Mia madre è un alieno

di Matih Bobek
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Vi presento mia madre ***
Capitolo 2: *** Vi presento mia madre ***
Capitolo 3: *** L'invito a cena ***
Capitolo 4: *** L'invito a cena ***
Capitolo 5: *** Superpoteri e... ipopoteri. ***
Capitolo 6: *** Superpoteri e... ipopoteri. ***
Capitolo 7: *** Superpoteri e... ipopoteri. ***
Capitolo 8: *** Il taglio ***
Capitolo 9: *** Porta di Roma ***
Capitolo 10: *** Porta di Roma ***
Capitolo 11: *** Porta di Roma 3 ***
Capitolo 12: *** Porta di Roma 4 ***
Capitolo 13: *** Risveglio forzato ***
Capitolo 14: *** Notte insonne ***
Capitolo 15: *** Il natale - introduzione ***
Capitolo 16: *** Il Natale - La mattina - Prima parte ***
Capitolo 17: *** Il Natale - La mattina - seconda parte ***
Capitolo 18: *** Il Natale -Il pranzo ***
Capitolo 19: *** Il Natale -Il pranzo ( seconda parte) ***
Capitolo 20: *** Quando mia madre non c'è ***
Capitolo 21: *** Il pavimento ***
Capitolo 22: *** Superstizioni ( prima parte ) ***
Capitolo 23: *** Superstizioni ( seconda parte ) ***
Capitolo 24: *** Mai fare domande ***
Capitolo 25: *** Il topo - prima parte ***
Capitolo 26: *** Il topo - seconda parte ***
Capitolo 27: *** Il topo - terza parte - ***
Capitolo 28: *** Traumi infantili - Le suore Orsoline ***
Capitolo 29: *** Traumi infantili - Le sigle del terrore ***
Capitolo 30: *** Traumi infantili - La leggenda del dente da latte ***
Capitolo 31: *** Traumi infantili - Gli Ospedali ***



Capitolo 1
*** Vi presento mia madre ***


Forse mia madre è un alieno. Anzi, quasi sicuramente. Altrimenti non si spiegherebbero alcuni atteggiamenti. Ad esempio, è convinta di avere sempre ragione. E purtroppo i fatti parlano chiaro: ha sempre ragione, ma non perchè dotata, come pensa lei, di un intuito anomalo, sarebbe fin troppo bello, almeno si ricorderebbe tutto quello che le viene detto nell’arco di tre fottutissimi minuti, ma semplicemente perché il destino, il fato, la tyche, Dio, Vishnu, Pippo Baudo o chi per voi, se la fa sotto non appena se la ritrova di fronte. Comprensibile, mi stupirei del contrario. Quindi, in realtà, lei non intuisce gli eventi, lei STABILISCE gli eventi: se vi trovate, che ne so io, in piena Antartide tra foche, pinguini imperatori e ricercatori scientifici e mia madre dice che ad una tot ora il cielo si squarcerà e da esso cadrà una pioggia di fuoco tale da sciogliere l’intero polo sud, potete stare sicuri che poco dopo vi ritroverete in bikini a sorseggiare pepsi cola su un cubetto di ghiaccio. Purtroppo però, nessuno le dà retta. Nemmeno io, forse perché, stupidamente, mi illudo che, non dandole retta, anche l’universo farà altrettanto (sì lo so, mi piace illudermi). Così, quando torno da lei col capo chino, gli occhi abbassati, lo sguardo da cucciolo maltrattato e le dico, anzi, le sussurro in modo pressoché impercettibile “avevi ragione tu”, mi aspetto quattro parole, solo quattro: TE LO AVEVO DETTO. Molto più che una semplice frase fatta, per mia madre è una sacrosanta, sempreverde, incrollabile verità, un po’ come “non ci sono più le mezze stagioni” per gli anziani, oppure “mangia ché ti vedo deperito” delle nonne. Solitamente la sentenza viene ripetuta con una frequenza di cinque/sei volte per diem, nel caso dovessimo disgraziatamente dimenticarcelo, e viene utilizzata a mo’ di passpartout, una sorta di “risposta sempre valida”. 
”Mamma, mi è caduto il cellulare dalla tasca e si è rotto lo schermo.”
 “TE LO AVEVO DETTO!”
 “Mamma, sono andato al mare, non ho messo la protezione sulle spalle e mi sono bruciato.” 
”TE LO AVEVO DETTO!” 
”Mamma, ho dimenticato la giacca a casa di *nome a scelta*.” 
”TE LO AVEVO DETTO” (manco un’anticchia di trasporto emotivo, ormai è una riflesso automatico).
 Be’, forse mia madre porta semplicemente sfiga. Soluzione più che plausibile. Ma ci sono comunque situazioni che non riesco a spiegarmi:
 “Mamma, si è aperta una falla in Matrix!” magari ce la freghi, uno pensa.
 “TE LO AVEVO DETTO.” 
” … Ma hai capito cosa ti ho detto?” 
”Sì, ora non disturbarmi, ho un ospite.
 Scusa Morpheus, il caffè con quanto zucchero?” 
E tu rimani lì, con la faccia da idiota, non capendo assolutamente un dannato nulla di cosa sta accadendo, manco ti fossi iniettato sambuca nelle vene.

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Capitolo 2
*** Vi presento mia madre ***


Così, alla fine, traumatizzato come un gatto in autostrada, decidi di uscire, farti una passeggiata, rannicchiarti in un angolo buio della camera e ripeterti che non è successo niente e, magari, ipotizziamo, ti metti a cercare nel cassetto la felpa blu, quella vecchia, calda che tu ami tanto. Manco a dirlo, non la trovi, il che può volere dire una sola cosa: l’alieno ha messo piede nel tuo territorio. “Dov’è, dov’è, dov’è finita? Dove l’ha messa? Niente… niente… non c’è”. 
”Cosa cerchi?” eccola, eccola che si avvicina. Il colpevole torna sempre sul luogo del delitto.
 “Il maglione blu. Il mio vecchio maglione Blu. Dove sta?”
 “Blu. Panni colorati. 15esima lavatrice delle 22:30. Stesi alle 5 del mattino. Piegati alle 8″ poi dicono che sei matto… 
”Quindi dove sta?” Arriviamo al sodo perlomeno, già mi costi un patrimonio di psicanalisi.
 “Sta qui, nel terzo cassetto, ce l’ho messo io.” eh, allora stiamo freschi. “Dovevi fa’ tutto ‘sto macello?” 
Per due panni sul letto. La solita esagerata: “Tu giochi a nascondino con le mie cose!”
 “Roba vecchia, ringrazia che non l’ho ancora buttata.” mi viene il dubbio eh… 
“Anche tu sei vecchia, mica ti butto per questo”. Oddio, c’ho fatto qualche pensierino però…
 “Ecco, il solito maleducato, come tuo fratello”. E’ da prima che nascessi che me lo ripete.
 “Vabbè, la felpa non la trovo, ‘ndo sta?” Più tempo passi con l’alieno, più il codice linguistico scende di grado. Chomsky sarebbe contento di questa mia scoperta.
 “Scommetti che apro il cassetto e te la trovo? Poi però ti meno pure!” Eccola, eccola la frase che aspettavo! Sticavoli, mi menasse pure, basta che mi fa comparire la mia dannata felpa.
 E così, senza neanche un colpo di bacchetta magica (Cenerentola, qui abbiamo una professionista, altro che fata Smemorina) la felpa compare. Esattamente dove tu l’hai cercata per un’intera mezz’ora. Si è materializzata, all’improvviso. Poi sai, avessi la fossa delle Marianne al posto del cassettone, lo capirei, sarebbe normale perdersi un maglione tra un’alga e l’altra, ma è un semplicissimo, banalissimo rettangolo tridimensionale in legno dell’Ikea. 
”Mamma, non c’era il maglione, è comparso quando hai aperto il cassettone”.
 “Non dire idiozie. Piuttosto, vammi a prendere le sigarette”. Avete presente i vostri peggiori incubi? Ecco, mia madre li racchiude tutti. “Allora, mi vai a comprare le sigarette?!” ripete mia madre. “Ma ora?” Fuori c’è il diluvio universale, mio padre sta costruendo un’arca (speriamo si scordi CASUALMENTE di includere la consorte nella lista degli invitati) la fine del mondo è prossima e lei vuole fumare. Anche l’essere umano più spietato ha in sé un po’ di misericordia, ma lei non ne ha alcuna, perché, evidentemente, non è un essere umano. 
”Lascia perdere. Oh ti chiedo una cosa io ed è il finimondo, non c’è mai una volta che bla bla bla”. Dopo un po’ uno ci fa l’abitudine, diventano solo suoni privi di senso. 
”Hai guardato fuori dalla finestra? Ti rendi conto che la razza umana è ad un passo dall’estinzione?” 
”Ma staranno, non so, cadendo due gocce”. Questa l’ha rubata a Miranda Priestly. “Poi volevi uscire già prima!” “Avrei preso la macchina, ora ce l’ha papà. “Furbo lui, esce per “dieci minuti” e sta fuori tre ore
”. Ti fai una passeggiata a piedi, ti fa solo che bene camminare un po’”. Nuotare, vorrai dire.
 Alla fine, decidi di uscire. Decidi… non è che hai molta scelta: tua madre rischia la tua vita per comprare morte in scatola… nessuno coglie l’ironia?
 Così ti prepari, ti armi di sciarpa, giacca a vento, l’immancabile felpa blu, guanti, pelle di orso bruno, ascia e affronti il grande gelo. 
Nemmeno sto a raccontare l’epopea per comprare due dannatissimi pacchetti di mort…ehm… di sigarette, passiamo direttamente al rientro. 
Passi il cancello di casa e la vedi lì, fuori, nel cortile, sotto il portico malmesso, noncurante dell’acqua che le arriva alla vita, a fumarsi una sigaretta. Come è possibile che non si spenga, rimane un arcano. 
”Ma scusa, mi hai mandato a morire per comparti le sigarette, e ce le avevi già?”
 “Metti che finiscono?” Metti che finiscono… metti che finiscono… metti che finiscono. La più stupida catena verbale mai sentita nella mia intera vita. Queste tre maledette parole mi riecheggiano nel cervello, picchiettano sulla corteccia cerebrale come Woody Woodpecker”. E ti servivano altre sigarette proprio ora, durante la fine del mondo?” 
”Be’ perché, che altro avevi da fare? Saresti morto pure se fossi rimasto in casa”. Mia madre è un mostro. Altro che alieno. Ha pure azzeccato il periodo ipotetico. “Poi, come puoi vedere, sto in cortile e sono vivissima”. No ok, è un alieno. Mostruosamente spietato, ma comunque alieno.

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Capitolo 3
*** L'invito a cena ***


Tra le infinite leggi che mia madre ci ha imposto (e vi assicuro che sono tante) forse quella che più ha condizionato me, i miei fratelli, mio padre, tutti gli animali domestici dal 1976 ad oggi e tutte le persone che hanno anche solo per un secondo messo piede in casa *****, é: arrivare in orario. Detta in questo modo, non sembra nemmeno così terribile, ma non bisogna lasciarsi ingannare dalle definizioni di mia madre, perché spesso, saranno i sonniferi che prende, sarà un.. dono di natura, non sa quello che dice. Per mamma ‘arrivare in orario’ vuol dire ‘arrivare con almeno venti minuti di anticipo’. E no, non sto scherzando. Di norma, quando dobbiamo andare a cena dai parenti, il che spesso accade di domenica quando la mia voglia di vivere si è persa sotto le coperte del letto, lei inizia a prepararsi alle undici del mattino. Ripeto in caso non fosse abbastanza chiaro, parlo di inviti a CENA. Le fisse di mia madre, però, non rimangono circoscritte alla sua persona, sarebbe bello, ma si diffondono come un’epidemia purulenta, si infilano nei più reconditi angoli del tuo inconscio e ti macerano il lume della ragione. Come se ciò non fosse abbastanza, si mette a girare per i corridoi, così, per verificare che l’angoscia dell’orario, questo mostro incontrollabile, ti stia spingendo a prepararti con almeno cinque/sei ore di anticipo. Potete immaginare la mia gioia la domenica mattina, quando giro in pigiama come uno spettro trascinando le gambe, manco fossero di pastafrolla, con il mio rapace personale appollaiato sulla spalla che mi dà il tormento. Non lo auguro nemmeno al mio peggior nemico. La casa si trasforma in una caserma militare: mia madre, con i jeans da pischella e sopra la vestaglia da notte, metà faccia truccata e metà no, stile Joker, che detta ordini in salotto. Io, ridotto ad un’esile ombra di me stesso, con una voglia di vivere che manco Lana del Rey, che annuisco in modo automatico e mi muovo per inerzia, mentre tutto quello che desidererei fare è lavarmi la faccia nel caffè. Mio padre, sveglio ormai da tempo immemore, con auricolari nelle orecchie, sintonizzato sulla solita stazione radio, che si aggira con aria distratta, parlando da solo per disperazione. Scene così me le avrebbe invidiate pure Orwell: post-apocalisse pura. E intanto mia madre parla, parla, parla. No, magari, urla: 
”Vai in bagno, pettinati! Non vedi che fai schifo? Non ti si può guarda’, sembra che ti sei svegliato ora.” Non è che sembra… “Mi raccomando vestiti bene, non ti mette sempre la solita magliettaccia, hai tante cose carine nell’armadio che non usi mai, o le metti o le butti. “Sarebbe da mandare a ‘Ma come ti vesti?’. Vatti a dare ‘na sciacquata, sembra che c’hai la peste in faccia”. Meno male che ho lei a darmi il buongiorno. “Forza, aiutami a piegare i panni, muoviti!” 
”Mi fai prendere il caffè? mi fai lavare? Mi fai vestire? Ma soprattutto mi fai svegliare?” 
”Ecco, sei come tuo fratello, c’hai il risveglio cattivo”. Tutte le mattine ‘sta storia, non è che ho il risveglio cattivo, è che lei rompe…
 “Dai dai, non farmi perdere tempo, aiutami a piegare le lenzuola, siamo in ritardo”. Aaah ma quindi eri tu il coniglio di ‘Alice nel paese delle meraviglie’!
” Ok, però dopo lasciami fare quello che devo fare”. I matti vanno assecondati. Sempre.
 “Dai, su, lontano, tira, tira di più, vedi quant’è floscia, più lontano, tira! Ok, ora a destra, a destra. Ecco, eh lo sapevo, guarda quante pieghe. Ora a sinistra, a sinistra, dai, tira, TIRA, vedi che c’ha le pieghe, tira forte”. Mò svengo sul lenzuolo. “Vabbè, che te l’ho chiesto a fare. Tiè, guarda che schifo”. Scusa se mi sono lasciato convincere ad aiutarti. “Ora devi andarti a lavare, è tardi. Poi devi pranzare e studiare, secondo me non ce la fai”. “Oh oh oh, con calma, mi sono alzato venti minuti fa, manco so che giorno è oggi, e già mi hai pianificato la giornata.” “E certo, dormi sempre, se non te la organizzo io, chi lo fa? Sai quando mi sono alzata io?” “… me lo devi dire per forza?” “Alle 5! Tuo padre russava!” Aaah ecco perché tutta ‘sta voglia di rompermi i cosiddetti! “Ho lavato il salotto, ho fatto i piatti, pulito i vetri, fatto i bagni, pulito la cucina, ho passato l’aspirapolvere, ho riverniciato i muri e ho cambiato il pavimento del bagno mio perché secondo me, le mattonelle non si intonavano con le maioliche della doccia.” … Mah, forse intendeva le cinque del giorno prima. “Ok, ti ringrazio per questo… veloce riassunto della tua giornata. Ora posso andare?” “Ti devi fare la doccia!” “Sì… lo so. Mi dai il permesso?” “Me la devo fare pure io”! no, te prego, Dio, fa’ finire questo supplizio “Vuoi fartela prima tu?” c’ho ‘na voglia d’aspettare che non te dico. ” Dipende, ci stai sempre le ore, sembra che c’hai lo sporco incrostato sulla pelle” E sì, certo, che non lo sapevi? Hai partorito una macchina del gas! ” Dimmi un po’ tu, ce la vogliamo giocare a morra cinese?” A mali estremi… “No vabbè, tanto abbiamo due bagni!” No vabbè. il deficiente sono io. Mi ha incastrato. Mi ha preso in contropiede. Era la prima obiezione da farle. Come ho fatto a non pensare che abbiamo due bagni? Manco posso dirle niente, altrimenti passo per matto, vabbè che accanto a lei pure Sgarbi sembra sano di mente, però insomma… ” Vado”. “Non bagnare la doccia” stiamo sfiorando il ridicolo. “Come faccio a non bagnare la doccia, mi spieghi? Con cosa mi devo lavare? Con la fiamma ossidrica?” “Non ti si può dire niente, mamma mia!” Capito sì, lei dice assurdità, però io sono lo strano!

