Jack & Joe

di sistolina
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Spruzzare deodorante sulle sveglie che muggiscono. ***
Capitolo 2: *** Brighton d'estate è troppo mainstream. ***
Capitolo 3: *** Pezzi di Jack inclinati sulle orecchie di un quaderno a quadretti. ***
Capitolo 4: *** Occhi da pesce morto davanti ad uno specchio rotto. ***
Capitolo 5: *** Coniugare all'imperfetto verbi irregolari ***



Capitolo 1
*** Spruzzare deodorante sulle sveglie che muggiscono. ***


Spruzzare il deodorante sulle sveglie che muggiscono.



 
Joe la mattina si sveglia sempre troppo presto, resta a letto solo dieci secondi, perché l'inattività gli dà ai nervi, non trova mai le ciabatte quindi cammina scalzo, e litiga con lo sciacquone del bagno che Jack doveva far riparare da prima che lui arrivasse.
Non è ancora arrivato lì davvero, Joe, perché casa sua ancora non l'ha lasciata, perché il trasloco non l'ha mai fatto, e al suo padrone di casa non ha mai dato il preavviso.
Ma per Jack ormai lui abita lì, e continua ad ammonticchiare cose e a chiamarle “sue”. Compra asciugamani e tovagliette di plastica con i supereroi disegnati, e ammucchia tazze e posate. 
Joe non può proprio dirgli che lì non si trasferisce, perché della sua mansarda a 50 gradi d'estate e -20 d'inverno ci si stiracchia ancora bene, che le tapas dello spagnolo nella traversa sotto casa sono l'unica colazione a cui riesce a pensare, e che mai nella vita andrà a correre prima delle dieci e mezzo di mattina.
E che forse gli piace un po' troppo presentarsi senza avvertire, solo per vedere quando grandi diventano i suoi occhi, e quanto è buono l'odore di uova fritte e nicotina sulla sua maglietta 2XL lunga fino alle ginocchia.
Quando ha le dita appiccicose di Vinavil e fasciate di cerotti, perché ha cercato di appendere le foto al muro con le puntine da disegno con i risultati pessimi che gli lasciano sempre qualche cicatrice.
Non vuole lasciare casa sua, Joe, la mansarda di perline e la finestra ad oblò, perché l'odore di trementina e olio di lino per diluire i colori lo fa sentire bene, come se facesse qualcos'altro oltre a spiaccicare la sua bella faccia sulle pagine di Cosmopolitan, fra un consiglio su come prolungare l'orgasmo e un workshop su come applicare l'eyeliner.
Jack lo sa fare bene, da prima che si conoscessero, forse, anche se non è uno di quelli a cui piace spalmarsi di grasso e intrufolarsi nella vita degli altri pennello e mascara alla mano, ma si diverte a conciargli la faccia, ogni tanto, quando il film alla tv lo annoia e non ha voglia di uscire. Si volta più spesso a guardarlo, come se lo immaginasse con gli zigomi macchiati di nero e pugni. 
E Joe lo lascia sperimentare, perché sembra patetico detto ad alta voce, specialmente a lui, che sorriderebbe come mai nella vita ha fatto nessun altro se solo lo sentisse, ma sembra tutto meno futile e superficiale, se lo stringe Jack. Anche la voglia che sente Joe di scappare, ogni tanto, tornare a Manchester e chiudersi nella suo capanno con le palette di giardinaggio di sua madre e il tosaerba che suo padre non usa da sei mesi a mescolare colori e strappare tele, in mano a Jack, non è più tanto invadente.
Non aveva programmato Jack nella sua vita. È capitato, ad un certo punto, ad una festa, poi a due, un cenno alla London Fashion Week, una sigaretta sulla terrazza della casa di qualcuno a Brick Lane, una birra con altre millesettecento persone. Fino a chiedersi dove fosse, Jack, e cosa facesse Jack, quando lui non c'era. Se piegasse il risvolto dei pantaloni con la stessa attenzione con cui lo aveva visto farlo per il profilo di d1,e quando aveva firmato per Q, se quel tic all'occhio destro fosse solo una risposta allo stress o un fastidio reale. Se sorridesse sempre come a lui, e soffiasse sempre il fumo negli occhi senza volere, e la sua voce fosse sempre diversa e strana rispetto alla sua faccia.
Se fosse mai spaventato come Joe all'idea di finire a bocca chiusa stampato ovunque, e non avere niente da dire e nessuno a cui dirlo.
Se ridesse mai davvero, per scrollarsi di dosso la sensazione che il mondo potesse vedergli attraverso.
“Joe...sei in bagno da due ore” 
Pensava avesse una vocetta stridula da ragazzino, quando l'ha conosciuto. Di quelle che ti trapanano il cervello finché non ti convinci a saltare l'adolescenza e cominciare a succhiare il ghiaccio per gli over 40. Pensava di trovare pessime imitazioni di fantasy nella sua libreria e orridi film romantici impilati sotto il letto. 
Pensava di non avere niente da dirgli la prima volta che è stato lì, una sera a caso. Niente sbronza, niente feste, niente amici in comune. Alla fine Jack è solo arrivato nello spogliatoio dell'agenzia dopo un servizio di sei ore, catene, borchie e sangue finto, e l'ha baciato su una clavicola mentre Joe cercava di infilarsi la maglietta. 
Sapeva di pelle finta e metallo.
E casa sua era spoglia e scarnificata, quasi intoccata. Solo foto decontestualizzate appese con un criterio solo sue alle pareti, e arrotolate alle lucine dell'albero di Natale comprate da Poundland e già bruciate per metà.
Casa, persone, disegni, e la Madonna.
Joe ancora lo prende in giro per quella sua strana fede un po' infantile, un istinto di resa e di protezione, ma in realtà, anche se il suo sopracciglio scatta in alto ogni volta che lo sente parlare di Dio, conosce la fede di Jack, perché se ne sente addosso un po', ogni tanto, mentre balla da scemo davanti alla tv con Just Dance 3 e fa finta di non accorgersi che trema tutto troppo spesso, sotto i piedi e nella testa. È quello che respira e sente, e lo droga di trementina e sigarette. Forse non è la fede di Jack, ma è quella di Joe.
Quella resa che per lui era strana e inaffrontabile, diventa facile, troppo facile, seduto sul divano mentre Jack dorme a bocca aperta sopra il telecomando, così che lui non possa nemmeno cambiare canale, una volta o l'altra, o spegnere lo schifo di reality sulle aste di pignoramento, e ascoltarlo solo respirare.
“Adesso esco” ma entra Jack. Perché il suo “lavoro da schiavo” da GAP lo reclama, perché le sue docce durano dodici ore, alla faccia dell'acqua che scarseggia in mezzo mondo, e le bollette. Alla faccia di tutto, è così che vive Jack, è così che vive Joe, uno spazzolino nuovo ogni tre mesi e i suoi asciugamani ripiegati nei cassetti. Jack e Joe e tanti piccoli accessori che servono alla vita, gettati alla rinfusa e lasciati al caso, perché è così che vive Jack.
E così Joe.
Ogni sera resta di più, ogni mattina si sveglia un minuto dopo, mangia più lentamente e si lascia cadere sul divano senza parlare, perché l'abitudine scava fosse nei cuscini e addormenta il panico dei silenzi.
E Jack torna e saluta, e accende la tv, e parla al telefono, e si muove nel mondo con Joe dentro, perché è così che vive Jack.
Alla fine Joe pensa che potrebbe riuscire a stare con Jack per davvero, e decidere che quel monolocale al quarto piano senza ascensore è il posto giusto dove sbattere i gomiti contro ogni spigolo. Ci pensa sempre più spesso.
“Dimmi che hai il deodorante spry, perché il mio è finito e già puzzo come una discarica, e non sono nemmeno le otto di mattina” ride di qualcosa rimasticando le parole in bocca e gettando a caso la maglietta nel cestino della biancheria sporca sotto il lavandino. Ride anche Joe, nello specchio, non sa nemmeno per cosa, non sa nemmeno a chi, ma l'idea di rimanergli appiccicato addosso tutta la giornata ha una patetica e sfigata sfumatura di confortevolezza.
Jack annusa il tubetto e lo agita. Sorride dietro una spalla di Joe.
“La manager al lavoro si farà il segno della croce pensando che sono diventato etero”
Rimane nascosto fra il suo collo e la nuca, un solo occhio fra lo specchio e le piastrelle bianche intorno a cercare una smorfia che sembri un sorriso.
“Che ha il mio deodorante che non va?” 
Jack non lo sa che Joe sorride sempre, troppo, anche da solo. Che prima era una vera testa di cazzo, e non diceva mai la verità se poteva evitarla. Che ha un'ossessione per le gambe, per come si muovono e a volte si intrecciano. Che le sue gambe, quelle di Jack, raccontano una vita intera se si lascia il tempo al mondo di andare a farsi fottere, e le si ascolta. 
Jack non sa troppe cose di Joe, e a volte Joe ha solo voglia di raccontargliele.
A volte lo fa.
“Niente, ma è un po' da macho. Cos'è, pino silvestre?” spruzza e odora, una nebbia bianca e un po' tossica che riempie il bagno come una sauna che sa di sottobosco. Muschio. Fa davvero un po' schifo come odore, ma nella vita Joe sceglie a caso.
“Ma vaffanculo” 
Jack gli spruzza il deodorante sul collo, il getto freddo che risveglia in lui uno strano fastidio e una carezza di divertimento. 
È come Jack nella sua vita. Joe nella vita di Jack. 
Strani brividi e fastidi senza nome.
Bacia sempre la stessa clavicola, che è sempre sua, troppo sua, da quando gli è capitata sotto le labbra per un caso che non è mai stato un caso. Anche se puzza di pino silvestre e ammoniaca.
“In frigo non c'è un cazzo, ma ho messo su il caffè. Non sparire oggi ok?” non si guardano nello specchio, perché forse Jack non vuole vedere l'espressione di Joe, e Joe ha paura di sapere quanto grandi diventano i suoi occhi quando sbattono contro quell'onestà troppo giovane.
E quelli di Joe a volte sembrano quelli di un altro, e diventano grandi e piccoli, e si scansano nell'incertezza, perché la gente non dice quel genere di cose e basta, lasciandole cadere inermi e grezze dalla bocca alle ossa degli altri. Si limano, si arrangiano, si mescolano, ma non si lanciano appena nate addosso alle persone.
Non nella vita di Joe.
Ma la vita di Jack è diversa.
E a volte gli fa paura.
Jack esce di corsa, sempre di corsa anche se è in anticipo, e la casa resta vuota.
Una madonna, fotografie, la sveglia che Jack si porta dietro in ogni stanza della casa e muggisce ogni cinque minuti per mezz'ora, una tazza nel lavandino.
Non farà colazione in quella casa, Joe. Ribelle e scontroso si riprenderà una stupida rivincita dall'affetto di Jack e tutta la sua consumata sincerità involontaria. Magari uscirà, e resterà seduto da solo ad un tavolo di Starbucks per tre quarti d'ora a fissare lo schermo del cellulare, Instagram e le colazioni di tutti con il filtro Walder. 
Non berrà il caffè per illudersi di poter ancora scappare. E di essere grande e solo, e di non lasciare niente dietro di sé.
Non sparire oggi.
Tornerà a casa Jack, e troverà il caffè freddo, la sveglia che muggisce senza pile, e Joe. Oppure no.
Forse lo lascerà gironzolare in metro per tre ore prima di decidersi a tornare, solo per il gusto di farlo aspettare, di non essere scontato, sempre presente, prigioniero.
Forse quello che Joe pensa di essere a Jack non interessa.
Lascerà la porta aperta, nel caso faccia troppo freddo per giocarsi la serata a “Sasso, carta, forbice” con l'orgoglio sulle scale, e aspettare di farsi aprire il portone dalla vicina ottantenne.
Lascia sempre la porta aperta Jack, anche quando non vuole che Joe torni, ma fa finta di averla dimenticata. A volte Joe non torna, e sa che Jack non lo perdonerà mai del tutto per il tempo e lo spazio che ruba ogni tanto solo per sé. E sa che Jack non glielo dirà, perché quel tempo e quello spazio sono anche suoi.
Alla fine non fa nemmeno colazione, una traballante giustificazione che si arrampica monca ai compromessi. E non si siederà da Starbucks, e forse lo farà aspettare anche quella sera, e forse non tornerà proprio.
Forse mai.
Joe non lo voleva nemmeno Jack nella sua vita.
Prima.
























