I thought I'd lost you forever

di Elle Douglas
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I CAPITOLO ***
Capitolo 2: *** II CAPITOLO ***
Capitolo 3: *** III CAPITOLO ***
Capitolo 4: *** IV CAPITOLO ***
Capitolo 5: *** V CAPITOLO ***
Capitolo 6: *** VI CAPITOLO ***
Capitolo 7: *** VII CAPITOLO ***
Capitolo 8: *** VIII CAPITOLO ***
Capitolo 9: *** IX CAPITOLO ***
Capitolo 10: *** X CAPITOLO ***
Capitolo 11: *** XI CAPITOLO ***
Capitolo 12: *** XII CAPITOLO ***
Capitolo 13: *** XIII CAPITOLO ***
Capitolo 14: *** XIV CAPITOLO ***
Capitolo 15: *** XV CAPITOLO ***
Capitolo 16: *** XVI CAPITOLO ***
Capitolo 17: *** XVII CAPITOLO ***
Capitolo 18: *** XVIII CAPITOLO ***



Capitolo 1
*** I CAPITOLO ***


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I CAPITOLO.
- PROLOGO -
 

‘Come posso fidarmi di un uomo che non crede più nell’amore?’
‘Ci credo ancora’.
‘Allora giuramelo sull’amore. Questa donna che ti ha spezzato il cuore la ami ancora?’
‘Sì’
‘Allora giuralo sul suo nome’.
‘Lo giuro su Emma Swan’.
 
Ariel resta scioccata da quel nome, da quella persona appena nominata, e quasi si potrebbe dire che è delusa.
Non se l’aspettava, questo è certo.
Killian la guarda a sua volta, scrutandola, ancora in colpa per ciò che le ha fatto nell’anno dimenticato. Non è ciò che converrebbe ad un eroe, non è ciò che avrebbe voluto fare. Non è ciò a cui aspira qualcuno che vuole diventare un eroe, e Killian si pente di quel gesto ancora di più ora che viene posto di fronte ai fatti. Per questo l’ha seguita. Non avrebbe mai potuto convivere anche con la bugia.
Doveva dirglielo ed è ciò che aveva fatto sperando in un perdono.
Lui non era più la persona di una volta, e il fare del male a qualcuno in quell’ultimo arco della sua vita era diventato qualcosa di insostenibile, anche grazie ad Emma, divenuta ora qualcosa di importante per lui. Come avrebbe potuto sostenere il peso di un simile atto ora che era così diverso dal vecchio pirata? Se fosse successo a lui con Emma? Il ritratto di ciò che era Ariel sarebbe stato il suo.
Non riesce a non pensarci, mentre il rimorso continua ad attanagliarlo fino a far male.
D’un tratto la voce di Ariel sembra cambiare, e un sorriso tracotante di soddisfazione misto a malvagità le spunta sul viso pronto a godersi lo spettacolo a cui sottoporrà il pirata da lì a poco. Non avrebbe mai immaginato un simile esito, ma non per questo si da per vinta.
Una nube verde l’avvolge e sotto gli occhi di un inerme capitano eccola apparire: è Zelena, la strega malvagia.
Killian la guarda sconvolto, per un attimo non ci crede. Che ci fa lì?
‘Eri tu?… Dov’è Ariel?’ chiede, guardandosi intorno.
‘Rilassati. Non è mai stata davvero qui. Dopo averti lasciato sulla tua amata nave, ha trovato dove Barbanera teneva il suo principe. ‘ gli rivela.
‘L’ha trovato? Come fai a saperlo?’ il pensiero di Killian sembra essere focalizzato sulla sirenetta ignorando, in quel primo momento, il vero inganno ordito dalla strega.
‘Le mie spie sono sempre in volo, Capitano, in ogni mondo.’Cerca di sottolineare, quasi a fargli capire le ovvie verità e ciò che l’attende. ‘L’ha trovato sull’isola dell’impiccato, fuori dal raggio del sortilegio e da allora vivono sempre felici e contenti. Bel colpo di scena, vero?’
‘E allora perché hai finto di essere lei?’ Ed eccolo, ora, quel senso di inquietudine che sembra stritolarlo in una morsa. Perché la strega ha finto per tutto il tempo di essere qualcuno che non era?
‘E’ da tempo che conosco il tuo piccolo, oscuro segreto. Ti ho letto in faccia il pentimento per la decisione presa quel giorno e sapevo che ti tormentava ancora, perciò l’ho usato a mio vantaggio.’
‘Usarlo per cosa?’ chiede, trattenendo per quanto riesce, il timore per il peggio.
Sente che sta per arrivare. Aleggia lì, sopra le loro teste pronto a scagliarsi su di lui con violenza, e qualsiasi cosa sia il presentimento non è per niente buono.
‘Devo ammettere che mi hai preso in contropiede capitano, quella risposta proprio non me l’aspettavo. Quel nome proprio non me l’aspettavo’. Ride trionfante mentre inizia a pregustarsi la scena nella sua mente.
Il momento è propizio. Tutto sta per succedere, e Zelena sembra non stare più nella pelle.
‘Quale risposta? Che intendi?’. Killian si altera, esaminando tutta la situazione da una prospettiva diversa, ora.
‘Vedi, capitano, nemmeno poc’anzi ti ho detto che ho spie in ogni mondo capaci di vedere e fare ogni cosa, per me. E tra uno di questi immensi mondi che ci circondano ho trovato lei.’ Una figura lontana da loro si erge come d’incanto prostrandosi di fronte agli occhi confusi di un pirata che non comprende chi sia e cosa diavolo c'’entri in tutto questo. Zelena osserva ogni suo movimento, sguardo e smorfia come se lo guardasse al rallentatore. Vuole gustarsi ogni secondo di quella consapevolezza che si fa strada nel suo animo. ‘e in realtà, pensavo nominassi lei…’, spiega indicandogliela stavolta, come se la cosa fosse ovvia e deducibile sin da subito, senza troppe indicazioni.
Killian aguzza gli occhi e cerca di mettere a fuoco la figura di quella fanciulla mentre nel contempo la strega ha iniziato a girargli intorno. Si pone dietro di lui, quasi come spettatrice di quello spettacolo ordito solo in suo onore.
Un lampo sembra, d’un tratto, attraversargli gli occhi cerulei e l’animo. Quella cognizione è arrivata.
Killian si volta per guardare la strega e constatare ciò che voglia intendere.
‘Chi dovrebbe essere?’ chiede ma dentro di sé un sentore gli suggerisce già il suo nome. Dentro di sé è quasi un magnetismo ad attirarlo, un magnetismo che non sentiva da secoli. Un magnetismo che aveva solo nei suoi confronti prima che….
Zelena si avvicina piano, e con altrettanta attenzione, sussurra nell’orecchio del pirata un nome.
Un nome che graffia contro l’anima e porta a galla tutto ciò che era stato celato, persino a se stesso.
Killian strabuzza gli occhi, ancora più incredulo.
Non può essere.
Lei non c’è… lei è sparita. Lei … non esiste più. Il tesoro più prezioso che possedeva non l’ha più ritrovato.
Killian scuote la testa, come a risvegliarsi da quell’incantesimo.
E’ un inganno della strega, deve essere quello. Lei non è più… lì.
‘Non è lei, brutta strega! E’ un tuo inganno!’, sbraita adirato. Come può quella strega giocare su una cosa simile?
‘Oh no, mio bel capitano, non lo è per niente invece. Dimentica ciò che sai sul suo conto. Lei è viva, ed è esattamente lì dove la vedi.’ precisa, indicandogliela nuovamente.
Killian non ci crede, non può essere.
E se lo stesse ingannando, se non fosse lei quella lì sul molo?
Killian si avvicina a passo sostenuto, con la paura di non sa a cosa credere e la gioia di ritrovarla che inizia a riemergere. E’ pronto per quella verità?
Con decisione, il pirata afferra il suo fedele cannocchiale appena ritrovato e l’allunga verso quel punto che gli è di fronte: La ragazza è legata a quello che sembra essere un patibolo in legno, priva di sensi. La testa in avanti. Del tutto incosciente. Solo la sua veste bianca sgualcita e, quasi pari ad uno straccio, si nota in contrasto con il colore dei suoi capelli neri come la pece.
 
‘Non credi sia lei, vero? E io che pensavo che il vero amore si sentisse, lo si riconoscesse’. Continua Zelena, dietro di lui, invitandolo ad abbassare il cannocchiale con un gesto.
D’improvviso con un leggero cenno della strega la ragazza, prima distante, ora è più vicina. È lì a pochi metri da lui.
La sua pelle scura gli rende vivo il ricordo, il suo corpo esile e fragile che aveva protetto e abbracciato secoli e secoli prima lo richiama.
E Killian quasi piange nell’incredulità di quel momento.
D’un tratto alza la testa lentamente, come sveglia da uno stordimento, apre piano gli occhi e rivolge il suo sguardo a lui che gli è di fronte, a pochi passi.
Killian ha un colpo.
I suoi occhi verdi, verdissimi come lo smeraldo sono dentro ai suoi, e per un attimo una lacrima gli scorre su quel viso etereo.
Quante volte aveva pianto credendola persa? Quante volte si era pentito di averle dato quella scelta? Quante volte avrebbe voluto tornare indietro e cercarla, salvarla?
Ed ora era lì, davanti a lei.
Vera, viva ma prigioniera.
 
‘ESMERALDA!’ grida quasi come d’istinto, ma non c'è alcun esito da parte sua. Nessuna risposta. Niente. Lo stesso istinto che ora lo spinge a correrle incontro per liberarla e stringerla a sé, e fu per questo motivo che - a grandi passi - si avvicina a lei deciso ad avverare quel temperamento. Ma è un attimo e tutto svanisce.
 
Una sonora risata, alle sue spalle, risuonò in tutta l’aria rimbombando in ogni anfratto.
‘Credevi davvero che l’avrei portata qui? In carne e ossa? Da te? Dovresti dedurle le cose. Lei è con me in posto sicuro’. Sghignazzò lei, tronfia e soddisfatta.
Killian scatenò la sua collera e le sfoderò la spada di fronte. Lei con un gesto gliela tolse dalle mani, gettandola in mare e facendogli segno di no con il dito.
‘Non è così che la otterrai, Killian’, gli disse. ‘Prima devi fare qualcosa per me’. Annunciò girandogli intorno come un serpente che circonda la propria preda mettendola in trappola.
‘Cosa vuoi da me?’ si sentì messo alle strette perché sapeva, lo sentiva, che quel patto avrebbe incluso la salvezza di quella ragazza a cui lui tanto teneva.
La strega, in qualche modo, conosceva il loro legame e sapeva che avrebbe fatto tutto per lei altrimenti perché porgliela dinanzi?
‘Proporti un patto, che per te può essere molto vantaggioso. Ritroverai il tuo vero amore, il tuo primo vero amore. Potrai stare con lei e proteggerla come non hai fatto prima e potrete vivere… com’è che si dice? Ah si, felici e contenti. Non ami i lieti fine?’, Zelena sbarrò gli occhi di fronte a lui, piena di sé. Killian restò in ascolto senza proferir parola ma con la rabbia che gli ribolliva dentro.
Strinse i pugni fino a far diventare le nocche bianche per calmarsi.
‘In cambio voglio che tu mi consegni Emma affinché io possa toglierle i poteri e tutto ciò che la rende così speciale, così potente, che la rende una minaccia. E sai cosa? Ora la cosa è ancora più succulenta dato che dovrai decidere tra due donne che ami, non credi?’
‘Non lo farò’. Glielo dirò, e lei ti sconfiggerà e riporterà Esm in salvo’, rispose Killian a pochi centimetri dal suo viso.
‘Non credo sia la mossa giusta. Se lo dirai ad Emma, L’oscuro ucciderà Esmeralda, forse non ricordi che io ho il pieno controllo su di lui grazie al pugnale. Mi basterà un comando e Tremotino darà alla tua fanciulla la fine che si merita.’ Il tormento sul volto di Killian oltrepassò i suoi occhi cristallini ed arrivarono in modo evidente alla strega che raccoglieva i frutti delle sue fatiche con una piacere altrettanto evidente. ‘Sta a te decidere Capitano. Un vero amore, per un nuovo amore, non è poi così difficile’.
‘Allora salverò Esm dalle tue grinfie e la porterò in salvo’. Dichiarò, scandendo ogni parola, il pirata.
‘Mi auguro che tu riesca a trovarla allora. Perché puoi giurarci non è nello stesso posto in cui avete trovato Tremotino, mio caro’. Sorrise malefica. ‘E’ tutta tua la decisione capitano. Hai tre giorni di tempo per farlo, scaduti quelli saprò cosa fare con una delle due. Potrei anche uccidere Emma…’.  Ponderò pensandoci seriamente.
Killian restò spiazzato. Che doveva fare?
Ad un tratto una deduzione gli balenò in mente.
‘No… non lo farai’, disse sicuro di sé. ‘Se avessi potuto ucciderla l’avresti fatto. Hai bisogno che non abbia poteri. Ecco perché non l’hai uccisa quando è arrivata in città. E perché la tua scimmia l’ha tenuta d’occhio invece di ucciderla. Per qualche ragione… non puoi farlo’. Dedusse facendo calare la maschera e le vere intenzioni per cui la strega aveva organizzato tutto quello.
‘Non importa più ormai, perché tu la porterai a me. Potrei non riuscire a fare del male ad Emma, ma posso farlo a quelli intorno a lei. I suoi genitori. I suoi amici. Suo figlio…’
‘Non ti avvicinerai a loro!’.
‘Si! Ti sei affezionato al ragazzo, vero? Mi divertirò a trasformarlo in colazione per le scimmie…’
‘Ti fermerò’.
‘No, non lo farai.’ Ora Zelena era davvero stanca di quei battibecchi e quel cercare di scrutare ogni cosa. ‘ Quel tuo uncino appuntito può ferire un mortale, ma me?’ Gli rise in faccia. ‘Non è roba per te, pirata! La scelta è tua, e per quanto ho potuto vedere è molto ardua caro mio, non vorrei essere nei tuoi panni. Confido nel fatto che farai la scelta giusta, altrimenti una di queste persone a te molto care, morirà e sarà poco avere sulla coscienza un torto fatto ad una ragazza che nemmeno ti appartiene!’, e si dissolse così com’era apparsa. In quella nube verde che la contraddistingueva.
Killian restò attonito, senza sapere, per la prima volta cosa fare.
Esmeralda era viva, ed era questa l’informazione che più di tutte gli vorticava in mente.
Non poteva crederci.
Non ancora.
Il suo primo vero amore era lì, in carne e ossa di fronte a lui e non poteva lasciarla andar via così, una seconda volta, ma non poteva far questo ad Emma a cui il suo cuore aveva cominciato ad appartenere.
Ma non poteva tantomeno permettere che perdesse i poteri a causa sua, dando vittoria a Zelena.
Ma se non l’avesse fatto, i suoi cari, le persone care ad Emma sarebbero morte a causa sua.
Da qualsiasi parte si voltasse sembrava circondato senza alcuna via di scampo. Gli sembrò che la testa gli esplodesse.
Non poteva permettere niente di tutto ciò e non l’avrebbe permesso, solo che non sapeva come impedirlo.
 
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ANGOLO AUTRICE:
Benvenuti a tutti quelli che accidentalmente o attraverso la mia pagina facebook si sono imbatutti in questa mia storia.
Tutto ciò che leggerete nasce dalla mia passione immemore per il personaggio Disney di Esmeralda, che sin da quando ero piccina è sempre stato di grande ispirazione per me. Il fatto di introdurla in OUAT, in questa fanfiction, nasce anche dal fatto che nella serie lei non è presente e per quanto mi riguarda non potevo non introdurla, quindi ho deciso di farlo a mie spese immaginando una storia tutta sua che potesse essere plausibile.
Legarla, in qualche modo, a Killian Jones è stato un caso del tutto fortuito che ha coinciso con le avventure del nostro pirata, e con l'alone di mistero che aleggiava sulla sua storia che mi ha permesso di incastrarla ancora meglio nelle vicende che vi andrò a raccontare.
Quando ci ho pensato la prima volta, la storia era venuta fuori in maniera del tutto diversa. 
Vi premetto inoltre che la storia parte dalla 3x17 e che tutto il resto di ciò che leggerete è una mia idea Più avanti potrà capitarvi di leggere pezzi dalla trama di ONCE, e alcuni eventi un po' stravolti, che spero potrete apprezzare e gradire. 
Che dirvi, inoltre? Spero che la mia storia vi intrighi e vi prenda e spero di avere delle considerazioni in merito, perché si sa che le recensioni fanno sempre bene a migliorarsi e a spronarsi, quindi sentitevi liberi di scrivermi. (:
QUI  inoltre trovate un blog Tumblr dedicato alla mia fan fiction con anteprime e stralci della storia, le canzoni e musiche che mi hanno ispirato nel scrivere, se vi va di seguirlo.
Un enorme abbraccio a tutti.  ♡

- Elle.

 

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Capitolo 2
*** II CAPITOLO ***


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NOTE AUTRICE: 

Da questo capitolo in poi vedrete come tutto è iniziato e come le vite di questi due personaggi si sono incastrati e amalgamati nella mia mente. 
Per rendere un po' più visiva la cosa, ho voluto creare un video di pochissimi secondi che, se volete, potete visionare. 
Premetto che il video non è chissà cosa, è la prima volta che mi cimento in cose del genere, ma ho voluto provarci e spero potrete apprezzare. 
Fatemi sapere cosa ne pensate. ♡

- Elle.


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    Il vento soffiava leggero quella mattina sulla Foresta Incantata.
La fanciulla contemplava il cielo azzurro pieno di nuvole che la sovrastava, puntando gli occhi smeraldo al cielo, e cercando di dar forma a quello che le nuvole parevano raccontarle.
Un drago, una donna, e un uomo si realizzarono ai suoi occhi, e altre dalla forma più incerta prendevano piede nella sua mente cercando di trovare un nome adatto, qualcosa a cui farle assomigliare.
Le nuvole, che cosa strana erano, assumevano la forma più incerta e meno probabile, bastava guardarle e si materializzava l’immagine dopo poco. Erano capaci di raccontarti storie mai colte, e mai scritte da nessuno che prendevano vita nella sua testa.
Era così che ella fuggiva. Fuggiva da ciò che era, e da ciò che faceva.
Era così che ella si immaginava un mondo tutto suo in cui andare, contemplava il cielo azzurro su di lei, immaginando cosa ci fosse oltre, immaginando un mondo diverso da quello che viveva.
Chissà quante terre lontane c’erano al di fuori di lì? Chissà cosa c’era in quei posti? Chissà quanta gente aspettava un incontro.
 
E allora pensava alla sua famiglia. Ce l’avrebbe mai fatta ad abbandonarli? A guardare avanti, ad andare per la sua strada senza sentirne la mancanza?
Ad andare via senza una garanzia di ritorno o con la consapevolezza che non li avrebbe più visti?
E suo padre come l’avrebbe presa?
Di certo bene, sarebbe stata una bocca in meno da sfamare, e un corpo in meno da vestire.
Suo padre era la persona più avara che lei conoscesse, e in tutto il regno la cosa era risaputa. Forse, appunto per questo la cosa non gli sarebbe poi tanto dispiaciuta.
Ma sua madre? E i suoi fratelli? Poteva lasciarli soli in quella vita che stava diventando miseria a causa del padre? E se se li fosse portati con sé? Potevano trovare un posto da qualche altra parte e farsi un nuovo nome e una nuova ricchezza.
Si, ma con quali soldi?
Esmeralda continuava a dar adito a quelle speranze che quasi le sembravano vere.
‘Hai solo vent’anni’ diceva la madre. ‘e vedi ancora il mondo con i rimasugli di un’adolescenza infranta a causa di tuo padre, ma presto crescerai e presto capirai qual è il ruolo delle donne in questo mondo’.
Ma Esmeralda non l’accettava, non voleva piegarsi a quel mondo, piegare la sua vita, i suoi sogni, non voleva che gli altri decidessero per lei e dibatteva con la madre, che benevole e paziente l’ascoltava filando la lana, sorridendo a quella figlia che voleva inseguire i propri sogni.
Quei pensieri più che mai ora le venivano in mente e quel posto le stava stretto come il corsetto che da anni le attanagliava il petto.
 
E quel punto, quella roccia su cui sedeva tutti i pomeriggi all’ombra di quei peschi era una via di fuga.
Solo lei conosceva quel sentiero e quel posto. L’aveva scoperto da piccola, mentre con i fratelli giocava.
Era un posto sicuro, fuori dal mondo quasi dove nessuno l’aveva mai vista o incontrata, e per certi versi andava bene così.
Sembrava più magico della Foresta Incantata stessa, in un certo senso.
Un posto intagliato tra ramificazioni e arbusti, dietro una fitta vegetazione a cui si aveva accesso attraverso un arco fatto di rami che sembrava quasi la invitasse ad entrare al suo interno.
Un sole fitto e filtrato dai rami scendeva giù e creava uno strano gioco di luci calde tra i rami.
Non c’era null’altro vicino se non una grande roccia nel mezzo in ella si riposava e si abbandonava ai pensieri e al silenzio assoluto.
Non amava molto la compagnia, amava stare sola a contemplare il mondo.
 
Era sempre stato un tipo solitario, Esmeralda. Una ragazza timida ma con un forza d’animo incredibile.
Era sicura di sé nelle sue decisioni, nei suoi sogni e con se stessa, si era sempre definita caparbia. Ciò che voleva cercava sempre di ottenerlo, pur sempre nei limiti della legalità, non era mai stata sfiorata dall’adrenalina che ti percorre l’animo.
Era una ragazza a posto, quelle di cui potevi fidarti a primo impatto, e che se si apriva a te, eri certo di aver trovato una buona amica e un mondo intero a cui aggrapparti.
Era molto diversa dalla sua famiglia, in tutto, a cominciare dall’aspetto fisico.
Molti si stupivano, quando da piccolina si presentava come la figlia di quell’assurdo uomo che aveva contribuito alla sua nascita.
Era di un’eleganza estrema, quasi non appartenesse a quel rango di gente che la circondava, da lì il dubbio se fosse davvero figlia a chi si decantava tanto di averla.
I suoi lunghi capelli mossi neri le scendevano sulle spalle come la seta più lucente e pregiata.
E al posto degli occhi pareva avere due smeraldi incastonati che andavano in contrasto con la sua pelle scura.
Il suo sorriso poi, era uno dei più luminosi e belli che si vedesse in quella miseria, e lei aveva l’abitudine di regalarne in quantità.
Da piccola bambina dal corpo infantile e puro il suo corpo cambiò in qualcosa che era un piacere per gli occhi.
Negli anni, com’è giusto che sia, il suo corpo era cambiato e si era trasformato.
La sua figura da morbida era diventata longilinea e delicata, e le sue forme sul davanti erano lievitate nel modo giusto.
Era quella che si poteva definire una bellezza mediterranea.
 
Il padre, perciò, aveva cercato più volte di darla in sposa per dote e per ricchezza ma la figlia, abilmente astuta, aveva più volte declinato le offerte aizzando le ire del padre.
E ogni volta che succedeva, lei scappava e si rifugiava in quel posto segreto lontano da tutto e tutti, e in cui nessuno fino ad allora, era mai arrivato.
Ma quel giorno qualcosa cambiò, quel giorno non andò come sempre.
 
Sentii qualcosa provenire da dietro i cespugli, quasi un bisbiglio celato dal flebile vento.
Si alzò di scatto da quella roccia e interruppe i suoi pensieri.
“Chi va là?” domandò al nulla, atterrita.
Ma non udì nessuno.
Pensava di essere stata scoperta, possibile che qualcuno l’avesse seguita?
Doveva essere il vento, doveva per forza essere lui.
Era troppo presa dai suoi pensieri per questo non aveva udito il vento passare tra i rami.
Si, doveva essere il vento, cercò di convincersi per farsi forza.
Tentò un altro passo.
Quant’era tardi poi? E se ci fosse qualcuno che era venuto a cercarla? Cercò di guardare la sua ombra per capire quanto fosse stata lì quel giorno.
Un altro rumore. Questa volta più vicino del precedente.
Aguzzò gli occhi in cerca di qualcosa, qualcuno che non riusciva a intravedere nell’erba troppo fitta, e con voce traballante rinnovò la domanda di poco prima.
‘C’è qualcuno?’.
Si guardò intorno, cercando un qualcosa, magari un piccolo animaletto che tra l’erba, ma nulla.
Poi un sussurro di fronte a lei si fece ancora più chiaro.
Deglutì nervosa. C’era davvero qualcuno.
Pian piano si avvicinò a quel cespuglio dietro cui qualcuno sembrava spiarla, ma il suo vestito s’impiglio tra i rami e il rumore di uno squarcio ebbe la meglio sulla sua attenzione.
‘Maledizione!’ esclamò chinandosi ad esaminare il danno.
Sapeva già quanto il padre la avrebbe sgridata per quel nonnulla agli occhi di altri.
 
Un altro rumore, questa volta qualcosa di più simile a un ramo spezzato arrivò da dietro di lei.
Esmeralda si voltò di scatto e poi il buio.
 
-
 
Si ritrovò poche ore, giorni, o chissà quanto altro tempo era passato con un gran mal di testa su di un letto in una stanza semibuia in un cui si sentiva un forte odore salmastro a cui storse il naso, non le era mai piaciuto. Aprii piano gli occhi cercando di abituarsi all’oscurità in cui si trovava, senza capire dove e come ci fosse finita.
Solo una debole luce entrava da una finestra a forma di oblò dalla quale non avrebbe potuto nemmeno fuggire.
Cercò di massaggiarsi la testa ma si accorse di avere le mani legate dietro la schiena e si domandò come fosse successo.
Poi ricordò i rumori che aveva udito nella vegetazione, lei che si avvicinava, e il buio oltre la quale non sapeva andare con i ricordi.
Cerco di rammentare, un volto, una voce, un colore, una parola, ma nulla.
Anzi no, una parola, una frase c’era lì in quella oscurità: Non fatele del male.
La voce era quasi un sussurro sbiadito a cui non sapeva dare un timbro, tantomeno un volto.
Almeno non uno che conoscesse.
Chi era? A chi interessava non farle del male?
Nella sua mente non c’era nient’altro che la potesse aiutare, era tutto lì. Tutto dietro quelle parole, tutto dietro quella porta.
Cercò di mettersi seduta sul letto cercando di evitare che le girasse la testa.
Si assestò per un attimo e vide che i piedi erano liberi, senza nessuna corda o altro. Poteva camminare.
Che razza di gente era quella che l’aveva rapita, perché di quello si trattava, dato che non l’avevano nemmeno legata per bene?
Nel mentre che cercò di alzarsi, la porta che aveva di fronte si aprì.
 
‘La nostra principessa si è svegliata!’. Gridò sorridente un uomo entrando a braccia aperte.
Indossava vestiti di pelle nera ed Esmeralda a prima vista lo considerò strano.
Si ricompose sul letto seduta, cercando di non muoversi e tantomeno di fiatare.
‘Mi dispiace per le cattive maniere a cui è sottoposta, ma non posso fare altrimenti. Lei capisce che vale una fortuna. In compenso le permetto di girovagare nella stanza come meglio crede, lo so che non è molto, ma si accontenti’.
Esmeralda, non capiva cosa intendesse con il fatto che valesse una fortuna.
‘Se suo padre pagherà per il suo riscatto entro tre giorni avrà di nuovo la sua libertà, e potrà tornare in quel luogo che tanto le aggrada, altrimenti girerà il mondo con me e la mia ciurma’, disse quello indicando i due marinai di fianco la porta.
Esmeralda cercava di non fissarlo, di non avere nessun contatto con quell’uomo, nemmeno visivo.
Una parola le rimbombò in mente Riscatto.
L’uomo di sicuro non conosceva suo padre, per azzardare una richiesta simile.
Suo padre non avrebbe pagato neanche una moneta per lei, ne per nessun altro.
Nessuno valeva un soldo, e la figlia pur essendo un vanto, un valore e una gioia per gli occhi non era da meno a quell’idea.
L’avarizia che lo contraddistingueva era nota, era per questo che ogni volta si dannava peggio della madre per uno strappo sulla vesta.
Era sempre stato così, non se lo ricordava diverso.
Ma nonostante tutto, nonostante ciò che sapeva e conosceva, nutriva in cuor suo, la speranza che forse, quel rapimento, quell’amore che provava verso la propria figlia avrebbe avuto il sopravvento sui soldi una buona volta e l’avesse salvata, e allora, in un certo senso, quel rapimento assunse per un po’ un valore diverso ai suoi occhi, pur avendo paura, non le sembrava affatto male.
Pagare il suo riscatto, avrebbe voluto dire che ci teneva più dei soldi a lei, e che era una sua stupida impressione che non l’amasse affatto.
 
L’uomo si avvicino a lei e le sedette accanto.
Esmeralda si ritrasse di rimando a quel possibile contatto non voluto, rannicchiandosi in un angolo del letto.
Era impaurita, non poteva e non sapeva nasconderlo, anche da piccola, quando i rami degli alberi al di fuori della sua finestra assumevano forme incomprensibili iniziava a tremare per poi immobilizzarsi e diventare come pietra. Così come ora, non sapeva cosa quell’uomo volesse dal padre, e tanto meno da lei, ed era giusto mantenere una certa distanza tra i due.
‘Non devi avere paura’, le disse il pirata in tono gentile e quasi le sembrava davvero sincero. ‘Non ti farò del male’. La rassicurò.
Di colpo quella voce, quella frase Non fatele del male le ripiombò in testa.
Era stato lui a dirlo all’inizio e anche ora continuava a ripeterlo nello stesso tono che rimembrava.
Lo guardò di sottecchi e cercò di metterlo a fuoco.
In quel momento i suoi occhi incontrarono i suoi e si persero in un cielo fitto e calmo. Privo di nuvole, di quell’azzurro pieno e rassicurante.
Lo stesso cielo che fissava per ore dinanzi a sé quando si sdraiava sulla sua roccia e pensava a tutto ciò che le passava per la mente: le gioie, le avventure, le sue giornate, i suoi sogni, le sue collere.
Era tutto lì in quel cielo, che la rassicurava e le dava un monito per andare avanti anche quando non ce la faceva più.
Ed ora quel cielo in cui aveva tanto riposto, tanto raccontato pareva averlo di fronte, ed era tutto nei suoi occhi.
Era affascinante, non poteva negarlo.
Era l’uomo più bello che avesse mai visto.
‘Per dimostrarti che l’atto che stai subendo non è esplicitamente nei tuoi confronti mi presento, il mio nome è Killian Jones. Benvenuta a bordo’. E le sorrise di un sorriso mozzafiato, e quasi lei arrossì violentemente.
Interruppe nuovamente lo sguardo, e abbasso’ la testa.
La sua pelle scura, e la penombra in cui si trovava celarono il rossore.
Come aveva potuto pensare tutto questo? Il suo cielo? Bah!
Qualcuno l’aveva davvero colpita forte pensò.
Killian intanto la fissava attendendo una risposta.
‘E voi siete…’ la aiutò protraendo una mano in avanti.
Cosa avrebbe dovuto fare? Rispondergli? E se fosse stato un inganno? Di che genere poi?
Combatteva dentro di sé nel non rispondere a quella voce sincera.
Killian rise di gusto voltandosi verso i suoi marinai che risero di rimando.
‘Ce l’avrete pure un nome, credo. Non penso che vostro padre sia stato anche tanto spilorcio da negarvelo’.
Allora conosceva bene il padre.
Esmeralda alzo nuovamente lo sguardo per scrutarlo meglio su quando, dove e se l’avesse visto qualche volta, ma quegli occhi color del cielo erano una trappola e lei restò di nuovo imprigionata.
‘Esmeralda…’ le sgusciò fuori senza preavviso.
Sgranò gli occhi scioccata da ciò che le era accaduto e le venne l’istinto di tapparsi la bocca, ma non poteva.
Se ne pentì.
 
Killian sorrise, di nuovo.
‘Avete uno splendido nome, milady. Suppongo ve lo abbia dato vostra madre per i vostri occhi che sono a dir poco incantevoli’.
La fanciulla arrossì di nuovo, ora più esposta.
‘S’incastonano bene con la vostra carnagione, che cela assai bene le vostre emozioni’.
Le venne un colpo, l’aveva vista.
‘Se avete bisogno di qualcosa, qualsiasi cosa non esitate a farmi chiamare’, disse prima di congedarsi. ‘Ora vogliate scusarmi ’, e fece un inchino a mo’ di cavaliere.
Ed Esmeralda restò esterrefatta da quel gesto, così lontano e così strano per un pirata.
Arrivò a domandarsi se davvero fosse un pirata o fingesse di esserlo.
La porta di fronte a sé si chiusa, ed ella restò di nuovo sola.
Chi era quell’uomo e cosa mai aveva fatto suo padre per destare un gesto del genere nei suoi confronti.
 
 
‘Allora Capitano, che si fa?’ chiese il marinaio Knifenose, entrando dopo di lui nella sua stanza, lontano da quella di Esmeralda.
‘Che si fa a proposito di cosa?’, domandò Killian confuso.
‘A proposito della donzella. Dobbiamo aspettare per davvero tre giorni prima di spassarcela e gettarla con le altre?’
‘Deciderò io cosa farne della prigioniera. Siamo sulla mia nave e qui decido io cosa farne delle persone che vi porto’. Disse Killian quasi adirato. ‘E ora va!’, gli ordinò.
Quello si spaurì di cotanta foga e si congedò in battibaleno, pentendosi della sua domanda.
Killian restò solo, nei suoi pensieri.
Era come affaticato, combattuto.
C’era qualcosa in quella ragazza, in quella fanciulla che lo colpiva.
Qualcosa che non sapeva spiegare a se stesso, ma c’era qualcosa dentro di lui, qualcosa di profondo e irraggiungibile che gli ribadiva di non farle del male.
E non solo per il riscatto che aveva mandato al padre, che altrimenti non sarebbe avvenuto, ma per se stesso.
 
Si sedette al tavolo e si massaggiò le membra.
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Capitolo 3
*** III CAPITOLO ***


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Okay, rieccomi con il nuovo capitolo appena sfornato.
E' uscito abbastanza lungo, lo so, ma è uscito da solo, nel vero senso della parola, le mie mani andavano da sè nel scriverlo. 
Ringrazio le ragazze che hanno recensito il capitolo precedente, e spero che questo capitolo vi entusiasmi allo stesso modo.
Continuate ad inviarmi recensioni e pareri a riguardo, ve ne sarei davvero grata. C:
Spero, come sempre, che gradiate la storia.
E' nata in me praticamente da sola insieme ai suoi personaggi, a cui pian piano mi sono affezionata io per prima. Esmeralda era il mio personaggio preferito da piccola, e l'ho voluto trasportare in una storia un po' insolita insieme ad Hook, ho un po' cambiato le cose rispetto a ciò che succede nella serie, ecco. lol
E spero, che tutto questo, possa quantomeno intrigarvi, ecco.
Il capitolo è ancora incentrato sul passato in modo da capire meglio la storia e cosa lega Killian a questa ragazza totalmente sconosciuta.
Detto questo la smetto di parlare e vi lascio al capitolo.

Alla prossima. 

- Elle.




Quella stessa sera, Killian Jones si ripresentò di nuovo nella sua camera per portarle personalmente la cena.
E la cosa che più sorprendeva gli altri marinai è che non l’aveva mai fatto prima di allora. Con nessuna.
 
‘Buonasera Esmeralda’, disse entrando con un vassoio e chiudendosi la porta alle spalle.
Esmeralda, ancora impacciata sedeva sotto la finestra a forma di oblò a fissare il cielo, perché anche da lì non smetteva di affidargli i suoi pensieri e le sue emozioni.
Si lasciava prendere dalle cose e dimenticava ciò che aveva intorno come sempre.
Era lì da quasi due giorni eppure le era sembrata un eternità.
Quando si trovò Killian davanti, le prese quasi un colpo.
Non l’aveva sentito entrare.
 
‘Questo è per te, dovrai pur mangiare qualcosa’, le disse seriamente preoccupato.
Da quando era lì, la ragazza non aveva toccato cibo, ne tantomeno aveva proferito parola con qualcuno.
Se ne stava lì, in quella stanza a gironzolare come poteva, con le mani legate e a sedersi sotto quella piccola finestra che dava sul cielo e che davanti a sé aveva solo il mare infinito.
Killian si senti quasi in colpa nel vederla in quel modo, ma non poteva fare altrimenti.
Le si avvicinò piano e quasi l’abbracciò in un gesto che fece ribellare Esmeralda. Non voleva alcun tocco da quel pirata, nessun contatto, nessuno scambio di sguardi.
Aveva già visto che cosa era successo una volta.
Killian alzò le mani in segno di resa.
‘Ho detto che non ti avrei mai fatto del male, e mantengo la mia parola. Sono pur sempre un gentiluomo’, si definii. ‘Volevo solo slegarti affinché tu possa mangiare con le tue stesse mani’.
Ed Esmeralda alzò lo sguardo per vederlo avvicinare e protrarsi verso di lei in un gesto che sembrava quasi un vero abbraccio.
Ma prima che le sue mani toccassero i suoi polsi per liberarla fermò il suo sguardo furbo incorniciato da un mezzo sorriso su di lei.
Era a poco meno di 15 centimetri dai suoi occhi.
Esmeralda lo fissava impaurita e allo stesso tempo affascinata da quell’uomo come non gli era mai successo prima.
E qualcosa dentro di lei iniziò a palpitare.
Se avesse avuto la pelle diafana, il pirata si sarebbe accorto subito del suo rossore.
Ma complice anche l’oscurità di quella stanza, quella sera, poteva dirsi salva,
‘Bada che non mi aspetto attacchi a sorpresa. Ti sto liberando per permetterti di sfamarti senza aiuto da alcun marinaio’ disse, ed Esmeralda si senti invadere dal suo profumo.
Un profumo dolce e aspro che sapeva di mare e salsedine.
Un retrogusto che non aveva mai sentito su nessun altro.
Cosa aveva quell’uomo, apparentemente cattivo, che la faceva sentire così vulnerabile e indifesa?
Era una sorta di mago, c’era qualche magia affinchè si sentisse così?
Se si fosse lasciata andare agli istinti probabilmente ora si sarebbe trovata con le labbra sulle sue.
Chiuse gli occhi per cacciare via quel pensiero e chinò la testa, doveva smetterla, e doveva smettere di fissarlo.
I suoi occhi abbassavano le sue difese.
Killian non accettò quel gesto e le tirò su il mento con un dito, dolcemente.
Esmeralda rabbrividii a quel contatto ancora più improvviso e si ritrovò, nuovamente nei suoi occhi.
In trappola.
‘Non farai nulla contro di me se ti scioglierò?’, domandò di nuovo con quel sorriso.
Esmeralda scosse la testa.
Jones chiuse gli occhi scuotendola a sua volta.
‘Mi hai detto il tuo nome una volta, puoi rispondermi di nuovo’, sentenziò.
‘No’, disse Esmeralda flebile.
Il pirata annui accentuando il suo sorriso con gusto.
Le fece segno di voltarsi, in modo da rendere meglio la liberazione, e con un rapido gesto, le tolse le corde che le tenevano i polsi.
Ella se li tirò avanti soffocando un ‘ahi’ e se li massaggiò dolorante.
 
Killian l’udi per caso e le vide, sul volto, una smorfia di sofferenza.
Gli tornò davanti.
‘Fai vedere’, chiese prolungando le sue mani per accogliere le sue.
Esmeralda non capii.
‘Le tue mani, fammele vedere’.
Ed ella ubbidì senza dibattere oltre.
Killian prese le sue mani nelle sue ed ebbe un sussulto, ma lo celò.
Che gli prendeva?
Tracciò con le sue dita, i solchi che la corda aveva lasciato come impronte sulla sua fragile carne scura, in un tratto c’era una lunga ferita, che ricominciò a sanguinare, forse dovuto allo disfacimento della corda.
Esmeralda cercò di trattenere le lacrime di fronte a quel dolore.
Non è nulla. Si convinceva. Non è nulla. Devi essere forte, è solo un graffio. Passerà.
Si fece forza.
Killian però la vedeva, e conosceva bene quelle smorfie che intravedeva sul suo viso, e ancora una volta si pentii.
‘Vieni qui’, la invitò trascinandola per i fianchi sulla panca sotto il tavolo.
Esmeralda non aveva altra scelta che sedergli accanto.
Erano proprio vicinissimi.
Il pirata accese un lume lì sul tavolo per esaminare meglio i danni. Lì dentro era davvero buio.
Allora si tolse una bottiglietta dalla tasca dei pantaloni e ne cacciò il tappo con i denti, tenendo nella mano destra la sua.
Esmeralda lo guardava e ne rimaneva sempre più estasiata.
Quell’uomo non era umano e pur essendo un pirata, non ne aveva il carattere, il volto, e ne tantomeno le sembianze.
Non nei suoi confronti.
Poi qualcosa prese fuoco. Lì nella sua mano, che per un attimo aveva dimenticato, strabuzzò gli occhi e cacciò un urlo esasperato.
Killian cercò di calmarla.
‘Non ho di meglio del rum per curare le ferite’, disse davvero dispiaciuto, tirandola nuovamente verso di sé.
 
Un paio di colpi si udirono al di sopra delle loro teste e poi una serie di passi venire giù per le scale.
La porta della stanza si spalancò sbattendo.
‘CAPITANO?’ urlò un marinaio, seguito da altri, armato di spada, ispezionando la camera.
Killian si alzò, alzando gli occhi al cielo, e lasciando la sua mano. ‘Quante volte ti ho detto di non irrompere con tanta veemenza?’.
‘Ma capitano, abbiamo sentito un urlo. Io… noi pensavamo che…’, cercò di trovare le parole quello.
‘Credi che sia successo qualcosa qui? Perché io sono ancora tutto intero!’, sentenziò lui. ‘Va a vedere nelle altre stanze’.
‘Si subito!’, e si congedò.
 
Lei ridacchiò silenziosa a quella scena.
Lui si girò verso di lei.
‘E ora mangia!’, disse indicandole il piatto sul tavolo.
Esmeralda si ritrasse e fece cenno di no.
‘Ah, ma guarda che non è un consiglio, è un ordine!’, la ammoni lui, sedendosi di nuovo accanto a lei.
Erano così vicini, così attaccati che Esmeralda si sentìì quasi come invasa da una febbre improvvisa.
Cosa le stava facendo quel pirata?
Così bello, così dolce, e così dannatamente dannato.
La tirò a sé, e lei prese fuoco.
Ma stavolta non era il rum versato su una ferita, no. Era un fuoco nuovo. Non bruciava attanagliandole la mano, no, questo le attanagliava il petto in una morsa.
 
‘Continui a sanguinare’, pontificò il capitano accigliandosi che le era accanto, con lo sguardo sul suo polso.
Cosa? Eppure non aveva sentito il sangue scorrerle sulla pelle.
Era come intorpidita.
Lui, allora prese un pezzo di stoffa che aveva al collo e se lo cacciò. Riprese la mano di lei tra la sua e glielo avvolse, rendendoglielo meno stretto delle corde.
‘Così va bene?’, domandò misurando le espressioni sul viso di lei.
Lei annui, ancora intorpidita, ma sorridente ancora incantata da quei gesti, da quelle attenzioni che nemmeno il padre le aveva mai riservato, sin da quando aveva memoria.
Era qualcosa di assurdo ciò che provava.
Le sembrava quasi di essere stata liberata invece che resa prigioniera.
‘Come ti ho detto sono un gentiluomo’, fece, forse per giustificare i suoi gesti così inconsueti perfino per lui.
Aveva sempre sentito storie di pirati, Esmeralda, ma nessuna rispecchiava il pirata che aveva di fronte che le teneva la mano e si prendeva cura di lei.
Killian si accorse dello stato, quasi catatonico della fanciulla, e sorrise al suo sorriso.
‘Dev’essere il rum!’, enunciò giustificando il modo in cui la vedeva.
Lei non smetteva di sorridergli, e pensò che forse era davvero il rum che le era entrato sottopelle, nelle vene, e che ora circolava con il suo sangue a darle quei pensieri surreali.
Si, era colpa del rum.
Doveva essere ubriaca.
 
Peccato non accorgersi che si, era ubriaca, ma non per via del rum.
 
Killian, data la situazione quella sera decise di imboccarla, come si imboccano le neonate e i bambini.
E si accorgeva sempre di più che c’era qualcosa in quella ragazza a fargli fare quei gesti.
Provava qualcosa, qualcosa di nuovo, una sorta di attrazione per quella fanciulla che non aveva nulla di impuro, com’era abituato ormai.
Era qualcosa di nuovo.
Più difficile, più caldo, qualcosa che non sentiva da tanto, o meglio che non aveva mai sentito davvero.
Quella ragazza era qualcosa di raro, qualcosa di prezioso e stupendo ai suoi occhi.
Anche meglio di mille tesori ai suoi occhi.
Qualcosa da proteggere oltre la promessa per il riscatto che aveva fatto e che doveva riscuotere.
Arrivò ad essere avido per un momento, e sperò davvero che suo padre non pagasse mai quel riscatto. Sperò che non si presentasse affatto.
 
Killian faceva visita ogni giorno a quella ragazza che non era mai stata una vera e propria prigioniera.
Sentiva nei suoi confronti qualcosa di diverso.
Non era come quando aveva preso in ostaggio altre donne, altre mogli e altre figlie, con lei era diverso.
Sentiva un legame strano, come dei fili invisibili, uniti e non sapeva ben spiegare come potesse accadere.
Non era il legame che lo legava alle solite donnacce, con cui qualche volta si lasciava andare, era tutto diverso e non sapeva ben capirne il motivo.
Esmeralda dal canto suo, era fredda, distaccata e pur vedendo in lei un barlume di sentimento, questo non andava avanti.
Era fermo al primo giorno in cui l’aveva presa, si limitava a silenzi e sguardi e sorrisi che a volte gli concedeva. E dio se era bella!
Quando il suo sorriso coincideva con i suoi occhi sembrava che la stanza s’illuminasse, e prendesse colore.
E lui puntualmente sorrideva di rimando, convinto di aver fatto breccia, o molto più semplicemente di averla fatta sorridere.
L’aveva slegata, le aveva permesso di girovagare libera nella stanza.
Con altri non lo avrebbe mai fatto e lo sapeva da sé.
Era arrivato a confidarsi con lei, anche se non aveva alcuna risposta, anche se non gli avrebbe detto nulla.
Voleva farle capire chi era stato e da dove proveniva cosi da avere un cenno, una parola, cosi da farle capire che era davvero un nobiluomo, ma nulla.
Tutto taceva, e lui si pentiva sempre più.
 
Arrivò il terzo giorno.
Il giorno finale di quel tormento per lei.
Non avrebbe infangato quel pirata, quello no.
Lo vedeva quanto aveva fatto e quando voleva farsi voler bene? Era questa la definizione giusta da dare a quei gesti che durante le sere precedenti le aveva dimostrato?
Perché non sapeva definire ciò che accadeva e vedeva accadere in lui, ogni volta in sua presenza.
Era come se fosse diverso, persino dal primo giorno che l’aveva presa e si era presentato.
Si era confidato con lei!
E lei restava quasi incredula a quegli eventi ogni volta.
Cosa l’aveva portato a farlo?
Perché si confidava con lei? Perché da solo, per una vita in mare non doveva essere stato semplice. Pensò.
O forse perché sentiva ciò che sentiva lei ogni volta che per sbaglio la sfiorava o sorrideva di fronte a lei? No, impossibile.
Un pirata innamorato, Esmeralda? Davvero? Ci crederesti?
No, non era affatto possibile.
E comunque qualsiasi cosa fosse, sarebbe finita da lì a poco, o almeno così sperava.
Conosceva ancora bene il padre, eppure a muoverla in quell’idea era la speranza, quella prova che gli era stata data a suo padre da parte di uno sconosciuto, che probabilmente avrebbe dovuto anche ringraziare.
Si coprì meglio con quello scialle, quella sera faceva davvero freddo.
Il polso le faceva ancora male, e sussurrò un ‘ahi’ seguito da un lamento quando andò per mettersi la stola, ma la benda di Killian era ancora lì a ricordargli che infondo lì non era stata poi così male.
 
La porta si aprì.
Era il capitano seguito da alcuni marinai.
Allora era vero, suo padre era venuto a prenderla. Aveva superato la prova. Aveva pagato per lei, rinunciato per il suo bene all’avarizia almeno per una volta nella sua vita, pensò.
Killian era dispiaciuto, andò verso di lei in un gesto che voleva essere un abbraccio ma non rischiò.
Disse agli altri di andarsene, e con un cenno loro chiusero la porta, ed Esmeralda non capii.
Perché mandarli via se dovevano riportarla su, sul ponte, da suo padre che era lì.
Forse voleva dirle qualcosa, Killian, lui da solo.
Forse voleva semplicemente salutarla prima di restituirla al padre, perché per quanto potessero essere tre giorni, e per quanto lei fosse una prigioniera per lui, si era aperto a lei.
Le voleva bene, pensò, e quasi nacque uno di quei sorrisi luminosi.
‘Esm…’ gli usci. Quel diminutivo quasi come se fosse sua, se la conoscesse da una vita intera. Quel diminutivo che gli era in testa, uscii senza realmente desiderarlo.
Lei ne restò sorpresa e per l’ultima volta lo guardò negli occhi. Quegli occhi che più volte l’avevano intrappolata.
Esm che strano, nessuno l’aveva mai chiamata così, era carino. Sapevo di affetto, di casa, di amicizia.
Gli sorrise, ma lui aveva ancora quello sguardo dolente impresso negli occhi.
Voleva dirgli di non stare male, che non l’avrebbe mai davvero dimenticato, e che aveva capito che era un gentiluomo anche senza bisogno di prove e tante storie sulla sua vita passata, ma era stato un piacere ascoltarle.
Killian abbassò lo sguardo e tiro fuori un foglio. Glielo porse.
Lei lo prese e ancora incapace di capire lo lesse, dentro di sé.
 
Man mano che Esmeralda andava avanti nel leggerla, si svuotava.
Poteva vederla benissimo sgretolarsi davanti ai suoi occhi.
Stava andando in pezzi come un vaso appena rotto, e i cocci le erano tutti intorno.
I suoi occhi iniziarono ad appannarsi e a riempirsi di lacrime pronte a cadere, a precipitarsi nel vuoto.
Alzò lo sguardo e se lo vide davanti come se comprendesse il suo dolore, il suo cuore lacerato, un attimo dopo cadde sulle proprie ginocchia abbandonando quel pezzo di carta e scoppiò a piangere.
Forte, talmente forte che sembrava di sentirle il cuore lacerarsi.
Killian non ce la fece, e per un attimo abbassò le sue difese, la sua aria da pirata duro e impassibile e s’inginocchiò di fianco a lei accogliendola tra le sue braccia, e stringendola forte.
Il padre l’aveva abbandonata, e in quella lettera c’era la sua confessione.
La confessione di un padre che aveva preferito dei soldi alla figlia.
Nella lettera scriveva che per quanto lo riguardava la figlia era stata trovata morta, e questo era quello che aveva raccontato alla moglie e agli altri figli, che per quanto lo riguardava, sua figlia poteva anche tenersela, a lui non importava.
A lui non importava. A lui non importava. A lui non importava.
Una frase che s’impresse come fuoco nella mente di Esmeralda.
 
‘Non mi ha mai voluta…’ biascicò, ancora tra le braccia di Killian, ancora lì a terra mentre il buio dominava la stanza.
Si era aggrappata forte a lui, come ad un ancora, come un appiglio.
Killian, per la prima volta la sentii parlare e non sapeva cosa rispondere.
Avrebbe dovuto scherzare, riprenderla, dirle qualcosa ma non usci nulla.
La strinse leggermente più forte.
‘A quest’ora mia madre sarà a pezzi. Sarà a pezzi da tre giorni insieme ai miei fratelli’, la sua voce debole e roca a causa del pianto era quasi un sussurro. ‘Avrei dovuto saperlo. Anzi lo sapevo che non avrebbe mai fatto nulla per me di ciò che chiedevi, ma ho sperato. Ho sperato fino all’ultimo che l’amore vincesse sulla sua avarizia, che per una buona volta mettesse me davanti a tutto e tutti. Pensavo che l’avrebbe fatto,  è questo quello che mi ha fregato. La speranza, quella maledetta speranza a cui sono rimasta aggrappata in questi giorni. Non mi ha mai voluta. Probabilmente non ero che un peso per lui, una bocca in più da sfamare con quel poco che ci dava’. Dichiarò e Killian si senti morire dentro.
Se non l’avesse mai presa.
Se non l’avesse mai presa prigioniera per una stupida vendetta che ora contro chi si riponeva? Se non su di lei. Solo lei stava pagando per quella vendetta indirizzata al padre.
Poteva davvero aver creduto di vendicarsi contro quell’uomo?
Aveva condannato la figlia alle sofferenza a causa sua, e ora per orgoglio non poteva di certo mandarla indietro comunque.
Si sarebbe dimostrato debole, e non esiste un pirata debole in tutto i reami.
Arrivò di nuovo a pentirsi di quel desiderio, di quell’insulso pensiero egoista di tenerla con sé.
 
 
La notte fu il vaneggiamento più assurdo.
Esmeralda pianse per ore, svuotandosi del tutto tra le sue braccia.
Gli stava dando un pezzo di sé, come lui le avevo dato un pezzo di sé nei giorni precedenti.
Lo considerò uno scambio equo e indissolubile, tutto ciò che ella si era tenuta dentro fino a quel momento gli venne raccontato in un momento, ma a che prezzo?
Non l’aveva solo tra le braccia in quel momento, aveva anche una parte di lei con sè.
Gliel’aveva affidata, e lui, e per la prima volta, decise di custodirlo solo per sé.
In quei momenti la osservò.
I suoi lunghi capelli neri erano sotto il suo mento, sul suo petto e avevano lo strano e buon’odore di una rosa appena colta.
Non la vedeva in viso, sarebbe stato ancora più difficile guardarla.
Non l’avrebbe sopportato e si sarebbe ancor di più maledetto.
 
 
Si addormentò dopo varie ore, e quasi lui non sentii più il braccio a cui si era aggrappata per tutto quel tempo, ma non importava.
Cercò come meglio poteva, di alzarsi da terra senza destarla, e metterla a letto.
La prese in braccio, cercando di riattivare la circolazione del braccio addormentato e la posò delicatamente sulla sua branda, attento a non farle sbattere la testa al letto superiore.
La adagiò piano e cercò una coperta da metterle addosso, la prese e gliela poggiò addosso nel modo migliore.
Con un rapido gesto, in preda al sonno, lei si girò e una ciocca di capelli le finì sul viso.
Killian, dolcemente cercò di spostarglielo da davanti agli occhi, e la pallida luce della luna illuminò i contorni del suo viso.
Era stupenda, bellissima come nessuna mai era stata ai suoi occhi, di una bellezza pura e delicata che mai aveva incontrato.
Azzardò la somiglianza a una dea.
Le carezzò il viso in un gesto quasi implicito, senza accorgersene nemmeno.
Qualcosa dentro di lui, in sua presenza cambiava.
Qualcosa che lo prendeva dallo stomaco a salire.
La osservò quasi come incantato per un tempo quasi infinito.
Non aveva pensieri impuri su di lei, come su quasi tutte le donne che vedeva e di cui si circondava, e dire che anche nel corpo non scherzava.
Aveva le forme giuste, al posto giusto, una di quella per la quale lui stravedeva a letto.
Era qualcos’altro, qualcosa che gli riscaldava il cuore e gli bucava l’animo.
Ogni volta, in sua presenza si ridestava e nasceva un nuovo Killian che non conosceva.
Non aveva mai fatto tutto questo, mai nella sua vita aveva avuto delle attenzioni del genere e dei sentimenti del genere verso una donna.
Cosa stava accadendo? Poteva una donna, una piccola donna qualunque farlo sentire in quel modo?
Una piccola donna conosciuta in malo modo per un riscatto?
Poteva quella Esmeralda fare breccia nel cuore di un capitano sfacciato che stava iniziando a conoscere l’amore?

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Capitolo 4
*** IV CAPITOLO ***


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Quando risalii sul ponte pareva distrutto lui stesso.
Ciò che era successo la notte precedente era stato qualcosa di assurdo in tutti i sensi, ma finse e indossò la sua maschera spavalda di fronte agli altri marinai, che attendevano il verdetto sulla ragazza quasi fosse una questione di vita o di morte per loro.
Erano tutti lì quando salì, tutti in attesa.
‘Il padre non ha pagato il riscatto.’, dichiarò Killian ad occhi bassi, cercando di nascondere il suo sconforto. ‘La ragazza, quindi, resterà con noi’, annunciò.
Un grido di entusiasmo si levò da poppa a prua, che non aspettavano altro che questa notizia.
Una bambola nuova con cui giocare, come se fosse un oggetto, una semplice cosa da accomunare con le altre, una cosa qualunque.
Killian s’irritò e strinse i pugni cercando di calmarsi.
‘Un'altra pupa con cui spassarcela.’ Esalò uno già eccitato all’idea.
‘Ci sono prima io, eh!’, fece un altro sorridendo malizioso e dando gomitate allusive a quello accanto.
E altri commenti vergognosi si levarono mescolandosi l’uno con l’altro fino a diventare un vocio indistinto e ingarbugliato.
Killian aveva una rabbia assurda, una rabbia mai sentita.
‘Quando la metteremo con le altre?’ domandò avvicinandosi sorridente Knife, in cui ardeva il desiderio. Poteva vederlo chiaramente attraverso quel sorriso sottinteso che gli si presentò dinanzi, dietro quegli occhi, in quella mente che già s’immaginava le peggio cose.
Lui e gli altri, che non sapevano, neanche immaginavano il valore estremo che avesse quella fanciulla nelle stive.
Nemmeno lo capivano.
Loro che non erano degni nemmeno di osservarla da lontano.
Killian provò disgusto verso quelle persone e verso i loro pensieri chiari e cristallini di fronte ai suoi occhi.
Le altre? Come se si potesse buttare nella mischia, come se solo fosse paragonabile a quelle sgualdrine ammassate in quella stanza.
Lei non era una di loro, e non lo sarebbe diventata di certo ora, per mano sua.
Esmeralda non era proprietà di nessuno lì dentro.
‘BASTA!’. Urlò il capitano richiamando le loro attenzioni ormai volate in luridi letti, o in sporchi angoli con lei.
Tutti si ridestarono e si ammutolirono.
‘Della ragazza non se ne farà nulla’, chiarii lui adirato.
Un grido di disapprovazione si aizzò contro di lui, seguito da volgarità e domande.
‘Ehi! Ehi! Lasciate che vi rammenti che sono io il capitano qui! Decido io come funziona sulla mia nave. Io do le direttive e voi le eseguite, tutto chiaro?’, Knife sbuffò maledicendolo sottovoce. Jones lo tirò a sé per il colletto della camicia, e lo guardò fisso negli occhi in cagnesco. ‘Tutto chiaro?’ scandì.
Quello annui impaurito.
Killian lo mise giù, e tutti gli altri si misero sull’attenti.
‘Non dovete toccare la ragazza!’, ribadii meglio il concetto, e li guardo fissi fino a che non li vide annuire.
Il solo pensiero di farle ancora del male lo faceva rabbrividire, il solo pensiero di saperla con un altro lo faceva trasalire, era questa la verità che non riusciva a dichiararsi.
In altri modi e in altri termini, le persone comuni avrebbero definito quel sentimento gelosia.
‘Ma ora, ammainate le vele, ciurma! Una nuova destinazione ci attende’, ordinò dirigendosi al timone pronto a levare le ancore verso nuove mete.
 
