Oltre le stelle

di ellephedre
(/viewuser.php?uid=53532)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prima parte - Ritrovarsi ***
Capitolo 2: *** Seconda parte - Salutarsi ***
Capitolo 3: *** Terza parte - Amarsi ***
Capitolo 4: *** Quarta parte - Rilassarsi ***
Capitolo 5: *** Quinta parte - Accettarsi ***



Capitolo 1
*** Prima parte - Ritrovarsi ***


oltrelestelle1

 

Oltre le stelle

 

Autore: ellephedre

 

Disclaimer: i personaggi di Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation.

 

 

Prima parte - Ritrovarsi

 

Gli occhi blu di Mamoru guardarono verso l'alto. Lui mosse la bocca per pronunciare il suo nome, poi Usagi lo vide sparire nella stessa luce che aveva tolto la vita alle altre. Mamoru, che lei amava con tutta se stessa. Mamoru, con cui avrebbe costruito un futuro. Mamoru, con cui avrebbe avuto Chibiusa.

Sparì così, in un secondo.

Anzi... era già scomparso da mesi. 

Tutto il futuro che lei conosceva, tutta la sua vita... erano spariti da tanto tempo.

Poco prima erano cadute Ami, Makoto, Rei e Minako. Le amiche che l'avevano accompagnata in ogni battaglia, ragazze con sogni, con un futuro.

Sparite. Morte.

Fu una forza che non credeva di avere a farla andare avanti, grazie all'aiuto di tre guerriere venute dallo spazio.

Non si fermò, non si arrese. Si rifiutò di pensare a cosa ne sarebbe stato di lei una volta che avesse vinto. In fondo, poteva sempre perdere.

Ma sopravvisse, non fallì. Circondata da semi di stella che tornavano a casa, uscì vittoriosa dalla sua battaglia.

Ora sono sola.

Per la disperazione, quasi crollò.

Poi le ragazze apparvero in cerchio attorno a lei, tutte quante, a cancellare ogni sua paura.

Infine tornò anche lui, proprio come nel sogno che aveva avuto qualche ora prima.

Ma questa volta era tutto vero.

 


 

L'appartamento vuoto e scuro. Serrande abbassate, neanche una luce a regalare colore alle pareti.

Fermo sulla porta aperta, Mamoru si sorprese a guardare lo spazio davanti a sé, privo di vita, spento come la sua esistenza negli ultimi mesi.

Non andò a cercare con la mano l'interruttore della luce, si diresse alle finestre. Roteò un manico cigolante e ne aprì una.

Lentamente sollevò le tapparelle.

La luce della luna si infiltrò nella stanza, posandosi prima sul pavimento, quindi sul divano verde scuro e infine illuminando la parete opposta.

Rimase a fissare il salotto della propria casa.

Non gli era mai sembrato tanto strano trovarsi dentro il suo stesso appartamento.

Sul comodino giaceva la lampada bianca che aveva scelto anni prima. La accese, per avere l'unico alone di luce di cui sentiva il bisogno. Si diresse dietro la televisione e riattaccò la spina. Ridiede energia al frigorifero e girò la manopola del gas, riattivando la pressione.

Cosa sto facendo?

Non riuscì a darsi una risposta. Si stava muovendo, stava facendo qualcosa di utile.

Si diresse verso il telefono. Non lo aveva staccato per tenere in funzione la segreteria. Una spia rossa indicava la presenza di messaggi.

Ne immaginò il contenuto, lo temette. Premette ugualmente sul tasto che avrebbe fatto partire la voce registrata.

'Ci sono 5 messaggi.'

Beep.

'Messaggio registrato il primo maggio.

Buongiorno Mr Chiba, la chiamo dalla segreteria della J. Hopkins University. Come studente in scambio, lei doveva presentarsi una settimana fa presso di noi per raccogliere il materiale necessario a formalizzare l'iscrizione temporanea e l'assicurazione sanitaria coperta dall'università. Ha mancato anche la sessione di orientamento.

La preghiamo di recarsi al più presto presso i nostri uffici del campus per fornire un recapito telefonico statunitense, essendo questo al momento l'unico suo numero presente nei nostri archivi. Le auguro una buona giornata.'

Beep.

'Messaggio registrato il venti maggio.

Buongiorno Chiba-san. La chiamo dall'ufficio scambi dell'università di Tokyo. La J. Hopkins University ha contattato i nostri uffici per informarci che non sono riusciti a reperirla per svolgere le necessaria formalità in loco. La preghiamo di mettersi in contatto con loro il primo possibile. Nel caso abbia problemi di salute o se ha incontrato problemi a partire per gli Stati Uniti, le chiedo di darcene rapida comunicazione. Buona giornata.'

Beep.

'Messaggio registrato il primo giugno.

Mamoru! Va bene che sei occupato, ma potresti perdere due minuti per far sapere al tuo amico che sei arrivato vivo e vegeto?' Il suono di una risata. 'In un mese sarai riuscito a trovarti una sistemazione. Magari hai un numero di telefono da darmi, così ti chiamo io se tu non hai tempo. Non me la prendo, ti conosco. Spero solo che tu ti stia ricordando di Usagi. Sembra proprio a terra in questi giorni. Be', ciao!'

Beep.

'Messaggio registrato il venti luglio.

Buongiorno Chiba-san, la chiamo dall'ufficio tasse dell'università di Tokyo. Avendo constatato la sua mancata partecipazione al programma di scambi, le ricordiamo che la sua posizione finanziaria presso l'università è da regolare per la prossima tassa, con scadenza nel mese di settembre. Buona giornata.'

Beep.

'Messaggio registrato il ventidue luglio.

'... ... ...'

Un sospiro, seguito da un singhiozzo.

Beep.

La segreteria non emise altri suoni.

Mamoru rimase in piedi, immobile. Poi premette la combinazione di tasti necessaria a visualizzare la data sull'apparecchio.

Tre agosto.

Erano passati tre mesi.

A stento arrivò al divano, vi crollò sopra.

«Usagi.»

Nascose la faccia tra le mani.

Lo svegliò lo squillo del telefono. Dalla finestra aperta entrava la luce del giorno.

Indolenzito, si alzò dal divano. Si era addormentato, senza neanche rendersene conto.

Portò la cornetta all'orecchio. «Pronto?»

«Mamo-chan...»

Trasalì. «Usagi.»

Strinse il telefono, chiuse le palpebre.

Usagi.

Si beò del suono della voce di lei, un eco delicato nella sua mente.

L'aveva lasciata da sola per tre mesi.

Non riuscì a dire nulla.

La immaginò col telefono in mano, devastata quanto lui dietro il silenzio. O forse lei stava per singhiozzare? Come aveva fatto nella sua segreteria.

Iniziarono a prudergli le mani. «Usa, vuoi-»

«Venire da te? Esco ora.»

«Sì.» Voleva stringerla, toccarla.

Lei aveva già riattaccato, per venire a trovarlo.

Infuso di nuova vita, si alzò.

 

Usagi aveva dormito bene fino a poco prima di svegliarsi.

Della sera precedente ricordava ancora il viso sorridente delle ragazze, strette intorno a lei per abbracciarla. Le aveva amate una ad una nel rivederle, poi si era gettata tra le braccia di Mamoru. Aveva faticato a respirare, concentrata solo sulla voce di lui all'orecchio - tanto agognata, finalmente di nuovo con lei. Mamoru aveva asciugato le sue lacrime continuando a guardarla negli occhi, a rassicurarla.

Lei si era sentita ridiventare una ragazza normale, che non poteva sostenere l'enormità delle perdite che aveva vissuto. In quel momento le ali cresciute sulla sua schiena erano sparite ed erano caduti tutti di qualche metro, quasi finendo sulle macerie di asfalto prima che lei riuscisse a sostenere di nuovo il loro equilibrio. Era tornata immensa e aveva rassicurato tutti. Io sono luce. Lei era la bontà che la invadeva e che i suoi amici le avevano insegnato a non dimenticare.

Aveva desiderato che tutto tornasse a posto nel mondo e l'energia si era liberata dall'interno del suo animo.

Edifici distrutti erano tornati in piedi. Ricordi di devastazioni erano scomparsi dalla mente di innumerevoli persone sul pianeta. Molto altro era stato sistemato, ma non avrebbe saputo spiegare cosa.

Guardando le Starlights e la loro principessa, che la osservavano da lontano, si era commossa nel vederle riunite. Tra le braccia di Mamoru aveva chiesto un ultimo regalo al cristallo d'argento, il suo seme di stella.

Facci tornare tutti a casa.

Era riapparsa sopra un morbido materasso, in pigiama. Con l'odore di Mamo-chan ancora nel naso, si era infilata sotto le coperte ed era crollata, al sicuro nella propria stanza.

Di mattina aveva fatto un singolo, terrificante incubo: Mamoru che la abbracciava solo per sparire subito, fino a non esistere più.

Si era svegliata con un grido trattenuto in gola, il cuore un martello nel petto. Per un attimo aveva voluto piangere di disperazione, poi i ricordi erano tornati a lei.

Aveva preso in mano il telefono per cercare un contatto, una prova.

"Usagi?"

La voce di Mamoru era stata la conferma di una realtà che nessun nemico poteva più cancellare.

Si era abbandonata sul letto, stringendo il telefono alla guancia.

"Usagi..." aveva detto di nuovo lui e lei era risorta di felicità.

Non doveva più immaginare la sua voce, non doveva più attendere una risposta che non giungeva mai. Mamoru era lì, era tornato. Lui non l'aveva mai dimenticata.

Voglio vederti, abbracciarti, baciarti. Sei vivo.

«Usa, vuoi-»

«Venire da te? Esco ora.»

«Sì.»

Aveva riattaccato ed era corsa a indossare la prima cosa che aveva trovato in giro - i vestiti sistemati sulla sedia.

In bagno si era data un momento per riflettere ed era andata a recuperare uno zaino. Lo aveva riempito con un pigiama, delle ciabatte e della biancheria intima pulita - il necessario per non tornare a casa quella notte. Come vestito di ricambio aveva preso la divisa scolastica - solo per non perdere tempo a scegliere.

Sul punto di uscire dalla sua stanza, si era fermata a osservare la spilla posata sul comodino.

La stava ancora guardando, chiedendosi se doveva indossarla o meno.

Quella era la fonte del suo potere, il gioiello che le dava la possibilità di combattere. Lo aveva sempre portato con sé, anche quando una guerra era appena terminata.

«Usagi?»

Guardò Luna. Si chinò su di lei per abbracciarla.

«Ehi... è tutto a posto, Usagi.»

«Lo so. Ti voglio bene.»

«Anche io.»

Usagi represse un singhiozzo. «Luna... vado da Mamoru adesso. Credo che tornerò domani.»

Dopo un momento, Luna annuì.

Sollevata, Usagi uscì dalla stanza.

 

Luna rimase a osservare la porta aperta.

Non le era sfuggita la lunga occhiata che la sua protetta aveva lanciato alla spilla. Il cristallo era ancora lì, deliberatamente ignorato.

Luna non corse a portarglielo. Per quel giorno non era necessario.

«Usagi?»

Ikuko fermò la corsa di sua figlia verso l'ingresso. Cosa ci faceva quella dormigliona in piedi alle otto del mattino, in una giornata di vacanze estive?

Usagi le corse incontro e la baciò sulla guancia.

Ikuko sgranò gli occhi.

«Mamma, oggi... facciamo una gita con le ragazze, va bene? L'abbiamo deciso solo ieri sera. Tornerò domani, sta' tranquilla.»

«Una gita?» Per simili programmi Usagi doveva prima chiederle il permesso, o quanto meno avvertirla in anticipo.

Non fu capace di ammonirla: il giovane viso serio di sua figlia le sembrò d'un tratto molto più maturo dei suoi sedici anni, diverso dal volto di una persona a cui lei avesse il diritto di impedire qualcosa.

Spiazzata, annuì.

Usagi tornò dolce e bambina davanti ai suoi occhi. «Okay, allora torno domani pomeriggio. Ciao, mamma.»

Ikuko osservò sua figlia sparire oltre il muro della cucina. 

Incerta, rimase a domandarsi cosa fosse accaduto.

 


 

C'erano molte cose da sistemare, pensò Mamoru, dopo un ritorno dall'aldilà.

Spalancò le finestre di casa e sollevò le tapparelle.

Non sopportando il silenzio, accese la televisione.

Con le voci estranee che parlavano in sottofondo, andò a dare aria a tutte le stanze.

In bagno girò i rubinetti del lavandino. La tubatura faticò a riempirsi, ma quando l'acqua riprese a scorrere il getto fu pulito. Lo usò per rinfrescarsi.

In camera sua aprì i cassetti, trovando solo pochi vestiti. Gli altri, ricordò, erano rimasti chiusi nella valigia che si era portato in America, assieme a tutti i suoi documenti e al computer portatile.

L'aereo!

Cos'era successo all'aereo? Forse Galaxia lo aveva distrutto?

Certo che no, capì. Se il suo aereo avesse avuto un incidente, Usagi avrebbe saputo cosa gli era successo. Invece lei era rimasta ignara, perciò l'aereo doveva aver proseguito il volo dopo che lui era stato...  

Già. La valigia doveva trovarsi all'aeroporto di Baltimora. Dopo tre mesi senza reclami, era sicuramente abbandonata in qualche deposito.

Si appoggiò sul letto, tenendosi la testa tra le mani.

Senza vestiti, senza documenti, senza portatile, considerato disperso dalle università e da tutte le persone che lo conoscevano.

Ma soprattutto, era morto per tre mesi. Non una parola a Usagi per tre mesi interi.

Con lei non avevano parlato la sera prima. Avevano usato i loro primi momenti per stringersi, per accertarsi di essere vivi e di nuovo insieme.

Lui le aveva asciugato lacrime di gioia e tristezza: sapeva a cosa era dovuta la disperazione di lei. Mentre tornava in vita, il cristallo che gli era uscito dal corpo lo aveva riempito di informazioni: era appena terminata la battaglia finale e Usagi aveva vinto contro Galaxia, grazie a una bambina aliena coi codini. L'oggetto che lo aveva rianimato - che gli era stato rubato - era un 'seme di stella' e ogni guerriera Sailor o protettore di un pianeta ne possedeva uno. Lui aveva perso il suo da tempo -  anche se solo una volta a casa aveva capito quanti mesi fossero trascorsi.

Abbracciandolo, Usagi gli aveva trasmesso con chiarezza le proprie sensazioni.

Non mi hai dimenticata. Mi ami ancora. Sei tornato da me.

Lei lo aveva creduto al sicuro negli Stati Uniti. Si era convinta che lui avesse deliberatamente evitato di contattarla.

Possibile?

Si spogliò dei vestiti che aveva indossato nell'aereo, gli stessi con cui aveva dormito. Voleva vita in sé e su di sé. Si cambiò con i pochi indumenti che gli erano rimasti - capi che non usava quasi mai.

Irrequieto e sveglio, non seppe più cosa fare.

Erano troppe le questioni su cui indagare, ma solo Usagi avrebbe potuto rispondergli. Doveva aspettare che lei arrivasse. Nel frattempo, non poteva rimanere con le mani in mano. Prese un foglio, per buttare giù una lista.

Aveva bisogno di organizzarsi. Cosa c'era da fare nelle ore successive?

Doveva procurarsi del cibo, innanzitutto. Il frigorifero era vuoto, così come la dispensa.

Dopo aver rifornito e pulito la casa doveva... be', doveva delle spiegazioni a tutti. Andare a trovare Motoki era una priorità.

All'università avrebbe detto che aveva avuto un incidente. Gli avrebbero chiesto un certificato medico come prova. Forse Ami lo poteva aiutare? Sua madre era un medico.

Medico...

Alla John Hopkins a studiare medicina, mentre Usagi e le altre affrontavano Galaxia da sole.

Se fosse rimasto con loro, quella donna non sarebbe riuscita a derubarlo della sua essenza tanto facilmente. E anche se ce l'avesse fatta, Usagi avrebbe saputo subito cosa gli era accaduto, invece di vivere nell'incertezza per... tre mesi?

Come aveva fatto lei a non intuire che c'era qualcosa che non andava se lui non si era più fatto sentire per tutto quel tempo?

Le aveva detto che non sarebbe riuscito a contattarla per i primi tempi, ma solo come forma di precauzione: sapeva che Usagi avrebbe tentato di comunicare con lui appena fosse atterrato, innervosendosi nel non risentirlo subito. Per questo aveva cercato di prevenire possibili crisi in anticipo, ma... aveva avuto in mente qualche giorno di attesa, non tre mesi interi.

Come aveva fatto Usagi a credere che lui avesse deciso di non parlarle per più di dodici settimane, quando a stento a casa passava un giorno tra le loro chiamate?

Voleva saperlo, sarebbe stata la prima domanda che le avrebbe fatto.

... no.

Prima doveva scusarsi con lei: durante la battaglia più dura di tutte non le era stato accanto.

Non importava come o perché, ma Usagi aveva creduto che lui non avesse voluto parlarle per mesi, proprio mentre aveva bisogno di lui nei combattimenti per aiutarla, rassicurarla, darle forza.

Premette forte sulle tempie.

Ma che aveva pensato quando se n'era andato?

Di poter tornare subito, ricordava.

Aveva tenuto conto del possibile arrivo di nuovi nemici. Se fosse stato necessario, si era detto, sarebbe tornato indietro a combattere, senza condizioni o rimpianti. Usagi avrebbe saputo dirgli quando ci fosse stato bisogno del suo aiuto, lei non era più una guerriera inesperta. Inoltre, anche le ragazze col tempo erano diventate più abili e forti. Il contributo di lui non era più indispensabile.

Si era giustificato così per partire.

Stupido.

Avrebbe dovuto immaginare il peggio, prevederlo. Non ci aveva pensato di proposito, per non frenarsi dal partire. 

Aveva cercato di scappare?

No. Non si era iscritto a nessun concorso, né ad alcun progetto di scambio. Aveva solamente completato una ricerca su cui si era impegnato per mesi. Il suo lavoro era stato notato da un professore che lo aveva lodato presso un'università americana e, dal nulla, lui si era ritrovato con una proposta creata su misura. Dottori rinomati, tra i migliori nel campo, avevano pensato che valesse la pena investire su di lui, dandogli un'opportunità.

Ne era stato così fiero. 

Perché se n'era andato? Per provare almeno a vivere l'esperienza. Se i nemici si fossero ripresentati sapeva qual era il suo dovere, il compito così intimo al suo essere da non costituire un peso. Sarebbe tornato immediatamente.

Prima di accettare si era consultato con Usagi. Senza il consenso di lei non avrebbe messo piede fuori dal Giappone e Usagi... gli aveva detto di partire.

Una parte di lei avrebbe preferito non vederlo andare via, per continuare a vederlo tutti i giorni, ma quando lo aveva incoraggiato ad andare, a parlare era stata una persona matura che lo amava e lo appoggiava incondizionatamente. La sua famiglia.

Nei giorni precedenti alla partenza, lui si era reso conto di quanto Usagi fosse cresciuta.

Da secoli  - e ormai da due anni - lei era l'amore della sua vita. Si avvicinava sempre più il giorno in cui sarebbero stati una famiglia vera e propria. Perciò le aveva comprato un anello. Era troppo presto per una promessa di fidanzamento, ma l'aveva visto dietro una vetrina, rosa e a forma di cuore, e aveva pensato che quell'anello rappresentava perfettamente la sua Usako. 

L'aveva preso con l'intenzione di portarselo dietro, per tenerlo con sé mentre erano lontani.

Poi Usagi aveva cominciato a piangere in aeroporto e lui aveva capito che, nonostante la scelta consapevole di lasciarlo andare, per lei la nostalgia sarebbe stata devastante. Le aveva dato l'anello, per ricordarle la verità che aveva sempre presente: lei era e sarebbe stata unica nella sua vita, il centro del suo universo.

Un giorno, nel futuro, ci sarebbe stata Chibiusa, ma soprattutto il regno di cui lui e Usagi sarebbero stati sovrani e...

Sentì una fitta al cervello - un tocco rapido, un'iniezione di conoscenza.

Respirò la sensazione.

Nella sua testa si erano consolidate nuove informazioni.

Strinse gli occhi, cercando di farle andare via. 

Perché si stava immaginando che...?

Inspirò a fondo, finché non ebbe chiarezza: come quando Usagi lo aveva risvegliato, qualcosa - qualcuno? - lo aveva dotato di risposte.

Il cristallo d'argento?

Gli veniva detto che... che l'avvenire era più vicino di quello che pensava. Il regno argentato sarebbe durato oltre mille anni nel futuro, ma sarebbe sorto entro... dieci anni?

No, tra meno di dieci anni.

Sbatté le palpebre, incredulo.

Lui e Usagi sarebbero diventati Re e Regina tra più di... cinque? Sì, cinque anni. Ma entro dieci anni.

Ne era certo, in maniera spaventosamente sicura.

Ma cosa-? Massaggiò le tempie, cercando di smettere di pensare.

Si alzò, andò in un'altra stanza. Provò a distinguere il sogno dalla realtà, ma non cambiò nulla nella sua mente.

Sarebbe diventato sovrano della Terra nel giro di pochissimo tempo.

Uscì sul balcone, cercando aria. Strinse il cornicione tra le mani.

Re? Io?

Lo aveva sempre saputo, ma aveva creduto di avere anni davanti, di poter vivere prima una sua vita.

Udì un rumore in casa, si voltò.

Qualcuno stava aprendo la porta dell'ingresso.

 

Entrando, Usagi vide Mamoru in controluce, stagliato sulla finestra del balcone. Le mancò il respiro finché lui non si mosse. Non era un sogno.

Mamoru stava camminando verso di lei, fino al centro del salotto. La stava raggiungendo piano, di sua volontà. Non era più lei a immaginarsi che lui volesse tornare a vederla, a sentirla.

Divenne vero quando lo guardò negli occhi. Mamoru era attonito e colmo di emozione, sul punto di correre. Era reale, vivo. Era veramente tornato da lei.

Usagi scoppiò a piangere.

Sentì i passi veloci di lui, poi le sue braccia intorno al corpo che la sollevano di peso, aggrappandosi male alla sua schiena, al vestito. Non le importò, si tenne stretta alle sue spalle. Quegli abbracci, quanto le erano mancati!

Singhiozzò, non riuscì a respirare. Annaspò pur di sentire l'odore dei capelli di lui, del suo viso. Mamo-chan. Cercò di balbettarlo, di dirglielo. Non riuscì, premette il naso contro la sua pelle, morì di gioia e dolore.

Pensavo che mi avessi dimenticata! Lo baciò a bocca aperta sullo zigomo, sulla guancia. Nel sentirsi stretta forte morirono in lei mesi di sofferenza.

«Usako.»

Oh sì, era di nuovo Usako. Il sollievo uscì da lei in un gemito. Non riuscì più a baciare perché si ritrovò baciata, amata.

Come si era tenuta dentro tutto quell'amore? Come aveva fatto a non esprimerlo, a trattenerlo?

Graffiò Mamoru tra nuca e collo mentre cercava di tenersi su, per continuare a dargli le labbra, a prendere le sue. Erano dolci e dure, morbide, ansiose di ritrovarla. Era Mamo-chan, che non si era scordato di lei nemmeno per un momento.

Insieme, inciamparono di lato, ritrovando un equilibrio solo quando lui la tenne stretta con un braccio, piegando le ginocchia per sedersi.

Io potevo perderti!

Gli cadde addosso, lo strinse a piene mani. Passò le dita sulle sue spalle, sulla schiena, tra i capelli, convulsamente, con forza. Non le sfuggì un centimetro di pelle, perché voleva sentirlo tutto intero, sano e al sicuro. Aderì a lui col petto per sentire come si muoveva, come viveva. Era tornato, dopo essere morto.

Smise di muoversi, le mani ferme sul suo collo. Percepì le labbra di lui che premevano sulla sua bocca da sole, con la voglia di ritrovarla, di sentirla.

Non era un sogno. Non aveva lasciato che morisse, lo aveva riportato indietro.

Lo strofinio del bacio si era fatto leggero, troppo bello per essere solo nella sua immaginazione. 

Prese aria, per accarezzare anche il nome di lui. «Mamo-chan.»

Stava ancora piangendo. Le dita di Mamoru le tenevano le guance, accudendo il suo viso per mandare via le lacrime.

Si baciarono piano, come bambini, consolandosi.

Non voleva mai più staccarsi da lui: voleva custodirlo, amarlo da vicino. Voleva continuare a baciarlo piano e forte, veloce e lento, riempiendosi del suo sapore. Non lo sentiva più come prima e si azzardò a cercarlo con la lingua, proprio quando Mamoru aprì le labbra e cercò quello di lei.

Tremarono. Usagi rabbrividì quando ripeterono l'assaggio, troppo per non provare a staccarsi, poi a strofinarglisi contro.

Si sciolse per quanto fu divino, dolce.

Aprirono di nuovo le labbra, l'uno nell'altra, non più per disperazione. Le uscì un suono, un gemito. Scivolò sulle ginocchia di lui, si ritrovò seduta, poi con la schiena cadde all'indietro. Non smise per un momento di stringerlo - in quella tenerezza voleva disfarsi. Si adagiò sulla moquette con lui sopra, insieme. 

«Usagi.»

Pulsò di gioia, sistemando la testa nell'incavo del braccio di lui per continuare a baciarlo, comoda. Non lo avrebbe più lasciato andare. «Mamo-chan, Mamoru.»

Lui si fermò, e nel respiro contro la guancia Usagi sentì dolore. Tenne il volto attaccato al suo, non lo abbandonò. Perdonami.

Era stata lei ad abbandonarlo. L'agonia della colpa fu lancinante. Lo racchiuse tra le gambe, tra le braccia, forte e stretto contro di lei. Dondolarono insieme e fu talmente piacevole e bello... Ma stando ferma sentiva di non dargli qualcosa, voleva e cercava qualcosa... Si agitò tra le sue braccia, facendo muovere Mamoru contro di lei.

Trovò quello che cercava quando i loro fianchi si incastrarono, una puntura di realtà al bassoventre.

Spalancò gli occhi, non riuscì nemmeno ad ansimare.

Lui si tirò su sulle braccia, rigido. Lentamente, si scostò da lei.

Usagi cercò i suoi occhi, ma Mamoru li teneva per terra, confuso. Sulla parte superiore delle guance lui aveva un po' di... colore? 

Non lo aveva mai visto così. Non lo vedeva davanti a sé, con tanta chiarezza e vicinanza, da molto tempo.

«Eri morto» mormorò, reprimendo un singhiozzo. «Eri morto per tutti questi mesi.»

Lo vide soffrire di nuovo e non poté resistere: gattonò fino a raggiungerlo, lo abbracciò. Vibrò al contatto, scioccamente, per sensazioni nuove che erano nulla rispetto a quelle che lui le dava da sempre.

Si scostò per guardarlo negli occhi: le iridi blu del suo Mamo-chan, con cui lui la guardava quando la teneva stretta, le sorrideva, la contemplava. Quando la chiamava Usako, facendola rabbrividire di dolcezza.

Aveva creduto che a lui non mancasse niente di loro due, che non avesse sentito il loro amore forte quanto lei.

Quanto era stata stupida.

Mamoru pativa e le accarezzava il viso. «Mi dispiace.»

«Non è stata colpa tua...» Perché aveva ancora voglia di piangere?

«Mi dispiace» continuò a ripetere lui, ma lei riuscì a pensare solo quando si ritrovò stretta al suo petto e lo sentì ansimare forte, sull'orlo della disperazione.

No! Si tirò indietro. «Sei vivo ora.» Lui stava bene, non doveva avere paura.

Mamoru respirò veloce. «Non andrò più via. Non ti lascerò più.»

In lei si sciolse un altro nodo di dolore. Quelle erano le parole che aveva agognato di sentirgli dire.

Era immatura a pensare ancora a se stessa. «Sei vivo, Mamo-chan.» Si sollevò sulle ginocchia, per stringere al seno la sua testa, cullandolo. «Non lascerò più che qualcuno ti faccia del male.»

Udì un suono basso, una risata stentata.

Le era mancato sentirsi presa in giro da lui. «Cosa?» Asciugò la scia di una lacrima. «Non posso essere io a proteggerti?»

«Puoi.» Mamoru smise di sorridere. «Ma è tutto cambiato. Avrei dovuto essere io ad aiutarti.»

Lui stava trovando colpe dove non ne aveva. Non stava pensando, ragionava male. Sicuramente si era appena svegliato e... Oh. «Guarda cosa ti ho portato.» Tornò in piedi e per un istante faticò a separarsi da lui. Per il suo Mamo-chan fu forte e smise di fare la sciocca, muovendosi verso i sacchetti che aveva lasciato cadere a terra, sull'ingresso.

«Non hai mangiato nulla, vero?» Come poteva avere lui del cibo in casa? Lei ci aveva pensato mentre veniva a trovarlo, era stata bravissima. «Ti ho comprato delle cose. Avrai fame.»

Mamoru era rimasto seduto a terra. Si sciolse in un sorriso, il più tenero e giovane che lei gli avesse mai visto fare.

«Pensi sempre al cibo.»

No. Su quella moquette, con lui, aveva pensato per anni ai baci, agli abbracci, a quanto gli voleva bene e ai momenti di felicità che creavano insieme, anche con in mezzo un tavolo per mangiare o dei libri. Ora voleva tornare al suo fianco, arruffargli i capelli e un giorno sdraiarsi di nuovo insieme al suolo, stretti e uniti.

Arrossì e fu felice di raggiungerlo. Gli prese le mani. «Vieni. Ora la tua Usako ti prepara una bella colazione.»

 

Mamoru non riusciva a smettere di guardare Usagi. Lei trafficava nella sua cucina, muovendosi piano, per farsi osservare. Sorrideva quando incrociava i suoi occhi.

Averla a pochi metri da lui era familiare, incredibile dopo quello che era successo a entrambi e... dolorosamente raro.

Perché non le aveva chiesto più spesso di stare in casa sua? Aveva troppi pochi ricordi di come lei preparava un caffè, di come strappava le buste dei biscotti.

Aveva quasi perso per sempre momenti come quello, e tutti quelli che sarebbero venuti con lei in quella cucina, nella sua casa, nella loro vita.

Come aveva potuto andarsene?

Usagi era la stessa di sempre, ma lui sentiva un vuoto tra loro, per i mesi dell'esistenza di lei a cui non aveva partecipato. La distanza era solo nella sua testa, irreale, perché Usagi non era cambiata. Gli sembrava di averla vista solo il giorno prima - all'aeroporto - ma per lei era passato molto più tempo. Settimane di angoscia e preoccupazione di cui lui aveva solo un  misero riassunto.

Perché non mi hai cercato?

Strinse le labbra e non fece quella domanda. Usagi voleva solo un momento di pace. Lui poteva darle almeno quello.

Lei si voltò, per contemplarlo di nuovo. «Appene l'acqua bolle, preparo anche il tè. Come piace a te.»

Non le aveva mai detto che gli piaceva qualunque cosa quando era lei a prepararla.

Usagi si fermata, aveva gli occhi fissi su di lui. Lo guardava come se fosse un sogno diventato realtà, o un fantasma tornato in vita.

Lei era la quotidianità che lui non aveva apprezzato abbastanza. «Mi saresti mancata dopo il primo giorno.»

Lei patì. «Dovevi studiare.»

Avrebbe potuto farlo ovunque. L'America sarebbe stata un'esperienza di studio inarrivabile, ma solo se avesse potuto portare Usagi con sé. Solo se non fosse stato Tuxedo Kamen e lei non avesse avuto sulle spalle il destino del mondo intero. «Ti ho lasciata da sola.»

Usagi guardò per terra. «... mi avresti chiamata.»

Oh sì. Appena atterrato, per tranquillizzarla. O, se il fuso orario non lo avesse permesso, l'avrebbe lasciata dormire e non avrebbe aspettato più di dodici ore dall'arrivo negli Stati Uniti. Avrebbe pensato a lei in ogni momento. L'aveva avuta in mente quando Galaxia lo aveva trovato, e persino quando era morto. 

Sapevo che avresti salvato tutti. Avevo fiducia in te.

«Perché non mi hai cercato?» Era morto pensando al dolore che le avrebbe causato, pregando perché fosse felice e forte. Ma lei...    

«Avevi detto... che saresti stato impegnato.»

Era vergogna quella che sentiva nella sua voce? «Per tre mesi?»

Usagi non lo guardava, invasa dal senso di colpa. «Avevi detto che non avresti chiamato subito. Dovevi studiare tanto, io non- non volevo disturbarti...»

Era la verità? Doveva essere la verità, ma- «Hai creduto che per tre mesi io non mi facessi sentire?» Era irreale. «E non hai sentito il bisogno di chiamarmi tu?»

Usagi lo guardò. Il suo silenzio lo lasciò con un buco nel cuore.

Si era dimenticata di lui? Non le era mancato?

Lei scosse la testa. «Sono stata stupida. Ti ho scritto una lettera ogni giorno, Mamo-chan. Non c'era ora in cui non ti pensassi.»

Lui continuava a non capire. «Credevi che ti stessi ignorando?»

«... Sì.»

Si spazientì. «Come?!»

«Non lo so! Sembrava sensato che tu fossi impegnato e che ti aspettassi che io... Il silenzio era da te, nella mia testa era normale!»

Lui non la incolpò più, perché il dolore le aveva deformato il volto.

«Ci stavo così male, Mamoru! Ed ero così stupida, perché in realtà ero io quella che ti aveva abbandonato!»

No, no. Andò da lei, la abbracciò. La sofferenza di lui era a posteriori, era un ragionamento. Non aveva vissuto settimane di silenzio e dubbi come lei.

Usagi si aggrappava alle sue braccia. «Voleva la tua voce! Così tanto che ho persino... Sollevavo il telefono, facevo il numero e... Mi sento così patetica.»

«Hai chiamato la mia segreteria.»

Lei sussultò.

«Ti è sfuggito un messaggio... Piangevi.» Eccola la prova, se davvero aveva avuto bisogno di averne una.

Contro il suo petto, Usagi sollevò la testa. Aveva ripreso coraggio e fece un passo indietro, tenendogli le mani. «Credevo nel tuo amore, Mamo-chan.»

Lei non doveva spiegargli. Forse non era possibile ed era stato tutto solo un enorme malinteso.

«Io ero sicura che tu mi pensassi. Non dubitavo che stessi bene - come nei giorni di esame qui a Tokyo, ricordi? Quando non ci sentivamo per un po'.  Io sapevo che tu c'eri, tu sapevi che ti sostenevo... Non avevamo bisogno di parlare. Mi ero convinta che in queste settimane stesse succedendo la stessa cosa. La stavo prendendo come una prova di pazienza, di... resistenza.»

«Non ti avrei mai fatto una cosa simile.»

Lei non annuì, non lo guardò. «Tu non sei come me. Parlavamo ogni giorno quando non avevi da studiare, ma di solito ero io che ti chiamavo. Sono io che ho bisogno di conferme. Tu mi ami in un modo tuo, tranquillo. A volte senza parole.»

... era questa l'impressione che le aveva dato?

«Tu mi pensi anche quando non parli, Mamoru, io lo so. Perciò... te n'eri andato lontano, per studiare cose importanti. Te l'eri meritato ed eri concentrato. Ti immaginavo chino sui libri. Ogni tanto magari ricordavi la mia faccia e sorridevi. Ma chiamare non era indispensabile per te, non era... così importante.»

Lui iniziò a vedere l'errore, il problema che era nato da un suo atteggiamento.

A volte si era comportato così con lei, con innocenza, senza credere di farle alcun danno, per poco tempo. Per poco, vero?

Usagi sospirava. «Per me era ovvio che stessi bene. Non potevo pensare che ti fosse successo qualcosa, era... impossibile. Tu eri lontano e stavi bene!»

Lui la prese per le spalle. «Usagi.» Iniziò ad avere una paura nuova. «Hai creduto fino alla fine che io pensassi sempre a te?»

Lei annuì, dolorosamente. «Ma sentivo il bisogno di un tuo segno. Mi mancava da morire un contatto. Tu mi conoscevi e... Non capivo! Sapevi sicuramente che stavo male ma non mi chiamavi. Mi sentivo così...»

Abbandonata. 

Lei si rifiutò di dirlo. «Tu non hai fatto niente, era tutto nella mia testa. Cercavo di distrarmi, sai? Le ragazze si preoccupavano e mi stavano vicino. Anche se non sapevano che non mi chiamavi, sentivano che ero giù. Poi c'era la novità dei Three Lights, e Seiya che...»

«Aspetta.» Non voleva ancora parlare di altre persone. «Se fossi partito, ti avrei richiamato già nella prima settimana. Più volte.»

Lei si coprì il volto con le mani.

Mamoru non lo sopportò: Usagi non aveva colpe da sola. «Non avrei dovuto lasciarti credere che non mi importasse di te.»

«No, non è-»

«Invece sì. Parlo poco e non ti dico tutto. Mi chiami di più tu, Usa, perché quasi sempre mi precedi, ma è vero che... io mi distraggo. E penso che tu sia lì ad aspettarmi.» Suonava crudele, e lo era per ciò che aveva causato. «Ma io ti sento con me. So che ci sei sempre, che ti penso, e che tu... mi pensi a tua volta.» Era partito con l'intenzione di spiegarle, ma stava finendo col ripetere le motivazioni dietro l'errore di lei, confermandole.

Si teneva tutto dentro, come faceva Usagi a sapere cosa provava lui?

Lei annuiva mesta. «Lo so.»

Era una consapevolezza che ora le portava speranza, ma che l'aveva fatta soffrire a lungo.

Usagi non era felice di vederlo stare male. «Basta, ho capito. Perdonami. Io ti ho già perdonato se c'è qualcosa che tu... Ma non è vero. Ho fatto tutto da sola.»

Lui non lo credeva più. Ma aveva tempo per rimediare. Settimane, mesi. Anni.

L'acqua stava bollendo. Usagi si staccò e andò ai fornelli. «Facciamo colazione ora. Solo... colazione.»

Era la richiesta di un momento di calma. Anche lui ne sentiva il bisogno e annuì.

La aiutò a tirare fuori le tazze, si destreggiarono insieme nel portare a tavola tutto quello che volevano bere e mangiare. Usagi si servì una bella tazza di latte, lui alla fine ne versò un goccio nel tè. Il caffè lo avrebbe innervosito e le disse, con gentilezza, che lo avrebbe bevuto dopo.

Usagi lo guardava come se si aspettasse da lui un racconto, inconsciamente.

Era strano, davvero, che alla fine non fosse mai andato in America. «Sai, stamattina sono andato in camera a cambiarmi... Sono quasi senza vestiti. Li avevo messi nella valigia che mi ero portato dietro.»

«Già.» Lei ebbe negli occhi un ricordo. «Quando lei ti... È accaduto mentre eri in aereo.»

Lui provò quasi vergogna. «... Lo hai visto?» Il modo misero e rapido in cui era stato sconfitto.

Usagi deglutì. «Galaxia me lo ha fatto vedere.» Scosse la testa. «Era plagiata dal male.»

Lei non voleva più pensare male di niente e nessuno, ma Mamoru voleva sapere. «È successo un'ora dopo che sono partito. Il resto dell'aereo è arrivato in America, vero?» Si rispose quasi subito da solo. 

«Sì, nessun incidente.»

Naturale. Se un intero volo di linea fosse scomparso, ne avrebbero parlato al telegiornale e lei avrebbe saputo cosa gli era accaduto. 

Fino a quel momento Usagi aveva riflettuto e d'improvviso raddrizzò la schiena, sorpresa. 

«Cosa c'è?»

Lei sorrideva. Si alzò e lo trascinò per un braccio, verso il balcone. Aprì l'anta di vetro. In un lato non visibile dall'interno del salotto, era riposta una grossa valigia. La sua.

«Ma come...?» Lui si inginocchiò e trafficò con la combinazione numerica del lucchetto. Era la sua valigia? Lì in casa?

La aprì. C'era tutto: vestiti, portatile, tutto. «Ma come...?» Guardò Usagi.

«Non so spiegarti. Ma appena ne hai parlato ho avuto come una sensazione in testa. Ci ho messo un po' a capire. Dev'essere riapparsa qui ieri sera.»

Era stata lei.

Usagi guardava i suoi vestiti ben piegati. «Non so a quante cose sia capace di pensare il mio cristallo. Ha rimesso in piedi gli edifici che la battaglia ha distrutto e ti ha riportato da me. Deve aver cancellato i ricordi di questi giorni di guerra dalla mente delle persone, come al solito.»

«Era quello che desideravi. Pace.»

«So che è dipeso tutto da me, però...» Lei provò a ridere. «Non sono così precisa, ma il mio cristallo sì. Per la tua valigia dobbiamo ringraziare lui.»

Usagi aveva vinto l'ennesima guerra tutta da sola ed era ancora modesta, troppo umile.

Lei si inginocchiò al suo fianco. «Piano piano le cose torneranno come prima.» Inspirò e trovò una sua mano. «No, meglio di prima. Questa volta cercherò di capirti per davvero e non farò mai più l'errore di-»

Doveva dirlo lui. «Usa.» Le accarezzò un braccio. «Sono io che devo farti capire cosa provo per te. Non adesso o solo una volta. Tutti i giorni. Mi impegnerò. Devi sentire quanto ti amo.»

Poche parole e un effetto così grande: Usagi gonfiò il petto di gioia, si illuminò. Accarezzò tutto il suo braccio, la sua spalla. Giunse al suo viso e per la prima volta, sulla sua mano, lui sentì qualcosa.

Voltò la testa, toccò l'anello che le aveva regalato.

«Non l'ho mai tolto» sorrise lei.

Per tutti quei mesi, in cui lui non le aveva parlato. Lei l'aveva ricordato. L'aveva amato.

Lei si gettò tra le sue braccia. «No» sorrideva. In gola avevano entrambi un masso duro, buono, ma troppo pesante da gestire. Usagi lo mandò giù. «Basta dolore. Lascialo andare con me, Mamo-chan. Siamo insieme.»

Sì, lo erano. Con tutte le sue forze la strinse e lì, su quel balcone, in casa sua, giurò. Non ti lascerò mai più.