Welcome!!!
Questa è una raccolta, umile e fluff, si spera, di OS su Jack & Joe. J&J esistono davvero, e sono due modelli, Jack della d1, agenzia di Londra che annovera fra i suoi Luke Worrall, per dire ahahah, e Joe della Models1, che tutti conosciamo, ovviamente, come l'agenzia di Toby Leonard ahahah :)
Chiaramente non esiste una sezione sui modelli in EFP, quindi questo progettino easy e senza pretese finisce nelle originaliXD Lo è anche, un po', perchè a parte certe info che sono riuscita a reperire dai loro IG, la stragrande maggioranza di quello che scriverò di loro è pura immaginazione^^
Jack e Joe stanno veramente insieme, Joe studia all'Accademia di Belle Arti a Manchester e Jack lavora da GAP (non so ancora quale ma vi terrò aggiornati). Sono belli in modo assurdo e si amano tanto. E fanno servizi come questo.
Che dire, amateli con me e, se volete, potete trovarci tutti qui <3

 

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Capitolo 2
*** Brighton d'estate è troppo mainstream. ***


Brighton d'estate è troppo mainstream.




Jack sa che una sera Joe, semplicemente, non ci sarà più. Niente di eclatante, niente porte sbattute e urla. Solo un'assenza.
Vorrebbe che Joe urlasse, ogni tanto, come fa Jack quando torna dal lavoro incazzato nero perché la gente fuori di testa della domenica pomeriggio andrebbe per metà internata e l'altra metà fucilata. Si siede sul divano e si lamenta calciando via le scarpe, arrotolando le calze e incrociando le gambe. Vorrebbe che Joe a volte gli rispondesse, e interrompesse i discorsi infiniti con se stesso. 
Jack non è a suo agio con le urla e le chiacchiere da cinque del pomeriggio al pub, e Joe lo capisce. Sono uguali, forse nell'unico piccolo pezzo di vita che anziché fare scintille si incastra.
Ma Joe non è a suo agio nemmeno con le sue parole, a volte, o con i suoi silenzi. O con lui. 
Joe non è uno di quelli che ama, e allora tutto sembra bello. 
Non sa mai niente, e non sa niente nemmeno Jack, perché Joe nella sua vita non ha mai avuto senso, o forse non aveva senso niente nemmeno prima e Joe è solo lì per ricordarglielo.
È che gli manca anche quando c'è, e nessuno gli aveva detto che sarebbe andata così. Sopportare di sentirsi soli a sedici anni perché quello che fa eccitare te inorridisce gli altri, aspettando il momento in cui non esserlo più. Questa era la vita di Jack prima di Joe: aspettare di non essere più solo.
Ma è solo anche quando c'è Joe, e Jack non sa perché.
Continua ad aspettare di non essere più solo.
È stato Jack a cominciare, perché Joe gli faceva un po' paura, alto e intenso, con gli occhi quasi chiusi e il profilo deciso di uno sempre arrabbiato. La paura di vederlo stringere il suo collo come stringeva il bicchiere di vino alla festa di compleanno di Hedi Slimane, mani enormi attorno a vetro fragile, opaco, che costava poco. Eppure sorrideva, Joe, quella sera. Dall'alto del parapetto guardava in basso e sorrideva.
Jack non sa se l'ha amato in quel momento, o forse non lo ama ancora, ma ha deciso che doveva toccare Joe per sapere se quella paura poteva svanire, o diventare sua del tutto.
Ha fatto sesso con uno quella sera, uno a caso. Ricorda vagamente il suo nome, perfettamente il suo viso, perché non somigliava a Joe. Forse Joe nemmeno lo ha visto, forse nemmeno sapeva che esistesse, ma Jack aveva paura lo stesso dei suoi occhi chiusi e le sue mani grandi, paura di non trovarle da nessun'altra parte, paura di non dimenticarle. 
Ha fatto sesso con un Non-Joe, come una disequazione di secondo grado. È più facile festeggiare il Non-Compleanno, si è detto, ubriacarsi tutte le sere tranne a Capodanno, festeggiare tutti i giorni in cui Gesù è stato vivo, anziché quello in cui è nato e quello in cui è morto.
È anche risorto, se lo ricorda bene, ma in ognuno dei casi non sarebbe stato contento di sapere che Jack ha lasciato che qualcuno lo scopasse solo perché non era Joe. Sentire dentro qualcuno che non avesse i suoi zigomi, e le sue mandibole, e le sue nocche arrossate attorno al bicchiere vuoto.
Non si è mai chiesto che sapore avesse, che odore avesse, che colore avesse.
Sigaretta, gel per capelli e scala di grigi.
Non si è chiesto nemmeno se il suono della sua voce fosse reale o inventato, se la paura che faceva al mondo lui l'avesse mai provata, se gli piacessero gli uomini davvero, perché non aveva toccato Sylvester per tutta la sera, e trattava Matt come un fratellino di dodici anni.
Non si è chiesto perché tutto sembrasse rachitico in confronto a Joe.
Scolorito e vago.
I bassi facevano vibrare il pavimento e dall'aria non si respirava che sudore.
Jack pensava che Joe nemmeno potesse sudare.
Anche adesso ogni tanto se lo chiede, anche se il suo sudore lo ha leccato e l'ha conservato dove nemmeno un amnesia potrebbe rubarlo, insieme a tutte quelle cose di Joe che ancora non sa ma che cerca di artigliare via dall'aria.
Jack non vuole pensare a Joe, perché sta ancora cercando di imparare la nuova tecnica per piegare i jeans, e pensare a Joe non è come ascoltare la radio in macchina, un movimento sotterraneo di stimoli complementari e disattenzione; pensare a Joe è come fare un testacoda nella rotonda, senza cinture di sicurezza dopo un frontale con un camion.
Dopo un frontale con Optimus Prime.
Jack non vuole pensare a Joe che non torna a casa da due giorni, e ancora si ferma davanti alla porta prima di entrare, perché quella non è casa sua, e anche se non glielo dice Jack l'ha capito da solo. Joe, che resta seduto sul gradino davanti al portone per non citofonare.
Joe sa che Jack lascia sempre la porta aperta, anche se non vuole vederlo, perché fare l'offeso gli riesce meglio se c'è Joe, e lui può camminare imprecando per casa con gli auricolari e la colonna sonora del Rocky Horror Pictures Show, a volume assassino, in loop, nell'i-pod.
E Jack ha davvero paura di Joe adesso, perché quando non c'è rimbomba tutto, e quando c'è i suoi occhi sono solo familiari, le sue mani grandi abbastanza da ricordare i centimetri degli anni luce, e i suoi zigomi hanno spigoli che Jack si perde a trovare nel buio. Joe fa paura perché è impraticabile, immancabile, inconcepibile. 
“Jack, dovresti dire al tuo ragazzo di avvertire quando viene qui, ho bisogno di dieci minuti di training autogeno per non svenirgli davanti” 
Jack non sa nemmeno se è il suo ragazzo, chi è quella persona, chi è lui, se i jeans che ha in mano sono il primo paio o il centesimo che ripiega senza pensare, o se invece Elizabeth ha ragione a svenire e aspettare sul pavimento che tutto succeda, priva di sensi, e basta.
Forse vivere Joe, svenuti, farebbe meno male.
Anche essere scaricati da Joe.
Ad occhi chiusi, velocemente, senza sentire altro che le piastrelle rettangolari calpestate da migliaia di piedi, le tracce di Londra sui vestiti.
Vorrebbe fingersi svenuto anche Jack, ma i jeans che ha in mano sono bianchi, e non si può davvero sdraiarsi a terra con in braccio uno stock di jeans bianchi.
