Il mio posto è con Te

di leila91
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Storie accanto al fuoco ***
Capitolo 2: *** L'importanza di un nome ***
Capitolo 3: *** Un tuffo nel passato ***
Capitolo 4: *** Io voglio di più ***
Capitolo 5: *** Incontri inaspettati ***
Capitolo 6: *** Alla corte di Re Elessar ***
Capitolo 7: *** Lettera alla mia famiglia ***
Capitolo 8: *** Il mese di Marzo ***
Capitolo 9: *** E' tempo di tornare ***
Capitolo 10: *** Buoni propositi, frasi a sproposito ***
Capitolo 11: *** Il mio posto è con te ***
Capitolo 12: *** Tutto è bene quel che finisce meglio ***



Capitolo 1
*** Storie accanto al fuoco ***


Ciao a tutti!
Ecco qui il primo capitolo della mia storia.
E' la mia prima fanfiction, spero proprio vi piaccia! Adoro gli Hobbit e per inaugurare la mia "carriera" ho scelto loro; in particolare la "new generation".
Il tema principale è la storia d'amore tra i figli di Sam e Pipino ma ovviamente fanno capolino anche i vecchi protagonisti =).
Una piccola nota: so che lei nella versione italiana è Cioccadoro, ma preferivo il nome originale.
Volevo ringraziare moltissimo 
Marta, per i preziosi consigli e tutto l'aiuto e il sostegno. Grazie carissima!!
Un saluto speciale a 
evelyn80 e 

 

“E fu così, che l’Anello del Potere venne distrutto; la pace e la giustizia tornarono nella Terra di Mezzo, e a Gondor vi fu di nuovo un Re.”

Samvise Gamgee richiuse il pesante libro dalla copertina rossa, che teneva sulle ginocchia e si abbandonò con un sospiro, contro lo schienale della poltrona sulla quale era seduto, chiudendo gli occhi.

La stanza, era illuminata dal fuoco acceso nel camino e nell’aria, vi era un gradevole aroma di dolce, mischiato a Erba Pipa.
Attorno a lui, sedevano sua moglie Rosie e cinque dei loro undici figli: Merry, Pipino, Ham, Rosie e la piccola Goldilocks.
Sam sorrise tra sé: era sposato da quasi vent’anni ormai, ma ogni giorno sembrava essere il primo. 
Era impossibile annoiarsi con quella combriccola di piccoli esasperanti Hobbit, che tenevano occupati, lui e sua moglie, praticamente ventiquattrore al giorno.
E come se non bastasse, Rosie era di nuovo incinta!
Ma Casa Baggins era grande; il lavoro non mancava, e Sam non avrebbe cambiato nulla nella sua vita.
Avrebbe soltanto voluto che anche Lui fosse lì con loro: Frodo Baggins; il suo amato padrone, il protagonista delle storie che ogni sera raccontava alla sua famiglia.

Egli sen’era andato ormai da molto tempo con suo zio, padron Bilbo.
Assieme, erano partiti per le Terre Imperiture, qualche mese dopo la nascita di Elanor; primogenita della famiglia Gamgee, ormai diventata una splendida fanciulla, dalla bellezza simile a quella di un Elfo.
Prima di partire Frodo, aveva designato Sam come suo erede, lasciandogli Casa Baggins ed ogni altra sua proprietà; ma il dono più prezioso era forse stato il libro rosso, che raccoglieva le avventure di Bilbo, e quelle della Compagnia dell’Anello.

“Hai così tanto da godere, da vivere, da fare,” erano state le sue ultime parole per lui; quasi avesse potuto vedere il futuro, tutti i figli che sarebbero venuti e che avrebbero portato il suo nome e quello dei loro amici più cari.“ La tua parte nella storia continuerà.”

“Avevate ragione, naturalmente,” pensava ora Sam, “Il mio posto è qui, nella Contea, con la mia famiglia.”
Ma, nonostante questo, in ogni sua giornata, una punta di tristezza e nostalgia, creata da quell’addio, lo accompagnava costantemente.
“Avrei tanto voluto che anche voi aveste potuto godere di tutto questo ed essere felice come lo sono io... Ma le vostre ferite erano troppo profonde e a volte, qualcuno deve rinunciare a ciò che ama di più, affinchè altri possano conservarlo... Vi prometto che farò del mio meglio, caro Padrone!”
E nel suo piccolo, Sam si sforzava davvero. Per questo raccontava quella storia, sua e dei suoi amici più cari, ai suoi figli e a chiunque desiderasse ascoltarlo: per mantenere vivo il ricordo dei tempi passati, e fare sì, che anche gli ingenui e pacifici Hobbit non dimenticassero il Grande Pericolo.
Solo in questo modo, pensava Sam, avrebbero amato ancora di più la loro cara Contea e sarebbero stati pronti, se necessario, a battersi per tutto ciò che ritenevano caro.

“Beh, vecchio mio? Che fai? Ti sei addormentato?”

Una voce giocosa riportò Sam alla realtà, il quale ridendo, aprì gli occhi e si voltò in direzione della voce.  
Quella sera, come molte altre sere in realtà, erano ospiti a Casa Baggins i cugini di Frodo: Meriadoc  “Merry” Brandibuck, signore della Terra di Buck, e Peregrino “Pipino” Tuc, che tutti ormai chiamavano “il Conte”.
Era stato proprio quest’ultimo a parlare, con la solita irriverenza che lo aveva sempre contraddistinto.
“ Stai diventando vecchio ormai, Sam,” ghignò di nuovo.
“ Già,” gli diede man forte Merry, “Crolli addormentato prima tu dei tuoi figli.”
“Vi conviene portarmi rispetto cari miei, se non volete che vi proibisca l’ingresso a tutte le future feste e banchetti! E come Sindaco sapete che posso farlo!” ribattè Sam con un risata.
I due impallidirono all’istante.
“Beh, famiglia, credo sia arrivato il momento di andare!” disse Pipino fingendosi terrorizzato. 
“Grazie per l’ospitalità, vi aspettiamo a Tucboro la prossima volta!” esclamò sua moglie Diamante, rivolgendosi a Rosie.
“E la volta dopo a Villa Brandy,” aggiunse Estella, moglie di Merry, prima di accomiatarsi assieme al marito.

Pipino volse gli occhi nella sala, alla ricerca del suo figlioletto Faramir.
Il piccolo, non avendo fratelli e sorelle, aveva stretto un’amicizia profonda con la “banda Gamgee”, così li chiamava la gente.
Nonostante giocasse volentieri con tutti loro, senza distinzioni, negli ultimi tempi sembrava prediligere in maniera particolare la compagnia della piccola Goldilocks.
Anche quella sera, infatti, avevano ascoltato la storia seduti vicini, e ora, si erano leggermente staccati dal gruppo; quasi persi in un mondo tutto loro.
Pipino sorrise nel guardare suo figlio, mentre affascinava Goldilocks con dei nuovi racconti di sua invenzione.
Quella scena gli faceva ripensare a quando, anni prima, appena tornati dal Viaggio, anche lui e Merry amavano farsi belli con le giovani Hobbit, raccontando loro le avventure trascorse insieme.

“Forza, Faramir, è ora di andare,” disse poi, un poco dispiaciuto nel doverli interrompere.
“Devi proprio andare, Amir?” chiese Goldilocks, che faceva ancora fatica a pronunciare correttamente il nome dell’amico, così diverso da qualunque altro nome a cui fosse abituata.                
“Prometto di restituirtelo domani, madamigella,” rispose Pipino, strizzandole l’occhio e strappandole un risolino.             
“Buona notte, Gold! Ci vediamo alla vecchia Quercia domani, per combattere gli orchi!” disse Faramir.                                      
“Promesso!” rispose lei.                 

“Combattere gli orchi! Io e Peregrino dobbiamo fare un discorsetto!” borbottò Sam tra sé e sé, prima di rivolgersi alla figlia, dicendo: “A nanna, riccioli d’oro! I tuoi fratellini dormono già!”
L’accompagnò poi fino alla sua stanza, dove riposavano già i quattro figli più piccoli, che non avevano ascoltato la storia. 
“Buona notte, piccola mia” mormorò l’Hobbit, richiudendo poi la porta e avviandosi infine, verso la propria camera.

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Capitolo 2
*** L'importanza di un nome ***


L'IMPORTANZA DI UN NOME:

“Ripetilo se ne hai il coraggio!!”                                                                           
“Ma certo che te lo ripeto! Hai un nome ridicolo! ‘Faramir’! Cosa avevano bevuto i tuoi genitori quando sei-”
 
Ma Rudy Serracinta non potè continuare oltre: l’insulto ai suoi genitori fu la goccia che fece traboccare il vaso, e che portò Faramir Tuc a scagliarsi contro il suo aguzzino.
Non era la prima volta che i suoi coetanei di Tucboro lo tormentavano, e in genere, finiva sempre in quattro contro uno. Quel giorno però, Rudy non girava con la solita banda di bulletti di cui amava credersi il capo e così, Faramir cercò di approfittarne.          
Dopo averlo atterrato, cominciò a colpire il ragazzino in qualunque parte del corpo fosse possibile raggiungerlo, con una rabbia inconsueta per lui; forse da troppo tempo repressa.                                                              
 
“Lasciami andare moccioso!!” urlava l’altro, tentando di difendersi; tirando graffi e mordendo le braccia del Tuc.
“Amir, no! Cosa stai facendo?!” Una vocina terrorizzata sembrò riscuotere Faramir, che si voltò e scorse Goldilocks alle sue spalle.
Lei lo guardava a bocca aperta; c’era paura nei suoi grandi occhi nocciola, quasi come se non riconoscesse più il suo amico. Approfittando di quell’attimo di distrazione, Rudy lo colpì al volto, e sfuggendo alla sua stretta, balzò in piedi, trafelato.
“Ecco, dai retta alla tua amichetta!”,urlò, “Stai pur certo che lo dirò a mio padre” aggiunse poi, allontanandosi di corsa.
“Schifoso piccolo codardo” mugugnò Faramir, mentre lo guardava allontanarsi.
“Amir, stai sanguinando!” esclamò Goldilocks visibilmente preoccupata.
 
Il ragazzo aveva i pantaloni strappati e un taglio lungo la coscia sinistra.
 
“Sto benissimo, grazie!”, borbottò lui, rosso in viso. “Non ho bisogno del tuo aiuto, io..”: non riuscì a continuare.
La tensione sembrò piombargli addosso tutta all’improvviso, e iniziò a singhiozzare, senza riuscire a fermarsi.
Goldilocks allora, gli prese dolcemente la mano e lo fece sedere su un muretto poco distante.
Limitandosi poi, a stringerlo forte, carezzandogli teneramente i capelli finché non si fu calmato.
“Ti aspettavo alla Vecchia Quercia come d’accordo” mormorò titubante, “cosa è successo?”.                                                                                               
“Il mio nome non è ridicolo! Io..io sono onorato di chiamarmi così! Tuo padre diceva..”                                                                                 
 “Ma certo che non è ridicolo! E’ questo che ti ha detto quell’idiota?!”, sbottò la bambina indignata.
“Faramir, il tuo è un nome così bello! E ha un suono così dolce...” Goldilocks arrossì e ammutolì di colpo: l’aveva detto davvero ad alta voce?!
“Il mio nome invece è così banale… riccioli d’oro, capirai! Metà delle bambine che conosco hanno i capelli biondi” continuò, come tra sé e sé.
“Non essere sciocca, il tuo nome è perfetto per te!”, rispose bruscamente Faramir, pentendosi subito dopo del tono usato.
 Avrebbe voluto aggiungere tante altre cose; avrebbe voluto dirle che lei non era semplicemente bionda, no signore!                             
 “Gold”, le avrebbe detto, se solo quella maledetta lingua si fosse scollata dal palato, “tu non sei semplicemente bionda. I tuoi capelli sono incredibili; sono come il sole nella giornata più bella d’estate. Sono come il grano nei campi a primavera ed io non riesco a immaginare un nome, che sia più adatto per te di quello che hai già”.
Ma non riuscì a trovare né la voce, né il coraggio, e quelle parole non dette, gli rimasero come un piccolo peso sul cuore; senza che sapesse tuttavia, spiegarsi bene il perché.
Incurante del suo tormento, Goldilocks gli sorrise serena; un sorriso innocente e sincero, che lui non poté non ricambiare.
“Bene. Sarò orgogliosa del mio nome, se tu continuerai a esserlo del tuo” gli disse lei.
“Ma certo!” promise lui, “Però…Gold” le disse poi, il tono tornato quello allegro di sempre, “Guarda laggiù! I miei occhi s’ingannano, o quella là in fondo è una marmaglia di orchi?!”                                        
 “Avete ragione, capitano Faramir! Difendiamo i nostri confini!”         
“Per la Contea!” urlò Faramir, e ridendo come un matto, si lanciò a rotta di collo giù dalla collina, subito imitato dall’amica.
La zuffa con Rudy sembrava non essere mai avvenuta, come pure il turbamento improvviso, che li aveva colti poco prima in quell’inaspettato momento di intimità. Ora c’erano solo due piccoli Hobbit scatenati, che si divertivano come a volte solo i bambini sanno fare,degli orchi da combattere e una casa da difendere. 
 
Di essere nei guai, Faramir lo dava già per scontato. Il taglio lungo la gamba sinistra, i calzoni strappati, e l’ematoma sul volto, dovuto al pugno di quel vigliacco di Rudy, parlavano praticamente da soli.
Quello che non si aspettava però, rincasando quella sera, era di trovare suo padre, e non sua madre, ad attenderlo sulla soglia di casa.
Un cipiglio decisamente severo, attraversava il volto, di solito bonario, di Peregrino Tuc.
“Lo sceriffo è appena andato via” sibilò non appena suo figlio fu abbastanza vicino, “pare che il suo piccolo Rudy abbia qualche costola rotta, per non parlare del naso!”
Faramir fece un respiro profondo prima di rispondere:
”Non sono stato io a cominciare!”
“Però sei stato tu a finire!” lo rimbeccò suo padre, “Faramir Tuc, non ti ho insegnato proprio niente?! Rudy Serracinta è forse l’Hobbit più spocchioso e arrogante di Tucboro, ma cosa diavolo può mai averti fatto per doverlo ridurre così?! Azzuffarsi in quel modo, come foste degli Orchetti!”
 
Faramir non aveva mai visto suo padre così infuriato. Per tutta la vita era sempre stato il suo complice, il suo confidente, il papà buffo e spiritoso che amava far arrabbiare o ridere sua moglie, e che difendeva sempre il suo figlioletto dalle sfuriate della madre. Il giovane allora, si rese conto di averlo davvero deluso per la prima volta nella vita, e fu questa consapevolezza, più che la sfuriata in sé, a portarlo sull’orlo delle lacrime. Pipino rimase del tutto spiazzato: Faramir era un bambino solare (dopotutto aveva ereditato molto del suo carattere!) e non piangeva mai; soprattutto non davanti a lui! Incerto su come muoversi, aspettò che fosse il ragazzo a parlare. La risposta che arrivò, tuttavia, non era decisamente quella che si aspettava:
 
“Padre.. perché mi hai dato un nome così..così diverso ecco? Quasi tutti dicono che è ridicolo. No!” aggiunse, vedendo che Pipino stava per ribattere, “Non mi fraintendere, sono felice di chiamarmi così! Vorrei solo… ecco..”                                                               
“Saperne di più su Faramir?”, finì per lui Pipino, il volto ormai raddolcito.                                                                                       
“Sì! Mastro Sam parlava di lui nelle sue storie, so che era un capitano di grande valore ma..”                                                              
“Innanzitutto non ‘era’, bensì ‘è’!” lo interruppe Pipino, “E’ ancora il Sovrintendente del regno di Gondor, e spero lo rimanga per molti altri anni.”                                                                                          
“Gondor..” mormorò Faramir, lo sguardo improvvisamente sognante.
“Già”, rispose suo padre con un sorriso. “Coraggio rientriamo! La cena è già pronta e parleremo meglio a stomaco pieno. E’ giusto che tu conosca la storia di uno degli uomini più valorosi che io abbia mai conosciuto, e del quale devi essere fiero di portarne il nome!”.
 
Così dicendo, Pipino rientrò in casa seguito da Faramir, mentre le prime stelle si accendevano luminose nel limpido cielo d’occidente.

 
 
 
 

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Capitolo 3
*** Un tuffo nel passato ***


Ciao a tutti =)
Lo so, questo 3 capitolo è  cortissimo, e soprattutto non si vede Goldilocks, ma ci tenevo a inserire un piccolo racconto su come Pipino, abbia deciso di chiamare Faramir così =).
Consideratelo più come una specie di ‘intermezzo’, poi da settimana prossima vado avanti con la storia, promesso!
 Bien spero che vi piaccia comunque!
 NB: La descrizione che l’hobbit fa del capitano di Gondor, l’ho presa dal libro ^^.
Auguri a tutti un buonissimo e, spero, riposante week end!
Grazie mille, come al solito a Marta, per tutto l’aiuto e anche per avermi citata all’interno della sua storia (“La figlia della montagna” che consiglio a mia volta di leggere ^^).
Grazie a chiunque abbia dedicato un po’ del suo tempo a leggere questa storiella, e alle mia amate recensiste =), vi voglio bene =)!

 


UN TUFFO NEL PASSATO
 
Quella sera a cena, Faramir, fece piazza pulita di qualunque cosa gli fu messa davanti.
Diamante guardava con affetto suo figlio fare onore alla sua cucina.
 
"Accipicchia tesoro! Sembrava che non mangiassi da mesi!"
"E' stata...beh, una giornata stancante, diciamo!" ridacchiò Faramir, lanciando un'occhiata fugace a suo padre.
 
Pipino si limitò a sogghignare dicendo: " E non è ancora finita! Sbaglio, o ti avevo promesso una storia dopo cena?"
Diamante alzò un sopracciglio: "Lasciami indovinare. La battaglia di Lungacque? O quella volta in cui hai ucciso venti orchi da solo?" Le vanterie del marito le sapeva a memoria oramai..
"Ne l'una, ne l'altra mia cara!" ribatté Pipino, riempiendosi nel frattempo la pipa. "Voglio spiegare a nostro figlio perché l'abbiamo chiamato così."
"Vuoi dire perché, TU, l'hai chiamato così!"
"Ah già… fosse stato per te, avrebbe dovuto chiamarsi Isemboldo, o Everardo, o-"
"Aehm!", tossicchiò Faramir, "Allora, questa storia?"
"Hai ragione. Scusa figliolo!" rispose Pipino. "Vedi, il punto è che io… devo tutto alla Sua famiglia".
 
Iniziò così a raccontare; senza fermarsi un istante;  con gli occhi perduti in spazi e tempi lontani.
Faramir lo guardava affascinato: era la prima volta che lo sentiva narrare le sue avventure. Molte delle cose che suo padre gli disse, le aveva già ascoltate da Sam, ma nonostante questo, gli sembrava di udirle per la prima volta. Pipino parlò del sacrificio di Boromir, di come lui e Merry vennero rapiti dagli orchi, dell'incontro con gli Ent, del Palantir e dell'arrivo a Minas Tirith.
Nel sentire quel nome, Faramir si sentì improvvisamente in preda a una strana frenesia. Una smania inspiegabile gli catturò il cuore, facendogli desiderare di poter lasciare la Contea in quello stesso istante, per andare a vedere la Città Bianca con i suoi stessi occhi.
 
Incurante di tutto, Pipino continuava a parlare: "Così, per poter ripagare il mio debito, offrii i miei servigi a Denethor, padre di Boromir . Quello stesso giorno, uno dei tanti giorni che non dimenticherò mai, il suo secondogenito Faramir, tornò da Osgiliath. La città era stata invasa dagli orchi e solo lui e pochi altri si erano salvati".
 
L'Hobbit, cercò poi di descrivere lo strano sentimento, l'improvvisa devozione, che era sbocciata nel suo cuore durante il suo primo incontro col capitano.
"Era un uomo d'alto rango, simile agli antichi Re di Gondor, ma di un lignaggio meno austero; più vicino e tangibile, impregnato della saggezza e della tristezza dell'Antica Razza. Capii subito perché tutti in Città, ne parlassero con tanto amore: era un uomo che io stesso avrei seguito, persino all'ombra delle ali nere… persino a Mordor."
"Diventammo amici in quei giorni bui. Aveva un cuore gentile, facile alla compassione, ma anche coraggioso e tenace. Credo che apprezzasse molto più di suo padre, l'offerta di servizio che avevo fatto per pagare il mio debito; mi ammirava per la mia decisione."
"Vorrei tanto poterlo conoscere... " mormorò piano Faramir.
"Lo hai già conosciuto, anche se non lo ricordi" intervenne sua madre, "ti abbiamo portato a Gondor, quando avevi appena due anni."
"E avevi già un bel caratterino! Hai voluto a tutti i costi salire sul suo cavallo, e quando ha provato a farti scendere, hai iniziato a strillare a più non posso! Pover'uomo che pazienza!" ribadì Pipino facendo ridere tutti.
 
****
 
"Non vedo l'ora di raccontare tutto a Gold!" esclamò più tardi il piccolo Hobbit, infilandosi sotto le coperte.
"Andate molto d'accordo vero?" gli chiese teneramente Diamante venuta a dargli la buonanotte.
"Oh sì! E' la mia migliore amica, a lei posso raccontare tutto!"
"Cerca solo di non trasformarla in un maschiaccio, o Sam non te lo perdonerà!" ghignò Pipino prima di allontanarsi.
"Padre", lo richiamò Faramir con tono esitante. "Credi che un giorno… Potrò andare anch'io a Gondor come hai fatto tu?"
"Ma certo ragazzo mio! " rispose Pipino sorridendogli," non appena sarai più grande".
 
Rimasto solo, Faramir chiuse gli occhi rasserenato; un sorriso gli illuminava il viso.
"Un giorno diventerò un cavaliere di Gondor", pensò prima di addormentarsi , "come mio padre."
 
 
 

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Capitolo 4
*** Io voglio di più ***


IO VOGLIO DI PIU’
 
Quell’anno l’inverno arrivò presto.
I primi fiocchi di neve imbiancarono il suolo già agli inizi di Dicembre, e le giornate, si fecero via via sempre più corte.
Sam sospirò, guardando il suo bel giardino e tutti gli alberi circostanti la casa, avvolti da quel candido e gelido abbraccio.
“L’inverno è una stagione difficile per i giardinieri” pensava (nonostante, da molti anni oramai, quello non fosse più un mestiere, bensì  un passatempo),
“Assieme alle piante, sembra quasi che muoia anche una parte di noi”.
 
I bambini invece erano entusiasti.
In quattro e quattr’otto, un simpatico omino di neve, di nome Alfie, era stato costruito sul prato dietro Casa Baggins.
Poco distante, i piccoli Hobbit, avevano dato vita a una battaglia di palle di neve.
Un coro di “Prendi questa!”, “Giù!”, “Attenta!”, risuonava nell’aria.
I due schieramenti formatisi, vedevano contrapposti maschi e femmine.
Quest’ultime erano attualmente in vantaggio.
 
“Tregua!” urlò il piccolo Merry, avvicinandosi con un sorriso serafico, alle bambine.                                                                                                                      
“Sul serio?” domandò Rosie, con un’espressione decisamente scettica.
“No!” rispose Faramir.
 
E ridendo di gusto, scagliò la palla di neve che teneva nascosta dietro la schiena, contro Goldilocks, cogliendola completamente alla sprovvista.
 