CONTINUA

Nota di giugno 2015: ho riscritto praticamente daccapo la storia dal momento in cui Usagi e Mamoru si ritrovano. Il contenuto nella sostanza è lo stesso, cambia l'ordine delle parti, lo stile, la presentazione. Non c'è più un alternarsi continuo di punti di vista, bensì abbiamo prima la voce di Usagi e le sue sensazioni nel momento dei primi abbracci con Mamoru, poi solo la voce di lui. Avrei voluto mantenere il più possibile ciò che c'era nella versione precedente e in un certo senso l'ho fatto - tanti concetti sono solo parafrasati, resi meglio - ma alcune cose erano proprio ingenue a livello di stesura. 
Dopo molto tempo volevo dare una versione più 'degna' di quella che è stata la mia prima vera storia, ma soprattutto ancora adesso la storia che introduce la mia saga. Rivedrò anche il resto dei capitoli.
Ringrazio i lettori del mio gruppo Facebook, 'Verso l'alba e oltre...' per avermi dato alcune prime indicazioni sulle reazioni che suscitavano alcune modifiche. Spero che il capitolo completo vi soddisfi e vi dia emozioni paragonabili a quelle della prima volta.
A voi, e a chiunque altro, lascio comunque detto che se volete una copia della prima versione e non l'avete salvata, potete sempre chiedermela via email :) Il mio indirizzo è ellephedre@gmail.com


Leggo sempre i vecchi commenti, se avete letto e il capitolo vi è piaciuto, mi farà sempre piacere sentirlo ;)
ellephedre

NdA originali: salve a tutti, grazie per aver letto la prima parte della mia fanfic.

Come vedete, ho voluto scrivere di quello che è successo poco dopo la fine della battaglia contro Sailor Galaxia in Sailor Star, la quinta e ultima serie di Sailor Moon.

Ho modificato e modificherò alcuni particolari dell'ultima parte dell'anime per adattarsi alle esigenze della storia che ho in mente (ad esempio, avrete forse notato che ho ben definito i particolari temporali; ecco, non so se sono quelli giusti, so solo che li ho trovati adatti.)

Al momento ho già pronte almeno un altro paio di parti. Le ho scritte di getto per buttare su carta tutte le idee che avevo in mente e ora mi sto dedicando a rendere il tutto stilisticamente migliore e coerente col resto della trama.

Nella prossima parte, farò valere il rating Rosso che ho dato alla storia, se per caso ve lo state chiedendo. ;) Praticamente è già pronta ed è una lunga parte incentrata quasi esclusivamente su quello che forse vi aspettavate di trovare già qui. Non penso potrei definire proprio Lemon quello che andrò a scrivere :)

Affronterò anche l'argomento Seiya (per come lo vedo io ... questa è una storia chiaramente e totalmente pro Usagi/Mamoru, quindi non aspettatevi nulla che vada in altro senso). In una parte che ancora devo definire meglio, ci saranno anche le altre guerriere.

Al momento non ho deciso se terminare questa mia storia con la descrizione di ciò che succede appena dopo la fine di Sailor Stars. Forse avrete notato che in un punto ho gettato le basi per qualcosa su cui potrei costruire una trama più corposa. Vedremo.

Ulima cosa .... il titolo. Il titolo è stata davvero l'ultima cosa. L'ho scelto solo poco fa ma ora mi sembra appropriato. Volevo un titolo che indicasse che scrivevo su qualcosa che veniva dopo Sailor Stars. Dopo le stelle, appunto. Ho scelto 'oltre' perchè dà un'idea più 'vasta', dal mio punto di vista. Come dicevo, ora mi sembra davvero un bel titolo.

Vi ringrazio fin d'ora per ogni commento che vorrete darmi. Mi farebbe veramente piacere sapere cosa ne pensate di questa prima parte.

Ellephedre


Settembre 2009: ho riscritto qualcosa, per rendere meno pesante o ingenuo lo stile. E tuttavia ritengo che lo stile di questa prima parte sia pesante, ma per evitare l'effetto dovrei effettivamente riscrivere tutto daccapo, impostare intere scene da un solo punto di vista.

Per ora credo possa andare bene così. 'Oltre le stelle' è stata la mia prima storia 'seria' e credo sia naturale mantenga qualche difetto del momento in cui è stata per la prima volta concepita. A meno di rivoluzioni, manterrò il capitolo così com'è.

Gennaio2010: ho sistemato un po' la questione dei punti di vista e migliorato qualche parte scritta abbastanza male (sia a livello di descrizioni che di dialoghi). Continuo ancora a credere che come lavoro sia migliorabile, ho giusto limato qualche problema grossolano, tuttavia continuo ad apprezzarlo a livello di contenuti (mi piacciono e basta :) )

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Seconda parte - Salutarsi ***


oltrelestelle2

 

Oltre le stelle

 

Autore: ellephedre

 

Disclaimer: i personaggi di Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation.

 

 

Seconda parte - Salutarsi

  

In seguito, entrambi sentirono che il peggio era passato. 

Percependo che ormai poteva, Mamoru chiese a Usagi di parlargli delle esperienze vissute in quei mesi.

La sorpresa... il primo nemico era una guerriera Sailor. E altre Sailor erano arrivate. Si erano rifiutate di collaborare con loro nella lotta contro il male - proporio come avevano fatto un tempo Uranus e Neptune, ma la differenza era stata chiara fin da principio: le Starlights non facevano parte del sistema solare.

Semi di stella, il nuovo obiettivo del nemico.

A scuola i Three Lights, nelle battaglie le Starlights.

La nascita di nuove amicizie con tre ragazzi particolari, per cui le Inners stravedevano.

La comparsa di Sailor Lead Crow e Sailor Alluminium Siren.

Poi Chibi Chibi, che le somigliava così tanto e che, proprio come Chibiusa, si era stabilita a casa sua, fingendosi sua parente.

La scoperta della vera identità delle Starlights e la tristezza davanti a un'ostilità che non aveva senso.

L'apparizione di Sailor Tin Nyanko e di Kakyuu, la principessa tanto cercata dai Three Lights...

Venire presa di mira, identificata come il bersaglio cercato, protetta in ogni modo dalle sue amiche.

Il cammino verso la battaglia finale, il sacrificio della principessa Kakyuu, l'inizio di una distruzione che non sembrava avere fine.

Poi la morte di Mars, Mercury, Jupiter e Venus. Come se non fosse abbastanza, era giunta la terribile presa di coscienza sul vero disegno di Galaxia per l'universo e su cosa quella guerriera avesse fatto con i semi di stella raccolti - quelli fra cui Usagi aveva visto il suo, dorato e splendente nonostante la morte che rappresentava per lui.

La visione dei suoi ultimi istanti di vita - un dolore che aveva annientato tutto il resto.

La morte di Pluto e Saturn. Il tradimento di Uranus e Neptune.

Uasgi non ci aveva voluto credere fino alla fine. Se l'avesse fatto, avrebbe perso ogni volontà di vivere.

Il sostegno continuo delle Starlights.

La scoperta della reale forza di volontà di Haruka e Michiru; vederle sacrificare ogni cosa - vita, onore e dignità - per la salvezza dell'universo, inutilmente.

La disperata fiducia delle Starlights, semplici guerriere contro un nemico dalla forza ineguagliabile.

L'insperato ultimo aiuto di Chibi Chibi... e realizzare che crogiolarsi nel dolore non serviva a nulla. 

Lei doveva credere nell'amore e in quella speranza in cui aveva riposto fiducia per tutta la vita. Li aveva provati personalmente, ne conosceva la forza.

Se ne era riempita, aveva immaginato un mondo di sofferenza e disperazione per tutti quanti e non era riuscita a rimanere inerme. Doveva impedirlo, non poteva veder morire tutto ciò che la circondava.

La forza era scaturita da dentro di lei... e Galaxia si era liberata di Chaos.

        

Mamoru la sentì terminare un racconto epico.

Aveva accanto una persona in grado di salvare l'universo intero: era quella l'essenza di Usagi, il suo destino. Eppure lei era riuscita a non farsene travolgere. Sailor Moon e Serenity erano identità che non avevano mai preso il sopravvento su di lei. Le si erano sottomesse, erano diventate parti della sua essenza, da richiamare quando necessario. Forse non lo sapeva nemmeno Usagi, ma aveva un enorme controllo sul proprio potere. Non ci sarebbe mai stato nessuno di più adatto per il ruolo che le spettava.

Lei era rimasta in silenzio, a guardare la finestra.

Mamoru decise di porle alcune domande su due argomenti che non le aveva sentito toccare nel modo che gli interessava.

«Le altre guerriere... Quando ti sei confidata con loro sul problema che avevi con me, cos'hanno detto?»

Non riusciva a credere che a una delle ragazze non fosse venuto il dubbio che ci fosse qualcosa che non andava col suo silenzio. Usagi si era crogiolata nel dubbio, ma le sue amiche dovevano aver visto le cose con più lucidità.

Lei non aveva spostato gli occhi dal pavimento.

Mamoru non ci mise molto a interpretare il suo mutismo. Usako... non aveva detto nulla alle ragazze.

Lei era piena di rimorsi. «L'ho rivelato a Rei solo poco prima della battaglia finale e solo perché lei ha insistito. Neanche un attimo dopo alla radio hanno annunciato lo scioglimento dei Three Lights. Era un altro tassello della battaglia che stavamo combattendo e non abbiamo più parlato d'altro.» Iniziò a scuotere la testa. «Oh, ma Rei aveva capito subito che c'era qualcosa che non andava. Presto ne parleranno tutte assieme e si renderanno conto che non ho avuto fiducia in loro.» Rimase senza fiato, arrivando ad una conclusione che fino a quel momento non aveva mai preso forma nella sua mente. «Ed è stato così: non ho avuto fiducia nelle mie amiche, Mamo-chan. Ma io non volevo... era solo che non riuscivo a-» Si rannicchiò in una palla, come per eclissarsi.

Andando da lei, lui diede rifugio ai suoi singhiozzi.

«E pensare che non volevo più piangere...» 

Non la biasimava. Le mancanze presenti all'interno del loro rapporto l'avevano spinta a non confidarsi con nessuno. Lei si era vergognata, aveva creduto che lui stesse scegliendo di non parlarle e di non scriverle. Per questo non aveva voluto farlo sapere alle sue amiche.

Sulla bocca sentì il salato delle sue lacrime. «Forse non sarà facile, ma le ragazze ti adorano proprio come tu adori loro. Apriti su quello che hai provato e vedrai che capiranno.»

Usagi annuì sospirando. «Mi farò perdonare a tutti i costi.»

«Ad un certo punto intuiranno anche la mia parte di colpa. Se non ci arrivano da sole, faglielo presente tu.»

Lei prese fiato per protestare ma lui non la lasciò iniziare.

«Per giustificarmi di' a tutte che ti amo e sistemerò ogni cosa.»

Invece di una risposta, due lacrime felici le rigarono le guance.

Qualunque fosse il motivo, lui non voleva farla piangere più. Per distrarla scelse di porle la sua seconda domanda.

«Prima che iniziassi a raccontarmi di questo periodo, avevi detto che quando non c'ero erano tutti preoccupati per te. E che c'era Seiya, Seiya che è una Sailor Starlight ma anche un ragazzo che canta coi Three Lights. Un ragazzo che... Non avevi finito. Che cosa faceva?»

Le guance di lei presero colore. «Be'... ti ho detto che coi Three Lights eravamo diventati amici. Le ragazze li cercavano sempre e anche Taiki e Yaten erano una compagnia divertente. Ma io mi divertivo con Seiya in particolare, perché, ecco, mi somiglia di carattere. E noi...» Le sfuggì dalla gola una mezza risata esitante.

Stranito, Mamoru continuò ad ascoltare.

«Quando ero triste lui faceva tutto quello che poteva per tirarmi su. Una volta per esempio mi ha portata al luna park, poi a ballare... mi ha anche convinta a partecipare ad un torneo di softball e abbiamo vinto! Mi ha aiutata tante volte a non intristirmi troppo per te.»

Quante attenzioni.

Usagi sentì il bisogno di chiarire. «Gli voglio bene, come ne voglio alle ragazze. Mi ha fatto male quando si è allontanato da noi con le altre Starlights. Comunque... okay, lui ha sempre un po' flirtato, ma io credevo che fosse il suo modo di fare. Poi, quella volta che Sailor Tin Nyanko mi ha attaccato, Seiya è venuto a salvarmi e per fermarla ha gettato una rosa a terra. Quando l'ho vista io ho sperato così profondamente che fossi tu che, quando ho capito di essermi sbagliata, non ho più retto e sono scoppiata a piangere. Seiya era convinto che tu mi avessi dimenticata e che mi stessi facendo del male ignorandomi apposta. Mi ha chiesto... perché non poteva essere lui. Perché non potevo farmi bastare lui.»

Usagi preferì non attribuire un significato al silenzio del suo ragazzo.

Ci aveva riflettuto e un pochino si vergognava per aver fatto credere a Seiya di avere delle speranze, per quanto inconsciamente.

«Solo allora mi sono resa conto di quanto fossi stata cieca... Ma non volevo che finisse così tra noi. Volevo chiarire e forse... forse dopo poteva tornare tutto come prima con la nostra amicizia. Non è stato facile incontrarlo, anche per via di Uranus e le altre... eravamo ai ferri corti con le Starlights e... be', Haruka, Michiru e Setsuna non erano d'aiuto. Alla fine sono riuscita a vedere Seiya al loro ultimo concerto, poco prima che iniziasse l'ultimo scontro. Sono riuscita a fargli capire che...» Se ci ripensava stava ancora male. «Non poteva essere lui la mia scelta. Ho pianto. I suoi sentimenti erano sinceri, ma quelli che io provavo per te erano assoluti e alla fine nessuno era felice. Mi dispiaceva farlo soffrire, ma Seiya ha capito.»

Era stato molto comprensivo e come al solito allegro alla fine.

«È andato a cantare e da allora come Seiya non l'ho più visto. Però come Sailor Star Fighter mi ha sostenuto con tutto se stesso. Almeno con lui è finita bene.»

Tra il disastro che aveva combinato con Mamoru e con le sue amiche, almeno con Seiya si era comportata nel modo migliore.

Il silenzio di Mamo-chan cominciò a innervosirla. Capì di dover concludere con una spiegazione.

«Quando ne ho parlato, prima, non intendevo dire che lui mi teneva troppo occupata per pensare a te. Volevo solo dire che... Seiya, come tutte le altre, mi vedeva giù. Così giù che faceva quello che poteva per farmi stare allegra. Questo mi ha aiutato a non concentrarmi sul dolore e ad avere maggiore fiducia sul fatto che sarebbe andato tutto bene. In quei momenti pensavo solo di esagerare con i miei pensieri negativi su di te e che prestissimo ti saresti fatto sentire.»

Lui continuò a non commentare, facendola fremere per il nervosismo. «Sei autorizzato a darmi della sciocca per come ho lasciato che Seiya fraintendesse cosa provavo. Non avrei dovuto permettere che accadesse.» Con cautela cercò i suoi occhi, ma Mamoru guardava assorto la finestra.

«Dimmi a cosa pensi.»

Lui era concentrato come quando stava cercando di risolvere una formula. «Non credo che tu abbia fatto qualcosa per farlo sperare, a parte comportarti da te.» Rilasciò un inatteso sospiro. «Mi sono sempre sentito abbastanza tranquillo in merito ad altri ragazzi, ma forse è perché tu tendi ad attirare solo tipi sovrannaturali.»

«Eh?» Dopo tutto quello che gli aveva detto, era l'unica riflessione che gli veniva fuori?

«Pensaci... me, Ail, Demando e infine Seiya.»

Era una lista di nomi che non udiva da tanto. Possibile che fossero le uniche persone che si erano mai interessate a lei? «Piacevo a Umino prima che si mettesse con Naru» ribatté.

«Ma lui ti ha conosciuta prima che diventassi Sailor Moon.»

Già, poi si era invaghito della sua migliore amica.

Cerco di farsi venire in mente qualcun altro che le avesse ronzato intorno, ma non c'erano stati altri ragazzi.

Davvero le persone percepivano in lei qualcosa di diverso? 

Mamoru notò la sua delusione mista a confusione. «Usa, dev'essere solo perché ci vuole una certa dose di forza, di... potenza, per pensare anche solo di essere sul tuo stesso piano. Credo che a livello inconscio si percepisca che non sei romanticamente avvicinabile da una persona normale, proprio per ciò che intrinsecamente sei.»

A volte lui parlava in maniera così complicata...

Mamoru capì di averla stranita. «Forse mi piace solo pensare che non ci siano molte probabilità che altri ragazzi ti guardino come ti guardo io.»

Fu un'ammissione che le piacque molto. «Anche se succedesse, non sarà mai un problema.»

Lui avrebbe voluto scommetterci, però... «Prima sei arrossita mentre parlavi di questo Seiya.»

«Non è vero!» Usagi si tradì da sola quando le sue guance si infiammarono di nuovo. «Questo è rossore di imbarazzo! Per essere stata scoperta» ammise, ma si affrettò a spiegare. «Non ho mai avuto idee romantiche su Seiya, mai! Solo che certi flirt erano piacevoli, cioè... era carino sentirmi al centro di quel tipo di attenzioni, anche se non significavano niente.»

Mamoru non se la prese. Un po' rise e un po' la osservò. «Sai cosa penso?» 

«No.» Lei aveva messo il broncio.

«Penso che arrossisci per certe attenzioni perché non ci sei abituata. E perché ti piacciono molto. Finora ho contato troppo sul fatto che colmassi questi bisogni con segrete fantasticherie sul nostro rapporto che non erano poi tanto segrete.»

«Eh?» 

«Ti è sempre piaciuto quando venivo a salvarti come Tuxedo Kamen, quando ti prendevo in braccio... Se fosse stato possibile, al posto degli occhi avresti avuto dei cuori.»

Usagi si rese conto che la stava prendendo in giro.

«Poi vediamo... ti piacciono quelle situazioni da principessa delle favole. Quando ancora combattevamo contro il Dark Kingdom, una volta hai usato la penna lunare solo per metterti un vestito da sera e ballare a un ricevimento. E quando poi abbiamo ballato... occhi a cuore, appunto. E per il tuo precedente compleanno mi hai chiesto delle scarpe di cristallo. Sono certo che tu abbia fantasticato su me, te e quelle scarpe per giorni interi. Nei giorni successivi eri sempre con la testa tra le nuvole.»

La stava facendo vergognare, ma anche irritare. Non era del tutto spiacevole, ma doveva metterlo al suo posto. «È bello sapere che la pensi così sui miei bisogni

Lui la afferrò per un braccio e, in qualche modo, la fece sedere tra le sue ginocchia. «Quello che penso» udì Usagi all'orecchio «è che vorrei soddisfare più spesso questi bisogni.»

Incredula, lei venne percorsa da un brivido di meraviglioso imbarazzo.

Lui cominciò a guardare la punta del suo naso come se lo trovasse particolarmente carino, o come se non volesse incontrare i suoi occhi dopo la romanticheria che si era lasciato sfuggire. Nel privato era ancora così timido...

Lei gli ridiede coraggio appoggiando la fronte contro la sua.

Rilassato, lui abbassò le palpebre e continuò. «Cè una cosa che sono sicuro che ti farà contenta e su cui sognerai per qualche tempo.»

«Uh?»

«Quando ci siamo baciati per la prima volta?»

«Eh?»

«Hai sentito, quando?»

Si era dimenticato? «C'eri anche tu.»

«Rispondi lo stesso.»

Dove voleva arrivare? «Durante il nostro appuntamento al parco, dopo essere andati in barca... quando è arrivata Chibiusa.»

«Sì. Ma non è andata proprio così.»

«In che senso?»

«Ci siamo baciati reciprocamente per la prima volta quel giorno. Però io ti avevo già baciato in un'altra occasione.»

Lei sobbalzò sulle sue gambe. «Quando? Non è possibile, non mi ricordo!»

«Ne ho parlato un attimo fa.»

Lei corse a risentire le sue parole nella testa. «Al ballo in maschera, quello in cui avevo usato la penna lunare. A un certo punto mi sono sentita poco bene per via di una bevanda troppo forte e qualcuno mi ha aiutato a uscire sul balcone... poi mi sono ripresa mentre ero appoggiata su una colonna.»

«Lì. Ti ho portata fuori io.»

«Tu hai... Oh.»

Lui ridacchiò come un ragazzino. «Attenzione agli occhi a cuore.»

«Ma è così... romantico.» Gli circondò il collo con le braccia e lo baciò su una guancia, indugiando con estrema tenerezza. «Avevi ragione, ci fantasticherò su per qualche tempo.» 

Lui si staccò per guardarla, d'improvviso serio. «Solo che... non voglio più che siano solo fantasie. Altrimenti poi succederà che finirai con l'assecondare qualche altro ragazzo, magari per un gesto galante qualunque. E sì, anche senza amarlo o averne la minima intenzione.»

«Ti sbagli!» lo corresse lei. «Potrei imbarazzarmi ed esserne lusingata, ma mi piacerà davvero solo quando sarai tu ad essere romantico con me. Solo tu, Mamo-chan. Non sentirti costretto a comportarti in un modo che non ti viene naturale.» 

«Non sarà uno sforzo. Sarò naturale.»

«A me basterà, okay?»

In risposta lui la fissò senza dire niente. Poi... 

«Ti amo, Usako.»

Le si spezzò il respiro. «Me lo dici perché è quello che voglio sentire?»

«No.»

Decise di credergli, ma per lei era troppo importante fargli capire che non c'erano cambiamenti che lui dovesse fare per farsi amare. Non c'erano mai stati paragoni dentro di lei. Non c'erano mai state tentazioni o altre possibilità. «Tu mi fai sentire la ragazza più amata del mondo anche solo quando mi chiami. Basta che dici 'Usa...'»

«Ko» terminò lui, causandole una risatina.

«Sì» Si rannicchiò nel suo abbraccio e nella consolazione del dono prezioso che aveva ritrovato. «Ti basta un 'Usako' per fare di me la fidanzata più felice sulla faccia di questa Terra.»

«Sono fortunato.»

«Questo è vero.»

«Troppo per meritarmelo.»

«Ma no...»

«Troppo per non ricambiare.» Mettendosi dritto la costrinse a sollevare la testa. «Su, dimmi una di quelle tue fantasie. Non mi sto sforzando. Ho solo deciso che mi piace la ricompensa e che voglio che sia solo per me.»

Era già solo per lui, ma se proprio insisteva... Le sue fantasie più profonde erano ridicole, ma c'era un'idea sciocca e semplice che lei aveva sempre trovato assurdamente romantica. «Va bene. Prendimi in braccio e baciami.»

Lui rimase in attesa di ulteriori richieste per un secondo buono. «Tutto qui?»

«Sì.» Visto che non la stava prendendo in giro, un'aggiunta ci stava. «Devi farlo in modo romantico però, sta lì il trucco.»

«Ah, non è un esercizio di pura meccanica. Capito.»

La posizione in cui si trovavano gli permise facilmente di sollevarla sotto le ginocchia. Lei si bilanciò con le braccia attorno al suo collo mentre, con grande aplomb, Mamoru le faceva fare un giro completo del salotto. A tour completato, teatralmente, lui si chinò per sfiorarle la bocca con la propria, terminando il tutto con un finto sospiro da innamorato.

Usagi scoppiò a ridere. «Pagliaccio!» 

Lui si unì alla risata e posandola a terra la avviluppò nella gioia che provava. Dondolò piano con lei, accertandosi di essere vivo tra le sue braccia. Vivo, di carne, e non più polvere di stelle che si era dispersa facilmente in cielo.

Era stato così debole, così inerme nel momento cruciale.

Non aveva lottato abbastanza, per se stesso, per lei...

Usagi recuperò la sua attenzione prendendogli le guance tra le mani, centrandolo.

Lo guardò come se capisse, come se lui non avesse bisogno di parlare.

Mamoru si donò a lei in un bacio soffice ma totalizzante. Non voleva possedere, voleva adorare.

Voleva ringraziare, venerare, cullare - per un dolore che non era stato solo suo e che aveva sanguinato troppo copiosamente.

Si staccò quando Usagi ansimò come se le mancasse l'aria. I suoi occhi erano pozzi blu di sorpresa.

Cosa? pensò lui.

Lei si perse nella letizia. «Ti adoro, Mamo-chan. Ti adoro.»

         


         

Per pranzo Usagi propose di mangiare fuori. Già che c'erano, disse a Mamoru, potevano approfittarne per fare la spesa per il suo frigo vuoto.

Quando ormai erano sulla porta di casa, il sailorofono squillò. Appena lei lo accese, sul piccolo monitor apparve il volto di... «Minako!»  urlò.

«Usagi-chan!» 

Oh, la sua dolcissima Minako-chan rideva con una punta di commozione. Qualcuno la spinse di lato.

«Usagi, ciao!»

«Makoto, ci sei anche tu!»

«Ehi, ci sono pure io!» Rei si infilò di prepotenza nella visuale. «Eccomi!»

«Rei...» Usagi la ricordò tra le sue braccia, col viso morente, e trasudò agonia.

«Non piangere! Aspetta almeno di vederci di persona!»

Il rimprovero le strappò una risata tremula.

Fuori dallo schermo si fece viva una voce pacata. «Ci sono anch'io...»

«Su, fatemela vedere!»

L'affetto tenero di Ami riempì l'immagine. «Ciao, Usagi.»

«Oh, Ami...»

«Ehi, basta con la tristezza!» Minako tornò al centro dello schermo. «Usagi, ti abbiamo chiamata per dirti delle Starlights.»

«Oh.» Che sciocca, non aveva pensato a loro.

«Ci abbiamo parlato, andranno via oggi.»

Come?

... ah, già. Doveva accadere, avrebbe dovuto immaginarlo. Cercò di essere felice per loro e di non pensare che se ne stessero andando troppo presto.

 «Abbiamo programmato un saluto sul tetto della scuola, alle sette.»

«Ci sarò.»

«Perfetto. Allora ci vediamo dopo, Usagi-chan.»

Il sailorofono venne appoggiato su un tavolino. Minako si allontanò e a lei si unirono le altre, fino a che furono tutte presenti nell'inquadratura. «Ti vogliamo bene!» Per il coro quasi perfetto risero - Ami incassandosi nelle spalle, Minako a squarciagola, Rei cercando lo sguardo delle altre e Makoto scuotendo la testa.

Il cuore di Usagi strabordò di gioia. «Vi voglio bene anch'io. A più tardi.»

Makoto si avvicinò allo schermo e interruppe la chiamata.

Per un lungo istante Usagi rimase a guardare il comunicatore spento.

Mamoru posò una mano sulle sue spalle. «Visto? Ti adorano.»

«Già.» Come una sciocca annuì. «Su, andiamo!»

           

Per mangiare scelsero un buon ristorante. Usagi insistette per un pranzo nutriente, declinando la sua proposta di andare in un fast food.

«Tu devi mangiare in modo sano» decretò, senza aggiungere quello che aveva inteso davvero. Dopo quello che ti è accaduto.

Quando furono seduti e in attesa dei piatti ordinati, Mamoru rimuginò insieme a lei. «Allora le nuove guerriere se ne vanno.»

Usagi lo stava accettando piano piano. «Dovevo aspettarmelo. Seiya e gli altri sono venuti qui per salvare la loro principessa. Anzi, per cercarla. Ora l'hanno ritrovata e Galaxia non c'è più. Al loro posto anche io vorrei tornare a casa.»

Mamoru si chiese se fosse il caso di domandarle se quel Seiya le sarebbe mancato più degli altri due, ma lasciò perdere.

Il sorriso di lei lo accecò. «È un finale felice, non c'è spazio per la tristezza! Scommetto che a casa le Starlights hanno delle persone ad aspettarli. Magari un intero regno!»

Dato che quei tre avevano una principessa, doveva essere così. Anzi, era possibile che quegli stranieri - quegli alieni, umani quanto loro - provenissero da un mondo simile a quello del passato terrestre. «Dici che è un regno vero e proprio, come il Silver Millennium?»

«Uh?»

Magari quel pianeta lontano era simile a ciò che sarebbe stata la Terra del futuro. 

Usagi intuì la direzione delle sue domande. «Quindi Seiya e gli altri sarebbero dei nobili?» Ridacchiò, come se il concetto fosse ridicolo. «Non ce li vedo! Cioè, in realtà Yaten un po' sì...»

«Quale dei tre è Yaten?»

«Quello coi capelli chiari. Lui e Taiki sono abbastanza snob. Simili a Michiru, hai presente? Incontravano le fan e lavoravano qui sulla Terra come cantanti, ma con poca voglia. Avevano uno scopo più importante dopotutto. Una vita a cui volevano tornare... Non Seiya, non tanto. Ma penso che cantasse con ardore proprio per la sua principessa.»

Mamoru non riuscì più a trattenersi. «Ti mancherà.»

Usagi cercò la sua mano sopra il tavolo. «Come amico. E mi manca l'idea di non avere qualche altro giorno per salutarlo - per salutarli tutti quanti, anche se capisco la loro fretta. Mi chiedo se...»

«Se li rivedrai mai più?»

Usagi lo confermò annuendo.

«Prima che se ne vadano, chiediamo da dove provengono. E quanto tempo ci hanno messo ad arrivare.»

Lei si aggrappò a una speranza. «Credi che un giorno per noi sarà possibile attraversare lo spazio e andare a trovarli?»

Lui le massaggiò un pollice. «Sono successe cose più strane.»

Lei tornò a illuminarsi. «Potremmo portare con noi Chibiusa!»

Se in Mamoru era rimasto un briciolo di gelosia, evaporò in quell'istante. La sua Usako non si rendeva conto della stilettata che avrebbe inflitto a un ragazzo che si era invaghito di lei. Per come la vedeva, Chibiusa faceva semplicemente parte della sua vita - della loro vita. Non si rendeva conto che era la prova vivente che il loro amore sarebbe durato in eterno.

Indirettamente, lui ebbe la risposta a una domanda che non aveva fatto. «Chibiusa non è tornata in questo periodo.»

«No» si intristì Usagi. «Mi avrebbe aiutato in tanti modi... Mi mancava portarla al Crown o alla sala giochi con me, da Motoki.»

Involontariamente, Mamoru sussultò. «Motoki non ha chiesto di me?» Dopotutto lo aveva chiamato sulla segretaria.

Usagi si morse le labbra. «Certo. Mi domandava se stessi bene e io... Io gli ho mentito. Che sciocca. Era ovvio che non avresti ignorato anche lui. Ma mi sentivo come se Motoki sapesse che non mi stavi chiamando, perciò ogni volta che lo incrociavo gli assicuravo che ti stavo sentendo e che lo salutavi.»

Mamoru le strinse forte le nocche.

Usagi era desolata. «Mi dispiace.»

Lui scosse la testa. «Devo chiamarlo e dirgli che sto tornando. Così non sarà sorpreso di vedermi quando mi presenterò da lui.»

«Sarà contentissimo di risentirti, sei mancato a tutti. A lui, alle ragazze, ad Artemis, a Luna...»

A Luna? «Nemmeno lei ha mai sospettato...?»

Usagi chinò la testa. «Fingevo di ricevere le tue lettere. Quando chiedeva, le dicevo che avevi chiamato proprio mentre lei era fuori. Credo che sospettasse qualcosa, ma... non ha mai detto nulla. La sera si acciambellava contro il mio collo, per non lasciarmi sola.»

Mamoru non resistette più. Tirò le mani di Usagi, delicatamente.

Comprendendo, lei fece il giro del tavolo, raggiungendolo per sedersi sulle sue ginocchia. Non erano soli, ma a nessuno dei due importò.

Stringersi, consolarsi, era l'unica cosa che contava.

        


            

Le pareti dell'istituto superiore Juuban quel pomeriggio avevano assunto una tonalità malinconica. La scuola era diversa agli occhi di Usagi: si apprestava a diventare uno scrigno di ricordi carissimo, in cui lei avrebbe continuato ad abitare senza ricavarne più le sensazioni di un tempo.

In futuro, accanto agli armadietti dell'ingresso, dove posava le scarpe, si sarebbe sempre aspettata di vedere la faccia allegra di Seiya, il ghigno burbero di Yaten, la noia assorta di Taiki. Nei corridoi non avrebbe più sentito il brusio delle loro fan che li seguivano passo passo.

Alla scuola di Azabu-Juuban sarebbero mancate in eterno tre stelle. 

Chissà se gli altri avrebbero ricordato. Chissà se la fama dei Three Lights sarebbe sopravvissuta alla loro scomparsa.

Lei a casa aveva i loro cd. Quando la nostalgia l'avesse invasa, avrebbe risentito le loro canzoni a iosa.

Magari non tanto presto, pensò, voltandosi verso Mamoru. Seiya e gli altri le sarebbero mancati, ma associava la loro presenza all'assenza di Mamo-chan. Aveva sognato così a lungo che quelle due parti della sua vita si conciliassero... Si era immaginata che Mamoru tornasse, per presentarlo subito a Seiya.

Solo ora si rendeva conto di quanto sarebbe stata crudele, ma visto quanto Seiya la prendeva in giro - per il suo essere apparentemente sola - aveva sognato di sbandierare il suo bellissimo ragazzo sotto il suo naso, per fargli vedere.

Nella sua mente Seiya si sarebbe ritratto sbattendo la mano sulla fronte, ridendo. «Mi hai fregato, Odango! Allora il tuo ragazzo esiste davvero!»

Non aveva capito che Seiya aveva desiderato che lei non stesse con nessuno, per averla per sé.

... a lei piaceva sognare e voleva ancora farlo. Un giorno sarebbe andata a trovare Seiya a casa sua. Avrebbe portato con sé Mamoru, Chibiusa, magari anche le ragazze. Lei e Seiya avrebbero urlato di felicità nel rivedersi. In quel futuro lontano lui l'avrebbe considerata solo un'amica e sarebbe stato tanto contento di essere tornato a casa. Anche lui avrebbe trovato qualcuno da amare e magari le avrebbe persino presentato la famiglia che si era costruito.

Mamoru continuava a guardarla, quieto. «È dura dire addio.»

Già. «Questo però è solo un arrivederci.»

«Proprio così.»

Una voce si intromise di prepotenza nei loro discorsi. «Guarda chi sta facendo la sentimentale!»

Il cuore di Usagi si riempì di lacrime quando riconobbe il timbro. «Rei-chan!» La scovò in fondo alle scale e le corse incontro, travolgendola. 

Lei le massaggiò le spalle, travolta dai sussulti. Non piangeva, rideva. «Ohi, basta! Io sono viva e vegeta, sai? Conserva le tue lacrime per il saluto ai Three Lights!»

Nient'affatto. «Ho deciso di non piangere! È troppo brutto salutarsi così!»

Rei le asciugò le guance bagnate «È vero. Inoltre cos'abbiamo inventato il teletrasporto Sailor a fare, se non per qualche viaggetto extra-galattico in futuro?»

Usagi sobbalzò. «Pensi che potremmo usarlo per quello? Anche se si tratterà di andare così lontano?»

«In effetti non è vicino...»

Emise un gridolino quando udì la voce di Ami!

Lei uscì da dietro gli armadietti al piano terra. «Ieri ho parlato con Taiki» continuò come se nulla fosse. «Mi ha dato le coordinate del loro pianeta. Dedicherò i prossimi anni a uno studio sul teletrasporto a grandi distanze. Se ci sono riusciti loro... Nel frattempo, con studi del genere, arriverò a grandi scoperte.»

Usagi stava ridendo mentre la avvolgeva forte tra le braccia.

Una figura a gambe larghe, con le mani puntate sulla vita, si stagliò sull'ingresso della scuola, in controluce. Aveva due gatti sulle spalle. «Come mai mi state escludendo dagli abbracci?»

«Minako!»

Corse subito a darle la sua parte. Venne intercettata a metà strada da due braccia femminili che la sollevarono per aria, senza sforzo.

«Prima tocca a me!»

«Mako-chan!»

Mentre le altre le raggiungevano per un abbraccio di gruppo, Mamoru rimase in disparte sulle scale, sereno e un poco commosso.

Usagi non era mai stata sola.

Artemis era giunto ai suoi piedi. «Bentornato, Mamoru-san.»

«Grazie, Artemis.»

«Mi sei mancato. Senza di te ero circondato da donne.»

«Una vera sofferenza.»

Risero piano, per non disturbare. Mamoru guardò il quintetto rappresentato da Usagi e dalle sue amiche - compagne di battaglie anche per lui.

«Non preoccuparti» dichiarò, «non andrò più via.»

Artemis era sorpreso. «Sei sicuro?»

«Sono sicuro. Sono tornato per restare.»

        

Quando arrivò all'ultimo piano della scuola e uscì sul tetto, Usagi era molto più tranquilla.

Seiya, Taiki, Yaten e la loro principessa li attendevano appoggiati contro il parapetto. Il sole era rosso fuoco, come i capelli della sovrana delle Starlights.

«Vi aspettavamo.» Fu lei a parlare per prima, in maniera formale e ossequiosa. Si profuse in un inchino di gratitudine. «Vi dobbiamo tutto, guerriere.»

Usagi la invitò a tornare dritta. «Cosa dici? Senza le tue combattenti, io... Non saremmo qui.»

Kakyuu non voleva sentire ragioni. «Hai dato loro la forza di credere in se stesse. Ora sono le stelle luminose che ridaranno luce al nostro sistema planetario.»

«In poche parole» si intromise Seiya. «Sono diventato un eroe!»

Usagi scoppiò a ridere, non da sola. Volle a Seiya un bene dell'anima. Se non fosse stato per Mamoru - e perché temeva di dare al suo amico false speranze - gli sarebbe andata incontro e lo avrebbe stretto forte.

Minako incrociò le braccia, giocosa. «Vedi di moderarti o col tuo ego farai affondare il tuo pianeta!»

«Gliel'ho sempre detto anch'io» chiosò Yaten.

«Me lo domando da un po'.» Makoto stava rimuginando. «Siete così famosi anche nel vostro mondo?»

«Nei nostri mondi» specificò Taiki. «Ognuno di noi ha il proprio, si tratta di un sistema planetario quadruplo. Il mondo più bello però è quello della nostra principessa» disse, guardandola con ammirazione.

Lei sorrise mesta. «Non dite così. Il nostro sistema è meraviglioso in ogni sua parte. Ora che lo ricostruiremo, non solo lo riporteremo agli antichi fasti, ma gli doneremo uno splendore mai conosciuto. Se qualcosa di buono può venire fuori da tanta distruzione e infelicità...»

Usagi incrociò lo sguardo di Seiya. «Dovete tornare per ricostruire allora.»

«Già» annuì lui.

Non ci fu bisogno di altre parole tra loro. Per quanto il saluto fosse improvviso e brusco, era necessario.

Con la coda dell'occhio, Usagi notò che Kakyuu aveva fatto un paio di passi verso Mamoru. 

«Tu possiedi il seme di stella di questo pianeta» gli disse.

«Sì.»

«Lei ti aveva perso come io ho perso l'uomo che amo.»

Mamoru si stupì della confessione.

Kakyuu non se ne vergognava, voleva condividere il proprio sollievo. «Credo che lui sia là ad aspettarmi. Era uno dei semi di stella che Galaxia ha liberato.» La ragione della sua disperazione felice, della sua fretta di partire, fu più chiara che mai a tutti.

Kakyuu si immedesimava nella coppia di persone che si era appena ritrovata. «Spero che anche voi possiate vivere felici nella vostra casa.»

Mamoru sapeva di dover approfittare di quel momento per fare le sue domande. «Abbiamo ancora molta strada da fare per migliorare la Terra....»

Era una richiesta di suggerimenti, ma Kakyuu non ne offrì alcuno. «Avrete tutto il tempo che vorrete. Siete molto giovani, vero?»

Usagi comprese la domanda a un livello istintivo. La principessa si riferiva a un'età che non era terrena. Anzi, terrestre. «Sì, noi... siamo nati solo pochi anni fa.»

Le code rosse di Kakyuu dondolarono mentre annuiva. «Anche le mie guerriere sono molto giovani, ma non quanto voi.»

Usagi guardò Seiya a occhi spalancati. «Anche tu vivrai mille anni?»

«Certo, per chi mi hai preso?»

«Cavolo! Quanto sei vecchio in realtà?»

Lui tirò fuori la lingua. «Non te lo dirò mai

Antipatico! Ma un giorno - sì, un giorno si sarebbero raccontati tutto. La prossima volta che si fossero visti.

Usagi volle comunque dirlo ad alta voce, solo a lui. «Questo non è un addio definitivo, vero?»

«No. Un giorno io ti rivedrò.»

Il tono accorato le lasciò un dubbio. «Quando succederà... ti presenterò meglio Mamo-chan, va bene?»

Seiya roteò gli occhi al cielo. «Non mi aspetto altro.»

Usagi indietreggiò, iniziando a porre una distanza tra loro - tra lei e tutte quelle persone meravigliose che stavano per partire.

Più si fossero attardate, più sarebbe stato difficile salutarle.

Le ragazze colsero il suo segnale e, dopo aver terminato le loro conversazioni con Taiki e Yaten, la seguirono, disponendosi una accanto all'altra di fronte all'altro gruppo.

«E così dovete andare» sospirò Ami.

«Ci aspettano» rispose Kakyuu - parole di circostanza, per riempire il silenzio di un saluto che stava giungendo troppo presto.

Yaten volle rassicurarle sul loro futuro. «Proveremo a costruire un nuovo mondo insieme alla nostra principessa.»

Appoggiata alla spalla di Ami, Luna aveva occhi solo per lui. «Buona fortuna!»

Yaten le offrì un occhiolino complice che scatenò la gelosia di Artemis.

Mentre tutti ridevano, Seiya si decise. Aveva pochi secondi per parlare con Usagi. Quelle erano le ultime parole che le avrebbe rivolto per molto, moltissimo tempo. «Odango.»

Lei si voltò verso di lui. Vedendola accanto al suo ragazzo, serena e finalmente completa, Seiya riuscì a esprimere il sentimento disinteressato e giusto che dava un senso all'amore che aveva provato. «Sono felice che il tuo ragazzo sia tornato da te.» Fu fiero di se stesso per essere riuscito a dirlo.

Usagi non si era aspettata nulla di diverso da lui. «È stato anche grazie a te» confermò. «Mi sei stato vicino e per questo sono riuscita a farmi forza.»

Già... Lui l'aveva sostenuta, l'aveva protetta, l'aveva incoraggiata. Aveva trascorso con lei giornate che avrebbe voluto non terminassero mai. «Odango...»

Lei sollevò su di lui occhi blu cielo limpidi e innocenti. «Hm?»

