Falling

di Levy94
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - Il Caduto ***
Capitolo 2: *** Capitolo I - Odiare ***
Capitolo 3: *** Capitolo II - Mezzo Demone ***
Capitolo 4: *** Capitolo III - Un'ora ***
Capitolo 5: *** Capitolo IV - Due vite diverse ***
Capitolo 6: *** Capitolo V - Tendere la mano ***



Capitolo 1
*** Prologo - Il Caduto ***


È stata una mia scelta. Solo mia.

Io ho deciso di sbagliare. Io ho deciso di mettermi contro le regole. Io ho deciso di seguire i miei sentimenti e non la Legge.

Questo è un mio errore.

Ne pago volentieri le conseguenze.

 

Avevo mai provato un dolore più atroce? O un disgusto simile nei miei confronti?

Ora sì.

Non solo ora, ma da ormai due anni. Settecentotrenta giorni che sembrano una vita intera.

Ventiquattro mesi in cui non ho più una dignità, in cui non posso essere nemmeno chiamato “umano”, men che meno “angelo”.

Sono un angelo. Anzi, ero un angelo. Ora sono solo un Caduto, bandito dal Paradiso, dalla mia casa. Privato delle ali, dei miei poteri, di tutto ciò che contava.

Delle mie maestose ali restano solo due cicatrici sulla schiena. Delle mie origini resta solo un simbolo sul petto.

Ormai non sono più nulla.

E quelli che mi “usano” lo sanno.

 


 

 

 

Salve!

So che come introduzione non è molto, ma presto dovrei aggiornare.

È una ff senza troppe pretese, nata da un sogno e dalla mia follia u.u'

Non so dove andrò a finire, ma spero sia di vostro gradimento.

Nei prossimi capitoli ci capirete di più.

Piccola nota: aggiornerò in modo irregolare, al contrario che con l'altra mia ff “Blood”.

Ditemi la vostra opinione, se vi va :3

 

A presto!

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Capitolo 2
*** Capitolo I - Odiare ***


«Nit, vai nella tua stanza. C'è un cliente che ti aspetta.» ordina Lecktis, il mio “padrone”.

Oltre al danno, la beffa. Appartenere a un demone... sono caduto proprio in basso. Ho calpestato la mia dignità fino a renderla irriconoscibile, la cosa non mi fa più effetto da molti, troppi mesi.

Prima che riesca a dileguarmi dalla stanza lui mi afferra per i capelli, tirandoli. «Niente cazzate. Ci siamo capiti?»

«Sì signore.»

Decide di non lasciarmi andare ancora, anzi, stringe la presa. «Fai quello che ti viene detto, non come l'altra volta. Altrimenti sarò costretto a punirti di nuovo.»

Al ricordo rabbrividisco. Sarò anche immortale, ma il dolore lo sento, a volte anche fin troppo bene. L'ultima volta che ho fatto qualcosa di sbagliato mi ha legato a un palo e si è divertito ad accoltellarmi finchè non l'ho pregato di smettere. E ci sono volute parecchie ore.

Nel momento in cui Lecktis allenta la presa sui miei capelli, mi fiondo fuori dalla stanza. Sottolineo che odio questo demone. Se solo ne avessi l'occasione lo ucciderei con le mie mani. Anche se dopo finirei torturato dai suoi amici/soci.

Forse c'è qualcosa che odio di più di quel demone.

Quello che mi costringe a fare.

 

Nemmeno cinque minuti dopo entra il suddetto cliente.

Non è la prima volta che lo vedo, si è presentato qui almeno dieci volte. È un uomo dalla faccia amichevole ma che mi disgusta dal profondo. Dice che somiglio a suo figlio, per questo, quando viene in questo posto, chiede espressamente di me.

Mi sorride e si avvicina. Io reprimo il conato di vomito che sale dallo stomaco.

«Figliolo, credo che papà abbia bisogno di un tuo “aiutino”...» mi dice, quasi divertito, mentre mi indica il cavallo rigonfio dei suoi pantaloni.

La voglia di sputargli in faccia e darmela a gambe è tanta, ma mi controllo al pensiero delle conseguenze che avrebbe una bravata simile.

Cerco di non pensare a quello che sto per fare e mi inginocchio di fronte a lui.

 

Odio. Disgusto. Sconforto. Orrore.

Una volta non avrei mai immaginato che un giorno avrei provato sentimenti così umani.

E ora che so cosa significano, li detesto con tutto me stesso. Detesto essere così dannatamente simile agli umani. Detesto essere anche ancora così in parte angelo.

Se fossi umano basterebbe poco a far smettere tutto questo. Cadere da un'altezza abbastanza alta, tagliarmi la gola con un coltello, affogarmi in un fiume...

Ma non posso morire.

