Pendragon e dalla descrizione che lei mi ha fatto di questo ragazzo, è possibile che si tratti del servo che le ha fatto da valletto. Merlin, era il suo nome. Le dice niente?"

Charles fissò intensamente l'oscurità che gli premeva sulle palpebre.

"No..." si risolse a dire. "Non mi dice niente".

Ed era vero. Sentire quel nome non aveva avuto nessun effetto su di lui. Neanche il minimo. Nonostante questo, era maledettamente certo di aver avuto un trascorso con quel ragazzo, di essere legato a lui da qualcosa di profondo.

"Credo che questo Merlin e... ed il me del sogno, siano stati davvero molto uniti. Lo posso percepire, non so spiegartelo, ma... credo che Merlin fosse il suo migliore amico".

Hester mugugnò un assenso e gli accarezzò il dorso della mano che ancora stava stringendo tra le sue.

"Le è stato accanto fino alla fine, da quanto ne so. E l'ha aiutata in più di un'occasione, con la magia. Anche lui era un mago, sa? Aveva il compito di proteggerla".

A quell'affermazione, Charles si sottrasse bruscamente dal suo tocco.

"Perché avete tutti quanti la fissa di proteggermi? Non sono un ragazzino e non ho alcun potere magico! Non c'è niente che mi renda diverso da un altro Charles qualsiasi, perciò smettila di trattarmi come una sorta di Sacro Graal, Hester, od una mattina potresti svegliarti da sola, ti avverto!"

Il ragazzo si coricò e le diede le spalle, muovendosi a scatti furiosi. "Ne ho abbastanza di diavolerie per oggi, non disturbarmi più! Buona notte".

Hester restò con le mani a mezz'aria, guardando fisso il punto in cui, bene o male, riusciva a scorgere la sagoma scura di Charles; unì le labbra in una linea sottile e morse l'interno della guancia, ricacciando indietro la frustrazione.

"Buona notte" pronunciò debolmente, ma non si sdraiò. Restò seduta, la schiena contro la parete fredda e rocciosa, e fissò l'oscurità appiccicosa ed umida della grotta. Chi lotta contro i mostri deve fare attenzione a non diventare egli stesso un mostro. E se tu riguarderai a lungo in un abisso, anche l'abisso vorrà guardare dentro di te(2), disse qualcuno nella sua testa che aveva la stessa voce di sua madre.










NOTE DELL'AUTORE: un altro lunedì è giunto. Zan zan zaaan. Come sempre, grazie a chi commenta, legge e segue e grazie anche a Mimiwitch perché è una beta fantasmagorica. Le cose si complicano, ma d'altro canto in questo capitolo sono presenti anche delle piccole chiarificazioni... Asfo dà, Asfo nega. È l'equilibrio cosmico ù_ù

Capitolo bello corposo. Se volete, fatemi sapere cosa ne pensate :)



(1) Il sogno descritto da Charles rende fede al nono episodio della prima stagione di Merlin.

(2) Friedrich Nietzsche


Asfo

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Capitolo 8
*** Adesso siamo pari ***


OTTAVO CAPITOLO

8. Adesso siamo pari


Distretto di Bath, 24 luglio 2020

Mattina


"Non possiamo più proseguire a piedi" aveva esordito Hester quella mattina, dopo che ebbero tutti mangiato.

Charles l'aveva guardata come fosse improvvisamente impazzita, ma lei non aveva fatto una piega. "La strada è lunga" si era giustificata, "E noi abbiamo fretta. Correremo i nostri rischi".
Alecto si era alzata in piedi e, dopo essersi stiracchiata, aveva parlato e sbadigliato nello stesso momento: "Dov'è che stiamo andando?" aveva chiesto, stropicciandosi la faccia pallida. Hester aveva arricciato la punta del naso, ma incredibilmente non aveva detto nulla di velenoso.

"Andiamo a sud ovest" aveva risposto, piuttosto vaga.

La seguente domanda, perciò, era stata inevitabile: "Perché proprio a sud ovest?"

Le due donne si erano guardate a lungo e Charles aveva ben pensato di restarne fuori - a dirla tutta, ce l'aveva anche un po' con Hester e non aveva molta voglia di intervenire per aiutarla -.

"Andiamo a sud ovest perché l'ultima volta che ho visto i draghi attaccare Londra, si sono poi allontanati in quella direzione. Adesso sei soddisfatta?" aveva decretato la più anziana, con impazienza e piuttosto burbera.

Alecto aveva taciuto e non aveva fatto più domande. Ovviamente, Hester non aveva potuto né voluto rivelare la verità a quella ragazza; non aveva intenzione di raccontare della spada Excalibur a chicchessia e men che meno rivelare la posizione di quello che sapeva essere, secondo le leggende Carrow, il lago di Avalon.

Solo Charles aveva sollevato l'ultimo dubbio, mentre si avventuravano in un paese vicino alla ricerca di un veicolo: "Le strade sono bloccate, come speri di poter fare più in fretta?" aveva chiesto ed Hester non aveva potuto fare a meno di notare quanto si fosse mostrato rigido nei suoi confronti.

"La qui presente signorina ha espresso il desiderio di rendersi utile, mi sembra" aveva risposto lei, includendo Alecto nella conversazione. "Avrà modo di farlo aiutandoci a sgomberare la strada con la magia".

Qualche ora dopo di certo Alecto non si sarebbe mai aspettata di dover usare la sua magia per liberare la strada da quello che apparve in tutto e per tutto come un enorme topo carnivoro, cieco e senza pelo. Dopo aver rubato una macchina dall'ennesima cittadina devastata dai draghi, non avevano potuto fare più di pochi chilometri, prima di essere bloccati da quell'orrenda creatura. Wildeon(1), lo aveva chiamato Hester.

"Solitamente vivono sottoterra" aveva detto; "Probabilmente la fame l'ha portato ad abbandonare la miniera dove siamo stati attraverso qualche altra uscita".

Avevano dovuto fermare la macchina e la governante, dai sedili di dietro, aveva aggiunto sussurrando appena: "Sono ciechi come le talpe. In compenso ci sentono benissimo ed hanno un olfatto molto sviluppato. Fatemi pensare..."

Mentre Hester pensava, Charles aveva starnutito; non era proprio riuscito a trattenersi, era stata una cosa così improvvisa da lasciare sconvolto lui stesso. Attraverso il finestrino aperto della macchina, il suono del suo starnuto si era propagato come il rombo di un corno che preannunciava l'inizio di una sanguinosa battaglia. Alecto ed Hester gli avevano puntato addosso due facce inequivocabilmente agghiacciate, dopodiché... era stato il panico.

Il Wildeon li aveva caricati come un toro infuriato e Charles aveva appena fatto in tempo a lanciarsi fuori dal finestrino, prima che la macchina fosse travolta dalla ferocia di quel mostro; le altre due si erano gettate fuori dalle portiere dell'auto ed in un breve sprazzo di lucidità, Charles pensò con gratitudine al fatto che avessero scelto di prendere in prestito un veicolo a cinque porte, altrimenti Hester ed Alecto sarebbero state schiacciate contro i sedili posteriori dell'auto.

Il Wildeon si muoveva fiutando la loro paura e senza neanche un minimo di esitazione, si diresse verso Hester con l'intento di mangiarsela; la donna iniziò a correre, ben consapevole di non avere la minima speranza contro quella creatura - la sua magia non era abbastanza potente -, ma il Wildeon aveva una velocità impressionante ed accorciò le distanze con estrema facilità.

Fu a quel punto che Alecto decise di intervenire; le sue iridi celesti ed opache lasciarono spazio ad un'intensa sfumatura dorata ed una scarica luminosa colpì il Wildeon su un fianco, facendolo stridere di dolore. Senza fermare la sua corsa il mostro virò bruscamente, scartando Hester a meno di un metro di distanza e la donna crollò sulle ginocchia tremanti, con il cuore che a forza di batterle furiosamente, stava sicuramente tentando di uscirle fuori dal petto.

Alecto sgranò gli occhi ed all'improvviso si rese conto di quello che aveva fatto: a causa del suo atto di coraggio, la creatura aveva deciso di prendersela proprio con lei. Cercò di pensare velocemente a qualcosa, ad un incantesimo efficace, ma non aveva ancora fatto i conti con la paura: lei non aveva mai utilizzato la magia in contesti del genere e non si era mai trovata a dover affrontare una minaccia come quella, od un combattimento; per la prima volta, capì come dovessero sentirsi quelle persone che, nel bel mezzo di un incendio od un terremoto, dicevano di non riuscire più a muoversi. La sua mente non era allenata ad affrontare il pericolo a sangue freddo ed il primo ad accorgersene fu Charles. Gli bastò un'occhiata per capire che la ragazza era andata nel panico e senza che glie lo avesse nemmeno ordinato, la sua mente si attivò in automatico, lavorando freneticamente alla ricerca di una soluzione veloce. Quando spostò gli occhi su Hester, sembrò trovarla. Tutto si fece chiaro all'improvviso: sapeva che cosa doveva fare.

"HESTER!" gridò, chinandosi a raccogliere un legnetto da terra; la donna si voltò verso di lui con aria smarrita e lo guardò senza capire. "Trasformalo!" urlò ancora, sventolando per aria quella specie di ridicolo bastoncino. "Come hai fatto con il grifone!"

La donna, come rinvigorita dal fatto di sapere finalmente cosa fare per aiutare, si alzò in piedi ed obbedì senza fare domande: come quelli di Alecto avevano già fatto, i suoi occhi assunsero una sfumatura dorata e per magia, Charles si ritrovò a stringere una spada di legno dalle notevoli dimensioni. Il ragazzo neanche la guardò, piuttosto si rivolse alla bionda nel tentativo di scuoterla: "Alecto! Corri! Non stare ferma lì! Corri!"

Le sue parole non sortirono alcun effetto: Alecto si ritrovò con le spalle contro il tronco di un albero e solo gli Dei saprebbero dire come fu in grado di gettarsi a terra, di lato, per schivare il morso del Wildeon. Restò lì, scossa dai brividi, colpita dagli acuminati pezzi di legno che la creatura stava in quel momento spuntando per liberare le sue fauci. L'albero era andato distrutto.

Charles non perse altro tempo: corse alla macchina e la aggirò; usando l'impugnatura della spada, con uno, due, tre colpi, ruppe il vetro posteriore del veicolo, tolse il poggia oggetti e lo gettò a terra; utilizzando le cinghie che penzolavano nel porta bagagli e che sarebbero dovute servire per tenere immobili eventuali valigie, legò la spada in posizione orizzontale, affinché la punta volgesse all'esterno della macchina.

Il Wildeon raschiò le zampe per terra e, contraendo il muso, annusò l'aria. Ci mise meno di un minuto per individuare Alecto, ma l'immobilità della ragazza lo costrinse ad andare a tentoni; nel tentativo di scovare la sua preda, la creatura si abbassò sulle zampe e quasi si sdraiò su di lei. Alecto premette le mani sulla bocca, cercando di non gridare, ma dovette fare violenza su se stessa per utilizzare tutto lo scarso autocontrollo di cui disponeva. Adocchiando al volo la scena, Charles capì che era il momento di intervenire: salì in macchina e girando la chiave nel quadro, spinse la frizione per mettere la retromarcia; diede gas a più non posso, abbracciò il sedile del passeggerò e si voltò all'indietro, facendo compiere alla macchina una vertiginosa inversione ad U.

Indirizzò così l'estremità appuntita della spada verso il fianco del mostro, semi sdraiato su Alecto: a quel punto, premette completamente il piede sull'acceleratore e diede fondo a tutta la potenza del motore. Il Wildeon fu brevemente distratto da quel rombo improvviso che si avvicinava sempre più, ma quando si ritrovò sotto il naso l'odore di Alecto, la fame ebbe la meglio su qualsiasi altro istinto di sopravvivenza ed il roditore gigante assecondò il suo stomaco: con un ruggito spalancò le fauci e le zanne ricoperte di saliva brillarono minacciosamente agli occhi della povera Alecto; lei chiuse le palpebre, non avendo il coraggio di vedere come sarebbe andata a finire e dopo quella che le parve un'eternità - o forse una frazione di secondo -, venne completamente investita da un liquido vischioso e caldo come l'inferno.

Un odore forte ed acido le violentò l'olfatto e si ritrovò ad annaspare in cerca di ossigeno pulito. Rabbrividendo per un profondo senso di disgusto, rotolò di lato e si trascinò sul prato secco che costeggiava l'asfalto; all'ennesima boccata di aria, non riuscì a ricacciare indietro dei forti conati di vomito, che vennero coperti dagli strazianti lamenti di una bestia morente. Sentì qualcuno pronunciare delle parole, ma non riuscì a capire un accidente: provò soltanto un'immensa ed incommensurabile gratitudine quando avvertì una mano sulla fronte, a reggerle la testa.

Quando ebbe finito di rimettere anche l'anima, rimase inginocchiata per terra, totalmente esausta; alzò le mani per ripulire gli occhi dal liquido viscoso che andava asciugandolesi addosso e scorse le facce preoccupate di Hester e Charles che torreggiavano su di lei - sì, anche la bisbetica sembrava mostrare una certa apprensione, il che aveva dell'incredibile.

"Sono viva..." mormorò, sentendosi quasi costretta a dirlo per poterci credere davvero.

Hester strinse le labbra in una linea sottile e Charles annuì. Alecto si voltò verso il punto in cui stava per essere divorata dalla bestia e la ritrovò riversa a terra, con la punta della spada conficcata nel fianco - dal quale ancora sgorgava copioso il sangue - e la macchina praticamente parcheggiata contro di lei; Charles aveva sfruttato la velocità dell'auto per infilzare quel mostro come uno spiedino. Ancora sotto shock per tutto quello che era successo, tornò a guardare il ragazzo biondo inginocchiato accanto a lei.

"Adesso siamo pari" le disse lui, con un sorriso tra i più luminosi.

Ad Alecto venne in mente il giorno in cui l'aveva salvato dal grifone e pensò che avesse proprio ragione.


*


Inghilterra, 24 luglio 2020

Tarda mattina


Non è mai successo prima, pensò Emrys, osservando il suo alter ego versione adulta inchiodato alla poltrona come un condannato. E lo era. Era condannato a non rivedere mai più il mondo, a non calpestare più alcun suolo. Adesso che c'era lui, non avrebbe mai permesso all'altro di soffocarlo nuovamente, di relegarlo ancora in un punto così remoto del suo cuore da essere dimenticato pure dagli Dei.

Ma perché si agitava così? Emrys guardò ancora il modo febbrile in cui gli occhi di Merlin si muovevano a scatti sotto le palpebre chiuse; le dita affusolate delle mani si contraevano e rilassavano ad intervalli irregolari, ma vicini, ed in certi momenti le sue spalle erano scosse da tremiti talmente intensi da far gemere i rami che lo costringevano contro la poltrona. Il bambino si avvicinò all'altra parte di sé con cautela, studiandone ogni sfaccettatura con morbosa curiosità; quando gli fu praticamente davanti, sollevando le gambe si arrampicò su Merlin, mettendosi seduto a cavalcioni su di lui. Alzò le manine bianche e morbide, poggiandole sulle guance del dormiente e si avvicinò talmente tanto che le punte dei loro nasi si sfiorarono. Gli occhi di Emrys parvero ancora più grandi ed infantili.

"Che succede?" domandò a bassa voce, facendo saettare lo sguardo su tutto il viso del se stesso adulto.

"Che succede?" ripeté subito dopo, nonostante sapesse che non avrebbe avuto alcuna risposta. Emrys restò a fissarlo per un tempo che parve infinito e poi, poco a poco, le sue unghie si affossarono sempre più nella pelle del viso di Merlin, fino a creare dei solchi.

"Dimmelo" mormorò; "Si tratta di lui?"

Merlin si agitò ancora, ma Emrys rimase ancorato a lui, come incollato.

"Si tratta di Arthur Pendragon?" chiese piuttosto diretto, mentre le guance di Merlin venivano macchiate da alcuni rivoli di sangue, lì dove le unghie del bambino stavano scavando nella carni; il dormiente, neanche fosse stato sedato, si rilassò completamente non appena quel nome fu pronunciato.

Tornò a respirare con regolarità e gli occhi non si mossero più, le palpebre smisero di tremare; Emrys sgranò gli occhi, studiando l'effetto immediato e disarmante che il solo sentir pronunciare il nome di Arthur Pendragon aveva avuto sull'altra parte di sé e restò immobile per un minuto intero. Ad un certo punto, la consapevolezza di quello che era appena successo si insinuò talmente a fondo nella sua mente da fargli perdere il controllo: unì le labbra fino a farle diventare un'unica linea sottile, i suoi occhi dorati brillarono ancora più intensamente, dominati da una crescente furia indescrivibile ed i lineamenti infantili del suo viso si deformarono, sino a creare il volto di un demonio mangiato da una gelida e violenta rabbia.

Emrys tracciò con le unghie dei lunghi graffi sul viso di Merlin, quattro per guancia, e quelli iniziarono a sanguinare copiosamente, imbrattando tutto il collo del ragazzo, i rami che lo tenevano prigioniero ed il colletto della maglia che indossava; dalle labbra del giovane non sfuggì un singolo gemito di sofferenza, ma il grido che Emrys fece vibrare nell'aria, iniziato come un ronzio ma fattosi via via sempre più forte ed incontenibile, causò l'istantaneo annuvolarsi del cielo. Il potente rombo di un tuono fece tremare i muri della malandata dimora ed a quel punto Emrys si allontanò di scatto dall'altro, non senza prima averlo schiaffeggiato con tutta la forza di cui disponeva.

Arthur Pendragon era tornato, finalmente ne aveva la certezza.

Arthur Pendragon era tornato e se quell'altro si era agitato così, voleva dire che era anche vicino.

"Come osi" sibilò malevolo il bambino, fissando il giovane con intenso odio; "Come osi anche solo sperare? Io lo ucciderò!" gridò, tremando da capo a piedi e stringendo i pugni.

Un lampo improvviso rese i tratti del suo volto spettrali e disumani.

"Lo ucciderò!" urlò ancora, scatenando l'inferno: iniziò a grandinare con una violenza inaudita, i tuoni sempre più forti squarciavano il cielo a metà. "E quando sarà morto ti porterò la sua testa! La metterò proprio lì, vicino a te ed a quel punto capirai che non esisterà più nessuno capace di rispedirmi indietro! Hai capito? NESSUNO!"

La sua voce si spense di colpo. Rimase lì in piedi, rigido come una statua; la furia che l'invadeva lo portava a contrarre i muscoli del volto e delle mani.

Merlin sembrava non aver udito neanche una parola di quel che il bambino gli aveva vomitato contro; era rimasto inerte, abbandonato contro la poltrona, con il sangue denso e scuro che spiccava in modo ironicamente macabro sulla sua carnagione pallida, sulle ossa degli zigomi alti e scarni; le scie rosse avevano disegnato sul suo viso e sul collo figure grottesche.

Quando Emrys tornò a parlare, lo fece con un tono basso e controllato, vibrante di promesse e di minacce: "Non ci sarà nessun Arthur Pendragon che sarà in grado di salvarti da me, Merlin. Questo è il mio tempo. Il tempo più oscuro della magia stessa".


*


Distretto di Bath, 24 luglio 2020

Pomeriggio


Charles fissò la macchina senza vederla davvero. Se ne stava appoggiato contro lo steccato di legno che circondava il giardino di una piccola villetta, le braccia incrociate sul petto ed un cipiglio pensieroso. Avevano dovuto raggiungere a piedi la città più vicina, dopo l'incidente con il Wildeon, e per la seconda volta in un giorno solo aveva preso in prestito un'altra macchina; Hester, cullata dall'andamento ritmico e calmante del veicolo, aveva quasi subito ceduto al sonno e nonostante si fossero fermati nuovamente, era ancora addormentata sui sedili posteriori.

Alecto l'aveva praticamente pregato di fare una sosta vicino qualche abitazione, perché avere quella roba appiccicosa e puzzolente tutta incollata addosso, era troppo da sopportare per chiunque. Charles l'aveva assecondata, non solo perché l'odore nauseabondo del sangue del Widleon gli faceva in effetti girare la testa, ma perché la prospettiva di poter riuscire a farsi una doccia l'aveva sedotto con estrema facilità. Passò le dita attraverso i capelli ancora umidi; aveva indosso dei vestiti puliti, anche se un po' troppo larghi: il vantaggio di potersi intrufolare in case disabitate e comportarsi come da padroni.

Lanciò un'occhiata verso la porta dell'abitazione, domandandosi distrattamente se Alecto stesse bene. Spero non sia svenuta nella doccia, non aveva una bella cera pensò, scacciando il pensiero subito dopo: non era il caso di fasciarsi la testa prima di sbatterla; guardò l'orologio che portava al polso e decise che l'avrebbe aspettata altri dieci minuti, prima di andare a controllare. Tornò a fissare la macchina parcheggiata davanti a sé ed i suoi pensieri presero il via.

Io sarei un Re, constatò, senza fare una piega. Anzi, sarei IL Re aggiunse, corrugando la fronte. Non aveva il coraggio di dirlo ad alta voce, quell'assurdità suonava troppo da... da manicomio, per i suoi gusti. E non era che si fosse già convinto della cosa, ad essere onesti; stava ancora aspettando che Hester gli mostrasse la prova finale, quella inconfutabile, quella di cui non avrebbe potuto negare l'esistenza neanche in punto di morte.

Cosa avrebbe fatto a quel punto? Cosa sarebbe venuto dopo la certezza, dopo la scoperta, dopo l'aver ritrovato se stesso?

Forse, la domanda più giusta da porsi era: che cosa si aspettava? Desiderava davvero che quel viaggio confermasse le parole di Hester... o che le smentisse? E se le avesse confermate, quali cambiamenti avrebbe dovuto affrontare? Voleva farlo? Era davvero disposto ad entrare in territori inesplorati? D'altra parte, dopo tutto quello che aveva visto, non sarebbe riuscito a tornare indietro neanche se l'avesse voluto... il suo mondo era stato sconvolto con l'entrata in scena di variabili che aveva visto esistere soltanto nei videogiochi. E quindi? Anche se fosse stato vero, anche se lui era per davvero Re Arthur, non poteva smettere di essere Charles. Non voleva perdere il sé attuale! Cosa sarebbe successo se la prova verso la quale Hester lo stava conducendo gli avrebbe impedito di riconoscersi? O di ricordare chi era?

Sospirò pesantemente, gli occhi spalancati, ma persi nei meandri delle proprie paure, fissi su un punto indefinito. Perché continuava a sognare il ragazzo con le orecchie a sventola?
Oramai, ogni volta che chiudeva gli occhi lo vedeva. Si vedeva insieme a lui in un castello, in mezzo ad una foresta, nel bel mezzo di una lotta oppure seduti vicino ad un fuoco, a scambiarsi confidenze che l'avevano fatto arrossire, perché aveva quasi potuto sentire sulle labbra un certo sapore di intimità. Si sentiva uno spione, provava il senso di colpa di chi assiste ad una scena privata senza averne il minimo diritto. Eppure, una parte di lui di cui non avrebbe mai ammesso l'esistenza, si rifiutava di guardare altrove; beveva quelle scene come un assetato avrebbe fatto con dell'acqua fresca e pura, anelava a scoprire tutte le sfaccettature di quello strano rapporto di amicizia che c'era stato tra il sé Re e quel ragazzetto dall'aria un po' malinconica, si lasciava sedurre dalla curiosità e da ciò che doveva aver vissuto in un'altra vita. Sapeva di non dover essere lì, ma
voleva essere lì.

Era quello, a farlo sentire in colpa. Charles ed Arthur, due esseri distinti che forse, volevano la stessa cosa. Perché il sé del sogno sembrava tenere così tanto, in modo tutto suo, a quel Merlin - così l'aveva chiamato Hester -? Cos'aveva avuto di così speciale? Quel qualcosa, qualsiasi cosa fosse stato, pareva avere un certo ascendente anche su di lui. Ogni volta che sognava Merlin, provava come la sensazione di aver finalmente trovato ciò che aveva cercato da tutta una vita.

Eppure, non l'aveva nemmeno mai conosciuto. Com'era possibile?

"A cosa pensi?" domandò all'improvviso qualcuno, proprio accanto a lui.

Chiuse ripetutamente le palpebre, riprendendo contatto con la realtà e quando si voltò, incrociò gli occhi acquosi di Alecto, il viso incorniciato dai lunghi capelli biondissimi, in quel momento più scuri del normale perché bagnati. La ragazza arcuò le sopracciglia davanti la sua faccia perplessa e fece un piccolo passo indietro, come a volersi togliere da sola la confidenza che si era presa. Charles finalmente scrollò le spalle e scosse brevemente la testa.

"A niente" rispose, piuttosto vago. "Come mai ci hai messo tutto questo tempo?" domandò di seguito, cercando di sviare il discorso da sé. Alecto lo guardò come fosse impazzito.

"Hai idea di che cosa voglia dire cercare di togliersi tutta quella roba appiccicosa di dosso? È stato come essere immersi in un barattolo di miele andato a male... avrei voluto vedere te!"

Charles si ritrovò a ridacchiare. Era una ragazza stramba, quell'Alecto... ma gli sembrava un tipo a posto.

"Senti un po'..." iniziò, spinto da una legittima curiosità; "Ma i tuoi sono d'accordo con il fatto che te ne vai gironzolando per l'Inghilterra tutta sola, con i draghi in giro?"

"Perché, tu hai chiesto il permesso a mamma e papà, prima di fare la stessa identica cosa?" domandò per contro la ragazza, accompagnando le parole con uno sguardo ironico.

Charles inarcò le sopracciglia ed un sorrisetto beffardo gli piegò le labbra.

"No, però mi sono portato dietro la balia" commentò sarcastico, indicando con il pollice la macchina nella quale Hester dormiva della grossa. Alecto sembrò non avere nulla da ridire e sospirò.

"Non ho un buon rapporto con la mia famiglia" biascicò semplicemente.

Charles annuì e si limitò a guardarla, senza fare altre domande; gli sarebbe piaciuto sapere di più, ma non le avrebbe fatto alcuna pressione. Poteva quasi percepire sulla pelle il suo disagio. Lei spostò il peso del corpo da una gamba all'altra e sorrise con sarcasmo, senza nessun motivo apparente.

"Diciamo che mia madre avrebbe preferito portarmi da un esorcista, piuttosto che alle cene con i parenti durante le feste comandate" aggiunse con simulata leggerezza, stringendosi poi nelle spalle. "Mi dispiace" mormorò lui dopo qualche secondo, osservando il volto di Alecto come se al di sotto vi fossero celati più segreti di quanti avrebbe potuto immaginare.

Per la prima volta, prese in considerazione l'eventualità che forse tutto quello che pensava di aver capito di lei, fosse soltanto un grosso fraintendimento. Su quali basi aveva tratto delle conclusioni sul conto di quella ragazza? Lui non aveva delle basi che la riguardavano, non le aveva affatto. Cosa glie la faceva sembrare una tipa a posto?

Alecto lo guardò di sottecchi, come stesse valutando la natura di quel mi dispiace. Era stato detto per circostanza? Di solito accadeva così.

"Già" si ritrovò comunque a rispondere, senza dare troppo peso a quello che aveva detto. "Suppongo che nessuno possa dire di avere una famiglia perfetta."

"Già" le fece eco Charles, sentendosi improvvisamente un po' sciocco. Cosa avrebbe dovuto dire, a quel punto? Ci pensò un po' su, poi sembrò decidersi.

"Fortuna vuole che, in qualità di figli, possiamo sempre imparare dagli errori dei nostri genitori. Possiamo scegliere di non diventare come loro, giusto?"

Alecto lo guardò con aria spaesata, come l'avesse colta totalmente di sorpresa. Trascorse qualche attimo di silenzio, che si concluse con un "Giusto" pronunciato da un'Alecto quasi senza fiato. Quelle parole l'avevano lasciata interdetta. Charles le sorrise e con un'amichevole pacca sulla spalla, la precedette verso la macchina. Lei lo seguì poco dopo.











NOTE DELL'AUTORE: buon inizio settimana! Reduce da 17 ore di lavoro filate, mi accingo a lasciarvi questo capitolo, prima di svenire a comando sulla prima superficie orizzontale disponibile che troverò. Scopriamo ancora un po' il passato di Alecto che, vi piaccia o meno, è un personaggio attivo, in questa storia. Vi anticipo che nel nono accadrà finalmente qualcosa di concreto ed interessante.


(1): Wildeon: enorme topo carnivoro, nudo e cieco. Descrizione ripresa direttamente da Merlinwiki.


Au Revoir,

Zia Asfo.


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Capitolo 9
*** Excalibur ***


NONO CAPITOLO

9. Excalibur


Glastonbury, Pressi Lago di Avalon, 25 Luglio 2020

Poco dopo l'alba


"FERMATI!"
Alecto cercò di aumentare la sua velocità, incurante dei rami che le graffiavano il viso e delle radici che, più di una volta, l'avevano quasi fatta cadere. La cosa importante era mantenere gli occhi puntati sul bastardo che stava scappando con il
suo zaino sulle spalle - lo stesso che le era stato rubato a Londra. Strinse i denti perché i polmoni le bruciavano come l'inferno, ma non poteva fermarsi proprio adesso: anche il fuggitivo sembrava iniziare ad accusare un certo grado di stanchezza e se solo avesse rallentato ancora un po', forse avrebbe potuto trovare il modo di usare la magia e fargli così passare la voglia di rubare le cose altrui.

"È MIO!" gridò l'uomo, leccando velocemente le labbra con una certa golosità.

Alecto ringhiò per la frustrazione, ma non avrebbe saputo dire se fu la rabbia che riuscì a farla correre più velocemente oppure se fu il ladro a perdere terreno; eppure, quando gli fu a circa due metri di distanza, il tipo si voltò così velocemente che per lei fu impossibile frenare. Si schiantò su di lui con una forza inaudita dovuta alla corsa folle ed entrambi caddero sul terreno irregolare del bosco, in un groviglio di braccia e gambe.

Come in un terribile déjà-vu che Alecto avrebbe fatto volentieri a meno di rivivere, riuscì ad aprire gli occhi in tempo per vedere qualcosa di grigiastro che la colpì forte sulla tempia, facendole perdere i sensi.

Sembrava che quel goblin riuscisse piuttosto bene in quel genere di cose.


*


Glastonbury, Lago di Avalon, 25 Luglio 2020

Qualche minuto prima, alba


Charles fu costretto a fermare la macchina sul ciglio della strada; la vegetazione che circondava il lago, che aveva intravisto attraverso alcuni alberi, gli impedì di avvicinarsi più di così. Spense il motore e scambiò uno sguardo con le altre due, entrambe sveglie e piuttosto pallide a causa della stanchezza.

"Perché ci siamo fermati?" domandò Alecto, che non aveva idea del reale motivo per il quale si trovassero lì.

Charles guardò Hester, che come sempre intervenne a salvare la situazione.

"C'è un isolotto al centro di questo lago. Potrebbe essere un buon nascondiglio per i draghi, non ci va mai nessuno".

"Certo che non ci va mai nessuno" rispose la ragazza, corrugando la fronte; "L'isola è circondata da mulinelli che risucchierebbero giù anche una nave da crociera! C'era scritto su un cartello lungo la strada, non l'hai visto? Come speri di arrivare sino a lì per controllare se le tue supposizioni sono esatte?"

Hester sorrise come se dovesse avere a che fare con una bambina un po' tarda.

"Fortuna vuole che noi abbiamo la magia" fu la secca replica, che onestamente aveva anche del senso logico.

Alecto unì le labbra, ma non disse più una parola; aprì lo sportello della macchina e scese, beandosi per degli idilliaci istanti dell'aria fresca del mattino, quando ancora l'umidità non cercava di squagliare la pelle. Charles la imitò subito dopo e si guardò intorno con aria spaesata: Hester gli aveva detto dove dirigersi, ma non aveva rivelato il perché, né cosa lui avrebbe dovuto fare, anche se poteva immaginarlo: la Diamar aveva parlato della spada di Excalibur e forse in tutta quella storia, quell'isolotto c'entrava qualcosa; si girò a guardarla, notando che quella si era già mossa e si accorse così che aveva abbandonato la strada per avvicinarsi al limitare della vegetazione.

Charles intascò le chiavi della macchina e passando accanto ad Alecto, le diede una debole gomitata per attirare la sua attenzione, poi si diressero entrambi verso la governante. Hester non li aspettò nemmeno, prima di immergersi tra gli alberi a passo sicuro, con la luce del giorno che via via andava lentamente scacciando il grigiore caratteristico del momento che intercorre tra la fine della notte e l'inizio del mattino.

Solitamente ci sarebbero volute solo poche ore per raggiungere il punto in cui si trovavano, ma avevano trovato più volte la strada bloccata dai detriti e questo li aveva rallentati moltissimo - senza contare il fatto che Hester l'aveva costretto a viaggiare a fari spenti per paura che i draghi li potessero notare e la luce della luna non poteva dirsi di certo il massimo, in fatto di illuminazione.

Alecto chiudeva la fila e Charles si perse ad ascoltare lo spezzarsi dei piccoli rametti che cedevano al loro passaggio. Quando sbucarono fuori la vegetazione, Hester si fermò nei pressi della riva fangosa con le braccia abbandonate lungo i fianchi e fissò l'isolotto: pareva talmente assorta nei suoi pensieri che probabilmente non si accorse nemmeno di Charles, nel momento in cui lui la affiancò; il ragazzo la guardò per l'ennesima volta con una sorta di aspettativa dipinta sul volto ed Alecto rimase a ciondolare poco dietro di loro, calciando senza molta convinzione dei piccoli sassolini.

Alecto.

Alecto era un problema, pensò Hester, la quale non aveva intenzione di recuperare Excalibur proprio davanti a lei. Doveva trovare un modo per farla allontanare. Finalmente prestò attenzione al suo pupillo, che sembrava cercare di chiederle con lo sguardo 'e adesso che facciamo? Non si può davanti a lei!'

Per una frazione di secondo, la donna ebbe l'impulso di dire 'glie lo avevo detto!', ma non avrebbe saputo mai capire quale miracolo la portò a trattenersi. Aveva saputo sin dall'inizio che quella ragazza avrebbe solo costituito un ostacolo, anziché un aiuto. Restarono a guardarsi per degli attimi piuttosto lunghi, almeno finché Alecto non li interruppe con un tono un po' spazientito.

"Allora?" proruppe. "Qual è il piano? Fissare il lago finché l'isola non deciderà di avvicinarsi?"

Hester fece una smorfia e si girò a guardarla con tutta l'intenzione di risponderle per le rime, ma un fruscio proveniente dalla vegetazione catturò l'attenzione del trio; qualche metro più in là rispetto al punto dove erano usciti loro, le foglie si mossero ancora. Charles si irrigidì immediatamente e, come avesse ricevuto un comando diretto, il suo cuore iniziò immediatamente a pompare adrenalina nel sangue. Alecto indietreggiò sino ad accostarsi a loro, poi rimasero tutti in attesa.

Qualche secondo dopo la testa arruffata di un uomo sulla trentina, dai capelli castani, fuoriuscì da dietro il tronco di un albero; sembrò non essere consapevole della loro presenza, almeno questo sino a quando, facendo per costeggiare la riva, i suoi occhi non si imbatterono direttamente con quelli del trio. Alecto corrugò la fronte, avvertendo qualcosa di strano nell'aria. Lo sguardo del misterioso uomo si fermò su di lei più a lungo che su gli altri, in un modo che sembrava confermare le intuizioni della giovane. Nessuno disse niente per tutta la durata di quello studio reciproco e poi, all'improvviso, il tipo si voltò velocemente: con un invidiabile scatto iniziò a correre come avesse la peste alle calcagna, ripercorrendo i suoi stessi passi. Fu a quel punto che Alecto lo vide: sulle spalle, l'uomo castano indossava il suo zaino - quello che le era stato rubato a Londra!

Senza pensarci su una seconda volta, scattò immediatamente all'inseguimento dell'uomo, ruggendo un "ASPETTA!" che ovviamente non servì a niente. Non pensò nemmeno che, agendo senza riflettere, avrebbe dovuto dare una spiegazione del suo comportamento a Charles e ad Hester, ma la sua mente fu occupata da un unico pensiero fisso: recuperare lo zaino e sperare che dentro vi fossero ancora il Triskelion e l'uovo che aveva trovato.

Charles sgranò gli occhi nel vederla partire così in quarta e divenne ancora più teso.

"ALECTO!" gridò, facendo per correrle dietro, però Hester lo trattenne con forza per un braccio e lui si girò a guardarla con aria interrogativa. La donna scosse la testa.

"Cosa spera di fare?" lo interrogò, cercando di risultare ragionevole; "Recuperiamo la spada, come prima cosa. Approfittiamo di questo momento e poi, con quella, lei potrà essere sicuramente più utile di così per quella ragazzina. Non possiamo più rischiare di andarcene a zonzo disarmati".

Charles strinse i denti, irrigidendo così la mascella; non si mosse subito, alternando bensì lo sguardo dalla sua governante al punto in cui Alecto era stata inghiottita dalla vegetazione. Hester poteva quasi vederlo fremere per la voglia di fare la cosa più logica - più giusta. Conosceva bene quel ragazzo e sapeva che nella sua coscienza la lista delle priorità era settata piuttosto diversamente dalla sua: fosse stato per lui, la spada sarebbe venuta al secondo posto. Charles inspirò profondamente, aprendo e chiudendo i pugni più volte e poi, con evidente difficoltà, voltò le spalle alla schiera di alberi per fissare le acque calme e grigiastre del lago, lo sguardo arrabbiato ed impaziente.

"Allora?" sbottò, il nervosismo che gli si cuciva addosso di minuto in minuto. "Cosa devo fare?"

Hester abbassò brevemente gli occhi e poi li riportò su di lui, ma mantenne il mento vicino al collo. "Non lo so" ammise, con aria colpevole. In qualità di guardiana, considerava una pecca terribile essere all'oscuro di quel genere di cose e, anche se non era effettivamente colpa sua, non poteva fare a meno di rimproverarsi. Se avesse fatto più ricerche, se avesse fatto più domande, se fosse stata più intuitiva, se, se, se...

Charles sembrò del tutto ignaro di quello sguardo che chiedeva implicitamente perdono; la donna si sarebbe aspettata come minimo un insulto o una faccia allibita, ma tutto quello che il biondo fece, fu marciare a passo spedito verso l'acqua, entrandoci dentro senza la minima esitazione - anzi, pareva volerla calpestare. Hester sgranò gli occhi, non sapendo che cosa pensare di quella sua iniziativa e restò a fissarlo completamente interdetta.

Charles?

"Charles!" disse ad alta voce, dopo averlo pensato. Mentre lei faceva qualche passo incerto sulla riva, il diretto interessato continuò a marciare pieno di determinazione, fendendo quell'acqua illuminata appena dal pallido sole sorgente; aveva le scarpe ed i pantaloni fradici ed essendo immerso praticamente fino alla vita, presto la maglietta avrebbe fatto la stessa fine. Quando l'acqua superò l'ombelico, alzò le braccia, tenendole ad altezza spalle e la sua avanzata fu rallentata appena dalla forza che l'acqua oppose contro il suo corpo; sotto la suola delle scarpe, poteva sentire il terreno irregolare costellato da massi, a tratti scivolosi a causa delle alghe.

Ma non fu a causa di quelle, che finì all'improvviso sotto la superficie dell'acqua.

Anche se la logica avrebbe potuto far intendere che fosse scivolato, in realtà quello che accadde fu totalmente diverso. Il lago lo risucchiò verso il fondo, come se una forza invisibile lo avesse afferrato per la caviglia con una presa degna di una tenaglia. Charles ebbe solo il tempo di sgranare gli occhi, poi il suo grido si perse tra le bolle d'aria e l'acqua fresca, che lo avvolse sin sopra i capelli. Completamente sommerso, scalciò e si divincolò come una furia, terrorizzato dalla vista della superficie che si allontanava da lui sin troppo velocemente.

Ciò che lo teneva per la caviglia lo trascinò giù, sempre più giù, fino a farlo giungere sul fondo del lago, dopodiché la pressione scomparve. Quando Charles fu libero di muoversi nuovamente a suo piacimento, come prima cosa cercò di nuotare verso l'alto; il cuore galoppava nel suo petto ad un ritmo insostenibile, i polmoni gli bruciavano per mancanza di quell'ossigeno che non aveva nemmeno fatto in tempo a prendere e, nonostante muovesse le braccia e le gambe con quanta più energia possibile, la superficie luminosa sembrava non avvicinarsi neanche di un metro.

Non ce l'avrebbe mai fatta. Sarebbe morto lì sotto, dove nessuno avrebbe mai trovato il suo corpo e non sapeva nemmeno perché gli fosse toccata una sorte così indegna.

Mentre la speranza scappava da lui a gambe levate, un debole luccichio attirò la sua attenzione. Voltò la testa verso un gruppo di alghe ondeggianti ed attraverso il loro movimento sinuoso, a tratti poté scorgere di nuovo lo stesso bagliore. Oramai già arrendevole all'inerzia, si aggrappò ai massi del fondale per trascinare il suo corpo in quella direzione e non gli venne neanche in mente di chiedersi come mai, ad una tale profondità, ci vedesse così bene. Quando scostò le alghe con la mano, riuscendo persino a provare una sorta di disgusto a contatto con il loro viscidume, per poco non si lasciò sfuggire dalle labbra quel poco di fiato che gli era rimasto.

Era lì, proprio davanti a lui!

C'era una spada sul fondale, circondata da una lieve luminescenza dorata e, se ancora la mancanza di ossigeno al cervello non gli stava causando delle allucinazioni, se ne stava lì incastonata come stesse soltanto aspettando qualcuno che la estraesse dal terreno melmoso!

La afferrò, ancora prima di rendersi conto di ciò che stava facendo. Quando la sua mano si chiuse attorno all'elsa, un'intensa scarica elettrica lo attraversò lungo tutto il braccio, sino ad arrivare alla testa, che si spaccò a metà - doveva essere per forza così, il dolore fu insopportabile. Charles gridò di un grido muto e poi, il mondo si spense.

Nel buio che premeva contro i suoi occhi divenuti improvvisamente ciechi, si aprì per lui un mondo tutto nuovo.

O forse no?

No, lui... lui conosceva quel mondo. Quello era il Castello di Camelot, oltre il cortile interno si accedeva all'area esterna che portava all'arena, si potevano poi raggiungere l'armeria e le stalle. E poi... certo, da quella parte c'erano le cucine, su per la scalinata ed oltre il grande portone invece si trovava l'androne principale e sotto, al livello inferiore, c'erano le segrete. A sinistra invece, sì! A sinistra c'era il corridoio che portava agli appartamenti di Gaius e a destra c'erano le stanze dei servitori. E poi su, su per le scale interne, verso il primo piano... la camera di Morgana... Morgana... Oh Dio, come aveva potuto dimenticare Morgana? Come aveva potuto non ricordare più il volto di colei che per lui era stata una dannazione - prima piacevole e poi angosciante? E Gwen.

Gwen.

Dov'era la sua Gwen? Corse, Re Arthur corse fino alle sue stanze, le stanze che poi aveva iniziato a condividere con quella che era stata sua moglie, l'amore della sua vita, il suo cuore... Gwen, sono stato io? Davvero sono stato io, a permettere che ti cancellassero dalla mia mente - dai miei occhi? Gwen!

Sua Maestà spalancò la porta con foga e si catapultò all'interno con il cuore che batteva all'impazzata per l'emozione ed il rimorso e l'angoscia e la gioia; varcò la soglia delle sue stanze guidato da un impeto furioso e lì, ad aspettarlo, c'era davvero qualcuno. Ma non era Gwen.

In piedi, stagliato con la schiena rivolta verso la finestra, reso ancora più sottile dalla luce che entrava dietro le sue spalle, c'era lui. Il suo servitore, il suo confidente, il suo consigliere, la sua coscienza, il suo migliore amico. C'era Merlin.

Il cuore di Arthur fece una capriola spaventosa, crollò giù verso le ginocchia e nel tornare su, rimase incastrato all'altezza dello stomaco. Merlin lo guardava, lo guardava con quei suoi occhi blu - oh, blu, così blu! -, che l'avevano sempre costretto a mettersi in discussione e gli sorrideva. Arthur restò fermo poco oltre la soglia, incerto sulle sue stesse gambe, gli occhi sgranati e le labbra dischiuse. Nel tumulto di emozioni che lo stordì quasi a livello fisico, un solo pensiero riuscì ad affiorare sugli altri, limpido come l'acqua di un ruscello: Gwen non c'era, ma in realtà era lui che aveva voluto veramente vedere. Lo seppe nell'istante in cui lo vide, nell'istante in cui la quiete si appropriò della sua mente agitata.

In quel momento, nulla aveva importanza. Non importava che lui fosse un Re, non importava che Merlin fosse un servitore, non importava che lui fosse un uomo - e Merlin pure. Arthur si mosse e quando lo fece, fu soltanto per andare a toccarlo. Voleva toccarlo. Il bisogno che aveva di sentirlo reale, vero, sotto le sue mani, era persino doloroso - il bisogno di un disperato. Allungò con decisione le dita verso di lui e nel momento in cui fu sul punto di toccarlo, la sua testa emerse di nuovo fuori dalle acque del lago e poté finalmente prendere un bel respiro profondo.

Charles tossì e sputò fuori l'acqua dalla bocca. Agitò le braccia per restare a galla e quando trovò qualche difficoltà nel farlo, scoprì di avere tra le dita la spada di Excalibur. Nel pieno di una confusione mentale devastante, udì la voce di una donna squarciare l'aria con potenza inaudita: qualcuno gridava il suo nome.

Quando voltò la testa verso la riva, vide Hester già immersa nell'acqua fino a quasi la vita: nel momento in cui l'aveva visto sparire all'improvviso sotto la superficie del lago, si era spaventata maledettamente a morte ed era entrata subito in acqua con tutte le intenzioni di andarlo a recuperare - a costo della sua stessa vita. Charles nuotò verso di lei come un automa; diede il comando alle sue braccia ed alle sue gambe di muoversi, di raggiungere Hester, ma si sentiva estraneo a se stesso.

Ricordava tutto. Ogni singola, piccola cosa. Era vero... era sempre stato vero.

Neanche un minuto dopo, Hester fu in grado di tirarselo vicino come una madre in preda all'isteria e non gli lasciò nemmeno il tempo di parlare; iniziò subito a guardare il suo viso, a toccargli la testa, ad alzargli le braccia e chi se ne fregava di Excalibur! Con un groppo pesante come un macigno incastrato nella gola, Hester lo esaminava ed intanto pregava, implorava che fosse tutto intero. E Charles, fisicamente, lo era.

Quando gli occhi verdi della donna, soddisfatti di quello che avevano visto, corsero finalmente per tutta la lunghezza di Excalibur, un silenzio pesante e grave cadde su di loro. Hester tentennò, ma cercò lo stesso lo sguardo di Charles.

"È... ?" iniziò, perché aveva bisogno di conferme. Di conferme date a voce alta. Lo sguardo perso del giovane ragazzo la trapassò da parte a parte.

"Sì" fu la criptica replica, detta da uno che non pareva proprio in condizioni di parlare.

La bocca di Hester si seccò e quindi, perché la sua famiglia era sempre esistita solo per quello, guardò gli occhi di Charles cercando di scorgervi la verità. Tra tutte le generazioni che erano vissute alle sue spalle, era per davvero toccato proprio a lei?

Charles non rifuggì il suo sguardo e lasciò che la donna leggesse dentro di lui tutto ciò che poteva - una buona alternativa a quella di dover aprire bocca. Testa alta, lineamenti duri e spalle incredibilmente rigide - di quelle che sapevano reggere il peso del mondo. E poi, lei, Excalibur. Poteva esserci spazio per qualche dubbio?

"Maestà..." bisbigliò Hester, chinando la testa in segno di rispetto.

Ma Charles non era un Re e non aveva intenzione di cominciare ad essere trattato come tale; fendendo l'acqua, superò Hester guidato da energiche falcate.

"Andiamo a cercare Alecto" decretò, duro come la pietra. Naturalmente, Hester poteva intuire che cosa stava accadendo: per un po', sapeva che Charles avrebbe tenuto il mondo fuori e distante da lui - in qualche modo doveva pur difendersi, per non cedere alla convinzione di essere pazzo.

In silenzio, seguì i suoi passi.


*

Glastonbury, Pressi Lago di Avalon, 25 Luglio 2020

Mattina presto


Quando Alecto aprì gli occhi, sentì il volto incredibilmente fresco. Sbatté le palpebre più volte per abituarli alla luce del giorno e si accorse di avere la faccia bagnata. Qualcuno si mosse accanto a lei e quando girò la testa, mise a fuoco la faccia di Charles che teneva una bottiglietta vuota di acqua nella mano.

