Eccoci alla seconda e ultima parte della storia. (Anche se
ho altre bozze in cui Magia prende la sua autonomia da Merlin).
Ricordo a tutti che è una ‘what if’ merthur senza collocazione precisa rispetto al telefilm, dove la magia di
Merlin assume sembianze umane e animali.
Le motivazioni del comportamento di Magia saranno spiegate
nelle note finali. Anticipo, però, che non c’è alcun intento sessuale nelle sue
azioni.
Dedicata a chi mi
segue con costanza e affetto.
A chi si entusiasma
per le mie bizzarre ispirazioni e mi sostiene.
A chibimayu, FlameOfLife, hiromi_chan, chibisaru81, Insaluber,
niclue, Barby_Ettelenie_91, Hamlet_,
Rosso_Pendragon, DevinCarnes, katia emrys, Orchidea
Rosa, Sheireen_Black 22, Burupya
e marghevale123, per aver trovato il tempo di lasciare un parere.
Merlin’s Magic Loves Arthur
(Parte 2 di 2)
Il mattino successivo, quando Arthur si svegliò, Magia era
diventata un piccolo cane nero che dormiva ai piedi del suo letto.
Il re si prese qualche istante per raccapezzarsi, ma poi
considerò che le stranezze di Merlin avrebbero dovuto abituarlo anni fa ad
aspettarsi di tutto.
Anche se la bestiolina dormiva ancora, sul comodino accanto
a loro c’era già una nutriente colazione: il profumo delle salsicce calde si
espandeva nell’aria, facendogli gorgogliare lo stomaco.
Arthur si risollevò lentamente, ma il movimento bastò a
svegliare l’animale, che lo salutò abbaiando festoso e scodinzolando verso di
lui, strappandogli un sorriso.
Il nobile si chiese se Magia si nutrisse di qualcosa, anche
se il suo corpo era immateriale. Quando la vide sbavare davanti al prosciutto
che si stava mettendo in bocca, decise che sì – magica o meno, aveva ceduto
alla gola – e aveva condiviso il suo pasto con lei.
Una volta che si furono saziati, Magia
si trasformò nuovamente nel valletto del giorno prima e lo aiutò a vestirsi con
l’armatura per i consueti addestramenti, prima dell’arrivo del re di Mercia, previsto per il pomeriggio.
Dopo che fu pronto, lo scudiero magico si ritrasformò in
animale e lo seguì verso lo studio del medico di corte, per avere notizie su
Merlin.
***
La formazione delle nuove reclute era qualcosa che aveva
sempre aiutato Arthur.
A seconda dell’occasione, aveva
avuto modo di sfogare malumori, tensioni, energia in eccesso; talvolta era stata
solo un diversivo per tenergli la mente occupata, come in quel caso: Merlin
aveva ancora la febbre alta, anche se Gaius – cacciandolo via dalla stanzetta –
continuava a ripetere che non c’era da preoccuparsi.
Arthur sentiva anche l’ansia per l’imminente incontro con il
monarca di Mercia, per il rinnovo degli accordi di
pace. C’erano mille cose che potevano andare storte e scatenare una guerra era
davvero l’ultima cosa da augurarsi.
Per questo, anche se aveva il fiatone, il cavaliere continuò
a menare fendenti a destra e a manca, sfinendosi e sfinendo
i vari sventurati che avevano l’ardire di incrociare la spada con lui.
Poi, come dal nulla, Magia smise di starsene accucciata ed iniziò ad abbaiare, distraendolo, decretando una pausa che
tutti bramavano da un bel po’ e guadagnandosi una serie di apprezzatissime
carezze da parte dei presenti.
Successivamente, alle calcagna del
re, fece rientro negli appartamenti reali, dove predispose un bagno
rinvigorente e gli abiti da cerimonia.
Allorché Arthur si rese
presentabile con il suo aiuto, fu tempo di scendere nuovamente nel cortile ad
accogliere la delegazione straniera, che era stata avvistata in lontananza
dalle vedette di guardia sulle torri.
Quando re Pendragon si volse verso
il valletto magico per invitare Magia a seguirlo, si ritrovò dinnanzi
nuovamente la sua trasposizione canina, ma questa volta aveva preso la forma di
un’enorme bestia nera, con il garrese che gli arrivava quasi all’anca.
Se Magia si fosse sollevata sulle zampe posteriori, senza
dubbio sarebbe stata alta quanto lui.
