Podestaria

di Delirious Rose
(/viewuser.php?uid=1063)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 01 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 02 ***
Capitolo 3: *** 03. Studi inutili e Profezie ***
Capitolo 4: *** 04. La Fanciulla alla Fonte ***
Capitolo 5: *** 05. In cui Lei ricomincia a Sognare ***
Capitolo 6: *** 06. Una battuta di cattivo gusto ***
Capitolo 7: *** 07. Digressioni ***
Capitolo 8: *** 08. Gatti e Sigarette ***
Capitolo 9: *** 09. In cui è preparata una torta ***
Capitolo 10: *** 10. I significati nascosti della parola “Speranza” ***
Capitolo 11: *** 11. La Vigilia di Natale ***
Capitolo 12: *** 12. La mattina di Natale ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 01 ***


L’aria dell’Antro era pesante, densa di vapori dall’odore talmente pungente da far girare la testa a chiunque vi entrasse, persino a lui che era il Buon-Camminatore, Colui-Che-Viaggia-Fra-I- Mondi, il cui corpo doveva andare sempre insieme all’anima.

Strinse il bastone di ferula in una mano e pose l’altra sul pomolo della spada d’argento, cercando di non lasciare trapelare la propria inquietudine mentre le Grigie Dame scrutavano quei fumi alla ricerca degli auspici per il nuovo anno.

Quando le tre donne parlarono, lo fecero con un’unica voce.

“Quando l’anno sarà maturo, Colei che t’è destinata incrocerà il tuo Cammino.
“Sarà Vergine che non potrai toccare senza il beneplacito di Era dalle bianche braccia.
“Sarà Verga-di-Sostegno-e-Aiuto.
“Sarà Torcia-che-Indica-la-Via, Fiamma-che-Arde-nell’Oscurità.
“Sarà Uomo-di-Potenza, Uomo-di-Montagna e porterà sul suo fronte il segno del Tre-Volte-Grande.
“Quando l’anno sarà maturo, Colei che t’è destinata incrocerà il tuo Cammino.”

 

— • —

 

“Allora, Eugene, che cosa mi accadrà quest’anno?” chiese la ragazza con un sorrisetto divertito sulle labbra.

Farsi leggere le carte da Eugene, il primo giorno di scuola dopo le vacanze natalizie, non era che un gioco per farsi due risate: lui non aveva alcun potere di chiaroveggenza, anche se, bisognava ammetterlo, qualche volta ci aveva visto giusto soprattutto nelle previsioni d'amore.

Il ragazzo si grattò a lungo il mento, sporgendo le labbra. “A occhio direi che… incontrerai qualcuno che ti aiuterà con qualcosa.”

 

 

 

Podestaria

 

 

Podestaria





Capitolo 1



  

Non chiamarmi! Non chiamarmi! Non chiamarmi!

Quelle parole riecheggiavano come un mantra nella testa di Virginia, mentre cercava di farsi piccola dietro il libro di Matematica Avanzata. Mrs. Herbert aveva appena spiegato come risolvere una disequazione di secondo grado e, nonostante i suoi sforzi, Virginia non era riuscita a capire granché della lezione della supplente. A giudicare dall’espressione di Eugene Sauveterne, non era la sola e ora nessun studente aveva la benché minima intenzione di farsi avanti, obbligando l’insegnante a chiamare qualcuno alla lavagna. Virginia sospirò mentalmente e ripensò a come, quando Mr. Jackson era dietro la cattedra, Eugene e lei si sarebbero sfidati a spada tratta per risolvere l’esercizio.

Osservò oltre il bordo del libro la supplente, una donna sulla quarantina: sarebbe stata piacente se non fosse per l’espressione rancorosa che le deturpava il viso – come se avesse mangiato un limone acerbo, aveva mormorato Eugene dopo la prima lezione. Mangialimoni e Zitella Acida erano i soprannomi che le erano stati dati dopo la prima settimana di supplenza, ma quello che secondo Virginia la descriveva meglio era Radiolina Rotta. Mrs. Herbert non solo poteva ambire al premio per l’Accento Meno Comprensibile il quale, unito alla sua erre moscia, obbligava gli studenti a concentrarsi il doppio per seguire la lezione, ma aveva anche un modo di spiegare talmente arzigogolato che era facile perdersi in quei giri di parole. Tutto il contrario di Mr. Jackson e del suo motto la soluzione più semplice è quella giusta.

Virginia trattenne il fiato quando la supplente fece scorrere la matita sul registro, incrociando le dita e ripetendo mentalmente non chiamarmi! Non chiamarmi! Non chiamarmi!

“Vivginia, vieni a visolveve il pvoblema quavantotto di pagina tvecento settantasette,” disse infine Mrs. Herbert, guardandola di sottecchi.

Virginia si alzò con un sospiro mentale e incrociò lo sguardo incoraggiante di Eugene, quindi prese a due mani il suo coraggio e il libro di testo e superò le due fila di banchi che la separavano dalla lavagna.

Partiamo dalle basi, Vir’, pensò mentre ricopiava l’esercizio sulla lavagna. Prima le operazioni in parentesi tonde. Eppure sentiva che quello non era esattamente il modo corretto di procedere: un’impressione che si rivelò corretta quando si ritrovò incagliata in un calcolo dal risultato incongruente. Guardò con la coda dell’occhio la supplente, cercando di interpretarne l’espressione sibillina: Mrs. Herbert scosse la testa e picchiettò la penna sulla cattedra, travestendo da sospiro sconsolato un sibilo appena udibile.

Stupida stvega.”

Virginia tornò a fissare la lavagna, facendo finta di non aver sentito quelle parole e mordicchiandosi la seconda falange dell’indice sinistro, come soleva fare quando voleva concentrarsi su qualcosa. Non aveva chiesto di avere dei poteri soprannaturali e, se la prima volta che era risultata positiva al test di Haltey aveva pensato che fossero una gran figata, adesso li riteneva né più né meno di un tatuaggio brutto e imbarazzante fatto in un momento di ubriachezza. Tuttavia un tatuaggio poteva essere coperto da un altro più bello o addirittura cancellato, al contrario di quei poteri inutili che avrebbe dovuto portarseli nella tomba. Virginia chiuse gli occhi, cercando di ricordare la spiegazione, cercando di non mostrare quanto quelle due parole l’avessero ferita. E non per la prima volta, Virginia maledisse la malattia di Mr. Jackson e a rimpiangere non solo il suo modo d’insegnare, ma soprattutto l’uomo dietro il docente.

“Tovna al tuo posto, Vivginia,” decretò Mrs. Herbert, annotando qualcosa. “Davvevo, non so pvopvio che pesci pvendeve con te.” Stupida strega. “E sopvattutto non capisco come tu abbia potuto pvendeve dei voti così buoni lo scovso anno.” Virginia fece per ribattere, ma chiuse le labbra prima che la sua bocca sputasse una stupidaggine, un gesto che non sfuggì a Mrs. Herbert, che la guardò di tralice. “Sì, Vivginia? Ti ascolto.”

“Nulla, professoressa… nulla,” rispose Virginia con un sorriso stitico prima di tornare al suo banco, maledicendo la supplente, i suoi figli e i figli dei suoi figli fino alla settima generazione.

Non per la prima volta, Virginia ebbe voglia di piangere ma tutto quello che si autorizzò a fare fu pregare che la lezione di Matematica Avanzata terminasse il più velocemente possibile.

 

 

 

Al suono della campanella, gli studenti si riversarono nei corridoi per raggiungere chi l’aula per la lezione seguente e chi il cortile della scuola per occupare un’ora morta. Virginia camminava mogia, persa nelle sue tribolazioni scolastiche: quello era il suo ultimo anno di superiori e negli ultimi due anni si era attaccata con le unghie e con i denti allo studio per riportare la sua media agli antichi splendori. Le sue amiche le avevano detto che forse aveva messo la barra troppo in alto nel suo voler prendere il massimo anche in quelle che non erano le sue materie preferite: tuttavia, più che per avere il più alto numero di chance d’essere ammessa nel suo college di prima scelta, quello era il modo più semplice che aveva trovato per rianimare la sua autostima quasi defunta. Per riprendere in mano la sua vita e risalire dopo aver toccato il fondo, per citare Eugene.

E poi arrivava quella supplente a buttare in aria tutti i suoi sforzi.

Virginia si era sempre considerata una maga con i numeri, tanto che sua madre le aveva affidato la contabilità della sua sala da tè e suo padre la cassa della loro bancarella nelle rare domeniche in cui andava ad aiutarlo al mercato: la sua massima ambizione era laurearsi in Economia e Management, un progetto che aveva avuto l’aria d’essere più che fattibile fino al giorno in cui Mr. Jackson era stato il suo docente di Matematica.

“Se fai quella faccia, Mangialimoni capirà quanto te la sia presa, Vir’.” Eugene le cinse le spalle con un braccio e le diede una piccola stretta incoraggiante. Aveva ragione e lei non poteva permettere a una persona del genere di minare l’autostima che era riuscita a rattoppare negli ultimi due anni grazie al suo professore preferito e a quello che era stato il suo rivale per essere il primo della classe.

“In ogni caso, se è così prevenuta nei confronti dei Registrati, perché diamine è venuta a insegnare in una scuola integrata?” borbottò Virginia, ripensando a quel stupida strega che tingeva ogni parola che Mrs. Herbert rivolgeva a lei e a ogni singolo studente obbligato a seguire il corso di Scienze Soprannaturali.

Eugene sporse le labbra. “Forse perché ha bisogno di lavorare?” ipotizzò, poi si chinò e le bisbigliò in un orecchio: “Ho sentito dire che è rimasta coinvolta nella truffa di quest’estate.”

“Quella delle droghe da stupro spacciate per filtri d’amore?” mormorò Virginia alzando entrambe le sopracciglia, poi sbuffò. “Beh, posso capire che sia incazzata nera, ma non vedo perché prendersela con me: dopotutto mio fratello ha avuto la sua bella parte nell’arresto di quel tizio.”

Eugene alzò le spalle e gli occhi, in un gesto che significava che cosa vuoi che ti dica? cui Virginia rispose scuotendo la testa.

Erano appena arrivati ai piedi delle scale, quando una ragazza procace saltò sulla schiena di Virginia. “Oggi è il tuo giorno fortunato!” esclamò, dandole un pizzicotto affettuoso alla guancia.

“Piuttosto direi che è il giorno in cui mi spezzerai la schiena, Charlie,” ribatté lei in tono di falso rimprovero.

Charlotte si piazzò davanti a lei e le rivolse un sorriso da Stregatto. “Sai chi mi ha chiesto il tuo numero? Wi—“

“Se ci tiene così tanto, può chiedermelo di persona,” la interruppe Virginia. “E se si tratta di uno dei tuoi soliti fidanzatini potenziali, la mia risposta è sempre la stessa: non sono interessata.”

La bocca di Charlotte assunse la forma di una o contrariata. “Andiamo Vir’! Audrey ed io vogliamo solo assicurare la tua felicità affettiva! E cosa c’è di meglio di una storia d’ammoreh per tingere di rosa le tue grigie giornate?” tubò infine con eccessivo romanticismo.

“Scommetto che ha detto di no. Di nuovo.” s’intromise una seconda ragazza, prendendo a braccetto Virginia e Charlotte, che annuì.

“Sembra aver perso tutta la sua fiducia nel sesso maschile da quando ha rotto con quel doppiogiochista di Liam,” Charlotte alzò gli occhi al soffitto. “Oddio, perfino io mi sarei incazzata come una iena, ma la nostra Vir’ ha esagerato quando ha deciso di fare voto di celibato e ficcare la testa nei libri.”

Nell’udire il nome del suo ex ragazzo essere pronunciato con tanta leggerezza, Virginia sentì un misto di panico e rabbia germogliarle nel ventre, ma si trattenne dal fare una scenata isterica nel bel mezzo del corridoio. Charlotte e Audrey avevano le migliori intenzioni e, soprattutto, non sapevano che quella del tradimento era solo una bugia bianca.

“Io, allora?” protestò Eugene, fingendosi offeso. “E poi spiegatemi che cosa c’è di male nel volersi concentrare sulla scuola…”

“Ma tu non fai testo!” esclamarono in coro Charlotte e Audrey, rivolgendo a lui tutta la loro attenzione, e la seconda aggiunse insinuante: “A meno che questo non sia un modo sottile di fare coming out e rivelare al mondo intero la scioccante notizia che, in realtà, sei etero.”

Eugene scoppiò a ridere e cinse le spalle di Virginia. “No no, per quanto mi spiaccia per la nostra Vir’ che brucia di passione per il sottoscritto e un po’ meno per te che t’illudi ancora di far cambiare idea al mio Harry,” concluse con una linguaccia.

Nel sentire quelle parole, Audrey fece una faccia esacerbata che fece incurvare leggermente le labbra di Virginia. Poteva quasi vederla di nuovo, Audrey, seduta sul proprio letto a lamentarsi di come i ragazzi che le piacessero erano occupato o gay – o entrambe le cose, come nel caso di Harry Thompson. E dall’espressione che Charlotte aveva sul viso, Virginia ebbe quasi la certezza che anche lei aveva pensato la stessa cosa. Fu proprio Charlotte a far divergere la discussione, tamburellando le dita sulla sua cartellina da disegno, con la retorica domanda: “Io ho lezione di Storia dell’Arte, e voi?”

“Devo limare la relazione di Storia,” rispose Audrey.

“Ed io devo andare a fare il tifo per Harry,” gongolò Eugene con un sorriso sornione.

“Scienze Soprannaturali,” borbottò Virginia con una punta di fastidio. “Ma è come se fosse un’ora di buca.”

“A dopo, allora!” salutò Charlotte facendo un occhiolino complice e prendendo sottobraccio Audrey prima di incamminarsi nel corridoio a destra.

Virginia e Eugene rimasero in silenzio fino a quando non videro entrambe essere inghiottite dalla massa di studenti, quindi lui si chinò appena verso di lei e sibilò con la voce tinta di preoccupazione: “Tutto a posto?”

Virginia rispose con un cenno del capo e un piccolo sorriso incoraggiante ma tremulo. “È solo che… proprio adesso che le cose si stavano rimettendo nel verso giusto, non solo devo tenere a bada gli impulsi sentimental-filantropici di Charlie, ma devo pure sopportare gli insulti di quella Radiolina Rotta!” Le ultime parole era uscite dalle sue labbra deformate in un singulto.

Eugene la abbracciò in un gesto protettivo e affettuoso. “Dai Vir’! Hai fatto tanta strada e sono certo che tutto si sistemerà. Harry ed io siamo qui, e scommetto che anche quelle due lo sarebbero, se solo sapessero che cos’è successo davvero.”

Virginia sospirò, indulgendo una frazione di secondo nell’abbraccio di Eugene, l’unico ragazzo estraneo alla sua famiglia che poteva azzardare un contatto fisico così intimo senza rischiare di ricevere una ginocchiata ai testicoli. Gli doveva molto e forse se era ancora lì era anche grazie a lui che, al contrario delle sue migliori amiche, non aveva visto la bruttura della sua situazione attraverso lenti tinte di rosa e un romanticismo estremizzato. Era per questo motivo che aveva preferito mentire con Charlotte e Audrey sulle ragioni della sua rottura con il suo ex – per loro il tradimento era il peccato peggiore, quello da non scusare, e lei non era ancora riuscita a perdonare loro completamente l’averla cullata in delle illusioni da romanzo rosa. Virginia allontanò quei pensieri sciogliendosi dall’abbraccio, ammettendo a se stessa per l’ennesima volta che, nonostante tutto, Charlotte e Audrey erano due amabili folli cui continuava a voler bene nonostante tutto – le erano state vicine, anche se a modo loro.

“Ci si vede alla lezione di Francese!” Virginia salutò Eugene, ma dopo qualche passo si volse verso di lui e aggiunse: “Dimenticavo! Mamma ha inventato una nuova ricetta di torta al cioccolato: se Harry e tu volete farle da cavie…”

Eugene rispose all’invito alzando il pollice e Virginia si affrettò verso l’aula di Scienze Soprannaturali.

 

 

La classe di Mr. Bougham, docente di Scienze Soprannaturali della Langlane Integrated School, non comprendeva più di una dozzina di alunni, nonostante il corso fosse caldamente consigliato a tutti gli studenti possedenti dei poteri di qualche tipo: fino ad allora, Virginia non aveva incontrato un allievo sinceramente interessato alla materia. Tanto per cambiare, anche quel giorno i quattro ragazzi in fondo alla classe giocavano a carte; un altro era immerso nella lettura dell’ultimo Harry Potter; e due ragazze molto appariscenti sfogliavano una rivista di moda commentando i trend della collezione autunno-inverno in modo poco discreto. Gli studenti che, invece, potevano essere considerati i più seri del corso si scambiavano appunti di Letteratura o Biologia, oppure si anticipavano i compiti.

Virginia era fra questi ultimi perché, se per la durata della scuola dell’obbligo le lezioni di Mr. Bougham avevano avuto un certo interesse, il programma degli ultimi due anni di liceo era noioso. Avevano imparato a gestire le loro capacità come il Governo aveva sempre auspicato, per cui che senso aveva perdere altro tempo con una serie d’informazioni teoriche inutili? Certo, alla fine del precedente anno scolastico Virginia aveva preso un bello spavento quando il medico scolastico le aveva comunicato che, secondo i risultati dell’ultimo test di Haltey, era passata dalla Classe A alla Classe B. La paura di non poter iscriversi alla facoltà di Economia e Management era stata tale che nelle due settimane seguenti aveva prestato attenzione alle lezioni di quel corso superfluo, ma i suoi buoni propositi erano stati spazzati via come foglie al vento.

Virginia mordicchiò la matita, lanciando un’occhiata ai compagni davanti a lei: solitamente erano loro a chiederle aiuto per i problemi di Matematica, ma adesso che era lei a essere in difficoltà, non c’era nessuno cui potesse rivolgersi. O meglio, c’era ma non in quell’aula e non in quel momento.

Maledetta Radiolina Rotta di una Mangialimoni… se ci insegnassero il voodoo, potrei farle venire le emorroidi, si disse cancellando con rabbia i calcoli e leggendo per l’ennesima volta il passaggio sul suo libro di testo, cercando di ignorare quel stupida strega che continuava a riecheggiare nella sua mente. All’inizio Virginia aveva pensato di essere un po’ prevenuta nei confronti della supplente e di essersi creata un blocco mentale inconscio per una sorta di lealtà nei confronti di Mr. Jackson: sapeva per esperienza personale che ammettere il problema era il primo passo per risolverlo ed aveva agito di conseguenza. Quando, dopo una settimana in cui si era impegnata a prestare molta più attenzione del solito alle lezioni, Virginia si era resa conto che la situazione non era migliorata, aveva provato a confrontare le proprie note con quelle dei compagni di corso.

“Mrs. Herbert non ha la stessa chiarezza di Mr. Jackson e di certo il suo modo di parlare non aiuta,” aveva ammesso Eugene. “Persino io ho dovuto chiederle se poteva ripetere un passaggio.”

Tuttavia, quando aveva provato a seguire il suggerimento di Eugene, Virginia aveva ricevuto in cambio una risposta seccata che l’aveva fatta sentire un’idiota e da allora si era chiesta che cosa avesse potuto fare per meritarsi un tale trattamento, fino a quando non aveva udito la supplente parlare di lei definendola strega. Un vero fulmine a ciel sereno, perché non l’era mai capitato di essere discriminata per quei poteri di cui neanche lei vedeva l'utilità. Eugene aveva cercato di rincuorarla, raccontandole che effettivamente la supplente era insofferente nei confronti di chi frequentava il corso di Scienze Soprannaturali.

Eppure due più due fa sempre quattro, indipendentemente dal fatto che chi esegue il calcolo sia nel Registro oppure no.

“Ragazzi... vi ricordo che fate parte di quel quindici percento della popolazione che con la pubertà ha sviluppato dei poteri: avete il dovere di imparare come gestirli e metterli al servizio della società,” biascicò Mr. Bougham.

Virginia alzò appena lo sguardo verso di lui, osservando rapidamente il girovita innaturalmente largo sorretto da due gambe lunghe e sottili che lo facevano sembrare un lecca-lecca umano – il personaggio ideale di un libro illustrato per bambini della scuola materna. Perfino lei che non aveva alcuna inclinazione artistica poteva vedere la disproporzione nell’aspetto fisico dell’insegnante che, se non fosse per l’enorme ventre e la voce da castrato, non avrebbe sfigurato in una foto di gruppo. Tuttavia, la sua materia non solo era ininteressante ma anche imposta a tutti i minori di vent’anni iscritti nel Registro della Popolazione Paranormale, e Virginia non prestò più di tanto attenzione alle sue parole.

 “Anche se il test di Haltey di fine anno non ha mostrato cambiamenti nei poteri di molti di voi, questa non è una buona ragione per non seguire le lezioni di Scienze Soprannaturali che, tengo a precisarlo, sono obbligatorie anche se si decide di abbandonare la carriera scolastica una volta terminata la scuola dell’obbligo” continuò cercando di non far trapelare la sua esasperazione. “Voi avete scelto di continuare i vostri studi, perciò state attenti per favore.”

Virginia sentì una parte degli studenti sbuffare, sentendosi altrettanto scocciata: udivano quella frase o una sua equivalente una lezione su due o tre, tanto che ormai alcuni facevano scommesse su quale punto della lezione Mr. Bougham l’avrebbe pronunciata. Uno dei giocatori di carte fece un’escalmazione vittoriosa e il potteriano si accasciò di più sulla sedia senza alzare gli occhi dal libro.

“Starò attento il giorno che ci insegnerà l’incantesimo Patronus,” disse quest’ultimo, scatenando delle risatine che ebbero l’effetto d’esasperare ancora di più il professore.

“Mitchell, questo non è un argomento su cui scherzare: siete ancora in fase di crescita, le vostre capacità potrebbero Differenziarsi da un momento all’altro e dovete ripetere il test alla fine del trimestre. E ora basta chiacchierare!” Picchiettò il dito contro la data segnata sulla lavagna e aggiunse, cercando di dare un tono solenne alle sue parole: “Nel millenovecento sessantuno, il Dottor Haltey--“

“-- il Dottor Haltey suddivise la popolazione Registrata in sette categorie, basandosi sulle loro capacità ad alterare l'ambiente circostante.” Mitchell riprese a cantilenare come se fosse un bambino delle elementari che recita una poesia, cui pian piano si aggiunsero i quattro giocatori di carte e le due ragazze.

“Le Classi A, B, C e D sono comunemente dette Inferiori, la prima delle quali è la più comune e rappresenta quasi il quaranta percento della popolazione registrata. Sono seguite dalle Classi Intermedie E e F; e infine la più alta, la Classe G. Dal millenovecento novantanove, essendo la Classe diventata obbligatoria sui documenti d’identità, è stata introdotta anche la Classe Zero per il restante ottantacinque percento della popolazione. Inoltre i poteri possono subire la Differenziazione, che resta indipendente dalla Classe di appartenenza e che è soprattutto influenzata dalla presenza di appartenenti a una Classe superiore.”

“Ehi, prof, dopo la Classe G cosa c’è?” Aggiunse uno dei giocatori di carte.

“Che domanda idiota: tutti sanno che il più grande mago al mondo è… Dumbledore!”

Mr. Bougham lanciò un’occhiata omicida a Mitchell, ma prima che potesse rimproverare lo studente o rispondere alla domanda, Virginia stracciò il foglio e lo appallottolò con rabbia. “Dopo ci sono i Fuori Classe: sono rari e di certo non se ne vanno in giro come se niente fosse. Da quello che mi ha detto Bob, la maggior parte sono impiegati come ricercatori o in alcune unità specifiche della Polizia, della Difesa o dei Servizi Segreti,” sbuffò, mirando il cestino della carta straccia e centrandolo. “A meno che non si diano al crimine.”

“Come Tu-Sai-Chi.”

A quelle parole, Mr. Bougham esplose. “Mitchell! Fuori! E quel libro è sequestrato! Ho detto sequestrato!”

Mitchell protestò, stringendo il libro a sé come se fosse un’appendice del proprio corpo che l’insegnante voleva tagliargli a colpi di ascia: si rincorsero per l’aula un paio di volte fino a quando l’insegnante, con un salto incredibilmente agile per la sua stazza, non acciuffò l’alunno per il cappuccio della felpa e, strappatogli letteralmente il tomo dalle braccia, lo sbatté in corridoio fra l’ilarità generale. Anche Virginia rise, ma il riso le morì sulle labbra quando gli occhi calarono sul libro di testo di Algebra e sulla disequazione di secondo grado che sembrava ricambiare lo sguardo con malevolenza.

 

— • —

 

“O sommo dio della Matematica, cosa devo sacrificarti per placare la tua collera nei miei confronti?!”

Virginia incrociò le braccia sul petto e fissò il quaderno con aria guardinga, come se potesse prendere vita e morderla all’improvviso, poi occhieggiò il portatile sul tavolo. Non era sua abitudine fare i compiti con il laptop acceso, preferendo cercare informazioni su internet solo se non avesse altra scelta o per un controllo incrociato. Ma la Matematica era una materia a parte e, dopo aver esitato ancora un attimo, cliccò nei Preferiti la pagina de The Φ Forum e sperò che uno moderatori, quello che solitamente dava le spiegazioni più chiare e concise di tutti, fosse in linea. Sollevò le braccia in aria trionfale e cliccò sul nome per avviare una chat privata.

Vir_Lovegood: hai un attimo?

Virginia sorrise ripensando a come, la terza volta che aveva chattato con quel moderatore, lui le avesse chiesto di utilizzare un linguaggio grammaticalmente e ortograficamente corretto, senza abbreviazioni. Virginia risentì tutta l’ilarità che aveva provato quando lui si era giustificato con un sono vecchio dentro. Inoltre, se le spiegazioni di IConti_NonTornano314 erano di una semplicità tale che perfino un bambino delle elementari avrebbe potuto capire il calcolo differenziale, i suoi post erano scritti in uno stile un po’ altisonante, poco adatto all’era di Internet e della messaggeria immediata. Nel suo profilo non c’erano molte informazioni, solo che era locato a Oxford e che era di sesso maschile, e il suo avatar si riduceva a un calcolo errato.

IConti_NonTornano314: buon pomeriggio, innanzi tutto.
IConti_NonTornano314: Sì, ma ho giusto cinque minuti: in cosa posso aiutarti?

Vir_Lovegood: ops, ciao!
Vir_Lovegood: come al solito non ho capito un tubo della spiegazione di Radiolina Rotta e il problema sembra essere bello tosto T^T

IConti_NonTornano314: potresti trascrivermi la disequazione?

Senza perdere altro tempo, Virginia digitò il problema sperando che fosse comprensibile. IConti_NonTornano314 ci mise un po’ a rispondere e la finestra segnò un paio di volte che stava scrivendo un messaggio.

IConti_NonTornano314: e come ha spiegato?

Vir_Lovegood: male: quella non parla inglese ma cinese con un forte accento ungherese ù.u

IConti_NonTornano314: c’è da chiedersi come abbia avuto l’abilitazione per insegnare matematica avanzata, allora!
IConti_NonTornano314: Innanzitutto, perché non usi la polacca inversa invece della notazione ‘classica’?

Vir_Lovegood: la polo-che? O.o

IConti_NonTornano314: la notazione polacca inversa o postfissa.
IConti_NonTornano314: ti velocizza parecchio i calcoli una volta che ci prendi la mano.

Vir_Lovegood: che sarebbe…?

La dicitura IConti_NonTornano314 sta scrivendo un messaggio comparve, poi scomparve.

IConti_NonTornano314: ah, devo proprio andare!
IConti_NonTornano314: Forse è meglio se ti spiego di persona: abiti vicino Amersham, giusto?
IConti_NonTornano314: Domani sono dalle tue parti e ci potremmo trovare nel pomeriggio, se ti va.

Virginia aspirò rumorosamente l’aria e poggiò le spalle contro la sedia: c’era un tizio fissato con i numeri che lei conosceva solo via internet e che le chiedeva di incontrarla. I peggior scenari esplosero nella sua mente, dal geek grassoccio brufoloso e occhialuto al settantenne vizioso e depravato, con tutto quello che si poteva trovare fra questi due estremi.

“Tutto a posto, Vir’?”

Virginia alzò lo sguardo e incrociò gli occhi nocciola di sua madre: a parte lei, c’era solo una mezza dozzina di clienti allo Scarlett’s Cafè – una giornata morta, come morto era il favore che lei aveva presso il dio della Matematica. Indicò col dito lo schermo e attese che sua madre finisse di leggere la conversazione prima di chiederle un consiglio.

“Digli di venire, ma dagli appuntamento qui: è un luogo pubblico e se nonostante questo avesse cattive intenzioni, posso sempre prenderlo a colpi di scopa lì dove non batte il sole prima di darlo in pasto a tuo padre.”

Virginia abbracciò di slancio sua madre e, con un certo nervosismo, digitò il luogo e l’ora dell’appuntamento e pregò il dio della Matematica d’essere clemente con lei almeno per quella volta.

 

 

———— φ ————

Piccola noticina per dirvi che questa è la versione 2.2, non editata del capitolo. La mia beta mi amerà XD

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo 02 ***


Podestaria

 

 

— Capitolo 2 —

 

 

 

La sala dello Scarlett’s Cafè era occupata da una dozzina di tavoli circondati da sedie spaiate e con delle tovaglie gialle e blu; un fregio a fiori con gli stessi colori correva lungo il perimetro della stanza a un’ottantina di centimetri dal pavimento in quercia, la parte inferiore delle pareti era tinteggiata di blu e quella superiore di bianco, ornata a sua volta da una serie di acquerelli astratti. Una vetrina girevole fra la cassa e la porta della cucina metteva in bella mostra i dolci della casa e dietro il bancone c’era un’enorme piattaia con la collezione di tazze vintage dell’omonima proprietaria. Uno schermo al plasma nell’angolo più in vista del locale era sintonizzato sul canale musicale: il volume era abbastanza alto da farsi sentire senza tuttavia rendere impossibile la conversazione fra i pochi clienti.

Orla, una delle part-timer del caffè, rivolse lo sguardo scuro e vivace su Virginia e scosse la testa. “Il tuo ragioniere azzurro non è ancora arrivato,” le disse prendendola bonariamente in giro, quindi la scrutò e aggiunse: “Ma come ti sei conciata?”

“Orla, quel tizio viene per darmi ripetizioni di matematica non per un appuntamento galante: voglio solo che abbia le cose chiare fin dal principio!” ribatté lei, poggiando i pugni chiusi sulle anche.

Dopo essere uscita da scuola, Virginia si era fermata a casa di un’amica per cambiarsi: aveva indossato una vecchia felpa deforme con Brontolorso; i capelli biondo tiziano erano raccolti in uno chignon disordinato e aveva coperto con un po’ di correttore e fondotinta la couperose sul viso. Aveva esitato sul sostituire le lenti a contatto con gli occhiali ma poi si era detta che, nonostante l’avesse soprannomina Operazione Arracchiamento, aveva pur sempre un’immagine da salvaguardare: conciata in quel modo si trovava sufficientemente sciatta e poco sexy da considerarsi al sicuro da un possibile approccio sessuale senza passare per una quattrocchi. Sempre che, ovviamente, IContiNonTornano non avesse avuto gusti discutibili in fatto di donne.

Sedette al tavolo prestabilito, incerta se tirare fuori libri e quaderni per dare l’impressione di essere una secchiona ma la fifa ebbe la meglio e, afferrato lo zaino, andò a rifugiarsi nella cucina della sala da tè: sua madre la guardò rapidamente, inarcando un sopracciglio, e fatto un grosso sospiro riprese a mescolare la ganache. Udirono la campanella della porta tintinnare un paio di volte ma, dagli ordini urlati da Orla verso la cucina, dovevano essere dei clienti fissi. Nessuno si era seduto al tavolo previsto per le ripetizioni, posto in un punto strategico proprio accanto alla vetrina girevole che era possibile tenerlo d’occhio grazie alla porta a specchio. Per un buon quarto d’ora non ci furono nuovi arrivi e l’ora dell’appuntamento era già passata da almeno cinque minuti: la campanella tintinnò di nuovo e Virginia si sentì le budella torcersi nell’udire la voce della cameriera farsi un po’ più acuta. Con loro sommo disappunto, il nuovo arrivato non sedette dove stabilito e la madre di Virginia lanciò un’occhiataccia alla dipendente, quando tornò in cucina per recuperare il vassoio con gli ordini e lasciarne di nuovi.

“Mrs Scarlett, non aveva che da mettere un cartellone sul tavolo! In ogni caso gli ho detto di andarsi a scegliere il dolce dalla vetrina e…” Sorrise maliziosa e fece l’occhiolino. “Se quello è un geek, allora io sono Ugly Betty. Dimenticavo, ha ordinato un caffè nero con la panna a parte.”

Madre e figlia si lanciarono un’occhiata curiosa, quindi la prima pose la ciotola sul piano di lavoro, fece il giro dell’isola e si piazzò accanto alla seconda, che deglutì torturando un lembo della felpa: dopo un po’ videro riflesso nella porta a specchio un ragazzo di circa vent’anni.

Virginia non avrebbe saputo dire perché, ma guardandolo ebbe l’’impressione che la sua figura stridesse con l’ambiente circostante quanto un gesso nuovo su una lavagna pulita. Non poteva essere il gessato blu scuro che indossava, poiché non era insolito vedere allo Scarlett’s Cafè dei ragazzi con ancora indosso la loro uniforme scolastica; né tanto meno il suo essere un bel ragazzo – la Langlane non mancava di attraenti esemplari di sesso maschile e, in una classifica immaginaria, quel ragazzo poteva sfidare un meritevole Ian Lloyd per il terzo posto. Forse, si disse Virginia, era a causa dell’aura di eleganza che lo circondava, qualcosa d’imprecisato nei tratti fini del viso e nell’atteggiamento che lo facevano sembrare più il principe di una fiaba in incognito che un fan dei numeri.

Il ragazzo si dondolò leggermente sui talloni, sporgendo le labbra in una buffa espressione. “Vorrei una porzione di torta di mele, per cortesia,” disse quando Orla gli passò accanto. “E non è necessario servirla subito: sto aspettando qualcuno.”

Sentendo quelle parole, Virginia sentì la sua tensione evaporare come una pozzanghera in pieno deserto: aveva sempre creduto che quella sua mania per un linguaggio corretto fosse solo una facciata, ma adesso sapeva che era semplicemente parte del suo modo di essere e, per quanto potesse sembrare strano, questo la rassicurò.

La cameriera annuì, aprì la vetrina, prese due torte e filò in cucina: non appena fu entrata, Virginia la afferrò per una manica e la guardò supplichevole.

“Prestami una maglia decente e una spazzola, ti prego ti prego ti prego!”

“Ma credevo che quel tizio fosse venuto per darti ripetizioni di matematica non per un appuntamento galante, Vir’!” la canzonò Orla, tagliando una porzione di dolce e sistemandola in un piatto, poi aggiunse: “Dai, sono buona: sai dove sono le mie cose, ma non toccare il mio lucidalabbra.”

Virginia mimò un grazie con le labbra e corse nello stanzino accanto. Gettò in malo modo la felpa su una sedia e prese da un armadietto una camicetta in satin malva, storcendo un po’ la bocca mentre lottava con i bottoncini, quindi diede un paio di colpi di spazzola ai capelli, che raccolse in una rapida treccia asimmetrica e diede un piccolo tocco di mascara marrone alle sue ciglia lunghe ma troppo chiare.

Indugiò un attimo allo specchio e, trovandosi decente, fece per andare direttamente nella sala ma sua madre la ridiresse verso la porta di servizio.

“Meglio se fai finta d’essere in ritardo, piuttosto che dire d’essere stata in bagno,” le suggerì Mrs Bergman con un sorriso complice.

 Virginia fece il giro dell’edificio, rientrò nel locale dall’ingresso principale e si avvicinò al ragazzo delle ripetizioni sotto gli sguardi divertiti di Orla e sua madre che si erano affacciate dalla porta della cucina: lui era assorto nella lettura di alcuni appunti, con una mano si lisciava una ciocca di capelli castani mentre l’altra era posata sull’ansa della tazza che portò alle labbra dopo aver messo da parte il foglio appena letto.

“Ehm… IContiNonTornano?”

Il caffè gli andò quasi di traverso quando Virginia gli rivolse la parola: il ragazzo si terse le labbra rapidamente, si alzò con un movimento fluido e le piantò addosso due profondi occhi indaco.

“Virginia novantaquattro, suppongo.” Sbatté le palpebre un paio di volte e poi aggiunse, forse più a se stesso: “Non sapevo che tu fossi una Podestaria. Questo cambia molte cose.”

Lei lo guardò confusa, come se stesse parlando una lingua che suonava familiare ma che non riusciva a capire.Pode-che?”

Magus, strega o qualsiasi altro termine comune per indicare una persona iscritta nel Registro: Podestarius – o Podestaria, al femminile – è il termine più corretto.”

Di primo acchito, Virginia ebbe un moto di paura – in fondo, non era quello il motivo per cui la supplente non la sopportava? – ma fu solo un attimo perché, se IContiNonTornano l’aveva riconosciuta come tale, significava solo che anche lui lo era.

“Ah, mi sono appena resa conto che non ci siamo ancora presentati come si deve.” Gli tese la destra e gli scoccò il suo miglior sorriso. “Virginia Ragna Bergman. E non ridere del mio secondo nome!”

Rag-na? Se non erro, significa aiuto in norreno, ma nel nostro caso sei tu ad aver bisogno di un aiutino! Biagio Tricano, incantato,” rispose lui con una franca stretta di mano.

Un gesto così normale, banale, eppure senza sapere perché Virginia si sentì messa a soqquadro: quando le loro mani si separarono, pensò che forse era perché le sue mani erano callose, qualcosa che si sarebbe aspettata dalle mani di suo padre – le mani di un contadino. Cercò di ignorare la sensazione che ci fosse ben altro nel suo tocco, qualcosa cui non sapeva e non voleva dare un nome.

Sorrise nervosa, grattandosi la nuca. “Ehm… spero che non sia stato troppo difficile arrivare,” azzardò dopo un silenzio imbarazzante.

“No, conosco la zona e in ogni caso mi hanno dato delle ottime indicazioni.” Quindi Biagio batté le mani, arricciando le labbra in un sorriso e con gli occhi che gli brillavano. “Allora, pronta a sgozzare polinomi e funzioni sull’altare del capriccioso dio della Matematica?”

Virginia rise e annuì. “Anche se detto fra noi preferirei sacrificargli la supplente.”

Biagio la fece accomodare ridendo e, sedutosi non proprio accanto a lei ma neanche di fronte, disse ammiccando: “Per prima cosa, dato che abbiamo a che fare con un dio alquanto permaloso, non possiamo iniziare senza invocare su di noi la sua benevolenza.” Quindi si schiarì la voce e, assunta un’aria ridicolmente solenne, inspirò. “’Cantami, o Diva, del Pelìde Achille l'ira funesta che infiniti addusse lutti agli Achei, molte anzi tempo all'Orco generose travolse alme d'eroi, e di cani e d'augelli orrido pasto lor salme abbando--’ no, mi son rivolto alla divinità sbagliata. Aspetta, aspetta… Santi numi, ho dimenticato la preghiera a Ermete Trimegisto! Sono imperdonabile, nevvero?” sospirò lui con fare melodrammatico.

Virginia trattenne a stento una risata e scosse la testa. “Non c’è bisogno di fare tutti questi giri per delle ripetizioni.”

“Lo so, ma dai tuoi post sul forum ho avuto l’impressione che tu non riuscissi più ad affrontare la materia con la necessaria serenità di spirito, per questo ho ritenuto opportuno sdrammatizzare prima di iniziare,” rispose Biagio ridendo a sua volta. Poi riprese con un tono meno scherzoso: “Immagino che ieri tu abbia chiesto a Mister Google che cosa sia la notazione postfissa: ti sono rimasti dei dubbi o preferisci provare a risolvere il polinomio con cui eri in difficoltà?”

“Oddio, non dico che non ho capito ma le pile mi hanno lasciata un po’… confusa,” ammise lei con un altro, piccolo sorriso imbarazzato.

Lui annuì e prese un foglio vergine, vi scrisse una semplice equazione e iniziò a spiegarle in cosa consisteva la notazione polacca inversa e qual era la funzione delle pile. Virginia ascoltava con interesse, annuendo ogni volta che lui le chiedeva se fosse stato chiaro, poi lo guardò rapidamente di sottecchi. E sei venuto fin qua per spiegarmi una cavolata del genere? Uhm, gatta ci cova…

Poi Biagio le chiese di indicargli il problema che il giorno prima l’aveva messa in difficoltà e, usandolo come esempio, lo usò sia per spiegare come risolvere quel tipo di funzione sia per farle un’altra dimostrazione dell’utilizzo della notazione postfissa.

“… e come puoi vedere, la notazione polacca inversa ti permette di eliminare gli errori dovuti alle parentesi dimenticate. I suoi problemi principali sono la difficoltà nell’impararla e il rischio di confusione quando la si usa a mano nel caso in cui non si abbia una calligrafia ordinata, ma la cosa si può risolvere con un separatore. Oh, a questo proposito…” Si chinò per prendere una portadocumenti e ne estrasse una calcolatrice scientifica. “La mia vecchia HP quarantotto: io non ne ho più bisogno da quando ho installato l’applicazione sullo smartphone e mia sorella va ancora alla scuola secondaria, per cui ho pensato ti potesse essere utile.”

“Grazie!” disse Virginia toccata e, impaziente di provare, si lanciò nella risoluzione di alcune equazioni, sbagliando spesso nella trascrizione o nell’inserimento di operandi e operatori. Ogni volta Biagio la rassicurava dicendole che non doveva fare altro che prenderci la mano e, prima che se ne rendessero conto, avevano trascorso un’ora e mezza fra funzioni e grafici.

“Mi spiace,” Biagio si scusò, guardando l'orologio. “Il tempo è volato via! Se vuoi, potremmo ritrovarci per un'altra sessione quando siamo liberi entrambi.”

“Beh, non vorrei darti troppo disturbo… e poi due ore di bus per delle ripetizioni non sono un po’ troppe?” tentennò Virginia

“A dire il vero non è neanche un’ora di auto e non te lo suggerirei se non avessi degli impegni da queste parti,” confessò lui con fare complice, poi aggiunse: “Facciamo così: ti lascio il mio numero di cellulare e se tu hai bisogno di una mano e se io sono da queste parti, ci si vede.”

Biagio frugò le tasche della propria giacca, prese un biglietto da visita, scosse la testa sospirando, barrò qualcosa sul recto, scrisse qualcosa sul verso e lo porse alla ragazza. Si alzò per infilare il caban e prese le sue cose. “Ti auguro una piacevole giornata,” la salutò mentre pagava il conto alla cassa. Virginia lo seguì con lo sguardo mentre correva verso il parcheggio sotto la pioggia, scosse la testa e prese il suo cellulare dalla tasca: osservò per un lungo istante la serie di cifre allineate e scritte con grafia ordinata sul verso, prima di girare il biglietto notando come si scrivessero il nome e cognome di Biagio e stupita di vedere parte del testo bassato con tanta insistenza che il cartoncino si era quasi strappato.

 

— • —

 

Virginia raccolse in fretta i piatti sporchi dal tavolo e corse a riporle nella lavastoviglie.

“Ehi, guarda che io non ho ancora finito!” protestò suo fratello, cercando di recuperare il proprio piatto per fare la scarpetta.

“Dovresti evitare d’ingozzarti come un maiale, Finn: un altro po’ e diventerai più largo che alto. E poi vado di fretta: non ho ancora finito la relazione di Storia e domani c’è un’interrogazione di Letteratura, per cui… scusa mamma, ma per il resto dovrai farti aiutare da questo gentiluomo,” concluse indicando col naso Finn e caricando di sarcasmo l’ultima parola.

“Disse la fogna che si serve almeno due volte ogni portata: io passo tutto il giorno ad aiutare papà in fattoria e ho bisogno di molte energie! Mentre tu non fai altro che startene seduta con la testa china sui libri.”

“Basta pizzicarvi, voi due, lo sapete bene che ognuno deve fare la propria parte,” intervenne Mr Bergman. “Vir’, sei stata tutto il pomeriggio al caffè e visto il tempaccio che fa, dubito che fosse così pieno di clienti da impedirti di studiare.”

Virginia storse la bocca e lanciò un’occhiata a sua madre che roteò gli occhi: Mr Bergman non aveva una grande opinione sugli incontri che si potevano fare su internet e di certo non avrebbe apprezzato che la sua principessina avesse avuto una specie di appuntamento con qualcuno conosciuto in un forum.

Vedendo sua figlia in difficoltà, Mrs Bergman intervenne. “Marcus, lo sai che, da quando è arrivata la professoressa Herbert, Virginia sta avendo molti problemi: sarà rimasta almeno un’ora su quei benedetti compiti di Matematica.”

“Davvero? Eppure un uccellino mi ha detto che si è vista con un ragazzo nel tuo caffè, mamma.”

Madre e figlia guardarono con aria truce Finn, che rispose con una delle più infantili linguacce di cui fosse capace.

“Scarlett, cos’è questa storia?” tuonò Marcus, “E tu, signorinella, mi avevi promesso che…”

“Non c’è bisogno di farti venire il sangue marcio, tesoro: Vir’ ha bisogno di una mano e quel giovanotto si è semplicemente offerto di aiutarla. Credi davvero che lascerei mia figlia da sola con uno sconosciuto? E comunque mi è sembrato un ragazzo a modo, anche se un po’ bacchettone: ha ordinato un caffè nero con la panna a parte e un’apple pie.”

Gli altri tre membri della famiglia rotearono gli occhi: in tutti quegli anni non erano ancora riusciti a capire perché Mrs Bergman si facesse un’opinione delle persone in base a quello che le ordinavano. Alla fin della fiera, non solo Virginia non ebbe il permesso di saltare la sua parte di faccende domestiche, ma dovette sopportare una noiosa ramanzina di suo padre su quanto potessero essere pericolose le persone conosciute su internet.

 

 

Solo alle nove passate poté finalmente andare in camera per finire i compiti: le ci volle più di un’ora per scrivere la relazione e, dopo averla riletta due volte, aprì il proprio laptop per controllare che alcune date e alcuni nomi fossero esatti. Non sapeva neanche perché era passata da Wikipedia al forum in cui aveva conosciuto Biagio, forse il suo era stato un gesto meccanico, tuttavia sentì una punta di delusione quando non vide il suo nickname nella lista degli utenti in linea. Cercò di trovare una risposta a quella sensazione ripensando al pomeriggio trascorso insieme: la sua amica Chantal avrebbe definito Biagio troppo pulito – e non sempre la cosa era intesa come un complimento – eppure Virginia trovò che, in quel caso specifico, avere a che fare con un ragazzo che conoscesse le buone maniere era stata una boccata d’aria fresca. Si era anche divertita, anche se non tanto quanto con le sue amiche.

“Forse è perché è da tanto che non ti divertivi con un ragazzo che non fosse Bob?” chiese al proprio riflesso. “O forse sei semplicemente curiosa, considerando che non è proprio il tipo di ragazzo che frequenteresti in condizioni normali?”

Enunciata l’ipotesi, Virginia si rese conto che probabilmente era proprio quello il motivo della sua delusione. Era curiosa di sapere quali fossero gli interessi di un ragazzo come Biagio, che cosa facesse oltre a risolvere equazioni, dimostrare teoremi e moderare un forum: l’unica cosa di cui aveva certezza, era che Biagio amava i numeri tanto quanto lei. E poi era curiosa anche di sapere che cosa lui avesse bassato con tanta insistenza sul suo biglietto da visita, come se quella o quelle parole fossero la chiave per accedere a un giardino segreto. Chiuse gli occhi, rievocando nella mente l’immagine di lui, eppure questa non era vivida ma sempre più sfocata, come se Biagio fosse avvolto da una nebbia sempre più fitta – come se si trovasse davanti a un paesaggio nebbioso che sapeva essere splendido e che desiderava esplorare – solo il ricordo della sua voce era ancora terso.

Ti ricordo che hai deciso di non impelagarti in un’altra relazione prima della fine del liceo, le disse una vocina nella sua testa.

Virginia sospirò, chiudendo la finestra del forum e tornando su Wikipedia alla ricerca di nuove informazioni per la probabile interrogazione di Letteratura, rimpiangendo ancora una volta che lui non fosse in linea per ringraziarlo di nuovo e magari chiedergli di scambiarsi il contatto Skype per poter fare due chiacchiere quasi faccia a faccia ogni tanto. Sentire Biagio… un brivido le corse lungo la schiena ripensando alla sua voce: Virginia scosse la testa ma non riuscendo più a concentrarsi sulla Lettera Scarlatta, si buttò sul letto e lanciò un ultimo sguardo alla calcolatrice che le aveva regalato o prestato – non era stato molto chiaro in proposito – prima di infilarsi sotto le coperte.

E si addormentò chiedendosi se fosse possibile fare cose indicibili a una voce.

 

— • —

 

L’inutile angolo dell’autrice

 

Avevo deciso di non inserire note finali, poi ho cambiato idea per cui eccomi qua. Inizio con un enorme ringraziamento a Entreri, gentilmente offertasi di betare la storia che avete appena letto e di sopportare i miei scleri: fate un salto alla sua pagina, è anche un'autrice di fantasy coi controfiocchi(non so se si possa parlare di amykettismo, dato che ci siamo incrociate in un paio di contest come rivali e/o compagne di squadra per un mero scherzo del destino).

Forse a qualcuno la storia sembrerà famigliare, ma la ragione è semplice: ho voluto dare a "RPN - Reverse Polish Notation" e ai suoi personaggi le lettres de noblesse che meritano e un cambiamento di titolo era più che necessario. Al momento la precedente versione è ancora pubblicata, ma non per molto: aspetto solo i risultati dell'ultimo contest cui l'avevo iscritta per eliminarla dal sito, per questo non la linko :P

Questa versione è ancora in fase di stesura, ma essendo piuttosto avanti e contando di aggiornare ogni 15 giorni, queste dovrebbero essere regolari. La storia, inoltre, è anche tradotta in inglese e pubblicata principalmente su DeviantART: anche qui non linko, dato che la EV ha qualcosa come 3 o 4 capitoli di vantaggio rispetto alla OV e non vorrei che vi spoileraste chissà cosa nei commenti :P

Inoltre ho creato una pagina FB per i “contenuti extra”, dalle illustrazioni alle informazioni varie ed eventuali riguardanti i personaggi e l’ambientazione, senza contare un eventuale contatto con i lettori che vogliano dir la loro o vorrebbero togliersi delle curiosità – al momento ho solo inserito il profilo di Virginia, il resto arriverà man mano che i capitoli sono pubblicati e i testi trascritti senza contare la possibilità di fangrlare in tutta serenità.

Grazie a chi, non solo ha letto queste righe, ma lascerà anche un commento.

 

Kindest regards,

D. Rose

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** 03. Studi inutili e Profezie ***


Podestaria

— Capitolo 3 —
Studi inutili e profezie

 

 

Quando Biagio rientrò a casa, trovò il signor Aldo Tricano seduto mollemente nella miglior poltrona del salotto, con una cartella sulle ginocchia e un foglio protocollo in una mano: lo osservò corrucciato appallottolare il foglio e, dopo averlo gettato nel fuoco. Suo nonno ricambiò lo sguardo e portò alle labbra il sigarino aspirando lentamente. “Allora, com’è andata?” chiese con un’indolenza consona a un uomo che si avvicinava pericolosamente all’ottantina e cercava ostinatamente di conservare il proprio fascino da tombeur de femme.

Biagio non rispose subito: prese il suo tempo per scaldarsi le mani, poi sibilò senza guardare suo nonno. “Credevo tu fossi a Londra per tutta la settimana, nonno.”

Il signor Tricano fece spallucce e prese un altro foglio. “Infatti, non ho ancora finito di selezionare la delegazione che mi accompagnerà ad Alkonost e ho trascorso tutto il giorno a fare colloqui: l’unico candidato decente mi ha chiesto se potesse portarsi dietro il costume di non so più quale film di fantascienza.” E gettò un altro foglio nel caminetto. “A un certo punto ho temuto di addormentarmi.”

“Se ti sei annoiato così tanto, avresti potuto approfittare di una pausa invece di chiedermi di saltare tre lezioni per incontrare l’idraulico e farmi mettere in ghingheri per la riunione dell’associazione. Oppure decidere chi ti sostituirà nelle tue mansioni e andare in pensione, come tutti i tuoi colleghi si aspettano da dieci anni a questa parte,” sibilò Biagio piccato, poi aggiunse sarcastico: “sei lo Zauberergraf e sei il Viaggiatore più esperto del dipartimento Relazioni Mondi Distanti: mi hai insegnato come creare un ponte di Einstein-Rosen quando avevo cinque anni, aprirne uno fra il tuo ufficio e Sweet Water Cottage, è uno scherzo per te.”

Portali, chiamali portali per l’amor del cielo! E sai che non possono essere aperti senza l’autorizzazione dell’UNARNH e di certo non per far visitare una casa secondaria per un preventivo dell’idraulico! In ogni caso, se stasera sono qui è perché la Contessa Zia è arrivata questo pomeriggio e sai quanto l’ufficio immigrazione renda tutti i suoi viaggi complicati: dopotutto, quante persone nate nel milleottocento sessantatré sono ancora in vita?” Trattenne una risatina. “Specie se con il sangue di Strie, che la fa restare bella pimpante come se avesse un terzo della sua età.”

“In tal caso, perché non è venuta a Perlandwell per la riunione? Ho avuto non poche difficoltà a far capire ad alcuni soci che, senza il consenso della nostra carissima Lady Weatherby, non possiamo trasformare la tenuta in un hotel di lusso: udire un no uscire direttamente dalla sua bella bocca sarebbe stato ben più efficace delle mie argomentazioni ed io sarei potuto rincasare prima,” sospirò Biagio con una punta d’esasperazione.

“Lo sai che non corre buon sangue fra lei e gli eredi della moglie di suo nipote.” Il signor Tricano gettò il mozzicone nel camino e si alzò, aggiungendo: “Hai già cenato?”

Biagio fece spallucce e sospirò. “Più o meno: una fetta di torta alle quattro e poi un sandwich prima della riunione.”

“Allora cosa stai aspettando per andare a mangiare?”

Mentre il signor Tricano scendeva in cantina per prendere una bottiglia di vino, Biagio si riscaldò la porzione di zuppa che sua nonna gli aveva messo da parte. Soffiando distrattamente sulla minestra finì, come gli capitava spesso, per riflettere sulla giornata trascorsa, preoccupandosi di come recuperare gli appunti per le lezioni perse e accorgendosi che, nonostante l’impiccio, non riusciva a considerare il pomeriggio passato a dare ripetizioni a Virginia come tempo perso. Sorrise distrattamente fra sé.

“Ero certa che tu fossi tornato, ragazzo.” La voce, simile a una sferzata di gelido vento di montagna, stonava con l’aspetto affabile e bonario di Lady Weatherby la Contessa Zia. Era una donna minuta, ritta come un fuso nonostante l’età avanzata e un’anca che non si era completamente ripresa da una frattura.

Biagio si alzò di scatto e, con due lunghe falcate, la raggiunse. “Credevo dormiste,” disse, sfiorando con le labbra la guancia profumata di cipria che l’anziana donna gli porgeva e con il naso i suoi soffici capelli di neve.

La Contessa Zia gli tirò le guance come faceva quand’era un bambino. “Più andrai avanti con gli anni e meno avrai bisogno di dormire. Ed io sono alquanto vecchiotta.
“Ma tu, a quest’ora, dovresti già essere fra le braccia di Morfeo e invece ti ritrovo a mangiare la brodaglia di Kathleen.” Strinse le labbra grinzose come se avesse mangiato un limone acerbo, in un gesto che dimostrava tutto il suo poco amore nei confronti della nonna di Biagio.

Biagio accennò una risatina di scuse, fregando le guance. “Cercherò di essere il più discreto possibile, carissima Zia: un compagno di corso dovrebbe avermi inviato gli appunti per le lezioni che ho saltato.”

La Contessa Zia fece spallucce borbottando: “Questi tuoi studi sono una perdita di tempo e se mio fratello Emanuele fosse ancora fra noi ti direbbe che non potresti aver miglior docente della pratica: quello scapestrato di Aldo dovrebbe portarti con lui ogni volta che parte!”

