BlauRegin – Pioggia blu

di Elsker
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 2. Capitolo uno ***
Capitolo 3: *** 3. Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** 4. Capitolo tre ***
Capitolo 5: *** 5. Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


1. Prologo







A Lutea Eos e a Scarlett_Brooks_39



Questo fiore dai petali colorati nelle tonalità del blu, lavanda, rosa, viola.
Glicine


Prologo


È buonissimo! – commentò Regin mentre mangiava come se non toccasse cibo da giorni, mesi, anni, secoli.
Le lacrime minacciarono il loro arrivo nei suoi occhi color viola con varie sfumature di blu, lavanda e rosa e solcarono il suo candido viso.
Il giovane uomo seduto di fronte a lei si alzò dal tavolo, azzerando la loro distanza in pochi passi. Delicatamente le asciugò le lacrime con le dita, poi le tolse di mano il piatto ormai quasi del tutto svuotato dagli spaghetti che aveva preparato per il suo ritorno.
Regin, seduta, osservava attentamente ogni suo più piccolo movimento, cercando di memorizzare ogni più insignificante dettaglio che faceva parte di lui, perché sapeva che quella poteva essere una delle ultime serate che potevano passare assieme, ovvero l'ultimo giorno che aveva da vivere.
Regin, mangia lentamente – le disse con un tono dolce e paziente mentre si abbassava lentamente fino a inginocchiarsi per potersi rispecchiare in quegli stupendi occhi luminosi.
Lei, non riuscendo più a trattenersi ancora, buttò le braccia sul collo del suo ragazzo che continuava a guardarla intensamente negli occhi, facendolo cadere a terra di schiena.
Mi sei mancato.
Anche tu, mia cara – le sussurrò mentre le accarezzava i capelli mori che le arrivavano fino alla vita.
Regin alzò il viso dal petto accogliente del suo ragazzo e, trattenendo a stento le lacrime, allungò tremante una mano per accarezzargli la faccia come per accertarsi che fosse reale, che fosse lì veramente.
Ehi, sono io davvero! Sono qui e sono reale – bisbigliò lui dolcemente, quasi leggendole nel pensiero e regalandole uno di quei sorrisi che la riempivano di calore e affetto.
Regin fissò a lungo i suoi profondi e scuri occhi colmi di intelligenza e pazienza e scoppiò finalmente in un forte pianto liberatorio.
Incurante delle lacrime che solcavano il viso della sua amata e che gli bagnavano la camicia, l'uomo alzò il capo per unire le sue labbra a quelle salate dalle lacrime di lei per riscoprire quell'essenza dolce che solo lei possedeva.
Lei si avvicinò ancor più a lui come se anche la minima distanza tra loro la turbasse e approfondì il bacio, mentre le sue dita si intrecciarono con i morbidi capelli castani del ragazzo.
Regin alzò gli occhi per posarli su quelli di lui. – Ti amo – gli disse come se ci fosse il bisogno di farglielo sapere ancora, ancora e ancora.
Lui per risposta la attirò ancora più a sé, talmente terrorizzato da essere incapace di esprimere, quindi di ammettere, l'immenso amore che lo legava a lei.






Angolino mio:
Sono ritornata con una storia senza senso e senza spazio e tempo. U_U
Potete immaginarla dove volete, anche in un universo parallelo.
Dedico questa breve storia a Lutea Eos per la sua pazienza e per il suo esserci sempre. E anche perché riesce a sopportarmi, nonostante sia passato così tanto tempo. In questa storia c'è molto di mio, ma so di aver messo anche qualcosa di tuo!
E dedico anche questa storia a Scarlett_Brooks_ perché è grazie a lei – che mi ha fatto conoscere il glicine – che ho scritto, che ho messo su foglio un'idea che avevo da tempo e perché mi ha detto delle cose bellissime. Grazie di tutto. ç_ç

Questa storia partecipa al contest “Un fiore per ogni personaggio”.








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Capitolo 2
*** 2. Capitolo uno ***


1. Prologo







I periodi più favorevoli per piantare il glicine sono l'autunno e l'inverno, fino a marzo, cercando di evitare le gelate.

I grappoli che pendono verso il basso in piena fioritura e i rami di questa vite sembrano abbassare il capo in segno di umiltà, sincero rispetto, supplica garbata e riflessione religiosa in riferimento a Buddha.

Il glicine longevo dalla vitalità vigorosa è impersonato da una ragazza timida, romantica e travagliata da angosce d’amore.


Capitolo uno
Pioggia blu


Cinque anni prima


Regin amava quel ragazzo.
Lo amava e percepiva tutta l'intensità dell'amore che la investiva ogni volta che il suo pensiero si indirizzava involontariamente verso di lui.
Lo amava, ne era sicura.
Lo amava nonostante non avesse mai creduto all'amore.
Lo amava, continuando a sognarlo ogni notte.
Lo amava, punto.
Peccato che non sapesse neanche il suo nome.
Peccato che lo vedesse solamente due volta a settimana.
Peccato che lui fosse già fidanzato.
Aveva visto la sua fidanzata. L'aveva vista venire qualche volta con lui.
L'aveva vista e aveva notato che era una ragazza bellissima nella sua semplicità.
L'aveva vista dargli un bacio frettoloso sulle labbra e aveva sentito il suo cuore spezzarsi.
Ma non le importava nulla, avrebbe continuato ad amarlo finché il cuore glielo avesse suggerito, finché... fino a quando non lo sapeva. Forse un anno, forse due, forse sempre.
Regen guardò nervosamente l'orologio e, vedendo che erano ormai le quindici, cominciò a essere impaziente.
Il ragazzo castano solitamente arrivava alle quattordici e trenta puntuale come un orologio e invece quel giorno in biblioteca non si era vista neanche la sua ombra.
Regen cominciò a dondolare le gambe in segno di agitazione e cercò di calmarsi concentrando la mente sui ricordi degli ultimi due anni trascorsi in quella nuova città e della prima volta che aveva visto quel ragazzo.


Si era trasferita perché aveva vinto una borsa di studio in un'università di una città molto lontana da casa, perciò si era lasciata alle spalle la sua numerosa e rumorosa famiglia che ogni tanto sentiva attraverso lunghe ma mai noiose chiamate. Nella nuova città alloggiava presso i dormitori che l'università forniva. Al primo anno le era andata di lusso, poiché aveva ottenuto una stanza singola, ma al secondo le era stata assegnata una camera per due persone. Da un lato si considerava fortunata dato che la sua compagna di stanza, Nives, era una ragazza simpatica che era diventato subito una sua buona amica, dall'altro, però, non aveva né il tempo né il silenzio necessario per concentrarsi nello studio, in particolare nelle giornate in cui il ragazzo di Nives veniva a cercarla. Per lasciare un po' di intimità all'amica, ogni venerdì e sabato si trasportava di mala voglia in una biblioteca, sita in centro, che si trovava poco lontano dall'università.
Regin andava a studiare in biblioteca, in una rumorosa saletta di lettura, solo perché era una ragazza molto disponibile e soleva mettere l'amicizia – che per lei era ciò di più sacro esistente – prima di tutto. Oltre ai suoi famigliari, la ragazza aveva lasciato nella sua città natale anche tanti amici di lunga data con cui ora chattava ogni sera sui vari social network. Siccome l'amicizia ai suoi occhi assumeva un valore inestimabile, per non aggiungere la sua timidezza, Regin non cercava molto le compagne di università né tanto meno altre conoscenze nella nuova città. Nonostante non avesse persone che lei riteneva essere suoi amici, non si sentiva affatto sola, perché, essendo una ragazza molto disponibile e a tratti anche invadente, aveva fatto diverse conoscenze ed era sempre in compagnia.
Era sempre pronta ad offrire il suo aiuto anche a persone che non aveva mai visto prima e, allo stesso modo, a raccogliere informazioni su tutti quelli che destavano la sua curiosità con uno solo sguardo.
Tutti tranne uno, perché, a dir la verità, quel ragazzo non le era mai interessato. Quel ragazzo si era fatto vedere per forza, si era fatto notare prima che lei potesse capire qualcosa.