“Imbroglione!” rise lei, saltandogli addosso e mandandolo dritto disteso per terra.
“Ahi! Accidenti Gold, fai piano! Forza, aiutami ad alzarmi”.
“Ahahaha, scusami, ti ho fatto male?” Gold gli si avvicinò tendendogli la mano.                  
 “No!” rispose  Faramir  ridendo, e afferatale la mano, la tirò giù per terra accanto a sé.                                                                                                 
 
Approfittando della situazione, le salì poi a cavalcioni, iniziando a farle il solletico a più non posso e cercando contemporaneamente di riempirla di neve.
La piccola si dibatteva come un pesce, col fiato ormai mozzo per il gran ridere.
I suoi fratellini intanto, invece di aiutarla , avevano pensato bene di imitare il giovane Tuc, rincorrendo le altre sorelle;
le quali però, si erano rifornite di palle di neve, decise a vendere cara la pelle.
Rosie Cotton osservava la scena, dalla finestra del soggiorno, con un’espressione a metà tra il divertito e il preoccupato. 
Lo stretto legame, tra la sua piccola riccioli d’oro, e il figlio del Conte, non la lasciava del tutto tranquilla.
Certo, erano ancora bambini ( cresciuti insieme fin dalla nascita, peraltro!), e tra loro al momento non c’erano altro che scherzi innocenti e un’incredibile complicità.                                                                                                             
Ma a Rosie non sfuggivano gli sguardi, praticamente adoranti, che sua figlia rivolgeva all’amico, il quale invece, pareva ignaro di tutto.
Da parte sua era evidente, che considerasse  Goldilocks solo come una sorellina. 
Rosie temeva che sua figlia potesse rimanere delusa un giorno, ma non se la sentiva di dirle nulla; non ancora.
Gold aveva il diritto di trascorrere la più felice delle infanzie, senza che le premature preoccupazioni di una madre, guastassero la sua innocente amicizia.
Non era ancora decisamente il momento, per discorsi del genere, pensava Rosie, e c’era ancora così tanto tempo, davanti a tutti loro…
 
                                              ****
 
Il tempo passò veloce, senza quasi che nessuno se ne rendesse conto.
Le stagioni si susseguirono, gli anni corsero rapidi, e tutto a un tratto, i ragazzi si ritrovarono ormai cresciuti.                                                                         
Il legame tra Faramir e Goldilocks divenne sempre meno ‘esclusivo’ e ossessivo. 
Il giovane passava molto più tempo con suo padre, cercando di imparare i doveri e le responsabilità di un Conte.
Nonostante la frequentasse molto meno, Goldilocks rimase però sempre la sua migliore amica, la sua confidente e consolatrice nei momenti difficili.
Lui, agli occhi di lei invece, rimase ciò che era stato durante l’infanzia: il suo eroe, il suo porto sicuro.
Un coraggioso cavaliere con l’armatura,  pronto a difenderla da qualunque cosa. 
Se il distacco, che si era venuto a creare pian piano con l’età, l’avesse ferita, Goldilocks non lo dava a vedere.
Era sempre pronta ad ascoltare l’amico, a rassicurarlo e incoraggiarlo, senza pretendere nulla di più. 
Ma a volte, quando Faramir non era con lei, la giovane sentiva come uno strano peso opprimerle il petto, vicino al cuore, e si ritrovava a pensare senza posa a ricciuti capelli castani e occhi verdi come smeraldi.
Ne era così presa, che non si accorgeva minimamente, degli sguardi sognanti che le rivolgevano i suoi coetanei a Hobbiville, né di quelli carichi d’invidia delle altre fanciulle.                                                                                                 
Perché era bella, Goldilocks. Bella e del tutto inconsapevole di esserlo.
I suoi capelli dorati non si erano scuriti col passare degli anni, e la sua figura era snella e slanciata (per i canoni Hobbit beninteso!)
Faramir, da parte sua, aveva superato suo padre in altezza; il che, faceva di lui l’Hobbit più alto della Contea.
Sapeva inoltre cavalcare, e da Pipino, aveva anche imparato a combattere.
Non che fosse pronto per una battaglia, ma sapeva difendersi più che adeguatamente ormai.
Erano in pochi a considerarlo ancora ‘strano’ e nessuno, comunque, aveva il coraggio di dirglielo in faccia.                                                                                                   
Con quel fisico imponente rassomigliava più a un giovane uomo, che a un Hobbit; e, un po’ per quello, un po’ per il suo futuro titolo, incuteva rispetto e timore (oltre che all’ammirazione di moltissimi suoi coetanei, e soprattutto coetanee), ovunque andasse.
 
                            ****
 
La Vecchia Quercia era rimasta il loro luogo di ritrovo, ma Goldilocks amava andarci anche da sola.
Un giorno, mentre si trovava appunto lì sdraiata, sentì delle gocce bagnarle il viso.                                                                                         
Si tirò di scatto a sedere, temendo che stesse per cominciare a piovere, solo per incontrare gli occhi divertiti di Faramir.
Le gocce che aveva sentito provenivano dalla borraccia, che il giovane teneva inclinata sopra di lei.
 
“Faramir accidenti a te! Pensavo stesse piovendo!”
“Ahahaha, scusami Gold! Non ho davvero resistito” rispose lui, esibendo uno dei suoi sorrisi malandrini.                                                                                  
Il cuore di Goldilocks mancò un battito: perché ogni maledetta volta, si sentiva così persa quando le sorrideva, perché?                                                                     
 
“Gold, ti sei incantata? Che facevi qui tutta sola?”
La giovane trasalì  riscuotendosi, prima di rispondere: “Avevo voglia di rilassarmi un po’, tutto qui. A volte sento il bisogno di stare lontana da tutto e da tutti”.                                                                                                                  

“Specialmente da Belle e dal suo giro di ochette” aggiunse con una smorfia.
Si riferiva a un gruppetto di ragazze, che da qualche mese le stava dando il tormento.                                                                                                                       
“Ti capisco”, sorrise Faramir comprensivo.
“ Sai…” continuò poi con un tono più serio , “ E’ da un po’ di tempo ormai, che non mi sento tranquillo.”
“Che vuoi dire?!” domando lei, preoccupata.
“Non lo so, è come se mi sentissi in gabbia! Ho voglia di andare via da qui, vedere il mondo! Vedere cosa c’è oltre i confini della Contea. Ci pensi mai? I nostri padri, alla nostra età, stavano vivendo la più grande delle avventure.” “So cosa si aspettano tutti da me. Non ho mai avuto molta scelta. Sono il figlio di un Conte; succedere a mio padre è il mio futuro; ma non sono sicuro che sia davvero questo il mio posto. Io voglio… voglio di più! Mi capisci Gold?”
 “Faramir..” mormorò Goldilocks debolmente, “Io..credevo..speravo..” “Gold, che ti succede?! Hai le lacrime agli occhi!”
“No, nulla!” rispose lei, cercando di nascondere il suo tumulto. “Ne hai parlato con i tuoi genitori?”.                                                                                     
Faramir annuì : “Mio padre mi aveva promesso, che una volta cresciuto sarei potuto andare a Gondor, se lo avessi voluto. Ha scritto a sire Faramir il mese scorso, e lui si è detto disposto ad addestrarmi! Diventerò un soldato di Gondor, Goldilocks! Ci pensi?!”
 “E... E’ meraviglioso...” mormorò lei, ma dentro di sé urlava: “E’ già tutto deciso ormai! Da un mese lo sta progettando, e non mi ha mai detto nulla!”
“Goldilocks, ma che ti succede? Perché sei così triste piccola?”
Goldilocks arrossì prima di rispondere: “Niente, solo che.. mi mancherai così tanto!”                                                                                                                           
 
E lo abbracciò di slancio, senza riuscire a trattenersi, mentre le lacrime cominciavano a sgorgare.                                                                                    
 
“Anche tu mi mancherai, piccola. Coraggio non piangere! Ti scriverò spessissimo, vedrai! E resterai sempre la mia migliore amica, chiaro?”
 “Ma certo!” rispose la giovane, sforzandosi di sorridere.
 “Brava, così ti voglio! Ora devo rientrare, ma ci vedremo presto”.
“ Mi mancherai tanto’” pensò Goldilocks guardandolo allontanarsi.               
“Ma si può essere più patetici di così?! Oh Faramir! Perché non sono capace di dirti quello che sento davvero per te? Perché non ti accorgi di quello che provo? Di quanto stia male? Io ti ho voluto bene da sempre, anche quando ero troppo piccola per capire che nome avesse questo sentimento. Ti amo, Faramir!
Quanto vorrei essere capace di dirtelo ogni giorno. Dici che questo non è il tuo posto… che vuoi di più.
Questa terra non è abbastanza per te. IO non sono abbastanza per te. E mi chiedi cosa ci sia che non va, e perché sono triste! Mi hai spezzato il cuore, senza nemmeno accorgertene!”
 

E pianse a lungo, distesa nell’erba.
 
                           ****
 
La notizia che l’erede di Peregrino, avrebbe presto lasciare la Contea per andare a Minas Tirith, si diffuse rapidamente per tutti e quattro i Decumani.
Nessuno parve, in realtà, stupirsi troppo. Era un Tuc dopotutto, la stravaganza l’avevano nel sangue e a parimenti la sete di avventure.
Goldilocks si fece forza quando arrivò il momento di salutare l’amico. Faramir la strinse forte tra le braccia prima di montare a cavallo.
 “Non combinare troppi guai in mia assenza” scherzò lui.
“ E tu vedi di tornare presto e possibilmente tutto intero” ribatté lei accennando un sorriso.                                                                       
“ Ti ho portato una cosa. Vorrei che la custodissi tu, fino al mio ritorno.”
Così dicendo, Faramir le porse una piccola spilla a forma di foglia.                                                                                       
 Goldilocks la prese trattenendo il fiato: conosceva quell’oggetto!
Dama Galadriel, Signora di Lothlorien, un’Elfa di cui suo padre parlava spesso con reverenza, l’aveva donata a Pipino tanti anni prima.                                                                                        
“Faramir! Ma sei sicuro? Questa è..”
“Shh!” Il giovane la zittì, ponendole un dito sulle labbra. “Ѐ tra le cose più preziose che possiedo. So che con te sarà al sicuro. A presto riccioli d’oro!”
Goldilocks si limitò a un cenno del capo, troppo emozionata per parlare.                                                                                    
‘Allora… allora ci tieni a me!’ pensò stringendo forte la spilla.
 
E quella volta, mentre lo guardava allontanarsi, il cuore non piangeva più.
 
 
 
 
Note:
Eeeeeccomi qui ^^
Anche questa è fatta.
Volevo spiegare velocemente il titolo, che magari non si capisce: “volere di più”, per Faramir vuol dire lasciare la Contea; per Gold invece, è volere più di un’amicizia.
Come? Ci eravate arrivati perfettamente da soli? Ok, ok scusate =p!
La ‘Vecchia Quercia’ non ricordo se esiste davvero, nella Contea, o se l’ho presa da qualche altra opera, però mi suonava bene xD.
Bueno, spero proprio che anche questo capitolo vi sia piaciuto!
Un grazie di cuore a tutti voi che leggete ( e un grazie speciale a chi recensisce ^^)!
Alla prossima, buona vita a tutti!

Benni
   

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Capitolo 5
*** Incontri inaspettati ***


INCONTRI INASPETTATI
Faramir si svegliò all'improvviso, guardandosi attorno spaesato.
No, quella non era decisamente la sua camera.
Impiegò alcuni minuti per ricordarsi dove fosse, e perchè.
Minas Tirith, ma certo! Era arrivato da appena un giorno.
Si massaggiò leggermente le tempie, cercando di ricordare cosa stesse sognando fino a un momento prima, ma senza successo. Era certo che riguardasse la Contea, e che fosse un sogno piacevole; ma più si sforzava, più il ricordo scivolava via, assieme alla sensazione di benessere che aveva portato. Alquanto seccante!
 
Ormai del tutto sveglio, e incapace di riprendere sonno, l'Hobbit scese dal comodo letto su cui stava riposando. Si avvicinò lentamente alla finestra e la aprì, inspirando a pieni polmoni l'aria notturna. La luna brillava alta nel cielo autunnale, attorniata da centinaia di stelle.
Dovevano essere circa le tre, calcolò Faramir. I suoi occhi scrutarono la volta, alla ricerca dell'Orsa Maggiore. Amava quella costellazione in modo particolare, ed era certo che se l'avesse trovata, si sarebbe sentito più vicino a casa.
 
Si poteva pensare che le preoccupazioni principali degli Hobbit, fossero le feste e il buon cibo, e che guardare le stelle fosse 'roba da elfi'. Ma non era mai stato così per Faramir e i Gamgee.
Grazie a Sam e ai suoi insegnamenti, era nato in loro un amore speciale, quasi nostalgico, per quei lontani corpi celesti. Il giovane Tuc ricordava intere notti d'estate, trascorse tutti insieme all'aperto, sui prati dietro Casa Baggins. Talvolta si univano a loro anche suo padre, e zio Merry. Nel silenzio notturno, ascoltavano Sam recitare antiche poesie elfiche, insegnare loro i nomi delle costellazioni, o narrare la storia di Earendil.
 
Una folata di vento improvvisa fece rabbrividire il giovane, che si allontanò per prendere una coperta. La città era così silenziosa, così diversa da come gli era parsa al suo arrivo, da sembrare quasi surreale. La casa in cui era ospite, si trovava nel sesto dei sette livelli in cui era divisa Minas Tirith. Dalla sua camera poteva godere di una vista bellissima: le immense pianure del Pelennor, si stendevano davanti a lui. Alle sue spalle invece, si ergeva il possente Mindolluin, sulle cui pendici era stata appunto costruita la città.
 
                                               *******
 
Un gioiello bianco.
Così era sembrata Minas Tirith a Faramir, non appena l'aveva scorta in lontananza. Una volta arrivato, aveva potuto constatare di persona, come effettivamente ogni cosa lì fosse bianca.
Bianche mura, bianchi palazzi. Una candida sporgenza di roccia, simile alla chiglia di una nave, divideva in due la Città Fortezza. La bianca Torre di Echtelion, alta più di novanta metri, svettava sullo sfondo appena dietro l'Alta Corte. Ma era nella Piazza della Fontana, che si trovava il vero cuore di quel piccolo mondo di pietra: l'Albero Bianco, l'Albero del Re. Si diceva che fosse un discendente di Nimloth il Bello, che nei tempi antichi si trovava a Numenor. Re Elessar lo aveva raccolto tanti anni prima, appena dopo la sua incoronazione, sulle pendici del Mindolluin. A quel tempo non era che un ramoscello, ora invece era nel pieno del suo splendore.
 
L'Hobbit si rese conto di aver viaggiato più velocemente del previsto. Il suo arrivo e l'incontro con Sire Faramir, erano previsti per il trenta del mese, vale a dire due giorni dopo. Prima, infatti, il sovrintendente era occupato in una missione diplomatica nel regno di Rohan.
"Poco male" pensò il ragazzo, "ne approfitterò per cominciare ad ambientarmi".
Avrebbe pensato più tardi, a trovare un posto dove alloggiare; per ora voleva solo godersi la città. Prese a vagare per le vie senza una meta precisa e con un’espressione sognante sul volto.
Il ragazzo di campagna, catapultato all'improvviso nel vasto mondo. Qualunque cosa, persino la più banale, destava continuamente in lui meraviglia. Quel posto non sarebbe potuto essere più diverso dalla Contea!
Tutto era nuovo, inebriante. I profumi, gli aromi, i colori... E la gente!
Faramir non aveva mai visto così tanta Gente Alta in vita sua. Molti sembravano di fretta, altri invece si fermavano volentieri per strada a conversare con i mercanti o i soldati.
Alcuni fissavano Faramir meravigliati, dandosi di gomito e bisbigliando fra loro. Il popolo dei Mezzuomini era ben conosciuto. Per anni le canzoni, avevano narrato le straordinarie imprese compiute dai Perian nell'Ultima Guerra. Si diceva, che uno di loro avesse fatto parte della guardia reale, addirittura,  prima di diventare Conte (o qualcosa del genere) in quel loro lontano paese! E adesso, meraviglia! Un Mezzuomo era di nuovo a Gondor!
Ignaro dello stupore che andava suscitando, il Mezzuomo in questione, continuava la sua 'esplorazione'. Un improvviso nitrito di Forhain, il suo fedele destriero, lo fece fermare.
 
"Che succede bello? Hai sete?"
Nitrito.
Faramir sorrise.
"Hai ragione vecchio mio, è stato un lungo viaggio. Cerchiamo una fontana."
Fece per avviarsi di nuovo, quando inciampò inavvertitamente. Sarebbe volato dritto per terra, se due forti braccia non lo avessero afferrato.
"Guarda dove vai ragazzino!" disse bruscamente il suo soccorritore, "dovresti fare più attenzi..Pipino?!?"
Faramir alzò gli occhi di botto nel sentire l'ultima parola. L'uomo che lo aveva aiutato era all'incirca sulla quarantina, con folti capelli castani e splendenti occhi azzurri.
"Com'è.. com'è possibile??" balbettò quest'ultimo "Sei tale e quale a trenta anni fa!"
"Credo che voi abbiate conosciuto mio padre" sorrise Faramir,"Tutti dicono che gli somiglio molto".
"Padre? Tu.. sei il figlio di Pipino?!"
"Faramir Tuc, per servirvi. Peregrino Tuc è mio padre, ex guardia della Cittadella e attuale Conte della Contea. Con chi ho l'onore di parlare?".
L'uomo lo fissò ancora incerto, poi all'improvviso scoppiò a ridere.
"Il figlio di Pipino!" ripeté, " Da non credere! Io sono Bergil, figlio di Beregond della Guardia".
 
                                       
                                                                 *********
 
Un'ora più tardi, Faramir si trovava comodamente sistemato davanti a una tavola imbandita, in procinto di servirsi la terza porzione di agnello con olive e formaggio. Il tutto, accompagnato da un'ottima birra di malto.
Bergil seduto di fronte a lui, lo osservava divertito.
"Avevo dimenticato l'appetito degli Hobbit. Sei proprio come tuo padre!".
"Bergil, insomma! Vorrei vedere te, al suo posto, dopo un mese di viaggio a cavallo!".
 A parlare era stata una giovane donna dai capelli rossi. Si chiamava Elarin ed era la moglie di Bergil. I due si erano sposati nove anni prima, e avevano avuto una bambina, Ederwen.
"Faramir è un ospite, e può mangiare finché ne ha voglia" proseguì Elarin, strizzando l'occhio al giovane Hobbit.
Bergil sbuffò: "Non si può neanche scherzare…"
Faramir li osservava divertito. Quella scena gli ricordava i piccoli bisticci tra i suoi genitori.
Stentava ancora a credere di trovarsi davvero a casa di Bergil. Pipino gli aveva parlato spesso di lui.
"Beregond, suo padre, è stato il primo a Gondor a dimostrarmi affetto" gli aveva detto. 
"Era un uomo sincero, valoroso e fedele. Bergil invece, non era che un ragazzetto quando lo conobbi. Sentivo terribilmente la mancanza di un compagno della mia età, e lui mi è stato molto vicino. Certo, non avevo con lui lo stesso rapporto che c'era con Merry, ma diventammo comunque buoni amici. Chissà come sta adesso!"
"Adesso è cresciuto e ha anche lui una famiglia", avrebbe voluto rispondergli ora Faramir. Non potendo però, attualmente, farlo di persona, prese mentalmente nota di scriverlo, nella prima lettera che avrebbe spedito a Tucboro.
                           
                                                                       ************
 
Quella mattina, dopo essersi presentato, Bergil aveva chiesto immediatamente notizie del suo vecchio amico. Faramir aveva risposto volentieri alle sue numerose domande, ben felice di conoscere finalmente il famoso figlio di Beregond. L'uomo si era subito offerto di ospitarlo a casa sua, fino al ritorno del Sovrintendente.
"Mia moglie sarà felice di conoscerti. Le ho parlato spesso di Peregrino."
 
Ed era stato proprio così.
Faramir si era subito sentito a casa.
Elarin era una persona allegra e alla mano, oltre che un'ottima cuoca. La piccola Ederwen, di solito molto timida con gli estranei, era rimasta stregata da Forhain. Finita in fretta la sua porzione, si era precipitata in giardino per dar da mangiare al 'pel cavalino'.
Una volta concluso il pasto, Bergil si era offerto di portare il giovane Tuc a visitare la città ("Nessun disturbo, non sono di servizio oggi").
Gli mostrò i luoghi più belli, lasciando per ultima la Piazza della Fontana. Durante la passeggiata continuarono a conversare. Bergil raccontava di come fossero cambiate le cose a Gondor, dopo il ritorno del Re; di come fosse diventato un soldato della Guardia e di come avesse conosciuto Elarin. Faramir invece gli parlava della Contea, della sua infanzia, delle sue amicizie, e di come avesse preso la decisione di venire a Minas Tirith. Si rese conto, alla fine dei suoi racconti, di non aver mai nominato Goldilocks. Non sapeva spiegarsi il perchè, forse per una sorta di pudore.
 
"Pensi che sia possibile vedere il Re?" chiese a Bergil, cambiando del tutto argomento, "Come sai è un vecchio amico di mio padre, ci terrei a fargli visita".
"Non dovrebbe essere un problema per te, ma ormai è già tardi. Credo, che ti convenga tornare domani" rispose l'altro.
Si fermarono ai margini della piazza, a guardare il sole che tramontava a Occidente.
"Bergil.. Perdona la domanda, ma non mi hai raccontato nulla di tuo padre. Come sta? E' sempre al servizio del Sovrintendente?"
Il volto dell'uomo si fece cupo: "Mio padre è morto l'estate scorsa. Un incidente a cavallo."
Faramir si irrigidì di colpo: "Mi dispiace.. io.."
"Non preoccuparti, non potevi saperlo". Bergil fece un sorriso triste prima di proseguire: "Coraggio è meglio rientrare. E' quasi ora di cena".
L'Hobbit annuì, e insieme si avviarono verso casa.
  
 
                                                **********
 
Faramir chiuse la finestra e tornò a stendersi sul letto cercando di riprendere sonno. Era stata una giornata incredibile. Non vedeva l'ora di scrivere a casa per raccontare di chi fosse ospite. L'indomani poi, avrebbe visto Re Elessar, e il giorno dopo ancora, il capitano Faramir. E poi sarebbe iniziato finalmente il suo addestramento e poi..
I suoi pensieri si fecero sempre più nebulosi mentre scivolava dolcemente nel sonno. Senza che se ne rendesse conto, il suo sogno riprese da dove si era interrotto: dolci occhi castani e lunghi capelli dorati.
 

 
 
 
 
 
Note:

Buonsalve =)
Ben ritrovati cari lettori e lettrici, scusate per l’attesa.
Per chi non lo conoscesse, Bergil figlio di Beregond è un ragazzino di Minas Tirith
che compare ne “Il Ritorno del Re”, e con cui Pipino aveva fatto amicizia. Beregond, suo padre è una guardia della città, e ha un ruolo importante nell’aiutare Gandalf e Peregrino a salvare Faramir dalla pazzia di suo padre. Nel film non sono stati inclusi, peccato =)
Mi piaceva l’idea di inserire un Bergil adulto, che diventasse amico di Faramir, come lo è stato di Pip =).
Come al solito ringrazio tutti voi che leggete, e in maniera particolare Melianar e Evelyn80 che hanno recensito =).
Grazie come sempre a Marta per l’aiuto.
Buona lettura!
Un abbraccio!
 