Se fossi ancora nel posto da cui provengo, il Paradiso, la mia casa, non dovrei sopportare tutto questo. Mi basterebbe adempiere al mio compito, vivere la mia vita seguendo quelle loro leggi, senza dover pensare a nulla. Anche se non credo che sarei davvero felice.

Ma non posso tornare.

 

Mi alzo dal pavimento, tremante e con un dolore che mi attanaglia persino le viscere. Raggiungo il lavandino del bagno in tempo per dare di stomaco. Vomito tutto quanto avessi in corpo, dallo schifo che quell'uomo mi ha obbligato a ingurgitare a quello che ero riuscito a mangiare qualche ora fa. Ne vale la pena, non ho intenzione di tenermi dentro i liquidi corporei di quel tipo nemmeno un minuto di più.

Intanto sento scorrermi tra le gambe altra roba di cui mi piacerebbe non sapere l'identità. Solo per abitudine, controllo. Anche stavolta, insieme allo sperma, c'è un mucchio di sangue. Non è la prima volta, né la decima, né la cinquantesima...

Mi guardo allo specchio. Il lividi che mi ricoprono dalla testa ai piedi stanno già guarendo, diventati ormai verdognoli.

Questo posto, “Il Club”, come lo chiama Lecktis, è più di un normale bordello. Qui, oltre al fatto che la scelta della compagna, o compagno, è molto più ampia, la violenza e le perversioni peggiori sono all'ordine del giorno. È questo che rende famoso “Il Club”, qui tutto è permesso, fuorché uccidere.

È normale essere riempiti di botte subito dopo il rapporto. O anche prima. O durante.

Chiudo gli occhi per non mettermi a piangere. Tutto ma non le lacrime.

 

Dopo essermi fatto una doccia veloce mi rivesto ed esco.

«Dove te ne vai?»

Mi fermo. Un brivido di paura. Ancora lui, il mio padrone.

«Mi serve dell'aria fresca.» rispondo atono.

Ride. «Fammi indovinare: ti servono anche dei soldi.»

Cazzo. Purtroppo è vero.

Passerò tutto il tempo possibile lontano da qui, mi serve qualche spicciolo.

Abbasso la testa.

Lecktis mi si avvicina, pesca qualche banconota dalla tasca e me le allunga. Quando faccio per prendere i soldi, lui li lascia cadere.

Quando mi abbasso a raccoglierli lo sento ridere di me. Seppellisco in un angolo quel poco di orgoglio rimasto e me ne esco, finalmente all'aperto, lontano da questa prigione.

 

Cammino, non so nemmeno io verso dove, l'importante è non pensare. Camminare, contare i passi, spegnere il cervello, fare finta che io non sia nemmeno un essere vivente, solo un oggetto.

Ci provo e ci riprovo, ma ancora non riesco a pensare a me stesso come un giocattolo sessuale, senz'anima e senza pensieri, utile solo a quelli che sono i clienti.

Perchè è questo che sono ormai. Una puttana senza dignità che si piega al volere del suo padrone, che apre le gambe ogni qualvolta qualcuno si presenta nella sua stanza.

Sento ancora le lacrime, ma le ricaccio al loro posto.

So che da lassù, nel Paradiso da cui provengo, possono vedermi. Spero proprio che almeno loro si stiano divertendo. E che si strozzino a morte dalle risate.

 

 

 

 

 

Salve!

 

So perfettamente di essere cattiva.

Nithael soffrirà molto, così come ha già sofferto. Le cose rimarranno così? Non posso dirvelo, ma ovviamente l'avrete già intuito u.u

E, comunque, se le cose non cambiassero, la storia non esisterebbe...

Aspetto volentieri le vostre recensioni :3

 

A presto!

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Capitolo 3
*** Capitolo II - Mezzo Demone ***


Salve!

Ora cambiamo prospettiva :3

Spero di non confondere nessuno...

 

 

 

 

Pov Gadriel

 

Essere mezzo demone non mi è mai stato molto d'aiuto.

Per prima cosa, non risulto simpatico alla maggior parte degli umani. In più i demoni puri mi evitano per il mio essere “mezzosangue”.

Gli angeli nemmeno si degnano di scendere dalla loro casetta sulle nuvole, ma se mi incontrassero penserebbero male di me persino loro che sono così accondiscendenti e generosi con tutti.

Ma di certo non posso lamentarmi della mia vita. Ho tutto quello che posso desiderare e, se mi manca qualcosa, basta chiederlo a mio padre.

Lui è un demone puro.

So per certo che tutta questa ricchezza è dovuta a traffici di dubbia legalità. Ma lui è un demone, se qualcuno lo scoprisse gli basterebbe usare alcuni dei sui poteri di persuasione, nonché aprire il portafogli.

