Tempo

di Abigail_Cherry
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - Questione di tempo ***
Capitolo 2: *** Luce ***
Capitolo 3: *** Appuntamento ***
Capitolo 4: *** Tutto è andato storto ***
Capitolo 5: *** Voglio solo ridere ***
Capitolo 6: *** Quel minuscolo raggio di sole ***
Capitolo 7: *** La luce di un cuore ***



Capitolo 1
*** Prologo - Questione di tempo ***


Prologo

Questione di tempo

 

Ho avuto molte occasioni per vederla, abitando nel suo stesso palazzo e frequentando la stessa scuola. La guardo tutte le volte in cui ne ho l'occasione: quando esce di casa per andare a scuola, a volte quando torna, quando passeggia con le amiche in centro la incrocio molte volte, e adoro guardarla quando si siede sulla panchina del cortile a leggere un libro, cosa che fa quasi ogni pomeriggio.

Nonostante questo, non le ho mai rivolto una parola, se non uno strozzato “ciao” quando ci incrociamo per strada, al quale lei risponde con un cenno cortese della testa ed un sorriso, poiché non può parlare: è muta.
O meglio, a quanto pare, si rifiuta di parlare. Nessuno sa il perché. Lei, una volta, era una ragazza normale, insomma... parlava. Ma poi, compiuti i quindici anni, ha smesso improvvisamente di parlare. Sono due anni che nessuno sente più la sua melodica e meravigliosa voce. Sinceramente, mi dispiace. L'ho sentita cantare un paio di volte e ha una voce a dir poco angelica.

Comunque, nonostante le sue condizioni, le amiche non le mancano, la vedo spesso in giro con almeno una di loro.

Per quanto mi riguarda, voglio solo riuscire a parlarle, dirle che è bellissima, che l'ho sempre ammirata, stimata e che sono follemente innamorato di lei... Ma non ho mai trovato un pretesto per parlarle.

Questa mattina, ho deciso di farmi forza: stringo i pugni ed esco di casa un quarto d'ora prima di lei, aspettandola.

Sento qualcuno scendere le scale ed alzo lo sguardo. Mi sudano le mani, così smetto di stringere i pugni. Sono più nervoso che mai. Ed eccola arrivare. Puntualissima, come sempre: la ragazza più bella del mondo. No, “bella” la sminuisce. Direi più “meravigliosa”.

Sento il mio cuore palpitare appena lei mi si avvicina e cerco di tirarmi indietro. Ma non posso. È la mia occasione.

<< Ciao. >> la saluto timido. Lei si ferma un attimo. Mi guarda e, sorridendo, mi fa un cenno con il capo per salutarmi. Poi comincia a camminare di nuovo. Sta per andarsene! Dio, Leo! Fai qualcosa! Dico a me stesso. Decido di tentare con un complimento. La raggiungo ed azzardo: << Come sei bella oggi. >> le sorrido. Ma quanto posso essere patetico? Che razza di complimento è questo? Potevo dire qualcosa di più accurato ma no! Dovevo essere la banalità fatta persona! Sicuramente scapperà via a gambe levate e mi va bene se non chiama anche la polizia. O, piuttosto: “La lega degli sfigati che non sanno accostare due parole per comporre una frase”!

Lei sorride di nuovo e si sistema una ciocca di capelli castano chiaro dietro l'orecchio fissando il pavimento, evitando il mio sguardo. L'hai imbarazzata! Scemo! È finita. Non potevo stare zitto, no?

Lei tira fuori dalla piccola tasca della gonna della divisa scolastica un taccuino ed una matita temperata troppe volte per essere ancora chiamata così, e comincia a scarabocchiare qualcosa.

Dopo qualche attimo di attesa, gira il taccuino affinché io legga.

“Grazie. Tu sei Leonardo, giusto?” leggo in silenzio, ma assaporando ogni parola.

<< Si. >> rispondo. Aspetta... ha gradito il mio complimento? Evvai, Leo! Sei un gran casanova! << Chiamami pure Leo. >>.

Lei annuisce, sempre sorridente, e ricomincia a scrivere sul suo taccuino. “Io sono Amelia.” scrive. “Ma tutti mi chiamano Mia.”. Sbaglio o mi ha appena invitato a chiamarla “Mia”? Mia! E non “Amelia”, e non “Mari” (il suo cognome), ma “Mia”. Finora conoscevo solo il suo cognome. L'avevo letto sulla sua cassetta della posta una volta. E non me lo sono più dimenticato... A proposito... non dovrò mai raccontarglielo. MAI. Potrebbe scambiarmi per un stalker malato! Ed io non lo sono. Non ossessivamente, almeno. Agisco come agirebbe ogni ragazzo innamorato!

Ma comunque.

Ci stringiamo cordialmente la mano. Poi lei prende di nuovo il taccuino e scrive: “Ti andrebbe di accompagnarmi a scuola?”. I miei occhi si spalancano dalla sorpresa. Non ci speravo per niente! Perch- no. Non posso perdermi dei miei pensieri! Devo dare subito una risposta o penserà che ho un ritardo mentale!

Prendo un respiro. << Con piacere. >> le rispondo. Lei sorride, questa volta facendo trasparire anche i suoi bellissimi denti bianchi.