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Capitolo 4
*** L'invito a cena ***


La giornata procede così, con mio padre che ogni tanto prende e caccia un urlo dei suoi (uno di questi giorni mi crolla il tetto addosso) con mia madre che fa su e giù per il corridoio, tutto il tempo, ogni cinque minuti e con il mio sistema nervoso andato a farsi benedire. Poi, a tre ore dall’appuntamento, non si sente più una mosca. La pace dei sensi. Nessuno parla, nessuno urla, nessuno scassa. Tutto tace. Sembra di riscoprire il paradiso perduto, ti vien voglia di zompettare come un fagiano da una stanza all’altra, vorresti riscoprire il mondo, i suoi colori, le sue meraviglie nascoste, il che può volere dire una sola cosa: mamma è in bagno. La prova del nove? La casa profuma di Borotalco e Garnier Fructis. Ma si sa, l’idillio dura sempre poco: ad un tratto, senti girare le chiavi del bagno, un movimento lento che scava nelle tue vene come un artiglio, poi la maniglia della porta lentamente si abbassa. L’equilibrio si spezza, la luce svanisce. D’un tratto, ti ritrovi catapultato nel secondo tempo di ‘Matilda sei mitica’, in attesa che la signorina Trinciabue venga a rovinare la pace e il divertimento. Eccola, eccola, senti il passo. Ha qualcosa di diverso… ma cosa? I tacchi! Ha i tacchi! E si è truccata. Lo senti: si avvicina alla tua porta, il passo è frenetico, è il suo. E’ sempre più vicina, senti tutti i tuoi tessuti irrigidirsi, i nervi tendersi, il sudore scendere. E poi bussa. E’ la fine. Non ti dà nemmeno il tempo di dire ‘avanti’, apre la porta. Tu, col sistema nervoso distrutto e lo sguardo pieno di pietà, stai sul letto. A gambe incrociate. Immobile. La guardi e aspetti che ti dica qualcosa: “Insomma?” Ha aperto lei la porta, mi è venuta a disturbare, ha spezzato ogni equilibrio e ha pure il coraggio di dire ‘insomma’! 
”Insomma che?”, “Non mi dici niente?” Fidati, è solo che un bene. “Cosa ti devo dire?” andiamo al sodo, già so come andrà a finire. Eccola, già la vedo, sta preparando la faccia compiaciuta, oddio oddio oddio: “Ma non hai visto che bella mamma che hai?” No, ti prego, tutto ma non questo, torno a piegare i panni, vanno bene pure le lenzuola con gli angoli, passo l’aspirapolvere sul tappetto, sopra e sotto fino a quando non è consumato, come mi ha insegnato lei, ma per favore, non questo. “Sì… stai benissimo.” Specialmente la gonna grigio topo e il cappotto color muflone, per nulla anni ’90. A quanto pare faceva parte del cast di ‘mamma ho perso l’aereo’ e non l’ho mai saputo. “So’ proprio pischella. Ma non sei contento di avere una mamma così?” devo proprio risponderti? “Sì, stai benissimo” Sorriso cristallizzato, viso di cera, mento spudoratamente. “E non hai visto ancora nulla.” No, ti prego. “Guarda che bello il reggiseno nuovo!” Sto entrando in coma. Lo sento. Tentiamo una manovra disperata: “Mamma, tra due ore dobbiamo stare dagli zii.” Scampato pericolo. “Siamo in ritardo!” O mio Dio, è un riflesso automatico. Fa paura. “Non ho ancora finito di prepararmi.” Sta in bagno da praticamente un giorno, però non è ancora pronta. “Devi vestirti anche tu!” “Ehm, ti ricordi? Mi hai obbligato a vestirmi stamattina.” “Certo che me lo ricordo, che pensi? che sono scema?” Eh, io non lo volevo dire però… “ti devi cambiare, sei stato tutto il giorno con i vestiti addosso.” Sta scherzando, vuole fare la simpatica. Simuliamo una risata: “ahahah” “Perchè ridi? sei scemo?” No, non stava scherzando. “Mamma, ti rendi conto che per una frase del genere, qualche anno fa ti avrebbero rinchiuso in manicomio per l’eternità?” No, lei non se ne rende conto, tant’è che non ha nemmeno sentito cosa stavo dicendo. “Le arance” ha detto. Mentre parlavo. Guardando il vuoto. So cosa state pensando: perché? Perché le arance? La domanda non è ‘perché’, è ‘chi’, ‘chi cavolo me lo fa fare?

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Capitolo 5
*** Superpoteri e... ipopoteri. ***


Quando dico che mia madre non appartiene a questa galassia, non scherzo. Dopotutto, è l’unica spiegazione plausibile per tutte le sue stranezze, la cui quantità, dopo vent’anni di convivenza forzata, ha superato di gran lunga il numero delle dita dei miei arti, superiori e inferiori.
Nell’immaginario comune, gli alieni sono spesso dotati di particolari super poteri, gadget strafighissimi, astronavi tanto potenti quanto kitsch.Mia madre non ha gadget, se non la cucchiarella con cui mi minacciava quando ero un infante, non ha nessun mezzo di locomozione spaziale, se non una Matiz, comunque kitsch, che porta ancora i segni della sua guida MOLTO RASSICURANTE. Almeno però, ha una vasta gamma di superpoteri, inutili quanto un due di bastoni a briscola quando regna coppe, ma almeno li ha. Non solo, mamma ha anche degli ipopoteri, dove il suffiso ipo- sta a indicare che le capacità legate al suo potere non sono rafforzate, bensì indebolite. Per esempio, gli alieni, come Superman, hanno il super-udito. Credo. In realtà non lo so, mi è sempre stato sulle scatole Superman, come tutti gli altri supereroi, però, che ne so, mettiamo Superpippo, sicuramente aveva il superudito. Ecco, mia madre ha l’ipoudito: ciò vuol dire che se venite a casa mia, non so, mercoledì alle 21, è molto probabile che pensiate di essere finiti nello studio di ‘chi l’ha visto’.
Quando mamma sente la televisione, la sente tutta Roma nord. Potete immaginare come si dorma bene da me. Poi sai, dici, almeno ascolta programmi interessanti, di cultura, oppure film belli, i classici intramontabili; no, manco per niente: i suoi gusti televisivi comprendono il già citato ‘chi l’ha visto’ e tutte quelle pseudo trasmissioni che speculano sulle morti altrui, toccano sporadicamente qualche filmetto non troppo malvagio, fino ad arrivare a pomeriggio cinque, il punto più basso della mondezza televisiva.
Se una persona normale, ad esempio io, che comunque non sono troppo normale, ascolta il televisore a volume.. mettiamo 10, mia madre lo ascolta a volume 50, il che vuol dire che, ogni discorso, ogni frase, ogni parola, ogni dannatissima sillaba pronunciata dalla D’urso arriva dritta dritta al mio orecchio, manco stesse nel salotto a prendere tè e biscottini con mamma. Proprio non capisce che casa nostra non è un cinema e che quindi non può ascoltare la televisione a volumi impensabili. O forse fa finta di non capire. Infatti, secondo me e mio padre, questo è un modo per trasmettere informazioni riguardo la terra ai suoi veri parenti alieni, così almeno sapranno cosa aspettarsi una volta approdati qui. 
Perciò, immaginate di dormire, di pisolare beatamente cullati dalle braccia di Morfeo, nonostante sia già mezzogiorno passato: il sole è alto, regna nel cielo limpido come un specchio, il letto è caldo, morbido, le coperte ti avvolgono, ti fanno sembrare un saccottino della Mulino Bianco, i passerotti cinguettano e la signora Fletcher parla con mamma in cucina… Oddio oddio aspetta, cosa? Aaah no no, è solo il televisore. Solo. Turbato, infastidito e un po’ sconvolto ti alzi, costretto da forze maggiori e vai a chiedere “””gentilmente””” di abbassare il volume: 
” Mamma…” 
”BUONGIORNO TESORO DI MAMMA!” Buongiorno un cavolo! Ogni mattina mi sveglio con la Fletcher dentro le orecchie, porta pure sfiga.
 “Ti prego, non urlare… potresti abbassare un tantinello il volume?” 
”Ma sta appena a 46!” Ah beh, pensavo peggio. 
”Eh, se lo mettessi a 20, per esempio, non sarebbe male. Se spegnessi la televisione sarebbe anche meglio”.
“Non ci sento! Devo guardare la signora in giallo!” Be’ allora scusa, alzo le mani, la signora in giallo non si tocca. 
”Mamma non puoi ascoltare la televisione a 50! Ti sente tutta Cesano!” per non dire tutta Roma nord fino a Viterbo. Probabilmente anche le anguille di Bracciano saprebbero recitare a memoria tutti i palinsesti delle TV italiane.
 “Se tu dormi fino a mezzogiorno come un ghiro, mica è colpa mia!” Faccio notare che, manco cinque minuti fa, mi ha detto “Buongiorno tesoro di mamma”. Com’è umana lei. Tanto umana.
 “Ieri sono tornato tardi, avevo sonno, poi scusa, avrò pure il diritto di dormire fino a quando voglio!”
 “Be’ pure io ho diritto di sentire la tv a volume 40.”
La gente normale scala gli anni, lei scala il volume del televisore. 
”Mamma, sei la più grande fonte di inquinamento acustico di mezza Roma! Lo capisci?”
 Tanto non c’è niente da fare, manco ti guarda. Continua imperterrita a sferruzzare, senza accusare un colpo. Non ti resta che far finta di nulla e iniziare a studiare…

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Capitolo 6
*** Superpoteri e... ipopoteri. ***


Prendi i libri, l’astuccio, il quaderno, l’immancabile tazza di caffè nero bollente, ti siedi e inizi a immergerti nello studio. Certo, sarebbe più facile se Caterina Balivo non ti urlasse boiate nell’orecchio, ma non ci sono tante alternative: l’unica stanza disponibile è il salotto, perciò sopporti. Be’, sopporti fino ad un certo punto, poi basta! La fiera delle cavolate ti cammina sul timpano, non si può studiare così! A un tratto ti accorgi di una cosa: tua madre è di granito. Immobile. Muove solo i ferri. Per il resto è ferma. Sospetti qualcosa. Fai un tentativo: “MAMMA!” Urlo improvviso. Speriamo non ci rimanga secca! 
” … ” Tsk, macché secca, non mi ha nemmeno sentito! 
”AA MAAAAAAA!” 
”ECCHE’ VUOI?”. Tutta la finezza del mondo racchiusa in una donna sola.
 “Di che stanno parlando?” 
”Dove? Chi?” 
” La Balivo.” 
”E chi è?” 
”La presentatrice… il programma… la televisione… Italia… pianeta Terra, hai presente?”
 “Aaah! E che ne so, non la sto mica sentendo!” No vabbè, mi girano talmente tanto che sono diventato un elicottero! C’ha il volume a duecento, sembra di essere finiti allo starplex, a momenti papà si mette a vendere i biglietti al cancello, non abbiamo vicini, perché, giustamente, la gente preferisce vivere sul raccordo che vicino a noi e poi lei mi viene a dire che non segue la televisione! 
”ALLORA PERCHE’ CAZZZ” calmati, stai calmo “cazzarolina non la spegni, gentilmentissimamente?” Ok, respira. Respira. 
”Aah certo e perchè non me lo hai chiesto prima?” Mi prende in giro. Vuole farmi impazzire. Lo so, per forza, vuole farmi impazzire. Mi immagino già, chiuso in un cella di qualche centro di igiene mentale con la camicia di forza e la stanza tappezzata dalle foto di mia madre. 
”Mamma, hai per caso notato che, venti minuti fa, sono venuto da te a chiederti di abbassare il volume della televisione? Dimmi che ti ricordi per favore! DIMMELO!”. 
”Sì certo, stai calmo. Mi hai chiesto di abbassare, ma non di spegnere.” 
 E’ inutile, il matto sono io. Non devo nemmeno provare a spiegargli che sta fuori come un terrazzo, perché tanto non lo può capire. La mia vita è come “The others”, costantemente governata da questo assurdo capovolgimento di punti di vista, in cui l’idiota sono sempre e comunque io. 
A quel punto puoi solo tornare in camera, a studiare sul letto, per terra, sul pavimento gelido. Ricominci a studiare con uno strano senso di fastidio addosso. Dopo qualche minuto, ti tranquillizzi e dimentichi i trip mentali di tua madre. Ti senti già meglio. Molto meglio. Le pagine scivolano come seta sulle tue dita e la voglia di studiare ti avvolge come una coperta di lana, ti tiene al caldo, ti rassicura. Brilli di interesse per ogni riga che leggi. Ogni paragrafo è una finestra su un mondo luminoso e fantastico Ogni parola si schiude come un bocciolo bagnato dalla primavera e poi..CRACK! L’idillio in mille pezzi. Sul pavimento i frammenti del tuo sogno metafisico, in gola lo sgomento, sulla pelle sudore freddo, nelle orecchie LEI.

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Capitolo 7
*** Superpoteri e... ipopoteri. ***


Il telefono. Il dannatissimo telefono. Questa tragedia non finirà mai. E’ qualche parente della Calabria, sicuro, considerando il volume della voce. Eh già, esiste infatti un’interessante legge matematica che permette di capire, all’incirca, il luogo di residenza dell’interlocutore: prendendo in considerazione una serie di accorgimenti, come ad esempio il sangue che scende dalla tue orecchie, puoi intuire che:
1) l’interlocutore non è di Roma
2) Abita lo stesso in Italia.
 Se fosse stato uno dei tanti parenti americani, avresti perso l’udito.
Quindi, il volume della voce è direttamente proporzionale alla distanza dell’interlocutore. E lo sai fin troppo bene, dato che il muro che divide camera tua dalla cucina, il luogo prediletto delle chiacchierate dell’alieno, è fine e delicato come il tuo sistema nervoso ogni volta che parli oppure, semplicemente, rivolgi il pensiero a tua madre. 
Aspettare che finisca la chiamata? meglio di no: rischieresti di divenire sordo, o peggio, di morire di vecchiaia. Interromperla brutalmente mentre blatera felice con il parentame?
 Un po’ scortese. Tanto quanto il suo molesto chiacchiericcio. Si potrebbe fare. Poi però, nella conversazione si tocca un punto interessante: te (cioè ME). Muori dalla voglia di sapere cosa dice tua madre ai parenti del sud: le boiate che si inventa, le storie che tira fuori dal nulla, i pettegolezzi succulenti, insomma, tutte quelle cose che dice solo quando pensa ingenuamente di non essere sentita da nessuno. Non c’è nemmeno bisogno di appostarti al muro e origliare, tanto lo spettacolo è aperto a tutti. Anche ai signori sulla Cassia.
 “… Eeh niente *nome a caso*, Matteo studia cinese all’università, è bravo, non disturba.” Be’ questo è vero, non le do troppi problemi. Comunque meno di quanti ne dà lei a me. 
”Sì sì ormai è grande, ha ventitrè anni.” Ma perché cavolo mi deve alzare gli anni? Ne ho compiuti ventuno manco un mese fa!
” No, forse di meno… insomma io ne ho poco più di cinquanta, fatti il conto.” Poco più di cinquanta, o poco meno di sessanta? 
”Sì sì, si cucina da solo, fa tutto da solo.” Anche perché se ti chiedo qualcosa, rischio il linciaggio.
 “Eh, vorrei scendere giù in Calabria…” Io vorrei che restassi in Calabria, pensa un po’ le coincidenze!
 “… ma poi Matteo a chi lo lascio?” In santa pace. Lo lasci in santa pace. Fidati.
 “eeh ma da solo poi mi brucia a casa.” Sai, mamma, questo è un reato: si chiama DIFFAMAZIONE! 
”Manco sa accendere il gas.” 1) Quattro minuti fa appena, ha detto che cucino da solo 2) Gode a farmi fare la figura dell’idiota. E’ evidente.
 “Sì certo, ce l’ha Facebook, inviagli la richiesta!” Ma manco so chi cacchi’ è! Perché non si fa gli affaracci suoi?
 “Sì, sì con la Z, Zandri” Dagli pure le mie cartelle cliniche no?
 “Non mi assomiglia, no no. Fisicamente è il padre.” Il male minore.
 “Eeh, le gambe corte, la tendenza ad ingrassare, poi se guardi la foto…” Aaah, non lo avevo capito che era un identikit!
” … si vede che diventerà pelato. “In poche parole, ha detto che sono Shrek! 
”No no di carattere è Emiliano”. Ovvero te. Mai una volta che lo ammette.
 “Sì… un pò strano.” Dimmi a chi sei figlio, ti dirò a chi somigli… grande verità.
 “No no, ma di cuore è buono, è dolce e tenero.” … mi sta descrivendo come un piatto prelibato. 
”ma invece tua figlia…” Ok, la parte divertente è finita.
 Infastidito dalla descrizione assolutamente irrealistica data da tua madre al parente sconosciuto, chiudi i libri, ti alzi, vai in cucina e disturbi la conversazione:
 “Chi è?” 
”Scusa *nome a caso* si è svegliato Matteo. Non la conosci, che vuoi?” svegliato… stavo studiando, al massimo “è stato infastidito dal mio blaterare insensato”. 
”Dimmi il nome, magari la conosco.”
 ” * Nome a caso*! La conosci?” 
”No.” Dannazione. 1 a 0 per te, cocca.
 “Insomma scusa, dicevo…” 
”Mà, il caffè è rimasto?” 
”Scusa ancora * nome a caso* (che d’ora in poi sarà Carmela, perché tanto si chiamano tutti così) Che vuoi ancora?”
 “Il caffè? Te lo sei iniettato nelle vene o ci sta?” 
”Tiè.” Non lo so, lanciamelo addosso.
 “Il dolcificante?” Prima o poi ti arrenderai.
 “Oh sto al telefono, lo vedi? Scusa Carmela, oggi rompe.” Eh certo. Io rompo, lei che ha il megafono incorporato, no.
 “…Me la saluti?” 
”Ariscusa Carmela, mi sposto un attimo e lascio la cucina a Matteo sennò questo bla bla bla…” 1 pari, cocca. O forse no. Anche se sta in giardino, è lo stesso una fonte di fastidio. Magari non più tanto per te, ma per tutti gli animali nei paraggi, i cani dei vicini, i cavalli nel recinto, i gatti randagi che si sono allontanati. O per tuo padre, oggi stranamente simile ad Heathcliff, che fa il fuoco con una strana luce assassina negli occhi. 
Poi, finalmente, la telefonata finisce. Nel frattempo si è fatta notte eh, ma almeno, dici, non sta più starnazzando al telefono. Vero. Ma sono le nove meno un quarto, l’ora di “un posto al sole, rinominata “l’ora della morte”. Se normalmente tiene il volume a cinquanta, con la sua telenovela preferita lo tiene almeno almeno a sessantacinque. 
Perciò ogni sera, ogni dannata sera, con le lacrime agli occhi, con le mani strette in una morsa spietata, preghi Dio che lo abbiano soppresso, che abbiano deciso di non mandarlo più in onda per decenza, che quella sia l’ultima, l’ultimissima puntata, preghi una qualsiasi cosa. Qualsiasi. Ma tanto c’è poco da fare, dopo ti ritrovi con il sangue che cola dall’estremità delle due guance, lo sguardo fisso, perso nel nulla, vuoto di ogni speranza, con tuo padre accanto, affranto dal destino comune, che ti posa delicatamente la mano sulla spalla, in segno di conforto, e poi ti sussurra: “mezz’ora, solo mezz’ora.” 
”Sì, papà, lo so.”
 “STATE ZITTI, NON SENTO!” 
”Noi sì però… noi sì.”