***


Regin stava per appisolarsi sui suoi appunti, così si alzò per dirigersi in bagno dove avrebbe potuto darsi una risciacquata al viso per risvegliarsi.
Al suo ritorno aveva preso una bottiglia di succo di frutta concentrato alle macchinette. La stava bevendo tranquillamente, appena un attimo prima che un ragazzo la investisse nella fretta della fuga. Nell'impatto Regin versò una gran quantità di succo sulla maglia, sui jeans e anche sulle sue nuove scarpe bianche. E non solo si era sporcata: nella violenza dello scontro era andata a sbattere contro uno scaffale di ferro, cadendo a terra.
– Scusa – urlò il ragazzo prima di uscire dalla saletta, senza degnarla di uno sguardo.
Infastidita, Regin si trattene dall'inseguirlo e insultarlo. Guardando com'erano malconce le sue scarpe, notò che al ragazzo che l'aveva scontrata era caduta la felpa che probabilmente prima era appesa al suo collo, perciò la raccolse dal pavimento e la usò per pulire sé e, in seguito, il pavimento che non era rimasto illeso nello scontro.
Dopo aver finito di sistemare, fu tentata di buttare l'indumento direttamente nel cestino e lo fece. Solo dopo aver sistemato la sua roba e abbandonato la saletta ormai deserta, tornò a ripescarla dal pattume, immensamente dispiaciuta.
Si vergognò un po' a essere conciata in quel modo mentre aspettava l'autobus che l'avrebbe riportata all'università. Non si era neanche portata abbastanza soldi per comprarsi una maglia nuova per coprire quell'indecenza.
Quando entrò nella sua camera, sbattendosi dietro teatralmente la porta, vide che l'amica era decisamente in un momento piuttosto intimo con il suo ragazzo.
Non chiese scusa, non fece nessuna osservazione: semplicemente non fece nulla.
Buttò nervosamente il suo zaino su una sedia e si chiuse in bagno.
Si tolse le scarpe e cercò invano di salvarle, maledicendo a voce alta quel ragazzo che ormai conosceva, almeno di vista, da ormai mezzo anno.
Muovendosi qua e là nel bagno si accorse di avere il fianco – con il quale aveva sbattuto lo scaffale – rosso e capì che presto ci sarebbe apparso un grosso livido.
Buttò le scarpe nel pattume, maledicendo ancora più pesantemente quel ragazzo. Straordinariamente, però, riuscì a salvare i suoi indumenti. Dopo averli messi a stendere, guardò pensierosa quella sottile felpa rossa completamente macchiata e dopo qualche attimo era già lì che la strofinava con forza.
“Dopotutto non è colpa sua!” continuava a ripetersi, come per spronarsi, almeno un migliaio di volte nell'intera ora che impiegò a togliere tutte le macchie dell'indumento.
Nel momento in cui stese sul balcone la felpa, nella sua mente comparve, fulminea e chiara come un lampo, l'immagine dell'esile ragazzo che stava come ogni giorno chino con un'espressione serena sui suoi libri e al suo cuore mancò un colpo.
Infastidita, scacciò l'immagine dalla mente e cercò un libro da leggere per distrarsi.


Il giorno seguente Regen ritornò in biblioteca come d'abitudine e come in tutti sabati anche in quello la biblioteca era pressoché deserta, perciò l'arrivo del ragazzo che il giorno prima aveva popolato i suoi sogni alle dieci in punto attirò subito la sua attenzione. Notò che si stava guardando attorno come se stesse cercando qualcosa di veramente importante e cercò di non badarci, iniziando a leggere gli appunti presi durante le lezioni della settimana scorsa.
– Buongiorno, scusa per il disturbo, volevo solo chiederti se per caso ieri hai trovato un braccialetto d'argento – una voce dolce e morbida fece destare Regin dallo studio in cui finalmente si era immersa dopo che aveva visto il ragazzo castano andare via subito. La ragazza avvampò senza un apparente motivo. Si sentiva imbarazzata... ma alzò comunque timidamente lo sguardo sul sorriso impacciato del castano.
– Eh? – chiese alquanto sorpresa. Braccialetto? Aveva parlato di un braccialetto?
– Ieri me lo sono portato dietro; me lo ricordo bene, ma a casa non l'ho più trovato così ho pensato che probabilmente l'ho perso qui e magari qualcuno l'ha raccolto.
– Mi dispiace, io non ho visto nessun braccialetto ieri – rispose piatta, cercando di mascherare l'agitazione che la invadeva. Era davvero dispiaciuta, perché il ragazzo sembrava tenere molto a quell'oggetto.
– Grazie per la cortesia e per la disponibilità! – le disse, rivolgendole un sorriso grato, per poi allontanarsi e porre pazientemente, carico di attese, la stessa domanda ai pochi che studiavano nella saletta insolitamente tranquilla.
Quando Regin tornò all'università, Nives l'avviso che aveva trovato un braccialetto argento in bagno e le chiese se fosse suo. Lei guardò incredula quell'oggetto e capì che probabilmente quel ragazzo l'aveva messo in una delle tasche della felpa e che era caduto mentre la lavava in bagno.
– Grazie mille, Nives! – le disse grata, gettandole le mani al collo.
– Oh, figurati! È davvero tuo? Mi sembra maschile... – le fece notare l'amica, piuttosto fissata con la moda, senza riuscire a nascondere una smorfia di disappunto.
– No, non è mio: è di un... amico – sussurrò, ammirando con un'espressione persa in quel semplice braccialetto con inciso sopra “Blauregin”. Sorrise ebete: non aveva mai amato tanto il nome particolare che i genitori, buddisti, le avevano dato.
Nives quella sera uscì con il suo ragazzo per il loro anniversario e Regin, approfittandosi del silenzio, andò a sedersi sul balcone per ammirare il cielo stellato con stampato sul viso un sorriso pieno di significati.
Blauregen. Pioggia blu. Questa era il suo nome intero che lei puntualmente accorciava in Regen. Prima di quel momento, aveva pensato con rabbia per il significato di Regin: le sarebbe piaciuto un nome più comune, un nome che nessuno ascoltava con un'espressione stranita.
Seduta sotto l'immenso cielo stellato, in quella fredda sera di marzo, Regin pensò a come avesse passato mezzo anno con quel ragazzo senza neanche accorgersi della sua esistenza.
A prima vista lo aveva reputato una persona fin troppo... fin troppo... non sapeva neanche lei trovare il termine: forse giusto, forse perfetto... e lo aveva scartato subito come persona con cui approfondire la conoscenza.
Semplice. Perfetto.
Erano queste le due parole che gli aveva attribuito subito, ma dopo sei mesi le parvero fin troppo superficiali, anche se adatte.
Non le era mai interessato, nonostante lo avesse trovato molto carino fin da subito. Lo incontrava due volte la settimana – ovvero ogni venerdì e ogni sabato – ma la sua presenza era come una delle innumerevoli sedie del salotto: necessaria, ma non indispensabile.
Era come se nello scontro avvenuto pochi giorni prima lo avesse visto veramente, come se avesse aperto gli occhi. Era come se nello scontro lui avesse impattato con la parte più interna di lei fino a scombussolare l'anima con il suo tranquillo mondo.
In circostanze normali forse era possibile cancellare dal cuore e dalla mente di Regin la leggera incisione che aveva l'aspetto del ragazzo della biblioteca, ma quelle in cui si trovava lei non lo erano. Ogni giorno il suo pensiero volava verso di lui perché il livido sul fianco, le consuete scarpe nere al posto di quelle che aveva comprato sotto le insistenze di Nives e che erano costate un patrimonio e il braccialetto le rievocavano la sua presenza.
Giunto finalmente venerdì, Regin si diresse in biblioteca con un umore insolitamente allegro che durò fino a quando – un'ora e mezza più tardi – arrivò il ragazzo castano. Se prima era contenta al solo pensiero di vederlo, dopo averlo visto le sembrava di scoppiare per la felicità .
Lui era arrivato con la solita espressione serena e gentile che si era mutata in sorpresa di chi ha trovato una piacevole regalo inaspettato. Infatti, sulla sedia dove era solito poggiare lo zaino, aveva trovato il braccialetto che la settimana precedente aveva cercato ovunque.
Regin guardò la sua gioia con un sorriso compiaciuto sulle labbra che nascose prontamente dietro al suo libro d'inglese quando lo vide guardarsi attorno.
Quando verso la sera il ragazzo se ne andò lasciando un foglio bianco sul tavolo, Regin si alzò con disinvoltura dalla sedia come se stesse andando a buttare della cartaccia nel pattume e, appena accertatasi della concentrazione nello studio degli altri, raccolse in fretta e furia il foglio che lesse non appena ritornò al suo posto, con il cuore a mille.
In una grafia semplice e ordinata vi era scritto:

Salve,
chiunque tu sia ti ringrazio immensamente per avermi restituito il braccialetto.
In realtà mi sento uno stupido: non so neanche se leggerai questo biglietto e se sei un assiduo frequentatore della biblioteca.
Ho voluto scriverti per farti sapere quanto sia importante per me il gesto che hai fatto. E perché non potevo non ringraziarti. Ti sono enormemente debitore perché è un regalo carissimo di mia nonna.
Ti auguro ogni bene.
Ancora grazie,
il proprietario del braccialetto.