Continuiamo a conversare per tutto il tragitto che precede la scuola. Lei sempre più sorridente. Io sempre più imbarazzato per i tutti discorsi noiosi che tiro fuori ma che lei sembra stranamente appezzare. Arrivati a scuola, ci salutiamo, costretti a dividerci per andare nelle nostre rispettive classi: io in 5^B e lei in 4^C.

Durante le lezioni non riesco a concentrarmi. Rivedo il viso di Mia ovunque. Il suo sorriso. Il suo taccuino e i suoi lunghi e meravigliosi capelli. Non riesco a togliermela dalla testa. È questo l'amore? Non riuscire a pensare a niente e nessuno a parte la propria dolce metà? Rivivendo il primo momento in cui si ha davvero interagito, all'infinito nella propria testa?

Il tempo a scuola passa in un attimo. Cinque ore di lezione mi sembrano solo pochi secondi. Esco da scuola e cerco subito il volto di Mia tra la gente. Ma non lo trovo. Torno a casa lentamente, osservando ciò che oggi mi sembra più bello del solito: gli alberi, i prati, i fiori, l'odore del pane del fornaio sotto casa mia, e persino gli autobus e le automobili. Tutto è più luminoso. Oggi.

Tornato a casa mi metto il pigiama (dei pantaloni grigi ed una canottiera nera) e mi impegno per completare i compiti. Ci metto un sacco di tempo perché la mia mente è altrove. Probabilmente in camera di Mia. Vorrei stare di più con lei. Cercare di capirla. Di conoscerla. Ma non ci conosciamo ancora abbastanza perché lei si fidi. Devo aspettare che si possa fidare. Un giorno, se sarò fortunata, potrò anche sapere, capire, perché si rifiuta di parlare. Non per pettegolezzo. Ma perché solo così la potrò conoscere completamente. È questione di tempo. Devo solo aspettare.

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Capitolo 2
*** Luce ***


Capitolo 1

Luce

 

<< Come tutti voi ben saprete... >> comincia la professoressa di matematica. << ...quest'anno tutti voi di quinta dovrete affrontare la maturità. >> dalla classe comincia ad alzarsi un brusio. Già, ho anche quest'altra cosa a cui pensare... la maturità. Ogni studente trema soltanto pronunciandone il nome. Ed io altrettanto.

<< Silenzio, ragazzi! >> urla la professoressa. << Sto cercando di farvi un discorso serio! Per darvi dei consigli! Non vi interessano? >> dalla classe si alza uno svogliato “Si, prof.” e tutti si zittiscono. La professoressa comincia a parlare ed io ascolto attentamente. Finché Luce non comincia a distrarmi.

<< Hei. >> mi sussurra. Luce è la mia compagna di classe ed anche la mia migliore amica. È stata la prima persona con cui ho interagito in prima superiore. E da allora siamo sempre stati molto legati. << Com'è andata a finire con Amelia? >>.

Cerco di ignorarla: mi interessa ciò che sta dicendo la professoressa. Si parla del mio futuro, e che cavolo!

<< Aaah! >> fa lei con un sorriso malizioso. << Capisco. Non ne vuoi parlare perché probabilmente è scappata via gridando aiuto! È prevedibile... >> fa una piccola pausa. La fulmino con lo sguardo e torno a fissare la professoressa. << Sei così idiota! >> continua.

Mi giro di scatto con faccia arrabbiata. Anche se non lo sono davvero. << L'idiota sarai tu! >> dico a voce un po' troppo alta, tanto da farla sentire alla professoressa.

<< Icomelli! >> mi rimprovera. Odio essere chiamato per cognome. Ma mi devo abituare per forza, a scuola. << Se non ti interessa puoi anche andartene fuori dalla classe! >> dice.

<< Mi scusi, professoressa. >> rispondo, imbarazzato. E lei ritorna a parlare dell'esame orale che ci sarà a fine anno. Non passano neanche dieci secondi che Luce torna ad infastidirmi.

<< Dai! Non tenermi all'oscuro! Voglio sapere i dettagli! >> insiste.

<< Non ce ne sono! >> le rispondo secco. Non è che non voglio raccontarglielo, anzi. Lei è Luce, e le racconto tutto. Solo... non in questo momento e non in questo modo.

Luce si morde un labbro e si guarda intorno. Poi si arrende, e comincia a temperare una matita. Tiro un sospiro di sollievo. Glielo racconterò più tardi.

Passano circa dieci minuti. La professoressa finisce di parlare della maturità, passando alla lezione vera e propria. Prendo quaderno e penna e comincio a prendere appunti.

Tutto è tranquillo. Finalmente. Almeno così credo. Luce prende una bottiglietta d'acqua e ne beve un paio di sorsi. Poi l'appoggia sul bordo del banco, aperta. Insolito.

Purtroppo, capisco troppo tardi ciò che vuole fare. Luce è fatta così. Quando vuole qualcosa, non si ferma finché non l'ha ottenuta. E d'un tratto mi ritrovo basito e... bagnato. Luce fa “accidentalmente” cadere la bottiglietta e l'acqua si rovescia sui miei pantaloni.

Mi alzo in piedi di riflesso, imprecando.

<< Cos'è successo questa volta, Icomelli? >> chiede la professoressa, sospirando.