Trascorsero i giorni e Killian era sempre lì, affacciato a quella porta ad osservarla, il più delle volte.
Faticava ancora ad adattarsi a quella vita.
Essere stabile per il mare non faceva per lei, lui ormai era abituato, si poteva ben dire che era una vita che era in mare, e che la stessa acqua gli scorresse nelle vene al posto del sangue, ma lei no.
Lei era abituata alla terra, non all’instabilità continua del mare che la faceva oscillare e più volte cadere a terra per movimenti improvvisi.
Killian non faceva altro che preoccuparsi e più volte aveva cercato di aiutarla a stabilizzarsi a quel nuovo modo di vivere che le era stato imposto.
‘Hai ancora la nausea?’ le chiedeva più volte per verificare come andasse.
Anche se lo potevi notare subito quando ne soffriva maggiormente, perché la vedevi rannicchiata su se stessa a fissare il vuoto, come per calmarsi, come a cercare almeno un punto fermo in quel continuo ondeggiare.
‘Si, e non accenna a diminuire certi giorni.’, Ammetteva quasi viola in viso.
‘Mi dispiace per ciò che stai passando, appena ci fermeremo in un altro posto verrai con me sulla terra ferma se vuoi’, le diceva lui comprensivo.
Lei annuiva ancora in preda a quel fastidioso stimolo.
E lui la osservava senza riuscire a far nulla di concreto.
‘Magari potresti salire sul ponte, l’aria potrebbe rianimarti e farti sentire meglio’, consigliò.
Lei lo guardò per un minuto intero, quasi ad analizzare la sua proposta.
I suoi occhi. Che inganno erano.
Più li fissava più si ci perdeva dentro.
‘… o farmi stare peggio’, concluse ritornando a fissare lo stesso punto di poco prima.
‘Perché non ci provi?’, ritentò cercando di convincerla.
‘Se solo provo ad alzarmi da qui, rischio di non mantenere l’equilibrio e di perdere il mio autocontrollo verso questa nausea’, sbatté le mani sulle ginocchia, esausta.
‘Ti tengo io’, non sapeva se era la miglior proposta ma voleva tirarla in tutti i modi fuori da lì.
‘Sul serio?’, e l’accenno di un sorriso le spuntò sul viso.
Lui apri un sorriso alzando un sopracciglio. Un tratto che ormai lo contraddistingueva.
Si alzò e porse a lei le sue mani per invitarla a seguirlo.
‘Sono un gentiluomo dopotutto. Mantengo sempre la parola mia cara’.
Lei scosse la testa divertita, e azzardò a seguirlo.
Lui la tirò a sé delicatamente e la sostenne per i fianchi.
Esmeralda sussultò e sorrise timidamente a quel gesto.
La aiutò a salire le scale subito dopo la porta e la affiancò appena entrati sul ponte, sorreggendola per i fianchi con una sola mano ora.
‘Andiamo alla barra, ti va?’.
Lei annui, quasi ripiombata nella timidezza. Se non fosse stato per la sua pelle ambrata avrebbe giurato che stesse arrossendo, e gli sembrò strano perché non ne capiva il motivo.
La trascinò fino al timone e la spostò nuovamente sull’altro lato per tenere al meglio le redini della nave.
‘Non è poi tanto male quassù, no?’.
‘Si’ disse nuovamente con voce flebile.
Sembrava essere tornati all’inizio.
Dov’era finita la ragazza che fino a poco prima era nella stiva? La guardò indagatore, cercando in lei il perché di quell’atteggiamento ritrovato.
Lei fissava il mare, quasi serena. C’era qualcosa che la turbava giurò Killian, o che la infastidiva.
Se ne stava attaccata a lui con le mani giunte tra loro.
Il vento le svolazzava i lucidi capelli color della pece dirigendoli da tutte le parti, ma lei non se ne curava, e quasi sembrava goderne.
Il sole che le ricadeva addosso sembrava darle il giusto valore, risplendeva su di lei rendendola ancora più splendida di quanto già non fosse.
Per un attimo Killian rabbrividì incantato, quasi, da quella visione, rendendosi conto di chi aveva a fianco, unita a sé.
Ad un certo punto la nave ebbe un guizzo facendolo balzare e nel gesto di quel movimento improvviso aveva mollato la presa con Esmeralda, che barcollò su se stessa pur cercando di mantenere l’equilibrio.
Era quasi sull’orlo del ponte e rischiava di cadere giù in mare.
Killian avanzò veloce in un gesto e l’afferrò saldamente per le mani tirandola a sé e abbracciandola, in un gesto del tutto istintivo e non programmato.
Esmeralda fece lo stesso, e si aggrappò a lui tenendolo stretto atterrita.
L’aveva tra le braccia e la stringeva a sé.
Il suo corpo che fino ad allora, aveva soltanto sfiorato a malapena ora era dentro un suo abbraccio.
Era calda e fragile, tanto che se avrebbe stretto più forte avrebbe temuto di romperla.
Tossì per scacciare quella sensazione che lo stava invadendo.
‘Colpa mia! Mi sono distratto e ho lasciato il timone’, confessò. ‘Tutto bene?’, chiese alzandole il viso in un gesto che agli altri sembrò così intimo.
Quasi come se tra i due ci fosse qualcosa di più.
Quasi come se quella ragazza per il capitano, fosse qualcosa in più di una semplice prigioniera.
Erano sotto gli occhi di tutti, e i gesti non mentivano.
Qualcuno lì in mezzo cominciò a covare rabbia per ciò che aveva visto e che aveva dedotto.
‘Si tutto bene’, ansimò lei ancora un po’ impaurita. ‘Ritorniamo giù ora?’.
Quegli smeraldi, sotto la luce del sole parevano ancora più veri e profondi, il suo viso non gli era mai stato così vicino, e quelle labbra rosee e carnose non le aveva mai viste da quella prospettiva.
Per la prima vera volta quella voglia che aveva di baciarla stava per materializzarsi per davvero in maniera istintiva, ma si trattenne.
Per l’ennesima volta.
‘Ti porto subito giù’, si limitò a rispondere, e l’accompagnò in quella che ormai era la sua stanza.
 
Era ritornata quella di prima.
E lui? Lui non faceva altro che pensare a lei, ora anche più di prima.
Quel contatto. Quei contatti che avevano avuto lo aveva nuovamente cambiato.
Quella sua pelle morbida e fragile che aveva sfiorato gli mancava, gli mancava la sensazione che gli aveva regalato sotto le dita.
Quella paura di perderla si era fatta più presente e viva dopo quel giorno.
E quegli occhi, quegli occhi gli si erano intaccati dentro insieme a quei sorrisi e a quell’abbraccio.
Stava cambiando per lei, la sua umanità nei suoi confronti si intensificava e non solo, stava cambiando con lei.
Se ne stava lì a girovagare, e ad osservare il cielo che la sovrastava quasi sempre sognante e persa nei suoi pensieri.
Perché lei, si aveva il vizio di perdersi lì dentro, mentre lui si perdeva in lei. Ogni volta, ad ogni sguardo, ad ogni timido sorriso e ad ogni minima confessione o parola che gli riservava.
Aveva imparato ancora di più a conoscerla, anche se gli sembrava di sapere già tutto su di lei.
Le volte in cui le portava via un sorriso, o una risata durante le loro conversazioni gli si apriva il cuore e sorrideva di rimando.
Anche il resto della ciurma l’aveva notato, ma nessuno si azzardò a comunicarglielo.
L’aveva circondata di ogni cosa, perché davvero voleva non sentisse la minima tristezza, o la minima angoscia.
Le aveva permesso di andare in giro per il ponte e per qualsiasi altro angolo della Jolly Roger se lo voleva, ma dopo quel giorno, erano poche le volte in cui vi saliva.
E lei continuava a chiederglielo: ‘Perché lo fai?’
‘Perché voglio che tu stia bene qui’, gli rispondeva lui ma sapeva benissimo che c’era dell’altro.
C’era qualcosa che era difficile da dichiarare, qualcosa difficile da tirar fuori, persino per un pirata.
 
‘Quanta gente è stata qui Killian?’, gli chiese una volta, di spalle mentre stava entrando.
Lui si senti spiazzato.
‘Un po’’, osò, posando il piatto sul loro tavolo quello su cui pranzavano e cenavano, quando non andava sulla terra ferma in qualche taverna.
Esmeralda si girò, rivolgendogli i suoi occhi smeraldo per far si che vuotasse il sacco.
‘Ti sta proprio bene questo abito, te l’ho detto?’, cercò di sviarla, e si voltò alzando un sopracciglio e sorridendole.
Esmeralda restò si pietrificò di botto a quel suo gesto, a quel complimento inatteso, pareva quasi che stesse arrossendo.
Ma non si lasciò sviare, era ancora lì con le braccia incrociate, ad osservare la stanza in cui da settimane viveva.
‘Quanta donne, madri e figlie hai tenuto qui dentro come prigioniere Killian?’, domandò seria, ora fissandolo.
Killian si alzò piano, guardando il pavimento quasi in colpa.
‘Tante’, ammise.
Esmeralda annui, e si voltò nuovamente.
‘Ma ehi…’, fece Killian avanzando verso di lei.
‘C’è mai stato qualcuno che è tornata a prenderle?’, la interruppe lei, secca.
Si bloccò. Perché quelle domande?
‘Si, alcuni di loro sono tornati a riprendersele’. Era dietro di lei.
‘Mmh..’ rispose Esmeralda in un gemito, ancora girata.
Poi si voltò di scatto e gli si parò davanti.
‘E le altre?’, domandò con gli occhi fissi su di lui a misurare ogni minimo movimento ed espressione. ‘E di quelle che restavano, cosa ne facevate?’
Si sentii in trappola.
Non poteva mentirle. Non ne aveva la capacità con lei accanto.
‘Decidevo insieme al resto della ciurma cosa farne. Alcune morivano per mano mia, e i loro cadaveri venivano rispediti alle loro famiglie, altre morivano per cause naturali dopo poco’, confessò quasi vergognandosi. ‘Altre ancora venivano ammassate nell’altra cabina per divertimento dei marinai’.
La vide turbarsi, cercò di avvicinarsi per prenderla ma si scansò.
Restò al suo posto e cercò di giustificarsi.
Non si era mai sentito in colpa per nessuna azione commessa, ma lei, lei era capace di farlo pentire di tutto.
Di tutti i suoi peccati peggiori.
Lei, era capace di redimerlo e con lei non riusciva a non essere sincero, perché ad un tratto lei era piombata nella sua vita di pirata maledetto e l’aveva cambiato.
L’avevo fatto sentire bene, nonostante tutto e tutti ciò che riusciva ad essere con lei, non era riuscito e non riusciva ad essere con nessun altro.
Per lei avrebbe fatto qualsiasi cosa.
Per lei sarebbe diventato qualsiasi cosa.
‘E io?’ domandò con quella secchezza che ultimamente la contraddistingueva.
Anche lei era cambiata nei suoi confronti.
‘E tu cosa?’, chiesi fingendo di non capire sfoggiando un ghigno forzato.
‘Quale destino mi toccherà?’.
Ebbi un tonfo al cuore, e probabilmente lo notò anche lei.
Abbassò lo sguardo.
‘Cioè Killian, sono qui, da settimane e mi sembra di essere in un agonia perenne. Stai ancora decidendo per il mio destino? Qualsiasi cosa deciderai mi starà bene. Anche se deciderai di uccidermi…’ azzardò e quasi le si spezzò le voce.
Si ricompose un attimo, e sospirò.
‘Meglio morire per mano tua, che attraverso quella di altri’.
Presi le sue mani nelle mie, quasi di fretta, troppo velocemente.
Ebbe un sussulto. Le accarezzai per calmarla e la fissai negli occhi per sorreggerla e non vederla cadere per l’ennesima volta.
Le sue mani erano freddissime.
Le strinsi nelle mie.
‘Nessuna di queste opzioni sarà il tuo destino. Come puoi anche solo pensare che io possa ucciderti?’, chiesi incredulo a ciò che avevo sentito.
‘Perché la legge è uguale per tutti e io non sono diversa. Cosa ho io di diverso rispetto a tutte le altre donne che sono state tue prigioniere, qui in questa stanza?’, come se non lo sapesse.
Possibile che non lo percepisse.
C’è di diverso che qualcosa in te mi tiene ancorato a terra, e mi fa stare bene. C’è che tengo a te più della mia stessa vita, e che se mi chiedessi di cambiare e di restarti accanto lo farei per il resto della vita.
Ma quelle parole non uscirono, e andai in cerca di altre.
‘Tu non sei come le altre’, mi limitai a dire.
‘Sarebbe giusto però’, sentenziò. ‘Io perché non dovrei pagare?’.
‘Perché non eri tu a dover pagare per gli atti di tuo padre. Tu non c’entri nulla in tutto questo. Qui non ci saresti dovuta nemmeno stare’. Cercai di mantenere la calma. Le stavo urlando contro, ed era l’ultima cosa che volevo fare. ‘Forse avrei dovuto lasciarti andare. Avrei dovuto farti tornare a casa’. Borbottai.
Lei mi guardò incredula quasi a quelle parole, e un espressione incredula le balenò sul viso.
‘Mi avresti rimandata indietro?’, chiese seria, quasi non credesse a ciò che le avevo appena detto.
‘Si, perché so che questo non è il tuo posto. Non fai parte del mare, non sei fatta per stare su una ciurma piena di ubriaconi e uomini rozzi. Sei fatta per altro, quasi come se non appartenessi a questo mondo’. Tirai fuori tutto d’un fiato.
Alzò gli occhi al cielo quasi sbuffando.
‘Credi davvero che sarei tornata a casa di una persona per la quale ero solo un enorme peso? Che ha preferito i beni materiali a una figlia? Credi davvero questo Killian?’, cercò di calmarsi. Lo vedevo che stava cercando con tutte le forze di farlo. Respirò a fondo. ‘Tu ci saresti tornato? Come credi che mi sarei sentita una volta tornata a casa. Come credi che avrei vissuto ogni giorno con quel pensiero in testa? L’avrei odiato. Non sarebbe stato meglio per me, perché l’avrei odiato fino a quanto avrei avuto vita. Sempre e solo odiato e avrei cercato di fuggire ugualmente da lui’. Ammise sfinita, sospirando. ‘Da chi sarei potuta andare poi? Non ho nessuno. Non ho davvero nessuno che tenga a me Killian, nessuno’.
Hai me.
‘Nessuno mi ama Killian, nessuno mi cerca, nessuno ha rischiato la sua vita per me, nessuno mi vuole’. Era sull’orlo, pronta a ripiombare nel vortice.
‘Non è vero!’, mi uscii. Trascinai le parole della mia mente giù per le corde vocali, senza rendermene conto.
Ecco cosa mi succedeva con lei.
Lei mi guardò interrogativa.
‘Chi potrebbe mai esserci Killian?’, domandò allusiva.
‘Non puoi mai sapere cosa accadrà Esm! Non devi perdere la speranza. E ti prometto che se tu troverai qualcuno fuori da questa nave, capace di amarti come tu vorrai e desideri, ti lascerò andare e non ti verrò più a cercare’. Mi pentii subito di quella promessa.
Lei sbarrò gli occhi in un espressione che accennava lo spavento.
‘Killian non c’è nessuno per me lì fuori. Credi ancora che abbia delle speranze? Tutte le mie speranze, tutti i miei sogni sono crollati insieme a quella lettera, insieme a me quel giorno’.
‘E se ci fosse?’ chiesi. ‘Qualcuno in grado di amarti davvero e di farti sentire amata? Qualcuno che farebbe tutto per te, che rischierebbe la vita per te? Se quei sogni quelle speranze fossero da qualche parte in qualche reame?’, osai.
‘E dov’è questa persona Killian?’, rispose sorridendo in modo stanco. ‘Vuoi mandarmi via Killian?’, scherzò tra le lacrime, e mi punse il cuore.
‘No, voglio solo darti la tua felicità’.
Ci pensò un attimo.
‘E se la mia felicità non fosse lontano, se la mia felicità l’avessi già conosciuta?’, rischiò.
‘Chi è?’, domandai quasi irritato, da questa persona, da questo essere che pensavo non ci fosse per davvero.
‘Oh, non importa’.
‘No, importa. Dimmi il suo nome lo porterò qui e ti darò la serenità e la felicità che tanto desideri’.
La vidi arrossire, e le sue mani erano ormai diventate calde, anzi bollenti, ma non le lasciai.
Ponderò per un attimo lanciandomi rapidi sguardi.
Il suo sguardo s’illuminò insieme al suo viso e io pendevo dalle sue labbra in cerca di quel nome.
‘Lascia stare, è solo una mia idea malsana credere che qualcuno che ho conosciuto tenga a me’, sorrise benevole e mi lasciò le mani, dirigendosi al tavolo.
La guardai sedersi e mi sembrava strana ancora più strana.
Poi si voltò e mi guardò.
‘Che fai? Non vieni a mangiare oggi?’, ed apri il suo sorriso.
‘Si, arrivo’, dissi dirigendomi alla panca.
Lasciai cadere il discorso, forse era anche meglio così.

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Capitolo 5
*** V CAPITOLO ***


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V CAPITOLO
 
 
Erano passati mesi da quando Esmeralda era entrata a far parte di quella nave.
Non le era stato fatto niente.
Non era stata gettata insieme alle altre, non era stata uccisa da Killian, ne da nessun altro e continuava a domandarsi il perché.
Per una volta, si azzardò a pensare che Killian tenesse davvero a lei, e non solo per quello che non le era successo, ma per i modi e l’affetto che vedeva nei suoi occhi ogni giorno di più.
L’aveva circondata di ogni cosa, ed Esmeralda iniziò ad amare quelle attenzioni che per lei erano così poco familiari.
Non ne aveva mai sentite in casa, se non dalla madre, dal padre invece nemmeno uno spicchio d’amore, e ora invece si sentiva invasa da quel nuovo tipo d’amore, di affetto.
E tutto quello che aveva ora, che stava ricevendo da parte di quell’uomo, in un certo senso, ai suoi occhi era totalmente nuovo e non sapeva bene come reagire.
L’ultima cosa che le era stata regalata da quel capitano così insolito erano quel paio di orecchini a cerchio d’oro che ormai indossava perennemente.
E Killian sembrava apprezzare il suo apprezzamento, con un gran sorriso che le faceva quasi male al cuore, ed esordendo con cose del tipo: ‘Sei bellissima, tesoro, cara, amore’.
Nomignoli che non riservava solo a lei, però, ma praticamente a tutte le donne che si trovava davanti.
Ma a lei sembrava sentirselo dire in modo diverso, e le bastava questo per iperventilare a volte.
Magari era davvero pazza, iniziò a credere.
 
Quando quella volta le aveva chiesto se ci fosse qualcuno nella sua vita, da cui portarla, qualcuno in grado di renderla felice, avrebbe voluto rispondergli urlando: ‘Tu’, ma se ne stette zitta con la solita paura di rischiare un rifiuto.
Esmeralda non aveva mai corso il rischio in nessuna cosa, mai, e aveva costantemente paura delle sue conseguenze.
Sei un tipo di malattia Killian, ti sei intaccato nelle mie ossa, nella mia testa, ma soprattutto nel mio cuore, da cui non riesco a farti uscire.
Come gliel’avrebbe detto?
O quella volta, sul ponte quando stava per cadere oltre il parapetto della nave per uno scossone, aveva visto il terrore nei suoi occhi, poteva giurarci.
L’aveva tirata a sé, in un gesto così repentino e virile che si ci aggrappò come un ancora alla terra. Strinse quella giacca di pelle nelle sue mani e chiuse gli occhi concentrandosi su quel momento.
Le sue mani stringevano forte la sua schiena.
Ed erano del tutto uniti in un abbraccio.
Il suo petto andava su e giù cosi come il cuore, che riusciva ad udire attraverso la gabbia toracica a cui era appoggiata.
Pareva stesse galoppando veloce.
E anche il suo non era da meno, ma lui non poteva udirlo e anche se l’avesse fatto avrebbe creduto fosse per lo spavento.
 
‘Ehi ragazza!’, disse qualcuno, accedendo nella stanza e interrompendo i suoi pensieri e facendola voltare.
Ella si spaurì.
Non era Killian, ma un uomo che aveva visto molte altre volte sul ponte o sulla porta intento ad accompagnare il capitano.
Era basso, sporco e con i pochi capelli rimasti tutti arruffati sul capo.
Poteva avere sulla trentina, eppure il suo volto, sembrava dimostrarne di più.
Sorrise, cercando di non spaventarla.
Non rispose.
Come sempre aveva fatto nei confronti degli altri marinai.
C’era qualcosa in quel marinaio, in quell’uomo che non la convinceva abbastanza e quasi come istinto di conservazione indietreggiò.
‘Killian stasera è uscito. Ha deciso di farsi un giro per le taverne, è da un po’ che non lo fa, l’ho incoraggiato’, sorrise beffardo avvicinandosi. ‘Perciò, non ti dispiacerà se sono io a portarti la cena stasera’.
Prese il piatto e glielo poggiò sul tavolo.
‘Vuoi che t’imbocchi anche io come faceva quando eri legata?’, e rise di gusto mostrando i suoi denti ingialliti e luridi, con le mani in vita.
Fece cenno di no, scuotendo la testa.
‘Sai’, disse avanzando a grandi passi nei suoi confronti. ‘Il capitano è da un po’ che non si diverte come si deve. Ti conviene mangiare perché non tornerà presto’.
Esmeralda evitò di guardarlo e guardò fuori dall’oblò per calmarsi.
Sentiva l’agitazione pervaderla e doveva tranquillizzarsi.
Sentiva gli occhi di quell’uomo addosso.
Sospirò pesantemente, stava alterando tutto. Doveva rasserenarsi.
‘Grazie’, si limitò a biascicare, a mani giunte, mentre cercava di dirigersi verso il tavolo, superandolo.
Quello gli si parò davanti.
‘Comunque mi presento. Il mio nome è Knifenose, ma puoi chiamarmi Knife se ti va’.
Esmeralda sorrise timida davanti al suo nome.
‘Piacere di conoscerti Knife’, un sorriso fidato e delicato le spuntò sul viso. ‘Io mi chiamo Esmeralda’, continuò presentandosi anch’ella.
Quello le prese la mano e la strinse senza che Esmeralda gliel’avesse tesa.
‘Davvero un bel nome. Siete bella anche più di uno smeraldo’.
Esmeralda abbassò il capo in segno di gratitudine a quel complimento.
Fece cenno al marinaio di voler andar a mangiare, in modo da lasciarle la mano che ancora teneva stretta.
Quello si guardò spaesato non capendo, poi intuii.
‘Mangerai dopo’, fece quello. ‘Ora perché non mi racconti un po’ di te. Mi pare ingiusto che il capitano ti conosca così bene, mentre noialtri sappiamo a malapena il tuo nome’, disse quello in maniera velata trascinandola per la mano verso una panca vicino ai letti.
Le dava fastidio quell’atteggiamento forzato, come se si dovesse far conoscere per forza da quel uomo di mare, che a pelle non le dava niente e che non le stava nemmeno tanto simpatico.
C’era qualcosa in quella situazione che la irritava e non sapeva cosa fare per declinare l’interesse dell’uomo.
La trascinò accanto, vicinissimo a lui mentre ancora le stringeva la mano come in una costrizione.
‘Allora come ti trovi qui?’, disse quello alitandole quasi in faccia.
Ad Esmeralda venne la nausea, e questa volta non era per il mal di mare.
Storse il naso in segno di disgusto e cercò di scansarsi almeno di poco, ma quello non glielo permetteva.
Non rispose.
‘Cosa c’è? Hai perso la lingua? La usi tanto con Killian’, alluse quello lasciandola interdetta.
Che voleva dire?
‘Fammi vedere che ce l’hai anche a me. Perché non ti apri a me come ti apri con il nostro capitano eh?’, il suo ghigno si fece avido e cagnesco.
Gli occhi gli si iniettarono di sangue.
‘Lasciami! Mi fai male!’, implorò lei cercando di liberarsi il polso che ora stringeva ancora di più quasi fracassandole le ossa.
Quello rise divertito nel vederla così.
Un sorriso malato gli balenò in viso.
‘LASCIAMI!’ urlò piangendo.
‘Apriti con me come ti apri con il capitano piccola, ho bisogno di averti, capisci? E’ un bisogno fisiologico che avviene quando una cosa ci è negata’, continuò quello saltandole sopra e alzandole la vesta. ‘Il capitano Jones ha detto che non dobbiamo farti nulla di male, ma se lui non c’è, chi può dirglielo?’, e rise.
‘Io… glielo dirò io!’, avanzò cercando la forza necessaria nella rabbia verso quell’uomo, per liberarsi.
‘Tu? Di te non resterà niente dopo. Dirò che sei salita sul ponte e sei caduta in mare. Sarà difficile trovarti dopo’.
Esmeralda cercava di divincolarsi, di lottare, ma non ce la fece.
L’uomo le aveva preso entrambi le mani stringendole forte in una, ed era su di lei a godersi la scena mentre cercava di slacciarsi le braghe.
Esmeralda aveva paura, iniziò ad averne. Era la sua fine.
‘AIUTO!’, urlò a pieni polmoni disperata.
Quell’uomo sporco era lì, pronto a fare di lei il suo giocattolo, pronto a farle del male, a possederla e lei non voleva.
D’un tratto s’avvicinò al suo viso, a pochi centimetri e con l’altra mano le bloccò il viso da movimenti bruschi in modo che non potesse sfuggirle in nessun modo.
La guardava digrignando i denti, mentre dentro un’insana voglia cresceva in lui.
Iniziava a premere ed Esmeralda non voleva.
Non voleva che finisse così, in quel modo, con lui.
‘Lasciami, ti prego!’, implorò singhiozzando.
Il sorriso di quell’uomo crebbe a dismisura.
‘No!’, le disse divertito.
‘AIUTO!’, gridò ancora più forte, più acuta in modo che qualcuno la sentisse, la aiutasse.
Lui le tappò la bocca, furtivamente prima che iniziasse a saziare il suo bisogno represso.
Era la fine.
Esmeralda chiuse gli occhi e pianse.
 
‘BRUTTO PEZZO DI MERDA!’ sentii urlare d’improvviso.
E il peso da sopra di lei si spostò.
Quella morsa, quella stretta ai polsi era svanita.
Nessuno era più su di lei.
Esmeralda aprii piano gli occhi frastornata e si trovò davanti il pieno trambusto.
La figura di Killian era a terra a malmenare Knife che fino a poco prima era sopra di lei.
Gli altri membri dell’equipaggio cercavano di tirarli su.
‘KILLIAN’,urlò con le ultime forze rimaste, ma sembrava fosse niente in confronto a prima.
‘KILLIAN!’, riprovò.
E lui ebbe tipo un sobbalzo, come se si risvegliasse da un incubo.
Esmeralda era in lacrime al ciglio del letto, con lo sguardo implorante.
Implorava un abbraccio.
Implorava forza.
Implorava di avere qualcuno vicino che la rassicurasse.
 
‘Portatelo sul ponte e legatelo!’, disse infuriato.
I marinai lo presero in su di peso, mentre quello ancora rideva nonostante il sangue che gli colava in viso.
‘Capitano che fa? Finisce il mio lavoro?’, aizzò quello mentre lo trascinavano via.
Killian stava per partire in quarta, quando sentii un debole contatto sul suo braccio.
Qualcosa l’aveva avvinghiato e lui sapeva bene a chi appartenesse quel tocco.
Si girò di scatto e la vide come quella sera, invasa dal dolore.
Un dolore nuovo che non avrebbe mai dovuto provare.
Aveva gli occhi inondati di lacrime cadute.
Le prese il viso tra le mani, delicatamente, per non causarle altro dolore, e misurò ogni sua reazione.
Lei non fiatava.
Lo guardava fisso negli occhi, in cerca di qualcosa. Una forma di amore, anche la più piccola, come se avesse un bisogno fisico di abbracci che non aveva il coraggio di chiedere.
‘Stai bene?’ le chiese seriamente preoccupato per il suo stato.
Lei fece cenno di no con la testa, e quella volta no. Non voleva sentirlo dire a parole.
Aveva usato tutte le sue forze per implorare aiuto a qualcuno, e ora pareva sull’orlo di un abisso.
Glielo si leggeva negli occhi.
La tirò a sé nuovamente e l’abbracciò forte, riprovando quasi la stessa sensazione di settimane prima quando la stava perdendo in mare, ma diversa.
Ora oltre alla paura, alla preoccupazione c’era tanta rabbia in lui, e quell’abbraccio forse serviva anche a lui per contenersi.
La strinse forte a sé, e non voleva più lasciarla andare.
 
La lasciò insieme a una delle donne che provvedeva al sostentamento dei marinai su quella nave.
Era stata madre, una volta e le ordinò di prendersi cura di lei mentre lui non c’era.
Quella ubbidii e stette accanto alla ragazza.
Due marinai, sostavano sulla porta di guardia.
 
Killian misurò ogni passo mentre saliva sul ponte, mentre ponderava la punizione per quell’ignobile uomo che gli era sembrato così fedele.
Si avvicinò all’albero maestro dov’era stato legato e sfoderò la sua spada puntandogliela al collo.
‘Cosa non ti era chiaro dell’ordine: Non toccate quella ragazza?’, cercò di mantenere la sua rabbia cercando una risposta prima di farla esplodere.
‘Non mi era chiaro il perché dovevate spassarvela solo voi Capitano! Finora abbiamo sempre diviso ogni bottino’, inchiodò quello ridendo divertito.
‘Ce ne sono tante lì fuori e qui. Perché non hai provato con altre?’, sbottò Killian ribollendo di rabbia.
Quello si avvicinò di più al sui viso con aria di sfida e con un sorriso spavaldo dichiarò: ‘Perché i giocattoli del capitano sono i più ambiti dall’equipaggio’.
Killian digrignò i denti non potendone più di quella arroganza.
Con un gesto secco, tagliò le corde che lo tenevano legato e gli altri marinai gli legarono le mani dietro la schiena.
‘Ciò che faccio su questa nave, non sono affari tuoi Knife, perché appunto il capitano sono io. E tu con la tua spavalderia e la tua aria di sfida avrai il trattamento che ti meriti’, sentenziò sicuro.
Lo prese strattonandolo per un braccio e lo portò sulla passerella, pronto a dargli la sua meritata fine.
Con un gesto secco e sicuro tagliò il braccio ferendolo, e dalla quale iniziò a sgorgare sangue.
‘Ora saranno i nostri amici a divertirsi con te’, gli disse.
E puntandogli la lama alla schiena lo spinse fino alla sua caduta in mare.
Un’intensa schiuma marina si formò nel punto in cui era stato gettato, probabilmente gli squali lo avevano già trovato e ne stavano assaporando il viscido sapore.
Killian si girò di scatto verso il resto della ciurma.
‘Chiunque la pensi come lui può seguirlo ora’, intimò. ‘O avrà pene più atroci’.
Nessuno fiatò, e nell’equipaggio si stese il silenzio.

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Capitolo 6
*** VI CAPITOLO ***


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CAPITOLO VI

Quella notte mi ritirai nel mio alloggio.
Chiusi la porta quasi sbattendola.
Ce l’avevo con me stesso per essermi fidato troppo di qualcuno dell’equipaggio, qualcuno che credevo leale e fidato rispetto a tutto il resto che albergava su quella nave, ce l’avevo con me perché gli avevo permesso più volte di tenerla d’occhio quando io non c’ero, senza capire le reali intenzioni di quell’interesse morboso e malato verso di lei da parte sua, che cercava solo un momento giusto, un momento in cui io non fossi presente per attaccarla, senza intendere che probabilmente il più meschino di tutti lì era lui che covava al suo interno un odio e una vendetta smisurata anche nei miei confronti.
Mi presi la testa tra le mani.
Per l’ennesima volta ero  in conflitto.
Avevo promesso di proteggerla e invece l’avevo messa in pericolo io per primo.
Forse ero io l’egoista a volerla lì, tra quegli zotici senza alcun ritegno e rispetto, ma dove e come avrei potuta lasciarla?
Potresti andare con lei. Sussurrava una voce nella mia mente.
Quanto però sarebbe stata giusta quella decisione?
La mia vita era sempre stata in mare, non avrei potuto vivere senza sentire più quel leggero ondeggiare che negli anni mi aveva cullato.
Lei invece, avrebbe vissuto meglio con una stabilità sotto ai piedi.
Sembravamo due mondi differenti, eppure così vicini.
Girovagavo nella stanza buttando a terra ciò che trovavo. La rabbia che avevo in corpo non era sbollita nemmeno dando quell’ignobile uomo ai pesci cani. Al suo destino, a ciò che più meritava. Il mio animo da pirata era rinvenuto e aveva scelto l’opzione migliore per quel traditore, eppure in me c’è un fondo di incertezza e disperazione unita alla rabbia. Lei era ancora lì, sotto i miei strati pronta ad esplodere contro qualcuno, forse anche per questo preferii restare con me stesso. Solo in quella stanza a rimuginare e a non riconoscermi.
Far vedere ciò che ero, ciò che sentivo, non sarebbe stato un bene per lei.
Mi stavo piegando all’amore, quanto mi sarebbe costato tutto questo? Come sfuggirgli?
 
Ce l’avevo con me, e per altro.
Con quale faccia, con quali occhi avrei potuto guardarla?
Le avevo promesso protezione, le avevo promesso tutto ciò che a voce non riuscivo ad esprimere di fronte a lei, e l’avevo lasciata sola quella sera, come tante, per cosa? Per l’ennesima bevuta con la ciurma. Per l’ennesima sbronza.
Durante quella sera però, qualcosa mi scuoteva l’animo, come un presentimento che giungeva dagli abissi del mio essere.
Invece di divertirmi e sollazzarmi con le fanciulle della quale la stessa ciurma mi aveva fatto dono, pensavo.
Non facevo altro che pensare a lei, e le altre, che mi erano intorno sedute al tavolo con me, non esistevano. Sentivo vocii lontane ai quali annuivo per di più assente.
Non sentivo niente.
Sentivo solo i miei pensieri.
S’introduceva dentro di essi, dentro la mia stessa pelle e stava lì.
Era la cosa più bella, e pura che il destino avesse portato sulla mia strada.
Certo l’incontro iniziale non era stato dei migliori, e mai nella mia vita avrei pensato a come avrebbe influito su di me.
Quella boccale di birra restava davanti a me, senza che io pensassi davvero di berlo.
Le donne al mio fianco si avvicinavano, in abiti provocanti piene di voglia e io non riuscivo far nulla.
Qualcosa mi tratteneva. Qualcuno mi chiamava, forse.
Aveva uno strano potere su di me, e per un attimo venni spinto a credere che fosse una sorta di strega e che una sorta di maleficio gravava sul mio cuore.
Forse era lei stessa un maleficio intenta ad attaccare.
Scossi la testa e chiusi gli occhi.
Non poteva essere.
Io e la mia mente stavamo divagando.
Cercavo semplicemente un motivo a quello che mi stava accadendo da quando c’era lei, e considerare quell’eventualità significava percorrere la via più facile.
Lei era pura, bella e niente di tutto ciò era frutto di un sortilegio.
 
Pensavo a quello che sarebbe stato il futuro, che sarebbe arrivato per forza, non potevo impedirlo.
Non ero padrone del tempo, come non ero padrone nemmeno di lei e dei miei sentimenti ogni volta che mi allietavo nell’osservarla.
Di questi tempi sarei sembrato agli occhi di Esmeralda… come che aveva detto Emma una volta? Uno stalker, ecco.
Negli ultimi mesi, da quanto lei era entrata a far parte di quel vascello, sembrava esserci entrato un raggio di sole e tutto arrivava proprio dalla sua stanza.
Non ero più mosso da altre ambizioni, non ambivo più a saccheggiamenti, ad oro o ad altro, ambivo a lei, ero mosso da lei, in ogni mio giorno su quella nave.
Lo notavo da me che non ero più lo stesso.
Ambivo al suo cuore, volevo conquistarla.
Ma poteva accettare un pirata con tutti quei trascorsi di violenza e soprusi alle spalle? Mi chiedevo.
E forse era questo a bloccarmi ogni volta.
In altri casi mi sarebbe bastato possederla, divertirmi con lei come con chiunque altra, ma lei non era come le altre era questo il punto, quello che avevo dentro, forse per la prima vera volta, non era desiderio carnale, era tutt’altro, oserei dire che fosse un calore nel petto, una vampa che quasi bruciava e che si ridestava nella stessa maniera ora che avevo la consapevolezza che c’era anche lei, che non se n’era andata.
Ogni suo sorriso, era un mio sorriso, e come potevo ora far finta di nulla di fronte a quello che era successo?
Era difficile indossare la mia solita maschera di fronte a lei.
Con lei non riuscivo ad essere lo spaccone borioso, Il pirata astuto, sfacciato ed egoista con lei fuggiva e lasciava posto solo a quello che era in grado di essere per lei qualcosa in più, un appoggio, un ancora.
Pensai alla promessa che gli avevo fatto pochi mesi prima: E ti prometto che se tu troverai qualcuno fuori da questa nave, capace di amarti come tu vorrai e desideri, ti lascerò andare e non ti verrò più a cercare e me ne penti nuovamente, me ne pentii per ogni giorno seguente, perché era una promessa che era uscita da sé, senza prima rifletterci. Non c’era nessuna persona lì fuori, aveva detto.
Aveva ragione.
Quella persona non era là fuori, era lì accanto a lei e dovevo farglielo capire, perché non sarei stato capace di vivere senza.
Non ora che mi ero abituato a lei.
In qualche modo mi era stata affidata, e non si sa quando consapevolmente quella piccola donna dagli occhi smeraldo mi era entrata dentro fine alle viscere.
Non avrei potuto sradicarla, nemmeno se davvero avesse trovato qualcun altro lì fuori.
Non l’avrei mai lasciata andare.
Mi guardai le mani e le strinsi.
Possono albergare anche nella pelle i ricordi, le sensazioni? Perché a me sembrava fosse così. Mi mancava il contatto con lei, quel stringerla forte a me, quel tenerla al sicuro.
 
‘Capitano!’, intervenne un marinaio chiamandomi ancora cereo in volto.
Mi voltai ancora assente tra i miei pensieri, come quella sera.
‘La donna a cui ha affidato la ragazza ha urgente bisogno di vederla’.
‘Per quale motivo?’, chiesi di spalle, mantenendo un certo distacco.
‘Sembra che la ragazza stia male’.
Rinvenni a quelle parole.
Esmeralda stava male. Era di nuovo crollata come quella sera? E io me ne stavo lì egoisticamente a crucciarmi da quanto?
Era notte fonda.
Presi la lanterna e a passo svelto mi diressi nella stiva.
I due marinai di fronte alla porta, di guardia, alzarono le mani in segno di difesa, spauriti.
‘Signore, eravamo qui quando è successo tutto. Noi non c’entriamo’, si giustificarono.
Entrai spalancando la porta con troppa enfasi, la donna che le era accanto, sussultò.
‘Signore…’, si scostò da lei per venirmi incontro.
Di fronte a me una scena inverosimile si fece largo.
Esmeralda era distesa su quella branda, la sua branda, in preda a spasmi.
Lasciai il lume al marinaio che mi era accanto e corsi a tenerla e a sostenerla.
Era poco cosciente, dalle sue labbra emetteva suoni incomprensibili seguite da frasi sconnesse.
La strinsi forte, ma sembrava avere il terremoto in corpo.
‘Cos’è successo?’.
‘Non lo so, signore. L’avevo messa a letto quando pochi minuti fa ha iniziato a fare così’, rispose la donna non sapendo che fare e temendo una qualche ripercussione.
Appena le mie mani toccarono le sue mani, ebbi un brivido.
Era freddissima.
Sembrava ghiaccio nonostante ci fossero tre coperte su di lei.
‘Mastro! Prendi tutte le coperte disponibili sulla nave!’, ordinai.
Quello ubbidì e sparì oltre la porta.
Ordinai alla donna di andare nelle cucine e trovare una qualche soluzione.
Anch’ella spari.
‘Shh!’ le intimai. ‘Ci sono qui io. Ti tengo io’ e la strinsi ancora più forte.
Le dissi cercando di calmarla.
Le sue mani erano incapaci di trovare un appoggio una stabilità, come tutto il resto del corpo che tremava tra le mie braccia.
Doveva avere la febbre davvero alta, e mi sentivo impotente.
La guardavo soffrire e non avevo soluzioni.
Lei cercava di tenersi ancorata a me, pur tremando come una foglia, la strinsi ancora di più, quasi ad assorbire quel tremore, quasi a prenderne una parte, quasi a guarirla.
Non sapevo se tutto questo fosse dovuto a quello che era successo, e cercai seriamente di non pensarci per non far peggiorare le cose.
Due marinai portarono un po’ di coperte, mi scostai facendole poggiare la testa sul cuscino, e gliele misi addosso, una per volta.
Le misi una mano in fronte.
Scottava tantissimo. Presi la benda bagnata che era stata portata e gliela misi sulla fronte.
Mi allontanai di poco, prendendo a girovagare nella stanza teso.
Non sapevo cosa fare, mi sentivo inutile.
Quando una sua mano sfuggì alle coperte, attirando la mia attenzione.
‘Non lasciarmi. Non stasera. Ho bisogno di te’, disse tremante e debole. Corsi da lei e mi sedetti al lato della branda prendendole la mano.
Lei la intreccio alla mia, cercando di metterci forza.
Ce la misi io anche per lei, e presi la sua mano nelle mie.
‘Non vado da nessuna parte’, la rassicurai.
 
Vegliai su di lei quella sera, ma i suoi spasmi non accennavano a diminuire, ed era ancora freddissima.
Quella febbre sembrava non avere fine, ed era da tutta la notte che andava avanti così, fuori iniziò ad albeggiare.
La stanza era umida e stagnante, una leggera corrente passava dai troppi spifferi in quella stanza.
Come potevo pensare che potesse guarire lì dentro?
Aveva gli occhi puntati sui miei quella sera, e più volte vidi il desiderio di dirmi qualcosa, ma non ce la faceva.
D’un tratto intuii.
‘Ci spostiamo da qui’, le dissi.
Le avvolsi due coperte addosso e la presi in braccio di peso.
Lei cercò d aggrapparsi al mio collo con entrambe le braccia, ma sentivo la sua presa debole.
‘Prendete le coperte e portatele nella mia stanza’, ordinai passando ai due marinai.
Avevo deciso di portarla da me.
Quella stanza era più raccolta e calda rispetto a tutte le altre, e il letto era abbastanza grande e morbido affinché potesse riposare al meglio.
Un marinaio mi aprii la porta, e arrivati al letto la adagiai con cautela.
Le misi quattro coperte addosso e badai a lei come mai fatto prima di allora.
Per tutto il giorno pareva essere caduta nel sonno più totale, la sua fronte continuava a scottare, e io non facevo altro che andare su e giù dal ponte a controllare come stesse.
Non mi davo pace, sembravo in agonia anch’io.
La cosa non accennava a diminuire nemmeno nei giorni seguenti.
Erano passati tre giorni dall’arrivo di quella febbre ed era ancora lì dentro di lei, senza nessun modo per scacciarla.
La vedevo soffrire, lamentarsi e tremare.
L’aiutavo nel cibarsi, ma il più delle volte rifiutava dicendosi stanca.
E se l’avessi persa in quel modo? Non per mano di qualcuno, non per mano del destino.
Se l’avessi persa in quel modo per mano del destino?
Quasi a sottolineare il fatto che non potessi averla per sempre nemmeno se l’avessi trattenuta con me.
Era difficile da credere ma sembrava stesse andando proprio così.
Alcuni marinai sussurravano il peggio, e appena mi vedevano ritornavano alle loro mansioni zittendosi.
Non avevo neanche la forza morale per ammonirli.
Mi ritirai nelle mie stanze e ci restai per tutto il giorno, seduto sulla mia scrivania ad osservarla mentre dormiva in ogni minimo movimento, e a piangere per la prima volta come quando ero bambino.
Perché non bastava ciò che era stato, probabilmente ero destinato a quello, a soffrire, oppure le anime delle vittime passate su quella nave trovavano ingiusto come una donna destinata ad un riscatto dovesse avere una fine diversa rispetto a loro.
Forse qualcuno, da quella parte, la tirava a sé.
E io cosa potevo fare contro quella sciagura?
Ero a un passo dal perderla.
 
‘Killian…’, una voce debole mi stava chiamando.
Non capivo se stesse dormendo o meno, era facile per lei chiamarmi a volte.
Mi avvicinai piano e mi coricai lì accanto a lei.
‘Killian, perché piangi? Sono qui con te’. Aveva detto lei, spiazzandomi.
‘Non sto piangendo Esm’.
Cercò di sostenere uno sguardo derisorio, ma i suoi occhi erano vuoti, così come le guance.
Le presi la mano, e lei la intrecciò alla mia, era più ossuta di come la ricordavo.
Era dimagrita tantissimo negli ultimi tre giorni.
‘Perché continui a nasconderti da me?’, la sua voce era un debole sussurro.
Le sorrisi, di un sorriso stanco, cercando di non trasmetterle il peggio, ma lei se ne accorse.
‘Non essere triste per me. Rivoglio il tuo sorriso, quello che mi riservi sempre’.
Mi sforzai di farlo.
Lei sorrise debole, in risposta.
Lasciò la mia mano e si avvicinò di più al mio corpo.
Mise una mano sul mio petto e sorrise ingenua.
Il suo tocco con la mia pelle sembrava aver preso fuoco.
Le misi un braccio intorno alla vita.
Era il primo contatto vero che stavamo avendo e non sapevo bene come comportarmi a riguardo.
Sicuro che non stessi delirando anch’io?
La osservai in quei gesti fatti con cautela, e non riuscivo a comprenderli appieno o molto probabilmente stavo elaborando le dinamiche di simili gesti facendoli confluire in una sola fine a cui non potevo credere.
Eravamo a pochissimi centimetri l’una dall’altra.
Timidamente avanzò verso il mio viso, mentre accennava degli sguardi veloci, e altrettanto piano avvicinò le sue labbra alle mie.
In tutto questo io ero fermo immobile ad osservare quella scena come se non stesse accadendo per davvero, e dimenticando per un attimo in che situazione fossimo.
Le sue labbra arrivarono alle mie e vi si adagiarono perfettamente.
Sentii il suo calore sulla mia pelle, e con cautela la strinsi a me ricambiando quei piccoli e teneri baci che mi stava donando, ancora in modo incredulo.
Il suo corpo era adagiato al mio, le mie mani erano sulla sua schiena.
Il suo corpo pareva così fragile e piccolo che temevo seriamente di farle del male con poco, specialmente ora con quella malattia.
Lei, dal suo osservava ogni mia reazione a quello che stava accadendo e mi pareva ancora più incerta, come se si domandasse se stesse facendo la cosa giusta.
Allora ritornai in me e presi le redini di quel bacio.
Non volevo renderlo sporco, villano, volevo che capisse che quel cuore che era sotto le sue mani e che in quel momento palpitava come un cavallo al galoppo era per lei, era tutto per lei.
E se quello era il momento giusto per farlo, anche fosse l’ultimo volevo dimostrarglielo.
Il bacio si fece più saldo, più vero, più deciso.
Potevo sentire il sapore delle sue labbra.
Spostai la mia mano sul suo viso ambrato e delicato e feci attenzione a non spezzare quel momento.
Lei seguiva i miei passi  quasi fossimo in una danza e fece salire la sua mano su per il collo più coinvolta, più decisa.
La strinsi un po’ più forte a me.
Non riuscivo a capire bene se quel momento fosse reale o meno, o se fosse frutto della mia immaginazione e di ciò che volevo.
Non pensai minimamente alla sua febbre, ai suoi dolori, e lei sembrava fare lo stesso.
Le mie mani erano nei suoi capelli, in quei capelli che più volte avevo solo sfiorato.
Lei stava al passo, staccandosi ogni tanto e guardando realizzare ciò che stava accadendo.
Dopo la ritiravo su di me, e la trattenevo per la nuca, lei dal canto suo teneva stretta la mia camicia come a trattenersi su qualcosa in quel bacio divenuto troppo passionale, che stava prendendo entrambi.
Dopodiché si staccò ansimante e quasi stanca.
La vidi assaporarsi le labbra e accennare un sorriso timido.
Le tolsi la mano di dosso rendendola libera.
‘Non voglio andarmene da qui. Non voglio andarmene da te’, accennò timida non guardandomi questa volta. Poi alzò nuovamente lo sguardo.
‘Killian, io ti amo.’, rivelò disorientandomi.
Non aspettò nessun cenno da parte mia, nessuna risposta. Forse per paura.
Si adagiò con la testa sul mio petto, a guardare oltre la finestra.
Io, dal canto mio continuavo a non crederci.
Mi toccai le labbra ancora incredulo a ciò che era avvenuto quasi di richiamo.
Era stato tutto così improvviso e non pianificato che non sapevo come altro reagire.
Per quanto tempo avevo anche solo immaginato quel momento?
E ora che era successo, com’era stato? Potevo considerarlo qualcosa in più rispetto a tutto il resto?
Per quanti baci avessi dato nella mia vita, nessuno valeva quello che era appena avvenuto.
Quel bacio aveva qualcosa in più, e tutto ciò che pensavo si rivelò essere non solo desiderio, ma qualcosa che nasceva da dentro.
Ciò che era avvenuto tra noi quella sera era qualcosa che si elevava al di sopra del resto delle cose, era come se le nostre anime si fossero toccate, e si fossero riconosciute.
Era difficile da spiegare ed esprimere persino per me.
‘Anche io, Esm’, non vidi la sua espressione ma immaginai il suo sorriso.
Prese la mano che aveva deposto sul mio petto e raggiunse la mia a pochi passi.
La incastrò alla mia, e io resi la presa più salda carezzandola di tanto in tanto con il pollice della mia mano.
Le baciai i capelli.
E restammo così per tutto il resto del giorno o della notte che era.
Che fosse buio o luce fuori poco importava perché la mia luce l’avevo trovata in quella nave, quella sera in quella stanza e ora era come se facesse parte di me.
Quella sera dormimmo abbracciati, così come lei si era addormentata. Ci girammo poco e le nostre mani non si disgiunsero quasi mai, e lo se lo facevano una delle due ritrovava l’altra.
E forse, anche stavolta sarebbe andata così.
Forse anche noi, in qualche modo eravamo destinati a ritrovarci.

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QUI trovate un blog Tumblr dedicato alla mia fan fiction con anteprime e stralci della storia, le canzoni e musiche che mi hanno ispirato nel scrivere, se vi va di seguirlo.

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Capitolo 7
*** VII CAPITOLO ***


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CAPITOLO VII
 
Pubblico un po’ in ritardo rispetto al giorno prestabilito, i’m sorry.
Che dire? Non ci sono molte recensioni a questa storia e me ne dispiace un po’ perché cerco davvero pareri a riguardo, ma ringrazio comunque chi ogni giorno l’aggiunge alle seguite e preferite e magari ricordate.
Chi comunque la segue con un certo interesse, ecco.
Ringrazio anche tutti coloro che mettono ‘Mi piace’ attraverso il bottone social qui sopra.
Insomma vi ringrazio tutti. ^_^
Ho faticato un po’ per sviluppare questo capitolo, non per la storia in sé ma perché volevo in qualche modo farlo giungere al termine, ma credo servirà un altro capitolo prima di tornare definitivamente al presente e vedere cosa succederà ora.
Spero che questo capitolo vi piaccia ugualmente, fatemi sapere.
 

:*
 
 
POV ESMERALDA.
 
La mattina dopo mi risvegliai.
Fu il sole a farlo, mi si posò sul viso con maggior impeto, era caldo, forte e accecante.
Aprii gli occhi a stento, ancora del tutto assonnata e frastornata, rispetto ai giorni precedenti mi sentivo meglio.
La mia testa non era più pesante, così come i miei arti, riuscivo a respirare, e non avevo quei mal di testa lancinanti.
Tutto sembrava essere tornato alla normalità di quelle giornate.
Ricordavo di Killian, delle sue cure, del suo starmi vicino e di quante volte il cuore mi era partito all’impazzata quando mi sfiorava.
Nonostante il forte tremore, la forte febbre riuscivo distintamente a cogliere quell’emozione che mi dava ogni volta.
Si era preoccupato per me, l’avevo visto nei suoi occhi in tutti quei giorni, sembrava sull’orlo di un abisso, si era preoccupato per la mia salute e mi aveva portato nel suo alloggio, dove non avevo visto entrare nessuno tranne lui finora.
Ai miei occhi, e per me stava perdendo ogni fattezza del pirata che mi era sembrato di scorgere appena arrivata sulla nave, e ciò che pensavo mi era stato confermato più volte in quei giorni e non solo.
Premure del genere mi erano lontane, e averle per la prima volta non sapevo come reagire, un grazie sarebbe bastato?
Tentai di voltarmi dalla parte opposta, così da evitare il contatto diretto con quella scia arancio che soggiornava su di me, ma mi sentii bloccata.
Qualcosa da dietro bloccava ogni mio movimento, e la mia mano era legata ad un'altra, che non riuscivo a intendere bene.
Sentivo bene il contatto con un pelle nuova, una pelle ruvida che mi era poco familiare.
Sbarrai gli occhi, concentrandomi e segui il mio braccio con gli occhi fino a vedere gli anelli, quegli anelli che riconoscevo tra mille.
Il mio cuore ebbe un sussulto tale che pareva fosse balzato fuori dal petto.
Sicura che fossi cosciente?
Quella fascia sul pollice e quell’anello un po’ grande con quella gemma rossa facevano parte di quella mano che più volte avevo solo immaginato intrecciata alla mia.
Dietro di me, lui.
Mi teneva stretta a sé tramite un abbraccio che non avrei neanche immaginato, sentivo il suo petto contro le mie spalle.
Mi voltai piano per constatare il fatto che stessi sognando, per l’ennesima volta. Che fosse la mia mente a proiettare ciò che avevo accanto.
Forse avevo ancora la febbre, e non me ne rendevo conto.
Cercai di farlo piano, senza intaccare in alcun modo il suo sonno, non volevo farlo svegliare
Me lo trovai davanti, e sapevo quanto fosse stupido dirlo ma sembrava così beato, così bello, così perfetto.
Sarebbe stato un sacrilegio interrompere quella beatitudine che aveva in volto. Per qualche strana ragione sulle sue labbra aleggiava un espressione felice.
Sorrideva, ed era palese che per me fosse la cosa più bella del mondo.
Chissà cos’era a regalargli quell’espressione, ne ero quasi gelosa. Ma che diritto avevo io su di lui?
Nessuno, appunto.
Eravamo faccia a faccia.
Lui ad occhi chiusi dormiva beato, e quasi non sembrava reale.
Le sue labbra mi erano di fronte, avrei potuto protendermi e baciarlo, ma non lo feci.
Mi morsi un labbro e ricacciai quell’idea malsana.
La sua mano nonostante il sonno, non si era staccata dalla mia, ma anzi l’aveva avvinghiata e tenuta stretta, ma con delicatezza.
Ogni cosa nei miei confronti non aveva modi rudi.
La sua pelle chiara in contrasto con la mia un po’ più scura.
Osservai per un po’ quell’opposizione messa a confronto, e mi misi ad amarle insieme.
Come eravamo finiti in quel modo? Perché ci eravamo addormentati così? Perché lui era con me? E perché eravamo vicini?
Mille domande mi frullavano in testa come un enigma a cui non avevo risposta.
Ero confusa e disorientata.
Ricordai, di colpo, un paio di sere prima quando era iniziato tutto: in preda ad un forte febbre mi aveva abbracciata e tenuta accanto a sé, quasi come ad ancorarmi, e a tenermi ferma.
Probabilmente avevo ripreso a tremare e lui era tornato a tenermi stretta, a calmarmi, per farmi star bene.
E quelle mani intrecciate? Continuai a fissarle cercando indizi o fatti della notte precedente.
Ma la mia mente era un groviglio difficile da districare, alcuni pezzi in quel grande ammasso mancavano, e nonostante cercassi sentivo di non venirne a capo.
Scandagliavo gli episodi nella mia mente, ma non ne venivo a capo.
Era un gigantesco buco nero, il vuoto più totale.
Io, della sera precedente e di come fossimo finiti in quel modo non ricordavo assolutamente niente.
 
M arrovellai per del tempo indefinito cercando di capire e nel mentre contemplarlo.
Non l’avevo mai avuto così vicino e per così tanto tempo.
La sua cicatrice sulla guancia non mi era mai stato così di fronte agli occhi, non gli avevo mai chiesto come se la fosse procurata.
Ne attraversai i solchi senza davvero toccarla.
Non osavo sfiorarlo, avevo paura di come avrebbe preso quel contatto.
Se mi avrebbe sorpresa nel toccargli il volto?
Oh, non ce l’avrei mai fatta a sostenere il suo sguardo, di qualsiasi natura sarebbe stato.
D’un tratto, persa nella mia contemplazione e nei miei pensieri lo vidi aprire gli occhi, ancora frastornato e addormentato.
Strabuzzò gli occhi nel trovarmi di fronte, in quel modo e forse anche un po’ per spavento sciolse la presa dalla mia mano.
Mi ritirai al contatto e divenni paonazza temendo avesse inteso anche solo i miei più minimi pensieri.
Mi accovacciai sul letto, abbracciando le mie gambe, seduta.
‘Ehm… scusa’, feci titubante.
Lui ancora interdetto non capi appieno.
‘Per cosa?’.
‘Per averti spaventato, non volevo starti di fronte in quel modo a fissarti’.
Lui annui, e sbadiglio copiosamente, poi si levò anche lui venendomi accanto.
‘Non preoccuparti.’, si limitò a dire ancora con quel sorriso beato in volto. ‘Come stai oggi?’.
Lo stesso che aveva mentre dormiva.
Aveva qualcosa, qualcosa di diverso, che non capivo bene.
‘Rispetto agli scorsi giorni abbastanza bene.’, ammisi.
 ‘Avrei dovuto chiudere le tende ieri sera, ma sai com’è non ne ho avuto l’occasione’, disse con fare malizioso e ammiccante comprendendo il motivo per la quale mi ero svegliata.
Lo guardai torva, con la testa leggermente inclinata di chi non comprende appieno.
Sorrisi imbarazzata.
‘Perché non hai potuto chiuderle ieri?’.
Lui mi guardò incerto, con uno sguardo tra il divertito e il disorientato e cercava di indicarmi con gli occhi ciò che non riusciva a dire a parole quasi.
Non capivo, e glielo resi evidente dato che non riuscivo a comprendere dove andasse a parare.
Si fece serio, di colpo e il sorriso malizioso scompari dalle sue labbra.
‘Non ricordi cosa è successo ieri?’, chiese quasi cercando segni di vita.
Lo guardai di sbieco cercando l’importanza della cosa, che sembrava dal tono della voce qualcosa che fosse vitale.
‘Perché cosa è successo ieri sera?’, domandai incerta.
A lui parve crollare il mondo addosso, il suo sguardo era diventato scuro e ogni felicità dal suo volto si era dissolta senza più speranza.
Pareva essere caduto a terra.
S’incupì e nascose lo sguardo. Tossì nervoso e lo vidi combattere con sé stesso.
‘Niente, stavi malissimo e ti ho tenuta stretta a me, dopodiché ti sei addormentata e non ho potuto chiuderle’, ammise.
Eppure c’era qualcosa che non capivo, che non andava e non sapevo cos’era.
Era come se avessi detto o fatto qualcosa che lo aveva buttato giù, o magari non era questo, erano solo mie impressioni.
Magari non ero io al centro dei suoi pensieri come lui era in me, magari era qualcos’altro a turbarlo.
Non avevo il coraggio di chiedergli cosa ci fosse.
Si aggiustò meglio e sulla porta mi disse: ‘Vado a cercare Adelaide affinché ti porti qualcosa’.
E spari senza darmi il tempo di controbattere.
 
Non lo vidi per quasi un intera giornata quel giorno, e non si può dire che nei giorni seguenti lo vidi di più.
In quei dì era distaccato, nervoso, sembrava irascibile con gli altri marinai, era un mare in tempesta.
Non riuscivo a togliermi dalla testa che il motivo fossi io.
C’era qualcosa che avevo fatto o detto che lo aveva reso in quel modo.
Era colpa mia, nel mio inconscio era come se mi sentissi in colpa per ciò che era successo.
Le sue visite si fecero sempre più blande nei giorni seguenti, non veniva quasi mai nella mia stanza come prima e non pranzavamo, ne cenavamo insieme come prima, era sfuggente, schivo quasi a non volerne più sapere di me ed era inutile anche solo dire quanto soffrissi la sua mancanza in quello.
Sentivo la sua mancanza in tutto, dal non cenare con lui la sera, a quelle piccole parole e sorrisi che ci scambiavamo da quando ero lì.
Sembrava quasi m stesse allontanando di proposito, ma come faceva anche solo a pensarlo quando eravamo costretti a vederci ogni volta e lui era la parte, la persona più importante da quasi due anni? La persona che mi rendeva tollerabile quel vivere?
Non avevo nessun altro e lui era ciò che consideravo più vicino ad una famiglia.
Di notte mi ritrovavo a piangere da sola, come non facevo da mesi.
Quella sua lontananza mi stava lacerando il cuore.
Io ero tornata nel mio alloggio, nelle stive.
‘Torno giù, nelle mie stanze. Credo di appartenere lì più che a questa stanza, ma ti ringrazio per le cure e le attenzioni che mi hai dato durante i miei giorni più tristi. Te ne sono grata’, era stata l’ultima cosa che gli avevo detto, prima di lasciarlo a contemplare il mare che ci era di fronte.
Non mi aveva rivolto uno sguardo, niente, neanche una parola.
Ne tantomeno aveva cercato di persuadermi nel non farlo.
Era tornato ad essere freddo come non lo era mai stato.
Gli sguardi e gli atteggiamenti che vedevo ora in lui, non li avevo mai visti se non nei primi giorni da prigioniera.
Che gli era successo?
Da un paio di giorni ci eravamo fermati in un nuovo posto, un posto in cui non eravamo mai approdati.
Non mi aveva dato indicazioni, come faceva di solito nulla.
L’avevo capito da me salendo sul ponte.
Me ne stavo lì, molte volte seduta ad osservare la gente che passava davanti al molo.
Era quasi meglio del mare che vedevo per la maggior parte del tempo, per tutto il tempo.
 
Vedere Killian era diventato ancora più un miraggio, tutte le sere si recava nella taverna del luogo, ci stava per ore e ore e molte volte non lo sentivo nemmeno rientrare dato che cadevo tra le braccia di Morfeo molto prima del suo rientro, quando invece mi capitava di udirlo, lo sentivo tornare completamente ubriaco.
Decisi di parlargli, non potevo tenermi tutto dentro e continuare a stare in quel modo.
Senza di lui quella vita, che mi era stata imposta, non era sopportabile nemmeno lontanamente.
Mi sarei fatta spiegare il perché di tanta freddezza, il perché di tanta indifferenza dopo quei giorni in cui l’avevo visto persino preoccuparsi per me e prendersi cura di me.
Cos’era successo?
Cos’è che aveva cambiato tutto, trasformandolo in una miserabile vita? Perché era diventato così?
Gli avrei chiesto se c’entravo qualcosa, se avevo fatto o detto qualcosa che lo avesse spinto a quel comportamento.
Non potevo conviverci, non potevo perderlo così senza la minima spiegazione alcuna.
Ci tenevo troppo, e si lo amavo troppo anche se non glielo davo a vedere, per me valeva il detto Non ama chi te lo dice, ma chi ti guarda e tace. Ma così facendo lo stavo perdendo.
E se rivelargli quel segreto, quel che sentivo dentro da anni sarebbe stata la soluzione ad ammorbidire e a scongelare la tensione che c’era l’avrei fatto perché non ce la facevo più.
Per lui non valeva la mia stessa regola forse, o forse non provavamo le stesse cose l’un per l’altro.
E se mi avesse rifiutata? Chiese il mio cuore.
Avrei subito il colpo e mi sarei zittita, ma almeno ci avrei provato.
Avrei provato a dare una forma a quella vita, perché un significato già l’aveva ed era lui.
 