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Capitolo 8
*** Il taglio ***


La porta sbatte. In continuazione. Continua. Continua. Tutte le finestre sono spalancate: c’è corrente. Mi dovrei alzare… Sì be’… non mi va. Però la porta continua. Continua. Mi sta massacrando il sistema nervoso. Mi alzo, percorro il corridoio, mi fermo di fronte alla porta della mia stanza, l’accompagno pigro con l’indice e il medio. Nel mentre, una forte folata di vento proveniente dalla finestra, la fa sbattere. Sulle mie dita. Un grido domina l’intera area della casa. Mi piego sulle ginocchia, e poi mi accascio a terra. Un’imprecazione rimbomba potente, mentre un rivolo di sangue comincia a scivolare sul mio indice. Sangue. Dio santo! SANGUE! Una goccia, poi due, poi ecco, diventa una striscia. Ommadonna, sto morendo dissanguato, Oddio, oddio santo. Mi servono i cerotti, dannatissimi cerotti; vado in bagno, saranno lì. Primo cassetto: niente. Secondo cassetto: nada. Terzo cassetto: non si apre. Dannazione! MALEDETTO CASETTO! una bella gomitata al punto giusto ed ecco, si apre! Ovviamente, nulla di nulla. Ma perché cazzzzarola non ci sono mai i benedettissimi cerotti! Cosa faccio? Cosa faccio? Che faccio? Oddio mi sta uscendo un mare di sangue, ODDIO! E se morissi così? Oddio, sto per morire solo come un cane, nella mia casa. Idea: acqua ossigenata, deve stare nella vetrinetta del bagno; cerchiamo! Ma porca… non ci sta un piffero in questa galera. Niente cerotti, niente acqua ossigenata, niente genitori… beh almeno una fortuna! Devo bloccare il flusso, mi serve della carta. Ma non c’è manco la cartigienica? Ma perché? Vado in cucina, lo scottex ci deve stare! No. Nisba. Se rimango in vita, d’ora in poi, la farò io la spesa. Prendo il canavaccio che usa mamma per asciugare i piatti. Per forza. Aaaah che sollievo… l’acqua fredda sta bloccando il flusso… aahhh… ecco qua, bagnamo la pezza, e forse sopravviverò. Oh i miei sono arrivati. I guai non vengono mai da soli eh: “Mamma, sto morendo dissanguato!”
“E c’è bisogno di urlare? Manco sono entrata e già rompi le scatole!”
“Ma mamma sto morendo… guarda il dito?”
“E che sarà mai! Un taglietto, tiè!
“Ma il sangue non si ferma…”
“Mettici il cerotto!”
“Non ci sono mai i dannatissimi cerotti! Ma che ci fate? EH? Li mangiate?? Ci fai i tuoi Sabba?”
“Io non ballo la samba… acqua ossigenata?”
“Inizio a pensare che te la scoli la notte…”
“Ah va ricomprata… vado a cambiarmi!”
“Ma’ mi aiuti? Sto tamponando il dito con la pezza dei piatti ma..”
“Stai usando la pezza dei piatti come tampone?”
“… no… hai capito male…era un effetto… uditivo…”
“Oddio guarda, guarda GUARDA. Tutto macchiato! ODDIO SANTO! Ma quanto sangue perdi, eh? Tiè, tutto macchiato. Da lavare. Colpa tua. Un taglietto, e perdi sangue che nemmeno una mucca al macello…”
“Te lo avevo detto che ne sto perdendo tanto… forse devo andare al pronto soccorso?”
“Vai dove ti pare, ma stai attento, sta gocciando… mi macchi il pavimento! Come se la pezza insanguinata non fosse abbastanza…”
“Ma mi vuoi dare una mano?”
“Mi devo cambiare… ”
Niente. Irremovibile… bah… Un urlo! E’ mamma! Si sarà schiacciata anche lei le dita?
“Ma’ che succ..?”
“Hai macchiato il lavandino di sangue! Lo hai sporcato! Tiè guarda, tiè, tutte le piastrelle macchiate… il legno dei cassetti! Se sai che stai perdendo tanto sangue, almeno cerca di non spargerlo ovunque come un appestato… tiè, Hai macchiato mezza casa… tanto che te ne frega, lavo io….”
“Ma mi fa male!”
“Quando mi sono rimaste le dita infilate nel tritapomodori…”
“Non voglio saperlo. Intanto perché me lo racconti tipo tre volte a settimana, poi perché mi fa alquanto schifo.”
“Non facevo tutti i capricci che facevi tu, capito? E soprattutto non macchiavo la casa di sangue. Soffrivo in silenzio.” “… e tu volevi fare il medico?”

Salve! Ho deciso di variare un tantino la narrazione, spero vi piaccia. Per più di una settimana non aggiornerò la storia, causa partenza. Non appena sarò tornato, aggiungerò un nuovo episodio. Nel frattempo, leggete e fatemi sapere cosa ne pensate! Grazie tante!

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Capitolo 9
*** Porta di Roma ***


Arrivati al parcheggio di Porta di Roma, si presenta a noi uno spettacolo spaventoso: una marea di latta ambulante. Al che, il viso di mia madre si dipinge di rosso; le venuzze emergono prepotenti; dalle pupille si disperde un fiume vermiglio di rabbia; dall'antro orale, un voce profonda, oscura:" E' UNA GUERRA!" un po' inquietato, mi volto piano piano:
"Mamma... sei posseduta da Beppe Grillo?" 
" DOBBIAMO PARCHEGGIARE E LOTTEREMO!"  
"Sono d'accordo ma..."
 " NIENTE MA! E' UNA GUERRA! CI FAREMO STRADA A COLPI DI CLACSON!"  Se ti vedessero con la vestaglia e lo scopettone in mano, ti lascerebbero passare.
" Guarda che non è Hunger games!" La mia vita con te però sì.
" Smettila di parlare cinese!" Ma alla fine, perchè mi sono lasciato convincere?
Crudelia inizia a farsi strada tra le macchine, stritolando il volante con le sue dita ossute. Ma come fanno a non spezzarsi?
Imbocca la prima via, e subito adocchia un parcheggio.  Non ci vede, ma quando si tratta di shopping, fine ultime e divino, i suoi sensi vengono acuiti. Tranne l'udito, quello è irrecuperabile. Ecco che subito preme l'acceleratore, soffia sotto il naso il parcheggio a quella povera micra, alla quale lancio uno sguaro di amara comprensione, e spegne il motore. Siamo salvi. Sono salvo. Esco dalla Matiz, tocco terra e ringrazio il signore. Poi però penso che non è il caso di festeggiare: la giornata di shopping non è nemmeno iniziata.
" Dici che ci ricordiamo il parcheggio?"
" Certo. Mica sono rincoglionita!" No, infatti l'altro giorno non ti sei messa a cercare gli occhiali per tutta casa, per poi scoprire che li avevi addosso. Per niente.
Prendiamo di corsa le scale mobili. Almeno, lei di corsa. Io già arranco dietro. Il solo pensiero di ciò che mi aspetta mi blocca le articolazioni. 
Approdati al primo piano del colossale centro commerciale, mi accorgo della quantità incredibile di gente che, ammettiamolo, non ha nulla da fare. Perchè si sa, la gente non va lì per comprare, no, l'italiano che è in noi stringe le chiappe non appena sente la parola euro, e anche a ragione. Ci si va perchè non si ha nulla di meglio da fare. E chi dice il contrario, o mente o è in politica. O tutti e due.  La domenica poi... un tempo si andava in chiesa a pregare, ora si va a Porta di Roma pregando che il bancomat sia pieno, per ogni evenienza, non si sa mai. 
Ci guardiamo attorno, ad occhi sbarrati; sarà difficile anche camminare, pensiamo. Addirittura respirare. Mentre il mio io interiore si siede sul pancreas e si abbandona ad un pianto folle, osservo mia madre in posizione di attacco: borsa attaccata alla pelle; postura leggermente piegata, aerodinamica; occhiali ben posizionati: i prezzi non devono sfuggire ai suoi occhi. Piedi ben attaccati al terreno. Be', quello è per il suo equlibrio precario. 
Intanto, mi aggiro titubante, facendomi spazio tra la folla, sempre più scortese, cercando la libreria, che, sono sicuro, l'ultima volta era proprio lì! Ma perchè ho sempre l'impressione che i negozi in questo centro commerciale cambino di posto? Nel frattempo mia madre ha puntato qualcosa. O qualcuno. Accelera il passo, scuote la mano mentre urla a squarciagola un nome:
" IVA! IVA! Ciaooo bella, smack! Smack!" All'improvviso, sono in una puntata di Carramba che sorpresa! La carra' dov'e'? Ancora con Tiziano Ferro o sul palco dell'Ariston a fare la pacchianata del secolo?
" Come stai? Tutto bene?"
" Si, ci facciamo un giro a Porta di Roma, per passare la giornata" Appunto: non c'hanno niente da fare. 
" Eh anche noi, con la scusa mi compro un paio di pantaloni ah ah ah" Non ridere. Non fa ridere. Esistono per questo i centri commerciali.
" E questo bell'ometto chi e'?" Il figlio ventenne della matta truccata come Moira Orfei, genio!
" Mio figlio. Il piu piccolo, anche se e' grosso ah ah ah!" No. non fa ridere nemmeno questo. Ma poi dice sempre le stesse cose, un minimo d'inventiva!
" Ooooh ti ricordi di me?" Sono vent'anni che amiche - mai viste - di mia madre continuano a chiedermi se mi ricordo di loro. No. Non vi ho mai visto. Nemmeno nei miei peggiori incubi. 
" Eh, guardi, ora come ora non mi ricordo nemmeno perche' sto qui."
" Ma che mi dai del lei? Guarda che sono una pischella!" Ah scusa, i gran canyon che attraversano il tuo viso mi hanno tratto in inganno.
" Che fai? Studi?" Ora come ora, escogito il modo più veloce di togliermi la vita.
" Sì studia cinese all'universita'!" Ma non ho capito, rispondi tu alle domande fatte a me? Ma ti chiami Matteo?
" Sì esatto, cinese e giapponese." 
" Che bravo ragazzo, bravo." Mo' mi da la caramellina, guarda eh!
" Ma tu invece...." E si perdono in chiacchiere. E' sempre così. Non appena mia madre mette piede fuori di casa, incontra qualcuno. Sempre gente che io non ho mai visto in vita mia, ma che secondo lei dovrei conoscere come se ci avessi passato la vita insieme:
" Sai chi ho incontrato oggi? La maestra d'asilo di Emiliano" Considerando l'eta di mio fratello maggiore, dovrebbe essere già morta due volte.
" Sai chi ho incontrato oggi? Il prete che ci ha sposato" Anche lui, tenuto in vita da una forza superiore... be' dopotutto è un prete. " Ma forse era un fantasma ma'?"
" Sai chi ho incontrato oggi? La zia della cugina della ex di  Valerio"  Be' oh, fammelo aggiungere alla lista delle cose di cui non me ne frega nulla!
" Sai chi ho incontrato oggi? Beppe, il fratello di Gino, il marito di Mirella, la cugina di tuo padre" " E Ridge?"
 Poi, ovviamente, per il suo spirito di contraddizione, che sempre sia benedetto, se incontra qualcuno che invece conosco, ma conosco sul serio, lei si dimentica.
" Mamma, ma non mi hai detto che hai incontrato " nome a caso" al supermercato?"
" Eh perche' non avevo capito fosse lei..."  Però i mille nomi dei mille tizi che non vedi da diverse ere geologiche li ricordi tutti... bah!


(to be continued)

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Capitolo 10
*** Porta di Roma ***


Nel bel mezzo della piovosa mattinata domenicale, mi ritrovo di fronte il volto scuro di mia madre: " Andiamo a porta di Roma?"
Le proposte oscene della signora Zandri.  Inopportune e scellerate. Come lei, del resto. 
Odio la domenica: mi fa venire malditesta.
Odio porta di Roma: per lo stesso identico motivo.
Quindi, immaginate quanto morissi dalla gioia di recarmi a Porta di Roma: immergersi nella marea grigioverde di automobili che popolano il G.R.A, darsi alla disperata ricerca di un parcheggio, sperando di non perdersi tra colonne, numeri, vie, viuzze e trappole simili, pregare di non essere inghiottito vivo dalla massa polimorfa che marcia arida sul lastricato dell' Ikea. Per giunta, di domenica. Di domenica. Quando il massimo dello sforzo fisico è alzarsi per fare pipì. Il problema è che quando mia madre si mette in testa certe idee, sembra che anche i pianeti cospirino affinchè i miei sforzi di oppormici siano vani. 
"Ma proprio oggi?Vuoi sorbirti tutta Roma?" Perchè, siamo sinceri: di domenica, la capitale intera si riversa come un diluvio sul grande centro commerciale.
"E quando vuoi andarci? Che pensi che io non ho niente da fare come te?" Vivo in facoltà praticamente. Ma non ho nulla da fare.  Ci vado perchè non so stare senza trenitalia.
" Studio tutto il giorno, trecentoquaranta giorni l'anno, di domenica mi piacerebbe stare stravaccato sul letto."
" E non ti divertiresti di più ad accompagnare mamma tua a fare shopping?" No. ti assicuro, no.
" Diciamo che ho altre priorità..." Tipo: non fare nulla l'intero giorno. 
" Se passiamo in libreria?"  La strega ci sa fare...
" Bah... potrei fare uno sforzo...."
" Allora vado a prepararmi" Ok. Quindi usciamo tra un paio di ore. Se ci dice bene.
" Mamma, sono le dieci, se usciamo a mezzoggiorno e mezza, non parcheggiamo. Quindi, fai veloce!"
" Sempre il solito esagerato, ci metterò sì e no mezz'ora.
Due ore e mezza dopo, siamo pronti all'avventura. Io, con un rodimento di ... insomma avete capito, che non vi sto a dire; mia madre, con una camicietta sblusata  vomitata direttamente dai peggiori magazzini della Cecoslovacchia; mio padre, con uno stoca*** incastrato tra i denti, e sputato non appena gli abbiamo chiesto di venire con noi. Non perchè fosse indispensabile la sua presenza, intendiamoci, ma qualcuno dovrà pur guidare. E quel qualcuno non può certo essere mia madre. Immaginatela: il suo cespuglione di capelli biondo lucido con frequenti ciuffi bianchi. Sì, tipo Crudelia de Mon. I capelli non sono l'unica cosa che condividono, d'altronde. Gonna lunga color pelliccia di topo di fogna; il vaffa pronto con conseguente mano tesa fuori dal finestrino; solita stazione radio, lattemiele, con il peggio della discografia italiana ( che già di per sè...): Dik Dik, Umberto Balsamo, Adamo, Gianni Morandi, e basta così perchè al solo nominarli ho il bagno barricato dalle anime di Kurt Cobain e Janis Joplin che tentano il suicidio. Di nuovo; ma soprattutto, la sua guida, nel complesso molto rassicurante. Molto. Come due tizi in passamontagna a due passi da una banca. 
Per lei, le regole stradali sono un optional: gli stop non sono obblighi, sono dei consigli; siamo a Roma del resto, per di più sulla Cassia: Il paradiso dei meccanici.
Il semaforo arancione? Non è un invito a rallentare, è un "piggia quel pedale che tra poco è rosso". Insomma, mia madre è il tipico pericolo ambulante. E la carrozzeria della nostra Matiz lo sa bene. Quindi che guidi mamma è assolutamente fuori discussione. Per me.  Lei però ha già preso le chiavi, è entrata in macchina e ha iniziato a suonare il clacson come un ossesso: " OOOO, STO ASPETTANDO TE!!" 
" Arrivo, arrivo!" Fino a tre secondi fa sorseggiava caffè spettegolando al telefono con mia nonna: "Eccomi!"
" Ah, il cellulare! L'ho lasciato sul tavolo." Ecco lo sapevo. Che poi, mi chiedo, ma che ci fa? Non sa nemmeno rispondere alle chiamate!
" Pensa, ce lo avevo in borsa, e non lo trovavo ahah." Ma dai? Non riuscivi a trovare il cellulare nel buco nero? Sono esterefatto.
Finalmente, dopo dieci minuti di insopportabili cazzatelle, si parte; sparata come un missile, in tre minuti scarsi, raggiunge la Cassia bis, stando ben attenta a beccare tutte le buche. Per carità, di per sè la Cassia bis è praticamente un buca attorno alla quale, ogni tanto, compare qualche metro di asfalto intatto e pallidi aloni bianchi, che forse sono le strisce, però per favore, già il trabicollo si regge per miracolo, ad ogni buca in più sento i copertoni delle ruote chiedere pietà, almeno provaci ad evitarle...
" Ma', stai attenta, vai piano!"
" Guarda che mi fermo in mezzo alla strada e faccio guidare te!" Ti prego sì. Vorrei arrivarci sano e salvo a Porta di Roma.
" Possiamo cambiare stazione? E' tipo la seconda canzone di Amedeo Minghi che trasmettono." 
" No! e questo è  Gino Paoli." Ah, ecco perchè mi è sceso il latte alle ginocchia. 
Il Raccordo si apre di fronte a noi, mentre la Cassia bis, festeggia la nostra lontananza. La capisco.