Ultimamente, però, in casa si sente sempre la solita solfa: devo iniziare a comportarmi da demone invece che fingermi umano.

E mio padre ha preso la cosa sul serio.

Mi porta alla maggior parte degli incontri con i suoi amici e colleghi, dice che mi sta cercando di abituare al suo mondo.

Anche oggi.

Un suo amico e socio in affari, Lecktis, ha bisogno di discutere di lavoro. Ovviamente dovrò essere presente anche io.

La facciata del locale dove entriamo sembra quella di un comune hotel, forse con un po' troppo di lusso per la zona malfamata in cui si trova. Eppure gli umani che lavorano per la polizia e istituzioni simili non passano a controllare. Merito di mazzette e magari qualche potere occulto.

Il proprietario è un uomo che già conosco, anche se solo di vista. Ancora abbastanza giovane per avere già a mano un posto simile, ma credo sia solo perchè qualcuno gliel'ha affidato. E non sembra affatto cavarsela male. A quanto ho capito gli affari vanno molto bene ultimamente.

«Ho sentito che è grazie a una “merce rara” che questo posto va così bene. È vero?» si informa mio padre.

Lecktis annuisce. «Un Caduto, più raro di così non credo che esista altro!»

«Come avresti fatto a trovarlo? Sono almeno mille anni che uno di quei “piccioni” non si fa cacciare dalla loro casetta sulle nuvole.»

«Chiamiamola fortuna. È caduto proprio qui dietro il locale. Doveva essersi spezzato ogni singolo osso del corpo, per non parlare di come doveva essere messo con gli organi interni. Insomma, era mezzo agonizzante. So che quelli come lui guariscono in fretta, quindi ho voluto fare più in fretta e l'ho portato dentro.», l'uomo sghignazza sadico, «Da quel giorno è diventato mio, che lo voglia oppure no.»

Entrambi iniziano a ridere. Li imito solo per sembrare normale. Sinceramente non me ne frega un cazzo della sfiga che ha avuto quel Caduto. Se è stato cacciato ci sarà un motivo, quindi non vedo la ragione per avere pietà di lui.

«Quanti clienti riesce a fare in una settimana?»

«Anche una dozzina. Guarisce in fretta e non può morire, si può avere anche la mano pesante con lui. A volte si lamenta, certo, ma non ci vuole molto a fargli abbassare la cresta.»

Mio padre sorride. «Sembra proprio un tipo interessante.»

Gli occhi di Lecktis hanno un guizzo. Qualcosa di non ben identificabile gli è appena passato per la testa. «Ti faccio un'offerta, così, tra soci. Un'ora con il Caduto completamente gratuita. Se ti soddisfa, in cambio chiedo un po' del tuo “supporto economico”. Diventeresti, come dire, uno sponsor. Sai, ho anche delle spese per tenere in piedi questo posto...»

 

 

 

Pov Nithael

 

Anche se sono uscito all'alba, non ho dormito nemmeno un minuto. A parte quella patetica prigione in cui sono rinchiuso la notte, non ho altro posto in cui riposare. Anche se di solito mi accontento di un angolo asciutto in un qualche vicolo abbastanza buio. Ed è quello che faccio anche oggi.

Mi rintano come un verme in un angolo della strada, cercando di scaldarmi con i pochi vestiti che ho addosso. Per fortuna siamo vicini alla primavera, non dovrò patire il freddo ancora per molto.

Mentre la città inizia a svegliarsi, finalmente mi addormento.

 

Probabilmente non ho dormito più di tre ore. Mi ha svegliato la fame, lo stomaco non fa che brontolare e farmi male dai crampi. Giusto, l'ultima pasto decente che ho ingerito è finito nello scarico del bagno questa notte.

Mi rialzo, intorpidito dal freddo e metto una mano in tasca, alla ricerca dei pochi soldi che mi ha dato il demone. Li conto. Sono davvero pochi ma dovrebbero bastare, almeno per oggi.

Dopo aver mangiato qualcosa inizio a stare meglio, sento anche meno freddo di prima. Cerco qualche altro angolo dove dormire un altro paio di ore. Mi addormento di nuovo, sperando di non svegliarmi mai più.

 

Ovviamente le mie speranze vanno a farsi fottere.

Il solo pensiero che tra non molto dovrò tornare da Lecktis, mi chiude lo stomaco. Rinuncio alla cena e inizio a vagare senza meta tra le vie affollate della città. Le persone non mi vedono, non mi considerano. Meglio così, se mi guardassero negli occhi sentirebbero il mio odio.

Nonché la mia paura. Paura di tornare, paura di provare altro dolore, paura di tutto quello che mi aspetta.