"Bentornata tra noi" esclamò il ragazzo quando la vide aprire gli occhi ed accompagnò le parole con un debole sorriso - davvero poco suo.

Alecto corrugò la fronte, con un principio di mal di testa che minacciava di aumentare piuttosto velocemente. Aiutandosi con le mani si mise a sedere ed appoggiò un palmo sulla fronte, esaminando la scena circostante: si trovava ancora nella vegetazione che circondava il lago, ma non era lo stesso punto in cui era stata colpita - probabilmente doveva essere stata trascinata. Ricordando improvvisamente cosa stesse facendo prima di perdere coscienza, scattò sulle ginocchia e con lo sguardo cercò freneticamente l'uomo che aveva inseguito, trovandolo privo di sensi e legato come un salame al tronco di un albero. Alecto inarcò le sopracciglia e fece altalenare lo sguardo dall'uomo a Charles, che sulla faccia aveva un'espressione beffarda.

"Ci stai prendendo gusto a farti salvare la vita, eh?" commentò quest'ultimo, come se le avesse letto il pensiero.

Alecto non rispose e notò che accanto al fuggitivo c'era Hester; la donna stava in piedi e per terra, vicino a lei, c'era uno zaino. Il suo. Cercando di non lasciar trapelare troppa frenesia, Alecto si alzò da terra e si avvicinò per recuperare ciò che le era stato rubato a Londra; si chinò sullo zaino e lo raccolse, accorgendosi immediatamente, a causa del suo peso, che qualcosa non andava.

Lì dentro mancava qualcosa.

Le ci volle uno sforzo di dimensioni bibliche per evitare di aprire lo zaino come un'isterica e controllarne il contenuto davanti agli altri due; mantenendo un'espressione il più neutrale possibile, se lo issò sulle spalle rigidamente e poi guardò Charles, notando solo in quel momento che con sé aveva un oggetto piuttosto notevole.

"E quella dove l'hai presa?" domandò, indicando la spada lucente. Il ragazzo esaminò la lama con espressione pensierosa e fece un mezzo sorriso sarcastico.

"Da una roccia" rispose, guadagnandosi uno sguardo allarmato da parte di Hester.

Alecto corrugò la fronte.

"Lungo la riva del lago ci sono alcuni minerali contenenti delle tracce di ferro. Hester ha saputo sfruttare questo dettaglio e con un semplice abracadabra... ecco il risultato". Fece roteare la lama nell'aria con una certa abilità.

"Non sapevo fossi così bravo" commentò la ragazza, impressionata.

Nemmeno io, fu la prima cosa che Charles pensò, ma rispose: "Da piccolo ho preso qualche lezione di scherma. Il mio insegnante, che era un appassionato di armi bianche classiche, mi ha insegnato a fare qualche trucchetto con la spada”.

Hester si rilassò visibilmente e spostò l'attenzione su Alecto. "Conosci questo individuo, per caso?" domandò con sospetto, osservando il volto della ragazza come a voler leggere la verità tra le sue pieghe.

"Sì" rispose quella. "Mi ha rubato questo zaino a Londra" concluse, senza entrare troppo nei dettagli; la governante, che era tutto tranne che scema, si rivelò essere un osso duro per l'ennesima volta.

"Che strano" commentò infatti; "I goblin di solito rubano soltanto le cose di valore".

Hester poté osservare gli occhi di Alecto diventare grandi come due palline da golf.

"Goblin? Questo sarebbe un goblin?" domandò la ragazza, sinceramente stupita; l'altra soppesò la sua reazione con minuzia da laboratorio, cercando di capire se fosse una brava attrice o se non sapesse niente per davvero.

"Sì, è un goblin. Quando l'abbiamo legato ha cominciato a blaterare su come i goblin, appunto, non potessero essere presi in giro così e che non avremmo mai trovato il suo tesoro. Di che cosa stava parlando?"

Alecto deglutì a vuoto ed ebbe paura che gli altri due riuscissero a sentire il ritmo frenetico con cui il suo cervello aveva iniziato a girare. Fece altalenare lo sguardo dall'uno all'altra, sapendo di dover trovare una spiegazione veloce.

"A-adesso si spiega..." iniziò, tentennando appena; "Dentro lo zaino avevo... avevo un libro e dei soldi" aggiunse, forse un po' troppo frettolosamente.

Solo a quel punto un pensiero le fece ghiacciare il sangue nelle vene: e se Charles ed Hester avevano già controllato il contenuto dello zaino mentre lei era svenuta e l'avessero appena messa alla prova? Sbiancò visibilmente e barcollò sul posto.

"Tutto bene?" le chiese Charles, allungando una mano verso di lei come a volerle impedire di cadere se fosse stato necessario. Alecto si costrinse ad annuire e con la mano asciugò il sudore sulla fronte.

"Sì, solo... la botta, mi gira un po' la testa, tutto qui".

Hester non aveva mai distolto gli occhi da lei ed aveva le palpebre socchiuse.

"E cos'avrebbe avuto di così importante un libro, per essere oggetto dell'attenzione di un goblin? Perché dubito che si sia trattato dei tuoi soldi, a meno che tu non abbia una cifra considerevole, lì dentro".

"Era un libro di magia..."

"E dove l'hai preso?"

"... l'ho scritto io... tutte le cose che ho imparato, per non dimenticarle..."

"E come faceva a sapere il goblin che lo avevi tu?"

"... deve... deve averlo visto quando l'ho tirato fuori per consultarlo..."

"Non vuoi controllare se ti manca qualcosa?" domandò ancora la governante, risultando del tutto casuale ed Alecto esitò solo per un istante, il sudore più abbondante che mai sulla schiena.

"No".

"No?"

"No- cioè, sì. Sì, adesso controllo, sì..."

Mentre apriva lo zaino, Charles le chiese: "Alecto, sicura di stare bene? Mi sembri confusa".

La ragazza gli lanciò un'occhiata ed aprì la zip quel tanto che le bastò per sbirciarvi dentro, senza far vedere niente agli altri due.

"Sì, te l'ho detto, mi gira solo la testa. Mi riprenderò".

Dopo un esame attento del contenuto, lei richiuse lo zaino e se lo mise nuovamente sulle spalle.

"Allora?" la incalzò Hester, inarcando un sopracciglio.

"C'è tutto" rispose Alecto, che in realtà smaniava dalla voglia di mettere le mani alla gola a quel bastardo di un goblin per costringerlo a dirle che diavolo di fine avesse fatto il suo fottuto uovo. Strinse i denti e mandò giù l'istinto omicida.

"Posso vederlo?" le chiese Hester ad un certo punto.

Arcuò le sopracciglia e la guardò apertamente con aria di sfida: adesso stava davvero esagerando. "No" rispose seccamente, senza preoccuparsi di mascherare la stizza. "È personale. È mio e soltanto io posso consultarlo".

"D'accordo" intervenne Charles a quel punto, con aria davvero molto, molto stanca.

"Direi che siamo tutti un po' nervosi. Considerando che è solo mattina, cerchiamo di non litigare o il momento di andare a dormire non arriverà mai. Per oggi non andremo oltre, abbiamo bisogno di riposare tutti quanti, per cui... Alecto, vieni: andiamo a cercare del cibo che non sia in scatola, non ne posso più di legumi. Hester, tu torna alla macchina ed aspettaci lì, mentre venivamo a cercare Alecto mi è sembrato di aver visto una lepre nel sottobosco".

"Che cosa ne facciamo di lui?" domandò quest'ultima, accennando all'uomo legato contro l'albero. Hester avanzò verso di loro con le braccia incrociate e schioccò la lingua contro il palato: "Lo liberiamo. Il goblin ha lasciato il corpo non appena l'abbiamo colpito, quest'uomo non è più posseduto".

A quella notizia, Alecto si sentì quasi mancare: non aveva nessuno da poter interrogare. Mentre il trio prendeva strade diverse e la bionda affiancava Charles, notò un altro particolare che lo riguardava.

"Cos'è quella?" domandò, indicando una piccola ampolla che gli pendeva dal collo, a mo' di ciondolo; il ragazzo abbassò gli occhi e restò esterrefatto, quando la vide. Si fermò lentamente e prese l'ampolla tra le mani, osservando il liquido trasparente che vi era dentro.

"Non lo so..." biascicò, corrugando la fronte; "Non ce l'avevo prima di entrare nel lago..."

"Lago? Cosa ci facevi nel lago?"

Charles rimase immobile come una statua.

"Emh, le pietre..." rispose, calcolando bene le parole; "I minerali erano nell'acqua e così..."

Ad Alecto quella spiegazione sembrò andare bene e si strinse nelle spalle.

"Forse Hester ha pasticciato un po' con la magia. Del resto, devo ammettere che mi stupisce il fatto che sia stata in grado di creare una spada del genere. Credo di averla sottovalutata..."

"Già, può darsi..." mormorò Charles, sfilandosi il ciondolo ed infilandolo nella tasca dei pantaloni; non gli andava di portare al collo un oggetto sconosciuto e potenzialmente magico. L'avrebbe fatto vedere ad Hester, prima.

"Allora? Andiamo?" lo richiamò Alecto, che aveva già iniziato a camminare; senza risponderle, si affrettò a seguirla.











NOTE DELL'AUTORE: Non c'è un attimo di paceee, non c'èèè nanana *canticchia *

Ve l'avevo detto che questo capitolo sarebbe stato un po' movimentato! Finalmente Charles ha messo le mani sulla spada, ma che effetti avrà questo sulla sua sanità mentale? ù_ù secondo voi?

Alecto si sta incartando sempre di più con le sue stesse menzogne... quanto ancora potrà durare questa storia?

E ce la farà Hester a mantenere sana la mente del suo pupillo?

Questo e molto ancora su: Voyager!

Lol. Oggi stavo rischiando di saltare l'aggiornamento, purtroppo mia mamma ieri si è sentita molto male ed in questi giorni dovrò giostrarmi con impegni ed ospedale. Alla fine l'aMMore che provo per voi è riuscito a vincere su altre questioni e quindi eccomi qui, volante, a lasciarvi segno del mio passaggio ù_ù

A lunedì, bestiole!

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Capitolo 10
*** Incertezze ***


DECIMO CAPITOLO

10. Incertezze


Glastonbury, 26 Luglio 2020

Mattina


"Devo fare pipì!"

Fu così che Alecto riuscì ad allontanarsi da Charles ed Hester: con una bugia. Aveva costretto il ragazzo ad accostare sul ciglio della strada, vicino ad una casa solitaria - ne avevano trovate pochissime ancora abitate, poiché la maggioranza della popolazione era accorsa ai centri di rifugio -, e lei l'aveva aggirata per raggiungere il retro, così da avere una sorta di privacy. A quel punto, aveva tirato fuori dal k-way grigio il suo cellulare ed aveva premuto il pulsante verde di risposta: "Sì" aveva esclamato, stupendosi per il tono fermo e calmo che le era uscito fuori.

"Al" le aveva risposto una voce familiare, quella inconfondibile di Emrys: leggiadra come quella di un bambino, atona come quella di un essere inanimato; quando le accarezzò l'orecchio, si impedì di provare il consueto disagio e morse con i denti il labbro inferiore.

"È passato qualche giorno" continuò lui, lentamente.

"Sì..."

"Dunque? Cos'hai da dirmi?"

Alecto esitò, mentre il cuore le martellava furioso nel petto. In tutta la sua agitazione, una piccola parte di sé riuscì a provare sincero disprezzo per il modo in cui stava reagendo nei confronti di un bambino. Era davvero umiliante.

"Sono vicina a trovare il ladro. Oramai ce l'ho".

"Sei vicina? Speravo in notizie migliori".

"Mi dispiace, la Diamar è stata troppo vaga. Le piace parlare per enigmi, credo".

Silenzio dall'altro capo del telefono. Aveva forse detto qualcosa che l'aveva tradita? Magari avrebbe dovuto evitare il commento sulla Diamar... Ma che importa? Non l'ha nemmeno mai vista, lui, pensò subito dopo.

"Dove ti trovi?" le domandò ad un certo punto Emrys ed Alecto si sentì gelare: il giorno prima non se ne era accorta - perché non era mai stata nella zona lacustre e durante il tragitto per arrivarvi si era addormentata -, ma quando si erano allontanati dalla vegetazione ed erano tornati sulle strade principali, l'aveva riconosciuta: si trovavano a Glastonbury. Esattamente dove Emrys viveva - e dove viveva anche lei, da quando lui l'aveva accolta in casa sua. Aprì la bocca per dire qualcosa, ma aveva come un blocco dentro la gola; senza sapere che cosa la spinse a farlo, mentì un'altra volta.

"Poco fuori dal centro di Londra" sputò, con un impercettibile tremito nella voce. "Zona Fulham".

"Pensi di averne ancora per molto?"

"No. Come ho detto, gli sono vicina. Ho capito chi è, devo solo trovare il momento giusto per agire".

"Bene. Fallo arrivare in fretta questo momento, Al. Aspettare mi annoia e non vorrai che i nostri fratelli e sorelle debbano attendere altro tempo ancora, non è vero?"

"No, certo che no".

"Brava. Dobbiamo agire in fretta o tutto quello che abbiamo costruito sino ad ora si rivelerà inutile. Tutti i tuoi sforzi, ed i miei. Stiamo combattendo per la nostra gente, per i nostri diritti e siamo a tanto così dalla vittoria, Al, a tanto così... Non possiamo permetterci di rallentare proprio adesso".

"Ed il calice?" ribatté inaspettatamente la ragazza, lasciando il bambino senza parole per qualche idilliaco secondo.

"Come?" cercò di riprendersi lui, senza lasciar trapelare nulla.

"Il calice della vita" ripeté Alecto, risultando inaspettatamente decisa. "Quando lo potrò recuperare? Anche quella è una parte importante del piano, eppure me ne hai parlato solo una volta. Dov'è?"

"Non ti fidi di me?"

Alecto unì le labbra, ricacciando indietro la frustrazione: odiava quando le rispondevano ad una domanda con un'altra domanda. "No, non è questo..."

"Allora cos'è?" domandò Emrys, con voce sferzante.

"È che... quando arriverà il momento di prenderlo? Non voglio che sia l'ultima cosa della lista. È importante. È importante per me..."

"Lo so. È importante anche per me e ti ho fatto una promessa. Mantengo sempre le mie promesse, dovresti saperlo. È vero o no che ti ho tirata fuori da lì dentro?"

"Sì, ma-"

"Allora non capisco quale sia il problema. Quando verrà il momento, ti manderò a cercarlo. So già dove si trova".

Alecto avrebbe voluto insistere, ma sapeva che facendolo l'avrebbe soltanto fatto innervosire e quindi annuì, prima di rendersi conto che lui non poteva vederla.

"Va bene. Ti richiamo io".

L'unica risposta che ricevette fu un click. Emrys aveva terminato la chiamata.


*


Glastonbury, 26 Luglio 2020

Nello stesso momento


Charles guardò Alecto allontanarsi verso il retro della casa e tamburellò le dita sul volante con impazienza. "Non ci posso credere" stava dicendo, "Siamo appena partiti! Perché diavolo non l'ha fatta prima?"

"Qual è il problema?" domandò Hester, osservando il movimento ritmico delle sue dita. Il ragazzo la guardò, corrugando la fronte.

"In che senso?" le chiese, continuando a tamburellare senza nemmeno accorgersene.

"Non posso credere che sia così infastidito solo perché ci siamo dovuti fermare" replicò allora la donna, arcuando le sopracciglia con scetticismo. "Quindi, qual è il problema?"

Charles distolse gli occhi da lei e li riportò sulla strada, senza osservare nulla in particolare. Tolse le mani dal voltante e le incrociò dietro la testa, cercando di assumere una posa del tutto rilassata. I finestrini erano completamente abbassati, ma non entrava un filo di vento; l'aria era immobile e satura del calore del giorno che si era da poco avviato.

"Perché pensi che ci sia un problema?" domandò, risultando piuttosto casuale. Fu quasi tentato di farsi un applauso.

Hester schioccò seccamente la lingua contro il palato: "Perché è nervoso ed è inutile che lei tenti di fare il finto tonto con me, signorino! Le ricordo che l'ho cresciuta e, mi dispiace dirglielo così brutalmente, ma lei fa schifo a mentire. Dico sul serio, mi metterei a piangere a causa della sua performance, se non fosse che alla mia età sarebbe una reazione sconveniente".

Charles la guardò con tanto d'occhi, ma non disse niente. Hester ne approfittò per proseguire: "Adesso che abbiamo aperto le porte alla sincerità, che ne dice di parlarmene? Qualsiasi cosa le stia passando per la testa, anche se posso immaginare".

"Se lo puoi immaginare, perché lo chiedi?"

"Sciocco!" lo aggredì lei, facendolo un po' rimpicciolire sul sedile; "Perché dire le cose ad alta voce, ci permette di affrontarle! Per gli Dei misericordiosi, a volte mi chiedo se non glie ne ho fatte passare lisce un po' troppe..."

"Direi di no" replicò Charles, strabuzzando gli occhi, punto sul vivo: da un certo punto di vista Hester era stata un vero generale tedesco, cosa che suo padre aveva apprezzato enormemente.

"Comunque sono solo pensieroso" aggiunse poi, scrollando le spalle. Hester lo guardò con placida attenzione, facendo apparire delle rughe intorno agli occhi verdi.

"Cosa la turba, nello specifico?"

"Tutto!" esplose a quel punto Charles, mulinando le mani verso il tettino della macchina. "È come... è come se dentro di me ci fosse un intruso!" esclamò, mentre il battito del suo cuore accelerava senza che lo potesse controllare.

"Non appena ho toccato la spada, ho iniziato a ricordare tutto della... della mia vita precedente. Sono stato letteralmente affogato da una quantità immonda di flash e nel giro di qualche secondo, un'intera vita è entrata dentro la mia testa! Hester, io sono ancora io. Sono Charles! Il fatto che abbia ricordato chi sono stato in passato, non può cambiare quello che sono adesso! Mi... mi sento diviso, mi sento braccato! È come se ci fosse un'altra persona dentro di me che tenta di soffocarmi! E non-" si interruppe, passando furiosamente le mani tra i capelli biondi, che si drizzarono in tutte le direzioni.

"Non sono più sicuro di chi io sia veramente! Se ho recuperato i ricordi, vuol dire che devo essere l'altro? E se così fosse, perché farmi vivere una vita come Charles per poi pretendere che io vi rinunci così? Non capisco!"

"Charles" disse Hester, interropendo il suo flusso di parole, "Prenda un bel respiro. Lei non deve assolutamente, in alcun modo, rinunciare a sé. Ha detto una cosa sacrosanta: lei è quello che è, nessuno può cambiare questa cosa e non deve nemmeno accadere".

Il suo tono di voce era dolce e nonostante fosse basso - quasi stesse condividendo con lui un segreto -, era pieno di sentimenti. Charles la guardò come sperasse che da lei venisse una soluzione che potesse porre fine al suo turbamento.

"Io non ho cresciuto Re Arthur, quando sono venuta a stare da lei" continuò Hester; "Io ho cresciuto Charles Hamilton, un bambino iperattivo con una visione dell'interpretazione delle regole tutta sua, se posso dirlo".

Charles le regalò un debole sorriso.

"Quel bambino è parte di lei, ma è anche parte di me. Non permetterei mai, a nessuno al mondo, di portarmelo via".

"Hester..." bisbigliò lui, avvertendo all'improvviso il forte bisogno di abbracciarla.

"No, mi ascolti. Quel bambino è cresciuto ed io ho fatto del mio meglio affinché potesse diventare un uomo di cui ci si possa dire fieri. Ed io lo sono. Sono fiera di lei, non di quello che è stato in passato. Le gesta di Re Arthur sono rimaste nella storia, sono diventate leggenda, ma non è per lui che io sono qui. Io sono qui per te".

Charles dovette distogliere lo sguardo e passarsi una mano sulla faccia, gli occhi lucidi a causa delle corde del cuore pizzicate dalle parole di Hester e di quella confidenza tutta speciale che le sfuggiva soltanto nelle occasioni davvero importanti. Avrebbe voluto dire qualcosa, ma non era sicuro di poter avere totale controllo sulle sue parole, quindi preferì tacere.

"Charles" pronunciò la donna con gentilezza, "Tu e Re Arthur avete soltanto dei ricordi diversi... ma siete già la stessa persona. Ecco perché non puoi cambiare. Tu sei lui e lui è te".


*


Quando Alecto era tornata, Hester aveva deciso che si sarebbero diretti a sud; in attesa che il destino di Charles si chiarisse, aveva avuto l'idea di condurlo dalle tre Disir(1): sperava che le loro parole potessero infatti placare un po' di quell'ansia e di quel disagio che rendevano il ragazzo così scostante e contrito. Al contrario di com'era successo per la Diamar, Hester aveva la certezza assoluta che le avrebbe trovate proprio dove era convinta che fossero, poiché aveva fatto loro visita ben più di una volta. Tutta la famiglia Carrow, in realtà, si era lasciata guidare dalle loro sagge parole durante tutta la lunga veglia sulla dinastia Pendragon.

Hester si era aspettata che Alecto avrebbe iniziato a porle delle scomode domande come suo solito, invece non aveva detto niente e si era limitata a guardare fuori dal finestrino; non che la cosa non le stesse bene, ma ovviamente le parve strano. Senza considerare cos'era successo il giorno prima: non aveva dimenticato come la ragazza si fosse mostrata eccessivamente circospetta sul contenuto del suo zaino... ovviamente Hester era diventata ancora più sospettosa nei suoi confronti. C'era qualcosa, nella bionda, che non le quadrava.

Dal canto suo, Alecto aveva sin troppe preoccupazioni di cui occuparsi, per anche solo pensare di avanzare delle polemiche sulla loro meta. A stento aveva notato che Hester aveva aperto bocca.

I suoi occhi, di un celeste scialbo e slavato, osservavano il paesaggio sfrecciare fuori il finestrino aperto; alcune ciocche di capelli biondi le frustavano le guance, mossi dal vento, ma era così assorta nei suoi pensieri da non provare alcun fastidio. Una sorta di morsa gelida le chiudeva lo stomaco ed il suo cuore batteva ad un ritmo irregolare; si stava cacciando in una brutta situazione, se lo sentiva nelle ossa e se solo avesse commesso un passo falso... Strinse i denti per riflesso, mentre un'ondata di nausea le fece fluire un po' di bile nella gola, che bruciò come avesse ingoiato un fiammifero. Le dita sudate si contrassero sulla stoffa dei pantaloni, ma rimase rigidamente seduta contro il sedile anteriore della macchina.

"Si è addormentata" esclamò improvvisamente Charles, occhieggiando lo specchietto retrovisore.

"Cosa?" disse Alecto, voltando la testa verso di lui con l'aria di chi stava appena scendendo dalle nuvole.

Il ragazzo accennò con il mento ai sedili posteriori e lei vide che Hester si era profondamente assopita; ne approfittò per seguire le linee che le rughe formavano sul suo volto austero e studiò il modo perfettamente naturale in cui i fili grigi dei suoi capelli si amalgamavano con quei pochi ancora rimasti biondi. Chissà se, crescendo, anche lei avrebbe avuto quell'aspetto: l'aspetto di una donna risoluta, perfettamente in grado di gestire qualsiasi situazione e con gli occhi intelligenti. Nonostante l'asprezza che Hester le riservava, non poté impedirsi di augurarselo. Le sarebbe piaciuto, poter essere come lei.

"Ti vuole molto bene" constatò senza troppa enfasi, tornando a guardare avanti. Charles non rispose subito e per un paio di minuti, guidò in silenzio.

"Anche io glie ne voglio" disse ad un certo punto, quietamente, e poi aggiunse: "Insieme a mio padre, è la persona più importante della mia vita".

Davanti ai suoi occhi la strada sparì all'improvviso e senza che l'avesse desiderato davvero, baluginò inaspettatamente al suo sguardo l'immagine del volto del ragazzo dai capelli neri, Merlin. Charles strizzò le palpebre e scosse la testa e quando riaprì gli occhi, davanti a lui trovò di nuovo solo l'asfalto che la macchina stava divorando. Cosa diavolo era successo? Alecto non si accorse dell'improvviso cambio d'umore del ragazzo, così disse: "Si comporta come fosse tua madre".

"In un certo senso lo è stata. Mia madre è morta quando ero piccolo" rispose, con un tono di voce piuttosto teso. Non sapeva per quale motivo, ma sospettava che fosse stato l'altro sé, a giocargli quel trucchetto. Strinse le dita sul volante e le nocche sbiancarono.

"Mi dispiace" tornò a parlare lei, lanciando una breve occhiata al volto di Charles. "Se la cosa ti mette a disagio, possiamo cambiare argomento".

"No. No, figurati. Che cosa mi dici invece, tu, della tua famiglia?"

Stavolta fu Alecto a mostrare un improvviso irrigidimento, ma il ragazzo non se ne accorse, intento a guardare la strada e a fare slalom tra i detriti.

"I miei genitori sono entrambi vivi e vegeti" commentò piattamente. "Mio padre era succube di mia madre e lei... beh, lei era... particolare".

Charles corrugò la fronte, un'improvvisa confusione sul suo volto. "Scusa, non credo di aver capito se sono vivi oppure no. Prima hai parlato di loro al presente, poi al passato".

Merda. Alecto non mosse un muscolo, tranne le dita: quelle affondarono ancora di più nella stoffa dei pantaloni e, se li avesse tolti, avrebbe trovato dei segni rossi molto marcati sulla pelle pallida.

"È che... non li vedo da molto tempo" disse lentamente, così da avere il tempo di calcolare le parole.

"Come mai?"

"Vivo in un collegio".

"Un collegio?"

"Sì... mia madre ha... ha preferito allontanarmi, quando ha scoperto che sono... particolare. Le arrecavo imbarazzo" concluse, con un'involuta vena ironicamente nera. Charles arcuò le sopracciglia sin quasi l'attaccatura dei capelli e poi scosse brevemente la testa.

"Assurdo. Non conosco tua madre, ma se posso dirti quello che penso, credo che un genitore che allontani così i propri figli sia meglio perderlo che averlo. Venderei l'anima pur di riavere indietro mia madre, invece la tua ti ha in carne ed ossa, ma sceglie di tenerti a distanza. Credi che una persona così meriti di avere un figlio? La punizione di non averla vicino non è per te, ma per lei. Se ne accorgerà".

Alecto lo guardò, gli occhi più grandi del normale. Quando Charles non sentì nessuna risposta, si voltò verso di lei, notando che lo stava fissando con aria stralunata.

"Cosa?" domandò allora, alternando lo sguardo tra lei e la strada. "Scusa se ho detto qualcosa che ti ha offesa, non volevo farmi gli affari tuoi".

"Perché lo fai?" chiese per contro la ragazza, sinceramente confusa.

"Fare cosa?"

"Perché ti comporti così? Tu non mi conosci, Hester non si fida di me, eppure tu non l'hai ascoltata. Hai accettato di farmi venire con voi, mi hai salvato la vita due volte e adesso ti interessi dei miei problemi. Fai così con tutti?"

Charles non seppe cosa dire. Aprì e chiuse la bocca un paio di volte come un pesce fuor d'acqua e poi, molto diplomaticamente, si strinse nelle spalle. "Boh. Cioè sì, voglio dire, non lo so. Suppongo di sì. Non è una cosa a cui faccio caso o mi abbiano mai fatto notare, ma... certo. Nel senso, non mi sembra di aver fatto qualcosa di così particolare. E poi anche tu mi hai salvato la vita, non te lo ricordi? L'hai salvata a me ed anche ad Hester".

Alecto fu invasa da un improvviso moto di fastidio e voltò bruscamente la testa dall'altro lato. Lei aveva salvato loro la vita, certo, ma non era la stessa cosa. Non meritava la gratitudine di Charles e vedersi invece trattata con tanta attenzione, la faceva sentire ancora più colpevole di quanto già non fosse; le menzogne, le finzioni, i segreti, tutto le calò addosso come un macigno in un solo istante e la ridusse ad un tombale silenzio di frustrazione e disagio. Stava letteralmente sguazzando nel senso di colpa.

"Inoltre, sono sicuro che tu avresti fatto lo stesso al posto mio" proseguì il ragazzo, come niente fosse; "Infatti non ci hai lasciato morire quando abbiamo avuto a che fare con il grifone ed io non potevo di certo lasciare che accadesse a te. È vero che Hester non si fida, ma io non sono come lei. Ho bisogno che la gente mi dia un motivo per non dargli fiducia e tu non me l'hai ancora dato. E se proprio vuoi saperlo, mi interesso dei problemi delle persone perché tutti, nessuno escluso, abbiamo bisogno di qualcuno che si preoccupi per noi. Alcuni fingono di farlo, ma io non sono così, perché non vorrei che gli altri lo facessero con me".

Alecto affondò i denti nel labbro inferiore con una tale veemenza che, in pochi secondi, sentì il sapore del sangue sulla lingua. Le parole di Charles la stavano uccidendo, parevano fatte apposta per puntare la luce sui suoi misfatti. Lui era così... puro, nelle sue intenzioni, mentre lei... Emrys non faceva che ripeterle che anche la loro causa era pura, ma per la prima volta da quando l'aveva conosciuto, si chiese se stessero davvero facendo la cosa giusta. Il bambino non le aveva mai trasmesso la sicurezza e la tranquillità che Charles le aveva dato sin dal primo momento e certe volte, dovette ammettere con fatica, si era sentita intimorita da lui, timore che si era accresciuto con il tempo, anziché affievolirsi.

Inghiottì saliva mista a sangue e poi, all'improvviso, lo zaino che teneva tra le braccia divenne piacevolmente tiepido; sgranò impercettibilmente gli occhi e stando ben attenta a sembrare del tutto casuale, aprì di poco la zip per sbirciare all'interno. Ciò che vide, fece aumentare i battiti del suo cuore: il Triskelion aveva cominciato a pulsare debolmente.

Ci stiamo avvicinando all'uovo, pensò, stentando a credere a quell'insperata fortuna. Chiuse di nuovo la zip, decisa a tenere gli occhi ben aperti e non addormentarsi: forse, se l'avesse ritrovato subito, avrebbe potuto evitare che Emrys si innervosisse ulteriormente. Immersa nei propri pensieri, realizzò che forse era proprio per quello che la Diamar le aveva consigliato di unirsi a quel duo: sapeva che in quel modo avrebbe ritrovato l'uovo! Sì, doveva essere per forza così, si disse. Una nuova, fioca speranza la portò a respirare con più regolarità.











NOTE DELL'AUTORE: No vabbè. Già al decimo capitolo? Ma scherzando stiamo?! D: ne mancano altri 10 e poi mi tolgo dalle palle, lo giuro. Tanto lo so che vi state facendo due balle enormi ù_u Grazie Mimiwitch, beta del mio quore, luce dei miei occhi! E grazie a chi recensisce, legge, segue, preferisce, ricorda, schifa, vomita, ignora eccetera eccetera. Il mio amore non conosce razzismi.


(1)Disir: le Disir sono un trio di veggenti che interpretano il verbo della Triplice Dea. Tutto ciò che le riguarderà non è di mia invenzione, ma è stato tratto direttamente dal telefilm.


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Capitolo 11
*** A carte scoperte ***


UNDICESIMO CAPITOLO

11. A carte scoperte


Yeovil Country Park, 26 luglio 2020

Sera


"Non mi piace" esordì Charles ancora una volta, al che Hester sbuffò sonoramente.

"La smetta di lamentarsi e faccia silenzio!" lo redarguì; "Non possiamo sapere che razza di bestie ci siano in giro a quest'ora!"

"Appunto" le rispose piccato lui, stringendo tra le mani l'elsa di Excalibur; da quando aveva recuperato tutti i suoi ricordi, paradossalmente lo faceva sentire più sicuro brandire quella spada piuttosto che l'idea di poter avere una pistola. "Non sarebbe meglio aspettare che faccia giorno?"

"No, abbiamo perso sin troppo tempo! Non mi aspettavo che ci avremmo messo così tanto, altrimenti l'avrei fatta fermare prima. In circostanze normali non avremmo dovuto impiegarci più di un'ora!"

"Ma queste circostanze non sono normali" intervenne Alecto, che chiudeva la fila seguendo la scia dei loro passi in mezzo alla boscaglia. Le narici di Hester fremettero.

"Sei davvero una volpe, ragazzina. Non ti si può nascondere niente".

"Ci risiamo" sospirò Charles, roteando gli occhi verso il cielo, mentre Alecto assottigliava minacciosamente le palpebre.

Rumore di rami che si spezzano sotto i piedi.

"Ma con l'avvicinarsi della notte diventi sempre così acida oppure oggi è un giorno speciale?"

"Chi ti ha detto che puoi prenderti tutta questa confidenza?!" sbottò Hester, voltandosi verso di lei per puntarle la torcia in faccia. Tra i rami degli alberi, baluginò il suo fascio di luce. Alecto strizzò gli occhi e Charles si frappose tra loro.

"E allora! Adesso basta, ti concedo altri cinque minuti, Hester, dopodiché torneremo alla macchina e ci riposeremo fino a domattina!"

Il sudore che imperlava la sua fronte brillò sotto la luce della torcia elettrica.

"Certo" sibilò la donna, piuttosto impettita, come fosse stata offesa dal fatto che Charles non avesse preso le sue difese. "Siamo già praticamente arrivati".


*


"Tutta questa segretezza per una caverna?" commentò Alecto con un filo di sarcasmo, le sopracciglia inarcate. Cercò di intravedere l'interno della suddetta, ma l'oscurità della notte era troppo fitta e la luce della torcia pareva essere troppo debole per penetrarla oltre i due metri. Spostò il peso da un piede all'altro, stringendo lo zaino caldo tra le braccia; da quando avevano lasciato la macchina, il Triskelion aveva iniziato a pulsare sempre di più, segno che si trovava sulla giusta via. Eppure, non appena si erano diretti leggermente più a est, le era sembrato che l'intensità della sua luce fosse diminuita. Il che voleva dire che doveva trovare un modo per tornare indietro, per allontanarsi senza destare sospetti.

"Non è una semplice caverna" replicò Hester, seccamente. "All'interno sono presenti quelle che potrebbero definirsi l'essenza in terra dell'Antica Religione. Li vedi quelli?"

Charles ed Alecto seguirono la direzione indicata dal dito di Hester ed alzarono gli occhi sui rami degli alberi, notando solo in quel momento la quantità di monili che vi erano appesi. "Quelli sono degli avvertimenti. Invitano ad onorare il suolo che stiamo calpestando ed a mostrarci rispettosi verso gli Dei. Ci troviamo in terra sacra" concluse la donna.

A quel punto, Charles ci mise veramente poco a riconoscere quel posto. Spostò lo sguardo verso l'entrata della caverna, mentre davanti ai suoi occhi riaffiorava il giorno in cui c'era stato per la prima volta. A quel tempo c'erano stati i suoi cavalieri con lui. C'era stato Mordred. E c'era stato anche Merlin. Merlin, che gli aveva detto di entrare disarmato. Merlin, che lui stesso aveva insultato per quell'idea assurda, ridicola. Ricordò il modo irrispettoso in cui si era fatto largo tra i monili che, lo sapeva, erano appesi anche all'interno della caverna. Ricordò l'accusa che gli era stata volta contro, quella di aver offeso la Triplice Dea. Le Disir glie lo avevano detto, di accogliere con benevolenza l'Antica Religione, di permetterle di fiorire; lo avevano avvisato, dell'altrimenti distruzione che avrebbe colpito il benessere di Albion. Eppure, lui... lui era rimasto cieco e sordo, di fronte ai loro avvertimenti. Aveva voluto ignorarli.

Rivide, come in una sorta di beffardo slow motion, il corpo di Mordred apparire all'improvviso davanti al suo, per proteggerlo dall'asta che le Disir avevano lanciato contro di lui come pagamento della sua insolenza. Vedere il corpo di Mordred trafitto, assistere al suo sacrificio... si era quasi sentito morire.

Lo aveva mai meritato, tutto quello? Tutta la lealtà che i cavalieri dell'altro sé avevano sempre dimostrato? Era stato davvero un buon re?

Forse si era meritato il tradimento di Mordred. Si era meritato di morire in quel modo. Se l'era meritato per non aver voluto vedere. Se l'era meritato per non aver voluto sentire. Se l'era meritato per non aver mai capito.

Non ho mai capito niente, vero, Merlin?

Non aveva mai colto il modo in cui Merlin aveva sempre cercato di metterlo in guardia da Mordred, no. Aveva sempre preferito accusarlo di pensare o parlare troppo, di essere un idiota. Ma l'idiota era sempre stato lui. Non aveva mai visto nemmeno il mago. Se qualcuno glie lo avesse detto, avrebbe riso per una settimana. Merlin un mago? Quello stupido? Ma per favore.

Non ho mai capito niente, di te, Merlin.

Quando, insieme, erano tornati alla caverna... non era bastato deporre le armi e dimostrare di aver imparato la lezione, non era bastato inginocchiarsi davanti alle Disir o ammettere gli errori commessi. Aveva implorato perdono per sé, ma sopratutto per Mordred, per colui che in seguito gli aveva tolto la vita. E poi, di nuovo Merlin. Ancora lui al centro delle sue decisioni, dei suoi pensieri. Aveva chiesto il suo consiglio, gli aveva domandato: che cosa faresti al posto mio? Accetteresti la richiesta delle Disir? Accetteresti la magia a Camelot? E Merlin, gli occhi lucidi di lacrime che ora ricordava, ma che non aveva voluto vedere a quel tempo, gli aveva risposto. Gli aveva detto che non ci sarebbe mai stato un posto per la magia a Camelot.

Con la consapevolezza che possedeva dal giorno in cui aveva riavuto tutti i ricordi, Charles comprese che era come se gli avesse detto: non ci sarà mai un posto per me a Camelot. E l'altro sé aveva permesso che fosse realmente così.

Spostò nervosamente il peso del corpo da in piede all'altro, la gola improvvisamente stretta da una morsa tra le più terribili: quella della frustrazione, del senso di colpa. Merlin era stato suo amico. Il suo più caro amico. Perché non aveva mai capito niente?

"L'Antica Religione..." ripeté Alecto a fior di labbra, distogliendolo dai suoi pensieri.

Bassa com'era, non avrebbe potuto sfiorare quei monili neanche se avesse alzato tutto il braccio, dato che si trovavano piuttosto in alto. Avvertì un'irrefrenabile curiosità farsi spazio dentro di lei, ma il calore che aveva tra le braccia le ricordò fastidiosamente quali fossero le sue priorità. Abbassò gli occhi celesti su Hester.

"Vi aspetto qua fuori" disse, con voce calma e naturale. "Voi entrate e cercate di scoprire qualcosa. Io terrò fuori eventuali minacce".

Hester non se lo fece ripetere due volte: si sentiva più sollevata all'idea che lei non sarebbe stata presente, quando si fosse trovata con Charles al cospetto delle Disir. Si limitò così ad annuire, prima di parlare con il ragazzo: "Deve lasciare la spada all'ingresso, Charles, perché-"

"Sì, lo so. Me lo ricordo".

Alecto corrugò la fronte e si voltò verso di lui. "Te lo ricordi?" domandò, senza capire.

Hester si schiarì la gola e Charles si bloccò nell'atto di posare la spada a terra, accanto all'ingresso. Ci fu un lungo momento di silenzio.

"Stamattina(1), quando sei andata a fare... insomma, quando ci hai fatti fermare, ho detto a Charles di questo posto e ne ho approfittato per spiegargli qualche cosa".

"Ah" replicò asciutta la ragazza, altalenando lo sguardo dall'uno all'altra con espressione un po' sospettosa. Titubarono qualche altro istante in silenzio, poi Hester batté le mani, sfregando i palmi.

"Muoviamoci, stare ferma mi fa sudare anche di più. Questo caldo è atroce".

*

All'interno della grotta, incredibilmente faceva anche più caldo. Charles aveva come la sensazione che al suo interno vi fosse qualcosa che pulsasse e, mentre il sudore gli colava lungo la schiena, cercò di ricordare se anche la prima volta che c'era stato fosse stato così. Il fascio di luce della torcia elettrica che Hester teneva puntata a terra, rendeva appena visibili i monili che pendevano dal soffitto, poiché l'oscurità era densa e corposa.

"Stia attendo a dove mette i piedi" esclamò la donna, gli occhi verdi incollati al terreno dissestato.

"Come ha fatto la caverna a sopravvivere durante tutti questi secoli? Voglio dire, come ha fatto a rimanere nascosta ed alla larga dalla civiltà?" domandò piuttosto il ragazzo, stringendo le dita come se stesse impugnando ancora Excalibur. L'aver dovuto lasciarla fuori l'aveva messo un po' a disagio. Del resto, l'aveva appena ritrovata.

"Secondo lei?" ribatté Hester, azzardando un'impercettibile nota divertita.

"Scusa tanto se non mi riesce naturale di pensare in versione abracadabra".

"La scuso, a patto che lei si dimostri più comprensivo nei riguardi della magia. Nella sua vita precedente, nonostante io possa ben intuire perché abbia deciso di tenerla al di fuori della vita di Camelot, non si è neanche sforzato più di tanto per cercare di comprenderla o conoscerla".

"E tu che ne sai?"

Hester si girò qualche istante, lanciandogli un'occhiata valutativa. "Le ricordo che la mia famiglia sorveglia la sua da incalcolabili generazioni".

"Vuoi dire che..." la voce di Charles si inceppò, incastrandosi nella gola. Per continuare, fu costretto a schiarirla un paio di volte. "Vuoi dire che l'altro ha... ha avuto degli eredi?"

Perché non ci aveva pensato prima?

Hester si fermò e per poco lui non le andò a sbattere contro. Quando alzò gli occhi sul volto della donna, Charles vide che lo stava guardando con una sorta di tenerezza mista a dispiacere.

"Sì Charles" rispose lei, con tutta la gentilezza possibile del mondo. "Quando Arthur morì, la regina aspettava un bambino".

Il ragazzo dovette appoggiarsi alla parete più vicina quando una forte vertigine gli fece tremare le ginocchia. Prima che la sua stessa mente potesse iniziare a lavorare contro di lui, si sforzò di pensare: Arthur ha avuto un figlio. Arthur. Non io. Io non sono Arthur. Io sono Charles. Questa è un'altra vita. Condivideremo pure gli stessi ricordi, forse la stessa anima ed anche una punta dello stesso sangue, per forza di cose, ma non siamo la stessa persona. La mia vita non è uguale alla sua. I miei genitori sono diversi dai suoi. Io sono Charles.

Riaprì gli occhi quando sentì il tocco delicato della mano di Hester sulla propria spalla. Lei aveva la fronte solcata da alcune rughe profonde e gli occhi verdi luminosissimi, come per combattere tutto quel buio deprimente.

"Charles... Dia retta a me. Non si soffermi troppo a pensare a cos'è accaduto nel passato, in una vita che è stata la sua, ma che ora non lo è più. Lei ha riacquistato i ricordi per un motivo. Per pensare all'immediato futuro, oltre che al presente. Rimuginare su ciò che fu, non cambierà l'effettivo corso di una storia oramai già trascorsa. L'unica cosa che otterrebbe, sarebbe quella di entrare in un insano circolo vizioso di pensieri negativi e questa è l'ultima cosa che le serve. Ciò che è stato, è stato. Non si dimentichi del qui e dell'adesso. Non si lasci incantare da fatti accaduti più di mille anni fa".

Suo malgrado, il ragazzo si ritrovò ad annuire e si distaccò dalla parete rocciosa alle sue spalle. Sentì la mano di Hester stringergli la spalla in segno di conforto e senza dire una parola, tornò a seguirla verso il fondo della caverna.

Con tutto quello che gli era successo e che ancora gli stava succedendo, con tutte le cose che aveva scoperto, quelle che aveva ricordato e quelle che stava provando... sarebbe mai riuscito, un giorno, a provare di nuovo cosa volesse dire sentirsi sereni? Sentirsi leggeri?


*


Alecto si era lasciata guidare dalla luminosità e dal calore emanati dal Triskelion. Non le era parso vero quando, dopo neanche dieci minuti di cammino, era finita a rovistare in un cespuglio di more; tra i rami taglienti ed i frutti succulenti, le sue dita si erano strette intorno alla sagoma di un oggetto ovale e tiepido al tatto. Con estrema cautela la ragazza l'aveva estratto dal fogliame e non appena la luce del Triskelion l'aveva illuminato, l'uovo appena ritrovato era stato come percorso da un fremito.

Non poteva credere alla sua fortuna sfacciata. Probabilmente quell'idiota di un goblin si era diretto nella stessa grotta in cui si trovavano in quel momento Charles ed Hester, alla ricerca di un acquirente - se quello che la donna le aveva detto era vero ed al suo interno si trovavano sul serio creature appartenenti a quell'Antica Religione che tanto aveva decantato, qual posto migliore per fare un affare come quello? Un affare con un drago di mezzo!

Si rialzò in piedi senza neanche togliere la terra dai pantaloni ed esaminò l'uovo per assicurarsi che fosse del tutto integro; le sua dita ne percorsero la superficie liscia con minuzia e poi se lo portò all'orecchio, per sentire il battito della piccola creatura che stava crescendo al suo interno.

Era perfetto, proprio come quando l'aveva trovato la prima volta. Ma perché il goblin l'aveva nascosto vicino la caverna? Che fosse stato in attesa di concludere l'affare e non si fosse fidato a portarlo con sé?

Scrollando le spalle, la ragazza liquidò la questione: l'importante era aver ritrovato tutta la refurtiva. Avrebbe finalmente potuto telefonare ad Emrys e dare la buona notizia. Infilò l'uovo all'interno dello zaino e si diresse di nuovo verso l'entrata della caverna.


*


Trovarsi al cospetto delle Disir gli causò un efficace timore reverenziale, al contrario della prima volta in cui aveva messo piede in casa loro; forse, questo dipendeva dal fatto che sapeva benissimo quello di cui erano capaci, consapevolezza che non aveva avuto ai tempi di Camelot.

Hester stava di fianco a lui e con atteggiamento remissivo teneva la testa china, in segno di rispetto. Dopo averla guardata qualche lungo istante la imitò, ma non poté impedirsi di continuare a lanciare occhiate furtive alle tre donne incappucciate che sostavano poco distanti da loro. Sembrava che il tempo non avesse avuto effetto sulle Disir o, per quel che ne poteva sapere lui, avrebbero potuto essere state rimpiazzate da altre prescelte. Del resto, non aveva mai visto i loro volti, quindi non avrebbe saputo dire con certezza se si trovasse ancora al cospetto delle stesse Disir di mille anni prima oppure no.

"Hester Carrow..."

"...il tuo fato di guardiana...."

"...si è dunque compiuto".

Ah, ma certo. Come aveva potuto dimenticare la curiosa abitudine caratteristica delle Disir e cioè quella di completare l'una la frase dell'altra? Se la situazione non fosse stata così seria, avrebbe riso.

"Ho seguito il vostro suggerimento e ci siamo diretti dalla Diamar" svelò Hester, un dettaglio che neanche Charles aveva saputo. Quindi erano state loro ad indirizzarli dalla Chiave di tutta la conoscenza! Continuò a tenere la testa china, le mani congiunte davanti a sé. "Abbiamo recuperato la spada Excalibur, ma ora siamo di nuovo alla deriva e non sappiamo da dove cominciare per adempiere ai nostri doveri" tornò a dire la donna, con tono mite, ma perfettamente chiaro. Ci fu un breve silenzio valutativo.

"Eppure con la spada Excalibur..."

"...e con un arduo compito da assolvere..."

"...tu non sei qui per questo".

Hester si irrigidì, avvertendo su di sé lo sguardo smarrito di Charles. Sapeva che sarebbe stato inutile tentare di celare i suoi pensieri alle Disir, ma aveva voluto comunque tentare.

"Hester...?" sussurrò Charles, altalenando lo sguardo da lei al trio di donne, che ora stavano guardando soltanto lui.

"Percepiamo la confusione della tua mente..."

"...e del tuo cuore..."

"...e del tuo spirito".

Il ragazzo tornò a guardare la sua governante, gli occhi sgranati, non un briciolo di comprensione nello sguardo confuso. Hester alzò la testa, sul volto aveva un'espressione quasi mortificata. "Non posso più sopportare di vederla arrancare tra sensi di colpa che non sono suoi e sofferenza. Lei non sta bene, Charles, ed io non so cosa posso fare per aiutarla. Ma forse loro potranno riuscire in qualche modo a confortarla".

