Senza un Come né un Perché

di Abigail_Cherry
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Benvenuti alla Valiant Academy ***
Capitolo 2: *** La Profezia ***
Capitolo 3: *** Lezioni ***
Capitolo 4: *** Lavoro di squadra ***
Capitolo 5: *** L'A.S.P. ***
Capitolo 6: *** Lettere ***
Capitolo 7: *** Forti e deboli ***
Capitolo 8: *** Domenica ***
Capitolo 9: *** Conflitti e relazioni ***



Capitolo 1
*** Benvenuti alla Valiant Academy ***


Capitolo 1:
Benvenuti alla Valiant Academy

 
Il cuore di Anta martellava freneticamente nel petto, i suoi occhi erano fissi sulla porta, la sua mano pallida afferrava saldamente la maniglia che, lei sapeva, prima o poi avrebbe dovuto abbassare.
La ragazza deglutì, le mani le cominciarono a sudare: aveva l'incondizionata paura di incontrare qualcuno in quella stanza; dopo qualche altro attimo d'incertezza, si fece coraggio e, veloce, aprì la porta. Si guardò attorno e tirò un sospiro di sollievo quando vide che la camera era vuota. Entrò nella stanza e richiuse la porta. Subito le si presentò davanti il salotto, spazioso, elegante con il pavimento in parquet e un televisore gigantesco, un minibar, tre divani ed un tappeto con sopra un tavolino basso di legno; la stanza aveva tre porte, quella di sinistra portava ad una camera con ben due letti matrimoniali, ognuno con il proprio armadio e la propria scrivania, nella prima a destra, c'era un'altra stanza uguale a quella precedente, la seconda di destra, invece, conduceva all'enorme bagno dove Anta non vedeva l'ora di rinfrescarsi.
Lasciò la sua valigia all'ingresso ed entrò nel bagno. Si guardò allo specchio: i suoi lunghi capelli marroni erano raccolti in una treccia e quei ciuffi di capelli che le cadevano sulla fronte le si erano incollati alla pelle per il sudore dovuto al caldo, i suoi occhi verdi erano messi in evidenza dal lieve strato di trucco che si era messa quella mattina prima di partire e che, stranamente, non si era rovinato, la canottiera azzurra che indossava non era bastata a rinfrescarla, e il sudore l'aveva resa ancora più aderente di quello che già era, mentre i pantaloncini corti di jeans che le coprivano fino a metà coscia le si erano sporcati sul treno mentre beveva del caffè. Insomma: era un vero disastro.
Prese la valigia dall'ingresso e la aprì per tirarne fuori i prodotti per il corpo e la divisa scolastica, poi tornò in bagno e chiuse a chiave la porta, nel caso qualcuno fosse entrato in stanza mentre era intenta a lavarsi. Si sciolse i capelli dalla treccia, tolse tutto ciò che indossava e fece una brevissima doccia per rinfrescarsi. Dopo dieci minuti, era uscita dal getto d'acqua calda e si era già asciugata il corpo, pronta per vestirsi. Prese il suo completo intimo rosa con ancora il turbante in testa e lo indossò, poi fu la volta della divisa della scuola, per prima cosa indossò la camicia, bianca, a maniche corte e con lo stemma della scuola che recitava: “Valiant Academy”, poi indossò la gonna, rossa, con un motivo a quadri che le copriva fin sopra il ginocchio; come tocco personale, aggiunse un grazioso cerchietto rosso con un fiocco sulla sinistra che le aveva regalato il fratellino minore prima della sua partenza. Anta sorrise: si sentiva molto meglio di prima.
Uscì dal bagno canticchiando una canzone che le aveva insegnato sua madre quando era piccola - una di quelle canzoni stupide e in rima insomma – e si prenotò il primo letto che capitava mettendoci sopra la sua valigia. Si sciolse il turbante e si strofinò i capelli con l'asciugamano, stava per andare ad asciugarsi i capelli quando sentì la porta d'ingresso aprirsi.
Anta andò a sbirciare dalla porta della sua camera per cercare di scoprire chi fosse entrato: una ragazza.
«Oh.» disse la ragazza, che si era subito accorta dello sguardo di Anta su di lei «A quanto pare non sono stata la prima ad arrivare, peccato! E dire che mi sono anche svegliata presto!»
«Non preoccuparti.» le disse Anta uscendo dal suo nascondiglio. Una volta uscita riuscì a vedere per intero la ragazza: indossava una canottiera gialla ed una minigonna arancione, i capelli castano chiaro erano sciolti ma eleganti, mossi ma non troppo da farla sembrare riccia, gli occhi erano grigi e illuminati dal suo sorriso «Sono io che sono arrivata in anticipo.» Anta le sorrise.
«Sarà.» bofonchiò lei e soffiò verso l'alto per togliersi dagli occhi un ciuffo dalla frangia «Ciao, io sono Amanra, chiamami Amy, ho sempre detto a mio padre che Amanra è un nome noioso.» lei tese la mano verso Anta, cosicché potesse stringerla «Tu... sei?»
Anta esitò un attimo prima di stringerle la mano «Mi chiamo Anta.»
«Nome curioso...» fece notare Amy. Beh, pensò Anta, non è che il tuo sia tanto più normale...
«Già.» concordò Anta alla fine, ma non aggiunse altro.
Amy si tolse le scarpe e le gettò all'ingresso, poi s'incamminò verso la camera da letto sulla sinistra - dove si era sistemata Anta - ed appoggiò il suo trolley sul letto vicino alla finestra.
Anta pensò di dover lasciare esplorare da sola l'appartamento alla ragazza e cominciò tranquillamente a sistemare nell'armadio di fronte al suo letto i vestiti dentro alla sua valigia.
«Che fatica deve essere!» esclamò Amy dopo che ebbe finito il giro della casa.
«Cosa?» chiese Anta continuando a sistemare i vestiti.
«Disfare le valige a quel modo! Insomma, se avessi una valigia grande come la mia ci metteresti secoli a disfarla.»
«Scusa ma non ti seguo...» ribattè Anta, confusa, anche perchè la valigia di Amy era un trolley abbastanza piccolo «Stai dicendo... che sono lenta?»
«No, no!» esclamò Amy, avvicinandosi a lei «Non vorrei mai offenderti. È solo che...» la ragazza estrasse dalla tasca della gonna una specie di bastoncino di legno levigato lungo più o meno venti centimetri «...io preferisco farlo in altra maniera.»
Amy sorrise, si girò verso la valigia appoggiata sul letto, socchiuse gli occhi ed alzò entrambe le mani. Ci fu un attimo di silenzio, poi la ragazza pronunciò sottovoce delle parole che Anta non comprese, subito dopo Amy agitò l'oggetto di legno da cui uscì uno scintillio color argento. La valigia si aprì di scatto.
«Ma cosa...» cominciò Anta, stupita e confusa, ma non riuscì a continuare la frase vedendo i capi d'abbigliamento di Amy che si alzavano e volteggiavano assieme a libri, prodotti per il bagno, trucchi fino a posizionarsi nell'armadio, sulla scrivania ed alcuni viaggiarono fino in bagno. Con tutto il contenuto della piccola valigia di Amy che le volteggiava intorno, quella sembrò più una strana danza condita con della polvere argentata.
L'opera finì in meno di un minuto, tempo in cui Anta era rimasta con gli occhi spalancati a guardare incredula la scena. Com'era possibile che tutte quelle cose fossero entrate in quel piccolo trolley?
«Ma cosa... sei?» chiese Anta con più tatto possibile, almeno per quanto ne riuscisse ad avere dopo aver visto quello strano spettacolo.
Amy aprì lentamente gli occhi e sorrise «Una strega.» rispose tranquillamente lei, ma subito dopo uno sguardo perplesso le si stampò sul viso «Voi... non siete stati avvisati?»
«Noi?» chiese Anta, più confusa che mai.
«Certo, voi...» cominciò, ma fu interrotta dallo scattare della serratura della porta d'ingresso «Nuovi coinquilini!» esclamò entusiasta Amy e corse alla porta rimettendosi in tasca il bastoncino di legno rivelatosi una probabile bacchetta magica.
Quindi le steghe esistono davvero? Pensò Anta. Quando anni fa, era girata notizia sul giornale e in TV che quasi tutte le creature che si dicevano leggende fossero reali, il mondo sembrò quasi schierato in due parti: gli scettici e i creduloni. Purtroppo, nessuna creatura magica si era mai fatta intervistare o fatta vedere in giro nonostante la notizia, quindi Anta era rimasta scettica sull'argomento. Almeno... fino a quel giorno.
Anta seguì Amy, curiosa anche lei di sapere chi sarebbe arrivato e, appena la porta si aprì, si trovarono di fronte un ragazzo.
«Ciao.» disse lui appena le vide «Mi hanno assegnato questa stanza, non sapevo fossero camere miste... comunque, mi chiamo Ashley.»
«Molto piacere.» disse Amy «Io sono Amanra, chiamami Amy, e lei è Anta.»
Anta si limitò a sorridere.
Il ragazzo entrò nella camera e ripose all'ingresso la sua valigia con motivo a foglie «Quindi, siamo solo noi in stanza?» chiese, cominciando a fare il giro dell'alloggio incuriosito, come un bimbo che vede per la prima volta un bellissimo posto e, a dirla tutta, lui somigliava moltissimo ad un bambino, per i lineamenti morbidi del viso ed i suoi riccioli biondi.
«Per ora.» rispose Amy «In tutto dovremmo essere quattro, vista la quantità dei letti.»
«Mh.» il ragazzo fece comparire con un gesto delle mani un taccuino e cominciò a scriverci sopra.
Anta guardò Amy e la seconda ricambiò lo sguardo facendo spallucce, confusa, poi entrambe tornarono a guardare il ragazzo: indossava una semplice camicia bianca e dei pantaloni morbidi color verde militare e non portava né scarpe né calze, cosa che ad Anta parve molto bizzarra.
Ad un certo punto, Ashley alzò il viso dal taccuino e girò lo sguardo verso le ragazze che lo stavano fissando. Accennò un sorriso a cui loro arrossirono: era splendido e le due si persero nei suoi occhi blu mare.
«C'è qualche problema?» chiese lui cordialmente, sempre sorridendo.
Le ragazze si ripresero e tornarono alla realtà «N-no, figurati.» balbettò Amy «Continua pure con...» la ragazza si interruppe, rendendosi conto di non saper come continuare la frase «...scusami, cosa stai facendo?» chiese, cercando di sembrare meno invasiva possibile.
«Ah, ti riferisci a questo vecchio taccuino?» Ashley si mise una mano dietro la testa accarezzandosi la nuca, un po' nervoso «Niente di che. Scrivo le mie considerazioni e qualche volta ci disegno.»
«Davvero? E sei bravo?» gli occhi di Anta si illuminarono.
«Non per vantarmi, ma me la cavo abbastanza bene.» il ragazzo fece un sorriso imbarazzato.
«Se non ti disturba... potrei vederli? Sono sempre stata attratta dall'arte del disegno, anche se personalmente non so neanche come tenere in mano un matita.» Anta si ricordò di quella volta in cui aveva voluto fare un ritratto della madre, la poveretta era rimasta immobile per un'ora intera prima che la figlia finisse il suo lavoro, e quando successe non ne fu molto entusiasta, poichè la bimba le aveva messo molto in evidenza le rughe che aveva in viso, ma si sforzò di farle un sorriso.
«Scusa, niente di personale ma non faccio vedere a nessuno i miei disegni, lo considero come se qualcuno leggesse i miei pensieri. Insomma, una violazione della mia privacy.»
«Mi dispiace, non volevo sembrare...» Anta cercò a lungo la parola giusta che la descriveva in quel momento, ma non la trovò.
«Non preoccuparti, non sei la prima che me lo chiede.» ci fu un attimo di silenzio «Bene, se permettete, ora vado a sistemare le mie cose e a farmi una bella doccia fredda.» il ragazzo prese la valigia dall'ingresso e la trascinò fino alla sua stanza, chiudendosi la porta alle spalle.
«Hai visto quant'era carino?» esclamò Amy appena fu sicura che Ashey non la potesse sentire.
«S-sì...» rispose Anta imbarazzata: non era il suo forte  parlare di ragazzi.
«Questa scuola promette già bene!» continuò Amy, forse a voce un po' troppo alta.
«Interrompo un pigiama party?» chiese una voce ancora sconosciuta in modo sarcastico.
Le ragazze si voltarono verso la voce e videro un ragazzo alto, snello, vestito con una giacca di pelle nera aperta da cui si poteva intravedere una maglietta bianca e dei jeans neri e grigi. Era appoggiato allo stipite della porta con il gomito e guardava le ragazze sogghignando.
«Non interrompi un bel niente.» fece Amy «Che sei venuto a fare?»
«Il tizio all'entrata mi ha assegnato questa stanza.» fece lui «Ma non badate a me, continuate pure a saltellare in giro, per quanto mi riguarda, me ne starò sdraiato sul mio letto a dormire, appena lo trovo.» il ragazzo si staccò dallo stipite e cominciò a vagare per il salotto in cerca della camera.
«Possiamo almeno sapere il tuo nome?» chiese Amy, abbastanza scocciata.
«Chiamami Kay.» rispose il ragazzo.
«Piacere, Kay.» cominciò lei con il sorriso più cordiale che riuscisse ad assumere «Io sono Amy.»
«Sinceramente, non mi interessa.» la interruppe sgarbatamente lui.
Amy sembrò arrabbiata, ma fece un lungo sospiro per calmarsi e si appoggiò con le spalle al muro «Cosa sei?» chiese.
«Scusami?» rispose lui, sembrava divertito.
«Cosa sei?» ripetè Amy scandendo il più possibile le parole «Quali sono le tuo origini? Se vogliamo metterla in un altro modo.»
«Elfo.» rispose lui con un mezzo sorriso.
Esistono anche gli elfi... Anta si sentì quasi mancare dalla tanta confusione che aveva in testa e decise di sedersi sul divano.
«Lo immaginavo, sai? Da quelle orribili orecchie esageratamente a punta.» Amy sorrise, ma più come segno di vittoria.
Kay sembrò irritato «Tu, invece?»
«Lo scoprirai presto, se continuerai a comportarti così.»
«E chi sei, mia madre?»
«Sai, da bambina mi raccontavano spesso degli elfi come piccole e adorabili creature minute che aiutavano Babbo Natale a costruire giocattoli per bambini.» lei guardò dall'alto in basso Kay «Ma adesso che ho visto te, capisco che si sbagliavano di grosso.»
«Non del tutto, ho lavorato per Babbo Natale, una volta. Un vecchiaccio con la mente malata. Non mi ha mai dato un regalo in tutto il periodo in cui sono stato al Polo Nord.»
«Immagino il perché.» ribatté Amy «Scommetto che ogni volta che potevi andavi a flirtare con le ragazze.»
«Già.» Kay si avvicinò lentamente a Amy «Sai,» cominciò lui, ed appoggiò l'avambraccio sul muro, appena sopra la testa di lei. Ora i loro volti erano vicinissimi. «nessuna mi ha mai rifiutato.»
«C'è sempre una prima volta.» disse lei, ma nella sua voce non c'era neanche un lieve cenno di disagio o imbarazzo, piuttosto era una voce ferma e sicura. Anta osservava la scena incapace di fare qualsiasi cosa. Immobile. Se fossi stata io al posto di Amy... cominciò a pensare, ma fu interrotta da un bagliore emanato dalla bacchetta di Amy che quest'ultima aveva tirato fuori dalla tasca così velocemente che neanche Kay era riuscito ad accorgersene.
All'improvviso, il bagliore travolse il ragazzo, che fu sbattuto sul muro dell'altro capo della stanza. Anta spalancò gli occhi, pensando che fosse morto, ma tirò un respiro di sollievo quando lo sentì tossire. La ragazza raggiunse velocemente Kay e si chinò per aiutarlo «Va tutto bene?» chiese preoccupata. Il ragazzo non rispose e continuò a tossire «Màgissa...» disse lui come un sussurro, appena si fu un po' ripreso. Anta non capì cosa volesse dire. All'inizio pensò fosse un insulto, ma poi si ricordò delle lezioni di greco che aveva frequentato alle medie: strega.
Il ragazzo tossì di nuovo e cercò di alzarsi, ma Amy lo fermò puntandogli la bacchetta alla testa con sguardo truce. Il ragazzo accennò un sorriso che Amy ignorò «Fossi in te non ci proverei di nuovo.» disse lei minacciosa.
«Dillo che volevi baciarmi, sei solo troppo orgogliosa per ammetterlo.» rispose lui.
«Ti avviso, elfo! Questo incantesimo non è doloroso neanche un centesimo di molti altri che conosco.»
«Scommetto che ti dai tante arie ma non hai mai usato uno di quegli incantesimi.»
«Come ho detto prima, c'è sempre una prima volta.» Amy aprì la bocca come per aggiungere dell'altro, ma la richiuse subito dopo ed abbassò la bacchetta.
«Ecco spiegato il motivo del perché io non riesca a leggerti.» disse Kay, alzandosi da terra faticosamente. Tossì di nuovo.
«Esatto. Mio padre mi ha insegnato parecchi incantesimi utili per non farmi manipolare dagli altri.» Amy incrociò le braccia all'altezza del petto e ci fu una breve pausa «Bene, è stato un piacere conoscerti, vado a mettermi la divisa.» guardò l'orologio da polso «Dovresti fare lo stesso, tra mezz'ora ci vogliono al primo piano per la cerimonia d'ammissione.» si girò e arrivò alla porta della sua nuova camera, ma si fermò un attimo quando sentì Kay dire: «Non ho intenzione di mettermi quella roba!» Amy non rispose e si limitò a guardarlo con la coda dell'occhio mentre spariva dietro la porta.
Kay fece un passo in avanti e quasi inciampò, ma Anta lo sorresse «Come ti senti?» chiese.
Lui si scrollò di dosso la mano di Anta che cercava di aiutarlo «Ci vuole ben altro per farmi fuori.» detto questo si incamminò verso la camera da letto, ma sembrò restare stupito quando aprì la porta della camera e vi ci trovò Ashley in piedi vicino al letto. Quest'ultimo però sembrò non accorgersi della presenza di Kay poiché era di spalle e con l'mp3 alle orecchie. Kay si avvicinò velocemente al ragazzo e gli strappò le cuffiette dalle orecchie.
«Ehi!» esclamò Ashley. Anta si sporse dalla porta della stanza per osservare la scena, sperando che Kay non picchiasse Ashley «Che fai?» continuò il ragazzo.
«Chi sei?» chiese Kay, alterato.
«Questo veramente dovrei...»
«HO CHIESTO CHI SEI!» urlò Kay.
«A-Ashley.» rispose il biondo, impaurito e confuso.
«Bene. Non sarai un problema per me, vero?»
«N-no.» balbettò «Ma noi saremo... compagni di stanza?»
«Ti crea qualche problema?» Kay fece un passo verso di lui, con aria di sfida.
«N-no, figurati.» Ashley si era messo sulla difensiva, con le mani all'altezza del petto, i palmi rivolti verso l'esterno ed un sorriso nervoso e forzato, guardando dritto il ragazzo nei suoi occhi azzurri fin troppo chiari.
«Bene.» ripetè Kay. Si girò, si tolse la giacca e si avviò verso la porta.
Anta si scostò per farlo passare e lui la fulminò con lo sguardo, andandosi a chiudere in bagno con la valigia appresso. La ragazza sospirò ed andò in camera da Ashley che stava in piedi immobile, ancora pallido per l'esperienza appena vissuta.
«Mi dispiace per come ti ha trattato.» disse lei.
«Figurati, non devi essere tu a scusarti per lui.» il ragazzo abbassò lo sguardo.
«Sai, penso si sia comportato così solo per lo scontro con Amy di poco fa. Penso l'abbia un po'... turbato.» Anta accennò un sorriso.
«Scontro?» Ashley risollevò lo sguardo.
«Sì. Non hai sentito tutto il rumore di prima? Kay ci ha provato con Amy e... lei le ha lanciato un incantesimo che gli ha fatto abbastanza male.» Anta intrecciò le mani dietro la schiena, imbarazzata, anche se non sapeva bene il perchè si sentisse così.
«Amy è una strega?» chiese il ragazzo.
«A quanto ho capito, sì.»
«Cercherò di non farla arrabbiare in futuro, allora.» rise.
«Non penso che ci riusciresti neanche volendo.» affermò Anta e Ashley la guardò stranito «Insomma...» Anta si sistemò una ciocca di capelli dietro ad un orecchio ma non continuò la frase.
«Sei la prima a pensarla così. Sai, di solito noi veniamo considerati degli esseri piuttosto dispettosi.» Anta fece per chiedere informazioni su questo "noi", ma quando vide uno scintillio passare veloce da destra a sinistra negli occhi di Ashley le parole le si fermarono in gola, lasciandola affascinata. Seguì un altro scintillio uguale al precedente. «Scusami, ma ora te ne dovresti andare.» disse lui il più cortesemente possibile «Devo cambiarmi, tra ventidue minuti abbiamo la cerimonia di ammissione.»
«C-certo.» rispose lei «S-scusa.» Anta si avviò verso la porta e l'aprì.
«Per quel che vale,» cominciò Ashley e lei si voltò un attimo a guardarlo «grazie.» il ragazzo sorrise e Anta arrossì di colpo.
«E-e di che? Figurati!» disse, forse pronunciando l'ultima parola in modo un po' troppo acuto.
«Sai, sei molto timida, ragazza.» lui aprì la valigia e ne tirò fuori un asciugamano bianco che appoggiò sulla spalla «Ci vediamo dopo.» la salutò facendo un cenno col capo.
Anta non ripose, si limitò a rivolgergli un sorriso imbarazzato e uscì dalla camera chiudendosi la porta alle spalle.
Si appoggiò con la schiena alla porta e fece un lungo sospiro. Si mise una mano sul petto e sentì il cuore batterle freneticamente, senza sosta. Perchè la imbarazzava così tanto parlare con un qualsiasi ragazzo? Perchè era così timida? Da sempre aveva desiderato nascere un po' più estroversa, oppure di avere giusto qualche relazione amorosa, anche corta, per abituarsi a interagire seriamente con un ragazzo della sua età ma, d'altro canto, nessuno l'aveva mai considerata molto prima: se ne stava in disparte e non parlava con nessuno, troppo timida per riuscire a farlo. Negli ultimi tempi si era convinta di essere migliorata, riusciva a parlare con gli altri ragazzi senza problemi. Ma, nonostante cercasse di apparire il più tranquilla possibile, il suo cuore riusciva sempre a smentirla dimostrandole il contrario.
Le era piaciuto solo un ragazzo nella sua vita. Solo uno. Ma non era finita bene, non era neanche mai riuscita a confessargli ciò che provasse. Un po' si odiava per questo. Avrebbe voluto sapere cosa avrebbe risposto e se sarebbe stata felice insieme a lui ma, purtroppo, il ragazzo svanì nel nulla un giorno. Solo qualche settimana dopo Anta sentì dire che si era trasferito, ma nessuno le seppe dire dove o perchè. Anta si ricordò quanto fu doloroso dirgli addio, non di persona, ma addio dal suo cuore. Devo superarlo. Si era detta, ma ci mise ben due anni per cancellarlo dalla sua mente.
E chissà perchè si ritrovava a pensare a questo proprio in un momento del genere.
Dopo qualche secondo di respiri profondi, il battito cardiaco di Anta era rallentato, tornando alla normalità. La ragazza si staccò dalla porta e si sedette sul divano del salotto a guardare la televisione. Appena la accese, notò subito che i programmi erano ben diversi da quelli che aveva a casa. Provò a cambiare canale più volte, ma non trovò niente di "normale", c'erano servizi con immagini strane e creature che non aveva mai visto, in più la maggior parte parlava una lingua che lei non capiva.
Qualcuno le strappò di mano il telecomando «Bisognerà spiegarti tutto, umana?» disse il ragazzo e premette un tasto sul telecomando, cambiando il programma su un semplice telegiornale «I tuoi canali sono qui.»
Anta si girò verso chi le aveva parlato e arrossì di nuovo «G-grazie Kay.» il ragazzo aveva indossato la divisa scolastica con i primi due bottoni della camicia slacciati che gli scoprivano buona parte del petto, pantaloni rossi a quadri - come la gonna per le femmine - e la valigia in mano.
Al ringraziamento della ragazza Kay rivolse una smorfia annoiata «Non c'è di che.»
Lui lasciò la valigia a terra e si sedette sul divano affianco ad Anta. Lei cominciò a percepire il suo battito cardiaco farsi sempre più frequente.
«Sai,» cominciò lui «poche volte ho provato a guardare la TV degli umani, ma l'ho sempre trovata noiosa. Insomma, buongiorno! Tutto ciò che si dice è talmente ovvio, "scoperte" che probabilmente noi abbiamo fatto secoli fa, come anche i pochi canali delle fate. Quelli li guarda solo mia nonna!»
Anta si immaginò una vecchietta con i ferri da cucito su una sedia a dondolo che guardava la sua vecchia TV in bianco e nero. Ma poi le venne in mente che gli elfi dovrebbero essere immortali e che quindi non dovrebbero invecchiare. O erano solo dicerie? «A proposito,» cominciò lei, guardandolo con la coda dell'occhio «Come fai a sapere che sono umana? Insomma... con Amy non sei subito riuscito a capire che fosse una strega.»
Kay alzò gli occhi al cielo «Allora è vero. Dovrò spiegarti tutto.»
«N-no! Mi dispiace essere di peso! Non devi se non vuoi, davvero! Era semplice curiosità!» Anta ormai sentiva le sue guance andare a fuoco per l'imbarazzo.
Il ragazzo sogghignò «No, non ti preoccupare.» guardò Anta diritto negli occhi e fece un sorriso malizioso «Io adoro insegnare alle ragazze inesperte.»
Anta deglutì e fece un sorriso nervoso, sperando di aver capito male, ma non disse nulla.
«Comunque,» disse l'altro «Amy, al contrario di te, non riesco a leggerla. Sai, per l'ncantesimo di blocco. Per questo non potevo sapere che fosse una strega.»
«In che senso?»
«Alcuni di noi elfi, si parla di uno su cento, possono leggere la mente delle persone, e quando lo facciamo riusciamo a capire di che razza sono, possiamo anche leggere i pensieri, sbirciare nei ricordi, cose così. Se qualcuno avesse per psicologo un elfo non avrebbe bisogno neanche di aprire bocca.»
«Quindi... tu mi hai letto la mente?» Anta si era girata verso di lui inorridita «È una cosa orribile da pensare!»
«Non ti preoccupare.» Kay si avvicinò a lei fino quasi a sfiorarle l'orecchio con le labbra «I tuoi segreti sono al sicuro con me.» sussurrò, provocando fremito e triplicando il disagio di Anta. Avrebbe voluto rispondergli: "Certo, perchè tu hai tanto l'aria da chi sa mantenere i segreti" ma non ne ebbe il coraggio, così rimase in silenzio, sperando che Kay non si avvicinasse più di così o allungasse le mani.
Ma inaspettatamente Kay... si sollevò in aria?
Anta vide il volto di Kay confuso e stupito mentre il suo corpo veniva sollevato di parecchi centimetri da terra fino ad arrivare ad essere lasciato - non troppo delicatamente - sull'altro divano affianco.
Anta non riuscì a trattenere una risatina per la scena.
«Ebbene?» disse una voce «Non ti vergogni neanche un po'?»
Kay riconobbe subito chi aveva parlato e sorrise beffardo, accomodandosi sul nuovo divano «Amy.» la salutò.
«Mi lasci esterrefatta.» disse lei, braccia conserte e la bacchetta alla mano. Aveva indossato al sua divisa, identica a quella di Anta se non di qualche centrimetro in meno sulla gonna, che le faceva risaltare le sue lunghe e bellissime gambe «Passi da una ragazza all'altra nello stesso giorno?»
Kay non abbandonò il suo sorrisetto «Cos'è, sei forse gelosa?»
«Affatto.» rispose Amy, scandendo bene la parola «Puoi andare in giro ad amoreggiare con chi vuoi, ma non con Anta. Lei è un'umana! Una persona semplice e per bene, e non voglio che tu le faccia del male. In più, cosa direbbe la tua famiglia? Un elfo e un'umana? Davvero?»
«Oh, fidati, ne hanno passate di peggiori. E poi...» Kay si girò a guardare Anta e si inumidì le labbra con la lingua «...non l'ho mai fatto con un'umana, sono così rare da trovare in giro.»
Gli occhi di Anta si spalancarono per la sorpresa dell'affermazione e cominciò a guardare ovunque tranne che in faccia di Kay, sicura ormai di avere un pomodoro al posto della faccia in quel momento.
Amy fece un movimento con la bacchetta che creò una pallina scintillante di color giallo opaco, poi un altro movimento più secco e la pallina si andò a schiantare contro la nuca di Kay.
«Ahi!» esclamò lui.
«Cuccia.» disse poi lei.
E quando sembrò che Kay volesse ribattere, si sentì il rumore di una porta aprirsi e tutti si voltarono a guardare Ashley  uscire dalla camera, anche lui con la divisa della scuola addosso ma a piedi nudi. Il ragazzo guardò tutti con aria interrogativa.
«Ciao Ashley.» lo salutò Amy. L'altro fece un cenno per ricambiare il saluto ma, distratto dalla situazione, quando provò a fare un passo inciampò nella valigia di Kay e quasi non cadde a terra.
«Ehi, attento! Mi rovini la valigia!» disse l'elfo.
«Mi fa molto piacere sentire che pensi più alla valigia e non al fatto che potrei essermi fatto male.» rispose Ashley, sarcastico.
«Che ti aspettavi? Quella valigia ce l'ho da anni, io invece ti ho conosciuto solo qualche minuto fa.»
«Ma sta di fatto che io sono un essere vivente, mentre la valigia no!» Ashley aveva alzato la voce, ad Anta sembrò una reazione un po' esagerata.
«Perchè ti scaldi tanto per una sciocchezza simile?» Kay si bloccò un attimo, poi sembrò accorgersi dei piedi scalzi di Ashley e si raddrizzò sul divano «Non dirmi che sei...» strizzò leggermente gli occhi fissando l'altro in viso per due o tre secondi prima di scoppiare in una grossa risata.
«Che hai da ridere?» chiese Amy.
«Il signor "le valigie non hanno sentimenti" è una fata!» eclamò Kay e si piegò in due ricominciando a ridere.
Anta in quel momento capì subito cosa intendesse Ashley con "di solito noi veniamo considerati degli esseri piuttosto dispettosi". In effetti, da piccola, quando sua madre le leggeva i libri delle fiabe, c'era quasi sempre scritto che le fate erano parecchio insopportabili.
«Per di più è biondo» continuò Kay «e il suo elemento natale è la flora!» il ragazzo riprese un attimo fiato «Ma la cosa peggiore è che hai un nome da femmina! I tuoi genitori devono proprio odiarti!» e dopo quell'affermazione, il ragazzo cadde all'indietro sul divano perdendosi di nuovo nelle risate mentre il viso di Ashley passava da arrabbiato a triste e scoraggiato.
«Kay se non la smetti di ridere subito ti lancio un altro incantesimo addosso.» disse Amy, con sguardo truce.
«Dai, non ditemi che non vi fa ridere neanche un po'!» ribattè lui.
«Per niente. Pensa a te piuttosto.» Amy incurvò un angolo della bocca «I tuoi genitori devono averti dato il tuo nome così carino per consolazione. Avranno detto: "povero piccolo, dovrà fare i conti con il suo piccolo cervello per tutto la vita, diamogli almeno la soddisfazione di avere un bel nome, l'unica cosa che avrà di bello nella vita".»
«Beh, allora vuol dire che oltre ad essere incredibilmente insopportabile, sei anche incredibilmente cieca! Dico,» Kay si alzò in piedi e si sbottonò completamente la camicia, portando poi le mani ai fianchi «con tutte quelle ore di palestra che ho fatto, non hai notato il mio bellissimo fisico?»
«No, scusami, era coperto dal tuo enorme ego che non ha senso di esistere.»
«Scusate?» si sentì dire da Ashley. Tutti si girarono a guardarlo «Grazie.» continuò il ragazzo «Kay, com'è possibile che tu sappia queste cose? Non ti ho mai detto nulla!»
«Beh, ti ho letto la mente, mi sembra ovvio. Ma posso riprendere a conversare amorevolmente con...» le sue parole furono interrotte.