Raggiungo la mia prigione prima del tramonto. È una delle regole: libero durante il giorno, rinchiuso dal tramonto all'alba.

Subito Lyra mi viene incontro. È una delle poche persone di cui mi fido. Anche lei è una vittima, qui dentro. Lecktis l'ha presa con sé il giorno stesso in cui ha trovato me. Il fratello si era sommerso fino al collo di debiti di gioco, poi aveva scelto la strada del suicidio, lasciando a Lyra l'onere del pagamento. Erano troppi soldi, così ha dovuto scegliere se pagare il debito nel modo in cui fa ora o suicidarsi lei stessa. Ha deciso di vivere, anche se questa è una vita di merda. Lei è fortunata, un giorno se ne potrà andare via di qui.

«Meglio se vai a prepararti. Lecktis ha ospiti.» mi dice soltanto. Poi se ne va, anche lei è molto richiesta, di solito non abbiamo nemmeno il tempo di parlare in questa prigione.

Cerco di non pensare troppo, come ogni volta. Non devo pensare che tra poco verrò usato e pestato.

Non pensare. Spegni il cervello, butta via le emozioni.

Sei solo un oggetto.

 

 

 

 

 

 

Salve di nuovo!

Piccola postilla sui nomi dei personaggi:

Nithael è il nome di un angelo custode (non me lo sono inventato u.u);

Gadriel è un nome alternativo del demone Azazel (non ho scritto male “Gabriel”, lo giuro), usare il nome originale sarebbe stato come usare un demone già esistente, così mi limito a usare un nome alternativo;

Lecktis è un nome che mi sono inventato di sana pianta.

Detto questo, il prossimo capitolo è già a buon punto, mi manca poco :3

 

Alla prossima!

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Capitolo 4
*** Capitolo III - Un'ora ***


Pov Gadriel

 

La porta davanti la quale vengo accompagnato è uguale alle altre, anonima e verniciata di nero lucido.

Al mio posto dovrebbe esserci mio padre, è a lui che è stata offerta quest'ora con il Caduto. Subito dopo la proposta del proprietario, lui ha riso e ha delegato a me la faccenda dicendo che, poiché un giorno dovrò pensarci io a certe “questioni di famiglia”, è meglio che inizi a fare pratica.

Sospiro. Sinceramente l'idea di una scopata con quell'essere non mi alletta affatto. Potrei benissimo limitarmi a pestarlo un po', senza andarci troppo pesante. Far soffrire un essere vivente senza alcuna ragione non mi è mai piaciuto, anche se sono sicuro che i Caduti meritano ogni singolo minuto di sofferenza. Dopotutto se un angelo cade non può biasimare nessuno se non sé stesso. Questo Caduto in particolare, però, non mi ha fa fatto nulla di personale, quindi non infierirò.

Entro nella stanza e chiudo a chiave la porta.

Il Caduto è dall'altra parte della stanza, seduto contro la testiera del letto con le ginocchia al petto.

La poca voglia che avevo di pestarlo sparisce. Non so cosa mi aspettassi di trovare, ma non di certo un normale ragazzo. Sembra troppo... umano, per essere di origini angeliche. Troppo normale, troppo innocente per essere un traditore.

E ora che faccio? Come la passo un'ora qui dentro?

Decido di avvicinarmi. Non appena faccio un passo, il ragazzo alza lo sguardo su di me. Non ci scommetterei, ma sembra davvero spaventato, forse sa che non sono completamente umano. Ignoro lo sguardo e arrivo fino al bordo del letto. Mi siedo a debita distanza osservandolo meglio.

Non so se sia una tinta, ma il colore dei capelli tende al viola scuro, molto scuro. O forse lilla scuro, non mi intendo di sfumature. E se invece fosse il colore naturale? Nha, impossibile. Gli occhi che mi osservano sono azzurri, intensi e spalancati dalla paura.

Solo ora noto che non indossa altro che la propria pelle. Qua e là si vedono anche alcuni aloni scuri di lividi ormai sul punto di guarire. Scommetto che da quando è qui ha subito ben di peggio che qualche contusione.

Intanto anche il Caduto mi osserva. Non parla, sembra quasi in attesa. Forse si aspetta che sia io a parlare, a fare le mie richieste.

Non ho intenzione di fargli del male né di costringerlo a farsi scopare. Come la occupo un'ora intera?

Parlare con lui sembra l'unica alternativa che mi resta. «Come ti chiami?»

Non mi risponde. Dal suo sguardo sembra scioccato. Forse nessuno si è mai interessato a lui?

Ripeto di nuovo la domanda. Il Caduto abbassa lo sguardo. «Preferisco non essere chiamato per nome.»

