Dispersi nel Nord

di Water_wolf
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** ALEX • I sogni dei semidei portano un sacco di guai ***
Capitolo 2: *** ANNABETH/ASTRID/PIPER • Tipiche giornate di merda ***
Capitolo 3: *** ALEX/LEO • Una rivalità esplosiva ***
Capitolo 4: *** ASTRID/PIPER • Siamo tutti sulla stessa barca ***
Capitolo 5: *** JASON/ALEX/EINAR • Un benvenuto molto caloroso ***
Capitolo 6: *** ANNABETH/ASTRID/PIPER • Tipici saluti nordici ***
Capitolo 7: *** LEO/LARS/ALEX • L'inverno sta arrivando ***
Capitolo 8: *** ASTRID • Incontriamo cinghiali d'oro piuttosto scorbutici ***
Capitolo 9: *** JASON/LARS/LEO • Una sfilza di sogni strani ***
Capitolo 10: *** ANNABETH/PIPER • Il grasso di foca (non) è la soluzione ***
Capitolo 11: *** ALEX/JASON • Un piano ben architettato (come no) ***
Capitolo 12: *** ASTRID/PIPER • Mettiamo in atto il piano suicida ***
Capitolo 13: *** EINAR/LEO • Situazioni di merda a go-go ***
Capitolo 14: *** PIPER/ASTRID • Cadiamo in basso, molto in basso ***
Capitolo 15: *** ALEX/JASON • Quando pensi di aver raggiunto il fondo, devi ancora iniziare a scavare ***
Capitolo 16: *** PIPER/ASTRID • La felicità si può trovare anche nei momenti più bui, basta solo ricordarsi di accendere la luce ***
Capitolo 17: *** LARS/EINAR/LEO • Tre semidei, un fantasma e tanti casini ***
Capitolo 18: *** PIPER/ASTRID • La Skidbladnir salva il culo a tutti ***
Capitolo 19: *** LEO/ALEX/LARS • Giorni difficili e notti agitate ***
Capitolo 20: *** ASTRID/PIPER/ANNABETH • La volta buona – ma non per tutti ***
Capitolo 21: *** ALEX/LARS/JASON • I Re degli Dèi scatenano la Terza Guerra Mondiale ***
Capitolo 22: *** PIPER/ANNABETH/ASTRID • Giganti che vai, Dèi incavolati che trovi ***
Capitolo 23: *** ALEX/EINAR • Il dolce abbraccio di una madre ***
Capitolo 24: *** ASTRID • Let it snow ***



Capitolo 1
*** ALEX • I sogni dei semidei portano un sacco di guai ***


Dispersi nel Nord

I sogni dei semidei portano solo guai

•Alex•
 
Ero in un sogno, ne ero certo.
Era buio. Molto buio, come solo le notti senza luna a nord possono essere.
Mi guardavo intorno alla ricerca di qualsiasi punto di riferimento potesse aiutarmi a capire dove mi trovassi. Era di certo una foresta. I grandi pini si ergevano maestosi, come giganti addormentati verso il cielo, mentre rovi e cespugli mi circondavano. Di certo mi sarei punto se fossi stato lì veramente, ma, essendo solo un’emanazione onirica dei miei sensi e dei miei pensieri, non percepivo nulla.
Avevo imparato a non sottovalutare i sogni. Raramente un mezzosangue immagina qualcosa di anomalo, anzi. Non è difficile che essi siano messaggi da altre parti del mondo. O dagli Dèi.
Finalmente, vidi poco lontano, tra i rami della foresta, quella che sembrava una luce. La luce di un fuoco da campo.
Mi avvicinai senza far rumore – ovvio, dato che non potevo –, per vedere di cosa si trattasse e, finalmente, ecco davanti a me presentarsi tre persone, più precisamente tre ragazze che conoscevo molto bene. Annabeth, una mia cara amica, figlia di Atena, insieme ad Alyssa, figlia di Loki e anche lei amica mia, più Margit, una sedicenne figlia di Skadi ed esploratrice molto abile, pure lei dell’Orda del Drago.
Non capivo come mai il sogno mi mostrasse loro. Erano passati pochi giorni da quando erano partite per una spedizione nel profondo del territorio nordico e, da allora, nessun allarme e nessuna richiesta di soccorso. Insomma, tutto normale.
«Allora… Come va a casa, Alyssa? Tu e tuo padre avete fatto pace?» stava chiedendo Annabeth alla figlia di Loki, che attizzava il fuoco accigliata.
«No. Quello stronzo potrebbe anche morire, per me. Mi ha fatto passare gli anni peggiori della mia vita» replicò seccamente quella, senza distogliere lo sguardo dal focolare.
Normale amministrazione, per un semidio. Raramente i miei amici avevano un buon rapporto con il loro genitore mortale, come io ce l’avevo con mia mamma. Figuriamoci, poi, i genitori divini che, se avevi fortuna, li vedevi una volta nella vita.
«Quindi non intendi tornare a casa, conclusa questa missione?» chiese la figlia di Skadi, intenta a controllare la corda del suo arco.
«Piuttosto fatemi passare le pene dell’Hellheim! Intendo rimanere al Campo per i prossimi tre anni.»
Le due nordiche risero, mentre Annabeth si limitò a sbuffare con l’aria corrucciata. Anche quando era arrivata sembrava preoccupata per qualcosa. Doveva aver a che fare con la scomparsa di Percy, dato che erano giorni che lui non si faceva vivo.
All’inizio nemmeno io lo sapevo, ma, dopo che il tuo miglior amico di penna americano non ti manda nemmeno un messaggio Iride, be’… inizi ad avere dei dubbi.
Poi era arrivata Annabeth, che aveva confermato la sua scomparsa. Non c’era da sorprendersi che lei si sentisse in quel modo.
Osservai le tre ragazze intente a chiacchierare, finché un rumore non attirò la mia e la loro attenzione. Improvvisamente si fecero guardinghe. Annabeth estrasse il suo pugnale in bronzo celeste, Alyssa la sua spada in acciaio asgardiano e Margit tese l’arco.
«C’è qualcuno» sussurrò la figlia di Skadi, stringendo le palpebre.
Per un attimo un silenzio tombale cadde sulla valle, facendomi percorrere la schiena da un brivido che poco aveva a che fare con il freddo.
Poi, dalla foresta, emerse un gruppo di zombie armato di spade in ferro arrugginito. Sembrava una scena di quel telefilm, The Wolking Dead, ma, in realtà, sapevo bene che quelli altri non erano che i non-morti di Hell.
«Dannazione, scappate!» urlò Margit, scoccando una freccia, per afferrarne subito una seconda, e abbattendo nemici ad ogni freccia.
Ma quelli continuavano ad avanzare, incuranti delle perdite. Tipico vantaggio se si è già morti. Annabeth strinse i denti e abbatté due nemici, mentre Alyssa evocava delle illusioni, che confusero il gruppo di non-morti.
«Approfittiamone!» disse, indicando un piccolo sentiero sterrato che attraversava la foresta.
Nessuna delle altre se lo fece ripetere e, mentre gli zombie tentavano di colpire le immagini illusorie, si misero a correre. Ma per Margit durò poco. Una freccia la colpì alla schiena all’altezza del cuore. Un colpo preciso e mortale.
«No!» gridò Alyssa, tornando indietro. «Dannazione, per Thor, non puoi andartene!»
Ma era troppo tardi. Vidi chiaramente l’anima della figlia di Skadi scindersi dal corpo, in attesa che le Valchirie reclamassero la sua presenza nel Valhalla.
«Non possiamo fare nulla, Alyssa! Corri!» la incoraggiò Annabeth, tirandola via a forza, indicando i non-morti che, ormai, si erano ripresi.
Se avessi potuto, le avrei aiutate, ma ero solo un fantasma, un essere incorporeo, completamente impotente. Potei unicamente osservare, mentre le due semidee corsero veloci come non mai, inseguite dai servi di Hell.
Scapparono per diverse ore nella foresta, fino a raggiungere una valle senza alcuna protezione naturale. Fu allora che altre frecce sibilarono tra gli alberi e colpirono Alyssa alla schiena. Mente Annabeth si fermava per soccorrerla, altri non-morti emersero dai cespugli, circondandola.
«Indietro!» urlò la figlia di Atena brandendo il pugnale, conscia quanto me, però, che difficilmente sarebbe sopravvissuta.
In quel momento, dall’orda emerse una figura diversa dalle altre: un gigantesco guerriero in armatura in acciaio Asgardiano. Al contrario degli altri non-morti, questo sembrava abbastanza integro e, sotto l’elmo, due occhi grigi rilucevano di malvagità. Lo riconobbi: era lo stesso individuo che, durante la battaglia di Manhattan, si era opposto a me con la magia di Odino.
Annabeth puntò subito il pugnale contro di lui, ma quel misterioso guerriero alzò la mano, puntando l’indice contro l’arma, e subito la figlia di Atena urlò, lasciando la presa. L’arma si era fatta incandescente.
«Ora stai buona, ragazzina. La mia signora ha bisogno di te viva, anche se non ha specificato incolume» sottolineò lui, tamburellando con le dita sulla spada che portava al fianco.
Annabeth strinse i denti e si tenne la mano scottata, maledicendo sottovoce il suo aggressore. Mi sentii dannatamente impotente. Se solo non fossi stato un fantasma e avessi avuto la spada a portata di mano, avrei potuto aiutarle. Invece ero costretto a fare da spettatore a quella strage. Maledissi tutti gli Dèi, fino all’ultimo, per quella dannata situazione, mentre il sogno si faceva più annebbiato.
L’ultima cosa che vidi fu un’ombra che sovrastava Annabeth. Negli occhi della figlia di Atena scorsi un barlume di stupore misto a comprensione. Chiunque fosse la “signora” di quel maledetto, doveva essere una persona che lei conosceva bene. 
 
 
Mi svegliai di soprassalto, sudato e ansimante.
Mi guardai intorno. Ero nella mia stanza, al Campo Nord. La console era al suo posto, i miei libri erano ancora nella libreria e tutto era a posto. Io adoravo leggere e sia la camera a casa mia che quella al Campo erano piene di manoscritti, quasi tutti libri per ragazzi. Non potevo credere che, per ironia della sorte, mi piacesse Harry Potter e che mio padre fosse un dio della magia. Ironie divine.
Ma non era quello a preoccuparmi, in quel momento. Dovevo assolutamente sapere se quanto avevo sognato era vero.
Scesi dal letto e indossai calzini e scarpe, per poi uscire di corsa diretto al tempio di mio padre. Superai di corsa il corridoio del secondo piano, scesi due rampe di scale e uscii dalla porta della sala comune, pregando mio padre che il mio sogno fosse un’invenzione della mia mente o, magari, lo scherzo di poco gusto di qualche divinità.
Ma, in cuor mio, già sapevo che avevo visto qualcosa di reale. La mia era solo una vana speranza.
Attraversai le porte del tempio e mi ritrovai davanti ad un corvo nero che becchettava la testa dorata di mio padre.
«Hugin!» lo salutai, con un sorriso tirato. «Come va?»
«Ciao, figlio del capo. Hai l’aria stravolta» commentò il corvo, iniziando a becchettarsi l’ala.
«In effetti, avrei bisogno del tuo aiuto» dissi, allungando il braccio in modo che si potesse posare su di esso.
«Cosa devo mostrarti?» chiese il corvo, poggiandosi docilmente sulla mia spalla.
«Hai presente Annabeth? È nel nostro territorio. Ho avuto un sogno… Temo che i semidei che la accompagnavano e lei siano morti, ma non ne sono certo. Potresti controllare per me?» spiegai, offrendogli una cosa che avevo preso dalla mia stanza: una barretta di cioccolato. Incredibile che a quel corvaccio piacesse la cioccolata.
«Andrò e vedrò che posso fare» rispose, dopo aver mangiato, per darsi la spinta e partire con una velocità che i jet moderni si sognavano.
«Speriamo che mi stia sbagliando» mi augurai, osservando intensamente la statua di mio padre. Non che fossimo in buoni rapporti, ma, forse, almeno una volta, mi avrebbe ascoltato.
 
 
Il giorno dopo non passai nemmeno dal via. Ero appena entrato nella sala comune, dove tutti facevano colazione, quando presi Marcus, Einar e Lars da parte. Loro erano i miei secondi in comando e dovevo assolutamente parlare con gli altri capi delle Orde per discutere della situazione.
«Lars, vai all’Orda del Sangue ed informa Rebekka e anche mia sorella Nora. Einar, va’ all’Orda dello Scudo e parla con Grete; deve venire anche lei. Einar, occupati sempre tu d’informare Eric. Io mi penserò di Johannes, tanto lo devo incontrare adesso. Marcus, vai da Hermdor, digli che è urgente» dissi, non appena finimmo di fare colazione.
Se Hugin aveva fatto il suo dovere, sarebbe tornato presto.
Mentre gli altri se ne andavano, Astrid si avvicinò. Era ancora assonnata, ma sembrava un po’ in ansia. Che avesse fatto anche lei un sogno simile al mio? Non potevo saperlo.
«Che succede, Alex?» chiese, poggiando una mano sul mio braccio sinistro. «Hai un’aria terribile.»
«Problemi, Astrid.» Le accarezzai i capelli sospirando dispiaciuto. Ultimamente lei e Annabeth erano diventate molto amiche. «Temo che sia successo qualcosa ad Annabeth, ma, per ora, nulla di sicuro. Devo ancora accertarmene. Ma se qualcosa fosse andato storto, allora ci saranno delle conseguenze.»
«Per questo mandi messaggi a tutti i capi delle altre Orde, vero?» notò, mentre mi seguiva all’uscita. Aveva l’aria accigliata e un po’ triste. Stava già elaborando il peggio, ne ero certo.
«Sì, ma spero siano solo mie sensazioni» risposi,  stringendole la mano.
Ultimamente eravamo diventati sempre più vicini, nonostante certe questioni… divine che riguardavano i nostri genitori.
«Spero bene per lei che non le sia successo nulla. O la picchierò appena la ritroviamo per avermi fatto preoccupare per nulla» sbuffò, cercando di sorridere.
Appena uscimmo, un ragazzone biondo di nostra conoscenza, armato di un pesante martello da guerra, ci si parò davanti.
«Questa volta ti spaccherò la faccia, Dahl» ghignò, roteando la sua arma.
Era troppo pesante per chiunque tranne che per Johannes, il quale, oltre ad essere comandante dell’Orda della Spada, era uno dei più potenti figli di Thor del Campo.
«Continua a sognare, Berg. Intanto, niente allenamento. Tu ed io andiamo al Forte Principale. Dobbiamo riunirci per un consiglio speciale» lo fermai, alzando la mano, prima che mi saltasse addosso.
Astrid si era già messa in posizione difensiva. Era molto combattiva e, se c’era un pericolo – pericolo che minacciava soprattutto me –, si metteva subito all’erta, che fossero altri mezzosangue nordici o mostri. Anche se pochi lo sapevano, i suoi  orecchini erano letali mezzelune camuffate. Insomma, non sottovalutatela mai.
Johannes si accigliò. Era un grande guerriero, ma un pessimo pensatore.
«Spero che sia importante» sbuffò, contrariato.  «E non solo un modo per saltare l’allenamento.»
Negli ultimi tempi, Johannes si era preso a cuore l’idea di sconfiggermi da quando avevo iniziato a battere tutti, al Campo Nord. Ormai eravamo solo noi due quelli abbastanza abili da affrontarci in duello e lui si era fissato con l’idea di mettermi KO. Io, però, volevo solo allenarmi.
Da quando avevo combattuto nella battaglia di Manhattan, ero stato battuto già un paio di volte da Luke. Nonostante fossi sopravvissuto, l’occhio in meno era una cicatrice che mi ricordava quanto fosse facile essere sconfitti. Dovevo migliorare.
Così, avevo intensificato i miei allenamenti per diventare abilissimo negli scontri corpo a corpo. Ed Excalibur era diventata, ormai, un estensione del mio braccio e facevo di tutto perché non perdessi questa affinità.
Mentre il figlio di Thor si allontanava per parlare con la sua Orda, io ed Astrid ci incamminammo insieme verso il Forte, prendendo, però, un giro più lungo. Volevo stare un po’ da solo con lei, prima di dover affrontare il terzo grado del direttore del Campo.
«Ho una brutta sensazione» sussurrai, abbassando le mie difese. Di solito non lo facevo, ma con lei mi sentivo sicuro di poter trovare una persona comprensiva, però, allo stesso tempo, diretta e sincera. «Se fosse successo loro qualcosa… ah, sarei dovuto andarci di persona.»
«Non dire idiozie. Non potevi sapere cosa sarebbe successo. Inoltre, Alyssa e Margit erano ottime guerriere. Hai fatto bene a rimanere» commentò lei, accigliata.
Avevo la sensazione che volesse dire qualcos’altro, ma non commentai. Mi limitai a cingerle le spalle e avvicinarla a me.
«D’accordo, testona» dissi, voltandomi verso di lei. «Sono felice di essere rimasto con te. Anche se ora devo scoprire cos’è successo ad Annabeth.»
Astrid arrossì un po’, ma non perse il suo contegno. «Parli un po’ troppo di lei, non vorrei diventare gelosa» mi punzecchiò con un sorrisetto.
«Ma smettila! Ti pare che rubi la ragazza a Percy?» sbuffai io, ridendo.
«Non si sa mai. Ti terrò d’occhio, mio caro figlio di Odino» mi avvertì lei, battendo più volte il dito sul mio petto.
 
 
Ci volle un po’, ma, alla fine, tutti i capi delle Orde si riunirono. Con me c’erano Astrid ed Einar. Mia sorella, accanto a Rebekka, mi salutò con un sorriso, mentre la figlia di Freyja lanciava a me ed Astrid un sorriso divertito e complice. Mi piaceva poco il fatto che, da un po’ di tempo in qua, lei e le sue sorelle ci guardassero come due animali alla fiera dell’esposizione.
Ignorai la sensazione e, con gli altri, ci sedemmo alla tavola circolare dove ci riunivamo ogni volta che c’era un emergenza.
Astrid alla mia destra, Einar a sinistra. Johannes, poco lontano, stava giocando con un pugnale – dato che era proibito portare armi pesanti, all’interno del Forte). Hermdor si sedette al mio opposto.
Il nostro direttore era un tipo pericoloso. E teoricamente era mio fratello. Con in mezzo qualche centinaio di generazioni, ovvio. Era un figlio di Odino molto potente e che aveva ricevuto la vita eterna da Odino dopo che questi aveva salvato Baldr dall’Hellheim.
Lunga storia.
Era un uomo gigantesco e, soprattutto, un grande esperto di armi, intuibile dallo spadone più grosso di me che si portava sulla schiena.
«Allora, Dahl. Spiegaci come mai hai indetto questa riunione d’emergenza, interrompendo tutte le altre attività del Campo» domandò, annoiato.
«Una cosa importante, sì» iniziai, alzandomi. C’era sempre tensione durante i consigli, ma, stranamente, quel giorno la si sentiva più del solito. «Credo che Annabeth Chase sia in pericolo. ‘Sta notte ho sognato che uccidevano lei e le sue compagne di viaggio.»
Tutti si guardarono con aria perplessa. Hermdor strinse le palpebre come se volesse scansionarmi.
«E che ce ne frega, se quella greca è morta?» chiese Eric, sbuffando annoiato.
«Centra che è mia amica, biondino!» sbottò Astrid, prima che la potessi fermare.
«E a me non me ne fotte nulla delle tue amiche!» ribatté l’altro, stringendo i pugni.
«BASTA!» urlò il nostro direttore, prima che potessimo passare alle mani.
Da tempo, ormai, il Campo era spaccato in due. Da quando si era combattuta la battaglia di Manhattan, una parte di noi si era rivelata favorevole a continuare i rapporti con i nostri amici oltreoceano.
Poi, però, pochi mesi fa, qualcosa era andato storto. I Greci avevano iniziato a tagliare i contatti. L’unica cosa che sapevo era che Percy, uno dei miei migliori amici greci, era sparito. Annabeth, senza dire molto, mi aveva chiesto di cercarlo e, così, il Campo Nord, aveva iniziato  a fare delle ricerche.
Diversi di noi erano rimasti feriti e i rapporti si erano incrinarono. Adesso alcuni di noi stavano iniziando ad essere di nuovo diffidenti nei confronti del Campo Mezzosangue.
Avevo sperato che l’arrivo di Annabeth risolvesse le cose. Invece mi aveva chiesto di poter fare delle ricerche lei da sola, con pochi miei compagni al massimo, e aveva parlato con Hermdor di qualcosa di cui non sapevo niente.
E ora c’era anche quella questione della sua scomparsa.
«Sei sicuro che sia successo? O è solo un sogno?» chiese il direttore, guardandomi intensamente.
«No, signore… È solo un sogno, ma ho mandato Hugin a controllare» risposi deciso.
Prima che qualcuno potesse ribattere, come se avesse sentito pronunciare il suo nome, un corvo nero come la notte superò la finestra che dava sull’esterno e atterrò al centro del grande tavolo. Era proprio Hugin, uno dei corvi di mio padre.
«Salve, figli del capo!» salutò il volatile sia a me che ad Hermdor.
«Salve, Hugin. Che notizie porti?» domandò lui, fissandolo.
Il corvo sbatté le ali nervosamente, esitando. Poi, con la sua lingua che solo noi potevamo capire, disse: «Temo che sia vero. Sorvolando una foresta a nord di Rindal ho visto due cadaveri di due semidei. Ho avvisato le Valchirie, in modo che possano raccogliere le spoglie dei caduti prima che i mortali li trovino.»
«Solo due?» chiesi, sorpreso. Se una era sopravvissuta, forse c’era ancora speranza di trovarla viva.
«Sì. La Greca non era con loro. Chiunque sia stato, l’ha portata via… o ha portato via il suo corpo» spiegò il l’animale, sbattendo di nuovo le ali.
«Mmmmmmmh… preoccupante» commentò Hermdor, lisciandosi la barba.
Dopo aver informato tutti – dato che, a parte noi, nessuno parlava la lingua dei corvi – gli altri ragazzi si agitarono.
«Chiunque le abbia uccise deve pagare!» urlò Rebekka, piantando un pugnale nel legno del tavolo.
«Questo è certo» assicurò il direttore. «Invieremo una spedizione per recuperare i corpi dei nostri caduti e per preparare le onoranze funebri. Ora, però, dobbiamo anche fare un’altra cosa. Dobbiamo avvertire i Greci e dare inizio ad una spedizione per salvare la ragazza dispersa.»
«E perché mai? Lasciamola in pasto ai mostri del nord, non è affar nostro» borbottò Johannes, contrariato.
«Ma stai zitto, tu!» sbottammo io e Astrid contemporaneamente.
Il suo modo di fare stava davvero iniziando a darmi sui nervi. E anche alla mia ragazza. Lui si limitò a sbuffare e non aggiunse nient’altro.
«Alex, dato il silenzio dei Greci, credo che debba essere tu ad andare personalmente da loro ed informarli della scomparsa della loro capogruppo. Sarà necessaria un’azione condivisa per iniziare la ricerca. Io supervisionerò personalmente la ricerca dei corpi e la rotta dei responsabili» sentenziò Hermdor, lanciando un’occhiataccia a tutti, prima di sciogliere la seduta.
Einar ci precedette senza dire una parola. Cosa molto strana per uno come lui. Avrei voluto raggiungerlo per dirgli due parole, ma Astrid mi fermò.
«Non parlargli ancora, Alex. Lascia che sbollisca, sarà sicuramente distrutto. Alyssa era una delle sorelle a lui più care» spiegò, guardandolo dispiaciuta.
Era da molto tempo che noi tre ci sentivamo spesso. Mi dispiaceva non poterlo aiutare.
«Hai ragione. Solo… Non mi va di lasciarlo andare così» sospirai, in colpa.
Era difficile, per me, sentirmi accettato davvero come amico.
Essere figlio di Odino, a volte, significa sentirsi soli e, quando qualcuno è addolorato, la mia presenza sembrava parecchio fastidiosa. Come quando, in tv, senti di un autorità ad un funerale di una persona e capisci che è impastata fino al collo nella politica.
Era un’immagine di me che mi dava fastidio e, spesso, mi faceva pentire di essere figlio di Odino.
Einar era mio amico, avrei voluto stargli vicino.
Sospirai e decisi di seguire il consiglio di Astrid.
Così, ci dirigemmo insieme all’officina sotterranea del Campo dove era stata ormeggiata la Skidbladnir. La nave magica del dio Freyr ci era stata donata proprio da lui dopo che Einar gli aveva fatto un favore. Era una nave enorme, creata da Volund e i suoi figli. Essa era in grado di diventare minuscola, tanto da poter essere messa in tasca. Ora che era in mano nostra avevamo deciso di fare delle migliorie.
Ad occuparsene era Charles Beckendorf, un figlio di Efesto che era venuto al Campo Nord insieme alla sua ragazza: Silena Beauregard. La loro storia era strana, dato che lei si era inizialmente schierata con Crono, per poi redimersi e tornare con noi.
I loro genitori divini, però, non avevano apprezzato il loro intervento e, così, si erano uniti a noi per non incorrere nelle ire degli Dei Greci. In questo modo, almeno per un po’ sarebbero stati al sicuro.
I due si erano integrati bene al Campo e Beckendorf si era molto impressionato per la cura con cui i figli di Volund avevano costruito la nave magica. Si era fissato che poteva migliorarla. Così, insieme ad altri figli del dio forgiatore, si era messo a lavoro per progettare dei potenziamenti. Fui molto sorpreso quando, dopo due mesi, riuscirono a farla volare.
«Non c’è molto da fare, è già perfetta così» aveva detto il figlio di Efesto, quando mi aveva mostrato quello che aveva fatto, facendomi scoppiare a ridere.
Non erano molti quelli in grado di far volare navi e lui c’era riuscito sul serio. E alla grande.
Quel giorno era impegnato a calibrare gli armamenti, quando lo raggiunsi. Insieme a lui c’era Silena.
«Allora? È vero che Annabeth è sparita?» chiese la ragazza, in ansia.
«Sì. Ma non è detto che sia morta» le ricordai, cercando di tranquillizzarla.
«Speriamo che sia viva, davvero» commentò, per nulla calmata.
«Se continua così, comunque, partiremo ‘sta sera. Ho quasi finito e il motore è a posto» disse il suo ragazzo, rimettendo a posto il pannello di protezione. «Questa nave è praticamente perfetta.»
«Speriamo… Dobbiamo fare in fretta a raggiungere il Campo Mezzosangue, prima che succeda qualcosa ad Annabeth» gli ricordai, tamburellando nervosamente le dita sul parapetto di legno.
«Prima Percy, poi lei… Sta succedendo qualcosa di strano, qui» fece notare la figlia di Afrodite, accigliata.
«Questo è vero» risposi, voltandomi verso di loro. «Sicuri di non sapere nulla?»
Entrambi si guardarono un po’ atterriti, poi scossero la testa contemporaneamente.
«Mi dispiace, ma non sappiamo nulla. Se lo sapessimo l’avremmo già detto» disse Beckendorf, asciugandosi le mani.
«Come volete.»
Che strano. Ultimamente tutti si comportavano in modo strano, come se fossi una bomba ad orologeria pronta ad esplodere. Tutti mi evitavano, o meglio, evitavano l’argomento “Campo Mezzosangue”. Sembrava che ci fosse qualcosa che volessero tenermi nascosto. Qualcosa di pericoloso con la P maiuscola.
Tanto sto per tornarci, al Campo Mezzosangue. Presto lo scoprirò, cosa sta succedendo, pensai, affondando le mani in tasca, uscendo dalla fucina.
Presto sarebbe successo qualcosa.
E le nuvole grigie che sovrastavano il Campo ne erano una prova.

 
koala's corner.
Oggi, 22 Settembre 2014, alle ore 16.00 AxXx, Water_wolf e il koala sono lieti di presentare al pubblico il terzo capitolo della saga "Cronache del Nord"!

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Se ancora non ci conosceste, io sono AxXx e scriverò sempre in rosso fuoco di Leo che non c'è su efp (y)
Mentre io sono Water_wolf una decerebrata e scriverò in verde Katniss sarebbe fiera di me u.u
Questo capitolo, scritto da me, introduce la storia "Dispersi nel Nord" che - udite udite - non sarà un rifacimento di SON, ma una creazione del tutto originale. Perché noi può.
Pubblicheremo settimanalmente - dobbiamo ancora decidere il giorno preciso - per evitare ogni possibile ritardo.
Non stanno parlano di me, noooo.
Ovviamente! Come avete potute vedere, abbiamo già deciso di uccidere due personaggi :D
Diteci se non siamo dei bravi disceboli di troll Rick ^_^
Ci saranno anche i POV di personaggi di Eroi dell'Olimpo, alias Leo, Piper, Jason etc. così da rendere più variegato il tutto.
Prima di chiudere questo capitolo - siamo un tantino logorroici, eh - vogliamo davvero ringraziarvi per il modo in cui vi siete affezionati alla saga. Quindi, davvero GRAZIE.
Venti del Nord è preferita da ben 39, 9 ricordate e 16 seguite; mentre Sangue del Nord è preferita e seguita e ricordata da ancora più persone, ed è solo grazie a voi se abbiamo toccato le 2000 visite per i primi capitoli e tantissime altre per quelli seguenti.
You rock, guys!
Siete fantastici, ragazzi, continuate così! Speriamo che questa storia non deluda le vostre aspettative ^^
Ooora che abbiamo fatto questa piccola/grossa parentisi, vi lasciamo andare hahah
Alla prossima!

Soon on Dispersi del Nord: POV Annabeth/Astrid/Piper - la nostra idea di giornata di merda ;)
 

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Capitolo 2
*** ANNABETH/ASTRID/PIPER • Tipiche giornate di merda ***


Tipiche giornate di merda
 
♣Annabeth♣
 
Respirare mi provocava dolore al petto. Mi sembrava di ingoiare stalattiti ghiacciate a ogni ansito. Rimpiansi la mia America, con il clima caldo di San Francisco e quello più fresco di New York. Mi mancava casa e volevo Percy e faceva un freddo cane e dei non-morti mi stavano inseguendo per uccidermi.
Non piagnucolare, Annabeth. Scappa.
Correvo, ma ero incredibilmente lenta. Sembrava che l’autunno non esistesse in Norvegia, perché c’era già della neve a terra e alcuni rimasugli compattati sulle capocchie dei pini. Sarebbe stato magnifico trasformarmi in lupo e correre per quelle lande desolate, senza il peso della goffaggine del mio corpo umano.
Inciampai.
Alyssa mi aiutò a rimettermi in piedi, sostenendomi per il gomito. Non riuscivo a immettere aria nei polmoni, che ne richiedevano sempre di più. Ma avrei dovuto fermarmi per dargliela e, se l’avessi fatto, sarei morta e allora non avrei respirato più.
Chissà se Percy era vivo.
Non ci pensare. Percy sta bene. Bene bene bene bene ben-
Gli alberi scomparvero attorno a noi. Eravamo giunte in una radura totalmente scoperta, alla mercé dei nemici. Fischiarono delle frecce. Alyssa cadde con un grido, un’impennatura colorata che le spuntava dalla schiena.
Mi riscossi di colpo. Tornai indietro, mettendomi al suo fianco col pugnale in mano. I non-morti continuarono a scoccare frecce, di cui ne tranciai una al volo.
Dalla boscaglia emerse una figura alta e massiccia. Indossava un’armatura in acciaio asgardiano e sotto l’elmo i suoi occhi rilucevano di bagliori argentei.
Puntai il pugnale contro di lui a mo’ di difesa. Il nemico – non era di certo un non-morto – sembrò sorridere, mentre un improvviso calore si irradiava dall’elsa della mia arma. La lasciai cadere con un grido, stringendomi la mano ustionata al petto.
«Ora stai buona, ragazzina. La mia signora ha bisogno di te viva, anche se non ha specificato incolume» sottolineò lo sconosciuto, tamburellando con le dita sulla spada che portava al fianco.
Assottigliai lo sguardo, maledicendolo sottovoce. Non l’avrei sconfitto in condizioni normali, quindi, esclusi colpi di genio dell’ultimo minuto, non avevo chances.
Poi, una figura incappucciata si discostò dalle ombre degli alberi e si affiancò al guerriero. Ci si confondeva così bene che era difficile capire se anche lei fosse solo la proiezione della luce oppure una persona in carne e ossa. Era qualcosa che avevo notato solo stando con Nico, o con Astrid.
Si portò indietro il cappuccio, rivelando il viso fino al naso. Era di sicuro una ragazza e, collegando le altre informazioni…
Merda.
«Ti facevo più scaltra, figlia di Atena» esordì. «Ma trovo ammirevole il coraggio che ti ha spinto a venire qui, nella tana degli antichi nemici dei tuoi Dèi, solo per cercare il tuo grande amore.» Ridacchiò. «Se solo esistesse…»
«Non tutti sono così fortunati da trovarlo» replicai, piccata.
L’accompagnatore guardò la sua signora, come chiedendole se dovesse farmi del male. Lei scosse la testa, ridendo piano.
«Oh, ma io mi ritengo estremamente fortunata» commentò. «Essere scampata alla morte per due volte, sai, non è da tutti.»
Alyssa mi afferrò d’improvviso il braccio, tirandosi su a fatica. Un rivolo di sangue le colò dalla bocca.
«Potrai…» Le mancò il fiato, ma si riprese in fretta. «Potrai salvarti un’atra volta, se ci lasci andare subito.» Fece un’altra pausa. «Ci sono altri nostri amici in giro. Dovevano riunirsi con noi… presto. Saranno sulle nostre tracce.»
La sua risata rimbombò per tutta la natura. «Ti prego, figlia di Loki» disse. «Mentire così spudoratamente, in queste condizioni, non serve a nulla. Neanche se usi la tua lingua ingannatrice. A proposito di lingua…» schiccò le dita, e due non-morti la affiancarono. «Tagliategliela. Così non ci interromperà più con futili tentativi di metterci paura.»
«No!» gridai, cercando di farle da scudo, ma il guerriero mi schiaffeggiò talmente forte da mandarmi a terra.
Osservai fin troppo bene i due non-morti afferrare Alyssa e tenerla ferma, mentre il nuovo cagnolino tutto devoto alla sua signora tirava fuori un coltellaccio da caccia, le apriva la bocca a forza e le tranciava la lingua.
La figlia di Loki vomitò un fiotto di sangue, ma l’energumeno fu veloce a richiudergliela. Alyssa spalancò gli occhi, cercò di sputare, ma inghiottì il proprio sangue, ostruendosi le vie respiratorie. Le tremarono le palpebre, prima che si accasciasse addosso al guerriero priva di vita.
«Allora, Annabeth, credo sia inutile ricordarti di non opporre ulteriore resistenza, se non vuoi diventare muta anche tu, giusto?» fece Kara, ghignando.
Abbassai il capo. «No.»
 
♦Astrid♦
 
Motivi per cui Alex era un fidanzato fantastico:
  1. Era più intelligente della media dei ragazzi;
  2. Non aveva pessimi gusti musicali – e non fingiamo che sia una voce di poco conto;
  3. Essere abbracciate da lui era come entrare dentro un armadio foderato di pellicce;
  4. Sapeva essere il guerriero più forte del Campo Nord e, al tempo stesso, essere così dolce da far venire le carie – e attenuare la mia aria da donnola incazzosa;
  5. Baciava da far paura! (E questo era decisamente importante, ah-ah)
Tutto questo sarebbe bastato a rendermi felice per l’eternità, se non fosse che: 1) Il suo senso del dovere era troppo spiccato, e 2) purtroppo questo gli provocava troppo spesso la tendenza a farsi film mentali.
Collegato il tutto, veniva fuori che oggi Alex non era né in vena di baci né di felicità. Sommato al fatto che Annabeth era quasi sicuramente in pericolo di vita, e che senza quella gentilezza io ero tutt’altro che socievole, era proprio una giornata di merda.
Usciti dall’officina, cercai la sua mano. Ricambiò la stretta, ma non con il solito vigore. Mi misi a creare un discorso per rassicurarlo nella mente, nonostante non fossi portata per questo genere di cose. Dopotutto, ero io quella che pensava sempre il peggio e che non si illudeva con false speranze.
Non riuscendo a trovare le parole giuste, mandai all’Helheim il discorso e smisi di camminare verso i dormitori, facendo fermare anche Alex.
«Senti, Alex» esordii, posizionandomi di fronte a lui. «Lo so cosa stai pensando adesso. Tutta questa storia del Annabeth-è-scomparsa-per-colpa-mia-sarei-dovuto-andare-con-lei ti si legge in faccia.»
«Fosse solo questo…» borbottò, voltando il viso di lato.
«Percy non è scomparso per colpa tua. Quando è successo tu neanche lo sapevi, né potevi immaginarlo. Ed Einar ha solo bisogno di starsene per conto suo per un po’, okay? Nessuno ti incolpa di niente. Nessuno. E sai perché?»
«Perché poi tu li prenderesti a calci nel sedere?» suggerì.
Nascosi un sorriso. Era vero, probabilmente l’avrei fatto. Favoreggiavo la politica del “se ferisci lui, ferisci anche me, e devi pagarla cara”.
«Perché non c’è niente che tu potessi fare, che potessi prevedere. Alcune cose accadono nonostante desideriamo che siano sotto il nostro controllo. Ciò che è importante, però, è agire. E noi lo stiamo facendo. Salperemo ‘sta sera, daremo l’allarme.» Feci una pausa, riportandomi indietro i capelli prima di proseguire. «Annabeth è anche mia amica, e sai che saperla in pericolo mi manda in bestia, ma non dobbiamo cercare sempre un colpevole. Le cose succedono e basta, ed è il modo in cui reagiamo agli effetti che conta.»
Alex trovò la forza di farmi un sorriso. «La mia ragazza è proprio intelligente» sussurrò, allacciando le sue braccia dietro la mia schiena.
«Già» concordai. «Non mi merito un bacio?»
Alex sollevò l’angolo destro della bocca, abbozzando un mezzo ghigno. Quando le sue labbra toccarono le mie, mi sembrò di sfiorare il Valhalla con le dita.
Il figlio di Odino mi riportò una ciocca di capelli dietro l’orecchio, dove si accostò per sussurrarmi: «Anche due.»
 
 
Come aveva promesso Beckendorf, la Skidbladnir fu pronta a partire la sera stessa. Le altre Orde non si sarebbero mai sognate di venire con noi, quindi all’appello risultavano unicamente i membri di quella del Drago.
Einar aveva di nuovo il suo sorrisetto beffardo stampato sulle labbra; sembrava che la notizia della morte di Alyssa non l’avesse minimamente sfiorato. Nora stava chiacchierando con Helen, che poteva stare all’aria aperta senza problemi, visto che il buio era calato presto e il sole non avrebbe danneggiato la sua pelle delicata.
Ad un tratto, Beckendorf si avvicinò ad Alex e me. Notai con stupore che portava una spada al fianco.
«Ciao» ci salutò. «Alex, io… ehm… vorrei chiederti di poter venire con voi.»
Corrugai la fronte, ma preferii che fosse Alex a rispondergli.
«Charlie, non credo che sia saggio accodarti.» Sembrava che pronunciare quelle parole gli avesse provocato dolore fisico.
«Annabeth e Percy sono miei amici da sempre. So che è pericoloso ritornare a casa, ma io correrei tutti i rischi del mondo per loro» insistette l’altro.
Alex sostenne lo sguardo di Beckendorf per alcuni secondi, poi il semidio scrollò le spalle e sorrise con nostalgia. «Silena sarà felice» disse, e si allontanò.
«Dèi» sbottò Alex, sbuffando sonoramente. «Odio questa situazione.»
«Giornata di merda» chiosai, facendolo ridere e borbottare qualcosa a riguardo della finezza.
Petra, la figlia di Njordr coi capelli blu, e Kimmi, un figlio di Volund con un accenno di barba rossiccia, si sporsero oltre il bordo della Skidbladnir e gridarono a squarciagola: «Allora, siete pronti, marinai? A BOORDOOO!»
Poi scoppiarono a ridere e si diedero il cinque. Einar si avvicinò a noi fischiettando He’s Pirate, dalla soundtrack de Pirati dei Caraibi.
«Quei due sono parecchio su di giri, capo. Sei sicuro che siano in grado di guidare la nave?»
«L’hanno già fatto, no?» replicò Alex.
«E poi, nel caso» aggiunsi, «sai nuotare.»
Einar ghignò. «“Nuotare” rientra nella lista di fatti che mi rendono perfetto, dolcezza.»
Lo guardai storto. «E che mi dici di “correre”?»
Il figlio di Loki colse il sottointeso e scappò via, anche se non mi presi la briga d’inseguirlo. Sapeva quanto mi dessero sui nervi i nomignoli. Non poteva usarli il mio ragazzo, figuriamoci lui.
I nostri rapporti erano migliorati dal nostro piccolo scontro a New York, quando aveva promesso di proteggere Alex e, alla fine, non l’aveva fatto. Ci eravamo perdonati a vicenda, o forse io mi ero rammollita un pochino.
Fummo tra i primi a salire a bordo tramite una scaletta che si appoggiava alla fiancata della Skidbladnir. In totale, eravamo circa una ventina di mezzosangue. In teoria, era una missione col fine di informare i Greci della scomparsa di Annabeth, ma aveva finito per essere un viaggio di visita a nostri amici oltre oceano. E poi, chissà, con la sfortuna che ci perseguitava avremmo potuto avere bisogno di manforte.
I figli di Volund si ritirarono sotto coperta e Petra si posizionò al centro della nave, pronta ad aiutarli comandando il mare. Noi altri eravamo sparpagliati a prua e poppa, chi sporgendosi, chi salutando alcuni compagni rimasti a terra.
La Skidbladnir si mosse con uno scossone tremendo. Schizzi d’acqua salata mi finirono in faccia, mentre ci allontanavamo dalla costa e dal fondale basso. Quando l’andatura si regolarizzò e gli scossoni cessarono, si levarono grida e applausi. Filavamo già a una buona velocità, ed eravamo fortunati a viaggiare col mare calmo.
«Are you excited?» domandai ad Alex, passando all’inglese.
«Of course I am» rispose prontamente. «And I’m excited to do this…» mormorò, sollevandomi il mento e baciandomi in quel modo lento e approfondito che adoravo.
Mentre un gruppetto di figlie di Freyja si produceva in un coro di versetti e commenti del tipo “quanto sono dolci”, per un momento mi dimenticai di tutti i problemi e pensai: New York, we’re coming for you.
 
 
Eravamo partiti da quasi due ore, quando Petra percorse tutta la prua di corsa gridando “fate largo!” in costume da bagno. Si arrampicò sopra la polena a forma di testa di drago con un’agilità invidiabile, si rialzò in piedi e si tuffò in acqua gridando. Io, Alex e chiunque si stesse godendo la stellata ci sporgemmo oltre il parapetto per guardare.
«Donna in mare!» urlò qualcuno, precipitandosi ad avvisare i figli di Volund affinché fermassero la Skidbladnir.
Petra ritornò in superficie in una nuvola di spuma bianca, i capelli blu attaccati alle guance e al collo.
«Oh-miei-Dèi, è ghiacciata!» strillò.
Cominciò a mulinare le braccia per tenersi a galla e scaldarsi un po’.
«Petra!» gridò Alex in un misto di preoccupazione, rabbia e sconcerto. «Perché l’hai fatto?»
«Non ti preoccupare, capitano!» urlò di rimando l’altra. «Ho sempre desiderato farlo!» aggiunse, lanciando uno strillo che assomigliava al grido di un delfino.
«Torna su! Non è sicuro!» ordinò lui.
Petra scosse la testa. «Stai scherzando?» fece lei. «Sono una figlia di Njordr, il mare è la mia seconda casa. E poi è fantastico!»
Si immerse, scomparendo nelle oscurità dell’oceano. Restò sotto per minuti interi, un tempo impossibile da sostenere, a meno che sapessi respirare sott’acqua.
«Forza! Che aspettate?» ci incitò, rompendo di nuovo la superficie con la testa, questa volta più vicino alla fiancata destra della Skidbladnir. «Venite anche voi!»
Alex mi guardò, cercando appoggio; io scrollai le spalle. L’idea suscitava lo stesso fascino di una sbronza: sembrava una di quelle cose assurde che bisognava fare almeno una volta nella propria vita. Anche se buttarmi dalla nave non era molto allettante, considerati i metri che mi separavano dall’acqua.
«Arrivo, Petra!» gridò Kimmi, scavalcando il bordo con un balzo e cadendo in mare come un palo della luce.
Tornò subito su in un gran agitare di braccia. «Per Odino, ma quanto è fredda?» urlò, rabbrividendo vistosamente.
«È cinque gradi sotto lo zero, Kimmi» rispose la figlia di Njordr, sorridendogli come se stesse parlando del tempo.
«Cosa?» esclamò il ragazzo. «Sei pazza! Siamo pazzi!» si corresse. «E questa è una figata!»
Intrigati da quella reazione, due fratelli figli di Thor si liberarono della parte superiore dei vestiti, rivelando il loro fisico scolpito. Le ragazze di Freyja li guardarono con grande interesse, a cui i due risposero con sorrisi smagliati.
«Ravviviamo la festa, fratello!» disse uno.
«Concordo e sottoscrivo, fratello!» annuì fortemente l’altro.
Quindi, corsero e si tuffarono in acqua. Quando tornarono su, incalzarono a gran voce noi altri. Einar si tolse gli scarponi alla bell’e meglio, poi balzò sul bordo e guardò giù. Con un’alzata di spalle, si girò verso le figlie di Freyja.
«Ragazze, ammirate il più bel figlio di Loki alle prese con…» iniziò a declamare con tono solenne, ma Sarah lo spinse giù e completò al posto suo: «… la caduta del secolo!»
Mentre precipitava di schiena, Einar gridò: «Maledetta!» con un’intensità tale da potersi udire anche sotto coperta.
Sarah coprì con la sua risata il duro impatto con l’acqua. Torturare il figlio di Loki era uno dei suoi passatempi preferiti, quasi quanto minacciarlo di castrazione. Né io né Alex riuscimmo a trattenerci dal ridere.
Einar risalì in superficie e sputacchiò l’acqua salata. «Vieni giù, se ne hai il coraggio, essere malefico!» sfidò Sarah.
«Non ci penso minimante, bello!» ribatté l’altra, sorridendo come una deficiente.
«Sappi che mi vendicherò, donna!» ingiunse allora, agitando un pugno in aria.
«Lo raggiungiamo?» domandai ad Alex, sperando che mi dicesse di sì.
«Non posso credere che tu voglia fare il bagno di notte a cinque gradi sotto zero, Astrid» osservò il figlio di Odino.
«Sembra carino» pigolai, assomigliando troppo a una bambina delle elementari. «E non voglio fare quel volo da sola.» Mi strinsi nelle spalle.
Alex sospirò, scuotendo piano il capo. «Va bene. Sarà quantomeno divertente.»
Gli scoccai un bacio sulla guancia. «Lo sai che ti adoro.»
Mi tolsi la felpa e le scarpe, che mi avrebbero attirata sul fondo con il loro peso, e mi issai sul parapetto insieme ad Alex. Ci stringemmo la mano – o meglio, io stritolai la sua non appena mi vennero le vertigini. Strizzai le palpebre per non vedere.
«Al tre?» chiese Alex.
«Okay» risposi prima che avessi il tempo di ricredermi.
«Uno…» iniziò lui.
«…due…» continuai.
«… tre!»
Praticamente venni trascinata giù da Alex, perché non ebbi il coraggio di lanciarmi. Lo stomaco giocò a creare tutti i nodi esistenti assieme all’intestino, mentre cadevo a picco pregando fa’ che succeda presto, per favore.
Mi ricordai all’ultimo di trattenere il fiato. Il mondo si congelò non appena affondai. Scalciai con le gambe per tornare di sopra il più in fretta possibile, accorgendomi di aver perso la mano di Alex. Fu un sollievo immenso mettere la testa fuori dall’acqua. Boccheggiai e cacciai un urlo.
«Miei Dèi, è con-ge-la-ta!» esclamai.
Alex risalì accanto a me in una nuvola di bollicine. «Moriremo assiderati!» gridò.
«Sììì, capitano!» strillò Petra, nuotando verso di lui. «Anche tu partecipi alla festa!»
«Dubitavi dello stile del capo?» le chiese Einar, emergendo all’improvviso al mio fianco.
«Certo che no!» rispose Petra. «Dovete muovervi, se non volete congelare» spiegò, mulinando le braccia.
Dal momento che persino Alex si era buttato, anche il resto della piccola ciurma si tuffò. Non appena Sarah mise la testa fuori dalla superficie, Einar l’assalì, finendo per sfidarla in una gara di nuoto. Io e Alex scoppiammo a ridere quando il figlio di Loki afferrò una gamba dell’avversaria, che strillò e venne attirata giù.
Ma ridere e stare a galla non andavano d’accordo, quindi sprofondammo anche noi, ingoiando l’acqua gelida. Ci sostenemmo a vicenda mettendo le mani sulle spalle dell’uno e dell’altra. Vedevo solo lo scintillio dei suoi occhi e la parte destra del suo volto, pallidamente illuminata dalla Luna. I capelli ricci erano zuppi, e la maglietta si gonfiava davanti al suo petto, sfiorando il mio.
Con le grida, gli strilli e tutti gli schiamazzi dietro di me, Alex che mi guardava dritto negli occhi e mi diceva con lo sguardo che mi amava, mi sentii potente come mai prima d’ora.
Ero invincibile.
Le stelle bruciavano la notte sopra di noi. Nuotavamo nell’inchiostro che, forse, qualcuno avrebbe usato per scrivere la nostra storia.
Eravamo giovani ed eravamo folli ed eravamo felici.
 
► Piper ◄
 
Stavo raggiungendo Leo al Bunker 9, quando una nave vichinga volante atterrò sulla costa del Campo Mezzosangue con un sonoro tunk. Il figlio di Efesto uscì fuori al quel rumore e, notando l’imbarcazione, fischiò.
«Cos’è?» domandò, ammirando gli scudi affissi ai lati.
«Non lo so» risposi, osservando preoccupata la nave. «Spero non altri guai.»
«Be’, non ci resta altro che andare a vedere, Pipes» disse, e sorrise avviandosi.
Quando arrivammo davanti all’imbarcazione, alcuni ragazzi stavano usando una scaletta per scendere, mentre altri erano già a terra e camminavano verso di noi. C’era una ragazza dagli occhi e capelli neri, vestita con jeans strappati e una maglietta di un gruppo rock di cui non avevo mai sentito parlare.
Ma era il suo accompagnatore che catturò la mia attenzione: era alto e muscoloso e dal portamento fiero, da perfetto guerriero imperturbabile. Aveva il viso spigoloso, con la linea della mascella marcata, però era gradevole da guardare, forse per via della chioma riccia che ne smusava gli angoli.
E aveva un occhio solo. Cioè, in realtà erano due, ma solo uno era vero, mentre l’altro era una pietra. Era inquietante e attraente allo stesso tempo.
Lo paragonai istintivamente a Jason, nonostante i due fossero agli antipodi.
«Chi siete?» domandai titubante, quando furono a poca distanza da noi.
«Venite in pace?» aggiunse Leo, squadrando il ragazzo come domandandosi perché fosse così tanto alto.
«Siamo semidei» rispose con calma. Non aveva quasi accento, ma non era di certo un madrelingua. «E sì, veniamo in pace. Il mio nome è Alex Dahl» si presentò. «E il tuo?»
Mi batté forte il cuore. Perché si era rivolto unicamente a me?
«Piper McLean» risposi, cercando di suonare normale.
«Io sono Leo» si accodò il figlio di Efesto, porgendo la mano ad Alex. «E, uhm, se posso chiedere, perché siete qui?»
La ragazza e il ragazzo si scambiarono un’occhiata, poi lui parlò: «Conoscete Annabeth Chase?»
«Sì» risposi. «È nostra amica. Se la state cercando, però, mi dispiace dirvi che non è qui. È partita qualche giorno fa.»
«Lo sappiamo» disse la mora.
Leo sollevò un sopracciglio.
Alex sospirò. «È venuta da noi ed è scomparsa.»

 
koala's corner.
Ri-salve, gente! Siamo felici di non dover aspettare un'altra settimana per pubblicare il nuovo capitolo, perché, anche se non sembra, persino gli autori/koala si eccitano per queste cose.
Soprattutto perché zio Rick ha annunciato la sua saga nordica - Magnus CHASE e gli Dèi di Asgard!
E Loki è il suo dio preferito. Cioè. Io mi aspetto scintille! *----------*
E io riuscirò a fare un crossover anche con quella saga. Ci riuscirò, punto. Sono spicologicamente sottomesso da Magnus Chase.
Passando al capitolo *sigh* L'ultima parte è quella di Piper - mi rifiuto di abbreviare il suo nome in Pip, vi avverto - e non si capisce poi molto di IC e OOC, ma se volete farvi un'idea di quanto io adori la figlia di Afrodite, cercate la mia storia "(h)eartquackes"
La scena del bagno notturno sembra un po' una coglionata, però io mi vedo così, da adolescente, una persona che può passare da riflessioni filosofiche a idee folli in un nulla, ed è per questo che mi piace :3 Tipo, John Green e Cercando Alaska, per intenderci, ecco.

Io non ero molto d'accordo, ma vabbè, lei è pazza.
Da che pulpito...
Come avrete intuito, o forse no, c'è qualcosa tra Piper e Alex... Ipotesi? :P
Noi due abbiamo in serbo alcuni assi a riguardo, e non saranno scontati lo spero tanto, almeno hahah
Per quelli di voi che ci hanno chiesto dell'eroe in armatura, dovranno ancora aspettare per la sua identità svelata. Per il momento, Kara risorge.
Di nuovo. E 'sta volta non si perde in chiacchiere *sorriso crudele*
Al prossimo capitolo, che non abbiamo idea di quando sarà! Grazie per seguirci, un bacio a tutti :* Enjoy!

Soon on DnN: POV Alex/Leo - altre scoperte al CHB.
P.S.: Sapientona ha scritto questa meravigliosa storia Einico (http://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2797787), vi invitiamo a passare, se non l'aveste già fatto! ^^E grazie pure alla sconosciuta che su un'altra pagina fb ha linkato "Sangue del Nord" in riferimento all'annuncio della saga di Magnus Chase and the Gods of Asgard - non sappiamo chi sei, ma ti amiamo ♥
 

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Capitolo 3
*** ALEX/LEO • Una rivalità esplosiva ***


Una rivalità esplosiva

•Alex•
 
Chi erano quei due? Perché il fianco della collinetta era stato aperto e, ora, mostrava un enorme edificio simile ad un bunker? Ero certo di non aver mai visto il ragazzo riccioluto che sembrava un elfo e la ragazza.
Lei, in particolare, mi attrasse in modo che non mi aspettavo. I suoi occhi erano di un colore indefinito, come caleidoscopici, e infondevano allegria, ma vi leggevo una profonda tristezza. La pelle scura la identificava come la figlia di un discendente dei nativi americani, e aveva lunghi capelli castani intrecciati con delle piume.
Rimasi un attimo imbambolato ad osservarla, ma distolsi subito lo sguardo, quando il centauro Chirone corse verso di noi. Sembrava nervoso.
«Alex Dhal! Benvenuto… credo. A cosa devo la tua visita?» chiese, agitando la coda in modo poco tranquillo.
«Ciao, Chirone. Sono felice di vederti, chiedo scusa se sono arrivato senza preavviso, ma devo parlare a tutti di un problema grave. Molto grave» risposi, mentre i miei compagni salutavano i loro amici greci.
I due ragazzi incontrati per primi ci guardavano spaesati, come se fossimo un segreto che nessuno gli aveva rivelato. Il che favoriva la mia ipotesi: loro non sapevano nulla del Campo Nord. Dovevano essere arrivati da poco.
«Capisco» sussurrò infine il centauro. «Leo, Piper, raggiungeteci alla Casa Grande. Ma non portare Jason. Credo sia… importante che lui ne sappia meno possibile.»
«Chirone, che sta succedendo? Chi sono loro? Perché Jason non ne deve sapere nulla?» domandò la ragazza, fissando il direttore, mentre l’altro, probabilmente Leo, correva via.
«Sarebbe lunga da spiegare, mia cara. Ti prego di non rendere le cose troppo difficili, stiamo rischiando molto» spiegò il centauro, posandole una mano sulla spalla.
Lei esitò un attimo, poi annuì e corse via.
«Chirone, che succede? Cosa sono tutti questi misteri? Credevo che, almeno il Campo Mezzosangue, si fidasse di noi» protestai, notando come il mio arrivo sembrasse infastidirlo.
«Non si tratta del Campo, Alex. Si tratta di Zeus. Vieni, ora. Dobbiamo parlare di questioni molto importanti» disse dispiaciuto il direttore dei mezzosangue, conducendoci alla Casa Grande.
Come ogni volta, tutti i capigruppo vennero riuniti tutti. C’erano anche il Leo, a capo dei figli di Efesto, e la ragazza di nome Piper a rappresentare le figlie di Afrodite. Strano, di quest’ultima non l’avrei mai detto.
Di solito, le figlie di Afrodite vestivano con roba firmata, abiti perfetti e molta bigiotteria. Invece, quella ragazza indossava la normale maglietta del Campo e un paio di pantaloni di jeans al ginocchio strappati. Ancora una volta mi sentii stranamente distratto da lei e scossi la testa, tornando a concentrarmi sugli altri.
Salutai Will Solace, Miranda Gardner, Clarisse e tutti gli altri capogruppo, che mi accolsero con un certo entusiasmo, anche se notai una certa preoccupazione.
«Allora, Alex, dimmi. Come mai sei venuto qui?» s’informò Chirone, dopo che prendemmo tutti posto.
«A causa di Annabeth…» risposi, un po’ nervoso. Non era mai facile dare buone notizie.
Raccontai con poche parole quanto avevo sognato e dei miei amici morti pochi giorni prima. Man mano che la storia andava avanti, gli altri mi fissavano con sempre maggior apprensione. Li capivo, anche io ero preoccupato per lei. Se era ancora viva, dovevo trovarla. Avevo la sensazione che, quando Percy fosse tornato, me l’avrebbe fatta pagare.
«Ma non è morta, vero?» chiese ansiosa Piper, la figlia di Afrodite, appena conclusi il rapporto.
«Sei sorda, carina? Ti abbiamo appena detto che non lo sappiamo» sibilò Astrid, infastidita.
«Ehi, bella, sicura di non essere nel tuo periodo?» scherzò Leo Valdez, ottenendo un’occhiataccia assassina di risposta.
«Questo tipo mi piace» ghignò Einar, spostando lo sguardo sul figlio di Efesto.
Cercai di non ridere, mentre rispondevo: «Per rispondere alla domanda: no, non siamo certi che sia viva, però, non avendo trovato il suo corpo… be’, crediamo sia tutta intera. Non avrebbero motivo per ucciderla da qualche altra parte. Il loro obbiettivo sembrava proprio lei.»
«Inoltre, abbiamo degli esploratori elfi e altri mezzosangue in zona. Non abbiamo trovato tracce di Annabeth. Pensiamo, quindi, che sia ancora viva. Anche se in mano ai mostri» aggiunse Lars, accanto a me, tranquillo come al solito.
Il figlio di Eir mi piaceva, era un tipo affidabile ed un ottimo combattente, e possedeva una calma invidiabile che era utile in questo tipo di situazioni.
«Immagino che farete di tutto per recuperarla. Nonostante non creda che sia solo per questo che siete venuti qui, vero?» domandò Chirone, pestando ancora il terreno, mentre una testa di leopardo appesa al muro annusava l’aria, come se cercasse croccantini.
«No, infatti» ammisi, grattandomi la nuca, un po ‘ in imbarazzo. «Da quando Percy è sparito, il vostro Campo si è fatto difficile da contattare. Noi abbiamo fatto del nostro meglio per cercarlo nel nostro territorio, ma non siamo mai riusciti a coordinarci con voi. Inoltre, qualche tempo fa, avete posto un silenzio totale. Ammetto di non capire come mai non ci contattiate più.»
Tutti si guardarono in modo imbarazzato, evitando di incrociare lo sguardo di noi nordici. Anche Chirone sembrava molto in ansia, come se, da un momento all’altro, stesse per esplodere una bomba.
«Alex, ti ricordi cosa ti dissi, sugli antichi rapporti tra Dèi Greci e Dèi Nordici, vero?» cominciò molto cautamente il centauro.
«Ci risiamo? Ma non avevamo già chiarito che non abbiamo nulla contro di voi?» domandai, perplesso.
Ok, avevamo quel piccolo problema della divina rivalità tra Odino e Zeus, però l’anno prima avevamo, almeno in parte, risolto la questione tra i semidei.
«Non mi riferivo a tutti i rapporti in generale, ma solo e specificatamente all’Impero Romano» chiarì il direttore.
«Intende le orde nordiche che distrussero l’Impero Romano duemila anni fa?» chiese Lars, massaggiandosi il mento, pensieroso.
«Esatto.»
Tutti i capigruppo si scurirono e, in particolare, Leo e Piper si lanciarono un’occhiata allarmata, come se avessero capito qualcosa di cui erano all’oscuro.
«Proprio per questo, ti abbiamo tenuto all’oscuro di alcuni eventi. Devi sapere che…»
Ma il centauro non ebbe temo per terminare la frase, perché un ragazzo entrò nella Casa Grande.
Era giovane, sui quindici anni. I lineamenti squadrati mi erano familiari, come se fossero gli stessi di un’altra persona che conoscevo. I capelli biondi erano tagliati corti, come se fosse stato in una scuola militare, e gli occhi azzurri avevano lo stesso colore brillante di quelli di Talia.
«Chirone, eccomi. Scusami, ma Sherman mi stava trattenendo» disse subito, affannato, lanciando uno sguardo adirato verso Clarisse.
Tutti fissammo la figlia di Ares, che alzò le spalle. «Mi avevano chiesto di rallentarlo. Ho detto a mio fratello di placcarlo. Cos’altro dovevo fare?»
«L’incredibile sottigliezza dei figli di Ares!» commentò Einar, ghignando, facendoci ridacchiare un po’ tutti, tranne la diretta interessata, che arrossì per la rabbia.
«Loro chi sono?» chiese a quel punto il ragazzo, indicando noi nordici.
Tutti iniziarono a far rimbalzare lo sguardo da me a lui, come se fossimo protagonisti di una partita da ping-pong particolarmente intensa.
«Alex, ti presento Jason Grace…. figlio di Giove, versione romana di Zeus. Jason, lui è… Alex Dahl, figlio di Odino e alleato del Campo Mezzosangue» ci presentò Chirone, che sembrava essere il più nervoso di tutti.
E non aveva torto. Sentii subito uno strano senso di antipatia farsi strada nella mia testa. Una voce che mi avvertiva di fare attenzione e di temerlo perché era un nemico di Asgard.
«Figlio di… Odino?» fece Jason, inarcando le sopracciglia.
«Come mai usate il termine “Giove”? Non si chiama Zeus?» gli feci eco io.
«Appunto…» sospirò Chirone, abbassando il capo.
Ancora una volta riascoltai la storia dei Vichinghi, dell’antico popolo germanico e dell’invasione dell’Impero Romano. Ma ad esso si aggiunse un altro tassello. I Romani erano sopravvissuti ed il lignaggio della città antica era perpetrato nei secoli, creando una seconda stirpe di semidei, ma di parte romana, che dividevano la personalità degli Olimpici in due.
Jason veniva proprio da lì: dalla parte romana delle divinità. Chirone mi parlò del Campo Giove, dove, a quanto pareva, era insediata anche una città segreta: Nuova Roma. Jason era un Pretore, uno dei due capi del Campo Giove, dove i semidei si organizzavano in Legioni.
Di parte sua Jason venne a sapere del Campo Nord, delle divinità nordiche e di noi, semidei nordici.
«Quindi voi lo sapevate! Che aspettavate a dirmelo?» domandò, sorpreso e arrabbiato al tempo stesso.
Cosa che, in effetti, capivo. Non era da escludere che anche lui, come me, stesse provando una profonda diffidenza nei miei confronti.
«Contavamo di non dirtelo mai» commentò Chirone, dispiaciuto.
«Come mai?» chiese Piper.
Sia lei che Leo si erano fatti sempre più sorpresi mano a mano che il centauro raccontava, il che mi fece intuire che nemmeno loro sapevano di noi.
«Perché Roma e Asgard si odiano. Voi sapete tutti quanto è profonda la rivalità tra noi e i romani. Ma essa non è niente davanti all’odio che divide gli Dèi Nordici dai nostri in versione romana. È un astio antico, radicato da secoli di guerra e governi caduti. Avete idea di quanti imperi i Romani abbiano provato a creare? Il Sacro Romano Impero, l’Impero Germanico, i Grandi Imperi Coloniali. I Nordici, che fosse dall’esterno o dall’interno, non solo li hanno divisi, ma anche distrutti. Quando Jason è apparso al nostro Campo abbiamo tagliato i ponti con i nordici per paura di far scoppiare la Terza Guerra Mondiale» spiegò il centauro, con una durezza incredibile per lui.
Anche gli altri capigruppo sembravano sinceramente preoccupati.
«Cavolo, amico, non pensavo fossi così importante» commentò Leo, a bocca aperta.
«Stai calmo, elfo. È il mio capo il più figo, qui!» aggiunse Einar, per poi scoppiare a ridere.
«È una cosa seria, invece!» intervenne Astrid, stizzita.
«Proprio così» confermò Chirone, calmandosi un po’. «Alex, Jason, insieme voi siete terribilmente pericolosi. Siete l’emanazione del potere dei vostri genitori. Uniti potreste fare molte cose… ma il potere che utilizzate è diviso da un veleno che da due millenni separa due civiltà opposte. Basta una scintilla per far esplodere la polveriera. E voi potreste esserne i catalizzatori.»
E, ovviamente, ci serviva proprio questo commento ottimistico per farsi piacere Jason Grace. Era un tipo forte, lo sentivo bene. Sarebbe potuto essere un degno avversario, ma questo implicava la distruzione della civiltà occidentale e nordica.
Avrei avuto la responsabilità di una guerra su scala globale. Una guerra divina. Decisi di tenere la mia mano ben lontana dall’elsa della spada, in caso l’istinto mi giocasse qualche brutto tiro. Non era il caso di assecondare la vocina che, nella mia mente, mi sussurrava suadente, di alleggerire il collo di Jason dal peso della testa.
No. Non avevo motivo di prendermela con lui. Non era mio nemico e non mi aveva fatto nulla.
«Chiedo scusa» s’inserì all’improvviso Leo. «Ma com’è nata questa rivalità?  Insomma… non credo si odiassero da sempre, altrimenti sarebbero molto stupidi.»
Tutti lo guardammo malissimo, mentre un tuono riempiva l’aria all’esterno. Osservammo il cielo che in poco tempo si era scurito, nonostante non dovesse accadere sul Campo Mezzosangue. Zeus, o meglio, Giove, si stava un attimino incazzando.
«Leo, non mettere in dubbio il nostro dio. Ad ogni modo… è vero, la loro rabbia non è radicata dalla nascita. È dovuta ad un evento che fu scatenato dai Romani» iniziò il centauro, con tono solenne.
Come se l’idea fosse nata nella mente di entrambi, nello stesso momento, ecco che, sia io che Jason sussurrammo: «La battaglia di Teutoburgo.»
Tutti ci fissarono allibiti, compresi Einar, Astrid e Lars.
«Cos’è la battaglia di Teutoburgo?» chiese Clarisse, incuriosita. Ovvio che la figlia del dio della guerra fosse interessata ad una guerra.
«È la più grande disfatta che i Romani subirono sul versante orientale dell’Impero. Nonché la prima in assoluto» spiegò Jason, con una punta di rimpianto nella voce. «Più di ventimila soldati romani furono inviati oltre il confine dell’Impero, che voleva espandersi, passando dal Reno fino ad arrivare alla Scandinavia… ma nessuno tornò mai indietro. Le tribù barbare massacrarono tutti, fino all’ultimo uomo.»
«Ehi, non darci nessuno la colpa. Ci stavamo difendendo!» mi schermii, notando come mi avesse lanciato un’occhiataccia risentita.
«Avete massacrato decine di legionari e non ci avete nemmeno permesso di riportare i corpi in patria!» protestò, arrabbiato.
«Ehi, biondo! Si tratta di duemila anni fa. Certo che sei più permaloso di tuo padre» lo zittì Astrid, alterata.
Aveva già sfilato gli orecchini e, a quel che vedevo, anche Lars, che di solito era molto calmo, si era accigliato parecchio.
«Calmatevi, ragazzi!» ci richiamò subito Chirone. «Non rendete le cose ancora più difficili.»
«Chirone ha ragione. Dobbiamo tornare a concentrarci su Annabeth» convenne il figlio di Eir, tornando calmo.
Una volta che ci fummo chiariti, e una volta raccontato quanto avevo visto in sogno e quanto mi avevano detto gli alleati di mio padre e, infine, del viaggio che avevamo compiuto, anche se omisi il particolare del bagno, dato che sembrava poco consono; non volevo che ci prendessero per immaturi, ma, soprattutto, perché quello era un nostro modo per ignorare le nostre paure - era un modo stupido. Efficace, però.
«Quindi, volete il nostro aiuto?» domandò Piper, dopo averci ascoltati.
«Esatto. Ci serve anche la vostra collaborazione. Sarebbe scorretto tenervi all’oscuro. Lei è amica sia nostra che vostra. Ha bisogno di tutti noi» risposi, annuendo.
«Allora credo proprio che la Argo II possa aspettare qualche giorno!» esclamò Leo, allegramente. «Adoro fare una nuova avventura piena di pericoli e rischi di morte. Dove andiamo?»
«A nord della Norvegia, dove  ci attende il pericolo. Voi lo chiamate Polo Nord, noi preferiamo “Portale per lo Jotunheim”» precisò Lars, in tono serio.
«Cosa sarebbe Jotunheim?» chiese Jason, fissandoci interessato.
«Oh, solo la casa dei Giganti del Ghiaccio. Quei mostri che, più degli altri, amano mangiare le nostre interiora» disse Einar, ironicamente.
«Perfetto, io adoro farmi mangiare le interiora. Sono un boccone molto piccante!» scherzò Leo, con un sorriso allegro stampato in faccia.
«Molto bene. Invieremo Piper, Leo, Clarisse e Will con voi. Più qualche altro ragazzo del Campo, in modo che la missione sia equilibrata» annunciò Chirone, in tono solenne. «Per ‘sta sera, voi ragazzi potrete essere nostri ospiti nella Casa Grande.»
«Un momento!» protestò Jason. «Anche io devo venire.»
Tutti noi lo fissammo sorpresi.
«Temo che sia troppo pericoloso, Jason» lo avvertì il centauro, agitando la coda. «Come Alex sarebbe in pericolo se si avvicinasse a te, o ti affrontasse qui, anche tu saresti in pericolo. Con Odino non avresti scampo.»
«Avanti, Chirone. Ha detto lei che siamo in pace. Se Giove non ha attaccato Alex, non credo che Odino attaccherà me» fece notare il ragazzo.
«In effetti, non ha tutti i torti. Ma potrebbe anche darsi che abbia risparmiato il Campo Mezzosangue perché qui vige la sua personalità greca che,  nonostante tutto, tollera la presenza di un figlio di Odino» commentò Lars, strizzando le palpebre in un’espressione tra il preoccupato ed il calcolatore.
«Ad ogni modo, non intendo rimanere con le mani in mano! Non se Piper si mette in pericolo» sbuffò lui piccato.
«Tranquillo, biondino, il nostro capo si occuperà della tua ragazza» scherzò Einar, con un ghigno divertito, beccandosi occhiatacce da tutti i punti.
Andava a finire che io e Jason ci coalizzavamo solo per riempirlo di legnate.
«Potresti andare… se Alex garantisse per la tua sicurezza» decise, alla fine, Chirone.
Ancora una volta mi ritrovai sulle spalle una responsabilità non indifferente. Non potevo assicurare la salvezza di Jason, però non potevo rigirare troppo la frittata. Il tempo era poco e se il figlio di Giove fosse venuto con noi senza informarci, probabilmente Odino l’avrebbe presa ancora peggio. Dovevo rischiare, perché avevo la sensazione che quello non si sarebbe arreso.
«D’accordo. Garantirò per la sua protezione dagli Dèi, lo Giuro sull’Isola di Foreseti. Ma non potrò fargli da guardia del corpo» acconsentii, dopo pochi istanti di riflessione.
«Non preoccuparti di questo, so difendermi da solo» ribatté battendo il palmo sull’elsa della spada che gli pendeva dalla cintola.
Dopo qualche altra discussione per decidere chi sarebbe venuto con noi, Chirone ci lasciò andare nelle nostre stanze.
 