«Ma non puoi averlo fatto.» ribattè Ashley «Mia nonna da bambino mi ha messo un blocco ai ricordi. Nessuno può leggerli!»
Kay sospirò spazientito «Vero in parte. Incantesimo di base, per di più vecchio e fatto molto tempo fa, poco potente. E' stato facilissimo raggirarlo. Al contrario della ragazza frigida qui presente,» e indicò Amy con un cenno della testa «ma presumo che lei abbia genitori ricchi e istruiti e sia di sangue puro, con entrambi i genitori maghi. Per questo ha incentesimi più potenti.»
«Anche se hai detto il vero» disse Amy «questo non ti autorizza a chiamarmi "frigida"!»
«Perchè no? E' la verità.» Kay si avvicinò alla strega, tanto che i loro respiri si mischiarono, e cominciò a giocherellare con la collana di lei «Se così non fosse, prima mi avresti baciato.»
«Sai,» cominciò lei e gli strappò dalle mani la collana «non baciare una persona appena conosciuta non vuol dire essere frigida, tutt'altro! Tu...» ma si interruppe quando sentì la porta d'ingresso aprirsi.
L'attenzione si spostò tutta sulla ragazza che era ferma sulla soglia della porta. Aveva il volto più serio che si fosse mai visto, i capelli quasi arancioni raccolti in un'acconciatura molto elegante e gli occhi rossi, indossava un vestito viola con motivo a fiori bianchi che le arrivava a metà coscia, senza maniche ma con una scollatura ampia che arrivava fino all'inizio dello stomaco, una fascia del colore del vestito che le copriva parte del bacino e un girocollo anch'esso in tinta col vestito, niente valigia appresso.
Anta si chiese subito il perchè. Di che razza avrebbe scoperto essere quella ragazza? Avrebbe avuto un altro compagno di stanza strano?
«Salve.» li salutò la ragazza impassibile con la postura della schiena eccellente «Mi hanno incaricato di riferirvi una comunicazione.» la sua voce, notò Anta, aveva qualcosa di strano, come di finta o non naturale.
«Non è il momento!» sbottò Kay, ma Amy con un gesto rapido di bacchetta gli serrò la bocca. Kay sembrò scocciato.
«Parla pure.» disse Amy con un sorriso.
«Dovete recarvi nella sala grande Est tra cinque minuti, la cerimonia è stata leggermente anticipata. Se non sapete come raggiungerla vi ci condurrò volentieri di persona.» guardò da capo a piedi Kay per un attimo «Si prega agli alunni di indossare l'uniforme in modo consono.»
Kay alzò gli occhi al cielo, ancora senza poter parlare.
«Ti ringrazio.» Amy con un movimento, questa volta lento, con la bacchetta, partì dall'orlo della camicia di Kay fino al collo e la abbottonò «Se siete tutti d'accordo, possiamo già andare, mi sembra.» Anta e Ashley annuirono mentre Kay si limitò a mettere le mani in tasca contrariato.
I ragazzi uscirono dalla camera, Ashley chiuse la porta a chiave, e tutti stettero in silenzio mentre camminavano per i lunghi corridoi della scuola seguendo la sconosciuta che li avrebbe condotti alla sala grande.

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Capitolo 2
*** La Profezia ***


Capitolo 2:
La Profezia

 
Anta capì subito perché la chimavano "sala grande", anche se avrebbero dovuto chimarla "sala enorme", secondo lei. Alla prima occhiata, dedusse che ci dovevano essere più di mille poltrone.
Quando lei ed i suoi compagni di stanza arrivarono, quasi tutte le sedie erano occupate da una miriade di ragazzi con la divisa della scuola, tutti intenti a chiacchierare fra di loro.
La ragazza coi capelli arancioni che aveva accompagnato lei ed i suoi compagni di stanza indicò loro dove sedersi e se ne andò, sventolando appena la gonna del suo bellissimo vestito.
Amy si sedette affianco ad Ashley e cominciò subito a parlare con lui, mentre Anta si trovò seduta vicino a Kay, intento ad osservarsi le unghie con fare annoiato. Lei tirò un sospiro di sollievo nel sapere che non avrebbe dovuto parlargli.
Ma probabilmente aveva parlato troppo presto.
«Mi stavo chiedendo,» disse Kay, denza distogliere lo sguardo dalle sue unghie «com'è il mondo degli umani?»
Anta, presa alla sprovvista, esitò un attimo prima di rispondere «Normale... credo.»
Il ragazzo alzò un angolo della bocca, probabilmente divertito dall'affermazione «Mi sa che il nostro concetto di "normale" è un po' diverso.»
«Mi dispiace ma non so come descrivere il mio mondo. Vediamo c'è... acqua. Tanta acqua.» Anta si pentì di ciò che aveva detto subito dopo. Cosa c'era in lei che non andava?
Kay fece una risata «Guarda che abitiamo sullo stesso pianeta! Io intendevo "mondo" come "modi di fare". Capisci?»
«C-certo... ecco...» temporeggiò la ragazza, non sapendo cosa dire «Direi...» sospirò «Scusa, ma non mi viene in mente niente se non "normale".»
«Ad esempio,» cominciò Kay «raccontami una tua giornata "tipo".»
«Pensavo che avessi letto già tutto il mio passato.»
«No, solo ciò che mi interessava in quel momento. Non posso leggere la vita di un'intera persona in un colpo solo, è fisicamente impossibile. Certo, a meno che quella persona non sia un neonato.»
«Beh, potresti leggere di nuovo la mia mente e avere delle risposte.»
«Potrei farlo, ma so che non ti fa piacere, quindi non lo faccio per rispetto nei tuoi confronti.»
Anta si sentì arrossire, non sapeva però se per rabbia o per imbarazzo. Rispetto? Cosa poteva saperne lui di rispetto?
«Oh. Beh, grazie.» la ragazza strinse con una mano l'angolo della gonna, sperando che la conversazione finisse presto.
«Buonasera ragazzi.» disse una voce interrompendo il chiacchiericcio nella stanza. Un uomo era in piedi vicino ad un microfono con dei fogli in mano, era fuori forma, con la pancia che gli ricadeva verso il basso e la giacca dell'abito blu scuro che gli entrava a malapena, in testa aveva pochissimi capelli neri e sotto il naso crescevano dei folti baffi.
Tutti i ragazzi appena lo videro si alzarono in piedi, Anta dopo di tutti, non avendo capito bene la situazione, ma la sua mano rimase aggrappata alla gonna.
L'uomo sul palco si strofinò il naso «Potete sedervi.» i ragazzi ubbidirono senza dire una parola, mentre lui si schiariva la voce per continuare il discorso «Io sono Hugg Micheal, il preside di questa accademia e sono fiero di essere stato assunto per il suo primo anno di apertura, e spero con tutto il cuore che la troverete accogliente e stimolante.» il preside fece per leggere dell'altro dai suoi fogli, ma li lasciò cadere a terra tirando un sospiro rassegnato. Sembrava in un certo senso... dispiaciuto per qualcosa. «Al diavolo!» sbottò «Ho passato ore e ore a pensare a cosa dirvi, ma alla fine penso che la cosa più giusta da fare sia dire la verità.» i ragazzi in sala sembrarono tutti confusi e preoccupati «Voglio dirvi la verità.» ripetè il preside «Per quanto non mi sia concesso farlo.»
Una donna bionda, seduta in prima fila, lanciò un'occhiata minacciosa all'uomo che, però, la ingnorò e continuò a parlare «Circa sei mesi fa, chi giorno più, chi giorno meno, avete tutti ricevuto una lettera. Su di essa, c'era scritto che questa scuola aveva l'obbligo di frequentazione di un anno per questa accademia. Non c'era specificato null'altro. Siete stati scelti voi poichè avete tutti diciassette anni e siete o di razza nobile o di razza antica.» Anta non capì questo passaggio, ma non chiese nulla, continuando ad ascoltare «Non ho molto tempo, quindi passiamo subito al sodo: il nostro mondo è sotto minaccia e solo le persone più importanti ne sono state informate, ma io penso... che tutti voi lo dovreste sapere, poichè sarete voi a combattere per la salvezza del mondo.»
Dalla sala si sollevò un brusio, mentre Amy stava in silenzio, le gambe accavallate, le braccia conserte e uno sguardo concentrato sul discorso; Ashley sembrava quasi impaurito, lo si vedeva dallo sguardo e dalle orecchie leggermente a punta che si agitavano a destra e a sinistra.
Kay vide l'espressione di Anta e decise di approfittare della confusione che le faceva quasi scoppiare la testa, così allungò una mano per afferrare quella di lei che stringeva ancora la gonna.
Anta si girò subito verso di lui, ma era fin troppo in confusione per dire qualcosa. Lei? La salvezza del mondo? Stavano scherzando?
«La tua mano sta tremando.» disse Kay, accarezzò il dorso della mano e l'avvicinò alla propria bocca per darle un bacio «Stai tranquilla.»
Anta sfilò la mano da quella di Kay «Per favore.» disse lei «Non mi sembra il momento...» inutile dire che le sue guance stessero andando a fuoco.
«Volevo solo tranquillizzarti.»
«Ti prego, sono già abbastanza confusa di mio... non aggiungerti anche tu.»
Kay non disse altro e ricominciò ad ascoltare il discorso del preside.
«Secondo un'antica profezia, quattro saranno gli eroi che potrebbero sconfiggere il pericolo che incombe sul mondo. Quattro ragazzi di diciotto anni accompagnati da un elemento artificiale.» il preside sfilò dal taschino della giacca un fazzoletto di stoffa e se lo passò sulla fronte sudata «Non mi è permesso dirvi altro sull'argomento.» nella stanza entrarono quattro uomini in divisa armati di manganelli che cominciarono ad avanzare verso il palco «Anzi, ho già detto troppo.» continuò il preside «Vi lascio alle parole della vicepreside Punkins, che vi spiegherà come funziona questa scuola.»
Il preside scese dal palco mentre tutti rimasero in silenzio e quando si lasciò ammanettare dai quattro uomini, dalla sala si sentì qualcuno applaudire.
 
~~~~
 
Amy.
Era stata lei ad alzarsi in piedi ed applaudire, aveva tirato fuori il coraggio ed aveva battuto le mani per quell'uomo che aveva rischiato la carriera, la libertà, solo per fare la cosa giusta: informarli della verità dietro all'accademia e non averli tenuti all'oscuro di tutto come sarebbe stato d'obbligo fare. Non era un applauso qualunque, ma uno che esprimeva importante ammirazione.
Dopo qualche secondo, si alzò in piedi anche Kay, rivolse un sorriso ad Amy e si unì a lei nell'applauso scatenanado poi un effetto a catena che coinvolse tutta la sala.
Anta, però per farlo ebbe bisogno di una piccola spinta da parte di Kay, che la afferrò per un polso - non troppo delicatamente - e la fece alzare in piedi, costringendola ad unirsi al coro degli applausi.
Gli uomini che avevano ammanettato il preside si fermarono sconvolti, guardandosi attorno stupiti e meravigliati , osservando quel "grazie" che i ragazzi stavano donando al preside.
Si sentì all'improvviso un suono secco dal palco e tutti si girarono a guardare: una donna. La stessa donna, notò Anta, che aveva guardato storto il preside fin da quando aveva iniziato a parlare.
«Seduti!» urlò la donna nel microfono. Tutti ubbidirono, terrorizzati. «Mai più si dovrà verificare una cosa del genere, chiaro?» la donna fece un cenno ai quattro uomini che si affrettarono a portare via il preside, poi ritornò a guardare i ragazzi con sguardo severo «Io sono la vicepreside Punkins. Su quanto successo prima non dovrete mai farne parola con nessuno, neanche con amici o parenti. Se lo farete, molto probabilmente vi ritroverete a far compagnia al vostro caro preside, se ancora si potrà chiamare così.» la vicepreside sfilò il microfono dall'asta di metallo e si posizionò al centro del palco, cosicché tutti potessero vederla per intero: avrà avuto circa trentacinque anni, vestita con un abito rosso che le arrivava alle ginocchia «Ora, è mio dovere spiegarvi come funziona questa accademia poichè, come avrete già capito, non è come tutte le altre.» inspirò profondamente e ricominciò a parlare «Prima di tutto, ognuno di voi avrà quattro compagni di stanza. Avrete notato subito, quindi, che ve ne manca uno all'appello poichè si tratta dell'elemento artificiale, tra un paio di giorni il software dovebbe essere pronto e potrete avere il vostro quarto componente.» Un... androide? Pensò Anta «Fatto sta,» continuò la vicepreside «che tutti i vostri compagni di stanza saranno anche i vostri compagni di squadra, quindi vedete di andarci d'accordo perchè da loro dipenderà il vostro voto complessivo. Questo punto vi sarà spiegato meglio da chi di dovere quando sarà il momento.» la vicepreside giocherellò col filo del microfono, rigirandoselo fra le dita «Questo anno scolastico sarà diviso in due periodi: uno di otto mesi e l'altro di quattro. Nel primo periodo sarete addestrati a combattere e istruiti su varie materie come storia, arti e magie oscure, scienza, biologia... tutto ciò che vi potrà servire una volta usciti da questa scuola. Nel secondo periodo, si valuterà ciò che avrete appreso con vari test e prove simulate di combattimento. I voti di ogni componente della squadra verranno sommati, valutando anche puntualità e comportamento durante le lezioni, per ottenere un punteggio complessivo, la squadra che avrà i voti più alti sarà scelta per compiere la missione a cui il preside Hugg ha precedentemente accennato.»
Ci fu una attimo di silenzio.
«Tutto chiaro?» chiese la vicepreside. Molti alunni nella sala si scambiarono dei commenti, ma nessuno osò chiedere nulla «Molto bene. Domani alle 7:30 verrà servita la colazione, durante la quale vi sarà chiesto di consegnare tutti i vostri cellulari. Questa sera sarà la vostra ultima occasione di sentire amici o parenti, quindi fatelo ma senza divulgare informazioni su questa accademia, se lo farete lo scopriremmo poichè tutti i cellulari verranno controllati.» ci fu una breve pausa «È tutto, potete tornare ai vostri alloggi.»
Tutti i ragazzi nella sala cominciarono a farsi domande fra loro, c'era chi era preoccupato, come Ashley, chi era indifferente, o meglio, fingeva di esserlo, come Amy e Kay, e poi c'era chi piangeva, come Anta.
Lei aveva cercato di trattenere le lacrime, ma le sentiva bruciare, spingere dalla gola, e non ce la fece a trattenersi. Pianse silenziosamente, immobile. Cosa significa? Perché ci volevano tenere all'oscuro di tutto questo? Pensò Qual è il grande pericolo che dovremo affrontare? Potrò mai rivedere la mia famiglia? Se fossi scelta, sopravviverei alla missione? Perché? Perché?
Una mano le si appoggiò sulla spalla e quando Anta si voltò vide Amy con un rassicurante sorriso in volto «Ti senti bene?» chiese. Anta scosse il capo. Amy a quel punto allagò le braccia e la accolse in un caldo abbraccio.
«Abbiamo finito?» chiese sgarbatamente Kay, in piedi vicino ad Ashley con le braccia conserte. Le ragazze si staccarono l'una dall'altra ed Anta si asciugò le guance con il polso «Vorrei tornare in camera.» continuò Kay.
«Arrivo! Arrivo!» disse Amy alzandosi dalla poltrona «Tu vieni?» chiese ad Anta, lei annuì e si alzò dalla poltrona.
«Chi si ricorda la strada per tornare alla camera?» chiese Amy.
«Speravo la sapessi tu.» rispose Ashley.
«Vi accompagno io.» disse qualcuno. Tutti si girarono verso la voce e videro la ragazza dagli occhi rossi che li aveva accompagnati fino alla sala grande, ancora con tono e volto impassibile.
«Fantastico.» concluse Kay. La ragazza fece un piccolo inchino con la testa e cominciò a camminare, seguita dagli altri.
«Come ti senti?» chiese Ashley ad Anta mentre percorrevano i corridoi «Ti ho vista prima, stavi piangendo.»
Anta si girò un attimo verso Amy, che si stava punzecchiando con Kay, poi si rigirò verso Ashley «Meglio.» rispose.
«Ne sono contento, se ti può servire a sfogarti, sono un buon ascoltatore.» lui accennò un sorriso.
Anta pensò che sarebbe arrossita se non fosse stata così triste «Sei gentile, ma penso mi passerà presto. Sai, scoprire tutte queste cose tutte in una volta, i maghi e le creature magiche che esistono, una missione contro un malvagio, sembra di essere in una fiaba. Forse è tutto un sogno.»
«Purtroppo per te, io esisto davvero.» Ashley ridacchiò «Riguardo alla missione, manca ancora un anno e non è detto che verremo scelti noi. Non ci devi pensare adesso.» il ragazzo appoggiò indice e pollice sul mento «Ora che mi ci fai pensare... basterà non studiare se non si vuole essere scelti. Se la nostra media dei voti sarà bassa allora non potremo mai vincere contro gli altri.»
«Non funziona così, biondina.» disse Kay rivolto ad Ashley, quest'ultimo decise di ignorare la presa in giro e di imitarsi ad alzare gli occhi al cielo.
«Mi dispiace dirlo ma Kay ha ragione, ne stavamo parlando prima.» disse Amy «Se noi non venissimo scelti ed avessimo quindi dei voti inferiori agli altri...»
«Ci cancellerebbero la memoria.» concluse Kay.
«Cosa?!» chiesero stupiti Ashley ed Anta all'unisono.
«Solo un gruppo verrà scelto, giusto?» cominciò Kay «E tutti gli altri verranno rispediti a casa ma, come ben sapete, la missione deve rimanere segreta altrimenti si scatenerebbe il caos, e cosa pensi che faranno per non far spifferare tutto agli alunni non scelti?»
«Che problema c'è?» chiese Anta «Se ci cancellano la memoria, tutto tornerà alla normalità.»
«Tu non capisci.»  Kay scosse il capo «Non è una passeggiata cancellare i ricordi. Già per leggerli devi avere anni di allenamento, ma addirittura cancellarli... ci vorrebbero dei maghi molto potenti e specializzati, ed anche il quel caso può essere pericoloso e doloroso per le persone non abituate alla magia.» guardò Anta dalla testa ai piedi «Come te, ad esempio. In certi casi, l'individuo sottoposto all'operazione potrebbe riportare gravi danni al cervello, entrare in coma, a volte morire.»
«Ma... non capisco. Tutto questo non dovrebbe essere contro la legge? Intendo fare operazioni che potrebbero portare alla morte senza un consenso del diretto interessato.» disse Anta.
«Di norma sì, ma non quando si tratta di sicurezza mondiale. Non avrebbero dovuto farlo se il preside non avesse detto nulla, ma capisco perché l'abbia fatto e lo ammiro per questo.» rispose Amy.
«Ma voi... come fate ad avere tutte queste informazioni?» chiese Anta.
«Beh, non mi piace dirlo in giro, ma visto e considerato che dovremo passare insieme un anno, finirete lo stesso per scoprirlo.» Amy si schiarì la voce «Io sono la figlia del sindaco della capitale dei maghi e, in quanto tale, sono a conoscenza di molte più informazioni di voi. Qualcuna me la dice mio padre, qualcun'altra devo andarla a cercare curiosando fra i suoi documenti.»
«Comincio a pensare...» Kay circondò le spalle di Amy col braccio e la strinse a sé «...che ci sarai molto utile, zuccherino.» Amy fece un mezzo sorriso, avvicinò la mano a quella di Kay appoggiata sulla sua spalla e, veloce, gli girò il polso con tutta la forza che aveva.
«Ahi!» esclamò Kay, Amy lo lasciò andare e lui si allontanò velocemente dalla ragazza.
«Eccoci arrivati.» disse la ragazza dagli occhi rossi indicando con un gesto la porta.
«Grazie.» rispose Amy e si affrettò ad entrare in camera. Tutti i ragazzi entrarono dopo di lei mentre la ragazza, impassibile, chinò leggermente il capo prima di sparire di nuovo fra gli infiniti corridoi.
 
~~~~
 
«Non dirmi che quello è il tuo pigiama!» esclamò Kay, seduto sul divano. Pochi istanti prima stava guardando la TV, ma quando aveva visto Amy uscire dal bagno in pigiama non aveva potuto evitare i commenti.
«Cos'ha che non va?» chiese Amy.
«Ha sopra dei conigli! Quanti anni hai? Cinque?» Kay non riusciva a distogliere gli occhi da quella maglietta a maniche corte che le scoprivano giusto il collo e le braccia e da quei pantaloncini corti che le arrivavano al ginocchio.
«Cosa ti aspettavi, scusa?»
«Beh, sai, visto che è estate... qualcosa di leggero. Molto più leggero...»
«Intendi quei pigiamini in seta trasparenti?» Amy appoggiò le mani sui fianchi e si piegò leggermente in avanti «Anche se ce li avessi, di sicuro non li indosserei davanti a te.»
«Di' pure quello che vuoi, tanto so che ne hai almeno cinque di quelli, prima o poi te lo vedrò indossare e sarai tu a volerlo.» Kay si girò di nuovo verso la TV incrociando le mani dietro la testa. Amy alzò gli occhi al cielo rassegnata ed entrò in camera sua, chiudendosi la porta alle spalle.
Passarono pochi minuti ed anche Anta fece la sua apparizione in salotto, appena uscita dalla stanza di Ashley. Era entrata a parlare con lui per trovare una spalla su cui piangere e sfogarsi. Quando ne era uscita, aveva gli occhi rossi per il pianto ma il viso un po' più sereno. Era già in pigiama, con dei pantaloncini azzurri poco più corti di quelli di Amy e una canottiera bianca e morbida.
«Perchè ci avete messo tanto? Segreti fra ragazze?» esordì subito Kay, canzonandola. Anta restò con lo sguardo basso, in silenzio.
Kay lesse velocemente i pensieri di Anta «Okay, va bene, scusa, non era il caso.» sbuffò Kay «Cavolo! Sei così facile da leggere! Mi sto lasciando coinvolgere.»
«Come?» chiese Anta.
«Non mi scuso mai con le persone, di solito non entro in empatia con loro perchè è difficile leggergli la mente, ma essendo tu un'umana è più semplice. Da quel che ho letto, ne hai passate tante e... ho paura di starmi facendo coinvolgere, di essere più gentile con te per questo.»
«E cosa ci sarebbe di sbagliato?»
«Non sarei più me.» Kay fece una pausa, sembrò quasi pentirsi di ciò che aveva detto «Non starmi a sentire quando parlo così, vai a letto e dimentica tutto ciò che ti ho detto, per favore.»
Le parole confuse di Kay la fecero ridacchiare e, con un mezzo sorriso in viso, tornò in stanza a riposare.
 
~~~~
 
Erano le 6:30 di mattina quando Amy si alzò dal letto. Prese dal suo armadio la divisa della scuola che aveva indossato il giorno prima e si avviò verso il bagno per cambiarsi.
Anta si svegliò venti minuti dopo. Aveva dormito poco quella notte, e fece fatica a svegliarsi. Anche lei, come Amy, prese la divisa e si avviò verso il bagno. Quando notò che la porta era chiusa, bussò, e Amy uscì quasi subito. Aveva la spazzola in bocca e con le mani si stava sistemando i capelli in un codino laterale, si era già vestita e truccata. Amy le lasciò il bagno libero e andò a rifarsi il letto.
Alle 7:00 entrambe le ragazze furono pronte. Anta si sedette sul divano e cominciò a leggere un libro. Amy, invece, aprì delicatamente la porta della camera dei ragazzi. Sulle punte dei piedi,  facendo attenzione a non inciampare tra i vestiti sparsi a terra, camminò fino alla finestra e la spalancò, riempiendo subito di luce la stanza.
«Svegliatevi o faremo tardi!» esclamò la ragazza, eccitata per il primo giorno di scuola.
Kay emise uno strano rantolo e mise la testa sotto il cuscino. Ashley si mise subito seduto e si stiracchiò, probabilmente abituato ad essere svegliato dalla luce del sole.
Amy si avvicinò al letto di Kay e gli strappò via le coperte «Ho detto di svegliarti!» disse più forte «Se arriviamo in ritardo per la colazione ci farai dare dei voti negativi, e non è ciò che vogliamo!»
«Ciò che vogliamo o ciò che vui tu?!» esclamò Kay, togliendosi il cuscino dalla testa.
«Non fa alcuna differenza.» rispose Amy.
Kay si mise a sedere «E da quand'è che hai preso il comando?»
Amy ridacchiò «Io ho sempre il comando.»
Kay sbuffò e si andò a preparare. Amy uscì dalla loro camera soddisfatta, con un sorriso stampato in faccia.
Quando tutti furono in divisa e pronti per uscire, Amy aprì la porta d'ingresso, e sobbalzò quando le si presentò davanti la ragazza con i capelli arancioni e gli occhi rossi, era vestita in modo diverso dall'altro giorno: indossava un abito bianco panna di seta semi-trasparente senza maniche, con la gonna corta davanti e lunga fino alle ginocchia dietro, in più, tra i capelli – raccolti in due ordinate trecce che le ricadevano sulle spalle – aveva un giglio che le illuminava il viso. Anta pensò che sarebbe potuta sembrare più carina, se solo avesse sorriso. Ma, da quando l'aveva incontrata, non l'aveva mai vista farlo.
«Buongiorno.» disse lei, aveva delle misteriose cartellette gialle in mano «Vi stavo aspettando. Mi hanno dato l'ordine di accompagnarvi in sala da pranzo.»
«C-certo, va bene.» disse Amy, ancora stupita.
Kay si avvicinò all'orecchio della giovane maga «Mi sarei svegliato subito se solo tu avessi indossato un vestito come quello.» sussurrò con un sorriso malizioso.
Amy stranamente accennò un sorriso alla provocazione «Con te si devono sempre alzare gli occhi al cielo, Kay.» e così cominciò a seguire la ragazza dagli occhi rossi.
«Per quanto ancora dovremo farci scortare da Lei?» chiese Ashley in tono formale.
«Finchè me lo ordineranno.» rispose la ragazza «Presumo fra una settima circa, quando vi sarete orientati e saprete come spostarvi, sempre che la direzione non cambi programma.»
«Capisco.» rispose il ragazzo.
«A proposito. Mi è stato detto di darvi queste.» si girò verso i quattro ragazzi e consegnò ad ognuno una cartelletta di quelle gialle che aveva in mano «Questi sono i vostri orari delle lezioni. I libri vi saranno consegnati oggi assieme allo zaino dell'accademia. Solo due ore a settimana avrete una lezione in comune, segnata come: lezione di squadra. Per il resto, potrebbe capitare che siate insieme a uno o due della vostra squadra durante le altre lezioni.» fece una breve pausa «Continuiamo?» e riprese a camminare, ondeggiando la sottile gonna, seguita dai ragazzi che aprirono subito le loro cartelle.
«Vediamo...» cominciò Kay «Le lezioni di oggi per me sono: greco, latino, arti magiche e ben tre ore di ginnastica.» Kay fece una breve pausa «Ma mi spiegate cosa c'entrano latino e greco col salvare il mondo? Insomma, alla fine so già parlare entrambe le lingue, non sarebbero affatto ore impegnative per me ma, andiamo! Lezioni noiose le prime ore del mattino no!»
«In battaglia non serve.» spiegò la ragazza dagli occhi rossi «Ma, se mai verrete scelti, dovrete fare molta strada per arrivare al pericolo che incombe sul nostro mondo e percorrendo questa strada incontrerete persone che parlano ancora le lingue antiche. Per questo vi servirà sapere almeno le basi.»
«Lei come lo sa?» chiese Ashley.
«Mi hanno fatto leggere la profezia.» rispose lei.
«Davvero?!» eclamò Amy «Potresti dircela?»
La ragazza esitò, sembrò non essere sicura di poterlo veramente fare, ma poi annuì e cominciò a recitare:
 
"Dopo l'accademia aver frequentato,
e con i voti più brillanti averla superata,
quattro diciottenni,
due di razza antica
e due di razza pura,
affiancati da un elemento artificiale che diresti respirare
saranno scelti per la missione.
Gli eroi affronteranno un lungo cammino.
Uno dei quattro perderà la ragione,
uno rischierà di perdere la vita per non aver ascoltato,
e un altro ancora si sacrificherà per qualcun altro.
Ma alla fine,
passando per civiltà antiche,
boschi abbandonati,
e miniere buie,
dopo un lungo tempo arriverà a battaglia finale.
Dev'essere allora che gli eroi scopriranno d'essere vincitori o vinti.
Se la missione fallirà,
l'oscurità regnerà sul mondo,
ma se sarà compiuta,
i quattro verranno coperti di rubini e diamanti,
e verrano incoronati sovrani"
 
I ragazzi rimasero basiti: non erano completamente sicuri di aver capito ciò che la ragazza gli avesse detto. Anta continuava a pensare alla parte che li riguardava:
 
"Uno dei quattro perderà la ragione,
uno rischierà di perdere la vita per non aver ascoltato,
e un altro ancora si sacrificherà per qualcun altro."
 
Sembrava che tutto il resto della profezia non contasse: sarebbe stata lei a perdere la ragione? Lei a non ascoltare ciò che le verrà detto? E se non sarebbe stata lei, sarebbe riuscita a curare chi sarebbe rimasto ferito? Poi si immaginò come regina: con il mantello e lo scettro in mano. Sarebbe stata capace di governare un regno? Ma soprattutto, come avrebbero governato in quattro? Era possibile, o qualcuno sarebbe morto durante la missione? Alla fine decise di non pensarci più poiché, dopotutto, non era detto che sarebbero stati per forza loro ad essere scelti. Per ora poteva solo aspettare che un altro giorno si concludesse, e dopo quello un mese, un anno... E alla fine, il destino avrebbe deciso per lei.

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Capitolo 3
*** Lezioni ***


Capitolo 3:

Lezioni

 

La sala da pranzo era enorme: i tavoli avevano cinque sedie ciascuno, ed erano tanti quanti i gruppi della scuola, il muro era bianco panna e il pavimento era di parquet, la sala era tagliata a metà da un tappeto rosso, al soffitto era appeso un enorme lampadario di cristallo che bastava per illuminare tutta la stanza.

La ragazza dai capelli arancioni condusse i ragazzi al loro tavolo, segnato come 124. Tutti si sedettero, compresa lei. Subito arrivò un cameriere che si affrettò a prendere le ordinazioni. I ragazzi guardarono per qualche secondo il menù ed ordinarono, tranne la ragazza dai capelli arancioni, che stette in silenzio a schiena dritta a guardare gli altri.

- Non mangi niente? - le chiese Amy.

- No, non ne ho bisogno. - rispose la ragazza – Ma ti ringrazio del pensiero.

- Figurati. - Amy sorrise, non capendo completamente cosa la ragazza intendesse. In quel momento si sentì una voce all'altoparlante che avvertì gli alunni che tra non molto sarebbero iniziate le lezioni. Questo fece ricordare qualcosa alla ragazza dai capelli arancioni, che prese da sotto il tavolo un piccolo sacchetto fatto di un materiale marrone e ruvido e lo aprì.

- Riponete i cellulari qui dentro, per favore. - disse lei, alzando il sacchetto. I ragazzi obbedirono subito, tirarono fuori dalle loro tasche i cellulari e li depositarono nel sacchetto – Grazie. - gli disse la ragazza chiudendo il sacchetto con un nastro che aveva legato al polso. Poi si congedò con un cenno del capo, e se ne andò via di nuovo.

- Non pensate che quella sia un po'... - cominciò Ashley.

- Strana? - concluse Amy – Si, parecchio.

- Ormai è palese che l'ha mandata l'istituto. - disse Kay. Aveva i gomiti appoggiati sul tavolo e le mani unite che gli reggevano il mento – Magari come assistente. Guardatevi intorno. Non notate niente di strano?

I ragazzi si guardarono attorno. Ora riuscivano a vederle: tante ragazze vestite come la sconosciuta che li aveva accompagnati. L'aspetto magari era leggermente diverso, ma tutte avevano gli occhi rossi. Ormai non c'era più dubbio.

- Androidi... - disse Ashley, quasi come un sussurro ma nella sua voce si poteva trasparire un pizzico di disgusto e repulsione.

- Allora... Saranno loro ad accompagnarci nella missione? - chiese Anta.

- Penso di si. - rispose Kay appoggiandosi allo schienale della sedia – Ma, come ha detto ieri la vicepreside, devono ancora lavorarci: non sono complete.