Arthur deglutì a vuoto, impressionato, mentre l’animale
prese a scodinzolare festosamente nella sua direzione, spingendolo col muso
imponente verso la porta.
“D-d’accordo, è
tardi. Ho compreso…” farfugliò, sentendosi spostare a
viva forza, con disagio.
Un momento dopo, però, la sua mano entrò in contatto con il
manto morbido della bestia e – istintivamente – glielo lisciò, ricevendo in
cambio un uggiolio di gioia.
Non importava che
fosse grossa come un pony, pelosa come un orso e intimorente come un lupo (a cui, in seconda analisi, vagamente assomigliava), Magia
restava ancora incredibilmente vittima del suo fascino e Arthur si lasciò
scappare un sorriso, aumentando lo strofinio dietro le enormi orecchie pelose.
***
Arthur aveva compreso perché il Dono di Merlin avesse scelto
di assumere quella forma nel momento esatto in cui re Cenred
comparve a capo della sua carovana.
Si vedeva lontano un miglio che l’uomo non era né particolarmente
felice di essere lì né propenso a rendergli le cose facili.
Era noto a tutti che fosse un tipo arrogante, pericoloso,
calcolatore nel trarre in propri profitti da qualsiasi occasione gli si
presentasse e stava ostentando chiaramente che si riteneva il più forte fra
loro due.
Accanto a lui, Magia ringhiava sommessamente, annusando la
tensione nell’aria e Arthur le sussurrò gentili parole rassicuranti,
comprendendo che il Potere di Merlin aveva tutta l’intenzione di difenderlo da
qualunque minaccia.
Pur apprezzando enormemente l’intento, il giovane Pendragon era ugualmente consapevole che no, non poteva
rischiare di scatenare un incidente diplomatico perché il suo cane magico
poteva essere impazzito e aveva improvvisamente morso quell’antipatico di Cenred.
“Shh… a cuccia”, sussurrò allora,
facendosi udire solo da lei. E di colpo essa tacque, rimanendo immobile, capendo
i suoi desideri.
Tuttavia, Arthur seppe che Magia si era presa la sua
soddisfazione nel momento in cui il sovrano di Mercia,
scendendo da cavallo, l’aveva scorta vicino al re e aveva sgranato gli occhi,
per un istante intimidito.
Una volta che si furono scambiati i convenevoli, ed era
stato loro offerto ristoro, Cenred e i suoi
consiglieri avevano chiesto di iniziare le trattative e Arthur si era detto che
prima fossero cominciate e prima sarebbero finite, quindi acconsentì di buon
grado.
***
Non appena tutti i nobili avevano preso
posto, Magia si accomodò sul pavimento rasente al suo scranno. Persino da
seduta, il suo muso spuntava oltre il grosso tavolo di legno – dove erano state stese le mappe e i trattati da discutere – incombendo
silenziosa, ma inquietante. Le sue orecchie erano tirate all’indietro, tese e pronte a scattare ad ogni imprevisto e i suoi canini,
francamente spaventosi, spuntavano dalla bocca in un monito minaccioso.
Nessuna persona sana di mente vi si sarebbe avvicinata di
sua spontanea volontà né tantomeno avrebbe pensato di stuzzicarla dandole noia.
Forse questo avrebbe dissuaso Cenred
dal compiere viscidi ricatti, perché il monarca straniero si trovava in
evidente disagio malcelato ogni volta che incrociava lo sguardo dell’animale e
non solo perché riteneva la sua presenza eccessiva e
un’ostentazione di potenza irritante da parte di Arthur Pendragon...
no, era qualcosa di più subdolo e difficile da cogliere.
Il re di Camelot
ruppe la tensione allungando una mano per accarezzare affettuosamente il capo
dell’animale che, istantaneamente, abbandonò la postura di attacco e, con un
piccolo luccichio magico, si tramutò a mezz’aria nel simpatico cagnolino che
aveva trovato al suo risveglio.
Un ansito sorpreso uscì dalle labbra di re Cenred, mentre l’altro sovrano si accomodava il famiglio
sulle ginocchia, nient’affatto propenso a separarsene.
Da quando Uther era morto, l’uso
della magia non era più vietato a Camelot.
Naturalmente, la notizia si era sparsa fra i Cinque Regni e,
benché anche a Mercia ne fossero consapevoli, Arthur
immaginò che non fosse facile per lui vederla usare così liberamente fra i muri
del palazzo e la cosa gli fece spuntare un piacevole sorriso di soddisfazione
che fu lesto a reprimere.