 

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Capitolo 6
*** Alla corte di Re Elessar ***


ALLA CORTE DI RE ELESSAR
 
Quella mattina Bergil fu svegliato da canto del gallo.
Puntuale come sempre, l’allegro pennuto annunciava con baldanza il sorgere di un nuovo giorno, quasi fosse fiero e consapevole, del suo compito di ambasciatore del mattino.
Bergil si stropicciò gli occhi, ancora gonfi di sonno; stiracchiò poi gambe e braccia, reprimendo uno sbadiglio.
Un profondo silenzio, rotto solo dal respiro profondo di Elarin al suo fianco, regnava nella casa.
L’uomo sospirò, richiudendo gli occhi ancora un momento, per godersi quell’insolita atmosfera di pace.
Un sorriso pieno di affetto gli si dipinse sul viso, mentre si chinava a baciare la fronte di sua moglie.
“Uhm… Buongiorno…” bofonchiò Elarin, con la tipica voce impastata di chi è stato appena strappato dal sonno, “Ma che ore sono?”
“Buongiorno” le rispose dolcemente Bergil, “L’ora di alzarsi amore mio”.
“Non è possibile! Mi sembra di essermi addormentata da solo qualche minuto!”
“So che è un po’ più presto del solito, ma ci attende un compito impegnativo…”
Elarin corrugò leggermente la fronte: il solo compito per cui si sentiva pronta al momento era rimettersi a dormire.
“E quale sarebbe?”
“Preparare la colazione per un Mezzuomo” le rispose suo marito, con una strizzata d’occhio.
 
 
 
                                                                           ******
Quando Faramir si svegliò, un’ora più tardi, trovò la tavola già apparecchiata, e una ricca prima colazione ad accoglierlo.
Bergil gli tenne compagnia durante il pasto, Elarin invece era alle prese con Ederwn.
La piccola aveva appena scoperto che Faramir sarebbe partito da lì a poco, portando ovviamente via il ‘pel cavalino’.
Apriti cielo.
“Vollio giocare con Fohain, non voglio che vada via!”, piangeva la bimba. Era inconsolabile, ed Elarin non sapeva più cosa dirle.
Faramir sorrise intenerito e le si avvicinò, chinandosi fino al suo livello: “Non piangere piccolina. Tornerò a trovarvi ogni volta che potrò, e ti lascerò giocare con Forhain per tutto il tempo che vorrai”.
Ederwen lo fissò, con gli occhioni ancora lucidi: “Promesso?”
“Promesso” rispose l’Hobbit, e sorridendo tese una mano che la ragazzina non esitò a stringere.
“Ѐ il minimo che io possa fare per ringraziarvi” disse poi in fretta rivolto a Elarin, per prevenire ogni sua eventuale protesta.
Poco dopo furono raggiunti da Bergil. L’uomo indossava l’uniforme dei soldati di Gondor e teneva Forhain per le briglie. “Pronto per conoscere il Re?” domandò al giovane.
Faramir annuì allegramente, e s’inchinò come gli era stato insegnato di fare, al momento del commiato.
Ederwen sfuggì alla presa di sua madre, e corse ad abbracciargli le ginocchia.
“Torna presto Amir!”, cinguettò.
Faramir s’irrigidì leggermente, e il suo sorriso vacillò appena, nel sentire il nomignolo: solo Gold usava chiamarlo così, quand’erano bambini.
Il suo pensiero volò tutto a un tratto all’amica.
Dovevano essere circa le nove nella Contea. La immaginò già sveglia e pimpante, aiutare sua madre al Drago Verde. O forse era a casa, a badare a quelle pesti dei suoi fratellini? E pensava a lui ogni tanto, in mezzo a tutte le sue faccende?
 
                                       
                                                   ********
“Gold, tesoro, porta questo vassoio al tavolo in fondo. Gold? Hei, mi hai sentita?!”
Goldilocks, si girò verso sua madre, con un’espressione assente sul viso: “Mi hai chiamata per caso?”
“Ben due volte…”
“Scusami, ero un pochino-“
“Distratta. Si ho notato”. Rosie sorrise indulgente: “Ma temo che quel gruppo di Guardiacontea possa decidere di farci una multa, se non gli porti subito la colazione”. Così dicendo mise in mano a sua figlia un vassoio colmo di tazze di thè e dolce appena sfornato.
La famosa torta di mele di Rosie Cotton, ero uno dei motivi per cui il Drago Verde pullulava spesso di giovani Hobbit, già di primo mattino.
La seconda ragione era la presenza di Goldilocks.
Poco dopo la partenza di Faramir, la giovane aveva iniziato a ricevere non poche proposte,a ognuna delle quali poneva sempre un grazioso rifiuto.

Ma la gioventù Hobbit non sembrava demordere, e continuava a frequentare assiduamente l’osteria di Rosie. Alcuni si accontentavano semplicemente, di ammirare la sua dolce figliola; altri invece erano convinti, che bastasse tenere duro per ottenere prima o poi i suoi favori, dimostrando una caparbietà degna di un nano.
Molte ragazze al posto di Goldilocks non avrebbero certo perso l’occasione di civettare, cominciando a montarsi la testa. Lei invece, per quanto ferma nelle sue decisioni, rimaneva gentile e cordiale con tutti, attirando involontariamente ancora di più i suoi ammiratori.
        
Una volta finito di servire tutti i tavoli, tornò al bancone, per aiutare sua madre a rigovernare.
“Ancora nessuna lettera?” le chiese Rosie.
Gold sospirò: “Così pare”.
“Abbi pazienza, da quello che so nemmeno Pipino ha ricevuto notizie. Probabilmente è ancora in viaggio, Gondor è molto distante sai?”
Gold annuì. Era passato un mese ormai, ma la nostalgia non si era certo attenuata. Giocherellò distrattamente con la spilla di Galadriel, che portava sempre con sé.
“Basta preoccuparti, Gold!”s’impose. “Faramir sta bene, e se ha promesso di scriverti lo farà”.  
                                                  *********                         
“Un Perian, nientemeno! E di grazia chi dovrei annunciare esattamente?”
Faramir deglutì, leggermente intimorito dall’alta guardia che lo stava squadrando.
Bergil lo aveva congedato poco prima, per recarsi alla Torre di Echtelion, dov’era di turno quel giorno. L’Hobbit aveva quindi proseguito per conto suo fino all’Alta Corte, annunciando alle guardie all’ingresso la sua intenzione di vedere il Re.
“Sono Faramir Tuc, figlio di Peregrino Tuc, ex guardia della Cittadella e caro amico del Re”, rispose con una certa baldanza, “Questo nome significa nulla per voi?”
“Non molto”, rispose la guardia infastidita, “Ma non ha importanza visto che al momento il Re è-“
“Davvero felice di poterti ricevere giovane Hobbit!” concluse per lui una voce profonda alle sue spalle.
Un uomo alto e imponente si stagliava sulla soglia del palazzo.
Aveva occhi penetranti, grigi e severi, barba e capelli castane con qualche striatura d’argento: anziano sembrava e al tempo stesso nel fiore della virilità. Non portava ornamento alcuno, se non una stella in fronte, montata su un esile filo d’argento, e un grande gioiello verde che gli chiudeva il mantello. Il suo portamento era fiero e regale, e a Faramir parve quasi di veder brillare una luce intorno a lui.
La guardia impallidì voltandosi e s’inginocchiò sedustante, imitato dal suo compagno e dal Mezzuomo.
“Perdonateci Maestà, vi credevamo ancora al Consiglio…”
Aragorn zittì i soldati con un cenno, prima di rivolgersi a Faramir: “Benvenuto a Minas Tirith, figlio di Peregrino.Ѐ un piacere conoscerti, finalmente!”
Così dicendo gli tese una mano, per aiutarlo ad alzarsi.
“Sapevate del mio arrivo?” chiese l’Hobbit, sorpreso.
Aragorn annuì: “Il Sovrintendente mi ha informato, subito dopo aver ricevuto la lettera di tuo padre. Ma non ti aspettavamo che tra qualche giorno!”
“Effettivamente ho impiegato meno tempo di quanto pensassi” rispose Faramir, “Credo che in parte sia merito vostro. Le contrade sono molto più sicure in questi ultimi anni, e non ho visto ombra di banditi, o Vagabondi, lungo il Verdecammino. Ho avuto invece il piacere di incontrare i messaggeri di vostra Maestà!”
Aragorn ridacchiò davanti al contegno del giovane: “Per te sono solo Aragorn, e spero vorrai concedermi il privilegio di poterti chiamare amico. Ѐ grazie al tuo popolo, e al vostro coraggio, che il mondo ora è in pace, e io ho di nuovo un regno”.
Faramir arrossì, compiaciuto e commosso. Se solo Rudi Serracinta e la sua combriccola di sbruffoni avessero potuto vederlo ora!
“Ad ogni modo non sei l’unico ad essere in anticipo”, proseguì il Re, “Faramir sta rientrando in questo momento dal suo viaggio a Rohan. Credo che ci raggiungerà a breve assieme a sua moglie. Saranno miei ospiti per il pranzo, e dal momento che sei qui spero vorrai unirti a loro!”
Se quella mattina gli avessero detto che al suo secondo giorno a Minas Tirith, sarebbe stato ospite personale del Re, assieme al Sovrintendente, Faramir non ci avrebbe mai creduto. Era più di quanto avesse osato sperare.
“Ne…ne sarei onorato!” fu quanto riuscì a balbettare in risposta, seguendo Aragorn all’interno della Corte.
                                              *********
Il grande salone era illuminato da profonde finestre, che si aprivano nelle ampie navate laterali.
Alte colonne di marmo nero sorreggevano il soffitto. Le possenti volte rilucevano d’oro, incastonato di arabeschi dai mille colori.
Fra le colonne invece, si ergevano silenziose alte figure, intagliate nella gelida pietra.
Faramir osservò con reverenza quei grandi re del passato; poi il suo sguardo fuggì in fondo alla sala, dove si ergeva un alto trono, appena sopra una pedana dai molti gradini.
“Fa spalancare gli occhi, non è vero?” domandò Aragorn sorridendo e notando lo sguardo perso di Faramir.
“Ѐ esattamente quello che direbbe Sam” ghignò l’Hobbit, “Diciamo che casa mia è leggermente… più piccola!” concluse ridendo.
“Sai, puoi non crederci, ma anche per me non è stato facile abituarmi” disse Aragorn, “I primi giorni mi sentivo spaesato, come potresti esserlo tu ora. Ovviamente non lo davo a vedere, e solo Gandalf se n’era accorto. Dopo aver trascorso metà della mia vita da Ramingo è stato davvero strano passare a… Beh, tutto questo!” concluse con una strizzata d’occhio, “Ma dopotutto è per questo che sono nato e sono stato educato. Ѐ la mia eredità”.
Come la mia è il titolo di Conte” pensò tra sé Faramir, “Ma non sono sicuro che sia quello che voglio”.
“E sei felice ora?”, domandò poi ad alta voce, “Voglio dire… non ti scoccia che il tuo futuro fosse già stato deciso… senza che tu potessi dire nulla a riguardo?”
Aragorn lo fissò, leggermente perplesso: nessuno gli aveva mai posto una simile domanda.
Esitò un momento prima di rispondere.
“Dopo che la mia identità mi fu rivelata, la mia più grande paura era quella di ripetere gli errori dei miei avi. Di non essere all’altezza del mio compito. Ma ho trovato la forza e il coraggio nei luoghi, e nelle persone più impensabili. Frodo Baggins è stato una di queste, un’altra era Sam”.
Fece una pausa prima di riprendere: “In un certo senso anche il loro futuro era già stato deciso… ma non si sono mai tirati indietro di fronte alle loro responsabilità, nonostante tutte le occasioni che ebbero per farlo. Mi hanno permesso di capire, che se fossi venuto meno di fronte ai miei doveri, avrei perso il rispetto di me stesso. Mi è stato dato un regno, e un popolo di cui prendermi cura… Accettare il mio destino non è stato facile, né indolore, ma sì, posso dire con certezza che mi abbia reso felice”.
“Non so se questo risponda alla tua domanda giovane Hobbit” proseguì poi con tono più dolce.
“In parte maest-Aragorn!” si corresse velocemente Faramir.
Aragorn gli rivolse un sorrise enigmatico: “Non so quale sia il motivo che ti abbia spinto a venire a Minas Tirith, ma ti auguro di trovare le risposte che cerchi”.
Faramir lo fissò con stupore. Com’era possibile che quell’uomo, che conosceva da pochi minuti, riuscisse a leggere così facilmente dentro di lui? Che percepisse così facilmente la sua inquietudine?
 
Prima che nessuno dei due potesse dire altro, un chiaro squillo di trombe d’argento risuonò nell’aria.
Era il segnale che annunciava l’arrivo di cavalieri in Città.
Aragorn si avviò con un sogghigno verso la porta, facendo cenno all’Hobbit di seguirlo: “In anticipo davvero!
Coraggio andiamo, credo sia appena arrivato qualcuno che vuole conoscerti”.    





Note:
Buonsalve popolo di efp =)
E così il nostro Tuc ha conosciuto anche re Elessar.                                                                                                             
Per la sua descrizione alcune parti le ho prese dal libro, spero di avergli reso giustizia =).
Nel prossimo capitolo finalmente avremo l'incontro tra i due Faramir ^^.
Purtroppo non so quando riuscirò ad aggiornare di nuovo,  mi attende una settimana di fuoco per varie consegne, e la sessione si avvicina =(! 
Mi scuso in anticipo se dovessi tardare, ma non temete che tornerò ^^                                                                                                                                                                                                      
Un ringraziamento come al solito a tutti voi che mi dedicate il vostro tempo, e un saluto speciale alle mie recensiste Evelyn80 e Melianar =)

                                                       
     

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Capitolo 7
*** Lettera alla mia famiglia ***


LETTERA ALLA MIA FAMIGLIA
 
Carissimi.. anzi no, adorati… no, dunque..
“Ma come diavolo si deve cominciare una lettera?!” borbottò tra sé e sé Faramir, intingendo la sottile penna d’oca nel calamaio di fronte a lui.                                      
“Dunque vediamo..” si disse riprendendo a scrivere:
Miei cari genitori, perdonatemi per questo ritardo. Non era mia intenzione farvi aspettare così a lungo, ma è stato come se tutto mi fosse sfuggito di mano una volta giunto in Città. Questa è in assoluto la prima lettera che scrivo nella mia vita, e di certo mai avrei immaginato di farlo da qui: Minas Tirith, nel regno di Gondor. Tutto ciò che mi avete raccontato tu e mastro Sam su questo posto è vero padre! E madre.. come vorrei che tu potessi vedere questa città coi tuoi occhi. Ti piacerebbe, ne sono certo, perché ti ricorderebbe il tuo nome: un diamante, un enorme gioiello bianco, così mi è parsa la prima volta che l’ho scorta. Oh madre! Il mondo è così grande.. molto più grande di quanto abbia mai immaginato…e tuttavia ho visto ancora così poco..                                                                                                                                   
Avrei tante, troppe, un’infinità di cose da raccontarvi, che ho paura non mi basti il tempo, né l’inchiostro o la carta. E ho una tale confusione in testa!                             
Forse potrei provare a partire dal principio..                                                                                              
Dunque, il viaggio.. Sì il viaggio è andato molto bene! Rapido e senza intralci, relativamente tranquillo (per quanto possa esserlo una cavalcata di miglia e miglia attraverso luoghi in gran parte a me sconosciuti). A ogni modo sono giunto a Minas Tirith prima del previsto, e padre, pensa un pò chi ho conosciuto! Bergil, figlio di Beregond, niente meno! Quel ragazzo di cui mi hai spesso parlato, ricordi? Inizialmente mi ha persino scambiato per te! Ora è a guardia della Torre di Echtelion, e trascorre là gran parte del tempo. Mi ha ospitato a casa  sua, dove ho conosciuto sua moglie, e sua figlia. Ha voluto sapere tutto di te, e mi ha detto che vorrebbe conoscere mamma: “Che incredibile pazienza deve avere!”, parole sue!                 
Purtroppo devo anche informarti che Beregond è morto l’estate scorsa. Una caduta da cavallo, mi ha detto Bergil. Avrei preferito darti questa notizia di persona padre, ma questo, attualmente è il solo modo che ho.. Il giorno dopo Bergil mi ha accompagnato all’Alta Corte, dove Aragorn in persona mi ha accolto sulla soglia! E mi ha chiesto il privilegio di chiamarmi amico! Amico! Io! Un semplice Hobbit della Contea che non era mai stato più in là di Brea. Sire Elessar è davvero una meraviglia! Forte e maestoso, e al contempo dolce e gentile… e saggio... Mi pareva quasi di conoscerlo da anni, e ho avuto come l’impressione che sappia leggere negli animi delle persone. Credo che abbia capito molte più cose lui di me, in appena cinque minuti, di quanto non abbiano fatto molti Hobbit che conosco da tutta la vita. Ma sto divagando! Il meglio deve ancora arrivare! Stavamo parlando da poco, quando sentimmo le trombe suonare fuori in città e..
“Credo sia arrivato qualcuno che vuole conoscerti”. Un piccolo e sottile ghigno, increspava le labbra di Aragorn, mentre faceva cenno al Mezzuomo davanti a sé di seguirlo. Faramir da parte sua, non appena aveva sentito gli squilli, era impallidito di colpo. “Ci siamo” pensò con il cuore in tumulto , “Finalmente è arrivato.” All’improvviso però, non si sentiva più così sicuro e smanioso di voler conoscere il Sovrintendente. Un repentino senso d’inadeguatezza, misto a inquietudine e paura di non essere all’altezza, lo sopraffece. Il giovane iniziò leggermente a tremare.                               
“Faramir?” La voce di Aragorn lo riscosse: “Che ti succede? Stai bene?”                                              
L’Hobbit deglutì, indeciso se mentire o meno, ma alla fine optò per la verità: “E se non.. se non dovessi piacergli? Perché un grand’uomo come Faramir dovrebbe voler conoscere un semplice Hobbit come me?” Non disse, che trovava assurdo in egual maniera, il fatto che il Re stesso trovasse piacere nella sua compagnia e lo trattasse da amico.                                                                                                   
Aragorn gli sorrise dolcemente: “Se c’è una cosa che ho imparato sugli Hobbit, è che la semplicità non è la parola adatta a descrivervi. Gandalf, una volta, mi disse che si può imparare tutto ciò che occorre sapere sui vostri costumi in un mese, eppure dopo cento anni riuscireste ancora a meravigliare e sorprendere.  Se somigli, come sospetto, anche solo la metà a tuo padre, stai pur certo che Faramir ti adorerà.” “D’altra parte, se non avesse voluto conoscerti, non avrebbe mai accettato di prenderti a servizio non credi?”, e gli fece l’occhiolino. Faramir annuì, tranquillizzato: “Bene, andiamo allora!”
Quando giunsero al cancello principale, i cavalieri avevano già smontato dai destrieri, ed erano in procinto di avviarsi verso le scuderie. Il sole di mezzogiorno splendeva alto nel cielo e tirava una leggera brezza.
Aragorn si avviò a passo spedito verso quello che sembrava il più alto tra i soldati. Costui gli porse il braccio destro, che il Re non esitò a stringere col proprio.
“Bentornato in Città amico mio. Giungi con parecchio anticipo! Quali notizie da Rohan?”
Il cavaliere si tolse l’elmo che ancora indossava, rivelando un viso di rara bellezza per un uomo mortale. Aveva occhi grigi, simili a quelli del Re, e capelli chiari screziati appena qua e là da qualche ciocca d’argento. Lo sguardo era fiero e luminoso, e lasciava trasparire i segni di un’intelligenza acuta e investigativa. Indossava la divisa dei soldati di Gondor, la stessa che Faramir aveva visto spesso a suo padre e che ora era passata a lui. Sul lato sinistro del petto, tuttavia, portava appuntato un gioiello color smeraldo, che splendeva riflettendo la luce circostante. Sembrava quasi che, in maniera sottile, la pietra lo ponesse ad un livello superiore rispetto ai soldati lì intorno, come a sottolineare il suo ruolo.
 “Non che fosse necessario un gioiello” pensò l’Hobbit, guardando in silenzio il capitano. Egli sembrava, infatti, emanare autorità con la sua sola figura e con quel suo sguardo profondo. Il giovane capì solo in quel momento, le parole che tempo prima gli aveva detto suo padre: “Un uomo che io stesso avrei seguito.. persino a Mordor”.
Faramir parlò, e la sua voce era calda e melodiosa: “Sire Eomer e Dama Lothiriel ti mandano i loro saluti. Mi hanno assicurato pieno appoggio per la questione di Dunland.”
Aragorn annuì, soddisfatto: “Grazie, amico mio.”
Poi lo sguardo di Faramir si posò finalmente sul Mezzuomo, rimasto a debita distanza. “Faramir Tuc” disse, “Ѐ un onore rivederti”
 
Un onore… capite? Un onore!
Faramir di Gondor, Sovrintendente del Re e capitano dei suoi soldati, discendente della stirpe di Numenor, onorato di rivedere me! Faramir Tuc, attualmente capitano.. beh del nulla! Ero rimasto imbambolato a fissarlo, mentre parlava con Aragorn, con un’espressione probabilmente da idiota sul viso, quando finalmente mi rivolse la parola. Per qualche secondo rimasi in silenzio, senza che mi venisse in mente come rispondere; cosa che stava diventando ormai una fastidiosa abitudine!
Quando finalmente ritrovai la parola, credo di avergli detto qualcosa del tipo: “Sono io a essere onorato, sire Faramir”. Poi probabilmente devo aver aggiunto: “Ѐ un privilegio portare il nome di un così valoroso comandante”, perché Faramir scoppiò a ridere, battendomi una mano sulla spalla e dicendo: “L’ultima volta che ti ho visto non eri così formale, giovane Hobbit”. Sapevo bene quale fosse la ‘volta’ a cui si riferiva, e che chiaramente mi stava prendendo in giro, tuttavia poco mancò che gli rispondessi: “Avevo appena due anni!”
“Padre, è lui dunque?” La voce che ci aveva interrotti apparteneva a un giovane uomo, di forse qualche anno più grande di me, ma alto circa il doppio. Somigliava molto a Faramir, solo gli occhi erano diversi, di un delicato colore nocciola. “Proprio così” rispose l’interpellato, “Faramir Tuc, permettimi di presentarti Elboron, mio figlio”. Mi affrettai a stringere la mano che il giovane mi tendeva sorridendo. “Avremo presto modo di conoscerci meglio, mastro Tuc” ,mi disse, “Verrai assegnato alla mia divisione”
“Alla quale tra parentesi, appartengo anch’io” gli fece eco quella che mi sembrò la versione più giovane di Aragorn: probabilmente coetaneo di Elboron, aveva i capelli scuri, ed era se possibile ancora più alto, con le spalle larghe. Lo guardai affascinato. C’era qualcosa di diverso in lui, qualcosa che lo differenziava da tutti noi, persino da Re Elessar, che tra quella folla era decisamente il più notevole. Di che cosa si trattasse l’avrei scoperto da lì a breve. Strinsi anche la mano di Eldarion, così disse di chiamarsi, e replicai che sarebbe stato un piacere prestare servizio con loro, che non meritavo un simile onore e altre sciocchezze del genere; poi appena prima che il mio stomaco potesse tradirmi, Aragorn annunciò che di lì a poco sarebbe stato servito il pranzo.
Il salone allestito per l’occasione era enorme! Probabilmente grande il doppio di Casa Baggins, il che è dire poco. Al centro vi era una grande tavola, già completamente apparecchiata e tutto era pronto per il pasto.
E poi la vidi.
 