– Sono innamorata – sussurrò semplicemente lei, mettendo il foglio nel suo quaderno.
Da quel giorno in poi l'aveva visto regolarmente come prima senza mai avere il coraggio di andare oltre a quello che era l'amore platonico.
Anzi, dopo aver scoperto che era fidanzato aveva cercato anche di non andare più in biblioteca, o almeno non in quella saletta; inutilmente perché neanche a distanza riusciva ormai a cancellare quel ragazzo dal suo cuore, così decise che non le importava.
Lo avrebbe amato in silenzio, gli sarebbe stata accanto in quel tempo e lo avrebbe aiutato non appena avesse dato segno di vacillamento.
E così erano volati quasi quattro mesi.




***




Regen sorrise pensando al braccialetto che il ragazzo teneva sempre al polso sinistro, sorrise perché era stato tra le sue mani per una settimana intera.
Mentre pensava a lui, aspettò, con il cuore carico di aspettative, fino all'orario di chiusura, quel giorno e altri tre a venire. Aspettò invano per quattro intere giornate, diventano sempre più triste ogni volta.
Quel pomeriggio di fine luglio Regen era più agitata che mai perché era la sua ultima possibilità di vederlo. Aveva dato il suo ultimo esame dell'anno a inizio luglio ed era rimasta in quella città fino a quel momento solo per vedere quel ragazzo.
Regen guardò nervosamente l'entrata della saletta più e più volte.
Alle quindici scacciò le lacrime, scocciata.
Alle sedici cominciò a mettere nervosamente in ordine tutti i tomi sull'arte della saletta mentre cercava di distrarsi.
Alle diciotto si sedette sulla sedia con un'espressione vuota, incredula.
No, non poteva credere che sarebbe ritornato a casa senza neanche dare un nome all'oggetto del suo amore.
No, non poteva andarsene così senza aveva la garanzia di vederlo ancora.
No, non poteva perché... semplicemente non poteva.
“La colpa è tutta mia: perché non mi sono data una mossa? Perché non ho provato a restituirgli il braccialetto in persona? Perché non ho mai provato a parargli?”
Sospirò.
Amarlo l'aveva distrutta.
Amarlo le aveva spezzato il cuore.
Anzi, erano la sua timidezza e la sua paura di un'iniziativa ad averla distrutta.
Anzi, era perché lui era fidanzato...
Anzi, lei non avrebbe dovuto chiudersi dentro alle sue mura.
Mentre le lacrime cominciarono a minacciare il loro arrivo, Regin decise di smetterla lì. Di andare via. Di uscire da quella saletta. Di sopportare il pensiero di non vederlo più.
Arrivata davanti all'enorme atrio della biblioteca si accorse che fuori c'era un temporale e non se ne sorprese visto che rispecchiava pianamente il suo stato d'animo.
Frugò a lungo nella sua borsa e trovò il piccolo ombrello che era solita portarsi dietro per casi di emergenza come quello.
Spalancò l'ombrello non appena uscì allo scoperto.
Si guardò attorno spaesata come per memorizzare ogni dettaglio di quella via come se non lo conoscesse già, come se non sapesse dove andare, e una figura catturò la sua attenzione e la stessa le fece venire un colpo al cuore.
Era lui.
Era davvero lui.
Era lì. Seduto su un gradino davanti alla chiesa che era di fronte a lei.
Era lì. Sotto la pioggia.
Era lì. E tremava.
Era lì lui ed era lì anche lei.
Titubante, Regen si diresse verso il ragazzo e appena gli fu accanto si sedette sul gradino bagnato senza curarsene e gli offrì il riparo sotto il suo ombrello,
Si mise lì composta, senza guardarlo, perché non c'era bisogno di vedere la sua figura costretta in una posa dolorosa per capire che soffriva: lo percepiva dal suo tormento che attraverso quella vicinanza fluiva violentemente anche a lei.
Regin tremava e le venne voglia di piangere per lui, piangere ancora e ancora, lì, accanto a colui che aveva amato silenziosamente per mesi, al proprietario della felpa che teneva sotto il cuscino.
Ricordava ancora tutte le volte che stava seduta calma al suo posto mentre attendeva l'arrivo del ragazzo con il cuore che batteva fin troppo forte e con i sensi fin troppo all'erta per ogni piccolo movimento che avvertiva.
Ricordava ancora l'irresistibile attrazione che provava verso lui come fosse il suo sole, nonostante la lontananza e la voglia di andare da lui e stringerlo in uno stretto abbraccio.
Ricordava ancora le lacrime che ogni volta minacciavano il loro arrivo perché il suo essere era troppo tormentato dall'amore che non allentava la sua morsa neanche un secondo.
Ricordava ancora l'immobilità che caratterizzava il suo corpo ogni volta che lui era nei paraggi.
E, ora, la stessa immobilità la governava, rendendola incapace di avvicinarsi anche solo un poco verso di lui, quel poco che le bastava per sfiorarlo.
Non riusciva neanche ad allungare un braccio per abbracciarlo, neanche se lui era così vicino, così vicino che bastava un centimetro per toccarlo.
E accadde.
Lui posò dapprima il capo sulla spalla di Regen, per poi abbandonarsi interamente nel dolore coccolato da lei.
Regen in quel momento si reputava una spettatrice muta e inutile perché non aveva la minima idea su come aiutarlo, su come alleviare la sua sofferenza, perciò rimase, ancora una volta, immobile.
Poi allungò un braccio e cominciò ad accarezzargli lentamente i capelli ormai intrisi d'acqua e cercò di rendere parte di questo tormento suo.
Non passava molta gente in quel luogo quella sera piovosa, ma quella poca che c'era non riusciva a far a meno di dare un'occhiata alla coppia sotto il cielo scuro, sotto quella pioggia che pareva blu per la luce delle migliaia lampadine allestite in quella via in occasione di una particolare festa che caratterizzava quella città e augurare loro i migliori auspici con il cuore.


Angolino mio:
Nello scorso capitolo mi ero dimenticata di dirvi che le frasi che metto a inizio capitolo sono inerenti a fiore glicine e sono quelle che mi hanno ispirato questa storia! E che “Regin” significa “pioggia” e si pronuncia “Rin”. *-*
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto almeno un po'...
Ringrazio moltissimo Fantasy25, IloveItBaby, _marty e Lady_Wolf_91 per i vostri commenti e chiunque sia arrivato a leggere fino a qui!
Saluti,
Elsker.


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Capitolo 3
*** 3. Capitolo 2 ***


1. Prologo








Si sviluppa accrescendosi rapidamente con un costante movimento a spirale in senso orario o antiorario e, in questo, rappresenta la coscienza dell’uomo che si espande dai centri vitali dell’interiorità per estendersi a influenzare il mondo esterno.

La natura del glicine di avvilupparsi al sostegno con vigore e di propagarsi a ritmo impressionante e quasi invasivo, […] un monito contro l'amore ossessivo o troppo passionale, di dipendenza esagerata dall’altro.


La Ragazza raffigurata diventa infatuata a tal punto dell'uomo che la guarda attentamente da prendere vita ed uscire fuori dalla tela. Scrive lettere d’amore, ma non ottiene risposta e, danzando sotto un glicine frondoso, con un ramo in mano, esprime i sentimenti profondi che prova per l’amore non corrisposto, accompagnata dalla musica ‘Nagauta’ ('canto a lungo'). Triste e disperata, rientra affranta dentro al dipinto, sotto al glicine, alla fine del balletto.