Joe è sempre bello, anche quando non vuole. Il genere di bellezza che ti lascia spaurito in un angolo a chiederti come faccia a portarsi dietro quei lineamenti. E Jack sa che gli pesano la piegatura simmetrica della mandibola e l'arco di ogni ciglia, perché le ama, perché di quella danza severa si nutre il suo impugnare una matita, ma che le amino gli altri non gli va giù. Perché riesce ad abbrancare la pienezza delle schegge di armonia e colore, degli intrecci ben riusciti e degli equilibri, ma ama ancora di più la disturbante e catartica bellezza che scarabocchia dal caos.
Forse, se ha mai ha accarezzato qualcosa di Jack che andasse oltre fasci di nervi e distese di epidermide, era il modo in cui anche lui si accoccola nel caos e si lascia avvolgere. 
Ad ogni passo di Joe, con quelle sue gambe lunghe che sembrano sfuggire al pavimento all'ultimo secondo, Jack cerca di ricordare come si sono lasciati l'ultima volta, quanta distanza, quanta freddezza, quante parole. Potrebbe contarle, le parole di Joe, se solo sapesse trattenerle.
“Hei” 
Sorride, non come se niente fosse, perché si può dire tutto su Joe, tranne che è un ipocrita paraculo. Sorride come se chiedesse il permesso di accantonare la marea di scuse facili e tremolanti che scorrono come sottotitoli in farsi. Sorride come se chiedesse il permesso di scantonare le risposte offese di Jack, momenti in cui circumnavigare il punto per tenere il punto.
Uno strano permesso. Forse per lasciare da parte, per invadere. Per entrare. In quale trincea, fra le centinaia che lo ha costretto a scavare per non perdere pezzi di sé nella loro personale guerra di logoramento, Jack non saprebbe dirlo.
“Ciao” Elizabeth li sbircia sistemando lo stock delle magliette estive.
È così vero che Joe fa paura al mondo.
“Fra dieci minuti ho la pausa, se hai voglia di aspettare”
Non sono parole dette a caso, anche se i jeans bianchi appoggiati all'avambraccio cominciano a pesare.
“Va bene...Magari vado da Starbucks, bevo un caffè schifoso e boh, non lo so, mi faccio un selfie” 
Jack pensa che gli mancherà la sua espressione da selfie. Sapere che si arrende alle mode, ogni tanto, che si lascia traviare. Vorrebbe essere lui a portarlo sulla cattiva strada del cibo spazzatura e il reality sulle Kardashian in replica il venerdì, i balletti idioti con Just Dance 2 e le foto in metropolitana con la tag #gay. In realtà è tutto Joe, e gli mancherà quel Joe, perché niente ti sorprende nelle persone come vederle a loro agio nell'essere stupide. Non stupide tipo “tanto mi ama e gli va bene così”, stupide tipo “sono stupido e me ne vanto, e so che ci sei anche tu dentro questa stupidità, ed è anche tua, e ti sta bene addosso come me”.
Stupide tipo “resto con te se mi vuoi”. Stupide tanto da dire la verità esattamente come viene. Come un conato di vomito.
Gli manca anche quando c'è, Joe, perché le cose sono sempre più intense dopo, con la lente blu della nostalgia, e con lui è come vivere sempre girati di spalle a pensare com'era bello quando era più facile, anche se facile non lo è stato mai. Anche se pensarci è come cantare una brutta canzone banale, parlando di quanto è banale quella brutta canzone banale.
Vorrebbe lasciarlo solo ad aspettare da Starbucks fino all'estate, a farsi selfie fino a diventare cieco, e probabilmente Joe lo farebbe, perché sparisce solo quando Jack è quasi sicuro di trovarlo lì, e torna quando ormai si è rassegnato, coltellate di tempismo e affondi di ironia in un gioco che somiglia all'Allegro Chirurgo con i suoi organi interni.
Ma a poco valgono tutti i giri di parole che non ha detto.
Come sempre.
Starbucks è sempre buio, e va bene così. C'è silenzio e va bene così. C'è l'odore del cappuccino annacquato e del caramello, e va bene così.
Vorrebbe essere ubriaco Jack, perché l'alcool gli raschia via le parole dall'esofago, non importa per quanto tempo sono state arrampicate lì. L'alcool gli fa improvvisare una lap dance nella metropolitana di Parigi, e gli fa dire a Joe che lo ama, e che gli manca, e che va bene se vuole andare via, perché in fondo nemmeno Jack sta così bene con Jack la maggior parte delle volte.
Qualcuno gli ha chiesto se era il suo Principe Azzurro, una volta, ma Joe è scala di grigi, bianco e nero, foto fatte controluce e sfocate. 
Nemmeno i suoi occhi sono mai davvero azzurri, e cambiano, diventano scuri, e poi grigi, e poi del colore del pantano di notte, dove ti muovi alla cieca sperando di trovare un appiglio da qualche parte. A volte sembrano dire a Jack che può avere tutto, a volte niente. E non c'è mai nessuna fottutissima differenza con Joe, non una sola.
“Ho uno shooting la prossima settimana” non ha ancora toccato il suo cappuccino, e probabilmente ne berrà due sorsi e mezzo solo per prendere tempo.
“Dai grande...” Jack non ha preso niente, perché gli viene da vomitare.
Non è ancora pronto a lasciar andare Joe nel mondo. Non del tutto. Non completamente.
Un giorno, una settimana, anche un mese; non è la certezza di vederlo tornare che vuole Jack.
Gli bastano delle tracce, delle impronte di Joe nei suoi spazi ancora per un po'. 
Campanelle di tempo perso da far suonare quando è solo.
Luci accese lasciate a caso sapendo che qualcuno le spegnerà.
Vestiti sparsi, non trovare le cose, sbagliare spazzolino.
“Sì è...boh...sembra bello. E' l'editoriale di Another Man, roba grossa” beve ancora, vago, distratto, lontano. Sembra già lì, e sembra non voler più tornare.
“Cazzo, cioè, cazzo” 
Gli resterà solo una conversazione solitaria con le sue foto in copertina: l'incubo di Jack. Averlo come lo hanno tutti, appeso ad un muro o strizzato in una rivista.
Tanto vicino, e di plastica.
Come se avesse fatto un salto troppo grande per vedere anche solo la traiettoria, il punto di impatto.
Forse sapeva che prima o poi ci sarebbe stato uno shooting troppo lontano per aspettare il rinculo del colpo. Non il Giappone e addii frettolosi, ma lenti allontanamenti, strisciare fuori, strisciare via, strisciare lontano. 
Uno scatto alla volta. Come se fosse giusto.
Come se fosse inevitabile.
“È a Brighton” 
Perderlo per Brighton, due ore di autostrada e una spiaggia.
Avrebbe voluto perderlo per Parigi almeno. Per New York. Per qualcosa che facesse sentire Jack meno da schifo, meno rimpiazzabile.
Dicono che Brighton sia proprio bella d'estate.
Se lo ripeterà Jack, ogni minuto di ogni giorno della prossima settimana, sperando che il freddo di gennaio geli le palle a tutti.
Se deve perderlo per Brighton, almeno che sia doloroso.
“Fa un freddo cane laggiù adesso”
Joe non è uno che si preoccupa del freddo. Non allo stesso modo di Jack.
“Allora mi sa tanto che ti devi coprire, perché dobbiamo essere lì lunedì” 
Il modo in cui sorride è quello di quando Jack può avere tutto.
D'altra parte ha sempre voluto andare a Brighton d'inverno. 