Se Cenred avesse mai coltivato
segretamente qualche mira di espansione, ora avrebbe dovuto fare i conti con la
potente magia che proteggeva il regno dei Pendragon e
questo, probabilmente, sarebbe stato un ottimo deterrente per i suoi sporchi
piani – assieme all’esercito di prodi cavalieri che lui stesso aveva formato e
addestrato, e che aveva intenzione di esibire alla prima occasione.
***
Quella prima riunione era stata più indolore di quanto
avesse creduto, indubbiamente grazie alla presenza rassicurante di Magia, che
aveva sostituito Merlin nel migliore dei modi.
Arthur riuscì a ritagliarsi il tempo per visitare il suo compagno, ma Gaius lo aveva dissuaso dall’entrare, poiché effettivamente
anche Gwen sembrava esser stata contagiata dallo
stesso malessere e, di conseguenza, il rischio per lui era troppo alto.
Merlin, gli fu detto, risultava
ancora inconscio, ma la sua situazione era stabile. La febbre alta combatteva
il morbo influenzale e, entro qualche giorno, secondo il cerusico, si sarebbe
ristabilito.
A malincuore, perciò, il cavaliere fece ritorno nelle
proprie stanze e, mentre si preparava per l’immancabile, doveroso banchetto che avrebbe reso onore al loro ospite, il Dono
del suo servo lo assistette, silenzioso ed efficiente, dopo aver ricevuto le
lodi e i ringraziamenti da parte sua, per l’operato
svolto in precedenza.
Una volta che fu pronto, egli osservò Magia in forma di
servitore – vestito con gli stessi abiti del suo mago – e le chiese d’istinto:
“Vorresti accompagnarmi?”
Con un cenno del capo deferente, il ragazzo magico prese
nuovamente la forma del molosso canino di quel pomeriggio e si preparò,
ubbidiente, ad attenderlo all’entrata.
Arthur si sentì sinceramente felice per quella scelta e,
armato di tanta pazienza e diplomazia, si stampò un sorriso di circostanza sul
volto.
Come avrebbe preferito
mille volte saltare la cena e lasciarsi cadere a peso morto sul tappeto davanti
al focolare, con Magia a fare le fusa per rilassarlo!
Il Dono parve comprenderlo, perché lo sfiorò con un colpo di
muso amichevole, come a infondergli coraggio, e lo guardò con languidi occhioni fiduciosi.
***
Appena entrati nel salone, Cenred
lanciò uno sguardo di disgusto e diffidenza al grosso cane e Magia, da lontano,
lo ricambiò con altezzosità.
Arthur meditò che, forse,
non era stata la sua idea migliore, quella di invitarla ad accompagnarlo, anche
se – visti i precedenti di Merlin – se Magia si fosse presentata come valletto,
probabilmente avrebbe finito per rovesciare un’intera brocca di vino addosso al
sovrano ospite solo per dispetto.
Forse leggendo i suoi pensieri, il Dono girò l’enorme muso
verso di lui, scambiando un lungo sguardo, come se gli
stesse chiedendo qualcosa… o forse il
permesso per qualcosa.
“Niente danni. Ti prego…” sospirò, impotente di fronte a quegli occhioni supplici, che tanto gli ricordavano quelli di
Merlin, e a cui non sapeva più dire di no.
Magia sorrise – ammesso che i cani potessero sorridere – prima
di tramutare il proprio corpo in una bolla di fulgida luce abbacinante.
Quando il re di Camelot
riacquistò la vista, trovò davanti a sé la splendida, eterea fanciulla del dì
addietro e, prima ancora di sapere come, le porse galantemente il braccio, affinché
lei potesse appoggiarvisi per percorrere insieme il resto della navata verso la
tavolata imbandita.
Il sussurro di meraviglia dell’assemblea non si era ancora
spento, né tra gli stranieri né tra la sua gente, ma poteva concedere loro il
fatto che Magia fosse davvero, davvero magnifica
– anche senza gioielli o collane, brillava da sola come un diamante incastonato
in quell’abito d’oro che la faceva apparire al pari di una divinità – cosa che,
in parte, lei era.
Persino re Cenred era rimasto a
bocca aperta, congelato come una statua di sale, in contemplazione di tale rara
beltà.
Magia sorrideva, soddisfatta della sua piccola vittoria,
mentre si lasciava ammirare e invidiare da tutti gli astanti.
