BlauRegin – Pioggia blu di Elsker (/viewuser.php?uid=204498)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 2. Capitolo uno ***
Capitolo 3: *** 3. Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** 4. Capitolo tre ***
Capitolo 5: *** 5. Epilogo ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
1. Prologo
A
Lutea Eos e a Scarlett_Brooks_39
Questo
fiore dai petali colorati nelle tonalità del blu, lavanda, rosa,
viola.
Glicine
Prologo
–
È buonissimo! –
commentò Regin mentre mangiava come se non toccasse cibo da giorni,
mesi, anni, secoli.
Le
lacrime minacciarono il loro arrivo nei suoi occhi color viola con
varie sfumature di blu, lavanda e rosa e solcarono il suo candido
viso.
Il
giovane uomo seduto di fronte a lei si alzò dal tavolo, azzerando la
loro distanza in pochi passi. Delicatamente le asciugò le lacrime
con le dita, poi le tolse di mano il piatto ormai quasi del tutto
svuotato dagli spaghetti che aveva preparato per il suo ritorno.
Regin,
seduta, osservava attentamente ogni suo più piccolo movimento,
cercando di memorizzare ogni più insignificante dettaglio che faceva
parte di lui, perché sapeva che quella poteva essere una delle
ultime serate che potevano passare assieme, ovvero l'ultimo giorno
che aveva da vivere.
–
Regin, mangia
lentamente – le disse con un tono dolce e paziente mentre si
abbassava lentamente fino a inginocchiarsi per potersi rispecchiare
in quegli stupendi occhi luminosi.
Lei,
non riuscendo più a trattenersi ancora, buttò le braccia sul collo
del suo ragazzo che continuava a guardarla intensamente negli occhi,
facendolo cadere a terra di schiena.
–
Mi sei mancato.
–
Anche tu, mia cara –
le sussurrò mentre le accarezzava i capelli mori che le arrivavano
fino alla vita.
Regin
alzò il viso dal petto accogliente del suo ragazzo e, trattenendo a
stento le lacrime, allungò tremante una mano per accarezzargli la
faccia come per accertarsi che fosse reale, che fosse lì veramente.
–
Ehi, sono io
davvero! Sono qui e sono reale – bisbigliò lui dolcemente, quasi
leggendole nel pensiero e regalandole uno di quei sorrisi che la
riempivano di calore e affetto.
Regin
fissò a lungo i suoi profondi e scuri occhi colmi di intelligenza e
pazienza e scoppiò finalmente in un forte pianto liberatorio.
Incurante
delle lacrime che solcavano il viso della sua amata e che gli
bagnavano la camicia, l'uomo alzò il capo per unire le sue labbra a
quelle salate dalle lacrime di lei per riscoprire quell'essenza dolce
che solo lei possedeva.
Lei
si avvicinò ancor più a lui come se anche la minima distanza tra
loro la turbasse e approfondì il bacio, mentre le sue dita si
intrecciarono con i morbidi capelli castani del ragazzo.
Regin
alzò gli occhi per posarli su quelli di lui. – Ti amo – gli
disse come se ci fosse il bisogno di farglielo sapere ancora, ancora
e ancora.
Lui
per risposta la attirò ancora più a sé, talmente terrorizzato da
essere incapace di esprimere, quindi di ammettere, l'immenso amore
che lo legava a lei.
Angolino
mio:
Sono
ritornata con una storia senza senso e senza spazio e tempo. U_U
Potete
immaginarla dove volete, anche in un universo parallelo.
Dedico
questa breve storia a Lutea Eos per la sua pazienza e per il suo
esserci sempre. E anche perché riesce a sopportarmi, nonostante sia
passato così tanto tempo. In questa storia c'è molto di mio, ma so di
aver messo anche qualcosa di tuo!
E
dedico anche questa storia a Scarlett_Brooks_ perché è grazie a lei
– che mi ha fatto conoscere il glicine – che ho scritto, che ho
messo su foglio un'idea che avevo da tempo e perché mi ha detto
delle cose bellissime. Grazie di tutto. ç_ç
Questa
storia partecipa al contest “Un fiore per ogni personaggio”.
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Capitolo 2 *** 2. Capitolo uno ***
1. Prologo
I
periodi più favorevoli per piantare il glicine sono l'autunno e
l'inverno, fino a marzo, cercando di evitare le gelate.
I
grappoli che pendono verso il basso in piena fioritura e i rami di
questa vite sembrano abbassare il capo in segno di umiltà, sincero
rispetto, supplica garbata e riflessione religiosa in riferimento a
Buddha.
Il
glicine longevo dalla vitalità vigorosa è
impersonato da una ragazza timida, romantica e travagliata da angosce
d’amore.
Capitolo
uno Pioggia blu
Cinque anni prima
Regin
amava quel ragazzo.
Lo
amava e percepiva tutta l'intensità dell'amore che la investiva ogni
volta che il suo pensiero si indirizzava involontariamente verso di
lui.
Lo
amava, ne era sicura.
Lo
amava nonostante non avesse mai creduto all'amore.
Lo
amava, continuando a sognarlo ogni notte.
Lo
amava, punto.
Peccato
che non sapesse neanche il suo nome.
Peccato
che lo vedesse solamente due volta a settimana.
Peccato
che lui fosse già fidanzato.
Aveva
visto la sua fidanzata. L'aveva vista venire qualche volta con lui.
L'aveva
vista e aveva notato che era una ragazza bellissima nella sua
semplicità.
L'aveva
vista dargli un bacio frettoloso sulle labbra e aveva sentito il suo
cuore spezzarsi.
Ma
non le importava nulla, avrebbe continuato ad amarlo finché il cuore
glielo avesse suggerito, finché... fino a quando non lo sapeva.
Forse un anno, forse due, forse sempre.
Regen
guardò nervosamente l'orologio e, vedendo che erano ormai le
quindici, cominciò a essere impaziente.
Il
ragazzo castano solitamente arrivava alle quattordici e trenta
puntuale come un orologio e invece quel giorno in biblioteca non si
era vista neanche la sua ombra.
Regen
cominciò a dondolare le gambe in segno di agitazione e cercò di
calmarsi concentrando la mente sui ricordi degli ultimi due anni
trascorsi in quella nuova città e della prima volta che aveva visto
quel ragazzo.
Si
era trasferita perché aveva vinto una borsa di studio in
un'università di una città molto lontana da casa, perciò si era
lasciata alle spalle la sua numerosa e rumorosa famiglia che ogni
tanto sentiva attraverso lunghe ma mai noiose chiamate. Nella nuova
città alloggiava presso i dormitori che l'università forniva. Al
primo anno le era andata di lusso, poiché aveva ottenuto una stanza
singola, ma al secondo le era stata assegnata una camera per due
persone. Da un lato si considerava fortunata dato che la sua compagna
di stanza, Nives, era una ragazza simpatica che era diventato subito
una sua buona amica, dall'altro, però, non aveva né il tempo né il
silenzio necessario per concentrarsi nello studio, in particolare
nelle giornate in cui il ragazzo di Nives veniva a cercarla. Per
lasciare un po' di intimità all'amica, ogni venerdì e sabato si
trasportava di mala voglia in una biblioteca, sita in centro, che si
trovava poco lontano dall'università.
Regin
andava a studiare in biblioteca, in una rumorosa saletta di lettura,
solo perché era una ragazza molto disponibile e soleva mettere
l'amicizia – che per lei era ciò di più sacro esistente – prima
di tutto. Oltre ai suoi famigliari, la ragazza aveva lasciato nella
sua città natale anche tanti amici di lunga data con cui ora
chattava ogni sera sui vari social network. Siccome l'amicizia ai
suoi occhi assumeva un valore inestimabile, per non aggiungere la sua
timidezza, Regin non cercava molto le compagne di università né
tanto meno altre conoscenze nella nuova città. Nonostante non avesse
persone che lei riteneva essere suoi amici, non si sentiva affatto
sola, perché, essendo una ragazza molto disponibile e a tratti anche
invadente, aveva fatto diverse conoscenze ed era sempre in compagnia.
Era
sempre pronta ad offrire il suo aiuto anche a persone che non aveva
mai visto prima e, allo stesso modo, a raccogliere informazioni su
tutti quelli che destavano la sua curiosità con uno solo sguardo.
Tutti
tranne uno, perché, a dir la verità, quel ragazzo non le era mai
interessato. Quel ragazzo si era fatto vedere per forza, si era fatto
notare prima che lei potesse capire qualcosa.
***
Regin
stava per appisolarsi sui suoi appunti, così si alzò per dirigersi
in bagno dove avrebbe potuto darsi una risciacquata al viso per
risvegliarsi.