Comunicare con questo ragazzo si prospetta difficile. «Senti, voglio mettere le cose in chiaro. Non ho intenzione di usarti come una puttana né di pestarti a sangue, d'accordo? Quindi, puoi smettere di fare quella faccia, per favore?»

 

 

 

Pov Nithael

 

Questa è la prima volta che qualcuno entra qui dentro senza quel tipo di intenzioni. È... non so, strano. Ancora non so se in senso positivo. Meglio se non abbasso troppo la guardia, potrebbe essere benissimo un trucco.

«Visto che dovrò passare con te la prossima ora, ti va di parlare un po'?» continua lui. Sembra sincero. Magari non mi farà davvero nulla. Tanto vale dargli corda, tanto che ho da perderci?

«D'accordo...»

Il ragazzo fa un cenno di assenso. Subito dopo cala il silenzio. A quanto pare gli argomenti di discussione scarseggiano.

«Sei un amico di Lecktis?» decido di chiedere.

«No, lo è mio padre. Io sono solo...», sospira, «Beh, uno in cui ripongono troppe aspettative.»

«Capisco.», veramente non capisco per davvero. Ma mi è sembrata l'unica cosa che potevo dire.

Silenzio.

«Posso chiederti una cosa? È solo una curiosità.» dice lui.

Annuisco.

«Com'era essere un angelo?»

Per un secondo smetto di respirare e sento quel dolore pungente al petto che provo ogni volta che ripenso alle mie origini. Il dolore di aver perso qualcosa a cui, originariamente, non avevo dato alcuna importanza, ma che ora sento mancare terribilmente.

«Era la mia vita, il significato della mia esistenza.»

«Quindi eri felice.»

«No, non lo ero. Ma era ciò per cui vivevo, quindi mi sentivo soddisfatto. Però no, non ero felice.»

Dal mio tono spero abbia capito che il discorso è chiuso. Non voglio ripensare a tutto quello che ho perso per colpa di un mio capriccio.

«Posso farti un'altra domanda?» chiedo.

«Certo.»

«Com'è avere una famiglia? Avere qualcuno che ci tiene a te, che ti vuole bene...», voglio davvero saperlo perchè è qualcosa che non ho mai provato in vita mia.

Ora è lui a trattenere il respiro per un secondo. «Ecco... non saprei come spiegarlo. È come... uscire di casa e sapere che mancherai a qualcuno. Sapere che c'è chi si preoccupa per te, quando finisci in qualche casino.»

Da quando sono stato cacciato qualcuno si è preoccupato per me? Manco a qualcuno? C'è anche uno solo dei miei fratelli che prova quella sensazione di vuoto quando pensa a me?

No.

Nessuno.

Sono solo.

Sono sempre stato solo.

Accantono in un angolo tutta la solitudine e la tristezza fingendomi ancora in me e apparire un minimo normale quando, invece, muoio dentro ogni volta che ci penso.

Continuiamo a parlare del più e del meno per tutto il tempo rimanente. A malapena ci conosciamo, ma è anche per questo che non ci facciamo problemi. Probabilmente non ci vedremo mai più, questo ci da un motivo in più per essere sinceri, per aprirci l'un l'altro con questa tranquillità, senza pregiudizi. Tanto rimarrà tutto tra noi.

 

Dopo i sessanta minuti prestabiliti, il ragazzo si alza e va verso la porta. Poco prima di aprirla, si gira verso di me.

«Gadriel.» mi dice indicando sé stesso. «Mi chiamo Gadriel.»

Gadriel. Ho come la sensazione che non dimenticherò facilmente questo nome.

«Non dovresti presentarti anche tu, ora?» mi fa notare sentendo il mio silenzio.

«Giusto, scusa. Io sono Nithael.», probabilmente è la prima volta che dico il mio nome a qualcuno, senza contare Lecktis.

Gadriel mi osserva. Chissà perchè. Non penso di essere così interessante.

«È un bel nome.» commenta a bassa voce. Subito dopo esce.

Resto solo.

Perchè la solitudine mi da così fastidio stavolta?

 

 

Pov Gadriel

 

«Allora? Che ne pensi?» mi chiede mio padre non appena esco dalla stanza.

Che ne penso? Difficile dirlo in poche parole.

«È un tipo... interessante.»

«Quindi dici che possiamo accontentare Lecktis?»

Ci penso. Se dicessi di no, che succederebbe al ragazzino?

Non lo so e non voglio pensarci.

«Sì. Assolutamente.»

 

 

 

 

 

Salve!

Sono quasi le 2 di notte e io sono ancora qui...

E domani mi tocca un'infinita sessione di studio u.u

Okay, diciamo che spero di riuscire ad aggiornare presto, anche se non so quando riuscirò a rimettermi a scrivere...