I ragazzi videro arrivare due camerieri al loro tavolo, che servirono ad ognuno il proprio piatto, per poi sparire tra gli altri tavoli. Amy aveva ordinato un semplice latte caldo con dei biscotti, Anta del caffè e un ciambella, Ashley un piatto contenente frutti di tutti i tipi e Kay dei pancakes ricoperti di caramello caldo.

- Che materie avete alla prima ora? - chiese Ashley e tutti guardarono i fogli delle loro cartelle gialle – Io Botanica. - lui sorrise.

- Greco. - rispose Kay.

- Anch'io. - disse Anta, non troppo entusiasta. Kay la guardò quasi preoccupato.

- Io Arti Magiche. - Amy sorrise, piuttosto compiaciuta.

Anta non guardò Kay, era ancora troppo arrabbiata per la sua noncuranza dei sentimenti altrui, ma riusciva a sentire il suo sguardo su di lei, che la osservava, la scrutava, cercava di capire cosa pensasse e come rimediare a ciò che aveva fatto. Le venne quasi il sospetto che stesse leggendo di nuovo la sua mente, così decise di girarsi verso di lui per chiarire una volta per tutte cosa pensasse. Una volta giratasi verso Kay, prese un lungo respiro per imporsi coraggio, poi aprì la bocca per cominciare a parlare, ma venne interrotta.

- Chi accompagno per primo? - era stata la ragazza con i capelli arancioni a parlare – A lezione, intendo.

Amy finì in fretta il suo latte, impaziente di cominciare le lezioni – Me! - esclamò subito dopo.

La sconosciuta fece un cenno con la testa e cominciò a camminare, seguita da Amy. Al tavolo rimasero solo Ashley, Anta e Kay, che rimasero in silenzio a mangiare finché la sconosciuta fece di nuovo ritorno, portandosi via Ashley. Ora rimanevano solo Anta e Kay.

- Ti volevo dire... - cominciò subito Kay, appena Ashley si fu allontanato. Anta si girò ad ascoltarlo – Non volevo andasse così.

- Mi sembra troppo tardi per dirlo. - rispose Anta. Aveva le braccia tese e le mani strette a pugno, che spingevano contro le ginocchia.

- Andiamo! Ci siamo appena conosciuti e già vuoi litigare? Guarda che io sono un ragazzo interessante, se si impara a conoscermi.

- Non è che VOGLIO litigare, è solo che... - Anta aveva distolto lo sguardo dagli occhi di lui.

- Che...?

- Tu mi hai costretta a litigare! - Anta tremava, stava alzando la voce. Erano anni che non le succedeva, pensò.

- Non è così! Mi sono subito scusato con te! - Kay le aveva afferrato il braccio e la scuoteva per costringerla a guardare negli occhi, ma lei non cedeva.

- Tu pensi che basti? Per un attimo, alla cerimonia di ammissione, mi ero convinta che davvero tu avessi un briciolo di rispetto nei miei confronti... Ma poi... - ad Anta le si era appannata la vista per le lacrime. Non devo piangere. Si diceva – Come hai potuto leggere i miei ricordi?!? - esclamò, poi, finalmente, si girò verso di lui – Sono cose personali! Non le ho mai raccontate a nessuno! E lo sai perché? - Kay le lasciò il braccio e sospirò.

- Perché ti fanno stare male. - disse, seriamente dispiaciuto per lei. Ci fu una breve pausa – Dimmi solo come rimediare.

- Non lo so. Fatti venire in mente qualcosa. - Anta si alzò dal tavolo e si diresse verso il bagno seguendo le indicazioni di un cameriere. Kay la rimase a guardare mentre si allontanava. La guardava come si guarda un cucciolo ferito, senza poter fare niente per curarlo.

Il bagno era vuoto. Anta chiuse a chiave la porta, camminò fino al lavandino e ci appoggiò le mani sui bordi, poi sollevò lo sguardo e si guardò allo specchio. Non aveva pianto, ma gli occhi erano lucidi, la bocca era semiaperta in una smorfia di tristezza. Chiuse gli occhi e sollevò la camicia scoprendo il fianco destro. Provò ad alzare una palpebra per sbirciare, ma appena vide un pezzo di ciò che era stato il suo passato, la richiuse subito e si mise a posto la camicia. Non ce la faceva ancora. Dopo tutti quegli anni passati a convivere con quella cosa, non riusciva ancora a guardarla.

Passò qualche minuto prima che qualcuno bussasse alla porta e lei dovette lasciare libero il bagno per tornare al proprio tavolo.

Kay la stava aspettando vicino alla ragazza dai capelli arancioni, che era tornata indietro.

- Possiamo andare? - chiese lei – Lezione di Greco, giusto?

- Si. - rispose Anta a bassa voce.

- Seguitemi.

La sconosciuta gli fece percorrere svariati corridoi prima di farli arrivare alla loro classe. Nonostante questo, ci misero solo cinque minuti ad arrivare, ma ad Anta sembrò un'infinità di tempo. Chissà se sarebbe riuscita a seguire le lezioni, quel giorno. O sarebbe rimasta a pensare al litigio con Kay tutto il tempo? No. Non glielo avrebbe permesso.

Una volta entrati in classe, Kay e Anta si accorsero subito di essere arrivati in ritardo. Guardarono l'orologio appeso alla parete della classe. 8:05. Il professore era già in aula e stava parlando ai ragazzi.

- Ebbene? Sarebbe questa l'ora di arrivare? - disse subito lui, quasi urlando.

- Ci scusi professore. - dissero insieme Kay ed Anta.

- Sapete cosa succede a chi arriva in ritardo? - l'uomo aprì il registro – Voti negativi! - prese una biro e la posizionò sulla carta. Kay e Anta stavano a testa bassa, sentendosi in colpa nei confronti della loro squadra, per aver fatto tardi il primo giorno.

- È colpa mia, professore. - disse la ragazza con gli occhi rossi – C'è stato un contrattempo.

- Davvero? Che tipo di contrattempo? - l'uomo staccò la biro dalla carta.

- La ragazza non si è sentita bene. È stata più di cinque minuti in bagno. E questo ci ha fatto ritardare. - Anta era arrossita, sentendosi ancora più in colpa.

- E in che modo, sarebbe colpa tua? - chiese l'uomo a braccia conserte.

- Io non ho rispettato l'ordine di far arrivare gli alunni puntuali nonostante qualsiasi avvenimento non grave.

- Male, ASP. Riferirò. - ASP? Pensò Anta Che significa? La ragazza dagli occhi rossi abbassò la testa, rammaricata – Ti do il permesso di congedo. - continuò lui. La ragazza fece un piccolo inchino con la testa e se ne andò, sparendo di nuovo. - Voi due! - disse l'uomo rivolto a Kay ed Anta – Prendete posto. - I ragazzi andarono in fondo all'aula e si sedettero negli ultimi due banchi rimasti, uno affianco all'altra, ma distanti circa un metro - Per questa volta non vi metterò nessun voto negativo. - continuò il professore – Ma sappiate che la prossima volta non sarete graziati! - i ragazzi annuirono. A quel punto, l'uomo poté cominciare la lezione.

 

- Non riesco a capire! Perché ritenete sbagliato che dei ragazzini possano sapere la verità? - chiese l'uomo una volta chiamato Preside Hugg. Le sue mani e la sua fronte erano sudate, era in piedi al centro di una stanza, intorno a lui, c'erano una dozzina di persone sedute su delle alte sedie, che lo accerchiavano: si sentiva un topo in trappola.

- Lei non capisce. - disse uno di loro – Dei ragazzini non dovrebbero MAI sapere una cosa del genere! Bisogna solo sperare che nessuno studente l'abbia detto alla propria famiglia! In giro si scatenerebbe il caos!

- Caoghor non è ancora pronto ad essere conosciuto dal mondo! É un fardello troppo grande da portare! - esordì un altro.

- Adesso è solo per colpa sua se ci troviamo costretti a cancellare la memoria di tutti i ragazzini che non verranno scelti per la missione! Ma questo lei lo sapeva bene!

- Non sa che effetto può avere cancellare i ricordi di una persona? Pazzia, amnesia a lungo termine e... Morte! Abbiamo speso quasi tutti i nostri fondi per quell'accademia! Non abbiamo le somme di denaro necessarie per chiamare a raccolta tutti gli stregoni più potenti per non rischiare!

- Si rende conto, ora, di che cosa ha fatto?

- Me ne rendo conto – rispose Hugg – Ma perché non lasciate che si sappia? Che le famiglie si preparino a Caoghor! Se no, come lo affronteranno?

- Non sono loro a doverlo affrontare, e questo lo sa bene. E poi, se si scatenerebbe il caos...

- Cosa? - interruppe Hugg – Non succederebbe niente! Perché noi abbiamo già la soluzione! Non ci sarebbero rivolte contro il governo! Perché una profezia da seguire ci è stata data!

- Adesso basta! - urlò una donna. Hugg si girò a guardarla: era piuttosto vecchia, con le mani venose e secche che afferravano saldamente un martelletto – Per i reati commessi da Micheal Hugg, questa corte lo condanna all'esilio nella palude di Tharr. Se mai dovesse tornare, e così infrangere il suo esilio, l'ordine è di uccidere a vista. - la donna batté il martelletto una volta e si alzò in piedi, congedandosi, mentre degli uomini ammanettavano di nuovo Hugg e lo portavano via.

 

La lezione di Greco procedeva lenta, Anta non capiva molto di ciò che diceva il professore, e si perdeva spesso nei suoi pensieri. Quando finalmente aveva cominciato a capire qualcosa, un foglio accartocciato le venne lanciato in testa. Lei si girò verso il mittente. Kay, che le indicava con dei gesti di leggerlo. Anta aprì il foglio accartocciato facendo attenzione che il professore non la vedesse. Mi hai perdonato? Diceva il foglio. Anta prese un pennarello nero e scrisse sopra al figlio, a grandi lettere: No! E restituì il foglio a Kay. Quando lui lo lesse ridacchiò, prese in mano una penna, e sul retro del foglio scrisse: Dimmi solo come posso farmi perdonare! Non mi viene in mente niente! E lo rilanciò in testa ad Anta. Che glielo rispedì con scritto: Dimmi qualcosa che nessuno vorrebbe mai che tu sapessi. Ma non fare scherzi!

Kay deglutì leggendo quel messaggio e pensò a lungo a cosa potesse rispondere. Poi strinse forte la penna blu e cominciò a scrivere. Ci mise più di venti minuti, e la lezione terminò senza che avesse terminato. Cercò di finire in tempo, ma non ci riuscì. Anta si era già alzata in piedi e si stava dirigendo alla porta della classe. Prima di uscire, il professore consegnò ad ogni alunno una piantina dell'accademia – Queste le manda la direzione. - disse – Per un po' gli ASP non saranno più con voi.

Anta uscì dall'aula entusiasta del fatto che non avrebbe più dovuto fare la strada con Kay, d'ora in poi. Frugò nella sua borsa e tirò fuori la sua cartella gialla con gli orari delle lezioni. Educazione Fisica. Almeno potrò sfogare la mia rabbia nello sport. Pensò lei.

 

La lezione di Educazione fisica, non fu affatto come se l'era immaginata Anta, ma molto peggio. Mai aveva avuto una lezione così faticosa.

Appena entrata in palestra, l'insegnante – una donna muscolosa e bionda con sopracciglia sottilissime - le aveva chiesto le sue misure e le aveva assegnato, di conseguenza, una tuta a maniche corte e pantaloncini corti. Era andata in spogliatoio con le altre ragazze e si era chiusa in bagno per cambiarsi. Una volta uscita, l'insegnate aveva ordinato a tutti gli alunni di correre per venti minuti, giusto per fare riscaldamento. Certo, Anta andava a correre ogni mattina, ma non era abituata a correre a ritmo veloce e ininterrotto. Vedeva tutti i suoi compagni di corso che la superavano, e lei che restava indietro cercando di sfruttare al meglio le sue energie. Dopo dieci minuti di corsa, cominciò a rallentare sempre di più, finché non si fermò con la milza dolorante. L'insegnante la rimproverò subito, e lei dovette ricominciare a correre. Arrivata ai diciotto minuti di corsa, vedeva il mondo da un'altra prospettiva: anziché cercare un modo per arrivare alla fine dei venti minuti senza essere praticamente morta, iniziò a pensare a come uccidersi. Ovviamente non sul serio, più come gioco, per cercare di rendere più sopportabile la corsa. Fortunatamente gli ultimi due minuti restanti passarono velocemente, e Anta riuscì a compiere tutti i venti minuti di corsa. L'insegnante diede il permesso agli alunni di sedersi, ma Anta non lo fece, mancava ancora mezz'ora alla fine della lezione, e sapeva che se si fosse seduta, non si sarebbe mai più rialzata. Per i restanti minuti di lezione, la costrinsero a fare addominali e flessioni. Insomma, alla fine dell'ora, Anta non vedeva l'ora di sdraiarsi su un qualsiasi letto o divano o persino pavimento e dormire, ma erano passate solo due lezioni. Ne aveva ancora tre.

Dopo essersi cambiata, Anta prese in mano la cartella gialla e lesse di nuovo gli orari. Medicina. Finalmente qualcosa che le interessava! Fin da piccola, aveva sempre voluto fare la veterinaria. Percorse i corridoi dell'accademia fino ad arrivare all'aula. Appena entrò, notò subito che non era un'aula come le altre, al posto dei banchi, c'erano dei tavolini bianchi con sopra posizionati dei... Manichini? Pensò Anta Cosa staranno progettando? Una specie di finta operazione chirurgica? Probabilmente si. Anta ne aveva già sentito parlare, di lezioni salvavita nelle scuole, ma non ne aveva mai frequentata una.

- Bene! - cominciò una donna al centro della stanza. Probabilmente era l'insegnante, ma era completamente diversa da qualsiasi stereotipo: aveva circa trent'anni, gli occhi verdi e i capelli biondi raccolti in due codini alti molto allegri. - Ci siamo tutti? - stava quasi ridendo, notò Anta. Poi si guardò di nuovo attorno, e vide che tutti gli altri compagni di corso, erano dietro di lei, lontani dai tavoli – Allora cominciamo! - continuò – Ognuno di voi, scelga un compagno: oggi ho deciso che si lavora a coppie!

Anta vide tutti gli alunni che cominciavano a muoversi ed a camminare verso al proprio tavolo, a due a due. Lei rimase per ultima, – nessuno le aveva proposto di stare in gruppo assieme – guardandosi attorno, si rese conto che rimaneva anche un ragazzo e, per logica, furono costretti a lavorare insieme. Si diressero verso l'ultimo tavolo libero e si posizionarono in piedi uno affianco all'altra.

- Amyas – disse lui per presentarsi, e le tese la mano.

- Anta. - rispose lei, stringendogliela.

- Silenzio ragazzi! - disse l'insegnante. I due si lasciarono le mani – Ora che tutti avete un compagno, cominciamo con alcuni esercizi di base. Ma non li sottovalutate! Sono molto importanti. E quale è più importante se non la respirazione artificiale? - l'insegnate andò al tavolo di un gruppo in prima fila, e mostrò come eseguire l'operazione sul manichino. Continuava ad alternare la sua posizione: dal petto alla bocca, dalla bocca al petto e così via... Una volta che ebbe finito, diede il via agli alunni per farli cominciare.

- Io comincio con la respirazione, tu le pulsazioni, va bene? - disse Amyas – Poi facciamo a cambio.

- Va bene. - Anta sorrise, e i due si misero subito al lavoro. Quando Anta vide le labbra di Amyas sfiorare quelle del manichino, il suo cuore sussultò: era così tenero, così... Delicato. Finì per incantarsi.

- Anta? - la chiamò lui – Ci sei? Qui Mister Manichino ci muore! - Anta si risvegliò dai suoi pensieri – S-si! - balbettò, e ricominciò subito a lavorare, promettendosi di non incantarsi un'altra volta.

 

Alla fine dell'ora, oltre che alle gambe doloranti per la corsa, Anta aveva anche le braccia doloranti: compiere una respirazione artificiale, non era stato poi così semplice come credeva. Fece muovere in senso circolare le spalle un paio di volte, per cercare di alleviare il dolore, ma non servì a molto.

- Qualcosa non va? - chiese Amyas, preoccupato per il movimento insolito delle sue spalle.

- Solo... Un po' di dolori qua e là. - rispose Anta – Niente di grave.

- Prima volta che fai questo tipo di esercizi? - il ragazzo sorrise.

- Si... - Anta arrossì.

- Beh, te la sei cavata molto bene. Sei una dottoressa coi fiocchi! - Amyas rise e le diede una leggera pacca sulla spalla. Anta sussultò per il dolore – Scusa. - disse subito lui, ritirando la mano.

- Non fa niente. - rispose lei. Il ragazzo tirò fuori dal suo zaino un oggetto tondo grande più o meno come una pallina da ping-pong – Mangialo. - lui lo mise in mano ad Anta – Ti aiuterà. - il ragazzo si mise in spalla lo zaino ed alzò una mano per salutarla – Ci vediamo.

Anta guardò Amyas sparire tra la folla, poi guardò l'alimento che le aveva appena dato il ragazzo: bianco, morbido e caldo. Sentì il suo cuore aumentare il battito. Ancora? Si disse. Non devi più farlo, Anta!

La ragazza strinse l'alimento nella mano e ne assaggiò un morso. Era dolce ed insolitamente buono. Mentre si dirigeva verso l'aula di Latino – che le toccava per la quarta ora – finì per mangiare tutto l'alimento, da quanto era buono. In effetti, subito dopo si sentì meglio. Molto meglio. Non sapeva cosa Amyas avesse messo dentro a quel dolce, ma aveva avuto effetti benefici sul corpo e sulla mente. Si sentiva molto rilassata, ma allo stesso tempo, piena di energie.

Una volta entrata in aula, notò con piacere che a quella lezione era presente anche Ashley, e si andò a sedere accanto a lui.

- Anche tu qui? - chiese lui.

- Già. - rispose lei – Come mai il prof. non è ancora arrivato?

- Non saprei. - Ashley fece spallucce e tirò fuori dallo zaino un foglio – Mentre aspettiamo, ti faccio vedere una cosa. - stese il foglio bianco sul banco e fece degli strani movimenti con le mani. Anta all'inizio non capì, poi vide uno scintillio verde che si alzava dal foglio, quel verde poi si trasformò in marrone, e quando vide che i due colori prendevano una forma, riuscì a vederlo chiaramente: un albero. Non un vero albero, uno in miniatura fatto di... Polvere di fata. Pensò Anta.

- Che te ne pare? - chiese Ashley.

- Meraviglioso! - gli occhi di Anta stavano quasi brillando. - Ma come hai fatto?

- Noi fate, usiamo questo metodo per capire con che albero è stata creata la carta. Questa, ad esempio, è stata fatta con il legno di un pino.

- Vorrei poterlo fare anch'io! - lei cambiò tono in uno scoraggiato e triste - In mezzo a voi mi sento così inutile... Voi potete fare tante magie... Magie che io non potrò mai fare... - Anta fu interrotta da un ragazzo con gli occhi rossi totalmente inespressivo che entrò in classe – C'è stato un contrattempo. Il professore di Latino ha avuto un piccolo incidente, niente di grave. La lezione è annullata. Avete un ora libera. - disse, ed andò subito via. Anta sorrise. Finalmente era libera di andare dove voleva. Lei si alzò dalla sedia, Ashley dopo di lei.

- Ci vediamo dopo! - disse lei rivolta ad Ashley, e fece per andarsene, ma lui la bloccò afferrandole delicatamente il braccio.

- Aspetta. - disse – Voglio farti provare una cosa.

- Di nuovo? - chiese lei, lui non rispose. Fece scivolare la mano fino a quella di lei e la strinse, poi cominciò a correre, facendosi spazio tra la folla e trascinandola dietro. Lei non era del tutto d'accordo - aveva ancora i dolori per l'ora di Educazione Fisica – ma si lasciò trascinare, curiosa di ciò che Ashley le avrebbe mostrato.

I ragazzi arrivarono fino al giardino sul retro, e lì si fermarono. Anta si guardò attorno: il prato era completamente vuoto, neanche una persona. Strano perché, pensò lei, era un ottimo posto per rilassarsi e, magari, saltare le lezioni senza essere sorpresi.

- Allora? - chiese Anta – Cosa mi volevi mostrare?

- Tu hai detto che non potevi fare magie, giusto? - disse Ashley. Anta annuì – Beh, non è proprio “fare” una magia, ma volevo farti provare, almeno in parte, ad essere una fata.

- U-una fata? - Anta aveva parlato più forte di quanto pensasse.

- Si. La polvere di fata può fare miracoli. L'effetto non è duraturo ma... Ci si diverte ugualmente. - Ashley cominciò a trafficare nel suo zaino.

- Senti, a proposito di fate... - cominciò Anta – Mi stavo chiedendo: come mai non hai le ali? - Ashley ridacchiò.

- Ce le ho. - rispose – Solo, le faccio comparire quando mi servono. Ti immagini come sarebbe scomodo andare in giro con due metri di ali sopra le spalle per tutto il giorno?

- In effetti... - Anta arrossì.

- Comunque, la tua domanda capita a pennello. - Ashley tirò fuori dallo zaino una penna, solo un po' più grande – Trovata! - esultò.

- Come mai? - chiese Anta, riferendosi alla frase precedente.

- Ora lo vedrai. - Ashley camminò verso Anta e le si posizionò dietro, piegato sulle ginocchia, il suo viso era all'altezza del bacino di lei. Posizionò la penna in mezzo alle scapole – Sta ferma, ora. - Anta era rossissima in volto e il cuore le era cominciato a battere di nuovo fortissimo. Ashley scese con la penna, dalle scapole arrivò fino a metà schiena, accarezzandole appena la camicetta. Lei sussultò: era la prima volta che un ragazzo le sfiorava la schiena e, almeno in parte - forse dovuto all'imbarazzo - non fu affatto piacevole. Lui fece degli altri movimenti con la penna, sta volta, partivano dalla schiena e si spostavano verso l'esterno. Anta non riuscì a vedere ciò che stava facendo, ma si fidava di Ashley, sapeva che non avrebbe mai fatto qualcosa che avrebbe potuto nuocerle. Una volta che ebbe finito, si alzò in piedi. - Ancora un po' di pazienza, pochi secondi ed ho finito. - disse. Agitò le mani, e ne fuoriuscì della polvere di fata dorata. Quando ne ebbe accumulata abbastanza, la soffiò sulla schiena di Anta – Ora puoi muoverti.

Anta scrollò le spalle e sentì che qualcosa era cambiato, in lei anche se non sapeva dire bene cosa.

- Come ti senti? - chiese Ashley.

- Leggera. - rispose Anta.

- È normale. - Ashley sorrise – Aspetta, te le faccio vedere. - Fare vedere cosa? Pensò Anta. Ashley tirò fuori dallo zaino una macchina fotografica e scattò una foto alla schiena della ragazza. Poi gliela mostrò. Lei spalancò gli occhi appena le vide.

Ali.

Bellissime ali dorate. Girò lo sguardo verso la schiena e riuscì a vederle: erano bellissime, fantastiche, splendenti... erano sue.

- Sono davvero... - cercò di dire, ma non ci riuscì. Era troppo felice e stupita – Come hai fatto? Voglio dire... Non lo credevo affatto possibile!

- Vedi questa? - il ragazzo le mostrò la penna – Con questa ti ho tracciato lo scheletro delle ali. Poi la polvere di fata ha fatto il resto.

- Sono... Bellissime! Grazie! - Anta corse ad abbracciarlo. Lui arrossì leggermente, ma ricambiò il gesto affettuoso della ragazza.

- Allora? Vuoi provarle? - Lei si staccò da Ashley.

- Certamente! - rispose Anta. Lui allargò le braccia, e gli comparirono le ali sulla sua grande schiena. Le sue erano diverse. Verdi, più grandi e con dei lineamenti più duri.

- Adesso, concentra tutta l'energia che hai sulle ali. - spiegò lui – Devi sentirle, farle diventare parte del tuo corpo. Poi puoi provare a muoverle. - Ashley prese di nuovo la mano di Anta – Proviamo! - si piegò leggermente sulle ginocchia per darsi una spinta e, prima che Anta si potesse accorgere di ciò che stava succedendo, saltò, sbattendo più e più volte le sue bellissime ali.

Anta non stava volando, era solo aggrappata saldamente alla mano di Ashley, sperando di non cadere. Vedeva il prato allontanarsi sempre di più dai suoi piedi, ormai dovevano trovarsi a più venti metri da terra. Aveva paura, ma finché si teneva ad Ashley, non poteva succederle niente di male. Lei lo sapeva.

- Pronta? - chiese Ashley.

- Per cosa? - protestò lei.

Ashley non rispose, sorrise, diede una spinta ad Anta e la lasciò cadere nel vuoto. Lei strillò, si dimenò vedeva sparire il cielo azzurro ed l'avvicinarsi sempre più rapido del terreno. Aveva paura. Probabilmente non aveva mai provato così tanta paura in tutta la sua vita. Si vedeva già stesa per terra, con sangue che le sgorgava da tutte le parti. Ma la cosa che le diede più fastidio, fu pensare che Ashley l'aveva tradita. Lei si era convinta di potersi fidare, ed invece... Era stato proprio lui ad ucciderla!

Sentì Ashley urlarle di agitare le ali. Così prese un gran respiro – per quanto le fosse possibile – e cercò di mandare tutta l'energia alla schiena. Chiuse gli occhi, allargò le braccia. Ora era a testa in giù, a pochissimi metri da terra. Era ormai a due metri dall'impatto, quando ci riuscì. Le sue ali si erano spalancate, continuavano a sbattere: dentro e fuori, dentro e fuori. L'avevano riportata in cielo. In alto. In alto fino ad Ashley. Riaprì gli occhi. Vedeva tutto un altro mondo, dall'alto. Vedeva le nuvole vicine, e gli edifici lontani. Era già stata parecchie volte in aereo, ma questo era completamente diverso: si sentiva libera. Libera di andare dove voleva e quando voleva. Per tutta la vita le avevano detto che l'uomo non avrebbe mai potuto volare, che era solo un sogno irraggiungibile. Che lei non era nata per questo. Ma lei aveva smentito anni ed anni di studi scientifici solo in pochi minuti:

Stava volando.

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Capitolo 4
*** Lavoro di squadra ***


Capitolo 4:

Lavoro di squadra

 

- Sei un idiota! - urlò Anta - ancora con i piedi nel vuoto, sorretta solo dalle sue nuove ali - e cominciò a tirare pugni non troppo delicati sul petto del ragazzo – Come hai potuto farlo?!?

- Non ti avrei mai lasciata cadere se non fossi stato sicuro che saresti riuscita a volare! - rispose lui facendo spallucce.

- Sei un incosciente! Come facevi ad essere sicuro che ce l'avrei fatta?!? Avrei potuto morire!Avrei... Avevo... Tanta paura... - Anta aveva smesso di tirare pugni, ma una mano le si era fermata sul petto di Ashley. Lui notò che la ragazza stava tremando.

- Mi dispiace... - cominciò lui, accarezzandole la testa – Era solo un piccolo scherzo... Non volevo finisse così.

- Non farlo mai più! - la sua voce tremava, riusciva ancora a vedere il suo cadavere steso a terra, nella sua mente.

- Ehi. - disse lui in tono dolce, allontanando dal suo petto la ragazza per guardarla negli occhi – Sai cosa dovremmo fare, invece di stare qui a discutere? Divertirci! Ancora una ventina di minuti e le tue ali spariranno, godiamoci questi minuti, ti va? - la ragazza aveva smesso improvvisamente di tremare – Si! - rispose sorridente.

- Vieni, ti accompagno in un posto. L'ho scoperto ieri. Prima di entrare in camera, ho voluto fare un giro e vedere l'accademia dall'alto. - Anta annuì. Lui le prese la mano e cominciarono a volare insieme.

I due volarono per circa una decina di minuti, in cui superarono l'edificio scolastico e gran parte del giardino, fermandosi in un angolo buio e freddo. Atterrarono. Ad Anta le sembrò strano che Ashley avesse scelto proprio quel lugubre posto da mostrarle, ma non ci pensò più di tanto.

- Vieni – la invitò Ashley e cominciò a camminare finché entrambi i ragazzi riuscirono a scorgere una grotta. Ad Anta non piacevano affatto le grotte o le caverne o le montagne, le trovava troppo bagnate e fredde, per i suoi gusti. Ashley continuò a camminare ed entrò nella grotta, Anta esitò, ma lo seguì.

La caverna era buia. Così buia che Anta quasi non riusciva a vedere Ashley, ma lui le teneva ancora stretta la mano. Questo regalava sicurezza alla ragazza e lei ne era felice. Ma più andavano avanti senza trovare mai un arrivo, più la grotta diventava buia e fredda. Per un attimo, Anta pensò che Ashley le avesse di nuovo giocato qualche scherzo di cattivo gusto, dopotutto, anche lui stesso aveva detto che le fate erano molto dispettose. Ma i suoi pensieri furono interrotti da una luce. L'unica luce che lei riuscì a vedere dopo minuti di camminata. Strizzò gli occhi per sopportarla.

- Siamo arrivati. - annunciò Ashley, svoltando a sinistra per entrare nella parte di grotta da cui veniva quel luccichio. Anta aprì gli occhi, ormai abituatasi alla luce, e poco dopo fu costretta a spalancarli stupefatta. Intorno a lei, sulle pareti ed anche un po' sul terreno, era pieno di gemme bianche, verdi, rosse e rosa semitrasparenti che brillavano alla luce del minuscolo buco che collegava la grotta all'esterno. La luce scaturiva da quel buco e andava a rimbalzare su una di quelle gemme che, a catena, illuminava tutte le altre. Ora aveva finalmente capito perché Ashley l'aveva portata in quel posto.

- S-sono... diamanti veri? - chiese Anta. Ashley ridacchiò.

- No... - disse e si avvicinò ad una parete per staccare una gemma, per poi analizzarla con lo sguardo – Solo semplice quarzo. - Ashley sorrise.

- Oh. - Anta non poteva negare di essere un po' dispiaciuta, ma non lo diede a vedere e rispose al sorriso di Ashley con uno sua ancora più grande – È bellissimo questo posto. Grazie per avermelo mostrato!

- Prego. - rispose lui e si avvicinò alla ragazza – Questo è per te. - le mise sul palmo della mano il quarzo che aveva staccato dalla parete. Anta guardò la gemma, scrutandola in ogni centimetro della sua struttura. Era rosa pallido, con gli angoli bianchi e brillava più di qualsiasi altra gemma in quella grotta – Grazie. - rispose lei – È bellissima. - Ashley aprì la bocca ma la richiuse, interrotto da quello scintillio degli occhi che aveva fatto anche il giorno prima. Anta non riusciva a spiegarsi ancora cosa fosse, e rimase a guardarlo, stranita.

- Dobbiamo andare. – disse lui infine, quando il luccichio dei suoi occhi fu sparito.

- Che succede? - chiese Anta, mentre seguiva il ragazzo che si era affrettato ad uscire dalla grotta.

- Tra pochi minuti inizieranno le lezioni. - rispose lui. Le lezioni! Me n'ero dimenticata! Pensò Anta. Ci manca ancora l'ultima ora...

In poco tempo, i ragazzi riuscirono ad uscire dalla grotta. Anta stringeva ancora in mano il suo bellissimo quarzo rosa quando uscii, ma in quel momento, avvertì uno strano formicolio alla schiena misto ad un po' di dolore. Si fermò.

Ashley si girò per guardarla – Che succede, Anta? - chiese. La ragazza continuò a non muoversi, ma riuscì a rispondere: – Ashley... Temo che le mie ali...

Solo allora Ashley riuscì ad accorgersi che le ali di Anta si stavano sgretolando a terra. La poca polvere di fata che le era rimasta addosso non poteva bastare per riportarli all'accademia. Ormai, rimaneva solo lo scheletro delle ali che lui stesso aveva plasmato.

Lui si avvicinò velocemente alla ragazza e le si posizionò dietro – Allora tieniti forte. - disse. Lei capì subito cosa voleva fare, ma prima che riuscisse a dire qualcosa, lui le aveva già preso le mani intrecciandole alle sue e aveva sbattuto le ali con tutta la forza che aveva.