“Spiacente di contraddirla, carissima Zia,” disse il signor Tricano, tornando dalla cantina con una bottiglia di vino. “Non abbiamo molta scelta: ci sono di nuovo delle relazioni ufficiali fra la nostra vecchia Terra e i Mondi distanti, e sarebbe alquanto... strano se il parente di un impiegato dell’UNARNH viaggiasse troppo spesso.” Fissò la bottiglia nelle sue mani, e aggiunse con amara malinconia: “I tempi sono cambiati, carissima Zia, e noi dobbiamo cambiare con loro e adattarci: questo Mondo può averci dimenticato, ma ha ancora bisogno di noi come dell'altalenarsi fra Bene e Male, Luce e Oscurità, Nascita e morte.”

’Cambiare tutto per non cambiare’ è un concetto che non si applica solo alla politica. Dopotutto non è questo il motivo per cui il nostro povero Vittorio e i suoi compagni si diedero tanto daffare per creare l'ANURNU?" L’anziana donna strinse nuovamente le labbra, mentre si avvicinava al tavolo della cucina. “Ciò non toglie che ti sarebbe ben più utile un viaggio fra i Mondi Distanti che restare con la testa china sui libri, ragazzo.”

Biagio sorrise accondiscendente. “È per questo che vi avevo scritto di inviarmi i diari dei miei predecessori: non trovate che Relazioni fra gli Stati Europei e i Mondi Distanti: dal XVII Secolo al Secondo Dopoguerra sia un titolo consono per una tesi? Inoltre mi permetterebbe di giustificare un anno sabatico: stiamo valutando diversi percorsi e i vari tempi di soggiorno, tuttavia saranno proprio i diari a indicarci quali saranno le mete più importanti, nevvero nonno?”

A quelle parole, la donna si bloccò mentre si accomodava a tavola e strinse gli occhi in due sottili fessure. “Andrai anche a…?” sibilò, lasciando sottintendere il luogo.

Lo sguardo del ragazzo dardeggiò su suo nonno, che sembrava far finta di niente mentre studiava l’etichetta della bottiglia, quando Biagio fece per rispondere, tuttavia, parlò al suo posto.

“Forse, se Biagio potesse trovare qualcosa d’interessante per la sua tesi. E sì, c'è una possibilità che incontri quell'uomo.” Aveva pronunciato quelle due parole con voce talmente bassa da essere quasi soffocate dal ticchettio dell’orologio e i rumori della pioggia, tanto che Biagio si chiese se non avesse immaginato quell’infrazione alla regola non scritta. Il signor Tricano alzò infine gli occhi su di loro e accarezzò la bottiglia come se fosse il corpo di una donna, sorridendo. “Un dito di tocai, carissima Zia?”

 

— • —

 

Biagio si stiracchiò cercando di trattenere uno sbadiglio e si lasciò cadere sulla poltrona. Lo sguardo scorse lungo i cimeli della sua infanzia, sui trofei e le medaglie esposte sulla mensola, indugiando sulla foto che ritraeva il suo fiero sorriso da undicenne, la sua gioia radiosa per aver vinto il torneo di scherma:era stata l’ultima volta che aveva gareggiato. Rivide chiaramente suo nonno che, invece di complimentarsi, lo fissava insolitamente serio prima di mormorare adesso basta, hai giocato abbastanza; una volta tornati a casa l’aveva ammonito su quale fosse la responsabilità d’impugnare un’arma perché questo mondo potrà anche essersi dimenticato di noi ma continua ad aver bisogno di noi. Aveva anche aggiunto che era tempo che iniziasse a farsi le ossa e che da quell’estate lo avrebbe seguito fra i Mondi.

Ricordava la meraviglia che aveva riempito i suoi occhi alla vista di Mondi che credeva esistere solo nella voce della Contessa Zia o fra le pagine di un libro; ricordava la gioia del ritrovare quell’uomo, un incontro clandestino voluto da suo nonno stesso perché ‘anch’egli aveva un ruolo da svolgere nella sua educazione’. Ricordava quel primo giorno trascorso con lui, l’entusiasmo con cui gli aveva raccontato dei suoi sogni e dei suoi trionfi: lui aveva risposto gettandolo nella mischia, come chi voglia insegnare a un bambino a nuotare spingendolo nell’acqua. Ricordava il Nuovo Anno dei suoi quattordici anni e il suo primo Oracolo – vile il Sogno, magna la Veglia – e come ne avesse compreso il significato quando gli era stato bisbigliato quel nome proibito.

Biagio aveva detestato quella rivelazione e tutto ciò che essa implicava: lo faceva sentire come il protagonista di un romanzetto di dubbia qualità. Era stato contro di essa che aveva rivolto la sua ribellione adolescenziale, aggrappandosi alla scherma e alla Matematica con la disperazione di un naufrago, tuttavia, per quanto amasse entrambe, non riusciva più a vedervi lo splendore di un tempo.

Allontanò quei pensieri con un gesto della mano, come fossero insetti fastidiosi, e si alzò: aveva appena sfiorato la maniglia della porta che conduceva nella sua camera, quando sentì qualcuno bussare piano e aprire la porta dell’anticamera.

“Volevo parlarti senza quell’impiccione di tuo nonno, ragazzo,” disse la Contessa Zia caracollando nella stanza. Si fermò davanti alla finestra e per un tempo interminabile guardò la pioggia rigare i vetri. “Mi è stato detto che è giunto il tempo predetto dall’Oracolo,” mormorò infine, stringendo lo scialle sulle spalle, poi rivolse lo sguardo grigio su di lui. “Allora, l’hai trovata?”

Biagio corrugò la fronte e sibilò: “È per questo che siete venuta? Per sincerarvi che…”

“Non è bene rispondere a una domanda con un’altra domanda, Biagio. E riserva quel tono di voce imperioso per qualcun altro.” Per un attimo i suoi occhi pallidi furono attraversati da un barlume che la fece più assomigliare a una Baba Yaga che a una vezzosa anziana signora. Non c’era da stupirsi, aveva il sangue di una Strie nelle vene e le Stris erano mutevoli come il tempo d’alta montagna.

Biagio inspirò profondamente, cercando le parole più adatte. “C’è qualcuno che potrebbe corrispondere, tuttavia sapete meglio di me che gli oracoli sono difficili da interpretare.”

“A mio padre fu detto che avrebbe trovato moglie fra i suoi nemici e chiese la mano di una duchessa austriaca, poi sposò una Strie. Capisci quello che voglio dire?”

“Che anche le Grigie Dame sbagliano, forse?”

La Contessa Zia scosse la testa. “Significa che non esiste un’interpretazione precisa di un oracolo e che a volte le parole nascondono un senso che non riusciamo a vedere. Le profezie sono come le tessere di un mosaico: abbiamo a nostra disposizione un numero limitato di tessere e colori, l’indicazione di una natura morta o di un paesaggio, ma poi sta a noi decidere che cosa farci.
“Non fermarti a un primo livello di lettura, piuttosto scava alla ricerca di un significato che possa garantire la tua felicità futura. Ti dico questo perché preferirei che non facessi lo stesso errore di Aldo o Isolde .”

A quelle parole, Biagio sentì una rabbia sorda montargli dentro. “La mia nascita sarebbe un mero errore di interpretazione?”

“No, perché a Isolde era stato chiesto un figlio, non un marito: tua madre ha preferito condannarsi all’infelicità per un nome che può pronunciare solo nella solitudine della notte. O forse è questa la sola interpretazione cui lei sia giunta?
“Ecco cosa volevo dirti: non fermarti alla prima interpretazione soddisfacente che hai trovato o solo perché c’è qualcuna che possa corrispondere a tale spiegazione. Mio padre intese i suoi nemici presenti, non quelli atavici: la radice di una parola, il significato di un nome o un’allegoria possono nascondere in sé la chiave per essere felici.” Lo guardò, stringendogli una mano con affetto. “Ecco, ti ho fatto la mia ramanzina e adesso è davvero ora di andare a letto.”

Biagio rispose con uno stanco buonanotte e attese che la Contessa Zia uscisse dall’anticamera, quindi tornò alla scrivania ed estrasse da un taccuino anonimo una nota che fissò pensieroso.

 

Quando l’anno sarà maturo, Colei che t’è destinata incrocerà il tuo Cammino: a occhio direi in autunno, ma considero un margine fra fine agosto e il Solstizio d’inverno.

Sarà Vergine che non potrai toccare senza il bene placido di Era dalle bianche braccia: “Vergine” inteso come “Che non ha avuto rapporti sessuali completi”? Il ché unito alla seconda parte della frase indicherebbe nessun rapporto prematrimoniale (Era = Dea del matrimonio fra le altre cose): impresa ardua ma non impossibile. Oppure inteso come segno zodiacale? Verificare altri significati della parola. 2. Puro, incontaminato: si rifà al primo significato o a una certa purezza d'animo 3. non lavorato, non sottoposto a trasformazioni: ? 4. Ragazza, giovane donna: peccato, anche le donne mature hanno il loro fascino, ah ah ah! dovresti sapere che le ragazze giovani sono più fertili di quelle mature e uno dei tuoi compiti e riempirmi casa di pucciosi pronipotini, ma posso capire il fascino che sanno esercitare certe signore  Nonno

Sarà Verga-di-Sostegno-e-Aiuto: qualcuno dedito al volontariato? Oppure qualcuno disponibile nei confronti degli altri? (i.e.: offre la classica spalla su cui piangere ai propri famigliari/amici).

Sarà Torcia-che-Indica-la-Via, Fiamma-che-Arde-nell’Oscurità. Potrebbe essere un indizio sul suo carattere, ma la cosa mi convince poco. e a una rossa tutto pepe, ci avevi pensato? Nonno

Sarà Uomo-di-Potenza, Uomo-di-Montagna e porterà sul suo fronte il segno del Tre Volte Grande: Ermete Trimegisto era una divinità del sapere e creatore dell’Ermetismo, la cosa dev’essere approfondita. Quanto al resto… perché parlare di “uomo” se si tratta di una ragazza? Si riferisce forse al padre che dovrebbe essere qualcuno di una certa importanza e originario di una zona montagnosa?

 

Seguivano una mezza dozzina di nomi femminili – quelli delle ragazze conosciute fra la fine dell’estate e l’autunno – tutti barrati tranne uno, Devi. Biagio si grattò la nuca rileggendo quelle parole: era stato felice di lasciare un unico nome anche se, nonostante Devi corrispondesse a buona parte di quegli epiteti, non riusciva a pensare a lei come qualcosa di più di una buona amica.

Ripensò al pomeriggio trascorso ad Amersham, alle quasi due ore di auto fatte per dare delle ripetizioni di Matematica.

“Devo considerarlo un segno?” mormorò accigliato: in ventun anni aveva accumulato sufficiente esperienza con profezie e presagi da sapere che la loro interpretazione era complicata, tanto che spesso e volentieri ne aveva compreso il senso solo con il senno di poi.

E fu più per scrupolo che altro, che aggiunse il nome Virginia. 

 

L’inutile angolo dell’autrice

 

La differenza maggiore fra questo capitolo e la sua precedente versione e… l’interpretazione della profezia! Per questa aggiunta, non dovete ringraziare altri che Mitsuki, che ne aveva lamentato l’assenza (oddio, non proprio ma vorrei evitare spoiler per chi si approccia a questa storia per la prima volta, eh!): mi sono divertita molto a immaginare quale avrebbe potuto essere la reazione di nonno Aldo nel leggerla e, conoscendolo, mi è parso naturale che non sarebbe riuscito a starsene zitto – tra l’altro vuole aiutare il suo adorato (?) nipotinuccio (?!).

Ricordo la pagina FB dedicata a “Podestaria”: mipiaciatela e non esitate a lasciare una parolina o due, è molto, molto importante per me e per i programmi che ho per questa storia!

Grazie a chi, non solo ha letto queste righe, ma lascerà anche un commento.

 

Kindest regards,

D. Rose

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** 04. La Fanciulla alla Fonte ***


Podestaria

 

 

— Capitolo 4 —
La Fanciulla alla Fonte

 

Se avesse dovuto utilizzare dei termini cari a Finn, Virginia avrebbe definito quella una giornata di emme. Dopo aver ricevuto ricevuto un SMS in cui Biagio confermava la propria disponibilità, Virginia aveva selezionato con cura l’uniforme per il giorno seguente: la gonna più corta permessa dal regolamento scolastico che possedeva, il maglioncino sfiancato che era stato ufficiosamente introdotto dalla nipote del direttore, e le decolté regalate da sua cognata da calzare non appena fosse uscita da scuola.

Il primo cattivo auspicio era stato la rottura di un tacco, poco dopo che si era cambiata le scarpe; poi l’ombrello, spezzato da una folata di vento mentre correva per raggiungere l’autobus che, tra l’altro, aveva perso per pochi secondi. Ma la ciliegina sulla torta era stato l’essere inzuppata d’acqua da un camion sulla strada per lo Scarlett’s Cafè. Cos’è, sono stata catapultata in cartone animato e non me ne sono accorta?, pensò mentre strizzava l’acqua dal cappotto fra due starnuti.

Strinse le spalle, cercando di ignorare il leggero brivido che iniziava a correrle lungo la schiena o il cerchio che le stringeva le tempie: era un caso eccezionale e sperava che Orla non le avrebbe negato un cambio d’abito d’emergenza per rendersi presentabile prima che Biagio arrivasse. Sentendo un’auto sopraggiungere alle spalle, Virginia cercò di allontanarsi il più possibile dal bordo del marciapiede per evitare d’essere bagnata un’altra volta, lanciando un’occhiata di muta riconoscenza al conducente che aveva avuto il buon senso di rallentare mentre le passava accanto: l’auto avanzò per qualche metro, si fermò e ripartì in retromarcia. Virginia si chiese se non si trattasse di qualcuno che voleva chiederle delle indicazioni stradali: delle auto di quel genere non si vedevano molto spesso e, nonostante fosse del genere per cui impazziva il maggiore dei suoi fratelli, era certa che non poteva trattarsi di Pat. L’auto si accostò e il finestrino dal lato passeggero si abbassò.

“Virginia, che cosa ci fai sotto questa pioggia senza ombrello? Sei più fradicia di un pulcino!”

Virginia forzò un sorriso. “Buon pomeriggio, Biagio. Sbaglio o sei in anticipo?” Decisamente, quella era una pessima giornata.

Lui sospirò e le fece un cenno del capo. “Avanti, sali: non posso permettere che tu ti bagni ancora di più.”

“Non ce n’è bisogno, davvero… sono quasi arrivata e non vorrei inzupp--”

“Insisto,” Biagio la interruppe con uno sguardo che non ammetteva un rifiuto, aprendo la portella e, una volta che lei fu entrata, le porse una scatola di fazzoletti.

Virginia mormorò un ringraziamento, tamponandosi con una manciata di fazzoletti: mentre ripeteva con cura l’operazione intorno agli occhi – la pioggia le aveva rovinato il mascara e il fondotinta era colato in diversi punti – improvvisamente soffiò come un gatto stizzito. “Acc, ci mancava la lente a contatto!” esclamò con una punta d’esasperazione. “Questa è senza dubbio la mia peggior giornata dell’anno. “

Sentì Biagio sopprimere una risata. “Se ti consola, la mia auto ha avuto un problema e sono stato costretto a prendere in prestito l’unica disponibile, quella di mio nonno.” Tacque per un po’, valutando un parcheggio libero, quindi aggiunse con nonchalance: “Se hai bisogno di più tempo, posso continuare a cercare un posto. “

Virginia lo guardò, non capendo di cosa parlasse. “Ehm… più tempo per cosa?”

“Se non ti asciughi ti ammalerai,” disse Biagio, come se avesse a che fare con una bambina un po' cocciuta. “Sei una Podestaria, Virginia: perfino una Classe A è capace di qualcosa di così banale.

E lei lo guardò come se all’improvviso il suo naso si fosse trasformato in una proboscide: non le era mai venuto in mente di usare i suoi poteri per qualcosa che non fossero le esercitazioni pratiche di Scienze Soprannaturali e, se doveva essere sincera, preferiva di gran lunga fare le cose come una ragazza qualsiasi. “Non ne vale la pena: siamo quasi arrivati al caffè, non credo che mi negheranno uno strofinaccio. E poi ogni volta che uso i miei poteri sono costretta a prendere una compressa per il mal di testa e riempirmi il naso di cotone emostatico.”

Questa volta fu Biagio a guardarla come se il suo naso si fosse trasformato in una proboscide. “Il mal di testa viene se non si fa alcun preparativo. Mi stupisco che tu abbia dimenticato qualcosa di così basico.”

Preparativi? No… etciù! Non ho mai sentito parlare di preparativi nelle lezioni di Doppia Esse,” rispose lei con ingenua sorpresa. “Perfino Bob, che è una Classe D, non me ne ha mai parlato.”

Biagio non rispose, limitandosi a scendere e ad aprirle la portella con una mano e a reggere l’ombrello con l’altra, pensieroso. Poi, mentre attraversavano la strada, disse: “Ho sempre creduto che nonno esagerasse quando diceva che il programma ministeriale di Scienze Soprannaturali avesse più buchi di uno scampolo di pizzo di Chantilly ma se le cose stanno effettivamente così, è semplicemente scandaloso.” Si fermò e la fissò fra il corrucciato e il curioso. “Almeno lo insegnano che c’è un prezzo da pagare direttamente proporzionale al cambiamento voluto?”

Virginia sbatté le palpebre, cercando di ricordare il contenuto delle lezioni teoriche, poi rise. “No, o forse dovrei dire non ancora? Ma se mi permettesse di avere un po’ più di soldi, non mi dispiacerebbe andare in giro con il cotone emostatico nel naso!”

Anche lui rise, ma scosse la testa. “Se tu facessi qualcosa per qualcun altro, potresti esigere una compensazione, ma rischieresti di chiedere troppo o troppo poco. No, Virginia, la Natura dev’essere pagata in natura.” Quelle ultime tre o quattro parole erano state pronunciate mentre entravano nel caffè.

Orla li accolse con un’occhiata sospettosa e un sorriso forzato, quindi chiese con voce un po’ più acuta del solito: “Tavolo per due?”

“Sì, per favore, “ starnutì Virginia. “Potrei avere qualcosa per asciugarmi?”

“E qualcosa che la riscaldi, preferibilmente con del miele e con una certa urgenza,” aggiunse Biagio posando le loro cose su una sedia libera.

“Una tazza di Earl Grey?” azzardò Orla inarcando un sopracciglio, poi sorrise maliziosa e aggiunse: “Accompagnato da una cioccolata calda doppia panna, una fetta di torta al cioccolato e una di Victoria sponge cake, come al solito Vir’?”

Il viso di Virginia assunse un punto di rosso che ben si armonizzava con il vinaccia del suo maglioncino: strinse gli occhi in due fessure, fissando Orla che terminava di prendere l’ordine e andare in cucina, poi guardò Biagio di sottecchi, arrossendo ancor di più. “Immagino cosa tu stia pensando…” Nei suoi diciassette anni di vita, aveva perso il conto di quante volte le avessero dato del pozzo senza fondo.

Lui ricambiò lo sguardo con una punta di curiosità, inclinando appena la testa su un lato. “Penso che sia normale: solitamente i Podestari hanno un fabbisogno calorico maggiore rispetto agli altri. Tornando al discorso di prima, la Natura vuole essere pagata in natura.” Mentre l'aiutava a sedersi, la sua voce assunse un tono accademico. “I preparativi non sono strettamente necessari per eseguire un incanto, tuttavia, usando dei termini medici, permettono di liberare in anticipo le riserve di zuccheri e lipidi che permetteranno al Podestarius di eseguire lo scambio di energie in relativa sicurezza. Per quanto riguarda l'epistassi, questa non è altro che il modo con cui il corpo gestisce l’improvviso sbalzo di energia: è per questo che si parla di prezzo da pagare. Secondo alcuni studiosi… “

“Tutto questo è molto interessante, ma credevo che ci vedessimo per delle ripetizioni di Matematica, non per un convegno di doppia esse.” borbottò Virginia, starnutendo ancora una volta e asciugandosi gli occhi che avevano iniziato a lacrimare.

Biagio sospirò e le rivolse un sorriso contrito, tuttavia la sua voce era carica d’ironia. “Infatti si sente quanto l’argomento ti affascini, ma hai ragione. Senza contare che quello della Matematica è un dio geloso e vendicativo!” Rise con leggerezza, poi aggiunse serio. “Perdonami la saccenteria.”

“Oh, hm... beh, nessuno è perfetto,” Virginia rispose, sedendosi e sentendosi stranamente combattuta.

Orla portò loro le bevande pochi minuti dopo e Virginia strinse fra le mani la sua tazza, godendo del calore che ad ogni sorso si irradiava dal ventre in tutto il corpo, mentre gli occhi erano fissi sull’equazione che Biagio spiegava: cercò di concentrarsi sulle sue parole e sulla stringa di cifre che si allungava per perdersi in una nebbia sempre più fitta.

 

 

Biagio guardò corrucciato il viso di Virginia, chiedendosi perché la sua attenzione fosse diventata inesistente. Stava per chiederle se la sua spiegazione fosse poco chiara – se lei si sentisse bene – quando all'improvviso Virginia crollò: Biagio riuscì ad afferrarla prima che la sua testa sbattesse contro il tavolo, quindi premette la mano sulla la fronte e, sentendola troppo calda, sospirò. Si grattò la nuca, poi afferrò di slancio lo zaino di Virginia e frugò nelle tasche: quando trovò il cellulare verificò che non fosse bloccato e fece un cenno alla cameriera.

“Mi perdoni, signorina, potrebbe telefonare ai genitori di Miss Bergman e avvertirli che non si sente molto bene?” le chiese con un sorriso remissivo e porgendole il cellulare.

La cameriera inarcò un sopracciglio, poi fischiò mentre controllava anche lei la fronte di Virginia: si scusò e andò in cucina, uscendone poco dopo assieme alla proprietaria del caffè. Sinceratasi anche lei del malessere della ragazza, Mrs Scarlett incrociò le braccia sul petto e sbuffò.

“Questo sì che è un problema: ho roba in forno e Marcus e Finn non torneranno prima delle sette.” Fece un grosso sospiro, poi lo fissò pensierosa: era uno sguardo talmente intenso che sembrava voler andare oltre gli strati di tessuto e più a fondo dell’epidermide, uno sguardo che cercava una verità nascosta o di sbirciare nel suo giardino segreto. Un’altra persona si sarebbe sentita in imbarazzo. “Posso chiederti un favore?” disse infine Mrs Scarlett.

“Se è qualcosa nelle mie possibilità,” rispose Biagio piano, indugiando sul leggero retrogusto metallico che sentiva sulla lingua – il testimone di un’energia liberata – e che qualcuno di meno esperto non avrebbe notato.

La signora Scarlett tirò su con il naso, strappando un foglietto di carta e disegnando una mappa rudimentale. “Puoi accompagnarla a casa? Questo è l’indirizzo con le indicazioni per arrivare a Rana’s Farm: le chiavi sono in questa tasca.”

“Non crede sarebbe più consono chiedere a un parente di Miss Bergman di venirla a prendere?”disse lui corrucciato.

Perché, in questo momento, non c’è nessuno e suo padre ha dimenticato di nuovo il cellulare a casa? E poi non sono una madre così snaturata da chiedere un favore simile a qualcuno di cui non mi possa fidare: perché posso fidarmi di te, giusto?” rispose Mrs Scarlett seriamente. “Ti chiedo solo di restare con lei per un po’, il tempo di trovare qualcuno che mi sostituisca in cucina.”

Biagio avrebbe voluto chiederle se sapesse che cosa gli stava chiedendo, di precisare che la sua esitazione non era dovuta a delle remore sulla sconvenienza di lasciare sola in casa la propria figlia con uno sconosciuto – un ragazzo sano e capace per giunta – quanto alle implicazioni insite nell’offrire la propria ospitalità, tuttavia si limitò a dire: “Di quanto tempo ha bisogno, signora?”

Lei fece spallucce mentre scorreva la propria rubrica. “Annie abita a pochi isolati, ma dipende tutto dalla bambina; Lizzie, invece, è a Chesham e verrebbe in bus; nei peggiori dei casi, ci sarebbe Mrs. Davison: per cui direi non più di venti minuti.”

Biagio sospirò, sentendosi un po’ in colpa per non aver insistito più di tanto con Virginia affinché usasse i propri poter per asciugarsi. “Sa, Mrs Bergman, è fortunata che si tratti di me,” disse infine con un sorriso tagliente, il sorriso che nessuno osava ammettere avesse preso da suo padre.

 

― • ―

 

Biagio fu stupito di trovare il paesaggio sempre più famigliare e, quando giunse a destinazione, si rese conto che Sweet Waters Cottage non doveva essere a più di mezz’ora a piedi passando per i campi. Rana’s Farm si trovava sul lato di un selciato, non molto distante dalla strada principale: era un vecchio edificio in pietra e mattoni rossi su due piani, davanti il quale si apriva un giardino ben curato e circondato di cespugli di more e lamponi. Biagio fu sorpreso di riconoscerla. Vi era arrivato inseguendo il cane da caccia di suo nonno, quando aveva quattro o cinque anni, ed era stato accolto da un’anziana signora che parlava un inglese approssimativo e con un forte accento; ricordava una bambina piccola sporca di terriccio, in piedi vicino un cespuglio e con la bocca piena di lamponi, e il modo in cui il sole faceva sembrare la sua testa simile a una torcia accesa. Biagio si chiese se quella bambina fosse Virginia.

Scosse Virginia con delicatezza e, stringendo la chiave fra i denti, la accompagnò sorreggendola fin sotto il portico, dove furono accolti da un grosso gatto tigrato.

“Non è mia intenzione far del male alla tua padrona,” Biagio mormorò al felino, cercando di aprire la porta d’ingresso e con una guancia premuta contro la testa di Virginia: notò appena come lei avesse un leggero aroma dolce e speziato, che ricordava vagamente il profumo di alcuni dolci di sua madre.

Il corridoio attraversava tutta la casa allargandosi per far posto alla scala che conduceva al piano superiore, mentre da un lato erano disposte la cucina e la sala da pranzo e dall’altro un soggiorno: fu lì che Biagio portò Virginia, stendendola sul divano e sistemandole addosso una coperta lavorata a maglia trovata su una poltrona.

“Virginia? Virginia? Dov’è l’armadietto dei medicinali?” le chiese scuotendola appena. 

“Non rompere, Finn,” mugugnò lei in risposta, raggomitolandosi.

Biagio sorrise divertito, poi sbuffò puntando un pugno sul fianco e grattandosi la nuca, quindi lanciò un’occhiata all’orologio e andò a prendere la propria cartella dall’auto: anche se avrebbe dovuto aspettare per pochi minuti Mrs Bergman, ne avrebbe potuto approfittare per studiare per la propria tesi. Biagio si sedette sulla poltrona, sistemando meglio un cuscino per star più comodo, e iniziò a leggere le fotocopie del diario dello Zauberergraf Giuseppe Tricano del 1610. Il silenzio della casa era rotto solo dal ticchettio della pendola che segnava le cinque e dieci e dal respiro leggero di Virginia che dormiva, le ombre diventavano un po’ più scure e il gatto tigrato miagolò strofinando la testa contro le sue gambe prima di saltare sul divano e raggomitolarsi sui piedi di Virginia.

Biagio trasalì, inspirando con forza gli odori rustici e sconosciuti della stanza e, con una certa difficoltà, si alzò per accendere la luce, ma, arrivato vicino alla porta, sentì un impulso improvviso a tornare in corridoio, ad attraversarlo, ad aprire la porta che dava sull’orto.

Oltre la porta posteriore si apriva una brughiera – no, a guardar bene era una tundra – e fu allora che seppe di trovarsi Nel-Mezzo: chiunque o qualunque cosa lo avesse richiamato in quel non-luogo, non aveva visitato i Mondi Distanti e gli mostrava un posto cui era legato. Era rassicurante, ma la sua parte razionale spronava Biagio a tornare nel salotto e a svegliarsi. Sentì un richiamo basso e animalesco, e davanti a lui prese forma la sagoma di un cervo – no, una renna – che lo invitava a seguirlo. I piedi di Biagio si mossero animati da una volontà propria, mentre sopra di loro le stelle vorticavano e il sole sorgeva a ovest per tramontare a est e le stagioni mutavano i colori della tundra come se il nastro del Tempo si riavvolgesse per condurlo in un momento passato preciso. La renna lo condusse davanti a un qualcosa coperto di pelli e licheni: la cosa si mosse, come una carcassa brulicante di vermi che si ricomponga, e una mano su cui correvano piccoli ragni scostò un lembo di pelle. Di primo acchito, Biagio avrebbe detto fosse Virginia, ma i capelli erano troppo scuri e gli occhi troppo chiari e i lineamenti troppo tondi per essere i suoi: la ragazza gli disse qualcosa in una lingua che lui non conosceva, ma che non riusciva a nascondere l’urgenza palese nella sua voce.

“Non comprendo quello che desiderate dirmi, né perché mi abbiate condotto in questo luogo.” Biagio scelse con cura le parole.

La ragazza scosse la testa, continuando a parlare, poi indicò con la mano le pietre su cui era seduta e Biagio si sporse appena per guardare: era una piccola polla, l’acqua così luminosa e densa da sembrare luce solida, e quando la ragazza gli strinse una mano, seppe che cosa voleva da lui.

“No… no,” rispose allontanandosi e scuotendo la testa. “Non posso attingere a questa Sorgente, non senza il consenso del Podestarius cui appartiene.”

A quelle parole si sentì risucchiato indietro, attraverso il paesaggio brullo e verso la porta posteriore della fattoria – verso il proprio corpo.

 

 

Biagio spalancò gli occhi, incapace di muoversi – detestava quei Viaggi improvvisi e detestava ancor di più la catalessi che li seguiva. Il silenzio della casa era rotto solo dal ticchettio della pendola che segnava le cinque e tredici e dal borbottio di un motore. Biagio girò gli occhi verso la porta che dava sul corridoio quando sentì lo schiocco di una portella: Mrs Bergman entrò nel salotto trafelata, con l’impermeabile ancora addosso e i capelli imperlati di pioggia.

“Come sta?” chiese sfilandosi l’impermeabile e inginocchiandosi accanto al divano.

“Dorme. Avrei voluto misurarle la temperatura, ma quando le ho chiesto dove fosse l’armadietto dei medicinali, mi ha scambiato per un certo Finn,” Biagio rise piano, con la voce più roca del solito.

Mrs Bergman lo guardò accigliata. “Che cosa ti è successo?” gli chiese.

Biagio non rispose subito. “Devo essermi assopito.” Riuscì ad alzarsi solo al terzo tentativo e con una certa difficoltà. Incrociò lo sguardo sospettoso di quello che doveva essere Mr Bergman e cui rispose con uno dei suoi migliori sorrisi, poi si volse ancora una volta verso Mrs Bergman e aggiunse: “Spero non vi spiaccia se domani chiamo per avere novità su sua figlia. Vi auguro una piacevole serata.”

Una volta tornato nell’auto di suo nonno, Biagio reclinò la testa all’indietro e respirò lentamente, lo sguardo perso nel vuoto, poi estrasse da una tasca interna del caban un portasigarette e portò un sigarino alle labbra, aspirando una sola volta con forza: era quasi sacrilego fumarne uno come se fosse una sigaretta, ma trovava che riempirsi i polmoni di fumo acre lo aiutasse a recuperare il contatto con il proprio corpo.

 

 

La pendola segnava quasi le cinque e mezzo quando i signori Bergman sentirono l’auto partire. Mrs Bergman raggiunse il marito nella camera di Virginia, reggendo fra le mani una bacinella d’acqua: la pose sul comodino e iniziò a tamponare la fronte della figlia.

“Quanto ha?” chiese senza alzare lo sguardo.

“Trentotto e sette,” rispose suo marito, poi aggiunse: “Perché hai permesso che quel tizio restasse da solo con lei? Avrebbe potuto avere delle cattive intenzioni.”

“Ti sembro una madre degenere, Marcus?” ribatté lei sulla difensiva.

Mr Bergman non rispose subito. “Hai usato i tuoi poteri,” sospirò infine. “Credevo che non volessi ripetere lo stesso errore che hai fatto con Bob, che non volessi esporre Vir’ alla tua magia per darle la possibilità di realizzare i suoi sogni.”

“Ho dovuto, Marcus, e comunque mi sono limitata a sincerarmi che quel ragazzo non avesse cattive intenzioni, per usare le tue parole.” Rise appena, sfiorando con le dita i capelli di sua figlia, poi tornò seria. “Non ne ha per il momento, né di buone né di cattive. Osserva e basta.”

 

 

L’inutile angolo dell’autrice

 

Questo è il primo capitolo interamente scritto per questa versione della storia, per cui voglio sperare che riceva più commenti rispetto ai precedenti (al momento in cui scrivo, ci sono solo due recensioni, tra l’altro premio, di Aturiel) soprattutto da parte di chi ha letto la vecchia versione – coomenti del tipo “’sto capitolo è inutile” oppure “grazie per aver ampliato un ciccio le dinamiche fra i due e di aver lasciato intravedere il lato paranormal che, nella vecchia versione, non lo avrei notato se non lo avessi detti nelle note” e roba del genere – o anche solo per sfogare le vostre teorie su chi sia la fanciulla alla fonte :P.

È stato particolarmente piacevole scriverlo, nonostante la mole di ricerche che ho dovuto fare e l’aver optato di tagliare il paragrafo iniziale – ma per quanto divertente fosse, non portava nulla alla storia soprattutto alla luce dei cambiamenti geografici fatti in corso d’opera.

Ricordo la pagina FB dedicata a “Podestaria”: mipiaciatela e non esitate a lasciare una parolina o due, è molto, molto importante per me e per i programmi che ho per questa storia!

Grazie a chi, non solo ha letto queste righe, ma lascerà anche un commento.

 

Kindest regards,

D. Rose

 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** 05. In cui Lei ricomincia a Sognare ***


Podestaria

 

 

— Capitolo 5 —
In cui Lei ricomincia a Sognare

 

Nel sogno, Virginia si trovava in un nero uniforme e senza odore, in cui Tempo e Spazio non esistevano. Era vestita di nebbia e i suoi capelli fluttuavano d’oro e di rame – era dalla sua prima vera delusione amorosa che non aveva più portato i capelli così lunghi – come se mossi da una brezza leggera o immersi in acque profonde; e la sua pelle aveva un colorito eburneo, quasi splendesse di luce propria. L’aria fremette quasi impercettibile, e intravide una creatura avvicinarsi: di primo acchito sembrava una farfalla che volava languida in quel non-luogo, unica nota di colore in quel piatto grigiore, ma quando Virginia porse la mano per offrirle un dito su cui posarsi, trattenne un grido di terrore. Se le ali erano di farfalla, il corpo era di ragno dalle zampe lunghe e sottili, nero come pece. La creatura non doveva essere malevola, poiché si limitò a svolazzare attorno a lei: si fermò a qualche passo da lei, e al terzo battito d’ali, riprese a volteggiare in volute sempre più alte. Virginia non poté fare a meno di seguirla con lo sguardo, verso l’unica fonte di luce presente in quel non-luogo – era come vedere un flebile sole o una luna splendente attraverso la superficie mutevole dell’oceano o di un lago d’alta montagna.

Svegliati, Bambina, e guardati dall’Uomo dalle Mille Vite, echeggiò una voce famigliare ma che Virginia non riconobbe.

Quando il vecchio gatto tigrato la svegliò saltando sul letto, Virginia ricordava poco del Sogno. Cercò di ricordare i dettagli senza riuscirci e, quando s’infilò sotto la doccia, l’acqua lavò via gli ultimi rimasugli del Sogno e non ci pensò per tutto il resto della giornata – anche se le restò addosso la sensazione di aver dimenticato qualcosa d’importante.

 

 

Virginia sbuffò, mentre osservava la pagina di quaderno su cui aveva iniziato ad annotare la lista dei regali di Natale: anche se mancavano poco meno di due mesi, le piaceva non ridursi all’ultimo minuto anche perché era una cultrice del faidate. Alcuni regali erano già al sicuro in una scatola sotto il suo letto, altri erano già iniziati e per altri era ancora indecisa: stava riflettendo su cosa sarebbe piaciuto alla compagna di suo fratello Pat, quando sentì qualcuno sfiorarle la spalla.

“Vir’, siamo sempre d’accordo per questo pomeriggio?” le chiese una compagna di classe, comparendo alla sua sinistra e prendendola sottobraccio.

“Per il giro esplorativo pre-saldi a Londra,” aggiunse un’altra ragazza, piazzandosi all’altro lato.

“L’importante è che ci sbrighiamo per prendere il treno,” rispose Virginia facendo l’occhiolino. Uno dei vantaggi del venerdì era il non essere obbligata a trascorrerlo a studiare e, generalmente, era il momento della settimana dedicato alle uscite con le amiche. “Anche perché vorrei approfittarne per…” Si bloccò, sentendo il proprio cellulare vibrare e prendendolo con una certa ansia, perché solitamente a quell’ora nessuno la cercava, salvo in caso d’emergenza. “Oh-o… e adesso che faccio?” mormorò deglutendo.

L’amica che la teneva a braccetto lanciò un’occhiata. “’Questo pomeriggio sono disponibile, e tu?’. Chi sarebbe questo B.T.?”

Virginia si sentì arrossire appena mentre mormorava: “Ehm… uno che a volte mi dà ripetizioni di Matematica. Sapete com’è, da quando abbiamo la supplente…”

“Lo sappiamo, lo sappiamo,” ribatté l’amica, roteando gli occhi, “solo tu potevi dare il tuo numero di cellulare a un geek! In ogni caso, mi pare ovvio che cosa tu debba rispondergli: hai un impegno con noi e quindi no, non sei disponibile.”

“Aspetta un attimo, Audrey,” trasalì la seconda come se si fosse ricordata qualcosa d’importante. “Se si tratta del tizio di cui mi ha parlato Orla, Vir’ non può dirgli di no: è un po’ troppo pulito per i miei gusti, ma resta un bocconcino niente male.” Dicendo queste parole, prese il cellulare di Virginia e iniziò a digitare la risposta. “Sì, ci vediamo al caffè allora. È lì che vi vedete, giusto? E… inviato!”

Virginia scosse la testa e sospirò: “Sei una pazza, Chantal, ma ti voglio bene lo stesso.”

Il cellulare vibrò di nuovo, segnalando un nuovo messaggio in arrivo. Bene, sarò lì fra un quarto d’ora: desideri che ti ordini ‘il solito’ nel frattempo?

“Ma mi sta prendendo per i fondelli?” sbottò Virginia mentre Audrey e Chantal scoppiarono a ridere.

 

 

Virginia trovò Biagio seduto al solito tavolo, con le fotocopie di alcuni periodici accumulate davanti a lui: era preso dalla lettura di un numero del Times del 1995, lisciando con una mano una ciocca di capelli e sporgendo le labbra in quel suo modo buffo, talmente concentrato che sembrava non essersi accorto della sua presenza.

Virginia lanciò un’occhiata a Chantal e Audrey che, sedute qualche tavolo più in là, mimavano con le labbra è lui?: lei rispose roteando gli occhi e annuendo, quindi si schiarì la voce. “Ciao e scusa per il ritardo.”

Biagio trasalì e quasi le diede una testata quando, per la sorpresa, fece per alzarsi. “Non ti avevo sentita arrivare,” disse a mo’ di scuse. “Non ti preoccupare, ne ho approfittato per portarmi avanti con una relazione.”

Virginia si accomodò alla sua sinistra, appendendo la propria cartella alla spalliera della sedia. “Chi è o era Martha Santange?” chiese infine, lanciando un’occhiata curiosa alla fotocopia.

Biagio indicò una foto da annuario scolastico. “Era una ragazza assassinata nell’ottobre del novantacinque: inizialmente fu accusata la comunità di vampiri della zona, poi le indagini rivelarono che i colpevoli erano dei compagni di scuola. È uno dei tanti eventi del periodo che hanno scatenato i dibattiti sui diritti dei non-umani.”

Virginia annuì più di circostanza, poi corrugò la fronte e trasalì. “Ma… tu non studi Matematica?” gli chiese basita.

Biagio sospirò quasi dolorosamente. “Filosofia Politica ed Economia: fra i corsi facoltativi di quest’ultima c’è Metodi Matematici, che trovo un buon compromesso. Ma per quanto riguarda l’ambito politico, sono corsi creati in congiunzione con la facoltà di Scienze Soprannaturali: in fondo qualcuno deve pur occuparsi dei rapporti fra umani e non-umani, no?”

“Un po’ come il Dipartimento di Crimine Paranormale, quindi,” annuì lei.

“Esattamente. Anche se devo ammettere che la maggior parte degli studenti frequenta il mio corso più per una questione di moda che di vero interesse,” Biagio scosse la testa, sospirando. “Per esempio, dopo Twilight molte ragazze si sono iscritte credendo che avrebbero potuto incontrare un Edward Cullen in carne, ossa e zanne.”

“Beh, dai, non è molto diverso dal fare la fila alla premiere del film nella speranza di vedere Robert Pattison da vicino,” ribattè lei, quasi sulla difensiva.

Biagio la guardò, inarcando un sopracciglio. “Ah, non avrei pensato che tu fossi una fan di Twilight.” Dal modo in cui aveva pronunciato quelle parole, era impossibile stabilire che cosa lui pensasse di quel libro.

Virginia iniziò a rimestare il cucchiaino nella sua tazza di tè, fingendo nonchalance. “Non… dico che sia ai livelli di Harry Potter, ma… non è malvagio… e la storia d’amore è carina…”

“La storia d’amore carina? Andiamo, la relazione fra i due protagonisti non è sana.”

“Come non è sa-- ehi, ma allora lo hai letto!”

“Non è mia abitudine parlare di qualcosa senza cognizione di causa,” rispose Biagio con una naturalezza invidiabile.

“Oh-o, capisco… il signore vuole forse dirmi che si è iscritto alla sua facoltà nella speranza di incontrare una Rosalie Hale in carne, ossa e zanne?” Lo canzonò lei con simulato stupore.

“No, ho semplicemente perso una scommessa.” Fece una smorfia, come se si fosse sorpreso sul punto di rivelare un terribile segreto, tanto che Virginia si sentì inspiegabilmente a disagio. Ma poi Biagio sospirò, con un sorriso amaro. “Scherzo. Più che altro è perché non c’è un’alternativa per essere un Viaggiatore dell’UNARNH.”

Questa volta fu Virginia a inarcare un sopracciglio. “Non esagerare: non ti serve una laurea specifica per viaggiare, solo un documento d’identità valido.”

“Non se la tua destinazione si trova in un altro piano di realtà,” rispose lui con il tono esageratamente confidenziale di chi condivide un segreto. Davanti alla faccia un po’ confusa di Virginia, Biagio sporse le labbra in quel suo modo buffo. “Come posso spiegarti… ah!” Alzò una mano, attirando l’attenzione della cameriera. “Mi scusi, signorina, potrei avere una mousse al cioccolato o qualcosa a base di pasta sfoglia?”

Lizzie lanciò un’occhiata a Virginia, che rispose alla domanda implicita con una scrollata di spalle. “Devo chiedere in cucina,” disse pensierosa e, dopo un po’, tornò con una porzione di eccles cakes. “Queste vanno bene?”

“Perfette. La ringrazio, signorina,” rispose con un sorriso cortese.

Biagio tagliò con estrema cura un pasticcino in due, allontanando con i rebbi della forchetta le briciole e, avvicinatosi a Virginia, alzò il piatto in modo che fosse all’altezza dei loro occhi. “Lo so che mio nonno mi ucciderebbe per aver tolto tutto il romanticismo dall’argomento, ma… hai presente la teoria generale della relatività?” Virginia annuì con insolito interesse. “E hai presente i ponti di Einstein-Rosen o wormhole?” Virginia annuì di nuovo, gli occhi fissi sul dolce con curiosità.
“Possiamo paragonare lo spazio-tempo a questi strati di pasta: ogni sfoglia rappresenta un piano di realtà o, se preferisci, una dimensione parallela alla nostra e, per spostarci da un piano all’altro, è necessario utilizzare un ponte. Alcuni sono naturali, come quello che a volte si apre nel Triangolo delle Bermuda: spesso non sono utilizzabili, perché sono a senso unico e non si è certi al cento per cento di dove conducono,” spiegò Biagio, indicando il punto in cui due sfoglie di pasta si giungevano, poi infilò la forchetta nel dolce in modo che i rebbi attraversassero tutti gli strati, comprimendoli. “Altri sono artificiali ed è possibile decidere quando, dove e per dove aprirli: allo stato attuale delle nostre conoscenze, solo un Podestarius con sufficiente esperienza è capace di aprire un ponte di Einstein-Rosen.
“È una pratica che richiede non solo una naturale predisposizione ma anche l’allenamento volto ad abituare il corpo ai livelli di energia necessari: il problema di oggi è che il programma ministeriale di doppia esse tende a evitare l’esposizione necessaria per sviluppare queste capacità. Mancando l’allenamento necessario e soprattutto, essendo costretti ad affrontare grandi distanze fin dall’inizio, molti dei sottoposti di mio nonno non possono affrontare più di uno o due viaggi in tutta la loro carriera, tre se appartengono a una Classe sufficientemente alta.”

“E tu?” chiese Virginia, girando appena la testa verso di lui e rendendosi conto all’improvviso di quanto fossero vicini, di come le loro spalle si sfiorassero, del suo odore cuoioso e un po’ acre  – se in quel momento Biagio si fosse voltato per guardarla, molto probabilmente le loro labbra si sarebbero sfiorate.

Tuttavia, le labbra di Biagio si arricciarono in un piccolo sorriso. “È da quando ho cinque anni che nonno mi insegna come aprire un ponte.” Tacque per un attimo, poi aggiunse: “Se fossi stato un po’ libero di scegliere, avrei dato il mio piccolo contributo alla Meccanica Quantistica, anche se il mio sogno è molto più modesto.”

“Non avrei mai immaginato che si potesse applicare la Matematica Avanzata alle Scienze Soprannaturali,” mormorò Virginia, sgranando gli occhi per la meraviglia.

“Il bello della Matematica è che due più due fa sempre quattro e il valore di π è sempre tre virgola quattordici e una marea di altre cifre fra cui il sette volte sette, in qualunque piano di realtà tu sia e indipendentemente che tu sia in base dieci o dodici-sessanta,” mormorò lui annuendo piano. Poi aggiunse con un tono più giocoso: “E adesso… amh!” esclamò imboccandola a tradimento.

Virginia si allontanò, guardandolo offesa e nascondendo con una mano la bocca troppo piena, e bofonchiò qualcosa.

“Sei così carina con la bocca piena: sembri un criceto,” rise Biagio, cambiando forchetta e spostando un’eccles cake intera nel proprio piatto.

Virginia finì di masticare, fulminandolo con lo sguardo, quindi bevve un sorso di tè. “Perché lo hai fatto? Era un modo sottile per rimarcare quanto sia fogna?”sibilò contrariata.

“Non mi permetterei mai!” ribatté Biagio candidamente, agitando la propria forchetta. “Tre pasticcini sono troppi per me e, poiché non credo tua madre apprezzi che i suoi dolci siano buttati, mi sembra corretto da parte tua aiutarmi a finirli.”

Virginia aprì la bocca per rispondere a sua volta, ma si rese conto che il suo ragionamento non faceva una piega. Inspirò profondamente e sorseggiò di nuovo il proprio tè, cercando di ignorare le risatine soffocate di Audrey e Chantal che, sedute a un tavolo diametralmente opposto al suo, avevano assistito a tutta la scena. “Credo che dovremmo trovare un’alternativa: qui al caffè non riesco più a concentrarmi,” borbottò infine.

 

 

L’inutile angolo dell’autrice

 

Non è che abbia molto da dire su questo capitolo, per cui mi limito a ricordarvi la pagina FB dedicata a “Podestaria”: mipiaciatela e non esitate a lasciare una parolina o due, è molto, molto importante per me e per i programmi che ho per questa storia!

Grazie a chi, non solo ha letto queste righe, ma lascerà anche un commento.

 

Kindest regards,

D. Rose

 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** 06. Una battuta di cattivo gusto ***


Podestaria

 

 

— Capitolo 6 —
Una battuta di cattivo gusto

 

 

Biagio osservò sua sorella, seduta su un treppiede da campeggio, mentre riproduceva sull’album il dettaglio dei volti di Amore e Psiche di Canova. Ogni volta che erano a Parigi, Linda insisteva per andare al Louvre per osservare da vicino le sue opere d’arte preferite e fare degli schizzi: la maggior parte rimaneva nell’album e solo qualcuno veniva in seguito riutilizzato per un progetto scolastico. Erano arrivati circa due ore prima e, se Linda era voluta andare direttamente in quella sala e si era piazzata davanti a quella statua, Biagio era stato combattuto dalla necessità di muoversi e la volontà di restare con sua sorella: alla fine aveva deciso di limitarsi a girovagare per le sale attinenti, tornando regolarmente per sincerarsi che Linda non avesse problemi.

Biagio diede una rapida occhiata all'orologio e raggiunse sua sorella, sfiorandole la spalla per attirarne l’attenzione. “Etienne e Alex ci staranno aspettando alla Piramide.”

Linda si volse verso di lui, gli occhi grigi sgranati per la sorpresa, talmente era concentrata sul suo disegno. Trasalì e chiuse in fretta l’album. “Hanno già deciso che cosa regalare alla zia?”

Biagio scosse la testa. “È da parte di tutti, per questo desiderano sceglierlo con noi. Inoltre credo che desiderino avere l’opinione dell’esperta di famiglia,” rispose con tono ironico, aiutandola a raccogliere le sue cose e prendendole la borsa.

Raggiunse la scalinata con poche lunghe falcate  prima di voltarsi e scuotere la testa osservando come Linda, ben lungi dal seguirlo, si fosse fermata davanti a un’altra statua: tornò indietro e, senza aggiungere una sola parola cinse le spalle di sua sorella con un braccio e impedendole di attardarsi ancora in contemplazione di capolavori dinnanzi ai quali doveva solo passare e la guidò con fermezza non lasciandola andare che all'uscita del museo, ormai in vista dei propri cugini.

Non appena la vide, Etienne strinse Linda in un forte abbraccio, facendo penzolare i suoi piedi a un paio di spanne dal suolo prima di posarla.

Chère cousine, t’es de plus en plus mignonne! Sono sempre più tentato di chiederti in moglie non appena sarai maggiorenne,” cinguettò con la voce impostata e dal pesante accento francese.

“Io, invece, ti ricordavo più magro.” Linda ricambiò il sorriso e gli punzecchiò il ventre giocosamente. “Cos’è questa, la brioche per domani mattina?”

Biagio, invece, fulminò Etienne con lo sguardo. “Primo, buongiorno. Secondo, togliti certe idee balzane dalla testa.”

Linda diede un bacio sulla guancia paffuta di Etienne, come se volesse indispettire il proprio fratello. “Se tu devi fidanzarti con una sconosciuta entro la fine dell’anno, non vedo perché io non posso fidanzarmi con Etienne.”

Biagio guardò severamente sua sorella ma, qualunque rimprovero avesse in mente, lo tenne per sé. “Andiamo, poiché non ho idea di dove sia la galleria d’arte e non vorrei che perdessimo tempo in chiacchiere inutili,” disse infine, preferendo ignorare l’insinuazione di Linda e la curiosità che aveva illuminato gli occhi verdi dei suoi cugini nell’udire quelle parole e, come a marcare il suo desiderio di cambiare discorso, aggiunse: “Ieri il nonno si è lamentato della vostra assenza, soprattutto la tua, Etienne: mi ha rinfacciato per l’ennesima volta il fatto che tu sia una compagnia più allegra di me.” Non poté impedirsi di terminare con un accenno di sorriso.

“Oh, ma possiamo parlare lungo la strada!” esclamarono all’unisono i gemelli, con la stessa espressione che non prometteva nulla di buono e ignorando quel tentativo di diversione.

“Anche perché la galleria non è dietro l’angolo,” aggiunse Alexandrine, sottraendo Linda al proprio fratello, poi arricciò la bocca altezzosa nel breve sorriso che riservava a pochi eletti. “Ed io immagino che Nonna Sveva abbia fatto la solita lavata di capo allo Zio Aldo: se non sapessi che sono gemelli, faticherei a credere che siano anche solo fratello e sorella.”

Era una giornata serena e le temperature basse non erano state sufficienti a far desistere i turisti presenti dal girovagare per le strade della città o gli abitanti dall’approfittare delle vacanze d’Ognissanti. Mentre aspettavano che il semaforo passasse al verde, Etienne e Alexandrine allacciarono ciascuno un braccio a quello di Biagio e lo fissarono con la stessa espressione insistente, impaziente e curiosa, l’uno dall’alto in basso e l’altra dal basso in alto, mentre lui osservava con falso interesse le auto che passavano.

Alexandrine, vedendo ciò, sbuffò delusa. “Allons, Biagio, potresti almeno fingere imbarazzo, no? Così ci togli tutto il divertimento, n’en-est pas?”

Etienne annuì, insistendo: “Allors, cos’è questa storia di fidanzate sconosciute?”

Biagio sospirò, lanciando un’occhiata di affettuoso rimprovero a sua sorella. “Ora comprendi perché ti avevo chiesto di non farne parola a nessuno?”

“Il nonno dice che le promesse impegnano solo chi le crede,” rispose Linda, sporgendo le labbra in modo buffo e sollevando appena il mento in un gesto di sfida. “Inoltre loro non sono nessuno e tu hai bisogno di vedere la cosa da altri punti di vista: dovresti ringraziarmi, fratello.”

Biagio sospirò e aspettò finché non avessero attraversato la strada per iniziare a parlare.

“Ha solo predetto il periodo dell'anno e alcuni indizi che dovrebbero aiutarmi a riconoscere questa ragazza”. Fissò il vuoto davanti a lui, mentre ricordava e citava: “’Quando l’anno sarà maturo, colei che t’è destinata incrocerà il tuo Cammino. Sarà Vergine che non potrai toccare senza il beneplacito di Era dalle bianche braccia. Sarà Verga-di-Sostegno-e-Aiuto. Sarà Torcia-che-Indica-la-Via, Fiamma-che-Arde-nell’Oscurità. Sarà Uomo-di-Potenza, Uomo-di-Montagna e porterà sul suo fronte il segno del Tre-Volte-Grande.’”.

Dopo un breve silenzio breve, Alexandrine inarcò le sopracciglia e disse: “Tous ça? Sono un bel po’ di cose”.

Etienne aggiunse scuotendo il capo: “Le pauvr’homme… inoltre non potevano darti degli indizi più chiari?”

“Ho fatto del mio meglio per capirne il significato, tuttavia, ad eccezione della primissima frase – ‘quando l'anno sarà maturo’ può solo significare in autunno – tutte le altre parti hanno più di un'interpretazione, vedi?” Biagio disse con un altro gran sospiro, mostrando a Etienne la sua Moleskin.

Etienne prese il taccuino e lesse con attenzione, sorridendo brevemente quando incappò sui commenti del signor Tricano, poi la chiuse e la rese a Biagio. “Nella tua interpretazione, parli di questa lei sempre in relazione agli altri: ma se si trattasse di qualcuno che ti possa essere utile in quanto Viaggiatore o… altro?” Per una volta, Etienne de la Vesperne era serio. “Inoltre, l’oracolo ti è stato fatto in inglese o questa è una tua traduzione? Te lo chiedo perché, spesso, una parola potrebbe avere più di una traduzione o nessun equivalente in un’altra lingua.”

Sentendo quelle parole, Biagio guardò il suo taccuino con aria pensierosa. L’oracolo originale era in un miscuglio di lingue morte, la cui trascrizione, traslitterazione e traduzione gli avevano richiesto molta energia – ad esempio, l’originale de ‘Uomo-di-Potenza’ era ‘Vir Potentiae’. Questo non gli piacque per niente.

“Impazzirei se tenessi in considerazione ogni traduzione possibile,” disse Biagio seccamente, riponendo la Moleskin in una tasca interna del suo caban.

Le pauv'homme”, Etienne ripeté con un atteggiamento troppo mortificato cui seguì un sorriso sfacciato, più consono al suo carattere. “Comunque, ho visto un paio di nomi in quella tua lista…”

Fu Linda a rispondere. “Prima era rimasta la maestrina, poi si è aggiunta la ragazza delle torte,” borbottò con una punta di acidità.

“Sai, credo che ci sia stato un piccolo malinteso fra te e me: sono io che compro quelle fette di torta, dato che tu hai un debole per i dolci.” Nonostante l’ironia delle sue parole, la voce di Biagio suonò tagliente e a Linda non restò altro che tacere e arrossire per la rabbia e l’imbarazzo. “Dovresti imparare a non giudicare le persone senza conoscerle, inoltre, anche dopo anni di conoscenza reciproca, troverei di cattivo gusto giudicarle.”