E Arthur sorrise con lei, assaggiando un pezzo della sua
rivincita, mentre la omaggiava come se fosse stata la Castellana, sperando
che a Merlin non sarebbe venuto un malore, una volta che avrebbe saputo della sfrontata
esibizione del suo Dono ribelle.
***
Quella notte Magia si accoccolò nuovamente sul tappeto
accanto al baldacchino, cane da difesa e silenziosa presenza.
Sua Maestà allungò una mano oltre il bordo del materasso, grattandole
affettuosamente le orecchie pelose, mentre la folta coda batteva ritmicamente
il proprio gradimento.
Si era dimostrata impeccabile durante tutto il banchetto,
anche se Arthur aveva seriamente temuto una dichiarazione di guerra in un
momento o due, soprattutto quando re Cenred si era
lamentato della sua presenza muta – al
pari di un grazioso ninnolo soprammobile, l’aveva definita – e re Pendragon era stato sul punto di paventare che il sovrano
ospite sarebbe diventato cenere all’istante (o tramutato in qualche odioso,
viscido animale che lo rappresentasse bene, come un rospo o un serpente);
invece Magia si era sollevata dal tavolo d’onore e, accompagnata dalla sua aura
splendente, si era accomodata dove gli strumenti dei
musici di corte avevano predisposto il successivo intrattenimento e lei, soave
ed incorporea, aveva allietato i presenti con il più struggente brano mai udito,
pizzicando le corde dell’arpa con le sue esili dita diafane, intessendo una
melodia che riempiva il cuore di ognuno, facendolo traboccare con sentimenti
commoventi.
Quando l’esibizione finì, un boato di applausi fece tremare
le vetrate del castello, tanto era l’entusiasmo dell’assemblea.
Con un inchino del capo e una delicata riverenza, Magia
aveva ringraziato il suo pubblico, riprendendo posto accanto al re di Camelot, che le sorrideva
estasiato.
***
Il mattino successivo, di buon’ora, le due delegazioni aveva ripreso i lavori, scambiando i rispettivi pareri e
valutando cosa andava mantenuto dei precedenti trattati e cosa andava cambiato.
Se tutto fosse filato liscio, tutta quella fastidiosa
incombenza si sarebbe conclusa prima di sera e, l’indomani,
Cenred e il suo seguito avrebbero potuto fare ritorno
a Mercia.
C’era, però, una cosa che stava a cuore ad Arthur.
Era un azzardo rischioso, perché re Pendragon
era consapevole che avrebbe potuto sollevare un polverone, senza ottenere nulla
da quell’incognita, ma doveva almeno tentare e per questo aveva lasciato appositamente per ultima la questione.
Cercando di apparire propositivo e ragionevole, egli chiese
che il villaggio di Ealdor venisse
annesso a Camelot ed era stato pronto a cedere, come
controfferta, un generoso appezzamento a Nord, ricco di miniere di ferro.
Pur sapendo che questo sarebbe stato uno scambio nettamente sfavorevole
sulla carta, era comunque pronto a battersi per ottenerlo, perché questo voleva
essere il suo dono a Merlin – la sicurezza di sua madre e della sua gente.
Ovviamente, Arthur era altrettanto consapevole che Cenred sarebbe stato sordo all’idea di perdere terreno a
priori, foss’anche stato un inutile villaggio ai
confini del regno, che era così povero da non versare le tasse, ottenendo
terreni più vantaggiosi in cambio.
Era una questione di principio per lui. Perdere era sempre scomodo.
Come prevedibile, il monarca gli aveva espresso una serie di
rimostranze, rivelandosi oppositivo e reticente all’avvicendamento.
Arthur aveva decisamente sperato
che le miniere avrebbero fatto gola a quell’ingordo, ma ad un certo punto si
erano arenati, ognuno sulla propria posizione, senza via d’uscita e una
decisione, e la riunione era stata rimandata al giorno seguente, rinviando così
anche la partenza degli ospiti.
***
Quel pomeriggio, per placare gli animi di tutti e sedare il
malcontento, era stata proposta una battuta di caccia con il falcone.
Mentre si preparava, Arthur aveva ancora i nervi tesi per il
susseguirsi della discussione ed era anche francamente deluso con se stesso,
per non essere riuscito a strappare ciò che bramava a Cenred.