Capitolo due
Desmond



Quattro anni prima



Mi ha tradito – disse il ragazzo così all'improvviso, che quasi spaventò se stesso, con una voce dura e piatta, senza alcuna emozione.
Regin rimase zitta e, come per dargli segno di proseguire lo sfogo, smise di accarezzargli i capelli e posò la sua mano sulla spalla di lui.
Ha detto che mi amava. Siamo stati insieme per due intensi anni. Siamo stati in vacanza per due settimane assieme come se fossimo la coppia più legata e felice del mondo. E oggi l'ho vista davanti alla biblioteca baciare audacemente un ragazzo. Zitto, mi sono avvicinato a lei mentre nei suoi occhi scorgevo terrore. Lei ha voltato lo sguardo da un'altra parte, cercando di portarsi dietro quel tipo, cercando di scappare da me, dalla sua fedeltà. A quel punto io le ho posato un braccio sulla spalla e quando il ragazzo che era con lei le ha chiesto se ci conoscevamo lei ha detto di no, di non avermi mai visto prima, che forse mi sono sbagliato e mi ha voltato le spalle – la voce del ragazzo era calma, fin troppo calma e piatta, eppure le sue parole scorrevano come un fiume in piena. Non c'erano più i singhiozzi a far tremare il suo corpo: sembrava tranquillo, ma a tradire questa apparenza c'erano le calde lacrime che continuavano a solcare copiose sul suo viso. Regin pensò che probabilmente quella ragazza l'avesse fatto apposta, perché sicuramente conosceva gli orari del castano. – L'avevo messa davanti a una scelta. Le avevo svelato il mio più oscuro segreto e le avevo chiesto di scegliere. Le avevo detto tutto perché mi fidavo di lei, perché pensavo che fosse l'amore della mia vita ed io il suo “Ti resterò accanto, qualunque cosa accada” ha sollevato il mio cuore. Lei poteva scegliere di allontanarsi subito da me, ma mi ha illuso con il suo finto amore per devastarmi, per distruggermi una volta per tutte.
– Ci sono persone... – osò Regin con la voce spezzata – persone che non ti farebbero mai del male.
– Tu non capisci. Tu non puoi capire. Fin dalla prima volta che l'ho vista, me ne sono innamo
rato.
“Oh, posso eccome.”
– Tu non puoi capire, perché sono condannato a vivere senza amore, a vivere per tutta la mia esistenza con la solitudine in una casa fredda e abbandonata a se stessa.
– Come ti chiami? – gli chiese in un sussurro.
– Desmond.
– Desmond, da ora in poi ti riempirò così tanto di amore che ti parrà di venire soffocato sotto il suo peso – disse sincera, cercando di celare, sotto un tono scherzoso, il suo immenso amore.




Desmond e Regin diventarono amici dopo la sera della pioggia blu. Dapprima fu Desmond a cercare costantemente Regin, poiché quest'ultima, timida e insicura, aveva cercato di evitare di stargli accanto perché reputava quel suo attaccamento l'ostentazione inutile del suo amore non ricambiato. Lei provava a stargli lontano anche perché aveva capito che lui non avrebbe neanche mai pensato di poter ricambiare i suoi sentimenti, nonostante si fosse affezionato a lei subito dopo la sua sincera dichiarazione.
Non riusciva a far a meno di lei semplicemente perché lei era la persona migliore che avesse mai conosciuto: era sincera, umile, onesta e spontanea in ogni occasione.
Era quasi passato un anno dal giorno in cui aveva scoperto il tradimento della sua ex-ragazza e lui viveva ancora solo nel suo appartamento poco lontano dalla biblioteca, edificio in cui, ora come ora, trascorreva tutti i momenti che non riusciva a colmare con Regin o con le lezioni dell'università. Gli piaceva l'atmosfera che aleggiava nella biblioteca, un posto calmo ove poter avere tutto lo spazio che si desiderava e la compagnia necessaria per non impazzire, perché esso era un luogo intriso dalla presenza, dal passaggio delle persone così come libri – contenenti pagine e pagine sfiorate dall'amore e dalla curiosità di numerose paia di mani che non si erano mai toccate tra di esse – che esso custodiva. Inoltre, era anche un rifugio caldo e illuminato, confortevole e rilassante.
Desmond alzò lo sguardo dal libro in cui era immerso quando udì vibrare il cellulare. Era la sveglia delle venti e trenta, ovvero l'orario di ritornare a casa, poiché di estate la biblioteca chiudeva alle ventuno. Dopo aver sistemato le cose, si alzò malvolentieri e uscì dalla saletta lentamente. Una volta fuori dalla biblioteca si diresse verso la sua macchina parcheggiata a un paio di isolati di distanza.

Parcheggiata l'auto nel garage, Desmond salì al terzo piano per tornare in quella che era ormai la sua casa da più di cinque anni.
Chiunque, a vederlo, avrebbe detto che era fortunato: aveva un appartamento in buone condizioni posto in una bella zona e una macchina, era il migliore di tutti i corsi che frequentava e viveva da solo. Già, viveva da solo ed era questa la nota dolente: lui avrebbe voluto al suo fianco la sua famiglia, degli amici, ma anni fa si era allontanato da loro proprio per proteggerli.
Desmond amava ed era per questo che non poteva essere amato. Condannato a condurre un'esistenza sola e abbandonata, non poteva avvicinarsi a nessuno senza la paura di fargli del male.
Tirò un lungo sospiro stanco mentre si chiuse la porta alle spalle. Buttò lo zaino sul pavimento e, senza neanche curarsi di accendere la luce, cercò il divano e si sdraiò sopra.
Si sentiva pesante. Terribilmente pesante, perché avvertiva su di sé un insostenibile senso di solitudine. Si rannicchiò contro se stesso come se in quella posa potesse essere meno solo.
E si ritrovò a pensare agli altri ragazzi, a come potevano vivere, a come potevano amare una persona senza alcun problema. E si ritrovò a pensare a un se stesso che, incurante dei proprio sentimenti, usciva a divertirsi. E alla fine pensò a se stesso, quello vero, così maledettamente consapevole della propria situazione e dell'amore che riusciva a provare per una persona che un giorno o l'altro, prima o poi, avrebbe dovuto uccidere. Uccidere in modo lento e consapevole.
Non se n'era reso conto, ma stava già piangendo, stava versando lacrime represse da anni ormai.
Non aveva fiatato, non aveva pianto quando aveva scoperto della sua maledizione, si era limitato a progettare, a scappare, ad allontanarsi da coloro che amava, violentato dall'ingiustizia del destino.
Quando, passandosi una mano sui capelli, si accorse finalmente di avere il viso bagnato, Desmond si asciugò frettolosamente e tremante prese il cellulare.
E prima ancora di rendersene conto, chiamò Regin. Vedendo il suo nome sul display, premette immediatamente il tasto di fine chiamata, consapevole del fatto che la disturbava anche troppo. Regin non era la sua personale infermiera, né una sua schiavetta: aveva una vita propria e lui voleva cercare di sottrarle meno tempo possibile, anche se aveva passato un periodo in cui non riusciva a far a meno di lei, senza la sua compagnia gradevole e amata, senza l'alone di profumo che si portava sempre dietro non poteva proprio stare.
Posò il cellulare sul bracciolo e si alzò a sedere, promettendosi di non chiamarla più.
All'improvviso la luce del lampadario lo accecò per un attimo, costringendolo a chiudere gli occhi.
Oh, scusa: non pensavo fossi a casa! – gli disse Regin piuttosto mortificata e imbarazzata.
Desmond sorrise a ripensare a quando le aveva dato le chiavi di casa per questioni di comodità e lei gli aveva detto “Oh, te ne pentirai!”. Lui le aveva risposto che non poteva saperlo e lei si era limitata a un “Mi conosco bene” e una scrollata di spalle.