Detto questo, aspetto molto più che volentieri le vostre opinioni :3

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Capitolo 5
*** Capitolo IV - Due vite diverse ***


Pov Nithael

 

Fisso il vuoto con lo sguardo perso.

Questo palazzo è così alto che dal tetto su cui sono, le strade sembrano linee tracciate con una matita e le persone piccoli puntini in movimento e senza meta.

Mi è sempre piaciuta l'altezza. Quando ancora avevo le ali e scendevo sulla Terra, mi piaceva volare in alto, così in alto che i contorni delle città si offuscavano. Potevo volare sopra le nuvole, vedere quanto fossero bianche e simili a batuffoli di cotone. Vederle cambiare colore prima di un temporale, diventare scure e nere di pioggia. Adoravo sentire il vento accarezzarmi la pelle, mi divertivo a lasciarmi trasportare dalle correnti e osservare le vite degli umani scorrere lentamente.

Se chiudo gli occhi posso ancora sentire la presenza delle mie ali sulla schiena. Forti, possenti, così grandi e bianche da essere invidiate da molti dei miei fratelli. Erano il mio vanto, la parte di me che più amavo.

Quando, quel giorno, me le strapparono, una parte di me morì. Non certo per il dolore, ancora non lo provavo, ma qualcosa dentro di me si spezzò. Forse era solo la sensazione che da quel momento non sarei più potuto tornare indietro.

Poi caddi.

La prima sensazione che provai con un corpo umano, fu il dolore.

Sentire le ossa spezzarsi, gli arti piegarsi in posizioni innaturali. Per la prima volta avvertivo il sangue scorrermi tra le dita.

Avrei voluto gridare, consumarmi la gola con le urla, far uscire tutto quel dolore usando la voce. Non ho potuto. Sentivo in bocca un liquido caldo, probabilmente il mio stesso sangue. Annaspavo in cerca d'aria, aria che non riuscivo a respirare per colpa del sangue.

Lentamente il mio corpo aveva iniziato a rigenerarsi da solo. Le ossa tornavano dolorosamente al loro posto, gli organi e la pelle si richiudevano fermando le emorragie.

Ricordo che continuavo a fissare il cielo. Continuavo a chiedermi il perchè dovessi ricevere una punizione per quello che avevo fatto. Infondo, nessuno ne aveva sofferto della mia scelta. Ricordo che iniziai a piangere. Ricordo che piansi per molto tempo. Piansi tutta la mia paura, la mia frustrazione, la mia rabbia. Di quest'ultima ce n'era in abbondanza, tanto da andare a braccetto col dolore che provavo.

Mentre ancora stavo guarendo, Lecktis mi aveva letteralmente trascinato all'inferno.

Una goccia di pioggia sul volto mi risveglia dai ricordi.

Da quel giorno, nulla è cambiato. Sono sempre all'inferno, il mio migliore amico è il dolore e so per certo che non ne uscirò mai.

Sento lacrime salate rigarmi il volto, ma stavolta non cerco di fermarle.

Sono infinitamente grato alla pioggia.

 

Sei mesi sono passati da quando la mia vita e quella di Gadriel, il mezzo demone, si sono incrociate per puro caso. Due vite che non si incroceranno mai più. Un demone di una famiglia forte, potente, e un Caduto senza nemmeno una dignità, che ha perso il proprio onore nel momento in cui è stato rinchiuso in questo bordello.

Probabilmente si è già dimenticato della mia esistenza.

Anzi, meglio per lui se l'ha già fatto.

Eppure la cosa non mi importa. Mi basta essere io quello che si ricorda di lui. Mi accontento di essere l'unico a ricordare il modo così umano con cui mi aveva trattato. Mi sarei sempre ricordato di quell'unica gentilezza nei miei confronti.

 

 

Pov Gadriel

 

L'università a cui mi sono iscritto mesi fa non è la migliore del paese né la più costosa, ma è dove si sono iscritti quasi tutti i miei pochi amici. Mio padre non ha di certo approvato la scelta “a dir poco egoistica”, a suo dire.

Alla fine non mi importa nemmeno della facoltà a cui mi sono iscritto, tanto qualunque cosa scelga, in fondo non è importante. Dovrò portare avanti gli affari di famiglia, non è così necessario continuare a studiare.

Eppure è il mio modo per dire “no”. Non voglio avere un futuro già deciso da altri.

Voglio costruire la mia vita da solo. A modo mio.

 

Anche oggi, in aula, durante una delle noiosissime lezioni di sociologia, mi faccio gli affari miei. Il docente, un uomo sulla quarantina con una barba lunga quanto quella di Babbo Natale, ha un tono di voce soporifero che l'unico modo per restare sveglio è ignorarlo completamente.

Decido di spegnere il cervello e scarabocchiare un po' sul blocco degli appunti.