La mattina dopo, più volte feci dei respiri profondi.
Quel corsetto stringeva più del solito quel giorno.
Devi farcela Esmeralda. Devi farcela. Per te. Continuavo a ripetermi come un mantra.
Avevo le mani freddissime e l’agitazione a mille.
Un sorriso enorme raggiunse le mie labbra e si spalancò.
Stavo per buttare giù tutta la mia verità, non volevo pensare alle conseguenze, ma solo a questo.
Inspirai per l’ultima volta e mi diressi alla sua porta decisa.
L’aria venne a mancare per l’ennesima volta quella mattina, dovevo concentrarmi.
Bussai decisa alla sua porta.
Quei minuti d’attesa mi parvero infiniti.
Dovevo bussare di nuovo?
La porta si apri di getto, e i suoi occhi m folgorarono.
Puoi farcela, Esm. Devi farcela. Mi ripetevo.
‘Esm…’, fece lui sorpreso mentre era intento a riabbottonarsi la camicia.
Sembrava imbarazzato nell’avermi di fronte.
‘Killian..’, mi limitai a dire io, come un ebete. ‘Volevo parlarti un attimo, se…’
Killian, chi è? Una voce femminile spezzò in due l’aria tesa che sembrava esserci tra noi, e sulla porta comparve una donna.
Una donna palesemente adulta dagli occhi chiari e i capelli scuri. Alcune rughe le solcavano il volto
La sua pelle aveva decisamente lo stesso colorito di Killian, era rosea.
Indietreggiai imbarazzata di qualche passo, deducendo in brevissimo tempo che fosse una compagna notturna, e deducendo che cosa avevano fatto insieme.
Killian mi osservò attentamente, in ogni minima espressione.
Mori dentro, e non capii se intese come mi sentivo.
‘Milah, ti presento Esmeralda. Esmeralda lei è Milah’, fece Killian presentandoci.
Quella spalancò un sorriso e mi porse la mano.
‘Piacere!’, fece tutta contenta.
Io avevo paura anche solo a proferir parola, perché la voce che ne sarebbe uscita sarebbe stata un segno evidente di come stavo dentro.
Stavo cadendo a pezzi.
Avevo un groppo in gola enorme che mi impediva anche di respirare, tutte le lacrime che stavo trattenendo erano ferme lì.
Afferrai la sua mano debolmente, stringendola e annui soltanto con un sorriso debole.
Lei si avvinghiò a lui in un abbraccio, e lui ricambiò accarezzandola dolcemente.
‘Dicevi…’, continuò Killian per riprendere il discorso che stavo per propinargli, come se ora ne fossi ancora in grado.
Era diventato nuovamente freddo, il pirata che era in lui ricominciava a riemergere.
Stavo troppo male per stargli di fronte,e tutte le parole messe in fila nel discorso che avevo preparato mentalmente erano fuggite a gambe levate, restai interdetta non sapendo cosa inventarmi.
Ero come azzerata anche io.
‘Oh, nulla di importante Killian, davvero’, li guardai insieme per l’ultima volta senza riuscire ad aggiungere altro e mi congedai voltandogli le spalle.
Uno squarcio smisurato fece leva nel mio petto e mentre mi avviavo nella camera decisa a morirci, iniziai a piangere profusamente.
 
Ad un tratto, quella stessa mattina, dal ponte si elevò un gran frastuono tra grida e schiamazzi.
Sentivo i passi pesanti e vari rumori provenire da sopra la mia testa, decisi di vedere cosa stava accadendo.
Un uomo visibilmente debole e zoppicante era sulla nave al cospetto di Killian, era caduto a terra e gli altri marinai, in maniera rude l’avevano rialzato.
Killian ammirava lo spettacolo standosene lì, senza far davvero nulla, a braccia conserte quasi come se si divertisse.
Senti dentro me, una rabbia crescermi dentro.
Volevo uscir fuori ed aiutare io stessa quell’uomo visibilmente impaurito e debilitato trovatosi lì per non so quale reale ragione.
‘Mi ricordo di voi…’, disse quello indicandolo. ‘Vi ho visto alla taverna’.
Cosa ci faceva lì quell’uomo, perché si era avventurato tra quegli uomini che non facevano altro che deriderlo come se loro fossero migliori.
‘E’ sempre bello quando si ricordano di te.’, rispose lui con fare spavaldo. ‘Ma dove sono le mie buone maniere? Non ci siamo ancora presentati ufficialmente. Killian Jones. E… cosa ci fate sulla mia nave’.
Rivolsi il mio sguardo all’uomo, in cerca anche io di risposta.
Ansimò spaurito, e si guardò intorno altrettanto intimorito dagli uomini che lo circondavano.
‘Avete mia moglie’.
‘Ho avuto molte mogli di altri uomini.’
‘Non, non capite. Abbiamo un figlio e lui ha bisogno di sua madre’, fece con sguardo implorante.
‘Ed io ho una nave piena di uomini che hanno bisogno di compagnia’. L’arroganza di Killian era la cosa che ancor di più mi stupiva di fronte ai fatti.
‘Vi supplico.’, lo sentii dire. ‘Vi prego, lasciatela andare’.
‘Non sono un bravo negoziatore. Detto questo… mi considero comunque un uomo rispettabile con un codice d’onore, quindi se davvero volete indietro vostra moglie…’. Un rumore metallico sbatté a terra, mi sporsi da dov’ero per vedere cosa fosse caduto, quando lo vidi sfoderare la spada.
‘… Provate a riprendervela.’ Quello iniziò a tremare spaventato.
Una rabbia ancora più forte mi montò in corpo. Ed era una rabbia contrastante.
Una parte di me voleva difendere quel poveretto messo alle strette da lui davanti a quella ingiustizia.
Una altra parte di me si chiedeva chi fosse quell’uomo che lo stava minacciando in quel modo.
Dove era finito Killian Jones? Quello che avevo conosciuto io?
Cosa gli stava accadendo?
Era davvero stato lui quello che vedevo ora? Con me aveva solo finto?
Quell’uomo non meritava quel trattamento, temevo per lui.
E una rabbia mi montò in corpo collegando i fatti.
La donna, quella donna che lui stava cercando era la stessa che beata avevo visto abbracciata a Killian, senza il minimo rimorso per non solo stare lasciando il marito, ma per lasciare il figlio.
Che donna ignobile doveva essere? Presi ad odiarla ancora più forte.
Come si poteva essere così.
Il marito era lì, stava implorando per lei perché l’amava, perché le voleva bene non solo per il figlio che condividevano, e lei era impassibile a tutto questo.
La rabbia si mischiò all’invidia, alla gelosia di quel momento.
Per me non era venuto nessuno, nessuno aveva l’amore negli occhi che aveva quell’uomo per sua moglie.
A nessuno era importato di me quando mi avevano rapita, e lei, invece, stava scappando di sua spontanea volontà di fronte a quella vita, a quell’amore, a quel figlio?
Quanto era egoista?
‘Presumo non abbiate preso mai parte ad un duello. Beh è semplice, la parte appuntita deve arrivare dentro l’avversario’. Come poteva pretendere che quell’uomo combattesse? Perché, di fronte al suo sguardo non gliela ridava e basta? Nemmeno a sapere del bambino si ridestò qualcosa dentro di lui. Quel minimo di bontà?
Mi misi a piangere, di nuovo, ma stavolta era un misto di tutto, e vedere quell’uomo a me sconosciuto soffrire e morire di fronte ai miei occhi era il culmine.
Gli sfiorò la guancia con la spada.
‘Un uomo che non è disposto a combattere per quello che vuole si deve accontentare di quello che ha’.
Ma come faceva a non vederlo? Non era forse un lottare quello, ci doveva essere per forza una spada di mezzo per definirlo così?
‘Vi prego signore’, implorò quello. ‘Cosa dirò a mio figlio?
‘Provate a dirgli la verità: che suo padre è un codardo’.

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Capitolo 8
*** VIII CAPITOLO ***


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CAPITOLO VIII

 
Ogni volta che scrivo un capitolo la mia mente vaga a briglia sciolta, non ho limiti e anche se me li prefiggo li supero, ecco.
Ho cercato di raccogliere il capitolo in pochissimo, anche se forse non sembra è così, ma ho voluto terminare con questa visione flashback di Esmeralda e Killian in modo da tornare al presente, perché ormai credo siano tanti capitoli che è così.
Ho dato modo di raccontare i fatti e farvi conoscere come meglio ho potuto Esm, sperando anche di avervela fatta piacere anche un po’ insomma.
Io, vabbè non mi ci metto proprio perché sono troppo affezionata a lei ormai, ed è tipo come se me la vedessi anche nella serie e vabbè tralasciamo. lol
Btw, ringrazio come sempre tutte le persone che recensiscono la storia sia qui che su fb, chi mi scrive in privato per darmi pareri, chi l’aggiunge alle preferite/seguite/ricordate, credetemi sono davvero felice di questo e non posso che dirvi immensamente grazie, sono davvero contenta che la storia abbia un riscontro e che vi piaccia.
Detto questo, vi lascio al capitolo sperando, come sempre nei vostri pareri e sperando che vi piaccia.
 
:*
 
POV KILLIAN
 
E’ difficile dire ora cosa mi passò per la testa in quel preciso momento.
Quando nel suo sguardo non avevo visto nessuna traccia della sera precedente ero andato nel panico e in escandescenza senza prendermela davvero con lei.
Mi sarei potuto limitare a dirle come stavano le cose per davvero, e cosa davvero era successo quella sera, ma non lo feci.
Inventai quella stupida scusa che nemmeno si reggeva alle mie orecchie.
Lei mi guardò persa, e io non feci nulla.
Sarebbe bastata una parola, un accenno veloce e le avrei ricordato cosa mi aveva detto presa dalla febbre convulsa.
Non voglio andarmene da qui. Non voglio andarmene da te’, e qualcosa dentro lei si sarebbe ridestato.
Parole che ora sembravano così lontane e sbiadite nel ricordo di una vita che avevo rimosso, o più che altro sigillato in una parte ben nascosta di me, a cui non accedevo da secoli, e a cui non davo uno sguardo da tempo forse per rimorso, per sensi di colpa che ancora erano vivi e vegeti in me.
In un certo senso l’avevo oppressa, quasi spenta perché faceva troppo male forse.
Potevo rivelarglielo, e invece no, feci l’errore più grande della mia vita.
La evitai.
La evitai come se fosse la cosa più giusta.
La evitai come si evita la peggior maledizione, la peggior sorte e ripresi quell’atteggiamento che tanto mi era stato lontano e che mai le avevo mostrato.
Volevo stare lontano da lei, non perché lo volessi davvero.
Ciò che avevo dentro nei suoi confronti, era ancora vivo e risiedeva ancora lì nello stesso posto di prima, in quel petto e in quella pelle che tanto la bramava, ma ero convinto che così facendo avrei sofferto meno al suo rifiuto.
Perché per me quello sembrava, forse perché non conoscevo i sintomi di ciò che provavo, forse perché non l’avevo mai provato e neanche lei.
Ero sempre stato abituato ad avere tutto e subito e quel sentimento, ora, mi era del tutto estraneo.
Dentro di me, aleggiava l’idea che fosse una finta, quella sua, di non ricordare la sera precedente, per non so quale reale motivo poi.
Non avevo mai compreso che era stata la malattia a farla delirare facendole dire quella verità, perché quelle erano.
Perché si sa la verità non sta solo nel vino, ma anche nelle malattie, e la febbre forte che aveva avuto era stata una di quelle.
Come potevo essere stato così sciocco e insensibile?
Rifiutavo ciò che avevo sotto gli occhi in modo così evidente.
Mi rifugiai sempre più nelle bevute con la ciurma e nelle ubriacature forti.
E fu lì, che in maniera anche poco lucida in quelle sere avevo conosciuto Milah, una donna di cui sapevo poco o nulla e che avrei imparato a conoscere negli anni.
Quando quella mattina bussò alla mia porta e me la trovai davanti quasi mi sembrò di averla tradita.
Il suo sguardo nel momento in cui aveva scoperto che con me c’era un'altra, era ancora vivo in me come se mi fosse di fronte.
Quella luce nei suoi occhi, che aveva, si era spenta di colpo e si era incupita.
Quello sguardo era l’unica cosa che avevo avuto in mente per tutta la giornata.
Aveva preso a tormentarmi e ora si ridestò forte e chiaro come allora.
Quando andai da lei, nelle stive dopo tutto ciò che era successo tra noi in quelle settimane, ero deciso a rivolgerle tutto.
A spiegarle il perché dei miei comportamenti e del perché quella donna fosse con me quella mattina.
Le dovevo delle spiegazioni, a lei e anche a me, perché non potevo continuare ad averla lontana in quel modo, non ce l’avrei fatta.
C’era solo lei con me, dentro me e quella notte era stata uno sbaglio dettato dall’alcol che non ricordavo neanche.
Quando mi ritrovai con quella donna, strabuzzai al suolo non ricordandomi nulla e fu lì che avrei dovuto accorgermi del suo vuoto, senza darle il resto.
Fu li che avrei dovuto prendere coscienza dei fatti.
Non mi aveva mentito affatto, non ricordava davvero come io non ricordavo quella volta.
Ma non lo feci.
 
Mi sentii quasi un estraneo davanti a quella porta. Da quanto non scendevo nella sua stanza?
Bussai deciso a raccontarle tutto, senza tralasciare nulla.
C’era stato qualcosa tra noi, si era rivelata a me io a lei in qualche modo, e pur essendo durato poco avrei provato a farmi dire la verità.
Avrei provato pur temendo in un rifiuto.
Nessuna voce, da dentro mi invitò ad entrare, e pensai che fosse comprensibile dato il mio comportamento in quei giorni.
Aprii la porta ed entrai solo, come all’inizio di tutto.
Un forte singhiozzare attirò la mia attenzione.
Lei era lì, rannicchiata su se stessa sulla branda a piangere.
Sembrava un flashback della prima sera in cui la presi con me.
Mi avvicinai piano e tentai di farla voltare.
Appena udi il tocco, si alzò di scatto e mi rivolse uno sguardo truce che non riconoscevo.
Dov’era lo sguardo che conoscevo?
‘Non mi toccate’, disse dandomi del voi per la prima volta, e liberandosi dal mio tocco.
‘Esm…?’, chiesi sconvolto.
Ora era di fronte a me, gli occhi gonfi e rossi di pianto. Le braccia incrociate al petto in modo ostile, quasi a volermi lasciar fuori.
‘Con chi sto parlando ora? Con la maschera di Killian Jones o il pirata spietato che stamane era sul ponte e che mi evita da giorni?’, fece lei diretta come non lo era mai stata.
Pensai a quella mattina. Il ponte. Aveva visto tutto. Avanzai verso di lei, lei arretrò mettendomi una mano davanti.
‘Esm, lasciami spiegare…’.
‘Spiegarmi cosa? Chi sei in realtà?’. La sua voce si alzò, adirata e tremante.
Mi graffiò e la fissai negli occhi cercando di sostenere un simile sguardo accusatore.
‘Sono colui che hai conosciuto, non ti ho mentito su nulla. Non ti ho mai mentito. Il Killian che è stato di fronte a te negli ultimi anni non era una bugia, era la verità. Tu sai quanto tenga a te… ’. le lasciai intendere, era vero. Con lei avevo sempre cercato di essere me stesso, quello reale che tenevo nascosto agli altri. Le ultime settimane erano state uno sbaglio a cui ero pronto a rimediare. ‘Ciò che hai visto stamattina sul ponte, non riguarda te. La persona che stamattina hai visto non verrà mai a farti visita, non ce posto per lui con te. E’ quella la maschera, non questa che hai di fronte, credimi Esm. Ciò che è stato in queste settimane, ciò che hai visto e sono stato è stato uno sbaglio e ti chiedo scusa…’.
‘Come hai potuto?’, esordì interrompendomi con voce debole e trafiggendomi con lo sguardo. ‘Se dici di essere davvero tu ora, come hai potuto di fronte a quell’uomo oggi essere impassibile e freddo? Come? Non vedevi come stava male, quanto soffriva. Quella donna ha un figlio e un marito, dimmi cosa ci fa qui! Io quella possibilità non lo ho avuta, io non ho avuto nessuno che mi venisse a salvare da qui e lei è qui di sua spontanea volontà in modo egoista e prepotente, e tu di fronte a tutto questo sei distaccato? Come hai anche solo potuto trattarlo in quel modo? Un duello? Seriamente? Non ti è bastato vedere con lucidità e con il cuore ciò che avevi di fronte davvero. Perché tieni tanto a quella donna da non volergliela ridare? E’ sua moglie e ha un figlio!’, sbraitò fuori di sé.
Nei suoi occhi ardeva una nuova emozione da decifrare. Vedeva dell’ingiustizia in tutto quello, non accettava ciò che avevo fatto e ai suoi occhi dovevo esserle sembrato un mostro. Come potevo rimediare a questo?
Per la prima volta la guardai senza sapere bene cosa dire. Tremava. Tremava di rabbia di fronte ai miei occhi e i suoi nervi erano ben visibili.
Perché non volevo ridargli quella donna? Qual’era il motivo per tenerla? Tentai di trovarlo, ma non c’era.
Non c’era mai stato.
‘Ce l’hai davvero con me per ciò che è successo stamattina con quell’uomo che neanche conosci? Non potevo ridargli Milah perché è stata lei a chiedermi di restare è vero, e non gliel’avrei mai data perché agli occhi degli altri, se si sarebbe venuto a sapere, sarei sembrato un codardo e un sentimentale! E i pirati non sono così!’, mi alterai anche io per non so cosa realmente.
Probabilmente mi mascherai di rabbia per non rivelare il vero motivo per cui Milah era lì.
Un motivo che nemmeno io conoscevo e che non avrei saputo darle.
Lei mi propose uno sguardo vitreo e restò immobile per qualche secondo, per poi annuire e sorridere nervosa.
‘Quindi è una questione di orgoglio eh? Mostrarsi sentimentali non è da pirati, avere un cuore non è da pirati è così? Io lo sai che ti dico Killian? Che è meglio essere e rimanere se stessi per non perdersi che mascherarsi diventando qualcuno che non si è davvero, perché pian piano sarai il ritratto della tua maschera e Milah, dato che ora vi chiamate per nome, ti aiuterà in questo. Quella donna tirerà fuori il peggio di te e tu starai al suo gioco. Arrivando quindi a simili dichiarazioni che hai pronunciato or ora, dovrei credere che davvero tieni a me?’.
Annui appena mi si presentò la domanda.
Lei fece cenno di no con la testa, i suoi occhi sull’orlo di un nuovo pianto.
‘I pirati non sono sentimentali Killian, l’hai detto tu’.
‘Non rigirare le cose Esm’, dissi a denti stretti evitando di alzare nuovamente la voce. Non volevo. Non contro di lei.
Volevo che ritornassimo a toni pacati e tranquilli, a ridere e alla leggerezza di prima e invece tutto stava degenerando di fronte ai miei occhi.
‘Non le rigiro, ripeto solo ciò che ho sentito dirti’. Fece una pausa, seguita da un respiro profondo in cui non incrociò il mio sguardo, nemmeno una volta. Poi alzò la testa di scatto e mi guardò vuota.
‘Uccidimi Killain’, mi propose e mi pietrificai come la prima volta. ‘Fai quello che un pirata farebbe con una prigioniera che non ti serve più a nulla. Mio padre non ti ha pagato, è giusto. Fallo, non far sì che il tuo buon nome da pirata venga intaccato a causa mia. Agisci come hai agito stamattina con quell’uomo, decreta la mia fine’. Una lacrima in bilico sul suo occhio spinta dal dolore che lei stessa si stava infliggendo si tuffò nel vuoto, stanca.
La guardai torvo.
Come poteva anche solo pensarlo, anche solo chiederlo.
‘Fa di me ciò che hai fatto alle altre prigioniere Killian’, continuò quasi implorante nonostante ciò che diceva andasse contro ciò che voleva davvero, contro ciò che volevo.
‘NO!’, urlai esausto. Non poteva chiedermelo davvero.
Non sarebbe mai successo.
Non le avrei mai fatto del male, non l’avrei mai uccisa.
Al sol pensiero mi si rivoltava lo stomaco e il mio cuore, perché si l’avevo, si frantumava in mille pezzi.
Anche pronunciare il suo nome accanto a quella richiesta faceva male.
Decisi di sbollirmi, di andare via da quella stanza ora troppo intrisa di tensione che non stava portando a nulla di buono tra noi, sarei passato il giorno seguente quando entrambi saremmo stati abbastanza svegli e meno nervosi, quando sarebbe tornata la lucidità nella sua mente.
Quando la notte che ci divideva dal giorno seguente l’avrebbe calmata e avrebbe schiarito la sua mente da pensieri malsani.
‘Non ti ucciderò mai’, le dissi prima di uscire.
‘Non spetta più a lei decidere capitano’, sussurrò mentre le ero ormai di spalle.
Mi bloccai, mentre un idea nociva mi passò in testa. Sbarrai gli occhi e pensai al peggio.
Mi voltai e la osservai.
‘Cosa vuoi dire?’, domandai.
‘Che se non lo farai tu, lo farò io’, rispose sicura. ‘Non ho più voglia di vivere così’.
Strinsi i pugni e chiusi gli occhi cercando di calmarmi. Dovevo calmarmi.
‘Non lascerò che accada’. E me ne andai prima di sentirla ribattere.
 
I giorni seguenti furono interminabili. Recuperai in qualche modo i rapporti con Esm, anche se intorno a me non facevo altro che vedere i cocci rotti di una relazione che non era più la stessa di prima.
Qualcosa era cambiato ed era abbastanza tangibile.
Le stavo dietro con l’immane paura di quelle ultime parole da lei pronunciate che continuavano a risuonarmi in testa, continuavo a temere potesse farsi del male da sola, ma non era solo questo a spingermi accanto a lei, era altro. Era la continua voglia vera di starle accanto per recuperare ai miei sbagli e i miei giorni persi.
Era il modo in cui mi faceva sentire ogni volta.
Quasi come se fossi migliore.
Mi confidai con Milah, spiegandole come Esm si trovasse là su quella nave e lasciandole intendere quanto tenessi a quella ragazza in realtà, dato che la tenevo ancora in vita, senza però raccontarle davvero tutto ciò che mi legava a lei, e tutto ciò che provavo per lei.
Le dissi delle mie promesse quando l’avevo vista a pezzi, della mia promessa di lasciarla andare semmai avesse trovato qualcuno capace di tenere a lei, senza accennare a quanto mi pentii di quella promessa e quanto fui egoista nel volerla con me per forza, perché la sentivo parte di me.
Milah mi ascoltava e sentivo anche come percepisse perfino ciò che non le raccontavo senza approfondire.
Nelle settimane seguenti la vidi cambiare, iniziando ad indossare abiti pirata e mostrandosi ancora più provocante nei miei confronti.
Ogni volta che cercavo di avvicinarmi ad Esmeralda lei mi bloccava in qualche questione irrilevante, una voglia improvvisa di imparare ad usare la spada, o una nuova meta che voleva esplorare.
In qualche modo cercava in tutti i modi di tenermi lontana da lei facendomi sembrare ancora freddo nei suoi confronti.
In lei si sviluppò una sorta di attaccamento morboso che non capivo a cos’era dovuto.
Ormai su Esmeralda aleggiava uno sguardo triste perenne rivolto sempre all’orizzonte.
Odiava Milah, l’avevo dedotto sin da quel discorso qualche sera prima, e nonostante cercassi di farle avvicinare lei non ne voleva sapere.
Era riluttante nei confronti di quella donna troppo egoista e prepotente, lei era così diversa, così lontana da quella donna forte che era entrata da poco nella ciurma esigendo un ruolo come vicecapitano e che aveva preteso di sapere tutto sulla nave.
Lei imparava. Lei era instabile su quel continuo ondeggiare.
Lei era sicura di sé e di ciò che faceva. Lei era timida e insicura.
Lei aveva qualcuno fuori di lì. Lei non aveva nessuno.
Lei era entrata spontaneamente a far parte della nave. Lei l’avevo rapita.
Nonostante ci fosse Milah però i miei sentimenti per lei non cambiavano, erano sempre lì costanti, al loro posto pronti a ripartire ogni volta che il mio sguardo incrociava il suo e ogni volta che ci ritrovavamo a parlare e sorridere insieme. Succedeva anche quando da lontano mi ritrovavo a fissarla.
Poteva non avere nessuno lì fuori, ma aveva me e pur essendo un pensiero egoista lo accettavo di buon grado perché l’amavo dal profondo.
E non era un amore come gli altri, quel calore e quel pizzicore che avvertivo ogni volta per lei era diverso da tutti gli altri come lei.
Lei era un diamante, anzi no uno smeraldo, tutte le altre il nulla.
Era un amore vero.
 
 
Quando quella sera Milah si presentò con lei al mio cospetto sul ponte, restai sbigottito e tirai un sorriso da angolo ad angolo.
Non avrei mai creduto di vederle insieme, specie lei sorridente vicino a lei quasi ad accettarla come sua possibile amica femminile su quella nave oltre me.
Milah la teneva per un braccio.
‘Stasera lei viene con noi!’, annunciò tutta sorridente guardando Esmeralda che incrociò il mio sguardo timida. ‘Insomma è possibile che tu non l’abbia mai invitata fuori da questa nave?’.
‘Non me l’aveva mai chiesto’, risposi preso da lei, un po’ per quella scelta, un po’ perché era ogni giorno più bella non riuscivo a staccarle gli occhi di dosso.
E la luna era sua complice che posandosi avidamente su di lei la rendeva ancora più spettacolare.
‘Gliel’hai mai chiesto forse?’, disse Milah continuando a ridere.
No, infatti. Non gliel’avevo mai chiesto e forse anche per questo quella sera mi sembrò un ottima idea.
 
Arrivammo alla taverna tra schiamazzi e risatine varie della ciurma.
Ogni volta che ci riunivamo era così, era come se si liberassero fino a perdere l’inibizione.
Perdevano ogni decenza, non che prima ne avessero e vedere lei in mezzo a quegli zotici mi faceva avanzare sempre più quell’idea di proteggerla.
Lei era una perla che non poteva mescolarsi ai sassi, era diversa, era migliore.
Esmeralda era un po’ sopraffatta da tutto questo ed era rimasta un po’ indietro, in disparte, impacciata a mani incrociate mentre avanzava dietro di noi. Lasciai che gli altri mi passassero davanti e arretrai di qualche passo raggiungendola.
‘Esm…’, non sapevo mai come pormi con lei, specie dopo tutto quello che era accaduto.
Lei probabilmente sovrappensiero in quel momento si spaurì nel riitrovarmi davanti.
‘Ehi’, rispose di rimando alzando gli occhi sul mio viso.
Quel sorriso che avevo avuto sin dall’inizio per lei non accennava ad andarsene.
‘Stai bene?’.
‘Un po’’, ammise lei.
In un gesto non calcolato l’afferrai e le cinsi i fianchi, nonostante la sua pelle scura avrei potuto affermare che stesse arrossendo.
Entrammo alla fine dopo tutti gli altri e notai quanto quella locanda, quella sera, fosse affollata.
Tenendo sempre Esmeralda cercai un tavolo libero in cui ci potessimo stare tutti, o almeno gran parte di noi.
Quella sera una normale felicità m’invase l’animo anche se non sapevo ben definirlo e indirizzarlo.
Esmeralda era seduta accanto a me, e nonostante le avessi proposto più volte alcuni brindisi, ne aveva accettato solo uno.
‘Alla nostra amicizia’, aveva esclamato quasi in un sussurro e per me era stato il brindisi più sentito fatto quella sera. E per la prima volta nonostante ciò che provassi per lei andasse ben oltre l’amicizia, accettai di buon grado quel brindisi sbattendo il boccale contro il suo.
Per il momento mi bastava quello. Poteva bastarmi anche se non per molto.
Dopo quello però ne seguirono altri, e altri, e altri ancora e fu difficile distinguere le cose con lucidità.
La mia mente si stava offuscando insieme a quella della ciurma, che erano quasi tutti dormienti sui tavoli per quanto ne sapevo.
‘Vado un attimo alla toilette’, esordì Esmeralda e fu l’unica cosa che ricordai come impressa a fuoco nella mia mente, dopodiché di nuovo il nulla più totale.
 
Quella mattina mi ritrovai nel mio solito letto.
Mi levai stanchissimo e frastornato trovando Milah al mio fianco ancora in preda a Morfeo.
Era successo di nuovo, e di nuovo era come se il vuoto mi pervadesse. Un buco nero enorme in mente e null’altro.
Mi toccai le tempie massaggiandole e cercando di svegliarmi, e cercando in quel gran vuoto dovuto all’ennesima sbornia.
Mi vestii e quando mi affacciai sul ponte fui sorpreso nel vedere che eravamo già in mare.
‘Chi ha dato ordine di salpare?’, chiesi tra il confuso e l’adirato.
‘Milah, mio capitano.’, rispose l’uomo al timone.
Da quanto Milah dava ordini? E perché non mi aveva avvertito di nulla?
Andai nelle stive, come ogni mattina a controllare Esmeralda senza la più pallida idea di ciò che mi sarei trovato davanti.
Appena scesi le scale e avanzai verso la sua porta qualcosa dentro di me mi avvertiva che qualcosa non andava, ma ero convinto fosse ancora la sbornia della sera precedente.
Era così ogni volta.
Chiusi gli occhi per un attimo, in cerca di assestamento.
Avevo un gran mal di testa.
Entrai passivamente nella sua stanza, senza una vera e propria attenzione.
‘Buongiorno’, proferii ancora ad occhi chiusi.
Quella risposta che di solito non tardava ad arrivare quella mattina era muta.
Spalancai gli occhi per guardare i fatti. Magari stava ancora dormendo.
Se così fosse stato, avrei richiuso la porta, e sarei passato dopo. D’altronde la sera precedente era stata una novità per lei.
Quando mi guardai intorno lei non c’era.
Perlustrai la stanza avvicinandomi al suo letto, ma persino quello era in buone condizioni, del tutto immacolato.
Sicuro che non fosse già sul ponte e non l’avessi vista?
Risalii di corsa cercandola, ma in tutto il ponte non c’era traccia di lei.
Iniziai ad agitarmi come non mi era mai successo.
Dov’era Esmeralda? La mia Esmeralda?
Girai come un matto, chiedendo agli altri marinai di mettersi alla sua ricerca ma nulla. Di lei nessuna traccia.
La cercai in ogni anfratto del vascello, chiedendo persino ad Adelaide, la donna che si era presa cura di lei durante la sua malattia.
‘Signore, è da ieri sera che non la vedo’, rispose lei timorosa di una qualche conseguenza.
Da ieri sera?
L’agitazione e il nervosismo presero ancora più piede dentro me temendo il peggio.
E se si fosse buttata in mare?
Quelle parole mi tornarono in mente, ancora una volta, facendomi sbiancare.
Che se non lo farai tu, lo farò io. Non ho più voglia di vivere così.
E se avesse approfittato di quelle ore di sonno? Di quella sbornia e avesse fatto quel passo?
Non volevo crederci.
Doveva essere da qualche parte, non poteva averlo fatto davvero.
Iniziò a rivoltarmisi lo stomaco al pensiero e al fatto di non trovarla.
‘Killian?’.
Mi voltai di scatto, non misurai e ne soffermai il timbro di voce.
‘Esm…’, ma non era lei, di fronte a me Milah.
‘Killian, amore, che succede?’, domandò lei.
‘Esm… Esmeralda. Dov’è? La sto cercando in ogni dove.’, confessai ancora bianco in volto cercando di trattenere la rabbia che mi bolliva dentro.
Lei mi guardò perplessa, incerta.
‘Killian perché la cerchi?’, domandò attentamente.
‘Le devo… parlare’.
Il suo sguardo si fece ancora più perplesso, in bilico tra il dirmi qualcosa e tenerselo per sé.
‘Killian non ricordi nulla di ieri sera?’, domandò spiazzandomi.
Ricordarmi? Cosa avrei dovuto ricordarmi?
Un nodo mi attanagliò la gola e la mente iniziò a ricamare scorci di un possibile andamento della serata della quale avevo paura.
‘Cos’è successo ieri?’, chiesi piano, in modo misurato fermo immobile con il timore di quella risposta.
‘Esmeralda se n’è andata’.
Un tonfo al cuore. Mi trattenni per non cadere a terra.
Tutto intorno a me pareva sfracellarsi.
Ero attonito.
‘Quando siamo andati alla locanda ieri, Esmeralda ha conosciuto un uomo e ha deciso di restare con lui imponendoti il patto che avevate fatto quando tu l’hai conosciuta’, chiari lei avvicinandosi di più a me. ‘Tu hai accettato la cosa e l’hai affidata a quell’uomo facendoti promettere che l’avesse amata per davvero’.
Metabolizzai quelle parole cercando quei ricordi, qualche frammento nella mia memoria ma niente del genere. Niente di ciò che Milah mi stava raccontando riemergeva dall’oscurità.
Una cosa talmente importante, una cosa come quella di cui mi stava parlando avrei dovuto ricordarmela.
E poi come avrei fatto a dargliela così, non l’avrei permesso.
Non avrei permesso che lei se ne andasse così da me, ero egoista e non l’avrei data a nessuno, e poi che amore poteva darle un uomo appena conosciuto? Non esisteva.
Non era vero.
Sghignazzai nervoso allontanandomi e girandole intorno.
‘Non è vero. Mi conosco Milah, e non l’avrei mai permesso. Non avrei mai permesso che Esmeralda se ne andasse così da me. Sono un uomo egoista, Esmeralda non l’avrei mai data a nessuno che non fossi io. Non avrei mai rispettato quel patto!’, spolmonai tirando fuori la mia rabbia.
‘E’ vero, ma ci tenevi, ci tieni a lei’, si corresse. ‘E quando hai visto l’implorazione nei suoi occhi hai ceduto e le hai dato la tua benedizione ad andare via con quell’uomo’.
Qualcosa dentro di me si spezzò.
Ciò che avevo creduto nelle settimane precedenti allora era vero: lei non mi amava.
Il sentimento che riversavo su di lei era unilaterale.
Qualcosa dentro di me non voleva crederci e io con lui.
Tutto ciò che avevo, tutto ciò che era stato era scomparso.
‘Invertiamo la rotta e tornerò a prenderla. Ciò che è stato ieri era effetto della sbornia, non ero io’, decisi con sicurezza dirigendomi sul ponte per mettere in atto il mio piano.
Lei mi bloccò e afferrò con entrambi le mani il mio braccio.
La guardai torva.
‘Gliel’hai promesso Killian. Come credi che reagirà quando arriverai lì, ammesso che ci sia ancora, e la riprenderai con te con prepotenza? Ti odierà, e tu non lo vuoi’.
No, non era ciò che volevo ma la volevo al mio fianco, ma non volevo che mi odiasse.
Mi accasciai sulle scale di fronte all’evidenza dei fatti.
L’avevo davvero persa ora.
Possibile che fosse successo davvero? Possibile che non fossi preda di un incubo.
L’unica parte di me, vera se n’era andata ed ero stato io a mandarla via, se fossi stato un po’ più lucido avrei negato e l’avrei riportata con me ma l’alcol? L’alcol mi aveva offuscato facendomela perdere per davvero.
Come potevo averlo fatto davvero.
La mia pelle, il mio cuore la bramavano e quel pizzicore che avevo nel cuore si trasformò in dolore lancinante che negli anni a venire avrei continuato a sopportare.
Non riuscivo mai a smettere di pensare a lei.
Molte volte mi recavo nelle stive solo per guardare i ricordi svolgersi davanti a me, e pur essendo un capitano molte volte mi ritrovavo a piangere solo nella stanza.
Cercavo terra invano, la mia terra, mosso dalla speranza di rivederla un giorno e riprenderla con me.
Si, era quello che mi spingeva ad andare avanti in quei momenti, era lei, era il mio monito nel proseguire, prima o poi l’avrei rivista.
Ma ora? Ora il mio cuore continuava a sanguinare imperterrito per quella perdita non voluta, e si mise a sanguinare ancor di più quando un giorno mentre ero ancora perso nei miei pensieri la porta si apri con tanta veemenza che mi spaventai.
Milah, tutta trafelata era tornata dall’ennesima escursione sulla nuova città su cui eravamo approdati.
Gli andai incontro vedendola così paonazza e provata.
‘Milah che succede?’, chiusi preoccupato.
‘Killian… ho appena saputo una cosa in città’, annunciò. Lo spettro era ancora lì nei suoi occhi.
‘e…’, la incitai ad informarmi del motivo di tanto fervore.
Milah respirò a fondo, indecisa se proferire o meno. Poi mi guardò. Gli occhi vitrei.
‘Esmeralda…’, un barlume di luce e speranza che tanto avevo bramato apparve ai miei occhi. ‘Esmeralda è morta, Killian’.
Il mondo. Quei mondi che avevo navigato fino ad allora mi caddero addosso tutti insieme travolgendomi.
Lei non c’era più. ora per davvero.
L’avevo persa, e non l’avrei più rivista. Ora anche le speranze sembravano vane.
Tutte le mie speranze si sfracellarono a terra insieme a me, e con loro ciò che ero stato fino ad allora.




*Non scannatemi per la fine, e sperate, insieme a me per il meglio. 
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Capitolo 9
*** IX CAPITOLO ***


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CAPITOLO IX
 
 
Okay, rieccomi gente, mi dispiace se vi ho fatto attendere un po' per questo nuovo capitolo ma vi dico solo che quest'ultimo è stato un parto assurdo.
Ci ho messo un po' a tirarlo fuori perché ricco di vicende e avvenimenti che ho dovuto seguire passo passo affinché la storia avesse un senso logico.
Ho dovuto rivedere un po' di puntate in modo che seguisse la linea della serie e si intersecasse nella storia in modo omogeneo e lineare, se ci sono riuscita spetta a voi dirlo.
Io che ho da dirvi più? Spero che il capitolo vi coinvolga, vi appassioni e vi prenda e vi conduca nella magia della storia.
Aspetto pareri e recensioni a riguardo come sempre anche per sapere se gradite il tutto, ringrazio ovviamente chi lo fa già, grazie di cuore.
E grazie anche per farmi sapere che i capitoli vi piacciono attraverso i bottoni social qui sopra.
Ora vi lascio al capitolo augurandovi una buona lettura!
 
:*
 

 
PRESENT DAY.



 
Dovevo salvarla, e dovevo farlo, volevo farlo da me, senza per forza coinvolgere Emma.
Lei, non per forza doveva saperne qualcosa a riguardo, era qualcosa che apparteneva a me principalmente e in cui Emma non doveva entrare.
Per il suo bene, non avrei permesso e non le avrei mai tolto i poteri per scopi che erano principalmente miei, anche se credo che Emma avrebbe fatto di tutto anche lei stessa per salvare una vita in pericolo, anche se non le competeva.
Ma come avrei fatto da solo?
A chi potevo rivolgermi per una cosa del genere che non la prendesse in prima persona?
David?
Poteva andar bene? I rapporti erano molto migliorati rispetto all’inizio, ma forse era meglio di no. In che modo avrebbe potuto aiutarmi lui?
Aspettava un figlio ora, e se gli fosse successo qualcosa Emma non me l’avrebbe mai perdonata.
Come potevo far da solo tutto questo?
Come potevo salvarla da quella strega malvagia?
Una cosa era certa: non l’avrei abbandonata.
Non l’avrei persa per la seconda volta, era troppo, tanto per me e saperla, vederla viva aveva ridestato quella parte di me chiusa e sigillata da anni in una parte remota del mio essere.
Lei era il mio tutto e non l’avrei lasciata sola a sé stessa, pur amando Emma, non ci sarei riuscito, perché infondo sapevo che amavo anche lei come allora.
Dovevo trovare un modo.
Potevo ucciderla con il sogno oscuro, pensai. L’avevo fatto con il Signore Oscuro, poteva intaccare anche lei. Ma dove l’avrei trovato qui, ora?
L’avevo esaurito tutto per la mia vendetta contro Tremotino e non potevo recuperarlo.
Se solo ne avessi risparmiato un po’.
E se… pensai.
Forse Regina potrebbe, avrebbe potuto aiutarmi in questa missione senza toccare Emma.
Ma quanto potevo fidarmi?
Quanto sapevo di Regina, in che modo avrebbe potuto aiutarmi nel mio scopo?
Di certo aveva e praticava la magia e già era qualcosa, poi ultimamente era diventata … buona, potevo osare una parola simile su di lei?
Di certo sapevo che non avevo nulla da perdere nel chiederle un favore, pregando affinché accettasse, e qualunque sarebbe stato il suo prezzo l’avrei pagato senza remore.
Era la mia unica alternativa perché era chiaro e palese che da solo non ce l’avrei fatta.
Mi recai a casa di Regina prima del previsto.
Bussai, ancora un po’ titubante, non sapevo se la scelta fosse la più sensata.
Avevamo un appuntamento nel pomeriggio con tutti gli altri, ma a me serviva parlargli da solo, ora.
Non potevo aspettare un momento in più.
La sentii correre per le scale e spalancare la porta.
‘Salve Regina’, salutai stentando un sorriso.
Lei si guardò intorno un po’ spaesata.
‘E’ ancora un po’ presto per essere qui, non credi?’, mi ammonì con disapprovazione.
‘Lo so, lo so. Ma ho bisogno di parlarti prima che arrivino gli altri’, feci in tono circospetto. ‘Posso entrare?’. Chiesi cortesemente.
Lei era un po’ indecisa sulla porta ma alla fine annui arrendendosi.
‘Certo, entra’, e si fece da parte per farmi passare.
Chiuse la porta alle spalle e mi porto in cucina, dove era intenta a preparare qualcosa.
‘Allora cosa hai da dirmi capitano?’.
Da dove potevo iniziare? Era la prima vera volta che chiedevo aiuto a qualcuno, me l’ero sempre cavata da solo in quella vita, ma Zelena era proprio fuori dalle mie capacità.
Lei mi guardò spazientita aspettando il motivo per la quale l’avevo disturbata.
‘Zelena mi ha ingannato ieri, e mi ha maledetto’. Dritto al punto.
Lei si alzò da ciò che stava facendo, ora attenta e spalancò gli occhi.
‘In che senso maledetto?’, disse venendo verso di me, quasi impaurita. Trattenne il respiro.
‘Ha maledetto le mie labbra’, puntualizzai indicandole in un gesto implicito, lei non capì. ‘Se bacerò Emma, lei non avrà più poteri’.
Sospirò sollevata, riprendendo a respirare.
‘Non vedo allora dov’è il problema capitano! Te la saprai tenere un po’ senza fargli gli occhi dolci e tutti quegli … ammiccamenti’, il suo tono era altamente disgustato, non ci badai.
‘Non è questo il punto,’, precisai, fissandola serio. ‘Ha un'altra persona con sé. Una persona che appartiene al mio passato e che voglio, devo salvare, ma per farlo…’
‘Devi baciare Emma e toglierle i poteri’, dedusse lei, pensierosa.
‘Questo è l’accordo per spezzare la maledizione e riaverla’.
Inarcò un sopracciglio e s’incuriosì. ‘Deduco sia una lei quindi? Chi è una del tuo passato con cui te la sei spassata?’, ridacchiò.
‘No, non è niente di tutto ciò’, dissi stringendo i pugni. ‘E’ qualcosa di molto più vero e importante. Fa parte di me’. Ammisi.
‘E quindi vuoi davvero salvarla? Non voglio entrare nei tuoi affari, ma non mi pare fossi con qualcuno quando sei arrivato qui. Se questa persona appartiene al passato, abbandonala al passato. Abbiamo altro a cui pensare, altro da proteggere e lo sai bene’, mi fece notare con quel tono acido, come se non lo sapessi e non conoscessi la situazione.
‘Io non solo voglio, ma devo salvarla, ti basti sapere questo. Non ci rinuncerò, e so qual è la situazione mia cara Regina’.
‘Non vorrai mica farlo davvero? Vuoi davvero baciare Emma togliendole i poteri per salvare questa… ragazza.’, alzò lo sguardo, torva.
‘No, non voglio. Non vorrei mai, non farò mai del male ad Emma, ma se non farò ciò che dice inizierà ad uccidere le persone a cui tiene cominciando da…’
‘Henry’. La paura la pervase di fronte a quel nome.
Sapevo quanto volesse bene a quel ragazzo e compresi il suo stato. ‘E’ ucciderà Esmeralda…’.
Dissi il suo nome ad alta voce, a qualcun altro, per la prima volta dopo anni, e qualcosa dentro di me si innescò cominciando a bruciare.
La mia pelle ricominciò a pizzicare in cerca della sua pelle, il mio cuore ricominciò a sanguinare come se la ferita che era al suo interno, a cui non badavo da secoli, si fosse riaperta nello stesso squarcio della prima volta.
‘Ma se potessi trovare Esmeralda prima, se potessi salvarla da lei, lei non avrebbe nulla contro me, contro Emma. Tu proteggerai Henry e gli altri e potremo vincere per questo ti chiedo aiuto. Non posso coinvolgere ne’ Emma ne nessun altro.’ Lasciai intendere.
Lei ci pensò un po’ su. Era in conflitto.
Negli occhi ancora quella paura.
‘Hai qualcosa di lei?’, domandò.
No, non avevo nulla di lei, se non il ricordo.
‘No, sono passati secoli’, ammisi senza andare oltre. Non c’era bisogno di dettagli.
‘Un incantesimo di localizzazione sarebbe stato comunque vano. Avrà protetto il luogo con la magia prevenendo una possibile mossa’. Si disse più tra sé, che rivolta a me.
 Ticchettò le dita sul tavolo in cerca di idee, deduzioni, qualcosa in grado di essere utile al momento.
Poi mi guardò, negli occhi un lampo.
Eccola quell’idea che stavamo aspettando.
‘Vieni con me!’, ordinò.
Le andai dietro fino al suo studio, che era già allestito con una tavola rotonda per ciò che aveva in mente, ma non volevo badarci.
Non le chiesi nulla.
‘Accomodati sul divano’.
Mi sedetti, lei si diresse verso una piccola credenza e ne estrasse qualcosa. Mi sventolò una boccetta con un liquido verde al suo interno, soddisfatta.
‘Dovrai bere questa e pensare a lei.’ indicò. ‘Ti addormenterai e verrai portato dove lei è nascosta. Bada però: lei non potrà vederti, ne tantomeno udirti, non so quanto duri la pozione, ma non è tanto il tempo che hai a disposizione. Dovrai fare molta attenzione a dove si trova e localizzare il posto’.
Annui semplicemente e aprii la boccetta senza chiedere altro, le informazioni erano chiare.
La esaminai un attimo scuotendola.
La ingurgitai d’un fiato e caddi in un sonno profondo.
 
Quando riaprii gli occhi era anche difficile sapere dove metter piede.
Sapevo di essere da qualche parte ma non sapevo esattamente dove ero e l’oscurità che mi avvolgeva era fitta e invalicabile.
La cosa non mi aiutava per niente.
Mi chiesi se davvero quella pozione mi avesse mandato nel posto in cui volevo.
Se in quel posto ci fosse davvero colei cercavo.
Chiusi gli occhi e li riaprii per abituarli a quella condizione, chissà che riaprendoli avrei visto qualcosa, qualcuno.
Intorno un forte odore di chiuso mischiato ad odore di legna impregnava l’aria e l’umidità che avvertivo addosso era quasi ghiacciata.
Penetrava nelle ossa ed era difficile restare indifferenti alla cosa.
Quando riaprii gli occhi, fu decisamente meglio.
Delle deboli ombre presero forma e la stanza in cui ero prese vita, rivelandomi in qualche modo dove mi trovavo.
Non distinguevo abilmente ciò che vedevo, ma ne percepivo i contorni senza il minimo colore.
La stanza pareva essere priva di porte e finestre, nessuna luce penetrava da nessuna parte e mi chiedevo come potesse esserci qualcuno lì dentro.
Di fronte a dov’ero c’era un tavolo abbastanza alto, e delle forme incerte simili a scodelle e bottiglie vi erano appoggiati, li accanto in un angolo si materializzava un grande oggetto rettangolare, poteva definirsi una porta forse? Mi avvicinai a tentoni per constatarne la concretizzazione.
Con la mano toccai qualcosa simile a barre di ferro fredde tanto quanto l’aria che c’era in quella stanza. Ne seguivano altre e altre ancora in fila.
Il tutto sembrava formare una cella che terminava al muro.
Era possibile?
All’ultima sbarra il mio anello, pur non essendo lì fisicamente, fece contatto generando un lieve rumore che speravo non si fosse sentito.
‘Chi c’è?’.
Trattenni il fiato, incredulo alla voce che avevo appena udito.
Quella voce che da anni parlava in ripetizione nella mia mente, e che era andata sempre più smorzandosi nei secoli mi aveva parlato.
Quel timbro di voce era il suo.
Ogni centimetro del mio essere l’aveva riconosciuto come suo ed ebbe un sussulto. Era lei.
Ma dove si trovava?
C’era lei in quella stanza?
‘C’è qualcuno qui? ’, disse quasi titubante. Sentii le sue mani sulle sbarre, e dedussi che fosse dietro quella gabbia che avevo appena toccato.
‘Zelena basta, ti supplico!’, tuonò quasi rotta.
Perché l’aveva nominata? A quali supplizi la sottoponeva quella strega per farla reagire così?
Aguzzai la vista, alla sua ricerca.
Volevo, dovevo vederla. Ne andava di me.
Dovevo sapere che non era stata una mia fantasia quando l’avevo rivista, era viva per davvero.
E volevo assicurarmi che ciò che avevo appena udito non fosse una mia immaginazione.
Cercai in ogni anfratto di ciò che avevo di fronte, e la vidi poi distintamente, come se d’un tratto la stanza si fosse illuminata.
Era rannicchiata in un angolo di quella cella, con la testa tra le mani allo stremo delle forze, avvolta nello stesso straccio con cui l’avevo vista al molo e palesemente dimagrita.
Le sue forme, quelle che ricordavo erano quasi svanite.
Lo sguardo vuoto e indecifrabile.
Delle lacrime permeavano le sue ciglia inferiori in cerca di fuga, il suo sguardo spento, vuoto mi colpì in pieno petto, peggio della visione che mi aveva offerto la strega.
Nessuna speranza albergava in lei, nessuna voglia di reagire, nessuna luce.
Sembrava un involucro senza più nulla al suo interno.
Fu allora che avrei voluto essere in carne e ossa lì, avrei dovuto salvarla, ora ne sentivo ancora più quel bisogno impellente di farlo, perché lei non ne avrebbe mai avuto il coraggio e la forza per come era.
Lei non c’era per davvero. Chi aveva per esserci?
Per quale vero motivo avrebbe dovuto combattere? Aveva trovato qualcuno a quel mondo? Era sopravvissuta ai secoli con quell’uomo con cui era fuggita? E se davvero era così, dov’era ora quel valoroso cavaliere che l’amava, che diceva di amarla.
Nessuna l’amava e l’aveva amata come avevo fatto io nei secoli e l’averla di fronte era una gioia e un dolore insopportabile.
Si sarebbe lasciata morire a qualsiasi condizione, perché non aveva più nulla per cui vivere.
Che ne sapeva di me. La strega le aveva detto qualcosa?
‘Ci sono io qui, Esm!’, provai ad urlare. ‘Sono qui proprio di fronte a te, non ti lascerò, ti porterò in salvo, lo giuro! Qualsiasi cosa ti stia facendo Zelena, la pagherà con la sua stessa vita’.
Lei non potrà vederti, ne tantomeno udirti. Erano state queste le parole di Regina, però non valeva il tocco. Il mio anello aveva toccato le sbarre, dedussi.
Potevo toccarla se volevo. Sfiorarla, ma non potevo. Non perché non volessi, ma se l’avesse scoperto la strega?
Come faceva la strega a riconoscere un tocco?
La mia mano la bramava e sembrava fosse il cuore a guidarla quando si trovava a un passo dai suoi capelli, ma fu lì che la ragione la fermò.
Se l’avessi anche solo sfiorata ora sarebbe stata la fine, per me, perché dopo non avrei voluto più distaccarmene.
Strinsi la mano in un pugno e la ritirai sofferente.
Forse era decisamente meglio così, per il momento.
 

 
Non ero riuscito ad identificare il posto, nulla.
Dove poteva essere una stanza senza ne porte, né finestre? Mi chiedevo in continuazione.
Regina dedusse che aveva probabilmente celato la stanza effettiva in modo che nemmeno lei sapesse dove si trovasse, o in modo che lei non provasse a fuggire.
Ricordavo solo l’aria umida e il forte odore di chiuso e legna, solo quello, null’altro ed era straziante.
Era straziante non riuscire a far nulla nonostante sapessi dove si trovasse, ora.
Non riuscivo a smettere di odiarla quella strega, e non riuscivo a smettere di pensare a lei e al suo sguardo.
Era viva ma nascosta in una morte apparente senza via d’uscita.
Mi chiedevo cosa avesse fatto tutto quel tempo, e perché non l’avessi mai rincontrata. Cosa aveva passato in quei secoli distanti da me, e perché si era detto che era morta.
Dov’era stata per tutto quel tempo? Se l’avessi saputo, se qualcuno me l’avesse detto, sarei corso da lei.
Sarei andato fino alla fine del mondo per riprenderla insieme a me, ma il fato aveva deciso di negarmela in tutti i modi possibili.
Fino a questo calvario.
 
‘Io starei lontana dalle mele in questa casa’, disse entrando Emma.
Io avevo in mano una mela verde che neanche ricordavo di aver preso, tanto ero immerso nei miei pensieri.
‘Certo’, risposi ancora con la mente altrove più che in quella stanza e in quel luogo.
‘Stavo scherzando! Dov’è finito il tuo senso dell’umorismo?’
E’ finito altrove Emma, tra il salvare te e il salvare una persona della quale non ti ho mai parlato perché credevo non esistesse più, e che ha sempre fatto parte di me. Probabilmente era questo che avrei dovuto dirle in realtà, ma optai per un ‘E’ scappato appena è arrivata la strega’.
Era difficile non dirle nulla, difficile tenerla all’oscuro di tutto. Ma non potevo, per il suo bene, anche se tutto ciò era lancinante.
Lanciai la mela e mi alzai diretto al tavolo dove erano seduti gli altri.
‘Ce ne occuperemo più tardi, Regina dice di avere un piano’
Più tardi per me non esiste, Swan.
‘Ne sono sicuro’, risposi.
Ancora la mente altrove.
-
Quando la sera ci incontrammo da Granny’ s lei era tutta in fermento ed esaltata all’idea dei suoi poteri e al fatto che riuscisse a controllarli, come avrei potuto dirle come stavano le cose?
Le sole informazioni l’avrebbero messa in pericolo.
La mia mente vorticava sui dettagli intravisti e l’atmosfera di quella stanza in cui era Esm, un dettaglio anche uno piccolo che avrebbe potuto condurmi da lei e salvarla.
Allo stesso tempo osservavo Emma fare pratica con i suoi poteri anche in cose futili come far sparire una tazza di cioccolata e panna.
Dopo essersi concentrata abbastanza e averla fatta sparire si avvicinò al tavolo su cui ero seduto.
‘Un Granny’s da asporto. Dovrei aprirne una catena’, disse esaltata con un enorme sorriso che le illuminava il volto candido.
Sarebbe dovuto bastare questo a calmarmi e ad essere più empatico nei suoi confronti, ma non ce la facevo.
‘Impressionante’, esalai del tutto incolore anche alle mie orecchie porgendole la mia tazza che non avevo neanche toccato.
‘Vuoi vedere una cosa davvero impressionante?’, sospirai esasperato, non per lei ma per la situazione, per il fatto che avrei voluto dirle tutto invece non potevo.
Fece un gesto con la mano, mentre ancora sorridente mi sedeva di fronte.
Il mio uncino era finito sull’attaccapanni. Lei rise.
‘E’ maleducazione Swan! Manomettere l’uncino di un uomo’, sbottai innervosito.
‘Okay, sul serio, che ti succede?’, fece lei incredula.
Mi pentii subito della mia reazione, del modo in cui avevo risposto.
Lei non c’entrava niente in tutto questo, ero io ad avere dei problemi.
Ero io a doverli risolvere senza intaccarla.
Volevo raccontarle tutto, non tenerle nascosto nulla, ma … non potevo.
‘Mi scuso per la mia scortesia. E’ una storia lunga, troppo lunga per adesso’. Mi giustificai, e bevvi un sorso di rum.
Sentivo i suoi occhi addosso e non avevo il coraggio di incrociarli.
‘Okay, ovviamente qualcosa … ’, stava per finire, per dirmi qualcosa quando Belle irruppe nella stanza, e tutto finì lì.
 
Il mattino seguente mi risvegliai nel bagagliaio di una Cadillac, imbavagliato e legato senza ricordarmi come ci ero davvero finito, e tantomeno chi l’avesse fatto.
Era tutto scuro lì dentro, quasi come nella stanza di Esmeralda.
Quando il portellone si apri mi ritrovai davanti Zelena.
Con uno strattone mi levò il bavaglio dalla bocca che finalmente riuscivo di nuovo a sentirmi.
‘Siamo a Storybrooke. Non hai mai sentito parlare del telefono?’, esordì spavaldo.
Lei fece una risatina e prese a passarmi la rosa che aveva in mano sulle labbra.
‘Che belle labbra. Sono davvero sprecate. Perché non hai usato quelle seducenti labbra su Emma Swan?’
‘Beh, alla ragazza piace essere corteggiata’, esordì ancora più sfacciato.
Lei rise di gusto all’ennesima battuta che le propinavo, poi tornò seria.
‘Suppongo allora che ti piaccia corteggiare Emma Swan e lasciar morire Esmeralda quindi’, un sorriso malato le balenò sul viso. ‘Povera ragazza quando verrà a sapere che colui che per lei è il vero amore non ha la minima intenzione di salvarla eh?’.
‘Io salverò Esm, anche a costo della vita!’, m’infuriai digrignando i denti ora.
‘Questo non è un gioco, e se tu non le toglierai i poteri dovrò uccidere la tua dolce metà, ammesso che sia ancora così per te’.
‘Tu non le farai del male’, dissi ancora più imperversato scandendo ogni singola parola.
‘Se il bambino di Bianca dovesse nascere prima del tuo bacio, non avrò alternative. Dovrò ucciderla e insieme a lei verranno fatte fuori altre persone. Persone care ad Emma e a te. A cominciare da Esmeralda’. E mi lanciò la rosa sul petto. ‘Io ancora non vedo dove sta il problema, capitano. Portale via la magia, e potrai riavere Esmeralda se davvero la desideri, oppure la prossima rosa la getterai sulla sua tomba’.
E chiuse il portellone facendomi tornare nell’oscurità.
Il sangue che avevo iniziò a ribollirmi di rabbia, dopo tutto quello che mi aveva detto non riuscivo a non essere nervoso a riguardo.
Non potevo scegliere, come avrei potuto farlo. Erano entrambe parti di me, e non avrei sacrificato né l’una né l’altra.
Decisi di stare lontano da lei non perché lo volessi, ma perché non volevo vedesse la mia rabbia, fin quando non trovai Henry intento ad andare via da Storybrooke.
Lo convinsi che c’era un altro modo per andarsene a New York se proprio avesse voluto.
Ciò che successe dopo quando le scimmie di Zelena mi attaccarono e soprattutto attaccarono Henry fu la mia rovina, in quanto ad Emma venne il dubbio che fossi suo complice, e ai suoi, una volta recuperati i ricordi che fossi un impostore, in quanto loro non mi avevano mai inviato nulla per salvare Emma.
In quel momento mi chiesi anch’io chi mi avesse inviato la pozione, ma sapevo che tutto ciò che avevo fatto lo avevo fatto a fin di bene.
L’avevo fatto per salvare almeno Emma ed Henry perché tenevo davvero a loro, non ero un eroe, non lo ero mai stato ma cercavo di fare del bene a chi avevo a cuore.
In quel momento cercai di rivelare ad Emma anche di Esm. Avrei vuotato il sacco completamente, così da non avere più segreti con lei, ma non ne voleva sapere, cercai di dirle la verità facendole capire che ero stato costretto a nascondere le cose, che non era stata una mia scelta.
Ma lei era irremovibile e non capiva.    
Quando arrivai in ospedale il giorno seguente, il piccolo reale che stava arrivando era solo una scusa per vedere Emma.
Ma nei suoi occhi c’era ancora lo stesso sguardo truce con cui l’avevo vista l’ultima volta.
‘Non credo che sia una buona idea che tu sia qui ora’.
‘Voglio aiutare’, ammisi sincero ai suoi occhi.
‘Se è così dovevi avvisarmi quando Zelena ha maledetto le tue labbra’, continuò lei ostinata.
‘Non avevo scelta’, le dissi guardandola negli occhi. ‘Ha minacciato te, la tua famiglia e… me. Io cercavo di aiutare’.
Cercai di omettere la terza persona, non sapendo come introdurla ora in quella conversazione. Le acque era troppo agitate per aggiungere altro che avesse potuto farla adirare di più, ma era la verità e volevo che lo vedesse e lo sentisse dalla mia voce, perché ero realmente pentito per ciò che avevo fatto ma come avrei potuto dirle qualcosa senza temere il peggio?
Tenevo a lei, ed ero sempre stato sincero perché non riuscivo a mentirle, ma di questo non avevo colpe.
Avevo cercato di proteggerla e non mi sentivo in colpa per questo, ma poi lei mi guardava in modo freddo e una lama attraversava il petto.
‘Dirmi cosa stava succedendo sarebbe stato d’aiuto’.
‘E sarebbe stata una sentenza di morte… per tuo figlio’, cercai di donarle quella visione, in modo di andare oltre la sua ostinazione e vedere le cose per come erano ai miei occhi.
Fece un respiro ponderato guardando altrove.
‘Tenere Henry al sicuro è compito mio, non tuo. Per questo combatto Zelena.’ Un altro respiro. ‘Questa storia finisce oggi’.
La lama in petto si fece più strada mentre lei mi voltò le spalle e se ne andò impettita.
Le andai indietro in silenzio, afflitto e cercando le parole più giuste da dirgli per descriverle al meglio la mia situazione, quando, dalla stanza sul corridoio, usci David.
Mi tenni a distanza fin quando non mi sentii chiamare da suo padre.
‘… Tu andrai con lei’.
‘Amico, credevo non ti fidassi di me’.
‘Zelena ti ha messo alle strette. Hai fatto ciò che potevi.’, persino lui mi capiva.
‘Visto? Anche tuo padre mi capisce?’, insinuai avanzando verso di loro.
‘Lo farò da sola’, disse lei ancora convinta nella sua dipartita.
‘No, invece’, fece David perentorio. ‘Non riguarda solo te, riguarda tutti noi’.
‘E lui cosa farà?’, disse indicandomi. ‘Io ho la magia, lui una mano sola’.
‘Sai, sono bravo a combattere’.
‘Al limite può fare da esca.’, azzardò David.
‘Cosa? Ora sono carne da macello?’
David guardò per un ultima volta la figlia cercando consenso, quella annui controvoglia.
E ci avviammo in cerca della strega malvagia.
[…]
Appena arrivati di fronte a Zelena Emma fece sfoggio della sua avversione ancora fresca nei miei confronti dopo l’accaduto.
‘Se vuoi togliermi i poteri, incanta le labbra di qualcuno che bacerei davvero’.
Alzai gli occhi, stizzito da quell’uscita che sapeva bene anche lei quanto non fosse vera.
‘Vedi Emma devi deciderti: Puoi tenerti la magia, che ti rende così triste, o salvare l’uomo dalla quale non vedi l’ora di fuggire’, disse Zelena sicura di sé.
La guardai torva non comprendendo ciò che intendesse con quelle parole.
Un attimo dopo, dopo un comando al signore Oscuro volai a decine di metri finendo in una tinozza piena d’acqua dalla quale non riuscivo a liberarmi.
Qualcosa mi tratteneva, una forza pressante mi teneva giù non dandomi via di scampo.
Sentivo qualcuno che mi strattonava con l’intento di aiutarmi, e dedussi fosse Emma, ma nonostante il suo aiuto non riuscivo a riemergere.
Persi i sensi.
Iniziai a sputare tutta l’acqua che mi era finita dentro, e la prima cosa che mi trovai davanti appena aperto gli occhi fu lei.
Emma.
Il suo sguardo era cambiato, era improvvisamente impallidita e spaventata mentre le sue mani erano sul mio petto.
‘Swan?’.
Una deduzione mi balenò in mente su come avessi fatto a risvegliarmi. Su come avesse fatto.
Mi toccai le labbra a quell’intuizione e mi venne in mente la più orribile.
Aveva posato le sue labbra sulle mie per salvarmi e nell’averlo fatto tutti i suoi poteri. La nostra unica speranza. Era svanita.
‘Che cosa hai fatto? Che hai fatto?’ dissi atterrito da quella visione mentre lei continuava a fissarmi.
 