<< È colpa mia, prof. >> interviene Luce, prima ancora che io possa rispondere. << Ho accidentalmente fatto cadere dell'acqua addosso a Leo. >> spiega.

La professoressa tira un sospiro di spossatezza. << Dovete sempre combinare guai voi di questa classe! Quante volte vi ho detto di non bere in durante la lezione? >> sospira di nuovo. << Icomelli, vai a cambiarti con la tuta da ginnastica. Tu invece, Alessi... >> questo è il cognome di Luce. << …vai a prendere degli stracci per asciugare il pavimento. >>.

Obbediamo, e dopo due secondi siamo entrambi fuori dalla classe. Luce scoppia in una risata.

<< Pensi che sia divertente? Dillo ai miei pantaloni! >> dico, arrabbiato. Ma questo sembra farla ridere ancora di più. << Non sto... >> per qualche motivo sto per ridere anch'io, cerco di trattenermi, ma quando riprovo a parlare scoppio a ridere con lei.

<< Scusami. >> dice lei tra una risata e l'altra. << Volevo assolutamente parlarti. Dai! Racconta! Sono curiosa! >>.

<< Beh... >> comincio. << Mia è... stupenda. Perfetta. Abbiamo chiacchierato molto e mi ha chiesto anche di accompagnarla a scuola. È stato il quarto d'ora più bello della mia vita! >>.

<< E lei? >> chiede Luce.

<< Lei cosa? >> chiedo, confuso.

<< Insomma... Ci stava? >> Luce inarca le sopracciglia.

<< Si. Cioè no. No. Non lo so! >> mi infilo le mani nelle tasche dei pantaloni, imbarazzato per la domanda. O forse perché non avevo una risposta certa. Una delle due. Poi sento che la mia mano destra inumidirsi per i pantaloni fradici e ritiro fuori le mani.

<< Perché voi uomini dovete essere sempre così ottusi? >> dice dopo un sospiro.

<< E perché voi donne dovete essere sempre così pettegole e complicate? >> rispondo, incrociando le braccia davanti al petto.

<< Perché a voi uomini piacciamo così. >> risponde Luce, raccogliendo i suoi capelli neri in una coda.

<< Questo... ok. Forse un pochino è vero. >> rido.

<< Su, dai. >> Luce finisce di farsi la coda e appoggia le mani sui fianchi. << Vai a prenderti la tuta e cambiati. Io vado alla ricerca degli stracci. >>.

<< D'accordo. >> dico. Lei fa per andarsene ma si ferma quando ricomincio a parlare. << In futuro... niente più acqua sui pantaloni. >>.

Luce alza un angolo della bocca. << Ok, ho capito. >> dice. Poi c'è una piccola pausa. << Tu, invece, non rovinare tutto con Amelia. Lei è troppo fragile e non sopporterebbe ciò che ho sopportato io. La distruggerebbe. >>. E detto questo scatta e se ne va.

Me ne dimentico continuamente. Oh, Luce... Quanto vorrei che non soffrissi più per il nostro stupido errore.

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Capitolo 3
*** Appuntamento ***


Capitolo 2:

Appuntamento

 

Digito il numero di telefono e aspetto. Sono nervoso. Sono passate due settimane dalla prima volta che ho parlato con Mia. Non ho più parlato con lei da allora. Mi manca.

<< Pronto? >> dice la signora Mari, dall'altra parte del telefono.

<< Pronto? Scusi se la disturbo, signora. Sono Leo. Un amico di sua figlia. >> dico. Forse sono stato un po' troppo formale.

<< Ciao, Leo! Come stai? Mia mi ha raccontato di te. >>.

<< D-davvero? >> mi sfrego la nuca con la mano sinistra, un po' a disagio, un po' lusingato.

<< Si. Sei un bravo ragazzo. >> risponde. << Comunque, come mai mi hai chiamato? >>.

<< Mia mi ha dato il suo numero per contattarla. Lei è in casa al momento? >>.

<< Certo. Cosa vuoi che le chieda? >>.

<< Le può chiedere se è libera Domenica? Vorrei portarla da qualche parte. >> parlare con la madre di Mia mi rende sempre più nervoso. Ma che altro modo avevo di contattarla? Lei non può usare il cellulare...

<< Chiede a che ora vorresti incontrarla. >>.

<< Intorno alle... nove? >> rispondo. Spero che non rifiuti... ho impiegato venti minuti a chiamarla, non riuscivo a trovare il coraggio di premere la cornetta.

<< Dice di no. Lei deve andare in chiesa. >>.

<< C-chiesa? >> me ne ero dimenticato! Io la Domenica non vado mai a messa. Non perché non sia credente, ma perché non sono praticante. Vado giusto a Natale e Pasqua. Certo, non posso dirle questo, farei una brutta impressione! Devo inventarmi qualcosa. << Ah! Giusto! Si, anche io ho vado a messa la Domenica! Si, si, sono credente e amo... andarci... >> Santo cielo! Ma che diavolo sto dicendo?

<< Davvero? Allora che ne diresti di venire con noi? Poi tu e Mia potete andare in giro dopo messa. >>.

Ecco. Mi sono fregato da solo. Ma se il prezzo da pagare per vedere Mia è solo andare a messa... sono disposto a farlo. << Mi farebbe piacere. >> rispondo.