«Hey,» mi chiama il mio vicino di banco, nonché mio amico, «che si fa dopo le lezioni? Ci chiudiamo in qualche buco a studiare?»

«Nemmeno per sogno. È venerdì, non voglio studiare oggi.»

«L'hai detto anche ieri. E il giorno prima. E anche quello prima.» mi ricorda lui. «Non passerai mai gli esami se continui così...»

Sbuffo. «E va bene, mi arrendo! Oggi: studio intensivo!»

E così si prospetta una lunga, lunghissima giornata. Almeno non sarò costretto a tornare a casa presto.

Mentre la lezione sta per finire, abbandono i miei scarabocchi. Solo ora noto di aver scritto qualcosa sul foglio, e di certo non sono appunti. Un'unica parole, sette lettere.

Nithael.

Nithael. L'ho sentito da qualche parte, ne sono sicuro. L'unica cosa che riesco a collegare a questa parola è un colore. Un azzurro chiaro come il ghiaccio.

 

Passare l'intera mattina in biblioteca a studiare non era certo tra i miei programmi. Nel tardo pomeriggio riesco finalmente a “fuggire” dai libri di sociologia per rintanarmi nel mio rifugio.

Normalmente abito nella casa della mia famiglia, ma sono riuscito a convincerli a farmi tenere un piccolo monolocale vicino al centro, in modo da poter studiare in pace e portare a casa qualche amico ogni tanto. Ormai vivo più qui che con loro. Meglio così.

Qui posso fare quello che voglio. Posso suonare, finalmente, senza che qualcuno mi dica quanto sia inutile la musica. Senza che mi vengano portati via gli strumenti e nascosti perchè “disturbano la mia concentrazione da dedicare allo studio”.

Appena entro abbandono i libri sul pavimento, così, dove capita e con un solo movimento imbraccio la chitarra e recupero il plettro dalla tasca. Con un calcio accendo l'amplificatore e subito inizio a suonare.

Chiudo gli occhi e divento un tutt'uno con la musica.

 

Non ho intenzione di seguire le orme di mio padre.

Abbandonerò il mio cognome, abbandonerò tutto quello che mi rende parte della famiglia. Voglio ricominciare da capo.

A modo mio.

 

 

 

 

 

Salve!

 

Sono tornata xD

Lo so, sono lenta...

Lo studio mi uccide u.u

Okay, questo capitolo, più che altro, è un capitolo di passaggio. Ho voluto aggiungere qualche dettaglio sulla personalità dei due personaggi, anche se non ho detto ancora tutto.

Ricordo che questa fanfiction non è betata, quindi mi scuso in anticipo per qualsiasi errore.

Detto questo, spero di riuscire ad aggiornare presto u.u

Fatemi sapere che ne pensate xD

 

Ciao!

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Capitolo 6
*** Capitolo V - Tendere la mano ***


Pov Gadriel

 

Il mattino, come sempre, arriva troppo in fretta. Cosa darei per poter poltrire a letto ancora qualche ora!

Invece mi conviene alzarmi e sparire. Sarebbe preferibile farlo in silenzio, non vorrei dover spiegare al tipo accanto a me come siamo arrivati a dividerci il letto. Magari se lo ricorderà da solo, se la sbronza di ieri sera non era così pesante come penso.

Mi alzo con calma e attenzione e, quando riesco a districarmi dalla presa del ragazzo, mi lascio andare a un sospiro.

Recupero i vestiti sparsi per tutta la stanza e mi rivesto in fretta. In pochi minuti prendo la porta ed esco. Come quasi ogni domenica mattina me ne torno a casa a piedi da chissà dove.

Devo togliermi questo brutto vizio.

 

 

 

Pov Nithael

 

La saletta di attesa è sempre vuota al mattino. È un posto non troppo grande né troppo elegante, ma comunque curato. In questa parte della giornata è silenziosa. Forse l'unico momento in cui si riesce ad apprezzarla senza avere qualche mano altrui addosso.

È una stanza con parecchie poltrone bianche, tavolini di cristallo e una libreria rigorosamente bianca.

C'è persino un pianoforte, ma l'unica persona che sapeva suonarlo era Lyra.

E ieri è stata l'ultima volta.

Se n'è andata, è libera. Ha estinto il suo debito e ha ricominciato a vivere.

Prima di andarsene mi ha suonato una delle sue canzoni e ha detto che sarebbe andato tutto bene anche senza di lei.

Mi avvicino all tastiera e premo i tasti. Non ne so molto di pianoforti né di musica in generale, ma Lyra mi ha insegnato alcuni accordi. Le note sono acute e dolci, sembrano quasi i lamenti dello strumento che ha capito di essere stato abbandonato.

Chiudo la tastiera.