"Cosa?" domandò in un soffio il diretto interessato, arcuando le sopracciglia bionde sin quasi all'attaccatura dei capelli.

Erano andati lì per una... consulenza psicologica? Stavolta, non poté impedirselo, una risata piuttosto secca sfuggì al suo controllo. Scosse la testa con incredulità, incapace di pronunciare una sola parola. Davvero, non sapeva cosa dire, era... era assurdo. Era tutto troppo assurdo. Aprì la bocca, ma la richiuse quasi subito, senza successo. Non poteva crederci. Non era possibile. Con tutto quello che c'era da fare, con tutto... no. Assurdo.

A toglierlo dall'impiccio di dover articolare qualcosa, furono ancora le Disir. Hester era tornata con il capo chino, le spalle ancora più rigide di prima.

"Charles Hamilton, Re del Passato e del Futuro, la tua coscienza è stata risvegliata per un ben preciso scopo, dietro il quale si cela non solo un nome, ma anche un volto..."

"...un volto a te già noto, ma forse ben di più a colui che fosti in passato. La tua guardiana ti ha portato qui per un motivo, ma noi ci chiediamo..."

"...sei veramente disposto a sentire la verità? Sei consapevole del rischio cui andresti incontro? Le nostre parole potrebbero risultare ben diverse dal conforto..."

Hester alzò la testa di colpo a quell'avvertimento, ma prima che potesse dire qualunque cosa, Charles disse: "Ho altra scelta? Visto che il destino si è preso il disturbo di sconvolgermi la vita senza neanche prima chiedermi se mi potesse andare bene l'idea, direi che il minimo che io possa ricevere in cambio sia un po' di sacrosanta onestà".

"Bene allora" esordì la Disir al centro e tutte e tre batterono all'unisono i loro bastoni a terra, come fosse stata appena emessa una sentenza. "Il pericolo ti attende, ma se saprai essere saggio e compiere bene le tue scelte, tu stesso sarai la chiave della salvezza di Albion..."

"...il pericolo è insito non solo nella realtà, ma anche nel tuo cuore, poiché colui che dovrai affrontare ti porterà a dover compiere una difficile scelta..."

"...colui che in passato ha vegliato il tuo cammino e ti ha donato protezione, colui che ti ha guidato verso la nascita di Albion e la tua grandezza, è colui che ora cerca la tua distruzione e quella di tutto ciò che avete costruito..."

Charles corrugò la fronte, facendo saettare gli occhi da un volto all'altro, nonostante i lineamenti delle Disir fossero celati dai cappucci calati sulla testa. Cercò di assimilare quello che gli era appena stato detto e di tradurlo in qualcosa che la sua mente potesse comprendere. Colui che in passato ha vegliato... colui che mi ha guidato e protetto... colui che...

"Merlin?" gli spuntò dalle labbra, all'improvviso, senza che se ne rendesse conto. Sbatté le palpebre con inequivocabile sconcerto, chiedendosi se l'avesse davvero detto oppure no. Non può essere. Merlin è qui? È vivo?

L'avvertimento delle Disir passò completamente in secondo piano, fu come se non avessero suggerito nient'altro tranne che il nome del mago, insito nelle loro vaghe parole.

"Dov'è?" chiese immediatamente dopo, facendo dei passi avanti. Avvertì il cuore impennarsi nel petto ed il respiro farsi più veloce per l'agitazione. Merlin, dov'è Merlin? Dove sei?

"Merlin il Mago, questo è il nome noto tra gli uomini. Non conosciamo la sua posizione, poiché la sua magia è potente. Invero egli è la Magia Stessa ed in quanto tale, lo scorrere del tempo non può avere effetto sul logoramento del suo corpo immortale..."

"...ma può avere effetto sul logoramento del suo spirito e della sua coscienza. Emrys è il nome in cui egli è chiamato dai Druidi. Ha pagato la sua immortalità a caro prezzo, poiché ha permesso alla purezza del suo cuore di essere contaminata dall'odio..."

"...ha sempre saputo che un giorno saresti tornato, Arthur Pendragon, ma non ha mai sospettato che saresti tornato a causa sua. È stato il suo destino, quello di soccombere al peso di una solitaria immortalità..."

"...è sempre stato scritto che sarebbe arrivato il giorno in cui il grande Mago Merlin avrebbe ceduto alla fragilità delle sue emozioni, che per oltre un millennio lo hanno tormentato..."

"...aspettando il tuo ritorno, giorno dopo giorno, anno dopo anno, secolo dopo secolo, ha perso di vista il significato della sua esistenza. Si è lasciato sopraffare dal dolore della perdita di persone a lui vicine..."

"...si è lasciato invadere dalla paura della prospettiva di altri mille anni da passare in solitudine, nella tua attesa, ed è a quel punto che il richiamo oscuro dell'oblio ha avuto meglio sulla sua forza di volontà..."

"...sei il Re del Futuro perché è il tuo destino, quello di dover ristabilire l'ordine delle cose, per fermare la giovane furia del Mago Merlin, per contrastare quello che fu una delle persone a te più care..."

"...ciò che vi ha legato in passato, qualcosa di profondo e veramente puro, è ciò che nel presente potrebbe risultare l'unica arma efficace contro di lui. Siete due facce della stessa medaglia. La speranza che rappresenti per Albion con la tua sola esistenza è pari alla forza che avrai nel brandire Excalibur..."

"...Merlin il Mago sapeva che il suo destino era quello di doverti aspettare, ciò che non sapeva era che dovesse farlo in attesa che tu giungessi per mettere fine alla sua esistenza. Sei l'unico che può farlo".


Scosse lentamente la testa.

La bocca dischiusa, asciutta.

Arretrò con passi incerti, la testa gli girava.

Charles non ne poteva più.

Era troppo.

Tutto quello, era semplicemente troppo.

Le sue gambe si mossero da sole prima che potesse anche solo pensare di dar loro il comando di farlo.

Scappò.

Come avesse avuto il diavolo alle calcagna, si catapultò fuori dalla grotta, ripercorrendo a ritroso tutta la strada che lui ed Hester avevano fatto. Nel buio totale che tornò ad avvolgerlo, non poté vedere dove mettere i piedi ed inciampò varie volte; finì per sbattere contro le pareti rocciose della caverna e le sue braccia, come anche la sua faccia, si riempirono di escoriazioni con una facilità disarmante.

Ma Charles continuò a correre. Corse, corse e corse, finché non venne schiaffeggiato dall'aria della sera, incredibilmente fresca in confronto al caldo opprimente in cui era stato immerso fino a quel momento. Eppure non bastò, non bastò minimamente; nonostante il fiato pesante ed il sudore che gli entrava anche negli occhi, facendoli lacrimare e bruciare, le sue gambe non si fermarono. Le sue orecchie vennero riempite da un fischio, la testa gli pulsava a causa del sangue che scorreva impetuoso nelle vene e la sua figura si tuffò con disperata foga nella vegetazione.

Sassi, buche, cespugli, rami. Altri graffi. Ma non era importante, anzi. Era giusto.

Era giusto.

Merlin lo aveva aspettato. Giorni, anni, secoli, completamente da solo. Aveva visto morire tutti coloro a cui aveva voluto bene e non aveva potuto fare niente per evitarlo.

Era rimasto completamente alla mercé di se stesso. Unico custode del suo segreto, unico custode della propria identità, della propria unicità.

Merlin lo aveva aspettato ed alla fine, dopo più di mille anni - Cristo, mille anni! - era impazzito. Aveva dato di matto.

Charles iniziò a buttarsi quasi consapevolmente, contro i tronchi degli alberi.

Il dolore era giusto. Doveva essere punito. Aveva bisogno, del dolore.

Merlin si era perso, stava radendo al suolo Albion, aveva ucciso delle persone.

Ed era tutta colpa sua.


*


Quando Alecto raggiunse l'entrata della caverna, trovò Hester con un'espressione stravolta ed il volto sudato ed arrossato per una qualche fatica. Corrugando la fronte e spinta da un brutto presentimento, allungò il passo e la raggiunse velocemente.

"Che succede?" le chiese, mentre la donna si appoggiava contro la parete rocciosa dell'entrata con tutto il peso del corpo. Aveva il fiatone. Quando venne interpellata, gli occhi verdi di Hester saettarono su di lei con una luce furiosa ad animarli.

"Dove diavolo sei andata?" sbottò con fatica, tornando ad ansimare pesantemente. Alecto allargò un po' gli occhi pallidi e strinse le cinghie dello zaino.

"Io..." provò ad inventarsi qualcosa, ma non era pronta: si era convinta di riuscire a tornare alla caverna prima che gli altri due fossero usciti da lì dentro... ci aveva messo pochissimo, infatti!

Hester ringhiò come fosse stata imbizzarrita e la artigliò per la maglietta.

"Non mi sono mai fidata di te, non mi hai mai dato un motivo per farlo e questo tuo atteggiamento schivo e da falsa ingenuotta mi ha definitivamente stancata! Adesso basta!"

Alecto si guardò intorno, alla ricerca di Charles, sperando che sarebbe intervenuto come suo solito e scoprì che non si trovava lì. Il suo cuore fece una buffa capriola e riportò lo sguardo sul volto trasfigurato di Hester: era davvero imbestialita.

"Dov'è Charles?" mormorò, cercando di arretrare da lei, ma la donna la seguì passo passo, spinta da preoccupazione, rabbia, frustrazione e senso di impotenza. Con qualcuno doveva pur prendersela.

Aveva fatto un errore madornale. Aveva trascinato Charles dalle Disir con la speranza che loro potessero sbrogliare la matassa confusa che da giorni occupava la sua mente e che cosa aveva ottenuto?! Il risultato era stato un disastro! Come aveva potuto lasciarlo accadere? E chissà dove si era andato a cacciare in quel momento quel benedetto ragazzo!

"Attenta, signorina, la tua magia sarà anche più forte della mia, ma stai giocando un gioco pericoloso, perché sono molto più vecchia di te e deve ancora nascere qualcuno che riesca a farmela sotto il naso" sibilò la donna.

Alecto deglutì e sentendosi braccata come non lo era mai stata, involontariamente allontanò da sé Hester con la magia. I suoi occhi si tinsero intensamente di oro e la donna fu sbalzata via da lei da una spinta invisibile. Questo non fece altro che imbufalirla maggiormente.

"Come osi!" ruggì, il volto ancora più arrossato. "Come osi anche solo pensare di alzare un dito su di me! DIMMI DOVE SEI STATA!"

"DOV'È CHARLES?!" ribatté per contro Alecto, cercando di sovrastare la voce della donna. Si stava lasciando prendere dal panico, la situazione le stava sfuggendo di mano e quando le venivano gli attacchi, non era in grado di controllare la sua magia. Hester si gettò verso di lei a bracca tese e l'impulsività del suo attacco impedì ad Alecto di reagire con prontezza; l'unica cosa che riuscì a fare fu cadere a terra insieme all'altra sul fianco, per evitare di schiacciare l'uovo sotto il peso di entrambi i loro corpi.

"NON LO SO DOV'È, SMETTILA DI CHIEDERLO!" gridò la donna, cercando di graffiarla. I suoi occhi divennero dorati, anche se con meno intensità rispetto a quelli di Alecto ed alcuni tagli abbastanza superficiali lacerarono la maglietta ed i pantaloni della ragazza, macchiando giusto appena la pelle di sangue. Quel che avvenne dopo, fu qualcosa di decisamente inaspettato. L'incantesimo di Hester, nella foga della lotta, colpì anche lo zaino di Alecto; sulla stoffa si aprì uno squarcio e, molto semplicemente, l'uovo ne rotolò fuori, fermandosi poco distante sull'erba.

Le due si fermarono improvvisamente, come fossero state immortalate in una fotografia. Con il volto girato verso l'uovo, la più giovane che imprigionava i polsi della più grande nel tentativo di tenere le sue mani lontane da sé, restarono in contemplazione della sua sgradita entrata in scena.

"Per tutti gli Dei..." mormorò Hester ad un certo punto, con profondo e tremante sconcerto.

Si distaccò bruscamente dal tocco di Alecto e con fatica si rimise in piedi, senza mai togliere gli occhi dal piccolo uovo. L'altra, finalmente libera, strisciò velocemente sul terreno ed in men che non si dica, avvolse l'uovo tra le braccia, come a volerlo proteggere dallo sguardo acuto ed implacabile della donna che le stava di fronte; tenne gli scialbi occhi celesti puntati sul terreno, l'espressione corrucciata e completamente chiusa a qualsiasi comunicazione esterna.

Stava per avere un attacco di panico, lo poteva sentire strisciare sotto la pelle e stringerle il cuore in una morsa. Probabilmente sarebbe morta. Razionalmente sapeva di non star correndo nessun pericolo di vita imminente, ma gli attacchi di panico se ne sbattevano della razionalità: potevano farti credere di star morendo anche se ti fossi trovato sdraiato sotto le coperte del tuo letto, al sicuro da qualsiasi cosa. Iniziò a respirare pesantemente, gli occhi allucinati ed il volto inondato di sudore. Eccolo, iniziava.

"Chi sei tu?" le domandò Hester, il tono di voce improvvisamente controllato e molto, molto cauto. La guardò piegarsi in avanti su se stessa, mentre il corpo magro iniziava ad essere scosso da brividi ben visibili. La donna corrugò la fronte, ma non osò avvicinarsi. "Smettila di fare questa scena, questo non ti eviterà nessuna domanda. Perché hai un uovo di drago nello zaino? Dove l'hai trovato? Che cosa vuoi farne? Stai cercando di ingannarci?"

"Sto morendo" soffiò flebilmente la ragazza, il volto rigato dalle lacrime. Aprì la bocca, cercando di prendere respiri profondi, ma qualcuno stava tentando di strozzarla! Perché volevano ucciderla?

"Cosa?" ripeté Hester, che non aveva ben sentito. Spinta dalla sete di sapere, le si avvicinò, le palpebre ridotte a due fessure. "Cosa hai detto?"

"Sto morendo!" esclamò con più forza Alecto, in pieno stato di agonia. Un gemito da bestia ferita fu tutto ciò che aggiunse, prima di emettere dei versi strozzati. Hester la guardò con aria stralunata. Che cosa diavolo le prende? Sta cercando di farmi avvicinare per tendermi una trappola? Sta mentendo, come ha sempre fatto sino ad ora!

Un paio di mani rossastre afferrarono Alecto per le spalle e la tirarono su con forza. Charles era uscito dalla vegetazione circostante ed Hester non se ne era nemmeno accorta, troppo sbalordita da quello che stava accadendo. Il ragazzo, con la faccia, le mani e le braccia ricoperte di sangue, la aggirò e le si inginocchiò di fronte, dandole dei piccoli schiaffetti sulle guance.

"Alecto!" esclamò, il tono duro e perentorio. "Alecto, respira! Non c'è niente che te lo impedisce, quindi respira!"

Lei continuò a piangere, scossa da brividi sempre più violenti.

"Guardami Alecto, guardami in faccia!" tornò a parlare Charles, con un tono di voce anche più alto, urgente. Le afferrò il volto con entrambe le mani e la scosse, non troppo forte. La ragazza socchiuse gli occhi celesti, incontrando quelli azzurri dell'altro.

"Ecco, così. Guardami Alecto e respira. Ci siamo solo io ed Hester qui e nessuno sta tentando di ucciderti. Torna in te. Respira!"

L'improvvisa apparizione di Charles ebbe un effetto decisamente benefico. Seguendo le istruzioni della sua voce, poco a poco Alecto riuscì a controllare nuovamente il suo respiro e nel giro di dieci minuti, smise anche di tremare e di piangere. Esausta dall'ondata di panico appena passata, si afflosciò su se stessa come un guscio vuoto, con le mani di Charles poggiate sulle spalle. Hester era rimasta immobile come una statua di sale poco distante da loro, le mani sulla bocca a coprire il grido di orrore che aveva voluto uscirne non appena aveva messo gli occhi su Charles.

Coperto di sangue su quasi ogni centimetro di pelle visibile.

"Che cos'è successo?" chiese duramente il ragazzo, non appena fu sicuro che il peggio fosse passato. Senza smettere di rassicurare Alecto con il tocco delle sue mani, altalenò lo sguardo dall'una all'altra, incurante di come potesse apparire il suo aspetto ai loro occhi. A giudicare dagli occhi fuori dalle orbite con i quali Hester lo stava guardando, doveva essere tremendo.

"Charles... che... che cosa ha fatto?" gemette la governante, già allungando le mani verso di lui.

"NO!" esclamò immediatamente quello, duro come la pietra. "Adesso le domande le faccio io, non ho intenzione di parlare riguardo quello che è successo. Esigo una risposta, adesso. Cosa. È. Successo". Più che una domanda, sembrò una pretesa.

"Attacchi di panico" si intromise la debole voce di Alecto. Charles spostò gli occhi su di lei, osservandone il volto pallido e sudato. "Soffro di attacchi di panico". Poi, con evidente titubanza: "Come... come sapevi che cosa fare per aiutarmi?"

"Non lo sapevo" rispose subito l'altro, senza nessuna espressione. "Ho soltanto cercato di farti ragionare. E comunque, è la prima volta che ti prende da quando sei con noi. Perché è successo?"

Alecto tornò ad esitare, guardando prima il terreno, poi Hester, poi Charles e ancora il terreno. "Perché Hester si è arrabbiata" optò alla fine, sentendosi in una posizione di profondo svantaggio. Avevano scoperto il suo uovo. Che cosa le avrebbero fatto?

"Non è la prima volta che si arrabbia con te. Che differenza c'è stata stavolta?"

A quel punto, intervenne Hester. "La differenza, sta tra le sue braccia!" esclamò, senza poter impedire ad un fremito di rabbia di insinuarsi nella sua voce. Charles, finalmente, abbassò gli occhi sull'uovo che la ragazza stava stringendo con evidente protezione. Aveva la vista sfocata dal martellante mal di testa, perciò ci mise qualche istante prima di capire che cosa stesse guardando.

"Un uovo" esclamò, piattamente. "Ti sei arrabbiata... per un uovo?"

"Non un semplice uovo!" attaccò ancora la donna, "Ma un uovo di drago! Non capisce? Ci ha mentito per tutto questo tempo! Lo sapevo, che non dovevamo fidarci di lei! Glie lo avevo detto!"

Alecto alzò appena lo sguardo, incontrando quello di Charles fisso sul suo volto ed in attesa di spiegazioni. Sospirò rumorosamente e non avendo la forza di articolare chissà quale acrobatica menzogna, quella volta optò per la verità: "Questo è ciò che realmente il goblin mi aveva rubato" ammise, mentre le dita accarezzavano la superficie liscia dell'uovo.

"C'entri qualcosa con tutto questo? Con questa storia dei draghi?" le chiese in modo molto schietto Charles, senza il minimo tentennamento. Avrebbe potuto chiederle 'perché non ci hai detto la verità quando te lo abbiamo chiesto?', ma probabilmente anche lui avrebbe mentito, al suo posto; andare a dire in giro di avere un uovo di drago non era certo un'idea brillante. Le braccia di Alecto si strinsero ancora di più attorno all'uovo.

"No" rispose lei, continuando a guardare ciò che aveva in grembo. Non si sbilanciò a dire altro, non fidandosi minimamente della sua voce.

"Mente!" sibilò Hester con cattiveria, colpendola con gli occhi accesi dalla furia.

"Cosa ci fai con un uovo di drago?" le chiese allora Charles, mantenendo un tono perfettamente controllato, nonostante il dolore dei graffi ed alla testa lo stesse lentamente divorando. Ma non aveva la minima intenzione di lamentarsene. Ad ogni gemito che si fosse lasciato sfuggire, avrebbe personalmente provveduto a prolungare la sua agonia.

"L'ho trovato..." tornò a dire Alecto, sempre sulla linea della sincerità. "A Londra. E... non potevo lasciarlo lì”.
"E dove speravi di portarlo, un uovo di drago?" domandò Hester, sprezzante.

Da Emrys, fu la prima cosa che ovviamente pensò. Lui saprebbe sicuramente che cosa fare, come è già successo con gli altri. Eppure, il pensiero di ritornare in quella casa non la attirava per niente. Che fosse stata troppo condizionata da quello che la Diamar le aveva detto? Alecto si strinse nelle spalle, infossando la testa ancora di più. "Non lo so..." mormorò. "E se lo avesse trovato qualcun altro?"

Per un po', nessuno disse niente.

"Non possiamo lasciarla andare in giro da sola con un uovo di drago" esclamò Charles, come primo dato di fatto. "Credevo che-" che i draghi si fossero estinti già ai tempi di Uther, avrebbe voluto dire, ma si morse la lingua: Alecto non poteva sospettare che lui era la reincarnazione di Re Arthur e che quindi sapeva in realtà già alcune cose, della magia. Hester lo guardò con aria confusa, così come Alecto, quindi cercò di inventarsi qualcosa per continuare.

"Credevo che i draghi non esistessero ed ora non solo ne ho visti di giganti, ma abbiamo anche un uovo, qui".

Ciò che disse, anticipò un evento che dire straordinario sarebbe riduttivo. Alecto tornò ad abbassare gli occhi sull'uovo, guardandolo con attenzione; sotto le sue dita, poteva sentire il pulsare forte di un cuore, oltre ad un piacevole tepore. Era così bello, da guardare. Perfettamente ovale, liscio come marmo, con delle venature rossastre appena percettibili ad impedirne l'altrimenti puro candore. Le sue labbra si tesero in un piccolo sorriso affettuoso.

Ofan Drem(2) disse, parlando con una certa dolcezza. Un paio di secondi dopo si ritrovò a battere le palpebre con perplessità, uno strano rossore a far capolino sulle guance pallide. Guardò furtivamente Charles ed Hester, come avesse detto qualcosa di imbarazzante. "Scusate, è che... è così rassicurante il suo calore!"

Ma gli altri due continuavano a guardarla come se non avessero compreso una parola di quello che aveva detto. Non capendo cosa stesse succedendo, improvvisamente Alecto sentì l'uovo incrinarsi sotto le sue dita; sgranò gli occhi ed abbassò subito lo sguardo, in tempo per vedere delle crepe percorrerne la superficie. Non è possibile, pensò, allibita come poche volte lo era stata. Perché l'uovo si stava schiudendo? Emrys non le aveva ancora insegnato come fare! Che cosa stava succedendo?

Strinse la base dell'uovo tra le mani e la parte superiore volò per l'aria, quando una piccola testa rugosa fece capolino dal foro creato; il musetto di un cucciolo di drago dalle scaglie verde scuro fece la sua comparsa, salutando il mondo esterno con un tenero verso gracchiante. I suoi liquidi occhietti scuri guardarono dritto Alecto e la piccola creatura fece un altro versetto delicato. La mandibola della ragazza avrebbe potuto quasi sfiorare il terreno dalla sorpresa.

"Ed a quanto pare..." aggiunse Hester, lentamente, gli occhi grandi come due palline da golf, "...abbiamo anche una signora dei draghi".



















NOTE DELL'AUTORE: Oh mamma saura. Ma qui le cose invece di migliorare peggiorano! Ma com'è possibile?! Eh, e chi lo sa ù_ù *parla da sola *. L'avete sentita la musichina nella testa, alla fine del capitolo? Quella che fa ZAN ZAN ZAAAN. Io l'ho sentita tipo una cifra. Ma non è possibile che siamo già all'11 capitolo ç_ç non faccio in tempo a pubblicare qualcosa che già mi scappa via ç_ç Vabbé, bando alle depressioni. Grazie a tutti come sempre, chi scrive, chi legge, chi segue, chi preferisce, chi si impicca dall'orrore e dallo schifo che questa ff può suscitare, e a chi mi BETA: Mimiwitch, scelgo te! Ok, fine degli scleri.


(1)Fa riferimento al capitolo precedente, poiché il giorno è sempre lo stesso.

(2)Dare Pace: E' scritto in draconico, preso direttamente dall'alfabeto ufficiale di Skyrim riguardo la lingua dei draghi. Il nome del drago quindi deriva da Peace (pace in italiano), che in draconiano si dice Drem. Il drago si chiamerà Drem. Vi ricordo infatti, che per far schiudere un uovo di drago, nella serie televisiva ciò che basta è che un signore dei draghi decida il nome del drago che dovrà nascere e che lo pronunci ad alta voce, ovviamente nella lingua dei draghi.


Free hugs,

Asfo


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Capitolo 12
*** Chance ***


DODICESIMO CAPITOLO

12. Chance


Yeovil Country Park, 26/27 luglio 2020

Notte


"Ed a quanto pare..." aggiunse Hester, lentamente e con gli occhi grandi come due palline da golf, "...abbiamo anche una signora dei draghi".

Charles ed Alecto continuarono a guardare il draghetto con due facce equamente sbalordite. La creatura si mosse all'interno del guscio oramai schiuso e cercò di sbatacchiare le ali, sin quando tutto il suo agitarsi non la liberò dalle deboli costrizioni che le erano rimaste attorno. Quando ne fu in grado, spalancò le alucce come stesse stiracchiandosi e fece per scrollarsi qualcosa di dosso, nonostante avesse le squame perfettamente lucide e pulite. Alecto emise un verso strozzato, volendo dire qualcosa senza però riuscirci. Fu Hester che tornò a far sentire la sua voce per prima. "Hai ben pensato di tenere anche questa cosa, per te, non è vero? Sei una signora dei draghi, vorresti continuare a farmi credere che con questa faccenda degli attacchi tu non c'entri niente?"

"Io non... non so come ho fatto" rispose la ragazza, il volto stravolto dall'incredulità e, era evidente come la luce del sole, anche dalla sincerità. "Non sapevo di poter fare una cosa del genere, io... non so come ho fatto! Perché l'uovo si è schiuso?!"

"Perché hai dato un nome al drago, mi pare evidente" le rispose Hester con impazienza, incrociando le braccia contro il petto. L'unica cosa che ricevette fu uno sguardo completamente smarrito.

"Ho dato un nome al drago?" ripeté lei, allibita. "Io? Ma quando?"

"Adesso, è ovvio!"

"Ma... che cavolo dici? Quando l'avrei fatto?! Siete stati presenti tutto il tempo, oppure vuoi incolparmi anche di questo?! Non ho mai detto il suo nome, non ho nemmeno pensato di dargliene uno! Non sapevo che funzionasse così!"

"L'unica cosa che abbiamo sentito" intervenne Charles, moderando le parole ed il tono della voce, "È stata una roba strana ed incomprensibile uscire dalla tua bocca. Come se avessi parlato un'altra lingua..."

"La lingua dei draghi" chiarificò Hester, molto pragmatica. "È una lingua che tutti i signori dei draghi sanno parlare per natura. Non si può imparare, o ce l'hai o non ce l'hai".

"Ho parlato un'altra lingua?" Alecto si sentì un po' sciocca: sembrava che quella sera, l'unica cosa che le riusciva fare fosse ripetere le parole degli altri piuttosto stupidamente. Il draghetto mosse le zampette per tastarne la solidità e solo quando lo sentì muoversi in grembo, la ragazza constatò quanto in realtà risultasse leggero.

"Sì" confermò Charles, gli occhi catturati dalle movenze della piccola creatura. Non aveva mai visto nulla di così... speciale. Come poteva una creatura come quella essere pericolosa?

"Ed è così che avrai sicuramente pronunciato il suo nome" tornò a dire, piegando la testa da un lato. Il piccolo drago girò su se stesso e notando la curiosa posizione in cui Charles teneva la testa, anche lui inclinò il musetto di lato, imitando a specchio la postura del ragazzo. Charles fece uno sbuffo di divertimento.

"Cos'è che hai detto, prima che l'uovo si schiudesse?" le chiese Hester, socchiudendo le palpebre sui tempestosi occhi verdi. Alecto corrugò la fronte, cercando di fare chiarezza: era davvero confusa e sbalordita, quindi ci mise un po' per riattivare il cervello. "Ho detto... che il suo calore è rassicurante".

"E prima di quello?"

"Ho detto: tu mi dai pace. Ma non so perché l'ho fatto, voglio dire... generalmente non dico cose di... questo genere".

Hester abbassò gli occhi sul draghetto, che adesso stava emettendo dei versetti gutturali all'indirizzo di Charles. "Prova a ripeterlo guardando il drago".

Alecto fece come le era stato detto. Guardò la creatura e disse: "Tu mi dai pace".

"Non così, concentrati!"

"Tu mi dai pace".

"Ancora!"

"Tu mi dai pace!"

Charles sospirò pesantemente. "Non funziona così! Le stai soltanto mettendo agitazione!" esclamò, rivolgendosi ad Hester; la donna strinse le labbra, ma si ammutolì, poiché era appena stata offesa l'indiscutibile efficacia dei suoi metodi.

Charles riportò lo sguardo su Alecto ed arcuò le sopracciglia bionde, appena visibili sotto le macchie di sangue che andavano seccandosi. "Perché non provi a toccarlo? Quando te la senti, tenta di dirlo ancora".

La ragazza annuì debolmente e piuttosto esitante, allungò le mani verso il drago; la creatura si girò verso di lei e senza alcun timore, avvicinò il musetto alle sue dita, annusandone la pelle. Passarono soltanto pochi istanti, poi il draghetto fece un versetto delicato e strusciò il muso contro il palmo della sua mano destra; Alecto abbozzò un piccolo sorriso dall'aria intenerita e dopo aver raccolto un po' di coraggio, accarezzò la testolina della creaturina come fosse stata fatta di cristallo.

"Rok mi ofan Drem(1)" disse allora, piano, parole con sembianze di un segreto. Alzò di colpo gli occhi su Charles e vide che anche lui stava sorridendo.

"L'ho sentito" disse lei, con genuino stupore. "Stavolta l'ho sentito!"

Hester continuò a restare in silenzio, ma i suoi occhi non si persero un passaggio. Nell'udire la voce di Alecto, il draghetto si era girato verso di lei ed aveva sgambettato fino ad issarsi sulle zampe posteriori. Stava rispondendo al suo richiamo.

"Drem" disse allora lei, che con quella parola ottenne un gioioso sventolio di coda acuminata. "Il suo nome è Drem. Vuol dire Pace".

"Hai scelto un nome davvero... singolare" commentò Charles corrugando la fronte, ma pentendosene subito dopo: il mal di testa gli annebbiò la vista per qualche secondo. Alecto alzò lo sguardo su di lui, aspettandosi che continuasse; quando il dolore scemò un poco, Charles inumidì le labbra secche e tornò a dire: "Considerando il disastro che i suoi simili stanno combinando, questi draghi mi sembrano tutto tranne che portatori di pace".

Alecto strinse i denti, senza distogliere lo sguardo. L'unico problema era che loro due avevano un concetto diverso di pace; lei stava combattendo per una giusta causa, per ottenere la pace universale tra gli esseri magici e quelli non magici. Quell'attacco di forza era necessario per raggiungere il cambiamento completo e comunque, lei ed Emrys avrebbero posto rimedio a tutti coloro che nel mezzo erano rimasti vittime di quella rivoluzione. Quindi Drem avrebbe sicuramente portato la pace. La pace per tutti, la pace che intendeva lei. Strinse le labbra in una linea sottile e preferì non rispondere, poiché la sua situazione era già abbastanza precaria di per sé.

"Quindi vorresti farmi credere che non sapevi di essere una signora dei draghi?" le chiese Hester, le sopracciglia inarcate a mostrare tutto il suo scetticismo.

Alecto scosse la testa. "No, certo che no. Chi avrebbe potuto dirmelo? Quante streghe pensi che ci siano, in giro? Credevo che i draghi nemmeno esistessero." Ed era vero. Prima di Emrys, aveva addirittura quasi creduto a sua madre; aveva creduto di essere indemoniata. Ma cosa ne poteva sapere, lei, della verità? Nel 2020 non c'era nessuna verità, per quelli come lei.

"E perché quando sono uscita dalla caverna non c'eri?"

A quella domanda, Alecto sentì lo sguardo di Charles bucarle la faccia. Hester non avrebbe allentato la presa, non prima di aver chiesto tutto quello che aveva da chiedere. "Perché avevo cominciato a sentirmi male" rispose la ragazza, approfittando dell'attacco di panico verificatosi poco prima. "Ho pensato che camminare mi avrebbe aiutata ad evitare la crisi, poi tu mi sei saltata al collo ed è andato tutto alle ortiche".

"Ah, ma certo. La crisi" esclamò la donna, schioccando seccamente la lingua contro il palato.

Alecto sentì crescere un moto di furia dentro di sé ed affondò le dita nella stoffa dei pantaloni; perché quella vecchiaccia doveva essere sempre così odiosa? Charles, con tono profondamente stanco, come al solito intervenne: "Ne ho abbastanza, per questa notte. Ho bisogno di riposare, quindi adesso mi riprendo Excalibur e ce ne andiamo tutti alla macchina. In silenzio".

"E senza fare domande" aggiunse, quando vide Hester di nuovo in procinto di controllare le sue ferite. Si trattava per lo più di graffi che si era procurato andando a sbattere accidentalmente contro le pareti, nell'oscurità totale della grotta - meno accidentalmente quando si era gettato a capofitto in mezzo alla boscaglia. Probabilmente sarebbe spuntato qualche livido sotto lo strato di sangue, ma non aveva ferite gravi; il suo aspetto tremendo faceva solo sembrare la cosa peggiore di quanto fosse in realtà.

Era stufo di pensare ogni volta a qualche problema che necessariamente doveva venire sempre prima dei suoi; aveva corso, si era sfogato, ma quel peso nel petto non era sparito, non era sparito per niente. Aveva bisogno di pensare, di ricavarsi uno spazio per sé e sperò ardentemente che le sorprese, per quella notte, fossero terminate. Non ce la faceva più.


*


Tornati alla macchina, con un incantesimo Alecto aveva ripulito alla bell'è meglio la pelle ed i vestiti di Charles da tutto il sangue che aveva addosso; la magia ebbe dei risultati piuttosto soddisfacenti, nonostante qualche macchia ostinata che restò aggrappata alla stoffa della t-shirt. Charles non l'aveva nemmeno ringraziata e si era immediatamente infilato in macchina, abbandonandosi contro il sedile anteriore in preda ad un'emicrania da record; una volta chiusi gli occhi, piombare in un sonno profondo era stato veramente troppo facile.

Con il pungente odore del sudore misto a sangue che impregnava la sua pelle ed i suoi indumenti, iniziò a sognare; l'odore di sudore rimase, ma quello del sangue venne sostituito da qualcosa di più gradevole, un po' dolciastro, come legno di pino bruciato. (2)Charles aprì lentamente gli occhi e la prima cosa che vide fu il fuoco: stava seduto per terra vicino ad un piccolo falò, la cotta di maglia pesava sulle sue spalle ed il sudore gli colava lungo la schiena, appiccicando la casacca di stoffa leggera alla pelle accaldata; inspirando anche più a fondo, insieme al profumo di pino bruciato riuscì ad avvertire anche quello classico del cuoio, che era solito indossare con la sua tenuta da caccia o da battaglia. Stava fissando il fuoco con aria profondamente assorta, le gambe piegate vicino al petto ed i gomiti poggiati sulle ginocchia.

"Tutte le volte che ho affrontato un pericolo" iniziò, con tono di voce sommesso ed incrinato da una sorta di dolore, "Non mi sono mai preoccupato di dover morire".

"Non penso dovreste farlo ora" rispose immediatamente Merlin, che ovviamente era seduto di fianco a lui. Non c'era stato un attimo di esitazione, nella risposta che aveva formulato con forza. Arthur si voltò a guardarlo con l'aria di chi si era momentaneamente perso e Merlin abbassò quasi subito lo sguardo.

"Certe volte sei un enigma, per me" esclamò il Re, spostando di nuovo gli occhi azzurri verso il fuoco, senza realmente vederlo. Le parole vennero pronunciate con un impercettibile fastidio.

"Non mi avete mai capito fino in fondo" replicò Merlin, sfoderando la sua solita insolenza. Di certo non si poteva dire che avesse peli sulla lingua.

"No" disse infatti Arthur, annuendo. Avrebbe voluto aggiungere altro, ma cosa poteva dire? "Bé..." mormorò l'altro, senza distogliere gli occhi blu dal volto del sovrano, almeno sino a quando non aggiunse: "Le cose sarebbero diverse se fossimo stati buoni amici".

Il Re continuò a guardare il fuoco e raggrumò appena le labbra; e quello che cos'avrebbe dovuto significare? Che non lo erano? Non erano buoni amici? Possibile che Merlin non avesse nemmeno notato la differenza tra il modo in cui trattava lui ed il modo in cui trattava 'solo' il resto del mondo?

"Già" si limitò a rispondere, con una sorta di amarezza.

"Se non foste stato un arrogante e tronfia testa di fagiolo" aggiunse inaspettatamente il moro, sottintendendo che sì, sapeva che esisteva una differenza. Sapeva di aver sempre ricevuto un trattamento di favore. Arthur non riuscì a reprimere uno sbuffo di divertimento ed abbassò brevemente lo sguardo, scuotendo la testa; quell'idiota riusciva in qualche modo a lasciarlo sempre senza parole.

"Ma le cose non vanno sempre come ci si aspetta" esclamò Merlin, mentre la voce assumeva nuovamente una sfumatura di serietà. Tornarono entrambi a fissare il fuoco, perché parlare di quel genere di cose senza guardarsi negli occhi era molto più facile.

"Vedrete..." continuò il moro; l'evidente titubanza con la quale pronunciò quella singola parola, fece voltare Arthur verso di lui; si scambiarono un breve ma significativo sguardo eppure, come i precedenti, svanì in fretta. Nell'aria c'era odore di qualcosa lasciato in sospeso. "Sconfiggeremo i Dorocha, lo faremo..." il mago annuì alle sue stesse parole, per convincere entrambi di quella possibilità. "...Insieme".

Si guardarono ancora. Arthur accennò un piccolo sorriso, che svanì in un battito di ciglia.

"Lo apprezzo" replicò, prima di aggiungere un cenno di intesa.

Fu in quel momento, che prese la sua decisione definitiva; era da un po', in realtà, che ci stava pensando, ma non aveva mai trovato l'occasione adatta per farlo - o magari il coraggio. Eppure, sentiva che quello era il momento giusto. Che Merlin, era la persona giusta. Si voltò e rovistò nella bisaccia, trovando praticamente subito quello che stava cercando: estrasse un piccolo sacchetto di cuoio scuro e dopo averlo aperto, sul palmo della sua mano scivolò un medaglione di ferro abilmente scolpito, dall'aria importante; era diviso in quattro da una croce ed al centro c'era la figura di un piccolo volatile.

"Apparteneva a mia madre" spiegò con tranquillità, accarezzandone i rilievi, mentre sentiva lo sguardo di Merlin su di sé come fosse stato qualcosa di palpabile, di concreto. "Rappresentava il suo stemma" continuò, cercando di combattere contro il nodo che gli aveva stretto improvvisamente la gola; lo osservò intensamente per qualche altro secondo e dopo averlo accarezzato un'ultima volta, lo porse all'altro ragazzo.

"Tieni" disse, alzando finalmente gli occhi su di lui. Merlin chiuse le dita attorno al medaglione e lo osservò con attenzione.

"Arthur, non posso-" iniziò a protestare, ma il Re lo interruppe con fermezza: "Solo... prendilo e basta". Fissò con convinzione i suoi occhi, lasciando intendere che no, non avrebbe accettato di essere contraddetto. Lui era il Re.

Merlin sostenne il suo sguardo per un po' e poi lo abbassò di nuovo sul medaglione; Arthur ne approfittò per tornare a guardare il fuoco, per prendersi una pausa dall'emozione che lo aveva colto impreparato. Non aveva immaginato che si sarebbe rivelato così difficile separarsi da quell'oggetto, eppure ebbe la netta e viva sensazione che quella fosse davvero l'unica cosa giusta da fare.


*


"Avete trovato quello che stavi cercando, nella caverna?"

Seduta per terra vicino la macchina ed impegnata a giocherellare con Drem, Alecto tentò di intavolare a voce bassa una discussione con Hester, che stava seduta sul sedile posteriore, ma rivolta verso il passaggio lasciato libero dallo sportello aperto. La donna fece strusciare pigramente le suole delle scarpe a terra, incapace di distogliere lo sguardo dal piccolo drago; mai nella vita avrebbe immaginato che un giorno ne avrebbe visto uno così da vicino. Sospirò silenziosamente e nel rispondere, anche lei mantenne il tono della voce basso, per evitare di svegliare Charles.

"Io non so cosa tu stia facendo, ma voglio sottolineare che non sono Charles". Alecto alzò immediatamente gli occhi opachi su di lei, priva di qualsiasi espressione.

"Non basteranno due moine o l'aria indifesa, per convincermi della tua innocenza" continuò Hester, sostenendo lo sguardo dell'altra. "Sei una signora dei draghi ed in quanto tale, per me potresti benissimo essere coinvolta in tutta questa orribile faccenda. Fino a prova contraria, ovviamente. Il fatto che io non abbia elementi con cui accusarti, non fa di te una persona onesta".

"E allora dimmelo tu come posso fare, per dimostrarti la mia onestà" replicò Alecto, guardandola negli occhi. "Visto che non vuoi fidarti di me, merito per lo meno una chance".

Calò il silenzio, interrotto solamente dai gorgoglii delicati di Drem, che zampettava in giro del tutto eccitato da qualsiasi cosa; al contrario delle due donne, sembrava non avere il minimo bisogno di riposare, ma del resto chi poteva biasimarlo? Chissà per quanto tempo era rimasto chiuso in quell'uovo, aspettando semplicemente che qualcuno pronunciasse il suo nome... E quando quel momento era giunto, non aveva perso tempo per dare sfogo a tutta la sua energia. Dormire? Non se ne parlava proprio!

Hester seguì per un bel po' i suoi movimenti in silenzio, abbandonata contro il sedile della macchina. La richiesta di Alecto era legittima: l'assenza di prove non faceva di lei un'innocente, ma neanche una colpevole. Forse, avrebbe potuto sfruttare quella situazione a suo vantaggio e ricavarne due piccioni con una fava. Dopo quasi cinque minuti di silenzio meditativo, decise di risponderle come si doveva.

"D'accordo" iniziò lentamente, soppesando con attenzione ogni parola; "Ti dico che cosa faremo. Ci metteremo sulle tracce dei draghi e quando li troveremo, li costringerai a confessarti chi è il loro mandante e dove si trova. Sai che i draghi sono costretti a fare qualsiasi cosa venga loro ordinata da un signore dei draghi, vero? Oh, che sciocca..." accennò un sorriso storto di proposito, "...no che non lo sai. Non sapevi nemmeno di esserlo, una signora dei draghi".

"Come fai ad essere così sicura che dietro gli attacchi dei draghi ci sia qualcuno? E se fosse così, cosa pensi di fare una volta ottenuta quest'informazione?" domandò Alecto, che d'un tratto s'era tutta irrigidita. Mantenne gli occhi bassi su Drem, per celare qualsiasi timore vi potesse essere riflesso dentro. Ma lei non poteva sapere che le Disir avevano praticamente ammesso che era Merlin, il fautore di tutto quel caos.

"I draghi sono creature solitarie e non avrebbero il minimo interesse ad agire come stanno facendo, se non sotto stretto ordine. Inoltre, fino a poco tempo fa ti assicuro che erano del tutto estinti. Quindi qualcuno deve aver fatto schiudere le loro uova, anche se non riesco ad immaginare dove possa averle trovate. Vediamo un po', Alecto: secondo te, cosa mai potrei voler fare, una volta scoperto dove si trova il colpevole di questi attacchi?" la voce della donna sfumò in un chiaro tono di sarcasmo.

"Tu?" esclamò la giovane, replicando scetticismo contro il sarcasmo dell'altra; "Tu vorresti uccidere chi sta conducendo questa battaglia?" ed arcuò le sopracciglia bionde sin quasi all'attaccatura dei capelli. Hester sorrise quasi con dolcezza.

"No, non io" replicò, soave e letale al tempo stesso; "Ma noi. Mi hai chiesto di darti una chance per dimostrare la tua onestà. Eccotela, la tua chance. Fammi vedere che sai fare".


*


Merlin restò in silenzio e mantenendo gli occhi bassi, infilò il medaglione dentro la tasca dei calzoni scuri. Per un po' nessuno dei due parlò ed il crepitio delle fiamme fu l'unico suono, insieme a quello della notte, che fece loro compagnia.

"Sapete, non avrei mai pensato che sarebbe finita così" disse ad un tratto il mago, interrompendo quella sorta di confortante tranquillità.

Arthur corrugò la fronte e si voltò a guardarlo, senza capire; quando Merlin notò la confusione nei suoi occhi azzurri, si decise a continuare: "Bé, è decisamente ironico, non trovate? Aspettarvi per tutto questo tempo, soltanto per essere ucciso. Gli Dei hanno uno strano modo di divertirsi".

Arthur continuò a guardarlo, gli occhi leggermente sgranati e la pelle increspata a causa di un improvviso ricordo.

Ma certo.

Le Disir gli avevano detto che avrebbe dovuto ucciderlo... come aveva fatto a dimenticarselo?

"Non lo farò" decretò seccamente, tornando a guardare il fuoco, come se quello potesse cancellare immediatamente il gelo improvviso che lo aveva fatto spostare scomodamente sul terreno. Merlin rise e scosse la testa.

"Ah, davvero?" domandò, tenendo il volto basso e guardando l'altro di sottecchi. Quando sorrideva i suoi zigomi sporgevano ancora di più. "E come intendereste risolvere la situazione? Non mi lascerete davvero distruggere tutto ciò per cui abbiamo lottato".

Arthur non rispose ed allacciò le dita delle mani, stringendo forte la presa; inghiottì a vuoto, senza riuscire a ricambiare lo sguardo di Merlin.

"Invece sì" sussurrò a quel punto il mago, mentre la comprensione faceva diventare i suoi occhi blu ancora più grandi. "È proprio quello che farete, non è così?"

"Che cosa pretendi da me, Merlin?" sbottò il Re, sentendosi punto sul vivo dall'incredulità dell'altro. "Vuoi che ti uccida? Vuoi veramente farmelo fare? Io non... io non posso, d'accordo? Non posso!"

Merlin restò ad osservarlo a bocca aperta, il volto illuminato dalle fiamme improvvisamente pieno di ombre grottesche. "Arthur... qui non si tratta di me. Non si tratta nemmeno di voi. Si tratta di Albion. Dopo tutto quello che abbiamo passato per riuscire nell'impresa, dopo tutto... Arthur, per favore. Pensate a tutte quelle persone che-"

"Non me ne importa un accidenti, delle persone!" gridò con il respiro rotto, come se avesse trattenuto il fiato sino a quel momento. Guardò fisso Merlin negli occhi, con il sangue che gli pulsava nelle orecchie a causa del battito veloce del cuore. Perché non riusciva a capirlo? Perché gli chiedeva una cosa del genere come fosse semplice? Come se fosse l'unica soluzione? Arthur non poteva sopportarlo; non poteva sopportare lo scarso valore che Merlin stava dando alla sua stessa vita, non quando per lui, invece, voleva dire immensamente.

"Non mi importa" si sentì dire, con un tono vibrante di risentimento. "Io non sono più Re. Non ho più un Regno a cui dover badare, non ho più dei sudditi da dover soddisfare. Non sono nessuno, in questo mondo. Non ho più alcuna responsabilità, eccetto una".

Si mosse così velocemente che Merlin sussultò e quando il mago se lo ritrovò a carponi davanti a sé, non riuscì più a distogliere lo sguardo.

"Io non devo niente a questa gente. Non sono loro che mi hanno aspettato per un millennio. Non sono loro che hanno sopportato il peso di una responsabilità non voluta. Non sono loro che mi hanno dimostrato la tua stessa lealtà, non sono loro che non hanno dimenticato chi sono davvero, non sono loro a conoscere ogni singolo aspetto della mia vita, non sono loro che hanno condiviso con me tutto ciò a cui attribuisco maggiore importanza, non sono loro che mi hanno sostenuto e guidato! Questa gente non ha mai rischiato la sua vita per la mia. Ed io in cambio di tutto questo che cosa ti ho dato, Merlin?"

La gola del mago si mosse come per inghiottire qualcosa, ma non un suono abbandonò le sue labbra schiuse, sormontante da un paio di occhi divenuti improvvisamente rossi. Sembrava in balia di una profonda difficoltà, di una lotta interiore molto intensa, ma Arthur non se ne curò perché aveva bisogno che lui lo ascoltasse e che sopratutto capisse.

"Mi dispiace, ma questa volta voglio essere egoista. Quando ero Re, era mio dovere pensare prima al benessere del mio Regno ed a quello del mio popolo. Stavolta è diverso. Questa volta voglio porre i miei desideri dinanzi a quello che il destino o come diavolo vuoi chiamarlo, si aspetta da me. Nessuno può togliermi il libero arbitrio, Merlin, te compreso. Sono io che ti ho portato a fare quello che stai facendo".