♪Leo♪
 
«Quindi sapevate tutto, voi» commentai, osservando un po’ risentito i miei compagni di cabina.
«Chirone ci aveva ordinato di non dire nulla. Lo avresti raccontato a Jason» protestò Jake Mason, dispiaciuto.
«Ehi, non sono così arrabbiato!» dissi, sforzando il mio sorriso. «Stavo solo notando che era un informazione che mi avrebbe interessato.»
Era molto strano venir a sapere di un terzo campo con altri semidei molto pericolosi e che avrebbero tanto voluto fare il sedere a strisce a Jason. C’era da dire che, però, a me sembravano tutti simpatici, in particolare il moro ironico che aveva preso in giro Jason.
Ad ogni modo, non avevo voglia di rimanere nella Casa di Efesto. Dovevo preparare le mie cose che, per inciso, erano nel Bunker 9.
Mi diressi lontano dalle Cabine, mentre Piper e Jason stavano parlando poco lontano. Miss Mondo e Superman biondo stavano discutendo in modo molto animato, anche se non credevo fosse qualcosa di così grave.
Poi, però, mi venne in mente il modo in cui Piper aveva guardato il ragazzo di Odino.
Scossi la testa.
Piper non era una ragazza facile, non si era innamorata di un altro. Poi, però, pensai a come, ultimamente, i rapporti con Jason si erano fatti freddi. Che stesse cercando un altro ragazzo per sopperire alla delusione amorosa dovuto all’amore illusorio che provava per Jason? Non era da escludere.
Ma no, Piper sembrava davvero innamorata di Jason.
E da quando, poi, mi interessavo della loro storia d’amore?
Sbuffai e continuai a camminare nella foresta fino a che non sentii un rumore molto sinistro attirare la mia attenzione. Cambiai direzione e, dopo qualche  minuto, mi ritrovai in uno dei tanti spazi che punteggiavano il boschetto del Campo. C’erano Alex, il figlio di Odino, ed Einar, il figlio di Loki.
Erano al centro di un cerchio rosso, probabilmente fatto con un pennello, e in quattro punti vi erano quattro pietre, con sopra uno strano segno. Era strano come l’area fosse illuminata da una luce rossastra inquietante, che sembrava spandersi proprio dal cerchio disegnato.
«Io, Alex, figlio di Odino, ordino a te, Alyssa, spirito del Valhalla, di mostrarti a noi» enunciò il ragazzo dai capelli ricci, accompagnando il tutto da una strana litania.
Ci fu una specie di contrazione nell’aria, come se la realtà stessa si stesse distorcendo, poi, con un bagliore luminoso, una strana figura evanescente apparve al centro della circonferenza, proprio davanti al figlio di Loki.
«Ciao, Aly» la salutò Einar, così mi pareva si chiamasse.
«Ciao, bello! Ti vedo bene. Spero che vi siate divertiti» commentò il fantasma della ragazza.
«Non ci si diverte più, senza di te» ammise il fratello, con un sospiro. «Mi manchi, sorellina. Mi manchi già.»
«Non esserlo, Einar. Qui nel Valhalla ci si diverte, sai? Il giorno ci si allena un sacco, ma, dopo un po’, ci riuniamo per festeggiare alla grande. L’unico rimpianto è che voi non siate qui con me» disse l’altra, dandogli una pacca sulla spalla, prima di ricordarsi che era solo un fantasma, una figura evanescente.
«Ehi, non portarmi sfiga, voglio vivere ancora un po’, io» le ricordò il ragazzo. «Come stanno Kinnon e gli altri?»
«Loro stanno alla grande. Vi augurano davvero il meglio. Ah, e vogliono che i Greci sappiano che non portano rancore, si sono divertiti» rispose la ragazza fantasma.
«Allora ci vediamo presto, sorellina. Fino ad allora, stammi bene» la salutò il fratello, prima di lasciare che lei sparisse in una nuvoletta di lucciole, che si diressero verso il cielo.
«Grazie, capo» disse dopo un minuto, con la testa bassa, sospirando affranto.
Si diresse così, sconsolato, verso il Campo.
Non sapevo cosa dire o cosa fare. Rimasi lì, in piedi dietro gli alberi, conscio del fatto che, probabilmente, avevo assistito ad un incontro molto personale tra Einar e sua sorella morta. E la cosa mi faceva davvero sentire un intruso.
«Puoi uscire» mi chiamò Alex.
Non sapevo come avesse fatto a vedermi, ma mi feci avanti un po’ teso.
«Mentre guardavi hai preso fuoco» disse, indicando parti della mia maglietta bucate.
Maledissi il mio potere di evocare il fuoco. Appena mi emozionavo perdevo il controllo e capitava che emettessi scintille a caso.
«Scusami. Non volevo spiare. Stavo andando al Bunker 9 e vi ho visti» spiegai, grattandomi la nuca.
«Capisco» sussurrò il capo dei nordici, abbassando il capo. Sembrava triste e abbattuto.
«Quella era una delle ragazze che era con Annabeth?» chiesi, cautamente.
«Già.»
«Mi dispiace» borbottai, distogliendo lo sguardo. «So cosa significa perdere qualcuno.»
«Non è facile, vero?» commentò il figlio di Odino. «I ragazzi del Campo Nord sono guerrieri. Sanno che moriranno, ma io sono il loro comandante. La missione di Annabeth… Ero io ad averle lasciate andare. È stata una mia responsabilità. È stata colpa mia.»
«Ehi, amico, non dovresti fare così. Sei peggio di Jason. Ascolta, nessuno pensa che sia colpa tua e nemmeno tu dovresti. Anche se lo fosse, stai lavorando per rimediare» lo rassicurai, con un sorriso tirato.
«Fosse facile… Ma la vita umana non si può riparare» sussurrò il ragazzo, abbassando il capo. Ero certo che il suo occhio sano fosse umido di lacrime.
Osservai il cielo, sentendomi colto sul vivo. Riparare la vita umana… una cosa che nemmeno mio padre Efesto avrebbe potuto fare.
«Dimmi, Leo. Cosa faresti tu al posto mio?» domandò il figlio di Odino, sedendosi accanto a me.
Che strano. Di solito la gente mi ignorava, non chiedeva il mio parere. Invece, sentirmi così coinvolto da qualcuno che pensavo molto superiore a me, mi fece stare bene. Come se finalmente qualcosa stesse girando per il verso giusto negli storti ingranaggi nella mia vita.
«Non lo so» ammisi. «Forse scapperei, o cercherei di sdrammatizzare con qualche battuta idiota. Dopotutto è quello che ho sempre fatto.»
«Ma non questa volta, vero?» chiese l’altro, sorridendomi tristemente.
«No. Forse perché so che questo posto mi avrebbe dato qualcosa di più… una nuova casa, uno scopo. Ma che dico, io non sono adatto a fare questi discorsi tragici» dissi, tornando a sorridere.
«Sicuro di non essere un figlio di Loki? Somigli molto a loro.»
«A quel che ne so, anche se il tuo amico sembra simpatico.»
Rimanemmo un attimo seduti su due rocce, una a fianco all’altra. Sopra di noi, il cielo stellato che sorrideva con le sue mille luci argentate.
«Sai, non sei male, Leo. Mi fa piacere che mi coprirai le spalle» disse, alla fine, il ragazzo di Odino, sorridendomi e tendendomi la mano.
«Siamo in due, allora» risposi, stringendola vigorosamente.
Mi chiesi come mai Jason lo trovasse antipatico. Alex sembrava una brava persona. E un buon amico. 

koala's corner.
Salve, ragazzi, siamo tornati con un capitolo molto esplicativo e molto figo, che vi fa capire un po' di cose^^
Come avete visto, si scopre finalmente qual è il rapporto tra i nostri nordici e i semidei romani. La battaglia di Teutoburgo è storicamente avvenuta nel 9 d.C. e a noi piace molto :3
Astrid già si accorge che qualcosa di sbagliato Ax non condivide molto lo "sbagliato" si sta scatenando tra Alex e Piper, ma ci vorrà ancora un po' prima che la squarti passi a maniere definitive. Ed Einar è un cucciolo di panda *w*
Ho scritto apposta questa scena per poter introdurre poi altre scene tenere con Einar e Nico
Last but not least, Leo! Entrambi amiamo Leo, e ovviamente non potevamo aspettare per mettere un suo POV.
Spero vi sia piaciuta la mia interpretazione e che sia abbastanza IC (y)
Non sappiamo ancora quale sarà il giorno di pubblicazione precisa, potrebbe essere di mercoledì, oppure cambiare. Quindi, tenete gli occhi aperti! Speriamo che anche il capitolo di oggi vi sia piaciuto, un abbbraccio e alla prossima!

Soon on DdN: POV Astrid/Piper - cosa c'è di meglio di una tempesta?

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Capitolo 4
*** ASTRID/PIPER • Siamo tutti sulla stessa barca ***


Siamo tutti sulla stessa barca
 
 
♦Astrid♦
 
«Quindi, adesso, sei ufficialmente la ragazza di Alex» dichiarò solennemente Rachel, per quanto potesse essere solenne una dichiarazione fatta mentre si mangiavano cereali, con il risultato che suonava più come “quindi grunch adesso grunch sei ufficial-grunch-mente la rag-grunch di Alex”.
Mi limitai ad annuire, portandomi alla bocca una cucchiaiata enorme di mußli. Io, Helen e Rachel stavamo facendo colazione nella mia stanza-cuccetta. Già, potevamo apparire come delle asociali. Già, non ce ne fregava un cazzo. Teoricamente, anche Petra avrebbe dovuto unirsi, ma, alla fine, aveva preferito fare colazione assieme agli altri.
«Non ti arrabbiare, Astrid» iniziò Rachel, pulendosi uno sbaffo di latte con il dorso della mano, «è solo un dato di fatto. Però, sono obbligata a comunicarti che il ragazzo di Odino ha un così bel culo, che… yum, capito?»
La fissai per qualche secondo, dopodiché scoppiai a ridere. «Come può mettere insieme “sono obbligata comunicarti” e “yum” in una stessa frase?» la presi in giro.
«Sono l’Oracolo di Delfi, è ovvio che abbia dei superpoteri» rise lei.
«Una precisazione» la interruppi. «Alex ha un bel culo, è vero, ma è anche il mio bel culo.»
«Per Odino» ci riprese Helen, vedendoci scoppiare a ridere come due sceme, nonostante si contenesse a stento. «Riuscite davvero a parlare di culi di prima mattina? Non abbiamo neanche finito di fare colazione!»
«Okay, okay, smettiamola di dire “culo”» concesse Rachel, sedendosi meglio sul materasso.
«L’hai appena fatto» le feci notare.
«Fatto cosa?» ribatté lei.
«Dire la “parola c”» risposi, posando la mia ciotola di cereali e latte ormai vuota a terra.
«Oh, Dèi» sbottò Helen, mentre le affiorava un sorrisetto. «Siete due bambine.»
Ci guardammo tutt’e tre negli occhi, prima di ridere di nuovo. Okay, non era poi così divertente. Ma non c’è davvero bisogno di un motivo vero per ridere.
Rachel tossicchiò, sforzandosi di recuperare un minimo di serietà. «Be’, comunque, non preoccuparti per il tuo fidanzato. Essendo un oracolo, devo rimanere vergine» sospirò.
«Sul serio?» esclamammo io ed Helen ad una voce.
«Ah-ah» confermò la rossa. «Mentre Annabeth pomicia con Percy, Chris e Clarisse sono tutti arrapati e Silena e Charlie fanno un soggiorno gratis al vostro Campo, io devo fissarli e basta.»
Fui felice che parlasse di Annabeth e Percy al presente, come se fossero qui con noi, invece che scomparsi chissà dove e probabilmente in pericolo di vita.
«Neanche una relazione, o un bacio?» chiese Helen.
«Nada» rispose Rachel, scuotendo il capo. «Soprattutto quella cosa, ovvio, però ogni ragazzo è off limits, per me.»
 Storsi la bocca. «Cavolo, peccato» sospirai.
Le mie parole suonavano davvero inutili e vuote, e odiai il fatto che fosse così. Rachel, però, mi rispose con un frullio di sopracciglia e un sorrisetto malizioso che non prometteva nulla di buono.
«“Cavolo, peccato”?» ripeté. «Sul serio, Astrid? Non ci hai raccontato qualcosa?»
Helen mi fissò con sincero stupore dipinto in viso. Diventai rossa come un peperone.
«Io? Cosa? Perché dovrei avervi nascosto qualcosa?» replicai, parlando troppo velocemente.
«Non so» cinguettò la rossa, stringendosi nelle spalle. «Mi eri sembrata parecchio interessata a questo argomento…»
Helen doveva ancora assimilare del tutto l’insinuazione dell’amica, però riuscì a balbettare: «Wow, non pensavo che le cose tra te e Alex fossero passate a un livello così… profondo.»
Rachel rise al “profondo”, buttando indietro la testa, orgogliosa che il suo piano malvagio stesse funzionando. Mi alzai di scatto, toccandomi una guancia con la mano e sentendo che friggeva. Non volevo pensare di essere diventata viola.
«Non ho intenzione di continuare questa conversazione con una pervertita e mezzo!» sbottai.
Recuperai la ciotola, me la strinsi al petto e uscii dalla stanza il più velocemente possibile.
Defilati, mi ripeteva la mia coscienza.
Mi raggiunse la voce di Rachel: «Sappi che scappando non risolverai la situazione, Astrid!» E poi, più come una minaccia che come una promessa, aggiunse: «Vogliamo i dettagli!»
«Knulle» borbottai, continuando a camminare a testa bassa.
E fu a quel punto che andai a finire addosso ad Alex.
«Oh.» Afferrò la tazza prima che mi cadesse dalle mani e si frantumasse a terra. «Attenta.» Mi sorrise dolcemente. «Ciao» mi salutò.
«Ci-ao» gracchiai, sperando che non mi si leggesse in fronte la frase poco carina “perché, tra tutte le persone su questa dannata nave, dovevo incappare in te adesso?”
Alex corrugò la fronte, e le sue sopracciglia quasi si toccarono. «Vogliono i dettagli di cosa?» domandò poi.
Freyja, dimmi cosa ti ho fatto di male. Ti prego. «Niente» risposi, esagerando con l’enfasi.
«Sicura?» Mi scostò un ciuffo ribelle dalla fronte e mi stampò un bacio che mi rese insicura sulle gambe. «Lo sai che se c’è qualcosa – qualsiasi cosa – che non va, puoi dirmi tutto.»
«Sì» buttai fuori a fatica. «Lo so.»
«Tutto okay, allora?»
Sospirai. «Tutto okay.»
Rimanemmo così per un po’, finché io non ruppi quell’aria magica – affollata di pensieri, tipo, speravo che le situazioni imbarazzanti fossero finite quando ci eravamo messi insieme –, balbettando: «Scusa, io… ehm… dovrei mettere questa a-l suo posto.»
«Oh. Sì, giusto.» Alex mi sorrise, porgendomi la ciotola.
«Grazie» dissi, oltrepassandolo.
Quando fui abbastanza lontana, buttai fuori tutta il fiato che avevo trattenuto fino a quel momento. Qualcuno doveva proprio spiegarmi perché Freyja ce l’avesse tanto con me.
 
►Piper◄
 
A papà, la Skidbladnir sarebbe piaciuta molto. Era un’enorme nave vichinga – una drakkar, come la chiamavano tutti i semidei nordici – con una polena a forma di drago e scudi lustri ai fianchi, che riflettevano la luce.
In più, all’interno, si potevano trovare alloggi più comodi di quanto ci si aspetterebbe. Sarebbe stata perfetta in un film che si rifaceva ai Pirati dei Caraibi in chiave più antica, con la magia e tutto il resto.
A quanto si diceva in giro, Alex era capace di ripiegarla e farla diventare così piccola da poterla portare in tasca. Non ne dubitavo affatto; il figlio di Odino sembrava in grado di fare praticamente ogni cosa.
Mi immaginai mio padre misurare a grandi passi il ponte, mentre ripassava le mosse con la spada che aveva dovuto imparare per il personaggio del guerriero greco. Il ruolo di un bruto barbaro gli avrebbe fruttato parecchi soldi. E occupato la mente.
Finisce sempre così, mi dissi, facendo un sospiro mentale. Non importa quanto tu lo aiuti, o quanto gli stia attorno, non otterrai mai la sua completa attenzione.
«Ehi, Pipes.»
Per un attimo, pensai si trattasse di Leo. Poi, mi ricordai che era da qualche parte a fare chissà cosa con il figlio di Loki che si chiamava Einar. Era di sicuro un grande scherzo, visto come confabulavano. Sembravano due gangster.
Alzai il mento e voltai gli occhi verso destra, da dove proveniva la voce. «Ehi, Jason» lo salutai, sorridendogli.
Il figlio di Giove si appoggiò al bordo della Skidbladnir con i gomiti, proprio accanto a me. Era una bella giornata, e i raggi del sole giocavano con i suoi capelli, rendendoli prima color paglia, poi oro e infine arancioni. La piccola cicatrice sul labbro superiore riluceva come argento lucido.
«Volevo parlarti» proseguì Jason.
Guardava la mia mano destra, quella più vicina alla sua sinistra, con le dita che sembravano voler correre ad allacciare le mie. Pensai che volesse – finalmente – raccontarmi del Campo Giove. Di cosa lo attirava di là. Di cosa lo allontanava inesorabilmente da me. Del muro che si era pian piano formato tra noi.
O, peggio ancora, che volesse rompere con me, perché si era reso conto che falsi ricordi non gli bastavano. Ma non lo fece. Non parlò della nostra relazione, né del Campo Giove.
«Non riesco a fidarmi» disse tutto in un fiato.
Corrugai la fronte. «Di chi?» domandai.
«Di lui» rispose Jason.
Compresi all’istante di chi stava parlando. Provai forse troppo sollievo nel pronunciare: «Oh, intendi Alex.»
Chiusi le palpebre, immaginando di riacciuffare ogni farfalla scappata con un retino e di ingabbiarla nuovamente nell’apposito barattolo nella mia pancia.
Jason non sembrava altrettanto sollevato, anzi. La questione lo preoccupava, e gli si leggeva in faccia. Quasi per riflesso, iniziai ad inquietarmi anch’io.
«Io…» provò a dire, ma lasciò la frase sospesa in aria. Teneva i pugni stretti.
«Tu, cosa?» lo incalzai. «Dimmi.»
«Io… Non è solo che non riesco a fidarmi di lui, è che proprio sento di odiarlo, Piper.» Trattenni il fiato. «È come se Giove mi entrasse nella testa ogni volta che lo vedo e mi ordini di prenderlo a pugni. Non mi era mai capitato prima.»
«Non dovresti odiarlo» replicai. «Se metti a tacere l’istinto, potresti vedere chi è davvero. Pensa: è venuto in America di sua spontanea volontà per ammettere un proprio errore, di fronte a tutti gli amici di Annabeth. È stato coraggioso. E onesto.»
Jason si voltò di scatto verso di me. «A te piace
Strike, pensai. Cercai di mantenere un’espressione neutra, che non gridasse “Sì! Lo trovo simpatico. E allora?” Arrossii ugualmente, sentendomi in qualche modo colpevole.
«Non stiamo parlando di me» osservai.
«Sì.» Esalò un lungo respiro. Strizzò gli occhi e si massaggiò la radice del naso, si passò una mano tra i capelli. «Sì. Scusami. Non volevo essere rude. È che…»
«… questa cosa ti fa impazzire» completai per lui.
Mi sorrise, un sorriso pieno e sincero che mi scaldò il cuore. Gli sorrisi di rimando. No, non voleva lasciarmi. C’era ancora della chimica tra noi.
«È per questo che ho deciso di confidarmi con te» disse. «Sei l’unica che sa come prendermi.»
Le sue dita volevano correre dalle mie e, adesso, lui le lasciò a briglia sciolta.
«Rimango comunque convinta che Alex sia una bella persona» ripresi le redini del discorso.
Jason annuì. «Lo so. Lo penso anch’io, fino a un certo punto. Ma basta che mi ricordi dei suoi antenati, di quello che hanno fatto all’Impero Romano…»
«La battaglia di Teutoburgo» intuii.
Il figlio di Giove agitò la mano, e di riflesso la mia, che era legata alla sua. «Non solo. Le scaramucce tra Romani e i Barbari sono state innumerevoli» precisò.
«Però è stato l’episodio scatenante, a quanto dice Chirone.»
«E ha ragione» confermò Jason. «Si trattò di una delle più grandi e catastrofiche disfatte dell’esercito romano. Ci stavamo addentrando nei territori germanici, ma non eravamo pronti a fronteggiare il clima ostile e quei boschi impenetrabili. Il tempo è stato un fattore che ha giocato contro i legionari. I soldati di Publio Quintilio Varo stavano attraversando la foresta nei pressi di Teutoburgo, quando vennero attaccati e trucidati. Tre intere legioni – la XVII, la XVIII e la XIX – furono annientate, oltre a molti altri soldati. Tutti morti
Rabbrividii, desiderando che il sole scaldasse ciò che provavo dentro. Jason aveva evocato nella mia mente immagini terrificanti.
«I germani non si presero nemmeno il disturbo di raccogliere ogni cosa da terra, tanti erano i beni che potevano trovare. I corpi dei legionari marcirono in quella dannata foresta, perché non li seppellirono nemmeno. Si dice che, se ci si reca in quel tratto di bosco, tutt’oggi si possono trovare antiche monete.»
Il biondo fece una smorfia di mero disgusto. Gli posai una mano sulla spalla.
«Mi dispiace» mormorai.
«Anche a me, Pipes. Anche a me» sussurrò, invitandomi ad appoggiarmi al suo petto. «È ciò che penso ogni volta che lo incrocio: che i suoi antenati ci hanno scannati come maiali.»
Mi sentii in dovere di difendere Alex. Comprendevo il punto di vista di Jason, ma non poteva prendersela con lui solo perché i suoi Dèi erano gli stessi di quelli di allora.
Mi domandai se lo stessi facendo in nome della giustizia o dell’empatia che provavo nei suoi confronti. Non riuscii a rispondermi.
«Non è colpa sua, però» obiettai. «Anche tuo padre non è stato sempre carino, eppure io non ti giudico per il suo operato.»
Jason sospirò. Non aggiunse altro, ma la frase “a volte, la mela non cade troppo lontano dall’albero” aleggiava nell’aria, non detta. Mi carezzò la spalla e mi baciò la fronte.
«Promettimi di non fidarti ciecamente di lui, Pipes.»
Respinsi il desiderio di scostarmi. «Perché?» saltai su.
«Solo per sicurezza. Mi preoccuperei di meno, se lo facessi» spiegò, sorridendomi.
«Okay» accettai.
Ma non promisi. Non mi sembrava giusto. Jason poteva dubitare di Alex, ma io non avrei assecondato il suo odio.
 
 
C’era stato un tempo in cui non riuscire a prendere sonno era una routine. Era normale che mi infilassi sotto le coperte, mi rigirassi prima a destra, poi a sinistra, e infine alzavo gli occhi al soffitto e lo fissavo per ore. La causa maggiore era papà.
Pensavo: Ha ottenuto un altro ruolo. Le riprese devono essere fatte all’estero.
Mi domandavo: E io? Cosa farò io? Quando lo rivedrò?
Mi chiedevo semplicemente: Domani mi accompagnerà a scuola? O: Si ricorderà che mi aveva promesso di andare a fare surf? E del week-end padre-figlia che abbiamo programmato?
Quando iniziai a rubare – a capire che, in qualche modo, la mia voce incantava chiunque –, ipotizzavo quanto ci avrebbe impiegato a scoprirlo. E quanta attenzione mi avrebbe concesso. Mi bastava poco; solo uno, due secondi. Anche cinque. Al massimo, dieci.
Alla Scuola della Natura, stavo sveglia – immobile nel letto, nemmeno un respiro troppo forte, come se fossi in coma o stessi facendo meditazione – rimuginavo su me e Jason. Nelle “Brutte Notti”, piangevo in silenzio per colpa di Dylan o di Isabel, poi cercavo di farmi forza, concentrandomi su una battuta di Leo o su quella volta che avevamo dato fuoco alla biancheria intima del Coach Hedge.
Al Campo Mezzosangue, dormivo. Profondamente. Era una casa, una casa vera, e mi addormentavo in fretta.
Questa notte, non mi ero assopita per colpa dei pensieri che mi affollavano la testa. In particolare, riguardavano Jason e Alex. Ero così persa a rimuginare su di loro e a non farmi prendere dal panico che speravo unicamente di sentirmi presto esausta di tenere gli occhi aperti, in modo da cadere addormentata per la stanchezza.
Perciò, quando il mare incominciò ad agitarsi, non ci feci subito caso. Per lo stesso motivo, fui tra i primi a rendersi conto che qualcosa non andava.
L’oceano non era solo mosso, sembrava che le onde si stessero volontariamente buttando sopra il ponte. Poteva essere una burrasca come tutte le altre in questa stagione, ma una sensazione mi suggeriva che la spiegazione fosse ben lontana dalle normali condizioni atmosferiche.
Non volevo svegliare Rachel, che dormiva nella mia stessa stanza, così scivolai fuori dal letto il più lentamente possibile.
Infilai dei calzini e mi allacciai gli scarponi alla bell’e meglio, visto che l’interno della cuccetta era buio pesto, se non si accendeva la luce. Indossavo il pigiama con le aquile cheeroke disegnate sopra, ma non me ne curai più di tanto. Cercai a tentoni la giacca a vento che mi ero portata dietro, infilando una manica in camera e l’altra mentre camminavo per il corridoio.
In realtà, non stavo esattamente camminando. Più che altro, ondeggiavo da una parte all’altra, tentando di mantenermi in piedi. Quando uscii, la situazione era anche peggio.
Molti programmi televisivi affermavano che il centro di un ciclone, la sua origine, era un luogo relativamente calmo, rispetto alla parte più esterna. Pensai di trovarmi in quella condizione, quando venni investita dal vento gelido e mi congelai per colpa di un’onda che si schiantò sulla prua.
Faceva un freddo cane. Le raffiche di vento sembravano quelle del Polo Nord, e il mare si alzava e si abbassava, le onde erano cavalloni alti parecchi metri. O forse era la Skidbladnir a muoversi senza controllo. In ogni caso, si faceva fatica a stare in piedi, e il legno bagnato non aiutava affatto.
Mi parve di cogliere il mio nome, così mi voltai e mi ritrovai davanti la faccia di Jason. Indossava unicamente una maglietta a maniche lunghe talmente zuppa che non era più viola, bensì nera. Doveva morire di freddo.
«Piper!» gridò.
Lo sentii a malapena per colpa del vento. Mi prese per le spalle e mi scosse. I suoi occhi brillavano in modo irreale, come la pietra che Alex aveva al posto del suo. Un lampo lo illuminò da dietro, facendolo sembrare un angelo caduto.
«Ritorna sottocoperta!» mi urlò.
«Cosa?» replicai. «Non riesco a sentirti! Parla più forte.»
«Va’ giù! Non sei al sicuro qua fuori!» ripeté, e questa volta capii.
Ero tentata di dire di sì, di accettare e tornarmene al caldo e al riparo. Invece, scossi la testa e dissi: «No, devo aiutare!»
Mi resi conto che non eravamo gli unici due sul ponte a combattere quella tempesta. Altri semidei si erano svegliati e tentavano di ammainare la vela il più presto possibile, per evitare che si strappasse, o che ributtavano in mare l’acqua a secchiate. Il vice di Alex, il ragazzo biondo e alto, aveva preso momentaneamente in mano la situazione, e si muoveva freneticamente.
Feci per correre verso di loro, ma rischiai di finire lunga distesa, quando la drakkar si inclinò pericolosamente a sinistra. Jason mi afferrò per un gomito, tirandomi su prima che sbattessi la faccia contro il pavimento umido.
Tutti i capelli mi erano finiti sul viso, bagnati e salati, e non mi resi subito conto che il figlio di Giove si era irrigidito all’improvviso. Me li ricacciai indietro, tirandomi su il cappuccio della giacca a vento e tirando su la zip fino al mento.
Allora, notai Alex e la sua fidanzata, Astrid, avanzare verso di noi. Erano imbacuccati alla bell’e meglio, come se avessero avuto fretta di uscire ma non avessero voluto farlo impreparati per fronteggiare il tempo impazzito. La figlia di Hell non si era neanche allacciata gli scarponcini, mentre Alex indossava due felpe, una della sua misura e l’altra drasticamente più piccola.
Un’ondata di sale mi entrò in bocca, quando un cavallone si abbatté sopra di noi. Toccai la mano di Jason, che mi teneva ancora per il gomito, e la sentii dura, contratta, scivolosa e insensibile.
«Che cosa sta succedendo?» gridò Astrid, già fradicia e tremante. 
«Una tempesta!» le urlò di rimando il biondo. «E non mi sembra normale!»
«No, non lo è!» concordò Alex. «Ci devono essere gli Dèi di mezzo!»
Einar comparve improvvisamente alle spalle del figlio di Odino. I due si scambiarono un’occhiata, poi il nuovo arrivato annuì e sentenziò: «Vado a dare una mano a Lars.»
«Avevi detto che non sarebbe accaduto niente, se avessimo usato questa dannata nave!» riprese Jason, aggredendo Alex.
«E lo credevo! Non potevo prevedere che succedesse questo!» replicò l’altro, irritato.
Il figlio di Giove si sporse in avanti, come se volesse imporsi sull’altro. «Un buon leader deve prevedere ogni cosa» sputò, aspro.
«Stai forse dicendo che tu, con la scienza infusa, saresti stato preparato a quest’eventualità?» Alex rise. «Ma fammi il piacere!»
Per favore, non dargli un pugno, pensai, quando Jason serrò la mascella e imprecò: «Sei solo uno stupido barbaro.»
Alex si immobilizzò, ed era difficile, quando venivi sballottato da una parte all’altra come se fossi un pupazzo.
Poi, con una calma estrema e spaventosa, dichiarò: «Se non dovessi occuparmi della Skidbladnir e dei miei, ti darei un pugno su quella tua cazzo faccia. Ma sono troppo occupato per sprecare il mio tempo con degli idioti megalomani come te, Grace.»
E se ne andò. Tirai un sospiro di sollievo, ma mi ero dimentica di Astrid.
Era di parecchio più bassa di Jason, però, quando gli si avvicinò con le stesse movenze di una mantide religiosa che si accinge a divorare il proprio marito dalla testa, sembrò pericolosa quanto dieci dracene.
«Prova a insultare il mio ragazzo di nuovo» sibilò, «e io ti strapperò il cuore con le mie mani e lo mangerò davanti agli occhi della tua fidanzata, chiaro? E ora, fammi il piacere di muovere le tue cazzo di chiappe e aiutare, biondino. O preferisci rimanere qui impalato a fare la bella statuina?»
Jason brontolò, ma andò a cercare un secchio. Lo seguii, ancora scioccata per il veloce scambio di battute tra lui e i due nordici.
Quando iniziai a lavorare, persi la cognizione del tempo. Esistevano solo le mie mani che tenevano una pentola, che la riempivano d’acqua marina e la ributtavano nell’oceano. Mi bruciavano gli occhi per il sale, ero tutta intorpidita e stavo congelando, ma non mi fermai.
Quando Leo uscì da sottocoperta, si diede fuoco, appostandosi vicino a un gruppo di semidei alla volta, tentando di riscaldarli.
Mi riscossi solo quando sentii qualcuno gridare: «Uomo in mare!»
Era Lars, che si sporgeva oltre il bordo, gli occhi che scrutavano la superficie dell’acqua in cerca di una testa. C’era qualcosa di magico, nella durezza che assumeva ogni profilo durante la tempesta.
«Me ne occupo io!» gridò Petra.
E poi un’onda fece ribaltare il guerriero, sbattendolo a terra e facendolo rotolare per tutta la larghezza del ponte, dove si fermò, colpendo la testa contro il bordo opposto della Skidbladnir. Il mezzosangue a cui era finito vicino strillò; immaginai perché vedesse il sangue scorrere da una ferita appena procuratesi.
«Lars!» ruggì Alex, correndo a soccorrerlo.
«Capo!» lo richiamò Einar. «Petra ha qualche problema!»
Il figlio di Odino si voltò di scatto verso la ragazza dai capelli blu, che stava provando con tutta se stessa a calmare le onde.
«Non ce la faccio!» urlò. «Non riesco a controllarle!»
Fu allora che una figura emerse dall’acqua, che turbinava ai suoi fianchi in mulinelli di schiuma. Aveva raccolto il semidio finito in mare sul palmo della propria mano.
«È ovvio che tu non ne sia in grado, figlia mia. Sono io che le sto comandando, adesso» esordì Njordr.

 
Warning: non stiamo bene. non rispondiamo delle nostre azioni. questa video-chat e questo capitolo sono ad alto contenuto di demenza. semidei avvisati, mezzi salvati.
koala's corner.
Questa volta, nostri cari lettori, ci saremo solo io e Water_wolf a parlarvi, perché AxXx è stato trucidato violentemente da quest'ultima tentando di spoilerarle BOO.
Perché io ho il PDF di BOO in inglese *ghigno malvagio*
Tu, ritorna morto! *lo colpisce con una ciabatta sonica* Eh-ehm, sì, eccomi qui. Prima di tutto, vorrei dire che se qualcuno osa solamente provare a farmi uno spoiler su questo libro, io non risponderò più delle mie azioni e dei miei vaffanculo, perché, a differenza delle ciglia, degli ovuli, e degli spermatozioi, non hanno un numero limitato. Okay? Okay. *unicorni, fiori, marijuana*
La prima parte è una totale cavolata creata da wolfie per scopi loschi, tra cui sfogare le sua attività corporali represse LOL
Peeerò, per la felicità di tutti, c'è Alrid. E ci sono Piper e Jason - che soffre della mancanza del suo mattone, l'unico di cui si può veramente fidare -, ma Piper non si mette troppo in mezzo, anzi, e sono felice di aver scritto di lei per più tempo rispetto alla prima volta.
Gli Dèi mostrano subito la loro calda accoglienza per Jason, come ben potete vedere, ma non sarà l'unico. In realtà, praticamente tutti gli vorranno fare la pelle xD
Passando a cose importanti, invece, quella immagine che vedete lassù in cima al capitolo è la meravigliosa fanart di Amy_the_dreamer, che ha anche disegnato Alex, Astrid ed Einar. E, be', NOI LA AMIAMO INFINITAMENTE.





Spero che la scena della tempesta vi sia piaciuta, che la parte iniziale non vi abbia turbato troppo - sono una pervertita, sì, hahahah - e che il capitolo in generale vi abbia soddisfatto ^^
Grazie per seguirci, un bacio e alla prossima!

Soon on DnN: POV Jason/Alex/Einar - volevate la Einico? Be', l'avrete... solo a un piccolo prezzo da pagare :3

 

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Capitolo 5
*** JASON/ALEX/EINAR • Un benvenuto molto caloroso ***


Un benvenuto molto caloroso

■Jason■

C’erano molte cose che odiavo, ma quella che odiavo più di tutte era sentirmi impotente e, addirittura, dipendente dagli altri. In particolare essere dipendente da Alex Dahl. Come in quel momento.
Il dio nordico era in piedi e cavalcava le onde dell’oceano che, all’improvviso, si erano fermate, come in uno scatto fotografico. Njordr, così si chiamava la divinità, mi fissava con intensi occhi azzurri.
Sentivo su di me tutto l’odio che provava. L’unica cosa che mi separava da una dolorosa morte infondo alle profondità dell’Atlantico era il timore di far adirare Odino, uccidendo suo figlio Alex. Ecco, questa situazione, per me, era inaccettabile.
Non mi sarei mai fatto aiutare proprio da lui. Mi faceva venire il mal di stomaco, mentre una vocina nella mia testa mi sussurrava di ucciderlo. Intanto il dio continuava a fissarmi con astio e sapevo che si trattava unicamente di me.
«Figlia mia, pensi di poter contrastare la mia volontà? Sono io il Dio degli Oceani, in questa parte del mondo. E non lascerò che la feccia romana passi impunita» tuonò il dio, furibondo, alzando una speciale lancia marina: una fiocina.
«Padre, lasciaci passare! Non affonderai questa nave!» replicò lei, accigliata.
«Divino Njordr, ci lasci passare. Jason Grace sarà anche uno stupido, ma non è qui con intenzioni ostili» aggiunse Alex, facendosi avanti.
«Ehi!» ribattei. «A chi hai detto stupido?»
Ma lui mi ignorò come se fossi fatto di vetro. Ancora una volta ebbi la dannata sensazione che dovessi tirargli un pugno, ma la mano di Piper si poggiò sulla mia spalla, imponendomi la calma.
«Non puoi dirlo, ragazzo! I Romani sono delle infidi serpi traditrici! Loro non conoscono il significato dell’onore! Questo romano ti ingannerà e ti tradirà, così come farò con la nostra fiducia. Non posso permettere che il mio mare venga solcato da questo maledetto!» sentenziò la divinità, furibonda, mentre le onde ferme ribollivano, a stento trattenute dalla sua volontà.
«Il Romano ha un nome, Njordr, ed è Jason Grace… e anche se non lo sopporto, non ha fatto nulla per meritare sfiducia» ribatté il figlio di Odino, lasciandomi di stucco.
Mi difendeva?
Aveva un bel coraggio per mettersi contro il dio per difendere me, anche se, come aveva detto lui stesso, non mi sopportava ed eravamo anche nemici. Solo che mi faceva ancora più rabbia. Io non avevo bisogno di protezione. Non ero un bambino che andava preso per mano.
«I suoi antenati ed i loro crimini contro Asgard parlano per lui! Non ha rispetto per noi! Ecco perché lo ucciderò personalmente! Se vuoi passare, consegna quel serpente alle oscure acque che io domino come sacrificio. Se lo farai, lascerò che tutti voi passiate… altrimenti vi affonderò» minacciò il Dio, alla fine, fissandomi con astio.
Sentii un brivido corrermi lungo la schiena che poco aveva a che fare con il freddo. Intorno a me, diversi semidei nordici iniziarono a squadrarmi come se fossi un pezzo di carne particolarmente succulento. Misi mano al gladio in oro imperiale, consapevole che, se mi avessero attaccato, difficilmente avrei tenuto testa a tutti.
Leo, poco lontano, si era irrigidito ed i suoi capelli stavano leggermente andando a fuoco, mentre Piper era al mio fianco e guardava in modo preoccupato il figlio di Odino, cosa che mi faceva salire il sangue al cervello.
Se anche lei pensava che lui fosse necessario per proteggermi, ero nei guai. Io non avevo bisogno di una guardia del corpo, lui non era superiore a me.
Ma Alex non stava guardando me: fissava un punto in lontananza dove si estendeva una striscia di terra. Forse una costa scozzese, ma, con il dio degli oceani del nord che ci tratteneva, era impossibile raggiungerla.
«Allora, ragazzo? Cosa decidi?» rincarò Njordr, stringendo la fiocina fino a far sbiancare le nocche.
Qui ci lasciavo davvero la pelle, ma dovevo restare calmo. Tra Einar ed il suo comandante ci fu un intenso scambio di sguardi, come se stessero comunicando mentalmente, poi Alex mise mano alla spada e fissò il nostro interlocutore.
«Divino Njordr, se ci affonderai ucciderai anche tua figlia! Odino non sarà molto felice!» annunciò, mentre una strana figura alata si avvicinava velocemente a noi.
«Se è così, mi stai sfidando!» strepitò  il dio, impugnando la sua arma.
«Andate!» urlò Alex, saltando dalla nave e finendo in groppa ad una strana creatura che ricordava un drago, ma solo con le zampe anteriori.
«Ai posti!» ordinò Einar, correndo al timone. «Dirigiamoci verso terra!»
Colto di sorpresa, il dio dell’oceano si ritrasse dietro un muro di acqua salata, mentre una scarica di dardi magici lo bersagliava. Il figlio di Odino stava davvero dando il massimo in quello scontro, data la potenza dell’avversario.
«Quello è pazzo!» commentò Leo, correndo ad aiutare in sala macchine.
«Al contrario» borbottai, ammirato dal suo coraggio. «Non credo voglia sconfiggerlo, ma solo distrarlo, così ci dà il tempo di andarcene e raggiungere la terra ferma!»
Intorno a noi, i semidei nordici avevano smesso di guardarmi come un pezzo di carne e si davano da fare per portare la nave il più lontana possibile. Anche Petra, con i suoi pochi poteri, controllava le onde, approfittando della distrazione del padre.
«Muoviamoci, gente, prima di affogare!» li incitò il figlio di Loki, mentre girava il pesante timone della nave. 
Mi avvicinai a Lars, che era rimasto ferito ed era ancora svenuto. Aveva preso una bella botta e bevuto parecchio, ma, quando gli controllai il polso, notai che c’era ancora battito. 
«È vivo» sussurrai, mentre Piper portava nettare e ambrosia per curarlo – a quel che avevo capito, faceva effetto anche su di loro.
La nave era particolarmente veloce, ma quello che mi preoccupava, adesso, era l’incolumità di Alex. Per quanto lo sopportassi poco, si era esposto per me. Osservai, in lontananza, lui e la sua viverna volare intorno alla figura umanoide fatta d’acqua dietro cui il dio si era nascosto.
Il figlio di Odino lo bombardava con scariche di fuoco azzurro e dardi magici che, però, si infrangevano senza alcun effetto sulla corazza verde-mare che il dio aveva intorno a sé.
Onde sempre più grandi si ergevano intorno a lui, come mani pronte a trascinarlo negli abissi.
Astrid lo guardava apprensiva, mentre mani liquide si alzavano verso il cielo nel tentativo di catturare la creatura alata che portava Alex in groppa. Urla di rabbia erano emesse dal dio dei mari, furibondo per la preda sfuggente.
Quando fummo vicini a terra, le acque divennero calme, segno che Njordr non aveva potere in quel luogo.
«Siamo al sicuro!» urlò Petra, non appena furono arrivati a terra.
Almeno quello.
Io, però, non ero soddisfatto. Ormai Alex era un puntino nero all’orizzonte che lottava contro la tempesta. Aveva capito che eravamo in salvo, dal momento che cercava di raggiungere la costa. Ma il suo avversario era furibondo perché gli ero sfuggito e non permetteva al ragazzo di raggiungerci.
«Dannazione, non ce la farà mai!» sussurrò Piper, con gli occhi che seguivano, apprensivi, la traiettoria della viverna spinta allo stremo delle forze.
Strinsi i pugni, sentendomi impotente. Dovevo fare qualcosa. «Proverò ad aiutarlo» dissi, concentrandomi al massimo per evocare i venti.
Per un attimo mi parve di riuscire a sollevarmi, ma, di colpo, tutta la loro forza mi abbandonò.
«Ma che diavolo succede?» gridai, furibondo, osservandomi le mani.
Fino ad ora i poteri di Giove non mi avevano mai tradito.
«Influenze territoriali, amico» commentò Einar, con un sorriso colpevole. «Qui il tuo potere è sotto zero, questione di territorio. I venti del nord non ti riconoscono come loro padrone, quindi non ti ubbidiscono.»
«Oh, fantastico» commentai, stringendo i pugni fino a far sbiancare le nocche.
In quel momento, la terra tremò con un frastuono assordante. I rami degli alberi poco lontani si agitarono, facendo cadere una piccola pioggia di foglie e, come se fosse stata risucchiata, l’acqua che bagnava la battigia si ritirò.
«Oh, no! Un maremoto!» ci avverti Petra, incitandoci a tornare sulla nave.
Infatti, poco dopo, all’orizzonte, l’acqua si alzò. L’onda era talmente alta che avrebbe sommerso Alex se non fosse stato che, proprio in quell’istante, successe qualcosa di stranissimo.
Si creò una specie di bolla d’aria. Un’onda d’urto ci travolse tutti.
Il figlio di Odino apparve al nostro fianco fradicio, tremante per il freddo e con l’aria di uno che aveva appena fatto dieci volte di fila le montagne russe. Astrid corse a soccorrerlo, mentre, mi resi conto, il mare era appena tornato al suo posto.
«Che… è … successo…» balbettò Alex, barcollando, mentre la viverna si scuoteva l’acqua di dosso, facendoci fare una doccia extra a tutti.
«Bella domanda, non sapevo sapessi teletrasportarti!» scherzo Leo, sollevato, mentre lo asciugava con una fiammata, facendogli rizzare tutti i capelli in testa, dando ad Alex una sfumatura da scienziato pazzo.
«N-non… sono stato… io…. È successo qualcosa di strano» ribatté il ragazzo, ancora più confuso.
«Succede che ti ho appena salvato la vita, amico» commentò una voce maschile e squillante.
Ci voltammo tutti e, con mia enorme sorpresa, mi ritrovai davanti ad un tipo stranissimo. Era vestito come il cantante di una rock band, con lunghi capelli sciolti che gli arrivavano alle spalle. Il viso affilato ricordava quello di una volpe e gli occhi erano di un azzurro molto profondo, attraenti, ma imperscrutabili. Il corpo, per quanto effettivamente maschile, aveva una nota di fascino effeminato.
«Salve, gente! Come va?» chiese il nuovo arrivato con un sorrisetto ironico, squadrandoci tutti insieme.
«Papà, che ci fai qui?» sbottò Einar, scurendosi di colpo.
«Quello è Loki?» sussurrai ad Astrid, intenta a sorreggere Alex ancora intontito.
«Esatto, figlio di Giove» commentò il dio, con un sorriso a trentadue denti.
«Cosa… vuoi…?» domandò il figlio di Odino, squadrandolo sospettoso.
Mi sorpresi del poco rispetto che riservavano a quella divinità.
«Oh, a parte salvarti la vita? Nulla, volevo solo conoscere di persona i qui presenti nuovi arrivati» commentò, spostando lo sguardo su di me, passando a Piper – a cui riservò un sorrisetto affascinante – e si fermò su Leo.
«Figlio di Giove… Bene, hai la stessa aria da idiota di tuo padre. Sarai una pedina divertente» iniziò, facendomi arrossire dalla rabbia.
Chi si credeva di essere per trattarmi come una cacca di cane? Il suo sguardo, però, si spostò alla mia destra.
«Piper Mclean, inutile nascondere il tuo fascino da figlia di Afrodite. Anche tu sarai interessante… be’, lo sei tutt’ora. Sappi che le mie stanze sono sempre aperte» ghignò, facendola arrossire fino alla punta dei capelli.
Per istinto, si coprì il viso con le mani. «Dèi…» mormorò la mia ragazza, imbarazzatissima.
Altro motivo per dare una legnata in testa a quel dio.
«Ed infine, Leo Valdez, figlio di Efesto, il dominatore del fuoco… Tu sì che mi piaci!» sorrise Loki, divertito.
«Basta con i giochetti, Loki!» tuonò l’irata voce di Njordr, che era apparso a bordo della nave. «Hai osato interferire con il mio maremoto! Hai protetto questo figlio di Giove! Cos’hai da dire a tua discolpa?»
«Mh? Oh, ciao, Njordr! Non ti avevo visto! Come va? Ad ogni modo, sono qui proprio su ordine di Odino. Sai, ha inviato Foreseti a parlare con Jason Grace» disse il dio degli inganni, facendo l’occhiolino al fratello.
«Quindi mi concederà di passare?» chiesi, speranzoso.
Non ne potevo più di aver bisogno della balia.
«Oh, Grace, non credere. Foreseti ed io ci siamo dovuti dare da fare per convincere gli Dèi a non schiacciarti. Sei riuscito a fare qualcosa che nessun dio o semidio è mai riuscito a fare. Non ho mai visto gli Dèi così uniti per distruggerti» replicò Loki, con un ghigno.
«Come mai così ansioso di aiutarci? Non eri dello stesso avviso, quando combattevamo Crono» replicò Alex, che si era un po’ ripreso, anche se, notavo, tremava leggermente.
«Oh, avanti! Non ce l’avrete ancora con me per quel piccolo, innocuo inganno, vero? Ho solo cercato di uccidere qualche decina di semidei, che sarà mai» minimizzò il suo interlocutore, sparendo in una nuvola di fumo nero, lasciandoci tutti a bocca aperta.
«Maledetto» ringhiò Njordr, fissando il punto in cui Loki era sparito. «Così sia. Figlio di Giove, Odino ti concede l’onore di vivere. Ma se ci tradirai, nessuno ti difenderà dalla nostra ira» aggiunse, voltandosi verso di me.
 
•Alex•
 
Mentre attendevamo che Foreseti si facesse vivo, Njordr rimase sulla nave a controllare le cime ed aiutare sua figlia a riparare i danni che lui stesso aveva provocato, imprecando contro Jason e Roma in generale.
Avevo ancora mal di testa per lo scontro che aveva affrontato. Pochi minuti contro il dio del mare ed ero già quasi morto. Ma a preoccuparmi di più era Loki. Come mai era diventato così amichevole? Per quale motivo mi aveva salvato?
In fondo al cuore, sapevo che stava architettando qualcosa. Il difficile era scoprire cosa.
«Alex… sicuro di stare bene?» mi chiese, di nuovo, Astrid, facendomi bere una pozione.
Rabbrividii ancora una volta per la tensione muscolare che si scioglieva. «Più o meno…»
Avevo diversi crampi e mi doleva ogni parte del corpo. Decisamente non erano le condizioni più adatte per la definizione “stare bene”.
«Ehi, Alex.» Il figlio di Giove si avvicinò a me. Sembrava imbarazzato. «Scusa per prima. Ero su di giri, non volevo offendere» si scusò con un sospiro, mentre i suoi si occhi andavano a voltare verso il nostro dio dei mari.
«Lascia stare, nemmeno io ci sono andato leggero» commentai, con un tono leggermente lamentoso.
In quell’istante, una colonna di luce si materializzò al centro del ponte e lì, davanti a noi, apparve un giovane uomo di bell’aspetto, con gli occhi azzurro cielo e i capelli lisci, biondi e ben curati. Foreseti, il dio degli accordi, perfetto nel suo smoking, giacca e cravatta. Ben lontano dagli standard asgardiani dove, se andava bene, andavi in giro con sei pistole.
«Alex Dahl, salute a te» mi salutò cordialmente, per poi volgersi verso Jason e sbuffare infastidito.
Almeno non si era profuso in una serie di insulti.
«Foreseti!» lo chiamò Njordr, avanzando a grandi passi. «Spero che Odino la smetta con questa storia e mi dia il permesso di uccidere il romano!»
«C-calma, Njordr. O-odino non è felice, c-certo, ma ha accettato di non distruggerlo, se non alzerà la spada contro di noi» lo fermò l’altro, poggiandogli una mano sul petto prima che potesse infilzare Jason.
«COSA?» sbottò la divinità marina, infuriata. «Come osa! Questo maledetto romano ed i suoi antenati ci hanno traditi!»
«Lo so, amico mio, lo so, ma il volere di Odino è cambiato: questo figlio di Giove sarà importante negli eventi del futuro.»
«Non me ne importa nulla! Lasciatemelo uccidere!» urlò Njordr, a mala pena trattenuto da Foreseti, mentre cercava di infilzare Jason con la fiocina.
«Ehi, aspettate, ma… in che modo vi avremmo traditi?» chiese il biondo, evitando di poco l’arma.
«Bah. Questo idiota non merita nemmeno l’aria che respiro. Fingerò che non esista e ignorerò il tanfo romano che emana, che puzza di più della carcassa di un capodoglio» commentò il dio dei mari, sparendo in una brezza d’aria marina, senza dimenticarsi di lanciare un’ultima occhiataccia a Jason.
Foreseti sospirò di sollievo, prima di voltarsi verso il figlio di Giove.
«Devo dedurre che tu non conosca l’Antico Patto, vero?» chiese guardandolo un po’ storto.
Il ragazzo parve confuso e si limitò a scuotere il capo. Intorno a lui, Leo e Piper si avvicinarono per ascoltare.
«Riguarda lo stesso motivo per cui voi Romani ce l’avete con noi. La Battaglia di Teutoburgo non solo fu una gloriosa vittoria dei Germani, ma fu anche il tradimento dei Romani ad un antico giuramento» spiegò il dio, beccandosi diverse occhiate stupite, in particolare da Jason.
«Tempo fa, quando i Romani conquistarono anche le Gallie, riducendo i Celti ad un popolo inferiore rispetto ad altri, Giove ed Odino fecero un patto per preservare le rispettive popolazioni da una guerra che avrebbe portato entrambe le civiltà alla distruzione. Tutti e due giurarono sullo Stige e sull’Isola di Foreseti, la mia isola, che, escluse piccole incursioni e scaramucce, i rispettivi popoli non avrebbero dovuto superare il fiume Reno, confine naturale per entrambe le civiltà.»
«Un momento. Se è come dici, allora, perché Varo avrebbe dovuto fare una cosa del genere?» chiese sorpreso il figlio di Giove. «Mio padre è un tipo leale, dovrebbe rispettare i giuramenti.»
«Sicuro, Jason Grace?» commentò il dio degli accordi, assottigliando lo sguardo.
Jason aprì la bocca nel tentativo di ribattere, ma non riuscì a dire nulla. Giove non era affatto uno stinco di santo.
«No, infatti» concesse Foreseti. «Giove fece apparire auspici favorevoli alla missione di Varo. Non vedeva di buon occhio Asgard, una città potentissima, che poteva competere militarmente con le sue forze. Voleva sconfiggerci e decise che le legioni di Roma avrebbero avuto la meglio. Odino… diciamo solo che non la prese bene. Ordinò ai suoi figli di massacrare i legionari, rese il tempo invivibile per i soldati di Roma ed iniziò a tramare contro il vostro popolo. Da allora, ogni impero che gli Dèi Olimpici creano sotto l’egida della loro personalità Romana, noi tentiamo di distruggerlo.»
Jason abbassò lo sguardo. Difficile dire se fosse dispiaciuto o se stesse solo riflettendo.
«Ma lui non è Varo! Non vi ha fatto nulla» protestò Piper, accigliata.
La sua voce mi sorprese, tanto era ferma. Ancora una volta mi sentii un po’ attratto, ma scossi la testa.
«Questo è vero, figlia di Afrodite. Ma i suoi antenati hanno rotto l’Antico Patto» replicò il Dio, divenendo sempre più impalpabile. «E qualcuno ne deve rispondere.»
Anche Foreseti abbandonò la Skidbladnir, lasciando tutti i semidei sorpresi. Alcuni guardavano Jason con astio, altri riparavano la nave ed altri ancora curavano i feriti. Lars si era ripreso e stava aiutando i ragazzi di Volund a rimettere la nave in mare.
«Facciamo in fretta, prima che qualche mortale ci veda» commentò Astrid, osservando la spiaggia.
«Siamo a nord di Durness. Ci basterà qualche ora per raggiungere il Campo Nord, superando le isole Occadi» annunciò Lars, avvicinandosi a noi.
«Molto bene. Si riparte appena la nave è pronta» dissi, alzandomi.
Finalmente i tremori erano passati. Non potevo difendere i miei amici se continuavo ad essere così debole.
Dopo aver fatto il giro della Skidbladnir, rimasi un po’ con Astrid che, però, stanca come non mai, tornò sotto coperta, nella cabina che condivideva con Helen, così rimasi sul ponte per un po’, da solo, ad osservare la rotta che avevamo preso.
Mi stropicciai gli occhi, mentre studiavo la mappa. Avevo sonno, la notte era passata senza che io mi fossi addormentato, ma volevo assicurarmi di non incappare in altre brutte sorprese.
Al contrario delle mappe mortali, su quella che avevamo in dotazione c’erano anche tutte le isole magiche e abitate da creature mitologiche, che i mortali non vedevano. Per evitare di incontrare qualcun altro che ce l’aveva con Roma, decisi di scartarle tutte. Entro la sera saremmo arrivati al Campo Nord, dove, speravo, Hermdor avesse trovato qualche informazione per rintracciare Annabeth.
Una tazza di tè fumante si posò accanto a me.
«Ho pensato ti avrebbe aiutato. Non dormi mai?»
Era Piper.
«Oh, ciao. Non dovresti essere con Jason?» chiesi, cercando di ignorare la sua presenza.
Non riuscivo a capire come mai mi sentissi così attratto da lei, quasi quanto lo ero da Astrid.
«Era distrutto… ed anche su di giri, dopo tutto quello che è successo oggi. Credo che non voglia nessuno» rispose lei, sospirando. Sembrava molto dispiaciuta.
«È solo nervoso. Stai tranquilla» la rassicurai, poggiandole una mano sulla spalla. «Non credo se la possa prendere con te per una cosa accaduta duemila anni fa.»
«Sai com’è, però. Gli Dèi raramente dimenticano qualcosa. E ho paura che Giove lo stia influenzando. Da quando siete arrivati, è diventato molto più distaccato con tutti, come se sospettasse che lo stiamo spiando. Sta facendo del suo meglio per non darlo a vedere, ma me ne sto accorgendo» mi confidò lei.
Era leggermente arrossita, come se fosse molto difficile, per lei, parlarne.
«Eppure sei la sua ragazza, di te dovrebbe fidarsi» le ricordai, poggiandole una mano sulla spalla per consolarla.
«Lo so. Ma è… complicato» sussurrò Piper, sospirando affranta.
«Che vuoi dire?» domandai, incuriosito.
Lei esitò timorosa, poi, poco a poco, mi raccontò di quello che era successo una settimana prima. Della sua impresa eroica, di come i ricordi le fossero stati alterati per farle credere che Jason fosse il suo ragazzo, del rapimento di suo padre e di come i Giganti avessero tentato di farle pugnalare il figlio di Giove alle spalle. Mi parlò di Gea, di Mida e di tutti i pericoli che avevano affrontato.
«Accidenti, ne hai fatta di strada. Sono impressionato, non molti sarebbero riusciti a scamparla» commentai quando lei concluse, rubandole un leggero sorriso.
«Lo so, ma… io non so che pensare… Jason mi piace… però lui non ricorda nulla di nulla. Ora che ricorda qualcosa… penso che avesse qualcun altra, al Campo Giove» spiegò, massaggiandosi le braccia, imbarazzata.
Annuii comprensivo. «Mi dispiace, dev’essere dura per te. Ma non preoccuparti, di sicuro si risolverà tutto» risposi, comprensivo.
Lei annuì, poco convinta.
«Tu, invece, sembri molto affiatato con la tua ragazza. Vi conoscete da tanto?» commentò, in un chiaro tentativo di cambiare discorso.
«Sì» sussurrai, sentendomi leggermente in colpa. «Ci conosciamo da quando ho undici anni, ma ci siamo messi insieme l’anno scorso.»
«Dev’essere bello, essere sicuri di essere amati e ricambiati. Invece, io sono la figlia di Afrodite più sfortunata in amore del mondo» sbuffò Piper, tamburellando le dita sul tavolo fissato al castello di poppa, dove eravamo seduti solo noi due.
Solo noi due. Era molto carina, non mi sorpresi che Jason provasse qualcosa per lei.
Scossi la testa.
Non dovevo pensare a Piper in quel senso. Sostituii la sua immagine nella mia mente con quella di Astrid, immaginando che mi stesse tenendo per mano.
«Già, ma Jason sembra provare davvero qualcosa per te» commentai.
«Non lo so nemmeno io, davvero. È così difficile capirlo. Ogni tanto vorrei che non fosse accaduto nulla, ma, allo stesso tempo, non riesco a non pensare a lui» rispose la figlia di Afrodite, mettendosi la testa tra le mani e sedendosi su uno dei gradini che portavano sul ponte.
«Ehi… tranquilla» dissi, sedendomi accanto a lei. «A me sembra che voi due stiate bene, insieme. Ti stai solo facendo troppi film mentali.»
Piper sorrise divertita, mentre mi toglieva un po’ di polvere dalla maglietta.
«Be’, grazie. Ora sto un po’ meglio. Scusa lo sfogo da ragazzina in piena tempesta ormonale, ma avevo bisogno di parlare con qualcuno che non fosse Jason… e Leo avrebbe risposto con le sue solite battute, quindi…»
«Quindi hai preso il primo tipo sveglio che ti è capitato» conclusi, facendole l’occhiolino.
«Diciamo di sì» fu la risposta che Piper riuscì a darmi tra le risa. «A proposito, grazie per non aver attaccato Jason, prima, quando c’era Njordr… gli hai salvato la vita» aggiunse, dopo che si fu calmata.
«Di nulla. Se avessi qualche problema, conta pure su di me» risposi, lasciandomi cullare dalla scura notte che ci sovrastava come una luminosa coperta di stelle, mentre il suono della risata di Piper mi rimbombava nelle orecchie.
Mi sentii in colpa.
Astrid.
 
∫ Einar ∫

Alla fioca luce della mia cabina, giocavo ad immaginare faccine sorridenti con le imperfezioni del legno magico della Skidbladnir.
Sospirai.
«Mi manchi, Alyssa…» sussurrai, fissando il soffitto.
L’ultima conversazione che avevo avuto con lei – con il fantasma di lei –, grazie ad Alex, non mi aveva aiutato a dimenticarla.
Mi mancava da morire la mia sorellina. Sperai che stesse bene.
Mi alzai dal letto sbuffando, sapendo che non sarei riuscito ad addormentarmi, e mi avvicinai al baule ai piedi della cuccetta, dove tenevo i miei effetti personali. Da lì estrassi un piccolo oggetto circolare: uno specchio posto su una montatura in ferro nero dello Stige; un regalo che Nico mi aveva dato qualche mese fa, quando si era presentato a casa mia per chiedermi consiglio.
Mi aveva detto di tenermi in contatto e, a questo punto, credevo fosse proprio il momento di farlo. Dovevamo chiarire un paio di cose.
«Mostrami Nico di Angelo» sussurrai, toccando due volte la superficie dello specchio con l’indice.
Subito la mia immagine sparì, sostituita da un grumo nebuloso che, poco dopo, si aprì, mostrando una stanza di un piccolo appartamento sconosciuto. Era un luogo spoglio, senza nessuna decorazione, ma, sul letto, ancora mezzo addormentato, c’era Nico.
«Einar, come mai mi chiami a quest’ora?» chiese, sbadigliando.
«Devo parlarti. Ho… bisogno di parlarti» ammisi, sospirando, abbassando le mie difese. «Mia sorella… è morta.»
Nico rimase in silenzio mentre gli raccontavo di Annabeth, di Margit ed Alyssa. Dell’imboscata, dell’oscura minaccia del tipo in armatura e della mia ultima conversazione con il fantasma.
«Siamo pari. Adesso siamo entrambi senza sorella» commentai, cercando di estrarre la mia arma migliore: l’ironia.
«Mi dispiace, Einar. Ma… credo che entrambi sappiamo che, essendo tutti semidei, la nostra prospettiva di vita è molto bassa. Lei… sono certo che gli manchi… ma anche che non è pentita della sua scelta» disse, infine, il figlio di Ade, poggiando la mano sul vetro.
«Lo spero…» sospirai dispiaciuto, per poi alzare lo sguardo su di lui. «Tu sei a Nuova Roma, vero?»
Lui sobbalzò sorpreso, guardandosi intorno come per assicurarsi che nessuno lo stesse spiando.
«Come fai a saperlo?» chiese, un po’ spaventato.
«Jason Grace. Sai, per la questione di Annabeth abbiamo chiesto aiuto al Campo Mezzosangue e abbiamo incontrato un caro figlio di Giove. Non sappiamo dove si trovi, ma ci ha parlato di Nuova Roma» spiegai, con un sorrisetto, soddisfatto di riuscire a metterlo in difficoltà anche da lontano.
«Dannazione. Era sta davvero giocando con il fuoco. Non avreste dovuto tornare al Campo Mezzosangue» mormorò Nico, che sembrava nel panico.
«Lo so, ma ormai è successo, amico. Come mai non mi hai detto nulla?» chiesi, appoggiando la schiena alla testiera del letto.
«Io…»
«Tu…?»
Nico non rispose e voltò lo sguardo, come per non guardarmi negli occhi, ma io avevo capito.
«Percy è a Nuova Roma, vero? Sei lì per lui» intuii, sentendo una stilettata colpirmi al cuore.
Sapevo che Nico aveva un debole per lui da molto tempo, ma speravo di avere qualche possibilità.
«Sì… cioè… no… non riguarda solo lui. Diciamo che devo rimanere qui per difendere una persona… ma, in parte, credo che ci sarà anche lui qui» ammise, dispiaciuto.
«Capisco» dissi, a bassa voce, cercando di non apparire troppo deluso. «Allora… Questa storia di Gea è vera?»
«Temo di sì. Negli Inferi c’è una vera e propria rivolta. Mio padre non riesce a trattenere ogni anima dell’oltretomba. Qui le cose si fanno difficili. I nostri mostri non muoiono più, ormai» spiegò il figlio di Ade, in tono allarmato.  
«Questo è molto preoccupante. Anche da noi sta succedendo qualcosa di strano. Gli Dèi, nell’ultimo mese, sono apparsi irrequieti, ma non sembrava nulla di serio. Poi Annabeth è sparita. Questo mi insospettisce. Non credo che chi l’abbia rapita l’abbia fatto solo per scherzo o per provocarci. C’è qualcos’altro sotto» ipotizzai, pensieroso.
«Pensi che le due cose siano legate?»
«Che entrambe le nostre parti siano in pericolo contemporaneamente? Dopo la battaglia di Manhattan le nostre due cerchie di divinità hanno dimostrato di poter collaborare. Forse, chiunque ci stia attaccando ha pensato che, insieme, potremmo essere un pericolo e sta cercando di dividerci» supposi.
«Non lo so proprio, Einar. In questo momento sto pensando principalmente a Thanatos. Dev’essergli successo qualcosa di molto grave, se non riesce più a compiere il suo dovere. Cercherò di parlare con mio padre, ma anche lui è molto silenzioso.»
Per molti attimi rimanemmo a fissarci senza parlare, persi nei nostri pensieri. Nico mi mancava e, in quel momento più che in ogni altro, mi sentivo solo. Avrei voluto che fosse accanto a me, perché, per quanto mi dimostrassi forte, io ero molto debole in confronto ad altri semidei, come Alex, o Jason, oppure Percy… ma, insieme a Nico, formavo una squadra invincibile.
Se solo fosse stato presente.
«Nico… Cerca di fare attenzione. Non vorrei che morissi troppo presto. Sai che il Valhalla non è l’Elisio» gli ricordai, sorridendo amaramente.
«Farò attenzione, tranquillo» rispose, poco convinto.
Mi guardò a lungo negli occhi, come per cercare di scrutare nel profondo della mia anima, nascosta dietro gli impenetrabili pozzi neri delle mie iridi.
«Einar… qualsiasi cosa succeda… non dire nulla a Jason, di me. Devo rimanere il più nascosto possibile.»
«D’accordo, amico. Conta pure su di me» lo rassicurai, mostrando il pollice in segno di assenso.
«Bene. E… grazie di tutto» concluse, il figlio di Ade, interrompendo il collegamento.
 
 
Quella notte il mio sonno fu agitatissimo. Sì, ci ero abituato, ma, quella volta, le cose furono anche peggio del solito. Normalmente, i miei incubi riguardavano mia madre o Nico, oppure i miei amici al Campo Nord.
Invece, quella notte, la situazione fu anche peggiore. Ero su una landa desolata, puntellata di scudi, spade e armi varie. Inizialmente non le riconobbi, ma, poi, notai che parte di quelle armi erano vichinghe, mentre le altre erano romane e greche.
La terra era ricoperta da uno strato sottile di ghiaccio e neve imbrattata di sangue fresco. Nella valle, molti morti, uccisi da colpi di spada e di lancia, però altri stavano combattendo ancora, gli uni contro gli altri.
Semidei romani, vichinghi e greci che si affrontavano a vicenda, provocandosi a vicenda sempre più perdite. Sopra di loro, un’aquila e due corvi si affrontavano in uno scontro aereo, strappandosi piume, prendendosi a beccate e artigliate, gracchiando furiosi.
Su una collina, al centro dello scontro, Jason ed Alex si davano battaglia all’ultimo sangue. I loro corpi erano martoriati da ferite sanguinanti e profonde, ma, nonostante ciò, continuavano ad affrontarsi, mulinando le loro spade e lanciando fendenti letali.
Provai a correre verso di loro per fermarli, ma, prima che potessi raggiungere il cuore della battaglia, il terreno si spaccò, provocando una profondissima voragine che ingoiò ogni cosa, semidei compresi, che vennero risucchiati nelle profondità, mentre ancora combattevano.
Mi ritrassi spaventando, nel tentativo di non essere risucchiato a mia volta, nonostante un forte vento mi trascinasse sempre più vicino ad essa, non importava quanto mi aggrappassi al terreno come appiglio: esso si sfaldava tra le mie mani, come se volesse farmi precipitare.
Poco prima di cadere, una voce maschile, pesante e profonda, mi rimbombò nelle orecchie.
«I vostri sforzi sono inutili. Quando i due principi avranno versato il sangue avvelenato dall’ira, io rinascerò e per tutti gli Dèi sarà la fine. Olimpo ed Asgard cadranno.»
Mi svegliai di colpo, ansimando per lo spavento, guardandomi intorno alla ricerca dell’origine di quella voce, ma la mia stanza era vuota come al solito.
Il sole filtrava dall’oblò e, poco lontano, vedevo la costa norvegese. Presto saremmo arrivati.
Ma quel sogno avrebbe continuato a tormentarmi.

 
koala's corner.
Pronti, partenza, via! Ecco il nuovo capitolo, che introduce il primo POV di Jason.
Ed è ancora più figo del precedente, yeah (y) Come vedete Alex è ancora più pazzo e sconsiderato di prima, nonostante abbia già rischiato di morire -
orribilmente, Ax, morire orribilmente
numerosissime volte, quindi attacca un dio a caso.
Il piccolo da pagare che avevamo annunciato, in realtà è semplicemente la scena Alper, che, be', praticamente nessuno shippa.
Un altro prezzo da pagare è certo quello che non ci saranno molte scene Einico nella storia, per il momento, ma ci riferemo *i due ghignano malvagiamente*
Introduciamo una piccola riflessione su Loki:
Lui sembra aver cambiato fazione, ma, in verità, è ancora malvagio. Solo, perché? Cos'ha in mente? Comprenderà la morte di alcuni personaggi?
Adoro quando facciamo domande a cui sappiamo risponde, mentre VOI no muahhahaha
Citiamo ancora Amy_the_dreamer per la fanart in cima al capitolo, grazie di cuore
♥  Alla prossima!
 
Soon on DnN: POV Annabeth/Astrid/Piper - Gli dèi non la smettono di intromettersi, Astrid ha istinti omicidi e Annabeth è nella tela di un ragno. What else?