Seiya l'avrebbe rivista un giorno - per forza - e forse per allora avrebbe provato qualcosa di diverso nei suoi confronti. Ma ora... ora... «Io non ti dimenticherò mai!» dichiarò. 

Il sorriso di lei lo accecò. «Ovvio! Io e te saremo amici per sempre.»

Ma che-? Le risate dei suoi compagni lo fecero vergognare. «Smettetela!»

Taiki non ci pensava neanche. «Ti ha fregato!»

Nella squadra delle Sailor terrestri più che prendere in giro lui, si stavano focalizzando su Usagi, che davvero non aveva capito. O forse, pensò Seiya, lei aveva compreso e non riteneva di dovergli dire altro. 

Andava bene ugualmente, giusto? Odango era sempre stata così. Se fosse stata diversa, lui non si sarebbe affezionato tanto.

Dopo gli ultimi convenevoli, indietreggiò insieme agli altri verso il bordo del tetto. C'era bisogno di spazio per dare il via al salto interstellare. Kakyuu avrebbe impresso il grosso della spinta solo quando si fossero trovati in orbita, ma la prudenza non era mai troppa.

Mentre si allontanava, Seiya si accorse di non aver ancora parlato con la persona che aveva trascorso molto tempo a detestare. Si voltò. «Mamoru-san!»

Il ragazzo di Usagi - ovvero il principe della Terra e la nemesi contro cui lui non aveva mai avuto alcuna speranza - lo guardò con attenzione.

Per non sentirsi totalmente inutile, a Seiya andava di fare un passaggio di consegne. «D'ora in avanti proteggila tu.»

Il suo vittorioso rivale non mostrò alcuna reazione di fronte alle sue parole.

Era proprio di ferro. «Questa cosa» specificò Seiya, «mi è stata detta da una tipa che fa tanto la dura.»

Finalmente il messaggio passò. «Ho capito di chi parli.»

Per forza, una come Uranus non si dimenticava. 

Seiya raggiunse i suoi compagni e la principessa, piazzandosi accanto a loro. Chiudendo le palpebre, assunse le vesti di Sailor Star Fighter.

Taiki cedette per primo. «Statemi bene!»

Seiya lo seguì a ruota. «Ci vediamo» disse a tutti, rivolgendosi soprattutto a Usagi.

La principessa ringraziò un'ultima volta e Yaten, con sorridente noncuranza, chiuse la carrellata con un tutt'altro che poetico 'Bye bye'.

Non per niente era stato Taiki a scrivere i testi delle loro canzoni.

Le ragazze dedicarono a tutti qualche parola finale, ma Seiya udì solo Odango quando lei disse, 'Vi aspettiamo'.

, le rispose in cuor suo. Aspettami. Un giorno io...

Chiuse gli occhi e si sentì librare in aria. 

Si trovava già nell'atmosfera quando si voltò verso la Terra e mormorò... «Addio.»

Viaggiò verso casa, alla ricerca di un nuovo inizio.

 

   


   

Nota del dicembre 2022: ehm, ho cambiato un pochino la scenetta di Mamoru che prende in braccio Usagi, all'inizio. Lui mi sembrava un po' troppo sdolcinato e ho provato a renderlo un pochino più timido/ritroso, pur senza cambiare le sue azioni e intenzioni.

Nota del 2020: ebbene sì, dopo dodici anni sono tornata a revisionare questa storia e ho pesantemente modificato la seconda parte di questo secondo capitolo. Ho voluto renderla più scorrevole, più vivida e meno didascalica. Spero che vi piaccia.

Se avete commenti al capitolo, io leggo sempre tutte le recensioni, anche quelle vecchie :)

ellephedre

NdA: scusate per non aver inserito la parte da rating Rosso promessa già in questo capitolo.

Ero convinta che avrei esaurito questa parte in molte meno parole, ma poi ho sentito che facendo altrimenti avrei avuto un buco narrativo molto grosso. E ho voluto scrivere meglio anche della partenza delle Starlights (i dialoghi sono presi dall'anime, come avrete notato).

L'idea della Principessa Kakyuu che ha perso anche lei l'uomo amato è tratta dal manga, niente che mi sia inventata io. Come avrete notato, ho usato i nomi originali per le guerriere Sailor nemiche; anche quelli li ho presi dal manga.

Vi ringrazio di aver letto anche questo capitolo.

L'altro è da rivedere ma è scritto praticamente nella sua interezza. Per cui ci metterò meno a metterlo online e lì sicuramente c'è la parte da rating Rosso.

Ringrazio tutti per le recensioni. Leggere di essere stata in grado di comunicarvi qualcosa di speciale mi ha fatto estremo piacere.

Mi piacerebbe molto ovviamente anche sentire cosa pensate di questa seconda parte.

Ciao a tutti.

Ellephedre

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Terza parte - Amarsi ***


oltrelestelle3
Oltre le stelle

Autore: ellephedre

Disclaimer: i personaggi di Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation.

Terza parte - Amarsi

Ed erano andati.
Per un lungo momento, Usagi si sentì invadere da una profonda sensazione di malinconia: l'arrivederci poteva essere un addio.
Seiya, Yaten, Taiki, Kakyuu... se è addio, siate per sempre felici.
Lasciò perdere la tristezza: certo che lo sarebbero stati, si disse. C'era pace per tutti ora. Anche sulla Terra.
Voltò la testa di lato. «Ragazze, vi va di incontrarci domani pomeriggio?»
Minako si illuminò. «Per un po' di all-girls time?»
Eh? «Ehm, se ho capito bene quello che hai detto, sì. Rei, possiamo stare da te?»
«Sicuro. Che ne dite delle tre?»
Usagi annuì e così fecero le altre.
Le sue care amiche. Compagne di battaglie, sorelle nell'anima.
Aveva bisogno di passare del tempo anche con loro.

Si salutarono all'uscita della scuola.
Con un ultimo sguardo, Usagi le osservò voltare l'angolo oltre il muro di cinta dell'istituto.
Come aveva potuto non confidarsi con loro? Aveva sbagliato. Era stato un errore tremendo non fidarsi delle sue amiche. Avevo mentito anche a se stessa, rifiutandosi in prima persona di vedere la realtà. Non ne aveva parlato con nessuno per non rendere l'abbandono fittizio di Mamoru più reale e doloroso. Aveva lasciato passare i giorni nella speranza che una chiamata di lui risolvesse tutto, senza costringerla mai ad ammettere che era stata... dimenticata, lasciata.
Quanto era stata stupida.
Stupida, amiche, tremendamente sciocca. Riuscirete a perdonarmi?
Loro l'avevano sempre perdonata, forse anche quando non avrebbero dovuto; si comportavano sempre così con lei. Era care e ottime amiche, le migliori che una scioccherella come lei potesse mai sperare di avere.
Proprio perciò, si disse, doveva rivelare loro tutto, ogni sua più piccola motivazione. Non doveva mai permettere che immaginassero che non aveva avuto fiducia nella loro capacità di aiutarla. Non dovevano assolutamente credere che le avesse lasciate volontariamente da parte.
Annuì tra sé, decisa.
Scorse un'occhiata silenziosa di Mamoru, che camminava accanto a lei; non le chiese nulla, la lasciò ai suoi pensieri.
Era troppo buono anche lui. Da quando era tornato, sorridere era diventato di nuovo meravigliosamente semplice. «Mamo-chan?
»
«Hm?»
«Spiega un po' cos'ha detto Minako. Cos'era quello strano suono davanti a girls e time? Ah, ragazze e tempo, giusto?»
Lui annuì. «Ha detto 'all'. Significa 'tutto' ma in questo caso anche 'solo'. Una buona traduzione dell'espressione usata da Minako sarebbe 'tempo per sole ragazze'.»
«Ma è la stessa parola che significa due cose diverse!» Non trattenne il sospiro di rassegnazione. «Ecco perchè non imparerò mai l'inglese.»
«Non è vero.» Si sentì prendere la mano. «Anche il giapponese è una lingua difficile, eppure la conosci bene. Si tratta solo di afferrare la mentalità dietro un idioma, impararne le regole ed i vocaboli. Se vuoi, ti darò delle lezioni intensive per aiutarti.»
Lezioni? Oh, era sempre il solito. «Mi metti in difficoltà se metti insieme una delle cose che amo di più, passare del tempo con te, con una delle cose che odio di più, studiare. Non puoi pretendere che scelga.» In parte era uno scherzo, ma non del tutto.
Lui tirò fuori un sorriso e le chiavi dell'auto. Le avvicinò alla portiera. «Hai lasciato qualcosa nel mio appartamento, giusto? Se vuoi, andiamo a prenderlo e poi ti porto a casa.» Rifletté. «O puoi lasciarlo da me e magari venire a recuperarlo domani.»
Usagi si morse le labbra. Già. «Ecco, veramente...» Si fece coraggio. «Nello zaino che ho lasciato nel tuo appartamento c'è un pigiama. Stamattina...» Eliminò il sorriso nervoso. «Beh, ho pensato che per un po' non volevo starti lontana. Alla mamma ho detto che sono in gita con le ragazze, quindi... non ci sono problemi. Se per te va bene.»
Gli andava bene, capì subito. Anzi, era raro vedere una simile luce nel viso del suo Mamo-chan: lui non riuscì proprio a nasconderla.
«Ma certo. Allora torniamo a casa mia a cenare.»
Usagi annuì soddisfatta e salì nella macchina appena aperta.
Mamoru accese l'auto e partì, tranquillo e sereno. Non avrebbe mai potuto proporre per primo quella soluzione e che l'avesse fatto Usagi era stato insperato e liberatorio. Continuava a sentire il bisogno di averla accanto a tal punto che avrebbe finito col presentarsi a casa di lei il giorno seguente, probabilmente non più tardi del primo raggio di sole. Per fortuna, non doveva più preoccuparsi di imbarazzarsi in quel modo. Usagi avrebbe dormito nel suo appartamento ed era tutto sistemato.
Costringere gli angoli della bocca a non andare ancora più in alto gli risultò molto difficile: il pensiero di poter riposare assieme a lei, di poterla vedere prima di addormentarsi, semplicemente girandosi nel letto, era-
No. «Il divano...» Deglutì. «E' un divano letto. Posso dormire io lì, come preferisci.»
Usagi annuì debolmente. Giusto, pensò. Il letto.
Quella stessa mattina aveva avuto un solo pensiero in merito: non lo aveva giudicato un problema. Avrebbe dormito nello stesso letto di lui, ovviamente.
Non voleva più sognare la sua morte senza poter constatare subito che era stato solo un orribile incubo. Prima di addormentarsi voleva poter udire il suo respiro lento nel buio della stanza e la prima cosa in cui voleva perdersi, la mattina, erano i sui occhi blu, che le erano mancati per troppo tempo.
Era un'immagine talmente bella che dormire insieme, per un momento, continuò a sembrarle solo un'ottima idea.
Ma non lo era più, non del tutto.
Quella mattina...
Ricordò il loro primo bacio, pieno di... passione, non sapeva come altro definirla. E non si era mai manifestata così, tra loro. Lei stessa aveva desiderato quel bacio come poco altro in vita sua; aveva voluto il corpo di lui stretto al suo, sopra il suo, contro il suo. E quando i loro bacini si erano strofinati... Il fiato le mancava ancora.
Inutile girarci attorno, no?
Sesso.
O, nel loro caso, fare l'amore.
Ma, meccanicamente, sempre sesso.
Lei non ci aveva mai pensato in maniera... concreta. Le poche volte che aveva tentato di immaginarlo era arrossita come una bambina, persino di notte e nell'oscurità della sua camera, completamente da sola. Aveva preferito tornare a concentrarsi sul pensiero dei baci, ché quelli da soli bastavano a farle battere il cuore nel petto quanto desiderava.
Ma ora... ora era successo tutto e allo stesso tempo niente, però come avrebbe potuto tornare a pensarla come prima?
Il loro rapporto aveva fatto un grosso balzo in avanti, forse troppo rapidamente per un passo simile, e ora lei aveva un'idea di cosa avrebbe provato. Soprattutto, aveva un'idea di cosa si provasse a desiderare di fare qualcosa di simile.
Una parte di lei, folle e audace, già bramava l'esperienza, ma un'altra parte di lei, quella che continuava a prevalere, non si sentiva ancora pronta.
E Mamoru? Lui non aveva mai spinto in quel senso, non le aveva mai fatto sentire alcuna pressione, nonostante fosse più grande e forse per lui...
Si ricordò improvvisamente di qualcosa di molto importante.
Guardò rapidamente fuori dalla finestra, identificando i propri dintorni. «Mamo-chan, ti dispiace lasciarmi qui?»
Stupito, lui iniziò a rallentare. «Perché?»
Non appena la macchina si accostò al marciapiede, Usagi uscì. «Devo comprare una cosa.» Prese dal sedile la propria borsa. «Non aspettarmi, ormai siamo quasi arrivati a casa tua. Faccio quel che devo e poi arrivo.» Chiuse la portiera.
La sorpresa di lui non era scomparsa: la guardava incerto da dietro il finestrino aperto.
«Avanti, vai!»
Mamoru si ritrovò a premere sull'acceleratore, tornando in strada.
Davanti al semaforo rosso alla fine della via, si fermò.
Cosa diavolo le era preso?

Usagi si diresse di corsa verso la pasticceria che aveva visitato quella stessa mattina.
Era il tre agosto... il compleanno di Mamoru!
Si era dimenticata del suo compleanno!
Erano giorni che ci stava pensando, sperando magari che lui si facesse sentire per quella data, desiderando con tutto il cuore che il calendario segnasse i fatidici tre e otto insieme. E quel giorno era arrivato senza che lei nemmeno se ne accorgesse.
Neanche lui lo ricordava, ne era sicura.
Non era tipo da aspettarsi feste, regali o anche solo auguri, ma era comunque certa che non ricordasse. E come poteva, d'altronde?
Lei trovò la pasticceria aperta, fortunatamente un negozio ad orario prolungato.
Diede fondo ai suoi risparmi e comprò la torta più bella tra quelle esposte in vetrina. Portarla a casa fu una vera soddisfazione.
Casa.
Casa era la casa dei suoi genitori, la casa dove si trovava la sua stanza, la casa che aveva ospitato la cameretta di Chibiusa.
Eppure, ora le sembrava casa anche l'appartamento del ragazzo che amava.
Sapeva di avere solo sedici anni, sedici anni che nei momenti più difficili le erano sembrati trenta. Cento, persino.
E Mamoru ne aveva solo diciannove, compiuti quello stesso giorno.
Eppure, immaginò ugualmente che la sua casa fosse anche quella di lui, di poter tornare ogni giorno nel suo appartamento e vivere e dormire lì, stando con la persona che amava sopra ogni altra cosa.
E... non le sembrò più un concetto assurdo e impossibile, ma un sogno dal sapore concreto.
Sì, era quasi pronta a vedere quel progetto diventare realtà.
Si fermò un attimo sui propri passi, spaventata dall'idea... di non esserne spaventata. Durò qualche secondo, perché la sua mente, o forse il suo cuore, scalpitavano per viaggiare in quella direzione almeno col pensiero e lei non era in grado di fermare né l'uno né l'altra.
Vivere insieme.
Le si accese un sorriso che non volle interrompere.
Vivere insieme.
Forse quando avrebbe compiuto diciotto anni, pensò. Forse potevano sposarsi subito dopo.
Alzò la mano per guardare l'anello che portava al dito.
Magari anche Mamoru lo avrebbe voluto.
Fino a quel momento lei aveva desiderato immensamente di poterlo sposare un giorno futuro, ma in maniera idealizzata, sognatrice. Ora invece lo voleva davvero.
Tempo, si ricordò. C'era da ancora aspettare. Per adesso, si disse, potevano iniziare a trascorrere ancora più giorni e sere assieme, magari.
Rise tra sé e sé, sentendosi riempire di un amore dolce e insistente.
Sì, più tempo assieme, perché non voleva mai più stargli lontana.
Riprese a camminare.

Quando entrò nell'appartamento di lui e tolse le scarpe sull'ingresso, Usagi si sentì chiamare dalla stanza da letto. Impaziente, corse a cercarlo e lo trovò intento a cambiare le lenzuola del letto, la valigia sfatta e ormai mezza vuota.
«Mamoru, vieni di là un attimo. Ho comprato una cosa.»
Lui si lasciò trascinare per una mano e, una volta in salotto, riconobbe subito il contenuto della confezione sul bancone.
«Una torta? Oggi hai proprio assaltato la pasticceria.»
Era tremendo! «Ah bene, se la pensi così...» Fece per allontanarsi, ma lui la trattenne per la mano che ancora si stavano stringendo.
Usagi gli sorrise, ma si staccò ugualmente. «Mamo-chan, guarda...» Aprì la confezione e tirò fuori da una busta un paio di candele. Le appoggiò sulla torta.
I piccoli fusti di cera azzurra avevano forma di numero: uno e nove.
Solo allora Mamoru capì.
Usagi scorse la sorpresa che si era aspettata e, subito dopo, anche l'espressione che le fece comprendere che lui si era ricordato il motivo per cui il suo compleanno era arrivato così presto.
Morto per tre mesi.
Non erano bei pensieri.
Lo abbracciò con forza. «Buon compleanno Mamo-chan.»
«Era questo che ti eri ricordata in macchina... » Il mento di lui si appoggiò sulla sua testa.
Staccandosi, Usagi prese a trafficare col fornello della cucina fino a che non ebbe acceso una delle due candele. Usò la fiammella viva per accendere anche l'altra.
Dopo che le ebbe sistemate entrambe sulla torta, sollevò il dolce per la base in plastica, tenendolo bene in alto e rivolto verso di lui.
Tossicchiò. «Allora... Taanti auguurii a tee» intonò. Cercò di evitare le stonature, ma le uscirono lo stesso. Lasciò perdere l'intonazione e si limitò a cantare, proprio come aveva fatto l'anno precedente.
Mamoru osservò la luce delle candele risplenderle negli occhi blu.
Casa.

Preparono la cena, mangiarono, rassettarono, tolsero un po' di polvere dall'appartamento e parlarono un po' di tutto.
Usagi gli raccontò qualche episodio dei tre mesi passati, evitando accuratamente ogni riferimento alle battaglie combattute. Aveva pensato che fosse ora di darsi un po' di tregua e smettere di pensarci, almeno per un po'.
Insieme rammentarono anche qualche momento del tempo passato con Chibiusa.
L'atmosfera era piacevole, ma diversa da quella che c'era stata tra loro durante la giornata.
La notte si avvicinava, lo percepivano entrambi.
Usagi lo sapeva semplicemente perché si sentiva a sua volta a disagio all'idea che mancasse sempre meno all'ora di andare a dormire.
Certo, avevano deciso di dormire separatamente, ma erano da soli, ed era... notte. Non avevano mai trascorso la notte da soli nell'appartamento di lui.
Appena tre mesi prima non sarebbe stato un problema, ma ora lo amava disperatamente e sentiva che, se lo avesse baciato di nuovo, come voleva tanto fare, magari dopo avrebbe trovato tanto più comodo sdraiarsi e poi avrebbe trovato così bello sentirlo sdraiato su di sé, la sua bocca sulla propria e poi-
Non c'era niente che potesse impedire un poi.
Ed era meraviglioso.
E troppo.
Entrambe le cose non erano mai state così vere.
Sospirò, fisicamente stanca.
Tutto quello che era accaduto il giorno prima faceva ancora sentire i suoi effetti; durante la giornata la spossatezza le aveva solo concesso una breve pausa.
Sbadigliò sonoramente.
Mamoru fece per sorridere, ma la bocca gli si allargò in uno sbadiglio rotondo.
Risero insieme.
«Vado a prendere altre lenzuola» disse lui.
Usagi annuì e si diresse verso lo zaino che aveva portato. Lo prese e lo portò con sé in bagno. Lì, osservò la vasca bianca, pulita e si morse le labbra.
Era sempre così piacevole dormire dopo una bella doccia...
Mamoru aveva tirato fuori molti asciugamani nuovi, perciò c'era tutto l'occorrente per una doccia rapida. Il lavaggio dei capelli era da escludere: per quelli le ci voleva sempre almeno mezz'ora buona. Li annodò sopra la testa, in modo da non farseli ricadere addosso, e poco dopo sentì la rilassante carezza dell'acqua sul corpo.
Quando, molti minuti dopo, tornò in salotto, con indosso una maglietta rosa e i pantaloncini gialli del pigiama, il divano era già stato rivoltato e preparato come letto.
Mamoru rientrò dalla sua stanza. Lanciando una rapida occhiata nella sua direzione, produsse un sorriso divertito.
Usagi aggrottò la fronte. «Cosa c'è?»
«È solo che... ora ho un altro motivo per chiamarti Testolina Buffa.»
Cavolo, si ricordò lei. I codini erano ancora annodati. «Uffa. L'ho fatto solo per evitare che i capelli si bagnassero.»
«Lo so, ho sentito scorrere l'acqua. Però sei sempre una Testolina Buffa.»
Oh, era peggio che tremendo! «Possibile che continui ancora a volermi prendere in giro?»
Poche parole in cui Mamoru percepì un'innegabile punta di fastidio. Ne rimase momentaneamente sorpreso ma l'espressione di lei non cambiò.
Mamoru si rese conto che non era più tempo di scherzare. «Scusami.» La sfiorò su un gomito. «Non voglio farti del male, è solo che quando ti prendo in giro fai una faccia...» Si fermò, non riuscendo a spiegarsi. O meglio, sapendo fin troppo bene come spiegarsi.
Si sarebbe arrabbiata ancora di più? si chiese.
«Che faccia?» insistette lei.
«Adorabile.» Forse era la parola più giusta.
«Adorabile? Come un cagnolino?»
«No, come...» Ma non c'era un termine di paragone, Usagi somigliava ad Usagi.
Eppure, da come lo stava guardando lei, era chiaro che la spiegazione non era sufficiente.
«Adorabile perché... più viva, Usa. Quando ti punzecchio è come se per un momento... ti accendessi. E credo di accendermi un po' anche io.» Sì, era più o meno così.
Usagi sospirò: Mamoru era un genio a farle dimenticare qualunque risentimento. «Uffa, potevi dire qualcosa di meno carino o intelligente.» Intenerita, gli prese una mano. «E poi ci sono modi più piacevoli per accenderci, no?»
Gli occhi di lui si aprirono appena. E, lentamente, si fecero più scuri, fissandosi intensamente su di lei.
... modi piacevoli per accendersi.
Le esplosero le guance. Oh!
Divenne acutamente consapevole del crescente calore che sentiva in corpo, più forte proprio nella mano con cui lo stava toccando.
La staccò di colpo.
Lui fece per riprenderla, ma la guardò in faccia e sembrò colpito. Interruppe il movimento.
Usagi si voltò e trovò il divano davanti alle proprie ginocchia. Vi inciampò contro.
«Ehi, stai-»
«Sì!» scattò a sedersi lei. «Sìsì, va tutto bene.» Si allontanò impercettibilmente dalla mano che lui aveva teso per aiutarla. Come una scema, scoppiò a ridere. «Che disastro che sono!»
Lui la imitò malissimo. Non si stava affatto divertendo, era... ferito. Le segnalò con lo sguardo la camera da letto. «Sono... di là.»
Mortificata, Usagi rimase ad osservare le proprie ginocchia.
Scema, scema, scema.
Sollevò gli occhi solo quando Mamoru uscì dalla sua stanza, i vestiti in mano.
Prima di dirigersi in bagno, lui le rivolse un rapido sorriso, un'espressione che lei conosceva molto bene.
Nel corridoio risuonò la chiusura di una porta.
Sospirando, Usagi si lasciò ricadere sul divano letto. Quanto, quanto poteva essere scema?
Non era stata sua intenzione tenerlo lontano, solo... aveva avuto bisogno di un attimo di tempo? Sì, ecco.
E no, non andava tutto bene, come aveva cercato di farle capire lui: respingerlo in un qualunque modo era sbagliato, sbagliatissimo.
Sospirò.
Nella stanza si diffuse un suono squillante.
Oh! Il sailorofono.
Corse in corridoio, verso il suo zaino. Si inginocchiò e aprì la tasca anteriore, fino a poter premere un bottone qualunque dell'apparecchio.
«Ciao Usagi.»
Usagi la riconobbe ancor prima di vederla. «Michiru!»
Michiru le sorrise nel solito modo splendido. Era chiaro che si trovava fuori: dietro di lei si stagliava il cielo notturno, quasi nero.
«Abbiamo chiamato per salutarti. Di' ciao, Haruka.»
Lo sbuffo fu trasmesso sotto forma di sospiro metallico. Sul piccolo schermo apparve ugualmente l'espressione della forza e della determinazione, Haruka Tenou in tutta la sua serena tenacia. Le incrociò lo sguardo con un occhiolino. «È stato un ottimo lavoro, Usagi, lo sai vero?»
Si riferiva ad ogni cosa.
Usagi annuì. «Anche il vostro. Lo sapete, vero?»
Il rigido smarrimento di Haruka quasi le spezzò il cuore, al pari del lieve tremolio nell'immagine, frutto dello sgomento di Michiru.
Ribadì con forza il concetto. «È così.» Sorrise, scuotendo piano la testa. E' proprio così. Avete fatto tutto il possibile.
Le palpebre di Haruka scesero sui suoi occhi stanchi. Piegò il capo in un lento inchino, un gesto di accettazione e gratitudine per il perdono ricevuto.
«Fatela vedere anche a me!»
Alla risata sommessa di Michiru seguì il viso di- «Ciao Usagi!»
«Ciao Hotaru!»
Che sorriso innocente, s'intenerì Usagi. Ora Hotaru era una bambina felice, come avrebbe sempre dovuto essere. Vederla così giovane le fece tanto ricordare Chibiusa. «Che farai ora?»
«Tornerò da papà. Io e te ci vedremo ancora, vero?»
Come poteva dubitarne? «Certo.»
Hotaru annuì e la salutò scuotendo allegramente la mano. La visuale si spostò verso l'alto.
L'aria grave e affettuosa di Setsuna era impareggiabile: ci riusciva solo lei.
«Setsuna.»
«Principessa.» Non le fu dato il tempo di protestare per il titolo. «Siamo fieri di te. Porgi i miei saluti anche al principe. Ci rivedremo.»
Concisa e di poche parole.
Usagi si lasciò sfuggire un sorriso. «Sì. Arrivederci Setsuna.»
Era ora per Sailor Pluto di tornare alla volta del tempo.
Sullo schermo tornò il viso di Michiru. «Usagi... io e Haruka andremo via per un po'. Torneremo a Tokyo fra qualche tempo. Ci faremo sentire.» Non disse altro, come se stesse cercando le parole adatte a giustificare la loro scelta.
Non le dovevano alcuna spiegazione. «Ehi, è bellissimo il cielo dietro di voi. Dove siete?»
Le rispose uno sguardo rilassato. «Sulla spiaggia. Sai, abbiamo visto delle stelle volare oggi.»
Stelle umane che tornavano a casa.
Sorrisero entrambe.
«E tu? Neanche tu sei a casa.» La voce di Michiru assunse un tono malizioso. «Abbiamo sentito le altre guerriere poco fa e sono tutte a dormire da Rei. Tu non sei da Rei.»
Usagi si sentì arrossire. «Hmm... no.»
Fuori dallo schermo, risuonò la breve risata di Haruka. «Salutaci Mamoru, Usagi. E mi raccomando, recupera il tempo perso.»
Michiru si unì all'allegria. Quindi guardò attraverso l'apparecchio e anche lei inchinò la testa. Rispetto e affetto. «Arrivederci.»
Lo schermo si spense.
Usagi fissò la parete bianca davanti a sé.
E così, capì, anche loro andavano. Separatamente, tornavano alle loro vite.
Non sarebbe stato come per lei con le ragazze, non sarebbero seguiti giorni di svago da passare assieme: Haruka e Michiru si riunivano con Setsuna ed Hotaru solo in previsione di una battaglia. Avevano vissuto assieme in quei mesi proprio a causa di Galaxia eppure la loro quotidianità non includeva le altre, tralasciando Haruka e Michiru. Forse c'entrava anche la differenza di età, ma era una cosa... triste.
Si sdraiò sul sottile materasso del divano, spostando le lenzuola in fondo al letto.
Contemplò il soffitto.
Forse in futuro le cose sarebbero cambiate.
Hotaru sarebbe cresciuta, Haruka e Michiru sarebbero tornate e Setsuna...
Doveva esserci un modo perché Setsuna potesse condurre una vita normale, no?
E poi... già, il futuro sarebbe stato comune, per tutte.
Non più guerriere che nascondevano la propria identità al mondo, ma persone che assumevano il ruolo che spettava loro fin dalla nascita.
Si girò di lato, affondando la guancia nel cuscino.
Principessa.
Regina.
Deglutì.
No, se ci pensava adesso, sarebbe stata travolta. Troppe implicazioni, troppe emozioni piacevoli e spiacevoli insieme.
Abbracciò il cuscino: aveva un buon odore di detersivo, di federa nuova e pulita.
... se fosse stato l'odore di Mamo-chan, sarebbe stato molto più buono.
Mamoru.
Oh, come aveva potuto trattarlo in quel modo?
Doveva rimediare. Appena fosse uscito dal bagno, gli sarebbe andata incontro dicendogli che era stata una stupida ad aver avuto paura di-
Nel corridoio, si aprì una porta.
Lui ricomparve sulla soglia del salotto, indosso una canottiera nera e dei pantaloncini corti.
Era vestito quasi come lei, ma lei era molto più... esile. Meno alta. Meno... grande e forte.
Le si seccò la gola. «Ah... Hanno chiamato Setsuna e le altre. Ci salutano.»
Incrociargli lo sguardo la aiutò a superare il nervosismo: quelli erano solo gli occhi sorpresi del suo Mamo-chan di sempre.
«Stanno bene?»
«Sì. Hotaru tornerà da suo padre, Setsuna alla volta del tempo e Haruka e Michiru... si riposeranno un po'.»
«Se lo meritano. Hanno tentato il tutto per tutto.»
Sapeva che sarebbe stato d'accordo con lei. «Si sentivano un po' in colpa, ma ho fatto capire a tutte e due che non dovevano.»
Lui annuì, sereno. «Hai fatto bene.» Adocchiò il divano su cui era seduta. «Dormi qui allora? Se vuoi, puoi prendere il mio letto.»
«No, non preoccuparti. Sto già comoda.» Tese le dita verso di lui.
Mamoru si avvicinò; lei gli prese una mano e se la portò alle labbra, per baciarne il palmo.
Sono una sciocca, ma ti voglio bene, Mamo-chan.
Forse poteva essere meno sciocca ancora e chiedergli di rimanere un po' lì con lei, ad abbracciarsi un pochin- Sbadigliò.
Lui rise sommessamente e si piegò in avanti. La sfiorò sulla guancia con un bacio tenero, piacevolissimo.
«Dobbiamo riposare. Buonanotte.»
... non andare. «'Notte.»
Prima di spegnere la luce, lui la salutò di nuovo con gli occhi.
Poi vi fu il buio e la sua figura che spariva oltre il corridoio, appena una porta più in là.
Usagi si ritrovò illuminata dalla luna, con una stanchezza che non sapeva come tramutare in sonno.

Le palpebre pesanti non riuscivano a rimanere chiuse.
Mamoru le lasciò scendere un'ultima volta prima di rassegnarsi a guardare di nuovo il soffitto.
... Avrebbe dovuto chiederle di dormire assieme a lui. Usagi avrebbe capito che da parte sua non c'erano secondi fini, che si trattava solo di starle accanto.
O forse no. Magari il disagio di lei sarebbe aumentato davanti ad una proposta come quella?
Sbuffò silenziosamente. Se non fosse stato per quella mattina, non gli sarebbe nemmeno mai venuto il dubbio. Se fosse potuto tornare indietro, avrebbe...
Fu onesto: non avrebbe cambiato nulla.
Ora sapeva con quale forza Usagi fosse capace di stringersi a lui, come fosse in grado di rispondere al bisogno che lei stessa gli suscitava.
Usagi gli aveva divorato la bocca, gli aveva messo le mani nei capelli, lo aveva stretto a sé come se non potesse fare a meno di sentirlo contro ogni parte di lei. Abbracciandolo, si era modellata contro di lui, lo aveva accolto tra i suoi fianchi. Aveva spinto il bacino verso l'alto, proprio mentre lui completava lo stesso movimento al contrario. Per un istante brevissimo, le era sfuggito dalla gola un sospiro così...
Si girò di fianco, improvvisamente scomodo.
Un sospiro capace di confonderlo, concluse, di rendere una cosa sola la Usagi di tante fantasie e la Usagi della realtà.
La Usagi dei sogni a cui si era avvicinato con inesorabile necessità - all'inizio quasi sentendosi in colpa - era una creatura timida, silenziosa, dai grandi occhi blu che rispecchiavano il suo stesso desiderio. Pronunciava due sole parole mentre si lasciava andare lentamente, abbandonandosi al tocco delle sue mani: il suo nome e... .
Non parlava molto. Sospirava. Si sforzava di tenere la bocca chiusa, gemeva pianissimo. Si muoveva contro di lui, si inarcava. Lo accoglieva dentro di sé con sorpresa ma senza esitazioni, imparando a riceverlo daccapo o traendone piacere continuo, come se fossero uniti da sempre.
La Usagi della realtà ancora arrossiva innocentemente quando terminavano un bacio più profondo degli altri. Gli si attaccava al gomito perché non riusciva a stargli lontana, avvicinava le labbra alle sue col sorriso dell'amore che non sarebbe mai stato placato, gli portava le braccia attorno al corpo, stringendolo forte e appoggiando la testa contro il suo petto, felice di trovarsi con lui.
Era innamorato di quella Usagi.
Di lei, della sua innocenza e anche del corpo che acquisiva una nuova curva con ogni mese che passava, che si faceva meno infantile sul viso, più morbido e bello sulle gambe agili, sulla vita sottile, sulla schiena liscia... e anche dove lui non la poteva toccare.
Le fantasie erano iniziate così, senza che nemmeno lo volesse.
Fantasie...
Silenziosamente, rise. Alla fine, fantasticava anche lui su loro due, proprio come faceva Usagi.
Non era un male. Le fantasie potevano sostituire la realtà, almeno per un po', e diventare un gioco che si poteva far avverare in due, come aveva fatto lui con Usagi durante quel pomeriggio. Era stato divertente e dolce poter esaudire una richiesta tanto romantica; ad Usagi era piaciuto molto.
... a lui sarebbe piaciuto molto di più poterla rendere partecipe della sua immaginazione, ma sapeva che ci sarebbe voluto ancora qualche anno. Nel frattempo, almeno, lei si sarebbe trovata più a suo agio con l'idea di scambiarsi baci un po' meno corti e meno casti; sarebbe venuta a casa sua più spesso e, di tanto in tanto, avrebbero potuto stare un po' sul divano ad... accarezzarsi. Un po'.
Le sarebbe piaciuto.
... forse per qualcosa di simile alle sue fantasie poteva volerci meno tempo: non anni, ma... mesi. Se lei fosse venuta a casa sua con una certa frequenza, forse persino settiman-
No.
No, era troppo presto.
L'idea la metteva a disagio: quando ci pensava, Usagi non riusciva nemmeno a guardarlo negli occhi, voleva allontanarsi da lui.
Quella mattina non era stata un errore, ma di sicuro un salto troppo grosso e rapido.
E quello stesso giorno avevano avuto anche necessità di parlare di cose che non si era mai detti con tanta chiarezza, di appianare un'incomprensione che non sarebbe mai dovuta sorgere tra loro.
Usagi gli aveva aperto da pochissimo quell'ultima parte di lei che lui avrebbe dovuto conoscere già da molto tempo e non era di certo pronta a concedergli altro.
Lui comunque non voleva una concessione. Voleva desiderio da parte di lei, una genuina volontà di scoprire tutto quel che potevano provare insieme.
Loro due insieme avrebbero potuto raggiungere un mondo ignoto, di sensazioni... favolose; non che quella fosse una parola adatta.
Per poterci entrare avrebbero dovuto volerlo tutti e due senza riserve. Quando Usagi non ne avesse avuto più neanche un minimo timore, lui non avrebbe dovuto condurla lì, ci sarebbero andati insieme o avrebbe cercato di portarcelo lei stessa, entuasiasta all'idea di offrirsi e offrire.
Fece scorrere la lingua sul palato, in circoli piccoli.
Usagi che sapeva offrire ogni sua emozione con tanta semplicità forse sarebbe stata diversa dalla Usagi timida che aveva immaginato lui.
Anzi, non forse, di sicuro. All'inizio magari no, ma dopo...
Tornare a sdraiarsi sulla schiena non gli ridiede nemmeno una piccola parte della comodità sparita.
Al dopo a cui stava pensando mancava ancora diverso tempo, avrebbe fatto meglio a tenerlo sempre a men-
«Mamo-chan?»
Balzò seduto sul letto.
Usagi era in piedi sulla porta.
Era il momento meno adatto di tutti per averla in camera sua. «Sì, hai... ti manca qualcosa di là?»
Lei non rispose, si avvicinò. «Per favore, posso...» Portava il cuscino sotto il braccio. «Posso dormire qui con te?»
Dormire con lui? Adesso?
Lei fece un altro passo in avanti. «Solo per... sentirti mentre dormi vicino a me.»
Prima anche lui aveva avuto lo stesso desiderio innocente, ma adesso...
Usagi si sedette sul bordo del letto e, per quel poco che la tenue luce notturna gli permise di vedere, lo guardò con occhi stanchi e supplichevoli. «Non ti darò fastidio. Per favore.»
Mamoru sospirò. Non riusciva mai a rifiutarle niente quando lei lo guardava così, quando usava quella voce.
Lui abbassò brevemente lo sguardo su di sé e si spostò verso la parte più lontana del letto. «Vieni.»
Più che vedere, sentì il sorriso sollevato di lei. Usagi si infilò sotto le lenzuola e sistemò la testa sul cuscino che si era portata.
Da parte sua, per evitare incidenti e imbarazzanti speculazioni, si mise a pancia in giù: per calmarsi avrebbe pensato alla fame nel mondo e non si sarebbe spostato di un solo millimetro.
Usagi si allungò a prendergli una mano tra le sue. La avvicinò al proprio viso.
Il calore del suo respiro sulla pelle divenne un meraviglioso tormento.
Poi... rimasero in silenzio.

Usagi era felice di essere venuta lì.
Dopo essere stata a rimuginare senza riuscire a prendere sonno, aveva concluso che sapere di comportarsi da sciocca e non fare niente era la cosa più sciocca in assoluto. Nell'altra stanza c'era Mamoru, si era detta, Mamoru che l'amava, che non avrebbe mai fatto niente che lei non avesse voluto e lei voleva disperatamente stargli vicino; dopo tutto quello che era accaduto negli ultimi mesi e solo la sera prima, ne aveva semplicemente diritto.
Ora che l'aveva accanto e vedeva il suo viso, con gli occhi chiusi, a malapena illuminato dal bagliore lunare e una mano nella sua, era... incredibilmente felice.
E incredibilmente, inaspettatamente, a disagio.
Aveva una consapevolezza che fino a quel momento le era sempre sfuggita: sentire Mamoru respirare accanto a sé, col corpo a neanche un metro dal suo, non era più solo fonte di una tranquilla gioia. Aveva imprato a volere qualcosa di più e allo stesso tempo... a non volerlo.
Era troppo, pensò. Se solo non ne avesse saputo mai niente! Desiderava solo che tutto tornasse come prima, quando quel problema non era mai esistito.
Eppure a parlare era la paura, non lei.
Paura... Non avrebbe mai potuto avere paura di Mamoru. Aveva paura di sensazioni che sembravano troppo adulte e che, chissà come, aveva già iniziato a desiderare.
Inutile cercare di nasconderselo: era a disagio per paura di un ignoto verso il quale però stava già tendendo.
Si concentrò sul calore della mano che stringeva e che non si era mossa da quando l'aveva messa tra le sue.
Osservò le dita lunghe, incrociate tra le sue e piegate come ad avvolgerle interamente la mano.
Con una tranquillità che prima le era mancata, gli contemplò il braccio, notando i muscoli rilassati che la maglietta aveva lasciato scoperti.
Forse lui era cambiato un poco da quando si erano conosciuti, ma aveva lo stesso aspetto da molti mesi, no? Lei non aveva mai pensato che la sua forza potesse essere minacciosa e non lo pensava nemmeno adesso, ma... Tornava a prima, ecco: aveva un lieve timore di quel che le piaceva troppo. Forse perché l'idea non era più vedere solamente, ma... toccare. Farsi toccare.
Si impose di continuare ad osservare. Salì fin su le spalle e scese lungo la schiena, piano, fino ad arrivare alle gambe che, distese, toccavano quasi la fine del letto.
... se avesse voluto abbracciarlo, lui l'avrebbe lasciata fare. E lui poteva essere tanto più grande di lei, ma le avrebbe permesso di fermarlo in qualunque gesto. Perché era Mamo-chan.
Tornò sul viso, quel bellissimo viso che le era sempre piaciuto, anche quando all'inizio lo aveva detestato per le prese in giro. Si fermò sulla bocca e ricordò di avergli stretto il labbro inferiore, umido, tra le proprie labbra; lui aveva fatto lo stesso mentre lei gli si premeva contro, schiacciandogli i seni contro il petto in un contatto delizioso che l'aveva fatta fremere. E quando lo aveva sentito spingere tra le sue gambe,
aveva provato una sensazione dolorosamente intensa, tremenda perché solo di piacere.
Emise un sospiro strozzato.
Mamoru doveva averci pensato anche lui.
Inoltre, anche se aveva smesso di rifletterci da quando aveva ricordato il suo compleanno, lui era appunto più grande ed era un maschio.
Non era tanto ingenua da non sapere quel che desideravano i maschi.
Forse, mentre lei sognava romanticherie su di lui, lui sognava che lei...
Travolta da un imbarazzo acutamente piacevole, gli lasciò la mano e si voltò dall'altra parte.