 

Anta sentiva il vomito che le spingeva verso la gola, sentiva il suo stomaco sottosopra e si costringeva a non guardare in basso per non peggiorare la situazione. Non sentiva terreno sotto i suoi piedi, ma bensì il nulla, solo l'aria che le accarezzava le gambe e i capelli. Aveva di nuovo paura. Paura di cadere nel vuoto. O meglio, che Ashley la facesse di nuovo cadere nel vuoto.

- Tutto a posto? - chiese lui – Lo sento che sei agitata, ma tranquilla, non ti lascerò cadere e ritornerai all'accademia sana e salva. - Mi legge nel pensiero anche lui, per caso? Pensò Anta, ma non disse nulla ad alta voce.

Dopo pochi minuti di volo, le ali di Anta ormai erano sparite del tutto, compreso il loro scheletro. Una volta arrivati, atterrarono sul retro del giardino. Ashley appoggiò Anta sul terreno delicatamente, poi atterrò anche lui facendo sparire le sue ali. La aiutò ad alzarsi in piedi.

- Stai bene ora? - chiese mentre le tendeva la mano. Lei gliela strinse e si alzò in piedi.

- S-si... Grazie. - rispose lei, ancora scombussolata dal viaggio.

- Non mi devi sempre ringraziare. - disse lui sorridendo leggermente imbarazzato e le lasciò la mano. Anta non rispose. Ashley si allontanò da lei ed andò a prendere il suo zaino insieme alla borsa di Anta che precedentemente avevano dimenticato in giardino; poi tornò da lei e le porse la borsa.

- Grazie. – disse lei.

- Vedi? L'hai fatto ancora! - disse lui ridacchiando.

- Scusa... è solo che... sei sempre così gentile ed io trovo solo questo modo per ringraziarti... insomma... le ali, la grotta, il quarzo rosa... hai fatto così tanto per me!

- Voglio solo imparare a conoscerti. So per esperienza che bisogna avere amici tutti i compagni di stanza, anche se con Kay non ci riuscirò mai... - Ashley si grattò il collo.

- Secondo me potresti ancora farcela! Devi solo... trovare il metodo giusto. Lui non ti odia!

- Quando lo troverò ti farò sapere. Per ora... - Ashley tese di nuovo la mano ad Anta – Posso considerarti mia alleata?

- No. - rispose lei. - Puoi considerarmi tua amica. - la ragazza strinse la mano ad Ashley. Entrambi sorrisero compiaciuti.

 

Anta si sentiva talmente strana quando oltrepassò quella porta, come se avesse un sesto senso che le diceva di non farlo. Lezione di squadra. Si sorprese quando notò che Amy e Kay erano già dentro la stanza, ma si sorprese meno nel vederli bisticciare.

- E che cosa te ne faresti di un arco? - disse Kay quasi urlando – Hai la tua stupida bacchetta magica! A me serve l'arco!

- Ma sentilo! Anche io so tirare con l'arco! Mi sono allenata per anni! - rispose lei con lo stesso tono di voce, a braccia conserte.

- Ma si da il caso che tu abbia la tua stramaledetta bacchetta! Quindi l'arco lo prendo io!

- Non ci provare! - lo minacciò lei.

- D'accordo! Facciamolo decidere all'insegnante! Vedrai che sarà d'accordo con me!

- S-scusate... - si intromise Ashley, che era entrato in stanza con Anta. - Noi siamo arrivati.

- Era ora! Ma quanto ci avete messo? - chiese bruscamente Kay.

- Devi essere sempre così simpatico? - rispose Amy sarcasticamente.

- Ora basta, ragazzi! - tuonò un uomo alto e muscoloso dietro Amy – Non perdiamo altro tempo! Venite con me che vi mostro come funzioneranno le vostre lezioni di squadra. E prestate attenzione! Non ripeterò le cose due volte!

I ragazzi seguirono l'uomo che li condusse in un'altra stanza con sei sedie disposte a cerchio. Tutti si sedettero su una sedia.

- Benvenuti alla vostra prima lezione di squadra. - disse l'uomo muscoloso seduto a capo del cerchio – Io sono il vostro insegnante. Mi chiamo Arthur Rastre. - l'uomo appoggiò entrambe le mani sulle ginocchia – In queste due ore a settimana, vi insegnerò l'arte del combattimento di squadra. È molto importate saper combattere insieme, se mai sarete scelti per la missione. - ci fu una breve pausa – Prima di tutto, ognuno di voi deve avere un'arma. Ed è meglio se ognuno di voi ne abbia una diversa, per specializzarsi in abilità differenti.

- Ne stavamo parlando prima. - cominciò Kay – Posso avere l'arco?

- Certamente, ragazzo. Tutto ciò che vuoi.

- Ehi! Non giungiamo a conclusioni affrettate! - tuonò Amy – Anche io voglio l'arco!

- A te non serve a niente! - ribatté Kay.

- Ragazzi! Silenzio! - disse il professore – Dimmi, ragazza, di che razza sei?

- Mi chiamo Amy e sono una strega. - Amy incrociò le braccia all'altezza del petto.

- Allora mi dispiace, ma ha ragione il ragazzo. Voi streghe avete già la vostra bacchetta e, come alle fate, vi sono conferite solo armi di secondo genere, come pugnali o piccole spade. - rispose Arthur.

- Te l'avevo detto! - disse Kay sogghignando.

- E va bene! Prenderò i pugnali allora... - Amy sembrò delusa.

- Bene. Voi altri? Ditemi di che razza siete ed il vostro nome.

- Kay. Elfo. - tagliò corto lui - Come si è già capito, io prendo l'arco.

- Io mi chiamo Ashley, sono una fata. Prendo una qualsiasi cosa. Non mi fa molta differenza. - disse lui, distogliendo lo sguardo altrove. Anta rimase in silenzio. Tutti si girarono a guardarla.

- Tu devi essere l'umana... - cominciò il professore guardandola dall'alto in basso con aria di vago disprezzo. – Che arma scegli?

- Io... Non saprei... Non ho mai impugnato un'arma... - rivelò Anta imbarazzata – A meno che un coltello da cucina non si possa considerare tale.

- Direi di no. - rispose secco lui – Che ne dici se ti affido una semplice spada?

- Ci posso provare.

- Bene! Seguitemi. Ora iniziamo a provare le armi. - l'uomo si alzò in piedi ed oltrepassò una porta alla propria sinistra. I ragazzi lo seguirono ubbidienti senza emettere un fiato. Una volta entrati, rimasero senza parole: la stanza era pulitissima, senza neanche un filo di polvere, le pareti erano di metallo – come la porta – ed appese alle pareti c'erano tantissime armi. Dalle pistole alle spade fino alle bombe.

- Kay. - lo chiamò l'uomo prendendo da una parete un arco ed una faretra piena di frecce. Gliele diede in mano e Kay esultò in silenzio. Di seguito chiamò Amy e le diede una cintura con degli appositi spazi dove erano infilati una ventina di pugnali. Poi chiamò Ashley e gli fece indossare dei guanti neri con il dorso fatto di un materiale durissimo e resistente – Questi aiuteranno anche a rendere più potente la tua magia, oltre ad aiutarti molto nel combattimento ravvicinato. - aggiunse l'uomo. Poi fu la volta di Anta. - Umana. - la chiamò – Scusa... mi è sfuggito il tuo nome...

- Anta – rispose lei.

- Bene, Anta. - il professore prese da un'altra parete una spada lunga circa un metro – Tieni. - l'uomo gliela porse. Anta la afferrò e, per un attimo, perse l'equilibrio. Non era una spada molto grande, ma era pesantissima.

- Forse... - cominciò lei – Non è una buona idea la spada... è troppo pesante per me!

- Hai ragione. - lui le riprese la spada dalle mani come se non pesasse più di una piuma e la rimise a posto. – Proviamo con qualcosa di più maneggevole e leggero. - l'uomo prese dalla parete una cintura contenente due pistole nere – Proviamo così. - l'uomo allacciò la cintura alla vita della ragazza – Prova a vedere se ti vanno bene. Ma non sparare finché non siamo in sala d'addestramento. - Anta annuì e prese in mano una pistola, sfilandola dalla cintura. La sollevò all'altezza del petto e la puntò verso il nulla.

- Va benissimo. - disse lei entusiasta, ed abbassò la pistola, rimettendola al suo posto.

- Ricorda, non tenere mai troppo tese le braccia, lasciale morbide. Per ora esercitati solo con una, poi, tra qualche settimana, potrai iniziare ad usarle entrambe contemporaneamente. - Arthur le fece un mezzo sorriso. Ci fu una pausa. - Bene. Ora che siete tutti pronti ed armati per combattere, direi che possiamo iniziare l'addestramento. Tenete questi. - Arthur teneva in mano cinque orologi da polso. Ogni componente della squadra ne prese uno e lo indossò. - Voi entrate in quella stanza – lui indicò una porta – Ed aspettate i miei ordini. - i ragazzi annuirono ed entrarono esitanti ma veloci nella stanza.

 

Anta era perplessa. Non aveva ben capito cosa esattamente stessero aspettando lei ed i suoi compagni. La stanza in cui erano entrati era vuota. Completamente bianca dal pavimento al soffitto, aveva visto abbastanza film per pensare che fosse una stanza da manicomio - fortunatamente non lo era - non riusciva a capire dove finisse: apparentemente, sembrava una stanza infinita. Tutti si guardavano attorno stringendo le proprie armi in mano, pronti a qualsiasi cosa. Si sentì una voce riecheggiare nella stanza, ma non capì da dove provenisse, poiché non c'erano altoparlanti. - Bene, ragazzi. Tra poco entrerete in fase di addestramento. - cominciò la voce. Anta riconobbe quella del professor Arthur. - Ricordatevi di restare tranquilli, non correte alcun pericolo. Tutto ciò che vedranno i vostri occhi sarà finto, comandato da noi, solo quando vi riterrò abbastanza bravi vi farò provare con pericoli reali. - Anta non riusciva a comprendere ciò che stava dicendo. La stanza era vuota! - Ora, chiudete gli occhi per dieci secondi. - disse lui. I ragazzi ubbidirono. Anta contava lentamente. 1... 2... 3... Chissà perché dovevano chiudere gli occhi! 4... 5... 6... Che cosa avrebbero trovato una volta riaperti? 7... 8... 9... Serpenti? Chimere? Vampiri? O peggio? Fin dove poteva spingerli la scuola per addestrarli al meglio? 10. Non c'era più tempo per pensare. Anta aprì gli occhi.

 

Non era più nella stanza bianca da manicomio in cui era prima, anzi, non era più in una stanza. Sentiva il vento che le soffiava lento fra i capelli leggermente ingarbugliati, vedeva il verde degli alberi e del prato intorno a lei, scorgeva un ruscello alla sua sinistra da cui si potevano intravedere tartarughe e rane e riusciva a percepire il calore del sole che filtrava dai rami degli alberi sopra la sua testa, scaldandole la pelle. Non c'era spazio al dubbio: si trovava in una foresta.

Tutti si guardarono attorno stupefatti. Anta, si accorse, era l'unica a non avere impugnato la sua arma e rimediò subito, afferrando una delle pistole.

- Perfetto. - cominciò di nuovo la voce del professore – Cominciamo con qualcosa di molto semplice. Il compito di oggi è semplicemente uscire dalla foresta sani e salvi entro lo scadere dell'ora. Il che vuol dire che avete quaranta minuti scarsi. Sui vostri orologi ci sarà sempre scritto quanto manca alla fine della lezione. Non prendetela troppo alla leggera, nella foresta è pieno di pericoli in agguato, pronti ad uccidervi da un momento all'altro. - Anta deglutì impaurita. - Non preoccupatevi, come vi ho detto prima, abbiamo tutto sotto controllo. Al massimo, vi ritroverete con qualche graffio. Se qualcuno di voi subirà un attacco troppo forte che nella realtà lo porterebbe alla morte, verrà smaterializzato e riportato alla realtà. Gli altri, potranno proseguire senza di lui. Se tutti fallite, la prova è da considerarsi non superata. Tutto chiaro? - i ragazzi rimasero in silenzio, con tante domande in testa a cui non potevano chiedere risposta. - Benissimo. Potete iniziare.

 

- E adesso? - cominciò Amy – Come facciamo a sapere da che parte andare?

- Posso pensarci io. - rispose Ashley – Insomma, non so se funzionerà visto che questi sono alberi artificiali... Ma sembrano così veri...

- Arriva al dunque. Non abbiamo molto tempo. - tagliò corto Kay. Ashley gli lanciò un occhiataccia.

- Volevo solo dire che posso provare a parlare con gli alberi. - disse.

- Allora muoviti, Trilli. - Kay aveva perso tutta la poca pazienza che gli era rimasta. A quanto pare, non gli piaceva restare con le mani in mano: doveva sempre avere qualcosa da fare.

Ashley chiuse gli occhi per concentrarsi meglio e cercare di comunicare con gli alberi. Ad Anta sembrò impossibile, così surreale! Non si era ancora completamente abituata al fatto che le fate, gli elfi e le streghe esistessero davvero... Che la magia esistesse davvero! Dopo qualche momento in cui tutti rimasero col fiato sospeso, Ashley riaprì gli occhi ed allungò una mano verso destra. - Di qua. - disse.

- Bene... - cominciò Kay con tono aspro. – State all'erta. - lui cominciò ad avanzare verso la direzione che Ashley gli aveva indicato, la feccia già posizionata sull'arco. Tutti lo seguirono. Era inevitabile, pensò Anta, che lui diventasse il leader del gruppo.

I ragazzi camminarono per qualche metro, tutti preoccupati di ciò che li attendeva, spaventati da cosa sarebbe loro successo, ma la cosa che li terrorizzava di più, era che dopo un quarto d'ora... non era ancora successo niente.

- C-cosa succede? - chiese Ashley. - I-insomma... non dovrebbero esserci tipo.... dei mostri?

- Magari vogliono solo prenderci alla sprovvista... perché continuando così abbasseremo la guardia. Ma non caschiamoci! State sempre attenti! - disse Amy.

Devi restare concentrata... Si ordinò Anta senza parlare. Non cedere alla tentazione di pensare ad altro... Inspira ed espira... Concentrati! Osserva ogni minimo dettaglio della foresta. Ma... Perché non ci hanno ancora attaccati? Hanno detto che sarebbe stata una prova facile e... è vero, l'idea di Amy non fa una piega ma... c'è qualcosa che non mi convince... forse abbiamo sbagliato strada? Forse dovremmo tornare indietro? Forse... Ci fu un rumore. Un rumore che Anta aveva già sentito. Più che un rumore era una specie di grido... di verso di un qualche animale. Anta lo conosceva bene, quel suono... fin troppo bene. Fu tutto quello che sentì, prima di cadere a terra. Mi sono distratta...

 

Era stato circa cinque anni prima, la prima volta che Anta aveva sentito quel suono. I suoi genitori erano appena usciti di casa. Erano andati ad un importante cena di gala con dei loro amici. Lo facevano molto spesso, ed Anta era abituata ad essere lasciata sola in casa con Donny, il fratellino minore: si assicurava che mangiasse e che andasse a dormire all'ora giusta, spesso si addormentava anche prima che i genitori uscissero.

Quella sera, sua madre era vestita in modo a dir poco incantevole: con un vestito rosa pallido lungo fino alle caviglie che le aveva consigliato la figlia qualche giorno prima, dei guanti e delle scarpe col tacco bianche. Suo padre, invece, era vestito con un elegante smoking nero con la camicia rosa, per intonarsi al vestito della moglie. Erano sempre felici quando uscivano per quelle cene di gala, e questo rendeva felice anche Anta.

Appena i genitori furono usciti di casa, come sempre, prima di poter fare qualsiasi cosa, Anta doveva assicurarsi di avere il gas spento e le finestre chiuse. Quando tutto fu a posto, Anta cominciò subito a guardare la TV con Donny affianco che dormiva silenziosamente. Poi si addormentò anche lei, rilassata dalle voci della televisione che parlavano di argomenti che ad Anta non interessavano più di tanto.

La ragazzina non si accorse di ciò che successe in quelle due ore di sonno. Ma quando si svegliò, sentì solo tanto caldo e cominciò a tossire. Appena aprì gli occhi, ebbe l'impressione di essere diventata cieca. Ma, in realtà, era solo il buio della stanza dovuto al fumo che cominciava ad espandersi sempre più velocemente per tutta la casa, insieme a quel suono...

 

Anta sentiva come un fischio, un ronzio in testa. Si appoggiò una mano sulla nuca dolorante, dove quella cosa l'aveva colpita. Faceva male. Tanto male. Sentì qualcuno gridare il suo nome. Sentì dei passi correre verso di lei, ma quei passi poi ritornarono indietro. Anta alzò lo sguardo aprendo lentamente gli occhi lucidi. Ogni movimento le doleva, e per soffocare il dolore stringeva il pugno sul terreno umido. Un po' di terra le si era infilata fastidiosamente sotto le unghie fin troppo curate per una guerriera ma, dopotutto, non lo era ancora.

Una volta spalancati i suoi grandi occhi marroni, riuscì a vederli: Amy, Kay ed Ashley che combattevano contro quella cosa... Ma cos'era? Una macchia indistinta nera, blu ed a tratti anche rossa. Non aveva arti, ma ne faceva comparire di simili quando ne aveva bisogno. Non aveva occhi, ma riusciva in qualche modo a vedere tutti quanti. Si riusciva a distinguere una bocca, o ciò che assomigliava ad essa: enorme, con denti gialli, aguzzi e storti che fuoriuscivano dalle “labbra”, la lingua era verde a punta e lunghissima con dei puntini marroncini simili a funghi. La bestia – così aveva deciso di chiamarla Anta – si lanciò subito su Amy emettendo un urlo assordante. Anta vide le labbra di Amy muoversi, e dalla bacchetta fuoriuscì una fiammata, ma azzurra. Essa travolse la bestia circondandola, ma funzionò solo per qualche secondo, perché poi la fiamma azzurra scomparve e la bestia era ancora viva. Amy non seppe cosa fare. Era stupita che l'incantesimo non avesse funzionato e rimase immobile ad occhi spalancati, incapace di compiere qualsivoglia azione. La bestia alzò ciò che sembrava una mano e, con un colpo, disarmò Amy, facendo volare la sua bacchetta lontano da lei.

Si vide una freccia che volò verso la testa della bestia, ma quella, rapida, saltò leggermente, afferrando e spezzando la freccia tra le sue enormi fauci. Sputò ciò che le rimase in bocca e si lanciò verso il mittente della freccia: Kay. La bestia era troppo vicina e l'arco non sarebbe servito a niente ma, tristemente, il ragazzo si accorse di non essere armato di una spada o di qualsiasi altra cosa di affilato. Così si mise in spalla l'arco cominciando a correre.

- Amy! - urlò lui. La ragazza, intenta a cercare disperatamente la sua bacchetta, si voltò a guardarlo. Kay, che si stava avvicinando a lei sempre di più con la bestia alle calcagna, indicò con un dito il proprio bacino. La ragazza annuì e sfilò dalla cintura due pugnali. Quando Kay fu abbastanza vicino, si fermò. Amy gli passo uno dei pugnali ed entrambi si girarono verso la bestia, uno affianco all'altra, pronti ad attaccare. Quando la bestia fu alla vicinanza giusta, i ragazzi si separarono, Amy andò a destra e Kay a sinistra, corsero verso la bestia velocissimi e la aggirarono fino a ritrovarsi entrambi dietro di lei. La bestia sembrò confusa, ma si accorse troppo tardi del piano dei suoi nemici. I ragazzi sollevarono le braccia con cui tenevano stretti i pugnali e, insieme, li lanciarono sulla nuca della bestia. Quella gridò e si dimenò finché non cadde a terra esanime.

Anta, ancora stesa a terra, riuscì lentamente e dolorosamente ad alzarsi in piedi ed a muovere i primi passi verso i suoi compagni di squadra, che stavano osservando il cadavere della bestia con il fiatone per la corsa. Tirarono un sospiro di sollievo e si abbracciarono sorridenti ma stremati.

- Ottimo lavoro. - le disse Kay.

- Grazie. Anche tu te la sei cavata. - rispose lei. I due si staccarono, e solo allora si accorsero di Anta che camminava appena, barcollando ed inciampando. Kay si precipitò da lei per sorreggerla.

- Stai bene? - chiese lui.

- N-no... - balbettò Anta. – La testa...

- Siediti. - Kay la portò fino ad un grande masso lì vicino e la fece sedere sopra. - Amy! - la chiamò lui girandosi verso di lei, che aveva ritrovato la sua bacchetta. - Puoi fare qualcosa? - continuò. Amy si avvicinò ai due con sguardo triste.

- Non posso... - rispose. - Non ho poteri curativi, né Kit medici.

- Come?!? Ma le streghe...

- Non quelle come me. - lo interruppe. - Solo le streghe della luce possono guarire le ferite o curare le persone. Io sono una strega del buio. Posso maledire le persone, non guarirle... - ci fu una breve pausa.

- Cosa facciamo, allora? - chiese Kay, turbato.

- Possiamo chiedere a... - Amy s'interruppe e cominciò a guardarsi attorno allarmata. - Dov'è Ashley?

- Hai ragione... è da un po' che non lo vedo. - ammise Kay. - Dove si sarà cacciato?

- L'ho visto... andare via. - rivelò Anta, con la testa che le scoppiava – L'ho visto correre verso di là. - Anta sollevò faticosamente un braccio ed indicò una zona con molti più alberi del normale.

- Non mi sembra una zona molto sicura. - disse Amy, preoccupata.

- Quell'idiota! - urlò Kay. - Vuole farsi ammazzare?!?

- Come facciamo adesso? Era lui che sapeva da che parte andare per uscire da qui!

- Diamine! - Kay guardò il suo orologio e strinse i pugni. - Mancano solo quindici minuti!

Si sentì d nuovo quel suono, ed Anta parve immobilizzarsi, con gli occhi spaventati e pieni di ricordi che le tornavano alla mente... Il fumo... Tutto quel fumo...

I ragazzi si girarono verso quel suono orribile. Ma ciò che li si presentò davanti fu ancora più orribile: la bestia non era morta.

 

La paura riempì i cuori di Anta e Kay. Come aveva fatto a sopravvivere? Com'era possibile? L'avevano uccisa! Mentre cercavano nella loro mente risposte che non potevano avere, impugnarono di nuovo le loro armi. La bestia cominciò ad avviarsi verso i ragazzi lentamente. È vero, non era morta, ma era ancora ferita. Kay fece per scoccare una freccia, ma qualcosa lo interruppe. Un grido. Il grido della bestia. Qualcosa la stava sciogliendo dolorosamente, ma Kay ed Anta non riuscivano a capire che cosa. Si guardarono intorno in cerca di qualche indizio. Ma trovarono ben altro: Ashley.

- State indietro! - urlò lui, che stava volando sopra la bestia con due oggetti simili a ciotole nelle mani. I ragazzi indietreggiarono di qualche passo, tenendo lo sguardo fisso su Ashley: allibiti, con gli occhi e la bocca spalancati. Anta era ancora seduta sul masso con il volto terrorizzato.

Dopo qualche minuto, il mostro si era completamente sciolto e di lui rimase solo un liquido nero odorante di morte e putrefazione sul prato.

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Capitolo 5
*** L'A.S.P. ***


Capitolo 5:

L'A.S.P.

 

Ashley scese fino a terra, appoggiando i piedi sul prato. Le sue ali scomparvero. I suoi compagni di squadra avevano smesso di osservarlo stupiti, piuttosto, cominciavano a guardarlo parecchio male. Lui se ne accorse.

- Qualcosa non va? - chiese, inclinando leggermente la testa di lato.

- “Qualcosa non va?” - gli fece eco Kay e si avvicinò velocemente a lui – Dove diavolo sei stato?!?

- Io... - cominciò lui. - Sono andato a cercare delle piante. Oggi, a biologia, abbiamo studiato le sostanze che ucciderebbero un demone. - Demone? Pensò Anta. Era ancora seduta sul masso, terrorizzata, ma ascoltava tutto. Allora quella bestia era un demone? - Le ammine. - concluse Ashley. Era bello, pensò lui, essere finalmente ascoltato da qualcuno che non fosse Anta.

- Cioè? - chiese Amy, comparsa affianco a Kay, a braccia conserte.

- Le ammine sono contenute negli alcaloidi, che a loro volta sono contenuti nella Cicuta, una pianta altamente velenosa. Sapete, una di quelle piante che usò Socrate per suicidarsi. E poi...

- Dacci un taglio, secchione. - lo interruppe Kay. - Non andartene mai più senza prima avvertirci! Non possiamo concludere la lezione, senza di te!

- Beh, ora sono qui... - un luccichio passò da una parte all'altra degli occhi di Ashley. Anta ancora non si spiegava a cosa servisse. - Andiamo! Mancano solo dieci minuti!

- Aspettate! - esclamò Amy, vedendo che i ragazzi cominciavano ad allontanarsi. - Cosa facciamo con Anta? - i ragazzi si guardarono un attimo, perplessi.

- Riesce a camminare? - chiese Ashley.

- Non lo so... ha ricevuto una violento colpo alla testa e... prima stava a mala pena in piedi. - rispose Amy.

- Ci penso io. - Ashley si avvicinò ad Anta, che fissava immobile un punto fisso vicino alle sue scarpe senza quasi accorgersi di ciò che le stava capitando intorno. - Hei. - le sussurrò Ashley appena le fu abbastanza vicino, il tono era quello di un papà che parla alla figlia di tre anni. Anta alzò lo sguardo verso di lui. - Reggiti forte, va bene? - Anta esitò, non sapendo esattamente cosa il ragazzo intendesse, poi annuì. Ashley le sorrise, circondò con un braccio le spalle della ragazza e con l'altro le sollevò le ginocchia. Ad Anta parve di essere in una fiaba: la principessa che veniva romanticamente portata in braccio dal suo principe azzurro. Solo che Ashley non era un principe, lei non era una principessa e la situazione non era affatto romantica. Il suo cuore batteva forte, ma i suoi occhi erano socchiusi, riuscivano a mala pena a scorgere il viso di Ashley. - Possiamo andare. - annunciò lui dopo una breve consultazione degli alberi. - Seguitemi. - si fece comparire le ali e cominciò a volare qualche metro sopra le teste di Kay ed Amy, indicandogli la via.

Dopo parecchi minuti di cammino, ancora non si vedeva l'uscita, e tutti quanti cominciarono a preoccuparsi. Sarebbe stato positivo l'esito della prova?

- Mancano solo due minuti! - annunciò Kay dopo un rapido sguardo al suo orologio, poi alzò la testa verso l'alto per parlare con Ashley. – Quanto manca all'uscita? - gli urlò.

- Non molto... speriamo di farcela! Correte! - rispose Ashley cominciando ad accelerare il battito d'ali. I due a terra, di malavoglia, cominciarono a correre, cercando di tenere il passo di Ashley. Mancavano trenta secondi quando riuscirono ad intravedere la luce bianca che simboleggiava l'uscita. Accelerarono ancora tutti quanti. Ashley riuscì a passare per primo, ancora con Anta in braccio. Sparì nella luce, come teletrasportato. Kay ed Amy erano rimasti qualche metro più indietro. Stavano per riuscirci, per raggiungere la luce... ma Amy inciampò...

Sei secondi. Kay si voltò di scatto, frenando la corsa. Mancava pochissimo all'uscita. Cinque secondi. Non poteva abbandonare Amy, non poteva avere un esito negativo e, in più, non voleva che lei pensasse che se avessero fallito, sarebbe stata tutta colpa sua. Corse verso di lei. Quattro secondi. Le prese le mani e la aiutò ad alzarsi. Tre secondi. La caviglia di Amy doleva e non le era facile correre, così Kay fu costretto a farle d'appoggio. Due secondi. Dovettero camminare. Fecero qualche passo a fatica, lentamente. Un secondo. Amy fece per cadere di nuovo, dolorante, ma Kay la sorresse. Allungarono entrambi la mano che avevano libera per toccare la luce, e poi... Zero secondi. Tutto scomparve intorno a loro.

 

Anta si svegliò in una stanza dalle pareti giallo pallido, sdraiata su un letto con cuscino e lenzuola bianche, nell'aria c'era odore di disinfettante e pulito. Provò a girarsi di lato, ma subito sentì un dolore insopportabile alla testa. Cercò di resistere stringendo i denti e facendosi uscire solo qualche gemito. Dopo qualche minuto stesa sul letto, riuscì dolorosamente ad alzarsi, fu in quel momento che si rese conto che al suo braccio era attaccata una flebo. Non le faceva male, ma le dava fastidio. Cercò di far tornare alla mente ciò che era successo prima che si addormentasse. Si ricordò vagamente il viso di Ashley, e poi... quel suono. I suoi occhi si spalancarono e cominciò ad ansimare. Vattene via! Si disse, ma il suono persisteva: non aveva intenzione di lasciare la sua testa. Vattene via! Vattene via! Si ripeté, ma il suono persisteva. Fu qualcos'altro ad attirare la sua attenzione ed a non farle più sentire quel suono: delle urla.

Si alzò dal letto. Ora la testa le faceva meno male di prima, appoggiò i piedi a terra e si accorse che erano nudi ed il pavimento era gelido. Si avvicinò alla porta da cui provenivano le urla, con la flebo appresso, sperando che le ruote non facessero troppo rumore da far accorgere chi gridava che si era svegliata.

- Cosa diavolo le è saltato in mente?!? - sentì gridare una voce, Anta riconobbe quella di Kay. - Ha detto che i demoni erano finti! Che li controllavate voi! Che non ci saremmo mai potuti fare del male durante quelle lezioni!

- È così, infatti. O meglio, dovrebbe essere così... - era stato Arthur, il loro professore, a parlare in tono pensieroso.

- Si spieghi. - ordinò Amy, il tono era di una persona che avrebbe volentieri ucciso Arthur se le fosse stato concesso. Anta notò che la sua caviglia era fasciata con delle bende rosse.

- I demoni... non sono finti. - rispose l'uomo. - Sono veri demoni che l'accademia è riuscita a catturare. Noi abbiamo il loro controllo in parte, poiché prima di farli combattere li sediamo sempre. Ma... a volte non possiamo prevedere ciò che faranno. Mi dispiace per l'umana.

- Anta! - urlò Kay. - Si chiama Anta! E non dica che le dispiace, perché è tutta colpa sua se lei è da dodici ore che sta dormendo, completamente incosciente! Non se la caverà con delle scuse!

- Non osare parlarmi così! Sono un tuo professore, ragazzino! Devi portarmi rispetto!

- Non sono mai stata una persona che porta rispetto per uno che non se lo merita! - Kay, arrabbiato come non mai, prese la sua giacca, appoggiata sullo schienale di una sedia, ed uscì dalla stanza, sbattendo la porta. Amy stette ferma immobile per qualche istante, poi lanciò un'occhiataccia al professore e uscì anche lei dalla stanza per seguire Kay e, probabilmente, fargli la sua solita ramanzina. Nella stanza era rimasto solo il professore, che si sedette su una sedia, strofinandosi il viso con i palmi delle mani.

Anta aveva una strana fitta al cuore: non le piaceva vedere delle persone litigare per lei. Non le era mai piaciuto. Appoggiò una mano sul cuore e fece un lungo sospiro con la bocca. Quando Kay aveva detto che lei aveva dormito per dodici ore, non ci voleva credere. Ad Anta non sembravano passati più di due minuti! Ma, doveva ammetterlo, le piaceva che Kay si preoccupasse per la sua salute.

- Ehi, tu. - la salutò dolcemente una voce alle sue spalle. Anta si girò con un balzo per lo spavento. Le si presentò davanti Ashley con il suo taccuino in mano ed un lieve sorriso.

- E-ehi... - lo salutò Anta, sorpresa.

- Come ti senti? - le chiese, chiudendo il taccuino.

- Abbastanza bene. Ma ho ancora un po' di mal di testa. - Anta si appoggiò un palmo della mano sulla fronte.