Notes: ciao, sono di nuovo qui^^ Non nuoto mai nel fluff, ma forse questa volta un po' fluffini li sono :)
Loro sono tanto fluff in real life, tantissimo, ma proprio tipo che mi fanno sciogliere nell'amore e nei feels. Si amano tanto queste due persone, e se si lasciano io mi riterrò personalmente offesa ahahah
Non so perchè complico loro la vita, effettivamente :D
Lo shooting di cui parlano è il servizio fotografico per Another Man che hanno fatto recentemente, esiste davvero ed è bello da morire, e ve l'ho linkato nel capitolo precedente^^. Loro sono belli da morire <3
Potete sempre trovarci tutti qui^^

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Capitolo 3
*** Pezzi di Jack inclinati sulle orecchie di un quaderno a quadretti. ***


Pezzi di Jack inclinati sulle orecchie di un quaderno a quadretti




Ogni tanto Joe disegna Jack. Non per intero, solo a pezzi, come un Dottor Frankenstein con la matita svelta e un sacco di fogli sparsi per casa. Disegna il suo orecchio sinistro e immagina l'espressione che avrebbe addosso tutt'intorno a quell'orecchio.
Joe non è un chiacchierone, o un simpaticone, o una qualsiasi cosa finisca per -one. Non si sfrega negli eccessi e non si accoccola nel superlativo assoluto. È troppo alto per essere invisibile, e troppo bello per passare inosservato. È troppo bello, veramente troppo bello, lo sa Jack e lo sa Joe, ma non ha mai dato la soddisfazione al mondo di far finta che non gli importi. Gli importa di come lo guarda Jack, ogni tanto, dal basso del suo stomaco, il suo sterno, la sua spalla, appoggiato a caso ad una o due ossa del corpo, come se fosse il suo posto, e la faccia di Joe, imbronciata e severa e piena di spigoli, fosse la sua piccola fattoria nella campagna del Berkshire e loro due solo piccole persone troppo piccole per essere notate, sdraiati sul tetto di qualche villa isolata a sbronzarsi di vino e distruggersi di spinelli. Ma Joe è sempre stato troppo alto per scomparire, e Jack troppo rachitico per lasciarlo cadere nel mondo alla cieca.
Anche nella campagna del Berkshire.
Così Joe ha fatto finta che quella mattina non fosse San Valentino.
È tornato da Manchester con un giorno di anticipo con una scusa qualunque a cui non ha creduto nessuno, ed ha aspettato che Jack parlasse, tirasse in ballo una festa qualsiasi, un posto qualsiasi, amici qualsiasi. Ma è rimasto zitto, anche mentre ridacchiava contro il suo ombelico sfilandogli il maglione e la giacca di pelle, quasi sul pianerottolo di casa invece che dentro, come se fosse un week end qualunque in cui scopare sul pavimento del corridoio perché nessuno dei due ha voglia di arrivare da nessuna parte.
Una delle cose che piacciono di più a Jack è l'orgasmo rumoroso di Joe, e lo lascerebbe espandere fra gli universi e le galassie se non condividesse il pianerottolo con famiglie con bambini, al piano di sotto e a quello di sopra. Se solo le pareti non fossero così sottili da poter quasi vedere le impronte lasciate dai chiodi per appendere i quadretti sacri fatti all'uncinetto della signora Quickley, la vedova dell'interno 54B.
Gli piace perché Joe è sempre pacato, e parla a voce bassa, e apre appena le labbra per lasciar sgambettare il suo accento di Manchester in ogni sillaba. E a Joe piace l'espressione soddisfatta di Jack quando succede, la sua aria da gran scopatore metropolitano che fa impazzire tutti.
Lo stesso ragazzino troppo alto che si soffia il fumo negli occhi senza volere, si sbronza con un solo cocktail, e per tre giorni è intrattabile ogni volta che Joe deve tornare a casa, gli allaccia le caviglie dietro la schiena e lo tiene dentro una manciata di secondi in più, quasi di troppo, ma mai di troppo. La giusta manciata di secondi perché entrambi sentano il freddo del pavimento, la ruvidezza delle zerbino e la pericolosa vicinanza del tavolino dell'ingresso sommerso di cazzate che Jack non ha mai voglia di mettere a posto. La manciata di secondi sufficiente a fregarsene.
E Joe odia San Valentino, perché è una festa rosa del cazzo, con i cuori del cazzo e i prezzi del cazzo nei ristoranti con gente del cazzo che si fissa negli occhi come se si amasse milleduecento volte più del solito perché è San Valentino. E Jack lo sa, e non gli ha chiesto niente, nemmeno di tornare. Gli è bastata la quantità di cazzo delle sue frasi smozzicate su Skype per mettersi in pari con il Vademecum delle intolleranze di Joe
Ma quel giovedì pomeriggio Joe si è sentito uno stronzo, e ha cominciato a scarabocchiare pezzi di Jack su un quaderno a spirale che usava al College per rimettere in ordine le idee. Pezzi di Jack claudicanti fra i quadretti a tratto leggero.
Ha calcato l'orecchia di Jack sull'orecchia del foglio fino a quando la penna non ha strappato la pagina e quella ancora dietro.
Il naso di Jack e l'occhio sinistro, come quando si è travestito da drag queen a quella festa in maschera a Hoxton e Joe lo ha portato via di peso, alla fine, perché si è addormentato sulla tazza del water. Ha cinquanta foto di quella sera, e non ne ha trovata mezza in cui non lo avrebbe scopato in piedi contro il muro, o in qualsiasi altro posto dell'universo, bello com'era nel suo trucco vistoso e i vestiti ridicoli, e quelle zeppe da Spice Girls ubriaca e sfatta sgusciata fuori sui gomiti dagli anni '90.
Gli ha fatto paura, Jack, quella volta, perché non è che Joe abbia la passione un po' banale per le drag. Ma Jack...Jack.
Jack gli fa paura sempre più spesso, e i pezzi di lui che scarabocchia a caso sui fogli a quadretti sono solo pezzi di Joe con cui Joe non parla mai.
Ha preso un treno, alla fine, a caso, un sacco di sterline buttate nel cesso per un viaggio che non voleva fare, idioti in giacca e cravatta di ritorno dal palloso lavoro d'ufficio per cui si crocifiggono, puzzolenti di dopobarba dolciastri e fiori freschi. 
Un paio lo hanno fissato nel modo in cui lo fissano le persone quando prevedono di alzarsi e farsi seguire nel bagno asfissiante di qualche locale. Tentativi di abbordaggio da calvizie incipiente ed eiaculazione precoce.