Al
suo ritorno aveva preso una bottiglia di succo di frutta concentrato
alle macchinette. La stava bevendo tranquillamente, appena un attimo
prima che un ragazzo la investisse nella fretta della fuga.
Nell'impatto Regin versò una gran quantità di succo sulla maglia,
sui jeans e anche sulle sue nuove scarpe bianche. E non solo si era
sporcata: nella violenza dello scontro era andata a sbattere contro
uno scaffale di ferro, cadendo a terra.
–
Scusa – urlò il ragazzo prima di
uscire dalla saletta, senza degnarla di uno sguardo.
Infastidita,
Regin si trattene dall'inseguirlo e insultarlo. Guardando
com'erano malconce le sue scarpe, notò che al ragazzo che l'aveva
scontrata era caduta
la felpa che probabilmente
prima era appesa al suo collo, perciò la raccolse dal pavimento e la
usò per pulire sé e, in seguito, il pavimento che non era rimasto
illeso nello scontro.
Dopo
aver finito di sistemare, fu tentata di buttare l'indumento
direttamente nel cestino e lo fece. Solo dopo aver sistemato la sua
roba e abbandonato la saletta ormai deserta, tornò a ripescarla dal
pattume, immensamente dispiaciuta.
Si
vergognò un po' a essere conciata in quel modo mentre aspettava
l'autobus che l'avrebbe riportata all'università. Non si era neanche
portata abbastanza soldi per comprarsi una maglia nuova per coprire
quell'indecenza.
Quando
entrò nella sua camera, sbattendosi dietro teatralmente la porta,
vide che l'amica era decisamente in un momento piuttosto intimo con
il suo ragazzo.
Non
chiese scusa, non fece nessuna osservazione: semplicemente non fece
nulla.
Buttò
nervosamente il suo zaino su una sedia e si chiuse in bagno.
Si
tolse le scarpe e cercò invano di salvarle, maledicendo a voce alta
quel ragazzo che ormai conosceva, almeno di vista, da ormai mezzo
anno.
Muovendosi
qua e là nel bagno si accorse di avere il fianco – con il quale
aveva sbattuto lo scaffale – rosso e capì che presto ci sarebbe
apparso un grosso livido.
Buttò
le scarpe nel pattume, maledicendo ancora più pesantemente quel
ragazzo. Straordinariamente, però, riuscì a salvare i suoi
indumenti. Dopo averli messi a stendere, guardò pensierosa quella
sottile felpa rossa completamente macchiata e dopo qualche attimo era
già lì che la strofinava con forza.
“Dopotutto
non è colpa sua!” continuava a ripetersi, come per spronarsi,
almeno un migliaio di volte nell'intera ora che impiegò a togliere
tutte le macchie dell'indumento.
Nel
momento in cui stese sul balcone la felpa, nella sua mente comparve,
fulminea e chiara come un lampo, l'immagine dell'esile ragazzo che
stava come ogni giorno chino con un'espressione serena sui suoi libri
e al suo cuore mancò un colpo.
Infastidita,
scacciò l'immagine dalla mente e cercò un libro da leggere per
distrarsi.
Il
giorno seguente Regen ritornò in biblioteca come d'abitudine e come
in tutti sabati anche in quello la biblioteca era pressoché deserta,
perciò l'arrivo del ragazzo che il giorno prima aveva popolato i
suoi sogni alle dieci in punto attirò subito la sua attenzione. Notò
che si stava guardando attorno come se stesse cercando qualcosa di
veramente importante e cercò di non badarci, iniziando a leggere gli
appunti presi durante le lezioni della settimana scorsa.
– Buongiorno,
scusa per il
disturbo, volevo solo chiederti se per caso ieri hai trovato un
braccialetto d'argento – una voce dolce e morbida fece destare
Regin dallo studio in cui finalmente si era immersa dopo che aveva
visto il ragazzo castano andare
via subito. La ragazza
avvampò senza un apparente motivo. Si sentiva imbarazzata... ma alzò
comunque timidamente lo sguardo sul sorriso impacciato del castano.
– Eh?
– chiese alquanto sorpresa. Braccialetto? Aveva parlato di un
braccialetto?
–
Ieri me lo sono portato dietro; me lo
ricordo bene, ma a casa non l'ho più trovato così ho pensato che
probabilmente l'ho perso qui e magari qualcuno l'ha raccolto.
– Mi
dispiace, io non ho visto nessun braccialetto ieri – rispose
piatta, cercando di mascherare l'agitazione che la invadeva. Era
davvero dispiaciuta, perché il ragazzo sembrava tenere molto a
quell'oggetto.
– Grazie
per la cortesia e per la disponibilità! – le disse, rivolgendole
un sorriso grato, per poi allontanarsi e porre pazientemente, carico
di attese, la stessa domanda ai pochi che studiavano nella saletta
insolitamente tranquilla.
Quando
Regin tornò all'università, Nives l'avviso che aveva trovato un
braccialetto argento in bagno e le chiese se fosse suo. Lei guardò
incredula quell'oggetto e capì che probabilmente quel ragazzo
l'aveva messo in una delle tasche della felpa e che era caduto mentre
la lavava in bagno.
– Grazie
mille, Nives! – le disse grata, gettandole le mani al collo. –
Oh, figurati! È davvero tuo? Mi sembra maschile... – le fece
notare l'amica, piuttosto fissata con la moda, senza riuscire a
nascondere una smorfia di disappunto.
– No,
non è mio: è di un... amico – sussurrò, ammirando con
un'espressione persa in quel semplice braccialetto con inciso sopra
“Blauregin”. Sorrise ebete: non aveva mai amato tanto il nome
particolare che i genitori, buddisti, le avevano dato.
Nives
quella sera uscì con il suo ragazzo per il loro anniversario e
Regin, approfittandosi del silenzio, andò a sedersi sul balcone per
ammirare il cielo stellato con stampato sul viso un sorriso pieno di
significati.
Blauregen.
Pioggia blu. Questa era il suo nome intero che lei puntualmente
accorciava in Regen. Prima di quel momento, aveva pensato con rabbia
per il significato di Regin: le sarebbe piaciuto un nome più comune,
un nome che nessuno ascoltava con un'espressione stranita.
Seduta
sotto l'immenso cielo stellato, in quella fredda sera di marzo, Regin
pensò a come avesse passato mezzo anno con quel ragazzo senza
neanche accorgersi della sua esistenza.
A prima
vista lo aveva reputato una persona fin troppo... fin troppo... non
sapeva neanche lei trovare il termine: forse giusto, forse
perfetto... e lo aveva scartato subito come persona con cui
approfondire la conoscenza.
Semplice.
Perfetto.
Erano
queste le due parole che gli aveva attribuito subito, ma
dopo sei mesi le parvero
fin troppo superficiali, anche se adatte.
Non le era
mai interessato, nonostante lo avesse trovato molto carino fin da
subito. Lo incontrava due volte la settimana – ovvero ogni venerdì
e ogni sabato – ma la sua presenza era come una delle innumerevoli
sedie del salotto: necessaria, ma non indispensabile.
Era come se
nello scontro avvenuto pochi giorni prima lo avesse visto veramente,
come se avesse aperto gli occhi. Era come se nello scontro lui
avesse impattato con la parte
più interna di lei fino a scombussolare l'anima con il suo
tranquillo mondo.
In
circostanze normali forse era possibile cancellare dal cuore e dalla
mente di Regin la leggera incisione che aveva l'aspetto del ragazzo
della biblioteca, ma quelle in cui si trovava lei non lo erano. Ogni
giorno il suo pensiero volava verso di lui perché il livido sul
fianco, le consuete scarpe nere al posto di quelle che aveva comprato
sotto le insistenze di Nives e che erano costate un patrimonio e il
braccialetto le rievocavano la sua presenza.
Giunto
finalmente venerdì, Regin si diresse in biblioteca con un umore
insolitamente allegro che durò fino a quando – un'ora e mezza più
tardi – arrivò il ragazzo castano. Se prima era contenta al solo
pensiero di vederlo, dopo averlo visto le sembrava di scoppiare per
la felicità .
Lui era
arrivato con la solita espressione serena e gentile che si era mutata
in sorpresa di chi ha trovato una piacevole regalo inaspettato.
Infatti, sulla sedia dove era solito poggiare lo zaino,
aveva trovato il
braccialetto che la settimana precedente aveva cercato ovunque.
Regin
guardò la sua gioia con un sorriso compiaciuto sulle labbra che
nascose prontamente dietro al suo libro d'inglese quando lo
vide guardarsi attorno.