Mamoru era riuscito a calmarsi. Un po'.
Dormire invece gli era risultato impossibile.
Voleva farlo, aveva sonno, ma come poteva rilassarsi mentre lei lo toccava? Solo con una mano, certo, ma...
Quel problema non si era più posto quando Usagi lo aveva lasciato andare. A quel punto lui aveva cominciato a dispiacersi di non avere più le dite di lei tra le proprie. Liberazione e tortura, in entrambi i casi.
Aprì gli occhi.
Usagi gli dava la schiena.
... forse lei stava solo cercando una posizione più comoda.
I colori del suo pigiama erano così tipicamente... Usagi. Rosa tenue e giallo acceso. Colori infantili che non riuscivano a donarle quella stessa qualità.
Per non pensarci, si concentrò sulle lunghe code bionde di lei. Ricadevano sul materasso in tanti setosi fili d'oro.
Facendo attenzione a non farsi sentire, allungò una mano. Le trovò i capelli con due dita e iniziò a farne scorrere alcuni tra indice e polpastrello. Non si era avvicinato di molto a lei, eppure gli sembrava lo stesso di riuscire a percepire il calore del suo corpo, proprio come se la stesse sfiorando.
La maglietta non la copriva del tutto, lasciava visibile un lembo di pelle sulla schiena, sulla vita.
Se seguiva quella linea, lui poteva vederla mentre andava in alto, a disegnare i fianchi avvolti dai pantaloncini.
Se l'avesse toccata lì, forse lei avrebbe sospirato. Forse si sarebbe mossa appena, come a chiedergli di continuare. E se lui avesse proseguito-
Si voltò dall'altra parte e si impose, si impose di fissare la parete.

Usagi era stanca. Non solo fisicamente, ma stanca di sentirsi crescentemente frustrata.
Si sentiva pronta a scattare al minimo contatto e parti di lei erano diventate particolarmente sensibili al più piccolo movimento, a patto naturalmente che avvenisse dall'altra parte del letto. E succedeva solo perché aveva continuato a... pensarci.
Così tanto che aveva iniziato a chiedersi... cosa sarebbe successo se si fosse fatta abbracciare da Mamoru?
Sapeva che era sveglio, si era appena girato.
Cosa sarebbe successo se si fosse stretta a lui? Non c'era più la disperazione di quella mattina, non sarebbe stato più tutto così improvviso e... violento.
Forse sarebbe stato un crescendo più quieto. Forse poteva semplicemente assaporare ancora un po' di quelle sensazioni senza che la travolgessero.
E avrebbe potuto averlo vicino, baciarlo, guardarlo negli occhi.
Quei bisogni più teneri non erano mai lontani, perché lei lo amava e voleva con tutta se stessa poterlo stringere, perdersi in lui. Perché per tre mesi non c'era stato, aveva smesso di vivere e quel pensiero la colpì di nuovo come un macigno durissimo allo stomaco.
Si arrese. «Mamo-chan?» Si girò.
Lui non si spostò, continuò a stare rivolto al muro. «Sì?»
Lei gli si avvicinò, sentendosi prendere coraggio man mano che riduceva la distanza tra loro.
A pochi centimetri da lui, vinse il bisogno: lo strinse a sé, appoggiando tutto il corpo contro la sua schiena.
Mamoru si irrigidì.
Non le piacque. «Stringimi.» Gli accarezzò il braccio, respirandogli sul collo. Stringimi, abbracciami.
Come prima cosa, Mamoru cercò di controllare il respiro. Quindi, tentò di allontanarsi verso il bordo estremo del letto, ma la stretta attorno a lui si fece appena più salda, costringendolo con delicatezza a rimanere dov'era.
... non poteva restare così.
Si girò e le appoggiò una mano sulla spalla, a mantenere una precisa distanza di sicurezza. «Usagi...» Non sapeva nemmeno come cominciare.
Si sentì accarezzare una guancia. Dagli occhi di lei scese una lacrima.
«Sei qui, Mamo-chan... sei qui. Abbracciami.»
In lui la tensione sparì in un secondo, rimpiazzata solo dal desiderio di porre fine a tutto quel dolore.
Vinto, abbassò il braccio che li separava e la accolse contro il suo petto. Sentì la forza con cui lei cercava il suo abbraccio e la strinse ancora di più.
Usagi singhiozzò piano contro di lui, avvolgendogli la vita con una gamba, premendogli i seni morbidi contro il petto.
Rigido, prigioniero, Mamoru non capì se non doveva fare niente o.... Il respiro alla base del suo collo si spostò sempre più in alto, fino a toccargli le labbra.
Abbassò la testa e incontrò la bocca che cercava la sua. Dolce, umida, calda, arrendevole e bramosa.
La assaggiò come quella stessa mattina, ma senza fretta, prolungando ogni contatto, ogni sensazione.
Usagi si sentiva rilassata e fremente, eppure piangere sembra inevitabile. Si staccò per un istante. «Scusa per le lacrime» mormorò. «Scusa. Voglio smettere, ma-»
Lui le catturò di nuovo le labbra, impedendole di continuare.
Un braccio la strinse forte per la vita e una mano aperta le trovò la schiena. La accarezzò, consolando e accendendo.
Usagi si sentì abbandonare ogni timore.  Era questo che voleva: sentirlo contro di lei, sentire lui e nient'altro.
Si lasciò riempire dalle sensazioni e gli si strofinò contro, cercando di ammansire la piacevole vibrazione che ormai la percorreva per intero.
Mamoru si staccò per respirare a fondo. E si reimmerse.
Fece funzionare la testa solo quando impedì alla mano di andare dove non doveva: da qualche secondo non vagava più solo sulla schiena di lei, ma si era gradualmente spostata fino ai fianchi. La fermò lì, sulla vita di lei, dove prese a scendere e a salire, accarezzandole la pelle da sopra la stoffa leggera.
Usagi si sentì rabbrividire. Il tremore era totalizzante, fantastico, capace di farle dimenticare ogni cosa, compresa se stessa. La sensazione si acuiva quando la mano di lui saliva verso l'alto, quasi fin sotto il braccio, ogni volta sempre un poco di più. Era... meraviglioso farsi toccare da lui, farsi amare da lui. Le sembrava di sciogliersi.
Sul suo labbro inferiore arrivò una lunga scia umida, delicata e paziente.
Le sembrò di bruciare.
Si voltò di lato col torso, appena, facendogli incontrare la curva di un seno con le dita. Le scappò un sospiro strozzato.
Mamoru staccò la bocca da quella di lei. Nella penombra, rimase a fissare la propria mano e quello che stava toccando.
Usagi si sentì torturare dall'attesa: la mano di lui lì era così... così- Era come se, con ogni respiro, gli appartenesse sempre di più.
Gli circondò il polso con le dita e spinse, di pochissimo, verso l'alto. Incontrò resistenza.
«Usa, no... è...»
No? «Voglio solo... che mi accarezzi.» Perché no?
Mamoru prese una nuova e profonda boccata d'aria: accarezzarla a lui non sarebbe bastato, stava lì il problema. Se cominciava, poi avrebbe voluto persino-
Niente, comprese all'improvviso.
Non avrebbe potuto fare nulla. Non aveva niente in casa che permettesse loro di intraprendere con sicurezza un rapporto di quel tipo.
... e voleva toccarla anche lui. Non si sarebbe tolto i vestiti, non le avrebbe tolto i vestiti, non sarebbe successo nulla, l'avrebbe solo... accarezzata un po'.
Mantenendo i loro bacini a debita distanza, era l'unica condizione.
Si piegò all'indietro all'altezza delle anche e, ormai convinto, spostò delicatamente le dita sul seno di lei, gustando la morbidezza che sentiva anche sopra la sottile maglietta di cotone. Strinse appena con la mano: la scoprì morbida e soda, calda, molto meglio di qualunque cosa si fosse mai immaginato. Trattenendo un ansito, trovò con l'indice il punto più alto, turgido, e iniziò a stimolarlo piano, avanti e indietro.
Lei sembrò trattenere un gemito, ma il brivido la scosse ugualmente. La stretta sul suo polso prese forza.
Le piaceva.
Senza fermarsi, Mamoru avvicinò di nuovo la bocca alla sua.
Usagi sentì il respiro caldo tra le loro labbra, il seno ancora tormentato dalle dita che sembravano sapere esattamente come toccarla. Il piacevole dolore che aveva sentito prima, sullo stesso letto ma lontana da lui, veniva lenito e alimentato con ogni nuova carezza. E tutto sembrava accumularsi in unico punto, sotto il bacino: era un bisogno che chiedeva disperatamente di essere saziato e, senza avere idea di come fare, lei cercò per istinto un contatto, allungando una gamba e trovando quella di lui. La piegò fino a circondargli il fianco.
Staccandosi, lui spinse sul suo stomaco, allontanandola.
Ma... «Perché non vuoi?»
«Perché non voglio? Perché invece lo voglio e non credo che tu lo voglia.»
Eh? «È un gioco di parole? Ora?» Non nascose la frustrazione.
Mamoru sospirò e scosse la testa, frustrato anche lui e teso come non ricordava di essere mai stato. «No. No.» Lei... voleva. Voleva. Ma non quello che voleva lui, perciò... «Facciamo così.» Proviamo così.
La spinse un poco all'indietro con la mano, facendole capire che doveva sdraiarsi. Quando Usagi si rilassò, lui le si sistemò accanto. «Se faccio qualcosa che non vuoi... dillo. Mi fermerò subito.»
Non ricevette risposta.
Lo prese come un assenso, come il segno del desiderio che lei gli aveva dimostrato. Tornò ad assaggiare la morbidezza delle labbra umide sotto le sue e, con la mano, cercò la parte di lei che era ancora più impossibilmente morbida. Sfiorò il seno sinistro, quindi spostò le dita su quello che non aveva ancora toccato, ora il più vicino a lui.
Inarcandosi un poco, lei premette contro la sua mano.
Le piaceva.
Lui le passò le labbra sulle guance, sulla mascella, sull'orecchio. Scese sul collo, sulla pelle sottile dal sapore sconosciuto che non aveva mai baciato.
Caldo. E piacere. Usagi non ne aveva mai provato così tanto. Non aveva mai pensato che sensazioni tanto gradi potessero nascere da movimenti così semplici, leggeri. Sul seno, solo il pollice che andava avanti e indietro riusciva a-... Inarcò la schiena verso l'alto, andando a ricercare quell'ultimo tocco, quello con cui due dita avevano stretto-
Sul collo l'umido e il ruvido del rapido contatto con la lingua di lui minacciarono di uccidere ogni altro suo pensiero.
Sentì il sangue defluirle dalla testa, come per andare a concentrarsi altrove.
La mano di Mamoru si staccò dal suo petto un secondo dopo, andando proprio in quella direzione, scendendo a massaggiarle lo stomaco. Un movimento innocente, però... perché ora sentiva più caldo di prima?
Le dita di lui proseguirono lentamente verso il basso. I baci sul suo collo si fecero prima più lievi e poi si fermarono del tutto, come se fosse necessaria concentrazione per quanto stava per accadere.
Un istante dopo, una carezza poco sotto il suo ombelico le causò un'improvvisa tensione. Usagi attese di sentirla continuare, ma... lui si era fermato.
Era stata una stupida a pensare che Mamo-chan si sarebbe comportato diversamente: non aveva neanche avuto bisogno di avvertirlo a voce.
Girò la testa per baciarlo di nuovo, e, quando incontrò ancora una volta le labbra che riuscivano ad essere una cosa sola con le sue, alzò il braccio per circondargli il collo e sfiorargli i capelli.
Era un assenso, capì Mamoru. Staccò la bocca da quella di lei. Voleva dare senza costringersi ulteriormente a ricevere e non era più nella condizione di permettere che lei continuasse ad alimentare in lui la via del non ritorno. Fece scendere ulteriormente la mano sul suo ventre, trovando prima i pantaloncini e poi il punto in cui le gambe appena piegate si chiudevano.
Usagi sussultò appena.
I respiri lunghi e tremuli gli entrarono nelle orecchie.
Mamoru sapeva solo teoricamente cosa doveva fare e sperò che fosse sufficiente: con le sole dita, limitandosi ai polpastrelli, prese a massaggiare piano dove si era fermato, sopra i vestiti. Colse il rapido movimento della mano che andò a stringere le lenzuola e il gemito che si trasformò in sospiro spezzato.
Nella penombra che delineava linee scure e superfici chiare, osservò ipnotizzato l'ondeggiare dei fianchi sotto le sue dita, i movimenti lenti, quasi impercettibili e sempre più lievemente insistenti che lo costrinsero a concentrarsi per continuare a ricordarsi che doveva fare... piano. La stava già solo sfiorando, ma aveva letto che in quei momenti poteva avere una percezione distorta della forza richiesta, perciò... più piano del piano, si disse, mettendo a tacere il desiderio sempre più impellente di toccare in modo più deciso, più veloce. Piano, perché a lei piaceva già così e forse le sarebbe piaciuto solo così.
Staccò gli occhi dalla propria mano e le guardò il viso, non aspettandosi la testa inclinata di lato, le labbra aperte e tremanti, il volto trasformato da un'espressione di completo rapimento.
Tornò ad osservare le proprie dita solo quando le gambe di lei andarono a stringervisi attorno, come per tenergli la mano ferma proprio lì dove stava.
Parte del controllo iniziò a sfuggirgli.
Aveva creduto di poter placare in lei il bisogno che gli aveva dimostrato, non di vederla abbandonarsi a quel modo.
D'improvviso, un calore più forte gli toccò la punta di un dito: aveva premuto involontariamente con più forza contro di lei e quello era... era...
Per non perdere del tutto la ragione, smise di pensare e si concesse almeno con la bocca un assalto che non poteva far avvenire in altri modi. Eppure, anche con le labbra attaccate al collo di lei, ansimò ugualmente quando la sentì inarcarsi, allargare le gambe.
Le dita gli scesero da sole più in basso. Prese a stuzzicare quel nuovo punto, esercitando più pressione.
N
ell'inutile ricerca di un appiglio, Usagi spostò velocemente la mano sulle lenzuola.
Sìsì, pregò tra sé, proprio . Schiacciò le labbra tra loro, trattenendo suoni che l'avrebbero solo imbarazz- Oh, , lì.
Prima lui era stato solo vicino, ma non se ne era resa conto fino a quando non l'aveva sfiorata dove ogni carezza sembrava una fitta di piacere immenso. Lì dove ogni leggerissimo tocco portava sensazioni sempre più impossibilmente grandi, che prendevano possesso di tutto il suo corpo. Si sentì preda dei suoi stessi sensi, come se in quel momento esistesse solo per sentire la prossima carezza.
Strinse i denti.
Per l'altra.
Boccheggiò.
E per l'altra ancora.
Ondeggiò col bacino.
Stava... Oh sì, sempre più...
Le scappò un suono acuto. La morsa impossibilmente calda la colpì con forza tra le gambe, da dentro, iniziando a battere.
Ohh, batteva, contrazioni ritmiche che- Le dita di lui ne incontrarono una sulla cresta. «Ah!»
Mamoru sentì il grido che sapeva di richiamo, il pulsare insistente sotto il leggero movimento delle sue dita, i fianchi che iniziavano a muoversi con forza, reclamando sempre di più. Assaggiò con un morso il sapore amaro delle lenzuola, continuando il movimento della mano che non sarebbe stato comunque in grado di fermare, cercando di spegnere ogni altro bisogno.
Lei prese tutto quel che poteva dalle sue dita, tra sussulti continui e sospiri spezzati, agguantandogli il braccio. Infine, con lentezza quasi esasperante, si rilassò contro il materasso e contro di lui.
Mamoru spostò la mano sul suo stomaco e tentò disperatamente di calmarsi.
Usagi inspirò un'ultima volta prima di chiudere la bocca. Era stato... stravolgente, sconvolgente, assolutamente incredibile. Aveva tremato là sotto, in mezzo alle gambe; si erano contratti muscoli che non aveva saputo di avere. Muscoli interni, stimolati da carezze che l'avevano portata... in paradiso, non c'era altro modo di parlarne.
In quel momento si sentiva quasi priva di forze, immensamente rilassata. La sua mente iniziava a intorpidirsi.
Era la pace dei sensi più completa che avesse mai conosciuto.
Andò a ricercare il contatto col corpo accanto al suo, volendo stringersi a Mamoru in quel momento e durante il sonno che stava arrivando rapido.
Con le dita gli trovò il viso e lo voltò di lato per un ultimo bacio.
Lui si scostò bruscamente, portandosi dall'altra parte esatta del letto. Il movimento secco, così fuori luogo, le scrollò di dosso ogni torpore.
Mamoru iniziò a considerare seriamente l'idea di correre in bagno e di trovare sollievo lì.
Lo frenava solo il pensiero di avere Usagi nella stessa casa, a pochi passi da lui. Sembrava talmente poco... giusto, cedere in quel modo, con lei presente, per quanto non visto. Eppure calmarsi sembrava anche quella un'impresa fuori dalla sua portata. Dormire in quello stato poi sarebbe stato impossibile.
Doveva aspettare, sì. Aspettare fino a che non fosse stata la sua testa a tornare a prendere le decisioni.
Se non la smetteva di tornare con la mente alle immagini di poco prima, avrebbe finito con l'imbarazzare se stesso proprio su quel letto.
Usagi gli si attaccò alla schiena, stringendolo forte con un braccio. «Basta! Perchè devi sempre allontanarti da me?»
Mamoru riusciva ad immaginare, a vedere ogni singola e deliziosa curva premuta contro di lui. Poco dopo, anche la gamba che andò sopra la sua, come ad intrappolarlo.
Fece un solo respiro, poi si scostò da lei senza cura, scendendo dal letto e alzandosi. Si girò per guardarla in faccia, nella voce un'implorazione e una rabbia che quasi non riconobbe. «Tu non capisci!»
Colse la sorpresa negli occhi sgranati di lei, ma fu solo un attimo: Usagi si era già ripresa la propria indignazione. «Non ti spieghi, come faccio a capire?»
Spiegarsi? «Io... mi sento come ti saresti sentita tu se mi fossi fermato prima della fine.» Così avrebbe capito, no?
«Ma...» Silenzio. «Allora vuoi... finire anche tu?»
Finire? Finire di... Si sentì diventare più rigido che mai. Lei non sapeva neanche di cosa stava parlando! «Il problema è che voglio spogliarti e finire dentro di te.»
Gli occhi di Usagi si fecero rotondi, giganti.
Mamoru sbiancò.
Come aveva potuto dirle una cosa del genere?!
La guardò in faccia e si sentì in un istante il peggiore dei vermi. Aveva detto quelle cose ad Usagi, a lei e alle sue innocenti fantasie.
Non avrebbe dovuto permettere che arrivassero fino a quel punto, avrebbe dovuto capire che non sarebbe stato in grado di controllarsi. «No, scusami... no.» Cominciò a fare il giro del letto. «Vado di là, dormo in salotto.»
Uscì dalla stanza, lasciandola sola, seduta sul materasso.

... semplici parole potevano far male come colpi.
Usagi rimase imbambolata per diversi istanti.
Era stato davvero lui a parlare così? Mamo-chan?
Sì.
Aveva ancora in testa la disperazione della sua voce, le scuse mortificate e la rapida ritirata.
... era successo davvero.
Com'era stato possibile, come? Nemmeno qualche momento prima stavano...
Beh, stavano...
Okay, stavano facendo qualcosa di simile a quello che aveva detto lui.
Troppo simile.
Arrossendo, corrugò la fronte. Mamoru avrebbe potuto dirlo ugualmente in un modo più delicato, no?!
... ma aveva voluto dirlo con altre parole, non ci era riuscito. Ne era rimasto sconvolto anche lui.
Si lasciò cadere sul letto.
Se erano arrivati fino a tanto era stato solo perché lo aveva voluto lei.
Vero, quando aveva insistito perché lui la accarezzasse, non aveva chiesto... quello. Ma adesso non riusciva a credere di averne mai potuto fare a meno.
Era stato... Si morse le labbra, non trovando le parole adatte. Non c'erano, comprese. Era stato tutto ciò di cui aveva avuto bisogno, l'unica cosa che sarebbe mai servita a placare, a soddisfare quello che aveva sentito dentro.
Mamoru aveva cercato ripetutamente di non arrivare a quel punto, probabilmente per non farle pressioni. Prima evitando di dormire sullo stesso letto. Poi cercando di non abbracciarla. Provando a non toccarle il seno. Impedendo il contatto dei loro bacini. Infine, allontanandosi dopo averle fatto provare... un orgasmo.
Conosceva quelle parola. Si era sempre chiesta cosa fosse esattamente. Non aveva mai trovato il coraggio di discutere dei suoi dubbi con le sue amiche, ma aveva sempre saputo che voleva dire 'culmine del piacere'. E ora aveva capito bene cosa significasse arrivare al culmine del piacere, venirne letteralmente travolti.
Come aveva detto lui?
"Perché non voglio? Perché invece lo voglio e non credo che tu lo voglia."
Mamoru non la credeva pronta per quell'ultimo passo.
Lei non poteva dargli del tutto torto.
Lo ricordò come lo aveva visto poco prima, in piedi accanto al letto, teso... teso anche là sotto. Lo sguardo le era caduto lì poco dopo averlo sentito parlare e si era poi subito spostato sulla parete. Ripensando a quello che aveva visto, anche se nascosto dai vestiti, pensò che non poteva essere meccanicamente possibile. Lei là sotto non era così... insomma, non era abbastanza...
Eppure, funzionava in quel modo. Perché il loro caso avrebbe dovuto essere diverso?
Quello era... era solo una parte di lui, così come era una parte di lei la carne che aveva tra le... A disagio, chiuse le gambe, strofinandole tra loro.
Ma non era disagio, no? Era eccitazione, la stessa cosa che aveva provato prima. Il disagio cresceva fino a diventare una sensazione negativa come la paura o la vergogna. L'eccitazione invece andava a diventare qualcosa di molto diverso. Ora conosceva la differenza.
Strofinò ancora le gambe tra loro, involontariamente, ma questa volta notò qualcosa che aveva vagamente percepito anche molto prima: era... umida là sotto. In un modo particolare. Scivolosa.
Ma perché mai doveva...?
Prese consapevolezza, finalmente senza imbarazzo.
Oh. Certo che... era un meccanismo davvero perfetto.
Fissò il soffitto.
Perfetto come quello che Mamoru le aveva fatto provare prima. Una conclusione naturale e favolosa, propio come l'amore che lei provava nei suoi confronti, come quello con cui lui la ricambiava.
Tentò di immaginare concretamente come sarebbe potuto essere.
Il calore le salì al viso, ma non per una sensazione di disagio, quanto per un acuto senso di eccitazione.
Si voltò verso la porta.
Immaginò Mamoru nell'altra stanza, stanco, frustrato, pieno di sensi di colpa e... insoddisfatto.
E lei invece era lì, con un corpo letteralmente pronto ad accoglierlo. Ma, soprattutto, con una mente e un cuore pronti ad accoglierlo.
Quello che lui le aveva fatto prima non era stato meraviglioso solo per il piacere che le aveva fatto provare, ma anche per la consapevolezza che a toccarla così era stato lui, proprio lui che lei amava con tutta se stessa.
Voleva toccarlo anche lei, accarezzarlo, dargli piacere e provare piacere insieme, fino a riposare poi entrambi, stremati dall'atto d'amore che avrebbero condiviso. Non sarebbe stato solo sesso, qualcosa di puramente meccanico in sé. Sarebbe stato fare l'amore. Con la persona che amava.
E ora lei voleva farlo.
Moltissimo.
Iniziò ad alzarsi, lo sguardo concentrato sulla porta. Sarebbe andata da lui e loro due avrebbero... insieme avrebbero...
Si bloccò. No.
La invase un senso di potente frustrazione: non potevano fare niente! Non avevano niente per impedire che lei rimanesse incinta.
Chibiusa. Il suo pensiero corse a lei, alla loro futura figlia: era troppo presto per Chibiusa. Anche se quella bambina le mancava da morire, non era ancora pronta per diventare sua madre.
Si lasciò cadere sul letto, delusa e infelice.
Poi, in un istante, seppe.
Non perse un secondo e a passi decisi si diresse verso il salotto.

Mamoru si odiava.
Si detestava.
Si malediceva.
Aveva fatto ben più di quel che avrebbe dovuto fare, con Usagi. Lei gli aveva chiesto solo delle carezze, non di farle provare un dannato orgasmo.
Era così che lui aveva interpretato la richiesta, ma perché aveva avuto in testa solo quello e non era riuscito ad immaginare che ci potesse essere un'altra conclusione minimamente soddisfacente. Però... ricordò il modo in cui Usagi aveva voluto la sua mano su di lei, il modo in cui gli aveva avvolto la gamba attorno al fianco.
No, forse non si era del tutto sbagliato, ma ad Usagi sarebbe bastato molto meno di... Già, in genere era così per tutte. Lo aveva letto.
Certo, dopo le era piaciuto, ma non voleva dire che fosse stata pronta.
Se solo lui avesse avuto esperienza, forse sarebbe riuscito a capire se l'aveva spinta oltre i propri limiti o se aveva fatto solo quello che lei gli aveva chiesto.
Se avesse avuto esperienza, forse non sarebbe stato così maledettamente eccitato da buttarle in faccia un desiderio a cui non era preparata.
Se, se, se.
Erano ipotesi senza utilità o fondamento. Non si era mai avvicinato a nessuna come ad Usagi e non aveva mai desiderato farlo. Eppure, in quel momento gli sarebbe piaciuto immensamente sapere esattamente cosa fare e come comportarsi, proprio come in tutte le altre situazioni della sua vita. Per quanto uno potesse saperne sul funzionamento dell'atto, non esisteva un modo per prepararsi all'esperienza; lo aveva appena verificato.
La mattina seguente avrebbe dovuto affrontare Usagi.
Lo mortificava l'idea, ma doveva chiederle scusa, capire se l'aveva offesa, farle assolutamente comprendere che non si aspettava nulla da lei.
Ricordò lo sguardo che lei gli aveva rivolto quando gli aveva parlato dalla sua fantasia romantica, quella mattina.
Avrebbe perso momenti come quello, momenti in cui Usagi si era totalmente fidata di lui?
Oppure... la sola idea lo atterriva: da un momento all'altro lei sarebbe potuta entrare da quella porta, offrirgli di continuare, nella convinzione di dovergli qualcosa.
Era quasi come se lui le avesse detto che, siccome le aveva evitato una frustrazione non fermandosi, allora lei avrebbe pure potuto fargli lo stesso favore, no?
Favore.
Dannazione.
Se solo avesse potuto cancellare l'ultima mezz'ora, se solo si fosse accontentato di addormentarsi con lei tra le braccia... Accontentato? Usagi ora si sarebbe sentita a disagio anche solo se si fosse sdraiato accanto a lei.
Aveva rovinato tutto.
A passi decisi, Usagi entrò nel salotto.
Mamoru balzò seduto sul letto, non osando proferire parola ma temendo ogni suono che sarebbe uscito dalla bocca di lei.
La sentì mormorare il suo nome e poi se la ritrovò sul letto, che gli si avvicinava sempre di più.
La fermò senza esitazioni, entrambe le braccia sulle sue spalle. «Non mi devi niente.»
Lei si irrigidì. «Eh?»
«Non mi devi niente. Non avrei mai dovuto dirti quelle cose, non potrò mai scusarmi abbastanza.» Si interruppe abbastanza a lungo da studiare una reazione che non gli diede alcun indizio sui pensieri di lei. Decise che poteva solo continuare. «Io... mi vergogno di averti fatto credere che dovevi venire qui per... per qualcosa che ancora non fa parte di te. Io non voglio fare sesso con te, Usa, voglio fare l'amore con te e bisogni meschini non c'entrano con questo.»
Alle sue parole seguì il silenzio.
Usagi si allontanò di colpo, appoggiandosi all'indietro sulle ginocchia. «Quindi io sono qui per un bisogno meschino?»
«No!» Allora ogni parola che gli usciva dalla bocca era un'idiozia! «Il tuo è amore, io ti ho fatto sentire in colpa e per questo ora tu sei qui.»
Ancora una volta, tra loro regnò l'assoluto mutismo. Poi l'aria iniziò a caricarsi di energia.
«Tu mi avresti fatta sentire in colpa?» Le uscì una risata incredula, spezzata. «Mi fa ridere, no anzi, mi fa arrabbiare che tu creda di sapere sempre tutto. Sbagliando!»
Mamoru spalancò la bocca.
«Io sono venuta qui perché ti amo, perché sono eccitata e perché volevo fare l'amore con te. Non sono bisogni meschini e sì, fanno parte di me. Non sono qui per nessun'altra delle ragioni che ti sei immaginato.» Le uscì un ultimo sospiro di rabbia. «Devo spiegarti altro?»
Usagi si sentì vibrare. Non aveva mai aveva usato quel tono con lui, ma Mamoru aveva rovinato tutto.
Sì, era bello che si preoccupasse per lei, ma avrebbe dovuto ritenerla abbastanza matura da capire e decidere da sola.
E sì, le piaceva che lui non volesse farle la minima pressione, perché, se non fosse stata pronta, lo avrebbe gradito tantissimo.
Ed era tanto dolce quanto stupido quel bisogno di addossarsi tutta la colpa, come se lei non avesse avuto alcuna parte in ciò che era successo.
Sì, sì, sì, le piacevano un sacco di cose del suo discorso, ma non che si dicesse certo di sapere cosa pensava e provava lei. Non era una bambina e lui l'aveva appena trattata come se lo fosse.
Combattuta, riuscì solo a guardarlo piena di... Strinse i pugni: non sapeva nemmeno di cosa.
Si alzò e se ne tornò nell'altra camera.

Senza sapere cosa fare o pensare, Mamoru si limitò a trascinarsi nella propria stanza.
Trovò Usagi sdraiata su un fianco, le spalle rivolte a lui.
Fece il giro del letto. «Dalla bocca mi escono solo sciocchezze, vero?»
Gli rispose prima il silenzio. Poi, uno sbuffo. «Mi serviva sentirlo anni fa, non oggi.» Usagi gli diede nuovamente la schiena. «Tu stai ancora a pensare solo a te.»
Mamoru sospirò tra sé: aveva sbagliato di nuovo.
E forse avrebbe sbagliato ancora, ma non fare niente, comprese, sarebbe stata la soluzione peggiore in assoluto.
Si sedette sul materasso. E rimase a guardarla, la sua Usako che se ne stava rannicchiata e gli dava la schiena come quando si offendeva per cose molto meno serie. Usagi che era tanto cresciuta da non avere più timore di conoscere tutte le esperienze dell'amore, Usagi che cresceva in una sola notte, in pochi minuti, per lui.
Si allungò sul letto, raggiungendola.
«Ti amo, Usa.» Non diede peso al sospiro rassegnato di lei: la sua non era una tattica. La abbracciò da dietro, stringendosela contro il petto. «E ho capito. Ma per oggi... stiamo solo così.» Perché se lei era pronta davvero, allora a lui bastava stare solo così, per quella notte. Ad amarla in silenzio per il modo in cui cambiava per lui, in cui si era sempre adattata a lui in ogni cosa. Non si trattava di una tattica nemmeno da parte di lei: Usagi era semplicemente fatta per lui e per questo si incontravano in ogni modo, anche quando non lo volevano. Come sempre, fin dalle prime volte che si erano visti.
Sorrise e le affondò il naso nel collo, inspirando l'odore che era completamente ed unicamente di lei.
Usagi voltò piano la testa. E poi tutto il corpo, tra le sue braccia. «Io non voglio stare solo così.» Gli accarezzò la spalla con una mano e le labbra col respiro. «Ti amo tanto anche io, Mamo-chan. Troppo. Devo fare l'amore con te, lo voglio.» Lo baciò. Lo prese, devastando ogni sua barriera e facendolo suo.
In lui non sparirono proteste senza senso, prese semplicemente posto lo stesso sicuro desiderio di lei, quello che non aveva bisogno di motivi.
Se la strinse contro con tutta la forza che aveva, rendendosi proprietario infinitamente grato non della sua bocca o del suo corpo, ma di lei stessa. Di Usagi che era sua e solo sua, la cosa più bella, la migliore che gli fosse mai capitata.
Per un istante rapidissimo, lei si staccò con forza per respirare. Lui non riuscì quasi a carpire il movimento, perché quando se ne accorse Usagi era già tornata da lui.
Troppo forte, pensò, doveva abbracciarla un po' più piano.
Lei gli si strofinò contro, chiudendo il sospiro nelle bocche di entrambi.
Più piano, insistette con se stesso: lei non sarebbe andata da nessuna parte. E poi se spostava le mani poteva- Bastò il pensiero a convincerlo. Le infilò le dita sotto la maglietta rosa, sulla schiena. Senza forza ma con infinita concentrazione, le accarezzò per intero la spina dorsale, cogliendo ogni brivido come fosse il proprio.
I baci di lei si fecero più lenti anche loro, ansiosi di permetterle di cogliere meglio altre sensazioni, in attesa.
Con una delicatezza che smise subito di essere esitante, Usagi usò la mano per toccargli prima il braccio e poi la schiena, trovando lì spazio per la primissima parte dell'amore che provava.
Mamoru assaporò la carezza del palmo, la mente persa in quel tocco e in tutto ciò che sarebbe venuto, nei baci che le avrebbe dato, nella pelle sconosciuta che avrebbe assaggiato e stimolato fino al piacere massimo, nel corpo che lo avrebbe accolto, aprendosi e ricevendolo senza riserve o timori, prendendosi ogni singola parte di lui e-
Bloccò i movimenti, interrotto da una gravissima dimenticanza. «No
Si fermò anche lei, sorpresa. «Cosa?»
Disperato, lui la fissò nella penombra. «Non possiamo. Non abbiamo niente per...» Non potevano continuare!
La risatina tranquilla di Usagi lo destabilizzò.
«Non preoccuparti. Ci pensa il mio cristallo.»
Il suo- Cosa? «Il cristallo?» Ma che-? Comprese all'improvviso, ma no. «No, non può esserci il caso.»
«Non ci sarà nessun caso.»
Lei non aveva idea dei milioni di casi che potevano esserci, né di quanto gli dolesse fisicamente dover perorare quella causa. «Sarebbe ugualmente un grosso rischio, Usa, non-»
Lei lo interruppe con un dito sulla bocca. «Mamoru. Con quel cristallo, col mio potere, ho sconfitto l'origine di tutto il male, ho fatto perdere la memoria a migliaia di persone, ho ricostruito città ed edifici. Ricordi come ho saputo dove si trovava tua valigia? Ne avevo la certezza assoluta, giusto? Ecco, è la stessa certezza che ho avuto prima, quando mi sono ricordata che non avevamo... precauzioni da usare. Perciò non c'è nessun caso: sarà il mio cristallo a decidere quando arriverà Chibiusa, me lo ha... detto.»
Detto, pensò Mamoru, in quella maniera che era nota a entrambi solo da quando Galaxia era stata sconfitta. Il loro potere aveva iniziato a parlare e non c'era errore in quelle previsioni, si trattava di intime verità assolute.
Usagi gli accarezzò la guancia, attendendo una decisione di lui. Sapeva già quale sarebbe stata, ma l'urgenza di averlo vicino era talmente forte che ogni secondo in cui rimanevano lontani era insopportabile.
La bocca di Mamoru tornò sulla sua, strappandole un'esclamazione di completezza e sollievo. I loro baci in quel momento erano inebrianti, totalizzanti e intensi come non erano stati mai. Si sforzò di attutire minimamente la sensazione, perché era ora di smettere di ricevere solamente, doveva cominciare a dare.
Infilò la mano sotto la canottiera di lui, trovandogli lo stomaco dalla pelle ruvida, dura e tanto calda. Allargò le dita, accarezzando non lembi, ma intere superfici di carne. Le brevi interruzioni nel respiro di Mamoru le fecero scoprire la magia di ciò che gli provocava, gli effetti del più piccolo contatto. Continuò ad accarezzare, a disegnare ogni contorno che sentiva. Liberò la bocca dal loro bacio e la fece scendere sulla linea della sua clavicola, sfiorandola con le labbra, azzardando minuscoli tocchi umidi.
Lui si scostò di colpo. Con movimenti fluidi e frenetici si levò la canottiera nera, buttandola lontano.
Il gesto, la stessa vista, furono talmente sensuali - sessuali - da immobilizzarla.
Si ritrovò stretta contro il torso nudo che la stava facendo avvampare e avvampò ancora di più al contatto, ma in maniera così irremediabilmente piacevole che si rassegnò ad esplodere di rossori. Si abbandonò ad un nuovo bacio aperto, scoprendo la gioia crescente di sentirsi presa da lui, assediata.
Iniziò a respirare talmente forte da ansimare, ma cominciò ugualmente a ricevere in maniera attiva: bastava accarezzarlo, capì. A lui piaceva tanto. Poteva accarezzarlo sul petto, sulle braccia, ovunque.
Una mano si intromise sotto la sua maglietta, sul fianco. Risalì verso l'alto e verso il centro con una velocità appassionata che le mozzò il respiro, che anzi le fece esalare l'ultimo di quelli, al contatto diretto delle dita di lui sul seno.
Mamoru catturò il suo ultimo alito di vita tra le labbra aperte, riportandolo in lei col tocco leggero che lo portò a riprendere il bacio brevemente interrotto.
Usagi venne scossa da un unico e favoloso tremolio: si premette in avanti, schiacciando la bocca su quella di lui e il seno contro la mano che lo teneva a coppa.
Le dita di Mamoru la studiarono, tentarono. Giocarono.
L'oblio dei sensi iniziò a reclamarla, ma l'aria improvvisa sull'intero petto, brutale, la riportò alla realtà.
Corse a coprirsi i seni nudi con le braccia, come meglio poteva, e fermò la tentazione di riabbassare la maglietta solo all'ultimo momento. Rimase ferma.
«Scusa...» Fu un sussurro bassissimo che il suo animo udì fin nel profondo.
Usagi respirò e scosse piano la testa, spostandosi in avanti. Si appoggiò contro di lui, la maglietta ancora sollevata: si permise di abituarsi al contatto vivo e diretto tra i loro corpi che respiravano, che sentivano ogni cosa, che vibravano nell'accarezzarsi l'uno con l'altro.
Non gli chiese un nuovo bacio, lo prese lei. Niente scuse. E liberò le mani, portandogliele attorno al collo. Continua.
Tramise il messaggio anche con un bacio che iniziò a reclamare possesso, ma Mamoru si limitò a posarle le mani sulla schiena e lì le tenne.
Usagi fu costretta a staccarsi e, dopo aver inspirato, a levarsi la maglietta da sola, da sopra la testa. Quella le rimase impigliata nelle code, ma lei dovette finire di toglierla da sola.
Mamoru la stava guardando nella penombra, aiutato dalla debole luce che proveniva dalla finestra.
Usagi si scoprì a respirare sempre più forte. I movimenti veloci del petto, nati da un istintivo imbarazzo, attirarono l'attenzione di lui fino a incantarlo, immobilizzandolo. Eppure, ancora non la toccò, le mani tenute ferme quasi con sforzo.
Lui prendeva solo quello che voleva lei, comprese Usagi, perché la amava e la desiderava per quello stesso amore.
Colmò lei la distanza tra loro, offrendogli un bacio pieno e se stessa, amore e tutto ciò che era. Ti amo, amami. Amare era offrire e offrirsi, era toccarsi e sentire un tuffo al cuore, una stretta al petto. Era trarre infinito piacere dal loro amore.
Gli si aggrappò al collo.
Ti amo, ti adoro, amore.
Lui le portò le mani sullo stomaco, salendo sul petto. Lì prese, i palmi aperti.
La sensazione la travolse d'energia. Con una forza che non sapeva di possedere, gli si buttò addosso, spingendolo sulla schiena.
Le sembrò di percepire una risata silenziosa contro la sua bocca. La staccò da quella di lui e allargò gli occhi di gioia, sorridendo lei stessa: gli stava sdraiata... sopra.
Audace, hm?