Si è quasi addormentato sul bus, dopo quasi quattro ore di viaggio fra cambi e ritardi, e quando è sceso puzzava di collutorio e sudore di altri. Ha letto un paio di articoli di un Sun vecchio di un giorno abbandonato sul sedile accanto al suo, e ha scarabocchiato Jack. La bocca di Jack all'angolo di una pubblicità di un centro massaggi. Ha pensato a Jack sotto le sue mani, e gli ci è voluto un Sudoku livello esperto per concentrarsi su qualcosa che non fosse il modo in cui Jack si comporta sotto le sue mani. E la sua voce diventa ancora più bassa e ancora più lontana dai suoi lineamenti.
Ha pensato di chiamarlo, solo per sentirlo, più reale di quel viaggio infinito di colpi di tosse e aria viziata dal riscaldamento sparato a mille dalle ventole dell'autobus. Diecimila cucine diverse alla stazione di Euston, spezie e carne alla brace, kebap che roteavano colando grasso e banane fritte del cinese. 
Aveva anche una fame da idiota, perché ha mangiato solo patatine del distributore in stazione e una Coca-Cola che sapeva di acqua del Tamigi.
Ma il condominio, che somiglia ad una villetta a schiera dipinta da un cieco e abitata da folli, non gli è mai sembrato tanto accogliente, la pioggia che cominciava a precipitare di sbieco negli occhi e sotto il cappotto e l'umida consistenza dell'inverno nelle scarpe.
Jack non c'era.
Joe ha pensato di tornare indietro, incazzato per quell'improvvisata da coglione, il giorno prima di San Valentino, un giovedì sera in cui prendersi una broncopolmonite sotto la pioggia leggera e turbinante di sabbia del febbraio inoltrato che quasi diventa marzo. Jack non , perché se il tuo ragazzo si scrive addosso col sangue che San Valentino gli fa schifo non puoi che trovarti qualcosa da fare, la sera prima, la sera stessa, quella dopo. Tutte le sere che servono per esorcizzare la delusione e la frustrazione.
A Joe forse era sembrato romantico quell'agguato con tanto di faccia stravolta e peripezie da pendolare dell'ultim'ora. Si era sentito anche figo. Il genere di figo che prenderebbe a calci in bocca nei romanzi di Nicholas Sparks che ogni tanto Jack compra per cinquanta centesimi nei charity shop. La persona che a volte vorrebbe essere per Jack.
Jack è tornato dopo un'ora con due Corona in lattina e una pizza surgelata. Le ha lasciate cadere, non le ha raccolte.
Non ha fatto nemmeno finta di aspettarselo, o di avere altro da fare.
Jack non finge mai, perché deve giostrarsi abbastanza fra le bugie di Joe, ogni tanto, per non perdere l'abitudine ad una vita fatta di aggiustamenti di rotta e incomprensioni fortemente volute. Joe crede siano vere, quelle piccole palle che racconta a se stesso per non sentirsi insignificante, ci crede davvero, ma non reggerebbero nemmeno di fronte al Tribunale dei Minori di Pinocchio.
Jack gli ha tolto il cappotto fradicio sul pianerottolo, e ha slacciato la cintura che la porta non era nemmeno aperta, e Joe ha sperato che nessun vicino uscisse a salutarli, perché non esiste Sudoku livello esperto che sarebbe riuscito a spolverargli via dalla mente l'immagine di Jack sul pavimento del corridoio di lì a quattro secondi.
Jack ha riso contro il suo ombelico mentre vestiti scelti a caso precipitavano sui soprammobili. 
Ha riso anche Joe, non nello stesso modo di Jack, perché non è possibile. Ha riso di quasi quattro ore di viaggio, della puzza di dopobarba e collutorio, di fiori freschi e cimitero, della pioggia e di San Valentino.
Un week end come gli altri cominciato il giovedì, due birre che sarebbero esplose appena tirata la linguetta e una pizza surgelata da dividere. Ma nessuno dei due sarebbe stato sazio, e Joe avrebbe ordinato dall'unico cinese nei dintorni aperto fino a notte fonda.
Sarebbe andato ad aprire nudo al fattorino, e gli avrebbe lasciato la mancia in banconote per la porzione extra di ravioli al vapore.
La consegna a domicilio post coitum del venerdì sera.
Il giovedì.
Jack lo ha stretto di più, un paio di secondi di più, alla fine, ma non gli ha chiesto niente.
E Joe non ha detto niente del San Valentino patetico e triste che si prospettava, del ristorante in cui non sarebbero andati e della gente felice che non avrebbero incontrato. Non ha detto niente del viaggio assurdo e delle sue orecchie scarabocchiate agli angoli delle pagine.
Alzarsi dal pavimento è stato doloroso e goffo, come sempre.
Il divano, la tv, la coperta di lana pruriginosa fra i cuscini abbinati a caso.
E' stato goffo correre sul pianerottolo per recuperare birre e pizza, ed è stato goffo anche il sesso, dopo, fra la telefonata al cinese e il campanello, scomodi sul divano, con Jack che continuava a ridere da scemo e a chiamarlo Valentine.
Joe aveva ancora negli occhi l'orgasmo appannato quando è andato ad aprire.
Ravioli al vapore, riso cantonese e pollo alle mandorle. 
Birra cinese, spaghetti di soya e maiale in agrodolce. Tanto, troppo cibo. 
Wild Things in tv, con il tizio del Signore degli Anelli che mangiava ragni vivi, e le lunghe gambe di tutti e due che sporgevano dai braccioli del divano.
Joe ha realizzato che non ci sarebbe mai stato spazio a sufficienza per tutti e due, né sul divano né sotto il suo sterno ammaccato dai denti di Jack, perché Joe occupa uno spazio immenso dentro di sé, e non è ancora sicuro di come si faccia a sgomberarlo per lasciar accampare gli altri.
Ma Jack sembra capace di addormentarsi ovunque, anche fra i suoi polmoni, leggermente a sinistra, dove Joe non guarda mai.
Come un vecchia cantina puzzolente di muffa.
Con Jack, forse, Joe smetterà di ignorare stanze di sé grandi come campi da calcio. O forse continuerà ad ingozzarsi di scuse e intolleranze solo per prendere treni ad orari improbabili e appostarsi fuori dalla sua porta di casa.
Joe disegna Jack perché gli manca a pezzi, gli mancano dei pezzi, e lo ricorda a pezzi.
Sprazzi, forse, di Jack.
Il quaderno è nella sua cartelletta di pelle sdrucita accanto alla porta, e i pezzi di Jack stanno comodi fra il cuoio consumato delle copertine e le matite con la mina morbida.
Ogni settimana sembra più lunga per ricomporre il puzzle delle parti di Jack sulla sua faccia.
Joe lo sa, e non è un San Valentino qualunque da ignorare quel giovedì.
Ma Jack non gli chiede nulla, gironzolando fra le sue ossa mentre il tizio di Lost si fa quasi soffocare da un anaconda vischioso. Bacia la clavicola di Joe, che è di Jack, da quel pomeriggio in agenzia scivoloso di sudore e finta pelle.
L'equilibrio fra le cose che odia e Jack si sta sfaldando un fottuto giovedì di San Valentino alla volta.