Tranquilla tanto prima o poi avrei dovuto accendere la luce, poiché devo ancora cenare – le sfoderò il migliore dei suoi sorrisi, scacciando ogni brutto pensiero.
Non hai ancora cenato?
No e tu?
Neanch'io – rispose Regin, osservando la casa come per imprimersi ogni dettaglio, ma alla fine fu costretta a guardare la parte della stanza ove vi era Desmond. – Come sei disordinato! – esordì senza riuscire a controllarsi – Ti avevo detto appena la settimana scorsa che dovevi mettere assolutamente a posto quel tavolino! E la smetti di buttare a casaccio il tuo zaino? E poi quand'è l'ultima volta che hai pulito il pavimento? – Regin si avvicinò al divano, alzandosi le maniche della felpa pronta a lavorare. – Ora ci penso io.
Desmond alzò gli occhi al cielo, sospirando: si era ricordato il motivo per cui aveva sempre cercato di invitarla il meno possibile a casa sua.
Regin era sempre disponibile se si trattava di dare una mano, ma a volte diventava fin troppo invadente fino al punto di mettersi in testa l'idea di riarredare completamente casa sua.
Desmond si alzò dal divano e si avvicinò a lei che non riusciva a smettere di dire un'infinità di cose che non gli interessavano.
Spense la luce e allungò una mano per afferrarle la vita e portarsela alla spalla come fosse un sacco di patate.
Regin si ammutolì come si aspettava: aveva imparato con il tempo che spiazzarla era l'unico modo per arrestare il suo fiume di parole senza fine.
Ti porto fuori a cena – le disse quasi seccamente. – Devi tornare nella tua città domani, no?
Sì, per questo sono passata a salutarti. Volevo venire direttamente a cercarti in biblioteca, ma non ho potuto mancare agli impegni di amica.
Cos'ha fatto Nives?
Il suo ragazzo l'ha lasciata! – esclamò indignata.
E tu sei rimasta con lei per tenerle compagnia e per consolarla... come l'ha presa?
No, affatto: sono andata con lei a cercare il suo ragazzo e qui – riuscì a malapena a celare un malefico ghigno – c'è stata la parte più bella! – Regin, a questo punto, scoppiò in una fragorosa risata che di buono e genuino non aveva nulla.
Desmond scosse la testa incredulo: Regin a volte riusciva a spiazzarlo totalmente con il suo impensabile sadismo. – Sentiamo, cos'hai fatto? – le chiese, mentre la appoggiava a terra, vicino al garage, sapendo che doveva porre obbligatoriamente quella domanda per la sua felicità.
Regin represse a malincuore un'altra ondata di risate diaboliche e iniziò il suo racconto che durò per tutto il tragitto per arrivare a un take away orientale ed era talmente assorta che lo finì di narrare dopo altri venti minuti buoni.
Sebbene Desmond la ascoltasse distrattamente non riuscì a far a meno di lasciare dei commenti increduli quanto sentì dirsi che alla fine avevano lasciato l'ormai ex-ragazzo di Nives in boxer in mezzo a una strada del centro, lontano da casa sua e senza portafoglio.
Ricordami di non fidanzarmi con una tua amica – scherzò lui, trascinato dalla leggerezza che solo Regin era in grado di portare.
Per risposta ebbe, però, solo un improvviso mutismo.
Perché siamo qui? – Regin parlò solo dopo che lui parcheggiò la macchina vicino a un lago. – Non sai che hanno messo la pioggia?
Perché non me lo hai detto prima? – le chiese sbattendo la testa sul volante.
Perché tu non mi hai detto che volevi venire qui: pensavo che avremmo cenato a casa tua.
Desmond le lanciò uno sguardo terrorizzato immaginandola nella sua cucina con il lavello colmo fino all'orlo di piatti sporchi.
Per adesso il tempo promette bene: approfittiamone! Mangiamo qua! Poi si vedrà! Se andare o meno a casa mia – in realtà non sapeva neanche lui il motivo per cui l'aveva portata lì.
Va bene – Regin annuì con fare convinta, sorridendogli.
Appena si chiuse dietro la portiera della macchina nera, Regin lanciò uno sguardo malinconico al lago blu che risplendeva al massimo della sua magica bellezza.
Davanti a lei vi era un panorama bellissimo, ma sentiva comunque il cuore distrutto incapace di palpitare per tanta meraviglia, perché era stanco, era davvero stanco e provato.

Guarda ho anche un ombrello! – Desmond gliel'ho mostrò entusiasta. – Tieni un attimo che prendo la nostra cena e guarda che fortuna! Ho anche una tovaglia da pic-nic qua! – l'attenzione di Desmond virò dal bagagliaio per volgersi a Regin, la quale si stava dirigendo verso il lago come ipnotizzata, e chiuse la portiera senza proferire parole.
Regin guardava incantata il lago colorato di blu dalle miriade di lampadine accese nella città che come ogni anno dedicava due settimane alla festa dei colori primari. Per l'occasione dividevano le città in tre parti, ogni anno in modo diverso, e in ognuna di essi allestivano potenti lampadine dello stesso colore.
L'anno precedente il lago rifletteva completamente il colore rosso e invece quest'anno il blu.
Regin si fermò di colpo e si inginocchiò accanto al tronco di una quercia, appoggiandosi ad essa.
Toh, guarda: ci sei tu su quest'albero – osservò Desmond, sedendosi accanto a lei, guadagnandosi un'occhiataccia.
Regin risalì a guardare il più alto dei blauregin e pensò che quella pianta avrebbe schiacciato la quercia sotto il suo invadente peso nel caso nessuno intervenisse tempestivamente.
Sai mia nonna amava i blauregin per questo mi ha regalato questo braccialetto – le disse Desmond, mostrandole ciò che un anno e mezzo prima era stato quasi buttato nel pattume da Regin, la quale guardò il braccialetto con occhi vuoti e persi che poi volsero la loro attenzione allo sguardo, sereno come al suo solito, del ragazzo.
Siamo nel posto sbagliato, sai? – gli chiese, celando a malapena un sorriso ironico. Alludeva al fatto che in quel luogo, oltre a loro due, vi erano poche persone ed erano tutte delle coppiette.
Regin era troppo stanca. Se prima lui era troppo lontano, ora era troppo vicino: le bastava allungare un braccio per sentire il calore delle sue pelle a contatto con la propria, ma non poteva in alcun modo sfogare in quel loro contatto il suo più disperato amore, perché lei sapeva che lui era terrorizzato da quel sentimento.
Hai proprio ragione... non so neanche io bene il motivo per cui mi sono trascinato qui, portandomi te dietro.
Regin sapeva che più Desmond guardava gli altri stare assieme, senza alcun timore, più percepiva la solitudine stringergli il cuore.
E, come lo stesso giorno di un anno fa, Regin si avvicinò di più a lui, ma questa volta fu lei a poggiare il capo sulla spalla di Desmond.
Amare una persona da vicino è difficile, sai? Vorresti starle lontano, ma allo stesso tempo desideri starle ancora più vicino... – gli disse con voce spezzata, lasciando che le lacrime represse da mesi sgorgassero copiose. – Da un lato è bellissimo starle accanto, ma dall'altro questo legame ha un che di triste e disperato, perché lui ha bisogno di me non come io vorrei ed io ho bisogno di lui come lui non vorrebbe.
Un lampo illuminò all'improvviso il cielo, facendo sparire per un istante il riflesso blu dell'acqua.
In pochi minuti il temporale annunciato arrivò, scacciando tutti dalla riva di quel lago; tutti eccetto una piccola coppia accoccolata sotto un ombrello che uno dei due aveva prontamente aperto.
Io non posso amare nessuno – sussurrò lui, dopo un tempo che era parso infinito, con una voce dura, come per imporselo ancora una volta.
Invece puoi! Puoi amare qualcuno che ti darebbe l'anima! Tutta l'anima! – sbottò Regin, alzandosi come se volesse scappare: odiava i momenti in cui iniziava a fare il dannato.
Desmond la imitò, lasciando cadere a terra l'ombrello. – Davvero daresti l'anima per me? – le chiese, scavando in quegli occhi in cui pareva esserci una pioggia blu perennemente in un mare di viola e lavanda, in quegli occhi chiari così luminosi e allo stesso tempo cupi, in quegli occhi insicuri ma determinati.
No, non posso e sai perché? Perché è tua dal giorno in cui sono innamorata di te!
Nei tuoi occhi sembra agitarsi sempre una pioggia magica e incantevole, perché in ogni istante le varie sfumature sembrano sempre spostarsi. Io... io... – voleva solo dire che l'amava, ma non ci riuscì. Dentro di sé sapeva di amarla da tempo, ma aveva sempre cercato di reprimere il suo profondo sentimento, perché l'avrebbe solo ferita.
Decise che poteva fare altro invece che farfugliare altre cose senza senso; si avvicinò ancora di più a lei e unì delicatamente le sue labbra a quelle di lei che non bramavano altro ormai da tempo.
Unita in quel bacio tanto intenso quanto inatteso che aveva il sapore della pioggia, a Regin parve che quell'anno e mezzo passato ad amare silenziosamente fosse volato come nulla, mentre il suo cuore, tornato vigoroso, pareva non voler rallentare neanche un po' il ritmo.