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Capitolo 6
*** ANNABETH/ASTRID/PIPER • Tipici saluti nordici ***


Tipici saluti nordici
♣Annabeth♣

Il fuoco scoppiettava davanti a me. Era un sollievo potersi stendere, seppur sul duro fondo di una caverna, dopo tante ore di camminata tra la neve. Stavamo andando sempre più a nord, a giudicare dal muschio che cresceva sulla corteccia degli alberi; in più, Kara controllava spesso il cielo, il che mi faceva pensare che cercasse la Stella Polare. Di sicuro non mi stavano portando da Percy.
Kara si era addormentata, tutta avvolta nel suo mantello e alcune pellicce. Aveva ordinato al guerriero di fare la guardia mentre lei si riposava, e lui non aveva battuto ciglio. Si era seduto davanti al fuoco, aveva tirato fuori un coltello da caccia ricoperto di rune – lo stesso che aveva usato per tagliare la lingua ad Alyssa – e aveva iniziato a intagliare un pezzo di legno.
Non ero ancora riuscita a capire come si chiamasse. Kara si limitava a dargli ordini – non doveva nemmeno gridare – e lui pareva felice di eseguirli. Le sue maniere da piccola despota non lo disturbavano o, se lo facevano, era abilissimo nel nasconderlo.
Mi dolevano le mani per colpa della corda che mi avevano legato attorno ai polsi, così stretta da bloccare la circolazione. Era tutto il giorno che tentavo di allentarla, ma tutti i miei sforzi erano inutili. Ero riuscita unicamente a farmi dare da bere dall’acqua e a mangiare un tozzo di pane e un misero cubetto di formaggio.
Avevo bisogno di un piano. E, se possibile, dovevo convincere il guerriero ad aiutarmi.
Lo osservai ancora. Mi ricordava un orso: imponente, con le spalle larghe, il petto ampio e tanti, tanti muscoli. Aveva lo stesso sguardo di Alex, gli stessi occhi grigi e penetranti. Solo che non era lui.
Alex non si sarebbe mai fatto comandare a bacchetta, né avrebbe servito un malvagio, o avrebbe ucciso brutalmente una sedicenne con già un piede nella fossa.
Doveva essere una mera coincidenza, come il fatto che moltissimi semidei nordici avessero i capelli biondi.
Decisi che tanto valeva tentare. Mi agitai un po’, riuscendo a mettermi seduta.
«Ehi» lo richiamai.
Mi guardò, all’erta. «Cosa vuoi?» domandò, brusco.
«Non mi arriva il sangue alle mani. Cosa ne dici di slegarmi? Mi piacerebbe poterle usare ancora.»
«No» rispose, ritornando al suo intaglio.
«Solo per un po’. Non posso comunque scappare, visto che, appena arrivati qui, mi avete legato pure le caviglie» insistetti. «E poi ci sei tu, che ti accorgeresti di ogni movimento sospetto.»
«No» ripeté il guerriero.
Okay, meglio non forzargli la mano. «Posso almeno venire più vicina al fuoco?»
Grugnì un assenso.
Strisciai, avvicinandomi alle fiamme e voltandomi in modo che un po’ di calore raggiungesse le mie dita. Il fuoco illuminava il volto squadrato del colosso, creando un gioco di luci ed ombre che lo faceva apparire persino più imponente e grottesco.
Me ne stetti zitta, osservando senza farmi notare il coltello che incideva il legno. Dopo alcuni minuti, capii che stava scolpendo un cuore.
Singolare, pensare. Perché proprio un cuore? Magari, se l’avessi scoperto, avrei avuto un’arma da poter usare contro di lui o contro Kara.
Mi schiarii la gola, ma, prima che potessi aprire bocca, il guerriero mi bloccò: «Non pensi di aver già chiesto troppo oggi, greca?»
Non aveva neanche alzato gli occhi dal suo lavoro, però mi diedi comunque da fare per nascondere la mia sorpresa.
«Volevo sapere il tuo nome» dissi.
«No.»
«Perché?» domandai. «La tua signora te lo ha proibito?»
«No.»
«Pensi che potrei scoprire la tua identità? Sei un famoso mercenario, o qualcosa del genere?»
«No.»
«Allora, puoi dirmelo.»
Finalmente, riuscii a fargli alzare gli occhi su di me. Il guerriero mi squadrò da capo a piedi, ripose il coltello in una fondina allacciata alla cintura.
«Sarevock.»
Mi concessi di sorridere. «Bene. Sarevock.» Esitai, prima di indagare sul cuore di legno. «Posso vederlo meglio?» gli chiesi, ammiccando al suo lavoro.
Alzò semplicemente la grossa mano, mostrandomi il cuore intagliato, tenendolo sospeso sopra il fuoco.
«È bello» dissi, cercando di essere gentile.
Mi sentivo come risucchiata in un telefilm, dove la vittima deve stabilire un contatto con il serial killer, se vuole che quest’ultimo la lasci vivere abbastanza da permettere alla polizia di arrivare a salvarla. Nel mio caso, la polizia non sapeva nemmeno che fossi in pericolo.
«Intagli anche altro?» continuai.
«No» rispose.
Lo sospettavo. «Perché?»
«È l’unica cosa che non ho.»
Era impossibile che non ne avesse uno. Avrebbe dovuto essere un non-morto, per poter vivere senza. Sempre che non ci fosse un particolare incantesimo, la frase doveva avere un significato allegorico.
«Perché?» domandai.
Sarevok aprì la mano e lasciò cadere il cuore nel fuoco; le fiamme lo avvolsero immediatamente.
«Perché qualcuno ha deciso che dovevo essere malvagio» dichiarò, chiudendosi di nuovo in se stesso.
Il fuoco bruciava, riducendo il cuore di legno in cenere.
 
♦Astrid♦
 
Il mio sogno era un accozzarsi di immagini, sprazzi di colore e volti sfocati. Come pagine di un album fotografico sfogliate velocissimamente, o una macchina che sfreccia in galleria.
Le fiamme del Campo Mezzosangue. Stelle cadenti. Un abito verde menta. Alex che ride. Mani sotto il mio seno in bianco e nero. Bambini che girano in tondo cantando. Un campo pieno di spighe dorate – grano –  d’estate.
E poi
Una voragine
Ghiaccio
Dita sporche
            rosse
è sangue
Piper che mi sorride. Ali nere che si aprono da dietro la sua schiena. I suoi occhi scarlatti.
Lo prenderò.
Un aborto
Pistola proiettili grida aiuto!    preghiere
Hell
   che mi guarda
   e dice
serpenti che le escono dalla gola
Sei come
me
  Ogni cosa che ami
Muore.
 

 
Volevo un mazzafrusto. O un T-Rex addomesticato – le creature nordiche non erano così facili da addestrare, tanto meno da catturare; era più probabile che ci rimettessi la pelle. Infine, volevo la testa di testa di Piper McLean e dell’acido in un secchio.
Era una bella mattinata, davvero. Il cielo era chiaro, limpido, ed ancora striato di rosa pallido per via dell’alba. C’erano persino delle nuvole a pecorella a punteggiarlo. L’aria era mite, un leggero venticello portava odore di salsedine fino a noi. Mi sentivo quasi in colpa, a non essere capace di apprezzare tanta clemenza dagli elementi.
Il problema era uno solo, iniziava con “P” e finiva con “Iper”.
La maglietta di Alex – che non si era disturbato a cambiare – profumava di deodorante femminile e puzzava di tradimento. E lo sguardo del mio ragazzo aveva indugiato troppo sulla figura della semidea greca.
Questo riconduceva alla mia volontà di torturare la figlia di Afrodite fino ad ucciderla. Avrei anche potuto controllarla, se non avessi passato la notte in bianco per via degli incubi. Oggi, persino Clarisse aveva un aspetto migliore del mio.
Einar ridacchiò, dando una gomitata ad Alex accanto a lui. «Ti sei per caso rifiutato di darti da fare con lei, ieri notte, capo? La tua fidanzata non sembra contenta.»
«Sta’ zitto» brontolò lui, fissando il tavolo.
Einar iniziò a scartare un plumcake, sporgendosi contemporaneamente verso di me. Aveva una luce maliziosa negli occhi che preannunciava una battuta che gli piaceva particolarmente.
«Astrid, mia cara, se hai bisogno di parlare, sappi che io ho il numero di un consulente matrimoniale a disposizione» mi sussurrò.
«Conosco dieci modi diversi per ucciderti con il cucchiaio che ho in mano» ribattei, lapidaria.
«Uuuuh» esclamò lui, tirandosi indietro e infilandosi il plumcake in bocca tutto intero. «Prevedo una burrasca» bofonchiò con  la bocca piena.
«Prevedi una ritirata strategica, amico» s’intromise Lars, sedendosi dal lato libero di Alex con una mela rossa in mano.
«Lars!» Einar fece un sorriso che gli arrivò fino alle orecchie. «La botta in testa ti ha reso più spiritoso?»
Il figlio di Eir non lo degnò minimamente d’attenzione, anzi, prese un morso dalla sua mela.
«Se non chiudi il becco, te la darò io una botta in testa» minacciò Alex.
Ci fu un tipico scambio di sguardi tra maschi, quelli che potevano sia comunicare “quella ragazza è carina” sia “è una cosa seria, non ho voglia di scherzare”. In questo caso, si trattava del secondo tipo.
Ma Einar, sebbene avesse compreso, non lasciò morire il suo sorriso. «Riconsidero l’idea della ritirata strategica» disse, «e vado a cercare Leo-Elfo-Valdez. Per l’Hellheim, quel tipo è una forza!»
Il figlio di Loki sgraffignò un altro plumcake e si alzò da tavola. Ritornai ai miei foschi pensieri.
Ero abbastanza in gamba da organizzare l’omicidio perfetto, certo, ma non era questo a preoccuparmi. Alex puzzava di Piper, però non volevo fraintendere tutto. Magari, lei l’aveva solo ringraziato per non aver ucciso Jason. Non doveva per forza averla baciata, o abbracciata molto approfonditamente, potevano aver solo parlato.
Alex mi amava. Non si era stancato di me. Non mi avrebbe mai tradito. Me lo ripeti nella mente, finché le frasi persero il loro significato. Sospirai.
La situazione era grave, se nemmeno i cereali riuscivano a tirarmi su di morale. Dovevo fidarmi di Alex e scordarmi di quella storia. C’era già altro a cui pensare, come la salvezza di Annabeth e gli Dèi che bramavano di torcere il collo a Jason.
Mi serviva un’aspirina, non un T-Rex addomesticato.
 
«Ti ricordi della nostra prima impresa? Quando usavamo ancora l’aereo?» mi domandò Alex, comparendo davanti a me, che stavo riflettendo sul ponte, vicino alla polena.
Mi si strinse lo stomaco. «Solo gli Dèi sanno quanto ho odiato quel trabiccolo con le ali» replicai.
Il figlio di Odino rise, appoggiandosi con i gomiti al bordo della Skidbladnir. Non riuscivo a guardare la sua maglietta senza immaginare Piper appoggiarvi la testa.
«È strano pensare che prima non sapevamo nemmeno dell’esistenza di altri semidei. Il mondo era più piccolo, non ti pare?» continuò.
«Già» concordai. «E molto meno pericoloso.»
«Alludi al cucciolo wyrm dell’aeroporto?» chiese, usando la stessa espressione scelta da Hell.
«Alludevo al tuo tentativo di farmi passare le vertigini cercando di far schiantare Vesa nell’oceano.»  Mi si dipinse un sorrisetto malizioso sul viso.
Alex sorrise di rimando. «Almeno in parte, però, ci sono riuscito» ribatté.
«È vero» confermai, poi, abbassai lo sguardo. «Tu riesci sempre in tutto.»
«Ehi.» La sua voce si addolcì all’istante. Mi prese il mento tra due dita e me lo sollevò, in modo che ci guardassimo da vicino, occhi negli occhi. «Ti ricordi quando ti dissi che sarei sempre stato dalla tua parte?»
«Sì» balbettai, sentendo il palato seccarsi.
«Adesso» riprese, il tono più deciso e marcato, «voglio che tu ti ricordi bene questo: jeg elsker deg, Astrid Jensen. Ti amo, e non smetterò mai di farlo.»
Deglutii. «Jeg elsker deg, Alex Dahl. For evig og alltid» mormorai, soffiando sulle sue labbra.
«For evig og alltid[1]» giurò Alex.
Allacciò le sue braccia dietro alla mia schiena, affondando il volto nei miei capelli e annusandone l’odore profondamente. Mi strinsi a lui, trovando rifugio nell’angolo formato dal collo e la spalla. Mi sembrava un po’ stupido, ma mi veniva da piangere.
Era incredibile come sapesse leggermi nel pensiero e come trovasse sempre il modo adatto a rassicurarmi, scacciando via la paura. Avrebbero dovuto clonarlo e confezionarlo, vendendolo come acchiappa pensieri.
Stavo per dirglielo, quando mi sentii sollevare da terra all’improvviso. Lanciai uno strillo.
«Perché?» domandai, battendogli un pugno contro il petto.
Alex ghignò, aggiustando meglio la presa. «Perché sei ancora più bella, quando ti arrabbi»
spiegò. «E perché non voglio dare troppo spettacolo.»
Mi guardai intorno, notando come un capannello di gente – le figlie di Freyja in prima fila, seguite da Einar, che sorrideva sornione, Nora e persino Piper – ci fissava con malcelato interesse.
Gli gettai le braccia al collo e premetti le mie labbra contro quelle del figlio di Odino. All’inizio, reagì con sorpresa, ma le schiuse subito dopo, permettendomi di approfondire il bacio.
«Astrid!» esclamò, mezzo rimproverandomi. «Perché l’hai fatto?»
«Perché così impari a prendermi in braccio a sorpresa» risposi. «E perché, se andiamo sottocoperta, temo ancora che potrei stuprarti.»
Alex rise, e il suo petto vibrò contro il mio. «Okay» disse. «Dove preferisci che ti porti, mia signora?»
Ghignai per il “mia signora”; forse era l’unico soprannome che gradivo.
Allungai il collo per sussurrargli all’orecchio: «Con te, va bene ovunque.»
 
 
Per sera, eravamo arrivati al Campo Nord. I semidei greci che erano venuti con noi si sporgevano oltre i bordi, curiosi di vedere quanto diverso fosse dal loro. Alex era volato su Vesa per avvisare Hermdor del nostro arrivo imminente e per parlargli del problema che costituiva Jason.
Ci aspettava sulla spiaggia, intento a fare dei grattini sotto la mascella della viverna, che sembrava fare davvero le fusa. Quando scesi giù dalla scaletta e gli andai incontro, Vesa smise di prodursi in versi di piacere e mi scoccò un’occhiata di superiorità. Si capiva lontano un miglio che era gelosa della nostra relazione e temeva di essere rimpiazzata, ma io dubitavo che sarei stata capace di sottrarre Alex dalle grinfie di quella bestiona.
Fu quando Jason e Piper misero i piedi sulla terraferma, che la situazione peggiorò.
Johannes, Bjørn e altri tre ragazzi appartenenti alla sua orda sbucarono fuori dal folto della foresta e si piazzarono davanti a loro. Notai subito che portavano tutti un’arma e avevano l’aria di chi ha voglia di causare problemi.
Come me, Alex fiutò subito il pericolo e si andò a piazzare al fianco di Jason, che era stato costretto a fermarsi davanti ai cinque mezzosangue.
«Qualche problema, Berg?» chiese.
«No» rispose Johannes. «Ero solo ansioso di salutarti, Dahl. E di salutare pure lo sporco romano che ti porti dietro» aggiunse, sputando ai piedi del figlio di Giove.
Jason non badò più di tanto all’insulto, ma si irrigidì e cercò di passare avanti, evitando di fronteggiare il comitato di benvenuto.
«Fermo, fermo, fermo!» lo bloccò Bjørn, il secondo in comando di Johannes, fermandolo. «Dove credi di andare? Non ci siamo nemmeno presentati!»
I ragazzi scoppiarono a ridere.
«Smettetela con queste stupidaggini» intervenne Alex. «Hermdor non vi ha parlato delle pene che infliggerà a chiunque lo infastidisca?»
Immaginai che il nostro direttore avesse usato parole troppo complicate per i cervelli ristretti di quegli energumeni, e il mio sospetto fu confermato quando Johannes scrollò le spalle e dichiarò in tutta semplicità: «Non ce ne importa un granché.»
«Già» s’inserì un suo compagno di cui non conoscevo nemmeno il nome. «Gli Dèi possono essere stati tanto sciocchi da farlo venire qui, ma noi non sbaglieremo, dandogli una lezione che non si scorderà!»
Si levò un coro di “ben detto, fratello!”, che segnò l’inizio della fine. I cinque si misero a girarci attorno come un gruppo di lupi affamati pronti a balzare sopra alla preda. Fui stupita per quanto riuscissero ad essere creativi nell’inventare parolacce, nell’utilizzo della declinazione di “fottuto” e nel servirsi di innumerevoli “cazzo.”
Alex frenava Jason con lo sguardo, intimandogli di non reagire, ma la rabbia che covava il figlio di Giove era palpabile.
«Dovreste smetterla» disse Piper, usando la sua lingua ammaliatrice. «Lui non vi ha fatto nulla. Andatevene.»
Non sortì l’effetto sperato: ogni semidio al Campo Nord era in grado di capire quando un figlio di Loki cercava di fregarli, ingannandoli, e si accorsero subito di ciò che tentava di fare Piper.
«Uuuuh» fischiò Bjørn. «La gattina ha tirato fuori le unghie! Miao
«Davvero una bella ragazza, bastardo di un traditore» chiosò Johannes. «Non è che ce la potresti prestare per una notte? Così avrai un mucchio di altri bastardelli a cui stare dietro.»
Fu più o meno in quel momento che Jason gli tirò un pugno dritto in faccia. Si udì distintamente il crack che segnalava la rottura del naso. La situazione sembrò congelarsi.
Poi, all’improvviso, il figlio di Thor si gettò addosso al romano, atterrandolo. Si mise a cavalcioni sopra di lui, imponendosi con la forza, e iniziò a calare un pugno dopo l’altro sul volto dell’avversario. Piper gridò e cercò di scostarlo, ma Bjørn la prese per le braccia, tirandola via a forza.
Alex scattò: colpì il vice di Johannes con una gomitata tra spalla e collo, facendolo crollare disteso, poi diede un calcio nelle reni del capo, che venne sbalzato via da Jason. Il figlio di Thor si alzò, barcollò un po’ e gli si avvicinò con l’aria disgustata.
«Non ti credevo così stupido, Dahl» disse, tirandogli un gancio destro contro la mascella.
E un secondo dopo si ritrovò le mie mezzelune incrociate sotto la gola. Inarcai un sopracciglio.
«Sul serio, Berg?» chiesi. «Sei davvero così cretino da aver dato un pugno al mio ragazzo
«Non mi fai paura, figlia di Hell» sputò.
Gli rivolsi un sorriso sbilenco e decisamente truce. «Davvero?» feci, prima di tirargli un calcio nell’inguine.
Vedendolo strabuzzare gli occhi e accasciarsi a terra in atroci lamenti, mi rivolsi trionfante verso i tre ragazzi rimanenti.
«Qualcuno ha voglia di ricevere lo stesso trattamento?» domandai. «Io sono pronta.»
«Bastarda» sibilò Johannes, ancora impegnato a stringersi i suoi gioielli di famiglia.
«Oh, sta’ zitto» sbottammo io e Alex in contemporanea.
Il comitato di accoglienza recuperò Bjørn e Johannes, poi si dileguò il più in fretta possibile. Einar batté una mano sulla spalla di Alex. «Tutto a posto, capo?» domandò.
«Tutto a posto» assicurò il figlio di Odino.
Il figlio di Loki mi rivolse un ghigno che non significava nulla di buono.
«Niente commenti» lo frenai, sforzandomi però di non sorridere.
Piper, nel frattempo, aveva aiutato Jason a mettersi seduto. Era conciato male, ma, almeno, non era morto – e non dubitavo sarebbe potuto accadere, con un avversario come Johannes.
«Forse è meglio se rimani sulla Skidbladnir, invece che venire al Campo. Non credo che avranno il coraggio di salire sulla drakkar» propose Alex, studiando con occhio clinico il labbro spaccato e il sopracciglio sanguinante del figlio di Giove.
«Già» borbottò quest’ultimo, alzandosi in piedi.
«Mi dispiace» disse Piper. «Mi dispiace tanto. È per difendere me che ti hanno fatto questo.»
Jason riuscì a rivolgerle un debole sorriso. «Non ti preoccupare, Pipes» la rassicurò. «Non è niente di serio.»
La figlia di Afrodite non sembrava molto convinta, anzi, aveva gli occhi lucidi. Oh, ti prego, pensai, facendo uno sbuffo mentale. Reagisci. Non puoi metterti a frignare come una bambina.
Con mio grande stupore, Alex usò il suo tono dolce-gentile-carezzevole per consigliarle: «Perché non visiti la foresta attorno al Campo? È davvero meravigliosa. Io ci vado spesso, quando ho bisogno di riflettere.»
Piper annuì più volte, mormorò un “okay”, poi quasi scappò via.
Rivolsi ad Alex uno sguardo a metà tra il sorpreso e lo scioccato, ma lui fuggì dai miei occhi.
 
►Piper◄
 
Il bosco che circondava il Campo Nord era davvero meraviglioso e, malgrado tutto, mi stregò con il suo fascino. I pini, con i loro aghi verdi, erano in netto contrasto con le betulle, più alte e con addosso il loro manto autunnale, che comprendeva sia marroni smorti sia arancioni brillanti e rossi smaltati. Era una festa di colori che trasmetteva allegria.
Di sicuro, era un luogo perfetto per riflettere, ma anche per liberarsi la mente da ogni tipo di preoccupazione. Alex mi aveva accennato che ci andava spesso, quando aveva bisogno di pensare, e ora ne comprendevo il motivo. Il freddo non era poi molto d’impiccio, perché ci si badava poco, immersi in tanto splendore.
Camminai tra le file di alberi, cercando una pietra dove potermi sedere; le foglie si accartocciavano sotto la suola delle mie scarpe, producendo un sonoro crick-crock.
Sentii un fruscio provenire da destra e immaginai si trattasse di un qualche tipo di uccello, ma, quando mi voltai, non vidi un passerotto in volo, bensì un masso. E una donna seduta su di esso.
Aveva lucenti boccoli rossi che le ricadevano in morbide onde sulle spalle, incorniciando il viso a forma di cuore. Aveva la pelle chiara, come di porcellana, e le labbra rosso sangue spiccavano come una mucca a Time Square. Giocherellava con uno stelo d’erba, che lisciava tra le dita, affusolate e senza alcun callo.
Quando alzò lo sguardo, due deliziosi occhi azzurri si fissarono su di me, studiandomi. In quel momento, vestita com’ero, sentii un’ondata di imbarazzo riscaldarmi. Arrossii, domandandomi perché mia madre dovesse farmi sentire così inadeguata, in sua presenza.
«Afrodite!» esclamai poi, ricordandomi di un piccolo particolare. «Come puoi trovarti qui, in pieno territorio norreno?»
Mia madre rise, reclinando indietro la testa. Al contrario di ciò che si poteva pensare, non sembrò per niente una pazza che ha bevuto troppo, ma rimase la stessa bellissima donna di prima. Dea era e dea rimaneva.
Si alzò, facendo frusciare la lunga gonna del suo vestito verde acqua. Una cintura spessa di cuoio scuro, con delle piccole borchie dorate, le fasciava il punto vita, facendo risaltare il seno florido – come se non fosse già stato messo in mostra dalla scollatura a goccia – e i fianchi. Dubitavo che il pellicciotto di montone le servisse davvero, ma dava un tocco nordico alla sua figura.
«Non ci credo» disse. «Biscottino, come puoi avermi confuso con Afrodite?»
Biscottino? pensai. Confuso con Afrodite?
«Ehm…» balbettai.
Una scintilla di divertimento accese gli occhi della dea. Non li avrei ancora definiti “deliziosi”.
«Vuoi dirmi che Alex Dahl non ti ha parlato di me, durante la vostra chiacchierata notturna sulla Skidbladnir?» domandò.
«Veramente…» incespicai sulle mie stesse parole.
«Ah!» esclamò la divinità. «Quel piccolo ingrato figlio di Odino. E io che credevo di avergli reso il mio ricordo indimenticabile» commentò. «Comunque, mia cara, io sono Freyja.»
«La dea dell’amore e della guerra nordica» intuii.
Freyja batté le mani. «Ma che brava» si complimentò. «Non ero sicura che, oltre che bella, fossi anche intelligente.» Abbassò il tono di voce, come se dovesse confidarmi un segreto: «Sai, la tua mammina non ha la tendenza a procreare figlie con un po’ di sale in zucca, a differenza mia.»
Inspirai ed espirai lentamente. Ce la potevo fare. Le divinità erano tutte un po’ folli, dovevo solo stare attenta a ciò che dicevo e non prendermela per i commenti di Freyja.
Ora che la guardavo meglio, notai che portava un pugnale infilato nella cintura, un dettaglio che mi avrebbe da subito fatto capire di chi si trattava in realtà.
«Voleva parlarmi?» domandai, cauta.
La dea fece qualche passo verso di me, scuotendo lievemente la testa. «No, non necessariamente. Ero solo curiosa.»
«Curiosa di fare cosa?» indagai, avvertendo una brutta sensazione.
«Ma di osservare te, biscottino!» rispose lei, gaia. «L’esperimento di cui Afrodite si vanta tanto in questo ultimo periodo.»
Invece di chiederle spiegazioni riguardo all’“esperimento” in questione, corrugai la fronte e feci: «Parla con mia madre?»
Freyja sbuffò sonoramente. «Certo, sciocchina» disse, come se fosse ovvio. «È dall’albore dei tempi che ci sfidiamo al Gioco delle Coppie. Io sono sempre stata più passionale – e un tantino crudele, devo ammetterlo – nel divertirmi a rendere più interessante la vita amorosa di voi semidei, mentre Afrodite era più, come dire, incline ai sentimentalismi
Non ci stavo capendo nulla. Gioco delle Coppie? Sentimentalismi? A me sembrava che la mia vita sentimentale fosse già piuttosto complicata.
«Comunque» riprese Freyja, «è solo grazie a me se hai incrociato il cammino di Alex Dahl, biscottino. Sì, tua madre è stata brava con il giochetto dei falsi ricordi della relazione tra te e Jason – tremendamente angst, già –, ma l’idea geniale è venuta a me. Non avrebbe mai potuto pensare a…» si interruppe di colpo, sorridendomi in un modo un po’ inquietante. «Non ancora. Non posso rivelarti i miei piani, piccola Piper. Altrimenti, rovinerei tutto e perderei questa manche.»
Non sapendo bene cosa dire, me ne uscii con un borbottio incomprensibile. Freyja mi si avvicinò talmente tanto da farmi indietreggiare di un passo, ma la dea mi afferrò per il mento e mi fissò dritto negli occhi.
«Ti aspettano grandi cose, Piper McLean» sussurrò, il tono completamente cambiato. «Mi piaci, ma questo non basta. Dovrai essere all’altezza delle aspettative.»
«Sono contenta di averle fatto una buona impressione» biascicai.
Il volto di Freyja si illuminò. Mi mollò il mento all’improvviso, facendomi sbilanciare e quasi inciampare nei miei stessi piedi. Mi arruffò i capelli.
«Un ultimo consiglio, prima che Odino si metta a brontolare» disse, sorridendomi. «È inutile nasconderti dietro questi vestiti – se così si possono definire gli stracci che indossi – orripilanti. Sei un diamante grezzo, spicchi ugualmente in mezzo a tutte queste pietre.»
Si allontanò, mi salutò con un adieu in perfetto accento francese e scomparve nel nulla. Solo allora osai respirare di nuovo.
«Ce l’hanno tutti col mio modo di vestirmi» borbottai, incamminandomi verso il Campo Nord.
 
Ci mettemmo in viaggio dopo cena, seguendo il consiglio del direttore Hermdor, che voleva evitare altre possibili risse. Nella mia stanza, passai un’altra notte a rimuginare su Jason e sulla nostra relazione.
Era tutto così dannatamente complicato. Secondo Freyja, eravamo solo dei giocattoli, o qualcosa di simile. E cosa intendeva con “essere all’altezza delle aspettative”? Sarebbe stato inutile nascondere che mi preoccupava anche il suo accenno ad Alex.
Erano quasi le tre del mattino, quando riuscii finalmente ad assopirmi. Non ero pronta ad alzarmi, il mattino dopo. Volevo solo avvolgermi nelle mie coperte, nascondermi in quel bozzolo e non uscire fino al tramonto.
Scattai in piedi unicamente quando qualcuno bussò alla porta e la voce di Alex chiese: «Piper? Ci sei? Siamo arrivati al Portale per lo Jotunheim.»
 
[1] Dal norvegese (traduzione di Google): Ti amo. Per sempre.

koala's corner.
Oggi, purtroppo, niente fanart a inizio capitolo, ma la "nostra" artista era impegnata con la scuola e non ha potuto disegnare nulla. Le vogliamo bene ugualmente <3 Salutiamo anche Iris_Blu, che per lo stesso motivo non può ancora leggere/recensire DnN. Bruciamo la scuola!
Mi sono divertita molto a scrivere di Annabeth e Sarevock, perché sa molto di Vittima Intelligente Che Scampa Al Serialkiller e dialogo con Serialkiller.
Non si nota che ami i polizieschi :P
Chi sarà mai costui? E cosa intendeva col suo "non avre il cuore"?
Che bello saperlo, la la la, siamo potenti, la la la.
AxXx, per favore, niente momento canoro.
Jason viene amabilmente pestato.
E su questo vi lasciamo campo libero coi commenti, perché, be', noi abbiamo già dimostrato la nostra opinione.
(La mia molto "sto cercando di non odiarlo, ma è difficile) Mentre Freyja si dimostra la meravigliosa dea che è, parlando dell'altrettando meraviglioso Gioco delle Coppie *-* vedete il parallelismo con il gioco dei troni Amate il norvegese, folk. Ve lo ritroverete di sicuro *risata malvagia*
Speriamo che il capitolo vi sia piaciuto e che vogliate recensirlo. Un bacio e alla prossima! :*

Soon on DnN: Primo POV di Lars - yay! - e da questo si può già trarre qualche conclusione.
N.B.: Semidei nordici, greci e romani! Attenzione!
Water_wolf e AxXx - cioè noi - andremo al Lucca Comics insieme e faremo tante cose belle etc etc, MA la cosa più importante è questa: abbiamo notato il nutrito seguito della nostra saga e avevamo intenzione di proporvi una sorta di progetto.
Se avete delle domande, qualsiasi tipo di domande, scrivetele nelle recensioni, nei messaggi privati, ovunque volete - contatteci nel modo che più vi piace - e chiedeteci tutto quello che volete sapere. Noi vi risponderemo in un video che posteremo dopo il Lucca Comics.
Più domande fate, meglio è, perché sia noi che voi potrete divertirvi un sacco.
E non diteci che non vi siete chiesti almeno una volta come siamo fatti nella realtà! xD
Qui sotto vi lasciamo il blog di wolfie su Tumblr e il suo Ask, se volete chiedere pure lì.
Tumblr: http://justnelement.tumblr.com/
Ask: http://ask.fm/Apfelsafitaliana
Un abbraccio a tutti di nuovo, grazie per la partecipazione/supporto! We <3 U!




 

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Capitolo 7
*** LEO/LARS/ALEX • L'inverno sta arrivando ***


L'inverno sta arrivando
 
♪Leo♪
 
Quando mettemmo piede sul ghiaccio, sentii un brivido di freddo corrermi lungo la schiena, partito dalla pianta dei piedi. Nonostante gli scarponi pesanti, il giaccone, i maglioni stratificati e i calzettoni, il freddo sembrava entrare dentro le ossa, congelando il sangue nelle vene come l’acqua naturale fa sotto zero.
Anche Piper, Jason e gli altri nostri compagni del Campo Mezzosangue sembrarono subire l’effetto deleterio del gelo, ma Alex e i suoi non parevano farci caso e, lasciata la nave sotto la custodia di alcuni loro compagni, iniziarono la marcia verso l’entroterra.
«Mamma mia, che freddo» sussurrò Piper con voce tremante, mentre si stringeva le braccia al corpo.
«Vuoi che ti riscaldi, Miss Mondo? Sono un tipo molto focoso!» scherzai, divertito.
«Non esagerare, ragazzo della manutenzione… Andiamo, dai!» mi rispose, cercando di non farsi fermare dal gelo.
Jason le fu subito accanto e le cinse le spalle con un braccio, anche se era difficile dire se non lo stesse facendo per se stesso, dato che pure lui tremava. Lanciava sguardi astiosi ad Alex che, invece, camminava sicuro, come se la morsa del gelo non lo stessero nemmeno sfiorando.
Avanzai, accodandomi al gruppo di semidei in marcia. La spedizione era composta da una quarantina di guerrieri armati. I mezzosangue nordici avevano indossato la loro maglia del Campo, una corazza a maglie sotto e diversi strati di vestiti pesanti per resistere. Noi li avevamo imitati ma, evidentemente, non bastavano solo gli abiti a reggere le basse temperature.
«Ok, gente, ascoltate» annunciò Alex, fermandosi, mentre tutti i semidei creavano un capannello intorno a lui. «Qui siamo in territorio ad alto rischio. Questa è la terra degli Jotunar. Ogni passo sarà un pericolo. Orchi, goblin, streghe, demoni, giganti… potrebbero nascondersi dietro ogni duna di questo deserto gelato. Secondo le indicazioni di Hermdor, dovremmo viaggiare cinque giorni a nord per trovare gli assassini dei nostri amici, ma, date le condizioni, potremmo metterci molto di più. Tenete le armi sempre vicine e, ogni volta che ci fermiamo, organizzeremo dei turni di guardia. Non allontanatevi senza aver avvertito qualcuno e detto chiaramente quanto state via ed il motivo. Se entro quel tempo non sarete di ritorno, verremo a cercarvi. Non lasciamo indietro nessuno.»
Tutti annuirono, prestando attenzione alle sue istruzioni, dopodiché ci mettemmo in marcia.
«Se la legione fosse qui, si vergognerebbe» commentò Jason, sottovoce, fissando gli altri.
«Che vuoi dire?» chiesi, cercando di capire cosa, esattamente, gli stesse dando fastidio.
«Qui nessuno segue veramente gli ordini. Guarda, non camminano in formazione:  in caso di imboscata non farebbero in tempo a creare una testuggine per difendersi. Sono disordinati e alcuni di loro non stanno nemmeno guardando dove mettono i piedi» rispose, ostinato.
Li osservai meglio. In effetti Jason aveva ragione, ma non mi sembrava poi così importante; inoltre, dato il ghiaccio su cui stavamo camminando, dubitavo che qualsiasi formazione sarebbe stata molto stabile. Anzi, sarebbe stato uno svantaggio: troppo peso in un punto avrebbe determinato la rottura dello strato che ci sosteneva e, allora, un bel bagno gelido per tutti.
«Davvero, amico, sciogliti. Altrimenti qui si muore» commentò Will Solace, della Casa di Apollo, anche lui accodato alla spedizione.
«Sarà…» fu la laconica risposta del figlio di Giove.
Ancora una volta, iniziai a pensare che il suo comportamento così negativo fosse solo un modo per sfogarsi della calorosa accoglienza che aveva ricevuto al Campo Nord.
Anche se in modo freddo, gli altri mezzosangue del campo greco erano stati trattati bene. Invece, Jason si era ritrovato a dover rimanere isolato sulla Skidbladnir per evitare che altri nordici lo aggredissero.
Per lui era una situazione nuova e difficile ed iniziavo seriamente a pensare che desse la colpa ad Alex della sua situazione.
La marcia continuò per diverse ore e, ad ogni passo, i miei piedi si facevano sempre più pesanti, come se ci avessero legato delle incudini da lavoro. Cercavo di non darlo a vedere, ma, alla fine, non riuscii a reggere e mi fermai un secondo per riprendere fiato.
«Tutto bene, Leo?» chiese Alex, interrompendo la marcia.
«Sono… solo… stanco. Come fate a resistere?» domandai, mentre l’aria dei miei polmoni si condensava in nuvolette di vapore.
«Abitudine» rispose il figlio di Odino, guardandosi intorno. «Ragazzi, ci fermiamo un attimo.»
Tutti i semidei si sedettero e sospirarono di sollievo. Era una faticaccia incredibile andare avanti sul ghiaccio. Il vento sollevava la neve che ci finiva negli occhi, cosa che non aiutava certo ad orientarci.
«Perché non abbiamo usato la Skidbladnir?» domandò Clarisse, che tremava dentro il suo mantello. «Avremmo evitato questa situazione del cavolo.»
«Era troppo rischioso» si intromise Finn, il figlio di Tyr e l’unico che, fino ad ora, non se l’era presa con Jason.
«Già…» concordai, affranto. «Il sistema di volo di quella nave è eccellente, ma è stato fatto un po’ velocemente. Le guarnizioni di alcuni cavi sono distrutte. Credo che si possano riparare, ma mi ci sarebbero voluti diversi giorni. E non possiamo rischiare che Annabeth venga uccisa.»
«Hai ragione» concordò Lars. «Ma appena torneremo al Campo finiremo. Quella nave diventerà un perfetto gioiello volante.»
Facemmo un giro e decidemmo di accamparci in una grotta naturale, che tempo ed intemperie avevano scavato sul fianco di un enorme blocco di ghiaccio. Accendemmo varie stufe da campo elettriche per evitare di morire assiderati e ci radunammo intorno per riscaldarci. Per fortuna il ghiaccio era molto spesso, o lo avremmo sciolto.
«Faccio io il primo turno» si offrì Lars, dopo che ci fummo tutti sistemati.
«Vengo anche io» disse Clarisse, seguita da Chris.
«Meglio per loro, io ho voglia di riposarmi. Posso stare accanto a te?» chiesi a Nora, la sorella di Alex, che si era accodata alla nostra spedizione.
«No, grazie. Preferisco stare sola» mi rispose, lanciandomi un’occhiataccia gelida che avrebbe reso Chione una statua di ghiaccio.
«Bel tentativo, Valdez!» commentò Einar, avvicinandosi. «Ma hai scelto il bersaglio sbagliato. Nora è già… interessata.»
«Davvero? Da chi?» domandai, curioso.
«Da Finn. È dalla battaglia di Manhattan che stanno insieme. E se anche volesse, il capo ci tiene alla sorellina, ti avrebbe cavato un occhio» scherzò il figlio di Loki, facendomi l’occhiolino.
Era sorprendente come, in pochi giorni, il dolore per la perdita della sorella fosse così abilmente mascherato.
«Accidenti, arrivo sempre troppo tardi» commentai, fingendomi arrabbiato.
La sera, se possibile, fu ancora più fredda. Sembrava che il gelo non ci volesse abbandonare e nemmeno le stufe elettriche sortivano l’effetto mitizzante sperato. Era impossibile stare al caldo, tanto che fui costretto ad accendere il mio fuoco per sopravvivere.
Quando riuscii ad assopirmi, i miei sogni non furono certo simpatici.


Il Campo Mezzosangue bruciava sotto l’attacco dei Romani, mentre la terra si apriva per una violenta scossa. Nordici, Romani e Greci erano impegnati a combattere una lotta senza fine, massacrandosi a vicenda, mentre il cielo era spaccato dalla lotta tra Dèi.
Jason ed Alex si affrontavano al centro dei semidei in lotta, i loro occhi rossi di rabbia e di sete di sangue.
Il Bunker Nove era crollato, e aveva seppellito l’Argo II e tutti i miei progetti sotto una valanga di sassi e roccia.
Era l’Inferno.
Provai a farmi strada, cercando di separare semidei e salvare il salvabile, ma era come se ogni ragazzo fosse invaso da una specie di furia guerriera che gli impediva di ragionare. Alla fine, riuscii a raggiungere il centro della mischia, ma era già troppo tardi.
Alex e Jason giacevano a terra, feriti a morte dalle rispettive armi.
Fu allora che la neve invase tutto.
Il gelido abbraccio invernale travolse ogni cosa ricoprendolo con una coltre bianca, mentre lo scontro terminava.
Né vincitori, né vinti.
Tutti morti.
Gli Dèi erano caduti.
E mentre tutto diventava freddo e morto, un’enorme ombra oscurò il cielo, intanto la terra si spaccava sotto di noi.
«Nemmeno il fuoco più ardente può sciogliermi. Rinuncia, piccolo semidio. Io e Gea saremo l’ultimo respiro degli Dèi» tuonò una voce maschile, che sembrava provenire da ogni luogo.
E mentre l’ombra calava su di me come un enorme piede, mi svegliai urlando.
 
«C’è qualche problema?» mi chiese una dolce voce accanto a me.
«Ehi, Miss Mondo» salutai, forzando il sorriso, anche se, dentro di me, avevo una paura folle. «No, nessun problema, solo qualche incubo.»
Ovviamente non la ingannai. Incubi, per i semidei, volevano dire problemi. Quindi lei volle sapere di più e, nella conversazione, si inserì anche Einar, che era sveglio a fare la guardia.
«Quindi, hai avuto questo incubo dove io ed Alex ci ammazzavamo a vicenda e anche gli altri semidei?» chiese Jason, seduto a gambe incrociate sul suo sacco a pelo.
Il giaccone gli dava l’aria di un orso polare biondo.
«Già, ma non solo. L’ombra ha detto qualcosa di strano, ha parlato di me e Gea. A quanto pare, la cara Madre Terra non è l’unica cosa che sta tentando di svegliarsi dalla pennichella» commentai, cercando di parlare con leggerezza.
«Sembra pericoloso. Ma cosa può essere?» chiese Piper, voltandosi verso Einar, che era stranamente pensieroso.
«Ho una mezza idea» commentò, massaggiandosi il mento. «Ma dovrò parlarne con Alex.»
«Devi proprio» borbottò Jason, alterato.
«Jason!» lo richiamò Piper, lanciandogli un’occhiata ammonitrice.
«Non fare l’idiota, Grace. Potrai anche essere figlio di Giove, ma, senza di lui, i tuoi Dèi a quest’ora sarebbero nel Tartaro. Prova ad avere un minimo di fiducia» chiosò il figlio di Loki, lanciandogli un’occhiataccia.
«Potrei chiedere come mai, allora, non ho visto nessuno di voi al nostro fianco, ad attaccare Monte Otri» gli fece notare il figlio di Giove, sostenendo il suo sguardo.
«Parliamo di te: non ti ho visto al nostro fianco per difendere l’Olimpo» ribatté l’altro, senza scomporsi.
Jason rimase in silenzio.
«Appunto. Non farci la predica. Se fosse dipeso da molti di noi, avremmo potuto rimanercene a casa ed occuparci dei nostri affari. Quindi smettila di prendertela con chi è dalla tua parte» concluse Einar, alzandosi e tornando alla sua postazione, all’entrata della grotta.
Io e Piper osservammo Jason sorpresi.
«Ma cos’hai, amico? Non sei mai stato così scontroso» dissi, sorpreso.
«Lo so… Scusatemi, ragazzi. Solo che… non so cosa mi prenda, ma quando si parla di Alex… è come se non riuscissi a frenarmi…» si scusò lui, massaggiandosi le tempie.
Immaginai come si dovesse sentire, con la voce del padre che continuava ad urlargli di uccidere Alex. Doveva avere un bel mal di testa.
«Io ho sonno, ragazzi» commentò Piper, dopo qualche secondo. «Se domani vogliamo camminare un po’, meglio se riposiamo tutti e tre.»
«Giusto, Pipes. Andiamo a riposare» concordò il figlio di Giove, mentre tornavano ai loro sacchi a pelo.
Io osservai il cielo che si vedeva fuori dalla grotta. Eravamo proprio nei guai fino al collo.

 
≈Lars≈

Chris e Clarisse erano di guarda con me. Finalmente si erano addormentati tutti, compresi Jason e il suo terzetto. Mi guardai intorno, finendo, inevitabilmente, per pensare a mio padre.
Avrei voluto che fosse rimasto con me. Ma, ovviamente, è sempre pericoloso fare il suo lavoro.
Mi grattai i capelli, pensando a quanto mi fossi allenato a non far trasparire nulla delle emozioni che mi attraversavano quando pensavo a lui. Ormai ero diventato famoso per la mia mancanza di parlantina e per il fatto che trattavo tutti come se fossi fatto di ghiaccio. Ma non era colpa mia.
Non del tutto, almeno.
Mi piaceva stare per conto mio e non parlare con nessuno. Solo con Alex avevo un buon rapporto. Avevo più volte pensato di parlargli dei miei problemi, ma mi ero sempre trattenuto. Sapevo bene che lui aveva i suoi.
«Ehi, Nilsen, sei vivo?» mi chiese Clarisse, pungolandomi con la sua lancia.
Per tutta risposta emisi un mormorio appena udibile, come ero solito fare quando mi interpellavano.
«Accidenti, come si fa a farti parlare?» domandò Chris, sorridendo malizioso.
«Stando zitti ed aspettando» risposi, inarcando le sopracciglia notando una sagoma nella tormenta, prima di capire che era solo una sporgenza di ghiaccio.
«Accidenti, finalmente hai detto quattro parole… proprio di numero» notò, con un sorriso malizioso, il figlio di Ermes.
«So parlare» replicai, mentre fissavo tutto ciò che ci circondava alla ricerca di un pericolo.
Quaranta semidei al Polo Nord, il posto più vicino alla Terra dei Giganti. Ogni mostro della zona ci avrebbe fiutati e dovevo proteggerli. In particolare i Giganti che, più di ogni altro, ci davano la caccia.
«Come mai così tanti? Non rischiamo di essere individuati?» chiese Travis, che stava montando la guardia su una sporgenza.
«Vero, ma dato che dopo venti mezzosangue l’odore divino non può attirare più mostri e data la presenza di Hell meglio essere in tanti. Almeno, potremmo rispondere con forza a qualsiasi attacco» risposi, mentre strane ombre danzavano tra la neve che scendeva.
Anche gli altri se ne dovevano essere accorti, perché si zittirono all’improvviso. Sentii la tensione farsi strada nel mio cuore, mentre cercavo di capire cosa si stesse avvicinando.
«Nemici?» chiese Travis, nervoso, tendendo l’arco.
Aguzzai la vista al massimo e notai forme deformi che si agitavano. Ormai era certo, quelli erano mostri e si stavano avvicinando.
«Comandante! Ci attaccano!» urlai, estraendo la spada e afferrando lo scudo.
In poco tempo tutto il campo era in allerta. Alex si fece avanti con in pugno Excalibur, mentre tutti gli altri presero subito le armi.
«Si stanno avvicinando» disse Clarisse, imbracciando la sua lancia elettrica.
«Allora, accogliamoli come si deve. Einar, prendi il comando degli arcieri! Lars, con me, andiamo contro di loro! Ragazzi, rimanete larghi ed evitiamo che il ghiaccio si rompa! Astrid, prendi i ragazzi greci e attacca sul fianco destro» ordinò il figlio di Odino, rivolto a tutti.
«Guido io i semidei greci» irruppe, all’improvviso, Jason, lanciando un’occhiataccia al mio amico.
Sbuffai, ci mancava solo che si mettessero a litigare proprio ora che eravamo sotto attacco. Per fortuna Alex non era in vena di litigi.
«D’accordo. Astrid, tu vieni con me, ma stai attenta» disse, rispondendo al figlio di Giove con un’occhiata truce.
«Sono d’accordo. Preferisco stare lontana da… certi elementi» aggiunse la figlia di Hell, annuendo.
Appena fummo tutti pronti, ci lanciammo all’attacco: prima quelli con gli scudi insieme ad Alex, dietro quelli che avevano due armi o armi a due mani. Correvamo veloci, saltando, più che correndo, in modo che la neve ed il ghiaccio non ci intralciassero troppo, tenendo gli scudi alzati davanti a noi.
Ormai i mostri erano vicini. Almeno tre giganti ed un numero non preciso di orchi stava rispondendo alla carica.
Le frecce dei nostri sibilarono nell’aria crivellando i nemici, ferendone decine. Alcuni si rialzarono, ma le gravi ferite lasciavano i nemici indeboliti.
Le file degli orchi erano ormai rotte e, quando impattammo contro di loro, si sfaldarono come se fossero fatti di burro.
Alex trafisse un mostro al petto per poi lanciare un fendente a destra. Astrid era poco lontano e colpiva con ferocia un nemico. Un orco mi si avventò addosso e, istintivamente, alzai lo scudo per parare. Sentii le braccia percepire l’impatto, ma lo ressi e colpii con forza, trasformandolo in neve per passare ad un altro.
Altre frecce sibilarono in aria, questa volta dirette alle retrovie della banda di nemici, mentre i greci arrivavano di fianco bloccando completamente i mostri in una morsa.
Era una mischia molto confusa, la nostra, mentre i greci avanzavano in linea compatta, a falange, capeggiati da Jason e Clarisse.
Alex riusciva a tenere testa ad almeno quattro orchi da solo, tenendo viva la sua fama di miglior combattente del Campo.
Resistetti ad altri attacchi e affondai la mia spada, sfoltendo le linee nemiche. Non era uno scontro facile, ma dovevo farcela.
I giganti pestavano i piedi, ringhiando furiosi, mentre alcune frecce li raggiungevano, impedendo loro di concentrarsi su di noi.
Avevo appena abbattuto un orco, quando Alex mi afferrò per la spalla e mi tirò all’indietro.
«Attento!» urlò, mentre il piede di uno degli Jotun si abbatteva dove mi trovavo pochi istanti prima.
«Grazie» sussurrai, sentendo l’adrenalina pompare nel petto, facendomi andare il cuore a mille.
Lo scontro era diventato una baraonda. Jason e Clarisse stavano facendo una strage, mentre Piper parlava contro i mostri, convincendoli con la sua voce ad abbassare le armi per finirli a coltellate. Poco lontano, il figlio di Efesto lanciava vampate di fuoco, facendosi strada tra i mostri inceneriti.
«I giganti! Buttateli giù!» urlò Alex, indicando la loro testa enorme.
Uno di loro non sembrò approvare le parole, e, con un solo soffio, ci lanciò contro una mini tempesta di neve. Mi scansai rapidamente per non essere investito, ma una scarica di freddo e dolore mi attraversò il braccio, che venne subito ricoperto da una patina gelida. Ignorai le sensazioni del mio corpo e mi concentrai sulla respirazione in modo che il braccio smettesse di farmi male ad intermittenza.
Funzionò.
Mossi le dita gelate in modo che il sangue e la circolazione affluisse velocemente e, in poco tempo, le fitte pulsanti divennero una sensazione di fondo fastidiosa, come un formicolio.
Puntai al mostro che mi aveva attaccato, deciso a buttarlo giù, e colpii l’enorme polpaccio mentre Astrid lo distraeva. Il gigante ruggì di dolore, cercando di schiacciarmi, ma ero già lontano. La figlia di Hell ne approfittò per saltargli sulla schiena e tranciargli la gola con un rapido movimento del polso con le sue mezzelune.
Il secondo gigante, alla mia destra, fu caricato da Clarisse, che usò la sua lancia elettrica e lo colpì in mezzo alla fronte con una forza incredibile. Un arco di saette roteò intorno al mostro, che rimase paralizzato mentre l’elettricità gli friggeva il cervello. Un colpo da maestro.
L’ultimo Jotun si rese conto del pericolo e provò a ritirarsi, ma fece solo due passi quando Jason si lanciò contro di lui. Con un urlo possente, il figlio di Giove lanciò un fulmine contro il mostro. Non osavo pensare a quanto gli fosse costato lanciare quell’attacco sul nostro territorio. La saetta esplose al centro del petto del gigante che crollò a terra morto, prima di dissolversi in una duna di neve.
Un urlo di vittoria si levò dalle nostre fila. Avevamo vinto.
«Lars, stai bene?» chiese Alex, tendendomi la mano per alzarmi.
«Sì, signore» risposi, accettando l’aiuto. Non mi andava di mancargli di rispetto.
«Non chiamarmi signore, Lars. Abbiamo la stessa età» mi ricordò lui, dandomi una pacca sulla spalla.
«Certo. Scusami, ero un po’ stordito» mi scusai, massaggiandomi la testa che, all’improvviso, sembrava essersi liberata da un peso enorme.
«Bene. Ora controlla che non ci siano feriti. Ripartiamo appena tutti si saranno ripresi» aggiunse, sorridendomi sollevato.
L’alba era arrivata mentre combattevamo: nessuno aveva sonno a causa delle scariche di adrenalina, ma tanto ci saremmo rimessi in marcia. Nessuno era stato ucciso, grazie al Cielo, ma c’erano alcuni feriti che curai con molta attenzione, assicurandomi di usare solo le pozioni giuste per ogni ferita.
«Dovresti rilassarti, fratello» mi sussurrò Sarah, mentre risistemavamo la nostra roba negli zaini.
«Scusami. È da tempo che non riesco a concentrarmi» sussurrai, stringendo più volte il pugno destro.
La coltre di ghiaccio che l’aveva avvolta si era sciolta, però continuavano ad essere un po’ intirizzite.
«A causa di quel Grace?» chiese, intuendo le mie preoccupazioni.
«Più o meno… Cerco di trattenermi, lui non mi ha fatto nulla» risposi, indeciso.    
«Anche a te gli Dèi stanno facendo il lavaggio del cervello, vero?» commentò lei, con un sorriso amaro.
«Sì, e la cosa mi dà molto fastidio» dissi, mettendomi lo zaino in spalla. «Io non provo nessun odio personale per questi romani. Siamo due popoli che si sono fatti la guerra, inutile continuare a scannarci dopo due millenni.»
«Parli degli Dèi, fratello. Sono quelli che hanno una concezione del rancore molto dilatata. Non puoi far ragionare Odino, possiamo solo ignorarlo, finché non si sarà stancato» rispose Sarah, seguendomi fuori dalla grotta.

 
•Alex•

C’eravamo rimessi in marcia da poco, quando il sole si levò del tutto iniziando a far riflettere i suoi aurei bagliori sulla calotta glaciale, costringendoci a rallentare per poterci abituare. Nonostante questo, però, il freddo non diminuiva.
Cercai di ignorarlo e continuare la marcia, come ero solito fare ogni volta che ero al Campo. L’addestramento contro il freddo era tipico del Campo Nord ed Hermdor gli dava un peso incredibile. Capivo ora il perché.
I Giganti del Ghiaccio erano un grave pericolo ed il loro vantaggio, come lo scontro sul ghiaccio, era molto pericoloso per tutti. Dovevamo essere pronti a questa evenienza, come era accaduto poco prima.
«Quanto credi dovremmo camminare, ancora?» mi chiese Astrid, che camminava al mio fianco.
«Sarà lunga. Hermdor mi ha detto che le tracce portavano molto a nord di qui. Ha tracciato una rotta che dovrebbe portare alla Cordigliera di Nasser» spiegai, ripassando mentalmente la mappa del Polo Nord che mi era stata data.
«Proprio ai confini del mondo» scherzò lei, sorridendomi.
«Già. E se si trattasse di te, io andare ben oltre i confini del mondo per raggiungerti» risposi,  guardandola dolcemente, mentre la vedevo avvampare.
«Credo  proprio che lo farei anche io, mio caro» aggiunse, dandomi un bacio sulla guancia.
Il nostro scambio di effusioni fu, però, interrotto da Leo, che si fece avanti con un sorrisetto.
«Perdonate, piccioncini. Posso sapere cos’è la Cordigliera di Nasser?» domandò, con un sorrisetto a trentadue denti.
Sospirai, cercando di reprimere il mio desiderio di strangolarlo. «La Cordigliera di Nasser è una serie di isole sepolta sotto una calotta ghiacciate, che formano una catena montuosa intorno al centro del Polo Nord.  Sono la prima difesa contro gli Jotunar. Intorno ad esse, i semidei nordici crearono delle fortezze coperte da uno spesso strato di Foschia per renderle invisibile agli occhi dei mortali. Al giorno d’oggi, però, molte sono abbandonate.»
«Mai pensato di recuperarle?» chiese Jason, sorpreso.
«Qualcuno ci pensa, ma non abbiamo i numeri per catturare e mantenere fortezze così grandi e così lontane da Asgard. Alcune sono curate dagli Elfi o dai Nani, ma la maggior parte sono abbandonate» risposi, senza rallentare.
«Capo! Altra gente!» urlò Einar, indicando un gruppo di guerrieri che avanzava verso di noi a passo di marcia.
Al contrario della sera prima, non essendoci una tempesta di neve, riuscii ad individuare subito il vessillo che portavano con loro. Erano palesemente uomini, almeno una ventina. Lo stendardo mostrava una bandiera rossa con, ricamato sopra in oro, un orso.
«Non attaccate, sono Berserk» dissi, facendo un cenno a Jason, che aveva già messo mano alla spada.
«Speriamo siano amichevoli» commentò lui, inarcando le sopracciglia in un cipiglio sospettoso.
«Tranquillo, sono guerrieri devoti a mio padre, non credo ci attaccheranno» replicai, cercando di essere calmo.
«Non ancora, vorrai dire» precisò Einar, lanciandomi un’occhiata divertita.
«Ogni tanto sei dannatamente pessimista» sospirai, esasperato.
Avevo proprio bisogno di un pochino di sostegno.
Non ci volle molto perché i Berserk si facessero avanti. Erano tutti pesantemente abbigliati con armature di anelli di ferro e lunghe pellicce d’orso sulle spalle, come un mantello. I cappucci erano teste d’orso. Avanzavano in gruppo sparso, ma erano tutti uomini armati.
«Salute a te, figlio di Odino» mi salutò il loro capo, un guerriero che dimostrava trent’anni, con lunghi capelli biondi intrecciati ed una barba ispida dello stesso colore.
Gli occhi di ghiaccio mi scrutavano con aria critica, come se stesse decidendo se fossi un buon avversario o un verme da schiacciare. Al fianco gli pendeva un ascia e sulla schiena un grosso scudo tondo. Un sorrisetto sarcastico gli era stampato sulla faccia.
«Salute a te. Come va?» chiesi, facendomi avanti, mentre i Berserk si fermavano a pochi passi da noi.
«Noi stiamo bene. Anche se è raro che veniamo portati fin qui per un figlio di Odino» commentò il guerriero, passando in rassegna ogni semidio in zona, soffermandosi, per un attimo, su Jason.
«Infatti mi sorprende che mio padre sia interessato a me» commentai, scettico.
Non erano certo migliorati i nostri rapporti, dall’ultima volta che ci eravamo parlati.
«Non è stato Odino ad inviarci, ma la Regina Frigga» spiegò il capo dei guerrieri. «A proposito, io sono Ragnar» aggiunse, presentandosi.
«Alex. Come mai la regina si interessa a me? Di solito non mi sopporta» dissi, ignorando le presentazioni tardive.
Io volevo capire molte cose. Frigga non era mai stata una mia alleata, anzi. Aveva sempre fatto di tutto per rendermi la vita impossibile.
«Non lo sappiamo. Sappiamo solo che ci ha ordinato di aiutarti» rispose pacato. «Quindi vi scorteremo. Da queste parti, più siamo meglio è.»
Dai miei amici si levò subito un coro di proteste e lamenti.
«Ehi, gente, che succede? A me fa piacere che qualcun altro si unisca a noi» commentò Leo, sorridendo.
«Certo. Ma non ci piace che questi fanatici psicotici ci aiutino» replicò Nora, sbuffando sonoramente.
Jason si avvicinò e mi sussurrò all’orecchio. «A me non sembrano dei fanatici psicotici.»
«Non lo siamo, abbiamo solo dedicato la nostra vita solo ad Odino. E se volete potreste unirvi a noi» spiegò Ragnar, avvicinandosi. «C’è solo un prezzo da pagare, per unirvi alla nostra eterna vigilanza.»
«Wow…. Com’è che questa cosa dell’eterna vigilanza mi ricorda le Cacciatrici? E qual è il prezzo?» scherzò il figlio di Efesto, ghignando divertito.
«Nulla di che, dovrai solo evirarti» rispose il guerriero, senza esitazione, come se la castrazione fosse la pratica più comune del mondo.
«Ehm…. Credo che ne farò a meno» ribatté Leo, nervoso, mentre io e Jason ghignavamo divertiti.
«Capisco» disse Ragnar, annuendo. «È difficile separarsi dai piaceri della carne… ma comprendo. Quindi, non ti giudicherò. La mia missione, ora, è aiutare il figlio di Odino nella sua missione.»
«Grazie, ma io mi chiamo Alex, non figlio di Odino. Ad ogni modo, se volete, potete venire con noi» risposi, ignorando le occhiatacce ed i sospiri disapprovanti dei miei.
In particolare Astrid mi lanciò un’occhiataccia che voleva dire “prova ad accettare una proposta del genere e ti taglio le mani.”
Sarebbe stato un viaggio davvero molto movimentato.

koala's corner.
Eccoci di nuovo qui con il nuovo capitolo! Questa volta, come vi abbiamo già annunciato, c'è il primo POV di Lars Nilsen dell'intera saga *scoppiano fuochi d'artificio*
*suono di trombe* Lo so che Lars non è loquace, o che non si è sempre visto molto, ma, credetemi sulla parola, lui è cucciolo puccioso fantasticamente fantastico *w*
Traduzione: potrebbe rivelarsi una sorpresa.
Come il catorcio ambulante del mio merdoso computer. Ci saranno imprevisti e giganti del nord a breve, quindi preparatevi a scoprire cose nuove - soprattuto riguardo i cattivi. E come avrete potuto notare già adesso, non c'è solo Gea a voler risorgere...
Per il momento, acqua in bocca!
Per questo volta è tutto, ci vediamo alla prossima! *sparge eucalipto*


 
Soon on DnN: Vorremmo davvero lasciarvi uno snippet più lungo di questo, ma... «I nostri bambini.» crediamo possa bastare a scatenare l'inferno.
Se non vi avessimo assillato abbastanza o non si fosse capito bene: andremo al Lucca Comics e vogliamo rispondere a tutte le vostre domande con un video! Sarebbe carino se partecipaste inviandoci le vostre domande, così da poterci vedere per più tempo fare i cretini hahah  risolti dubbi esistenziali (?)


 

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Capitolo 8
*** ASTRID • Incontriamo cinghiali d'oro piuttosto scorbutici ***


Incontriamo cinghiali d'oro piuttosto scorbutici

 



♦Astrid♦
 
Non che avessi particolari problemi a continuare il viaggio con i Berserk. Erano ottimi guerrieri, conoscevano il territorio e, be’, nel caso fossero morti non avrei sofferto più di tanto. Non sapevo cosa avesse in mente Frigga, e questo mi preoccupava.
Tra le dee, era una delle più criptiche, non solo perché non parlava. E non mi stava molto simpatica. Se la scenetta che aveva messo su si fosse rivelata dannosa per Alex o qualcuno del nostro gruppo… Non credevo sarei riuscita a controllarmi. Dopotutto, non ero mai stata un asso nel “controllarmi”.
Ero diventata più suscettibile a causa di Piper e, nonostante la notte trascorsa a sventrare mostri mi avesse aiutato a scaricare i nervi, non mi ero rilassata poi molto. Il costante sorrisetto di Ragnar, in più, mi dava sui nervi.
I Berserk camminavano davanti a noi, facendoci strada, e le loro ombre si allungavano sempre di più man mano che il giorno cedeva il passo alla notte. Intraprendere quella marcia era faticoso; dovevi sempre stare attenta al ghiaccio, ma ignorare il vento che ti sbatteva la neve in faccia. Evitare che le dita e le estremità si congelassero era il compito più duro, soprattutto per i greci, che non erano abituati a combattere un freddo così intenso.
Chissà se Annabeth stava marciando proprio come noi in questo territorio inospitale, senza conoscerne approfonditamente i rischi. E se Percy era davvero qui? Anche lui stava affrontando i nostri stessi problemi?
Non preoccuparti, pensai. Entrambi sanno il fatto loro.
Quando divenne impossibile procedere, sia per la mancanza di luce sia per la stanchezza, decidemmo di accamparci. Non fummo abbastanza fortunati da trovare una vera e propria grotta, così optammo per ripararci dal vento dietro una rampa di roccia per metà coperta di neve che offriva un ottimo schermo contro le raffiche.
I Berserk si occuparono di accendere le varie stufe da campo elettriche, mentre Lars e Sarah davano un’altra occhiata a chi era rimasto ferito nell’attacco. Ci mettemmo tutti in cerchio per mangiare, eccetto qualche semidio di guardia.
“Cenare” era una parola grossa, visto che con noi avevamo solo lo stretto necessario: acqua, pane, carne essiccata e qualche scatoletta di fagioli o zuppa. Io ne avevo aperta una con il filo della mia mezzaluna e la mangiavo a cucchiaiate, cercando di passare sopra il gusto discutibile del cibo.
All’improvviso, Alex intinse una strisciolina di carne essiccata nella mia zuppa, prima di ficcarsela in bocca e gustarsela come se fosse una rara prelibatezza.
Lo guardai scuotendo la testa. «Mi fai schifo» commentai.
Un sorrisetto gli affiorò alle labbra e, per un istante, sperai che si strozzasse con il cibo. A fargli andare di traverso il boccone, però, fu Ragnar.
«Allora, Alex figlio di Odino, cosa ne pensi dell’ordine dei Berserk?» gli chiese, con tono apparentemente casuale.
Aveva pronunciato “Alex figlio di Odino” come se fosse un nome proprio, tutto attaccato. Alex deglutì più volte. Immaginai stesse riflettendo se il guerriero volesse conoscere la vera risposta a quella domanda.
«Siete degli eccellenti combattenti, stando a quel che so» disse, cauto. «E per questo vi rispetto.»
Ragnar mise giù il panino che stava mangiando. «Sai» iniziò, «mi dicono che sei il miglior guerriero del Campo Nord e che sei stato autore di prodezze in America. Tra di noi, potresti migliorare ancora di più e trovarti al cospetto di avversari tuoi pari.»
Fece una pausa per dare il tempo ad Alex di rispondere. Il mio fidanzato, da parte sua, stava masticando molto, molto lentamente.
«Mi stai invitando ad entrare a far parte dei Berserk?» domandò, assumendo un’aria piuttosto ebete.
L’altro ragazzo alzò le spalle. «L’ordine è aperto a tutti» replicò. «Riconquisteresti il favore di Odino, probabilmente. E poi, il prezzo da pagare è forse minore di quello che hai già saldato mesi fa» aggiunse, alludendo al suo occhio.
Einar scoppiò a ridere, attirando tutta l’attenzione su di sé. Si trascinò dietro Sarah, che ridacchiava e squittiva, tentando inutilmente di trattenersi. Ragnar inarcò un sopracciglio.
«Che ti prende, donna?» chiese, brusco. «L’invito è rivolto a chiunque si senta pronto, in ogni caso.»
Sarah recuperò quanto più contegno riuscì a racimolare. «Non mi prende niente, uomo.» Ridacchiò. «Solo, Einar ha già sentito parlare di castrazione parecchie volte…»
«Ti hanno già chiesto di entrare nei Berserk?» s’informò Ragnar, ora perplesso.
«Non esattamente» biascicò Einar, ridendo.
Il guerriero decise di ignorarli, ritornando a concentrarsi su Alex.
«Mi dispiace» disse lui, alzando le mani. «Ma l’offerta non mi interessa.»
Inaspettatamente, mi sentii sollevata da un peso. Non che avessi davvero pensato che Alex volesse entrare nei Berserk, ma era sempre una possibilità. Compresi cosa avesse dovuto provare Percy, quando Annabeth aveva preso in considerazione l’idea di diventare una Cacciatrice.
«Ne sei sicuro?» tentò Ragnar un’ultima volta.
«Sicuro» ribadì.
Il giovane spostò il suo sguardo sul panino che teneva tra le mani. «Se ci ripenserai, noi non faremo gli schizzinosi» concluse.
«Non credo lo farò» borbottò Alex, senza, però, farsi sentire dall’altro.
Più tardi, quando decidemmo di coricarci, mi sistemai vicino a lui per godere il più possibile del calore del suo corpo. Il suo mento era sopra la mia testa e scavava un piccolo solco tra i miei capelli, mentre il suo braccio destro mi circondava il bacino e le dita della mano si intrecciavano con le mie. Se fossi stata una gatta, mi sarei messa a fare le fusa.
«Sei stanca, min brunette[1]?» mi chiese.
Mi girai, stampandogli un piccolo bacio sulla punta del mento. «Un po’» risposi. «Tu?»
Emise un gorgoglio che poteva significare sia sì che no. Chiusi gli occhi, accoccolandomi meglio contro il suo petto.
«Perché hai rifiutato l’offerta di Ragnar?» domandai in sussurro, cedendo alla curiosità.
«Non mi va di entrare a far parte dei Berserk» rispose. «Anche per il prezzo da pagare, ovvio. Bisogna essere un tantino fanatici, per accettare di buon grado una condizione del genere.»
Risi piano. «O forse dovresti voler rimanere una voce bianca» buttai lì.
Alex sorrise sui miei capelli. «Forse.»
Rimanemmo un po’ in silenzio, prima che il figlio di Odino rompesse quell’aura di tranquillità, aggiungendo: «E poi, io voglio avere la possibilità di avere una famiglia…»
Quando aprii gli occhi e alzai lo sguardo su di lui, Alex terminò: «… con te.»
Sentii qualcosa di caldo irradiarsi per il mio plesso solare. «Hai intenzione di sposarmi?» domandai, senza nascondere una punta di sorpresa.
«Oh, ja[2]» rispose, mantenendo un tono leggero ma deciso. «E mi piacerebbe avere dei bambini. I nostri bambini.»
Avvicinai le sue labbra alle mie. Soffiai: «Dillo di nuovo.»
«Perché?»
«Perché mi piace il suono di queste parole sulla tua lingua.»
Le sue labbra si curvarono in sorriso sulle mie.
«I nostri bambini.»
 
 
Se c’era una cosa che detestavo del Polo Nord, era il risveglio mattutino. C’era troppa luce tutta insieme, che si rifletteva sul ghiaccio e finiva per abbagliarti. Di certo non era la parte del giorno che preferivo, né quella in cui potevi parlarmi senza rischiare di perdere qualche arto. E l’apparizione di un dio non era proprio quello che ci voleva per dare una svolta alla giornata.
Non ci eravamo messi in moto da molto – portata a termine una breve colazione e finito di smontare il campo, era passata si e no mezz’ora – quando l’aria si distorse davanti ai nostri occhi e apparve la figura di un uomo.
Era davvero bello da morire, con i muscoli delle braccia che guizzavano sotto la maglietta e i pettorali scolpiti che si potevano intuire dalla forma del corpetto in cuoio che indossava. I capelli biondissimi erano lasciati liberi e ricadevano sulle ampie spalle, dove si arricciavano lievemente. Aveva gli zigomi alti e piatti, gli occhi un po’ infossati, ma comunque gradevoli; il loro colore cobalto, poi, li faceva assomigliare a due pietre preziose.
Mi chiesi distrattamente come facesse a non congelare, così vestito. In ogni caso, io il freddo non lo sentivo proprio.
«Salve, semidei» esordì, con voce bassa, ruvida e sexy, «e semidee.»
Sorrise affascinante, sfoggiando una schiera di denti dritti e così bianchi che ti ci potevi specchiare.
In quel momento, l’incantesimo si ruppe. Freyr, borbottai tra me, rendendomi conto di chi mi trovavo davanti.
«Chi è questo tizio?» domandò Leo.
Doveva essere un sussurro, ma stavamo tutti in silenzio a rimirare il bellissimo dio, per cui la questione risuonò chiara e limpida.
«È Freyr» rispose Nora con un tono che le avevo sentito usare solo con Finn, il suo fidanzato.
Alex scoccò un’occhiata preoccupata a sua sorella. «È il dio della pioggia» gli spiegò, poi. «E anche della fertilità maschile.»
«Già» commentò Ragnar, secco.
Leo emise un “uh” di circostanza, squadrando ancora il nuovo arrivato.
«Non essere critico, Berserk» lo apostrofò Freyr, avanzando di qualche passo. «Hai deciso tu stesso di privarti di innumerevoli piaceri.»
Ragnar si scurì in volto, ma evitò di replicare altro. Ben ti sta, pensai. Era una gioia vedergli morire sul volto il suo eterno sorrisetto ambiguo.
Piper si accostò ad Alex e la sentii chiedergli: «E come mai è così attraente?»
«Sua sorella è Freyja» rispose lui.
La figlia di Afrodite si irrigidì impercettibilmente. «Capisco» mormorò.
«Allora!» esclamò Freyr, battendo le mani e sfregandosele. «Come sta procedendo la vostra missione?»
«Bene» rispose Alex, facendosi avanti. «Se posso chiedere, divino Freyr… Perché è qui?»
«Puoi chiedere, figlio di Odino» lo tranquillizzò il dio, facendogli l’occhiolino. «Ma gradirei di più rispondere a questa domanda se me la ponesse una ragazza» lo stroncò.
Corrugai la fronte. «Ehm, perché si è disturbato a venire, divino Freyr?» ritentai.
Il volto del dio si illuminò e non potei evitare di formulare certi pensieri poco carini su quel meraviglioso sorriso incorniciato da altrettanto stupende labbra.
Ne seguii ogni movimento, mentre diceva: «Voglio aiutarvi, semidei.»
«E come?» s’informò Alex, ma Freyr rispose unicamente quando Helen riformulò la domanda.
«Indicandovi la via più veloce per raggiungere la vostra amica greca Annabeth Chase, ovviamente.»
Questo era interessante. E anche un tantino sospetto. Nessun dio dava qualcosa senza assicurarsi di riceve altro in cambio, in futuro.
Infatti, quando Piper domandò: «È molto gentile, da parte sua», Freyr si affrettò a precisare: «Veramente, prima dovrete fare qualcosina per me.»
E te pareva. «Cosa?» chiesi senza troppi giri di parole.
«Oh, quanto mi piacciono le donne agguerrite» commentò, sorridendomi.
Non lo trovai più tanto affascinante; piuttosto viscido, invece. Alex lo fissò, nello sguardo si leggeva una chiara minaccia di omicidio. Quando voleva, sapeva essere un perfetto bodyguard.
«Comunque, mia cara, vi propongo questa sfida. Il mio cinghiale d’oro Gullinbursti è, hmm, scappato: se riuscirete a domarlo e a riportarmelo, io vi indicherò la strada. Altrimenti, farete da soli.» Fece un vago gesto con la mano. «Sono sicuro che, in ogni caso, ve la caverete egregiamente. Non credo morirete tutti assiderati in questa landa ghiacciata.»
Che pensiero carino, commentai tra me e me.
«Ci prendiamo un attimo per riflettere» disse Alex.
Si voltò e ci invitò a radunarci in cerchio.
«Cosa ne pensate?» domandò, sottovoce.
«Di Freyr o della sfida del cinghiale? Specifica» intervenne Einar.
«Della sfida» s’inserì Lars, scoccandogli un’occhiata.
«Quelle informazioni ci servono» disse Jason.
«Ha ragione» concordò Piper. «Non so se vale lo stesso per voi nordici, ma non siamo abbastanza equipaggiati per una spedizione troppo lunga.»
«Non siete abbastanza addestrati» la corressi. «Ma non è esattamente colpa vostra» aggiunsi, non volendo ferire persone come Leo.
Alex sospirò, e il suo fiato si condensò in una nuvoletta bianca. «Quindi accettiamo?» chiese conferma.
Annuimmo tutti quanti, decisi. Quando ci voltammo, Freyr era intento a controllarsi la manicure.
«Accettiamo la tua offerta» dichiarò Alex.
Freyr ammiccò. «Non avevo dubbi.»
 