<< Perfetto allora. Ci vediamo alle 8:45 al cortile del palazzo. >>.

<< Va bene. È stato un piacere parlarle, signora. È stata gentilissima. >>.

<< Il piacere è stato mio. >> rispondo, poi riattacco. Rimango a fissare il telefono qualche secondo prima di realizzare veramente ciò che avevo appena ottenuto. Una appuntamento con Mia. Dove avrei conosciuto anche i suoi genitori. Quest'ultima parte mi spaventa un po', ma quando ci sarà Mia al mio fianco, non mi sentirò più spaventato.

 

<<>>

 

È Sabato e sono le 8:40. Sono seduto sulla panchina dove solitamente si siede Mia a leggere il pomeriggio. Aspetto impaziente che il viso di Mia compaia insieme a quello dei suoi genitori. Le mani mi sudano e me le asciugo sui pantaloni. Mi sono vestito bene, con una camicia bianca e dei jeans scuri, per fare bella figura. Non voglio certo che i genitori di Amelia mi prendano per un ragazzo... turbolento? Certo, la madre più o meno l'ho convinta, per quanto si possa fare al telefono, ma... ho il terrore di suo padre. Insomma, sarà uno di quei padri: “se sfiori mia figlia anche con mezzo dito te lo taglio”, oppure uno: “bravo ragazzo” poi pacca sulla spalla “continua così e, dopo avermi dato le due capre e le due galline che mi spettano, forse ti darò la mano di mia figlia.”?

Sento dei passi che scendono le scale e mi alzo dalla panchina. Vedo una signora sui quarant'anni che si guarda intorno.

<< Sei tu Leo? >> mi chiede.

<< Si. >> rispondo, e vado verso di lei.

<< Piacere. >> lei mi tende la mano. << Sono la mamma di Mia. >> dice.

<< Piacere di conoscerla, signora. >> rispondo, più cordiale possibile, e le stringo la mano, sperando che le mie non siano troppo sudate. << Amelia dov'è? >>.

<< Adesso arriva. Doveva finire di sistemarsi. >> lei sorride.

<< E suo marito? >>.

<< Oh, beh, lui... non c'è. >> la madre di Mia abbassa lo sguardo.

<< Capisco. Mi dispiace. Ha avuto qualche contrattempo? >>.

<< Si, diciamo così. >>.

Capisco che si sente a disagio e smetto di parlare.

Si sentono di nuovo dei passi scendere le scale.

È lei. È finalmente arrivata. Finisce di scendere le scale e si fa vedere. È più bella che mai. È la prima volta che la vedo senza divisa scolastica. Sembra strano anche a me ma è così.

Indossa un vestito bianco a maniche corte con un cinturino a vita alta, un fiocco tra i capelli ed una piccola borsetta tutti e tre color lilla. Sembra un angelo.

<< Ciao. >> la saluto. Lei si sporge e mi bacia entrambe le guance. Ricambio, ma divento rosso in viso. Lei non sembra accorgersene.

<< A-andiamo? >> azzardo, imbarazzato.

Mia sorride ed annuisce felice. Così ci incamminiamo verso la chiesa.

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Capitolo 4
*** Tutto è andato storto ***


Capitolo 3:

Tutto è andato storto

 

Non racconterò cos'è successo ieri. Sinceramente, non me lo ricordo.

Mi sveglio. La prima che cosa che vedo è il soffitto, perfettamente bianco. La prima cosa che sento è un ripetitivo “bip”, è fastidioso, ma non riesco a capire da dove provenga. La prima cosa che percepisco, è che c'è qualcosa che mi stringe la mano sinistra. Giro lentamente la testa e, con gli occhi socchiusi, vedo Mia che dorme con la testa appoggiata al letto dove io sono sdraiato e che mi stringe la mano. Ha l'avambraccio destro fasciato ed un paio di cerotti sul viso.

Concentro tutta la mia forza nella mano per cercare di muoverla, e ci riesco. Almeno, quel poco che basta perché riesca a svegliare Mia.

Vedo i suoi occhi aprirsi lentamente, poi con uno scatto tirare su la testa dal letto. Il suo viso esprime stupore e sollievo allo stesso tempo ma, come al solito, non dice niente.

Cerco di concentrarmi per muovere la bocca e dirle almeno un sussurrato “Ciao”. Ma non ci riesco. Sono debole, stranamente debole. Cosa mi è successo? Dove sono?

Mia mi accarezza dolcemente una guancia e corre via dalla stanza. Non so dove stia andando, ma mi sento male. Mi ha lasciato solo e non so neanche dove mi trovo. Cerco di riflettere. Sono quasi immobilizzato, non riesco a muovermi: devo essere reduce da un qualche incidente. E dove portano i feriti? In ospedale. Quindi io sarei... in ospedale? Non saprei dirlo. Non sono mai stato in ospedale prima d'ora, ma assomiglia parecchio a quelli che si vedono in televisione.

Vedo Mia tornare dopo qualche minuto, o qualche ora, non saprei dire.

Affianco a lei c'è una donna con uno stetoscopio al collo. Un dottoressa? Un'infermiera?