Il mago cercò di interromperlo, ma Arthur si limitò ad alzare la voce per sovrastarlo: "E non intendo ignorare le mie colpe. Troverò un modo per fermare tutto questo, troverò un modo per salvarti, ma ti posso assicurare che non sarà uccidendoti. Mi rifiuto di fare una cosa del genere, che Albion possa pure sprofondare all'inferno se non potrò averti di nuovo con me".

"Arthur..." la voce di Merlin tremò terribilmente, "Io sto cercando di ucciderti".

"Bé, buona fortuna allora, dovresti sapere che non è così semplice sbarazzarsi di me. Sono già morto una volta, eppure eccomi qui".

"Sei qui soltanto per fare quello che devi fare" insistette Merlin muovendosi a disagio, non potendo più sopportare la vicinanza di Arthur. Tenne il volto basso, deciso a non lasciarsi corrompere dagli occhi limpidi del sovrano.

"E lo farò" replicò quello, afferrando il volto del mago con entrambe le mani per impedirgli di fuggire da lui. "Ma lo farò a modo mio" concluse con determinazione, una scintilla di ribellione a rendere più luminosi i suoi occhi. Merlin rilasciò un sospiro vibrante e dopo quella che parve un'eternità, alzò una mano e la poggiò con delicatezza tra i capelli di Arthur. Si chinò in avanti e premette con forza la fronte contro quella dell'altro.

"Comunque andrà, sappi che io non potrei mai avercela con te" mormorò tenendo gli occhi chiusi. "Mai".


*


Alecto dovette sdraiarsi per terra, perché non sarebbe mai riuscita a tenere buono Drem all'interno della macchina; incrociò le braccia sotto la testa e punto gli occhi celesti verso il cielo stellato. La calura era impressionante, ma l'umidità sembrava essersi leggermente abbassata, tant'è che il sudore sulla faccia le si stava asciugando. Il draghetto si era seduto accanto a lei e stava giocando con un piccolo ciuffo di erba, mentre Hester aveva chiuso lo sportello della macchina ed era caduta profondamente addormentata poco dopo. Approfittò di quei momenti per ripensare a quello che la donna le aveva detto poco prima: non aveva ancora ben capito come funzionava quella cosa della lingua dei draghi e fino a quel momento, non era mai stata nemmeno in grado di comunicare con quelli di Emrys, quindi non aveva molta fiducia nelle proprie capacità. Del resto, in quel gruppo era l'unica ad essere una signora dei draghi, per cui niente le avrebbe vietato di poter fingere di parlare con loro, quando li avessero trovati; in più, in quel caso avrebbe potuto inventare di sana pianta tutto quanto e proteggere così Emrys da qualsiasi pericolo potesse correre a causa loro.

Era stata molto furba, Hester, a cercare di incastrarla così: se lei era davvero una persona onesta come andava sottolineando ogni tre per due, allora non avrebbe avuto nessun problema a stare dalla loro parte. In caso contrario...

Alecto strinse le labbra e corrugò la fronte nello sforzo della concentrazione. In caso contrario, Hester avrebbe avuto finalmente la prova che andava tanto cercando e addio copertura. In realtà, non avrebbe saputo nemmeno dire perché ci tenesse tanto a tenere in piedi tutta quella farsa, ma ogni volta che pensava finalmente di tornare da Emrys, le parole della Diamar sorgevano nuovamente dalla sua coscienza come un avvertimento. Aveva pensato che la Chiave di tutta la Conoscenza avesse voluto invogliarla a restare insieme al duo per ritrovare sia il Triskelion che l'uovo di drago, ma anche se adesso li aveva entrambi, aveva la sensazione che non fosse tutto lì, che la Diamar avesse inteso qualcosa di più. Da quando era entrata in contatto con il mondo della magia e da quando Emrys aveva iniziato ad insegnarle come usarla, aveva capito che fidarsi del proprio istinto poteva risultare essenziale in molte occasioni. Chi le diceva che restare con Hester e Charles non fosse una di quelle occasioni?

Drem interruppe le sue riflessioni strusciando il musetto contro la sua guancia e gorgogliò con delicatezza, riuscendo a farla sorridere; la ragazza accarezzò la testolina della piccola creatura e con un sospiro decise di darci un taglio, lasciando che la stanchezza vincesse sui suoi timori.










NOTE DELL'AUTORE: Non so perché ma non mostra il capitolo con l'interlinea, come ha sempre fatto. Vabbé! ò_O

  1. Non prendetela per letterale, è una traduzione un po' arrangiata poiché di translitterazioni in giro ce ne sono pochissime.

  2. Questa è la scena: http://www.youtube.com/watch?v=24f5wsWwbOI


Asfo


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Capitolo 13
*** Ultimatum ***


TREDICESIMO CAPITOLO

13. Ultimatum


Zona di Yeovil, Somerset, 27 luglio 2020

Mattina


Charles immerse le mani sotto il getto dell'acqua e le strofinò sul viso, sulle braccia e sul petto, cercando di lavarsi alla meno peggio; quella mattina, appena svegli, avevano deciso di prendersi un momento per fare il punto della situazione ed Alecto aveva proposto, durante il tragitto, di fare sosta ad uno dei tanti bar lasciati in balia di se stessi a causa del fuggi fuggi generale. Avrebbero potuto introdursi in qualche altra casa e farsi una doccia, ma nonostante la situazione attuale, Charles si sentiva a disagio al solo pensiero; l'aveva fatto una volta e si era sentito in colpa per tutto il giorno, così aveva preferito evitare di ripetere l'esperienza.

Avevano lasciato Alecto alla macchina, Hester invece l'aveva seguito sin nel bagno ed ora se ne stava appoggiata a braccia incrociate contro lo stipite della porta, a guardarlo con espressione greve. Se la donna si aspettava qualche parola da lui, aveva proprio capito male. Charles non aveva la benché minima voglia di parlare.

Fece uscire un po' di sapone dall'erogatore attaccato al muro e lo strofinò tra i palmi, prima di passarli sul collo e tra i capelli: con il caldo che faceva, non ci avrebbero impiegato nemmeno cinque minuti per asciugarsi alla luce del sole. La maglietta che aveva sporcato di sangue la sera prima giaceva nel lavandino accanto, sommersa da una discreta quantità di acqua mista a sapone; non avrebbe mai pensato di farlo se Alecto non glie lo avesse suggerito, dopo essere stata per prima nel bagno. Doveva ammettere che era una buona idea.

"C'è qualcosa che deve sapere" esclamò ad un certo punto Hester, decidendo che erano stati in silenzio abbastanza a lungo. "Ieri sera ho discusso con quella ragazzina ed il fatto che si tratti di una signora dei draghi, potrebbe tornare a nostro vantaggio. Se ci mettessimo sulle tracce dei draghi e li trovassimo, a quel punto lei potrebbe farsi dire dove si trova Merlin".

Charles mugugnò un assenso e frizionò i capelli insaponati sotto il getto del rubinetto, chiudendo gli occhi affinché non iniziassero a bruciare come l'inferno. Si sentiva tutto indolenzito a causa dei leggeri graffi che aveva sulla pelle ed un paio di lividi avevano già fatto la loro comparsa sulle braccia.

"Francamente non conosco nessun incantesimo di localizzazione per trovare quelle creature, ma lei invece sì... un'altra delle tante informazioni che ha ben pensato di tenerci nascoste, sottolineerei, però sorvoliamo. Suppongo quindi che la strategia migliore sarebbe unire la magia al ripercorrere la scia di stragi che i draghi si sono lasciati alle spalle. Se prestassimo attenzione, potremmo scoprire uno schema, una logica, un qualcosa".

Charles si tirò su e chiuse l'acqua; non appena drizzò la schiena, le gocce d'acqua che cadevano dai suoi capelli iniziarono a scivolargli lungo il collo, sul petto e la schiena. Scosse forte la testa, schizzando acqua in giro in modo piuttosto incurante ed Hester chiuse pazientemente gli occhi quando venne investita da una cascata di goccioline. Strofinando la punta del naso, il ragazzo gorgogliò nuovamente un altro assenso non verbale e si avvicinò alla maglietta che aveva messo a mollo; immerse le mani nell'acqua divenuta rosata ed iniziò a strofinare a casaccio la stoffa chiara.

"Se devo essere sincera," proseguì Hester, seguendolo con lo sguardo, "Vorrei anche approfittarne per capire una volta per tutte le intenzioni di Alecto. Se è veramente coinvolta nella faccenda dei draghi, allora quando li troveremo, per forza di cose non potrà aiutarci. A quel punto sapremo la verità! Anche se quelle creature rispondono direttamente al comando di Merlin, comunque sono obbligate ad obbedire a qualsiasi signore dei draghi".

Charles tirò fuori la maglia dal lavandino senza curarsi di estrarre il tappo per far scorrere via l'acqua sporca e dopo aver controllato il suo stato con aria critica, la mostrò ad Hester.

"Puoi asciugarla?" domandò con voce roca, tenendo le braccia stese in avanti. Lei sospirò pesantemente e con un guizzo dorato negli occhi verdi, eliminò completamente l'umido dall'indumento; Charles fece sbucare i capelli bagnati dal collo della maglietta e la indossò con gesti veloci e precisi.

"Charles, potrebbe dire qualcosa al riguardo?" gli domandò Hester, con tono insofferente e quasi supplicante. "Qualsiasi cosa!"

Lui la guardò per qualche secondo senza muoversi. Dalle finestre aperte del bagno, il canto mattutino degli uccelli lasciava intendere che il mondo stava comunque andando avanti. "D'accordo" disse seccamente allora, già muovendosi per superarla ed uscire dal bagno; "Facciamo come vuoi tu".


*


Alecto fissò lo schermo del cellulare come se tra le dita stesse stringendo un mostro a due teste. Il nome che era apparso sul display sin dalla prima vibrazione le aveva fatto perdere un paio di battiti ed il cuore le era vertiginosamente crollato ad altezza stomaco. Ingenuamente, aveva sperato che quel momento non giungesse mai; evitando di pensarci, aveva voluto credere che avrebbe tenuto lontane da sé l'attenzione e l'impazienza di Emrys. E così, ovviamente, non era stato. Lanciò uno sguardo verso l'entrata del bar, controllando che Hester e Charles non stessero uscendo proprio in quel momento e finalmente, dopo altri due agonizzanti secondi, prese la chiamata.

"Sì" esclamò, cercando di mantenere un tono fermo, mentre Drem alle sue spalle zampettava sul sedile posteriore della macchina, gorgogliando con gioia alla luce del sole che filtrava attraverso i finestrini aperti. Si allontanò di un paio di passi, volendo evitare che Emrsy lo sentisse.

"Al" sentì rispondere al bambino, con la sua caratteristica cadenza monocorde. "Procede bene la vacanza?"

Lei corrugò la fronte, umettando velocemente le labbra. "Vacanza...?" ripeté, senza riuscire a mascherare la titubanza. Sentì Emrys sbuffare in modo divertito.

"Certo" rispose lui, la vocetta genuina ed infantile; "Visto il tempo che ci stai mettendo, non può essere nient'altro che questo. Una vacanza".

"No, non è così. Ho recuperato il Triskelion e come ti ho detto l'ultima volta, mi-"

"Ah, certo, sì. L'ultima volta..." la interruppe l'altro, piuttosto seccamente. "Adesso ascoltami bene, Al, perché come sai non sono solito ripetere le cose due volte. Ho la tua attenzione?"

"Sì" bisbigliò lei, non potendo impedire al battito di aumentare con tremenda aspettativa.

"Sono stato piuttosto generoso e paziente con te, ma ho come la sensazione che tu non ti stia impegnando. Azzarderei a dire che sei quasi... schiva. Mi perdonerai se il tuo atteggiamento poco assennato mi ha portato a chiedermi se non ho fatto male a puntare tutto su di te ed a dubitare della tua lealtà verso la nostra causa, oltre che verso la nostra stessa gente".

"Emrys, io-

"Zitta" esclamò bruscamente, senza pietà. "Sto parlando io. Come dicevo, nonostante i miei ragionevoli timori, l'affetto che provo per te mi spinge a volerti dare il beneficio del dubbio e dunque mi rifiuto di dar credito alle supposizioni cui tu stessa mi hai portato ad ipotizzare. Perciò, poiché tu conti immensamente per me, Al, ti do esattamente ventiquattro ore per portarmi sia l'uovo che il Triskelion".

"Ventiquattro ore?" sputò fuori lei, senza riuscire a trattenersi, "Ma io-"

"Al termine delle quali" continuò Emrys, alzando la voce per sovrastare la sua, "Scoprirai di persona che cosa vuol dire non fare più parte della famiglia. Sei ancora in tempo per tornare a casa, Al, al tuo posto. Sono amareggiato da tutto questo e non avrei mai voluto arrivare a tanto, sul serio, ma non mi lasci altra scelta. Non deludermi ancora".

Click.

Alecto mosse la gola, ma non riuscì ad inghiottire niente. Completamente chiusa in un'apnea di panico, si voltò lentamente verso la macchina, incrociando immediatamente gli occhi intelligenti e vividi di Drem che la stavano fissando con curiosità. Il draghetto piegò la testa di lato e gorgogliò verso di lei con tenerezza e, proprio in quel momento, Charles uscì dal bar con le mani a scompigliare i capelli biondi, seguito subito dopo da una torva Hester. Fortunatamente Alecto dava le spalle all'entrata del locale, altrimenti sarebbe stato un bel problema cercare di spiegare lo sguardo letteralmente allucinato che aveva sulla faccia. Si costrinse a muoversi come un automa quando i due la superarono e salì in macchina senza dire una parola, nascondendo il cellulare nella tasca dei pantaloni.

Era nei guai. Era in seri, serissimi guai.


*


Milborne Port, 27 luglio 2020

Pomeriggio


Faceva caldo, un caldo davvero bestiale. Charles aveva cercato di mettere in moto la macchina più volte, ma questa non aveva voluto saperne. Dopo quello che doveva essere stato il decimo tentativo di farla partire, Hester aveva decretato che avrebbero continuato il tragitto a piedi.

"Forse è anche meglio così," aveva aggiunto, "Visto che procedere i macchina ci ha rallentati di parecchio".

In effetti, ogni volta che si erano messi in viaggio, Alecto aveva dovuto passare la maggior parte del tempo a spostare detriti e sgomberare la strada, il che era stato piuttosto stancante.

Camminavano lungo il ciglio asfaltato già da qualche ora; Charles ed Hester stavano una ventina di metri avanti ad Alecto che, di sua spontanea volontà, aveva preferito distanziarsi e stare da sola con i suoi pensieri; in realtà avrebbe dovuto comunque tenere un passo più lento rispetto a quello degli altri, poiché Drem, essendo così piccolo, non riusciva a trotterellarle dietro oltre una certa velocità.

"Stanotte ho fatto un sogno".

Hester alzò gli occhi da terra e sbatté scioccamente le palpebre più volte. Aveva parlato? Charles le aveva davvero rivolto la parola? Decise di non dire niente, invogliando con il suo silenzio l'altro a proseguire; drizzò le orecchie come fossero antenne, dedicando al suo pupillo la più completa attenzione. Chissà quando le sarebbe potuta ricapitare una fortuna del genere! Non intendeva lasciarsela sfuggire.

"Non saprei dire se sono stato davvero io a farlo, oppure se sia stato l'altro. C'era Arthur e c'era Merlin... ma in realtà, io ero Arthur. Non stavo assistendo alla scena e basta, la stavo vivendo in prima persona".

Charles alzò lo sguardo verso il cielo, socchiudendo le palpebre a causa della luminosità del sole estivo. I capelli si erano asciugati da un pezzo, tranne quelli che poggiavano sulla fronte e sulla base del collo: a causa del sudore, si erano appiccicati sulla pelle.

"All'inizio è cominciato tutto come un ricordo. Ho rivisto qualcosa che è successo veramente e anche se sapevo già cosa avrei detto io e cosa avrebbe detto lui, mi sono comportato come non avessi mai vissuto quel momento, perché non ho potuto fare altrimenti. Non avevo potere di decidere alcunché. Ma poi..." la sua voce sfumò lentamente e davanti al suo sguardo assorto si replicò per l'ennesima volta quello che era successo dopo; da quando aveva aperto gli occhi quella mattina, non aveva fatto altro che pensare a quello.

"Poi è successo qualcosa che non so spiegare" riprese, in modo controllato, tenendo a bada la moltitudine di emozioni che lo stavano consumando; "Il ricordo è uscito fuori dal copione. Merlin mi ha guardato e mi ha detto che devo portare a termine il mio compito. Che lo devo uccidere".

Si zittì e senza smettere di camminare, voltò la testa verso Hester, che lo stava guardando con profonda intensità.

"Capisci, Hester? Mi ha chiesto di ucciderlo, come fosse consapevole di quello che sta succedendo. Ma non è tutto. Anche se io ero Arthur, ma Arthur non era me, gli ho risposto che non potrei mai fare una cosa del genere. Ho detto...." la sua voce si incrinò a causa della titubanza.

"Ho detto delle cose, Hester, cose che continuo a pensare anche adesso che sono sveglio, come fossi stato io a dirle e non Arthur. Oh Dio, lo so, lo so che più o meno siamo la stessa persona, ma... è lui che ha conosciuto Merlin, non io. Eppure, ecco qui: non chiedermi di ucciderlo, perché è una cosa che, semplicemente, non posso fare".

Sospirò pesantemente, passandosi la mano sulla faccia con frustrazione. "Io non credo che Arthur e Merlin siano stati soltanto buoni amici. Deve esserci stato qualcosa di più".

Ecco. Finalmente l'aveva detto. Il dubbio che da giorni lo stava logorando - sin da quando i suoi sogni avevano avuto inizio, per la precisione -, l'enigma a cui i suoi nuovi ricordi non avevano saputo rispondere, il tassello del puzzle che non riusciva ad incastrare da nessuna parte... fino a quel momento, non aveva mai nemmeno osato pensarlo, ma dopo l'ultimo sogno che aveva fatto... come avrebbe potuto continuare ad ignorare un'evidenza così palese? Aveva frugato per ore tra i ricordi di Arthur, alla ricerca di qualcosa che avesse potuto confermare i suoi sospetti, ma tutto ciò che aveva trovato erano state situazioni simili a quelle del medaglione: parole non dette, sguardi fuggevoli, pensieri taciuti...

"Charles" lo richiamò Hester, soppesando attentamente le parole, "Forse è così. Forse Merlin, intendo il suo inconscio, ha tentato di mettersi in contatto con lei, ben sapendo che è lei l'unico che può aiutarlo. Se addirittura Merlin stesso le ha fatto una richiesta del genere, forse non dovrebbe escluderne a priori la fattibilità".

Non fece in tempo a chiudere bocca che il ragazzo aprì subito la sua per protestare, ma lei alzò le mani in segno di pazienza, invitandolo a lasciarla continuare.

"Quel che voglio dire è che cercheremo di trovare altre strade prima di giungere a quello, se è questo ciò che lei vuole, ma deve prendere in considerazione anche l'eventualità che di alternative non ce ne siano. Mi dispiace Charles, ma devo insistere su questo punto, che le piaccia oppure no, perché per quanto lei cerchi di dimenticarselo, le ricordo che non è una persona qualunque. So benissimo che non ha chiesto lei di essere quel che è, ma è un fatto che non possiamo cambiare. Perciò non può permettersi di chiudere gli occhi davanti gli eventi che potrebbero verificarsi. Sopratutto, è una cosa che non la aiuta a fare chiarezza".

Alzò una mano per toccare con gentilezza il braccio di Charles, che aveva di nuovo puntato ostinatamente lo sguardo sulla strada. "Quest'idea, questo dubbio che ha sul reale legame che ha unito Arthur a Merlin... perché le crea così tanto pensiero? Sembra disturbarla".

"Certo che mi disturba" smozzicò per tutta risposta lui, più aspramente di quanto avesse voluto in realtà.

"Fino ad ora sono sempre riuscito a scindere i miei ricordi da quelli di Arthur, i miei sentimenti dai suoi. Questo vuole dire che quando penso a Gwen, quella che è stata sua moglie, ricordo anche l'affetto profondo che lui provava per lei e comprendo quel sentimento, ma non diventa mio. Ma quando penso a Merlin, Cristo... quando penso a Merlin io non ci riesco! Per quanto mi sforzi di fingere che non sia così, so di tenere a lui esattamente tanto quanto ci teneva Arthur e non capisco, davvero non capisco il perché di questa differenza!"

Hester poteva chiaramente percepire la tensione del suo protetto e se ne dispiacque profondamente.

"Quando è scappato via dalle Disir, ieri sera, prima di lasciar andare anche me, mi hanno detto una cosa" disse, seguitando a camminare accanto a lui. "Mi hanno detto di dirle che la risposta ai suoi problemi si trova nel suo cuore". Charles la guardò come per dire: mi stai prendendo in giro?

"Ah, adesso sì che è tutto più chiaro. Classica risposta da film di terzo ordine. Adesso cosa, sbucheranno le telecamere da dietro qualche albero e qualcuno griderà di sorridere perché sono su Candid Camera?" replicò sarcasticamente, roteando gli occhi verso il cielo. "Secondo me è a causa di tutta quella storia dell'essere due facce della stessa medaglia, te lo dico io".

"Può darsi" concesse Hester, senza sbilanciarsi troppo. "Quindi lei suppone che ciò che prova verso Merlin non sia reale?"

"No che non lo è. Non ha senso".

"E invece, da quello che ricorda, ciò che Arthur provava verso Merlin... quello era reale?"

"Sì..." rispose Charles, guardandola in modo strano. Sapeva che stava per andare a parare da qualche parte, ma non riusciva a capire dove.

"E lei non ha appena detto di essersi accorto di tenere a Merlin esattamente tanto quando ci teneva Arthur?"

Charles non rispose. Hester sorrise.

"Se ciò che provava Arthur era vero ed è esattamente equiparabile a quello che prova lei ora, come fa a dire che non è reale?"

Colpito-affondato. In effetti, sarebbe stato meglio continuare a non rispondere, pensò Charles, preferendo cambiare argomento. Infilò una mano nella tasca dei pantaloni e ne estrasse l'ampolla che si era ritrovato addosso a mo' di ciondolo dopo essere uscito dalle acque del lago di Avalon. La porse ad Hester, che la prese per esaminarla con attenzione.

"Ce l'avevo addosso dopo aver recuperato Excalibur" chiarificò il ragazzo, guardandola e camminando al tempo stesso. "Sai che cos'è?"

La donna non rispose subito, rigirandosi tra le dita il piccolo artefatto contenente del liquido trasparente; Charles la sentì pronunciare alcune parole in qualche lingua strana e dopo tre o quattro tentativi, l'ampolla venne circondata per un paio di secondi da un alone dorato; arcuò le sopracciglia con perplessità, incontrando subito dopo lo sguardo della donna.

"È l'acqua del lago" replicò lei con aria pensierosa, restituendogli il ciondolo. "Va usata solo ed esclusivamente in caso di necessità, Charles, poiché si dice che mostri quale sia la cosa giusta da fare".(1)

"In che senso? Dovrei berla?" domandò lui, corrugando la fronte, ma Hester scosse la testa.

"Non ne ho idea" rispose, abbassando lo sguardo. Charles mise nuovamente l'ampolla nella tasca dei pantaloni e seguitò a camminare in silenzio, completamente immerso nei suoi pensieri; non sapeva esattamente dove stessero andando, ma Hester ed Alecto sì, quindi si limitò a procedere nella direzione decisa da loro.

Si voltò brevemente per controllare che la ragazza li stesse effettivamente seguendo, ma non riuscì ad incontrare i suoi occhi, poiché lei li stava tenendo ostinatamente fissi verso il terreno; Drem, poco dietro di lei, gorgogliava e gironzolava con un entusiasmo davvero al di fuori del comune e le sue scaglie verdi brillavano come pietre sotto la luce diretta del sole. Era uno spettacolo bellissimo da guardare.

D'altro canto, Alecto era davvero troppo angosciata per percepire l'attenzione di Charles su di sé ed il meraviglioso gioco di luce che i raggi del sole creavano su Drem era l'ultimo dei suoi pensieri. Aveva finto di conoscere l'incantesimo di localizzazione per i draghi ed aveva così già cominciato ad inscenare il suo inganno; aveva sputato fuori una meta a caso, ma già andava chiedendosi quanto tempo ci sarebbe voluto prima che Hester si accorgesse che li stava facendo girare a vuoto. Il nervosismo l'aveva portata a strappare la pelle delle labbra con i denti, poiché di unghie da mordicchiare non ne erano rimaste proprio più.

Non si era trovata mai in un guaio così grande in tutta la sua vita e la cosa peggiore era che non riusciva a vedere una via di uscita; da una parte c'era Emrys con la sua promessa che sapeva di minaccia, dall'altra c'erano Hester e Charles che sicuramente non glie l'avrebbero mai fatta passare liscia, se solo avessero saputo tutta la verità. Qualsiasi cosa avesse deciso di fare, comunque sarebbe andata incontro a spiacevoli conseguenze. Durante quelle ore, aveva anche contemplato l'idea di darsela a gambe e sparire nel nulla; al diavolo il progetto di Emrys, al diavolo le parole della Diamar, al diavolo tutto! Avrebbe voluto semplicemente voltare le spalle alla maledetta Inghilterra e fingere che non fosse successo nulla.

Eppure le cose non potevano funzionare così.

Non quando aveva sulla coscienza il peso delle vite sacrificate in nome della causa, non quando aveva il compito di riportarle indietro, non quando era giunta la responsabilità di occuparsi di Drem, non quando Charles le aveva dimostrato che si poteva essere ottime persone, anziché persone e basta. Gemette con sofferenza, sentendosi schiacciata dal succedersi degli eventi. Che cosa doveva fare?

Non portarlo dagli altri.

"Che cosa?" Alecto corrugò la fronte e guardò in avanti, come aspettandosi di trovare qualcuno accanto a sé. Aveva sentito una voce, l'aveva sentita chiaramente. Drem gorgogliò in tono roco molto più in basso, intorno alle sue caviglie.

Non portarlo dagli altri ripeté la voce dal timbro maschile, Sento che non è una buona cosa.

Con gli occhi divenuti improvvisamente grandi come due palline da golf, Alecto abbassò lo sguardo sul draghetto, che la stava guardando in modo molto palese.

"Hai... hai appena parlato?" sussurrò lei, con evidente incredulità. La piccola creatura sbuffò con delicatezza dal naso qualche rivolo di fumo.

Posso parlare nella tua testa e sentire cosa c'è dentro, le venne risposto. Non portarlo dagli altri.

"Non portarlo dagli altri? Che- che vuol dire? Perché?"

È male. Non va bene. Drem zampettò un poco avanti a lei, sbatacchiando le ali.

"Come è male? Spiegami, non capisco!" protestò la ragazza, cercando di mantenere un tono di voce discreto; con apprensione lanciò un'occhiata avanti a sé, controllando che Charles ed Hester non l'avessero sentita.

Non va bene, si limitò a ripetere il drago, iniziando subito dopo a giocare con un sasso di discrete dimensioni. Alecto restò a guardarlo con aria interdetta, senza smettere di camminare. Provò diverse volte ad estorcergli qualche altra informazione, ma Drem sembrava aver chiuso definitivamente i canali di comunicazione. Non le prestò più attenzione. Più frustrata di quanto fosse mai stata in tutta la sua ancora breve vita, slegò i capelli per rifare la coda alta; in certi momenti li tirò così forte da arrivare ad insultarsi da sola, ma era talmente agitata da non riuscire nemmeno a controllarsi.

Che diavolo doveva fare?!

Mentre gli occhi dal caratteristico celeste pallido scivolavano distrattamente tra le macchine ed i detriti che ingombravano la strada, sfortunatamente lo sguardo le si posò su qualcosa che avrebbe preferito non vedere mai più in vita sua. Poco lontano, al di sotto di un'auto rossa chiaramente andata a fuoco, fuoriusciva un piccolo piede calzato da una scarpetta rosa confetto; stava scompostamente poggiato sull'asfalto, la vernice lucida solcata da graffi in diversi punti e le calze bianche macchiate da fuliggine scura. Alecto rallentò i suoi passi fino a fermarsi del tutto, il mondo intorno a lei divenuto improvvisamente silenzioso come una tomba. Con gli occhi ancora incollati sulla scarpetta di quella che doveva essere stata una bambina, le sembrò di rivedere Hanna Dixon stesa a terra, in un ricordo vividissimo di qualcosa che era successo quando ancora andava alle elementari.


Era un giorno assolato e per questo le maestre avevano loro concesso di stare in cortile più del solito; Alecto indossava un bel vestito azzurro ed i capelli biondissimi creavano un'aureola tale intorno alla sua testa da farla sembrare un piccolo angelo. Le sue ginocchia erano sporche di terra, ma a lei non interessava, perché quando si è piccoli si ha il dovere si essere ricoperti di terra ed erba dalla testa ai piedi. Richard era proprio accanto a lei e stava finendo di scavare la buca dove avrebbero sepolto la lucertola morta trovata in mezzo all'erba; Alecto staccò la coda all'animale completamente inerme e la osservò da vicino con una curiosità quasi scientifica.

"Vuoi mettere anche quella nella buca?" le chiese il bambino, che sin dal primo giorno aveva mostrato nei suoi confronti una simpatia davvero genuina. Alecto lo guardò e scosse vigorosamente la testa, mettendosi la coda nella tasca del vestito. "La voglio far vedere alla mamma" rispose quasi con orgoglio, inginocchiandosi accanto a lui, pelle nuda contro la terra. Se Alecto avesse dovuto dire chi fosse il suo migliore amico, sicuramente avrebbe detto Richard, poiché trascorreva con lui tutto il tempo in cui era costretta a stare a scuola.

"Sì, già me la immagino la faccia di tua madre" esclamò il bambino, gettandosi immediatamente nell'imitazione di una faccia agonizzante ed urlante; Alecto rise e gli diede una leggera spinta, facendogli penzolare la lucertola morta davanti al naso.

"Forse dovrei portarle questa?" domandò, stendendo le labbra in un sorriso un po' monello.

Stavano per commemorare finalmente la fu vita del piccolo rettile quando Hanna Dixon si avvicinò alla loro buca con un'aria un po' smorfiosa; nel momento in cui i suoi occhi castani videro il corpicino della lucertola, fece una chiara esclamazione di disgusto.

"Che schifo!" ed arricciò la punta del naso. "Sei sempre tu che fai queste cose, Jones! Non ti stanchi mai di essere una stramba?"

Alecto, sentendosi tirata in causa, alzò gli occhi su di lei con aria poco amichevole. "E tu non ti stanchi mai di fare l'antipatica?" le domandò per contro e seguitò una linguaccia. Hanna assottigliò le palpebre.

"Le femmine non fanno quelle smorfie!" le disse, prima di spostare lo sguardo su Richard. "Ecco perché giochi sempre con lei, perché si comporta come i maschi!"

"Che vuoi Hanna?" le chiese il bambino a quel punto, con le mani sporche di terra. Non era la prima volta che Hanna andava a dare fastidio ad Alecto, anzi! Aveva spesso l'abitudine di criticarla per qualsiasi sciocchezza e l'altra aveva sempre pensato che fosse gelosa del fatto che Richard giocasse sempre insieme a lei. Ed infatti...

"Perché non vieni a giocare a nascondino con noi?" gli propose a quel punto la bambina, indicando gli altri compagni di classe che già avevano iniziato senza di loro. Richard li guardò per qualche secondo in silenzio e poi scrollò le spalle.

"Non mi va" rispose; "Dobbiamo seppellire la lucertola adesso". Hanna pestò le scarpe rosa confetto a terra, indispettita dal suo rifiuto.

"Tu e quella stupida, inutile lucertola!" sbottò verso Alecto. "Adesso vado dalla maestra e le dico che l'hai uccisa!"

"Non è vero!" replicò immediatamente l'altra, alzandosi in piedi come una molla. "L'abbiamo trovata in mezzo all'erba!"

Hanna piegò le labbra verso il basso. "Allora se non vuoi che le dica una bugia, dammela!" e tese la mano verso di lei. Alecto guardò le sue dita aperte, la pelle morbida del palmo in attesa di stringere ciò che invece lei nascose dietro la schiena.

"No, l'ho trovata io! È mia!"

Non fu necessario dire altro per scatenare Hanna, che le saltò praticamente addosso per tentare di strapparle la lucertola dalle mani; le due bambine iniziarono a gridare ed a graffiarsi e Richard balzò in piedi, avvicinandosi nel tentativo di separarle. Hanna afferrò i capelli di Alecto e li tirò con talmente tanta veemenza che lei iniziò a piangere dal dolore. Lasciando cadere la lucertola, alzò le mani per afferrare i polsi di Hanna e tentare di allontanarli da sé.

"Lasciami!" gridò rabbiosamente.

Intorno a loro già stava formandosi un gruppo di bambini. Da lontano, poté udire le grida delle maestre. Hanna aveva la faccia tutta accartocciata dalla rabbia ed il collo rossissimo. Alecto desiderò ardentemente che quella brutta stupida morisse, perché non ne poteva più di sopportare la sua cattiveria ogni santo giorno. Non appena la sua mente formulò quella volontà, d'improvviso un suono orribile spezzò le grida di tutti e l'aria si fece immobile, mentre il collo di Hanna assumeva una posizione innaturale.

Alecto sentì le sue dita scivolarle via dai capelli e così le lasciò andare subito i polsi; quando fece un passo indietro, il corpo di Hanna cadde pesantemente a terra come un sacco di patate e la vernice rosa delle sue scarpette si graffiò. Solo in quel momento si accorse di avere un braccio intrappolato tra le mani di Richard; si voltò verso di lui con sguardo vacuo e confuso e vide che Richard aveva gli occhi spalancati e la stava fissando come se le fosse spuntata un'altra testa. Il bambino lasciò andare immediatamente il suo braccio ed arretrò velocemente, confondendosi nella folla di ragazzini che si era creata attorno a loro. Alecto non seppe perché, ma nonostante l'afa, sentì improvvisamente molto freddo. I bambini vennero spostati freneticamente dalle maestre, ma quando quelle giunsero, era oramai troppo tardi.

Hanna Dixon era morta.

Hanna Dixon era morta ed Alecto sapeva che era stata lei ad averla uccisa.

Da quel giorno, Richard non le rivolse mai più la parola.


Alecto era arci convinta che Richard avesse visto i suoi occhi diventare di un altro colore, perché a parte lui, nessuno era riuscito a ricollegarla in qualche modo a quello che era successo nel cortile; tutti quei ragazzini che avevano fatto da testimoni, avevano detto la stessa identica cosa: Alecto non aveva mai nemmeno sfiorato la gola di Hanna. Tra la perplessità e l'angoscia generale, il caso si era chiuso senza una spiegazione logica, eppure per Alecto, quello era stato solo l'inizio... l'inizio di una sofferenza morale e mentale sempre più profonda, con incidenti magici sempre più frequenti, a tal punto che sua madre l'aveva data per indemoniata e l'aveva fatta rinchiudere in un collegio di suore.

E Richard era stato il primo ad averla abbandonata.

Si accorse improvvisamente di star piangendo come una ragazzina, perché sulle labbra sentì il sapore salato delle lacrime; si affrettò ad asciugarsi le guance con le mani e poi cercò Drem con gli occhi, trovandolo parecchi metri davanti a lei. Senza rendersene conto, era rimasta ferma per un bel po'. Si mise a correre sin quando non lo raggiunse e la sua mente volò di nuovo ad Emrys ed a tutti coloro che erano morti per la causa che stava sostenendo - anche se non ne era più così sicura.

Come aveva potuto pensare di voltare le spalle a tutto quello ed andarsene? Che cosa sarebbe successo se non avesse recuperato la coppa e non avesse riportato indietro tutte quelle persone?

Rabbrividì intensamente, improvvisamente consapevole di tutto il sudore freddo che aveva sulla schiena; la voce di Suor Agatha le giunse come se quella le stesse sussurrando all'orecchio, proprio come faceva sempre prima di rinchiuderla nella Gola: chi ha inferto grandi dolori, atroci sofferenze e profonde ferite nell'animo dei suoi simili, dovrebbe purificarsi nelle fiamme dell'inferno.(3)

La sua anima apparteneva già a quel luogo.











NOTE DELL'AUTORE: Io lo so che non ve ne importa una ceppa secca di Alecto o di Hester e che vorreste tagliarvi le vene dalla noia quando si esplorano questi personaggi, ma fanno parte della storia e sono importanti u_u ergo, amateli! Amateli è basta è_é stanno lottando per far riunire Arturo con Merlo, meritano apprezzamento queste due cristiane! Comunque, aggiungo una comunicazione di servizio: poiché a lavoro mi hanno dato dei turni assurdi, ma così assurdi che se ve li scrivessi non ci credereste, potrebbe (dico POTREBBE) capitare che alcuni lunedì io non riesca ad aggiornare ma, se così fosse, avreste comunque il capitolo entro la settimana. Don't worry.

(1) Acqua del lago di Avalon: è proprio così, in effetti. Nel telefilm stesso si dice che l'acqua del lago di Avalon mostri quale sia la cosa giusta da fare, quiiindi... non è farina del mio sacco :p

(2) Ovviamente l'intera conversazione tra Drem ed Alecto avviene nella lingua dei draghi.

(3) Per chi non lo ricordasse, la Gola si trova nel collegio ed è una stanza stretta, spaziosa quanto un ripostiglio delle scope, senza finestre, adibita all'unico scopo di far scontare punizioni di varia natura alle studentesse del collegio. Veniva chiamata la Gola non solo per le sue scarse dimensioni e la mancanza di luce, ma anche a causa del fatto che, ad un certo punto, si arrivava ad avere la sensazione di essere ingoiati dall'oscurità pressante.


Gaudio, gioia e giubilio,

Asfo


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Capitolo 14
*** Punto di rottura ***


QUATTORDICESIMO CAPITOLO

14. Punto di rottura


Pressi Winchester, 30 luglio 2020

Mattina


Ventiquattro ore. Era questo l'ultimatum che Emrys le aveva dato, ben tre giorni prima. Ventiquattro ore... che erano scadute da un pezzo. In tutta onestà, Alecto avrebbe voluto che accadesse qualcosa - qualsiasi cosa -, perché vivere nell'ansia che da un momento all'altro le potesse succedere gli Dei solo sapevano cosa, era peggio che doverla affrontare nell'immediato. Emrys le aveva indirizzato più una minaccia che un avvertimento, ma come mai non era ancora stata colpita in pieno da un fulmine allo scadere del tempo che aveva avuto a disposizione? Come mai non aveva preso fuoco? Perché non era stata mangiata viva da una mandria di wildeon infuriati?

Alecto non aveva mai pensato ad Emrys in quel modo, prima dell'arrivo di Drem. Emrys, c'era da ammetterlo, l'aveva salvata da se stessa. Eppure... i dubbi e le domande sempre più frequenti, l'avevano portata a vederlo sotto un'altra luce.

Tuttavia, c'era qualcuno per cui la fantomatica luce non era minimamente cambiata, anzi! Si era addirittura intensificata! Hester non avrebbe voluto fare sempre la parte del 'guardiano cattivo', ma come diceva la parola stessa... era suo dovere proteggere Charles e forse, proprio a causa di questo, faceva caso a dettagli che invece continuavano a sfuggire a quel benedetto ragazzo. Com'era possibile non notare i tremiti nervosi di Alecto o la luce terrorizzata che a volte si faceva spazio nei suoi sproporzionati, grandi occhi, quando pensava di non essere osservata? Come avrebbe potuto ignorare i suoi lunghi ed a volte interminabili silenzi, o l'aria indecisa che tentava di nascondere quando si trovavano davanti ad un bivio? Più volte da quando l'avevano incontrata, Alecto aveva detto o fatto determinate cose che l'avevano sempre più screditata agli occhi di Hester e da quando erano partiti alla ricerca dei draghi, tre giorni prima, lentamente un'idea si era sempre più radicata nella mente della donna, sino a tramutarsi in una convinzione.

Tre giorni. Le ci erano voluti tre giorni per capirlo.

Si fermò improvvisamente nel bel mezzo della strada, lasciando che gli altri due la superassero di qualche metro; quando Charles si accorse che non li stava seguendo, si voltò verso di lei e corrugò la fronte con aria interrogativa. "Hester?"

Lei non rispose. Mantenne lo sguardo fisso sulla schiena di Alecto, sino a quando questa non si voltò a sua volta ed a quel punto incontrò i suoi occhi. Le due si guardarono in silenzio per degli attimi che a Charles parvero infiniti e questi si ritrovò a far altalenare lo sguardo dall'una all'altra, sempre più confuso.

"Okay, che cosa mi sta sfuggendo?" domandò allora, perché conosceva bene l'espressione che c'era sul volto di Hester e solitamente precedeva qualcosa di poco piacevole; considerata poi la scarsa simpatia che nutriva nei riguardi di Alecto, Charles non prevedeva nulla di buono.

"Alecto" esclamò la donna, mettendo in quella singola parola tutta la disapprovazione di cui era capace; l'altra parve intuirla, perché strinse convulsamente le cinghie dello zaino che portava sulle spalle.

"Sul serio?" continuò allora Hester, arcuando le sopracciglia con eloquenza. La più giovane fece un minuscolo passo indietro.

"Posso sapere cosa sta succedendo?" intervenne Charles, che in una lista delle cose che odiava di più al mondo, avrebbe sicuramente messo tra i primi posti l'essere all'oscuro di qualcosa. Hester non lo guardò, ma rispose: "Succede che stiamo girando a vuoto".

Charles sgranò gli occhi dalla sorpresa ed anche lui alzò le sopracciglia.

"Cosa?" domandò, girandosi immediatamente verso Alecto, che sembrava essersi congelata sul posto.

"Di che cosa sta parlando?" le chiese allora Charles, più duramente di quanto avesse voluto fare.

La ragazza gli indirizzò una breve occhiata, prima di scuotere con veemenza la testa. Si strinse nelle spalle e disse: "Non ne ho idea. È un'altra delle sue trovate per accusarmi di qualcosa".

Hester rise seccamente e sospirò rumorosamente. "Un'altra delle mie trovate..." ripeté, annuendo con aria meditabonda; "Sei diventata stranamente silenziosa, di recente".

"E con questo?"

"Le persone silenziose hanno un sacco di segreti".

"Hester, ti prego, non di nuovo!" Charles roteò gli occhi verso il cielo.

"D'accordo allora" disse subito lei, drizzando la schiena; sul volto aveva un'espressione feroce ed al contempo sarcastica.

"Parliamo invece del perché stiamo tornando verso Londra, visto che tutti abbiamo visto i draghi allontanarsi da lì. Parliamo del perché la ragazza non vuole dirci chiaramente dove ci stiamo dirigendo o, come mai, ogni volta che ci troviamo vicini ad un incrocio, rallenti come se non sapesse dove diavolo andare".

Iniziò a camminare verso di lei, via via il tono di voce si fece sempre più insinuante.

"Parliamo dell'uovo spuntato fuori all'improvviso - perché no, tesorino, non ho creduto ad una singola parola di ciò che ci hai detto -, parliamo della sua povera beata ignoranza: 'io una signora dei draghi? Ma davvero?' Accenniamo a come abbia potuto trovare casualmente un uovo di drago, se vogliamo, e fermiamoci a riflettere su come fino a due settimane fa, giorno più giorno meno, fosse una razza estinta da più di un millennio. Una cascata di coincidenze a dir poco strabilianti, non è vero?"

Un altro passo e le avrebbe praticamente soffiato le sue accuse direttamente sul volto divenuto terreo, ma Drem si frappose tra di loro ed emise un basso gorgoglio di avvertimento rivolto ad Hester. La donna fece un'espressione indecifrabile e fissò la creatura come se Alecto le avesse ordinato di proposito di minacciarla. Fece un paio di passi indietro e riportò lo sguardo sul viso cinereo della ragazza, che aveva gli occhi grandi come fari nella notte ed il labbro superiore percorso da un lievissimo tremito. Le nocche delle mani erano diventate bianchissime per la forza con cui stava stringendo il suo zaino.

"Non ti piacciono questi argomenti?" seguitò Hester, mantenendosi a distanza, ma ben lungi dal voler mollare la corda - Drem poteva ringhiarle contro quanto diavolo voleva.

"Scusami se ti ho messa a disagio. Preferiresti illuminarci, allora, sul perché ci sono momenti in cui ti metti a piangere senza nessun motivo apparente? Oh, certo che ti ho vista. Ho capito qual è la tecnica giusta per inquadrarti, sai? Tendi a tradirti quando pensi che nessuno ti stia guardando. Ma non essere troppo dura con te stessa, in fondo sei ancora una ragazzina - li hai, almeno, vent'anni? - e non potevi certo aspettarti di riuscire a farmela per davvero. Non a me, che di anni ne ho cinquantotto e perdona il mio vanto".

Charles fissò con attenzione il volto di Alecto e stavolta anche lui la vide: la paura, riflessa nei suoi occhi vacui e celesti, aveva l'aspetto dell'inevitabilità.

"Forse ti ho fatto una domanda troppo personale, lo capisco se non vuoi rispondere".

Hester era inarrestabile.

"Allora, dimmi un po' invece: di cos'è che chiacchierate, esattamente, tu ed il tuo amichetto lì?" Accennò con il mento a Drem. "Pensavo non avessi poi tutta questa dimestichezza con la lingua dei draghi. Ma del resto, cosa posso saperne? Non li comando come puoi fare tu. Eppure, considerando che nemmeno sapevi di essere ciò che sei, permettimi di farti i miei complimenti: impari piuttosto in fretta".

Seguitarono dei lunghi secondi di silenzio, durante i quali l'unico suono che intervenne fu quello del mondo circostante: il cinguettio degli uccelli, il fruscio delle deboli folate di vento, il ronzare degli insetti che sfrecciavano nell'aria. E poi, lo schiocco della lingua di Charles contro il palato.

"È il momento" disse, con la voce roca, rivolgendole uno sguardo piuttosto intenso. "Se c'è qualcosa che devi dirci, Alecto, questo è il momento giusto per farlo. Te lo chiedo per favore. Siamo amici, no?"

In quel per favore, lei poté giurarci, c'era un abisso di cose: per favore, dimmi che non ho sbagliato a fidarmi di te; per favore, dimostrami che Hester ha torto; per favore, dimmi che non c'entri niente con quello che sta succedendo; per favore, dimmi che non mi hai preso in giro per tutto questo tempo; per favore, dimmi che sei stata onesta quanto io lo sono stato con te; per favore, dimmi che siamo amici per davvero.

Fu proprio a causa di Charles che Alecto crollò come un castello di carte; anche se aveva sempre avuto delle difficoltà a farlo, poteva mentire ad Hester senza troppi ripensamenti e quando la donna l'attaccava, ci provava anche po' di gusto nel farlo. Era sempre stata lei, inoltre, a cercare di metterla spalle al muro, a cercare di estorcerle la verità, mentre Charles... Charles non le aveva mai chiesto niente. Almeno sino a quel momento.

Quando le aveva domandato 'siamo amici, no?', improvvisamente Alecto aveva realizzato che a lui non poteva mentire. Non dopo la domanda così diretta che le aveva posto, non dopo come era sempre stata trattata da lui - siamo amici, no? E allora pensò a Richard, all'unico amico che avesse mai avuto in tutta la sua vita ed a come si era sentita distrutta quando lui l'aveva abbandonata.

Pensò a come fosse sempre stata sicura che non avrebbe mai incontrato nessuno che l'avrebbe accettata per quello che era e poi era arrivato Charles, che non solo l'aveva accolta e si era fidato di lei, non solo le aveva fatto indirettamente capire che c'era qualcosa di sbagliato in quello che le aveva dato Emrys fino a quel momento, ma in più le chiedeva: siamo amici, no? Come se il suo pensiero avesse una qualche sorta di valenza. Come se fosse stato lui, quello ad avere bisogno di sentirsi rassicurato su quel punto. Ma l'unica persona che aveva sempre avuto bisogno di rassicurazioni era stata lei. Era lei, quella abituata ad elemosinare le risposte, le conferme, le attenzioni.

Non poteva permettere che accadesse di nuovo. Non poteva avere un altro Richard nella sua vita. Se avesse detto la verità, forse avrebbe avuto ancora qualche chance di potersi meritare l'amicizia di Charles. Doveva vuotare il sacco, prima che le menzogne l'avessero portata ad essere risucchiata da un vortice di altre menzogne.

Siamo amici, no?

Ed allora, Alecto si arrese.