 
Freyr era scomparso di nuovo poco dopo, assicurandoci che sarebbe ritornato, nel caso fossimo riusciti a catturare Gullinbursti, che era scappato. Nessuno aveva commentato la scelta verbale, ma era palese che questa sfida fosse l’ennesimo giochetto degli Dèi, desiderosi di divertirsi un po’.
Tanto, per loro non eravamo altro che un pugno di anni in confronto a chi possiede l’eternità. Anzi, forse eravamo anche meno di una manciata di numeri.
«Che aspetto ha questo cinghiale?» domandò Clarisse, interrompendo il mio monologo mentale. «Mi sembra necessario saperlo, se vogliamo riconoscerlo.»
«Volendo essere precisi» spiegò Alex, «non è nemmeno un vero cinghiale. È d’oro ed è stato creato dai Nani.»
«E Freyr lo cavalca» interloquì Einar con un sorrisetto, a cui l’idea di montare un animale come Gullinbursti divertiva molto.
«Mi ricorda una delle diavolerie della Casa di Efesto» commentò la figlia di Ares.
«Ehi!» protestò Leo. «Festus era un drago magnifico. È stato fondamentale per la nostra impresa.»
«Peccato che si sia distrutto» gli ricordò Clarisse.
«Tutto si può riparare. Giusto, Leo?» la rimbeccò Piper, spalleggiando l’amico.
La figlia di Ares scrollò le spalle, lasciando cadere il discorso.
Camminammo per quasi un’ora, prima che Jason intravedesse un bagliore dorato a una quindicina di metri da noi. Avanzando, fu chiaro che si trattava di Gullinbursti.
«Non stiamogli troppo vicini» ci istruì Alex. «Altrimenti, il ghiaccio si spaccherà sotto i nostri piedi.»
«Ma dobbiamo pur sempre catturarlo e riportarlo da Freyr» notò Jason. «Cos’hai intenzione di fare?»
Alex mise mano a Excalibur. «Sta’ tranquillo, ho un piano.»
Jason grugnì, però non lo contraddisse oltre.
«Hai già un piano?» domandai al figlio di Odino.
Lui mi rivolse un debole sorriso. «Non proprio» rispose. «Ma mi farò venire qualcosa in mente.»
«Ci fidiamo di te, capo» disse Einar, mettendogli una mano sulla spalla.
Non avevamo nulla dietro cui nasconderci per arrivare di soppiatto, così ci limitammo ad una lenta e cauta avanzata, nella speranza che Gullinbursti non si spaventasse e scappasse o che si arrabbiasse e ci caricasse.
Eravamo abbastanza fiduciosi, comunque. Domare un cinghiale non doveva essere poi così difficile per il nostro nutrito gruppo di semidei.
Dovetti ricredermi quando fummo a pochi metri di distanza dall’animale. Era un bestione imponente, più grosso e massiccio del normale; l’oro di cui erano fatte le zanne brillava, ma sembrava ammiccarci in modo maligno.
No, non sarebbe stato facile. Dovevano averlo intuito anche gli altri, perché percepii molti di noi trattenere il fiato.
«Circondiamolo» ordinò Alex.
«Berserk, prendiamo il lato opposto» disse Ragnar.
Con mio grande disappunto, Piper si schierò affianco a me. Quella ragazza non aveva un minimo di spirito di autoconservazione.
Quasi subito, però, mi dimenticai della sua presenza e accolsi i sintomi della battaglia come amici. Osservai ogni minimo movimento dell’animale, stringendo le mezzelune. Non erano l’arma più adatta a una caccia al cinghiale, ma non avevo né una lancia né una spada con me.
«Okay» disse Alex, mantenendo il tono calmo e fermo. «Il nostro obiettivo è immobilizzare Gullinbursti. Abbiamo una corda?»
Nora frugò nel suo zaino, poi annuì: «Sì.»
Alex fece un cenno d’assenso. «Probabilmente sarà necessario ferirlo, ma tenete sempre conto che è la cavalcatura di Freyr.»
«Va bene» rispondemmo in coro.
Il cinghiale dorato, da parte sua, non sembrava contento né che si parlasse né che così tanti semidei gli stessero attorno. La sua coda si muoveva frenetica e, di tanto in tanto, grugniva e scalciava. Mi domandai come saremmo riusciti a bloccarlo con una semplice corda.
Una risata risuonò alle nostre spalle. «Cosa pensate di fare esattamente, adesso?» ci provocò Freyr. «Il tuo piano mi sembra un po’ deboluccio, figlio di Odino.»
Alex non ebbe tempo di replicare, perché Gullinbursti reagì al suono delle parole del padrone e cercò di venirgli incontro. Vedendo il muro che gli impediva di passare, s’infuriò e caricò. Se non avessero avuto una prontezza di spirito notevole, numerosi semidei greci e nordici sarebbero stati buttati e a terra e calpestati dal cinghiale d’oro.
«Non ci sta aiutando!» protestò Ragnar a un volume di voce troppo alto per i gusti di Gullinbursti.
Mentre Freyr gli rivolgeva un sorrisone e mormorava un “oh, scusa”, il berserk scagliò la sua accetta contro il bestione, che si conficcò sopra la sua spalla.
L’animale emise un verso stridulo, simile al grido di una giovane donna terrorizzata, che mi costrinse a coprirmi le orecchie con le mani. Ormai su tutte le furie, il cinghiale non sapeva contro chi rivolgere la sua rabbia, finendo per caricare chiunque gli capitasse a tiro.
Einar compì un salto all’indietro invidiabile per evitare di essere travolto. Poi, Gullinbursti voltò il suo orribile grugno dorato contro Alex. Il figlio di Odino fuggì alla sua prima carica, ponendosi di lato, sfregiandolo subito dopo lungo tutto il fianco con la spada.
Ma non aveva considerato che il cinghiale si sarebbe girato così in fretta. Si sarebbe preso un zoccolo in bocca, se non mi fossi messa in mezzo. Lo buttai a terra solo grazie alla forza dell’impatto della sua zampa sulla mia schiena.
«Porco cazzo d’un Thor» imprecai, trattenendo il fiato per il dolore.
«Dèi» invocò invece Alex, scivolando via da sotto di me. «Cosa diamine ti è saltato in mente, Astrid!?»
Rotolai sulla schiena. «Sto bene» replicai, secca. Un cinghiale d’oro mi ha solo disarticolato una spalla, aggiunsi tra me.
«Avrebbe potuto colpirti in testa e ucciderti!» gridò, reso furioso dalla preoccupazione.
Strinsi i denti, mentre una fitta mi faceva vedere le stelle. «Avrebbe potuto colpire te in faccia» replicai.
Alex roteò gli occhi e non poté impedirsi di sbuffare. Potevo vedere la rabbia e la frustrazione contenute a stento nel modo in cui serrava la mascella.
«Non rompere, figlio di Odino» lo ripresi. «Piuttosto, va’ a domare quel cinghiale.»
«Ma...»
«Vai. Subito.»
«Non ti lascio qui da sola e ferita!» sbottò. «Non puoi chiedermelo!»
«Infatti» replicai, «non te lo sto chiedendo
«Sei… sei…» Strinse un pugno per la frustrazione. «Sarah!» abbaiò. «Raggiungimi!»
La figlia di Eir non era nel mirino di Gullinbursti, così gli arrivò al fianco velocissima.
«Alex?» domandò trafelata, in attesa di ordini.
«Occupati di lei» la istruì il figlio di Odino. «Devo andare dagli altri, ma tu non lasciarla mai sola. Intesi?»
«Intesi» assicurò Sarah, inginocchiandosi accanto a me.
Alex mi lanciò un’occhiata così lunga che temetti non sarebbe finita più. Mi diceva tutto: che ero una stupida ad essermi messa in mezzo, ma che mi ringraziava; che avrebbe trovato il modo di sdebitarsi – anche se non ce n’era bisogno –; che sapeva di dover aiutare gli altri, ma che voleva rimanere con me; che gli dispiaceva e che mi amava.
Poi, mi diede semplicemente le spalle e si mise sotto, lasciandomi finalmente in grado di soffrire senza dovermi preoccupare di non farglielo notare. Chiusi gli occhi, imponendomi di respirare lentamente.
Mi resi improvvisamente conto di tante piccole cose, come la neve gelida che mi era entrata nel giaccone, il duro ghiaccio sotto la mia testa, i passi dei semidei che scuotevano il terreno. In quel momento, non ero sicura di essere viva per davvero.
Una fitta di dolore mi scosse, riportandomi bruscamente alla realtà. Riaprii gli occhi, cercando di non andare in iperventilazione.
Jason aveva mantenuto stabile la situazione dopo che Alex se n’era andato, ma ora i due sembravano aver trovato un punto d’intesa. Sarah strinse i denti. Il suo desiderio di buttarsi nella mischia era evidente, ma non si mosse.
«Non ce la faranno, mia cara» mi sussurrò una voce all’orecchio.
Mi salì un insulto alle labbra. «Si sta divertendo, divino Freyr?»
Il dio si strinse nelle spalle. «Un po’ sì, devo ammetterlo» rispose. «Ma credo che il bello debba ancora venire. Sai, voi donne, in guerra, siete piene di risorse.» Ghignò. «E non solo in guerra.»
«Ah» feci. «Suppongo che se ne intenda.»
«Certamente!» commentò Freyr. «Se dovessi trovare sollievo alle tue voglie, basta che mi fai un fischio, figlia di Hell. L’invito è esteso anche te, discendete di Eir.»
Preferii non replicare, perché non ero sicura che avrei detto cose carine e non mi sembrava il caso di venire incenerita da un dio. Sarah, invece, scosse la testa per evitare di rimanere lì imbambolata a fissarlo e, magari, dire frasi compromettenti.
Spostai di nuovo la mia attenzione sulla battaglia in corso. Jason aveva appena rischiato di essere travolto, ma Lars l’aveva tirato indietro in tempo. Allora, il cinghiale si trovò davanti Piper.
Non puoi prendertela con lei, pensai. Non ce la farà.
Invece, la figlia di Afrodite mi stupì. Con voce calma, senza un tremito, parlò a Gullinbursti. Usava la lingua ammaliatrice e l’animale sembrava gradire.
«Non essere arrabbiato» cantilenava Piper. «Non vogliamo farti del male. Siamo qui perché lo vuole il tuo padrone. Freyr non permetterebbe che ti ferissimo. Se ti calmi, possiamo aiutarti.»
Gullinbursti smise di scalciare e si incamminò dolcemente verso di lei.
«Bravo, ma che bravo» lo lodò la greca. «Cosa ne dici di seguirmi e andare insieme da Freyr, mh? Forza, Gullinbursti.»
Il cinghiale, finora intrattabile, trotterellò dolce come un cucciolo di golden retriver al fianco di Piper, che lo condusse dal dio,  il quale aveva di nuovo cambiato posizione.
«Ohcavolo» mormorò Sarah, così sorpresa da non ricordarsi di richiudere la bocca.
Freyr si complimentò con la figlia di Afrodite e le disse qualcosa di vagamente a sfondo sessuale, ma non ci badai più di tanto.
Tutta la mia attenzione era catalizzata su Alex, che fissava felicemente sorpreso Piper, dimentico di ogni cosa che gli stava attorno. Dimentico di me.
Un dolore ben diverso da quello fisico mi assalì. Ma come poteva parlarmi di un futuro insieme e, nemmeno un giorno dopo, guardare pieno d’amore un’altra ragazza? Cosa pensava, che non me ne accorgessi? Che fosse normale?
Come poteva provare lo stesso sentimento per due persone completamente diverse allo stesso momento?
Mi costava ammetterlo, ma Piper McLean aveva dimostrato di non essere inutile. E con questo? Alex non poteva dimenticarsi di me ogni volta che girava il volto e la guardava.
Eppure, mentre lei era acclamata salvatrice ed eroina, io giacevo inerme nella neve da sola con il mio dolore.
 
[1] Dal norvegese (traduzione di Google): “Mia bruna”
[2] Dal norvegese (traduzione di Google): “Sì”
koala's corner.
Altro mercoledì, altro capitolo! Questa volta interamente narrato da Astrid - ed è il primo nella storia.
Ora scoprite il contesto de "i nostri bambini" :3 So che può sembrare un po' prematuro, considerando anche che i semidei muoiono da un giorno all'altro, ma questo non esclude il fatto che possano sognare di arrivare alla vecchiaia o ad avere una discendenza, no? Le coppie molto innamorate fanno progetti per il futuro, e, in teoria, la Alrid devestare insieme per sempre. Prendetelo come un momento di dolcezza e di coppia che straccia la Alper btw
Io non approvo completamente questa scelta, visto che Alex è un po' traballante sulla sua fede, ma io e wolfie abbiamo trovato una linea d'accordo, quindi...
Giààà, differenti punti di vista^^" Freyr è un dio divertente ed è stato divertente immaginare le sue avances verso tutti, nessuno escluso hahah
Piper dimostra ancora che ha un'utilità, cosa che smentisce di nuovo questa teoria "dell'inutilità". Non prendetevela con lei u.u
Ultima parte del capitolo che annuncia l'angst che potrebbe arrivare. E' superfluo dire che rido malvagiamente mentre scrivo cose del genere MUHAHAHA
Grazie per seguirci, alla prossima!

Soon on DdN: POV Jason/Lars/Leo - forse a qualche dio importa di loro. Forse. E magari i semidei possono avere un attimo di riposo. Magari.
N.B.: Abbiamo filmato il video, yeee! Però siamo imbranati, e ci vorrà un po' prima che potrete vederlo. Per questo vi consigliamo di mettere "mi piace" alla novella pagina facebook di "Cronache del Nord", dove pubblicheremo la maggior parte dell'informativa da ora in poi. In più, ci saranno le fanart di Amy_the_dreamer. Ovviamente. nulla è a scopo di lucro, ma solamente per rendere più facile conoscere eventuali problemi, aggiornamenti e curiosità. Questo il link: https://www.facebook.com/pages/Cronache-del-Nord/714709385281830?fref=ts Potete trovarlo anche nella pagina utente di Water_wolf.
Bye!


 

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Capitolo 9
*** JASON/LARS/LEO • Una sfilza di sogni strani ***


Una sfilza di sogni strani
■Jason■
 
Mentre Alex andava da Astrid e Sarah, io mi avvicinai a Piper, che stava parlando con Freyr, un altro dio che aveva suscitato le mie antipatie con quella sua aria da presunto macho super sexy che si dava.
Non per essere critici; era, effettivamente, attraente, ma se la tirava troppo ed il fatto che non gliene importasse nulla dei ragazzi mi dava fastidio. Improvvisamente sentivo la mancanza degli Dèi Greci e Romani. Loro erano molto più miti di quelli che stavo conoscendo adesso.
Riflettei che, molto probabilmente, era a causa della differenza culturale e dell’odio che li legava a me. Nella mia testa la voce di Giove mi avvertiva, con rabbia, che quelli erano miei nemici e che dovevo scappare, tornare a Nuova Roma e radunare le Legioni per distruggerli.
Scossi il capo. Non c’era bisogno di aumentare l’antipatia che già provavo forte nei loro confronti. Dovevo controllarmi, ne andava del bene della missione.
Piper stava discutendo e, dal rossore che le dipingeva le guance, la conversazione stava prendendo una piega molto imbarazzante.
«… d’accordo… ma ora mi dice dove si trova Annabeth?» rincarò per l’ennesima volta, aggiungendo un tono esasperato alla voce.
Non capii la parte precedente del discorso, ma pensai fosse meglio così.
«Amico, ti capisco bene. Quel tipo non sta simpatico nemmeno a me» mi rassicurò Leo, dandomi una pacca sulla spalla.
«A chi lo dici» concordai, lanciandogli un’occhiata di intesa.
Il Dio sembrò capire che non era aria e sospirò in modo a dir poco melodrammatico.
«E sia» disse, alla fine, squadrandoci tutti. «Dirò a te, signorina, cosa ti serve sapere. La vostra amica Annabeth è stata portata in un luogo a nord, molto a nord. Un cimitero di drakkar costruito  oltre la Cordigliera. Anticamente i Giganti portavano lì le navi che affondavano con i loro soffi. Si sono creati grandi lande di relitti avvolti dal gelo. Non conosco il luogo preciso, ma lì potrete trovarla.»
«Non potrebbe essere più specifico?» chiese Miranda Gardner, accigliata, ottenendo come risposta un sorrisetto ammiccante.
«Temo di no, mia cara.»
«Molto d’aiuto, complimenti» commentò Clarisse, stringendo la lancia, ma senza attaccare onde evitare casini ancora peggiori.
«Lo so, tesoro. Ma non temere, potreste trovare molti altri aiuti» sorrise Freyr, montando in groppa al suo cinghiale dorato che, prima di mettersi al galoppo, dette un colpetto col muso a Piper, che rispose accarezzandogli la testa.
«Ci vediamo, semidei. Mi raccomando: siate all’altezza» ci salutò, mentre il suo animale sacro partiva al galoppo rapido come non avrei mai potuto immaginare.
«Bene… Ce lo siamo tolti di torno» commentò Nora, passandosi una mano tra i capelli. «Che si fa?»
«Credo che dovremmo accontentarci del poco che ci ha dato» risposi. «Andremo ancora più a nord e vedremo di scoprire dove l’hanno nascosta esattamente.»
«Buona idea» disse Alex, tornando con Astrid e Sarah.
La figlia di Hell era stata curata, ma, a giudicare dalla benda, sarebbe rimasta inerme per almeno un giorno.
«Stai dicendo che io ho avuto una buona idea, per caso?» chiesi, ironico, mentre gli lanciavo un’occhiata di sfida.
«I miracoli accadono, Grace» replicò immediatamente.
«Incredibile che tu te ne sia accorto, allora» fu la mia risposta, mentre mio padre tornava all’attacco, facendomi notare il fatto che era disarmato e che avrei potuto trafiggerlo in due secondi.
«Almeno io me ne sono accorto» commentò Alex, lanciandomi uno sguardo di fuoco.
Strinsi la mano intorno all’impugnatura del gladio, sentendomi teso come non mai, ma riuscii a trattenermi. Non capivo da dove fosse venuta fuori quel mio modo di parlare. Non era da me. Mi chiesi quanto Zeus avesse potere su di me e se mi stesse controllando a distanza.
«Abbiamo bisogno di un piano di riserva. Annabeth ha poco tempo e potremmo rimanere settimane a cercarla senza trovarla. Non abbiamo le risorse per rimanere qui per così tanto tempo, quindi dobbiamo trovare una testa di ponte» decise Alex, rivolto a tutti i ragazzi.
Mentre parlava, notai Leo ed Einar scambiarsi un rotolo di banconote. Ebbi la strana sensazione che io ed Alex eravamo stati inconsapevolmente tirati in mezzo ad una scommessa.
«Quindi dove andiamo?» domandò Lars, curioso.
«Qui» spiegò il figlio di Odino, aprendo la mappa. «C’è una fortezza abbandonata. È sulla strada che Freyr ci ha indicato. Da lì potremmo essere in una posizione favorevole per mantenere la posizione. Useremo ciò che è rimasto lì per barricarci e potremmo fare delle ricerche mirate.»
«Il piano migliore che abbiamo, immagino» disse Leo, stringendosi le spalle.
«Allora, in marcia» ci incitò il ragazzo, riprendendo la marcia.
Il freddo che ci avvolgeva era un ottimo incentivo, se la destinazione era un luogo più confortevole di quelli avuti fin ora. Avevamo tutti bisogno di riposo e la marcia nella neve non aiutava di certo ad alzare il morale di tutti.
«Questo gelo è mortale» si lamentò Will accanto a me.
«Avanti, Lampadina, resisti. Siamo quasi arrivati» scherzò Leo, accendendosi una fiamma in mano.
Grazie ai suoi poteri era l’unico del gruppo a non soffrire più di tanto la temperatura rigida.
«Facile dirlo. Non puoi sentirlo» commentò Bethany, poco lontana, mentre ci guardavamo intorno alla ricerca del nostro prossimo rifugio.
«Là!» esclamò Finn, dopo pochi minuti, indicando un punto molto distante da noi.
Non riuscivo a capire cosa fosse: sembrava una costruzione, ma, tra la neve ed i frammenti di ghiaccio sollevati, vedere lontano era un optional e, inoltre, sembrava che qualcosa distorcesse il paesaggio rendendo difficilissimo capire cosa fosse.
«Magia di occultamento» spiegò Bethany, osservando quella che, a poco a poco, parve evidente essere una fortezza.
«Come fai ad esserne sicura?» domandai, con una vena di scetticismo.
«Mia madre è anche la dea della magia, so riconoscere un incantesimo quando lo vedo, Signor Romano» replicò la ragazza acidamente, prima di riprendere ad avanzare.
Ci volle più del previsto per raggiungere il posto indicato, tra la marcia faticosa, la neve che ci ostacolava e distorsioni visive che ci facevano apparire l’edificio più vicino di quanto non fosse in realtà. Ma a sera riuscimmo a raggiungere i piedi della fortezza.
Era un’alta costruzione in pietra, non diversa da molti canonici castelli, resistente e duratura. Sei torri erano costruite agli estremi delle mura che, di conseguenza, acquisivano una forma esagonale, mentre, all’interno, si intravedeva una costruzione altrettanto spessa, che doveva ospitare le stanze personali e le armerie dei guerrieri che, un tempo abitavano quella fortezza e affrontavano i giganti.
«Sembra disabitato… Ma come facciamo ad aprire quello?» chiesi, indicando un ampio portone di legno che, stranamente, sembrava ancora intero nonostante gli indubbi anni di abbandono.
«A questo ci pensiamo noi» rispose Einar, accompagnato da due suoi fratelli figli di Loki.
«State attenti, e niente eroismo. Se c’è un pericolo, tornate indietro» li avvertì Alex, lanciandogli un’occhiata di intesa.
«Tranquillo capo!» lo rassicurò l’altro, mettendosi a correre insieme ai suoi.
Con un’agilità che non credevo possibile, iniziarono a scalare le mura come dei ragni, usando ogni appiglio, seppur minimo, per mantenersi in equilibrio e darsi la spinta per salire ancora di più. Ad un certo punto, Einar raggiunse un salto troppo alto, ma, invece di tornare indietro, si dette la spinta di lato, poggiò il piede su un muro sporgente e, grazie ad esso, saltò ancora più in alto, riuscendo ad aggrapparsi alla merlatura.  I suoi fratelli fecero itinerari diversi, ma tutti e tre arrivarono in cima senza troppi problemi.
«Sono dei fottuti ninja» commentò Leo, osservandoli ammirato.
In poco tempo i cancelli si aprirono e potemmo sostare all’interno. Il cortile era invaso dalla neve, però, a giudicare dall’assenza di corpi, fui sollevato che fosse stata abbandonata.
«Non ci sono mostri nella parte superiore del castello, capo» disse Einar ad Alex, mentre tutti entravano.
«Molto bene. Useremo le stanze superiori come dormitori. Ci divideremo in squadre e controlleremo le stanze inferiori. Tu va’ con Leo all’ala est, io mi occuperò di creare un campo all’interno e mettermi in contatto con il Campo Nord» lo istruì il figlio di Odino, dopo aver dato un’occhiata veloce alla fortezza.
«Io cercherò di mettermi in contatto con altri Berserk. Forse potranno inviarci rifornimenti. Qui siamo ben fortificati» aggiunse Ragnar, che stava parlando ai suoi.
«Bene, allora io ed Helen vedremo di organizzare una ricerca a tappeto. Se Annabeth è vicina, la troveremo» concluse Nora, dando un cinque alla figlia di Frigga.
«Ehi, non vi state dimenticando di noi?» si lamentò Clarisse, incrociando le braccia.
«No, ma forse il signor Grace vorrebbe dire la sua, prima di ricevere ordini» rispose Alex, con una punta di acidità, mentre pronunciava il mio nome.
Strinsi i denti, cercando di ignorare la provocazione gratuita e parlai con calma: «Credo che aiuterò tua sorella nelle ricerche. Piper potrebbe dare una mano a Clarisse ed i suoi ad organizzarsi e a controllare la fortezza.»
«Molto bene, ad ognuno il suo compito. Per favore, state tutti attenti» concluse il figlio di Odino.
«Bene, biondo. Lavoreremo insieme, quindi» disse Nora, fissandomi in modo strano.
Fantastico, stava proprio diventando una delle mie imprese preferite.
 
≈Lars≈
 
Ci volle qualche ora per organizzare una degna sistemazione a tutti. La polvere invadeva ogni stanza, a partire dal salone principale che era grande come una cattedrale. Vecchi tavoli di legno marcio, ormai distrutti dal tempo, erano stati abbandonati al centro, insieme alle sedie che scostammo ed usammo come legna da ardere.
Non che fosse utile, dato che bruciava in due secondi, ma qualche attimo di sollievo dal freddo non ci dette fastidio. Montammo lì le tende ed esplorammo la parte superiore della fortezza. Oltre il cortile, le mura difensive offrivano molti punti di vedetta e, nonostante la neve ed il ghiaccio che riflettevano il Sole, era abbastanza facile individuare qualsiasi minaccia.
«Da qui non ci saranno molti pericoli» disse Finn, mentre esploravamo uno dei torrioni difensivi.
Eravamo solo sessanta, ma anche così pochi, potevamo resistere a qualsiasi attacco esterno.
«Indubbiamente. Ma avremmo bisogno di altri indizi. Non dobbiamo dimenticare che siamo qui per salvare Annabeth» gli ricordai, mentre fissavo l’esterno, assicurandomi che fosse tutto a posto.
«A chi lo dici. Dobbiamo prendere il colpevole: chiunque sia, non rimarrà impunito, che gli Dèi ci siano testimoni» ribadì il figlio di Tyr, deciso.
Dopo aver dato un’occhiata alle mura, assicurandoci che non ci fossero tracce di mostri, scendemmo e raggiungemmo la base diretti, di nuovo, al salone principale che era stato ripulito e trasformato in un gigantesco accampamento coperto.
Alex aveva montato un grosso specchio comunicante al centro della sala e si stavano radunando tutti intorno ad esso.
«Novità, amico?» chiesi, guardandomi intorno.
Fuochi da campo, sacchi a pelo e stufe elettriche ormai punteggiavano il pavimento come le macchie di un leopardo.
«Ho appena parlato con Hermdor. La Skidbladnir è pronta con nuove modifiche e potremo utilizzarla per ottenere dei rifornimenti. Abbiamo abbastanza forze per una settimana di ricerca, ma temo davvero il peggio. Se non troviamo Annabeth in fretta, rischiamo che le succeda qualcosa» replicò, pensieroso.
«Hai già dei sospetti su chi sia stato?» domandò Finn, interessato.
«Qualcuno sì, ma non ho prove» ammise, dispiaciuto. «Se solo sapessi dove l’hanno portata con precisione, risparmierei a tutti un bel po’ di problemi.»
«Siamo qui per questo» lo rassicurai, dandogli una pacca sulla spalla. «Scoprire dove l’hanno portata.»
«Giusto…» rispose, con un sorriso triste.
«Allora, che si fa?» chiese, ad un certo punto, Finn. «Dobbiamo prepararci. Domani ci sarà la prima spedizione.»
«Ancora nulla, per adesso. Tu e Nora, per oggi, vi occuperete dei turni di guardia. Io do una mano alle esplorazioni dei sotterranei. Lars, vai a riposare, oggi ti sei stancato parecchio» disse, lanciandomi un’occhiata preoccupata.
«Non sono così stanco» replicai, deciso.
«Lo dico per il tuo bene, amico. Si vede che sei distrutto.»
Ci scambiammo uno sguardo che doveva essere da parte mia minaccioso, ma non riuscii a resistere al suo, così, alla fine, accettai e mi avvicinai ad una tenda, scostandone un lembo. In effetti, ero stanco, ma, con tutto il tempo passato a combattere e a non mostrare nulla di me, ero diventato bravo a nascondere la verità a tutti.
Mi distesi sul sacco a pelo, godendomi la comodità che il calore mi dava.
Sospirai.
Se solo mio padre fosse ancora vivo.
 
 
Il sogno mi portò lontano.
Rumore, urla, grida, dolore.
Il mondo oltre i mortali.
Poi la calma… Ero davanti ad un grande edificio, enorme, persino per gli standard mortali. Intorno a me, nel giardino, c’erano diversi scafi di nave capovolti con spade incrociate a creare sculture e monumenti.
Al centro, una donna dai corti capelli biondi, che indossava una mimetica militare.
Mia madre.
Aveva l’aria stressata, di chi ha una gran voglia di prendere a pugni qualcosa pur di allentare la tensione, ma si stava trattenendo. Raramente l’avevo vista, ma, qualche volta, si faceva sentire.
Improvvisamente, i portoni del palazzo si aprirono ed altri si fecero avanti; Freyr e Freyja sorridevano come se avessero appena scartato un regalo molto bello.
«Madre, zio…» li salutò mia madre, con un leggero inchino. «Dobbiamo parlare.»
«Di cosa, divina figliola? Sai bene che io non mi occupo più di governare sulle Valchirie, quello è compito tuo» cinguettò la dea dell’amore, scambiandosi uno sguardo d’intesa con il fratello.
«Non si tratta di questo, madre! Sai bene che Odino sta impazzendo. Intanto, là fuori, i Giganti si stanno agitando e qualcosa si sta muovendo, mentre noi stiamo qui a discutere» sbottò Eir, appena trattenuta.
«Avanti, cara nipote, non sarai preoccupata?» sorrise Freyr, sfoggiando il suo solito sorriso affascinante.
«Io sono sempre preoccupata. Gea si sta svegliando e gli Dèi Olimpici si sono rintanati in cima al loro monte. Anche la nostra Terra si sta svegliando. Non possiamo restare con le mani in mano» replicò la Regina delle Valchirie decisa.
«Figlia mia, a quello ci penseranno i nostri figli. In quanto ad una possibile guerra contro i Romani… non credo che ce ne dobbiamo preoccupare. Sono due millenni che li combattiamo e sono due millenni che riusciamo sempre e comunque a farli a pezzi. Che ci provino ad arrivare fino ad Asgard. Li schiacceremo come formiche» fu l’annoiata risposta della dea dell’amore.
«Quello che mi preoccupa sono i miei figli. Loro sono mortali e posso dire, per esperienza personale, che molti di loro non meritano una morte così prematura» rispose acida mia madre, facendomi sorridere dal sollievo.
Non erano molti i semidei che potevano vantare un genitore divino così interessato a loro.
«Sono semidei, il loro fato è quello di morire giovani» commentò Freyr, disinteressato, facendomi venire l’impulso di stritolargli i testicoli dalla rabbia.
«Questo non è vero! Ora smettiamola di fare questi stupidi discorsi. Dobbiamo informare Odino del pericolo dell’Antico, o Asgard farà una brutta fine» sbuffò mia madre, infastidita.
«Figlia mia» la redarguì Freyja, severamente. «Metterci in allarme come checche isteriche non gioverebbe certo alla nostra immagine di Dèi. Non temere la furia dell’Antico. Per millenni siamo sopravvissuti ad ogni catastrofe, sopravvivremo ancora.»
«Forse. Noi siamo immortali, è nostra natura sopravvivere» ribadì Eir, uscendo dal cortile del palazzo, con il lungo mantello che le ondeggiava sulle spalle.
Avrei voluto aiutarla, ma mia madre era una dea guerriera, era abituata a vincere da sola i suoi scontri. Se mi fossi messo in mezzo non si sarebbe fermata.
Tuttavia, prima che fosse abbastanza lontana la sentii dire: « … ma i nostri figli sono mortali, loro potrebbero non sopravvivere.»
 

 
♪Leo♪
 
Ero in un luogo strano: sembrava una grotta di ghiaccio con, a terra, i resti dello scafo di una nave. Intorno a me la luce era poca, appena riflessa dai cristalli di ghiaccio che circondavano il luogo. Man mano che il sogno proseguiva, avanzavo verso la parte più profonda dove, nel buio, intravidi tre persone.
Una la conoscevo bene, anche se avevo visto per poco tempo i lunghi capelli biondi e gli occhi grigi che, nonostante l’oscurità, brillavano come pepite d’argento. Annabeth era incatenata alla parete rocciosa. I polsi erano entrambi trattenuti da spesso metallo grigio luminescente: Acciaio Asgardiano, tipico di Asgard.
Avevo studiato quel minerale, mentre ero sulla Skidbladnir e mi ero sorpreso della sua durezza e della sua apparente impossibilità di legarsi al bronzo celeste.
I polsi di lei erano cerchiati da profonde ferite, forse provocate da delle corde, ma il suo sguardo d’acciaio non era per nulla smorto, anzi: sembrava più determinata e fredda che mai.
Poco più vicino all’uscita, però, c’erano due figure. Una era la copia perfetta di Astrid, solo con un’aria più truce e senza orecchini.
L’altro era un ragazzo dai lineamenti duri ed il volto coperto da cicatrici. Lunghi capelli bianchi gli ricadevano lisci sulle spalle larghe ed una spada gli pendeva dalla schiena. Gli occhi grigi e penetranti fissavano la ragazza che era in piedi davanti a lui.
«Tu seguirai il piano, stupido!» stava dicendo la gemella di Astrid, guardandolo furente.
«Io aspetterò che arrivi il dono, poi andò ad uccidere il figlio di Odino» ribadì l’altro, deciso.
«Non ci provare! Tu sei qui per aiutarmi!» urlò la mora, ricevendo, come unica risposta, un pugno allo stomaco che la piegò in due.
Il guerriero la guardò con freddezza e si avviò verso l’uscita, lasciando la sua presunta alleata a tossire e gemere a terra per il dolore.
«Sembra che tu abbia problemi a far valere la tua autorità» commentò Annabeth, con un sorrisetto, mentre osservava la scena.
«Taci!» sbottò l’altra, tirandole un calcio al fianco, per poi avviarsi verso l’uscita.
La nostra amica emise un gemito dolorante.
All’esterno il guerriero e la ragazza si trovavano in quella che sembrava una valle piena di relitti di navi vichinghe fatte a pezzi e lasciate a marcire. Era notte, quindi si vedeva poco di ciò che c’era intorno ma, alla luce delle torce accese di quello che sembrava un piccolo campo fortificato, una gigantesca sagoma si fece incontro ai due guerrieri nostri nemici.
Una sagoma che mi era terribilmente familiare: alta più di sette metri, con corpo androgino, coperto da una spessa armatura di bronzo celeste. Lunghi capelli dread intrecciati con pezzi di nave e spade d’acciaio consunte. Il volto era in ombra, ma si vedeva la mascella squadrata e un ascia enorme dietro la schiena.
Al suo fianco due giganti del ghiaccio lo scortavano, poco più bassi, ma dall’aria molto minacciosa.
«Tu, gigante, hai portato ciò che voglio?» chiese il ragazzo dai capelli bianchi, squadrando il mostro con calma, lasciandomi di stucco.
Possibile che non gli incutesse un minimo di paura?
«Il mio nome è Toante, piccolo mortale! Non prendo ordini da te, quindi non rivolgerti a me in questo modo!» ruggì il mostro, furibondo, senza, però, ottenere dall’altro nemmeno un vacillamento.
«Ti ho chiesto, se hai ciò che voglio» ripeté il guerriero, senza batter ciglio.
Il gigante gli lanciò uno sguardo adirato, ma non protestò oltre e dalle mani di uno degli Jotun prese un involucro di pelle enorme. Era grande come un uomo e, per un secondo, temetti che contenesse davvero una persona, però, quando il gigante lo srotolò e lasciò cadere il suo contenuto vidi che conteneva un’arma.
Uno spadone.
Era curvo, fatto di avorio così bianco che pareva accecare. Era grande quasi come una persona ed era molto largo. Intorno ad esso percepivo chiaramente un’aura malefica, come se stesse catalizzando la mia rabbia.
L’arma sembrava essere stata ricavata da un unico blocco di roccia scavato in modo da creare quell’arma gigantesca. L’impugnatura pareva essere stata rudemente scavata nella roccia per assomigliare vagamente ad un punto per prenderla, ma nulla di più.
Pensai subito che era troppo grosso per essere maneggiato eppure, quando il guerriero strinse le sue mani intorno all’impugnatura rudimentale la mise sulla spalla con un’indifferenza incredibile.
Mi sorpresi.
Per quanto robusto, anche per lui doveva pesare.
«È follia, Sarevock! Dovresti rimanere qui ed aspettarli tutti insieme!» ribadì Kara, testardamente. Doveva essere lei, dato che avevo sentito parlare di una famigerata Gemella Malvagia di Astrid.
«Avete paura?» chiese il grosso guerriero, sorridendo freddamente.
«Io non ho paura!» ruggì il gigante greco. «Io sono Toante, figlio dell’Abisso! Io non temo nessuno!»
«Allora non avete bisogno di me. Io ho il mio obbiettivo» dichiarò il guerriero, per poi aggiungere: «Siamo già tanti qui. Loro arriveranno in massa e saranno guidati da quel Dahl. Se riuscissi ad ucciderlo prima, toglieremmo loro ogni guida e non credo che i nordici ubbidirebbero a Jason Grace.»
«Dimentichi che tu non lo devi uccidere. Non ancora» gli ricordò la ragazza mora, accigliata.
«Sarà comunque un buon modo per testare la sua forza, questa volta fisicamente. Dopodiché potremmo ucciderlo, qui, in queste terre dimenticate dagli Dèi» rispose l’altro, scrollando le spalle.
Kara ci mise un po’ a riflettere, ma, alla fine, fece un cenno di assenso con il capo e disse: «D’accordo, vai pure. Ma ricorda: non-lo-devi-ammazzare.»
«Ovvio» concordò lui, tornando nella grotta dove Annabeth era rinchiusa.
Una volta dentro, mi accorsi che al suo interno c’era uno zaino, forse proprio di quel tipo che si chiamava Sarevock.
«Perché lo fai?» chiese Annabeth, incatenata al muro, fissandolo.
«Devo recuperare ciò che il tuo amico mi ha rubato» spiegò, semplicemente, il guerriero.
«Lui non è un ladro. Non è possibile che ti abbia fatto qualcosa» ribadì la figlia di Atena con decisione, provando ad avvicinarsi; le costrizioni, però, le impedirono di muoversi.
«Rimani lì. E cerca di rimanere viva» fu la laconica risposta di lui.
«Che te ne importa? Hai ammazzato le mie compagne!» sputò lei, stringendo i pugni.
«A me non importa nulla» sussurrò Sarevock, avvicinandosi e serrandole le guance in una morsa. «Ma a te dovrebbe» sibilò.
Annabeth sostenne il suo sguardo, fissandolo decisa. «Sei solo un assassino. All’inizio non l’avevo notato, ma sei stato tu, vero? Hai usato tu la magia contro Alex, nella battaglia di Manhattan. E sempre tu cavalcavi il Drago Nero.»
«Stupida semidea» sputò il guerriero, adirato. «Sarò anche un assassino, ma non ho fili a legarmi. Tu, invece, sei solo un’altra marionetta che balla nel teatro degli Dèi, senza fare nulla per ribellarti. Il tuo amico Luke avrebbe fatto bene a distruggere l’Olimpo.»
«Non parlare di lui, mostro!» urlò Annabeth con tanta rabbia da farmi sobbalzare. «Tu non lo conoscevi!»
«E tu?»
La domanda rimase sospesa nell’aria per diversi minuti. Una risposta assente, non detta, aleggiava tra gli astanti, come se quello di cui stessero parlando fosse un tabù da evitare, eppure inevitabile, in quel frangente.
Poi, all’improvviso, Sarevock lo ruppe e, dal suo zaino, estrasse un mantello e lo posò sulle spalle di Annabeth.
«Farà freddo e tu stai gelando. Devi rimanere viva» spiegò, davanti allo sguardo sbigottito di lei.
Poi, senza dire altro, svanì oltre l’entrata… così come il mio sogno. 
 
 
Dopo essermi svegliato, andai con Einar, Helen e Rachel a controllare i sotterranei. Lei aveva insistito per poter dare una mano e, sinceramente, ero felice di poter parlare con lei dei miei incubi. Chi meglio di un oracolo avrebbe saputo illuminarmi?
Così raccontai tutto nei minimi dettagli, compreso il gigante greco e la strana arma che il guerriero portava con se.
«Preoccupante…» ammise Rachel, mentre con la torcia controllava l’angolo di uno dei corridoi. «Non so cosa possa volere un gigante, da noi, ma è evidente che non possiamo aspettarci nulla di buono.»
«Che perspicacia» scherzò il figlio di Loki, facendomi sorridere.
«Tirando le somme, si direbbe che i giganti abbiano fatto un’alleanza. Ma con chi? A quel che so Hell è tornata ad ubbidire ad Odino, dopo la sconfitta di Manhattan» disse Helen, dando uno scappellotto all’amico moro.
«Perché ho la sensazione che voi nordici abbiate già qualche sospetto?» chiesi, ironicamente, rivolto ad Einar che, in questi giorni, avevo notato stranamente serio.
«Diciamo che abbiamo i nostri sospetti, ma preferiremmo tenerli per noi, anche perché non ne abbiamo la piena certezza» rispose lui, senza esitare.
«Ne hai parlato con Alex?» indagò Rachel, con finto disinteresse.
«Sì, e lui condivide il nostro timore. Non vogliamo allarmare nessuno» ribadì il moro, indicando una porta di legno chiusa poco lontana con la torcia.
«Dovrebbe dircelo, prima o poi, no?» feci, un po’ contrariato dalla loro reticenza.
Per un attimo il silenzio invase lo stanzone, lasciandoci a in angosciante attesa, finché Einar non cedette.
«Venite… Vi aggiorno mentre facciamo strada» disse, aprendo la porta, che cigolò come in un vecchio film horror.
«Crediamo che dietro tutto questo ci sia Ymir, progenitore dei Giganti del Ghiaccio e nonno dei nostri Dèi. Be’, gli Dèi di Asgard sono molto irrequieti, ultimamente. E i mostri hanno improvvisamente smesso di attaccarci. Questo ci fa pensare che ci sia lui dietro tutto questo.»
«Un po’ come Gea» commentai, ormai abituato a vedere strani Dèi antichi risorti ovunque.
«Il rapimento di Annabeth ed il nostro Gigante con loro fa pensare che Ymir e Gea si stiano alleando» ipotizzò Rachel, pensierosa. «Ultimamente le mie profezie sono molto confuse. Cercherò di avere risposte più chiare.»
«Non preoccuparti» la rassicurò Helen, dandole una pacca sulla spalla. «Vedrai che faremo un buon lavoro, insieme. Forse tra le mie e le tue predizioni, riusciremo a trovare qualcosa di utile.»
Non mi sorpresi affatto che quelle due ragazze con il dono della profezia si trovassero così bene, insieme. Non era un dono facile da controllare ed ero abbastanza certo che si facessero forza a vicenda, quando ne avevano bisogno.
«Be’, c’è sicuramente una cosa chiara qui» aggiunse Einar, interrompendo il filo dei miei pensieri. «Un mostriciattolo ci vuole fare uno scherzetto» spiegò, puntando il raggio della torcia verso un vecchio baule di legno scheggiato e malmesso.
«Scusa, ma è un forziere» feci notare, sorpreso.
A quanto pareva, avevo torto, perché anche Helen si irrigidì.
«Un Mimik.»
«Un che?» chiesi io, senza capire.
In tutta risposta il figlio di Loki indicò il baule. «Quello è un mostro, un mimik. Sono mostri piccoli e scaltri, che si nascondono. Assumono la natura di bauli per attirarti in trappola. Quando li apri, fanno uscire le braccia e ti divorano.»
«Astuti» commentò Rachel, disgustata.
«Fortuna che questo era facile da riconoscere: ha mostrato i denti, per un attimo» aggiunse Helen.
Osservandolo meglio, riuscii a vedere i piccoli denti aguzzi che sporgevano da sotto il coperchio.
«Facciamolo fuori» dissi, deciso.
«Bene» commentò la figlia di Frigga, estraendo con un solo colpo la catana e menando un potente fendente.
Il mostro emise un sibilo strozzato, mentre le braccia apparivano dai fianchi del baule come se fossero fatte di gomma e piccole zampette si contorcevano come insetti sotto di esso. Poi, divenne un mucchietto di neve gelida, che ricadde a terra senza vita.
«Che schifo» commentai, con gli occhi sgranati.
Controllammo altre stanze, ma, a quanto pareva, quello era l’unico nemico nel castello. Stavamo tornando ad informare Alex e Jason, quando Nora e Finn ci raggiunsero.
«Ragazzi, credo che abbiamo visite» commentò la figlia di Odino, indicando la donna apparsa all’entrata, armata di arco e con un paio di sci sulle spalle.
«Un’altra dea?» chiesi, squadrandola da capo a piedi.
«Un’altra dea» assicurò Einar, con un sorrisetto.

koala's corner.
Nono capitolo online, yeah!
In questo capitolo, vediamo i  nostri semidei alle prese con tanti dèi, di cui solo Eir è simpatica. Un altro POV di Lars, che già dice qualcosina del suo passato che va a costruire il suo background.
C'è una piccola scena tra Sarevock e Annabeth - che mi è piaciuta - e che fa intuire l'importanza di Alex nella faccenda del cuore del guerriero.
Non c'è Alex, così ho eliminato un po' di alexcentrismo che poteva sembrare imbarazzante, anche perché i punti di vista degli altri sono altrettando interessanti.
Grazie mille per le recensioni - questa volta risponderemo per bene - un abbraccio! <3

Soon on DdN: L'altra misteriosa dea, grasso di foca e un vero aiuto.
Semidei, grazie a eltaninfire, verremo tradotti in inglese!
Questa meravigliosa ragazza ci ha chiesto di poter portare nel fandom inglese la nostra storia e noi non potevamo fare altro che accettare!
Per aggiornamenti più specifici, mettete mi piace alla pagina facebook "Cronache del Nord" :D
Eeeee, altro fatto importante, il famoso video è online! Andate a vederlo a questo indirizzo: https://www.youtube.com/watch?v=7z4xzFcWkEk

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Capitolo 10
*** ANNABETH/PIPER • Il grasso di foca (non) è la soluzione ***


Il grasso di foca (non) è la soluzione
♣Annabeth♣
 
Ogni giorno che passava sentivo sempre più freddo. Andavamo a nord, sempre e solo a nord. Eravamo ormai talmente lontani dal punto in cui ero stata catturata e dove Margit e Alyssa avevano perso la vita, che era impossibile scorgere alberi o arbusti.
Tutto intorno a me – e forse persino dentro di me – c’era ghiaccio. Rabbrividire era diventato normale quanto respirare. Non ce la facevo più ad andare avanti, procedevo unicamente per inerzia.
Kara era un’implacabile stronza. Non avevo idea di come lei e Sarevock riuscissero a sopportare temperature tanto basse, ma imponevano tappe forzate senza curarsi che, se volevano tenermi in vita – e lo volevano; altrimenti, a che pro trascinarmi dietro? –, quello non era il modo adatto.
«Muoviti!» mi intimò Kara, girandosi di scatto.
Risollevai la testa. «Eh?» gracchiai.
«Ho detto» ripeté, con calma forzata, «che ti devi muovere. Non abbiamo tempo da sprecare!»
Mi sforzai di tenere il suo passo, ma mi sentivo i piedi come due macigni. Barcollai per la fatica.
Una mano si strinse attorno al mio braccio. Ci misi un po’ a mettere a fuoco il suo volto. Mi sembrava di sognare, e le linee dure del suo viso ondeggiavano davanti ai miei occhi.
«Alex…» mormorai.
Il suo viso s’indurì, la stretta attorno al mio braccio si fece più intensa. Non era Alex.
«Cosa…?» Strinsi le palpebre, concentrandomi.
Iniziai ripentendomi ciò che meglio sapevo. Mi chiamavo Annabeth Chase. Ero figlia di Atena. Un anno fa, avevo contribuito a salvare gli Dèi. Gli Dèi stavano impazzendo. Era colpa di Gea. Stavo cercando Percy. Mi trovavo in Norvegia per questo. Kara mi aveva catturato. Stavo arrancando nella neve. Sarevock mi aveva afferrata prima che cadessi.
Il guerriero lasciò uscire il fiato dalla bocca, che si condensò in una linea bianca. «Siamo uguali nelle sfumature» disse. Poi si rivolse a Kara: «Non ce la fa più. O ci fermiamo o qualcuno di noi se la carica sulle spalle.»
Kara roteò gli occhi. «Fa’ tu.» E riprese a camminare.
Sarevock mi mise un braccio dietro la schiena e uno sotto il sedere, dopodiché mi issò a sacco sopra di lui. Sprigionava un calore sorprendente, per essere tanto gelido nel parlare.
«Addormentati e non ti sveglierai più» mi istruì, lapidario, prima di seguire la sua padrona.
 
►Piper◄
 
Gli Dèi, oggi, non ne volevano proprio sapere di lasciarci in pace. Prima Freyr, che con la sua sfida assurda ci aveva costretti – o quasi – a consegnargli il suo cinghiale dorato dal nome impronunciabile, facendoci rischiare non poco; e ora questa nuova dea si presentava nella fortezza con chissà quali richieste.
Sospirai pesantemente, mentre raggiungevo Jason e Alex, camminando lungo il corridoio che avevano appena percorso di corsa. Io avevo preferito camminare. Ero esausta, spossata e infreddolita. Volevo solo distendermi, avvolgermi come un baco nel sacco a pelo e dormire per un periodo compreso tra “per sempre” e “infinito”. Basta.
Ancora un ultimo sforzo, mi incitò la parte volenterosa del mio cervello.
Mhphm, replicò l’altra.
Insieme ad Alex e Jason, c’erano Leo, Nora, Finn, Rachel e Helen, più Einar. Stavano salutando a turno la dea appena arrivata, così mi accodai, porgendole i miei onori per ultima.
Portava i capelli color nocciola un po’ mossi – e ricoperti di cristalli di neve – lunghi fino alle spalle, mentre gli occhi verde muschio ci esaminavano senza troppe cerimonie. Un paio di sci in legno erano fissati dietro la schiena, assieme a un grosso zaino che poteva contenere di tutto. Aveva coltelli da caccia infilati nella cintura di cuoio, e mi domandai se fosse con quelli che si era procurata la pelliccia animale che era appuntata attorno al collo della sua giacca.
«È Skadi» mi informò velocemente Jason, accostandosi a me. «La dea della caccia e degli sci.»
«Grazie» sussurrai in risposta, memorizzando il nome.
Probabilmente il mio sospetto era corretto. E non doveva essere una pervertita, a differenza di Freyr. Al ricordo dei ringraziamenti e delle avances del dio, mi sentii arrossire. No, era meglio non rievocare certe immagini.
«Ebbene, giovani mezzosangue» esordì. «Noto con piacere che, nonostante la sgradevolezza dell’incontro con il mio figliastro, siete riusciti a raggiungere ugualmente un posto sicuro.»
Si frugò nello zaino, trovò una scatola di latta circolare e la porse ad Einar, utilizzandolo a mo’ di comodino. Il figlio di Loki annusò la mistura che conteneva e storse il naso.
«Cos’è?» domandò, allontanando il contenitore da sé il più possibile.
Skadi prese uno sci, ne appoggiò la punta alla spalla ed intinse due dita in quella poltiglia. «Grasso di foca» ci istruì. «È ottimo, se usato per rendere impermeabili gli oggetti.»
«Ecco perché puzza» commentò Leo sottovoce.
Skadi finse di non aver sentito, evitando di incenerirlo. Mi stava già più simpatica di Freyr e Freyja.
Alex tossicchiò. «Allora, divina Skadi» cominciò. «È venuta qui unicamente per congratularsi o vuole affidarci un’altra missione?»
La dea continuò a spalmare il grasso di foca sulla superficie dello sci, senza guardarlo. «No» rispose, calma. «Non ho intenzione di torturarvi ancora. Normalmente, non mi farei problemi a movimentare la vostra giornata, sia chiaro; ma non mi piace vedervi morire e, nel caso volessi divertirmi con qualche compituccio, nelle vostre condizioni qualcuno ci rimetterebbe di sicuro le penne.»
«Com’è misericordiosa» fece Einar.
Skadi non colse l’ironia. «Aspetta a dirlo, figlio di Loki» lo apostrofò, prendendo l’altro sci. «E ricorda che potrei ordinarti di spalmarti di grasso di foca in questo preciso istante e tu dovresti obbedire.»
Il moro emise un brontolio incomprensibile e chiuse la bocca.
«Quindi?» incalzò Nora. «Quali sono le sue intenzioni?»
«Quindi» la dea riprese le fila del discorso, «voglio offrirvi un vero aiuto. Voi non avete idea del perché il luogo sia così malmesso e in disuso, vero?»
Annuimmo.
«Apparteneva a una colonia di nani che, anche vivendo al di sotto di questo livello, si occupavano di mantenerla in piedi. Come avrete notato, di loro, qui, non c’è traccia.»
«Qualcosa li ha scacciati» intuì Alex, incrociando le braccia. «O qualcuno.»
Skadi gli rivolse un cenno del capo di apprezzamento. «Elfi Oscuri. I due popoli hanno combattuto, ma questi ultimi sono usciti vincitori. Ora i nani sono degli schiavi.»
«Tutto ciò è molto triste, divina Skadi» intervenne Jason. «Ma non capisco come dei nani in catene possano aiutarci.»
Gli afferrai la mano e gliela stritolai. Cosa voleva fare? Convincere la dea a ucciderlo sul posto? Qui non c’entrava Alex, Giove non poteva aver influenzato le sue azioni. Che essere sgradevole stesse diventando un’abitudine camuffata?
Skadi fece un cenno ad Einar, ordinandogli di richiudere il barattolo di grasso di foca. «Te l’avranno già ripetuto molte volte, figlio di Roma» disse, alzando gli occhi su di lui. «Mantieni un profilo basso. Molto basso.» Sospirò. «In ogni caso, i nani sono una razza potente. Nel caso li liberiate, avrete sempre il loro aiuto. E, chissà, magari otterrete informazioni utili al vostro viaggio.» Ripose il disco di latta nello zaino. «In più, possiedono un’arma che potrebbe tornarvi utile in futuro.» Sorrise ad Einar, che ricambiò con un mezzo ghigno.
«Seguiremo sicuramente il suo consiglio, divina Skadi» disse Alex.
«Non mi aspettavo altro» ribatté l’altra. «Ordunque, è tempo per me di andare. Addio, e ricordate: il grasso di foca è la soluzione!»
Dopodiché, svanì nel nulla, lasciandosi dietro l’odore della selvaggina e il sibilo dei suoi sci sulla neve.
 
«Quella dea è ossessionata dal grasso di foca, ragazzi» commentò Leo, mentre ritornavamo al  campo base.
«Già» concordò Einar. «Per colpa sua, ora emano pura essenza di foca morta. Che meraviglia!»
Scoppiammo a ridere.
«Non che questo cambi la tua situazione» riprese Helen. «Le ragazze ti stanno ugualmente alla larga, puzza o non puzza.»
Einar le rivolse un ghigno. «C’è più spazio per te, non credi, dolcezza?»
«E per la mia katana» replicò lei, pronta.
Einar inarcò un sopracciglio. «La tua?»
Alex gli diede uno scappellotto. «Taci» sbottò. «E va’ a lavarti, se vuoi accodarti alla spedizione per trovare e salvare quei nani.»
«Dai, capo, devi ammettere che la mia creatività…» iniziò Einar, ma venne stroncato.
«Subito.»
Il figlio di Loki alzò le mani. «Okay, okay. Come vuoi.»
«Spedizione, eh?» domandò Jason. «Cos’hai in mente?»
Il figlio di Odino sospirò. «Solo di controllare i sotterranei della fortezza. È risaputo che i nani preferisco vivere nelle profondità della roccia, piuttosto che in superficie. E poi, se la situazione è quella di cui ci ha parlato Skadi, di aiutarli a liberarsi del giogo degli elfi oscuri.»
«Ne varrà la pena?» obiettò il biondo. «Abbiamo già le nostre difficoltà a trovare Annabeth. Mettersi contro gli elfi oscuri mi sembra cercare altri inutili guai.»
«Salvare delle vite vale sempre la pena, Grace» replicò Alex, serio. «Se non vuoi partecipare, riposati pure. Tutti gli altri, preparatevi.»
Jason borbottò qualcosa, ma si mise dietro Nora e Finn, andando a recuperare le proprie armi. Il figlio di Odino li seguì con lo sguardo per un po’, però non li raggiunse. Poi, si appoggiò alla parete, si prese la testa tra le mani e strinse le palpebre con forza, emettendo un gemito soffocato.
«Stai bene?» chiesi.
Frenetica, gli tastai il corpo in cerca di ferite. Poteva essere stato avvelenato, oppure non si era accorto di essere rimasto colpito da Gullinbursti, o ancora era qualcosa causato dal gelo. Non trovando nulla, rimasi lì impalata di fronte a lui, non sapendo come comportarmi.
«Alex?» lo chiamai flebilmente.
«Un minuto» sussurrò. «Mi serve solo un minuto. È tutto a posto.»
Corrugai la fronte e gli appoggiai una mano sul braccio, invitandolo a scoprirsi il volto. «Non credo» dissi. «Cosa c’è che non va?»
Potevo non essere una guerriera nata, né una leader, ma sapevo essere gentile e una buona ascoltatrice. Alex poteva fidarsi di me, se aveva bisogno di un consiglio. E mi sarebbe piaciuto, se si fosse confidato con me.
«È che…» Il suo respiro si ruppe. «È troppo. Tutte queste cose… I-i-io non sono sicuro di farcela, Piper.»
Gli accarezzai la mano, il polso, le vene avvolte nella pelle più morbida. «Sei un ottimo comandante, Alex. Non dubitare di te stesso.»
Quando parlò, ansimava. «Questo è il punto. Davanti a tutti mi mostro intrepido, impavido, deciso, ma la verità è che sono terrorizzato. Se potessi, scapperei a gambe levate come un codardo.» Si bloccò per respirare con la bocca. «Annabeth è stata rapita e potrebbe morire. Percy forse lo è già. Tutti quelli che mi accompagnano potrebbero non sopravvivere a quest’impresa. La mia ragazza è diventata quasi poltiglia sotto gli zoccoli di un cinghiale. Gea e Ymir stanno risorgendo, gli Dèi si divertono a torturarci. E io sono un pessimo capo. Ho diciassette anni e non ho neanche finito la scuola, cosa dovrei fare? Ho una paura fottuta e non ho la più pallida idea di come combatterla. Cosa c’è che non va, Piper? Tutto
Rimasi in silenzio per qualche secondo. «Alex» mormorai. «Credo che tu stia avendo un attacco di panico.»
«Sì» buttò fuori. «Lo credo anch’io.»
«Okay, okay, non ti preoccupare.» Mi misi davanti a lui, vicina. «Basta che mi guardi negli occhi e ti concentri solo su di me.»
Lo fece. Puntò le sue iridi grigie nelle mie, con tanta intensità che quasi barcollai. Non essere stupida, mi rimbrottai. Non sei tu quella che è autorizzata ad avere un crollo emotivo, adesso.
«Va bene. Ora, inspira.»
Trattene il respiro.
«Ed espira.»
Lo lasciò andare.
«Perfetto.» Mi sforzai di sorridergli. «Continua. Inspira… ed espira. Inspira… espira.»
Quando si calmò, si passò una mano sul viso, finendo per scompigliarsi i capelli in un modo buffo.
«Dèi immortali» esalò. «Mi dispiace di averti fatto assistere a… questo
Emisi una risata che aveva un po’ dell’isterico. «Non ti preoccupare. Va tutto bene. Ci sono abituata.»
Il sorriso di Alex spiccò ancora di più sul suo viso stanco. «Abituata a calmare attacchi di panico?» domandò.
Mi morsi il labbro inferiore. «Be’…» balbettai. «Non era esattamente quello che intendevo, ma penso vada bene lo stesso.» Abbassai lo sguardo, sentendomi arrossire.
«Piper.»
Il mio nome sembrò risuonare per tutta la fortezza.
Alzai lo sguardo su di lui. «Sì?»
«Grazie.»
 
 
Quando gli altri ritornarono da noi, le nostre espressioni non tradivano nulla di ciò che era accaduto. Alex sembrava solo stanco – ma lo eravamo tutti, quindi non era un particolare incriminante.
«Allora, capo, quanto credi che staremo via?» domandò Einar.
«Non posso dirlo con precisione» rispose Alex. «Ma avrai tempo di fare altri bei sogni, Einar» aggiunse, ironico.
«Da che parte andiamo, quindi?» chiese Jason, pratico.
Leo gli mise una mano sulla spalla – cosa un po’ complicata, considerata la differenza d’altezza. «Ma ovvio, Superman: in basso.»
E, in effetti, andammo proprio in basso. Non avendo ricevuto indicazioni precise, scegliemmo ogni passaggio che sembrava condurre sottoterra, dove era più probabile trovare i nani. All’inizio, mi parve unicamente di vagare a casaccio.
Man mano che scendevamo scale e ci infilavamo in cunicoli improbabili, però, mi accorsi che la struttura della fortezza stava cambiando: da pietre squadrate impilate una sull’altra, ora c’era solo la nuda roccia. E faceva più caldo, tanto che mi azzardai a sciogliere la sciarpa avvolta attorno al mio collo.
Einar e Alex procedevano davanti a me, quando sentii il primo borbottare: «Qui ci sarebbe stata utile Astrid.»
Al sentire quel nome, tesi involontariamente le orecchie. Non era corretto origliare, però… sapevo troppo poco della figlia di Hell che aveva stregato Alex, tanto da darmi la certezza che assistere al suo attacco di panico fosse stata un’imprudenza.
«Mh» sussurrò l’altro. «Lo so. Ma non avevo il cuore di svegliarla, esausta com’era.»
«Già, già» commentò il figlio di Loki. Si intuiva lontano un miglio che moriva dalla voglia di aggiungere qualcosa.
Alex emise una specie di ringhio-grugnito, un verso maschile non identificato, poi lo spronò: «Parla. Tanto, prima o poi, me lo dirai lo stesso.»
Anche se mi dava le spalle, potei intuire che ghignava. «Suona un po’ come una minaccia.» Emise un risolino; diede un colpo di tosse, schiarendosi la voce. «Cosa sta succedendo, capo? Non intendo la storia su Annabeth, Gea o Ymir, ma tutta questa cosa che sta andando avanti tra te, Astrid e la dolce e stucchevole Piper McLean.»
Alex sospirò, passandosi una mano sul volto. «Un gran casino» buttò fuori.
«Ah» fece Einar. «Incominciamo a sbrogliarlo.» Si voltò verso di me di scatto e mi sorrise. «Senza orecchie indiscrete ad ascoltare, preferibilmente.»
E quindi passò a un norvegese fittissimo, di cui non capivo assolutamente nulla. Addio alle mie speranze di comprendere di più Alex, Astrid, e il loro mondo. Mi sforzai di ignorarli completamente, isolandomi da ciò che mi circondava.
I due nordici non avevano ancora finito il loro discorso, quando incappammo in un tunnel laterale improvviso. Era scavato per persone decisamente più basse di noi, la roccia incisa a decisi colpi, ben distinguibili.
«Per di qua» disse Finn, infilandocisi deciso.
Piegai le ginocchia e mi abbassai, mentre con una mano stavo attenta a non sbattere la testa da qualche parte. Stavo incominciando a sudare in modo davvero poco adatto a una figlia di Afrodite, quando il cunicolo terminò con alcuni gradini.
Innanzi a noi si srotolava larga una strada di cui non si vedeva la fine, ben lastricata e con canali di scolo al centro e ai lati. Case di varie dimensioni e colori la punteggiavano, tutte troppo piccole per essere abitate da esseri umani. Alcune sembravano essere state ricavate dalla nuda roccia, mentre ad altre erano state aggiunti miglioramenti in legno o ferro. Meravigliose lanterne illuminavano l’ambiente, rischiarandolo; i vetri di alcune erano colorate e proiettavano raggi rossi, verdi, arancioni o viola.
Il silenzio che ci accolse era surreale: nulla si muoveva, nessuno parlava, non c’erano tracce di mostri o forme di vita.
«Wow» mormorò Leo, reclinando la testa all’indietro e ammirando il soffitto di quell’immensa caverna. «Questi nani sono dei veri geni» disse, e la sua voce rimbombò per il tutto il villaggio.
Fu più o meno in quel momento che mi resi conto realmente che qualcosa non quadrava.
«Dove sono tutti?» domandai, allarmata.
«Non ne ho la più pallida idea» rispose Alex, avanzando di qualche passo.
«Dici che gli Elfi Oscuri li hanno uccisi…» Nora deglutì. «… tutti?»
Non sentii la risposta che le venne fornita, perché un rumore sommesso attirò la mia attenzione. Camminai lungo la strada, muovendo qualche passo al centro della via, ma non ero riuscita a capire da dove provenisse.
«Piper?» mi chiamò Jason.
Gli feci cenno di tacere. «Non avete sentito?»
«Sentito cosa?» domandò, corrugando la fronte.
«Shhh.»
Calò il silenzio totale. Poco dopo, il rumore si ripeté. Era un pianto. Dèi, pensai, magari è un bambino rimasto orfano. Presi la mano di Jason ed iniziai a correre.
«Di qua!» gridai agli altri.
I nostri passi rimbombavano in modo inquietante, ma non mi lasciai distrarre. Arrivammo a una casa non dissimile dalle altre, con due lanterne arancioni affisse alla parete d’entrata. Non aspettai che Jason facesse il lavoro sporco al posto mio: buttai giù la porta, costruita con assi di legno, con un calcio e varcai la soglia.
Al posto di un bambino affamato, però, mi ritrovai davanti una donna alta poco più di un metro e venti. Aveva smesso all’improvviso di singhiozzare non appena ero entrata, e ora stringeva convulsamente un fazzoletto di stoffa.
«Cosa…» mormorai.
«Breassa!» esclamò una voce, esasperata. «Smettila di piangere e fare così tanta confusione in soggiorno!»
«Jorka» mormorò l’altra. «Vieni qui.»
Si sentì uno sbuffo provenire da una stanza comunicante e uno strascicare di piedi. Ancora un po’ confusa, mi feci da parte, in modo che chi era rimasto fuori dalla porta potesse entrare.
«Gradirei che mi spiegassi, Breassa. Non voglio es-» La donna, o meglio, la nana, che uscì dalla sua camera da letto si bloccò all’improvviso.
La sorpresa lasciò man mano spazio alla calma, mentre Jorka ci studiava da capo a piedi.
«Semidei» esordì. «È da tempo che non me ne ritrovo qualcuno tra i piedi.»
Alex abbozzò un piccolo inchino. «Ci dispiace disturbarvi nel cuore della notte, signore» disse. «La divina Skadi ci ha suggerito l’ubicazione del vostro villaggio e ci ha detto che avreste potuto avere bisogno d’aiuto.»
La nana si avvicinò, fronteggiando il figlio di Odino con una spavalderia incredibile, considerata la sua altezza e che indossava unicamente una vestaglia. «Ah, è così?» insinuò.
«Ci dispiace» ripetei, sforzandomi di sembrare il più umile possibile. «Ho sentito qualcuno piangere e ho pensato potesse trattarsi di un bambino bisogno d’aiuto.»
A quelle parole, gli occhi di Breassa si riempirono all’improvviso di lacrime e le scappò un singhiozzo. Mi sentii attirare a terra dal senso di colpa.
«Scusami, scusami tanto, non volevo dire qualcosa di sbagliato» mi affrettai a rimediare.
La nana più anziana scosse la testa. «È inutile scusarsi, giovane mezzosangue. Non potevi sapere che gli Elfi Oscuri hanno strappato ogni bambino di questo villaggio dalla propria madre, quando ci hanno attaccato, mesi addietro. La vostra dea non ve l’avrà certo detto, o sbaglio?»
«È abominevole» sibilò Jason, con un rancore così profondo che una parte di me, quella non concentrata sul presente, si rallegrò per come quel sentimento appartenesse al Jason di Prima.
«È così» risolse Einar, pratico. «Skadi ci ha unicamente informato della vostra condizione, non ha parlato di bambini. Sappiamo che se noi aiutiamo voi, voi potreste aiutare noi.»
Jorka emise un “aaaah” prolungato di chi la sa lunga. «Come pensate di darci una mano, dunque?» domandò.
«Be’…» iniziò Einar, ma si interruppe subito e lanciò uno sguardo ad Alex.
«Sconfiggeremo gli elfi oscuri che vi tengono prigionieri» decretò. «Voi e i vostri bambini.»
Inaspettatamente, l’anziana nana rise, mostrando un sorriso sdentato. «Sconfiggere gli elfi oscuri? Noi, un popolo in catene, e una manciata di semidei?»
«Non siamo una manciata» la corresse Jason. «Saremmo all’incirca una sessantina, tutti armati e addestrati, più un gruppo di Berserk.»
Jorka inarcò un sopracciglio. Poi, ordinò: «Breassa, va’ a chiamare Blindivor. Sarà lui a decidere il da farsi.»
«Sì. Subito.» La più giovane annuì più volte e uscì dalla porta, svelta.
«Blindivor?» domandò Helen, perplessa.
«Il capo del villaggio» chiarì la nana. «E mio nipote.»
Einar e Leo si scambiarono uno sguardo che voleva dire solo “anch’io vorrei avere una nonna cazzuta come lei.”
Jorka si mosse verso una credenza, aprì le ante e prese un barattolo. «Gradite del tè?» ci chiese, come se non avesse parlato di guerra appena un secondo prima.
«Mmh, sì, certo» risposi, non volendo risultare scortese, nonostante non trovassi la proposta molto illuminante.
Jorka ci invitò con un gesto secco a sederci attorno al tavolo, che era drasticamente piccolo per noi, così come le sedie. E il soffitto. E l’abitazione in generale, ecco. Mi sembrava di essere entrata in una casa per le bambole tutta rosa con cui giocavo quando avevo sette anni.
«Hai qualcosa in mente, capo?» domandò Einar, fissando l’amico. «Credo che a questo Blindivor farebbe piacere avere sotto mano un piano d’azione.»
«Non ho esattamente un piano, più che altro una promessa» ammise Alex.
«Cioè?» chiese Finn.
Alex si voltò verso di lui. «Li salveremo. Tutti quanti.»

 
koala's corner.
Buongiorno o buonasera, lettori! Mi sento in dovere di comunicarvi che no, non sono il koala che ha preso in braccio Renzi. Ooora, al capitolo!
C'E' QUALCOSA CHE NON VA IN ME.
*coff* quello lo sapevamo già *coff*
Io non shippo Alper. No. Ma invece che scrivere di un crollo emotivo di Alex assistito da Astrid, lo faccio con Piper. Ho bisogno di un medico. Adesso!
*compone il numero del manicomio*
In ogni caso, vediamo uno scorcio di Alex più profondo e più umano che mi piace molto. Non perché l'abbia scritto io, ma perché anche io, troppo spesso, lo vedo come un supereroe indistruttibile che, però, non è.

Riguardo al nuovo popolo che abbiamo introdotto: i nani sono virili e fortissimi, e mi piacciono ancora più degli elfi, che sono dei fricchettoni :D
Il POV di Annabeth è ambientato prima del sogno di Leo, e c'è un po' di Sarnabeth che non guasta mai <3
Grazie per seguirci, al prossimo mercoledì!

Soon on DnN: POV Alex/Jason/Einar - combattiamo uh-uh!
Ragaaaazziiii, ieri è uscita HoH!
Chi di voi ce l'ha già? I due autori qui sì!
E, avendo già letto il libro inglese chissà come hahaha, ho notato degli errori orribili nella traduzione :/
Però però però, è comunque figo. Cioè, ho letto solo 7 capitolo, but it's sooooo good!
Okay, bye!