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Capitolo 11
*** Porta di Roma 3 ***


Dopo aver dialogato del più e del meno (ma anche del per e del diviso) per una buona ventina di minuti con la tizia mai vista, decide di entrare in un negozio. E non in uno qualsiasi. Purtroppo me ne accorgo tardi, troppo tardi. Non riesco a bloccarla: Intimissimi. 
Nemmeno è entrata e già ha adocchiato il completo intimo più adolescenziale che intimissimi abbia mai messo sul mercato; quello con i più deliziosi merlettini e pizzi ,  i più pucciosi pois, rossi e neri. Parliamone, nemmeno le quattordicenni dei romanzi di Moccia comprerebbero tale prodotto... be' no, forse loro sì.
Lo prende, lo guarda, lo scruta, si gira verso di me e mi chiede:" Come mi starebbero?"
" Bene... se vuoi sembrare la bis nonna di Minnie!" Oops... dovevo solo pensarlo.
" Non capisci niente. Ti vesti come un vecchio!"  Guarda, se dipendesse da me, andrei in giro in pigiama, quindi...
" Ci siamo scambiati le parti, allora!" 
Mia madre ha ampiamente superato i cinquant'anni, e per ragioni che non saprò mai spiegarmi, dopo il famigerato mezzo secolo le persone regrediscono ad uno stato adolescenziale che manco le fan dei One direction. Ed è tutto dire.
I completini intimi di dubbio gusto, i pantaloni color evidenziatore shocking alla Paris Hilton, le varie cerette, manicure, pedicure, diventate più frequenti del faccione di Renzi nei titoli del tg1, sono alcuni dei segnali della regressione cerebrale di mia madre, o in generale degli over fifty. Eh no, non solo delle donne, perchè ammettiamolo, i cinquantenni di Roma nord, con le loro camicette bianche, rayban incollati alla capoccia lucida, tutine alla Ricky Martin, pettorale gonfiato e liscio come il marmo di Carrara e capacità espressive che il (dis)onorevole Razzi non invidierebbe, sono il peggiore esempio della crisi di mezza età. Comunque, tornando a noi, mia madre è ormai una cinquantenne stranavigata, e presenta tutte le fisse tipiche dell'età: come Cinquanta sfumature di grigio, la versione post-menopausa di Twilight, come suggerisce il titolo; o ancora, l'utilizzo di facebook al solo e unico scopo di stalkerizzare i figli, e quell'odiosa abitudine di mettere maree di puntini sempre e ovunque, tra una parola e l'altra, tra una lettera e un 'altra, TRA UN PUNTO E L'ALTRO.
Distillare perle al vetriolo con un ritmo partoriente così serrato, con il supremo fine di arginare le sue follie, purtroppo serve a poco.  E dunque disintegrare le sue scelte con Flippiche demosteniane, è solo tempo sprecato.  Ma di tutti i momenti passati a porta di Roma, quello in cui dilania i risparmi per gli scarti di magazzino delle firme più coatte della storia, non è il peggiore. No, per nulla. E' decisamente più disturbante il momento in cui tocca a me dover scegliere cosa comprare. Dunque, prima di procedere, credo sia necessario qualche piccola delucidazione sul mio rapporto con lo shopping: personalmente, non amo dilapidare fortune per capi d'abito firmati solo per sentirmi dire che " so' figo". Non credo nello shopping terapeutico. Non credo nel consumismo eccessivo nell'ambito della moda. Non credo che un costume firmato Ralph Lauren costato ottanta euro sia meglio di uno comprato a cinque nelle bancherelle. E non credo ci sia nessun bisogno di ostentare non-si-sa-bene-cosa per il solo gusto di farlo. O almeno, io non ne ho bisogno. Bene, mia madre sì. Come la maggior parte delle persone, del resto. L'apparenza ti fa partire con una marcia più in ogni settore: lavorativo, scolastico, musicale ecc. Ed è per questo che, quando usciamo, mia madre mi getta letteralmente nella cabina con una pila di abiti improponibili alta come la torre di Pisa:
" Dai, prova questo!"
" Un poncho??"
" Ora ti prendi quello che ti do e te lo fai piacere!" ma perchè ho sempre l'impressione che rubi le battute de "Il Diavolo Veste Prada?"
" Ehm, ma'.. sarebbe un capo femminile!" 
"Bisogna abbattere queste barriere sessite!" Assolutamente d'accordo... magari non in questo caso: ma devo per forza sembrare il padre di pochaontas?
" Vorrà dire che me lo comprerò io." Ah, ecco dove voleva arrivare.
" tieni, provati questo paio di Jeans" 
" Ma', è una cinquanta! Mi starà sì e no ad una coscia!
" Se bello vuoi apparire..." Un porco infasciato devo sembrare?
" Allora? Come ti stanno?"  Ma sei entrata in un negozio di giochi e hai rubato i jeans a Ken??
" Eh... stretti! Come vuoi che mi stiano?
" Ma dai che ti stanno! Fammi vedere!" 
Un'altra pessima abitudine: aprire la tenda dello spagliatoio all'improvviso, senza preannunciarsi, senza chiedere il permesso, così, come se fossi in bella mostra per tutta porta di Roma. La discrezione di mia madre è come le primarie dell'ormai fu PDL: non esiste.
" Madonna, ti stanno veramente male." Avete presente, da piccoli, quella vocina nella testa che vi dice che non siete "abbastanza"? Ecco, la mia era fuori della mia testa. E mi accompagnava al parco Papacci.
" Senza la tua delicatezza, non saprei come fare..."
" Ti stanno stretti, come ti dicevo io." 
" Veramente te l'ho detto io cinque minuti fa."
" Zitto ora, provati questi!"
Dopo aver praticamente indossato tutta Zara uomo, finalmente trovo il capo adatto: calzante, non stretto fino alla morte come voleva lei. Sgargiante, non color muflone anni '90. Sobrio, non ridicolo come un concerto di Miley Cyrus.
" Paghiamo ma', che dici?" No perchè a 'na certa il centro commerciale chiude.
" 'Sti vestiti ti fanno sembrare vecchio!" Ancora con questa storia. E' il suo più grande terrore.  Se le dicessi che sono entrati in casa i ladri, sarebbe meno preoccupata. Sembrare vecchio? No. Non sia mai. 
" Anche Adele sembra più... "vecchia", però è una cantante spettacolare. E c'ha pure i grammy.
" Tu invece hai qualche kilogrammy di troppo." Ma che ruba le battute di Facebook?
"  Facciamo che andiamo a pagare eh? " ( To be continued...)

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Capitolo 12
*** Porta di Roma 4 ***



Ci avviamo alla cassa dove ci accoglie una commessa dal sorriso smagliante e lo sguardo annebbiato. Subito mia madre attacca bottone: quanti hanni hai? Ma sei bionda tinta? Che bello smalto! Dove lo hai compato? Se i morti resuscitassero nel nostro giardino, sicuramente mamma li inviterebbe a prendere un caffè in salotto.
Si intrufola nel discorso un commesso, di quelli coatti che puoi trovare solo lì, a porta di Roma, ad un passo dalla Bufalotta. Fateci caso, la fauna che popola il centro commerciale è varia, ok, ma il coattone stratatuato che si atteggia a versione borgatara i Justin Bieber, non manca mai. Secondo me escono tutti dall'Auchan, quel luogo di perdizione che ha milioni di uscite e  ma nemmeno un'entrata. Insomma, il commesso coatto con l'occhio marpione entra nel discorso, non curante del cliente alla sua cassa,
ed è subito salotto.  Eccoli là, tutti e tre, a parlare del più e del meno. Mentre io e la povera signora reggiamo il moccolo, dietro di loro, con le buste piene in mano.
" Scusate, mi dispiace rompere l'idillio che si è venuto a creare tra di voi, ma vorrei pagare e andarmene a casa."
" Matteo, come sei maleducato!" Pure? Tu hai bloccato mezzo negozio per chiacchierare con due sconosciuti e io sono maleducato?
" Ma no signora, si figuri... sappiamo come sono gli adolescenti di oggi." Senti bellina, considerato lo spessore intellettuale dei tuoi discorsi, o sei una dodicenne o sei il ministro Boschi. In entrambi i casi, non sapresti nemmeno allacciarmi le scarpe.
" Signò, 'sti ragazzini d'oggi nun sanno cos'è l'educazzzione." Sicuramente la tizia che sta aspettando che tu gli faccia lo scontrino è d'accordo con te.
" Eh, che ci posso fare... uno prova a educarli."  Ma che gli dai pure ragione? A Action Man della Bufalotta ?? 
" Cheppoi cè, non c'hanno manco piu er gusto ggggiovanile de 'na vorta." Vero. Come dimostrano le tue sopracciglia malamente depilate.
" Eh, diglielo tu a mio figlio, che si veste da vecchio!" Ma ancora?? 
" A Ragazzi'... datte na ripulita. Prima de tutto, devi da annà in palestra, poi devi da rimorchia' le piskelle."  Cioè. Ditemi che è uno scherzo.  Action man si è messo a darmi lezioni di ... boh....di coattagine. Questa giornata è come Shadow Hunters: privo di senso.
Dopo aver capito, pur in ritardo, che la mia già di per sè limitata pazienza stava per andare a farsi benedire, la commessa - Boschi passa sotto il laser i capi comprati, fa lo scontrino e ci saluta. Ormai sono quasi le otto. Il mio stomaco brontola, e la strada per la macchina è ancora lunga, e lastricata di trappole e pericoli: prima tra tutti, i negozi seminati per la via, che sicuramente distrarranno mia madre. Sephora ad esempio. Non so cosa mi scombussula di più di quel negozio: se l'odore appestante che tradisce la sua posizione fin dal parcheggio; se i bodyguard messi lì a guardia di non si sa cosa, manco fosse la caverna delle meraviglie, oppure le commesse inquietanti che, non appena ti avvicini un minimo al dannato negozio, ti spruzzano addosso litri di profumi, ti fanno compilare fascicoli di domande abominevoli e ti riempiono di campionci tossici all'essenza di caolino. Persino da lontano sanno tentarti, proprio come le sirene di Ulisse, assalendoti con fragranze tentacolari e sguari magnetici. E con loro, nessun tappo al naso può funzionare.  Le commesse di Sephora esistono dall'alba dei tempi, e sfuggiranno al giudizio universale trangugiando una boccettina di chanel n°5 allungato con la Red bull.
Superati i vari negozi distrattori e  i potenziali tizi che mia madre potrebbe conoscere ( perchè ce ne sono sempre almeno tre), si scendono le scale mobili. 
Di corsa, ci facciamo tra strade tra le varie viuzze anguste del parcheggio infernale ( ma chi l'ha progettato, Saw L'enigmista?). Controlliamo il colore della colonna, il numeretto, la letterina, il codice fiscale e le analisi del sangue, e finalmente arriviamo di fronte alla nostra cara matiz, mai amata più di così. Con un malditesta apocalittico, che manco dopo tre ore di Interstellar, la fronte perlata e una stanchezza quasi epica, mi spalmo sullo sportello della mia amata vettura verdeazzurra, aspettando che quel mostro di mia madre apra la macchina. Aspetto, aspetto, e come sempre aspetto in vano. Altri dieci minuti così, e mi fondo con l'asfalto grigio lapide del parcheggio.  Raccolgo le mie ultime energie per girare appena il capo: la vedo, in piedi di fronte all'automobile. Ma che sta facendo? Perchè non apre?? Poi capisco: la borsa.  Anche qui, per poter apprezzare e comprendere appieno l'intricato universo di meraviglie di Madama Zandri, bisogna soffermarsi un momento in più su un dettaglio che alcuni potrebbero considerare di infima importanza, ma che in realtà racchiude l'essenza delle follie di mia madre.
Vi è mai capitato di  leggere  gli almanacchi di Topolino? Ma certo che sì, che domande! Di certo quindi  vi ricorderete  dell'alieno che di tanto in tanto compariva nelle storie di Topolino. Eta Beta, esatto! Il piccolo mostriciattolo con il nasone. Non è però sul nasone che voglio porre la vostra attenzione, altresì sul quel meraviglioso aggeggio spaziale, il suo gonnellino dallo spazio inesauribile. Chi di noi ha mai sognato di averne uno? Be', reggetevi forte: mia madre ce l'ha. Ad esser onesti, non è proprio un gonnellino, ma una borsa. Sì, esatto, la sua borsa. E diciamolo, a Eta Beta gli fa un baffo!
La borsa di mia madre contiene praticamente un terzo dei beni mondiali. E' una tabaccheria, un alimentari, una cartoleria, una farmacia, un'erboristeria, una dolciumeria, e tante altre cose che finiscono in -ria. Insomma, ci potremmo sfamare quasi tutta l'Africa. 
Ora starete pensando che non c'è motivo per lamentarsi, dopotutto, una borsa del genere fa comodo, e parecchio. Vi sbagliate! Non sapete quanto, amici miei. Quella borsa è il demonio. IL DEMONIO. Lì dentro si nascondono i più impensabili strumenti dell'essere umano, le più proibite follie immaginabili. Secondo alcune teorie formulate da mio padre, la borsa di mamma in realtà non è che un buco nero a tracolla, da cui è estraibile il tutto, e in cui il tutto si perde. Altre teorie invece, come quella di mio fratello, paragonano l'oggetto infernale al vaso di Pandora. Fatto sta che la capienza della borsa rimane impressionante. Ci infili dentro la mano, e ti ritrovi con una seppia avvolta attorno al braccio. Cerchi le chiavi, e subito compare il santino di padre Pio. Sì perchè forse la cosa che più terrorizza della borsa di mia madre non è la sua capienza infinita, nè la quantità di oggetti reperibili, ma l'immensa collezione di foto: santini immancabili,  padre Pio, san Francesco, la Madonna, mancano solo le sorelle Carlucci;  foto improbabili dei suoi figli, nipoti, parenti lontani, le più brutte che potete immaginare: ne ha una di me a dodici anni che ogni volta che mi capita sventuratamente di guardare, mi chiedo come mai non sia ricorso alla chirurgia plastica. Ma sono tante, tantissime. A centinaia, no ma che dico, a migliaia. E poi si infilano ovunque, in ogni recondito angolo della borsa di Pandora, si avvolgono e si appiccicano intorno agli oggetti come colla vinilica, come sanguisughe affamate. Le ritrovi addirittura tra le pasticche, altro elemento che ricorre con una frequenza preoccupante. Sì, veramente, non scherzo. Pasticche, pillole, sciroppi, tamponi, intrugli omeopatici, erbe, creme. Lei li ha tutti. Ti serve un nome di una medicina? Lei lo sa. Se non esiste, lo inventa sul momento. Alcuni pensano mia madre sia una narcotrafficante. A volte lo penso anche io. Più che altro, lo temo.
Mi chiedo se sia legale portarsele appresso tutto il giorno, tutti i giorni. Ne dubito. Certo, per carità, se mi sento male, non devo nemmeno passare in farmacia, chiedo a lei, e subito mi rifila il più assurdo farmaco mai esistito sulla terra. Oppure l'oki,  che va sempre bene. Una specie di panacea per lei. Potrei giurare di averla vista cercare di creare la pietra filosofale con una soluzione di acqua e oki. 
Comunque, tornando a noi, non trova le chiavi. Comprensibile, direi. Sarebbe più strano se le trovasse al primo colpo. La vedo smuovere l'universo dentro a quel sacchetto di pelle nera, smucinare tra gli oggetti come una strega col suo calderone:
" mi aiuti? Non trovo le chiavi?" 
" Ehm...ok" Temo seriamente di esserne risucchiato.
" Tu tieni la borsa, io cerco."  ( to be finished )

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Capitolo 13
*** Risveglio forzato ***


Dormo spesso fino a tardi. Almeno quando posso, ad esempio se sono sotto esame e non ho lezione all'universitá. I primi dieci, quindici, tiè, pure venti giorni, alzarsi all'ora di pranzo ( se mi dice bene) è rigenerante, quasi paradisiaco, ma dopo inizia ad essere un problema. Un problema enorme. Mi addormento quando la gente normale si sveglia, ma ormai ho smesso di considerarmi normale, e mi sveglio giusto in tempo per godermi i simpson su Italia 1. Perciò, una volta oltrepassato il limite, devo ricorrere a mezzi estremi: i miei amabili genitori. Quindi, cosa succede? Semplice, aspetto che sia ora di cena, e quando siamo tutti intenti a cucinare intrugli immangiabili sui fornelli della nostra microscopica cucina, inizio il mio discorso solenne, una vera e propria orazione ciceroniana grondante di subordinate e piena zeppa di paroloni parzialmente inventati e citazioni dal latino non del tutto corrette, un polpettone verbale alla Nichi Vendola, strabiliante ma senza un briciolo di senso, incentrato sull'importanza del sonno, di un corretto bioritmo e psicoboiate esistenziali di questo genere. E tutto questo solo per costringerli a svegliarmi la mattina. La sveglia per me è troppo mainstream.Solitamente, quando inizio discorsi di questo tipo, mamma e papá, alzano gli occhi al cielo, e si fanno il segno della croce. Sì, anche mio padre, proprio lui che, se mai disgraziatamente dovesse avvicinarsi alla basilica di San Pietro, si vedrebbe puntati addosso gli occhi dei santi sul colonnato, con gli indici puntati contro di lui, e un coro apocalittico alle spalle che invoca l'immediata crocifissione dell'eretico.
Insomma, i miei sermoni, pur se disprezzati, anzi forse proprio perchè disprezzati, sortiscono il loro effetto. E qualche imprecazione di mio padre sul tipo di "ma che cazzo sta dicendo".
A quel punto, seduti a tavola, pronti a cenare, i miei amorevoli donatori di vita iniziano una vera e propria battaglia per decidere chi sará a svegliarmi la mattina, chi dovrá ripetutamente entrare nella mia camerette e spezzare come un fragile rametto il mio sonno da placido bimbo. 
La battaglia va avanti a suon di piatti sporchi e "zitti che me devo vedè un posto al sole". Alla fine, capisco dai silenzi forzati di mia madre che lei, di svegliarmi la mattina, non ha nessuna intenzione. E io giá tremo al pensiero di mio padre.
Immaginatevi la scena: dopo una stremante lotta con l'adrenalina notturna, finalmente il buon vecchio Morfeo ottiene la meglio, e ti trascina giù in quel vorticoso mondo stellare che sono i sogni. Il tuo incoscio fa brillare nel sonno i più reconditi desideri, come quello di nuotare immerso in una gigantesca vasca di nutella calda, straripante e avvolgente, così tanto da sentirtici affogare dentro e gioire della morte, o ancora come quello di danzare tra batuffoli di bianche nuvole con il tuo cavallo alato, vestito con una larga, ampia tunica e una corona d'alloro poggiata sul capo, e una pergamena tra le mani che scivola setosa su dita di etereo candore e BOOM! L'orco delle foreste spalanca la porta, con così tanta violenza da fare un buco nel muro, e ti catapulta in una realtá vagamente militare. O forse nella Russia di Putin:
" Alzati sono le sette!" Anni e anni di classico hanno reso le tue filippiche fin troppo convincenti.
" ecco, ora mi alzo" e invece ti giri dall'altra parte. Di prima mattina sei coerente come Renzi.
Per un nano secondo o poco più non senti una parola, ma d'un tratto vieni sommerso da oggetti rigidi e spigolosi. All'inizio sono due, tre, poi diventano una marea:
" MA PAPÁ! MI STAI TIRANDO I LIBRI ADDOSSO!!" mica perchè fanno male. Perchè si rovinano... No vabbè fanno male. Quegli spigoli poi...
" FAI SCHIFO! SVEGLIATI!!
 Ad ogni sillaba aumenta la possibilitá che il tetto ti crolli addosso. Altro che libri!
" ALZATI!!!" e lo vedi minacciosamente zoppicare verso di te, quasi con l'intenzione di sollevarti di peso e poi:" AAAARGH!!" Un boato, un grido terrificante, ed ecco tuo padre versione maciste, eccolo che tenta di sollevare il letto con te sopra, eccolo, oddio eccolo, sta per ribaltarlo, e tu ti senti un surfista sull'orlo di un infarto. Poi però scivola per la foga e cade sulla schiena come una gorssa vecchia tartaruga. E come una grossa e vecchia tartaruga messa a tappetto, non riesce a sollevarsi. Ed ecco che devi alzarti per sollevarlo.. o perlomeno per farlo rotolare sul pavimento come un barile:
" Ehm ehm... Faceva parte del piano..."
Certo papá, certo.