*


Glastonbury, 30 luglio 2020

Mattina


Morgana aveva usato quel trucchetto su di lui, ai tempi di Camelot. Francamente non aveva mai prestato molta attenzione ai metodi da lei utilizzati per tentare di uccidere Arthur, concentrato com'era, invece, a cercare di tenerlo in vita, ma dovette ammettere che quell'espediente si sarebbe rivelato decisamente utile e per questo la ringraziò. Com'era ovvio che fosse, aveva dovuto apportare delle modifiche all'incantesimo originale, poiché aveva in mente di fare le cose in grande ed uno solo non gli sarebbe stato neanche lontanamente sufficiente: aveva dovuto fare in modo di crearne a migliaia. Del resto, lui era la magia stessa e modestia a parte, poteva fare quel che diavolo voleva con le leggi, le formule e le creature legate all'antica religione.

Non c'era niente e nessuno, al di sopra di lui.

Guardò il medaglione che stringeva tra le piccole mani con curiosità: al di sopra vi era inciso l'albero di Rowan, che ai tempi gloriosi della magia era stato solito crescere sull'isola dei beati; poco dopo l'arrivo di Alecto, aveva fatto sì che la ragazza lo andasse a recuperare per lui, poiché di lasciare la casa nemmeno se ne poteva parlare - non fin quando sarebbe stato fisicamente legato all'odiosa altra metà di sé.

Era stato in grado di individuare l'artefatto magico, ma non era stato altrettanto in grado di andare a prenderselo ed era per questo che aveva avuto bisogno di lei, di Alecto: una mente debole da poter manipolare e piegare, un essere magico eletto a suo braccio da poter controllare in sicurezza, come una marionetta.

Alecto era stata reclutata in modo tale da poterla far arrivare dove a lui non era possibile; ci aveva messo un po', prima di trovare un essere magico che avesse potuto rispondere ai suoi requisiti e che si trovasse inoltre abbastanza vicino da poter essere attirato tramite telepatia, ma dopo parecchi mesi la sua perseveranza era stata premiata ed il fato aveva voluto che Emrys la trovasse rinchiusa in un collegio e con l'anima ridotta a brandelli. Aveva catturato con i fili della mente quell'essere fragile e l'aveva modellato, l'aveva plasmato affinché si asservisse a lui nella maniera meno palese possibile.

Fino a qualche settimana prima, Alecto era stata la personificazione del suo miglior atto di violenza psicologica. Poi, qualcosa era evidentemente cambiato ed Emrys aveva dovuto necessariamente rimescolare le sue priorità: la ragazza sapeva troppo, era un pericolo ed in quanto tale, andava eliminata. Ma come poterlo fare, senza abbandonare la casa o destare troppi sospetti?

Due giorni prima si era alzato dal consunto tappeto del salotto per andare a recuperare ciò che in quel momento stava stringendo tra le mani: il medaglione per evocare il Fomorroh. Il giorno precedente, invece, l'aveva passato a tentare di ideare un modo affinché dal medaglione potesse fuoriuscire ben più di una sola creatura.

Un esercito, ecco quello di cui aveva bisogno. Un esercito che obbedisse ciecamente ad ogni suo comando ed il Fomorroh era proprio il tipo di creatura che poteva assicurargli una fedeltà del genere, eliminando qualsiasi variabile dal caso.

Osservò le braci spente del camino.

"Baerne" sussurrò, all'aria immobile ed umida della stanza; con un guizzo più acceso nelle iridi già dorate, all'improvviso delle fiammelle apparvero a danzare sui ciocchi anneriti. Emrys osservò il fuoco prendere vita e vivacizzarsi, lasciando che la sua luce gli illuminasse il volto per qualche minuto. In seguito, abbassò lo sguardo sul medaglione e lo fissò intensamente.

"Astige ðu wyrm fah ond geþéowe ðæt mod ðisse þeowes. Hine bind ond ða heold ond awendaþ he ealle".

Le parole si diffusero dalla sua bocca come un'antica melodia, gli occhi tornarono ad accentuare l'oro di cui erano fatti ed infine il bambino gettò l'artefatto tra le fiamme del camino; immediatamente il fuoco si innalzò, come rinvigorito da una forza invisibile e l'ondata di intenso calore costrinse Emrys ad arretrare di un paio di passi. Non passò molto tempo che il crescendo di un sibilo spezzò drasticamente l'immobilità dell'aria: no, non era uno. Erano di più, molti di più. Se non l'avesse considerato davvero infantile, Emrys si sarebbe coperto le orecchie con le mani a causa dell'intenso fastidio che quel suono gli causava.

Il castello di ciocchi crollò sotto il peso delle creature che il mago aveva richiamato dall'aldilà e la cenere si spanse in uno sbuffo sulla pietra, quando queste strisciarono fuori dal camino per raggiungere il loro padrone; Emrys rimase immobile e li osservò in silenzio, lasciò che gli si strofinassero addosso, sulle gambe, come figli in cerca di affetto. I Fomorroh avevano un piccolo corpo scuro, sinuoso, come quello di un serpente, ma anziché una testa sola... ognuno di loro ne aveva sette. Resistendo all'impulso di calpestarli freneticamente, il bambino camminò attraverso la stanza fino a raggiungere il malandato tavolo che aveva posizionato contro la parete opposta e recuperò quella che aveva tutta l'aria di essere una piccola ascia, solcata da macchie scure. Il luccichio della lama si specchiò nei suoi occhi gialli, le orecchie piene dei sibili sinuosi dei numerosi Fomorroh fuoriusciti dal medaglione. Emrys si voltò lentamente verso il salotto, dando così le spalle al tavolo ed osservò le creature stringendo l'ascia nella mano destra.

Poi, iniziò a tranciare selvaggiamente le loro teste.

Il sibilare dei serpenti si acuì a tal punto da diventare quasi insopportabile ed Emrys gridò, imponendo tutta la ferocia che era intrappolata nel sul piccolo corpo ad ogni calare di lama; ben presto il pavimento si riempì delle teste dei Fomorroh, le quali sviluppavano quasi immediatamente un piccolo corpo che permettesse loro di strisciare. Dal collo mozzato della fonte originale, invece, una nuova testa prendeva subito il posto di quella tranciata. Del liquido scuro schizzò dalle ferite inferte ai Fomorroh, macchiando il giovane volto glabro ed infantile di Emrys, ma quello non si fermò: colpo dopo colpo, l'aria satura di suoni viscidi e disgustosi, nel giro di dieci minuti riuscì a mozzare una quantità di teste che da sola sarebbe bastata a prendere possesso di metà della città di Glastonbury; soltanto allora l'ascia scivolò via dalle dita delle sue mani, cadendo rumorosamente a terra, su un pavimento che non si vedeva nemmeno più a causa dell'enorme quantità di creature che lo ricoprivano.

Ansimò pesantemente, il volto infradiciato da rivoli di sudore che avevano fatto colare lungo il collo il sangue dei Fomorroh, macchiandogli la maglia; barcollò sulle sue stesse gambe, avvertendo chiaramente l'acido lattico bruciare lungo tutto il suo braccio destro. Alzò la mano davanti al volto, facendo chiudere ed aprire le dita più volte, lentamente.

"Andate" sussurrò sommessamente, gli occhi vitrei ed assenti sulle morbide falangi macchiate e scure; "Andate. Prendeteli, prendeteli tutti... e cercatela. Cercate Alecto. Uccidetela".

Un unico crescendo di sibili gli rese noto che l'ordine era stato compreso; come un'unica macchia scura, rivoltante e pregna di cose oscure e malate, i Fomorroh strisciarono attraverso il salone ed abbandonarono la casa, chi dalle finestre dai vetri rotti, chi dalle crepe che la natura aveva creato nei muri della dimora, ai tempi in cui ne aveva preso possesso. Emrys li sentì dirigersi verso il centro abitato, ma non si voltò a guardare il modo in cui la luce del giorno faceva risplendere la loro pelle come petrolio liquido, no: il suo pensiero volò a coloro che, durante quei mesi, non l'avevano mai tradito.

Aveva ordinato ai draghi di cercare Alecto nel momento stesso in cui le ventiquattro ore erano scadute, ma a tre giorni di distanza quelli non avevano saputo trovarne traccia; Emrys non poteva sapere che la ragazza aveva trovato un alleato in Drem, un alleato che la metteva in guardia ogni qual volta percepiva un pericolo.

Emrys era stato molto attento, con lei. Non le aveva mai detto che i suoi draghi avevano sempre avuto il compito di trovare il Fu Re e di ucciderlo, in realtà neanche sapeva cosa o chi fosse, un Fu Re; tutto ciò che la ragazza sapeva, era che quelle creature usavano le loro fiamme per purificare la terra, per azzerare tutto ciò che di bigotto era stato costruito dagli umani e poter così permettere alla società di risorgere dalle sue ceneri, ma ceneri migliori, fatte di magia.

Per ottenere un mondo migliore era necessario un atto di forza ed Alecto aveva anelato così dolorosamente un mondo a cui poter appartenere, che si era lasciata sedurre senza porsi alcuna domanda. Emrys era convinto che durante la sua ultima missione fosse successo qualcosa che l'aveva allontanata da lui, ma non era minimamente interessato nello scoprire che cosa.

L'altra metà di sé gli aveva rivelato che Arthur era tornato in vita, quindi la prima parte del suo piano aveva funzionato; la seconda ed ultima, restava quella di ucciderlo. Creare un nuovo mondo dove gli esseri magici e non potessero convivere in armonia non era mai stata sua intenzione. A quel punto, Alecto per lui non valeva niente.

Il mio esercito riuscirà laddove i miei draghi non sono riusciti. È solo questione di tempo.


*


Pressi Winchester, 30 luglio 2020

Mattina


"È iniziato qualche mese fa. Io mi trovavo ancora in collegio, perché non si poteva permettere che una nelle mie condizioni se ne andasse in giro liberamente. Le suore erano ancora solo all'inizio della loro 'opera di purificazione' ed io ero ben lungi dall'esserlo. Questo a sentir loro, almeno. Per un certo periodo ho pensato che avessero tutti ragione, comunque: la mia famiglia, sopratutto. Erano tutti convinti che fossi posseduta da qualche forza demoniaca e, non so bene a che punto, me ne convinsi anche io".

Alecto inumidì le labbra, guardando Charles con intensità. Strinse le cinghie dello zaino con forza, tentando di non lasciar morire quel flebile sospiro di coraggio che le parole del ragazzo le avevano donato.

"Ad un certo punto del mio... percorso spirituale, le cose sembrarono peggiorare. C'erano alcune notti in cui, nella mia testa, sentivo una voce. All'inizio pensai si trattasse di sogni mescolati a dormiveglia, ma l'evento si fece sempre più frequente, sino a quando non iniziai a sentirla anche di giorno. Durante quei momenti, ho spesso pensato di aver raggiunto il capolinea, di essere definitivamente impazzita, di essere irrecuperabile. C'era questa voce che mi parlava, mi chiamava per nome, mi ordinava di cercarla. Cioè, di cercare la sua fonte".

Sentiva gli occhi di Hester bruciarle il volto in modo implacabile, ma non aveva la minima intenzione di guardarla; Charles, solamente Charles aveva il potere di tirarle fuori tutto quanto e se veramente quella doveva essere la volta buona, era per lei fondamentale rivolgersi a lui, solo a lui. Glie lo doveva.

"La situazione si fece talmente insostenibile che alla fine ho ceduto. Una notte uscii di nascosto ed andai a cercarla. O forse, dovrei dire a cercarlo... la voce apparteneva ad un maschio - ad uno stregone, per essere precisi. Mi sono lasciata guidare dal suo richiamo e senza sapere come, mi sono ritrovata di fronte ad una casa, non molto lontano dal mio collegio. È stata quella, la prima volta in cui ho incontrato Emrys".

Hester smise di respirare ed allargò impercettibilmente gli occhi verdi. Charles capì sulla propria pelle che cosa volesse dire essere tramutati in pietra. Come fosse successo solo il giorno prima, l'incontro con le Disir gli rammentò le esatte parole: Merlin il Mago, questo è il suo nome da uomo. Emrys è il nome con cui egli è chiamato dai Druidi.

Merlin. Per tutto quel tempo... Alecto avrebbe potuto essere il suo collegamento immediato con Merlin.

Non mosse un muscolo, esattamente come Hester e l'immobilità terrea che colpì entrambi, non interruppe il racconto di Alecto.

"Lui mi ha salvata, capite? Mi ha tirata fuori dalla mia miserabile vita!"

Il suo tono si fece accorato, come se avesse necessità fisica che gli altri due la comprendessero.

"Mi ha fatto capire chi sono e, sopratutto, cosa sono! Mi ha insegnato a controllare il mio dono, mi ha mostrato una realtà di cui non ero minimamente a conoscenza e per la prima volta in vita mia, è capitato che qualcuno mi facesse sentire giusta così come sono! Lui ha bisogno di me per salvarci tutti, per salvare gli altri. Credete che io sia l'unica ad essere stata rinchiusa perché considerata un mostro? Un pericolo? Non avete idea di quante altre Alecto ci siano là fuori, in questo momento! Lui... lui mi ha promesso un mondo per me. Per noi. Non vedete quanto fosse necessario tutto questo?" I suoi pallidi occhi si fecero vacui, come stessero contemplando qualcosa che solo lei poteva vedere.

"Io credevo che lo fosse! Credevo... Anche Emrys l'ha detto: per un mondo migliore, è necessario un atto di violenza. I cambiamenti non possono avvenire, non senza una rivoluzione! Io credevo... pensavo che il fuoco dei draghi avrebbe purificato tutto. Avremmo potuto iniziare a costruire un mondo nuovo, da zero, e tutti coloro che fossero rimaste vittime accidentali degli attacchi, sarebbero tornate in vita grazie a noi, grazie al calice della vita(1)!"

Hester, a quel punto, ruggì come un animale selvaggio.

"STUPIDA!" l'appellò, con le mani che le prudevano, tanta era la voglia di strozzarla. Drem drizzò la coda, inchiodandosi al suolo con una posizione difensiva.

"Stupida, stupida, idiota di un'inutile ignorante! Il calice della vita NON ESISTE più! È andato distrutto secoli e secoli fa! La tua imbecillità ci farà ammazzare tutti, disgraziata!"

Charles non l'aveva mai vista così fuori di sé e per un attimo temette che le sarebbe preso un colpo al cuore.

La notizia crollò su di Alecto con la potenza di una frana; sgranò gli occhi, oramai quasi fuori dalle orbite per lo sconcerto ed il volto le si fece pallidissimo. Al contrario, quello di Hester era acceso da una rabbia incontenibile e le vene del collo erano gonfie per le grida trattenute. La più giovane scosse impercettibilmente la stessa, inghiottendo a vuoto.

"No" esclamò, la voce tremula; "Non è così. Emrys... Emrys ha detto-"

"TI HA MENTITO, IDIOTA CHE NON SEI ALTRO! TI HA MENTITO! Ma non lo capisci?! Non glie ne importa un accidente di riportare in vita le persone e se tu avessi più cervello in quella tua miserabile testa da cieca, muta e sorda, ti saresti anche chiesta se quella del calice non fosse l'ennesima menzogna! E sai perché? Te lo dico io perché!"

Quando dalle fauci di Drem uscirono dei rivoli di fumo intimidatori, Charles fu costretto a trattenere la sua governante per le braccia.

"PERCHÉ IL CALICE NON SERVE A RIPORTARE IN VITA I MORTI! NON È MAI STATA QUESTA LA SUA FUNZIONE! MALEDETTA STUPIDA!" sputò, tentando di avanzare comunque verso di lei. Oh, se solo avesse potuto metterle le mani addosso, l'avrebbe ammazzata!

"Se pure fosse ancora esistito il calice, non avreste potuto comunque far risorgere nessuno! DELLE PERSONE SONO MORTE, LO CAPISCI? E PESANO TUTTE SULLA TUA SPORCA, LURIDA COSCIENZA! E adesso fatti venire un altro attacco di panico, avanti! Ma questo volta fai un favore al mondo e restaci secca una volta per tutte! Liberaci della tua deficienza!"

"Hester!" esclamò Charles, cercando di farle dare una calmata. Alecto iniziò ad iperventilare, la sua mente si rifiutava di accettare ciò che le era stato detto, ma una parte di lei - una minuscola, infinitesima parte di lei che era nata a causa dell'incontro con la Diamar -, aveva da tempo iniziato a sospettare che ci fosse qualcosa che non andava, a partire dal modo evasivo in cui Emrys affrontava ogni discussione riguardo al calice.

Hester, quel giorno, aveva dato conferma ai suoi timori.

Aveva sbagliato.

Aveva sbagliato tutto.

Poi, inesorabilmente, iniziò a processare per davvero la portata di quello che era successo: non avrebbe potuto riportarle indietro. Tutte le persone che erano morte dall'inizio di quella crociata, sarebbero rimaste tali per sempre.

Morte.

Uccise.

Bruciate vive.

Trucidate.

Era un genocidio.

Non avrebbe potuto aiutarle.

Non avrebbe potuto fare niente, per loro.

E, a soli venti anni, la prospettiva di avere ancora tutta una vita davanti per ricordare ogni sacrosanta, maledetta mattina, quello che aveva fatto... era terrificante.

Avrebbe preferito di gran lunga la morte.

Fu per questo che quando l'attacco di panico arrivò davvero, sperò che il desiderio di Hester si realizzasse: sperò di morirne sul serio e che la sensazione di soffocamento non si limitasse ad essere, per l'appunto, una semplice sensazione, una mera presa in giro del suo cervello.

Crollò sulle ginocchia con le dita affondate nei capelli ed iniziò a dondolarsi avanti ed indietro, sforzandosi di accogliere la paura, anziché scacciarla. Schiacciami, soffocami, uccidimi, uccidimi, uccidimi.

Al contrario dell'ultima volta in cui aveva avuto una crisi, Charles non si avvicinò per aiutarla; restò con le braccia ancorate attorno ad Hester, continuando a tenersela stretta e l'unica cosa di lui che raggiunse Alecto, fu lo sguardo. Uno sguardo condito di biasimo, di incredulità, di rassegnazione e di tradimento.

Perché la sua maledetta vita pareva essere un déjà vu? Perché tutti non facevano altro che mentirgli, mentirgli e mentirgli? Dai tempi di Camelot, niente sembrava essere cambiato. Ancora menzogne, sempre e solo quelle. Era di nuovo colpa loro.

Drem si accostò alla ragazza crollata a terra ed utilizzò con lei ciò che le aveva ispirato anche il suo nome: la riempì con la pace, la tranquillizzò con la sicurezza e la cullò con la quiete. Fu l'unico ad intervenire, a fare qualcosa di reale per Alecto; del resto, lei non avrebbe potuto aspettarsi un comportamento diverso, da Charles o da Hester. Sopratutto da Hester.




Quando Alecto riuscì a superare l'attacco, ben una ventina di minuti dopo e solo grazie alla vicinanza di Drem, prese in fretta una decisione: non avrebbe potuto vivere nell'angoscia e nel senso di colpa il resto dei suoi giorni. Doveva fare qualcosa. Doveva aiutare a porre fine a quella follia. Fu per questo che, restando ginocchia a terra, il capo chino, si tolse lo zaino dalle spalle con il Triskelion all'interno e lo gettò ai piedi di Hester.

"Prendetelo" disse e quando sentì la sua stessa voce, ebbe come l'impressione che fosse stato qualcun altro a parlare.

"Prendete tutto. Anche il drago, se volete. Vi darò tutto, ma vi prego... lasciatemi venire con voi. Voglio aiutarvi. Voglio che tutto questo finisca. Non lasciatemi indietro".

"NO!" sputò immediatamente Hester, che era rimasta a guardare la sua agonia nella illogica speranza che il drago decidesse di arderla viva. "Quello che hai fatto è ripugnante e non meriti un briciolo della nostra pena. Dovremmo ucciderti, ecco cos'avrebbe finalmente senso!"

"Lo so" biascicò miseramente la ragazza, senza più uno straccio di dignità "Potrete uccidermi, se vorrete, ma vi prego di farlo quando avremo fermato Emrys. Se dovrò morire, voglio poterlo fare soltanto dopo aver compiuto qualcosa di buono".

"E con quale diritto credi ancora di poter avere il lusso di scegliere in che modo morire? Ce l'hanno avuto, tutte quelle persone che se ne sono andate a causa delle fiamme? Dei crolli?"

Le spalle di Alecto vennero scosse da singhiozzi rumorosi.

Era una scena patetica.

"Vi prego" pigolò, alzando verso di loro un paio di occhi sproporzionati ed acquosi. Li stava letteralmente implorando in ginocchio. "Posso parlare con i draghi! Vi giuro che vi aiuterò! Farò tutto quello che mi direte di fare! Ve lo giuro! Ve lo giuro!" pregò, con la voce incrinata dalla disperazione.

Ecco, finalmente si tornava alla normalità: era sempre stato quello, il suo posto. Persa in balia di coloro dai quali doveva elemosinare un po' di considerazione. Quando Charles la vide grondare sia dagli occhi che dal naso, ne ebbe abbastanza; le si avvicinò meccanicamente e la tirò su per un braccio, costringendola ad alzarsi.

"Asciugati la faccia" le disse, senza alcuna intonazione particolare. Alecto, il volto accartocciato ed arrossato per il pianto, alzò la maglietta ed usò la stoffa per asciugarsi le guance ed il naso. Charles la fissò con aria greve e lei poté chiaramente sentire sulla pelle il peso del suo giudizio, del suo biasimo e della sua delusione.

Ce l'aveva fatta. Aveva distrutto nuovamente l'unica cosa che di buono aveva nella vita.

Aveva perso la sua amicizia. Non c'era più speranza.

"Io ti avverto, Alecto" continuò il ragazzo, dopo lunghi istanti di silenzio; "Se scopro che mi stai tenendo nascosto ancora qualcos'altro, non ci sarà più alcun vi prego che tenga. Il fatto che a me piaccia dare il beneficio del dubbio alle persone, non fa di me uno stupido. Forse ai tuoi occhi lo sono diventato da un pezzo, perché nonostante tutti gli avvertimenti che Hester ha provato a darmi, io ho preferito ignorarli in tuo favore".

"Charles, io-"

"Non ho finito" la interruppe, bruscamente. "E ascolta anche tu Hester, perché questo risponderà alle domande che sicuramente non vedrai l'ora di farmi".

Mantenne lo sguardo fisso in quello di Alecto, emanando un'aura di autorità che ricordava in tutto e per tutto Arthur Pendragon, Il Re.

"Se ti permetto per l'ennesima volta di venire con noi, è soltanto perché ci serve qualcuno che sia in grado di comunicare con i draghi. Alla prima mossa falsa, ti ritroverai la mia spada puntata alla gola. Alla prima mossa falsa, per quanto mi riguarda, Hester avrà tutto il diritto e la piena libertà di fare di te ciò che più riterrà opportuno. Camminerai sempre due passi avanti a noi, non ti allontanerai neanche per andare a fare pipì. Io non so a che gioco ora vuoi giocare, ma chi mi assicura che non sia stato un caso il fatto che tu fossi lì, il giorno in cui ci hai salvati dal grifone? Chi mi assicura che tu tuttora non voglia ucciderci, vista la discutibile scelta dei tuoi alleati?"

Alecto sgranò gli occhi, prima di sbattere le palpebre con perplessità. "Uccidervi?" ripeté, sconvolta.

"Perché dovrei farlo? Perché non mi sarei dovuta trovare lì per caso?"

Charles esitò. Non aveva rivelato di essere Arthur Pendragon ad Alecto e forse nemmeno Emrys lo aveva fatto. Era certo che il mago sapesse che fosse vivo, ma non aveva idea di quanto avesse detto alla ragazza, o su cosa avesse invece taciuto. Sapeva che Emrys voleva ucciderlo ed il dubbio che avesse delegato il compito ad Alecto lo aveva più che sfiorato, eppure... c'erano state una miriade di occasioni in cui la ragazza avrebbe potuto ucciderlo e darsi alla fuga, ma non ne aveva mai colta nessuna. In fin dei conti, forse si era trattato davvero di un caso, quel loro primo incontro. Scambiò un veloce sguardo con Hester, che scosse impercettibilmente la testa ed infine tornò a guardare il volto angosciato e devastato dalle lacrime di Alecto.

"Andiamo" replicò solamente Charles, afferrandola per un gomito e spingendola davanti a sé; "Stavolta si fa sul serio. Portaci verso il luogo in cui si trova questo Emrys e niente scherzi".

Alecto deglutì, incespicò maldestramente nei suoi stessi piedi ed iniziò a camminare con gli occhi fissi sul terreno, con Drem al suo fianco che, a tratti, sbuffava ancora rivoli di fumo fuori dalle narici. Sapeva che avrebbe dovuto sopportare per tutto il resto del viaggio lo sguardo arrabbiato di Charles puntato sulla schiena.

Ed avrebbe dovuto farlo in silenzio.








NOTE DELL'AUTORE: tra lampi tuoni e fulmini, giunge l'aggiornamento in sordina di questa storicciuola. Dedicato a tutti voi, belli e brutti! Domanda random: pensate che Alecto sia un personaggio esagerato o troppo finto? Ci terrei molto al vostro parere...

  1. Il calice della vita: lo incontriamo nella serie televisiva ai tempi di Nimueh. Bevendo l'acqua dal calice, si può scampare alla morte. Riempiendo il calice di sangue, invece, si potrà essere immortali sino a quando il sangue si troverà al suo interno. Come potete vedere, non ha il potere di riportare in vita i morti ed anzi, il suo funzionamento si basa su uno scambio equivalente (lasciando perdere i principi alchemici): una vita in cambio di un'altra, per mantenere l'equilibrio della natura. Quindi, quando qualcuno scampa alla morte grazie al calice, qualcun altro morirà per prendere il suo posto. Tutto ciò è tratto fedelmente dalla serie televisiva.

Asfo

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Capitolo 15
*** Un penny per i tuoi pensieri ***


QUINDICESIMO CAPITOLO

15. Un penny per i tuoi pensieri


Milborne Port, 2 agosto 2020

Mattina


"NON UCCIDETELI!" era stata la prima cosa che Alecto aveva gridato, quando l'attacco era iniziato. Quella mattina si era alzata con un profondo senso di inquietudine e, mentre si erano avvicinati sempre di più a Glastonbury, le era parso di avvertire una sorta di elettricità nell'aria; solitamente si sentiva sempre così, quando stava per succedere qualcosa. Giunti da poco a Milborne Port, quel qualcosa li aveva scovati e guidato da una sconvolgente assenza di timore per la morte od il dolore, li aveva attaccati.

Drem le aveva subito detto: sono innocenti.

Innocenti? Aveva pensato Alecto nell'immediata frenesia della situazione, quando un energumeno grosso come una gip le era corso incontro con gli occhi fuori dalle orbite. Come poteva essere innocente uno con una faccia così spaventosa?

Sono posseduti dai Fomorroh, aveva aggiunto il piccolo drago a quel punto, che si era immediatamente posizionato davanti a lei con chiari intenti protettivi. Non sanno quel che stanno facendo. Eseguono degli ordini.

Alecto non aveva idea di cosa diavolo fosse un Fomorroh, ma se Drem le aveva detto che non erano coscienti di cosa stessero facendo, allora ucciderli per non essere uccisi sarebbe stato un grosso sbaglio e lei di pesi sulla coscienza, ne aveva già a sufficienza per le successive dieci vite.

"Cosa?!" aveva esclamato Charles, spada sguainata ed in posizione di difesa al suo fianco. Hester, dietro di loro e quasi schiena contro schiena del suo pupillo, era impegnata a tenere alla larga come meglio poteva il resto degli assalitori; ad occhio e croce stimò che fossero in sette.

"Sono posseduti" squittì sbrigativamente Alecto, che con un guizzo di occhi dorati spintonò il loro aggressore, facendolo finire a gambe all'aria; gettò un'occhiata verso Charles ed anticipando la sua domanda, aggiunse: "Me l'ha detto Drem".

"Magnifico" commentò il ragazzo a quel punto, con sarcasmo, facendo roteare la lama di Excalibur nell'aria. "Non possiamo ucciderli. Non possiamo ferirli..."

Drem fece zampillare del fuoco attraverso le sue fauci minute ed il fuoco creò un cerchio attorno a loro, ma di debole entità e destinato ad estinguersi molto presto. Charles fece saettare gli occhi sui volti delle persone che li circondavano, valutò la loro costituzione, le armi che già possedevano o che l'ambiente circostante avrebbe potuto offrire al momento, studiò il terreno pianeggiante tutto ad est, la macchia di alberi a sud-ovest, la prevalenza di ostacoli verso nord - ma con la maggiore possibilità di rientranze rocciose - e si costrinse a prendere velocemente una decisione.

Una drastica decisione.

"Scappiamo!"

Senza perdere tempo, afferrò la mano di Hester e se la trascinò attraverso le fiamme che avevano già iniziato a calare; la donna si riparò il volto con il braccio libero e non riuscì ad inghiottire un insulto rivolto a nessuno in particolare. Alecto scattò dietro di loro e Drem, rotolando un paio di volte sulle sue stesse zampe, riuscì con fatica ad alzarsi in un volo traballante. I Fomorroh si lanciarono immediatamente al loro inseguimento e Charles poteva sentirli correre dietro di loro e sapeva già che se non fossero intervenuti in qualche modo, sarebbero stati raggiunti in pochi secondi.

"Dobbiamo rallentarli!" gridò, spinto anche da un'altra urgenza: Hester non avrebbe potuto reggere quel ritmo a lungo, il viaggio e lo stress l'avevano incredibilmente provata. "Fa' qualcosa!"

"Che cosa?" urlò di rimando Alecto, la cui capacità di pensare lucidamente, in certe situazioni, andava a farsi allegramente benedire.

"Qualunque cosa!" replicò l'altro, sventolando con frustrazione Excalibur nell'aria.

Alecto voltò la testa per studiare la situazione e quasi inciampò nei suoi stessi piedi, quando si rese conto che i Fomorroh stavano per caracollarle addosso. Oh Dio gemette nella sua testa, terrorizzata. Tornò a voltarsi in avanti e cercò di accelerare la sua andatura, ma non sarebbe andata comunque molto lontano perché il respiro ansante di Hester le fece capire la donna stava per cedere e di certo Charles non l'avrebbe mai lasciata indietro. Oh Dio pensò di nuovo, come faccio a rallentarli?!

La parola la spinse ad immaginare un qualcosa che potesse bloccare i Fomorroh e fu a quel punto che gli occhi, quasi per caso, le caddero sulle radici degli alberi che a tratti spuntavano fuori dal terreno. E allora capì che cosa fare. Cercando di raccogliere quanta più concentrazione ed energia possibili, Alecto smozzicò tra un respiro ansante e l'altro una formula dalle parole antiche ed i suoi occhi si tinsero di oro liquido; in una reazione praticamente immediata, il terreno sul quale stavano correndo tremò come risvegliato da un sonno profondo ed all'improvviso le radici degli alberi si mossero fendendo la crosta e si attorcigliarono attorno alle caviglie dei Fomorroh. Hester caracollò a terra dalla fatica in quell'esatto momento ed appoggiò una mano all'altezza del cuore, il volto coperto di sudore ed i capelli grigi incollati alla faccia.

"No Hester, ti prego, alzati!" la implorò Charles, afferrandole un braccio per farlo passare sulle sue spalle; Alecto pretese qualche glorioso istante per ammirare ciò che aveva fatto: i Fomorroh, caduti a terra come salami, stavano cercando di liberarsi dalle radici che li avevano imprigionati, gridando oscenità.

Adesso sì, che aveva fatto guadagnare loro del tempo.

"Alecto!" la richiamò Charles urgentemente, riportandola con i piedi per terra e costringendola a voltarsi; si avvicinò a loro con passi veloci e senza che le fosse stato detto niente, passò intorno alle sue spalle l'altro braccio di Hester, aiutando Charles ad alzarla in piedi; il volto di lui era trasfigurato dall'ansia ed i suoi occhi azzurri parlavano di una paura non tanto remota.

"Hester, che ti prende? Smettila di respirare così, non lo sopporto!"

In effetti il respiro di Hester era pesante e rumoroso, come non riuscisse a prendere boccate abbastanza profonde nonostante l'impegno.

"Non è che adesso le prende un infarto?" chiese senza alcun tatto Alecto, accorgendosi soltanto dopo di come le sue parole fossero suonate male; guardò immediatamente il volto di Charles, che si era fatto terreo e che aveva unito le labbra in una linea sottilissima. Era proprio quello stesso pensiero che l'aveva fatto sbottare così malamente e che l'aveva portato in modo illogico ed infantile ad ordinare ad Hester di stare meglio.

"Andiamo" rispose con tono rigido, ignorando sia la sua domanda che il rossore sul viso di Hester; insieme all'aiuto di Alecto, riuscirono ad avanzare faticosamente verso nord e dopo circa mezz'ora di cammino, incapparono in una rientranza semi nascosta da alcuni cespugli. Charles fece cenno alla ragazza di dirigersi da quella parte e quando ebbero posizionato Hester seduta a terra e con la schiena poggiata contro il muro roccioso, Alecto eseguì in incantesimo che rendesse poco visibile a sguardi curiosi l'entrata della piccola grotta. Loro, posizionatisi vicino all'ingresso, potevano comunque studiare l'esterno.

"Hester" disse Charles, accucciandosi davanti a lei; strappò un pezzo della sua t-shirt e le asciugò il sudore sulla fronte e sul collo; lei aveva regolarizzato il respiro, ma appariva molto più stanca di quanto lui l'avesse mai vista. Se in quel momento avesse dato retta al suo istinto, avrebbe chiuso gli occhi pur di non vedere quella maledetta realtà dei fatti.

Non la voleva vedere così. Semplicemente, non voleva. Lei era Hester. Era la sua roccia.

"Non si preoccupi, Charles" disse lei, allontanando con gentilezza la sua mano dal viso. "Mi bastano dieci minuti. Dieci minuti di riposo e poi possiamo rimetterci in cammino".

Lui la guardò intensamente, con un senso di smarrimento tale che si ritrovò senza parole.

I dieci minuti diventarono venti e da venti divennero quaranta. Hester si era addormentata e Charles sentiva di non avere il cuore per svegliarla. Il terribile pensiero che gli aveva attraversato la mente e che poi Alecto aveva concretizzato con le parole, gli aveva messo addosso un'angoscia indescrivibile. Non sapeva cosa doveva fare. E se il rimettersi in cammino li avesse costretti ad un'altra fuga simile? E se Hester la volta successiva non avesse saputo reggere il ritmo? E se si fosse sentita male per davvero? E se, e se, e se...

Immerse le dita nei capelli biondi e li tirò dalla radice; gli occhi si inumidirono a causa del dolore, ma lui non addolcì la presa. Era troppo, tutto quello era semplicemente troppo per un singolo essere umano. Aveva talmente tanti pensieri ad affollargli la testa, talmente tante emozioni a spaccargli lo stomaco ed il petto che ad un certo punto sospettò che l'infarto sarebbe venuto prima a lui. In quei giorni aveva cercato di darsi un tono, di reprimere il malessere interiore che lo stava lentamente divorando, poiché c'era bisogno di qualcuno che salvasse il mondo e non importava a nessuno che a lui non fosse mai interessato salvare il mondo. Quanto avrebbe potuto resistere ancora? Alla resa dei conti, si sarebbe presentato davanti ad Emrys abbastanza lucido da poterlo affrontare?

Sarebbe stato abbastanza lucido da poter salvare non il mondo, ma l'unica persona di cui, in tutta quella faccenda, gli importasse davvero qualcosa?

"Se vuoi tagliare i capelli non c'è bisogno di tentare di strapparli".

Charles aprì lentamente le dita e le lasciò scivolare lungo il volto accaldato, prima di farle ricadere in grembo; voltò la testa verso Alecto, seduta accanto a lui, ma lei non sorrise e tenne gli occhi grandi fissi verso gli alberi. Stavano lì seduti, aspettando da un momento all'altro di sentire le voci od i passi dei Fomorroh.

"Sei stato bravo prima, sai" continuò lei, rigirandosi tra le dita nervose un filo d'erba. "Quando siamo stati attaccati. Ti sei comportato come se ti trovassi in situazioni del genere da una vita".

Alecto fece quell'osservazione senza nemmeno sospettare la totale ironia della situazione. Non io, pensò Charles con un mezzo sorriso sarcastico sulle labbra, ma l'altro. Ovviamente preferì non commentare ed Alecto interpretò quel silenzio come un permesso: quello di potergli parlare.

"Mi dispiace per quello che è successo" disse infatti, quietamente. Nell'aria si diffuse il suono di un elicottero che stava volando in zone circostanti. Charles alzò gli occhi verso il cielo, come aspettandosi di vederlo.

"Non è stata colpa tua" rispose, corrugando la fronte subito dopo: "O forse sì?"

Lei si torse le mani con nervosismo ed aggrottò le sopracciglia con espressione contrita. "Ecco, io... io credo che sia stato Emrys, a mandarli. Molto probabilmente mi sta cercando. Sono quasi certa che ce l'avessero con me, ma dal momento che avete cercato di difendermi..." allungò una mano verso Drem, che si era acciambellato davanti a lei e gli accarezzò la testa squamosa. Il drago emise un gorgoglio deliziato e socchiuse gli occhi lucenti con pigrizia. Charles osservò il muso della creatura con aria assorta, metabolizzando il significato di ciò che Alecto gli aveva detto.

"Quindi ci stanno dando la caccia" esclamò, piuttosto incolore. "Ovunque andremo, rischieremo di essere braccati".

Chiaramente, la sua non era una domanda, ma in risposta ricevette comunque un silenzioso assenso.

"Un motivo in più per porre fine a tutto questo circo senza perdere altro tempo".

"Questo circo?"

"Alecto, non ce la faccio più." La guardo apertamente negli occhi.

"Sono stufo di dormire sull'erba, nelle caverne o nelle macchine rubate di persone che probabilmente sono morte. Sono stufo di nascondermi, di scappare o di provare paura ad ogni rumore e ad ogni movimento. Non mi lavo da giorni, non facciamo un pasto decente da non so quanto e più tempo passo a ripetermi quanto io odi questa situazione, più tempo ha Emrys di perpetrare questa pazzia!"

"Allora perché lo fai?" domandò lei, con espressione stupita ed al contempo inquisitoria.

"Perché faccio cosa?"

"Perché tu ed Hester vi siete imbarcati in questa impresa? Perché ti sei messo in testa di voler fermare Emrys? Ho più ragioni io di te, per farlo. Eppure la stai facendo sembrare una questione personale".

Charles distolse lo sguardo e lo puntò davanti a sé. Non disse niente, limitandosi ad irrigidire la mandibola ogni tre per due. Alecto intuì che qualcosa mancava, nel puzzle. Un pezzo che le facesse comprendere un punto importante. Decise quindi di cambiare tattica.

"Mi chiedevo..." iniziò, scegliendo con attenzione le parole, "...cosa intendessi l'altro giorno, quando mi hai detto che forse non si è trattato di un caso l'avervi incontrati nel posto in cui siete stati attaccati dal grifone?"

"Con quale coraggio vieni tu a fare domande a me?"

Alecto allargò gli occhi, con la sensazione che qualcuno le avesse afferrato lo stomaco e lo stesse accartocciando: Charles non le aveva mai parlato con quel tono così aggressivo. Abbassò lo sguardo e si chiuse in un silenzio quasi tangibile. Accanto a lei, il ragazzo si mosse scomodamente sul terreno e poi si alzò sbuffando, andando a recuperare dallo zaino qualcosa; quando tornò a sedersi per terra, tra le mani stringeva la radio tramite la quale avevano cercato di tenersi informati sull'evolversi delle cose.

Il ragazzo la accese ed un rumore fastidioso decretò la mancanza di segnale; girando la rotella dei canali, tentò di trovare una frequenza che fosse anche un minimo percepibile e fu in quel modo che i successivi cinque minuti trascorsero; allo scoccare del settimo, Charles emise un verso infastidito e spense la radio, gettandola accanto a sé. L'impatto contro il terreno produsse un rumore forte e lui, con la colpa dipinta sulla faccia, si voltò per controllare di non aver disturbato il sonno di Hester; con sollievo, constatò che la donna dormiva ancora della grossa. Quando tornò a guardare verso gli alberi, oramai le parole incastrate nella sua gola avevano già iniziato a soffocarlo.

Non si fidava di Alecto, lei gli aveva dimostrato di non doverlo fare; d'altra parte, una fastidiosa vocina dentro di sé, che stranamente aveva il tono di Merlin, gli suggerì che per pretendere l'onestà altrui, avrebbe dovuto essere onesto egli stesso in primo luogo. Con quale diritto Merlin osava azzardare quell'osservazione proprio nei suoi confronti, poi, era un maledetto mistero. In veste di Arthur, se pensava a come Merlin era sempre riuscito a nascondergli il suo segreto, si lasciava montare dalla rabbia; in veste di Charles, prendendo piena coscienza della situazione attuale, si ritrovava a contare i secondi che ancora lo separavano da lui.

"C'è qualcosa che non ti è stato detto".

Sollevò Excalibur da terra e sentì lo sguardo di Alecto su di sé.

"Al contrario di te, non è stato fatto per tenere nascosto un piano malvagio per la conquista del mondo. Se abbiamo preferito tenerti all'oscuro di alcune... informazioni, specialmente Hester, è stato per la mia sicurezza". Fece scintillare la lama della spada sotto la luce calda del giorno.

"Guardala" esclamò Charles, lasciando scorrere lo sguardo lungo tutta quella lucentezza; "Credi che questa sia una spada qualsiasi?"

Alecto guardò l'arma con espressione quietamente curiosa, ma non vide in essa nulla di diverso che potesse classificarla al di fuori del consueto.

"Non lo è?" si ritrovò a domandare piano, avendo paura che l'altro potesse cambiare idea all'improvviso e smettesse di parlarle. Charles la impugnò più saldamente e conficcò la punta nel terreno, affinché la spada svettasse davanti a loro in tutta la sua magnificenza.

"No, che non lo è" replicò lentamente, allungando le gambe in avanti ed incrociando le caviglie. "Questa spada è molto antica, le sue origini risalgono a più di mille anni fa".

"Mille anni fa? E come fai ad averla tu?" chiese allora Alecto, non riuscendo a reprimere lo stupore. Charles sorrise. "Perché un tempo è stata mia tanto quanto lo è adesso".

"E questo che vorrebbe dire? Vorresti farmi credere che hai più di mille anni?"

"No, certo che no. Anche se, in un certo senso..." si interruppe e voltò la testa verso di lei. "Hai mai sentito parlare di Excalibur?"

Alecto sgranò gli occhi. "La spada di Re Arthur?" Si girò a guardare la diretta interessata, poi di nuovo Charles. "Lo sai che è solo una leggenda, vero?"

Lui soffocò una risata sarcastica e poi esclamò: "Disse quella con i poteri magici ed un drago come animaletto domestico".

Alecto aprì e chiuse la bocca più e più volte, non riuscendo a comprendere perfettamente la portata di ciò che Charles stava tentando di dirle. "Tu saresti... saresti..."

"Sì?"

"Tu sei Re Arthur?!"

"Così dicono. Ma se Hester scopre che te l'ho detto, mi uccide. Lei pensa che tu sia comparsa sotto ordine di Emrys per mettermi fuori gioco".

"Che cos- cosa? Ma che caz- cioè, cosa? No, aspetta, scusa un attimo, non ce la faccio. Tu sei Re Arthur?!"

"Eh, ci ho messo un po' anche io a capirlo in effetti. Non ti nascondo che tutt'ora ho gravi problemi nel realizzarlo. Credo che quando tutto questo sarà finito, avrò bisogno di uno psicologo".

"Oh porca vacca..." e se Alecto avesse aperto un altro po' di più la bocca, probabilmente la mascella avrebbe toccato terra. Charles annuì con aria falsamente greve, poi disse: "Ora, adesso che sai il mio segreto... se veramente ti ha mandata Emrys, sai finalmente che sono io quello giusto da uccidere. Quindi... devo dormire con un occhio aperto?"

"Cosa?" ripeté l'altra, come un disco rotto. "Voglio dire, no! Cioè, perché Emrys dovrebbe volerti uccidere?"

"Perché c'è una profezia che mi designa come l'unico essere in grado di porre fine a ciò che sta accadendo. Adesso ho il permesso di farne una questione personale?"

"Oh porca vacchissima..."

"Ti stai ripetendo. Comunque, c'è una domanda che credevo avresti fatto il giorno in cui hai vuotato il sacco. Eppure non è ancora arrivata".

Alecto corrugò la fronte, lo sguardo smarrito. "Quale domanda?"

Charles sospirò e poi arcuò le sopracciglia con eloquenza. "Hester ti ha detto che il calice della vita non esiste più. Ciò vuol dire che Emrys non ha mai avuto intenzione di riportare in vita le vittime di questa guerra. Correggimi se sbaglio, ma i draghi quando attaccano, non lo fanno a seconda delle persone che incontrano. Lo fanno per zona e chiunque si trovi in quella zona, finisce vittima delle loro fiamme. Non ti è mai passato per la testa che per forza di cose, anche esseri magici saranno probabilmente rimasti vittime di questi attacchi?"

Alecto continuò a fissarlo senza dire niente.

"Prendendo in considerazione questo particolare... se Emrys sta uccidendo sia esseri umani, sia esseri magici... come avrebbe esattamente intenzione di 'salvare' e 'proteggere' tutti quelli come lui? Tutti quelli che hanno la magia?"

"Non è questo il suo scopo..." si ritrovò a soffiare debolmente la ragazza, gli occhi sbiaditi e vacui su un pensiero che continuava a sfuggirle. "Come... come ho fatto a non pensarci io?"

"Non lo so" rispose brutalmente Charles, senza neanche tentare di nascondere cosa ne pensasse della sua ingenuità. Lei lo guardò, forse senza nemmeno vederlo realmente. "Allora... cosa diavolo sta facendo?"

"Ancora non ci arrivi? Alecto, non pensare in piccolo. Pensa in grande. Lui vuole uccidermi perché sono l'unica cosa che può fermare non solo questa guerra, ma anche lui! E farebbe di tutto, pur di trovarmi. Anche scatenare un genocidio di massa e farti credere di starlo facendo per una buona causa".

"Porca vacca vacchissima... lui sta facendo tutto questo per un singolo uomo?! Per te? Ma è pazzo!"

Secondo me anche tu non ci stai tanto con la testa, non poté impedirsi dal pensare Charles, che invece rispose: "Tu dici? Sai a cosa è servito in primo luogo, tutto questo casino? A risvegliare la mia coscienza. È ovvio che non posso avere mille anni. Io sono la reincarnazione di Re Arthur e per uccidermi, Emrys sapeva bene che prima avrebbe avuto bisogno di farmi uscire allo scoperto. Di farmi rinascere, se così vogliamo dire".

Schioccò seccamente la lingua contro il palato ed allargò le braccia con rassegnazione.

"Prova a metterti nei miei panni. Ho vissuto quasi venticinque anni nell'ignoranza più totale. Una vita ordinaria, una famiglia ordinaria, delle abitudini ordinarie. Poi, una notte... ta-dan! Mi sveglio nel bel mezzo delle fiamme. I draghi stanno attaccando Londra e la mia governante, che in realtà è la mia guardiana sin da quando sono nato, mi dice che sono destinato a salvare l'Inghilterra e, per mia personale estensione, il mondo". Si zittì all'improvviso qualche istante, un po' interdetto.

"Ah, detta così potrebbe sembrare che anche io non ci stia tanto con la testa".

"Governante?" mormorò nel mentre la ragazza; "Per caso sei ricco?"

"Non è questo il punto!"

"Alla faccia dell'ordinario..."

"Il punto è ... il punto è... che..."

Alecto vide gli occhi di Charles adombrarsi improvvisamente. Morse il labbro inferiore, indecisa se spronarlo a vuotare il sacco oppure no - non è che si sentisse propriamente nella posizione di poter fare liberamente un azzardo del genere. Alla fine optò per fare almeno un tentativo, perché nonostante quello che era successo tra di loro, a causa sua, per carità, era ancora grata per la gentilezza che aveva ricevuto da quel ragazzo ed anche se lui poteva non vederla più allo stesso modo di prima, Alecto scioccamente non riusciva a smettere di considerarlo suo amico. Del resto, quando masochisti si nasce...

"Senti Charles... mi hai appena rivelato un segreto che più segreto di così non poteva essere... cos'altro può esserci di più compromettente?"