 
 
 
 
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Capitolo 10
*** X CAPITOLO ***


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X CAPITOLO
 
 
Quando arrivammo nel posto designato dalla strega ciò che mi apparve davanti era qualcosa che non mi sarei aspettato.
Almeno non ora, non in quel momento.
Una donna legata dalle mani pendeva al centro del capanno, in mezzo a un vortice magico. Aveva la testa bassa come se stesse dormendo, ancora in quella veste, ancora più magra dell’ultima volta.
Non potei fare a meno di riconoscerla, e il mio cuore sembrò lacerarsi ancora di più in quella visione.
‘Ma che diavolo … ?’, fece Emma non riconoscendo quella ragazza. ‘Chi è quella ragazza?’.
‘Esmeralda …’, risposi quasi implicitamente quasi nel chiamarla più che a rispondere alla sua domanda.
‘Me la pagherai per questo!’, digrignai i denti fissando e puntando la strega con la mia spada.
Zelena sorrise di gusto a quella minaccia.
‘Sai, mi aspettavo che la salvassi in fondo. Pensavo che ci tenessi a lei, ma avrei dovuto accorgermene già dal fatto che non la ricordavi più come il tuo vero amore.’.
Il suo sguardo malvagio cadde su Emma, perché era certa che non ne fosse al corrente e voleva vederne la reazione. Poi ritornò su di me.
‘Povera Esmeralda, quando scoprirà che il suo Killian ha scelto un'altra invece di lei. Come si sentirà quando verrà a sapere che è ancora una seconda scelta per te. Le spezzerai il cuore’.
‘Lasciala andare!’, dissi piano le parole scandendole per bene e mettendoci tutta la mia rabbia, mentre in mente escogitavo un piano per tirarla fuori di lì.
Sbarrò gli occhi.
‘E’ perché dovrei? E’ stato grazie a me se hai tolto i poteri ad Emma! Ti avevo dato una scelta: un vecchio amore per uno nuovo o sarebbe morta, ricordi? Ora per quale motivo dovrei liberarla? Non ci tieni a lei capitano, non te la sei guadagnata! Se avessi fatto ciò che ti avevo chiesto ora sarebbe in salvo, lì tra le tue braccia. Che dire quindi? La perderai di nuovo, e questa volta per sempre mio caro’. E rise maligna. ‘Volevo solo farti assistere alla sua esecuzione, perché sai… una volta tornata a prenderla ero davvero intenzionata ad ucciderla, ma poi mi son detta Perché adesso? Perché non davanti agli occhi di chi ha rinunciato a lei sapendo a cosa fosse andato incontro scegliendo la strada sbagliata? E quindi eccomi qui, a darti un posto in prima fila alla sua morte’. La sua risata si apri ancor di più in qualcosa di grottesco.
‘Va a salvarla.’, suggerì Emma avvicinandosi a me. ‘Io cercherò di distrarla e di coprirvi le spalle’.
Quel gesto, quelle parole mi sorpresero, non perché dubitassi che non l’avrebbe fatto comunque, ma perché anche questa volta accettava quella parte di me e combatteva al mio fianco, pur sapendo che non le avevo detto nulla, pur non conoscendo niente di quella ragazza che era lì e a cui io tenevo.
Lei sfoggiò la pistola al mio fianco, di fronte a noi il signore Oscuro.
‘Prendete il pugnale e io sarò dalla vostra parte. Vi aiuterò, fate come vi dico o vi distruggerò’.
Emma sviò l’attacco dell’Oscuro mentre io mi dirigevo altrove cercando di entrare nel mezzo di quel vortice senza farmi sfiorare, o ben peggio risucchiare, ma era difficile.
Intorno a me ognuno combatteva per qualcosa.
Esmeralda era lì, a pochi passi dai miei, dovevo solo raggiungerla e afferrarla.
Nei piccoli istanti di lucidità mi chiedevo se fosse vera, o un ennesima illusione della strega, oltre che ad una mia illusione.
Per secoli avevo immaginato di rivederla pur sapendola morta e ora era di fronte ai miei occhi, incosciente ma vera.
L’avevo vista nei posti più assurdi a causa della mia mente che continuava a nutrirsi del suo ricordo proiettandolo dovunque io andassi e mi fermassi, dei suoi sorrisi, dei suoi sguardi e mai, mai avrei immaginato un destino diverso da quello che mi era stato raccontato. E ora volevo stringerla tra le braccia come allora, tranquillizzarla e portarla al sicuro con me, fuori da tutto questo, fuori da quella malvagità che le era stata inflitta.
Perché lei era fragile, minuta e non meritava alcun male. Non a causa mia.
Quando mi voltai Regina era stata innalzata dalla strega che la stava soffocando, temei il peggio.
Perché se lei, che era la nostra unica speranza avrebbe fallito, saremmo stati spacciati.
Tutti.
Saltai all’interno del cerchio cercando di far attenzione alle fessure in cui scorreva la magia e facendo attenzione a non attirare l’attenzione dei due che ci erano contro.
Arrivai nel mezzo e la vidi proprio sopra di me, ma non sapevo come fare per tirarla giù. Era troppo in alto.
Ad un altezza inumana per me, e nemmeno sguainando la spada sarei potuto arrivare a tagliare la corda che la teneva appigliata.
‘Ti do una mano’, gridò Robin Hood attirando la mia attenzione.
Posizionò l’arco e lo puntò alla corda che la teneva su, un scatto e la freccia scagliata tagliò la corda in un taglio netto e deciso.
Lei cadde e con un balzo l’afferrai prima che cadesse nel vortice.
Era tra le mie braccia di nuovo, e la mia pelle sembrava non averla mai dimenticata.
Al suo contatto, la mia pelle sembrò rigenerarsi nel ricordo che ora si faceva più vivido, reale, duraturo.
‘Esm!’, cercai di chiamarla carezzandole il viso dolcemente.
Lei apri gli occhi lentamente e sbattendoli più volte.
Quando mi trovò davanti era quasi incredula nel trovarmi davanti ai suoi occhi.
Mi guardò perplessa e avanzò una mano sul mio viso per accertarsi che fossi reale.
‘Killian?’, delle lacrime iniziarono a sgorgare dai suoi occhi. ‘Killian!’.
 ‘NO!’, gridò la strega rivolgendomi uno sguardo iniettato di sangue, e con l’altra mano era pronta a lanciarmi un incantesimo.
Robin in quel momento di distrazione prese il cuore di Regina da uno di quei piattini posizionati agli estremi, e dalle sue mani scaturì una luce bianca.
Zelena se ne accorse.
‘Cosa stai facendo?’, domandò impaurita.
‘Sto cambiando’.
E prima che Regina la colpisse con la magia bianca, Zelena colpì Esmeralda in pieno petto con l’ultimo briciolo di magia che le rimaneva.
Dopodiché venne colpita, le cadde il pugnale e rotolò via da dove si trovava.
Guardai Esmeralda cercando gli effetti della magia che aveva lanciato. Lei mi guardò con occhi spalancati cercando di parlare, di dire qualcosa, ma respirava a fatica e sembrava soffocare.
Tra le mie braccia iniziò ad ansimare e a tremare violentemente.
Si toccò il petto come a dire qualcosa che non comprendevo.
Regina aveva strappato la spilla dal collo alla strega. Il vortice si chiuse.
Usci da lì, con lei ancora tra le braccia, e diretto verso quella strega con la mia rabbia.
Una mano sul petto mi sbarrò la strada.
‘Killian, non c’è tempo per questo. Portiamola in ospedale. Ora!’, fu Emma a dirmi cosa dovevo fare.
Ed era vero.
Ci sarebbe stato modo di vendicarmi per ciò che aveva fatto.
Ma ora dovevo salvarla.
David, che nel frattempo aveva recuperato il bambino disse: ‘Prendete il mio furgone’, e passò le chiavi ad Emma.
 
 
Per tutto il tragitto verso l’ospedale mi sembrò di ripercorrere mentalmente i  giorni in cui si ammalò.
Quei giorni in cui la presi con me nella mia stanza per curarla, quei giorni in cui non smettevo nemmeno un attimo di stargli vicino e di pensarla.
E ora mi sembrava essere tornato indietro con lei che boccheggiava e io che la tenevo stretta a me.
Le ore di attesa in ospedale furono anche più agonizzanti.
Vagavo per la sala d’attesa attendendo che Frankstein.. o meglio il Dottor Whale uscisse e mi desse notizie a riguardo.
Odiavo quell’attesa e non riuscivo a togliermi quell’odio verso la strega di dosso.
Se solo le fosse accaduto qualcosa, se solo da quella stanza non ne sarebbe uscita sana e salva non avrei risposto più di me, e sarei andato dritto a cercarla.
Avevo saputo che era ancora viva, e che Regina l’aveva protetta perché ormai era buona, e si comportava da eroe.
Ma se da quella sala operatoria in cui era entrata con codice rosso non sarebbe uscita con una speranza l’avrei uccisa con il mio stesso uncino.
Era vulnerabile ora, non aveva più la spavalderia e i poteri di prima.
L’avrei uccisa facendole penare lo stesso inferno che stavo passando io, che stava facendo passare a lei.
Andavo su e giù per la sala d’aspetto, rivolgendo sempre il mio sguardo a quella porta bianca che non si decideva ad aprirsi.
Emma si avvicinò, cauta.
‘Ehi Killian’, mi porse un bicchiere.
‘Ti ringrazio per la tua gentilezza Swan, ma non sono dell’umore per bere questa… diavoleria’.
‘C’ho messo dentro un po’ di Rum. Pensavo potesse servirti, anche se beh, non è nella sua bottiglia’.
Apprezzai il gesto e mi sforzai in un sorriso sostenuto.
Lo presi in mano.
‘So che sei teso. Ma vedrai che andrà tutto bene. Esmeralda… se la caverà’, pronunciò il suo nome a stento, cercando forza e cercando di darla anche a me.
Sapevo quanto fosse dura per lei, soprattutto perché l’aveva scoperto così, a bruciapelo.
‘Mi dispiace’, ammisi. ‘Avrei dovuto parlartene.’
‘Sono io che non te ne ho dato l’opportunità. Avrei dovuto ascoltarti invece di arrabbiarmi con te, hai cercato di proteggerci dopotutto.’. mi mise una mano sulla spalla come a darmi forza. ‘Me ne racconterai appena tutto questo sarà finito’.
Annui.
Bevvi un sorso di quella miscela, cercando di rimanere lucido.
Poco distanti da noi, una porta bianca si apri e il Dottor Whale ci venne incontro.
L’espressione che aveva in viso non mi piaceva e non mi convinceva per niente, quasi corsi appena lo vidi uscire.
‘Allora come sta? Dov’è?’.
Quello evitava il contatto visivo, rigirandosi i pollici e cercando mentalmente le parole giuste.
‘Allora?’, quasi urlai in preda al panico di quei segni che avevo davanti.
‘Non sappiamo cosa fare’, tirò fuori Whale, ora rivolgendomi il suo sguardo.
Andai su di giri.
‘In che senso non sapete cosa fare? Che vuol dire? Dov’è?’, Emma mi fermò sovrapponendosi tra me e il dottore.
Gli stavo saltando addosso quasi.
Mi fece cenno di calmarmi guardandomi fisso. Poi si voltò verso Whale.
‘Cos’è successo?’, chiese più cauta, io ero dietro di lei.
‘Non abbiamo mai visto niente del genere prima d’ora, è un avvenimento strano sulla quale non sappiamo come operare’. Spiegò. ‘La gabbia toracica è praticamente … chiusa, è come una gabbia e i polmoni al loro interno non hanno possibilità di aprirsi ed inspirare per incanalare aria. Abbiamo provato ad aprirla, a fare di tutto, ma c’è il rischio di romperle le ossa e ucciderla sul colpo’. Mi rivolse il suo sguardo dispiaciuto e impotente, ma non me ne facevo nulla. Sbiancai di colpo.
Niente di tutto ciò era vero.
Non poteva essere.
Perché non potevo riaverla? Perché non poteva andare bene per una buona volta?
Cercai di riprender fiato.
Avrei voluto urlare.
‘Per ora la stiamo alimentando ad ossigeno, ma non durerà per molto. Morirà comunque se non ci sarà una soluzione’.
‘No. No. No. No.’, iniziai a farneticare in preda al nervosismo.
Non poteva succedere di nuovo.
Quale soluzione avrei potuto trovare? E perché tutto doveva essere un agonia? Perché non potevo riabbracciarla e basta.
‘Killian..’, fece Emma avvicinandosi con lo stesso sguardo del medico.
Non volevo accettarlo.
Non volevo rassegnarmi all’idea di perderla di nuovo, di perderla comunque e mi allontanai da Emma per non vedere quello sguardo di rassegnazione che mi stava proponendo, perché non volevo diventasse anche il mio. Non volevo rassegnarmi. Fin quando andando verso l’uscita non mi ritrovai lui davanti. Il signor Gold con la sua compagna, Belle.
Che ci faceva lui lì e cosa voleva?
‘Come sta?’, chiese quella impensierita avanzando a grandi passi verso il dottore.
Non capi che interesse avesse Belle per Esm, e mi chiesi se fosse davvero lei che stava cercando e non Mary Margaret.
Mi era passata avanti in tutta fretta con il signor Gold, dritta verso il Dottor Whale che le spiegò la situazione.
A passi lenti mi avvicinai a loro cercando di capirci qualcosa.
‘Per vostra fortuna’, incominciò Gold. ‘Per Esmeralda, e per qualcuno in questa stanza, oggi è il vostro giorno fortunato’.
‘Che vuoi dire?’, domandai non sapendo come pormi realmente e sempre sulla difensiva.
‘Che per gentile richiesta di Belle, salverò Esmeralda’.
Non confidai alle sue parole.
Lo stava facendo per Belle a quale scopo? Che c’entrava Belle in tutto questo? Come conosceva Esmeralda e perché tutto questo riserbo?
Non sapevo ancora se essere entusiasta o meno di fronte a un simile atto e temporeggiavo meditando il da farsi.
Stava per dirigersi nella sua stanza quando lo fermai.
‘Qual è il suo prezzo?’, ogni patto, ogni magia, ogni richiesta con lui ne aveva una, e io ero ancora sull’attenti per questo.
‘Non ne ha, per tua fortuna. E’ stata Belle a chiedermelo, quindi per questa volta è un favore che sto facendo anche a te, caro’. E un sorriso beffardo gli spuntò sul suo volto.
Puntai lui, poi Belle cercando un nesso logico di quella richiesta, ma non feci più domande e gli andai dietro per assicurarmi che mantenesse la sua parola.
Entrai in stanza per primo, e la senti respirare a fatica nel sonno, era legata ad un bombola con una maschera sulla bocca. Corsi da lei e cercai di starle il più vicino possibile, per evitare che le venisse fatto ogni male ad ogni passo falso del signor Oscuro che ora si prefiggeva essere un eroe, per la sua compagna più che per sé.
Avevo gli occhi su di lui, ed ero pronto a contrattaccare se qualcosa fosse andato storto.
Dentro di me, dopo Milah, quel timore si riaccendeva.
Ora anche più forte.
Si avvicinò al corpo disteso di Esm e la esaminò con tranquillità, poi alzò una mano e io partii quasi ad attaccarlo spinto dalla paura.
Mi riservò un sguardo sinistro, poi ritornò su di lei.
Una mano sul suo petto, dalla quale scaturì della magia. Gliel’ha passò sopra, mentre il dottor Whale cominciava a spegnere e toglierle quella bombola che le era accanto.
Un paio di secondi ed Esmeralda si risvegliò ansimando come appena uscita da un apnea.
Le alzai il capo, aiutandola a sedersi mentre riprendeva conoscenza e fiato.
Mi guardò e un guizzo di emozioni le attraversarono gli occhi fino ad esplodere in un pianto. Di gioia, oserei dire.
‘Killian!’, esultò piangendo ‘Killian sei tu finalmente’.e si buttò tra le mie braccia inaspettatamente.
Non ero pronto o ero pronto da sempre a quegli abbracci che avevano albergato per tanto nei miei ricordi e che mancavano da secoli nelle mie braccia.
La strinsi forte a me, e le mie braccia, il mio corpo la riconobbero come propria.
Ebbi una scossa forte mentre l’abbracciavo, mentre ogni fibra del mio essere si nutriva di quell’incontro.
L’avevo tra le braccia e la strinsi forte, non curante che avrei potuto farle del male, no. Il mio corpo desiderava tutto ciò da una vita intera, se così potevo osare.
‘Sono qui’, continuavo a ripeterle mentre lei nascosta nell’incavo del mio collo non faceva altro che ripetere il mio nome incredula, emozionata mentre ritrovava qualcosa che le era lontano: la fiducia.
 
Nelle ore successive mi ero sdraiato accanto a lei, in quel letto d’ospedale mentre non smettevo di credere di averla accanto.
Pensavo fosse un altro sogno, l’ennesimo in cui il ricordo si materializzava accanto a me e mi faceva compagnia quando non ce la facevo più a sopportare il dolore della sua perdita, e invece no, lei c’era e i suoi occhi ne erano la prova.
Quella luce era tornata a splendere nei suoi occhi, e non faceva che fissarmi quasi incredula, e io facevo lo stesso.
L’accarezzai più volte il volto constatando quella concretezza, e colmando quel vuoto che avevo sentito dentro per secoli.
Riempimmo il tempo che avevamo di gesti più che con parole.
Nessuno dei due riuscì a parlare all’inizio, ancora troppo increduli, ancora troppo estasiati. Eppure erano tante le domande da farsi.
‘Credevo di averti persa per sempre’, dissi non togliendole gli occhi di dosso, quasi con quella paura che avessi rivolto il mio sguardo altrove lei sarebbe svanita.
‘Mi hai salvata’, disse alzandosi di più e sporgendosi verso il mio viso per guardarmi meglio.
‘Non ti ho salvata’, ostentai.
‘Se non fosse stato per te, io non sarei qui, accanto a te ora’.
‘E io non me lo sarei mai perdonato. Come non mi sarei mai perdonato lo sguardo che ho visto nei tuoi occhi prima di stasera.’
Lei abbassò lo sguardo e fece spallucce.
‘Credevo sarei morta senza più rivederti e forse era per questo motivo che mi ero rassegnata all’idea. Non riusciva più a spaventarmi. Se il mio sguardo era spento e diverso da adesso era per questo. L’unica cosa che volevo era rivederti per l’ultima volta, ma sembrava un destino così avverso e non ce la facevo più a lottare’.
Sorrisi a quella dichiarazione, un po’ vittorioso e un po’ amaro.
Aveva pensato a me per tutto il tempo come stava dichiarando, e allora perché era fuggita con quell’uomo?
‘E… l’uomo con cui sei fuggita da me? Dov’è ora?’, deglutii nervosamente.
Porle quella domanda per me era uno sforzo sovrumano. Accettare quella parte, il modo con cui se n’era andata non era mai stato facile per me pur cercando di comprenderlo, e mai mi sarei immaginato di poterle chiedere il motivo di un tale gesto, che dentro me aveva lasciato il segno.
Lei si scostò per guardarmi meglio e per esaminare il mio volto a quella domanda.
Sorrise incredula, quasi ironica.
‘L’uomo con cui sono fuggita dici?’, chiese quasi come se non conoscesse la storia. Si staccò da me e si alzò da quel letto quasi abbracciandosi come se avesse freddo.
Un espressione di sdegno apparve sul suo volto.
Le andai dietro, fermandomi dietro di lei, aspettando risposta.
Una volta alla finestra si voltò.
‘E quindi è questo che ti è stato detto?’, domandò stringendo salda i pugni.
Annui, incapace di intendere per davvero.
‘Che grande codarda è!’, disse più tra sé che con me, ridendo nervosa e abbassando lo sguardo.
Mi avvicinai di più e le alzai il mento costringendola ad un contatto visivo.
‘Cosa è successo? Spiegamelo…’, la implorai. La vedevo troppo arrabbiata e combattuta e volevo capirne il motivo. ‘Chi è la codarda?’.
Lei incrociò il mio sguardo, trattenendo le lacrime e ostentando della calma che non aveva.
‘La tua Milah’. Sottolineò tua con un tale disprezzo che mi colpì. Stavo per spiegarmi, per dirle che non era mai stata come lei per me, ma non me lo permise. Andò avanti.
‘Decantava tanto la codardia del marito mentre lei non era da meno, dato quello che non ha avuto il coraggio di dirti. Avrebbe potuto dirti la verità senza averti accanto con la bugia. Come ha reagito ora che sa che sono di nuovo qui? Cosa farà adesso?’, chiese con aria di sfida.
‘Milah… non c’è più. E’ morta, Esm’. Sul suo volto nemmeno un po’ di dolore. ‘Molti anni fa…’.
‘Non posso dirti che mi dispiace, non te lo dirò perché lo impongono le circostanze, non è così. L’unica cosa che posso dirti è che se mi avesse trovata ora, l’avrei fronteggiata invece di restare inerme’.
‘Mi spieghi cos’hai contro Milah?’, le chiesi non riuscendo a venirne a capo.
‘Se ci siamo allontanati. Se mi hai persa è stata solo colpa sua’.
 
*
Quando uscì dalla toilette, la locanda era quasi deserta.
La ciurma con cui ero arrivata era come dissolta, mi guardai intorno per cercare Killian ma nulla. Il posto a cui l’avevo lasciato poco prima era completamente vuoto.
Poco più in là però seduta con gli stessi cavalieri di prima, c’era Milah ed ebbi un barlume di speranza nel rivederla. Per la prima volta.
Era rimasta ad aspettarmi.
‘Possiamo andare’, dissi avvicinandomi decisa mentre mi sistemavo le grinze sulla gonna.
Lei mi guardò soddisfatta e un sorriso le spuntò agli angoli della bocca.
‘Ah, eccola!’, disse piuttosto animata alzandosi e prendendomi sottobraccio come poche ore prima sulla nave.
Restai spiazzata da quel comportamento.
Che fosse un tantino alticcia? Eppure non ne dava l’impressione.
Non l’avevo vista toccare più di un bicchiere per tutta la sera.
Gli uomini che avevo di fronte mi esaminarono, in maniera abbastanza strana oserei dire, alcuni nel vedermi lì di fronte facevano gesti inconsulti e si passavano la lingua sul labbro superiore ridacchiando.
Cercai di tenermi a distanza non fidandomi appieno dei loro gesti, ma Milah mi rimise al mio posto quasi strattonandomi.
‘Esmeralda ti presento questa gran bella compagnia di cavalieri, e il loro tenente Febo’.
Quello si avvicinò a me con fare spavaldo e arrogante e fece per baciarmi la mano in segno di rispetto.
Ma inorridii di fronte alla sua presenza. Era una persona che a pelle non mi dava nulla e quasi mi faceva paura.
Vedevo nei suoi occhi delle intenzioni diverse da quelle che mostrava realmente.
‘Signori, vi presento Esmeralda’, continuò lei con le presentazioni. ‘La gentile e stupenda ragazza di cui vi ho parlato poco prima’.
Perché aveva parlato di me a quegli sconosciuti?
‘La tua descrizione però non rende per nulla giustizia alla dea che è in realtà. E’ una bellezza rara che ha un valore inestimabile, oserei dire’, fece quel… Febo, avanzando lusinghe che risuonavano nella mia mente con un doppio fine non ben definito.
‘Naturalmente non avremmo potuto darvi di meno, e il fatto che voi gradiate è una buona cosa.’, iniziavo a non capire, o meglio a non volere intendere bene ciò che sembravano velare quelle parole. ‘E ve la affido augurandomi che la trattiate al meglio’.
Affido? Che significava? Perché? Inorridii di fronte a quella parola e iniziai a contorcermi con l’intento di fuggire oltre la porta d’ingresso.
Ma una forza possente mi prese e di peso mi trasportò su di lui mentre io non facevo altro che dimenarmi.
Un risuonare forte di risate riecheggio nella locanda.
Ridevano di me, dei miei comportamenti e la malizia pungeva le loro corde vocali dandomi il disgusto.
‘Milah, cosa stai facendo? Perché?... io…’.
‘Per ordine del capitano.’ Il mio cuore si fermò di colpo. ‘Dice che non ti vuole più intorno. Com’è che ha detto? Ah! Lo rammollisci, e un pirata non può permetterselo. Capirai questo vero cara?’.
Si avvicinò e il suo sguardo perfido e prepotente mi colpì in pieno petto come una lama.
Mi fermai, abbandonandomi a quella constatazione.
Anche Killian Jones, l’uomo che avevo creduto diverso, l’uomo che mi aveva curata, tenuta, e abbracciata nei momenti peggiori e mi aveva fatto ridere, confidare nei momenti migliori mi stava abbandonando.
Mi chiesi cosa ci fosse di sbagliato in me se più persone mi davano via come niente.
Se a più persone piacesse allontanarsi da me.
E il fatto che fosse lui ad abbandonarmi faceva ancora più male, perché negli anni precedenti pensavo si fosse instaurato un rapporto tra noi.
Un rapporto diverso.
Ma probabilmente tutto era successo nella mia testa.
Io ero innamorata di lui. Lui non lo era mai stato.
Senza volerlo davvero iniziai a piangere copiosamente e a singhiozzare.
Milah mi guardò con disprezzo e derisione.
‘Ecco! Ecco il motivo per la quale Killian ha dato a me il compito di affidarti a qualcun altro. Lo sapeva che avresti iniziato a piangere come una bambina, perché è questo che fai generalmente no? Dai tuoi occhi smeraldo sgorgano lacrime e ognuno cade? Beh, con me non attacca. Killian ha bisogno di una donna forte al suo fianco e non di una come te. ’. Detto questo mi diede un ultimo sguardo. ‘Mi raccomando ragazzi’. Un ultimo sguardo d’intesa tra chi mi teneva e lei sulla soglia.
‘Addio Esm!’, disse facendo il versetto al nome che mi dava Killian, e che lei aveva udito probabilmente.
Chiuse la porta e svanì nel nulla, così come lui.
Così come il mio cuore.
 
‘Volevi la verità Killian? Eccoti la verità. Non ho mai deciso di mia spontanea volontà di lasciarti e di lasciare la nave. Te l’avevo detto più e più volte che non avevo nessuno e anche quando tu mi avevi promesso che mi avresti lasciato andare mi sono opposta. Non me ne sarei mai andata da te, fu Milah a vendermi e a mandarmi via, facendomi credere che fosti tu a cacciarmi’.
Non potevo credere a quelle parole, a quella versione.
Io che mandavo via Esmeralda. Io che non la volevo più perché mi rendeva debole.
Lei era l’unica che mi dava la forza, quella forza necessaria ad affrontare tutto, se ero diventato ciò che ero diventato lo ero diventato per merito suo.
Accogliere Milah su quella nave d’un tratto, ai miei occhi, risultò essere la cosa più sbagliata che avessi mai fatto.
Tutto ciò che mi era stato raccontato, tutto ciò che era stato era una bugia ben coperta da una donna che credevo di amare e che davanti a quella verità mi crollava davanti.
Tutta la mia esistenza mi crollava dinanzi.
Chi avevo conosciuto? Chi era quella donna? E come le avevo permesso di intromettersi nella mia vita.
Nelle nostre vite.
Perché non ne aveva rovinato solo una, ma due, anzi ben tre con Tremotino, e il numero andava ad accrescersi se contavo Bealfire.
Tre vite, con lui quattro che lei aveva manipolato e distrutto.
‘Io non ho mai detto quelle cose. Non ti avrei mai e poi mai mandata via’. Le dichiarai cercando di farle vedere la verità.
‘Sono stata per decenni a rimuginare sul perché di quella tua decisione e visti gli sviluppi che la nostra relazione aveva preso in quell’ultimo periodo non potevo che crederci. Alternavo momenti in cui non credevo affatto a quella visione e a quelle parole che mi erano state dette e momenti in cui, presa dallo sconforto mi gettavo pienamente in quella visione e stavo male. Ero in perenne conflitto e…’ le si spezzarono le parole appena il suo sguardo si posò su qualcosa in basso. Qualcosa la turbò.
Era quasi atterrita, sconvolta, mi venne accanto e sollevò il mio braccio destro delicatamente, intenta ad esaminarlo.
Allora capì.
‘Questo cos’è?’, chiese cauta osservandomi, cercando di controllarsi. Nuovamente.
‘Un uncino. E’ stato il prezzo da pagare per Milah’, ammisi, ricordando quel momento.
Lei restò ancora più atterrita.
‘Lei ti ha fatto questo?’
‘No, in un certo senso. E’ stato suo marito. Una volta diventato l’Oscuro ci ha trovati e beh, è stato lui a tagliarmi via la mano, e a strappare il cuore a Milah’. Spiegai velocemente senza entrare in dettagli in cui non volevo inoltrarmi. Il suo volto era serio, e corrucciato.
Incrociò le braccia al petto e mi guardò con sguardo languido.
‘Quante vite ha corrotto per se stessa? Quanto male ci ha fatto prima di ritrovarci?’, chiese afflitta.
Sembrava davvero provata da tutto, e pur avendo uno sguardo diverso ora in mia presenza era notevolmente cambiata ai miei occhi.
‘Dove sei stata tutto questo tempo? Perché non ti ho più rivista?’, chiesi quasi in risposta a ciò che avevo di fronte.
Lei alzò gli occhi al cielo, indebolita.
‘Tu nemmeno immagini l’inferno che ho dovuto attraversare prima di ritrovarti’, rivelò con un sorriso smorzato.

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QUI trovate un blog Tumblr dedicato alla mia fan fiction con anteprime e stralci della storia, le canzoni e musiche che mi hanno ispirato nel scrivere, se vi va di seguirlo.

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Capitolo 11
*** XI CAPITOLO ***


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XI CAPITOLO
 
EEEEEE son di nuovo qui, mi dispiace tanto per l’attesa che avete dovuto patire (?) ma ci è voluto un po’ per sviluppare questo capitolo, perché non volevo lasciare nulla al caso e volevo renderlo al meglio intrecciando due storie diverse e raccontandole in una nuova chiave che spero apprezziate.
Il capitolo inoltre è venuto più lungo del solito, tutta colpa della mia fantasia che divaga e non è mai in grado di fermarsi entro certi limiti.
Spero comunque che il capitolo vi prenda e mi facciate sapere cosa ne pensate, perché seriamente è stato un ‘lavoro’ scriverlo e intrecciarlo in tutto e per tutto dandogli una parvenza di credibilità, ecco.
Spero che il risultato finale vi dia la visione giusta della cosa, questo vorrebbe dire che sono riuscita nel mio intento di trasmettervi ciò che ho in testa riguardo questa storia.
Okay, ora la smetto di scrivere e vi lascio al capitolo.
 
Buona lettura. :*
 
---
 
‘Che ti è successo?’ continuava a chiedermi mentre non faceva altro che guardarmi misurando ogni mia minima espressione.
Come se cercasse la mia storia nella pelle, nei miei gesti, negli occhi e negli sguardi che gli negavo.
La sua mano, l’unica che gli era rimasta, era intrecciata alla mia in un legame quasi indissolubile, e appena la mia pelle, la mia anima sentii quel contatto sulla propria pareva essersi ritrovata. Dopo aver vagato per secoli alla sua ricerca ora le era accanto e sembrava più calma, più serena, meno sulla continua difensiva che aveva instaurato negli anni.
Quell’intreccio e quelle dita, mai in quella vita mi erano sembrate così vere come ora. Con lui la sua rabbia, le sue difese crollavano tutte insieme.
Continuavo a guardare in basso perché sapevo quanto quella storia, quella che avevo vissuto mi avesse indebolito e rinforzato allo stesso tempo. Non l’avevo mai raccontata a nessuno, l’avevo sempre tenuta per me, dentro il mio stomaco, nelle mie viscere a logorarmi. La mia storia era in ogni mia trama, era ciò che ero, in ogni mio tessuto corporeo e solo io la conoscevo. L’avevo portata dietro come un fardello enorme e ci avevo convissuto per anni senza mai dividerne quel peso con nessuno, perché mai più di nessuno mi ero fidata in quella vita.  Come avrei potuto dopo tutto ciò che avevo passato?
Temevo che anche solo a parlarne tutta la mia sicurezza, tutti gli scudi che avevo alzato nei secoli cadessero di botto a terra davanti a lui e la paura di rimanere inerme, di nuovo, mi terrorizzava.
Non ero più quella di un tempo. L’Esmeralda che conosceva Killian aveva lasciato briciole e si era volatilizzata nel nulla, perché non era stata abbastanza. Perché si era fatta sconfiggere. Perché lui non la voleva più.
Eppure con lui accanto sembrava riemergere e ritornare bramando le sue parole e la sua pelle e stringendo ancora di più quella mano che le dava calore e protezione.
A lei che aveva dimenticato persino il significato di quel termine.
A lei che non ne sentiva più il calore.
Gli occhi mi bruciavano al sol pensiero di proferir parola a riguardo, eppure li trattenevo perché avevo paura della mia debolezza. Avevo paura di tornare la vecchia Esmeralda, quella che conosceva lui, e volevo dimostrargli che non ero più quella persona, che ero cambiata. Ero diventata più forte, ma il solo formulare parola su quella mia vita mi avrebbe fatta cadere e stramazzare al suolo.
Eravamo sul letto, quello su cui eravamo stati sdraiati per tutto il tempo quel giorno, io continuavo a fissare un punto fermo del pavimento di fronte a me senza incrociare i suoi occhi.
‘Che ti è successo durante tutti questi anni? Ti prego, dimmelo. Rendimi partecipe. Non ti giudicherò, qualsiasi scelta tu abbia preso durante quella vita non sarà affar mio.’, proferì quasi implorante.
Con l’uncino, cercò di alzarmi il viso con la massima cautela possibile, attento a non farmi alcun male, ma che male avrebbe potuto farmi un uncino appuntito di fronte a ciò che mi era stato inflitto negli anni, mi domandai.
Quando incontrai i suoi occhi, vidi la pace di quel cielo a cui secoli prima affidavo tutto, a cui raccontavo tutto, e che mi mancava tanto. Vidi quel cielo che non avevo smesso di cercare. Vidi quel capitano che negli anni era diventato la mia unica certezza e il mio unico obiettivo. La mia unica ancora in quella vita che si era rivelata una miseria e una disgrazia.
Ora come allora, mi persi in quel cielo e gli carezzai il volto quasi istintivamente.
La barba leggermente incolta mi riportava in mente ciò che avevo lasciato alle spalle, e ciò che avevo sempre cercato in chiunque incontrassi sulla mia strada.
Il suo volto, i suoi occhi, il suo sorriso, le sue cure, mi erano rimaste dentro come un segno indelebile e rovente, che il tempo non aveva distrutto e che la speranza aveva solo affievolito.
Ormai incapace di credere davvero in un nuovo incontro con lui.
‘Ti ho cercato per tanto, troppo tempo. E ora averti qui, davanti ai miei occhi mi sembra un sogno. Un'altra delle mie ennesime visioni..’ gli dissi nel modo più sincero. ‘I tuoi occhi erano l’unica cosa a guidarmi in quell’oscurità che mi era stata imposta. Una delle peggiori oscurità a cui potessi essere soggetta’, confidai mentre lui ascoltava. ‘Davanti ai miei occhi è passato di tutto. Ho varcato soglie di mille città, ho conosciuto molte persone, ho avuto veri amici, e gente che credevo fosse tale. Ho subito perdite, tradimenti, ho salvato persone, e ne ho condannate altre per salvarmi da un destino peggiore che è sopraggiunto comunque. Non ho mai trovato niente di più simile a te, che mi desse le stesse sensazioni. Le stesse emozioni. Che mi proteggesse davvero dal male che subivo. Ho vagato tanto. Quando andai via da quella locanda con quegli uomini, una parte di me sperava fosse un incubo e che tu saresti venuto a salvarmi, magari rinvenuto dalla tua decisione iniziale di lasciarmi, ma non è stato così’. Provò a parlare, ma lo zittì con un dito sulle labbra, se mi avesse interrotta in quel momento non sarei più stata capace di continuare.
‘Sapere che ero stato un peso per te in tutti quegli anni, e i tuoi ultimi comportamenti prima di andarmene, non faceva altro che avvalorare quella tesi e buttarmi giù completamente’.
Un profondo rimorso attanagliava il suo volto a quelle parole. Serrò le mascelle cercando di fare quello che gli stavo chiedendo.
‘Negli anni ho subito le peggiori angherie da parte dell’uomo a cui ero stata affidata e dei suoi uomini. Per un decennio e anche oltre, sono stata sua prigioniera. All’inizio tenevo il conto dei giorni nella speranza che qualcosa cambiasse, qualcosa succedesse, che qualcuno arrivasse. Quella speranza mi ha sempre fregata’. Sorrisi tra me di un sorriso amaro, ricordando l’esperienza con mio padre che era già successa e che avrebbe dovuto impararmi la lezione già tempo prima riguardo quella vana speranza che mi salvasse da quella che allora avevo considerato un maltrattamento.
‘Poi persi anche quella e con lei la conta di quelle torture. Mi tenevano esiliata in una segreta al di sotto di un enorme palazzo, forse un castello abbandonato, non ne ero certa. Lì sotto era costantemente buio, nessuna luce filtrava, non c’erano finestre, a volte mi chiedevo come facessi a respirare in un tale luogo, avevo continui sensi di mancanza d'aria e i muri erano costantemente freddi e umidi con un cattivo odore di muffa. Quasi come se piangessero loro per me. Non avevo qualcuno che si prendesse cura di me, nessuno pensava a coprirmi o a riscaldarmi, e non avevo altro che una vesta leggera addosso, quella vesta con cui mi hai visto l’ultima volta, secoli fa, mi era stata strappata di dosso e probabilmente venduta o non so cosa. A nessuno importava se stavo bene o meno, a nessuno importava dei miei sentimenti e del senso di ribrezzo che avessi dentro. Avevo il freddo nelle ossa, oltre che nell’anima e c’erano periodi in cui quella forza d’animo che avevo, ancora, andava smorzandosi come le fiamme delle loro fiaccole quando venivano a trovarmi. E bada, non erano visite di piacere, o almeno quel piacere non riguardava me poiché provavo tutt’altro. Passavano giorni prima che si ricordassero di me e mi portassero qualcosa da mettere sotto i denti, e questa potrebbe sembrarti la parte peggiore, ma non lo è’. Cosa poteva esserci di peggiore rispetto a tutto questo? probabilmente fu questo che gli balenò in mente mentre mi riservava un espressione corrucciata e apprensiva, mista alla rabbia che lo stava facendo diventare paonazzo. O forse fu questo che io ci lessi nel vederla.
Non proferii parole, forse perché non ne trovava.
‘Sin dal primo giorno, in quella… stanza non avevo possibilità di muovermi liberamente come sulla tua nave. Sin dal primo giorno venni legata con le mani sopra la testa a una corda che mi teneva legata al soffitto, e se non c’era la corda, c’erano le manette al muro e quelle erano un trattamento ben peggiore. I polsi erano entrambi un dolore lancinante che mi portavo dietro in quelle giornate, le corde erano così strette che pensavo che mi avrebbero tranciato le ossa prima o poi. E sai cosa pensavo in quei momenti? Per farmi forza, per non arrendermi ai fatti e al dolore che mi opprimeva? A te. A te e al tuo rum, come la prima volta quando mi curasti le ferite. In qualche modo quel pensiero mi portava avanti nel tempo. L’immaginare molte volte mi aiutava a resistere.’.
Sorrise lievemente, greve.
Prese la mano che aveva nella sua e se la rigirò per analizzarne i contenuti. Iniziò a tracciarne i solchi, che nonostante gli anni avevano lasciato dei segni evidenti sulla mia pelle, che ora facevano parte della mia storia evidente, e che negli anni avevo coperto con bracciali per non darli a vedere in modo così pronunciato.
‘Cercavo di farmi forza anche quando…’, deglutii a vuoto cercando quella forza di dirlo ad alta voce. Non l’avevo mai detto, a nessuno, nemmeno a me stessa in verità. Non avevo mai avuto il coraggio di dirlo ad alta voce nemmeno quando ero sola, e di fronte a lui provavo un senso di vergogna.
‘Quando?’, chiese lui impaziente e preoccupato.
‘Anche quando abusavano di me’. Il suo volto a quelle parole, i suoi occhi sembravano essere in tempesta, la sua mascella si serrò e i suoi muscoli in quell’istante s’irrigidirono di colpo, proseguii non badandoci. Ogni minima sua reazione sarebbe stata la mia esplosione e non potevo permetterlo.
‘Ero il loro giocattolo. Ero il loro piacere, ed ero il loro sfogo. Sei una di una bellezza rara, e io le rarità non solo le conquisto ma voglio anche possederle. Era così che aveva esordito quell’uomo quando l’aveva fatto la prima volta. Inutile dire che piansi per tutto il tempo, cercando di liberarmi e di chiedere aiuto, ma ero sola e non me la sarei cavata facilmente. Ciò che ne conseguì dopo fu la cosa che credevo più vicina alla morte. Il dolore lancinante che provai, fu pari al nulla su questa terra, e credevo di perire in quel preciso istante mentre lui non faceva altro che ridermi sopra, divertendosi in quella visione. Inghiotti lacrime amare e lui sembrava ancor di più godere a tutto questo. Il suo sguardo, le sue risa sono l’immagine più orrida che mi sono portata dietro sino ad ora. Dopodiché aspettai la morte perché non facevo altro che sanguinare, e sperai di finirla lì piuttosto che andare avanti. Ma per qualche motivo continuai a vivere sorbendo tutti i loro soprusi sulla mia pelle. Con il tempo imparai, ad annientarmi in quei momenti, come a spegnermi. Era molto più semplice. Restavo lì solo con il corpo, ma con la mente ero altrove, così da alleviare quei momenti, quei dolori, quella continua sofferenza e vergogna che provavo per essere finita in quel modo per non so quale giustizia divina. Forse era il prezzo da pagare per non essere stata uccisa da te quando mio padre non pagò il riscatto, non trovi?’, Sorrisi, tirando su con il naso e incrociando i suoi occhi specchio dei miei.
Una lacrima era incastrata tra le ciglia, pronta a cadere.
Strinsi gli occhi così che avvenisse il più presto possibile. La sua mano sfuggì dalla mia. Riaprì gli occhi impaurita del motivo. L’aveva fatto per raggiungere la mia guancia e raccoglierne quella lacrima che non ero riuscita a trattenere dentro, che non era riuscita ad essere forte e voleva mostrarsi per forza a lui. Dopodiché la riprese e la strinse in modo più saldo.
‘Sono qui, non vado da nessuna parte’, aggiunse.
Cercai di farmi forza per riprendere il filo di quel discorso, di quella vita che gli stavo donando senza farmi influenzare da quei gesti improvvisi.
Non ora. Mi dicevo, ogni volta che un magone sopraggiungeva pronto ad esplodere.
‘Passavano i giorni, e non sapevo più dare una definizione al peggiore, perché era tutto ciò che c’era intorno a me che poteva essere definito tale. Dai momenti in cui abusavano di me, ai momenti in cui presi dalla rabbia mi picchiavano. E non erano cauti nel farlo. Bastava una rissa fuori, un conto in sospeso, qualcosa successa al di fuori, e ciò che non potevano fare al dì fuori alle persone che li avevano provocati, facevano a me. Una volta in un avvenimento del genere mi spezzai anche un osso, e fu il primo di una lunga serie. Non so quanto ci volle per guarirmi del tutto, ma nonostante il dolore che avevo dovevo sopportare, perché questo non li fermava dai loro intenti, loro continuavano imperterriti …’.
‘Dove sono questi uomini?’, ringhiò lui sopraffacendomi.
Restai perplessa.
‘Sono passati secoli Killian, e poi che importanza avrebbe ora?’
‘Ogni cosa che ti hanno fatto, ogni cosa che hai subito… non possono restare impuniti. Gliel’ha farò pagare’, disse a denti stretti.
Cercai di calmarlo, cercando di prendere il suo viso tra le mani.
‘Siamo insieme ora, che importanza avrebbe?’, gli feci notare sorridendo. ‘Anche se li troveresti, anche se gliela faresti pagare, cosa cambierebbe? Niente. Il dolore che ho patito per anni resterebbe al suo posto, non me lo leveresti’. D’un tratto s’incupì.
‘Non avrei mai dovuto ubriacarmi. Avrei dovuto proteggerti e ho fallito, io non so come tu faccia a perdonarmi. Ad essere qui ora, e a guardarmi come se fossi un eroe.’.
‘Forse è vero, non avresti dovuto ubriacarti, ma Milah avrebbe trovato un altro modo per togliermi di mezzo se tanto lo voleva. E tu sei il mio eroe, perché mi hai salvata in tutti i modi in cui una ragazza dovrebbe essere salvata. In modo inconsapevole, ma lo hai fatto e mi hai dato forza per andare avanti. ’.
‘Ma se ti fossi stato accanto-‘
‘-sarei stata la ragazza più felice di tutti i reami.’ Conclusi.
Annui, arrendendosi a quel dibattito e a quell’estrema voglia di cercare una colpa in sè.
Era cambiato Killian, qualcosa del capitano che avevo conosciuto tempo prima, era scomparso. Era scomparso ciò che era con gli altri, quella maschera che indossava era sparita lasciando spazio all’eroe, e alla meravigliosa persona che era con me. Aveva lasciato spazio a sé stesso, quello vero.
Sorrisi.
‘E comunque dopo un decennio, quasi, ho trovato l’occasione di fuggire’, continuai. ‘Dopo un… incontro con uno di loro, quello era ancora infervorato dall’amplesso e non strinse bene le corde che mi tenevano legata, e non appena mi fu possibile mi feci forza sulle mie stesse braccia per innalzarmi e mentre questi era di spalle intento ad andarsene, calciai sulla sua schiena con tutta la forza e la rabbia che conservavo da tempo, e lo buttai giù, facendolo piombare a terra. Mi liberai di quella debole presa, presi le chiavi che erano cadute a terra, e scappai il più veloce verso la porta della cella e chiudendolo all’interno. Avevo poco tempo perché sapevo che mi avrebbero cercato da lì a poco appena avrebbero udito il loro compagno dare l’allarme. Con estrema cautela seguì il lungo corridoio sotterraneo fino a vedere una piccola luce, arrivai ad una porta e mi catapultai fuori, restando quasi accecata e incespicando per il sole che non vedevo da tempo e della quale avevo persino dimenticato il calore, ma mi feci forza, mi schermai il viso e cercai di avanzare prima che cercassero anche solo di riprendermi. Era passato così tanto tempo dall’ultima volta che ero stata fuori che quasi non riuscivo a reggere lo stupore. Persino il vento sulla pelle mi sorprendeva.
Più in là trovai uno straccio abbastanza lungo per coprirmi e mi ci avvolsi, cercando riparo. Fu la prima cosa che rubai, in verità.
Eravamo nel pieno freddo in quel periodo.
Era l’inverno più gelido che io avessi mai sentito sulla pelle in tutti quegli anni. La brina copriva ogni cosa avessi dinanzi, potevo persino vedere il vapore del mio stesso respiro. Piccole nuvole lente e dense che si spandevano davanti al mio viso prima di dissolversi nel nulla  avevo le mani intorpidite e le mie gambe non erano da meno, e nonostante il drappo non coprisse abbastanza era comunque qualcosa per coprirmi.
Per settimane dormii al riparo e ben nascosta da sguardi indiscreti mentre Febo e i suoi uomini avevano dato ordine di cercarmi in ogni dove.
Cercai di sopravvivere, da sola per la prima volta.
Pochi giorni dopo, mentre ero al molo, vidi un barcone in partenza per una nuova meta e mi ci intrufolai fingendomi una zingara.
Da lì arrivai in un nuovo paese, una nuova città che non conoscevo e che ignoravo: Parigi’.
 
Quando arrivai in quel nuovo paese mi sentii sperduta, perché non sapevo dove realmente metter piede, dove andare, o anche cosa fare per sopravvivere.
Perché dovunque andassi era sempre e comunque un sopravvivere e mai un vivere pienamente.
Mi guardavo intorno ed esploravo ogni angolo e ogni anfratto della città perché mai avevo visto niente del genere.
Enormi edifici si ergevano al mio cospetto.
Non avevo niente con me, e fu difficile trovare qualcosa.
Non mangiavo da giorni, forse settimane e il mio stomaco continuava a borbottare e a chiedere pietà. Sarei morta di fame, e di freddo pensai, perché oltre a quello straccio che avevo indosso non avevo più nulla.
Vedevo gente come me chiedere l’elemosina per un pezzo di pane, o addirittura cantare o suonare per le strade come mendicanti, così decisi di fare lo stesso. Mi sarei arrangiata a quella vita, e avrei cercato di trarne il meglio perché ero comunque sfuggita al peggio ed era pur sempre una vittoria. Cercavo di vederne il lato positivo.
Ballavo per le strade della vecchia Parigi catturando le attenzioni e facendomi musica con un tamburello rappezzato di basco, ed era l’unico modo per racimolare qualche soldo per un pasto giornaliero.
La gente si fermava dinanzi a me e mi dava qualche spicciolo affinché io ballassi.
Fu in quel momento che incontrai l’altra gente, che come me viveva per le strade e lottava ogni giorno per vivere, furono loro ad accogliermi nella loro casa, se così poteva essere definita.
Vivevano celati in un sotterraneo di un vecchio cimitero dimenticato.
Una tana, se vogliamo nascosta agli occhi di tutti che passava inosservata. Al di sotto c’era una vera e propria civiltà di gente emarginata dalla società che viveva alla giornata e cercava di uscire dalle più disparate situazioni.
Erano esattamente come me, era gente ai confini del mondo che aveva lottato e lottava ogni giorno una propria battaglia, e io ero una di loro, e non ero sola. Ognuno di loro cercava di guadagnarsi qualcosa con le proprie forze. Avevo loro, ed erano diventati una sorta di famiglia nel tempo.
Fu così che per le strade di Parigi venni riconosciuta, e chiamata, come la zingara Esmeralda.
In quella che ormai consideravo la mia gente negli anni venni considerata un entità, lo stesso capo degli zingari, Clopin, mi considerava tale per bellezza e rarità. Attiravo l’attenzione di molti perché considerata una rarità in grazia e bellezza per tutti, a quanto pare, era quello che continuavano a dirmi lì. Partecipavo per questo motivo a molte feste di paese in spettacoli e in balli per il popolo, e fu anche per questo, probabilmente, che attirai attenzione negli anni e divenni oggetto di bellezza indiscussa. E fu in una di queste feste che si tenevano a Parigi ad ogni primavera che incontrai Quasimodo’. Sorrisi al ricordo di quel ragazzo che mi era stato amico per così tanto tempo, e che in tutti i modi possibili aveva cercato di aiutarmi e di salvarmi con ogni mezzo. Mi sembrava quasi di vederlo nel ricordo.
‘Era un ragazzo straordinario, pieno di talento innato. Avresti dovuto vedere ciò che faceva, riusciva a incantarti.’, dissi cercando di rendergli l’idea. ‘Nonostante tutto però non aveva vita facile. Lui non era, non si sentiva come gli altri e non si sentiva degno di essere amato perché si sentiva diverso. E forse lo era, a primo impatto lo notavi subito che non era una cosa a cui eri abituato. La prima volta feci l’errore malsano di uscirmene disgustata appena realizzai il suo volto e me ne pentii subito dopo.’
‘Cosa c’era che non andava?’
Lo guardai cercando le parole più adatte per descriverlo.
‘Era un essere deforme, affetto da cifosi. Tutti in paese lo conoscevano come il Gobbo o il campanaro. Per questo motivo viveva recluso nella torre sinistra del campanile di Notre Dame, a causa del suo padrone. Un arcidiacono, Claude Frollo, che da piccolo lo aveva salvato e cresciuto più come un peso  che come un figlio. Lo aveva cresciuto recluso impartendogli la convinzione della sua deformità e maledizione affinché non uscisse dalla chiesa per nessun motivo e si convincesse che la gente non lo avrebbe mai accettato, a causa della malvagità che albergava nell’umanità. Lui tra tutti diventò la mia rovina. Odiava gli zingari e tra tutti aveva un ossessione per me. Sosteneva che lo avessi stregato, e mi accusava di magia nera dandomi la caccia. Mi considerava l’incarnazione del diavolo, per averlo istigato ad amarmi.
Per venti anni cercò disperatamente il nostro rifugio senza venirne a capo, per questo aveva guardie in ogni dove che dovevamo fuorviare per la nostra incolumità.
Negli anni divenne perseguitato dalla mia presenza, e da me fino a far tutto ciò che aveva in suo poter per annientare il mio popolo, affinché cedessi alle sue lusinghe e alle sue promesse, per questo motivo ci fu un periodo in cui fuggì, stanca delle sue ingiustizie e dei suoi continui abusi di potere e della sua continua caccia nei miei confronti mi allontanai senza però lasciare mai le mura della città e la mia tana, la mia unica casa. Divenni una fuggiasca.
Aveva dato ordine di trovarmi a tutti i suoi uomini, e per colpa mia fece fuori qualsiasi persona avesse avuto, o offrisse rifugio agli zingari di tanto in tanto.
Distrusse locande, affogò altra gente come me nell’estenuante mia ricerca, ne rinchiuse altri perché mi proteggevano senza dirgli dov’ero.  Diede alle fiamme la stessa Parigi per trovarmi, e io non sapevo bene che fare per evitarlo. Io che avevo sempre aiutato la gente ora la stavo condannando ed era tutta colpa mia. Gli bastava trovare un nonnulla e faceva fuori chiunque lo intralciasse nel suo obbiettivo in tutto questo io mi sentivo un inetta. Mi stavo salvando da lui, ma a che costo? I sensi di colpa mi attanagliavano lo stomaco. Voleva che io fossi sua.’ Killian serrò la mascella, combattuto quasi. ‘Per lui erano queste le opzioni: o diventavo sua o sarei stata distrutta. In tutto questo non sapeva niente della mia amicizia con Quasimodo. Non sapeva che più volte era stato lui ad aiutarmi a fuggire dalle sue grinfie, che più volte in quella latitanza mi rifugiai da lui ma iniziò a sospettarlo dopo poco quando trovò qualcosa di mio nella torre in cui Quasimodo viveva e lo attaccò violentemente, mettendolo alla prova e ingannandolo.
Presto sparirà dalle nostre vite, per sempre. Ti libererò dal suo maleficio Quasimodo, non ti tormenterà più perché so dove si trova il suo nascondiglio e domani all’alba, attaccherò con migliaia di uomini.
Quasimodo per la prima volta si fece forza e decise di uscire da quel campanile per venirmi a salvare, per l’ennesima volta. Solo lui sapeva dove mi trovavo, gli avevo donato una collana con una mappa tempo prima affinché mi trovasse se ne avesse bisogno e se avesse voluto abbandonare quelle mura che lo tenevano segregato una volta per tutte, anche se non lo fece mai. Per la prima volta si trovò ad affrontare ogni peripezia alla mia ricerca per avvertirmi di quel pericolo imminente che stava per soccombere me e tutta la mia gente. Lo stava facendo per me, di nuovo.
Avvertii il mio popolo e ognuno fece del suo meglio e tutti iniziarono a fuggire come impazziti da quella notizia. Tutti temevano Frollo. Era la cosa più orrenda e meschina che abitasse la terra, cercava il diavolo negli altri, in quelli come noi, senza accorgersi che quello vero era proprio lui.
Ma non facemmo in tempo a fuggire, ce lo trovammo davanti mentre i suoi uomini avevano bloccato ogni uscita.
Iniziarono a prendere tutti, nessuno aveva più via di scampo.
Dopo 20 anni di ricerche, la corte dei miracoli è mia, finalmente, un sorriso beffardo gli balenò sul volto mentre avanzava trionfante dinanzi a noi. Caro Quasimodo, ho sempre saputo che un giorno mi saresti stato utile. Disse accarezzando Quasimodo quasi a farlo sembrare un suo complice.
Lo guardai atterrita mentre lo stesso Quasimodo a quelle parole era sconvolto.
Ma di che cosa parlate? Incalzai a denti stretti mentre le sue guardie mi tenevano per i polsi impedendomi di attaccarlo e di fuggire.
Mi ha condotto dritto da te, mia cara. E si avvicinò avido sul mio viso.
Capii il suo trucco. Non sapeva affatto dove eravamo, ma aveva insinuato in Quasimodo il pericolo e quella voglia di salvarmi così da scoprirlo. L’aveva seguito ed era arrivato a noi. A me.
Siete un bugiardo! Ringhiai. Dopodiché si allontanò verso il centro con fare soddisfatto.
Il giorno dopo mi aspettava la fine, perché mi avrebbe bruciata sul rogo in piazza’. Alzai gli occhi per incrociare i suoi. Era inorridito, incapace di immaginare tutti quegli avvenimenti messi insieme che mi avevano perseguitato.
‘Mi accusò del reato di stregoneria. Un intero sciame di gente riempiva la piazza e proclamava la mia innocenza a gran voce, ma non sarebbe bastato anzi, non sarebbe servito a nulla.
Ero legata al patibolo con tutta sterpaglia intorno e un uomo che attendeva l’ordine di dare fuoco. Lui mi era di fronte a leggere la mia sentenza di morte e prima di prendere la fiaccola in mano mi si avvicinò.
Non è tardi. Posso salvarti dalle fiamme di questo mondo e del prossimo. Scegli me, o il fuoco. Avanzò di nuovo con un sorriso malizioso a quell’offerta che mi rivoltava lo stomaco.
Gli sputai in faccia senza pensarci due volte. Non sarei mai stata sua. Questa fu la sua scusa ad andare avanti in quell’intenzione e con fare diabolico diede fuoco agli abbondanti fasci di legname che mi circondavano.
Il fumo che ne scaturì iniziò a filtrarmi nei polmoni, riuscivo a stento a respirare e tossì convulsamente mentre il calore delle fiamme iniziò sempre più a farmi male.
La mia vista si annebbiò e l’ultima cosa che vidi fu il suo sorriso maligno e trionfante dinanzi a me.
Quando mi risvegliai ero su di una branda e una flebile luce penetrava alla mia sinistra, pensai di essere finita altrove, magari nell’aldilà, semmai ce ne fosse stata uno.
Quasimodo era poco lontano da me con ai piedi, qualcosa, qualcuno non riuscivo a distinguerlo bene. Lo chiamai con voce flebile, volevo chiedergli che era successo e perché ero lì.
Lui rinvenne e la sua felicità nel rivedermi prese posto sul suo volto adirato, mi venne incontro e mi sollevò in braccio mentre io ero ancora debole e del tutto incosciente.
È viva! Sibilò qualcuno, lo stesso qualcuno che prima era oltre Quasimodo, la stessa voce che avevo impresso da anni nella mente. Era Frollo. Rinvenni spaventata mentre Quasimodo incominciò a fuggire sulla balconata per sfuggirgli. Si arrampicò, con me in braccio come aveva fatto altre volte per farmi fuggire, per far sì che non ci trovasse ma si affacciò e ci vide, tentando di colpirci più volte con la spada nel tentativo di farci cadere entrambi nel vuoto. Alla fine io riuscì a trarmi in salvo, scavalcando Quasimodo per tornare sulla balconata dove caddi a terra spinta da lui nel tentativo di salvarmi da Frollo che stava per colpirmi, mentre lui venne buttato giù oltre la balconata da Frollo che gli cadde dietro perché Quasimodo si era aggrappato al suo mantello. Mi precipitai verso il parapetto e afferrai la sua mano mentre lui cercava di tenersi aggrappato e di tenere stretto il suo padrone. Non avrebbe mai avuto il coraggio di lasciarlo andare perché lui non era un mostro. Ma quello dondolandosi si rialzò sulla balaustra alzando la spada nell’intento di ucciderci entrambi in un colpo solo, ma qualcosa andò storto e proprio mentre temevo il peggio, la balaustra su cui si reggeva si spezzò e cadde nel vuoto trascinandolo con sé.’ Feci una pausa, intenta a riprender fiato.
‘E Quasimodo?’, chiese lui, attento.
Lo guardai cercando comprensione perché nonostante fossero passati anni quella scena era rimasta in me. Davanti ai miei occhi in modo indelebile. Cercai di trattenere quel magone che mi attanagliava le corde vocali impedendomi di parlare.
‘Non riuscii a mantenere la presa. Non riuscii a rialzarlo perché era troppo pesante per me, e dopo poco lo persi per sempre. Morì precipitando.’, dissi abbastanza provata nel ricordo di quel preciso istante con la voce smorzata. ‘Nei giorni seguenti Parigi per me assunse il retrogusto amaro del disprezzo per tutto ciò che era stato. Ero viva, ero libera ma non era più la stessa cosa. Era come se fossi morta, di nuovo. Mi sentivo perennemente sola e nonostante molte volte mi rifugiassi nel campanile nulla riusciva più a soddisfarmi. Tutto era un continuo ricordo, e stare lì era ancora peggio perché tutto di quel mio caro amico, che aveva sacrificato tutto per me fino alla sua vita era ancora lì in quelle stanze e lui non c’era più. Si era consumato per me ed ora ad attanagliarmi restava il dolore di un ennesima perdita. Mi isolai sempre più dal resto degli zingari, e tornai poche volte alla Corte dei Miracoli, per ore trascorrevo il mio tempo in silenzio a soffrire. La vita continuava a togliermi tutto e per un attimo pensai di essere davvero una strega. In pochi momenti di pace conobbi Belle, era in uno dei tanti suoi viaggi d’esplorazione e cultura a Parigi e presto, diceva sarebbe tornata a casa dove il padre l’attendeva. Mi chiese più volte di andare via insieme a lei dato il mio stato d’animo e tutto ciò che era successo e a cui lei aveva assistito, e io più volte declinai. Avrei dovuto cominciare a viaggiare senza meta nuovamente, e non mi andava di ricominciare a trovare un mio posto nel mondo anche perché non ero sicura di averlo, non più. Il mio posto l’avevo perso anni prima e quello che avevo vissuto lì era solo un palliativo di una vita che mi stava bene, e a cui mi ero adattata negli anni, anche grazie a chi avevo incontrato e mi aveva aiutata negli anni. Niente a che vedere con ciò che volevo.
Dopo un paio di settimane girava voce che in città fosse arrivato un nuovo capitano delle guardie al Palazzo di Giustizia, un capitano di ritorno dalle guerre. Il suo nome era Febo’, rabbrividì pronunciando quel nome e lasciai intendere chi fosse. ‘Mi bastò quel nome a rivalutare la proposta di Belle, che stava per partire da lì a poco. Avevo poche cose con me, raccattai quelle e volai da lei intenta a partire alla volta della foresta incantata’.
‘Sei tornata alla Foresta Incantata?’, strabuzzò gli occhi incredulo.
Annui.
‘E feci la tua stessa espressione quando mi venne rivelata la meta. Avrei rivisto quel luogo dopo anni e anni e quando approdai lì la prima cosa che feci fu cercare la mia famiglia. Non sapevo che fine avessero fatto e nonostante covassi nel cuore la paura e il ribrezzo nell’incontrare nuovamente mio padre, dopo ciò che aveva fatto anni prima, la voglia di rivedere mia madre e i miei fratelli soppravvalse su ogni altra cosa. Avevo voglia di abbracciarli, di stringerli forte e far vedere loro che ero viva e che ero tornata per restare. Immaginavo i loro volti.
I miei fratelli erano sicuramente cresciuti e se non mi avessero riconosciuta? In me quel timore avanzava. Le rughe avrebbero solcato il viso di mia madre e una nuova visione avrei avuto dinanzi a me, e se me la fossi trovata davanti e non l’avessi riconosciuta? Mi chiesi ingenuamente prima di rinvenire. Come avrei fatto a non riconoscerla? Anche tra un milione di persone il mio cuore e il mio sangue mi avrebbero condotto a lei. Con la stessa ingenuità arrivai all’ultimo luogo in cui l’avevo vista, in cui li avevo visti tutti, e riconobbi subito la terra della mia infanzia. Ero nei pressi del villaggio, ma stentavo a riconoscerlo. La maggior parte delle case che ricordavo non erano altro che macerie bruciate, altre, un po’ più lontane erano chiuse da assi, corsi più veloce verso quella che una volta era la mia casa ma quando ci fui davanti indietreggiai impaurita e inorridita, non era che una copia delle case che avevo visto lungo il cammino. Davanti a me solo macerie bruciacchiate e pericolanti. La casa in cui abitavo un tempo non aveva più nulla dei miei ricordi. Fermai un signore che passava da quelle parti, quasi strattonandolo, per cercare informazioni. Probabilmente si erano spostati, erano andati avanti, erano altrove e volevo, dovevo saperlo.
I signori che abitavano qui intende? Mi dispiace signorina ma per quel che so il padre è deceduto una settimana dopo a causa della scomparsa della figlia. Era una ragazzetta quando non si venne più a sapere niente di lei, e a quanto pare suo padre non ha retto a tanta sofferenza. Primo colpo. Senti gli occhi bruciarmi. Le lacrime volevano uscir fuori e io le trattenevo. E qualche tempo dopo, penso per i debiti del marito, le guardie della Regina vennero a prendere la moglie con i due bambini, dando fuoco alla casa. Per quanto ne sappiamo li hanno giustiziati un paio di settimane fa.
Cercai di trattenermi il più possibile a quelle rivelazioni. Camminavo a passi sostenuti e pesanti quasi avessi un macigno addosso, con dentro un vortice di emozioni tutte ammassate che non riuscivo ad estrapolare. Erano lì tutte insieme. Mio padre era morto dopo una settimana dalla mia scomparsa, probabilmente per i sensi di colpa che lo avevano attanagliato dopo la decisione presa, e mia madre insieme ai miei fratelli? Erano morti anche loro per mano della Regina che ora era qui. Eccola l’ennesima prova che non ero destinata alla felicità nella mia vita. Nemmeno a una minima parvenza, niente era lì per me e a nessuno sembrava importare, e l’unica persona che mi restava non sapevo che fine avesse fatto. Non sapevo quanto tenessi a me, non dopo quello che era successo ma dentro di me viveva ancora quella speranza di rivederti se non per riabbracciarti per chiederti spiegazioni, così iniziai a cercarti. Vagavo di regno in regno, di locanda in locanda e di porto a porto senza trovare nulla, nemmeno un accenno di quella nave che ricordavo. Ogni capitano che scendeva lo guardavo attentamente, lo scrutavo ma di te non avevano nulla, e fu così per svariati anni.’
Venni interrotta da quell’uomo dal camice bianco, senza accorgermi della sua presenza fin quando non l’ebbi davanti.
Diceva che potevo uscire dall’edificio perché ero ormai fuori pericolo. Visto ciò Killian mi prese con sé portandomi in una locanda poco lontana e mi prese una stanza.
‘Cos’è questo posto Killian?’, chiesi entrando in quella camera.
‘Ehm… lo so che all’inizio è difficile da gestire, è completamente tutto nuovo ai tuoi occhi ora e lo so per esperienza ma ti ci abituerai, te l’assicuro. Ora hai solo bisogno di riposare e di stare tranquilla. Appena starai un po’ meglio ti farò fare un giro della città. Promesso.’Annui, ispezionando la stanza che avevo di fronte senza sapere come muovermi.
Non ero abituata a tutto questo. Lui era sul ciglio della porta, quasi ad andarsene.
‘Tu dove vai?’, chiesi rivolgendogli lo sguardo e velando un certo timore nel scoprire la risposta.
‘Sarò qui fuori, non lontano’, si limitò a dire.
Annui abbassando il capo poco convinta. Stavo di nuovo ricadendo nello stesso vortice di ciò che facevo una volta. Perché non gli dicevo ciò che provavo davvero a quella risposta?
‘C’è qualcosa che non va?’, domandò preoccupato avvicinandosi.
‘Voglio che resti con me, almeno per il momento’, dissi con un filo di voce, quasi a vergognarmi di ciò che gli avevo proposto. Lui sorrise e chiuse la porta alle sue spalle.
Ci mettemmo a letto, come quel mattino, io tra le sue braccia e sul suo petto a farmi cullare dal pulsare incessante di quel cuore che batteva sotto il mio orecchio all’unisono con il mio. Finalmente l’avevo ritrovato, finalmente non c’era nessuno ad ostacolare quel rapporto ritrovato. Finalmente era mio, osai pensare e arrossì all’istante come se lui potesse udire ciò che avevo dentro.
Non avrei più fatto gli stessi errori di prima, gli avrei detto tutto stavolta a cominciare dal fatto che l’amassi, più di quanto fosse possibile e lecito.
Si, gliel’avrei detto, mi incoraggiai appena mi sarei ripresa dalle palpebre, e da quel corpo che in quella tranquillità ritrovata cominciò a lasciarsi andare a Morfeo.
Quando mi risvegliai dentro era buio pesto, solo una flebile luce illuminava la stanza facendo scorgere i suoi contorni e i suoi spigoli.
‘Killian?’, chiamai ma nulla. Nessuna voce, nessun passo, nessun movimento.
Non era nella stanza, dedussi. A tentoni cercai di raggiungere quella porta da cui eravamo entrati, un grande applauso e risate e voci in festa giungevano dalla fine del corridoio oltre le scale. Cercai di seguire quei suoni così da trovare una via d’uscita e scesi giù per le scale, fin quando non mi trovai un’altra porta davanti che da quanto scorgevo dava sulla città, allora optai per quella e l’aprì.
Mi mossi lenta senza capire bene dove stavo andando perché di fronte a me non vedevo altro che cose strane e luci strane a cui non ero per nulla abituata, appena dietro l’angolo una serie di tavoli si protraevano oltre una staccionata e su uno di essi, lui. Killian. Era lì preso dai suoi grovigli e dai pensieri mentre giocava con la sua fiaschetta sovrappensiero. Gli ero quasi di fronte ma non mi notò. Mi chiesi cosa gli passasse per la testa, cos’è lo rendeva accigliato a quel modo? E subito dopo, senza una ragione ben precisa mi chiesi se durante quegli anni in cui eravamo stati lontani lui mi avesse pensata tanto quanto io serbavo nei miei ricordi. Vidi che era solo, lontano dal fervore che avevo sentito ci fosse all’interno e presi coraggio avviandomi verso di lui con un gran sorriso per risollevarlo, ma nemmeno un passo e mi ritirai non appena sentii una porta emettere un cigolio. Una donna bionda, la stessa che avevo visto in quel capanno e in ospedale stava andando verso di lui. Lui sorrise, appena la vide. Gli sedette accanto, dandomi le spalle, e gli si avvicinò per parlargli in confidenza mentre lui restava al suo posto a guardarla.
Non sentivo una parola di ciò che gli diceva ma osservavo ogni sua espressione, dato che lui era l’unico ad essermi di fronte.
A me arrivavano solo parole smorzate e mal distribuite, ma una su tutte mi fece stare allerta. Bacio. Cercai di tendere l’orecchio per carpire di più.
Voglio ringraziarti Killian.
Era la giusta cosa da fare. Rispose lui guardandola negli occhi. Persi qualche frase, detta in maniera troppo lenta e lieve.
Ho mollato la Jolly Roger e sono scappato il più velocemente per sfuggirle. Ed una volta fuori dalla portata della maledizione ho saputo che i muri erano caduti. Che i due mondi erano collegati. Mi serviva solo un fagiolo magico. Disse con sicurezza, e stentavo a credere e a capire cosa avesse fatto e cose intendesse con quella storia.
Ma non sono facili da trovare.
Lo sono se hai qualcosa di valore da scambiare.
E che cos’era?
La Jolly Roger, ovviamente. Aveva dato via la sua nave per quella donna, per salvarla da qualcosa, qualcuno? Un moto dentro di me ebbe inizio, e non capivo bene che tipo di emozione fosse.
Qualcosa dentro di me mi avvertiva che nulla di buono stava per succedere. Non per me almeno.
Lei si allungò verso di lui raggiungendo le sue labbra, che si unirono alle sue e si muovevano insieme con passione. La mia vista iniziò ad annebbiarsi e delle lacrime copiose iniziarono a sfuggire al mio controllo, cercai qualcosa per aggrapparmi, un appiglio, ma non c’era nulla in grado di tenermi, le mie gambe iniziarono a tremare insieme a tutto il resto e mi accasciai a terra con la testa tra le mani.
E’ vero l’avevo ritrovato, ma non era mio, non lo era mai stato. Non avrebbe mai preferito me alle altre e io ero destinata a quello. Nessun tipo di lieto fine era fatto per me, io non ero per nessuno e il mio cuore, inevitabilmente a quella nuova constatazione si sfracellò in un milione di pezzi. Probabilmente, anzi sicuramente , negli anni mi aveva dimenticata, era andato avanti, mentre io ero rimasta, ero sopravvissuta in funzione di lui. Pareva, quasi, di assistere alla lacerazione di un cuore in atto. Il dolore lancinante mi andava alla testa, era un dolore acuto, assurdo da sopportare, dal suono impercettibile e dalla potenza devastante, lo sentivo staccarsi pian piano da me per raggiungere il suo e per arrivare a lui senza nessun risultato. Quante lacerazioni poteva subire un cuore prima di cedere completamente?
 