“Benvenuti miei signori. Dovete essere stanchi”
La donna che aveva parlato, era probabilmente la più bella creatura su cui Faramir avesse mai posato lo sguardo. Alta e slanciata, dalla pelle diafana ma al contempo luminosa. I capelli, scuri come la notte incorniciavano un ovale perfetto, e scendevano in morbide onde ad avvolgere la sua figura. Le labbra ricordavano un bocciolo di rosa e la voce, limpida e cristallina, pareva il suono di mille campane argentate. Ma erano gli occhi la cosa più stupefacente: brillavano come stelle, quasi che quella creatura ultraterrena fosse riuscita in qualche modo, a catturare lo splendore di un cielo stellato, per custodirlo gelosamente nel suo sguardo.
“Ѐ la prima volta che vedi un Elfo non è vero?” ridacchiò Eldarion, “Questa è mia madre, Dama Arwen Undomiel.”
Dama Arwen? La moglie di Re Elessar? Ma certo! Ecco perché Eldarion gli era sembrato tanto diverso! Era il figlio di Aragorn e di un’Immortale, e ciò faceva di lui un Mezz’elfo.
Dopo le presentazioni, la compagnia si accomodò finalmente a tavola con grande gioia del Mezzuomo. Il suo posto era tra Faramir ed Elboron, di fronte alla coppia reale. Prima d’incominciare, tutti si volsero verso Occidente (“Verso Numenor, e l’Elfica Dimora oltre Numenor”, gli spiegò Faramir) tenendo un minuto di silenzio. Per tutto il pasto il giovane conversò allegramente col Sovrintendente e suo figlio. Grazie alla gentilezza di Faramir, che fece di tutto per metterlo a suo agio, e all’ottimo vino, l’Hobbit superò in fretta la sua precedente insicurezza. Il Sovrintendente incentrò la conversazione specialmente su Pipino e sui racconti dei tempi passati; Elboron, invece, lo tempestava di domande sulla Contea; affascinato e incuriosito dal quel mondo così lontano e diverso dal suo. Il Mezzuomo gli rispondeva volentieri, scoprendo pian piano di avere parecchio in comune con lui: curiosità, irrequietudine e desiderio di scoprire il mondo. Nel frattempo, anche senza alzare gli occhi, poteva sentire su di sé lo sguardo divertito di Aragorn, e quello più dolce e carico di tenerezza di Arwen.
Con loro sedevano, oltre ai soldati, molte nobili donne. Ma di Dama Eowyn, Faramir non vide traccia.
 
“Mi fu detto infatti, che la sua figlia più piccola, Finduilas, si era ammalata all’improvviso, e lei non si era sentita di lasciarla in quel momento. Sulle prime mi dispiacque parecchio che non fosse lì con noi, ma ero consapevole che avrei avuto molte altre occasioni per poterla vedere. Passai così il resto del pranzo a conversare con gli altri soldati, mentre Aragorn e Faramir discutevano di politica e di una questione riguardante Dunland. Verso sera mi fu poi assegnata una stanza, la stessa dalla quale vi sto scrivendo questa interminabile lettera. Si è fatto buio fuori, nonostante le giornate qui siano più lunghe che a casa. Casa! Raccontatemi qualcosa voi ora! Quali notizie dai Gamgee? Come sta Goldilocks? Rassicuratela mi raccomando, e ditele che la mia prossima lettera sarà interamente per lei. Ora è meglio che vada; domani comincerà finalmente il mio addestramento e voglio provare a riposare. Anche se dubito che ci riuscirò; l’agitazione ha preso il sopravvento..
Siete sempre nei miei pensieri, tutti voi, anche se a separarci c’è mezzo mondo.
Per sempre vostro,

Faramir



Note:
Ma ciaooooo =)
Vi sono mancata?? (Tutti: no!!)
Ma si che vi sono mancata (almeno un pocherrimo dai =)). Cooomunque, spero che perdonerete il tremendo ritardo dopo aver letto il capitolo:  finalmente Faramir è arrivato!! E sto (forse) imparando a usare NVU (si nota?), ergo dovrebbe esserci un HTML decente xD.
Devo dire che non è stato per niente facile trattare insieme due personaggi con lo stesso nome, infatti era una cosa che temevo da un po’. Mi sono servita quindi dell’espediente della lettera, alternata a scene ‘dirette’, per fare in modo che almeno uno dei due parlasse in prima persona xD. Che dite, ci stà??
Purtroppo ho davanti a me un periodaccio e non posso promettervi aggiornamenti a breve, ma farò del mio meglio per non farvi attendere troppo. Ho tutte le intenzioni di portarla a compimento questa storia, dovete solo avere pazienza ;)
Bien vi ho tediati a sufficienza, passo come al solito a ringraziare le mie meravigliose recensiste Evelyn80 e Melianar (se qualcun altro vuole aggiungersi non siate timidi ^^), e tutti voi lettori. Grazie di tutto il vostro tempo, carissimi/e.
Buon proseguimento di vita, e al prossimo incontro!
Leila
 


 
 

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Capitolo 8
*** Il mese di Marzo ***


IL MESE DI MARZO
 
Un altro giorno volgeva al termine ad Hobbiville, nella Contea. L’aria si era fatta più fresca e gli Hobbit impegnati nei campi si apprestavano, falce in spalla, a fare ritorno a casa. Il loro allegro fischiettare si mischiava alle voci delle madri che chiamavano i propri bambini: il pasto serale era quasi pronto ormai, basta giocare!
 
Il sole aveva da poco iniziato il suo consueto declino, offrendo però quel giorno, un tramonto di rara bellezza.
L’orizzonte era un’apoteosi di colori. Rosa, giallo e arancione sembravano fare a gara tra loro, contendendosi il predominio nel cielo, e infiammando le nuvole. Qua e là, a mitigare quell’oceano di fuoco, faceva capolino qualche sprazzo di viola.
 
Nell’aria si sentiva già profumo di primavera: le prime gemme si affacciavano timidamente sui rami, dove le rondini da poco tornate, avevano iniziato a costruire i loro i nidi.
Goldilocks Gamgee adorava il mese di Marzo. Quel periodo incerto, quasi di stallo, a cavallo tra morte e rinascita… Quando il freddo oramai se ne sta andando, e tuttavia, il caldo è ancora lontano. Ecco, è in quel momento che la vita ritorna a fiorire e nell’aria si avverte come un qualcosa… l’anticipazione, la promessa dell’Estate.
 
Marzo era anche il mese del compleanno di Elanor. Ogni anno, prima che la giovane si sposasse, la sua famiglia era solita organizzare una festa come dire… ‘sontuosa’ per quell’occasione. Un evento eccezionale a cui erano sempre invitati decine di Hobbit: dopotutto Elanor era la figlia del Sindaco! Era stata proprio in una di quelle occasioni, pensava ora Goldilocks, che sua sorella aveva conosciuto Fastred, il suo futuro marito. Goldilocks ne era stata da subito profondamente gelosa, pur cercando di nasconderlo per non ferire i sentimenti della sua sorellona. Tra le due, infatti, nonostante la differenza d’età, vi era da sempre un legame molto stretto. Elanor era stata a lungo la sua confidente, l’unica a cui Gold avesse mai rivelato ciò che provava per Faramir. E ora questo bellimbusto venuto da chissà dove voleva portargliela via! Nossignore! Ovviamente, una volta visto quanto Fastred rendesse invece felice Elanor, la giovane lo aveva pian piano accettato. Quando poi era nato il piccolo Elfstan, si era sentita addirittura al settimo cielo. Tuttavia ancora adesso, ogni volta che pensava a quell’allegra famigliola, una punta d’invidia tornava a tormentarla. Quanto avrebbe voluto essere felice come loro! Oh, quanto sarebbe stato meraviglioso se Faramir fosse arrivato lì all’improvviso, nella sua lucente armatura, e si fosse inginocchiato dicendole… Ma no, quante sciocchezze!
 
Goldilocks strinse al petto l’ultima lettera che aveva ricevuto da Gondor. Le era stata recapitata qualche mattina prima, ed era la seconda che Faramir le aveva inviato dal momento della sua partenza. E meno male che aveva promesso di scriverle spesso!
“Minas Tirith è lontana, sai quanto ci mette la posta!”
“E poi il suo addestramento lo tiene molto impegnato, come vedi scrive di rado anche ai suoi..”
Una seconda vocina, assai più malevola, fece capolino tra i suoi pensieri: “Già, ma il tempo di divertirsi lo trova nevvero? Si si, sembra proprio che se la spassi alla grande con i suoi nuovi amici.. nuovi amici… nuovi amici…”
“Basta!” sbuffò la giovane ad alta voce, guardandosi poi subito intorno impaurita. Ma non c’era nessuno ovviamente. Per questo amava recarsi alla Vecchia Quercia: era un posto così tranquillo… era il loro posto…
 
Gold scosse con forza la testa, quasi a voler scacciare i cattivi pensieri: non serviva a nulla tormentarsi a quel modo! Ne era ben consapevole e per quel motivo, da un paio di mesi, aveva cercato ‘rifugio’ in un nuovo passatempo. No, passatempo non era la parola corretta: forse lo era stato all’inizio, ma ora ne avrebbe fatto volentieri il suo lavoro, se solo fosse riuscita!
 
Tutto era iniziato uno dei primi giorni di Gennaio: il piccolo Tolman era corso in casa piangendo e tenendo fra le mani un uccellino ferito.
“Non riesce più a volare! Come farà adesso?” Il piccolo era inconsolabile. Intenerita, Gold si era offerta di dargli un’occhiata. Non che fosse un’esperta in quel settore, ma all’improvviso le era tornato in mente un libro che aveva trovato e letto un giorno, nello studio di suo padre. Parlava in generale di piante e conteneva, più che altro, informazioni utili per il giardinaggio. Oltre ciò, tuttavia, Gold vi aveva trovato alcuni paragrafi riguardanti le erbe con proprietà officinali. Fortuna voleva che alcune delle suddette erbe non crescessero lontane da casa. Suo fratello Frodo era riuscito a recuperarne in quantità sufficiente da permettere a Gold di preparare una sorta di infuso. La giovane aveva poi preparato degli impacchi e li aveva applicati sulla ferita della povera creatura.
 
Tempo qualche giorno e l’uccellino fu di nuovo in grado di volare. Tolman era entusiasta, e correva in lungo e in largo per Hobbiville elogiando le doti da guaritrice della sua sorellona. In men che non si dica Goldilocks si era ritrovata sommersa da richieste d’aiuto da parte dei piccoli Hobbit, che avevano preso a portarle ogni sorta di animaletti feriti. Per alcuni purtroppo non vi era stato molto da fare, ma la maggior parte tornava generalmente in salute dopo le amorevoli cure della giovane. La sua fama di guaritrice cresceva di giorno in giorno, e pian piano Gold iniziò a curare anche i piccoli malanni delle persone, a cominciare dai suoi familiari. A volte bastava semplicemente la sua presenza, dolce e rassicurante, a fare in modo che la gente si tranquillizzasse e si sentisse meglio. Col tempo poi, le sue competenze sul campo migliorarono sempre di più, al punto che per quasi tutti diventò naturale richiedere il suo aiuto per piccoli infortuni o malattie.
Aveva dovuto lasciare senza troppi rimpianti il suo posto di cameriera al Drago Verde, per dedicarsi al meglio alla sua nuova attività. Questo nuovo ‘lavoro’, oltre a darle parecchie soddisfazioni, aveva stranamente ridotto il numero dei suoi spasimanti. Si mormorava infatti, che la bella Gold non fosse più la fanciulla timida e discreta, quasi sottomessa, che molti giovanotti avrebbero ambito ad avere in moglie. Ora era indipendente, sicura di sé, e trafficava tutto il giorno con quelle strane erbe. Un atteggiamento per nulla rispettabile! Da una ragazza poi! Il ruolo delle donne non era certo quello di essere erudite in strane scienze! Il fatto che quelle strane scienze però, contribuissero ad aiutare molti di loro, non sembrava affatto sfiorare il cervello dei giovani Hobbit. Sebbene le fosse capitato di sentire le voci che giravano sul suo conto, Goldilocks non sembrava comunque darvi peso. La sua nuova occupazione la rendeva felice come non mai, e le teneva la mente occupata.
 
Ma quando era sola e senza impegni, come quella sera di primavera, la sua mente volava irrimediabilmente a Faramir e a quanto sentisse la sua mancanza… Non poteva fare a meno di chiedersi se il giovane pensasse a lei, e se l’avrebbe trovato cambiato una volta che fosse tornato a casa…
 
“Papà sarà preoccupato, è quasi buio” fu il suo ultimo pensiero prima di allontanarsi dalla Vecchia Quercia per fare ritorno a casa. Chissà se anche quella sera avrebbe trovato ad accoglierla qualche creaturina ferita da assistere, raccolta per strada dai suoi fratelli. Non sarebbe stato male poter disporre di qualche nuovo libro sulle erbe… oramai i suoi li conosceva a memoria… chissà, forse a Pietraforata ne avrebbe trovati di nuovi…
 
                                              *******
 
“In piedi pigrone!”
“Niente da fare, dovresti saperlo ormai. Quando si mette d’impegno, non lo svegliano neanche un branco di Olifanti imbizzarriti...”
“Molto bene se l’è cercata. Adesso vedremo”.
 
Un ghigno divertito si dipinse sulle labbra di Elboron, mentre guardava la figura dormiente distesa sulla branda.
Eldarion sospirò, alzando gli occhi al cielo: conosceva bene quell’espressione ormai. Quando Elboron sorrideva a quel modo, erano sempre guai per qualcuno. A lungo le povere vittime dei suoi sciocchi scherzi infantili, erano state le sorelle di Eldarion: le principesse Isilme e Anvanime. A quel tempo però, non erano che delle bambine di appena qualche anno più piccole dei due ragazzi, e loro quattro usavano giocare ancora tutti insieme. Poi un bel giorno l’infanzia era finita, ma il figlio del Sovrintendente era rimasto un burlone, tale e quale lo era stato da piccolo.
In quel momento la sua vittima, che continuava a dormire beata russando leggermente, era il suo nuovo amico Hobbit: Faramir Tuc. Elboron si avvicinò alla branda con in mano una caraffa piena d’acqua trovata su un tavolino lì vicino. Dapprima la inclinò leggermente lasciando cadere solo qualche goccia; vista però l’assenza di reazioni dell’Hobbit, optò poi per una mossa più decisa.
“Dai Elb, no..” la debole protesta di Eldarion fu del tutto inutile e in men che non si dica, i due giovani si trovarono inseguiti da un furente Faramir, ormai del tutto sveglio e completamente zuppo.
Le loro risate e i gridolini del Mezzuomo risuonavano per tutta la camerata.
“Questa me la paghi Elb, ti giuro che me la paghi!”
“Ahahah avanti amico mio! Dopotutto ti ho fatto un favore. Oggi è festa ricordi?”
“Appunto per questo avrei continuato volentieri a dormire!”
“Non dire sciocchezze, adesso ti cambi e vieni con noi. Ci sarà da divertirsi in Città, fidati!” concluse Elboron con una strizzata d’occhio.
 
 
Il venticinque di Marzo era un giorno speciale a Minas Tirith e in tutto il regno di Gondor. Si celebrava infatti, l’anniversario della Caduta di Sauron, Signore Oscuro di Mordor. Faramir ovviamente conosceva a menadito la storia, ma questa era la prima volta che gli capitava di assistere a una celebrazione ufficiale. Elboron aveva ragione: sarebbe stato da pazzi rimanere a letto a poltrire.
Minas Tirith non era mai stata così viva. Certo, anche durante l’anno vi era sempre un via vai continuo, ma quel giorno pareva quasi che tutto il regno si fosse riversato in Città. Le strade erano piene di menestrelli che intrattenevano frotte di spettatori. La maggior parte narrava le gesta della Compagnia dell’Anello e degli eserciti di Nani, Uomini ed Elfi durante l’ultimo anno della Terza Era. Uno di loro aveva appena iniziato a cantare ‘Frodo dalle nove dita e l’anello del Fato’. Profumi di ogni tipo invadevano l’aria: frittelle, salumi, formaggi, pane appena sfornato… ad ogni angolo si poteva trovare almeno una bancarella carica di dolciumi e di altre leccornie. Faramir non si lasciò sfuggire l’occasione. Durante i primi giorni a Gondor, aveva sentito terribilmente la mancanza dei suoi sette abituali pasti quotidiani: la gente qui non conosceva la seconda colazione! Per non parlare del the pomeridiano e dello spuntino di mezzanotte! Ma ora che poteva rifarsi dei passati mesi di ‘digiuno’ non intendeva certo tirarsi indietro. Elboron lo imitò senza riserve, puntando però alla birra; Eldarion cercava invece di mantenere un certo contegno. Era pur sempre il principe ereditario! Ben presto poi, dovette lasciare i due amici per andare a cercare suo padre: aveva promesso di passare qualche ora con lui e con sua madre. Non li vedeva più molto, da quando aveva cominciato l’addestramento e intendeva sfruttare quel tipo di occasioni. Inoltre, ciò gli avrebbe dato modo di assistere a qualche udienza con i sudditi: udienze che, prima o poi, avrebbe dovuto tenere anche lui. Aragorn era molto amato dalla gente per la sua giustizia e generosità, ed Eldarion si sforzava di imitarlo in tutto e per tutto. A cominciare dall’assistere agli incontri tra lui e i cittadini.
Faramir lo osservò allontanarsi un po’ dispiaciuto: avrebbe dovuto sorbirsi da solo il figlio del Sovrintendente. Generalmente apprezzava molto la compagnia di Elboron, ma non quando aveva bevuto. Diventava più sfrontato del solito e tendeva a trascinare il povero Hobbit in situazioni alquanto imbarazzanti. Per sua fortuna, in quel momento, l’amico sembrava più che altro distratto da un gruppetto di ragazze lì vicino, alle quali non esitò ad avvicinarsi. Faramir scosse la testa, indeciso se sentirsi sollevato o seccato. Bell’affare, abbandonato così in fretta da entrambi i suoi amici. Mentre si guardava intorno, alla ricerca di altri soldati della sua divisione, scorse tra la folla dama Eowyn.
 
Quel giorno la madre di Elboron indossava un vestito particolarmente sontuoso. Era di broccato e velluto, con una foggia alquanto elegante che le donava parecchio. Le maniche, di un bel verde scuro e dapprima un po’ strette, si allargavano a livello dei polsi. La parte centrale, era invece di uno spettacolare rosso scarlatto, e faceva risaltare al meglio la sua chioma dorata nella quale si mischiavano alcune ciocche ormai bianche. La gonna non era molto ampia, mentre la parte superiore del vestito le fasciava leggermente il busto sottolineandole le forme.
Era splendida, pensò Faramir.
Non l’aveva mai vista in abiti così eleganti. Generalmente indossava sempre delle vesti più semplici, dai tessuti meno pregiati e dai colori meno vistosi. Persino al loro primo incontro, avvenuto a casa del Sovrintendente mesi prima, Eowyn non si era preoccupata di mettersi in gingheri. Faramir sospettava che si trovasse più a suo agio in abiti quasi ‘dismessi’, simili a quelli maschili. Chissà, forse le ricordavano la sua giovinezza, e i suoi brevi trascorsi da guerriera. Questo era un aspetto che la differenziava profondamente dalla regina Arwen e dalle due principesse, elegantissime in qualunque occasione. Eppure, nonostante ciò, la sua bellezza era totalmente indiscussa. Una bellezza di tipo diverso, certamente, ma affatto inferiore a quella delle fanciulle reali. Non era più giovane ormai, ma lo splendore del suo sguardo era rimasto immutato, la figura era ancora esile e solo alcune rughe sottili le attraversavano il volto.
Faramir spostò il peso da una gamba all’altra, indeciso se avvicinarsi o meno. Amava parlare con Eowyn: era una persona affettuosa e gentile, pur possedendo una volontà d’acciaio. Con lei il giovane riusciva ad aprirsi senza problemi e a parlare col cuore. Non sapeva dire il perché. Voleva bene ad Elboron ed Eldarion, e si era fatto parecchi altri amici tra i soldati. Senza contare Bergil ovviamente, dal quale era regolarmente invitato almeno una sera alla settimana. Ma con nessuno di loro, e  nemmeno con Faramir, era mai entrato così profondamente in confidenza.                                                   
Eowyn era la prima a Minas Tirith a cui avesse rivelato la speciale amicizia che lo univa a Goldilocks. E lo aveva fatto spontaneamente, senza che lei lo forzasse. Forse vedeva in lei una sorta di figura materna, o forse dipendeva dalla sua semplicità e disponibilità ad ascoltare; fatto stava, che l’Hobbit sentiva di aver trovato una confidente e un’amica preziosa.
 
Alla fine fu lei ad avvicinarsi, dopo essersi accorta che la stava osservando.
“Faramir! Credevo fossi assieme a mio figlio. Che fine ha fatto quella canaglia?”
Il giovane arrossì: non voleva mettere nei guai l’amico. Eowyn capì subito il suo imbarazzo, dopotutto conosceva bene suo figlio: “Quando c’è una festa tende sempre a divertirsi un po’ troppo. Mi domando da chi abbia preso, benedetto ragazzo!”
“Sicuramente non da suo padre” ridacchiò l’Hobbit.
Eowyn alzò un sopracciglio fingendosi offesa, poi sorrise anche lei e cambiò argomento.
“E tu come stai amico mio? Ti stai divertendo?”. Non si riferiva solo alla festa, Faramir lo sapeva.
“Oh si!” rispose cercando di suonare convincente. “Non potevo pensare di trovarmi meglio di così. Ho imparato moltissime cose in questi mesi, ho visto posti bellissimi… E siete tutti così gentili con me…”
Eowyn colse la leggera esitazione nella sua voce: “Ho come l’impressione che ci sia un ‘ma’ taciuto, alla fine della tua frase. Hai nostalgia di casa amico mio?”
Faramir sospirò: a volte Eowyn era fin troppo perspicace.
“A volte, certo… ma non è questo il problema… è solo che…”
“Si?” lo incoraggiò lei dolcemente.
“Ecco da un po’ di tempo ho come l’impressione che mi manchi qualcosa… qualcosa che mi faccia sentire completo. Credevo che la mia irrequietudine fosse dovuta al desiderio di vedere il mondo, di scoprire cosa ci fosse al di là dei confini della Contea. Desideravo una grande avventura come quella che è capitata a mio padre e ai suoi amici… Eppure, eccomi qui, soldato della guardia di Gondor, amico del Re e del Sovrintendente e ancora sento che mi manca qualcosa!”
Eowyn sorrise tra sé e sé: l’età e l’esperienza l’avevano resa saggia, e di una cosa era quasi del tutto certa. Faramir era ben lungi dall’immaginarlo, ma in gran parte il motivo della sua inquietudine doveva essere dovuto a quella giovane Hobbit di cui le aveva parlato. La donna tenne per sé questi pensieri e gli disse invece: “Ѐ normale Faramir: anche per me era così alla tua età. Quando si è giovani ci si sente in grado di poter fare qualunque cosa; si vorrebbe fare qualunque cosa! Tu hai avuto il coraggio di inseguire un tuo sogno e hai una famiglia e degli amici che ti hanno appoggiato e ti appoggeranno sempre. Sei già cresciuto molto dal tuo arrivo in Città e non mi riferisco all’aspetto fisico. Sono sicura che presto capirai quale sia il tuo posto… Abbi pazienza amico mio, e impegnati al massimo nei compiti che ti sono richiesti come hai fatto fin’ora”.
“Grazie mia signora”, mormorò Faramir quasi commosso. Si sentiva onorato di tanta fiducia e allo stesso tempo sollevato, come se la chiacchierata con Eowyn lo avesse liberato di un peso.
“Credo che sia meglio che tu vada a cercare Elboron adesso, mi sentirei più tranquilla se lo tenessi d’occhio” scherzò lei.
Faramir annuì, e salutandola con un inchino, si avviò alla ricerca dell’amico.
 