Magia, invece, benché percepisse il suo stato d’animo, aveva
fatto le fusa riconoscente per quel gesto d’inattesa generosità. Come Merlin, anch’essa
era nata a Ealdor e si considerava, a parimenti del
mago, come figlia spirituale di Hunith.
C’era mancato poco che Magia si tuffasse con le braccia al collo del suo signore, tale era stata la sua
gioia, ma l’espressione triste del re l’aveva dissuasa.
Poi, una volta che fu pronto, il cavaliere
le chiese di unirsi a loro nella battuta di caccia e il Dono riassunse
la forma del molosso, seguendolo fin nel piazzale dove, sorprendendo tutti,
s’era trasformata in un maestoso falco reale – decisamente il più grosso e
bello fra i predatori presenti lì.
Dopo un piccolo giro di prova, il rapace magico si era
appollaiato sulla spalla di Arthur, solenne e altero.
D’accordo, si
disse Arthur, sentendo la schiena pungere per lo sguardo d’odio che si sentiva
dirigere contro. Forse scatenare la
gelosia di Cenred non era la via migliore per
convincerlo a cedergli ciò che voleva, ma non era colpa sua se Magia era
fondamentalmente una dannata esibizionista!
Fingendo noncuranza, il re di Camelot diede il via alla partenza e la piccola
carovana si mise in movimento.
***
Arthur osservò, impotente, i rapaci girare in tondo in
cielo, liberi di cavalcare le correnti d’aria e di gridare la loro stridula
felicità, e pregò qualunque divinità in ascolto affinché Cenred
non si accorgesse del piccolo ricordino
che era atterrato, con assoluta precisione, sulla sua testa.
In alternativa, andava anche bene che non capisse – o non
immaginasse – che la colpa era di Magia, perché Merlin sarebbe morto di
crepacuore, vedendola impagliata come trofeo dentro al
maniero del re di Mercia.
Re Pendragon cercò di distogliere
gli occhi dal guano che gocciolava tra i capelli del sovrano davanti a lui, e
sperò ardentemente che nessuno avrebbe osato fiatare
sull’argomento.
Giusto in quel mentre, Magia planò in picchiata, afferrando
con gli artigli ferali una piccola lepre selvatica, uccidendola, per poi
portargliela in dono.
Arthur, suo malgrado, accettò
l’offerta e le accarezzò il capo, facendole arruffare le piume di soddisfazione,
sotto lo sguardo seccato dell’altro regnante.
“Questa è una noia mortale, Pendragon!”
lo apostrofò quindi, con altezzosità. “Permetti che il tuo animaletto ci tolga
tutto il divertimento!” lo accusò, additando l’uccello. “Ora ci inoltreremo nel
bosco e ti farò vedere io come si caccia!” esclamò spavaldamente, prima di
sfilare le staffe e di scendere da cavallo.
Nessuno avrebbe potuto prevedere quella buca nel terreno,
nascosta dal fogliame, e Cenred vi pose sopra il
piede, cadendo malamente a terra con irripetibili
imprecazioni.
Un istante dopo, la sua guardia personale e Arthur gli erano
accanto, mentre egli, pur sbraitando per cercare di rialzarsi, non riusciva a
sostenere il proprio peso per la caviglia dolorante.
“Potrebbe essere una distorsione!” esclamò qualcuno.
“O una slogatura!” aggiunse qualcun altro.
“Oppure è rotta…” considerò Arthur, quando lo stivale del
nobile fu sfilato e la parte dolente appariva chiaramente già gonfia e
tumefatta. “Vi accompagnerò personalmente dall’archiatra reale”, propose quindi,
con buonsenso. “Gaius saprà certamente cosa fare”.
“No! Non se ne parla!” s’infuriò Cenred, ancora suscettibile per la magra figura della sua
caduta. “Non mi lascerò curare da un ciarlatano! Voglio il mio medico
personale! Nel mio castello!”
“Sire… siate ragionevole…” tentò di rabbonirlo uno dei suoi
cavalieri più anziani. “Il viaggio è lungo e voi non siete in salute…”
E i trattati non sono
ancora completi, meditò Arthur, sentendo che la situazione gli sarebbe
sfuggita di mano, se quel testardo avesse voluto perseguire le proprie
intenzioni.
Poi, come dal niente, Magia smontò dalla sella su cui si era
appollaiata e si trasformò nuovamente con sembianze umane, accostandosi al
ferito.