- Non dovresti stare in piedi. Torna a riposarti. - Ashley le appoggiò una mano sulla schiena e la spinse leggermente verso il letto, Anta ci si sistemò sopra sedendosi sul bordo.

- Da dove sei sbucato? - chiese Anta. - Non ti ho visto arrivare.

- Dal bagno. - Ashley indicò col pollice una porta in legno dietro di lui. - Dovevo sciacquarmi la faccia. - solo in quel momento Anta si rese conto che gli occhi del ragazzo erano arrossati, come da un'allergia fastidiosa. Ci fu una pausa di silenzio: nessuno aveva nulla da dire.

- Perché i tuoi occhi scintillano, a volte? - fece Anta ad un certo punto, rigirandosi i capelli tra le dita, a disagio.

- Cosa intendi dire? - fece lui, confuso.

- A volte vedo uno scintillio passarti da una parte all'altra degli occhi... e poi dici sempre l'ora esatta... per caso è una specie di orologio fatato? - Anta sorrise imbarazzata, pentita di ciò che aveva appena detto: si sentiva così stupida!

- Non proprio. - Ashley si mise le mani in tasca. - Leggo il cielo.

- Leggi... il cielo? - Anta aggrottò la fronte e si appoggiò un dito sulla guancia sinistra, stranita.

- Si. La mattina leggo il sole, le nuvole... posso dirti meglio di qualsiasi meteo quando ci sarà buono o cattivo tempo! La notte, invece, leggo la luna e le stelle. So quando ci sarà la luna piena, o un eclissi o... posso leggere il tuo oroscopo. - Ashley sorrise.

- Davvero? - gli occhi di Anta facevano trasparire tantissimo entusiasmo.

- Beh, con gli umani è più difficile, non sono un esperto. Avete altri segni zodiacali ed altri modi di fare.

- Altri segni zodiacali? - gli fece eco Anta - Allora... tu di che segno sei?

- Io? - Ashley rise. - Flora.

- Cioè?

- Cioè mi sento a mio agio nella natura, posso parlare con le piante, creare medicine, pozioni ed antidoti con le piante più velocemente e efficacemente degli altri e... insomma, so fare meglio tutto ciò che riguarda la flora.

- Che altri segni ci sono?

- Meno dei vostri. - Ashley si sedette affianco ad Anta, sul bordo del letto. La ragazza sentì il suo cuore sobbalzare. - Fauna, fuoco, acqua, aria e cielo.

- Quindi sei in tutto... e questi segni determinano l'influenza che avrai sulla natura?

- Esatto, anche se possiamo imparare a padroneggiare anche altri poteri. Solitamente, si apprendono quelli dei propri genitori. Mio padre era del cielo, da lui ho imparato a leggerlo, mentre mia madre della fauna, così ho anche imparato a parlare con gli animali. Ma ho ancora molto da imparare da loro... - Ashley distolse lo sguardo da Anta, pensieroso.

- Che giorno sei nato? - chiese poi Anta. Ashley si risvegliò dai suoi pensieri.

- 20 Marzo. - rispose lui.

- Nel nostro oroscopo saresti... - Anta si fermò un attimo a pensare. - ...pesci!

- Già, lo so. - il ragazzo fece una breve pausa. - Tu? Che giorno sei nata?

- 30 Dicembre. - rispose lei. - Capricorno.

- Cavoli! - esclamò Ashley. - Che sfortuna!

- Perché dici questo? - Anta tentò di inclinare la testa di lato, ma fallì per il dolore e si rimise dritta.

- Se solo fossi nata due giorni dopo... non ti saresti trovata qui... - Ashley abbassò lo sguardo.

- Oh. - Anta sembrò sorpresa, ma, subito dopo, il suo volto si oscurò. - Non ci avevo mai pensato... - ci fu una lunga pausa, in cui Anta sentì la tensione salire, insieme al suo battito cardiaco. Decise di dire la prima cosa che le venne in mente. - Che segno sarei, nel mondo delle fate? - Ashley continuava a non guardarla ma, dopo un sospiro, sorrise di nuovo.

- Acqua. - rispose.

- Cosa avrei potuto fare? - Anta accennò un sorriso.

- Ad esempio... avresti potuto scatenare un diluvio universale! - Ashley spalancò le braccia ridendo, per far intendere quanto fosse “grande” il diluvio universale che avrebbe potuto provocare la ragazza. - Pensa! Potresti affogare chiunque ti stia antipatico! - Anta rise ed Ashley abbassò le braccia.

- Non penso sia un'azione molto nobile! - Anta cercò di sembrare il più seria possibile, ma Ashley era troppo buffo. - È mai successo davvero?

- No. Le fate dell'acqua per fare dispetti non ti mandano un diluvio universale ma... ti possono allagare la casa, ad esempio, quello è successo un sacco di volte! Pensa! Tutti i tuoi libri preferiti fradici! - i ragazzi risero di nuovo. - Comunque c'è sempre una prima volta. Magari, un giorno, diventerai fata e... farai piovere il secondo diluvio universale.

- Si può essere trasformati in fate? - Anta spalancò gli occhi, incredula.

- No. - Ashley rise. - No, ti stavo solo prendendo in giro.

- Scemo! - esclamò Anta quasi ridendo. Afferrò il cuscino su cui aveva dormito e glielo lanciò addosso. Ma quel movimento le provocò di nuovo un gran male alla testa. Si posò una mano sulla fronte e strinse gli occhi per sopportare il dolore.

- Stai bene? - le chiese Ashley, togliendosi di dosso il cuscino e tornando improvvisamente serio.

- La testa! - rispose Anta.

- Ti chiamo qualcuno? - Ashley si era già alzato dal letto.

- N-no... Non preoccuparti, adesso passa...

- Va bene. Ma adesso stenditi e riposati ancora un po'. Io vado ad avvertire i ragazzi che ti sei svegliata, vorranno saperlo. - Ashley mise il cuscino al suo posto ed Anta si sdraiò lentamente sul letto, tirandosi le coperte fino al collo.

- Buonanotte. - le disse Ashley sorridendo, prima di uscire dalla stanza.

- Notte? - fece Anta, sorpresa. - Che ore sono? Non era pomeriggio, poco fa?

- Hai dormito per dodici ore! Adesso sarà l'una e mezza di notte.

- Ah. - Anta si fece piccola piccola sotto le coperte. - Allora è meglio che ti sbrighi, avrai sonno...

- Si, hai ragione... Di nuovo, buonanotte. - Ashley spense le luci della stanza premendo l'interruttore vicino alla porta d'uscita.

- Buonanotte. - rispose Anta prima di chiudere gli occhi ed addormentarsi di nuovo. Ma, nonostante tutto, voleva ancora chiedere una cosa ad Ashley, una cosa che non era riuscita a dire: Perché hai pianto?

 

Kay camminò veloce verso l'infermeria, dove Anta era rimasta a dormire. Erano le due di notte e riusciva a sentire i sintomi della stanchezza: gli facevano male i piedi e le palpebre avevano cominciato a farsi pesanti, supplicandolo di addormentarsi. Ma lui non avrebbe ceduto. Non prima di aver rivisto Anta. Bussò alla porta dell'infermeria. Sapeva che ci sarebbe stata un infermiera ad aprirgli, ma sapeva anche che gli serviva una scusa per presentarsi a quell'ora in infermeria. Un'infermiera gli aprì la porta.

- Che ci fai qui? - chiese lei, stupita.

- Non mi sento bene. - rispose lui, appoggiando entrambe le mani sullo stomaco. - Ho un terribile bruciore allo stomaco... ha per caso una pastiglia o un antibiotico?

- Certamente. - l'infermiera sorrise. - Entra pure, ragazzo.

Kay fece un cenno col capo ed entrò. L'infermiera prese da un cassetto un antibiotico e glielo fece bere. Speriamo che non mi faccia stare davvero male! Pensò Kay.

- Potrei restare qui a dormire, per questa notte? - chiese lui.

- Cosa? Non se ne parla! Per un banale bruciore allo stomaco?!? - l'infermiera aveva alzato la voce.

- Per favore! - il ragazzo spalancò gli occhi cercando di assumere l'espressione più dolce che potesse fare. L'infermiera crollò.

- E va bene! - esclamò un po' contrariata. - Ma solo per questa volta! Non ti voglio più rivedere qui se non per una vera emergenza, chiaro?

- Promesso. - Kay diede un bacio sulla guancia della giovane infermiera e si dileguò dietro la porta delle camere da letto. Ma prima di sparire, si fermò a guardare la ragazza in tenuta rosa, che era arrossita per il bacio di poco prima. A quanto pare, il suo fascino conquistava anche le ragazze un po' più grandi di lui. Si chiuse la porta alle spalle e cercò di scrutare nel buio il letto in cui riposava Anta. Non fu difficile trovarlo, poiché era l'unica a dormire in quel posto, dopotutto, era solo il primo giorno di scuola.

Si avvicinò al letto della ragazza lentamente, senza fare rumore, e la guardò. Sorrise per la tenerezza della ragazza: sdraiata in posizione fetale, con i capelli sparpagliati sul cuscino, le lenzuola che le arrivavano al bacino e con indosso ancora la divisa scolastica. Kay si avvicinò ancora di più e allungò una mano per accarezzarle una guancia. È passato solo un giorno eppure... eppure sento di conoscerti da tempo e... è tutto così strano! Pensò Kay, come se in qualche modo lei potesse sentirlo.

Vide qualcosa brillare tra le mani della ragazza. Decise di dare un'occhiata. Allargò delicatamente le dita di Anta e le prese l'oggetto che teneva in mano. Kay strizzò gli occhi per cercare di capire cosa fosse. Poi lo vide: un quarzo. Un quarzo rosa.

 

Anta andò nel panico. Cominciò ad urlare il nome di suo fratello più e più volte mentre si precipitava ad aprire più finestre possibili con le lacrime agli occhi per la tosse. Il fratello si svegliò qualche secondo dopo, tossendo come la sorella per il troppo fumo. Anta corse a prenderlo in braccio, intimandogli di restare tranquillo. La ragazza afferrò il telefono di casa e cercò di chiamare i vigili del fuoco. Digitò il numero con gli occhi che a mala pena riuscivano a vedere qualcosa. Non ci fu nessuna chiamata: il telefono non funzionava. Anta sfilò dalla tasca il suo cellulare e provò a chiamare i soccorsi da quello. BATTERIA SCARICA. Lampeggiò sullo schermo. Solo allora si accorse che nulla di elettronico era in funzione in quel momento, né una luce, né la TV. Perfino il rilevatore di fumo non funzionava.

Anta corse verso la porta d'ingresso. Lì, si accorse, il fumo era più denso: probabilmente, la fonte era lì vicino. La ragazzina pensò subito a Donny. Era piccolo, troppo piccolo... non poteva respirare ancora del fumo senza...

Anta si tolse il golfino beige che le aveva regalato sua nonna qualche tempo prima e lo poggiò sul viso del fratellino, tappandogli la bocca ed il naso. Ricominciò a correre verso l'uscita di casa e provò ad aprire la porta. Ma era chiusa a chiave. In quel momento si ricordò che i suoi genitori chiudevano sempre lei ed il fratellino in casa quando uscivano. Secondo la loro opinione, Anta era ancora troppo piccola per possedere delle chiavi, non era ancora abbastanza responsabile! Ed era per questo che le uniche chiavi di casa le possedevano loro. Fu in quel momento che Anta lo sentì di nuovo: quel terribile, terribile suono che si avvicinava sempre di più...

 

- Ciao. - la salutò il ragazzo con un cenno aggraziato della mano.

- Amyas! - Anta sorrise, sinceramente felice: le faceva piacere la presenza del ragazzo, ma era rimasta stupita nel vederlo, dopotutto, l'aveva incontrato solo un paio di giorni prima e non ci aveva parlato più di tanto. Era appena uscita dall'infermeria con in mano le poche cose che le avevano permesso di portare per passare il tempo mentre era in convalescenza. - Cosa ci fai qui?

- Volevo esserci per la tua dimissione. - il ragazzo sorrise ed Anta arrossì subito.

- Non è stato niente di grave! Sono stata in infermeria solo un paio di giorni!

- Ogni volta che qualcuno esce dalla convalescenza... mi sembra sia passata una vita.

- Come hai fatto a sapere che ero qui? Chi te l'ha detto?

- A scuola ne parlano tutti... - ci fu una piccola pausa. - E non è un buon segno... - Amyas distolse lo sguardo.

- Come mai? - chiese Anta, perplessa.

- Tutti gli alunni non hanno più fiducia nell'accademia... come dargli torto... dovrebbe essere un posto sicuro ed invece...

- Non lo è poi così tanto. - concluse Anta, abbassando lo sguardo, come se si sentisse in colpa per qualcosa. Amyas se ne accorse e circondò le spalle della ragazza con il braccio, per tirarla su di morale. Anta si sentì le guance in fiamme e cercò di farsi il più piccola possibile, desiderando di sparire all'improvviso.

- Hei! Guarda il lato positivo! - esclamò lui con un gran sorriso. - Ora tutti ti conoscono! Sei una Vip! - Anta accennò un sorriso poco convinto. Era proprio ciò che cercavo di evitare... Pensò lei.

- Mangia questa! - le intimò Amyas mostrandole una pallina uguale a quella che le aveva regalato due giorni prima. - Ti sentirai meglio! - Anta prese tra le mani la pallina e diede un morso, gustandola gelosamente.

- È deliziosa! Grazie! - rispose la ragazza. Finì di mangiare la pallina ed un sorriso si aprì sul suo volto. - A proposito... - continuò lei. - Cos'è? Ha un nome? - Amyas tolse il braccio dalla ragazza e lo sollevò per grattarsi la nuca.

- Come si chiama? - le fece eco lui. Nella sua voce si poteva percepire della pressione... a cosa stava pensando? - Ehm.... Fry.

- Fry? - fece Anta, stranita. - Che nome buffo per un cibo! L'hai scelto tu?

- Si... non ho mai pensato ad un nome per quella pallina... l'ho inventato ora sul momento... - la ragazza ridacchiò.

- È un nome carino! - gli disse.

- Ti accompagno in camera? - chiese Amyas dopo una piccola pausa. Anta sorrise di nuovo.

- Con piacere. - rispose. Amyas le porse il braccio e lei si aggrappò a lui, cominciando a passeggiare per i grandi corridoi dell'accademia, chiacchierando allegramente.

 

Amyas pensava che il suo piano fosse perfetto. Le piaceva Anta, era una ragazza gentile, debole e fisicamente bella nelle sue dolci e gentili curve. Gli piaceva chiacchierare con lei ed è per questo che faceva di tutto per starle affianco, per guadagnarsi interamente la sua fiducia. Purtroppo, il suo problema non era lei.

- E tu chi sei? - chiese sgarbatamente Kay, quasi senza accorgersi di esserlo.

- Amyas. - rispose il ragazzo, tendendogli la mano affinché l'altro la stringesse.

Kay ignorò il suo gesto ed incrociò le braccia all'altezza del petto. - In altre parole, consegni la posta a domicilio? Ci stavamo andando noi a prendere Anta. - disse. Solo in quel momento Amyas si rese conto che nella stanza c'erano anche tutti i coinquilini di Anta, compresa una certa ragazza dai capelli arancioni seduta sul divano, che sembrava non ascoltare la conversazione.

- Kay... - cominciò Anta, cercando di assumere un tono di rimprovero, ma non era nel suo stile rimproverare qualcuno – di solito, quello lo faceva Amy – perciò le uscì una specie di rantolo confuso. Kay la guardò appena.

- Mi dispiace... - cominciò Amyas. - Non sapevo... comunque adesso è qui, e sta bene. Ve la lascio. - Amyas si allontanò di un passo da Anta, si mise le mani in tasca e fece per andarsene. Ma Kay lo bloccò.

- Non così in fretta. - disse. - Non mi convinci... - Amyas si girò verso Kay e lo guardò in cagnesco. Ci fu un lungo silenzio, in cui Kay socchiuse leggermente gli occhi per concentrarsi e leggere la mente di Amyas.

- Kay! - fece Amy ad un certo punto. - Non importunare gli ospiti! - il ragazzo ignorò quasi totalmente la raccomandazione di Amy e continuò a scavare nei tunnel del passato di Amyas, scrutando ogni minimo dettaglio. Finché tutti non videro i suoi occhi spalancarsi di colpo, come sconvolti da qualcosa.

- Non è un ospite. - disse poi. - Lui... - si interruppe, come se qualcosa l'avesse fermato. Le sue labbra si erano serrate. Il ragazzo si morse il labbro inferiore fino a poter sentire il sapore del suo sangue in bocca.

- Lui... cosa? - fece Amy, sull'orlo di un esaurimento nervoso. Kay esitò un attimo prima di rispondere con una frase che sorprese tutti.

- Niente. - disse con un sorriso. - Mi piaci, Amyas, scusa se ho dubitato di te. Puoi riportarci Anta dall'infermeria ogni volta che vorrai.

- Fantastico, ma spero non ne sarà necessario. - Amyas sorrise. Tutti sembrarono confusi. - Comunque ora me ne vado, anche i miei compagni di stanza mi staranno aspettando. - Amyas si girò verso Anta e le si avvicinò, piegandosi per raggiungere il suo orecchio. Le sussurrò qualcosa che fece arrossire Anta ed uscì dalla stanza di fretta.

La ragazza rimase a lungo a fissare la porta da cui Amyas era uscito, con le guance in fiamme. Come mai tutti in quella scuola si comportavano come se la conoscessero da una vita?

- Cos'ha detto? - si sentì chiedere Anta. Era Ashley, in piedi, con le mani intrecciate dietro la testa. Anta si girò di scatto, svegliandosi dai suoi pensieri e raggiunse quello che era il massimo rossore che un essere umano potesse raggiungere.

- N-niente! - rispose, poco convincente. Si schiarì la voce, cercando disperatamente di cambiare argomento. - Come mai lei è qui? - Anta indicò la ragazza coi capelli arancioni seduta in una delle sue posizioni impeccabili sul divano.

- Non lo sappiamo. - rispose Ashley, ora spostatosi vicino all'A.S.P. - Ci è stata “consegnata” solo qualche minuto fa, insieme a questo libretto di istruzioni. - Ashley prese dal bracciolo del divano un libricino bianco e lo mostrò ad Anta. - Per questo abbiamo tardato nel venirti a prendere.

- In questo caso... - Anta appoggiò i pochi oggetti che teneva in mano sul tavolino basso davanti alla TV. - … vediamo come funziona!

- Io me ne starò a guardare. - fece Ashley in tono neutro. - Non me ne intendo molto di tutta quella... roba.

- Come potresti! - esclamò Kay infilandosi le mani in tasca. - Torna pure a giocare con le tue bambole!

- Oppure si potrebbe ripetere “l'incidente” di stamattina. - Ashley inarcò le sopracciglia facendo un sorrisetto malizioso e guardò Kay.

- No! - esclamò l'altro, quasi trucidando Ashley con lo sguardo. - Ho già appurato che le fate non sono molto affidabili nel fare il bucato.

Anta guardava i ragazzi perplessa. - Cos'è successo? - chiese poi.

- Ashley ha accidentalmente messo i capi neri e bianchi di Kay insieme ai miei rosa. - Amy scosse la testa ed alzò le spalle, leggermente divertita. - Ed ha fatto partire la lavatrice.

- Gli incidenti capitano! - fece Ashley, continuando a sorridere.

- Incidente un corno! - esclamò Kay. - Lo so che l'hai fatto di proposito! Ora mi devi ripagare tutto, caro mio!

- Non sborserò un centesimo per i tuoi vestiti! - Ashley gli fece una linguaccia. Non si era preoccupato per i vestiti di Amy, poiché lei poteva sistemarli velocemente con la magia, e sapeva che lei non avrebbe mai fatto un favore a Kay.

- Tu... - cominciò Kay, ma fu interrotto da... cosa?

- Che c'è? Il gatto ti ha... - cercò di rispondere Ashley, ma anche lui si bloccò, chiudendo di scatto la bocca. I ragazzi si guardarono intorno, smarriti, e trovarono la risposta tra le mani di Amy.

- Ora basta! - esclamò lei, che teneva stretta in mano la sua bacchetta magica - Mi sembrate dei bambini! Crescete un po'! - i ragazzi distolsero lo sguardo da lei. - Vi libero dall'incantesimo solo se la smettete di litigare! E poi ci mettiamo tutti a sistemare la faccenda dell'A.S.P., e “tutti” include anche te. - Amy puntò il dito contro Ashley.

I ragazzi si scambiarono un occhiata, Ashley aveva un'espressione incredula, mentre Kay una quasi annoiata, poi tornarono a guardare Amy. Entrambi, dopo un attimo di esitazione, annuirono di malavoglia.

- Bene! - esclamò Amy. Agitò di qualche centimetro la sua bacchetta ed i ragazzi riuscirono di nuovo a sentire le loro labbra funzionanti. Anta aveva osservato con stupore la scena, ma la bocca le era rimasta sempre curvata in un sorriso divertito. Le piaceva vedere come Amy riusciva sempre a comandare nel gruppo, persino su Kay!

- Va bene. - fece Kay, sospirando rassegnato. - Trilli, tu leggi le istruzioni, noi facciamo il resto. Così non devi fare ciò che sei incapace di compiere. Ah! Tu sai leggere? Perché non è così scontato...

- Kay! - lo rimproverò Amy, facendo intendere di non farla arrabbiare di nuovo.

Lui sbuffò. - Cominciamo?

Ashley annuì, prese di nuovo in mano il libretto delle istruzioni e si andò a sedere sul tavolo basso, facendosi spazio tra le cose di Anta, per trovarsi esattamente di fronte all'A.S.P. Gli altri gli si sistemarono vicino, Amy ed Anta si sedettero sul divano, mentre Kay restò in piedi affianco ad Ashley, con le mani nei pantaloni della divisa.

Ashley aprì il libricino bianco che aveva in mano, si schiarì la voce ed iniziò a leggere, saltando le parti che non erano necessarie. - Come ricaricare l'A.S.P. : vi sarà consegnato l'A.S.P. Già caricato al massimo, quindi riponete il caricabatterie in un luogo sicuro ed asciutto per un secondo momento. Normalmente l'A.S.P. si ricaricherà ad energia solare, ma nel caso in cui non dovesse uscire di casa, o non ci fosse sole per più di tre giorni, attaccare l'A.S.P. al caricabatterie per circa cinque o sei ore.

- Arriviamo a come si accende? - fece Kay, annoiato ed impaziente.

Ashley gli lanciò un occhiataccia. Saltò poi un paio di pagine finché non trovò quella giusta e ricominciò a leggere. - Come accendere e spegnere un'A.S.P. : per accenderlo dovrete pronunciare forte e chiara la frase, successivamente modificabile, “Accenditi, A.S.P.” mentre... - Ashley fu interrotto da un rumore meccanico. Alzò lo sguardo dal libro e guardo la ragazza dai capelli arancioni in viso: ora aveva aperto gli occhi rossi, squadrandolo da capo a piedi con lo sguardo.

- Buongiorno a lei. - fece l'A.S.P. con il suo solito sguardo e la sua solita voce senza un minimo di emozione visibile. - A.S.P. 0204, al vostro servizio. - fece un piccolo inchino con la testa per poi ritornare alla sua solita posizione impeccabile. - Prego, dichiarare nome e sesso. - tutti si girarono a guardare Ashley un po' confusi ed un po' stupiti. Il ragazzo arrossì per i sei occhi che cercavano di scavargli nella mente, ma si riprese in poco tempo.

- Mi chiamo Ashley e sono... un ragazzo. - dichiarò lui, esitando per l'imbarazzo. La ragazza fece brillare gli occhi, probabilmente era il suo modo per far intendere che aveva appreso ciò che lui le aveva appena detto.

- Solo io ho notato che Trilli ha esitato prima di dire che era un ragazzo? - fece Kay, in una smorfia divertita.

- Ssst! - lo zittì Amy. - Taci, Kay! - il ragazzo fece roteare gli occhi e tacque.

- Dichiarare razza e data di nascita. - continuò l'A.S.P.

- Sono una fata della flora, e sono nato il 20 Marzo 2008. - rispose Ashley. Di nuovo, la ragazza dai capelli arancioni fece brillare gli occhi.

- Nome: Ashley. Sesso: Maschio. Data di nascita: 30 Marzo 2008. Razza: Fata specializzata nella flora. Corretto?

- Si. - rispose Ashley, annuendo.

- Preferenze su Password d'accensione, il modo in cui la chiamerò, il modo in cui lei chiamerà me o il nostro rapporto?

- Ra-rapporto? - balbettò Ashley, ancora più in imbarazzo: non gli piaceva essere al centro dell'attenzione.

- Lei è il mio padrone. E come tale ha potere assoluto su di me. Può decidere come mi tratterà o se avremmo un rapporto d'amicizia o di servitù totale o parziale.

- Ehm... io... penso che... non è ancora io momento per deciderlo. Si può rimandare la conversazione? - Ashley si accarezzò la nuca, nervoso.

- Certamente. - ci fu una breve pausa. - Altre preferenze, padrone?

- Ecco... non chiamarmi “padrone”, mi mette a disagio...

- Mi scusi.

- Non ti devi scusare! - Ashley mostrò i palmi delle mani alla ragazza e gli agitò, come per fermarla.

- Mi scusi.

Ashley sospirò, rassegnato. - Fa niente. Chiamami... Ashley. - gli occhi della ragazza brillarono di nuovo.

- Ashley. Appreso. - rispose. - Altro? Ad esempio sul mio nome? O vuole continuare a chiamarmi A.S.P.?

- Ehm... - Ashley si girò verso Anta. - Ragazzi? Si accettano consigli.

- Mmm... che ne dite di Ellen? - propose Amy.

- Ellen? - fece Kay. - Che razza di nome è?

- Di sicuro più intelligente del tuo! - ribattè la ragazza, portandosi le mani sui fianchi.

- Davvero... Amanra? - Kay sogghignò.

- Non chiamarmi così! - Amy tirò fuori dalla tasca della gonna la sua bacchetta. - Direi che tu hai fatto già abbastanza per oggi! - agitò leggermente la bacchetta, copiando il gesto fatto in precendenza, qualche minuto prima, e Kay si ritrovò di nuovo con le labbra serrate. Lui buttò le braccia all'aria e si rifugiò velocemente nella sua stanza, infuriato.

Amy sogghignò. - Dicevamo? - chiese, ritornando a parlare con Ashley.

- Scusa se te lo dico... - cominciò Anta. - Ma anche a me non entusiasma quel nome... è troppo serio. Dovremmo trovare un nome simpatico!

- Sono d'accordo con Anta. - fece Ashley.

- Va bene, va bene! - Amy si buttò all'indietro sul divano, sbuffando, ritrovandosi in una posizione abbastanza sciatta. - Decidete pure voi. - continuò. - Non sono mai stata brava nel scegliere i nomi.

- Ashley? - lo chiamò la ragazza dai capelli arancioni. Lui si girò a guardarla, incuriosito. - Ha preso una decisione?

- Io... - cominciò il ragazzo, girandosi verso Anta, in cerca d'aiuto.

Anta fece spallucce. - Non saprei. Dalle un nome che ti faccia pensare a qualcosa di... allegro!

- Mmm... - Ashley stette in silenzio per un tempo che gli sembrò lunghissimo, pensando al nome perfetto per quel... robot. Perché, alla fine, non era niente di più. Un robot. Senza emozioni. Creato solo per servire gli uomini. Però... l'aspetto era proprio di una ragazza, forse di un anno o due più piccola di lui. Si girò verso di lei ed osservò nei minimi dettagli il suo bellissimo vestito che quel giorno qualcuno aveva scelto per lei: era come se avesse indossato due vestiti; quello sotto era bianco panna con una scollatura a V e le arrivava fino a metà coscia, mentre quello sopra era rosso pallido, che si apriva come un grembiule sopra quello bianco e si legava con un laccetto molto elegante in vita.

Finché non gli venne in mente.

Un nome allegro, solare e, per certi versi, anche dolce e gentile. Il ragazzo dischiuse le labbra e pronunciò lentamente le parole da tutti tanto attese. - Ti chiamerai Summer.

E di nuovo, gli occhi di Summer brillarono.

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Capitolo 6
*** Lettere ***


Capitolo 6:

Lettere

 

Un mese dopo.

Anta e Amyas stavano in piedi appoggiati al muro di un enorme atrio che faceva da entrata all'aula magna, aspettando che le porte si aprissero. Anta giocherellava con una ciocca dei suoi capelli e batteva in continuazione la punta del piede sinistro sul pavimento, con lo sguardo basso e perso nel vuoto. Non le piaceva l'aula magna. L'ultima volta che c'era stata, le avevano detto che non avrebbe più potuto avere contatti con la sua famiglia, né con nessuno al di fuori dell'accademia, e che doveva studiare e studiare per non farsi cancellare la memoria e che, comunque, sarebbe finita in battaglia, dove qualcuno si sarebbe ferito o sarebbe morto.

Amyas si sporse in avanti. Le mani nelle tasche della divisa della scuola. Osservò Anta per qualche secondo, perplesso, poi si staccò dal muro e le si mise di fronte.

- Tutto bene? - le chiese.

Anta sollevò la testa di scatto, risvegliandosi dai suoi pensieri, e guardò Amyas. - Si. - rispose, accennando un sorriso poco convinto. Nell'ultimo mese si era vista spesso con Amyas, e passava quasi più tempo con lui che con la sua squadra. Stranamente, non si sentiva in colpa. - Però... - continuò lei. - Se potessi avere...

Amyas non aspettò neanche che Anta concludesse la frase. Si frugò tra le tasche dei pantaloni e tirò fuori un cibo rotondo e piccolo. - Fry?

Anta annuì e sorrise, questa volta davvero. Prese la pallina e la mangiò in tre bocconi. - Grazie! - disse poi.

Amyas rispose al sorriso, ed in quel momento le porte dell'aula magna si aprirono.

Tutti i ragazzi che erano ammucchiati intorno a loro cominciarono ad entrare, Anta e Amyas aspettarono che la folla diminuisse prima di seguirli.

Si sedettero in decima fila, uno affianco all'altra. Non sapevano cosa stava succedendo: la scuola aveva mandato un annuncio agli altoparlanti dicendo di recarsi subito in aula magna e nessuno aveva obiettato. Tuttavia, se prima Anta poteva essere preoccupata, ora lo era molto di meno. Succedeva così, quando mangiava una Fry: tutte le sue emozioni negative sparivano.

Anta guardò il palco dove si stava avvicinando un uomo alto, coi capelli rossi e meches verdi legati in un codino dietro la testa. Indossava uno smoking azzurro che faceva risaltare i suoi occhi, anch'essi azzurri. Si posizionò al centro del palco, con affianco la vicepreside Punkins che gli passò il microfono. Lui si schiarì la voce e sfoggiò un sorriso a 32 denti sul viso, con aria sinceramente felice.

- Buonasera, ragazzi. - cominciò. Tutti i pochi che stavano parlando poco prima si zittirono e guardarono incuriositi il palco. - Io sono il nuovo preside. Mi chiamo Richard Micchel! Potete chiamarmi R.M., o M.R., o preside, o Richard, o Micchel, o Richard Micchel, o Micchel Richard o...

- Basta! - lo interruppe la vicepreside Punkins quasi urlando e strappandogli il microfono dalle mani. Dalla sala si sentirono delle timide risatine. Il preside non sembrò sorpreso, anzi, aveva continuato a sorridere per tutto il tempo mostrando fiero i suoi denti forse fin troppo bianchi. Mancava solo lo scintillio del riflesso della luce, e sarebbe stato da film. - Chiamatelo preside e basta! - concluse la vicepreside.

- Suvvia, Ellen. Mi ridia il microfono. - disse il preside stendendo le mani davanti a lei. La vicepreside ebbe un attimo di esitazione, ma lo restituì al preside sbuffando, con i nervi a fior di pelle.

- Ha due minuti. - gli disse in tono minaccioso.