Note** La raccolta per questi due amabili individui, come potete ben vedere, viene aggiornata con regolarità irregolare e a caso :) Joe "odia" davvero San Valentino, e l'ha passato assieme a Jack, non so come perchè le mie fonti non sono così informate ahahah, e la loro routine è pressochè questa, nel senso che Joe studia a Manchester e scende a Londra nel finesettimana, quindi non ho stravolto così tanto i loro ritmi^^
Il tizio di LOTR e di Lost è ovviamente Dominic Monaghan, che conduce un reality abbastanza inquietante in cui visita posti selvaggi e fa cose random ahahah
E nulla, fatemi sapere ahahahah
Come sempre potete trovarmi qui^^


 

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Capitolo 4
*** Occhi da pesce morto davanti ad uno specchio rotto. ***


Io non ho capito niente.
Ma spero.




 
Occhi da pesce morto davanti ad uno specchio rotto.




Jack sa che Joe ha preso un aereo. E non può squadrare ogni culo malamente sistemato in un paio di jeans scuri sperando che sia lui.
Sorpresa, sorpresa. Da GAP a caso in un pomeriggio a caso.
Qualcosa non va e Jack lo sa. Joe è partito senza tornare indietro, senza fare il solito scalo di una manciata anoressica di ore prima di correre a Gatwick con un treno che rischia sempre di perdere. 
Pensa che Joe lo lascerà, perché Joe è Joe, e tocca il cielo con la testa.
A questo pensa, Jack, mentre sale e scende le scale del negozio per sistemare le scorte dei jeans e le felpe tutte uguali, come un pittore frustrato che trova nell'ordine di uno stock di polo verde acceso l'unico orgasmo della sua arte.
Ma è Joe che disegna il mondo in scarabocchi neri.
Jack è solo una tela malamente sistemata fra i suoi passi.
Joe è lontano più delle miglia che il suo areo ha fagocitato per Parigi, Milano, Tokyo. È più lontano dell'altro emisfero e di un fuso orario completo. È lontano con la testa, con le ciglia lunghe che si incastravano sui suoi zigomi. È lontano con le mani.
E Jack non è mai stato bravo a gestire la lontananza di Joe.
Lo dice al suo riflesso, in quella sera di marzo col clima di aprile e la tristezza di novembre. Guarda gli occhi a palla e la bocca cucita di filo spinato, e lo stomaco pieno di scuse, e dice “Va bene”, a quel ragazzo carino con l'aria timida che ha scartabellato quattro collezioni di GAP prima di decidersi a parlargli, e poi nemmeno ha comprato niente. Gli ha lasciato un casino pazzesco sulle stampelle e al centro dello sterno.
Perché Joe andrà via, e Jack lo sa.
Si sente piccolo e scemo, con le notifiche di Instagram della gente che chiede, e fa domande, e parla. Parla di un cazzo, di quanto sono belli e perfetti, e delle loro mandibole, degli zigomi degli angeli. 
Non lo sa, la gente, che Jack lo sta perdendo.
Ha detto “Va bene”, anche a Joe, forse, la terza sera che ha provato a chiamarlo e non l'ha trovato.
Non davanti allo specchio, con la faccia da pesce morto e gli occhi di vetro, perché guardarsi non era una buona idea. Aprire gli occhi su quel “Va bene” detto al nulla e alla catena del water incastrata da due ore in una dimensione spaziotemporale alternativa, quello no, Jack non lo poteva fare.
Forse di nascosto, a luci spente, poteva fare finta di niente, come quando Joe si svegliava nella notte per sistemarsi nel letto, e finiva più vicino. Jack non chiedeva mai, faceva finta di dormire, restava fermo nella luce spenta, aspettando che Joe si alzasse. Ma era più vicino, perché lo aveva deciso Joe, e nessuno dei due diceva mai niente la mattina, le impronte a zig zag di gomiti, polsi e baci sbattuti addosso anziché semplicemente concessi nella foga di essere uno. 
Ma Jack ha detto “Va bene”.
E non si torna indietro, mai, dalla debolezza dell'essere un ragazzino bisognoso di attenzioni.
Joe non è un Principe Azzurro, e se non lo è Joe allora nessuno può esserlo.
Jack non vuole essere solo, in questa sera di marzo che è calda come aprile e grigia come novembre.
E ha detto “Va bene”, a quegli occhi di un castano gentile e quell'accendo cauto di Brighton.
Brighton.
Era fredda anche Brighton, con Joe.
Jack ha dimenticato che gli piace l'estate, e spogliarsi di tutto, e il cellulare incandescente sotto il sole che manda sprazzi di luce psichedelica negli occhi dei tizi che vendono il cocco. Con Joe andava bene anche l'inverno, perché Jack poteva spogliarsi di tutto lo stesso, e Joe avrebbe solo lasciato che succedesse.
Non sa perché ha detto “Va bene”, e perché è andato a Soho, e perché ha bevuto quel Cosmopolitan così cliché da puttanella frocia sui tacchi di sughero. Ha pensato a Joe, alla maratona di Sex & The City, a Joe che faceva sempre finta di essere una Samantha, e invece era Carrie. Parlare di lui al passato, come se al mondo non esistesse più nessun Joe.
Ha detto “Va bene, vediamoci, stasera stacco alle 10”.
Ha detto “Si beh, smetto di impilare scatoloni di merda uno sull'altro, diciamo”
L'altro ha detto “Grande, allora a dopo” e Jack ha detto solo “Ok”.
E ora è lì, con il cellulare che non vibra sul tavolo, e Joe che non c'è.
E lui, non Joe, non Lui, ma lui, l'altro, con gli occhi castani e i capelli ordinati, odora di un dopobarba che non gli si addice. Lo nota, Jack, perché Joe è ossessionato dall'odore delle persone, dal mondo in cui mentono affogandosi in profumo che non è il loro.
Joe aspirava sempre qualcosa di Jack prima di baciarlo. Forse il tempo dell'attesa, sniffato come droga.
Chiamami, cazzo, così posso mandarlo affanculo e farmi sfottere da te per altre tre settimane perché sono uscito con un tizio a caso che non volevo nemmeno scopare, solo perché mi mancavi.
Ma alla fine parla, e parla anche l'altro, il nome non importa perché è solo un Non-Joe, una disequazione di secondo grado alle paranoie inutili della vita di Jack, a tutti quei “Non posso” e “Non sono in grado” che si arrampicavano sulle sue pagelle e ai margini di ogni photoshoot. 
Parlano di cose che non scomodano Jack dallo sgabello, e le sue dita dall'i-phone, e la sua mente da Joe. Non scomodano Jack dal pensare che Joe è volato chissà dove e non torna.
Forse torna, ma non per Jack.
E allora presta attenzione al Non-Joe di quel momento, solo per sentirsi dire fra una bevuta e l'altra che è veramente strano essersi incontrati in quel modo, perché non gli capita mai di rimorchiare i ragazzi senza nemmeno sapere se sono davvero “come lui”.
E dillo, dai, gay. Non è difficile.
Pensa a Joe, che lo taggherebbe anche nella ricetta dei pancakes, quel #gay che sfoggia con gli occhi socchiusi e il sorriso storto, quell'atteggiamento sassy* di cui ha paura ma che lo rende se stesso. Joe che sfida il mondo a mandarlo affanculo, eppure sa stare in silenzio per ore solo perché non ha niente da dirgli.
“E' solo che tu eri davvero qualcosa, e io non lo so, ho pensato che...”
Arriva al punto che intossica Jack. Il punto che deve strappare a Joe fra un'imprecazione stonata e una cena cinese.
Perché ti voglio.
Non sarebbe difficile da dire. O forse sì.
Torna davanti ad uno specchio rotto, Jack, a guardare nel vuoto con la faccia da pesce.
Perché Joe gli ha insegnato a non aspettarselo, quel “Ti voglio” un po' chav** e un po' soap opera spagnola con i sottotitoli. Gli ha insegnato a scavare e raccogliere pezzi di realtà dal pavimento.
Ma Jack è solo Jack, e vuole sentirselo dire, e basta.
Gli manca essere stupido e giovane, e gli manca non preoccuparsi del perché Joe ancora non l'ha chiamato.
Gli manca riaverlo indietro alla fine di una settimana di merda a piegare felpe tutte uguali, e gli manca pensare che è solo mercoledì.
Lo ha intossicato di attese, Joe, e di spasmi di impazienza. Ma quello che prima era un formicolio di apprensione ora è un pugno nello stomaco di stizza.
“E ti giuro che non sai quanto vorrei portarti a casa proprio adesso”
E ti giuro che non sai quanto vorrei che a dirmelo non fossi tu.
Non dover strappare l'amore dall'orgasmo di Joe, quel suono che è pieno di parole ma non dice nulla.
È troppo per Jack, Joe, come sempre.
Troppo grande e troppo difficile da capire, da scoperchiare. Joe è tutto, e Jack non ci arriva.
Occhi da pesce morto davanti ad uno specchio rotto.
Ha detto “Va bene”.
Di nuovo.
Il Non-Joe lo ha guardato senza nemmeno finire di bere il suo rum e cola. 
Ha pensato a Joe, al suo modo di essere impaziente. È sempre bello e ipnotico.
Ma assente.
Vorrebbe che Joe fosse lì, anche solo per guardarlo dissolversi in un'espressione contorta al limite della rabbia, in quel margine di libertà, che gli lascia sempre, di decidere per se stesso.
È in alto Joe, e Jack salta solo per afferrare il vuoto a piccole manciate.
“E' ok per te? Non voglio che pensi che io...”
“No, voglio andare a casa. Lasciami qui”
Non se l'aspettava, forse. Sicuramente.
“Possiamo solo stare insieme, se vuoi”
“No”
Non dice più va bene, Jack, non più.
“Ma...”
“Scusa. Devo scendere”
Devo vomitare.
“Stronzo”
“Scusa”
Non passerà mai un taxi, e forse Jack se lo merita di camminare fino a chissà dove per prendere una metro.
Pensa che è ancora presto, e che forse il mondo non si è fermato, cristallizzato in uno specchio rotto.
Pensa che ci sono mille autobus, e che non è la Fiammiferaia solitaria vestita di stracci vecchi.
Pensa che non c'è karma in quella serata troppo calda per non essere aprile e troppo triste per non essere novembre. Nessuna ruota che gira.
Squilla il cellulare, una, due volte.
Joe.
“Hei, ti diverti?”
Mi manchi Joe. Non sai cosa stavo per fare.
Cosa ho fatto, forse.
Io non ce la faccio così, Joe. 