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Capitolo 11
*** ALEX/JASON • Un piano ben architettato (come no) ***


Un piano ben architettato (come no)

 •Alex•
 
Mentre aspettavamo questo Blindivor, mi misi a parlare con Nora e Finn. Erano entrambi preoccupati da quella missione nella terra dei nani. Sperai solo che non ci rimanesse qualcuno. Ormai stavo iniziando a perdere la pazienza e dovevamo trovare Annabeth, e la conversazione stava virando appunto su questo.
«Dobbiamo muoverci a trovarla. Non abbiamo nessun indizio concreto su dove sia e girare a casaccio è inutile» disse Finn, accigliato.
«Ha ragione, Alex. Che si fa?» rincarò Nora, fissandomi.
«Skadi ci ha mandati qui per un motivo. Forse questi nani sanno qualcosa e potremmo barattare il nostro aiuto con le informazioni. Non ci farebbe male. Inoltre…» aggiunsi, osservando la nana che avevo davanti, «Hanno bisogno del nostro aiuto.»
«Sei sempre il solito, eh, fratello?» chiese ironica mia sorella con un sorriso. «Non riesci a lasciare indietro nessuno.»
«Sono fatto così» replicai con un sospiro.
Mi ero già ripromesso di non crollare più, eppure il desiderio di lasciarsi andare era fortissimo. Ma dovevo trattenermi. Il più potente dei Giganti del Ghiaccio stava per risorgere ed io ero certo che la nostra missione era legata a questo.
«Ci sono visite interessanti, vedo» commentò una voce, all’improvviso.
Il nano che era appena entrato mi arrivava poco sopra la vita, ma era massiccio ed imponente. Una lunga barba nera gli copriva quasi tutto il volto e gli arrivava fino al petto, mentre i capelli erano coperti da un elmetto di acciaio asgardiano. I piccoli occhi castani erano coperti da due fitte sopracciglia cespugliose. Indossava una casacca ed un paio di pantaloni di cuoio, anneriti dalla fuliggine delle loro fucine.
«Salute, Blindivor» dissi, avvicinandomi, cercando di essere il più rispettoso possibile.
«Salute a te, semidio. Con chi ho il piacere di parlare?» chiese, fissandoci tutti, ad uno ad uno come per esaminare ogni componente della nostra squadra.
«Il mio nome è Alex, e sono un figlio di Odino. Loro sono mia sorella Nora, Finn, figlio di Tyr, Einar, figlio di Loki, Jason, Piper e Leo» presentai, indicandoli tutti ad uno ad uno.
«Capisco…» brontolò il nano, sedendosi. «A quel che ho capito, vi siete accampati nella fortezza in superficie con un bel po’ di gente e la divina Skadi vi ha gentilmente informati della nostra situazione, eh?»
Annuii ed iniziai a raccontare la nostra storia per filo e per segno, spiegando come una mia amica fosse stata catturata e portata fin lì, le disavventure dei mostri, degli Dèi ed infine il nostro arrivo al castello dove la dea della caccia ci aveva informati della loro situazione.
«Vi siete fatti una bella scarpinata, ragazzi. Specie per un numero così alto di semidei» rise il nano; una risata fredda, amara… forse arresa.
«Speravamo di poterci aiutare a vicenda» aggiunse Nora, ignorando la poca collaborazione che il nano sembrava voler offrire.
«Siete troppo pochi. Gli elfi oscuri hanno un avamposto non lontano da qui. Non riuscirete mai a conquistarlo, nemmeno con l’aiuto dei berserk. È lì che tengono i nostri prigionieri e, se anche voleste il nostro aiuto, se ci vedessero, allora, ucciderebbero i nostri bambini. Avete fatto un viaggio a vuoto» replicò il vecchio nano, sprezzante.
Riflettei.
Se gli elfi oscuri erano fortificati, allora, un assalto era impraticabile. Non saremmo durati mezzo secondo contro di loro. Inoltre non avremmo potuto contare sulla collaborazione dei nani. Dopotutto, temevano ripercussioni da parte degli elfi oscuri. Se volevamo il loro aiuto e sconfiggere gli elfi oscuri, dovevamo prima liberare i nani prigionieri.
«Forse non siamo abbastanza per conquistarlo e sconfiggerli… Ma cosa succederebbe se liberassimo gli ostaggi, prima?» domandai di getto, senza pensarci troppo, ricevendo alcune occhiate incredule.
«Spiegati» disse Blindivor, improvvisamente interessato.
«Mettiamo che non possiamo fare nulla contro di loro, ed è vero. Non possiamo rischiare che gli elfi oscuri uccidano i vostri figli, se tentiamo un attacco diretto. Alcuni dei miei compagni sono abili, potremmo liberarli e riportarveli. Dopodiché sarà un gioco da ragazzi  sconfiggerli» spiegai, cercando di essere il più convincente possibile.
Il nano incrociò il mio sguardo, che sostenni senza battere ciglio. Dovevo mostrare di essere risoluto o non mi avrebbero mai dato fiducia. Avevo già avuto a che fare con i nani, in passato. Se volevi batterli dovevi dimostrarti testardo quanto loro.
«Sei ardito, figlio di Odino, te ne do atto» commentò il mio interlocutore, congiungendo le mani sotto il mento barbuto. «Molto bene. Aspettate fuori. Io ed un paio dei miei guerrieri vi porteremo alla fortezza degli elfi.»
Una volta usciti, Blindivor si allontanò in direzione delle altre abitazioni. Era strano vedere come, all’improvviso, l’insediamento si fosse animato, anche se poco.
Qualche nano attraversava la strada lastricata. Stavano cercando di vivere la loro vita normale, ma dagli sguardi spenti, si vedeva la sofferenza di un popolo di guerrieri sottomessi. Alcuni ci squadravano con curiosità, ma la maggior parte ci ignorava.
«Non credi di starci sopravvalutando? Non siamo una squadra d’assalto» mi fece notare Jason, fissandomi accigliato.
«Non intendo abbandonarli» replicai, duramente.
«Ha ragione lui, Alex. Calmati e pensa. Ci stai chiedendo un po’ troppo» disse Finn, piccato.
«Se volete abbandonarli, fate come vi pare. Io li aiuterò dovessi farlo da solo» risposi, quasi urlando.
Tutti mi fissarono, sorpresi.
«Scusate. Sono solo… stressato» spiegai, sentendomi imbarazzato.
Non ero il tipo da perdere così velocemente la pazienza.
«Calmati, capo» mi disse Einar, dandomi una pacca sulla spalla.
«Sì, hai ragione. Sono solo nervoso» sospirai, allontanandomi con lui.
«Alex, cavolo, cosa diavolo ti sta succedendo?» chiese, passando al norvegese.
«L’ho detto… sono nervoso!» risposi, tornando anche io alla mia lingua madre.
«Non è che, forse, saresti dovuto restare anche tu con Astrid? Lei sarà anche ferita, ma tu stai proprio perdendo la testa» replicò lui, fissandomi con un certo astio.
«Sta’ zitto, Einar» gli ordinai, sentendomi improvvisamente arrabbiato.
«Non credo lo farò proprio ora» ribatté Einar, guardandomi con durezza.
Fu allora che, in un certo senso, persi la calma. Con le mani gli afferrai la collottola del cappotto e lo avvicinai a me, con fare minaccioso. 
«Questa missione è una mia responsabilità, non tua» sibilai con un tono che non mi riconoscevo.
«Ehi, fermi!» esclamò Piper, mentre, con l’aiuto di Jason, mi costringeva ad indietreggiare, lasciando Einar.
«Stai bene, amico?» chiese Leo al figlio di Loki, rifilandomi un’occhiataccia.
«Sì, tranquillo» rispose lui, passando di nuovo all’inglese. «Scusa, capo, non volevo offenderti.»
Eppure mi lanciò un’occhiata molto penetrante. Poteva essere una minaccia, un avvertimento o entrambe le cose. Ma era certo che io stavo perdendo la testa. La mia mente era assediata da dubbi e preoccupazioni ed io non ero in grado di controllarmi in quella situazione.
Piper mi fissò allarmata e Jason fece altrettanto, però i suoi occhi rimbalzavano tra me e lei.
«Nervosi,  semidei?» chiese Blindivor, raggiungendoci.
Aveva cambiato abito, ora indossava una pesante cotta ad anelli, gambali e bracciali di ferro. In mano reggeva un maglio da guerra. Al suo fianco c’erano altri due guerrieri nani, uno armato di spada, l’altro di ascia.
«Non c’entrate voi» risposi velocemente. «Siamo pronti a seguirvi.»
«Bene, perché non sarà un viaggio breve» replicò il vecchio nano, facendoci un cenno. Iniziammo a seguirlo verso l’altra parte del villaggio dove, dopo un po’, giungemmo in un ampio cunicolo che portava ancora più in profondità.
«Non accendete le torce, rischiamo di essere visti» ci raccomandò Blindivor, camminando con passo sicuro.
«E non rischiamo di incrociare qualcuno di questi elfi oscuri, mentre andiamo là?» domandò Jason, dubbioso.
«Non credo. Loro vengono solo verso mezzogiorno ed ormai è notte fonda, in questo momento saranno sveglie solo le sentinelle» lo tranquillizzò il capo nanico, senza rallentare.
La galleria era asimmetrica, piena di buche e sporgenze, come se non fosse stata costruita per essere usata come strada. Si vedevano ancora i colpi di piccone e le aperture che, un tempo, dovevano ospitare venature di chissà quale minerale prezioso.
«Non prendete passaggi secondari, non vorrei che vi perdeste» ci raccomandò, continuando lungo le vie più ampie.
Ci vollero quasi due ore di cammino, ma, dopo un bel po’ di tempo passato nell’oscurità, intravedemmo una luce dietro una curva.
«Eccoci» sussurrò Blindivor, indicando l’origine della luce rossastra, probabilmente dovuto a delle torce. «Se vi affacciate potrete vedere la loro fortezza. Ovviamente solo il muro esterno.»
Mi affacciai, stando attento a non farmi vedere da eventuali sentinelle. Davanti a noi si estendeva un ampio spazio, grande come una stazione ferroviaria. La luce delle torce a fuoco era dovuta a focolari posti ad intervalli regolari sulle merlature, sorvegliati da creature armate di lance e archi. I capelli bianchi e la pelle nera come il carbone erano visibili anche da quella distanza. Uno spesso muro di granito tagliava in due la grande piazza sotterranea.
«Prima li tenevamo sotto scacco, ma, poi, un misterioso guerriero si è presentato insieme a loro e non siamo riusciti a fermarlo. Ora tengono lì gli ostaggi» spiegò Blindivor, accigliato. «Spero che tu abbia un’idea diversa dall’attaccare a testa bassa, semidio.»
«Devo riflettere un secondo» risposi, mentre tornavamo al villaggio dei nani.
Ci accampammo vicino al cunicolo da cui eravamo arrivati, pronti a fuggire in qualsiasi momento, in caso di avvisaglia di pericolo.
«Di certo un attacco frontale è da pazzi. Abbiamo bisogno di opzioni migliori» convenne Jason, fissando il fuoco che avevamo acceso.
«Sicuramente non possiamo far uscire i piccoli nani da lì senza farci vedere. Dovremmo combattere» fece notare Finn, mentre lisciava la spada.
Ovvio, un figlio di Tyr è sempre pronto a combattere.
«Prima, però, dobbiamo mettere i nani al sicuro» replicai, convinto. «Dobbiamo entrare nella loro fortezza.»
Il silenziò calò su di noi, mentre ognuno pensava alla propria strategia personale. Dovevo ammetterlo, non era il mio campo. Io ero molto più bravo nell’organizzare un attacco diretto, nel far in modo che non rimanesse nessuna possibilità di fuga per i nemici. Non ero tipo che amava andare così tanto sul sottile. Ancora una volta, pensai che, se Astrid fosse venuta con noi, avrebbe potuto fare un ottimo lavoro.
Sospirai, ritrovandomi sempre più dubbioso. Piper stava diventando un chiodo fisso nella mia mente del tutto inaspettato. La sua presenza mi rendeva felice e nervoso, come se ne fossi attratto e, al tempo stesso, respinto.
Dovevo smetterla di pensare a lei. Io amavo Astrid, di questo ne ero certo.
«Ho un’idea, gente!» esclamò Einar, ad un certo punto.
«Parla» dissi, felice di potermi concentrare su qualcosa che non fossero le mie preoccupazioni sentimentali.
«Be’, non è un pano facile e credo che, per metterlo in pratica, avrò bisogno di… una persona particolare» aggiunse, lanciando un’occhiata alla figlia di Afrodite, che rispose con uno sguardo interrogativo.
Ma allora lo fai apposta, pensai, con un sospiro.
«Dunque, il mio piano è pericoloso, ma se funziona metteremo fine a questo dominio di elfi oscuri entro domani. Sappiamo, per certo, che a mattino, un gruppo di elfi oscuri si presenta al villaggio per reclamare un tributo. Armi, per la precisione. Io posso creare intorno a me stesso e un’altra persona un’illusione e spacciarci per drow. In questo modo, potremmo penetrare all’interno della fortezza. Una volta fatto, metteremo al sicuro i prigionieri e apriremo le porte della fortezza. Così, potrete fare un massacro senza nemmeno una perdita.»
Tutti lo fissammo accigliati. Era un piano che comprendeva un buon numero di falle. Se qualcosa fosse andato male, Einar e chiunque lo avesse accompagnato avrebbe fatto meglio a pregare per una morte rapida. C’era da dire, però, che era il miglior piano in circolazione.
«Chi altri dovrebbe venire con te?» chiese Jason.
«Mi pare ovvio» replicò il figlio di Loki, con un sorrisone che mi fece accapponare la pelle. «Piper Mclean… Sii felice, stai per imbarcarti nella tua prima missione suicida.»
Mi senti mancare il pavimento sotto i piedi.
Questa Einar me la pagava.
           
 
■Jason■
 
«No!» urlai, alzandomi in piedi. «È troppo pericoloso!»
«Jason!» provò a fermarmi lei, ma ormai ero partito in quarta.
«Perché non può venire Alex? O io? Posso offrirmi volontario» proposi, subito.
«Caro figlio di Giove… Se tu o Alex veniste, gli elfi oscuri riconoscerebbero subito il vostro odore. Ho bisogno di qualcuno che non desti troppi sospetti» spiegò il figlio di Loki, sornione.
Sbuffai sentendomi, per l’ennesima volta preso in giro. Non volevo rispetto, ma tra loro o ero trattato come un pericolo pubblico da sopprimere, come nel caso di Johannes, oppure ero un bambino a cui andavano insegnate le cose che, a dirla tutta, era quasi peggio.
Non volevo che Piper corresse pericoli. Aveva già domato un cinghiale gigante, ma qui si trattava di qualcosa di psicologicamente molto provante. Nella legione le infiltrazioni erano prese sul serio, e Piper, sena un addestramento adeguato, avrebbe potuto perdere la testa. Sapevo che era una ragazza forte, ma in tutti questi sballottamenti, avevo paura per lei.
«Jason, ascoltami» mi disse, all’improvviso, poggiandomi dolcemente una mano sulla spalla. «So che tu mi vuoi proteggere e so di poter mandare tutto all’aria, ma va fatto. Non possiamo abbandonare dei bambini alla mercé dei mostri. Posso farcela. Ne sono certa.»
Mi rilassai e annuii di malavoglia. Il cuore mi diceva che lei aveva ragione, ma, in un piccolo anfratto della mia mente, si impose il dubbio che lei stesse usando la lingua ammaliatrice per accontentarmi.
Potevo fidarmi di lei? Non riuscivo nemmeno a fidarmi di me stesso. Ero diventato suscettibile, intrattabile e antipatico.
Il freddo, la fatica, lo stress, la paura per Annabeth e la voce di mio padre nella testa mi avevano scombussolato. Avevo litigato due volte con Leo e avevo alzato la voce per nulla con Bethany, mentre facevamo una pattuglia.
Non riguardava solo me. Anche Alex, avevo notato, sembrava più teso. Le spalle sembravano piegate da una fatica inspiegata e gli occhi d’acciaio erano sempre più sfuggenti. Certo, anche gli altri stavano subendo forti stress fisici e mentali, ma in noi era molto più evidente, soprattutto perché il nostro cervello era appesantito dalla consapevolezza di quello che sarebbe successo se avessimo abbassato la guardia.
Le storie al Campo Giove su come i barbari avessero trucidato brutalmente la popolazione romana durante le loro invasioni... Di rimando non potei non vederla dalla parte dei nordici. Per loro, noi eravamo mostri che rapivano i loro bambini, proprio come quegli elfi oscuri, e li usavano per tenerli in scacco. Improvvisamente, mi sentii la bile salire in gola.
I miei antenati non si erano comportati in modo meno vile di quei mostri.
Perché era così difficile discernere chi fosse dalla parte giusta o dalla parte sbagliata? Avevano ragione Alex e i suoi? Erano i Romani gli ipocriti che si rifugiavano dietro una falsa idea di civiltà solo per la conquista?
Ma io credevo davvero in Roma. Credevo nell’Olimpo.
Avevo già abbandonato il Campo Giove per andare al Campo Mezzosangue, ma non volevo arrivare oltre. Non potevo voltare le spalle a tutti coloro che si fidavano di me. Volente o nolente, io ero romano.
Solo che non ero certo di chi fossero i miei nemici.
Fu una fortuna che Leo mi liberò dai miei pensieri, esclamando: «Ebbene, allora preparati, Miss Mondo, sarai protagonista di una vera missione sotto copertura. Divertiti!»
Stava sorridendo, ma era ovvio che cercava di allentare la tensione. Era nervoso anche lui.
«Molto bene. Finn, Nora: tornate in superficie e portate la maggior parte di noi qui. La faremo pagare a questi mostri. Io rimango qua e parlerò con Blindivor degli ultimi particolari» disse Alex, spazzolandosi i pantaloni impolverati.
Un chiaro gesto per scaricare la tensione. Eravamo tutti in ansia.
«Andremo, capo» assicurò Finn, mentre tornava su con la sua ragazza.
«Bene, amico, meglio se noi due ci riposiamo» commentò Leo, con un sorrisone stanco.
«Già…» concordai, poco convinto.
Perché in quel momento vidi Piper avvicinarsi ad Alex e, mentre si parlavano, troppo lontano perché io li sentissi, non potei non notare le loro mani che si intrecciavano, quasi senza volerlo. Poco dopo, la vidi allontanarsi dal gruppo per prepararsi e la raggiunsi.
Non ero arrabbiato. Be’, un pochino sì, ma volevo solo parlarle. Ultimamente ci eravamo calcolati poco. La nostra relazione era terribilmente fragile e temevo si spezzasse da un momento all’altro.
«Piper, aspetta» la chiamai sottovoce. «Posso parlarti?»
«Certo, Jason. Cosa c’è? Qualcosa ti turba?» chiese, con il suo solito tono gentile.
«Sì, molte cose» ammisi, senza però specificare quello che davvero mi stava dando fastidio.
«Cosa c’è? Sai che con me puoi parlare di tutto» mi incoraggiò con un sorriso.
Sospirai e la guardai. «Non mi sento sicuro. Non mi fido di loro. Sei sicura di voler andare? Mi sentirei più sicuro se tu rimanessi. Potrei andare io al tuo posto.»
«Jason, smettila. Ci possiamo fidare di Alex e i suoi amici. So che ti preoccupi per me, ma sono anche io una semidea. Devo fare la mia parte. Non voglio di sembrare inutile» ribadì lei con fermezza.
In seguito, mi sarei pentito milioni di volte, chiedendomi come mai non mi fossi morso la lingua così forte da strapparmela dalla bocca. Ma non ci riuscii. In quel momento, Giove tornò all’attacco.
“Guarda. Quel figlio di Odino fa di tutto per metterti in ombra. Persino rubandoti la ragazza che ami.”
Strinsi i denti. «Sembra quasi che tu voglia fare bella figura con qualcuno.»
«Cosa?» Lei mi fissò sorpresa a quelle parole.
«Sai benissimo di cosa parlo. Tu e Alex sembrate molto…. vicini, all’improvviso» commentai, incrociando le braccia, inarcando le sopracciglia in un cipiglio un po’ arrabbiato.
«Io… sì, ma… non è come pensi!» si affrettò a dire.
Sembrava improvvisamente caduta nel panico.
«Mi hai preso per cieco? L’ho notato prima come vi guardavate, e non dirmi che improvvisamente è diventato simpatico!» la aggredii, afferrandole un braccio per costringerla a guardarmi negli occhi.
«Jason! Lasciami! Mi fai male!» si lamentò, dandomi una botta sul braccio.
«Voglio una risposta, io…» mi bloccai.
Mi resi conto che stavo stringendo il suo braccio molto forte. Troppo per lei. Il suo sguardo su di me era triste e accusatorio.
«Ehi, che succede?»
Era Leo. Ci stava fissando sconvolto e, insieme a lui, c’era anche Alex.
Strinsi i denti e lasciai Piper che si ritrasse spaventata.
«Scusami. Io… non volevo.»
Ed era vero. Non volevo farle male. Volevo solo parlarle. Ma avevo perso il controllo.
«Jason…» sussurrò tristemente, guardandomi.
Annuii e mi allontanai, sentendomi le lacrime pizzicarmi gli occhi. Ma non volevo piangere. Non volevo dare ad Alex un altro motivo per sentirsi superiore o mostrarmi più debole di lui. Gli lanciai un’occhiataccia e mi allontanai, sedendomi il più lontano possibile da loro.
Volevo solo riposare.
Ma non potevo non pensare che, ancora una volta, avevo allontanato Piper da me e non potei fare a meno di riflettere che Alex ne avrebbe approfittato.
 
 
Il sogno mi portò in un luogo che non conoscevo.
Era un enorme palazzo con un grande tavolo al centro e moltissime sedie. Il tetto era fatto di grandi scudi tondi allineati come tegole. Le colonne esterne erano di pietra, ma vi erano state inglobate delle lance e delle spade. I seggi erano enormi, a misura di dio. Fuori, si intravedeva la luce, ma l’interno era illuminato da grandi bracieri.
La sala non era vuota. Al centro, vi era una dea che conoscevo bene. Lunghi capelli color nocciola le ricadevano intorno al volto, incorniciando i tratti regali della Regina dell’Olimpo: Giunone. La lunga tonaca era bianca e intonsa, mentre al fianco pendeva un corto gladio d’Oro Imperiale. Appena mi vide sorrise. Un sorriso che odiavo.
«Mio protetto, sono felice di vederti vivo» annunciò, quasi infastidita.
«Giunone. Cosa vuoi?» domandai, sentendo montare la rabbia.
La moglie di mio padre era una delle dee che sopportavo meno in assoluto. Molto di più delle nordiche, e ce ne voleva.
«Solo assicurarmi che i miei sforzi di tenerti in vita non siano stati vani. Sai bene quanto tu sia importante per la nostra sorte» rispose la regina, soddisfatta.
«Non mi pare che tu mi abbia aiutato molto, adesso» commentai, infastidito.
«Attento a ciò che dici, figlio di Roma» annunciò una voce nella mia mente, proveniente dal fondo della sala. «Lei sta facendo molto più di quanto tu non sappia.»
Un’altra donna si fece avanti. Era d’aspetto e di corporatura slanciata e giovane, ma difficile capire quanti anni avesse, dato che il volto era coperto da un velo, come una sposa prima di salire all’altare. Dietro di esso si intravedevano solo un paio di scintillanti occhi dorati, che rilucevano di malizia e fredda soddisfazione.
Mi resi conto anche che le parole non erano scaturite dalla sua bocca, bensì erano rimbombate nel mio cervello. I suoi passi riecheggiavano altezzosi lungo il salone, quando si piazzò davanti a me e Giunone, squadrandoci come due macchie di fango sul pavimento lindo.
«Credo che tu, Giunone, non abbia ancora dimostrato il tuo rispetto» commentò, infine, puntando gli occhi sulla dea romana.
Per un attimo, pensai che Giunone se ne sarebbe andata indignata, ma, con mio sommo stupore, lei strinse i denti stizzita e si inchinò davanti all’altra divinità, lanciandomi uno sguardo come se mi stesse accusando di questa situazione.
«Molto bene» fu il commento soddisfatto della dea sconosciuta. «Vedi, figlio di Roma, alla fine voi vi inchinate sempre a noi. Lo dimostra il fatto che la tua protettrice si prostra davanti alla regina di Asgard.»
Regina di Asgard?,
ensai, sorpreso e confuso.
Poi mi ricordai di quando Chirone, al Campo, prima di partire, ci avesse fatto un velocissimo corso sulle divinità nordiche. Colei che avevo davanti era la madre di Helen, la dea veggente e moglie di Odino.
«Frigga» dissi, subito, senza pensare. «Divina Frigga» aggiunsi, per evitare di essere disintegrato sul posto.
«Piacevolmente sorpresa che tu mi riconosca, romano.»
«Come mai sono qui?» chiesi, un po’ intimorito.
Non avevo dubbi che quella dea avrebbe potuto schiacciarmi, dato che persino Giunone sembrava spaventata all’idea di affrontarla.
«Parlare con te, figlio di Giove. Sai,  questa dea» iniziò, lanciando uno sguardo di disgusto a Giunone, come se definirla tale le stesse costando parecchio sforzo, «ha chiesto il mio aiuto per placare gli Dèi. Vedi, inizialmente anche io ero più che interessata alla tua morte. Sei un grave pericolo per la mia pedina. Tuttavia, sembra che persino tu abbia un tuo ruolo.»
Fissai prima lei poi Giunone. Era l’ennesima volta che la regina degli Dèi mi metteva in difficoltà e ora cos’altro dovevo sopportare?
«Di che pedina sta parlando? Sua figlia? Io non…»
«Silenzio!» ordinò la voce della dea nella mia testa.
Mi zittii, attendendo che fosse lei a continuare.
«Tu chiedi la conoscenza… Ebbene, conoscerai quanto posso dirti. Credo che tu sappia a chi mi stia riferendo quando parlo di pedina… e non a mia figlia» spiegò Frigga, sorridendo dietro il velo.
«Alex!» intuii subito. «La tua pedina è Alex.»
«Incredibile, figlio di Giove, sei più sveglio di tuo padre!» mi schernì la dea, beccandosi un’occhiata di fuoco da parte di Giunone che, però, non accennava ad alzarsi.
«Ebbene sì, il figlio di mio marito è la mia pedina. Per quanto non lo sopporti, quel ragazzo insolente è la migliore scelta per il futuro di Asgard. Odino può far finta di niente e fare l’orgoglioso seduto sul suo trono, ma io so che Alex Dahl sarà più importante di quanto tutti voi possiate immaginare. Persino più di te, sciocco figlio di Giove.»
«Ma davvero? E cosa dovrebbe fare lui di così importante da non poterlo toccare?» chiesi, scettico.
Questi Dèi si davano tante arie, ma se erano davvero così potenti, perché Alex era così importante per lei?
«Oh, lui farà molto, Jason Grace. Mio marito, bah… Lui vede questa resurrezione di nostro nonno come una sciocchezza. Pensa che adesso che siamo più potenti che nei tempi antichi, lui possa sconfiggerlo in poco tempo. Ha dimenticato quanto Ymir fosse forte e quanto disperata fosse stata la nostra lotta. Ymir è la più potente delle divinità primigenie, figlio di Giove. Persino la vostra Gea se la darebbe a gambe. Nella nostra prima guerra contro di lui fummo quasi sconfitti. Invero, ora siamo più potenti, ma, se anche lo sconfiggessimo senza Alex, mio marito dimentica che ci sono forze sempre pronte a colpirci alle spalle» spiegò Frigga, con tono paziente.
«Forze? Che altre forze ci sono?» domandai, allarmato. «Crono è sconfitto e se abbattiamo Ymir e Gea, non dovremmo avere problemi.»
«Ci saresti tu, figlio di Giove. Roma non vede l’ora di vederci deboli per pugnalarci alle spalle. L’avete sempre fatto. Inoltre,  eri sul punto di attaccarlo, oggi, dopo la discussione con la tua dolce metà. Ti avrei disintegrato, se Giunone non mi avesse pregato di risparmiarti» replicò la Dea, con un sorriso minaccioso.
A quel punto, mi sentii montare la rabbia
«Roma non è un covo di assassini! Siete voi ad aver distrutto il nostro impero e, nonostante questo, non vi sentite soddisfatti. Va bene, vi abbiamo invasi. Abbiamo perso la guerra e ne abbiamo pagato le conseguenze. Non vi basta? Cos’altro dovremmo fare?» urlai furibondo.
Non mi interessava se mi avrebbe disintegrato. Volevo solo che parlassero chiaro così, almeno, se dovevo morire, avrei capito perché.
«Jason Grace! Rispetto!» sbottò Giunone, lanciandomi un’occhiata di fuoco.
Ma a me non importava. Per lei ero solo una spada da tenere ben curata, per poi estrarmi alla prima occasione contro Gea. Dopodiché, mi avrebbe buttato nella spazzatura. Lo sapevo, non potevo fidarmi di lei. Tanto valeva che mi disintegrassero i nordici.
«Combatti una guerra di cui non conosci le origini. Noi non possiamo perdonarvi, finché il non ci avrete restituito la corona» replicò Frigga, squadrandomi severamente.
E non ero più lì.
Mi trovavo in un altro luogo. Una grande foresta lussureggiante, piena di foglie; fredda, ma viva. Il cielo era nero, ma non per la notte. Una tempesta vorticava sopra di me, come una furia. Persino gli alberi si muovevano, provocando suoni simili ad urla e gemiti di rabbia.
Mi resi conto che mi stavo muovendo su un cavallo invisibile e, davanti a me, c’erano tre giovani uomini in sella che correvano a tutta velocità lungo un sentiero appena visibile nella folta foresta.
Erano tutti e tre abbigliati con le uniformi tipiche dell’epoca del primo Impero Romano, con scudi tondi da cavalleria, armatura ad anelli leggere ed elmi romani. Erano molto giovani, il più vecchio non doveva avere più di venticinque anni. Quello in mezzo aveva una sacca in spalla e tutto, lì, sembrava convergere minaccioso su di loro. Ogni singola foglia sembrava volerli aggredire.
Ero nel passato e stavo rivivendo un momento importante.
I cavalli trottavano veloci, ma erano stanchi, magri e irrequieti. Dovevano aver fatto tappe forzate a quella velocità e anche gli equites sembravano provati.
«Lucius!» urlò il primo, rivolto a quello che stava in mezzo. «Non perderla, ne va del futuro dell’Impero.»
Il legionario annuì, ma non rispose. Fissai il suo braccio e vidi qualcosa che mi sorprese. Non era un comune legionario. Se il tatuaggio non mi ingannava, quel ragazzo era figlio di Mercurio, il dio dei ladri.
«Attenti!»
L’urlo del cavaliere in coda, più vicino a me, mi trapanò il timpano, ma non ebbi il tempo di riprendermi. Un nugolo di frecce emerse dalla foresta e tre dardi gli si piantarono in petto, uccidendolo.
«Tallus!» chiamò il figlio di Mercurio, fermandosi, ma il suo capitano lo fermò.
«Non possiamo fare più nulla! Dobbiamo raggiungere il Castra Vetera! I Barbari ci sono addosso!» gli intimò, ripartendo più rapidi di prima, se fosse stato possibile.
Ma non fecero che pochi metri, quando un gruppo di germani emerse dalla foresta.
«Per Odino!» gridarono, lanciandosi all’attacco.
Il decurione estrasse la spatha, l’arma da cavalleria romana, e trafisse il più vicino.
«Corri, Lucius! Porta la Corona di Wotan al Castra Vetera!» urlò, prima di essere disarcionato da un guerriero armato d’ascia.
L’ultimo legionario, il figlio di Mercurio, spronò la sua cavalcatura e corse via, lasciando il suo comandante a morire. Ma, mentre fuggiva, un barbaro riuscì ad afferrare la borsa, che si strappò.
L’oggetto che conteneva per poco non cadde, però il legionario fu rapido e riuscì a riprenderlo al volo.
Era una corona, fatta in acciaio Asgardiano. Le punte sembravano lame di spade molto sottili, puntate verso l’alto e poste a distanza simmetrica l’una dall’altra. Sulla fronte era incastonato un rubino, rosso come il sangue, che emanava calore.
Il figlio di Mercurio dette un calcio all’avversario, mandandolo a terra, e corse via, inseguito dai barbari.
E allora capii. Quelli erano legionari dell’esercito di Varo, ma erano sopravvissuti. In qualche modo, si erano spinti fino ad Asgard e avevano rubato un oggetto di grande valore. Un oggetto il cui potere simbolico era tale da scatenare un odio millenario.
Una corona.
La Corona di Odino.

 
koala's corner.
Ritorna Alex e ritorna Jason, con forse il suo POV più lungo fino ad esso. (Finalmente) ci sono un po' meno recensioni, così Water potrà oziare e non fare assolutamente nulla lol
*si nasconde dietro Bob evitando di ammettere i suoi peccati*
In questo capitolo, vediamo i nostri comandanti dare un po' matto, perché la pressione è molto alta. E scopriamo perché Odino ce l'ha proprio tanto con Jason.
Gli hanno fottuto la corona, poretto. In ogni caso: amo Frigga.
Fondamentalmente perché dà un calcio nel sedere a Giunone/Era, che ne ha fatte di tutti i colori. Jason mi rimane comunque antipatico, però. Le tre anime citate non riappariranno, sono solo alcune comparse.
I rapporti inter-coppia si stanno sfaldando. And yes, non credo che Jason sarebbe così nel canon, maaaa vabbè, perdono Ax perché sono buona oeeeeeh
Grazie per seguirci sempre e comunque - nonostante il calo di recensioni -, un abbraccio, eucalipto e alla prossima!

Soon on DdN: POV Astrid/Piper - un dialogo costruttivo con Einar e Piper, e un sogno poco carino e molto helloso (?) di Astrid.
#OFFTOPIC
Chi di voi ha visto Mockingjay? Ci siete, vero? VERO? Devo sclerare con qualcuno e cantare The Hanging Tree!

E riguardo la Casa di Ade? Impressioni?
Sto finendo di leggerla e credo che l'unica cosa da dire sia: zio Rick ha capito tutto degli Italiani.



 

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Capitolo 12
*** ASTRID/PIPER • Mettiamo in atto il piano suicida ***


Mettiamo in atto il piano suicida
 
♦Astrid♦
 
Sognare di trovarsi nell’Hellheim era orribile e per questo, ovviamente, lo feci.
La sensazione partì dai piedi, nudi sulla terra ghiacciata, e risalì le gambe, si arrampicò sopra le ginocchia e mi balzò in petto in corrispondenza del cuore.
Diceva: Sei a casa, Astrid.
E lo ero. Anche se non vi avevo mai vissuto, le mie membra riconoscevano il luogo, e provavano piacere nel ricongiungersi con esso. Il resto di me, però, lo detestava.
Prima di tutto, sicuramente, perché il sogno non mi aveva trasportato nella parte inferiore dell’Hellheim, tra i cunicoli e la terra, bensì in superficie, dispersa in una landa desolata battuta da piogge continue e venti fortissimi. Secondo, perché avevo addosso unicamente una camicia da notte in raso, con le spalline sottili, il che equivaleva ad essere nudi di fronte alle intemperie. Oh, certo, e mia madre lo adorava, ragione in più per odiarlo con tutta me stessa.
Avrei potuto aggiungere qualche altro punto alla lista, ma non ne avevo il tempo, viste le condizioni meteo. Mi schermai il viso con le braccia, mentre cercavo disperatamente di evitare che le raffiche di vento mi spazzassero via e mi sbattessero contro una roccia.
Mi ritrovai ironicamente a pensare che la mia vita sentimentale con Alex, in quel momento, rispecchiava perfettamente il luogo a cui appartenevo.
Potevano essere passate ore o minuti, quando la scena si ribaltò e io mi ritrovai al di sotto della superficie del suolo. Mi guardai attorno, e provai un brivido nel riconoscere il luogo.
Ricordi frammentari della mia prima impresa mi balzarono in mente: Alex che combatteva contro Kara, uno sciame di non-morti che ci soffocava, la fuga attraverso i cunicoli comunicanti proprio con questa sala.
Un enorme tavolo si stagliava nel centro della grotta naturale, apparecchiato per decine di persone, con tazzine da tè sbeccate, tovaglia e tovaglioli mangiati dalle tarme, posate arcuate e piattini sudici. A capotavola, Hell mi fissava con intensità.
Aveva scelto un altro vestito vintage, mentre un grosso cappello abbinato le nascondeva il lato destro del viso, quello in putrefazione. Teneva i capelli neri – come i miei – legati in una crocchia, e le braccia erano inguantate fino al gomito con dei guanti di velluto. Era quasi carina, per essere una dea degli inferi.
«Benvenuta, figlia mia» disse, inclinando lievemente il capo.
Emisi il verso caratteristico degli ornitorinchi.
Mia madre mi indicò la sedia all’altro capo del tavolo e, anche se non mi andava di prendere un tè con la versione femminile del Cappellaio Matto, mi costrinsi a muovere le gambe e posare il didietro al posto assegnatomi. Hell schioccò le dita, e un non-morto con un vestito da maggiordomo comparì dall’ombra per servire una tazza di tè fumante alla sua signora. Venni servita anche io, ma, a differenza di mia madre, evitai la bevanda.
Trascorsero snervanti minuti durante i quali ostentavo la mia indifferenza e lei sorseggiava il suo schifoso tè, prima che la dea mi parlasse di nuovo: «Non hai niente da dire, Astrid?»
Per un momento, valutai l’opzione Risposta Sincera, ovvero “sì, ho qualcosa di dire. Credo di poter iniziare con sei una madre di merda e continuare con brutta stronza…”, ma decisi di scartarla, evitando la possibilità di essere incenerita prendendo uno stupido tè.
«Perché hai voluto che ti incontrassi?» domandai invece. «E perché hai preparato questo?» Feci un gesto con le braccia a indicare la tavolata.
«Volevo solo parlarti» rispose, calma e controllata.
«Mmmmh» feci. «Nell’ultimo anno, sono diventata piuttosto esperta di morti dolorose. Non credo che ci siano altri argomenti di cui trattare con te, Hell.»
«Dovresti chiamarmi “madre”, Astrid» replicò, appoggiando la tazzina da tè sul piattino, «ma sei scusata per la pessima educazione che ti ha impartito tuo padre e la compagnia che frequenti.»
Mi trattenni dal farle il verso.
«In ogni caso» riprese, «volevo intavolare una conversazione riguardante Kara.»
«Kara?» domandai, facendo la finta tonta.
«Tua sorella» chiarì Hell.
Appoggiai la schiena alla sedia. «Intendi la mia stronza gemella immortale Kara
La sua espressione si irrigidì un poco, ma tanto bastava per farmi sorridere. «Lei.»
«Oooh, lei» feci. «Perfetto. Va’ avanti.»
Mia madre mi scoccò un’occhiata che ebbe il potere di gelare il mio entusiasmo. «Il tuo comportamento indisponente non ti porterà lontano, figlia.»
«Davvero?» Inarcai un sopracciglio.
Il suo volto si rilassò. Udii un sibilo e, quando guardai in basso, vidi una coppia di serpenti albini arrotolarsi con grande piacere attorno ai miei polpacci. Okay, pensai. Forse ha ragione.
«Stavo dicendo» riprese Hell. «Tua sorella Kara. So che voi tutti, piccoli mezzosangue, pensate che stia agendo per conto mio. Però, non è così.»
Pensai: no? Ma davvero? Il piano malvagio è solo il suo, questa volta?
«L’ho ripudiata» continuò. «Essere sconfitta per la seconda volta in modo così patetico, dopo tutto ciò che avevo fatto per lei… non è abbastanza forte. Mi ha delusa profondamente. Non merita più di vivere qui, quindi l’ho scacciata.»
Celai al meglio il mio stupore. «Quindi?» la incalzai.
«Quindi, tutto ciò che sta facendo, lo sta facendo di sua iniziativa. Questa volta, non sono io a volere morte.»
Mi scappò da ridere. «Non stai facendo nulla per fermarla, però» notai.
«Non è un compito che spetta a me» ribatté. «E certamente non mi dispiacerà accogliere altre anime nella mia dimora.»
«L’ospitalità è una qualità ammirevole» commentai, sarcastica.
I serpenti sibilarono e si strinsero attorno alle mie gambe.
«Ci sarà una guerra, Astrid, e tua sorella giocherà un ruolo importante in essa.» Il tono di mia madre si fece all’improvviso più freddo. «Non sottovalutare le informazioni che ti sto consegnando.»
Fissai il mio tè, cercando di riflettere, all’improvviso all’erta. «So cosa vuoi in cambio del tuo aiuto» dissi, seria. «E non ti permetterò di prenderlo.»
Hell si portò la tazza di tè alle labbra. «Alex Dahl è una pedina che non sono io a spostare sulla scacchiera, figlia mia.»
Stavo per ribattere, quando aggiunse: «Ma a me non interessano le scacchiere. Mio padre è Loki, so come si bara.»
Mi scoccò un’occhiata, notando sicuramente le mie mani strette attorno alla tovaglia.
«Non c’è bisogno che ti dica in anticipo cosa gli accadrà. Il suo destino è già stato scritto, è impossibile cambiarlo. È stata predetta la sua morte molto tempo fa, una morte che lascerà dietro di sé devastazione e sofferenza e…»
«Tu menti!» gridai.
Mi sarei alzata di scatto, ma i due serpenti mi tenevano inchiodata alla sedia.
«Calma» sibilò mia madre.
«No» ringhiai. «Non mi calmerò, né farò la brava. Non sono Kara, non sono qualcosa che puoi controllare.»
«No?» mi schernì. «C’è qualcosa che una dea non può controllare? Tu mi appartieni, e dovresti essermi grata per ciò che ti sto rivelando.»
«Io appartengo unicamente a me stessa» sputai.
Hell mi rivolse un sorriso macabro. «Come sei ingenua» commentò. «Vuoi sapere la verità, Astrid? Tu appartieni ad Alex Dahl e, quando presto giungerà la sua ora, tu andrai in mille pezzi. Ti hanno insegnato ad amare senza metterti al corrente della cosa più importante: nel momento in cui doni tutta te stessa a qualcuno, cessi di esistere, e quando accade, è il momento giusto per distruggerti
Fremente di rabbia, stavo per gridarle di starsene zitta, ma una voce fuori campo inondò il sogno. Le pareti della grotta tremarono, mentre venivo trascinata via dal sonno.
Mi svegliai di soprassalto.
 
 
Boccheggiai il cerca d’aria. Mi ritrovai affianco Lars e Rachel, e la loro vicinanza inaspettata mi spaventò a morte.
«Mamma mia, non sono mica così brutta!» scherzò la rossa, facendomi l’occhiolino.
Mi misi a sedere sul sacco a pelo, cercando di darmi una sistemata al groviglio che erano i miei capelli. «Ammetto che svegliarsi con voi di fianco come guardie del corpo è un tantino inquietante» esordii. «Soprattutto dopo  certi incubi.»
«Di che tipo?» s’informò Lars. «Hai scoperto dove si trova Annabeth?»
Scossi la testa. «Purtroppo» sospirai, «ho incontrato mia madre.»
Rachel trattenne il fiato.
«Già» commentai. «Hell mi ha detto che Kara sta agendo da sola, che è l’ha scacciata dall’Hellheim, perché l’ha delusa a New York. Inoltre, dovrebbe essere importante nel conflitto che si scatenerà.»
Lars si fece pensoso. «Cosa voleva in cambio di queste informazioni?»
«Nulla» risposi. Fui tentata di rivelargli la parte riguardante Alex, ma non ero pronta a parlarne; era un argomento troppo intimo. «Sicuramente, però, ha in mente qualcosa.»
Rachel si passò una mano tra i ricci rossi.
«Perché siete qui, comunque?» domandai. «Qualcosa non va?»
Mi aggiornarono brevemente sull’incontro avuto con Skadi e su ciò che Alex aveva in mente, secondo Nora e Finn, tornati indietro dal villaggio dei nani. Man mano che il racconto procedeva, i residui del sonno mi abbandonavano, lasciando spazio a un’irritazione cocente.
Alla fine del riassunto, chiesi, secca: «E nessuno mi ha svegliato?»
Lars e Rachel si scambiarono un’occhiata.
«Rachel» la richiamai.
«Eri stremata» si difese lei. «Dopo che il cinghiale gigante dorato ti ha ferito, avevi bisogno di riposo. Non prendertela con noi per questo.»
Brontolai qualcosa di incomprensibile. Stupido Gullinbursti.
«Lars, preparami qualcosa contro il dolore» ordinai.
Il figlio di Eir sollevò un sopracciglio.
«Non fare quella faccia» lo apostrofai.
Il ragazzo rimase pietrificato in quella posizione.  
«Cosa vuoi fare?» mi domandò Rachel, lievemente preoccupata.
«A spostarci tutti, ci impiegheremo molto tempo» dissi.
«E…?»
Sbuffai. «E devo salvare il culo al mio ragazzo, prima che faccia qualche grande cazzata.»
 
►Piper◄
 
Personalmente, non ero molto incline all’autocommiserazione e al pessimismo ma, mentre aspettavo l’arrivo degli elfi oscuri, non potevo fare a meno di pensare al mio epitaffio: qui giace Piper McLean, morta suicida alla tenera età di sedici anni, dopo aver dichiarato più volte di “potercela fare”.
“Potercela fare” un corno.
Me la stavo facendo sotto e da un momento all’altro ero sicura che avrei gridato isterica e sarei scappata via urlando, per poi perdermi nei cunicoli scavati dei nani e morire di stenti, divenuta ormai pazza.
Già, se i miei amici avessero potuto vedere la disperazione che c’era nella mia mente, vi avrebbero trovato uno scenario più deprimente di un libro di Nicholas Sparks. Invece, ero io che mi imponevo di sorridere, rispondere in modo gentile, e fare tutto con gentilezza, ma soprattutto non sembrare un cerbiatto terrorizzato.
Se dovevo trovare un fatto positivo, era che sia Jason che Alex si erano assopiti e potevo accantonare la mia situazione sentimentale per un attimo. Oggi, entrambi avevano dato i numeri e al pensiero di essere in parte la causa di tutto ciò mi provocava un mal di stomaco tremendo.
Leo era seduto vicino a me e stava armeggiando con elastici e bulloni – credevo che non si potesse creare una bomba con così pochi oggetti, ma con Leo non si poteva mai essere sicuri. Einar, invece, fingeva di sonnecchiare, ma la verità era che mi teneva d’occhio.
Per l’ennesima volta, mi chiesi se mi avesse chiesto di essere la sua partner in azione per altri, oscuri, motivi. Ma no, non era così subdolo. Sì, era un figlio di Loki, però avevo intuito che usasse i talenti derivati dal padre per il bene.
Io ero semplicemente la persona più adatta per quella missione: gli elfi non mi avrebbero riconosciuto e, in più, potevo usare la lingua ammaliatrice per tirarmi fuori dai guai, a mali estremi. Ripetendomelo, il piano mi sembrò meno kamikaze.
In ogni caso, avevo deciso, non mi sarei tirata indietro. Nonostante avessi una paura tremenda, dovevo dominarla e rendermi utile, portando a compimento ciò che andava fatto. Su quella nota speranzosa, mi concessi un sonnellino di cinque minuti.
 
Che durò un po’ più di cinque minuti e non fu affatto rilassante, considerati gli incubi. Mi ero agitata nel sonno e il mio sacco a pelo era rotolato via, così ero finita per trovarmi di traverso e mezzo appoggiata a Jason.
Fu surreale svegliarsi tra le sue braccia, come se, ormai, le dimostrazioni di affetto appartenessero a un’era prima. Averlo così vicino – e non sul piede di guerra – mi provocò una piacevole sensazione di calore in tutto il corpo.
«’Giorno» lo salutai, stiracchiandomi.
Si chinò per stamparmi un bacio sulla fronte, ma si bloccò prima di completare il movimento. «Sto sognando?» domandò, la voce impastata dal sonno.
Gli sorrisi. «Non ne sono sicura» mormorai.
«No!» esclamò la voce di Einar alle mie spalle, divertita. «Siete entrambi svegli, miei cari, e state amabilmente sprecando tempo. Hop hop, muoviamoci!»
Jason brontolò qualcosa che non capii e si scostò da me. Di malavoglia, mi alzai e iniziai a sistemare le mie cose. Nessuno sembrava in vena di fare colazione, difatti non si vedeva l’ombra di cibo. Al solo pensiero di mettere qualcosa sotto i denti mi si rivoltava lo stomaco dalla nausea.
Poco tempo dopo, Blindivor, il capo dei nani, ci raggiunse al nostro accampamento per comunicarci l’arrivo imminente degli elfi oscuri. E subito si scatenò un dibattito su chi dovesse rimanere lì e chi aiutare me ed Einar nel camuffamento.
«Disciplina, semidei!» sbottò Blindivor.
Trovai surreale il fatto che riuscisse ad essere tanto autoritario, nonostante fosse così… piccolino.
«Non abbiamo il tempo di discutere ancora. Eviterei lamentele e farei venire tutti voi, a patto che non diate nell’occhio. Se quei maledetti si accorgono che qualcosa non quadra, siamo tutti spacciati.»
Non trovando né un punto d’accordo né una soluzione, ci adattammo all’idea di Blindivor. Ci nascondemmo in una casa disabitata – non volli indagarne i motivi – e attendemmo l’arrivo degli elfi oscuri, sbirciando dalla finestrella della cucina. Per un nano, era posta in alto, ma per noi semidei era all’altezza adeguata.
Alex camminava avanti e indietro nervosamente, gettando un occhio ogni tanto. Nessuno parlava e, quando annunciò: «Eccoli.», sobbalzai.
Jason si avvicinò al figlio di Odino per controllare la venuta degli elfi oscuri, ma nessuno dei due sembrava felice di quella vicinanza.
«Si stanno dividendo in più gruppi» ci informò il figlio di Giove. «Da quattro.»
Mi morsi il labbro. Non sarebbe stato facile liberarsi di quattro di loro.
«No» si corresse Jason, in fretta. «Se la via è stretta, le squadre si dividono ancora.»
«Dimmi che abbiamo fortuna» disse Leo.
I due ragazzi di vedetta stettero in silenzio per un attimo, poi annuirono.
«Sì. Usciamo, forza» ci incitò Alex.
Ci appostammo dietro la porta di legno e, quando udimmo arrivare gli elfi oscuri, Alex la spalancò con un tempismo perfetto, sbattendola in faccia a quello più vicino.
L’altro esitò per qualche secondo, colto di sorpresa, ma non fece in tempo a sguainare la spada che già Jason l’aveva trafitto all’altezza del cuore. Il rimanente si stava ancora lamentando del naso rotto, quando morì.
«Molto sicuri di sé, questi tizi» commentò Leo. «Non avevano nemmeno un’armatura.»
«Pensavano di aver già eliminato possibilità di ribellione» replicò Alex.
«Be’» fece Einar, «erano anche dei completi idioti. E peccando di stupidità si muore spesso. A volte, sembra quasi che ci si voglia far uccidere.»
Lo guardai leggermente sconcertata. Seguivo il ragionamento, ma lo trovavo ugualmente crudele.
«Muoviamoci» borbottò Jason, gettandomi un’occhiata. «Evitiamo altri possibili pericoli.»
Così, trascinammo i due cadaveri all’interno della casa e lì Einar compì la sua magia di figlio di Loki. Mentre costruiva un’illusione che nascondesse i nostri veri aspetti, potei scorgere la Foschia riplasmarsi secondo la volontà del ragazzo, anche se probabilmente era solo suggestione.
«Wow» fischiò Leo. «Miss Mondo, sei, come dire, molto…»
«Elfica?» suggerì Einar, con un ghigno.
Persino con la pelle scura come ossidiana e i capelli bianchissimi, quel suo sorriso canzonatorio non era scomparso.
«Elfica» concordò il figlio di Efesto, sorridendogli di rimando.
Mi guardai le dita delle mani, ora lunghe e affusolate, oltre che nere, e le mossi. Se le osservavo con intensità, riuscivo a intravedere la realtà, ma l’illusione era così ben fatta che, ogni volta che mi focalizzavo su un particolare, la voce della coscienza mi chiedeva: perché ti sforzi? Guarda che è tutto okay, normale come al solito. Decisi di lasciare stare.
«Adesso, vediamo di farvi parlare come dei veri elfi oscuri, però» intervenne Alex.
Avevamo già parlato di questo dettaglio, minuscolo ma fondamentale. L’aspetto contava, certo, però avremmo dovuto interagire con i nostri “compagni” e, allora, avrebbero scoperto il trucco. E poi… be’, quello che veniva dopo il “poi” non era un bel pensiero.
Il figlio di Odino prese la mano di Einar e la mia, chiuse gli occhi e iniziò a recitare una nenia in quello che suonava norvegese. Lui sembrava concentrato sul suo compito, mentre io mi mordevo l’interno della guancia e pensavo a non arrossire per quel contatto. Per fortuna, non ci mise molto e potei riavere presto indietro la mia mano.
«Dite qualcosa» ci incitò il figlio di Odino.
«Ehm… qualcosa?» provai.
Ero cosciente di aver pensato in inglese e di aver parlato nella mia lingua madre, ma dalle facce che fecero gli altri, compresi che l’incantesimo runico di Alex aveva funzionato.
«Okay» disse Leo. «Ora iniziate ad essere un po’ spaventosi.»
«Davvero? Eppure, ero io quello che ti chiamava “elfo”» ribatté Einar, ma, probabilmente, lo capii solo io.
«Andate, forza» sintetizzò Alex. «Non sappiamo quanto tempo ci impiegano, normalmente, per completare la riscossione dei tributi.»
Sia io che Einar annuimmo. I tre ragazzi ci accompagnarono alla porta. L’ultima cosa che mi sentii dire, prima di buttarmi a capofitto in quella missione suicida, fu lo «Stai attenta» di Jason.
 
 
«Tuo padre è un attore, giusto?» domandò Einar.
Sospirai. «Sì» risposi.
«Quindi, sai come si recita.»
Avrei voluto dirgli: non è per questo che so fingere. Invece, replicai: «Sì. E tu?»
«Stiamo scherzando?» Einar rise. «Se non sapessi mentire, ingannare, illudere e recitare, sarei già sepolto da un pezzo.»
«Non so se prendere questa risposta come confortante» osservai.
Mi rivolse un sorriso sornione. «Questo perché sei più intelligente del resto delle semidee, Piper McLean.»
Mi stai facendo diventare pazza, con tutti questi misteri!, avrei voluto gridare, ma mi trattenni.
«Toh, eccoli qua, i bastardi» commentò Einar, sottovoce, avvistando un gruppo composto da quattro elfi oscuri. «Mento in alto e sorridi, Miss Mondo. Si va in scena.»
E così facemmo. Ci mischiammo a loro, li salutammo come se li conoscessimo da tempo, e rispondemmo con naturalezza alla domanda “perché non avete armi con voi?” con una scusa inventata sul momento.
Sarebbe stato quasi divertente – dopo aver scoperto con sollievo che l’illusione funzionava a meraviglia –, se non fosse che dall’esito di quella missione ne andava della vita di parecchie persone, comprese le nostre.
Insieme agli altri elfi oscuri, riformammo il gruppo iniziale e, carichi dei tributi, ci allontanammo a passo di marcia dal villaggio dei nani. Io e il figlio di Loki chiudevamo le fila e per questo riuscivamo a seguire il gruppo stando al passo, ma comunque a una certa distanza, senza dare nell’occhio.
Mi ritrovai ad osservare Einar con interesse, percorrendone la figura slanciata da elfo e studiandone i tratti aggraziati del viso, cercando di capire i suoi segreti più reconditi. Di solito, ero brava ad analizzare la gente, ma con lui tutto si complicava. Sembrava che sotto l’illusione ce ne fosse un’altra, molto più difficile da smascherare.
«Perché lo chiami “capo”?» chiesi ad un certo punto, cedendo alla curiosità. «Alex, intendo» chiarii.
«Sinceramente, non lo so con precisione» rispose, continuando a guardare davanti a sé, gli occhi fissi sulla schiena dell’elfo che camminava prima di lui. «È venuto un po’ così, ed è appropriato. Alex è il capo, l’unico e inimitabile. Senza offesa per il tuo bel Grace, ovvio.»
Sussurravamo entrambi, per evitare di farci sentire.
«Ti fidi molto di lui» constatai, sperando che continuasse a parlare.
«Oh, certo. Mi fido di lui più che di me stesso.»
«Anche se…» Esitai. «Anche se fa cose come ieri?»
Einar non si scompose. «Sicuro.»
Trattenni un’esclamazione sorpresa. «Questa è molto più che normale fiducia. È, tipo, cieca fedeltà.»
«Può darsi. Ma siamo semidei, nulla è normale, quando si tratta di noi.»
Rispondeva in modo così naturale, così fluido, come se ciò che diceva fosse ovvio e palesemente sotto lo sguardo di tutti.
«Vuoi sapere il perché, vero?» domandò, ghignando. «Perché sono legato a lui tanto profondamente, no?»
«Sì» borbottai.
«Be’…» Si strinse nelle spalle. «La versione semplificata è che è il mio migliore amico, mio fratello, e lo amo per questo.»
«E quella complessa?» domandai.
Einar si voltò, fissandomi negli occhi. «Alex è speciale. Crede in me quando io non lo faccio. Mi dà fiducia quando non dovrebbe, perché sa che non ne approfitterei e che verrà fuori del bene. Quando non vedo altro che oscurità, lui mi fa notare le stelle. Mi ha insegnato a distinguere ciò che avevo di buono in me e mi ha aiutato a migliorare i miei difetti. Per lui, morirei. Ma soprattutto, per lui, ucciderei.»
Fu incredibilmente difficile respirare, dopo quel discorso. «Io…» balbettai.
Il figlio di Loki sorrise, un sorriso dolce-amaro, e ritornò a fissare dritto davanti a sé.
«Risparmia le parole, Miss Mondo» mormorò. «Questo è uno dei casi in cui non servono.»
 
 
Non avevo tempo per riflettere a dovere sulle parole di Einar. La sua fiducia completa in Alex, il suo amore nei suoi confronti, si erano sedimentati dentro di me e aspettavano solo che li analizzassi con calma, e, in quel momento, di calma non ce n’era proprio.
Eravamo usciti dai cunicoli scavati dai nani e la fortezza controllata dagli elfi oscuri si stendeva imponente nella pancia della Terra. Era surreale e bella e spaventosa quanto una cattedrale in un deserto. Deglutii e drizzai la schiena.
Di cosa ti preoccupi? mi dissi. Sei un’elfa oscura, come tutti loro. Qui è dove vivi, non c’è nulla da temere. Funzionò, seppur non molto.
Quando ci avvistarono, le porte della fortezza cigolarono e si aprirono, permettendo di varcare la soglia. Dritti nella pancia della balena. Dal momento che non avevamo armi, ci separammo dal gruppo iniziale. Raggiunto un punto in ombra, nascosti tra due colonne, ci fermammo.
«E qui ci separiamo, Miss Mondo» disse Einar, sottovoce.
«Cosa?» domandai; non avevo fatto nulla, ma ero affannata. «Perché?»
«Da soli, daremo meno nell’occhio» spiegò. «Poi, qualcuno si dovrà occupare di aprire le porte, giusto?»
Mi passai una mano sul viso non mio. «Okay. Mi occuperò io dei bambini. Come farai a capire che ce l’ho fatta?»
«Tranquilla, lo saprò.» Inaspettatamente, il figlio di Loki mi rivolse un sorriso incoraggiante. «Scommetto che ce la puoi fare.»
Evitai di rispondere. Mi ricomposi, assunsi il portamento altero dei soldati e uscii dalla nicchia, camminando nel lato opposto rispetto ad Einar. Primo passo: trovare le prigioni. In fretta. 
L’occasione si presentò quando vidi un elfo venirmi incontro.
«Ehi» lo fermai. «Sapresti dirmi dove si trovano le prigioni?»
«Alla seconda, a destra, prendi le scale che scendono» rispose, rivolgendomi un sorrisetto indecifrabile. «Ti hanno declassato, eh, soldato?»
«Già» confermai. «Ora mi toccherà fare la guardia a quei marmocchi urlanti.»
Il sorriso dell’elfo si allargò. «Condoglianze.» Mi batté una mano sulla spalla, poi se ne andò.
Continuando a camminare, sospirai di sollievo. L’illusione aveva retto alla perfezione e quello sciocco mi aveva fornito una scusa perfetta per entrare nelle prigioni. Seguii le sue indicazioni e, a ogni gradino che scendevo, la mia ansia aumentava, ma la tenni sotto controllo. Non potevo permettermi errori.
Non incontrai nessuno nella mia discesa, segno che il posto non era molto popolare; meglio, non avrei dovuto combattere con decine di soldati armati. La scala a chiocciola terminò su un corridoio, alla fine del quale due guardie controllavano un cancello in ferro, l’entrata alle prigioni. Non diedero segni di vita finché non mi fui avvicinata.
«Chi è il più alto in grado, qui?» domandai, ostentando un comportamento marziale.
Quello a destra si fece avanti di un passo. «Io» rispose. «Hai ordini dal comandante?»
«Sì. Sono stato incaricato di prendere il tuo posto. Domani mattina, dovrai presentarti a riscuotere il tributo al villaggio dei nani.»
L’elfo oscuro non sembrava molto convinto. «Tutti i componenti di quella squadra sono stati scelti attentamente.»
«Ordini dall’altro» replicai.
«Non hai un messaggio con bollo di autorizzazione?» chiese ancora.
«Mi è stato detto che in questo caso non era necessario» risposi, usando la lingua ammaliatrice.
Il guerriero batté le palpebre un paio di volte, dopodiché annuì, borbottò qualcosa e mi consegnò le chiavi delle celle e del cancello principale.
«Mi informerò direttamente dal comandante» decise, allontanandosi.
«Certo.»
Con un movimento fluido, sfilai Katoptris e lo colpii alla nuca. Il soldato crollò a terra senza un gemito. Meglio svenuto che in giro a chiedere informazioni. Il suo sottoposto, però, emise un grido di sorpresa e sguainò la spada.
«Sono molto più forte di te, molto di più di quello che puoi immaginare» gli dissi, continuando a sfruttare la lingua ammaliatrice. «Ti converrebbe posare la spada, se ci tieni alla vita.»
L’elfo oscurò esitò. Mi avvicinai, sforzandomi di mostrarmi più sicura di quel che ero.
«Avanti, fallo. Ti risparmierò.»
La sua spada cadde a terra, e io lo colpii con il pomello del pugnale. Lo rinfoderai, spostando la mia attenzione al cancello d’ingresso. Armeggiai con il mazzo di chiavi e persi minuti preziosi per trovare quella giusta. I nani era così piccoli e spaventati che i loro occhi sgranati parevano più grossi dei loro minuscoli corpi.
«Sono un’amica» dissi. «Non voglio farvi del male.»
Ma parlavo ancora elfico, i bambini non potevano comprendermi. Allora, mi limitai ad aprire una cella alla volta. Mi si rivoltò lo stomaco, alla vista di alcuni neonati in quel luogo depravato. Mi misi un dito alle labbra e feci segno loro di seguirmi in silenzio.
I più grandicelli si misero in spalla fratelli e sorelle. Avrei voluto abbracciarli uno ad uno, incoraggiarli e dir loro di fidarsi di me. Ora, nessuno poteva fermarmi.
Stavamo iniziando a salire le scale, quando udii un gemito. Ritornai sui miei passi e non guardai la prima guardia negli occhi, quando le tirai un calcio in faccia.
Per i nani, uscire dalle prigioni fu una vera e propria arrampicata. Giunti nel corridoio principale, erano stremati, ma non potevo lasciarli riposare a lungo, se volevamo uscire dalla fortezza. Pregai che Einar fosse già pronto ad aprire le porte e che non incontrassi nessuno durante il percorso di ritorno. Non avevo camminato molto, dopotutto. Solo un paio di corridoi.
«Forza» dissi, più a me che ai piccoli nani. «Forza.»
Forse gli Dèi ebbero compassione di noi, perché nessuno ci intralciò. Giunsi a pochi metri dal portone principale con una marmaglia di nani alle mie spalle. Le due guardie si voltarono contemporaneamente, ma una si rivoltò contro l’altra, sconfiggendola in poche mosse.
«Einar?» chiesi.
«Ben ritrovata, Miss Mondo» mi salutò lui, pulendo la spada sul mantello dell’avversario.
«Dobbiamo uscire» incalzai. «Subito
«No» replicò il figlio di Loki. «Solo tra cinque, quattro, tre… due… uno…»
Un’esplosione fece tremare l’edificio. I bambini-nani strillarono.
Barcollai. «Che…?»
«Un piccolo diversivo» rispose lui, stringendosi nelle spalle. «Ora, dobbiamo filarcela.»
Azionammo il meccanismo che apriva i portoni quel tanto che bastava per permetterci di uscire. Il diversivo aveva funzionato, sì, ma non tutte le guardie sui camminamenti di ronda si erano precipitate ad aiutare. Avevamo percorso sì e no una decina di metri, quando si accorsero di noi.
«Corri!» gridò Einar, spingendomi in avanti.
Strinse la mano di alcuni bambini, mentre io mi caricai sulle spalle una nana, e ne presi in braccio altri due. Una parte del mio cervello registrò che quei cosini pesavano un nulla. Sentivo l’allarme che veniva diffuso per tutta la fortezza e potei immaginare gli archi che venivano tesi contro di noi.
Scappa, mi dissi. Corri più veloce di quanto tu abbia mai fatto, più veloce del vento e della tempesta e del tuono. Corri finché non ti scoppieranno i polmoni e il cuore. Corri finché non sputerai sangue. Corri fino a spezzarti le gambe e le ginocchia. Corri finché non muori.
E lo feci. Scappai, veloce come non mai, i piedi che volavano sul terreno, un incendio nel petto e gli occhi puntati alla galleria che dovevamo raggiungere. Non smisi quando la raggiunsi. Non mi fermai quando terminò. Avrei potuto continuare per sempre e non accorgermene.
Il punto non stava nel correre, ma nel voltarsi più in fretta che si poteva. Una volta cominciato, era più facile.
«Aspetta…» rantolò Einar.
Non aveva più l’aspetto di un elfo oscuro, era ritornato il solito figlio di Loki dagli occhi e capelli scuri. Si accasciò contrò il muro della galleria, sfinito. Le gambe cedettero anche a me, e fu una fortuna che i nani che portavo in braccio fossero abbastanza svelti, perché li avrei fatti cadere con me.
Mi mancava il fiato ma temevo di respirare, dal momento che a ogni respiro mi sembrava di ingoiare una stalattite ghiacciata.
«Stai… bene?» ansimai, rivolta ad Einar.
Il figlio di Loki sputò un grumo di saliva e si portò una mano al petto. «Non ho mai… corso… così… in vita mia.» Ridacchiò. «Dèi, è stato fantastico.»
Mi unii al suo umorismo. Ero ancora presa a recuperare fiato – sempre che ci sarei mai riuscita –, quando pianti e grida di giubilo scoppiarono un po’ dappertutto, circondandoci.

 
koala's corner.
Ed anche il dodicesimo capitolo è online!
Mi sono divertita molto a scrivere questo capitolo, soprattutto perché Einar è un figo e ho un sacco di headcanon che coinvolgono lui e Piper e non volevo l'ora di metterli su carta *-*
Sto iniziando a shippare Piper e Einar. Perché. NON SONO SHIPPABILI.
La relazione tra Alex ed Einar. Ora, non inizare a shipparli insieme, perché vi picchio.
Anche se potreste...
MA NO. La loro è una sana brothership moooolto profonda, stop. Penso sia anche importante ai livelli della storia in sé, vedere bene cosa prova tizio nei confronti di caio, soprattutto se tizio e caio sono pg principali.
Dopo la storia del palazzo (Venti del Nord) non si erano più visti molti passaggi di questo genere e questo è anche un bel modo per riprenderlo in considerazione :3
Speriamo che il capitolo vi sia piaciuto e che vogliate recensirlo, un bacio e alla prossima! Peace&Love

Soon on DnN: POV Einar/Leo - La bramavate, l'aspettavate, la volevate a tutti i costi... (?) In ogni caso: seconda Einico!
Siete già andati a vedere la pagina ufficiale della saga? Potreste - e in effetti lo farete - trovare cose interessanti!

 

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Capitolo 13
*** EINAR/LEO • Situazioni di merda a go-go ***


Situazioni di merda a go-go

∫ Einar ∫
 
Fu come essere sommersi da un’ondata di nani e nane festanti. La madri riabbracciavano i figli e sembrava che i loro volti si fossero illuminati dopo tanto tempo di tristezza. Avevo l’impressione che Piper si fosse molto attaccata ai piccoli, tanto che aveva gli occhi lucidi per la commozione, mentre porgeva uno dei bambini che portava in spalla alla madre. In confronto ai nostri, sembravano folletti e non arrivavano sopra il mio ginocchio.
Sorrisi. Era una brava ragazza, solo che i nostri Dèi erano odiosi e stavano mettendo il capo e la ragazza, oltre che a capo 2.0 – Jason –, in difficoltà.
«Bel lavoro, Einar» si congratulò Alex, porgendomi la mano. «Sapevo che ce l’avreste fatta.»
Sorrideva sollevato e aveva l’aria di uno che si era roso dalla preoccupazione. Evocò di nuovo le rune, in modo da poter parlare normalmente.
Accanto a lui c’erano tutti i ragazzi dell’orda. Mancavano solo una decina di persone, rimaste a controllare il forte in nostra assenza. Tutti gli altri erano stati chiamati per poter attaccare in caso di bisogno – nostra cattura. Fui sollevato che non ci fosse stato bisogno di quell’intervento.
«Di nulla, capo. Sempre pronto a seguirti fino in fondo» risposi, con un sorriso.
Intanto, Piper era stretta in un abbraccio a tre con Jason e Leo, anche loro incredibilmente sollevati. Il figlio di Efesto sembrava molto entusiasta.
«Allora, la bomba che ho preparato ha funzionato?» stava chiedendo, con un sorrisone a trentadue denti.
«Lo sapevo che c’eri tu, dietro a quell’esplosione» scherzò la figlia di Afrodite, dandogli un bacio sulla guancia per, poi, stringere Jason in un abbraccio.
Sembrava che il litigio della sera prima fosse sparito, il che era un bene.
«Semidei, amici miei!» annunciò Blindivor, avvicinandosi. Sorrideva e i suoi occhi brillavano come pietre preziose. «Sarebbe molto bello rimanere qui a ciarlare, ma meglio andarsene, prima che gli elfi oscuri ci inseguano.»
«Giusto» convenne Nora. Anche lei sorrideva, e mi dette una pacca sulla spalla.
Ci incamminammo tutti lungo il corridoio che, poco prima, io e Piper avevamo percorso per raggiungere la fortezza e tornammo al villaggio dei nani. Al contrario di quanto ci si potesse aspettare, non fu una festa. Affatto.
I nani si prepararono ad accogliere gli elfi e con loro c’eravamo anche noi. Presi la mia spada e mi preparai allo scontro, mentre grossi scudi spuntavano ovunque. In poco tempo il villaggio fu fortificato e pronto ad accogliere gli elfi oscuri, che non ci misero molto a raggiungerci. Peccato che trovarono una brutta sorpresa.
A guidarli c’era una femmina della loro razza che ringhiò di rabbia, nel vedere noi semidei. Dopodiché si rivolse a Blindivor.
«Cos’è questo tradimento, nano? Pensavo avessimo un accordo» sibilò infastidita, fissandolo dall’alto in basso.
Cosa on difficile, visto che Blindivor le arrivava all’ombelico.
«Un accordo strappato con le minacce, elfa» ribadì il nano, sardonico. «Ora preferisco rivederlo senza un pugnale puntato alla gola di mio nipote.»
«Maledetto» ringhiò l’elfa, per poi voltarsi verso noi semidei.
«Oh-oh, ora si arrabbia» scherzai sottovoce, rivolto a Leo, che ghignò.
«Voi! È tutta colpa vostra!» sputò, avvicinandosi ad Alex, senza attaccarlo. «Siate maledetti.»
«Siete dei rapitori e degli assassini, avete avuto quello che vi meritate» ribadì il capo, senza vacillare.
Incrociò le braccia ed il suo unico occhio si incatenò a quelli rossi dell’elfa oscura, come a sfidarla. La guerriera emise un ringhio, ma, appena vide che lei aveva solo dieci uomini di scorta, e noi, invece, eravamo tutti armati, esitò.
«Ci vendicheremo, nano. Ci vendicheremo su tutti voi. Statene certi» minacciò, fissandoci con odio.
«Sii felice che non ti uccidiamo ora» replicò Blindivor, facendo un passo avanti. «Non ci metteremmo niente a trucidare te e i tuoi amichetti elfi, ma, per questa volta, non ti faremo a pezzi.»
«Scelta sciocca, nano. Torneremo a vendicarci, e la prossima volta non ci limiteremo a prendere ostaggi» rispose l’elfa, tornando sui suoi passi.
Lei e i suoi compagni sloggiarono velocemente, lasciandoci solo a pensare a quello che ci aveva detto. Ma, sinceramente, non mi dava preoccupazioni. Non erano molto potenti e non ci avrebbero dato fastidio. Sapevo riconoscere le minacce a vuoto.
«Bene» disse Blindivor, sospirando. «Ce ne siamo liberati. Grazie a voi, semidei.»
E di nuovo l’aria si rilassò.
I nani posarono le armi e tornarono alle loro attività più entusiasti di prima, mentre le madri portavano a casa i piccoli appena liberati.
«Semidei, faremo una festa in vostro onore. Dopo quello che avete fatto, è il minimo» disse il capo nano, sorridendoci.
«Ci piacerebbe molto, ma come sa abbiamo parecchio da fare, non possiamo perdere tempo» spiegò Nora, dispiaciuta.
«Ah… Giusto, la vostra amica greca» ricordò Blindivor, lisciandosi la barba pensieroso.
«Sì. Lei sa dov’è?» chiese Alex, precipitosamente.
«Calma, figlio di Odino. Credo di sapere dove si trovi. Qualche giorno fa, un gruppo di elfi oscuri stava parlando di una spedizione di armi ad un cliente importante. Avevano la lingua sciolta e riuscii a strappar loro che dei giganti tenevano in ostaggio una semidea vicino ai relitti della nave di Erik il Rosso. Se è la vostra amica, allora, si trova là» rispose l’altro.
«Grande, finalmente un indizio concreto» esultò il figlio di Odino.
«Mica tanto. Cos’è la nave di Erik il Rosso?» chiese Jason accigliato.
«Erik il Rosso è uno dei nostri eroi più famosi» spiegò Sarah, sbuffando. «Era un figlio di Njordr molto abile in mare e fu il primo uomo a raggiungere la Groenlandia dall’Europa. Da lì, la sua famiglia e i suoi uomini arrivarono persino in America. Sono, a conti fatti, i primi ad averla scoperta.»
«Ah, sì, ne avevo sentito parlare» sussurrò il figlio di Giove, pensieroso.
«Accidenti, doveva essere un tipo tosto. Con le bagnarole che avevano al tempo, farsi un giro del genere non doveva essere una passeggiata» ironizzò Leo, fischiando ammirato.
«Elfo, tu non hai idea di quanto buone siano le drakkar vichinghe» ribadii, dandogli uno scappellotto.
Lui stava per rispondere, ma Sarah ci fermò.
«Ora basta voi due!» ordinò la figlia di Eir. «Farete crollare grotte quando saremo in superficie.»
«Oh, certo, tesoro» acconsentii, lanciandole uno sguardo allusivo a cui lei rispose con un sorriso sardonico.
«Attento a te, tesoro» fu la sua risposta. «Sono ancora in tempo per castrarti.»
Tutti ci mettemmo a ridacchiare sotto i baffi. Persino Blindivor si concesse una piccola risata.
«Be’, figlio di Loki, ho qualcosa anche per te» disse, avvicinandosi.
«Cosa?» domandai, tornando serio.
«Saperlo dipenderà da te. Ma, ai tempi del mio bisnonno, un tuo fratello si presentò a noi. C’è un’altra fortezza poco lontana da qui e questo tuo fratello vi nascose un’arma, un’arma molto potente che io ti consiglio di recuperare, se vuoi salvare la ragazza greca» spiegò, lanciandomi un’occhiata d’avvertimento.
Quell’arma era davvero importante.
«Dobbiamo proprio? Annabeth sarà in pericolo» fece notare Jason, allarmato.
«È vero, non possiamo rischiare» lo appoggiò subito Piper e, stranamente, anche altri sembravano d’accordo.
«Forse. Ma non vi consiglio di prendere le cose alla leggera» ci avvertì il capo nano.
«In che senso?» indagò Alex, sedendosi davanti a lui.
Credo che fosse per non farsi venire il torcicollo a forza di tenerlo piegato.
«A quel che ho capito di loro discorsi, c’è un intero esercito a sorvegliare quella nave. Avrete bisogno di tutte le risorse disponibili per batterlo. E siete pochi» rispose il nano, lisciandosi la barba.
«Quindi, siamo bloccati. Che bello» commentò il figlio di Efesto, sorridendo senza, però, sembrare molto allegro.
«Oh, ti sbagli, semidio. Voi avete aiutato me, io aiuterò voi. Ci avete salvati e ora posso di nuovo mettermi in contatto con i villaggi nanici vicini. Posso mandare messaggi e mettere su un centinaio di guerrieri in tre giorni.»
«Tre giorni bastano. Tra un paio arriverà la Skidbladnir con dei rinforzi. Avremo trecento guerrieri, se contiamo i miei Berserk e i nani. Saremo abbastanza per un attacco» convenne Ragnar, passando il pollice sulla lama della sua ascia.
Sembrava pensieroso e deciso.
«Allora, siamo d’accordo. Voi recuperata l’arma del figlio di Loki e, al ritorno, troverete tutte le forze necessarie per salvare la ragazza» assicurò il nano, con un sorriso.
«Molto bene. Grazie, Blindivor» disse Alex, alzandosi con un cenno di saluto.  
«Oh, no, figlio di Odino, grazie a voi» rispose, il nano, salutandoci, mentre imboccavamo il corridoio che ci avrebbe riportati in superficie.
 