“Oh-ooo… sembra che nessuna delle due piaccia à notre p’tite princesse!” rise Etienne: in famiglia era risaputo quanto Linda fosse attaccata al fratello tanto che, fino a qualche anno prima, aveva cercato di allontanare ogni ragazza che si fosse interessata romanticamente a Biagio.

Linda fece spallucce. “La prima l’ho incontrata un paio di volte ed è troppo piena di sé. La seconda non l’ho mai vista ma cerca di comprarmi con delle torte.”

“Non so chi dovrei compatire allora,” rise Alexandrine, “se la fortunata o la sua futura p’tite jolie-soeur!

Etienne scosse la testa con simulata compassione. “Io direi piuttosto monsieur notre cousin. Non dev’essere facile avere il gravoso compito di essere il prossimo Zauberergraf: prima hai dovuto rinunciare a… cos’è che volevi diventare?”

“Insegnante di Matematica,” rispose Biagio con voce piatta, osservando alcune foglie testarde sui rami degli alberi del lungo Senna. “La Meccanica Quantistica era la mia seconda scelta per le sue applicazioni nell’apertura di un ponte di Einstein-Rosen.”

Portali, chiamali portali! Oppure chiamali come fa mamma, Ponti di Gazze, che è molto più romantico,” lo rimproverò Linda, infilandosi fra suo fratello e Alexandrine e punzecchiandogli il fianco. Biagio, invece, schioccò un dito contro la fronte di sua sorella. “Dimentichi che per me Romanticismo è una corrente culturale sorta in Germania alla fine del diciottesimo secolo in reazione all’Illuminismo.”

Se le due ragazze si scambiarono un’occhiata e sospirarono, Etienne invece rise, ottenendo un’occhiataccia da un anziano passante. “A me interessa piuttosto l’opinione del diretto interessato.”

Anche Biagio rise, scuotendo la testa, e solo dopo essersi fatto pregare un altro po’ disse: “D’accordo, d’accordo, ma per favore, evitate battute o scherzi: per quanto voglia sdrammatizzare, è una situazione che abbisogno di affrontare con la più cruda serietà. Allora, da dove volete che inizi?”

Notre p’tite princesse ha parlato di una maestrina e di una ragazza delle torte…” sorrise Etienne, e Alexandrine concluse con un: “… perché non cominciare dalla prima?”

Devi, pensò Biagio.

“L’ho conosciuta tramite amici di amici a settembre: frequenta la facoltà di Chimica ma lo scorso anno ha deciso di diventare insegnante di sostegno – tuttavia non credo che il Ministero le abbia dato l’autorizzazione. Abbiamo alcuni interessi in comune e su altre cose una visione diametralmente opposta, tuttavia sembra possedere quell’elasticità mentale che manca a mia nonna,” iniziò mentre si avvicinavano al Pont des Arts.

“È una ragazza di carattere, molto graziosa: forse non è proprio il tipo che il nonno o la Contessa-Zia vedrebbero al mio fianco, ma è quella che più di tutte sembra corrispondere a quanto indicato dall’oracolo.” Biagio osservò un po’ il drappello che si era raccolto intorno a un quartetto d’archi. “È una cara amica,” aggiunse infine, piano.

“Una scelta di testa, dunque,” sospirò Alexandrine con una punta di delusione. “Le piaci?”

Fu Linda a rispondere, con voce esacerbata. “Ed è disgustoso quanto faccia la svenevole con mio fratello!”

“Adesso stai esagerando,” la rimproverò Biagio, guardandola di tralice. “Se è interessata, è molto più discreta di altre ragazze.” Tuttavia, non riuscì a sentirsi arrabbiato come avrebbe dovuto: già da qualche tempo suo nonno e sua madre sospettavano che Linda stesse sviluppando l’empatia dato che negli ultimi tempi era sempre stata capace di indicare alle sue compagne di scuola se una confessione d’amore avrebbe ricevuto la risposta sperata, tuttavia lui era convinto che fosse troppo presto per una specializzazione dei poteri di sua sorella.

“Ah, la gallérie est de ce côté,” indicò Etienne, che poi aggiunse dopo aver scambiato un’occhiata complice con sua sorella: “E la seconda?”

“La seconda… le do ripetizioni di Matematica da metà ottobre: ci saremmo visti tre volte, solitamente mi contatta per una spiegazione via internet. La considero per mero scrupolo: a parte un paio di punti, non sembra corrispondere più di tanto.” Biagio non sapeva dire perché quelle parole avessero un retrogusto amarognolo o perché provasse una certa riluttanza a parlare di lei. “La sua è una compagnia piacevole: mi fa dimenticare e ricordare al tempo stesso chi sono. Credo che sarebbe una delle poche persone che potrebbero apprezzare il Codice di Glimrei.”

 “Solo tu potresti usare un libro di Matematica proveniente da un Mondo Distante invece della classica collezione di farfalle per attirare la graziosa damigella nella tana del drago!" lo canzonò Etienne, mentre scambiava uno sguardo esasperato con sua sorella e Linda fece una faccia come se avesse mangiato un limone acerbo.

Alexandrine chiese di nuovo, mentre s’infilavano in una stradina secondaria. “Le piaci?”

“Non lo so e non mi interessa. Però le piace mangiare ed è divertente stuzzicarla a questo proposito,” Biagio rispose con una risatina. Poi aggiunse, più rivolto a se stesso: “Ha lo stesso odore dei dolci di sua madre…”

Ah-a, alors c’est elle qui te plait!” esclamarono i gemelli con aria di trionfo.

“Come?” chiese Biagio, sperando di aver capito male.

“È lei che ti piace fra le due,” ripeté Etienne, cingendo con un braccio le spalle di suo cugino.

Biagio si fermò, guardandolo di tralice. “Non so come ti sia venuta in mente un’idea del genere.”

“Forse perché hai sempre stuzzicato le ragazze che ti piacciono? Come Diana…” “… o Ludivine…”

“… o Becky. Avevo già citato Diana?” incalzò Alexandrine mentre, volteggiando con la grazia di una fatina, superava i due ragazzi.

“Così mi fate sembrare un bambino della seconda elementare,” sospirò Biagio, non potendo fare a meno di ricordare come tutte le sue ex lo avessero tacciato d’infantilismo. Non potendo fare a meno di citare quell’uomo. “’che il sole vi veda cozzare e che le Perle di Elanne siano le sole testimoni delle vostre speranze’.”

 Sapeva di aver stuzzicato la curiosità dei suoi cugini verso quel tabù. Le ragazze che gli piacevano non erano le sole persone che amava provocare.

Dopo un po’ d’esitazione, Etienne punzecchiò Biagio su una guancia e rise. “Ma almeno questa cosa l’hai presa dallo Zio Aldo!” Poi aggiunse, sussurrandogli in un orecchio: “E toglimi una curiosità: oltre all’odore, ha anche il sapore dei dolci di sua madre?”

Biagio sbuffò, allontanando suo cugino con un gesto autoritario. “Non lo so e non mi interessa, non assomiglio al nonno fino a questo punto e la tua è una battuta di dubbio gusto,” ribatté con un sorriso tagliente.

Linda, invece, sembrava trattenersi dal dire qualcosa di sgradevole: strinse le labbra e affrettò il passo, superando gli altri tre. “Credevo che dovessimo scegliere il regalo per la zia, non chiacchierare delle ex di mio fratello o di quanto possa essere immaturo a ventun anni suonati,” borbottò infine dando loro le spalle.

 

 

I nonni della Contessa-Zia sembravano guardare con disapprovazione il salotto, o almeno era l'impressione che Biagio aveva ogni volta che il loro ritratto entrava nel suo campo visivo: in ogni caso, anche se avesse ricambiato il loro sguardo con altrettanta insistenza, loro non avrebbero potuto far nulla dalla loro finestra sul passato.

“Cos’è una festa senza musica?” il signor Tricano gli disse facendogli un occhiolino, mentre accordava le corde del suo violino.

“Non mi dire che sei imbarazzato!” Etienne aggiunse con simulato stupore, spingendolo verso il pianoforte a mezzacoda al lato opposto del salotto. “Avanti, monsieur mon cousin, devi solo accompagnarci mentre cantiamo ‘Tanti auguri‘!”

Biagio non poté far altro che sorridere: la cena per festeggiare il compleanno della nipote di suo nonno era quasi finita ed era giunto il momento di spegnere le candeline. “Non sono un musicista professionale e a differenza di te, nonno, non ho la pretesa di esserne uno,” rise, tuttavia sedette sullo sgabello e diede il la.

Dopo qualche istante preparatorio, i tre iniziarono quel concerto improvvisato, cui si unirono gli altri membri della famiglia in un coro forse non troppo armonico ma sentito. La festeggiata, una delle sorelle maggiori del padre di Etienne e Alexandrine, rise quando il signor Tricano diede il suo violino alla propria moglie, dicendo: “Non ti auguro cento di questi giorni solo perché ho paura che tu mi prenda sul serio e decida di seguire le orme della Contessa-Zia, Dodotée!”

“Aldo, per favore, smettila di chiamare Dorothée come se avesse ancora quattro anni!” sua moglie lo rimproverò, infastidita.

“Ma, Micia, anche quando sarà vecchia come la Contessa-Zia, resterà la mia piccola Dodotée!” rispose con innocenza e lanciandole un bacio volante per compensare l’uso di quel soprannome che sua moglie detestava.

Biagio roteò gli occhi, mentre sua nonna s’infuriava ancora di più e suo nonno la stuzzicava, in una scena divenuta consueta che terminò quando qualcuno passò una bottiglia di champagne al signor Tricano, che la stappò con cura e senza far rumore. Mentre aspettava la sua fetta di torta e il suo bicchiere, Biagio sentì il cellulare vibrare: il messaggio leggeva Ci stiamo divertendo anche per te e vi era allegata una foto dei suoi amici al tavolo di un pub. Scosse la testa, sorridendo mentre rispondeva. Quando vide che, invece di rispondere con un altro messaggio, lo stavano chiamando, si scusò con i suoi parenti e uscì in giardino per rispondere.

“Come sarebbe a dire che siamo invidiosi?” la voce del suo amico aveva un tono falsamente offeso ed era accompagnata da musica troppo forte.

“Buonasera, George,” rispose Biagio con calma, appoggiandosi al muro. “Mi sembra ovvio: voi state trangugiando boccali di birra, quando da mia zia lo champagne sta scorrendo a fiumi. Senza contare che Alex è una delle ragazze più belle che ci siano.” Aggiunse con tono insinuante.

“Se fossi a Oxford, ti direi di raggiungerci dopo aver messo i vecchietti a nanna.”Dalla musica di sottofondo che scemava, anche George doveva esser uscito dal pub.

“George? Ci sei?” chiese Biagio dopo aver atteso un po’.

Lui non rispose subito e infine chiese: “Di’ Biagio: ti piace Devi?”

“Perché questa domanda a bruciapelo?” chiese a sua volta, domandandosi perché George gli avesse fatto una domanda del genere.

Il non chiedere della sua vita privata era una regola non scritta che aveva tacitamente stabilito con i suoi amici – se avesse voluto confidarsi con loro, Biagio non avrebbe esitato a fare il primo passo – più per un senso di privacy che di sfiducia nei loro confronti. Si sentì indispettito da quell’infrazione e da quello che potesse implicare – si sentì indispettito da quella domanda che aveva evocato il discorso avuto quel pomeriggio con i suoi cugini.

“Ti piace sì o no?”

Biagio non rispose subito. Devi era una ragazza che sapeva quello che desiderava e che s’impegnava per ottenerlo: metteva molte energie non solo nei suoi studi, ma in ogni singola cosa che faceva. Biagio l’aveva inserita nella sua lista quando lei gli aveva confessato che non le sarebbe dispiaciuto passare a una Classe superiore, se questo le avrebbe permesso di aiutare di più i suoi futuri allievi, e lui aveva trovato un’interessante variazione de ‘uomo di potenza’ il fatto che suo padre avesse una mansione d’importanza in una centrale elettrica. “Diciamo che non mi dispiace.”

“Allora non ti dispiace se ci provo?”

Biagio strinse le labbra, ripetendosi mentalmente la prima parte della profezia, l’unica di cui non si era ancora sincerato, poiché implicava delle domande e delle situazioni sconvenienti. “Diciamo che non mi piacerebbe.” La sua voce si era fatta tagliente senza che lo avesse voluto.

“Se non ti conoscessi, direi che sei geloso.” La risata di George era leggera ma tinta di disagio.

Biagio roteò gli occhi e fece cenno a Etienne che aveva quasi finito la telefonata. “George, non credo che questo sia il momento per parlare di certe cose.” Non voleva che i suoi amici sapessero della profezia – l’unica volta che aveva condiviso quel genere d’informazione con qualcuno esterno alla sua famiglia, era stato tacciato d’eccentricità, per usare un termine elegante.

“Capito. Bene. Ehm... Ci vediamo lunedì allora!”

Biagio sospirò mentre fissava il telefono.

Tes amis?” chiese Etienne porgendogli un bicchiere di vino.

Lui annuì appena e gli mostrò la foto che aveva ricevuto. “Degli amabili folli,” rispose con tono affettuoso. “Mi fanno sentire quasi normale, nonostante abbia l’impressione che, più il tempo passi più il divario fra me e loro diventi profondo.”

À leur santé!” Etienne sollevò appena il bicchiere, quindi gli porse anche un piatto con della torta al cioccolato, ammiccando. “Questa volta non dimenticare di assaggiarla, la torta.”

Biagio strinse le labbra, sapendo che suo cugino sarebbe stato capace di rivoltargli contro qualunque cosa avrebbe detto in quel momento: non gli era sfuggito ciò che quelle parole sottintendevano. Rimase ancora un po’ in giardino, nonostante l’aria fosse pungente e lui fosse senza cappotto, guardando più del necessario la fetta di torta. Fece per separare un boccone con la forchetta ma, non voluto, gli tornò in mente il ricordo del peso di Virginia, della sua fronte febbricitante, del modo in cui i suoi capelli gli avevano solleticato il naso – il modo in cui l’ultima volta che le aveva dato ripetizioni lei avesse cercato di nascondere il suo disagio e di come lui avesse cercato di stuzzicare il suo imbarazzo.

Forse perché hai sempre stuzzicato le ragazze che ti piacciono, ripeté la  voce di Alexandrine, annunciatrice di scomode epifanie. Biagio sapeva troppo bene quali potessero essere le conseguenze di una cattiva interpretazione – ne aveva un esempio davanti agli occhi, ogni volta che suo nonno parlava con o di Kathleen. Lui non desiderava essere infelice né tanto meno rendere infelice la persona che sarebbe restata al suo fianco – non desiderava rendere infelice anche una terza persona – per questo, quando nella lista era rimasto solo il nome di Devi, Biagio aveva cercato di attaccarsi a lei: era una scelta di testa, su questo sua cugina aveva ragione, ma lui aveva la quasi certezza che, a tempo debito, sarebbe riuscito a provare per lei qualcosa di più della semplice amicizia. E poi aveva incontrato Virginia e lui aveva aggiunto il suo nome per mero scrupolo – e poi aveva incontrato la Ragazza alla Fonte e da quel momento lui si ritrovava sempre più spesso Nel-Mezzo.

Oltre all’odore, ha anche il sapore dei dolci di sua madre? La frase pronunciata quasi per scherzo, riecheggiò nella mente di Biagio, fastidioso come il ronzio di una zanzara in una torrida notte estiva.

 

L’inutile angolo dell’autrice

 

Chère cousine, t’es de plus en plus mignonne!: Cara cugina, sei sempre più carina!
Allons: andiamo (esortativo)
n’en-est pas: nevvero, giusto et similia
Allors: allora, dunque
Tous ça?:tutto questo? (tutto sto popo' di roba?)
Le pauv'homme: il pover'uomo (chi indovina questa citazione vince una sfornata di biscotti senza glutine virtuali :P)
à notre p’tite princesse: alla nostra principessina
p’tite jolie-soeur: cognatina (la forma corretta sarebbe belle-soeur)
monsieur notre cousin: il signor nostro cugino
la gallérie est de ce côté: la galleria è da questa parte
Tes amis?: I tuoi amici?
À leur santé: alla loro salute

 

Questo capitolo èstato un parto, sappiatelo: non mi dilungherò sul perché e per come per non annoiarvi.

Vi ricordo la pagina FB dedicata a “Podestaria”: mipiaciatela e non esitate a lasciare una parolina o due, è molto, molto importante per me e per i programmi che ho per questa storia!

Grazie a chi, non solo ha letto queste righe, ma lascerà anche un commento.

 

Kindest regards,

D. Rose

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** 07. Digressioni ***


Podestaria

 

 

— Capitolo 7 —
Digressioni

 

 

“Allora, quale mi consigli?” disse Virginia, mostrando un maglione e una felpa.

Di là dello schermo, Audrey inarcò un sopracciglio e sospirò. “Perché non la blusa che avevi al compleanno di Sharon?” propose infine.

“Perché non è un appuntamento?” azzardò Virginia con una punta di acidità, gettando i due indumenti sul letto e tornando a frugare nel proprio armadio.

“Se non è un appuntamento, perché ci tieni tanto a come sei vestita?” insinuò Audrey.

Virginia strinse le labbra, valutando una maglia a fantasia. “È perché…” Ma si rese conto che non aveva una risposta precisa a quella domanda.

perché il tuo bel Ragioniere Azzurro ti piace e vuoi fare colpo su di lui, Vir’.” Il suo sorriso si fece benevolo. “E sono contenta che tu sia rinsavita: Chantal ed io stavamo iniziando a preoccuparci. Lo sappiamo che quando hai rotto con Liam sei stata da cani, ma decidere su due piedi di non innamorarsi mai più… sei Virginia Bergman, non Kyoko Mogami di Skip Beat!”

Nel sentire il nome del suo ex pronunciato con non curanza, Virginia sentì lo stomaco contorcersi per la rabbia, tanto che chiuse un cassetto con un secco colpo di piede. Tuttavia, invece di litigare, decise di cambiare argomento. “Abbiamo fatto un'altra notte in bianco a leggere shojo manga su internet, eh?” disse cercando di sembrare scherzosa a sua volta. “Ho capito, metto la tuta di gomma che uso per aiutare papà in fattoria con le mucche, ti va bene? Così la smettiamo di giocare a Gira la Moda.”

“… e se non scappa vedendoti conciata in quel modo, significa che gli piaci di brutto e che dovresti buttarti,” ribatté Audrey con un sorriso da Stregatto.

Virginia fece per rispondere ma, udendo un’auto arrivare, lanciò un’occhiata alla finestra e visto Biagio arrivare, infilò la prima maglia che le capitò fra le mani e disse: “Ci vediamo domani a scuola, ok?”

“Ma prima ammetti che ti piace se non vuoi che ti rompa con questa storia fino alla fine dell’anno scolastico,” minacciò Audrey giovale, una minaccia che entrambe sapevano lei fosse capace di realizzare.

“Sì sì, come vuoi: mi piace. Ciao.” Virginia chiuse la conversazione senza poter dare all’amica la possibilità di commentare sulla scarsa convinzione con cui aveva pronunciato quelle parole.

Ma non credere di esserti sbarazzata di lei, Vir’, bisbigliò una vocina nella sua mente, perché in fondo in fondo sai che ha ragione.

“Sciocchezze,” borbottò Virginia a se stessa, mentre scendeva le scale. Tuttavia, mentre allungava la mano verso la maniglia, si rese conto di sentirsi un po’ nervosa.

Quando aprì la porta, Biagio la salutò con un sorriso e un piccolo cenno del capo. “Buon pomeriggio,” rispose senza accennare a entrare in casa.

Si guardarono per un lungo istante, lui con la sua naturalezza che Virginia iniziava a trovare snervante e lei che si sentiva un po’ a disagio dopo la conversazione con l’amica. Poi, dopo un istante, Virginia trasalì, intuendo che cosa lui stesse aspettando, e indicò con una mano il corridoio. “Entra pure, e spero non ti spiaccia se restiamo in sala da pranzo.”

“No, non mi spiace,” rispose Biagio varcando la soglia e avanzando di qualche passo, quindi le porse una busta di carta bianca e riprese: “Non è mia abitudine presentarmi a casa di qualcuno a mani vuote: solitamente sarebbe un mazzo di fiori o una bottiglia di vino, ma nel tuo caso mi è sembrato più opportuno portare qualcosa… per la merenda,” le disse con un sorriso che lei non sapeva se fosse innocente o insinuante.

“Non avresti dovuto,” rispose Virginia rigida, tentata di chiedergli se non la stesse prendendo in giro, mentre lo accompagnava in sala da pranzo.

Prima di sedersi, Biagio lasciò correre lo sguardo lungo la stanza: pochi anni prima era stata trasformata in un ambiente unico con la cucina, dallo stile industriale più adatto a un appartamento cittadino che a una fattoria. Della vecchia cucina rimaneva solo la grande cappa che sovrastava l’AGA, l’acquaio smaltato, una serie di pentole e padelle in rame appese a un muro, e il robusto tavolo di quercia circondato da due sedie e due lunghi banchi. Fu sull’estremità di uno di questi che Biagio sedette e pose il proprio zaino.

“Spero che i macarons siano di tuo gradimento,” disse mentre Virginia sedeva sulla sedia alla sua destra.

“I macaroons non sono... fra le specialità di mia madre,” rispose lei con educazione, cercando di non storcere la bocca e sbirciando nella busta.

“Capisco.” Biagio sembrava un po' rincresciuto, poi aggiunse: “E del tè agli agrumi, dato che lo preferisci. Ma prima il dovere e poi il piacere,” concluse lui aprendo teatralmente il libro di testo di Virginia e facendosi indicare i nuovi argomenti che lei aveva affrontato a scuola dal loro ultimo incontro.

Mentre Biagio spiegava, Virginia non potette fare a meno di sentire nella propria mente la voce di Audrey insinuare ‘il tuo bel Ragioniere Azzurro ti piace e vuoi fare colpo su di lui’ e la propria ribattere ‘Sì sì, come vuoi: mi piace.’

Mi piace come spiega, chiaro e conciso come il Professor Jackson e con una punta d’ironia, pensò Virginia, osservando il modo in cui Biagio faceva scorrere la penna sul foglio. “Mi piace come insegnante.”

“Come, scusa?” chiese Biagio, interrompendo la spiegazione e guardandola con un’espressione indecifrabile.

Virginia arrossì non appena si rese conto di quello che aveva detto. “Niente, niente, stavo solo pensando ad alta voce…” Posò lo sguardo sulla guida da tavolo, fin troppo conscia del fatto che lui stesse continuando a fissarla con quell’espressione, poi esclamò, usando un argomento che non aveva nulla a che fare con la Matematica come boa di salvataggio: “Ti andrebbe una tazza di tè?” E si diresse verso l’AGA senza aspettare una risposta.

“Perché no?” Sentì Biagio ridere. “Tuttavia, sarà necessario solo scaldare l’acqua: mi piacerebbe sapere che cosa pensi del tè che ti ho portato. E soprattutto se questi macarons sono di tuo gradimento.”

Mentre Biagio armeggiava con la teiera, Virginia estrasse dalla busta una scatola di plastica rigida turchese, con scritto sul coperchio trasparente il nome del pasticcere e all’interno una dozzina di dolcetti multicolori – avevano un aspetto e un odore completamente diverso dai macaroons alle mandorle che a volte sua madre si ostinava a preparare. Virginia iniziò con quello al cioccolato seguito da quello alla vaniglia, e dopo esser stata sorpresa da quello all’olio di oliva, si fece tentare da uno rosa vivace.

“Ah, il preferito di mia cugina Alex,” mormorò Biagio, più a se stesso.

Virginia annuì dando un morso al macaron: la bocca e il naso si riempirono del profumo di rose, quindi masticò piano ritrovando il sapore dei lamponi e di un altro frutto di cui non ricordava il nome, e i suoi occhi incrociarono quelli di Biagio. Non sapeva dire se stesse guardando il dolcetto a neanche un paio di centimetri dalle labbra oppure la sua bocca, ma il suo sguardo aveva un’intensità che le fece torcere lo stomaco in un momento che parve allungarsi nell’eternità.

Adesso mi bacia! Adesso mi bacia! Adesso mi bacia!

“Credo che il tè sia pronto,” disse Biagio, distogliendo lo sguardo e riempendo le tazze.

Virginia finì di mangiare il dolcetto, che le parve quasi amaro: sentiva una punta di delusione, che in quel momento preferì attribuire al retrogusto che aveva in bocca. Bevve il tè in silenzio, aggrappandosi inconsapevolmente alla sensazione della tazza calda che stringeva fra le mani.

“Sai, c’è una domanda che mi ronza in testa dall’ultima volta… una curiosità,” disse infine, desiderosa di parlare di qualcosa che non fosse la Matematica o la pasticceria.

Lui inclinò appena la testa, guardandolo con interesse. “Ti ascolto.”

Lei ricambiò lo sguardo con falsa serietà, mormorando: “Come hanno reagito i vampiri quando Twilight è uscito?”

Biagio prese il suo tempo per rispondere. “Alcuni sono rimasti indifferenti, altri ancora l’hanno preso con ironia. Alcuni di loro organizzarono un cosplay di gruppo a una convention presentandosi con la pelle cosparsa di glitter, e il Duca Bloodinski ne ha fatto un’eccellente parodia del film,” rispose trattenendo una risata.

A quelle parole, Virginia quasi sputò il suo tè. “Il Duca Bloodinski è un vero vampiro?” esclamò sgranando gli occhi. Mr Bergman attendeva con ansia il giovedì sera e lo show comico del Duka Bloodinski, tuttavia adesso lei non poteva fare a meno di guardare il programma sotto un'altra luce – un po' come un attore gay che parodiava gli stereotipi gay. Guardò un attimo il liquido ambrato, poi aggiunse: “Eppure, a vederlo fuori dalla scena, non si direbbe.” Ricordava quella volta che lei e suo padre lo avevano incontrato a Londra, senza trucco di scena e con gli occhiali da sole e un berretto come qualsiasi celebrità che cerca di essere in incognito.

“La maggior parte dei vampiri si mimetizza perfettamente fra i comuni mortali, perché solo qualche dettaglio li differenzia da noi. Inoltre, il termine vampiro è troppo generico,” rispose pensieroso, guardando a sua volta il contenuto della propria tazza.

Virginia roteò gli occhi e sbuffò.  “Andiamo, perfino un bambino sa che un vampiro è un non-morto che deve succhiare il sangue dei vivi per sopravvivere.”

Le labbra di Biagio s’incresparono in un sorriso, quindi scosse la testa e ribatté con una punta di saccenteria. “Non solo sangue, Virginia: alcuni si nutrono della forza vitale, altri delle emozioni negative o positive; alcuni sono tornati dagli Inferi, altri invece cercano di prolungare quell’attimo che precede la morte. I più antichi erano comuni esseri umani che divorarono le carni e gli organi vitali e bevvero il sangue di Podestari non consenzienti per rubarne i poteri.”

“Come l’Uomo dalle Mille Vite,” mormorò Virginia, soprappensiero.

Biagio rimase silenzioso. “Come sai dell’Uomo dalle Mille Vite? Cosa sai di lui?” domandò infine.

Lei fece spallucce, sporgendosi verso la scatola di macarons: ne prese un altro e lo mangiò lentamente affondando leggermente sulla sedia.

“È il personaggio di una fiaba che la mia bisnonna mi raccontava, una specie di orco o mostro che voleva rubare il cuore o l’anima della protagonista. Non chiedermi i dettagli: avevo quattro anni l’ultima volta che ho ascoltato quella fiaba. ’Per cui guardati dall’Uomo dalle Mille Vite, bambina’ era solita dire alla fine della storia.” Sorrise fra sé e aggiunse con tenera nostalgia: “Lo avevo dimenticato…”

Solo allora si accorse dello sguardo di Biagio, carico di una curiosità che celava qualcos’altro e tanto intenso da farla sentire quasi a disagio.

“Capisco,” si limitò a dire lui, versando a entrambi dell’altro tè e sorseggiando la propria tazza con lo sguardo perso nel vuoto.

Virginia, invece, guardò senza vedere il proprio quaderno: aveva quasi l’impressione di essere nel proprio letto e con le orecchie piene di parole di cui aveva dimenticato il significato da tanto tempo. Trasalì, colta da un’improvvisa ispirazione, e afferrò di slancio la sua mano. “Vieni, Biagio,” comandò con la voce incrinata e, senza aspettare una risposta, si alzò dirigendosi verso le scale.

Lasciò andare la mano di lui e spalancò la porta della sua stanza con insolita foga e, ignorando gli indumenti sparsi sul letto e lo zaino abbandonato ai piedi della toilette, raggiunse con tre lunghi passi il vecchio baule posto sotto la finestra e, buttati per terra i cuscini e la coperta di pile che lo trasformavano in un divanetto improvvisato, lo aprì. Virginia frugò, incurante di aggiungere disordine al disordine e ancor meno dell’impressione che Biagio potesse avere: buttò sul pavimento di quercia vecchi abiti che non indossava da anni o che non avrebbe mai indossato e trovò quello che cercava.

Sollevò con timore un vecchio tamburo e osservò i disegni che ornavano la pelle quasi traslucida.

“Questo era della mia bisnonna, lo usava per battere il ritmo mentre cercava di insegnarmi a ballare,” mormorò infine Virginia, voltandosi verso di lui. “Non è un vero e proprio ricordo, quanto una specie di fotografia… il fantasma di alcune impressioni.”

Biagio rimase in silenzio, fissando gli stipiti della porta come se volesse studiare le venature del legno sotto gli strati di vernice colorata.

“Perché mi parli di questo?” chiese più con circospezione che curiosità, facendo qualche passo nella stanza solo dopo che lei gli fece cenno di avvicinarsi.

“Così, tanto per.” Una risposta banale per una domanda che non lo era per niente.

Biagio prese il tamburo che lei gli porgeva e Virginia percepì più che vedere le sue dita scorrervi leggere: lo strumento risuonò e, nell’instante dilatato dell’impatto fra l’indice di Biagio e la pelle tesa, l’aria parve farsi vitrea, un’umore denso in cui distinguere l’allagarsi dell’onda sonora, e a Virginia sembrò di riconoscere nei giochi di luce l’ombra di un ragno o di una farfalla o forse di entrambe le cose.

Fu la voce di Biagio a strapparla da quel sogno lucido, più della sensazione del duro pavimento sotto le ginocchia. “Posso aiutarti con i compiti di Matematica, posso prestarti libri di Scienze Soprannaturali più dettagliati dei tuoi testi scolastici. E perché no, potrei anche metterti in contatto con lo spirito della tua bisnonna, se fosse quello che tu desideri e se tu fossi disposta a pagare il giusto prezzo. Ma io non sono lei e non posso aiutarti con questo,” disse restituendole il tamburo e fissandola con la severità di un giudice – di un sovrano – sul punto di condannare un uomo a morte. “Per cui te lo chiedo una seconda volta, Virginia: perché mi parli di questo?”

Virginia si rese conto che non aveva una risposta per quella domanda.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** 08. Gatti e Sigarette ***


Podestaria

 

 

Capitolo 8 ―
Gatti e sigarette

 

 

La penna scivolava rapida sul foglio, lasciando dietro di sé una scia di cifre e simboli neri man mano che Biagio ricopiava serenamente l’esercizio che l’assistente stava trascrivendo alla lavagna. Fra tutte le materie facoltative che aveva seguito nei due ultimi anni di studio, Metodi Matematici restava la sua preferita; ogni settimana, Biagio attendeva con impazienza quella boccata d’aria fresca, una delle poche attività che aveva scelto per passione e non per necessità. S’irrigidì appena quando questo pensiero rievocò una volta di troppo il ricordo delle ripetizioni date a Virginia.

Era accaduto fin troppo da quando Etienne aveva fatto quella battuta di cattivo gusto e Alexandrine aveva nominato Diana, e Biagio non aveva potuto fare a meno di riflettervi: non avrebbe saputo dire con precisione perché fosse Virginia e non Devi a esser diventata qualcosa di più di un’amica. La conosceva meno e, soprattutto, che non trovava con la predizione dell'oracolo corrispondenze più rilevanti di quelle contenute nel significato del suo nome ed era proprio questo a complicare le cose. Più di una volta si era trovato a desiderare d’essere qualcun altro, di affidarsi semplicemente al suo istinto e parlare con Virginia e mettere le cose in chiaro fra loro.

La miglior soluzione è lasciare le cose come stanno, come avrebbe dovuto fare il nonno con Estela. Pensò, allontanando quella distrazione calcando un po’ di più la penna sul foglio.

Biagio non conosceva con precisione i dettagli di quella vicenda, solo che si trattava di un amore di gioventù o un’ex-collaboratrice con cui suo nonno aveva avuto una relazione più intima del dovuto. Non sapeva perché sentisse una sorta similitudine con la situazione in cui si trovava, come se la storia si stesse ripetendo, tanto che Biagio era tentato di chiedere a suo nonno di quel suo amore di gioventù, nonostante sapesse che Mr Tricano avrebbe divagato, schermandosi dal rimpianto con la propria leggerezza di spirito. Biagio non aveva alcuna intenzione di fare lo stesso errore di suo nonno, di avere un matrimonio infelice: sapendo quale sarebbe il suo compito futuro, desiderava qualcuno capace di dargli sostegno e conforto.

La voce dell’assistente che congedava gli studenti lo distolse da quei pensieri. Biagio finì di ricopiare sul quaderno l’esercizio-esempio, quindi indugiò in corridoio per confrontare le proprie note con quelle dei compagni di corso con cui andava più d’accordo. Per abbandonarsi a conversazioni abitudinarie che spaziavano, nel breve tragitto fra l'aula e l'ingresso, da un commento della lezione ai più disparati temi mondani. Arrivato all’ingresso del college, Biagio valutò l’intensità della pioggia e, salutati i suoi compagni di corso, raggiunse la propria bicicletta con poche falcate, quindi inviò un messaggio a Devi per dirle che sarebbe arrivato in pochi minuti e partì alla volta del pub.

Gli piaceva sentire le gocce d’acqua sferzargli il viso e bagnargli capelli e abiti, tanto che, se non fosse stato per il traffico, sarebbe andato il più veloce possibile, gli occhi chiusi e i polmoni pieni d’aria profumata di pioggia, le mani intirizzite dal freddo di novembre. Quando entrò nel locale e vide l Devi agitare una mano, una voce che suonava fastidiosamente come quella di Etienne gli fece notare come, dall’esterno, quello potesse sembrare un appuntamento: per un attimo fu tentato di fingere di non averla vista e uscire – se Devi avesse avuto intenzione di parlargli, Biagio era ancora troppo incerto per darle una risposta sicura.

‘Vergogna e imbarazzo sono gramigne  da estirpare’, citò mentalmente con una voce che era e non era la sua.

Biagio la raggiunse con la sua solita nonchalance, la salutò e disse, mentre sedeva di fronte a lei: “Dunque, di cosa volevi parlarmi?” È come cavarsi un dente, pensò mentre iniziava a cercare le parole più adatte per rimandare una risposta a quando sarebbe stato certo del proprio .

Devi spostò lo sguardo verso lavagna su cui era esposto il menù del giorno, insolitamente schiva. “Ti va se prima mangiamo?” disse rivolgendogli un rapido sguardo e un sorriso che voleva essere naturale, la sua voce, tuttavia, suonò un po’ falsa nel tentativo di nascondere l’improvviso disagio.

Non è un buon segno. “Come preferisci,” rispose lui, facendo un cenno al cameriere.

Mentre mangiavano, scambiandosi rapide opinioni su argomenti banali come il tempo o i programmi televisivi della sera precedente, Biagio non poté fare a meno di essere sempre più cosciente del fatto che quella era la prima volta che si trovavano en tête-à-tête, notando tanto l’impaccio crescente con cui lei si muoveva tanto il modo in cui la sua risata suonava leggermente più stridula del solito . Ed è disgustoso quanto faccia la svenevole con mio fratello, ripeté la voce di Linda nella testa di Biagio.

“Mia sorella ha chiamato ieri sera,” mormorò infine Devi con una voce sottile, abbassando lo sguardo scuro sui resti del dessert. “Ha passato più di un’ora a piangere al telefono.”

Nel sentire quelle parole, Biagio si sentì in un certo senso sollevato nel sapere che il disagio di Devi avesse una ragione diversa da quella che aveva temuto. Pose le mani giunte sul tavolo e la osservò, cercando le parole più adatte alle circostanze: gli abiti dai colori vivaci contrastavano con l’espressione amareggiata di Devi, come se lei li avesse scelti per tirare e tirarsi su di morale. Biagio sentì la voce di suo nonno affermare ‘una bella ragazza non dev’essere triste’.

“Ed io ho trascorso tutta la notte a cercare tutto quello che potrei fare io per la… situazione di mio nipote. Per l’ennesima volta,” continuò lei, con un sorriso tremulo che voleva essere incoraggiante.

“È per lui che hai richiesto di cambiare la tua prospettiva di carriera.” Non era una domanda, quanto un’affermazione che cercava una conferma.

Devi aveva accennato ai motivi dietro quella sua decisione una sola volta e non era neanche voluta scendere nei dettagli. Biagio non aveva potuto far altro che apprezzare quella pudicizia, quel non voler mettere in mostra il proprio fardello di problemi, tanto da considerarla la miglior dote che Devi avesse.

La vide sul punto di rispondere ma si trattenne nell’udire la suoneria del suo cellulare attutita dagli strati di stoffa del caban.

“Se è importante, richiameranno,” fu la risposta di Biagio alla sua muta domanda.

Devi sospirò ancora, come se avesse sperato che quella telefonata potesse rimandare ancora un po’ quella conversazione che la metteva in difficoltà.

“Sì, certo… mi pare ovvio.” Giocherellò con una ciocca di capelli neri, quindi riprese con un tono sommesso, senza guardarlo. “Questa mattina ripensavo a una scena de Deathly Hallows due. Togli il due  suona male, quella in cui Harry spezza la Bacchetta di Sambuco, e mi sono detta che idiota… ha una pallida idea di quante persone avrebbe potuto aiutare? Poi mi è tornato in mente quando mi chiedesti cosa pensassi dei miei poteri e…” Devi prese un respiro profondo, come se volesse raccogliere tutto il suo coraggio, poi si protese verso di lui con gli occhi pieni di speranza e mormorò piano: “Biagio, come potrei usarli per aiutare Jai?”

Biagio aveva più di una risposta a quella domanda ma nessuna che gli sembrasse proponibile o legale. “Perdona l’impudenza, ma come sei indicata sul Registro?” chiese invece a sua volta.

Devi sbatté le palpebre, come se si stesse chiedendo il perché di quella domanda. “Classe D e i miei poteri hanno iniziato a differenziarsi quando avevo quattordici anni.”

“E in cosa si sono specializzati?” insisté lui con un tono di scusa.

“Niente che possa essere utile per Jai,” rispose lei con un crescendo d’irritazione. “Controllo sugli scambi a livello molecolare, come mio padre. Poi a maggio abbiamo avuto la… brutta notizia e ho richiesto un cambiamento di carriera: ti lascio immaginare tutte le storie che mi stanno facendo quelli degli Affari Soprannaturali… non mi hanno dato l’autorizzazione neanche dopo aver visto una copia del resoconto del neuropsichiatra… ‘Mi spiace signorina, ma i suoi poteri non trovano alcuna applicazione in questo campo’!” esclamò in quella che voleva essere l’imitazione di un impiegato stizzito.

Nascose gli occhi con una mano per non mostrare quanto fossero umidi e prese dei respiri profondi per calmarsi. Biagio fu tentato di stringerle una mano per confortarla, ma si trattenne temendo che quel gesto non fosse ben accolto.

“Non è assurdo?” riprese Devi quando si fu calmata abbastanza. “Ci dicono che dobbiamo usare i nostri poteri per il bene della società e tante altre cavolate del genere, ma quando vogliamo aiutare qualcuno che ci sta a cuore, non fanno altro che metterci i bastoni fra le ruote e… credo che dovresti rispondere.”

“Scusami,” sospirò Biagio costernato, prendendo il proprio cellulare e alzandosi. Si allontanò di qualche passo e rispose con un sibilo neutro: “Sono a pranzo con un’amica, nonno, ti richiamo più tardi.” Quindi tornò al tavolo e si scusò ancora una volta.

“No, scusami tu. Forse non è stata la migliore delle idee parlartene ma… fra i miei conoscenti sei quello che ne sa più di tutti di certe cose,” rispose Devi con un tono quasi normale più calmo.

Biagio le rivolse un sorriso stirato e cercò di essere il più incoraggiante possibile nella risposta. “Forse, se i tuoi poteri fossero di natura telepatica, sarebbe più facile, ma generalmente la telepatia funziona in un senso solo. Non so quale sia la procedura da seguire nel caso di tuo nipote, tuttavia credo che i metodi su cui vi state informando vi permetteranno di aiutarlo.”

Devi annuì con poca convinzione e rimase per un po’ in silenzio, poi incrociò rapidamente il suo sguardo e si schiarì la voce, come se avesse ritrovato il tutto il suo disagio iniziale.

“Ah, si è fatto un po’ tardi per me,” disse mentre si alzava e indugiando un attimo prima di dirigersi, verso la cassa.

Biagio la imitò e, quando la vide prendere il proprio portafogli, la superò e pagò l’integralità del conto.

“Non era necessario pagare anche la mia parte,” la sentì dire con la voce appena lusingata.

Lui si volse verso di lei con un sorriso affettuoso, ammiccando. “Diciamo che ora ho una scusa per chiederti di portare alla festa di Capodanno il curry che George ha tanto lodato.” L’improvviso rossore che aveva colorito le guance di Devi sembrò confermare le parole di Linda, poi, mentre la aiutava a infilarsi il cappotto, Biagio le chiese, quasi sovrappensiero: “Che cosa pensi di quei libri in cui il protagonista scopre di essere il membro di una famiglia reale o qualcosa del genere?”

Devi lo guardò corrucciata, stringendo le labbra in una smorfia di leggero disgusto. “Sono libri per dodicenni, dalla trama scadente e con personaggi bidimensionali: a quell’età io leggevo Jane Austen.” Tacque un attimo, poi chiese a sua volta: “Perché me lo chiedi?”

Lui la testa e sbuffò, rispondendo con un tono di voce accondiscendente: “Da quando una sua compagna di scuola le ha prestato The Princess Diaries, Linda non vuole leggere altro.”

Nel sentire quelle parole, Devi rise, finalmente rilassata, scuotendo la testa a sua volta. “Regalale Northanger Abbey per Natale e le farai un favore,” concluse con un sorriso più rilassato. Esitò ancora un attimo, dondolando sui talloni prima di congedarsi con un: “Alla prossima e… grazie per esser venuto.”

Biagio ricambiò il saluto mentre le apriva la porta, poi sistemò lo zaino sulle spalle e tornò a casa. Lasciò la bicicletta nel cortile anteriore e, quando entrò, non poté fare a meno di provare una punta di sollievo nel costatare che sua nonna non fosse in casa. Fu solo dopo essersi cambiato e aver preso un’aspirina per combattere quell’inizio di raffreddore che chiamò l’ufficio di suo nonno.

“Perdonami se ti ho disturbato mentre eri a pranzo con la tua ragazza…” disse la voce di suo nonno, metallica e falsamente costernata.

Biagio strinse il setto nasale in un gesto esasperato, specificando: “Ho detto un’amica, non la mia ragazza, per cui certi motteggi sono inutili.” Prese un respiro profondo e aggiunse: “Dunque, quale sarebbe quest’urgenza?”

La voce di Mr Tricano era leggera e frivola, come se fosse una comare dal parrucchiere. “Ci sarebbe questa gattina carinissima che avrebbe bisogno di una famiglia amorevole che…”

Biagio roteò gli occhi e soffiò con una punta di rabbia: “Santi numi! Fra i tuoi colleghi ci sarà qualcuno disposto a prendersi cura di un gatto! Male che vada potresti portarlo in un rifugio e…”

“Spero che non serva dirti che è questione di massima importanza.”

L’esasperazione della sua espressione si sciolse in gravità. “Capisco. Lasciami fare un paio di telefonate e, se trovo qualcuno che possa renderti questo servizio, ti richiamo.”

Biagio strinse le labbra e, sinceratosi che l’orario non fosse troppo sconveniente, scorse la lista dei contatti: quando risposero, cercò di usare la voce più contrita di cui fosse capace senza sembrare supplichevole.

“Buongiorno Virginia. Scusami se ti chiamo mentre sei a scuola ma… potrei chiederti un favore?”

 

— • —

 

Quando, il pomeriggio seguente, Biagio arrivò a Rana’s Farm, trovò Virginia ad aspettarlo sotto il portico dell’ingresso. Non appena lo vide aprire la portella dell’auto, lei lo raggiunse e lo accolse con un ironico: “Allora, dov’è la bestia?”

Biagio trattenne una risata e raccolse con cura un gatto d’Angora dal pelo bianco e arancio e gli occhi blu.

“Signora, mi permetta di presentarle Miss Bergman, la serva umana che si occuperà di lei nei prossimi mesi,” disse con solenne riverenza guardando il gatto, poi alzò lo sguardo rivelando un sorrisetto divertito. “Virginia, lei è Lady Déa Appoloninaris-Maimon.”

“È ‘serva umana scema’, Biagio,” rise Virginia, prendendo il gatto fra le braccia ed emettendo un gridolino estasiato. “O mio dio, com’è morbida e soffice… il tuo padrone ti ha dato un nome lungo come il tuo pelo: mi limiterò a Lady.”

In risposta a quell’ultima frase, il gatto soffiò come per dimostrare il suo dissenso.

Lady Déa sarà più che sufficiente,” propose Biagio ridendo.

“È sterilizzata?” chiese lei, lasciando che la gatta saltasse dalle sue braccia per esplorare la fattoria. “Perché non credo che l’amico di tuo nonno apprezzerebbe se gliela restituite con una cucciolata e… Mockey! Comportati da gentil gatto con la nostra ospite!”

Biagio fece per sorridere nel vedere il vecchio gatto tigrato studiare con circospezione la nuova arrivata, e fu sul punto di dire qualcosa quando fu colto da una sensazione troppo simile a quella che precede il sonno. La voce di Virginia che rimproverava il suo gatto suonò ovattata e distante alle sue orecchie, mentre il cortile anteriore e l’edificio tremolarono come se fossero un miraggio, svanendo lentamente in un paesaggio alieno – svanendo lentamente nella Tundra in cui la Ragazza alla Fonte lo chiamava.

Non ora, pensò Biagio inspirando profondamente e aggrappandosi alle sempre più fievoli sensazioni corporee che ancora percepiva: con un poderoso sforzo di volontà, cercò con le dita quasi insensibili il portasigarette e, con una consapevolezza pericolosamente simile a quella di un sogno lucido, portò il sigarino alle labbra e ne aspirò il fumo acre. Fu come udire un rumore improvviso stando in bilico fra il sonno e la veglia: tornò all'istante all'erta e, riprendendo bruscamente possesso delle proprie membra, si accorse di stare tremando. Suoni e i rumori attorno a lui tornarono netti e l’ambiente circostante tornò nitido.

“Tutto a pos-- oh.” Virginia lo fissava dalla soglia e sembrava trattenersi dal fare un commento sgradevole: Biagio la vide mordersi le labbra e poi sospirare di delusione. Quando parlò, la sua voce suonò piatta e distaccata quasi volesse disegnare una linea di demarcazione fra loro prima di entrare in casa. “Aspetterò dentro che tu abbia finito lì fuori.”

Biagio le rispose con un sorriso tremulo e, quando la sentì miagolare, si accovacciò e grattò con la mano libera la testa di Lady Déa.

“Ha visto quel che è appena accaduto, nevvero?” La gatta rispose con un miagolio affermativo. “Le sarei infinitamente grato se, durante il suo soggiorno qui, indagasse sulla faccenda ed io considererò pagato il suo debito con me.”

 

— • —

 

“Non per farmi gli affari tuoi, ma fumare uccide.”

Pochi minuti prima, Virginia aveva contattato Biagio tramite il forum, chiedendogli se avesse Skype poiché voleva parlargli faccia a faccia. Lui non le aveva dato subito il proprio contatto, perché avrebbe avuto un po’ l’impressione che lei fosse con lui nel suo studiolo, dove a malapena tollerava le brevi incursioni dei suoi familiari. Poi aveva accettato, perché lei non sarebbe sbucata dallo schermo come il fantasma di un film horror e, molto probabilmente, si trattava di un ulteriore chiarimento sull’argomento affrontato durante le ripetizioni o di un problema con Lady Déa.

Le notifiche della richiesta di contatto prima e della videochiamata poi erano arrivate in pochi minuti. Quando aveva accettato la chiamata, Biagio aveva visto Virginia seduta alla turca sul suo letto, già in pigiama e con un’espressione infastidita: non lo aveva salutato, ma aveva pronunciato quella frase con insolita serietà. Il risultato finale sarebbe stato più efficace se non fosse stato per Lady Déa che, spaparanzata sulle sue gambe, ronfava beatamente lasciandosi grattare.

Biagio avrebbe voluto rispondere che di solito fumava quando sentiva il bisogno di rilassarsi – il bisogno di riprendere contatto con il proprio corpo – ma si trattenne dal farlo e cercò un’altra risposta. Se da un lato una simile ingerenza lo infastidiva, dall’altro lo turbava perché poteva considerarla un segno che Virginia tenesse a lui più di quel che lei volesse dimostrare. A Biagio la cosa piaceva e non piaceva: non voleva e non poteva permettersi che le cose prendessero una direzione indesiderata e non vide altra scelta che ristabilire la distanza con lei

Si reclinò contro lo schienale e accese un sigarino, aspirando lentamente e tristemente compiaciuto di vederla infastidirsi di più. “Infatti, non sono cose che ti riguardano,” disse con nonchalance, accompagnando ogni parola con uno sbuffo di fumo azzurrino.

Virginia strinse le labbra, quindi prese la gatta fra le braccia e affondò il viso nel pelo come se volesse nascondere la sua crescente irritazione. “E comunque non me frega niente,” borbottò infine, simulando disinteresse.

“Se davvero non t’interessa, perché me ne parli?” Un angolo della sua bocca si contrasse in un accenno di sorriso. Era sinceramente toccato dal modo in cui Virginia cercava di dissimulare il suo coinvolgimento emotivo, come se anche lei, per delle ragioni che gli erano ignote, volesse mantenere lo status quo fra loro. Trovava confortante sapere di non essere il solo a pensarla in quel modo, anche se era una considerazione che gli lasciava un po’ d’amaro in bocca.

“Dimmi perché ridi, così rido anch’io.”

‘Che il sole vi veda cozzare e che le Perle di Elanne siano le sole testimoni delle vostre speranze.’  La citazione gli aveva sfiorato le labbra dolce e amara al tempo stesso come il ricordo del tempo in cui l’aveva appresa. Si trattenne dal pronunciarla e mentre ponderava un’alternativa, arguta o scialba che fosse, fu interrotto dal leggero bussare alla porta. Biagio si voltò infastidito, inarcando un sopracciglio alla vista di sua sorella, e disse con aria di affettuoso rimprovero: “Linda, non dovresti essere già a letto?”

“Stavo per coricarmi, sì, ma ti ho sentito ridere e ho voluto sapere cosa ti divertisse tanto,” mormorò Linda con la sua voce dolce e flautata, mentre allungava una mano per togliergli il sigarino, che spense con insistenza. “Non credi sia opportuno smettere?”

Biagio guardò con sorpresa e fastidio sua sorella, poi Virginia e di nuovo sua sorella. “Voglio sperare che questa sia una coincidenza, perché trovo alquanto strano che entrambe mi abbiate fatto la medesima osservazione.” Sbuffò, suonando più arrogante di quel che si sentisse.

“Con chi parli?” Linda si chinò in avanti, sbirciando nello schermo e incrociando per la prima volta lo sguardo di Virginia. La sua espressione divenne neutra, poi mormorò quasi guardinga: “La ragazza delle torte, suppongo.”

Biagio si schiaffeggiò la fronte e fece scorrere la mano sul viso, chiedendosi se quello non fosse l’ennesimo tentativo di Linda di interferire nelle sue amicizie.

“Sai, la torta al cioccolato dell’altra volta era buona, ma personalmente avrei messo meno zucchero,” disse Linda, sedendosi sul bracciolo della poltrona di suo fratello.

Virginia rise leggermente e rispose: “Dovresti dirlo a mia madre ma dato che la maggior parte dei clienti approva, non credo che la tua o la mia opinione siano sufficienti per farle modificare la ricetta.”

“Oh, non sei tu la pasticcera…” Linda rimase in silenzio per un po’, poi aggiunse con un tono più amichevole: “Suppongo che, in ogni caso, tu ne sappia più di me! Per Natale vorrei preparare un dolce che lasci tutti senza fiato: se non t’è di troppo disturbo, ti spiacerebbe aiutarmi?”

Biagio si voltò lentamente osservando la sorella con attenta circospezione: dopo averla sentita innumerevoli volte lamentarsi per gli incontri che il suo gruppo teneva a casa loro, non poté non chiedersi quali fossero le sue reali intenzioni nell’invitare personalmente qualcuno dei suoi amici. La guardò con una punta di sospetto, quindi la spinse gentilmente dal bracciolo, sibilando: “Kathleen non sarebbe felice di sapere che hai invitato in casa qualcuno che non conosci di persona. Inoltre non credi che Miss Bergman abbia ben altro da fare?”

Linda guardò suo fratello, ricambiando lo sguardo di rimprovero. “Sono stufa di mangiare ogni anno il pudding della nonna,” ribatté sulla difensiva, poi gli rivolse un sorriso tagliente e aggiunse, quasi premendogli le labbra contro l’orecchio nel chiaro intento di non far comprendere a Virginia quello che stava dicendo: “Qualcuno mi ha detto di non giudicare le persone senza conoscerle. E poi, non sei curioso di assaggiare un dolce preparato da lei?”

L’affermazione sarcastica non fece che rievocare le parole di Etienne. Oltre all’odore, ha anche il sapore dei dolci di sua madre? Biagio strinse le labbra: per quanto avesse cercato di catalogare quella frase come una battuta di cattivo gusto, non riusciva a togliersela completamente dalla mente. Non lo so e non m’interessa. Chiuse gli occhi un attimo, ripetendo mentalmente quelle parole come se fossero un mantra. Non lo so e non m’interessa.

“Temo d’essere costretto a sostenere l’invito di Linda,” sospirò infine e un po’ controvoglia. “Tuttavia, non sentirti obbligata: come mi facesti notare la prima volta che ci incontrammo, ci vogliono due ore di mezzi pubblici da Great Missenden a Oxford.”

L’espressione di Virginia divenne offesa, poi schioccò la lingua contro i denti e disse come se fosse la cosa più ovvia al mondo: “Abbiamo una bancarella al mercato e capita che vada a dare una mano il sabato o la domenica: se come orario ti va bene dopo le quattro, signorina Tricano, possiamo organizzarci per la prossima volta che sarò lì.”

 

 

L’inutileangolo dell’autrice

Eh, lo so che è la ripubblicazione dell'ultimo capitolo, ma è successo un casino ed era stato cancellato – ho perso il conto di quante volte ho detto a N°1 di non mettere mani sul mio PC ù.u – Vabbeh, vediamo il lato positivo della cosa: il capitolo è stato betato per bene, anche se forse abbisogna ancora di un paio di ritocchini. Ne approfitto anche per dirvi che ho deciso di postare ogni tre settimane inceve che due: sia io che la mia beta abbiamo accumulato dei ritardi durante lo scorso mese u.u

E spero che non abbiato potuto far altro che ammirare il nuovo banner, la cui foto è stata scattata dal mio adorato Pennuto di Pece: ebbene sì, è una serie di scatti realizzati appositamente e che, di conseguenza, nessun'altro ha diritto di utilizzare.

Vi ricordo la pagina FB dedicata a “Podestaria”: mipiaciatela e non esitate a lasciare una parolina o due, aiutatemi a farla crescere perché è molto, molto importante per me e per i programmi che ho per questa storia!

Grazie a chi, non solo ha letto queste righe, ma lascerà anche un commento.

 

Kindest regards,

D. Rose

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** 09. In cui è preparata una torta ***


Podestaria

 

 

Capitolo 9
In cui è preparata una torta

 

 

Virginia pose con poca convinzione il vassoio sul tavolo, chiedendosi per l’ennesima volta se non fosse meglio disinscriversi dalla mensa scolastica.

La mattina non hai il tempo di prepararti il pranzo, pensò storcendo la bocca mentre osservava quella cosa dall’aspetto dubbio che l’inserviente aveva chiamato ‘spezzatino di manzo all’indiana’. E anche se decidessi per gli avanzi della cena, non c’è neanche un microonde per riscaldarli.

“Terribile, vero?” disse Chantal, sedendosi alla sua sinistra.