Joe non ripete mai, ma legge tutto.
“Hei...” troppi puntini di sospensione immaginari in una conversazione che non esiste 
“Avevo il cellulare morto-”
Forse Joe non lo lascerà. Forse sarà Jack a scomparire, a flasharsi come le lucine di Natale arrotolata sul muro della sua stanza.
Forse smetteranno di accendersi e spegnersi con quel ritmo insindacabile, e semplicemente moriranno di quella pietosa fine che fanno le cose scadenti comprate a caso una sera ubriaco a Camden Town. La fine che fanno gli oggetti già rotti ancora prima di essere inventati. Pensati male, precari e inutili, destinati a durare un paio di settimane su un albero di Natale finto e spruzzato di deodorante al pino silvestre. Spazzatura in vitro, che non serve a nessuno.
Come Jack.
“Scusa, sono in metro, ci sentiamo”
Quando. Dove. Perché dovremmo.
Io sono perso e non so come trovarti. Tu che sai sempre dove sei e perché.

Il cellulare squilla tre volte prima che Jack sia arrivato a casa. Nessuno lo ferma, nessuno lo saluta. È quella notte dei coltelli nei cassetti e le serrature lasciate aperte.
La notte in cui i vicini si fanno i fatti loro, perché Jack puzza di colpa e di novembre.
Ma a novembre c'era Joe, e questo marzo fa più schifo di ogni novembre.
Squills ancora, perché Joe non è uno che si arrende.
Quello è Jack.






Note e lacrime di coccodrillo.
I J&J si sono lasciati. Si erano lasciati ancor prima che io scrivessi questa raccolta. Si sono lasciati qualche giorno prima che il meraviglioso servizio uscisse su Another Man. Si erano lasciati e Joe soffriva, e soffre ancora, non ci son cavoli, e non conosco bene le dinamiche né voglio mettermi a fare quella che si infiltra, quindi dirò solo che si sono lasciati, e che questa raccolta, nonostante tutto, continuerà. Continuerà perchè è di fantasia, e perchè non pretendo che questi Jack e Joe siano loro nella fattispecie, ma anche solo due persone che si amano e si lasciano e forse chissà...
Mi scuso per il ritardo, ma spero mi perdonerete <3 
Due precisazioni^^:
* Sassy significa spocchioso, ma non proprio spocchioso, un modo un po' stronzetto di fare, diciamo.
** Il chav è tipicamente il tamarro inglese, il truzzo dall'accento marcato che dice parolacce, si veste in modo volontariamente e esagerato e ha un atteggiamento spaccone. Se avete mai visto Jordie Shore, sapete di cosa parlo :D
Potete come sempre trovarmi nello zoo amabile che condivido con la mia amabile roommate ora decisamente troppo lontana da me :(

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Capitolo 5
*** Coniugare all'imperfetto verbi irregolari ***


Coniugare all'imperfetto verbi irregolari.