 
«Be’, almeno  la dea con un nome da maschio ci ha dato un indicazione utile» commentò Leo, mentre con la sua fiamma faceva luce aiutandoci nella via del ritorno.
«Questo è poco ma sicuro. Adesso sappiamo dove colpire» assentì Finn con un sorriso, come se l’idea di una battaglia lo interessasse molto.
«Vero, ma avrei preferito fare a pezzi quegli elfi oscuri. Non ci siamo divertiti con loro» si lamentò Clarisse.
Stavo per ribattere, quando un tornado di capelli neri mi venne addosso, facendomi letteralmente volare via.
«Capo, preparati!» lo avvertii, prima di scansarmi.
Quando vedevo quel cipiglio sulla faccia di Astrid era segno che, dieci ad uno, lei si era svegliata con la luna storta.
«Cosa ma… Astrid, che ci fai qui?» chiese Alex, sorpreso, prima che lei gli puntasse l’indice al petto come se fosse una pistola.
Subito dietro Helen, Rachel e Lars fissavano la scena allibiti.
«Mi dispiace, Alex, abbiamo provato a fermarla, ma non ci siamo riusciti» si scusò il figlio di Eir, anche se sembrava più interessato che arrabbiato.
«Tranquilli, io…»
«Tu ora mi spieghi perché mi hai lasciata indietro! Cosa succede? Improvvisamente sono diventata un peso, per te?» ringhiò la figlia di Hell, nervosa.
Scenata di gelosia in arrivo.
«Astrid, eri ferita! Quel cinghiale ti aveva lussato la spalla, non potevi combattere: volevo semplicemente che ti riprendessi» spiegò il figlio di Odino.
«Avresti potuto avvertirmi!» urlò lei, lanciandogli un’occhiataccia.
«Stavi dormendo, avevi bisogno di riposo!» fu la risposta altrettanto urlata di Alex.
Intuendo che la situazione stava per degenerare, provai a fermarli, ma Astrid mi anticipò: «Certo, facile lasciarmi con la Spazzola Sonica, Bianca Pallida e Faccia Muta. Però, ti sei portato dietro Miss Bellezza d’oltre Oceano» ringhiò lei, indicando Piper.
Improvvisamente, ebbi una gran voglia di rimettermi il giaccone, mentre un silenzio imbarazzato avvolgeva tutti. La maggior parte di noi riprendeva la salita per non prender parte a quella discussione. Piper era diventata rossa come la fornace di un nano, mentre Jason stringeva i pugni, improvvisamente nervoso. Gli occhi di Leo ballavano tra tutti i presenti rimasti, tanto che sembravano stessero per uscirgli dalle orbite. Alex sembrava spaesato, e anche un po’ pallido.
«Questo… non c’entra nulla» rispose.
Ma sembrava indeciso anche lui.
«Ma sentiti, non sei nemmeno bravo a nasconderlo» sussurrò Astrid, improvvisamente triste.
«Astrid…»
«La scelta è tua, Alex. Sei libero di fare come ti pare» mormorò Astrid, con un tono molto simile al pianto. «Ma pensavo che fossi un minimo importante, per te.»
Detto questo, fece un passo indietro e ci lanciò un’occhiata glaciale a tutti. Alex provò ad avvicinarsi per prenderle la mano.
«Tu sei importante.»
Ma lei era già sparita nelle ombre.
«Lo sei davvero…» sussurrò, abbassando lo sguardo.
Jason lo superò, lanciando contro di lui uno sguardo glaciale, cosa che trovai un po’ crudele, ma non lo biasimai. Piper sembrò voler dire qualcosa, ma, alla fine optò per il lasciarlo da solo a sbollire. Altro fatto che dimostrava la sua intelligenza.
Leo mi guardò ed io annuii. Appena rimasi solo con Alex, mi avvicinai a lui e gli posai una mano sulla spalla.
Stava piangendo.
«Avanti, capo. Si aggiusterà tutto» lo rassicurai, cercando di essere convincente.
Se solo avessi potuto, avrei usato la lingua ingannatrice per dargli qualche falsa speranza. Ma con lui mi sentivo male solo al pensiero di controllarlo. Alex mi rispose con un mugolio incerto e si incamminò verso la superficie.
«Freyja, lasciatelo dire, sei una bella stronza» dissi, rivolgendomi al soffitto, conscio che, alle sue orecchie, quello era più un complimento.
 
 
Quella sera, nonostante il successo, il capo sembrava abbattuto. Su indicazione di Blindivor identificammo il forte che ci aveva indicato e decidemmo chi portare. Alex, Astrid, me, Lars, Leo, Jason e Piper. Nessuno di più, questa volta. Meglio essere pochi. Nora avrebbe preso il comando. Alex, però, era distrutto. Sembrava che, all’improvviso, dirci cosa fare gli pesasse più di un macigno sulla schiena. Si ritirò presto nella sua tenda e Astrid non lo degnò di uno sguardo. Mi sentii improvvisamente escluso. Astrid e Alex erano i miei migliori amici e, all’improvviso, mi sentivo impotente. Non potevo aiutarli.
Sbuffai irritato, sentendo il desiderio di tirare un pugno a qualcosa, ma non potevo. Una volta solo, nella mia tenda, mi sedetti sul sacco a pelo e tirai fuori lo specchio comunicante. Dovevo parlare con qualcuno.
Posai l mano su di esso e mi concentrai su Nico che, sapevo, ne possedeva uno simile. La mia immagine sparì dallo specchio, sostituita da una nebulosa nera che si agitava, fino a che, sulla superficie, non apparve la magra figura di Nico Di Angelo.
Tuttavia, sullo sfondo, vedevo una specie di stanza militare. Mi ricordava la mia camera al Campo Nord e, su una cuccetta, era addormentata una ragazzina molto carina dalla pelle scura.
Era acciambellata sotto le coperte e i bei capelli scuri sembravano una folta chioma leonina. Era più piccola di Nico che, guarda caso, era seduto su uno sgabello accanto a lei e la guardava con preoccupazione.
«Ehi, Di Angelo, carina la tua ragazza. Hai finalmente deciso di passare all’altra sponda?» chiesi, attirando la sua attenzione.
«Dèi dell’Olimpo!» strillò, cadendo a terra dallo spavento.
La ragazzina alzò la testa e aprì gli occhi ancora assonnati. Sembravano due pepite d’oro.
«Nico… che succede?» domandò, con la voce impastata.
«N-nulla, Hazel. Torna pure a dormire» rispose velocemente, lanciando sullo specchio il suo giaccone d’aviatore per coprire il mio volto.
Non potei fare a meno di ridacchiare.
«Ma che ci facevi nella mia stanza?» sentii chiedere alla ragazzina.
«Scusa. Pensavo stessi avendo un incubo e sono venuto a controllare, però vedo che sei calma» spiegò Nico, con voce stanca. Come se, ultimamente, avesse molte preoccupazioni.
«Non scusarti. Grazie, fratellone» sussurrò Hazel.
Fratellone?, pensai, con un sorriso. Be’, almeno lui era felicemente riunito ad un suo familiare.
Mentre la sentivo rimettersi le coperte, Nico afferrò la giacca e lo specchio comunicante e mi fissò a lungo, facendomi capire che non era il momento.
«Ho capito, ti ho disturbato» dissi, con un sorrisetto. «Pensavo fosse la tua ragazza.»
«Non è la mia ragazza» rispose, lievemente irritato. «È mia sorella. È… appena tornata.»
«Tornata? Di che si tratta?» indagai, interessato.
Nico esitò qualche minuto, ma, una volta che riuscii a notare che era uscito all’esterno, lui mi spiegò che sua sorella era tornata in vita e di come lui era andato al Campo Giove per poterla aiutare ad integrarsi di nuovo nel mondo moderno. Lui stesso si era rifugiato lì come ambasciatore di Plutone.
«Dì un po’, ma tutti i figli di Plutone sono dei tizi provenienti dal secolo scorso?» domandai ironicamente, quando lui finì.
«Ah-ah. Molto divertente» borbottò lui, lanciandomi un’occhiataccia. 
«D’accordo, capisco. Quindi: Campo Giove, casini vari. Anche qui le cose stanno degenerando. C’è il rischio che scoppi la guerra» dissi, iniziando a spiegare quello che stava succedendo.
Nico rimase in silenzio ed ascoltò ogni cosa.
«Credo che, se continuano a premere in questo modo, potremmo dire addio all’alleanza» sussurrò il figlio di Ade, sconsolato.
«Non che prima avessimo tutte queste possibilità. Siamo messi male lo stesso» scherzai, cercando di non sembrare troppo pessimista.
«La fai facile tu» commentò Nico, lanciandomi un’occhiata strana.
«Per questo mi ami» ribattei, facendogli l’occhiolino.
Subito Nico assunse una sfumatura rossa simile ad un pomodoro.
«Ma smettila, non è vero che ti amo!» si difese, scuotendo il capo.
«Sei adorabile quando cerchi di nascondere l’imbarazzo» dissi.
Avrei voluto arruffargli i capelli.
«E tu sei insopportabile. In ogni situazione» ribatté il ragazzino, ormai impossibilitato a nascondere il rossore.
«Be’, non posso essere il ragazzo perfetto» spiegai, senza nascondere un sorriso divertito.
«Tu non sei il mio ragazzo.» Nico abbassò lo sguardo e sospirò. «Non è il mio posto, nemmeno qui» disse, sconsolato. «Forse per mia sorella. Ma non per me.»
«Mi pare che quando sei venuto a casa mia, stessi bene.» Gli ricordai quando, per un mesetto,  usava casa mia come punto d’approdo per i suoi viaggi d’ombra.
«Non è la stessa cosa. Einar, io sono greco, ma non trovo posto adatto a me da nessuna parte, né al Campo Giove né a quello Mezzosangue» spiegò il ragazzino, abbattuto.
«Un posto lo trovi sempre, credimi. E se proprio non lo fai, cerca una persona, non un luogo. E sappi che io sarò sempre con te» promisi, fissandolo con dolcezza.
Mi chiesi come si dovesse sentire, così sperduto.
«Non fare promesse che non puoi mantenere, Einar» mi avvertì.
«Che peccato, io intendo mantenerla» sussurrai, sorridendogli. «Ci vediamo, Nico. E qualsiasi cosa accada, io non ti lascerò indietro» aggiunsi, chiudendo il contatto con lui.
La nebbia nello specchio stava per addensarsi, quando lo sentii pronunciare due parole: “Grazie, Einar.”
 
♪Leo♪
 
Dopo il discorso di Astrid, Alex e compagnia parevano diventati improvvisamente schivi e antipatici. Jason si era rintanato nella sua tenda con il muso lungo, mentre Piper aveva deciso di uscire a fare pattuglia con Rachel e Bethany, ma, a mio parere, aveva bisogno di un consiglio da donne. Quindi, rimasi solo nel mio sacco a pelo a rimuginare.
Avevo voglia di capire i problemi di Afrodite e Freyja. Ma che avevano contro di noi? Avevamo fatto loro qualcosa, o erano sadiche di loro? Pensai che fosse la seconda.
Sospirai e mi rigirai nel sacco a pelo. Il freddo non mi colpiva affatto. Era altro a darmi fastidio. Nel tempo in cui ero stato con loro, avevo fatto amicizia con Einar e Alex. Il fatto che Jason sembrasse così antipatico mi faceva sentire un po’ in colpa. Forse dovevo parlargli, ma temevo si sarebbe arrabbiato ancora di più. Il suo nervosismo era contagioso.
Accanto a me Jake Mason era impegnato a scrivere qualcosa su un tablet in bronzo celeste.
«Ragazza?» chiesi, poco desideroso di fare battute.
«No. Sto parlando con Beckendorf. Sai, il nostro capo cabina prima che arrivassi tu» spiegò, poggiando lo schermo per terra.
«Oh, già, il ragazzo esiliato. Quindi è al Campo Nord che si è rifugiato» intuii, ricordandomi la storia del capo cabina scappato per amore.
Sempre l’amore… Sembrava che fosse la via più veloce per incasinarsi.
«Sì. Lui e Silena Beauregard sono venuti qui dopo che nostro padre maledisse la Casa di Efesto. Sperava che la sua assenza sciogliesse la maledizione» mi raccontò, con un sospiro.
«E adesso dov’è?» chiesi, alzando gli occhi.
«Sta venendo qui. Guiderà lui la Skidbladnir fino a raggiungerci con i rinforzi. Spero che vada tutto bene» rispose, stendendosi a sua volta.
«Bene, perché sono anche curioso di conoscerlo. A quel che so fu lui a trovare Festus, prima che io gli attaccassi le ali» dissi, ricordando quello che si diceva al Campo Mezzosangue.
«Già. Ma il drago scappò di nuovo e poi l’hai ritrovato tu» concluse Mason, coricandosi.
Pensai a quanto andarsene dal Campo Mezzosangue potesse aver influito sul carattere di quel Beckendorf. Alla fine, erano sempre i casini amorosi a far muovere la gente. Non che ce l’avessi con le donne o altro, ma non potevo negare che l’amore sembrava quasi più un problema che un aiuto, in certe situazioni.
Eppure, era una bella cosa che una persona si fidasse così ciecamente di te. Doveva esserlo. Altrimenti, perché la gente desiderava così tanto essere amata?
Sotto questa nota allegra, mi addormentai per iniziare uno dei bellissimi sogni da semidei in situazioni pericolose.
 

Fortuna che non fu il solito incubo orripilante in cui vedevo un super mostro distruggere il Campo Mezzosangue e tutto il mio lavoro. Anzi, fu quasi piacevole trovarmi in una fucina di dimensioni gigantesche. Il che era strano dato che, a lavorarci, c’erano dei nani.
Avevano tutti la pelle e le barbe scure per il duro lavoro e la fuliggine. Al loro comando c’era un dio – perché di dio si trattava senza dubbio – seduto su una sedia a rotelle mobile, intento a studiare un progetto. Aveva lunghi capelli ricci stile Frankestein e occhi che luccicavano d’oro. Accanto a lui, mio padre era intento a lavorare ad un cellulare.
«Ciao, figliolo» mi salutò, senza alzare lo sguardo dal suo lavoro.
«Ehm… ciao, papà» lo salutai, un po’ sorpreso. «Dove… dove ci troviamo?»
Lui mise in tasca i pezzi del telefono portatile e dette una pacca sulla spalla al dio disabile.
«Ti presento Volund, mio collega nordico, nonché unico dio che, per qualche ragione, non mi ha dichiarato guerra in forma nordica mentre ero Vulcano.»
Solo dirlo parve renderlo diverso, ma, subito, si ricompose. Come se si stesse sforzando di essere Efesto, in quel momento.
«Non avevo motivo di prendermela con te. Odino è sempre stato un pazzo guerrafondaio, quasi quanto Giove» spiegò Volund, arrotolando il progetto, per poi fissarmi. «Così… questo è il tuo valente figlio, eh?»
«Ehm… valente?» ripetei, sorpreso dal fatto che mio padre avesse tessuto le mie lodi con qualcuno.
«Certo, figliolo. Stai creando quella nave, direi che non potrei non essere fiero del tuo lavoro. Ma attento, figlio mio. Il difficile deve ancora arrivare» mi avvertì Efesto, lisciandosi la barba.
«Che bello» commentai. «Avevo proprio bisogno di essere confortato.»
«Non scherzare, piccolo semidio» mi consigliò Volund, avvicinandosi a me. «Tuo padre mi ha chiesto aiuto per combattere i Giganti e Gea. Ma se tutto va come crediamo, presto noi saremo impegnati nella guerra contro Ymir. Quindi, non vi resterà altro che chiedere aiuto ai Romani.»
«Grazie, ma… Giunone sembrava molto convinta della sua idea» ricordai, pensando a quanto, effettivamente, la dea mi sembrasse una stupida, ma comunque abile, manipolatrice.
«Ed io mi dovrei fidare di quella scema di mia madre? Che si sia presa un sacco di calci nel didietro non fa altro che farmi piacere, anche se temo cosa succederebbe se i vostri due Campi si scontrassero» spiegò Efesto, sedendosi su un grande sgabello.
«Cosa succederebbe?» chiesi, interessato.
«Oh, impazziremmo. Faremmo guerra alla nostra personalità romana, saremmo fuori controllo. A quel punto, non servirebbe a nulla. Non potremmo intervenire contro i Giganti» chiarì mio padre, con una certa ansia nella voce.
«E i Giganti possono essere sconfitti solo se un semidio e un dio collaborano, sì, me lo ricordo» dissi, mettendomi a gambe incrociate.
«Esatto. Speravo che Volund potesse fare da intermediario. Se i nordici potessero aiutarci, non avremmo bisogno di rimettere insieme le due parti» spiegò il dio del Fuoco.
«Bah. Inutile, ormai, ora che quel figlio di Giove è con i Greci, chi lo sente Odino? Non posso proprio farci nulla» replicò il dio fabbro nordico, avvicinandosi ad un enorme scudo poggiato su un tavolo e studiandolo con aria critica. «Quest’arma non è bilanciata, troppo spessa.»
«Sarà…» commentai, tornando a concentrarmi da mio padre. «Quindi, che si fa?»
«I nordici, sicuramente, sono ottimi alleati, ma sarà molto difficile legare Roma ad Asgard. Loro avranno un ruolo importantissimo nel futuro, però non so dirti se ci salveranno o distruggeranno. L’unica cosa certa è che devi impedire ad Alex e Jason di scannarsi. Se il loro sangue bagnerà i ghiacci del nord, sarà la fine di tutto» mi istruì, deciso.
«Questo sì che si chiama incoraggiamento» ironizzai, senza fargli notare che mi stava praticamente dicendo: “Ehi, figliolo, sai che da te dipende il destino del mondo intero?”
«Farò del mio meglio. Ma come la mettiamo con Toante?» domandai, pensieroso, invece di lamentarmi.
«Non preoccuparti» mi rassicurò Volund. «Quando arriverà il momento, ci sarò io ad aiutarvi. Quel Gigante non si deve permettere di mettere piede sul mio territorio. Ma attento, figlio di Efesto. Attento al guerriero che porta il Dente dell’Antico Lupo.»
«Che?» feci, sorpreso.
Ma il sogno iniziò a dissolversi.
«Oh, fantastico! Zeus scoccia sempre nei momenti meno opportuni» si lamentò Efesto, osservando il soffitto, mentre io mi svegliavo e la voce di Jason mi chiamava.
 
 
Dopo colazione preparai il mio zaino. Alex aveva chiesto a noi perché eravamo i migliori tra i greci e cercava di non tenere nessuno all’oscuro di niente. Aveva da subito fatto presente che, qualsiasi arma trovata, anche noi dovessimo esserne a conoscenza. Jason si era trovato d’accordo e avevamo accettato di unirci alla squadra.
Clarisse stava discutendo con il figlio di Giove, ma la mia attenzione era catalizzata su Astrid e Piper, che erano pericolosamente vicine. Avevo paura che la loro vicinanza avrebbe innescato la bomba e decisi di andare a fare i bagagli più vicino a loro. Cosa che si rivelò davvero utile.
«… Di’ un po’, Piper, quanto ancora hai intenzione di continuare a recitare? Ormai, tanto, hai fatto colpo» stava dicendo Astrid, con una voce che era fredda come le lastre di un iceberg.
Piper aveva l’aria colpevole di chi sa di essere la causa di un problema ma non sa come risolverlo.
«Forse dovresti cercare altri bersagli, già che ci sei» continuò la figlia di Hell, come se stesse parlando del tempo. «Ci sono un sacco di coppie felici da rovinare. Nora e Finn, per esempio. Oppure Charles e Silena, già che ci sei.»
Quelle allusioni mi sembravano un po’ troppo crudeli nei confronti della mia amica. Capivo la rabbia di Astrid, ma approfittarne in quel modo per infierire in situazioni che non erano complicate solo per lei non mi sembrava affatto giusto.
Piper, intanto, chiuse l’ultima zip del suo zaino e si morse le labbra per non rispondere. Sapevo che stava tentando di non peggiorare le cose, ma l’altra riprese più duramente di prima.
«So che il tuo nome significa flauto, Piper. Be’, con un nome del genere stai pur certa che un giorno te le suonerò» disse con un sorriso sornione. «O che mi insegnerai ogni tecnica per suonare quello strumento.»
Per Piper fu la goccia che fece traboccare il vaso. Si alzò di colpo e si voltò per fronteggiarla, ma decisi che dovevo evitare casini, così mi avvicinai e le cinsi le spalle con il mio braccio destro, dandole una spinta all’indietro.
«Ehi, Miss Mondo, ti trovo bene, oggi. Fresca come una rosa. Ti va di fare due chiacchiere? Sì che ti va, vero?» chiesi, conducendola – trascinandola – lontano.
«Leo! Ma che fai?» domandò sorpresa, mentre il mio arrivo lasciava a bocca aperta entrambe.
Il che mi dette il tempo di una ritirata strategica.
«Cavolo, ragazze, cosa cavolo succede?» chiesi alla mia amica, appena fummo lontani.
Lei crollò a terra abbattuta.
«Non… non lo so» sussurrò esasperata. «Io non ce l’ho con Astrid. È una brava persona, in fondo.»
«Sicuro, finché non minaccia di scuoiarti» scherzai, cercando di tirarla su. Missione fallita.
«Non ha tutti i torti. Mi sento in colpa per quello che sto provocando. Per colpa mia, qui si rischia una strage» si lamentò Piper, trattenendo le lacrime.
«Be’, non si può dire che qui ci sono molti rischi, ma non ho capito: chi ti piace, dei due?» indagai, cercando di aiutarla.
«È questo il problema Leo. Non lo so più nemmeno io. Jason… Jason è fantastico. Ma siamo legati da una dannatissima illusione. E da quando è apparso Alex sembra che il mondo si sia capovolto. Anche lui è un bravo ragazzo, ed è onesto e sincero. Non so più nemmeno io chi mi piace!» sbottò, asciugandosi gli occhi lucidi. «Com’è possibile che la mia vita sentimentale sia così incasinata?»
«In effetti lo è… Però, senti, Miss Mondo, io non so come vanno certe cose, ma di una cosa sono certo: sei una brava ragazza. Alla fine, saprai fare la scelta migliore per tutti. Dopotutto, sei sempre stata la migliore» la rassicurai, poggiandole una mano sulla spalla.
«Lo spero, Leo. Lo spero davvero» sussurrò, abbracciandomi.
Uscimmo dalla fortezza pochi minuti dopo. Io ed Einar facemmo il tacito accordo di tenere le parti litigiose ben lontane l’una dall’altra. C’era da dire che, pur essendo i migliori, i nostri rapporti inter-gruppo erano fragili come una lastra di bronzo celeste appena tolta dal fuoco.
Mi avvicinai a Jason, che sembrava quello meno su di giri.
«Ehi, amico, tutto a posto? No, aspetta, non credo» lo salutai, dandogli una pacca sulla spalla.
«No, infatti. Non vedo l’ora che questa storia sia finita. Una fortuna che non ci siano stati troppi problemi» rispose, mentre il suo sguardo indugiava su Alex in modo strano.
«Avanti. Perché sento che c’è qualcos’altro, oltre a lui, a preoccuparti?» chiesi, cercando di concentrare la sua mente su qualcosa che non fosse il figlio di Odino.
«In effetti non stavo pensando a lui, ma ad altro» spiegò iniziando a raccontarmi di uno strano sogno avvenuto poco tempo prima.
Un sogno in cui Giunone e Frigga parlavano di una pedina e di una corona che i romani avrebbero rubato. Mi mise al corrente di un paio di cose interessanti.
«Allora, fammi capire. I Romani si sarebbero impossessati della corona di Odino?» domandai, stupito.
«A quanto pare. Credo che sia questo il vero motivo per cui i nordici ce l’hanno con noi, ma dovrò indagare meglio. Per ora so solo che, ricordandomi di una leggenda, i sopravvissuti della battaglia di Teutoburgo furono pochissimi. Ma uno di loro portò a Roma un oggetto di grande valore e che avrebbe garantito la salvezza del nostro popolo» spiegò,  posando una mano sul  mento pensieroso.
Sembrava che stesse combattendo il suo desiderio di proteggere Roma.
«Credi si tratti di quella corona?» indagai.
«Penso di sì, però dovrei tornare a Nuova Roma per esserne sicuro» disse, continuando ad avanzare, mentre i suoi occhi si facevano tristi, al ricordo di casa sua. Non doveva sentirsi bene così lontano da casa.
Avanzammo ancora qualche ora, mentre la tensione sembrava venir meno. Astrid riuscì persino a guardare Piper senza saltarle alla gola – o forse stava architettando qualcos’altro.  Pensai che stesse filando tutto liscio, quando sentii la temperatura abbassarsi di colpo. Cosa strana, dato che faceva già così freddo da farmi tremare.
«Capo, questo freddo non è naturale» commentò Einar, rivolto al figlio di Odino.
Tutti si erano accorti del gelo improvviso.
«Hai ragione. Ho una brutta sensazione» convenne Alex, estraendo Excalibur, che sembrò risplendere in modo innaturale, quasi tentasse di respingere la magia che ci stava avvolgendo.
All’improvviso, una sagoma ci sorvolò. Ali bianche come il ghiaccio solcarono il cielo, mentre una bellissima ma glaciale ragazza armata di spada dentellata atterrava davanti a noi. Indossava l’armatura greca e gli occhi azzurri così chiari ci squadravano minacciosi.
«Peccato che debba solo rallentarvi, avrei voluto uccidervi tutti» commentò Chione, avvicinandosi.
«Grandioso, mancavi solo tu alla festa» ringhiò Jason, estraendo il gladio.  
«Amica tua, Grace?» fece Einar, con un sorrisetto, mentre impugnava la sua spada.
«Ci mancherebbe altro» sibilò il figlio di Giove, per niente felice di questo incontro inaspettato.
«Giusto, i vostri amici non mi conoscono! Lasciate che mi presenti: io sono Chione, dea del ghiaccio e della neve presso i Greci. E voi… be’, voi potreste essere le nuove statue che aggiungerò alla collezione del mio palazzo» ci informò la dea, con un sorrisetto rassicurante come lo sguardo di un maniaco con un coltello in mano.
«Grazie mille, Chione» rispose prontamente Alex. «Ma non ci interessa l’offerta.»

 
koala's corner.
Oggi, cari semidei, abbiamo tutti il cervello fuso, quindi scriveremo grandi cavolate, evvai! Siamo anche molto dislessici.
*dietro le quinte* Ax, dammi il capitolo per il titolo!
Sorvolando sui nostri sogni erotici, sostanzialmente in questo capitolo Astrid scaric... chiede una pausa riflessiva ad Alex. E nello stesso tempo, Leo parla con gli unici Dèi che non vogliono uccidersi a vicenda.
A differenza delle regine degli Dèi, che sono delle sadiche e amorevoli bastarde. Tra una situazione di merda e l'altra, quatto quatto, vede Nico...
... perché i due si possono vedere quando vogliono e, soprattutto, quando vogliamo noi.
E alla fine, ritorna Chione! Che, a differenza di molti di voi, mi piace anche abbastanza lol
Grazie, come sempre, per seguirci e recensirci :3 Alla prossima!

Soon on DdN: POV Piper/Astrid - oooh, questo sarà divertente ragazzi! Potrebbe comportare angst e molto altro, ma sarà fantastico! *unicorni volano in cielo*
 

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Capitolo 14
*** PIPER/ASTRID • Cadiamo in basso, molto in basso ***


Cadiamo in basso, molto in basso
(così tanto che sprofondiamo nell'ignoranza di non saper dare titoli decenti)

 
►Piper◄
 
Chione rise brevemente, e quando finì un sorrisetto le si era stampato sulla faccia. «Ecco, per esempio, considerate le tue proporzioni, ti vedrei benissimo nel mio palazzo.»
Astrid fece roteare una mezzaluna con un fluido movimento del polso, la riprese e ne strinse il manico. «Ecco, per esempio, considerate le tue proporzioni, ti vedrei benissimo a quel paese» la motteggiò.
Se il mio stomaco non fosse stato stretto in una morsa, probabilmente avrei riso – cosa che fecero sia Leo che Einar, meno impediti di me. Nessuno poteva negare alla figlia di Hell la prontezza di spirito, ma, se non ce l’avesse avuta, probabilmente non sarebbe sopravvissuta alla Battaglia di Manhattan. A differenza mia, lei aveva scoperto presto di essere una semidea e aveva imparato fin da subito a difendersi.
«Oh, no, piccolo sgorbio» sibilò Chione, incenerendo Leo con lo sguardo. «Di me tu non ridi.»
E quindi lo congelò dalla testa ai piedi, trasformandolo in una statua umana di ghiaccio. Questo stupì più i nordici che me e Jason, che avevamo già avuto l’occasione di vedere i poteri della dea all’opera.
«Lascialo libero, ora» ordinò il figlio di Giove. «In Canada eravamo solo in tre, ma adesso siamo cinque contro uno. Sarai anche una dea, però non così forte.»
Chione strinse i pugni lungo i fianchi, sforzandosi di mantenere intatto il sorriso. «Tu mi sottovaluti, Jason Grace.»
«Non credo» replicò lui.
«E poi» lo spalleggiò Alex, a sorpresa, «ti hanno mandato qui per trattenerci, in attesa che qualcuno di più abile e potente di te ci sconfigga.»
«Nessuno mi ha detto di venire» quasi gridò Chione. «Sono allo stesso livello degli altri. Non ricevo ordini né li eseguo, faccio ciò che voglio come voglio, a differenza di quando stavo dalla parte degli Dèi.»
«Oh, perché non ce lo dimostri, dolcezza? Avanti, uccidici tutti» incalzò Einar.
Avrei voluto urlare: Cosa?, ma se il figlio di Loki aveva un piano era meglio assecondarlo. Aveva le stesse sfumature suicide dello scorso, però, e questo non mi faceva impazzire.
«Cerca pure di ingannarmi, mezzosangue» ribatté Chione. «Ho idee più gloriose e programmi prestabiliti a cui attenermi, e non mi farò mettere in sacco da una feccia come te. Sta’ certo che ci sono cose peggiori della morte. In ogni caso…»
Del ghiaccio iniziò a ricoprire la scarpa destra di Einar, risalendo sulla caviglia e fermandosi sotto il ginocchio. Alex lanciò un’occhiata preoccupata al suo amico.
«Cos’hai intenzione di fare, allora?» domandò il figlio di Odino.
Chione si picchiettò le labbra con l’indice, fingendosi pensierosa. «Be’, per cominciare, mi piacerebbe divertirmi con voi. Specialmente con la deliziosa Piper McLean, però.»
Il mio primo pensiero fu: Perché tutti ce l’hanno con me? Sbuffai mentalmente.
«Mettiti in coda, bella» sbottò Astrid.
La dea rimase piacevolmente stupita. «Come?» disse.
«Ho detto: mettiti in coda, bella» ripeté Astrid. «Non sei l’unica ad avere un conto in sospeso con lei.»
Gli occhi di Chione brillarono di una luce maligna. «Piper McLean ha fatto sì che il figlio di Giove declinasse la mia offerta di rimanere con me per sempre, salvandomi dalla straziante compagnia dei miei due fratelli. Lei e la sua lingua ammaliatrice sono portatrici di sventura e per questo devono essere eliminate dalla faccia della Terra» raccontò. «La pensi così anche tu?»
La figlia di Hell si strinse nelle spalle. «Be’, più o meno…»
«Cosa?» sbottai, incapace di restarmene in disparte. «Ma dove stiamo, a Colazione Con Gli Assassini? Da quando la mia dipartita è oggetto di una conversazione così allegra?»
In quel momento, il ghiaccio intorno a Leo finì di sciogliersi e una palla di fuoco partì in direzione della dea, la quale si scansò prontamente. Il figlio di Efesto fumava e parte dei suoi vestiti erano bruciacchiati, ma era riuscito a liberarsi del ghiaccio.
«Tu…» Chione era più che alterata. «Ora basta chiacchiere!»
Una tempesta di neve si addensò alle sue spalle, mentre noi ci lanciavamo all’attacco. Leo era corso in aiuto ad Einar, in modo da liberargli la gamba. Jason e Alex, i primi a raggiungere la dea, vennero respinti, mentre io, Lars e Astrid riuscimmo ad arrivarle più vicino.
Cristalli di ghiaccio mi finirono in faccia e la neve mi pungeva gli occhi, costringendomi a chiuderli. Provai a menare un fendente alla cieca, ma era inutile. Sentii due mani stringersi attorno alle mie spalle e, quando schiusi le palpebre, la faccia del figlio di Eir era a due centimetri dalla mia.
«Sta’ indietro» disse. «Non sei stata addestrata per queste condizioni meteo, meglio se ti tieni lontana ed eviti di farti male.»
Mi allontanò dalla tempesta di neve che roteava attorno al corpo di Chione.
Così eviti di farti male. Come se fossi una bambina di sei anni che giocava coi coltelli. Era vero che non possedevo abilità particolari, né sapevo usare una spada come si deve e l’unica arma che portavo con me era un pugnale, ma quel trattamento era eccessivo. Giusto ieri non avevo liberato dei bambini-nani da una fortezza inespugnabile?
Non è abbastanza, evidentemente, pensai. Non è mai abbastanza. Sei inutile. Come sempre.
Fu grazie alla visibilità migliore, libera dalla bufera, che lo vidi arrivare. Correva a grandi falcate, veloce come un ghepardo, e brandiva uno spadone di dimensioni enormi.
Afferrai il braccio di Lars, che già stava ritornando a combattere. Guardò me, corrucciato, e capì che qualcosa non andava. Alzò gli occhi, incrociando quelli della bestia che ci veniva incontro. Il guerriero – perché di sicuro lo era – si avvicinava a una velocità impressionante e Lars lo accolse per primo.
Si abbassò di scatto, evitando di venire decapitato, si rialzò, scartò di lato, menò un fendente a vuoto, incrociò la lama con il nemico e scambiò con lui un paio di colpi, prima che la spada gli venisse strappata via di mano e che un colpo di piatto al torace lo scagliasse a terra. Il tutto avvenne in circa tre secondi.
Fissai il figlio di Eir, incapace di capire come fosse finito lì.
«Alex Dahl!» ruggì il ragazzo, e la voce mi fece tremare da capo a piedi. «Vieni a combattere con me, se non sei un codardo!»
La tempesta di neve si acquietò un poco, tanto bastava per far uscire le figure di Alex e Astrid. La figlia di Hell si immobilizzò di colpo, la mano destra prese a tremarle incontrollabilmente. Realizzai dopo il perché.
La faccia del guerriero. La sua faccia era identica a quella del figlio di Odino.
«Non sono un codardo» rispose Alex, calmo.
Si avvicinò al nuovo arrivato, studiandolo. Incontrare il proprio sosia doveva essere scioccante, ma lui non lo dava a vedere. Sollevò Excalibur. Il suo alter ego lo imitò, toccando la punta della spada con quella delle propria.
«Con chi ho il piacere di duellare?» s’informò.
La sua calma era totalmente fuori luogo.
«Con colui che ti ucciderà» rispose l’altro, con il forte accento che faceva suonare tutte le parole come insulti.
Alex sollevò un angolo della bocca. «Ho combattuto e sconfitto molti tuoi amici, allora.»
«Non sconfiggerai me» ribatté l’altro.
Attaccò, ma Alex era pronto. Scattò come una molla, schivando lo spadone. E poi fu tutto un susseguirsi di colpi parate luccichii di lame muscoli in tensione espressioni concentrate grida feroci stoccate affondi tensione sudore morte.
Passò un secolo intero, prima che i due si separassero, ansimanti. Sembravano due cavalli schiumanti dopo una corsa estenuante al galoppo.
L’ombra di un sorriso illuminò il viso del guerriero sconosciuto, quando incominciò ad indietreggiare. Andava indietro, sempre di più, distanziandosi di metri e metri. Alex recuperava il fiato, fissando l’avversario senza capire cosa volesse fare.
All’improvviso, il suo avversario smise di indietreggiare. Puntò lo spadone sopra di sé e iniziò a correre, macinando i metri appena guadagnati. Ne mancavano meno di tre, quando saltò. Al suo atterraggio, conficcò lo spadone nel mezzo del ghiaccio, in profondità. Non successe nulla finché non lo estrasse.
Sulla superficie congelata si formarono delle crepe sottili, che si ingrandirono e si ingrandirono, crebbero fino a diventare spaccature, e le spaccature voragini. Alex ne era circondato.
Feci un passo indietro, tentando di allontanarmi dalla zona critica.
Crick. Crack.
Mi morsi le labbra per non mettermi a gridare o a piangere.
«Alex» disse Astrid. «Rimani immobile. Vengo lì a prenderti con un viaggio d’ombra. Non c’è poi così tanta luce e…»
«Sta’ lontana» replicò il figlio di Odino, duro. «Non metterti in pericolo inutilmente.»
«La tua vita non è inutile!» urlò allora lei. «Sei essenziale!»
Ed era ovvio che non intendeva per gli Dèi o per gli altri, ma per se stessa.
«Anche tu!» le gridò di rimando lui. «Riesci a capire che sto cercando di salvarti?» aggiunse piano, come se si stesse lamentando.
Il guerriero rise di gusto. Astrid alzò la testa con uno scatto felino e lo guardò come si guarda l’escremento di un cane.
«Brutto figlio di put-» Preferì scagliargli contro una mezzaluna che completare la frase.
Il sosia di Alex, però, afferrò al volo l’arma, prima che gli si conficcasse tra gli occhi. Dopodiché, la abbatté sul terreno, non troppo distante dai suoi piedi. Benché fosse lontano dall’epicentro delle crepe, quel colpo bastò a mandare in frantumi il ghiaccio su cui camminavamo noi altri. Il terreno che si separava produsse un rumore acuto e forte, ripetuto più e più volte.
Tentai di scappare, ma correvo sul nulla.
Sbattei il mento sul ghiaccio e
mani che si aggrappano
unghie che stridono e incidono
aiuto!
Scivolare in bas
   so più in                     
                                         basso
E poi
(Tutto insieme)
 
Caddi.
 
♦Astrid♦
 
Due persone sedevano vicine. Quella a sinistra guardava fisso davanti a sé. Quella a destra, invece, conficcava la sua arma nel terreno ghiacciato, incidendo delle tacche sempre più profonde. Non pensava a nulla se non al suo lavoro inutile. Il freddo le mordeva le guance e non se ne accorgeva. Quella a sinistra cercava il buono nella situazione, quella a destra non aveva più speranze. Tu eri quest’ultima.
 
 
Il mondo era vuoto e bianco, schifosamente bianco. Le persone usavano dire che il bianco era il colore della purezza, che rappresentava il bene eccetera eccetera e che, invece, il nero era la personificazione del male. Si sbagliavano; quelle erano tutte cavolate. Il bianco era il colore del nulla, e non c’era niente più spaventoso del nulla. Il nero, invece, riempiva. Ma, in quel momento, nel mondo quel colore si era estinto.
 

Sarevock – l’alter ego di Alex, l’alleato di Kara e il rapitore di Annabeth che Leo aveva visto in sogno – se n’era andato insieme a Chione dopo che il figlio di Odino e Piper erano precipitati nella voragine che aveva creato. Sotto il ghiaccio c’era l’acqua, acqua gelida, e probabilmente nessuno dei due sarebbe sopravvissuto.
Per questo, sia lui che la dea avevano convenuto che non c’era più bisogno di perdere il loro prezioso tempo con noi semidei. Chione voleva vendicarsi di Piper e l’aveva fatto, così come Sarevock voleva uccidere Alex e ci era riuscito.
Forse.
C’era sempre quel “forse”, che aleggiava sopra di noi, infondendoci speranza o qualcosa di simile.
Io incidevo il ghiaccio con la mia mezzaluna, la testa sgombra da ogni pensiero che non fosse in relazione a quel compito. Lars era seduto accanto a me, su un masso sporgente. Mi piaceva perché stava zitto. Einar e Leo stavano vicini.
Jason continuava a scendere nella voragine volando, come se servisse a qualcosa. Non era un figlio di Poseidone come Percy, né una di Njordr come Petra, ed era inutile che tentasse di calarsi giù. Non sarebbe riuscito a recuperare Alex e Piper, ne eravamo tutti coscienti.
Quando ritornò in superficie, era più infreddolito della volta precedente, ma non voleva ancora demordere. Conficcai la mezzaluna nel ghiaccio.
A me non importava di nulla se non di quello. Non mi importava nulla. N-U-L-L-A.
Il ghiaccio e la neve erano così bianchi da fare schifo.
«Jason, forse è meglio se vieni qui e ti riscaldi un attimo…» tentò Leo.
Il figlio di Giove fece per obbiettare, ma Einar lo precedette: «Continuare così è inutile, amico. Rimani con noi e aiutaci a formulare un piano.»
Anche se di malavoglia, il semidio romano si accovacciò accanto a Leo, che manteneva acceso un fuocherello sospeso in aria. Stese le mani verso le fiamme, crogiolandosi di quel calore. Beato lui che poteva farlo, a differenza di Al–
Conficcare la mezzaluna nel ghiaccio. Solo quello. Una tacca, due tacche. Avanti così. L’universo attorno a me non esisteva.
«Astrid?»
Rialzai la testa e la scossi. «Eh?»
«Sei tra noi, dolcezza?» mi riprese Einar, rivolgendomi un fiacco tentativo di sorriso sornione. «Stiamo cercando di vagliare le diverse possibilità che ci rimangono. Ci servirebbe anche il tuo contributo.»
«Cioè?» gracchiai.
«Puoi capire se Piper e Alex sono vivi, in questo momento?» chiarì.
Graffiai il ghiaccio con il filo della mia arma. Mi presi tutto il tempo del mondo, prima di rispondere. «Non ne sono sicura. Potrei provare con Alex, perché gli sono piuttosto vicina intimamente» – o, almeno, lo ero – «ma non so se funzionerebbe con Piper. Non sono nemmeno brava a controllarlo. È una sensazione improvvisa, come quella che ho avuto a New York mentre si svolgeva il duello con Crono. Adesso dovrei cercarla di mia iniziativa e…»
«Provaci e basta, okay?» mi interruppe Jason. «Se è vivo lui, può darsi che lo sia anche Piper…»
Fui tentata di scagliargli la mezzaluna a due centimetri dalle palle. «Non te ne frega un cazzo di Alex, non è vero?» lo accusai. «Lui ha garantito per te, per non farti ammazzare dagli Dèi appena messo piede in Norvegia, e tu te ne sbatti altamente, giusto?»
Il figlio di Giove rimase muto.
Avvertii il folle desiderio di scoppiare a ridergli in faccia, ma sarei sembrata un tantino pazza, e in quei giorni mi ero già screditata abbastanza.
Alzai le mani. «Va bene, va bene, ci provo lo stesso» dissi.
Ignorai le occhiate stupite, confuse e arrabbiate di quei cinque ragazzi. Sapevo benissimo ciò che dovevo fare: concentrarmi su Alex, così tanto quasi da diventare lui, e avrei capito quanto era vicino alla morte.
Sapere non equivaleva a volere, però, perché io non desideravo affatto pensare a lui. Per niente. La perfezione consisteva nel nulla emotivo che mi avvolgeva mentre mi interessavo solo di scavare tacche sempre più profonde nel ghiaccio con la mia arma. Vinsi le mie resistenze perché, nonostante tutto, dovevo. Magari non per me, ma per gli altri, però dovevo.
Così lo feci.
Pensai ad Alex, escludendo il mondo intero eccetto lui, la sua figura, che aleggiava dietro le mie palpebre chiuse. Una ridda di ricordi mi invase.
Il suo sorriso. Le sue mani. Le braccia la bocca i tendini le labbra i denti. Vortici di sensazioni ed emozioni, forti e deboli, morbide e dure, lisce e ruvide.
Affogare l e n t a m e n t e
 
 
«Smettila!»
«Di fare che?»
«Ma sentilo! Come se guardarmi fosse nulla!»
«Astrid, sei la mia ragazza. Ovvio che ti guardo. Sei bellissima.»
«Ma…»
«Non ti sei messa la gonna apposta?»
 
 
Alex mi pone un dito sulle labbra e mi interrompe. «Tu vali tutto il mio tempo. Tu dai vita al mio tempo.»
 
(Siamo fiammiferi accesi durante una tempesta, destinati a spegnerci alla prima folata. Che cosa conta quanto intensamente brilleremo, se siamo tutti condannati ad estinguerci con la nostra fiamma?)

 
E poi la sua faccia. Si deformava, si trasformava, si plasmava nuovamente. Diventava la sua e quella di un altro. Quella di Sarevock. Tutte le sue emozioni gridavano rancore, vendetta, dolORE…  Uscire dal vortice, uscire dal vortice, uscire dal vortice, uscire dal-
 
 
Mi conficcai le unghie nelle tempie e cacciai un grido. Einar fu davanti a me e Lars mi strinse un braccio.
«Astrid?» mi chiamò il figlio di Loki, preoccupato.
Mugolai qualcosa e mi misi le testa tra le ginocchia. Aprii la bocca e lasciai fioccare la saliva, aspettando il vomito che sentivo bruciare in gola.
«Respira» mi istruì Lars, la voce salda. «Piano e profondamente.»
Provai a dire “è difficile”, ma sentii la bile ostruirmi l’esofago. Premetti forte le ginocchia contro le orecchie e feci quello che mi diceva, passo per passo.
Un imprecisato tempo dopo, stavo ancora da schifo, ma non così da schifo. Stringevo tra le mani una tazza di tè bollente che non avevo intenzione di bere.
Leo non riusciva a togliersi dalla faccia un’espressione ebete e un tantino inquietata. Einar mi studiava di soppiatto, sicuramente sentendosi in qualche modo responsabile. Lars era il più tranquillo di tutti, perché persino Jason si era preso un colpo. Nessuno aveva ancora trovato opportuno chiedermi il motivo di quel malore improvviso.
Così, esordii: «È stata colpa della sua faccia. Ho pensato ad Alex, mentre cercavo il legame che ci univa, e il suo volto è cambiato ed è diventato quello di Sarevock. Ho sentito le sue emozioni, il suo stato d’animo, non quello di Alex.»
Lars annuì. «Voi non siete riusciti a vederlo per bene, ma, esclusi i capelli bianchi e alcune cicatrici, i loro due volti sono uguali» spiegò.
Einar, Jason e Leo si irrigidirono.
«È impossibile che Alex abbia un sosia» obiettò il figlio di Giove. «Non ha neanche un fratello.»
Leo scosse la testa e fece un smorfia. «Mi dispiace, Clark Kent biondo, ma ora che ci rifletto, anche nel mio sogno i due si assomigliavano non poco.» Sospirò. «Questa storia sarebbe molto più figa in un film.»
«Già» concordò il romano.
«E che cosa sei riuscita a vedere di Sarevock?» mi domandò Einar.
Strinsi le mani attorno alla tazza, cercando maggiore calore. «Vendetta, condita da molto odio. Soprattutto dolore, però. Come se avesse perso qualcosa» raccontai. «Suonerà strano, ma i suoi stati d’animo sapevano tutti di sangue.»
«Tanto che ti veniva da vomitare» intuì allora.
Annuii. «Ho la sensazione che sia più di una somiglianza fisica, ciò che lo unisce ad Alex» mormorai.
«Nessuno di noi l’ha mai incontrato prima, però» intervenne Jason. «Com’è possibile che siano legati, per così dire?»
«Questa non è la questione più importante, ora» replicò Lars. «Al di là di questi problemi, dobbiamo ancora decidere cosa fare.»
«La tua praticità è disarmante, Grande Silente» chiosò Einar.
Mi scappò un sorrisetto. «È anche utile, Grande Silente» lo difesi. «Sei il secondo in comando di Alex, è giusto che prenda tu le redini del gruppo. Sempre che qualcuno non abbia qualcosa da ridire.»
Scoccai un’occhiata penetrante al figlio di Giove, che non ne parve molto felice. Scrollò le spalle e disse, con forzata naturalezza: «Per me va bene.»
Per una frazione di secondo, intravidi un barlume d’ansia illuminare il dietro della maschera di imperturbabilità di Lars. Poi, mise giù il piano come lo avrebbe fatto un vero comandante.
«Molto bene. A questo punto, non possiamo fare altro che dividerci. L’arma di cui ci ha parlato Blindivor è necessaria, soprattutto ora che abbiamo potuto vedere la vera forza di Sarevock. D’altro canto, non possiamo abbandonare Alex e Piper.»
Tirai un sospiro di sollievo mentre lo diceva.
«Quindi» continuò, «l’idea migliore è separarci: Einar ci guiderà verso l’arma lasciata da un suo predecessore, mentre un’altra persona ritornerà al forte e informerà gli altri. Nel caso il gruppo di Einar raggiungesse in fretta la meta, aspetterà i rinforzi per proseguire.» Si passò una mano tra i capelli biondi. «Domande?»
Scuotemmo tutti la testa.
«Io vorrei accompagnare Einar, se possibile» disse Leo, scambiando uno sguardo con il figlio di Loki. «C’è sempre bisogno di un po’ di fuoco.»
«Soprattutto se dovesse tornare la frigida Regina delle Nevi» ricordò il moro.
«Perfetto. Altri volontari?» chiese Lars.
Alzai la mano. «Mi propongo per ritornare il forte e organizzare l’operazione di recupero di Alex e Piper.»
Sì, okay, la figlia di Afrodite non era nella mia Top 10 di Amiche Per La Pelle, ma non la volevo davvero morta. Solo un pochino sofferente, magari. Omettere soccorso sarebbe stato un atto troppo crudele persino per me.
«Non è sicuro, per te, andarci da sola» intervenne Jason, scettico. «Non mi sembri molto in forma e dovresti partire subito; cosa succederebbe se un mostro ti attaccasse?»
«Lo ucciderei» ribattei, secca.
«Nessuno dubita delle tue abilità e della tua cazzutaggine, dolcezza» si mise in mezzo Einar, prima che scoppiasse la Terza Guerra Mondiale. «Sta solo dicendo che forse ti servirebbe un compagno, così come sarebbe utile a qualsiasi altro di noi.»
«Non ho bisogno di una balia» ringhiai, incenerendolo con un’occhiataccia – che, purtroppo, non lo intimidì.
Jason tossicchiò. «Non sarei una balia» disse, piano.
Lo guardai con la stessa espressione di un bambino di fronte al suo primo ornitorinco allo zoo.
«Può andare» decise Lars. «Io, Einar e Leo andremo alla ricerca dell’arma, mentre Astrid e Jason torneranno alla fortezza.»
Brontolai qualche commento poco carino e rovesciai il tè, ormai tiepido, sulla neve ai miei piedi, che si colorò di un giallino piscia.
«Perfetto! Prepariamoci, amici!» esclamò Leo nel silenzio ostile e imbarazzante che si era formato.
Non guardai Jason, mentre mi infilavo il berretto e stiravo le dita dentro le due paia di guanti. La prospettiva di un lungo cammino con lui mi faceva venire i bruciori di stomaco.
«Sii buona» mi sussurrò Einar all’orecchio, tirando su lo zaino.
Gli tirai uno scappellotto. «Sei un pagliaccio, non Babbo Natale» lo schermii.
Il figlio di Loki mi rivolse un sorrisone a trentadue denti.
Osservai il gruppetto dei tre semidei allontanarsi, superando la voragine in cui erano scomparsi Alex e Piper, finché fu difficile distinguere le loro figure.
«Andiamo?» mi sollecitò Jason, terminando di regolare uno spallaccio dello zaino.
Mi riscossi. «Sì» risposi. «Sì, arrivo.»
Il figlio di Giove si voltò, iniziando a camminare nella direzione opposta agli altri. Lo seguii, fissandogli la nuca. Gli ultimi raggi del Sole gli si infilavano tra i capelli, sfumandoli di un arancio lieve, e quell’istante sembrò dilatarsi all’infinito. Poi, ripresi a muovermi e la magia s’infranse.

 
 koala's corner.
 
*canticchiando canzoni di Natale* Buonsalve, semidei! Forse non lo sapete, ma Odino è Babbo Natale - anche se non ha le renne e non gradisce venire chiamato "Babbo Odino."
Ovviamente Natale è un periodo felice, e noi ovviamente scriviamo angst e suspence. S i a m o n o r m a l i!
Chione è una stronza, anche se un po' mi piace, perché ha qualche punto in comune con Loki. ... Perché sto incominciando a shipparli?
Ma arriva Sarevock, soprattutto. Se ve lo state domandando, sì, ci divertiamo a non dire chiaramente chi è ^^
E no, NON E' il fratello perduto di Alex.
Visto che amiamo le tradizioni, Alex noon poteva non morire/rischiare di morire anche in DdN! Non è una cosa fantastica? *-*
*Sìsignorcapitano!*
Lars prende il comando, e questo è importante, anche se in questo momento sembra solo fare un po' l'ombra di Alex.
E poi è il mio cucciolo, aw *-* I love him so much! C'è un piccolo momento di amicizia tra Astrid ed Einar, che comunque insieme ne hanno passate tante - e unita da tragedie.
Qui abbiamo finito, buone feste!

Soon on DdN: Credevate seriamente che gli elfi oscuri non sarebbero ricomparsi? ILLUSI.
 

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Capitolo 15
*** ALEX/JASON • Quando pensi di aver raggiunto il fondo, devi ancora iniziare a scavare ***


Quando pensi di aver raggiunto il fondo, devi ancora iniziare a scavare
(ve l'abbiamo già detto che non siamo capaci di fare titoli decenti)
•Alex•
 
La caduta durò pochissimo, se considerato che i metri sembravano miglia. In realtà, le fredde acque del nord erano solo ad una quindicina di metri. Tuttavia, il tonfo fu davvero doloroso. Mi sentii come se avessi colpito una strada asfaltata con degli spuntoni di ghiaccio puntati verso l’alto.
Per poco non svenni all’impatto, ma il peggio fu resistere al freddo che venne subito dopo. Fu come essere immersi in una vasca di chiodi. Migliaia di micro-punture gelide si irradiavano tutto intorno a me, mentre l’acqua mi invadeva la bocca ed il naso, occludendo le vie respiratorie. Annaspai disperatamente alla ricerca della superficie, ma ero intrappolato in un vortice di bollicine e la vista appannata per il dolore di certo non aiutava.
Mossi freneticamente le mani e, quasi per caso, riuscii ad afferrare quelle di Piper, che si stava dimenando anche lei, accanto a me. Cercai di stringerla, per darle coraggio, ma ero io stesso nel panico, quindi fu difficile capire se il messaggio fosse arrivato.
Nel panico, tentai di rilassarmi, per non agitare l’acqua e riuscire ad individuare la superficie.
Nella mia testa iniziarono a rimbombare le lezioni di sopravvivenza che Hermdor era solito impartire a tutti i ragazzi del Campo, spesso con eccessiva durezza.
“In una situazione di pericolo agitarvi non serve a nulla! Vi rende solo più nervosi e più propensi a morire giovani più di quanto già non lo siate. Quindi, mantenete la calma e analizzate la situazione!”
Intorno a me vedevo solo il blu di un oceano sconfinato, imprigionato sotto una gabbia gelata che apriva le porte al regno dei giganti. Non c’era segno di vita. Né pesci né mostri marini. Sopra di me scorreva, ad una velocità spaventosa, il ghiaccio.
Sapevo che, anche se apparivamo vicini alla superficie, l’impatto e la corrente ci avevano trascinato molto al di sotto, in quanto, di solito, il 90% del ghiaccio è sott’acqua. Ne va di logica che, se fossimo stati trascinati un po’ più in basso di qualche metro, saremmo stati schiacciati dalla pressione. Eravamo al limite e già sentivo un leggero dolore al petto.
“I nostri antenati erano grandi navigatori. Per noi, non saper nuotare è come non saper camminare, cioè: INCONCEPIBILE! Se vi trovate sott’acqua dovete fare in modo che la poca aria che avete duri il più a lungo possibile. State fermi come statue e muovete solo gli arti che vi servono per stare a galla! Non sprecate energie e controllate il vostro battito cardiaco. Pochi minuti potrebbero fare la differenza tra la vita e la morte!”
La corrente era rallentata. Dovevamo essere finiti abbastanza lontano, ma era difficile capirlo. Piper, accanto a me, sembrava svenuta. Ora, invece di tenerla per mano, le stavo proprio impedendo di affondare come un sasso.
Ma anche io stavo iniziando a cedere. Il freddo mi intorpidiva ed era difficile stare vicino alla superficie gelida del ghiacciaio. L’aria mi mancava e la vista era sempre più scura.
Fui certo che sarei morto là sotto, quando una luce attirò la mia attenzione. Uno spazio piccolissimo, largo come una vasca da bagno, da cui si irradiava una luminescenza azzurrina, come il riflesso del sole su un vetro di una cattedrale.
La speranza di salvezza mi ridette quel tanto di energia che mi bastò per nuotare con Piper fino lì.
Gli Dèi ci stavano aiutando, perché quella era davvero una grotta di ghiaccio.
Annaspai avido d’aria, rompendo la superficie, certo di non aver mai respirato prima. Tremavo per il freddo e la fatica, ma riuscii a trascinare fuori dall’acqua anche la figlia di Afrodite e ad adagiarla sulla superficie di terra gelata. Eravamo finiti su quella che sembrava la costa di un’isola sommersa dal ghiaccio.
Spazzai via i cristalli di gelo che ricoprivano il terreno. Tremavo e avevo crampi in ogni parte del corpo. Piper era messa peggio: le labbra erano diventate blu e lei non respirava. Eravamo entrambi fradici e questo non ci aiutava certo a resistere al freddo.
Mi feci forza e mi avvicinai. Le toccai il polso.
Era fermo.
«F-fantastico» commentai, con le labbra che mi tremavano.
Dovevo fare qualcosa o sarebbe morta. Ed io non volevo che morisse.
«D’accordo. T-ti hanno i-insegnato… a-ad a-affrontare q-queste situazioni» mi dissi, mentre, con un leggero imbarazzo, accostavo la mia bocca alla sua per immetterle un po’ di ossigeno nei polmoni.
Dopodiché, congiunsi le mie mani sul suo petto e spinsi ripetutamente cinque volte di fila. Al Campo erano frequenti corsi di pronto soccorso ed ero abbastanza bravo ad operare un massaggio cardiaco, ma, con lei, mi sentivo leggermente in imbarazzo e vagamente in colpa.
Cercai di scacciare dalla testa ogni possibile immagine che potesse sembrare equivoca e mi concentrai sull’idea di salvarla. Che poi non capii come mai mi fossero venute in mente certe cose.
Ci volle quasi un minuto, ma, alla fine, Piper annaspò e tossì dell’acqua dalla bocca, mentre il suo cuore ripartiva con un sussulto. Ansimava per il freddo e tremava.
«F-f-fred-do…» riuscì a bisbigliare, mentre si rannicchiava in posizione fetale.
«L-lo s-so» bisbigliai, tremando.
Cercai tra ciò che era rimasto nel mio zaino, ma non trovai nulla di utilizzabile. Era tutto fradicio d’acqua e non ci aiutava certo. Ero talmente disperato che mi sedetti accanto a lei, rinunciando a salvarmi con le mie sole forze. Nella mia mente iniziai a pregare gli Dèi, dato che era la mia ultima carta da giocare. Difficile dire se mi stessero ascoltando: non ero più nelle grazie di mio padre.
Ma se avessi saputo quale divinità mi avrebbe risposto, forse, avrei preferito l’assideramento.
«Alex Dahl, è quasi un anno che non ti vedo di persona» commentò una voce nella mia testa.
Mi voltai e, sulla superficie dell’acqua gelida da cui io e Piper eravamo appena usciti, torreggiava la figura di Frigga. Era alta, con lunghi capelli biondi stretti in una crocchia. Gli occhi di ghiaccio nascosti dietro il velo argenteo ed un sorriso di superiorità velato da una leggera amarezza, le solcava le labbra, anch’esse nascoste.
«Divina F-frigga» biascicai, osservandola. «V-viene a v-vedermi m-morire? Sono c-certo che s-sarà un b-bello spettacolo.»
Inutile tentare di controllare il tremore. Ero praticamente congelato.
«Credi davvero che io sia così crudele?» chiese, quasi sarcastica.
Sbuffai: «Hai c-cercato di u-uccidermi e d-di d-distruggere la mia f-famiglia. T-ti p-piacerebbe r-restare q-qui a g-guardare mentre m-muio c-congelato.»
«Non mi dispiacerebbe, è vero. Ma non puoi morire così, non senza combattere. Tu mi servi vivo, Alex Dahl» mi spiegò con pazienza la dea, mentre i suoi occhi indugiavano su di me.
«Ma d-davvero? N-non sembravi p-pensarlo, q-quando hai m-mandato fuori s-strada la m-macchina di m-mia m-madre me-mesi f-fa» dissi, furibondo, ma, per qualche ragione, non riuscivo ad essere completamente arrabbiato.
«Stiamo divagando. E poi volevo uccidere lei, non te» fu la veloce risposta che liquidò l’argomento, riprendendo prima che io potessi aggiungere altro. «Ora ascoltami bene, Dahl. Tu e questa figlia di Afrodite state morendo, lei ha pochi minuti e tu poche ore. Io posso salvarti. Offrimi la ragazza ed io ti trarrò in salvo.»
Fissai la dea con aria sospetta. Offrire Piper? Perché? Cosa ci guadagnava Frigga ad ottenere per sé una semidea greca?
«E p-perché la v-vorresti?»
«Per ingraziare la mia nuova alleata. Gea vuole una semidea io posso offrirgliela, e tu aiuteresti Asgard» spiegò, con un sospiro scocciato.
«Cosa!? Gea!? Sei pazza!» gridai, così sorpreso da fermare i tremori per un attimo.
«Attento, figlio di Odino, non mettere alla prova la mia pazienza. Gea ci propone un’alleanza molto vantaggiosa: la distruzione di Roma.»
«L-lei… lei è alleata c-con Ymir!» sbottai, irritato. «S-sta c-con il v-vostro nemico!»
«Vero. Ma Gea lo abbandonerebbe se noi offrissimo di meglio. Kara è una disperata, noi daremmo un aiuto concreto. Roma merita la fine. Annienta Jason Grace e dammi la ragazza, abbandona i Romani ed i Greci» mi ordinò, stringendo i pugni.
La sua pazienza era agli sgoccioli.
«M-mai. Sei pazza! M-mio p-padre non accetterà m-mai!» risposi, sputando la risposta come se fosse veleno.
«Il folle sei tu. È vero, tuo padre non vuole un’alleanza, ma io la stringerò per lui, prima che sia Loki ad anticiparci. E tu non hai scelta, o accetti o muori» comandò, decisa.
«È pur s-sempre u-una scelta. P-poi, s-se s-sono così i-importante… a-allora aiutaci» strinsi i denti.
Dovevo giocarmi il tutto per tutto, tanto o morivo o mi salvavo.
La dea mi fissò con l’aria di una persona che ha appena pestato del vomito e non sa come toglierlo dalle scarpe. I suoi occhi di ghiaccio indugiavano su di me, come per decidere il modo più crudele per torturarmi.
«Ho le mani legate, Alex Dahl»  sussurrò, alla fine, la dea.
Con uno schiocco di dita, sentii il freddo allontanarsi da me ed i vestiti, e tutto si asciugò. Smisi di tremare e Piper aprì gli occhi, sorpresa. Excalibur apparve in mano a Frigga, che la porse a me, quasi disgustata.
«Mi hai forzato la mano, figlio di Odino, ma non approfittarne. Il mio guinzaglio non ti abbandonerà mai.»
Detto questo, sparì.
«Cos’è successo?» chiese Piper, alzandosi.
Aveva riassunto un colorito naturale e sembrava star bene.
«Abbiamo appena ricevuto la peggiore delle offerte» commentai, con un sospiro. «Ma sono riuscito a migliorarla. Ora meglio andare.»
Ci guardammo intorno. La grotta di ghiaccio era grande quanto un salotto e, poco lontano, intravidi un’apertura; sembrava naturale, scavata dall’acqua. Prendemmo le nostre cose e ci coprimmo al meglio. Dopotutto, eravamo stati salvati dall’assideramento, ma il freddo era ancora pungente.
Excalibur spandeva la sua luce argentea, permettendoci di vedere dove mettevamo i piedi. Il ghiaccio intorno a noi si apriva in un corridoio che, per usarlo, dovemmo rimanere chini.
«Dove credi che siamo finiti?» chiese la figlia di Afrodite, dopo diversi minuti di silenzio.
«Bella domanda» risposi, senza rallentare. «Di sicuro lontano da dove dovremmo essere, ma non sono certo di poter dire quanto ci ha spostati… qualche metro, forse, o anche un chilometro.»  
Detto così era davvero poco rassicurante, e mi sentii smarrito. Camminavamo alla cieca lungo un corridoio gelido senza indicazioni. Dove stavamo andando? Saremmo usciti o saremmo rimasti in trappola? Ci stavamo avvicinando o allontanando dai nostri amici?
Continuammo a lungo, molto a lungo, anche se la mancanza di un punto di riferimento come il Sole ci impedì di capire quanto tempo fosse veramente passato, ma, alla fine, decidemmo di accamparci. Trovammo, in uno dei cunicoli, uno spazio abbastanza grande da ospitarci e decisi che potevamo sederci lì.
Usammo tutto ciò che avevamo per coprirci ed isolarci dal freddo, dopodiché ci sedemmo, appoggiando la schiena alle pareti di terra. Sopra di noi, la cupola di ghiaccio rifletteva la luce di Excalibur che a malapena schiariva l’aria, permettendoci di vedere. Piper aveva assunto un pallore irreale, a quella luminosità, dandole l’aspetto di uno spettro.
«Che si fa, ora?» domandò la figlia di Afrodite, stringendosi ancora di più addosso il giaccone.
Faceva sempre molto freddo.
«Non lo so. Questo corridoio sembra sia stato, in parte, scavato. Forse troveremo una via d’uscita» dissi, sperando ardentemente di non congelare prima.
«Speriamo» ammise lei.
Cadde un silenzio imbarazzante che nessuno osò rompere. Mi sentivo bene, con lei, ma c’era anche un profondo disagio collettivo. Non volevo rovinare la vita delle persone. Jason e lei stavano insieme ed io mi ero messo in mezzo, facendo, tra l’altro, soffrire Astrid. Cosa sarebbe successo se Piper avesse legato con me fin oltre il limite? Scossi la testa, non volendo pensarci.
«Dobbiamo parlare…» disse, ad un certo punto, la figlia di Afrodite, lanciandomi un’occhiata penetrante.
La fissai e mi parve che le sui iridi multicolore stessero iniziando a mostrare la parte più scura di loro. Annuii e la fissai, mentre sospirava. Potevo dire ogni cosa su di lei, ma non che non fosse bellissima. Nonostante tentasse di nasconderlo, era molto bella.
«Dobbiamo essere chiari» iniziò, alzandosi.
«Certo» convenni, intuendo di cosa volesse parlare.
Stava per dire qualcosa quando, di colpo, si zittì. Qualcuno si stava muovendo. Un rumore di passi di marcia che si avvicinavano dal punto avanti a noi che non avevamo ancora esplorato.
«Oh mamma…» sussurrò Piper, spalancando gli occhi dalla paura, estraendo il pugnale.
Estrassi la spada e mi misi al suo fianco, pronto a difendermi da qualsiasi attacco. I passi continuarono per diverso tempo e, nell’oscurità, scintillarono delle armature. Un gruppo di elfi oscuri.
«Oh, no, questa non ci voleva» mormorai, rendendomi conto che, questa volta, eravamo noi in inferiorità numerica.
Loro erano venti, come se ci stessero aspettando, e, appena ci videro, abbassarono le lance, urlando qualcosa nella loro lingua.
«Piper, stai indietro!» gridai, alzando la spada e roteandola.
La prima linea si spezzò e due di loro finirono a terra, feriti a morte, ma una lancia mi colpì alla spalla, affondando fino all’osso. Menai fendenti in tutte le direzioni, però, in poco tempo, i nemici mi accerchiarono.
Piper tentò di aiutarmi, mettendosi alle mie spalle, ma aveva solo un pugnale e poteva fare ben poco per resistere, infatti, ad un certo punto, un colpo di spada la disarmò. Provai a difenderla, ma erano talmente tanti che, appena mi voltai, un elfo mi colpì al fianco e  mi sbilanciò, mandandomi a terra.
«Alex!»
Piper provò ad aiutarmi, ma due braccia forti la afferrarono e la misero in ginocchio. A quanto pareva, non volevano ucciderci, il che era strano. I nostri nemici, di solito, puntavano all’uccisione. Altri due di loro mi misero in ginocchio e mi legarono le mani dietro la schiena. Provai a togliermeli di dosso, ma ero indebolito dal freddo e dalle ferite.
«Bene, bene… chi abbiamo qui?» sussurrò una voce stranamente familiare. «Le nostre protezioni avevano individuato un intruso nei tunnel secondari,ma questa è davvero una gradita sorpresa.»
«Gli Dèi hanno uno strano senso dell’ironia» ringhiai, notando che, a parlare era stata la stessa elfa al comando del forte, ove tenevano prigionieri i nani.
Indossava un’armatura a maglie nere e, sulla mano, aveva un ragno di medie dimensioni. Le loro sentinelle. 
«Dovrei dirlo io, semidio. Mi stanno facendo un regalo inaspettato» disse, avvicinandosi a me.
Con uno scatto mi alzò la manica mettendo in luce il mio tatuaggio.
«Ed un figlio di Odino, poi. Questa è una sorpresa meravigliosa» aggiunse, con un sorriso che aveva ben poco di rassicurante.
Provai a dimenarmi, ma servì solo a farmi ricevere un calcio allo stomaco. Gemetti e mi piegai in due per il dolore.
«Se ci lasciate andare, forse…» provò a dire Piper, nel tentativo di usare la lingua ammaliatrice, ma l’elfa le tirò uno schiaffo, zittendola.
«Silenzio!» urlò la guerriera, irritata. «Per colpa vostra sono stata ridicolizzata davanti a tutti i miei simili. Portateli via! Deciderò più tardi cosa fare della ragazza. In quanto a lui… be’, mi divertirò personalmente a fargliela pagare.»
I guerrieri ai suoi ordini sollevarono me e Piper di peso e ci spinsero lungo il corridoio. Dovevo trovare il modo di fuggire perché, qualsiasi cosa volessero fare, probabilmente ci avrebbero uccisi entrambi.  
 