Lui le prese la testa tra le mani, confermando con un bacio divertito la sua impressione.
Usagi volle bearsi appieno del proprio potere e appoggiò le mani sul materasso, sollevandosi lentamente, godendosi la vista. A metà strada non resistette, gli accarezzò la fronte, liberandola per metà dai capelli. Sarai sempre tutto per me.
Benché non fosse una domanda, lui non le disse di sì, sollevò invece le mani e le catturò di nuovo i seni tra i palmi, dimostrandole che lei sarebbe sempre stata tutta per lui.
Oh, andava più che bene anche così.
Le titillò le punte con dita esploratrici, portandola ad inarcarsi all'indietro, a sedersi. Ad appoggiarsi completamente contro di lui, duro e ben presente sotto di lei.
Gli scappò un sussulto che lo spinse a tirare su le anche.
Lei gli afferrò i polsi tra le mani, senza sapere se rimanere o scappare.
Lui lo capì e rimase fermo, permettendole di assaporare l'ombra della sensazione dolorosamente intensa ancora viva dentro di lei.
Mamoru attese altri due secondi, poi si tirò su col torso, raggiungendola.
Lievemente spostata all'indietro, Usagi se lo ritrovò davanti con incredibile felicità. Mamo-chan. Gli bastava non vedere nient'altro che lui per dimenticare ogni cosa, per riuscire a ricordarsi cos'era sentire solamente. Gli circondò le spalle con le braccia, si abbandonò al tocco umido e bollente delle loro bocche. Quando lui la circondò per la vita, lei trovò il coraggio per premersi e sfregarsi completamente contro il suo corpo, dai seni nudi contro il petto di lui fino allo squisito punto in mezzo alle gambe di entrambi.
I suoni nella sua gola rimasero soffocati tra le loro labbra.
Dentro di lei era iniziata una tensione meravigliosa dall'ormai chiaro significato e tentare di alimentarla fu naturale. Usò il proprio peso per ondeggiare contro di lui, schiacciandosi di nuovo verso il basso.
Si sentì ricadere all'indietro, di lato, e si ritrovò sdraiata sulla schiena, sovrastata.
I baci non le trovarono più la bocca, le esplorarono invece il viso e ogni angolo del collo, divenuto d'improvviso nuovo punto di sensibilità estrema.
Usagi cercò con le mani qualcosa da toccare e afferrare. Optò mentalmente per le spalle di lui, ma finì col mettergli le dita tra i capelli: la lunga scia umida sul collo non le aveva lasciato scampo. Persa, gli massaggiò la nuca, sentendo il percorso mortalmente rapido della bocca di lui verso il basso, una striscia di labbra lievemente bagnate che non si fermò in mezzo ai suoi seni o su una delle tante curve, ma direttamente su un preciso punto d'interesse.
Con la lingua, Mamoru le lambì voluttuosamente un capezzolo. Non le diede il tempo di produrre un gemito, lo prese in bocca e iniziò a suggerlo tra le labbra.
Usagi piegò la schiena in un arco impossibile, emetttendo un grido sommesso, mozzato.
La sensazione si interruppe immediatamente. «Troppo? Scusa, non-»
Grazie alla presa sui capelli, lei lo riportò esattamente dov'era stato prima. Sciocco e ottuso-
La carezza umida non si fece aspettare per più di un altro secondo.
No, bravo e capace.
Tanto capace da non permetterle di abituarsi alla sensazione: nessun movimento era uguale all'altro, tutti generavano picchi diversi, così, così incredibilmente...
Si strinse un labbro nella bocca e chiuse gli occhi.
Mamoru la sentiva vibrare ogni volta che la assaggiava, che gustava tra le labbra la protuberanza turgida del seno che tanto a lungo aveva voluto vedere. Continuava a sentire il respiro spezzato di lei e, ancora una volta, appena percepibili, i suoni che lo pregavano di non fermarsi.
Ed era davvero lui, proprio lui, a provocarle quelle reazioni, a regalare tutto quel piacere alla sua vera Usagi e non a quella che si era limitato ad immaginare. La sua vera Usagi era deliziosa, ricettiva, altamente sensibile, uno spettacolo per gusto, olfatto, vista, udito, tatto.
Mani rapide gli tirarono la testa verso l'alto. Lui tornò sopra, a ricambiare immediatamente la frenesia dei baci senza fine di lei, l'entusiamo che andava oltre ogni suo sogno e immaginazione.
Si lasciò cadere sul fianco, catturandole un fianco con la mano. Infilò un dito sotto l'elastico dei pantaloncini gialli e iniziò lentamente a tirarlo giù, su un solo lato. Usagi rabbrividì, ma non protestò. Quando l'altra sua mano toccò il fianco opposto, lei si sollevò, permettendogli di sfilare l'indumento anche da quella parte.
Lui seguì con gli occhi il movimento delle proprie dita che, tirando giù, scoprirono mutandine bianche e gambe, gambe che, in proporzioni perfette, divennero ginocchia e infine piedi; tutto vicino come non l'aveva mai avuto, a incredibile portata di... tocco.
Lanciò via i pantaloncini del pigiama.
Tornò a concentrarsi sul viso di lei con minuscola riluttanza, ansioso di assaporare appieno la nuova vista che sapeva di scoperta. La dimenticò quasi quando le mani di Usagi gli trovarono l'elastico dei boxer; le dita di lei presero la strada della sua schiena e lì lo fecero irrigidire oltre l'impossibile, perché... andarono giù, come alla ricerca di qualcosa. Si fermarono dopo pochi centimetri che quasi lo stroncarono.
Si librò in aria una risatina bassa, imbarazzata. Le mani di Usagi uscirono rapide dai suoi boxer. «Pensavo-... credevo avessi qualcos'altro sotto.»
Lui tentò di ridere, ma fu un suono più roco che limpido. «No... niente.» A parte la traccia ancora viva che quelle dita gli avevano lasciato sulla pelle.
Il bianco del sorriso di Usagi fu accentuato dalla debole luce notturna, una luce che le ricadeva su tutto il profilo, un bagliore che in quel momento sembrò esistere solo per illuminare quanto di più bello e sensuale lui avesse mai visto.
Le posò il palmo aperto sul fianco; accarezzò in lungo e in largo, causando un sospiro e un movimento che si offrì al suo tocco. Lui percorse con le dita la stoffa leggera che la copriva, fino a giungere sul punto che aveva già imparato a stimolare oltre il culmine. Lo sfiorò di nuovo, col dorso delle unghie.
Lei si tese, emettendo un suono sordo di abbandono.
Girando la mano, Mamoru la accarezzò coi polpastrelli, premendo di quel poco che- Con un ansito, lei separò le gambe, invitando il contatto appena più in basso, quei pochissimi centimentri che facevano tutta la differenza. L'umidità sotto il cotone rese ogni sua carezza più semplice, tanto piacevole da essere quasi mortale per entrambi.
Mamoru sentì il respiro accelerato di lei contro il collo.
L'avrebbe spaventata di nuovo se avesse cercato di toglierle le-?
A bocca aperta, Usagi gli fece sentire il segno dei denti sulla giugulare e lui non pensò più: con l'indice scostò di lato il tessuto che lo ostacolava, trovandola con le altre dita, tanto pronta e umida che il primo contatto quasi gli fece male.
Usagi sentì il tocco diretto tra le gambe, dove non era mai stata così morbida. La prima lieve carezza la ferì di piacere. La seconda alimentò una tortura di cui si poteva voler morire. Alla successiva, ogni pensiero divenne una smaniosa richiesta di completezza.
Più in alto, gridò tra sé. No non- Oh sì lì, più forte, no non così for- di nuovo, per fav-
La colpì una scarica. No! Gli afferrò il polso, non facendo in tempo a fermare un secondo sussulto. «Aspetta» ansimò senza forze.
Cosa? le chiese lui in silenzio.
«Insieme» spiegò lei. «Questa volta insieme.»
Il sospiro di Mamoru parve l'essenza stessa del sollievo.
«Sarà insieme» le sussurrò sulla fronte. «Ma vorrei sentire di nuovo mentre tu... Puoi farlo tante volte.»
Usagi rabbrividì. «TanteQuante ne aveva in mente? Lei oltre quella già-
Lo sentì sorridere. Lui abbassò la testa e le sfiorò le labbra. «Una alla volta.» La convinse con una carezza leggera delle dita, della bocca.
Quando il tessuto elastico sui suoi fianchi venne lievemente allontanato dalla pelle, Usagi chiuse gli occhi, concedendosi ad uno choc desiderato con un semplice abbraccio.
Mamoru le abbassò gli slip oltre i fianchi e trattenne il respiro. Lo completò solo sforzandosi di continuare. Sollevandosi prima e piegando le gambe poi, Usagi lo aiutò a sfilarle di dosso l'ultimo indumento.
Mamoru la strinse a sé mentre lei faceva lo stesso. La assaggiò con trattenuta frenesia sulla guancia, scendendo sul collo e finendo sulla spalla. Le percorse la schiena, il fianco nudo e la prima parte di una gamba: lei era incredibilmente soffice e calda in ogni dove e ora lui poteva toccarla dappertutto.
Spostò la mano sul davanti e poi sotto, in mezzo, dove i tocchi portavano più piacere. Scivolò con le dita su e giù, piano, lungo un brevissimo spazio che per lei significava ogni cosa. Questa volta non chiuse gli occhi, non si estraneò mordendo alcun lenzuolo: odorò lei, le serrò le labbra con la bocca, rimase concentrato sul suo corpo che, estasiato, si tendeva e si rilassava, che tornava a tendersi non appena lui sfiorava una piccola cresta, che vibrava al minimo tocco, sempre un po' più forte, più veloce.
La fine arrivò con mani che gli affondarono le unghie nelle braccia, con una bocca che gli rubò l'aria e un ventre che vibrò. Il bagnato sotto le sue dita palpitò lieve, incessante, animato.
Si sarebbe unito a lei proprio lì.
Ne accarezzò più forte una parte più grande, causandole un sussulto che si dissolse in un respiro perduto e mai ritrovato.
Proprio lì, pensò lui, solo un poco più sotto, dove si poteva andare dentro e a fond-
Allontanò la mano, stringendo i denti. Percepire la sensazione immaginaria gli aveva causato una stretta troppo intensa dove... Gli si seccò la gola. Dove Usagi si era appena appoggiata, stringendosi a lui.
Gli sarebbe bastato abbassare i boxer e, con una spinta dei fianchi, avrebbe trovato lei e il piacere più assoluto; talmente in fretta che le avrebbe fatto male di sicuro.
Con cautela, attento a limitare qualunque contatto, si scostò piano all'indietro. Si sdraiò per metà sulla schiena, come a cercare lo stesso riposo che si era presa lei, con la testa sopra una sua spalla.
Usagi sembrava spossata, tranquilla.
... avrebbe dovuto fare piano, dopo. Fare attenzione e andare abbastanza piano da non farle sentire dolore e abbastanza veloce da non uccidersi nell'attesa. Ma non poteva pensare al tutto come un'impresa: doveva calmarsi un po', concentrarsi magari su-
Sulla mano di lei che trovò il suo bacino e passò molto vicino a dove lui si tendeva.
Mamoru sussultò, piegandosi di scatto all'indietro.
Lei si fece sentire con una risatina quasi incredula. «Ancora ti allontani?»
Per quel che gli riusciva, rise anche lui. «Scusa.» Tornò come prima. «Solo... non adesso.» Non ora che il minimo tocco minacciava di farlo esplodere.
No? Usagi ne rimase confusa: aveva creduto che gli sarebbe piaciuto, come era piaciuto a lei. E poi voleva iniziare a dargli anche lei qualcosa, perché fino a quel momento aveva solo ricevuto, lui era sempre stato in grado di farle dimenticare tutto e- Oh! «Mamo-chan.»
«Sì?»
Nel cuore le crebbe una triste amarezza, sciocca ma impossibile da mandare via. «Questa... non è la tua prima volta, vero?»
«Certo che lo è.»
La nota di incredulità offesa la riempì di istantanea felicità. E così ricordò meglio com'era stato lui un paio di anni prima, quando lo aveva conosciuto. Già, che dubbio assurdo che le era venuto. La scosse una risatina bassa.
Lui si sistemò meglio su un fianco, concentrato. «Perché credevi che non lo fosse?»
«Niente, così...»
Mamoru la vide distogliere lo sguardo e all'improvviso volle assolutamente saperlo. Andò a mordicchiarle un orecchio, a farle il solletico.
Usagi si dimenò tra piccole risate, senza successo.
«Dimmelo, altrimento continuo.» Accentuò la richiesta con un altro lieve morso al lobo destro.
«Non saprei, quello stai facendo non è così male...»
Usagi scoprì subito che il solletico insistente alla pancia poteva essere quasi male da quanto la faceva ridere.
Le venne concessa una tregua.
«È solo che» terminò di sussultare, «sai cosa fare, dove e come mettere le mani e... Ora non montarti la testa.»
Lui stava sorridendo apertamente, come quella stessa mattina. Sorrideva maliziosamente, ecco cosa le era sfuggito!
Comunque, era sempre il solito modesto. «Come hai imparato?» ridacchiò lei.
«Hm... Studio.»
St-? «Studio?» Grazie alla peggiore attività sulla faccia della Terra?
«Sì, perché volevo saperne di più.
» Lui notò il suo evidente disgusto con un nuovo sorriso. «Non penso di aver imparato tanto. E' perché non so molto che sto attento a quello che faccio ed è perché tu non sai niente che trovi ogni cosa... nuova. Funziona per questo, credo.» Le sistemò una sottile ciocca di capelli dietro l'orecchio. «E perché quando sbaglio non commetto più lo stesso errore. Forse mi ispira l'amore.»
Ohhh. «Che dolce sei.» Usagi si riempì di allegra tenerezza. «Sai, ti meriti di montarti un po', perciò... A me tu sembri proprio bravo, sappilo.» Rise di gusto, provocando in lui la stessa reazione.
«Non ti credo se ridi. Vuoi dimostrarmelo invece?»
«Ah sì, e come?»
In volto gli tornò uno sguardo serio, profondo e... In lei, il tremito fu involontario. Non poté che aumentare quando sentì di nuovo la carezza che si intrometteva tra le sue gambe, delicata e insistente.
«Così.»
Le uscì un ansito che non fu gemito solo per incredile forza di volontà. «Ancora?»
Lui bloccò i movimenti. «E'... perché sia insieme, questa volta. Non so quanto riuscirò a resistere quando io...
» Si interruppe, come se continuare gli risultasse doloroso. «Perciò un po' così, prima.»
Okay, pensò Usagi. Va bene, si sarebbe sacrificata.
Chiuse un respiro forte nella bocca.
Però basta stare sdraiata senza fare niente, doveva partecipare un po'.
Si schiacciò contro di lui e fece scorrere le mani più lentamente che poteva, dal petto alle sue spalle, fino alla sua schiena, cercando di accenderlo.
Lui iniziò a muovere una nocca a ritmo lentissimo su di lei, esattamente nella maniera giusta.
Usagi gli sfuggì con un sussulto, spostandosi di scatto verso l'alto. Non sarebbe stato insieme se lui si metteva a fare così e- Ansimò di colpo a bocca aperta, intrappolata dal bacio sul seno che si fece assaggio immediato, forte, di un unico punto.
Gli catturò i capelli tra le mani, schiacciandosi contro il suo viso, separando le gambe per accogliere meglio anche il tocco lì mezzo.
Oh, era un completo fallimento! Per lui non riusciva a fare proprio- Si bloccò, quasi gelandosi.
La mano di lui era scesa più in basso e un dito aveva trovato un... apertura.
Mamoru scivolò piano verso l'alto, tornando con la testa alla sua stessa altezza. «Forse è più facile se prima...»
Certo, quello era un prima. Perché ci sarebbe stato un dopo e lei doveva solo rilassarsi. Voleva quel dopo, lo desiderava. «Ah-ha.» Si fidò di lui, e si trattenne dal graffiargli il gomito quando lo sentì... entrare. Il suo corpo si richiuse immediatamente attorno a quell'unico dito e Usagi spalancò gli occhi. Se era così adesso, come avrebbe fatto poi a-
Si distrasse col bacio sulla bocca, quello che fu così dolce e bello da farle ricordare subito perché l'esitazione non aveva senso. Era fare l'amore, lo avrebbero fatto in quel modo, unendosi fin- Fin dove stava toccando adesso lui, sempre più in fondo.
Era quasi piacevole, forse.
Una carezza molto in fondo le fece cambiare idea: poteva essere molto piacevole. E non era male neanche nel punto tra dentro e fuori, lo stesso movimento di entrata e uscita causava un piccolo sfregamento che... Ansimò. Oh, a fidarsi di lui faceva sempre benissimo.
Abbassò le palpebre e gli accarezzò con decisione il viso, nutrendosi delle sue labbra e di tutte le sensazioni che le stava dando. Erano meno acute di tutte le altre volte, ma forse più intense, forse- Le sembrò che lui avesse iniziato a cercare qualcosa, verso l'alto, a metà strada. Insisteva lì, perché? Mamoru continuò a farlo in una ricerca lenta che le sembrò quasi inutile, almeno fino all'istante in cui non ebbe pieno successo. Si irrigidì di piacere. «Cosa-
«Studio.»
Le parve di cogliere un sorriso.
Lo soffocò nella propria bocca, 
abbracciandogli la schiena e schiacciandosi piano contro la sua mano, 
L'invito fu colto in un nuovo modo, con la parte inferiore del suo palmo che premette verso l'alto e su di lei, ondeggiando, coordinando il ritmo con l'altro movimento.
Usagi ne venne stravolta, tramortita.
Era meglio, ogni volta stupendamente meglio. E anche se tra poco avrebbe finito di nuovo, non aveva importanza, perché quella sensazione era nuova, doveva sentirla completamente, doveva.
Non ci riuscì, perché ogni movimento di lui
si interruppe bruscamente.
Mamoru portò la mano che l'aveva toccata su di sé, unendola all'altra per creare un fruscio rapido di tessuto su pelle. La penombra e lui stesso le impedirono di vedere; notò solo il lancio distratto dei boxer oltre il letto e il modo in lui cui tornò da lei, sulle ginocchia e sulle braccia, senza toccarla, solo... mettendosi sopra, con gli arti a creare quasi una gabbia attorno al suo corpo.
Usagi si sentì costretta a rimanere sdraiata, bloccata. Stupidamente, si sentì persino minacciata e venne percorsa da un brivido di timore.
«Ehi, no.»
Ehi, no era la voce di lui, di Mamo-chan.
«Sono... solo io.» Lo disse come se lui stesso fosse incerto su quanto quel fatto potesse essere rassicurante per lei.
L'insicurezza le causò un sorriso, una sottile felicità che si cementò quando sentì la fronte di lui contro la propria.
Gli accarezzò il volto tra le mani. Era solo Mamoru, l
'amore in cui riponeva ogni fiducia, l'amore che non aveva nulla a che fare con la paura.
Alzò il mento e gli sfiorò le labbra con le proprie.
Mamoru espirò, invaso da un sollievo che poteva non durare, lo sapeva. Piegando il braccio, riuscì a toccarle una guancia. «Se ti farà male, mi fermerò... o smetterò, non dobbiamo...» No, non dovevamo, ma lui lo voleva talmente tanto che smettere lo avrebbe stroncato. Eppure a lei non poteva farlo capire, perché sarebbe stata capace di subire qualunque dolore e costringersi a continuare oltre la propria volontà pur di farlo contento. Le lacrime che le sarebbero cadute dagli occhi non lo avrebbero ferito; lo avrebbero ucciso.
Usagi spezzò un sorriso. «Non... non è normale il dolore, la prima volta?» E magari non sarebbe stato tanto, pensò. Magari non dovevano preoccuparsene in quel modo. Aprì e piegò le gambe, quindi, con un braccio sulla schiena di lui, lo invitò ad avvicinarsi. Lo sentì colmare parte della distanza tra loro. «Resisterò un pochino...
» 
Il bacio fu come mille altri che si erano scambiati, unione pura e desiderata.
La sensazione non fece che aumentare quando percepì il tocco delle dita di lui che tornava ad alimentare il piacere prima interrotto. Concentrarsi su quello e nient'altro fu naturale, tutt'altro che difficile: vibrava e pulsava per lui, voleva lui e un desiderio da raggiungere insieme. Abbandonarsi sembrò giusto e fu proprio quello che sentì fare anche a Mamoru quando le si appoggiò contro, i fianchi all'interno del suoi. La toccò proprio con quella parte di lui che- Ma non per entrare, solo... Si appoggiò su di lei, fece semplicemente e solo quello.
Il contatto le tolse il respiro.
Era sconcertante, delizioso oltre ogni limite, ma lo sentiva lungo tutta la pelle umida e impossibilmente calda e fu immediato avere un'idea di ciò che non aveva ancora visto. Si irrigidì contro di lui, staccando le labbra dalle sue. Percepì il respiro di piacere contro la bocca e capì che il lieve sussulto del proprio corpo lo aveva fatto fremere, costringendolo a lasciarsi andare a sensazioni che avevano percorso anche lei. E... sì, era quello che voleva: dare piacere a lui.
Assaporò senza altri pensieri il movimento che lo fece scivolare contro di lei, poi lui prese a sfregarsi ripetutamente contro... oh. Usagi gli afferrò la schiena e buttò all'indietro la testa.
Mamoru la sentì sciogliersi e fu costretto a smettere, perché continuare sarebbe servito solo a fargli perdere del tutto la ragione. Lo attanagliavano insieme un disperato bisogno di trattenersi e il desiderio folle di provare solamente. Cercò di far prevalere il primo e di dimenticare il secondo, perché adesso, si disse, doveva concentrarsi.
Si scostò un poco e trovò di nuovo con la mano l'apertura del corpo di lei. Spostò subito le dita, questa volta appoggiandosi proprio dove sarebbe dovuto ent-... ansimò e strinse i denti. I fianchi di Usagi si ritrassero d'istinto, senza trovare spazio per spostarsi.
Doveva aiutarla a non pensarci, a rilassarsi.
Tornò con le dita sul centro umido di lei, in alto, con l'indice piegato. La massaggiò con quell'angolo e poi col polpastrello
Il primo sospiro gli fece pregustare quello che gli sarebbe piaciuto provocarle col suo stesso corpo, da dentro di lei. Ormai doveva solo...
Abbassò lo sguardo, ma più che vedere, andò a sensazioni. Forse... Forse le avrebbe fatto meno male se la abituava lentamente; magari tante piccole spinte avrebbero funzionato meglio, all'inizio. Provò.
Usagi si rilassò quando non giunse alcun dolore. I tanti brevi movimenti contro di lei, sempre più tesi verso l'interno, non le facevano per niente male e continuava a ricordarsi soprattutto la carezza delle dita, quei tocchi che la stavano di nuovo facendo impaz- Le sfuggì un ansito acuto, sorpreso, quando col corpo iniziò a racchiudere la prima parte di lui.
Mamoru serrò le palpebre con forza, concentrandosi sull'effimera sensazione generata dalla sua mano. Quasi non la sentiva più; come se non gli appartenesse, si muoveva per inerzia, sempre più piano. Lei lo percepì e sembrò quasi calmarsi, ma invece doveva concentrarsi solo su- Lui tornò con la mente sulla mano e si impose di muoversi più in fretta, più forte. Usagi sussultò, inarcandosi fino ad accoglierlo un poco di più, persino stringen-
I denti schiacciati non lo aiutarono a non sentire tutta la forza della morsa calda, impareggiabile.
Senza pensarci, mosse più veloce le dita e lei gli strinse disperatamente i fianchi con le mani, talmente persa che-
Che forse non avrebbe provato dolore, comprese all'improvviso.
Tolse di colpo la mano e si spinse con decisione in avanti, d'istinto. Non arrivò in fondo, ma lacerò qualcosa.
Sotto di lui Usagi si era paralizzata, in gola un sospiro interrotto.
Nessuno dei due si mosse.
Nel silenzio iniziarono i respiri rapidi e spezzati che sapevano di lacrime, che non appartenevano a lui.
Mamoru andò a circondarle la testa con le braccia, causando involontariamente un incastro più profondo, che per lui fu- Si morse le labbra. Il brivido di lei non era stato di piacere. «Usa... stai bene? Resto fermo, stai bene?»
Non ricevette risposta e si abbassò a sfiorarle una guancia con le labbra. Fu felice di non trovarla bagnata, ma sentì ugualmente crescere il panico.
«... è solo strano averti...» Usagi deglutì. Sì, aveva fatto male, ma era meglio non- «Ha bruciato un po'... sto bene.»
Il sospiro di sollievo di lui fu talmente grande che, per un momento, lei si preoccupò più dei suoi nervi che dei propri. Avrebbe voluto dirgli che non faceva male, ma non ne era sicura. Girò la testa per un rapido tocco di labbra, poi desiderò - solo per un secondo - essere padrona della situazione. «Per favore, non muoverti... voglio provare a...
» Lo fece, invece di spiegarlo. Tirò su le anche. Dove si incontravano intimamente provò un leggero fastidio, ma preponderante fu la sensazione di... pienezza. E quello che aveva appena fatto lo aveva sentito anche lui, perché si era lasciato sfuggire un suono che... ed era la prima volta da quando avevano cominciato. La prima volta che a lui, finalmente, piaceva così tanto.
Usagi gli sfiorò la guancia con le labbra, rilassandosi e stringendolo a sé con le braccia. «Sì, non... sì, va' avanti.» Perditi in me, proprio come me.
Con la successiva spinta, lo sentì entrare fino in fondo. Alla fine i loro bacini si incontrarono quasi e, quando lui spinse ancora contro di lei, si sfregarono sulla parte alta, provocandole il delizioso e già noto piacere, diverso perché questa volta lo aveva dentro di sé. 
Meglio, gemette, sempre incredibilmente meglio.
Il respiro caldo sul viso le fece aprire gli occhi.
Mamo-chan. Con lei, dentro di lei, una cosa sola nel cuore, nell'anima.
Con una nuova unione, lui la completò come mai prima di allora. Completezza. Una cosa sola in ogni modo, ora. Quanto di più bello ci fosse in qualunque universo, nel loro.
Labbra bisognose si cercarono.
Mamoru entrò di nuovo in lei, rabbrividendo e toccando il corpo che si muoveva assieme al suo. Usagi. Unita a lui, in grado di fargli provare il piacere più grande che potesse esistere, capace di provarlo anche lei con i medesimi movimenti. Lo accoglieva dentro di sé, lei che gli aveva dato tutto e che lui amava più di ogni altra cosa.
Abbandono.
Cercarono i fianchi l'uno dell'altra, l'incastro perfetto che poteva essere solo quello infinito, ancora. Ancora.
Creati per unirsi, sentirono i propri sospiri sulle guance, sugli occhi, sulla bocca. E ancora quell'unica connessione, nuova e ora indispensabile.
Nuova e da approfondire.
Usagi piegò le gambe verso l'alto, strappandosi un gemito e regalando un ansito nella nuova unione.
Nuova e da catturare.
Lo fece cadere su di sé quando gli strinse attorno i muscoli che lo avvolgevano, inconsciamente, in una sorpresa fantastica.
Unione nuova che donava naturale e desiderata follia.
Mamoru si allontanò quasi del tutto, riunendosi a lei in un solo affondo, facendole tendere il corpo verso l'alto e poi alla ricerca spasmodica di lui.
Baci non finiti, ripresi e continuati, con un incastro che cambiava angolo solo per donare sempre più sospiri, per far perdere aria.
Si dovettero più volte ricordare di inspirare, espirare.
Usagi sentì pulsare di follia il calore che aveva conosciuto solo quel giorno, ma questa volta batteva e tremava attorno a lui e raggiunse un culmine ignoto e assoluto mordendogli un labbro, ansimando e gemendo e stringendogli le braccia attorno al corpo come se fosse la sua unica possibilità di salvezza. Batté con lui, solo e sempre più forte per lui.
Mamoru sentì la stretta che chiedeva di più e non diede più tregua agli affondi, a lei o a se stesso, accogliendo ogni suo invito fino a che non le offrì tutto quanto, se stesso e fino all'ultimo spasmo di sensazioni.
Nella fine, arrivò una rigidità di piacere che bloccò il tempo. Si dissolse in un istante, trasformandosi in lieta spossatezza.
Usagi lo sentì completamente abbandonato su di sé, pesante. Un peso non opprimente, desiderato e amato.
Mamoru la sentì sotto di sé, che tentava come lui di riprendere fiato. Trovando le forze da dove non ne aveva, scivolò in basso, appoggiando la testa sul petto di lei, le orecchie sopra il battito di vita.
Per forse un minuto, Usagi fece scorrere dita tranquille sulla sua testa.
Mamoru se ne lasciò ipnotizzare fino a che non chiuse gli occhi. Prima di addormentarsi si costrinse a staccarsi, a sedersi fino a raggiungere le lenzuola terminate a metà del letto. Le prese in un pugno, sdraiandosi accanto a lei e portandole sopra entrambi.
Trovarono l'abbraccio nello stesso momento.
Usagi lo sentì appoggiare la testa sulla propria, colse l'odore della sua pelle viva alla base del collo.
Mamoru sentì il corpo di lei, amato, quieto ed esausto, mentre riposava contro il suo.
Pochi istanti dopo, il sonno catturò entrambi.



CONTINUA...

Note del 2011.
Per chi ha Facebook, ecco alcune note del capitolo (con immagini allegate) da condividere se volete.

Se avete commenti al capitolo, io leggo e rispondo sempre tutte le recensioni, anche quelle vecchie :)
ellephedre



NdA 2 (Luglio 2010): capitolo revisionato. Di nuovo, già :D:D:D Non tanto per il concorso in sé, ma perché stavo presentando a tante persone un testo che non rispecchiava più il mio stile, ma soprattutto un testo con cui sentivo di poter trasmettere di più, ora (forse anche grazie alla raccolta 'Red Lemon' ;) ). Perciò l'ho rivisto e, come con ogni revisione, sono sempre più soddisfatta :)
Non è cambiata la trama, né le azioni, né la sostanza di tutti i dialoghi, ho solo aggiunto più sensazioni da parte di Usagi e Mamoru a tutta la prima parte della scena lemon, nonché a tutta la prima parte del capitolo, cambiando lo stile con cui esprimevo i loro pensieri.
Credo che rivedrò anche il resto della storia, cercando di migliorare qualche problema, ma soprattutto lo stile acerbo di qualche tempo fa.

Hmm... nota a parte: visto che questo capitolo è parecchio cliccato (tipo 1000 visite in più di tutti gli altri :D) forse vi interesserà anche leggere il capitolo 3 della raccolta 'Interludio'. Sempre rating rosso, sempre Usagi/Mamoru, ma un paio d'anni dopo. La scena si inserisce nel ciclo dei sequel di Oltre le stelle, su cui potete trovare maggiori informazioni nelle mie note dell'autore.

NdA originali: è stato più difficile di quello che pensavo. :)
Grazie anche questa volta per avermi fatto sapere quel che pensavate del capitolo due. Devo dire che mi piace leggere particolarmente le recensioni in cui spiegate cosa vi ha più o meno colpito, mi aiutano a capire se ho comunicato quello che volevo.
Questo capitolo è stato particolarmente sofferto e credo smetterò di pensare che per il prossimo capitolo in fondo ho già il materiale pronto, anche se in effetti anche il quarto è già in gran parte formato.
Penso che questa storia non avrà più di cinque capitoli.
Come dicevo nelle note al primo capitolo, forse ho in mente di scrivere qualcosa di più articolato, inventare una trama più corposa. Però devo vedere se avrò davvero in mente del materiale con cui dare vita a questa idea, per cui per ora la mia produzione su Sailor Moon si concluderà col capitolo cinque di questa fanfic.
Non escludo one-shot se non riuscirò a concretizzare la long-shot di cui parlavo.


Grazie a tutti di aver letto e per ogni commento che vorrete lasciarmi.

Ellephedre

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Quarta parte - Rilassarsi ***


oltrelestelle4
Oltre le stelle

Autore: ellephedre

Disclaimer: i personaggi di Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation.


Quarta parte - Rilassarsi

Dormirono dodici ore, dalle dieci di sera fino alle dieci del mattino successivo.
E, inaspettatamente, la prima a svegliarsi fu Usagi.
Fu un risveglio tranquillo, dove la coscienza del luogo e delle circostanze arrivò rapidamente, grazie ad una buona notte di sonno.
Usagi si sentì per un momento strana, senza vestiti addosso. Poi percepì il calore del corpo che aveva accanto e sorrise di pura soddisfazione fisica.
Nella notte si erano allontanati, anche se aveva ancora un braccio di lui sotto il collo; la sua mano non le stava molto lontano dal viso.
Mamoru però non era più rivolto verso di lei, ma era per metà sdraiato sulla schiena, una posizione che non doveva essere troppo comoda.
Probabilmente lui era abituato a dormire a pancia in su.
Lo osservò, ripercorrendo con la mente ciò che era successo. Il calore le salì lungo il corpo e su fino al viso. Non aveva creduto di poter provare ancora imbarazzo. Si passò una mano sulla faccia. Sciocca. Si mosse inconsciamente e percepì per la prima volta qualcosa di anomalo: tra le gambe... non sentiva alcun fastidio. Era strano, perché in fondo all'inizio le aveva fatto un po' male e in seguito se ne era scordata solo perché-
Le guance tornarono a bruciarle e le fu necessario concentrarsi sul respiro.
Dentro e fuori. Dentro e fuori.
Strofinò le cosce l'una contro l'altra per capire se muovendosi la situazione sarebbe cambiata, ma non notò nulla di diverso. Si sentiva come ogni altro giorno.
Doveva essere stato il cristallo. O lei stessa, alla fine. Di quello si trattava, in fin dei conti. Della sua volontà.
Pensieri troppo complicati di prima mattina. Era meglio andare in bagno a darsi una rinfrescata.
Spostò per prime proprio le gambe, raggomitolate nella direzione di lui, cercando di fare piano per non svegliarlo. Muovendosi, gli toccò una parte del corpo che la notte prima aveva conosciuto molto meglio. Ma che-?
Mamoru emise un mormorio e lei lo vide corrugare appena la fronte. Subito dopo però tornò completamente rilassato e, chiaramente, era ancora addormentato.
Cioè, succedeva anche mentre dormiva, senza alcun motivo?
Cercò di darsi una risposta, ma non aveva abbastanza informazioni per elaborarne una. Magari lo avrebbe chiesto a lui dopo... era il suo corpo in fondo, doveva pur conoscerlo.
Hmm... forse poteva approfittare della situazione per soddisfare un'altra curiosità.
Sollevò le lenzuola, tendendole, sempre scrutandogli il viso in cerca di ogni possibile movimento rivelatore. Non notandone alcuno, abbassò lo sguardo.
La luce del giorno era forte e illuminava abbastanza da poter vedere bene anche sotto le lenzuola bianche.
Quello era entrato dentro di lei?
Rammentando alcuni momenti della notte prima, le sembrò che l'impressione che aveva avuto al tatto corrispondesse alla realtà visiva, ma comunque non... Incredula, sbuffò, mollando le lenzuola. Spostandosi molto piano riuscì a districarsene e a rimettersi in piedi. Raccolse gli indumenti finiti per terra e si voltò per uscire dalla stanza.
«Visto nulla di interessante?»
Il cuore le balzò in gola. Si girò rapidamente su se stessa.
Mamoru la guardava con occhi assonnati ma aperti, divertito. 
Stava ridendo di lei! «Saresti stato gentile a non farmelo notare.»
«Ah, invece non ci sono problemi ad osservare a tradimento una persona addormentata?»
Come no, si sentiva proprio una vittima. «È comprensibile visto quello che è successo.»
«Ho capito...» Lui stiracchiò le braccia e si appoggiò meglio sul fianco. «Allora anche io posso non dire nulla.»
Bastò seguirgli lo sguardo per capire di cosa parlava: l'unica cosa che la copriva erano gli indumenti che teneva in mano, all'altezza del basso ventre. Corse a sistemarli, per quel che poteva, sopra il petto nudo.
La risata che risuonò nella stanza le fece desiderare di avere in mano qualcosa da tirargli in faccia.
Iniziò a muoversi strategicamente a gambero, verso la porta: non aveva altro modo di coprirsi dietro. Nonostante tutto, non si sentiva ancora abbastanza audace da stargli davanti senza vestiti in pieno giorno. Indietreggiando, notò un particolare che la mortificò: una piccola chiazza rosso scuro che marchiava le lenzuola bianche.
Mamoru la vide cambiare espressione e seguì lo sguardo di lei. Non fece in tempo a rendersi conto di che cosa fosse che Usagi stava già strattonando via tutto quanto, compresa l'unica cosa che lo copriva.
Mamoru scese precipitosamente dall'altra parte del letto, finendoci dietro.
Lei aveva ormai raccolto tutte le lenzuola contro di sé, ma l'aria mortificata non se ne era andata.
«Usa... è normale.»
Il commento non servì a farle cambiare espressione, perciò provò in un altro modo. «Quello che abbiamo fatto ieri notte... mi è piaciuto molto.»
Finalmente riuscì a farsi guardare.
Lo fissarono gli occhi blu che aveva visto chiudersi in preda all'estasi. La labbra rosa scuro che aveva baciato a fondo vennero appena morse, prima di distendersi in un sorriso. Sensazioni ed immagini tanto surreali quanto intense.
Usagi sorrideva, le guance arrossate. «Anche a me. Ehm... dove posso metterle?»
«La lavatrice è in bagno.»
Lei annuì prima di avvolgersi le lenzuola attorno ai soli fianchi, districandosi tra tessuto bianco e vestiti. Soddisfatta del risultato, si girò e uscì dalla stanza.
Non era sicuramente cosciente di regalargli una di quelle viste che di solito si trovavano solo su un certo tipo di pubblicazioni. La bocca gli si aprì senza che riuscisse a controllarne il movimento.
Sulla porta sbucò la testa di Usagi.
Forse si era sentito lo scatto con cui aveva chiuso la bocca.
«Magari puoi alzarti dal pavimento, già che ci sei.» Lei ridacchiò e tornò in corridoio.
Rise anche lui di se stesso e si alzò, andando a recuperare il proprio pigiama dai punti in cui era finito. Piegò i due indumenti già usati e andò all'armadio, dove scelse rapidamente qualcosa di nuovo da mettere. Girandosi, lo colpì la vista della propria stanza: forse un giorno sarebbe riuscito ad immaginarla nuovamente senza Usagi dentro.
La luce del giorno entrava con forza dalla finestra aperta, creando un riflesso sul vetro della foto appoggiata sulla scrivania.
L'aveva tirata fuori dalla valigia solo il giorno prima, per rimetterla dove era sempre stata.
Bevve un grosso sorso d'acqua dalla bottiglia che teneva sempre accanto al letto.
Forse una foto sola non era più sufficiente: mettercene di più sembrava giusto.
Era... allegro? Raramente aveva avuto voglia di ridere per nulla.
Si girò proprio ridendo e uscì dalla stanza. Era ora di fare colazione.

Usagi entrò in cucina con addosso il pigiama delle notte precedente.
Quello che lui le aveva tolto di dosso. Prima la maglietta, scoprendo ciò che in precedenza aveva solo toccato sopra il cotone leggero e che poi aveva anche-
Interruppe quel pensiero: non ci teneva a farsi notare da Usagi nello stato in cui si sarebbe inevitabilmente ritrovato.
... per quel che poteva valere, poi: lei aveva già notato e visto tutto.
In quel momento il divertimento aveva prevalso sull'imbarazzo: si era svegliato solo quando aveva sentito le lenzuola che si tendevano, ma aveva visto bene la cura che lei ci aveva messo per non essere scoperta.
Sorrise di nuovo, poi subentrò un altro pensiero. Chissà cosa aveva pensato lei quando-
«- ed era proprio grosso!»
Lui rovesciò sul bancone la tazza di latte che aveva appena servito. «Come?!»
Lei spalancò gli occhi. «Che ho detto?»
Mamoru sentì un forte caldo alla faccia: stava per... arrossire. Inorridì e per distrarsi prese un panno dal lavandino; iniziò ad asciugare il latte sparso sul bancone.
Usagi ancora non capiva. «Era un insetto davvero grosso. Dev'essere entrato dalla finestra aperta del bagno.» Guardò la reazione di lui alle sue parole e non poté fermare l'espressione infastidita e annoiata. «Non mi stavi ascoltando.»
«No, è che...» Mamoru non trovò un modo per continuare. Si girò per lavarsi le mani: era una scusa valida per non guardarla. Di sfuggita notò però la testa inclinata di lei. Vide nascere e crescere un sorriso trionfante.
«Ma sei arrossito!»
L'orgoglio ebbe la meglio e ogni traccia di rossore gli sparì dalla faccia. «No.» Sperò di aver infuso in quell'unica parola abbastanza disgusto.
Andò a servirle un'altra tazza di latte, sperando di aver posto fine alla discussione.
Usagi però girò attorno al bancone e gli prese il viso tra le mani, raggiante. «Sì, invece. Perché?»
Era difficile risentirsi quando lei gli stava così vicina.
«Dai, non pensare a come rispondere, dimmi solo la verità.»
«Preferisco di no.» Ed era la verità.
Lei lo guardò perplessa. Poi appoggiò d'improvviso l'intero corpo contro il suo, circondandogli la testa con le braccia.
Certo che aveva capito davvero in fretta come polverizzargli il cervello.
«Su, dimmelo.» Sospirato contro le labbra. Il colpo finale.
«Stavo pensando a... quello che avevi visto prima.» Terminò lì, non riuscendo ad entrare nei dettagli.
Quando non continuò, lei lo fissò come se avesse perso metà della sua intelligenza in un colpo solo.
E che altro si aspettava? «Sotto le lenzuola.»
Usagi iniziò con lentezza ad allontanarsi da lui. Mamoru le vide molte cose in volto, in sequenza, mentre a poco a poco le si spalancava la bocca.
Comprensione. Stupore imbarazzato. Stupore indignato. Nota di divertimento. Ilarità.
Scoppiò a ridergli in faccia. Sonoramente.
Qualche secondo biascicò anche delle scuse, ma sempre in mezzo ad altre risate.
Dato l'argomento, lui non lo trovava molto divertente. Si girò, dandole la schiena.
«Oh, non fare così.» Usagi lo abbracciò da dietro, col corpo ancora scosso dalle risa.
Mamoru si scostò: non si sarebbe fatto ingannare una seconda volta.
Lei gli apparve di fronte e lo abbracciò di nuovo, gli occhi rivolti verso l'alto. «Anche tu fai una faccia adorabile quando ti prendo in giro, sai?»
Aveva lei stessa un'espressione adorabile mentre lo diceva, e lui non potè fare a meno di sciogliersi un po', nonostante tutto.
Scosse la testa: era senza speranza.
Ma lui non era adorabile. «Avevi ragione anche tu: sembra un aggettivo da cucciolo di cane.»
«Oh, ma non c'è niente che mi ricordi un cucciolo in te.» Lo disse in un tono sensuale di cui finì col sorprendersi lei stessa, gli occhi spalancati. Gli sorrise, tentennante.
A lui piaceva parecchio avere il coltello dalla parte del manico. Se la strinse addosso.
E poi non ci furono più né cuccioli né coltelli. O vincitori e vinti.
Quando staccarono le labbra, quasi un minuto dopo, Usagi ridacchiò. «Mi piace questo buongiorno.»
Risero entrambi.
Felicità.