Quando
verso la sera il ragazzo se ne andò lasciando un foglio bianco sul
tavolo, Regin si alzò con disinvoltura dalla sedia come se stesse
andando a buttare della cartaccia nel pattume e, appena accertatasi
della concentrazione nello studio degli altri, raccolse in fretta e
furia il foglio che lesse non appena ritornò al suo posto, con il
cuore a mille. In una grafia semplice e ordinata vi era scritto:
Salve,
chiunque
tu sia ti ringrazio immensamente per avermi restituito il
braccialetto.
In
realtà mi sento uno stupido: non so neanche se leggerai questo
biglietto e se sei un assiduo frequentatore della biblioteca.
Ho
voluto scriverti per farti sapere quanto sia importante per me il
gesto che hai fatto. E perché non potevo non ringraziarti. Ti sono
enormemente debitore perché è un regalo carissimo di mia nonna.
Ti
auguro ogni bene.
Ancora
grazie,
il
proprietario del braccialetto.
– Sono
innamorata – sussurrò semplicemente lei, mettendo il foglio nel
suo quaderno. Da quel giorno in poi l'aveva visto regolarmente
come prima senza mai avere il coraggio di andare oltre a quello che
era l'amore platonico. Anzi, dopo aver scoperto che era fidanzato
aveva cercato anche di non andare più in biblioteca, o almeno non in
quella saletta; inutilmente perché neanche a distanza riusciva ormai
a cancellare quel ragazzo dal suo cuore, così decise che non le
importava.
Lo
avrebbe amato in silenzio, gli sarebbe stata accanto in
quel tempo e lo avrebbe aiutato non appena avesse dato segno di
vacillamento. E così erano volati quasi quattro mesi.
***
Regen
sorrise pensando al braccialetto che il ragazzo teneva sempre al
polso sinistro, sorrise perché era stato tra le sue mani per una
settimana intera.
Mentre
pensava a lui, aspettò, con il cuore carico di aspettative, fino
all'orario di chiusura, quel giorno e altri tre a venire. Aspettò
invano per quattro intere giornate, diventano sempre più triste ogni
volta.
Quel
pomeriggio di fine luglio Regen era più agitata che mai perché era
la sua ultima possibilità di vederlo. Aveva dato il suo ultimo esame
dell'anno a inizio luglio ed era rimasta in quella città fino a quel
momento solo per vedere quel ragazzo.
Regen
guardò nervosamente l'entrata della saletta più e più volte.
Alle
quindici scacciò le lacrime, scocciata. Alle sedici cominciò a
mettere nervosamente in ordine tutti i tomi sull'arte della saletta
mentre cercava di distrarsi.
Alle
diciotto si sedette sulla sedia con un'espressione vuota, incredula.
No, non
poteva credere che sarebbe ritornato a casa senza neanche dare un
nome all'oggetto del suo amore.
No, non
poteva andarsene così senza aveva la garanzia di vederlo ancora.
No, non
poteva perché... semplicemente non poteva.
“La colpa
è tutta mia: perché non mi sono data una mossa? Perché non ho
provato a restituirgli il braccialetto in persona? Perché non ho mai
provato a parargli?”
Sospirò.
Amarlo
l'aveva distrutta.
Amarlo le
aveva spezzato il cuore.
Anzi, erano
la sua timidezza e la sua
paura di un'iniziativa ad averla distrutta.
Anzi, era
perché lui era fidanzato...
Anzi, lei
non avrebbe dovuto chiudersi dentro alle sue mura.
Mentre le
lacrime cominciarono a minacciare il loro arrivo, Regin decise di
smetterla lì. Di andare via. Di uscire da quella saletta. Di
sopportare il pensiero di non vederlo più.
Arrivata
davanti all'enorme atrio della biblioteca si accorse che fuori c'era
un temporale e non se ne sorprese visto che rispecchiava pianamente
il suo stato d'animo.
Frugò a
lungo nella sua borsa e trovò il piccolo ombrello che era solita
portarsi dietro per casi di emergenza come quello.
Spalancò
l'ombrello non appena uscì allo scoperto.
Si guardò
attorno spaesata come per memorizzare ogni dettaglio di quella via
come se non lo
conoscesse già, come se
non sapesse dove andare, e una figura catturò la sua attenzione e la
stessa le fece venire un colpo al cuore.
Era lui.
Era davvero
lui.
Era lì.
Seduto su un gradino davanti alla chiesa che era di fronte a lei.
Era lì.
Sotto la pioggia.
Era lì. E
tremava.
Era lì lui
ed era lì anche lei.
Titubante,
Regen si diresse verso il ragazzo e appena gli fu accanto si sedette
sul gradino bagnato senza curarsene e gli offrì il riparo sotto il
suo ombrello,
Si mise lì
composta, senza guardarlo, perché non c'era bisogno di vedere la sua
figura costretta in una posa dolorosa per capire che soffriva: lo
percepiva dal suo tormento che attraverso quella vicinanza fluiva
violentemente anche a lei.
Regin
tremava e le venne voglia di piangere per lui, piangere ancora e
ancora, lì, accanto a colui che aveva amato silenziosamente per
mesi, al proprietario della felpa che teneva sotto il cuscino.
Ricordava
ancora tutte le volte che stava seduta calma
al suo posto mentre
attendeva l'arrivo del ragazzo con il cuore che batteva fin troppo
forte e con i sensi fin troppo all'erta per ogni piccolo movimento
che avvertiva.
Ricordava
ancora l'irresistibile attrazione che provava verso lui come fosse il
suo sole, nonostante la lontananza e la voglia di andare da lui e
stringerlo in uno stretto abbraccio.
Ricordava
ancora le lacrime che ogni volta minacciavano il loro arrivo perché
il suo essere era troppo tormentato dall'amore che non allentava la
sua morsa neanche un secondo.
Ricordava
ancora l'immobilità che caratterizzava il suo corpo ogni volta che
lui era nei paraggi.
E, ora, la
stessa immobilità la governava, rendendola incapace di avvicinarsi
anche solo un poco verso di
lui, quel poco che le bastava per sfiorarlo.
Non
riusciva neanche ad allungare un braccio per abbracciarlo,
neanche se lui era così
vicino, così vicino che bastava un centimetro per toccarlo.
E accadde.
Lui posò
dapprima il capo sulla spalla di Regen, per poi abbandonarsi
interamente nel dolore coccolato da lei.
Regen in
quel momento si reputava una spettatrice muta e inutile perché non
aveva la minima idea su come aiutarlo, su come alleviare la sua
sofferenza, perciò rimase, ancora una volta, immobile.
Poi allungò
un braccio e cominciò ad accarezzargli lentamente i capelli ormai
intrisi d'acqua e cercò di rendere parte di questo tormento suo.
Non passava
molta gente in quel luogo quella sera piovosa, ma quella poca che
c'era non riusciva a far a meno di dare un'occhiata alla coppia sotto
il cielo scuro, sotto quella pioggia che pareva blu per la luce delle
migliaia lampadine allestite in quella via in occasione di una
particolare festa che caratterizzava quella città e augurare loro i
migliori auspici con il cuore.
Angolino
mio:
Nello
scorso capitolo mi ero dimenticata di dirvi che le frasi che metto a
inizio capitolo sono inerenti a fiore glicine e sono quelle che mi
hanno ispirato questa storia! E che “Regin” significa “pioggia”
e si pronuncia “Rin”. *-*
Spero
che questo capitolo vi sia piaciuto almeno un po'...
Ringrazio
moltissimo Fantasy25, IloveItBaby, _marty e Lady_Wolf_91 per i vostri
commenti e chiunque sia arrivato a leggere fino a qui!
Saluti, Elsker.
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Capitolo 3 *** 3. Capitolo 2 ***
1. Prologo
Si
sviluppa accrescendosi rapidamente con un costante movimento a
spirale in senso orario o antiorario e, in questo, rappresenta la
coscienza dell’uomo che si espande dai centri vitali
dell’interiorità per estendersi a influenzare il mondo esterno.
La
natura del glicine di avvilupparsi al sostegno con vigore e di
propagarsi a ritmo impressionante e quasi invasivo, […] un monito
contro l'amore ossessivo o troppo passionale, di dipendenza esagerata
dall’altro.
La
Ragazza raffigurata diventa infatuata a tal punto dell'uomo che la
guarda attentamente da prendere vita ed uscire fuori dalla tela.
Scrive lettere d’amore, ma non ottiene risposta e, danzando sotto
un glicine frondoso, con un ramo in mano, esprime i sentimenti
profondi che prova per l’amore non corrisposto, accompagnata dalla
musica ‘Nagauta’ ('canto a lungo'). Triste e disperata, rientra
affranta dentro al dipinto, sotto al glicine, alla fine del balletto.