- Saranno sufficienti, grazie. - rispose il preside col suo impeccabile sorriso. Anta si chiese se gli facessero mai male le guance, perché non sembrava. - Ri-buongiorno ragazzi. - continuò – Come vi stavo dicendo, prima che la gentilissima vicepreside mi interrompesse, io sono il nuovo preside, inviato direttamente dal consiglio stesso. Sono qui per farvi studiare tra un divertimento e l'altro.

Amyas si sporse da un lato per raggiungere l'orecchio di Anta. - Non dovrebbe essere il contrario? - sussurrò sorridendo. Anta soffocò una risata, ma poi riprese ad ascoltare il preside.

- Organizzerò insieme agli insegnanti tante belle cose da fare assieme a voi. Come, ad esempio, le gite, o i balli scolastici e poi, ovviamente, ognuno di voi avrà una domenica libera ogni due settimane, per riposare la mente. Essa sarà organizzata in questo modo: ogni due ore passeranno dei pullman a scuola, a partire dalle sette del mattino. Ogni pullman porterà da una parte diversa, ed ogni insegnante vi accompagnerà nel giorno libero. Ovviamente, non siete costretti a salire su un pullman, se volete potete anche restare a scuola, anche se io vi consiglio di uscire ogni tanto! - lui batté le mani una volta.

- Oddio... - sentì bisbigliare una voce familiare dietro di sé. Anta si girò. Era Kay, che si era messo una mano a coprirgli il volto. Anta sorrise divertita. Nell'ultimo mese, il loro rapporto era migliorato, ma Anta non l'aveva ancora perdonato del tutto per averle fatto riaffiorare ricordi che lei non avrebbe mai più voluto ricordare. E si sentiva a disagio con una persona che poteva capire quello che pensava e che poteva vedere e mettere a nudo tutto il suo passato. Nonostante questo, erano normalissimi compagni di stanza, ma Anta non sapeva se si potevano ancora definire “amici”.

Tornò a guardare il palco. Il preside aveva cominciato a parlare di qualcos'altro, ma Anta non ascoltava più. Le piaceva quel preside, e le faceva piacere che almeno c'era qualcuno che pensava al benessere mentale degli alunni. Ma allo stesso tempo si chiedeva cosa ci fosse sotto. Perché il consiglio avrebbe mandato una persona che sembrava così poco seria, a fare il preside dell'accademia? Insomma, frequentare l'accademia per salvare il mondo è un affare abbastanza serio... era saggio divertirsi mentre il mondo stava andando alla rovina?

 

Ashley si alzò nel cuore della notte. Guardò l'orologio. 02:12. Non gli era mai capitato. Mai una volta si era svegliato prima delle sei del mattino. Ma si accorse subito cosa lo aveva svegliato. O meglio... Chi l'aveva svegliato. Si mise seduto sul letto e guardò verso quello di Kay. Il letto era vuoto. Kay si era rumorosamente spostato alla sua scrivania ed aveva acceso una piccola lampada appoggiata sulla scrivania.

- Che fai? - gli chiese Ashley, tra uno sbadiglio e l'altro.

- Ammazzo il tempo. - rispose Kay.

- Non puoi ammazzarlo dormendo? - Kay non rispose. In quel momento Ashley si accorse che stava scrivendo qualcosa su un foglio. - Che cosa scrivi?

- Non sono affari che ti riguardano! Torna a dormire! - rispose sgarbatamente Kay. Ashley fece una smorfia e sospirò per tranquillizzarsi.

- Ok, ok. Vado a prendere qualcosa da bere e torno, ho la gola secca. - Ashley si alzò dal letto ed arrivò alla porta della stanza. - Vuoi qualcosa anche tu? - Kay non rispose, troppo impeganto a scrivere sul suo foglio. - Sai, a volte un semplice “no, grazie” basterebbe! - e con questo uscì dalla stanza, arrabbiato più che mai con Kay. La porta conduceva direttamente al salotto dove si trovava anche il minibar. Fece qualche passo, poi notò Summer, sdraiata sul divano con le mani giunte sotto il fianco del viso, ad occhi chiusi. Dormiva. No. pensò Ashley. I robot non possono dormire. Sono delle macchine! Questa è solo la simulazione di una dormita. Accese la luce e Summer aprì gli occhi, mettendosi di scatto seduta. Ashley strizzò per qualche secondo gli occhi per abituarsi alla luce, poi li riaprì e riuscì a vedere meglio tutta la stanza.

- Buonasera, Ashley. - lo salutò Summer. Lui si girò a guardarla. Solo in quel momento si accorse che Summer indossava una camicia da notte. Era azzurra, di seta, senza maniche e le arrivava fino a metà coscia. Si accorse, però di un cavo che le spuntava da sotto la camicia da notte e percorreva metà stanza fino ad arrivare al trasformatore del suo caricatore che poi si collegava ad una spina: si stava caricando. Per questo stava simulando una dormita! Ma... perché il pigiama? Ai robot non servono i pigiami. - Posso fare qualcosa per lei? - continuò Summer.

Ashley sentì un sapore amaro salirgli alla bocca. - La prima volta che ti ho incontrato, che ti abbiamo accesa... fingevo. O meglio, cercavo... credevo di potermi abituare ad averti attorno. Ma mi sono ricreduto... La tua presenza per me è... insopportabile! - Ashley fece un lungo sospiro. - Ti odio, lo sai?

- Ho fatto qualcosa di sbagliato? - chiese lei con la sua solita voce priva di emozione.

- TU sei sbagliata! - sbottò lui. Camminò fino al divano e si appoggiò al bracciolo. Ci fu un attimo di silenzio.

- Errore. - disse poi lei. - Il mio programma è assolutamente privo di errori.

- Non intendo quello! - esclamò Ashley.

- Potrebbe spiegarmi?

- Tu sei una macchina! Un robot! Un inutile tentativo dell'uomo di fotocopiarsi! Ma nessuna macchina sarà mai in grado di provare emozioni proprie! Potranno simularle, certo, ma non potranno provarle davvero, né potranno pensare... Tu non avrai mai un cervello... Nè avrai mai un cuore! - Ashley prese il cavo che collegava Summer al caricatore e lo staccò da lei. In quel momento la camicia da notte si sollevò e Ashley vide la presa, su fianco destro del bacino, ma solo per un istante, prima che la camicia da notte tornasse al suo posto. - Tu hai bisogno una batteria per vivere!

- Sono spiacente di non essere in grado di soddisfarla. Mi dica cosa posso fare per renderla felice.

- Non starmi più tra i piedi! - il tono di Ashley era duro, aggressivo. Più di quanto voleva far apparire. Non aveva mai parlato a qualcuno così. Ma, dopotutto, quella non era qualcuno... era qualcosa. Un oggetto creato dall'uomo per soddisfare la propria superbia, che serviva solo ad inquinare lo stupendo pianeta che Dio gli aveva donato. Odiava le macchine. Odiava Summer.

- Appreso. - rispose Summer.

Ashley si alzò e camminò fino alla porta di camera sua. Poi la aprì.

- Le auguro una buona nottata, Ashley. - fece Summer. Ashley entrò in camera sua e si richiuse la porta alle spalle, sbattendola appena.

Si appoggiò con la schiena alla porta e sospirò. Poi si guardò le mani e rise istericamente, ma come un sussurro.

- Hai bevuto? Ora puoi dormire? - gli chiese Kay, ancora intento a scrivere.

Ashley si lasciò ricadere le braccia sui fianchi, piegò la testa all'indietro e chiuse gli occhi, come rassegnato. - Non ho preso da bere.

 

Due ore dopo, alle quattro di notte circa, Kay aveva finito ciò che stava scrivendo. Ci stava lavorando parecchi giorni, dal suo primo giorno di scuola, in realtà. Non era facile per lui scrivere delle cose che non aveva mai raccontato a nessuno. E se era difficile scriverle, figuriamoci parlarne a qualcuno! Poggiò la matita sulla scrivania e si sfregò la faccia con le mani, esausto. Prese dal cassetto della scrivania una busta per le lettere, piegò il foglio, e lo infilò dentro la busta. Si alzò in piedi con la busta in mano ed uscì dalla stanza. In salotto, la luce era rimasta accesa, e Summer era ordinatamente seduta sul divano, dove Ashley l'aveva lasciata prima.

- Salve, Kay. - lo salutò, girandosi a guardarlo.

- Ciao, Summer. - rispose Kay, stanco.

- Posso fare qualcosa per lei?

- No, grazie. Come mai sei accesa? Non ti aveva mandato in stand-by Amy prima di andare a dormire?

- Si. - Summer annuì. - Ma Ashley mi ha riattivata.

- E se ne è andato senza lasciarti in stand-by né attaccarti al caricabatterie? Ma così ti scaricherai...

- Non si preoccupi, io mi ricarico anche ad energia solare, appena spunta il sole posso ricaricarmi. E comunque... non credo che ad Ashley interessi molto se io sia scarica o no. - rispose, unendo le mani ed appoggiandole sulle gambe. L'affermazione, s'immaginò Kay, doveva essere triste, ma lei aveva sempre la voce impassibile, senza emozioni, ed era difficile capire in che modo la pensasse.

- Che cosa intendi? - chiese alla fine lui.

- Non gli sono utile. Mi odia. Almeno, così ha detto.

- Senti, Summer. - Kay le si sedette accanto, sul divano. - Di una cosa sono sicuro: Ashley potrà anche essere un bambinone stupido che pensa solo alla natura ed a non inquinarla, ma... non è capace di odiare. Pensa a me! Io lo tratto male in continuazione, venticinque ore su ventiquattro! Ma lui... non mi odia. Tu, invece, non gli hai fatto niente. Quindi... non può odiarti!

- Sta dicendo che Ashley ha mentito?

- Si. Probabilmente l'hai visto in un momento “no” della giornata. - Kay accennò un sorriso.

- Un momento... “no”?

- Un momento della sua giornata in cui si rivela particolarmente antipatico. Capita a tutti.

Ci fu un attimo di silenzio. - Appreso. - rispose poi Summer.

- Su, avanti, non pensarci. Summer, stand-by.

Kay vide gli occhi di Summer spegnersi e le palpebre meccaniche chiudersi, dopo che lei si fu comodamente sdraiata sul divano. Sorrise di nuovo, poi guardò la busta che teneva in mano, facendo scomparire il sorriso. Andò verso la camera di Amy e Anta ed aprì la porta.

 

Ore 8:20. Prima ora di lezione. Medicina.

- Ahi! Mi fai male! - esclamò Amyas.

- S-scusa... - balbettò Anta, imbarazzata come non mai.

- Devi essere più delicata!

- Non l'ho mai fatto prima... secondo me è una cosa stupida... insomma, a cosa ci serve imparare a fare i prelievi del sangue? - Anta provò di nuovo. Prese l'ago e, con mano tremante, l'avvicinò al braccio di Amyas. Ma di nuovo fallì. Non prese la vena e spinse troppo forte.

- Ahi! - si lamentò di nuovo Amyas.

- Giuro che non lo faccio apposta...

- Comincia col tenere più ferma quella mano.

- Non posso... ho così pausa di farti male che...

- Mi fai male? - Amyas sorrise.

Anta non rispose ed abbassò lo sguardo, mortificata.

- Ehi, - fece poi Amyas, alzandole il viso con la mano libera. - Non preoccuparti. Riprova. Tanto ho quasi del tutto perso la sensibilità al braccio, con questo elastico che sarà dal almeno quindici minuti che mi stringe il braccio.

- Mi dispiace tanto! - disse Anta, sempre più mortificata. - Sono... un'incapace.

- Dai, ti aiuto io. - si offrì il ragazzo.

- Cosa?

Amyas prese la mano di Anta che teneva l'ago e l'accompagnò fino al suo braccio. - Non tremare. - le disse.

- F-farò del mio meglio... - rispose lei. Amyas accarezzò col pollice il dorso della mano di lei, che subito si stabilizzò. Poi, delicatamente, accompagnò l'ago dentro di sé. Anta ebbe un sussulto. Poi il sangue cominciò ad attraversare il tubicino collegato all'ago. Era scuro. Il sangue più scuro che Anta aveva mai visto.

- Ho preso la vena? - chiese Anta. Amyas annuì. Lei sorrise entusiasta. - Ho preso la vena! Ho preso la vena! - ripeté felice, alzando le braccia al cielo.

- Ok, ok. - cercò di tranquillizzarla Amyas, con un sorriso divertito. - Aspetta qualche secondo poi togli delicatamente l'ago, l'elastico e mettimi un cerotto. Non voglio che ti diano una cattiva valutazione.

- Grazie! - Anta buttò le braccia al collo di Amyas per stringerlo forte. Lui rispose con due pacche sulla schiena con la mano libera. - Anta... - cominciò lui. - Credimi, non vorrei interromperti ma... il braccio... diventerà viola se non ti sbrighi.

Anta si staccò subito da Amyas ed obbedì. Fu più facile togliere l'ago dal braccio di Amyas, piuttosto che metterlo. Ci volle un bel po' di cotone per tappare tutti i buchi che gli aveva procurato Anta.

- Ci vuole dello scotch per tenerlo fermo. - fece notare Amyas.

- Lo sto cercando. - fece Anta, guardando sopra e sotto il banco. Non lo trovò. - Aspetta, ne dovrei avere un po' nella borsa. - Anta aprì la borsa appoggiata sul banco per prendere dello scotch. Ma fu un'altra cosa che attirò la sua attenzione: una lettera. La prese in mano e la tirò fuori dalla borsa lentamente. Non era sua.

- Che succede? - chiese Amyas.

- N-non lo so... - rispose Anta, un po' distratta.

Girò la lettera e guardò il retro. In pennarello nero, con una calligrafia dura ma melodiosa, c'era scritto: Per Anta. Da Kay.

 

Amy era appena tornata in appartamento. Erano circa le nove di mattina e non si trovava in classe perché l'avevano chiamata in segreteria. All'inizio non si era preoccupata. Non aveva fatto niente di male, e non potevano incolparla di nulla se non di aver seguito le lezioni con massima attenzione. Ma non si sarebbe mai aspettata che le avrebbero consegnato una lettera. Da parte di suo padre. Amy sapeva che non le erano concessi contatti con i parenti ma, d'altra parte, suo padre era il sindaco. Ed era a conoscenza del perché gli studenti erano stati costretti a frequentare quella scuola. Aveva cercato di rifiutare, perché non le piaceva avere dei privilegi solo perché suo padre era importante. Tuttavia, la segretaria ha insistito, mostrandole il segno rosso sulla lettera: “Urgente”. Diceva.

Preoccupata, Amy si era fiondata in appartamento, per stare tranquilla e sola. Si sedette sul divano e cominciò a rigirarsi tra le mani la lettera. Indecisa se aprirla o no.

- Hei, bisbetica. Come mai qui? - sentì chiederle una voce. Kay, ovviamente. Chi altri?

- No, tu che ci fai qui! Dovresti essere a lezione! Farai perdere punti alla...

- Ehi, non sono stupido. - la interruppe Kay. - Le conosco le regole. Ma questa notte ho dormito poco, avevo bisogno di dormire! Quindi ho telefonato alla segreteria e ho detto che mi sono sentito poco bene e che entrerò in ritardo, solo quando mi sentirò meglio.

- E se la sono bevuta? - chiese Amy, diffidente.

- Altro che. - ci fu una pausa di pochi secondi. - Quindi... tu che ci fai qui?

- Non sono affari che ti riguardano! Ti basti sapere che ho una valida scusa e che la scuola è stata informata della mi assenza.

- Sarà. Ma rimani sempre una bisbetica.

- E tu un cinico deficiente!

- Ammazza allegria.

- Gigolò.

- Arrogante.

- Detestabile.

- Insopportabile.

- So-tutto-io.

- Cretino.

- Frigida.

- Questo punto l'abbiamo già chiarito, mi sembra!

- A me no... non ho ancora ricevuto nessun bacio da te... - Kay sollevò gli angoli della bocca in un sorriso malizioso.

- È inutile parlare con te! Vattene! Sono impegnata. Tagliò corto Amy, rabbiosa. Ma quando riabbassò lo sguardo sulla lettera lo sguardo si fece più triste. E Kay, notandolo, divenne più serio.

- Senti... - Kay si avvicinò al divano e si sedette vicino ad Amy. Lei lo lasciò fare. - Davvero, è successo qualcosa?

Amy non rispose subito, dubbiosa se sfogarsi o no con Kay. Era un tipo affidabile? Per niente. Ma era l'unica persona presente in quel momento. E se la lettera conteneva delle cattive notizie, avrebbe avuto bisogno di qualcuno con cui parlarne. - Ecco... non dirlo a nessuno, ok?

- Hai la mia parola! - Kay alzò la mano sinistra, mentre quella destra la poggiò sul cuore e sorrise, per sdrammatizzare un po' la situazione.

- La segreteria mi ha fatta chiamare, e sono dovuta uscire dall'aula. Una volta lì, mi hanno consegnato questa. - Amy fece vedere la lettera a Kay. - È... da parte di mio padre. E sopra c'è scritto che è urgente.

- Beh, perché non la apri? - fece Kay.

- Mio padre non utilizza mai la parola “urgente” se non è una vera urgenza. E quando dico vera intendo molto molto spiacevole.

- E quindi... non l'aprirai?

- Io... - Amy strinse forte tra le dita la lettera. - Non lo so. Non voglio soffrire per una lettera con su scritto “urgente”... Non di nuovo.

- Di nuovo?

- Già. Non... non voglio parlarne.

- Ok. - Kay fece schioccare le labbra, un po' nervoso. Poi Amy fece ciò che lui meno si aspettava: gli porse la lettera.

- Aprila tu. - disse lei.

- Io? Sei sicura?

- Si. Leggimela. Penso sarà più semplice per me.

- Va bene. - Kay prese la lettera in mano. - Se ti può aiutare...

Kay aprì la lettera lentamente, attento a non rovinarla. Amy mise i piedi sul divano e si raggomitolò stringendo un cuscino tra le braccia.

Quando Kay tirò fuori il contenuto della busta – un paio di fogli bianchi a righe, scritte a mano – vide le braccia di Amy stringersi ancora più forte al cuscino.

- Hei. - la rassicurò Kay, in tono dolce. - Magari non è una cattiva notizia. Non lo puoi sapere. - Amy sorrise per un attimo, poi torno seria.

Kay raddrizzò i fogli.

E cominciò a leggere.

 

- Allora, hai intenzione di aprirla quella lettera o vuoi sospirarci sopra ancora un po'? - chiese Amyas, a fine lezione.

- Lo faccio, lo faccio. Ora c'è la pausa di dieci minuti tra una lezione e l'altra, no? La leggo ora. - rispose tranquillamente Anta.

- Sarà una cosa del tipo: “incontriamoci sul terrazzo della scuola, devo parlarti”? O semplicemente una confessione d'amore perché non ha il coraggio di farsi avanti di persona?

- Ma che dici! - Anta mordicchiò una Fry che le aveva dato poco prima Amyas. - Io non gli piaccio. A Kay piacciono le ragazze formose, belle e... bionde! Io non sono nessuna di queste tre.

- Ti sbagli. - fece Amyas. - Tu sei bella, Anta. - lui le sfiorò la punta del naso, come gesto affettuoso. Stettero a guardarsi negli occhi per qualche istante. - Beh, qualunque cosa ci sia scritta in quella busta, - disse Amyas, alzandosi dal banco e prendendo il suo zaino. - sono sicuro che Kay non voglia che altre persone oltre a te lo sappiano. Quindi ti saluto! Ci vediamo alla prossima lezione di medicina! - Amyas arruffò i capelli di Anta e uscì dalla classe, scomparendo nei corridoi.

Anta rimase sola in una classe vuota. Aprì la lettera di Kay, un po' esitante, e cominciò a leggere:

 

“Ascolta, non sono bravo formulare discorsi. Quindi diciamo che volevo raccontarti

cosa mi è successo. Tu e solo tu dovrai leggere queste parole. Chiaro?

Prima di tutto, ti chiedo scusa per la duecentesima volta per aver scavato nel tuo passato.

Ma... ricordi quando ti ho detto che siamo “simili”? Beh, è così.

A me è successa più o meno la stessa cosa. Alla tua stessa età. Con soli due giorni di differenza.

Ed è per questo che non posso far a meno di pensare... che i due omicidi siano collegati.

E premeditati da qualcuno.

Voglio... voglio raccontarti ciò che mi è successo. Così... anche tu conoscerai il mio passato.

Per me è molto difficile parlarne, quindi scusa se non sarò chiaro e dettagliato.

Avevo dodici anni.

Come ogni domenica, io e la mia famiglia eravamo in giro per i boschi alla ricerca di erbe,

medicinali e non, e a caccia di animali. Non ti voglio spiegare il perché, se no sarei costretto a spiegarti come funziona la vita da noi, e sarebbe una storia molto lunga.

Come dicevo,

quando tornammo a casa e trovammo tutto il nostro villaggio fatto a pezzi.

O meglio, a macerie e cadaveri decapitati.

Scioccati, abbiamo cominciato a camminare. Non sapevamo che cosa stessimo cercando,

ma camminavamo. Quando all'improvviso, spuntò da sotto delle macerie un demone.

Era un demone gigantesco e nero. Si fiondò su di noi e prese mia sorella.

Era un demone volante, non potevamo fare niente per raggiungerlo.

Ellie. aveva solo un anno. La uccise davanti ai nostri occhi.

La prese da due lati e tirò con gli artigli finché la testa di Ellie non si staccò.

Il suo sangue ci schizzò addosso. E tutti noi restammo immobili, incapaci di muoverci.

Il demone poi mangiò la testa di mia sorella e buttò via il corpo, che atterrò su mio padre.

Passato un giorno da allora. Mia madre era cambiata. Come impazzita.

E uccise mio padre.

Disse che l'aveva dovuto fare, perché non voleva che soffrisse come stava soffrendo lei.

Lo amava troppo per vederlo soffrire.

Trasferiti in un nuovo villaggio, io fui portato via dagli assistenti sociali per una mia chiamata.

Non potevo restare con la donna che aveva ucciso mio padre.

Fui affidato a una famiglia che non conoscevo. E da allora loro sono la mia famiglia.

Non riesco a scrivere altro. Non ce la faccio.”

 

E lì la lettera finì. Anta notò che sulla pagina c'erano un paio di cerchi bagnati.

Lacrime.

Kay aveva pianto mentre scriveva?

No. Non erano le lacrime di Kay.

Ma quelle di Anta, che le scorrevano veloci giù per il viso.

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Capitolo 7
*** Forti e deboli ***


Capitolo 7:

Forti e deboli

 

Anta non riuscì più a seguire le lezioni, quel giorno. Non riusciva a togliersi dalla testa quella lettera. Quella lettera che le faceva capire così tanto su Kay, ma che allo stesso tempo, le ricordava ciò che le era successo cinque anni fa. Eppure... le sembrava passato così poco tempo...

Era successo tutto così in fretta... troppo in fretta. Di certo, lei non si immaginava che Kay avrebbe raccontato tutto il suo triste passato in quella lettera. E, per di più, a lei! Era così importante per lui che facessero pace? E perché? Perché forse voleva solo trovare una scusa per giustificare ciò che aveva fatto! Ed Anta credeva di essere ancora arrabbiata per quello, ma non era così. Non dopo aver letto la sua lettera. Come si faceva ad arrabbiarsi con Kay dopo che si ha scoperto tutto ciò che aveva passato? Forse è per questo che non lo raccontava mai a nessuno... Perché aveva paura di apparire debole agli occhi degli altri. Ma a Anta non appariva debole, anzi. Lei era stata debole. Non aveva mai combattuto ciò che le era successo. Key, invece, l'aveva fatto. Ed era riuscito a crearsi una seconda identità per nascondere quella più debole.

E questo, Anta lo ammirava.

Finite le lezioni, Anta tornò in appartamento, sperando di non incontrare Kay.

In un certo senso, sperava di incontrarlo, perché aveva un sacco di domande da porgli. Ma, dall'altro, aveva paura di parlargli. Cosa dici ad una persona quando quella ti racconta che è rimasto senza padre né sorella e con una madre diventata psicopatica?

Anta aprì la porta.

Kay era seduto sul divano, gli occhi stanchi e affaticati che la guardavano. Il sangue di Anta le si gelò nelle ossa, il suo cuore sembrò fermarsi. Cosa gli dico?

- Ciao. - la salutò.

- C-ciao. - gli rispose lei, nervosa. Lo sa. Non so come lo riesco a capire, ma sa che ho letto la sua lettera. Anta non riusciva a tirar fuori delle parole per comporre una frase. Era immobile, ancora davanti alla porta dell'appartamento. In quel momento, un velo di lacrime le cominciò ad appannare gli occhi.

- Hai... - cominciò, ma lei non gli lasciò finire la frase.

- Si. - gli rispose.

- Oh.

La conversazioni sembrò finire lì. Ma Anta era troppo debole e non riescì a trattenere le lacrime. Lei non era e non sarà mai come Kay. Avanzò di qualche passo per avvicinarsi al divano.

- Mi dispiace! - disse, quasi urlando. Poi scoppiò in lacrime. Si coprì il viso con le mani. A stento riusciva a rimanere in piedi. - Mi dispiace...

Kay rimase basito, ma solo per un istante. Il suo viso si rattristò in un attimo. Si alzò in piedi e, con uno scatto, strinse Anta in un forte abbraccio, affondando il viso nei capelli di lei.

Per un attimo, Anta giurò di averlo sentito singhiozzare.

 

- Ci andrai? - chiese Kay.

- Chi ti ha detto che potevi sederti qui? - rispose Amy, annoiata. Leggeva un libro su una panchina nel cortile scolastico.

- Tu.

- Non l'ho mai fatto.

- Si, invece! Non ti senti? “Oh, Kay, sono tanto triste! Siediti qui vicino a me, ho bisogno di un po' di compagnia!” - disse lui, imitando la voce di Amy in modo un po' troppo acuto.

- Sei sicuro che non ti dica solo: “Fammi finire di leggere questo libro e forse tra un paio d'anni potrai proferir parola?”.

- No, fidati, non vuoi dire questo. - Kay sorrise.

- Seriamente. - Amy accavallò le gambe e si girò dalla parte opposta a quella del ragazzo. - Vorrei stare da sola per un po'.

- D'accordo... Ma dimmi solo se ci andrai.

- Non lo so. - rispose lei, ormai facendo solo finta di continuare a leggere.

- Hei, so che per te è dura... - Kay si avvicinò un po' ad Amy. - …e so che questa storia della lettera ti ha turbata... ma secondo me dovresti andare.

Amy chiuse il libro, nervosa. - Non ne sono sicura...

- Si tratta di tua madre! Dannazione! Devi andare! È quasi un obbligo! Tu sei sua figlia!

- Si, ma... non mi ci sono mai sentita veramente.

- Santo cielo! - Kay si alzò bruscamente dalla panchina. - Ho capito, sai? Vuoi rimanere qui da sola a crogiolarti nella tua tristezza! Io questo non lo accetto! Se hai un problema lo affronti e non stai a piangerti addosso! - urlò, come infuriato. - Perché questo è ciò che farebbe una persona debole! E tu non lo sei! Sei sempre stata dannatamente bisbetica, rompiscatole e maestrina ma mai, mai debole! Ed odio vederti ridotta così! Tu mi sei sempre piaciuta perché avevi un carattere forte ed intraprendente, e non avevi mai bisogno di nessuno per cavartela. Sei come me... quindi reagisci! Perché è quello che farei io al tuo posto! E come ho già fatto... - d'un tratto, parve stanco.

Fece per andarsene, ma Amy lo sbloccò.

- Kay! - lo chiamo, con voce quasi implorante.

Lui si girò verso di lei. - Che vuoi?

- Resteresti con me ancora un po'? - solo in quel momento Kay si accorse che Amy non ce l'avrebbe fatta da sola. Che sarebbe crollata. Come stava per crollare in quel momento, che probabilmente se lui non l'avesse aiutata si sarebbe chiusa in se stessa, forse per sempre. Sarebbe rimasta per sempre con gli occhi pieni di lacrime e la voce supplicante, sperando che qualcuno la tirasse fuori dal suo problema. Ma nessuno ci sarebbe riuscito.

Kay si addolcì all'improvviso. - Certo. - si risedette sulla panchina ed abbracciò Amy, che cominciò a piangergli addosso, aggrappandosi alla sua maglietta. Lui le strofinava un braccio, per coccolarla e rassicurarla. Alla fine, Amy era una persona forte, ma ogni persona forte ha dei momenti di debolezza. Perché l'unica differenza tra le persone forti e quelle deboli è che quelle deboli reagiscono emotivamente appena sentono che l'emozione è un pelo troppo dura per loro, mentre quelle forti riescono a trattenere ed a controllare le emozioni, ma alla fine tutto ritorna a galla.

- Voglio te. - disse lei, tra un singhiozzo e l'altro. - Te, e solo te al funerale di mia madre. Non dirlo ad Anta e Ashley. Questa Domenica, voglio che tu sia con me al suo funerale.

- Okay. - rispose Kay, stingendola un po' di più.

Ci fu una piccola pausa.

- Hai detto... che ti piaccio? - chiese Amy, ormai senza quasi più piangere.

Kay non ci riflettè un attimo. Si piegò in avanti, sul viso di Amy. - Non ho detto niente di niente.

Sorrise.

E la baciò.

 

Erano circa le cinque di pomeriggio. La biblioteca era silenziosa e ben illuminata, una decina di persone era seduta sui banchi della stanza leggendo, immerso nelle parole, mentre Anta era in piedi e stava curiosando tra gli scaffali in cerca di qualcosa da leggere.

- Domenica sarà la nostra giornata libera. Hai dei progetti? - chiese Amyas. Anta girò lo sguardo su Amyas, colta alla sprovvista dalla domanda.

- No, niente di particolare. Pensavo di stare in appartamento a leggere un po'. - Anta prese da uno scaffale un libro e sfogliò le prime pagine.

- Non puoi! È da più di un mese che siamo segregati in questa scuola! Hai bisogno di uscire!

- Non saprei... - Anta chiuse il libro e lo strinse al petto. - Insomma, tutti i pullman che partono da qui non vanno in questi “gran posti”...

- Beh, non ti posso promettere una Domenica alle Hawaii, ma vorrei che ti unissi a me, questa domenica.

- E se non riesco a tenere la bocca chiusa e vado a spifferare ai quattro venti dell'accademia? Se mi sfuggisse anche solo per un momento una parola, la scuola lo saprebbe... ci obbliga ad indossare quegli stupidi microfoni! Non voglio essere espulsa...

- Vedrai che non succederà. Ti aiuterò io a tenere la bocca chiusa, non ti farò pensare neanche per un attimo all'accademia! - Amyas sorrise.

Anta ci rifletté un attimo. In effetti, come idea non le sembrava male. - E, sentiamo, dove vorresti andare?

- Che ne pensi del luna-park?

Anta ci pensò su. - Non mi sono mai piaciute le folle... ma potremmo giungere ad un compromesso. - Anta sorrise. - Ultimamente non riesco proprio a farne a meno! Sono deliziose! E ti danno quell'energia che... non so. È una sensazione fantastica!

Amyas tirò fuori dalla tasca un contenitore e lo porse ad Anta. Lei lo aprì e afferrò il contenuto. Una Fry.

- Ok, facciamo così. - cominciò Amyas. - Io ti lascio mangiare quella Fry se accetti di venire con me al luna-park, Domenica.

Anta accettò subito. In fondo, era come una doppia vincita. - Spero ne varrà la pena. Però, le giostre su cui saliremo le scelgo io!

- Sei proprio una bimba capricciosa tu!

- Non è vero... - borbottò Anta, ma sorridente.

- Si che lo è. - Amyas le fece una linguaccia.

- No.

- Si.

- No!

- Si!

- E piantala!

- Vedi? Sei troppo suscettibile per i miei gusti.

- Stai dicendo... che non ti sto simpatica? Che... non ti piaccio?

- No. - Amyas sorrise. I suoi occhi e quelli di Anta si incontrarono per qualche secondo. Entrambi furono incapaci di muoversi, per quei pochi secondi. - Al contrario.