La luce del sole sulla pelle era una vera delizia e la brezza che correva sul balcone dell'appartamento di Mamoru non faceva che acuire quella sensazione.
Usagi si appoggiò alla ringhiera senza un solo pensiero in testa, limitandosi semplicemente a... sentire.
Le giunsero i rumori della città, la cui vita frenetica proseguiva come ogni altro giorno, molti piani sotto di lei. L'odore dell'aria era pulito, per quanto potesse esserlo in una metropoli come Tokyo. Infine... beh, faceva anche un bel po' caldo. Nonostante tutto, era agosto.
Mamoru uscì sul balcone e le si mise accanto. In bagno doveva essersi passato dell'acqua sui capelli, perché li aveva umidi e tirati all'indietro. Le sembrò buffo così: sembrava molto meno serio del solito.
«Sentivo caldo.» Spiegò lui, davanti alla sua espressione.
Lei annuì e tornò a guardare il cielo: c'era qualcosa che aveva attirato la sua attenzione prima ma... non riusciva a capire cosa.
Udì la voce di Mamoru. «Forse potremmo andare da qualche parte.»
«Hm?»
«Al mare magari. O, per cominciare, in piscina.»
In viaggio da soli. Sarebbe stata la prima volta. Si illuminò. «Sì, assolutamente. Hm... il viaggio magari fra un paio di settimane. Ho appena detto alla mamma che sono andata in gita, in fondo.»
Lui annuì, quindi si riempì il volto di un'espressione seria. «Stai... bene?»
«In che senso?»
«Voglio dire... senti dolore da qualche parte?»
Da... qualche parte? Capì e sorrise. «Ma dai, è una domanda così da dottore. Sto benissimo.» Non le sembrava proprio convinto, per cui gli prese una mano e spiegò meglio. «Forse c'entra ancora una volta il mio cristallo.» Riuscì a tranquillizzarlo: del cristallo che tutto poteva si fidava anche lui.
Sospirò e tornò a guardare il cielo. Cos'era che le sfuggiva... oh.
L'aereo.
Già prima aveva notato nel cielo le strane scie che solo i velivoli lasciavano, ma non aveva visto che l'aereo era ancora lì, minuscolo, che fendeva l'aria mentre volava via.
In quei mesi si era ritrovata talmente tante volte ad alzare gli occhi al cielo, gli occhi catturati dalle righe bianche che in precedenza aveva sempre ignorato. Erano servite solo a ricordarle che, se fosse potuta tornare indietro, avrebbe risposto in modo diverso alla domanda cruciale.
No,
sarebbe stata la sua risposta. No, non andare via. Non lasciarmi sola.
Ma ora, ora che non c'erano più equivoci... Era quasi incredibile: la risposta che gli avrebbe dato ora sarebbe stata la stessa che aveva già scelto mesi prima. Se Mamoru fosse dovuto partire ancora una volta, ancora una volta lei lo avrebbe spinto ad andare. Sorrise mestamente. «Guarda che traccia strana hanno lasciato gli aerei su in cielo.»
Lui alzò lo sguardo e notò la forma a croce obliqua dipinta da almeno un paio di velivoli. «È vero.»
Se fosse dovuto partire ancora una volta... «Mamo-chan... quando pensi di tornare negli Stati Uniti?»
Ricevette uno sguardo dapprima disorientato e poi quasi offeso. «Ti ho detto ieri che non ti lascerò più.»
Usagi sapeva che lui aveva messo l'anima dentro quelle parole, il giorno prima. Ma doveva fargli capire che non era tenuto a prometterle una cosa simile solo per il timore di farla soffrire ancora, partendo. Anche se avrebbe sofferto, ovviamente. Ma non più come prima, mai più come prima. Sarebbe stato tutto così diverso una prossima volta. Si convinse a parlarne, ma abbassò prima lo sguardo sulle loro mani unite: non sapeva se sarebbe stata del tutto convincente guardandolo negli occhi e immaginandoselo già lontano. «Andare lì non sarebbe lasciarmi. Ora siamo certi che ci sentiremmo tutti i giorni, no? E non si può vivere con la paura che succeda qualcosa; tu te l'eri guadagnato quel viaggio.»
Ogni parola che le usciva dalla bocca era vera. Più di tutto, non poteva sopportare l'idea di imprigionarlo in un qualunque modo, impedire che lui si realizzasse come era in grado di fare.  Era vero in quel momento come era stato vero allora, quando gli aveva detto di andare. Il dolore era stato quasi capace di farglielo dimenticare.
Mamoru scosse la testa. «L'università non mi ha visto arrivare, credo che la loro offerta sia saltata. Ma anche se si potesse renderla di nuovo valida, non voglio più lasciarti.»
Usagi si avvicinò a lui e gli appoggiò la testa al petto: non si sarebbe mai stancata di sentirgli ripetere quanto aveva bisogno di lei. «Sai che mentirei se ti dicessi che voglio che tu vada lontano da me. Come posso non volere che tu rimanga? Ma... non voglio che rinunci a qualcosa di così importante solo per causa mia.»
Lui si scostò. «Guardami.»
Usagi lo fece e capì che lui non aveva preso bene il modo in cui si era espressa.
«Solo per causa tua? Non credi di essere altrettanto importante?»
«No, non è questo.» Si affrettò a scuotere la testa. «Non pensare che dubiti del bisogno che hai di stare con me. Non è più così. So che è pari al mio e il mio è enorme.
» Disegnò con le braccia un grosso cerchio. Servì a farlo rilassare. «Non è che non mi mancheresti da morire, ma... non potrei tenerti accanto a me sapendo di averti privato di qualcosa di così importante per te, di qualcosa che ti renderebbe felice. Quindi, se lo stai pensando, non frenarti dal partire solo perché pensi che starò qui ogni giorno a struggermi. Non sarà così. Non più. Questa volta staresti bene, ci scriveremmo, ci sentiremmo al telefono e non vedrei l'ora di rivederti, ma... non è niente con cui non possa convivere bene.» O convivere, almeno.
Mamoru scelse un momento in silenzio. E la abbracciò. «Ieri ti ho fatto quella promessa perché non riuscivo più ad immaginare di lasciarti. Ed è ancora così. Ma...» Si abbassò fino ad appoggiare la fronte contro la sua, chiudendo gli occhi. «... grazie.»
Sembravano i ringraziamenti di chi non si aspettava di ricevere parole simili da qualcun altro. Di chi non aveva mai avuto una famiglia.
Colta da un moto di tenerezza, Usagi lo strinse forte, affondando il viso nell'incavo delle sue spalle. «Allora magari per il futuro, se lo vorrai.»
Lui non disse altro, in un silenzio che sembrò particolarmente carico. Sospirò all'improvviso, allontanandosi da lei. «Non credo ce ne sarà più l'occasione.»
Usagi lo guardò senza capire, ma lui la invitò a seguirlo dentro.
Una volta entrati in salotto, si sedettero sui divani.
Perché era così serio?
Seduto davanti a lei, Mamoru inspirò piano, incontrandole gli occhi. «Ho deciso di lasciare Medicina.»
Lei balzò in piedi. «Cosa?!» Era un brutto scherzo, vero? No, lui non avrebbe mai scherzato su una cosa del genere, ma... tutta la sua passione, tutti i suoi sforzi... «Ma... perché
Lui comprese la sua reazione, ma rimase calmo. «In realtà fa parte di una decisione più grande... qualcosa che riguarda anche te. Ascoltami fino alle fine, per favore.»
Usagi aveva una gran voglia di fare mille domande, ma si arrese alla determinazione che gli udì nella sua voce e tornò a sedersi.
«Sai quando mi hai detto che ti ci era voluto un solo istante per capire che il tuo cristallo era in grado di agire in determinati modi?»
Lei annuì.
«È stata la stessa cosa per me. Ieri mattina, prima che arrivassi, stavo pensando al futuro e ad un certo punto ho semplicemente... saputo. E anche ora ne sono assolutamente certo. È vero che il Regno Argentato che abbiamo visto nel futuro sarà ancora lì tra più di novecento anni, ma... io e te non inizieremo a governarlo fra centinaia di anni. O fra decine di anni. Diventeremo Re e Regina già tra qualche anno.»
... cosa?
Lo choc la rese rigida.
Mamoru continuò. «Dopo che avrò compiuto venticinque anni ma qualche anno prima dei miei trent'anni. Ne sono sicuro. Quando mi sono reso conto di sapere, ho cercato dentro di me di datare il momento e tutto quello che sono riuscito a sapere è questo.» Le rivolse uno sguardo comprensivo, cosciente di quello che le aveva provocato con poche parole. «Per tanto tempo... Così a lungo ho pensato che avremmo avuto una vita intera, normale, prima di salire al trono, prima che il nostro regno iniziasse ad esistere. Ma» scosse la testa, «non sarà così.»
La mente continuò a rimanerle vuota.
Anche Mamoru mantenne a lungo il silenzio, lo sguardo alla parete. Le rivolse d'un tratto un sorriso mesto. «Era quello che credevi anche tu, vero?»
Una domanda a cui sapeva rispondere. «Sì. Ma non ne ero del tutto contenta. Mi sono vista tra diversi secoli ed ero adulta sì, ma non... invecchiata. Mi chiedevo... se fossero venuti decenni in cui non sarei invecchiata di un solo anno, come avrei potuto spiegarlo alla mia famiglia? Le uniche soluzioni che mi venivano in mente contemplavano fughe, menzogne...» Scrollò le spalle con sofferenza. «Tragedie. Ho sempre evitato di pensarci più di tanto proprio per questo. Inoltre... in un certo senso sapevo anche che sarebbe andato tutto bene. Ma non...
» Inspirò, tentando di scacciare il dolore provocato dal pensiero. «Non immaginavo che avrei finito col dover rivelare tutto quanto così presto.» Scosse la testa: ancora non sapeva come digerire quella notizia. Ma almeno... sì, ecco un'idea serena. «Per il resto... beh, non ho mai avuto progetti molto diversi dal vivere assieme a te e sapevo che quella era una certezza in qualunque caso.» Sbuffò piano, rendendosi conto di aver appena confermato di non aver mai avuto alcun progetto per il futuro, a parte quello di sposarsi. «Sono una sciocca svampita. Di questo passo la Terra si ritroverà con una Regina che non è nemmeno riuscita a prendere il diploma.» Aveva pensato... di avere tempo. Tempo per cambiare, tempo per conservare ancora per un po' quella spensieratezza di cui sentiva tanto il bisogno. Cos'era in fondo qualche altro anno?
Era stata troppo ottimista.
Mamoru le si sedette accanto, mettendole un braccio attorno alle spalle. «La Terra si ritroverà con una Regina dall'incredibile potere che porterà luce in ogni dove.»
Forse. O, almeno, lei ci avrebbe provato.
«E con il sorriso più bello del creato.»
Usagi gli regalò proprio quello che lui aveva appena lodato. Non riusciva a fare altrimenti quando riceveva un suo complimento. Appoggiò la testa sulla sua spalla.
Era ora di smettere di pensare solo a se stessa. «Se non Medicina, cosa farai allora?»
«Ecco... sicuramente, impareremo a governare soprattutto regnando. E la preparazione non finirà mai, ma... penso che sia necessario avere buone basi di politica ed economia. Sono cose che mi interessano, per fortuna. Visionerò l'offerta formativa e sceglierò qualcosa che ritengo adatto. L'università però sarà il meno... inizierò ad interessarmi a ciò che già succede oggi e credo mi sarà utile anche studiare storia politica ed economica a livello mondiale.»
Usagi emise un sospiro: tutto quel che diceva lui era tremendamente giusto. «Non dovrai essere il solo. Prima dovrò finire le superiori, ma... dovrò iniziare a provare interessi simili, suppongo.» La percorse un improvviso brivido.
«Cosa c'è?»
Alzò gli occhi su di lui. «... è come se avessi appena capito quanto è importante quello che stiamo decidendo ora. Quanto sarà tutto diverso da questo momento in poi. Io...» Chiuse solo per un momento gli occhi, quindi annuì e tornò a guardarlo. «Sono pronta. Lo sono. E' solo che... mi sembra di aver detto addio troppo rapidamente alla mia vita, a quello che sono stata fino ad ora.»
«Usagi...» Mamoru la strinse più forte e lei accolse volentieri il nuovo calore.
Ancora pochi anni per vivere normalmente, prima che molti guardassero a lei per avere soluzioni e risposte. La Regina che era diventata era stata il perno del mondo futuro che aveva visitato. Quando lei aveva perso conoscenza, la Terra non era riuscita a salvarsi da sola. Lei. Se stessa, cioè.
No, meglio non pensare a problemi che avrebbe dovuto affrontare tra centinaia di anni. Anche perché alla fine si sarebbe risolto tutto, no?
Già.
Piuttosto, c'erano valanghe di libri che la stavano aspettando. Il pensiero era... un po' fastidioso, ma non opprimente. La propria reazione la sorprese.
Beh... sicuramente ne avrebbe ricavato molti benefici, no? Avrebbe imparato tante cose. Non si sarebbe più sentita la sciocca del gruppo, tra le sue amiche. E non le sembrava più impossibile farsi entrare in testa tanti concetti.
Forse era solo ottimismo, ma sperava di no.
Fastidiosa più che altro era l'idea di potersi divertire meno di prima. Naturalmente avrebbe chiesto aiuto ad Ami. E a Mamoru, se lui non avesse avuto troppi impegni.
Almeno avrebbero passato più tempo insieme, anche se studiando. E se anche lei fosse venuta spesso a casa sua, se poi i risultati si fossero visti, sua madre non avrebbe avuto alcun problema a vederla uscire ogni giorno per andare da lui. Che era quello che aveva intenzione di fare, in ogni caso.
Le sfuggì una breve risata. «Sai, in tutta questa faccenda del diventare adulti e prendere decisioni che cambieranno la nostra vita, un aspetto positivo c'è.» Gli mise entrambe le braccia attorno al collo e gli stampò un bacio sulle labbra. «Noi. Non siamo mai stati vicini come ora e da questo punto non possiamo tornare più indietro, solo andare avanti. È... meraviglioso. Non riesco quasi a immaginare cosa possa esserci di più, eppure... dev'esserci qualcosa di più. Ne sono sicura.»
Era riuscita a far tornare il sorriso anche nell'espressione di lui e quello da solo servì a farle dimenticare ogni altra cosa.
«Lo scopriremo insieme, no?»
«Sì... insieme, per sempre insieme.» Si portò davanti agli occhi la mano sinistra, quella in cui c'era l'anello che lui le aveva dato.
Gli occhi di Mamoru seguirono il suo movimento. «Ti si addice molto, ma non l'avevo pensato come anello di fidanzamento. L'idea di metterlo a quel dito... mi è venuta in quel momento.»
«Non ha importanza.» Lei continuò a rimirare il semplice gioiello. «È perfetto proprio per quello.»
Lui non sembrò condividere appieno quell'opinione. «Più in là te ne prenderò un altro e... te lo chiederò in maniera più...»
Lo interruppe con un rapido bacio, sorridendo. Come faceva a preoccuparsi già ora di una cosa del genere? «Lo so. Non vedo l'ora che arrivi quel giorno, ma ci vorrà ancora qualche tempo. Per ora lasciami adorare la nostra situazione così com'è. Io... non sono mai stata così felice.»
«Anche io.»
«E poi...» Lei cercò di non arrossire. «... vorrei passare più notti qui da te.»
Mamoru annuì solamente, senza prenderla in giro per il suo imbarazzo.
La reazione la aiutò a non perdere il coraggio. «Ora che so finalmente tutto quello che c'è da sapere, io...
» Non riuscì a trattenersi e riprese colore sulle guance. «Non credevo fosse possibile, ma è come se mi si fosse aperto un mondo. È stato così piacevole e... » Spalancò gli occhi, irretita. «Si può sapere che c'è?»
Mamoru stringeva le labbra col chiaro intento di trattenere le risate. «È solo che... hai detto che ora sai tutto quello che c'è da sapere...»
E quindi? «Sì, ieri è stato istruttivo e credo di avere tutta l'esperienza che mi serve. Non sono completamente innocente e sapevo qualcosa anche io già prima, sai?»
«Ah sì?
»
«Sì, voglio dire... ho letto e visto qualcosa anche io e penso che abbiamo fatto... tutto quello che c'era da fare... Oh, smettila di ridere!»
«Scusa.» Lui tornò serio, ma non del tutto. «È che... hmm... abbiamo fatto appena un po' più del... repertorio base.»
«Che significa?»
«Significa che, per cominciare, ci sarebbero diverse... posizioni.»
«Oh.» Fu l'unica cosa che le uscì dalla bocca.
Scema. Certo che sapeva che c'erano diverse posizioni. C'era quella che... e poi quella dove...
... gliene vennero in mente soltanto due e sentì un tale caldo alla faccia che si allontanò un attimo da lui, per respirare meglio. Gli lanciò uno sguardo di sfuggita e lo vide con addosso quel bel ghigno malefico che aveva sempre nell'istante prima di colpire.
«Arrossisci perché te ne è venuta in mente qualcuna?»
Lei si alzò di scatto e gli tirò addosso uno dei cuscini del divano.
Lui rise di gusto mentre si toglieva il cuscino dalla faccia; quella vista le scaldò il cuore.
Come le era già capitato di fare tante volte in passato, si fermò a contemplarlo. Adorava guardarlo ben sapendo che, se avesse voluto, avrebbe potuto in qualunque momento toccarlo. Eppure quel giorno si ritrovò inconsciamente ad osservarlo da una nuova prospettiva: mentre un tempo si era sempre concentrata sul viso, sugli occhi, sui capelli, quel giorno...
Chiaramente sapeva bene tutte quelle cose, ma non si era mai ritrovata, prima di ieri, a voler osservare la lunghezza delle sue spalle, l'ampiezza del suo torace, quanto erano diverse le sue braccia da quelle di lei, così muscolose...  Si sentì all'improvviso come una delle sciocche protagoniste di quegli shojo-manga spinti che Rei insisteva a nascondere in fondo alla sua biblioteca. Quelli che in effetti avevano contribuito in modo principale alla sua formazione nel campo del sesso, a parte letture più 'mediche'.
Trovò un motivo per rallegrarsi subito: quantomeno ora era in grado identificare lo stato in cui si trovava. E la cosa più bella? Ora sapeva anche che aveva a disposizione un modo molto, molto soddisfacente per rilassarsi.
Si andò a sedere sulle sue ginocchia, cogliendolo di sorpresa. Perfetto. «Beh, non è che ci stessi proprio pensando, ma... sì, riesco a immaginare.»
Mamoru spalancò la bocca e non pronunciò una sola parola.
Renderlo così inerme le piacque tantissimo. Continuò. «C'è qualcos'altro secondo te che dovrei sapere?»
Lui proseguì a fissarla sbalordito, ma poi, piano, molto piano, si riprese; inclinò la testa e sorrise appena, in modo parecchio... furbo. Aveva sicuramente capito la sua strategia e lei sapeva bene che non era da lui rimanere indietro. Forse aveva cantato vittoria troppa in fretta. Il modo in cui la stava guardando la fece all'improvviso sentire... preda.
Sentì le sue labbra all'orecchio. «Ci sarebbe quello che ho fatto ieri con le dita... però con la bocca.»
Lei sussultò. Quello che- Con la-...
Prese fuoco o almeno così le sembrò da tutto il caldo che la invase. Non aveva mai sentito contemporaneamente tanto imbarazzo e tanta eccitazione insieme.
Un secondo dopo udì la propria voce dire, con un suono appena percettibile: «Po-potremmo andare sul letto?»
Trovò il coraggio di guardarlo.
La osservava come se lo avesse appena attraversato un fulmine.
Assaggiò per un istante il gusto della vittoria, perché alla fine era stata lei a scioccarlo di più.
Per l'istante, si intende, in cui riuscì a non pensare a cosa avrebbero fatto su quel letto, scaldandosi oltre l'impossibile. Oh, non quella cosa con la bocca perché sarebbe di sicuro andata in autocombustione molto prima. Ma il resto... ogni istante che passava aveva sempre più bisogno di tutto il resto. E se non si alzava lui da quel divano entro un secondo-
Mamoru scattò in piedi e verso la camera, tenendola in braccio in maniera incredibilmente disordinata, tanto che lei dovette aggrapparsi come poteva per non cadere.
La prima volta le dimostrò che, a quanto pare, non aveva considerato che certi incastri potessero riuscire anche di lato.
La seconda, fra le altre cose, che si poteva sopravvivere all'autocombustione.



La lampada che illuminava la stanza di Rei aveva una bella fantasia incisa sopra.
Makoto capì di non essersene mai accorta prima. «Devo dirlo... mi sembra incredibile stare a parlare qui come se non fosse successo nulla. Sembra quasi un pomeriggio qualunque, uno dei tanti che abbiamo passato insieme in questa stanza. Eppure l'altro ieri, per qualche ora, siamo morte.»
Era la prima a parlarne, nonostante avessero passato insieme ormai tutto un giorno e una notte.
Nella stanza regnò il silenzio.
A prendere la parola fu Ami. «Non sarebbe la prima volta.
»
«Come?»
«Si riferisce al combattimento finale col Regno delle Tenebre.» Rei si appoggiò coi gomiti sul tavolo.
«Ah, sì... ma allora è stato diverso. Forse perché siamo tornate a vivere normalmente per qualche settimana prima di prendere coscienza di quanto era accaduto. È stato più facile abituarsi all'idea che...» Sospirò. «Che andava davvero tutto bene.»
«Ma va tutto bene.»
Makoto sorrise. «Lo so, Rei. Non sto cercando di fare la guastafeste.»
«No, fai bene a parlarne.« Ami incrociò le braccia sul tavolo. «In fondo è quello che stiamo provando tutte.»
Si sentirono i cenni di assenso di Rei e Minako.
«Per Usagi dev'essere stata molto più dura.
» Rei guardò fuori dalla finestra. «Non è la prima volta che ci ha viste lasciarla.»
Nessuna trovò un modo per commentare quell'affermazione. Pensare alla disperazione di Usagi quando le aveva viste morire non richiedeva parole.
A rompere il silenzio fu di nuovo Ami. «Sento che ti stai incolpando Rei. Devo ammetterlo, anche io mi sento in colpa per non essere riuscita ad essere di maggiore aiuto, ma... non potevamo fare altro. Non eravamo in grado. Persino la soluzione estrema di Uranus e Neptune non ha funzionato.»
Avevano appreso di quegli eventi nell'istante stesso in cui erano tornate alla vita.
Fingere di tradire la propria causa, uccidere con le proprie mani delle compagne, fare del male ad Usagi... eppure, alla fine, riuscire a piantare quei dischi di luce nel petto di Galaxia.
«Che coraggio che hanno avuto.» Minako scosse la testa. «Io non credo che avrei mai osato tanto.»
«Nemmeno io.» Makoto osservò le proprie mani. «E mi secca. Ora sappiamo che non avrebbe funzionato, ma sarebbe stato nostro dovere provare ogni soluzione possibile. Ne andava del destino dell'universo, del destino di Usagi che dovevamo proteggere.»
Questa volta nemmeno Ami trovò di che replicare.
«Sapete» esordì Minako, dopo qualche secondo di ulteriore silenzio. «Penso che Usagi non avrà voglia di sentire tutti questi discorsi. La faranno sentire solo peggio. So che noi pensiamo di aver fallito, ma non credo di sbagliare quando dico che... è lei che crede di aver fallito, per quanto riguarda tutte noi. Noi sentiamo che è nostro compito difenderla, ma lei crede che sia suo compito proteggere noi.»
Rei non trattenne la smorfia di dolore: dovevano convivere anche con quella consapevolezza.
«Forse stiamo esagerando.» Makoto cercò di incrociare gli sguardi di tutte. «Usagi avrà passato tutto il giorno con Mamoru e già ieri si vedeva che era molto più felice che negli ultimi mesi. Sono certa che arriverà qui serena.»
«Già.» Minako si trovò a concordare pienamente. «In mezzo a tutto, c'è questa fortuna.» Sospirò profondamente, con un minimo di rimpianto. «Uffa, piacerebbe anche a me avere un ragazzo da riabbracciare, dopo tutto questo.»
Ami alzò gli occhi al cielo. «Minako, ma sempre ai ragazzi pensi!
»
«Eddai Ami!» Minako iniziò a ridere. «Non dirmi che non vorresti anche tu un ragazzo da amare! Dev'essere la cosa più bella che esista... amare ed essere riamati. Sono felice per Usagi, ma... un po' la invidio.» Sorrise comunque.
«La volete sapere una cosa?» Rei si mise più dritta.
Le altre la guardarono con fare interrogativo.
«Io penso che questa volta possa essere quella buona per noi, da questo punto di vista. Io... ho percepito che non avremmo battaglie per un bel po'. Forse per un paio d'anni o addirittura per tre. Ieri, mentre pregavo davanti al sacro fuoco, ho voluto saperlo e ho ricavato questa risposta.» Si rallegrò della serenità che quell'informazione portò nel viso delle sue amiche. «Finalmente avremo tempo per dedicarci ad una vita più normale, per dedicarci a trovare... qualcuno di speciale.» Nel finire la frase, arrossì un poco.
«Ha! Rei, sei una romantica anche tu!» Minako sorrise apertamente. «Lo sapevo che non leggevi shojo manga per nulla!»
«E piantala!»
Ma il rossore sul suo viso si accentuò e Minako non poté trattenersi dal proseguire su quella nota. «Ma perché? È bello sognare storie come queste.» Si alzò e andò a prendere un manga dallo scaffale dei libri. «Per esempio questo...» Sfogliando il volumetto, iniziò a sgranare gli occhi. «Rei! Ma... e così leggi anche queste cose! Rei-chan, non immaginavo questo di te.»
Rei capì subito cosa avesse in mano e scattò in piedi, per toglierle il manga dalle mani.
Minako fu più agile e saltò sul letto, riprendendo la rapida lettura.
Makoto si unì al divertimento. «Uhh, cos'è? Racconta.»
Rei si riprese il manga con uno scatto, ma, anche a mani vuote, Minako non perse il sorriso. «Inutile, ormai ho capito i fondamentali della trama. Non che ci voglia mai molto con questi smut. Allora, lei è una studentessa timida che viene circuita da questo bellissimo compagno di scuola, che le tende trappole nelle aule vuote e poi un po' dappertutto e appena ne ha l'occasione-»
«Ragazze!
» Ami cercò disperatamente di far finire un tipo di discorso che la metteva sempre a disagio.
«Shh, Ami.» Makoto si portò un dito davanti alla bocca. «Sta entrando nel punto interessante della storia.»
«E lo fanno da tutte le parti e in tutti i modi, fine.» Rei scelse di affrontare la questione di petto.
Minako la guardò trionfante: l'aveva costretta ad ammettere l'evidenza. «Sì, in sostanza è così ma credo che sia tutto molto più... divertente.» Sorrise, maliziosa. Non per niente possedeva manga simili lei stessa.
«Ma non dovrebbe esserci una storia d'amore prima di tutto quel... sesso?» La voce di Ami si fece minuta sull'ultima parola.
«Ma è solo un manga, Ami!» Minako si era già messa le mani sui fianchi. «Esistono queste storie fatte solo di passione, ma non significa che chi ne legge voglia qualcosa di simile per sé. Piace leggerle solo per...» Si fermò, non sapendo bene come esprimersi.
«Soddisfare anche solo a livello di immaginazione un naturale bisogno ormonale, tipico della nostra età?» suggerì Ami.
Cavolo. «... sì. Ma solo tu potevi metterla giù con quei paroloni.»
«Mi sembrano quelli giusti. Personalmente credo che sia tutto migliore quando c'è l'amore e non credo che avrò seriamente necessità simili prima di trovarmi in una relazione stabile e duratura. Una come quella di Usagi e Mamoru.»
Rimasero in silenzio, ognuna a pensare alla propria naturale inclinazione sull'argomento. Makoto intervenne con un'osservazione. «Hmm... mi chiedo se Usagi e Mamoru l'abbiano mai fatto.»
«Makoto!» Ami alzò gli occhi al cielo: evidentemente era impossibile distoglierle dall'argomento.
«Beh, sei stata tu a parlare della loro relazione e in fondo loro due stanno insieme da due anni, oramai.»
«Sì, ma due anni fa Usagi era una ragazzina.
»
«Non che adesso la situazione sia molto diversa, nella vita di tutti i giorni...» Non voleva essere cattiva, ma Rei non riuscì a non far trasudare sarcasmo da ogni parola.
«Cattivella di una Rei!» la ammonì Minako. «Se volete sapere la mia opinione...» Si sentì subito tutti gli occhi puntati addosso e capì che volevano sentire eccome quello che pensava in merito. «Beh, secondo me non l'hanno mai fatto.»
Rei ci pensò su solo per un momento. «Neanche secondo me.»
Ami sospirò ancora una volta. «Ormai mi avete coinvolta e ve lo chiedo giusto perché non riesco a capire: perché ne siete così certe?»
«Non saprei spiegarlo bene... penso solo che l'avrei vista più matura.» Rei annuì fra sé e sé: era quella la sua sensazione.
Minako si accordò a lei. «Sì e, credo anche meno suscettibile alle lusinghe di altre persone.»
«Chiamiamo le cose col loro nome» si intromise Makoto. «Seiya.»
«Infatti.» Minako annuì. «So che Usagi non ha mai avuto neanche una cotta per lui, ma-»
«Confermo» la interruppe Rei. «Non ha mai nemmeno concepito l'idea che ci potesse essere qualcun altro per lei, romanticamente parlando.»
«Appunto.» Minako riprese il discorso. «Però era lo stesso suscettibile a certi flirt. Vabbeh, lui era quel che era.
» Sospirò con gli occhi al cielo, al ricordo dell'immagine di Seiya. «Però non credo che se con Mamoru fosse arrivata fino a in fondo avrebbe trovato anche solo minimamente interessanti o sconvolgenti certi atteggiamenti.»
«E perché?
» Ami a quel punto seguiva la discussione con interesse.
«Oh, Ami! Forse dovresti davvero leggere gli shojo smut di Rei per capire cosa intendo dire.»
Makoto e Rei ridacchiarono.
«Oh, non prendetemi per una che non sa nulla!» Ami appoggiò i pugni chiusi sulle ginocchia. «Se volete sapere quello che penso, secondo me invece l'hanno fatto. Ed è successo ieri.»
Tutti gli sguardi si fissarono di colpo su di lei.
«Non li avete visti quando ci hanno salutati? Sembravano veramente in sintonia e proprio come una coppia che... beh, una coppia adulta. E non credo che Usagi sia andata a dormire a casa sua questa notte.»
«Hoho, Ami! Non ti credevo capace di certe osservazioni!» Minako aveva il tono eccitato di chi aveva appena scoperto un succosissimo segreto.
«E brava la nostra Ami!» le fece eco Makoto.
Ami arrossì.
Rei invece intervenne solo dopo aver riflettuto. «Hm, in effetti, quando lui era partito, le aveva dato quell'anello di simil-fidanzamento. E sono passati tre mesi dall'ultima volta che si sono parlati. Mamoru in realtà era addirittura morto in questo periodo e Usagi lo è venuta a sapere solo l'altro ieri. Pensandoci, sembrano gli elementi di una trama costruita apposta per portare a quella conclusione.»
A quel punto, anche Minako e Makoto si erano messe a pensarci seriamente.
«State dicendo che è accaduto stanotte.» Minako arrivò ad una conclusione. «Se la teoria è esatta, oggi dovremmo vederla diversa, per cui non ci resta che aspettare.»
«Diversa come?» indagò Makoto.
«Non so dire di preciso... potrebbe fare qualcosa che la solita Usagi che conosciamo non farebbe mai normalmente. O avere un'aria diversa.»
In quel momento, sentirono dei rapidi passi provenire dal corridoio e qualche istante dopo apparve Usagi, coi codini svolazzanti e un sorriso contagioso. «Ragazze!»
Nel vederla, dimenticarono tutte ogni altro discorso. Era così facile sentirsi invadere dall'affetto per lei, che tanta luce aveva portato nelle loro vite. Si alzarono e Usagi salutò ciascuna di loro con un forte abbraccio. Un gesto comprensibile, dato ciò che era recentemente accaduto.
Tornarono a sedersi e Usagi iniziò a farsi aria con una mano. Rise. «Ho fatto una corsa per venire qui!
»
«Oh, vuoi della cola o del tè freddo?» offrì Rei.
Usagi notò le bevande e il cibo sul tavolo. «Tè freddo, grazie. Oh, scusate, non ho portato niente da mangiare.»
«Figurati, li ho fatti comprare dal nonno. Tieni, qui ci sono anche dei pasticcini, serviti pure quanto vuoi. Con le altre abbiamo già mangiato a sufficienza.»
«Sembrano buoni. Però... no, sto bene così, grazie. Forse più tardi.»
Usagi si rese subito conto di essersi guadagnata una sfilza di sguardi straniti. «Non voglio mangiarne ora, è così strano?«
«Ma dai Usagi, sì che lo è.
» Makoto non si fece problemi a sottolineare la verità.
Usagi voleva sentirsi un minimo offesa a nome del proprio stomaco, ma in fondo non poteva negare l'evidenza. Non dopo che intere scatole di pasticcini avevano conosciuto la sua furia divoratrice, in passato. «E va bene, mi avete scoperta. È che ho già mangiato del dolce a casa di Mamoru, per cui...» Si interruppe nuovamente, notando gli sguardi stupefatti. Doveva spiegare? «Ieri era il suo compleanno, per cui ho preso una torta.» Al pensiero di quel momento non riuscì a trattenere un sorriso. «È durata fino a oggi e così ne ho mangiata un po' anche a colazione e poi anche dopo pranzo...
» Si fermò.
Gli sguardi che le venivano rivolti erano sempre più sorpresi.
«Insomma, che c'è?»
«Niente, Usagi.» Ami attirò la sua attenzione su di sé. «Senti, con le altre stavamo programmando di andare in vacanza per un paio di giorni tutte insieme. Abbiamo pensato ad alcuni luoghi, ma volevamo sentire anche il tuo parere, prima di decidere.»
«Ah... quando? Ve lo chiedo perché ho progettato di andare da qualche parte da sola anche con Mamoru e -»
«Ommiddio, l'hai fatto!» Minako scattò in piedi.
Ami si coprì la bocca spalancata con la mano.
Rei chiuse gli occhi arrossendo e contemporaneamente irritandosi per la mancanza di tatto di Minako.
Makoto balzò seduta sul letto e osservò Usagi con aria rapita.
Usagi non riuscì a capire. «Ma di che state parlando?»
«Tu hai fatto sesso!» la accusò Makoto.
«Co-?» Usagi arrossì fino alla punta dei capelli e non riuscì a dire una sola altra parola. Si rese conto quasi immediatamente che con quell'atteggiamento non aveva fatto altro che confermare il sospetto.
«Oh mio dio...
» La voce di Ami si era mantenuta bassa, ma nemmeno lei era riuscita a trattenersi.
«Usagi!» Rei riuscì a malapena a respirarlo, in un misto di incredulità e stupore.
Makoto spalancò la bocca oltre l'impossibile, mentre Minako si limitò a restare immobile dov'era, come fulminata.
Finalmente Usagi riprese l'uso della parola. «Ma-ma-... che domande sono? E poi cosa c'entra?»
Makoto ignorò le obiezioni. «Oh, com'è stato?»
«Ma Makoto!» I rimproveri di Ami e Usagi si fecero eco tra loro.
«Sìsì, ti prego Usagi, dicci qualcosa!» Minako non vedeva l'ora di saperne di più.
Rei non disse nulla, ma si avvicinò ancora di più per sentire.
«Non sono affari vostri!» Usagi cercò di arginare l'imbarazzo e porre fine alla discussione.
«Stupidaggini!» ribatté pronta Minako. «Se fosse stata una di noi, tu saresti stata la prima a volerne sapere di più.»
«Non è vero!» Usagi si sentiva sempre più in trappola.
«Inutile resistere, parla!» Makoto e Minako la circondarono e dietro di loro a poca distanza sbucò anche Rei. Ami avrebbe voluto nascondersi in un angoletto, ma la curiosità la spingeva a rimanere ferma dov'era, seduta accanto al tavolino. Scientifica, era curiosità puramente scientifica, si disse.
Vide Usagi capitolare davanti agli sguardi insistenti delle altre.
«Uffa, e va bene. Ma non credo di poter descrivere... Voglio dire, la prima volta è stato...»
«La PRIMA volta?!?» Quattro voci in coro.
Usagi nascose la faccia tra ginocchia. «Basta, non dico più niente!» Ridacchiò di puro imbarazzo.
Minako le si avvicinò da dietro. «Sei una donna perduta oramai, Usagi!»
Usagi emise un piagnucolio non del tutto finto.
«Meno male che non ci sono qui Luna e Artemis, altrimenti sai che ramanzina...» Makoto pensò alle possibili osservazioni dei normalmente sempre presenti gatti.
«Beh, non la accetterei da loro.» Usagi riprese tutto il coraggio. «Nessuno ha il diritto di dirmi nulla in merito a questo!» Non usò un briciolo del solito tono infantile che normalmente adottava quando parlava dei divieti di Luna, se ne accorsero tutte.
«Se non fosse bastato già il resto, questa sarebbe la prova definitiva.
» Rei sospirò. «Hai appena avuto un atteggiamento più maturo, Usagi.»
«Hmm.» Il mormorio di Ami era stato abbastanza forte da farsi sentire in tutta la stanza. «Siete stati responsabili, vero, Usagi? Avete usato precauzioni?» Non era sua intenzione intromettersi, ma era un aspetto fin troppo importante. E, a sentire lo scenario dipinto da Rei prima, non sembrava proprio la prima cosa a cui avrebbero potuto pensare due persone in una simile situazione.
Usagi cominciò a giocare coi pollici. «Ecco, veramente...»
«Non l'avete fatto?» Ami saltò in piedi.
«Nono, voglio dire, sìsì. Il cristallo. È stato il cristallo d'argento a proteggermi.»
Alla menzione della fonte del suo potere, tornarono tutte serie.
Ami proseguì. «Il cristallo... hai rimesso a posto tu tutto quanto, vero?» Distruzioni sparite, ricordi scomparsi.
«Sì... come le altre volte. Dopo ogni battaglia sono in grado di usarlo per fare cose che normalmente non riuscirei neanche a immaginare, lo sapete.»
Ami annuì, poi volle chiedere. «Hai fatto affidamento su questo residuo di potere per...»
«No. No, io credo... Penso che questa volta sia diverso: sento di avere un maggiore controllo su questo mio potere, almeno a livelli minimi. Penso che non andrà mai più via. E... beh, funzionerà anche in quel modo, fino a quando non sarà il momento per me di avere Chibiusa.»
Tornò per un istante il silenzio, poi Minako commentò il tutto con un sorriso. «Wow, è un oggetto multiuso.
»
Usagi sorrise e proseguì. «A questo proposito, devo parlarvi di una cosa che mi ha detto Mamoru. Lui crede... Lui crede che...»
Si era ripromessa di parlarne subito e senza fare storie, perché sapeva che se ci avesse riflettuto non avrebbe voluto discuterne affatto. Ma le sue amiche avevano il diritto di sapere.
Notò gli sguardi di attesa e si decise. «Lui è convinto che non manchi più di qualche anno prima che... il Regno Argentato inizi ad esistere. Davvero pochi anni. Meno di dieci.»
Cadde un silenzio tombale.
Usagi riusciva a immaginare benissimo quello a cui stavano pensando.
«Come lo sa?» Rei preferì non iniziare ad agitarsi prima del tempo.
«Lo sente. Non è molto, ma io credo che abbia ragione perché-»
«Lo senti anche tu.» Rei percepì dentro di sé una consapevolezza giunta solo in quel momento. Sospirò. «Ora che me l'hai detto, lo sento anche io.»
Usagi udì la tristezza nella sua voce. «È da ieri che all'improvviso mi appaiono in testa delle risposte, come se le avessi sempre avute. Finora mi è servito solo per ritrovare la valigia di Mamoru e per sapere... in quale altro modo utilizzare il potere del mio cristallo. Ma è per questo che quando Mamo-chan mi ha spiegato che era capitato anche a lui, ho capito subito cosa intendeva dire. A te era già successo, Rei. A voi?»
Le altre scossero tutte la testa.
Ami cercò di dare una spiegazione. «Dev'essere perché... Rei ha sempre avuto un potere di questo tipo, e tu e Mamoru sarete i reali di questo pianeta. Forse anche noi in futuro sentiremo qualcosa, ma... per ora no.»
Rei tornò a parlare. «C'è una buona notizia. Ho percepito anche che non avremmo battaglie per almeno un paio d'anni.»
Usagi ne fu contenta, ma si ritrovò a sorridere solo debolmente. Era certamente una buona cosa, ma sapeva che le altre erano ancora sotto choc per via di ciò che aveva detto loro, perciò decise di aggiungere qualcosa. «Mamoru ha detto che non succederà prima di altri sei anni almeno. Non sa essere più preciso.»
Ancora una volta fu Makoto la prima a parlare di quello che avevano avuto in mente tutte quante. «Il Regno Argentato durava da centinaia di anni nel futuro. Sapevo da tempo che saremmo vissute molto a lungo, per cui avevo creduto che... che ci sarebbe voluta almeno qualche altra decina d'anni. Per la verità cercavo di capire come avremmo fatto con le persone che ci stavano vicino. Ci avrebbero visto rimanere giovani mentre loro invecchiavano.
» Sbuffò. «Pare non dovremmo preoccuparci di trovare una scusa.»
La malinconia e un filo di amarezza si percepivano bene nella sua voce.
«Mi dispiace ragazze...»
«Non è colpa tua Usagi» la interruppe subito Rei. «Non toglierci le nostre responsabilità. Noi non possiamo fare a meno di essere ciò che siamo. Siamo guerriere Sailor» lo disse con fermezza. «Io sono fiera di aver combattuto per salvare questo nostro mondo.
» Guardò le altre e le vide annuire convinte. «Non possiamo fare a meno di diventare ciò che saremo più di quanto non possa farne a meno tu.» Nel terminare così, si rese conto del peso che gravava sulle spalle di Usagi.
Regina... in pochi anni.
Usagi lesse la preoccupazione nel suo sguardo e capì a quale conclusione fosse arrivata. «Non ho paura.» Non mostrò alcuna indecisione, perché ormai non ne aveva più. «Forse è per via di tutto quello che è successo in quest'ultima battaglia, ma non ho paura. Io devo e voglio proteggere coloro che amo e questa Terra. So che fra qualche anno sarò pronta.
» Annuì. «E poi non sarò sola in questo compito. Avrò accanto Mamoru... Endymion.» Lo chiamò con quel nome un tempo caro alla sua anima più di ogni altra cosa. Non era più quella persona, ma in un certo senso lo era ancora. Così come lei nella sua stessa essenza era Serenity proprio quanto era Usagi.
Scosse la testa, cercando di tornare al presente. «Mamoru ha preso una decisione. Lui... lascerà la facoltà di Medicina.»
«Che cosa?!» Ami si sollevò con le mani sul tavolo. Mamoru... che lasciava Medicina? Ragionandoci, capì che era una decisione più che logica dato il futuro che lui si preparava ad affrontare, ma non riuscì a fare a meno di pensare che si trattava di abbandonare quella che per lui era stata quasi una vocazione e qualcosa in cui aveva già conseguito ottimi risultati.
Usagi non fu sorpresa da quella reazione: era stata la propria. «Sì, lui... pensa che sia giusto che si prepari come può per quello che saremo. Non ha ancora deciso a cosa iscriversi... qualcosa che gli insegni politica o economia, probabilmente. Non mi sembra che rimpianga davvero ciò che si sta lasciando dietro. Gli dispiace, ma è una scelta che ormai ha abbracciato con tutto se stesso.» Si fermò un attimo, riflettendo. «Ami... voglio che tu mi dia lezioni.»
«Lezioni?» Ami la guardò sorpresa. Non che una richiesta simile non le fosse già stata formulata altre volte, specie quando Usagi si decideva brevemente a migliorare qualche voto, ma la colpì l'insolita determinazione che le vide nello sguardo.
«Sì, un po' su tutte le materie, se puoi. Mi aiuterà anche Mamoru, ovviamente. Devo recuperare. Io... dovrò studiare anche io qualcosa che mi prepari a... regnare. Non posso più giocare a prendere insufficienze. Le cose devono cambiare.»
In cuor suo Rei aveva sempre voluto sentirla parlare in quel modo, eppure quelle parole le causarono un'improvvisa e profonda tristezza.
Si rese conto di aver appena visto Usagi cambiare per non tornare mai più completamente come prima; non era uno dei momenti in cui lei si decideva a studiare un po', per poi riprendere con la solita routine di sempre. Oh, le avrebbe voluto bene sempre e comunque, ma le sarebbe mancata molto quell'incredibile spensieratezza che aveva contraddistinto sempre e solo lei per così tanto tempo. Sarebbero probabilmente state rare le occasioni in cui avrebbe potuto rivedere quel tratto del suo carattere, nella futura eternità che si preparavano ad affrontare.
«Non guardarmi così, Minako.» Era stata Usagi a parlare e Rei si ritrovò a guardare Minako... sì, anche lei doveva aver avuto pensieri simili ai suoi. Una rapida occhiata a Makoto e ad Ami confermò quell'impressione anche per loro.
«Andremo ancora a giocare ai videogiochi.» Usagi sorrise allegramente. «Sono certa che, dopo che avrò cominciato a capire le basi, dovrò solo studiare moderatamente.»
Minako sorrise e Usagi si tranquillizzò. Riprese a parlare guardando negli occhi ognuna di loro. «Non credo che tutto questo significhi che dovremo abbandonare le nostre naturali inclinazioni. Ami, niente ti impedirà di continuare a studiare Medicina. Sei un genio e avrai appunto un'eternità per prepararti in molte e molte cose, se vorrai. Minako, non devi rinunciare al tuo sogno di diventare famosa... anzi, magari puoi diventare famosissima così sarai già conosciuta quando... succederà. Makoto, non dovrai trattenerti dall'aprire una pasticceria tutta tua, se vuoi. Niente impedisce ad una guerriera di saper cucinare molto bene. Rei... qualunque cosa tu voglia fare, restare al tempio o altro, non credo ti pregiudicherà in nessun modo. Hai una potenza spirituale che già alleni continuamente.»
Lentamente, annuirono tutte.
«Penso...» esordì Makoto. «Beh, forse aprirò lo stesso quel negozio. O forse no. Però, e credo di parlare anche per le altre, non ti devi preoccupare per noi Usagi. Per ognuna di noi ci saranno sempre le altre a sostenerla e saremo in grado di scegliere e affrontare il nostro destino.»
«Sì.» Minako, Rei ed Ami lo dissero assieme.
Usagi si sentì visibilmente sollevata nel vedere la serenità nei volti delle sue care amiche. Erano proprio ragazze forti.
Ricordò di cos'altro doveva parlare. Non era bello tirare fuori le cose spiacevoli tutte in una volta, ma non riusciva a tenerselo dentro. Dovevano sapere, nel caso ci avessero già pensato.
«Ragazze... io...» Inspirò. «Volevo scusarmi con voi. Profondamente. Per non avervi detto di Mamoru, del fatto che... non lo sentivo da quando era partito e-»
Sentì sulla spalla la mano di Rei. «Ne abbiamo già discusso.»
Nonostante lo sguardo comprensivo che le venne rivolto, Usagi trattenne il fiato.
«Parlo a nome di tutte.» Le altre annuirono, mentre Rei continuava. «Pensiamo di aver compreso perché non ne hai parlato con noi prima, per cui ci interessa sapere solo una cosa, anche se penso di sapere già la risposta: hai chiarito con lui?»
Aveva delle amiche fantastiche, meravigliose. «Sì. Io ci tengo a dirvi che penso sia stata anche colpa mia, ma lui ha detto di riferirvi che... è stata anche colpa sua. E che mi ama così tanto che sistemerà tutto.
» Arrossì come una sciocca al ricordo di quelle parole.
«Ma sentila che gusto ci prova a ripetere le dichiarazioni del suo ragazzo!» Rei andò a metterle un braccio intorno al collo e fece finta di darle un colpo in testa.
Risero tutte.
Minako non voleva certo essere da meno in quell'atmosfera allegra. «Sono invidiosa! Dobbiamo proprio usare i due anni previsti da Rei per trovarci finalmente un nostro ragazzo!»
Ami sorrise. «Sai Usagi, era così che siamo arrivate a parlare di te e Mamoru, prima. Rei aveva appena detto che avremmo avuto tempo prima di un'altra battaglia e quindi che avremmo potuto dedicarci a trovare qualcuno.»
«Perché no? Spero lo troviate presto, così sarete felici come me.» Usagi si portò una mano al petto, come a darsi un'aria di grande importanza.
«Va bene, ma mi raccomando: non diventare troppo 'fisicamente' felice, Usagi.»
Una risata di ilarità generale scoppiò nel gruppo.
«Scusa, Makoto, non posso promettere niente.»
Makoto assunse un'espressione fintamente scandalizzata e, preso un cuscino, lo tirò in faccia ad Usagi.
«Va bene, va bene, la smetto.»
«Tornando serie...» riprese Minako.
La guardarono tutte, concentrate.
«Quando hai detto 'prima volta', cosa intendevi?»
La cascata di braccia fu generale.
«Minako! Pensavo stessi per parlare di qualcosa di veramente importante!
» Ami non riusciva a capacitarsi di quanto Minako avesse un unico pensiero fisso.
«Ma è una questione importante!» replicò lei, tutta sincerità.
Usagi si stava ancora riprendendo dalla precedente uscita. «Ehm... non vedo davvero come.»
«Semplice, sto cercando di capire se devo ampliare il mio bacino di ricerca. Finora ho escluso a priori i tipi tutto studio e poco divertimento.»
«Ancora non capisco.»
Minako balzò in piedi, un dito puntato in avanti. «Io voglio un rapporto di passione!»
Forse le braccia potevano cascare più sotto del pavimento.
«Io leggerò pure quei manga, ma l'assatanata sei tu
» intervenne Rei.
«Che c'è di male, scusa? Anzi, è completamente naturale, se ci pensi.»
«Io non ci sto pensando.» Ami cercò di coprirsi le orecchie.
Makoto sorrise imbarazzata, ma condiscendente. «Scusa Minako, ma... non è importante che arrivi l'amore prima?»
«Ma certo. Io sto parlando del dopo. Non tutti quelli che sono innamorati lo esprimono nello stesso modo e a me interessa qualcosa di... travolgente. Sono la guerriera dell'Amore, in fondo.»
Usagi intervenne di nuovo solo allora. «Ecco» Minako scattò subito a guardarla. «In verità non credo che avrai scelta nel momento in cui ti innamorerai, quindi questi ragionamenti non ti saranno molto utili. Voglio dire... un paio di anni fa non avrei mai nemmeno potuto concepire una relazione con Mamoru. Ero troppo occupata a dargli contro per pensarci. E viceversa. Eppure è finita come sappiamo e non certo solo per via di tutta la faccenda del Regno della Luna.»
Minako annuì. «Sì, ma penso lo stesso che il tuo sia un caso particolare. Dai, era destino! Più normalmente, funziona così: se non ti metti a cercare tra i tipi tutto studio o lavoro, non trovi un fidanzato tutto studio o lavoro.»
«L'unica cosa con un po' di senso che ho sentito uscire dalla tua bocca oggi» commentò Rei.
Minako la fulminò con lo sguardo.
Rei tirò fuori la lingua.
Usagi si arrese, prima di assistere a Rei contro Minako, parte prima. Era stata protagonista assieme a Rei di un numero sufficiente di scontri per sapere quanto poteva andare avanti la cosa. «Va bene, va bene... cosa volevi sapere? Ah sì...
» Arrossendo, abbassò lo sguardo e proseguì a voce talmente bassa che non la sentì nessuno nella stanza.
Minako si mise una mano a ventola sull'orecchio e si sporse verso di lei. «Cosa
Usagi inspirò. «Prima di tre.»
«Prima di tre cosa- OOoh... Wow.» E Minako si zittì. Ami aveva sprofondato il viso tra le braccia appoggiate sul tavolino. Rei era rossa quasi quanto la sua tuta da Sailor. Makoto, con gli occhi fissi sul soffitto, stava cercando disperatamente di pensare ad altro.
Usagi si inpuntò. «Se la prossima volta che lo vedete lasciate in un qualunque modo intendere di sapere una cosa del genere, giuro che vi strozzo con le mie mani.»
«Ma certo che no.»
«Nessun problema.»
«No, no.»
«...»
Ami ricevette un'occhiata di fuoco per il suo silenzio.
«Ma Usagi, come puoi pensarlo?» piagnucolò quasi.
«Perfetto, allora è tutto a posto. E presto dimenticato.» Fu una chiara minaccia.
Insomma, pensò Minako, sorridendo tra sé e sé. Chiedere era stato utilissimo: era proprio ora di cominciare ad aprirsi all'esplorazione di nuove riserve di caccia.