Capitolo
due
Desmond
Quattro
anni prima
– Mi
ha tradito – disse il ragazzo così all'improvviso, che quasi
spaventò se stesso, con una voce dura e piatta, senza alcuna
emozione.
Regin
rimase zitta e, come per dargli segno di proseguire lo sfogo, smise
di accarezzargli i capelli e posò la sua mano sulla spalla di lui.
– Ha
detto che mi amava. Siamo stati insieme per due intensi anni. Siamo
stati in vacanza per due settimane assieme come se fossimo la coppia
più legata e felice del mondo. E oggi l'ho vista davanti alla
biblioteca baciare audacemente un ragazzo. Zitto, mi sono avvicinato
a lei mentre nei suoi occhi scorgevo terrore. Lei ha voltato lo
sguardo da un'altra parte, cercando di portarsi dietro quel tipo,
cercando di scappare da me, dalla sua fedeltà. A quel punto io le ho
posato un braccio sulla spalla e quando il ragazzo che era con lei le
ha chiesto se ci conoscevamo lei ha detto di no, di non avermi mai
visto prima, che forse mi sono sbagliato e mi ha voltato le spalle –
la voce del ragazzo era calma, fin troppo calma e piatta, eppure le
sue parole scorrevano come un fiume in piena. Non c'erano più i
singhiozzi a far tremare il suo corpo: sembrava
tranquillo,
ma a tradire questa apparenza c'erano le calde lacrime che
continuavano a solcare copiose sul suo viso. Regin pensò che
probabilmente quella ragazza l'avesse fatto apposta, perché
sicuramente conosceva gli orari del castano. – L'avevo messa
davanti
a una scelta. Le avevo svelato il mio più oscuro segreto e le avevo
chiesto di scegliere. Le avevo detto tutto perché mi fidavo di lei,
perché pensavo che fosse l'amore della mia vita
ed io il suo
“Ti resterò accanto, qualunque cosa accada” ha sollevato il mio
cuore. Lei poteva scegliere di allontanarsi subito da me, ma mi ha
illuso con il suo finto amore per devastarmi, per distruggermi una
volta per tutte. – Ci sono persone... – osò Regin con la voce
spezzata – persone che non ti farebbero mai del male. – Tu non
capisci. Tu non puoi capire. Fin dalla prima volta che l'ho vista, me
ne sono innamorato. “Oh,
posso eccome.” – Tu non puoi capire, perché sono condannato a
vivere senza amore, a vivere per tutta la mia esistenza con la
solitudine in una casa fredda e abbandonata a se stessa. – Come
ti chiami? – gli chiese in un sussurro. – Desmond. –
Desmond, da ora in poi ti riempirò così tanto di amore che ti parrà
di venire soffocato sotto il suo peso – disse sincera, cercando di
celare, sotto un tono scherzoso, il suo immenso amore.
Desmond
e Regin diventarono amici dopo la sera della pioggia blu. Dapprima fu
Desmond a cercare costantemente Regin, poiché quest'ultima, timida e
insicura, aveva cercato di evitare di stargli accanto perché
reputava quel suo attaccamento l'ostentazione inutile del suo amore
non ricambiato. Lei provava a stargli lontano anche perché aveva
capito che lui non avrebbe neanche mai pensato di poter ricambiare i
suoi sentimenti, nonostante si fosse affezionato a lei subito dopo la
sua sincera dichiarazione.
Non
riusciva a far a meno di lei semplicemente perché lei era la persona
migliore che avesse mai conosciuto: era sincera, umile, onesta e
spontanea in ogni occasione.
Era
quasi passato un anno dal giorno in cui aveva scoperto il tradimento
della sua ex-ragazza e lui viveva ancora solo nel suo appartamento
poco lontano dalla biblioteca, edificio in cui, ora come ora,
trascorreva tutti i momenti che non riusciva a colmare con Regin o
con le lezioni dell'università. Gli piaceva l'atmosfera che
aleggiava nella biblioteca, un posto calmo ove poter avere tutto lo
spazio che si desiderava
e la compagnia necessaria per non impazzire, perché esso era un
luogo intriso dalla
presenza, dal passaggio delle persone così come libri – contenenti
pagine e pagine sfiorate dall'amore e dalla curiosità di numerose
paia di mani che non si
erano mai
toccate tra di esse – che esso custodiva. Inoltre, era anche un
rifugio caldo e illuminato, confortevole e rilassante. Desmond
alzò lo sguardo dal libro in cui era immerso quando udì vibrare il
cellulare. Era la sveglia delle venti e trenta, ovvero l'orario di
ritornare a casa, poiché di estate la biblioteca chiudeva alle
ventuno. Dopo aver sistemato le cose, si alzò malvolentieri e uscì
dalla saletta lentamente. Una volta fuori dalla biblioteca si diresse
verso la sua macchina parcheggiata a un paio di isolati di distanza.
Parcheggiata
l'auto nel garage, Desmond salì al terzo piano per tornare in quella
che era ormai la sua casa da più di cinque
anni.
Chiunque,
a vederlo, avrebbe detto che era fortunato: aveva un appartamento in
buone condizioni posto in una bella zona e una macchina, era il
migliore di tutti i corsi che frequentava e viveva da solo. Già,
viveva da solo ed era questa la nota dolente: lui avrebbe voluto al
suo fianco la sua famiglia, degli amici, ma anni fa si era
allontanato da loro proprio per proteggerli.
Desmond
amava ed era per questo che non poteva essere amato. Condannato a
condurre un'esistenza sola e abbandonata, non poteva avvicinarsi a
nessuno senza la paura di fargli del male.
Tirò
un lungo sospiro stanco mentre si chiuse la porta alle spalle. Buttò
lo zaino sul pavimento e, senza neanche curarsi di accendere la luce,
cercò il divano e si sdraiò sopra.
Si
sentiva pesante. Terribilmente pesante, perché avvertiva
su di
sé un insostenibile senso di solitudine. Si rannicchiò contro se
stesso come se in quella posa potesse essere meno solo.
E
si ritrovò a pensare agli altri ragazzi, a come potevano vivere, a
come potevano amare una persona senza alcun problema. E si ritrovò a
pensare a un se stesso che, incurante dei proprio sentimenti, usciva
a divertirsi. E alla fine pensò a se stesso, quello vero, così
maledettamente consapevole della propria situazione e dell'amore che
riusciva a provare per una persona che un giorno o l'altro, prima o
poi, avrebbe dovuto uccidere. Uccidere in modo lento e consapevole.
Non
se n'era reso conto, ma stava già piangendo, stava versando lacrime
represse da anni ormai.
Non
aveva fiatato, non aveva pianto quando aveva scoperto della sua
maledizione, si era limitato a progettare, a scappare, ad
allontanarsi da coloro che amava, violentato dall'ingiustizia del
destino.
Quando,
passandosi una mano sui capelli, si accorse finalmente di avere il
viso bagnato, Desmond si asciugò frettolosamente e tremante prese il
cellulare.
E
prima ancora di rendersene conto, chiamò Regin. Vedendo il suo nome
sul display, premette immediatamente il tasto di fine chiamata,
consapevole del fatto che la disturbava anche troppo. Regin non era
la sua personale infermiera, né una sua schiavetta: aveva una vita
propria e lui voleva cercare di sottrarle meno tempo possibile, anche
se aveva passato un periodo in cui non riusciva a far a meno di lei,
senza la sua compagnia gradevole e amata, senza l'alone di profumo
che si portava sempre dietro
non poteva proprio stare.
Posò
il cellulare sul bracciolo e si alzò a sedere, promettendosi di non
chiamarla più.
All'improvviso
la luce del lampadario lo accecò per un attimo, costringendolo a
chiudere gli occhi.
– Oh,
scusa: non pensavo fossi a casa! – gli disse Regin piuttosto
mortificata e imbarazzata. Desmond sorrise a ripensare a quando le
aveva dato le chiavi di casa per questioni di comodità e lei gli
aveva detto “Oh, te ne pentirai!”. Lui le aveva risposto che non
poteva saperlo e lei si era limitata a un “Mi conosco bene” e una
scrollata di spalle.
– Tranquilla
tanto prima o poi avrei dovuto accendere la luce, poiché devo ancora
cenare – le sfoderò il migliore dei suoi sorrisi, scacciando ogni
brutto pensiero.
– Non
hai ancora cenato?
– No
e tu?