“Eccoti finalmente! Ma dov’eri finito? Ho conosciuto delle ragazze bellissime, vieni che te le presento”
L’Hobbit sbuffò: “Non sono io quello che è sparito, sei tu che mi hai abbandonato all’improvviso senza alcuna remora per attaccare bottone.”
“Sul serio l’ho fatto? Beh ora rimedio subito! Sono sicuro dopo averle conosciute, mi perdonerai qualunque cosa” ribattè Elboron sorridendo.
Faramir scosse la testa: era impossibile rimanere arrabbiati con Elboron per più di cinque minuti e ad ogni modo, il giovane riusciva sempre a vincere qualunque tipo di discussione.
“D’accordo allora e vediamo se questa volta riuscirai a concludere qualcosa” disse prendendolo in giro, prima di sparire con lui in mezzo alla folla.
 

 
 
 
Note: (un po’ lunghine oggi ^^’)

Salve a tutti, belli e brutti =)
No scherzo, voi siete tutti belli, non fosse altro perché seguite la mia storia ^^. Non sapete quanto mi rendiate felice.
Ma veniamo a noi: vi devo confessare che non mi ha convinta tantissimo questo capitolo…forse perché ho fatto più fatica del solito a scriverlo, o forse perché fino ad oggi pomeriggio vedevo tutto un po’ nero..boh! Comunque ora uno dei due maledettissimi esami è andato, e sono mooolto più rilassata e pronta ad accogliere tutti i vostri commenti =)
Qualche piccola nota: andiamo con ordine
  1. Tolkien non dice come si siano conosciuti Fastred ed Elanor, così li ho fatti incontrare alla festa di lei
  2. Il fatto che Goldilocks sia una guaritrice è di mia completa invenzione, anche se chi lo sa, potrebbe anche essere =) (Tolkien non dà molte informazioni riguardo a lei)
  3. Anche la festa a Gondor è di mia invenzione, ma mi sembrava verosimile come cosa, spero vi sia piaciuta =)
  4. Eowyn, a voler essere super precisi, avrebbe più di sessantanni all’epoca della mia storia. Quando me ne sono accorta ho deciso di prendermi una piccola libertà, e di renderla più giovane…licenza poetica…perdonatemi non ce la facevo a immaginarmela così vecchia xD.
  5. Credo sia tutto ^^
 
Tornando a noi, miei carissimi, mi sono accorta or ora di non aver mai ringraziato coloro che mi hanno messa tra le seguite, preferite e ricordate! Perdonate questa persona orribilmente orribile!!
Lo faccio ora: un grazie di cuore a Iphygenie77, Mirime8, _Son Hikaru, Xingchan, Melianar, Evelyn80, Anuen, Missing23 e Halfblood_Slytherin!!
Ringrazio come sempre le mie fedelissime recensiste Melianar e Evelyn80 e do il benvenuto ad Anuen, Mirime8, Aven90 e Missing23: mi date una gioia immensa!
Ok ho finito ^^’
Non so se riuscirò ad aggiornare prima del 26  (cioè quando parto per le vacanze xD). Nel caso non riuscissi ci vediamo ad Agosto, e vi prego non odiatemi =(!
Ho proprio bisogno di staccare un po’…ma prometto che poi torno =P
Buone vacanze a tutti!
 
 

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Capitolo 9
*** E' tempo di tornare ***


Ѐ TEMPO DI TORNARE
 
I mesi passarono veloci, come mai prima d’ora era sembrato a Faramir.
Quando era piccolo non riusciva a capacitarsi del perché, un medesimo lasso di tempo, potesse essere percepito in maniera così diversa. Com’era possibile, si chiedeva, che dieci minuti a volte sembrassero un’eternità ed altre invece, volassero via rapidi come un battito di ciglia?
 
“Dipende da come abbiamo passato quel tempo, tesoro” , gli aveva spiegato un giorno sua madre. “Quando lo impieghiamo divertendoci, facendo le cose che amiamo, ci sembra che passi veloce… troppo veloce, quasi senza che ci permetta di gustarcele. Se invece stiamo svolgendo dei compiti noiosi o ingrati, che vorremmo volentieri evitare… ecco in quel caso persino cinque minuti possono diventare infiniti.”
Sagge parole. La sua mamma era sempre saggia. A Faramir però, non era mai piaciuta questa storia del tempo. Gli era sempre sembrata una fregatura in entrambi i casi. Una via di mezzo non esisteva? Perché ogni momento con Gold gli veniva sottratto con una rapidità sconvolgente, e le faccende di casa non sembravano avere mai termine?
Ed ecco che ancora una volta, questo famelico e maledetto tempo tornava a fregarlo. Non era possibile che fosse già arrivato Settembre! Doveva esserci un errore, doveva per forza! Non poteva essere già trascorso quasi un anno dal suo arrivo in Città.
Eppure era così, lo sapeva bene, inutile illudersi.
 
“Un anno Faramir.”
Ma padre!”
“ Ho detto un anno figliolo. Ne più ne meno di quanto sia stato via io.”
Peregrino era stato irremovibile: “Tu sei il mio erede, e per quanto capisca la tua sete di avventure e la tua voglia di vedere il mondo, credo che questo sia un compromesso più che accettabile.”
Quella volta Diamante si era detta stranamente d’accordo con suo marito. Non era facile avere a che fare con ben due Tuc: molto spesso non riusciva a distinguere chi dei due fosse l’adulto, e chi invece il ragazzo! Ma doveva riconoscere che in questa occasione, suo marito aveva gestito la faccenda magistralmente. Faramir aveva espresso da sempre il desiderio di diventare un soldato di Gondor, e chi lo sa, forse se avesse avuto dei fratelli la cosa sarebbe anche stata possibile. Ma il giovane era rimasto figlio unico, e sarebbe passato a lui un giorno, il titolo di Conte. Un semplice anno di addestramento a Minas Tirith avrebbe messo tutti d’accordo: suo figlio avrebbe vissuto la sua personale avventura e visitato questo vasto mondo, di cui Peregrino parlava sempre; suo marito avrebbe avuto la coscienza pulita, rispettando la promessa fatta a Faramir quand’era bambino,  e lei… beh Diamante di Lungo Squarcio ora Tuc si sarebbe goduta un meritatissimo anno di pace!
 
La pace stava per finire, pensò Faramir. Molto presto avrebbe dovuto dire arrivederci ad Eldarion, Elboron, Bergil… a tutti i suoi compagni della guardia! E alla piccola Ederwen! Quanto avrebbe pianto, senza più poter vedere il suo Forhain!
Basta allenamenti, basta sveglie alle prime luci dell’alba per il cambio della guardia. Non avrebbe più riso agli scherzi di Elboron, non avrebbe più potuto godere della splendente bellezza di Arwen, della squisita compagnia del Sovrintendente e di Eowyn…Eowyn! Solo ora realizzava quanto gli sarebbe mancata! Più di chiunque altro avesse conosciuto in Città. Doveva lasciare il posto più bello in cui fosse mai stato e gli amici più cari che avesse mai avuto, e per cosa poi? Un’eredità che non aveva mai chiesto, un titolo che non aveva mai voluto!
 
Gold.
La voce ormai ben nota, di quella che sospettava essere la sua coscienza, s’insinuò tra i suoi pensieri.
Gold ti sta aspettando ricordi? Le hai promesso che saresti tornato, le hai lasciato la spilla di tuo padre. La spilla di Dama Galadriel. Ti eri ripromesso di custodirla come se se fosse il più prezioso dei tesori. Eri così fiero, così emozionato, quando tuo padre te ne ha fatto dono. E hai scelto di darla a lei. Questo vorrà pur dire qualcosa no?
Un tempo forse… ora non ne era più tanto sicuro. Ma no, chi voleva prendere in giro? Quando mai era stato sicuro? Non si era mai permesso di pensare a Gold come a qualcosa di più di un’amica; una cara amica, una sorella… per paura probabilmente, sì, paura di cambiare le cose. Goldilocks invece, era senza dubbio molto più coraggiosa di lui! Faramir avrebbe mentito, se avesse detto di non essersi reso conto del nuovo modo in cui lei aveva preso a guardarlo da un po’ di tempo a questa parte. Con testardaggine, e probabilmente stupidità, aveva finto di non essersi accorto di nulla, pur sapendo che probabilmente la giovane stava soffrendo. Idiota di un Tuc! Codardo e immeritevole, ecco cos’era! A lungo era stato tormentato dal dilemma di aprirle il suo cuore e dichiararle i suoi sentimenti. Lei lo avrebbe accettato, di questo non ne dubitava, nemmeno per un istante. Ma legarsi a Gold avrebbe voluto dire accettare il suo titolo. Formare una famiglia, rimanere per sempre nella Contea, senza più la possibilità di vivere un’avventura. Non poteva permetterlo, non ancora. C’erano così tante cose che avrebbe voluto fare, tanti posti che avrebbe voluto visitare. E così era partito inseguendo il suo sogno. Allontanandosi da tutto e da tutti, fuggendo dall’amica più sincera che avesse mai avuto, dalla persona che, dopo i suoi genitori, più lo amava al mondo. L’aveva lasciata con una promessa, ma all’improvviso era come se preferisse non averlo fatto.
 
Non sono ancora pronto, ho bisogno di più tempo! Pensava il giovane. Tempo, tempo, tempo… sempre e inesorabilmente contro di lui!
 
 
                                        ********
 
“Faramir! Che sorpresa! Entra! A cosa dobbiamo questa visita?”
La giovane Finduilas lo fece accomodare, offrendogli da bere e quel che restava di una torta alle mele.
“Oggi non sono di turno e ho pensato di venire a trovarvi. Avrei bisogno di parlare con tuo padre Finduilas. Ѐ in casa?”
La giovane annuì: “Sei fortunato è rientrato da poco. Ora vado a chiamarlo.” E si alzò avviandosi verso il retro della casa.
Faramir ne approfittò per dare un’occhiata intorno. Aveva preso ad amare la bella dimora del Sovrintendente. Una casa grande e accogliente, situata nella verde terra d’Ithilien, non molto distante da Minas Tirith. La circondava un ampio giardino ricolmo di piante e di fiori dai nomi più strani. Era un luogo riparato, ed emanava un senso di pace e serenità, che contrastava alquanto col clima caotico della Città Bianca. Sotto certi aspetti, quella regione rigogliosa gli ricordava la Contea, nonostante fosse popolata esclusivamente dalla Gente Alta.
“Faramir!”, si sentì chiamare l’Hobbit.
Il Sovrintendente era appena entrato e gli si avvicinò porgendogli il braccio: “Credevo fossi via come di consueto nel tuo giorno di riposo. Cosa ti ha trattenuto stavolta?”
 
Era vero: spesso, non appena si presentava l’occasione, il giovane Hobbit assieme ai principi e a qualche altro ragazzo, amava avventurarsi oltre i confini di Gondor. Durante i suoi primi mesi, in realtà, i confini non li avevano mai oltrepassati. Tutto era nuovo a quel tempo per l’Hobbit, e i suoi amici erano stati ben lieti di fargli da guida. In meno di tre mesi lo avevano portato a visitare i luoghi più belli e suggestivi del Regno. Da Osgiliath, ricostruita alla fine della Guerra, sebbene mai tornata al suo primitivo splendore; alla roccia di Erech, dove si diceva che il Re della Montagna avesse giurato alleanza ad Isildur, un giuramento rispettato solo pochi anni prima. Insieme, i giovani erano stati fino a  giù nel Lebennin, tra gli Ered Nimrais e i suoi ghiacci perenni. Infine avevano portato l’Hobbit a Dol Amroth, capitale del feudo di Belfalas, e qui Faramir aveva potuto mirare per la prima volta quello sconvolgente spettacolo che è il Mare. Ancora adesso, il giovane non aveva parole per descrivere la profonda emozione che gli era sgorgata nel petto di fronte a quella sconfinata distesa d’acqua. Non era preparato a una vista del genere. Nulla, assolutamente nulla di tutto ciò che avesse visto finora, era paragonabile a quella meraviglia: i richiami dei gabbiani, il continuo infrangersi delle onde sugli scogli con la loro bianca spuma, l’odore salmastro delle alghe… Faramir si era sentito così piccolo, ma allo stesso tempo aveva desiderato poter salpare verso l’orizzonte per vedere cosa ci fosse sull’altra invisibile sponda.
Più tardi, quello stesso giorno, erano stati ospiti del principe Elphir. Costui era il figlio maggiore di Imrahil, zio del Sovrintendente, morto qualche anno prima. Elphir era stato molto felice di conoscere Faramir. Suo padre gli aveva parlato spesso e con ammirazione dei famosi Perian, a causa del ruolo da loro ricoperto durante la Guerra. Aveva intrattenuto a lungo i giovani, raccontando loro la storia della sua città e le leggende ad essa connesse.
 
Era stato forse il giorno più bello che Faramir avesse mai trascorso a Gondor.
Come poteva ora tornarsene a casa, in quella pacifica e isolata terra che era la Contea, dopo aver visto tante meraviglie? Come avrebbe potuto riabituarsi alla sua vecchia vita, in mezzo a gente così… così banale! Sì, banale e ordinaria! Lui era diverso ora, poteva aspirare a qualcosa di meglio!
 
“Voglio restare qui”, si sentì chiedere al Sovrintendente.
Faramir lo guardò, i suoi profondi occhi grigi sgranati dallo stupore: “Che cosa hai detto?!”
L’Hobbit ripetè la frase, con un tono più spavaldo del solito: “So che quando avete accettato la richiesta di mio padre, gli accordi prevedevano un anno di addestramento e nulla di più. Tuttavia sono sicuro che se voi gli parlaste-”
“Faramir” lo interruppe l’uomo. “Si può sapere cosa sono questi discorsi? Perché mai dovresti voler restare qui?”
“Beh, perché non dovrei? Credevo di avervi dimostrato il mio valore in tutto questo tempo. Sono resistente e tenace quanto chiunque altro fra i soldati, e so tirare con l’arco meglio di chiunque nella mia divisione. Potrei esservi utile se-”
“Basta così!”. La voce di Faramir, più severa del solito, lo interruppe di nuovo. “Nessuno qui ha mai messo in dubbio il tuo valore. Avevamo tutti la massima fiducia in te fin dall’inizio e di certo non ti stiamo cacciando. Ma casa tua è la Contea Faramir. So che hai delle responsabilità lì, e che tuo padre ha bisogno di te.”
Il giovane abbassò lo sguardo e ammise a voce più bassa: “Non sono pronto a tornare a casa mio signore..”
Faramir lo guardò a lungo prima di rispondere. Che cosa gli era preso oggi a quel giovanotto? Fino al giorno prima gli era parso così allegro, spensierato e vivace, ed ora… ora sembrava quasi che avesse paura. Si paura, era di questo che si trattava! Ma di cosa? Cosa mai poteva avere da temere quell’Hobbit in una terra come la Contea? Faramir era pronto a scommettere che in quanto a forza e ad altezza, nessuno lassù fosse superiore al giovane Tuc. E aveva una famiglia meravigliosa, che lo aveva aiutato e incoraggiato finora.
Una famiglia che lui non aveva mai avuto, non fino a prima di conoscere Eowyn.
Perché allora tanta reticenza? Timore di perdere i suoi nuovi amici forse? La distanza effettivamente era molta ma...
“Potrai tornare quando vorrai, lo sai questo vero?” gli disse cercando di rassicurarlo, “La mia casa sarà sempre aperta per te, e sono sicuro che tutti gli altri verranno volentieri a trovarti su al Nord, e faranno di tutto per restare in contatto.”
L’Hobbit sospirò, alzandosi e avviandosi verso la porta: “Non ne dubito capitano. Vi ringrazio per il vostro tempo”.
E se ne andò senza lasciare all’altro la possibilità di ribattere.
 
 
                                          *******
“Manca molto?”
“Non fare domande e cammina”
“Ma dove diamine stiamo andand-ahi! Perché non guardi dove vai tu che puoi?!”
 
La scena era alquanto ridicola: un Mezzuomo bendato, trascinato a forza da un uomo alto il doppio di lui attraverso i corridoi del palazzo reale.
“Scusa amico, siamo quasi arrivati. Ancora un attimo di pazienza e…”
“Sorpresa!” urlarono all’unisono decine di voci.
Elboron tolse in fretta la benda dagli occhi di Faramir, che si guardò attorno leggermente frastornato. L’amico si era presentato poco prima nella sua stanza intimandogli di seguirlo, non prima  però di avergli bendato gli occhi. Faramir un pò sconcertato, si era lasciato condurre, anzi sballottare, in giro per la reggia, finchè non si erano fermati davanti all’ingresso di una grande sala.
“Beh, non dici nulla?” gli chiese Elboron.
Ad aspettarli sorridendo, assieme ad Eldarion e alla sua famiglia, c’erano tutti i loro compagni di divisione e i loro comandanti, alcune dame di corte, Bergil con Elarin e la piccola Ederwen, e naturalmente Eowyn e suo marito.
“Io… beh, devo dire che la sorpresa vi è decisamente riuscita!” esclamò il Mezzuomo scoppiando a ridere, e correndo ad abbracciare gli amici.
“Grazie, grazie, grazie!” continuava a ripetere a destra e a manca.
“Credevi davvero che ti avremmo lasciato andare via come se niente fosse?” ridacchiò Eldarion, mentre gli batteva una mano sulla spalla.
“Sarai al centro dell’attenzione per tutta la sera” ghignò Garreth, un suo compagno di camerata.
Ben presto tutti fecero a gara per monopolizzare l’attenzione del giovane Hobbit, che ricevette abbracci e pacche amichevoli da chiunque gli fosse vicino. A un cenno di Aragorn, un gruppo di suonatori in fondo alla sala attaccò un motivetto vivace e tutti iniziarono a ballare.
Faramir si trovò ben presto conteso dalle due principesse, che durante quell’anno avevano preso a considerarlo una specie di fratellino, e da Finduilas, che invece lo vedeva come un fratello maggiore. La cosa lo divertì alquanto, ma si riservò di concedere il primo ballo, ebbene sì, alla piccola Ederwen!
Elboron lo guardò stralunato e approfittando della situazione corse a invitare Isilme.
Garreth puntò alla sorella rimasta libera, ed Eldarion si affrettò a ‘consolare’ Finduilas. Aragorn ed Arwen volteggiavano con grazia un poco distanti dalla folla, quasi persi in un mondo tutto loro… un mondo lontano, fatto esclusivamente di ricordi. Il Sovrintendente e sua moglie dondolavano sul posto, stringendosi forte, finchè lei non fu reclamata da Anborn, uno dei comandanti di Compagnia.
 
“Faramir, è successo qualcosa tra te e mio marito?”
L’Hobbit s’irrigidì a quelle parole. Aveva ballato con quasi tutte le donne presenti, e ora che finalmente si stava godendo alcuni minuti con Eowyn, non si aspettava di certo quella domanda.
“Non capisco. Cosa volete dire?” rispose.
Eowyn sbuffò lievemente: “Non sono una sciocca mastro Hobbit. Credo che tu abbia parlato praticamente con qualunque persona presente in questa sala, a parte lui. Ѐ tutta la sera che vi state evitando, perciò te lo domando di nuovo: è successo qualcosa?”
“Nulla..” borbottò lui.
“So che l’altro giorno sei passato a trovarci”, continuò lei imperterrita, “Me ne ha parlato Finduilas. Mi dispiace non essere stata in casa al momento. Di che cosa avevi bisogno amico mio?”
Ma prima che l’Hobbit potesse rispondere, Aragorn fermò la musica e chiese a tutti, con un cenno, il silenzio.
“Vorrei proporre un brindisi!”, esclamò, “A un nostro caro amico, che presto ci lascerà per ritornare alla sua terra: la Contea, dimora dei Mezzuomini.”
“Ѐ stato il migliore dei compagni per mio figlio Eldarion, un amico fedele per tutti noi e un valoroso soldato della guardia. A Faramir!”
“A Faramir!” esclamarono tutti levando i boccali.
Nuovamente, l’Hobbit si ritrovò circondato da tutti i suoi amici, e non ebbe più occasione di finire il discorso lasciato in sospeso con Eowyn.
 
 
 
                   ********
 
Tutto era pronto per la partenza. Forhain, già sellato, attendeva il suo padrone al cancello principale. Il fido destriero aveva dei finimenti nuovi di zecca, un dono del Re e di suo figlio. Faramir gli si avvicinò accompagnato da Bergil. L’uomo era stato il primo ad ‘accoglierlo’ in Città, e adesso sembrava tenerci ad essere l’ultimo a salutarlo. Si abbracciarono forte prima che l’Hobbit montasse a cavallo.
 “Prometti di scrivere. E torna a trovarci appena potrai” disse Bergil.
“Promesso” rispose il giovane.
“Faramir!”
Era stato il Sovrintendente a chiamarlo. Lo fissava appoggiato a un muro assolato sottostante a un arco, quasi incerto se avvicinarsi o meno. L’Hobbit si avviò verso di lui.
“Mi dispiace per l’altro giorno, io-“ iniziò il giovane.
“Sarai sempre il benvenuto in Città, non dimenticartelo. Ma in questo momento hanno bisogno di te altrove.”
Faramir annuì. Non era del tutto convinto, ma cercò di non darlo a vedere. Voleva separarsi in amicizia da uno degli uomini che più ammirava sulla terra.
“Ѐ stato davvero un onore servire ai vostri ordini. Ѐ più di quanto abbia mai meritato o potuto sognare” disse.
“Ѐ stato un onore per me averti ai miei comandi Faramir Tuc, futuro Conte della Contea” replicò l’uomo, stringendogli la mano.
 
“Faramir! Faramir, quassù!”
Il giovane alzò la testa verso l’arco di pietra sotto cui si trovavano poco prima lui e il Sovrintendente.
Sul ponte sovrastante l’arco, i due giovani principi assieme a Garreth, Beradan, Galdor e molti altri soldati di cui Faramir non ricordava il nome, si stavano letteralmente sbracciando per salutarlo.
Faramir rispose al saluto ridendo di gusto, prima di montare finalmente in groppa a Forhain e di allontanarsi al galoppo.
L’ultimo pensiero fu per Eowyn, che quella mattina era passata al suo alloggio assieme a Finduilas, portandogli alcune provviste per il viaggio.
 