 

Il preside sfoggiava il suo solito sorriso che cominciava da un orecchio e finiva dall'altro, quando fece una proposta ad Ashley.

- Ciao, Ashley. - lo salutò felice. - Siediti, caro.

Ashley guardò la poltrona di pelle con una sorta di disgusto. Sicuramente sarà fatta con una qualche pelle animale. Pensò.

- No grazie. - rispose.

- Tranquillo, ragazzo, so cosa stai pensando. La poltrona è del tutto ecologica, puoi sederti senza problemi.

Ashley guardò di nuovo la poltrona con diffidenza, ma alla fine si sedette. Era un posto strano, l'ufficio del preside, c'erano pupazzi di gattini di tutti i colori sparsi ovunque, e lattine di bibite energetiche esposte al posto dei libri nella libreria, al soffitto era appeso un enorme lampadario a forma di fungo, mentre la sua scrivania era bianca e, oltre al nome del preside “R. Micchel”, sul lato della scrivania c'era scritto uno slogan: “I bravi bambini meritano buone caramelle”.

Ma che diavolo di preside gli aveva inviato il consiglio? Sicuramente ci sarà stato un errore! Del tipo che il vero preside ha avuto un incidente e che un giullare l'abbia sostituito momentaneamente pensando che sapesse recitare la parte!

- Scusi se mi permetto, ma come mai quest'improvvisa chiamata? - chiese Ashley.

- È giusto che tu lo chieda, ragazzo. Ma prima che io ti risponda, voglio che tu mi faccia un giuramento.

- Signore? - chiese Ashley, confuso.

- Voglio che tu giuri che non dirai niente a nessuno del fatto che ti sto per dire i tuoi voti.

- Cosa? I miei voti? - Ahsley era confuso. - Ma non si possono sapere i voti di nessuno finché non vengono appesi i cartelloni, fino a fine trimestre!

- Si, ma... per poterti spiegare il perché io te lo voglia dire, dovrai promettere di non dire nient a nessuno. Si creerebbe il caos dell'invidia e tu ed io verremmo odiati da tutti. Ed io non voglio che gli studenti mi odino, gli voglio bene!

- Ok. Lo prometto.

- Eccellente. - ci fu una pausa. - La ragione per cui ti ho fatto venire nel mio ufficio è che voglio che tu sia il rappresentante del consiglio studentesco.

- Consiglio studentesco? Da quando esiste in questa scuola?

- Da oggi. Stamane mi sono alzato, ho bevuto il mio latte al cioccolato, e mi sono detto che sarebbe stata un'idea divertente. Così ho deciso di chiamare i dieci alunni con i voti più alti dell'accademia e di unirli per formare il consiglio studentesco. Ovviamente, se accetterai l'incarico.

- Un momento! Non credo di aver capito... io sarei uno dei dieci studenti più talentuosi alunni della scuola?! Io?!

- Esattamente, giovanotto.

- Ed a che posizione? Insomma... quinto, sesto, settimo...

- Primo. - rispose secco il preside, ma il suo sorriso continuava ad essere costantemente aperto.

Ashley non credeva alle suo orecchie. Primo! Primo! - Con che punteggio?

- Con un punteggio di... - il preside frugò tra alcuni fogli sulla sua scrivania, sbirciando la risposta alla domanda del ragazzo. - 98 su 100.

- Cosa?! Non...- Ashley si alzò dalla poltrona. - non... è... - si poggiò una mano sulla fronte, quasi scioccato dalla notizia. - Incredibile! Non ne avevo idea!

- Credici, Ashley. Te lo sei meritato.

- E-e quindi?

- Quindi, vorrei che facessi parte del consiglio studentesco. Ma non come semplice membro, ma come capo. Sarai il presidente.

- Wow! E di che cosa mi dovrei occupare, esattamente?

- Beh, ti occuperai di organizzare gli eventi che io ti proporrò, o anche proposti da te, poi ti occuperai di riferirmi tutti i problemi dei ragazzi sull'accademia, cosicché io possa procedere a sistemarli. Inoltre, avrai accesso a tutte le mie cartelle ed i miei documenti, a patto che tu non diffonda per tutta la scuola il loro contenuto. In breve, sarai una specie di vicepreside, ed avrai ben nove persone al tuo comando. Allora, accetti l'incarico?

- Si! Certo che accetto! Quando inizierò?

- Il prima possibile, poiché c'è un evento che mi piacerebbe che organizzaste già da subito. Il problema è che, mi dispiace dovertelo dire, ma per vari motivi dovresti saltare la tua prima Domenica libera. Insieme, ovviamente, agli altri nove studenti. In poche parole, e di nuovo ti chiedo scusa per il tuo fine settimana, dovreste avere il vostro primo incontro questa domenica.

- Ah... c-certo, va bene. Avevo altri programmi ma... li annullerò. - Ashley assumette un'aria sconsolata. - Che evento voleva che organizzassimo?

- Il ballo di fine estate.

- Un... un ballo?

- Certamente, un ballo. Dovrà essere colorato e vivace, ma allo stesso tempo dovrà essere nostalgico, come segno di qualcosa che se ne va. Il ballo dovrà essere pronto entro tre settimane. Il consiglio studentesco si riunirà nella sala riunioni al terzo piano una volta ogni due settimane obbligatoriamente, mentre per gli eventi minimo una volta ogni due giorni. Tutto chiaro? Hai delle domande?

- A dir la verità si. - esordì Ashley.

- Chiedi pure, sono a tua completa disposizione.

- Se io sono lo studente con i voti più alti di tutta la scuola... significa che la mia squadra è in prima posizione?

- Ahimè. - sospirò il preside. - No, non lo siete. Siete più o meno ventesimi. Che, tutto sommato, non è male, pensando che le squadre di tutta la scuola sono poco più di mille.

- E... come mai? Perché siamo ventesimi? Non mi sembra che ci sia nessuno della mia squadra che non sia bravo a scuola...

- Mi dispiace informarti che siete a quella posizione solo per un componente della squadra che, a quanto pare, non si impegna abbastanza.

- Davvero? E chi sarebbe?










SPAZIO AUTORE!

 

Buongiorno/buonasera, cari lettori. Scusate se questo capitolo è stato parecchio più corto degli altri e ci ha messo un sacco ad uscire ma... è tutta una piccola situazione che dovevo creare per il prossimo capitolo che sarà pieno di BOOM e di SLASH e di WOOOOW ed un sacco di altre cose che spero vi piaceranno molto. Perché ho fatto lo spazio autore solo ne capitolo 7? Beh, perché tutti sanno che il cielo è giallo e che 2+2 fa pesce! Che domande! Comunque non so se ne farò altri di spazi autore perché, si sa, il colore del cielo cambia a volte! Ed anche la matematica, poiché è un opinione, può cambiare. Quindi facevo questo breve spazio autore solo per avvisarvi che non sono morta e che vado solo un po' più a rilento perché è appena iniziata la scuola e... insomma, ho molto da fare. Non abbandonatemi solo per i miei impegni! :'( Comunque ricordatevi che gli asicorni non volano e che tutto il mondo è felice... tranne forse Anta ma vabbè. ;)

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Capitolo 8
*** Domenica ***


Capitolo 8:

Domenica

 

Erano circa le sette di mattina quando Anta si svegliò. Normalmente si sarebbe sentita assonnata o moribonda, ma non quella Domenica. Si sentiva energica, felice. Perché alle 8:30 si sarebbe incontrata con Amyas, per passare assieme a lui il suo primo giorno libero.

Si guardò attorno per un momento. Stranamente, il letto di Amy era vuoto. Era già uscita? Strano. Ma non stette molto a pensarci, glielo avrebbe potuto chiedere una volta che lei sarebbe tornata a casa.

Dopo aver bevuto un bicchiere di latte caldo ed essersi fatta una rilassante doccia, corse in camera alla ricerca di qualche vestito carino da indossare. Aprì il suo armadio e cominciò a scavare fra i suoi vestiti. Ne notò subito uno rosa pallido, lungo fin sopra le ginocchia. Si ricordò che era stato il fratellino a consigliarglielo, giusto l'anno prima. Quando l'aveva vista con quel vestito indosso, le aveva detto che gli sembrava di aver visto un angelo. Lei gli aveva scompigliato i capelli già arruffati di loro ed in seguito aveva comprato il vestito.

Decise di indossarlo.

Si tolse il lungo asciugamano che la copriva asciugandosi le ultime gocce d'acqua che le rimanevano sul corpo, prese dal cassetto della biancheria un grazioso completo grigio chiaro e lo indossò assieme al vestito. Il suo scopo era abbinare al vestito rosa pallido degli accessori grigio chiaro (ovviamente senza esagerare). Prese da un secondo cassetto un nastro che si legò in vita ed un girocollo. Si guardò allo specchio e sorrise. Ora bisognava pensare ai capelli. Dopo esserseli asciugati, se li pettinò in un'ordinata treccia che le ricadeva sulla spalla sinistra, fermandola alle punte con un nastrino grigio. Come tocco finale, alle orecchie si sistemò due piccoli orecchini a brillante trasparenti.

Quando fu sicura di essere assolutamente impeccabile, uscì dalla sua stanza per andare a prendere la piccola borsetta all'ingresso.

- Hei. - la salutò una voce da dietro le spalle. Anta ebbe un attimo di sussulto. Si girò di scatto. Kay la stava guardando con aria assonnata, gli occhi socchiusi. Indossava solo i pantaloni blu scuro sciupati del pigiama. Anta arrossì subito e distolse lo sguardo. Anche se aveva due coinquilini maschi, non voleva dire che si sentiva a proprio agio a vederli a petto nudo. Aveva visto molte volte Kay così, ma ogni volta le faceva lo stesso effetto. Lo trovava troppo bello, con il suo fisico fin troppo perfetto, quasi scolpito.

- Ti sei appena svegliato, Kay? - chiese lei.

- Si, anche se è il mio giorno libero e vorrei passarlo a dormire fino a stasera, devo andare da un'altra parte. Ho un impegno.

- Che tipo di impegno?

- Non posso dirtelo. Segreto.

- Ok, ok. Tanto anche io ho un impegno.

Sembrò solo allora che Kay si accorse veramente della presenza di Anta. Aprì bene gli occhi e la squadrò da capo a piedi, notando il suo abbigliamento decisamente più grazioso del solito. Curvò un angolo della bocca con sguardo quasi... dolce. Era l'effetto “post-dormita” che lo faceva diventare più gentile? - Sei molto carina. - disse alla fine.

A quel complimento, Anta sentì le sue guance diventare ancora più rosse, in fiamme. Ma sorrise. - Grazie.

- Dove stai andando? - chiese lui.

- Al luna park, con Amyas.

- Di nuovo lui? - Kay sembrò indispettito ed avanzò di qualche passo, fino a ritrovarsi affianco ad Anta. Ma lei continuava a non guardarlo.

- Andiamo solo a fare un giro. - si giustificò lei, anche se non aveva niente di cui scusarsi.

- Stai attenta, però. Non mi fido...

- Non ti fidi di Amyas? Ma se siete sempre andati d'accordo!

- Infatti. È... un bravo ragazzo.

- Ma cosa dici?! Non sei molto coerente.

- È solo che... io... non posso... - cercò di dire Kay ma, per qualche motivo, non ci riusciva. Come se per lui fosse faticoso tirare fuori le parole. Come se qualcosa lo trattenesse.

- Senti, - cominciò Anta, questa volta guardandolo negli occhi. - fai pure quello che devi fare. Magari dormi ancora un po', magari parli così perché sei stanco. - prese la borsa e se la mise a tracolla. - Divertiti oggi. Io torno stasera. - Anta aprì la porta d'ingresso ed uscì di casa. Kay rimase a fissare la porta, incapace di muoversi. Sapeva ciò che Amyas stava cercando di fare, allora perché? Perché non riusciva a dire niente? Cosa gli stava succedendo?

Kay camminò fino alla sua camera. Come sempre, il letto di Ashley era vuoto, poiché era sempre di sua abitudine svegliarsi presto e volare fuori dalla finestra ad assaporare l'alba. Il letto di Kay, invece, era occupato. Si era quasi scordato che avevano dormito insieme. Lui e Amy. Avevano passato la notte abbracciati l'uno all'altra, poiché lei aveva bisogno di più sostegno possibile.

Il ragazzo si infilò nel letto e avvolse Amy in un abbraccio delicato.

- Kay? - fece lei, ancora mezza addormentata. - Dobbiamo alzarci? Che ore sono?

- Si. Sai, hai un cattivo alito e puzzi.

- Dovrei lavarmi?

- Se non vuoi far svenire tutta la chiesa per il funerale di tua mamma, te lo consiglio vivamente. - Kay sorrise.

- Va bene. Vado. - disse Amy, e si alzò dal letto velocemente. Poi fece per andarsene, ma Kay la afferrò per un polso.

- Aspetta! - disse lui. Amy si girò a guardarlo. - Siediti un momento.

Amy si sedette sul letto con aria triste, senza guardare più negli occhi Kay, ma continuandogli a tenere la mano.

- Dai, ammetto che non era la migliore delle mie battute, ma tu avresti risposto comunque! Lo so che sei triste per la morte di tua madre... ma non voglio che tu entri in una sorta di depressione. Quindi te lo devo chiedere: stai bene?

- Si. - rispose lei. Kay le sollevò il viso con un dito, costringendola dolcemente a guardarlo. Gli occhi di Amy erano come vuoti e gonfi.

- No. Non stai bene. Lo vedo, sai? Hai gli occhi gonfi e non ti comporti come al solito. Cerca di ricordarti che sei una ragazza forte, ok? Supererai anche questa.

- Kay...

- Lasciami finire. So che hai pianto stanotte, e lo posso capire. Ma tengo molto a te e non mi piace vederti in questo stato, quindi...

- Kay.

- Se potessi...

- Kay! - disse a voce alta Amy. Lui rimase senza parole.

- Si?

- Tu mi fai stare bene, se ti può consolare. - Amy cercò di azzardare un sorriso.

- Quindi se ti baciassi, staresti meglio?

- Penso proprio di si.

- Allora va bene.

Kay avvicinò il viso ad Amy per baciarla, ma poco prima di farlo si tirò indietro.

- Prima però vai a lavarti i denti. - sussurrò lui. Amy sul momento non si mosse, poi cominciò a ridere, Kay rise dopo di lei. Ed in quel momento, entrambi furono felici.

- Sei pessimo! - scherzò Amy.

- Sai, a volta una risata può essere meglio di un banale bacio.

- Chi sei? E che fine hai fatto fare a Kay? - Amy rise di nuovo.

- Non fare del sarcasmo e vai a lavarti, puzzi di fogna!

Amy si alzò in piedi, afferrò un cuscino e lo lanciò alla pancia di Kay, prima di uscire dalla stanza con un sorriso stampato in fronte.

Kay rimase pensieroso ad osservare il vuoto oltre la porta. Tra un circa tre ore, si sarebbe ritrovato davanti a tutta la famiglia di Amy in lacrime. Non che non volesse conoscere la sua famiglia, ma diciamo che non erano le circostanze migliori. Sarebbe stato ricordato da tutti come: “Il ragazzo che accompagnò Amy al funerale della madre”. Ma non poteva farci niente. Voleva bene a Amy, anzi, le piaceva. Ed in quel momento, aveva bisogno di lui più che mai.

Dopo circa dieci minuti, Amy uscì dal bagno con i capelli avvolti in un turbante e con indosso solo della biancheria intima bianca. Andò in camera sua, e Kay la seguì. Appena la vide, arricciò le labbra e fece un fischio. - Sexy!

- Non definirei della semplice biancheria bianca, senza neanche un cuoricino sopra, “sexy”, sinceramente. Ma pensala come vuoi. - gli rispose a tono lei.

- Hei, lasciami assaporare questo momento. È da più di un mese che non vedo una ragazza in biancheria.

- Ah, si? - Amy aprì l'armadio e ci guardò dentro. - Intendi dire che a casa avevi delle ragazze che si spogliavano per te o che avevi un computer?

- Ah-ah. - rise sarcasticamente Kay. - No. In nessuno dei due casi. È così difficile credere realmente che io possa interessare alle ragazze? Insomma, dopo tutto, anche tu ti sei invaghita di me.

- Ehi, ehi. - lo bloccò subito Amy. - Ci siamo solo baciati una volta, non vuol dire che siamo un coppia!

- Si, si, ho capito. Però... - Kay si avvicinò ad Amy, avvolgendo con le braccia il suo bacino. - Voglio sentirti dire che ti piaccio. Non me l'hai ancora detto, dopotutto.

Amy stette in silenzio per qualche secondo, accarezzando le mani di Kay. - Ok, lo ammetto. Mi piaci.

Kay sorrise. - Che stai facendo? Cerchi dei vestiti? - cambiò argomento lui.

- Si. Il problema è che ho pochissimi abiti neri, ed obbligatoriamente ad un funerale ci si dovrebbe vestire di nero. - rispose lei.

- Se ti può aiutare, posso scegliere io tra i pochi vestiti che hai, e se manca qualcosa, prenderò quel qualcosa dal mio armadio, dove praticamente ho solo abiti neri.

- Tu? Aiutarmi?

- Che c'è? Non ti fidi? Io mi vesto sempre bene.

- Non è che tu non vesta bene, è che ho paura che mi faresti vestire da cameriera francese sexy.

- Hai davvero un vestito del genere?

- Kay! - lo rimproverò Amy, ma nel suo viso si poteva scorgere un sorriso.

- Ok, ok. Fammi vedere un po' cosa c'è qui...

 

Anche per Summer la Domenica era un giorno per rilassarsi un po' e per riorganizzare i programmi della squadra. Si era seduta su una panchina in giardino, vicino ad Ashley. Lui non aveva obiettato quando lei si era seduta, e neanche quando lei cominciò a parlargli.

- Buongiorno. - disse lei, con il suo solito tono senza emozione.

- Ciao. - rispose Ashley, ma il suo tono era annoiato, stanco.

- Mi hanno informata che lei è il nuovo presidente del consiglio studentesco. Congratulazioni.

- Più che “nuovo” dire più “primo”. L'accademia è nuova di zecca e non c'era mai stato nessun altro presidente del consiglio studentesco.

- Si. Confermo. Scusi l'errore.

- Figurati, non c'è bisogno che ti scusi. - Ashley sorrise per un attimo, poi, però, tornò serio, quasi preoccupato. Aveva risposto di riflesso, come sempre faceva il suo animo dolce e sensibile, ma... perché si dovrebbe scusare con una macchina?

In quel momento, Ashley guardò Summer negli occhi. E ci fu qualcosa che attirò subito la sua attenzione: nell'occhio sinistro di Summer, si era formato un sottile strato di verde nell'angolo dell'occhio rosso. Sarà solo il riflesso del sole. Pensò Ashley, e si strofinò con forza gli occhi. Quando ritornò a guardare quelli di Summer, erano tornati tutti completamente rossi. Si, sarà stato un riflesso.

- Devo andare. - fece poi lui, alzandosi dalla panchina. - Tra poco ho la prima riunione del consiglio studentesco, dobbiamo organizzare un ballo scolastico.

- Lo so. - rispose Summer. - Buona giornata, Ashley.

- Buona giornata anche a te! - rispose di nuovo per riflesso Ashley, pentendosene subito dopo. Stava forse diventando più dolce con... una macchina? Non era da lui.

 

- Non sono d'accordo. Mi prenderanno per una sgualdrina. Non posso andare al funerale di mia madre conciata così. - disse Amy, guardandosi allo specchio.

- Per la trecentesima volta... non è vero! La smetti di essere così ansiosa? - ribadì Kay. - Non si nota che quella maglietta è mia.

- Si, invece! Guarda! - Amy prese i lati della maglietta e li tirò. - È troppo larga!

- No, non lo è. Stai solo cercando una scusa per non andare al funerale.

- Non è vero! È solo che se qualcuno si accorge che questa maglietta non è mia ma, anzi, che è tua, penseranno... che ho passato la notte con te.

- Ma è così.

- Sai cosa intendo. - Amy sospirò.

- E cosa ci sarebbe di male?

- Si, certo. Già mi immagino la scena: “Hei, ciao papà, ti presento Kay, quella persona che ha rubato la mia verginità. Già, mi consolo così per la morte di mia madre.”. Non mi sembra una grande idea.

Kay ridacchiò alla battuta. - Perché, sei vergine?

- Si. Cioè, no. Non è questo... Ma mio padre non lo deve sapere. Se glielo dicessi penso che mi costringerebbe alla cintura di castità fino al matrimonio. Ah, e ovviamente ucciderebbe il ragazzo che mi ha... “profanata”, come direbbe lui. - Amy si lasciò sfuggire un sorriso, ma poi quel sorriso divenne triste.

- A cosa pensi?

- A mia madre. È vero, è da quando avevo sette anni che non è più la stessa e mi sono convinta che quella donna non sarebbe più stata mia madre ma... se chiudo gli occhi e penso a lei... rivedo la mamma che era dieci anni fa: affettuosa, premurosa, gentile, intelligente... mi manca.

- Ehi. - Kay accarezzò la schiena di Amy. - Tua madre era malata.

- Sai come l'ho scoperto? - fece Amy dopo una brave pausa. - A sette anni sono entrata in camera sua e lei non mi ha voluto vedere. Mi ha urlato di andarmene ed ha farneticato qualcosa sul fatto che non ero sua figlia, che mio padre l'aveva tradita. Che mi odiava. Ho provato ad avvicinarmi a lei perché sapevo che non si sentiva bene in quel momento e lei mi ha dato uno schiaffo. Mia madre non mi aveva mai picchiata prima. Ed è stato quello schiaffo a farmi capire che quella donna non era mia madre. E poi, alla prima visita, il medico diagnosticò un disturbo illusorio.

- Smettila di parlarne, Amy. Non ti fa bene.

- Lei credeva in ciò che non era reale, Kay! Lei è morta pensando di odiarmi! Di odiare me e mio padre! - la voce di Amy tremava, ma non stava piangendo.

Kay prese velocemente il viso di Amy tra le mani e la baciò. Fu un bacio lungo, intenso, ingarbugliato in troppi sentimenti per una sola persona. Quando Kay si staccò, continuò ad accarezzarle le guance con i pollici.

- Adesso andiamo. - disse Kay. Amy annuì.

- Grazie. - disse Amy con un sorriso.

- Ti dovevo un bacio, no?

- Si. - Amy ridacchiò. - Andiamo, su! La limousine ci aspetta.

- Limousine? - chiese Kay, stupito.

- Pensavi davvero di andare ad un funerale in cui è coinvolto anche il sindaco e viaggiare in pullman? Davvero?

- Beh, io... - Kay si strofinò la nuca con una mano. - Non ho mai partecipato ad un evento di tale importanza. Ci saranno... giornalisti?

- Si. - fece Amy. - Ma non preoccuparti. So come trattare con loro. Tu seguimi e basta. Non ti staccare mai dal mio fianco.

Kay sorrise. - Non lo farò.

 

Ancora non riusciva a crederci. Lui, Ashley, presidente del consiglio studentesco. Ne sarebbe stato all'altezza? Non era mai stato un leader, il capo di un gruppo. Però gli piaceva l'idea.

L'aula del consiglio studentesco era la stessa sala in cui i professori si riunivano. Al centro di questa, c'era un lunghissimo tavolo con disposte attorno almeno venti sedie, nella parete in fondo c'era un camino spento con affianco un paio di piante.

Al tavolo erano già seduti nove studenti. Temendo di essere in ritardo, Ashley accennò uno sguardo all'orologio sopra il camino. Ma non era in ritardo.

Tutti lo guardarono in silenzio, finché una ragazza si alzò in piedi.

- Ciao. - lo salutò sistemandosi la minigonna nera in pizzo, che si intonava a meraviglia con la maglietta azzurra.

- S-salve... - azzardò Ashley, ed avanzò fino ad arrivare al lavoro, alla sedia a capotavola che probabilmente avevano lasciato libera per lui.

- Mi chiamo Sky. - continuò lei, seduta affianco ad Ashley. - E sarò il tuo braccio destro. - Sky accennò un sorriso cortese.

- Mi trovo alla seconda alunna più talentuosa della scuola? - scherzò Ashley cercando di rompere il ghiaccio, ma nessuno rise, neanche Sky che, però, lo trasse in salvo dall'imbarazzo di quel momento.

- Per poco. - rispose lei. - Stai attento, potrei rubarti il posto quando meno te lo aspetti. - Sky fece l'occhiolino ad Ashley da dietro gli occhiali, poi rise, e gli altri insieme a lei.

Ashley sembrò comporre con le labbra la parola: “Grazie”, poi si sedette.

Così, alla destra di Ashley c'era Sky, mentre alla sinistra un ragazzo coi capelli castani e gli occhi verdi, vestito con una maglietta nera e dei pantaloni verde militare.

- Sono Eric. - disse lui. Ed a seguito si presentarono tutti gli altri: Greta, Andres, Yuri, Marcus, Naomi, Liz e Chris.

- Bene, ora che tutti ci siamo presentati tutti, possiamo passare alle cose serie. - esordì Ashley, cercava di atteggiarsi a capo, e ci stava riuscendo abbastanza bene, ma in fondo sentiva un profondo imbarazzo. - Il preside ci ha incaricato di organizzare un ballo per il fine estate entro tre settimane. Tutto ciò che mi ha detto è che dovrà essere un evento molto colorato e vivace.

- A me ha consegnato una busta, oggi. - fece Sky, frugando nella sua borsa e tirandone fuori una busta color arcobaleno. - Ma non l'ho ancora aperta. - la ragazza passò la lettera ad Ashley, che l'aprì.

- Carissimi alunni del comitato studentesco. - lesse. - Volevo solo augurarvi buona fortuna per il vostro percorso in questo progetto. Tutto qui. Nient'altro. Ah! Di seguito troverete un assegno con il budget che vi è permesso utilizzare. Sbizzarritevi! Non avanzate neanche un centesimo! - Ashley rimase abbastanza deluso da quel poco che c'era scritto nella lettera ma, d'altro canto, cosa si poteva aspettare da una lettera color arcobaleno fuori e con motivo di unicorni dentro?

Mise da parte il foglio e tirò fuori dalla busta l'assegno, che si scoprì essere color rosa.

- C-che cosa?! - esclamò Ashley, stupito, dopo aver letto da cifra. Tutti si incuriosirono.

Eric prese l'assegno dalle mani di Ashley e lesse la cifra. Ed ebbe la medesima reazione. - D-diecimila dollari?!

 

Arrivati davanti alla chiesa, Kay e Amy esitarono prima di uscire dalla limousine.

Amy sospirò – Pronto? - chiese, preparando la mano sulla maniglia della portiera.

- Si. - rispose Kay.

- Ricorda: non lasciare dichiarazioni e non smettere mai di camminare finché non arriviamo alla chiesa. Sei la novità, ora. Se ti fermi non ti lasceranno mai un attimo in pace.

- Me l'hai già detto almeno venti volte! Ho capito! Prova a tranquillizzarti.

- Volevo solo esserne sicura, sono tranquillissima. - Amy sospirò di nuovo. - Andiamo.

Amy aprì la portiera della limousine e subito fu travolta da centinaia di flash e di microfoni. Giornalisti... pensò con una punta di disprezzo: li aveva sempre odiati.

“Come si sente per la morte di sua madre?” “È vero che sua madre era una malata mentale?” “Come ha saputo della morte della madre?” “Dov'è stata per tutto questo tempo?” queste erano le principali domande che sentì Amy appena uscita. Poi, quando anche Kay entrò nel campo visivo dei giornalisti, a quelle domande si aggiunsero anche: “Chi è quel ragazzo?” “Signore, ci può dire qual è il suo rapporto con la figlia del sindaco?” e simili.

Ma i due ragazzi non lasciarono nessuna dichiarazione e filarono veloci in chiesa, dove i giornalisti non potevano entrare. Kay tirò un sospiro di sollievo una volta entrato. Ma scoprì che presto non ci sarebbe stato nessun sollievo.

Un uomo poco più alto di lui, muscoloso, massiccio, vestito con un abito elegante nero era andato ad abbracciare Amy.

- Piccola mia... - disse lui piano.

- Ciao, papà. - rispose Amy.

Kay s'irrigidì di colpo quando il padre di Amy, il sindaco, lo guardò.

- Lui chi è? - chiese il sindaco ad Amy.

- Un mio amico, papà. Anzi, il mio compagno di squadra, a scuola. Mi ha accompagnato qui per farmi un favore. - rispose lei.

- Solo un amico?

- Solo un amico.

- Piacere, signore. - Kay gli tese la mano. - Mi chiamo Kay.

Il sindaco non si mosse, guardando dall'alto in basso il ragazzo. - Si, capisco. - rispose, senza neanche stringergli la mano. Poi si girò ed andò a parlare con un gruppo di persone pochi metri più in là. Kay rimase basito.

- Non prendertela... lui fa così con tutti i ragazzi che abbiano un rapporto con me.

- Gabe! Ragazzo mio! - si sentì rimbombare in tutta la chiesa.

Tutti si girarono a guardare. Il sindaco stava stringendo un ragazzo giovane dai capelli castani.

- Con tutti, eh? - ironizzò Kay.

Amy alzò gli occhi al cielo e sospirò. - Tutti tranne lui.

Il ragazzo, liberatosi dal saldo abbraccio del sindaco, si stava avvicinando ai ragazzi.

- Ciao, Gabe. - lo salutò Amy con un sorriso triste. - Grazie per essere qui.

- Era il minimo. - Gabe abbracciò Amy, stringendola forte. - Tu come stai, tesoro?

Tesoro?! Pensò Kay. E questo qui chi cavolo è?

- Meglio. - rispose lei.

Kay si schiarì la voce, ed i due ragazzi si staccarono l'uno dall'altra.

- Ah, giusto. - fece Amy. - Gabe, lui è Kay. Kay, lui è Gabe.

- Piacere. - fece Gabe, stringendo la mano di Kay.

- Tuo fratello? - chiese Kay ad Amy.

- No... - cominciò lei.

In seguito, fu come una pugnalata allo stomaco. Come nei film. Sul momento, il protagonista non si accorge che l'abbiano pugnalato, poi abbassa lo sguardo, ed è solo in quel momento, quando vede il pugnale, che la ferita comincia davvero a sanguinare ed a fare male.

Per lui, quelle parole fecero il medesimo effetto. Le parole: “È il mio fidanzato”.

- Ah. - fece lui sul momento, quasi scioccato. Poi guardò Amy, ma lei non lo guardava. - Complimenti.

- Ehm... Grazie. - rispose Gabe. - Tu? Sei un suo amico?

- Si... solo un amico. - rispose, sentendo un sapore amaro in bocca.

- Oh, ci sono i miei. Vado un attimo a parlarci. - Gabe diede un bacio sulla guancia ad Amy. - È stato un piacere, Kay. - poi si dileguò velocemente.

Ci fu una lunga pausa di silenzio.

- Kay... - cercò di dire lei, ma lui la interruppe.

- No. Non... non dire niente.

- Ma, Kay... lasciami spiegare!

- No! Potevi almeno dirmelo prima!

- Prima di cosa, Kay? Il nostro non è stato un rapporto programmato. Non me lo aspettavo, ed ero triste, confusa e sola... avevo bisogno di qualcuno al mio fianco.

- Certo, e non hai mai pensato neanche ad accennarmi che fossi fidanzata?! - Kay avrebbe voluto urlare, ma sapeva che se lo avesse fatto, si sarebbe sentito per tutta la chiesa, quindi si tratteneva e sussurrava arrabbiato.

- Dio! Ne fai una cosa così seria! Ci siamo solo baciati un paio di volte! Era per divertirsi! Per svago!

- Si, certo. Forse per te!

Detto questo, Kay aprì la porta della chiesa e, rapido, se ne andò.