– Neanch'io
– rispose Regin, osservando la casa come per imprimersi ogni
dettaglio, ma alla fine fu costretta a guardare la parte della stanza
ove vi era Desmond. – Come sei disordinato! – esordì senza
riuscire a controllarsi – Ti avevo detto appena la settimana scorsa
che dovevi mettere assolutamente a posto quel tavolino! E la smetti
di buttare a casaccio il tuo zaino? E poi quand'è l'ultima volta
che hai pulito il pavimento? – Regin si avvicinò al divano,
alzandosi le maniche della felpa pronta a lavorare. – Ora ci penso
io.
Desmond
alzò gli occhi al cielo, sospirando: si era ricordato il motivo per
cui aveva sempre cercato di invitarla il meno possibile a casa sua.
Regin
era sempre disponibile se si trattava di dare una mano, ma a volte
diventava fin troppo invadente fino al punto di mettersi in testa
l'idea di riarredare completamente casa sua.
Desmond
si alzò dal divano e si avvicinò a lei che non riusciva a smettere
di dire un'infinità di cose che non gli interessavano.
Spense
la luce e allungò una mano per afferrarle la vita e portarsela
alla spalla come fosse un sacco di patate.
Regin
si ammutolì come si aspettava: aveva imparato con il tempo che
spiazzarla era l'unico modo per arrestare il suo fiume di parole
senza fine.
– Ti
porto fuori a cena – le disse quasi seccamente. – Devi tornare
nella tua città domani, no?
– Sì,
per questo sono passata a salutarti. Volevo venire direttamente a
cercarti in biblioteca, ma non ho potuto mancare agli impegni di
amica.
– Cos'ha
fatto Nives?
– Il
suo ragazzo l'ha lasciata! – esclamò indignata.
– E
tu sei rimasta con lei per tenerle compagnia e per consolarla... come
l'ha presa?
– No,
affatto: sono andata con lei a cercare il suo ragazzo e qui –
riuscì a malapena a celare un malefico ghigno – c'è stata la
parte più bella! – Regin, a questo punto, scoppiò in una
fragorosa risata che di buono e genuino non aveva nulla.
Desmond
scosse la testa incredulo: Regin a volte riusciva a spiazzarlo
totalmente con il suo impensabile sadismo. – Sentiamo, cos'hai
fatto? – le chiese, mentre la appoggiava a terra, vicino al garage,
sapendo che doveva porre obbligatoriamente quella domanda per la sua
felicità.
Regin
represse a malincuore un'altra ondata di risate diaboliche e iniziò
il suo racconto che durò per tutto il tragitto per arrivare a un
take away orientale ed era talmente assorta che lo finì di narrare
dopo altri venti minuti buoni.
Sebbene
Desmond la ascoltasse distrattamente non riuscì a far a meno di
lasciare dei commenti increduli quanto sentì dirsi che alla fine
avevano lasciato l'ormai ex-ragazzo di Nives in boxer in mezzo a una
strada del centro, lontano da casa sua e senza portafoglio.
– Ricordami
di non fidanzarmi con una tua amica – scherzò lui, trascinato
dalla leggerezza che solo Regin era in grado di portare.
Per
risposta ebbe, però, solo un improvviso mutismo.
– Perché
siamo qui? – Regin parlò solo dopo che lui parcheggiò la macchina
vicino a un lago. – Non sai che hanno messo la pioggia?
– Perché
non me lo hai detto prima? – le chiese sbattendo la testa sul
volante.
– Perché
tu non mi hai detto che volevi venire qui: pensavo che
avremmo cenato
a casa tua.
Desmond
le lanciò uno sguardo terrorizzato immaginandola nella sua cucina
con il lavello colmo fino all'orlo di piatti sporchi.
– Per
adesso il tempo promette bene: approfittiamone! Mangiamo qua! Poi si
vedrà! Se andare o meno a casa mia – in realtà non sapeva
neanche lui il motivo per cui l'aveva portata lì.
– Va
bene – Regin annuì con fare convinta, sorridendogli.
Appena
si chiuse dietro la portiera della macchina nera, Regin lanciò uno
sguardo malinconico al lago blu che risplendeva al massimo della sua
magica bellezza. Davanti a lei vi era un panorama bellissimo, ma
sentiva comunque il cuore distrutto incapace di palpitare per tanta
meraviglia, perché era stanco, era davvero stanco e provato.
– Guarda
ho anche un ombrello! – Desmond gliel'ho mostrò entusiasta. –
Tieni un attimo che prendo la nostra cena e guarda che fortuna! Ho
anche una tovaglia da pic-nic qua! – l'attenzione di Desmond
virò dal bagagliaio
per volgersi a Regin, la quale si stava dirigendo verso il lago come
ipnotizzata, e chiuse la portiera senza proferire parole.
Regin
guardava incantata
il lago
colorato di blu dalle miriade di lampadine accese nella città che
come ogni anno dedicava due settimane alla festa dei colori primari.
Per l'occasione dividevano le città in tre parti, ogni anno in modo
diverso, e in ognuna di essi allestivano potenti lampadine dello
stesso colore.
L'anno
precedente il lago rifletteva completamente il colore rosso e invece
quest'anno il blu.
Regin
si fermò di colpo e si inginocchiò accanto al tronco di una
quercia, appoggiandosi ad essa.
– Toh,
guarda: ci sei tu su quest'albero – osservò Desmond, sedendosi
accanto a lei, guadagnandosi un'occhiataccia.
Regin
risalì a guardare il più alto dei blauregin e pensò che quella
pianta avrebbe schiacciato la quercia sotto il suo invadente peso nel
caso nessuno intervenisse tempestivamente.
– Sai
mia nonna amava i blauregin per questo mi ha regalato questo
braccialetto – le disse Desmond, mostrandole ciò che un anno e
mezzo prima era stato quasi buttato nel pattume da Regin, la quale
guardò il braccialetto con occhi vuoti e persi che poi volsero la
loro attenzione allo sguardo, sereno come al suo solito, del ragazzo.
– Siamo
nel posto sbagliato, sai? – gli chiese, celando a malapena un
sorriso ironico. Alludeva al fatto che in quel luogo, oltre a loro
due, vi erano poche persone ed erano tutte delle coppiette.
Regin
era troppo stanca. Se prima lui era troppo lontano, ora era troppo
vicino: le bastava allungare un braccio per sentire il calore delle
sue pelle
a contatto con la propria,
ma non poteva in alcun modo sfogare in quel loro contatto il suo più
disperato amore, perché lei sapeva che lui era terrorizzato da quel
sentimento.
– Hai
proprio ragione... non so neanche io bene il motivo per cui mi sono
trascinato qui, portandomi te dietro.
Regin
sapeva che più Desmond guardava gli altri stare assieme, senza alcun
timore, più percepiva la solitudine stringergli il cuore.
E,
come lo stesso giorno di un anno fa, Regin si avvicinò di più a
lui, ma questa volta fu lei a poggiare il capo sulla spalla di
Desmond.
– Amare
una persona da vicino è difficile, sai? Vorresti starle lontano, ma
allo stesso tempo desideri starle ancora più vicino... – gli disse
con voce spezzata, lasciando che le lacrime represse da mesi
sgorgassero copiose. – Da un lato è bellissimo starle accanto, ma
dall'altro questo legame ha un che di triste e disperato, perché lui
ha bisogno di me non come io vorrei ed io ho bisogno di lui come lui
non vorrebbe.
Un
lampo illuminò all'improvviso il cielo, facendo sparire per un
istante il riflesso blu dell'acqua.
In
pochi minuti il temporale annunciato arrivò, scacciando tutti dalla
riva di quel lago; tutti eccetto una piccola coppia accoccolata sotto
un ombrello che uno dei due aveva prontamente aperto.
– Io
non posso amare nessuno – sussurrò lui, dopo un tempo che era
parso infinito, con una voce dura, come per imporselo ancora una
volta.
– Invece
puoi! Puoi amare qualcuno che ti darebbe l'anima! Tutta l'anima! –
sbottò Regin, alzandosi come se volesse scappare: odiava i momenti
in cui iniziava a fare il dannato.
Desmond
la imitò, lasciando cadere a terra l'ombrello. – Davvero daresti
l'anima per me? – le chiese, scavando in quegli occhi in cui pareva
esserci una pioggia blu perennemente in un mare di viola e lavanda,
in quegli occhi chiari così luminosi e allo stesso tempo cupi, in
quegli occhi insicuri ma determinati.
– No,
non posso e sai perché? Perché è tua dal giorno in cui sono
innamorata di te!
– Nei
tuoi occhi sembra agitarsi sempre una pioggia magica e incantevole,
perché in ogni istante le varie sfumature sembrano sempre spostarsi.