<< Ciao. >> mi dice dolcemente avvicinandosi al mio letto. Mia è dietro di lei e penso sia trattenendo le lacrime. Penso mi sia successo qualcosa di abbastanza grave. << Ciao, Leo. >> ripete lei lentamente, scandendo le parole. << Sono la dottoressa Montali. Il medico che in avrà in cura. Hai avuto un brutto incidente e ti abbiamo dovuto operare per due ossa rotte ed un'emorragia interna, ma è andato tutto bene. Sei in ospedale adesso >>.

Sono contento di sentirglielo dire. Vuol dire che almeno riesco a pensare in modo lucido e che ho fatto un ipotesi corretta.

<< Puoi parlare? >> continua lei. << Riesci a parlarmi? >> la dottoressa ha in mano una cartella ed una penna, pronta a scrivere qualcosa.

Cerco di sforzarmi di nuovo e questa volta riesco ad accennare un flebile << Si. >>.

La dottoressa sorride e appunta qualcosa sulla sua cartella << Ottimo. >> dice felice. << Vuol dire che ti stai riprendendo. Forse tra tre o quattro settimane, potrai essere fuori da qui, se continui a migliorare con questo ritmo. >> ci fu una breve pausa. << Hai qualche domanda? >>.

<< Si. >> sibilo di nuovo. << Che cosa è successo? >>. Vedo Mia avvicinarsi e stringermi la mano, questa volta la destra.

<< C'è stato uno spiacevole incidente. >> dice la dottoressa. << Il guidatore di un auto ha perso il controllo ed è andato a schiantarsi contro la vetrina di un ristorante. Sono state coinvolte molte persone. >>.

<< Mia! >> dico con la voce più alta che riesco a riprodurre, e mi giro verso di lei di scatto. Sento il “bip” farsi sempre più frequente e la dottoressa allarmarsi per un attimo.

<< Stai calmo! Come puoi vedere tu stesso sta bene. >> dice lei, rimettendomi dritto nel letto, e il “bip” si riduce. I miei occhi, però, non si staccano da quelli di Mia. << Lei mi ha detto che era andata un attimo al bagno e che proprio mentre stava tornando ha visto l'impatto dell'auto. Le ferite che ha non sono gravi, sono solo dovute ai frammenti di vetro che sono volati in giro ed hanno ferito molta gente. Purtroppo, tu avevi il tavolo proprio vicino alla vetrina e la macchina ti ha travolto. >>.

Mi sembra tutto così confuso, così impossibile. Le parole che mi dice la dottoressa per me non hanno quasi significato. Perché non riesco a ricordare niente di ciò che è successo. Sembra solo che stia raccontando una brutta storia.

Ma per fortuna Mia sta bene.

<< Bene, se non hai altre domande, Leo, io ti lascerei riposare un po'. >> dice la dottoressa, poi si rivolge a Mia. << Anche lei, signorina Mari, dovrebbe andare. Leo deve recuperare le forze. Lo saluti perché fino a nuovo ordine solo i familiari potranno vederlo. >>.

Vedo Mia annuire alla dottoressa. Poi si gira e mi guarda negli occhi. Si abbassa lentamente e mi abbraccia delicatamente, stando attenta a non farmi male.

In quel momento, sento di nuovo quel fastidioso “bip” aumentare di frequenza. Ma non perché mi sento male. Ma perché Mia mi ha abbracciato per la prima volta.

Sono felice. Felice ed innamorato.

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Capitolo 5
*** Voglio solo ridere ***


Capitolo 4:

Voglio solo ridere

 

È passato solo un giorno e già mi sto annoiando. Non ho niente da fare, non posso alzarmi dal letto – ho un braccio ed una gamba rotti - e sto aspettando che i miei genitori mi portino il computer da casa, così da poter passare del tempo divertendomi. Mia madre era arrivata ieri insieme a mio padre e avevano promesso di viziarmi finché non sarei stato meglio.

Quindi eccomi qui.

La porta della mia camera si apre ed entra un'infermiera. << Leo, hai visite. >> mi dice.

Sorrido. Finalmente avrò il mio computer!

Ma mi sorprendo quando vedo una persona dai lunghi e liscissimi capelli neri sbucare dalla porta e correre verso di me: Luce.

Mi abbraccia forte e mi da un bacio sulla guancia. Sento qualcosa di umido bagnarmi il viso e decido di stringerla ancora più forte con il mio braccio sano.

<< Sei uno stupido! Stupido! Stupido! >> dice lei tra un singhiozzo e l'altro.

Non so cosa risponderle, così mi rassegno a strofinarle la schiena con la mano. Lei continua a piangere per un paio di minuti, poi si allontana da me e resta in piedi a stringermi la mano, mentre con l'altra si asciuga le lacrime dal viso. Pochissime volte ho visto Luce piangere, forse due o tre. Mi ricordo particolarmente l'anno scorso, quando sua madre se ne era andata di casa. Mi ha chiamato al cellulare e mi ha chiesto se poteva venire a casa mia. Pensava di restare solo un paio d'ore, per parlare e sfogarsi, ma alla fine è rimasta anche a dormire. Ai miei genitori non dava fastidio avere Luce in casa, ormai la consideravano una di famiglia ed erano abituati ad averla intorno e capitava spessissimo che rimanesse a dormire.