Se un piatto o un bicchiere cadono a terra senti un rumore fragoroso.
Lo stesso succede se una finestra sbatte, se si rompe la gamba di un tavolo o se un quadro si stacca dalla parete. Ma il cuore, quando si spezza, lo fa in assoluto silenzio. Data la sua importanza, ti verrebbe da pensare che faccia uno dei rumori più forti del mondo, o persino che produca una sorta di suono cerimonioso, come l’eco di un cembalo o il rintocco di una campana. Invece è silenzioso, e tu arrivi a desiderare un suono che ti distragga dal dolore.

 
NOTE:
Se conoscete ‘Il Gobbo di Notre Dame’ (film d’animazione Disney) noterete che le cose sono parecchio diverse dal film in questione e mi sono scervellata parecchio per trovare una giustificazione plausibile a quel frammento di vita di Esmeralda che tutti (?) abbiamo visto. Febo l’ho reso un po’ il cattivo della situazione, tutto perché da piccola non lo mandavo giù volentieri, non so perché. Lol
Ho dovuto far decedere anche il povero Quasimodo e di quello mi è dispiaciuto tantissimo.
Inoltre la scelta di Belle non è avvenuta a caso, in quanto se vedrete nel cartone, in un frammento appare proprio lei con un libro in mano che cammina per la piazza e da lì la voglia di introdurla e di renderla partecipe alla storia, in modo che aiutasse Esm a fuggire da una nuova minaccia.
Penso di aver chiarito un po’ tutti i punti che potevano far sorgere dei dubbi, detto ciò vi ringrazio seriamente, come sempre, per aggiungere questa mia storia ai preferiti/ricordate/seguite, e spero davvero di non avervi deluso. Fatemi avere vostri pareri, anche per capire cosa ne pensate.
 
Al prossimo capitolo. :*

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Capitolo 12
*** XII CAPITOLO ***


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CAPITOLO XII
 
 
Passarono alcuni minuti prima di realizzare esattamente ciò che era successo davanti ai miei occhi poco prima, anche se non ce n’era bisogno, c’era il mio cuore a ricordare ogni singola, minuscola scena a rallentatore così da rendere ancora più insopportabile quel dolore lancinante che mi dilaniava il petto. E tanto bastava a buttarmi giù ancora, ancora, ancora e ancora.
Non volevo crederci, non di nuovo.
Non può essere. Continuavo a ripetermi imperterrita.
Il mio cuore sembrava uscito da un conflitto, era completamente a pezzi, ridotto in frammenti come se qualcuno lo avesse preso e lanciato a terra con estrema violenza per romperlo e camminarci sopra.
Era indescrivibile il dolore che mi travagliava.
Speravo di svenire, di perdere conoscenza e di perdere anche la memoria, qualunque cosa pur di togliermelo dalla mente e cancellare quelle immagini insopportabili dalla mente.
Se lo avessi dimenticato. Pensai.  Se lo avessi dimenticato, adesso non starei così. Adesso non mi sentirei in questo modo, sempre di troppo accanto a lui. In eccesso accanto a lui. Adesso non mi sarebbe crollato il mondo addosso, per l’ennesima volta.
Sperai se ne fossero andati e non diedi nemmeno uno sguardo a quel tavolo su cui prima erano… seduti per accertarmi che fosse così, presi forza, quella minima che mi restava, aggrappandomi a qualcosa lì accanto e mi alzai, ancora con la vista annebbiata. Ancora con gli occhi grondanti. Tirai su con il naso e mi ricacciai quelle ultime lacrime rimaste.
Qualcosa cadde a terra fragorosamente, rimbombando nella via deserta, ma non ci badai, non lo raccolsi.
Era quasi lo stesso tonfo che avevo sentito in petto a quelle immagini, moltiplicato per venti volte
Mi avviai come un automa senza una precisa meta a passi sostenuti, pesanti e forzati lontano da lì. Lontano da quel luogo. Volevo andarmene.
Un rumore stridente catturò la mia attenzione alle mie spalle, ma non mi voltai perché temevo di scoprire chi fosse.
‘Dannazione!’, sentì blaterare. Riconobbi la sua voce, perché l’avrei riconosciuta anche in mezzo a uno sciame di gente indistinta. Quella voce era sempre rimasta in me nei ricordi più remoti accompagnandomi in ogni dove e ora, il modo in cui graffiava le mie corde, era qualcosa di insostenibile e del tutto insopportabile perciò alzai il passo per sfuggirgli perché ero certa che mi stesse seguendo.
Volevo seminarlo.
‘Esm!’, chiamò dietro di me. I passi più accelerati per starmi dietro. ‘Esm, aspetta ti prego!’.
Cosa voleva ancora? Osservare la mia espressione, trionfante del fatto che mi avesse fatto cadere di nuovo barcollante a terra? Perché non mi lasciava in pace?
Qualcosa fece presa sul mio polso, strattonandomi e costringendomi a voltarmi.
Ricacciai quella presa dal mio braccio in malo modo, forse se ne accorse, ma non avevo voglia di alcun contatto fisico in quel momento. In nessun modo.
Ogni suo gesto era simile al sale su una ferita che andava riaprendosi e per quanto mi riguardava, non volevo nemmeno vederlo in quel momento.
Mi ritrovai faccia a faccia con lui cercando di sostenere il suo sguardo e incrociai le braccia al petto a sottolineare ciò che provavo.
‘Mi dispiace’, disse rammaricato. ‘Mi dispiace che tu sia venuta a scoprirlo in questo modo. Avevo intenzione di parlartene prima, di farti abituare alla cosa, di farti conoscere Emma … Mi dispiace’, ripetè per giustificarsi.
‘Per cosa Killian? Non mi devi alcuna spiegazione. Perché mai dovresti?’, fingevo indifferenza come se la cosa non mi avesse toccato. ‘Sei andato avanti, stai vivendo la tua vita com’è giusto che sia. Io non sono niente per te. Io e te non siamo niente’, finsi un sorriso, ma non mi riusciva nemmeno bene e riuscivo a percepirlo da me.
Lui guardò in basso, come a cercare di calmarsi a quelle parole. Si morse un labbro, avrebbe voluto dire qualcosa ma si trattenne.
‘Non dire così. Lo sai che non è così’, incalzò in tono severo lui facendosi avanti.
‘E com’è Killian? Spiegamelo perché io proprio non lo so.’ scossi la testa. Non volevo andare oltre, dovevo fermarmi. Calmarmi. Respirai a fondo. ‘Sto bene, tranquillo.’ Cercai di convincermi di quelle parole.
‘No, non è vero.’, fece indicandomi il viso.
Senza accorgermene avevo ricominciato a piangere. Con il dorso della mano ricacciai via quelle maledette lacrime che calavano la maschera. Che voglia avevano di farsi notare? Perché non erano capaci di restare dove erano e incrostarsi nel cuore?
Guardai altrove, dovunque per cercare una distrazione, dovunque ma non in lui perché sapevo quanto avessi potuto cedere alla rabbia se lo avessi guardato.
‘Mi dispiace Esm. Avrei dovuto proteggerti sin dall’inizio, avrei dovuto salvarti. Avrei dovuto tenerti con me’, carpì lui dai miei gesti.
Continuai a non guardarlo mentre lui continuava a giustificarsi.
Poi silenzio. Una lunga pausa si intromise tra noi.
‘Lo sai cosa fa male? Lo sai cosa fa davvero male Killian?’ Presi la parola, carica di tutto ciò che avevo dentro e che mi lacerava. ‘La certezze e la convinzione di sentirsi sempre un peso sulla vita degli altri. Sapere che hai passato una vita in funzione di qualcuno che nel tempo ti ha dimenticato e più volte sostituito. Sapere che per gli altri, per le altre, ha fatto di tutto, è diventato un eroe mentre per te non ha fatto più di tanto. Ha deciso di arrendersi, ha deciso di lasciarmi, di abbandonarmi a me stessa. Continuare ad avere quella speranza di rivederlo un giorno, in ogni volto sperando fosse il suo. Sperare nel suo sorriso per l’ennesima volta e in quel sentimento riflesso nel mio. Fa male aver creduto a tutte queste cose da sola, fa male tutto questo’. Lo guardai ora perché ero sul punto di esplodere ed era giusto che lui mi vedesse. Che lui vedesse il risultato delle sue scelte perché ogni scelta ha una sua conseguenza e un suo percorso e senza saperlo lui con le sue aveva falciato e rovinato la mia vita . ‘Perché non sei tornato? Perché non sei venuto a cercarmi, perché non sei venuto a constatare ciò che Milah sosteneva sul mio conto? Perché hai creduto così facilmente che me ne fossi andata nel momento in cui tu eri meno lucido? Credi che non avrei sofferto? Credevi che ne sarei stata capace forse? Credi che non sarei corsa da te se davvero avessi trovato un altro? Eri tu ad avermi dato la tua parola, non Milah. Tu le hai raccontato tutto su di me e lei ce l’ha rivoltato contro! Per tutti gli anni non ho fatto altro che chiedermi il perché, il perché di tutte queste azioni che per erano prive di senso. Perché non hai invertito la rotta di quella maledettissima nave e sei tornato da me quando Milah ti ha raccontato quelle cose? Perché non hai creduto a me quando ti dicevo che non avrei voluto essere da nessun altra parte se non con te? Perché io avevo solo te e nessun altro al mondo. Mi eri rimasto solo tu al mondo, e pur avendomi rapita avevo iniziato a volerti bene, e desideravo solo essere ricambiata da te! Perché non sono mai stata abbastanza per te? Perché devo essere sempre una seconda scelta per te Killian? Quella che viene dopo tutto e tutti. Perché devo ancora stare così dopo anni in cui  non ho fatto altro che vivere grazie a te, in funzione di te, e grazie ai ricordi che mi hai donato? Perché mi hai illusa Killian Jones?’, esplosi, e la mia voce sovrastò la quiete notturna superando anche il mio immaginabile.
La sentì rimbombare e tuonare intorno per poi tornarmi indietro e farmi ancora più male perché l’ultima cosa che volevo era urlare contro quell’uomo. In tutto questo ero un fiume in piena che si era trattenuto per anni, che aveva costruito muri per reggersi e allontanarsi da quella vecchia Esmeralda e che ora stava crollando per davvero. Crollavano gli argini di una vita che avevo assunto come una maschera e uno scudo, perché io non ero forte, non lo ero mai stata. Sono fragile. Perché io davanti a lui sono sempre quella vecchia bambina sciocca che continua ad amarlo in silenzio, tenendoselo dentro e sperando che lui se ne accorga una volta per tutte.
Perché non capisce quanto ho bisogno di lui in questa vita, perché non capisce come sto dentro? Perché non capisce il male che sta provocando?
Lui restava lì, inerme, con gli occhi velati da lacrime che mi osservano crollare e piangere.
Tremo convulsamente e questa volta non c’è nessuna febbre, nessun maleficio che desidererei ardentemente. Questa volta sono io, è il mondo che ho dentro che inizia a tremare, come un implosione.
E’ tutto crollato, tutto è in macerie e li distinguo bene i pezzi di me, li vedo lì, tutt’intorno a me.
‘Tutto ciò che ti sei chiesta in questi anni è vero.’, chiarii lui cauto, avvicinandosi. ‘Tutte le tue domande sono lecite e credi che non avrei voluto saperlo? Credi che per te non avrei fatto le stesse cose che ho fatto per Emma? Se potessi tornare indietro crederei a ciò che mi avevi detto, allontanerei Milah da me e da te così che nessuno ti faccia del male. Ti terrei con me, ti stringerei forte e non ti lascerei mai più andare via da me perché al contrario di ciò che pensi non c’è stato un attimo della mia vita in cui io non ti abbia pensata, in cui non abbia richiamato a me i tuoi ricordi, chiedendomi perché te ne fossi andata. Perché si, mi mancavi, mi sei mancata e tu non sai nemmeno quanto, rivederti ora qui è stato un colpo al cuore. Rivederti sana e salva davanti a me… credevo fosse l’ennesima allucinazione, credevo fosse un illusione della strega e invece eri lì di fronte ai miei occhi. Come pensi che mi sia sentito? Ed è vero c’è stato un gran periodo della mia vita in cui ho creduto a quella versione che mi era stata data, e in cuor mio dovevo sentire che qualcosa non andava. Sarei dovuto tornare indietro e se solo avessi saputo che eri viva ti avrei cercato in tutti i mari, e in tutti i regni per trovarti, non mi sarei dato pace fino a che non ti avrei salvato, non ti avrei lasciata sola, non ti avrei lasciata a nessuno. Perché in cuor mio era questo il mio piano sin dall’inizio. Appena ti feci quella promessa me ne pentii e volevo ritirarla, ma non potevo. Non potevo rimangiarmi la parola ma nel momento in cui sarebbe accaduto egoisticamente non ti avrei permesso di abbandonare la nave, e pensavo tu l’avessi capito, l’avessi inteso e per questo eri fuggita in silenzio. Lo trovi tanto malsano? Per anni sono stato a crogiolarmi su quella promessa che avrei dovuto infrangere nel momento stesso in cui ho fatto. Ed è vero, Milah ci ha distrutti e inceneriti e sono stato io a dargli il modo di farlo, ma voglio che tu sappia che per me non sei mai stata la mia seconda scelta. Tu per me sei stata sempre la mia scelta migliore. Non è bello da dire, ma rapirti, prenderti in quella radura quel giorno è stata la cosa migliore che ho fatto nella vita, perché ho conosciuto te che mi hai scrutato, mi hai conosciuto e sei divenuta un’estensione di me. E avevo paura… avevo sinceramente paura che tuo padre pagasse quel riscatto perché in soli tre giorni eri diventata qualcosa per cui continuare a vivere, e non sapevo che avrei fatto senza te. Non sai quante volte mi sono vergognato di questo pensiero perché non era giusto, per te. Io Esm, ti avrei salvata da quei bruti, ti avrei salvata da tutto, ti avrei salvata dal mondo intero se avessi immaginato ciò che era davvero successo, non avrei esitato un attimo a farmi dire quei nomi da Milah, e li avrei cercati, sarei tornato da te e lo so, lo so che tutto questo non pone rimedio a ciò che è stato, a ciò che hai passato, e se potrei prendermi io tutte le pene che ti sono state inflitte lo farei perché tu non meritavi alcun male, non meritavi tutto questo. Tu non eri umana, tu eri qualcosa di più. Avevi quel qualcosa in più che ti rendeva e ti rende speciale, e mi dispiace per come siano andate le cose’.
Ha gli occhi lucidi ed è vicinissimo in procinto di alzare la sua mano e carezzarmi il viso, e io quasi cedo a tutto questo. Cedo alle sue parole che mi hanno alleviato l’anima e mi hanno ridato fiducia, ma poi ritorno agli attimi di poco prima e mi scosto perché so che ogni minimo contatto sarebbe un dolore assurdo. Non glielo permetto
Non me lo permetto.
Non lo guardo negli occhi perché fa troppo male ritrovarmi in quel cielo, in quel cielo che una volta conoscevo, in quel cielo a cui affidavo tutto, in quel cielo che ora non mi appartiene.
‘Io mi chiedo cosa ci faccio qui…’, dico tra me con la voce smorzata sull’ultima parola.
Lui mi guarda con disapprovazione. Non accetta ciò che ho appena detto.
‘Perché dici così?’
‘Perché non c’è posto per me qui, cosa mi hai salvato a fare Killian? Avresti potuto continuare la tua vita senza alcuna interferenza da parte mia. Ora hai… Emma, non hai bisogno di me. Io non sono più il tuo motivo per continuare a vivere, lei lo è. Hai scelto lei anche prima quando la strega te l’ha proposto. Avresti potuto non salvarmi da Zelena, avresti potuto lasciarmi morire e quando ero in ospedale avresti potuto accettare il fatto che me ne stavo andando senza consentire all’Oscuro di salvarmi. A quale scopo sono qui? Non ti è bastato ciò che hai saputo oggi? Non credi sia abbastanza per me? Non credi che sia stanca?! Ho viaggiato per una vita. Una vita per trovarti e invece tu? Cos’hai fatto Killian?’
‘-Ti credevo morta!’, sbotta esausto.
‘Beh, guarda un po’ sono viva, e sono qui di fronte ai tuoi occhi ad urlarti tutto ciò che porto dentro da una vita mentre avrei voluto fare altro semmai ti avessi rivisto. Avrei voluto abbracciarti forte senza lasciarti mai più andare via da me, dirti che Ti amo e invece no. Non posso. Di nuovo. Ti ho cercato ovunque al mio ritorno, ho viaggiato dappertutto per trovarti ma nonostante facessi il tuo nome nessuno mi indicava nulla. Dicevano che non c’era nessun capitano tra i sette mari che si chiamasse Killian Jones. Continuavano a nominarmi un certo Capitan Uncino e io non ne capivo il senso e continuavo le mie ricerche senza arrivare da nessuna parte, e ora comprendo il perché’. Dico, indicando il suo uncino. ‘Perché devo continuare a sentirmi un peso nei tuoi confronti da sempre. Come quando stavi con Milah, come quando quella mattina dopo tanto silenzio da parte tua ero venuta a rivelarmi a te su ciò che provavo realmente, senza più remore e paura, perché volevo essere sincera con te. Volevo tu fossi mio come volevo ora. Stavo venendo a donarti il mio cuore come ora, e come ora tu l’hai preso e messo sotto i piedi come niente perché a te di me non interessa niente. Sono stata una stupida a credere in quel bacio. Credere che ci fosse il mio stesso sentimento dietro, per tutto questo tempo. Una stupida…’.
L’aria a quel punto si fece gelida ed è come se si bloccasse tutto.
Lui resta interdetto di fronte a tutte quelle parole, come se avesse visto o sentito chissà cosa. Mi guarda stralunato cercando di spiaccicare parola.
‘… quel bacio? Di quale bacio parli Esm?’, e ha capito di quale bacio stia parlando ma vuole averne la conferma.
Devo calmarmi perché potrebbe fraintendere, potrebbe vederci altro.
Faccio un lungo respiro.
‘Una sera, ero per le vie di Parigi, intenta a tornare alla Corte dei Miracoli in quanto si stava facendo davvero tardi, quando per le vie principali intravidi due amanti. Non erano zingari, erano gente del popolo che non avevo mai visto, nonostante non conoscessi tutti lì. Parlavano in modo fitto e lei aveva un gran sorriso complice di un cuore innamorato, mentre lui non faceva altro che avere l’amore negli occhi. Sarebbe potuta passare chiunque di lì in quel momento, anche la ragazza più bella del paese, lui non l’avrebbe vista nemmeno. Restai a guardarli per l’incanto che avevano provocato in me, perché una scena del genere mi capitava di rado, e non parlo dei baci in sé ma dell’amore che viveva in quelle due anime. Lui, d’un tratto, le mise una mano tra capelli e se l’avvicinò alle labbra donandole un bacio che andava via via a farsi più incandescente, fu lì che riacquistai quel ricordo: Io che mi avvicinavo alle tue labbra in maniera timida e ingenua, tu che mi stringevi forte e io che avvampavo ancor di più al tuo tocco, le tue dita e le tue mani che premevano sulla mia schiena rendendo quel momento, quel bacio più vivido, vero e stabile. Mi toccai le labbra quasi come se tutto ciò che avevo ricordato di colpo fosse successo in quel preciso momento. Io, quel ricordo, quel momento l’avevo perso perché stavo vaneggiando e non ero io, ma ciò che era in me ad essere uscito fuori, ad essere spinto in quel gesto. Come credi che avessi mai avuto quel coraggio di fare tutto quello da sola? Non l’avrei mai fatto ma tutto ciò che avevo dentro da mesi in quel momento esplose per poi tornarmi dentro e rinchiudersi. Solo allora capii perché ti trovai nel letto il giorno dopo, perché ti vidi diverso. Solo in quel momento capii la tua reazione al mio risveglio, il tuo passare da entusiasta a cupo, e quel Niente, stavi malissimo e ti ho tenuta stretta a me, dopodiché ti sei addormentata e non ho potuto chiuderle, solo allora, ancora di più, mi risuonarono in mente come la cosa più falsa che esistesse. E fu in quel momento che compresi i tuoi silenzi successivi, il tuo allontanamento. Era qualcosa che era sempre rimasto nell’ombra del mio cuore e che d’un tratto si era illuminato di una luce accecante, lasciandomi sconvolta. E per anni mi sono macchinata in quel ricordo, per anni mi sono sentita in colpa per non averti dimostrato nulla in seguito. Io ti amavo già da allora e cercavo di tenermi tutto dentro quando in realtà il mio subconscio ti aveva rivelato già tutto e io non me ne sono resa conto. ’
Gliene parlai con un gran sorriso in volto perché era il ricordo e il momento più bello che portavo dentro me di lui, di noi e in cuor mio sapevo che quando l’avrei rivisto avrei voluto replicarlo, ancora, ancora e ancora fino a consumarci le labbra, fino a donargli tutto ciò che era stato in quel bacio, fino a consumarci l’anima dentro quel bacio, e invece? Restavamo lontani, e a mantenere le distanze ero io, ne ero consapevole.
‘Tu mi amavi’, constatò ridendo e non capì se era per coprire il nervosismo o altro. ‘Tu mi amavi mentre ti amavo anche io e non abbiamo mai avuto il coraggio di dircelo. Ci siamo amati in silenzio senza mai rivelarci nulla, senza mai avvicinarci tanto da accorgercene a vicenda. Tu non sai quante volte sono tornato nella tua stanza a ricordare ogni singolo istante passato con te e non sai quanto mi sono pentito di averti lasciato, io non volevo. Mi dispiace davvero. Non volevo che le cose andassero così… è stato tutto sbagliato. Sarei dovuto tornare da te, dirti ciò che era successo e ora le cose sarebbero diverse. Dovevano andare diversamente’. Nel frattempo aveva preso la mia mano nella sua e catturato il mio cuore. Io dal canto mio a quell’ennesima dichiarazione non ce la facevo a restare inerme e ormai le lacrime avevano avuto il sopravvento su di me e le sentivo addensarsi come crema prima di rigarmi le guance.
‘Io ti ho amato più di chiunque altro potrò mai amare in questa vita, e tu mi hai spezzato il cuore. Anche ora l’hai fatto.’ Chinai il viso ma lui lo rialzò. ‘E nonostante tutto… nonostante tutto ciò che provo dentro non riesco a dimenticarti, non riesco ad odiarti come vorrei. Ci ho provato e vorrei tanto riuscire a farlo perché sarebbe tutto più facile, ma non ci riesco. Dopo tutti questi anni tu sei… sei ancora tanto, troppo per me…’
Sorrise entusiasta di quelle parole e poi, all’improvviso, lui stanco di quelle distanze, stanco di quelle parole, stanco di tutto ciò che stava accadendo tra noi prese la mia mano e mi tirò a lui con forza e decisione.
I suoi occhi, ancora leggermente languidi mi catturarono così come allora e io diventai sua prigioniera per l’ennesima volta di quell’uomo che anni prima mi aveva presa per la prima volta.
Il suo uncino era dietro la mia schiena in modo che non scappassi, come se ne fossi stata capace, mi teneva stretta a sé facendo aderire il suo corpo al mio. La mia mano aveva trovato posto sul suo petto dove potevo sentire il suo cuore oltrepassare quasi la gabbia toracica e arrivare al mio.
Mi sentii morire per la prima vera volta, la voglia di avvicinarlo ancora di più, di affondare le mani tra i suoi capelli, di sentirlo mio anche nella parte più illusoria, di finire sulle sue labbra come in quel ricordo, ancora, ancora e ancora.
La sua mano attraversò i miei capelli e mi portò verso di sé con veemenza facendomi ritrovare sulle sue labbra in modo inaspettato, su quelle labbra che mi erano mancate, su quelle labbra che avevo agognato per tutto quel tempo, e che per tutto quel tempo erano rimaste intrappolate in un ricordo sbiadito mandato a ripetizione nella mia mente come cura e monito.
Mi aggrappai alla sua giacca mentre qualcosa tra noi stava accadendo, ora per davvero senza che nessun avvenimento che causasse la mia perdita di memoria.
Mossi le mie labbra insieme alle sue e ci baciammo. Un bacio così semplice, puro e carico di passione che mi sembrò di tornare al nostro primo bacio e di poter infuocare tutto ciò che ci circondava. Niente aveva più senso, niente importava più mentre le sue mani mi cingevano la vita, le mie viaggiavano al suo viso carezzandoglielo e le nostre vite si toccavano ancora, dopo tanto tempo. Dimenticai tutto il resto. Dimenticai gli anni passati, le continue agonie e ingiustizie patite e mi ritrovai con lui e insieme a lui e iniziai a piangere, anche se in realtà non avevo mai smesso, e il bacio assunse quel gesto salato che solo i ricordi mischiati alla gioia possono donare.
 
Il giorno seguente mi risvegliai nella stessa locanda dalla quale ero partita.
Lui non c’era, mi aveva lasciato sul ciglio della porta e mi aveva salutato con un bacio sulla guancia. Per tutto il tempo non feci altro che ripensare a quei momenti. A noi avvinghiati in una via in quel modo.
Noi che ci ritrovavamo.
Lui, la sua passione non avevano fatto altro che riempire tutti quei momenti bui e quegli attimi in cui avrei voluto rimanere. Riuscivo ancora a sentirlo addosso in tutto e per tutto e mi cullavo in quel momento già divenuto ricordo. Le sue labbra, la sua pelle, le sue mani su di me, il suo sapore, il suo odore che ora s’impregnavano su di me ora era tutto ciò che mi restava.
La sua impetuosità e frenesia appena era entrato in contatto con me, quasi come se mi cercasse da tempo. Quasi come cercasse da tempo quel momento quanto me, era qualcosa che ancora mi faceva ansimare e morire allo stesso tempo, quanto mi era mancato? Avrei potuto avere tutti gli uomini di tutti i regni interi ma nessuno sarebbe stato come lui, oppure era meglio dire che nessuno sarebbe stato lui.
Per tutto il giorno non feci altro che pensare a quello, perdendo il senso del tempo e aspettando che ritornasse, si fece vivo a tarda sera portandomi qualcosa da mettere sotto i denti come ai vecchi tempi.
E ci crogiolammo e perdemmo in risate, ritrovi di quando eravamo insieme.
Quando ancora era tutto sereno, e non era successo nulla.
Quella sera mi mossi nuovamente verso le sue labbra ancora titubante e timida come la prima volta, analizzando ogni sua reazione con il timore che mi rifiutasse, e mi ritrovai, piacevolmente, a muovermi con lui mentre piano acconsentiva a quella continua voglia e mancanza che avevo di lui, abbracciandomi.
Nei giorni seguenti invece non lo vidi proprio, tutto in città era nel caos più totale. Per quanto avevo avuto modo di sentire eravamo bloccati in quella cittadina da qualcuno che aveva innalzato un muro di ghiaccio impedendoci ogni via di fuga. Eravamo rimasti senza luce per un bel po’ mentre a me avevano dato ordine di restare nell’edificio.
Mi sentivo terribilmente sola, mentre per tutto il tempo mi chiedevo dove fosse Killian preoccupandomi.
Ero sola. Di nuovo.
Una sera stanca di quella continua attesa scappai da una delle finestre passando per il tetto e arrivando giù.
Vagai per la città senza conoscerla per davvero, non avevo mai avuto modo di visitarla. Killian, era sparito nel nulla dopo quei giorni e con lui quella vaga promessa di un aiuto in quella città sconosciuta. Continuavo ad affidarmi e a fidarmi a lui ma era evidente quanto venivo posposta ad altro, e ad altri. Non lo avevo già constatato? Quindi di cosa mi stupivo più di tanto.
Di lui mi restava solo quel bacio, e poi il nulla.
Ammiravo ogni singolo aspetto della cittadina in cui mi ero ritrovata, contemplando a volte alcune cose che non capivo e spaventandomi talvolta per quei rumori molesti che riempivano l’aria circostante, non sapevo cosa fossero e per più volte mi preparavo a denti stretti aspettando un qualcosa che sarebbe sbucato dal nulla in quella notte tetra.
Camminando ancora mi ritrovai di fronte a una stradina, un frinire di grilli circondava l’intero silenzio calato sulla notte, un po’ più in là, oltre la strada, si ergeva un grande orologio che segnava le 21.50, più giù una targa enorme indicava cosa ci fosse nell’edificio: Storybrooke Free Public Library.
Una biblioteca, dedussi facilmente. Tentai di avvicinarmi, per osservarla ed esplorarla al meglio anche se solo dall’esterno quando alle sue porte, vidi avvicinarsi un uomo con un andamento non del tutto lucido che si avvicinò ad esse strattonandole e cercando di tirarle, ma quelle nulla. Restarono lì, inermi. Ferme.
Non contento l’uomo infilò qualcosa dentro cercando di forzare la serratura affinché si piegasse alla sua volontà. Era palesemente ubriaco.
Riconoscevo quell’andamento, quei gesti non calcolati privi di qualsiasi lucidità. Erano gli stessi di Killian quando tornava sulla nave ubriaco fradicio incapace anche di distinguere un solo scalino e sfracellarsi a terra come niente. Quante volte l’avevo aiutato e sorretto quando era solo e non tornava con nessuno nelle stanze? Tante. Anche se lui logicamente non ricordava nulla.
E lo stesso avrebbe fatto quell’uomo il giorno dopo, quando si sarebbe ritrovato da qualche parte senza averne la minima idea di come avesse fatto. Decisi perciò di avanzare dal lato destro dell’edificio e aiutarlo a non cacciarsi in guai peggiori, quando sentii qualcuno avvicinarsi, quando il suo ‘Bloody Hell’ raggiunse il mio udito capii di chi si trattasse senza ulteriori indugi.
Mi arrestai di colpo.
Era diverso. Completamente diverso.
Il suo giaccone di pelle era scomparso lasciando il posto un nuovo tipo di abbigliamento che non capivo e che mi era del tutto estraneo su di lui. Mi sembrò di non riconoscerlo, e in questo giocava anche la sua espressione dura, nel vedere quell’uomo di fronte a quella porta, come se la cosa gli importasse.
Mi fermai a pochi passi da loro restando inosservata.
‘Sono un pirata da un po’ e so che non c’è nulla da rubare lì dentro’, esordì cercando di portarlo sulla retta via.
‘E’ quello che dici tu!’, rispose quello restio al volersi arrendere all’evidenza.
Lui gli si avvicinò cercando di prenderlo per un braccio e tirarlo via: ‘Sei ubriaco amico, vai a casa’. Quello dal canto suo non ne voleva sapere e schivò la presa.
Qualcosa in Killian cambiò, la sua espressione diventò dura e spietata e mi sembrò di rivedere il Killian di tanti anni prima, e gli partì un colpo sul volto del malcapitato, che cadde a terra disorientato.
Stava per rincarare la dose, quando si fermò come a ritornare lucido, si guardò la mano. Da quanto aveva la mano? Non gli era stata tagliata da quello che era l’Oscuro e quindi cosa ci faceva ora lì al suo posto.
Si guardò intorno come ad accertarsi che nessuno avesse assistito alla scena.
‘Se lo dici a qualcuno, sei un uomo morto!’, minacciò per poi ritirarsi ed appoggiarsi alla parete, quasi… atterrito.
Non ci vedevo chiaro, quell’improvviso cambiamento, quella mano che era tornata al suo posto. Cosa gli stava accadendo?
Mi avvicinai a lui mentre era su tutt’altro pianeta. Non mi aveva nemmeno notata, nemmeno sentita arrivare.
‘Esm, che ci fai qui?’, disse ancora con quella paura che gli velava gli occhi tenendosi il polso.
‘Killian cosa c’è che non va?’, chiesi diretta.
‘Non ti voglio qui Esm, è meglio che tu vada. Vai via.’, disse in maniera dura, allontanandosi e camminando a grandi passi per sfuggirmi.
‘Non ti fai vedere da giorni, e mi avevi promesso che mi saresti stato vicino. Ti incontro per caso e sei totalmente diverso da come ti ho lasciato. Cioè, guardati non sei tu quasi, e hai di nuovo la mano, mi vuoi dire che succede?’, cercai di afferrarlo mentre lui avanzava velocemente oltre di me.
‘Ti ho detto di starmi lontano Esm!’ Si voltò a pochi centimetri dal mio viso con l’ira che lo pervadeva. Indietreggiai perché non l’avevo mai visto così. ‘Non capisci che potrei farti del male?!’.
‘Lo stai già facendo’, sussurrai più a me, che a lui mentre si era di nuovo voltato diretto altrove.
Tornai indietro e cercai di aiutare l’uomo che ancora giaceva a terra con il naso sanguinante. Si era appoggiato con la schiena contro la porta e cercava di ripulirsi con le mani.
‘Forse con questo ti pulirai meglio’, dissi porgendogli un pezzo di stoffa che avevo con me, con un sorriso.
Quello mi ispezionò ancora mezzo intontito e lo afferrò.
‘Grazie mille’, disse quello ancora un po’ riluttante. ‘Conosci quel tizio?’, chiese puntando di fronte a sé.
Ponderai sulla risposta per un po’.
‘Una volta. Ora non più’, stentai un sorriso.
‘Meglio per te, è un pazzo’, continuò.
Annui, senza saper bene cosa rispondere.
Mi fece posto accanto a sé, porgendomi la bottiglia. Feci cenno di no mentre presi posto.
‘Non ami perdere il controllo di te stessa e dimenticare tutto ciò che ti affligge per un po’?’, chiese.
‘Mi piacerebbe, ma quanto durerebbe? Il giorno dopo sarei di nuovo io con i miei pensieri e i miei problemi’.
Annui nuovamente, continuando a bere.
‘Io sono Will Scarlett, comunque. E’ un piacere fare la tua conoscenza’. Si presentò porgendomi la mano.
‘Esmeralda’, dissi rivelandogli il mio nome.
Restai con lui per tutta la sera, chiacchierando un po’. Confidandomi un po’. E lui stava a lì ad ascoltarmi.
Appresi che anche lui era più o meno solo in quel nuovo mondo e che anche lui era lì da poco più tempo di me, e per qualche motivo iniziai a sentirmi meno sola del previsto di fronte a tutto quello che avevo davanti.

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QUI trovate un blog Tumblr dedicato alla mia fan fiction con anteprime e stralci della storia, le canzoni e musiche che mi hanno ispirato nel scrivere, se vi va di seguirlo.

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Capitolo 13
*** XIII CAPITOLO ***


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CAPITOLO XIII

E rieccomi, scusate tanto l'attesa, ma contate che le feste mi hanno un tantino destabilizzato e mi sono persa un po'.
Spero come sempre che il capitolo vi piaccia, spero come sempre di avere pareri a riguardo, che siano buoni o meno poco importa, ma ditemi cosa ne pensate.
Ringrazio intanto chi già lo fa, e ringrazio chi mette 'Mi piace' attraverso i bottoni social qui sopra.
Io, come al solito ora vi lascio al capitolo. 
Fatemi sapere. 

Buona lettura. 


 
 
 
 
POV. KILLIAN
 
-
 
Erano passati tre giorni da quando non avevo più notizie di Esmeralda. Tre giorni in cui la pura agonia si prendeva cura di me stringendomi lo stomaco nella morsa dei ‘se’, e dei ‘ma’.
E se le fosse successo qualcosa? E se si fosse persa? E se l’avesse presa qualcuno?
Non avevo trovato nulla in quella stanza che desse una parvenza di questi pericoli, nessuna infrazione, nessun segno di lotta, c’era qualcosa dentro me che si convinceva che fosse scappata.
Scappata da cosa e soprattutto da chi se non da me?
Io che per primo l’avevo salvata e l’avevo rivoluta nella mia vita così ardentemente, ora l’avevo lasciata a sé stessa, nuovamente. Abbandonata.
L’avevo cercata in ogni dove negli anni, mi ingannavo nei miei ricordi di lei per sentirmi meno solo, e anche se non sembrava, mai una volta avevo smesso di pensarla perché mi era mancata, in ogni santissimo giorno di quella vita eterna. E come potevo farla ricredere su ciò che pensava se io stesso andavo contro a ciò che le avevo detto e le dicevo? Come potevo sperare che mi credesse se non avevo tempo per lei?
Mi aveva proposto di farla morire quando era il momento, ma come potevo? Mi si strinse di nuovo il respiro al pensiero di una simile soluzione. Lei sicura di aver intralciato la mia vita. Lei che inveiva contro di me urlandomi contro tutto ciò che per anni si era portata dentro.
Lei che aveva sperato in un incontro diverso e in un lieto fine con me e invece si era trovata davanti un'altra donna al suo posto.
Non facevo altro che chiedermi dove fosse, senza darlo a vedere per davvero a nessuno, tantomeno ad Emma. Ero agitato all’idea di saperla lì fuori. Agitato all’idea di saperla in un mondo del tutto nuovo, in cui persino io avevo fatto fatica all’inizio.
 
Come potevo biasimarla dopo l’atteggiamento che le avevo riservato quella sera? Quando non ero in me, quando quella costante paura di farle del male a causa di quella mano mi terrorizzava?
Le ultime immagini che avevo di lei erano quelle che avrei voluto cancellare, e avrei voluto fare altro.
Ritrovarsi un uomo del tutto cambiato e assente di fronte, un uomo che le aveva promesso qualcosa di nuovo, inevitabilmente distante come allora.
Cosa dovevo essergli sembrato? Non sei nemmeno tu aveva detto e comprendevo il suo disagio nel vedermi in quei nuovi panni, sentirmi così severo e duro nei suoi confronti non era stato facile.
Non mi vedeva da giorni come aveva detto e invece di darle spiegazioni le avevo quasi urlato contro, e lei era arretrata spaventata e delusa, di nuovo, non riconoscendomi.
L’avevo visto nei suoi occhi quanto fosse ferita e l’avevo sentita pronunciare quella frase mentre andavo via ma non avevo potuto fermarmi. Avrei dovuto tornare indietro e chiederle scusa, abbracciarla e spiegarle tutto, ma la paura di farle davvero male aveva preso il soppravvento su di me e scappai prima che potesse accadere qualcosa di peggio.
Continuavo a sbagliare e ne ero consapevole, ma volevo che sapesse che era per lei, per tenerla al sicuro da quella mano maledetta che l’avevo fatto, senza secondi fini.
Non mi ero pentito di averla salvata, nemmeno per un secondo. Poteva seriamente credere che non la volessi tra i piedi? Nella mia vita? Probabilmente sì.
Ripercorsi la scena nella mia mente, e mi convinsi di ciò che poteva aver pensato.
Ero uno stupido.
Stupido. Stupido. Stupido. Perché non riuscivo a mantenere una promessa con lei? Perché ogni cosa sembrava ancora di più deteriorarsi e spezzarsi? Maledizione! L’avevo ritrovata, era di nuovo davanti a me, non era morta, era viva e io non riuscivo a dimostrarle quanto fosse importante per me tutto questo, quanto quel salvarla fosse stato un gesto voluto e non indotto da nessun senso di colpa, nessun rimorso per come erano andate le cose, perché non credeva a quanto per me fosse stata importante lei?
Fu per questo che quella mattina mi recai al Granny’s .
Avevo intenzione di passare la giornata con lei, come le avevo promesso e come lei mi aveva fatto notare: mi avevi promesso che mi saresti stato vicino. Quelle parole continuavano ad assillarmi  e a vorticarmi in mente come un promemoria, perforandomi in pieno petto, non facevo altro che pensarci e molte volte ero stato anche assente con Emma per questo. La vedevo squadrarmi mentre cercava di capire cosa mi preoccupasse, mentre io prontamente la rassicuravo che non ci fosse nulla che non andasse. E lei con il suo sguardo indagatore ci credeva poco, ma si fidava. Era vero, gliel’avevo promesso e per altre circostanze che mi avevano trattenuto non l’avevo fatto, ma l’avrei fatto ora, le avrei spiegato tutto sul mio cambiamento, sul perché ero stato così assente e lontano in quei giorni, perché era giusto che sapesse, anche se era difficile spiegarle il motivo.
Come l’avrebbe presa quando le avrei detto che c’entrava Emma? Quando le avrei detto che avevo fatto tutto ciò per Emma e che ora mi trovavo ad aver fatto un passo falso con il Signore Oscuro? Per un appuntamento, per giunta. Come potevo sperare di non ferirla nuovamente?
Ogni mio gesto sotto quella luce sembravano fatto apposta, sembrava calcolato per scheggiarla e ai miei occhi lei era la cosa più fragile che ci fosse.
Tenevo a lei quanto ad Emma, ed era difficile per me andare avanti in questa situazione e non volevo farla soffrire ulteriormente dopo ciò che aveva passato. Perché la sua sofferenza in qualche modo era la mia, e sapere per giunta che tutto quello che le era stato fatto era successo per un mio sbaglio mi faceva sentire ancora più responsabile, così dopo aver salutato Emma alla stazione di polizia decisi di recarmi al Bed and Breakfast da Granny’s, dove l’avevo lasciata un paio di giorni prima. Camminavo per le strade a testa bassa così da non incrociare nessuno sguardo che mi allontanasse dal pensiero di arrivare a lei.
Un'altra distrazione, un'altra missione in cerca di qualcosa e non me lo sarei perdonato.
Arrivato a quella bettola all’angolo, chiusi la porta alle mie spalle noncurante della delicatezza, e salì le scale velocemente fino alla sua porta.
Giunto alla sua camera bussai attendendo una risposta dall’altra parte. Nulla, nemmeno il minimo suono.
Che non rispondesse perché era arrabbiata con me? Era del tutto comprensibile, ponderai in quel momento.
‘Esm, sono io, Killian. Aprimi, ho bisogno di parlarti’, ordinai da dietro la porta con fare rassicurante per invogliarla e farle capire che ero lì con le migliori attenzioni, ma nemmeno un fiato.
Provai di nuovo, ma rimbombò solo il suono delle mie nocche sul legno.
Decisi di entrare ugualmente, ora leggermente più in ansia sul perché non rispondesse.
Forzai la serratura con l’uncino, e senza ulteriori sforzi la porta si aprii, lentamente.
‘Esm..?’, chiesi entrando. Nessuna traccia di lei era in quella stanza. Le lenzuola non erano nemmeno sgualcite, e tutto lì era troppo silenzioso.
La cercai in ogni angolo. Provai in bagno  aprendo lentamente la porta, ma il posto, come l’intera stanza alle mie spalle era del tutto immacolato. Quasi come se lei non fosse mai stata lì, quasi come se, per l’ennesima volta lei fosse frutto della mia immaginazione che infieriva su di me come in passato.
Che fosse uscita di nuovo come quella sera? Che fosse fuori? Che mi stesse cercando magari?
Mi allarmai ritornando con la memoria alla mattina in cui non la trovai più sulla Jolly Roger.
Cercai di respirare e di trovare la coerenza, il senso.. in tutto ciò che stava succedendo. Ma un senso apparentemente non ce l’aveva ma dentro di me lo conoscevo benissimo.
In quegli anni mi ero così tanto convinto che lei fosse fuori dalla mia vita per sempre, che non l’avrei mai più rivista, che fosse … morta, avevo creduto a Milah e ora.. ora mi sembrava di vivere un sogno e quasi non credevo di averla lì.  Subito dopo un’ondata di rabbia montò in me, bianca, ribollente, quasi traboccante, prima che riuscissi ad arginarla.
Era lì con me e nei giorni seguenti alla strega non avevo fatto altro che ferirla, ignorarla ed isolarla.
Come pretendevo mi credesse quando le parlavo?
 
Non conosceva nulla in quel mondo, dove sarebbe potuta andare?
Ma era sopravvissuta ad una vita ben peggiore, ragionai per calmarmi, non dovevo pensare al peggio. Si, ma quello non era un mondo a cui era abituata. Non ne conosceva le regole, non sapeva nulla, e se fosse finita sotto un auto? E se le fosse successa la stessa cosa che era successa a Marian e fosse chissà dove? E se avesse incontrato la Regina delle Nevi che imperversava in città?
Di certo non aveva attraversato il confine, ponderai, ora con quel muro di ghiaccio che circondava la città era del tutto impossibile e invalicabile. Quindi di certo era ancora a Storybrooke, ma dove? E in che condizioni? Era al sicuro o in pericolo?
Mille se bollirono nel mio cervello e tutti, inevitabilmente, convergevano in situazioni che mi facevano tremare, tutte confluivano al peggio.
Forse però sarebbe tornata, forse mi stavo preoccupando per nulla pensai. Magari sarebbe tornata, continuavo a ripetermi imperterrito cercando di calmare la rabbia e l’ansia che vivevano in me insieme. Mi sedetti su una di quelle poltrone e decisi di aspettarla per un po’ con lo stomaco e le membra che non facevano altro che arrovellarsi pensando ad una possibile situazione e ad un possibile luogo, ma quel giorno di lei non ci fu ombra, ne, tantomeno nei tre giorni a seguire in cui non feci altro che cercarla ovunque, senza risultato.
Sembrava essersi dissolta.
 