Io... io... – voleva solo dire che l'amava, ma non ci riuscì.
Dentro di sé sapeva di amarla da tempo, ma aveva sempre cercato di
reprimere il suo profondo sentimento, perché l'avrebbe solo ferita.
Decise
che poteva fare altro invece che farfugliare altre cose senza senso;
si avvicinò ancora di più a lei e unì delicatamente le sue labbra
a quelle di lei che non bramavano altro ormai da tempo.
Unita
in quel bacio tanto intenso quanto inatteso che aveva il sapore della
pioggia, a Regin parve che quell'anno e mezzo passato ad amare
silenziosamente fosse
volato come nulla,
mentre il suo cuore, tornato vigoroso, pareva non voler rallentare
neanche un po' il ritmo.
Angolino
mio:
Desmond
significa “mondo”. All'inizio volevo chiamarlo con un nome che
avesse il significato “semplice”, considerando che questo
aggettivo è parte del suo essere, ma poi ho trovato che mondo fosse
più adatto.
Ringrazio
tutti quelli che hanno inserito nella storia tra le preferite/seguite. :) E
ringrazio Fantasy25! Sappi che è lecito innamorarsi di lui! U_U
Spero
di non avervi deluso!
Saluti,
Elsker.
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Capitolo 4 *** 4. Capitolo tre ***
1. Prologo
Come
la maggior parte delle viti, il glicine può diffondersi in modo
quasi invasivo e diventare così distruttivo fino ad abbattere
edifici e tralicci con il gravare del suo peso.
Il
fiore del glicine diventa il simbolo della luminosità e della
caducità dell’esistenza: tutto muta continuamente, in ogni
momento, con il trascorrere del tempo, compresa appunto la vita
stessa, quindi si dovrebbe apprezzare appieno l'eternità in ogni
istante
Il
pianto della Ragazza esprime il dolore che prova, così il glicine
diventa il fiore dell’amore perduto...
I
fiori del glicine sono caratterizzati da un delicato e
particolarmente gradevole profumo.
Capitolo
tre Il
prezzo dell'amore
– Sei
diventato più ordinato – osservò Regin, stretta fra le braccia di
Desmond.
– Se
non avessi ordinato tutto, tu avresti passato come minimo tre ore a
insultarmi per poi impiegarne altre cinque per ordinare prima di
prestare attenzione a me – le sussurrò in finto tono di
rimprovero, stringendo ancora più il suo piccolo corpo a sé.
– Amo
l'ordine – sospirò Regin.
– Ami
essere invadente: è una cosa diversa – ribatté lui e scoppiò a
ridere ricordandosi di come lei avesse detto “Io ti riarredo tutta
la casa” appena tornati a casa inzuppati e affamati la sera della
pioggia blu sul lago e di come avesse poi passato tutta la notte a
rovistare fra le sue cose.
– Perché
ridi? – domandò lei infastidita, sapendo che era qualcosa che la
riguardava, e alzò lo sguardo per vedere il suo viso disteso in
un'espressione di totale spensieratezza e felicità come l'aveva
poche volte.
– Perché
a volte sei invadente fino a diventare distruttiva!
– Non
lo sono!
– Vuoi
che ti ricordi
di quella volta in cui hai costretto un tipo che ti pareva un bravo
ragazzo a uscire con Nives solo perché, per la fretta, si era
scontrato con lei in biblioteca? Li
ha costretti tutti e due! E alla fine li hai pure stalkerati da sotto
il tavolo del ristorante, portandomi dietro. E quando al loro secondo
appuntamento... – Desmond avrebbe continuato fino all'infinito se
Regin non gli avesse dato un pizzicotto sul braccio. – Ahi! – si
lamentò, allontanandosi d'istinto.
– Beh,
avevo ragione! Ora sono sposati!
– E
le mie cose? Le hai buttate tutte! – chiese lui, ripensando a
quanti sacchetti della spazzatura Regin aveva riempito.
– Solo
ciò che era di troppo... eri, anzi sei, troppo caotico. Non ti eri
neanche accorto di aver perso una felpa rossa!
– Ah
– commentò lui, ripensando a quando le aveva rivelato che era
stata
lei ad
avergli restituito il braccialetto che aveva messo nella tasca della
felpa che gli era caduta. – Ora però non mi dimenticherò mai più
l'esistenza quell'indumento – sussurrò dolcemente, baciandole la
fronte.
– Già,
il nostro è... – la voce di Regin si affievolì fino a spegnersi,
addormentandosi
di
botto solo come sapeva fare lei.
Desmond
le diede un altro delicato bacio sulla fronte e le bisbigliò un
dolce buonanotte.
Si
alzò dal letto il più cautamente possibile, anche se non ve
ne era
bisogno visto che Regin aveva un sonno molto profondo per il viaggio
lungo e intenso che aveva compiuto per tornare da lui.
Era
da così tanto tempo che non si vedevano che,
quando
l'aveva vista in aeroporto, aveva temuto che fosse solo un'illusione.
Invece, solo pochi istanti dopo, Regin incurante delle altre persone,
si era buttata fra le sue braccia, facendolo cadere sotto il suo
peso, propagando nell'aria quel buon profumo che aveva solo lei.
Aveva pianto silenziosamente sopra di lui senza
proferire alcuna parola,
lasciando che le lacrime di commozione parlassero delle sue emozioni.
In quel momento anche Desmond avrebbe pianto molto volentieri –
felice com'era –, ma era troppo
esterrefatto e sorpreso per rendersi subito conto delle sua reale
presenza, continuando ad accarezzarle i capelli lisci.
Desmond
raccolse silenziosamente i suoi vestiti e li mise in fretta
e furia.
Guardò
per un'ultima volta Regin che dormiva profondamente aggrappata al
cuscino e, prima di chiudesi dietro la porta della sua stanza,
respirò ancora profondamente il profumo che vi aleggiava, uno che
Regin era in grado di portare con la sua sola presenza.
Scivolando
furtivamente, arrivò in garage. Avviato il motore della macchina,
guardò l'orologio: era mezzanotte in punto: forse ce l'avrebbe fatta
prima di partire.
Doveva
allontanarsi il più fretta possibile, doveva
farlo perché altrimenti lei sarebbe morta.
Vi
era un motivo per cui più di un anno fa l'aveva allontanata da sé,
usando come scusa la vita della creatura che era nata
da lì a poco. In realtà l'aveva persuasa ad andarsene solo per
salvarlo: non le rimaneva molta anima.
***
– Regin
ti devo dire una cosa – le aveva detto, dopo quattro mesi che
stavano assieme, con il cuore palpitante per l'agitazione.
– Sì?
– aveva risposto lei, con un tono calmo, che era appena entrata in
cucina per prendere le posate.
– Ti
ricordi ancora di quando continuavo a dirti che sono condannato a
restare solo?
– Ci
risiamo – commentò Regin, alzando gli occhi al cielo mentre
chiudeva il cassetto dove aveva sistemato molto tempo addietro tutte
le posate che aveva trovato in giro per la casa dopo averle lavate
accuratamente.
– No,
non fiatare: ascoltami – la pregò e si girò verso di lei dopo
aver appoggiato il mestolo sul bancone, ricercando il contatto
visivo.
– Va
bene – concesse Regin, appoggiandosi all'armadio in attesa di un
discorso che si preannunciava serio.
– Io
sono condannato, io sono maledetto. La notte le mie mani prelevano un
pezzo d'anima dal corpo di chiunque viva sotto il mio stesso tetto,
oppure semplicemente abbastanza vicino,
di chiunque
verso cui io provi
dell'affetto
– le spiegò con la voce più calma
che riuscì a trovare, cercando di non abbassare mai lo sguardo da
quello di Regin che cominciava a essere combattuto, a diventare
sempre più cupo come se vi si agitasse una vera tempesta. – Quindi
se rimarrai con me, se vorrai mai vivere con me, succederà
che ogni notte ti verrà rubato un pezzo dell'anima fino a privartene
completamente, fino a quando ne resterai completamente senza.
Regin
rimase allibita, senza fiato, senza parole e le posate
le caddero
della mani.
Perciò
era questo l'oscuro segreto che aveva detto di avere... era questo il
motivo della sua solitudine. Non ebbe neanche per un attimo il dubbio
che Desmond stesse scherzando, perché ormai lo conosceva bene:
sapeva quando recitava e quando invece era serio al punto da colpirle
l'anima.