 

Anta si sentiva un po' dispiaciuta ed offesa. Si era svegliata presto per vestirsi in modo carino solo per Amyas. Ma lui sembrava non accorgersene.

Era ormai calata la sera e per terminare l'uscita al luna park, Amyas aveva proposto di salire sulla ruota panoramica, e lei non aveva obiettato.

- Vuoi? - le chiese Amyas, mostrandole una Fry. - Posso tentati?

- Di nuovo? - rispose Anta quasi ridendo. - Ne avrò mangiate almeno cinque oggi!

- È che ti vedo un po' giù di morale... quindi, voglio offrirti questa sesta Fry. È più forte delle altre, ti farà sentire ancora meglio del solito.

Anta provò a resistere a quella deliziosa pallina, ma non ci riuscì: prese dalle mani del ragazzo la Fry e la mangiò in due bocconi. Ormai ne era diventata totalmente dipendente, non riusciva a stare un giorno solo senza mangiarne almeno una.

Era vero, però, quella Fry era diversa. Diede un diverso effetto rispetto alle altre. La faceva sentire meglio, più leggera e più vivace ma allo stesso tempo... strana.

- Super buona! - esordì Anta, forse un po' troppo sorridente per quella situazione.

Poi, d'improvviso, la giostra si fermò.

- Problema tecnico? - ipotizzò Amyas. Anta fece spallucce e si sdraiò sulla panca della cabina, osservando il tramonto dal tettuccio panoramico.

Tese una mano verso l'alto – Luccica! - esclamò ridendo. Poi smise di ridere. - Vorrei andarci, in cielo. All'inizio di tutto. - lasciò cadere il braccio sullo stomaco. - Quando i miei genitori sono morti... volevo andarmene anch'io, per rivederli di nuovo e stare con loro in paradiso per sempre. Ma il fatto che Donny, mio fratello, sia ancora vivo... non mi ha mai permesso di compiere davvero il suicidio, perché altrimenti l'avrei lasciato solo. E...

- Smettila. - la interruppe secco Amyas. Anta girò la testa verso di lui, che si era già alzato per poi risedersi vicino a lei. - Non voglio che dei discorsi deprimenti sulla tua vita passata rovinino il nostro primo appuntamento, okay?

Anta lo guardò per qualche secondo - Ok. - sussurrò alla fine, poi tornò a guardare seria il cielo.

- E sorridi! Avanti! - Amyas cominciò a farle il solletico sui fianchi per cercare di farla ridere, e funzionò.

Lei per riflesso si era piegata in due ridendo, ma quel movimento le aveva fatto perdere l'equilibrio, facendola cadere a terra e trascinando giù con lei anche Amyas.

La cabina dondolò prima a destra poi a sinistra. Ad occhi chiusi per la testata al pavimento, Anta sussultò: non le piaceva l'idea di stare sospesa a cinquanta metri da terra in una cabina instabile. Per lo spavento, si aggrappò alla prima cosa che le sue mani trovarono: i fianchi di Amyas.

E solo in quel momento si rese conto in che situazione si trovava.

Le sue guance andarono in fiamme, ma le mani rimasero fisse sul bacino di Amyas: non ci pensava neanche un secondo a lasciarlo andare.

Sdraiati uno sopra l'altra in uno spazio ristretto, il sentimento si fece più intenso. Amyas spostò dolcemente una ciocca di capelli dalla fronte di Anta e sorrise.

- Sei bellissima. - le disse quasi come un sussurro.

Finalmente era arrivato. Il complimento che Anta cercava da quella mattina. Quello fu il punto di rottura. Anta non resistette oltre.

Fece scivolare le mani dai fianchi di Amyas fino al suo petto, e lì si fermò. Era caldo. E sotto la maglietta riusciva a sentire il suo cuore battere. Batteva per lei, ne era sicura. Esitò un attimo, solo un attimo. Poi prese il collo della maglietta di Amyas e lo attrasse a se, costringendo il ragazzo a reggersi sui gomiti. Giocarono di sguardi, a meno di tre centimetri di distanza l'uno dal viso dell'altra. Vicinissimi. Anta riusciva a sentire ogni singolo respiro di Amyas sulla sua pelle, sentiva il suo cuore battere, il ventre di lui contro il suo.

Sentiva lui. E le piaceva.

Alla fine, fu Amyas a fare il primo passo. Si sporse giusto poco di più verso di lei e la baciò.

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Capitolo 9
*** Conflitti e relazioni ***


Capitolo 9:

Conflitti e relazioni

 

Il crilis stette fermo, immobile, a guardare le sue prede prepararsi a combattere. Si poteva sentire la tensione salire nell'aria.

- Coprimi le spalle. - fece Kay, rivolgendosi ad Amy.

- Neanche per sogno! Sei tu che mi devi coprire! - gli rispose lei.

In quel momento, il crilis scattò in avanti verso Ashley. Fortunatamente lui era preparato ad un attacco: eseguì un veloce movimento con le mani guantate e subito le piante ai piedi della creatura si mossero, attorcigliandosi attorno alle zampe, facendolo cadere a terra. A quel punto Anta puntò la pistola alla testa della creatura e sparò. Ma il proiettile rimbalzò sul cranio del crilis. Se Anta non avesse avuto dei buoni riflessi, il proiettile l'avrebbe colpita subito dopo, ma per fortuna schivò il colpo, che andò a finire nella corteccia di un albero dietro di lei, ma la ragazza perse l'equilibrio e cadde a terra. Kay tese l'arco, preparandosi a colpire, la freccia in mano.

- Non penso che servirebbe. - fece Amy, guardando il crilis dimenarsi per sfuggire alla forte presa delle piante. - Il proiettile non gli ha fatto niente! Figuriamoci una freccia! Ci penso io. - Amy sollevò la bacchetta.

- No! Stai ferma! Non devi fare nessun incantesimo! - le urlò Kay.

- Perché? Vuoi avere tutta la gloria per te? - Amy scosse la testa. - Non oggi. - detto questo, puntò la bacchetta verso il crilis e cominciò a pronunciare delle parole in latino. Kay si lanciò su di lei con un balzo veloce, lasciando cadere a terra la propria arma. Appena dopo che Amy aveva finito di pronunciare l'incantesimo, Kay le diede un colpo forte sulla mano che teneva la bacchetta, facendo deviare l'incantesimo.

Ma lo deviò nel punto sbagliato: Ashley si trovò davanti ad enormi fiamme che minacciavano di avvolgerlo.

Prima che le fiamme potessero raggiungerlo, Ashley fece solo in tempo ad alzare le braccia per proteggersi. Poi, d'un tratto, tutto scomparve. Tutto divenne bianco.

- Levati! - gridò Amy.

Ashley si girò a guardare la scena: Kay era caduto addosso ad Amy, dopo l'impatto, ed adesso le stava sopra. Lei cercava di toglierselo di dosso, con le mani che fremevano dal picchiarlo. Ma Kay non si mosse dalla sua posizione. Prese i polsi di Amy e le inchiodò le mani al pavimento. - Stai zitta! - le urlò di rimando lui.

- Lasciami andare! - continuò Amy, cercando disperatamente di sfuggire alla presa di Kay.

- Non provare mai più ad agire senza prima ascoltarmi! Quello era un crilis, santo cielo! Se avessi usato la magia ti si sarebbe rivoltata contro! Hai rischiato di compromettere la salute tua e della tua squadra.

Amy continuava a scalciare, cercando di liberarsi da Kay, ma senza successo. - Lasciami andare! - ripeté.

- Solo quando ti sarai calmata!

Anta ed Ashley si scambiarono uno sguardo, indecisi se intervenire o no. In fondo, erano giorni che i due amici erano arrabbiati l'uno con l'altra, dovevano essere faccende private, che avrebbero dovuto risolvere tra di loro.

Qualcuno entrò dalla porta. - Kay, lascia andare subito la tua compagna! - gli urlò il loro professore di combattimento di squadra, Arthur. - Cosa ti hanno insegnato nei tuoi brevi diciassette anni di vita?

Kay esitò ancora un attimo prima di alzarsi bruscamente in piedi, Amy dopo di lui.

- In questa prova voi due avete fatto davvero schifo! Se non fosse stata una simulazione, a quest'ora Ashley sarebbe stato bello che morto! Cosa diavolo vi è preso? - urlò il professore, riferendosi a Kay ed a Amy. - Capisco che potreste avere avuto dei dissidi, tutti li hanno, dopotutto. Ma in vista dell'esame finale, dovrete fare molto meglio. Quindi, ve ne prego, cercate di andare d'accordo! Eravate un magnifico duo, in combattimento, davvero, non avevate pari. Tornate come prima! - il professore fece un lungo sospiro, battendo velocemente un piede sul pavimento bianco. - La lezione è finita. Potete andare.

 

Erano successe parecchie cose, nelle successive tre settimane.

Prima di tutto, Anta aveva fatto coppia fissa con Amyas, anche se non aveva avuto molto tempo per stare con lui, dopo che Ashley le aveva annunciato che i suoi voti erano troppo bassi e non sarebbero mai arrivati primi in classifica se lei non avrebbe studiato di più. Non è che Anta non fosse brava a scuola, ma era sempre stata una ragazza da sette o otto, mentre per arrivare in prima posizione, la squadra aveva bisogno che lei arrivasse al nove. Così le fu toccato studiare per tutte le due settimane successive con l'aiuto – a rotazione – dei suoi compagni di squadra.

Amy e Kay avevano smesso di parlarsi e, se lo facevano, erano discorsi freddi o litigi. Anta non sapeva spiegarsene il motivo. Un po' le spiaceva non vederli più bisticciare come prima.

Ashley non era quasi mai in appartamento, troppo impegnato ad organizzare il ballo che ci sarebbe stato un paio di giorni più tardi.

Il preside era sparito dalla scuola da più di una settimana, nessuno ne sapeva il motivo, e la scuola era temporaneamente in mano alla vicepreside Punkins che, fortunatamente, non si faceva quasi mai vedere in giro.

- Ehi! Mi stai ascoltando? - fece Kay con voce di rimprovero, ma il suo viso era calmo.

- Eh? - Anta diede un'occhiata al libro di testo che aveva davanti: matematica. - S-sì. - fece un sorriso imbarazzato. - Dicevamo?

- Qual è il risultato di questa operazione? - Kay indicò con un dito un punto del foglio su cui Anta stava scrivendo. Lei guardò quei numeri come se volessero attaccarla. Non capiva come fossero arrivati lì, con quali procedimenti c'era arrivata o come facesse a risolvere l'operazione. In più, la troppa vicinanza con Kay le faceva sobbalzare il cuore. Da quando usciva con Amyas era migliorata in quel campo, ma quando cominciava a stare troppo vicina ad un ragazzo non riusciva a non imbarazzarsi. Ed in quel momento, seduti così vicini da far toccare le sedie, il cuore di Anta non aveva scampo.

- Ecco... - cominciò lei, ma si rese presto conto di non saper finire la frase.

- Non lo sai, vero? - Kay si lasciò cadere sullo schienale della sedia, con le mani incrociate dietro la testa.

- Mi dispiace tanto! - Anta sospirò. - Non è colpa tua... ma questo argomento proprio non lo capisco.

- Beh, certo che non è colpa mia, in matematica ho sempre preso voti altissimi. - Kay si raddrizzò e prese dalle mani di Anta la penna. - Ti faccio vedere come si fa.

Qualcuno bussò alla porta.

Anta tirò un sospiro di sollievo e si alzò dalla sedia per andare ad aprire.

- Amyas, ciao! - Anta spalancò un sorriso radioso – Cosa ci fai qui?

- Mi serve un motivo per vedere la mia bellissima ragazza? - Amyas cinse il bacino di lei con un braccio, costringendola a sé, e la baciò.

Anta non si era ancora abituata. Ai baci, agli abbracci, alle sorprese o a quel calore che provava dentro ogni volta che Amyas la sfiorava anche solo con un dito. Le sembrava tutto così strano: Amyas era stato il suo primo ragazzo, e quindi spesso Anta era impacciata, insicura, non aveva idea di come ci si comportasse davvero in amore. Ma sapeva che lei ed Amyas stavano facendo un discreto lavoro come coppia. Persino Amy le aveva detto che erano una coppia bellissima.

- Stavamo studiando, Amyas. - si intromise Kay, interrompendo il bacio. Anta, imbarazzata, cercò di allontanarsi da Amyas, ma lui la strinse di nuovo a sé, rendendole impossibile scappare.

- Oh, scusa. - fece Amyas con un sorriso. - Non volevo interrompervi. Ma dovrei rubartela per un po'.

- Un po' quanto? Deve studiare.

- Con tutto rispetto, Kay, Anta è un'adulta, ormai. Può decidere da sola cosa fare e non fare. - gli occhi dei due ragazzi si posarono su Anta, ancora indecisa sul da farsi. Ma dopo aver guardato per qualche secondo il viso sorridente e bellissimo di Amyas, non ebbe più dubbi. - Un'oretta? - propose alla fine.

Kay storse la bocca, non del tutto felice della decisione. - E va bene. Ma poi dovrai saper risolvere quel famoso calcolo.

- Promesso. - fece Anta sorridente.

E così, mano nella mano, la ragazza uscì dall'appartamento con Amyas.

- Dove stiamo andando? - chiese Anta.

- Lo vedrai. Intanto, stai zitta e mangia. - le rispose Amyas mostrandole una Fry. La ragazza divorò la deliziosa pallina in pochi morsi. Amyas estrasse dalla tasca una striscia di stoffa e bendò velocemente la ragazza. - Non sbirciare. - le ordinò poi con voce ferma ma in un certo senso dolce. Anta ridacchiò, eccitata come non mai da quella situazione, e sussurrò debolmente un “okay”.

Amyas prese di nuovo la mano della ragazza e i due cominciarono a camminare per infiniti corridoi fino ad arrivare – circa cinque minuti più tardi – a fermarsi. La ragazza sentì Amyas pronunciare delle parole, e la serratura di una porta scattare.

- Amyas... tu sei un... - cominciò lei, ma lui la interruppe più pacatamente possibile. - Shh. Dopo. - disse.

Anta sorrise mentre Amyas la faceva entrare nella misteriosa stanza. Una leggera brezza – dovuta, probabilmente, ad una finestra aperta – le scompigliava le punte dei capelli, ed un odore di tempera fresca le inebriò le narici. Il ragazzo fece fermare Anta e le tolse la benda dagli occhi lentamente.

Una tela di medie dimensioni, ancora sistemata sul cavalletto, si presentò davanti agli occhi di Anta. Rappresentava una ragazza con la pelle pallida, le guance e le labbra rosee e delicate, i capelli leggermente mossi castano chiaro e lo sguardo concentrato.

- Amyas... l'hai fatto tu? - disse lei, meravigliata da quel capolavoro.

- Si. Per te.

A quelle parole, il cuore di Anta palpitò: nessuno aveva mai fatto una cosa del genere per lei. - È magnifico. Chi è la ragazza?

Amyas parve deluso – Come, non si capisce? Dovresti essere tu.

Anta osservò con maggiore attenzione il dipinto. Effettivamente c'erano parecchie somiglianze ma... - Io non sono così bella.

- Hai ragione. - le rispose Amyas in modo dolce, poi le prese il viso tra le mani e le accarezzò una guancia con il pollice. - Tu sei di più. Non sei bella, sei perfetta.

Amyas si sporse in avanti e la baciò, prima dolcemente, poi con più decisione. Fece scendere le mani dal viso di Anta verso il basso, accarezzandole dolcemente il corpo, provocando dei dolci sussulti al cuore di Anta, che fremeva ad avere di più, sempre di più. Senza quasi accorgersene, Anta si ritrovò con le spalle al muro e con i baci di Amyas che le stuzzicavano il collo. Fece passare le dita tra i riccioli scuri del ragazzo, lentamente. Lui frugò sul bacino di Anta per trovare la cerniera della gonna e, una volta afferrata, la tirò, facendole scendere la gonna fino alle caviglie.

Mentre la ragazza era intenta a sbottonare la camicia di Amyas, si chiese cosa sarebbe successo dopo. Cosa sarebbe successo se si fossero spinti troppo oltre? Amyas avrebbe prima di tutto scoperto quell'orribile pezzo di passato che Anta si portava ogni giorno, nascosto sotto la camicia. E poi... non sapeva se era pronta a donarsi completamente ad Amyas. Non in quel modo... non in quel momento... ma il calore che Amyas le stava facendo provare in quei brevi e preziosi minuti, la stava mandando in estasi.

- Amyas... - provò a dire lei. Il ragazzo la guardò negli occhi, e quando Anta cercò di parlare di nuovo, la zittì dolcemente con un dito e le sussurrò – Ti amo.

A quel punto, Anta seppe di essere pronta: lui la amava e lei amava lui. Non serviva altro per creare il momento perfetto. Ricominciarono a baciarsi. Ma quando le mani di Amyas ebbero raggiunto i bottoni della camicia di Anta, la porta si spalancò.

E qualcuno entrò nella stanza.

 

Ashley era in piedi davanti al leggio nell'aula magna, piena di sedie ancora vuote, a provare e riprovare a mente il discorso che avrebbe dovuto tenere una mezz'ora dopo. Agitato, prese i fogli dalla tasca e li posizionò sul leggio, leggendo quelle parole centinaia di volte senza mai capirle davvero, troppo nervoso per anche solo pensare.

Sentì qualcuno aprire la porta e si girò a guardare chi fosse arrivato. Una ragazza minuta, dai capelli arancioni, era entrata nella stanza.

Ashley sentì un sapore amaro espandersi in bocca: non gli piaceva avere attorno Summer. In realtà, non gli piaceva avere attorno nessun robot.

- Buongiorno Ashley. - lo salutò Summer con un breve inchino. La voce sempre senza sentimento.

- Summer. - la salutò di rimando lui, freddo – Sei in anticipo. Tutti gli A.S.P. dovevano essere qui tra mezz'ora assieme agli altri alunni.

- Si, ma ho inaspettatamente finito prima i miei ordini, e quindi sono arrivata prima.

- Ah, capisco. Cos'è successo?

- Avevo l'ordine di portare delle nuove tempere in aula d'arte e di metterla in ordine. Ma appena arrivata ho visto Anta ed un altro ragazzo che stavano... non so che espressione usare. Avevano le labbra attaccate, Anta era senza gonna ed al ragazzo mancava la maglietta. Mi hanno dato l'ordine di andarmene.

- Cosa?! Anta che amoreggia con un ragazzo in aula d'arte? Non è da lei... - fece Ashley, scosso dalla notizia.

- Ashley, sai cosa stavano facendo? Non so dare un nome a ciò che ho visto, era per caso “amoreggiare”?

- Beh... direi più che si stavano baciando... in modo un po' più spinto... - Ashley era imbarazzatissimo mentre parlava ad un robot di baci e... rapporti romantici umani.

- Quindi... si stavano “baciando in modo spinto”?

- Ehm... ecco, sovrapporre delle labbra a delle altre si chiama comunemente “bacio”.

- E quale sarebbe il suo scopo?

- Ecco, non ha un vero e proprio scopo. È un modo per dimostrare che si ama una persona, che le si vuole bene.

- Capisco. Appreso.

Summer si avvicinò ad Ashley, sul palco. Solo allora lui si rese conto del nuovo vestito di Summer: verde smeraldo, con la gonna lunga fin sopra le ginocchia, senza maniche ma con le spalline ed una profonda scollatura sul davanti – Sai dirmi il nome del ragazzo? Così lo inserisco nel mio database. - fece poi lei.

Ashley, distratto dal seducente vestito di Summer, ci mise un attimo prima di rispondere – Ehm... sì. Se non mi sbaglio dovrebbe chiamarsi Amyas. Lui ed Anta si frequentano da qualche settimana. - Ashley sorrise imbarazzato, cercando di distogliere lo sguardo da Summer.

- Appreso. Ti ringrazio. - rispose Summer.

Gli occhi di Ashley ricaddero sul seno di lei, in un attimo le sue guance diventarono infuocate. Solitamente non si comportava così, era sempre stato un gentiluomo, così come gli avevano insegnato fin da piccolo a casa. Ma era pur sempre un ragazzo adolescente in piena pubertà, santo cielo!

- Ashley, - fece Summer – ti senti bene? Sei tutto rosso in viso.

- C-cosa? S-sì... benissimo. Sarà solo il nervosismo per il discorso che devo tenere. Ma... volevo chiederti... come mai le... le scollature? Ogni volta che ti vedo indossi sempre questi vestiti molto scollati e...

- Sì. Indosso queste scollature per non surriscaldarmi. Vedi, la ventola per tenere i miei circuiti puliti e freschi non può essere coperta o mi surriscalderei.

Ah... allora è solo un fatto di meccanica... pensò Anshley, ma il suo pensiero fu interrotto dalla mano di Summer, che afferrava la sua. Ashley la guardò incuriosito, e quando si sorprese a toccare il centro del petto di Summer, il suo cuore fece un salto, cominciando a battere sempre più velocemente.

- Lo senti? Qui lo strato di pelle sintetica è molto più sottile.

Ashley aveva totalmente perso l'uso della parola. Non aveva mai toccato il seno di una ragazza. Anche se, tecnicamente parlando, Summer non era una ragazza... eppure era così liscia e morbida. Ma una cosa le mancava. Sentiva lo strato di pelle sintetica più sottile... ma mancava il battito del cuore.

Scosse la testa e tolse la mano velocemente. - Potresti farmi un favore? - chiese abbassando lo sguardo, cupo.

- Certamente, Ashley.

- Vai nel mio appartamento e prendi... - Ashley ci pensò su un momento. Aveva solo bisogno di mandarla via per qualche minuto con una semplice scusa - … una bottiglietta d'acqua dal minibar.

- Subito. - e Summer se ne andò.

Ashley si passò le mani tra i capelli biondi e, esasperato, fece un lungo sospiro.

Che giornata! Già quella mattina aveva dovuto rifiutare una ragazza, che neanche conosceva, che gli aveva confessato l'attrazione nei suoi confronti, ed adesso si trovava a palpare il seno finto di un robot... beh, almeno nessuno gli aveva visti.

Passarono pochi minuti e Sky entrò nella strada.

- Hei, ciao! - la salutò Ashley ricomponendosi, sinceramente sollevato nel vederla. - Come mai da queste parti?

- Sono venuta ad augurarti buona fortuna, a giudicare da quanto tu possa essere timido a volte, ti servirà qualcuno che ti sostenga.

- Grazie, è gentile da parte tua. - Ashley sorrise – In effetti... ne avrei proprio bisogno.

- Beh... - fece lei, avvicinandosi al ragazzo ancheggiando – ...potrei stare dietro le quinte a fare il tifo per te. Che ne dici? Anche Eric si è proposto.

- Sì, mi sembra un'ottima idea. Certo, se non vi provoca troppo disturbo.

Sky sospirò ed appoggiò una mano sulla spalla del ragazzo – Ashley, ti preoccupi troppo. Davvero troppo. Dovresti provare... - la ragazza si avvicinò ancora di più ad Ashley, facendo scendere la mano fino al petto di lui – … a rilassarti un po'.

I due si guardarono per qualche secondo negli occhi: lei con sguardo malizioso, lui confuso ed imbarazzato. Era davvero così bello da attrarre le ragazze dopo solo un paio di settimane? Lui non se l'era mai immaginato... nel paesino dove abitava lui, era riuscito a fidanzarsi solo tre o quattro volte, tutte erano troppo prese a guardare un altro ragazzo, Chris. Beh, lui si che era un bel ragazzo! Gli avevano chiesto di posare per modello su una rivista! Figuriamoci se le ragazze stavano a guardare Ashley piuttosto che Chris!

Poi Sky si staccò da lui all'improvviso, come se avesse dato una caramella ad un bambino e poi, senza un motivo apparente, gliela strappasse di mano. - Secondo me hai solo bisogno di una piccola spinta. - disse poi lei. Frugò nella tasca della gonna e ne tirò fuori un dolcetto grande più o meno come una pallina da ping-pong – Prova a mangiare questa.

 

Entrarono in un piccolo sgabuzzino in uno dei centinaia di corridoi della scuola ed Amy chiuse la porta a chiave.

- Kay. - cominciò lei. - Quando ricomincerai a parlarmi?

Amy attese parecchi secondi, paziente, ma Kay non rispose. - Sei solo un'idiota! - continuò lei. - Non mi parli da tre settimane e sei arrivato addirittura a compromettere il rendimento della squadra! La verità, caro mio, è che tu non sei abituato a tradimenti da parte delle ragazze, perché sei sempre tu a tradirle! Le usi come se fossero fazzoletti! Almeno ora sai cosa devono provare loro!

Ci fu un attimo di silenzio.

- L'hai fatto solo per questo? - disse Kay, la voce triste ed arrabbiata allo stesso tempo. - Per farmi una delle tue solite prediche su quanto io sia stronzo? Lo so già da me, grazie tante!

- No, non l'ho fatto certo per quello. Certo, è vero, un po' mi diverte farti la predica, ma ciò che ho detto prima era solo una provocazione per farti parlare. - Amy sogghignò. - Ed ha funzionato.

- Io... - Kay cercò di finire la frase, ma non ci riuscì: la rabbia e la delusione gli bloccarono le corde vocali.

- Non volevo che finisse così. - disse Amy. - Tu mi piaci davvero, Kay.

- E Gabe?! Lui come lo spieghi? - Kay aveva alzato la voce.

- Ho una spiegazione ma... non so se è giusto parlarne. Non è giusto nei confronti di Gabe. Sono cose private.

- Beh, non era neanche giusto nei miei confronti tradirmi!

Quelle parole trafissero il cuore di Amy come nessun'altra arma avrebbe mai saputo fare. Ma riuscì a trattenersi dal piangere o dall'urlare. - Touchè. - disse solo.

Inspirò ed espirò un paio di volte prima di ricominciare a parlare. - Conosco Gabe da quando sono nata. Lui è figlio del miglior amico di mio padre, quindi da piccoli abbiamo trascorso molto tempo assieme. Quando mio padre cominciò ad essere troppo impegnato per badare a me e mia madre aveva cominciato a sentirsi male, continuando a fare avanti ed indietro dall'ospedale, Gabe prese le orme di fratello maggiore, nei miei confronti.

Kay ridacchiò. - Forse un po' più di un fratello.

Amy lo fucilò con lo sguardo. - Lasciami finire. - prese la sua bacchetta dalla tasca, ma non per attaccare, la fissò per qualche secondo, poi la strinse tra le mani, come se la volesse spezzare, come se le facesse tornare alla mente dei brutti ricordi. - C'è una legge, nel mondo dei maghi. Se un cittadino si ammalasse gravemente e i medici gli diagnosticassero una malattia in grado di compromettere le capacità cognitive del cervello, allora al cittadino verrebbe tolta la bacchetta. - Amy sospirò. - Quando compii quattordici anni, mio padre mi regalò la mia prima bacchetta, come di consueto. Ma quando la presi in mano e riconobbi quella di mia madre... quel giorno non fu più un giorno felice. Le avevano tolto la bacchetta perché la malattia che aveva si era espansa fino al cervello. E mio padre aveva voluto regalarmela, come simbolo della famiglia. Ma per me significò solo che mia madre sarebbe morta di lì a pochi anni. All'epoca Gabe aveva già diciotto anni. E mi stette vicino anche quel giorno.

- C-cosa?! - esclamò Kay.

- Non fare quella faccia! Quattro anni di differenza non sono niente!

- Ma...

- Fatto sta, - lo interruppe Amy. - Che qualche giorno più tardi di quel compleanno, mio padre mi disse che era ora di trovarmi un buon partito, perché ormai ero una signorina e... mi obbligò a fidanzarmi con Gabe per faccende politiche. All'inizio rimasi scossa. Non ero innamorata di Gabe e lui non era innamorato di me. Eravamo come fratello e sorella, ma i nostri padri ci costrinsero a stare insieme. Io e Gabe concordammo di provarci. Magari, stando insieme come una coppia, ci saremmo innamorati

- Ed è successo?

- No. - Amy fece un sorriso triste. - No, ovviamente no. Ma non sai quanto avrei voluto che succedesse. Sarebbe stato tutto più semplice.

- Tuttavia, questo non giustifica ciò che hai fatto.

- Non penso che niente possa giustificarlo. Ma in mia difesa posso dire che... volevo provarci. A stare insieme, intendo. Insomma, se noi saremmo scelti per la missione della profezia, potremmo non tornare vivi. E se non fossimo scelti, ci cancellerebbero la memoria dell'ultimo anno e non ci ricorderemmo più l'uno dell'altra. Quindi volevo provare. Non mi sono mai innamorata, Kay. E volevo provarci. Almeno per una volta, prima di tornare al mio futuro già segnato in cui sposo Gabe.

Ci fu qualche istante di silenzio, poi Kay aprì la porta e se ne andò.

 

Ashley sfiorò con le dita le delicate tende rosse del palco e sospirò. Anche se era ancora dietro le quinte, il suo nervosismo non diminuiva, anzi, aumentava ogni secondo di più.

- Andrai benissimo. - lo rassicurò Sky. - Tra poco il cibo che ti ho dato farà effetto e ti sentirai meglio. - sorrise, dandogli una leggera pacca sulla spalla.

- Speriamo. - rispose lui, e dopo qualche paio di sospiri per allentare la tensione, si decise a fare la sua comparsa sul palco.

Arrivò fino al centro ed appoggiò i fogli del discorso sul leggio già pronto per lui. Poi guardò i volti degli studenti presenti in sala, con centinaia di occhi fissi su di lui. Cominciarono a sudargli le mani e se le asciugò sui pantaloni. Sbirciò Sky e Eric, ancora dietro alle quinte, entrambi a fare il tifo per lui.

Deglutì e, finalmente, cominciò a parlare. - Buon pomeriggio, ragazzi ed A.S.P. Mi chiamo Ashley e sono a capo del consiglio studentesco. Mi hanno chiesto di illustrarvi come si svolgerà il nostro ballo d'autunno, che avrà luogo tra un paio di giorni. - Ashley si rese conto in quel momento che la misteriosa pallina di Sky stava facendo effetto: si sentiva la mente vuota, serena, fresca. Sbadigliò. In effetti, si sentiva un po' meglio. - Il ballo si svolgerà nella palestra nord ed in una parte del giardino. Non bisognerà pagare l'ingresso, ovviamente, ma ai bar della scuola saranno in vendita i fiori per invitare la propria dama al ballo. Per chi non avesse un compagno od una compagna, tutti gli A.S.P. saranno a vostra disposizione per parlare o ballare.

D'improvviso, Ashley si bloccò. Sentì una forte emicrania ed una fastidiosa sensazione allo stomaco. Cercò di resistere e continuare il discorso, ma non ci riuscì.

Camminò veloce verso Sky, dietro le quinte. - Continua tu. - le disse.

Senza aspettare una risposta, corse verso il bagno più vicino. Eric lo seguì, preoccupato per lui. Appena Ashley fu arrivato in bagno, cominciò a vomitare nel lavandino. L'amico lo guardava confuso, non poteva fare niente, quindi si limitò a dargli un paio di pacche sulla schiena.

- Tranquillo, - gli disse – Non so cosa diavolo hai combinato, ma starai meglio.

Ashley avrebbe voluto che fosse così. Oh! Quanto l'avrebbe voluto! Perché subito dopo i conati di vomito, svenne tra le braccia di Eric.

 

Spazio autrice!

Eccomi con un nuovo spazio autrice! :D Ho voluto farlo per augurarvi un buon Natale ed un felice anno nuovo! Avrei pubblicato il capitolo prima, ma con tutte le verifiche, il Natale... Ci ho messo un po' a scriverla. In realtà ce l'avevo già pronta da un paio di settimane, ma volevo aspettare il Natale, per farvi un regalo! :3 Beh, cambiando discorso, stavo pensando di cambiare il titolo della storia perché non mi piace, quindi se un giorno vi trovate il titolo della storia cambiato, è la stessa storia! Non preoccupatevi! Comunque, io sono pessima con i titoli, quindi se avete qualche consiglio, per favore, AIUTATEMI! Detto questo, di nuovo buon Natale! Aggiornerò la pagina il prima possibile! <3

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