“No!” ruggì questi, allarmato. “Non
mi toccare!” intimò, allungando un braccio come barriera fra loro, ma il Dono
non si fece impressionare e, chinandosi a terra, schioccò le piccole dita agili
della mano destra. Dai polpastrelli fuoriuscì immediatamente un sottile filo
d’oro luccicante che corse ad attorcigliarsi attorno alla lesione del re.
Tutto era stato così veloce che le guardie presenti non
riuscirono nemmeno a sguainare le spade e Cenred non
ebbe neppure il tempo di lamentarsi. Egli percepì solo un gran calore e, un
momento dopo, dov’era il filo magico e la parte contusa, non v’era
più niente. La sua gamba era guarita.
Osservandola sbigottito, si sentì sollevare dai suoi uomini
e, perfettamente sano, poté riprendere a camminare.
***
L’indomani, Arthur s’era aspettato
di dover combattere nuovamente per strappare Ealdor
dalle mani di Mercia, quindi rimase abbastanza
stupito quando Cenred, appena si erano seduti al
tavolo delle trattative, gli rese noto che aveva pensato alla sua proposta e,
considerato che il villaggio era più una rogna che un guadagno (frequenti erano
infatti le razzie dei predoni e non era sua intenzione occuparsene), aveva
deciso magnanimamente di cederne il dominio.
In aggiunta a ciò, il re straniero aveva anche rinunciato
all’acquisizione delle miniere a Nord, adducendo una serie di motivazioni in
realtà non troppo convincenti.
In un modo contorto,
anch’egli possedeva una certa correttezza, un senso dell’onore. E questo era
sicuramente il suo modo di ringraziare e sdebitarsi per l’aiuto ricevuto.
Con un grande sorriso, Arthur gli aveva stretto la mano ed, entro breve, lo scrivano di corte aveva redatto
l’accordo che entrambi sottoscrissero.
Entro il primo pomeriggio, i visitatori abbandonarono finalmente
Camelot per fare ritorno a
casa.
***
Nei giorni seguenti, le cose tornarono alla normalità.
Anche se Merlin andava migliorando, le visite erano ancora
vietate e Magia cercava di intrattenere il nobile padrone nei modi più
disparati.
La malinconia di Arthur la faceva soffrire, e per questo s’era trasformata persino in un tenero coniglietto, dal pelo
immacolato, per farsi accarezzare.
Successivamente, era divenuta un
bellissimo uccello esotico dal piumaggio multicolore. Aveva incantato il re con
il suo canto melodioso, almeno fino a quando Arthur non aveva osservato che
anche a Merlin sarebbe piaciuto ascoltare siffatta melodia.
Magia si era allora tramutata in animali che il sovrano non
aveva mai veduto, lasciandolo stupefatto. Ma, alla fine, egli le chiese
solamente di tornare ad essere un gatto e di lasciarsi
accarezzare, facendo le fusa. E lei non
cambiò più.
***
La sera del sesto giorno, fu Gaius in persona a portare il
ragguaglio medico.
Per un istante, Arthur fu preoccupato che recasse cattive
notizie, e grande fu la sua gioia quando, invece, l’archiatra gli rivelò che la
febbre era completamente scomparsa e che, quindi, il contagio era stato scongiurato.
“Potrei… potrei vederlo?” domandò
egli, speranzoso, incurante di apparire vulnerabile come in realtà si sentiva.
“Mi dispiace, Sire. Ma sta già
dormendo, poiché la malattia lo ha sfinito e deve
recuperare le forze. Perciò vi sconsiglio di disturbare il
suo sonno”, decretò il medico, a titolo definitivo, deludendolo.
Di fronte all’espressione affranta del giovane uomo davanti
a lui, però, il vecchio ne ebbe compassione, per questo aggiunse: “Domattina,
nondimeno, potreste essere la prima persona che vedrà al risveglio, se vorrete
essere mattiniero…” gli suggerì, ammiccando. O forse no, forse era stato solo un tic nervoso del suo occhio, un
balbettio della palpebra cadente… perché, certamente, Gaius non era tipo da
ammiccare suggerendo tresche amorose al suo re.
Rimasto solo, il sovrano di Camelot accantonò la gioia, preparandosi a
trascorrere quell’ultima notte in solitudine e, proprio per questo, la cosa gli
risultava insopportabile.
“Mi manca Merlin…” ammise alla fine, sussurrandolo al
soffitto del suo letto a baldacchino, ad un’ora
imprecisata poco prima dell’alba, mentre grattava pigramente il pancino del
gatto magico che lo confortava fuseggiando. “Mi
manca… da morire”.