 
 
 
                                       **********
 
“Non è niente di preoccupante Ortensia, solo una comune allergia. Se ne andrà con l’arrivo del freddo. Nel frattempo puoi provare a prepararti quell’infuso di cui ti ho parlato”.
Ortensia Paffuti annuì sorridendo e stringendo la mano di Goldilocks fra le sue.
“Grazie mia cara. Questo sciocco raffreddore mi ha tormentato per anni, ma solo d’Estate e non ero mai riuscita a capire di cosa si trattasse”.
Goldilocks fece un piccolo cenno in risposta. Aveva visto parecchie persone nello stato di Ortensia, tra cui sua sorella Primrose e il piccolo Tolman. Le c’era voluto un po’ per capire a cosa fosse dovuto e a trovare il giusto rimedio, ma ora vi era riuscita e poteva dirsi piuttosto soddisfatta.
“Sarà meglio che vada ora. Ho alcune faccende da sbrigare a casa” disse.
“Ma certo mia cara! Sei una giovane ammodo, l’ho sempre detto. Non so cosa faremmo qui ad Hobbiville senza di te. Ti prego, accetta almeno questa confezione di marmellata, l’ho fatta con le mie mani!”
 
Gold sorrise rassegnata: sapeva bene che Ortensia non poteva permettersi di pagarla, ma la povera Hobbit non voleva accettarlo ed era pronta ad usare i suoi pochi risparmi per ricompensare la giovane. Gold si era opposta con forza, ripetendo più e più volte che non era necessario, ma non se la sentì di rifiutare quell’ultima offerta che le veniva fatta davvero col cuore. Ortensia viveva sola da quando aveva perso il marito, e non avendo figli, tendeva a viziare tutti i piccoli del circondario, trascurando spesso la sua salute.
“Molto bene, ma permettimi di portarti uno scialle la prossima volta che passerò a trovarti” le disse. “Mia sorella Rosie sta diventando davvero brava nel lavoro a maglia e te ne cucirà volentieri uno” aggiunse, allontanandosi prima che l’anziana Hobbit potesse ribattere.
“Che ragazza d’oro” pensò Ortensia mentre la guardava andare via, “Degna figlia di suo padre. Fortunato l’Hobbit che conquisterà il suo cuore.”
 
“Sono tornata! Ehi c’è nessuno?”
“Gold sei tu?”
Rosie le corse incontro ridendo. Sembrava scoppiare dalla voglia di dirle qualcosa.
“Finalmente sei arrivata sorellona! Hai già sentito la novità? Faramir è tornato!”
 
 
 
 
 
 
Note:

Ciao a tutti amici e amiche!
Scusatemi se sarò breve, ma devo correre a fare il cambio di valigia che domani riparto per la Toscana, e direi che no, gli scarponi non mi servono xD.
Eccovi un nuovo capitolo per tenervi compagnia la prossima settimana ^^, spero davvero vi piaccia.
So che Faramir potrà magari risultare un po’ antipatico a un certo punto, ma tutto ha un suo senso =) (ehm almeno credo xD).
E così vi ho lasciati sul più bello! Che succederà ora che è tornato?? Boh non lo so ancora nemmeno io xD. No scherzo, lo so, ma devo come al solito riuscire a dargli la forma che voglio =).
Bom è tutto!
Grazie mille a Melianar, Evelyn80, Xingchan, Anuen, Missing23, Mirime8 e Aven90 per aver recensito.
Grazie mille alle ragazze delle preferite, seguite, ricordate e come sempre a Marta per il suo preziosissimo aiuto ^^
Un abbracccio!


Benni
 
 

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Capitolo 10
*** Buoni propositi, frasi a sproposito ***


Nda: ok lo so, mi starete odiando per il ritardo, e forse finito il capitolo mi odierete ancora di più…argh no spero di no, comunque buona lettura ci vediamo laggiù ^^
 
BUONI PROPOSITI, FRASI A SPROPOSITO

                          
“Ѐ tornato, è tornato, è tornato…”
 
Due semplici, e allo stesso tempo però sconcertanti parole, continuavano a rincorrersi all’infinito nella mente di Goldilocks Gamgee, rendendo sorda la ragazza a qualunque altro pensiero.
“Sorellona? Gold, ti senti bene?”
La giovane si voltò verso Rosie, che la osservava leggermente perplessa.
“Hai detto qualcosa Rose?”
“Ti ho solo chiesto se stessi bene. Mi sembri così distratta… non sei felice che Faramir sia tornato?”
“Oh! Ma certo… certo che ne sono felice” le rispose Goldilocks, sforzandosi di usare un tono sicuro, ma che non risultò convincente neppure alle proprie orecchie.
“Scusa Rose, devo… devo uscire un momento!” proseguì poi.
“Ma sei appena tornata!” le urlò dietro la sorellina. Ma Gold era già lontana.
“Bah! Chi la capisce è bravo”, borbottò tra sé Rosie, guardandola allontanarsi.
“Oh, ma certo! Che sciocca che sono!” si disse poi all’improvviso, come colpita da una rivelazione. “Dev’essere andata a trovarlo! Sì, sì di sicuro è così!”
E, fiera della sua intuizione, rientrò gongolando in casa.
 
 
Goldilocks attraversò tutta Hobbiville a passo spedito, incurante di qualunque cosa incontrasse sul suo cammino. Non si accorse di suo fratello Frodo, che, seduto assieme ad altri giovani fuori da una taverna la salutò sventolando le braccia; né di alcune amiche di sua madre con le quali in genere amava intrattenersi.
Ignorò completamente il gruppetto di Hobbit capeggiate da Bell, le cui critiche e malignità nei suoi confronti si erano alquanto inasprite, da quando Gold era diventata una guaritrice.
Probabilmente, sarebbe rimasta indifferente persino se fosse apparso all’improvviso uno di quei famosi Olifanti di cui amava spesso parlare suo padre!
Poi, senza alcun preavviso, si fermò di colpo, rendendosi conto tutto a un tratto di avere intrapreso inconsciamente la strada per Tucboro.
 
“Beh, che ti prende ragazza mia? Perché ti sei fermata? Non è lì che volevi andare forse? Ѐ quello che si aspettano tutti, no? Ѐ quello che certamente si aspetta Lui”.
 
Oh, sì! Non faticava affatto ad immaginarselo: fiero e raggiante nei colori di Gondor, arrivare in groppa a Forhain, con quel suo solito sorrisetto compiaciuto. Quel maledettissimo, adorabile sorrisetto, che ogni volta sembrava avere il potere di far crollare ogni sua difesa. Quanti scherzi e quante discussioni era riuscito a farsi perdonare in quel modo.
“Ma non questa volta!” si disse la giovane, risoluta.
Troppo a lungo e troppo amaramente, aveva atteso invano sue notizie. Per più di sei mesi aveva combattuto la lontananza e quell’opprimente e famigliare peso che sentiva sul cuore. Umiliandosi ad aspettare un semplice cenno di considerazione; sognando ingenuamente che Faramir le scrivesse di raggiungerlo a Minas Tirith perché si era accorto di sentire troppo la sua mancanza.
Lo aveva scusato a lungo e in ogni modo possibile, e ora tutto ciò che provava era pura e semplice rabbia. Verso di lui e il suo comportamento, ma ancor di più verso sé stessa. Rabbia per le sue sciocche illusioni… rabbia per tutto il tempo sprecato… rabbia per la sua debolezza. Debolezza che sentiva di non avere ancora sconfitto nonostante tutto l’impegno ed i buoni propositi, e che, temeva la giovane, l’avrebbe portata a cedere ancora una volta.
Non era pronta a incontrarlo, non ancora, questa era la verità. Non poteva recarsi a Tucboro e comportarsi come se nulla fosse accaduto… come se tutto andasse bene… perché così non era dannazione!
No, tutto ciò di cui sentiva di avere bisogno al momento, era del tempo per schiarirsi le idee. Un posto tranquillo per pensare… immaginare un’ipotetica conversazione, prepararsi un discorso…
Sì, questa volta non le sarebbero mancate le parole, avrebbe saputo esattamente cosa dire, e come rispondere!
E non sarebbe stata lei a cercarlo! Non oggi, nossignore!
Non era più la piccola e suggestionabile Hobbit, che Faramir aveva lasciato un anno prima! E presto, quel testone di un Tuc se ne sarebbe accorto!
 
                     ******
Faramir non ricordava di aver mai mangiato così di gusto in tutta la sua vita.
A malapena consapevole di sembrare un uomo a digiuno da mesi, divorava voracemente e senza pudore alcuno lo spezzatino con patate che sua madre gli aveva preparato. Non rammentava affatto che fosse sempre stato così buono! E da quando il ‘Vecchi Vigneti’ aveva un aroma così dolce?
 
“Giorni celesti! Ma non ti hanno dato da mangiare in quest’ultimo anno?” gli chiese Diamante con un espressione leggermente preoccupata.
“Lasciami indovinare!”, ridacchiò invece Pipino, “A Gondor non hanno mai sentito parlare della seconda colazione”.
“Già, avresti dovuto avvertirmi”, rispose allegramente Faramir stando al gioco. “Ѐ favoloso mamma. Non ricordavo lo preparassi così bene” aggiunse poi rivolto a sua madre e riferendosi allo spezzatino.
Diamante sorrise compiaciuta. “Ѐ bello riaverti a casa tesoro”, rispose semplicemente.
“Ma sono sicuro che ci sia qualcuno ancora più felice di te, cara”, ghignò suo marito, “Qualcuno il cui nome inizia per Gol-”
“Peregrino!” lo ammonì lei in tono brusco.
“Che c’è? Non mi sembra certo di aver svelato un segreto. Sei già passato a trovarla Faramir?”
“Veramente no…”, rispose borbottando l’interpellato, le guance lievemente arrossate.
“Beh, ma certamente l’avrai avvisata del tuo arrivo, no?”
Il giovane non rispose e distolse lo sguardo.
“Faramir, non posso crederci! Ma perché mai-”
“Basta così!”, intervenne nuovamente Diamante, con un tono perentorio, e rivolgendo a suo marito uno sguardo eloquente che sembrava dire: “Non capisci proprio nulla di queste faccende”.
“Raccontaci ancora di dama Eowyn tesoro. Sembra davvero una donna meravigliosa”, disse poi, cambiando completamente argomento, “Purtroppo non avevo avuto il piacere di conoscerla, anni fa.”
Faramir l’accontentò volentieri, lieto di poter riportare il discorso su Gondor e sulle tante avventure vissute lì durante l’anno appena trascorso. I racconti delle sue peripezie assieme ai principi, Bergil, e a tutti gli altri soldati, intrattennero e divertirono i suoi genitori per il resto della cena.
 
 
 
                                                                                ******
Il cielo era incredibilmente sereno quella sera; l’aria frizzante, ma non ancora pungente. Così, quando più tardi Pipino propose una tranquilla fumata sotto le stelle, Faramir accettò di buon grado.
Padre e figlio, armati di pipa e di Vecchio Tobia, si recarono sul retro della casa. Il giardino era quasi completamente buio: l’unica fonte d’illuminazione proveniva dalla finestra della cucina, dove Diamante stava finendo di rigovernare i piatti.
I due si sedettero su un vecchio tronco di quercia, che a lungo era stato usato come panchina in simili occasioni, e al quale la famiglia Tuc era particolarmente affezionata.
Per quel che ne sapevano era sempre stato lì, fin da quando erano venuti ad abitare in quella casa. Durante i suoi primi anni di matrimonio, Pipino l’aveva spesso condiviso con Sam, Merry, il buon vecchio Fredegario Bolgeri (che tutti avevano sempre chiamato Grassotto) e naturalmente Diamante. Su quel tronco, una sera d’estate, sua moglie gli aveva rivelato di aspettare un bambino; su quel tronco, anni dopo, quello stesso bambino aveva imparato a saltare la cavallina e a saltellare su un piede solo.
Sempre lì poi, una volta cresciuto, aveva appreso da suo padre come fumare una pipa e come riconoscere la qualità di erba migliore.
Il vecchio tronco era stato testimone silenzioso e discreto di molti meravigliosi racconti; nel suo legno erano custoditi gelosamente diversi segreti: i turbamenti, le preoccupazioni, i desideri che il giovane Faramir aveva condiviso con suo padre nel corso degli anni… di tutto ciò la fedele quercia aveva memoria.
 
Per alcuni istanti regnò il silenzio fra i due Hobbit, totalmente assorbiti dallo sforzo e dalla concentrazione che richiedeva il creare anelli di fumo.
Pipino, che aveva dalla sua parte anni di esperienza, ben presto si stancò dei semplici cerchi e provò a produrre figure più elaborate.
I richiami in lontananza di una vecchia civetta, uniti al frinire di alcuni grilli, erano gli unici suoni in sottofondo quella sera.
 
Fu Faramir a rompere il silenzio.
“Avevo dimenticato quanto fosse tranquillo qui. E come si vedono bene le stelle!”
Pipino annuì: “Ѐ sempre così quando ci si allontana per molto tempo da casa. Al nostro ritorno ogni cosa ci sembra diversa, quasi come se la vedessimo per la prima volta”.
Quest’ultima affermazione sembrò fornire a Faramir l’appiglio che cercava per fare a suo padre una domanda che lo tormentava da quella mattina.
“Sai… ormai credo di conoscere le tue avventure e i tuoi viaggi praticamente meglio di te!”, disse con un sogghigno, “Oltre ai tuoi racconti, ne ho sentito parlare tanto da mastro Sam…Aragorn…sire Faramir! Ognuno di loro mi ha raccontato di momenti diversi della vostra avventura e mi ha dato la sua personale versione. Ma c’è una parte della storia che solo tu conosci, e su cui non ti sei mai soffermato a lungo…”
“Parlami del tuo ritorno a casa padre”, continuò il giovane.
“Il mio ritorno a casa?” chiese Pipino, alzando un sopracciglio.
“Sì”, ribadì Faramir annuendo, “Com’è stato riprendere la tua vecchia vita? Tornare in un posto come la Contea dopo tutto ciò che di bello e terribile hai visto accadere? Dopo aver scoperto quanto sia grande… e maestoso… e tremendamente bello il mondo! Come diavolo sei riuscito a riabituarti a tutto questo?!” esclamò gesticolando e indicando attorno a sé. Mentre parlava si era accalorato, gli occhi brillavano e aveva le guancia arrossate.
 
Pipino lo guardava pieno di meraviglia: suo figlio era cresciuto a quanto pareva! Incredibile quanto a volte, un semplice anno lontano da casa, potesse cambiare così radicalmente una persona. Ma davvero ne era così sorpreso? Non era forse ciò che aveva visto accadere a sé stesso? Al buon vecchio Merry, a Sam… A Frodo? Specialmente a Frodo! La sconvolgente e strabiliante avventura che avevano condiviso li aveva segnati tutti, chi più, chi meno, inutile negarlo. Non si può pretendere di uscire indenni da un’esperienza del genere. Prima o poi ci si dovrà fare i conti.
 
Il suo ritorno a casa…
 
Avevano trovato una Contea assai diversa, da come l’avevano lasciata all’inizio del Viaggio. Pipino rabbrividiva ancora al pensiero: ingenuamente convinti che il Male fosse ormai solo un lontano ricordo, che non li aspettasse nient’altro che pace una volta tornati a casa, avevano scoperto che casa quasi non esisteva più! Le diavolerie di Sauron erano giunte fin lì: Mordor si era insinuata persino nella bella e pacifica dimora dei Mezzuomini e nel cuore di alcuni suoi abitanti.
Un’ultima battaglia, un’ultima cavalcata per la libertà, e finalmente la guerra ebbe davvero termine.
Sam si era poi accasato quasi subito, lui e Merry avevano invece impiegato più tempo, ma infine anche loro avevano messo su famiglia, e pian piano tutto era sembrato tornare  alla normalità. Già, sembrato! Mai parola fu più azzeccata. Perché ci si poteva illudere quanto si voleva, ma nulla sarebbe mai davvero tornato come prima. Tutto è come lo avevi lasciato, eppure è diverso, perchétu sei diverso. Il tuo sguardo sulle cose è cambiato. Il problema sta nel capire se in meglio o in peggio, pensava Pipino. Come poteva anche solo iniziare a spiegare queste cose a suo figlio, quando persino nella sua testa, c’era ancora una tale confusione?
Certo, avrebbe sempre potuto parlargli del dovere che sentiva di avere nei confronti di suo padre, il Conte Paladino, e verso quella carica che un giorno sarebbe passata a lui, in quanto unico maschio tra quattro figli. O dell’amore, verso quella riccia e spensierata fanciulla, che,  per chissà quale assurdo motivo, aveva commesso la pazzia di accettarlo come marito, rendendolo l’Hobbit più felice di Tucboro. O ancora dell’amicizia, che lo legava e lo lega tuttora ai suoi compagni di avventura. Tutti ottimi e validi motivi per restare, per ‘riabituarsi’, usando le stesse parole di suo figlio, alla sua vecchia vita. Ma a cosa sarebbe servito? Quelle erano le sue motivazioni, sebbene non le uniche, e forse nemmeno le più importanti. No, questa volta non avrebbe potuto aiutarlo. Questa volta, la risposta che Faramir cercava, avrebbe dovuto trovarla da solo.
“Sai bene cosa sia successo al mio ritorno figliolo”, disse poi ad alta voce, dando vita ai suoi pensieri, “E come ogni mia decisione presa da allora, mi abbia condotto fino a qui, con te, con tua madre, e la mia attuale carica. Non rimpiango nulla, e tornando indietro rifarei ogni singola scelta, persino quelle sbagliate, perché tutte, nessuna esclusa, mi hanno reso chi sono ora.”
Faramir borbottò qualcosa che suonava molto come ‘questo non risponde alla mia domanda’ .
 
Pipino sorrise e proseguì: “Mi dispiace Faramir, ma temo proprio di non poterti aiutare questa volta. Sebbene tu l’abbia posta a me, questa domanda è in realtà rivolta a te stesso e tu lo sai. Io non posso rispondere al tuo posto… Conosci già tutto quello che c’è da sapere, di più io non saprei che altro dirti. Pretendi forse che possa insegnarti un metodo, un trucco per riadattarti alle vecchie abitudini senza troppi traumi? Non esistono delle regole da seguire figliolo! La vita la impari vivendo! Io non posso farlo per te...”
“Ma, su una cosa vorrei che riflettessi seriamente ragazzo mio”, proseguì poi con un tono più dolce, “Se tutto ciò che hai passato… se le bellissime esperienze che hai vissuto non ti sono servite per capire di più chi sei e cosa vuoi veramente… per acquistare un nuovo sguardo su tutto ciò che ritenevi scontato e ordinario… allora che senso hanno avuto? Non credi che a questo punto si sarà trattato solamente di un anno di vita sprecato? Qualcosa che ti porterà unicamente rimpianti per tutto il tempo a venire?”
“Pensaci Faramir”, lo esortò nuovamente Pipino, prima di spegnere la pipa e rientrare in casa.
 
Il giovane, attonito, rimase da solo seduto sul tronco. Le parole di suo padre gli erano giunte assolutamente inaspettate. Tutto si sarebbe aspettato, fuorché una risposta del genere. Pipino non gli aveva fornito una soluzione, una formula magica per scacciare via i dubbi e le paure; al contrario lo aveva posto di fronte a una sfida, trattandolo finalmente da uomo e non più da ragazzo.
 
Capire chi sei e cosa vuoi veramente..
 
Goldilocks. Un solo nome, una sola persona, era stata il filo conduttore dei suoi pensieri durante tutto quel tempo, a volte inconsciamente, altre in maniera più evidente. Si era comportato male nei suoi confronti, ma ora era arrivato il momento di parlare apertamente.
 
Basta nascondersi. Suo padre aveva ragione.
Sarebbe corso ad Hobbiville di volata, il mattino seguente!
 
 
 
                                                             *******
 
Continuare a nascondersi non aveva senso, pensava tra sé Goldilocks. Si stava comportando da sciocca e da persona infantile. Prima lo avrebbe affrontato, meglio sarebbe stato per tutti; non poteva certo passare il resto della sua vita a ignorarlo. Alla malora il suo maledetto orgoglio! Sarebbe andata a Tucboro quella mattina stessa.
 
 
La giovane uscì di casa indossando il suo vestito migliore, la spilla di Lothlorien appuntata sul petto. Mentre camminava, continuava a ripetersi mentalmente il piccolo discorso che si era preparata il giorno prima.
Respira Gold, respira. Stai solo andando a trovare un amico che non vedi da un anno. La cosa peggiore che potrebbe accadere è che per lui le cose non siano affatto cambiate, ma meglio saperlo subito no? Devi rischiare, o lo rimpiangerai per sempre.
 
Era quasi arrivata al grande spiazzo al centro del paese oramai, quando vide qualcosa che la colpì al cuore.
 
 
Faramir entrò ad Hobbiville in groppa a Forhain con aria trionfante. Tutti gli lanciavano occhiate piene di stupore ed ammirazione, e questo non poté non stuzzicare la sua vanità. Si godette appieno quei momenti di gloria alquanto compiaciuto, ignorando una vocina interiore che gli ripeteva di non perdere tempo a pavoneggiarsi e che suo padre e sire Faramir non avrebbero approvato un simile comportamento. Men che meno Eowyn!
Ma non riusciva a farne a meno, essere ammirato dalla gente era così inebriante!
All’improvviso si trovò circondato da un gruppetto di ragazze dallo sguardo adorante, tra cui riconobbe l’odiosa Bell, la giovane Hobbit che tanto amava tormentare la sua Gold.
“Faramir! Allora è vero quello che si dice in giro, sei tornato!” cinguettò lei. “Sei diventato davvero attraente lo sai?” continuò con un atteggiamento civettuolo, subito imitata dalle compagne.
Il giovane non sapeva bene come comportarsi: avrebbe tanto voluto trovare un modo di svincolarsi da loro, per correre subito a Casa Baggins, ma quelle sciocchine lo avevano completamente attorniato e continuavano a intontirlo di domande senza neanche attendere le risposte, ridacchiando senza posa. Ben presto, pur senza volerlo, l’Hobbit si ritrovò a conversare con loro e a ricambiare le loro insulse moine.
 
Finche non vide Gold.
 