Angolino mio:
Desmond significa “mondo”. All'inizio volevo chiamarlo con un nome che avesse il significato “semplice”, considerando che questo aggettivo è parte del suo essere, ma poi ho trovato che mondo fosse più adatto.
Ringrazio tutti quelli che hanno inserito nella storia tra le preferite/seguite. :)
E ringrazio Fantasy25! Sappi che è lecito innamorarsi di lui! U_U

Spero di non avervi deluso!
Saluti,
Elsker.





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Capitolo 4
*** 4. Capitolo tre ***


1. Prologo







Come la maggior parte delle viti, il glicine può diffondersi in modo quasi invasivo e diventare così distruttivo fino ad abbattere edifici e tralicci con il gravare del suo peso.


Il fiore del glicine diventa il simbolo della luminosità e della caducità dell’esistenza: tutto muta continuamente, in ogni momento, con il trascorrere del tempo, compresa appunto la vita stessa, quindi si dovrebbe apprezzare appieno l'eternità in ogni istante

Il pianto della Ragazza esprime il dolore che prova, così il glicine diventa il fiore dell’amore perduto...

I fiori del glicine sono caratterizzati da un delicato e particolarmente gradevole profumo.




Capitolo tre
Il prezzo dell'amore




Sei diventato più ordinato – osservò Regin, stretta fra le braccia di Desmond.
Se non avessi ordinato tutto, tu avresti passato come minimo tre ore a insultarmi per poi impiegarne altre cinque per ordinare prima di prestare attenzione a me – le sussurrò in finto tono di rimprovero, stringendo ancora più il suo piccolo corpo a sé.
Amo l'ordine – sospirò Regin.
Ami essere invadente: è una cosa diversa – ribatté lui e scoppiò a ridere ricordandosi di come lei avesse detto “Io ti riarredo tutta la casa” appena tornati a casa inzuppati e affamati la sera della pioggia blu sul lago e di come avesse poi passato tutta la notte a rovistare fra le sue cose.
Perché ridi? – domandò lei infastidita, sapendo che era qualcosa che la riguardava, e alzò lo sguardo per vedere il suo viso disteso in un'espressione di totale spensieratezza e felicità come l'aveva poche volte.
Perché a volte sei invadente fino a diventare distruttiva!
Non lo sono!
Vuoi che ti ricordi di quella volta in cui hai costretto un tipo che ti pareva un bravo ragazzo a uscire con Nives solo perché, per la fretta, si era scontrato con lei in biblioteca? Li ha costretti tutti e due! E alla fine li hai pure stalkerati da sotto il tavolo del ristorante, portandomi dietro. E quando al loro secondo appuntamento... – Desmond avrebbe continuato fino all'infinito se Regin non gli avesse dato un pizzicotto sul braccio. – Ahi! – si lamentò, allontanandosi d'istinto.
Beh, avevo ragione! Ora sono sposati!
E le mie cose? Le hai buttate tutte! – chiese lui, ripensando a quanti sacchetti della spazzatura Regin aveva riempito.
Solo ciò che era di troppo... eri, anzi sei, troppo caotico. Non ti eri neanche accorto di aver perso una felpa rossa!
Ah – commentò lui, ripensando a quando le aveva rivelato che era stata lei ad avergli restituito il braccialetto che aveva messo nella tasca della felpa che gli era caduta. – Ora però non mi dimenticherò mai più l'esistenza quell'indumento – sussurrò dolcemente, baciandole la fronte.
Già, il nostro è... – la voce di Regin si affievolì fino a spegnersi, addormentandosi di botto solo come sapeva fare lei.
Desmond le diede un altro delicato bacio sulla fronte e le bisbigliò un dolce buonanotte.
Si alzò dal letto il più cautamente possibile, anche se non ve ne era bisogno visto che Regin aveva un sonno molto profondo per il viaggio lungo e intenso che aveva compiuto per tornare da lui.
Era da così tanto tempo che non si vedevano che, quando l'aveva vista in aeroporto, aveva temuto che fosse solo un'illusione. Invece, solo pochi istanti dopo, Regin incurante delle altre persone, si era buttata fra le sue braccia, facendolo cadere sotto il suo peso, propagando nell'aria quel buon profumo che aveva solo lei. Aveva pianto silenziosamente sopra di lui senza proferire alcuna parola, lasciando che le lacrime di commozione parlassero delle sue emozioni. In quel momento anche Desmond avrebbe pianto molto volentieri – felice com'era –, ma era troppo esterrefatto e sorpreso per rendersi subito conto delle sua reale presenza, continuando ad accarezzarle i capelli lisci.
Desmond raccolse silenziosamente i suoi vestiti e li mise in fretta e furia.
Guardò per un'ultima volta Regin che dormiva profondamente aggrappata al cuscino e, prima di chiudesi dietro la porta della sua stanza, respirò ancora profondamente il profumo che vi aleggiava, uno che Regin era in grado di portare con la sua sola presenza.
Scivolando furtivamente, arrivò in garage. Avviato il motore della macchina, guardò l'orologio: era mezzanotte in punto: forse ce l'avrebbe fatta prima di partire.
Doveva allontanarsi il più fretta possibile, doveva farlo perché altrimenti lei sarebbe morta.
Vi era un motivo per cui più di un anno fa l'aveva allontanata da sé, usando come scusa la vita della creatura che era nata da lì a poco. In realtà l'aveva persuasa ad andarsene solo per salvarlo: non le rimaneva molta anima.




***




Regin ti devo dire una cosa – le aveva detto, dopo quattro mesi che stavano assieme, con il cuore palpitante per l'agitazione.
Sì? – aveva risposto lei, con un tono calmo, che era appena entrata in cucina per prendere le posate.
Ti ricordi ancora di quando continuavo a dirti che sono condannato a restare solo?
Ci risiamo – commentò Regin, alzando gli occhi al cielo mentre chiudeva il cassetto dove aveva sistemato molto tempo addietro tutte le posate che aveva trovato in giro per la casa dopo averle lavate accuratamente.
No, non fiatare: ascoltami – la pregò e si girò verso di lei dopo aver appoggiato il mestolo sul bancone, ricercando il contatto visivo.
Va bene – concesse Regin, appoggiandosi all'armadio in attesa di un discorso che si preannunciava serio.
Io sono condannato, io sono maledetto. La notte le mie mani prelevano un pezzo d'anima dal corpo di chiunque viva sotto il mio stesso tetto, oppure semplicemente abbastanza vicino, di chiunque verso cui io provi dell'affetto – le spiegò con la voce più calma che riuscì a trovare, cercando di non abbassare mai lo sguardo da quello di Regin che cominciava a essere combattuto, a diventare sempre più cupo come se vi si agitasse una vera tempesta. – Quindi se rimarrai con me, se vorrai mai vivere con me, succederà che ogni notte ti verrà rubato un pezzo dell'anima fino a privartene completamente, fino a quando ne resterai completamente senza.
Regin rimase allibita, senza fiato, senza parole e le posate le caddero della mani.
Perciò era questo l'oscuro segreto che aveva detto di avere... era questo il motivo della sua solitudine. Non ebbe neanche per un attimo il dubbio che Desmond stesse scherzando, perché ormai lo conosceva bene: sapeva quando recitava e quando invece era serio al punto da colpirle l'anima.
Ti amo troppo per lasciarti andare, per privarmi della tua compagnia, ma se lo vuoi fare… insomma, capirei – concluse frettolosamente il breve discorso che aveva preparato la settimana scorsa. Era incredibile come fosse riuscito ad aprirsi con lei in soli due mesi, mentre con la sua ex aveva impiegato due interi anni. Forse vi era anche il motivo che Stella, a differenza di Regin, abitava molto lontana da casa sua.
La ragazza si chinò silenziosamente a raccogliere le posate e le mise nel lavastoviglie.
Quindi io morirò stando con te? – chiese senza mezzi termini con una calma quasi esasperante.
Sì...
In pratica succede solo ciò, è questo il prezzo dell'amore. Accetto – disse tranquillamente. – Ricordo ancora i giorni che ho passato ad aspettarti invano nella saletta della biblioteca, ricordo ancora quel dolore e quel senso di abbandono al mondo e soprattutto ricordo ancora il ragazzo che ho trovato sotto la pioggia; per nulla al mondo ti distruggerei in quel modo, perché al solo pensiero che tu soffra tanto, senza aggiungere il fatto che sia per colpa mia, io morirei subito. Ti amo: l'ho capito fin dal giorno in cui mi hai fatto notare prepotentemente la tua esistenza con una violenta spinta, un livido e un paio di scarpe rovinate. E... davvero non m'importa di vivere a lungo, voglio solo vivere intensamente la mia vita con la persone che amo.
Anche se oggi potrebbe essere il tuo ultimo giorno?
Se oggi fosse il mio ultimo giorno, desidero passare tutto il tempo con te – sussurrò Regin, appoggiando la testa nel petto di Desmond, cingendolo in un abbraccio ascoltando il suo cuore battere violentemente per la commozione.