Ma questo è un altro discorso. Finirei per raccontare tutta la vita di Luce e, per adesso, non voglio farlo.

<< Si può essere più stupidi di te? >> continua Luce con una sorriso, anche se la sua voce ancora trema. << Andare a finire sotto un'auto! Stai attento a cosa fai! >>.

Rido, e lei dopo di me.

<< Come hai fatto a venire a trovarmi? >> chiesi. << La mia dottoressa aveva detto che fino a nuovo ordine solo i familiari erano autorizzati ad entrare! >>.

<< Ma cosa dici, Leo? >> fa lei con un sorriso malizioso. La guardo confuso. << Insomma, >> continua lei. << Secondo te non mi facevano vedere il mio caro, caro, caro fratellone? >> Luce ride ed io la guardo male, ma sotto sotto sto ridendo anch'io.

<< Non dovresti mentire alle infermiere! >> dico.

<< Ah! Ti ho portato una cosa! >> esclama lei. Finalmente le era tornato il suo vero sorriso. Prende lo zaino che aveva in spalla e ci fruga dentro, tirandone poi fuori dei... libri?

<< Che cosa significa? >> chiedo.

<< Significa... >> Luce appoggia i libri sul comò vicino al mio letto. << ...che quest'anno hai la maturità e non ti puoi permettere di saltare ben tre settimane di scuola! >>.

<< E quindi? Hai intenzione di farmi studiare... in ospedale?! >>.

<< Esattamente. Ed io verrò qui ogni giorno per due ore al giorno per farti un riassunto di ciò che abbiamo fatto in classe, chiaro? E non puoi rifiutarti altrimenti... >> Luce fruga di nuovo nel suo zaino e ne sfila un computer. Il mio computer. << ...questo non lo vedrai per molto tempo. >>.

<< C-cosa?! Come l'hai avuto?! >> dico, stupito.

<< Ho i miei metodi. >> Luce rimette nello zaino il computer.

<< Ti odio. >> le dico scherzoso con un finto broncio. In realtà mi piace l'idea. Avere come insegnante la propria migliore amica. Fico.

<< Nah! Non è vero! >> mi risponde, sedendosi sul fianco del mio letto.

Io la guardo, lei mi guarda ed io le stringo la mano. Restiamo a sorriderci per un po', con i nostri sguardi che trasudano immenso affetto da tutti i pori.

<< Grazie. >> le dico alla fine.

La sua delicata bocca si apre in un sorriso, facendo trasparire i denti. << Figurati. >> mi risponde. << Ma se provi a farti investire da un'altra stupida auto... ti farei salvare dai medici solo per poi poterti uccidere io stessa! >>.

Ridiamo di nuovo. In questo momento so che andrà tutto bene. Tutto tornerà alla normalità tra un paio di settimane o poco più.

Ma un dolore lancinante al petto mi fa tornare alla realtà.

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Capitolo 6
*** Quel minuscolo raggio di sole ***


Capitolo 5:

Quel minuscolo raggio di sole

 

<< Leo. >> mi chiama qualcuno. << Leo, svegliati. >>.

Lentamente, apro gli occhi. La sagoma della dottoressa Montali mi si presenta davanti agli occhi. << Come ti senti? >> insiste.

Sono ancora scombussolato da tutto ciò che è successo. Ma... cos'è successo? Stavo parlando con Luce e poi... poi non ricordo. Per essere un ragazzo diciottenne, dimentico un po' troppo spesso gli avvenimenti dei miei ultimi giorni. << Stanco. >> riesco a sussurrare dopo una lunghissima pausa di silenzio. << Cos'è successo? >>.

<< Niente di grave, in realtà. >> risponde la dottoressa. << O meglio, è successa una cosa molto grave, ma tu starai bene tra qualche giorno. >> la donna respirò, stanca << Durante il tuo primo intervento, delle schegge di vetro si sono infiltrate nel tuo torace. I medici pensavano di averle tolte tutte ma... gliene è sfuggita una. E quella, in un giorno, è salita fino al cuore, e l'ha graffiato. Per fortuna siamo riusciti ad operarlo quasi subito e non ci sono state ripercussioni sulla tua salute. Sarai di nuovo in grado di correre e giocare con i tuoi compagni. >> fece una pausa << Se stai pensando a che fine hanno fatto quei medici incompetenti che ti hanno operato, avranno a che fare con un'aula di tribunale molto presto, se i tuoi genitori facessero causa all'ospedale. E, probabilmente, verranno licenziati. >>.

<< Capisco. >> rispondo. Vorrei dire che mi dispiace ma... non è così. Se la scheggia di vetro mi avesse perforato il cuore, a quest'ora potrei essere bello che morto. << Luce? >> chiesi.

<< Oh, vuoi dire la tua amica finta-sorella? >> la dottoressa fece una risatina. << È in sala d'attesa. Non possiamo farla entrare a meno che i tuoi genitori non le diano un permesso speciale. Sono le regole, mi dispiace. >>.

<< E i miei genitori? >>.

<< Dovrebbero essere qui a momenti. >>.

<< Certo. Dottoressa, mi potrebbe fare un favore? >>.

<< Certo, chiedi pure. >>.

<< Potrebbe andare da Luce a riferirgli che sto bene? So che probabilmente sarà in ansia per me, in questo momento. >>.