Usagi chiuse dietro di sé la porta della sua stanza. Aveva appena fatto una bella doccia e i capelli, nonostante il phon, erano ancora lievemente umidi.
Erano mesi che non ricordava di essersi sentita così in pace con se stessa e col mondo.
Si sedette sul letto, facendo sobbalzare appena Luna. La gatta, raggomitolata su se stessa e sul punto di addormentarsi, aprì un occhio per guardarla e poi lo richiuse, soddisfatta nel vedere che era tutto a posto.
Usagi sorrise: era sempre divertente vedere Luna comportarsi come un tipico felino, nonostante tutto.
Prese una spazzola dal cassetto del comodino e si passò il pettine sui capelli un paio di volte, senza alcuna fretta.
Era felice. Era serena. Le era mancato così tanto essere entrambe le cose.
Andò alla finestra e la aprì, per far entrare l'aria fresca.
Era appena passata una bella giornata. Domani ne sarebbe venuta un'altra.
Si infilò sotto le lenzuola rosa con un sorriso stampato in volto, stanca nonostante le tante ore di sonno della notte precedente.
Conosceva bene il motivo di quella deliziosa spossatezza.
La bocca le si incurvò talmente all'insù che un attimo dopo le fecero male i muscoli della guance.
Ignorò il leggero fastidio e si congratulò con se stessa, perché finalmente non era più arrossita a quei pensieri.
Di sicuro, sarebbe migliorata sempre di più.
La mente iniziò a spegnersi e, in poco tempo, si trovò nello sfuggevole stato in cui la testa è sul punto di lasciarsi andare al sonno.
In quell'attimo, udì un rumore anomalo fuori dalla finestra; aprì un occhio.
Luna saltò in piedi, la coda dritta.
E Tuxedo Kamen entrò con un balzo nella stanza, atterrando in mezzo al pavimento vuoto.
Usagi si alzò di scatto, impiegando un istante a riconoscerlo.
«Mamoru!» bisbigliò più forte che poteva. «Mi hai fatto prendere un colpo!»
«Mamoru, che ci fai qui? C'è pericolo?» Luna si guardava intorno, frenetica.
Lui la guardò come se fosse sorpreso di trovarla lì. «Oh, ciao Luna.» Rimase a fissarla, contemplando il da farsi.
«Ehi, sono trasparente?» Usagi prese ad agitare le braccia.
Mamoru le lanciò uno sfuggevole sorriso prima di rivolgersi ancora a Luna. «No, non c'è nessun pericolo, non preoccuparti. Ho usato la trasformazione solo per muovermi agevolmente a quest'ora. Luna, potrei chiederti di dormire di sotto? Ho bisogno di... parlare con Usagi e ci metterò un po'.»
«Di sotto?» Luna si rese conto che la voleva fuori dalla stanza. Ma perchè mai...? All'improvviso capì di cosa doveva parlare. Ma non era possibile! Aveva permesso ad Usagi di stare da lui tutta la notte solo ieri e ora credeva di-
«Luna?» A parlare era stata la stessa Usagi. «Va' a dormire di sotto, per favore.»
COSA? «Usagi, tu devi- Non puoi-» Era impazzita? I suoi genitori dormivano nello stesso corridoio!
«Luna.»
Luna smise di parlare, colpita dal tono serio.
Usagi continuò a parlarle senza una goccia di allegria.
«So da me quello che devo e posso fare.»
Luna iniziò a percepire un profondo senso di disagio: quella non era la voce da amica che Usagi aveva sempre usato con lei.
Usagi la vide irrigidirsi e addolcì immediatamente il tono, andando ad accarezzarle il pelo morbido della schiena. «Luna... non ti devi più preoccupare per me. Io so badare a me stessa oramai. E sono in grado di decidere cosa è meglio per me. Comunque» rise, cercando di alleggerire la conversazione. «Non sarò forse una regina un giorno? È ora, no, che decida da sola, almeno per quello che mi riguarda.»
Luna non replicò, limitandosi ad abbassare lo sguardo.
Senza dire altro, Usagi la prese in braccio e andò a strofinare il proprio viso contro il piccolo muso di lei. «Posso accompagnarti di sotto?»
Luna annuì, triste.
Usagi lanciò una singola occhiata in direzione di Mamoru, poi scese fino al salotto con Luna in braccio. La appoggiò sul divano, sistemandola su uno dei cuscini più morbidi. «Luna, io lo amo.»
Luna si girò su se stessa, preparandosi ad accomodarsi sul cuscino. Non le rispose.
«Sono felice quando è con me. Forse questo comportamento non sarà appropriato, ma sono contenta che sia qui. Non è per questo che ho negato la tua autorità, è solo che-»
«Sei la Principessa Serenity. Era ora che lo facessi.» Era una risposta secca che offriva una verità che ormai non si poteva più negare.
«Sono quella che sono, ma non voglio mai smettere di averti come amica.»
Luna sospirò e si accoccolò contro la mano che le accarezzava la testa. «Lo so. Cercherò di intromettermi di meno e così... troveremo un equilibrio. Un nuovo equilibrio.»
Usagi le sorrise e appoggiò di nuovo il viso contro il suo muso. «Ti voglio bene, Luna.»
«Anche io, Usagi.»
Usagi si staccò da lei e, dopo averle augurato la buona notte, tornò di sopra.
Luna la osservò sparire oltre le scale, sentendosi come se avesse appena perso una figlia. Per un certo periodo aveva considerato Usagi quasi a quella maniera. E ora, quella che era sempre stata la bambina che lei aveva dovuto guidare e proteggere non aveva più bisogno dei suoi consigli.
Provò una buona dose di malinconia.
Eppure, in fondo, il suo compito e quello che lei stessa aveva sempre desiderato, era stato veder Usagi crescere. E, finalmente, Usagi era cresciuta. 
Luna appoggiò la testa contro il cuscino e, per addomentarsi, pensò al futuro.
Al lungo futuro che attendeva tutti quanti.

Mamoru udì Usagi rientrare in camera e chiudere la porta dietro di sé.
«Se mi avessi avvertito prima» lo rimproverò lei a bassa voce. «Avremmo potuto evitare tutto questo.»
Lui si era immaginato un inizio ben diverso e non aveva proprio pensato a Luna. Era da quella mattina che pensava meno del dovuto. «È arrabbiata?»
«Dispiaciuta. Non l'ho mai contestata come oggi. Ma ha accettato la situazione e fra noi le cose si rimetteranno a posto.«
«Scusami. Volevo farti una sorpresa, qualcosa di diverso.»
Lei iniziò a sorridere. «In effetti non è da te presentarti in camera mia nel cuore della notte.»
Mamoru infilò una mano nella tasca interna della giacca e ne tirò fuori una rosa rossa, senza spine. Gliela porse.
Usagi se la portò al naso, inspirandone il profumo. «Ora non rimpiango neanche un po' di averti parlato delle mie fantasie romantiche.»
Insieme, risero sommessamente.
Lei gli andò vicino e con le mani prese ad accarezzare una manica della giacca nera. Sentì il tessuto soffice accarezzarle le dita. «Mi è mancato vederti con questi abiti.» Mancato da morire. Le era mancato così tanto vederlo apparire durante gli scontri con i nemici, sapere che sarebbe sempre venuto ad aiutarla, sempre e in ogni caso. Scacciò quei pensieri, perché... lui ora era qui. Con lei. Nella sua stanza.
Sorrise, sinceramente divertita. «Se non fosse che so esattamente che tipo di poteri hanno i costumi che indossiamo, ti chiederei come fai a non morire di caldo con tutta questa roba addosso.»
Lei si avvicinò ancora, ma con qualcosa di molto diverso dal divertimento nello sguardo.
«Non ti dispiace se te la tolgo lo stesso?»
Lui aveva pensato di essere venuto lì per sedurre, non per essere sedotto, ma-
Con un colpo della mano, Usagi gli scoprì la testa, facendogli cadere all'indietro il cappello. Con l'altra mano, afferrò la maschera che gli copriva gli occhi e la buttò a terra. Poi cambiò di nuovo d'umore e rise, piano. «Ehi, sei stato proprio bravo. Hai beccato una delle mie fantasie, sai?»
«Ah, sì?»
«Ha-ah. In realtà è stata una delle primissime che ho avuto su di te, quando ancora non sapevo che... tu eri tu. Sognavo di vederti entrare dalla finestra e che venivi a rubarmi un bacio, mentre dormivo. Era una fantasia molto... innocente.» Gli sorrise di nuovo, ma in un modo che gli fece venire voglia di smettere di parlare. «Solo... temo di essere un po' cambiata. Vorrei modificarla, un po'... magari puoi prendere qualcosa di più di un bacio. E forse mentre sono sveglia.» Gli aveva slacciato il mantello, facendolo cadere a terra.
In un istante, furono l'uno tra le braccia dell'altra.
Usagi si meravigliò della foga con cui lo stava baciando: sembrava non lo toccasse da mesi, quando invece aveva fatto ben altro non più tardi di quella stessa mattina. Era un fuoco che non si estingueva, ma lei era più che felice di bruciare ancora a lungo. Si sentì sollevare e un istante dopo si ritrovò sul suo stesso letto, col corpo che già tremava.
Mamoru si tolse i guanti, le scarpe, buttò via il cravattino e la giacca. Poi fu sul letto, su di lei.
Il suo non era un letto piccolo, anzi: una piazza e mezza che aveva spesso permesso a Chibiusa di dormirle accanto senza che si finissero addosso a vicenda. Con Mamoru c'era molto meno spazio. Dato lo scopo presente del letto, non era certo un problema.
Ormai completamente priva di controllo in merito, andò ad avvolgergli le gambe attorno alla vita, strofinandosi contro di lui e cercando subito il contatto più intimo, quello che un momento dopo fece ansimare entrambi.
Mamoru le portò le labbra sulla guance e iniziò a scendere sul collo.
Era incredibilmente piacevole, ma se fosse sceso sarebbe stato anche più-
Si lasciò scappare un sorriso. «Pensi che...» Lo sentì assaggiarle la pelle e un brivido la costrinse a interrompersi. «... riusciremo mai a farlo durare più di un quarto d'ora?»
Lo ritrovò con gli occhi allarmati davanti ai suoi. «Come?
» Era mortificato. «Ah, è colpa mia. Vedrai che presto riuscirò a-»
«Cosa?» Che colpa? Che gli aveva detto perché si comportasse all'improvviso così?
Lui sospirò. «Voglio dire che... anche se adesso non riesco a durare molto poi...»
Durare? Ma che-? Oh! Lo colpì alla spalla. «Ma no! Come hai potuto pensare che-» Non riuscì a trattenersi e scoppiò a ridere, piano.
Mamoru era ancora rigido sopra di lei, l'espressione corrucciata.
Gli prese il viso tra le mani. «Andiamo, hai sentito anche tu come ho...» Cercò un termine adatto. «Come ho finito ogni volta. Ti pareva che il tempo fosse un problema?»
«No, ma allora perché-»
«Stavo parlando della nostra impazienza, della mia impazienza. Mi chiedevo solo se un giorno sarei riuscita a rallentare un poco in modo da farlo durare... un po' di più. Non ho niente da ridire sulla... hmm... soddisfazione raggiunta.» Con quelle ultime parole, arrossì. Dalla finestra entrava poca luce, ma i suoi erano rossori che si potevano persino udire.
Sul volto di lui riapparve di nuovo il bel ghigno. Meno malefico, stavolta. «Ti rendi conto di cosa stiamo per fare in camera tua? E tu ti vergogni solo ora... e per delle semplici parole?»
Lei si coprì la faccia con le mani. «Uffa, non mi prendo responsabilità. Mi hai corrotta, è tutta colpa tua.»
Mamoru le prese i polsi, portandoli lentamente in alto. «Per quanto riguarda la tua domanda... è possibile farlo durare ore intere, volendo.»
«Intendi dire più volte in una sola notte...»  Da quella mattina non aveva più dubbi sul fatto che fosse possibile qualcosa di simile.
«No, intendo dire una sola volta, allungata per tante ore. Naturalmente, contando ciò che viene prima.»
Usagi sentì la bocca di lui sopra la leggera canottiera di cotone che aveva indosso. Rabbrividì e liberò le mani.
«Per ora mi accontento di un quarto d'ora.
» Lo attirò a sé.



NdA: ed è finito il quarto :)
Ringrazio ciascuna di voi per le belle parole che avete avuto per quello che ho scritto nel capitolo tre.
Poter leggere cosa vi ho trasmesso è stata fonte di grossa soddisfazione per me. Quello che ho scritto mi piace, ma sapere di aver fatto la gioia di qualcun altro è sempre un piacere particolare, diverso e non minore, specie se uno scrittore arriva a capire di aver centrato proprio l'obiettivo ricercato con impegno.
Ringrazio anche m00onlight per la critica che mi ha fatto: non abbiate nessuna remora a farmi degli appunti in questo senso, li apprezzo quanto i complimenti quando ben motivati. E non c'è certo bisogno di scusarsi. L'appunto che mi hai fatto era già qualcosa a cui avevo pensato anche io, in fase di stesura.  Ho visto che altri hanno gradito, ma ci tengo a sapere anche quando, leggendo, si ritiene che il testo avrebbe potuto funzionare meglio se scritto in un altro modo. Aiuta a migliorare o quantomeno a confrontarsi.
Non penso descriverò altre scene così nel dettaglio, in futuro (intendo, includendo i particolari 'inutili', quelli che si sarebbero anche potuti tralasciare)... in questo caso non sono riuscita ad immaginare di saltare qualcosa nella descrizione di quella lunga scena. Forse ho il difetto di voler essere troppo fotografica, a volte :)
Comunque, come avrete intuito, non ci saranno altre scene simili in questa storia; avevo già deciso di fermarmi ai livelli presenti in questo capitolo, che mi sembrano adatti.
Ah, una nota: ho visto commentare la differenza di età tra Usagi e Mamoru nel manga e nell'anime. Personalmente non ho mai percepito che la differenza di età fosse poi così diversa nelle due versioni dell'opera; ho sempre pensato non si estendesse oltre un anno (Quindi, tre nel manga, e quattro nell'anime), però potrei sbagliarmi. Questo perchè il sistema scolastico giapponese è diverso da quello italiano. Ci sono sei anni di elementari, tre di medie, tre di superiori e poi c'è l'università. Magari lo sapevate già :)
Per l'ultimo capitolo di questa storia, ci risentiamo agli inizi di Novembre.
Poi per ora, so con certezza solo che pubblicherò una one-shot, dedicata a Rei.
Grazie anche questa volta per aver letto. Ricordate che una recensione articolata, se potete, fa la mai felicità :)

Ellephedre

Nota del Giugno 2009: la revisione di questo capitolo è soprattutto stilistica. Ho aggiunto qualche pensiero e modificato lievemente l'ultima scena.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Quinta parte - Accettarsi ***


oltrelestelle5
Oltre le stelle

Autore: ellephedre

Disclaimer: i personaggi di Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation.

Quinta parte - Accettarsi

Sentiva il sole del mattino sugli occhi. Sul viso, una piacevole brezza che entrava dalla finestra aperta. Udiva persino il cinguettio degli uccellini che salutavano il giorno-
«Usagi!!!»
Nonché l'urlo di sua madre. Aprì un occhio.
«È ora di svegliarsi, Usagi!»
Ora di svegliarsi.
Mamoru!
Allungò il braccio.
Ah già, non era più lì.
E lei non aveva nemmeno il pigiama addosso. Si mise seduta e con lo sguardo lo cercò attorno al letto; lo individuò e se lo infilò in fretta.
Ma che ore erano... le undici?!
«Usagii!»
«Sono sveglia, mamma!» urlò di rimando.
Si stiracchiò, aprendo la bocca in un grosso sbadiglio soddisfatto. Era tardi, ma almeno avevo dormito bene.
Udì dei graffi alla porta. Andò ad aprirla e trovò Luna fuori. La gatta entrò guardandosi intorno, circospetta.
«È andato via ieri notte.»
«Ah, bene. Tua madre stava scalpitando per venire a svegliarti. Ho cercato di trattenerla come ho potuto.»
Usagi si abbassò ad accarezzarle la schiena. «Grazie. Prometto che non ti metterò più in queste situazioni. È stata solo... la pazzia di una volta.»
Luna pensò che era una fortuna. Da gatta, l'unica cosa che poteva fare lei per distrarre la madre di Usagi era miagolare per farsi dare da mangiare. Non era molto, in termini di tempo.
Dal sorriso che aveva in faccia Usagi però, era chiaro che se la pazzia non si fosse ripetuta in camera sua, si sarebbe svolta sicuramenteo altrove.
Emise un sospiro rassegnato. Almeno Usagi era felice. «Allora io vado da Artemis.»
«Oh, è vero. Hai da farti perdonare il tradimento con Yaten.»
«Ma cosa dici?»
Usagi notò il rossore persino sotto il pelo scuro. «Scherzo. Ciao Luna.»
Mentre ancora ridacchiava, Luna uscì dalla finestra.
Sembrava che avesse preso a cuore la promessa che le aveva fatto la sera prima.
Usagi sapeva bene che non sarebbe stato facile per Luna: dirle cosa fare era stata una vera vocazione per la sua amica gatta. Quello stesso istinto era stato molto utile, in fondo. Tante volte Luna era stata la sua forza, il suo sostegno e la voce della ragione; ne aveva avuto un disperato bisogno, soprattutto agli inizi. Era da un po' però che aveva iniziato a trovare più pesanti di un tempo le critiche e i continui consigli, per quanto ben intenzionati. Gli insegnamenti di Luna dovevano aver dato i loro frutti però: ormai sapeva in anticipo cosa le avrebbe detto. Ed era d'accordo con i suoi punti di vista, in genere, motivo per cui non trovava più utile sentirseli ripetere in continuazione, come se non ci fosse altro modo per lei di arrivarci da sola.
Forse era stata un po' brusca la sera prima, ma era ancora convinta di aver fatto la cosa migliore: ora Luna avrebbe iniziato a trattarla da pari e a lungo andare sarebbero state più in armonia l'una con l'altra.
Si guardò distrattamente intorno e notò che la sua stanza era in disordine. Se la sera prima ci fosse stata più luce, persino Mamoru gliel'avrebbe fatto notare.
O forse no. Sorrise fra sé e sé.
Lui era un po' troppo preciso, da quel punto di vista... in fondo c'erano tante cose da fare nella vita. Non aveva molto senso continuare a riordinare quel che poi avrebbe nuovamente messo in disordine di lì a poco. Almeno, quella era la conclusione a cui era arrivata personalmente: l'ordine le piaceva, ma, le volte in cui si era prodigata per metterlo in pratica, aveva notato che inevitabilmente qualche ora dopo le cose erano tornate esattamente come prima.
Sbuffò.
Quasi sicuramente era un problema solo suo, però... era fatta così. Comunque negli ultimi giorni aveva avuto scusanti più che valide per pensare a qualcosa di diverso. Tuttavia, quella era giornata di pulizie casalinghe e a sua madre non sarebbe piaciuto per niente trovare la sua stanza in quello stato.
Si decise a mettere un po' a posto: voleva dimostrare di essere diventata anche lei un po' più adulta e responsabile.
Alla fine non si trattava che di qualche vestito sparso in giro, del letto di rifare e delle cose sulla scrivania da sistemare.
Si mise al lavoro di buona lena; aveva addosso aveva un certo buon umore. Quel primo pomeriggio doveva passare da Motoki. La notte prima Mamoru le aveva portato la lettera che aveva scritto per lui, secondo l'accordo fatto il giorno prima. Dopo lei sarebbe passata da lui e sarebbero usciti insieme da qualche parte, per godere insieme di un bell'appuntamento in piena regola. Un progetto che poteva mettere di buon umore una qualunque ragazza innamorata, anche se sospettava che fosse la sola idea di averlo di nuovo a portata di bacio a renderla felice.
Ridacchiò e iniziò a sistemare i vestiti che aveva buttato sopra una sedia. Scostando l'ultimo, trovò... la sua spilla. La spilla magica.
Fermò ogni movimento, rimase semplicemente a guardarla.
La prese in mano e si diresse sul letto, sdraiandovisi sopra. La alzò sopra il viso e la aprì.
Eccolo lì, il cristallo. Rosa scuro e lucente. Enorme, se paragonato a qualunque altro gioiello.
La fonte del suo potere.
Non le capitava spesso di osservarlo; le volte in cui si ritrovava ad aprire la spilla erano principalmente le volte in cui iniziava la trasformazione.
Il cristallo catturava ogni raggio di sole che entrava dalla finestra.
Lei lo mosse piano, osservando i giochi di luce che creava con la sua superficie.
Chissà cosa sarebbe accaduto se qualcun altro avesse mai visto quello che conteneva quel suo accessorio. Le venne da ridere: probabilmente avrebbero fatto a gara per comprarlo all'asta per chissà quanti miliardi di yen, senza nemmeno immaginare il potere che conteneva. Per fortuna, quello non era in vendita.
La spilla si apriva solo per lei o per persone che possedevano un certo grado di potenza. Aveva fatto una prova, una volta, con le amiche della scuola media che aveva frequentato. Nel caso fossero riuscite ad aprirla, era stata pronta a spiegare che all'interno c'era solo un ninnolo molto, molto luminoso. Ma loro non erano nemmeno riuscite ad alzare il coperchio e alla fine avevano creduto che fosse rotto.
Mamoru e le altre guerriere invece non avevano mai avuto problemi.
Tutti insieme avevano concluso che nemmeno eventuali nemici avrebbero incontrato difficoltà ad aprire la spilla.
Il Regno delle Tenebre e la Luna Nera avevano puntato proprio al cristallo d'argento, nella sua versione presente e futura, convinti di poterlo usare per i loro scopi.
Ma aprire la spilla era un conto, usare il potere del cristallo era tutt'altra cosa. Per quello era necessario una forza molto più grande, un potere che lei stessa era capace di richiamare solo in rare occasioni e sempre con grande dispendio di energie. Tuttavia, probabilmente sia Metallia che il grande Saggio erano stati abbastanza potenti da essere in grado di sfruttare quanto lei il potere del cristallo.
Eppure... il cristallo era lei. Parte di lei. Il suo potere era il proprio.
Fino a qualche giorno prima non aveva preso effettivamente consapevolezza di una questione importante: poteva fare uso del potere del cristallo anche senza il cristallo, no? Nelle battaglie più importanti lo faceva sempre, come se fosse una sua capacità innata.
Sarebbe dovuto essere sempre così.
Ricordò le volte in cui l'avevo dimenticato a casa ed era dovuta tornare di corsa a prenderlo. Era stato ai tempi delle sue prime trasformazioni.
O la volta in cui Kaolinite glielo aveva rubato, impedendole di fatto di trasformarsi. Rammentò l'impotenza, il pericolo corso da tutti, Mamoru compreso.
Quel potere che ora stringeva in una mano non avrebbe dovuto poterle venire sottratto sotto forma di un semplice oggetto.
Era una grave debolezza.
Non sapeva come, ma... doveva allenarsi. Doveva fare in modo di poter combattere senza portarselo continuamente appresso.
Sarebbe stato molto difficile probabilmente, ma ora...
Richiuse la spilla, portandosela al petto.
Ora le risultava insopportabile il pensiero di portarla con sé. Era come dichiarare implicitamente a se stessa che doveva sempre e in qualunque momento essere pronta per una battaglia. Non voleva più avere addosso quella sensazione, quella consapevolezza.
Almeno, non ora.
Per qualche altra settimana, come minimo.
Non ora.
Non riusciva a sopportare l'idea di dover di nuovo difendere la vita di Mamoru e delle sue amiche. Non poteva pensarli di nuovo in pericolo.
Rei aveva detto che non avrebbero avuto guai per almeno un altro paio di anni, ma poteva riferirsi a vere e proprie guerre di molti mesi, non a semplici battaglie, destinate a concludersi nel giro di pochi scontri o di uno scontro solo. Era già successo in passato.
Prese a ricordare quegli episodi.
E sospirò, alzandosi dal letto.
Quei pensieri la stavano deprimendo.
Appoggiò la spilla sul materasso.
Oggi non succederà nulla, si disse.
Nulla.
In fretta, terminò di sistemare il resto della stanza.
Infine uscì, guardandosi dietro di sé un'ultima volta.

«Buongiorno mamma!»
«Finalmente Usagi!»
«Era capace di dormire fino a domani.»
Shingo non la smetteva mai di prenderla in giro. Ne sorrise e si fermò, a pochi passi da tutti loro.
Quella che aveva davanti era una scena incredibilmente familiare. Sua madre ai fornelli. Suo fratello che la prendeva in giro. Suo padre con in mano il giornale, a tavola.
«Ma che hai?»
«Niente, Shingo.»
«Su, Usagi, vieni a mangiare.» Sua madre appoggiò sul tavolo un primo piatto di cibo.
«Ma... è già pronto il pranzo?»
«Tuo padre deve partire tra poco per fare un servizio e deve mangiare presto.»
Kenji Tsukino staccò gli occhi dalla lettura del quotidiano e annuì. «Sì, ho un servizio fotografico e un'intervista con un giovane politico. Un'ottima occasione per me.»
«Ho capito.» Usagi si sedette a tavola.
Vedendosi servire un piatto davanti, suo padre mise da parte il giornale. «Allora, Usagi, ieri hai fatto una gita. Dove sei andata?»
«Ahh...» Dove si poteva andare e tornare in un giorno? «A... Yokohama.»
Nei volti dei suoi genitori si dipinse la perplessità.
Già. Yokohama non distava neanche una cinquantina di chilometri da Tokyo.
Prese a ridere nervosamente. «Anche se è così vicina, non significa che la conosca bene. Ami ha organizzato un piccolo tour guidato delle principali attrazioni, giusto per un paio di giornate. Abbiamo camminato ed esplorato un po' la città, soprattutto.» Bella bugia.
Suo padre sembrò soddisfatto dalla risposta. «Giusto, non si finisce mai di conoscere bene un luogo. È stata un'ottima idea. La tua amica Ami è proprio una buona influenza per te.» Come padre, Kenji era proprio soddisfatto: Usagi aveva come amiche ragazze che sembravano tranquille e giudiziose. Nel tempo aveva apprezzato un certo cambiamento in sua figlia e sospettava che avesse avuto a che fare con la loro compagnia.
Ikuko finì di servire l'ultimo piatto e si sedette a sua volta a tavola.
Si augurono tutti buon appetito e iniziarono a mangiare.
«Mamoru non è venuto con voi?» chiese Ikuko.
Kenji vide la forchetta di Usagi cadere nel piatto.
«Cosa?»
Ecco, quel tipo invece non era certo una buona influenza. Non gliene importava nulla di quanto fosse intelligente, era semplicemente troppo grande per Usagi. Alla loro età, tre anni di differenza erano un'enormità.
«Non ha giornate libere?» continuò Ikuko.
«Mamoru?» Usagi si ritrovò solamente a ripetere quel nome, non sapendo cos'altro dire.
«... sì.»
Sua madre la stava guardando come se il cervello le fosse andato a male e Usagi cercò di adattarsi alla situazione, improvvisando. «È... andato a fare un viaggio.»
«Ah sì? Dove?»
«A... Kyushu?»
«Non ne sei sicura?»
«No. Voglio dire, sì. A Kyushu.»
«Che bello.»
Usagi rimase in attesa di ulteriori commenti, ma non ne arrivarono. «Torna domani, però» aggiunse. Non dovevano certo stupirsi di vederlo, uno di quei giorni.
Un viaggio! Kenji rimescolò il cibo nel piatto con una certa forza. Quel ragazzo aveva troppo denaro a disposizione. Aveva persino una macchina e un appartamento propri e nessun genitore a controllarlo. Non che fosse colpa sua e nturalmente a lui spiaceva per la sua situazione, almeno in generale. Tutto ciò però non faceva che renderlo troppo adulto per sua figlia.
Quantomeno aveva avuto l'impressione che fosse un bravo ragazzo: la piccola Chibiusa gli aveva spesso parlato di lui. Si era molto attaccata al fidanzato di Usagi, quindi, se non altro, Chiba doveva essere paziente con i bambini. Chibiusa aveva spesso insistito per unirsi ad Usagi le volte in cui usciva con lui e questo era stato un gran bene: con una bambina fra loro, difficilmente poteva succedere tra loro qualcosa che non doveva accadere.
Ora però Chibiusa era tornata dai suoi genitori e a Kenji non sfuggiva che, oggi più di un tempo, c'era il pericolo che sua figlia facesse qualcosa che non doveva fare. Fisicamente era ormai adulta, anche se mentalmente era ancora una ragazzina. Quel ragazzo poteva farsi venire strane idee e spingerla a cose per cui era pronto lui, ma non lei.
Forse lo stava giudicando peggio di quanto non meritasse, ma aveva visto fin troppi amici, quando era stato altrettanto giovane, comportarsi in modi che non aveva approvato allora e che certamente non approvava oggi. Non erano fatti che poteva ignorare, specie ora che si trattava di sua figlia.
Sospirò silenziosamente. Se solo fosse stato possibile separarli per qualche tempo: lontani, forse entrambi avrebbero capito che al mondo c'erano altre persone. Usagi magari si sarebbe invaghita di qualche altro ragazzo e avrebbe avuto una relazione meno impegnata, qualcosa di più adatto alla sua età. Così sarebbe stato tutto relativamente indolore.
Per un attimo gli sembrò strano che Chiba non si trovasse già lontano. Cercò di rifletterci, ma non riuscì a capire da dove gli fosse venuta quell'idea.
Lasciò perdere e si concentrò sul cibo che aveva davanti. Non aveva molto tempo prima di uscire.
Usagi allontanò gli occhi da suo padre e iniziò a mangiare anche lei.
Ogni volta che parlavano di Mamoru, suo padre assumeva un'espressione corrucciata. Sentir nominare Mamoru non era mai stato di suo gradimento.
Non le era sfuggito quanto fosse stato contento, quando aveva saputo che sarebbe partito per gli Stati Uniti.
E ora era chiaro che... non lo sapeva. Né lui, né sua madre né suo fratello, che non aveva trovato minimamente strano sentir nominare la vacanza che lei si era inventata sul momento. Eppure proprio Shingo l'aveva presa in giro, dicendo che le sarebbe toccato un anno da zitella, totalmente ignaro di quanto lei fosse stata male.
All'età che aveva e per quello che sapeva di lei e Mamoru, Usagi semplicemente non gliene aveva fatto una colpa.
... e così, per la sua famiglia, Mamoru non era mai andato negli Stati Uniti.
Continuò a mangiare in silenzio, chiedendosi se non avesse sistemato più di quello che aveva inizialmente pensato.
Doveva andare da Motoki per saperlo con certezza.
Sua madre parlò di nuovo. «Forse potresti invitarlo a cenare uno di questi giorni. Una sera in cui sia presente anche papà.»
Si udirono alcuni colpi di tosse. Suo padre si si stava battendo il petto.
«Non vedo perché» commentò lui. «Non c'è motivo per cui questo ragazzo ci debba incontrare entrambi così formalmente.»
Kenji sapeva che Ikuko lo aveva invitato a casa, in passato. Non aveva approvato l'accoglienza che sua moglie aveva dato in casa loro a Mamoru Chiba, ma almeno uno di loro due aveva incontrato e conosciuto il 'nemico'. Da parte sua, lui non aveva voluto in alcun modo far diventare quella relazione più seria, facendoselo persino presentare. Anche perché aveva pensato che quel rapporto potesse finire da un momento all'altro.
«Non ignorare la realtà. Sono quasi due anni che stanno insieme.»
Due anni? Detto così, sembrava tantissimo tempo. Era tantissimo tempo. Ma erano solo- «Sono ragazzini.»
Usagi sapeva riconoscere che sedici anni erano pochi per avere un fidanzato fisso, almeno in genere. Tuttavia, lei era tutt'altro che normale, anche se i suoi genitori non lo sapevano. Di questo non poteva far loro una colpa, ma non poteva nemmeno più lasciare che ignorassero ciò che era, almeno in parte. «So quello che faccio, papà. Ed è una storia seria.»
Suo padre assunse un'espressione stupita e terrorizzata. «È troppo presto perché tu dica una cosa simile.»
Usagi sospirò: non lo era affatto. «Per ora vorrei solo che lo conoscessi meglio. Tutto qui. Puoi farlo?»
Ikuko vide sua figlia guardare Kenji come già aveva guardato lei la mattina di un paio di giorni prima.
Era successo qualcosa. Non sapeva cosa, ma era successo qualcosa.
Voleva saperlo, perché nulla di quello che le veniva in mente poteva aver messo addosso alla sua bambina uno sguardo del genere. Per quanto riguardava ciò a cui non aveva pensato... l'universo delle sue paure era più vasto di quanto non desiderasse immaginare.
Ricordò all'improvviso che Usagi era stata molto triste negli ultimi mesi. Le era sembrata una cosa naturale eppure ora non sapeva spiegarsene il motivo. Come poteva non ricordarlo?
«Se ci tieni, va bene.»
Kenji capitolò davanti alla serietà dello sguardo di Usagi. Pensò che, se non altro, era ora che avesse modo di giudicare personalmente e a fondo quel ragazzo. Inoltre, c'erano sicuramente cose che doveva mettere in chiaro. Due anni. Scosse la testa e riprese a mangiare.
Ikuko scorse il sorriso dolce che Usagi rivolse prima a suo padre e poi a lei.
Era successo qualcosa, ma Usagi era ancora capace di sorridere così. Anche il giorno prima era tornata a casa felice e serena.
Le cose erano ancora a posto in fondo.
Anche se, da quel momento, voleva prestare più attenzione. E magari trovare il momento giusto per parlare con lei.
Per saperne di più sulla vita di sua figlia e non avere più, in futuro, l'impressione di parlare con un'estranea.