Andato a vuoto, o quasi, il tentativo di tuo padre, tocca a lei, la regina indiscussa di casa Zandri: TUA MADRE.
La cosa pazzesca non è la sua violenza verbale ( non che sia assente eh, per caritá) la sua forza sovraumana, anche se più volte l'ho vista spostare armadi, e nemmeno il volume della sua voce... Non più del solito comunque, ma l'inesauribile inventiva nell'escogitare metodi spietati e malefici, segno della sua instabilitá mentale... O del suo essere alieno.
Solitamente va a gradi. Parte da un metodo normale, semplice: apre la porta, con nervosismo ma senza violenza, con tensione ma senza grinta, e starnazza come le oche degli aristogatti:
" MATTEOOOOOO DEVI ALZARTIII" Fastidioso, come la sua totale essenza, ma non mortale. Specialmente se abituato. 
Se non ha funzionato, rientra e ci riprova, stavolta elecandoti tutti i compiti domestico di cui TU ti devi occupare, pensando che possa essere una giusta esortazione per svegliarti. Sbagliando miseramente. La versione araldo medioevale con voce da gallina è di media durata e tutto sommato sopportabile. Ma ecco che il tutto diventa più snervante. Per un po', non senti nulla e stai per riaddormentarti, quando ad un tratto senti battere al vetro della finestra. " Catherine!! Oddio Catherine!" ti risvegli con un sussulto, temendo e sperando
Di esser stato catapultato in Cime Tempestose. Poi il rumore continia, senti la sostanza ossea delle dite scheletriche di tua madre battere come un picchio nevrotico sul vetro trasparente della tua fottuta camera. Una forza inaudita, non sai come possa non sfasciarsi le ossa. Il battito diviene un fragore assordante, secondo dopo secondo cresce di intensitá, si annida e pentra subdolo fin dentro al timpano. Ma battere sulla finestra non basta, ora cerca di aprirla dal di fuori, cerca di sfasciarla come un ladro. Vuole entrare. Oddio lei vuole entrare. Oddio.
ODDIO.
Alla fine sbotti, ti alzi dal letto, apri la finestra e gridi:
" OOOOH INSOMMA!! NON SIAMO SUL SET DI DAWSON'S CREEK CHE MI ENTRI DALLA FINESTRA!! ECCHECAZZO!!!" E quanno ce vó, ce vó.
" Eh beh, ma tu hai il risveglio cattivo" 
Il risveglio cattivo... Ancora co sta storia. 
"Te ce vojo vedè a svegliarsi con una psicopatica alla finestra vestita come Moira Orfei, la sigaretta a mò di scettro e i capelli che sembrano la letteria del gatto."
Distillata questa perla al vetriolo, ti stendi di nuovo sul letto. Sì, devi svegliarti presto, ma solo cinque minuti, solo cinque, sì cinque... Cinque giorni.
Ma l'alieno è sempre in agguato, pronta per attuare il suo ennesimo piano.
Eccola attraversare il corridoio, eccola, fa avanti e indietro con l'aspirapolvere, che in realtá è una navicella spaziale con superturbo che va ad uranio, mentre strazia l'anima con tutto il repertorio dei meravigliosi anni 50/60 della musica italiana: ci sono tutti, propio tutti, Fred Bongusto, Balsamo, Mina, Graziani, i Dik Dik, Little tony, BObby solo... E le tue palle sono mongolfiere. 
Un vero e proprio dolore lancinante che si trascina per ore e ore, ma ormai è una questione di principio, una battaglia personale: devo dormire.

Entra e esce in continuazione dalla camera, mi passa l'aspirapolvere addosso, non soddisfatta chiama la parente calabrese e intrattiene una chiamata che potrebbe tranquillamente essere una puntata di c'è posta per te, prepara bottiglie e bottiglie di acqua da versarti addosso ogni tot, acqua gelida ovviamente, forse presa dal cesso. Spalanca tutte le finestre, le porte, smonta pure il pavimento, all'improvviso casa diviene il bosco di Twilight, con tanto di lupa mannara. Manca giusto il vampiro vegetariano che sbrilluccica come 'na palla da discoteca. 
Minaccia di metterti sul letto le teste mozzate delle lucertole e di appendermi le code a mò di scacciapensieri. Capito sì, alla mafia je fa'n baffo.

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Capitolo 14
*** Notte insonne ***


Sono le due del mattino, e tu non dormi. Ti giri e ti rigiri nel letto. Le finestre sono aperte; fuori l'aria è densa di umidità. E' una calda, afosa, sudata notte di pieno agosto,  e nemmeno il ventilatore di fronte al letto può donarti quel po' di refrigerio di cui hai bisogno. Con le mani, nel buio della tua stanza, cerchi la bottiglia di acqua gelida. Che ora è calda come il tè delle cinque. Dannazione! Devi alzarti per riempirla. Ti sollevi, resti seduto sul letto una buona decina di minuti, per convincerti della necessità dello sforzo sovraumano che stai per fare, non cerchi neanche le ciabatte: la plastica fa sudare i piedi. Ti alzi, a passo lento, lentissimo, e ti avvicini verso la porta della stanza. "Non devo far rumore" pensi "altrimenti LEI mi sente".  Come un bradipo intontito, afferri la maniglia della porta, la abbassi, delicato, cerchi di non emmettere alcun suono che possa disturbare la quiete del mostro, apri di poco la porta, solo un piccolo spiraglio; un debole cigolio sinistro ti fa sussultare, e subito preghi che LEI non abbia sentito. Metti il piede fuori dal porta, lo posi sulla mattonella tiepida del pavimento, poco dopo, l'altro piede, piano piano. Un passo, due passi, tre passi...: "CHI SEI?" Maledizione, c'ero quasi riuscito! Il mostro mi ha sentito,: " Sono io ma'!", " Io chi?" Il fantasma formaggino... :" Io, tuo figlio..." "Quale?" "abusa di sonniferi secondo me, altrimenti non si spiega "L'unico che, purtroppo, abita ancora con te! "Che cosa stai facendo? Vai a dormire!" Ma da dove mi parla? La porta della camera da letto dei miei è chiusa " Ho sete! Ma dove sei?"  "Qui, in bagno. Sto passando lo straccio!" Incredulo, ti avvicini alla porta del bagno, ti accorgi che è solo socchiusa; la apri, e vedi lei, in tutto il suo splendore: montagna di capelli pecoriforme; immancabile vestaglia rosa, probabilmente presa in prestito a Moira Orfei; ciabatte fucsia con perline, chic che più chic non si può; giurassici occhiali da vista, indossati senza ragione. " Ma cosa stai facendo?" " Non lo vedi? Passo lo straccio! Il tuo bagno fa sempre schifo!" "Ma ora? Alle due del mattino?" " E quando lo faccio? Lavoro tutto il giorno!" La risposta è semplice: non lo fai. " Va bene, ok" assecondarla. Sempre e solo assecondarla. " Però devo riempire la bottiglia, e già che ci sono, fare anche pipì" sguardo satanico, venuzze rosse negli occhi, movimenti scattosi: " E certo, di tanti momenti, ora, mentre io pulisco... certo, perchè devi rompere, ovvio. Non se pò mai fa niente che subito vieni te rompere i cogl..."  non si rende conto di quanto la situazione risulti priva di senso, sembrerebbe assurda persino a Lewis Carrol. Ed è tutto dire. " Scusa eh, ma sei tu che ti sei messa a pulire in piena notte... sei tu quella strana!" " Ti sembra normale svegliarsi alle due per bere? La gente a quest'ora dorme!" ...la domanda sorge spontanea: " E tu perchè non dormi?" " STO LAVANDO IL BANGO! Mi stai facendo perdere tempo, vattene. Bevi domani appena ti svegli." Dubito di poter camminare, da morto. " Vabbè..." Decidi che non vale la pena discutere, fai dietrofront e ti dirigi verso la cucina; avvicinandoti alla porta, ti rendi conto che l'entrata è sbarrata da due scopettoni messi a croce, come le spade sulle bandiere dei pirati, al che, un po' spaventato, torni da tua madre e le chiedi:" Scusa Barbablu..." la guardi " Barbarosa, ma gli scopettoni?"
" Ho passato lo straccio in cucina e in salotto. Se passi, ti taglio le gambe."  Gentile come una fucilata sulle ginocchia:" ma quindi devo morire di sete?"  " Fai quello che ti pare, ma non sporcare il pavimento!" Ma secondo me è questo odore misto di candeggina e anticalcare che le fare dire queste boiate. E a dirla tutta inizia a far girare la testa anche a me:" Ma', quanta candeggina hai usato?" Ancora intenta a sgrassare le macchie immaginarie, mi risponde fredda: "Uno." " Ah, un misurino, vabbè... pensavo peggio" " Ma perchè non capisci niente? Un bottiglione intero! Il salotto era sporco!" Ora ho capito perchè il pavimento sembrava così lucido. In realtà non ci sta più: è stato consumato." Da 'essere sporco' a ' era incrostato di grasso perenne" ce ne passa ma'..." " Che c'è? Perchè mi rompi? Che devi fare? Sempre in mezzo alle pa..." " Devo sempre bere ma'.. mi arrangio leccando la candeggina sul pavimento?" Battuta simpatica, spezziamo la tensione. " FERMO! ME LA CONSUMI!" Questa donna è un mostro. 
Ora basta, hai perso una mezz'ora buona: entri di forza nel bagno, veloce, mentre è di spalle, così non può dirti nulla. Appena fai un passo, te la ritrovi davanti, con lo scopettone stretto, stritolato dalle sue dita ossute, lo sguardo satanico, il naso aquino, affilato come il becco di un rapace, una voce da oltretomba: " TU NON PUOI PASSARE!" Con un energia incredibile, mamma Gandalf, ti spinge fuori dal bagno e chiude la porta. A chiave. Tu, come un poraccio, rimani in piedi, sudato dalla testa ai piedi. Con la bottiglia vuota in mano. A morire di sete:" Grazie ma'..." e te ne vai a dormire.  

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Capitolo 15
*** Il natale - introduzione ***


" Cos'è? Cos'è sto rumore?" ti svegli all'improvviso, sudato e confuso. Non sei ancora in grado di capire cosa sta accadendo. Avvolto nelle coperte cerchi di comprendere la fonte del rumore. Ti giri, ti alzi, ti guardi attorno e ti sropicci gli occhi. Ancora non riesci vedere bene per via del solito dannato raggio di luce che punta dritto al tuo cuscino. " Che ore sono?" prendi il cellulare: sono le 7 del mattino. Ad un tratto, distingui una sagoma, una specie di anfora fluttuante spalmata sulla finestra. Non capisci cosa sia. La luce è troppo forte. Non vedi nulla. L'anfora si muove. E' sollevata dal terreno, ma non fluttua. C'è qualcosa sotto che la sostiene. Lo strano essere continua a muoversi, ripete sempre lo stesso gesto, come se stesse spalmando mostarda sulla finestra. Ma che senso ha? Cerchi di parlare, di comunicare col mostro dello spazio, ma non ti esce nessun suono, dopotutto, sono le sette, e si sa, la pigrizia trionfa. Il mostro continua a emettere strani suoni, ma ora sembra parlare, sembra voglia comunicare, lo sai, cerca di dirti qualcosa. Non sei sicuro, ma percepisci qualcosa come " uongiono auore diamma". Una lingua straniera, una di quelle che spiega il libro di linguistica: Swahili, Telugu, Tamil...  Quanta confusione. Piano piano, l'occhio inizia ad abituarsi alla luce, e la figura sembra assumere dei contorni definiti. Ecco, ecco, ora è chiaro, si vede, la vedi:
" Mamma!"
" Amore di mamma!"
" Perchè fluttui?"
" Sto lavando i vetri? Non vedi?" Ah, sta sopra una sedia.
" Alle 7 del mattino? In camera mia? MENTRO STO FOTTUTAMENTE DORMENDO? Non c'erano altri vetri da pulire?" 
" No, è dalle quattro che pulisco casa. Ho quasi finito! Mancava solo camera tua, tanto non faccio rumore!" Noooo, per niente, sembra che sta strizzando le palle ad un ghepardo, non disturba per niente!
" Insomma mà... mi hai svegliato."
" Tanto ti devi preparare, se ti sveglio alle sette o alle nove non cambia nulla."  Quindi se mi sparo in bocca ora, che differenza fa? Tanto prima o poi devo morire!
" Ma preparare per cosa?" sono talmente rincoglionito che non so nemmeno che giorno è oggi.
" Non ti ricordi?" Qualsiasi cosa sia, c'è sicuramente un motivo per cui l'ho rimossa.
" No... ho paura di ricordare, ora come ora."
" Oggi è Natale, amore di mamma, tanti auguri!" 
Oddio. Natale. L'incubo fatto festa. Ecco perchè l'hai rimossa. All'improvviso, una via crucis di immagini irrompono nella tua mente, ti macchiano il pensiero di sangue e terrore. Solo tu so cosa ti aspetta. Solo tu.

Scusate il ritardo, ma gli impegni universitari mi stanno sommergendo.

L'episodio precedente, è stato modificato di recente, e non è ancora concluso. Provvederò non appena mi sarà possibile.

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Capitolo 16
*** Il Natale - La mattina - Prima parte ***



       
                                                                                              LA MATTINA

Il sole non è ancora sorto, ma tu sei già in piedi. Il cielo è ancora scuro, ma in casa tutte le luci sono accese. In cortile non c'è una bestia, a parte tua madre che sarà già alla ventesima sigaretta. Canale cinque ancora non ha trasmesso il risparmiabilissimo messaggio di auguri firmato Mediaset, senza cui la tua vita sarebbe stata se non meglio, sicuramente uguale, ma ti sei già rotto i coglioni. Natale non è ancora iniziato, ma già vorresti che fosse finito, perchè sai benissimo cosa significa passarlo in famiglia: subirti non solo tua madre, ma tutti quanti. Tutti. 

A questo punto, urge una spiegazione: il Natale di casa Zandri, solitamente, viene organizzato il ventisette dicembre. Sì, non scherzo. Mia madre e mia nonna decidono il menù di Natale esattamente due giorni dopo l'ultimo natale. Questo paradosso temporale farebbe intrippare pure Schrodinger. Roba da matti. Poi non è che ci sia molto da decidere, il menù è sempre lo stesso all'incirca da vent'anni, ovvero: lasagne, funghi e piselli, arrosto, fettine panate, una marea di panettoni e pandori, dieci stecche di torroni, un cesto di mele arance e banane, verdi come l'invidia, il tutto completato da una trentina di caffè. E non siamo mai più di dodici, alla fin fine. Dato che le agende di mia nonna e di mia madre ruotano intorno a questo evento, la preparazione è accuratissima. Anzi no. Maniacale. Preparano almeno almeno venti arrosti. Circa due mesi prima. Poi li ibernano, tutti e venti. Non si sa mai, no? Metti che, boh, ti svegli alle due del mattino in preda a 'na voglia di arrosto di quelle che ti consumano lo stomaco, bhè, stai sicuro che ce lo trovi. E manco c'hai i sensi di colpa, perchè tanto ce ne stanno altri diciannove. Voi ci ridete, ma dietro questo ragionamento si nasconde del genio... si nasconde bene, mi direte, ma c'è!

Quindi, immaginatevi di stare sul divano, con lo sguardo perso nel nulla, i capelli che manco Telespalla Bob, cercando la voglia di vivere che si è persa ormai da tempo immemore, e con un giramento di coglioni mai avuto. Tua madre intanto, sta risvegliando tutto il mondo: con una mano tiene lo scopettone, con una la scopa, con un'altra lo straccio per i vetri, con un 'altra ancora l'inseparabile pronto... Aspetta aspetta, ma quante mani ha? Vabbè, non importa.
Tuo padre si è svegliato da poco, anche lui infastidio dalla dea Kalì versione casalinga disperata, probabilmente gli avrà passato l'aspirapolvere sul pigiama mentre dormiva. E già in casa si osserva un universo spaccato in due ( e non solo l'universo è spaccato in due...): da una parte la frenesia di mamma, mai andata a dormire, che deterge tutta casa, manco fosse abitata da germi antropomorfi, dall'altra tu e tuo padre, turbati immensamente dal duro scontro con la realtà, che cercate di muovermi il meno possibile e di abituarvi al tenore del giorno.
Mentre l'alieno continua a trottare avanti e indietro nel corridoio, con ogni volta in mano un attrezzo diverso, tu ti appoggi al termosifone. Fa un freddo siberiano. Ma solo perchè tutte le finestre sono aperte. A momenti pure il tetto. Certo, deve asciugarsi il pavimento!
Ti rilassi al calore del termosifone, quando senti pungere alla schiena. Ti giri, e vedi un mandarino, un semplicissimo mandarino, infilzato senza alcuna pietà da una manciata di stuccizadenti appuntiti. Lo prendi in mano senza capire il perchè. Poi passa tua madre, la fermi, pieno di curiosità e timore e le chiedi:
" Mà, ma è che sta roba?" ( continua...)

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Capitolo 17
*** Il Natale - La mattina - seconda parte ***


" E' un mandarino!" ah sì? E io che pensavo fosse 'na palla da golf ammuffita!
" Sì, lo vedo, ma perchè l'hai massacrato in questo modo?" Ci vuole una mente profondamente disturbata per prendersela con un piccolo frutto arancione!
" Eh, per improfumare la stanza." Lo dice come se fosse la cosa più normale del mondo, tipo: cosa fai oggi? Boh non so, pensavo di creare una nuova fragranza infilzando mandarini, arance e banane.
" E perchè un mandarino seviziato dovrebbe profumare la stanza?" Dovrei far finta di niente, ma la curiosità mi divora.
" Non so me lo ha detto * amica di nonna*" ... aah, la strega di Blair?
" Mmmm, se lo dici tu." facciamo cadere il discorso va, prima che mi blocca e mi carica di compiti.
" Mattè, sai che devi fa'?" Scappare di casa, per esempio. " Devi pulire le mensole tue, ci sta tanta di quella polvere che mi ci potrei fa' un parrucchino." Bhè, una moda all'ultimo grido. Sai che scalpore con l'immondizia in testa? 'Ste idee trasgressive, manco Gaga.
" Ma per forza?"
" E poi devi fare il letto!" Delle cose che odio di più al mondo, fare il letto è seconda solo a "muoversi".
" Mà, il letto o lo fai tu, o resta così. Che senso ha se poi ci devo dormire di nuovo?" Ho detto 'na mezza boiata, ma tanto non se ne accorge.
" E quindi non ti faresti nemmeno il bidet?"... Ah però, com'è reattiva la signora stamane!
" Dai dai dai, che è tardi, su su, sai quanta roba devo fare, eh? eh?" Eccola che parte in quinta.
" Sì mamma però..."
" Basta, zitto, parli sempre tu, vammi a prendere i panni."
" Ma mi hai detto di fare.." 
" OOO NON FAI MAI QUELLO CHE TI DICO, VOGLIO VEDERE QUANDO MI CHIEDI NA COSA TE, EH, LO VOGLIO VEDERE!" Un comunissimo caso di diarrea verbale. " Pure quel deficiente di tuo padre mi disturba, è Natale, non avete pietà per nessuno, per nessuno e bla bla bla." Papà? Ma quello che sta in coma sul divano? Disturba?
" Mi fate perdere tempo! Hai preso i panni?"
" E un attimo, sto andando in salotto." Oddio, le sono presi i dieci minuti. E durano all'incirca ventiquattr'ore.
" Ma che diavolo hai capito? Mica stanno in salotto." Troppo facile. Te pare.
" E dove sono?"
" Fuori. sono stesi."  Fuori? In mezzo alla bufera? Cioè, mi stai dicendo che dovrei uscire fuori, alle sette del mattino, con la bufera in corso per prendere i panni?
" Puoi darmi un altro compito?" 
No. non accetta obiezioni. Più che altro non le sente. Vabbè, vai a prendere 'sti panni, sperando di non incontrare yeti, orsi bianchi & affini. Arrivi allo stendino, che non si sa per quale arcano mistero è sempre a trenta kilometri di distanza, e ti accorgi che non c'è nessun panno steso. Manco uno straccetto, un calzino rimasto solo. Niente. Rientri dentro casa col sangue congelato, folle d'ira come un istrice e ti rivolgi a tua madre: " Mà..."
" Ma non hai preso i panni? Ma che sei uscito a fare? Perchè ti chiedo le cose, eh? Vedi, le devo fa' da sola, tanto se do retta a voi bla bla bla." 
 pausa. " Comunque li ho raccolti io." Aah, allora mi fa i tranelli?
" E perchè mi hai mandato fuori?" 
" Chi se lo ricordava che li avevo presi? Mica mi scrivo quello che faccio, poi rischio di diventare rimbambita." Rischia. Rischia di diventare.