Audrey annuì dal lato opposto del tavolo. “Cambiare società di catering è stata una cazzata: fino all’anno scorso il cibo era decente…” Frugò nella sua porzione, stringendo gli occhi a due fessure. “Spezzatino di manzo un corno: io vedo solo carote e cipolle!”

Virginia le lanciò un sorriso impertinente e disse, come se avesse a che fare con il più piccolo dei suoi nipotini: “Dai… mangia le carote che ti fanno bene al pancino.”

“Piantala, Vir’!” rispose seccamente Audrey, spingendo via il piatto. “Perfino i broccoli dell’altro giorno erano più appetitosi.”

“A proposito di broccoli appetitosi…” iniziò Chantal piano e con un gran sorriso. “Che ne dite di andare al cinema con i ragazzi della band sabato?

Virginia fece spallucce, cercando di rendere più appetibile lo stufato mescolandolo al purè di patate e fallendo miseramente. “Questa settimana mi tocca aiutare papà al mercato, per cui sabato dovrò andare a letto con le galline.” Prese il suo brick di succo alla mela e aggiunse: “E non vedo il nesso con i broccoli. A meno che il tuo ragazzo abbia scritto una canzone su broccoli e cavolfiori che, se vuoi la mia modesta opinione personale, è un soggetto un po’ bizzarro per un gruppo metal.”

Chantal le rivolse un sorriso malizioso e si sporse verso di lei. “A dire il vero, Matt Winters ti trova carina, sai?”

“È il bassista, giusto?” chiese Audrey, con un sorriso complice.

Virginia, invece, sputò il succo nell’udire quella confidenza. “Matt Winters? Matt testa-di-broccolo Winters?!” Le tornò in mente un bambino allampanato, dalla capigliatura così riccia che lo faceva sembrare una cima di broccolo, e che si divertiva a prenderla in giro. Aveva perso il conto di quante volte i suoi genitori l’avevano messa in punizione a causa sua. Virginia tossì e poi aggiunse: “Sono sei anni che a malapena ci diciamo buongiorno e buonasera, non vedo perché dovrebbe trovarmi carina.”

“Giusto,” Chantal concesse con la convinzione di un avvocato che arringa. “Ma tu non sei più una bambina e a lui la pubertà ha fatto un gran bene: non vedo perché lui non possa trovarti carina e tu non possa dargli una chance. Non sareste una brutta coppia.”

 “Ma a Vir’ piace il Ragioniere Azzurro! Me lo ha detto lei stessa!” esclamò Audrey sgranando gli occhi.

Chantal quasi si strozzò con il suo pranzo e Virginia le porse il bicchiere di Coca-Cola, spiegando un po’ stizzita: “L’ho detto solo per farla contenta, Chanty.” Tacque per un istante, poi aggiunse: “E comunque, mi piace nello stesso modo in cui mi piace il Professor Jackson.”

Detto questo attaccò il dolce, la pietanza meno peggio presente sul menù di quel giorno, e spostò la conversazione dai ragazzi ai programmi per le imminenti vacanze natalizie e lanciando alcune proposte per trascorrere la notte di Capodanno insieme. Quando tutte e tre ebbero finito di mangiare, raccolsero i propri vassoi e andarono a riporli. Mentre si dirigevano verso l’aula di Francese, una delle poche lezioni che avevano insieme, Virginia si sentì sollevata di aver taciuto alle amiche l’appuntamento che aveva per quella domenica pomeriggio con la sorella di Biagio: le conosceva abbastanza da sapere che avrebbero frainteso – o avrebbero finto di fraintendere – quella visita. Così come aveva tenuto per sé di quella volta che lui le aveva portato i macarons e di come, per un attimo, aveva creduto che lui fosse stato sul punto di baciarla.

In ogni caso, baciare un posacenere non è una prospettiva molto allettante, si disse Virginia sentendosi infastidita.

Con quel gesto Biagio aveva perso di colpo tutti i punti che avesse potuto guadagnare ai suoi occhi. Doveva ammettere che era stato da quel giorno che la sua stima nei confronti di lui era stata intaccata: si stava rivelando più arrogante di quello che la prima impressione le aveva fatto credere. Per alcune cose, era un atteggiamento comprensibile ma non giustificabile, per altre era come se lui la considerasse qualcosa d’inferiore cui concedeva la propria attenzione per magnanima mansuetudine. Oltre al fastidio, Virginia cercava ancora di ignorare quel senso di tristezza che accompagnava la delusione, perché sentiva ancora che l’amicizia che li legava era qualcosa cui non si sentiva di rinunciare.

 

Dopo la fine della lezione di Francese, Audrey e Chantal si separarono da Virginia, la quale si diresse verso l’aula di Matematica: mentre percorreva il breve tratto di corridoio, Virginia non poté fare a meno di ingoiare aria e affrettare il passo, desiderosa che la lezione passasse il più rapidamente possibile. Inarcò un sopracciglio notando il drappello di studenti raccolto proprio davanti all’aula: Eugene le fece un cenno con la mano e la raggiunse quasi saltellando, quindi le allacciò un braccio attorno al collo e chinò il sorriso sul suo orecchio, un gesto che a chiunque altro avrebbe fatto guadagnare un pugno in faccia.

“Le nostre preghiere sono state ascoltate,” bisbigliò gongolante. “Il Professor Jackson tornerà a gennaio.”

Nel sentire quelle parole, il viso di Virginia s’illuminò, tanto che trovò ben più sopportabile quella che, a conti fatti, era una delle ultime lezioni con la supplente. Ma quel suo sorriso interiore si fece un po’ amaro perché, una volta che il Professor Jackson fosse tornato, lei non avrebbe più avuto bisogno delle ripetizioni di Biagio.

 

― • ―

 

Nel Sogno, Virginia stava ancora con Liam e passeggiava al suo fianco nella foresta di conifere ammantata di neve: lui le cingeva le spalle con tenerezza e le sfiorò la tempia con un casto bacio.

Dammi le tue scarpette di vetro e di scoiattolo e saprò che mi ami.

Non dubitare del mio amore e aspetta il tepore della primavera: allora con gioia te le donerò.

Dammele adesso o saprò che non mi ami.

Nel sogno, Virginia lo amava ancora e, seppur a malincuore, accolse la sua richiesta. Ma vedendola esitare, Liam le afferrò una caviglia e le prese ambo le scarpe, spezzando i tacchi di vetro e scucendo le tomaie di scoiattolo quando volle indossarle.

Perché non hai atteso il tepore della primavera? Perché hai dubitato del mio amore? Con gioia te le avrei donate, ma ora son rotte e non posso più indossarle.

Nel sogno, Virginia rimpiangeva d’aver donato le scarpette di vetro e di scoiattolo prima del tempo: sentiva Liam lanciarle contro i frammenti dei tacchi di vetro e ingiuriare – lo sentiva ripetere parole che lei voleva dimenticare nel Sogno e nella Veglia – e lo vide pestare nella neve le tomaie di scoiattolo e lanciarle sulla cima di un albero, come se fossero cosa di poco conto.

Nel sogno, Virginia voleva recuperare almeno le tomaie di scoiattolo per riscaldare i suoi piedi ormai freddi: e mentre aveva gli occhi fissi su quel che rimaneva delle sue scarpette, ecco che vide un uccello da preda sbucare dalle conifere e afferrare le tomaie. L’uccello – uno sparviero dagli occhi indaco – volò agile verso di lei e, nell’attimo stesso in cui lasciò cadere sul suo grembo quel che restava delle scarpette, il freddo inverno si sciolse in nebbia e lasciò il posto al tepore della primavera.

Quando Virginia aprì gli occhi, era nel suo letto con Lady Déa acciambellata sul cuscino, il cellulare che segnava le tre e cinquantasette, e sua madre che bussava con insistenza alla porta. Sedette sul letto e, quando il suo sguardo si posò sul cambio che aveva preparato per andare a casa di Biagio, si sentì la gola stringersi al pensiero che quella sarebbe stata l’ultima volta che lo avrebbe incontrato di proposito.

 

― • ―

 

Il mercato era un luogo pieno di vita e colori, e animato dalle grida dei venditori e il cicaleccio dei clienti: gli stand dei produttori locali si alternavano a venditori di generi d’ogni tipo, dai prodotti tipici di tale o tal altro paese agli antiquari. Virginia sapeva bene quanto potesse essere un lavoro stancante, soprattutto per gente come suo padre che vendeva prodotti freschi di giornata, eppure restava una delle corvée che eseguiva con piacere. Le piaceva perfino il modo in cui Finn allestiva la frutta e la verdura sul bancone, anche se non lo avrebbe ammesso neanche sotto tortura: ogni volta, Virginia era stupita dalla cura e dalla dedizione con cui suo fratello sceglieva verze, carote e mele e le disponeva in un’armonia di forme e colori. Le piaceva pensare che fosse proprio la disposizione artistica della loro mercanzia ad attirare i nuovi clienti, come il signore che stava servendo in quel momento.

“Grazie e arrivederci!” disse Virginia con il migliore dei suoi sorrisi, dopo aver riposto la merce nella cesta del cliente. Aspettò che il signore si fosse allontanato sufficientemente, quindi prese la borsa da sotto il bancone.

“Dove credi di andare, signorina?” le chiese suo padre accigliato.

“Sai, non è molto igienico o educato andare a casa di qualcuno con gli abiti da lavoro,” rispose lei, stampandogli un bacio sulla guancia quando gli passò accanto. “Ho bisogno di cinque minuti per rendermi presentabile.”

Mr Bergman non aveva l’aria molto convinta. “Non puoi aspettare?” le gridò dietro, ma Virginia fece finta di non aver sentito e si diresse a spasso spedito verso i bagni.

Quando tornò, Virginia trovò suo fratello Bob intento a intrattenere l’ultima cliente della giornata: non poté fare a meno di sorridere divertita nel vedere l’espressione sofferente di suo fratello. Mrs Lucker era nota per la sua mania di accoppiare e spaiare gente, per cui Virginia preferì aspettare che fosse partita.

Mr Bergman sospirò e scosse la testa. “Avevi detto che ci avresti messo cinque minuti, signorina.”

“Non avevo voglia di sentire Mrs Lucker dire quanto sia un bravo ragazzo il garzone del pescivendolo o il nuovo fiorista o chissà chi altri,” sbuffò lei, quindi lanciò un’occhiata maliziosa a Bob e aggiunse: “Chi era questa volta? Ancora la parrucchiera?”

“No, sua nipote Marjory, la stessa che aveva cercato di appioppare a Pat,” sospirò Bob, incrociando le braccia sul petto. Poi la guardò di sottecchi, inarcando un sopracciglio. “Mamma mi ha detto che hai un appuntamento: a quanto pare sono arrivato giusto in tempo per accompagnarti.”

Mentre pronunciava quelle parole, suo padre aveva annuito con approvazione.

“Purtroppo. Ed io che avevo messo da parte questa per la nostra Cenerentola,” rispose Finn con aria melodrammatica dando dei colpetti a una grossa zucca.

Virginia fu sul punto di rispondere in malo modo, ma preferì ignorarli tutti e tre e chiudere ufficialmente la cassa. Controllò due volte che la somma corrispondesse a quella registrata e trascrisse la cifra, mentre suo padre e i suoi fratelli sistemavano la merce invenduta nelle cassette: quando ebbe finito, Virginia li salutò e partì a passo spedito senza aspettare la loro risposta.

“Ehi, Vir’, ho detto che ti avrei accompagnato!” gridò Bob, lanciando la cassetta a Finn che non riuscì ad acchiapparla, facendo cadere parte del contenuto con una volgarità.

“Posso prendere l’autobus, sai?” ribatté lei, affrettando il passo.

Virginia poteva immaginare perché suo padre avesse chiesto proprio a lui di accompagnarla. Con i suoi due metri e uno sputo e quasi centoventi kili che gli avevano valso il soprannome de ‘il Vichingo’ quando era una seconda linea della squadra di rugby scolastica, Bob sembrava alquanto minaccioso. Lo chaperon ideale per scoraggiare un pretendente, anche se Virginia aveva più volte precisato che aveva appuntamento con Linda, non Biagio.

“Questo ragazzo… che tipo sarebbe?” le chiese Bob, aprendo la propria auto. “Mamma lo chiama il Ragioniere Azzurro mentre Finn lo ha definito un bacchettone con una scopa nel cu--”

“Bob!” esclamò Virginia, guardandolo con aria truce.

“Ehi, non è colpa mia se nostro fratello ha una finezza colossale!” si giustificò lui facendo una linguaccia e avviando il motore.

Lei strinse le spalle, abbandonandosi nel sedile. “Oddio, è un po’ bacchettone, ma è ge-nia-le: gli sarebbe piaciuto diventare insegnante, ma non gli è stato possibile. Un peccato, perché senza le sue ripetizioni i miei voti in Matematica sarebbero crollati e, per la Legge di Murphy, anche quelli delle altre materie.”

Virginia sospirò, mentre i ricordi delle ripetizioni invasero la sua mente e, prepotente, quello dei macarons. Si sentì torcere lo stomaco, ma cercò di cacciar via quella sensazione con quelli che considerava i difetti di Biagio, senza riuscirvi più di tanto. Poi si riscosse e incrociò lo sguardo accigliato di Bob: lo vide fare una smorfia e si chiese se non avesse sbirciato nei suoi pensieri. La cosa non l’avrebbe sorpresa più di tanto – lui era molto protettivo nei suoi confronti – ma Virginia non apprezzava quel genere d’intrusione nella sua privacy, anche se fatta a fin di bene.

“Vedi che faccio bene ad accompagnarti? Ringraziarlo per l’aiuto che ti ha dato mi sembra il minimo,” disse lui infine facendole un occhiolino complice.

Tuttavia, lei non aveva molta voglia di fare conversazione, per cui fu felice di sentire suo fratello dire “Dovrebbe essere qui,” una decina di minuti dopo.

Virginia si sentì un po’ delusa, avendo immaginato la casa di Biagio come qualcosa di molto più grandioso. Era, invece, una villetta bifamiliare con la facciata in parte nascosta da un grande olmo e una siepe di biancospino, non molto diversa dalle altre case di quella strada. Esitò un attimo, prima di aprire il cancelletto che limitava il cortile anteriore e, oltre la siepe, si ritrovò faccia a faccia con Biagio, che doveva essere arrivato solo pochi minuti prima.

“Buongiorno, Virginia, credevo saresti arrivata più tardi,” la accolse, chiudendo il lucchetto della sua bicicletta e lanciando dietro la spalla destra un borsone.

“Lo pensavo anch’io,” disse lei a sua volta con un sorriso imbarazzato.

Era strano vederlo con una tuta o con un cappotto che non fosse il suo solito caban e si chiese se avesse fatto bene a preferire una gonna a un pratico paio di jeans. Poi ricordò com’era sudicio il pavimento del bagno pubblico e si disse che sarebbe stato impossibile indossare un pantalone senza sporcarne gli orli.

Biagio fece per dire qualcosa, ma si trattenne nel vedere arrivare Bob con un portatorta fra le mani.

“Vir’, hai dimenticato questa in macchina,” disse suo fratello, guardando Biagio di sottecchi.

I due ragazzi si osservarono guardinghi per il tempo necessario a Virginia per fare le dovute presentazioni e, mentre gli porgeva la mano, suo fratello aggiunse in un tono forzatamente educato: “Grazie per l’aiuto che hai dato alla mia sorellina.”

“È un piacere poter esserle utile,” rispose Biagio con altrettanta compostezza ma con un sorriso tagliente, ricambiando la stretta.

Virginia aveva la sensazione che tanta urbanità fosse solo una facciata, tanto che per un attimo desiderò avere il potere della telepatia per sapere… qualunque cosa stessero pensando in quel momento. Prese il portatorta e salutò Bob con un sorriso tirato, cercando di ignorare quanto poco le piacesse il modo in cui lui li stesse guardando, quindi raggiunse Biagio intento ad aprire la porta.

“Ah, eccoti finalmente! Ti ho portato un bicchiere di vin brulé in camera: bevilo prima che si freddi.”

“Linda, la tua ospite è arrivata,” disse Biagio, facendo entrare Virginia in casa e prendendole il portatorta prima di aiutarla a sfilare il cappotto.

Linda la osservò in silenzio dalle scale di legno scuro, come se volesse denudarla con il proprio sguardo di ghiaccio. Se Biagio faceva pensare a un mattino nebbioso, sua sorella dava l’impressione di neve vergine che celava con il suo candore chissà quali segreti, innocenti o turpi che fossero. Fu, tuttavia, l’impressione di un momento, perché Linda le rivolse il più delizioso dei sorrisi e li raggiunse, scendendo gli ultimi scalini a piccoli saltelli.

“Benvenuta!” cinguettò, inclinando vezzosamente la testa da un lato. “Sei in anticipo.”

“Mio fratello ha insistito per accompagnarmi,” rispose Virginia, dimenticando il suo disagio. “Il che non è un male, dato che non potrò trattenermi oltre le sei.”

“Allora è una fortuna che abbia già preparato tutti gli ingredienti,” rise Linda, guidandola attraverso il piano rialzato della casa mentre s’intrecciava i capelli castani.

“Io vado a studiare,” le salutò Biagio, dirigendosi verso la scala. “Chiamatemi se avete bisogno di me.”

“A proposito, prima che me ne dimentichi…” Virginia recuperò la propria borsa e ne trasse un pacco avvolto in carta da regalo a righe bianche e argento e glielo porse. “Puoi aprirlo subito o aspettare Natale, come preferisci. Ma ti avverto, rischio di essere stata banale.”

Biagio prese il pacco con esitazione e lo osservò, poi disse: “Grazie, ma non era necessario…”

“Invece sì, è… solo un modo per ringraziarti,” spiegò Virginia, poi inspirò e fece un gran sorriso, cercando di suonare più entusiasta di quello che fosse. “Il mio professore di Matematica tornerà a scuola dopo le vacanze di Natale. Per cui grazie per le ripetizioni e grazie per avermi aiutato a mantenere una media decente.”

“Ah,” disse lui guardandola come se un cencio gli avesse lavato via dal volto ogni espressione. “Sono felice che le cose a scuola si stiano sistemando.” Poi lanciò in aria il regalo e lo acchiappò al volo, con un’espressione più gioviale. “Mi raccomando, non distruggete la cucina!”

Virginia strinse le labbra, non sapendo perché all’improvviso non riuscisse più a guardare Biagio in faccia: quella non era esattamente la reazione che si era immaginata per la notizia che sottintendeva la fine dei loro incontri. Preferì ignorare le interiora che le si torcevano nel ventre e seguì Linda in cucina, cercando di non badare ai vari ritratti che la osservavano dalle pareti come se volessero esaminare la sua persona.

Gli ingredienti erano stati già pesati e allineati sul piano di lavoro secondo l’ordine di utilizzo, per cui a Virginia non restò altro che prendere dalla borsa i panetti di pasta di zucchero, i coloranti e i vari attrezzi prestateli da sua madre. Lei e Linda avrebbero preparato una base insieme, ma avrebbero decorato quella che aveva portato lei. Virginia prese il suo quaderno delle ricette e, apertolo a una pagina precisa, lesse le istruzioni e spiegò come avrebbero proceduto.

“Mi è parso di capire che, da gennaio, non avrai più bisogno delle ripetizioni di Biagio,” disse Linda con adorabile innocenza, mentre montava le uova con lo zucchero.

Quelle parole ebbero un effetto simile a del sale su una ferita ma Virginia s’impose di ignorare la sensazione, per cui rise: “Beh, immagino che la sua ragazza non abbia aspettato altro in questi due mesi e mezzo!”

Linda alzò lo sguardo dalla ciotola. “Scusa? Ha la ragazza e non mi dice niente?” esclamò, ricambiando lo sguardo con altrettanto stupore, poi scosse la testa e sorrise. “È dal suo primo anno di università che mio fratello non sta con nessuna.”

Virginia riuscì a trattenere a malapena un gridolino sorpreso: aveva talmente dato per scontato che stesse con qualcuno, che le era difficile immaginare Biagio scapolo. Abbassò lo sguardo sul cioccolato e panna calda che stava mescolando e cercò di non pensare a come lui l’aveva guardata mentre mangiava quel macaron. Stupidaggini, si disse quasi con rabbia. Le ritornò in mente la conversazione avuta con Audrey qualche settimana prima e quella con le sue amiche del venerdì precedente.

Biagio mi piace, non proprio come mi piace il Professor Jackson, ma è meglio lasciar perdere.

“Di’, ti andrebbe un po’ di vin brulé?” le chiese all’improvviso Linda, guardandola con tanta affabilità che non poté dirle di no.

Virginia accolse nelle mani una tazza di vetro in cui una spirale di scorza d’arancia galleggiava nel vino fumante e ne aspirò l’aroma speziato e un po’ alcolico. “Quali spezie ci sono oltre alla cannella e ai chiodi di garofano?” chiese, incuriosita e grata di quella distrazione.

“Questo è un segreto,” rispose Linda, pressando un indice contro le labbra. “Bevilo mentre imburro le teglie.”

Non era la prima volta che Virginia beveva del vino caldo – il grog a base di whiskey era la cura che sua madre usava contro il raffreddore – eppure trovava che avesse un sapore insolito: ripassò la lista delle spezie che conosceva, ma nessuna pareva corrispondere a quell’aroma. Alzò lo sguardo oltre il bordo della tazza e osservò Linda impegnata a versare l’impasto nelle teglie e ritrovò l’impressione che aveva avuto quando l’aveva vista per la prima volta, e si chiese quali segreti potesse nascondere una creatura così amabile e candida.

Mentre aspettavano che le basi della torta cuocessero e la ganache al cioccolato si raffreddassero, Linda propose di prendere un tè. Di primo acchito, Virginia volle risponderle che doveva ancora mostrarle come decorare la torta che lei aveva portato proprio con quello scopo, ma l’entusiasmo della sua ospite era tale che si sentì in colpa al solo pensiero di incrinarlo. Linda riempì il bollitore, sistemò sul tavolo da colazione alcune tazze color talpa a pois bianchi e un piatto di frollini, prese una teiera di ghisa e un barattolo di latta nera uguale a quello del tè che Biagio le aveva regalato.

“Oh no, è finito!” Linda esclamò, sporgendo le labbra, quindi rivolse uno sguardo supplichevole a Virginia. “Devo andare in dispensa. Nel frattempo potresti chiamare Biagio? Secondo piano, porta a destra, grazie!” E uscì dalla cucina senza darle il tempo di rispondere.

Virginia fissò le tazze e i frollini, sospirando e cercando di ignorare lo strano effetto che le aveva fatto il sentir pronunciare il nome di Biagio. Ripetendosi che stava andando a chiamarlo per prendere un tè con Linda, si diresse verso le scale, prendendo un respiro un po’ più profondo ogni tre o quattro scalini. Una volta arrivata al secondo piano, Virginia osservò il pianerottolo su cui si aprivano tre porte e una finestra, quindi bussò a quella che doveva essere la porta giusta.

“Biagio?” chiese titubante e, non avendo ricevuto risposta, ripeté il gesto alle altre due porte col medesimo risultato.

Si grattò la nuca, chiedendosi se fosse meglio tornare in cucina e dire a Linda che non aveva trovato suo fratello – forse Biagio era talmente preso dallo studio da non averla sentita.

Non sarebbe la prima volta che succede, pensò con un piccolo sorriso divertito mentre bussava di nuovo alla prima porta e la apriva.

Era la stanza che aveva intravisto durante la chiacchierata via Skype, e si sentì sollevata del costatare che si trattava di uno studio che sarebbe potuto appartenere a un qualsiasi studente universitario. La parete a destra era occupata da alcuni scaffali ricolmi di libri e raccoglitori; mentre sotto la finestra era posizionata la scrivania su cui troneggiava lo schermo del computer con alcuni libri, un quaderno, una stampante lampeggiante e una tazza con un fondo di vin brulé ormai freddo. Sulla parete opposta, invece, si apriva una porta e, in parte nascosto da una tenda verde scuro, un mobile basso.

“Biagio? Tua sorella vorrebbe sapere se vorresti prendere una tazza di tè con noi,” disse mentre bussava e appoggiò l’orecchio alla porta per sincerarsi che ci fosse qualcuno. Mentre ascoltava il silenzio, i suoi occhi si posarono sulla tenda e notò qualcosa sul mobile.

Sul piano era raccolta una miscellanea di oggetti che avevano poco o nulla in comune. Ad attirare la sua attenzione era stato un oggetto troppo sottile per essere un tablet e la cui superficie era decorata da una fitta serie di pittogrammi luminosi. C’era anche un tagliacarte – o forse era uno stiletto – con fodero e manico verde scuro e il pomello finemente foggiato come la testa di un rapace. La parete, invece, era occupata da quelli che sembravano certificati scritti in alfabeti che lei non seppe identificare; in posizione centrale, invece, c’era una mappa. Lei si avvicinò per osservarla meglio e sbuffò divertita nel non riconoscere il paese rappresentato né l’alfabeto.

“Chissà a quale quest di Dungeons & Dragons appartiene…” si chiese Virginia con un mezzo sorriso. Non avrebbe mai pensato che Biagio fosse tipo da dedicarsi ai giochi di ruolo. Mentre osservava divertita la mappa, Virginia si rese conto che la tenda aveva un ricamo a fili d’oro brunito. La curiosità uccise il gatto, Vir’, pensò mentre afferrava un lembo del tessuto per vederne meglio il ricamo.

“Che cosa stai facendo qui?”

Virginia trasalì e lasciò la tenda, voltandosi verso la porta e fissando Biagio con gli occhi sgranati. Lui rimase sulla soglia, reggendo una risma di carta sotto un braccio, poi entrò chiudendo la porta dietro di lui e, ignorandola, raggiunse con tre falcate la scrivania, caricò la stampante di carta e premette un pulsante. Virginia si sentiva come una bambina sorpresa con le dita nel barattolo della marmellata, incapace di distogliere lo sguardo dal profilo altero di Biagio e con un nodo alla bocca dello stomaco che le impediva di parlare.

Solo dopo un tempo che le parve interminabile, riuscì a balbettare: “Tu-tua sorella mi ha chiesto di--” 

“La porta era chiusa,” la interruppe lui, raccogliendo i fogli man mano che erano stampati.

“Ho bussato.” Era la verità, eppure Virginia aveva l’impressione che quella fosse una debole scusa. “Due volte.”

“Avresti dovuto aspettare o andar via,” la riproverò Biagio, voltandosi infine verso di lei. Il suo sguardo era intenso e combattuto fra chissà quali pensieri: fu sul punto di parlare, ma desistette inspirando profondamente. “Pensavo che i tuoi fratelli ti avessero avvertito che la stanza di un ragazzo può essere un luogo pericoloso,” mormorò infine.

Non erano stati i suoi fratelli ad avvertirla circa la pericolosità della stanza di un ragazzo ma sua madre, dopo aver sorpreso Bob in una situazione un po’ compromettente. Virginia sapeva di essere in fallo e la sua parte razionale premeva per scusarsi e andar via, tuttavia non riusciva a ignorare un’improvvisa pulsione a restare, a ricambiare il suo sguardo, a coprire la distanza che li separavano e allungare una mano per sfiorarlo.

Un pensiero improvviso – un’epifania – le attraversò la mente.

Che ti piaccia o no, ti sei innamorata di lui.

 

 

L’inutileangolo dell’autrice

*musichetta drammaticah di sottofondo stile Hitchcock*

Questo è uno dei capitoli che mi è sempre piaciuto di questa storia, anche se alla fine ho dovuto dividerlo in due parti perché 1. stava diventando troppo lungo per i limiti di parole che mi ero prefissata e 2. non trovate che questa sia una cliffhanger figherrima? *O*

Detto questo, tengo a ringraziare ancora una volta la mia beta reader, Entreri, per il superbo lavoro che ha svolto: vi consiglio caldamente le sue storie, non solo per le trame e i personaggi, ma anche per lo stile l'uso del linguaggio. Delle vere chicche, soprattutto se adorate il Fantasy vecchio stampo ;-)

Vi ricordo la pagina FB dedicata a “Podestaria”: mipiaciatela e non esitate a lasciare una parolina o due, aiutatemi a farla crescere perché è molto, molto importante per me e per i programmi che ho per questa storia!

Grazie a chi, non solo ha letto queste righe, ma lascerà anche un commento.

 

Kindest regards,

D. Rose

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** 10. I significati nascosti della parola “Speranza” ***


Podestaria

 

 

Capitolo 10
I significati nascosti della parola “Speranza”

 

 

Che ti piaccia o no, ti sei innamorata di lui.

Virginia trasalì a quel pensiero, dolce e terribile al tempo stesso. Non seppe se a sconvolgerla di più fosse stata quella constatazione oppure vedere la propria espressione riflessa sul volto di Biagio. Sentì il proprio respiro farsi irregolare e cercò inutilmente di guardare altrove, di ignorare le leggere scosse elettriche che scendevano lungo i fianchi, quella tensione dell’attesa che sentiva crescere nel basso ventre.

Lo vide schiudere le labbra per dire qualcosa e poi richiuderle un paio di volte, come se fosse indeciso su cosa dirle. Quindi Biagio chiuse piano gli occhi, inspirando profondamente: terminò di impilare i fogli, battendoli con eccessiva cura sul piano della scrivania.

Quando infine parlò, la sua voce era più rauca del solito, quasi torbida. “Ho una domanda per te, Virginia. Cos’è meno doloroso, il rimorso o il rimpianto?”

Virginia si sarebbe aspettata di tutto tranne quella domanda. Deglutì quasi inconsapevolmente e sussurrò a sua volta: “Non capisco che cosa vuoi dire.”

Biagio strinse spasmodicamente i fogli e chiese: “È meno doloroso soffrire per aver fatto qualcosa o per non averlo fatto?”

Lei abbassò gli occhi sul pavimento, come se le venature del parquet fossero diventate la vista più interessante al mondo. Pensò alle sue scelte, alle cose che aveva fatto e di cui si era pentita, alle risoluzioni che non aveva avuto il coraggio di prendere – ai no e ai che non aveva avuto il coraggio di pronunciare nei suoi diciotto anni di vita.

“Penso che… dipende dal qualcosa,” rispose infine con un fil di voce.

“Una risposta saggia.” Biagio rimase immobile, lo sguardo fisso su di lei – non gli occhi, ma il naso o la macchia di cioccolato sul mento o la fettuccia rossa del grembiule poggiato sulle sue clavicole. “Mi ero imposto di non…” Boccheggiò come se la parola si fosse incagliata nella gola. “… sperare in nessuno prima di sapere con certezza a chi si riferissero le Grigie Dame.
“Eppure eccomi qua, il cuore colmo di speranza e con l’oggetto delle mie speranze qui, davanti a me, e non posso fare a meno di chiedermi: è bene cullarmi nella convinzione che quelle parole parlino di qualcun altro? È bene cogliere quest’occasione insperata per indulgere nelle mie speranze, nonostante sappia che così facendo mi precluderei ogni consolazione?

Virginia non sapeva che cosa rispondere, poiché le sue parole le sembravano senza senso. Eppure, percepiva in lui una lotta interiore, cosìintensa da farle desiderare di poter fare qualcosa per lui. Tuttavia, come avrebbe potuto aiutarlo se lui continuava a essere tanto criptico da precluderle perfino la possibilitàdi capire quale fosse il suo problema?

“Mi dispiace, davvero, ma non riesco a capire che accidenti mi stai dicendo,” disse Virginia, incapace di allontanare la confusione dalla sua mente o dalla sua voce. “ Parli una lingua che non conosco: potresti ripetere in Inglese comune?”

“Effettivamente,” mormorò Biagio, coprendo la distanza che li separava con pochi passi lenti e lo sguardo sulla mappa, sfiorandole i piedi con i propri. “Preferisco usare i termini di mio padre: sembrano meno crudeli dei nostri.”

Guardò la stoffa dietro di lei in silenzio, come se cercasse una risposta alle sue domande nella trama e nell’ordito dei mi suona meglio fili d’oro brunito; poi i suoi occhi s’illuminarono di risoluzione e mormorò, più a se stesso, qualcosa in una lingua che lei non seppe riconoscere.

Biagio si chinò su di lei come se volesse annusarla dietro l’orecchio sinistro, disegnandone il contorno con la punta del naso, prima di premere con forza le labbra lì dove la giugulare s’inseriva fra il collo e la mascella, mentre le sue mani scivolaronolungo gli avambracci per intrecciare le loro dita.

A quel contatto, Virginia prima sgranò gli occhi per la sorpresa e poi li socchiuse inclinando il capo dall'altro lato, inspirando l'aria fra i denti. Voleva che lui la smettesse – voleva che lui continuasse – e voleva spingerlo via per allontanarlo – e voleva tirarlo a sé in un abbraccio più intimo – ma era come se le parole si fossero coagulate fra le sue corde vocali .

Quando riuscì a parlare, tuttavia, le sole parole che Virginia pronunciò furono: “Tua sorella ci sta… aspettando e… forse ci sta cercando…”

Hai ragione, raggiungiamola in cucina – Hai ragione, andiamo in camera mia – erano le risposte che Virginia si sarebbe aspettata in una simile circostanza. Invece, Biagio spostò appena la testa e la guardò con la coda dell’occhio.

“Credi che me ne importi?” disse con la sua voce da basso, carica di sofferente fermezza. “Invece di cercare scuse, di’ no, esci da questa stanza e sarà quasi come se io non avessi parlato.”

Se la presa di Biagio si era appena allentata mentre pronunciava quelle parole, come a ribadire che non la tratteneva, quella che le stringeva il cuore si era fatta più stretta.

Lo ami: perché non dovresti approfittarne? Insinuò una voce che, chissà perché, le ricordava quella dolce e flautata di Linda.

Virginia liberò la mano sinistra e la pose sulla sua mascella, sfiorando appena le sue labbra con le proprie in un casto bacio. La bocca di Biagio era morbida e calda,  tanto che un attimo dopo quel semplice contatto non le bastò più, inclinò appena la testa e spostò la mano sulla sua nuca, tirandolo appena verso di lei. Interpretando quel gesto come un permesso, Biagio la strinse a sé con più ardore e approfondì il bacio, spingendola indietro contro la parete e il drappo, sollevandola e sorreggendola con tutto il suo corpo.

 Fra le braccia di Biagio, con le pieghe e i ricami della tenda che le scavavano la schiena, Virginia fu sorpresa di scoprire la presenza di muscoli che non sapeva di possedere e la reazione di terminazioni nervose di cui ignorava la sensibilità furono una rivelazione che andava ben oltre la fisicità. Quando reclinò il capo indietro, con le orecchie piene del suo nome bisbigliato con un’incrinazione ardente e stupita dalla propria apnea muta, Virginia non era tutt’uno con Biagio, lei era Biagio.

La luce preternaturale che pioveva dalla finestra, disegnava ombre confuse sul soffitto. Una tribù sterminata, il sangue sparso sull’erica e i licheni. Una lama cadeva nel fragore di una battaglia. L’odore muscoso di una renna al galoppo e quello esotico e caldo di spezie aliene. Le Luci del Nord intonavano un canto così simile alle nenie della sua bisnonna. Stelle sconosciute circondavano tre lune, simili a diamanti intorno a tre perle. E sempre più nitida, l’ombra di un ragno dalle ali di farfalla volteggiava languidamente: Virginia non trattenne l’impulso di offrirgli la sua mano come appoggio.

La voce di Biagio riecheggiò, sempre meno distante.

Non andare nel Mezzo, Virginia: resta con me.

 

 

Se all’inizio Biagio aveva esitato ad agire, adesso sembrava riluttante a lasciar andare Virginia, come se volesse prolungare il più possibile quell’istante: la stringeva con la disperazione di un naufrago, la fronte premuta contro la sua spalla e le labbra contro la pelle. Virginia si soprese a non trovare spiacevole quell’intimità prolungata, troppo ubriaca di lui per riflettere con la normale lucidità – l’eco di un pensiero le ricordò come, in simili circostanze, avesse sempre cercato scuse per andare e lavare via la sensazione di squallore che il suo ex le lasciava sempre addosso.

Lo ami ed è per questo che non vuoi andare via, pensò con quella voce che le ricordava quella di Linda, affondando il viso nei suoi capelli e stringendosi un po’ di più a lui.

“Mi dispiace, sono stato avventato.” La voce di Biagio era poco più di un sussurro impastato che le solleticava un orecchio.

Virginia decise di ignorare tutti i significati di quella frase, tranne uno. “Lo sei stato, per fortuna io prendo la pillola.”

“Non mi riferivo a quello. O meglio, non solo,” la interruppe, lasciando che i suoi piedi toccassero il pavimento e percorrendo la sua schiena dai lombi alle scapole. Poi alzò la testa e premette la propria fronte contro la sua, guardandola attraverso le ciglia. “Sono stato avventato perché da adesso difficilmente potrai pensare bene di me. Eppure, nonostante sappia di aver appena commesso un grave errore, non riesco a pentirmene.”

Virginia sentì un nodo stringerle la gola. “Che cosa…”

Ma lui la interruppe di nuovo, premendole un dito contro le labbra. “Sarebbe tutto più facile se fossimo a Eimerado.” Non appena ebbe pronunciato quelle parole, Biagio trasalì, come se avesse detto qualcosa che non avrebbe dovuto dire. “Mi dispiace,” ripeté.

Lei lo guardò stupita e confusa: aveva la quasi certezza che tutte quelle parole fossero un modo contorto per dirle che non ci sarebbe stato null’altro fra loro. Deglutì aria, sentendo una rabbia sorda germogliarle dentro. Rabbia verso di lui che l’aveva usata come un diversivo ludico; ma soprattutto rabbia verso se stessa per avergli permesso di agire in quel modo.

“Prima mi hai detto che, se non lo volevo, dovevo solo dire di no: perché non fai altrettanto e mi dici ‘grazie per l’intrattenimento, ma non m’interessa una relazione con te ’ senza girarci troppo intorno?!” ringhiò, sentendo le prime lacrime inumidirgli gli occhi e spingendo le mani contro il suo petto per allontanarlo da lei. “Perché quello che fai contraddice quello che dici?!” ringhiò fra i singhiozzi quando non ci riuscì.

Biagio non rispose. Per un attimo che sembrò infinito, la strinse ancora più forte, poi lasciò che le sue mani scorressero un’ultima volta lungo le sue braccia, sciogliendo l’abbraccio con riluttanza. “Hai ragione,” mormorò lui, il capo chino. Indietreggiò di due passi e tornò alla scrivania, dandole le spalle. “Potresti… dire a mia sorella che non ho voglia di tè?” disse a mo’ di commiato, cercando di mantenere un tono di voce neutro ma incapace di nascondere completamente la propria amarezza.

“Buono a sapersi,” rispose Virginia stringendo le labbra.

Si asciugò gli occhi con il dorso della mano, poi raccolse il grembiule gettato per terra: ferma sulla cima delle scale, lo allacciò alla vita mentre rifletteva su come agire – perché era Linda la sua ospite e la torta non era stata terminata.

Non sarà diverso dal farsi incastrare in una chiacchierata dalla madre di Liam.

 

 

Linda ebbe il buon gusto di non fare domande sul perché Virginia avesse impiegato più tempo del dovuto o sull’assenza di suo fratello: si limitò a darle un sorriso un po’ tremulo e a porgerle una tazza. Ma il tè aveva infuso troppo, era tiepido e aveva un sapore amaro che ben si accordava con il suo umore: Virginia allungò una mano verso il piatto con i frollini per coprire l’amarezza del tè e fu allora che si rese conto che Linda aveva gli occhi un po’ rossi e, senza sapere perché, si sentì in colpa.

“È… successo qualcosa?” le chiese, cercando di mantenere un tono di voce discreto.

Linda tossì nella tazza e sorrise di nuovo, indicando con il naso il piano di lavoro alla sua sinistra, su cui troneggiavano alcune cipolle affettate. “Mentre…” Avvampò un po' e si schiarì la voce, che suonò un po' più acuta del solito. “Beh, le cipolle mi fanno piangere come una fontana.”

“Mia madre, per non piangere, le tiene in freezer per qualche minuto,” rispose Virginia, chiedendosi perché non fosse possibile fare altrettanto con i sentimenti. Finì la sua tazza in pochi sorsi, quindi le rivolse un sorriso troppo entusiasta e chiese: “Allora, hai deciso come vuoi decorare la torta?”

Prima finiamo e prima potrò andarmene di qui.

Linda tentennò, prima di rispondere: “Pensavo a una base color ghiaccio e dei fiocchi di neve bianchi. Credi sia possibile?”

Virginia rispose annuendo, sapendo che non aveva ancora completamente ripreso il controllo su se stessa. Mentre erano prese con la pasta di zucchero, non parlarono di nulla che non avesse a che vedere quello che stavano facendo: Virginia era grata di questo, con il passare dei minuti aveva l’impressione che Linda sapesse che cosa fosse accaduto nello studio di suo fratello. Lo capiva dalle occhiate fugaci che a volte le lanciava, dalla punta d’imbarazzo e rimorso che trapelava dai modi forse troppo gioviali.

Avevano appena finito di ritagliare i fiocchi di neve nella pasta di zucchero, quando sentirono una voce maschile salutare allegramente dall’ingresso e, dopo pochi istanti, furono raggiunti da quello che non poteva essere altri che il nonno di Biagio. Virginia si sentì sollevata nel constatare come Mr Tricano somigliasse più a Linda che a suo nipote e avesse un’aria molto più alla mano di Biagio, nonostante i modi un po’ eccessivi.

“Se avessi saputo che avremmo avuto un’ospite così graziosa, sarei venuto prima,” disse Mr Tricano con un sorriso amichevole, lanciando un’occhiata a sua nipote.

Linda arrossì appena e indicò con una mano Virginia, dicendo: “Lei è un’amica di Biagio che è stata così gentile da aiutarmi…”

Virginia si pulì rapidamente la mano destra sul grembiule e la porse in un gesto educato. “Virginia Bergman, signor…?”

“Aldo Tricano,” rispose lui con fare galante, afferrandole le nocche della mano e sfiorandole appena con le labbra. “Ma una fanciulla così graziosa può chiamarmi semplicemente Aldo.”

Virginia non poté fare a meno di sorridere: adesso capiva da chi Biagio avesse preso la fissa per le buone maniere.

Mr Tricano inspirò profondamente l’aria e sorrise, schioccando la lingua deliziato. “Mmmh… Sento profumo di vin brulé, proprio quello che ci vuole con questo freddo,” disse, dirigendosi verso il piano cottura.

“Ah, no!” Linda si irrigidì per un istante, poi afferrò di slancio la casseruola la svuotò nel lavandino. “E-era ormai freddo, nonno,” si giustificò con un sorriso stirato. “Dammi una quindicina di minuti e te ne preparo dell’altro.”

Virginia corrugò la fronte, chiedendosi perché Linda avesse agito in quel modo: sua madre era solita preparare pentoloni di grog da tenere in frigo e riscaldare quando necessario. Mentre Linda armeggiava con una casseruola pulita e una bottiglia di vino aperta, Mr Tricano andò a rispondere al telefono: tornò immediatamente e, con un grosso sospiro, porse il cordless a sua nipote.

Linda inarcò un sopracciglio, incuriosita dall’espressione di suo nonno, e prese il telefono. “Pronto --”

“Linda!” urlò una voce metallica dall’altro capo, obbligando Linda ad allontanare la cornetta dal suo orecchio. “Timothy ha detto che non vuole stare con me!”

Linda roteò gli occhi, rispondendo: “Io ti avevo avvertita che era una causa persa.” Lanciò uno sguardo a Virginia e a suo nonno, mimando con le labbra scusatemi, quindi si diresse verso la portafinestra che dava sul giardino posteriore. “Te l’ho già detto: un filtro d’amore è inutile nel…”

Il resto della frase fu bloccato dalla chiusura della portafinestra.

Virginia guardò allibita Linda attraverso il vetro. Ricordava benissimo un caso che Bob aveva seguito l’estate precedente, un truffatore che aveva spacciato per filtri d’amore delle droghe da stupro. La vicenda era stata particolarmente dura per quei 'clienti' che erano ricorsi a lui in buona fede e, soprattutto, avevano usato quelle false pozioni su se stessi.

“So a cosa sta pensando,” disse Mr Tricano, interrompendo il suo flusso di pensieri. “Tuttavia posso assicurarla che Linda è abbastanza accorta con i suoi filtri: se non ha la quasi certezza che sortiscano l’effetto desiderato, si rifiuta di prepararne.”

Virginia sbuffò, tornando a lavorare sulla torta. “Un filtro d’amore fa sempre effetto,” rispose con l’aria di chi la sa lunga. “Altrimenti su quale base si è potuta costruire la truffa di quest’estate?”

Mr Tricano le rivolse un sorriso benevolo, mentre rispondeva. “Perché c’è gente come lei, signorina, che crede che sia possibile forzare i sentimenti. Ha un’idea del prezzo che dovrebbero pagare il Podestarius e il suo committente?” Scosse la testa, ridendo fra sé, quindi si tolse la giacca e si rimboccò le maniche della camicia. “È molto più sicuro far prendere coscienza di quello che si prova già.
“Questa era sua?” Tacque un attimo, guardando improvvisamente corrucciato il fondo di vin brûlé nella tazza come se cercasse di leggervi qualcosa. “O dare il coraggio di parlare, di farsi avanti… e se le circostanze lo permettono, di agire rendendoci più audaci.”

Quelle parole ebbero l’effetto del colpo di coda di un pesce che intorpidisce l’acqua di uno stagno altrimenti limpida, tanto che Virginia non poté fare a meno di chiedere, ripetendo senza volerlo le parole che Biagio le aveva detto una volta: “Perché mi parla di questo?”

Mr Tricano studiò ancora il fondo della tazza. “Me lo chiedo anch’io…” La lavò con diligenza, poi aggiunse, come se si fosse ricordato qualcosa: “Bergman, Bergman… Lei è la persona che ha accolto la cara Lady Déa, nevvero?”

A quelle parole, Virginia trasalì. Aveva completamente dimenticato il gatto e questo significava che avrebbe dovuto rivedere Biagio almeno un’altra volta. Una prospettiva che ormai non riusciva a guardare senza rabbia o sofferenza. Trattenne un singulto, mentre la maschera che si era forzata a indossare iniziava a creparsi.

“Si sente bene signorina?” le chiese Mr Tricano con una punta di preoccupazione, piegando leggermente la testa per studiare meglio la sua espressione.

Virginia avrebbe voluto rispondere che sì, stava bene e forse la sua era semplice stanchezza dovuta all’essersi svegliata prima delle cinque del mattino e dall’aver trascorso buona parte della giornata al mercato; tuttavia, le parole non riuscirono a uscirle dalla bocca.

“Mi… scusi ma… devo…” balbettò infine con un fil di voce, levandosi di colpo il grembiule e raccogliendo le sue cose con dei gesti frenetici.

Mr Tricano non disse nulla, limitandosi ad aiutarla a indossare il cappotto e ad accompagnarla fino all’ingresso. Pose una mano sulla maniglia, poi cambiò idea e disse: “Mi permette, signorina?”

Lei lo guardò confusa quando le sciolse i capelli: Mr Tricano li pettinò sommariamente con le dita ossute, li legò in una coda laterale che copriva completamente l’orecchio sinistro e poi le rivolse un sorriso remissivo. “Mi sento in obbligo di pregarla di scusare l’audacia di mio nipote,” mormorò a mo’ di commiato, cercando di incrociare il suo sguardo.

“Ah, vai già via?” esclamò Linda sorpresa, ferma fra la porta della cucina e il soggiorno.

“Io…” Ma Virginia non riusciva a trovare neanche una debole scusa per giustificarsi.

“Miss Bergman ha ricevuto una chiamata che l’ha obbligata a cambiare i suoi programmi,” rispose Mr Tricano, con la menzogna che fluiva dalle labbra con la stessa disarmante naturalezza della verità.

Linda sbatté le palpebre un paio di volte, poi annuì. “Grazie mille per l’aiuto, allora.”

“Non… non c’è di che. È stato un piacere conoscerti,” rispose Virginia con piatta cortesia, senza guardarla.

Stava per varcare la soglia, quando sentì dei passi lungo la scala.

“Virginia?”

Non aveva bisogno di voltarsi per sapere che Biagio era lì a guardarla. Lui rimase in silenzio ai piedi delle scale e lei ad aspettare una sua parola o un suo gesto – non importava se si trattasse di una giustificazione, un’ammenda o la richiesta di non andar via. Lo sentì inspirare.

“Va’, prima che cambi del tutto idea.”

Virginia non si trattenne.

Si girò verso di lui e lo raggiunse con passi lenti, ricambiando il suo sguardo con rabbia. Il rumore dello schiaffo, dato con tutta la forza che era riuscita a racimolare, sembrò rimbombare nelle sue orecchie e nel corridoio, e il formicolio dell’impatto nella mano sembrò darle un flebile, temporaneo sollievo.

“Arrivederci e grazie!” ringhiò lei con ironica acredine e, aggrappandosi a quel poco di dignità che le rimaneva, si volse, raggiunse il cancello e lo aprì, senza ricambiare lo sguardo con cui – lo sapeva – Biagio la seguiva e continuò a camminare a testa alta, come se non fosse successo nulla.

Solo dopo aver oltrepassato la terza casa, Virginia strinse la borsa al petto e iniziò a correre verso la fermata del bus, piangendo.

 

 

L’inutileangolo dell’autrice

 

Non mi nasconderò dietro un dito: saranno i casini che mi son piombati sulle spalle l'uno dietro l'altro, che con i viaggi mi hanno fatto rallentare un pochino la stesura di questi ultimi capitoli, ma ho l'impressione che ci sia qualcosa che non vada nella storia. Non so, forse sono solo paturnie mie, boh.

E se ve lo state chiedendo: sì, la Eimerado di cui parla Biagio è proprio quella (ovviamente se avete letto La regina di giada sapete di quale città parlo :P)

I soliti ringraziamenti a Entreri per il superbo lavoro di betaggio che ha svolto: vi consiglio caldamente le sue storie, non solo per le trame e i personaggi, ma anche per lo stile l'uso del linguaggio. Delle vere chicche, soprattutto se adorate il Fantasy vecchio stampo ;-)

Vi ricordo la pagina FB dedicata a “Podestaria”: mipiaciatela e non esitate a lasciare una parolina o due, aiutatemi a farla crescere perché è molto, molto importante per me e per i programmi che ho per questa storia!

Grazie a chi, non solo ha letto queste righe, ma lascerà anche un commento.

 

Kindest regards,

D. Rose

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** 11. La Vigilia di Natale ***


Podestaria

 

 

Capitolo 11
La Vigilia di Natale

 

 

Biagio aveva cancellato il nome di Virginia dalla sua lista con una tale furia che la carta si era lacerata sotto i diversi passaggi della penna. Lo aveva fatto non appena era tornato nel suo studio, con la guancia arrossata e un po’ dolorante – sentiva di aver meritato quello schiaffo e per questo motivo che non aveva fatto nulla per limitarne il gonfiore. Aveva cercato di mettere da parte quello che era successo e di concentrarsi sulle ultime relazioni da consegnare prima della fine del trimestre. Eppure, mentre sedeva alla scrivania, i suoi pensieri andavano a quel che era successo.

Rivedeva Virginia fra il mobile basso e la porta che conduceva alla sua camera, incorniciata dal drappo di tessuto verde scuro che sembrava far risaltare il biondo tiziano dei suoi capelli. Risentiva l’odore di cucina che aleggiava attorno a lei, il sapore della macchia di cioccolato sul suo mento e quello del vin brûlé sulle sue labbra, il modo in cui i suoi capelli sottili si avviluppavano alle dita come fili d’oro e di rame. Risentiva la sensazione della sua pelle lentigginosa sotto le mani, della morbidezza delle sue carni e della spigolosità delle sue scapole e dei suoi fianchi, come le dita erano scivolate lungo le colline e le valli della sua schiena.

Biagio chiudeva il libro che stava leggendo con rabbia, cercando di allontanare quei pensieri rileggendo la profezia e l’interpretazione che le aveva dato. Usciva dal suo studio a lunghi passi, trovando una scusa per fare una passeggiata senza una meta precisa, per liberarsi di quei pensieri: tuttavia, non poteva fare a meno di chiedersi perché era stato sul punto di chiederle di restare. Cercava di sentirsi grato d’essersi trattenuto, peccando di zelo nel ristabilire la distanza fra loro e precludendosi la possibilità di un ravvicinamento; poi si chiedeva come avesse potuto ignorare le sue risoluzioni, perché si fosse comportato in modo così strano.

Fu la necessità di quiete, per cercare una risposta alle sue domande e tentare di recuperare un po’ del ritardo accumulato sulla sua tesi che era partito per Dolci Acque da solo, senza aspettare che le vacanze scolastiche di sua sorella iniziassero.

 

― • ―

 

Biagio si reclinò nella poltrona e sporse le labbra, chiedendosi se dovesse o no inserire nella sua tesi i motivi per cui la delegazione imperiale non era stata ammessa a Vernolia fra il 1741 e il 1780. Mentre rifletteva sulla misoginia espressa da Re Denev XIV nei confronti dell'Imperatrice Maria Teresa, uno spiffero gli solleticò un orecchio.

“Da quando non è più buona educazione bussare?” chiese a chiunque fosse entrato nella biblioteca.

Sentì qualcuno sbuffare deluso. “Da quando voglio sincerarmi della tua capacità di concentrazione?”

Biagio alzò lo sguardo dal block-notes e rivolse un sorriso asimmetrico a suo nonno. “Non vi aspettavamo così presto,” disse incuriosito.

“Presto?” rise Mr Tricano, indicando con il naso la pendola. “Eri meno concentrato del solito, ma la cognizione del tempo la hai persa lo stesso!”

Biagio sgranò gli occhi, soffiando come un gatto stizzito. “È già quasi ora di cena?!” esclamò, scattando in piedi. “Eppure avevo detto che avrei aiutato in cucina!”

Raccolse in fretta le sue carte, cercando di ignorare la sonora risata di suo nonno, prima di correre nella sua stanza per prepararsi per la cena della Vigilia. Si svestì in fretta, chiedendosi se avesse sufficiente tempo per fare una doccia e decidendo di no, quindi iniziò a indossare gli abiti che aveva preparato dopo il pranzo. Biagio si morse la lingua per non imprecare quando scoprì un buco in un calzino e riversò l’intero contenuto di un tiretto per trovarne un altro paio del medesimo colore. Uscì dalla sua camera infilandosi un maglione sottile e si pettinò con le mani mentre raggiungeva la sala da pranzo.

La stanza era stata decorata con rami di conifere che spandevano un leggero odore di resina; i candelabri gettavano una soffusa luce dorata sul servizio di Limonges, i bicchieri in cristallo e l’argenteria, posti con cura sulla candida tovaglia di fiandra. Biagio rabbrividì al pensiero d’essere sorteggiato per lavare i piatti alla fine della cena, oppure di ricevere un’occhiata di muto rimprovero dalla Contessa-Zia per aver versato qualche goccia di vino sulla sua preziosissima tovaglia. Guardando le espressioni fugaci e sconsolate che i suoi parenti gettavano di tanto in tanto alla tavola, si sentiva rincuorato poiché non era l’unico a chiedersi perché la Contessa-Zia si ostinasse a utilizzare oggetti che avrebbero dovuto essere al sicuro nella vetrina di un museo.

Biagio fece qualche passo nella stanza e raggiunse alcuni cugini di sua madre che  non aveva visto dalla precedente Vigilia: scambiando auguri formali, conditi da domande di circostanza e frasi fatte. La chiacchierata durò neanche cinque minuti e Biagio si congedò con un sorriso educato e un leggero cenno del capo, raggiungendo altri parenti che non avrebbe rivisto prima del Natale successivo. Mentre salutava, Biagio notò l’acredine che sua nonna rivolgeva all’assistente di suo nonno che, chissà per quale motivo, aveva accettato per una volta l’invito della Contessa-Zia; notò la cortese freddezza con cui Alexandrine aveva accettato i suoi auguri e il sorriso imbarazzato di Etienne, o il gran sospiro che aveva fatto la Zia Sveva. Biagio notò, con una punta di delusione, l’assenza di sua madre.

“Isolde è in cucina, assieme alle altre,” rispose la Zia Sveva, quando lui le chiese se sapesse dove fosse. Lei lo guardò un po’ più a lungo, eppure non disse nulla.

Biagio la ringraziò e fece per raggiungere sua madre, solo per incappare nella breve processione che portava le pietanze in sala da pranzo.

“Finalmente un vero gentleman!” Biagio udì qualcuno chiosare, e subito dopo: “Puoi dare una mano con il cappone, per favore? Grazie, sei molto gentile.”