La giovane era ferma al limitare dello spiazzo: i biondi e ricciuti capelli al vento, le guancia arrossate, un fiore dietro l’orecchio sinistro. Indossava un vestito turchese, sul quale, notò Faramir con gioia, era appuntata la spilla che le aveva lasciato. Era bellissima, quanto e ancor più di come Faramir la ricordasse.
Ma l’espressione nei suoi grandi e dolci occhi da cerbiatta, era ferita e amareggiata; la bocca dischiusa, come a voler dire qualcosa. Poi si voltò e si allontanò spedita.
Faramir riuscì finalmente a liberarsi delle ammiratrici indesiderate e la raggiunse di corsa.
“Gold! Gold, fermati non è come sembra!” esclamò, afferrandole il braccio.
“Lasciami andare ora, Faramir Tuc! Lasciami, oppure-”, sbraitò lei, divincolandosi.
Sciocca, illusa che non sei altro, urlava dentro di sé.
“Ti prego Gold, ascoltami! Io stavo venendo da te!”
“Ho perso troppo tempo ad ascoltarti Faramir. Un anno senza sapere nulla di te! Avevi promesso di scrivermi e mi avrai inviato sì e no un paio di lettere. Poi ritorni, senza nemmeno avvisarmi, e la prima cosa che ti vedo fare è il cascamorto con quelle… quelle-”
“Ѐ questo che pensi? Hai davvero un’opinione così bassa di me?!” la interruppe lui, il tono incredulo e profondamente deluso.
“Perché non me lo dici tu che cosa dovrei pensare?” sbottò Gold.
Quasi non riusciva a credere di essere davvero nel bel mezzo di una simile conversazione con Faramir, il suo Faramir! Finalmente aveva imparato a tenergli testa, a non farsi intimidire e imbambolare dai suoi ammalianti occhi verdi; ma il tipo di discorso che intendeva tenere con lui doveva essere alquanto diverso dannazione!
Ricacciò indietro le amare lacrime di frustrazione, che traditrici, cercavano disperatamente una via d’uscita: le cose non sarebbero dovute andare così!
“Allora?” chiese di nuovo.
“E che senso avrebbe? Ormai hai già deciso quello che preferisci credere!”, le rispose il giovane con tono sprezzante. Un tono che non gli apparteneva e che non intendeva certo usare in quel momento, ma era stato più forte di lui, e sebbene se ne fosse pentito non appena conclusa la frase, oramai il danno era fatto.
“Sei solo un codardo…” mormorò difatti Gold, la voce ormai spezzata. “E questa non ha mai significato niente per te” aggiunse ponendogli qualcosa tra le mani, prima di allontanarsi di corsa.
 
Faramir la lasciò andare via, senza riuscire più a dire nulla: a quanto pareva, era solo capace di peggiorare le cose!
 Maledizione!  Com’erano giunti a quel punto? Possibile che fosse già tutto finito, ancora prima di iniziare? Cosa diamine lo aveva spinto a trattarla in quel modo?  Perché non era semplicemente riuscito a dirle ciò che provava davvero?
 
Doveva essere sempre così complicata la vita?!
 
Aprì la mano lentamente, pur sapendo già inconsciamente cosa Gold vi avesse deposto: la spilla di dama Galadriel.
 
 
 
Note:

Ehm…saaaalve ^^!
No avanti, ritirate quelle fionde, da brave!
Ok, mi scuso tantissimo per il ritardo e per tutta la suspense con cui vi ho lasciate ehehe, non era intenzionale (o forse sì uahahah- stai zitta!!)
Beh deliri e scherzi a parte, ci siamo quasi ragazze mie! Vi chiedo ancora un filo di pazienza e finalmente questi benedetti Hobbit avranno il loro lieto fine.
Voi non abbandonatemi neh ;)?
Spero con tutto il cuore che vi sia piaciuto anche questo capitolo, e che con tutti questi momenti d’introspezione non sia risultato troppo lento o pesante…il dubbio un po’ mi è venuto, ma ne avevo bisogno (dei suddetti momenti) per la storia.
E veniamo come al solito a ringraziamenti ^^
Per prima cosa sappiate che è stato un parto trovare un titolo buono per questo chapt, e ringrazio Carol con tutto il cuore per avermi aiutata. Senza di te probabilmente l’avrei pubblicato senza titolo.
Andando con ordine ringrazio poi Missing23, Evelyn80, Kano_chan, Melianar, Xingchan, Mirime8 ed Anuen per le vostre bellissime recensioni ^^.
Ne sono onorata, mi danno una carica pazzesca.
Grazie a chi mi preferisce/ricorda/segue ^^.
Grazie a tutti coloro che silenziosamente continuano a leggere e passare di qui!
Non conosco i vostri nomi se no vi ringrazierei di persona xD.
Grazie a Marta per la sua pazienza e l’aiuto.
Alla prossima cari, se qualcun’altro vuole unirsi alla festa è più che benvenuto =)
 
 
 
 

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Capitolo 11
*** Il mio posto è con te ***


IL MIO POSTO Ѐ CON TE
 
Mio caro amico,
mi auguro che il tuo viaggio di ritorno sia stato rapido e privo di intralci, e che ti sia ricongiunto felicemente alla tua famiglia.
Sono sicura che devono aver sentito molto la tua mancanza, proprio come noi, nei giorni appena successivi la tua partenza.
Finduilas non parlava d’altro ed è ansiosa di ricevere tue notizie…
Ho promesso di portargliene io di persona.
Ebbene sì, caro Faramir: ti scrivo questa lettera non lontana dalla Contea.
Mi trovo nell’Eriador infatti, più precisamente negli Emyn Beraid, quelli che la tua gente chiama Colli Torrioni.
 
Ti avevamo salutato da appena un giorno quando sire Aragorn convocò d’urgenza mio marito ed alcuni comandanti.
Erano giunte voci in Città. Voci di avvistamenti di navi pirata, recanti il vessillo di Umbar, e dirette verso le coste del Mithlond.
Non tutti i popoli sono amici di Gondor, Faramir.
Predoni, banditi, pirati… le loro incursioni e la rovina che portano seco non si sono arrestate con la caduta di Sauron.
Nonostante i suoi doveri in Città, Faramir ha chiesto e ottenuto, dopo accese discussioni, di poter essere posto a capo delle divisioni inviate dal Re per contrastare questa minaccia.
Non ha voluto essere separato dai suoi uomini, né io da lui.
Per questo sono qui, a poche leghe dalla tua terra, e mentre guardo il mare, piena di domande, attendo l’esito di questa battaglia. Attendo il ritorno di mio marito, attendo che un nuovo giorno mi porti notizie… pazientemente attendo.
Ho imparato a farlo, nel corso degli anni.
So di non avere alcun diritto di farti questa richiesta, e che probabilmente molti altri compiti e preoccupazioni occupano già la tua mente e le tue giornate; ma se vorrai fare visita a una vecchia amica, questa mia attesa non sarà forse più così grave…
 
Con tutto il mio affetto,
tua
Eowyn
 
 
 
“Ci andrai non è vero?”
 
Faramir stringeva tra le mani la breve lettera arrivata quella stessa mattina, in maniera quasi convulsa, ossessiva si sarebbe detto.
Il Sovrintendente e sua moglie erano così vicini, ad appena un paio d’ore di cavalcata!
La notizia gli aveva procurato un piccolo shock.
Dopo il suo incontro con Goldilocks, e la discussione che ne era seguita, era tornato a casa alquanto abbattuto, rifiutandosi di parlare dell’accaduto.
I suoi genitori avevano intuito subito a cosa fosse dovuto il suo stato d’animo, e si erano mostrati davvero comprensivi. Non lo avevano forzato a rivelare alcunché, rispettando il suo silenzio.
“Quando vorrà parlarne verrà lui da noi”, aveva sentenziato una sera Diamante, ad un non del tutto convinto Pipino, inconsapevole che Faramir li stesse ascoltando da dietro una porta.
Il giovane era grato ai suoi per tutta questa discrezione, lo era davvero, ma dopo una settimana la situazione stava diventando insostenibile per tutti e tre.
Ed ecco giungere all’improvviso una lettera di dama Eowyn!
Tutto ciò non poteva essere dovuto al caso.
Eowyn! Cara, carissima amica!
Era come se, per tutto quel tempo, avesse continuamente vegliato su di lui. E ora, nonostante fosse lei a domandargli un favore, sembrava quasi che gli stesse offrendo quell’aiuto che tanto desiderava, senza sapere però come chiederlo.
Poterla vedere, parlarle, sfogarsi con lei… era esattamente ciò di cui sentiva più bisogno al momento. Tutto diveniva più semplice, più chiaro, quando era con Eowyn.
No, non si trattava di un caso. Quella lettera era un dono inatteso.
 
Faramir si voltò verso suo padre, che lo fissava in attesa di una risposta: “Partirò oggi stesso” affermò.
Pipinò sospirò, rassegnato: “Molto bene. A patto di tornare il prima possibile però. Credo che tu sia stato via già a sufficienza”.
Faramir annuì: “Lo so, io…”
Si bloccò, incerto su come continuare.
 “Grazie”, concluse infine semplicemente, prima di correre a sellare Forhain.
 
 
 
                                                           *******
Elostirion era la più imponente fra le tre Bianche Torri, edificate nei tempi antichi sui Colli Torrioni.
Gil-Galad in persona aveva ordinato la sua costruzione, in onore di Elendil l’Alto. Si diceva che un tempo vi fosse addirittura conservato uno dei Palantiri di Arnor, le perdute pietre veggenti.
Un oggetto tanto potente quanto pericoloso, Eowyn lo sapeva bene, ma in quel momento avrebbe dato qualsiasi cosa affinchè il portentoso monile si trovasse ancora lì, e non in Aman, oltre il mare.
Forse, utilizzandolo, sarebbe finalmente riuscita a scorgere suo marito.
Il panorama dalla sommità della torre toglieva il respiro: la maestosa catena delle Montagne Azzurre abbracciava lo svettante pinnacolo su entrambi i suoi lati. Ad ovest invece, la vista si estendeva fino al mare, e anche oltre.
Ma gli occhi mortali non possiedono lo stesso acume di quelli degli Elfi, e tutto ciò che la donna riusciva a distinguere erano solo macchie confuse in lontananza, e bagliori di fiamme.
I rumori della battaglia giungevano attutiti alle sue orecchie, nonostante la considerevole distanza, segno che lo scontro doveva essere alquanto cruento: le grida, il clangore delle spade, l’odore pungente del fuoco e il sapore amaro del sangue… Tutte cose che Eowyn sognava ingenuamente di non dover più rivedere, né sentire o provare, per il resto dei suoi giorni.
E pensare che un tempo era arrivata vicino al bearsene, al desiderarle con tutta sé stessa… compiangendo le altre donne capaci solo di lamentarsi, mentre attendevano inermi e rassegnate il ritorno dei loro uomini.
Il solo pensiero la riempiva di vergogna ancora oggi.
Eppure, allo stesso tempo, faticava a biasimarsi del tutto: qualunque alternativa al momento sembrava preferibile a quell’attesa snervante che-
 
“Mia signora!”
Eowyn si voltò di scatto, allontanandosi dalla finestra.
Sulla soglia della stanza, affiancato da una delle guardie, c’era Faramir Tuc.
 L’Hobbit s’inchinò con reverenza, come la prima volta che si erano conosciuti.
“Faramir, ti prego! Non c’è alcun bisogno di tutto questo”, lo rimbrottò lei, congedando poi con un cenno la guardia.
Il giovane si raddrizzò sorridendo: “Dimentico sempre che non gradite queste formalità”.
“Non da parte tua, amico mio”, rispose la donna abbracciandolo di slancio, “Grazie per essere venuto”.
“Non avrei potuto fare altrimenti”, mormorò il giovane, restituendo l’abbraccio.
Rimasero così per alcuni istanti, prima che Faramir sentisse qualcosa di umido e caldo bagnargli le guance.
“Eowyn! Mia signora, perché piangete?”
Eowyn, si sciolse dolcemente dalla sua stretta, asciugandosi gli occhi.
“Non è nulla Faramir, perdonami. Io…non so che cosa mi prenda, maledizione! Sono sempre stata forte, impassibile davanti alla paura e al dolore. Ora invece… Non sono più abituata a tutto questo! E non sapere nulla di mio marito, attendere sue notizie senza poter fare niente, mi sta letteralmente uccidendo!” Le parole le erano uscite di bocca come un fiume in piena: troppo a lungo aveva tenuto intrappolate dentro sé le sue emozioni, e ora non riusciva a fermarsi.
 “Vorrei tanto che almeno Elboron fosse qui, ma ha dovuto sostituire lui suo padre, nel ruolo di Sovrintendente.”
“Ti lascio immaginare quanto fosse entusiasta all’idea”, aggiunse con un ghigno, che il Mezzuomo non tardò a ricambiare, “Lui ,che non chiedeva di meglio che poter affiancare i suoi compagni in una battaglia…”
“Perlomeno potete essere certa che sia al sicuro”, le rispose dolcemente Faramir, “E quanto a vostro marito, ci vuole ben altro che una ciurma di pirati sbandati, per impedirgli di tornare da voi.
E ha l’appoggio dei soldati più valorosi che abbia mai conosciuto. Sono certo che ben presto qualche messaggero giungerà ad informarci che la battaglia è conclusa, e che quei codardi se la stanno filando con la coda tra le gambe!”
“Grazie Faramir” gli disse Eowyn sorridendo. “Non hai idea di quanto mi facciano bene le tue parole. Trovi sempre la cosa giusta da dire, amico mio”.
“Quanto vorrei che aveste ragione…” mormorò l’Hobbit, con un tono improvvisamente pieno di amarezza, ed un’ombra ad oscurargli il bel viso.
Eowyn notò immediatamente il fin troppo repentino cambiamento: “Faramir? Che ti succede? Perché dici così?”
Il giovane esitò prima di rispondere, poi prese un respiro profondo e disse: “Io…temo di aver combinato un bel guaio”.
E senza ulteriori indugi aprì alla donna il suo cuore.
 
                                                                *********
 
 
“Insomma, mi stai dicendo che sarebbe addirittura colpa mia?! Dopo il modo in cui si è comportato?!”
“Non ho detto questo tesoro. Semplicemente, ritengo che se tu lo avessi lasciato parlare-”
“Non osare metterti dalla sua parte!”
 
Goldilocks era sconvolta: finalmente si era decisa a raccontare tutto a sua madre, a liberarsi di quel pesante fardello… ed ecco che anche lei le voltava le spalle!
Rosie scosse la testa, cercando di mantenere la calma: “Adesso cominci a diventare ridicola. Io non sto dalla parte di nessuno, semplicemente voglio vederti felice. Voglio vedervi entrambi felici. E mi fate rabbia e tenerezza al tempo stesso: così innamorati… e tuttavia così imbranati e incapaci di venirvi incontro. Oh beata gioventù!”
“Innamorati? Faramir non è mai stato innamorato di me, questo è certo, e di sicuro dopo l’altro giorno non lo sarà mai”, ribattè aspramente sua figlia.
Pazienza, donatemi la pazienza!” pensò tra sé Rosie, prima di rispondere: “Perché non la smetti con tutte queste scene da melodramma, e non guardi i fatti per quello che sono? Faramir stava venendo da te. Da te lo capisci? Ha fatto la prima mossa, e quando mai è successa una cosa del genere da che lo conosci? Nemmeno una volta, te lo dico io. Sei sempre stata tu a cercarlo, e ti chiedo perdono per non avertelo mai impedito, per non averti mai fatto capire che stavi esagerando. D’accordo, l’hai trovato circondato da quelle..beh, quelle non troppo simpatiche fanciulle. E quindi? Conosci lui, da tutta la vita, e conosci Bell: a chi preferisci credere?”
“Lui mi ha ferita…ha sbagliato…” tentò ancora Goldilocks, ma stava perdendo la sua convinzione, e la voce si era affievolita.
“E chi di noi non sbaglia tesoro? Nessuno a questo mondo è perfetto. E se anche esistesse, una persona perfetta non riuscirebbe mai a donarti la gioia. Ma amare qualcuno per quello che è, coi suoi pregi e i suoi difetti… perdonarlo, scusarlo, aiutarlo a rialzarsi per continuare a camminare e crescere insieme… ecco, questo è ciò che può renderti davvero felice.”
 Fece  quella che ritenne una piccola pausa a effetto, poi proseguì.
“Penserai che sia facile, non è vero, per me, dirti queste cose? Eppure alla tua età non mi sentivo troppo diversa da te. Sai, anche tuo padre ed io siamo cresciuti insieme, proprio come voi due. Le nostre famiglie si conoscevano da sempre. E anche io, proprio come te, gli ho voluto bene fin da bambina”.
 
Goldilocks l’ascoltava rapita: conosceva più storie di qualunque altro Hobbit della Contea, ma in tutti i suoi anni mai una volta si era preoccupata di scoprire qualcosa sulla vicenda probabilmente più importante di tutte, quella che stava alla base della sua stessa esistenza: la storia d’amore tra i suoi genitori.
 
“Quando è partito con il signor Frodo, non sapevo se l’avrei rivisto mai più. Mi sono sentita tradita e messa da parte, anche se di promesse non ce n’erano mai state. Quando è tornato e ha chiesto la mia mano, credevo che sarei morta dalla felicità. Eppure, nonostante il matrimonio, nonostante i suoi voti, tuo padre era un uomo diviso: lo avvertivo, benché lui facesse del suo meglio per nasconderlo. Diviso tra me e il suo padrone. Non sono mai stata sicura di lui al cento per cento fino a quando il signor Frodo non è partito su quelle navi grigie. E il mio Sam non è andato con lui, ma ha scelto di restare. È tornato da me. Proprio come Faramir è tornato da te”.
 
Gold si rese conto di avere il viso rigato di lacrime solo quando Rosie gliene asciugò amorevolmente qualcuna.
“Che cosa devo fare?” chiese con un filo di voce.
“Metti da parte il tuo orgoglio bimba mia. E lascia parlare il tuo cuore.”
 
                                                   **********          
 
“Di cosa hai paura esattamente Faramir?”
L’Hobbit guardò Eowyn con aria perplessa: paura? Cosa le faceva pensare che lui avesse paura?
La donna si fermò poco più avanti, raccolse un fiore e se lo sistemò tra i capelli.
 
Proprio come Gold quel giorno…
 
Passeggiavano per il giardino circostante la torre da ormai quasi mezzora. Poco più indietro alcuni soldati facevano loro da scorta con discrezione, e rimanendo a debita distanza.
 
“Hai capito bene”, Eowyn tornò a incalzarlo, “Non ho mai dubitato del tuo cuore: sono sicura che tu sia sincero riguardo ai sentimenti che provi per quella ragazza. La ami, e l’ho capito dalla prima volta che me ne hai parlato. Ma c’è qualcosa che ti frena, ti spaventa. Un suo rifiuto magari?”
 
“In realtà… credo l’esatto opposto”, rispose il giovane, “Forse… forse il motivo per cui non le ho detto ciò che provavo, e non l’ho presa tra le braccia impedendole di andarsene, è che una parte di me ancora non si sentiva pronta. Vedi, è da tutta la vita che desidero una grande avventura”
Era così assorto che non si accorse di aver dimenticato il solito ‘voi’ con cui le si rivolgeva, ma Eowyn non si preoccupò di correggerlo.
“Per questo sono venuto a Minas Tirith, perché volevo di più, molto di più di ciò che la Contea aveva da offrirmi. Di ciò che mio padre aveva da offrirmi. Lui mi diceva che avevo dei doveri, delle persone di cui prendermi cura… ah dannazione lo so, non sono bravo a spiegarmi, vi sto solo confondendo le idee”, proruppe poi con stizza, strappando distrattamente qualche filo d’erba.
 
La risposta di Eowyn lo lasciò basito.
“Sai, conoscevo una fanciulla una volta, e tu in certi momenti me la ricordi molto.”
 “Vorresti ascoltare la sua storia?”gli chiese, sedendosi all’ombra di giovane tiglio.
 
Faramir annuì, prendendo posto lì accanto. Non riusciva a capire dove Eowyn volesse andare a parare, ma si fidava di lei.
La donna cominciò a narrare, con la sua voce calda e melodiosa.
“Molto bene. Questa fanciulla era orfana e viveva con lo zio, il fratello di sua madre. Ella lo amava teneramente, più di chiunque altro al mondo. La sua casa era splendida e il suo futuro radioso, perché suo zio era Re. Ma il suo regno non le bastava. Il suo splendido aspetto non le bastava. Sognava la fama, azioni gloriose in battaglia, ma ciò non le sarebbe mai stato permesso, a causa della sua natura di donna. E quando il Re si ammalò, avvelenato dalle parole di un uomo malvagio, lei dovette accudirlo, e lo vide sprofondare in un lento e inesorabile rimbambimento, senza poter fare nulla. Il suo ruolo le sembrava più ignobile di quello del bastone su cui il Re si poggiava. Cominciò ad odiare la sua stessa casa, che ormai le appariva una gabbia. Voleva fuggire, ed essere innalzata sopra le cose meschine che strisciano sulla terra, per non soffrire più. E così s’invaghì di un sogno, di un illusione, credendo che lui potesse darle ciò che più ardentemente bramava: la libertà. Ma quando si rese conto che non sarebbe mai stata ricambiata, preferì cercare la morte in battaglia, piuttosto che riprendere il suo posto alla guida del suo popolo, che aveva bisogno di lei.”
 
“Poi che è successo?”, domandò Faramir, sebbene ormai avesse capito chi fosse la misteriosa fanciulla, e conoscesse già in parte la risposta.
 
Eowyn sorrise, lo sguardo perso lontano, in un altro tempo: “Le fu concesso di continuare a vivere. A vivere davvero. Mentre era affidata alle cure dei guaritori, conobbe colui che cambiò la sua vita per sempre. Quell’uomo scacciò le tenebre dal suo cuore, offrendole il dono più prezioso che si possa ricevere: l’amore sincero e disinteressato. Amore che lei ricambiò con tutto il suo cuore. Assieme a lui la fanciulla scoprì che il segreto della felicità è essere sé stessi e basta. Fare quello che si è chiamati ad essere. E capì che è questo a renderci liberi. Abbandonò tutte le vecchie chimere e divenne una guaritrice”
 
“Un’eccezionale guaritrice. Grazie a lei uno sciocco ed immaturo Hobbit della Contea trovò il coraggio che non sapeva di avere, e dopo tanto cercare, comprese finalmente quale fosse il suo posto nel mondo”, concluse Faramir, cogliendola di sorpresa.
 
“Allora cosa ci fai ancora qui?”, ridacchiò Eowyn, “Corri da lei, no?”
Il Mezzuomo la fissò, leggermente incerto: ma… non era stata forse lei a chiedergli di raggiungerla? A pregarlo di starle affianco in quel difficile momento di attesa? Perché ora gli diceva di andarsene?
Ancora una volta, Eowyn sembrò leggergli nei pensieri. Infatti, prima che lui riuscisse anche solo ad aprir bocca disse: “Io starò bene mastro Hobbit, adesso è Goldilocks ad avere bisogno di te. E tu di lei”.
 
“Grazie Faramir”, aggiunse poi dolcemente.
“Grazie?” Faramir non credeva alle proprie orecchie: “Per cosa? Non ho fatto assolutamente nulla, anzi, sono io a dover ringraziare voi!”
E lo pensava davvero! Quale motivo poteva avere Eowyn, per essere grata a lui?!
Eowyn  scosse amorevolmente il capo: “Ti sbagli giovane Hobbit, hai fatto ben più di quanto tu possa immaginare. E non solo ora, confortandomi in un momento difficile, ma durante tutto l’anno passato. Mi hai donato la tua amicizia e la tua fiducia, in maniera incondizionata e totale. Hai condiviso con me le tue gioie, le tue paure, i tuoi sogni… e ne sono profondamente onorata. Ma ancor più di questo, ti sono grata per avermi dato l’occasione di rimettermi in discussione”.
“Non capisco, cosa volete dire?”domandò il giovane.
“Voglio dire che raccontare la mia storia è stato utile a me, tanto quanto lo è stato per te. Mi ha resa ancora più certa, se capisci che intendo, della scelta che ho fatto. Di quale sia il mio posto”
‘E mi ha impedito di compiere una qualche pazzia, come fuggire da qui, per andare a combattere con mio marito’ concluse tra sé.
Faramir chinò lievemente il capo, rasserenato da quelle parole.
“Beh, in questo caso… prego?” provò scherzare, con un mezzo sorriso.
Eowyn rise, gettando la testa all’indietro: “Che i Valar benedicano il tuo cammino amico mio. Al nostro prossimo incontro!”
 