***




Da quel che si ricordava Desmond non era sempre stato così: gli era successo all'improvviso di svegliarsi la notte per entrare nella camera dei suoi genitori silenziosamente, affondare le mani nel cuore di suo padre per estrarre qualcosa di inconsistente ma denso e poi uscire di casa.
Correva, correva a una velocità sovrannaturale, brancolando nel buio, per raggiungere l'oscurità, una meta che in qualche modo sentiva di conoscere bene.
Arrivato a destinazione, affidava ciò che aveva rubato in due grandi mani nere, le quali lo mettevano in una grande urna.
Poi la mattina si risvegliava sul suo letto, madido di sudore come chi aveva corso a lungo o aveva fatto un brutto sogno e lui sentiva di aver fatto tutte le due cose.
La stessa cosa successe con sua madre, seguita da sua sorella minore, per poi ripetersi con suo padre. E tutti e tre, a turni, la mattina si lamentavano di svegliarsi strani, come se mancasse qualcosa in loro.
Desmond all'inizio non capiva cosa succedesse, ma con il passare del tempo cominciò a sospettare che la notte succedesse veramente qualcosa che non fosse semplicemente un incubo ricorrente. Deciso a scoprire il mistero che si celava dietro a queste stranezze, Desmond rimase sveglio per vedere che cosa succedeva veramente durante ciò che gli pareva solo un lungo sogno. All'una in punto percepì un altro sé risvegliarsi dentro di lui, dirigersi silenziosamente, attraversando i muri, verso la camera della sorella che aveva compiuto da poco otto anni, vide le proprie mani affondare nel cuore, trapassando la pelle della piccola come se non esistesse ed estrarre a fatica una lunga striscia luminosa.
Gli pareva che fosse opera di qualcun altro, non sua, perché non riusciva in alcun modo a frenare quelle azioni, ormai reiterate e reiterate da giorni, e perché gli sembrava di vedere tutto dall'esterno.
Si vide correre a una velocità supersonica sull'aria verso un luogo che non conosceva per poi consegnare dalle proprie mani quel qualcosa che aveva estratto da sua sorella a una gigantesca mano nera.
Bravo, un pezzo d'anima giovane, ancora acerbo – gli disse una voce rude e grossa di cui non sapeva indovinare la provenienza.
Anima? – chiese Desmond incredulo.
Sì, a poco a poco mi porterai tutta la loro anima.
Anima? – chiese ancora, osservando quelle mani che non gli parevano più sue.
Esatto, caro mio: sei condannato a prelevare ogni notte un pezzo d'anima di coloro che ami e consegnarli tutti a me – dopo queste parole la grossa mano nera schioccò le sue dita e Desmond venne trascinato indietro da una forza misteriosa, fino a quando il suo corpo ritornò ad adagiarsi nel letto.
Da quella volta in poi aveva provato ogni espediente: legarsi come un salame con una corda, ammanettarsi con il letto e dormire in qualche hotel in città, ma nulla lo teneva lontano dall'adempimento del suo compito.
Qualche mese dopo aver compiuto i diciotto anni, decise di allontanarsi dalla famiglia dicendo che aveva voglia di partire a studiare all'estero. I genitori dapprima non accettarono, ma, guardando quegli occhi che non erano mai stati così determinati, decisero di dargli il loro consenso e appoggio, consegnandogli prima di tutto i soldi necessari per partire per quell'impresa, nonostante il nonno, che era andato per miglior via l'anno precedente, gli avesse lasciato metà del suo immenso patrimonio.
Scoprì che stare lontanissimo da coloro che amava funzionava e visse per due anni solo, ma soddisfatto, in un appartamento che aveva comprato in una zona, piuttosto bella, di una città molto lontana da quella natale. Ben presto però si ritrovò ad affrontare la solitudine che era ben peggio di quanto si fosse immaginato e proprio in quel buio periodo incontrò Stella, innamorandosene al primo sguardo.
Aveva passato due anni splendidi con lei nella spensieratezza e pensava che avrebbe potuto continuare così per tanto altro tempo, ma lei con quel bacio aveva rovinato tutto: come aveva potuto credere che lei accettasse la morte pur di stare con lui?
Poi aveva conosciuto Regin e con lei aveva vissuto una spensieratezza consapevole; con lei non cercava di dimenticare la sua maledizione, ma riusciva ad rievocarla con un sorriso dolce per quanto amaro, perché era grazie ad essa che aveva potuto aprire gli occhi e conoscere il vero amore.
Desmond si odiò al pensiero di aver condannato Regin con lui, perché avrebbe potuto facilmente lasciarla andare, invece di permetterle di stare al suo fianco, ma sapeva bene che detestarsi non serviva a nulla poiché ormai non si poteva più tornare indietro.
Guardò nervosamente le centinaia di chilometri percorse, sapendo che non erano abbastanza. Aveva ancora dieci minuti per allontanarsi da Regin, dalla condanna di entrambi.
Solo dopo due mesi che stavano insieme Desmond aveva iniziato a rubarle l'anima, pezzo per pezzo, perché per le vacanze estive Regin era ritornata nella sua città natale, lasciando a malincuore lui da solo.
E ancora due mesi dopo Regin si era trasferita a vivere da lui, dopo aver saputo del suo segreto, perché non sopportava l'idea che affrontasse da solo una simile condanna.
Notte dopo notte Desmond le rubava l'essenza della vita in modo più chiaro, finché riuscì a vedere l'anima racchiusa nel corpo di Regin. Nonostante non ne avesse mai viste altre in modo chiaro, Desmond era sicuro che quella forma fosse unica come gli occhi della ragazza: era a forma di un rametto di blauregin, che pendeva giù. Si vedevano benissimo i singoli fiori attaccati al fusto principale. Ogni volta le rubava un petalo e dopo che aveva preso tutti i petali di un fiore passava a un altro.
Quando finalmente, un anno fa, aveva trovato la forza necessaria di dirle di allontanarsi da lui le era rimasto solo il rametto all'interno. Sperava che Regin avesse colto il messaggio di emergenza in quel silenzio, ma lei, nonostante tutte le sue suppliche, era ritornata.
Centoquaranta chilometri.
No, non bastano.”
Desmond accelerò ancora.
Se proprio Regin insisteva ancora a volergli stare accanto, sarebbe scappato da lei ogni notte, non appena si fosse addormentata in modo da non farle sapere la gravità della situazione.
Centoquarantacinque chilometri.
L'una meno trenta secondi.
Desmond frenò all'improvviso, vedendo un animale sbucare all'improvviso.
La macchina girò più volte su stessa come violento vortice, facendo venire il capogiro a Desmond.
E mentre l'auto stava per capovolgersi, la cintura di sicurezza si slacciò automaticamente in contemporanea con la portiera si apriva. Il corpo di Desmond si librò in volo e uscì dall'auto un attimo prima che si schiantasse.
No, no ti prego! Piuttosto muoio io! – pregò urlando e cercò di appigliarsi a qualcosa, alla macchina che si era fermata in una nuvola di fumo, portando disperatamente le braccia nel vano tentativo di fermare la sua corsa all'indietro.
Con orrore si vide ritrasportato indietro, fino a casa sua, fino alla sua camera dove Regin dormiva profondamente.
Strinse violentemente le palpebre quando una sua mano affondò vicino al suo cuore che palpitava ancora piena di vita. Poi percepì il solito fresco dell'anima di Regin lambirgli le dita e ancora qualche secondo dopo percepì un qualcosa di consistente quanto inconsistente stretto tra le mani.
Cercò di urlare, ma la sua bocca non emise un gemito mentre il suo corpo si trascinava fuori casa.