“Non c’è di ché,” fu l’unica cosa che Biagio poté rispondere, mentre si scostava per lasciar passare la mezza dozzina di persone.

Dovette solo percorrere qualche metro e prendere il corridoio alla sua sinistra, per essere accolto, presine e canovaccio alla mano, da sua madre. “Fai attenzione: la pentola pesa ed è bollente,” gli disse senza troppi convenevoli, con una voce provata.

“Auguri anche a te,” rispose Biagio, le sue parole tinte di sarcasmo, trattenendo l’istinto di lasciar perdere il cappone e obbligare sua madre ad andare a dormire. Percepiva l’estrema stanchezza di Isolde – stanchezza dovuta a chissà quante ore trascorse in sala operatoria, stanchezza dovuta quasi certamente all’aver usato un ponte per raggiungere Dolci Acque. La dottoressa Isolde Tricano non aveva alcuna remora nell’usare i suoi poteri, che fosse per raggiungere l’ospedale nel minor tempo possibile o affrontare una lunga giornata lavorativa dopo un’emergenza. Tuttavia, Biagio preferì tacere – Isolde gli avrebbe ricordato, con la stessa frivolezza di Mr Tricano, che lei aveva un giuramento da onorare e che il Natale dovrebbe essere trascorso in famiglia – per cui si limitò a sfornare il tegame di ghisa e a seguire Isolde attraverso il corridoio.

Per un attimo, mentre entrava nel tinello, Biagio ebbe l’impressione che i parenti cui era più legato avessero smesso di confabulare fra loro per rivolgergli uno sguardo chi d’indignazione, chi di curiosità – e sua sorella strinse leggermente le labbra e distolse lo sguardo. Fu tentato di chiedere non senza ironia se ci fosse qualcosa di strano nel cappone, ma non ebbe neanche il tempo di proferir parola che la Contessa-Zia annunciò il primo brindisi.

 

 

Come quasi a ogni Vigilia, qualcuno si lamentò che c’era troppo cibo per una tavolata di trenta persone, scatenando gelide repliche da parte della Contessa-Zia che amava fare sfoggio di opulenza come assicurarsi che ogni ospite trovasse alla sua tavola qualcosa di gradito. Erano discussioni prevedibili da cui Biagio cercava di non farsi coinvolgere, riprendendo piuttosto conversazioni tranquille, discorsi usuali lasciati in sospeso e ripresi ogni vigilia: propositi per l'anno nuovo, opinioni su luoghi da visitare e libri da leggere; frasi frivole, regolarmente interrotte dalla richiesta di passare un piatto o il sale.

Le portate si susseguirono in una miscellanea di cucine e i commensali si fecero più allegri man mano che il numero di bottiglie vuote aumentava. Tuttavia, Biagio sentì come un pugno allo stomaco quando, insieme al pudding di sua nonna e la buche de Noel di Dorothée, fu servita una torta coperta di pasta di zucchero color ghiaccio e decorata di fiocchi di neve. Era identica a quella che Linda aveva preparato con Virginia quel giorno. Si trovò a deglutire inconsciamente mentre la Contessa-Zia studiava accigliata la torta.

“Qu-quella è mia,” balbettò Linda con una vocina sottile, lo sguardo basso. La Contessa-Zia rispose con un brevissimo cenno del capo e un mugugno, tanto che Linda aggiunse, a mo’ di scusa. “Non proprio, a dire il vero, giacché mi ha aiutato Miss Bergman. Ho… ho usato quell’incantesimo di cui parlaste una volta per mantenerla fresca.”

La Contessa-Zia annuì di nuovo. “E chi sarebbe questa Miss Bergman?” chiese infine senza nascondere la propria sospettosità.

“Nessuno – Un’amica di Biagio – La fille aux gateaux,” risposero all’unisono Biagio, sua sorella e Alexandrine, un attimo prima di scambiarsi uno sguardo sorpreso.

“Quello non è un modo molto cortese di chiamare qualcuno, Alexandrine,” la rimproverò la Contessa-Zia e per un attimo Biagio sperò che l’argomento si sarebbe concluso con quella frase.

Si sentì interdetto, quando sua cugina fece spallucce e ribatté, guardandolo di sottecchi con sdegno: “C’est toujours mieux que l’appeler la fille de sa liste.”

“Per favore, è Natale…” mormorò la Zia Sveva con voce ferma.

Biagio si sentì come se Alexandrine avesse usato quelle parole per insultarlo per il mero gusto di farlo. “Ho fatto o detto qualcosa che ti ha infastidito?” sibilò, usando il tono più calmo di cui fosse capace.

Desolée, ma un uomo che ricorre a certi mezzi non può che scadere nella mia stima,” sbuffò infine Alexandrine, senza guardarlo. “E ancora, uso il termine uomo solo perché siamo parenti.”

Biagio la guardò perplesso, corrugando appena la fronte. “Davvero, non capisco a cosa tu ti stia riferendo,” si difese lui, insolitamente candido.

Alex, s’il te plait, c’est Noel…” mormorò Etienne supplichevole.

Alexandrine ignorò suo fratello e, premendo le mani sul tavolo, si protese leggermente in avanti. “Je parle de la potion d’amour que tu as donné à la fille aux gâteaux,” sibilò, rivolgendogli uno sguardo di brace.

La Contessa-Zia inarcò un candido sopracciglio con un oh? Interessato e sorpreso, mentre Biagio sgranò gli occhi, sollevando le mani come per allontanare quelle accuse insensate. “Mi spiace, ma dev’esserci un malinteso…”

“Oh, mônsieur vuole farmi credere che la conversazione fra la nonna e lo Zio Aldo non è altro che un frutto della mia immaginazione!” insisté con simulata incredulità. “E poi, coinvolgere tua sorella… Franchement, t’a exagèré.”

“Per favore, è Natale,” ricordò con fastidio uno dei generi della Zia Sveva.

Biagio ricambiò lo sguardo di sua cugina con altrettanta irritazione, serrando le mascelle per la rabbia. “Io penso che sia tu a esagerare,” sibilò con una severità che poteva competere con l’autorevolezza della Contessa-Zia. “Non apprezzo che mi si accusi con tanta acrimonia di una colpa che non ho…”

Il resto della frase gli morì sulle labbra, fulminato da un’epifania. Un filtro d’amore… un filtro d’amore avrebbe potuto spiegare il suo comportamento di quel giorno, giacché in circostanze normali lui sarebbe stato più che capace di ritenere i propri impulsi – in condizioni normali, Biagio avrebbe rimproverato Virginia d’essere entrata nel suo studio senza permesso, per poi aggiungere che avrebbe raggiunto lei e Linda non appena avesse finito. Biagio strinse le posate nelle mani e guardò di tralice Linda, che si stringeva nelle spalle: lui inspirò lentamente, pose forchetta e coltello ai lati del piatto e piegò con cura il proprio tovagliolo, prima di alzarsi con un movimento fluido.

“Linda, una parola.” La sua voce fu uno schiocco di frustra che non ammetteva un rifiuto e non si curava di aver rovinato l’atmosfera della serata.

Linda cercò una via di fuga nello sguardo di sua madre e in quello procelloso della Contessa-Zia.

“Spicciatevi a far pace: voglio tutti allegri per il resto della serata,” la Contessa-Zia li congedò seccamente, mentre Biagio annuiva grato.

Biagio guidò Linda in cucina e la fece entrare senza dire una parola, quindi chiuse la porta dietro di lui. La fissò silenzioso, cercando nel suo atteggiamento qualcosa che la tradisse, poi si versò un bicchiere d’acqua e lo bevve a sorsi lenti, più per prolungare l’ansia dell’attesa che per calmarsi.

“Gradirei una spiegazione.” La furia serpeggiò nel tono fermo e più grave del solito, nelle parole che aveva usato, nel modo in cui le aveva pronunciato – non era sua abitudine urlare, neanche al culmine della rabbia.

Linda sussultò, gli occhi sgranati e l’espressione spaurita di un animale selvatico paralizzato dai fari di un’auto. Boccheggiò, stropicciando fra le mani un lembo della sua blusa, ma non rispose.

“Da quello che ha detto Alexandrine, devo supporre che tu abbia somministrato a Virginia e a me uno dei tuoi filtri.” Biagio sputò quelle ultime quattro parole come se fossero un boccone troppo amaro da ingoiare. “È la verità?” Quando vide Linda annuire quasi impercettibilmente, comandò: “Voglio sentirti rispondere sì fratello adorato oppure no fratello adorato.”

Linda si strinse di più nelle spalle, come a voler offrire un bersaglio più piccolo allo sguardo dardeggiante di suo fratello. Provò a rispondere, ma solo dopo un paio di tentativi falliti riuscì a ripetere, con una voce flebile, tinta di crescente senso di colpa: “Sì mio fratello adorato.

“Di grazia, perché hai fatto una cosa del genere?” Linda non rispose, per cui Biagio la obbligò a guardarlo negli occhi e ripeté con autorevole formalità: “Perché, signorina Linda Tricano, ha fatto una tale stupidaggine?”

Sua sorella si morse il labbro inferiore con veemenza, poi esplose. “Sei mio fratello, ti voglio bene! Non è normale che desideri la tua felicità?” Iniziò a singhiozzare, chinando il capo. “Volevo solo aiutarti…”

Biagio sospirò con forza, toccato e irritato al tempo stesso da quelle parole. “Questa era una delle poche cose in cui avevo una possibilità di scelta. Non avevo bisogno della tua ingerenza, anche se in buona fede. Ho già sufficienti preoccupazioni per conto mio!” Si massaggiò la radice del naso, lasciando che il sangue pompasse la rabbia via dal suo cervello, poi aggiunse con un tono meno duro: “Avevi pensato alle conseguenze?”

Linda strinse le labbra, ma parve preferire ignorare quell’ultima frase. “E tu perché ti ostini a rinunciare a lei? Per le parole dette da tre vecchie decrepite fatte e strafatte? Per una volta prova a mettere da parte la ragione e, se proprio non vuoi sentire il tuo cuore, ascolta la tua pancia.” Ricambiò il suo sguardo con improvviso coraggio. “Virginia è la persona di cui hai bisogno, lo so! Una sorella sa certe cose.”

Quando la vide sciogliersi in pianto, Biagio volse la testa e le porse un fazzoletto. “Avremmo potuto almeno essere amici… adesso non ho neanche questa consolazione,” mormorò con amarezza, rivolto più a se stesso che a sua sorella.

Linda non disse altro per giustificarsi o difendersi, né Biagio le chiese altro: restarono così, per un tempo indefinito, riscuotendosi dai propri pensieri solo al leggero bussare accompagnato dallo scricchiolio della porta che si apriva. Isolde li osservo, un po’ rattristata e un po’ sollevata ma ancora incerta se il loro malinteso fosse stato risolto o meno.

“Venite?” disse con un tono sommesso, mentre dal corridoio giungeva il vociare degli altri membri della famiglia che si spostavano nel salotto.

“Io vi raggiungo fra un po’,” mormorò Biagio, sentendo la tensione gravare sul suo animo e lasciandosi andare alla spossatezza che la accompagnava solo quando sentì la porta richiudersi. Si appoggiò al tavolo ancora in disordine, inspirando ed espirando lentamente. “Avremmo potuto almeno essere amici…” ripeté amaramente.

Rivedeva chiaramente la prima volta che Virginia aveva chiesto aiuto sul forum e il suo modo forse un po’ eccessivo di usare emoticon e faccine carine. Rivedeva la loro prima ripetizione, il leggero impaccio con cui lei si era presentata, il tenue gusto metallico e il fantasma di una scossa che lo aveva attraversato quando si erano stretti la mano. Biagio rivedeva ogni singola espressione che Virginia gli aveva rivolto, da quella estasiata con cui aveva ascoltato le sue spiegazioni a quella infastidita con cui gli aveva detto che fumare non fosse salutare. La sua mancanza di artifizi e i suoi non sempre riusciti tentativi di rendersi più carina di quanto non fosse. Il modo in cui mangiava, masticando a lungo ogni boccone per godere d’ogni singolo sapore che il cibo le offriva. Il suo mordicchiare la seconda falange dell’indice quando si concentrava su un esercizio e il callo oblungo che si era creato sul dito. L’alternarsi di curiosità e disinteresse verso certi argomenti – verso i suoi stessi poteri che non poteva o non voleva considerare più di tanto. La sua figura febbricitante e come, da quella volta, Biagio non aveva potuto fare a meno di notare il cambiamento nei suoi stessi poteri, come se l’aver incontrato Virginia e la Ragazza alla Fonte li avessero fatti crescere.

Biagio s’irrigidì sentendo due braccia morbide cingergli il torace, e si rilassò nel riconoscere l’odore di ospedale e myosotis di sua madre. Isolde non disse nulla, limitandosi a dondolare leggermente suo figlio come quando era un bambino piccolo.

“La Contessa-Zia ha voluto sapere che cosa fosse successo, e ha detto delle cose che mi hanno fatto riflettere.” mormorò infine con una voce dolce e remota. Lo fece voltare e gli pose una mano sul viso, chiedendo: “Perché credi che la profezia non si riferisca a lei?”

“Perché dovrebbe guidare e non essere guidata. Perché dovrebbe aiutare e non essere aiutata. Perché, come molti Podestari, si è lasciata andare alla facilità dell’ignoranza. Perché le sue capacità sono flebili,” rispose lui amaramente, con un crescente dolore che gli pervadeva l’animo.

“Una Podestaria può maturare se riceve l’esposizione necessaria, non sarebbe la prima volta che facciamo una cosa del genere,” ribatté Isolde con un sorriso incoraggiante. “Come Mademoiselle Berthille, che non aveva manifestato alcun potere prima di fuggire con il nonno della Contessa-Zia.”

Biagio sospirò e scosse la testa, abbattuto. “Ma Virginia, al contrario di Devi, non vede alcun interesse nel far maturare i suoi poteri, ed io non ho intenzione di forzare un processo che le precluderebbe la realizzazione dei suoi sogni,” aggiunse intuendo quello che sua madre volesse dire e interrompendola prima che lei potesse parlare. E per un attimo, si chiese se non fosse proprio questo ciò che la Fanciulla alla Fonte volesse da lui.

Isolde sbuffò, puntando i pugni alle anche, poi allacciò il proprio braccio al suo e lo guidò fuori dalla cucina e attraverso il corridoio. Non disse nulla, ma quando furono abbastanza vicini al salotto da quasi distinguere dei frammenti di conversazione, lei si fermò e gli strinse un po’ più forte il braccio.

“Non so perché la Contessa-Zia abbia avanzato una tale ipotesi, ma… e se quella ragazza fosse una Vaghlieuion?” Scandì quella parola lentamente, come se fosse incerta della corretta pronuncia. “Come lo fu Berthille per Leopoldo Tricano e come avrebbe potuto esserlo Estela per mio padre. Come Ædow, Lualee e Mildred lo sono per il tuo.”

Biagio sgranò gli occhi, sconvolto dal sentire Isolde nominare quell’uomo con quell’incrinatura nella voce e da quell’ipotesi. “No, non credo che lo sia,” disse infine, amareggiato dalla speranza che una tale possibilità gli dava.

Isolde gli strinse di nuovo la mano in un gesto affettuoso e aggiunse: “Ne sei sicuro? Non c’è un modo per sincerartene?”

Ma lui scosse la testa. “No, perché dovrei incontrarla, parlarle e… credo che questa sia l’ultima cosa che lei desideri in questo momento,” rispose Biagio mesto. “Non credo che, visto quello che è accaduto, sia possibile essere di nuovo solo amici.”

Isolde scosse la testa appena, delusa. ”A quanto pare sei deciso a rinunciare. È una tua scelta, suppongo, ma almeno, se non vuoi incontrarla di persona, potresti provare a parlarle nel Sogno.” Suggerì lei con una punta di sfida. “Come to me in the silence of the night; Come in the speaking silence of a dream.”

Era una delle poesie preferite di Isolde, la stessa che aveva trasformato anni prima in un incantesimo. Biagio la guardò sorpreso, poi sorrise riconoscente e le baciò una tempia. Quindi entrarono nel salotto e si unirono agli altri nello scambio dei doni: Biagio ringraziò ognuno con formalità e con un piccolo sorriso di scusa. Quando toccò ad Alexandrine, si guardarono un po’ incerti, lei imbarazzata e lui sinceramente riconoscente.

“Grazie Alex, davvero,” mormorò Biagio, porgendole un pacchetto. “Grazie per avermi aiutato a capire che cosa fosse accaduto.”

“Scusami tu,” rispose lei. “Sai che ho il pessimo vizio di non saper tenere la lingua a freno quando sono indignata.”

Biagio annuì appena e passò a un altro parente, desideroso di tornare in camera il prima possibile. Tuttavia, dovette sottostare all’usanza e partecipare alla prima partita di tombola, i cui vincitori avrebbero avuto l’onore e l’onere di lavare i piatti. Solo a partita finita poté augurare a tutti una notte piacevole e tornare in camera sua.

Quando fece per prendere il pigiama, Biagio notò posato sul letto un pacchetto avvolto in carta bianca e argento. Era il regalo che gli aveva dato Virginia e che lui aveva dimenticato di proposito a casa, poiché gli faceva troppo male vederlo. Biagio lo prese e lo scartò, trovando all’interno una sciarpa di lana lavorata a larghe maglie e un biglietto d’auguri: lesse i ringraziamenti di Virginia per le ripetizioni, i suoi auguri di Buon Natale e le sue scuse per quel dono un po’ banale e realizzato in fretta.

Biagio accarezzò la lana ruvida e blu scuro della sciarpa e, prima di coricarsi, la avvolse intorno al collo e ne tirò un lembo fin sopra al naso: inspirò con forza attraverso le maglie, cercando oltre l’odore del filato il profumo di lei, senza trovarlo.

Come to me in the silence of the night; Come in the speaking silence of a dream.”

 

 

 

L’inutileangolo dell’autrice

 

La fille aux gateaux: la ragazza delle torte
C’est toujours mieux que l’appeler la fille de sa liste: sempre meglio che chiamarla la ragazza sulla sua lista.
Desolée: spiacente
Alex, s’il te plait, c’est Noel: Alex, per favore, è Natale.
Je parle de la potion d’amour que tu as donné à la fille aux gâteaux: parlo del filtro d’amore che hai somministrato alla ragazza delle torte
Franchement, t’a exagèré: franchamente, hai esagerato.
Come to me in the silence of the night; Come in the speaking silence of a dream.” Echo, Christina Rossetti, 1854
Vaghlieuion: per creare questa parola ci ho messo almeno una decina di giorni e sono andata a scavare nell’Indo-Europeo: è l’unione degli etimi u̯eg̑h (muovere, guidare, portare, condurre) e i̯ēguā (forza, potenza). Dato che non ho la più pallida idea della pronuncia esatta, l’ortografia potrebbe subire variazioni.

 

Avrei voluto/dovuto postare questo capitolo almeno un paio di mesi fa, ma una congiuttura astrale ha fatto che non solo il capitolo non fosse pronto per Natale, ma anche che la mia beta Entreri si beccasse una bella influenza rinforzata D: In ogni caso, siamo state più forti dei (cit.) Cattivi Blu e Gialli e ci siamo anche messe in paro con la versione in inglese :3

Vi ricordo la pagina FB dedicata a “Podestaria”: mipiaciatela e non esitate a lasciare una parolina o due, aiutatemi a farla crescere perché è molto, molto importante per me e per i programmi che ho per questa storia!

Grazie a chi, non solo ha letto queste righe, ma lascerà anche un commento.

 

Kindest regards,

D. Rose

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** 12. La mattina di Natale ***


Podestaria

 

 

Capitolo 12
La mattina di Natale

 

 

Nel sogno, Virginia stava ancora con Liam. Passeggiavano nella foresta di conifere ammantata di neve e lui le cingeva le spalle teneramente, poi le sfiorò la tempia con un casto bacio.

Dammi le tue scarpette di vetro e di scoiattolo e saprò che mi ami.

Non dubitare del mio amore e aspetta il tepore della primavera: allora con gioia ti donerò le mie scarpette di vetro e di scoiattolo.

Dammele adesso o saprò che non mi ami.

Virginia lo amava ancora e acconsentì alla sua richiesta, seppur a malincuore. Vedendola esitare, Liam le afferrò una caviglia e le prese le scarpe, spezzando i tacchi di vetro e scucendo le tomaie di scoiattolo quando lui volle indossarle.

Perché non hai atteso il tepore della primavera? Perché hai dubitato del mio amore? Con gioia te le avrei donate, ma ora son rotte e non posso più indossarle.

Virginia rimpiangeva la sua decisione. Sentiva Liam lanciarle contro i frammenti di vetro e ingiuriarla – lo sentiva ripetere parole che lei voleva dimenticare nel Sogno e nella Veglia. Lo sentì pestare nella neve le tomaie di scoiattolo e lanciarle su un albero, come se fossero cosa senza valore.

Virginia voleva recuperare almeno le tomaie di scoiattolo per riscaldare i suoi piedi ormai freddi: mentre aveva gli occhi fissi su quel che rimaneva delle sue scarpette, vide un uccello da preda sbucare dalle conifere e afferrare le tomaie. L’uccello – uno sparviero dagli occhi indaco – volò agile verso di lei e, nell’attimo stesso in cui si posava davanti a lei, il suo sembiante si fece umano e il freddo inverno si sciolse in nebbia e lasciò il posto al tepore della primavera.

Virginia sentì il suo cuore sussultare nel riconoscere Biagio, nonostante gli abiti che non gli aveva mai visto addosso e che non erano del loro tempo e, per la prima volta, lei ebbe l’impressione che lui non stridesse. Lui teneva fra le mani le scarpette di vetro e di scoiattolo, con la delicatezza riservata alle cose preziose, quindi vi soffiò sopra quasi sfiorandole con le labbra: a quel tocco, le tomaie di scoiattolo si rammendarono, ma i tacchi di vetro erano rotti e non potevano essere riparati.

Biagio le mise ai piedi le scarpette e le sue labbra si mossero in parole cristalline, le parole che Virginia aveva desiderato sentire quel giorno, parole che la riempirono di gioia e di sgomento, perché la sua voce suonò più vera della Veglia e il suo tocco era tanto reale che lei dubitò d’essere desta. Tuttavia, Virginia sapeva che quello non era altro che un Sogno e ancora una volta accolse i suoi baci e le sue carezze e si lasciò avvolgere nel verde scuro del suo manto.

Nel Sogno, Virginia era nel suo letto. La luce della luna che filtrava attraverso la finestra disegnava la sagoma di Leonor che dormiva stringendo la sua bambola e di una donna, allungata accanto a lei e che la fissava con gli occhi luminosi come quelli dei gatti.

“Voi esseri umani siete davvero buffi,” disse la donna con una voce speziata. “Ti crei così tanti problemi quando il Giovane Sparviero ti potrebbe dare una cucciolata sana e robusta.”

 

Virginia fece una smorfia e si stropicciò gli occhi. Quando li riaprì, era nel suo letto, con Leonor che dormiva stringendo la sua bambola a un lato e Lady Déa che, acciambellata sul cuscino, la fissava con gli occhi luminosi. Virginia allungò una mano verso il comodino e controllò l’ora sul cellulare: le restavano solo una ventina di minuti prima che l’allarme suonasse. Con uno sbadiglio, si nascose sotto le coperte e cercò di riaddormentarsi, inutilmente: quando la sveglia iniziò a suonare, Virginia la afferrò e la spense in fretta per non far svegliare la sua nipotina e lanciò un’occhiata d’invidia a Leonor e Lady Déa.

“Beate voi che potete dormire quanto volete,” bofonchiò, alzandosi e cercando alla cieca una vecchia tuta di pile.

Andò in bagno ancora mezza addormentata e si lavò la faccia con l’acqua ghiacciata, poi scese le scale senza far rumore e raggiunse suo padre e Finn in cucina, salutandoli con un “Buon Natale!” e versandosi una tazza di caffè caldo. Dopo averlo bevuto a piccoli sorsi, indossò la sua salopette di gomma e uscì sul giardino posteriore.

Rabbrividì, riscaldando le mani soffiandoci sopra, quindi corse verso la stalla e, prima di entrare, raccolse i capelli sotto il berretto, a sua volta coperto da una cuffietta di plastica blu. Occuparsi delle mucche non era la corvée preferita di Virginia, un po’ perché la costringeva ad alzarsi presto e un po’ perché detestava sentirsi l’odore di letame addosso: la faceva sentire sporca, tanto da passare almeno mezz’ora sotto la doccia.

In breve, i suoi gesti si fecero meccanici e i suoi pensieri iniziarono a vagare. Virginia ripensò allo strano sogno che aveva fatto: non ricordava ogni dettaglio, solo che c’era Biagio e che era stato così lucido da sfiorare la veglia. Sapeva che Biagio le aveva detto qualcosa di importante, tuttavia non riusciva a ricordare nessuna delle sue parole.

Sciocchezze, era solo uno stupido sogno, pensò mentre puliva il pavimento della stalla, concentrandosi su quello che stava facendo per terminare nel minor tempo possibile.

“Io ho finito!” annunciò Virginia dopo una ventina di minuti, rimettendo la scopa a posto e tornando dentro casa.

Virginia si sedette su una cassapanca e si tolse gli stivali e la salopette di gomma, e mentre si dirigeva verso le scale, qualcuno la chiamò dalla cucina.

“Bob! Buon Natale! Quando sei arrivato?” chiese lei, felicemente sorpresa. “Scusa se non ti abbraccio, ma non voglio attaccarti l’odore di letame.”

“Auguri anche a te, Vir’,” rispose Bob, mandandole un bacio volante, quindi sorseggiò il suo caffè. “Sono arrivato una decina di minuti fa. Volevo arrivare ieri sera e fare una sorpresa a Leonor e Marcos: avevo chiesto a un collega di prestarmi un costume da Babbo Natale, ma…”

“Ma hai finito tardi di lavorare.” Virginia terminò la frase per lui, quindi aggiunse con un sorriso complice: “Puoi sempre infilarti dentro una scatola e aspettare pazientemente sotto l’albero.”

Quello era il primo Natale che Bob trascorreva con loro da quando era diventato un poliziotto e Virginia era certa che i loro due nipotini sarebbero stati pazzi di gioia nel trascorrere quei due giorni di festa con il loro Tio Gigante, come lo aveva ribattezzato Leonor quando era stata abbastanza grande per parlare

“Gli altri non si sveglieranno prima di un’ora o due, per cui ti consiglio di riposarti un po’,” disse Virginia, ricambiando il bacio volante e dirigendosi verso le scale.

Tuttavia, Bob doveva essere d’altro avviso, perché la raggiunse e, afferratala per un braccio, la condusse nel salotto. La stanza era deserta, illuminata dalle lampadine sull’albero di Natale che gettavano a intermittenza delle macchie di colore sui loro visi. Bob fissò sua sorella con fare solenne, come se stesse cercando qualcosa: capendo quello che voleva fare, Virginia sentì l’impulso di guardare altrove.

“Vir’, mamma e papà sono un po’ preoccupati per te: è da quando sei andata a casa di quel tipo che ti vedono un po’ strana. È successo qualcosa?” le chiese Bob, la voce tinta di preoccupazione.

A quelle parole, lei s’irrigidì un istante, sentendo un groppo alla bocca dello stomaco alla menzione di Biagio e di quella domenica di due settimane prima. “Sai com’è sotto le feste,” rispose, cercando di mantenere un tono di voce normale. “Sono solo stanca: ho dovuto sgobbare come una matta per finire il regalo di Nonô.”

“Sicura che sia solo stanchezza? Lo sai che non puoi dirmi bugie,” insisté Bob, cercando il suo sguardo.

Virginia aprì la bocca per rispondere ma le parole le si bloccarono in gola.

Bob sospirò e la abbracciò. “Sei la mia sorellina preferita, è normale che mi preoccupi per te,” sussurrò lui dandole un bacio sulla tempia.

“Forse perché sono l’unica che hai?” Virginia non poté impedirsi di sorridere.

Bob rise appena, ma quando parlò, la sua voce era seria. “Quando sono tornato al lavoro, ho dato un’occhiata al dossier di quel ragazzo e…” Esitò, come se non fosse più sicuro di voler condividere l’informazione. “Classe E, e sia il Ministero degli Affari Soprannaturali sia l’UNARNH gli hanno messo gli occhi addosso dal terzo anno di superiori.”

A quelle parole, Virginia sgranò gli occhi, non sapendo se era più sbigottita dal comportamento di suo fratello, oppure da quell’informazione su Biagio. Virginia ricordava come aveva pianto quando il medico scolastico le aveva comunicato che era passata alla classe B, della paura che aveva provato alla prospettiva di non potersi iscrivere a Economia e Management. Adesso capiva perché Biagio aveva dovuto rinunciare al suo sogno di diventare insegnante di Matematica: già dalla classe D il Governo pilotava le carriere lavorative di chi era nel Registro. Com’era successo a Bob che, almeno, aveva sempre voluto fare il poliziotto e aveva dovuto laurearsi in Scienze Soprannaturali e ripiegare sul Dipartimento di Crimine Paranormale.

“Beh, almeno ha un buon lavoro che lo aspetta, no?” fu la sola replica che le venne in mente.

“Non è questo il punto, Vir’,” spiegò lui con voce bassa e preoccupata. “Non dico che sia una cattiva persona, tuttavia … com’è possibile che uno studente universitario sia capace di alzare delle barriere psichiche in pochi secondi? Delle barriere talmente forti che neanche un poliziotto appositamente addestrato come me è capace di superare?” La strinse un po’ di più, bisbigliando: “Non puoi chiedermi di fidarmi di una persona del genere. Né la mamma né io vogliamo ripetere l’errore fatto con Liam.”

“Mi avevi promesso di mai, mai più nominare quel dannato bastardo!” Virginia singhiozzò, con la rabbia che le bruciava lo stomaco. Spinse via Bob, senza guardarlo, e si avviò verso la porta. “E per quanto riguarda Biagio, non hai nulla di cui preoccuparti,” aggiunse con voce che si voleva naturale. “Il professor Jackson tornerà a gennaio per cui… non avrò più bisogno delle sue ripetizioni.” Singhiozzò quelle due ultime parole e fu sommersa dai ricordi.

L’espressione buffa con cui Biagio aveva osservato i dolci nella vetrina girevole e la ridicola solennità con cui aveva iniziato la prima ripetizione con il proemio dell’Iliade. La fermezza con cui l’aveva obbligata ad accettare un passaggio in un giorno di pioggia e il senso di colpa che aveva venato la sua voce il giorno dopo, quando l’aveva chiamata per sapere come stava. Il modo in cui le sue mani callose stringevano una matita e come i suoi occhi brillavano d’entusiasmo mentre spiegava un problema particolarmente complicato.

“Vir’?”

Il modo in cui l’aveva guardata mentre mangiava quel macaron. Il modo in cui le aveva chiesto perché gli avesse parlato di Radvna. Il modo in cui passava dall’essere divertente all’essere serio tanto rapidamente che all’inizio si era chiesto quale di questi aspetti fosse il vero volto di Biagio – ma erano solo facce della stessa medaglia. Il modo in cui la sua ammirevole, snervante sicurezza di sé lo poneva su un piedistallo troppo alto, da cui saltava agilmente con autoironia. Come la sua discrezione rasentava la reticenza nel condividere dettagli troppo personali. Com’era riluttante nel condividere l’invito di Linda e come l’irritazione aveva serpeggiato nella sua voce quando l’aveva sorpresa nel suo studio.

“Vir’?!”

L’intensità del suo sguardo e l’ermeticità delle sue parole. Il suo profumo di cuoio e sottobosco che lo avvolgeva come la nebbia di un mattino d’autunno. La sensazione delle sue mani callose che scivolavano sulla sua pelle con l’attenzione riservata alle cose preziose. Le sue labbra che la mordevano* con crescente passione. L’avvolgente fermezza con cui l’aveva abbracciata, sostenuta, e…

“Virginia!”

Virginia sbatté le palpebre, come un ubriaco – come se fosse stata rubata a un sogno. Bob le stringeva le spalle e la guardava forse imbarazzato o forse sconcertato – non poteva esserne certa nella luce multicolore e lampeggiante delle lampadine di Natale. Tuttavia, di una cosa era certa e allontanò le mani di suo fratello con un gesto stizzito.

“Mi avevi promesso che non avresti sbirciato nella mia mente senza il mio permesso!” sibilò Virginia indignata.

“Erano troppo vividi, Vir’,” Bob si giustificò, guardando altrove. Poi aggiunse, con tono di leggero rimprovero: “Ed io credevo che tu avessi più buon senso.”

Nel sentire quelle parole, Virginis scattò. “Ho diciotto anni, Robert! Se per la legge sono abbastanza matura per votare e richiedere la patente, allora credo di esserlo anche per fare sesso! E non accetto prediche da qualcuno che usava i suoi poteri per sapere quali fossero le ragazze più disponibili!” aggiunse prima che Bob potesse rimbeccarla. “E adesso ti prego di scusami, ma puzzo come una vacca e ho un urgente bisogno di una doccia.”

Virginia non attese una risposta di suo fratello si diresse verso il piano superiore. Entrò in camera per prendere della biancheria pulita e un’occhiata a Leonor, la quale aveva scalciato via le coperte e si era messa di traverso sul letto. Virginia sorrise e raggiunse la bambina, rimettendola dritta e coprendola prima di andare in bagno.

Mentre l’acqua della doccia raggiungeva alla giusta temperatura, Virginia si spogliò e andò al lavabo. S’inclinò in avanti e girò appena la testa, sollevando i capelli e il lobo dell’orecchio sinistro: il livido –si rifiutava di chiamarlo con il suo nome comune – era giallastro e appena visibile ma, di primo acchito, aveva avuto l’impressione che avesse lo stesso colore violaceo di dieci giorni prima, come se fosse stato appena fatto. Ripensò ancora una volta al sogno.

“Era solo uno stupido sogno,” sbuffò Virginia infastidita, infilandosi sotto il getto della doccia e strofinandosi con insistenza, desiderosa di cancellare una seconda volta il ricordo del tocco di Biagio.

La giornata a Rana’s Farm iniziò ufficialmente quando i piccoli Leonor e Marcos corsero nella cucina, cinguettando i loro auguri e saltando addosso a Bob con tale impeto che quasi lo fecero cadere dalla panca. I due bambini vollero subito andare in salotto per scartare i regali.

“Dovrete aspettare dopo il pranzo, invece,” s’impose Pat, puntando i pugni sulle anche. “Per cui mangiate e niente storie!”

“Ma papà!” protestarono i bambini, mettendo su il broncio sperando di intenerire Pat.

Bob trattenne una risatina e, lanciata un’occhiata complice a suo fratello maggiore, si caricò i due nipotini sulle spalle. “Dai, se mangiate tutto tutto poi andiamo fuori a costruire dei pupazzi di neve,” disse, sistemandoli nelle rispettive sedie.

Quella promessa fu sufficiente a convincerli a far colazione e, per una volta, Marcos mangiò senza fare troppi capricci: quando lui e sua sorella ebbero finito, iniziarono a tirare e a spingere Bob verso la porta posteriore.

“Renditi utile e tienili occupati, mentre noialtri ci occupiamo del pranzo!” fu la risposta di Mrs. Bergman allo sguardo supplichevole del suo secondogenito.

“E comunque te la sei cercata!” Virginia rincarò la dose, mentre finiva di raccogliere le stoviglie sporche.

Bob le rispose con una linguaccia e con il lanciarle una palla di neve contro la finestra. Virginia roteò gli occhi e lasciò che sua madre borbottasse contro il pessimo esempio che il figlio stava dando ai suoi adorati nipotini; Ines, invece, si limitò a scuotere la testa e a preparare il suo piatto a base di baccalà.

Le tre donne prepararono il pranzo in relativa allegria, nonostante un leggero diverbio fra Mrs. Bergman e Ines sul miglior accompagnamento per l’oca e il rientro anticipato dei bambini in casa. Mentre Bob giocava alle costruzioni con Marcos, Leonor giocava alle principesse con Lady Déa, Mrs. Bergman preparava le sue patate al forno e Ines le polpette di baccalà, Virginia aprì il forno per cospargere l’oca con i suoi succhi. Scosse appena la testa, sentendo il proprio cellulare vibrare nella tasca della felpa: si pulì le mani in uno strofinaccio e prese il telefono per leggere il messaggio e ricambiare gli auguri. Corrugò appena la fronte nel vedere un numero familiare ma non presente fra i suoi contatti.

Buon Natale e grazie per la sciarpa. B.T.

Per un attimo, Virginia fu tentata di gettare il suo cellulare per terra e pestarlo fino a ridurlo in un ammasso di metallo, vetro e parti elettroniche.

“Tutto a posto, Vir’?” le chiese sua madre, preoccupata.

“Sì,” rispose lei secca, rimettendo il cellulare in tasca e togliendosi il grembiule. “Se non avete bisogno di me, vado a riordinare la mia stanza.”

Virginia sapeva che, se fosse rimasta in cucina, sua madre e suo fratello avrebbero insistito per sapere cosa fosse successo. Arrivata in camera, si appoggiò contro la porta chiusa, le mani dietro la schiena e lo sguardo perso nel vuoto, poi si irrigidì nel sentire il cellulare vibrare di nuovo.

Mi dispiace. B.T.

“Che accidenti me ne faccio dei tuoi mi dispiace?!” ringhiò gettando il telefono sul letto.

Virginia cercò di ricordare di nuovo i dettagli del sogno, di ricordare le parole di Biagio. Scosse la testa con rabbia e si alzò, raggiungendo il letto ancora disfatto. Virginia cercò di canalizzare la sua irritazione nello scuotere lenzuola e coperte con forza, cercò di calmarsi rifacendo il letto con eccessiva dovizia; poi raccolse le cose che Leonor aveva sparpagliato sul pavimento e osservò la stanza alla ricerca di qualcos’altro da riordinare.

Il piano della toeletta, posta nell’angolo a destra del letto, era occupato solo dal beauty case, una spazzola e una vecchia scatola di cioccolatini in cui teneva i suoi accessori per i capelli, e sulle aste che reggevano lo specchio erano appese da un lato alcune collane e foulard e dall’altro una lunga treccia di capelli biondo Tiziano – i suoi propri capelli, un memento dei giorni più felici e innocenti prima che Liam arrivasse per rovinare tutto. Virginia si pose davanti alla scrivania e alla libreria, scrutando con occhio critico il laptop decorato da alcuni adesivi di Leonor, i quaderni impilati in un cestino targato fatto, i libri scolastici classificati per materia. Si allungò verso il terzo e quarto scaffale, dove erano riuniti CD e libri: mentre toglieva dallo scaffale le sue copie di Twilight, sentì la porta aprirsi.

Ines si affacciò, rivolgendole un sorriso e agitando leggermente due bicchieri. “Secondo Scarlett ho preparato troppa caipirinha,” disse facendo qualche passo nella stanza e le porse un bicchiere. “Ti va di farmi compagnia?”

Virginia strinse le labbra, ma non fece alcun cenno di voler prendere il bicchiere. Sbuffò e tornò a risistemare i libri sullo scaffale. “Te l’ha chiesto lei di venire?” sibilò.

Ines sospirò e rispose, la sua voce speziata dall’accento brasiliano. “A dire il vero mi sono offerta volontaria. Roberto è tanto caro ma ha la pessima abitudine di cedere alla deformazione professionale. E Scarlett… Beh, è pur sempre tua madre: è normale che sia un po’ imparziale su certi argomenti.”

Le fece un sorriso incoraggiante, tuttavia Virginia sembrava decisa a ignorarla. Ines aspettò forse cinque o dieci minuti, poi sospirò e pose il bicchiere sulla toeletta prima di andare via.

“Quando quel pomeriggio ha pronunciato il mio nome, ho quasi creduto che avesse cambiato idea,” mormorò Virginia, lasciando cadere le braccia lungo i fianchi. “E continuo a ripromettermi che mi scuserei per il ceffone, se mi desse delle spiegazioni... Se solo si rimangiasse quel va’ prima che cambi idea. O forse la colpa è mia, che mi sono comportata da sgualdrina?” singhiozzò con rabbia.

Ines le cinse le spalle, chiedendole costernata: “Perché parli di te stessa in modo?”

“Perché è così che io definirei una che va a letto con qualcuno che non sia il suo ragazzo,” rispose Virginia, tirando su col naso.

Ines la fece voltare verso di sé e, dopo averla studiata per un po’, disse: “Lo hai voluto?”

Virginia sgranò gli occhi, arrossendo, ma non rispose. Lo aveva voluto, eccome! Fin dalla prima volta che Biagio le aveva dato ripetizioni, anche se era un desiderio che aveva preferito ignorare.

“Ti è piaciuto?”

Virginia abbassò lo sguardo e strinse le labbra, non volendo ammettere alla sua futura cognata che quel quarto d’ora le era piaciuto molto più di tutte le volte che era stata con il suo ex messe insieme.

“Ti ha fatto sentire bene?”

Virginia arrossì ancora di più e annuì impercettibilmente.

“Qual è il problema? Che la cosa sia finita lì?” chiese Ines con una punta d’esasperazione. Bevve un sorso di caipirinha, poi le puntò un indice contro. “Invece di rimuginare, dovresti cercare di vedere i lati positivi.” Portò di nuovo il bicchiere alle labbra e la fissò con gli occhi color caffè oltre l’orlo. “Sei cotta di questo ragazzo.”

Non era una domanda ma un’affermazione che ebbe su Virginia lo stesso effetto del sale su una ferita aperta. “Come una bambinetta che puzza ancora di latte,” singhiozzò Virginia accasciandosi per terra e nascondendo il viso sulle ginocchia. “Come se non avessi imparato un bel niente dalla storia con Liam…”

Con un grosso sospiro, Ines pose il bicchiere mezzo pieno sul pavimento e sedette accanto a lei. “Vir’, non so che cos--”

Ma, improvviso come il tuono che annuncia un temporale, udirono un urlo primordiale che le fece sobbalzare.

Mamãe, guadda! Nonô a paja!”

I cracker si aprirono con un allegro scoppiettio, riversando sulla tavola imbandita il loro contenuto di cotillon. Marcos si gettò su una trombetta e inizio a suonarla a pieni polmoni, mentre sua sorella maggiore afferrò una corona di carta dorata e se la mise in testa con aria trionfale.

“Buon appetito!” esclamo poi Leonor, accogliendo con un sonoro miam-miam la sua porzione di oca arrosto e imitata da Marcos, il quale addento una patata arrosto.

Fu facile per Virginia se su Pat e Ines, i quali raccontavano come procedevano i preparativi del loro matrimonio, oppure nel cercare di non ridere alle gentili buffonate dei suoi due nipotini. Tuttavia, il pranzo non fu dei più tranquilli: non appena ebbero finito di mangiare, Leonor e Marcos insistettero per aprire i regali, obbligando gli adulti ad alternarsi per tenerli occupati. Leonor e Marcos accolsero l’arrivo del Christmas pudding della nonna e della rabanada della mamma con un rumoroso applauso, e una volta che la tavola fu sparecchiata Mrs. Bergman andò nel salotto e mise nello stereo una vecchia cassetta di canzoni natalizie, la stessa che ascoltavano quando i suoi figli erano piccoli.

Pacchi di varie dimensioni formavano delle piccole piramidi attorno all’albero di Natale, le cui due più grandi erano destinate ai bambini i quali emisero un gridolino estasiato prima di sgrovigliare nastri e strappare carta colorata. Dopo un po’ Marcos tralasciò i suoi doni per giocare con la scatola vuota che aveva contenuto la casa di bambole di sua sorella, Leonor boccheggiò estasiata nel tirar fuori il regalo di Virginia.

“Allora, ti piace?” chiese alla nipotina la quale annuì, facendosi aiutare a indossare la nuvola di tulle scintillante, le alette di farfalla e la coroncina di cristalli.

Virginia sorrise, felice che il regalo fosse tanto apprezzato. Si sentiva anche orgogliosa di se stessa, poiché era il regalo più impegnativo da realizzare. Leonor girò su se stessa, facendo gonfiare gli strati malva e rosa della gonna, quindi saltò a piè pari davanti a sua zia.

“Sono Nonô la fata principessa e per ringraziarti realizzerò un tuo desiderio!” disse con aria solenne, colpendo leggermente il ginocchio di Virginia con la bacchetta di fil di ferro, nastrini e perline. “Ma uno solo perché sono ancora una fata piccola piccola.”

 “Cara fatina, vorrei essere ammessa al Trinity College, ti prego ti prego ti prego!” rispose Virginia con la sua migliore imitazione di una principessa Disney.

“No no no, questo desiderio non mi piace!” rispose Leonor scuotendo la testa, poi agitò la sua bacchetta e canticchiò saltellando: “Salagadoola mechicka boola bibbidi-bobbidi-boo! Il tuo Principe Azzurro verrà tra uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette, otto, nove, dieci, undici…” Si bloccò, accigliata, poi si volse verso sua madre e chiese: “Mamãe, che cosa c’è dopo undici?”

Ines le aggiustò la coroncina sui capelli crespi, e sorrise divertita rispondendo: “Dopo l’undici, c’è il dodici.”

Leonor saltò un’ultima volta e rise. “Dodici giorni!”

Virginia rise anche lei e stampò due baci rumorosi sulle guance della nipotina: la acchiappò e la abbracciò forte, facendole delle pernacchie sulla nuca e il solletico. Mentre Leonor rideva e tentava di sfuggirle, Virginia cercò di allontanare il ricordo del sogno, rievocato dalle parole della sua nipotina.

 

 

 

L’inutileangolo dell’autrice

 

Questo è, finora, il capitolo che più mi ha dato soddisfazione: l'unica cosa su cui Entreri ha avuto un po' da ridire, è il fatto che si perda un po' chi sia chi. Per chiarire l'albero genealogico, Virginia ha tre fratelli, Pat, Bob e Finn, il maggiore dei quali ha una compagna, Ines, con cui ha avuto due figli, Leonor e Marcos.
E sì, mi rendo un po' dell'assurdità di postare il capitolo natalizio una settimana dopo Pasqua -- dev'essere una cosa di famiglia, dato che ultimamente N°2 ha la fissa per le canzoncine di Halloween ù.u

Vi ricordo la pagina FB dedicata a “Podestaria”: mipiaciatela e non esitate a lasciare una parolina o due, aiutatemi a farla crescere perché è molto, molto importante per me e per i programmi che ho per questa storia!

Grazie a chi, non solo ha letto queste righe, ma lascerà anche un commento.

 

Kindest regards,

D. Rose

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


Podestaria

 

 

Capitolo 13

 

Virginia osservava il paesaggio scorrere oltre la finestra dell’auto, la tempia premuta contro il vetro e un vaso di erica posato sulle ginocchia: cercava di riempirsi la mente con la versione pop di White Christmas trasmessa dalla radio., senza riuscirci. I suoi pensieri andavano al sogno ricorrente su Biagio, come limatura di ferro attratta da una calamita. Virginia voleva avrebbe voluto dato che in effetti non ci riesce tenere sotto controllo i suoi sentimenti, soffocarli, lasciarsi alle spalle il tempo che avevano trascorso insieme; tuttavia ma ogni volta che credeva di aver fatto un passo sulla via di guarigione dal mal d’amore, quel sogno tornava, vivido, riportandola due passi indietro.

A turbarla veramente, tuttavia, era il modo in cui il sogno diventava ogni notte più lucido, più aggettivo, più difficile da abbandonare. Quella mattina, Virginia era rimasta a letto con lo sguardo sbarrato sul soffitto per un tempo che le era sembrato eterno, paralizzata: aveva provato a girarsi, a chiamare aiuto, ma non era neanche riuscita a sbattere le palpebre. Solo quando Lady Déa le aveva annusato il volto, solleticandole il naso fino a farla starnutire, Virginia era riuscita a scuotersi dalla catalessi. Quando si era sentita abbastanza tonica da alzarsi, aveva fatto una rapida ricerca su internet: leggere di paralisi del sonno e illusione ipnagogica le aveva permesso di razionalizzare l’esperienza, anche se non l’aveva completamente tranquillizzata. Chiuse gli occhi e inspirò piano, desiderosa di dimenticare la spiacevolezza del formicolio e dell’insensibilità che l’aveva pervasa, di dimenticare il terrore.

Virginia scosse la testa con uno sbuffo e, riconoscendo le prime note di una canzone che le piaceva, si allungò verso l’autoradio per alzare il volume proprio mentre suo padre la spegneva. Lei lo guardò con un’espressione interdetta e fece per protestare.

“Siamo arrivati, Vir’,” la interruppe suo padre, indicando con il capo la chiesa davanti a loro.

Virginia premette appena il naso contro il finestrino, lasciando lo sguardo scorrere dall’edificio all’entrata del cimitero sul lato opposto della strada. Sentì un groppo alla gola, ricordando quel giorno di quattordici anni prima: vedere Radvna costretta in un letto che la faceva sembrare ancora più fragile e vecchia, l’aveva sconvolta ma Virginia ricordava di essere salita sul letto per accoccolarsi un’ultima volta sul petto della bisnonna. Strinse il vaso d’erica, sentendo di nuovo sul viso il fantasma delle dita rachitiche di Radvna e nelle orecchie le ultime parole che le aveva detto. Ricorda, mia piccola renna, i vivi e i morti non sono altro che due metà di una stessa famiglia.

Virginia seguì suo padre nel cimitero, soprappensiero, e dopo pochi metri raggiunsero la fila in cui erano sepolti i suoi bisnonni: si fermò, sorpresa dal rumore di un incedere ineguale sulla ghiaia. Alzò lo sguardo e vide Un anziano signore camminare in direzione opposta alla loro, trascinando la gamba destra e appoggiandosi a un bastone: aveva un aspetto comune e affabile, il tipo di nonnino che trascorreva i pomeriggi al parco impegnato in una partita di scacchi oppure a dar da mangiare a piccioni e anatre. L’anziano signore sollevò appena la testa, rivolgendo un educato cenno di saluto a Mr. Bergman e, per il più breve degli istanti, Virginia incrociò il suo sguardo.

Una paura irrazionale, atavica, le strinse la gola fino a soffocarla, lo sguardo atterrito scivolò lungo la schiena di suo padre verso la sfilza di lapidi alla loro sinistra. Correva tanto velocemente quanto la neve alta fino al ginocchio glielo permetteva, l’aria gelida le fendeva i polmoni come una lama di ghiaccio. Allungò una mano verso suo padre e si appigliò al suo cappotto, nascondendosi sotto il suo braccio come faceva da bambina quando i suoi fratelli la obbligavano a guardare un film dell'orrore, nello stesso istante in cui il vecchietto passava accanto a loro. Qualcosa le premeva contro la bocca dello stomaco, quasi l’annuncio di un conato. L’odore di vita putrefatta, prolungata oltre il suo tempo, le bloccava il respiro. Virginia premette la bocca contro la manica della giacca di pelle di montone, macchiandola con la solitaria goccia di sangue che le scorreva dalla narice.

“Vir’?” La voce preoccupata di suo padre era un eco lontano, ovattato.

Virginia ansimò, incapace di scrollarsi di dosso il terrore, desiderosa di vomitare in quel preciso istante tutto il contenuto del suo stomaco, con le gambe che si facevano deboli e il corpo insensibile. Cercò di stringere più forte il cappotto di suo padre con le dita intorpidite, di aggrapparsi alla sensazione della stoffa come a una boa di salvataggio.

“Vir’, stai bene?” insisté suo padre, scrollandola delicatamente.

Virginia alzò lo sguardo su suo padre: boccheggiò una risposta, ma nessun suono uscì dalla sua gola, per cui annuì tremante . “S-sto… bene,” balbettò infine, inumidendosi le labbra secche e sentendo un sapore metallico ed elettrico sulla lingua.

Non era la verità e sentiva che suo padre lo sapeva: aspettò il suo rimprovero, il non dirmi bugie signorina di quand’era bambina. Ma Marcus Bergman non disse nulla, si limitò ad accarezzarle il braccio per confortarla. Quando raggiunsero le tombe, Virginia si lasciò quasi cadere a fianco alla lapide e guardò senza vedere suo padre che sostituiva i fiori recisi ormai rinsecchiti con le piantine di erica.

Vorrei che tu fossi ancora qui con me per dirmi che mi sta succedendo, áhkku1. Pensò, mentre le sue dita sfioravano il contorno della parola Radvna.

 

——————

 

L’aria dell’antro era appesantita dall’odore dolciastro e inebriante dei vapori (esalazioni di etanolo dal suolo) e delle erbe bruciate, il silenzio era rotto solo dal chioccolare di una sorgente nascosta nel ventre della montagna. Biagio non oltrepassò la lama di luce, lasciando che solo la sua ombra si addentrasse nell’oscurità della grotta, e attese che gli fosse rivolta la parola. Le Grigie Dame si ergevano davanti a lui, sedute sui loro sgabelli e avvolte in vesti di un grigio polveroso, simili a ragnatele: avevano l’aspetto di ragazzine della stessa età di Linda, eppure qualcosa nello sguardo le rendeva senza età. Erano tre sorelle identiche e le pupille, dilatate dai fumi e dai vapori, sembravano pozzi d’oscurità sulla pelle troppo chiara.

“Salute a te, Buon Camminatore che percorri Sentieri Nascosti.” Fu il loro saluto, mormorato con triplice voce.

“Salute a voi, Grigie Signore che vedete degli Spirti gl’intenti.” Fu la sua risposta, mormorata con ossequio naturale.

“Cosa, o Giovin Sparviero, ti conduce alla nostra presenza?”

Comunicare con le Grigie Dame era un po’ come esprimere un desderio: bisognava scegliere con cura le parole, in modo che questa lasciasse poco spazio all’interpretazione creativa. Biagio fu tentato di chiedere, senza mezze misure, se la profezia dell’anno precedente si riferisse a Devi o a qualcun altro: tuttavia una flebile speranza, che non aveva alcuna intenzione di morire, lo fece desistere.

Desidero sapere cosa mi riserva il nuovo anno” disse, abbastanza forte da far riecheggiare la propria voce nell’antro, preferendo ricevere una risposta generica invece di una più specifica che, come sempre, avrebbe cozzato con i suoi desideri e le sue ambizioni.

Le tre donne annuirono, o forse era solo un ciondolare del capo dovuto ai vapori e alle erbe che ardevano nel braciere di bronzo ai loro piedi. I loro occhi erano fissi sulle volute di fumo che si alzavano languidamente verso il soffitto dell’antro, disegnando nastri e viluppi che solo loro erano capaci di interpretare. Le Grigie Dame iniziarono a cantilenare, la loro voce tanto bassa da rendere impossibile comprendere le loro parole.

Biagio strinse il bastone di ferula in una mano, cercando forza e sostegno in quell’oggetto che era appartenuto al fratello maggiore e al padre di suo nonno e a ogni erede della sua famiglia. Trattenne il fiato per un istante infinito, in cui cercò di ignorare una dolorosa speranza – il desiderio che qualcosa nella loro risposta potesse indicare Virginia.

Quando le Grigie Dame parlarono, lo fecero con un’unica voce, in una miscellanea di lingue che Biagio poteva comprendere solo grazie a un incanto.

“Era dalle bianche braccia, Levriero d’Erin, scuote il capo:

“Perché la tua mente è sorda e il tuo cuore cieco?

“Prima che Ecate Apotropaia si presenti al crocevia

“Presentati al mio tempio e offrimi libagioni segrete:

“Oshun, schiava liberata, prenderà per mano e ti condurrà

“Colei che t’è destinata, sostegno e verga verdeggiante.

“L’Antico Lupo caccia la Candida Cerva.”

 

 

Mentre attraversava il boschetto di allori che nascondeva l’antro, Biagio finì di annotare sul suo taccuino la traduzione della profezia e guardò accigliato la pagina, cercando di trovare un senso a quelle parole. A caldo, aveva l’impressione che ci fosse qualcosa di sbagliato nell’interpretazione che aveva dato alla profezia dell’anno precedente, ma in quel momento non aveva le energie necessarie per ricominciare da capo: desiderò tornare a casa e lavorarci con calma, ma sapeva che non poteva lasciare Omphalos senza suo nonno e Maximiliano.

No, Biagio, sai bene che è meglio riflettere su queste cose a mente fredda, si disse riponendo il taccuino in una tasca. Decise di non pensare alla profezia almeno fino all’indomani: aveva organizzato un veglione a casa sua con i suoi amici, e Biagio voleva iniziare il nuovo anno nel modo più tranquillo possibile.

 

——————

 

Quando entrarono nel locale, Virginia, Chantal e Audrey furono accolte da una cacofonia di voci e musica un po’ troppo alta. Si fecero strada attraverso la calca e cercarono di raggiungere i tavoli in fondo: non appena intravide il suo ragazzo, Chantal afferrò le sue amiche per il polso e affrettò il passo.