– Ti
amo troppo per lasciarti andare, per privarmi della tua compagnia, ma
se lo vuoi fare… insomma, capirei
–
concluse frettolosamente il breve discorso che aveva preparato la
settimana scorsa. Era incredibile come fosse riuscito ad aprirsi con
lei in soli due mesi, mentre con la sua
ex aveva impiegato due interi anni. Forse vi era anche il motivo che
Stella, a differenza di
Regin, abitava molto lontana da casa sua.
La
ragazza si chinò silenziosamente a raccogliere le posate e le mise
nel lavastoviglie.
– Quindi
io morirò stando con te? – chiese senza mezzi termini con una
calma quasi esasperante.
– Sì...
– In
pratica succede solo ciò, è questo il prezzo dell'amore. Accetto –
disse tranquillamente. – Ricordo ancora i giorni che ho passato ad
aspettarti invano nella saletta della biblioteca, ricordo ancora quel
dolore e quel senso di abbandono al mondo e soprattutto ricordo
ancora il ragazzo che ho trovato sotto la pioggia; per nulla al mondo
ti distruggerei in quel modo, perché al solo pensiero che tu soffra
tanto, senza aggiungere il fatto che sia per colpa mia, io morirei
subito. Ti amo: l'ho capito fin dal giorno in cui mi hai fatto notare
prepotentemente la tua esistenza con una violenta spinta, un livido e
un paio di scarpe rovinate. E... davvero non m'importa di vivere a
lungo, voglio solo vivere intensamente la mia vita con la persone che
amo.
– Anche
se oggi potrebbe essere il tuo ultimo giorno?
– Se
oggi fosse il mio ultimo giorno, desidero passare tutto il tempo con
te – sussurrò Regin, appoggiando la testa nel petto di Desmond,
cingendolo in un abbraccio ascoltando il suo cuore battere
violentemente per la commozione.
***
Da
quel che si ricordava Desmond non era sempre stato così: gli era
successo all'improvviso di svegliarsi la notte
per entrare nella camera dei suoi genitori silenziosamente, affondare
le mani nel cuore di suo padre per estrarre qualcosa di inconsistente
ma denso e poi uscire di casa.
Correva,
correva a una velocità sovrannaturale, brancolando nel buio, per
raggiungere l'oscurità, una meta che in qualche modo sentiva di
conoscere bene.
Arrivato
a destinazione, affidava ciò che aveva rubato in due grandi mani
nere, le quali lo mettevano in una grande urna.
Poi
la mattina si risvegliava sul suo letto, madido di sudore come chi
aveva corso a lungo o aveva fatto un brutto sogno e lui sentiva di
aver fatto tutte le due cose.
La
stessa cosa successe con sua madre, seguita da sua sorella minore,
per poi ripetersi con suo padre. E tutti e tre, a turni, la mattina
si lamentavano di svegliarsi strani, come se mancasse qualcosa in
loro.
Desmond
all'inizio non capiva cosa succedesse, ma con il passare del tempo
cominciò a sospettare che la notte succedesse veramente qualcosa che
non
fosse semplicemente
un incubo ricorrente. Deciso a scoprire il mistero che si celava
dietro a queste stranezze, Desmond rimase sveglio per vedere che cosa
succedeva veramente durante ciò che gli pareva solo un lungo sogno.
All'una
in punto percepì un altro sé risvegliarsi dentro di lui, dirigersi
silenziosamente, attraversando i muri, verso la camera della sorella
che aveva compiuto da poco otto anni, vide le proprie mani affondare
nel cuore, trapassando la pelle della piccola come se non esistesse
ed
estrarre a fatica una lunga striscia luminosa.
Gli
pareva che fosse opera di qualcun altro, non sua, perché non
riusciva in alcun modo a frenare quelle azioni, ormai reiterate e
reiterate da giorni, e perché gli sembrava di vedere tutto
dall'esterno.
Si
vide correre a una velocità supersonica sull'aria verso un luogo che
non conosceva per poi consegnare dalle proprie mani quel qualcosa che
aveva estratto da sua sorella a una gigantesca mano nera.
– Bravo,
un pezzo d'anima giovane, ancora acerbo – gli disse una voce rude e
grossa di cui non sapeva indovinare la provenienza.
– Anima?
– chiese Desmond incredulo.
– Sì,
a poco a poco mi porterai tutta la loro anima.
– Anima?
– chiese ancora, osservando quelle mani che non gli parevano più
sue.
– Esatto,
caro mio: sei condannato a prelevare ogni notte un pezzo d'anima di
coloro che ami e consegnarli tutti a me – dopo queste parole la
grossa mano nera schioccò le sue dita e Desmond venne trascinato
indietro da una forza misteriosa, fino a quando il suo corpo ritornò
ad adagiarsi nel letto.
Da
quella volta in poi aveva provato ogni espediente: legarsi come un
salame con una corda, ammanettarsi con il letto e dormire in qualche
hotel in città, ma nulla lo teneva lontano dall'adempimento del suo
compito.
Qualche
mese dopo aver compiuto i diciotto anni, decise di allontanarsi dalla
famiglia dicendo che
aveva voglia di partire a studiare all'estero. I genitori dapprima
non accettarono, ma, guardando quegli occhi che non erano mai stati
così determinati, decisero di dargli il loro consenso e appoggio,
consegnandogli prima di tutto i soldi necessari per partire per
quell'impresa, nonostante il nonno, che era andato per miglior via
l'anno precedente, gli avesse lasciato metà del
suo immenso patrimonio.
Scoprì
che stare lontanissimo da coloro che amava funzionava e visse per due
anni solo, ma soddisfatto, in un appartamento che aveva comprato in
una zona, piuttosto bella, di una città molto lontana da quella
natale. Ben presto però si ritrovò ad affrontare la solitudine che
era ben peggio di quanto
si fosse immaginato e
proprio in quel buio periodo incontrò Stella, innamorandosene al
primo sguardo.
Aveva
passato due anni splendidi con lei nella spensieratezza e pensava che
avrebbe potuto
continuare così per tanto altro tempo, ma lei con quel bacio aveva
rovinato tutto: come aveva potuto credere che lei accettasse la morte
pur di stare con lui?
Poi
aveva conosciuto Regin e con lei aveva vissuto una spensieratezza
consapevole; con lei non cercava di dimenticare la sua maledizione,
ma riusciva ad rievocarla con un sorriso dolce per quanto amaro,
perché era grazie ad essa che aveva potuto aprire gli occhi e
conoscere il vero amore.
Desmond
si odiò al pensiero di aver condannato Regin con
lui,
perché avrebbe potuto facilmente lasciarla andare, invece di
permetterle di stare al suo fianco, ma sapeva bene che detestarsi non
serviva a nulla poiché ormai non si poteva più tornare indietro.
Guardò
nervosamente le centinaia di chilometri percorse, sapendo che non
erano abbastanza. Aveva ancora dieci minuti per allontanarsi da
Regin, dalla condanna di entrambi.
Solo
dopo due mesi che stavano insieme Desmond aveva iniziato a rubarle
l'anima, pezzo per pezzo, perché per le vacanze estive Regin era
ritornata nella sua città natale, lasciando a malincuore lui da
solo.
E
ancora due mesi dopo Regin si era trasferita a vivere da lui, dopo
aver saputo del suo segreto, perché non sopportava l'idea che
affrontasse da solo una simile condanna.
Notte
dopo notte Desmond le rubava l'essenza della vita in modo più
chiaro, finché riuscì a vedere l'anima racchiusa nel corpo di
Regin. Nonostante non ne avesse mai viste altre in modo chiaro,
Desmond era sicuro che quella forma fosse unica come gli occhi della
ragazza: era a forma di un rametto di blauregin, che pendeva giù. Si
vedevano benissimo i singoli fiori attaccati al fusto principale.
Ogni volta le rubava un petalo e dopo che aveva preso tutti i petali
di un fiore passava a un altro.
Quando
finalmente, un anno fa, aveva trovato la forza necessaria di dirle di
allontanarsi da lui le era rimasto solo il rametto all'interno.
Sperava che Regin avesse colto il messaggio di emergenza in quel
silenzio, ma lei, nonostante tutte le sue suppliche, era ritornata.
Centoquaranta
chilometri.
“No,
non bastano.”
Desmond
accelerò ancora.
Se
proprio Regin insisteva ancora a volergli stare accanto, sarebbe
scappato da lei ogni notte, non appena si
fosse addormentata in modo da non farle sapere la gravità della
situazione.
Centoquarantacinque
chilometri.
L'una
meno trenta secondi.
Desmond
frenò all'improvviso, vedendo un animale sbucare all'improvviso.
La
macchina girò più volte su stessa come violento vortice, facendo
venire il capogiro a Desmond.
E
mentre l'auto stava per capovolgersi, la cintura di sicurezza si
slacciò automaticamente in contemporanea con la portiera si apriva.