Lui torse le mani tra loro con evidente nervosismo e rifuggì il suo sguardo; dalla sua gola provenne un verso strozzato, come di qualcuno che stava provando a dire qualcosa senza avere tuttavia voce a sufficienza. Inumidì velocemente le labbra secche e quando passò le mani tra i capelli, se possibile questi apparvero ancora più sconvolti, decretando sicuramente una qualche sorta di record sui capelli spettinati. Fece saettare gli occhi azzurri verso il cielo, poi sugli alberi ed ancora sul cielo; quando infine caddero sul volto di Alecto, Charles boccheggiò come un pesce fuor d'acqua due o tre volte.

"E-ecco... io..." schiarì la gola, poiché la voce gli era uscita un po' gracchiante. "Sai, io... cioè, noi - io ed Emrys intendo, ecco, noi... eravamo amici ai... ai tempi di Camelot".

"Porca vaccona, vuoi dire che anche Emrys è una reincarnazione?"

"No, lui è immortale, non può morire" rispose frettolosamente ed ignorando lo sconvolgimento sul volto di Alecto, continuò: "Eravamo amici, ma sai... i tempi erano diversi e anche... anche la mentalità lo era. Se ci ripenso adesso, nel 2020, a tutto quello che è successo ed a tutto quello che c'è stato i-io non... non riesco a capire se non fossimo in realtà anche... qualcosa di più" la sua voce si affievolì vertiginosamente nel pronunciare le ultime parole, ma Alecto gli era seduta affianco e riuscì comunque a capirne il significato, tant'è che gli occhi le divennero così grandi da uscire quasi fuori dalle orbite.

"Oh Dio. Oh Dio, mio, mio, mio carissimo Dio. Questo è decisamente compromettente, addirittura più della storia di Excalibur, Re Arthur, Camelot e profezia messi insieme! Stai scherzando spero! Charles, è impossibile quello che dici! Non ci credo che sei uno di quelli!"

Charles sgranò gli occhi, fraintendendo le sue parole ed arrossì violentemente. "Uno di quelli cosa?! Prima che mi tornasse la memoria, ho sempre e solo guardato ragazze! Non è colpa mia, è una cosa che non posso controllare! I ricordi di quello mi invad-"

"No, ma che hai capito!" lo interruppe la ragazza, sventolando le mani per aria. "Intendo un pedofilo!" sussurrò in seguito, come se dirlo troppo forte lo rendesse una bestemmia. Charles strabuzzò gli occhi e le sopracciglia bionde raggiunsero quasi l'attaccatura dei capelli. "Di che diavolo stai parlando?" domandò, totalmente smarrito.

"Di Emrys ovviamente!" replicò lei, a disagio. "È solo un bambino!"

Charles sentì il suo cuore congelarsi all'improvviso ed essere attraversato da crepe agghiaccianti. Emr- Merlin era... un bambino?!

Improvvisamente gli venne da vomitare.

"A meno che tu non stia parlando del ragazzo..." aggiunse Alecto, lieve come un accordo di violino.


*


Glastonbury, 2 agosto 2020

Sera


C'era un motivo, in effetti, se durante tutto il giorno Charles ed Alecto non avevano più visto né sentito i Fomorroh; difatti, le creature che avevano ricevuto l'ordine di cercare ed uccidere la ragazza, dopo essersi liberate dalle radici degli alberi avevano fatto dietro front e dopo molte ore di cammino, erano tornate dal loro padrone.

Emrys se ne stava seduto nella solita poltrona consunta e troppo grande per lui, con le gambette che penzolavano oltre il bordo e che mai sarebbero riuscite a toccare terra. Era destinato ad avere eternamente l'aspetto di un inutile, maledetto ragazzino.

Attualmente però, aveva ben altri problemi cui pensare. Le informazioni che i Fomorroh gli avevano riportato, erano curiosamente ed inaspettatamente interessanti.

"Una vecchia, un giovane ed un drago..." ripeté lentamente, come se davanti ai suoi occhi quello fosse un rebus da risolvere. "Cosa ci fa Alecto in compagnia di una vecchia e di un ragazzo...? E si è presa il mio drago..." strinse i braccioli della poltrona e le unghie affondarono nella pelle consunta. I Fomorroh mantennero il capo chino ed una perfetta immobilità: servi più obbedienti di loro non sarebbero mai potuti esistere.

Emrys doveva sapere. Emrys voleva sapere cosa diavolo stava pensando di fare quella stupida, ingenuotta femmina dimenticata dagli Dei. Chi erano gli individui che la stavano accompagnando? E che ruolo avevano in tutto quello? Doveva considerare anche loro un intralcio? Inspirò profondamente ed un bagliore dorato guizzò maggiormente nell'oro liquido che già strisciava sinuoso nelle sue iridi.

Un piccolo cambiamento di programma non poteva essere un danno.

"Cercateli" decretò, seccamente. "Li voglio vivi, tutti e tre. Non mi importa come, fate tutto ciò che è necessario. Spezzategli la gambe, le braccia, tutte le ossa del corpo se dovesse servire. Mi basta che siano vivi".

"Ed il drago, Mio Signore?" domandò uno di loro, con deferenza.

"Non c'è da preoccuparsene. Se è stata lei a farlo nascere, lui la seguirà ovunque".

Senza porre ulteriori domande, il gruppo di Fomorroh si dileguò silenziosamente, non senza prima aver eseguito un servile inchino. Quando fu solo, Emrys scivolò giù dalla poltrona e si avvicinò a Merlin con aria assorta.

"Hai sentito?" domandò con voce morbida, arrampicandosi su di lui come già aveva fatto parecchi giorni prima. "Presto avremo visite. Non sei felice? È da tanto che non ospitiamo qualcuno".

Gli occhi dorati del Mago sfiorarono i suoi stessi lineamenti adulti, con una gentilezza che aveva in sé qualcosa di sbagliato.

"Eppure, quello che dovrà essere l'ospite d'onore ancora ci sfugge. Ma è solo questione di tempo, sai? Dopo che mi sarò occupato di Alecto, ordinerò ai Fomorroh di condurre da me qualsiasi essere di sesso maschile che incrocerà il loro cammino. Il nostro Arthur sta arrivando. Verrà qui a morire e succederà proprio davanti a te, se saremo fortunati. È un peccato che tu non possa assistere..." alzò una mano e con l'unghia dell'indice iniziò a grattare via il sangue secco che si era asciugato sul volto di Merlin, fuoriuscito dai profondi graffi che Emrys stesso gli aveva inferto. Il volto giovane ed addormentato della sua versione adulta non fece una piega; Emrys gli afferrò il viso con entrambe le mani e premette la sua piccola bocca su quella dell'altro, spingendo forte, con violenza. Al suo rilascio, seguì lo schiocco rumoroso di un bacio. "Ti regalerò la sua testa" mormorò, accarezzandogli le guance. "Così non potrai dire che non ti voglio bene".



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Capitolo 16
*** Piano B ***


SEDICESIMO CAPITOLO

16. Piano B


Child Okeford, 4 agosto 2020

Tarda mattina


Hester venne bruscamente spinta e se non ci fosse stato Charles, davanti a lei, probabilmente sarebbe anche finita faccia a terra.

"Ehi!" esclamò aggressivamente quest'ultimo, voltandosi con modi minacciosi verso il Fomorroh che chiudeva la fila; quello piegò le labbra in un mezzo sorriso derisorio e poi sventolò la pistola avanti ed indietro con falsa pigrizia, facendo segno di continuare a camminare.

"La vecchia ogni tanto perde colpi, bisogna mantenerla sul vivo".

A quelle parole così offensive Charles si fermò e strinse i pugni, piantando gli occhi sul pezzo di stronzo che si era azzardato a pronunciarle; Hester alzò lo sguardo su di lui e gli toccò il braccio in modo lieve: "Charles, lasci perdere. Va tutto bene, proseguiamo" lo esortò carezzevole, ma ferma allo stesso tempo. Lui, irrigiditosi a causa della rabbia, restò fermo sul posto qualche altro lungo istante; lo vedeva negli occhi del Fomorroh, che quegli non aspettava altro che essere provocato. Eppure, in quel momento, Charles, avrebbe dannatamente voluto fare il suo gioco.

Ah, se solo quelle persone non fossero state inconsapevoli vittime di un disegno più grande!

Alla fine sbuffò aria dal naso, ma senza riuscire a far scemare la tensione dalle spalle contratte e poi riprese a camminare. Sentì il Fomorroh dietro di lui esibirsi in una risatina derisoria e Charles cercò di stringere i denti per non cedere alla tentazione di spaccargli la faccia. Non faresti del male al colpevole giusto, pensò, ricordatelo.

Davanti a lui Alecto procedeva in silenzio ed a testa bassa; un altro Fomorroh apriva la fila ed ai lati della stessa vi si erano posizionati in quattro, due per lato. A Charles vennero in mente i criminali nel momento in cui venivano scortati all'interno delle carceri. Nonostante il caldo afoso di quella giornata uggiosa - il cielo era una distesa grigia che si chiudeva su di loro come una cappa -, una brezza lieve gli regalò un fugace sollievo ed i suoi occhi azzurri si sollevarono in alto, inquadrando le modeste ali a membrana del piccolo Drem, che volava sulle loro teste; quando tornò a guardare la nuca di Alecto, si sentì leggermente più tranquillo.

Fino a quel momento, il piano era proceduto come previsto. Dal momento in cui si erano lasciati alle spalle la grotta, dopo essere fuggiti per la prima volta dai Fomorroh, il trio era incappato in altri loro piccoli gruppi più spesso di quanto si fosse aspettato ed infatti, da quando avevano abbandonato Milborne Port, non avevano potuto fare molta strada; all'inizio, in un modo o nell'altro, erano sempre riusciti a seminarli od a nascondere le loro tracce, ma Hester aveva notato che i Fomorroh parevano non avere più interesse nel cercare di ucciderli, anzi. Sembravano volerli fare prigionieri. I suoi sospetti erano stati confermati da una donna che, non appena li aveva individuati, aveva gridato ai suoi simili di catturarli. Anche in quell'occasione, il trio si era dato ad una fuga che aveva avuto del miracoloso - ogni tanto la fortuna sorrideva anche a loro - e dopo aver trovato un attimo di calma, avevano discusso della recente novità.

I Fomorroh erano agli ordini di Emrys e loro avevano bisogno di raggiungere proprio lui. Se quelle creature non avevano più intenzione di ucciderli, ma bensì di catturali, poteva esserci un modo più sicuro e veloce per raggiungere la loro meta? Se si fossero lasciati catturare dai Fomorroh, avrebbero potuto prendere due piccioni con una fava: avrebbero compiuto il resto del viaggio al sicuro e sarebbero certamente stati condotti proprio dove volevano arrivare. Era stata inclusa nel piano anche una certa percentuale di rischio, ma del resto... non lo correvano già tutti i giorni?

Davanti a lui, Alecto si bloccò improvvisamente; perso com'era nei suoi pensieri Charles le finì addosso, ma Hester riuscì a fermarsi in tempo.

"Che cosa ti prende?" la punzecchiò una dei Fomorroh che si trovava alla loro destra; "Continua a camminare, biondina".

Alecto non rispose e fece come le era stato detto, ma Charles notò che si muoveva piuttosto rigidamente.

"Ehi" bisbigliò, cercando di attirare la sua attenzione. "Ehi!"

Alecto si voltò velocemente verso di lui per indirizzargli un'occhiata atterrita e Charles arcuò le sopracciglia, senza avere la più pallida idea di cosa si stesse perdendo.

"Che succede?" tornò a sussurrare, controllando subito dopo di non aver attirato troppo l'attenzione dei loro accompagnatori. La ragazza avanzò ancora qualche passo e poi, voltando la testa quel tanto da sfiorare la spalla con il mento, mormorò: "Stanno arrivando!"

"Cosa? Chi?"

"I draghi!"

"Ehi, voi! Piantatela! Chi vi ha dato il permesso di parlare?"

Charles sgranò gli occhi e proprio come aveva fatto Alecto qualche secondo prima, si fermò improvvisamente; Hester si bloccò accanto a lui con sguardo confuso e lo osservò, cercando di capire cosa stesse succedendo. Lui ricambiò la sua occhiata, ma il Fomorroh che fino a quel momento aveva chiuso la fila, era uno che si spazientiva molto facilmente.

"Non sono previste soste in questa vacanza, quindi ricominciate a camminare o sparerò alle gambe della vecchia, così sarai costretto a trascinarla".

Charles sembrò non sentire una singola parola.

I Fomorroh si chiusero attorno a loro come un cerchio e Drem emise un verso diverso dal solito, che aveva qualcosa di agitato, forse impaurito.

"Stanno arrivando" esclamò il ragazzo, fissando intensamente la sua governante. Lei sgranò gli occhi e li indirizzò immediatamente verso Alecto, che si limitò ad annuire con un pallore sul volto ancor più accentuato del solito. Hester si coprì la bocca con le mani, ma i Fomorroh non ebbero nemmeno il tempo di interrogarli, poiché un ruggito potente squarciò il grigiore del cielo e nello stesso momento, un immenso stormo di uccelli in fuga oscurò la luce del giorno, facendoli cadere in una sorta di crepuscolo; Charles osservò gli animali abbandonare gli alberi in fretta e furia e si accorse anche dei movimenti repentini provenienti dal sottobosco che costeggiava la strada sulla quale stavano camminando. Quando lo stormo di uccelli si fu dileguato però, la percezione della penombra non si attenuò. Drem gorgogliò nuovamente, stavolta con più foga e la volta successiva che il trio alzò gli occhi verso il cielo, poté vedere la sagoma di un enorme drago abbattersi su di loro, le fauci spalancate.

Il primo istinto di Charles fu quello di gridare, ma una dei Fomorroh lo batté sul tempo; senza pensare si voltò velocemente e si gettò su Hester, costringendola a buttarsi a terra, in modo tale da poterla proteggere con il suo corpo.

"Charles, no!" gridò la donna, cercando di divincolarsi. Uno dei Fomorroh si frappose tra loro ed il drago, alzando le braccia in aria.

"FERMO!" gridò, privo di timore per la morte od il dolore. "LUI LI VUOLE VIVI!"

Al contrario dei Fomorroh, i draghi potevano chiaramente percepire che l'anima racchiusa nel corpo di Charles era esattamente quella di colui che, oramai da settimane, andavano continuamente cercando. Ed il loro padrone aveva ordinato di uccidere Re Arthur, non di catturarlo vivo.

Charles doveva morire lì, in quel momento.

Il drago sbuffò un'intensa vampata di aria calda dalle narici, che precedette una robusta fiammata luminosa, ardente, viva. Il Fomorroh prese immediatamente fuoco come una miccia e nonostante l'assenza di paura, il dolore lo spinse a lanciare un grido straziante e disumano; Charles avvertì il calore del fuoco sulla schiena e sulle spalle e quando alle grida della creatura si aggiunsero anche quelle di Alecto, capì di stare andando a fuoco anche lui.

Hester, sfoderando una forza insospettabile e sconcertante, lo spinse via da sé e Charles cadde di schiena sull'asfalto; senza nemmeno pensare, l'istinto lo portò a rotolarsi, al fine di spegnere le fiamme. Lì intorno stava succedendo l'inferno: sentiva le grida dei Fomorroh che si stavano gettando contro il drago, il suono delle fiamme crepitanti, i numerosi spari che, insieme al fuoco magico, avevano reso l'aria satura dell'odore di zolfo e bruciato... i ruggiti del drago sconquassavano non solo la terra, ma anche la sua cassa toracica e gli sembrò che il suo cuore vibrasse ad ogni clamore bestiale.

Charles socchiuse gli occhi su un cielo fatto di fumo e cenere e nonostante fosse riuscito a spegnere le fiamme che gli avevano bruciato la t-shirt, avvertì quasi immediatamente un intenso dolore propagarsi lungo tutta la schiena. Non riusciva a muoversi, era come se la pelle si fosse incollata al catrame di cui era fatta la strada sulla quale stava sdraiato. Hester gli fu subito addosso, la fronte contratta dalla preoccupazione e le mani nervose sul suo viso. Lui cercò di mettersi a sedere, di mettere a fuoco la vista, ma aveva gli occhi pieni di lacrime, causate dalla cenere e dal dolore pulsante dell'ustione.

"Charles!" esclamò la donna con pena, come se il solo invocare disperatamente il suo nome potesse cancellare ciò che gli era appena successo. Il drago, intanto, aveva ripreso velocemente quota ed in lontananza, altre due sagome scure si stavano avvicinando; Charles riuscì ad alzare una mano e la poggiò sulla guancia di Hester.

"Sto bene" disse, facendo sibilare le parole tra i denti contratti, "Sto bene".

Lei dovette sforzarsi per capire cosa avesse detto, poiché le grida dei Fomorroh, unite agli scoppi delle fiamme ed al fragore degli spari, avevano reso il momento frenetico come un flash forward. Charles vide Hester gridare il nome di Alecto, ma non riuscì a vedere dove la ragazza si trovasse: per quanto girasse la testa, la maggior parte della situazione gli sarebbe rimasta reclusa se avesse continuato a stare sdraiato.

"Aiutami!" esclamò verso la donna, tentando nuovamente di tirarsi su e lei lo sorresse immediatamente.

"Charles, si deve alzare, dobbiamo metterci al riparo, stanno arrivando altri draghi!" lo pregò lei, il tono di voce urgente ed al tempo stesso tremante. Lui sentì un boato terrificante alle sue spalle e quando cercò di voltarsi per guardare, vide l'ombra del drago incombere su di lui; il cuore smise di battere all'improvviso, arrivandogli praticamente in gola e si coprì la testa con le mani, nel mero ed illogico tentativo di ripararsi.

Con la ferrea la certezza che fosse troppo tardi per tentare di fare qualsiasi cosa... l'attacco non arrivò.

"L'ho ferito!" gridò una dei Fomorroh, con ferocia. C'era riuscita davvero? Charles si costrinse a guardare e scoprì con un confusionario sollievo, misto a trepidazione, che aveva avuto ragione. Tuttavia, nonostante il drago avesse un occhio sanguinante, accadde una cosa strana: il proiettile che aveva perforato la sua retina venne espulso dal bulbo oculare e, tra un lamento e l'altro della creatura, la ferita iniziò a rimarginarsi ad una velocità impressionante; il drago muoveva le zampe e la coda con frenesia, distruggendo e calpestando qualsiasi cosa o persona avesse sotto tiro, mosso dalla rabbia e dal dolore. Charles notò tre Fomorroh distesi per terra completamente immobili e ne notò un quarto gravemente ferito.

"Possono essere uccisi soltanto da un Signore dei Draghi..." sussurrò Hester, ancora inginocchiata di fianco a lui, chiaramente riferita alla bestia. Più in là, al margine della scena, Alecto stringeva tra le braccia un Drem davvero molto impaurito ed aveva un brutto taglio sotto l'attaccatura dei capelli, che le aveva imbrattato la faccia pallida di sangue.

Quando il drago si fu completamente ripreso, Charles tentò con uno slancio disperato di alzarsi in piedi, ma la fitta alla schiena fu tale che per dei terribili, lunghissimi istanti, davanti ai suoi occhi apparvero solo numerose lucine bianche. Quando ricadde indietro, trovò le braccia di Hester pronte a sorreggerlo.

Il drago ruggì in modo mostruosamente assordante, tant'è che le orecchie di Charles iniziarono a fischiare a causa dell'eccessivo rumore; poi non vide più niente, perché si ritrovò schiacciato contro il terreno dal corpo di Hester. Cercò di gridare il suo nome, ma diventato momentaneamente sordo, non riuscì ad udire la propria voce. La situazione era disperata, altri draghi stavano arrivando e lui non sapeva che cosa fare.

Sarebbero morti. Sarebbero morti tutti, lì, in quel momento, su quella strada deserta, imbrattati di sudore e di sangue e di angoscia.

Ma lui non voleva morire.

Aprì di nuovo gli occhi, il peso del corpo di Hester che spingeva la sua schiena dolorante sull'asfalto gli causava delle fitte abominevoli e quando la sua bocca si aprì per implorare Alecto di usare i suoi poteri, di ordinare ai draghi di fermarsi, avvertì un mormorio in lontananza e capì, dopo qualche secondo, di essere lui. L'udito stava tornando.

Le sagome di due draghi sfrecciarono nel cielo sopra di lui e Charles tentò di spostare Hester, di levarsela di dosso, ma non seppe dire se fosse il corpo della donna ad essere diventato improvvisamente pesante come un macigno o se fosse lui ad aver perso le forze. Era come assistere alla vita con il muto inserito. Non lo sopportava, lui aveva bisogno dei suoi sensi, erano tutto! Erano quelli, ad averlo sempre guidato in mezzo ai boschi, a caccia, negli agguati, nelle battaglie... senza i suoi sensi, lui non era niente! Gridò e gridò e gridò ancora, più e più volte, chiamando il nome di Alecto, pregandola di usare le sue capacità di Signora dei Draghi, spronandola ad alzarsi in piedi e di fare qualcosa; non potendo calibrare il tono della sua voce, si ripeté all'infinito, sperando che le sue parole la raggiungessero e che riuscissero a smuoverla un po'. Ad un certo punto il terreno vibrò con forza, come se qualcosa vi fosse caduto sopra pesantemente e Charles restò fermo ed immobile, esattamente come Hester, cercando di intuire cosa diavolo fosse stato. Con una lentezza maledettamente interminabile, i secondi trascorsero come granelli di sabbia incastrati in una clessidra troppo piccola; poi, all'improvviso, il volto insanguinato ed arrossato di Alecto apparve nel suo campo visivo; Charles spostò lo sguardo sulle sue labbra che si muovevano e dopo qualche sforzo, perché lei stava parlando in modo dannatamente veloce, riuscì a captare un mi dispiace.

Anzi, dal momento in cui ebbe capito cos'è che la ragazza stesse dicendo, notò che erano le uniche due parole che stava pronunciando. Una sfilza di mi dispiace.

Charles non capì e corrugò la fronte. Quindi era così... stavano per morire? Non era riuscita a fermare i draghi? Con la confusione dipinta sulla faccia, si accorse con sollievo che il fischio nelle orecchie andava diminuendo sempre più e che la voce di Alecto diventava via via un poco più chiara. Si aspettò di udire le grida dei Fomorroh, seguite ancora dai ruggiti dei draghi, che erano diventati tre!, ma l'unica cosa che lo accolse fu, oltre la voce lontana di Alecto, la sensazione di avere la testa racchiusa dentro una bolla di sapone.

Fu così, che iniziò a sentire di nuovo.

Improvvisamente provò l'urgenza di vedere cosa diavolo stesse succedendo. Subito.

"Hester, spostati, voglio alzarmi!" si sentì esclamare, come se qualcun altro avesse parlato al posto suo. Adesso almeno sapeva di star effettivamente parlando! Cercò di aiutare la donna a sollevarsi ed indirizzò lo sguardo verso Alecto.

"Aiutami un secondo!" le disse, facendo leva sulle braccia. Ma Alecto non lo aiutò.

Lei si coprì la bocca con le mani e dagli occhi enormi, un po' sporgenti e pallidi come ghiaccio, sgorgarono senza preavviso alcune lacrime.

"Mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace..."

"Hester, che diavolo hai? Lèvati!"

"...dispiace, mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace..."

"Andiamo, Hester! Hester!"

Nonostante l'atroce dolore alla schiena, Charles riuscì con uno sforzo enorme a far rotolare via da sé il pesante corpo di Hester e la prima cosa che fece, fu sospirare di sollievo; la litania soffocata e tremante di Alecto che era lì, accanto a sé, lo raggiungeva come un'inutile confusione, ma del resto, annebbiato com'era dalla temporanea sordità e dal dolore e da tutta quella frenesia, non sarebbe mai stato in grado di focalizzare quali dovessero essere le sue priorità.

Libero di tirarsi su come meglio poté, Charles ruotò il busto quel tanto che bastò per permettergli di vedere che i draghi erano lì, tutti e tre; con le loro mastodontiche moli occupavano tutta la strada e non essendoci spazio sufficiente per stare a terra vicini, si erano messi in fila, uno dietro l'altro. Drem si teneva a debita distanza e li guardava con quella che lui avrebbe definito diffidenza.

I draghi stavano lì, a pochi metri da loro e non stavano cercando di ucciderli.

Quindi Alecto ce l'aveva fatta!

Senza riuscire a nascondere lo stupore e la meraviglia, Charles si voltò a guardarla e scoprì che chiaramente qualcosa non andava. Perché diavolo sta piangendo adesso? pensò, non potendo impedirsi di metterci una certa stizza. Quella ragazza piangeva davvero troppo spesso.

Finalmente si girò verso Hester, in cerca di spiegazioni, ma la donna giaceva ancora a terra nella stessa posizione in cui lui l'aveva fatta scivolare via da sé.

Charles stette seduto a guardarla, perfettamente immobile.

La sua schiena, rivolta verso il cielo, mostrava senza riguardo uno squarcio enorme e profondo; il sangue fuoriuscito dalla ferita le aveva sporcato i capelli mezzi grigi e mezzi biondi, dando loro un'aria appiccicosa.

Gli occhi verdi ed opachi erano aperti sul nulla, la bocca era dischiusa ed imbrattata di un rosso più acceso.

Dallo squarcio che l'aveva dilaniata, la spina dorsale e parte degli organi interni erano ben visibili.

Hester giaceva lì in una posizione innaturale, con l'asfalto che le bucava la pelle del viso morbida e rugosa, una mano tesa verso il suo protetto come a non volerlo lasciare andare.

Charles non si mosse nemmeno allora.


*


Quando la voce di Drem le aveva invaso la testa, avvertendola che gli altri draghi erano in avvicinamento e che la faccenda non sarebbe finita bene, il significato di quelle parole aveva avuto su di lei lo stesso effetto che avrebbe avuto una doccia di acqua congelata. Ignorando la presenza dei Fomorroh, il cui livello di minaccia era passato drasticamente e con meno di mezzo secondo in fondo alla lista delle sue priorità, aveva avvisato Charles del pericolo imminente e lui, a sua volta, l'aveva detto ad Hester. Da quel momento, sapeva soltanto che tutto era sfuggito al suo controllo.

I Fomorroh avevano iniziato a gridare e ad urlare oscenità e poi c'erano stati gli spari, le urla di dolore, l'odore di bruciato, delle fiamme, il rumore del fuoco ed i roboanti ruggiti di una bestia che non aveva avuto il controllo delle sue azioni, perché guidata da un qualcosa che l'aveva costretta ad obbedire e basta. Qualcosa che in quel momento costringeva non solo lei, ma anche altri due esemplari, a stare fermi ed in attesa.

Un triste destino, il loro, alla fine dei conti. Passare da un comandante ad un altro, la prospettiva di essere liberi effimera come un rivolo di fumo.

Eppure, quando Alecto pensò alla pericolosità che quelle bestie rappresentavano ed al modo in cui il movimento frenetico della coda del drago per poco non le aveva spaccato il cranio a metà, si disse che la presenza di qualcuno che potesse domarli era necessaria. Lasciare loro il libero arbitrio sarebbe potuto risultare troppo pericoloso.

Era stato grazie ad un miracolo, l'essere riuscita ad usare le sue capacità di Signora dei Draghi per fermare il loro attacco. Charles era stato quel miracolo, in effetti. Aveva sentito la sua voce che la chiamava, che la implorava di fare qualcosa; aveva percepito la sua disperazione ed il suo dolore, si era lasciata scuotere e toccare dalla sua impotenza.

Proprio quando pensava che sarebbe arrivato il peggio per tutti, aveva gridato con tutto il fiato che aveva potuto far entrare nei suoi polmoni ed aveva loro ordinato, per l'amor di Dio!, di fermarsi, di fermarsi maledizione, che tutto quello non era davvero necessario e non era giusto ed era disumano e crudele e di sangue non ne poteva veramente più.

I draghi - loro, le bestie, i mostri -, improvvisamente avevano smesso di fare qualsiasi cosa; si erano immobilizzati, come cristallizzati in un momento eterno, aspettando che la magia penetrasse nella loro carne, venisse assorbita dai loro muscoli e prendesse possesso dei loro arti. Avevano atteso che il precedente ordine impartito da Emrys venisse sradicato in profondità, in favore di quello più fresco, più recente, impartito da Alecto. La loro nuova padrona.

I draghi le avevano obbedito. Si erano fermati. I Fomorroh, andati tutti incontro a morte certa dal momento che avevano cercato di contrastarli, giacevano in modo disordinato intorno a loro, immobili, morti. Uno di questi aveva Excalibur stretta nel pugno, la spada che era stata loro confiscata al momento della cattura.

Eppure, ancora una volta, quando Alecto guardò in direzione di Charles ed Hester, seppe di essere arrivata nuovamente in ritardo; quando finalmente decideva di fare qualcosa di buono, era sempre troppo tardi: a quel punto aveva già perso le occasioni importanti e le persone importanti.

In quel momento sentì di odiare se stessa con tutte le sue forze, per non aver ancora compreso come poter controllare quel potere che era sempre stato parte integrante della sua natura di strega. Se solo si fosse impegnata di più, se solo avesse chiesto a Drem di più, se solo ci avesse provato di più, se solo fossa stata coraggiosa di più, se solo...!

Ne avrebbe mai fatta una giusta? si chiese, mentre si inginocchiava accanto a Charles, ancora incastrato sotto il corpo immobile e sozzo di sangue di Hester. Farò mai la scelta giusta al momento giusto?

Quanto era stupida. Implorare perdono, vomitare una sequenza infinita di mi dispiace era l'unica cosa che davvero le veniva meglio? Charles faceva bene a non volerla più come amica. Hester aveva fatto bene a trattarla come l'idiota che era. Era stata colpa della sua idiozia, infatti, se era morta. E dopo quello, neanche la diretta grazia degli Dèi le avrebbe potuto far meritare anche uno sputo in faccia da parte di Charles. Si sentì meschina, perché nonostante fosse lui quello ad aver appena subito una perdita, lei non riuscì ad impedirsi di provare delle tremende e dolorose fitte al centro del petto.

Non ho nessun diritto di soffrire così. Sono io la causa di tutti questi mali.

"Avrei dovuto essere io!" singhiozzò, asciugandosi il naso con il dorso della mano. Cercò di ripeterlo ancora, ma il respiro spezzato le impedì di pronunciare qualsiasi altra cosa. Forse era meglio così, forse Charles non voleva nemmeno sentirla, la sua voce irritante e stridula. Né vedere le sue stupide, ipocrite, falsissime lacrime. Questi, infatti, non diede segno nemmeno di averla sentita. Aveva occhi solo per Hester. Aveva occhi solo per lo squarcio che le apriva la schiena e per lo strato di sangue che la ricopriva.

Drem si mosse cautamente, fino a quando non giunse accanto al corpo senza vita dell'ultima guardiana Carrow; avvicinò il muso alla ferita mortale, annusando solo gli Dèi sapevano cosa e poi soffiò(1): schiuse le piccole fauci ed una specie di vapore biancastro accarezzò con delicatezza e grazia l'intero squarcio che spaccava a metà la schiena della donna.

Charles batté le palpebre un paio di volte, gli occhi perfettamente asciutti e privi di qualsiasi segno di coscienza. Alecto sapeva cosa stava accadendo e premette le mani sulla bocca.

Ti prego ti prego ti prego ti prego ti prego ti prego ti prego ti prego ti prego!

Furono i cinque - o dieci? Magari venti...- minuti più lunghi e strazianti della sua vita. Cinque, dieci o venti minuti in cui Drem cercò di riparare l'irreparabile, ma nonostante i suoi sforzi, fu tutto inutile. Hester era morta e non c'era davvero più niente che si potesse fare.

Alecto abbassò la testa e cercò di piangere in silenzio, il cuore di nuovo sprofondato negli abissi dopo una ridicola, breve e rocambolesca risalita, le mani bagnate dalle lacrime e dal moccio e dal sangue che le si era sciolto sulla faccia dopo essere colato dalla ferita alla fronte.

Drem si allontanò da Hester subito dopo e nell'aria immobile, calda, afosa, zampettò dietro Charles, che sembrava aver lasciato solo il suo corpo su quella terra. Anche se aveva gli occhi aperti, pareva essere incosciente ed inconsapevole di ciò che stava accadendo intorno a lui. Drem usò il soffio del drago anche sulle ustioni della sua schiena; al contrario di come era successo con Hester, dopo qualche secondo le sue ferite cominciarono a guarire e nel giro di un paio di minuti, sulla pelle di Charles non era rimasto nemmeno il ricordo del dolore che l'aveva dilaniato così tanto.

Lui, non fece una piega.

Quando fu il turno della fronte di Alecto, lei tentò di tenere Drem lontano da sé. Non voleva essere guarita, non voleva essere graziata, era stanca di essere aiutata e salvata e riportata in un mondo dove riusciva a combinare solo guai. Sapeva di non avere una ferita mortale, ma aveva bisogno di quel dolore. Ne aveva maledettamente bisogno.








NOTE DELL'AUTORE: Ahi. Ahi ahi ahi. Credo che questo sia un capitolo un po' tosto, ma per onor del realismo... sarebbe stato impossibile. Sarebbe stato impossibile che qualcuno non ci lasciasse le penne, ammettiamolo. Avreste preferito che fosse toccato Alecto? Vi aspettavate una cosa del genere? Pensate che abbia gestito male il momento? Ho avuto un'ansia folle nel descrivere il momento della morte di Hester, quindi davvero, davvero mi piacerebbe sapere che cosa ne pensate, che cosa vi ha trasmesso (sempre che abbiate in effetti avuto qualcosa, da ciò che avete letto). E niente... ci siamo quasi gente. Ve lo assicuro. Avete aspettato, avete sopportato, avete pazientato... vi chiedo di farlo per qualche altro capitolo ancora. Le persone che arriveranno fino alla fine, saranno quelle a cui non piacciono solo storie incentrate sul sesso o che girano esclusivamente attorno allo sviluppo della relazione sentimentale tra personaggi (che poi, diciamocelo, più o meno è sempre la stessa pappa). E comunque, sono questi i lettori che a me piacciono di più :) a lunedì!


Asfo


p.s. Questo capitolo è stato betato da me, perciò se fa più orrore del solito... abbiate pietà.

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Capitolo 17
*** In volo verso Glastonbury ***


DICIASSETTESIMO CAPITOLO

17. In volo verso Glastonbury


In volo, 4 agosto 2020

Sera


L'oblio. L'oblio rappresenta la dimenticanza, intesa come fenomeno non temporaneo, non dovuto a distrazione o perdita temporanea di memoria, ma come stato più o meno duraturo, come scomparsa o sospensione del ricordo, con un particolare accento sullo stato di abbandono del pensiero e del sentimento.

Sì, l'oblio. Lo desiderava così tanto. Forse era a causa dell'intensità di quel desiderio che, non appena chiudeva gli occhi, crollava come addormentato in una sorta di limbo, di anfratto oscuro e caldo, che sapeva di squame lucide e resistenti e di fruscio di ali giganti.

Con l'aria che gli ingarbugliava i capelli e gli frustava la faccia pallida, Charles si addormentò di nuovo.

Per l'ennesima volta, constatò Alecto seduta avanti a lui, impegnata a tenere aggrappati sia lui che se stessa al drago sotto di loro. Dopo aver capito il meccanismo, era stato ironicamente un gioco da ragazzi, ordinare a quelle creature di trasportarli in volo sino alla dimora di Emrys; l'avrebbero sicuramente raggiunta in meno di un'ora, ma visto lo stato in cui Charles stava metaforicamente annegando, Alecto dubitava che avrebbero concluso qualcosa quella notte; magari il giorno dopo, con un po' di riposo alle spalle e la mente un poco più lucida. Avrebbero potuto comodamente viaggiare ognuno su un drago, se solo lui non avesse cominciato, già dal pomeriggio, ad alternare momenti di veglia a stati di incoscienza ogni cinque secondi. In altre circostanze Alecto l'avrebbe portato dritto in ospedale, perché era tutto fuorché normale.

Ma anche il casino in cui si trovavano poteva considerarsi tutto tranne che normale, per cui... aveva dovuto adeguarsi alla lista delle priorità. Ad essere sincera, le sembrava di stare vivendo come in un film: erano successe così tante cose, in modo talmente veloce che niente le pareva reale. Pensandoci bene, il primo attacco dei draghi era avvenuto a metà luglio, eppure le sembrava successo un'era prima. Aveva la sensazione di avere il ruolo di mera spettatrice e che, quella a volare su un drago maledettamente enorme, in realtà non fosse lei. Se lasciava la mente vagare, riusciva quasi ad auto convincersi che tutti gli attacchi dei draghi, le persone morte, il suo coinvolgimento in prima persona, la devastazione, Charles, Hester... fossero stati frutto di un'allucinazione. Alla fine però, la realtà dei fatti tornava sempre a schiaffeggiarla sulla faccia sotto forma di vento fresco.

In quell'esatto momento ebbe un brivido, ma non seppe dire se a causa all'aria fresca che le si infiltrava sotto la maglia o alla brutta sensazione che, sin dal momento in cui avevano spiccato il volo, le aveva fatto chiudere lo stomaco.

Una cosa era certa: la resa dei conti era praticamente giunta. L'indomani, in un modo o nell'altro, tutto sarebbe finito.


*


Il sole gli scaldava la pelle in un modo così dolce e lieve che sarebbe rimasto steso per tutto il resto della sua vita, sulle rive di quel fiume; il gentile gorgogliare dell'acqua si accompagnava al frusciare delle foglie degli alberi rigogliosi ed Arthur poteva ricordare poche volte in cui si era sentito così felice e così appagato. Con le guance accarezzate dall'erba e la testa teneramente appesantita dall'ozio, pensò che per una volta nella sua vita, soltanto una, avrebbe anche potuto permettere l'uso della magia nel suo regno: congelare il momento, ecco quello che desiderava. Se solo la magia avesse potuto bloccare tutto e farlo restare lì tutto il giorno, o tutto l'anno, o tutta la vita - per sempre, sempre, sempre.

Magnifico. Semplicemente meraviglioso. Quel pensiero languido come il miele lo fece sorridere scioccamente e gli ingigantì il cuore. Si sentiva forte come un leone, Arthur Pendragon. Inarrestabile, coraggioso, impetuoso, determinato, giusto Arthur Pendragon.

Se avesse potuto portare con sé ovunque la sensazione di quel calore sulla pelle, era sicuro sarebbe diventato immortale.

Arthur Pendragon, l'Immortale. Suonava bene, no? Chissà che cosa ne avrebbe detto Merlin - conoscendolo, probabilmente avrebbe riso di lui.

Arthur aprì lentamente gli occhi sul cielo azzurro d'estate che faceva da tetto alla sua testa e sospirò con pienezza.

Merlin. Anche se ne avesse avuto davvero la possibilità, non avrebbe mai potuto restare lì a vita... non avrebbe mai potuto abbandonare Merlin. Sapeva che lo stava aspettando, che c'era qualcosa che doveva fare, ma l'erba era così soffice e l'aria così amabile... cos'era, che doveva fare? Merlin...

Sopra di lui, uno stormo di uccelli volò in modo leggiadro tra le correnti di aria fresca ed il loro canto si unì al ronzio degli insetti che sfrecciavano tra i fili verdi del prato, proprio vicino la sua testa. Chiudere gli occhi, doveva chiudere gli occhi, gli diceva tutto quello. Il mondo intorno a lui era diventato una culla affettuosa e lui non avrebbe dovuto preoccuparsi di niente, mai, mai più. Sarebbe bastato solo chiudere gli occhi.

Doveva chiudere gli occhi.

Andava tutto bene.

Era al sicuro.

Era protetto dal sole, dagli alberi, dal fiume, dal cielo, persino dagli insetti. Andava tutto bene. Ad occhi chiusi.

Come se qualcuno avesse iniziato a premere sulle sue palpebre per abbassarle, Arthur si sforzò di combattere quella pressione. Voleva chiudere gli occhi, lo voleva davvero, ma prima aveva bisogno di vederlo, voleva vedere Merlin. Allora, soltanto allora, si sarebbe sdraiato nuovamente sull'erba e sarebbe rimasto lì fino al termine dell'eternità. Ma non poteva farlo, se prima non avesse visto Merlin ancora una volta. Merlin.

E lui dov'era?

Con una sofferenza quasi fisica abbandonò quello stato di semi incoscienza per mettersi seduto; immediatamente, una forte sensazione di disagio lo gettò in una confusione tremenda: essersi messo a sedere era equivalso ad aver abbandonato brutalmente il grembo materno... ma del resto, che ne poteva sapere lui? Il paragone non poteva esistere, eppure era proprio così.

Si stropicciò la faccia cercando di scacciare la sonnolenza, ma la sensazione di pesantezza alla testa non se ne andò del tutto, come se fosse davvero molto stanco. Cercando di concentrarsi e di recuperare un po' di lucidità, iniziò a guardarsi intorno e scoprì di trovarsi in uno dei terreni che erano vicini al castello; si voltò verso la foresta ed oltre le fronde degli alberi, non molto lontano, riuscì a scorgere le torri di Camelot innalzarsi come vessilli verso il cielo; le bandiere di un rosso acceso sventolavano pigramente lassù in alto, perfettamente visibili contro il cielo azzurro che faceva loro da sfondo.

Tutto quello era casa. L'aria che respirava, il terreno su cui giaceva, l'acqua che scorreva affianco a lui, gli uccelli che solcavano il cielo... tutto era casa. Ma come quando si abita da tanto tempo sempre nella medesima dimora, ci si accorge subito di quando qualcosa improvvisamente cambia, oppure sparisce; ci si accorge subito di una mancanza.

In quella casa mancava qualcosa.

In quella casa mancava qualcuno.

Il nome di Merlin balenò di nuovo nella sua mente e fu proprio quello a spingerlo ad alzarsi. La certezza che dovesse fare qualcosa, che Merlin lo stesse aspettando divenne immediatamente più reale e concreta, più impellente. Dov'era Merlin?

Barcollò sulle gambe e mosse qualche passo incerto in direzione del castello. La testa gli girava ed una leggera, ma persistente sensazione di nausea gli chiudeva la gola. Un minuto prima, sdraiato lì sull'erba, stava benissimo; perché ora si sentiva così male?

"Arthur".

Arthur si fermò, richiamato all'attenzione da qualcuno che era sempre stato lì con lui, nella radura. Come mai non se ne era accorto? Con un cipiglio confuso, si voltò verso il fiume, ma non vide nessuno. Eppure era sicuro che la voce fosse provenuta da quelle parti.

"La vostra vista è peggiorata?"

Inseguendo la direzione del suono di quella voce, Arthur indirizzò lo sguardo verso alcuni alberi che costeggiavano le rive del fiume e finalmente lo vide: Merlin se ne stava seduto all'ombra, accovacciato su alcune grosse radici e con le lunghe dita incrociate sulla pancia; le fronde verdi e rigogliose gli regalavano un piacevole anfratto fresco ed al tempo stesso l'avevano in qualche modo protetto da sguardi indiscreti. Certo, che non l'aveva visto. Si era mimetizzato bene, l'idiota.

"Andavate da qualche parte?" domandò Merlin, arcuando le sopracciglia scure con quella classica espressione che solitamente gli faceva venire voglia di strozzarlo.

"Sì" rispose Arthur, "Venivo a cercare te, se proprio vuoi saperlo! Dove sei stato?"

"Bé, non mi troverete di certo se continuerete a restare qui" replicò l'altro, senza soddisfare la curiosità del Re, che corrugò la fronte con aria interrogativa.

"Di che diavolo stai parlando?" chiese, avvicinandosi a lui con cautela, poiché il suo equilibrio sembrava averlo abbandonato; Merlin non si alzò e restò a guardarlo avanzare con incertezza, senza nemmeno dare l'impressione di volerlo aiutare.

"Mi dispiace per quello che è successo" disse, in tono sommesso.

"Merlin, stai parlando per enigmi ed io non riesco a seguirti! Cos'è che è successo?"

L'altro si strinse nelle spalle. "Non lo so" esclamò infatti, "Ma se siete qui sicuramente qualcosa è successa di sicuro. E non di quelle belle, temo. Non ve lo ricordate?"

Arthur sgranò di poco gli occhi per esprimere la sua totale e sincera perplessità.

"No. No, certo che no! Se fosse successo qualcosa ti pare che non me lo ricorderei?!" sbottò, infastidito da tutti quegli strani giri di parole. "Ti comporti in modo più bizzarro del solito oggi, forse è successo qualcosa a te... ?!"

Merlin sorrise in modo un po' triste e lo guardò con un sentimento così liquido che Arthur provò un soverchiante senso di colpa, come se fosse lui stesso la causa del malessere che gli occhi del mago non riuscivano a celare.

"In effetti sì" rispose dopo un po' il suo valletto, "E mi avevate promesso che mi avreste aiutato. Come fate a non ricordarlo?"

Arthur si fermò a qualche metro di distanza da lui e lo guardò in modo vacuo, tentando disperatamente di capire, o ricordare, di cosa stesse parlando Merlin, che nel frattempo si era alzato e gli si stava avvicinando. Arthur lo guardò coprire la distanza che li separava con poche falcate e poi fermarsi davanti a lui in modo un po' timoroso, il mento basso ed i pugni chiusi strettamente lungo i fianchi magri.

"In che modo ho promesso di aiutarti?" si sentì chiedere Arthur, la voce leggera come un soffio di aria. Merlin lo guardò con intensità, sondando il suo sguardo, cercando in lui un barlume di consapevolezza e volontà.

"Hai promesso di uccidermi, Arthur. Non è qualcosa che puoi dimenticare. Devi svegliarti adesso e mantenere fede alle tue parole".

Arthur non disse niente.

Merlin lo vide starsene in piedi tutto rigido, la mascella e le spalle contratte, gli occhi perfettamente immobili su di lui; il mago si sforzò di mantenere il suo sguardo, strinse maggiormente i pugni e le narici di Arthur fremettero. I suoi occhi azzurri, da immobili che erano, iniziarono a saettare lungo tutto il volto di Merlin, come alla ricerca di un dettaglio particolare e la sua espressione mutò gradualmente; il mago vide la sua perplessità svanire ed essere sostituita da un'aria interdetta, che a sua volta lasciò il posto al dubbio ed all'indecisione, poi ad una cauta consapevolezza che si riverberò sulla tensione delle spalle. Quando, dopo circa un minuto, Arthur esplose spingendolo bruscamente all'indietro, Merlin seppe che non aveva funzionato.

"TU!" gridò il Re, piantandogli l'indice al centro del petto con violenza, più e più volte; "SUL SERIO, MERLIN?! Pensavi davvero che alla fine non mi sarei ricordato niente? COME PUOI SOLO PENSARE DI RACCONTARMI UNA BUGIA COSÌ ASSURDA!"

Merlin strinse le labbra e non rispose, indietreggiando fino a quando non si trovò ad essere spalle al muro contro il tronco di un albero.

"MI CREDI COSÌ IMBECILLE? 'AH, ARTHUR NON SI RICORDA UN FICO SECCO DI QUELLO CHE È SUCCESSO, BENE! FACCIAMOGLI IL LAVAGGIO DEL CERVELLO!' NON CI PROVARE MERLIN, NON TI AZZARDARE MAI PIÙ!" Arthur lo spinse contro il tronco e gli intrappolò il viso con una mano, tra il collo ed il mento, come se volesse strozzarlo senza ucciderlo.

"IO NON TI HO MAI, MAI PROMESSO UNA COSA DEL GENERE! TI HO DETTO CHE TI AVREI SALVATO, MA NON SAREBBE STATO UCCIDENDOTI! NON LO FARÒ MAI! C'È UN'ALTRA SOLUZIONE!"

"NON C'È UN'ALTRA SOLUZIONE!" gridò Merlin di rimando, improvvisamente tutto rosso in viso.

"SE CI FOSSE STATA VE LO AVREI DETTO, MA NON C'È, MALEDIZIONE, NON C'È ! ILLUDENDOVI DI POTERNE TROVARE UNA NON FARETE ALTRO CHE ALLUNGARE QUESTA INSOPPORTABILE AGONIA! NON VI IMPORTA NIENTE DI ME?" la sua voce, non poté impedirlo, si incrinò paurosamente e Merlin inspirò bruscamente perché mai, mai avrebbe dato sfogo a tutta la sua rabbia e la sua frustrazione in modo così patetico. Non sarebbe servito a niente frignare e di certo non l'avrebbe fatto davanti ad Arthur.

"Non vi importa dell'inferno che sto vivendo ogni giorno?" aggiunse in maniera molto più quieta, nonostante la voce fosse vibrante di ira repressa. Merlin piantò i suoi enormi occhi blu in quelli di Arthur, implorandolo di aiutarlo, di fare qualcosa, di porre fine a quella sofferenza.