[…]
 
Ciao Ruby. Potresti servirmi il solito? Da portare via, ovviamente. Grazie.
Ero seduto al tavolo della locanda di Granny’s con Emma e David quando mi giunsero queste parole. Sulla cittadina di Storybrooke il sole stava appena sorgendo, tutto, ancora aveva quell’aria umida e fredda che la mattina donava ai suoi nuovi giorni.
La sua voce, pur essendo un flebile accenno fin dove mi trovavo mi pizzicò il cuore facendomi voltare, e il mio sorriso rivolto alla conversazione che stavamo avendo si trasformò in un ghigno indefinito e uno sguardo indagatore, il mio sguardo si posò, quasi senza volerlo, su quella ragazza che di spalle si sporgeva oltre il bancone dove era la cameriera. Una ragazza alta e slanciata era in piedi al bancone mentre aspettava ciò che aveva ordinato.
Possibile fosse lei?
Eppure era del tutto diversa. A partire dall’abbigliamento. Possibile che a forza di cercarla iniziassi a vederla in altre come era già successo? Mi alzai e mi avvicinai cautamente, quasi come se andandole vicino quell’immagine svanisse di colpo e si smaterializzasse di fronte alle mie aspettative.
Non me lo stavo immaginando, quella ragazza era lì.
Le toccai un braccio in maniera quasi impercettibile per farla voltare verso di me.
Quando i suoi occhi smeraldo incrociarono i miei, morì sul colpo ritrovandola. Era lei.
Era proprio lì, davanti i miei occhi, ed era… diversa.
Gli abiti usurati e vecchi che le avevo visto indosso l’ultima volta erano spariti lasciando posto ad abiti più moderni e non potei fare altro che comprendere ed immaginare lo shock quando fu lei a vedermi quella sera.
Indossava dei pantaloni di pelle nera aderenti e un maglione più grande di lei indosso.
La guardai esterrefatto.
“Esm..”
E per quelli che dovevano essere i successivi 30 secondi non dissi altro. Trenta secondi, trenta minuti, trent’anni.. che importanza avevano?
A quel punto non capivo più neppure la differenza. Era come se il tempo si fosse cristallizzato ruotando intorno al viso della donna che mi stava davanti e lo scorrere del tempo avesse perso ogni tipo di logica o senso.
‘Killian.’ Sembrava quasi che le parole le mancassero totalmente. Si guardò nervosamente attorno cercando di evitare il mio sguardo e posarlo altrove.
‘Sei completamente diversa’, le feci notare squadrandola ancora una volta.
‘Oh, ehm… in questo mi ha aiutato Belle. Ha detto che i miei abiti erano troppo logori e vecchi per continuare ad indossarli, e che qui a … Storybrooke? Questi abiti non si usano più, e mi ha proposto questi’. abbozzò un piccolo sorriso rimirandosi imbarazzata. ‘Ancora non sono del tutto abituata..’
Teneva i capelli sciolti che, sinuosamente, cadevano sulle sue spalle, lunghi e ricci come li aveva da sempre e sembrava.. sembrava sempre la stessa, e nonostante quel nuovo abito, quel nuovo trucco che le velava leggermente il viso a cui dovevo abituarmi, era stupenda. Era la solita dea di cui mi ero innamorato molto tempo prima.
Sorrisi a quella riscoperta.
‘Stai benissimo’, constatai sorridendole per rassicurarla. Lei nonostante la pelle scura arrossì e abbassò gli occhi, facendo sfoggio di quei gesti che tanto mi erano familiari e che tanto mi mancavano.
‘Ti vedo felice Killian, sono contenta di questo.’, disse lei prendendomi alla sprovvista con un piccolo sorriso che voleva far sembrare sincero.
Doveva avermi visto appena entrata, doveva avermi visto ridere con Emma.
‘Felice?’, cercai di proferire sgomento mentre la rabbia che avevo da giorni dentro stava per esplodere. ‘Felice dici? Come credi possa esserlo se non so dove sei. Ti ho cercata ovunque. Te ne sei andata senza dirmi nulla, e c’è una nuova minaccia che incombe in città, pensi che possa essere del tutto felice?’.
‘Mi dispiace Killian, ma non ce la facevo più a star lì ad aspettarti, specie dopo quella sera.’ Tremò sull’ultima parola. ‘Mi hai chiaramente fatto capire quanto non mi volessi intorno e ho agito di conseguenza, forse di impulso, credendo fosse il meglio per… entrambi.’
‘Beh, non lo è affatto. Quello che è successo l’altra sera non c’entra affatto con te.’ le dissi in un sussurro. Emma non ne sapeva nulla. ‘e non avrei voluto trattarti in quel modo, ma era ciò che dovevo fare. Io ci tengo a te lo sai, e non ti caccerei via così dopo che ti ho ritrovata.’ le feci intendere fissandola più intensamente.
Volevo che vedesse che fossi sincero in quelle parole, volevo che lei lo capisse.
Ecco a te. Interruppe Ruby passandole i sacchetti.
Grazie. Ricambiò Esm con cortesia e un gran sorriso recuperando la sua colazione dalle mani della cameriera.
‘Beh, non devi essere in debito con me a vita per ciò che mi è successo se è così che ti senti, perché probabilmente è questo che ti spinge verso me. Puoi anche cambiare idea, dici di tenere a me, ma i tuoi modi sembrano dire ben altro perciò lo accetto e basta, perché sono stufa di combattere, è da una vita che è così, e sentire la sconfitta in partenza, e ora che lo accetti anche tu, che lo dici a te stesso.’ La guardai torva, carpendo ciò che in realtà celava.  ‘Saprò cavarmela anche da sola, come ho sempre fatto. Non intralcerò ciò che hai costruito. Non lascerò che tu sia infelice per me e per questo ti chiedo di lasciarmi in pace’.
Era difficile per me non capire quando fingesse per stare bene, per starmi bene e per far sì che lo fossi, senza però sapere quando la cosa non mi alleviasse affatto. In quel momento indossava la sua maschera, per nascondersi e proteggersi da qualcosa che dentro la stava divorando e squarciando ma che non avrebbe ammesso.
Sentii una strana stretta al cuore a quelle parole. Non poteva dirle sul serio.
Perché quel pensiero sfiorava solo le sue labbra, ma non la sua mente. Non il suo cuore.
‘Puoi sentire da te che questo non è vero. Non puoi dire sul serio. Mi dispiace averti allontanata nuovamente, ma le cose non sono facili come credi qui…’
‘E tu hai dovuto far qualcosa per gli altri. Va benissimo’. la sua voce si spezzò mentre fingeva comprensione.
‘I tuoi… amici sembrano non toglierci gli occhi di dosso. Meglio che tu vada a riferire ciò che va tutto bene in modo da tranquillizzarli. Io vado… addio Killian’ balbettò sull’ultima parola congedandosi e uscendo.
Incrociai lo sguardo di Emma senza nemmeno accorgemene e ne uscì sincero.
Mi passai la lingua sulle labbra, cercando il coraggio e la forza di scegliere se uscire e rincorrerla o restare lì accanto ad Emma, che aveva assistito all’intera scena.
Andai per avvicinarmi e spiegarle la situazione, ma quella mi anticipò passandomi davanti ed uscendo, dalla stessa porta di Esmeralda, con espressione decisa.
La segui non comprendendo le sue intenzioni.
Scese di poco le scale e segui Esm.
‘Senti… Esmeralda…’, parlò Emma andandole dietro e attirando la sua attenzione, mentre quella correva velocemente per lasciare quel locale. ‘lo so che tutto questo ti sembra strano e anche terrificante probabilmente, e lo so che non abbiamo avuto modo di presentarci da quando sei arrivata qui e probabilmente preferisci sia così data la situazione in cui ci troviamo entrambe. Non è facile contendersi un uomo’, cercò di scherzare per alleggerire la tensione che spirava tra loro. ‘Forse mi odierai per ciò che vedi in me. Per il fatto di Killian…’ azzardò indicando la porta alle sue spalle.
Esmeralda si voltò lentamente dandole attenzione. Prese coraggio e iniziò a parlare.
‘Tu sei Emma Swan, giusto? Ti conosco benissimo. Tutti qui non fanno altro che parlare di te, sei la salvatrice, no?’. Emma annui, rammaricata quasi. Lei le riservò un gran sorriso. ‘Non ho motivo di avercela con te. Tu in tutto questo non c’entri nulla, più che altro ce l’ho con gli eventi che mi hanno portata fin qui, ma non posso cambiarli, quindi è inutile rimuginarci per tutta la vita perdendo di vista me stessa.’, chiari, allargando le braccia in segno di rassegnazione a quel destino.
‘Senti, io so e comprendo ciò che hai passato, tutte le avversità in cui ti sei imbattuta negli anni, capisco quanto sia stata dura e so come ti senti in questo momento. Ti senti persa in questa nuova realtà, sola, e non sai come muoverti di fronte a tutto ciò che hai saputo e che in fondo, magari, in cuor tuo già sapevi. Ma non è finita, non devi pensarla in questo modo, ci sono tante opportunità per ritrovare la tua strada e percorrerla, devi solo crederci, farti forza e percorrerla. Solo così potrai trovare il tuo lieto fine, perché ce n’è ancora uno per te’. Rise nervosa a quelle parole Esmeralda, e da dietro Emma mi squadrò folgorandomi.
‘Ci risiamo.’, sussurrò a denti stretti in maniera impercettibile, e mi guardò nuovamente.
E sapevo benissimo a cosa si riferisse con quelle parole. Avevo raccontato tutto ad Emma così come avevo raccontato tutto a Milah e, in cuor suo, lei lo avvertì come l’ennesimo tradimento da parte mia. Aveva imparato a diffidare dalle persone nel tempo, dopo Milah ogni suo tentativo di fiducia andava frantumandosi soprattutto con le donne, che vedeva come rivali e su cui stava costantemente allerta.
‘Il mio lieto fine?’, sentenziò derisoria. ‘Il mio lieto fine pur avendolo di fronte potrei dire di averlo perso’, disse alterandosi e dedicandomi uno sguardo. Emma si voltò accorgendosi solo allora della mia presenza, poi ritornò su di lei, che le era dinanzi.
‘Quindi mi dispiace Emma Swan, io un lieto fine non ce l’ho più’, concluse abbassando lo sguardo e ogni speranza mentre cercava di andare via da quella situazione.
‘Killian tiene molto a te, e lo so che magari ti sembra che non sia così, ma è stato male per te. Ti ha cercata per quanto ha potuto, non ti avrebbe mai salvato solo per un senso di colpa. Ti ha salvato perché per lui sei importante per davvero. Non ci avrebbe perso tempo, non avrebbe mai rischiato la vita se non ti avesse considerata tale, e tu lo conosci anche meglio di me. Lo sai che è così in fondo, non lo ammetti a te stessa perché sai quanto ti farebbe male data la situazione’. Infierì Emma, dura, nei suoi confronti e lo sapevo che lo stava facendo per me, e che quelle parole erano la pura verità.
Lei dall’altra parte venne colpita da cotanta sincerità e restò tramortita, quasi in bilico sul da farsi.
‘Forse è vero, forse è così ma data la situazione, appunto, non si può fare altrimenti -‘, qualcosa, qualcuno sospese la conversazione entrando in scena in quel piccolo spiazzo. Mi avvicinai un po’ di più per scorgere chi fosse, chi, non curante della situazione che si era creata, si faceva avanti interrompendoci, ed era ancora lui. Ancora lo stesso uomo incontrato di fronte alla biblioteca comunale, che si dirigeva nella nostra direzione. Strinsi i pugni cercando di trattenere quell’insana voglia di piombare sul suo viso ed alzai gli occhi al cielo, stizzito, e serrando la mascella.
‘E’ da più di mezzora che aspetto questa colazione. Sto morendo di fame!’, disse avanzando e avvicinandosi ad Esm con fare familiare, quasi affettuoso.
Guardai la scena dal punto in cui ero, dietro Emma e di fronte al viso di Esmeralda. Nella mia testa la scena andava completandosi e aggiungendo trame inaspettate e che non volevo accettare.
‘Stavo arrivando, è che sono stata bloccata..’, disse indicando la situazione che si era creata come a spiegargliela, quello sembrava caduto dal pero, nel vedere la scena.
‘Il pirata ti infastidisce di nuovo?’, fece avanzando con aria di sfida. Esm lo bloccò mettendogli una mano sul petto e intercedendo il suo passo.
‘Va tutto bene’, aggiunse con gli occhi fissi su di me, poi abbassò lo sguardo incerta sul da farsi, diede i sacchetti che aveva in mano e sussurrò un ‘Arrivederci Killian’. E si congedò così senza darmi il tempo di replicare e di vedere chiaro in quella… relazione che avevo visto davanti ai miei occhi e che non mi andava giù. Non poteva essere vero, ripetevo dentro me incredulo a ciò che mi era stato appena propinato.
Era stato quell’uomo a portarmela via, a portarla dove poi? Non potevo sopportarlo, non davvero. Avrei dovuto essere sollevato nel vederla con un altro, felice del destino meno amaro e sofferente che avrebbe potuto avere a causa mia, avrei dovuto sorridere a quella visione ed essere felice perché c’era uno spiraglio di tranquillità per lei ora, ma non ce la facevo. Vederla con un altro, complice in un nuovo rapporto era qualcosa che non mi auguravo soprattutto per lei, non ne era entusiasta lo percepivo, e anche quell’egoismo che albergava in me a quel pensiero si faceva avanti.
Non avrei mai permesso che nessuno me la prendesse, che l’allontanasse da me e la conducesse altrove.
Ciò che avevo pensato sin da quando lei era sulla nave con me, non era cambiato: Lei era mia in qualche modo, era entrata nella mia vita, nelle mie paura, in ciò che ero stato. Era l’unica ad aver visto altro in me ed aver conosciuto il mio passato.
Eravamo legati in maniera indissolubile da mille fili ed era divenuta importante, lo era sempre stata sin dal primo momento in cui i miei occhi avevano incrociato i suoi, sin dal primo momento in cui la incontrai, e quella persona non era affatto adatta a ciò che era sempre stata: una ragazza fuori dal normale, una ragazza speciale che doveva avere di più dalla vita.
Inoltre da quell’incontro qualcosa mi suggeriva che l’avvicinamento di quell’uomo nei suoi confronti era una ripicca nei miei per il pugno che gli avevo riservato la sera in cui non ero in me. Doveva averla vista con me, doveva aver capito chi era e che ruolo aveva avuto nella mia vita e aveva agito di conseguenza. E la cosa vista in questi termini mi faceva esplodere ancora di più.
Decisi di cercarlo perché non volevo convivere un attimo un più con quel dubbio e volevo avvertirlo di stargli lontano, per dirgli che non lo volevo accanto a lei per quei suoi sporchi mezzi e l’occasione non tardò ad arrivare. A tarda sera mi recai al Rabbit Hole, un locale lì a Storybrooke e lo trovai a sorseggiare il suo solito bicchiere di whisky completamente preso, mi guardai intorno prima di avvicinarmi definitivamente a lui, per constatare che lei non fosse presente. Mi era un po’ impossibile credere che si fosse recata in un posto simile.
‘Te lo dirò una volta sola amico, vedi di starle alla larga’, ruggì andandogli davanti. Quello ebbe un sobbalzo.
‘Non so di chi tu stia parlando, amico’, rispose quello in tutta tranquillità riprendendo a sorseggiare il suo liquore.
‘Oh invece sai benissimo di chi sto parlando. Il nome Esmeralda ti dice nulla?’, dissi cercando di mantenere la calma.
Quello sembrò rinvenire a quel nome. ‘Pare che tu non voglia smettere di torturarla. Ora capisco perché se ne sia andata’, serrai la mascella e strinsi i pugni per calmarmi. Presi fiato.
‘Tu non sai proprio niente di lei se non il suo nome e non ti permetterò di farle del male solo per una ritorsione nei miei confronti, perché questo è ciò che vuoi. Devi stare il più lontano possibile da lei!’, ringhiai a denti stretti rincarando la dose.
Ma quello non sembrava curarsi delle mie reazione, se ne restava lì impassibile a sorseggiare il suo drink quasi avesse una conversazione piacevole e quella spocchiosità non faceva altro che farmi andare il sangue al cervello. Stavo lì, teso, pronto a scattare ad ogni minima risposta.
‘E’ buffo come tu creda di sapere tutto. Minacci me perché non vuoi che le faccia del male quando in realtà sei tu il primo a farlo e o sei stolto o sei cieco nel non capirlo. L’hai salvata è vero, ma non è di tua proprietà.’ Disse rivolgendomi il suo sguardo e posando il bicchiere sul bancone. ‘So cosa credi di aver visto oggi, ma non è assolutamente ciò che sembra. Io ed Esmeralda ci siamo incontrati per caso, come qualche sera fa quando è avvenuto il nostro primo incontro, e no, non è una ritorsione nei tuoi confronti anche perché non sapevo avesse a che fare con te. E’ una ragazza troppo pura per far parte della tua vita, e speciale, e non ci avrei mai nemmeno pensato a prendermela con lei per qualcosa che hai fatto tu, non sono così miserabile. Sei troppo pieno di te, amico, per pensare che tutto ti ruoti intorno.’ Concluse ironico ignaro dell’ira che covavo dentro e della voglia assurda che avevo di menarlo. Poi ritornò calmo e continuò. ‘L’ho portata nel bosco con me in seguito al nostro incontro e a ciò che mi aveva raccontato e le ho offerto riparo solo per i primi due giorni, dopodiché si è allontanata dal nostro accampamento ed è andata a vivere più in là. Io sono solo un amico per lei, che cerca di aiutarla come può in un mondo in cui sembra essere sola, non ho alcuna pretesa su di lei. A volte mi è capitato di sentirla piangere per qualcuno, ha il vizio di parlare nel sonno tra l’altro. Sta fuggendo da te, amico, e lo sta facendo a causa tua perché il solo vederti le dà sofferenza anche se non lo dà a vedere in modo palese, perché si finge forte indossando una corazza che non le calza per niente, e tu dovresti conoscerla bene. Vederti in questa nuova vita le porta solo sofferenza, e anche se vuole darti a bere il contrario non è così. Sei sicuro, quindi, che il mostro che le sta facendo del male sia io e non tu?’.
Restai spiazzato, sgomento di fronte a quella constatazione perché non ci avevo realmente pensato, e non seppi rispondere. 

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Capitolo 14
*** XIV CAPITOLO ***


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CAPITOLO XIV
 
 
‘Da quant’è che non metti qualcosa sotto i denti?’, chiese Killian seriamente preoccupato di trovarla in quelle condizioni. Era seriamente deperita o forse era la luce del debole fuoco che inveiva su di lei a darle quella parvenza. Killian non aveva aspettato un altro giorno per precipitarsi da lei nel luogo indicatogli da quel fante, non ce l’avrebbe fatta.
Un altro attimo senza vederla e sarebbe seriamente impazzito.
Il fatto di essere lui il motivo del suo malessere non gli andava giù e voleva vederci chiaro.
Ed era lì che la trovò al suo arrivo: accovacciata con le braccia ad avvolgere le gambe e di fronte a un fuoco con le spalle contro un tronco caduto che doveva far da panchina, pensò.
‘Da un po’ in verità.’, lasciò intendere senza rivolgergli alcun sguardo, ancora del tutto sconvolta e vacillante per la sua presenza lì di fronte a lei, senza lasciare che l’analizzasse e continuando ad attizzare quel fuoco che le era di fronte. ‘Ma ora, spiegami come sei arrivato qui? Cosa ci fai tu qui? E’ stato Will vero?’, disse ora con sguardo accusatorio. Killian abbassò lo sguardo in segno di consenso, sì era stato lui a dirgli dove trovarla, a indicargli il punto esatto in cui da un po’ dimorava.
Quella scosse la testa ridendo nervosamente e perdendosi a guardare altrove.
‘E’ incredibile quanto non possa nascondere alcunché a nessuno, quanto non riesca a tenermi per me certe cose.’, blaterò alzandosi cercando di ammorbidirsi.
‘Inizia a far freddo, non puoi stare qui in mezzo al nulla con ciò che sta succedendo per giunta. Mi preoccupo per te. Perché te ne sei andata?’
Esmeralda si strinse nelle spalle cercando nei suoi pensieri una scusa da dargli, una scusa che poteva sembrare plausibile per lui. Più plausibile di ciò che era in realtà.
‘Gli zingari non vivono bene circondati da muri di pietra’, era la scusa che aveva sempre usato, ovunque e pensò che andasse bene anche in quel momento.
‘Oh, andiamo! Dì la verità, lo sai che non mi bevo questa inezia che stai dicendo. C’è dell’altro? Cosa ti spinge a voler star qui piuttosto che in città.’
Esmeralda fissava il fuoco a braccia conserte cercando una scusa più forte, più salda che potesse essere veritiera. Come poteva aver usato quella scusa con lui? Lui che conosceva ogni suo singolo movimento e capiva ogni suo trucco. ‘Killian, dovresti andare’, disse in maniera placida ma severa prostrandosi davanti a lui dalla parte opposta del falò per non essergli accanto.
Averlo accanto, respirare il suo odore, essere sfiorata accidentalmente da lui era ancora più doloroso e infausto che mettere una mano sul fuoco per lei e non lo voleva.
Killian si alzò dal pezzo di tronco che faceva da panca su cui era stato seduto fino a quel momento, per andarle incontro deciso. Odiava non avere i suoi occhi nei suoi, odiava sentire quella crepa tangibile, odiava averla vicina ma sentirla lontana anni luce da lui, odiava sentire quell’attrito con lei.
‘No! Non ricadrò nello stesso sbaglio. Non lascerò che ciò che ci portiamo dentro ci allontani come è già successo, non lascerò che ciò che non mi dici ti allontani da me, non lo sopporterei ulteriormente’ sbottò.
Killian avanzava verso di lei per farla perdere nei suoi occhi, perché conosceva l’effetto che aveva su di lei, lo sapeva da secoli ormai, mentre la zingara faceva un passo indietro.
‘Non ho nulla da dirti, tranne quello che ti ho già raccontato..’
‘Davvero? Perché i tuoi occhi, i tuoi atteggiamenti sembrano dire il contrario.’, asserì lui convinto e serio indicandola.
‘Perché continui a dirlo? Perché ti importa tanto?’, esalò lei esausta da quel trattenersi in sua presenza, ma sapeva che sarebbe bastato un passo verso di lui, un gesto o una carezza, la sua pelle sulla sua per sotterrarla perché dopo non avrebbe più potuto farne a meno e quando sarebbe avvenuto, quando ne avrebbe avuto bisogno nuovamente lui non ci sarebbe stato e lei avrebbe sofferto il doppio di quanto stava soffrendo ora. Sapeva solo una cosa, ossia che ogni secondo trascorso con lui non faceva altro che accrescere il dolore che avrebbe provato dopo ed era stanca di provare quel sentimento, perché in fondo stava cercando di allontanarsi, di vivere senza di lui, di abituarsi a quella vita a cui era destinata per dimenticarlo in parte, ma lui non lo capiva. Come avrebbe potuto se lui continuava a cercarla?
‘Perché posso giurarci che è per me.’ Rivelò spiazzandola con uno sguardo calmo e sereno, quasi velato da un senso di colpa che non riusciva a sfuggirle e che le folgorò l’anima catturandola in una morsa. Esmeralda scosse il capo come a riprendersi da quel solito incantesimo che conosceva a menadito da parte sua.
I suoi occhi erano stati da sempre il suo cielo e da sempre la sua trappola.
‘Non è assolutamente vero. Non sono abituata a questa… cittadina. A quei suoni, a quelle… cose che inghiottiscono le persone portandole in giro. Tutto laggiù mi spaventa e non so come pormi per questo sono qui, per questo ho chiesto aiuto a Will, quel posto non fa per me. Qui è più tranquillo, più vicino a ciò che sono, lontano da… tutto, mi sento più a mio agio qui.’ Disse passandogli accanto per ritornare a sedere sul tronco dinanzi al fuoco.
Approfittando di quella vicinanza Killian le afferrò i fianchi portandola dinanzi a sé. Lei si senti avvampare di colpo come solo lui riusciva a fare, di nuovo inerme, di nuovo tra le sue braccia, di nuovo a fare i conti con la sua assenza dopo. Dannazione!
‘Laggiù non è poi così male. All’inizio si può restare spiazzati da così tante… informazioni, ma permettimi di presentartela, di farti da guida.’. La guardò dritta negli occhi per ispirarle fiducia.
Lei in tutta risposta le riservò un sguardo cinico. Non ci credeva più.
‘Si, certo come tutte le altre volte in cui me lo hai detto vero? Io starò qui ad aspettarti e tu-‘
‘Domani!’, propose lui adescandola con un enorme sorriso. ‘Domani vieni a colazione con me in quella locanda. Devi pur mangiare qualcosa, e dopo ti farò vedere qualsiasi cosa tu voglia, ti farò vedere tutto ciò che c’è da vedere, tutto ciò che c’è da sapere. Ti porterò ovunque.’ Era ancora titubante. Quante volte, d’altronde se lo era sentito dire? Aveva perso il conto e non voleva ricadere nella stessa fase di attesa e speranza che le attanagliava lo stomaco e le inquietava il cuore ogniqualvolta iniziava a avvicinarsi il momento in cui le aveva promesso l’avrebbe raggiunta. Fu per questo che continuava a desistere, fu per questo che la sua mente continuava a ricordarle quei momenti cosicché non sbagliasse di nuovo, ma il suo cuore no. Il suo cuore voleva accettare quell’invito e voleva invogliarla nel farlo.
‘E lo so che ti ho delusa le ultime volte, ma questa volta non lo farò. Questa volta è una promessa che intendo mantenere, sono ancora un gentiluomo ricordi? E mantengo sempre le mie promesse.’ Esmeralda sorrise a quelle parole e le parve di avere un deja vu che la riportava dritta a secoli prima sulla Jolly Roger con lui che le diceva esattamente le stesse parole. Killian prese la sua mano e se la accostò al petto. Quel calore e quella pelle erano sotto la sua mano e lei cercava di resistere a stare calma.
‘Dimmi di sì, permettimi di riconquistare la tua fiducia. E’ tutto ciò che desidero.’ Le disse sorridente. Non doveva fargli notare nulla, ogni minimo cambiamento e battito accelerato del cuore doveva rimanere celato, non doveva pensare nulla ma era difficile in quelle condizioni, mentre lui rincarava la dose fissandola e facendole ascoltare il suo cuore e fu probabilmente anche per questo che si ritrovò ad annuire convinta e sorridente a quella proposta.
Aveva vinto il cuore.
 
La mattina seguente nonostante il sole battesse forte su quella cittadina Esmeralda senti il freddo pungente sfiorarle la pelle e rabbrividì indossando uno di quegli indumenti pesanti che Belle le aveva dato in regalo. Che nome le aveva dato? … Maglione, ecco. Che strano nome pensò, tutto lì era così strano e diverso da come era abituata a vedere e sentire che era altamente difficile stupirsi per una cosa sola. Tutte quelle cose insieme non ben definite ai suoi occhi restavano, per lei, un enigma difficile da risolvere, ed Esmeralda guardava il tutto con una certa diffidenza e timore.
S’incamminò verso destra cercando di tenere a bada le gambe e tutto il resto del corpo che avevano iniziato a tremare convulsamente e non sapeva ben dire se fosse per il gelo che iniziava a farsi più insistente in quel mattino tagliandole quasi il volto, o se fosse per l’agitazione al pensiero di dove stesse andando e da chi, cercò di farsi coraggio e con passo deciso e fermo attraversò la fitta vegetazione che divideva quel luogo dal resto di Storybrooke in direzione della locanda.
Ponderò un attimo fuori dalla porta dell’alberghetto prima di addentrarsi al suo interno.
E se non ci fosse stato? Se fosse stata l’ennesima promessa non mantenuta? Era pronta ad un ennesima delusione? Si chiese mentre guardò fissa quella maniglia per un paio di secondi che le parvero interminabili.
Forse era meglio andarsene e lasciarlo lì, semmai ci fosse stato, a rimuginare e a farlo sentire come si era sentita anche lei.
Fece un passo indietro e si voltò ancora non del tutto convinta rigirandosi le mani nelle mani un po’ per il gelo che imperversava, un po’ per la poca convinzione che stava mettendo in quel gesto. Si rifermò e attese quel barlume di lucidità che non la facesse comportare come una sciocca. Non lo era mai stata dopotutto, perché doveva esserlo ora? e rivalutò nuovamente l’idea iniziale.
Con un gesto deciso tirò la porta di quell’ostello a sé facendo scampanellare quell’aggeggio come a sottolineare che era arrivato un nuovo cliente. Fece un lungo respiro, la morsa della paura le strinse lo stomaco ma si costrinse a guardarsi intorno e a scandagliare tra i tavolini per scorgerlo, era ancora del tutto vuoto. Poca gente era intenta a consumare la propria colazione al mattino presto, e appena il suo sguardo si rivolse altrove lo trovò più in là, in piedi fino a un attimo prima di spalle. Si era voltato verso la porta appena l’aveva sentita aprirsi.
‘Pensavo non arrivassi più’, esordì avvicinandosi per salutarla.
‘Ho fatto tardi? Avevi detto appena dopo il sorgere del sole e-‘, il timore l’animava dando luogo a un tic inaspettato acquisito negli anni: con una mano iniziò a torturare i capelli spostandoli in modo convulso, come se le fossero davanti gli occhi. Killian rise nel vederla così impacciata.
‘Nessun ritardo, tranquilla. Stavo scherzando’. Lei lo guardò incredula, alzando gli occhi al cielo.
Quel pirata sarebbe stato capace di farle credere tutto.
‘Vieni, perché non andiamo a sederci?’ la invogliò facendola passare avanti e sfiorandole quasi un fianco per indicarle il loro tavolo. Esmeralda sentii di nuovo quel calore invaderle il corpo dalla testa ai piedi e quel gelo che sentiva fino a poco prima svanì di colpo a quel contatto improvviso.
Ora erano seduti uno di fronte all’altro.
Esmeralda si sistemò alla meglio, sentendosi osservata in ogni gesto.
‘Tu di solito cosa prendi al mattino?’, avanzò per far sì che un po’ di quell’agitazione iniziale andasse via.
‘Secondo te, mi conosci meglio di chiunque altro, cosa potrei mai bere?’, disse inarcando un sopracciglio come suo solito con aria furba.
Lei ponderò un attimo le alternative, poggiando i gomiti sul tavolo e avanzando verso il suo viso studiandolo e fingendo seriamente di pensarci.
‘Rum?’, tentò.
‘Aye’.
Esmeralda si aprì in un sorriso sincero in quella deduzione, come non faceva da un bel po’. ‘Dovevo immaginarlo!’.
A Killian parve illuminarsi. Di nuovo.
‘Sai c’è gente qui che beve il caffè, no? Sei qui da più tempo. Dovresti adattarti.’, lo provocò ritornando al suo posto e poggiando le spalle allo schienale.
‘No, grazie. Non lascerò mai il mio fedele amico di una vita per quell’intruglio’, ed entrambi scoppiarono in una risata.
‘Tu invece?’.
‘Ah, nulla di quegli intrugli. Ho vissuto per secoli senza, posso continuare a farne a meno’.
‘E allora l’altra mattina…’, chiese Killian confuso.
‘Oh, quelli? Erano per Will. Erano tre giorni che non mangiava’.
‘Ti preoccupi degli altri ma mai di te’
‘So badare a me stessa, se è quello che intendi. C’erano giorni a Parigi e non solo…’, disse alzando lo sguardo lievemente facendo intendere qualche episodio che non voleva nominare ma che lui conosceva benissimo perché glielo aveva raccontato in precedenza. ‘In cui non si mangiava per giorni, eppure eccomi! Sono qui’, esultò sfoggiando un sorriso di quelli che Killian amava e ricordava con una certa mestizia ormai come ricordi sepolti in una vita che aveva perso.
‘Già, sei qui.’ Un sorriso malinconico e ancora incredulo a quella realtà attraversò il suo volto etereo a tutto ciò. C’erano momenti in cui ancora stentava a crederci.
Poi un guizzo improvviso negli occhi di Esmeralda attirò la sua attenzione. Come un lampo. Un idea.
‘Perché non proviamo a fare qualcosa di diverso? Hai detto che mi avresti fatto scoprire la città e le sue stranezze. Perché non lo fai con me? Prendiamo entrambi qualcosa che non conosciamo!’.
Killian restò incredulo di fronte a quell’idea così improvvisa.
‘No, non esiste!’, alzò le mani e scosse la testa deciso.
‘Su Killian, facciamolo insieme!’, e sfoggiò a lui i suoi occhi da cerbiatta per farlo cedere. ‘Fallo per me!’.
E fu quel Fallo per me a farlo cedere insieme a quello sguardo.
‘Dannazione!’, disse sorridendo facendole intendere che avesse vinto. La stava assecondando. Esmeralda prese a battere le mani e a sorridere esaltata come fosse una bambina, mentre Killian si perse nell’osservarla in quei comportamenti così insoliti e nuovi ai suoi occhi. Era felice di averla rallegrata, felice di aver sentito di nuovo la sua risata riempire l’aria e arrivargli dritto al cuore.
 
Esmeralda storse il naso di fronte a quelle pietanze.
‘Devo davvero mangiare questa roba?’esordì con una smorfia in volto mentre si rigirava il piatto tra le mani per scrutarlo. Certo prima era esaltata da quell’idea ma ora non si sentiva tanto convinta nel farlo.
‘E pensa a ciò che devo fare io’.
‘Tu avresti dovuto da tempo’, fece lei convinta canzonandolo, mentre cercava di dare un nome a ciò che Killian le aveva portato, e insieme la forza per mandarlo giù. Killian la guardò con un misto di entusiasmo e sfida, si alzò ed andò a sederle accanto.
‘Okay. Se tu mangi questo, io bevo questo’.
Non aveva via di scampo a quello, Killian le aveva bloccato la via d’uscita e a meno che non fosse non avesse ingurgitato quel piatto Killian non l’avrebbe fatta passare.
‘Insieme però!’. Se proprio doveva farsi del male, pensò, almeno lo avrebbe fatto con lui.
Ed entrambi affondarono il proprio cucchiaio in quella vivanda scoprendone il gusto e restandone incantati.
 
[…]
 
‘Hai avuto… qualcuno durante tutto questo tempo? Voglio dire qualcuno è entrato a far parte della tua vita mentre non eri… con me?’ incalzò Killian un po’ titubante appena il silenzio dopo le risate si fece troppo pesante e insostenibile per entrambi.
Erano stati in giro per quasi tutto il giorno, senza mai fermarsi. Killian aveva mostrato alla fanciulla ogni anfratto e ogni particolarità di quella piccola cittadina nel Maine sconosciuta a molti raccontandole anche del pericolo di attraversare il confine in tutte le sfumature che aveva assunto negli anni. Le parlò di Ingrid e di ciò che aveva fatto ad un'altra donna, ciò che aveva fatto anche lui quando avevano scoperto chi fosse nei boschi e facendole intendere così di stare lontana da quei luoghi.
Le parlò delle maledizioni, ben due, un'altra prima del suo arrivo ed Esmeralda restò sconcertata da quei racconti.
E ora, su Storybrooke, stava per calare la sera.
Il sole era quasi al crepuscolo e la sua luce, scendendo verso l’orizzonte, creava un atmosfera ancora più magica sulla piccola cittadina ricadendo lievemente sul profilo di Esmeralda che lo contemplava quasi come se non ne avesse visto mai uno in vita sua, quasi come se fosse la prima volta per lei anche in quella circostanza. Killian constatò sempre più quanto in lei albergasse quella meraviglia delle cose, anche delle più piccole e futili che lui dava per scontato nella maggior parte delle volte, quello stupore quasi infantile e il suo sorriso in quella visione si fece ancora più ampio rendendola ancora più splendida di quanto già non fosse naturalmente.
Killian le aveva mostrato e spiegato ogni cosa e non si era staccato un attimo da lei. Avevano parlato, avevano ricordato i loro momenti, si erano scambiati aneddoti e l’aveva fatta ridere, l’aveva fatta divertire, era stata se stessa e riusciva a percepirlo e l’aveva fatta arrossire e nonostante la sua pelle scura poteva ben vedere quando accadeva. Poteva vedere ancora quanto lei fosse presa da lui.
Lui si muoveva, lei si muoveva. Due calamite.
Esmeralda lo guardò sorpresa di quella domanda così insolita e così a bruciapelo. Fermò il passo e si ritrovò a riflettere per un attimo su ciò che aveva appena sentito, per capire se quella situazione fosse reale.
‘Se stai intendendo una relazione con qualcuno allora ti dico no. Non c’è più stato nessuno nella mia vita’, disse incrociando le braccia al petto e marcando quel nessuno. ‘Sai non tutti Killian riescono ad andare avanti. Per qualche motivo alcuni si bloccano a certi.. stadi. Avrei potuto farlo, avrei potuto andare avanti. Dopotutto per quanto ne sapevo eri stato tu a mandarmi via eppure non ce l’ho mai fatta, forse come danneggiata da ciò che era già successo, e lo so che forse tu avresti voluto il contrario. Sarebbe stato più facile per entrambi adesso, ma no. Non c’è stato nessuno. Molte persone, nel tempo, si sono fatte avanti, anche in maniera esplicita’ rise spalancando gli occhi ricordando un vecchio episodio di tanti anni prima ‘ma mai nella vita ho saputo donare il mio cuore. Dopotutto come puoi dare il tuo cuore ad un altro se non lo hai nemmeno tu davvero?’.
‘Lo sai che lo avrei voluto, per te. Anche se ci avrei sofferto, anche se non mi sarebbe andato perfettamente a genio, avrei voluto qualcuno per te più capace di me.’
Esmeralda si passò una mano tra i capelli rasentando di nuovo quella rabbia, ma volle sviarla. Non voleva rovinare una giornata così perfetta. Non voleva pensare a tutto ciò, di nuovo.
Si strinse nelle spalle e rivolse il suo sguardo all’orizzonte alla sua destra. Il sole era già calato.
‘E tu? Da quanto sei qui? Non me l’hai ancora detto.’
‘E’ una storia lunga e non so se ti piacerebbe ascoltarla.’ Le dedicò un sorriso capendo l’antifona.
‘Dubiti della mia capacità di ascolto forse?’, disse parandosi di fronte a lui con un sopracciglio inarcato.
Killian scoppiò in una risata in quel tentativo di imitazione, e lei con lui.
Poi si riprese e iniziò a raccontarle tutto: della prima maledizione che non lo aveva colpito, della sua sete di vendetta su Tremotino, sul patto con Regina e poi del patto con sua madre Cora che lo tenne relegato e come congelato per 28 anni nella Foresta Incantata in attesa della salvatrice che avrebbe spezzato la maledizione.
‘… E tutto ciò che è successo’, finì dedicandole uno sguardo.
‘E sei arrivato qui per vendicarti dello stesso uomo che quel giorno era arrivato sulla Jolly Roger, il marito di Milah, perché ti ha tolto quest’ultima?’. Osservò Esmeralda corrucciandosi.
‘Quell’uomo non è più quello che ricordi Esm, è cambiato e ti prego di stargli lontano’, la incitò quello perentorio.
‘Si, si me lo hai già detto e…’
Esmeralda sobbalzò come scossa da un brivido e si arrestò stringendosi tra le braccia.
Con l’oscurità e una regina delle nevi che imperversava da quelle parti, l’aria lì tendeva a farsi ancora più gelida di quanto fosse normale ed Esmeralda tranne che un maglione per coprirsi ulteriormente non aveva null’altro, ma aveva imparato a conviverci nei secoli. Le bastava accendere un fuoco e prostrare le sue mani ad esso per stare al caldo.
‘Hai freddo?’, domandò Killian preoccupato vedendola rabbrividire di colpo.
‘No, no. Sto bene’. Fece lei, ostentando una certa sicurezza, quasi tremante.
‘Come puoi dirlo?’. Killian si sfilò velocemente quella giacca di pelle che soleva indossare e gliela poggiò sulle spalle invitandola ad indossarla.
‘E tu?’, si preoccupò la fanciulla non riuscendo a fare altro che pensare che per colpa sua, lui sarebbe morto assiderato. ‘Non voglio che patisci il freddo per me.’
‘E io non voglio che tu muori di freddo.’ La ammonì guardandola fisso.
Lei annui, e si strinse ancor di più in quella giacca. Un po’ per il freddo, un po’ per il calore del suo corpo che era rimasto impresso e che sentiva addosso. Il suo profumo poi era impregnato in quel tessuto e lei non poteva fare a meno che stringerselo addosso avvolgendosi nel suo tepore.
‘Forse è meglio che torni, si sta facendo piuttosto tardi e tra un po’ non si vedrà quasi nulla nel bosco’. Osservò Esmeralda guardando il sentiero dietro la locanda. Killian strabuzzò gli occhi.
‘Non dirai sul serio. Non lascerò che tu vada a dormire nel bosco questa notte, si gela e puoi percepirlo da te. Stai tremando…’.
‘Killian, ti prego, ne abbiamo già parlato e…’
‘Solo per stasera allora, vieni con me da Granny’s. Dormirai al caldo sotto un tetto e domattina potrai decidere ciò che vuoi fare.’
‘Sai già cosa voglio e ho deciso, torno nel bosco. Sai dove sto, puoi venirmi a trovare quando.. puoi’. Esmeralda iniziò a patire il dolore dell’allontanarsi da lui dopo quell’intera giornata. Quando lo avrebbe rivisto ora?
Killian pressò la mascella e guardò altrove, pensando al da farsi. Non glielo poteva permettere, e nemmeno voleva.
‘Dato che non posso rapirti di nuovo. Verrò con te. Farò come vuoi tu.’ Azzardò guardandola di sottecchi con un sorriso appena accennato.
Esmeralda non poteva credere alle sue orecchie, e per poco non si strozzò nel dibattere.
‘Tu… cosa? No! Non puoi..’
‘Non vuoi dormire da Granny’s, non mi lasci altra scelta.’ Disse il pirata mostrandole l’evidenza dei fatti, aprendo le braccia.
Lei provò nuovamente a controbattere, ma lui la zittì.
‘Non un’altra parola, mi conosci. Sono fermo sulle mie decisioni e ho deciso: verrò con te!’.
Esmeralda annaspò cercando un appiglio, un qualcosa su cui farlo cadere e rivalutare. Non voleva che la seguisse, non perché non lo volesse: desiderava con tutta se stessa continuare ad averlo accanto come quel giorno appena trascorso, come quando erano insieme sulla Jolly Roger e lui le restava accanto, ma la paura del dopo era lì, pronta ad arrestarla.
‘E se io non volessi?’, provò provando uno sguardo serio.
‘Non ci baderei. Non ho chiesto il tuo parere per farlo, amore.’ E con sguardo furbo inarcò un sopracciglio facendola arrendere mentre le girava accanto per raggiungere il Bed and Breakfast.
‘Ora, se per te va bene, andrei di sopra a prendere qualcosa per entrambi. Tranne per il fatto che conoscendoti so che potresti lasciarmi qui e scappare come tuo solito per continuare nella tua idea di non volermi accanto a te, quindi, ti prenderò per mano e verrai con me come mio ostaggio affinché non possa fare un passo falso, okay?’, le parlò respirandole addosso quasi ed Esmeralda a quel gesto era completamente soggiogata.
Annui completamente succube, ritrovando quella sensazione che ogni volta, solo lui, era capace di dargli e la sua mano fredda si fece spazio accanto alla sua afferrandola deciso e intrecciandola alla sua.
Questa era la fine. Esmeralda era completamente e totalmente nelle sue mani, anche volendo non sarebbe stata capace di muovere un passo senza di lui ora.
Poi d’un tratto una voce interruppe la quiete notturna che vi era tutta intorno. Una voce inaspettata, inattesa e nuova si elevò dal fondo della strada riempiendo l’aria quasi in un sussurro flebile e sconcertante. La fanciulla fu come risvegliata da un tale suono.
Una voce maschile profonda e acuta chiamò il suo nome: ‘Esmeralda?’.
La fanciulla di spalle a quel richiamo si voltò perplessa cercando il volto di chi l’avesse invocata e un ombra si palesò davanti ai suoi occhi poco lontana.
Esmeralda assottigliò lo sguardo per riconoscerlo, identificarlo e capire chi fosse, e ne restò sconvolta.
No. Non era possibile. Non poteva essere lui.
 

Note Autrice:
Allora, eccomi qui.
Mi scuso tremendamente per la lunga attesa, ma l’influenza e vari impegni mi hanno tenuta lontana dal poter continuare la storia, che finalmente ho portato a termine.
Finalmente un momento più o meno tranquillo per entrambi che inizialmente era un po’ diverso, ma poi mi son detta perché non dargli almeno un attimo di pace? E così è stato tranne che per il finale… chi sarà l’ombra che Esmeralda scorge in fondo alla strada e che la invoca?
Ancora c’è tanto, tanto da raccontare e molti altri nodi verranno al pettine vi posso solo dire questo.
Intanto spero che il capitolo vi sia piaciuto e ringrazio chi ogni giorno me ne da atto dandomi un suo parere a riguardo e aggiungendola alle preferite/seguite.
Siete dei tesori, grazie ancora.  

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Capitolo 15
*** XV CAPITOLO ***


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CAPITOLO XV
 
Esmeralda si senti catturata da quell’ombra e voleva scoprirne di più.
Piegò la testa di lato e affinò la vista per vedere chi si celasse in quella penombra. Quella voce era del tutto sconosciuta e nuova per lei, eppure qualcosa nel suo animo le indicava che non era così lontana, quella voce continuava ad ispirarle fiducia e poteva ben dire che le fosse quasi famigliare.
‘Esmeralda, sei tu?’, continuò quello avvicinandosi mesto a lei, con passo lento e misurato analizzando le circostanze.
Voleva accertarsi che non fosse un illusione, che ciò che aveva di fronte fosse vero e tangibile perciò camminava sicuro verso di lei.
Killian scattò sulla difensiva, non sapeva chi si celasse in quell’oscurità e, per quanto lo riguardava poteva essere chiunque. Temeva per lei.
Chi era quell’uomo che avanzava verso di loro cercando la ragazza che gli era accanto? Come faceva poi a conoscerla? E se fosse stato quell’uomo di cui gli aveva parlato? Quel soldato francese che l’aveva tenuta prigioniera per anni? Strinse ancor più saldamente la sua mano e le si parò davanti pronto a qualsiasi sorpresa. Pronto a difenderla, pronto a qualsiasi cosa per lei.
Nessuno le avrebbe fatto del male.
Esmeralda, dal canto suo, continuava ad esaminare curiosa la sagoma aspettando che si facesse vedere, che uscisse dall’oscurità e si concretizzasse di fronte ai suoi occhi.
Appena un passo e l’uomo, che non faceva altro che fissarla, si mostrò di fronte ai loro occhi.
Era un uomo alto, dalla pelle bronzea, scura. Pur vestito con abiti pesanti, data la temperatura, si poteva percepire quanto i suoi muscoli fossero abbastanza evidenti e affusolati al di sotto degli indumenti e i suoi occhi neri e calorosi, leggermente infossati, furono quelli che più di tutti colpirono Esmeralda facendola sospirare.
Quegli occhi. Quegli stessi occhi erano impressi nella sua mente, ma era tanto, troppo tempo prima che li aveva visti di fronte ai suoi e… No. Non poteva essere, continuava a ripetersi. Non era possibile.
Poi i tratti dell’uomo s’indurirono lasciando posto al disprezzo.
‘Questo sporco pirata ti tiene ancora prigioniera?!’ eruppe fissando Killian con gli occhi quasi iniettati di sangue, pronto a scattare contro di lui.
Esmeralda avvertì il pericolo che incombeva e spostò Killian da davanti a sé e invertì i ruoli: Ora era lei ad essergli davanti, quasi a proteggerlo, anche se Killian non mollava la presa ed era lì sempre pronto a qualsiasi possibilità. Diffidava ancora di quell’uomo e il suo sguardo nei suoi confronti non fu placido.
‘Lui non mi tiene affatto prigioniera, ma tu.. come sai queste cose? Che significa quell’ancora prigioniera? Chi sei?’ domandò Esmeralda a pochi passi da lui.
Ora che la vedeva meglio costui non poteva fare a meno di sorridere: era esattamente come la ricordava. Forse un po’ cresciuta, un po’ più matura ma la ragazza che aveva di fronte ai suoi occhi era esattamente la stessa che ricordava, esattamente la stessa ragazza che durante gli anni gli aveva fatto da guida, e che non aveva smesso di pensare nemmeno per un attimo. La speranza di ritrovarla, anche se impossibile, era sempre stata lì, in fondo al suo cuore a incoraggiarlo e a portarlo avanti. Nemmeno la sua immaginazione riusciva a rendere giustizia a ciò che era davvero, constatò.
‘E’ passato tantissimo tempo, e non pretendo che tu possa ricordarti di me: ero molto diverso da ora. Ma tu, tu sei esattamente identica a come ti ricordo. Tu sei ancora tu. Forse un po’ più matura, più donna ma posso rivederti esattamente come l’immagine che porto nella mia mente.’
La fanciulla lo scrutò nuovamente, in cerca di quel qualcosa, di quel dettaglio, che le facesse capire dove l’avesse incontrato prima e chi fosse. Aveva un viso famigliare certo, ma nella sua mente e nei suoi ricordi il volto non riemergeva, piuttosto erano i suoi occhi a dirle qualcosa, a farla sentire in un certo modo. A riportarla indietro, ma indietro dove? Di nuovo quell’idea le balenò in mente.
Possibile che fosse… ma come poteva essere possibile?
Il suo viso era piuttosto attraente e regolare, e la sua pelle dava l’impressione di essere molto liscia e levigata con zigomi sporgenti e con il mento un po' arrotondato simile a quello di bambino. I suoi occhi erano scuri come la pece e lo stesso poteva dirsi dei capelli, leggermente lunghi e mossi. Ogni particolare di quell’essere era come un richiamo, anche se Esmeralda non lo intendeva appieno.
‘Prova a cercare in te stessa. Sai in cuor tuo di conoscermi, lo sento, e io conosco te da prima che… quel pirata’, pronunciò a denti stretti, sforzandosi. ‘ti rapisse.’
‘Non conoscevo molte persone prima di allora. Mio padre non mi lasciava frequentare bambini o ragazzi dell’altro sesso, a meno che non lo volesse mio padre, e avevo da badare a miei fratelli in casa.’, osservò lei lasciando la presa di Killian per avvicinarsi ancora di più.
‘Non ci siamo mai visti fuori da quelle quattro mura Esmeralda. Ricordo ancora quando in casa eravamo soli perché la mamma era in locanda a racimolare qualcosa per noi e il papà era fuori chissà dove, mentre tu, tu eri sempre lì con noi a raccontarci storie, a prenderti cura di noi, a tranquillizzarci e a tenerci a bada.’
Il cuore di Esmeralda iniziò a sussultare e i suoi occhi iniziarono a riempirsi di lacrime offuscandole la vista.
Non poteva essere. Continuava a ripetersi incredula.
‘Tu non puoi essere…’ sussurrò incapace di crederci davvero e spezzandosi su quell’ultima parola. Su quel nome.
‘…Raymund.’, continuò il ragazzo anche lui visibilmente provato.
Esmeralda si sentii mancare la terra sotto i piedi a quel nome.
Ecco perché insistentemente lo percepiva come un volto famigliare, ecco perché sin dal primo momento gli era sembrato di conoscerlo. Lui era Raymond, il suo dolce e piccolo Ray, il suo fratello più piccolo.
Lo aveva lasciato che era poco più di un bambino quando tutto avvenne senza la minima possibilità di salutarlo o di dirgli addio e ora lo aveva dinanzi a sé, cresciuto. Era un uomo e lei non aveva visto un solo passo di tutto ciò che era successo nel frattempo. Lo aveva creduto chissà dove e invece eccolo, lì davanti a lei ed era ormai un uomo capace di sollevarla a metri da terra come stava facendo.
Esmeralda si ritrovò nel suo abbraccio e pianse, ed era un misto di gioia unito al dolore per ciò che aveva perso nei secoli. E lui con lei non poteva che fare lo stesso.
Le lacrime solcarono le guance di entrambi in quel ritrovo così inaspettato e insperato.
‘Mi sei mancata così tanto Esmeralda. Non c’è stato giorno in cui non ti abbia pensata, in cui non ti abbia invocata. Tutti in paese avevano detto che eri morta in mare per mano del pirata e io non volevo fare altro che trovarlo per fargli fare la stessa fine.’, disse con la rabbia che gli montava in corpo al ricordo di quei pensieri fissando Killian truce.
Killian era rimasto lì ad assistere a quella scena un po’ sulle sue, distaccato. Quasi pensieroso ma non voleva andarsene da lei.
‘Oh’, esclamò la ragazza mentre veniva messa giù. ‘E’ stato tutto un gran malinteso che si è diffuso negli anni a causa di una… donna che era sulla nave con noi, ma non è vero. Insomma guardami, sono qui!’, affermò asciugandosi le lacrime con il dorso della mano e sfoggiando un enorme sorriso. ‘E lui’, disse indicando Killian dietro di lei. ‘Non mi ha mai fatto alcun male.’dichiarò al fratello facendo avvicinare il pirata. ‘Se sono ancora qui dopotutto è anche merito suo.’
Il fratello lo squadrò ancora con aria dura.
‘Si sono sentite altre storie in giro.’ Non mollava.
‘.. che non rispecchiano i fatti. Anche su di voi, quando sono tornata al villaggio…’
Ray strabuzzò gli occhi interrompendola. ‘Sei tornata al nostro villaggio?’.
‘E’ stato un sacco di anni fa, ed un uomo lì mi disse che la Regina vi aveva catturato radendo al suolo la nostra casa e non ho saputo per anni che fine aveste fatto. Tu, mamma, George. Pensavo foste morti e così mi avevano detto –‘.
Killian era inquieto in quella situazione, qualcosa dentro di lui lo rendeva alquanto nervoso e non riusciva a star completamente fermo. Doveva sbollirsi.
‘Vedo che avete un sacco di cose da dirvi, perciò è meglio che vada.’, l’arrestò il pirata nel bel mezzo del discorso avviandosi oltre la strada con un cenno del capo.
Esmeralda lo bloccò prendendolo per il polso e avvicinandosi a lui.
‘Dopo ritorni qui, vero?’, gli chiese quasi implorante.
Lui di rimando le dedicò un sorriso debole. ‘Certo. Vado solo a fare quattro passi per darvi modo di raccontarvi l’un l’altro, dopo sarò qui con te.’
 
 
Killian iniziò ad incamminarsi in tutto fretta appena fuori dalla portata di Esmeralda.
Era agitato, nervoso e non sapeva bene come reagire ora in una tale situazione. Come aveva potuto credere di non saperlo? Era chiaro dalla notte dei tempi che sarebbe accaduto prima o poi e poteva dirsi fortunato forse al pensiero che fosse passato così tanto tempo da allora? Non pensava che sarebbe mai successo, tutto qui.
Tutto nella sua mente non si era mai avvicinato alla verità dei fatti. La verità viene sempre a galla e peccato che questa volta quella verità includeva qualcuno che amava oltre che lui stesso.
‘Lo so che sei qui dentro! Apri, dobbiamo parlare. Adesso!’, incitò il pirata sempre più burrascoso picchiando sulla porta di una casa nascosta nell’estrema vegetazione.
Una voce debole e quasi assonnata si senti tuonare oltre la porta seguita da passi pesanti che le andavano incontro.
‘Di un po’ Killian, è questa l’ora di presentarti per una visita? Non ti sembra un po’ tardi?’. Fece la donna appoggiata alla porta ancora intenta a risvegliarsi del tutto.
‘Mi dispiace aver disturbato il tuo tenero riposo cara, ma ciò che sarà da qui a poco ti avrebbe sconvolta comunque’. Blaterò Killian entrando nella casa senza attendere consenso alcuno.
Quella spalancò gli occhi, più sveglia ora.
‘Perché cosa succederà da qui a poco?’, chiese la donna intimorita allacciandosi meglio la vestaglia.
Killian si voltò verso di lei, livido in volto.
‘Esmeralda ha incontrato Raymond.’ Buttò lì, senza troppi giri di parole. Diretto come sempre.
La donna incontrò il suo sguardo atterrita.
‘No, non è vero..’, cercò di convincersi.
‘Oh, è verissimo. Ero con lei quando lui l’ha riconosciuta e le si è avvicinato.’ Dichiarò il pirata seguito da un sorriso beffardo.
A quelle parole la donna cadde in uno stato catatonico. Andava su e giù per quel salone cercando di pensare ad una soluzione che non le nuocesse. Che non la implicasse in quel quadro che andava delineandosi.
‘Questo non vuol dire che verranno qui. Avrò il tempo per andarmene, per fuggire via. Lei non mi troverà, non saprà mai nulla.’ I suoi occhi saltarono su Killian in maniera delirante.
Di fronte a quell’evenienza lei iniziava ad impazzire.
Fino a qualche tempo prima se le veniva posta la possibilità lei la dava per scontata. Esmeralda non sarebbe mai arrivata a lei, era lontana dopotutto, e per quel che ne sapeva era morta, ma ora che quel pericolo era ad un passo da lei e iniziava a tremare come una foglia in inverno.
Stava rischiando di cadere trascinando giù con sé tutto ciò che era stato e tutto ciò che aveva costruito.
Killian le andò vicino e le strattonò un braccio portandosela davanti.
‘Quante probabilità ci sono che lui non la porti qui stasera stessa eh? Vive con te, le ha provato che è vivo e anche lei lo è. Le parlerà di te, e conoscendo Esmeralda non farà passare un minuto prima che piombi qui. E pur volendo fuggire non potresti andare da nessuna parte: siamo bloccati qui in città da un enorme muro di ghiaccio.’
I suoi occhi ora erano completamente vuoti.
‘Allora è la fine. E’ la fine.’ Continuò a blaterare cadendo sulla sedia lì accanto.
Ansimava. Le sembrò che la stanza volesse soffocarla.
Killian ruotò gli occhi e sbuffò a quella mancanza di inventiva e programmazione che la donna potesse avere.
‘L’unica cosa è dirle la verità. Anche se tutto questo include anche me, anche se potrà andare su tutte le furie..’.
La donna non accettò quella soluzione.
‘Giammai! Ho costruito una vita intorno a tutto questo e mai nella vita avrei voluto questa fine. Lei non doveva sapere nulla di me, e se tu ci tieni ad essere sincero con lei su tutto, non macchiare anche me! Non ti lascerò portarmi a fondo nella tua storiella!’ urlò con voce straziata.
Un pugno batté forte sul tavolo facendolo tremare.
‘Se non fosse stato per te, ora io non mi troverei in questa situazione con lei quindi non chiedermi di non includerti per non macchiarti! Sei stata tu a volere tutto questo e tu dovrai pagarne le conseguenze!’ sbraitò.
‘Quindi è per questo che sei venuto qui ora? Per farmi cadere nel baratro? E’ questo che vuoi?’. Stava perdendo la lucidità che la contraddistingueva.
La donna scosse il capo restia a quell’ammonimento. Era tutta colpa del pirata e di suo fratello. Erano loro ad aver rovinato tutto.
‘Ciò che voglio è tu ti prenda le tue responsabilità di dirle la verità, quella che non sei stata in grado di fare già secoli fa. Ha sofferto già troppo e non voglio che soffri ancora.’
‘Vuoi che non soffra? Dato che tieni tanto a lei, allora non diciamole nulla! Continuiamo come abbiamo sempre fatto. Lei non saprà nulla e non soffrirà nessuno.’
‘Sa che Ray è vivo, come pretendi che non scopra di te?!’ rantolò Killian.
La donna che aveva di fronte si accasciò nuovamente a quelle deduzioni. Non poteva uscirne. Non stavolta.
Stavolta doveva seguire dritta quella strada e uscirne, anche ferendosi.
Non c’era nessuna soluzione in grado di salvarla da quella situazione, e iniziò a pensare a tutte le conseguenze, a tutto ciò che aveva fatto sentendosi in colpa per la prima vera volta.
Più volte negli anni si era convinta che non fosse per colpa sua, e che era stato il destino a volere tutto ciò che aveva fatto. L’aveva fatto per una ragione che a quel tempo le era sembrata plausibile e giusta, con i danni si ci trovò faccia a faccia subito dopo. Aveva cercato di non darsi colpe per non cadere, per restare imbattibile, per non morire sotto quel peso che portava da anni, ma tutto ciò che era stato l’aveva accantonato e gettato in fondo a sé stessa per non sentirsi peggio. Per non sentirsi ancora più male di quanto già non fosse stata quando se n’era resa conto.
Ogni attimo della sua vita era una conseguenza di quella simulazione.
E ora a pochi passi da lei quel resoconto era pronto ad esserle sputato in faccia e lei non lo voleva.
‘Io vado via. Lei non può trovarmi qui. Non ora almeno, ma starò nei paraggi per evitare che ti vengano in mente decisioni malsane. E’ arrivato il momento che tu riveli tutto, ed io con te.’ Quella annuì, anche se poco convinta.
‘Devo aspettarti?’ domandò una volta che il pirata fu fuori la porta.
‘Aye. Appena dopo di lei io sarò qui’, e sparì oltre gli alberi sulla destra dandole il tempo di prepararsi. Dandosi il tempo di prepararsi a quell’imminente nuova rivelazione che avrebbe cambiato tutto.
 
Esmeralda non tardò tanto ad arrivare alla casa della donna come aveva previsto Killian. Camminava tutta esaltata ed emozionata al fianco del fratello Ray e non stava più nella pelle all’idea di incontrare la donna al di là di quella porta. Ray gliene aveva tanto parlato, e lei ancora adesso stentava a credere che fosse tutto vero. Temeva che da un momento all’altro si sarebbe svegliata e si sarebbe resa conto di aver sognato tutto.
Magari era vero: stava sognando.
‘Okay, ora voglio che ti nascondi qui dietro’, le indicò il fratello posizionandola appena dietro la casa fuori dalla vista. ‘Le prenderà un colpo quando ti vedrà.’ Disse tra sé.
Anche lui non stava più nella pelle dall’emozione e quasi, come la sorella, non ci credeva.
Esmeralda annuì cercando di trattenere quell’enorme sorriso ed emozione che la invadeva a quel pensiero. Un lungo respiro, un ultimo sguardo d’intesa con Ray e un bussare ripetuto picchiettò su quella porta. Pochi secondi e quella si spalancò.
‘Oh mio Dio Ray, ma dov’eri finito? Mi hai fatto penare così tanto. Sai cosa sta succedendo in città e tu sparisci così senza dirmi nulla? Stavo per chiamare lo sceriffo!’, disse la donna abbracciandolo, alzandosi sulla punta dei piedi dato che era molto più alto di lei.
‘Lo so, lo so e mi dispiace tanto averti fatto stare in pena, ma quando scoprirai il motivo della mia assenza prolungata capirai e ne sarai felice!’ disse Ray con un sorriso stampato in volto ispirandole la stessa fiducia che aveva in corpo e invitando Esmeralda a farsi avanti.
La donna sulla porta lo guardò vago non capendo cosa intendesse fin quando non la vide. Quando il suo volto le fu di fronte si portò una mano al petto ansimando e barcollando su se stessa quasi come se avesse visto un fantasma campeggiarle davanti. Ray corse a sorreggerla per non farla cadere, e le portò una sedia per non farla cascare.
La donna che aveva di fronte Esmeralda, portava i lunghi capelli neri in una treccia. Aveva lineamenti minuti e aggraziati , naso piccolo e zigomi alti e gli occhi, gli occhi di quel castano erano quelli che tra tutti aveva sempre ricordato e ammirato.
‘Probabilmente avrei dovuto farti sedere prima.’ Azzardò ridendo, osservando la situazione e la reazione della donna che non riusciva a riprendersi del tutto.
‘E’ impossibile che sia tu. E’ passato così tanto tempo e io… io…’ un tumulto di emozioni la prese alla sprovvista, e un nodo in gola le bloccò le parole.
‘E invece sono io, anche se è passato del tempo, anche se magari non ti sembro più io. Sono io, sono Esmeralda.’ E la fanciulla non riuscì a dire altro, corse ad abbracciarla forte perché erano secoli che non la vedeva, secoli che non si rifugiava in un suo abbraccio, che non sentiva la sua voce e secoli in cui credeva di aver anche dimenticato il calore dei suoi abbracci. E secoli in cui tutto questo le era mancato, e tutto in quel momento le sembrò un sogno. Tutto in quel momento le venne restituito.
Uno degli ennesimi sogni che negli anni erano nati come consolazione al non averla più vista.
La donna le sollevò il capo e la guardò scrutandola in ogni particolare, in ogni dettaglio, e si sentì morire nell’averla ritrovata, mentre Esmeralda non la smetteva di sorridere e piangere in quel ritrovo così inaspettato.
‘Non sei cambiata affatto, sei sempre la mia dolce e stupenda e incantevole bambina dagli occhi smeraldo che ho perso tanti secoli fa.’
‘Io, non avrei mai voluto madre. Mai nella vita avrei sognato di lasciarvi.’ Singhiozzò prendendole le mani leggermente raggrinzite e affusolate. ‘Sa avessi potuto sarei tornata da voi e dai miei fratelli. Non c’è stato momento in cui il mio pensiero non sia tornato a voi. Momento in cui non mi siate mancati.’
A quelle parole non seppe cosa rispondere, ma si limitò a guardarla.
E si ritrovarono a raccontarsi, a parlare, e a vedere che piega avevano preso le loro vite.
Esmeralda le raccontò di ciò che aveva passato, di tutto per filo e per segno, mentre la donna la guardava stranita e turbata a quegli episodi continuando a chiedersi come poteva aver fatto a sopportare tutto quello quella povera ed esile ragazza, mentre una rabbia le montò addosso nel contempo. Le raccontò di Killian, di quanto fosse stato importante per lei, e di quanto ancora continuava ad esserlo. Di quanto si era rivelato essere diverso da ciò che sapeva dei pirati e di quanto, sin dall’inizio, si assicurò che non le venisse fatto del male. Di come l’aveva protetta, del modo in cui si era preso cura di lei, e del modo in cui si era innamorata di lui e di come poi tutto era finito per mano di una subalterna che ingannò entrambi allontanandoli. 
La madre non poté fare altro che leggere negli occhi della figlia quell’eterno sentimento che la legava a quel pirata e pensò a come tutto fosse nato in maniera casuale e in cosa fosse sfociato.
Il sorriso che aveva quando parlava di lui erano direttamente proporzionale alla luce dei suoi occhi. Quella ragazza che aveva di fronte era totalmente innamorata di quello che tutti conoscevano come capitano uncino e che lei non faceva altro che chiamare Killian. ‘Io l’ho conosciuto come Killian e per me resta Killian. Nessun altro nome o derivati potrà prendere il suo posto.’
‘Così come nessun uomo.’ Aveva dedotto il fratello osservandola, poco più in là che era rimasto in ascolto per tutto il tempo contenendo le sue reazioni. Esmeralda aveva abbassato lo sguardo sulle sue mani e si era sentita avvampare in viso.
Era tutto, troppo evidente, pensò.
‘E lui sa tutto questo?’ intervenne la madre sedutale accanto.
‘Si, credo di sì, almeno.’ Rispose Esmeralda ancora più imbarazzata.
E la madre non poté fare altro che constatare che ciò che aveva di fronte era puro amore verso quell’uomo. Quello era lo stesso amore che Esmeralda aveva desiderato sin da piccola e non poté fare altro che sorridere.
‘E continua a farti star male?’ continuò imperterrito il fratello.
‘Non è come pensi, e pur essendo in questa situazione non riesco ad odiarlo. Lui tiene a me, quanto io tengo a lui. E’ semplicemente … complicato.’ Concluse prima che qualcuno iniziò a bussare in modo ripetuto alla porta della piccola casa.
Ray guardò la madre confuso. Chi poteva essere a quell’ora tarda, di notte fonda poi?
Aprii la porta di getto, ed Esmeralda restò confusa dall’immagine che le si presentò dinanzi: era Killian.
‘Cosa ci fai tu qui? Mi hai seguita?’, chiese incredula.
‘Niente di tutto ciò Esm.’ Fece Killian chiudendosi la porta alle spalle. ‘Agnese’, disse con un cenno a mo’ di saluto. Esmeralda fissò la madre che le era accanto come frastornata, poi di nuovo lui che le andava incontro.
Si alzò di scatto e cercò una spiegazione a tutto ciò che nella sua testa non riusciva a quadrare perfettamente.
‘Ti avevo chiesto di tornare da me, ma.. ma… come fai a conoscere questo posto? Mia madre?’, ora il suo sguardo si posò sulla donna che a capo chino cercava di trovare la forza necessaria a quel momento. ‘Madre lo conosci?’, domandò Esmeralda.
La verità era vicina, e Agnese non sapeva come porsi a tutto questo. Avrebbe voluto rimandare ancora una volta, ma non poteva più.
Si sfregò le mani sulle gambe in cerca di calore, d’improvviso era fredda come il ghiaccio.
‘Che succede qui, insomma?’ chiese il fratello non capendo. Killian le andò accanto pronto ad afferrarla, pronto a calmarla, pronto a stringerla tra le braccia quando sarebbe arrivato il momento, perché sarebbe arrivato.
‘Esmeralda ho bisogno di parlarti.’ Le disse Agnese rivolgendole il suo sguardo.
 