“Scusa il ritardo, Eddy,” esordì Chantal, gettandosi fra le sue braccia e rivolgendogli uno sguardo da cucciolo.

“Non ti preoccupare, Chantie, non è colpa tua,” rispose lui con aria sdolcinata e dandole il primo, profondo bacio della serata.

Virginia era tentata di dire che, se avevano dovuto aspettare mezz’ora in stazione, era a causa dei tacchi dodici che Chantal aveva insistito a indossare, nonostante non fosse abituata. Tuttavia preferì tacere e roteò gli occhi nel vedere i due ancora intenti a baciarsi: non sapeva se fosse l’influenza di Chantal, ma trovava che Eddy fosse un po’ troppo sdolcinato per un metallaro, tanto che si chiese se sarebbe riuscita a reggere tutte quelle smancerie per l’intera serata.

Audrey le diede una gomitata nelle costole e bisbigliò: “Andiamo Vir’, basta fare il muso lungo.” Quindi allacciò un braccio al suo e la tirò verso il tavolo, dove furono accolte dagli altri tre membri dei Mars Steel che si spostarono per far loro un po’ più di spazio.

Trenton che non pronunciava una parola se non era direttamente interpellato, per poi trasformarsi in una persona completamente diversa quando prendeva le bacchette in mano. Douglas, il vero rockettaro del gruppo, che l’aveva sorpresa con la sua ammissione alla facoltà di Legge a Cambridge. E poi c'era Matt. Matt con i suoi capelli ricci che non lo facevano più somigliare a una cima di broccolo e le fossette sulle guance quando sorrideva. Matt che non era più il dodicenne allampanato con un inizio d’acne che Virginia ricordava e cui la pubertà aveva fatto bene. Matt che avrebbe potuto anche piacerle, se solo non avesse incontrato Biagio.

“Ciao Zenzy! Guarda che questa è una festa, non un colloquio,” Matt la canzonò schioccando un dito contro il collo della camicia bianca che lei portava sotto la canotta di lustrini.

“Allora al vostro prossimo concerto verrò con la tuta da lavoro, così la puzza di letame farà scappare i tuoi fan, Broccolo,” ribatté lei con tono di sfida.

La rassicurava constatare che si pizzicavano ancora, anche dopo sei anni; poter pensare che Chantal avesse interpretato male i commenti di Matt, che lui la vedesse ancora come la bambina cui fare i dispetti. La rassicurava sentire i loro amici prenderli in giro, chiedendo se preferissero lo sciroppo di ribes o quello di fragola poiché non erano altro che due bambini di terza elementare.

Dai, pensa a divertirti, Vir’, si disse quando, ridendo, Chantal e Audrey la presero per mano e la tirarono assieme agli altri per ballare.

E Virginia ballò per buona parte della serata, tornando al tavolo per riposare i piedi stretti negli stivaletti dal tacco alto oppure per ordinare una nuova bottiglietta d’acqua al bancone. Virginia ballò con Audrey e Trenton e Douglas, e rifiutò l’invito di Matt con una linguaccia; ballò al ritmo della musica, così forte da costringerla a urlare per farsi sentire. cantò a squarciagola alcune canzoni con i suoi amici, oppure approfittò di un brano un po’ più tranquillo per decidere di trascorrere tutti insieme l’ultimo sabato delle vacanze natalizie. Ballò, fino al punto da non sentire altro che il ritmo della musica rimbombare nella cassa toracica, fino a essere cosciente dell’aria che entrava e usciva nel naso, delle collane che battevano sul suo petto, delle gocce di sudore che scendevano lungo la schiena – che ripercorrevano i sentieri segnati dalle dita di Biagio.

 La musica suonò sempre più ovattata nelle sue orecchie e la melodia si disperse lasciando solo l’eco del battito, cui se ne frappose un altro, il ricordo quasi dimenticato di Radvna che le insegnava a danzare. Virginia reclinò il capo all’indietro, fissando il soffitto attraverso le ciglia e non si chiese se quel ragno dalle ali di farfalla che volteggiava fosse un’illusione creata dalle luci della discoteca – sapeva che era reale, doveva solo allungare una mano e l’avrebbe toccata, acchiappata…

Un colpo alle anche le fece rivolgere tutta la sua attenzione alla persona alla sua sinistra: il sorriso di Matt durò un istante. Lui avvicinò il proprio viso al suo, avvolgendola nel suo odore di dopobarba e sudore, solleticandole la guancia e il collo con un ricciolo e l’alito che sapeva di birra e mentine – vicino, troppo vicino. Virginia sentì un’ondata di panico stringerle lo stomaco, temendo che lui volesse valicare quel confine invisibile che solo Liam e Biagio avevano oltrepassato.

“Ti sta sanguinando il naso, Zenzy,” disse Matt, abbastanza forte da farsi sentire nonostante la musica, porgendole un tovagliolo di carta giallo dorato.

Virginia si sfiorò la narice, sentendo la texture No viscosa dell’umore e un leggero sapore metallico ed elettrico sulla lingua: mimò un grazie con le labbra, accettando il tovagliolo, e si fece strada verso il loro tavolo. Aveva fatto non più di una mezza dozzina di passi, cercando un passaggio tra i ragazzi che ballavano, quando la musica si fece di nuovo un eco e tutto quello che la circondava, divenne un ammasso confuso di ombre. Virginia sgranò gli occhi, sentendo il proprio respiro bloccato e la testa vorticare, le membra quasi insensibili.

“Ehi, guarda dove vai!” le urlò una ragazza, guardandola di tralice.

Virginia le rivolse un sorriso tirato e gorgogliò delle scuse. Dicendosi che forse aveva bisogno di prendere una boccata d’aria fresca per allontanare quella sensazione di pesantezza che le opprimeva il petto, cercò di raggiungere l’uscita del locale: una volta fuori, si appoggiò contro il muro e prese dei respiri profondi.

Era solo l’aria viziata, il caldo e forse un bicchiere di troppo, pensò mentre l’ossigeno e il freddo della notte le vivificavano il corpo e la mente, anche se non poteva ignorare il sospetto che ci fosse altro oltre alla calca e all’alcool. Virginia aveva tenuto bene a mente i consigli di Bob: aveva preso solo bevande in bottiglia sigillata e non si era fatta offrire drink da nessuno, neanche da un amico. Si tamponò il naso e osservò la macchia nel tentativo di trovarvi chissà cosa. Un ricordo, una frase che Biagio le aveva detto un paio di mesi prima, riecheggiò nella sua testa. L'epistassi è un modo con cui il corpo gestisce l’energia in eccesso.

“Stupidaggini, come potrebbe trattarsi di un incantesimo? Stavo solo ballando…” borbottò abbracciandosi e strofinandosi gli omeri per scaldarsi un po’.

Era tentata di entrare almeno per prendere il cappotto e la borsa, forse anche per trovare una scusa e tornare a casa prima della fine della serata, ma temeva che se fosse tornata dentro il locale quella cosa sarebbe successa di nuovo. Alzò lo sguardo al cielo in cui brillavano le poche stelle che osavano sfidare l’inquinamento luminoso, chiedendosi per la prima volta perché avesse paura dei suoi poteri: non le avevano mai dato problemi, a parte un po’ di mal di testa e di sangue dal naso quando li usava, e l’ostracismo della supplente di Matematica. Erano come un accessorio fuori moda di cui non poteva sbarazzarsi, un tatuaggio ridicolo fatto in un momento di ubriachezza, oppure una voglia imbarazzante. Era una parte di lei che preferiva ignorare, perché non le avrebbe portato granché nella vita che desiderava.

Sentì la porta aprirsi e si stupiì quando qualcuno le gettò addosso il suo cappotto di lana di montone.

“Lo avevi dimenticato dentro, Zenzy,” le disse Matt, appoggiandosi anche lui al muro. Volse la testa verso la coppietta che era uscita dopo di lui, poi guardò di nuovo Virginia e le chiese: “Tutto ok?”

Virginia annuì, infilandosi il cappotto. “Avevo bisogno di una boccata d’aria.” Non era una bugia, ma era l’unica spiegazione che avrebbe dato.

“Idem con patate,” annuì lui iniziando a masticare una gomma. Dopo un po’, Matt aggiunse: “Sei cambiata parecchio, sai?”

“Si chiama crescere, Mr Testa-di-broccolo Winters,” ribatté  lei con tono saccente. “Non è poi tanto male, dovresti provarci.”

“Sai, sono stufo di litigare con te, Virginia,” rispose lui con una punta d’esasperazione. “Non facciamo che litigare come se fossimo due bambini di terza elementare.”

Virginia s’irrigidì nel sentirlo chiamarla per nome invece che Zenzy, il soprannome che lui le aveva affibbiato quando erano bambini. Voleva dirgli che era d’accordo, che adesso erano quasi due adulti, eppure sentiva che qualsiasi cosa avesse detto in quel momento le si sarebbe ritorta contro. Lo sentì inspirare come per dire qualcosa, ma un botto improvviso gli bloccò le parole sulle labbra, e il cielo venne illuminato da un’esplosione di effimere stelle multicolori: Virginia sobbalzò quando sentì la mano di Matt stringere la sua, mentre i fuochi d’artificio annunciavano la mezzanotte. Con un groppo alla gola incrociò lo sguardo di Matt, il quale le rivolse uno dei suoi sorrisi ornati di fossette.

“Buon anno, Zenzy,” disse lui con una punta d’esitazione.

Una parte di Virginia si era aspettata quel bacio e sapeva anche che non aveva nulla a che fare con quello di Biagio. “Non credi di andare un po’ troppo di fretta?” mormorò, girando la testa e sfilando la propria mano dalla sua. “Dopotutto non ci siamo parlati per sei anni.”

Ipocrita, con Biagio non hai fatto tanto la preziosa. Le sibilarono le voci di Chantal e Audrey, per poi canticchiare chiodo schiaccia chiodo, come avevano fatto tre o quattro settimane dopo la fine della sua storia con Liam, e quella stessa parte di se stessa le suggeriva di dar ascolto alle sue amiche e di dimenticare Biagio iniziando a uscire con Matt.

“Beh, mi era sembrato un modo carino di iniziare l’anno, Zenzy.” Matt rise complice, poi la sua voce si fece più seria.

Se Liam non avesse distrutto la sua fiducia nel genere maschile, se Biagio fosse rimasto solo un username senza volto, Virginia avrebbe scherzato e accettato le avances di Matt con la stessa leggerezza di una quindicenne. Non era infastidita con lui ma con se stessa, perché Matt era il tipo di ragazzo che le era sempre piaciuto e che sarebbe continuato a piacerle se non avesse imparato a sue spese come soddisfare tutti i suoi criteri ideali non fosse sempre sufficiente per essere la scelta migliore.

Si strinse nel cappotto, affondando il mento nella lana. “Beh, sì, Buon Anno anche a te, Broccolo.”

 

——————

 

Biagio stappò la bottiglia, che produsse un sibilo leggero invece del tanto atteso botto: gli amici più vicino a lui rotearono gli occhi o scrollarono la testa, o fecero entrambe le cose, cui lui rispose con un sorriso e riempendo flûte –i suoi amici conoscevano e perdonavano le sue piccole manie insignificanti. Irene gli cinse il collo con le braccia e gli stampò un bacio sulla guancia augurandogli un felice anno, un gesto che ripeté con George e con i loro amici comuni. Non erano più di una quindicina fra amici e compagni di corso più stretti, gli stessi che erano stati presenti quando si era deciso di festeggiare il Capodanno da Biagio.

Biagio stappò un’altra bottiglia e riempì nuovamente bicchieri, annuendo soprappensiero alla proposta di qualcuno di andare al cinema il sabato successivo. Finse di non vedere le occhiate e i bisbigli che Devi e la sua migliore amica si scambiavano, così come finse di non vedere lo sguardo che gli aveva riservato Andrew, il suo ex-compagno di stanza,. Biagio sentiva che confabulavano qualcosa alle sue spalle, ma non percepiva alcuna minaccia da parte sentiva che stavano confabulando qualcosa alle sue spalle, ma non percepiva alcuna minaccia da parte loro e continuò a svolgere il suo dovere d’ospite.

I primi invitati iniziarono ad andare via verso l’una, lasciando che pochi insistessero a pulire sommariamente il salotto: alcuni raccolsero la spazzatura, altri i cadaveri di bottiglie accumulati fra i divani, altri ancora le stoviglie da lavare. Biagio caricò con dovizia la lavastoviglie, cercando di metterci più roba possibile, quindi infilò i guanti di gomma e, dopo aver indicato ad Andrew dove posare i cartoni delle bottiglie, attaccò la pila di piatti.

“Dove ti metto questi?” gli chiese Devi, reggendo fra le mani un paio di insalatiere sporche di salsa e frammenti d’insalata.

“Lascia pure qui,” rispose lui indicando con il naso uno spazio libero sul piano d’appoggio. Si sentiva addosso lo sguardo di Devi, la sua indecisione, il leggero imbarazzo con cui aveva risposto al saluto di Andrew quando questi se n'era andato.

“C’è… altro che posso fare?” lei chiese infine.

Ma Biagio scosse la testa. “Posso finire da solo,” rispose scoccandole un sorriso che la fece arrossire.

Devi strinse le labbra, incerta, poi afferrò uno strofinaccio e iniziò ad asciugare le stoviglie nello scolapiatti. Biagio fece per protestare ma lei lo zittì con un piccolo sorriso e mormorando: “Tenevo a ringraziarti di persona per l’e-mail dell’altro giorno. Spero che l’avermi passato quella… ehm… traduzione non ti dia problemi.”

 “Non è proprio un’infrazione del Trattato di M’gronn,” rispose Biagio strofinando lo sporco incrostato di una teglia.

“Prego?”

Alzando la testa, non poté fare a meno di notare quanto fosse confuso lo sguardo di Devi, per cui le diede un sorriso colpevole e spiegò. “Prima di mandarti quel documento ho fatto qualche ricerca: nel nostro piano di realtà c’è chi ha già proposto una possibile connessione fra alcune infezioni croniche e l’autismo.”

“Solo che da noi le infezioni si curano con gli antibiotici,” rise lei dandogli una gomitata, “e in quell’articolo si parlava di usare i poteri di Podestari specializzati nell’eliminazione dei batteri e la degradazione molecolare delle tossine.”

“Oddio, la mia traduzione non è perfetta!” rise Biagio imitandola, poi aggiunse un po’ più serio. “Alkonost è un mondo molto più avanzato del nostro, sia scientificamente che magicamente: per esempio, con le loro coordinate dei Mondi Distanti potrei accedere anche a un piano di realtà che non conosco.”

Devi annuì e per un po’ continuò ad asciugare i piatti in silenzio, riscuotendosi dai suoi pensieri per ricambiare il saluto di un paio di amici che andavano via.

“Ehi, se mi dici dov’è l’aspirapolvere, ti do una passata al pavimento che sembra un campo di battaglia!” chiese a gran voce l’amica di Devi.

“Tu non hai mai visto un vero campo di battaglia, Martha! Lascia stare, me ne occuperò non appena ho finito qui,” rispose Biagio, ma Martha fu insistente e pochi minuti dopo l’aria si riempì del rumore dell’aspirapolvere.

Biagio tornò all’acquaio sospirando e scuotendo la testa, fingendo di non notare lo sguardo che Martha gli aveva lanciato. In quel lasso di tempo, Devi aveva finito di asciugare i piatti e aveva iniziato a rimetterli a posto: Biagio la trovò allungata verso la mensola in cui erano allineati i bicchieri. Le sfilò dalle mani i flûte e li pose sulla mensola più in alto, poi si volse verso di lei per ricordarle che si stava facendo un po’ troppo tardi, per ringraziarla dell’aiuto; tuttavia le sue parole furono bloccate dalle labbra di Devi.

“Un grazie era più che sufficiente,” mormorò Biagio, scostandosi quanto bastava per separare le loro labbra e prendendole le mani che avevano iniziato a scivolare sulle sue spalle.

Non era proprio disagio, quello che gli serpeggiava nel petto ma incertezza: in altre circostanze avrebbe considerato le avances di Devi come un segno e le avrebbe accettate, tuttavia aveva incontrato le Grigie Dame neanche ventiquattro ore prima e aveva bisogno di tempo per interpretare le loro parole. La questione si riduceva a come rifiutare momentaneamente Devi senza eliminare la possibilità di una relazione fra loro.

“Non era solo un grazie,” rispose Devi, il suo bisbiglio udibile solo grazie alla vicinanza. “Mi piaci, Biagio, e… beh, anch’io ti piaccio, no?”

“Non trovi che la risposta sia irrilevante a questo punto?” Biagio sospirò senza scostarsi.

Non gli piacque l’espressione che fece Devi a quelle parole, tanto che per un attimo credette di aver usato quelle sbagliate. Poteva anche leggere un cenno di confusione sul suo viso, perché lui non aveva fatto nulla per respingere né accettare le sue avances. Devi fece per rispondere, quando il rumore dell’aspirapolvere si spense per lasciar posto alla voce di Linda, probabilmente tornata a casa in quel momento. Devi fece un passo indietro, con un’espressione delusa dipinta sul volto.

“Non dovevi restare a dormire da Jane?” Biagio chiese a sua sorella, attraversando il corridoio che portava dalla cucina all’ingresso.

Linda non rispose subito. Fissò lui e Devi che trotterellava alle spalle di suo fratello senza curarsi di nascondere il sospetto e l’astio. “Ho cambiato idea. E mi sono fatta dare uno strappo dalla madre di Sabrina.” Poi Linda rivolse un sorriso amabile e complice agli altri amici di Biagio. “Vi ringrazio per aver aiutato mio fratello a distruggere le prove dei bagordi.”

George rise a quella battuta e Martha lanciò una rapida occhiata a Devi dicendo: “Allora ti cediamo il posto. E grazie per la serata, Biagio: a sabato, allora!”

Rimasti soli in casa, Linda fissò suo fratello, silenziosa e guardinga, mentre si sfilava il cappotto e iniziava a spazzare il pavimento lì dove l’aspirapolvere non era stato passato. “Lei ci ha provato, nevvero?” sibilò avvelenata. “Le hai permetto di provarci nonostante tu sia innamorato di Virginia… perché accidenti glielo hai permesso?!”

Biagio non diede a vedere quanto fosse infastidito da quelle parole: avrebbe dovuto ringraziare Linda per il suo rientro imprevisto che gli aveva permesso di evitare di dare un o un no a Devi, tuttavia lo infastidiva che sua sorella minore si rivolgesse a lui con quel tono. “Non è a te che devo rendere conto di quel che faccio.” Borbottò infine. “Inoltre non sei tu che devi avere a che fare con le Grigie Dame, sei ancora troppo giovane.”

“Andiamo Biagio! Chi al giorno d’oggi consulta un oracolo?!” esclamò lei, alzando le braccia e gli occhi. “Te l’ho già detto una volta: non puoi decidere la tua vita secondo quello che dicono tre vecchie fatte di chissà cosa!”

“E fare la stessa fine di Nonno e Kathleen? O peggio: dello zio Vittorio, buon’anima, che se ne fregò dei suoi, di oracoli?”

Nella loro famiglia, non mancavano gli aneddoti curiosi o interessanti, ma le vicende legate alla scomparsa del fratello maggiore di suo nonno era qualcosa che, da bambino, aveva causato a Biagio degli incubi. Perdersi nel Mezzo senza la possibilità di ritornare dai propri cari, per morire o forse vivere in eterno sospesi in un attimo cristallizzato era qualcosa che gli faceva comprendere quanto fosse pericoloso essere un Viaggiatore. Biagio si massaggiò quasi meccanicamente l’avambraccio destro, immaginando più che sentendo la cicatrice felciforme che lo percorreva – il monito a non aprire mai più un Ponte senza conoscere la destinazione.

“E comunque, auguri.”

“Già, buon anno anche a te.”

 

 

L’inutileangolo dell’autrice

1. Ahkku: nonna in Samii del nord

 

Questa volta, facciamo un po' di pubblicità ;-)
La versione inglese di Podestaria partecipa ai Wattys Awards 2015, per cui, se siete iscritti anche su Wattpad e volete che Virginia e Biagio abbino una chance in più di vincere, vi invito caldissimamente a votare la loro storia! Infatti, uno dei fattori che peseranno maggiormente nella scelta delle storie vincitrici sono proprio le statistiche (intese come numero di letture complete, voti e suppongo anche commenti), per cui il vostro sostegno è essenziale!

Vi ricordo la pagina FB dedicata a “Podestaria”: mipiaciatela e non esitate a lasciare una parolina o due, aiutatemi a farla crescere perché è molto, molto importante per me e per i programmi che ho per questa storia!

Grazie a chi, non solo ha letto queste righe, ma lascerà anche un commento.

 

Kindest regards,

D. Rose

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


Podestaria

 

 

Capitolo 14

 

Biagio alzò di scatto lo sguardo sulla finestra della biblioteca, corrugando la fronte. Pose in malo modo il diario sulla poltrona e raggiunse la finestra: oltre il cortile anteriore e la piazza orlata di alberi spogli, intravide un’ambulanza svoltare in una strada vicina, le sirene spiegate. Controllò che l’infisso fosse chiuso, maledicendo il vetro singolo, e tornò sbuffando alla sua poltrona. Dopo tre anni trascorsi a Oxford, Biagio trovava appena sopportabile il trambusto di Londra, sensazione accentuata dalla tensione costante che caratterizzava da anni la casa di famiglia nella Capitale.

Osservò con la coda dell’occhio Linda, impegnata a terminare i propri compiti per le vacanze natalizie: percepiva in sua sorella la stessa tensione e nervosismo che lo pervadeva, il desiderio di tornare a Oxford prima possibile. Kathleen non faceva nulla per nascondere la disapprovazione che nutriva nei loro confronti, neppure in quelle occasioni in cui avrebbe dovuto ingoiare il proprio orgoglio e fingere che fossero una famiglia unita e felice. Biagio conosceva e comprendeva le sue ragioni, ma non l’avrebbe giustificata.

Tornò alla poltrona, estraendo da una tasca il proprio cellulare.

[ Concerto jazz alle 8. Vieni? – D. ]

Biagio lesse di nuovo il messaggio, esitando sulla risposta da inviare. Dopo quello che era accaduto a Capodanno, era palese che Devi cercasse di crearsi un’occasione per restare sola con lui. La cosa più logica da fare era accettare l’invito, poiché Biagio aveva in programma di tornare a Oxford nel tardo pomeriggio, eppure l’istinto gli suggeriva di desistere. Decise di rispondere dopo il pranzo e ricominciò a leggere il vecchio taccuino.

Il diario dello Zauberergraf Leopoldo Tricano del 1814 terminava con delle opinioni personali su alcuni membri della delegazione francese al Congresso di Vienna e nessuna informazione utile per la sua tesi. Biagio si stiracchiò, quindi pose il diario fra la coscia e il bracciolo della poltrona e cercò dallo zaino quello del 1815. Mentre frugava fra le sue cose, si ritrovò fra le mani il libro di Economia. Se un tempo aveva trovato ristoro nella risoluzione di un’equazione o nella dimostrazione di un teorema complicato, adesso la vista dei numeri non faceva altro che evocare l’immagine di Virginia nel suo studio, fra il mobile basso e la porta che conduceva alla sua camera.

Su, Biagio, devi resistere fino a luglio, e vedrai che sarà molto più facile dimenticarla una volta lasciato questo piano di realtà, si disse allontanando quei pensieri con un gesto della mano, come se fossero insetti fastidiosi.

Biagio si abbandonò all’abbraccio della poltrona e iniziò a leggere il diario corrugando la fronte. Annotazioni sugli incontri fra le varie delegazioni si alternavano ad aneddoti più personali – la trascrizione fedele del commento che l’osservatore di Faërie aveva fatto sulla Santa Alleanza gli strappò un sorriso – e poi, come un fulmine a ciel sereno, un passaggio che rimandava agli auspici per quell’anno e alla loro interpretazione.

Berthille ed io abbiamo deciso di fuggire, dato che suo padre si oppone così fermamente a noi.
E a pensarci bene, le Grigie Dame mi avevano avvertito, il “Padre Giove” non può che riferirsi a Monsieur de la Tourelle-Langlois.

Biagio poteva quasi sentire il rumore degli ingranaggi mettersi in moto. L’immagine di Mrs. Bergman che usciva dalla cucina della sala da tè, con un’espressione preoccupata e gli avambracci bianchi di farina si stagliò netta nella sua mente come se l’avesse davanti agli occhi.

Biagio rilesse il passaggio più volte, poi riprese il diario del 1814 e ritornò sulle pagine dedicate ai mesi di maggio e giugno, divorandole avidamente con gli occhi. Era tanto concentrato che non sentì né la porta aprirsi, né il rumore dei passi attutito dal tappeto.

 “Sua Signoria ti manda questo,” sibilò sua nonna con un tono avvelenato, lanciandogli in malo modo un pacchetto avvolto in carta da imballaggio sulle ginocchia. “Come se non avessi altro da fare che essere il suo galoppino.”

Biagio sbatté le palpebre un paio di volte, guardandola con un’espressione intontita. “Grazie tante, Kathleen,” disse meccanicamente, riprendendo il suo zaino e cercando la propria Moleskin. Non aveva né tempo da sprecare litigando con lei né tantomeno la voglia. Si mordicchiò nervosamente il labbro e, quando l’occhio gli cadde sul pacchetto, non poté non notare il messaggio scritto con la calligrafia perfetta della Contessa Zia.

So che ti tornerà utile per trovare la tua bella.
Berengére Orsola Tricano, in Weatherby

Biagio scartò il pacco in fretta: all’interno vi era un libro dalla copertina anonima in marocchino e con alcuni nastri usati come segnalibro, di cui uno recava una piccola etichetta con 1 segnato sopra. Biagio aprì proprio la pagina indicata da quel segnalibro.

È curioso notare come le profezie che ci guidano verso la nostra compagna di vita ci diano indizi sul nome, sia esso quello pronunziato dal sacerdote durante il sacramento del battesimo che quello da preziosa, vestendone in metafore et allegorie il significato.

“Ma chi si crede di essere?” sibilò Linda, stringendo gli occhi a due fessure. “Dovrebbe essere grata che la Contessa Zia le permetta di vivere qui.”

Biagio aprì la propria moleskine alla pagina in cui aveva trascritto le due profezie: non era ancora riuscito a riflettere sulla nuova, tuttavia quella frase gli apriva nuove porte per entrambe, facendolo dubitare sull’interpretazione che aveva dato alla vecchia. Le rilesse attentamente, con uno sguardo diverso, poi lesse ogni pagina segnata del libro che gli aveva mandato la Contessa Zia.

Chiesi a Messer d’Aiolfo perché il nome Virginia non dovrebbe essere dato alla leggera: secondo lui, solo una Varglion dovrebbe essere nominata in tal modo, poiché non deriverebbe solo dal latino virgo come suole supporre il popolo, ma anche da virga – e mi fece notar come le due parole siano nate dal medesimo etimo – oppur da vercna, con cui le genti d’Etruria indicavan la fiamma. Supposi di potermi fidare – non ha fors’egli assistito alla nascita di Roma? – e rinunziai a chiamar così la neonata.

“Davvero, sei un idiota, Biagio: perché non hai pensato a qualcosa di così semplice?” rise, quindi si alzò di scatto e fece scostare sua sorella dal portabile. “Scusami Linda, sarò veloce.”

Cercò il significato sia del nome sia del cognome di Devi, ma entrambi avrebbero calzato la profezia solo con delle grosse forzature. Biagio cercò d’ignorare quel germoglio di speranza che iniziava a gonfiarsi nel suo petto, mentre ripeteva la ricerca per il nome completo di Virginia. . Fu anche troppo facile trovare conferma che Uomo di Montagna non fosse altro che il significato di Bergman, e aveva saputo fin dal primo giorno che Ragna significava consiglio o aiuto. Tuttavia, non trovò conferma di quello che era scritto nel libro mandatogli dalla Contessa Zia sul nome Virginia e la ragione gli imponeva di non credere a qualcosa che non poteva essere confermato, eppure…

Dovresti pensare di meno e agire di più: il tuo nome non è forse Audacia? Lo sfidò una voce che era e non era la sua – la voce di suo padre.

Biagio guardò l’ora sul monitor: mancavano poco meno di due ore al pranzo e Kathleen non tollerava ritardi, soprattutto da parte sua e di Linda. Per prima cosa, verificò che lo Scarlett’s Cafè fosse aperto: la domenica era giorno di chiusura. Cercò su Google Maps Rana’s Farm – non ricordava l’indirizzo, ma sapeva dov’era rispetto a Sweet Waters Cottage – e verificò quale fosse il tragitto più breve per raggiungere la fattoria con l’auto – suo nonno era uno dei pochi folli a circolare dentro Londra con un mezzo proprio – e soffiò di rabbia nel vedere che gli ci sarebbe voluta almeno un’ora, senza contare possibili ingorghi stradali. La sua parte più ragionevole gli suggeriva di aspettare il pomeriggio, mentre sfregava leggermente l’avambraccio destro.

Biagio si alzò di scatto, uscendo dalla libreria. “Nonno?” chiamò con una nota d’urgenza nella voce e quando vide comparire Mr. Tricano ai piedi della scalinata non gli diede neanche il tempo di chiedergli se ci fosse un problema. “Nonno, hai lasciato un’auto al cottage?”

Mr. Tricano inarcò entrambe le sopracciglia. “Ci sarebbe Marisa la Gia--”

“Ti spiace prestarmela?” lo interruppe, dirigendosi verso lo studio privato di suo nonno.

“No, non mi dispiace! Mi fa piacere quando porti fuori una delle mie ragazze,” rispose con una punta di curiosità, raggiungendolo. Quando lo vide frugare in un armadio, tuttavia, la sua voce perse ogni frivolezza. “Che diamine hai intenzione di fare, Biagio? Non vorrai andare al cottage attraverso un portale!”

“Ho già perso troppo tempo,” rispose Biagio, calciando via il tappeto esponendo l’intricato intarsio circolare.

“Non puoi essere così di fretta!” lo rimproverò suo nonno.

Biagio si limitò a dargli un sorriso tagliente e a dire, audace: “Tu non avresti fatto lo stesso per Estela?”

L’espressione di Mr. Tricano si rabbuiò, mentre osservava suo nipote concentrarsi, iniziando a percepire un sapore metallico ed elettrico sulla lingua. “A parte che quelli erano altri tempi e lei viveva sull’altra sponda dell’Atlantico, tu hai il numero della ragazza, no? Chiamala se davvero non vuoi perdere tempo.” Vedendo che Biagio non desisteva, sbuffò: “Io non ti copro.”

Biagio sapeva che avrebbe avuto dei problemi per aver aperto un portale non autorizzato, anche se per coprire una distanza così breve: sarebbe stato convocato sia dall’UNARNH e che dal Dipartimento di Crimine Paranormale, ma non gli importava. Quello che contava era raggiungere Virginia nel minor tempo possibile. Si chiese se dovesse arrivare direttamente a Rana’s Farm e poi raggiungere a piedi il cottage, oppure andare al cottage per prendere la macchina di suo nonno.

“Aspetta un attimo!” ansimò Linda entrando di colpo nello studio. Prede un paio di respiri, poi gli passò il caban, la sciarpa e un quaderno dalla copertina un po’ sporca di cioccolato, sorridendo complice. “Devi pur sempre avere una scusa, no?”

Biagio la guardò dubbioso, un’espressione che si mutò in muta gratitudine quando riconobbe la calligrafia del quaderno. Si piazzò al centro del cerchio e, preso un respiro profondo, iniziò a cantilenare.

 

——— • ———

 

Virginia avvolse la ghirlanda delle luci di Natale attorno al braccio e la pose dentro la scatola di cartone assieme alle altre decorazioni natalizie, quindi osservò il salotto puntando i pugni sulle anche: tutte le tracce delle feste appena trascorse erano sparite, tranne la ghirlanda di cartoline d’auguri –più tardi Finn ne avrebbe selezionato le più belle od originali – e un abete un po’ rinsecchito. Sentiva un certo sollievo in quello che stava facendo, come se mettendo via le palline di vetro e le ghirlande stesse materialmente girando una pagina: l’anno vecchio era finito con il suo bagaglio di piccoli e grandi dolori che non aveva intenzione di portare in quello nuovo.

No, Vir’, non pensare né al sogno né a lui, si disse scuotendo la testa e sollevando la scatola per portarla in soffitta.

Mentre saliva le scale, sentì sua madre in cucina rispondere al proprio cellulare con il classico: “Lo staff dello Scarlett’s Cafè vi augura una buona giornata. Come possiamo aiutarvi?” E mentre Virginia armeggiava con la scaletta che conduceva alla soffitta, Mrs. Bergman la chiamò: “Vir’, io devo uscire un attimo: lascia le decorazioni e vieni a girare la crema!”

“Subito!” rispose, spingendo con un piede la scatola contro il muro e scendendo di corsa in cucina, per prendere il posto di sua madre ai fornelli.

Mrs. Bergman uscì sul cortile anteriore, per poi tornare una decina di minuti dopo in compagnia di Mr. Bergman. Virginia inarcò un sopracciglio, osservando l’espressione un po’ stupita e un po’ compiaciuta di sua madre, e quella arrabbiata di suo padre.

“Faccia tosta!” borbottò Mr. Bergman, lanciando a sua figlia un’occhiataccia tale che Virginia si chiese che cosa lei avesse potuto fare per far arrabbiare suo padre in quel modo.

“Tesoro, te lo posso giurare sulla tomba di Sarah: è sincero. Anche se non ho capito neanche la metà di quello che mi ha mostrato,” rispose Mrs. Bergman con un tono di voce conciliatore – qualunque fosse la ragione dietro la loro discussione, Virginia sapeva che, se sua madre doveva essere più che seria nella sua opinione. Eppure, quando entrò nella cucina, sua madre le rivolse un sorriso incoraggiante. “Hai una visita.”

“Ah?” rispose Virginia, inarcando entrambe le sopracciglia per lo stupore mentre si affacciava sul corridoio.

Le sue guance arrossirono mentre un misto di speranza, rabbia e un altro sentimento che non voleva nominare le esplose nel basso ventre. Davanti al portico c’era Biagio col suo solito sorriso sul volto, che agitava una mano in segno di saluto e premeva un lembo di fazzoletto contro il naso sporco di sangue.

“Non ho niente da dirgli,” sibilò secca, distogliendo immediatamente lo sguardo da Biagio. Virginia sapeva che, se lo avesse guardato negli occhi, se avesse sentito la sua voce, sarebbe stato difficile ignorare quel sentimento che aveva ripreso a bollire dentro di lei.

Tuttavia, sua madre alzò gli occhi e sbuffò. “Ma lui sì. È venuto qui apposta da Londra!”

Suo padre, invece, le sorrise orgoglioso e le scompigliò i capelli. “Questa è la mia bambina.”

Virginia tornò a occuparsi della scatola con le decorazioni natalizie, a passare l’aspirapolvere nel salotto, a spolverare le cornici con le foto di Leonor e Marcos affollate sui ripiani dei mobili e sulle pareti. Oltre il tessuto semitrasparente delle tende, poteva vedere la sagoma di Biagio che aspettava. Una parte di lei voleva gettarsi fra le sue braccia, lasciarsi andare a quel sentimento di cui non si credeva più capace. Con stizza, riprese ad affaccendarsi per ignorare quella pulsione, Biagio che continuava ad aspettare in cortile e Lady Déa che miagolava per attirare la sua attenzione.

Sentì un’auto arrivare, delle portelle schioccare, le risate argentine dei suoi nipotini e, dopo pochi istanti, la voce di suo fratello Pat chiedere: “Chi è quel tizio là fuori?”

“Uno sfacciato – un amico di Vir’,” sentì suo padre e sua madre rispondere quasi all’unisono.

“Un amico o un amico?” domandò a sua volta Ines, comparendo fra gli stipiti della porta del soggiorno. Volse la testa e fissò Virginia con aria curiosa. “Perché non lo fai entrare?”

“Non ho niente da dirgli,” ripeté Virginia, spostandosi in corridoio per dispensare coccole e moine ai suoi nipotini, un’attività che la metteva sempre di buon umore.

“È il tuo Principe Azzurro?” Leonor chiese, guardando la zia con i suoi grandi occhi a mandorla color ghiaccio, che spiccavano sulla pelle mulatta.

Tu e la tua fissazione per le principesse Disney.

“Ma cosa ti salta in mente, Nonô – Sì: è venuto apposta da Londra per chiedere alla zia se vuole essere la sua fidanzatina,” risposero quasi all’unisono Virginia e sua madre.

Ines corrugò la fronte mentre toglieva il cappotto di Marcos. “Quello sarebbe il ragazzo di cui mi hai parlato?” Virginia strinse le labbra e guardò altrove, annuendo infastidita. A quella muta risposta, Ines sbuffò esasperata. “No, fammi capire una cosa, Vir’. Ti lamenti che non ti ha dato una spiegazione e non si è scusato, ti fai una marea di paturnie, e quando lui viene qui, a casa tua, facendosi un’ora di auto senza contare il traffico, tu cosa fai? Lo lasci lì fuori, con questo freddo, ad aspettare per…”

“Per mezz’ora.”

“Per mezz’ora, grazie Scarlett.” Non appena ebbe pronunciato quelle parole, Ines sgranò gli occhi allibita. “Mezz’ora? Ma stiamo scherzando?!” si volse verso la porta e fischiò, stupita. “È persistente, il ragazzo.” Tornò a guardare Virginia e prese Marcos in braccio, annusandogli il sedere. “Lungi da me immischiarmi nella tua vita sentimentale, ma al tuo posto una chance gliela darei.”

“E se poi mi lasciasse?” Virginia sputò, rendendosi conto di quello che aveva detto un secondo troppo tardi.

“In quel caso, mia cara, t’ingozzerai di gelato per una settimana, ti iscriverai in una palestra per smaltire i kili accumulati e incontrerai il tuo Mr. Right.” ribatté Ines seria, poi fece un occhiolino a Pat e aggiunse con un sorriso malizioso. “Esattamente com’è successo a me.”

 Virginia masticò l’interno delle guance, voleva e non voleva dar ascolto a Ines. Sbuffò, decisa a non lasciarsi accecare una seconda volta dai suoi sentimenti e aprì la bocca per dirlo, ma tutto quello che le uscì dalla bocca fu un Nonô torna dentro quando vide sua nipote uscire sul portico, senza cappotto. Leonor la ignorò e continuò a salterellare verso il cortile, non lasciando a sua zia altra scelta che inseguirla.

Leonor si piazzò davanti a Biagio, che si accovacciò per essere allo stesso livello. “Tu sei un principe, vero?” disse, inclinando la testa su un lato.

Virginia si schiaffeggiò mentalmente la fronte. Biagio, invece, non rispose subito: studiò Leonor con stupore, e poi le sue labbra s’incurvarono nel più dolce dei sorrisi.

 “Ma devi promettermi di non dirlo a nessuno.” Fu la risposta inaspettata di Biagio, mormorata come se fosse un segreto troppo grande per una bambina di cinque anni.

“Nonô, entra o ti beccherai un raffreddore,” disse Virginia guardando con cipiglio Leonor, che corse all’interno dell’edificio.

Trasalì quando Biagio alzò lo sguardo su di lei: per un attimo, Virginia ebbe una sensazione di déjà-vu e cercò di non guardare i suoi occhi, le sue labbra leggermente tremanti per il freddo – gli guardò le narici ancora orlate di sangue, e si chiese se suo padre non gli avesse mollato un pugno in faccia.

“Buongiorno, Virginia,” la salutò Biagio, con una leggera incrinazione quando pronunciò il suo nome, alzandosi lentamente.

Virginia si strinse nella felpa e incrociò le braccia sul petto, in un gesto difensivo contro il freddo e contro Biagio. “Se sei venuto per il gatto, avresti dovuto mandarmi un messaggio per avvertirmi,” borbottò dopo un po’.

“Dovevo chiedere una cosa a tua madre,” rispose lui scuotendo la testa.

Virginia inarcò un sopracciglio, e solo allora si rese conto che si era avvicinato, che indossava la sciarpa che gli aveva regalato. Vedergliela addosso le fece attorcigliare le viscere di rabbia e piacere. “Se… se volevi ordinare una torta, bastava chiamare: il numero del caffè lo trovi su internet,” rispose, cercando di mantenere un tono professionale.

“Si tratta di qualcosa che tenevo a chiederle di persona: te l’ho detto, no, che sono vecchio dentro. E poi…” Prese da una tasca un quaderno, che Virginia riconobbe immediatamente. “Linda mi ha chiesto di restituirti questo.”

Virginia aspettò che lui le porgesse il ricettario, poi sbuffò irritata e dovette avvicinarsi a sua volta per prenderlo. Tuttavia, Biagio lo allontanò dalla sua mano.

“E poi dovevo parlarti. Urgentemente.” Il modo con cui Biagio aveva pronunciato quell’ultima parola la fece arrossire suo malgrado.

Virginia distolse lo sguardo, fissandolo su un cespuglio spoglio. “Spi-spicciati, allora: si gela.”

“Sì, certo. Dunque…” Per la prima volta da quando lo conosceva, Biagio sembrava faticare a trovare le parole. Qualcuno avrebbe potuto azzardare che fosse perfino imbarazzato. “Stai tremando,” disse infine, sfilandosi il caban e posandolo sulle sue spalle, lasciando che l’unica barriera contro il freddo fosse la sciarpa e un maglioncino.

Virginia fu tentata di indulgere nel leggero tepore del caban, nel suo odore di Biagio. Durò una frazione di secondo. Virginia cercò di allontanare il caban, solo per avere le mani di Biagio stringere il bavero con più fermezza. 

“Grazie per la sciarpa, Virginia: l’hai fatta tu, nevvero? È molto morbida… e calda.” Il come te rimase sospeso fra loro, non detto ma presente.

Virginia detestava quando Biagio giocava a quel modo con le parole, assegnando loro significati e sottintesi non comprensibili. “Mi hai già mandato un SMS,” ringhiò, cercando di mantenere sotto controllo la sua rabbia e la sua gioia.

“È stato un errore,” ammise Biagio dopo un attimo di silenzio, “non avrei dovuto…”

“E sei venuto qui per dirmi qualcosa che già sapevo?” lo interruppe Virginia, sentendo la rabbia crescerle dentro. “Come se non bastasse quello che mi hai detto l’ultima volta? Ma non ti vergogni?”

Biagio la guardò inespressivo. “Vergogna e imbarazzo sono gramigne da estirpare: ho dimenticato quando è stata l'ultima volta che ho provato uno di questi sentimenti. E tu non mi hai lasciato finire di parlare, Virginia.” Si chinò in avanti, in modo che i loro occhi fossero allo stesso livello, e sorrise dolcemente. “È stato un errore lasciarti andare.”

Virginia sbatté le palpebre, incredula. Una parte di lei che credeva morta voleva credere alle parole di Biagio, le parole che aveva voluto sentire quel pomeriggio, stringerlo a sé, sentire la sua bocca sulla propria e le sue dita callose contarle le vertebre. Tuttavia la ragione le diceva di non farlo, ricordandole tutte le volte che era accaduta la stessa cosa con Liam, tutte le volte che si era illusa e aveva spento il cervello nel sentire quei perdonami non accadrà più e ti amo così tanto accorati. Ripensò a tutto quello che era successo fra lei e Liam, fra lei e Biagio, al suo bacio con Matt ed ebbe paura di ricadere in quel baratro.

Virginia prese un respiro profondo e lo guardò con aria di sfida, ma fu capace di sostenere il suo sguardo solo per una frazione di secondo. “Non ti facevo così presuntuoso. Un presuntuoso che si diverte a giocherellare con i sentimenti degli altri.” Disse freddamente, usando un tono atto più a ferire che a riconciliare.

“Sei ingiusta, Virginia,” rispose Biagio con la voce che tremava forse per il freddo e forse per qualsiasi sentimento stesse provando in quel momento. “Se stessi giocando con te, non sarei venuto qui con un Ponte, sapendo in quali guai mi sarei messo pur conoscendone le conseguenze. Se stessi giocando con te non avrei permesso a tua madre di entrare nel mio giardino segreto per rassicurarla della mia serietà.”

“Pretendi che ti creda?!” esclamò Virginia, più ferita che lusingata dalle sue parole e dai ricordi che queste rievocavano – sono andato a Londra apposta per comprartela… il prezzo non rappresenta neanche un centesimo del mio amore. Prese un respiro profondo per calmarsi, chiudendo gli occhi per cacciare dentro le lacrime. “E poi… sto con qualcun altro.”

Non era esattamente la verità, poiché non aveva dato nessuna risposta a Matt e lui non aveva insistito più di tanto per averla. Avevano solo convenuto di riallacciare la loro amicizia e vedere dove sarebbero andate le cose fra loro.

“Davvero?” chiese Biagio, con il tono di chi abbia riconosciuto la menzogna del proprio interlocutore. “Non è un incantesimo banale, quello con cui ti chiamo nel Sogno: non funziona se il richiamato prova dei sentimenti per qualcun altro. Tuttavia ci possono essere le eccezioni alla regola: dammi tre buone spiegazioni e non ti importunerò più.”

Virginia sgranò gli occhi e il ricordo del sogno e della sensazione di realtà la colpì come uno schiaffo. “Questo… questo è stalking! Dovrei denunciarti.”

“Denunci chiunque ti telefoni, Virginia? Io ti ho chiamata, tu mi hai risposto: nulla di più, nulla di meno.” Insinuò lui con un sorriso tagliente.

“Va’ a quel paese!” singhiozzò infine, lanciandogli il cappotto con rabbia e voltandosi verso la porta. (chiedo venia, ma non riesco a rinunciare al ma vaffa XD)

Ma quando strinse la maniglia fra le dita, lo sentì dire: “Aspetterò fino a quando non mi darai le tre spiegazioni.”

Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso. Virginia si volse quanto bastava per lanciargli un’occhiata di brace. “E cosa vorreste sentirsi dire, Vostra Altezzosità? Che mi sono innamorata di voi? Spiacente, ma questa soddisfazione non… Stupida!” sibilò, rendendosi conto troppo tardi che aveva fatto il suo gioco. “Stupida stupida stupida! Vir’ sei la più grande idiota --”

Le sue parole furono bloccate dall’abbraccio di Biagio. Sentì le sue dita affondare nelle pieghe della maglia, le sue braccia tirarla a sé fermamente, e le sue labbra premere con disperazione in quel punto appena sotto l’orecchio, dove la giugulare s’inseriva fra la mascella e il collo come aveva fatto tre settimane prima – come aveva sempre fatto nel sogno. E suo malgrado, Virginia sentì le proprie ginocchia cedere ancora una volta, obbligandola a cercare sostegno nelle sue braccia.

“Non sarà per niente facile stare con me e ci potrebbero essere momenti in cui potresti rimpiangere questa decisione: mentirei se dicessi il contrario.” sussurrò Biagio, serio, poi la fece voltare verso di sé e la guardò negli occhi. “Mi sei mancata, Virginia.”

Le labbra di Biagio erano fredde e tremanti sulle sue, e per un attimo Virginia fu combattuta fra il desiderio di cacciarlo a pedate nel sedere e la voglia di render loro il calore.

“Ines ha ragione, sei persistente,” sibilò Virginia sulle sue labbra, afferrando il bavero del caban per tirare Biagio a sé.

Fu un bacio liberatorio, in un certo senso, poiché man mano che diventava più profondo, Virginia sentiva le proprie incertezze e paure affievolirsi. Era come se non le importassero più di tanto, così come non le importava che forse i suoi genitori e Ines la stessero spiando in quel momento, né che lei indossasse solo una felpa di pile e che la temperatura fosse vicina allo zero. E qualcosa nel profondo le diceva che nessuno l’aveva mai baciata a quel modo.

 

 

L’inutileangolo dell’autrice

 

 Questa volta, facciamo un po' di pubblicità ;-)
La versione inglese di Podestaria partecipa ai Wattys Awards 2015, per cui, se siete iscritti anche su Wattpad e volete che Virginia e Biagio abbino una chance in più di vincere, vi invito caldissimamente a votare la loro storia! Infatti, uno dei fattori che peseranno maggiormente nella scelta delle storie vincitrici sono proprio le statistiche (intese come numero di letture complete, voti e suppongo anche commenti), per cui il vostro sostegno è essenziale!

Detto questo, non posso che ammettere che questo è uno dei miei capitoli preferiti. Biagio è romantico e testardo al tempo stesso: non avete avuto anche voi voglia di strapazzarlo di coccole e di mandarlo ad amene località al tempo stesso? XD

Vi ricordo la pagina FB dedicata a “Podestaria”: mipiaciatela e non esitate a lasciare una parolina o due, aiutatemi a farla crescere perché è molto, molto importante per me e per i programmi che ho per questa storia!

Grazie a chi, non solo ha letto queste righe, ma lascerà anche un commento.

 

Kindest regards,

D. Rose

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


Podestaria

 

 

Capitolo 15

 

Erano quasi le due meno un quarto quando Biagio uscì dalla stazione di High Street Kensington, ritenne inutile correre: Linda gli aveva mandato un messaggio, e sapeva che una manciata di minuti in più non avrebbero avuta alcuna influenza sull’umore di Kathleen.. Imboccando Derry Street, Biagio cercò di controllare gli angoli della bocca che avevano la tendenza a incurvarsi in un sorriso da quando era partito da Rana’s Farm: ci riuscì nel vedere un’auto della polizia passare, la quale gli ricordò le conseguenze della sua impazienza. Eppure, quell’ammaccatura nel suo umore durò il tempo di un battito.

Ma ne è valsa la pena, si disse non riuscendo più a impedirsi di sorridere al ricordo di Virginia fra le sue braccia.

Arrivato davanti al numero *, Biagio non ebbe neanche il tempo di prendere le proprie chiavi che sua nonna aprì la porta d’ingresso: Kathleen lo guardò con un’espressione di maligna compiacenza.

“Sei stato convocato dalla polizia,” annunciò invece dell’atteso sei in ritardo.

“Suppongo che fosse la loro auto, quella che ho visto andar via. Andrò più tardi,” rispose con un tono e un sorriso conciliatorio: Biagio era troppo di buon umore per litigare con Kathleen. “E scusa per il ritardo: ho perso la coincidenza a Baker Street.”

“Sono quasi le due: se credevi che ti avremmo aspettato per pranzare…”Kathleen sibilò, facendosi da parte per lasciarlo entrare in casa.

Biagio le rivolse un altro sorriso, pulendo le scarpe sullo stoino e sfilando il caban. “Non ho mai avuto la pretesa che lo faceste.”

“È tornato!” urlò la voce di Linda dal seminterrato. La sentirono salire le scale velocemente e, quando giunse il piano terra, Linda fissò Biagio affannata: non gli pose alcuna domanda, ma dopo un istante iniziò a saltare estatica e, raggiuntolo, lo abbracciò più forte che poteva. “Te lo avevo detto che era lei, no?” aggiunse rivolgendogli un sorriso trionfale. “Voglio sapere tutti i dettagli! Oh, a proposito, quando hai intenzioni di invitarla a casa? Devi dirmelo così mi organizzo per lasciarvi soli soletti! Lo hai già detto alla mamma? Devi assolutamente presentargliela! Quando la porterai qui a Londra? Oh, ed entro luglio non puoi non portarla a Parigi: Etienne e Alexandrine sono curiosi di conoscerla! E poi non dimenticare di…”

“Calmati, Linda!” rise Biagio, appendendo il caban nel guardaroba. “A sentirti si direbbe che sia andato a chiederle di sposarmi!”

“Cos’è questa storia?!” esclamò Kathleen,  inorridita.

Linda le rivolse un sorriso tagliente e rispose: “Biagio ha la fidanzata. Una avallata dalle Grigie Dame, per giunta.”

“Adesso stai esagerando, Linda,” Biagio la rimproverò, dirigendosi verso la cucina. “La profezia non è una garanzia che sarà tutto rose e fiori, tutt’altro: è un motivo per impegnarmi affinché le cose funzionino fra noi. E ora, scusatemi, ma inizio ad avere veramente fame.”

“E io vado ad aggiornare il nonno!” rispose sua sorella facendogli un occhiolino e tornando al seminterrato.

Biagio prese dal frigo del roast beef, del formaggio, alcuni yorkshire pudding e un resto di verdure al vapore. E quando ebbe il proprio pranzo davanti, Biagio si chiese se non sarebbe stato meglio accettare l’invito a pranzo di Mrs. Bergman. Infatti, la carne era secca e troppo cotta, gli yorkshire pudding insipidi e gommosi e le verdure acquose: mentre addentava il primo boccone, non potette fare a meno di ricordare il delizioso profumo che lo aveva accolto quando Virginia lo aveva fatto entrare in casa per scaldarsi prima di tornare a Londra.

Mrs. Bergman aveva voluto che restasse a pranzo con loro, dato che si sarebbero messi a tavola di lì a poco, ma Biagio aveva rifiutato con fermezza non accettando altro che la tazza di grog fumante che gli aveva offerto una giovane mulatta – Ines, la futura cognata di Virginia.

Non vorrei disturbare più del dovuto,” aveva risposto quando Mrs. Bergman aveva iniziato ad insistere.

Hai disturbato anche troppo,” aveva ribattuto Mr. Bergman con uno sguardo truce, non dissimile da quello acrimonioso di Kathleen, che lo osservava come un rapace appoggiata al piano della cucina.

“Se hai finito, va’ nello studio: è da quando ha terminato il pranzo che Aldo sta scrivendo il rapporto sul guaio che hai combinato,” borbottò Kathleen. Poi scosse la testa. “Vorrei proprio sapere da chi hai preso…”

Biagio fu tentato di darle una risposta, ma sapeva che tutto quello che avrebbe ottenuto sarebbero stati altri improperi: non aveva alcuna intenzione di rovinare la giornata litigando per l’ennesima volta con sua nonna, per cui si limitò a darle un altro sorriso accondiscendente e a dirigersi verso lo studio di suo nonno. Questo si trovava nel seminterrato e illuminato da una grande porta-finestra affacciata sul giardino posteriore della casa: suo nonno era seduto alla sua scrivania, concentrato a scrivere al proprio computer.

Biagio si schiarì la voce, ma lui sembrò non essersene accorto. “Hai bisogno di me, suppongo,” disse infine.

“Tua sorella mi ha dato sufficienti informazioni, anche se avrei preferito sentire i dettagli da te,” disse Mr. Tricano avviando la stampa del documento, quindi spinse leggermente col piede, facendo girare la poltrona da ufficio, e aspirò il sigarino fissandolo serio. “Ti farò una sola domanda, Biagio: ne è valsa la pena, almeno?”

Biagio gli diede un gran sorriso e annuì. “Certo, che ne è valsa la pena, nonno!”

Mr. Tricano fece spallucce, quindi raccolse i fogli freschi di stampa, li divise in tre pile. “Questa è la copia per il Dipartimento di Crimine Paranormale: lasciala quando andrai alla convocazione.”

“Cercherò di prendere appuntamento per domani stesso: Linda dovrà tornare a Oxford da sola e Kathleen dovrà sopportarmi per un’altra notte,” rispose Biagio, prendendo la copia che suo nonno gli porgeva.

“Andrai oggi,” Non era una richiesta, ma un ordine.

“È domenica,” ribatté Biagio, percependo la debolezza della propria obiezione.

“Sei stato convocato per aver aperto un Portale non autorizzato, non perché hai dimenticato il metronomo in funzione prima di uscire di casa, facendo impazzire i tuoi vicini!” lo rimproverò Mr. Tricano esasperato.

Biagio scosse la testa e lesse la prima pagina del rapporto, ma quando volse la seconda pagina, la sua espressione si fece leggermente corrucciata. “Era necessario specificare il nome e l'indirizzo?” sibilò senza guardare suo nonno.

“Era necessario usare un Portale per andare da lei, Romeo?” ribatté Mr. Tricano altrettanto serio.

Biagio infilò il rapporto in una busta di carta Kraft, porgendola a suo nonno. “Fai classificare tutti gli esemplari.” Non era una richiesta, ma un ordine.

Mr. Tricano fece altrettanto con le altre due copie. “Joseph può immaginare il perché di tale richiesta e Melville mi deve un favore. Ma non ho alcuna intenzione di indebitarmi con la Polizia, non per una quisquilia del genere,” disse apponendo sulle tre buste il timbro dell’UNARNH. Per un attimo, l’inchiostro emise una flebile onda di luminescenza e nell’aria si diffuse un odore d’ozono e un sapore metallico, quasi impercettibili.

“La magia annoda le lingue e dove non può l'oro, può l'acciaio.”

“Mi sembra di sentire quell'uomo. E non è un complimento, Biagio,” sibilò Mr. Tricano. “Indebitati per conto tuo e lascia me fuori: i tuoi genitori mi danno già abbastanza preoccupazioni. Ma parliamo di cose più importanti: dov’è la Marisa?”