"Arthur, ti prego, ti prego, ti prego. Se ci fosse stata un'altra soluzione, sarei stato il primo a gioirne, ma non c'è. Non è facile per me chiederti una cosa del genere e non l'avrei mai fatto, se non fossi stato così sfinito. Io non ce la faccio più. E per quanto l'idea che tu sia l'unico che possa aiutarmi mi renda furioso e pieno di altri sentimenti che mi hanno fatto diventare quello che sono oggi, io ho preferito strisciare da te piuttosto che continuare in questo modo. Anche se tu avessi la possibilità di aiutarmi senza uccidermi, io non posso assicurarti che dopo non mi accadrebbe niente. Io sto già morendo, Arthur. Il senso di colpa mi sta divorando come un acido! Di chi pensi sia la responsabilità di tutto questo caos?! Io ho causato le calamità naturali! Io ho dato ordine ai draghi di distruggere tutto per riportarti in vita! Io ho calpestato le vite delle persone per raggiungere i miei scopi! Il dolore, il dolore che mi sta consumando non posso combatterlo e non voglio combatterlo! Io non potrei mai vivere con il peso sulle spalle di tutto quello che ho fatto. Non posso, non ce la faccio. Quindi, Arthur, per favore, ti prego, se la nostra amicizia è mai valsa qualcosa per te-"

"Non voglio sentire altro".

"Se il mio volere conta almeno qualcosa-"

"Ho detto che non voglio sentire altro".

"Allora per una volta non lasciare che-"

"BASTA, HO DETTO!"

Arthur strinse ancora di più la presa sulla gola di Merlin e quello si zittì. Passarono dei lunghi, interminabili secondi prima che il Re decidesse di mollare la morsa su di lui. Entrambi respiravano pesantemente, uno con il volto cinereo, l'altro accaldato e sudato. Restarono a guardarsi con la testa piena di pensieri e parole che si accavallavano l'una sull'altra, incapaci di far trovare loro un'ordine per poterle dire ad alta voce. Merlin si toccò la gola distrattamente ed Arthur inghiottì a vuoto.

"Quando ti salverò" esclamò quest'ultimo, con tono tremante di rabbia ma duro come la pietra, "Non ci sarà più niente, niente che dovrai sopportare o combattere da solo. Niente".

L'altro strinse i denti e voltò la testa per guardare da un'altra parte, i suoi pensieri in totale contrasto con quelli del Re. Arthur restò a guardarlo ancora per un po', cercando di guadagnare tempo per controllare almeno la velocità del suo respiro.

"Adesso, dimmi come diavolo faccio ad uscire da qui" esclamò, non appena fu soddisfatto dei suoi sforzi.


*


Fu una goccia d'acqua gelida a fargli aprire gli occhi. Cadde esattamente al centro della sua fronte e scivolò trasversalmente lungo la guancia, fino a morire sul mento. Charles sbatté le palpebre e vide che il mondo attorno a lui s'era fatto scuro come la pece; nonostante il cielo nuvoloso e grigio, che con sé portava promesse di piogge abbondanti, nonostante stessero volando sufficientemente in alto da poter contrastare la calura estiva, Charles stava sudando come fosse stato dentro ad una sauna. Si mosse dietro Alecto e cercò di stiracchiare le braccia, ma lei gli teneva le mani aggrappate insieme alle sue; lo lasciò subito però, quando si accorse che era sveglio.

"Scusa" esclamò quietamente, "Cercavo di non farti cadere". Lui non rispose e quando stirò i muscoli, un dolore lancinante lo colpì al retro del collo, a causa della scomoda posizione che aveva assunto decisamente troppo a lungo.

"Mmh" mugugnò, tornando ad afferrare la maglia di Alecto: volare su di un drago non era mai stato uno dei suoi desideri più forti e non si sentiva proprio a sua agio, lì sopra.

"Guarda" lo richiamò lei, indicando con l'indice l'orizzonte alla loro sinistra; Charles voltò la testa e notò che le nuvole cariche di pioggia si estendevano per qualche chilometro, per poi interrompersi bruscamente in una linea netta per lasciare spazio ad un cielo più che sereno.

"Anche di là" aggiunse, facendolo girare dall'altra parte. In effetti, adesso che ci faceva caso, si trovavano al di sotto di un cerchio perfetto, formato dalle nubi stesse, ma non aveva per niente l'aria di essere qualcosa di naturale.

Alecto parve leggere i suoi pensieri, perché qualche istante dopo anticipò le sue domande: "Quando Emrys era arrabbiato capitava che facesse piovere, a Glastonbury. Eppure i suoi poteri non si erano mai estesi così tanto. Deve essere davvero fuori di sé".

"C'è un caldo insopportabile" rispose lui, per contro. Alecto annuì ed aggiunse: "Sì, è un effetto della sua magia. La potenza è tale che la avverti anche fisicamente".

Charles si rabbuiò a quella notizia e ripensò al sogno che aveva appena fatto. Si era sentito pronto ad abbattere le montagne, pur di trovare Merlin, ma ora che era sveglio e che aveva solo una vaga idea di quanto potesse essere realmente forte il mago... le sue sicurezze iniziarono a vacillare. No, non sono io quello pronto ad abbattere le montagne. È l'altro. È sempre e solo lui che mi spinge a fare queste assurdità.

Quel pensiero lo fece sentire anche peggio, perché solitamente ogni volta che diceva robaccia simile, Hester lo riprendeva e gli mormorava qualcosa che riusciva a consolarlo almeno un po'.

Ma Hester non c'era più.

Stropicciò tra le dita la maglia di Alecto e strinse i denti.

"Mi dispiace per quello che è successo".

"Merlin, stai parlando per enigmi ed io non riesco a seguirti! Cos'è che è successo?"

"Non lo so. Ma se siete qui sicuramente qualcosa è successa di sicuro. E non di quelle belle, temo. Non ve lo ricordate?"

"No. No, certo che no! Se fosse successo qualcosa ti pare che non me lo ricorderei?!"

Aveva praticamente sputato sulla memoria di quella che era stata la sua seconda madre. La certezza che non avrebbe mai, mai potuto dimenticarsi l'offesa che le aveva arrecato, lo sapeva, l'avrebbe accompagnato per tutto il resto dei suoi giorni. Guardò la nuca bionda di Alecto, seduta davanti a sé. Chi è senza colpe scagli la prima pietra. Non c'era nessuno, tra di loro, che fosse completamente innocente. Ognuno stava semplicemente facendo del proprio meglio ed in effetti era questo che Hester aveva sempre cercato di fargli capire. Fa' del tuo meglio, come Charles o come Arthur, non importa. Fa' sempre del tuo meglio. Era ancora in tempo per onorare la sua memoria, per far sì che non fosse morta invano. Si era sacrificata per lui, il minimo che potesse fare era smettere di piangersi addosso e di chiedersi in continuazione perché proprio a me.

Guardò Excalibur, incastrata nella cinta dei suoi pantaloni e ripensò al giorno in cui Hester si era inchinata davanti a lui chiamandolo Re - sembrava una vita prima. Dopo tutto quello che aveva fatto per lui, sarebbe dovuto accadere il contrario. Sarebbe dovuto essere lui a farle quell'inchino.

Era arrivato il momento di mettere le insicurezze da parte. Come Charles, o come Arthur, la questione non cambiava: era inutile continuare a negare che Merlin fosse importante solo per l'altro. In un modo intrinseco e che non avrebbe saputo spiegare, neanche se avesse voluto farlo, lo era anche per lui. E poi, glie lo aveva promesso: aveva promesso che sarebbe andato a prenderlo.

"Charles" lo richiamò Alecto, guardandolo da sopra il profilo della spalla, felice del fatto che non avesse perso di nuovo conoscenza. Lui alzò gli occhi su di lei e attese.

"Io... stavo pensando..." la voce le morì e rimase in attesa, aspettandosi un rimprovero per il solo fatto che avesse osato pensare, come se, dopo tutto quello che aveva combinato, non avesse più anche solo il diritto di aprire bocca. L'altro continuò a guardarla in silenzio ed Alecto si sentì lievemente incoraggiata da quel tacito consenso, così decise di continuare: "Stavo pensando che forse... sai, forse dovrei dirti qualcosa su di Emrys. Non sai niente di lui, del nuovo lui intendo, quindi pensavo... che magari..."

Il suo primo istinto fu quello di mettersi a ridere. Se lui non sapeva niente su di Emrys, allora i draghi non esistevano e tutto quello stava avvenendo soltanto nella sua mente. Eppure, Alecto non aveva tutti i torti: il Merlin che lui aveva conosciuto non c'era più, era assopito da qualche parte. Charles acconsentì quindi ad ascoltare che cosa l'altra aveva da dire.

"C'è una vecchia casa a Glastonbury che, da quanto ho capito, è sempre stata abitata da lui. Non gli piace molto parlare e quelle poche cose che so, le ho ottenute sudando, mi devi credere. L'unica stanza della casa che occupa è il salotto, forse perché lì si trova anche il ragazzo di cui ti ho parlato l'ultima volta. Sono legati l'uno all'altro da una sorta di... ramo, o radice, non saprei dire bene. Credo che questo legame impedisca ad Emrys di allontanarsi fisicamente da lui, ma questa è solo una mia supposizione. Purtroppo non so dirti chi sia il ragazzo e se non fosse che non si è ancora decomposto, ti avrei detto che è morto. Non ha l'aria di uno che se la passa bene, comunque".

"Come l'hai conosciuto?" intervenne Charles, approfittando della sua pausa. Sapeva già chi era il ragazzo di cui Alecto parlava, o almeno se n'era fatto un'idea, perché le aveva già chiesto di descrivere il suo aspetto la prima volta che ne avevano discusso.

"Noi esseri magici abbiamo la possibilità di poter comunicare tra di noi telepaticamente. È così che mi ha attirata a sé. E comincio a pensare che l'abbia fatto proprio per mandarmi a fare cose che lui di persona non avrebbe mai potuto e non potrà mai fare. Non può semplicemente allontanarsi da quel ragazzo, ecco tutto. Il solo modo che aveva per avvicinarmi era cercarmi telepaticamente e così ha fatto".

"Perché non sai cosa fare con i draghi? Possibile che non ti abbia mai detto niente?"

"No" rispose subito Alecto, facendo una smorfia. "È sempre stato restio a toccare l'argomento ed ogni volta che ci provavo si infuriava. Diceva che dovevo avere pazienza, che non ero pronta. Ma ora sono convinta che il suo unico scopo era quello di tenermi all'oscuro di tutto, per evitare di farmi diventare una minaccia. Non credo si sia mai fidato totalmente di me e forse l'idea che qualcun altro oltre a lui potesse avere controllo sui draghi, non gli piaceva poi così tanto. Le uniche cose che so con certezza è che soltanto un signore dei draghi può uccidere un drago. Qualsiasi tipo di arma su di loro non ha effetto, a meno che non sia appunto una come me ad utilizzarla".

Charles ricordò vagamente che anche Hester gli aveva detto una cosa del genere.

"Come se i draghi non bastassero, Emrys ha risvegliato altre diverse creature, tra cui i grifoni ed i wildeon - scommetto che li ricordi. Ed io, come la stupida che sono, l'ho aiutato".

Confessa le tue colpe adesso e forse, con altre venti o trenta vite, avrai diritto a chiedere il perdono.

Charles non commentò poiché, in tutta onestà, non aveva nemmeno la forza di ideare una frase che potesse farla sentire meglio. E poi un po' la incolpava, su quello non poteva farci niente. Aveva compreso che i trascorsi di Alecto erano tutto tranne che rosei, ma non poteva accettare ciò a cui aveva preso parte. Stava cercando di capirla e forse perdonarla, ma quello non implicava accettare le sue azioni.

"Inoltre la sua magia si è talmente rafforzata da aver cominciato ad interferire con i segnali radio, strumentazioni militari, radar, antenne e quant'altro. Infatti-" fu costretta ad interrompersi perché di punto in bianco, una gelida cascata d'acqua investì entrambi.

Aveva iniziato a piovere così violentemente e così all'improvviso che entrambi boccheggiarono dalla sorpresa e dallo shock della differenza termica. In un lampo, tutti e due avevano i capelli appiccicati alla faccia ed i vestiti incollati addosso. "CREDO SIA MEGLIO SCENDERE!" gridò Charles, per sovrastare il fragore della pioggia e dei tuoni.

"HAI RAGIONE!" rispose Alecto. "PIÙ CI AVVICINEREMO E PIÙ PEGGIORERÀ !"

Guardarono giù, cercando di scorgere un punto favorevole dove poter far scendere i draghi e solo così si accorsero di aver già raggiunto la loro meta. Erano arrivati a Glastonbury. Si scambiarono brevemente uno sguardo e dopo qualche istante, Alecto gridò qualcosa nella lingua dei draghi; le creature, compreso Drem, iniziarono a planare verso il basso con precisione ed un minuto dopo avevano tutti toccato terra vicino le rive del lago, lo stesso dove Charles aveva recuperato Excalibur. Scesero dal drago con qualche difficoltà, il tempo di incespicare un po' sui propri piedi ed in un lampo vennero circondati da altri Fomorroh. Charles sfoderò istintivamente la spada e si frappose tra loro ed Alecto.

"Che facciamo?" chiese lui, che ad una veloce analisi soppesò fossero una ventina. Alecto gli si affiancò e poi voltò la testa verso di lui.

"Percorri il sentiero che porta sulla strada principale e segui le indicazioni per Green Hill. Alla fine di quella via troverai la casa di Emrys. Dei Fomorroh mi occupo io. Ti raggiungo appena posso, ok?"

Anche Charles si girò verso di lei e fece saettare gli occhi sul suo volto.

"Sei sicura?" domandò, alla ricerca di ogni minimo sentore di cedimento. Tuttavia Alecto annuì con determinazione.

"Adesso che ho capito come funziona questa storia dei draghi, direi che è arrivato il momento di fare qualcosa di utile, non è vero? Avrei voluto saperlo fare prima, ma per affogare nei sensi di colpa ho tutto il resto della mia vita. Non credo sia questo il momento adatto. Va', ti copro io".

Lui restò con le braccia tese a brandire la spada ancora un po'; lasciò indugiare gli occhi su Alecto, perfettamente in grado di nascondere l'inquietudine che in realtà stava provando. Avrebbe fatto bene a lasciarla da sola? Ma poi, aveva altra scelta? Nella sua scala delle priorità c'era Merlin al primo posto, ci sarebbe stato sempre e solo lui. In fondo era soltanto un essere umano, non poteva pretendere di essere sempre gentile, sempre altruista, sempre impavido. Quando c'era di mezzo Merlin, in realtà, diventata un essere umano un po' stupido.

E forse molto innamorato.

Abbassò lentamente le braccia e distolse bruscamente lo sguardo da lei, imboccando il sentiero che lo avrebbe portato sulla strada principale.

Con gli occhi fissi sulla sua schiena ed una sorta di paura liquida dentro lo stomaco, Alecto ordinò a Drem di andare con lui e di proteggerlo, dopodiché dedicò la sua totale attenzione ad i Fomorroh.

"Adesso vediamo un po' cosa riesco a fare con voi".












NOTE DELL'AUTORE: Ci siamo ragazzi. La resa dei conti è finalmente arrivata. Il prossimo capitolo sarà decisivo e tutte le vostre sofferenze raggiungeranno il punto massimo, la conclusione. Dopo il prossimo, ci sarà la discesa verso la fine (vi ricordo che la storia si compone di 20 capitoli). Se sarà un'allegra discesa o irta di angst, lo scoprirete solo leggendo. Voi mi conoscete... cosa ne pensate? Non vorrei dirlo troppo ad alta volte ma credo che con questa storia, saluterò per un bel po' di tempo il fandom di Merlin. Anche se... mai dire mai :)

Asfo

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Capitolo 18
*** Merlin il Mago deve morire - I ***


DICIOTTESIMO CAPITOLO
18. Merlin il Mago deve morire - parte I



Glastonbury, 5 agosto 2020
Notte


Fino a quel momento aveva pensato che case del genere esistessero solo nei film - a partire dal muro di cinta che la circondava e che era stato letteralmente assediato dalle piante: si erano intrecciate tra di loro in modo talmente fitto da impedire a chiunque di sbirciare; le foglie erano secche, i rami grossi e pieni di spine, il ferro della cancellata abbondantemente arrugginito. Stringendo Excalibur in una mano, Charles camminò lungo il marciapiede deserto, sino a raggiungere il cancello di ingresso, che era chiuso; il cielo vomitava acqua a secchiate e le gocce erano talmente grosse da fare quasi male: era normale che per strada non ci fosse anima viva. Con gli occhi resi piccoli dallo sforzo di vedere attraverso la pioggia, Charles osservò la facciata della casa attraverso le sbarre che la proteggevano dai passanti: definirla fatiscente sarebbe stato un eufemismo; le mura esterne erano attraversate da crepe, almeno nelle parti visibili, perché la maggior parte della superficie era occupata dall'edera.

Lasciò correre lo sguardo sui vetri sporchi delle finestre, rotti in diversi punti, sulle decorazioni smozzicate e scolorite del cornicione, sulla porta di ingresso graffiata ripetutamente ed infine su quello che, un tempo, doveva essere stato un giardino: in quel momento sarebbe potuto passare per una prateria. L'erba secca ed ingiallita era alta più di un metro e sfiorava sino a metà le finestre del pian terreno, i pochi alberi che erano riusciti a crescere lì, nel mezzo di quell'aridità, avevano l'aria di essere morti da un pezzo e, posizionate un po' ovunque, facevano capolino radici grosse come la gamba di un uomo adulto. Lo scenario dava come l'impressione che una natura marcia, malata, avesse voluto prendere possesso di quella casa con la forza, reclamandola.

Charles espirò bruscamente e le gocce di pioggia che gli si erano poggiate sulla bocca schizzarono via. Aveva il cuore che stava andando a tremila e si ritrovò ad afferrare Excalibur con entrambe le mani, praticamente aggrappandosi a lei, tentando di assorbire la sua forza ed il suo coraggio.

Non avrebbe saputo dire quant'è che restò fermo sotto la pioggia, davanti quel cancello, in procinto di compiere quel destino per il quale la sua coscienza era stata risvegliata; in quel momento la sua testa era invasa da una confusione tale che ad un certo punto gli sembrò addirittura che quel corpo non fosse più il suo, che si stesse sdoppiando.

Il che non sarebbe stato poi così strano, visto che lì dentro erano in due.

Ma no, Hester diceva che erano sempre stati la stessa cosa, lui e l'altro.

Sì, ma Hester non poteva sapere che cosa si provasse. Non avrebbe mai potuto saperlo, quindi su cosa aveva basato certe affermazioni?

No. Doveva smetterla di pensare a lei. Hester non c'era. Non c'era più.

Ma se fosse stata lì, sicuramente avrebbe saputo che cosa fare.

E lui, lo sapeva che cosa doveva fare?

Perché Hester non glie lo aveva detto? Perché l'aveva lasciato così, da un giorno all'altro, insicuro ed impreparato?

No, basta per davvero. Niente più Hester. Lei non c'era. Caso chiuso.

Concentrazione. Doveva stare concentrato.

Merlin, Excalibur, Casa, Cancello.

Aveva le mani sudate- e se Excalibur gli fosse scivolata dalle dita? Doveva asciugarle.

Che idea stupida! Era fradicio sin dentro le ossa e stava piovendo a dirotto, come pensava di asciugarle?

Allora forse non erano sudate. Forse era colpa dell'acqua.

Un momento, quella spada era sempre stata così pesante?

Chissà dove si sarebbe trovato da lì ad un'ora.

Merlin, Excalibur, Casa, Cancello.

Concentrazione.

Concentrati.

Concentriamoci, io e te. Noi. Io.

Oh, Dio.

Charles fissò quel cancello talmente a lungo che arrivò a perdere la concezione stessa di cosa fosse, un cancello, come quando si ripete una parola così tante volte da credere di dimenticarne il significato. Dopo interminabili minuti, quando per essere più bagnato di così avrebbe soltanto potuto tramutarsi lui stesso in acqua, con la punta della spada fece pressione sul cancello, aspettandosi una certa resistenza.

Contro ogni previsione, quello si aprì docilmente, cigolando in modo fastidioso.

"Grwoar!" esclamò Drem, che dal lago l'aveva seguito sino a lì, ubbidientemente. Charles se ne era completamente dimenticato, così abbassò gli occhi sul piccolo drago, che stava annusando le sbarre dischiuse con aria apparentemente diffidente.

"Piace meno a me che a te, quindi non fare quella faccia" biascicò al suo indirizzo, ottenendo un gorgoglio di disaccordo. A quel punto però, non poteva davvero più rimandare: facendo un deciso passo avanti, con Drem alle calcagna, mise piede nel giardino di quella casa dall'aria spettrale. Avanzò con cautela tra l'erba alta, stando attento alle radici dalle dimensioni straordinarie sulle quali avrebbe potuto inciampare e si fece strada tra il fogliame grazie ad Excalibur. Il drago rimarcava le sue orme, approfittando del passaggio lasciato aperto davanti a lui.

Se avesse dovuto dire che la situazione non gli puzzasse, avrebbe largamente mentito; si era aspettato di dover combattere contro altri Fomorroh, di dover superare, insomma, delle magie o per lo meno altri ostacoli del genere... perché stava filando tutto così liscio?

Cos'è che lo rende così sicuro di sé? Non poté fare a meno di chiedersi. Quando infine giunse davanti la porta di ingresso, che si aprì immediatamente non appena la spinse un po', non si stupì tanto quanto prima. Scambiò un'occhiata con Drem, unico compagno e conforto al momento disponibile e la prima cosa che notò, ancora prima di entrare, fu l'odore: l'interno della casa emanava puzzo di umido, di muffa e di polvere. Possibile che lì dentro ci vivesse davvero qualcuno? Sembrava fosse stata abbandonata da anni.

Quando entrò lasciò la porta aperta, affinché la debole luce dei lampioni potesse illuminare l'ingresso almeno un poco; come per l'esterno, Charles poté notare che anche le mura interne della casa erano cosparse di crepe e foglie di edera, i cui rami si estendevano fino al soffitto, ricordando una mappatura molto simile a quella delle vene del corpo umano. Il pavimento era spaccato in più punti da altre robuste radici, che si erano fatte prepotentemente strada attraverso strati di calce e cemento; sparse come un tappeto dalle sfumature giallastre e brune, numerose foglie secche giacevano a terra dappertutto. Ogni passo compiuto era come un tuono su quel manto arido e morto, ma Charles ebbe come la netta impressione che, chiunque abitasse lì dentro, fosse già a conoscenza della sua intrusione.

Con una certa sorpresa, realizzò che la cosa non gli importava: prima di varcare il cancello il nervosismo l'aveva quasi fatto vomitare, ma ora che si trovava lì... provava soltanto una gran voglia di farla finita. Si sentiva totalmente devastato, sia mentalmente che fisicamente ed aveva iniziato a credere che non sarebbe mai riuscito a riprendersi completamente dall'odissea che l'aveva risucchiato sin nelle sue viscere. Tutto quello doveva giungere al termine, ma non solo per lui... sopratutto per Merlin e per quell'angoscia che lo stava divorando vivo, che glie lo stava portando via anche quando, finalmente, era giunto ad averlo così vicino.

Sarebbe morto di nuovo, prima di lasciarlo accadere.

Inspirò a fondo, cercando di liberare la mente da ogni pensiero. Non doveva distrarsi, il gioco era diventato serio e si era trovato in situazioni come quella un milione di volte - il fatto che Merlin in quella particolare occasione non sarebbe stato con lui, ma contro di lui, non voleva dire che non ce l'avrebbe fatta -. Era il maledetto Re del passato e del futuro, qualcosa doveva pur significare.

Avanzò con circospezione sino a raggiungere la prima stanza alla sua destra, priva di porta; il cuore, che aveva già raggiunto l'altezza della gola a causa del nervosismo, per poco non gli schizzò fuori dalla bocca quando si affacciò oltre la soglia per esaminare l'ambiente: un lampo aveva inondato la stanza di luce e, sulla parete opposta all'entrata, costretto su una poltrona da una moltitudine di rami o liane o quel che diavolo erano, lo vide. Era lui, ne era sicuro.

Il tuono che seguì gli fece tremare la cassa toracica.

Merlin.

Merlin era lì.

Merlin era lì, davanti a lui, a qualche metro di distanza.

Merlin era lì.

Come poteva essere lì?

Charles corrugò la fronte e si congelò sul posto. Cercò di scorgere il suo viso, ma la stanza era completamente buia ed anche se i lampioni in strada erano piuttosto vicini alla casa, la tempesta che fuori imperversava dava l'impressione che fossero in procinto di spegnersi totalmente.

No.

C'era decisamente qualcosa che non andava.

Non era umanamente possibile credere a tutta quella fortuna. L'averlo trovato così, immediatamente, nel salotto? Neanche nelle favole era tutto così semplice.

Strinse le mani attorno all'elsa di Excalibur e serrando i denti con forza, decise di avanzare; mosse con cautela prima un piede e poi l'altro, entrando nella stanza con i nervi a fiori di pelle. Valutò velocemente l'ambiente, cosa che aveva imparato a fare già ai tempi dell'addestramento a Camelot: essere in grado di studiare il terreno di battaglia era una delle regole basilari per il gioco della guerra.

Il salotto rispecchiava alla perfezione le condizioni del resto della casa: la carta da parati era ingiallita e cadeva a pezzi in alcuni punti, mentre le piante avevano sfondato il pavimento e si erano inerpicate lungo i muri ed il soffitto; ebbe come l'impressione di essere stato inghiottito dalla bocca di un mostruoso albero, ma non vide nessun altro lì dentro, oltre al mago.

"Okay..." mormorò, per infondersi un po' di coraggio. Abbassò lo sguardo alla ricerca di Drem, ma non riuscì a vederlo da nessuna parte - del resto, era davvero troppo buio lì dentro. Tenendo quindi Excalibur tesa davanti a sé, Charles si inoltrò fino al punto di raggiungere Merlin senza nessuna difficoltà; gli si fermò di fronte e la vicinanza guadagnata gli permise finalmente di scorgere quei dettagli che prima non aveva potuto notare: il sangue scuro e secco che gli imbrattava la faccia, le croste dei graffi in via di guarigione sulle guance scavate, le occhiaie scure sotto gli occhi chiusi, i capelli neri e spettinati come al solito che ricadevano delicati sul suo viso, il letto di foglie secche che lo ricopriva come una coperta -come se lui fosse stato qualcosa di dimenticato -, i rami che lo circondavano abbracciandolo stretto stretto, quasi con una sorta di gelosia...

Anche nell'incoscienza di quella morte apparente ed innaturale, Merlin aveva quella sua caratteristica aria irriverente che aveva del tutto scombinato la vita ed i sentimenti di Arthur. Il fatto che anche quelli di Charles fossero totalmente sottosopra, era una naturale conseguenza, un proseguo di un filo il cui capo era legato molto a fondo nel passato. Non sapeva chi avesse ridotto il mago in quelle condizioni, ma avrebbe scovato quell'individuo che si faceva chiamare Emrys e lo avrebbe costretto ad implorare di ucciderlo. Non era mai stato un Re od un ragazzo crudele, dedito alla violenza, ma come in molte altre occasioni era già successo ,quando si trattava di Merlin tutte le certezze che Arthur, o Charles , aveva su di sé... irrimediabilmente crollavano come un fragile castello di carte. Merlin aveva sempre avuto il potere di farlo passare come uno sconosciuto ai suoi stessi occhi e, per essere onesti, non era mai riuscito ad accettarlo molto bene; quando era con lui, Arthur avrebbe anche potuto indossare la corona più vistosa e brillante e preziosa del mondo, ma sapeva che Merlin avrebbe continuato a guardare solo e semplicemente i suoi occhi. Glie lo aveva dimostrato in diverse occasioni.

Improvvisamente sentì di avere la mente libera, completamente sgombra. Credeva di non essere mai stato così lucido in vita sua, eppure la spada gli tremò tra le mani, quando la accostò al collo di Merlin. I suoi occhi azzurri accarezzarono la lama nella sua interezza, fino alla punta poggiata contro la pelle morbida del mago.

Un taglio.

Sarebbe bastato un taglio netto, secco e deciso, e quella storia sarebbe finita una volta per tutte. Del resto, era anche ciò che Merlin voleva, no? Glie lo aveva chiesto lui, più di una volta, di essere ucciso!

Drem mugolò come spaventato nei pressi della soglia del salotto, ma Charles non lo sentì. L'elsa era ben stretta tra le mani, avvertiva il sangue pulsare nelle vene, guidato da battiti improvvisamente tranquilli e regolari; un nuovo lampo inondò la stanza, donò luce oscura alla lama di Excalibur e rese ancor più macabro il contrasto del sangue secco sulla pelle pallida come ghiaccio di Merlin. Charles strinse le dita attorno all'impugnatura, le gocce di pioggia che l'avevano infradiciato neanche dieci minuti prima gli scivolarono sulla faccia e sotto i vestiti.

Che cosa stava aspettando?

Inghiottì a vuoto.

Che diavolo, un colpo. Gli trafiggo la trachea e me ne vado. È facile.

Adesso le sue mani tremavano visibilmente. Drem mugolò ancora e Charles serrò forte i denti, strizzando le palpebre, perché la vista gli si era annebbiata; la spada, divenuta instabile nelle sue mani, graffiò la pelle del collo di Merlin e, a riprova del fatto che fosse in realtà ancora vivo, del sangue colò giù dalla ferita.

Ucciderlo. Ucciderlo e basta. È la soluzione più semplice. Devo farlo.

Aprì nuovamente gli occhi, la faccia bagnata non più dalla pioggia, ma dal sudore. Sentiva il sapore della bile nella bocca e la gola bruciare di acidità.

Basta, non ce la faccio più.

Basta. Deve finire!

Ucciderlo.

Basta, sono stanco...

Uccidilo.

Non ce la faccio...

Uccidilo!

"BASTA!" gridò, lasciando cadere la spada per terra, come ne fosse stato ustionato; barcollò malamente sulle gambe e respirò in modo affannato più volte, poiché si sentiva come se avesse corso in modo folle. Con gli occhi spalancati dall'apprensione e le pupille dilatate al massimo, si guardò attorno in modo frenetico, cercando evidentemente qualcosa. "Dove sei?!"

O qualcuno.

Le sue parole vennero seguite dall'unico rumore della pioggia e del vento che fischiava attraverso le finestre senza vetri; il pavimento era umido a causa dell'acqua che le raffiche di aria trasportavano dentro e quando Charles si chinò velocemente a recuperare Excalibur, per poco non scivolò sulle radici umide. Non riusciva a controllare il suo respiro e sapeva che agli occhi di chiunque, in quel momento, sarebbe apparso come un animale braccato e costretto all'angolo. Aveva sempre odiato sentirsi a quel modo ed era capitato pochissime volte che accadesse; quando ancora non era divenuto re, ad esempio, e Camelot era stata attaccata dai Dorocha(1), aveva provato un'impotenza così soverchiante da portarlo a dubitare di se stesso in un modo in cui non aveva mai fatto prima. Poi Merlin, per l'ennesima volta, l'aveva aiutato a riemergere da quelle acque oscure, così oscure...

Lui. Sempre lui. Ovunque, in ogni momento.

Quelle stesse acque oscure, da cui era stato salvato una vita fa, erano tornate e stavano minacciando di portargli via l'unica ancora di salvezza che avesse mai avuto; di nuovo, Charles fu quasi schiacciato miseramente dalla stessa impotenza che l'aveva reso preda durante l'invasione dei Dorocha... eppure, quella volta, c'era una differenza: sentiva di voler dimostrare a Merlin di poter contare su di lui, di poter essere a sua volta la mano che l'avrebbe afferrato e fatto riemergere dalle profondità dell'abisso.

Glie lo doveva.

Glie lo doveva perché era la cosa giusta da fare.

Glie lo doveva perché non poteva lasciarlo andare.

Glie lo doveva perché era Merlin.

Glie lo doveva perché...

"Ti sei rammollito" esordì una voce lieve, dalle oscurità della stanza. Charles si irrigidì e le nocche divennero bianche, tanta fu l'intensità con la quale strinse l'elsa di Excalibur. Lentamente, vantando una calma che non era lontanamente reale, si voltò verso il camino spento e, accanto al profilo di una poltrona consunta, vide baluginare un paio di occhi fatti d'oro liquido. Il movimento costante ed ipnotico della loro sostanza, a tratti più intensa o più oscura, lasciava intuire l'agitarsi stesso della magia che scorreva in modo instancabile nella pelle, nelle ossa e nelle vene di lui, lui! Il vero responsabile di tutto il dolore, la follia, la paura e l'angoscia che avevano gettato in ginocchio l'Inghilterra.

"Emrys" esclamò Charles, duramente. Puntò d'istinto Excalibur verso di lui, frapponendola tra loro; l'altro non sembrò esserne impressionato, ma non si avvicinò neppure, restando nell'ombra.

"Questo secolo ti ha reso debole" sentenziò, con una sfumatura derisoria. "Un tempo avresti saputo mettere da parte i tuoi ridicoli sentimenti, per fare ciò che è giusto. È evidente però..." fece qualche passo in avanti e l'ennesimo lampo permise a Charles di constatare che lo era per davvero, un ragazzino, "...che quel tempo è finito. Non che me ne dispiaccia" aggiunse, quasi allegramente, "Così sarà decisamente tutto più facile".

"Sarà più facile che cosa?"

"Ucciderti, naturalmente" replicò con leggerezza Emrys, allargando le braccia come per sottolineare l'ovvietà di quella risposta. "Vedi, ho fatto una promessa a me stesso" continuò, indicando con una mano Merlin, poco dietro Charles. "Gli ho promesso che gli avrei regalato la tua testa. Non mantenere fede alle mie parole, sarebbe come mancarmi di rispetto, non credi?"

"Tu sei pazzo" disse Charles, con la confusione dipinta sulla faccia, "Parli di lui come foste la stessa persona! Non-"

Emrys lo interruppe, battendo le mani con approvazione. "Ottimo! Ci sei arrivato subito! Ti sarai anche rammollito, ma forse sei diventato più intelligente. Però non vorrei dare giudizi troppo affrettati, credo che aspetterò di vedere che altro riesci a dedurre, prima di confermarlo".

Charles non rispose, perché troppo impegnato a metabolizzare il significato di quello che aveva appena appreso. Non si sentì nemmeno offeso dal palese insulto appena ricevuto, lo sconcerto che sopraggiunse insieme alla comprensione assorbì tutta la sua attenzione.

"Non ti credo" fu la prima cosa che riuscì ad esclamare; la sua mente era andata in blocco: non poteva accettarlo, non poteva essere reale.

"Che novità" fu l'aspra risposta di Emrys. "Quando mai l'hai fatto? Hai sempre avuto la verità sotto il naso e non te ne sei mai voluto accorgere". Sorrise, in modo ferino.

"Ma adesso è impossibile negare l'evidenza, altezza. Sarebbe troppo da idioti, perfino per uno come te".

Gli occhi di Emrys divennero ancora più vividi di quel che già erano e, subito dopo, una robusta fiammata invase il camino: in men che non si dica, i ciocchi presero fuoco e la legna cominciò ad ardere allegramente; la luce del fuoco invase poco a poco il salotto, morbida come una carezza, e finalmente Charles poté vedere con maggiore chiarezza altri dettagli della stanza - che era messa in condizioni molto peggiori di quanto avesse intuito - e del bambino stesso; aveva le labbra a forma di cuore, identiche a quelle di Merlin, e le stesse, grandi orecchie, che erano peggio di un marchio di fabbrica.

No, continuò a dire ostinatamente il suo cervello, non può essere.

Emrys sembrò leggergli nello sguardo ciò che stava pensando e socchiuse le palpebre con aria di sfida.

"Non hai imparato proprio niente dagli errori del passato, vero? Sempre a girarti dall'altra parte quando ti capita davanti qualcosa di scomodo che preferiresti non aver mai visto. Povero, piccolo Arthur. Che trauma, scoprire che l'avere sangue nobile nelle vene non può salvarti dalle brutture del mondo".

Charles strinse i denti, irrigidendo la mandibola; sentiva le mani sudate stringere convulsamente Excalibur. Calmati, pensò. Concentrati.

"Sono qui per rimediare a tutti gli errori che ho commesso" rispose, sforzandosi di tenere un tono di voce controllato. "Mi è stata data una seconda possibilità e ti assicuro che finirà in modo completamente diverso dalla prima".

"Ma certo che non finirà in modo diverso" ribatté Emrys, quasi annoiato; "Morirai. Di nuovo. A meno che tu non voglia davvero uccidermi. In quel caso, dì pure addio per sempre anche alla restante parte di me. E scusalo se non partecipa attivamente a questa conversazione, sai: ultimamente è sempre stanco morto".

Il grondante sarcasmo che colorò la voce di Emrys, fece schizzare il sangue al cervello di Charles. Fu un attimo: lui scattò in avanti, con la vista resa rossa dalla rabbia ed alzò Excalibur sopra la testa, come a volerla abbattere violentemente su Emrys - poco glie ne importava che avesse le sembianze di un ragazzino! -, ma giunto praticamente davanti a lui, qualcosa lo bloccò: il mago si era voltato di spalle e rivolgeva alla sua lama affilata la radice che lo legava direttamente al cuore di Merlin.

Cosa diavolo è questa?

"Fallo" lo incoraggiò Emrys, guardandolo con la coda dell'occhio da sopra la spalla. "Perché ti sei fermato? Non vorrai dirmi che adesso mi credi".

Gli occhi azzurri di Charles percorsero la radice in tutta la sua lunghezza, fino a raggiungere l'altro capo, che affondava direttamente nel centro del petto di Merlin. All'improvviso la voce di Alecto gli venne alla mente e ricordò di quando lei aveva raccontato di una sorta di ramo che collegava Emrys ad un ragazzo dall'aria malata. Quindi era quella, l'incognita della faccenda. Charles inghiottì a vuoto. Che cosa sarebbe successo se lui avesse...

"Uccidi me" mormorò Emrys con delicatezza, "E muore anche lui".


No, esalò con debolezza la sua stessa voce nella sua mente, e qualcosa di feroce risucchiò con violenza tutta l'aria dai suoi polmoni.


Come se quella sentenza avesse assorbito da lui ogni briciola della sua energia, Charles lasciò crollare le braccia lungo i fianchi, la spada mollemente stretta nella mano destra. Eccola di nuovo lì, l'impotenza, con la stessa malvagia ed oscura morsa che l'aveva tenuto stretto già in passato.

"Lo sapevo" disse Emrys, con un sorriso.

Non poteva sapere se quel ragazzino stesse bluffando o meno. Ma non poteva nemmeno rischiare, non quando c'era di mezzo Merlin. Fissò i suoi occhi dorati e disgustosamente sinuosi, mentre i propri si inumidivano a causa della frustrazione.

"Sapevo che non l'avresti fatto".

Aveva dato la sua parola. Aveva dato a Merlin la sua parola. Eppure eccolo lì, davanti all'incubo di Albion, impotente come non lo era stato mai, incapace di pensare coerentemente, di sapere che cosa diavolo fare. Aveva dato la sua parola! Trattenne il respiro, aprendo e chiudendo la mano sinistra più volte.

"Devo ammettere che all'inizio ho avuto qualche dubbio. Ma adesso me ne hai appena dato la conferma. Oh, no, non sul fatto se mi avresti ucciso o meno. Ero sicuro che non avresti avuto il coraggio di farlo. Ma non ero altrettanto sicuro che tu mi amassi. Però adesso lo so".

Charles aggrottò lievemente le sopracciglia, l'aria fragile e spaesata di chi stava perdendo tutto senza sapere come fare per fermare il processo.

"Tu mi ami".

Chiuse gli occhi. Bumbumbumbumbumbum.

"Questo non ti fa girare dall'altra parte, altezza? Vuol dire che questo lo vedi?"

Per un attimo gli sembrò di galleggiare nell'aria, senza peso. Quando arrivò l'impatto, però, si rese conto che Emrys l'aveva scaraventato dall'altra parte del salotto, facendo finire Excalibur chissà dove.

"Basta giocare" esclamò il mago, improvvisamente gelido come la pietra. Charles socchiuse le palpebre, riverso sul pavimento dissestato ed umido, la vista sfocata dal dolore alla schiena; intravide i piedi di Emrys che gli si facevano sempre più vicini e, oltre le sue spalle, uno strano bagliore azzurrino. Il camino, pensò distrattamente in modo incoerente, quasi ridendo di se stesso. Morirò con il camino acceso ad agosto. Che senso avrebbe avuto continuare a fingere, a combattere? Emrys aveva ragione: non avrebbe mai potuto ucciderlo. Mai. Neanche se ne andava delle sorti del fottuto mondo intero.

"Sei l'unico ostacolo che mi separa dalla vita eterna" stava dicendo il mago, con fermezza. "Capisci bene che non posso fare altrimenti. Non c'è altra soluzione. Saresti stato l'unico che avrebbe potuto fermare tutto questo. Ma una volta che non ci sarai più, io avrò finito di preoccuparmi. Dì addio alla tua seconda possibilità".

Charles sentì una potente forza invisibile, che stava chiaramente tentando di schiacciarlo, costringerlo contro il muro; la pressione sui suoi muscoli e le sue ossa aumentò vertiginosamente e lui digrignò i denti, facendosi violenza per impedirsi di urlare. Se proprio doveva morire, non gli avrebbe dato anche quella soddisfazione.

Emrys si inginocchiò davanti a lui e gli accarezzò i capelli sudati con la manina piccola e paffuta.

"Lasciati andare" sussurrò con voce soffice, scollandoglieli dalla fronte appiccicosa; "Ti prometto che non dovrai mai più fare l'eroe. Questa sarà la tua ultima morte".

La tensione sulle tempie era bestiale. Charles credette di non aver mai provato un tale dolore intorno alla testa ed a stento percepì qualcosa di viscoso colargli dal naso verso il mento; sentiva le vene gonfie come palloni ed era certo che qualcosa, dentro di lui, fosse sul punto di esplodere. Ti prego, pensò con angoscia, fa' che finisca in fretta. Ti prego, Hester...

"Basta così!" esclamò qualcuno, da qualche parte, nella stanza - non avrebbe proprio saputo dire da dove. Poi il miracolo avvenne e poté accogliere con gioia indescrivibile la scomparsa della pressione che, in un secondo di troppo, l'avrebbe definitivamente ucciso; il dolore tuttavia era comunque lì, nelle carni, nei tendini, nelle ossa, talmente intenso da impedirgli anche solo di immaginare un qualsiasi movimento. Tentò di aprire gli occhi, ma le palpebre erano così pesanti e pulsanti di dolore che fallì miseramente. Percepì un fruscio vicino a sé e suppose che Emrys si fosse rialzato in piedi. Dalla gola gli sfuggì un doloroso rantolo ed anche respirare sembrava un'impresa titanica. Non poté fare a meno di chiedersi perché non fosse già morto... cosa lo aveva impedito?

"Tu?" soffiò la voce di Emrys, un misto tra stupore ed furia. Charles udì un rumore metallico e familiare; faticò solo pochi istanti, prima di saperlo ricollegare: qualcuno aveva sollevato Excalibur da terra.

"Sorpresa" esclamò una voce maschile, terribilmente gracchiante, accompagnata da rantolii di stanchezza.

"Come-?"

"Dovresti controllare meglio i tuoi draghi".

"I miei... cos-? A chi appartiene quella bestia?!"

"A lei".

Un altro rumoroso respiro, tremante ed affaticato. "L'allieva che supera il maestro".

Seguì una risata graffiante, di chi non ne aveva fatte per molto, molto tempo.

"Non osare!"

Che cosa stava succedendo? Chi era? Con chi stava parlando? I battiti del cuore di Charles ebbero un'impennata pazzesca ed anche se la rinnovata velocità del sangue nelle vene acuì ancora di più la sua sofferenza, gli diede la spinta necessaria che servì a far schiudere i suoi occhi. Ciò che vide fu nebbia, solo nebbia rossastra. Lacrime. Sangue. Sangue misto a lacrime. Da dove veniva tutto quel sangue? Sbatté le ciglia e sentì colare giù per il viso le lacrime accumulatesi negli angoli degli occhi; subito dopo, però, la sua vista divenne più nitida.

"...sottovalutato i prodigi del (2)soffio del drago" stava dicendo il ragazzo. "Un drago ha una sua coscienza, te ne eri dimenticato? Forse non siamo così simili".

Emrys non rispose e Charles non poté vedere la sua espressione, perché il bambino gli dava le spalle, impegnato a guardare qualcun altro; i suoi occhi si mossero con lentezza lungo il pavimento del salotto, poiché ogni spostamento troppo brusco faceva dondolare la stanza in maniera insopportabile. Cautamente, lo sguardo gli si posò su un paio di scarpe scure, semi coperte da classici jeans anonimi, che fasciavano delle gambe dalle ginocchia ossute e tremolanti; in quell'insieme era inclusa anche Excalibur, sulla quale quel qualcuno si stava chiaramente appoggiando, come non riuscisse a stare in piedi da solo.

"Anche io ho ancora una mia coscienza e di quella, lo sai, proprio non avresti mai potuto appropriartene. Hai paura?"

Charles sollevò gli occhi. Un volto spigoloso. Zazzera di capelli neri. Enormi, buffe orecchie a sventola.

"No, aspetta, possiamo-!"

"Io non ne ho. Ma tu dovresti".

Ciglia lunghe. Occhi blu.

Merlin.


"NO!" urlò, con tutto il fiato che aveva in gola - la voce intrisa di un dolore tremendo, frutto dello sforzo immane che aveva compiuto per incamerare bruscamente aria in quel corpo martoriato da una morte scampata per un soffio-, nell'esatto momento in cui Merlin brandì Excalibur e tranciò di netto la radice che affondava nel suo petto, unico maledetto vincolo che lo univa indissolubilmente alla parte più oscura di sé. Emrys, le mani protese verso di lui come lunghi artigli, si immobilizzò all'improvviso; la radice ricadde pesantemente a terra come un corpo senza vita e così fecero subito dopo le ginocchia di Merlin. Il clangore di Excalibur che crollava sul pavimento, fu dolorosamente assordante.

Le dita di Emrys cominciarono a scurirsi lentamente di un colore fangoso, sporco, e subito dopo iniziarono ad assottigliarsi, come se qualcosa stesse risucchiando del nutrimento direttamente dal suo piccolo corpo; a poco a poco il processo si estese lungo le sue braccia, il collo, il viso, il petto e le gambe, fino a quando di lui non rimase che un mucchietto di pelle ed ossa completamente avvizzito. La sagoma di Emrys crollò a terra, leggera come un alito di vento, con gli occhi di un giallo opaco spalancati su un mondo che non avrebbe potuto più vedere né dominare.

Emrys era morto. Lo era chiaramente.

Emrys era morto ed era successo così velocemente che, a pensarci, tutto quello che aveva fatto pareva appartenere solamente ad una semplice fiaba dell'orrore.

Ma a Charles non importava.

Non gli importava di lui, non gli importava di se stesso, non gli importava del dolore atroce che stava provando nel trascinare pesantemente il suo stupido, inutile corpo sul pavimento, non gli importava dell'impressione che aveva di essere stato spaccato a metà, non gli importava nemmeno del sangue che gli imbrattava la faccia, fuoriuscito dal naso, dagli angoli degli occhi azzurri e dalle orecchie.

Non gli importava un maledetto niente, se non della soverchiante necessità di raggiungere Merlin, che non l'aveva neanche guardato!, di scuoterlo, picchiarlo, insultarlo fino a perdere la voce, di abbracciarlo, di stringerlo, di-

"Merlin" lo chiamò debolmente, le parole pregne di un pianto che premeva per uscire da ore. "Merlin!" ruggì.

Ma Merlin, il corpo magro accasciato a terra in una brutta angolatura, il viso rivolto verso l'alto, gli occhi dischiusi ed immobili, non si mosse.













NOTE DELL'AUTORE: Eh. Che brutta persona che sono. Non solo salto l'abituale aggiornamento del lunedì negandovi la gioia di un nuovo capitolo ad inizio settimana, ma lo tronco anche in questa maniera orribile e disumana.

Troppo divertente!