E quindi la giornata procede all'insegna dello scassamento di coglioni. Più cerchi di rinchiuderti in camera a farti gli affaracci tuoi, più lei cerca di stanarti e di affidarti i compiti più folli: 
" Mattè, arriva là, sul lampadario e togli la polvere!" Aspetta che chiedo a Pollon la polverina magica. No no, non è per volare.
" Mattè, cercami un pò quanto dura la gestazione degli ornitornichi?" Ma ti vengono in mente la notte 'ste turbe mentali?
" Mattè, sul tetto ci stanno le uova di quaglia, se ci facciamo 'na bella frittata?"  E se invece ti sediamo?
 Arriva mezzogiorno. Ti sei fatto un mazzo tanto per aiutare mamma a disinfettare tutta casa, dentro e fuori, sei distrutto, ma ancora non è finita qui. Ti tocca il compito più arduo: apparecchiare.
Potrebbe sembrare facile, ma il numero degli invitati, a Natale, per ragioni ignote, varia sempre, in continuazione, manco fosse una quota in borsa, e, considerata la scarsità dei mezzi di cui si dispone (ovvero, detto terra terra, c'avete un tavolo solo), bisogna sempre stare lì, col metro, a misurare passo passo lo spazio vitale di ognuno. E prima siete nove, e poi diventate undici, poi uno sta male e siete dieci, quell'altro lavora e siete nove, però l'altro, nell'incredibile tempo record di tre minuti, è guarito, diventate undici e mezzo perchè forse tizio fa " una scappata", si aggiungono gli amici degli amici della zia, che però portano i nipoti (qual è il problema? Tanto ci sono diciannove tacchini) poi però la nipote del fornaio di tuo cugino ha il cane dal veterinario, e quindi siete la radice di un terzo del quadrato della cifra iniziale più uno. 
La tavola è abbandita, la tua ansia è abbondante.  Hai sudato più di un peccatore in chiesa, ma ora, la quiete. Tu pensi, ma suona il campanello. Il terrore si cristalizza su quel mezzo sorriso che aveva increspato le tue labbra. Li senti, sono loro: i parenti.

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Capitolo 18
*** Il Natale -Il pranzo ***


                                                           IL PRANZO 

Ti alzi, apri la porta. Manco il tempo di dire "Buon Natale" che sei investito dall'orda di parenti esaltati: " BUON NATALE!" " BUON NATALE!" " BUON NATALE!" smack di qua, smack di là, oddio si sono consumate le labbra, " BUONA PASQUA!" il simpaticone di turno che poi, la maggior parte dei casi, è lo stesso che urla ambo a tombola dopo il primo numero estratto. Il parentame si scompone, si disperde per la casa, tutti si tolgono le giacche, le posano sul tuo letto, come se gliel'avessi detto tu, occupano il bagno per decenni, si mettano a schiamazzare in tutta allegria con tua madre, ma soprattuto, ti fanno domande moleste:
" Ma la fidanzatina?" Ma n'anfiteatro de ca**i tua?
" Quanti esami ti mancano alla laurea?" Guarda, mi sono iscritto praticamente l'altroieri.
" Ma sei ingrassato?" Ma veramente sto a dieta da un anno, sai com'è... Magari si è messo le lenti al contrario.
" Ma sempre vestito in nero, sei in lutto?" Sì, sono pronto per ogni evenienza, non si sa mai.
" Ma ti sei fatto la tinta?" No, è daltonismo.
Insomma, un'allegra combriccola di numero variabile che ti scassa le palle a ritmo di valzer.
E' ormai l'una inoltrata, le due streghe hanno preso il dominio della cucina. I parenti iniziano a portare il cibo sulla tavola, e a riempire i piatti. Tuo fratello, ovviamente, fa il capocameriere: come impartisce gli ordini lui, nessuno. Dispotico fino al midollo, danza come un narciso tra il parentame, e serve le portate, conta il numero di porzioni, sbagliando immancabilmente, e urla all'alieno capo di stare tranquilla. Ti ripete un numero infinito di volte di lavarti le mani e che, secondo il galateo, la forchetta sta a destra. Solo però se l'hai messa sinistra. Un'occhiata di intesa con la cognata, e passa la paura. Si sa che il frutto non cade mai lontano dall'albero...
Gli altri aspettano, rincoglionendosi davanti ai cellulari, mentre tu cerchi di trovare un ordine nel caos. 
Completati i piatti, tutti prendono il posto, ovviamente il tuo viene cambiato trenta volte nel giro di cinque minuti, e si inizia a mangiare. Tranne tua nonna e l'aliena, che prese dall'angoscia, si mettono a lavare i piatti e a cucinare per la cena. 
Il pranzo viene divorato, assimilato e di conseguenza espulso nel tempo record di trenta minuti. Il motivo? Giocare a carte.

Anche qui, urge una spiegazione: il nostro Natale ruota intorno ad una sola tradizione, ovvero il gioco a carte. Quale non ha importanza: saltacavallo, trentuno, bestia, mercante in fiera, sorchetta, sette e mezzo, e chi più ne ha più ne metta. Nonostante i giochi siano sempre gli stessi da circa trent'anni, c'è sempre qualcuno che si è dimenticato le regole, qualcuno che " non ci ha mai giocato", qualcuno che " non le ha capite", insomma c'è sempre qualcuno che scassa. 
Quando poi si gioca a tombola, il che per fortuna accade di rado, si ripetono sempre, ogni anno, le stesse banalissime ovvietà:
1) Il simpaticone di prima (  solitamente mio zio, il bell'addormentato a Natale ) che dice ambo dopo il primo numero estratto.
2) I'orda di simpaticoni che dicono ambo, terno, quaterna e cinquina dopo che sono già stati fatti. In fondo non troppo dissimili dal simpaticone al piano di sopra.
3) La frase idiomatica che accompagna ogni numero, che poi nessuno se le ricorda mai tutte, e dice sempre le solite tre/quattro: la paura, l'anni de cristo, le gambe delle donne, il morto che parla...
4) La manfrina del " ma è uscito questo? E' uscito quest'altro?". Bhè, qui il campione indiscusso sono senz'altro io, che sono riuscito a non rendermi conto di aver fatto tombola. Avevo la schedina completamente vuota.
5) La litigata per il tabellone. Classica, epica, direi quasi omerica. 

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Capitolo 19
*** Il Natale -Il pranzo ( seconda parte) ***



Dunque, si sparecchia velocemente, anche in questo caso guidati dal vostro elegantiae arbitrer di famiglia, e poi si prepara la tovaglia per giocare a carte.
Sono più o meno le tre, tra una cosa e l'altra, ma sai benissimo che non riuscireta a giocare prima delle cinque. Perchè? Per un dannatissimo susseguirsi di cazzatelle insopportabili. E prima tutti in bagno, e poi a limarsi le unghie, e poi i pettegolezzi di vario genere, e poi l'università, e mio zio si è dimenticato questo e quell'altro, poi i regali, poi bisogna pensare al menù di santo Stefano, poi capodanno, e poi tua madre che sclera contro te, tuo fratello, l'altro tuo fratello, tuo padre, i cani, tuo cugino, e poi si mette a ridere, apre la finestra perchè fa caldo, poi accende il camino perchè ha freddo, si nasconde da sola il torrone per non mangiarlo, e poi si mette a cercarlo pure nel cesso, e poi il caffè, che viene fatto per la quarantesima volta, i cellulari che squillano come trombe e finalmente, si gioca a carte.  O almeno, si tenta di iniziare, perchè non è tutto rose e fiori come si potrebbe pensare, figuriamoci.  Giocare richiede una concentrazione che non tutti i miei parenti sono in grado di mantenere per lungo tempo. Mettiamo, per esempio, di cominciare una partita di trentuno; lo conoscete tutti no? Ecco, sicuramente occorreranno minimo minimo un paio d'ore per finire la partita. Sì, perchè ogni motivo è buono per distrarsi: nonna, tagli il torrone? Un pezzo de pandoro?? Ma un bel caffè?? Uh, squilla il telefono! Poi, non capisco per quale ragione, decidono sempre di incastonare nelle partite a carte quel terribile momento in cui si scartono i regali. Mi direte, come può essere terribile lo scambio dei regali? Natale ruota intorno a questo! E io potrei tirare su una menata esistenziale senza precedenti, affermare che siete dei biechi materialsiti, degli inariditi accattoni che non hanno capito lo spirito del natale, ma mentirei spudoratamente. La realtà dei fatti è che a me i regali non li fa nessuno. E non capisco perchè, sinceramente: insomma, non solo è Natale, ma tre giorni prima è pure il mio compleanno. Cazzo, il mio compleanno! Non è che una cosa elimina l'altra! Quindi, a me non resta che osservare il parentame estrarre enormi pacchi infiocchettati da  orridi sacchi di canapa e farli sfilare davanti ai miei occhi.  Certo, è pur vero che tre anni fa la nostra famiglia è stata benedetta dal dono di una piccola nipotina, dalla chioma d'orata e il sorriso birbantello, e quindi è sacrosanto che la maggior parte dei doni siano destinati a lei, ma su, esclusa lei, sono sempre io il più piccolo della famiglia! Nonostante i miei ventidue anni suonati. Poi parliamoci chiaramente: tutti quei soldi mal spesi per certe inquietanti riproduzioni di bambini, o per le varie versioni di Barbie strappona, e i suoi improbabili completini floreali che nemmeno negli anni '60, o ancora gli smalti sbiaditi e le trousse sessite e male assortite,  insomma tutti quei soldi, se li avessero dati a me, non sarebbe stato meglio? Cioè, non puoi spendere quasi cento euro per un bambino di gomma, grandezza naturale, che piange, ansima, si ammalla e guarisce. Intanto per il messaggio in sè per sè, secondo poi perchè non ho mai visto nulla di più inquietante. Ieri sera, mi sono alzato nel cuore della notte, e mi sono recato in cucina per bere un sorso d'acqua. Poggiato sui mobili del lavello, guardando l'albero di natale, mi sono accorto di un inquietante sospiro. Non sono esattamente un cuor di leone, più di una volta mi è capitato di prendermi veri e proprio colpi al solo guardare la mia ombra. Eh no, non sto scherzando. Quindi, sentire un fagottino di plastica frignare come un infante nel buio delle tre del mattino il ventisei dicembre, non è proprio il massimo. Eh no, non mi dite che niente è più bello di qualsiasi cosa faccia un neonato, non è così, no, non è per nulla così, soprattutto quando in casa tua non dovrebbe esserci nessun bambino. 
Tornando a noi, le partite di carte sono un vero è prorpio supplizio, quando dovrebbero essere il momento più gasante del Natale. 
Eccoci! Tutti in cerchio, pronti a combattere con le unghie e con i denti per accappararci quei quattro spicci. Eccoci! Agguerriti e assetati di sangue. E di panettone e pandoro. Perchè a casa mia, vanno giù come l'acqua. Eccoci! Brandiamo le carte come vibranti spade, ostentiamo pancioni mastodontici come corazze di amianto, e mia madre si è dimenticata che è il suo turno. Sempre così. A due minuti dall'inizio del gioco, lei si astrae, vieni risucchiata in un mondo tutto suo. La si può chiaramente osservare mentre vaga sperduta nelle vallate dei suoi pensieri, con gli occhialetti da nonnina e la chioma di lana caprina. E' fuori di casa, con l'anima e con la mente. Lo capisci perchè è in silenzio. E lei non è mai zitta.
"A ma'!!!" Tutti in coro.
" Eeeh! Dai, giocate!!"
" Guarda che tocca a te, ma'!" Le fa notare mio fratello senior, con la delicatezza e la calma di uno scaricatore di porto. 
" Ah sì? Ma a che stiamo giocando?" Io non mi stupisco nemmeno più. Succede tutti gli anni ormai. Mi limito a scambiare sguardi d'intesa con la cognata dai capelli rossi, il cui sarcasmo e cinismo la fanno rassomigliare tanto a Karen Walker di Will&Grace, e a macinare in testa le parole con cui massacrerò i miei amati parenti.

Un grande augurio di buon Natale e buone feste a tutti voi che continuate a leggermi, e un grande ringraziamento! Questo episodio termina qui, non ci sarà un parte riguardante la cena, d'altronde scusate eh, ma che volete pure cenà?? Dopo quel pranzo apocalittico? Eh su! 

Mi dispiace per i lunghi tempi d'attesa, ma tra lezioni, esami e feste, non so più a chi dare i resti!  


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Capitolo 20
*** Quando mia madre non c'è ***


Quando mia madre è assente per lavoro, sembra che la casa se ne renda conto. Noi certamente lo facciamo: cerchiamo di incollare insieme, pezzo dopo pezzo, ogni frammento di serenità; proviamo, con risultati piuttosto soddisfacenti, a ricostruire una realtà alternativa basata sul " I piatti li lavo dopo" e su "Il letto sfatto non è un crimine"; Facciamo del nostro meglio, senz'altro, ma non è facile: le sue manie psico-compulsive sono infettive, come una peste purulenta. E si diffondono a macchia d'olio. Noi però siamo testardi, e abbiamo diversi assi nella manica: quindi, quando il mostro non c'è, si riattribuisce ad ogni parte della giornata il suo significato. Cosa voglio dire? Semplice: per mamma la mattina equivale a "si rifanno i letti", "si passa lo straccio" ovunque, anche sui muri, "si fanno i bagni", ovviamente a digiuno, perchè la colazione non è importante secondo lei. Per noi terrestri, la mattina vuol dire alzarsi, anche alle dieci se necessario, e perchè no, se si vuole pure a mezzogiorno ( orario inconcepibile per lei, non sia mai, a mezzogiorno si pulisce la macchina del gas prima di usarla per cucinare!); dopodichè, si fa colazione: un caffettino, quattro, cinque, trenta biscotti, e poi ci si concede quell'oretta scarsa per prendere coscienza di essere svegli, e si inizia a fare ciò che deve essere fatto... ovvero oziare. Certo, questa formula vale solo durante le vacanze. Termine inesistente nel vocabolario di uno studente universitario. Purtroppo. Tornando a noi, dopo aver oziato, si cucina, si mangia, possibilmente dalle due alle tre, in compagnia di Futurama e dei Simpson, si fa finta di lavare i piatti, magari allagando la cucina, per scatenare quella reazione " Oddiononsaifarenemmenoipiattilaprossimavoltastaifermo", e poi si prova a studiare. Vi assicuro, abituati ai canoni del caporale, questa prospettiva non risulta così alienante. Anzi: è un'ideale lontano, il cui raggiungimento è ostacolato da una serie di fastidiosi fatterelli inevitabili. O meglio, di UN fastidioso fattarello inevitabile, l'unico legame tra l'aliena lavoratrice e noi mortali oziosi: il telefono. Quello strumento diabolico. 
Mettiamo, sei spaparanzato sul divano col telecomando in mano, e con aria assente guardi l'ennesima puntata di Dawson's creek, che ogni tanto mediaset, così, ex abrupto, decide di riprogrammare. E' pieno pomeriggio, fuori sembra novembre, anche se in realtà è pieno agosto; la coltre di nuvoloni neri mangia l'azzurro del cielo, e i corvi volano bassi, infestando i campi attorno a casa tua. Manca solo Tim Burton appollaiato sul trespolo, e sei apposto. D'un tratto, vieni violentemente respinto nella tua oziosa realtà dallo squillo del telefono. E' lei. Lo capisci da quel suono stranamente metalicco e ruvido, che si appiccica al sistema nervoso senza pietà. Ti alzi, con il terrore dipinto sul volto, allunghi la mano, afferri la cornetta, l'avvicini all'orecchio e rispondi: " pronto?"
" So cos'hai fatto!" Il cuore si ferma.
" ... Mamma?" 
" Sei stato tutto il giorno a poltrire!" 
" Mamma, che angoscia! Ma non stai lavorando?" Trova il modo di ossessionarci anche a distanza di chilometri.
" Sì, ti ho chiamato perchè qui piove; ero preoccupata..." Oddio! Non me l'aspettavo. Voleva assicurarsi che stessimo bene, si preoccupa per noi.
" Che cosa dolce mamma! Noi stiamo ben..."
" Ma mica per voi! Ero in pensiero per i panni!" Mi sembrava strano. 
" Ah... scusa, loro stanno bene... " Sono quasi geloso. Cos'hanno i panni che io non ho?
" Allora portali dentro che sta per diluviare!"
 Nel momento stesso in cui finisce di pronunciare la parola diluvio, il cielo viene squarciato da un fulmine e una secchiata d'acqua si riversa sul cortile.
" Eh, guarda, ha iniziato a piovere proprio ora!" Forse porta sfiga. Forse.
" ODDIO, PORTA SUBITO DENTRO I PANNI, ODDIO, SI BAGNANO, ODDIO!" è entrata in iperventilazione. 
"Forse non è chiaro mamma: sta diluviando, non posso uscire per prendere i panni." A meno che non ci sia una canoa nascosta nella cappa del camino. Ho sempre sognato di fare Pochaontas in gardino."
" SI BAGNANO I PANNI, NON FAI MAI QUELLO CHE TI CHIEDO, CHE TI COSTA USCIRE UN SECONDO SOTTO LA PIOGGIA, PRENDI L'OMBRELLO BLA BLA..." Dopo un po' diventano solo suoni... ci si abitua.
" Ma', non ci sono ombrelli utlizzabili." Ma anche se ci fossero...
" E ti copri con una tovaglia!" Cioè, secondo lei dovrei uscire sotto il diluvio universale, manco fossì Noè, con una tovaglia a quadri verdi e bianchi addosso, per raccogliere quattro stendini pieni di panni BAGNATI, perchè altrimenti si bagnano. Schroedinger, altro che gatto vivo/gatto morto, ti presento mia madre!
" Ok, ok esco, resta in linea!"
Ti copri con la tovaglia a schacchi, esci di corsa, metti dentro casa i primi tre stendini, poi trascini il quarto, quello sprovvisto di rotelle, troppo facile altrimenti; nel frattempo, tua madre continua a parlare da sola al telefono: si sentono le ulra sino dal giardino. La pioggia non ti fa vedere nulla, e la tovaglia ormai è zuppa; con fatica riesci a mettere dentro l'ultimo stendino, ma purtroppo, scivoli proprio all'ingresso. 
" Ma'... sono scivolato!"
" SI SONO SPORCATI I PANNI?"
" No no... mi sono tipo slogato la caviglia..."
" MA I PANNI STANNO BENE?" 
" ..." Senza parole " Ci vediamo dopo!"
" Dimmi solo che i panni stanno ben..." Telefonata chiusa. E giornata di totale ozio, rovinata.