Biagio alzò gli occhi al soffitto. “Dovresti smettere di dare nomi di donne alle tue auto: è un’abitudine che ti ha già creato troppi malintesi con Kathleen,” rispose, comunque grato per quel cambio d’argomento. “In ogni caso, è al cottage: sono tornato a Londra con i mezzi pubblici.”

Il suo piano iniziale era stato di raggiungere Sweet Waters Cottage a piedi e poi andare alla stazione di Harrow-on-the-Hill con l’auto di suo nonno. Tuttavia, quando lo aveva visto incamminarsi verso i campi e probabilmente fraintendendo le sue intenzioni, Ines gli era corsa dietro.

Fai prima a partire da Amersham con il treno delle dodici e sedici,”gli aveva spiegato allacciando il proprio braccio al suo e tirandolo verso la propria auto.“Vieni, ti accompagno.

Ci penso io, cara, almeno saremo sicuri che arriverà in tempo,” aveva risposto il fratello maggiore di Virginia, Patrick, facendo roteare le chiavi sull’indice.

Ines aveva alzato gli occhi e aveva ribattuto: “Non sfasciarti contro un albero e, soprattutto, non fargli paura, por favor.”

Sul momento Biagio aveva pensato che quella fosse una battuta, tuttavia non appena l’auto aveva imboccato la strada comunale, Patrick gli aveva detto: “Un po’ ti compatisco. Finn ti sfotterà ogni volta che ne avrà l’occasione e papà ha i suoi pregiudizi.

Biagio aveva sorriso del suo sorriso tagliente. “E lei?

Patrick non aveva risposto subito. “Piaci a Nonô e questo mi basta. I bambini hanno un dono speciale per riconoscere le persone di cui fidarsi,” aveva ammesso seriamente, affrontando una curva a una velocità un po’ più elevata di quanto richiesto dal buon senso.

“E credo che andresti d’accordo con suo fratello maggiore, nonno,” continuò Biagio con un sorriso divertito. “Vi ci vedo a chiacchierare d’auto sportive.”

“Allora spicciati con la ragazza, così potrò invitarlo al cottage uno di questi giorni.” La battuta era frivola, ma non il tono con cui era stata detta. Mr. Tricano si accese un altro sigarino, prese dallo scaffale un dossier alto un palmo.

Biagio non disse altro e prese una delle buste, sentendo la cicatrice sull’avambraccio destro pizzicare alla vicinanza del sigillo magico: fissò il destinatario scritto nella calligrafia di suo nonno – a chi di dovere – che assieme al sigillo gli garantiva che solo quella persona sarebbe stata autorizzata ad aprire la busta e Biagio si chiese come avrebbe fatto per convincere l’ufficiale che avrebbe incontrato ad archiviare il rapporto senza leggerlo. Una donna sarebbe rimasta affascinata dalla vena di romanticismo della storia, riassumibile con l’immagine di Romeo sotto il balcone di Giulietta. Con un uomo, invece, avrebbe dovuto sfruttare al massimo le sue capacità oratorie – nel peggiore delle ipotesi, avrebbe dovuto seguire l’esempio di quell’uomo e usare parole di potere.

“Vado a cavarmi questo dente, allora,” disse infine a mo’ di congedo. “Potresti chiedere a Linda di preparare anche le mie cose? Conto di rientrare a Oxford non appena ho finito.”

Mr. Tricano rispose con un borbottio affermativo e Biagio andò in camera a cambiarsi. Una buona impressione apriva molte porte.

 

—— • ——

 

L’ufficiale inarcò un sopracciglio perplesso quando Biagio gli disse che era stato convocato: tutto, nella sua espressione, affermava non puoi prendere un appuntamento come tutti gli altri? Salvo poi riprendersi quando gli fu specificato che era una questione di Crimine Paranormale e gli indicò dove andare. Mentre percorreva corridoi e prendeva ascensori, Biagio giocherellava con il sottile bastoncino di ferula che aveva preso con sé, cercando nella grana del legno le parole che avrebbero servito meglio il suo scopo. L’ombra di un sorriso tagliente gli attraversò il viso, immaginando suo nonno avvertirlo dei pericoli di certi incantesimi e certi luoghi – immaginando sua madre sospirare e scuotere la testa come se lui fosse una causa persa – immaginando l’orgoglio venare il sorriso tagliente di quell’uomo.

Quando vide farsi più vicina la porta con scritto Dipartimento Crimine Paranormale, Biagio raccolse tutti i suoi pensieri, li infilò in un armadietto che mise in una cassaforte che spinse in una stanza che chiuse a doppia mandata, così come ogni porta che incontrò mentre si allontanava da quel luogo mentale. La persona che lo accolse fece la stessa espressione del collega all’ingresso, ma chiamò qualcuno con l’interfono: poco dopo furono raggiunti da una donna più vicina ai cinquanta che ai quaranta, che soppesò Biagio con lo sguardo.

“Solitamente ci mettete molto più tempo a presentarvi,” disse con una punta di sorpresa, prendendo la busta con il rapporto. “E quelli dell’UNARNH ci mettono almeno il doppio con le loro scartoffie.”

Biagio alzò le spalle. “È come cavarsi un dente, no?”

La donna sbuffò. “Venga, prego,” disse, per poi aggiungere: “Almeno è una storia interessante, quella che dovrà raccontarmi?”

“È una questione di punti di vista e dovrò attenermi ai fatti,” rispose Biagio, cercando di inquadrarla. “Tuttavia, suppongo che dopo potrei fornirle una versione più letteraria, se lei lo desidera e il tempo lo permette.”

La donna rise e fece per ribattere, ma da una porta sentirono una voce maschile chiamare: “Rachel, se non ti spiace me ne occupo io.”

Bob Bergman li raggiunse con pochi passi, stringendo un bicchiere di carta colmo di caffè, e la donna, Rachel, inclinò quasi completamente la testa all’indietro per guardarlo in volto e lo fissò inarcando un sopracciglio.

“Credevo che detestassi questo genere di scartoffie, Bob,” gli disse incuriosita.

“Anche tu, s’è per questo.” Lo sguardo di ghiaccio di Bob si pose su Biagio, il quale lo ricambiò impassibile.

Questo non mi piace, Biagio.

Rachel alzò gli occhi e premette con forza la busta sigillata contro il petto del collega. “OK, il caso è tuo, Colombo.”

Mentre lo seguiva, Biagio studiò attentamente la figura del fratello di Virginia: se la sua impressione di qualche settimana prima era stata di un giocatore di rugby, adesso che lo osservava meglio trovava più consono paragonarlo a un orso, anche se i capelli biondi e gli occhi chiari ricordavano l’eroe di una saga nordica.

Bob non ti accetterà facilmente, riecheggiò la voce di Patrick nella sua mente. Non riesce ancora a perdonarsi quello che è successo due anni fa… di aver deluso áhkku.

Ancora una volta, Biagio si chiese per quale motivo Patrick gli avesse detto ciò, come a spingerlo a fargli delle domande cui spettava parlarne solo a Virginia e di cui percepiva l’importanza.

L’ufficio aveva il disordine tipico di un post-trasloco e non era troppo grande, tuttavia la corporatura di Bob lo faceva sembrare più esiguo. Alcuni cartoni erano accatastati in un angolo – da quello più in alto sbucavano la foto della squadra di rugby della Saint Simon Public School e una laurea triennale in Scienze Soprannaturali a nome di Robert Osborne Bergman – e uno scaffale aspettava d’essere riempito. Le pareti erano di gesso bianco su cui si vedevano ancora gli aloni lasciati da vecchi poster o cornici, nude se non per un disegno infantile di un poliziotto targato Tio Gigante. Sulla scrivania erano impilati alcuni dossier, un cestino per il pranzo, un portapenne, un’Agatha Christie dalla copertina spiegazzata e lo schermo del computer in stand-by su cui scorrevano alcune foto di famiglia – ora un selfie di Bob, Virginia e due bambini con delle facce buffe, ora un Bob impacciato che teneva un neonato nelle enormi mani, ora una Virginia settenne che abbracciava sorridente un Bob neo-laureato.

“Si sieda,” borbottò Bob, sprofondando sulla sua sedia e iniziando a leggere il rapporto mentre sorseggiava il suo caffè.

Biagio posò lo sguardo sulla sedia ingombra di dossier e, dopo un attimo di esitazione, li spostò sulla scrivania con cautela e sedette con nonchalance. Osservò Bob leggere, trattenendo un sorriso quando lo vide mordicchiarsi l’indice esattamente come faceva Virginia quando era concentrata su qualcosa; poi si rese conto di trattenere il fiato quando Bob volse la seconda pagina. Biagio seppe che lui aveva letto il nome di Virginia quando vide la sua espressione farsi livida e le sue labbra si strinsero di rabbia.

“Dunque,” iniziò Bob, cercando di mantenere un tono il più professionale possibile e dispensandogli uno sguardo omicida. “Potrebbe raccontarmi le circostanze che l’hanno spinta ad aprire un Portale non autorizzato e quello che è accaduto nelle ore successive?”

Biagio sapeva che la miglior soluzione era di dargli una versione il più neutra possibile dei fatti, eppure quando sentì lo sguardo di Bob frugare dentro di lui – forzare la propria presenza nel suo giardino segreto alla ricerca di chissà cosa –  non poté fare a meno di mettersi sulla difensiva, innalzando barriere attorno ai suoi segreti e ai suoi sentimenti per Virginia. E questo non gli piacque, poiché rispondere alle minacce, reali o fittizie che fossero, con un eccesso di sfrontatezza gli era naturale quasi come respirare.

“È sicuro di volerlo sapere, detective Bergman? Qualcosa mi dice che non apprezzerebbe la risposta…” disse, inclinando leggermente la testa e con un atteggiamento e un tono più arrogante di quanto il buon senso gli consigliava.

Mi sembra di sentire Quell’Uomo. E non è un complimento. La voce di suo nonno riecheggiò nella sua mente, pregna di cattivi presagi.

Le guance di Bob divennero rosse per la rabbia. “So già quello che è successo, Mr. Tricano, tuttavia che mi piaccia o no devo fare il mio lavoro,” sibilò, aumentando leggermente l’impatto del suo attacco mentale. “E la smetta di opporsi.”

Biagio si sistemò sulla sedia, sentendo sulla lingua il sapore metallico ed elettrico diventare più intenso. “Sto solo difendendo il mio diritto alla privacy.”

“Questa è la procedura ordinaria,” sibilò Bob a denti stretti.

“Credevo che lei fosse un poliziotto, non un giornalista di Heat,” ribatté Biagio, e dandosi dello schiocco allo stesso tempo, poiché sapeva che provocarlo non gli avrebbe portato alcun vantaggio.

Bob si alzò, appoggiandosi sulla scrivania e chinandosi in avanti, livido di rabbia. “Senti coso, sei fortunato che sono sul mio posto di lavoro, o ti avrei ricacciato i tuoi insulti in gola già da un pezzo. Non è mia abitudine abusare dei miei poteri, per cui…”

“Davvero? Eppure il suo comportamento di pocanzi afferma tutto il contrario.” Biagio avrebbe voluto prendersi a schiaffi prima ancora di terminare la frase. Poi prese un respiro profondo, desideroso di affidarsi alla ragione e mettere fine a quell’inutile gioco di volontà. “Tornando alle cose serie, desidera sentire che ho aperto un Portale senza alcuna autorizzazione, consapevole delle conseguenze, perché non desideravo perdere ulteriore tempo con i mezzi pubblici o con il traffico londinese? Perché volevo arrivare a Rana’s Farm nel minor tempo possibile per chiarire un malinteso e fare ammenda di quello che avrebbe potuto essere il più grave errore della mia vita? Perché volevo chiedere a sua sorella di essere la mia ragazza?”

Questa volta Biagio aveva lasciato cadere ogni maschera, esponendo i fatti nel modo più semplice e neutro possibile, eppure Bob assomigliò ancora di più a una pentola a pressione sul punto di esplodere.

“Posso immaginare come lei si senta in questo momento, detective Bergman, tuttavia Virginia è una persona adulta, capace di fare le sue scelte senza l’aiuto di un fratello iperprotettivo,” si sentì di aggiungere.

“Capace di fare le sue scelte, dici? Chi mi dice che tu non l’abbia manipolata a fare quello che vuoi, come quel bastardo?” sibilò Bob, fissandolo con gli occhi stretti a due sottili fessure. “Forse sarei un po’ più tranquillo se Sua Signoria mi facesse fare il mio lavoro e mi lasciasse verificare che non è stato utilizzato nessun incantesimo per costringere Vir’ a…”

Costringere?!” Chiese Biagio inarcando un sopracciglio, mentre alcuni pezzi di un puzzle si mettevano a posto nella sua mente. “Siamo Podestari, Robert, non possiamo imporre la nostra volontà sugli altri. O meglio, potremmo ma il gioco non vale la candela, mai.” Si raddrizzò e lo fissò negli occhi. “E la smetta di usare la sua professione come una scusa: ognuno di noi ha diritto al proprio giardino segreto. Io, lei… perfino Virginia, da quello che ho potuto intendere dalle parole di suo fratello maggiore.”

“Vir’ non ha alcun segreto per noi,” sogghignò Bob con aria di trionfo, tuttavia il sorriso gli morì sulle labbra quando Biagio non reagì come si aspettava.

Biagio lo guardò grave. “È questo il rispetto che ha per la privacy di sua sorella? Lei mi delude, detective Bergman.”

“Ho le mie ragioni,” sputò Bob con irritazione.

“Posso immaginarlo, ma per quanto valide e nobili possano essere, non la giustificano. Almeno ai miei occhi,” ribatté Biagio con un tono che non voleva repliche

Bob strinse le labbra come se avesse mangiato un limone acerbo: sbuffò di rabbia ed esasperazione, quindi si lasciò cadere sulla propria sedia e riattivò il computer. Si affrettò a nascondere il PDF che stava leggendo – tuttavia Biagio ebbe sufficiente tempo per riconoscere il proprio nome e classificazione di Haltey – e, aperto un documento vuoto in Word, trascrisse quanto Biagio gli aveva riferito di strettamente correlato all’apertura del Portale.

“Cosa è accaduto dopo che ha attraversato il Portale, Mr. Tricano?” chiese a denti stretti, senza guardarlo.

L’attacco mentale era indebolito ma presente, forse un tentativo per indurlo ad abbassare le proprie difese: se era l’effetto delle sue parole o una semplice scelta strategica, Biagio preferì mantenersi all’erta.

“Ha un’aspirina, per cortesia?” chiese a sua volta, e quando Bob lo guardò di tralice, Biagio sospirò. “Una volta arrivato a Rana’s Farm, ho parlato innanzi tutto con Mrs. Bergman, quindi ho aspettato nel giardino anteriore che Miss Bergman mi raggiungesse. Suppongo che sia stato in quel frangente che ho preso freddo,” concluse con un piccolo sorriso, rivolto più a se stesso.

Bob lo fissò di tralice, gli occhi stretti in due sottilissime fessure. Si schiarì la voce e chiese, cercando di mantenere un tono urbano e professionale. “Di cosa ha parlato con Mrs. Bergman?”

“Le ho chiesto formalmente l’autorizzazione di corteggiare sua figlia,” rispose Biagio con un tono urbano e neutro.

“A parte il fatto che siamo nel ventunesimo secolo, ma solitamente questo genere di richiesta viene fatta al padre, non alla madre.”

“Non in questo caso.”

Bob strinse le labbra, nel tentativo di tenere per sé qualcosa di sgradevole. “Che cosa è successo quando Miss Bergman l’ha raggiunta?”

Sai perfettamente quello che è successo.

“Abbiamo chiarito un malinteso e ho sottinteso l’evoluzione che avrei voluto dare alla nostra conoscenza,” rispose Biagio con una certa difficoltà. Poi aggiunse, come per giustificarsi: “Non è mia abitudine trattare apertamente certi… argomenti, spero dunque che lei comprenda quello che intendo.”

Bob spinse leggermente sulla sedia, voltandosi verso di lui e fissandolo severamente. “Non era una situazione d’emergenza, nessuno era in pericolo di vita, Mr. Tricano. Se doveva un chiarimento, una telefonata sarebbe stata sufficiente, e se davvero teneva a risolvere la questione di persona, avrebbe potuto muoversi con dei mezzi pubblici o privati.”

“Mio nonno mi ha fatto lo stesso rimprovero,” ammise Biagio. “Tuttavia non potevo rischiare di perdere altro tempo.”

Bob sbuffò di rabbia ed esasperazione, poi inspirò ed espirò per mantenere il proprio contegno.

“Com’è tornato a Londra?” chiese, riprendendo a scrivere.

“Potrei avere un’aspirina?” chiese nuovamente Biagio, sentendo un dolore sordo pulsargli nelle vene.

Di controvoglia, Bob aprì un tiretto e fece scivolare verso di lui una scatola bianca e verde, accompagnata da un bicchiere di carta e una bottiglietta d’acqua.

“La ringrazio,” disse Biagio con un piccolo cenno del capo e assumendo il medicinale, quindi riprese. “Era mia intenzione raggiungere a piedi il cottage di famiglia – una passeggiata attraverso i campi, se preferisce – e recuperare l’auto di mio nonno, tuttavia Mr. Patrick Bergman si è offerto di accompagnarmi in auto fino alla stazione di Amersham. Lì ho preso il treno delle dodici e sedici diretto a Londra.”

Bob si fece più accigliato alla menzione di suo fratello maggiore, ma qualunque cosa avesse in mente la tenne per se stesso. Batté al computer le informazioni appena ricevute senza dire una parola, poi salvò il file e ne avviò la stampa, raccogliendo i fogli e spillandoli.

“Non mi piaci,” sibilò infine, inserendo il proprio rapporto e quello dell’UNARNH in una cartellina.

“Lo so e me ne spiaccio” ammise Biagio, aspettando un’autorizzazione ad andare via.

Bob lo guardò di tralice, stringendo le labbra. “Può andare, Mr. Tricano.”

Biagio si alzò, ma quando strinse la maniglia della porta, esitò. Osservò le nocche della propria mano per un lungo istante, poi lasciò la maniglia e si volse nuovamente verso Bob, il quale inarcò un sopracciglio inclinando leggermente la testa. Biagio schiuse le labbra per parlare, poi le richiuse.

“Gradirei che il minor numero possibile di persone leggano i rapporti sul caso e, preferibilmente, che entrambi siano opportunamente sigillati prima d’essere archiviati.” Se le sue parole erano state urbane, il tono era di comando.

L’espressione di Bob si fece livida, la sua voce era il ringhio minaccioso di un orso. “Perché dovrei farti un piacere del genere?”

Biagio gli rivolse il suo sorriso tagliente, ricambiando lo sguardo con alterigia. “Devo piacerti più di quanto credessi, se non hai problemi a essere associato a me.”

Bob non rispose, ma dopo un po’ le sue labbra si stirarono in un sorriso. “Sai, mi hai appena dato un motivo in più per fare esattamente il contrario: dopo tutto più siamo a tenerti d’occhio, meglio è.”

Biagio non rispose, preferendo mantenere un volto impassibile piuttosto che riconoscere apertamente di aver appena fatto un errore. Solo quando fu in strada e sufficientemente lontano dalla stazione di polizia, Biagio si sentì autorizzato a prendersi mentalmente a pedate e ad abbassare le proprie barriere mentali, venendo colpito all’istante dalla spossatezza causata dallo sforzo e dalla tensione.

 

 

Quando, un paio d’ore più tardi, arrivò alla casa di Oxford con sua sorella, Biagio aveva trentanove e cinque di febbre.

L’inutileangolo dell’autrice

 

 Questa volta, facciamo un po' di pubblicità ;-)
La versione inglese di Podestaria partecipa ai Wattys Awards 2015, per cui, se siete iscritti anche su Wattpad e volete che Virginia e Biagio abbino una chance in più di vincere, vi invito caldissimamente a votare la loro storia! Infatti, uno dei fattori che peseranno maggiormente nella scelta delle storie vincitrici sono proprio le statistiche (intese come numero di letture complete, voti e suppongo anche commenti), per cui il vostro sostegno è essenziale!

Lo so, Biagio è pucciosamente insopportabile qui, e Bob dovrebbe essere fatto santo subito per la prova di pazienza superata a pieni voti XD E sì, questo capitolo è betato solo per metà u.u

Vi ricordo la pagina FB dedicata a “Podestaria”: mipiaciatela e non esitate a lasciare una parolina o due, aiutatemi a farla crescere perché è molto, molto importante per me e per i programmi che ho per questa storia!

Grazie a chi, non solo ha letto queste righe, ma lascerà anche un commento.

 

Kindest regards,

D. Rose

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


Podestaria

 

 

Capitolo 16

 

Non era veramente un sogno, quanto un ricordo, un’istantanea del viaggio in Lapponia che i Bergman avevano fatto anni prima. All’epoca, suo padre aveva detto a Virginia che loro sarebbero andati a trovare Babbo Natale, quello vero, non uno dei suoi imitatori che si vedevano nei grandi magazzini dai primi di dicembre. Solamente al suo ultimo anno delle elementari, Mr. Bergman aveva confessato a sua figlia che quel viaggio non era altro che la realizzazione del desiderio della bisnonna di vedere un’ultima volta la terra in cui era nata.

Nel sogno, Virginia aveva quattro anni e Radvna era ancora viva.

I loro sguardi erano rivolti a Nord, la mano piccola e paffuta in quella ossuta e grinzosa: se gli occhi di Radvna erano lì dove la taiga lasciava il posto alla tundra, la Virginia – bambina aveva il naso all’insù, gli occhi pieni di meraviglia e di aurora boreale. La bisnonna le parlava nella sua lingua natia – parole il cui significato era stato dimenticato da troppo tempo dalla Virginia – ragazza ma che la Virginia – bambina comprendeva perfettamente, parole rubate da una folata di vento gelido che sputò la neve in faccia alla Virginia-bambina, la quale sollevò le braccia per proteggersi il viso.

Quando riaprì gli occhi nel Sogno, la Virginia-ragazza era in un nero uniforme e senza odore, in cui Tempo e Spazio non esistevano. Era vestita di nebbia e i suoi capelli, lunghi come erano stati prima di incontrare Liam, fluttuavano d’oro e di rame come mossi da una brezza leggera o immersi in acque profonde e la sua pelle aveva un colorito eburneo, quasi splendesse di luce propria. L’aria fremette impercettibilmente, e Virginia intravide una creatura avvicinarsi: da principio sembrava una farfalla che volava languida in quel non-luogo, unica nota di colore in quel piatto grigiore, ma quando Virginia porse la mano per offrirle un dito su cui posarsi, trattenne un grido di terrore. Se le ali erano di farfalla, il corpo era di ragno dalle zampe lunghe e sottili, nero come pece. La creatura non doveva essere malevola, poiché si limitò a svolazzare attorno a lei: si fermò a qualche passo da lei, e al terzo battito d’ali, riprese a volteggiare in volute sempre più alte. Virginia non poté fare a meno di seguirla con lo sguardo, verso l’unica fonte di luce presente in quel non-luogo – era come vedere un flebile sole o una luna splendente attraverso la superficie mutevole dell’oceano o di un lago d’alta montagna.

Svegliati, mia piccola Renna, e guardati dall’Uomo dalle Mille Vite, echeggiò una voce famigliare che Virginia non riconobbe.

 

 

 

Quando Virginia si ritrovò faccia a faccia con il proprio riflesso, ebbe l’impressione che ci fosse qualcosa di diverso. Si esaminò il volto con attenzione, alla ricerca di un foruncolo deturpante o di un allargamento della sua couperose: il suo incarnato non era diverso dal giorno precedente – chiaro e impossibile da far abbronzare senza diventare di un imbarazzante rosso aragosta – così come non erano diversi i suoi occhi – tondi e color nocciola come quelli di sua madre, ombreggiate da ciglia lunghe, folte e chiare. Anche la sua bocca era la stessa, né troppo sottile né troppo turgida, con un arco di cupido abbastanza marcato e il labbro inferiore un po’ più pronunciato rispetto a quello superiore. Evitò di contare le lentiggini sul naso, ci aveva già provato quando aveva undici anni e i conti non le erano mai tornati – comunque non pensava che un paio di efelidi in meno o in più avrebbe fatto una gran differenza. Controllò la fronte, gli zigomi, le guance… e poi avvampò notando il succhiotto appena sotto l’orecchio sinistro, dove la giugulare s’inseriva fra la mascella e il collo.

Dovrai dirgli di smetterla di farti certe cose, Vir’. Almeno non in punti così evidenti.

Virginia applicò del correttore sul segno, ponderando l’eventualità di nasconderlo ulteriormente con i capelli. Avvampò di nuovo al ricordo del bacio, di come in pochi istanti il loro abbraccio si fosse fatto tanto intimo che per un istante Virginia aveva creduto che lo avrebbero fatto proprio lì, sotto il portico e con solo la porta d’ingresso a separarli dai suoi genitori – desiderò scavare una fossa ben profonda in cui seppellirsi quando si rese conto che d’essersi sentita alquanto intrigata dalla prospettiva. Scosse la testa con forza per allontanare quel pensiero e finì di prepararsi: terminò di truccarsi, asciugò rapidamente le radici dei capelli e indossò l’uniforme scolastica – non era neanche sicura del perché, per una volta, avesse optato per la gonna invece dei soliti pantaloni – quindi controllò un’ultima volta che tutti i libri necessari e i quaderni fossero nello zaino e scese in cucina.

Suo padre e Finn avevano già fatto colazione, per cui a Virginia non restò  che mangiare da sola le sue uova strapazzate con bacon, del porridge con frutta cotta e miele e un paio di toast burro e Marmite, mentre sua madre preparava gli ingredienti per la cena. La pendola che scoccava le otto fu il segnale che le spinse a salutare Mr. Bergman e Finn e partire, chi per andare a scuola, chi per incontrare alcuni fornitori.

Il tragitto fino alla Langlane fu tranquillo e Virginia fu grata che sua madre non avesse pronunciato il nome di Biagio, nonostante stesse chiaramente morendo dalla voglia di saperne di più in proposito. Virginia sospirò, ripensando a come si era vergognata quando sua madre aveva insistito così tanto perchè Biagio restasse a pranzo, ma ancor di più ripensando a tutte le frecciatine e le occhiate – maliziose o arrabbiate – che i suoi genitori e Ines le avevano lanciato per il resto della serata. Perfino Leonor aveva fatto la sua parte, canticchiando e gongolando come quando i suoi genitori l’avevano portata a Eurodisney l’estate precedente per incontrare i suoi eroi preferiti. Le labbra di Virginia si incurvarono in un piccolo sorriso ripensando alla conversazione fra Biagio e Leonor che aveva origliato senza volerlo.

Tu sei un principe, vero?

Ma devi promettermi di non dirlo a nessuno.”

E tu dovrai fargli presente di non mettere strane idee in testa a Nonô. Pensò Virginia slacciando la cintura di sicurezza e baciando la guancia di sua madre.

“A che ora devo portarvi la torta?” le chiese Mrs. Bergman mentre Virginia chiudeva la portella dell’auto.

Virginia frugò lo zaino e prese la sua agenda, controllando gli orari delle lezioni. “Ho Matematica Avanzata subito dopo la pausa pranzo. Hai fatto attenzione a tenerla lontano dalle altre, vero? Mr. Jackson è intollerante al --”

“Certo che sono stata attenta, Vir’: ho a cuore la salute dei miei clienti,” rispose Mrs. Bergman alzando gli occhi, per poi rivolgerle un sorriso. “E avete avuto una bella idea, a voler festeggiare il suo ritorno a scuola.”

Virginia le mandò un bacio volante e agitò la mano, seguendo brevemente l’auto di sua madre uscire dal parcheggio della scuola. Raggiunse l’ingresso della scuola, scambiando saluti con i compagni: nonostante non avesse lezione prima delle nove, aveva preferito aspettare in aula la lezione di Francese piuttosto che andare con sua madre dai fornitori. Mentre Virginia si spostava per lasciar passare un alcuni studenti, sentì il proprio cellulare suonare: aggrottò le sopracciglia nel riconoscere il numero di Biagio, chiedendosi perché la contattava a quell’ora insolita. Masticò l’interno delle guance, poi il cellulare squillò di nuovo: Virginia sentì un’onda di acidità nello stomaco, accompagnato dal retrogusto amarognolo della bile in fondo alla gola, e aprì il messaggio stizzita, decisa a fargli presente che in quel momento lei era a scuola e non voleva essere disturbata.

[ Appena ti è possibile potresti chiamare mio fratello? È a casa con un brutto raffreddore e ha bisogno di farsi tirar su di morale. L ]
[ Ah, il nostro numero di fisso è *********. L ]

Virginia sentì il proprio fastidio scemare leggermente, complice il contenuto del messaggio. Si chiese se dovesse usare l’ora libera per chiamare subito Biagio, oppure se fosse più saggio aspettare la pausa pranzo: non voleva sembrare fredda nei suoi confronti, ma non voleva neanche ricadere in pessime vecchie abitudini.

Approfittane per mettere subito le cose in chiaro, Vir’. Le suggerì la voce della coscienza, un consiglio troppo sensato per non essere seguito.

Osservò alcuni studenti che indugiavano ancora nel corridoio, e si rifugiò presso una finestra aperta sul cortile e, sedutasi sul davanzale, premette il pulsante verde. La linea era libera e, proprio quando si aspettava il messaggio della segreteria telefonica, sentì rispondere.

“Pronto?” Era una voce femminile, dolce e remota – non Linda, ma qualcuno di più maturo.

Sentendosi all’improvviso imbarazzata, Virginia si schiarì la voce. “Ehm, buongiorno. Mi scusi se disturbo, ma ho ricevuto un messaggio da parte di Linda e…” Trasalì e si schiaffeggiò la fronte, rendendosi conto della propria mancanza di buone maniere. “Sono, Virginia, Virginia Berg--”

“Ah!” la interruppe la donna, e quando riprese a parlare Virginia poteva vedere il sorriso su un volto scevro di lineamenti. “Io sono Isolde, la madre di Biagio e Linda, piacere di... parlarti, anche se avrei preferito incontrarti di persona.”

Virginia boccheggiò, ancor più imbarazzata. “A-ehm, il piacere è mio, Mrs. Tricano.”

“A dire il vero, è Miss Tricano.” La voce di Isolde aveva assunto una velatura nostalgica, appena percettibile, e un leggerissimo tremolio, prima di riprendere frizzante come quella di Linda. “Non so se Biagio è sveglio, ti spiace attendere un po’?”

Virginia fece per rispondere che avrebbe richiamato dopo pranzo, ma Isolde doveva aver già allontanato il cordless dal proprio orecchio. Virginia sentì dei passi, un bussare leggero, un breve scambio di battute che rese il suo volto coordinato al maglioncino bordeaux dell’uniforme – È la tua promessa! – Mamma, non ti ci mettere anche tu per favore!

 “Buongiorno, Virginia.” La voce di Biagio era nasale e alterata dal raffreddore, ma sembrava felice di sentirla.

“Ciao. Ho un’ora di buca e ho pensato di chiamarti,” disse Virginia, trovandosi all’improvviso a corto di parole – come Biagio, a giudicare dal suo silenzio prolungato.

“Come stai?” si chiesero infine all’unisono, scoppiando poi a ridere.

Virginia si appoggiò contro lo stipite della finestra, osservando alcuni studenti rintanarsi nei locali scolastici non appena una pioggerella leggera iniziò a scendere. “Io sto bene, tu piuttosto. Linda mi ha mandato un messaggio dicendomi che eri malato,” mormorò dopo un po’, la voce tinta di senso di colpa.

Biagio rise leggermente. “È solo un raffreddore, nulla che un po’ di riposo non possa risolvere.”

“E del Lemsip,” s’intromise la voce di Isolde, seccata. “Ecco, bevilo tutto e prendi la prossima dose non prima delle dodici e un quarto. E togli il pigiama così ti spalmo di Vicks.”

Virginia non seppe se dovesse arrossire al pensiero di un Biagio senza maglia – anche se non sapeva se dovesse immaginarlo mingherlino come Eugene oppure muscoloso come Bob – o ridere al pensiero di sua madre che lo trattava come se fosse ancora un bambino – nella sua mente si formò l’immagine di una Linda adulta e più autoritaria.

“Mamma, se non ti spiace sono al telefono.” La voce di Biagio era soffocata, come se avesse coperto il microfono con qualcosa, e Virginia lo immaginò alzare gli occhi.

Ci fu un sonoro sbuffo. “Tu continua la tua telefonata e lasciami fare il mio lavoro.”

“Da quando fra le mansioni di un chirurgo c’è quella di applicare del balsamo canforato o di essere così chioccia?”

“Biagio!” L’esasperazione nella voce di Isolde era palese.

Ci fu il rumore di uno schiaffo e una risata che si trasformò in dei colpi di tosse.

“Scusa per l’interruzione, Virginia. In ogni caso, grazie per la telefonata,” riprese Biagio, lentamente.

Virginia masticò il labbro inferiore, sentendo una punta di rimorso. “Scusami, è colpa mia se ieri hai preso freddo…” ammise a voce bassa.

“Dovrei dirti che non è colpa tua, ma sarebbe solo una mezza bugia,” ridacchiò Biagio, poi sospirò. “Credo che il colpo di grazia me lo abbia dato tuo fratello Robert, ieri pomeriggio.”

Rimasero in silenzio per un po’, interrotto da un fatto di Isolde seguito dal rumore di una porta che si chiudeva.

“Volevi dirmi qualcosa, Virginia?” mormorò Biagio con uno starnuto.

Virginia si morse l’interno delle guance, chiedendosi come introdurre l’argomento. Poi prese un respiro profondo ed esordì: “Vorrei mettere alcune cose in chiaro.” Aspettò una risposta di Biagio che non arrivò. Respirò profondamente e poi sputò. “Non rinfacciarmi mai più qualunque cosa tu creda di fare per me.”

Ci fu un lungo silenzio, poi Biagio chiese: “Ho detto qualcosa che ti ha… ferita, nevvero?”

“So che eri in buona fede e per questa volta lascio correre.” Per un attimo si chiese se quello non fosse stato un errore, ma preferì non rimuginarci sopra troppo. “Non rinuncerò a uscire con i miei amici per farti piacere.”

“Perché dovrei chiederti una cosa simile?” La sincerità nel tono di Biagio era così evidente che Virginia avrebbe potuta toccarla. “Non capisco perché si debba ridurre la propria vita sociale al solo partner, inoltre considero il voler trascorrere ogni istante di veglia insieme una mancanza di fiducia e rispetto. Tu hai i tuoi amici ed io i miei: ci saranno volte che saremo in compagnia degli uni o degli altri, e altre in cui ci sarà solo un noi due.” Biagio tacque per un po’, poi aggiunse: “Facciamo così: manteniamo tutti gli impegni che abbiamo già preso e decideremo come e quando vederci in base a quelli. Desideri che ti mandi i miei orari del prossimo trimestre, in modo da avere una visibilità sui miei impegni?”

Virginia deglutì il vuoto, perché tutto si sarebbe aspettata tranne una risposta del genere. "Non... non è necessario," disse infine. “Non chiedermi di cambiare, di vestirmi o pettinarmi in un certo modo.”

 “Mi spiace, Virginia, ma se tu indossassi un bikini striminzito durante una tempesta artica, credo che chiunque ti consiglierebbe di mettere qualcosa di più caldo.” La voce di Biagio era leggera e frizzante, come se quella conversazione non fosse altro che uno scherzo. “E se ti volessi diversa, non pensi sarebbe stato più conveniente scegliere un’altra ragazza?”

Le labbra di Virginia tremolarono in un piccolo sorriso. Anche quella risposta era stata inattesa – sperata – e volle rispondere che forse aveva ragione, tuttavia la sola cosa che riuscì a dire fu: “Non azzardarti a chiedermi di mettere da parte la scuola.”

Biagio non rispose subito.

Questa è una sciocchezza, Virginia.” La voce di Biagio si era fatta un sibilo di frustra. “Dovrei impedirti di inseguire i tuoi sogni? Proprio io che ho dovuto rinunciare ai miei?”

“Forse ti sembrerà una sciocchezza, ma non hai idea di quanto possa essere importante per me!” Ringhiò Virginia a sua volta, un singhiozzo ribelle le fuggì dalla gola alla fine della frase.

Sentì Biagio sospirare – non sapeva se per rabbia o altro – e poi lo sentì aggiungere: “Vorrei ricordarti che ci siamo incontrati perché mi ero offerto di darti ripetizioni. Oppure questa non è una garanzia sufficiente che, al contrario, sarò sempre lì per aiutarti?”

Virginia mormorò un flebile , accompagnandolo con un cenno del capo che Biagio non poteva vedere.

“"Un’ultima cosa.” Virginia strinse di più il cellulare alla guancia con entrambe le mani e provò a deglutire il nodo che le stringeva la gola. Provò a parlare una, due, tre volte e quando ci riuscì non fu che un singhiozzo balbettante. “No-non chiamarmi, mai e poi mai, p--” Prese un respirò più profondo, cercando di estirpare quella parola dalla gola come se fosse un'erbaccia. “Piccola. Fallo e ti darò in pasto a Bob,” aggiunse dopo un istante di silenzio, più per rassicurare se stessa che per minacciare Biagio, con una nuova fermezza nella voce.

Biagio rimase in silenzio e Virginia si volle prendere a schiaffi per non aver atteso la sera per chiamarlo via Skype: non potendo vedere la sua reazione, non sapeva come interpretare quel silenzio prolungato. Biagio si era offeso, arrabbiato, oppure cercava di interpretare le sue ragioni che l’avevano spinta a fargli una tale richiesta? Per una frazione di secondo, Virginia fu tentata di spiegargli il perché solo per rendersi conto che non aveva ancora il distacco necessario per affrontare quei ricordi senza crollare. Lo sentì sospirare, di confusione oppure decisione.

“Non amo i nomignoli.” La voce di Biagio era scevra di emozioni, come se stesse enunciando una teoria scientifica di pubblico dominio. “È davvero così importante per te?”

Il di Virginia fu flebile, appena udibile. Biagio sospirò ancora una volta – Virginia lo immaginò lisciarsi una ciocca come soleva fare quando rifletteva su qualcosa. Quando infine parlò, la voce di Biagio aveva la ieratica solennità del sacerdote di un culto dimenticato.

“Te lo giuro sullo Stige. Te lo giuro sulla Spada, la Bacchetta, la Coppa e la Moneta.”

Se all’inizio lei aveva avuto l’impressione che lui si stesse prendendo gioco di lei, qualcosa nella voce di Biagio assicurò Virginia della sua serietà. Mormorò un grazie ancora più flebile, accompagnato da un singhiozzo liberatorio, e non disse altro. Anche Biagio rimase in silenzio – tutto quello che Virginia poteva sentire, era il soffio ritmico del suo respiro.

“Virginia, va tutto bene?” Biagio le chiese.

“Non mi chiedi perché?” rispose lei, cercando di riprendere il controllo della sua voce e sembrare meno patetica.

“Immagino che tu abbia le tue ragioni: non sei tenuta a dirmele se non vuoi.”

Virginia si lisciò distrattamente le pieghe della gonna, ricambiando brevemente il saluto di un compagno di classe. “E tu? Non hai niente da… chiarire?” deglutì infine.

“Nulla che non possa aspettare: tu hai lezione e io sento il Lemsic fare effetto, parlerei solo a vanvera,” ribatté lui, sopprimendo uno sbadiglio. Poi aggiunse: “A che ora posso chiamarti stasera?”

Virginia rifletté un attimo prima di rispondere: “Apri Skype per le nove, d’accordo?”

“D’accordo.”

“Ciao, allora.”

“Abbi una piacevole giornata.” Biagio non riagganciò. “Virginia?”

“Sì?” chiese lei a sua volta, scendendo dal davanzale e sistemando lo zaino sulla spalla.

“Mi manchi,” mormorò infine Biagio, chiudendo la telefonata prima che lei potesse rispondere a quell’ultima frase.

Virginia sbatté le palpebre un paio di volte, fissando il proprio cellulare: in un certo senso, si sentiva sollevata di non aver dovuto rispondere, le parole ti amo si erano affacciate sulle sue labbra un istante troppo tardi ed era riuscita a riacciuffarlo prima di pronunciarlo. In un certo senso si sentiva sollevata dal non aver sentito Biagio pronunciarle, né poco prima né il giorno precedente. Virginia deglutì il vuoto accarezzandosi leggermente il ventre, risentendo di nuovo succhi gastrici e bile in fondo alla gola quando, involontariamente, il suo pensiero tornò a tutte le volte che Liam le aveva dette, quelle due parole.

Virginia guardò l’ora sullo schermo del proprio cellulare: la telefonata le aveva preso più tempo di quanto sembrasse e non le restava abbastanza per studiare un po’ in biblioteca, quindi decise di raggiungere l’aula di Francese e attendere in corridoio l’inizio della lezione. Sorrise fra sé al pensiero di rivedere Biagio quella sera – arrossì d’imbarazzo nell’immaginare sua madre trattarlo come un bambino di cinque anni.

“Ciao Vir’!” Sharon agitò la mano per salutarla e poi le fece cenno di raggiungerla. “Vieni, Gene ci sta leggendo le carte!”

Virginia sbuffò e roteò gli occhi, ma sorrise nel vedere Eugene accoccolato per terra, con le carte da poker allineate davanti a lui, un ridicolo foulard dalla fantasia astratta annodato sotto il mento e una torcia tascabile a illuminargli il viso da sotto dandogli un’aria ridicolmente lugubre. Gli mancava solo un grosso naso aquilino ornato di verruche e dei cerchi alle orecchie per sembrare una vecchia cartomante.

“Sotto a chi tocca!” disse Eugene, nella sua miglior imitazione di una gitana.

 “Io!” rise Louis, sedendosi per terra mentre Eugene mescolava le carte. “Riuscirò a convincere i miei a…”

“Tutto ok Vir’?” chiese Sharon, osservando il suo profilo.

“Sì, perché?” chiese Virginia a sua volta, spostando meccanicamente una ciocca dietro l’orecchio.

“È che mi sembri--” Sharon corrugò la fronte, poi si inumidì un dito con la lingua e le strofinò il collo.

“Ma che…” balbettò Virginia, cercando di allontanarla.

Gli occhi di Sharon si illuminarono di malizia, mentre le sue labbra si allargarono in un sorriso da Stregatto. “È quello che penso che sia?”

“Non capisco di cosa parli,” borbottò Virginia, fingendo innocenza quando una mezza idea ce l’aveva.

“Parlo di questo: so riconoscere un succhiotto quando lo vedo,” rispose picchiettando un dito sul collo. Poi aggiunse, il suo sorriso ancora più largo: “E così ci siamo fatte il ragazzo…”

“Sharon, per favore --”

“Chi si è fatta il ragazzo?” chiese la voce incuriosita di Chantal, la quale trotterellava verso di loro.

Sharon indicò con un gesto plateale Virginia, la quale alzò gli occhi. “La qui presente Miss I-Libri-Prima-Di-Tutto! Guarda tu stessa, Chantie.” Scosse la testa e sospirò. “Mi chiedo se sia un morso d’amore o di un vampiro...”

Chantal schioccò la lingua deliziata, lanciando un’occhiata che fece rabbrividire Virginia. “Un vampiro, dici? Sai, posso immaginarlo: alto, riccioluto, con le fossette sulle guance, bassista in una cover band…”

Virginia alzò gli occhi esasperata e sbuffò: “Io non sto con Testa di Broccolo.”

Davvero?” ribatté Chantal, incrociando le braccia sul petto e inarcando un sopracciglio. “Vi abbiamo visti, sai? Tu e Matt, mano nella mano, mentre vi baciavate sotto i fuochi di Capodanno… era così ro-oh-mantico! Audrey ed io ci chiedevamo quando ce lo avresti detto.”

“Chantal…” iniziò Virginia, ma l’altra sembrava non averla sentita.

“Ehi, Gene, perché non ci dici qualcosa a proposito di Vir’ e Matt?” cinguettò Chantal, prendendo a braccetto Virginia e tirandola verso Eugene, il quale le fissò con gli occhi sgranati per la sorpresa.

“Hai un ragazzo?” chiese Eugene con circospezione.

“Ho fatto una cazzata, vero?” chiese Virginia a sua volta, intuendo quello che Eugene volesse dirle ma che non osava pronunciare, non davanti ai loro compagni.

Eugene sospirò seriamente, restituendo il foulard a una compagna di classe e raccogliendo le proprie carte. “Non conosco questo Matt per risponderti.”

Virginia fece per rispondere, ma la campanella suonò, annunciando la fine della prima ora di lezione. Nel trambusto di studenti che uscivano ed entravano nell’aula, Virginia perse d’occhio Eugene e, quando lo rivide, mimò con le labbra dopo ti spiego tutto mentre si sedeva accanto a Chantal, la quale stava mormorando qualcosa nell’orecchio di Audrey fin da quando questa era arrivata dalla classe di Arti Applicate.

Virginia si concentrò su Madame Bossuet, prendendo appunti e ponendo una o due domande pertinenti: buona parte della lezione si era svolta normalmente e nessuno si era comportato in modo tale da giustificare la gomitata al fianco che le diede Chantal. Virginia la guardò corrugando la fronte e scuotendo la testa, chiedendole con lo sguardo cosa volesse: in risposta, Chantal le passò un foglio e Audrey si chinò in avanti, entrambe con un sorriso da Stregatto. Sul foglio di quaderno erano stati schizzati una donnina in pan di zenzero e un broccolo impegnati a baciarsi circondati da cuoricini, fiorellini e farfalline svolazzanti. Chantal le diede un’altra gomitata, poi si abbracciò e protese le labbra come per baciare qualcuno; Audrey, invece, le mostrò i pollici in approvazione.

Virginia roteò gli occhi e, presa la sua matita, scrisse: non sto con Broccolo. Le sue amiche la guardarono poco convinte e lei aggiunse: sto con Biagio.

 “Cosa?!” esclamò Chantal, incredula.

Madame Bossuet si schiarì la voce: “Je vous rappelle que ceci est une lésons de Français, Chantal. Si vous aviez une question, je vous prie de la poser.”

Chantal boccheggiò come un pesce fuor d’acqua, avvampando per la vergogna mentre alcuni studenti ridevano. “N-no, madame…” balbettò infine, lanciando un’occhiata omicida a Virginia.

La lezione riprese e dopo qualche minuto, Audrey passò un altro schizzo a Virginia – lei e Biagio in sella a un grasso unicorno strabico che cavalcavano verso il tramonto, lasciando dietro di loro una scia cuoricini, fiorellini e farfalline svolazzanti. Virginia sospirò, cercando di non arrossire: tuttavia, non riuscì a trattenere più di tanto un sorriso. Sbatté le palpebre.

Per un attimo, le sembrò che una farfalla si fosse mossa.

Virginia corrugò la fronte, si stropicciò gli occhi e fissò nuovamente lo schizzo, chinandosi appena per osservarlo più da vicino. Un paio di farfalle disegnate mossero leggermente le loro ali. Virginia si guardò intorno alla ricerca di una spiegazione razionale – forse era un mero gioco di luci e ombre – ma non c’era nulla di anormale nell’aula, anche se l’aria aveva lo stesso odore dopo un temporale. Con gli occhi sgranati di fascinazione, Virginia vide le farfalle sbattere le loro ali di carta e grafite, mentre una a una si staccavano dal foglio per svolazzare davanti a lei. Virginia deglutì saliva dal sapore metallico mentre, con trepidazione, allungò un indice per toccarle.

Quando il suo indice sfiorò una farfalla, Virginia fu investita da una deflagrazione di grafite.

 

L’inutileangolo dell’autrice

 

Note
Je vous rappelle que ceci est une lésons de Français, Chantal. Si vous aviez une question, je vous prie de la poser: Ti ricordo che questa è una lezione di Francese, Chantal. Se hai una domanda da fare, falla.
 


E niente. Da oggi pomeriggio non avrò una connessione causa trasloco e non so quando la riavrò, soprattutto considerato le vacanze che si accavalleranno: la mia speranza è di essermi portata avanti con la storia come si deve durante il mese di agosto – sogna, bambina, sogna… Ragion per cui lo stile di questo capitolo è minimalista - il tempo non è sufficiente per dedicarmi all'HTML come sempre, ma rimedierò appena possibile.

La versione inglese di Podestaria partecipa ai Wattys Awards 2015, per cui, se siete iscritti anche su Wattpad e volete che Virginia e Biagio abbino una chance in più di vincere, vi invito caldissimamente a votare la loro storia! Infatti, uno dei fattori che peseranno maggiormente nella scelta delle storie vincitrici sono proprio le statistiche (intese come numero di letture complete, voti e suppongo anche commenti), per cui il vostro sostegno è essenziale!

Vi ricordo la pagina FB dedicata a “Podestaria”: mipiaciatela e non esitate a lasciare una parolina o due, aiutatemi a farla crescere perché è molto, molto importante per me e per i programmi che ho per questa storia!

Grazie a chi, non solo ha letto queste righe, ma lascerà anche un commento.

 

Kindest regards,

D. Rose

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***


Podestaria

 

 

Capitolo 17

 

Virginia tirò su col naso, tamponando il sangue con la manica del maglioncino. 

“Che accidenti --” disse, girandosi verso le sue amiche e rendendosi conto di non essere nell’aula di Francese ma in un corridoio sconosciuto.   

Il pavimento di legno dorato contrastava con il candore delle pareti e del soffitto elegantemente stuccato, armonizzandosi con i lampadari di vetro ambrato; le porte avevano un aspetto sobrio ed elegante, verniciate di bianco e con le serrature e le maniglie d’ottone. Il corridoio era relativamente spoglio: la poltrona su cui era seduta, quattro tavolini alti su cui erano posati dei vasi di fiori, e alcune tele dal soggetto mitologico; vi era un resinoso odore di chiuso. La luce entrava da grandi finestre alle due estremità del corridoio e da un pozzo di luce aperto su una scala. Virginia si guardò intorno e si alzò, sorpresa di non udire il rumore dei propri passi sul parquet nudo.  

 “C’è nessuno?” chiamò, ma non ottenne risposta se non la propria eco.  

La scala scendeva con una larga spira in un atrio ampio e luminoso, con un gran tappeto persiano e un banco in legno scolpito di fianco ai piedi della scala. Virginia deglutì, incerta sul da farsi, poi si avvicinò alla scala: aveva sceso un paio di gradini, quando vide una donna vestita da colf attraversare l’atrio.  

“Signora? Mi scusi, signora, potrebbe dirmi dove sono?” chiese Virginia, scendendo le scale e correndo dietro la donna, che pareva, tuttavia, non averla sentita.   

Virginia allungò una mano per afferrarle il braccio.   

“Ma cosa…”  

Virginia si bloccò e studiò la propria mano. Aveva afferrato il braccio della donna, ne aveva percepito la ruvidezza del tessuto e la morbidezza delle carni, tuttavia era stato come stringere la nebbia. Eppure le sue mani erano reali, sentiva la secchezza della pelle, le unghie affondare nei palmi, poteva sentire il proprio respiro su di esse e il sangue pulsare nelle vene.  

Ragiona Vir’, si disse cercando di riprendere il controllo del proprio respiro. Devi esserti addormentata come un’idiota durante l’ora di Francese.  

La donna sbucò da un corridoio, reggendo un gran vassoio di metallo con una teiera, alcune tazze e té per due. Virginia fece per spostarsi e lasciarla passare, eppure questa la attraversò come se lei fosse un fantasma.  

La donna raggiunse una porta socchiusa, quindi bussò con il piede contro lo stipite ed entrò. La stanza era un salotto dai toni chiari e dalla mobilia d'antiquariato, dove le imposte socchiuse avvolgevano la stanza nella penombra e le  lingue di fuoco danzavano seducenti nel caminetto; la loro luce donavano un alone aranciato ai profili di una poltrona e disegnavano il contorno di una manica di tweed da cui sbucava un polsino chiuso da un gemello e una mano ossuta, coperta di macchie brune e rughe,  posata sul pomello di un bastone da passeggio.  Un uomo, bruno e sulla sessantina, seduto su una sedia, inclinò il busto indietro per permettere alla donna di posare il vassoio sul tavolino davanti a lui.

“Grazie.” Virginia vide l’altra mano dell’uomo nella poltrona. “Continua pure.”  

La voce era vecchia e affabile come quella di un nonno prediletto, eppure quel suono stridette nelle orecchie di Virginia come un gesso nuovo su una lavagna pulita. Aveva già provato quella paura atavica, anche se non sapeva dire né dove né quando.  

Il sessantenne si schiarì la voce. “Solo cinque sono Podestari, di cui tre donne. Ma queste non sono le cifre definitive: Edna ha avuto un impedimento e Loveday ha voluto fare un’ulteriore verifica prima di mandare il rapporto da Chicago.”  

 “Solo tre…” l’uomo più anziano ripeté pensieroso, sorseggiando il tè. “ Dobbiamo sperare che fra queste ce ne sia una, altrimenti dovremmo cercare altrove.”  

“Piripi, Miyuki e Nergüi stanno già cercando nelle rispettive zone, tuttavia lei sa quanto le Aiutanti siano diventate rare,” concluse il sessantenne, scuotendo la testa. “Per quanto riguarda la prima parte del rituale, invece, sono lieto di annunciarle che Bastian ha trovato qualcuno che--”  

“Sssh!” lo zittì l’uomo sulla poltrona. “C’è un intruso.”  

Virginia si sentì il cuore in gola: era un sogno, eppure la sua paura era tanto reale quanto improvvisa. Indietreggiò di qualche passo, mentre sentiva qualcuno claudicare verso di lei. 

Una forte folata di vento spalancò la porta d’ingresso, investendola con la luce accecante del sole riflesso sulla neve. Virginia sbatté le palpebre fino a quando i suoi occhi non si furono abituati all’eccessiva luminosità. Incorniciato fra gli stipiti della porta, un cervo - no, una renna dal manto candido e le corna vellutate - la osservò prima di lanciarsi verso di lei.  

Scappa!

L’attimo in cui la porta si schiuse sembrò dilatarsi nell’eternità.  

La renna incornò Virginia.   

La renna era Virginia e correva a perdifiato nella neve alta, fuggendo le luci del Nord.  

Virginia era la renna e attraversava la Tundra, calpestando con gli zoccoli i muschi e i licheni.   

Virginia correva, cercando di sfuggire al lupo solitario che le dava la caccia.  

Scappa! Corri e non ti fermare!

Il ghiaccio era duro e spesso sotto gli zoccoli; Virginia doveva solo attraversare il lago e sarebbe stata al sicuro.  

Il ghiaccio si spaccò sotto gli zoccoli e Virginia cadde; l’acqua era tanto gelida da farle male ai polmoni.  

Virginia annaspò nel tentativo di riaffiorare, ma più si muoveva più il suo corpo affondava.  

Svegliati, piccola Renna, e guardati dall’Uomo dalle Mille Vite.

   

——— • ——— 

   

“Oh mio dio Vir’ finalmente ti sei svegliata!”  

L’ansia non era completamente scomparsa dallo sguardo di Mrs. Bergman. Si chinò su Virginia, posando un bacio tremulo sulla fronte com’era solita fare quand’era bambina. 

“Mi hai fatto perdere dieci anni di vita, sai?” mormorò asciugandosi gli occhi.  

Virginia sbatté le palpebre per abituare gli occhi alla luminosità della stanza e quando cercò di chiederle cosa fosse accaduto, sentì la lingua troppo pesante per muovere. Volle sedersi, ma non ci riuscì.  

“Stai ferma, o l’ago uscirà,” le disse sua madre con dolce preoccupazione.  

Solo allora Virginia notò la flebo e la sacca che instillavano nutrimenti e sangue nel suo corpo. Fissò gli occhi sbarrati su sua madre, chiedendole una spiegazione con lo sguardo. L’ultima cosa che ricordava era un disegnino scemo di Audrey durante l’ora di Francese - perché provava il bisogno di fuggire indugiare nelle sue membra?  

E poi, improvvisa, una pressione alla bocca dello stomaco.  

“Devi vomitare?” Chiese sua madre, e quando Virginia rispose con un debole cenno del capo, le porse una bacinella di cartone spesso. “Lascia che ti aiuti.”  

Con estrema delicatezza, Mrs. Bergman fece sedere Virginia, sorreggendola mentre si accasciava sulla bacinella, riversandovi il contenuto del proprio stomaco.  

“Che… cosa… è… successo?” chiese con la voce roca di chi non ha parlato per anni, fissando lo sguardo inorridito sulla propria colazione parzialmente digerita e venata di bile e sangue.  