*
 
Era una giornata piuttosto calda nel regno quel giorno, il cielo era completamente limpido e privo di nuvole che occultassero le stelle. Per me, invece, era l’ennesimo giorno in taverna.
Avevo lasciato Esmeralda con i piccoli a casa a prendersi cura di loro mentre mio marito era chissà dove per l’ennesima volta, ormai era anche inutile chiedere dove andasse. La nostra vita non era delle più semplici e agiate come molte altre, e tutto ciò che facevo, tutte le decisioni che prendevo erano per dare alla nostra famiglia un po’ più di benessere.
Dopotutto non chiedevo altro.
E tra tutti Esmeralda pagava lo scotto più alto probabilmente. A quel tempo aveva poco più di 16 anni, eppure portava un peso enorme sulle spalle insieme a me.
Lei era l’unica figlia femmina di tre figli.
L’unica in grado di assicurare dote e ricchezza alla famiglia, il padre voleva darla in sposa al migliore che potesse farlo campare in lusso e ricchezza per il resto dei suoi giorni, ed Esmeralda non ci stava. Esmeralda non riusciva ad accettare tutto questo e non faceva che parlarmene, che sfogarsi con me su quella che per lei era un ingiustizia. Voleva scappare.
‘Semmai dovrò sposarmi un giorno, voglio che sia per amore.’ Faceva lei con occhi sognanti  e con lieve decisione, ignorando la cruda realtà della vita per noi donne. ‘Non voglio che mi si venga imposto nulla, voglio poter decidere da sola. Voglio poter sentire quelle farfalle di cui parlano in molte quando il fatidico uomo della tua vita si avvicina. Voglio innamorarmi ma di chi dico io!’ faceva lei autoritaria, e io non facevo altro che ascoltarla annuendo del tutto poco convinta.
Non volevo abbatterla, ma sapevo in cuor mio quanto fossero vane quelle parole.
Le decisioni della vita non spettavano a noi e continuavo a patire per lei il dolore di andare incontro a quella che sarebbe stata la dura realtà quando non sarebbe stato come desiderava.
Esmeralda aveva l’animo inquieto e sognante di chi non smette di crederci anche se non cerca nemmeno di provarci, non perché non ne fosse capace o non lo volesse davvero ma perché lei nella sua povera vita non aveva mai fatto nulla di temerario, nulla per sé e perché qualcosa a quei sogni continuava ad essere a fare da stallo. Qualcosa in quella terra continuava a trattenerla in quel posto e io sapevo cos’era. Sapevo cosa c’era a non farla andare oltre e la vedevo rifugiarsi quasi tutti i giorni in quella radura appena aveva un po’ di libertà o voleva sfuggire dalle proposte di un probabile marito imposto dal padre, ma non le dissi mai nulla per non violare la sua solitudine. La vedevo crogiolarsi in quella vita troppo stretta e stavo zitta.
Esmeralda sognava, sognava viaggi lontani. Sognava di lasciare quel posto ed esplorare il mondo intero con i suoi occhi, andando di regno in regno e solcando i sette mari, ma non si azzardò mai a farlo per davvero così si limitava ad immaginarlo, a viverlo nella sua testa, stando lì in quella radura, su quella roccia, e io tutto quello riuscivo a vederlo e a sentirlo nel profondo perché prima di sposarmi era il mio stesso desiderio.
Esmeralda era ciò che io ero stata, la mia esatta copia, e vederla crescere in quel modo era per me un dolore maggiore di quanto non fosse già stato.
Il padre era un uomo egoista e avido, tutti nel regno lo conoscevano e tutti sapevano che lo era sempre stato, ma negli anni quell’aspetto si era rafforzato fortificandosi sempre di più e portandolo a livelli impietosi: ciò che aveva e che racimolava lo teneva per sé e noi vivevamo di stenti.
Per lui la figlia era un trofeo, un premio da sfoggiare tanto era incantevole sin da quando era bambina, e all’inizio quei gesti e quelle premure le scambiai ingenuamente per amore paterno, ma non fu così. Per lui tutto aveva un valore da scambiare, e la figlia che il cielo le avevo donato non era da meno.
Sin da piccola vide il suo futuro, con la sua bellezza disumana che attirava tutti a sè, come qualcosa che avrebbe attratto uomini ricchi e che gli avrebbe fatto cambiare posizione. Non si accontentava di ciò che aveva, voleva sempre di più e di più e di più e la figlia ai suoi occhi era l’unico modo per varcare la soglia della prosperità. Sua figlia era il mezzo per arrivarci.
Di fronte a tutto ciò non potevo starmene con le mani in mano e fu per questo, anche, che mi ritrovai a lavorare in una piccola locanda poco lontana da casa.
E fu in quello stesso posto che da qualche giorno una ciurma di pirati appena approdati veniva di sera in sera per divertirsi e ubriacarsi il più della volte. E fu in quella stessa ciurma che conobbi il capitano Killian Jones.
Sin dal primo momento in cui lo vidi varcare la soglia, venni catturata da lui e non era solo il gran fascino che emanava in maniera chiara e lampante, c’era qualcos’altro.
Di tanto in tanto, tra un portata e l’altra, mi fermavo ad osservarlo e pur essendo un pirata m’ispirava fiducia, e non sapevo se fosse sbagliato o meno ma era ciò che sentivo quando me lo ritrovavo accanto.
Era vero anche che si riempiva di donne, e non le biasimavo affatto, il suo dannato fascino non passava inosservato e probabilmente se fossi stata giovane e disponibile anch’io non ci avrei pensato due volte ma non era per me, lui doveva servire a qualcun altro. Qualcuno più bisognoso di me in quella vita. Qualcuno da salvare.
E’ risaputo che i pirati difficilmente sono salvatori, ma lui… lui era totalmente diverso potevo percepirlo, potevo sentirlo. Lui non era come gli altri pirati con cui si accompagnava, né come tutti gli altri che avevo incontrato di tanto in tanto, lui era diverso. Migliore. Lui aveva un cuore, anche se ben celato e chiuso dietro la sua sfacciataggine ed era l’unico a poter fare ciò che stavo per chiedergli.
Era una scelta su cui avevo ponderato per un po’, una scelta dovuta e che non potevo rimandare. Ne andava di lei, e del suo futuro e non potevo aspettare oltre.
Alla quarta sera in cui si presentò decisi di avvicinarlo, nonostante non ci avessi mai parlato.
Lui si alzò dalla panca e mi si avvicinò con fare abbastanza insolente. ‘Qualsiasi cosa voglia, amore, dovrà aspettare che beva almeno un goccetto.’ Mi alitò a pochi centimetri.
Lo scostai interponendo un certo spazio tra noi.
‘Non è per questo che l’ho chiamata. Vorrei un favore da lei.’, chiesi sicura.
Lui mi guardò sospetto per poi arretrarsi. ‘Un favore? I pirati non fanno favori!’, chiarii lui duro.
‘Di certo non senza qualcosa in cambio!’ ribattei io affinché non andasse via.
Lui ci pensò un po’ su. ‘Di cosa si tratta?’ chiese subito dopo. Sospirai a ciò che stavo per dirgli perché non era facile e non era facile nemmeno averlo pensato.
‘Ho bisogno che voi rapiate una ragazza’.
Lui era l’unico in grado di portarla via da lì, in grado di farle da guida per i suoi sogni. L’unico che sapesse cosa c’era là fuori, l’unico in grado di guidarla e l’unico che sapesse cosa significasse viaggiare. L’unico in grado di proteggerla e me lo feci promettere: Mai e mai avrebbe dovuto farle del male, questo era il patto affinché tutto si concludesse. Questo era ciò per cui lo pagai, con i soldi di una vita racimolata e sacrificata. Questo era tutto ciò che feci per lei, per salvarla dal mio stesso destino e per far avverare i suoi sogni, perché senza quello non se ne sarebbe mai andata, e sarebbe rimasta intrappolata. Perché quello era l’unico modo per spingerla via di lì, e decisi con lui quella sera stessa che tutto sarebbe passato come un rapimento.
Un rapimento che non era vero, un rapimento di cui mio marito non mai seppe nulla: per lui Esmeralda era scappata quel giorno stesso, per lui sua figlia sparì senza lasciar traccia senza che io gli rivelassi mai nulla. Dopo un paio di mesi morì d’ansia per tutto questo in attesa di Esmeralda, in attesa di un ritorno, di un riscatto, di qualcosa. Sentendosi perennemente in colpa e pensando fosse per lui e io continuai a vivere con un doppio senso di colpa che aumentò quando lui venne a mancare.
 
Esmeralda ascoltò l’intera storia in silenzio e ne restò sconvolta: Tutta la sua vita, la sua intera vita era stata un inganno progettato e pianificato da chi l’aveva messa al mondo, a detta sua per proteggerla da un futuro peggiore.
Le sembrò di vacillare, la testa le girava e non era in grado di proferire mezza parola a riguardo. Guardava la donna che l’aveva messa al mondo, che aveva appena ritrovato e per cui era felice, con gli occhi vuoti di chi non si sa ritrovare, di chi non si riconosce.
Chi era lei davvero e cosa ne era di ciò che sentiva?
‘L’ho fatto per te piccola mia, per darti una vita migliore…’ continuava a blaterare la madre in parole che andavano via via ovattandosi.
Si alzò barcollante dal piccolo divano su cui era seduta e iniziò ad oscillare fino alla porta. Killian cercò di afferrarla, di prenderla per stringerla a sé se ne avesse avuto bisogno anche se dopo quella visione delle cose come avrebbe fatto? Esmeralda lo scansò andando oltre di lui, oltre la sala, oltre tutto ciò che la ostruiva: Aveva bisogno di aria, aveva bisogno di respirare perché tutta ad un tratto sembrava non saperlo più fare. Sembrava avere i polmoni stretti in una morsa, chiusi e sigillati peggio del maleficio di Zelena.
Ansimava con gli occhi offuscati incapace di ragionare per davvero e di vedere con distinzione dove stava andando e cosa stava facendo, sembrava che stesse cadendo nell’oblio più tetro. Le sembrò di cadere e probabilmente così fece perché non si sentiva nemmeno più il corpo.
La ragazza rimase distesa un attimo per riprendersi.
Il terreno sotto di sé era fradicio, sentì il muschio folto che le si insinuava tra le dita, come se volesse inghiottirla. E forse sarebbe stato meglio di tutto ciò che aveva udito in quella casa, di tutto ciò che sentiva in quel preciso istante avvenirle dentro.
Tutto lì era assurdo, e le sembrò un incubo. Un incubo che non voleva cessare.
A poca distanza da lei dei passi le si facevano più vicini. Sapeva chi fossero, non c’era nemmeno bisogno che alzasse lo sguardo per constatare la presenza di Killian al suo fianco che cercava di aiutarla. Lui che insieme alla madre non aveva fatto altro che ingannarla. Esmeralda si alzò e si allontanò in fretta cercando di ragionare, di non essere toccata, di mettere in moto i suoi pensieri e la rabbia non poté che esplodere.
‘Una vita migliore? Una vita migliore dici? Come osi pensarlo, come… come hai potuto?’ ruggì con tutta l’ira a debita distanza da entrambi e con il fratello poco più in là. ‘Hai mai pensato a me? E se non lo avessi voluto e se quei sogni non erano che semplici sogni insieme a quei viaggi mentali, ci hai mai pensato? Come hai potuto tagliarmi fuori dalla mia famiglia?’ sbraitò ormai sull’orlo.
‘Non pensare che non ci sia stato giorno in cui non mi sia pentita di quella decisione. Me ne pentii subito dopo che venni a sapere che Killian aveva fatto ciò che gli avevo chiesto. Volevo tornare indietro, volevo riprenderti ma non potevo più farlo. Eri già lontana! Io non potevo immaginare cosa avrei causato… a te, a tuo padre. E lo so, lo so che tu ora ce l’hai con me, ma ti prego di perdonarmi. Di capire le mie ragioni…’ Si avvicinò la madre con occhi piangenti cercando di afferrarla per calmarla.
‘Come posso farlo? Dimmi come solo pensi ci possa riuscire. Hai deciso per me! Mi hai tolto la possibilità di vivere con i miei fratelli, di vederli crescere, di stare con loro, come dovrei stare? Dovrei ringraziarti madre? Non le capisco le tue ragioni e non voglio capirle, ero poco più che una ragazzina quando ti dicevo tutto quello e pur rivendendoti in me dovevi sapere che ce l’avrei fatta in qualsiasi circostanza. Non mi importava d’altro se non di stare con te e con la mia famiglia, ma tu questo non l’hai visto. Hai visto ciò che volevi, hai rivisto te stessa e ti sei data una via di fuga come se io fossi te. Beh, non era così’.
‘L’ho fatto per darti un futuro migliore, per darti la migliore delle possibilità è questo che devi comprendere.’ La incitò la madre del tutto disperata e sconfitta.
‘Continui a ripeterlo per convincerti e darti ragione, ma non è quello che hai fatto! Tu mi hai distrutta!’ ringhiò infine zittendo la madre che restò pietrificata e spiazzata da quella verità che temeva di sentirsi dire.
Ecco perché voleva restare nell’ignoto, ecco perché non voleva che la figlia sapesse di lei.
Avrebbe continuato la sua vita con l’idea di essere stata rapita e tutto avrebbe continuato a ruotare intorno a quello. Lei non sarebbe stata macchiata, Esmeralda avrebbe conservato dentro sé quell’immagine della madre così come era. Così invece sapeva tutto, e l’amore di un tempo per lei si era trasformato in odio.
Esmeralda cercò di calmarsi. Si guardò intorno e si abbracciò come aveva sempre fatto cercando quella forza e quel sostegno in sé stessa. ‘Tu non sai quello che ho passato a causa di ciò che tu hai fatto. Sarei potuta restare a casa, nel regno. Nessun rapimento, nessun dolore, nessuna morte, nessun senso di colpa, sarebbe stato più facile non credi? Avrei potuto essere felice anche lì dopotutto, non c’era bisogno di andare altrove per cercare la serenità che avevo intorno. E l’uomo della mia vita avrei potuto conoscerlo anche da quel posto…’ in quel momento Killian incontrò il suo sguardo che lo indicava, e la madre con lei constatava quella possibilità. ‘Avrei poi deciso cosa fare da sola e il mio futuro sarebbe stato migliore. E invece mi sono ritrovata dopo vari anni sola, a causa di una donna, lontana da casa e dai miei affetti più cari, Imprigionata per dieci anni subendo le peggiori sevizie e poi perseguitata e messa al rogo a causa di quella che è la mia bellezza che venne considerata come stregoneria. Ho visto morire il mio più caro amico a causa mia e ho creduto che la mia famiglia fosse morta, e che Killian mi avesse abbandonata perché ero un peso. Per anni non ho fatto altro che sentirmi il nulla consumandomi e distruggendomi piangendo e chiedendomi perché mi fosse capitato tutto ciò. Perché un pirata tra tanti avesse deciso di prendere proprio me che non valevo nulla, e a cui nulla potevo dare, desiderando nei momenti più bui, un abbraccio di mia madre. Uno di quelli che era capace di rimettermi al mondo e farmi superare una giornata. Ho desiderato il calore della mia famiglia, le risate dei miei cari e ho continuato a ricordare i momenti felici per non perderli. Per secoli non ho fatto altro che logorarmi a causa di tutto quello che ora scopro essere opera tua.’ Disse infine con la voce rotta.
‘Ma ora potremo riprovarci, potrai vivere qui con noi e potrò riacquistare la tua fiducia.’ Esclamò la madre speranzosa.
Esmeralda abbassò lo sguardo nervosa.
‘No.’ Un tonfo al cuore. ‘Non ho alcuna intenzione di venire a vivere qui tra le tue menzogne. Tu continuerai a vivere qui crogiolandoti nei tuoi sensi di colpa e non mi vedrai mai più. Sono cresciuta e maturata da sola, ho combattuto da sola in questa vita e non ho bisogno di nessuno ora. Per me tu sei esattamente dov’eri prima nei miei pensieri: sperduta nel villaggio e catturata dalla Regina. Probabilmente morta e sepolta chissà dove.’ Esclamò dura in volto e nell’anima.
Era stanca di soffrire.
La madre a quell’esito cadde a terra disperata chiedendo perdono, ma nessuno la rispose e nessuno l’aiutò. Nemmeno il figlio Raymond che aveva assistito a tutto e la guardava attonito e ferito.
Anche lui era all’oscuro di tutto e stentava a crederci.
Nessuna pietà, nessuna misericordia come aveva fatto lei. Così pensò Esmeralda.
In fondo quanto sapeva di quella donna? Tutto ciò che aveva saputo l’aveva cambiata e stravolta.
E pur essendo dura andarsene in quella disperazione, voltò le spalle alla volta del bosco pronta a procedere senza più tornare indietro.
Poco più avanti da quel delirio che non osava placarsi, una sensazione fredda le percorse il braccio bloccandola. Era Killian che l’aveva afferrata con l’uncino costringendola a voltarsi.
Era livido in volto con una viva espressione contorta dal dispiacere che lo attanagliava. Voleva spiegarsi, voleva che vedesse almeno il suo punto di vista. Fare del male ad Esmeralda era per lui la cosa peggiore. Era come ferire sé stesso, lo era sempre stato.
Ogni dolore, ogni gioia, ogni lacrima la pativano in due. Erano come collegati.
‘Esm…’, esclamò cercando di dirle qualcosa, di spiegarsi.
La ragazza si discostò bruscamente da quella presa allontanandosi restando zitta. ‘Ti prego Esm, dammi la possibilità di spiegarmi. Io non avrei mai voluto farti tutto questo. Quando tua madre mi ha chiesto di farlo io non ti conoscevo, non sapevo nulla di te, io non sapevo cosa saresti diventata per me. Tutto ciò che è stato, tutto ciò che ti ho detto, tutto ciò che provo non era e non è una messa in scena è la pura verità. Dovevo proteggerti all’inizio per volere di tua madre, ma alla fine è diventato una questione mia. Un mio dovere. Io non voglio che inizi a credere..’
Esmeralda lo ascoltava assente, non aveva nessuna voglia di ascoltare altro, specie da lui.
Lui che aveva avuto accanto per così tanti anni, lui che aveva ritrovato e che le aveva nascosto un segreto del genere.
Perché non me l’ha detto? Almeno lui perché non mi ha evitato tutto questo quando sapeva? Perché continua a dire che tiene a me quando dimostra il contrario?
Il cuore sembrò subire un ennesima crepa e un ennesimo dolore si aggiunse ai precedenti quasi straziandola del tutto.
‘Killian…’ lo interruppe guardandolo dritto in quegli occhi, ora, con espressione rigida, priva di vere emozioni. ‘Non voglio vederti mai più.’
 

Note Autrice: 
E… okay ce l’ho fatta. Voi?
Credetemi che scrivere questo capitolo è stato veloce e allo stesso tempo infausto. E l’ennesima volta che faccio soffrire Esm, e Killian anche, ma questo è il nocciolo che schiude tutta la questione e porta a vedere le cose in maniera diversa da come sono state fino ad ora.
Tutto assume una nuova visione.
Sinceramente è da biasimare Esmeralda per la decisione presa alla fine? E la madre dopotutto, è vero che voleva darle un futuro migliore ma cosa a cosa ha dato vita facendolo? Credete abbia fatto bene e le sue motivazioni siano valide? Di certo se non fosse stato così la storia non si sarebbe mai sviluppata e Killian non avrebbe mai incontrato Esmeralda. C:
Il parallelismo con Emma e la sua storia è in parte voluto.
Anyway ditemi davvero cosa ne pensate, sono davvero curiosa di scoprirlo.
Ringrazio come sempre chi già lo fa, davvero grazie mille.
Detto questo vi abbraccio tutti.
 
Al prossimo capitolo.
- Elle.

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QUI trovate un blog Tumblr dedicato alla mia fan fiction con anteprime e stralci della storia, le canzoni e musiche che mi hanno ispirato nel scrivere, se vi va di seguirlo.

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Capitolo 16
*** XVI CAPITOLO ***


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CAPITOLO XVI
 
 
‘È una cosa orribile ciò che ti è stato fatto. Non posso credere a ciò che mi hai raccontato.’ Esclamò Belle con occhi spalancati e visivamente sconvolta da ciò che era successo all’amica. ‘E nel frattempo di tutto questo da quando tu sei qui lei è sempre stata a Storybrooke?’
Esmeralda a capo chino annuiva, ancora intenta a riprendersi.
Belle era del tutto sconcertata, ancora di più di quanto immaginasse, e vedere Esm stare anche peggio di fianco a lei rendeva la cosa ancora più straziante. Non c’era davvero pace per lei,
Ne aveva passate davvero tante, pensò, e il tutto non sembrava voler terminare. Eppure doveva trovare un modo per risollevarla, era anche per questo che quella mattina l’aveva invitata in negozio da lei.
Killian si era recato in negozio da lei supplicandola quasi di cercare Esm per vedere come stava, dov’era e per assicurarsi della sua salute. Nessun dettaglio in più, né uno in meno; Solo un ‘Ti basti sapere che non vuole vedermi per ora, ma ho bisogno di sapere come sta. Sono giorni che non la vedo.’
E Belle con il suo cuore magnanimo che la contraddistingueva non aveva potuto fare altro che prendere in carico quella richiesta disperata del pirata, e acconsentire alla sua ricerca e al suo ritrovo, anche perché nonostante i secoli voleva ancora bene all’amica, e in parte sapeva ciò che le era accaduto negli anni.
Erano passati sei giorni da quell’episodio che ancora tiranno continuava a non darle pace creandole non pochi problemi; da quel giorno si era spostata dal punto che era risaputo per Killian e si era rifugiata ancor di più nei fitti meandri di quel bosco affinché nessuno la scoprisse e nessuno la trovasse. Nemmeno Will, il suo unico amico nei dintorni. Si era nuovamente spostata perché era certa che Killian sarebbe andato a cercarla per continuare a darle la sua versione dei fatti che lei non voleva conoscere. Ogni parola da parte sua ora le pareva un inganno ancor più grande.
Si era isolata e allontanata da tutto e tutti, ormai in continuo stato catatonico e depressivo. Se ne stava rannicchiata lì, con le spalle ad un albero, le braccia intorno alle ginocchia e lo sguardo vuoto di chi non sa più a cosa credere e di chi non ha più un orizzonte davanti a sé. Gli smeraldi che tanto la contraddistinguevano parevano spenti e opachi sotto il peso di quella sera, di quella verità che l’aveva del tutto gettata nel baratro.
Non dormiva più molto bene da quel giorno.
Tutte le notti, puntualmente aveva lo stesso incubo che la perseguitava: una donna, apparentemente morta e cadaverica, si rialzava da una tomba per andarle incontro a braccia aperte pronta ad accoglierla e ad abbracciarla e alle sue spalle qualcuno ancora più chiuso nell’ombra, più lontano le tendeva una mano per portarla con sé altrove e lontano da ciò che stava accadendo. A tutto questo seguiva quella sensazione infinita di cadere nel vuoto, quella sensazione viva di terrore che le pervadeva l’anima e le toglieva il respiro. Si svegliava sempre di soprassalto, sempre agitata e ansimante dopodiché Morfeo l’abbandonava a se stessa, anche lui. Anche il subconscio si ci metteva, perché non bastava tutto il resto. Non bastava la realtà.
Avrebbe desiderato dimenticare tutto, tutto il dolore e le sofferenze patite, o almeno sentirle in maniera meno pronunciata rispetto a come erano in realtà.
Se non fosse stato per Belle, pensò, probabilmente sarebbe rimasta in quel posto per sempre senza neanche accorgersi del tempo che passava e del suo corpo che andava sempre di più a scomparire sotto il peso di troppo pensieri che non era più in grado di gestire.
‘Come mi hai trovata?’, chiese la fanciulla priva di qualsiasi emozione mentre Belle le allungava una tazza di tè fumante per ridestarla con accanto un alzata di cupcake.
Ormai era un involucro svuotato del tutto, incapace di provare qualcosa in modo serio. Solo il corpo le rimaneva e null’altro.
Belle sorrise cercando di tirarle su il morale, almeno un po’. ‘E’ stato Rumple ad aiutarmi. E menomale altrimenti saresti scomparsa, cioè guardati! Il maglione che ti ho regalato quasi ti cade di dosso.’ Constatò Belle ammonendola con fare materno.
Esmeralda si diede un occhiata nel più completo disinteresse. Ormai cosa aveva importanza per davvero?
Fece spallucce e indirizzò il suo sguardo altrove dando un piccolo sorso alla bevanda.
‘Devi mangiare!’ la ammonì l’amica cercando consenso nei suoi occhi. ‘E io ti aiuterò a farlo te lo prometto. Ti aiuterò in tutto questo, puoi giurarci. Non ti lascio sola.’ Fece Belle prendendole le mani appena libere dalla tazzina che aveva appena appoggiato. ‘Sono sicura che anche il tuo lieto fine è lì da qualche parte e io ti aiuterò a raggiungerlo.’
Esmeralda sorrise del tutto incerta, conosceva quella storiella. Quella sul lieto fine in cui tutti lì credevano, gliel’aveva propinato anche Emma di fronte a quella locanda ed era inutile dire che per lei quella possibilità continuava a non esistere, era del tutto estranea da lei ma era stanca di ripeterlo. Stanca di combattere perciò acconsentì fingendo un sorriso all’amica e sperando potesse cascarci.
Lui non sa che sono qui, vero?’, chiese guardandosi intorno.
‘Non gli ho detto nulla del nostro incontro di stamane.’ La tranquillizzò. ‘Anche se ci tengo a dirti che è stato lui, per primo a chiedermi di trovarti… è sinceramente in pena per te.’
‘Ti prego Belle, non voglio che tu gli dica dove sto… non voglio vederlo. Io…’ Esmeralda cominciò ad agitarsi in quella eventualità e si alzò per far sbollire la sua ansia che di nuovo le chiudeva lo stomaco.
‘Ehi Esm, tranquilla. Non gli dirò nulla. Puoi fidarti di me, lo sai.’ Fece Belle alzandosi per andarle incontro e tranquillizzarla.
Esmeralda prese fiato, di nuovo come quella sera si era sentita mancare e si risedette di nuovo su quel divano.
‘Tuttavia non credo che tu debba avercela con Killian.’ Ponderò Belle fissandola cercando di non scatenare in lei un nuovo attacco di panico.
‘Ma Belle, ti rendi conto che lui sapeva tutto? Conosceva ogni singola cosa di questa faccenda e me l’ha tenuto nascosto per tutto questo tempo!’ Rimproverò Esmeralda fissando l’amica incredula al fatto che potesse anche solo pensarlo, al fatto che fosse dalla sua parte nonostante ciò che le aveva raccontato.
‘Si, è vero. Ma renditi conto che tutto è avvenuto per tua madre. Lui non sapeva chi fossi, e a quel tempo i pirati erano soliti accettare ingaggi del genere in cambio di soldi. Non sapeva cosa saresti diventata per lui, non sapeva quanto si sarebbe affezionato a te nel tempo, altrimenti il Killian che conosci non l’avrebbe mai fatto.’ Belle guardò l’amica cercando di farla ragionare e di rasserenarla. ‘Insomma pensaci: ti ha salvata in tutti i modi possibili in cui una donna potrebbe essere salvata. Il pirata egoista che noi tutti conoscevamo non l’avrebbe mai fatto.’
‘Lo fa per chiunque ormai no?’, chiese scettica non dando peso alla cosa.
‘Per te è diverso. Per te farebbe di tutto, darebbe la sua stessa vita Esm. Ed è ciò che ha fatto salvandoti da Zelena e se avesse saputo ciò che ti aveva fatto Milah, ciò che ti è accaduto, per te avrebbe solcato i sette mari e salvato in tutta fretta perché puoi vederglielo negli occhi quanto tiene a te ogni volta che ne parla. Puoi anche non conoscerlo, puoi anche non averci nulla a che fare ma quando parla di te ha uno sguardo eloquente che vale più di mille parole. Andiamo Esm ve lo si legge negli occhi, ad entrambi, quando tenete l’uno all’altro. Nei vostri occhi c’è tutta la vostra storia, i vostri trascorsi e il vostro affetto, non negarlo. Non nasconderlo a te stessa perché nonostante tu dica che non vuoi più vederlo continui a tenere a lui come alla cosa più preziosa che hai.’
Era vero. Tutto era assolutamente e spudoratamente vero. Come poteva ribattere a questo? E il fatto che fosse cosi evidente agli occhi degli altri la disorientava ancor di più.
Non lo immaginava.
Nonostante i suoi sbagli, nonostante tutto ciò che era venuta a scoprire non riusciva ad odiare Killian nemmeno sforzandosi. Lui era un estensione di lei che non avrebbe mai potuto disgiungere e nonostante gli sbagli che aveva commesso, Esmeralda nei suoi confronti, sentiva sempre lo stesso sentimento che ora cercava di trattenere. Il suo era risentimento non odio.
Io odio Killian Jones. Anche nella sua mente quella frase graffiava l’anima.
No, non avrebbe mai potuto dirlo sul serio figuriamoci provarlo. L’odio non era fatto per Killian.
‘Promettimi di pensarci.’ Ribadì Belle, facendola rinsavire dai suoi pensieri, non perdendo il contatto visivo con lei.
Esmeralda esitò un momento titubante. ‘Okay te lo prometto.’ Un guizzo nei suoi occhi cominciò ad illuminarla.
Belle battè le mani felice di averla fatta riflettere.
‘Ora esco un attimo per una commissione. Tu resta nel retro senza farti problemi, okay? E appena torno andremo a mangiare qualcosa da Granny’s. Hai bisogno di rimetterti in forze tu’ fece infilandosi il cappotto e indicandola con un sorriso.
Esmeralda annuì mentre la vedeva andarsene oltre la porta.
 
-
 
‘COCCODRILLO! DOVE SEI?’ Sentii tuonare la fanciulla dal negozio e sobbalzò nella sua apparente tranquillità.
Chi è che entrava lì con tanta veemenza. Cos’era successo stavolta? Pensò intenta ad avvicinarsi con estrema cautela per vedere chi fosse. Nel negozio non c’era nessuno e lei era completamente sola in attesa del ritorno di Belle.
Si avvicinò piano alla porta che divideva le due stanze e scorse la sua ombra aggirarsi nella bottega con fare frenetico: era Killian. Non poteva non riconoscerlo. Cosa ci faceva lì?
Era completamente rosso in viso e l’ira che aveva in volto non prometteva nulla di buono. Cercò qualcosa addosso e la prese in tutta fretta.
Esmeralda non capiva cos’era da quel punto e spiò per capire di cosa si trattasse. Continuava a muoversi agitato in attesa di qualcosa.
‘Swan, sono Killian, di nuovo. Devi ascoltarmi.’ Incominciò come se stesse effettivamente parlando con qualcuno nella stanza, ma nessuno era lì. ‘So che sei passata da Gold. Ho visto cos’hai fatto. E se ti ha promesso di.. sbarazzarsi dei tuoi poteri, non ascoltarlo. Non vuole aiutarti. Vuole.. vuole mettere i tuoi poteri in un maledetto cappello magico, e quando lo farà, verrai risucchiata all’interno anche tu. Non so cos’ha in mente, ma so che mentiva a Belle. Il pugnale che le ha dato è un falso. Lo so perché..’ esitò, cercando la forza per pronunciare quelle parole. Quella verità. ‘.. Perché temo di averti mentito anche io. Gold mi ha ricattato affinché lo aiutassi. Lui sapeva. Sapeva che farei qualsiasi cosa per stare con te e lo ha usato contro di me. Tutto quello che volevo era essere un uomo migliore per te Swan. Ma ho fallito e per questo ora potrei perderti. Mi dispiace. Ma spero non mi perdonerai mai perché significherebbe che hai ricevuto il messaggio in tempo per salvarti. Addio.’
Esmeralda era rimasta in ascolto per tutto il tempo, dietro la parete lontano dai suoi occhi. Aveva ascoltato ogni singola parola pronunciata e una lacrima, impotente e cosciente, di fronte agli eventi non poté far altro che inumidirle le guance. Succedeva ogni volta, pur essendo consapevole dei fatti, qualcosa dentro di lei continuava a ribellarsi e a non accettare quella condizione che le era stata imposta e ogni volta che vi si scontrava una lacrima si gettava negli abissi convinta di cambiare le cose.
Esmeralda fece su con il naso nel pieno silenzio e si asciugò quella lacrima sfuggente con un palmo della mano, spazzandola via.
Era inutile logorarsi, si disse facendosi forza, e tutto ciò non faceva altro che dimostrarle quanto quell’odio fosse solo una sua convinzione invana. Forse per stare meglio, forse per non ricercare la sua presenza continua.
Killian tolse l’aggeggio da vicino all’orecchio sconsolato, non sapendo come salvare la sua Emma, incapace di trovare una soluzione. Non sapeva dove fosse, e non sapeva cosa Gold le avesse detto. Poi un illuminazione, un qualcosa attirò la sua attenzione sul bancone lì di fronte. C’era qualcosa che lo aveva colpito. La guardò per un attimo e corse via richiudendosi la porta alle spalle.
Esmeralda si fece forza e in tutta fretta, guardandosi intorno, si avvicinò allo stesso punto perlustrato da Killian poc’anzi. C’era una mappa, e un piccolo cerchio sottolineava un nome ‘Manor’. Era lì che Emma si trovava e che quel Gold voleva toglierle i poteri attraverso un cappello magico? Doveva essere così. La fanciulla si spostò i capelli da davanti gli occhi portandoseli dietro l’orecchio per esaminare meglio e in silenzio cercò di aprire la mappa per capire dove si trovasse il posto.
Se c’era una cosa in cui lei era brava era il decifrare le cartine. Glielo aveva insegnato Clopin tra gli zingari in quel di Parigi. Suo fedele amico e quasi fratello, e lei stessa ne creava alcune ai tempi distribuendole agli altri della comunità gitana affinché ritrovassero il loro posto. L’unica difficoltà qui stava nel fatto che conosceva poco i posti, in particolar modo le strade e le vie principali perciò cercò di trovare una via per i boschi. Quelli sì che li conosceva, li aveva perlustrati per filo e per segno durante la sua permanenza quando vagava tra i mille pensieri, e li aveva assimilati rendendoli suoi. Tracciò con il suo dito fine una stradina tra i boschi che potesse arrivare nello stesso luogo indicato sulla carta e la memorizzò senza prendere la mappa con sé.
Scusami cara amica, ma oggi non potremo pranzare insieme come concordato. Spero tu non me ne voglia. Al più presto mi farò viva io.
Esmeralda
Scrisse velocemente su un biglietto che accostò alla tazzina di tè che ancora troneggiavano in bella vista sul piccolo tavolino di legno d’acero, e corse via prima che fosse troppo tardi.
 
Esmeralda, temeva il peggio.
Conosceva l’astio tra Killian e quell’uomo già da tempo immemore, da prima ancora che si perdessero. Killian gliene aveva raccontato durante quel pomeriggio più dettagliatamente, e sapeva che negli anni la cosa si era ancora di più accentuata quando quest’ultimo aveva ucciso Milah davanti agli occhi di Killian che l’amava, e aveva tagliato via la mano al suo pirata. Ed ora la cosa non prometteva nulla di buono rispetto a quel passato.
La zingara continuava ad avere quello strano presagio che la impregnava e che non riusciva a scrollarsi di dosso totalmente: Se Killian si fosse scontrato nuovamente con Tremotino questa volta sarebbe andata peggio delle altre volte, era inevitabile. Questa volta non ne sarebbe uscito illeso del tutto ed Esmeralda a quella visione rabbrividiva e inorridiva.
Nella sua mente un destino crudele si stava per abbattere su Killian e temeva per lui più che per sé stessa. Lei, a suo dire, non aveva niente da perdere.
Lui l’aveva salvata tante volte e ora toccava a lei ripagarlo e salvarlo per quanto poteva. Quella sensazione si fece sempre più assillante mentre varcava i boschi seguendo le tracce delineate sulla mappa.
Era ai margini della foresta, con sguardo fugace e attento era intenta a scrutare ogni dettaglio degli alberi che la costeggiavano per capire dove fosse. Conosceva già quel luogo, ma non si era mai inoltrata fino a tanto in quel posto e il fatto che l’oscurità iniziasse a calare sulla cittadina non rendeva le cose migliori.
Esmeralda si inoltrò nella fitta vegetazione a passo svelto. Gli tremavano le mani per quanto era agitata. Si fermò per il tempo di un secondo per riprendersi e calmarsi giusto quel poco che le permettesse di proseguire. Prese fiato.
Se si faceva prendere dal panico non sarebbe mai arrivata a destinazione. Al suo obiettivo: doveva salvare Emma.
Sì, sembrava strano anche a lei dirlo. Non conosceva per nulla la ragazza. L’aveva incontrata una sola volta e ne aveva sentito tanto parlare. Lì in città era la salvatrice, e tutti dappertutto parlavano di lei. Non sapeva ancora come avrebbe fatto e contro chi o cosa si sarebbe dovuta mettere, ma lo doveva a Killian dopo ciò che aveva sentito dirgli al telefono. Non gli avrebbe mai permesso di avvicinarsi al pericolo imminente. Non avrebbe permesso nemmeno che perdesse altro nella sua vita. E se avesse perso lei, sarebbe comunque stato meglio che perdere la sua Emma. L’avrebbe superato, si convinse, come aveva già fatto in passato. Avrebbe fatto male ad entrambi ma era l’unica soluzione. Magari avrebbe perso ma voleva sperare, sperare che tutto andasse per il meglio come le aveva detto Belle.
Lui amava Emma, e lei stava semplicemente cercando di accettare la cosa come meglio poteva anche se non era facile. Non lo sarebbe mai stato, in verità.
Ce la fareste mai a vedere l’uomo della vostra vita con un'altra? Ce la fareste mai ad accettarlo del tutto? Ma se Killian l’amava era giusto che andasse così, e lei stava facendo tutto per lui. Non avrebbe mai sopportato la sua perdita, e nei suoi pensieri nemmeno Emma, quindi il suo gesto era l’unica cosa da fare per tutti e tre.
Superò in fretta alcuni alberi appena vide una stradina poco più distante ben illuminata e intrisa di un certo bagliore che sapeva di magia. Era quello il posto, ne era sicura.
Una casa abbastanza grande e imponente si ergeva al suo cospetto, mentre escogitava un piano per aggirarla e per trovare la salvatrice. Pochi passi e una scena terrificante le si parò davanti agli occhi: Killian era di fronte a Tremotino, poche parole che udì a malapena. Nemmeno una parola dall’uomo che gli era di fronte, al loro posto un gesto che fece balzare Killian per aria inchiodandolo e intrappolandolo al cancello che aveva alle spalle.
Esmeralda trattenne un grido tappandosi la bocca. Il suo incubo era lì, di fronte ai suoi occhi. Non aveva fatto in tempo.
‘Che ne dici se, prima della tua dipartita, ti dessi un posto in prima fila per guardarla insieme mentre usa quel cappello?’. Killian si dimenava cercando di liberarsi, di ribellarsi a quella barbarie posta da quell’ignobile uomo.
I piani di Esmeralda cambiarono: Doveva salvare Killian.
Cercò di nascondersi come meglio poteva cercando un modo di avvicinarsi di soppiatto senza farsi vedere dall’Oscuro. Doveva trovare qualcosa per liberare Killian. Subito.
‘Non riuscirai a liberarti. Non ti preoccupare. La dimenticherai proprio come hai fatto con Milah.’ La rabbia dentro la fanciulla crebbe a dismisura, ma doveva trattenersi almeno finché non avesse trovato una soluzione.
Se ne stava lì, a pochi passi da loro, ben nascosta ad ascoltare in silenzio. ‘Quanti secoli ti sono serviti? Oh, non importa. Questo potrebbe alimentare il fuoco che hai dentro. Non dirmi che non ti è mancato il sapore della vendetta.’ Continuò perfido l’Oscuro.
‘E’ la madre di tuo nipote, Gold! Non farlo!’
‘Vorrei non doverlo fare. Ma ho bisogno della signorina Swan. Di sicuro tu non potresti capire. ‘ lasciò intendere con indifferenza.
Dopodiché silenzio. Un silenzio prolungato che la snervava, si potrasse così oltre il muro di pietra oltre la quale si era nascosta e constatò la situazione: Entrambi erano ancora lì. Tremotino di spalle a Killian, e quest’ultimo intento a liberarsi. Guardavano in là, verso la grande porta a vetrata che avevano dinanzi e da cui fuoriusciva una luce abbagliante e potente in grado di illuminare persino la notte più scura. Emma era al suo interno, si poteva avvertire la potente magia saturare l’aria tutta intorno.
Poi, quella luce si spense e la delusione e la sconfitta di Gold fu palese. Sibilò un ‘No…’. Era finita, Emma era salva probabilmente.
‘Beh immagino non sia andata fino in fondo.’ Osservò il pirata sollevato da come si era conclusa e con aria di scherno ostentando un sorriso. ‘Quanto mi dispiace… oh, ma adoro lo sguardo di sconfitta sul tuo viso.’ E rise ancora più forte non capendo il pericolo in cui si stava inoltrando. Nel frattempo Esmeralda ansimava incapace di trovare un piano per salvarlo. Il suo incubo peggiore si stava avverando e lei era del tutto impotente: lei non aveva nulla. Non aveva la magia come Emma, come lo avrebbe salvato? Cosa poteva fare contro quell’immortale? E se sarebbe andata da lei per avvertirla di ciò che stava accadendo? D’altronde era la salvatrice, lei. Esaminò la situazione. Non ce l’avrebbe fatta. Non restava molto tempo.
‘Magari non avrò la salvatrice, pirata. Ma ti assicuro che oggi non sarà una totale sconfitta. Devo riempire il cappello di poteri, certo, ma era solo una parte dell’equazione. Perché mi serve qualcos’altro. Un ingrediente segreto, uno di cui non ero a conoscenza finché qualcuno non mi ha messo al corrente: Un cuore.’
‘Beh, se ti serve il mio aiuto per procurartelo, sappi che l’unico aiuto che avrai da me è mandarti all’inferno.’
‘Oh certo che mi aiuterai.’ Esmeralda dietro quel muro sentiva il tempo e le parole scorrerle contro. ‘Vedi quest’incantesimo mi separerà finalmente dal pugnale, cosicchè non abbia più potere su di me. Ma per lanciarlo mi serve il cuore di una persona speciale. Qualcuno che mi conosca da prima del pugnale. Da prima che diventassi l’Oscuro.’
Esmeralda spalancò gli occhi a quelle parole, e in mente le arrivò l’unica soluzione possibile ed era pronta a scattare. Era quello il solo e unico modo, era ciò che doveva fare.
‘Sfortunatamente,’ continuò l’Oscuro. ‘Tutti quelli che rispondono a questa descrizione sono già morti, ma… uno è ancora in vita.’, fece avvicinandosi a Killian che ora cercava di dimenarsi in modo più incessante. Anche lui ora avvertiva quel pericolo imminente, anche in lui ora scorreva il terrore della mossa successiva.
L’Oscuro era vicinissimo.
‘Si da il caso mio caro, che tu sia il mio più vecchio amico.’ E la sua mano gli entrò in pieno petto pronto ad estrargli il cuore che tanto bramava.
‘FERMO!’ urlò una fanciulla a pochi passi da lì. Tremotino si voltò ad esaminare l’ospite inaspettato: era Esmeralda, e per un tratto gli sembrò di aver già vissuto quella stessa situazione. Un paio di secoli prima mentre aveva cercato invano di strappare il cuore al pirata Milah intervenne nella stessa maniera per salvare il suo amato.
‘Esmeralda va via di qui. ORA!’, ansimò Killian appena si accorse della sua presenza lì, mentre sentiva stritolarsi il cuore.
La fanciulla non lo ascoltò e a passo lento si avvicinò ai due.
‘Voglio proporti un accordo.’ Avanzò richiesta al signore Oscuro che la guardava stranito. ‘Il mio cuore per il suo cuore.’
Killian lanciò un gridò a quel patto che aveva in mente, nonostante il dolore. Nonostante tutto. Come poteva anche solo pensarlo? Era un suicidio! ‘NO! ESMERALDA NON FARLO! VA’ VIA DI QUI.’. Nei suoi occhi la paura che quella pazzia potesse avverarsi.
‘Oh cara, a me non serve il tuo cuore. Può sembrarti una pura vendetta ciò che sto facendo, e lo è in parte, ma il suo cuore è il mio ingrediente segreto…’
‘… Per liberarti dal potere del pugnale definitivamente. Ho sentito tutto.’ Lo interuppe Esmeralda scaltra.
‘Allora capirai quindi che tu non mi servi a nulla e che quindi lo scambio non vale. Non me ne faccio nulla del tuo cuore.’
‘Ti sbagli. Non è solo lui a conoscerti da prima che diventassi il signore Oscuro, anche io sono tra questi. Sono tra quelli ancora in vita che ti conosce dapprima di tutto questo.’
Tremotino non capì e insieme a lui Killian.
 
*
Quella stessa mattina dopo la venuta di Tremotino in cerca della moglie, la Jolly Roger era pronta a lasciare quella terra per solcarne di nuove ma Esmeralda era del tutto inquieta ancora incapace di capire il comportamento del pirata avvenuto poc’anzi. Si aggirava nella sua stanza in cerca di spiegazioni plausibili da darsi, ma non ne aveva.  
Non riusciva a far altro che pensare a come quel povero uomo era stato trattato da Killian, che ai suoi era completamente diverso.
Lui che impassibile e freddo lo sfidava pur vedendo la sua condizione e tutto per una donna egoista che aveva deciso da sé di unirsi a quella ciurma noncurante del fatto che avesse un marito e un figlio. Una rabbia le nacque dentro, di nuovo, a quel pensiero. Era una donna ignobile e codarda, ecco cos’era e lei non sopportava tutto ciò.
Il sole era ancora alto e i marinai sul molo continuavano a caricare e fare le loro cose prima della partenza, aveva sentito Killian dire che sarebbero partiti nel pomeriggio così pensò bene di far qualcosa prima.
Afferrò il suo soprabito e uscì dalla sua cabina, perlustrando l’area intorno al molo notò che Killian non c’era. Doveva essere sicuramente con Milah, a raccontarle il suo atto contro quello che era suo marito, l’uomo che agli occhi di Dio le apparteneva. Esmeralda fece un lungo respiro, forse era meglio non pensarci.
‘Io vado a farmi un giro.’ Avvertì un marinaio poco più in là che non faceva che osservarla.
Appena scesa si guardò intorno in cerca di qualcosa, qualcuno. Non era passato troppo tempo e considerato il suo modo di camminare non doveva essere lontano, pensò.
Camminò di qualche metro, e più in là, vicino ad una locanda lo avvistò e gli corse incontro.
‘Mi scusi.’ Si sbracciò per attirare la sua attenzione e per farlo arrestare. Quello si voltò come se percepisse che quello era un richiamo per lui.
‘Mi scusi, è lei Tremotino giusto?’ ansimò la fanciulla stoppandosi dinanzi all’individuo.
Quello la guardò interrogativo. ‘Vi conosco?’, domandò flebile non riconoscendo nella ragazza una figura conosciuta.
‘No, no affatto. Ma vi ho visto sul ponte della nave poco prima, sapete anche io, mio malgrado mi trovo lì.’
L’uomo inquadrò quella ragazza, ora con molta più attenzione e spalancò gli occhi.
‘Siete anche voi sua prigioniera?’, domandò confuso chiedendosi che ci facesse una così bella fanciulla insieme a quello spietato pirata.
La fanciulla rise. Come poteva definire la sua posizione lì in parole povere?
‘In un certo senso si. Si potrebbe dire così.’ Tremotino annuì, cercando di comprendere la situazione in quel velo di mistero che ella non gli voleva raccontare. Pensò che c’era qualcosa che non poteva dirgli e accettò.
‘Perché mi stavate cercando?’, chiese con voce incolore appoggiando ora, entrambi le mani, al bastone per reggersi. Era ancora scosso e provato da ciò che era appena accaduto. Come avrebbe potuto dire ciò a Bealfire? I suoi occhi erano rossi e gonfi di pianto. Cosa avrebbe detto al suo piccolo riguardo sua madre?
‘Voglio aiutarvi.’ Disse decisa, incoraggiando l’uomo.
‘Come?’
‘La nave non partirà prima di oggi pomeriggio, quindi avrò un po’ di tempo per coinvolgere e farmi amica Milah e portarla fuori dalla nave con una qualche scusa. Voi dovrete farvi trovare qui cosicché io possa consegnarvela.’
Negli occhi di Tremotino un barlume di speranza iniziò a rianimarlo. Sorrise a quel piano appena illustrato da quella benevole ragazza. Forse non serviva scervellarsi, forse tutto si sarebbe risolto grazie a quella fanciulla.
Esmeralda lo vide piuttosto titubante, ancora tra i suoi pensieri e dibatté: ‘Se per voi va bene, ovviamente.’ Si assicurò.
‘Assolutamente sì. Sì.’ Rispose Tremotino entusiasta. Gli occhi ricominciavano a brillare.
‘Va bene allora, mi farò trovare qui e riporterò vostra moglie.’ Disse prima di congedarsi e tornare al vascello.
Salutò l’uomo con un inchino e si voltò con un gran sorriso, prima di essere ripresa.
‘Perché lo fate?’, domandò l’uomo ancora abbastanza confuso da quel gesto di una piccola donna con cui non aveva mai avuto nulla a che fare.
Esmeralda si voltò piano.
‘Odio le ingiustizie, e i traditori. E perché per come sono fatta non posso restare inerme di fronte ad alcuni avvenimenti.’, si sbrigò a spiegare.
L’uomo annuì con un sorriso dolce. Quella chioma nera l’avrebbe sempre ricordata come la sua salvezza. La salvezza della sua famiglia… oppure il suo scatafascio.
 
*
 
Negli occhi dell’Oscuro un barlume si accese. Come aveva fatto a dimenticare un simile sgarro? Lui che non risparmiava nessuno di fronte a simili errori?
‘… Ti ho aspettato per ore quel giorno, aspettando colei che mi aveva promesso la salvezza e invece? E invece tornai a casa e dovetti incrociare gli occhi di Bae che scoppiarono in lacrime appena seppe del destino della madre.’ Digrignò i denti esibendo tutto la sua collera. Ancora la mano nel petto di Killian, ancora intento a strappargli il cuore.
Esmeralda non incrociò lo sguardo di Killian, aveva paura di riscontrare qualcosa di simile all’ira per quel gesto che non gli aveva mai raccontato. Si limitava, però a sentirlo gemere dal dolore e in lei non faceva altro che crescere l’ansia. Doveva convincerlo in quello scambio, a tutti i costi e in fretta.
‘Quel giorno la nave è partita prima del previsto, e io non ho avuto modo di avvertirla.’ Tentò di giustificarsi per placare quella rabbia specie in quella situazione. ‘Ma non ci sono scuse a tutto questo. Ho infranto un patto con lei ed è giusto che paghi per il mio errore. E’ me che dovresti prendere. Non lui! Killian non c’entra in tutto questo, è stata Milah a voler andare insieme a lui ed entrambi state pagando per le sue scelte. Io lo sto facendo per amore, perché farei e sono disposta a tutto per salvarlo. Tutto ciò che ha fatto Milah invece includeva egoismo e protagonismo. Ciò che vuoi fare a Killian dovrai farlo a me, sono io che sono in debito con te ed è questo ciò che ti chiedo per risanare il debito una volta per tutte’. Esmeralda non ce la faceva più. ‘Il tuo ingrediente segreto è qui dentro di me.’
Tremotino espose un ghigno a quella proposta, iniziando a pensarci seriamente. In un certo senso lei doveva pagare per le sue azioni sconsiderate e beh, al pirata avrebbe pensato poi.
Con un gesto secco egli tolse la mano dal petto di Killian e gliela mostrò: Era vuota. Ciò voleva dire che aveva accettato lo scambio.
‘No, Esmeralda ti prego! NO!’ Killian ansimò e tossì cercando di riprendersi, di parlare, di impedirgli ciò che di fronte ai suoi occhi da lì a poco si sarebbe manifestato. Cercò di recuperare le forze.
Esmeralda non badò alle sue parole, era decisa ormai ad arrivare fino in fondo, e cercò di restare immobile mentre l’Oscuro si avvicinava a lei con un ghigno malefico.
‘Promettimi solo che dopo aver preso il mio cuore non gli farai più alcun male.’ Ansimò la zingara vicina alla fine. Era l’ultima cosa che voleva, l’unica di cui voleva assicurarsi affinché il suo gesto valesse qualcosa per lui.
Una smorfia di tacito consenso apparve sul suo viso. ‘Quando avrò ciò che mi serve non credo che il pirata m’interesserà granchè.’ Un lieve respiro di sollievo fuoriuscì dalla fanciulla.
‘TREMOTINO FERMATI!’, urlò Killian cercando di liberarsi di quella trappola. Non poteva essere, non di nuovo.
La sua rabbia si trasformò in un pianto di disperazione che gli bagnò il viso.
Tremotino si avvicinò, il suono dei suoi passi riecheggiava in tutta l’aria. La sua soddisfazione per ciò che stava per accadere era ormai impellente. Non vedeva l’ora di gustarsi la scena. Ormai era dinanzi a lei a osservarla meglio. Le accostò una mano al petto. Il viso della giovane era teso. Cercò di farsi forza, era lei ad averlo proposto. Lo stava facendo per Killian, per salvarlo e niente era più importante di questo.
Doveva pensare a questo.
Tremotino gli sentiva battere il cuore, il suono gli riecheggiava nelle orecchie, sempre più forte a ogni secondo.
Lontano da loro, poco più in là il pirata stava supplicando ad Esm di scappare e di ritrattare il patto, ormai nel completo delirio. Esmeralda chiuse gli occhi e con loro cercò di non udire Killian che la implorava di non farlo squarciando l’aria con le sue grida. Capiva il suo dolore, ma non poteva fare altro e lui avrebbe capito, magari non ora ma l’avrebbe fatto. Si convinse ancora una volta.
Il cuore accelerò ancora, i battiti si sovrapponevano l’uno all’altro, finchè il suono non diventò così forte da non riuscire a sopportarlo. Tremotino non poté che godere di tanta sofferenza. Di tutto quello strazio che aveva intorno e si stava godendo il momento appieno. In qualche modo anche il pirata stava soffrendo e togliendo il cuore alla sua amata, gli avrebbe inflitto lo stesso dolore che gli era stato inflitto quando quest’ultimo si era preso Milah pensò, e non c’era di meglio. Era la vendetta perfetta, anche migliore del suo piano iniziale. Quel momento era anche migliore di quando gli aveva portato via la mano e dentro di sé a quella deduzione l’Oscuro ne uscì entusiasta e un sorriso vittorioso gli si aprì sul viso.
La sua mano entrò di tutta forza nel petto di Esmeralda, intorno alla quale riversò tutta la sua forza afferrandolo per tirarlo fuori. La fanciulla aveva un espressione angosciata, gli occhi rossi e gonfi. Mai aveva provato quell’orribile sensazione. L’Oscuro con un gesto deciso estrasse il suo cuore soddisfatto.
Killian in quella visione ne uscì distrutto il doppio. Gli sembrava di rivivere l’incubo di ciò che accadde a Milah, ma questa volta era ancora peggio. Esmeralda per contro, crollò sulle ginocchia esausta, ansimante e… vuota.
Tremotino trionfante si voltò per mostrare il cuore della fanciulla al pirata e con evidente soddisfazione disse: ‘Quante ne fa l’amore eh? Se solo tu ora non avessi amato quel pirata..’ lo indicò con un gesto di puro sdegno. ‘Ora non ti troveresti in questa situazione: Io non avrei mai ricordato quel patto e tu ne saresti uscita illesa. Non saresti al suo posto ora, perché bada non avevo nulla contro di te. Ma ora? Ora farai tutto ciò che ti dico perché sei la mia burattina, e quando sarà giunto il momento ti ucciderò.’ Uno sguardo maligno gli balenò sul viso a quelle parole mentre guardava entrambi. ‘E riguardo al patto fatto poc’anzi: ti ho promesso che non farò alcun male al tuo pirata e mantengo la parola data, ma ciò non vuol dire che non ti ordinerò di farlo.’ E una risata altrettanto tracotante e di pura malignità riempì l’aria tutt’intorno facendo ghiacciare Esmeralda a cui restava ancora quel minimo sentimento.
Con un gesto liberò Killian e si dissolse prima che potesse raggiungerli con la vittoria in pugno.


Note Autrice:
Ehehe vi ho tirato un bel capitolo oggi, cambiando un po’ gli avvenimenti della puntata originale che è la 4x08, spero non me ne vogliate. Ma a me succede così: vedo una puntata e vedo Esmeralda in alcune e così è successo con questa.
Una ragazza mi ha detto: ‘E’ un po’ come se Esmeralda fosse in ogni frammento della storia che ci scorre davanti mentre vediamo OUAT. Cammina celata, quasi come se fosse sul dietro le quinte di tutto, e sta a noi vederla o meno.’ E’ esattamente così che potrei definire la mia entrata in scena di Esm.
E’ ovunque ma non c’è. Sarò io la pazza, ma per me è così. Mi andava di raccontarvi questo piccolo aneddoto, aspettatevi ancora delle belle vi dico solo questo.
Intanto, come sempre, spero che il capitolo sia di vostro gradimento e che non vi deluda.
Ringrazio chi aggiunge la storia ai preferiti/seguiti ogni giorno. Grazie mille davvero.
E spero vi piaccia la nuova copertina che ho creato per la storia, fatemi sapere insomma un po’.
 
Un abbraccio e al prossimo capitolo.
- Elle.