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Capitolo 21
*** Il pavimento ***


A casa mia vige una legge, una sola: non si muova foglia che mamma non voglia.
Una regola, mille impedimenti.
E così di colpo il pavimento diventa un campo minato. Non importa se sono le 8 del mattino o le 11 della sera, Lei passa lo straccio quando può star certa che la cosa ti arrechi il massimo fastidio. E così ti ritrovi a zompare da una mattonella all’altra, come un rospetto, pregando con tutta l’anima di beccare quella asciutta. Un piccolo errore e ZACK: L’allarme. E la Signora madre si materializza, all’improvviso, giù in picchiata ad ali spiegate con lo scopettone in mano:
“É BAGNATOOOO!”
“Sì, ma io come vado in bagno?”
“NON CI VAI!”.
Vabbè, qual è il problema? Uno aspetta, si mette sul letto, studia, legge un libro, chiama il numero verde… ci sono millemila cose da fare, o meglio ci sarebbero, se non ci fosse lei:
“Levati, ti faccio il letto!”
Piacevole lei, come svegliarsi alle sei del mattino.
“Ma scusa, non era bagnato il corridoio?”
Che ne so, magari mia madre è Cristo e non l’ho mai saputo. Uno chiede, si informa. Tutto è possibile.
“S’è asciugato, ho lasciato tutte le finestre aperte!”
Aaah, ecco da dove viene il pinguino.
“Infatti fa un po’ freddino, non ti pare?”
“E certo, vai in giro a mezze maniche, con le magliette distrutte, non ti puoi mica lamenta’ che fa freddo!”
Aaah scusa, è colpa mia che oso girare a mezze maniche a casa mia, impensabile! Però lasciare le finestre aperte e la porta spalancata il 28 dicembre è normale. Pensa, lo fanno pure al CIM. Momenti restiamo anche senza tetto, allo stato brado, con le civette appese al lampadario e coi conigli che prendono il tè, il matto però sono io.
Per carità, poi si rende conto da sola che la temperatura ha raggiunto lo zero, lo si capisce perché inizia ad andare in giro con tutto il cassetto delle felpe addosso. Le mie. Poi scassa l’anima a quel povero uomo di mio padre, iniziando a ripetergli con una frequenza maniacale che ha freddo. Va a ritmo di valzer: un due tre, un due tre, un due tre. Mio padre è un tantinello più diretto: ‘chissene frega’ e passa la paura…

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Capitolo 22
*** Superstizioni ( prima parte ) ***


In casa Zandri, bisogna muoversi con assoluta attenzione. Non è mai troppa. No perchè lei, questo famelico mostro che si nasconde nelle nicchie oscure dei corridoi, e che sbuca all'improvviso come un ratto, con le sue vestagliette improbabili e fare  melodrammatico, questo genio del male, frutto della passione di Satana e Miss Marple, cosparsa di creme all'olio d'olive manco fosse una bruschetta, semina trappole con un'abilità sconvolgente. Il fatto è che non è nemmeno cosciente di farlo. Io e mio padre, i cosidetti sopravvisuti ( perchè i miei fratelli sono riusciti a scappare in tempo) viviamo col terrore di fare un passo falso e far scattare la trappola.
Non mi riferisco solo alla sua mania compulsiva dell'ordine e del pulito, nemmeno ai suoi sbalzi d'umore a ritmo di valzer, e nè tantomeno alle sue altre piccole manie, come il gusto per il macabro, la cronaca nera, le malattie, i medicinali, le foto dei parenti tenute nella borsa e l'amore smisurato per i panni stesi. No, non mi riferisco a nessuna di queste cose, sebbene, capite bene, abbiano il loro non trascurabile peso. Mi riferisco ad un altro piccolo, odioso tratto della sua personalità, tipico delle ultracinquantenni relegate a vivere nella buie province: le superstizioni. Certo, cedere a qualche piccola credenza popolare, di tanto in tanto, non ha mai ucciso nessuno. Ad esempio, io qualche volta leggo l'oroscopo. In realtà, un po' più che spesso, ecco, diciamo che mi sono scaricato l'applicazione di Paolo Fox sul cellulare, ma non è che ci creda, solo che è bello avere qualcosa di sgrammaticato e poco impegnativo da leggere sul treno la mattina alle sette, che ti dica che tutto andrà bene, e che quindi questo rodimento di sedere non è giustificato, o al contrario, che è bene che continui a roderti. Lo trovo rassicurante, tutto qua.
Mia madre invece non è rassicurante. Non lo è mai. Rientro a casa dopo stressanti e interminabili ore di lezione, nonchè due ore di treno, tra andata e ritorno, e non appeno poggio la punta del piede sulla soglia di casa, la sento gracchiare come un famelico avvoltoio. Ecco, forse è proprio mia madre la mia seconda e ultima concessione alla superstizione. Con la sola differenza che lei non porta sfiga, ma ansia ( mio fratello ci tiene a precisare che, secondo lui, porta pure sfiga).
Ora, voi mi chiederete: che problema c'è? Qualche superstizione che male può fare! Son d'accordo. Ma qui non si tratta di "qualche superstizione", bensì dell'intera tradizione popolare italiana. Mettiamo, non so, che stiate tornando a casa, e poniamo, che fuori stia piovendo, il che sarebbe regolare dato che negli ultimi due mesi ha piovuto, fatemici pensare, proprio per due mesi interi. Uscite dalla macchina, aprite l'ombrello e percorrete un breve corridoio di pioggia, stando ben attenti a non fradiciarvi le scarpe. Di corsa vi avvicinate alla soglia di casa, e vi rendete conto che il tetto non sporge abbastanza per corprirvi dalla cascata d'acqua che si sta rovesciando a nord della Capitale, perciò con l'ombrello parzialmente aperto, inserite le chiavi nella fessure e entrate in casa. Nemmeno varcate la porta che subito eccola pronta a sferrare il suo attacco: 
" Oddio stai attento che mi bagni tutto, ho appena lavato!" 
" Un attimo ma', fammi entrare!"
" Ma cosa vorresti fare con quell'ombrello?" Mah niente, pensavo di improvvisare un bella coreografia di Umbrella; non trovi che somigli a Rihanna?
" Fuori piove!" Devo sempre sprecare fiato per le ovvietà, perchè?
" Chiudilo! CHIUDILO IMMEDIATAMENTE" Mi esce il sangue dalle orecchie.
" Ecco, ecco!"
" Porta sfiga! porta sfiga! CHIUDI QUELL'OMBRELLO!!"
E me lo strappa dalle mani, apre la porta e lo butta in mezzo al cortile.
" Quanto ci vuole a chiudere un ombrello, eh?" 
" Lo stavo facendo!"
" Eh ma tu sei lento! Qua ne abbiamo troppa di sfiga." Quoto. Ne abbiamo troppa. Ne ho troppa.

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Capitolo 23
*** Superstizioni ( seconda parte ) ***


Eliminato senza motivo apparente un ombrello e lasciate le vesti bagnate in camera, iniziate a cucinare.
State seguendo una dieta, perciò solitamente pensate voi a prepararvi pranzo e cena, ma solo per voi. Mamma e papà preferiscono non rischiare.
Leggete il menù del giorno sul fascicolo, e disponete gli ingredienti sul tavolo della cucina. Aprite la credenza in cui tenete il pane, prendete una pagnotta di Lariano ( fegato sano ) e ne tagliate qualche fetta. Al che, un grido squarcia la serenità del momento. Vostra madre è inorridita. Che sarà successo? Un topo? Si è tagliata il dito? Un infarto?
" IL PANE!"
" IL PANE COSA?? COSA?" Urlo più di lei, sono terrorizzato!
" Hai messo la pagnotta sottosopra, quante volte ti ho detto di non farlo? Il bimbo piange!"
Attimo di silenzio. Due attimi di silenzio. Grilli imbarazzanti e sguardi increduli.
Forse non ho capito bene.
" Ma di che stai parlando? Quale bimbo?" Per un attimo mi viene in mente il bambolotto inquietante stile Nino d'Angelo ai tempi d'oro regalato a mia nipote per Natale, e inorridisco al solo pensiero che possa ricominciare la sua lamentale registrata.
" Ti dico sempre che non bisogna mettere la pagnotta del pane sottosopra, altrimenti il bimbo piange."
Attimo di silenzio. Due attimi di silenzio.
" Hai partorito di recente e non ne ho saputo niente?"
" Ma che stai dicendo??" e sono io quello matto, certo " Non devi mettere la pagnotta del pane sottosopra, altrimenti..."
"... Il bimbo piange, ho capito, me la puoi ripetere pure altre trecento volte la frase, ma non diverrà sensata per magia! Chi è il bimbo? Quale bimbo??"
" Ma come quale bimbo? Ma Gesù bambino!"
Attimo di silenzio. Due attimi di silenzio.
" ... E lui è qui, in questa stanza? Lo puoi vedere?"
" Non capisci niente."
No in effetti non ho capito nulla. Comunque va bene.
Storditi e anche un po'... come dire, inquietati dalla recente esperienza, continuate a cucinare. Prendete la testa di lattuga, togliete le foglie marce, la tagliate, la sciacquate, la mettete a mollo, la sgrullate e cercate un contenitore in cui metterla.
" Ti serve un caccavella?"
" ...scusa??" Non capisco se sono io o lei.
" Ti serve una caccavella?"continuo a non capire.
" Stai studiando il Dyirbal?
" Ma che stai dicendo?"
" Ma chi"?  Comunissimo fenomeno di incomprensione madre - figlio. Regolare.
Lasciato da parte il misterioso caso della... caccavella (com'era?), le chiedete un favore:
" Mi passeresti del sale?"
... silenzio.
" Mi passeresti del sale?"
Oggi non è giornata, a quanto pare!
" AH MA'!! 
"EEEH che vuoi???"
" Ti sto chiedendo una cosa da tre ore!!"
" Ah, e pensavo che parlassi con papà!!"
Imbarazza(n)ti minuti di silenzio,
" E lui è qui, in questa stanza? Lo puoi vedere?"
" Quanto sei scemo, che cosa vuoi?"
" Mi passi il sale?"
" E te lo potevi prendere da solo!" Sicuramente ci avrei messo di meno.
Nel monento stesso in cui vi allunga il barattolo del sale, fate un gesto goffo che lo fa cadere per terra, in mille frammenti: il disastro!
" ODDIO CHE HAI FATTO! MADONNA DEL DIVINAMORE, CHE HAI FATTO!!"
Be' sì,  stavolta l'ho combinata grossa!
" E' stato un incidente! Non l'ho fatto apposta!"
" Sì invece, perchè ce l'hai con me, perchè bla bla bla" Ma che dice? Ma perchè parla?
" Anni di sfiga! Anni! Anni!!!" 
E' solo questo il problema? La sfiga?
" Dobbiamo liberarci dalla sfiga; bisogna prendere manciate di sale con la mano destra e gettarle dietro la spalla sinistra!"
A-ah! Qui abbiamo nientepopodimeno che Wanna Marchi!
" Scusa? Che dobbiamo fare?"
" Prendi un po'di sale!"
" ...ok"
" Con la mano destra! CON LA DESTRA!"
" ok, ok... con la destra!"
" Ora, gettalo dietro la spalle sinistra!"
 Mi sembra di essere finito in uno di quei imbarazzanti momenti di domenica - in con il Giucas Casella di turno.
" E ora?"
" Ora ripetiamo il rito con il sale restante!"
Il rito? Ma che cosa...??
" Ma tu sei matta! Non perderò il mio prezioso tempo a spargere sale per la cucina!"
" Anni di guai! Anni di guai!" L'uccello del malaugurio abbiamo, in tutta la sua galoppante sciagura!
Sicuramente vivere con mia madre ha i suoi lati positivi, solo che io non li ho ancora trovati.

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Capitolo 24
*** Mai fare domande ***


Chiedere cose a mia madre può rivelarsi davvero pericoloso, veramente tanto. Mortale direi. Apri un secondo la bocca per dire una inezia che tu reputi innocua e lei la prende come un pretesto per poter costruire su di essa una ramanzina epica, di quelle capaci farti sprecare un'intera giornata. Bisogna ammetterlo, lei ha talento per queste cose. Quando si tratta di complicarti le cose, lei è sempre in testa alla classifica. Si potrebbe dire che lei è la Katy Perry della rottura di scatole.
Quindi, quando l'altro giorno, non riuscendo a trovare un paio di jeans, mi sono ingenuamente recato da lei per un responso rapido, mi sarei dovuto immaginare la reazione:
 
 
" Ma', dove sta quel paio di Jeans neri che dici che mi fanno sembrare vecchio?" Ho sempre il terrore che me li abbia buttati. Come del resto ha già fatto con un terzo del mio armadio.
 
"L'avevo lasciato sul cassettone l'altro ieri, e ti avevo chiesto di metterli nell'armadio, ma non lo hai fatto, perciò ci ho pensato io! Non fai mai quello che ti dico, lasci sempre le cose a metà; io c'ho il malditesta, mi fanno male le ossa, non riesco a masticare! Ma guarda che io non sono più la pischella di una volta, eh! Devi mettere in ordine la camera, lo hai fatto?? Hai passato lo straccio? PASSA LO STRACCIOO!!! Guarda come mi hai lasciato la cucina! Guarda che questa casa non è un albergo! Me li puoi pure lavà sti quattro piatti, che ti costa? Non posso mica fare tutto io eh, torno a casa dal lavoro alle 8, distrutta, stanca morta, e mi devo sorbire tuo padre, e tu non fai niente, senti sempre l'ipod, mica me l'hai caricato il mio!Sono  mesi che te lo chiedo, Non fai mai quello che ti dico! Guarda che io non ci sarò per sempre! Ma non hai ancora passato lo straccio!PRENDI LO SCOPETTONE!!!Guarda, le vedi le macchie, guardale, questo perchè cammini a piedi scalzi, non devi camminare a piedi scalzi poi mi macchi il pavimento, non è che posso sempre sta a pulì eh figlio mio, c'ho pure una certa età, ma che pensi??E basta stare al telefono, mi sprechi tutti i soldi! MATTEOOOOOO  ATTACCAAAAA!!! Ma è così che si rifanno i letti eh? Ma chi ti ha insegnato a farlo così? Almeno impegnati a farlo bene!! Mò stai zitto che parli sempre e aiutami a piegare le lenzuola, dai, così, a destra, A DESTRA, ma come le pieghiii?????? Non sei capace, vedi! Non sei capace nemmeno a piegare due lenzuola, ma perchè te l'ho chiesto??"

Episodio breve per via di impegni universitari.
Terminata la sessione, tornerò produttivo, promesso!

Grazie a chi continua a seguirmi!

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Capitolo 25
*** Il topo - prima parte ***


Ho il terrore dei topi.  Figurano sul podio dei dieci animali che più mi terrorizzano, secondi solo ai pipistrelli ( che alla fin fine sono topi con le ali, una specie di versione supersayan) e ai serpenti. 
 Data questa semplice premessa, posso raccontarvi cosa mi è successo l'altro giorno:

Mentre rientravo nella mia amata stanza, ho visto saettare di fronte ai miei occhi una creaturina grigia. Il panico. Mi sono subito irrigidito, rimanendo in piedi al centro della camera.
Con tutta la voce in corpo, ho chiamato mia madre che, pensando fosse entrato tutta la banda della magliana in camera mia passando dalle grate, si è precipitata nella stanza.

"Che è successo? Ti senti male?? Stai sanguinando? Hai macchiato il pavimento??"
Io rischio la vita, e lei pensa la pavimento!
"No ma', ci sta un topo, l'ho visto! E' andato sotto il letto!" E al solo pensiero di dormire a stretto contatto con un infido roditore, mi si gela il sangue nella vene.
" E hai urlato come un ossesso solo per questo?" Be', tu urli se ti si macchiano i panni, direi che siamo pari. Anzi, forse io sono leggermente più... umano nelle reazioni.
" Mamma, un topo! Un topo nella mia stanza! Ti rendi conto di quanto è antigienico??
" Tanto camera tua fa schifo di suo! Tiè, guarda quanto è lercia! Ti credo che il topo è entrato nella tua stanza, è il suo habitat naturale; non mi stupirei se ci fosse un nido nell'armadio, nascosto tra i tuoi vestiti!" No ma ti prego, continua! Non sono spaventato a morte. Continua a seviziarmi la pische come un video di Maryln Manson, ti prego!
" Grazie ma'..."
" Io sono sincera; se pulissi la tua stanza ogni giorno..."
 Inizio a pensare che sia tutto un piano magistralmente architettato da questa mente squilibrata. Quando il fine ultimo è la pulizia della casa, questa donna sarebbe capace perfino di addomesticare tutto il cast animalesco di Cenerentola, farmi venire una vera e propria crisi e infine raggiungere il suo scopo, realizzare il suo sogno al sapore di mr muscolo spry gel e ViaKal.
" Mamma, invece di gufare come al tuo solito, perchè non dai la caccia al topo?"
" Cosa dovrei fare??? E' un problema tuo! Anzi, tieni la porta della stanza sempre chiusa così almeno non se ne va in giro per casa."
Ah pure?? Non solo sono condannato a passare la notte meno igienica della mia vita, devo anche stare attento che non vada in altre parti della casa!!
" Mamma, capisci che io non ci dormo con il topo? Mi fa schifo e mi terrorizza!"
" Allora chiedi a tuo padre di spostare i mobili e di cacciarlo; io di certo non lo faccio!" 
Atterrito e sconsolato mi reco da mio padre, nutrendo ben poche speranze che possa servire a qualcosa. Infatti, come immaginavo, mio padre si limita a ridermi addosso, forse pensa che io stia scherzando, o magari no. Sicuramente no. Sa bene che non scherzo. La sua era una risata di scherno, che per me suona come la terribile certezza che mi aspetta una nottata decisamente memorabile.