Certe mattine Joe si sveglia e non se lo ricorda.
Sfiora lo schermo dell'Iphone per sbloccare la tastiera, e allora diventa vero. Non c'è Jack sullo sfondo del suo cellulare, non c'è nemmeno Joe. Una foto in HD di Kate Moss e nella copertina di Alister e Alasdair di una vita fa.
E si guarda intorno per aprire le finestre, ma sono tutte spalancate.
È quello il momento in cui soffoca, e tutto diventa vero.
Ma c'è un secondo e mezzo, la mattina, prima di calcare i polpastrelli sullo schermo dell'Iphone, in cui non se lo ricorda, e sembra di nuovo estate, e gennaio a Brighton, e cinese, le foto della Madonna, Skype ad ore improbabili, perché Joe è un maniaco del controllo, ma Jack viveva a caso.
Non gliel'ha detto nessuno alle elementari, cercando di inculcargli l'importanza dell'imperfetto nel linguaggio educato e colto di un ragazzo degli anni Duemila, che sarebbe stato di merda, nella vita, quando avesse iniziato ad usarlo per davvero.
E di tutte le coniugazioni e i tempi verbali che fa finta di voler impilare in una frase a caso borbottata con la sigaretta in bocca, l'imperfetto è quello che gli fa più schifo, perché scava lontano, sparato all'indietro di mesi e settimane, anni, infinite cose dette e rimangiate e disegni che ha fatto nella sua testa di pezzi di Jack che non ha mai baciato per paura di non poterli posare mai più su nessuna mensola, adagiarli su nessuna scusa, e chiudere semplicemente la porta.
E Jack adesso è l'imperfetto affilato delle frasi che non dice, e a Joe non sembra nemmeno illuminata camera sua, e il mal di testa che ha non proverà nemmeno a farlo passare, perché sta bene dov'è, in mezzo a pezzi di Jack a cui non vuole pensare.
Luke lo ha chiamato sei volte in una settimana, seguendo il ritmo degli amici che ti conoscono ma non ancora abbastanza, e rallentano il ritmo dopo il terzo tentativo.
Ha fatto bene, Luke, perché Joe sa che deve alzarsi e fare finta di avere addosso la pelle, di saper tenere in mano una matita con la mina dura, rigida, che non si spezza e non si sbriciola, perché qualcosa deve rimanere intero, almeno una cosa, nella vita di Joe.
I suoi non hanno chiesto niente quando è tornato, niente quando è rimasto, niente quando è andato via, dopo tre giorni di apatia a far la guerra agli intenti e al panico. È colpa di Jack, ma tanto a Jack non frega un cazzo.
Quando non gli è rimasto più niente da scrivere su twitter, nessun modo per lasciarlo indietro, per ignorare le tag sul servizio di Alister e Alasdair, quel fottuto gennaio gelido in equilibrio su un piede solo sul pelo dell'acqua che pensava lo avrebbe sempre sorretto, ha smesso di parlare di lui. Ha smesso di sentirsi e di ascoltarsi. Ha solo smesso.
Perché Joe non era uno che si sedeva a terra a gambe incrociate ad ascoltare la solitudine diventare una fitta intercostale, e non lo è ora, ora che Jack è solo un altro imperfetto che sta imparando ad usare anche se preferirebbe sdraiarsi su una panchina fuori dalla stazione di East Croydon e ascoltare i ragazzini del South London che violentano la pronuncia di ogni parola. 
Le distanze sembrano meno dilatate e più invitanti, perché finisce l'anno, e iniziano le Fashion Week, e a Joe gli aerei non piacciono troppo, quindi si lascerà affossare da un sedile dell'Eurostar fino a Parigi, fino alla fine del mondo, sotto la Manica, schiacciato dal mare contro tutte le pareti, al buio, scatterà foto in bianco e nero del tunnel e dormirà, disegnando orecchie e pezzi di qualcuno, che non è più Jack, in cui affondare la punta rigida della matita che non si sbriciola.
Segare le piegature del foglio fino alla copertina di cartone.
Il telefono squilla di nuovo. Joe non sa quando Luke è diventato uno di quegli amici che non smettono di telefonarti alla sesta volta che non rispondi, ma non gli dispiace.
Forse è anche un po' grato che l'altro sia una di quelle teste di cazzo che ti lasciano strisciare ubriaco come uno spaventapasseri fino al pianerottolo di casa sua, si stringono un po' contro il muro per lasciarti un po' di spazio nel letto, e non ti chiedono nemmeno come stai.
Perché stai di merda, e parlarne non serve a niente.
La settima volta risponde, perché Joe non è la tartaruga che credeva di essere, tutta grinze e guscio indistruttibile, e Luke è un amico di quelli che chiude anche Instagram se per caso l'imperfetto di Jack diventa presente e scorre fra una foto di Archie e un video di Tom Daley mezzo nudo che si tuffa in slow motion.
E non gli chiederà se sta bene, perché al sesto vodka tonic ingurgitato in un giorno della settimana a caso sono domande che nessuno ha bisogno di fare.
“Di quanti metri hai scavato il pavimento oggi Joseph?” 
“Mia nonna mi chiama Joseph”
“E mia nonna è vedova da dieci anni, ma non sta di pezza come te”
Che eroina.
“Tra dieci anni non starò di pezza così nemmeno io...”
“Non gliela menare Lucas” 
Archie in viva voce ha sempre lo stesso tono squillante delle videochiamate su Skype. Sempre alla stessa ora, perché Joe è un maniaco del controllo, e Jack era solo un imperfetto che gli incasinava la vita e gli orari, i binari del treno e le coincidenze.
Si sta meglio nell'ordine, così dice Joe fissandosi gli alluci dei piedi ogni mattina, alle sette e un quarto, prima di trascinarsi giù dal letto, e trascinarsi da qualche altra parte, con il filtro in scala di grigi applicato alla giornata.
“Ciao Scrooge, quanta depressione vuoi portare nel mondo oggi?” 
Joe non sa neanche cosa ci faccia Archie in viva voce dal cellulare di Luke, ma non gli interessa.
“Mai abbastanza”
Ride, e Joe se lo immagina, senza più l'apparecchio ai denti, a mostrare tutto quello che può mostrare qualcuno quando smette di nascondere impietosamente stupide imperfezioni. Rideva così anche Jack, improvvisamente, senza prepararlo a quel suono che ogni tanto attirava l'attenzione della gente per strada più degli zigomi di Joe e della sua aria da uccello del malaugurio.
“Parigi?” 
“Ho il treno mercoledì”
“Sfigato. Parti con noi, arriviamo lì domani, ci sbronziamo malissimo, rimorchiamo qualche ragazzina delle scuole superiori...”
Nessuno dei tre ci crede davvero, ma ad Archie piace sempre un sacco fare il finto etero convinto in mezzo a quel mazzo di regine di cuori.
“Ew”
“Archie cazzo che brutta immagine...”
Potrebbe ridere per sempre Archie, e Joe questo lo sa. 
“Dai” Luke è più cauto, ma solo un po'. Hanno a stento vent'anni, la cautela è una cosa da mezza età, come le Crocs. “Potrai assillare noi fino agli occhi e farci foto in bianco e nero dalle angolazioni più orrende che ti vengono in mente”
“Possiamo piangere un po' se vuoi”
“O camminare in tondo”
“O fissarci le punte dei piedi fino a farci incrociare gli occhi”
“Fottetevi”
“Dai Joseph, non fare la sfranta preziosa...”
“Se vieni domani, mercoledì possiamo vestirci tutte di rosa” 
Maledetti. 
Mean Girls. 

Lo sanno che non posso resistere a Mean Girls.
“Va beh, tanto non avevo un cazzo da fare”
A parte camminare in tondo e cercare di coniugare i verbi in qualcosa che non sia l'imperfetto.
“Brava sorella”
Joe non riaggancia nemmeno, li ascolta parlottare in lontananza sulla linea, come se non ricordassero che qualcuno di loro deve premere il pulsante per interrompere la chiamata. Li ascolta ridere e borbottare muovendosi in quella che Joe immagina una stanza vuota piena di cose, delle giornate di Luke che includono anche Archie, e anche lui, i poster e le scatole di scarpe, i Vogue UK impilati sotto il letto, come i suoi, a riempirsi di polvere ma sempre lì, ad aspettare l'umore giusto per ricordarsi quanto agghiacciante fosse la moda anni '80.
Una mattina Joe avrà voglia di sfogliarli.
Una mattina a caso si sveglierà e non controllerà più che le finestre siano aperte perché non riesce a respirare.
Una mattina a caso, mentre fisserà svogliato le punte dei piedi senza preoccuparsi di tenere la schiena dritta e la testa alta, avrà voglia di scendere dal letto e smettere di scavare fosse nel parquet di camera sua facendo finta di fare qualcosa.
Una mattina a caso, probabilmente, lascerà scorrere le dita su uno schermo che riconosce.
Una mattina a caso smetterà di dimenticare per quei tre secondi che Jack è un imperfetto.



















Note ritardatarie: ho rimesso mano a questa raccolta perchè mi mancavano, perchè Joe e Luke si scrivono stupidaggini su twitter, e perchè mi porto dietro un certo je ne sais quoi di malumore in questi giorni, quindi dovevo rifugiarmi nel guru del malumore per eccellenza, Joseph Brotherton. Non è vero, lui è un cucciolo da amare sempre :)
Jack e Joe non si sono rimessi insieme, e anche qui si sono lasciati, ahimè. Avevo già in programma di farli lasciare, non è accaduto dopo la scoperta del triste fatto. Non si sa perchè, non sapremo perchè, non è importante perchè.
Qualche precisazione random, Luke e Archie esistono, e sono rispettivamente Luke Powell e Archie Griffiths, magari li conoscete per recente campagna di Topman^^, e sono davvero amici di Joe, e sono davvero stati insieme a Parigi e alla London Collection Men di quest'estate. Joe è stato davvero così male come sembra, ed è davvero un collezionista di Vogue Uk^^ 
So quasi per certo che anche Luke è gay, ma non con la certezza delle prove, diciamo...di Archie so meno, se scoprirò qualcosa eventualmente inserirò in futuro ahaha 
Come sempre potete trovarmi fra animaletti arcobalenosi^^

 

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