(1) I dorocha, per chi non li ricordasse: http://merlin.wikia.com/wiki/Dorocha
(2) Per chi invece non avesse fatto il collegamento mentale nel modo corretto... il 'bagliore azzurrino' che vede Charles mentre è a terra, non è il fuoco nel camino. È il soffio del drago che Drem sta utilizzando per bruciare le radici che imprigionano Merlin :)

Buone feste e buon anno nuovo, ci vediamo lunedì :)

Asfo


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Capitolo 19
*** Merlin il Mago deve morire - II ***


DICIANNOVESIMO CAPITOLO

19. Merlin il Mago deve morire - parte II

Ascoltami


Glastonbury, 5 agosto 2020

Notte fonda


Anche se la tempesta si era improvvisamente acquietata ed una splendida luna aveva fatto capolino da dietro le nuvole più scure che avesse mai visto, non appena mise piede nel giardino della casa, Alecto seppe che qualcosa non andava. Non avrebbe saputo dire se fosse stato grazie al sesto senso femminile, alle strane vibrazioni che avvertiva nell'aria od all'immobilità del mondo - l'assenza di suoni era sconcertante.

Semplicemente... anche se il bel tempo era tornato, non voleva dire che fosse tutto a posto.

Indugiò qualche istante sulla soglia del cancello, adocchiando la natura morta che da sempre aveva caratterizzato il giardino.

"Drem...?" provò a chiamare, ma debolmente: la faceva sentire a disagio l'idea di spezzare in modo troppo brusco il silenzio. Con cautela attraversò il vialetto coperto dalla sterpaglia e raggiunse la porta d'ingresso già aperta; Alecto vi si fermò davanti e piegò la schiena verso l'interno, sia per dare un'occhiata in giro - la solita fatiscenza, il solito odore di muffa -, che per captare in anticipo un qualsivoglia rumore. Dalla prima stanza sulla destra, le sembrò di percepire qualcosa.

Nonostante i nervi a fiori di pelle ed il pensiero dei tre enormi draghi lasciati parcheggiati al lago di Avalon, grazie ai quali aveva tenuto a bada i Fomorroh, Alecto entrò in casa con una certa familiarità; il tempo che aveva trascorso lì dentro era stato talmente lungo che non poteva pretendere di cancellarlo come non fosse mai esistito. Che le piacesse oppure no, quella era stata la sua casa ed il suo corpo l'aveva riconosciuta come tale.

I suoi passi sul tappeto di foglie secche le resero impossibile un'entrata in scena silenziosa, ma in qualche modo sapeva che nel salotto non avrebbe trovato un Emrys in attesa e pronto a fulminarla alla prima occhiata; d'altro canto, ciò che avrebbe potuto trovarvi la impensieriva forse anche di più. Prima di compiere l'ultimo passo che la separava dalla stanza, fece un respiro profondo e poi avanzò; per un attimo, se ne stette sulla soglia a sbattere le ciglia bionde stupidamente, non sapendo nemmeno lei che cosa si fosse aspettata di vedere: la solita, familiare scena di degrado ed abbandono la accolse come una vecchia amica. Uno scalpiccio le fece abbassare lo sguardo e subito vide Drem trotterellarle incontro, sbatacchiando le ali ed agitando la coda. Solo in quel momento, si accorse di aver avuto un macigno al posto dello stomaco, perché non appena lo vide e riuscì a constatare che stava bene, si sentì inaspettatamente leggera come una piuma.

"Ehi" disse con tenerezza, inginocchiandosi per abbracciarlo. Ecco che cosa voleva dire, essere in pena per qualcuno. "Dov'è Cha-" fu lì per chiedere, ma quando sollevò gli occhi dal drago per esaminare il resto della stanza, le parole le restarono incastrate nella gola: lo vide dalla parte opposta, completamente accasciato su un altro corpo. Ecco perché prima non lo aveva notato.

"Charles..." sussurrò, standosene lì in ginocchio, con una sorta di timore ad accorciare le distanze: non riusciva a capire se le sue spalle stessero tremando di rabbia o chissà cos'altro.

Nel sentirsi chiamare, Charles emise un verso strano, a metà tra un lamento ed un ringhio; sollevò il viso verso di lei ed Alecto inspirò bruscamente dall'orrore: la sua faccia era una maschera di sangue.

"Oh mio Dio...!" mormorò, coprendosi la bocca con una mano. Quella doveva essere stata opera di Emrys.

"Aiutalo" esclamò lui, la voce vibrante di lacrime, disperazione e rifiuto della realtà. "Ti prego, aiutalo".

Alecto, gattonando, si avvicinò velocemente a loro, come attratta da un incantesimo: dopo tutto, teneva a Charles. Se lui aveva bisogno di lei, non avrebbe potuto fare altro che tutto il possibile, per dimostrargli la sua amicizia. Tutto.

Guardò per la prima volta il corpo semi protetto dalle sue braccia e riconobbe praticamente subito in lui il ragazzo che aveva sempre visto lì nel salotto, costretto contro la poltrona. Quello che, in parole povere, aveva dato spesso per morto.

In quel momento però, lo sembrava davvero.

Alecto osservò il suo viso, mentre con lentezza terrificante iniziò a comprendere la reale portata della situazione.

È lui, il ragazzo di cui Charles è innamorato. È lui. Alzò lo sguardo su quest'ultimo, che tremando in modo impercettibile, scostava i capelli scuri dalla fronte di Merlin. E il modo - il modo in cui lo toccò... sembrava avesse paura che potesse disintegrarglisi tra le mani da un momento all'altro.

Oh, Dio. Non può finire così.

"Drem" chiamò subito lei, per farlo avvicinare, ma il drago era già lì; allora guardò Charles: "Forse se proviamo con il soffio del drago, riusciamo a recuperarlo" esclamò, cercando di suonare ottimista. Ma lui scosse la testa, tornando ad osservarla.

"No" rispose duro, nel tentativo di soffocare tutto il mondo che ribolliva al di sotto di quella effimera fermezza. "Ci ha già provato" continuò, inghiottendo rumorosamente ciò che invece avrebbe accolto a braccia aperte, per lasciarsi schiacciare ed affondare. "Non ha funzionato".

Se nemmeno il soffio del drago aveva funzionato, Alecto sapeva che non ci sarebbe stato nulla che lei avrebbe potuto fare, in tal caso. I suoi poteri non eguagliavano quelli dei draghi e mai l'avrebbero fatto; la ragazza strinse le labbra con aria mortificata ed abbassò gli occhi su Merlin, sporco in viso del sangue di Charles, che se l'era stretto contro.

"Charles, io... Io non so..."

"Vattene" la interruppe lui, il corpo devastato forse quanto la mente; "Vattene e porta la spada via con te".

Alecto strinse i pugni sulle ginocchia e restò a fissarlo con ostinazione. "Charles, tu non stai bene. Lascia che almeno con te, Drem-"

"No!" esclamò lui, stringendo tra le dita i capelli di Merlin con rabbia. "Non ti azzardare ad alzare un solo dito su di me. Vuoi aiutarmi? Allora fai sparire dalla mia vista quella fottuta spada e lasciami solo. Anzi, sai cosa? Distruggila, se ci riesci. Non ne voglio più sapere".

Alecto sapeva che Charles non ce l'aveva direttamente con lei, ma non poté fare a meno di sentirsi ferita da quell'allontanamento. Lui non aveva alzato la voce, eppure in qualche modo così era anche peggio. Si diede della stupida, comunque, perché razionalmente comprendeva bene che lui aveva bisogno di quel momento. Non solo non era nemmeno riuscito ad avere un attimo per sé, quando era morta Hester, ma le perdite erano diventate addirittura due nel giro di pochissime ore: era semplicemente troppo da accettare, lo sarebbe stato per chiunque.

Si alzò in piedi ed andò a raccattare la spada con l'angoscia nel cuore: odiava sentirsi così inutile ed odiava ancora di più quel dolore che l'atteggiamento scostante di Charles le aveva causato.

Ma andava bene così.

Doveva andarle bene così.

"Andiamo Drem" mormorò, richiamando l'attenzione del drago; lui guardò per un'ultima volta Charles co una sorta di indecisione dipinta negli occhietti intelligenti, ma poi di trotterellò via dietro i passi silenziosi di Alecto. Una volta uscita in giardino, restò seduta sugli scalini sbeccati a sentire le grida rabbiose del suo unico amico, con le labbra strette e la fronte poggiata sulle ginocchia.


*


Glastonbury, 5 agosto 2020

Alba


Si sentiva estremamente indolenzito. Le mani gli formicolavano ed appena provava a muovere le gambe, un forte dolore muscolare gli faceva strizzare gli occhi dalla sofferenza. Da quanto tempo si trovava in quella posizione? Strinse la maglia di Merlin, tenendo l'orecchio poggiato contro il suo petto freddo ed immobile.

La stanza era inondata da una morbida luce dorata, che diede alla cose una parvenza di sogno. Il dolore però, era troppo reale. Non poteva essere un sogno.

"Ti odio" mormorò per l'ennesima volta Charles, con la voce resa rauca dagli insulti gridati durante la notte. Batté un pugno sulla spalla di Merlin. "Mi hai sentito?" continuò debolmente, "Ho detto che ti odio".

Una leggera brezza entrò dai vetri rotti delle finestre e stuzzicò con dolcezza le foglie secche che cospargevano il pavimento.

"Non solo mi hai fatto tornare in vita. Hai pensato bene di sconvolgere di nuovo quella che già avevo e mi hai fatto arrivare fino a qui". Tirò su con il naso, completamente buttato a peso morto su di lui. "Mi hai fatto arrivare fino a qui. E tu che fai?" aggiunse, il viso privo di qualsiasi espressione. "Ti uccidi. Davanti a me".

Passarono dei lunghi, silenziosi istanti, durante i quali Charles restò a fissare con sguardo vitreo i giochi di luce sulle foglie morte, ma senza vederli davvero. Ad un certo punto poi, fece ruotare il collo e puntellò il mento sul petto di Merlin, per guardarlo in viso; allungò le mani indolenzite ed afferrò a coppa le sue guance.

"Ti uccidi davanti a me. E non mi guardi. Non mi guardi nemmeno una cazzo di volta" ripeté, mentre le dita tremavano. "Ringrazia che sei già morto, Merlin, hai capito?" scrollò la sua testa con rabbia. "Ringrazia che sei già morto, maledetto idiota!" terminò, ringhiando.

La gola gli bruciava da impazzire. Pensò che se qualcuno vi avesse sfregato contro dei fiammiferi, non avrebbe sentito niente.

La sua faccia era un disastro, un miscuglio di sangue, sudore e lacrime; fisicamente era devastato e mentalmente neanche a parlarne. Gridare era servito a qualcosa?

pensò, gridare è servito a mantenermi vivo.

Guardò l'alba conquistare la stanza. Un nuovo giorno era dunque arrivato, nonostante tutto. Il mondo, all'esterno, non aveva mai smesso di girare... eppure lui si sentiva immobile, cristallizzato in un attimo che risaliva ore addietro, a quando il corpo sotto di lui respirava ancora.

Trovò impossibile il fatto che il mondo non si fosse fermato davanti a tutto quello.

Che cosa avrebbe fatto?

Aveva perso Hester.

Aveva perso Merlin.

Aveva perso la sua casa.

Gli restava suo padre, ma era in America e gli sembrò che appartenesse alla vita di qualcun altro, in quel momento.

Forse aveva anche perso la voglia di pensare.

Provò a tirarsi su ed ogni movimento gli causò una smorfia di dolore; si chiese se i muscoli atrofizzati potessero causare quell'esatto dolore e non si rese conto di quanto superflui ed illogici fossero i suoi pensieri. Decise che avrebbe lasciato vagare la mente, che l'avrebbe fatta andare dove voleva andare. Quando si inginocchiò accanto al corpo inerme di Merlin, sentì qualcosa premere per bucargli la coscia. Storse il naso, preda di una confusione e pesantezza mentale del tutto giustificabili e con gesti lenti infilò la mano nella tasca dei jeans; le dita ruvide si chiusero attorno a qualcosa di piccolo, liscio e freddo. Quando Charles estrasse la mano dalla tasca per vedere cosa fosse, si ritrovò nel palmo della mano l'ampolla contenente l'acqua del lago di Avalon.


"Ce l'avevo addosso dopo aver recuperato Excalibur. Sai che cos'è?"

"È l'acqua del lago. Va usata solo ed esclusivamente in caso di necessità, Charles, poiché si dice che mostri quale sia la cosa giusta da fare".

"In che senso? Dovrei berla?"

"Non ne ho idea".


Charles fissò con occhi vacui ed assenti l'ampolla nella sua mano, mentre la voce di Hester sfumava leggera tra i suoi ricordi e via dalle sue orecchie.

La cosa giusta da fare...

Lo sguardo balzò su Merlin, poi di nuovo sull'ampolla e quindi ancora su Merlin, più e più volte.

La cosa giusta da fare...

Non era forse quello, un caso di estrema necessità? Avrebbe potuto esserci occasione più giusta? Strinse le dita attorno all'ampolla ed il suo cuore ebbe un'impennata furiosa, ricordandogli che lui era ancora lì ed era vivo.

La cosa giusta da fare...

"Al diavolo" esclamò, accompagnando le parole a movimenti frenetici. Afferrò il tappo che chiudeva l'ampolla e lo fece saltare via con decisione; subito dopo una brezza decisa s'insinuò tra i suoi capelli incrostati di sangue e, sulle sue fresche curve invisibili, portò con sé sospiri fuggevoli come rivoli di fumo.


Merlin il Mago...

Merlin il Mago è morto...

È morto...

Merlin il Mago...

Il Mago è morto...


Avrebbe riconosciuto quelle voci ovunque: erano le Disir.

Charles fissò il volto di Merlin, completamente assorto nei suoi pensieri. L'aspettativa gli stava stringendo la gola in una morsa ferrea.

"Merlin il Mago..." sussurrò con voce roca, mentre gli occhi azzurri saettavano da una parte all'altra di quel volto spigoloso e pallido, alla ricerca della risposta all'enigma. "Merlin il Mago è morto... Merlin... Il Mago... Il Mago... Il Mago. Il Mago?"

Strinse i denti con forza eccessiva e subito dopo inumidì le labbra secche, sentendo sulla lingua il sapore del sangue. Le Disir si erano rivolte a lui sempre e solo in quel modo: Merlin il Mago. Era un azzardo, forse anche la pazzia di un un disperato visionario, ma... a chi diavolo importava? Valeva la pena tentare. Doveva tentare!

Ebbe bisogno di afferrare l'ampolla con entrambe le mani, tanto quelle stavano tremando; se l'avvicinò con attenzione alle labbra e subito dopo bevve, stando attento a non sprecare nemmeno una goccia; si riempì la bocca con l'acqua del lago di Avalon, ma non inghiottì. Gettò l'ampolla vuota per terra e con una naturalezza sconcertante, si chinò sul viso di Merlin. Charles mise un braccio a lato della sua testa e con l'altra mano gli afferrò il mento, in modo tale che schiudesse le labbra; non c'era niente di romantico in quel che stava accadendo, ma solo la forte necessità di un miracolo.

Quando riuscì nell'intento, allora annullò completamente la distanza tra di loro.

Lasciò colare l'acqua direttamente dalla sua bocca in quella di Merlin, lentamente; tenne la sua testa leggermente sollevata da terra e massaggiò la gola con il pollice, per costringerlo ad inghiottire. Se era vero che lui era sempre stato l'unico in grado di fermarlo e salvarlo, allora... doveva essere lui personalmente in tutto e per tutto.


Il male ch'è nel cuore...

Il male ch'è nella mente...

Non c'è morte...

Non c'è vita...

Tutto si trasforma...

Il Mago è cessato...

Il Male è cessato...

La scissione è cessata...


Emrys. Emrys e Merlin erano stati davvero la stessa persona, allora.

Charles si scostò appena, socchiudendo gli occhi sul viso pallido dell'altro. Notò che l'acqua del lago aveva creato un leggero bagliore dorato, sulla sua pelle fredda.

Posò un bacio sulla sua bocca.

"Emrys era la parte più oscura di te" sussurrò, pronunciando le parole direttamente su quelle labbra dolorosamente morbide, fredde ed esangui. "Ma adesso che non c'è più, non hai alcun motivo per restare morto. Torna da me, Merlin". Allungò il collo, baciò le sue palpebre e la sua fronte. "Ti prego, torna da me".

In un momento imprecisato, posto tra quella supplica mormorata e l'avanzare del giorno, il sole crebbe e mangiò centimetri di pavimento. Ad un certo punto Charles ne sentì il calore avvolgergli la schiena e lo vide carezzare silenziosamente il volto di Merlin. Si chiese se il suo calore sarebbe riuscito a scaldare quella pelle fredda e pallida come lui non era stato in grado di fare.

Toccò la guancia di Merlin, guidato da quello stesso pensiero.

La pelle era piacevolmente calda.

Il sole aveva spazzato via il pallore.

Poi, i suoi occhi si aprirono.












NOTE DELL'AUTORE: Oh my God! Dai, andiamo, non dite che non ve lo aspettavate. Lo so che sono smielata e scontata come una bamboccia, ma non ci posso fare niente, è più forte di me. Ci sono voluti diciannove capitoli, ragazzi. Diciannove capitoli affinché questi disgraziati si ritrovassero ed il male venisse sconfitto. Sono un'infinità di capitoli, come avrei potuto in tutta onestà uccidere il povero Merlo? Ma dai. Mica mi chiamo Giorgio Martino, no? E poi non hanno sofferto solo solo. Avete sofferto anche voi, avete atteso, avete avuto pazienza, avete sperato, avete avuto fiducia in me ed in loro... non potevo non ricompensarvi. Che dire? Ci vediamo con il prossimo ed ultimo capitolo :) ce la farete a pazientare un'altra, ultima settimana? Spero di sì... stay tuned!


Asfo


p.s. Sto giro vi ho messo anche la track con la quale accompagnare la lettura del capitolo! Non sono magnanima e generosa? u_u

p.p.s. Per chi non avesse capito cosa è successo nell'effettivo ed il perché le Disir abbiano insistito tanto a chiamare Merlin sempre con l'appellativo di 'Il Mago'... me lo faccia sapere! Spiegherò tutto a tutti :D

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Capitolo 20
*** L'era mortale ***


VENTESIMO CAPITOLO

20. L'era mortale

circa un anno dopo...



Londra, Gunnersbury, 10 settembre 2021

Tarda mattina


"... e ora passiamo alla politica. Questa mattina, il Presidente dell'associazione Carrow's Legacy, Alecto Jones, ha partecipato ad una conferenza stampa nella quale ha dichiarato che i lavori di ristrutturazione per la rinascita del territorio e le leggi volte all'introduzione di norme che tutelino i soggetti iperumani procedono con regolarità ed ha anticipato che il completamento degli interventi in Winchester dovrebbe raggiungere il termine per la fine del mese di novembre. Ecco un estratto dell'intervista-"

Charles afferrò il telecomando ed alzò il volume nell'esatto momento in cui lo schermo del televisore gli propinò l'immagine di un'Alecto fasciata da un sobrio abito azzurro, con i capelli biondi severamente legati in uno chignon.

"Grazie per essere qui presenti. Durante i mesi che sono trascorsi dalla fine dell'attacco, la Carrow's Legacy è giunta a vantare un numero di iscritti pari a millecinquecentosessanta. Gli effetti positivi della nascita di questa associazione, è evidente, hanno avuto ripercussioni sia sulla comunità dei soggetti iperumani - che nella CL hanno potuto trovare uno sportello informativo, un aiuto ed un porto di accoglienza -, sia sulla situazione precaria in cui l'Inghilterra era crollata a causa delle devastazioni. Il numero sempre maggiore di iperumani che si iscrivono al registro dell'associazione ed a quello ministeriale, ci ha permesso di organizzare squadre di volontari che, in tal senso, hanno potuto affiancare già l'ottimo lavoro svolto dalle autorità locali e nazionali, rafforzando gli interventi e velocizzando i lavori grazie alla magia".

Charles si mise seduto e lanciò il cuscino del divano accanto a sé, continuando a guardare il televisore.

"Il processo riguardante la creazione di leggi volte alla tutela dei soggetti umani ed iperumani che ci possano far auspicare ad una convivenza sociale sana ed educativa è, per ovvie ragioni, lungo e complicato, ma le persone incaricate del progetto sono competenti e motivate a raggiungere un risultato entro i primi mesi del prossimo anno".

"A tal proposito" intervenne un giornalista, "Cosa ci può dire delle ultime statistiche mostranti un'opinione comune contraria e razzista nei riguardi della classe iperumana?"

Alecto sorrise. "Grazie per la domanda e, mi perdoni per questo, credo la sfrutterò anche per fare nuovamente un annuncio. Generalmente, per natura, le persone tendono ad avere paura di ciò che non conoscono ed io non posso biasimare né pretendere di cambiare un atteggiamento che è insito nell'essere umano. Proprio per questo, invito tutti coloro che hanno domande, dubbi e sì, anche paure, a rivolgersi ad uno degli sportelli CL che tutt'ora stanno aprendo i battenti in vari punti di Inghilterra. La sede centrale è a Londra, come tutti ben sapete, ma ogni dislocamento sarà altrettanto preparato ed attento ad ogni vostra perplessità. Parlo con tutti voi che state ascoltando in questo momento, umani ed iperumani: venite da noi. Cercateci, fateci delle domande, osservateci. Ma sopratutto: conosceteci. La parola iper, senza umano, non vuol dire niente. La paura non ha ragione di esistere. Convivenza e collaborazione sono le parole chiave che da oggi in poi spero potranno governare le vite di tutti noi. La Carrow's Legacy è completamente aperta a qualsiasi tipo di dialogo, purché costruttivo". Alecto fece una pausa, trattenne il respiro e, per la prima volta, guardò dritto in telecamera, come se quello le costasse tutto il coraggio di cui era capace. "Non siamo una minaccia. Non siamo contro di voi. Siamo con voi".


Charles estrasse il cellulare dalla tasca dei jeans, aprì la rubrica e la fece scorrere sino a che non trovò quello che evidentemente stava cercando. Pigiò sullo schermo ed avvicinò il cellulare all'orecchio. Arrivò ad udire sino a quattro squilli, prima di ricevere una risposta.

"Pronto?"

"Ehilà, bionda" esclamò allora, mentre un sorriso gli tendeva le labbra. "Carino il vestito azzurro. Certo che un sorriso avrebbe migliorato l'immagine generale..."

"Lascia perdere" disse a quel punto Alecto, con un tono teso. "Si è visto che stavo lì lì per vomitare? Queste cose mi mettono sempre un'ansia tremenda".

"Ma non mi dire" ribatté sarcasticamente lui. "Hai guardato ovunque tranne che in telecamera. Cioè, alla fine l'hai fatto, ma sembrava che qualcuno ti stesse puntando una pistola addosso".

"Tanto lo sento, che lo trovi divertente".

Charles ridacchiò, senza neanche provare a dire il contrario.

"Mi hai chiamata soltanto per sfottermi o per dirmi che il pranzo salta perché hai bruciato tutto?"

"Solo per punzecchiarti un po'. Perché, nel caso in cui io ti conoscessi bene, saprei che te la staresti ancora facendo addosso, nonostante l'intervista tu l'abbia fatta più di due ore fa. Fortuna vuole che io non ti conosca affatto".

"Carini i tuoi metodi per tranquillizzare la gente. Perché tradotto, è questo che volevi dire".

"Bé, con te hanno sempre funzionato. E per la cronaca, il pranzo non salterà, perché nessuno ha bruciato niente. Se te lo stai chiedendo, non ho cucinato io. Ti aspettiamo per l'una, vedi di essere puntuale altrimenti inizio a mangiare senza di te".

"Merlin non te lo permetterebbe mai!"

"È in giardino a trafficare con non so che cosa, non se ne accorgerebbe nemmeno".

"Allora adesso attacco, lo chiamo e faccio la spia!"

Charles guardò fisso nel vuoto.

"Sei una piccola stronzetta manipolatrice".

Alecto rise di gusto.

"È vero. Ci vediamo dopo!"

"A dopo e ricordati il vino. Abbiamo fatto la spesa, ma ce lo siamo dimenticato".

"Sarà fatto!"


Quando Charles uscì in giardino e chiuse dietro di sé la porta di casa, fu costretto a coprirsi gli occhi con una mano a causa del sole abbagliante. Sbatté le palpebre più volte, aspettando che i suoi occhi si abituassero a tutta quella quantità di luce improvvisa; come al solito, oltre la cancellata che delimitava la sua proprietà, allo sguardo gli si presentò l'oramai familiare spettacolo di tutto il suo vicinato che, affiancato da quelli definiti ufficialmente da tutti iperumani, si prodigava a ristrutturare le ultime abitazioni. Di lavori da fare ne erano rimasti pochi, la magia aveva davvero enormemente velocizzato la ricrescita e Charles quasi non ricordava più come erano le case che prima avevano preceduto le nuove costruzioni. Ognuno ne aveva approfittato per apportare migliorie a proprio piacimento e lo Stato aveva chiuso un occhio su questo, per aiutare il popolo inglese ad affrontare meglio il trauma che aveva subito.

I suoi occhi azzurri scivolarono due case più in là, dove la famiglia Clapton si era chiusa in una bolla di ribellione ed aveva rifiutato qualsiasi intervento che avesse potuto avere a che fare con la magia: a causa dell'Estate di Fuoco - così i giornalisti si riferivano al periodo degli attacchi -, i Clapton avevano perso la loro bambina; Charles cercò di ricordare il viso di Faith Clapton, che dall'alto dei suoi sette anni, all'inizio dell'anno precedente, gli aveva lasciato nella cassetta della posta una lettera d'amore piena di glitter e di cuoricini.

Stirò le labbra in un sorriso amaro, sentendo il sapore della tristezza sulla lingua come la stesse masticando da sempre. Si chiese quante Famiglie Clapton ci fossero in giro per l'Inghilterra in quel momento: gente che aveva perso tutto, che non avrebbe mai accettato la magia o che addirittura avrebbe aizzato le folle contro gli iperumani per le più disparate e disperate ragioni.

Era certo però di non voler conoscere la risposta.

Scese i tre gradini che si trovavano davanti la porta e percorse il vialetto circumnavigante la casa, dirigendosi verso il retro; nell'accorciare le distanze, iniziò a distinguere il rumore di quelle che sembravano forbici. Charles infilò le mani nei jeans chiari che indossava e svoltò l'angolo in tutta calma, sostando con i piedi al limitare del prato; all'angolo più estremo del giardino, vicino il muro di pietra, Merlin stava trafficando con quelle che effettivamente erano cesoie; un sorriso gli nacque spontaneamente sul volto e dimentico del motivo per il quale era uscito di casa, si perse ad osservare con aria assorta i capelli scuri di Merlin baciati dal sole di fine estate, spettinati come sempre ed incapaci di nascondere le ridicole orecchie.

Dandogli la schiena, il moro non si accorse di essere osservato e passò il dorso della mano sulla fronte, asciugando il sudore. Anche la maglietta azzurra che indossava era umida, tant'è che in certi punti gli aderiva addosso quasi come una seconda pelle.

A Charles sarebbe bastato chiudere gli occhi, per sapere cosa ci fosse esattamente sotto quella maglietta. Aveva toccato e baciato ogni centimetro di quel corpo così tante volte che avrebbe potuto andare anche solo ad istinto, per sapere dove mettere la bocca.

Il sapore della tristezza per Faith, sulla lingua, fu sostituito da quello della pelle di Merlin.

Guardandolo pensò a come, in certi momenti, il sentimento di possessione era così sconvolgente da lasciarlo stordito. Aveva lottato così tanto per averlo lì con lui, in quella casa, in quel giardino, in quell'attimo d'estate assolata che faceva sembrare i suoi capelli di una tonalità scura molto più calda...

Non poteva farci niente. Sapeva che Merlin non era un oggetto, sapeva che odiava essere considerato come tale, ma, davvero... non poteva farci niente.

Per Charles, Merlin era semplicemente suo.

Se l'era conquistato sputando sudore e sangue, lacrime e dolore. Non l'avrebbe lasciato andare da nessuna parte. Era suo, lo era sempre stato, sin dai tempi di Camelot.

Attratto da lui come una falena è attratta dalla luce, Charles calpestò l'erba per raggiungerlo; quando fu a poco meno di cinque metri, l'altro sentì i suoi passi e si voltò verso di lui. Le sue pupille erano così piccole che parevano essere state inghiottite da un mare di blu.

"Ehi" esclamò Merlin con tranquillità, tornando poi a trafficare con le cesoie. Charles inspirò con lentezza e guardò il piccolo albero messo all'angolo.

"Sta crescendo bene" commentò, osservando il perfetto lavoro di potatura portato avanti dal moro, che annuì.

"Una serie di fortunati eventi" disse quello, lasciando cadere le forbici sull'erba e chinandosi a prendere del mastice. "A partire da una discreta presenza di calcare nel terreno, cosa davvero molto rara da queste parti. Gli ulivi non crescono bene lontano dalla costa, perciò era fondamentale che in giardino ce ne fosse in buona quantità".

Charles lo osservò applicare il mastice in punti strategici del tronco e dei rami.

"Questo te l'hanno insegnato al vivaio?" domandò, incrociando le braccia. Senza guardarlo, Merlin annuì di nuovo.

"Anche se Gaius mi ha insegnato molte cose sulle piante, diciamo che alberi come l'ulivo non rientrano tra le mie specialità".

Charles abbozzò un sorriso, anche se l'altro non lo stava guardando. “Ho sentito Alecto al telefono. Le ho ricordato di prendere il vino”.

Ah, bravo, me l'ero già dimenticato. Comunque, per restare in tema, sua madre ieri mi ha mandato di nuovo un messaggio. Prima o poi Alecto dovrà decidersi a parlarle”.

Lui si strinse nelle spalle. “Non lo so. Non so cosa avrei fatto io, nei suoi panni. Ma finché resterà intenzionata a non vederla né sentirla, è ovvio che sua madre continuerà a cercare noi per tentare di avere contatti con la figlia. Siamo le persone a lei più vicine”.

Mh” mugugnò il moro, “È molto cambiata in questi mesi. È maturata. Io credo che ora riuscirebbe a gestire bene i rapporti con la sua famiglia. Un po' meno, forse, quelli con i suoi sensi di colpa... ma sono l'ultima persona sulla faccia della terra che può fare una considerazione del genere”.

Charles lo guardò attentamente, ma non disse niente. Era un qualcosa su cui, lo sapeva, non avrebbero mai smesso di lavorare. Ma lui era pronto a farlo.

Decise comunque di cambiare discorso e schioccando la lingua sul palato, annunciò: “Ho deciso che quando finirò gli studi di economia, apriremo un vivaio”.

Merlin si mise a ridere e gli lanciò uno sguardo divertito. “Quello è il mio obiettivo, non il tuo” commentò con un sorrisetto da schiaffi.

Tu devi guardare il quadro nell'insieme” rispose allora il biondo, allargando le braccia. “Il mio destino è diventare un imprenditore come mio padre. Se non lo facessi gli prenderebbe un colpo secco, lo conosci. Ma deciderò io, in cosa investire i miei soldi. Se ci tiene, mi occuperò delle sue attività come extra, ma nel mio progetto ideale ci sarà anche un vivaio. L'ho sognato stanotte. Quindi sbrigati a finire questo benedetto stage”.

Ah, ecco perché ti agitavi tanto e borbottavi cose senza senso” esclamò l'altro, con un tono da presa in giro. “Non lo devi fare per me, comunque” aggiunse poi, quietamente. “Non voglio che rinunci a fare ciò che vuoi davvero. Lo troverò da solo, un modo per arrivare dove intendo arrivare. Ma qualsiasi cosa sceglierai di fare tu, io ci sarò. Non vado da nessuna parte. Lo sai...?” tentennò sulle ultime parole, indeciso se renderle un'affermazione oppure una domanda.

Si guardarono nello stesso momento, facendo scorrere gli occhi l'uno sul viso dell'altro, imprimendo ogni singolo dettaglio.

Lo so? Pensò Charles, la fronte contratta in un'emozione di paura che non sarebbe mai andata via del tutto. Gli occhi completamente blu di Merlin, però, gli dissero certo che lo sai. E allora capì che era giunto il momento di sdrammatizzare.

Smettila di sentirti al centro del mio universo, idiota egocentrico. Voglio aprire un vivaio per avere una piantagione di ulivi tutta mia, non lo faccio mica per te” e così il moro rise.

Trascorsero cinque silenziosi minuti, durante i quali Merlin terminò di tamponare le dispersioni di liquidi e poi, con un sacco ed una paletta, iniziò a lasciar cadere della polvere di azomite intorno al terriccio del tronco.

"Perché non prendi quello e ne spruzzi un po' sulle foglie?" disse ad un certo punto, indicando un prodotto che era poggiato a terra poco distante, vicino il muro di pietra. Charles seguì la direzione del suo dito e si mosse, raccogliendo quello che era ossicloruro di rame.

"A che cosa serve?" domandò, togliendo il tappo per iniziare a spruzzarlo sulle foglie con cautela. Merlin ripose la paletta nel sacco e si alzò, spazzolando le mani sui jeans.

"Gli ulivi soffrono molto il freddo. Quello serve a rinforzarne le foglie. Non siamo in un paese mediterraneo, sai. Dobbiamo aiutarlo".

Charles emise uno sbuffo. "Ma va? Non me ne ero accorto".

Merlin arricciò le labbra in un sorrisetto da figlio di buona donna e poi si strinse nelle spalle, quasi scusandosi: era un perenne ossimoro vivente e Charles non avrebbe mai finito di stupirsene.

"Non potrà mai sostituire l'ulivo di tua madre(1), ma sai... volevo solo..."

Lo guardò per un brevissimo secondo, prima di riportare gli occhi verso il basso. Infilò le mani nelle tasche posteriori dei jeans e voltò la testa dall'altra parte, come cercando un pretesto per cambiare argomento.

Charles lo guardò con una certa intensità. Mise il tappo all'ossicloruro di rame ed allungò una mano, toccando la fronte sudata di Merlin; l'altro sobbalzò impercettibilmente, preso in contro piede da quel contatto, ma lasciò che Charles gli spostasse la frangia umida dalla fronte con una delicatezza che lo fece sentire vulnerabile, sebbene non lo fosse per niente.

"Andrà benissimo, Merlin" mormorò molto chiaramente, lasciando scivolare la mano dietro la sua testa, finché le dita non si ancorarono sulla pelle umida del collo, resa bollente dal sole. "Questa era una cosa che le piaceva fare. Ed il fatto che la faccia anche tu, è come se la riportasse un po' in vita ogni volta. Quindi, credimi. Va davvero bene".

Merlin si arrischiò ad alzare gli occhi per guardarlo in viso e quando Charles incontrò il suo sguardo, si sporse in avanti per baciarlo, come avesse atteso solo quel pretesto per farlo. Premette ancora di più le dita sul suo collo per avvicinarlo a sé e con una familiarità che faceva dolere il cuore, poggiò la bocca sulla sua. Merlin tolse le mani dalle tasche e le fece aderire ai lati del collo di Charles, muovendo con deliziosa pigrizia le labbra contro quelle dell'altro. Ogni volta che accadeva, ogni volta che si baciavano, era come se il tempo fosse un concetto astratto: non erano più Merlin e Charles o Merlin ed Arthur, erano semplicemente due ragazzi che si amavano e che avevano bisogno soltanto di quello.

Charles sapeva di latte e caffè e delle fette biscottate alla marmellata che mangiava ogni mattina. La sua pelle sapeva di sole, i suoi capelli di grano e la sua presenza di miraggio.

C'erano notti in cui Merlin ancora si svegliava sudato fradicio ed in preda al panico, con il terrore di aver sognato tutto, di essere ancora un vecchio scorbutico abbandonato a se stesso; così si toccava la faccia e scopriva che non c'era la barba. Si voltava alla sua destra e scopriva che accanto a lui, così vicino!, c'era un corpo caldo assopito tra le sue stesse lenzuola.

Eppure non bastava, non bastava mai.

A quel punto Merlin svegliava sempre Charles, lo toccava, lo baciava sugli occhi e sulla bocca e poi se ne stava in silenzio ad osservarlo, come temendo che se si fosse addormentato, non l'avrebbe visto più.

Allora Charles si girava e lo stringeva a sé, imponendogli la sua presenza almeno fino a quando la tensione non abbandonava un po' le spalle contratte di Merlin e poi si alzava per andare a preparargli una di quelle tisane che gli piacevano tanto.

Era così che il biondo aveva iniziato a guarirlo da quelle tremendi nottate - nottate che, durante il passare del tempo, avevano iniziato a verificarsi con sempre meno frequenza. In realtà non era soltanto la paura di risvegliarsi nell'incubo in cui l'altra metà di sé l'aveva tenuto prigioniero per settimane, ad agitarlo: i sensi di colpa, quegli stessi sensi di colpa di cui aveva parlato ad Arthur nella radura assolata del suo inconscio, si erano fatti strada dentro di lui con la devastante forza di un uragano. C'erano volte in cui Merlin si ritrovava a boccheggiare, schiacciato dal peso di tutte le persone che erano morte solo perché lui era stato un debole vecchio incapace di controllare la sua magia, incapace di impedire che prendesse il sopravvento su di lui.

D'altra parte, c'erano volte in cui Charles smetteva di respirare senza neanche rendersene conto: il terrore che Merlin potesse decidere di fare una sciocchezza quando lui non fosse stato presente, lo accompagnava ad ogni ora del giorno e della notte. I primi tempi, Charles non l'aveva perso di vista un secondo; addirittura, quando Merlin aveva avuto bisogno del bagno, lui si era seduto a terra con la schiena appoggiata contro la porta, attendendo che uscisse e guardando l'orologio per tenere il conto del tempo che ci impiegava, pronto a fare irruzione se fosse stato necessario.

Due diversi tipi di paure avevano governato le loro vite per un po' fino a quando, insieme, non avevano trovato una sorta di equilibrio. Per Charles certe volte era ancora difficile lasciare Merlin da solo, perché sapeva che non era guarito del tutto e probabilmente non lo sarebbe stato mai. Eppure, ogni volta che l'altro si sentiva schiacciare dal dolore e dai rimorsi, ogni volta che gli mancava il respiro o si ritrovava a fissare la parete vuota un minuto di troppo, non aveva mai esitato ad alzarsi per andare a cercare Charles, per far sì che lui lo potesse salvare da se stesso.

Nella radura, poco prima del loro primo incontro, aveva confessato ad Arthur che non credeva sarebbe riuscito a convivere con il peso di tutte le sue colpe, nel remoto caso in cui Emrys fosse stato sconfitto. Ma a quel tempo, Merlin non aveva ancora fatto i conti con la potenza sconcertante dei sentimenti di Charles e dei suoi.

Ce la stava mettendo davvero tutta. Voleva imparare a convivere con quello che aveva fatto, voleva prendersi le sue responsabilità, voleva accettare la sofferenza che un po' lo mordeva ogni giorno, ma ora voleva farlo accanto a Charles. Non aveva intenzione di cedere il passo alla tristezza ed all'apatia; egoisticamente, anelava ancora a vivere una vita con la persona che aveva atteso per più di mille anni e non c'era niente, niente che gli avrebbe impedito di prendersi quello che forse non si meritava.

Charles lo rendeva egoista, ma a lui non importava. Una volta Alecto gli aveva detto che non si trattava di egoismo, ma di amore.

Il risultato, per lui, non cambiava. Fin quando Charles sarebbe stato lì a sollevarlo ogniqualvolta la disperazione l'avesse spinto giù, sarebbe andato tutto bene.

Durante una delle sue prime crisi, accaduta nel bel mezzo della notte, Charles l'aveva abbracciato e gli aveva sussurrato tra i capelli sudati che lui era lì, che era reale e che si sarebbe preso cura di lui. Merlin aveva pensato che non ci sarebbe stato un modo o posto migliore per morire, se proprio doveva succedere, e dopo aver incastrato la testa sotto il mento di Charles, aveva sussurrato direttamente sulla pelle calda del suo collo: non ti ho guardato il giorno in cui sei venuto da me, perché avevo paura che poi non sarei riuscito a farlo. Se ti avessi guardato, se ti avessi guardato... non sarei riuscito ad usare Excalibur, ma era necessario che lo facessi. Capisci che effetto mi fai? Non essere arrabbiato con me. Mi basta guardarti per non essere più sicuro di niente.

Charles aveva smesso di accarezzargli i capelli. Poi, nel buio, la sua bocca era finita su quella dell'altro con rabbia, il ricordo di ciò che aveva provato stampato a fuoco contro le palpebre chiuse: "Ti uccidi davanti a me. E non mi guardi. Non mi guardi nemmeno una cazzo di volta".

Il calore cocente che tra di loro era aumentato come una bolla fatta di tremiti, li aveva portati a fare l'amore per la prima volta. Affondare in Merlin era stato come prendere un enorme ed appagante respiro dopo un'apnea durata un millennio, come non avessero aspettato altro dai tempi di Camelot.

Merlin aveva realizzato, invece, che il prezzo pagato per le sue azioni non gli era mai parso così giusto.

Cosa avrebbe mai potuto farsene della magia, senza avere quello? La bocca calda di Charles sul collo, la libertà di potergli passare le dita lungo la spina dorsale, il suo bacino incastrato perfettamente tra le cosce tese.

Chi aveva bisogno della magia, quando aveva lui? La prospettiva di vivere una vita normale e di invecchiare come una persona qualunque, l'aveva riempito di gioia nello stesso istante in cui Charles l'aveva riempito di sé.

Merlin il Mortale. Suonava così maledettamente bene, come il gemito lieve e sottile che gli aveva riempito le orecchie alla fine e l'inizio di tutto, quando la bolla fatta di tremiti era esplosa in mille gocce colorate. Merlin il Mortale, che sarebbe vissuto ed invecchiato insieme all'unica persona con la quale sarebbe voluto morire.

Che tale perfezione.

Quando Charles abbandonò le sue labbra, Merlin tornò nel giardino dietro casa loro, casa che Alecto stessa aveva aiutato a ricostruire. Sbatté le palpebre un paio di volte e sorrise.

"I tuoi tratti sono molto simili a quelli che avevi quando eri Arthur. Eppure... c'è qualcosa di diverso. D'altronde, non so perché mi aspettassi che ti avrei ritrovato perfettamente uguale a come eri a Camelot". L'altro arcuò le sopracciglia con espressione beffarda.

"C'è di diverso che adesso sono meglio, perché mi sono modernizzato. Evviva il duemilaventuno".

Merlin roteò gli occhi verso il cielo e scosse la testa con rassegnazione. "Questo invece non è cambiato per niente" commentò, iniziando a raccogliere tutti i sacchi che aveva utilizzato per riporli nell'armadio da giardino. Charles corrugò la fronte.

"Cosa non è cambiato?"

"Te che fai l'asino".

L'asino in questione lo guardò riporre i sacchi con una faccia oltraggiata e dato che Merlin gli dava le spalle, si perse il sorrisetto sghembo che piegava le sue labbra.

"Come puoi dirmi una cosa del genere? Il fatto che abbiamo deciso di non installare una gogna in giardino per non spaventare i vicini, non dovrebbe farti sentire sicuro abbastanza da ferire i miei sentimenti".

Merlin rise. "Sono sicuro che troverai un altro modo per vendicarti. Ma sappi che anche io so essere molto creativo".

Charles fece una smorfia. "Sì, lo so. Se iniziassi questa battaglia non la finiremmo più per il resto dei nostri giorni".

L'altro si voltò per guardarlo. "Sento puzza di qualcuno che ha paura di perdere la guerra".

"Stai attento a quello che dici, Merlin. Ho una miriade di videogiochi terminati alle spalle, che hanno contribuito a rendere molto creativo me. Potrei sorprenderti".

"Mmh" mugugnò di rimando il moro, "Questa cosa mi intriga" commentò, facendo scattare le cesoie, prima di metterle nell'armadio di alluminio insieme al resto.

Charles arricciò le labbra, tentando di non cedere alla voglia di sorridere. "A proposito di roba intrigante, c'è una cosa che volevo chiederti da un pezzo, ma poi finisco sempre con il dimenticarmene".

"Sarebbe?" chiese Merlin, chiudendo le ante con una chiave.

"Da come mi era stata raccontata la situazione da Hester, avevo capito che soltanto io avrei potuto usare Excalibur su di te..." il suo tono si fece via via più cauto; non era un argomento tabù, tutti e due avevano deciso di comune accordo che parlarne spesso e liberamente li avrebbe aiutati entrambi a superare il trauma più velocemente, eppure non potevano fare a meno di approcciarsi alla questione con una sorta di cautela. "...Invece sei stato tu a farlo al posto mio. Com'è possibile?"

Merlin sospirò, mise la chiave in tasca e si girò nuovamente verso di lui. Socchiuse gli occhi a causa del sole.

"Devi sapere che quando degli esseri magici potenti ti parlano, fanno molta attenzione alle parole che decidono di utilizzare".

Charles annuì, ricordando il modo in cui le Disir avevano insistito a sottolineare Merlin Il Mago, intendendo che la sua parte magica sarebbe dovuta morire per lasciar vivere semplicemente il suo lato mortale.

Certo che se avessero parlato chiaro sin dall'inizio... pensò, con un lampo di fastidio che gli fece stringere le labbra insieme.

"Quindi, le occasioni in cui ad entrambi è stato detto e ripetuto che siamo due facce della stessa medaglia... non sono casuali. Tra me e te... c'è una sorta di connessione che neppure io sono mai riuscito a spiegare. In verità, quando ho deciso di fare quello che ho fatto... non ero sicuro che avrebbe funzionato. Ho solo deciso di seguire il mio istinto ed anche un po' di logica, a dire la verità. Se siamo due facce della stessa medaglia, avrebbe dovuto voler dire che quello che puoi fare tu, posso farlo anche io. E così in effetti è stato".

Aveva senso, dovette ammettere Charles controvoglia. Non avrebbe comunque potuto fare niente per fermarlo. Si ritrovò così ad annuire con rassegnazione e sospirò pesantemente, prima di guardare l'orologio da polso. "È tardi" constatò stupito; "Vado ad infornare il pollo e comincio ad apparecchiare. Non provare ad entrare in casa con le scarpe piene di terra o ti ammazzo".

Merlin arcuò le sopracciglia e piantò le mani sui fianchi. "Sì mamma" e dopo qualche attimo di silenzio, aggiunse: "Non posso credere che tu sappia in effetti cucinare. È- è sconvolgente, sul serio. Non mi abituerò mai a questo".

"Tsk... e mi riesce anche maledettamente bene!" disse Charles, che gonfiò il petto come un pavone, ammiccò un paio di volte e fece per dirigersi verso la porta di casa. Dopo qualche passo, la voce di Merlin lo fermò al limitare del prato.

"Una volta, prima che tu arrivassi da me, mi hai detto che non ci sarebbe stato più niente che avrei dovuto sopportare o combattere da solo. Bé, lo sai che per te vale lo stesso, vero?" abbassò lo sguardo quando Charles si voltò verso di lui. "Voglio che tu abbia bisogno di me come io ne ho di te" continuò con un tono più sommesso, ma senza l'ombra di incertezza - solo un velo di imbarazzo. Dopo qualche attimo, quando capì che non avrebbe ricevuto nessuna risposta, si arrischiò a lanciare un'occhiatina verso di lui: vide che l'altro aveva allungato la mano in sua direzione e stava solo aspettando che lui l'afferrasse.

"Se vuoi" iniziò Charles, il tono serio come lo sguardo, in netto contrasto con il significato apparente delle sue parole, "Puoi aiutarmi a mettere piatti e bicchieri".

Merlin, afferrando la sua mano dopo i primi istanti di smarrimento, rispose piano al suo sorriso.

Ed entrò in casa con le scarpe sporche di terra.












NOTE DELL'AUTORE: ecco qua. Il parto è avvenuto e adesso possiamo andarcene tutti in pace. Che dire? Ecco un'altra avventura che giunge alla sua conclusione. Non so quali parole usare per ringraziare tutti quelli che l'hanno commentata, che l'hanno aggiunta nelle varie categorie o che l'hanno semplicemente letta e basta. Tutti avete avuto un ruolo, dal primo all'ultimo e se ora siamo qui, all'ultimo capitolo, è sopratutto grazie a voi. Questa storia esce un po' fuori dai classici schemi, ne sono consapevole, perciò grazie per la vostra fiducia e la vostra pazienza. Spero sinceramente di non aver deluso nessuno. Grazie anche a Mimiwtich, che mi ha aiutato moltissimo con il betaggio di parecchi capitoli: sei stata very precious! Non so quando e se ci rivedremo su questi schermi, quindi per il momento vi lascio con un sorriso e con l'unica promessa che, prima o poi, un'altra storia verrà alla luce. Stay strong!


(1)Nel primo capitolo, Charles vede bruciare l'ultimo ricordo che ha di sua madre e cioè l'ulivo che lei stessa aveva piantato in giardino. L'evento l'ha sconvolto più di quanto sarebbe disposto ad ammettere.


Mega baci bavosi,

Asfo

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