■Jason■
 
Il viaggio di ritorno fu una specie di tortura. Non per il fatto che io e Astrid litigammo, anzi, non facevamo nulla del genere. Era quello il problema. Il silenzio.
Odiavo che, in quel momento, non riuscissimo nemmeno a litigare. In questo modo, inevitabilmente, iniziavo a pensare a Piper, chiedendomi se fosse viva, se fosse morta, se stesse bene e cosa stava facendo con Alex.
Ok, no, non volevo nemmeno rispondere all’ultima domanda e mi concentrai sul fatto che stessero bene.
Cosa che, per esperienza, sapevo altamente improbabile. Un semidio non stava mai bene. Soprattutto se cadeva in una voragine dentro un mare gelido.
Sospirai, provocando l’emissione di una nuvoletta di alito condensato davanti a me e ripresi la marcia più veloce di prima.
 «Sei stanco, Grace?» chiese, ad un certo punto, la figlia di Hell.
«Ho affrontato di peggio» risposi, senza fermarmi.
Osservai i suoi lunghi capelli ondeggiare dietro di lei. Non mi sorpresi che Alex si fosse innamorato di lei perché, nonostante il suo carattere riservato e ostile, era molto bella. Mi chiesi se non nascondesse di più.
«Sempre pronto a mettere gli altri in ombra, eh?» domandò sarcastica.
«Hai problemi con me, per caso?»
«No. Solo che si stava meglio, prima che tu arrivassi» disse, fermandosi di colpo e fissandomi furiosa. «Alex era normale, noi ed i greci andavamo d’accordo e non c’erano altre guerre alle porte. Alex ha già rischiato tanto, per venirvi ad aiutare contro Crono!»
Mi bloccai e strinsi i pugni. Non potevo negare che la mia presenza stesse infastidendo la loro armonia, ma anche loro non mi stavano certo aiutando. A parte Alex – che, però, non riuscivo a farmelo piacere – nessuno di loro, Astrid in primis, mi aveva aiutato a sentirmi meglio. Potevo contare su una mano il numero di nordici che mi stavano simpatici.
«Sentimi bene» sbottai, facendomi avanti. «Non sei l’unica che è infastidita! Credi che a me faccia piacere ritrovarmi qui? Sto facendo uno sforzo enorme per ignorare mio padre e, allo stesso tempo, essere d’aiuto. Non mi state rendendo le cose facili. Almeno il tuo ragazzo ci provava a darmi una mano.»
«Adesso lo ammiri?» chiese, aggressiva, anche se con una nota di stupore nella voce.
«Sì…» ammisi, calmandomi. «Non sono un idiota, solo uno stupido non lo ammirerebbe. Ha coraggio ed è intelligente. Se solo non sentissi di odiarlo anche quando respira, sarei suo amico. Ma con mio padre che mi urla nella testa di ucciderlo e Odino che fa lo stesso con lui, ho anche il timore di avvicinarlo. Quindi, sì, lo ammiro. Questo non significa che io debba essere il suo cagnolino… o che voi mi consideriate tale. Non ho mai chiesto di essere capo e non ho mai chiesto di essere trattato in modo privilegiato. Chiedo solo di essere trattato in modo civile.»
Cadde il silenzio, mentre un vento leggero soffiava sulla valle, alzando nuvolette di neve.
Sospirai, ripensando a quanto mi sembrasse facile, la vita, al Campo Mezzosangue. Non c’era una legge così dura, come a Roma. Ma era ugualmente un luogo protetto e tranquillo, così come lo era il Campo Giove, senza però la stringente morsa di ogni minimo cavillo romano.
Come sarebbe stato bello se tutti i Campi fossero stati come il Campo Mezzosangue… o il Campo Nord. Dal poco che avevo visto, era la perfetta via di mezzo.
«Okay, Grace, ma non sarà facile. I ragazzi del Campo Nord… be’, non mi piace parlarne, soprattutto perché sono affari loro e non miei, ma posso dirti questo: Alex vive al Campo Nord da quando aveva nove anni. Ha lavorato per farsi rispettare. E noi non concediamo fiducia tanto facilmente. Ma sappiamo riconoscere chi ha buone intenzioni, alla fine. Per quel che mi riguarda, ammetto che, forse , ho sbagliato su di te. Può darsi che tu sia davvero una brava persona. E spero che anche gli altri lo capiscano, seppur con il tempo. Anche se a volte te ne esci proprio fuori da stronzo» concluse la figlia di Hell, guardandomi negli occhi.
Mi ricordava così tanto quel ragazzo figlio di Plutone, Nico. Sembrava che qualcosa, nel cuore di quella ragazza, fosse molto fragile. Che fosse il rapporto con Alex? Avrei voluto chiederglielo, ma qualcosa mi trattenne.
Non credo le farebbe piacere parlarne con me, mi dissi, riflettendo un secondo.
Decisi che sarebbe stata lei a parlarmene, se fosse stata in vena di confessioni, senza che la costringessi io.
Riprendemmo la marcia, ma, almeno per ora, quell’opprimente sensazione di disagio sparì e mio padre si zittì. Sospirai di sollievo.
 

Non ci volle molto per tornare indietro, alla fin fine. Appena entrato, il calore della stanza mi invase e fui felice di non dovermi più tenere il pesante giaccone che non potevo togliermi in un luogo così freddo.
«Astrid! Jason!» ci salutò Nora, sorpresa nel vederci. «Che ci fate qui?»
«Dobbiamo parlare con te. Alex e Piper sono dispersi» dissi, per poi iniziare a spiegare l’accaduto.
«Dannazione» imprecò la figlia di Odino, quando le spiegammo l’accaduto. «Questa non ci voleva, potrebbero essere morti!»
«Non credo» precisò subito Astrid, accigliata. «Io non ho sentito nulla di specifico sulla loro morte… anche se è successo qualcosa di strano.»
«Cosa?» indagò l’amica.
«Tu conosci un certo Sarevok? Sembra che sia un vostro fratello, un figlio di Odino. Ci ha attaccati e quando ho provato a mettermi in contatto con Alex… non lo so… ho percepito la sua mente, come se fossero legati… o come se fossero la stessa persona» spiegò la figlia di Hell.
Nora inarcò le sopracciglia sorpresa. «Non ho mai sentito questo nome. Non ho idea di chi sia.»
«Strano. Aveva i vostri poteri e somigliava molto ad Alex» osservai, perplesso. «Sicura che non abbia fratelli?»
«No» rispose convinta. «Siamo gli unici figli di Odino in questa generazione, ne sono certa, e so anche che lui non aveva fratelli. Però la presenza di quel guerriero mi preoccupa.»
«Anche a me. Mi ricorda quel tipo… ricordi a Manhattan?» fece Astrid,  incrociando le braccia, assumendo un’aria pensierosa.
«Quello che io e mio fratello abbiamo affrontato e che usava la magia runica? Pensi possa essere lui?» domandò la figlia di Odino.
«Tutto può essere» fu la costatazione della mora. «Tutto tranne che un caso.»
«Sarebbe molto bello pensare a chi possa essere» le interruppi, deciso. «Ma mi sembra che abbiamo qualcuno da dover salvare e, per quel che mi riguarda, è importante che salviamo sia Alex che Piper il prima possibile.»
Nora annuì e mi dette un pugno sulla spalla. «Hai ragione, Grace, scusaci. Daremo subito inizio ad una ricerca a tappeto. Manderò Louis di sotto ad avvertire i nani, così potranno darci una mano. Voi potreste aiutare le squadre di ricerca.»
«Assolutamente» concordai, finalmente sentendomi utile.
Ci volle un po’ di tempo, ma riuscimmo ad organizzare delle squadre di salvataggio. Arrivarono anche alcuni nani, che avrebbero esplorato le gallerie circostanti, mentre a gruppi di tre, i semidei uscivano dal forte alla ricerca dei dispersi. Nora aveva creato velocemente delle rune che risuonavano come radar se Alex o Piper fossero stati vicini.
«Se li dovessimo trovare, ti avvertiremo subito» mi assicurò Bethany, mentre usciva insieme a due suoi compagni.
Senza Alex, i nordici non mi davano ascolto, ma sua sorella sembrava fidarsi di me e non le dette fastidio che io aiutassi. D’altra parte avevo la mia esperienza a Campo Giove.
Il piano a cui io, Astrid e Nora avevamo lavorato era molto semplice: avremmo diviso le squadre di ricerca e queste avrebbero seminato delle rune in determinati punti della zona circostante, in modo che potessero rilevarli anche se fossero stati sotto di noi. Se le rune fossero entrate in risonanza, le squadre avrebbero chiesto aiuto ai nani di Blindivor, che li avrebbero portati nella zona sottostante, nella speranza di trovarli o scovare tracce del loro passaggio.
Era pericoloso, così mi dissi che avrei accompagnato una delle squadre e Astrid avrebbe fatto altrettanto. Helen e Rachel si dissero sicure che fossero ancora vivi.
«Vedo che il suo futuro non è ancora finito… di nessuno dei due. Sono ancora vivi» precisò la figlia di Frigga, e Rachel si disse d’accordo.
«Almeno questo…» sussurrò Astrid, preoccupata.
«Io vado con la prossima squadra. Finn e Sarah, vero?» chiesi, cercando di non pensare a cosa poteva esser successo a Piper.
«Esatto. Stai attento, là fuori» mi raccomandò la figlia di Odino, lanciandomi un’occhiata preoccupata. «E anche tu, Finn.»
«So cavarmela. Blindivor, i tuoi sono pronti?» domandai, voltandomi verso il nano.
«Assolutamente» rispose il capo dei nani. «I miei esploratori stanno già setacciando le gallerie vicine e ci daremo da fare appena avremo delle novità. Inoltre, stanno arrivando dei rinforzi dalle colonie vicine.»
«Bene. Io vado. Del resto occupatevi voi» conclusi, abbandonando il gruppo e raggiungendo Finn e Sarah, impegnati a preparare le tre rune che avremmo disposto a sud del forte.
Non ci volle molto e ci mettemmo subito in marcia. Era tutt’altro che fastidioso il freddo o la presenza dei nordici, con me.
Riuscii persino a far tacere mio padre, che continuava ad urlarmi di tagliare la testa dei barbari e lasciare Alex a congelare. Ci impiegai un po’, ma, dopo la decima volta, riuscii a fargli capire che, almeno nella mia testa, non doveva assolutamente entrare.
«Qualcosa non va?»
«Che?» alzai lo sguardo e vidi il figlio di Tyr che mi guardava stranito.
«Sembra che tu abbia mangiato un limone intero» spiegò.
«Non preoccupatevi… solo brutti pensieri» mi schermii, riprendendo la marcia.
Non avevo voglia che mi prendessero per un pericolo e mi uccidessero loro, inoltre avevamo cose ben più importanti da fare. Riprendemmo il cammino senza dire una parola, mentre io mi guardavo intorno, cercando di individuare qualsiasi possibile pericolo. Chione se n’era andata, ma questo non le avrebbe certo impedito di tornare per finire l’opera.
«Ancora nulla» disse Sarah, controllando la runa.
«Spostiamoci ed est, magari troviamo qualcosa» proposi guardandomi intorno, per poi bloccarmi.
«Cosa c’è?» chiese Finn, vedendomi teso.
«Fumo» dissi, indicando una voluta che si alzava in cielo.
Ci avvicinammo alla collinetta dietro cui esso si innalzava, notando che i punti di fumo aumentavano man mano che ci facevamo più vicini. Arrivati a pochi passi, ci gettammo a terra e proseguimmo strisciano. Avevamo tutti e tre percepito il pericolo vicino e non volevamo certo essere colti di sorpresa.
Arrivati in cima, notammo, finalmente, che si trattava di un gigantesco accampamento. Dovevano essere almeno cinquecento mostri, tra orchi e goblin, oltre che enormi lupi deformi e ragni giganti.
«Sono tantissimi» sussurrò Sarah, strabuzzando gli occhi a quella vista.
«Tanti nemici, così tanti da potermi soddisfare… Andiamo a distruggerli!» propose Finn, brandendo l’ascia, subito pronto a correre verso quell’esercito.
«Fermo, ma che ti salta in mente!» gli ordinai, trattenendolo.
«Che fai?»
«Zitto e ascoltami!» gli intimai, riportandolo a terra. «Cosa credi di ottenere andando la sotto? Pensi di poterli uccidere tutti da solo? Al massimo ne farai fuori venti. Siamo buoni, facciamo cinquanta? Qualsiasi numero sia, ti farai ammazzare per nulla.»
Rimase in silenzio e mi fissò. Non vacillai. Finn si rilassò con un sospiro.
«Bene. Ora, voi tornate alla fortezza e date l’allarme. Io mi avvicino e cerco di scoprire se stanno davvero cercando voi, senza espormi troppo» conclusi, duramente.
Sia la figlia di Eir che il figlio di Tyr, annuirono.
«In bocca al lupo, Grace… e cerca di non farti ammazzare» mi raccomandò Sarah, dandomi una pacca sulla spalla, prima di correre via.
Mentre mi avvicinavo, ordinai ai venti, per quanto possibile, di spirare in modo contrario, facendo sì che il mio odore non andasse verso i mostri. Sperai ardentemente che non mi individuassero, ma questo bastava ad evitarlo, almeno di solito.
L’accampamento era ben sorvegliato: palizzate di legno e torri difensive erano posizionate a qualche metro l’una dall’altra e guardie pattugliavano il confine. La pelle grigiastra e le zanne arcuate degli orchi erano ben visibili anche dalla distanza a cui mi trovavo.
Mi gettai a terra dietro un masso, tentando di non farmi vedere. Avrei voluto che ci fosse Einar, con me. Chi meglio di lui avrebbe potuto aiutarmi in quel frangente? Ma dovevo cavarmela da solo: quei mostri erano troppi per un gruppo isolato.
Ero quasi certo che puntassero alla fortezza dove ci eravamo stabiliti.
Fu la base stessa ad aiutarmi. Un ruggito possente, di rabbia, si levò dalle tende. Tutti gli orchi distolsero lo sguardo da me, per fissare un punto che doveva coincidere con il centro dell’accampamento. Presi al volo l’occasione e corsi.
Riuscii a nascondermi appena in tempo dietro una tenda. Mi guardai intorno.
Questi mostri non avevano certo l’organizzazione bellica di una legione romana, ma, in qualche modo, sembravano più che pronti ad uno scontro. Ovunque mi girassi, vedevo rastrelliere piene di armi, balestre, e, persino, delle rudimentali scale e arieti.
Superai una pattuglia, nascondendomi accanto ad un recinto pieno di lupi deformi, simili a grossi cavalli. Poco più in là, tre viverne erano tenute a terra da pesanti catene e c’erano, persino, due enormi lucertole giganti. Se non andavo errando, erano wyrm.
Mi mossi verso il centro, dove era seduta una creatura immensa: un gigante Greco. I capelli intrecciati con fil di ferro avevano un aria davvero sudicia, e le zampe da rettile, con alle estremità dei serpenti, che sibilavano furiosi.
Stava discutendo con alcuni enormi orchi in armatura; probabilmente, i leader degli orchi. Mi accostai il più possibile e ascoltai quello che dicevano.
«… abbiamo altri duecento orchi che ci raggiungeranno tra poco. Di sicuro un pugno di semidei, nani e Berserk non potranno reggere» stava dicendo uno, che indossava un mastodontico elmo cornuto.
«Non dimenticatevi di risparmiare la vita al figlio di Giove e alla figlia di Hell» commentò Toante, incrociando le braccia.
Era molto più basso di Porfirione, ma, nonostante tutto, dall’alto dei suoi cinque metri, era comunque massiccio.
«Perché dovremmo risparmiare il figlio di Roma? Sarebbe un ottimo trofeo e la sua testa conterrebbe ottima birra» commentò un altro orco, sibilando di disappunto.
«Ordini di Madre Terra. E voi li eseguirete, o vi schiaccerò io stesso» minacciò il gigante, mettendosi in piedi.
Ero talmente concentrato sulla loro conversazione che mi resi conto un secondo troppo tardi che, da quell’altezza, il gigante poteva vedermi benissimo. Era ancora fisso sui suoi sottoposti quando, con la coda dell’occhio, mi vide. I suoi occhi si sgranarono di sorpresa, mentre io iniziai a sudare, nonostante il freddo.
«Catturatelo! Il figlio di Roma è qui!» ordinò, furibondo, indicando me.
Gli orchi furono presi un attimo di sprovvista dall’ordine ed ebbi il tempo di mettermi a correre. Evitai un bestione che stava per saltarmi addosso e lo scavalcai con un salto. Superai il recinto, mentre uno dei lupi giganti cercava di azzannarmi, e saltai.
Evocai i venti, pregando che, almeno per qualche minuto, in territorio nordico, mi ubbidissero. A quanto pare gli Dèi nordici non erano del tutto sordi, perché, di colpo, sentii una folata di vento sollevarmi, aiutata dallo slancio del salto, e mi librai in volo.
Alle mie spalle sentii il sibilo delle frecce che venivano scagliate per fermarmi, ma ero già abbastanza lontano. Una mi passò accanto senza ferirmi.
Mentre il ruggito del Gigante mi rimbombava nelle orecchie, un solo pensiero mi frullava in testa: tornare ala fortezza ed avvertire i miei compagni dell’arrivo degli orchi.

 
koala's corner.
Buon Natale a tutti, semidei!

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Probabilmente né Odino (Babbo Natale? Lui? Sul serio?) né Baldr (IL VISCHIO UUUUH PAUUURA) amano questa festività, ma noi sì, perché possiamo ricevere 1) tanti, tantissimi libri e 2) abbuffarci di brutto.

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(AxXx e Water che ricevono libri regali meravigliosi inaspettatamente)

Prima di parlare del capitolo, però, vorremmo fare un annuncio: questo sarà l'ultimo aggiornamento del 2014, perché con le vacanze di mezzo sarebbe difficile avere tempo di scrivere e trovare una buona connessione che ci permetta di pubblicare. Non temete: riprenderemo la normale pubblicazione il 7 Gennaio (che, tra l'altro, è un mercoledì :3)
Passando ad argomenti più felici, Alex è vivo!
Anche se non per molto :P
Giàààà. Tanto per cominciare, l'avrei voluto uccidere io quando ha iniziato a chiarirsi con Piper E POI NON HA FINITO. UGH.
E' il destino delle persone che si vogliono chiarire :P Comunque, come potete vedere, Freyja ha dato del suo meglio per dare del filo da torcere ad Afrodite.
A proposito di dee...
Frigga, che è una subdola stronza, che all'insaputa di Odino vuole/tenta di allearsi con Gea e con Ymir. Che è pericolosissimo.
Ma ovviamente Alex, che è il nostro paladino - e quello dell'umanità -, non glielo permetterà mai. Passando al POV di Jason, c'è una Astrid che è simpatica quanto un catcus attaccato al sedere (cit. Ax)
Però, comunque, sembra che entrambi riescano a sopportarsi un pochino. Dopo che Astrid e Jason si sono chiariti, lui scopre che - udite udite - i semidei sono di nuovo in pericolo!
Ce la faranno i nostri eroi a superare anche questo intoppo? Lo scoprirete dopo Natale - e Capodanno, e la Befana. E tutto il resto, insomma.
Vi lasciamo con questo "cliffhanger" e con tanto tempo per mettervi in pari. Auguri a tutti! Siate buoni!

Soon DdN: POV Piper/Astrid dove sostanzialmente si rischia di morire, wiii :D
 

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Capitolo 16
*** PIPER/ASTRID • La felicità si può trovare anche nei momenti più bui, basta solo ricordarsi di accendere la luce ***


La felicità si può trovare anche nei momenti più bui, basta solo ricordarsi di accendere la luce
 
►Piper◄
 
Quando i piedi mi fecero così male per il tanto camminare che avrei preferito che me li amputassero piuttosto che tenermeli talmente doloranti, un soldato aprì la porta di una cella – smanettando con il mazzo di chiavi – e mi scaraventò dentro, mollando la morsa sul mio braccio. Strisciai in un angolino e mi rannicchiai, portandomi le ginocchia al petto. Affondai la faccia nella sciarpa e piegai la testa sul petto. Disperatamente, cercai di non mettermi a piangere.
Anche quando ero precipitata nella voragine di ghiaccio e poi ero sprofondata nella corrente gelida del mare del nord, ero cosciente che stavo per morire. Ma, seppur per una debole differenza, la situazione era diversa rispetto a questa.
Prima, mi sarei potuta salvare solo grazie alle mie forze – o a quelle di Alex, in ogni caso. Adesso, ero in una prigione, bloccata e in trappola, e per quanto desiderassi scappare o elaborare una via di fuga, sapevo che non era possibile, che non ce l’avrei fatta a lasciare viva la fortezza degli elfi oscuri. Non mi rimaneva altro che sperare in un miracolo – che non sarebbe accaduto – e aspettare la mia ultima ora.
Non avevo nemmeno potuto salutare mio padre, abbracciarlo o semplicemente spedirgli una lettera oppure vederlo per cinque minuti contati su Skype. Il pensiero, così egoistico, così banale, bastò per farmi salire le lacrime agli occhi. Non essendo in grado di trattenerle, piansi e scatarrai nella mia stessa sciarpa.
Avrei pensato dopo a quanto facesse schifo, o forse no, perché niente faceva schifo quanto morire. E non ero neanche capace di farlo a testa alta, come una regina amazzone o un personaggio storico famoso, tipo, Giovanna d’Arco. Pensai che qualunque altra ragazza con poteri semidivini avrebbe potuto morire con più onore di me: Astrid, Annabeth, Nora, Clarisse… Ma io ero solo e soltanto Piper McLean, e il semplice pensiero di abbandonare chi e cosa amavo mi spaventava talmente tanto che scoppiavo in singhiozzi.
Pensa ad Alex. Lui potrebbe ricevere persino un trattamento peggiore di una morte veloce e indolore.
Tirai su col naso. E poi ripresi a piangere come una bambina dell’asilo.
Il figlio di Odino era stato così gentile e coraggioso fino all’ultimo, e a lui toccava diventare il divertimento personale dell’elfa oscura che governava questo posto maledetto. Probabilmente – sicuramente, mi corressi – avrebbe trovato modi orribili di torturarlo e di fargli desiderare la morte. Lo si vedeva da come lo osservava, mentre venivamo qui; quell’elfa aveva negli occhi una bramosia animale, un’oscurità incolmabile che traboccava dalle iridi, smaniosa di divorare anche te.
Se non ci fossimo fermati a riposare, se non avessi iniziato a parlare, se avessi saputo usare una spada… Se con Alex non ci fossi caduta io, probabilmente sarebbe stato tutto diverso, e a quest’ora la situazione sarebbe già stata risolta.
Trasalii, quando sentii qualcosa appoggiarsi sulla mia spalla. Alzai lo sguardo di scatto, incontrando due grossi ed esotici occhi oscuri. Scostai la sua mano e mi scansai così velocemente che colpii l’altra parete con la schiena.
«Chi sei? Cosa vuoi?» domandai, brusca, cercando il pugnale che mi avevano tolto.
La creatura scosse la testa piano, due volte. Fu in quel momento che mi accorsi che, primo, aveva polsi e caviglie incatenati, e che, secondo, era un’elfa. Di sicuro, però, non era un’elfa oscura: i lineamenti del suo viso erano più dolci, i suoi occhi più a mandorla, e i capelli non erano bianchi, bensì di un lucido nero corvino. Avevo visto qualche elfo dei boschi girare per il Campo Nord, al mio arrivo, e decisamente la somiglianza tra lei e loro era più marcata.
Mi rilassai. Era una prigioniera come me, non c’era nulla da temere. Anche se lei era legata, mentre io ero libera di muovermi per i pochi metri quadrati che costituivano la cella. Forse non ero considerata degna di quel trattamento perché troppo innocua, o magari volevano uccidermi presto e non si erano presi il disturbo di ammanettarmi.
Deglutii. No, non era decisamente il caso di rimettersi a piangere.
L’elfa mi rivolse un triste sorriso. «Io non… non parlo bene tua lingua» disse, con uno spiccato accento.
«Io non conosco la tua» replicai, alzando le spalle.
Lei alzò le spalle, come a dire “ci arrangeremo.”
Mi rimisi al posto di prima, non volendo che tirasse troppo le catene, se voleva starmi vicina. Era più probabile che fosse un’innocente catturata da quei bellicosi elfi oscuri, piuttosto che una pericolosa criminale. A dimostrazione del mio ultimo pensiero, la creatura dei boschi si chinò su di me e mi asciugò le lacrime, per quanto possibile.
«Tu non piangere» mormorò, rivolgendomi un altro sorriso triste.
Annuii, nonostante quel contatto umano mi stesse sciogliendo. «Mi chiamo Piper» le dissi, indicando me stessa. «Tu?» Rivolsi l’indice verso di lei.
«Nuala» disse, attenta a riempire quel nome di odori, colori e immagini. «Perché qui?» chiese poi.
«Perché sono qui in prigione, intendi?» riformulai.
Nuala annuì, felice che l’avessi capita comunque, a dispetto della sua poca padronanza della lingua.
«C’erano dei nani, dei bambini, in celle come queste, in una fortezza come questa. Un avamposto» le spiegai. «Io e un altro semidio li abbiamo liberati. Gli elfi oscuri si sono infuriati con noi, per questo. Siamo scappati e andava tutto bene, ma poi ci sono stati alcuni problemi e, alla fine, loro hanno catturato sia me che il mio amico.»
Riassumere il salvataggio dei piccoli dei nani, l’arrivo di Chione e Sarevock, la mia caduta e la mia cattura in quelle poche parole era riduttivo. Sembravano passati mesi o settimane, altro che giorni e ore.
Nuala corrugò la fronte e sillabò: «Amico?»
«Amico, sì» confermai. «Sai cosa significa?»
L’elfa scosse la testa e mi guardò, trepidante, in attesa. Trascorsi qualche attimo a scegliere le parole adatte per chiarirle il concetto, prima di parlare.
«Amico è una persona con cui ti senti sempre a tuo agio. Con lui – o lei – puoi ridere, puoi scherzare, puoi confidarti e rivelare tutti i tuoi segreti e le tue emozioni senza essere giudicato. Con un amico, non ti devi preoccupare di nascondere la tua stranezza, perché a lui vai bene così come sei, e forse gli piaci anche di più, naturale e senza maschere.»
Nuala appoggiò la testa al muro e guardò fisso le pietre del soffitto. «È bello avere amico» sospirò.
Lasciai uscire il fiato in uno sbuffo rassegnato. «Già.»
Rimanemmo in silenzio. All’improvviso, Nuala saltò su, producendo un rumoraccio di ferro sfregato contro ferro.
«Cosa c’è?» domandai subito, allarmata.
Lei mi prese la faccia tra le mani e puntò i suoi occhi scuri nei miei. «Ti piacerebbe rivederlo, vero?» disse, eccitata.
Corrugai la fronte; doveva essere un’espressione particolarmente divertente, con l’elfa che mi schiacciava le guance. «Chi?» feci.
«Il tuo amico» chiarì Nuala, come se fosse ovvio.
«Sì, certo» risposi. «Ma non riusciremo mai a scappare da qui» obiettai, capendo dove voleva andare a parare.
L’elfa dei boschi non perse l’entusiasmo. «Siamo due. Siamo forti, siamo brave e siamo astute. Nessuno riesce a fermarci» ribatté, decisa.
«Anche se fosse, io non credo che…»
«Guarda nel tuo cuore, Piper» mi interruppe, lasciando che le sue mani mi scivolassero dal viso alle spalle. «Lì sono tutte le risposte.»
Non sapevo bene cosa intendesse con quella frase, ma supposi fosse una variante di “credi in te stessa”. Così, guardai nel mio cuore finché non fui abbastanza coraggiosa e abbastanza folle da tentare una fuga.
 

La guardia non ci mise molto a ritornare, forse una o due ore. Io e Nuala avevamo studiato un piano e, non appena sentii la chiave girare nella toppa, pensai che fosse il più stupido progetto di fuga mai inventato nella storia dei piani idioti.
Se non ci credi, non funzionerà, mi dissi. Ricacciai indietro la paura e mi preparai a fingere. Come con Einar, di questa recita ne andava della mia vita.
L’elfo oscuro entrò nella cella, squadrandoci truce. Si chinò su di me e mi afferrò per un braccio, tirandomi su con uno strattone. Mi lamentai e opposi resistenza. Il soldato fece per darmi uno schiaffo, ma io mi scansai in fretta ed indicai più volte in direzione di Nuala, riversa a terra. La guardia scrollò le spalle e si avvicinò per riprendermi.
Puntai di nuovo i piedi e gridai: «Va’ a controllare, forza! Sta male!», nonostante non potesse capirmi.
Cedendo alla mia cocciutaggine, l’elfo oscuro estrasse la spada, puntandola contro di me nel caso avessi voluto aggredirlo alle spalle, e si abbassò per controllare le condizioni di Nuala. Lei non fiatò. Allarmato, il carceriere le pose due dita sul collo.
Fu un attimo.
Nuala gli afferrò il polso, raggiunse la testa e gliela sbatté sulla pietra. Sfruttando lo stordimento dell’avversario, utilizzò una delle sue catene per strangolarlo. L’aveva ucciso lei, ma io avevo il fiatone al posto suo.
Nuala stava sorridendo in un modo un po’ inquietante, quando si rivolse a me e disse: «Chiavi.»
Mi riscossi di botto. Strappai il mazzo di chiavi dalla cintura del soldato ed ebbi fortuna, azzeccando quella giusta al terzo tentativo. Le catene caddero a terra, vuote, e Nuala si massaggiò polsi e caviglie. Indicò la spada con il mento, come a chiedermi se l’avrei presa.
Scossi la testa. «È tua» rifiutai.
L’elfa non si perse in tante cerimonie, recuperò la spada e si assicurò che avessi ancora con me il mazzo di chiavi. «Andiamo» ordinò.
Marciammo nel corridoio, Nuala davanti e io che le tenevo dietro. La mia alleata sembrava trasformata, come diventata un’altra persona nell’attimo in cui si era ribellata al carceriere. Sperai vivamente che non fosse una pazza psicotica che mi avrebbe squartato una volta uscita di lì, anche se era evidente che, durante il tempo trascorso nella cella, era ammattita.
Raggiunto il cancello, fischiò due volte, facendo sì che le guardie si voltassero. Ne trafisse una attraverso le sbarre e, rapidissima, le rubò un coltello da caccia e me lo passò. L’altro soldato era un novellino e, invece che correre su a dare l’allarme, si voltò ad affrontarci.
Nuala lo ferì al polpaccio destro e poi a quello sinistro, mentre io infilavo una mano attraverso le sbarre e scassinavo la serratura – se avessi cercato la chiave adatta, ci avrei impiegato troppo. Non appena ebbi finito, Nuala ghignò e trapassò lo stomaco della guardia rimanente.
«Come siamo brave» si complimentò, lanciandomi un’occhiata. «Bene?»
Annuii a forza. «Sto bene.»
Okay, soffriva decisamente di qualche disturbo. Forse il suo cervello non riusciva ad assimilare le atrocità che commetteva e la faceva regredire a uno stato fanciullesco, quando non era in azione. Chissà cos’aveva combinato, per finire in queste prigioni.
«Dove credi che sia Alex, il mio amico?» le domandai. «Non è stato portato qui come me. L’ha preso un’elfa oscura.»
«L’elfa-capo?» indagò Nuala. «Quella chiamata Ananta?»
«Sì. Lei» confermai.
Nuala si fermò qualche minuto a riflettere, un’espressione di pura concentrazione stampata in viso. «Capito» disse. «Sta in colosseo.»
Salimmo le scale, uguali a quelle che avevo fatto con i piccoli nani. Invece di percorrere il corridoio nella direzione che portava al portone principale, ci dirigemmo dalla parte opposta, camminando veloci attaccate ai muri. Svoltammo varie volte a sinistra, ed era come se Nuala conoscesse la strada perfettamente.
Schiacciate contro un muro, le sussurrai: «Hai già provato a scappare in passato?»
L’elfa dei boschi respirò a fondo. «Non ricordo» rispose, e non seppi stabilire se mentiva o meno.
Qualche metro dopo, ci fermammo di fronte a una porta di legno scuro. Iniziai ad armeggiare con il mazzo di chiavi.
«Qui stanno armi che portano via» spiegò Nuala, controllando nervosamente che nessuno camminasse nella nostra direzione.
«Sei davvero astuta» le dissi, girando la chiave nella toppa. «Io non ci avevo pensato.»
No. In realtà, avevo pensato unicamente a ritrovare Alex e a darmela a gambe levate prima che gli elfi oscuri ci ammazzassero entrambi. Nuala, invece, sapeva che ci sarebbero servite delle armi.
Mi sorrise e mi mise una mano sulla spalla. «Anche tu.»
Entrammo, scivolando silenziose oltre la soglia, e ci richiudemmo la porta alle spalle. Ci ritrovammo in un luogo illuminato da diverse fiaccole, zeppo di ogni genere di arma, dagli archi ai pugnali, riposte in rastrelliere di legno.
Excalibur fu relativamente facile da trovare: in quel caos di spade, la fattura magnifica dell’arma di Alex spiccava come un lupo in un branco di pecore.
Pesava come un macigno; come faceva il figlio di Odino a sollevarla? Nuala me la prese gentilmente dalle mani, affascinata dal bagliore quieto che emanava.
Katoptris era nascosto sotto altri pugnali e coltelli da caccia. Fu un sollievo sentire di nuovo il suo peso familiare.
Recuperate le nostre armi, uscimmo da quella sorta di magazzino e riprendemmo la ricerca. Nell’ultimo tratto, ci guidarono le grida. Riverberavano per le pareti, attutite dallo strato di pietra. Più ci avvicinavamo a quello che Nuala aveva chiamato “colosseo”, più le urla si intensificavano.
Scendemmo una rampa di scale e passammo sotto diverse volte a botte. Arrivate alla fine del corridoio, la luce ci accecò per i primi secondi. Sbattei le palpebre diverse volte e, quando recuperai la vista, mi ritrovai davanti uno spettacolo raccapricciante.
Centinaia di elfi oscuri, soldati sia uomini che donne, si sbracciavano dagli spalti, gridavano, insultavano, sputavano e riempivano di schiamazzi l’aria. Erano seduti su pietra scura e lucida, posti a semicerchio, in un’arena che era la copia di un anfiteatro romano. E pure lo spettacolo in corso pareva appartenere a quell’epoca: c’era un gladiatore che combatteva contro una fiera.
Solo che il gladiatore era Alex, e la fiera era un mostruoso ragno gigante.
Mi scappò un singulto di terrore.
«Tuo amico è in guai grossi» commentò Nuala, osservando quell’abnorme animale a otto zampe caricare il figlio di Odino, che gli rotolò sotto la pancia.
«Dobbiamo salvarlo!» quasi gridai. «Non lo lasceremo lì!»
«No» ribadì l’elfa dei boschi, annuendo più volte.
Guardai freneticamente in giro, in cerca di un’idea. L’unica cosa che catturò la mia attenzione, però, fu il capo di quella fortezza, Ananta.
Se ne stava seduta comodamente su un piccolo trono, rapita dal gioco da lei organizzato, dal tentativo di Alex di sconfiggere un ragno dell’Hellheim a mani nude. Ghignava e, ogni tanto, si passava la lingua sulle labbra, come se potesse assaporare il terrore, la paura, il sangue.
Non potevo permettere che quell’elfa oscura, sadica e bastarda, completasse l’opera e ci godesse anche. Mi tremavano i muscoli nello sforzo di stare immobile e non farmi vedere.
«Nuala» la chiamai, voltandomi nella sua direzione. «Dove tengono gli altri animali feroci?» Azzannai l’aria per farle afferrare il concetto.
Il suo viso si illuminò. «Segui me» ordinò.
Ritornammo sui nostri passi, dando le spalle a quello sfoggio di crudeltà, e cercammo un altro accesso all’anfiteatro. Di guardia alle belve c’erano due uomini, ma li eliminammo entrambi in poche mosse. Non mi sentii abbastanza pietosa da tramortire e basta il soldato che dovevo affrontare, e valeva lo stesso per Nuala.
In diverse gabbie, ogni genere di animale pericoloso era rinchiuso per specie. Un meccanismo affisso alla parete permetteva di aprire tutte le sbarre in modo che le fiere fluissero all’interno dell’arena, senza che chi le liberava corresse alcun problema.
Mentre io e Nuala azionavamo con fatica il meccanismo, pregai che Alex non venisse travolto da tutte quelle belve. Erano un diversivo, non dovevano servire a farlo ammazzare.
Le sbarre si sollevarono cigolando, e le bestie feroci furono spinte all’interno dell’anfiteatro soffianti e ringhianti.
«Su! Torniamo dietro!» mi incitò Nuala.
Corremmo al corridoio di prima e, questa volta, oltrepassate le volte a botte, entrammo nell’arena. In quel breve tempo, si era già scatenato il caos. Non vedevo più Ananta sul suo trono, mentre il ragno gigante aveva spostato la sua attenzione su un leone e sembrava deciso ad avvolgerlo in un baco.
Se non fosse stato per la sua altezza, non avrei mai individuato Alex. Lo raggiunsi di corsa e, prima che potesse dirmi alcunché, lo trascinai via da quella ressa di animali imbizzarriti e parecchio infastiditi.
«Piper?» domandò, stupito, quando fummo al sicuro. «Come hai fatto a liberarti?»
Nuala comparve al mio fianco in un lampo corvino. Studiò Alex con una lunga occhiata critica, ripassandolo da capo a piedi due volte e soffermandosi infine sul suo viso.
«Tuo amico è carino» decretò.
Il figlio di Odino arrossì. «Chi è lei?» chiese.
«Si chiama Nuala, ed è mia amica. Era imprigionata con me e mi ha dato una grossa mano a scappare» spiegai, parlando in fretta. «Abbiamo Excalibur. Ora, sarebbe davvero perfetto se cominciassimo a correre.»
L’elfa dei boschi gli porse la spada e Alex sembrò immensamente felice di riavere in mano qualcosa con cui difendersi. Stavamo per rimetterci in marcia, quando ebbe un capogiro e fu costretto ad appoggiarsi con una mano alla parete.
Registrai solo in quel momento che era pallido e sudava freddo.
Oh miei Dèi, invocai. «Alex, cos’hai?» gli chiesi.
«Quell’elfa mi… mi ha costretto a bere un veleno.» Le parole sibilarono tra i denti, la mascella stretta per controllare il dolore.
«Che veleno?» s’informò Nuala, di colpo attenta.
Alex fece un gesto vago con la mano. «Era in una fiala. Era bianco… anzi, no, trasparente. Puzzava di rose e qualcosa di marcio.» Fece un respiro profondo. «Ha detto che mi avrebbe ucciso comunque.»
Lo sguardo dell’elfa si incupì. «Ha ragione» confermò. «Veleno potente. Parte da qui» – indicò le dita dei piedi e delle mani – «e quando arriva qui» – gli toccò la fronte – «distrugge ogni cosa.»
Non seppi se mettermi a piangere o a gridare.
«Tranquilla, Piper» disse Alex, piano, cercando di rassicurarmi. «Non è la prima volta che sono in serio pericolo di vita.»
«E di solito te la cavi?» chiesi con voce tremula.
«Sì.» Mi sorrise.
Si sforzò di staccarsi dalla parete ma, visto che era instabile, lo costrinsi ad appoggiarsi a me per camminare.
«Muoviamoci» disse. «Se raggiungiamo gli altri semidei, conosco qualcuno che può curarmi.»
Con fatica, ci mettemmo in marcia. Cercammo di correre, ma Alex non era in grado di reggere il passo. Sospettavo fosse già un miracolo che stesse ancora in piedi. Nuala faceva strada e, grazie alla confusione creata, gli elfi oscuri avevano di meglio di cui occuparsi, rispetto a due semidei e un’elfa dei boschi fuggiaschi.
Quando uscimmo da una porta di servizio della fortezza e imboccammo un cunicolo scavato dai nani, non trattenni un gridolino di gioia.
Procedevamo a un passo sempre più lento, sempre più pesante, e il tempo sembrava girare velocissimo per i nostri inseguitori, come se gli elfi oscuri potessero spuntare da un secondo all’altro.
Una parte di me voleva abbandonare gli altri e correre via, mettersi in salvo, ma quella più razionale la teneva a bada. Non avrei lasciato nessuno, mai.
I veri problemi incominciarono quando li sentimmo davvero, gli elfi oscuri. I loro passi provocavano un’eco che giungeva fino a noi. Alex inciampava più spesso ed era semi-svenuto sulla mia spalla.
Nuala si fermò così all’improvviso che quasi caddi.
«Che c’è?» ansimai.
Eravamo giunti a un bivio.
«Noi dobbiamo separare» disse.
Strabuzzai gli occhi. «Cosa? Perché?»
Nuala mi poggiò una mano sulla spalla. «Perché lo sapere» rispose. «Loro vicini. Loro prendono noi, se stiamo insieme.»
«Non è vero» obiettai. «Possiamo farcela anche in tre.»
L’elfa scosse la testa. «Serve diversivo» spiegò. «Io diversivo.»
«No» la bloccai. «Non è giusto.»
«Vuoi salvare tuo amico?» mi domandò, brusca.
Mi morsi le labbra prima di rispondere. «Sì.»
Nuala mi sorrise. «Tu sei mia amica, Piper, e anche io voglio te salva.»
«Ti uccideranno» replicai. «Non devono uccidere la mia amica.»
«Sono astuta, sono veloce» replicò, facendomi l’occhiolino. «Non mi prenderanno. Mai.»
Le pareti di roccia portarono i passi degli elfi oscuri alle nostre orecchie.
Nuala fece scivolare la mano via dalla mia spalla. «Noi dobbiamo separare» ripeté. «Lo sai.»
Mi salirono le lacrime agli occhi, brucianti, e mi sforzai di ricacciarle indietro. «Sei l’amica più coraggiosa che potessi mai desiderare di avere» le dissi.
«Anche tu» ribatté lei. «Addio, Piper, amica mia.»
Ingoiai un singhiozzo. «Addio, Nuala.»
L’elfa dei boschi mi diede le spalle, prendendo la strada più ovvia, la più facile, quella che dei fuggiaschi sceglierebbero di certo, se volessero scappare il più in fretta possibile.
Mi caricai meglio Alex addosso e camminai verso l’altro cunicolo, il più impervio, quello che gli elfi oscuri non avrebbero battuto.
Io e Alex ci saremmo salvati, ma a che prezzo? E quante altre volte avrei dovuto sopportare che un amico si sacrificasse al mio posto? Quante altre persone sarebbero dovute morire, prima che imparassi a salvarmi da sola?
 
♦Astrid♦
 
“Ci attaccano” aveva detto Jason, correndo insieme a Sarah e Finn dentro la fortezza. “Un esercito di mostri sta per attaccarci.”
E quindi eccomi lì, a scavare nella neve gelida insieme agli altri, cercando di creare il più in fretta possibile una trincea. Alcuni semidei stavano già conficcando dei pali appuntiti nel terreno appena smosso, fissandoli in modo che non si muovessero. Se un gigante fosse stato tanto ardito da avvicinarsi così al forte e avesse messo un piede su quegli spuntoni, si sarebbe disintegrato.
Petra sudava accanto a me, pala in mano e schiena chinata.
Ora capivo perché il Campo Nord era circondato da mine: in caso di assedio, gli ignari attaccanti sarebbero saltati in aria prima di raggiungerci. Mi rialzai e mi stirai la schiena, colpita dall’idea.
«Ehi, Nora!» chiamai a gran voce. «Dici che possiamo creare dell’esplosivo?»
La figlia di Odino alzò la testa, cercandomi tra i vari semidei che ci dividevano. «Forse» gridò in risposta. «Che hai in mente?»
«Potremmo farli saltare in aria, come se fossimo al Campo» spiegai. «Esistono rune utilizzabili in questo caso?»
Nora si fece dubbiosa. «Non so» rispose, ma poi sorrise. «Però ci sono i figli di Volund ed Efesto.»
Le risposi con un ghigno, soprattutto quando uno di loro batté le mani e fece: «KA-BOOM!» I suoi compagni scoppiarono a ridere.
Eravamo piuttosto allegri, per essere mezzosangue che si stavano preparano a difendersi da un esercito di mostri di dimensioni ciclopiche.
Jason, dietro di me, sospirò. «Leo ci sarebbe stato utile» commentò.
«Già» concordai. «Mi sembra bravo a far esplodere le cose.»
Mi stavo sforzando di essere più gentile con lui o, almeno, di provarci. La nostra amabile chiacchierata mi aveva aperto un po’ gli occhi su cosa stesse provando in quel momento e, be’, metà di ciò che aveva detto era vero e giustificabile. D’altro canto, io di aiuto ne avevo ricevuto poco e niente, nei miei anni da semidea.
Appunto per questo sei cresciuta stronza, mi aveva ricordato una vocina nella mia testa – stupida coscienza. Grace è meglio che conservi la bontà e il buonsenso.
In un certo senso, poi, avremmo potuto diventare una la spalla dell’altro. Entrambi mollati dai rispettivi fidanzati, entrambi inaspettatamente.
Alex.
Ah.
Sospirai. «Mi sento la contadina che non sono mai stata» dissi, tanto per distrarmi.
Jason rise piano e io mi chiesi se in quel momento Alex stesse respirando.
 
 
Il messaggio iride comparve nel peggiore dei momenti. Non avevamo ancora terminato il fossato, quando l’esercito era comparso all’orizzonte, cogliendoci non esattamente di sorpresa ma comunque impreparati.
Avevo inizialmente dato supporto agli arcieri appostati sulle mura. Ad ogni mostro che centravo, ringraziavo Einar per avermi insegnato i suoi trucchi di tiro con l’arco.
Avevamo contenuto l’assalto, ma poi la situazione era precipitata: i mostri erano sempre di più, ne abbattevi uno e ne spuntava un altro in un secondo, e solo gli esplosivi sembravano avere effetto, fosse anche solo perché erano un’arma inaspettata per dei semidei.
Solo che poi erano finiti, e alcuni mostri erano riusciti a saltare il fossato e raggiungere il portone principale. Che non avevano esitato un attimo ad assaltare.
Ed era per quel motivo che, ora, mi trovavo a spingere con la schiena quello stesso portone insieme a un’altra decina di compagni. Sussultavo ad ogni colpo. Non avevo idea di quanto avremmo retto ancora. Il portone aveva cigolato in modo strano, quando un lampo di luce mi era comparso davanti al viso.
Per un attimo, pensai si trattasse di uno scherzo. “Dlin-dlin, messaggio iride per te! Ti informiamo che stai per morire e che questo servizio non è disponibile negli inferi. Grazie per essere stata con noi, finché hai potuto!”
Invece non lo era. Charles Beckendorf, con accanto Silena Beauregard, entrarono nel mio campo visivo.
«Ciao, Astrid!» mi salutarono. «Abbiamo provato a contattare Alex, ma era irraggiungibile, così abbiamo pensato di parlare con te, visto che state sempre assieme...»
Qualcuno là fuori tirò un calcione al porta, facendomi sussultare. Grugnii qualcosa senza senso.
«Ehm… cosa sta succedendo?» domandò Silena.
«Ah, niente, tutto nel programma» risposi. «Un esercito di mostri molto arrabbiati che attacca il forte in cui ci siamo stabiliti. Nulla di che. Come va da voi?»
I due fidanzatini greci si scambiarono uno sguardo, come a volersi assicurare che il mio “niente” fosse sarcastico.
«Siamo sulla Skidbladnir con alcuni rinforzi e le provviste» prese parola Beckendorf. «Non ci impiegheremo molto a raggiungervi. Non troppo, almeno.»
Inarcai un sopracciglio. «Non troppo?» ripetei. «Non mi sono spiegata bene, credo. Un esercito di mostri ci sta attaccando e potremmo morire in attesa di quel “non troppo”!»
«Non preoccuparti, arriveremo il prima possibile. La Skidbladnir può permettersi di viaggiare a una certa velocità, con le nuove modifiche» mi rassicurò il figlio di Efesto.
«Già, lo penso anch’io» replicai.
«Resistete» si raccomandarono i due greci, terminando la chiamata.
Il portone tremò di nuovo. Ma quei mostri lo stavano prendendo a pugni, per caso?
Resistete.
Mi venne da ridere.
Facile a dirsi.
 

koala's corner.
Bentornati semidei! Come sono andate le vacanze?
Vi è passata la sbornia di Capodanno? Il vostro primo giorno di scuola è andato una merda come il mio?
Nonostante abbiamo sfornato capitoli angst - durante queste bellissime vacanze trascorse con amici e parenti -, non muore nessuno. C'è ancora tempo per trucidare, mutilare e ferire gravemete :D
Questa volta "tocca" a Nuala, che deve il suo nome alla mia prigrizia e al mio amore incondizionato per Maggie Stiefvater. Il nome Nuala appartiene, in realtà, a una fata del libro Ballad della suddetta autrice (meravigliosa <3)

Piper, anche se non lo crede, si dimostra di nuovo utile - salva Alex, dopotutto.
Non so se avete notato, ma c'è tanta influenza Disney in questo capitolo, perché mi sono buttata su quei film recentemente e non me ne vergogno u.u

Speriamo che il capitolo vi sia piaciuto e che abbiate voglia di farvi sentire. Un abbraccio e alla prossima!

Soon on DdN: POV Lars/Einar/Leo - Lars ci regala qualcosa del suo passato e *rullo di tamburi* un po' di femminismo in arrivo!

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Capitolo 17
*** LARS/EINAR/LEO • Tre semidei, un fantasma e tanti casini ***


Tre semidei, un fantasma e tanti casini
(esperienze focose con Leo Valdez.)
≈ Lars ≈

Seguivamo attentamente la pista che i nani ci avevano consigliato, facendo in modo da non perderci. Era difficile individuare un punto di riferimento anche minimo in quella grande landa di ghiaccio. Per fortuna non c’era troppo vento e riuscivo a sopportare senza troppi problemi il freddo, ma quella era una minima consolazione: eravamo pur sempre solo tre semidei in un luogo che pullulava di mostri.
Mentre camminavo, tentai di distrarmi da quei pensieri e, inevitabilmente, ripensai al mio passato che, a conti fatti, era anche peggio del presente.
Quando mio padre era morto, ero stato rapito e portato via, e avevo visto i mortali comportarsi come mostri con me. Mi avevano trattato come uno schiavo, costringendomi a vedere il peggio che l’umanità aveva da offrire.
Ma non c’era solo quello. Fu una benedizione riuscire a fuggire ed incontrare Alex. Grazie a lui ero riuscito a rivedere la luce negli altri e a capire che ci si poteva fidare delle persone, perché non tutti erano malvagi.
In quel momento, dovevo pensare che avevo dei compagni e che la fiducia in loro doveva essere grande quanto quella che Alex riponeva in me. Ne aveva avuta, quando avevo affrontato il Drago a Manhattan. Ne aveva avuta, quando mi aveva nominato suo secondo. E ora, che stavo guidando quell’impresa, dovevo riporre la stessa fiducia in Einar e Leo.
Osservai il figlio di Loki. Mesi prima avrei detto che era uno stronzetto e che fidarsi di lui era molto pericoloso, ma, mano a mano che Alex si avvicinava a lui e, di conseguenza, anche io lo facevo, avevo imparato ad apprezzarlo.
Valdez, invece, non sapevo ancora inquadrarlo. Aveva una strana fiamma negli occhi, un fuoco vendicativo che mi spaventava e affascinava. Non sapevo chi o cosa gli avesse fatto del male, ma intuii che doveva appartenere al suo passato.
Fu un attimo e una serie di immagini mi danzarono davanti agli occhi.
Fuoco…
                                                                                             …Fiamme…
…Grida…
                                      …Una donna…
                                                                   … La madre di Leo…

… esplosione…
                            …Silenzio.
Scossi la testa e ansimai.
Era successo di nuovo. Avevo, senza volerlo, esplorato la sua anima senza chiederglielo.
Mi detti dello stupido, ma era una cosa che facevo spesso, senza nemmeno chiederlo. Era un’abilità di mia madre che, sinceramente, mi dava anche fastidio. Sondare le anime altrui era un modo per intromettersi in cose molto intime e quelle poche immagini mi avevano fatto intuire certe cose e già mi bastavano.
«Ehi, capo due» mi chiamò Einar. «Non lasciarci anche tu, eh.»
Lo guardai: nonostante il suo sorriso, era preoccupato; lo vedevo dalla sua espressione tirata.
«Non preoccuparti, sono vivo» lo tranquillizzai, riprendendo la marcia.
«Stai bene? Sei stanco?» chiese Leo, fissandomi sorpreso.
«Non ho bisogno di riposo» dissi con decisione. «Andiamo, prima è meglio è.»
I due semidei al mio fianco si guardarono. Il figlio di Loki si strinse le spalle e mi seguirono. Camminammo ancora a lungo, seguendo i monti gelati alla nostra sinistra, eppure, nonostante la fortezza non dovesse essere lontana, ancora non si vedeva nulla.
«Dovremmo essere vicini» fece notare il figlio di Loki, guardandosi intorno sorpreso.
«Ma noi siamo vicini» scherzò Leo. «Siamo a pochi centimetri gli uni dagli altri.»
«Ah-ah, molto divertente» commentò Einar.
Eppure, non riuscivo a togliermi dalla testa che qualcosa fosse sbagliato, come se mancasse qualcosa all’ambiente circostante. Mi guardai intorno attentamente, come cercando un indizio che mi facesse intuire il passaggio di mostri o la presenza di qualcosa di insolito, ma nulla saltava all’occhio.
Se Alex fosse qui, lui saprebbe cosa fare, pensai, preoccupato.
Scossi il capo. Non dovevo lasciarmi abbattere, ora ero io il leader del gruppo e come tale dovevo essere io a guidarli e non lasciarmi trasportare dai ricordi, come un bambino. Non ero un bambino.
Avanzai di qualche passo e percepii qualcosa. Era la stessa sensazione fresca che provavo quando attraversavo la barriera del Campo Nord.
«Einar» lo chiamai. «Percepisci qualcosa? Credo che qui sia in atto una magia illusoria.»
«Davvero?» chiese, avvicinandosi.
«Come fai ad esserne sicuro?» fece Leo Valdez, guardandosi intorno. «A me sembra tutto normale.»
«Non so… Solo una sensazione» risposi, stringendomi le spalle.
Il figlio di Loki si avvicinò cautamente, tenendo la mano tesa davanti a sé e gli occhi semiaperti, come se si stesse concentrando.
«Sì… C’è una grossa illusione, qui!» esclamò di colpo. «Ed è bella grossa, nasconde un castello intero!»
«Puoi dissolverla?» domandai, cercando di intuire dove fosse la fortezza invisibile, anche se, probabilmente, ce l’avevo davanti agli occhi.
«Potrei farcela, ma potrei metterci un po’. Copritemi, mentre provo a dissolverla» affermò, mettendosi a tastare l’area intorno a sé, come se cercasse un pulsante.
Io e Leo ci mettemmo alle sue spalle, cercando di avvistare qualsiasi mostro possibile. Intanto, continuavo a pensare a me stesso.
Sbuffai, mentre una nuvoletta gelida si condensava davanti al viso.
Pensai a Einar e Alex, che avevano una famiglia ad aspettarli. Li vedevo, ogni tanto, osservare le foto delle loro famiglie. Sarebbe stato bello, avere un padre a cui tornare, ma non era il mio caso. La mia famiglia era il Campo Nord.
«Attenzione» mi avvertì Leo, riscuotendomi dai miei pensieri.
«Che succede?» chiesi, guardandolo.
Per tutta risposta, il figlio di Efesto indicò un punto davanti a noi. Un gruppo di orchi si stava avvicinando a noi rapidamente. Impugnavano armi ricurve e minacciose, mentre il loro corpo grigiastro verde era coperto da rozze armature di cuoio.
«Einar! Fai in fretta, abbiamo compagnia!» lo avvertii, prendendo lo scudo ed estraendo la spada.
«Non mettere fretta al maestro» replicò, mentre si toglieva la sciarpa.
Stava sudando, cosa incredibile, vista la temperatura.
«Oh, noi non lo facciamo. Loro, forse, potrebbero» rispose Leo, evocando una palla di fuoco e scagliandola contro il nemico più vicino.
Uno dei mostri arrivò a poca distanza da me e provò a brandire un’ascia per colpirmi, ma la parai e risposi con un fendente, tranciandogli la gola.
Mi buttai nella mischia, menando fendenti a destra e a manca, svuotando la mente da ogni cosa. Ero a malapena cosciente della presenza di Leo al mio fianco che, armato di martello, manco fosse Thor, riversava ondate di fuoco contro gli orchi che ruggivano e grugnivano contro di noi.
Una spada ricurva tentò di decapitarmi, però mi abbassai in tempo e, con la mia, trafissi l’aggressore. Altri mostri provarono ad avvicinarsi, ma caricai con lo scudo sbilanciandoli e provocando l’effetto domino di farli caracollare tutti sul ghiaccio.
Menai altri fendenti, tenendo lontani quanti più avversari possibile, ma, inesorabilmente indietreggiavamo. Eravamo solo in due.
Un urlo attirò la mia attenzione. Leo era stato colpito al fianco da una lancia e stava crollando a terra. Lo afferrai per un braccio e lo tenni vicino a me, mentre il sangue gli colava dalla ferita.
«Dannazione» imprecai, parando un colpo.
Ad un certo punto una folata di energia mi scompigliò i capelli, mentre gli orchi si bloccavano un po’ intimoriti. Capii subito perché. La comparsa di una fortezza a pochi metri dal tuo naso non è roba da poco.
«Fatto! Capo due, vieni!» disse Einar, indicando i portoni della fortezza aperti.
Mi caricai in spalla il figlio di Efesto e corsi verso di essi, mentre il figlio di Loki prendeva l’arco e mi copriva. Due mostri caddero a terra con delle frecce nel petto, intanto che io evitavo una picca che stava per trafiggermi alla schiena.
«Proviamo a seminarli dentro» ordinai, mentre Einar tentava di chiudere le porte, troppo pesanti per essere spostate.
Avevano un incredibile dimensione, davvero impressionante. Quello era un vero e proprio castello costruito sulle montagne gelide.
«Avanti, amico, ti curo appena siamo dentro» dissi, tentando di rincuorare Leo, che continuava a sparare palle di fuoco contro gli orchi.
«Con calma, eh. Non ci sta inseguendo nessuno» replicò, mentre correvamo verso le porte.
Ovviamente il figlio di Loki non riuscì a chiudere le porte e noi ci ritrovammo nel cortile esterno, inseguiti dai mostri. Un orco ci raggiunse e lo decapitai, mentre Einar saliva le scale che portavano alle mura per guadagnare una posizione elevata e ricominciare a tirare con l’arco.
Approfittai dell’attimo di respiro per evocare il potere di mia madre. Mi concentrai e le mie mani si illuminarono. Le poggiai sul fianco ferito di Leo e la ferita si rimarginò in pochi secondi.
«Ehi… grazie, amico» disse il figlio di Efesto sorpreso e allegro. «Voglio assumerti come medico personale.»
«Ci penserò» risposi, dandogli una pacca sulla spalla. «Ora meglio occuparsi di loro. Gli farò assaggiare una medicina migliore.»
«Sono pienamente d’accordo» convenne, accendendosi come un fiammifero.
Eravamo pronti a gettarci di nuovo nella mischia, quando un potente ruggito attirò la nostra attenzione. Alzammo lo sguardo e quello che vedemmo ci lasciò a bocca aperta: la mia viverna, un esemplare maschio di nome Speil, stava volando verso di noi per aiutarci, ma una gigantesca creatura alata, poco più piccola di lui, l’aveva intercettata per, poi, lanciarsi verso terra. 
Un gargoyl grande come un autobus, seguito da quattro sue copie poco più piccole, piombò in mezzo al branco di orchi, schiacciandone diversi sotto le zampe da rettile. Il corpo ricordava quello di un dragone, mentre il volto leonino ringhiava furibondo contro gli intrusi.
Sulla coda era stata modellata un’ascia bipenne, che si schiantava a terra travolgendo i mostri, e le mani, di forma umana, stringevano una grossa alabarda che, nonostante fosse ornamentale, era più che adatta a fare a pezzi tutto quello che incontrava.
«Credo siano qui per difendere la fortezza!» commentò Einar, saltando giù dalle mura, abbandonando la faretra vuota e l’arco spezzato.
«Ecco perché ce l’hanno anche con noi!» aggiunse Leo, correndo verso le porte della fortezza interna.
Lo seguii a ruota, dato che uno dei costrutti minori ci stava letteralmente puntando, il che significava che voleva farci la festa, mentre i suoi compagni abbattevano gli orchi e tenevano la mia viverna ben lontana da noi.
Una fortuna che il portone principale desse sull’interno e non fosse massiccio come quello esterno; ci bastò spingere per aprirlo.
«Richiudiamo, presto!» ordinai, vedendo il muso leonino correre verso di noi, ruggendo furioso.
Tutti e tre spingemmo le ante del portone, che si mosse cigolando orribilmente, prima che il mostro di pietra sfondasse. Questa volta fummo fortunati e, con un tonfo, il gargoyle si schiantò contro le porte chiuse, ruggendo dalla frustrazione.
«Dannazione, non reggerà a lungo» ci informò Leo, indicando i cardini che cigolavano ad ogni botta, come se un ariete ci steste sbattendo contro.
«Qualcuno deve rimanere a trattenere questi mostri di pietra» dissi, osservando inquieto lo spettacolo, mentre i ruggiti dei mostri che si affrontavano nel cortile riempiva l’aria. «Rimango io.»
«Ehm… Sicuro, Nilsen?» chiese Einar, un po’ preoccupato. «Sarai da solo.»
«Sono abbastanza sicuro di poter resistere finché non tornerete» replicai, deciso, mentre stringevo la presa sulle cinghie dello scudo.
«Di solito non mi piace offrirmi volontario come tributo, ma perché non posso rimanere io o Einar?» domandò Leo, alzando un sopracciglio.    
«Non ti ho chiesto di partecipare agli Hunger Games. Inoltre, tu sarai molto utile per evitare trappole meccaniche, mentre Einar… be’, Blindivor ha parlato di un figlio di Loki. Quindi è giusto che vada tu» spiegai, accarezzando l’elsa della mia spada.
Dovevo dargli fiducia? Sentivo di sì.
«Bene… ehm… in bocca al lupo, capo due» mi augurò il moro, dandomi una pacca sulla spalla. «Cerca di non farti uccidere.»
Mentre i due correvano via, lungo il corridoio che si apriva alle mie spalle, estrassi la spada e mi riparai dietro lo scudo, pronto a ricevere i gargoyle che spingevano il portone. Intorno a me, i sussurri delle anime rimaste intrappolate in quel castello tacquero, come a rispettare la mia concentrazione prima dello scontro.
Pregai mia madre di darmi la forza di cui lei era nota.
Speriamo bene, mi dissi, mentre il legno cedeva e i mostri entravano furiosi.
 