<< Certo, Leo. Vado subito da lei. Oh! Guarda! Sono arrivati i tuoi genitori. Vado a parlargli un attimo. Poi vi lascio soli e vado dalla tua amica, va bene? >>.

<< Grazie, dottoressa. >> rispondo, e mentre lei si allontana, accomodo bene la testa sul cuscino. Osservando il dialogo tra la dottoressa ed i miei genitori. Vedo mia madre singhiozzare, ma sorridere quando la dottoressa le comunica che non era niente di grave e che sto bene. Poi papà abbraccia la mamma, e la dottoressa si allontana.

I miei genitori entrano nella mia stanza, e scopro che sono accompagnati dalla mia sorellina. << Eo! >> urla lei correndo verso il mio letto. Avendo appena due anni, non sa pronunciare bene le parole, quindi Leo l'ha sempre e solo pronunciato “Eo”.

<< Eo fatto mae baccio! >> esclama con aria triste.

<< Si, ma non pensare che non riesca ancora a batterti nella lotta, Eli! >> le faccio, sforzandomi di sembrare più energico possibile. Elisa sembra apprezzare e ride di gusto alla linguaccia che le faccio dopo.

<< Leo. >> mi chiama mia madre. Ed io sposto lo sguardo su di lei, che corre ad abbracciarmi felice. << Ti voglio bene. >> mi sussurra, ed io la stringo più forte, con l'unico braccio sano che mi è rimasto.

Mio padre prende in braccio Elisa, che lo assillava tirandogli i pantaloni, e la sistema seduta sul mio letto. << Siamo così sollevati che tu stia bene. >> mi dice papà, e mi da una pacca sulla spalla sana.

<< Eo, mi fai eiccotteo? >> mi chiede Eli allargando le braccia per creare delle ali con l'immaginazione. È un gioco che facciamo sempre a casa: io la sollevo in aria e corro in giro per darle la sensazione di volare. È ancora uno dei miei passatempi preferiti, giocare con Eli.

Mi sforzo di mettermi dritto ma appena mi muovo sento una fitta al petto. << Non posso ancora, Eli. >> le dico, sinceramente dispiaciuto, mentre le accarezzo la piccola testolina bionda. << Non sono ancora guarito. Appena torno a casa ci giochiamo tutto il giorno, va bene? >>.

Eli annuisce, un po' triste. Poi però prende la mia mano, ancora sulla sua testa, la porta davanti al viso e ne bacia il palmo. << I baci guaiscono bua. >> mi dice. Poi sorride.

In quel sorriso, non vedo solo mia sorella, la mia Eli. Ma vedo anche tutto ciò che c'è di buono al mondo. Vedo la purezza, l'innocenza, la felicità e la speranza. Ecco, Eli è quel piccolo raggio di sole che mi regala speranza. La speranza che mi fa capire che qualsiasi cosa mi possa capitare, passerà. Lei è il mio raggio di sole. Ed è mio.

Le accarezzo la guancia ancora pensieroso, finché non è ora di lasciarci. Lei tira fuori dalla sua borsettina rossa, comprata al mercatino dell'usato, uno specchietto rosa e me lo mette in mano.

<< Mami me l'ha compato, Eo. Ma voglio daro a te. >> disse, sforzandosi davvero tanto per dire la “gl”.

<< Grazie, streghetta. >> le rispondo con un sorriso. Lei mi risponde battendo le mani felice. Poi se ne va, tenendo per mano mamma. << Ciao, Eo! >>.

Rimango solo nella stanza a pensare a quel piccolo raggio di sole appena nato. Bellissimo. E non vorrei che nessuno lo spegnesse mai.

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Capitolo 7
*** La luce di un cuore ***


Capitolo 6:

La luce di un cuore

 

La buona notizia è che posso camminare. Beh, più o meno. Ho sempre la gamba ingessata, ma il braccio ora è a posto. Quindi la dottoressa Montali mi ha concesso di fare qualche passeggiata in ospedale con le stampelle. “Non più di mezz'ora, Leo.” mi ha raccomandato. “Non voglio che il tuo cuore si affatichi.

Mi da un po' fastidio che tutti mi trattino come se fossi un malato di quelli gravi, perché non è così. Insomma, è vero, ho avuto degli alti e bassi, ma girando per i corridoi degli ospedali ho visto dei pazienti messi molto peggio di me. Non ci ho mai pensato alla parola “pazienti”. Non la parola di per sé, ma al fatto che prima di arrivare in ospedale, mi chiamavano “ragazzo”, “studente” o “signorino”, a volte. Insomma, ero una persona. Adesso, invece, vengo chiamato spesso dai medici “paziente della stanza 238”.

Prima eravamo persone. Ora, solo un pezzo di carne da curare.

Solo la dottoressa Montali mi chiama “Leo” ma sono sicuro che quando è con gli altri medici non mi chiama per nome, lo fa solo come gesto gentile quando è con me. Niente di più.

Comunque, non voglio parlare di questo. I miei pensieri pessimisti possono aspettare che sia passato Natale.

Sto camminando ormai da venti minuti. È faticoso camminare con le stampelle. Molto più faticoso di quanto pensassi. Decido di fermarmi all'ingresso dell'ospedale. Siccome è la vigilia di Natale, l'ospedale è più calmo, ci sono meno pazienti e meno dottori che corrono da ogni parte.