Penso che questi ottantotto tasti non li toccherà più nessuno.

 

L'aria di dicembre è freddissima, specialmente al mattino. Qualche giorno fa sono riuscito a procurarmi un vecchio cappotto. Non è il massimo, soprattutto con tutti i buchi che si ritrova, ma è comunque meglio di nulla.

La domenica, per una buona parte degli umani, è considerata il giorno del Signore. Sono alcuni giorni che Lecktis è via e mi ritrovo senza nemmeno un centesimo. Penso che per oggi dovrò affidarmi alla presunta bontà della gente durante questo giorno.

Raramente in questi ultimi anni mi sono ritrovato a chiedere la carità dei passanti, ma quando non hai altra scelta ci si accontenta di tutto.

 

Il campanile della chiesa suona il mezzogiorno.

Le persone dell'ultima messa del mattino sfilano davanti a me per tornarsene a casa.

Me ne resto seduto nel mio angolo, la mano tesa in avanti e lo sguardo basso. Qualcuno si fermerà?

Uomini e donne passano imperterriti, i bambini si rincorrono pericolosamente vicino alla strada facendo allarmare i genitori. Sorrido alla loro spensieratezza. Piccoli e ingenui che vedono solo la parte buona del mondo. Li invidio.

Un paio di passetti delicati si fermano accanto a me. Alzo gli occhi. Una bambina mi squadra incuriosita, piega il capo sulla sinistra e mi studia con lo sguardo. Pochi secondi, poi corre verso la madre, le strattona la gonna per attirare la sua attenzione. La piccola mi indica e parla col genitore. La donna sorride e passa qualcosa alla bambina.

Quando la piccola ritorna, lascia cadere sul mio palmo aperto alcune monetine. Sono piccole e di poco valore, non basteranno per un pasto, ma ne sono comunque felice.

«Grazie...» riesco solo a dirle mentre lei mi sorride e torna di corsa dalla madre.

Mentre si allontanano ricordo le parole di una piccola benedizione. Non so quanto valore possa avere da parte di un Caduto, ma comunque recito la formula e la indirizzo alla bambina.

Se gli altri angeli mi hanno sentito, spero facciano il resto del lavoro.

 

 

Pov Gadriel

 

Conosco la città come le mie tasche, quindi non ho mai trovato il motivo per guardarmi attorno come un turista. Né ho mai cercato con lo sguardo qualcuno che conosco. Di solito sono gli altri a notare me, non il contrario.

Mi è bastato voltare lo sguardo per un secondo per accorgermene. È raro sentire una presenza angelica, anzi, più che raro. Mio padre una volta me l'ha descritta come una sensazione di calore e benessere, pace.

Per un solo secondo l'ho sentita. Era a malapena tiepida e quasi sofferente, debole, ma so che era angelica.

Quando ho visto da dove proveniva, ho ricordato. “Nithael”, la parola che mi ronzava in testa da mesi, e un paio di occhi di un azzurro così innaturale ora hanno nuovamente un volto.

Come ho fatto a dimenticarlo?

Attraverso di corsa la strada e arrivo accanto al ragazzo vestito con quelli che in molti considererebbero già stracci, un cappotto rattoppato in mille punti e le mani di una sfumatura blu per il freddo.

Mi abbasso per poterlo guardare negli occhi e, sì, è davvero lui.

Sorrido. «Ciao» lo saluto.

Il ragazzo non risponde, sembra troppo sorpreso.

«Ti ricordi di me?» chiedo.

Nithael annuisce e accenna un sorriso.

Mi rialzo e allungo una mano. «Direi che è troppo freddo per fare due chiacchere all'aperto. Ti va se andiamo al coperto?»

Il ragazzo resta fermo per un momento, alternando lo sguardo tra me e la mano tesa.

Alla fine la afferra.

 

 

 

 

 

Ehm...

Ecco...

 

Sono imperdonabile.

Merito il vostro disprezzo u.u

 

Mi dispiace essere ricomparsa dopo così tanto tempo e con un capitolo alquanto corto, ma al momento sono riuscita a combinare solo questo.

 

Alcune avvertenze.

Sto pian piano riprendendo in mano la scrittura. Dopo così tanto blocco, penso che si noteranno alcuni cambiamenti nello stile e nella narrazione. Non sono cambiamenti voluti, ma inconsci.

Negli ultimi tempi la mia mente ha avuto molto su cui riflettere e molto a cui pensare. Alla fine alcuni miei modi di pensare sono cambiati e, quindi, penso che abbiano “infettato” il mio modo di scrivere.

Spero comunque che i testi restino scorrevoli e chiari nelle loro sfumature.

 

Il capitolo, come sempre, non è betato e stavolta l'ho scritto in una mattinata.

 

Alla prossima.

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