Un paio d'ore più tardi, Usagi suonò alla porta di Mamoru.
Lui le aprì la porta poco dopo.
«Sai che puoi usare le tue chiavi per entrare.»
Lei saltellò in casa, sorridendogli. «Non volevo essere sfacciata.» Appoggiò la borsa in un angolo e si tolse le scarpe, quindi si girò verso di lui e alzò la testa, tirando fuori la labbra. Come aveva previsto, Mamoru si sporse verso di lei per baciarla.
Lei lo incontrò a mezz'aria, stampandogli un bacio giocoso sulla bocca.
Lui sorrise apertamente.
Era da quando aveva preso la strada per arrivare a casa sua che Usagi si sentiva euforica. Dentro di sé l'aveva definita la 'sindrome della luna di miele': non erano certo sposati, ma era da molto poco che si erano conosciuti in una maniera più intima e questo sembrava averle messo addosso non solo un continuo buon umore ma anche un persistente desiderio di effusioni varie.
L'espressione di Mamoru le confermò che erano effetti tutt'altro che sgraditi, perciò diede loro libero sfogo e, ridendo, gli saltò in braccio, le gambe attorno alla vita e le braccia intorno al collo.
Si accorse dell'errore nell'istante stesso in cui dondolarono pericolosamente all'indietro.
«Ahhhh! Attento, attento!»
Mamoru indietreggiò di un paio di passi, stringendola; riuscì a ritrovare l'equilibrio solo inginocchiandosi. Scoppiò a ridere.
Scossa anche lei dalle risate, lo abbracciò felice.
«Grazie per avermi salvato» scherzò, dandogli un bacio sulla guancia.
Lui le sembrò momentaneamente sorpreso.
Quando lo sentì strofinare il naso contro il suo, lei riconobbe l'espressione di... tenerezza. In passato, l'aveva vista tante volte. Un tempo l'avrebbe definita più semplicemente un'espressione d'amore, ma ora era in grado di notare la differenza: erano tante le espressioni dell'amore. E ora lei le amava tutte.
Appoggiò la bocca su quella di lui e presto cercarne il sapore fu un bisogno impossibile da controllare. Col corpo si spinse in avanti, quasi inconsciamente.
Lui accolse il silenzioso invito e si sdraiò sulla schiena, portandola con sé.
Forse un giorno il contatto tra loro avrebbe smesso di sembrarle la cosa più incredibile che potesse esistere, ma in quel momento assaporò il calore contro di lei, il calore che nasceva dentro di lei, e sperò solo che non accadesse mai.
Strano quanto persino il pavimento potesse sembrare comodo, in quei momenti.
Le dita persero la presa sui capelli neri e si appoggiarono sulle piastrelle dure. Beh, lei stava sicuramente comoda, ma lui... Staccò le labbra dalle sue. Era ora di alzarsi.
Privato della sua bocca, Mamoru scese a baciarle prima le guance e poi il collo. «Già... forse non è il posto migliore per...»
Usagi non trattenne le risate sommesse, acuite dal fiato sul collo. Anche lui non riusciva a smettere!
Si allontanò del tutto, appoggiandosi sulle braccia tese; lo guardò con occhi divertiti. «Credo che tu abbia ragione.» Con un paio di rapidi balzi, era già in piedi che lo guardava dall'alto, girata dalla parte opposta.
Anche al contrario, l'espressione perplessa di lui era veramente buffa. «Non parlavo sul serio.»
«Troppo tardi» lo canzonò, ridendo anche della posizione da cui ancora non si era mosso.
Eppure, anche sdraiato e per terra, Mamoru riuscì ad assumere piano piano l'espressione di chi stava per colpire.
Ma che-?
«Carina la gonna.»
Lei richiuse le gambe in un unico scatto, rendendosi conto di averle avute spalancate quasi sopra la testa di lui. Si allontanò di un paio di passi, fumante.
Mamoru iniziò a ridere di gusto, rimettendosi in piedi.
Oh, non era possibile che proprio quando pensava di averla vinta... «Quelli come te hanno un nome, lo sai?»
«Davvero?»
Usagi annuì vigorosamente. «Hentai. Mamoru hentai.»
Lui non sembrò particolarmente colpito dall'epiteto. «Veramente eri tu che ti stavi mettendo in mostra.»
In mostra?!
«Sempre tu mi eri saltata addosso neanche cinque secondi prima. Adesso che ci penso... quelle come te hanno un nome, Usa.»
Di solito aveva un cuscino in mano, in questi casi.
«Se cerchi un cuscino, è dietro di te. Se vuoi, puoi provare a prenderlo.»
«Nessun problema.» Partì di scatto verso il divano.
Mamoru fece lo stesso e due metri dopo Usagi si sentì sollevare, mentre la caricava sulle spalle. «Cado, cado!» Rise sonoramente in mezzo alle grida.
Lui la appoggiò sul divano qualche istante dopo, seduta, ridendo e sistemandosi accanto a lei. Allargò naturalmente il braccio sullo schienale, permettendole di appoggiare la testa sulla sua spalla.
Le uscì un sospirò. «Sono andata da Motoki.»
«Io sono andato all'università.»
Usagi alzò gli occhi nella sua direzione. «Non sanno niente di una tua partenza, vero?»
Lui scosse la testa. «Mi è anche capitato di incontrare il professore che mi aveva presentato l'offerta di scambio. Oggi me l'ha proposta di nuovo.»
«Come
«Era come se non me l'avesse mai fatta.» Le sorrise. «Hai sistemato davvero molte cose.»
Un'altra conferma di quello che aveva già scoperto. «Anche per Motoki non eri mai partito. Sono andata a dargli la lettera, ma quando sono entrata nella sala giochi, la prima cosa che mi ha chiesto era se dovevo incontrarmi lì con te questo pomeriggio.»
«Quello che mi sembra strano è che... nella mia segreteria c'erano messaggi dell'università. E anche uno di Motoki.»
Usagi rimase in silenzio, a riflettere. «Forse non sono spariti perché tu invece dovevi sapere cosa era accaduto in questi mesi, anche se poi è stato tutto quanto cancellato. Ma... è solo un'ipotesi.» Sospirò. «È frustrante non riuscire a spiegare quello che ho fatto io stessa.»
Lui inclinò la testa di lato, appoggiandola sulla sua. «Non ti preoccupare.»
Usagi non poté far altro che annuire. «Com'è andata col tuo professore?»
«Quando ho rifiutato la proposta, ha passato minuti interi ad elencarmi a cosa stavo rinunciando. Alla fine sono stato costretto a dirgli che abbandonavo la facoltà. A quel punto mi ha chiesto una spiegazione.» Gli uscì un sospiro rassegnato. «Non avevo preparato qualcosa da dire e ho finito con l'inventare una scusa sul momento.» Si girò verso di lei, una mezza risata in volto. «Gli ho detto che stavo per sposarmi. Quando lui ha protestato ancora, gli ho detto che la mia ragazza era incinta. Solo allora si è arreso.»
Usagi ridacchiò divertita.
«So che era impossibile, ma per un momento ho desiderato potergli dire la verità. Aveva creduto in me, mi aveva sostenuto con quel progetto. Si sarebbe meritato qualcosa di diverso da una bugia.»
«Non è facile spiegare, vero?»
Dal tono che aveva usato, Mamoru capì che c'era altro dietro quelle poche parole. «No, non lo è. A chi hai dovuto spiegare?»
«Il problema è che non posso. Parlo dei miei genitori. Mi considerano ancora una ragazzina e per quello che sanno... è giusto. Ma... ecco, per fare un esempio mi piacerebbe poter dire loro che vorrei fare un viaggio da sola con te senza che questo crei problemi a nessuno. Ho nascosto per tanto tempo tutta una parte della mia vita, ma forse... solo ora sto iniziando a considerarlo un problema.»
Lui si limitò ad ascoltarla.
«Penso che la mamma abbia capito qualcosa. Un paio di volte mi sono comportata poco 'da me' a casa, in questi giorni. È una fortuna che non ci saranno battaglie per qualche tempo, almeno.»
Gli aveva parlato la sera prima del presentimento di Rei. Di quella che era più probabilmente una vera e propria previsione.
«Ah, ma c'è una cosa bella. La mamma ha suggerito che tu venissi a cena da noi, con mio padre presente. Finora si è sempre rifiutato di incontrarti come si deve, ma questa volta ho insistito.» Usagi notò l'immediato irrigidirsi nel corpo di lui e si mise dritta sul divano. «Non sarai mica nervoso?»
Mamoru fu sul punto di negarlo, a lei e a se stesso. Poi cambiò idea. «Un po'. Incontrandomi, tuo padre cercherà di capire chi sono e quali intenzioni ho verso di te. E... potrò fargli sapere la verità solo fino ad un certo punto. Non è il modo migliore per fare la sua conoscenza.» Scosse la testa. «Con tua madre è stato diverso, lei non mi ha mai visto come una minaccia per te. Tuo padre sì invece. Ricordi il mio primo incontro con lui?» Lo choc del padre di Usagi, le urla e la sua poco dignitosa ritirata, con la scusa del jogging, gli erano rimasti in testa. Decisamente, non uno dei suoi momenti migliori.
Lei non sembrava della sua stessa opinione. «È stato tanto tempo fa. A me piacerebbe solo che ti conoscesse, in modo che possa fidarsi di te un po' di più. Non mi piace l'idea di fare ogni cosa le cose alle loro spalle, ora che vorrò vederti più spesso.»
Dargli modo di fidarsi maggiormente di lui?
Mamoru non era certo che il risultato sarebbe stato quello. Avrebbe dovuto passare metà del tempo a cercare di non tradirsi, tentando di stare attento a non dire qualcosa di troppo o persino a non guardare Usagi troppo a lungo. Era abbastanza convinto che chiunque li avesse visti assieme avrebbe finito col notare quanto era profondo il loro rapporto. In tutti i sensi. A maggior ragione, lo avrebbe capito una persona che di proposito avesse cercato indizi in merito, come poteva essere un padre.
Mamoru ne sapeva molto poco, ma preoccuparsi per Chibiusa gli aveva dato una certa idea del grado di apprensione che poteva provare Kenji Tsukino. Ad esempio, sapeva che lui stesso avrebbe ucciso con le sue mani il folle che avesse mai osato avventurarsi in camera di sua figlia sotto il suo stesso tetto, se mai fosse venuto a sapere una cosa del genere.... eppure era stato proprio lui a comportarsi così, la sera prima.
Si ritrovò con sentimenti contrastanti: da una parte non riusciva a pentirsi di essere andato da Usagi; dall'altra, all'improvviso, non gli sembrò un gesto particolarmente rispettoso nei confronti dei genitori di lei. Sperò di non farselo leggere negli occhi quando li avrebbe incontrati: non era mai stato bravo a mentire su certe faccende personali. Era stato un vero fallimento persino col suo stesso professore.
La voce di Usagi lo distolse dai suoi pensieri. «Allora verrai?»
«Certo.»
Lei gli sorrise e si appoggiò ancora meglio contro il suo fianco. «Sai, ieri sera mi sarebbe piaciuto rimanere tranquillamente addormentati... dopo. Una prossima volta è meglio lasciar stare la mia stanza. Ma... mi è piaciuto molto che tu sia venuto ieri sera. Grazie.»
Grazie per quello che avevano fatto? Gli venne da ridere. «Direi che è stato... un piacere.»
Usagi rise anche lei a denti stretti, poi lo colpì piano al petto. «Senti, perché non ci sdraiamo un po' adesso? Guarda.»
Si appoggiò lungo il divano, di fianco, il viso rivolto verso lo schienale e le gambe su quelle di lui, ancora seduto; poi si avvicinò ancora di più al bordo, di lato, probabilmente per testare se ci stavano in due.
«Sembra un po' stretto.»
Lei divenne pensierosa e controllò di nuovo la propria posizione.
Gli uscì un sorriso. «Ma proprio per questo comodo, da un altro punto di vista. Va bene.» Si allungò anche lui sul divano, sistemandosi tra lei e lo schienale, su un fianco.
Usagi scoprì di avere abbastanza posto per riuscire a sdraiarsi sulla schiena e, felice, sistemò la testa nell'incavo del collo di Mamoru, appoggiandosi su un suo braccio.
Poco dopo sentì la mano di lui scendere piano sul petto.
Iniziò a provare quel desiderio che ormai ben conosceva, prima di accorgersi che le dita si erano fermate proprio in mezzo ai suoi seni. Lì diedero un paio di colpetti leggeri.
«La tua spilla... non l'hai avuta indosso in questi giorni. »
Ecco una cosa di cui avrebbe preferito non parlare.
Senza saperlo, lui continuò. «Ci ho pensato e... sei riuscita ugualmente ad usare il tuo potere senza ricorrere al cristallo, anche se in modo minimo. Forse esiste la possibilità che un giorno tu possa arrivare a trasformarti anche senza averlo con te.»
Come?
«Pensavo che magari potrei aiutarti. Ad allenarti intendo, se pensi di avere bisogno di qualcuno contro cui combattere... Cos'hai?»
Si mise a ridere come una sciocca e lo abbracciò forte.
«Cosa c'è?»
«È che... è la stessa cosa che ho pensato questa mattina. La trasformazione senza il cristallo, voglio dire. E pensavo che volessi chiedermi perché non l'avevo con me oggi.»
«Non è nella tua borsa?»
Usagi negò col capo e lui rimase in silenzio, visibilmente sorpreso.
Oh. Lui aveva creduto che lei avesse comunque il cristallo a portata di mano, anche se non su di sé.
Usagi si irrigidì: Mamoru non avrebbe approvato. Avrebbe avuto ragione, ma non-
«Ho capito.»
«È solo che-»
«Usa, lo so. Però... tra qualche giorno ricomincia a portarlo. Nemmeno io posso immaginarti in pericolo.» Le mise un braccio intorno alla vita e appoggiò il viso sui suoi capelli.
Lei chiuse gli occhi, meravigliandosi di come ogni tanto la sua anima lo riconoscesse come la propria parte mancante, esattamente come se lo stesse incontrando per la prima volta. Si lasciò cullare dall'intensità di quella sensazione, totalizzante ma portatrice di una infinita calma.
In quel momento era dove niente e nessuno le avrebbe fatto del male, con l'altra parte di sé.
La mente si sgombrò e iniziò a vagare sul nulla della tranquillità.
A lato, vedeva la tenda del balcone sollevarsi da terra, la luce del giorno tanto più forte là fuori, rispetto all'interno della stanza.
Sentiva aria, sulle gambe, sul viso... appena. L'orlo della gonna si muoveva piano, cullato dal vento.
I capelli della frangia si spostavano, accarezzandole la fronte.
Rimase ferma, con lo sguardo fisso a notare tutto e niente.
In pace.
Percepiva anche il calore del corpo di Mamoru. Il suo respiro sui capelli. E, in quel silenzio, come portato dal vento, quel suono...
Si concentrò, appoggiando meglio la testa sul suo petto. Lo sentiva appena, ma era proprio il battito del cuore di lui.
Gli angoli della bocca si spostarono
all'insù con infinita ma inesorabile lentezza, mentre la assalivano i ricordi di innumerevoli momenti.
Quel battito lo avrebbe sentito tante volte, in futuro, ma lo aveva fissato nella mente già da tempo, testimone di una vicinanza conquistata e riconosciuta come necessaria. La prima volta, la ricordava ancora distintamente, lo aveva udito con sorpresa all'orecchio, la testa appoggiata contro il petto di Tuxedo Kamen, mentre lui la allontanava da un nemico.
La volta che ricordava come più cara, lo aveva udito con la testa affondata tra le sue braccia, mentre lui la stringeva dopo aver ricordato il loro passato, quando per la prima volta davanti a loro c'era stato un vero futuro da vivere insieme.
Erano talmente tante le occasioni in cui quel suono l'aveva cullata, rassicurata.
Era un battito lento e portatore di calore la cui vicinanza le era mancata come l'aria stessa, nei mesi appena trascorsi.
Chiuse gli occhi, volendo solamente... sentire.
Nel successivo istante, vide senza vedere. Sopra di lei il cielo era scuro, immenso. Stelle brillanti, dal numero infinito. E sempre in alto, su un lato, c'era uno strano astro, quasi del tutto blu, enorme. Meraviglioso. Lei aveva le braccia nude, addosso un vestito quasi impalpabile, leggero. Rimaneva sempre quel battito, all'orecchio. Alzando lo sguardo incontrò gli stessi occhi, lo stesso viso, lo stesso sentimento. Dalle labbra che quasi la toccavano udì un nome diverso, ma sempre, sempre il proprio.
Sbatté le palpebre e fu di nuovo tutto come prima.
Serenity.
Il primo vero ricordo della sua vita passata, vissuto e non raccontato.
Era stata Serenity. Con Endymion.
Aveva sempre saputo di essere stata Serenity, ma erano state davvero una cosa sola nei momenti di pericolo e in quelli solamente.
Mentre ora... si era ritrovata come Usagi, sulla Luna, con Mamoru.
Tutto quello che aveva provato chissà quante centinaia di migliaia di anni prima continuava ad essere identico a ciò che provava adesso, grazie a quell'unica costante.
Con altri nomi, con altre vite, quel rapporto tra anime per loro era sempre uguale.
Si erano persi e poi ritrovati, in un altro tempo e in un altro pianeta.
E ora erano Usagi e Mamoru, sulla Terra.
E ugualmente erano Serenity ed Endymion, sdraiati su un divano, tranquillamente vicini, come avevano sempre desiderato.
Insieme.
Dopo guerre e tragedie, secoli dopo, erano ancora lì.
Quello che aveva in quel momento sarebbe stato suo per sempre, qualunque cosa fosse successa in futuro.
«Credo che si metterà a piovere più tardi» commentò Mamoru, sentendo aumentare la forza dell'aria che entrava dalla finestra e vedendo diminuire la luce del sole.
Usagi alzò lo sguardo su di lui. «Non ha importanza. Ti amo.»
«Come?»
«Ti amo.» Si abbandonò al calore del suo abbraccio.
«Dalla pioggia alla dichiarazione mi è sfuggito un passaggio.» Mamoru si mise a ridere. «Ma ti amo anche io.»



Nel buio del solaio entrava solo la luce della luna.
Dopo il temporale del primo pomeriggio, le nuvole si erano rapidamente dissolte.
Non c'era polvere dove lei appoggiava le mani. Sua madre doveva aver pulito da poco; credeva ancora che la nipotina Chibiusa fosse tornata a stare dai suoi genitori.
Finendo di salire le scale, Usagi si alzò in piedi: non rischiava più di sbattere la testa contro il soffito.
Si diresse verso la luce della piccola finestra. Accanto c'erano un lettino, un comodino e una scrivania.
Il piccolo letto... Sorrise. Era proprio da bambina. Minuto e con sopra le coperte decorate con buffi animali.
Vi si sedette sopra. E vi si sdraiò, raggomitolandosi per starci tutta.
Chibiusa le mancava.
Nei mesi passati, in assenza di Mamoru, era stato quasi lacerante il bisogno che aveva sentito di averla accanto. Senza di lei e senza Mamoru, era stato come vivere con un cuore incompleto, una metà persa in un colpo solo. Per tanto tempo erano stati in tre e, all'improvviso, era rimasta solo lei.
Eppure aveva sempre saputo che Chibiusa stava bene. Anzi, che stava persino là, in quel futuro dove lei e Mamoru erano insieme e felici. Quel pensiero l'aveva confortata: vi aveva fatto ricorso più volte, per togliersi di dosso la tristezza che l'aveva oppressa.
Da quando Mamoru era tornato, aveva smesso di pensarci, ma, da poco, era nato in lei un pensiero sfuggevole: quanto sarebbe stato bello poter uscire di nuovo tutti e tre insieme. Solo dopo si era ricordata che Chibiusa non c'era.
Certo, era cosciente che sarebbe potuta tornare da un momento all'altro, ma oramai erano quattro mesi che non lei non si faceva vedere. Nei precedenti viaggi era passato molto meno tempo tra una visita e l'altra. Certo, se fosse arrivata anche solo un mese prima...
Ebbe in testa l'immagine di Chibiusa che spariva nel vuoto, il seme di stella rubato.
Di scatto, si mise seduta sul letto.
No, per fortuna non era stata lì.
Sospirò e scosse la testa.
Nonostante tutta la felicità di quei giorni, quelle immagini ci avrebbero messo qualche tempo ad abbandonarla del tutto.
L'unica cosa da fare era concentrarsi su quanto di bello la circondava. Ricordi, sensazioni.
Lo sguardo le cadde sulla scrivania.
Sorrise.
Se Chibiusa fosse tornata, probabilmente non avrebbero più litigato per l'attenzione di Mamoru, come una volta.
In fondo, la bella lampada incantata di cui Chibiusa le aveva parlato, aveva nascosto più segreti di quanti lei avesse immaginato.
E in quella battaglia, anche grazie a quel ragazzo dai capelli argento, Chibiusa era cresciuta.
Ricordò lo sguardo perso nel vuoto che aveva visto spesso nel piccolo viso di lei, così simile al suo. Il primo amore.
Già, Chibiusa era cresciuta da quando era arrivata lì per la prima volta, in quel giorno lontano, nel parco, armata di una pistola giocattolo.
Una bambina che cresceva.
Ogni tanto si era domandata come mai la futura se stessa continuasse a mandarla nel presente.
Non pensava fosse indolore vivere lontani dalla propria figlia, perdersi quei momenti in cui piano piano lei diventava grande.
Allo stesso tempo, capiva la necessità di farla allenare, di farla diventare una guerriera abile. In un mondo futuro, di pace, questo non sarebbe stato possibile.
E poi la se stessa futura avrebbe saputo che-
Gli occhi le si spalancarono.
La se stessa futura avrebbe saputo che Chibiusa li avrebbe aiutati a sconfiggere Nehellenia, con l'aiuto di Pegasus.
Avrebbe saputo che contro il Faraone 90 Chibiusa sarebbe stata fondamentale per Hotaru e che da questo sarebbere dipese le sorti delle battaglia.
Avrebbe anche saputo che... Trattenne il respiro.
Non c'era stato alcun bisogno di Chibiusa contro Galaxia. Ecco perché non era tornata.
C'è una buona notizia. Ho percepito anche che non avremmo battaglie per almeno un paio d'anni.
Nella mente le risuonarono le parole di Rei.
Niente battaglie per i due anni che sarebbero venuti.
Niente Chibiusa.
Scosse la testa.
Forse stava esagerando. Magari Chibiusa sarebbe tornata in visita. Forse non a lungo, ma almeno in visita.
Lo sperò tanto. Semplicemente, senza di lei le cose non erano più come prima.
Portò le ginocchia al petto e appoggiò lì la testa, guardando la luna fuori dalla finestra, ormai non più piena.
Cercando di rilassarsi, chiuse gli occhi.
All'improvviso, dietro di sé udì un insieme di rumori... magici.
Quando si girò, una luce intensa le accecò la vista.
Un tonfo. «Ahi!»
E una voce femminile. Che lei non riconosceva.
Balzò in piedi sul pavimento e assunse una posizione di difesa.
Non aveva la spilla. Era di sotto.
Ironico che le paure di quella mattina si dovessero concretizzare con tanta velocità.
Maledizione.
Prima che potesse pensare ad altro, nella parte del solaio non illuminata dalla luce si mosse una figura.
Il suo stesso corpo impediva alla già poca luce presente di arrivare a coprire quell'angolo della stanza, perciò si spostò appena e riuscì a vedere meglio.
La figura ora era in piedi. Sembrava una ragazza. In una posa... inoffensiva.
Era comunque un'estranea dentro casa sua, perciò non si fidò. «Chi sei?»
Le sembrò di sentire una breve risata dalla sconosciuta. La vide avanzare a passi lenti verso la luce.
Si preparò ad attaccare, pensando a come fare per riuscire a spostarla dal proprio cammino e correre rapidamente di sotto.
Fermò ogni movimento quando vide la faccia della ragazza.
La propria faccia.
Ma che-?
Un nemico?
Un'illusione?
Mille idee le attraversarono la testa e la sconosciuta parve capirlo.
Si fermò e andò a toccarsi i capelli, portandoli sotto la luce. Parlò per la prima volta. «Non capisci?»
I capelli della ragazza non erano biondi. Per via della poco luce all'inizio non capì bene, ma poi... rosa. E i codini non erano rotondi, ma coni rovesciati e alti.
Non era possibile.
Non- «Chibiusa?»
Ebbe come l'impressione che fosse stata la sua voce a giungere a quella conclusione, ben prima della sua testa.
La ragazza le sorrise dolcemente.
Nella curva di quelle labbra Usagi riconobbe il sorriso di Mamoru, quel particolare che solo lei aveva notato, nel tempo.
Nel viso della ragazza brillarono gli stessi occhi marroni della bambina che lei aveva amato.
«Chibiusa?» ripeté, avvicinandosi.
Un cenno della testa confermò le sue parole. «Anche se nessuno mi chiama più così.»
«Chibiusa?»
«Sì, Usagi. Sono Chibiusa. O Usagi. Sono Usagi.»
Usagi alzò una mano per toccarle il viso e non ci furono né proteste né movimenti.
Si stupì nel venire a contatto con la pelle fresca, nonostante ogni altra prova che aveva avuto.
Era vera.
E grande. Alta quanto lei e all'incirca con la sua stessa età.
Vestita come una principessa.
«Ma...»
«Sediamoci Usagi. Ti spiego.»
Usagi si lasciò prendere la mano, facendosi condurre verso il letto. Ancora una volta, nel gesto tranquillo e deciso, la nuova Chibiusa le ricordò Mamoru.
Anche da seduta, Usagi continuò a guardarle il viso, memorizzando le fattezze ormai adulte. Erano le sue, ma, allo stesso tempo, erano proprio quelle di Chibiusa.
«Sei... »
«Cresciuta» finì Chibiusa.
Usagi annuì.
«Sì» le confermò lei, poi fece una pausa, come se stesse cercando le parole giuste.
Chibiusa cresciuta. Per quale motivo doveva tornare indietro da grande? Forse... «C'è qualche problema, un nuovo nemico?»
«No no, sta tranquilla. Nessun nemico.» Vi fu sorpresa per la conclusione a cui era arrivata.
Usagi si tranquillizzò. «Ma allora perché...»
«Aspetta. Aspetta un attimo.» Chibiusa rimase a contemplarla per qualche istante; poi, all'improvviso,
le gettò le braccia al collo. «Mi sei mancata tantissimo, Usagi.»
Nel profumo dei suoi capelli Usagi riconobbe l'odore di Chibiusa. Un po' cambiato, più maturo, ma sempre quello stesso odore.
La abbracciò forte e sorrise di gioia: ecco, in quell'abbraccio improvviso riconosceva molto di se stessa. «Anche tu, Chibiusa. Mi sei mancata da morire.»
Si staccarono.
Chibiusa continuò a guardarla con aria commossa e le sembrò che deglutisse un groppo alla gola. «Secondo quello che ha detto Puu, qui non sono passati più di quattro mesi da quando sono venuta l'ultima volta.»
Già.
«Per me... sono passati anni da quando sono sono stata in questo tempo.» Un sospiro. «Usagi... questa sarà l'ultima volta che ci vedremo, prima che io nasca.»
Per Usagi fu come una pugnalata al cuore. Anche se, nel vederla grande, in un angolo della sua mente lo aveva già capito. Chiese lo stesso, stupidamente. «Non- Non tornerai come...»
«No, non tornerò da bambina qui.»
Usagi rimase in silenzio, ogni parola dimenticata. Se avesse cercato di parlare, probabilmente avrebbe solo pianto.
Chibiusa continuò. «L'ultima volta che sono venuta in questo tempo è stato durante l'ultima battaglia contro Nehellenia. Vi avevo promesso che sarei tornata. Volevo tornare, ma la mamma non me l'ha permesso.»
Lei stessa le aveva proibito di tornare?
«La mamma mi ha raccontato solo recentemente in modo preciso cosa è accaduto in questi mesi, in questo tempo. Anni fa non l'avrei mai detto, tanto ero arrabbiata con lei, ma... è stato meglio che io non sia stata qui. Era pericoloso e sarei stata... d'intralcio.»
«No!» Si affrettò a smentirla. «È vero, sarebbe stato molto pericoloso per te, ma... non hai idea di quanto tu mi sia mancata in questi mesi. Se tu fossi stata qui, io credo che forse sarei stata meno male, che forse...» Sospirò e mosse la testa da un lato all'altro. «Saprai di cosa sto parlando. Ma anche così, no, per il tuo bene è stato meglio che tu non sia stata presente. Ma non perché saresti stata d'intralcio.»
Chibiusa le appoggiò una mano su una spalla. «Grazie. Sì, so cosa è successo con Mamoru. Dev'essere stato difficile... a dir poco.»
Usagi non poté far altro che annuire.
«Ma è passata, Usagi. Ora siete felici.»
Chibiusa che le faceva forza. Lo aveva fatto già da piccolina, ma ora...
«Sai, mi sembra così strano parlarti così, mentre sono grande. È... diverso.»
Usagi le mostrò un sorriso. «Stavo pensando la stessa cosa.»
Chibiusa ridacchiò, tirando fuori la lingua con fare sbarazzino. «Ci somigliamo di carattere anche dopo tanti anni.»
«Sì.» Con una mano, Usagi le accarezzò il viso. «Mi somigli davvero molto.»
«È vero, lo dicono tutti.» Il tono sembrava quasi... soddisfatto.
«Tutti chi?»
«La mamma, il papà, le altre guerriere e... beh, le persone.
» Sorrise, quasi come se nascondesse un segreto. «Le persone su cui regniamo. Dicono che somiglio sempre più ad una vera regina.»
«Col nostro aspetto?» Usagi era incredula.
Chibiusa scoppiò a ridere, piano. «Sì. Non mi ero mai accorta di quanto fosse assurdo.»
«E... tu stai bene, nel futuro?»
Chibiusa tornò lentamente seria e guardò nel vuoto, come se avesse la mente in un mondo lontano. «Sì, sto molto bene. Ho delle amiche ora, care amiche. E... sento di aver trovato il mio posto. A casa mia. È un traguardo, se ci pensi.» Sorrise e poi si voltò verso di lei, guardandola negli occhi. «Usagi, il mio apprendistato era finito. Dentro di me avevo imparato ad essere una guerriera. E nella battaglia che stavi per combattere tu non c'era più bisogno di me.»
E per questo non era tornata. Come aveva sospettato. «Chibiusa, nonostante quello che dicevo a volte, tu per me non eri un peso, eri come...»
«Una sorellina?»
Usagi si ritrovò ad annuire, sorpresa.
«Me l'ha detto la mamma. Anche tu eri come una sorella per me, Usagi. Ma... tu hai solo sedici anni. E una sorella che è anche tua figlia non è proprio la cosa migliore.»
Usagi fu sul punto di protestare, ma Chibiusa la interruppe. «So che mi volevi bene, ma ora che sono grande come te credo di riuscire a capire meglio perché ti facevo arrabbiare tanto spesso. Per la verità, non so nemmeno come reagirei se capitasse a me di dover vivere con la mia futura figlia intorno.» Le sorrise ma allo stesso tempo assunse un'espressione più grave. «Mamma ha detto che non c'è nessun problema a parlartene, ora. Dice che tu e Mamoru sapete quanto tempo manca più o meno prima che... il presente incontri il futuro.»
«Sì.»
«Non sono poi così tanti anni, Usagi. È giusto che tu sia solo una ragazza ora. Che tu stia sola con Mamoru, che tu cresca per diventare quello che sarai in futuro. Non chiedermi se ci saranno altre battaglie prima di allora, questo non posso dirtelo.»
Usagi si sentì prendere le mani fra quelle di lei.
«Avrai una vita intera per stare con me. Crescendo, ho rivisto un po' più di te nella mamma. Mi ha detto che è questo il periodo a partire dal quale tu... inizierai a diventare lei. Sai, quando stavo qui non facevo che chiedermi come tu potessi essere la mia mamma, che quando voleva invece riusciva a essere così elegante e seria.» La osservò attentamente. «Mi è stato detto anche che l'hai deciso da poco.»
Usagi annuì ancora una volta.
«Vedi? Sono cambiate così tante cose in questi mesi per te. L'Usagi che conoscevo io non avrebbe mai preso una decisione del genere.»
L'Usagi che conosceva lei era stata così sicura che la piccola Chibiusa sarebbe stata ancora a lungo una costante della sua vita...
«Io e te staremo ancora insieme, perciò non essere triste.» Chibiusa le strinse più forte le mani e aspettò che lei alzasse lo sguardo per continuare. «Ho già parlato con le ragazze e con Mamoru, tu eri l'ultima che volevo salutare, prima di lasciare questo tempo.» La abbracciò. «Ti voglio bene, Usagi. La prossima volta che ci rivedremo, avrò la vista sfocata e non sarò più lunga di cinquanta centimetri.»
Nonostante le lacrime che ormai le stavano cadendo dagli occhi, Usagi trovò il modo di ridere.
Chibiusa le diede un bacio sulla guancia e, quando si allontanò, Usagi vide che stava piangendo anche lei, pur cercando di trattenersi.
«Ricordati che quando tornerò dall'altra parte, ci sarai proprio tu ad aspettarmi. Sto solo tornando da te.»
Usagi non riuscì a lasciarle le dita.
Chibiusa si passò l'altra mano sulle guance, asciugandole. Inspirò profondamente e la guardò dritta negli occhi, serena. «Allora... arrivederci, mamma.»
E sparì, in un bagliore di luci.
La Chibiusa dei suoi anni adolescenziali se ne andò così, in una notte d'estate.
Usagi non si mosse, sentendo ancora la sua mano tra le proprie.
Si trovava sul lettino dove tante volte Chibiusa aveva dormito.
Ancora prima, nel proprio letto, aveva spesso sentito il respiro della bambina che dormiva beata, per poi calciarla nel mezzo della notte.
Le mille scocciature, le mani con cui tirava la giacca di Mamoru per farsi prendere in braccio, le battute intelligenti, le liti per prendere il pezzo di torta più grande, le battaglie da Sailor ChibiMoon, la sua testardaggine, il suo coraggio...
Usagi sentì un vuoto dentro, all'altezza del petto.
Si strinse il torso con entrambe le braccia, per non crollare. Respirò e tentò di dare aria al corpo intero.
Infine, ricordò.
Chibiusa sarebbe tornata alla vita proprio da dentro di lei. Sarebbe nata da lei e Mamoru.
Lei l'avrebbe stretta di nuovo un giorno, piccolina, pronta a darle tutto il suo amore.
L'avrebbe vista crescere, l'avrebbe educata, amata e poi... l'avrebbe lasciata sola per affrontare una battaglia. E allora quella sua bambina sarebbe tornata nel passato, dove sarebbe andata tante altre volte, dopo. Le sarebbe mancata anche allora ma un giorno, finalmente, sarebbe rimasta a casa, con lei.
Con lei, sua madre, e con Mamoru, suo padre.
Per vivere insieme ancora, prima che diventasse grande come l'aveva appena vista e cominciasse a costruire una propria vita, un proprio destino.
A quel punto pianse davvero, e furono lacrime di gioia e tristezza.
Sì, Chibiusa era tornata dove doveva stare, con l'altra se stessa, quella di cui era davvero figlia in ogni senso.
Chibiusa, la piccola Usagi.
Si asciugò le lacrime e fece un profondo respiro.
Sua figlia.
Avrebbe avuto una figlia.
Avrebbero avuto una figlia.
Non era affatto la fine.
Tutto doveva solo ancora iniziare.



Camminava nel parco, in pieno pomeriggio.
Era una giornata come le altre, eppure nuova.
Andava dalla ragazza che amava, con la consapevolezza che non avrebbe più rivisto quella bambina che aveva tanto amato.
Parte di lui, parte di lei.
Ma sarebbe tornata, in futuro, in una forma diversa e lui sapeva che, inverosimilmente, l'avrebbe amata ancora di più.
Tornò a guardarsi intorno.
Coppie che passeggiavano, gente che leggeva, cani coi loro padroni, bambini che correvano.
Vita. Uno scorcio di esistenza quotidiana.
La loro non era mai stata una vita normale.
Eppure, qualche tempo, avrebbero vissuto completamente la quotidianità tanto comune ad altri.
Li aspettavano anni di pace.
Ed erano già iniziati.
Mamoru sorrise apertamente e iniziò a correre.

Era sdraiata sull'erba, nel parco, gli occhi al cielo.
Sotto di lei, un manto erboso. Intorno a lei, quell'odore di terra che aveva sempre trovato così piacevole, così vivo.
Usagi girò la testa di lato. La mano era appoggiata sulla distesa verde.
Osservò la brezza del vento muovere delicatamente i fili d'erba, come in una danza. Ne accarezzò uno, dalla radice fino alla punta. Contro le sue dita, danzò. Lei ricambiò la sua armonia con un sorriso dell'anima.
Alzò nuovamente lo sguardo.
Il sole le accecava la vista, fonte di vita.
In un lato del cielo, timida, sbiadita, stava la Luna. Era ancora presto per iniziare a illuminare la notte.
Luna.
Era stata casa, un tempo.
Forse, col passare dei mesi, degli anni, avrebbe ricordato sempre di più.
Ora vedeva solo quel cielo scuro e immenso di quell'unico ricordo, con a lato... la Terra.
Lei l'aveva guardata da lassù, in un'epoca lontana.
E ora viveva proprio lì, proprio qui.
Questa, ora, era casa.
Un tempo era stata una principessa della Luna, erede del potere di quel pianeta.
Ora...
Affondò la mano nella terreno.
Ora era un'abitante della Terra.
Sarebbe stata la sua regina.
Quella Terra che aveva a lungo sognato da lontano ora era parte di lei, totalmente parte di lei.
La amava.
Ed era lì che avrebbe costruito un futuro.
«A cosa stai pensando, lì sdraiata?»
Sorrise allo sguardo felice sopra il suo. «A questo mondo.»
Gli tese una mano.
«Vieni anche tu.»
Lui prese la mano offerta e si sdraiò accanto a lei.


FINE



Note del Luglio 2010:
Questa fanfic appartiene alla saga di 'Oltre le stelle'. Il sequel diretto è 'Oltre le stelle - scene' e prosegue poi con storie dedicate ad Ami e Rei e agli altri personaggi in due one-shot e una raccolta di one-shot, fino ad arrivare al sequel di 'Oltre le stelle', 'Verso l'alba', una fanfiction in cui sto cercando di costruire una sorta di proseguimento vero e proprio di Sailor Moon e dare attenzione anche a tutte le altre guerriere (Makoto e Minako in primis, ma anche le Outer Senshi e alcuni nuovi personaggi di mia creazione), nonché naturalmente a Usagi e Mamoru. Vi sono storie d'amore, momenti drammatici, combattimenti e situazioni comiche, tutto cercando di rimanere sempre IC.
Ringrazio le 84 persone che hanno messo 'Oltre le stelle' tra i preferiti e tutti coloro che hanno recensito questa storia. Per me sentire cosa pensate (critiche o complimenti che siano) è sempre un enorme e grandissimo piacere.
ellephedre

NdA originali: Un po' mi sono commossa.
La fine della mia prima storia a capitoli.
Questa forse è stata la parte più difficile da scrivere; molte scene non le avevo già avute in mente, come in precedenza. Ma, con pazienza, mi sono venute mentre scrivevo e sono soddisfatta del risultato finale.
Spero che il finale vi sia piaciuto.
Grazie a tutti coloro che hanno seguito questa storia.
Grazie alle ventotto persone che l'hanno inserita tra i preferiti. Grazie per averla voluta tenere sempre d'occhio. A chi di voi non ha mai lasciato un commento, chiederei solo un paio di parole, perchè è sempre bello sapere cosa ha attirato la vostra attenzione.
Un grazie particolare a tutti coloro che mi hanno lasciato un commento. È stato sinceramente una gioia leggere ciò che pensavate. Mi avete fatta ridere, mi avete reso fiera del mio lavoro, mi avete dato persino idee per scrivere :)
Mi riferisco alla breve one-shot che ho scritto già per metà in risposta alle domande 'Mamoru verrà mai a sapere cosa ha detto Usagi alle sue amiche? Le amiche si tradiranno?'
Sarà un pezzo divertente (spero almeno di riuscire a rendere bene il divertimento). Non si adattava come tono al finale di questa fanfic, però ho voluto scriverne comunque.
Lo pubblicherò fra non molto, ma solo dopo la one-shot su Rei, un'idea che mi ha molto preso. Anche quella fanfic sarà comunque collegabile all'universo di 'Oltre le stelle' (ovvero, la Usagi che troverete lì sarà proprio questa Usagi, più o meno due anni dopo; la sua però sarà giusto una breve apparizione).
Ancora non ho deciso se continuare questa saga, anche se ho diverse idee (al momento l'idea che prende corpo nella mia mente è di scrivere cosa inizia a succedere due o tre anni dopo la fine di questa storia), ma se metterò per iscritto tutto ciò, non si tratterà di un progetto piccolo, per cui probabilmente non lo pubblicherò in tempi brevi.

Un paio di note:
- 'hentai' per chi non lo sapesse è un termine giapponese che indica tutto ciò che è 'pervertito'. Si potrebbe tradurre sia così che con 'maniaco'.
- Kyushu è l'isola più meridionale dell'arcipelago giapponese. È considerata un buon luogo di villeggiatura per quel che poco che so, anche per via del clima caldo.
- Yokohama è davvero molto vicina a Tokyo. Date le dimensioni delle due città, sono di fatto considerate un unico grosso conglomerato urbano a livello di densità abitativa

Ah, a luciadom che mi chiedeva di inserire un carattere più grande: un trucco che funziona è quello di allargare i caratteri della pagina tramite il browser; si può adattare i testi alla dimensione preferita se si fa così.

Salutandovi, volevo consigliarvi, nel caso vi sia piaciuta la mia storia, di leggere le storie che ho messo fra i preferiti. Meritano.
Grazie di aver letto e spero di sentirvi in una recensione.

Ciao a tutti
ellephedre

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=279932