Il corpo di Desmond si librò in volo e uscì dall'auto un attimo
prima che si schiantasse.
– No,
no ti prego! Piuttosto muoio io! – pregò urlando e cercò di
appigliarsi a qualcosa, alla macchina che si era fermata in una
nuvola di fumo, portando disperatamente le braccia nel vano tentativo
di fermare la sua corsa all'indietro.
Con
orrore si vide ritrasportato indietro, fino a casa sua, fino alla sua
camera dove Regin dormiva profondamente.
Strinse
violentemente le palpebre quando una sua mano affondò vicino al suo
cuore che palpitava ancora piena di vita. Poi percepì il solito
fresco dell'anima di Regin lambirgli le dita e ancora qualche secondo
dopo percepì un qualcosa di consistente quanto inconsistente stretto
tra le mani.
Cercò
di urlare, ma la sua bocca non emise un gemito mentre il suo corpo si
trascinava fuori casa.
Desmond
guardò con furore la mano nera di sporcizia apparire dal nulla.
Sebbene cercasse in tutti i modi di non avvinarsi a quella cosa, vide
le sue mani tendergli l'ultimo frammento dell'anima di Regin,
l'ultimo appiglio alla vita della sua amata.
– Su
consegnamelo, veloce!
– No!
– Desmond all'ultimo momento fece appello a tutta la sua forza di
volontà per voltare le spalle alla mano, ma dopo pochi passi
inciampò e il frammento luminoso gli scivolò dalle mani.
Solo
quando il frammento di anima cadde rumorosamente in ciò che si
accorse essere l'acqua, l'oscurità attorno a lui si dissolse,
mostrando l'ambiente in cui era. Era il lago. Desmond si
trovava
sulla riva del
lago, il luogo dove lui e Regin si erano dati il primo bacio.
Il
lago si colorò dello stesso colore della l'anima di Regin, ovvero
lavanda e dal cielo cominciarono a scendere milioni di schegge
d'anima blu.
Desmond
osservò inevitabilmente quella scena che di spettacolare aveva fin
troppo, reprimendo le lacrime duramente.
Bastava
così poco...
Bastava
lasciare che l'anima di Regin si liberasse da lui e da ciò che
cercava
di portarsela via per sé.
Bastava
che toccasse l'acqua di cui non aveva mai saputo la presenza in
quegli due anni.
Terminata
la pioggia di scintille blu, davanti a un sofferente Desmond l'anima
di Regin ritornò alla sua forma a dir poco incantevole. Desmond,
animato da una nuova speranza, allungò una mano per afferrare
l'anima, correndo dentro il lago, ma essa cadde nell'acqua con un
tonfo sordo.
– La
tua maledizione è sciolta – le sussurrò all'orecchio ciò a lui
parve una voce famigliare.
Girò
la testa a lato per dare un volto alla voce, ma quella presenza
scivolò via per piazzarsi di fronte a lui. – Sono tua nonna,
sciocchino – gli disse dolcemente l'anima dalla forma umana. –
Sai anche tuo nonno aveva la tua maledizione...
– Ma
tu... tu... – balbettò Desmond, incapace di lasciarle finire il
discorso. – Io sono vissuta
fino a
pochi anni prima della morte di tuo nonno, vuoi dire? Caro figliolo,
i miracoli esistono. E tu ora sei libero... puoi ricominciare ad
amare chi vuoi da vicino e a essere ricambiato con sguardi, gesti e
il calore – sussurrò dolcemente
l'anima che Desmond vide sparire velocemente come era apparsa,
portandosi dietro il rametto di blauregin. –
Come posso amare se mi porti via lei? – chiese nonostante sapesse
che nessuno l'avrebbe mai più ascoltato.
Desmond,
a fatica, si strascinò verso la riva e si sdraiò sulla terra e
guardò il cielo fin troppo stellato e luminoso per i suoi gusti.
Angolino
mio:
Ecco,
finalmente tutto ha un senso! XD O almeno spero... mi auguro di
essere stata chiara. ^^” Sennò ditemi qualcosa.
Ringrazio
come sempre Fantasy25 che legge i capitoli tutto d'un fiato e
ringrazio anche _madame butterfly_ che si è sorbita la storia in una
volta, apprezzandola.
E
anche grazie a chi ha letto/a chi la leggerà questo capitolo. A chi
ha messo la storia tra le preferite/seguite!
Al
prossimo capitolo (che è l'epilogo...),
Elsker.
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Capitolo 5 *** 5. Epilogo ***
1. Prologo
Ma
il glicine rappresenta anche la longevità e l’essenza
dell’immortalità.
...ma
rappresenta anche la straordinaria resistenza come vitigno, in grado
di vivere e di prosperare anche in condizioni difficili, così come
il cuore ha la capacità di resistere nonostante sia spezzato da un
sentimento a senso unico. In Cina avevano chiamato il glicine "Vite blu". Glicine
Epilogo
– Stupido,
dove sei stato? –Desmond a quella visione, a quella voce, si
immobilizzò mentre lei si buttava fra le sue braccia. – Pensavo ti
fosse successo qualcosa perché hanno ritrovato la tua macchina! –
lo riproverò Regin, stringendo stretto l'esile corpo di Desmond a
sé.
– Ma
tu... tu... sei ancora qui? Sei viva? È tutto vero? – le chiese
riprendendosi dallo shock, incredulo.
– Sì,
lo sono quanto lo sei tu! E... lo sono quanto tu sei sporco di fango!
– gli rispose, facendo una faccia schifata guardandosi le braccia
intrise ormai dello stesso sporco.
Se
Desmond non fosse stato sopraffatto dalla felicità le avrebbe detto
“Siamo al solito... tu e il tuo rapporto con la pulizia”, alzando
gli occhi al cielo, invece le disse – Sposiamoci! – guardandola
con due occhi colmi di amore e ammirazione.
– Cosa?!
– chiese Regin allarmata e scioccata, distogliendo immediatamente
la sua attenzione dalle proprie mani che cercavano di liberarsi dallo
sporco per posarla su Desmond.
– Sposiamoci!
Ma primo di ciò voglio andare a trovare nostro figlio e poi...
dobbiamo conoscere vicendevolmente
i nostri
genitori e parenti!
– Prima,
però devi comprarti una nuova macchina.
– Sì,
lo so e prima ancora devo darmi una bella ripulita!
Regin
gli sorrise dolcemente mentre Desmond la sollevava dal pavimento,
facendola danzare in aria con una risata cristallina. Era così
felice e spensierato... così libero.
Non
si sarebbe mai aspettata un proposta simile quando lo aveva visto
dallo spioncino e aveva
aperto la porta
per andargli incontro. Sapeva solo che qualcosa era cambiato,
migliorato, e lei non aveva altre domande.Desmond la guardò
intensamente negli occhi e gli parve di cogliere una sfumatura nuova
di blu in quel mare di lavanda e viola.“Chissà, forse è
rinata. Forse ho visto male, ma non m'importa più nulla ormai:
vivremo insieme per sempre!”
– Ti
amo.
Angolino
mio:
Finalmente
la storia è conclusa. XD E' corta, perciò non vi ho tediato troppo.
La
prima versione di questa storia non aveva il lieto fine, ma volevo
far contenta Lutea, perciò adesso c'è! L'epilogo termina bene,
anche perché spero che tutte le coppie, che hanno percorso una lunga
strada per mettersi assieme, abbiano il loro happy handing! :3 A me è parso che il glicine sia una pianta molto
forte, allora continua a crescere, continua ad espandersi... per
questo Regin è ancora viva. La sua anima nell'anno in cui è stata
lontano da Desmond è rinata. Non so come spiegarlo, perciò è
meglio che finisca qui. xD
Beh,
grazie a tutti che hanno speso del tempo a leggerla! Ringrazio
Fantasy25 che leggeva ogni aggiornamento con una velocità
allarmante. Grazie per aver apprezzato questa semplice storia, Regin
e Desmond. ^///^
Allora,
non pubblicherò nulla(penso) di nuovo su EFP per molto tempo, ma
scriverò silenziosamente una long romantica che ho eliminato e
un'altra a quattro mani con una superdonna. u.u
Ringrazio Scarlett Brooks_39 per il banner! Se,
nell'improbabile caso, avete voglia di leggere qualcosa di mio vi
lascio il link di una storia drammatica a cui tengo tantissimo e che
spero di concludere entro quest'anno!
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2358289&i=1
L'amore
non vuole avere, vuole soltanto amare.
Le
altre storie che ho pubblicato non sono un granché.Adios! ;)
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