“Quando mi hanno chiamato, hanno detto che avevi avuto delle convulsioni,” rispose sua madre, posando la bacinella sul comodino. “Poi mi hanno spiegato che si tratta di uno sbalzo di Holmberg-Kassel. Una specie d’ictus, ma dovuto ai tuoi poteri.” Mrs. Bergman le diede un altro sorriso tremulo, accarezzandole i capelli, poi trasalì. “Ah, mi hanno detto di avvertire non appena ti fossi svegliata!”  

Mrs. Bergman premette un pulsante vicino al letto e dopo pochi minuti arrivò un infermiere. Questi controllò il flusso della flebo, sostituì la sacca di sangue con un'altra, esaminò la bacinella con il vomito e storse il naso all’odore acre e pungente.  

“Il Dottor Lupton verrà a visitarla fra poco,” disse l’infermiere.  

Mrs. Bergman lo seguì con lo sguardo e sospirò, poi sorrise di nuovo a Virginia. “Vuoi un po’ d’acqua?”  

Virginia annuì leggermente, guardando altrove. Nella stanza c’erano quattro letti, di cui uno occupato da una signora sulla cinquantina impegnata con un cruciverba o un sudoku. Con un grosso sospiro, Virginia si lasciò aiutare a mettersi seduta e accettò il bicchiere d’acqua che sua madre le porgeva: osservò in silenzio la superficie del liquido, come a cercare una risposta alle proprie domande, poi ascoltò distrattamente sua madre parlare di tutto tranne il suo malessere.   

Il Dottor Lupton giunse qualche minuto più tardi, e dopo aver controllato gli occhi e la bocca di Virginia, le chiese: “Come si sente?”  

Virginia fece spallucce. “Come se fossi stata investita da un rullo compressore,” rispose con voce stanca e flebile. Poi aggiunse: “Che cosa è successo?”  

Il Dottor Lupton si grattò il mento, guardando una cartellina. “Le sue triviammine sono aumentate all’improvviso: da quando è arrivata in ospedale, abbiamo ripetuto le analisi ogni ora e al momento i valori sono ancora fluttuanti. Non è nulla di grave!” la rassicurò, notando il suo sguardo atterrito. “Dobbiamo solo tenerla in osservazione per un giorno o due, e una volta che i valori saranno stabili, sarà dimessa.”  

Tuttavia, Virginia non si sentì rassicurata da quelle parole. Deglutì aria e chiese, con un filo di voce: “La mia Classe è aumentata?”  

Il medico sospirò e le mostrò la cartellina: c’era un grafico, in cui invece della temperatura corporea erano segnati i valori delle varie triviammine. “Quando è arrivata, aveva cinque virgola quarantanove unità, ma nel giro di quattro ore il valore è tornato a essere inferiore a tre. È ancora superiore rispetto a quello del suo ultimo test di Haltey, ma non tanto da giustificare un cambiamento di Classe.” Riprese la cartellina e le diede un sorriso incoraggiante. “Davvero, non c’è nulla di cui preoccuparsi.”  

“Se lo dice lei…” rispose Virginia, non completamente convinta.  

Il Dottor Lupton girò un paio di fogli della cartellina ed estrasse una penna dal taschino. “Lei era a scuola quando ha avuto la crisi, giusto?” Virginia annuì. “Stava seguendo una lezione di Scienze Soprannaturali, giusto?”  

Francese,” rispose Virginia. “Ero a lezione di Francese.”  

Il Dottor Lupton corrugò la fronte. “Il suo insegnante o uno dei suoi compagni di classe ha usato i propri poteri?”  

“No… non che io sappia. Voglio dire, ora una mia amica mi passa un disegnino scemo e ora… puff! Blackout!”   

“Uhm, uhm… capisco,” mugugnò il dottor Lupton, pensieroso. Poi si alzò e diede un altro sorriso incoraggiante a Virginia. “Domani procederemo con alcuni esami, giusto per stare tranquilli.”  

Il resto della giornata fu pieno di noia interrotta regolarmente dai prelievi di sangue e la sostituzione di flebo, e l’unica nota di colore fu l’arrivo di alcuni compagni di classe venuti a trovare Virginia. Eugene e Sharon le portarono una copia degli appunti e i compiti delle lezioni comuni; Chantal e Audrey, invece, raccontarono nei minimi dettagli quello che era successo, enfatizzando la reazione loro e di Madame Bossuet. Tuttavia, poco prima delle cinque un’infermiera li cacciò via, facendo presente che le visite non erano ammesse durante i pasti. Anche Mrs. Bergman andò via, promettendo di tornare più tardi.  

Virginia lesse gli appunti dopo la cena e fu felice di vedere i suoi genitori arrivare dopo le sette, dato che sua madre le aveva portato un pigiama pulito, alcuni libri di testo, qualche snack e il caricabatteria del cellulare. I Bergman restarono a farle compagnia fin quanto possibile, quinti tornarono a casa dopo aver parlato con il medico di turno, lasciando Virginia sola con la propria noia.  

Fu dopo aver finito i propri compiti e giocato un po’ con proprio cellullare, che Virginia ricordò d’aver detto a Biagio che si sarebbero visti su Skype dopo le nove. Scorse rapidamente i propri contatti e, ritenendo inopportuno telefonare, preferì mandargli un messaggio.  

[ Scusa se non sono connessa: sono in ospedale e senza laptop. - V ]  

La risposta arrivò poco dopo.  

[Buonasera, Virginia.  
 Spero non sia nulla di grave  - B. ]

Virginia sorrise, notando che Biagio aveva risposto esattamente come si aspettava.  

[ Bah, niente di ché:  devo stare in osservazione. ]  

[ Osservazione? Hai avuto un incidente? - B. ]  
[ Dove sei ricoverata? - B. ]  

[ Nah. Triviammine sballate e sono alla Neurologia di Amersham. ]  
[ È una gran rottura perché non ho niente da fare, a parte studiare o giocare a Candy Crush. ]  

In un certo senso, si sentiva lusingata di percepire una vena di preoccupazione nei messaggi di Biagio, nonostante non ne vedesse la necessità. Il suo messaggio successivo non fu immediato come i precedenti.  

[ Quali sono gli orari di visita? - B. ]  

[ Dalle 3 alle 8, ma non durante la cena. ]  

[ Sono permessi i fiori o devo pensare ad altro? - B. ] 

[ Mi basta la compagnia. ]  

[ A domani, allora. Dormi bene. - B. ]  

Virginia fu tentata di chiedergli se avesse intenzione di visitarla nei suoi sogni, ma desistette. Non voleva che Biagio fraintendesse la sua curiosità per un invito a continuare un comportamento che lei riteneva inaccettabile, per cui limitò ad augurargli la buonanotte.  

   

——— • ———

   

Virginia trascorse la mattina seguente facendo diversi esami, da un colloquio con il primario a una risonanza magnetica, passando per un elettroencefalogramma. Inizialmente aveva temuto che le facessero fare un test di Haltey completo, ma non fu necessario. Dovette ripetere le analisi del sangue, tuttavia nel primo pomeriggio le confermarono che i valori si erano stabilizzati. Dopo il pranzo, sua madre venne per portarle un cambio pulito ma, a parte una telefonata di Ines e una chiacchierata con la sua vicina di letto, anche il secondo pomeriggio fu alquanto noioso.  

Fu poco prima delle quattro che Virginia ricevette un messaggio da parte di Biagio, chiedendole in quale stanza lei fosse e, circa una decina di minuti più tardi, lo vide entrare con un’orchidea rosa e accompagnato da Linda. Virginia arrossì, un po’ per il sorriso che Biagio le aveva rivolto e un po’ perché avrebbe preferito indossare qualcosa più femminile di un pigiama con Brontolo o delle pantofole a porcellina.   

“Buon pomeriggio, Virginia. Come stai?” le chiese Biagio, posando l’orchidea sul comodino e guardandola come aveva fatto quando le aveva portato i macarons.  

“Ciao!” disse a sua volta Linda, ancora vestita con l’uniforme della sua scuola.  

“Ciao,” rispose a sua volta Virginia. “Sto bene, anche se annoiata. Ma domani mi dimettono.”  

Chiacchierarono del più e del meno per un po’, e Virginia non poté fare a meno di notare le occhiate sempre più insistenti che Biagio rivolgeva a sua sorella. Poi lui si scusò e uscì dalla stanza, lasciando Virginia sola con Linda. Questa rimase per un po’ in silenzio, poi sedette sul bordo del letto.  

“Non è vero che doveva fare una telefonata urgente,” esordì Linda con un fil di voce.  

Virginia inarcò un sopracciglio e borbottò: “Oh? Beh, bisogna ammettere che tuo fratello è strano. Voglio dire, la sua ragazza è in ospedale e non le da neanche un abbraccio…”  

“Lo so, ma lui è fatto così: più tiene a una persona, più è freddo nei suoi confronti, almeno fin tanto che c’è gente intorno,” rispose Linda, indicando con la testa la vicina di letto e i suoi visitatori. Sospirò e dondolò le gambe. “È uscito per permettermi di scusarmi senza dovermi imboccare le parole,” ammise infine.  

Virginia corrugò la fronte. “Di cosa dovresti scusarti?”  

Linda strinse le labbra, prese un profondo respiro e arrossì. “Scusaperilfiltrodamore,” disse tutto d’un fiato.  

“Scusa? Potresti ripetere, non ho capito molto bene quello che hai detto.”  

“Ehm… Scusa per il filtro d’amore?” ripeté più lentamente Linda, con gli occhi bassi e le dita allacciate.  

Basita, Virginia sbatté le palpebre basita. Lanciò un’occhiata alla porta, intravedendo un gomito di Biagio, e ripeté a denti stretti: “Scusa?” 

Virginia sentì un improvviso fiotto di bile nel retro della bocca quando l’impressione d’essere stata raggirata – usata e abusata – la travolse come un’onda di marea. Fu un po' come essere trascinata indietro.

Linda non rispose subito, e osservò per un po’ suo fratello. Poi strinse le labbra e mormorò: “Ricordi quando sei venuta per aiutarmi con la torta e mi chiedesti quali spezie avessi usato per il vin brûlé? Beh, avevo aggiunto un filtro d’amore. Biagio non c’entra nulla!” si affrettò ad aggiungere, guardando Virginia. “Non solo non lo sapeva, ma l’ho dato anche a lui. Non avreste dovuto saperlo…”  

Virginia boccheggiò, sentendo una sensazione sgradevole attorcigliarle le viscere. Avrebbe voluto urlare, ricordare a Linda la truffa dell’estate precedente ma non poteva, non in ospedale. Guardò la sua vicina di letto e i suoi visitatori, i quali continuavano a ridere e chiacchierare; guardò la porta e parte del profilo di Biagio, di cui poteva percepire il desiderio di intervenire in quella conversazione. Virginia respirò profondamente più volte per stemperare la propria indignazione.  

“Fammi capire. Mi hai fatto innamorare di tuo fratello?” sputò, incapace di celare la sua stizza.  

“Io non faccio innamorare nessuno: avete fatto tutto da soli. Io ho semplicemente dato una spintarella,” disse Linda sulla difensiva. “Biagio è pieno di difetti e a volte è così borioso che non so se dovrei prenderlo a ceffoni o a pedate nel sedere. Ed è troppo orgoglioso per chiedere aiuto - pozioni incluse. Ok, non avrei dovuto intromettermi, ma gli voglio bene e se fossi rimasta con le mani in mano, Biagio avrebbe fatto lo stesso errore del nonno con Estela.”  

“Per quanto possano essere nobili le tue intenzioni, non cambia il fatto che --” Virginia lanciò un’altra occhiata alla vicina di letto e abbassò ancora di più la voce. “ -- che mi hai drogata! Drogata per l’amor d’iddio!”  

“Spiacente, ma devo contraddirti: un filtro d’amore non altera le capacità mentali e non da dipendenza,” rispose Linda con un’alzata di spalle - un gesto che ricordò a Virginia la snervante nonchalance di Biagio. “E poi ho esitato fino all’ultimo se dartelo o meno.”  

 “Oh?” disse Virginia, inarcando un sopracciglio e non sapendo se chiedere dettagli o dirle di zittirsi.  

Neve che nasconde chissà quali segreti, innocenti o turpi che siano. Virginia si rese conto di quanto quella immagine calzasse a Linda.  

Linda annuì lentamente. “Ignoravi i tuoi sentimenti ed eri pronta a rinunciare a lui.” La osservò con attenzione, tanto che Virginia si sentì arrossire. “Biagio ha bisogno di qualcuno come te, capace di sostenerlo e di pretendere sostegno. Qualcuno che non si lascia accecare da…” Linda si morse le labbra. “Dal nome, dal prestigio o da qualunque altra cosa.”  

Virginia distolse lo sguardo. “È un complimento?” ribatté acidamente.   

“Solo un dato di fatto. Io conosco la fonte della tua forza e della tua fragilità.” Linda si allungò verso di lei e le strinse una mano, rivolgendole un sorriso incoraggiante. “Pace, allora?”  

“Io direi che, prima di far pace, dovremmo pensare a un castigo,” disse Biagio, raggiungendole. Poi si rivolse a Virginia: “Suggerimenti?”  

Virginia strinse le labbra e incrociò le braccia sul petto. “Sai, dovrei essere molto, molto arrabbiata.”   

“E mi trovi perfettamente d’accordo,” rispose lui severamente. “Linda ha oltrepassato il limite del buonsenso.”  

“Intanto, se non lo avessi fatto, chissà se adesso sareste insieme,” insinuò Linda, saltando in piedi e puntando i pugni sulle anche.  

“Qualcuno cerca disperatamente di tirare l’acqua al proprio mulino, mh?” disse Biagio poco convinto, inarcando un sopracciglio. “Abbiamo avuto più volte questa discussione, Linda.”  

 “Sei tu che hai insistito affinché Virginia lo sapesse, mio carissimo Signor Fratello cui voglio tanto bene!” rispose lei, alzando il mento con aria di sfida. “Se ci tenevi così tanto, perché non glielo hai detto tu stesso?”  

“Hai visto che faccia tosta, Virginia?” le chiese Biagio, indicando sua sorella infastidito.   

“Io avrei una mezza idea su chi possa averla ispirata,” rispose Virginia, decisa a non voler avere a che fare con il loro litigio e rendendosi conto di quanto Linda somigliasse al fratello.  

L’arroganza dev’essere un tratto di famiglia, pensò un po’ sconsolata. Non riusciva a immaginare Mr. Aldo Tricano con così tanta boria. Ma anche Biagio non ti aveva dato quest’impressione, quando lo hai conosciuto.  

“Parliamo d’altro o giuro che vi caccio entrambi a pedate,” borbottò infine Virginia.   

Biagio e Linda si guardarono un attimo, poi lei tornò a sedersi sul letto e inclinò la testa.  

“Virginia, cosa ne pensi di storie alla Princess Diaries, in cui il o la protagonista è in realtà il membro di una famiglia reale in incognito?” le chiese a bruciapelo.  

Virginia inarcò entrambe le sopracciglia. “Bah, per quanto sia un cliché, se la storia è scritta bene, la trama è interessante e i personaggi sono ben caratterizzati, non dico di no. Se vuoi dei suggerimenti, dovresti chiedere a Chantal: lei posta su Wattpad e sua madre è un’autrice di  romanzi sentimentali.”  

“Sono sollevata,” rispose Linda, con eccessivo entusiasmo. “Ho una mezza idea di scrivere una storia così ma avevo un po’ paura del fattore cliché.” Poi sorrise a suo fratello e aggiunse: “Che ti avevo detto?”  

Biagio si limitò ad alzare gli occhi, poi disse: “A proposito di amici, non dirmi che siamo gli unici venuti a visitarti!”  

Virginia annuì. “Papà e Finn non possono muoversi: c’è del lavoro da fare e Fairy Red Poppy dovrebbe partorire in questi giorni. Lo stesso per mamma: prima delle cinque non può muoversi dalla sala da tè. I miei amici, invece…” Controllò l’ora sul proprio cellulare. “… dovrebbero arrivare da un momento all’altro.” Biagio annuì, pensieroso, poi Virginia trasalì e aggiunse. “Ieri mi avevi detto che c’era qualcosa di cui volevi parlarmi.”  

“Ne abbiamo appena parlato, Virginia,” rispose lui, guardando prima lei, poi sua sorella.  

“Oh? Oh… capisco,” sibilò Virginia, capendo a cosa si riferisse, e non potendo impedirsi di aggiungere. “Pregate che Bob non lo venga mai a sapere o passerete entrambi un brutto quarto d’ora. Soprattutto tu, Biagio.”  

Biagio e Linda scoppiarono a ridere, e dopo un po’ Virginia li imitò. La vicina di letto diede loro un cenno di saluto e Biagio tenne le porta aperta mentre accompagnava i suoi visitatori fuori dalla stanza; quindi rivolse uno sguardo eloquente a Virginia. Poi ci fu un silenzio imbarazzante.  

Muore dalla voglia di baciarti, Vir’, la canzonò una vocina maliziosa.  

Nonostante fosse ancora irritata per il filtro, arrossì e sentì il cuore sussultare nell’attesa di un gesto rimandato, tanto che si trovò a dire suo malgrado: “Perché non lo fai?”  

Fu come se Biagio non avesse sentito la sua domanda; invece, Linda si alzò e lo raggiunse, porgendogli una mano.  

 “Hai qualche spicciolo?” chiese e suo fratello frugò nelle proprie tasche, poi Linda si rivolse a Virginia: “Vuoi che ti prenda qualcosa dal distributore automatico?”  

Virginia scosse la testa e Biagio chiuse la porta dietro sua sorella silenziosamente, poi tornò a fissarla, tanto che lei arrossì di più al déjà-vu.   

È come quella volta nel suo studio, solo senza la pozione.

Biagio la raggiunse con poche falcate e, prima che Virginia potesse ripetere la propria domanda, si chinò su di lei, appoggiandosi con i pugni sul letto, e catturò le sue labbra con le proprie. Lo stupore di Virginia fu presto inghiottito dalla crescente passione del bacio: calciò via la propria irritazione e gli cinse il collo con le braccia, tirandolo a sé, affondando le dita nei suoi capelli così folti e setosi da farle invidia.  

“Perché ci hai messo così tanto?” mormorò Virginia, riprendendo fiato.  

Biagio la guardò attraverso le ciglia, le labbra contro le labbra. “Perché non voglio che nessuno si renda conto di quanto ti --”  

“Salve salvino!”  

Biagio saltò indietro come se avesse ricevuto una scossa elettrica e rivolse a Chantal, Audrey ed Eugene lo stesso sguardo indignato che aveva rivolto a Virginia quando l’aveva sorpresa nel suo studio. Eugene tossicchiò, aggiustando gli occhiali sul naso e trovando improvvisamente interessante lo stipite della porta e Audrey diede una gomitata a Chantal, il cui sorriso si sciolse in un’espressione dolorosa. Linda arrivò correndo pochi istanti dopo, con gli spiccioli ancora in mano e un viso ben più contrariato di quanto suo fratello mostrasse; restando dietro gli amici di Virginia, minò scusa con le labbra, come se fosse stata lei la causa dell’interruzione.   

Virginia giocherellò un po’ con le proprie dita, poi tossicchiò. “Ehm, ciao! Vi… aspettavo un po’ prima,” balbettò, cercando di sembrare il più naturale possibile e invidiando Biagio per il proprio autocontrollo.  

Audrey fu la prima a entrare nella stanza. “Scusa, ma ho messo più tempo del previsto per finire il bigliettino,” disse, porgendole una busta.  

“Ehm… grazie,” rispose Virginia, prendendo la busta ed estraendo il bigliettino - era la stessa caricatura con lei, Biagio e l’unicorno del giorno prima, rifinito, colorato e con gli auguri di pronta guarigione dei suoi compagni di scuola.  

Chantal, d’altro canto, guardava con insistenza lei e Biagio, poi indossò un sorriso malizioso e la stuzzicò: “Dico, ragazza mia, hai lasciato le buone maniere a casa?”  

Virginia trasalì: aveva dimenticato che, nonostante lo avessero visto un paio di volte allo Scarlett’s Cafè, non aveva mai presentato Biagio ai suoi amici. Arrossì di nuovo, poi lo indicò con un gesto della mano. “Ragazzi, lui è Biagio… e sua sorella,” disse, puntando Linda, poi fece altrettanto con i suoi amici. “Loro sono Chantal, Audrey ed Eugene.”  

Biagio e Linda li studiarono brevemente, poi lui disse con un cenno del capo: “Piacere di conoscervi.” Quindi si rivolse nuovamente a Virginia. “Credo che non possiamo trattenerci oltre: qualcuno deve ancora fare i compiti,” concluse lanciando un’occhiata a Linda, la quale rispose con una linguaccia e abbracciando Virginia.  

Ricambiando il gesto, Virginia disse: “Grazie per essere passati!”  

“Rimettiti presto, e fammi sapere quando verrai a Oxford!” cinguettò a sua volta Linda, agitando una mano.  

Biagio aveva fatto pochi passi nel corridoio, quando tornò indietro e si affacciò nella stanza. “Ti dimetteranno domani mattina, nevvero?” chiese e Virginia annuì. “Verrò a prenderti.”  

“Non ce n’è bisogno! Mamma si prenderà un’oretta dal lavoro,” protestò Virginia.  

 “Inutile insistere,” s’intromise Linda roteando gli occhi e indicando suo fratello con il pollice. “Quando questo signore si mette qualcosa in testa, neanche un’apocalisse zombie potrebbe fargli cambiare idea!”  

Quella battuta fece ridere tutti tranne Biagio, il quale pose le mani sulle spalle di Linda per guidarla. Una volta che i due furono andati via, Chantal sedette alla turca sul letto di Virginia e la osservò con attenzione.  

“Ok, devo ammettere che, visto da vicino, posso capire perché ti piaccia,” disse, sporgendosi verso di lei. “Ma, oltre che troppo pulito, è anche un ghiacciolo. Ti vedrei meglio con qualcuno più alla mano, più divertente…”  

“Come Broccolo?” propose Virginia, inarcando un sopracciglio.  

Chantal inclinò la testa su un lato, simulando sorpresa. “Oh, come hai fatto a indovinare? E detto fra noi: Liam sarà stato un cornificatore di prima categoria, ma almeno era molto più affettuoso di Mr. Ghiacciolo.”  

Chantie non sa cosa è successo con Liam, Vir’, si disse, sentendo l’acidità nello stomaco aumentare. Porta pazienza.  

“Io direi che Ghiacciolo è il termine sbagliato,” tossì Eugene, guardando rapidamente Virginia preoccupato. “Sempre che non stesse rianimando Vir’ quando siamo arrivati.”  

“Io direi che stava controllando le sue tonsille,” ridacchiò Audrey, sedendosi anche lei sul letto e dando una gomitata a Virginia. “È un po’ timido, il ragazzo, mh?”  

Chantal si morse la lingua, arrossendo. “D’accordo, avete vinto: sono un po’ prevenuta e continuo a pensare che Matt sia migliore per Vir’,” ammise infine, incrociando le braccia sul petto. “Però non potete negare che quel ragazzo non sia normale! Come si può passare dall’arrapato al ghiacciolo in… quanto? Mezzo millesimo di secondo?”  

Eugene si grattò il mento. “Beh, su questo hai ragione. Inoltre dopo era tranquillo come se fosse successo nulla: io al suo posto sarei morto d’imbarazzo,” concluse, arrossendo leggermente a chissà quale ricordo.  

“Piuttosto, direi che ha dei gusti bizzarri. Tralasciando che siamo in un ospedale, come può arraparsi davanti a un pigiama di Brontolo e quelle pantofole,” disse Audrey indicando i due capi di abbigliamento.  

Beh, non ha tutti i torti, pensò Virginia, abbassando lo sguardo sui propri piedi. Tuttavia, si sentì in dovere di difendere Biagio e i suoi gusti improbabili.   

“Il segreto, mia cara, sono le pantofole,” rispose, assumendo una posa da pin-up, roteando un piede e mordendosi sensualmente il labbro inferiore. “Nessuno può trattenere i tuoi maschi istinti dinanzi al supremo sesc apiil delle mie pantofole a forma di porcella vogliosa!”

 

L’inutileangolo dell’autrice

 

 Sono ancora reduce del trasloco, cui si è aggiunto il rientro a scuola delle Loro Pucciosità: in questo momento sto scrivendo per inerzia, ma spero che il capitolo e la svolta soprannaturale sia stata apprezzata.

Vi ricordo la pagina FB dedicata a “Podestaria”: mipiaciatela e non esitate a lasciare una parolina o due, aiutatemi a farla crescere perché è molto, molto importante per me e per i programmi che ho per questa storia!

Grazie a chi, non solo ha letto queste righe, ma lascerà anche un commento.

 

Kindest regards,

D. Rose

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***


Podestaria

 

 

Capitolo 18

 

“Ti avevo detto che non era necessario,” borbottò Virginia, aggrottando la fronte stizzita.

“Andiamo Vir’, dovresti essere un po’ più riconoscente! Inoltre i gentiluomini sono piuttosto rari al giorno d’oggi,” la rimproverò sua madre; poi si volse leggermente e fece un occhiolino. “Giusto, Biagio?”  

Le labbra di lui si arricciano in un sorriso lusingato e divertito, e rispose: “Più che altro, mio nonno mi ha detto di essere ineccepibile con… un certo tipo di amicizia.”  

Virginia alzò gli occhi e sbuffò. “Sei terribile, sai?” borbottò di nuovo e cercando di non mostrare quanto il fatto che Biagio fosse venuto per riaccompagnarla a casa la lusingasse.  

“Ma non puoi negare che ti avevo avvertito,” rise lui, ricambiando il gesto di Mrs. Bergman e caricandosi su una spalla la borsa di Virginia, quindi aggiunse: “Parlate pure con il primario, nel frattempo mi occuperò io dei bagagli.”  

Virginia lo seguì con lo sguardo e, quando Biagio non fu più nel suo campo di visione, lanciò un’occhiataccia a sua madre. “Perché lo hai lasciato fare?” sibilò.  

Mrs. Bergman alzò gli occhi e le braccia in un gesto esasperato. “Vuole solo essere cortese, Vir’! E poi non potevo dirgli semplicemente no grazie quando si è presentato al caffè pochi minuti dopo l’apertura – Biagio è stato il primo cliente della giornata, oggi,” rispose un po’ sulla difensiva. Poi prese a braccetto Virginia e la condusse nella direzione opposta rispetto a Biagio. “Ne riparliamo più tardi, ok? Il primario non ci aspetta.”  

Virginia sbuffò innervosita, ma si lasciò comunque guidare da sua madre fino all’ufficio del primario dove Biagio le raggiunse poco dopo, rivolgendole un sorriso incoraggiante quando lei e sua madre furono chiamate nell'ufficio. Virginia si sentì piuttosto nervosa e sedette impacciatamente sulla sedia che le era stata indicata: con il cuore in gola senza sapere esattamente perché, guardò il primario sfogliare rapidamente la sua cartella medica. 

“I risultati delle sue analisi sono molto incoraggianti, Miss Bergman. Tuttavia, è meglio che si astenga dall’esporsi all’attività di altri Podestari e dall’usare i suoi poteri per un mese,” disse scrivendo su un foglio, che poi le porse. “Questo è l’esonero dalle lezioni  di Scienze Soprannaturali.”

Virginia prese il foglio e lo lesse rapidamente, mormorando: “Beh, in Sixth Form le lezioni pratiche sono quasi inesistenti…”  

“Prevenire è meglio che curare, signorina. Le ho prescritto una cura di dieci giorni: una compressa di Hexenazine due volte al giorno, lontano dai pasti; e cinquanta gocce di Maghor Alpha tre volte al giorno a stomaco pieno.” Il primario la studiò in silenzio per un po’, poi le chiese: “Ha già preso appuntamento per il suo prossimo test di Haltey?”  

“Se n’è sempre occupata la scuola,” rispose Mrs. Bergman. “Solitamente prenotano dopo le vacanze di Pasqua.”  

Il primario annuì, lo sguardo di nuovo sulla cartellina medica. “Dati i risultati delle analisi, le consiglio di effettuare un test quanto prima.”  

Nel sentire quelle parole, Virginia si sentì improvvisamente smarrita, come se qualcosa di fondamentale le fosse venuto meno . Deglutì il vuoto, poi sussurrò: “La… la mia Classe è aumentata, vero?”  

Il primario sospirò, sollevando appena gli occhiali e massaggiandosi il setto nasale. “No, Miss Bergman, ma i suoi valori di triviammine sono al limite consentito per la Classe B: anticipare il test di Haltey è la prassi, in questi casi.” Forse toccato dalla preoccupazione che traspariva dal volto di Virginia, le sue labbra ebbero un piccolo spasmo che ricordava un sorriso incoraggiante. “Si astenga dall’esposizione e dall’uso dei suoi poteri e vedrà che tutto andrà bene.”  

Virginia si limitò ad annuire appena e a mormorare il suo congedo e, una volta che fu di nuovo in corridoio, nascose il volto sul petto di sua madre e singhiozzò.  

“C’è qualcosa che non va?” chiese Biagio con una punta di preoccupazione, rimettendo rapidamente il suo taccuino in tasca.  

Virginia scosse la testa, lasciandosi guidare da sua madre.

Mrs. Bergman, invece, roteò gli occhi e sospirò, stringendo affettuosamente la spalla di Virginia. “Sì, tutto bene, è solo che Vir’ ha paura che la sua Classe di Haltey aumenti di nuovo, tutto qui.”  

“Non voglio diventare una classe C!” ammise infine Virginia, tirando su col naso per la rabbia.  

“No che non lo diventerai!” La rassicurò sua madre, stringendole le spalle affettuosamente. “E appena posso telefonerò a Mrs. Coleman per chiederle il numero del centro. O preferiresti fare il test da un medico privato?”   

Virginia fece spallucce e, una volta nel parcheggio dell’ospedale, calciò un ciottolo. “L’importante è che faccia il test prima possibile, no?”  

“Devi anticipare il test di Haltey?” chiese Biagio, aprendo la propria auto e facendo salire Virginia e sua madre. Quando Virginia annuì, aggiunse: “Se vuoi, posso chiedere a mia madre se può darvi un nome o due. Se non erro, uno dei suoi compagni di università sta cercando di riprodurre alcune tecniche d’indagine usate ad Alkonost.”  

Virginia aggrottò le ciglia, chiedendosi se quell’ultima frase fosse qualcosa di positivo – non le andava di fare da cavia per qualcosa che non era scientificamente provato. Fu alquanto contraddetta quando sua madre, invece, rispose con un è molto gentile da parte tua.  

Non sarà potente ed esperta come Bob, ma è una empatica migliore di te, pensò Virginia mentre imboccavano la strada per la sala da tè.  

Virginia si lasciò sprofondare nel sedile posteriore, aspirando leggermente l’odore di cuoio e tabacco che le ricordava il profumo di Biagio, e sentendo senza ascoltare sua madre chiacchierare dei suoi nipotini. Non sapeva dire perché, ma nonostante le rassicurazioni del primario non riusciva a scuotersi di dosso la cattiva sensazione che la perseguitava dal giorno della crisi. Poteva sentire nelle ossa e nello stomaco che quello era stato solo l’inizio di qualcosa di formidabile1 e di cui non poteva fare a meno d’essere spaventata. Non voleva che la sua Classe di Haltey aumentasse, non voleva rinunciare alla sua ambizione di lavorare nella Finanza – certo, avrebbe di gran lunga preferito dedicarsi alla Matematica pura, ma si era già fatta i conti in tasca alla fine della scuola media. Osservando il paesaggio scorrere oltre il finestrino, si chiese quali avrebbero potuto essere le sue alternative: si rese conto che non erano molte, per non dire nessuna.  

Biagio è una Classe E e ha dovuto rinunciare all’insegnamento.  

Sospirò e cercò lo sguardo di lui nello specchietto retrovisore: Biagio era concentrato sulla strada e ogni tanto intercalava una parola o due in quello che era quasi un monologo di Mrs. Bergman; tuttavia, per un istante Virginia fu certa che lui avesse ricambiato il suo sguardo attraverso lo specchietto retrovisore. Sospirò di nuovo e, a un centinaio di metri dallo Scarlett’s Café, prese il suo zaino.  

“Mamma, dov’è il libro di Storia?” chiese corrucciata. “E che cosa ci fa quello di Matematica? E... Mamma! Oggi non è lunedì!”   

“Certo che non è lunedì, cara, non capisco perché tu mi faccia una domanda così sciocca,” le rispose Mrs. Bergman con ovvietà nella voce. Nella sua borsa, il cellulare iniziò a squillare.  

Virginia alzò gli occhi e sbuffò. “Perché, non solo hai lasciato quelli delle lezioni mattutine che, data l’ora, non mi servono, ma mi hai anche passato i libri sbagliati! Oggi pomeriggio ho Storia, Scienze Soprannaturali ed Economia, non Matematica e Letteratura, e sarei dovuta essere nell’aula di Biologia mezz’ora fa!” 

“Scusa tesoro, ma sono certa che nessuno dei tuoi compagni di classe si rifiuterà di condividere i libri di testo,” rispose Mrs. Bergman, prendendo il proprio cellulare e ponendo fine al suo esasperante pigolare. “Pronto? -- Ora te la passo,” disse, prima di voltarsi indietro e porgere il proprio cellulare a Virginia. “è papà.”  

Virginia prese il telefono e lo portò all’orecchio. “Dimmi pa’.”  

“Perché non hai risposto quando ho chiamato sul tuo cellulare?” Esordì Mr. Bergman.  

“Scusa, non l’ho sentito suonare…” rispose lei con voce piatta, sganciando la cintura di sicurezza non appena Biagio tirò il freno a mano. “Cosa c’è?” quando suo padre non rispose, si bloccò nell’uscire dall’auto e aggiunse, la voce venata di preoccupazione: “è successo qualcosa a Poppy?”  

“No, la giumenta sta bene, è solo che...” Mr. Bergman si concesse una rara risata. “… le sono stato appresso tutta la notte, mi allontano per una tazza di caffè, e la ritrovo con un puledro che--”  

Virginia non chiuse neanche la telefonata: guardò Biagio supplichevole e disse: “Portami a casa. Subito!”  

Biagio inclinò la testa su un lato e scambiò una rapida occhiata con Mrs. Bergman, la quale alzò gli occhi. “Come vuoi, dato che sembra trattarsi di un’emergenza,” rispose tenendole la portella aperta.  

“Ovvio che lo è!” attaccò lei, mandando un bacio volante a sua madre e guardandolo con gli occhi sgranati. “Mi spieghi come potrei concentrarmi sulle lezioni senza essere certa che Poppy e il piccolo stanno bene? No no no! E ne approfitto per prendere i libri che mi servono.”  

Quelli forse furono i dieci minuti più lunghi della sua vita. Per tutto il tragitto, Virginia tenne gli occhi fissi sulla strada, mordicchiando spasmodicamente la seconda falange dell’indice, rispondendo con un vago sì certo alla domanda che le fece Biagio e, appena arrivarono a Rana’s Farm, si lanciò fuori dall’auto prima ancora che questa si fosse completamente fermata. Virginia ignorò suo padre e Finn, correndo fino alla stalla in cui Fairy Red Poppy aveva trascorso le ultime settimane:” quando entrò, sentì il cuore sciogliersi alla vista del puledrino che accennava qualche passo traballante incoraggiato dalla madre. Virginia soppresse la voglia di avvicinarsi e accarezzare la giumenta e il suo cucciolo, e attese con una certa trepidazione che Fairy Red Poppy annusasse la sua presenza: non dovette attendere molto, e la giumenta si volse verso di lei, allargando le narici e fissandola con i grandi occhi scuri.  

“Poppy, non sai quanto mi spiace non esserci stata…” mormorò Virginia quando la cavalla le diede un colpetto di benvenuto con la testa. “Anche tu eri preoccupata per me? Sai, non devi: il dottore ha detto che devo prendere delle medicine e non usare i miei poteri per un po’, tutto qua.” In risposta, la giumenta nitrì e sbuffò, scuotendo appena la testa e facendo ridere Virginia. “Sembrerebbe che tu non sia d’accordo.”  

Premette la fronte contro la guancia dell’animale, accarezzando il collo e il crine scuro.  

“Non so perché, ma mi sento come quella volta che Finn mi costrinse a vedere IT. Per più di un mese costrinsi mamma a dormire con me, tanto avevo paura,” mormorò pensierosa. “È come se in ogni angolo buio ci fosse un mostro pronto a mangiarmi viva…”   

Svegliati, Piccola Renna, e guardati dall’Uomo dalle Mille Vite.  

Virginia si irrigidì, fissando un punto imprecisato della stalla, poi scosse la testa e rise nervosamente. “Adesso devo andare Poppy, ma promesso: dopo la scuola ti darò una bella strigliata con i contro fiocchi e penseremo a un bel nome per il tuo piccolo!” Concluse con un tono forzatamente gioviale e dando un bacio rumoroso alla giumenta.   

Virginia decise di andare a prendere i suoi libri prima e di salutare suo padre poi; incrociato Finn che con un dipendente stava scaricando i bidoni di latte ormai vuoti, entrò in casa dalla porta sul retro. Si sentì un po’ interdetta nel non trovare Mockey o Lady Dèa ad accoglierla. Rimase sullo stoino per pochi instanti, indulgendo negli odori famigliari e rassicuranti di Rana’s Farm –quello dello stufato preparato per suo padre e suo fratello e i loro dipendenti; quello del prodotto usato da sua madre per pulire il parquet; il vago sentore di animale e pelo bagnato. Virginia sorrise a se stessa, felice d’essere tornata, rassicurata dal trovarsi fra quelle mura. Sentendo la pendola in soggiorno battere le dodici meno un quarto, si riscosse e si affrettò verso la sua camera – l’ultima cosa che voleva, era obbligare Biagio a pranzare con suo padre, Finn, Mr. Higgins e Leonard per subire il loro interrogatorio – tuttavia, non appena raggiunse il piano superiore, si sentì contradetta.  

Biagio indugiava sulla soglia della sua camera, dei libri sotto un braccio e lo sguardo fisso su un punto preciso degli stipiti, come se stesse studiando il modo in cui la vernice nascondeva la grana del legno. Un miagolio, e Lady Dèa apparve ai suoi piedi e fissò Virginia con i suoi occhi azzurri.  

“Virginia--”  

“Fammi capire, io non posso entrare nel tuo studio, ma tu puoi fare avanti e indietro nella mia camera?” lei lo interruppe, incrociando le braccia sul petto e inarcando un sopracciglio.  

Lui spostò lo sguardo su di lei, inclinando la testa in confusione. “Non farei mai una cosa del genere, non senza chiederti il permesso,” rispose Biagio con il tono ovvio di chi sa d’aver ragione.  

“Davvero?” Insistette Virginia, sollevando il mento. “Io non ricordo di averti autorizzato chissà che.”  

Biagio sorrise e puntò il pugno libero sull’anca. “Mentre eravamo in auto, ti ho chiesto: pensavo di prenderti i libri di testo, mentre controlli la giumenta, è un problema? Al ché tu hai annuito; poi ho aggiunto: devo prendere Scienze Soprannaturali ed Economia, giusto? E tu mi hai risposto: sì, certo.” Rise leggermente, vedendo Virginia schiaffeggiarsi la fronte e borbottare fra i denti. “Non ti preoccupare, non è mia abitudine frugare nella biancheria intima di una ragazza,” aggiunse facendole l’occhiolino.  

Virginia avvampò, un po’ per la vergogna è un po’ per l’imbarazzo, e cercò di nascondere il suo rossore prendendo Lady Dèa fra le braccia e affondando il naso nel pelo lungo e serico della gatta. Anche Mockey uscì dalla stanza, strusciandosi contro le gambe della sua padrona e ronfando in benvenuto.  

“Credo sia meglio andare. Non vorrei avere un malinteso con tuo padre: non sono nelle sue grazie e non desidero inimicarmelo ulteriormente.” Tuttavia, Biagio non si mosse e tornò a osservare gli stipiti della porta, la sua espressione improvvisamente grave.

“A-andiamo allora?” balbettò lei.  

Biagio fece scorrere il palmo della mano sinistra sullo stipite. “Perché hai ridipinto? Cancellando i simboli magici, hai indebolito le barriere poste a protezione di questa stanza. Inoltre…” Indicò con indice e medio due angoli della camera. “… le trappole a Sud e a Est sono da sostituire.”  

“Simboli magici? Barriere? Trappole? Di che accidenti stai parlando?” chiese Virginia corrugando la fronte. “A parte il fatto che sono libera di decorare la mia stanza come mi pare e piace, ma per quanto fossi affezionata ad àkkhu, i disegni che aveva dipinto dappertutto erano un po’ troppo naif, per usare le parole di Finn.”  

Biagio aprì la bocca per rispondere, ma poi cambiò idea. Con un sospiro, s’incamminò verso le scale.   

“So che mi hai fatto promettere di non dirti cosa fare e cosa non, tuttavia…” Esitò sul gradino, poi si volse verso di lei. “Le barriere sono deboli e rozze, ma sembrano essere rivolte contro qualcosa o qualcuno di ben preciso, per cui mi sentirei un po’ più tranquillo se mettessi almeno del sale sul tuo davanzale, vuoi?”  

Virginia ricambiò il suo sguardo confusa: fece per chiedergli di cosa stesse parlando, ma lui aveva ripreso a scendere. Lo seguì poco dopo, soprappensiero e quasi scontrandosi con lui quando si bloccò sulle scale. Mr. Bergman li fissava come se avesse mangiato un limone acerbo, gli occhi stretti a due sottili fessure nel cercare gli indizi di chissà quale attività illecita sulle loro persone; dietro di lui, Mr. Higgins inarcò un sopracciglio con curiosità, dando uno scapaccione a Finn quando aprì la bocca per sputare una delle sue solite battute di cattivo gusto.  

“Non resti a pranzo, Vir’?” Le chiese suo padre con la calma che annunciava la tempesta – nonostante avesse posto la domanda a Virginia, il suo sguardo non si era spostato da Biagio.  

“Sua moglie s’è raccomandata di non tardare troppo,” rispose Biagio, con voce urbana e gioviale, mentre scendeva gli ultimi gradini. “A quanto pare, il piatto del giorno di oggi è uno dei preferiti di Virginia.”  

Mr. Bergman lo guardò come per dire nessuno ti ha interpellato, poi riprese rivolto a Virginia. “Sei uscita dall’ospedale, dovresti restare a casa e riposarti…”  

Virginia sbuffò, facendo spallucce. ”Mi sono riposata abbastanza. E poi il primario non ha detto nulla contro il tornare subito a scuola.” Non era una vera bugia, quella. Poi piantò un bacio sulla guancia ispida di suo padre e aggiunse: ”Ci vediamo stasera e mi raccomando abbi cura di Poppy.”  

 Biagio l’aspettava, tenendole aperta la portella: Virginia esitò prima di salire e, non appena imboccarono la strada comunale, lui accese il lettore CD come se volesse scoraggiare ogni tentativo di dialogo con la musica - jazz, ma le sue conoscenze sul genere si limitavano a Louis Armstrong ed Ella Fitzgerald. Virginia dovette ammettere che c’era qualcosa di rilassante nella melodia - sorridendo appena quando si ritrovò a canticchiare Someday my prince will come - tanto che sentì scemare quella sensazione di paura e sgomento che l’attanagliava da quando s’era svegliata in ospedale.

 

 

I tavoli della sala da tè erano occupati principalmente da impiegati in pausa pranzo, ma l’ora di punta non era ancora iniziata, così Orla li condusse al solito tavolo in fondo, quello vicino alla vetrina girevole con i dolci della casa, e chiese loro cosa desiderassero - Biagio volle provare la zuppa di patate e porri, entrambi ordinarono il piatto del giorno. Mentre mangiavano, con Orla che lanciava loro un occhiolino malizioso ad ogni andirivieni dalla cucina, Virginia si sentiva sulle spine: sapeva che Biagio le avrebbe fatto domande su quel suo lapsus, le aveva espressamente detto che era un argomento di cui parlare, eppure Biagio sembrava aver dimenticato tutto. 

Forse è meglio così, si disse, mentre sua madre usciva dalla cucina con due porzioni di stufato alla birra e colcannon. 

“Tutto a posto?” Mrs. Bergman chiese con un sorriso. 

Biagio annuì. “Grazie, e tutto ha l’aria deliziosa.” 

Mrs. Bergman si chinò su di lui, con un’espressione maliziosa sul viso. “Aspetta di assaggiare il mio prosciutto glassato! Che ne dici di una di queste domeniche? No, anzi, facciamo il trentuno sera così ci siamo tutti per festeggiare il compleanno di Marcus.” 

“Ehm, mamma, non penso sia una buona idea...” Virginia rise imbarazzata e lanciando uno sguardo a Biagio - non voleva obbligarlo a sopportare suo padre e di Bob così presto. 

“Concordo con Virginia,” rispose lui, con il tono di chi vuol far ragionare una persona testarda. “Non è un po’ presto per...” 

“Sciocchezze! E poi bisogna dare a quel testone di mio marito la possibilità di --” Le parole di Mrs. Bergman furono interrotte dallo squillo di un cellulare. 

Biagio frugò nelle tasche del proprio caban e corrugò la fronte vedendo il nome lampeggiare sullo schermo. “Scusatemi,” disse, accettando la chiamata. “Buongiorno mamma, vedo che per una volta te la sei presa, la pausa pranzo!” Rise piano, scuotendo la testa alla risposta di sua madre. “Sì, torniamo all’argomento in questione. Come ti ho scritto nel messaggio, Virginia dovrebbe -- Come? -- Dammi un minuto.” Biagio pose il proprio cellulare sul tavolo e rivolse uno sguardo serio a Virginia e Mrs. Bergman. “Mamma vorrebbe parlare direttamente con voi, per cui...” 

Volse la testa verso gli altri tavoli, studiando i vari clienti e le due cameriere che si occupavano di loro. Infilò di nuovo la mano in una tasca, estraendo questa volta un portasigarette d’argento: prese un cigarillo e dopo averlo rigirato un paio di volte fra le dita, lo accese. 

“È vietato fumare!” protestarono all’unisono Virginia e sua madre. 

Biagio le ignorò. Soffiò sulla parte accesa, quindi strinse il cigarillo fra due dita e disegnò qualcosa nell’aria con la punta incandescente. I segni di luce aranciata - simboli o parole ignote, Virginia non poteva saperlo - persistettero nell’aria un istante più a lungo di quello che si aspettava, per dissolversi in fumo azzurrino ad un gesto secco di Biagio. 

“E il dottore ha detto di non esporre Vir’ alla magia!” protestò Mrs. Bergman, incrociando le braccia sul petto di Virginia in un gesto protettivo. 

“Fatto?” La voce di Isolde echeggiò, dolce e metallica, dal cellulare. 

“Fatto, puoi parlare liberamente,” rispose Biagio, spegnendo il cigarillo nel proprio bicchiere d’acqua. “Nessuno ascolterà la conversazione, a parte i diretti interessati.” 

Mrs. Bergman abbassò lo sguardo su Virginia, la quale scrollò le spalle. 

“Buongiorno Virginia!” riprese la voce di Isolde - nelle sue parole si percepiva perfettamente il sorriso che le arricciava le labbra. “E così ti hanno interdetto dalla magia, mh? Questo è ridicolo.” 

Ridicolo?” Sbottò Mrs. Bergman, offesa. “Se il dottore ha detto che--” 

“Chi parla?” La voce di Isolde fu secca come uno schiaffo. 

E Biagio non perse tempo nel rispondere: “Mrs. Bergman, la madre di Virginia.” 

“Oh, capisco.” Isolde rimase in silenzio, poi riprese: “Mi dica, signora, come si prepara un campione olimpionico per una competizione? Riposandosi tutto il giorno per salvare le energie oppure allenandosi come un forsennato?” 

“A-allenandosi, ma non vedo come --” 

“La magia è la stessa cosa, signora,” la interruppe Isolde, la voce solenne come quella di una sacerdotessa preposta al culto di un’antica divinità. “Il corpo deve abituarsi a livelli d’energia sempre più alti, gestire il flusso che scorre nelle vene riducendo il più possibile eventuali danni. Come il cuore di uno sportivo ben allenato, o come l’assuefarsi progressivamente a un veleno per proteggersi. Più un Podestarius è esposto ai poteri di chi lo circonda, più utilizza i propri, meno rischi corre.” Tacque per un attimo, poi aggiunse: “Se vuoi un consiglio, Virginia, trova qualcuno che ti insegni come usare correttamente i tuoi poteri.” Tacque di nuovo, e quando parlò si poteva percepire una vena di malizia nelle sue parole. “Non credo che a Biagio dispiacerebbe.” 

Virginia arrossì e Biagio alzò gli occhi, rispondendo. “Al massimo posso insegnarle come prendersi cura delle barriere: quelle sulla sua stanza sono in pessimo stato e dovrebbero essere rifatte.” 

“Ah, ti riferisci agli scarabocchi di Radvna?” chiese Mrs. Bergman, inarcando entrambe le sopracciglia. 

Virginia la guardò sgomenta. “Di che diamine state parlando?” 

Sua madre sospirò e fece spallucce. “Radvna era tanto cara ma... come dire...” Fece un gesto eloquente. “… un po’ paranoica. Ripeteva che dovevamo proteggerci... come se ci fossero ancora dei lupi nel Buckinghamshire!” 

A Virginia non piacque l’espressione che fece Biagio nel sentire quelle parole, come se sapesse un segreto che la riguardava e che lei ignorava, una ipotesi che le piaceva ancora meno. 

Isolde si schiarì la voce. “Tornando a cose pratiche: abbisogni di fare il test di Haltey in tempi brevi, giusto?” Virginia annuì, anche se la madre di Biagio non poteva vederla - il silenzio era un’affermazione sufficiente. “Posso farti avere un appuntamento con il dottor Saczawa: Sta lavorando su un nuovo protocollo d’indagine con Yale e Sidney, e i risultati sono più precisi quelli ottenuti con il normale test di Haltey.” 

Mrs. Bergman e Virginia si scambiarono un’occhiata, poi la prima azzardò: “Non vorremmo disturbarla, e poi pensavo di chiedere all’infermiera della scuola di Virginia il numero del centro dove ha sempre fatto il test.” 

Isolde rise. “Nessun disturbo! E poi Elijah ha un paio di debiti da saldare, non mi dispiace affatto usarli per aiutare la promessa di Biagio.” 

“Mamma!” esclamò lui - Virginia non seppe se era dovuto a un gioco di luci, ma per un istante ebbe l’impressione che le sue guance avessero avuto un lampo di rossore.  

Isolde rise e dopo i saluti di rito, la telefonata fu chiusa.

Biagio e Virginia terminarono il pranzo con una delle famose torte di Mrs. Bergman, la quale soppresse ogni tentativo del giovane di pagare il conto con un offre la casa, per questa volta. Erano le dodici e mezzo circa quando uscirono dallo Scarlett Café - Virginia fu grata di andare a scuola in auto, anche correndo non avrebbe fatto in tempo a raggiungere la fermata dell'autobus e non aveva alcuna voglia di arrivare a lezioni già iniziate - per cui indicò a Biagio quale fosse la strada più breve e partirono.

"Vuoi farlo?" le chiese lui pensieroso, quando l’edificio principale della Langlane era già in vista.

Se non fosse stato per la cintura di sicurezza, Virginia avrebbe fatto un salto di un metro nell'udire quella domanda improvvisa. Fissò Biagio con gli occhi sgranati, sentendosi la gola secca. Lui rimase in silenzio, forse in attesa di una sua risposta, lo sguardo sulla strada e sull’edificio principale della Langlane a circa un miglio.

"Seguire il consiglio di mia madre e prendere delle lezioni aggiuntive di Scienze Soprannaturali," aggiunse lui, guardandola attraverso il riflesso sul parabrezza. "Non mi dispiacerebbe aiutarti, ma la decisione è tua."

 Virginia espirò lentamente, sentendosi sollevata. “È che per un attimo ho pensato volessi…” chiedermi di fare sesso. Almeno è quello che avrebbe fatto Liam.   

L’espressione di Biagio si fece improvvisamente grave.  

Merda, pensò Virginia, guardando altrove e coprendosi la bocca. Non era stata sua intenzione finire quella frase ad alta voce.  

Senza alcun preavviso, Biagio imboccò una strada secondaria che si addentrava in un bosco.

Virginia deglutì, sentendo di nuovo quella paura rinforzarsi nel petto. "Biagio --"

"Cosa sono, un adolescente in crisi ormonale che salta addosso qualunque cosa respiri?" la interruppe, la voce sibilante come un colpo di frustra. In un certo senso, Virginia avrebbe preferito che lui avesse urlato.

"Scusami se ti sembro in malafede!" ribatté lei, senza sapere neanche dove avesse trovato il coraggio per esprimersi. "Ti imponi per venirmi a prendere in ospedale, trovi una scusa per entrare in camera mia o per restare soli in macchina: non ti sembra ovvio che pensi tu stia cercando un'occasione per scoparmi?"

"Permettimi di dire una cosa, Virginia." La guardò negli occhi con solennità. "Per usare un tuo termine, io non ho alcuna intenzione di scoparti, né oggi, né mai." La parola sembrò ancora più brutta pronunciata dalla sua bocca. "E quello che abbiamo fatto nel mio studio non conta e sai bene perché."

Il filtro d'amore. Se non fosse stato per quello non mi avresti degnata di uno sguardo, vero? Tuttavia, Virginia tenne per sé quella domanda. Invece deglutì le lacrime di umiliazione che minacciavano di sgorgare.

"So perfettamente di quanto io possa essere noiosa sotto quel punto di vista ma, appunto, se la mercanzia non ti aveva soddisfatto, non eri tenuto a comprarla," spuntò infine. 

“Non è questo il punto! Ma ci sono tanti motivi per fare sesso,” mormorò Biagio, fissando gli alberi oltre il muso dell’auto. “Per soddisfare un semplice bisogno o per ricercare piacere; per lavoro o per passione; per ottenere qualcosa di materiale o immateriale; perché lo si vuole fare o perché non si ha altra scelta. Per imporre il proprio volere, per punire, premiare o consolare. Perché è quello che richiede un incantesimo o per onorare una divinità. Per rispettare le tradizioni, perché si preferisce usare le lenzuola invece dell'acciaio; per mero dovere nei confronti della propria famiglia, con solo una tenda sottile fra te e... e i genitori d'entrambi, i sacerdoti e dodici maledetti testimoni imposti dalla Legge." Biagio aveva sputato le ultime parole con una rabbia che non era rivolta a Virginia. Inspirò ed espirò profondamente più volte, poi riprese con più calma guardandola. "Non è questo quello che voglio per noi. Tu non sei una prostituta che si vende per pochi spiccioli o una schiava da ingravidare solo per avere una balia a basso prezzo: sei una giovane donna di cui fare tesoro. Per cui te ne prego: non svilire in questo modo te stessa e quello che provo per te."

Virginia non ebbe il coraggio di guardare i suoi occhi più a lungo e cercò di trattenere un singulto. Non era stata sua intenzione parlargli di Liam così presto - anzi, avrebbe preferito tacere e dimenticare - eppure le parole uscirono dalla sua bocca come l'acqua da una diga rotta, incapace di trattenerle o di almeno ingentilire i fatti. Biagio non pose domande, né la spronò a scendere nei dettagli: le strinse semplicemente le mani, la cinse nel suo abbraccio dall’odore confortante di cuoio e muschio, e baciò via le sue lacrime una ad una.

 

L’inutileangolo dell’autrice

 

 *L'autrice è in ginocchio sui ceci, con i bambini che le fanno favalluccio sui polpacci*

Lo so, sono eoni che avrei dovuto postare questo capitolo e/o rispondere a quei quattro gatto che seguivano la storia, MA un sacco di cose sono successe e ho preferito concentrarmi sulla versione inglese (se fate un salto sul mio profilo Wattpad, noterete che lì sono a quota 32 capitoli completi). L'intenzione è di finire quella a breve - bambini permettendo, dovrei farcela per fine mese, con un mese di ritardo sulla tabella di marcia - e poi sfruttare la traduzione in italiano per riscrivere alcuni capitoli e sostituirne altri, in modo da rendere il tutto dal PoV di Virginia. Dopo di ché, la palla passerà alla mia beta per la revisione finale e poi... direttamente autopubblicazione, ergo mi scuso se con questo aggoirnamento vi lascio con un po' di amaro in bocca u.u

Vi ricordo la pagina FB dedicata a “Podestaria”: mipiaciatela e non esitate a lasciare una parolina o due, aiutatemi a farla crescere perché è molto, molto importante per me e per i programmi che ho per questa storia!

Grazie a chi, non solo ha letto queste righe, ma lascerà anche un commento.

 

Kindest regards,

D. Rose

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2817096