 
                                                                    ************
Va bene, probabilmente l’orario di cena non era il momento più consono per una visita, e papà si sarebbe certamente arrabbiato; ma perlomeno, conoscendo l’appetito di Faramir, sarebbe stata sicura di trovarlo in casa.
Come non detto borbottò tra sé Goldilocks, mentre faceva dietrofront verso Hobbiville, cercando di reprimere le ondate di delusione, che continuavano a investirla.
 
Era stata Diamante ad aprirle la porta:
“Goldilocks! Ma che piacere vederti, mia cara!”
“Buonasera Diamante. Perdonami, immagino starete sicuramente mangiando, ma ho davvero bisogno di parlare con Faramir…”
Il sorriso gioviale di Diamante era vacillato appena: “Mi dispiace tesoro, mio figlio non è in casa al momento. Ѐ partito stamane per i Colli Torrioni, e non tornerà prima di un paio di giorni…”
“Oh, capisco…Beh, io… scusa il disturbo!”, aveva mormorato in risposta lei.
“Gold, aspetta! Perché non ti fermi a cena da noi? Ci farebbe davvero piacere!” aveva tentato Diamante, ma Gold si era sentita già abbastanza umiliata, e non voleva la pietà di nessuno.
 
L’aria fresca della sera fece rabbrividire la giovane, che si pentì di non aver preso con sé una scialle prima di uscire di casa: l’autunno era ufficialmente arrivato!
Gold rallentò il passo, fino a fermarsi del tutto: l’inconfondibile profilo della Vecchia Quercia si stagliava a pochi metri di distanza.
Oh, beh! Tardi per tardi…
Gold si avviò verso la vecchia amica, il suo rifugio sicuro. Si distese sull’erba, gli occhi rivolti al cielo.
 
Cinque minuti, solo cinque minuti, poi torno a casa caro papà, lo prometto…
 
“Sapevo che ti avrei trovata qui”
Goldilocks si voltò di scatto al suono di quella voce familiare.
Faramir era lì, in piedi dietro di lei. Poco distante Forhain brucava allegramente nel prato.
La ragazza non credeva ai suoi occhi.
“Credevo fossi ai Colli Torrioni!” proruppe con un gridolino.
“Sono tornato poco fa. Ti ho cercata a casa ma mi hanno detto che eri uscita, e tuo padre ne ha approfittato per mandarmi a cercarti. Cosa che avevo già intenzione di fare, beninteso, perché- ehi un momento! Come facevi a sapere dove fossi andato?!” chiese di rimando Faramir.
“Beh… puoi darsi che anch’io fossi uscita a cercarti…” mormorò Gold, abbassando lo sguardo.
Ci fu un momento di imbarazzante silenzio.
“Devo dirti una cosa!” , esclamarono poi, perfettamente all’unisono.
“Prima tu…” balbettò Gold.
“No no, prima tu!” replicò Faramir.
“E va bene. Ecco… volevo dirti che mi dispiace per come ho reagito l’altro giorno. Avrei dovuto avere più fiducia in te, e ascoltare quello che avevi da dire. Sono pronta a farlo ora, però”, aggiunse con un sorriso d’incoraggiamento.
 
Oh vi prego, vi prego, fate che la mamma per questa volta almeno, abbia ragione!
 
“E io ti chiedo scusa. Per molte cose, ma prima di tutto per non essermi opposto con più insistenza a quelle sciocche, ed essere corso immediatamente da te. E per non averti preso tra le mie braccia, quando mi hai ridato la spilla, dicendoti, che anche se all’inizio non me ne rendevo conto, ha sempre significato tutto per me.”
 
Gold poteva sentire il suo cuore battere all’impazzata, come se volesse uscirle dal petto: oh, com’è possibile che lui non lo senta?
E le guance? Dovevano di certo aver preso fuoco, ormai!
Se questo è un sogno non voglio svegliarmi, che nessuno osi provare a svegliarmi!
 
“Quello che volevo dirti quel giorno, e di cui sono ancora più certo quest’oggi è che… Ho finalmente trovato il mio posto. Ed è con te, Goldilocks. Ovunque tu sia, ovunque tu scelga da andare, quello è il posto per me. Ti chiedo scusa per averci messo tanto a capirlo, per il male che ti ho fatto, per non averti trattata come avrei dovuto… Ma se tu mi vorrai, intendo passare il resto della vita a cercare di farmi perdonare…”
“Goldilocks Gamgee: Vorresti farmi l’onore di diventare mia moglie?” concluse, inginocchiandosi e prendendole la mano.
 
Goldilocks nascose il viso tra le mani, e cominciò a sussultare, come se fosse scossa dai singhiozzi.
Faramir si alzò di scatto e le si avvicinò preoccupato: “Gold! Piccola, che succede? Per favore, dimmi qualcosa!”
“Oh Faramir, mi…mi dispiace! Io…non posso!” gemette la giovane, senza scoprirsi il volto.
Dire che Faramir rimase di stucco è un leggero eufemismo.
 “Che… che significa, non puoi?!”, esclamò afferrandola per le spalle, “Io credevo che anche tu…”.
Fu allora che si rese conto di una cosa. Goldilocks non stava piangendo: rideva! Rideva di gusto!
“Scusa non ho resistito! E in ogni caso te lo meritavi…” ,esclamò lei tra le risa, “Idiota di un Tuc! Certo che voglio diventare tua moglie”.
E quando, sorridendo sollevato, le prese il viso tra le mani, Faramir pensò che non esistesse al mondo espressione più bella.
E per la prima volta in vita sua si sentì finalmente completo.
 
 
 
 
 
Note:


Questo capitolo era già pronto lunedì, lo giuro sul mio cane (ma Benni, tu non hai un can- sta zitta!!).
Ok giuro sul mio gatto Caronte che era già pronto lunedì (e comunque ho dei testimoni tsk,tsk) ma giustamente mia sorella è partita portandosi via il pc, e l’ho riavuto solo oggi. La prima cosa che ho fatto è stata correre qui da voi <3.
Finalmente i nostri imbranathobbit (nuovo termine da me coniato ^^) ce l’hanno fatta =), siiiiii. Vi è piaciuta la scena? E che ne pensate del capitolo, in generale? Mi raccomando fatemi sapere =).
Non ricordo se mi sia o meno presa qualche piccola libertà, ad ogni modo chiedo scusa. Del tipo i corsari di Umbar non sono sicura che esistano ancora, ma dopotutto la Terra di Mezzo non è il Paradiso e qualche predone immagino sia sempre in giro ^^.
Per quanto riguarda la storia di Rosie e Sam mi sono rifatta al libro invece che al film. Tolkien lascia intendere che ci fosse già semi-qualcosa tra i due prima della Guerra, ma che Sam “non si fosse mai pronunciato”.
Spero che il parallelismo tra Eowyn e Faramir non risulti troppo forzato, i due hanno storie completamente diverse, ma ho voluto trovare anche un punto d’incontro..
Credo di avervi detto tutto, se avete dubbi sono qui.
Grazie mille a tutti i lettori, alle mie splendide recensiste (un grazie particolare a Garim per avermi lasciato la sua primissima recensione <3) e a chi mi segue/preferisce/ricorda. Ragazzi mi avete fatto sforare le 1000 visite, vi amo tutti!!! Grazie poi a Marta, come sempre
Ora scappo che vado a prendere appuntamento per un tatuaggio ^^!
Ah il prossimo chapt dovrebbe essere l’ultimo, a meno che la mia mente non partorisca un epilogo ma non credo..
Baciiiii
 
Benni
 
 
 
 

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Capitolo 12
*** Tutto è bene quel che finisce meglio ***


TUTTO Ѐ BENE QUEL CHE FINISCE MEGLIO
Gli inviti erano stati distribuiti a circa metà Contea.
 
Da molti fu definito il matrimonio dell’anno.
Da altri, l’evento più eccitante mai avvenuto tra la Gente Piccola; dopo la festa per i centoundici anni di Bilbo Baggins ovviamente…
In pochi a onor del vero se ne ricordavano, o avevano avuto modo di parteciparvi in prima persona. Ma il racconto della straordinaria scomparsa del signor Bilbo, durante gli ultimi cinquant’anni, era stato tramandato di padre in figlio, arricchendosi inevitabilmente di parecchi fronzoli che avevano finito per rendere la vicenda assai irrealistica.
 
Per Goldilocks Gamgee, quello era ‘semplicemente’ il giorno più bello della sua vita. O perlomeno il più bello finora!
Se invece aveste chiesto a suo padre Samvise, sindaco di Hobbiville e un tempo detto ‘l’Impavido’, con un’occhiata più attenta vi sareste accorti della punta di malinconia nascosta in fondo ai suoi occhi. O della piccola e quasi impercettibile nota dolente che aleggiava sul suo sorriso bonario.
Un matrimonio non è mai un momento facile per un padre, specialmente quando a sposarsi è una figlia.
All’improvviso sei chiamato a renderti conto che la tua bambina è cresciuta… che molto presto lascerà il nido… che non sarà più ‘tua’.
Non sentirai più i suoi passi delicati in giro per la casa. Non ti ascolterà più raccontarle le fiabe con quell’espressione rapita sul viso: l’espressione di chi è pronta a credere a tutto, semplicemente perché a dirlo è il suo papà. Non aiuterà più sua madre nelle faccende domestiche, o a preparare succulenti pranzetti…
D’improvviso tutto è finito… E tutto ha inizio allo stesso tempo.
Samvise si era già trovato anni prima nella stessa situazione, eppure ora si sentiva come se la stesse affrontando per la prima volta.
E così sarebbe stato anche in futuro, con tutte le altre figlie, ne era sicuro.
Non esisteva nulla di così difficile e doloroso come il dover lasciare andare per sempre chi si ama, e, poco ma sicuro, riuscire a farci l’abitudine non sarebbe mai stato possibile.
Quel posto poi, non faceva altro che acuire le sue memorie e intensificare la sua amarezza: il Golfo di Luhn, era lì che sua figlia e Faramir avevano deciso di celebrare la cerimonia.
Un decreto reale, emanato da Aragorn anni prima, proibiva alla Gente Alta di oltrepassare i confini della Contea.
Quella che a suo tempo era voluta essere una misura di protezione nei confronti dei Mezzuomini, e della loro bella dimora, costituiva ora un leggero intralcio a celebrarvi il matrimonio.
Faramir aveva infatti invitato la famiglia reale al gran completo, metà esercito Gondoriano, Bergil con Elarin ed Ederwen e naturalmente i sovrani d’Ithilien con prole al seguito.
Tutti, superata la sorpresa iniziale, avevano risposto con gioia all’invito. Elboron, in particolare, era stato forse il più eccitato. Non aveva mai avuto modo di visitare il Nord, e, oltre a ciò, non vedeva l’ora di conoscere Goldilocks.
Quella particolare zona degli Emyn Beraid sembrava costituire il compromesso ideale: non particolarmente distante dalla Contea, dava modo a tutti gli invitati, Gente Alta inclusa, di poter partecipare alle nozze.
Il paesaggio inoltre era particolarmente suggestivo: non pochi Hobbit erano rimasti completamente stregati dalla vista del Mare e delle Bianchi Torri, proprio come un tempo era accaduto a Faramir al cospetto della Città Bianca.
Lo scontro coi pirati, avvenuto appena sei mesi prima (e conclusosi com’era prevedibile, con la quasi totale carneficina di quest’ultimi) non aveva deturpato la bellezza del luogo: l’orrenda cappa di cenere e morte, che a lungo aveva impregnato l’aria, si era ormai dissolta e ora, nuovi e più gioiosi ricordi avrebbero adornato a lungo quelle terre.
 
Per quanto si sforzasse di pensare solo al presente e di godersi la festa, la mente di Sam continuava a tornare inevitabilmente a quel giorno: il ventinove Settembre 1421. Il giorno in cui aveva visto Frodo per l’ultima volta. Il giorno in cui aveva dovuto lasciarlo andare per sempre… così come ora, esattamente nello stesso posto, doveva fare con Goldilocks.
Che ironia.
 
“Già preda delle paturnie, vecchio mio?”
Sam si voltò riconoscendo immediatamente la voce: Pipino Tuc era lì, pochi metri dietro di lui con un sorriso stranamente dolce e comprensivo stampato sul viso gioviale.
“Sarei un pazzo a non preoccuparmi, ora che le nostre famiglie si sono unite”, lo canzonò Sam: “Consuocero di Peregrino Tuc… chi l’avrebbe mai immaginato?”
“Beh, tutti tranne i nostri rispettivi pargoli a quanto pare”, ribattè ridendo l’amico, “Certo che ce ne hanno messo di tempo, eh?”
“Già…” sospirò Sam, volgendo di nuovo lo sguardo verso il mare.
Pipino lo osservava sorridendo teneramente: poteva facilmente intuire quali fossero in quel frangente i pensieri dell’amico. Erano gli stessi che molte volte tormentavano lui, sebbene non con la stessa intensità.
 
“Manca anche a me, sai?” disse poi ad alta voce.
Sam lo guardò sorpreso.
“Mi mancano ogni giorno”, ribadì l’altro, “Lui, Bilbo… e Gandalf.  Ho nostalgia dei bei tempi, delle avventure, di tutti i momenti che abbiamo condiviso… e allo stesso tempo mi manca la mia vecchia vita, quella che avevo prima del Viaggio, quando tutto era più semplice… e io ancora così ingenuo… Ma se il Grigio brontolone fosse qui ora, sai che direbbe? Che le cose accadono per un motivo e ognuno di noi ha una parte da recitare, in dei luoghi e momenti precisi”.
“A volte non ti riconosco Peregrino”, ridacchiò Sam con una luce divertita negli occhi.
“Il punto è che spesso mi sottovalutate” borbottò il Tuc, non senza una buona dose di autoironia.
 
“Forse… Forse un giorno partiremo anche noi Sam”, proseguì poi improvvisamente serio, “Un’ultima avventura, ci sono dei momenti in cui non desidero altro. Un giorno, chissà…”
“Sì”, rispose Sam, annuendo col capo: “Un giorno”, mormorò.
E nel suo tono c’era come una promessa.
Peregrino gli battè una mano sulla spalla, prima di tornare a rimescolarsi alla folla.
Sam lo guardò allontanarsi, rivolgendo quindi la sua attenzione alla festa.
Ciò che vide era quanto mai confortante e riempiva il cuore.
 
Uomini e Hobbit che ridevano, scherzavano e chiacchieravano insieme: lo stupore e la curiosità verso ‘l’altro’ era reciproca da parte di entrambi i popoli e ben presto nuove amicizie furono formate e conversazioni avviate.
C’erano le migliori prelibatezze della cucina Hobbit, erba-pipa e birra in gran quantità, e naturalmente tanta, tantissima musica.
Pipino aveva appena raggiunto Bergil e il Sovrintendente, e dopo averli abbracciati calorosamente, aveva stretto amicizia all’istante con le rispettive famiglie. Finduilas e Elarin ridevano di gusto di fronte ai suoi scherzi e alle frecciatine di Diamante, che si era da poco unita a loro.
Ederwen, poco distante dai suoi genitori, sembrava aver trovato qualcuno di ancora più interessante di Forhain con cui poter giocare. I figli più piccoli di Sam infatti, l’avevano subito eletta loro beniamina, e facevano a gara nel cercare di accaparrarsi i suoi favori con piccoli doni e moine.
 
Eowyn invece, non appena conclusa la cerimonia, era corsa senza indugio da Meriadoc e ora i due conversavano amabilmente in disparte rievocando ricordi lontani. La donna ascoltava lo Hobbit narrare dell’avventuroso ritorno a casa avvenuto anni prima, e i suoi occhi erano pieni di orgoglio ed ammirazione per il suo piccolo amico.
Non ho mai dubitato che avresti fatto grandi cose”, sembrava dire il suo sguardo, intrecciato a quello del Signore di Buck.
 
Dopo aver salutato i suoi amici ed essersi congratulato con gli sposi, Aragorn si era trovato immediatamente circondato da decine di giovani eccitatissimi Hobbit, la maggior parte Tuc, estremamente su di giri all’idea di poter conoscere di persona il famoso Sovrano di Gondor. L’uomo sorrideva benevolo intrattenendosi volentieri con loro: aveva a cuore da sempre il popolo dei Perian.
 
Arwen invece, era stata alquanto felice di rivedere Elanor: la fanciulla era stata sua dama di compagnia per un certo periodo di tempo. Arwen l’aveva scelta personalmente in occasione dei suoi precedenti viaggi al Nord, non solo perché era la figlia di Sam, ma anche per la sua straordinaria bellezza, decisamente superiore rispetto a quella di tante altre ragazze del suo popolo. Elanor aveva splendidi ricordi legati a quel ‘servizio’: in più di un’occasione, ad esempio, si era presa personalmente cura delle due principesse, che in quel periodo la consideravano una specie di sorella.
 
Isilme e Anvanime, incantevoli nei loro eleganti abiti di seta e con i lucenti capelli raccolti in elaborate acconciature, catturavano più sguardi da sole di quanto non facessero tutti i soldati presenti.
Ma la loro attenzione sembrava essere esclusivamente per il piccolo Elfstan, e quando la bella Regina di Gondor chiese il permesso di prenderlo in braccio, Elanor temette che suo marito sarebbe svenuto per l’emozione.
 
La giovane coppia di festeggiati, infine, dopo essersi a lungo intrattenuta col Sovrintendente e sua moglie,  era stata in seguito completamente monopolizzata, neanche a dirlo, da Eldarion ed Elboron. Principalmente da quest’ultimo a voler essere sinceri.
Il giovane futuro Sovrintendente di Gondor si era detto ‘alquanto offeso’ che Faramir non gli avesse mai fatto menzione di Goldilocks (specialmente dopo aver scoperto che invece sua madre era al corrente di tutto!), e che non si fosse mai ‘degnato di presentare a me ed Eld un fiore di così rara bellezza’.
Non appena sentita quest’ultima frase, Goldilocks si era ritrovata improvvisamente preda di un’irrefrenabile serie di risolini, che l’avevano addirittura portata sull’orlo delle lacrime.
Faramir dal canto suo aveva ghignato compiaciuto: “A quanto pare ho fatto solo bene a tenertela nascosta”.
Ciò aveva condotto ad un nuovo scroscio di risa e a diverse canzonature nei confronti di Elboron.
Infine Eldarion, con piccoli colpetti di tosse, era riuscito a far capire all’amico che avevano intrattenuto gli sposi ormai a sufficienza.
I due principi si erano quindi congedati con un inchino dirigendosi verso il banchetto nuziale, e concedendo ai piccioncini un po’ di sospirata privacy.
Faramir e Gold si erano ora leggermente appartati dai parenti e dagli ospiti e avevano ufficialmente dato il via alle ‘giravolte’ (così le chiamava Pipino) con una danza lenta, assai diversa dai balli allegri e sfrenati tipici delle feste Hobbit. Una danza ‘privata’, originale, ricca di amore, tenerezza e passione, tutto nello stesso tempo.
Molte altre coppie decisero di imitarli e i musicisti attaccarono un motivetto più brioso, ma Faramir e Gold non parvero farci caso: avevano occhi solo l’uno per l’altro, e il mondo circostante sembrava sparito.
 
Il sole aveva iniziato a tramontare sul mare, offrendo uno spettacolo senza precedenti per i Mezzuomini.
 
“Mancherebbero solamente i fuochi d’artificio di Gandalf”  si ritrovò a pensare Sam.
Uno stormo di gabbiani, diretti verso il mare, passò in quel momento appena sopra di lui. Ben presto anch’essi scomparvero all’orizzonte, ma l’eco dei loro richiami rimase a lungo nelle orecchie del Mezzuomo, quasi fossero un invito a seguirli.
“Un giorno”, si ripetè Sam con tono convinto, prima di venire raggiunto da Rosie.
“Mi concederebbe l’onore di questo ballo mastro Gamgee?”  gli chiese sua moglie con uno sguardo malizioso.
Sam rise, la malinconia ormai scomparsa: “Con vero piacere signora Gamgee”, rispose offrendole il braccio e dirigendosi verso la pista.
Tutto sarebbe stato diverso domani, nulla a questo mondo era eterno, e Sam era certo che una punta di quell’ormai familiare inquietudine, lo avrebbe accompagnato sempre, ogni giorno della sua vita.
Ma non era da solo né mai lo sarebbe stato: aveva una famiglia e degli amici meravigliosi, sempre pronti a sostenerlo e ad accompagnarlo lungo la Via, fino a quando fosse durata la sua parte nella Storia.
“Il mio vecchio Gaffiere aveva ragione”  pensò infine, guardando sua figlia volteggiare radiosa poco distante, “Tutto è bene quel che finisce meglio!”
 

 
 
 
FINE.
 
 
 
Note:


Ed eccoci davvero alla fine! Non sapete che fatica scrivere quelle quattro semplici letterine… non pensavo davvero che mi sarei affezionata così tanto a questa storia… ma essendo la mia prima long mi concedo di essere sentimentale ^^(siete avvisati!). Ovviamente più di ogni altra cosa mi mancherete voi, e tra poco procedo a ringraziarvi per bene (mettetevi comodi ^^). Sul capitolo non avrei quasi nulla da dire… avendo ormai ‘sistemato’ la faccenda dei due piccioncini, mi piaceva l’idea di concludere così come avevo iniziato: prendendo in prestito lo sguardo di Sam (*che casualmente è pure il tuo personaggio preferit- tsk, quisquiglie!*)
Oki, veniamo ai grazie ^^ :
first of all Marta: sei stata la prima a credere in me, e hai sopportato le mie mail a qualunque ora del giorno e della notte xD… grazie per tutto cara, buona parte della riuscita è merito tuo! Dì ad Harin che ci vedremo presto.
Giuli: grazie, non solo per le tue splendide recensioni, ma soprattutto per la tua amicizia, per la pazienza che hai nel sopportare tutti i miei sfoghi quotidiani, e per quello che scrivi ;)
Anuen e Evelyn: grazie di avermi seguita fedelmente lungo tutta la storia, di aver recensito ogni singolo capitolo, non importa a che orari improbabili postassi xD. Vi voglio bene e spero di rileggervi presto.
Missing: per il tuo sostegno, i tuoi commenti e la tua impagabile simpatia: mi raccomando la scuola xD, e continua a scrivere che io ti seguo ;).
Xingchan: per la tua disponibilità, per le tue profonde e approfonditissime recensioni che mi hanno aiutata a capire qualcosa in più dell’opera che ho scritto <3! Conto di rileggere presto pure te ;)
Aven90: il mio fedele e puntiglioso unico recensore maschio xD, grazie per il sostegno e le chiacchierate su LOTR, passerò presto dalle tue parti (ehm no, non in Sicilia xD)
_Son Hikaru: sei stata la prima recensione della mia vita e mi hai dato una gioia immensa <3.
Garim: grazie per il sostegno e per avermi lasciato la tua prima recensione in assoluto.
Carol…per tutto mia cara: la tua compagnia, la tua amicizia, e per essere stata mia continua fonte di ispirazione.
 
Beh ve l’avevo detto che sarei stata sentimentale gnè, non fate quelle facce!
 
Grazie infine a chi mi ha seguita/ricordata/preferita, a chi ha letto fin qui e chi leggerà/recensirà in futuro ^^.
Mi auguro che vi siate divertiti almeno quanto mi sono divertita io a scrivere.
 
vostra
Benni
 
 

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