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Capitolo 26
*** Il topo - seconda parte ***


E' presto notte e il terrore accompagna il mio sonno per cinque brevi ore. Mi sveglio di soprassalto alle sei, con la certezza di ritrovarmi la bestiolina sopra le lenzuola, intenta a rosicchiarmi il piumone. Mi guardo intorno con aria circospetta. Nulla. Mi tranquillizzo. Magari è morto, penso. Dopotutto papà ha seminato la casa di bustine avvelenate. Me le sono ritrovate persino nel frigorifero. Le ho inzuppate nel caffè a colazione. Tutto questo, quando poteva tranquillamente cacciarlo via a suon di scopa.
Bevo un sorso d'acqua, faccio un bel respiro, e avvicino la mano all'interruttore. Nel momento stesso in cui le mie dita sfiorano il pulsante bianco, il mio temuto coinquilino fa la sua comparsa, sfrecciandomi davanti come nemmeno Valentino Rossi saprebbe fare. Di nuovo il panico. Lo vedo infilarsi dietro al cassettone dell'Ikea. Non so se sia più la paura del topo oppure che si sfasci il mobile: sappiamo tutti che l'ikea è, come dire, un po' delicata. Attimi di silenzio. Sento solo il battito del mio cuore accelerare il suo ritmo e pulsare frenetico contro la mia cassa toracica. Il respiro si ingrossa, e le mani cominciano a tremare. Ad un tratto, percepisco le unghiette del roditore contro il compensato del cassettone, e poi dell'armadio. Si sta spostando. Sento il suo sgusciare veloce; sento le sue zampette appena sfiorare il pavimento al di sotto; lo sento percorrere l'intera lunghezza del grande armadio e poi lo vedo: eccolo, il suo musetto allungato, i suoi occhietti vitrei, la sua espressione soddisfatta e il ghigno famelico. 
Solo ora so cosa provasse il grande elefante di fronte al piccolo topo. E nessuno lo compatisce più di me.
Più temerario di quanto lo sia mai stato io, il roditore si avvicina al mio letto. I nostri sguardi percorrono la stessa traiettoria e crollano l'uno nel terrore dell'altro. Faccio rumore, per farlo indietreggiare. Subito dopo, eccolo spuntare da sotto il cassettone e arrivare al centro della stanza. Non resisto più. Il terrore mi ha immobilizzato ma devo reagire. Devo reagire per forza. Cazzo, è solo un piccolo topo! Devo trovare il coraggio. Chiamo i miei. E' la soluzione più ovvia. Non importa che sono le sei del mattino. Devo chiamarli.
Certo, se non fossi bloccato sul letto a fissare il topo sarebbe più facile. Idea: li chiamo al telefono. allungo il braccio, e cerco di prendere il cellulare sulla scrivania. I movimenti sono poco fluidi, la mano non smette di tremare. Afferro il cellulare e mi cade. Dannazione! Il topo si è spaventato. Bene. Chiamo: tu tu tu tu. Mamma non risponde.
Chiamo papà: tu tu tu. Non risponde. Ma porca pupazza! Ci riprovo: tu tu tu. Un momento...lo sento squillare... è in salotto! Ma porca di quella!! Perchè Dio? Perchè? Dimmi solo perchè? Niente, non mi resta che alzarmi e svegliare i miei. Alzarmi, sì... e passare vicino al topo. Solo l'idea mi blocca la circolazione nelle vene. Ma devo, devo alzarmi.
In uno slancio di coraggio, prendo i miei beni, nemmeno fosse scoppiato un incendio, e mi catapulto fuori dalla camera, stando ben attento a sigillare la porta. Mi fiondo nella stanza dei miei genitori e li sveglio: " Ma'! Ma'"
" Che c'è??" Come una molla, balza in piedi " Che è successo? Si è rotta la lavatrice?" 
Subito dopo, mio padre, così avvolto nelle lenzuola da sembrare un fagottino della Mulino Bianco, si sveglia preoccupato e mi guarda. Sono pallido in viso e gli occhi stanchi sono un segno della mia notte da incubo: " il topo... è lì..."
Papà borbotta una maledizione in turco ottomano e si rimette a dormire. L'aliena invece, ormai rassegnata e consapevole del fatto che, a costo di liberarmi del topo, darei fuoco a casa, prende la sua fidata ciabatta col fiocchetto rosso e entra in camera mia.  Con una furia mai vista, comincia a spostare i mobili e a tendere agguati improbabili al topo.
Per un attimo mi sono tornate in mente le scene di Tom & Jerry con la padrona psicopatica che insegue il roditore con la scopa. Mia madre è all'avanguardia: lei usa la ciabatta comprata dal cinese a tre euro.

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Capitolo 27
*** Il topo - terza parte - ***


Io sono fuori dalla porte, e osservo tremante e con gli occhi rossi mia madre diventare un segugio. 
" Topolinooo! Vieni qua topolino che ti ammazzo!"
Stai sicura che viene. Secondo me non appena ti ha vista ci è rimasto secco.
" Mattè, non ce la faccio più. Ma non ci puoi dormire? Che male ti fa?"
Ancora co' sta storia?
" Mamma, non sono un personaggio della Disney: so vestirmi da solo, la mattina non canto, anzi è già tanto che mi sveglio, inoltre non ho bisogno che un topo mi insegni a cucinare. Trovalo, altrimenti chiamo la forestale, il WWF, l'FBI e Chi l'ha visto! TROVALO!
Sono ancora convinto che il topo ce lo ha messo lei.
Dopo un paio d'ore, rientro in camera. Lo scenario che ho davanti ha dell'inquietante: mia madre sembra Ursula de la Sirenetta; sulla scrivania non c'è più nulla e sono spariti tutti miei libri universitari; la televisione è scomparsa, e con lei la mia fidata play2; il pavimento riluce come un diamante sotto il sole.
" Mamma, ma che hai fatto?"
" Eeh, ne ho approfittato per dare una pulitina." Alla faccia della pulitina.. hai ristrutturato la camera!
" Ma... il topo?"
" Che?"
Ho paura.
" Il topo mamma, dov'è il topo??"
" Ah ecco cosa dovevo fare!"
" Non gli hai dato la caccia?? Ti avevo pregato di cacciarlo, mamma!!" Sono sull'orlo di una crisi.
" Eh vabbè ma non l'ho visto e mi sono dimenticata. "
" Io mi trasferisco da nonna, non me ne frega niente. Non ci sto più con voi e con il topo, HAI CAPITO??"
In lacrime, esco dalla stanza;  mi accorgo poi che le bustine sono rosicchiate. A meno che mamma non sia stata colta da un improvviso attacco di fame, forse il topo è bello che stecchito. 
" Io ho sposato tutti i mobili, e non l'ho trovato, nè morto nè vivo!"
" Hai visto anche dietro l'armadio??"
"... ah no! Giusto! Allora è morto lì, sicuramente!"
" Ok, allora bisogna spostare l'armadio."
" Dici? No, può anche restare lì. Tanto è morto."
... sta scherzando. Per forza. Non può dire sul serio. No, non può. E invece sì. Ci guardiamo: lei aspetta che io parli; io aspetto che mi dica che sta scherzando, ma rimane muta.
" Non stai scherzando, vero?" Ho la voce rotta dal pianto " Tu vuoi farmi dormire con il cadavere di un topo?"
" Non possiamo mica spostare l'armadio! Io sono vecchia, tuo padre figurati, tu da solo non ce la puoi fare. Che male ti fa? E' morto!"
 La donna che fa novantacinque lavatrici al giorno e deterge il pavimento con l'acido muriatico mi sta obbligando a dormire con un cadavere animale.
" Me lo stai facendo intenzionalmente, vero? Ti stai vendicando di qualcosa, è così?"
Nessuna risposta. Esce dalla stanza, e io mi metto a sedere sul letto fissando il mausoleo in legno dell'ikea. Mi sento come uno dei protagonisti dei racconti di E.A. Poe. Mi manca solo una psicosi col botto, e sono uguale. A pensarci bene, una psicosi ce l'ho, una in carne e ossa: mia madre.
L'alieno rientra in camera, mi fissa:" Ho fatto proprio un bel lavoro eh?"
 Non so se intende la pulizia della stanza oppure il piano geniale che, ormai sono sicuro, ha architettato per farmi impazzire. In entrambi i casi, ha fatto un lavoro in grande stile.
" Ah... dimenticavo: non è detto che fosse l'unico topo, magari ce ne stanno altri!" Il suo sguardo penetrante lascia il posto ad un ghigno soddisfatto, e poi se ne va.
" Grazie mamma, grazie!"

Scusate il terribile ritardo, ma ho avuto problemi con la rete internet! 

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Capitolo 28
*** Traumi infantili - Le suore Orsoline ***


Mia madre ha condizionato la mia vita più di quanto voglia ammettere. Purtroppo. Fin da piccolo, son sempre stato un bambino molto malleabile e suggestionabile, e la signora madre ha saputo sfruttare questo lato del mio carattere a mio vantaggio, a volte, e a suo vantaggio, spesso. 
Potrei raccontarvi un milione di storie a riguardo, che spiegherebbero perfettamente molti miei atteggiamenti, dei quali magari vi siete sempre domandati l'origine. Ad esempio, so benissimo che molti di voi pensano che abbia subito qualche trauma, e non lo posso smentire: il mio trauma è mia madre, ma forse qualche piccolo aneddoto del mio passato traumatico può far luce sulla questione:

LE SUORE ORSOLINE


A mia madre piace vantarsi del fatto che sia sempre stato un bambino obbediente ed educato. Vero, ero un amore da piccolo, poi col tempo si peggiora, ma non è questo il punto. Nonostante quello che le piace raccontare ( e raccontarsi, perchè lei spesso e volentieri parla da sola), mamma sentiva la necessità di tenermi sotto controllo con tiepide e per nulla traumatizzanti minacce, della serie: " Se non fai il bravo ti mando dalle suore Orsoline".
Ora, chi siano effettivamente le suore Orsoline è un arcano mistero, del resto, non sono mai stato un grande fan di tali congregazioni religiose, ma sicuramente non sono come mia madre me le descriveva.  Nei suoi racconti, sempre intrisi di perversa fantasia e risvolti macabri, le suore Orsoline erano cinque: suor Monchina, suor Cionchina, suor Sordina, suor Mutina e suor Cechina.
Se ve lo state chiedendo, sì, i nomi sono nomen parlans e indicano le parti del corpo mancanti. Queste gentili creature di Dio vivevano in un castello gotico costruito sulla cima di una collina de la Giustiniana, avvolta da un bosco oscuro di cipressi e larici. Sono solo all'inizio della descrizione e già sembra di essere nel bel mezzo di un romanzo di Stephen King. Poi dici che uno è matto...
Lungi dall'essere creature pacifiche e misericordiose, le suore Orsoline, sempre secondo la narrazione di miss Zandri, erano a capo di un colleggio del terrore in cui i ragazzi venivano costretti a detergere il pavimento con le proprie lacrime e a studiare ogni giorno chiusi in una grigia cella di mattoni, con solo acqua e pane. Più meno come tutti gli studenti della Sapienza. Non finisce qui, però, perchè se non ci mette anche l'elemento horror, non è contenta: le cinque suore del terrore erano solite punire corporalmente chiunque trasgredisse le leggi del convento. Questa, all'incirca, era la storiella che mi propinava ogni qual volta facessi una birichinata. Per fortuna non capitava spesso, e ciò ha in parte contribuito a salvare il mio equilibrio mentale, ma ora è chiaro il perchè del mio rapporto difficile con film dell'orrore & affini. I miei amichetti alle elementari leggevano Piccoli brividi, a me bastava mia madre.

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Capitolo 29
*** Traumi infantili - Le sigle del terrore ***


LE SIGLE DEL TERRORE

In caso non fosse abbastanza chiaro, lo ripeto: mia madre ha la passione per i thriller, le morti, le malattie e tutto ciò che di macabro e terrificante c'è al mondo. Questo suo interesse dilagante si manifesta tutt'ora con preoccupante frequenza e va a minare anche quei piccoli gesti quotidiani che tutti noi amiamo. Ad esempio, quando avevo all'incirca dieci anni, ero solito, una volta finita la cena, piazzarmi di fronte allo schermo della tivù in compagnia dei miei genitori. Era un momento felice e dolce, passato in tranquillità sdraiato sul grande divano del salotto. Un momento di pace e serenità che si infrangeva di regola due giorni a settimana. Nella mia mente riaffiorano nitide le immagini di quelle serate d'incubo: una volta terminata la cena, salivo le scale per entrare nella mia placida stanzetta da bimbo felice, indossavo il mio caldo pigiamino blu puffo e tutto sorridente scendevo le scale per andare in salotto, ignaro di cosa sarebbe successo di lì a poco. Entrato in salotto, mia madre mi stringeva in un abbraccio, non prima di avermi fatto notare di aver indossato la maglietta al contrario o altre inezie di questo tipo. Poi, mi sedevo accanto a lei. 
Dopo minuti e minuti di odiosa pubblicità, iniziava a levarsi nell'aria del salottino una melodia metallica e spettrale, ancora troppo lieve per poterla riconoscere. Un attimo dopo, ed ecco lampeggiare sullo schermo della Televisione un'argentea X. La sigla diveniva più avvolgente e il sorriso di mamma risplendeva grottesco. Io cominciavo a tremare e ad urlare: " Non lo voglio vedere X-files, mi fa paura!" e lei, col suo fare rassicurante mi avvolgeva a sè con le sue braccia tentacolari :" E vuoi lasciare la mammina tua tutta sola??" facendo leva sui miei sensi di colpa, mi constringeva, indirettamente, a rimanere lì, ad osservare l'orrida serie tv fine anni '90 che seviziava la mia psiche. Mi bastava un niente per farmi sobbalzare, serviva molto meno per farmi urlare. Mentre io versavo nel terrore più grande, lei se la rideva placidamente, rimproverandomi di tanto in tanto se urlavo troppo perchè non la facevo ascoltare il programma. Ripensandoci ora, non so fosse più X files a farmi paura o il sorriso demoniaco di mia madre. Forse, la combinazione delle due cose.
Rendendo grazie infinite a qualunque sia la forza superiore che ci ha generati, X files è fuori programma da una abbondante decina di anni. Certo, l'accaduto ha lasciato le sue impronte nella mia psiche, impronte indelebili oserei dire, e se mai dovesse capitarmi, anche ora, di risentire la sigla maledetta, sarei preda delle convulsioni. Ora che sono grande e grosso però, non è così facile traumatizzarmi. Adesso, osservo le manie di mia madre con grande distacco emotivo e lucidità analitica; riesco a destreggiarmi con indomità agilità tra le sue follie, senza mai rimanerne invischiato. Poi però il mercoledì sera mi chiudo in camera mia a piangere dal terrore se sento la sigla di chi l'ha visto, ma questo non ha nulla a che fare con mia madre... per niente.

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Capitolo 30
*** Traumi infantili - La leggenda del dente da latte ***




LA LEGGENDA DEI DENTI DA LATTE

Sin dalle elementari, le mie insegnanti hanno sempre elogiato la mia fervida immaginazione; mia madre si è sempre chiesta da chi avessi ereditato questo dono fantastico. Io lo so: da lei.
Con le dovute differenze, per fortuna. Lei, per esempio, ha la capictà di trasformare qualsiasi accaduto in una scenetta dell'orrido. Come avrete ben capito, ha saputo gestire, inconsciamente magari, questo suo "dono" con superba maestria. Come tutte le madri di figli maschi, la signora Zandri ha sempre guardato con occhio nostalgico e grande timore il momento in cui non sarei più stato "il suo bambino", e a ragione, devo ammetterlo. Perciò, quando mi cadde il primo dentino da latte, decise che li avremmo conservati in un barattolino color arancio, "in memoria di quello che eri" diceva con tono biblico. Data la mia famigerata sbadataggine, caratteristica presente in me sin dai tempi più remoti, la signora madre temeva che avrei perso uno dei denti, prima o poi. Per prevenire il danno, ricorse ad un piccolo stratagemma: mi raccontò che da piccolo, mio zio, smarrì in cortile uno dei dentini da latte che lui anche collezionava per ricordo. Purtroppo, un cane randagio passò di lì, trovò il dentino e lo mangiò. Allora, come consuegenza a questo sfortunato evento, al posto del piccolo dente da latte, a mio zio crebbe una vera e propria zanna. 
Inutile dirvi quanto la cosa mi traumatizzo a sei anni.  Ancora ora, custodisco gelosamente il barattolino arancione in una nicchia nascosta tra le mensole, terrorizzato dalla sola possibilità che possa cadere e aprirsi.  Certo, adesso, alla mia veneranda età, non credo più alla storiella assurda di mamma, assolutamente... però ecco, più che altro gli do il beneficio del dubbio, cioè, io non voglio risvegliarmi metà umano e metà cane, eh!

Ah dimenticavo: la signora madre non si ricorda di avermi mai raccontato nulla di simile, e delega ogni responsabilità a quella santa e innocente donna di mia nonna ( ovvero sua madre, nella nostra famiglia a quanto pare i traumi sono a produzione familiare) Comunque, la  cosa che non si reggerebbe in piedi nemmeno se incollata a terra con il saratoga.
 

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Capitolo 31
*** Traumi infantili - Gli Ospedali ***


GLI OSPEDALI

Quando ero alle elementari, mio padre subì un intervento all'ernia del disco che purtroppò non andò come speravamo. La mia famiglia cercò di proteggermi il più possibile ed evitò di informarmi sui dettagli meno piacevoli della  faccenda. Sarò loro sempre grato per questo. Un po' meno ne sarò a mia madre per aver deciso di spezzare il patto silente.
Il giorno che mio padre venne operato, andai a trovarlo. Mia zia mi accompagnò in ospedale, dato che mia madre era già lì per fare compagnia a mio padre, non tanto per affetto coniugale, quanto perchè l'ospedale è un po' il suo habitat naturale; basti pensare che una buona percentuale delle sue amiche le ha incontrare in sala operatoria. Inquientante ma vero. Comunque, non appena varcata la soglia del Gemelli, vidi mia madre corrermi incontro, urlando a squarciagola il suo mantra preferito:" AMORE DI MAMMA!" Tra le mani teneva uno strano barattolino, agitandolo in aria, tutta contenta. Dopo avermi stritolato in un abbraccio infinito, mi mostrò il misterioso contenuto del piccolo barattolo. Vi assicuro, questo è uno di quei casi in cui è bene che i misteri rimangano tali: il barattolino conteneva l'ernia appena estratta. Sicuramente, non figura tra le dieci cose da far vedere ad un bambino. Nemmeno tra le diecimila cose da far vedere ad un bambino. Diciamo che non è  proprio tra le cose da far vedere a qualsiasi umano. Credo questo sia il mio più grande trauma: è la ragione per cui odio gli ospedali, sono tendente all'ipocondria, ho il terrore del sangue e delle ferite, degli aghi, delle serie tv che parlano di medici, dei libri di anatomia, dei termini tecnici per definire le parti del corpo ecc. Questo, praticamente, è il motivo per cui vorrei non avere un corpo.

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