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Capitolo 17
*** XVII CAPITOLO ***


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CAPITOLO XVII
 
‘Killian, ti ho detto che sto bene.’ Ribadii la fanciulla mentre veniva avvolta da un ennesima coperta di lana pesante.
Era freddissima, quasi ghiacciata eppure sembrava non sentirlo. Killian sfregò la mano su di lei per creare calore e riscaldarla.
Killian andava su e giù per la stanza non riuscendo a tranquillizzarsi del tutto. Non volendo realizzare ciò che era appena accaduto. Un aria del tutto tesa riempiva l’intera camera rendendola irrespirabile quasi, ma Esmeralda non sembrava del tutto coinvolta in quest’emozione. Era tranquilla.
‘Come risolveremo tutto questo? Come hai potuto pensare che andasse bene così?’ schiarì Killian senza fissarla, troppo occupato a sbollirsi del tutto da quella voglia di spaccare ogni cosa avesse di fronte.
‘Io non ho nulla da perdere, tu sì. Hai già perso tanto, e non voglio che nella tua vita ci sia altro dolore. Hai Emma ora e devi proteggerla. Dovete proteggervi.’ Chiarii lei.
Killian non credeva a quelle parole appena pronunciate.
‘E nel momento in cui perderò te come credi starò eh? A questo ci hai pensato?’
‘Lo supererai, come lo hai già superato. E poi ci sarà Emma con te, ti aiuterà lei.’
Il pirata si mise la mano nei capelli stizzito. Come se fosse stato facile, come se lei non valesse niente.
Guardò altrove per non rendere evidente la rabbia che gli ribolliva nelle vene.
‘Non succederà. Tu non andrai da nessuna parte. Non lo permetterò, non di nuovo.’ Scosse la testa per affermare la sua decisione con espressione angustiata e occhi sbarrati.
Esmeralda in tutto questo era seduta su di un letto nella locanda della nonna, dove Killian l’aveva portata subito dopo, a guardare il vuoto.
Non sentiva nulla: né rabbia, né dolore, né gioia e né sconfitta albergavano in lei, ragionava con le emozioni che le erano rimaste e che le parevano ovvie dopo ciò che era accaduto.
‘Killian, ti chiedo scusa.’ Disse Esmeralda con voce incolore per attirare la sua attenzione e farlo calmare.
Quello si voltò non capendo dove volesse andare a parare. ‘Mi dispiace non averti raccontato della faccenda con Tremotino. Ho tramato qualcosa alle tue spalle senza dirti nulla. Mi dispiace tanto.’
Killian le sedette accanto.
‘Non m’importa. Anzi a dire il vero sarebbe stato meglio.’ Si forzò in una risata in quella deduzione ora. Forse per stemperare la tensione, forse per rassicurarla.
Lei cercò la sua mano, lui la strinse forte a sé.
Un attimo di silenzio avvolse la stanza mentre lui non faceva altro che osservarla. Non riusciva a credere a ciò che era accaduto e voleva esaminare con i suoi occhi ogni minimo cambiamento.
‘Emma come sta?’, chiese d’improvviso alzando gli occhi verso i suoi sperando in una buona notizia almeno in quella serata.
Killian pensò un attimo a quella domanda, tramortito quasi. Poi rise. Esmeralda non capiva il senso di tanta ilarità, lo guardò inquisitoria cercando di intendere.
‘Perché ridi?’, domandò aprendo il suo sorriso di rimando al suo più che per vero sentimento.
‘Come fai a preoccuparti degli altri anche in queste condizioni?’ chiese indicandole il petto.
Esmeralda fece spallucce.
‘E sempre stato così, credo e seguo le tue preoccupazioni. So che eri preoccupato per lei, l’ho percepito quando eri in negozio a parlare non so con chi.’ Rise in quello che ormai era un ricordo, che tuttora le sembrava buffo.
‘Tu eri lì?’, chiese incredulo spalancando i suoi occhi azzurri in un espressione di stupore. Ella annuì.
‘Come credi sia arrivata a quella casa? Ho seguito i tuoi movimenti e ho trovato la mappa sul tavolo.’
La guardò incredulo da quanta forza avesse avuto nell’affrontare quella situazione. Avrebbe potuto lasciar stare e starsene dov’era e invece l’aveva seguito. ‘Avevo intenzione di salvare Emma per te inizialmente.’ Continuò vedendolo attonito. ‘Poi però ho visto te, e i miei piani sono cambiati. Non potevo lasciarti tra le grinfie di quell’uomo. Non avrei potuto.’
‘E come avresti fatto?’, chiese curioso.
‘La verità? Non lo so. Avrei trovato qualcosa, ci avrei parlato.. non lo so. Non la conosco nemmeno.’ E cercò di ridere, anche se non lo sentiva appieno.
Il pirata ci pensò un attimo.
‘Emma sta… sta bene. L’ha salvata Elsa, so che non la conosci. Te la presenterò.’ Fece fiducioso. ‘Ti spiegherò ogni cosa per bene.’ Esmeralda annuì e rivolse il suo sguardo a terra.
‘Sono contenta che sia finito tutto bene.’
‘Tutto non direi.’ cercò di star calmo mentre le indicava il petto privo del suo cuore. ‘Come… come ti senti?’
Esmeralda fece una smorfia. Come si sentiva?
‘Hai presente quando ti ritrovi sott’acqua e senti tutto ciò che hai intorno in maniera lontana, quasi ovattata?’ Killian annuì. ‘E’ così che ci si sente. Non vivo appieno le emozioni che sto provando, le sento ma sono lontanissime e foderate e potrei dirti di essere in pace dopo tanto dolore ma sono completamente nulla senza il mio cuore.’ Constatò infine.
Killian prese la mano della fanciulla che aveva nella sua e se la portò sul petto facendola aderire al suo petto. La fanciulla poteva ben sentire sotto la sua mano un battito insistente e incessante.
‘Lo senti questo? vivrà per entrambi. Batterà per entrambi fino a quando non riavrai il tuo.’ Spiegò Killian sincero, mentre Esmeralda si lasciava trasportare dal momento, fino a quando una parola le risuonò in mente: ‘fino a quando non riavrai il tuo.’ Con la minima sensazione che le rimaneva in corpo si spaurì.
‘Killian cosa hai in mente? Ti prego non fare nulla di insensato o di stupido. Non rendere il mio gesto vano. Dimmi che non incontrerai quell’uomo e che non farai nulla per metterti in pericolo. Giuramelo!’ quasi urlò atterrita da quella probabilità che vedeva cristallina in mente. Il pirata si alzò di scatto lasciandole la mano e riprendendo a girovagare per la stanza.
‘Non ti perderò di nuovo. Non lo permetterò Esm!’, chiarii di spalle.
‘Killian basta cercare vendetta. Ti prego! E’ stata una mia decisione e non voglio ti accada nulla. Ti prego!’, lo supplicò la giovinetta alzandosi e afferrandogli un braccio per farlo scontrare con i suoi occhi.
‘Ti prego…’ lo supplicò nuovamente. ‘Rispetta la mia decisione perché lo sto facendo per te. E non pensare che io non senta nulla ora, perché sto avvertendo quella paura di perderti.’
Sul viso etereo e puro dell’uomo avevano iniziato a sgorgare delle lacrime di fronte a quell’evidenza dei fatti.
Esmeralda si era sacrificata per lui e lui non poteva far nulla per cambiare le cose. Era distrutto.
In tutto questo lei non voleva essere salvata, perché ne sarebbe andato di lui. Esmeralda stava pagando uno scotto che non era il suo, per l’ennesima volta e Killian non riusciva a farsene una ragione.
Esmeralda con le sue dita affusolate passò una mano sul suo viso e spazzò ogni segno evidente di dolore.
L’avrebbe superata pensò, e si cullò in quel pensiero perché per lui avrebbe fatto di tutto. Perché lui non avrebbe dovuto patire più nulla.
Era ormai tarda sera quando Esmeralda si addormentò tra le sue braccia ormai esausta, sul suo letto. Le era rimasto accanto per tutta la sera rimirandola e carezzandola anche ora. Le aveva detto di non lasciare la stanza, e appena usci dalla locanda incappò nel fante al quale ordinò, quasi, di tenerla d’occhio e facendo sì che ascoltasse il suo ordine.
Quest’ultimo all’inizio era del tutto restio a seguire le sue istruzioni, e fece per andarsene senza dargli peso, ed era stato per questo che gli aveva spiegato la situazione: Esmeralda non aveva il cuore. Proprio nel senso letterale del termine. E lui era l’unico a conoscenza della faccenda, nemmeno Emma sapeva nulla. Troppo presa da altro, che Killian non si sentì in grado di aggiungerci altro peso. Se ne sarebbe occupato lui, come all’inizio.
 
‘Coccodrillo! Dove sei?’ disse entrando con la stessa veemenza della mattina nel suo negozio di pegni.
Quello udendo il trambusto se n’è usci dal retro in tutta tranquillità.
‘Non so se conosce le regole di questo mondo capitano, ma siamo chiusi ora!’ esclamò con un ghigno di compiacimento.
‘Non me ne frega niente delle regole di questo mondo. Ridai il cuore ad Esmeralda.’ Ringhiò con gli occhi iniettati di sangue.
‘Oh caro, ma i patteggiamenti non sono ritrattabili.’ Il suo atteggiamento continuava ad irritare il pirata. ‘E poi per quanto vorrei deve pagare per ciò che mi ha fatto in passato. L’hai sentita anche tu dopotutto, e deve pagare per i suoi errori. E tu, capitano, dovresti saperne qualcosa.’ Constatò indicandogli l’uncino.
Un guizzo di rabbia attraversò l’animo del pirata che strinse il pugno.
‘Prendi il mio cuore. Era ciò che volevi prima di tutto questo, prendilo e lascia andare lei.’
‘Ora che ho il suo non mi serve più il tuo mio caro.’ Sorrise malefico.
‘Esmeralda non lo merita, non merita ciò a cui la stai destinando. Ha commesso uno sbaglio in passato, ma era in buona fede. Non ha mai avuto intenzione di ingannarti, lei è una delle anime più pure che conosca e se tu le ordinerai di fare i tuoi lavori sporchi, rendendola la tua burattina, ne pagherà le conseguenze per sempre anche se ora è sprovvista del suo cuore.’ Quasi lo supplicò come non avrebbe mai osato fare nella sua vita perché non avrebbe mai permesso che l’Oscuro le facesse fare qualcosa che andasse contro di sé. Esmeralda non avrebbe retto, piuttosto sarebbe morta nel rimorso perché qualsiasi cosa le avesse ordinato lei nel tempo l’avrebbe ricordata e l’avrebbe logorata. ‘E anche amica di tua moglie, Gold! A questo non ci hai pensato?’
‘Ed è anche per questo che ne tu, né lei le direte niente. E poi cosa ti fa pensare alle conseguenze dei suoi gesti? Non vivrà a lungo per patire le conseguenze dei suoi atti, perché il suo cuore è la chiave per liberarmi dall’asservimento del pugnale. Non credo, quindi che dovresti preoccuparti del futuro della tua Esm.’
‘Sai che non lo permetterò. Non permetterò mai che tu le faccia qualcosa, così come non permetterò mai che tu faccia qualcosa a questa città.’
‘Proprio non intendi capitano eh? Vedi con il suo cuore vi ho in pugno entrambi.’ Killian non intese e lo guardò confuso. ‘Non sarà lei a fare ciò che voglio, a fare i miei.. lavori sporchi. Sarai tu. Tu sarai il mio burattino.’ L’incredulità di Killian crebbe. ‘E sai cosa? Sarà la vendetta migliore per me perché sarai consapevole delle tue azioni e ne patirai il doppio macchiandoti di oscurità.’ Il suo ghigno malefico aumentò gustandosi la scena in cui il suo nemico ne diventava consapevole.
‘Tu sei completamente pazzo. Non farò mai ciò che dici.’
‘Mmh.. io non rifiuterei se fossi in te. L’Oscuro per permettergli la più ampia comprensione tirò fuori un cofanetto, lo aprì e ne estrasse un cuore. Era il cuore della fanciulla a cui lui tanto teneva e per la quale tanto lo supplicava. Risplendeva di purezza e un rosso vivido dominava in tutto e per tutto risplendendo.
‘Il cuore di Esm..’ dedusse il pirata rimirandolo.
Tremotino fu compiaciuto dalla sua comprensione. ‘Esattamente capitano, e ora lascia che ti mostri qualcosa che in tutti i miei anni anche io ho visto raramente.’ Tremotino avvicinò il cuore agli occhi dell’uomo che gli era dinanzi oltre il bancone indicando vari punti ben precisi. ‘Vedi queste? Sono difficili da vedere da lontano ma da vicino è facile distinguerle dal resto ed è facile capire che nulla in questo cuore è come gli altri.’
Killian si spaurì constatandone l’aspetto e digrignò i denti. ‘Cosa hai fatto? Cosa le hai fatto?’
‘Oh, io? Assolutamente nulla. Le crepe che vedi incise su di esso sono tutte le delusioni, disavventure, sconforti e odissee che ha avuto nella sua lunga vita, e tutte quelle che le sono state inflitte ovviamente: ci sei anche tu in tutto questo mio caro, e mi pare facile dedurre che ne ha avute davvero tante. Raramente in vita mia ho visto un cuore ridotto talmente a pezzi e sai qual è il pregio di tutto questo ai miei occhi? Che basta una piccola pressione su di esso affinché si sgretoli di fronte ai nostri occhi e lo riduca in poltiglia.’ Killian stava pensando ad un modo per acciuffarglielo e scappare, ma a quelle parole si arrestò e Tremotino l’aveva dedotto. ‘Esattamente capitano. Ogni tuo tentativo di prendermelo dalle mani potrebbe ritorcersi contro di te, ma oltre questo piccolo dettaglio che ti ho levato dalla mente credo avrai finalmente dedotto che se non farai ciò che ti ordino questo cuore non avrà vita abbastanza lunga così come la tua Esmeralda.’
Killian era nel pieno sconforto incapace di pensare in fretta ad una qualche via d’uscita. Le dita dell’Oscuro stavano iniziando a premere su di esso.
‘NO!’ urlò. ‘Okay, okay. Farò tutto ciò che vuoi.’ Quell’attimo di paura gli aveva attraversato l’anima. Tremotino ne usci compiaciuto.
Prese il cuore con entrambe le mani e lo ripose nel cofanetto richiudendolo.
‘Come ho detto: vi ho in pugno entrambi, mio caro.’.
 
[…]
 
Il caos dell’incantesimo della Regina delle Nevi stava per incombere in città, avevo lasciato Emma alla stazione di polizia quasi come se fosse un addio e non c’era cosa più orribile per me.
L’idea di ciò che stava per accadere mi terrorizzava alquanto e tutti in città avevano cercato di premunirsi per non fare del male a nessuno, ma avremo perso il senno, incapaci anche solo di pensare a chi c’era accanto e ci saremo uccisi a vicenda fino all’ultimo respiro. Fino a svuotare la città. Questo era ciò che si stava per preannunciare all’orizzonte.
Avevo lasciato Esmeralda alla locanda e mi ero tenuto lontano anche da lei per evitare anche di fargli del male. Non avrei voluto, ma sotto la maledizione chi avrebbe potuto dire ciò che avrei fatto? Ci saremmo urlati a vicenda o ci saremo uccisi direttamente? Come colpiva questa maledizione mi chiesi.
Poi un barlume, o meglio un pensiero mi spaurì: lì con lei c’era Will, e se le avesse fatto qualcosa? Iniziai a rivalutare la mia idea di legarmi al porto e la mia idea di avergliela affidata.
Un paio di secondi e la maledizione invase ogni cosa: ogni sguardo, ogni via, ogni persona fosse lì intorno. Tutti furono presi da una rabbia incontrastabile e tutti sembravano cercare la propria vendetta riversando la propria rabbia su qualcuno per qualcosa, mentre io? Io non sentivo assolutamente nulla di tutta quell’ira. Io ero come ‘normale’, come sempre, e mi chiesi perché.
Magari non avevo incrociato gente con cui avevo conti in sospeso, pensai, ma non era nemmeno quello a trattenermi dal peggio.
Nonostante il caos, a cui mancava davvero poco per far soccombere la città nel sangue, mi precipitai alla locanda per assicurarmi che Esmeralda fosse al suo posto, nella sua camera, al sicuro. E ad assicurarmi che non stesse inveendo contro qualcuno, magari contro quello stesso qualcuno che avevo messo come guardia.
Quando arrivai al piano di sopra tutto sembrava normale. Tutto era come era sempre stato, solo la porta era stranamente aperta. Nessuno lì davanti. E se fosse fuggita? Aprì piano l’anta e la ritrovai stranamente placida e calma intenta a sfogliare un libro che era lì accanto. Inutile dire che mi aspettavo che scattasse e inveisse contro di me attaccandomi in qualche modo, perciò mi avvicinai piano per afferrarla nel caso avesse avuto qualche malsana idea.
‘Ci crederesti che non ho mai letto un libro? Cioè ho letto di tutto nella mia esistenza, ma non mi sono mai inoltrata in un libro. Dovrei iniziare probabilmente? Anche se senza cuore dubito di sentire le emozioni di cui mi ha tanto parlato Belle.’ Sorrise ancora concentrata su quel ragionamento e fu come se il caos che fuori stava per esplodere fosse solo un illusione. In quella stanza, in lei sembrava fosse un mondo a parte lontano da Storybrooke e da ogni sua prova. Fui felice di constatarlo anche se non riuscivo a spiegarmi il perché.
‘Stai bene?’ esclamai sollevato prendendole il viso e guardandola meglio per vedere se in lei una manifestazione di odio o rabbia stesse per affiorare. Le ne uscì confusa.
‘Tutto okay, perché me lo chiedi?’ chiese scrutandomi come suo solito per decifrare ed estorcere le mie emozioni. Era sempre un duro colpo quando i suoi occhi incontravano i miei, specie ora che mi sembravano sempre perennemente vuoti, senza quella viva scintilla che li contraddistingueva. Sembrava che quegli smeraldi fossero opachi, ostruiti da strati e strati di polvere come i vecchi specchi nelle vecchie case disabitate e abbandonate, e io volevo tirar via quello strato al più presto. Mise una mano sul mio petto per constatare i battiti del mio cuore. ‘Sei agitato. Perché sei agitato?’ chiese intendendo il pericolo.
‘Ascoltami: qualsiasi cosa tu senta, veda questa notte non devi uscire di qui, okay? Promettimelo.’
‘Killian che succede?’ chiese ostentando preoccupazione.
‘Tu non devi preoccuparti di nulla, resta chiusa qui fino al mio ritorno. Promettimelo.’ Cercò nuovamente di dibattere per saperne di più ma non glielo concessi. Non aveva il cuore è vero, e probabilmente quello che stava accadendo sarebbe stato poco per lei ma non volevo preoccuparla in nessun modo e magari stavo sbagliando, magari avrei dovuto dirle tutto. Tutto ciò che stava accadendo e tutto ciò che avevo fatto per proteggerla ma non c’era tempo e volevo solo tenerla al sicuro per un altro po’ con quella convinzione che sarebbe andato tutto per il meglio. La cercai con lo sguardo e le permisi di trovarmi, di trovarsi come sempre.
‘Te lo prometto.’ Si limitò a dire poco convinta ancora con le mani sul mio petto.
Un ultimo scambio di sguardi, un attimo per respirare entrambi.
‘Chiuditi dentro e non lasciare entrare nessuno. Io tornerò al più presto, te lo prometto.’ Dissi e le baciai la fronte come se fosse una bambina, e in quel bacio riposi tutto il mio amore per lei.
Stavo per voltarmi e andar via quando mi afferrò la mano facendomi voltare.
‘Promettimelo.’ Scongiurò affidandosi a quella promessa di ritorno con una vena di apprensione. Strinsi la sua mano.
‘Te lo prometto tesoro.’ E volai oltre la porta.
 
La notte era ormai calata sulla piccola cittadina del Maine quando mi avviai nell’unico posto plausibile a tutto questo. Il primo che avevo pensato. Quando raggiunsi il posto – per l’ennesima volta in quella giornata – mi ritenni quasi in salvo dalla marmaglia e dal caos che fuori invadeva le strade.
Quando entrai lui era al suo bancone intento a fare i suoi comodi, e mi mascherai di una calma che non avevo per davvero per non sembrare ostile.
‘Dov’è tua moglie? Non ti ha ancora ucciso?’ chiesi pungente immaginandola presa dalla maledizione.
‘Non sono affari tuoi.’ Rispose fermo e irritato. ‘Cosa ti ha portato qui?’
‘E’ come nuotare con gli squali là fuori.’ Notai. ‘Appena sentiranno sapore di sangue, inizieranno a distruggersi a vicenda.’
‘Beh, per tua fortuna non sei uno di loro a quanto pare.’ Constatò continuando ad aggiustare le sue cose.
‘Perché sono immune alla maledizione della nube?’ chiesi infine prendendo la palla al balzo. ‘E perché Esmeralda non è stata colpita da tutto questo.’
‘Perché ho bisogno di te, mio caro. E non potevo non approfittare di questo giorno in cui regna il caos per farti passare inosservato in qualche mio compito per te. Per quanto riguarda la tua amata zingarella il suo cuore non è nel suo petto. E’ qui, nel negozio, con me. Sotto protezione per così dire. ’
‘Cosa ti serve Coccodrillo?’, dissi mentre l’ira iniziava ad avanzare.
‘Una volta fatte le valigie porterò Belle al confine della città. Devo trovare Henry e fare la stessa cosa.’ Spiegò.
‘Quindi pensi ancora di andartene?’
‘Domani sera, quando le stelle del cielo si allineeranno con le stelle del cappello, potrò liberarmi di questo pugnale, ed essere dall’altra parte di questo muro di ghiaccio prima dell’alba.’ Disse tenendolo in mano prima di riporlo nella valigia.
‘Stai dicendo che esiste un maledetto modo per uscire da qui?’
‘L’Oscuro trova sempre un modo.’
‘Beh, se l’Oscuro è così potente, perché non fa un incantesimo per portare suo nipote da lui?’
‘Perché quello richiederebbe sapere dove l’ha rinchiuso sua madre per tenerlo al sicuro. Ora, a meno che tu non abbia veramente bisogno di quella lingua, ti suggerisco di strisciare fuori nella corrente ostile e di trovare Henry.’ Disse con fare indaffarato e intimidatorio avvicinandosi. ‘Ti servirà questo.’ E mi porse un boccetta con della polvere rossa che infilai nel taschino interno della giacca.
‘Non vincerai. I malvagi non vincono mai.’ Chiarii sulla porta cercando di fargli arrivare il mio disprezzo.
‘Non essere ridicolo mio caro. Quando Belle ed Henry si sveglieranno domani mattina a New York, non si ricorderanno nulla di stasera. Dirò quindi che la Regina delle Nevi ha distrutto Storybrooke nonostante abbia cercato di salvare tutti. Non sarò un malvagio, sarò un eroe.’
Cercai di trattenere il mio disprezzo verso quel viscido coccodrillo che mi si presentava davanti. Se avremmo superato tutto, anche se non avevo alcuna speranza in merito, giurai a me stesso che gliel’avrei fatta pagare per ciò che stava causando a Storybrooke, ma ora? Ora non avevo alcuna scelta, come aveva detto lui ora mi teneva in pugno ed ero diventato il suo burattino per proteggere qualcuno che amavo. Gli dedicai tutto il mio odio ed uscì dalla stessa porta da cui ero entrato.
Inutile dire che la maledizione non fece altro che portare tumulto in ogni dove. Ogni angolo della città era fuori di sé, e tutti cercavano un appiglio per attaccare briga e iniziare uno scontro. Le uniche dalla mente lucida, Emma ed Elsa cercavano una soluzione cercando la Regina delle Nevi che camminava indisturbata rimirando la sua opera e aspettando che terminasse tutto per il meglio. Per il suo meglio.
Nel frattempo, il pirata, contro la sua volontà cercava di recuperare Henry per portarlo all’Oscuro. Era uno dei gesti più vili che stesse facendo e mentre lo faceva si maledì mille volte perché sapeva quanto danno avrebbe arrecato alla sua Emma con un gesto del genere, e perché in cuor suo aveva iniziato anch’egli ad affezionarsi al ragazzo per questo ancora di più quell’ordine impostogli gli pesava sul cuore e sull’animo. Fortunatamente, però, Il ragazzo riuscì a fuggire e Killian ringraziò la sua buona stella, per qualche secondo, che fosse andata in quel modo.
Quando tornò dal Signor Gold non potè però che dimostrare il suo rammarico per aver fallito con un pizzico di sarcasmo.
‘Henry è scappato.’ Annunciò entrando mentre fuori la maledizione era stata sventata e una nevicata piuttosto fitta iniziò a cadere. Un nuovo giorno stava per tornare e tutti in strada, nei vicoli iniziarono a riacquistare lucidità.
‘Quindi hai fallito…’esordì l’Oscuro scuro in volto. ‘Nel rapire un bambino. Anche il piano della Regina delle Nevi è fallito, ma il mio non fallirà.’
Un attimo di teso silenzio attraversò l’aria tra i due fin quando Killian vinto dalla rabbia sbottò: ‘Eppure l’hai salvata. L’hai salvata quella volta in ospedale dall’attacco di Zelena. Perché ora ti accanisci su questo, perché ti accanisci su di lei che non era nemmeno nei tuoi piani?’
L’Oscuro rise tracotante alla vista di tanta ira.
‘L’ho salvata, è così, perché l’ha voluto Belle. In qualche modo mia moglie la conosce e sembra essere affezionata a lei ed è per questo che lo feci, ma se avessi ricordato quell’avvenimento, se avessi ricordato ciò che mi è stato fatto… non avrei esitato un attimo ad ucciderla. Avrei inventato una qualche complicazione a Belle che non ero stato in grado di contrastare e boom! Sarebbe finita lì, ma con il senno di poi ringrazio la mia buona stella di non averlo fatto quando non era necessario perché ora posso sfruttarlo al meglio.’
‘Lei non ti ha fatto nulla. Ciò che ha fatto, come ogni cosa, ogni suo gesto non è mai stato fatto con secondi fini. Ogni gesto da lei compiuto è sempre stato fatto con il cuore, con quello stesso cuore della quale ora l’hai privata. Cosa pensi dirà, o ti farà Belle, quando lo scoprirà? Sono io colui che ti ha portato via Milah, sono io che ho causato dolore a te e a tuo figlio, non lei. Lei non c’entra nulla.’
‘Oh ma Belle non ricorderà nulla di tutto questo. Come ho detto ieri notte: io sarò l’eroe.’
Killian serrò la mascella, strinse il pugno, del tutto incapace di tollerare quell’incubo più simile ad un empasse dalla quale sembrava non esserci via d’uscita.
L’Oscuro continuava a fissarlo.
‘Oh proprio non capisci la situazione mio caro, lei è la combinazione perfetta.’ Sorrise in quell’idea. ‘Non solo pagherà per il torto che ha fatto al vecchio me, ma mi libererà dall’asservimento del pugnale e cosa ancor più grande causerà in te un dolore immenso di cui io godrò in ogni singolo istante, perché in nessun modo saresti in grado di salvarla. E mi serviva proprio lei per fartela pagare al meglio, perché vedi capitano, il tuo affetto per lei è palese. E’ così palese che anche i sordi e i ciechi sarebbero in grado di accorgersene. Faresti di tutto per lei, anche macchiare il tuo cuore in gesti consapevoli come stai dimostrando. Lei è il tuo perno, il tuo mondo, il tuo oceano. Per parlare in termini marinareschi lei è la tua ancora. Siete come cielo e mare che si fondono all’orizzonte formando un tutt’uno.’ Killian si rivide nella perfezione di quell’immagine e ne uscì sbalordito: lei che per ore fissava il cielo, e lui che era sempre stato dedito al mare. Cielo e Mare. Erano loro nel modo più esatto. ‘Vedi quindi perché è lei il connubio perfetto? Perché è vero tu hai fatto molto più di quanto abbia fatto lei a me, ma lei c’entra eccome! È lei la tua anima. Potrei anche prendere il tuo cuore e ucciderti, potrei massacrarti o privarti di qualsiasi altro arto ma la tua anima comunque resterebbe intatta, a cosa servirebbe? Tu devi vivere con il dolore che ho provato io per secoli, solo così la mia vendetta su di te sarà terminata.
Goditi appieno il tuo ultimo giorno con la tua dolce zingara, godetevi la nevicata perché sarà la tua ultima volta con lei. E spero che tu la prenda bene dato che ti sto offrendo la possibilità di salutarla. Non è di tutti questo privilegio.’ Fece gongolando di quel dolore che stava arrecando. Killian scosse il capo, chiuse gli occhi e serrò il pugno per reprimere la sua violenza che non avrebbe portato a nulla di buono, a nulla di sano. Non avrebbe cambiato la situazione.
‘Concedimi almeno un ultimo desiderio.’ Avanzò calmo, quasi rassegnato dall’evidenza dei fatti che si stavano sempre più avvicinando.
‘Non ho nessuna voglia di fare altri patti con te.’
‘Lascia Emma e il resto di Storybrooke in pace. Non c’è motivo di far loro del male.’
‘Quando attraverserò il confine della città, con la mia magia ancora intatta, Emma e Storybrooke non avranno niente da temere da me. Almeno finchè non mi intralceranno. Ma non posso promettere la stessa cosa al resto del mondo.’ Disse proponendo la sua aria sfacciata mentre Killian sembrava diventato di pietra incapace di arrendersi a un sopruso. Lo odiava, lo odiava con tutto se stesso.
‘Cos’è quell’espressione, capitano? Pensi al lato positivo della cosa: tra un paio di giorni non si sentirà più combattuto. Potrà stare con Emma, senza nessuno di troppo, non n’è felice?’ continuò quello infierendo e ridendo. ‘D’altronde ci sei passato con Milah, e con lei. Ti riabituerai, tranquillo.’
Killian lo fulminò con lo sguardo mentre era a pochi centimetri da lui e la sua tracotanza non facevano che aumentare d’intensità. Si sentiva un inetto, un completo e assoluto inetto mentre il signor Gold si nutriva di quei dispiaceri e dolori che il pirata cercava di sopprimere, ridendo in maniera velata di fronte a tale situazione mentre usciva dal proprio negozio.
‘Ti ucciderò Coccodrillo! Ti ucciderò, fosse l’ultima cosa che faccio.’ Lo sentì imprecare mentre chiudeva.
Decisamente questa era la miglior vendetta che potesse chiedere: il pirata aveva fatto tutto ciò che gli era stato chiesto per proteggere il cuore della sua Esmeralda compromettendo il suo contemporaneamente macchiandolo di oscurità. Un oscurità che lo avrebbe divorato e avrebbe dilaniato la sua anima, in tutto questo gli avrebbe portato via la cosa più preziosa che avesse, quella fanciulla a cui tanto teneva.
Milah non era stata nulla in confronto a quest’ultima. Quando le avrebbe frantumato il cuore lo avrebbe fatto lentamente di fronte ai suoi occhi e si sarebbe goduto lo spettacolo finale anche meglio di quanto le aveva strappato il cuore tra le sue grida e i suoi implori.
Sì, questa era decisamente la vendetta perfetta e non poteva chiedere di meglio, pensò camminando sotto la fitta coltre di neve. 


Note Autrice:
Anche se con una linea del tutto instabile sono, finalmente, riuscita a pubblicare il diciasettesimo capitolo della mia storia. 
Ci ho messo un po' ma spero, come sempre possiate gradire e apprezzare. 
Il capitolo riprende - in parte - gli episodi. 
Come sempre ringrazio chi ogni volta mi lascia un suo parere e chi l'apprezza. Grazie mille.
Spero che questo capitolo vi piaccia. Fatemi sapere, e buona lettura se deciderete di leggerlo. C:
Alla prossima. 

PS: Scusate eventuali errori. 


- Elle.

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Capitolo 18
*** XVIII CAPITOLO ***


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CAPITOLO XVIII
 
 
 
 
Una lieve luce mattutina iniziò a coprire ogni angolo di Storybrooke facendo presagire che ormai fosse l’alba.
Esmeralda se n’era stata per tutto il tempo su quel letto senza una vera emozione distinta, che riemergesse dalle altre, dentro di sé. Per quanto fosse facile in alcuni casi, era snervante non provare nulla di fronte al putiferio che c’era stato la notte precedente e a cui lei aveva assistito da dietro una finestra, del tutto isolata, come spettatrice. In più quanto poteva dirsi preoccupata per Killian che non vedeva dalla sera precedente? Milioni di domande in suo riguardo le annebbiavano la mente. Le aveva promesso un suo ritorno e lei confidava, con quel minimo di sé, di vederlo varcare quella porta che ormai fissava da minuti interminabili, sano e salvo come l’aveva lasciato la sera precedente.
I minuti, le ore e i secondi passavano lenti in virtù di quella speranza fin quando la porta non si spalancò.
Una figura abbastanza conosciuta ai suoi occhi si fece avanti entrando dedicandole un lieve sorriso, amareggiato. Esmeralda non aspettò oltre, sentiva quell’impellente istinto di sentire il suo corpo per accertarsi che non fosse un’illusione e che stesse bene: che fosse sano e salvo come aveva sperato nelle ultime ore, così si precipitò a stringerlo forte spiazzando Killian che non si aspettava un simile impeto, e facendolo quasi cadere per quello slancio non programmato.
‘Ehi. Sto bene. Va tutto bene.’ E si convinse per prima lui di ciò mentre la stringeva forte a sé.
Restarono in quella posizione il tempo di stabilizzarsi, poi Esmeralda tornò a fissare i suoi occhi azzurri. ‘So che nelle mie condizioni sembra incredibile ma ero davvero preoccupata per te. Temevo ti accadesse qualcosa.’
Killian, nel frattempo, con l’uncino chiuse la porta alle sue spalle mentre con l’altra teneva stretta la sua mano.
‘Sto bene piccola, me la sono cavata. Sai che riesco a sopravvivere.’ Lo stesso sorriso di prima tornò a farsi strada sul suo volto mentre impercettibilmente le voltava le spalle per poggiare qualcosa sul tavolo lì accanto.
‘Hai ferito qualcuno? Stanno tutti bene?’
‘No, nessuno. Stanno tutti bene.’ E quel tutti lo trascinò a fatica per renderlo credibile alle sue orecchie.
Esmeralda sospirò, quasi sollevata da quella notizia. ‘Ti racconterò tutto appena avrai mangiato qualcosa. Devi avere fame, è da tanto che sei chiusa qui.’ Le fece notare indicandole il sacchetto poggiato poc’anzi. Esmeralda sorrise in quel deja vu, in quelle parole che la riportarono indietro di secoli.
‘Tu che mi porti del cibo, io che me ne sto qui chiusa da giorni. Siamo proprio tornati ai vecchi tempi, capitano!’ scherzò trascinandolo per mano al tavolo.
Killian non ci aveva affatto pensato, si poteva ben dire che ci fosse ben altro nella sua testa a vorticare, ma era vero. La situazione in cui erano ricordava esattamente quella.
‘Già.’ Ammise ancora scuro in volto e sperò che Esmeralda, per la fame, non lo notasse. Passarono il mattino così, tra ricordi di una vita passata in cui erano insieme e si amavano inconsapevolmente, incapaci di dichiararselo, perché se così fosse stato le cose sarebbero andate in maniera diversa e ora non sarebbero a questo punto maledetto, pensò Killian. Era difficile lasciarla andare di nuovo, a questo lui non poteva rassegnarsi e non poteva smettere di pensare nemmeno per un minuto, anche mentre lei parlava di tutt’altro lasciandosi andare in aneddoti e storie che lui aveva persino dimenticato e lasciando stare il male e il peggio. Di quegli anni Esmeralda ricordava solo il sole, o forse era perché era privata dell’organo fondamentale che dava vita ai sentimenti. Qualsiasi cosa fosse a spingerla in quei ricordi lui si fermava ad ascoltarla senza davvero interromperla.
La fissava soltanto lasciandosi trascinare da quell’apparente beatitudine che le cullava il volto fino a tornare nuovamente al punto focale di tutto, su cui lui non riusciva a smuoversi.
‘Questa volta è diverso. Questa volta sei qui perché devi essere protetta. Questa volta devo fare di tutto per salvarti da quell’uomo.’ Osservò deciso fondendo il suo azzurro mare con i suoi occhi, ponendo fine a quel momento di pace apparente.
Esmeralda abbassò lo sguardo sul tavolo, sorridendo quasi. ‘Non ti stanchi mai, vero?’
‘Di fare cosa?’, chiese lui interdetto.
‘Di cercare di salvarmi anche quando non ce n’è bisogno. Io non ho bisogno di essere salvata. Sto bene così e vorrei che tu lo comprendessi davvero.’ Ed una serenità palese le incorniciò il volto, una serenità a cui Killian restava incredulo.
‘L’unico motivo per cui parli così è perché non hai il cuore nel petto, sai anche tu che non è così.’ Cercò di convincerla, di stanarla da quella convinzione.
‘Inizio semplicemente a rivalutare la situazione prendendo il suo lato positivo.’
‘E cioè?’
‘Cioè che per la prima volta nella mia esistenza mi sento leggera e libera da ogni dolore e sconfitta che mi sia mai capitata. Tutto non è altro che un ricordo spiacevole e sbiadito a cui posso finalmente guardare senza sentirmi incessantemente male. Tutto ciò che è e che è stato per la prima volta non mi fa alcun male. Per la prima volta non sento assolutamente nulla.’ Sorrise quasi beata in quella dichiarazione e Killian stentava a crederci.
‘E questo è un vivere secondo te? Ti senti bene in questa condizione?’
‘Quando nella vita non hai altro che pene e sofferenze, sì.’ Fece tranquilla e la cosa inquietava ancora di più il pirata che si alzò stizzito da simili idee che non riusciva a condividere.
‘Tu non sai ciò che dici!’
Esmeralda gli afferrò un braccio e gli si avvicinò. ‘E’ tanto difficile per te accettare tutto questo? Vedermi stare bene?’
‘Voglio vederti star bene più di qualsiasi altra cosa al mondo Esm, ma il tuo non è uno stare bene lo capisci? Senza un cuore non sei davvero tu!’ Gridò infine lasciando sgomenta la fanciulla di fronte a tanto accanimento. Esmeralda, ancora con gli occhi fissi nei suoi, in un gesto quasi meccanico lasciò il suo braccio e si diresse alla finestra che dava sul cielo che nel frattempo si era ingrigito riempiendosi di nubi cariche pronte ad esplodere. Non poteva capire appieno quanto tutto quello fosse beato per lei.
Il pirata sospirò, pronto a riprendere la dovuta calma.
‘Esm, non ti accadrà nulla, okay? E presto riavrai il tuo cuore.’ Le promise appena riacquistò un po’ di calma e respiro.
‘Non credo debba preoccuparti di questo, insomma quanti giorni sono passati da quando… tutto questo è successo? Dovevo essere la burattina del signore Oscuro ma nonostante l’abbia detto non mi ha ancora ordinato di fare nulla, a meno che in quei momenti oltre a non avere cuore perdi anche la memoria. Insomma che lo ricordi sono sempre stata qui.’ Disse voltandosi verso Killian con le braccia al petto e prendendolo in un momento cruciale.
Il suo sguardo, i suoi atteggiamenti le mostravano un qualcosa che non andava.
Killian piegò la testa guardando a terra muovendosi irrequieto quasi, e mordendosi le labbra come a costringerle a sigillarsi.
‘Killian, cosa mi nascondi?’, era un libro aperto per lei, lo era sempre stato e nemmeno ora la cosa era cambiata.
‘Perché dovrei nasconderti qualcosa?’ disse alzando colpevole lo sguardo e incrociandolo con il suo che lo inchiodò all’istante facendola trasalire.
‘Perché ti conosco meglio di chiunque altro, e perché il tuo sguardo ora mi suggerisce cose che non vorrei neanche pensare. Cosa hai fatto Killian?’, ribadì dura.
Killian esitò ancora indeciso.
‘Killian!’, tuonò la fanciulla tesa.
‘Se l’Oscuro non ti ha ancora chiamato non è perché non lo ricordi, ma perché mi sono offerto a lui affinché non corrompesse la tua anima e il tuo cuore.’
Esmeralda ebbe un tonfo. Fece fatica a respirare e quasi ebbe un mancamento di fronte a quella rivelazione. Si aggrappò, con forza alla sedia lì accanto e chiuse gli occhi affinché tutto tornasse al proprio posto. Tutto girava vorticosamente e benché non sentisse nulla di davvero pronunciato dentro di sé, si sforzò di starci male perché quella era l’unica reazione.
Lei gli aveva detto di tenersi lontano dall’Oscuro e ora per proteggerla, di nuovo, aveva corrotto il suo cuore.
‘Io non posso crederci.’ Biascicò incredula di fronte ad una simile dichiarazione. ‘Io non ci voglio credere. Ora a cosa pensi sia servito il mio gesto? Per cosa l’ho fatto? Hai un cuore Killian e hai corrotto il tuo in modo consapevole per cosa? Hai vanificato il mio gesto. Hai reso tutto inutile ora.’
‘Esm, ti prego, lascia che ti spieghi…’
‘Non c’è bisogno che mi spieghi nulla… io non ti capisco. Non capisco la tua continua paura di perdermi quando hai già convissuto con questa consapevolezza. Io… Mi manca l’aria. Devo uscire di qui.’
Killian tentò di afferrarla con la mano buona, ma lei abilmente lo sviò aprendo la porta e correndo giù per le scale dove il pirata la perse definitivamente di vista.
‘Maledizione!’, esclamò a denti stretti.
 
-
 
Esmeralda era fuori da un tempo del tutto considerevole e pur non sentendo dentro di sé una vera e propria rabbia sentiva di doversi comunque sbollire. Era ciò che avrebbe fatto se avesse avuto un cuore e le sue emozioni al proprio posto, pensò. E poi non se la sentiva di stare nella stessa stanza con l’uomo che l’aveva tradita in un certo senso, ed era meglio stargli lontano per un po’.
Non capiva quella sua insana paura, non riusciva a comprendere il perché si fosse messo in pericolo quando lei aveva cercato di preservarlo da quell’evenienza, di salvarlo. Si sentiva non presa sul serio. Si sentiva inutile, anche in quel modo perché ciò che aveva fatto per lui non l’aveva lasciato intatto.
Okay, adesso era senza cuore, e che male avrebbero fatto quindi le sue azioni dettate da Gold al suo cuore che lui decantava di dover proteggere? Nulla, il suo cuore non sarebbe stato minimamente intaccato dai suoi gesti.
Perché non ci aveva pensato? Perché non ragionava su quella che era la verità delle cose?
Semplice, non lo faceva perché c’era Esmeralda di mezzo, e quando c’era lei tutto cambiava.
Ti proteggerò, qualsiasi cosa accada ora che ti ho ritrovata. Ecco cosa le aveva detto quando l’aveva ritrovata, ed ecco come quella promessa continuasse a costargli la vita.
Vagava incerta senza una vera meta, vagando tra i mille pensieri che la guidavano in quella piccola cittadina, quando si ritrovò davanti al negozio di pegni del Signor Gold. Un bisogno irrefrenabile di entrarci la alimentava a muovere quella maniglia che aveva dinanzi ed entrare.
Con un rapido gesto, di cui quasi non si accorse, si ritrovò all’interno dell’esercizio in cui Gold sembrava attenderla.
‘Oh, mia cara, finalmente ho il piacere di rincontrarti.’
‘Cosa vuoi da me?’. Esmeralda lo fissò mentre le ruotava intorno per osservarla.
‘Ora, saprai certamente perché non ti ho invocata fino ad ora –‘, la zingara si sentì tramortita dal fatto che lui conoscesse già il fatto che lei sapesse cos’era successo.
‘Te l’ha detto Killian?’, provò lei, fissandolo con sguardo duro.
L’Oscuro fece una smorfia abbassando lo sguardo con un ghigno.
‘Il tuo Killian? No, quel pirata non mi direbbe mai nulla. No, vedi quando hai il cuore di qualcuno non solo puoi controllarlo per farsì che faccia tutto ciò che vuoi, ma puoi anche sentire le loro conversazioni, sentire l’ansia che gli scorre nelle vene senza arrivare da nessuna parte, mentre si aspetta qualcuno.’ Si corresse, puntandola con lo sguardo. ‘Tu sentirai le tue emozioni come un alone lontano, io le vedo qui distintamente.’ E le indicò il cuore che aveva tra le mani per farle capire meglio, poi tornò dietro il bancone principale.
‘Ora ascoltando la vostra adorabile e fitta conversazione piena di melodramma, ho potuto constatare che Elsa e Anna sono ancora qui a Storybrooke perché non hanno modo di andarsene per via del confine lasciato dalla Regina delle Nevi. Beh, a me loro qui non servono, anzi le voglio fuori di qui al più presto. Non posso avere Anna qui in città.’ Si fermò a constatare l’Oscuro pensando ad un modo per allontanarle. ‘E qui, qui entri in gioco tu: Dovrai tenere Anna lontana dal negozio.’
‘Ma io non conosco Anna, non so che aspetto abbia… io…’
‘Oh, andiamo zingarella, non è un compito arduo per te, non ti sto chiedendo di uccidere nessuno. Devi assicurarti che Anna, una adorabile ragazza dalle trecce rosse, non si avvicini a questo negozio fino a stasera. Fino a quando le stelle e il cielo si allineeranno con quelle del cappello, cosicché io possa finalmente liberarmi dal pugnale. Stasera farò quello che avrei dovuto già fare anni fa, e tutto accadrà grazie a te.’ Disse rivolgendole un sorriso che di benevolo non aveva proprio nulla. ‘E ora và, mia cara. Assicurati di fare ciò che ti ho chiesto fino a quando non ti richiamerò. A stasera.’ Ridisse l’uomo mentre sorrideva compiaciuto del suo piano e allontanava la fanciulla dalla sua attività.
[…]
Poco lontano, poche ore dopo Killian era ad un tavolo seduto accanto alla sua Emma, e ai tre ragazzi di Arendelle in cerca di una soluzione che li riportasse nel proprio regno.
Un scampanellio improvviso annunciava la venuta di un nuovo cliente al Granny’s, probabilmente era l’ennesimo da quando erano lì, e Killian intrappolato tra i mille arrovellamenti e pensieri non badò granchè al nuovo arrivato mentre concentrato, ticchettava le dita sul tavolo in cerca di un illuminazione prodigiosa. Quando, d’improvviso, nei suoi pensieri udì la sua voce chiamarlo.
‘Killian?’, disse la fanciulla, cercandolo con lo sguardo, quasi trafelata.
‘Esm? Stai bene?’, disse muovendosi tra gli altri per raggiungerla. ‘E’ successo qualcosa?’, chiese mentre l’esaminò.
‘Io… io sto bene.’, disse con il fiato corto.
Killian prese una brocca d’acqua li accanto e riempiendo un bicchiere glielo porse per aiutarla.
Esmeralda lo bevve in fretta, e poggiò il bicchiere sul bancone. Sembrava agitata, ma come poteva esserlo se non aveva un cuore?
‘Esm, che hai?’ continuò Killian, stavolta più apprensivo.
‘Io… ho trovato un portale.’ Tagliò corto la ragazza senza troppi preamboli.
Killian spalancò gli occhi sottolineando la sua evidente incredulità. ‘Tu hai trovato… cosa?’
‘Si, vedi, in seguito alla discussione che abbiamo avuto stamane… ho trovato un portale. Beh, in realtà ho chiesto aiuto a Gold, perché volevo aiutarvi nella vostra ricerca senza rimanere inerme come ieri, e quindi l’ho cercato in cerca di aiuto e lui me ne ha indicato uno: Una porta in una sala da ballo di quella villa vicino al lago.’ Gli indicò illuminandosi di un insolita audacia.
‘Tu sei andata da Gold? Come? Quando?’, Killian iniziò a riscaldarsi a quel nome, ad innervosirsi. Saperla accanto a quel viscido coccodrillo gli faceva ribollire il sangue. E se ogni favore chiesto a Gold aveva un prezzo ora qual’era il suo da scontare?
‘A che prezzo? Cosa ti chiede in cambio ora per quest’aiuto?’, chiese rosso in volto.
Esmeralda si fermò un attimo a pensare, incerta su cosa dirgli.
‘Niente, non mi ha chiesto nulla per questo favore. Ha asserito dicendo che questo è l’ultimo favore che mi farà data la mia imminente… partenza, ma non voglio che ti focalizzi su questo. Prima, quando me ne sono scappata in seguito alla nostra discussione in tal proposito. Non potevo continuare ad indugiare, tutti qui stanno facendo qualcosa e io non voglio starmene con le mani in mano, e sì sono andata da Gold, ha il mio cuore dopotutto, cosa potrebbe farmi ancora? Comunque, mi ha dato molte informazioni sul portale, su come portare quella Regina delle Nevi nella sua terra. Di cui… mi hai detto il suo nome? Ora non lo ricordo. Ma la cosa è che funziona e che possiamo fidarci, credimi. Tutto ciò che devono fare è attraversarla e saranno ad Arendelle.’ Disse la fanciulla forzando un sorriso, mentre Killian sembrava confuso di fronte a quegli atteggiamenti tanto inusuali per lei. Non che non si importasse degli altri, quello no, solo che era terribilmente strana ai suoi occhi. Qualcosa non tornava e Killian non capiva cosa, mentre continuava a fissarla.
‘Dico ad Emma e agli altri ciò che mi hai detto, ma tu aspettami qui senza scappare, ok?’
‘Benissimo. Tu vai, ma io non posso restare… devo incontrarmi con Belle proprio ora, in effetti.’ E fece per andarsene dalla stessa porta da cui era entrata.
‘Ehi.’ La richiamò il pirata afferrandola per i fianchi e posizionandola davanti a sé in cerca del dettaglio che non andasse con tutto quello che gli era di fronte. Più cose continuavano a dirgli che qualcosa non quadrava in lei. ‘Esm, vuoi dirmi che succede? Ti vedo… strana.’
‘Perché? Perché cerco di aiutare gli altri? Non ho nulla. Sto bene.’ E sull’ultima sillaba qualcosa cambiò, qualcosa si spezzò e Killian non potè fare a meno di notarlo in silenzio, senza aggiungere altro.
Si lasciò convincere da quella versione ai suoi occhi, mentre dentro continuava a rimuginare su quel particolare che ancora non era riuscito a cogliere.
Quel dettaglio che avrebbe svelato tutto l’arcano.
Esmeralda si mosse lenta, quasi stesse riflettendo, quasi come se ci fosse altro da aggiungere ma che non aggiunse. Il suo sguardo vivo si era spento di colpo e piano si alzò sulle punte per posargli un leggero bacio sulla guancia prima di andarsene.
‘Addio Hook.’ E dietro di sé portò la scia di una malinconia, se avesse avuto il cuore si sarebbe potuto dire che stesse piangendo.
 
Killian restò solo.
Emma e gli altri erano andati al posto designato da Esmeralda per il ritorno ad Arendelle di Elsa, Anna e Kristoff, ma Killian aveva preferito rimanere nella locanda a rimuginare su quel qualcosa che non gli quadrava alla perfezione anche dopo essersi assicurato – grazie a David - che, di per certo, il portale fosse davvero dove la fanciulla gli aveva indicato, ma nonostante questo il pirata non riusciva a darsi pace: quei modi, quella luce, quella quasi spavalderia non erano da lei.
Perché le era sembrata così diversa in quell’incontro? Persino diversa da come l’aveva lasciata quella mattina. Poteva il suo sgarro averla cambiata così tanto, in un giorno nei suoi confronti? Era entusiasta, ma emotivamente fredda e distaccata nei suoi confronti e per quanto ce l’avesse con lui non ne sarebbe mai stata capace… subito. Il corsaro ripercorse mentalmente ogni singola azione e parola di quell’incontro avvenuto per rendersi conto di quale fosse la nota stonata che non gli permetteva di calmarsi, perché sì c’era. Ne era certo. Conosceva Esmeralda meglio di sé ormai.
Fino a quando l’intero discorso, come un lampo che squarciò il cielo, sembrò un immensa nota scoordinata. Tutta la sinfonia non andava e Killian si rese conto di tutto.
Quando aveva parlato ad Esmeralda del fatto che gli altri stessero cercando un portale? Quella mattina non aveva nemmeno accennato a quell’idea perché non ce n’era stato il tempo. Le aveva detto il nome di Elsa, e lei stessa una volta l’aveva nominata, e oggi nemmeno la ricordava. E ultima cosa, ma non meno importante: Lei non l’aveva mai chiamato Hook, perché era un nome e una persona che non le appartenevano. Per me sarai sempre Killian, non tollero che gli altri ti chiamino Hook. Gli rimbombò in testa in quel momento facendolo scattare in piedi come una molla.
E se quel piccolo sbaglio, alle orecchie di altri innocente e senza senso, fosse stata una richiesta d’aiuto? Una richiesta d’aiuto indirizzata solo a lui, che solo lui poteva carpire. E se fosse stato un addio vero e proprio? L’aveva legato ad un addio e le cose erano anche peggio viste in quel modo ora.
E se dietro tutto quello ci fosse una sola persona. E se dietro tutto quello ci fosse il loro vero addio?
[…]
‘Quando le stelle sul cappello si allineeranno con quelle del cielo, inizieremo.’
‘E allora sarà la mia fine, frantumerai il mio cuore riducendolo in polvere, non è così?’ chiese la fanciulla dinanzi a lui, ora visibilmente impaurita da ciò che le stava per accadere.
‘Vedila così: grazie a te io avrò la mia felicità. D’altronde non c’è posto per te qui, l’hai detto tu no? Tu sei un mezzo per raggiungere un fine. Ecco, forse è questo il tuo vero scopo qui, non credi?’ Disse tracotante del suo potere, lo stesso potere che permetteva ad Esmeralda di restare e non di scappare.
Tutto per Killian. Lo stava facendo per Killian. Si ripetè la fanciulla come un mantra in testa per resistere.
Sarebbe durato poco il tempo di un battito di ciglia e non avrebbe sentito più nulla, Killian avrebbe trovato i suoi resti, forse. Avrebbe pianto, ma poi tutto sarebbe finito, e sarebbe stato felice costruendo la sua vita con Emma. Il suo sacrificio valeva la sua felicità, ed era questo che importava.
Una finestra si era aperta su di sé, quando aprì gli occhi, e l’Oscuro ancora con il suo cuore in mano si apprestava a far comparire un cappello da quella scatola magica quando un urlo che invocava un nome squarciò l’aria in due facendola trasalire.
‘ESMERALDA!’ gridò una voce che ormai era parte di lei salendo le scale, Tremotino si bloccò nel vederlo, fermandosi.
Quell’espressione sconcertata presto divenne puro compiacimento davanti alla possibilità che gli veniva data su un piatto d’argento, e quell’idea malsana alimentò il suo compiacimento arrivando al culmine.
‘Bene, bene, bene, capitano vedo che si vuole unire a noi in questa fortuita serata.’ Ghignò l’Oscuro.
‘Non ti permetterò di farle del male.’ Fece Killian salendo a passo misurato le scale che lo dividevano da loro.
‘Killian, va via!’ ansimò Esmeralda in preda al panico.
‘Non lascerò che ti uccida di fronte ai miei occhi.’ Disse raggiungendola.
‘Mio caro, tu non vedrai nulla della sua morte, e sai perché? Perché lei ti ucciderà prima.’ Sghignazzò ancor di più di fronte alla scena che già vedeva nella sua mente.
Esmeralda spalancò gli occhi, atterrita. ‘NO!’
‘Vedetela nella mia ottica: se entrambi morirete potrete stare insieme finalmente. In un modo o nell’altro tutti e tre avremo i nostri lieti fine, e io avrò finalmente vendetta su questo pirata maledetto.’ Una pausa che soffocò entrambi, poi un rapido sguardo alla zingara. ‘Esmeralda, ti ordino di strappargli il cuore dal petto e frantumarglielo di fronte ai miei occhi.’
Quell’ordine s’impossessò di lei facendola muovere in gesti che non voleva azzardare: la sua mano destra si alzò in direzione del petto di lui.
‘NO!’ gridò contro se stessa mentre con rabbia cercava di ritirarsi a quell’imposizione.
‘Ti ho promesso che non sarebbe morto per mano mia, zingara, perché sarai tu a frantumargli il cuore uccidendolo per me. Pensa a tutto ciò che ha fatto: lui non ti ha mai voluta. Ha scelto Milah una volta, e ora a te preferisce la Salvatrice. Non merita di vivere, non merita di continuare a fare del male.’
Esmeralda scosse la testa cercando di ribellarsi a se stessa, di non ascoltare ciò che il maligno diceva per convincerla del suo gesto, cercò di fermare quell’atto che andava contro l’uomo che aveva sempre amato e delle lacrime copiose iniziarono a inondarle gli occhi senza avere la forza di scendere giù.
Killian, vedendola in quelle condizioni, le carezzò il viso con la mano.
‘Ehi!’ le sussurrò seguendo il suo sguardo fisso sulla sua mano che si protraeva sempre di più verso di lui. ‘Ehi, guardami.’ Disse costringendola a guardarlo negli occhi. Anche lui sull’orlo di un abisso. ‘Ehi, ascoltami, qualsiasi cosa accada, qualsiasi cosa tu faccia ora non voglio che tu ti senta in colpa…’
‘Io… io non voglio Killian… mi dispiace così tanto. Perdonami.’ La voce della fanciulla s’incrinò diventando un puro sussurro che si disperse nel vento.
‘Ehi, ehi, lo so. Lo so.’ Fece il pirata appoggiando la fronte contro la sua mentre la teneva stretta a sè.
La mano di Esmeralda prese a tremare convulsamente sul petto di Killian, una volta raggiunto, affinché non entrasse. Esmeralda stava usando tutte le sue forze per dissuadersi, per evitare quell’ordine a cui non sapeva opporsi.
‘Promettimi… promettimi soltanto che non ti incolperai per ciò che farai ora, e se riuscirai ad uscire viva da qui promettimi che continuerai la tua vita sapendo che non sei stata tu ad uccidermi. Voglio che tu sia felice. Trova quella felicità che io non sono stato in grado di darti, trova qualcuno che sappia proteggerti e amarti più di quanto abbia fatto io, e se trovi qualcuno a cui vuoi donare il tuo cuore non avere timore, perché non c’è uomo al mondo che non desidererebbe averti al proprio fianco. Perché tu sei la persona più bella e speciale che si possa avere nella propria vita. Vai avanti, hai capito? Non lasciarti abbattere da tutto questo.’ Quel viso etereo iniziò a inumidirsi mentre Esmeralda continuava a lottare contro quell’ordine che non riusciva a gestire. La sua unghie affilate erano totalmente appoggiate al suo petto, pronte ad oltrepassare quella carne per impossessarsi del suo cuore, e lei tremava. Tremava nel tentativo di fermarsi. Tremava perché stava combattendo sé stessa. Non poteva, non poteva uccidere Killian Jones, l’uomo che l’aveva salvata e che aveva amato nel bene e nel male.
Non poteva promettergli che sarebbe andata avanti, non l’avrebbe fatto se avesse continuato a vivere.
‘Gold! Fermati!’ intervenne una voce femminile sotto di loro.
Esmeralda non poteva concentrarsi a vedere chi fosse, ma sapeva per certo che fosse Emma.
‘Altri spettatori al mio spettacolo.’ Rise tracotante.
‘Esmeralda, ti prego fermati.’ La supplicò la Salvatrice.
‘E’ Gold a controllarla!’, rispose Killian indicandolo facendo notare ad Emma il cuore della fanciulla tra le sue mani.
‘Trova la forza di ribellarti, Esmeralda, so che ce la puoi fare.’ ingiunse cercando di farla rinsavire. ‘Gold, non puoi fare tutto questo, fermati!’ gli ordinò nuovamente più dura.
‘Mi dispiace, non posso. Ho aspettato troppo a lungo per questo momento, e ci sono troppo vicino.’
Il tempo di riportare gli occhi al suo obbiettivo e una luce potente e accecante si scagliò dal petto di Esmeralda, sembrava quasi che la ragazza stesse per esplodere.
‘Cosa diavolo succede?’ sibilò l’Oscuro davanti a quell’avvenimento improvviso.
Esmeralda venne pervasa dalla luce intensa e bianca mentre dal suo petto si elevò un grido disumano che fece trasalire i presenti. Che fosse questa la magia di Gold per liberarsi del pugnale? Ma il cuore di lei era ancora tra le sue mani, quindi cosa stava accadendo? Cosa stava accadendo ad Esmeralda?
‘Esm!’, cercò Killian tentando di ripararsi dalla luce accecante che gli era accanto. Non vedeva più la fanciulla e la paura gli attanagliò il respiro. L’avrebbe persa di nuovo? Sarebbe scomparsa?
Il cuore di Esmeralda si elevò dalle mani di un Tremotino sconcertato alla vista di ciò che stava accadendo, per rinnovarsi a nuova vita: tutte le crepe visibili e in grado di rendere quel cuore il più fragile di tutti si risanarono. Il cuore ora appariva come nuovo, più forte, mentre un vivido rosso brillava in tutta la sua intensità. Dopo essersi innalzato e rinato si diresse in tutta forza nel petto della sua proprietaria creando un rimbombo che risuonò in tutta l’area.
Esmeralda per l’impatto con esso cadde a terra quasi tramortita, annaspando e tossendo per riprender fiato. Killian le fu subito accanto per sollevarla e constatare la sua salute.
‘Stai bene?’ chiese risollevandola da terra.
‘Io… sento di nuovo tutto. Il mio cuore, lo sento.’ Disse rivolgendogli il suo sguardo pieno di gioia mentre Killian la stringeva forte a sé con un sorriso sollevato.
Tremotino era rimasto lì inerme e incapace di capire cosa fosse accaduto, cosa fosse andato storto.
‘Non capisco.’ Continuava a ripetere interdetto mentre Emma saliva le scale per prenderlo. ‘Come hai fatto a riprenderti il tuo cuore…’
‘Ho combattuto per riaverlo!’ Disse ancora in cerca di fiato, nonostante il cuore fosse tornato al suo posto, il forte impatto che aveva avuto con il suo corpo l’aveva scombussolata mentre cercava di riprendersi ancora a terra con Killian che la sorreggeva. Prendeva aria a grandi boccate eppure sembrava non riprendersi, si sentiva terribilmente debole e stanca. Tutto intorno a sé sembrava vorticare inesorabilmente.
‘Killian…’ lo chiamò flebile cercando di aggrapparsi a lui mentre perdeva il contatto con quella realtà che diventava sempre più scura.
‘Esm… Esm, che succede? Rispondimi!’ sentì in lontananza la fanciulla mentre si abbandonava a quell’oscurità. Due braccia l’afferrarono forte, e quella fu l’ultima cosa che sentii prima del buio più totale.

 
 
FINE.
 
 
Note Autrice.

EHHH, ECCOMI QUI.
Son tornata, dopo un po’ di mesi rieccomi con il nuovo e ultimo capitolo. Sì, perché questo è proprio l’ultimo.
Alcune di voi mi trucideranno (?) per questo finale no happy ending per Esmeralda, perché non è bastata la Season Finale di ONCE a rovinarci le vite quest’anno mi ci sono messa anche io, perdonatemi sin da ora.
Cosa sarà successo ad Esm? Perché è finita così?
Perché sono sadica e sono troppo abituata ai #mainagioia delle serie tv! Lol
No, in realtà posso dirvi che ho deciso di terminare così per darmi la possibilità di proseguirla poi. Sì, perché non è davvero finita qui e al più presto – spero – scriverò la seconda parte, per cui ho già qualche idea.
Quindi che dirvi? Questa storia giunge alla conclusione, ma è solo la prima parte per ora.
Io spero con tutto il cuore che il mio creato vi abbia entusiasmato in qualche modo, e vi abbia appassionato, mi renderebbe davvero felice.
Perdonatemi ancora se ho impiegato troppo per aggiornare la storia, ma dire ‘addio’ ad un personaggio – soprattutto quando a crearlo sei tu – non è mai facilissimo, in più vari impegni e vari pensieri mi hanno tenuta lontana da Word per tanto tempo.
Ringrazio davvero, con tutto il cuore, tutte le persone che mi hanno spinto a continuarla, tutte quelle persone che mi hanno spronato e tutto il vostro supporto.
Grazie a tutti quelli che hanno aggiunto questa storia alle preferite/seguite e che hanno recensito i miei capitoli dandomi i loro pareri a riguardo.
Grazie di cuore a tutti per tutto, davvero.
 
Alla prossima.
Un abbraccio.
 
-Elle.

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