E dove un istante prima sentiva il morbido pelo, ora v’era il vuoto.
Arthur si risollevò sui gomiti, intontito dalla notte
insonne, osservando sorpreso Magia che aveva preso le sembianze del suo servo –
sì, per la prima volta era proprio identica a lui: lo stesso sorriso idiota e
irresistibile, gli stessi occhi in cui amava perdersi e le stesse braccia
accoglienti che lo stavano aspettando –, e Magia si arricciò contro di lui, per
confortarlo con l’ultima soluzione, l’unica illusione che possedeva.
Ma Arthur, dopo un momento di
smarrimento, ridacchiando imbarazzato, la scostò da sé, negandosi quel contatto.
“Non posso, io-”
Allora una bolla di luce lo avvolse e, un istante più tardi,
Arthur si ritrovò nella stanzetta del cerusico reale, accovacciato contro il
corpo addormentato di Merlin, mentre Magia – la sfera luminosa – tornava a
fondersi col mago, scomparendo dentro al suo petto,
poiché aveva riunito le due facce della medaglia.
“Grazie”, le bisbigliò, certo che lei avrebbe capito.
“Arthur…” sentì chiamare nel sonno da Merlin, ed egli
rispose nell’unico modo che conosceva. Se lo strinse contro, baciandolo piano –
con tenerezza e riverenza, ma senza destarlo.
“Sono qui, Amore. Dormi”, gli suggerì, prima di cedere, finalmente, anch’egli al
riposo.
-
Fine -
Disclaimer: I
personaggi di Merlin, citati in questo racconto, non sono miei; appartengono
agli aventi diritto e, nel fruire di
essi, non vi è alcuna forma di lucro, da parte mia.
Ringraziamenti:
Un abbraccio alla mia kohai che subisce le mie paranoie.
X°D
E a Laura, che si sciroppa le
anteprime con un entusiasmo che mi commuove.
Note: Ecco la
fine. Confesso che, in origine, la storia aveva una piega molto più comica e
meno diabetica, ma è uscita così e non ho avuto il coraggio di cambiarla.
Ogni tanto, mi piace lasciare ai nostri
eroi un po’ di pace e coccole, invece che quintali di angst.
Proprio per le deviazioni compiute dalla strada originale,
adesso ho alcune bozze di idee con Magia personificata
e prima o poi – da qualche parte – le posterò.
Dal precedente capitolo, ad un
certo punto ‘la magia’ è diventata ‘Magia’, perché Arthur si rivolge a lei come
se questo fosse il suo nome proprio.
Oh, d’accordo. Penso l’abbiate capito: Magia è
fondamentalmente una merthur fangirl. ^_=
Come ho detto all’inizio, vorrei chiarire che Magia ama
Arthur nel senso più puro e ingenuo del termine. Quando si trasforma in Merlin,
lo fa per dare conforto al suo re, non per sostituirsi a Merlin nella loro
relazione.
Poi, parafrasando i pensieri di Arthur, Magia è
fondamentalmente una esibizionista.
Questo perché vuole essere una specie di rivincita di fronte
a tutte le volte in cui Merlin ha dovuto nascondersi o tacere davanti alle
ingiustizie quando la magia era ancora illegale.
Diciamo che si prende qualche meritata soddisfazione.^^
Magia prende determinate forme (come quella del grosso cane),
perché odia istintivamente Cenred, poiché lei sa che
non è un buon re.
Come Merlin, essa potrebbe combinare qualche guaio, ma alla
fine sa sistemare sempre le cose.
I ‘famigli’ sono gli animali magici che nella tradizione
popolare accompagnavano maghi e streghe. Esempio: come il
gufo Anacleto di Merlino, nella Spada nella Roccia.
Avviso di servizio
(per chi segue le altre mie storie):
- Postata
la conclusione della long-fic “Waiting for you”
- Aggiornata Linette cap. 89.
- Postata la shot “The morning after”, spoiler!5x13.
Campagna di Promozione Sociale -
Messaggio No Profit:
Dona l’8‰
del tuo tempo alla causa pro recensioni.
Farai felici milioni di scrittori.
(Chiunque voglia aderire
al messaggio, può copia-incollarlo dove meglio crede)
Come sempre, sono graditi commenti,
consigli e critiche costruttive.
Grazie.
elyxyz