Desmond guardò con furore la mano nera di sporcizia apparire dal nulla. Sebbene cercasse in tutti i modi di non avvinarsi a quella cosa, vide le sue mani tendergli l'ultimo frammento dell'anima di Regin, l'ultimo appiglio alla vita della sua amata.
Su consegnamelo, veloce!
No! – Desmond all'ultimo momento fece appello a tutta la sua forza di volontà per voltare le spalle alla mano, ma dopo pochi passi inciampò e il frammento luminoso gli scivolò dalle mani.
Solo quando il frammento di anima cadde rumorosamente in ciò che si accorse essere l'acqua, l'oscurità attorno a lui si dissolse, mostrando l'ambiente in cui era.
Era il lago.
Desmond si trovav
a sulla riva del lago, il luogo dove lui e Regin si erano dati il primo bacio.
Il lago si colorò dello stesso colore della l'anima di Regin, ovvero lavanda e dal cielo cominciarono a scendere milioni di schegge d'anima blu.
Desmond osservò inevitabilmente quella scena che di spettacolare aveva fin troppo, reprimendo le lacrime duramente.
Bastava così poco...
Bastava lasciare che l'anima di Regin si liberasse da lui e da ciò che cercava di portarsela via per sé.
Bastava che toccasse l'acqua di cui non aveva mai saputo la presenza in quegli due anni.
Terminata la pioggia di scintille blu, davanti a un sofferente Desmond l'anima di Regin ritornò alla sua forma a dir poco incantevole.
Desmond, animato da una nuova speranza, allungò una mano per afferrare l'anima, correndo dentro il lago, ma essa cadde nell'acqua con un tonfo sordo.

La tua maledizione è sciolta – le sussurrò all'orecchio ciò a lui parve una voce famigliare.
Girò la testa a lato per dare un volto alla voce, ma quella presenza scivolò via per piazzarsi di fronte a lui.
– Sono tua nonna, sciocchino – gli disse dolcemente l'anima dalla forma umana. – Sai anche tuo nonno aveva la tua maledizione...

Ma tu... tu... – balbettò Desmond, incapace di lasciarle finire il discorso.
– Io sono viss
uta fino a pochi anni prima della morte di tuo nonno, vuoi dire? Caro figliolo, i miracoli esistono. E tu ora sei libero... puoi ricominciare ad amare chi vuoi da vicino e a essere ricambiato con sguardi, gesti e il calore – sussurrò dolcemente l'anima che Desmond vide sparire velocemente come era apparsa, portandosi dietro il rametto di blauregin.
– Come posso amare se mi porti via lei? – chiese nonostante sapesse che nessuno l'avrebbe mai più ascoltato.

Desmond, a fatica, si strascinò verso la riva e si sdraiò sulla terra e guardò il cielo fin troppo stellato e luminoso per i suoi gusti.




Angolino mio:
Ecco, finalmente tutto ha un senso! XD O almeno spero... mi auguro di essere stata chiara. ^^” Sennò ditemi qualcosa.
Ringrazio come sempre Fantasy25 che legge i capitoli tutto d'un fiato e ringrazio anche _madame butterfly_ che si è sorbita la storia in una volta, apprezzandola.
E anche grazie a chi ha letto/a chi la leggerà questo capitolo. A chi ha messo la storia tra le preferite/seguite!
Al prossimo capitolo (che è l'epilogo...),
Elsker.




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Capitolo 5
*** 5. Epilogo ***


1. Prologo







Ma il glicine rappresenta anche la longevità e l’essenza dell’immortalità.

...ma rappresenta anche la straordinaria resistenza come vitigno, in grado di vivere e di prosperare anche in condizioni difficili, così come il cuore ha la capacità di resistere nonostante sia spezzato da un sentimento a senso unico.

In Cina avevano chiamato il glicine "Vite blu".


Glicine


Epilogo



Stupido, dove sei stato? –Desmond a quella visione, a quella voce, si immobilizzò mentre lei si buttava fra le sue braccia. – Pensavo ti fosse successo qualcosa perché hanno ritrovato la tua macchina! – lo riproverò Regin, stringendo stretto l'esile corpo di Desmond a sé.
Ma tu... tu... sei ancora qui? Sei viva? È tutto vero? – le chiese riprendendosi dallo shock, incredulo.
Sì, lo sono quanto lo sei tu! E... lo sono quanto tu sei sporco di fango! – gli rispose, facendo una faccia schifata guardandosi le braccia intrise ormai dello stesso sporco.
Se Desmond non fosse stato sopraffatto dalla felicità le avrebbe detto “Siamo al solito... tu e il tuo rapporto con la pulizia”, alzando gli occhi al cielo, invece le disse – Sposiamoci! – guardandola con due occhi colmi di amore e ammirazione.
Cosa?! – chiese Regin allarmata e scioccata, distogliendo immediatamente la sua attenzione dalle proprie mani che cercavano di liberarsi dallo sporco per posarla su Desmond.
Sposiamoci! Ma primo di ciò voglio andare a trovare nostro figlio e poi... dobbiamo conoscere vicendevolmente i nostri genitori e parenti!
Prima, però devi comprarti una nuova macchina.
Sì, lo so e prima ancora devo darmi una bella ripulita!
Regin gli sorrise dolcemente mentre Desmond la sollevava dal pavimento, facendola danzare in aria con una risata cristallina. Era così felice e spensierato... così libero.
Non si sarebbe mai aspettata un proposta simile quando lo aveva visto dallo spioncino e aveva aperto la porta per andargli incontro. Sapeva solo che qualcosa era cambiato, migliorato, e lei non aveva altre domande.
Desmond la guardò intensamente negli occhi e gli parve di cogliere una sfumatura nuova di blu in quel mare di lavanda e viola.
“Chissà, forse è rinata. Forse ho visto male, ma non m'importa più nulla ormai: vivremo insieme per sempre!”
Ti amo.


Angolino mio:
Finalmente la storia è conclusa. XD E' corta, perciò non vi ho tediato troppo.
La prima versione di questa storia non aveva il lieto fine, ma volevo far contenta Lutea, perciò adesso c'è! L'epilogo termina bene, anche perché spero che tutte le coppie, che hanno percorso una lunga strada per mettersi assieme, abbiano il loro happy handing! :3
A me è parso che il glicine sia una pianta molto forte, allora continua a crescere, continua ad espandersi... per questo Regin è ancora viva. La sua anima nell'anno in cui è stata lontano da Desmond è rinata. Non so come spiegarlo, perciò è meglio che finisca qui. xD

Beh, grazie a tutti che hanno speso del tempo a leggerla! 
Ringrazio Fantasy25 che leggeva ogni aggiornamento con una velocità allarmante. Grazie per aver apprezzato questa semplice storia, Regin e Desmond. ^///^
Allora, non pubblicherò nulla(penso) di nuovo su EFP per molto tempo, ma scriverò silenziosamente una long romantica che ho eliminato e un'altra a quattro mani con una superdonna. u.u
Ringrazio Scarlett Brooks_39 per il banner!
Se, nell'improbabile caso, avete voglia di leggere qualcosa di mio vi lascio il link di una storia drammatica a cui tengo tantissimo e che spero di concludere entro quest'anno!
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2358289&i=1

L'amore non vuole avere, vuole soltanto amare.
Le altre storie che ho pubblicato non sono un granché.
Adios! ;)








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