Poi entra lei.

Vestita con un lungo cappotto rosa pallido, un cappello bianco e degli stivaletti beige. Stupenda. Si guarda un attimo intorno, finché mi vede, e si dirige velocemente verso di me. Mi raddrizzo la schiena e le spalle: sono nervosissimo.

Si mette di fronte a me e, dopo solo un attimo di esitazione, mi abbraccia, buttandomi le braccia al collo. Non me lo sarei mai aspettato. Ma ricambio l'abbraccio con enorme piacere. È un sogno! Sto sognando! Oh, se è vero allora c'è qualcuno che mi vuole davvero bene lassù! Questo è il più bel regalo di Natale!

Dopo pochi secondi, Mia si stacca da me e mi guarda con un leggero sorriso, poi prende il taccuino dalla tasca del cappotto e comincia a scrivere. “Ciao. Scusa se non sono venuta a trovarti in queste tre settimane.”.

<< Non scusarti. Con il Natale e tutto il resto, avrai avuto da fare. >> rispondo.

“Sì, infatti... Vedo che cammini, anche se con le stampelle. Vuol dire che stai bene? Tra quanto ti dimettono?” scrive.

<< Beh, sì, in effetti sto meglio. La dottoressa Montali ha detto che se tutto va bene mi potranno dimettere tra circa una settimana. >>.

“Quindi non torni a casa domani, per Natale?”.

<< No. >> abbasso lo sguardo, triste. << No. In effetti, è un po' triste... ma domani viene tutta la mia famiglia in ospedale per festeggiare. Spero sarà divertente. >>.

Mia sorride. “Ti ho portato qualcosa.” scrive. “Però andiamo nella tua stanza, poi te la mostro.”

<< V-va bene. >> rispondo. Sinceramente, non mi aspettavo tanto affetto da Mia. Chissà perché si comporta così... insomma, ci siamo parlati davvero solo per qualche ora in quei due giorni in cui siamo usciti insieme. Ed uno non era un appuntamento, e l'altro... è andato a finire male. Ma almeno Mia sta bene. Non ha più le bende per le ferite che aveva tre settimane fa.

Arriviamo davanti alla mia stanza ed io entro, mentre Mia mi tiene la porta. Appoggio le stampelle affianco al letto e mi siedo su quello scomodo materasso dell'ospedale.

Mia chiude le veneziane dei vetri dell'ospedale, lasciandoci al buio.

<< M-Mia... >> dico, imbarazzato << C-che stai facendo? >> mi rendo conto subito dopo che la domanda che ho fatto era stupida. Come cavolo poteva rispondere se era buio? Non sarei riuscito a leggere niente!

Penso il peggio. O, diciamocelo, per me sarebbe il meglio. Ma Mia non è una ragazza che... che farebbe l'amore con un ragazzo in un luogo pubblico, e soprattutto in questo modo, con una persona che conosce appena.

Attendo in silenzio. Sento Mia rovistare da qualche parte, probabilmente nella sua borsa. Poi, d'un tratto, un piccolo raggio di luce illumina il suo meraviglioso viso. Tiene in mano un cuore. Un piccolo cuore di plastica, illuminato di rosso. Resta ferma a sorridermi per qualche istante, poi me lo porge ed io lo prendo.

Riesco a scorgere nel buio Mia che prende di nuovo in mano il suo taccuino, ci scrive sopra e poi lo mette vicino alla luce rossa del cuore, per farmela leggere. “Ho pensato che col buio avrebbe avuto un effetto più bello da vedere. È per te. Buon Natale Leo!”.

Sono felice. Molto, molto felice. Ma allo stesso tempo mi sento stupido. Come ho anche potuto pensare che Mia avrebbe... insomma... no.

Le sorrido. I nostri volti talmente vicini che la luce del piccolo cuore illumina entrambi. Non resisto. Le accarezzo la guancia, poi mi sporgo in avanti, cercando di baciarla.

Ma lei si scosta velocemente, ed il mio bacio diretto alle labbra cade sulla sua guancia.

Resto un attimo stupito. Stupido! Stupido! Penso. Sei stato troppo frettoloso! Controlla gli ormoni, una volta tanto!

Mia sembra imbarazzata. Si allontana e riaccende la luce. Scrive di nuovo sul taccuino e lo sporge per farmi leggere.

“Non sono pronta, Leo.” scrive.

Un po' deluso, le metto una mano sulla spalla. << Scusa. È stata tutta colpa mia. È successo solo perché... sai, il buio, il cuore... mi hanno mandato in confusione. >> mi sfrego la nuca con forza: non sono mai stato così tanto imbarazzato in vita mia. << La verità è che mi piaci tanto, da tanto tempo. >>.

Le parole mi sono uscite da sole. Non ci ho neanche pensato, prima di dirlo. Mia mi guarda sorpresa. Poi mi arruffa i capelli affettuosamente, con un sorriso. Prende le sue cose e esce dalla mia stanza.

Che cosa ho fatto?

 

 

 

Spazio autrice!

Un piccolo capitolo per Natale, visto che siamo in tema. Spero vi sia piaciuto! Buon Natale dalla vostra Abigail_Cherry. <3

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