∫ Einar ∫
 
«Siamo certi che ce la possa fare?» chiese Leo, seguendomi lungo il corridoio.
«È il secondo di Alex e un combattente molto abile, credimi, può farcela» lo rassicurai, prendendo la mia spada.
Avrei preferito l’arco, ma, ormai, era diventato solo due pezzetti di legno con una corda attaccata. Il corridoio alle spalle del salone portava ad un sotterraneo e, da lì, in un lungo corridoio abbastanza strano. Mi guardai intorno, sospettoso, certo che ci fossero trappole ovunque.
«Allora… Quante possibilità ci sono che una fortezza del genere, con la nostra presenza, sia tranquilla?» scherzò Leo, facendo luce con la mano ricoperta di fiamme danzanti.
«Nessuna» ammisi, avanzando senza esitare.
Fu un errore che intuii appena in tempo.
Sotto i miei piedi avvertii uno scatto che mi allarmò. I miei occhi percepirono un lieve movimento alla mia sinistra e, di istinto, saltai all’indietro travolgendo anche Leo, che crollò a terra come un sacco.
«Ahi!» si lamentò. «Stai attento.»
«Lo sono stato» risposi, indicando una lama affilata che oscillava velocemente davanti a noi.
Se non fossi stato pronto, mi avrebbe tagliato in due.
«Santo Efesto… come in Indiana Jones!» esclamò il semidio greco, avvicinandosi, però rimanendo a distanza di sicurezza.
«Mmmmh, be’, ce ne sono altre.»
Indicai più avanti. Tutto il corridoio ne era pieno.
«Be’, queste sono trappole meccaniche classiche» spiegò il figlio di Efesto, studiandola. «Credo di poterle disattivare, devo solo trovare il perno comune.»
«Davvero?» domandai, lisciandomi il mento.
Non si poteva dire che Valdez non fosse bravo.
Per tutta risposta il ragazzo sorrise. «Lascia fare all’esperto.»
Senza esitare, estrasse dalla cintura abbastanza oggetti per creare una rudimentale scala e raggiungere l’apertura che, dal soffitto, faceva oscillare l’enorme mezzaluna.  Gli detti una mano e, dopo aver armeggiato con il meccanismo che, evidentemente, era nascosto dal soffitto, la prima lama oscillante crollò a terra con un tonfo. 
Dopodiché, il figlio di Efesto accese le mani e le infilò nell’apertura. Non ci volle molto perché le fiamme attecchissero. Molto probabilmente il legno che costituiva il perno era già marcio da tempo e il fuoco lo incenerì in poco tempo. Infatti, le altre lame crollarono quasi subito.
«Bel colpo, Valdez» mi complimentai, dandogli uno scappellotto e incamminandomi.
«Grazie… Be’, era un meccanismo molto semplice…» si schermì. Con un sorrisetto, però.
Procedemmo lentamente, stando attenti a non farci cogliere impreparati. Sapevamo che ci sarebbero potuti essere dei rischi, ma a questo punto, non potevamo tirarci indietro. Dovevamo andare avanti e poi chissà che quest’arma appartenuta ad un mio antenato non fosse qualcosa di utile per salvare il capo.
Dopo le lame, percorremmo il corridoio e ci trovammo davanti ad una porta di metallo grande abbastanza da far passare un troll.
«Quanto ci scommetti che, dieci a uno, è una trappola?» chiese Leo, avvicinandosi.
«Non lo so. Ma c’è solo un modo per scoprirlo» replicai, avvicinandomi alle ante, tastandole con cautela onde evitare altri trabocchetti.
Appena fui certo che fosse tutto a posto, aprii lentamente, quasi temessi si sarebbe spalancato dall’altra parte a causa di un mostro che mi avrebbe travolto. Fortunatamente o sfortunatamente, non accadde questo.
«Accidenti. Credo che il castello fosse solo uno specchio per le allodole» commentò Leo, guardandosi intorno stupito.
In effetti, il posto sembrava più una piccola cattedrale che un sotterraneo.  La volta era alta, ed ai lati, ad intervalli regolari, erano poste quattro nicchie, ognuna contenete la statua di un misterioso cavaliere armato di lancia e scudo. 
«Lo credo anche io» ammisi, fissando le statue scettico.
Ero convinto che si sarebbero rianimate.
«Dici che dobbiamo rimanere qui a controllare ogni singola statua?» mi chiese il mio compagno, guardandomi.
Cercai di non farmi mettere fretta e di analizzare la situazione con calma e meticolosamente. Era probabilissimo che la porta dopo sarebbe stata una trappola, che avrebbe riattivato quei golem, quindi come fare ad evitarla?
«Ho un’idea!» esclamai, sentendomi illuminato. «Torcia Umana, quella tua fantastica cintura può far apparire una quantità illimitata di fil di ferro, vero?»
«Certo. Ehm, non esattamente illimitata, però. Credo che dopo le sei tonnellate finisca» precisò con un ghigno.
«Tanto, ci serviranno meno di sei tonnellate. Ho solo bisogno che tu annodi i piedi di queste belle statuine. Se è davvero un trappola, allora si animeranno, inciamperanno sui loro stessi piedi e capitomboleranno giù» spiegai, indicandole una ad una.
«Ottimo piano. Veloce e senza rischi, come piace a me» convenne, iniziando a tirar fuori fil di ferro a volontà.
«Cosa ti aspettavi, dal maestro?» domandai, con un ghigno, mentre lo aiutavo ad annodare i nostri nuovi salami.
Non fu difficile finire il lavoro: le statue nemmeno si muovevano, anche se sembravano pronte a tirarci mazzate in testa, ma non reagirono al nostro legarli.
«Ottimo. Si apre la porta, ora!» esclamò allegro Leo, avvicinandosi agli enormi battenti di legno.
Come previsto, appena la porta si aprì, le quattro statue si animarono e provarono a scendere dai loro piedistalli. Peccato che, nel tentativo, finirono con inciampare nel fil di ferro e caracollare a terra senza possibilità di muoversi, provocando un rumore assordante.
«Bell’idea» si complimentò il mio amico, dandomi una pacca sulla spalla.
«Aspetta a cantar vittoria» lo frenai, indicando il lungo corridoio senza luce che si districava davanti a noi. «Sento che il pericolo non è ancora finito.»
Non volevo essere pessimista, ma i miei sensi mi stavano mettendo in allarme. Quel forte non era una difesa, ma una prova. Una prova d’astuzia e velocità. La prova per un figlio di Loki.
I gargoyle non potevano essere sconfitti, così come le statue animate. La prova stava nell’essere tanto furbi da superarli senza rimetterci la pelle. Mi chiesi a che scopo.
Accendemmo le torce e avanzammo lentamente nell’oscurità stranamente fitta. Sembrava quasi che la luce stessa fosse offuscata da una leggera ma opprimente coperta, quasi un sottile velo di ragnatele impalpabile. Provai a mettermi in contatto con i ragni del posto, eterni abitanti di qualsiasi zona in rovina, ma, stranamente, non percepii il familiare zampettare e la sottile voce degli aracnidi.
La cosa mi insospettì non poco. Era come se anche loro fossero spaventati da quel luogo.
Di colpo mi bloccai.
«Leo, corri!» gli ordinai, temendo il peggio.
Ora capivo cos’era quel misterioso velo.
«Cosa succede?» chiese allarmato, mentre lo trascinavo via, correndo come un forsennato.
«Questo posto è una trappola e il corridoio è assuefatto di Foschia, presto avremo delle allucinazioni!» spiegai, mentre già sentivo la testa girarmi.
Chiunque avesse ideato quella protezione non solo era un figlio di Loki, ma anche molto abile ad utilizzare ed alterare la Foschia, abbastanza da concentrarne in un unico luogo una grande quantità.
Il corridoio iniziò a vorticare, come se fossimo finiti in un frullatore, ma io sapevo che era un’illusione. Ordinai alla Foschia di allontanarsi da me e da Leo, anche se su di lui fu difficile agire.
«Che… che succede?» la sua voce mi raggiunse ovattata e confusa, e si guardava intorno nervoso, come se stesse avendo visioni poco belle.
Provò a liberarsi dalla mia stretta, ma non lo lasciai fare e continuai a correre, intravedendo, al termine del corridoio, una porta. Pregando che non fosse un illusione, accelerai, deciso a sfondarla, se necessario. Fortunatamente non lo era, e mi fiondai fuori.
La testa mi girava e strane lucine e fatine colorate danzavano davanti ai miei occhi. Tuttavia, essendo abituato a lavorare con la Foschia, riuscivo a distinguere illusione e realtà. In meno di un minuto, inquadrai bene il luogo.
Era una grotta dalla volta alta, che sembrava scavata della roccia naturalmente e senza troppa precisione. I muri erano frastagliati e grigi, senza una copertura. Solo il terreno era pavimentato da lisce mattonelle cubiche.
«Siamo… salvi» ansimai.
Ma avevo parlato troppo presto. Leo aveva le mani nei capelli e piagnucolava in posizione fetale, gemendo qualcosa.
«L-lasciami!» si lamentò, stringendo le palpebre. «I-io… v-voglio solo che tu muoia!»
Mi avvicinai cauto, tenendo i coltelli pronti. Sotto l’effetto di una saturazione di foschia, un semidio poteva diventare molto pericoloso e vedere i propri alleati come nemici.
«Via! Io ti brucerò! Fuoco… fuoco e tempesta… fuoco la terra… brucerà… io… i-io ti brucerò… Gea!» continuava a sussurrare, convulsamente.
«Amico, svegliati! Non è reale» provai a dirgli, afferrandolo per un braccio.
Di colpo, però, si alzò e una fiammata mi investì. Il figlio di Efesto mi guardava furibondo, con gli occhi velati dalla Foschia, le mani avvolte in lingue di fuoco.
«Gea! A noi due!» urlò, gettandosi contro di me, lanciando fiammate.
«Amico, io non sono Gea!» gli ricordai, evitandolo di poco. «Se lo fossi, ti schiaccerei.»
Ma, ovviamente, non era cosciente di quello che faceva. La Foschia stava alterando ricordi e visione.
Continuava a lanciarmi fiammate, mentre io le evitavo saltando e facendo capriole, cercando colonne o qualsiasi cosa potesse aiutarmi ad evitare il fuoco. Peccato che non ci fosse nulla, a parte una porta dall’altra parte della stanza rispetto a dove eravamo arrivati, e non intendevo darmela a gambe lasciandolo lì.
Rotolai di nuovo e lanciai un coltello contro di lui, che, però, lo deviò con una fiammata. Evocò, poi, una palla di fuoco, che esplose accanto a me, facendomi cadere a terra.
«Merda» imprecai, stringendo i denti, mentre il fianco iniziava a bruciarmi. La mia giacca era andata a fuoco e fui costretto a togliermela subito, prima di ardere vivo.
«Valdez, svegliati!» lo chiamai, mentre altri proiettili esplosivi mi saettavano intorno. «Gea non è ancora risorta, concentrati e prova a ricordare dove sei!»
Un tentativo disperato, ma sperai che la mia lingua ingannatrice bastasse a farlo vacillare. Leo barcollò, come se avesse ricevuto un pugno in faccia.
Ora o mai più!, mi dissi incoraggiandomi ad intervenire.
La Foschia, in quel luogo, era talmente densa che non sentii nessuna fatica ad evocare altri me stessi illusori, confondendomi tra di essi. Corsi verso il figlio di Efesto, che riprese ad inveire contro di me, lanciando fiammate come se fosse una mitragliatrice. Due mi illusioni andarono in fumo, ma, prima che potesse individuarmi, lo placcai e gli detti un ceffone.
«Svegliati, maledizione!» urlai, mentre si dimenava disperatamente.
Posi una mano sulla sua fronte e cercai di liberarlo. La Foschia non ce l’aveva solo intorno, gli era letteralmente entrata nel cervello, alterandone i ricordi. Se volevo che si riprendesse, dovevo espellerla, altrimenti rischiava di danneggiare la sua mente.
L’avevo visto succedere, tra i figli di Loki, ma erano incidenti, accaduti senza volerlo. Se qualcuno era riuscito ad usare la Foschia fino a questo punto senza farsi saltare in aria, doveva essere uno stregone abilissimo.
Mi concentrai, cercando di fare in fretta, prima che Leo mi travolgesse con un esplosione di fuoco e mi concentrai. Evocai la Foschia che lui doveva aver inalato durante il corridoio e le ordinai di uscire. Rivoletti grigi, simili a fumo, si riversarono fuori dalle sue narici, dalle orecchie e dalla bocca, mentre lui emetteva versi strozzati, quasi stesse soffocando.
Di colpo si bloccò e ansimò, mentre io mi scioglievo, lasciandolo andare.
«Ehm… grazie, amico, ma non ho certe tendenze» disse Leo, ad un certo punto, fissandomi.
«Peccato» ammisi, notando che ero a cavalcioni su di lui in una posa un po’ equivoca.
Ci alzammo entrambi e ci pulimmo le mani piene di terra e polvere.
«Che è successo? Ho un po’ di mal di testa» chiese, scuotendo i ricci leonini, cercando di riprendersi.
«Sei stato sopraffatto da un eccesso di Foschia. È come un allucinogeno, ma è passato. Ricordi qualcosa?» indagai, dandogli delle pacche sulla scapola, mentre tossiva ancora un po’.
«Solo degli sprazzi» ammise, massaggiandosi le tempie. «Credo di aver sparato fuoco a qualcuno.»
«Tranquillo, nulla di grave» lo rassicurai, decidendo che non era il momento migliore per fargli notare che mi aveva quasi ucciso.
«Sicuro?» domandò, un po’ sospettoso. 
«Sicuro» dissi, dandogli una pacca sulla spalla.
Ci avviammo verso l’ultima porta, decisi, questa volta, a non fare cavolate. Eravamo pronti a tutto e preparati ad evitare un’altra imboscata da parte di qualsiasi costrutto o saturazione di Foschia.
«Andiamo» incitai, spingendo le porte.  
La stanza che trovammo fu l’ultima. Era simile alla precedente, ma più elaborata. La volta era a botte e c’erano dieci nicchie, alle pareti, che contenevano ciascuna una statua di una persona. Ognuna aveva le mani tese davanti a sé con un arco in mano, quasi a volerlo donare. Intorno ad esse erano, però, accumulati scudi, spade, armi e molti altri oggetti. Era una stanza del tesoro. 
«Accidenti, sembra che siamo arrivati alla fine. Dobbiamo scegliere l’arco, giusto? Ma a che servono tutte queste cose?» chiese Leo, indicando diverse decine di asce.
«Se ci penso… Non ci credo. Questo è l’ultimo rifugio di Robin di Loksley!» esclamai, estasiato.
«Chi?»
«Oh, scusa.» Mi voltai verso di lui, con un sorriso. «Sto parlando di Robin Hood. Lui era uno dei più famosi figli di Loki esistenti al mondo, oltre che il più potente. È una leggenda, tra i miei fratelli. Dopo aver compiuto una grande impresa, sconfiggendo molti semidei, partì per il nord per prestare servizio per Asgard contro gli Jotun, ma… sparì, e non se ne seppe più nulla. Portò con sé decine di oggetti e armi magiche, compreso il suo arco.»
«Quindi Blindivor parlava della sua arma. Un gruppo di semidei con queste potrebbe sconfiggere un esercito. Ma tra queste non vedo nessun arco» mi fece notare Leo, accigliato.
«Lo so» sospirai, osservando tutte le statue, una ad una. «Credo che l’arco sia uno di questi e che, se non vogliamo morire infilzati da frecce, devo trovare quello giusto.»
«Esatto» disse una voce alle nostre spalle.
Sulla porta che avevamo usato per entrare, c’era una persona. Il volto era coperto da un pesante cappuccio e aveva le mani giunte dietro la schiena. Indossava abiti medievali da viaggio e un sorriso divertito gli inarcava le labbra.
«Immagino che tu sia Robin Hood» intuii, osservandolo.
«Accidenti, questa situazione fa venire mal di testa» si lamentò il figlio di Efesto, ma il fantasma lo ignorò.
«Esatto, fratello. Sono ciò che rimane di lui. Ricordi… desideri… paure. Molte cose che sono sigillate in questo luogo. Ultimi indizi che non sono riuscito a lasciare. Aspettavo qualcuno che ritrovasse questo posto, dopo la mia dipartita» spiegò, avvicinandosi, mentre la sua figura aleggiava intorno a noi.
Aveva una voce profonda e mascolina. Decisa, come quella di un leader.
«Immagino che tu non sia qui per dirmi qual è l’arco giusto, vero?» indovinai, sorridendo.
«Mi pare ovvio. Non si regalano certe armi alla leggera. E Sibilo preferisce essere scoperto.»
«Sibilo? Il nome del tuo arco?» chiesi, sorpreso.
«Sì. Mettiamola così: ero noto per il mio intuito. Sei alla mia altezza?» chiese, indicando le statue.
«Ma… che succede se sbaglia?» domandò Leo.
«Il tuo amico morirà, figlio di Efesto. Ma tu potrai andartene» rispose, semplicemente, lo spettro, scrollando le spalle.
«Einar, sicuro di volerlo fare?» chiese il mio amico, dubbioso.
«Sono arrivato fin qui» dissi semplicemente, attraversando la sala e avvicinandomi alle statue.
Erano tutte uguali, tutte simili, eppure ognuna di esse rappresentava qualche particolare diverso. Una aveva un borsello, una sotto il cappuccio aveva una corona, un’altra aveva un aspetto mostruoso e una era addirittura di una donna.
Cosa poteva rappresentare Robin Hood?
Le leggende, su di lui, erano tante e diverse. Demone, re dei ladri, criminale, eppure… chi era lui, realmente?
Solo una era assolutamente la più insospettabile: la donna.
Era una follia ma… perché non provare? Era una cosa talmente pazza da sembrare plausibile. Perché una donna, in mezzo a tanti uomini?
Avevo un solo tentativo. Allungai la mano e presi l’arco dalle mani della donna.
Tutte le statue si mossero… e si misero l’arco a tracollo.
«Ottima scelta.»
Questa volta, la voce di Robin era dolce, calda, come quella di una madre. Leo era rimasto a bocca aperta, mentre il fantasma si toglieva il cappuccio, mostrano i morbidi lineamenti femminili.
«Lei è davvero una donna» sussurrai, sorridendo all’idea.
«Lo ero. Ma all’epoca le donne erano, come dire, temute. Per una figlia di Loki era meglio nascondersi, piuttosto che essere additata come strega» spiegò la ladra, con un sorriso triste.
«Immagino. Già essere donne era difficile, poi figlie del dio degli inganni…» ammisi, sentendomi in sintonia con lei.
I figli di Loki non venivano mai accettati del tutto.
«Già. All’epoca… be’, c’era una guerra, tra i figli degli Dèi nordici. Io mi schierai. Mi feci la mia fazione e molti semidei che qualcuno avrebbe considerato di poco conto si unirono a me. Riuscimmo a farci valere e a riportare una parvenza di pace. Tutto quello che riuscii a sottrarre, lo portai con me. Morimmo tempo fa, in queste lande, dimenticati da tutti. Alcune volte è meglio lasciare alle spalle una leggenda, che rimanere sotto gli occhi di tutti.»
«Forte…» sussurrò Leo, riprendendosi. «Quindi, avete nascosto un super-arsenale qui?»
«Esatto, figlio di Efesto. Volevamo evitare che portassero ad un massacro. Ma ora sento che vanno riportate alla luce. Fratello, la terra geme e sussurra… L’ho avvertita. L’Antico si sta risvegliando e i semidei avranno bisogno di armi ed equipaggiamenti adatti. Quando avrai compiuto la tua missione, torna qui e mostra loro quello che hai trovato. Mi auguro che voi saprete usare saggiamente quanto sia contenuto qui. Usa con cautela l’arco: Sibilo ti permetterà di non sbagliare mai il bersaglio e mai vento ti impedirà di tirare. Quando lo porterai via, le difese della fortezza si disattiveranno, quindi potrai percorrerla liberamente» mi disse, sorridendomi triste.
«Lo farò. Be’, grazie, immagino» balbettai, un po’ emozionato. Ero stranamente sorpreso di essere ancora vivo. «Tu dove andrai?»
«Nel Valhalla. Ho amici che mi attendono lì. Einar, fratello mio, che gli Dèi possano guidarti… anche se di solito si fanno i fatti loro» mi augurò, ridendo.
Senza pensarci, sia io che Leo scoppiammo a ridere con lei, finché la sua immagine non svanì.
 
♪Leo♪
 
«Torniamo indietro?» proposi, con un sorriso. «Qui è tutto molto figo, ma preferisco un po’ d’aria aperta e roba meccanica.»
«Assolutamente. Andiamo, Lars avrà bisogno di noi» approvò il figlio di Loki, tornando indietro, dopo aver imbracciato l’arco e aver preso una faretra dal tesoro contenente frecce nere come la pece.
Corremmo lungo le sale che avevamo già esplorato; questa volta, per fortuna, nulla ci dette fastidio. Per un attimo, temetti che la Foschia mi avrebbe fatto impazzire di nuovo, ma, quando passammo dal corridoio, quello si era magicamente illuminato e la Foschia era sparita. Meglio così, non ricordavo cosa fosse successo, ma avevo la sensazione che non era stato piacevole per nessuno.
Raggiungemmo il salone, dove, per poco, non fui travolto da una viverna che si dimenava convulsamente, avvinghiata ad un gargoyle, che impugnava ciò che restava di un alabarda. Dietro di lei, Lars affrontava due costrutti da solo, ma era praticamente allo stremo. La mano che reggeva la spada tremava ad ogni colpo e lo scudo era ammaccato.
«Ehi!» ci chiamò, rotolando sotto la coda di uno dei mostri, per poi tentare di colpirlo sull’occhio di cristallo.
Il gargoyle ruggì furibondo e provò a tirargli un manata, ma il semidio fu rapido a sfuggirgli.
«Siamo qui, capo due!» rispose Einar, tendendo l’arco.
«E pronti a fondere un bel po’ di roccia» aggiunsi, evocando un tornado di fiamme contro il mostro più vicino.
Quello, però, non sentì assolutamente nulla e si limitò a ruggire contro di me, furioso. Ero nei guai.
«Aiuto!» gemetti, scappando via, mentre una gigantesca clava si abbatteva a poca distanza dalla mia povera testolina.
Superai una colonna, che durò quanto un foglio di carta davanti alla carica del mostro di pietra.
«Se questo arco può disattivare le difese, forse un colpo di freccia ben assestato può distruggerli» avvertì Einar, scoccando.
La freccia nera attraversò il campo di battaglia e colpì il gargoyle che mi inseguiva in pieno petto. Fu come se avessero staccato la spina ad un computer, mandandolo in cortocircuito. Il muso leonino si dimenò, in un ultimo tentativo di attaccarmi, ma le giunture si erano come bloccate e, con uno scricchiolio sinistro, crollò a terra, frantumandosi in mille pezzi.
«Grande!» esultai, ridendo. «Certo che era proprio a pezzi» aggiunsi, divertito.
«Bella battuta, Valdez, ma ora una mano me la date?» domandò Lars, ormai con le spalle al muro.
«Arrivo, Nilsen!» urlò Einar, scoccando altre frecce.
In poco tempo, tutti i gargoyle furono trasformati in cenere dalle frecce del figlio di Loki. Degli orchi, nessuna traccia. Erano rimasti solo cumoletti di neve, probabilmente fatti a pezzi dai magici difensori di quella fortezza, che poi si erano lanciati contro il povero Lars che, però, con la sua viverna, aveva retto fino al nostro ritorno.
«Accidenti, ce ne avete messo di tempo» sbuffò, massaggiandosi il braccio destro.
«Scusa, amico. Abbiamo avuto un… problema» si scusò Einar, dandogli un pugno sulla spalla. «Come sei andato, tu?»
«Un sacco di mostri. Un gargoyle è stato abbattuto dagli orchi, un altro da Speil, ma gli altri tre stavano per distruggerci» ammise, abbassando lo sguardo.
Era deluso da se stesso?
«Tranquillo!» esclamai, allegro, cercando di tirarlo su. «Hai resistito tantissimo senza di noi, dovresti esserne fiero.»
«Spero solo che ne sia valsa la pena» si schermì, con un sospiro.
«Sicuro. Lars non ci crederai, ma…» Einar iniziò così a raccontare della nostra avventura nei sotterranei, della stanza del tesoro di Robin e di tutte le armi che vi erano custodite. Parlò della vera Robin, di come ci aveva detto dei poteri di Sibilo e delle incredibili possibilità di quegli oggetti magici.
«Cavolo!» esclamò il figlio di Eir, entusiasta. Era la prima volta che sembrava sorpreso. «Se avessimo avuto prima tutte quelle armi, avremmo potuto battere Crono in due secondi. E potremmo resistere agli eserciti di Gea. Vanno recuperate subito.»
«Sono d’accordo.» Einar sembrava molto entusiasta.
«Sarebbe bellissimo, ma non dimenticate qualcosa?» li frenai, alzando la mano. «Annabeth è prigioniera di una pazza psicotica e Alex e Piper sono dei surgelati ambulanti, non credete che prima dovremmo occuparci di questo?»
«Quello era ovvio» mi tranquillizzò il figlio di Eir, annuendo. «Ma appena avremo finito, dobbiamo tornare.»
«Sì» assicurammo io ed Einar.
«Ottimo. A questo punto, torniamo al forte» disse Lars, con un sorriso.
Sembrava un po’ più sollevato.
Uscimmo dal portone che, ormai, era stato abbattuto e superammo le mura esterne che, poco prima, Einar aveva usato per abbattere orchi a colpi di arco. Stavamo per rimetterci in cammino sulla landa di ghiaccio, quando un messaggio iride apparve davanti a noi.
«Leo!»
Era la voce di Jason.
«Ehi, amico!» lo salutai, mentre i due semidei nordici si accalcavano intorno a me per vedere.
L’arcobaleno ebbe qualche specie di interferenza, ma, dopo pochi istanti, il viso di Jason apparve, provato e stanco. Aveva un leggero taglio sulla guancia e della neve addosso.
«Leo, ci sei?» chiese, fissandomi.
Alle sue spalle, si vedevano movimenti rapidi e decisi. Dei semidei stavano combattendo.
«Sì, amico. Vi state divertendo senza di noi?» domandai, sperando che le immagini non fossero così veritiere.
Magari si stavano solo allenando. Credici…, mi dissi, sapendo già che non era così.
Infatti Jason si rabbuiò. «Temo di no, Leo. Un esercito di mostri ci sta attaccando. Vogliono fermarci prima che arriviamo alla Valle delle Navi. Sono guidati dal Gigante Toante, ma che, per ora, non fa molto. Li stiamo trattenendo, però volevo avvertirvi di non tornare. Non ce la fareste mai.»
«Dannazione» imprecò Lars, nervoso. «Ci sono vittime?»
«Per ora non abbiamo perso nessuno. Abbiamo solo un sacco di feriti» lo rassicurò il figlio di Giove. «Ma, prima o poi, entreranno, ed il portone non reggerà in eterno.»
«Ok, ci terremo a distanza di sicurezza» dichiarò Einar. «Comunque, cercheremo di aiutarvi, per quanto possiamo.»
«Non fate gli eroi. Ricordate che un gigante va abbattuto solo se, con voi, c’è un dio… e Toante sa che non abbiamo Dèi dalla nostra» ci avvertì Jason, preoccupato.
Era evidente che non voleva perdere nessuno. Ma io sapevo che non era così. Un dio nordico mi aveva promesso aiuto.
«Tranquillo, amico. Staremo attenti» lo rassicurai, fissandolo con decisione, cercando di fargli capire che non tutto era perduto.
«Bene. In bocca al lupo, ragazzi» ci augurò, annuendo verso di noi.
Doveva aver capito.
«Grace! Mura ovest, vai!»
La voce di Nora ci giunse ovattata e lontana dal messaggio Iride, ma, comunque, chiara e squillante, nonostante il clangore delle spade sugli scudi.
«Vi devo lasciare. State attenti!» ci salutò, interrompendo la comunicazione di colpo.
Lars ci guardò con uno sguardo gelido. Era deciso e determinato a non abbandonare i suoi compagni prima che potessero morire per mano dei mostri.
«Ragazzi, abbiamo bisogno di un piano» disse, stringendo i pugni. «Non possiamo lasciare che se la vedano da soli.»
«Capo due, devo farti notare che siamo solo tre e quei mostri un esercito? Farei volentieri qualcosa, se non fosse un suicidio completo. Ci serve un dio, e poi un piano» fece notare Einar, poco convinto.
«Io ce li ho» dissi, attirando di colpo su di me la loro attenzione. «Io ho un dio e un piano. Dobbiamo solo essere abbastanza pazzi da metterlo in pratica» commentai, con un sorrisetto astuto che sembrò contagiarli.

koala's corner.
Buona sera, semidei! Come sempre, ecco qua il nuovo capitolo (y)
Un capitolo non incentrato su Alex, wow! E' stato incredibilmente interessante scriverlo, anche perché incontriamo - per la prima volta - un figlio di Loki che non è un lupo gigante, un cavallo a otto zampe o un serpente gigante.
E Robin Hood è una donna. Una donna. (leggere tra le righe: !femminismo!)
Storicamente, Robin Hood non è neanche esistito ed è parte della cultura inglese, ma rispecchiava perfettamente l'idea di figlio di Loki "buono" e ci era sembrato figo inserirlo.
Anche perché, poi, ci sono state incursioni barbare in Inghilterra ed è possibile che qualcuno venerasse ancora gli antichi dèi nordici.
Abbiamo scoperto qualcosina in più sui poteri di Lars, che non sono solo curativi, ma sono anche legate a Fulla, sorella di Eir (ed entrambe ancelle di Frigga.) Essendo Fulla l'unica poretta dea vergine del pantheon, capita che alcuni suoi poteri passino ai figli della sorella.
*coff* E tramite questo cerca di imitare il mio stile senza riuscirci *coff*
Con questo abbiamo finito! Un abbraccio e alla prossima!

Soon on DdN: POV Piper/Astrid in cui ci sono delle bombe. Letteralmente.

Avete notato la Odell che abbiamo scritto? No? Shame on you and on us

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Capitolo 18
*** PIPER/ASTRID • La Skidbladnir salva il culo a tutti ***


La Skidbladnir salva il culo a tutti
►Piper◄
 
«Andiamo, forza.»
Diedi qualche buffetto Alex, ma la sua testa mi ricadde sulla spalla, gli occhi chiusi.
«Alex? Alex, per favore, non mollare.» Provai a colpirlo un po’ più forte, schiaffeggiandolo sulle guance. «Svegliati, andiamo.»
Il figlio di Odino rimaneva immobile, e il suo corpo, appoggiato al mio a peso morto, iniziava a farmi barcollare.
«Per gli Dèi, Alex!» gli gridai addosso. «Non puoi andartene adesso! Che cavolo, sei sopravvissuto fin qui, puoi fare ancora un altro passo. Io, da sola, non sono abbastanza forte per portarti. Non c’è più Nuala, te ne sei reso conto? Non c’è più nessuno ad aiutarmi a trasportarti.»
All’improvviso, mi ritornarono in mente
i capelli bruni dell’elfa dei boschi che ondeggiavano sulla sua schiena mentre se ne                                                                                                                andava
via.
Sentii gli occhi riempirsi di lacrime e la mia voce si fece roca e lamentosa. «Ti prego, Alex, ti prego… Non farlo per me, anche se ti sto implorando. Fallo per chiunque tu voglia, per tua madre, per Astrid, per Einar, ma ti prego, apri gli occhi
Il figlio di Odino non rispose in alcun modo alle mie preghiere, non mosse un solo muscolo in risposta. Mi venne voglia di scaraventarlo via da me, così che potessi mettermi in un angolino e piangere per la mia perdita.
Ma non puoi, mi ricordò una voce interiore. E il fatto che avesse ragione mi irritò a tal punto che mi prudettero le mani.
«Va’ al Tartaro, okay?» imprecai. «Ce la farò da sola, senza la tua collaborazione!»
Sarai pure un eroe, Alex Dahl, ma sono stufa marcia di dovermi preoccupare a causa tua, aggiunsi mentalmente.
Ed era vero: da quando l’avevo incontrato, non avevo fatto altro che affannarmi tra lui e Jason, a spaventarmi a morte per le possibili reazioni di Astrid, e avevo passato notti in bianco pensando a cosa provavo per lui e perché. Be’, ora veniva il momento di prendere una decisione, e preferivo sinceramente rimettere ogni cosa al suo posto, con tutti.
Presi un braccio di Alex e me lo passai attorno al collo, mentre io gliene mettevo uno attorno alla vita più saldamente. Ogni passo era un’impresa, rischiavo di inciampare e cadere a terra più di prima, ma strinsi i denti e proseguii. Il tunnel era leggermente in salita e questo non era certo un aiuto, però significava che ci stavamo muovendo verso l’alto e, quindi, l’esterno.
Grondavo sudore da tutti i pori, sotto il pesante giaccone, quando fui costretta a fermarmi. La via si interrompeva all’improvviso. Mi guardai in torno, sperando che ci fosse un altro modo per uscire da lì e che il cunicolo non terminasse così, senza permettermi di scampare definitivamente alla minaccia degli elfi oscuri.
Tirai un sospiro di sollievo, quando notai un refolo d’aria che spirava dal soffitto e portava con sé luce, la quale illuminava la polvere che volteggiava nell’aria. Il soffitto era piuttosto basso, e non ebbi problemi a sollevare le assi di legno che coprivano l’uscita. Erano congelate e dovetti spaccare il ghiaccio che le ancorava al terreno con Katoptris, ma, rispetto alla scalata con un peso morto buttato addosso, fu una passeggiata.
Aperta la botola, il vento polare mi colpì in faccia e mi gelò il sudore sulla fronte. Sul momento, la sensazione era anche piacevole, ma dopo pochi minuti mi ritrovai a rabbrividire vistosamente.
Provai a far passare prima Alex, inutilmente. Così, risolsi di issarmi per prima e poi tirare fuori il ragazzo a braccia – sempre che fossi stata abbastanza forte da riuscirci.
Non sapevo bene quante volte tentai e ritentai di farlo uscire senza successo, però, quando ormai la speranza stava cedendo il passo alla disperazione, riuscii a issarlo fuori fino al bacino. Da lì, fu relativamente semplice completare il movimento e distenderlo accanto a me sulla neve.
Richiusi la botola e mi sdraiai sulla bianca e soffice superficie che ricopriva tutto quel mondo. Sapevo che non avrei dovuto riposarmi e che, se l’avessi fatto, non sarei più stata in grado di rialzarmi, ma ero esausta.
Mi facevano male i muscoli, mi pulsavano le braccia, le gambe, i piedi e tutto ciò che desideravo era dormire. A svegliarmi ci avrei pensato dopo. Avrei dormito volentieri, se un grido non avesse attirato la mia attenzione.
Mi tirai su di scatto, all’erta. C’erano animali feroci, nei paraggi? Mostri? Dee antipatiche che volevano uccidermi? Non ero sicura che sarei riuscita a fronteggiare nessuno, in quelle condizioni. Per mia fortuna, il grido si ripeté e, questa volta, distinsi il mio nome.
«Siamo in alto!» mi suggerì la voce.
Alzai lo sguardo e sobbalzai nel riconoscere l’imponente mole della Skidbladnir. Stava volando proprio sopra di me. Non sapevo bene come o perché, ma mi misi a piangere e a urlare di venire a prendermi.
Qualcuno venne giù a raccogliere me e Alex, scendendo una scaletta di corda, che poi salii, mentre per il figlio Odino venne calato un cesto per le vivande. Qualcun altro mi portò una coperta e una tazza di tè caldo. Succedeva sempre così alle persone sotto shock, nei film, e io non potevo assicurare che stessi bene. Più probabilmente, invece, ero parecchio sotto shock.
«Piper? Ti senti meglio?» mi chiese Silena Beauregard, gentilmente.
Annuii. «Sì.» Bevvi un piccolo sorso del mio tè bollente. «Grazie per… tutto questo.»
«Oh, i ringraziamenti vanno solo al sonar della Skidbladnir e al colpo d’occhio di un arciere figlio di Loki, Adair. Il primo ha individuato due forme di vita, il secondo vi ha riconosciuti» si schermì la figlia di Afrodite. «L’importante è che vi abbiamo recuperati. Là fuori, con questo freddo, non so quanto sareste durati.»
«Già» concordai.
«Non vorrei fare la guastafeste» ci interruppe una ragazza dai capelli rossi, di sicuro nordica, «ma c’è ancora qualcuno che rischia di non farcela.»
Il viso di Silena si rabbuiò, mentre io seppellivo la mia faccia nella coperta. Beckendorf abbracciò la sua fidanzata, ma era rigido.
«Quanto sta male, Rebekka?» domandò il figlio di Efesto.
Rebekka fece una smorfia. «Parecchio, Charlie» rispose. «Il medico della mia orda, Brandon, dice che è quasi impossibile fare qualcosa, ora come ora. Ha ingerito un veleno che si è diffuso quasi in tutto il corpo.»
Ricordai le parole di Nuala. Gli aveva toccato la fronte la fronte e aveva detto: “quando arriva qui, distrugge ogni cosa.” Deglutii. Non volevo scoprire cosa significava distruggere tutto ciò che c’è in una mente.
«Ha trovato un modo per salvarlo?» indagai.
La ragazza – sospettavo una figlia di Freyja – scosse il capo. «Brandon dice che sta rallentando l’azione del veleno, ma che non può fare altro. I suoi poteri di figlio di Eir si fermano qui» spiegò.
Calò un silenzio oppresso, che fu Silena a rompere. «Dobbiamo raggiungere il forte» dichiarò. «Forse conosco qualcuno che può fare ancora qualcosa per salvarlo.»
Beckendorf la guardò negli occhi, come cercando di capire chi intendesse senza chiederglielo. Alla fine, il suo sguardo si illuminò.
«Come ha fatto con Percy» disse, mentre iniziava a spuntargli un sorriso. «Ci serve…»
«…Astrid» completò la figlia di Afrodite, sorridendogli di rimando.
 
♦Astrid♦
 
Pensavo di aver dimenticato, almeno per un po’, cosa si provava ad essere accerchiati da nemici da ogni lato e non avere la più pallida idea di quale sarebbe stato il tuo ultimo colpo. Avevo relegato quei ricordi in uno scaffale della mia mente, ben riposti in uno scatole con nastro adesivo immaginario, e avevo deciso che non l’avrei più toccato.
C’erano ancora notti in cui mi svegliavo all’improvviso da un incubo e dovevo fare forza su me stessa per ricordarmi che ci eravamo salvati, che eravamo stati a noi a vincere la Battaglia di Manhattan, non Crono. Se non riuscivo a riprendere sonno o, semplicemente, avevo paura che gli incubi ritornassero, sgattaiolavo dalla mi stanza e mi infilavo di soppiatto in quella di Alex.
Ora, avevo riaperto quello scatolone di memorie archiviate, perché era necessario alla mia sopravvivenza. L’armata di Crono e Toante si sovrapponevano, non c’era differenza tra i mostri che avevo ucciso e quelli che uccidevo adesso. Ero una macchina da guerra che lottava in due battaglie contemporaneamente.
Così come tutti coloro che erano partiti per l’America per prendere parte alla guerra, avevo parecchia esperienza in sventrare nemici riportando i minori danni possibili. Anche Jason Grace, dalla Legione Fulminata, non se la cavava male. Non era Percy, né Alex, entrambi schermidori troppo differenti, ma sapeva fare ciò che gli era stato insegnato.
Aveva solo bisogno di qualcuno che stesse al suo fianco, ogni tanto. Nora era impegnata nella difesa del castello – ovvero, tentare di salvare il salvabile, da quando il portone era stato sfondato –, per cui quella persona ero io.
Jason fece il vuoto con la spada davanti a sé, ottimizzando quel momento per recuperare il fiato e raccogliere le forze. Decapitai il troll che voleva attaccarmi e mi voltai verso di lui.
«Già senza fiato, Grace?» lo presi in giro.
Il figlio di Giove mi rivolse uno sguardo risentito.
Gli risposi con un sorrisetto divertito. «Risparmiati la risposta sarcastica che non troverai, stavo solo scherzando.»
«Certo che no, comunque» brontolò, studiandomi. All’improvviso, sgranò gli occhi e gridò: «Dietro di te!»
Nel tempo che impiegai a buttare fuori un “uh?” di sorpresa, il mio braccio destro si alzò quasi di sua volontà e conficcò la mia mezzaluna nella faccia di un mostro qualsiasi. Se non si fosse trasformato in neve, sarebbe stato complicato rimuoverla.
Jason alzò un sopracciglio. «Non dite neanche “grazie”, voi donne del nord, quando vi si salva la vita?» domandò.
Fronteggiai direttamente il mio prossimo avversario, che stava correndo a perdifiato verso di me. «Perché dovrei?» chiesi, ruotando le mezzelune con rapidi movimenti dei polsi. «Sapevo che stava arrivando.»
Abbattuti con facilità i rispettivi mostri, ci ritrovammo schiena contro schiena a fronteggiare la nuova ondata. Era strano e confortante al tempo stesso, combattere in quel modo: sì, avevi qualcuno che ti guardava le spalle, ma dovevi fare affidamento su di lui. E io non mi fidavo di Jason Grace. In quel frangente, però, non potevo tirarmi indietro.
Io e lui eravamo a una certa distanza dagli altri semidei e stavamo seminando confusione tra le file dei nemici, zigzagando tra le loro fila. Ogni tanto, notavo i capelli blu di Petra guizzare tra la folla, o un nano che abbatteva un mostro, cogliendolo di sorpresa. Gli arcieri, appostati sulle mura della fortezza, erano una presenza costante che sfoltivano le schiere di Toante.
Jason ansimò contrò la mia schiena, fermandosi un secondo. «Non sapevi che stava arrivando» mi disse, ansimando.
Sbuffai, sollevando un ciuffo di capelli che mi era finito in mezzo agli occhi. «Non lo saprai mai, Grace» replicai.
E poi fui catapultata nuovamente nel vortice della battaglia. Era tutto un susseguirsi di spade, asce, artigli, zanne, rostri d’acciaio e ogni sorta di cosa abbastanza affilata adatta a uccidere, mutilare o ferire gravemente.
Non sapevo quanti dei nostri stessero cadendo in battaglia, né conoscevo il numero delle perdite nemiche, ma ero certa che stessimo vendendo cara la pelle. Solo che non era ancora sceso in campo Toante, il gigante greco, il pezzo forte di quell’armata, e non potevo nascondere di esserne preoccupata.
Sentii sibilare alle mia destra, e il gladio di Jason falciò una dracena che cercava di attaccarmi al fianco. Il figlio di Giove la finì con un secondo fendente vibrato a due mani, che le aprì uno squarcio lungo dalla spalla all’ombelico.
Smisi di osservare la scena, concentrandomi sulla massa sciamante di mostri che si abbatteva su di noi come uno tsunami. Individuai con la coda dell’occhio un puntino nero che mi correva in contro, ma non fui abbastanza veloce da voltarmi in tempo.
Venni sbalzata via da dove mi trovavo e mi schiantai a terra. La neve attutì lievemente la mia caduta, però il colpo improvviso mi lasciò ugualmente senza fiato. Una massa di pelo nero ringhiante tentò di azzannarmi alla giugulare, ma frapposi un braccio tra i suoi denti e la mia gola.
Questo fece più male della caduta. Avevo una lamina di ferro a coprirmi l’intero avambraccio, eppure le zanne di quel fottuto lupo riuscirono in qualche modo a perforarlo. Mi contorsi sotto il suo peso, ma era tutto inutile.
Risolsi sferrandogli un calcio nello stomaco, seguito da un altro, e un altro e un altro e un altro ancora. Con la sinistra cercavo la mezzaluna che avevo perso.
Sei un’idiota. Solo una novellina viene privata della propria arma. Stupida stupida stupida, mi rimproverai. Se fossi stata figlia di Hermdor, sarei stata disconosciuta.
Quel lupo gigante uggiolò, ma, al posto di mollare la presa sul mio braccio, lo addentò con più forza. Le mie dita intorpidite dal freddo incapparono nell’impugnatura famigliare della mia arma – sì, finalmente! Che gli Dèi siano lodato lodati! – e la agguantarono. Con un ringhio degno di quella belva demoniaca, le sferrai un calcio, sfondandogli una costola, probabilmente, e affondai la lama ricurva nel suo costato.
Riuscii a ribaltare la situazione, ruotando il braccio imprigionato nelle sue fauci e sbattendogli la testa contro il terreno. Quando lo lasciò andare, con l’altro gli tranciai la gola, spargendo un lungo schizzo di sangue sulla neve. Lanciai la mezzaluna che stringevo in mano contro un orco che mi stava venendo in contro, centrandolo in un occhio e uccidendolo sul colpo.
Chiusi gli occhi e mi concessi un momento per recuperare fiato. Dopodiché, mi misi in ginocchio e mi rialzai lentamente.
«Ti serve aiuto?»
Rialzai il capo e incrociai gli occhi chiari di Jason Grace. Nel tempo che avevo impiegato a far fuori il lupo gigante, lui aveva guadagnato un nuovo, sottile taglio al viso. Assieme all’altro, sulla guancia opposta, assomigliava a un gatto. Un gatto con i baffi sporchi di sangue.
«Ce la faccio benissimo da sola» replicai, fredda. «So cavarmela perfettamente da me.»
Camminai per andare a recuperare la mezzaluna che avevo scagliato via.
«Un po’ mi dispiace, per il lupo» ammise Jason. Mi domandai per quale assurdo motivo volesse fare conversazione con me, nel mezzo di una battaglia, poi. «Dopotutto, è stata una lupa a insegnarmi parecchie cose.»
«Davvero?» chiesi, ritornando sui miei passi, alla ricerca della compagna. «Spero per te che non fosse una gran bastarda come questo qua.»
«Ma sei bipolare o cosa?» scattò il figlio di Giove. «Un momento fa combattevamo schiena contro schiena, e ora mi tratti di nuovo come se non valessi nulla. Qual è il tuo problema?»
«Il mio problema, Jason Grace» risposi, mantenendo un tono di pacata e gelida cortesia, «è che scelgo accuratamente le persone per cui posso soffrire. Ci proteggevamo le spalle a vicenda, è vero, ma questo non significa che tu sia diventato il mio migliore amico per sempre. Hai il mio rispetto, ma dovrai attendere per la fiducia.» Gli rivolsi un sorriso, mentre recuperavo la seconda mezzaluna. «O ti attacchi o mi molli, semplice.»
Jason rimase in silenzio. Buttai un occhio al mio avambraccio destro per valutare i danni: non mi faceva troppo male, quindi non era una ferita grave, ma un rivolo di sangue mi correva giù lungo il polso. Avrei dovuto stare più attenta al lato destro, ora che era il mio fianco più debole.
«Devi aver sofferto molto» disse il figlio di Giove, piano, guardandomi con tristezza e una punta di compassione.
Mi gonfiai come un palloncino. Ero pronta a gridargli addosso di non impicciarsi in cose che non lo riguardavano, quando un’improvvisa oscurità calò su di noi. Persino i mostri si fermarono e guardarono in alto.
Si udì un sibilo, poi una detonazione, e uno squadrone di nemici saltò in aria.
Jason si illuminò. «Sono arrivati…» sussurrò, come estasiato.
«Finalmente!» esclamai io.
«Sarà meglio ritornare sotto le mura del castello. Nora potrà fare il punto della situazione con noi, mentre i feriti verranno evacuati» propose il figlio di Giove.
Annuii. Ritornammo sui nostri passi, badando più a raggiungere in fretta il forte che a squartare mostri. A quello, ormai, ci stava pensando l’equipaggio della Skidbladnir. Raggiungemmo uno squadrone di nani, che ci promisero di guardarci le spalle mentre noi guadagnavamo l’entrata. Il portone era stato divelto per metà, aveva ceduto sotto i colpi degli orchi e ciclopi, così io e Jason ci infilammo tra le schegge.
Nora era nella sala principale e stava gridando ordini a destra e manca, mentre feriti di diverse entità venivano aiutati a salire le scale che portavano ai cornicioni di ronda. Quando ci vide, il suo viso stanco e tirato riuscì ad alleggerirsi un poco.
«Astrid, Jason, sono felice che voi siate qui» ci salutò, passandosi una mano tra i capelli.
«Hai fatto un ottimo lavoro» si complimentò il figlio di Giove. «La fortezza non è ancora caduta, nonostante il portone sia crollato.»
«Sì, be’, siamo riusciti a uccidere tutti quei mostri prima che entrassero e devastassero ogni cosa. Credo sia buono» sospirò la sorella di Alex.
«Lo è, stanne certa.» Jason le sorrise.
«Adesso che è arrivata la Skidbladnir» intervenni, spostando il discorso su ciò che premeva di più, «i mostri si concentreranno su di essa, perché è la minaccia maggiore. Avremo un attimo di tregua.»
Nora annuì. «Già. Mi sono messa in contatto con la nave e insieme abbiamo stabilito che continuerà a coprirci, mentre facciamo salire a bordo i feriti. Quando avremmo finito con loro, potremmo avviarci anche noi sulla nave, abbandonando lentamente la fortezza.»
«Magnifico» disse Jason. «Noi due avevamo in mente lo stesso piano.»
«Inoltre» precisò la figlia di Odino, «i nani di Blindivor ci copriranno le spalle e terranno il forte fino all’ultimo, permettendoci di allontanarci dal campo di battaglia. Dopodiché, si ritireranno attraverso i cunicoli.»
«Aspettate» li interruppi, perplessa. «Perché ritirarci, ora che possiamo fronteggiare l’esercito?»
«Non ricordi?» domandò Nora. «È un gigante a guidarli. E potrei giurare che stia scendendo in campo adesso.»
La guardai senza capire.
«Un gigante non può essere sconfitto unicamente da semidei. Ci serve un dio a darci manforte» mi spiegò brevemente Jason.
«E noi non abbiamo nessun dio dalla nostra» sbuffai. «Di tre pantheon, nemmeno uno disposto ad appoggiarci. Che sfiga.»
Non era esattamente il momento adatto per ridere, e il figlio di Giove si sforzò di non farlo.
«Vi occupate voi dell’evacuazione?» ci chiese Nora, dopo aver osservato le nostre reazioni. «Sembrate in sintonia. Così, intanto, io radunerò i semidei che sono ancora fuori e man mano saliranno da voi, per poi andare sulla Skidbladnir.»
Io e il figlio di Giove ci scambiammo uno sguardo. Io incrociai le braccia, lui spostò il peso da una gamba all’altra, ma non distolse i suoi occhi dai miei.
«Va bene» acconsentimmo.
«Ma non siamo migliori amici per sempre» citò Jason.
Non seppi se sentirmi infastidita o considerare quella frase una bonaria presa in giro. Decisi di non prendermi troppo sul serio e di mollargli un pugno contro la spalla – abbastanza forte da coglierlo di sorpresa ed essere ancora piuttosto ostile. Nora ci osservò e inarcò un sopracciglio, ma non commentò.
Salire tutte quelle scale per la seconda volta nella giornata, dopo aver combattuto a terra, fu una tortura. Il braccio destro incominciò a pulsare intensamente, così come le mie tempie. Se mi fossi fermata non sarei più riuscita a continuare, ne ero certa, e mi imponevo di non cedere. Notai le gocce di sangue che colavano sulla pietra dalle mie dita e si aggiungevano ad altre, meno recenti, dei semidei che erano passati prima di noi.
Raggiungemmo le feritoie, da dove gli arcieri – in gran parte figli di Skadi e Ullr – scoccavano frecce. Osservammo la manovra che avrebbe portato la Skidbladnir abbastanza vicina da permettere l’evacuazione. Non appena ciò fu possibile, io e Jason organizzammo una catena di mezzosangue che fluiva lentamente all’interno della nave. A volte, eravamo costretti a interrompere il processo, perché la Skidbladnir doveva sparare con le baliste.
Da lassù, avevo una visuale completa del campo di battaglia: i nani attorno alla fortezza, i semidei più avanti, e i mostri che li circondavano. Stava andando tutto piuttosto bene, finché Toante non scese in campo. La sua sola presenza  rianimò i nemici e scoraggiò i nostri. Con la sua stazza imponente, i dread intrecciati con armi di vario genere e le sue orribili gambe squamate, seminò scompigliò dal primo momento in cui calcò il terreno.
«Forza, forza» mormorai, spingendo avanti una figlia di Freyja sorretta da una sua sorella.
Dovevamo andarcene, e subito, prima che il gigante ribaltasse la situazione a suo favore. Constatai con un’occhiata fugace che Jason condivideva le mie stesse preoccupazioni.
Ero talmente catturata dalle scene che si susseguivano innanzi ai miei occhi, i quali seguivano attentamente ogni movimento, che quasi sobbalzai, quando Jason mi scosse per una spalla e disse: «Sono saliti tutti. Tocca a te. Vai.»
Osservai la passerella di legno che collegava la Skidbladnir alla fortezza, appoggiata alla pietra e tenuta ferma al suo posto dal figlio di Giove. Deglutii, sentendo già lo stomaco in subbuglio.
«Nah, va’ prima tu. Io rimango per ultima» declinai l’offerta.
«Meglio di no, io so volare» obiettò.
Inarcai un sopracciglio. «In territorio nordico?»
«Sì, be’, più o meno.» La domanda l’aveva colto impreparato. «Se dovessi cadere, avrei comunque più possibilità di te di non schiantarmi.»
«Pfff» sbuffai, scettica.
«E poi tu sei ferita» mi ricordò Jason.
«Ma…»
Non avevo nulla da ribattere e, non potendo ammettere di soffrire di vertigini davanti a lui, fui costretta ad alzare le mani e ad acconsentire.
Presi un bel respiro e pensai che la passerella non era poi tanto stretta, ci si poteva camminare abbastanza comodamente. Non era neanche particolarmente lunga, giusto otto o dieci metri sospesa nel vuoto. Una bazzecola.
Ci salii sopra, forte delle menzogne che mi stavo ripetendo in mente. Mossi i primi passi, incerti e traballanti. Alzai le braccia di qualche centimetro, cercando un minimo di equilibrio. Chissà cosa diavolo stava passando per la testa di Jason Grace, che mi guardava agitarmi come una cogliona su una normalissima passerella.
Di tutte le paure, proprio quella dell’altezza doveva capitarmi, pensai.
Ormai ero arrivata a metà e, nonostante mi sentissi un pesce rosso in balia degli squali, continuai a camminare. Fu più o meno allora che la Skidbladnir si mosse all’improvviso, scaraventandomi giù.
Sentii il fiato uscire dai polmoni e non rientrare, mentre volavo, attirata verso il basso. Agitai le braccia, e con la mano destra riuscii ad aggrapparmi alla passerella. La nave completò la virata, evitando di essere schiacciata da un blocco di ghiaccio che Toante aveva ben pensato di scagliarle addosso.
Guardai in basso, e la vista delle mie gambe sospese nel vuoto a tutti quei metri da terra mi fece andare insieme la vista. Fui costretta a serrare le palpebre.
Non andare nel panico, mi dissi. Non. Andare. Nel. Panico.
Feci forza sul braccio, cercando di issarmi su, ma una fitta di dolore intenso mi costrinse a desistere. Al pensiero che non ce l’avrei mai fatta, mi venne da piangere.
Non pensarci nemmeno. Prova di nuovo, mi obbligai. Vedrai che ce la farai, questa volta.
Serrai la presa sulla tavola di legno, conficcandoci le unghie, e tentai nuovamente di tirarmi su a forza di braccia. Mi morsi il labbro sangue, ma tutto ciò che mi riuscì fu di afferrare la passerella con l’altra mano, mentre l’altra mi ricadeva a peso morto lungo il fianco. Il braccio destro era un’agonia unica.
«Astrid!»
Era la voce di Jason. Mi voltai con cautela verso di lui.
«Resisti! Arrivo subito!» mi gridò, saltando sopra la passerella.
Bastò un attimo di deconcentrazione per farmi abbassare lo sguardo dai suoi piedi al vuoto. Sentii la gola ostruirsi e la vista sdoppiarsi. Le mie dita si disserrarono lentamente. E altrettanto lentamente caddi.
La cosa strana era che ero incredibilmente calma. Guardavo il cielo come se fosse il nuovo, migliore spettacolo che l’universo avesse da offrirmi. Sapevo che il vento vorticava e produceva forti fischi nelle mie orecchie, lo sentivo consistente e gelido sulla schiena, ma io non udivo nulla.
Qualcosa sfrecciò accanto al mio orecchio, un attimo nero e definito, seguito da un fulmine color oro. Riacquistai in parte l’udito, ma c’era ancora una fastidiosa interferenza.
Come se avesse già alzato il tono in precedenza, una voce dal basso imprecò: «Afferra quella fottuta corda, dannazione!»
Nero. Oro. Afferrare la
                                           corda?
Oro dietro il nero. Era una
                                          corda legata a una freccia?
Come in un sogno, tesi le braccia in avanti e agguantai il fulmine che guizzava affianco a me. Il colpo mi strappò un gemito, mi tolse il respiro e mi svegliò dal sogno. Realizzai che qualcuno aveva scoccato una freccia lunga e nera, di perfetta fattura, che si era conficcata nel legno della passerella; all’asta era legata una corda, ciò che mi aveva permesso di non schiantarmi.
«Dolcezza, sei diventata sorda, per caso? Mi sono dovuto sgolare, per farmi sentire!»
Avvolsi le gambe attorno alla cima e guardai in basso. Riconobbi la figura slanciata del figlio di Loki.
«Einar…» singhiozzai, incredula.
Quell’idiota era riuscito a salvarmi la vita con il suo tempismo. Inevitabilmente, mi si riempirono gli occhi di lacrime. Sperai che lui non riuscisse a vederle, altrimenti me l’avrebbe rinfacciato a vita.
«Be’, già che ci sei, perché non sali? Preferisci penzolare nel nulla? Ti sono già scomparse le vertigini?» mi prese in giro.
«Va’ all’Hellheim!» gli gridai. «Certo che salgo! E non sparare cavolate!»
Il figlio di Loki mi sorrise e mi fece l’occhiolino, dopodiché io voltai il capo e lui si buttò nella mischia. Con fatica, mi tirai su. Il braccio che mi aveva morso il lupo gigante protestava con tutto il suo essere, ma ignorai stoicamente il dolore e continuai a salire. Le mani mi bruciavano intensamente, scorticate per via della ruvidezza della corda, che mi aveva spellato a sangue nel momento in cui l’avevo afferrata. Arrampicarsi era un esercizio tipico del Campo Nord che non mi era del tutto estraneo e che in quel momento, o compivo alla perfezione o ci lasciavo le penne. Nell’ultimo tratto, Jason mi tirò su e mi aiutò a percorrere la fine della passerella – ovvero, mi sorresse per tutti i metri rimanenti, mentre io cercavo di conservare la mia dignità non appoggiandomi completamente a lui.
Quando mettemmo piede entrambi sulla Skidbladnir, i semidei a bordo ritirarono la passerella e avvisarono Beckendorf della possibilità di allontanarsi dalla fortezza.
«Stai b-»
Jason venne interrotto dalla più terrificante risata che avessi mai udito prima d’allora. Sotto di noi, Toante si stava sbellicando dalle risate. Davanti a lui, fiero sulla sedia a rotelle, si ergeva – per quanto possibile – Volund. Accanto a lui, un puntino nero, c’era Leo.
«Non è possibile…» mormorai.
L’intera Skidbladnir stava trattenendo il fiato di fronte a quella scena.
«Tu? Un dio?» Il gigante schermì nuovamente il dio, facendo un’altra delle sue risate roboanti. «Io ci piscio sopra al tuo dio, piccolo mezzosangue.»
Non potevo vedere l’espressione di Volund, ma non doveva certo essere felice di quel commento. Difatti, premette un pulsante sul bracciolo della sua sedia a rotelle e due enormi bazooka di acciaio asgardiano si ersero alle sue spalle e fecero fuoco.
Toante stava fumando metri più avanti, quando il dio chiese, con calma studiata: «Davvero?»
Leo fece un balzo in aria e lanciò un grido esaltato. «È stato fan-ta-sti-co!»
I mezzosangue esultarono dalla Skidbladnir, sporgendosi dal parapetto, e insultarono con fervore il gigante, che stava riprendendosi. Qualcuno mi afferrò all’improvviso per una spalla, facendomi voltare di scatto.
«Silena!» esclamai, abbandonando la posizione difensiva. «Cosa c’è?»
«Astrid» ansimò la figlia di Afrodite. «Ti stavo cercando disperatamente. Nora non ti ha avvisato?»
Scossi la testa, confusa. «Perché avrebbe dovuto?»
Lo sguardo della mora si scurì. «Abbiamo trovato Alex.»
Il mio cuore perse un colpo. «È…?» Non riuscii a completare la frase, tanto respiravo a fatica.
«… vivo» completò Silena. «Ma non per molto. È stato avvelenato e…»
Intuii ciò che voleva dirmi. «Portami da lui» ordinai.
Fendemmo la folla che tifava per Volund e Leo, ma io non potevo essere più lontana di così da quel combattimento. C’erano solo poco ossigeno per i miei polmoni, la mano di Silena attorno al mio braccio e il pensiero: Alex è vivo. Devo salvarlo. Alex è vivo. Devo salvarlo.
Scendemmo in cambusa, raggiungemmo la porta della camera di Alex e la figlia di Afrodite la spalancò. Varcai la soglia con foga e lo cercai con bramosia animale. Era abbandonato sul suo letto, bianco come un cadavere, la pelle di una trasparenza innaturale. Accanto a lui, su una sedia, si trovava Piper.
Mi avvicinai e la scansai via, senza curarmi delle buone maniere. «Sposati» ringhiai.
Sollevai il capo di Alex dal cuscino, la sua nuca che premeva contro il palmo della mia mano, e unii le mie labbra alle sue in un bacio famelico. Sentivo il veleno sulla mia lingua, tanto si era diffuso in fretta.
Mi appellai ai miei poteri di figlia di Hell e ordinai al siero di dirigersi all’interno del mio corpo, che ne era immune. Sentii labile raschiarmi la gola, ma la ricacciai indietro e continuai a estrarre il veleno dal corpo del figlio di Odino. Ce n’era così tanto che, per un momento, temetti di morire io al posto suo.
Quando mi staccai, non ce la facevo più. Barcollai all’indietro, il mondo che vorticava attorno a me. Vomitai fluido nero sul pavimento, svuotandomi lo stomaco.
Avevo la testa così leggera che avrei potuto vo… vola… volare.
Il tonfo di un corpo che cade.
La vista che si appanna e diventa
nera.
 
koala's corner.
Siamo quasi alla fine, semidei! E, anche se più andiamo avanti e più siamo puntuali meno recensioni ci sono, noi andremo avanti così, perché siamo persone/animali molto buoni.
E perché è troppo divertente scrivere di questi personaggi :D
Finalmente ci leviamo di torno un altro gigante greco, che si era aggiunto alla coda di nemici che vogliono uccidere nordici e greci. Spero sia chiaro tutto dello svolgersi della battaglia, e se non lo fosse, lo riconosco e mi dispiace, scrivere questo capitolo è stato un travaglio haha
Sostanzialmente non succede nulla di ché, ma dopo questo scontro, finalmente i semidei riusciranno a raggiungere Annabeth - non senza i soliti problemi, ovvio :P
Per la presenuta riunificazione della Alrid e la conferma della vita di Alex, dovrete aspettare ancora. Siamo amabili <3
Grazie per leggere questi capitoli - sempre più lunghi -, un abbraccio e alla prossima!

Soon on DdN: POV Leo/Alex/Lars - un po' già vi abbiamo anticipato, quindi aspettatevi un po' di angst :)
 

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Capitolo 19
*** LEO/ALEX/LARS • Giorni difficili e notti agitate ***


Giorni difficili e notti agitate

♪Leo♪

Toante si rialzò davanti ai miei occhi, mentre fumava di rabbia e non solo. Ringhiò furiosamente contro di noi, brandendo l’ascia bipenne con il chiaro intento di tagliarci in due tutti, ma esitò, dato che i bazooka portatili di Volund erano ancora visibili. Alle sue spalle i mostri si stavano radunando in linee compatte pronti a caricarci.
Il dio dei fabbri nordico non era il più minaccioso o forte tra i suoi fratelli divini, ma sicuramente sapeva il fatto suo. Blindivor, però, non aveva evacuato la fortezza come gli altri semidei, ed i nani uscirono a frotte, stringendosi intorno a noi in un cerchio di acciaio asgardiano. I loro scudi creavano un muro praticamente impenetrabile, mentre le loro lance mi facevano sentire come un porcospino avvolto a palla su se stesso, preparato a ricevere un attacco.
Il loro capo urlò qualcosa in una lingua che non capivo ed i guerrieri nanici si posizionarono, pronti a combattere.
«Per il Grande Odino!»
Alla nostra sinistra, la Skidbladnir si era riposizionata e i semidei, rinvigoriti dall’arrivo dei rinforzi, si disponevano pronti all’attacco, mentre i Berserk si preparavano alla carica.
«Vi schiaccerò!» urlò Toante, alzando l’ascia, dando l’ordine di carica.
Il mio sguardo, però, cadde su altro: mentre i nani rispondevano alla carica opponendo contro il mare di mostri un muro di scudi e i semidei caricavano, vidi Lars sulla montagna che sovrastava il lato sinistro dell’esercito di Toante.
Era aggrappato a Speil, che saltava da un punto ad un altro con una grazia singolare per il mostro che cavalcava. A ogni salto si fermava e il figlio di Eir scendeva, posizionando qualcosa a terra, per ripartire subito dopo.
«Dio o no vi schiacceremo con i numeri!» urlò il gigante, ruggendo furioso.
Ma gli equilibri si erano ribaltati. La Skidbladnir faceva fuoco dall’alto, offrendo copertura alle nostre forze, mentre i nani sembravano essersi decuplicati. E capivo come mai: dal terreno si erano aperte due grosse voragini da cui uscivano schiere di guerrieri ricoperti d’acciaio: le forze che Blindivor aveva chiesto agli altri insediamenti nanici erano arrivate.
I semidei erano pervasi da nuovo vigore e chi non era stato ferito si era unito all’Orda del Sangue –scesa giù dalla nave per aiutarci nella battaglia con forze fresche –, dando inizio ad una carica, affiancati dai Berserker. Ora dovevamo solo fare scacco al re.
«Figlio di Efesto!» mi avvertì Volund, mentre apriva uno scompartimento della sua sedia a rotelle, facendo uscire delle granate formato divino, che esplosero in mezzo alle schiere nemiche. «Preparati! Quando Toante sarà allo scoperto, dovremo colpire insieme! Non fallire!»
Annuii, osservando il mio amico posizionare l’ultimo candelotto.
«Resistete!»
La voce di Nora sovrastò il campo di battaglia. La vidi al centro dello schieramento di nemici che roteava la lancia come se fosse il bastone di un maestro di arti marziali. Accanto a lei, il suo ragazzo, Finn, maneggiava la sua ascia pesante, facendo a pezzi ciclopi, orchi e decine di mostri abbastanza folli da avvicinarsi.
Einar aveva preso il controllo degli arcieri, che sfoltivano le linee nemiche dalla Skidbladnir, insieme all’artiglieria. Non vedevo Jason, ma era probabile che si stesse occupando dei feriti, a bordo della nave.
Fu in quel momento che il gigante perse la pazienza e caricò di nuovo, facendosi strada tra i suoi piccoli servitori, gettando lo scompiglio nelle sue stesse fila, con l’intenzione di sfondare la linea di nani.
«Ora!» urlò Volund, mentre uno dei braccioli della sedia a rotelle si apriva in una mitragliatrice, spazzando via i mostri e crivellando il ventre del gigante, che finì a terra.
Nello stesso istante in cui io evocai il potere del fuoco, investendo Toante con una scarica di fiamme, Lars abbandonò la cima della montagna, mentre sei esplosioni provocavano una valanga che discese sui mostri, travolgendoli da dietro.
«Ritirata!» ordinò la figlia di Odino, evocando una barriera.
Le rune della formula magica danzarono davanti a lei, per esplodere in un velo di energia azzurra che ci circondò completamente. I mostri vennero travolti dalla valanga che, però, non appena toccò lo schermo magico, si fermò, aprendosi in due percorsi che terminarono con un fracasso assordante.
«Vittoria!» esclamò Lars, in cielo, sul dorso di Speil. «Vittoria per Odino e tutti gli Dèi di Asgard!»
Semidei e nani urlarono al cielo, esultando per la vittoria, mentre io mi accasciavo a terra, sopraffatto dalla stanchezza. Se questo era quello che avremmo dovuto affrontare nei prossimi giorni, mi sarei aspettato almeno dieci anni di ferie pagate.
Volund mi dette una pacca sulla spalla, mentre rimetteva a posto le sue armi fighissime. «Ottimo lavoro, Valdez. Efesto ha davvero ragione ad esser fiero di te» disse con un sorriso sul viso deforme, così simile a quello di mio padre.
«Grazie» risposi, alzandomi e cercando di darmi un po’ di contegno. «Ma non ho fatto tutto da solo» aggiunsi.
«Forse no, ma questo non significa che tu non abbia un grande potenziale» commentò lui, dandomi una vigorosa pacca sulla spalla. «Ora ascoltami. Non potrò garantirti che questa storia finirà bene, ma tu e tuo padre mi piacete ed io cercherò di aiutarvi in ogni modo, per evitare che le cose vadano per il peggio.»
«Be’, grazie… ehm… di solito sono abituato a divinità molto più scorbutiche» dissi, un po’ scombussolato.
«Be’, lo sono anche gli umani, quando vogliono» replicò Volund, iniziando a risplendere. «Ora sarà meglio che vada. Tieni sotto controllo Alex ed il tuo amico Jason, prima che si uccidano, mi raccomando, o Gea sarà l’ultimo dei vostri problemi» mi avvertì, salutandomi con un sorriso sghembo, sparendo in una nuvoletta di scintille dorate.
Sospirai e corsi verso il forte, dove si stavano radunando i semidei, i nani ed i Berserk, per scoprire dov’era finito Jason e se qualcuno aveva scoperto qualcosa su Piper. Entrai nel cortile, in cui i nuovi arrivati si preparavano l’accampamento e rimettevano a posto il casino combinato.
Non c’erano state vittime, grazie agli Dèi, solo molti feriti e di questo ero molto grato. Alcuni semidei nordici mi dettero pacche sulla spalla, complimentandosi con me, ma io non li ascoltavo.
Invece, mi gettai sulla scaletta che mi avrebbe portato su, salii rapidamente come un ragno e raggiunsi il ponte della nave volante, dove vidi Jason che abbracciava Piper.
«Ragazzi! Siete vivi!» esclamai, saltando di gioia, travolgendoli in un caloroso abbraccio.
«Leo!» gridò Piper, cingendomi la vita, sorridendo. «Sono felice di rivedervi tutti e due!»
Era sulla soglia delle lacrime, ma si trattenne.
«Pipes, che è successo?» chiese Jason, stringendoci tutti insieme. «Come sei sopravvissuta là sotto?»
«È una lunga storia…» ammise, abbassando lo sguardo, per poi rialzarlo, ora pieno di fredda determinazione. «Se non fosse stato per Alex e un’elfa che è morta per salvarci, non sarei qui a raccontarlo. Indipendentemente da quello che pensi, Jason, Alex è un bravo ragazzo, ma con ciò non intendo tradirti.»
«Io… Grazie, Pipes… Sono contento che tu abbia preso questa decisione, ma… davvero, che è successo laggiù?» domandò, quasi sorpreso di quell’uscita.
«Te l’ho detto, è una storia lunga. Venite dentro, vi spiegherò tutto.»
Detto questo, scese le scale che portavano di sotto, le spalle piegate verso il basso, come se i pensieri fossero troppo pesanti, ma, nonostante questo, li resse.
Ci condusse in una stanza appartata, che forse le era stata assegnata mentre la portavano qui. Era spoglia, con solo una branda, ma abbastanza spaziosa da poterci ospitare senza problemi. Chiuse la porta e si sedette per terra, fissandoci con gli occhi tristi.
Ci raccontò della loro caduta nel mare sotto il ghiaccio, di come Alex l’avesse salvata, di Frigga, della loro cattura, di come fosse riuscita a fuggire con l’aiuto di un’elfa di nome Nuala che, poi, si era sacrificata per loro diventando l’esca di un branco di elfi oscuri assetati di sangue e di come avesse trascinato Alex in superficie, fino a ritrovarsi sulla strada della Skidbladnir, che li aveva individuati e riconosciuti, portandoli in salvo.
«… e così siamo arrivati qui» concluse, sospirando tristemente.
Jason le fu subito accanto, abbracciandola.
«Piper… Non abbarteti in questo modo. Nonostante quello che pensano gli altri, non sei inutile» la rassicurò con un sorriso gentile. «Hai fatto tanto. Hai aiutato Alex, l’hai salvato e hai resistito fino ad adesso.»
«Lo so, ma… Devo diventare più forte. Io sola devo farlo, affinché altri non si sacrifichino mai più per me. Prima mi avete salvata voi, quando mio padre era prigioniero. Poi, c’è stata Nuala. Non è giusto. Io diventerò più forte, e voglio prometterlo davanti a voi, i miei più cari amici» disse, fissandoci seria.
Sembrava che stesse male, ma era comunque decisa ad andare avanti.
Jason sorrise e annuì. «Va bene. Ottima idea.»
«Ora speriamo solo che Alex sia vivo» dissi, sperando che Astrid baciasse abbastanza bene da convincere le persone a non morire.
«Già…» sospirò Piper, alzandosi e dirigendosi verso la porta. «Scusate, devo parlare con una persona.»
«Chi?» chiedemmo io e Jason, guardandoci straniti.
«Astrid, appunto» rispose, lasciandoci soli.
La seguimmo di corsa, convinti, almeno in parte, che stesse attuando un’idea davvero suicida.
 
•Alex•
 
Della serie: svegliarsi da un incubo.
L’ultima cosa che riuscivo a ricordare era che arrancavo, moribondo, lungo un corridoio ghiacciato, sorretto da Piper e un’elfa, prima di crollare come un sacco vuoto, sopraffatto dal veleno e dalla stanchezza.
Il resto era una miriade di immagini confuse che andavano da incubi strani in cui mi vedevo assalito da orrende versioni di Astrid-zombie a cani antropomorfi che portavano in giro uomini a quattro zampe. Rabbrividii. Grazie agli Dèi, avevano scelto noi come razza dominante  – con tutto il rispetto per i cani.
Poi, iniziai a riprendere conoscenza e, a quel punto, le immagini si fecero più chiare. Un soffitto di legno sopra di me ed un rumore ronzante e familiare mi fece capire che ero a bordo della Skidbladnir.
Dovevo essere stato davvero male, dato che, su un comodino, accanto al letto su cui ero disteso, erano posati diversi medicinali e pozioni curative. Il mio stesso corpo era affaticato e, a ondate improvvise, mi sentivo spossato e debole, come se mi avessero dato un sedativo.
Sbattei le palpebre, mentre una voce mi rimbombava nelle orecchie, dandomi fastidio. Era decisamente bassa, ma, con i miei sensi scombussolati, mi sembrava che una persona mi stesse urlando con un megafono a pochi metri di distanza in una palestra vuota. La mia emicrania ne risentiva.
«… un’altra possibilità… io… colpa non è… devi capirlo… o soffrirete.»
Era la voce di Piper, che riconoscevo appena, dato che la mia testa sembrava un vulcano in eruzione. A risponderle fu la voce di Astrid che, nonostante la distorsione, era palesemente  indecisa, triste e forse un po’ esasperata.
«Non… da te. Io… ha fatto… la… mi deve chiedere… fatto. Inoltre… non sono… tuoi, d’accordo?»
Non riuscivo a capire bene il discorso, anche perché, ogni tanto, la voce di Jason appariva conciliatoria a bloccare una discussione troppo accesa e questo non mi aiutava a dedurre l’argomento della conversazione.
Alla fine, però, Astrid sembrò smettere di protestare e Jason e Piper abbandonarono la stanza, lasciandola sola. Con me.
Rimasi in stato di semi-incoscienza ancora per un po’: il mio corpo si rifiutava di ubbidire ai miei ordini e solo muovere il mignolo mi pareva uno sforzo titanico. Aprire gli occhi era ancora peggio: sembrava di guardare tutto il mondo da sott’acqua e con troppa luce.
Decisi, allora, di lasciare che il mio corpo riacquisisse completamente mobilità. Non ero in pericolo e potevo concedergli la calma necessaria per riprendersi, almeno in parte. Così passai quelli che mi parvero una ventina di minuti immobile, a letto, anche se probabilmente erano di più.
Quando riuscii a muovermi, fu un po’ difficile, ma riuscii ad alzare il braccio sinistro. Un crampo mi bloccò il movimento ed emisi un gemito.
«Alex!»
Questa volta, la voce di Astrid giunse chiara e limpida. Mi apparve accanto, gli occhi velati di preoccupazione, mentre i lunghi capelli neri le ricadevano sudati sulla fronte ed intorno al viso. «Grazie agli Dèi sei vivo.»
«Che strano…» riuscii a sussurrare, mentre mi puntellavo con i gomiti, cercando di ignorare il giramento di testa.
«Non scherzare» mi avvertì subito, puntandomi contro l’indice, fissandomi arrabbiata. «Mi hai fatto prendere un colpo, di nuovo! Di questo passo, morirò d’infarto.»
«Non è colpa mia…» borbottai, infastidito.
Non era mica bello farsi falciare ogni volta dal primo tipo che capitava.
«Sarà. Ma adesso dobbiamo parlare. E non della tua morte» precisò, sedendosi accanto a me.
Sospirai. Sapevo che avrei dovuto chiarirmi, ma speravo di non essere un infermo a letto. Volevo riuscire a guardarla in faccia, almeno dimostrare che non lo dicevo solo per avere qualcuno accanto.
Lei aveva tutto il diritto di arrabbiarsi, ma i miei sentimenti non erano cambiati. Ora, più che mai, che ero stato più vicino del solito alla morte, ero convinto di amarla. Ironico come la morte fosse anche un buon componente terapeutico alle mie crisi di coppia, oltre che un vizio che dovevo assolutamente togliermi.
Mi alzai con un gemito, mettendomi a sedere. Tutti i muscoli del corpo protestarono.
«Che stai facendo?» chiese Astrid, sorpresa.
Cercò di rimettermi sdraiato, ma la fermai.
«Devo farlo, Astrid. Voglio guardarti negli occhi. Te lo devo» spiegai, sedendomi sul bordo.
La testa mi girava, ma per fortuna non avevo la nausea.
«Almeno lo riconosci» ammise lei, rimettendosi seduti. Cercava di mantenere un tono neutro, anche se mi parve di percepire una nota d’ammirazione nella sua voce. «Sappi che, però, non ti ho ancora perdonato. Né ho intenzione di farlo facilmente.»
Sospirai: «Astrid…»
«Lasciami finire» mi bloccò. «So che tu e Piper non avete fatto nulla. Non vi siete baciati e non avete…» Gesticolò in aria con le mani. «Conosco tutta la faccenda, ecco. Solo che voglio capirti: capisco che tu possa essere fuori fase ultimamente, ma tu e Piper, be’, non siete nemmeno stati proprio lontani. Mi hai lasciata indietro, hai preferito lei a me. Sembrava quasi che ti importasse più lei di me. Ed è qui che voglio capire: tu a me ci tieni ancora come prima? Non voglio essere un ripiego, piuttosto, preferisco rompere. O tutto o niente. Dammi la tua risposta.»
Durante tutto il suo discorso, il mio unico occhio grigio si era incatenato ai suoi neri pozzi di oscurità. Era stata decisa, diretta e precisa, e meritava una risposta. Sapevo cosa pensava e sapevo che saremmo arrivati a questo punto. Lo ammisi persino a me stesso: Piper era una bellissima e dolcissima ragazza; avevo legato molto a lei e, in alcuni momenti, il mio cervello era andato fuori fase, ma non avevo dubbi. Non avevo mai vacillato nei miei sentimenti per Astrid.
Indubbiamente avevo sbagliato. Non mi ero reso conto che il mio comportamento aveva fatto soffrire la mia ragazza, ma io non avevo smesso di amarla.
«Lo so» ammisi in fine, abbassando il capo. «Mi dispiace, Astrid, perdonami. È stata colpa mia e questo lo so bene, credimi, non penso di potermi mai scusare abbastanza. Ma voglio che tu sappia questo. Io… non l’ho fatto perché non ti amavo. Io non… non mi ero accorto che il mio comportamento ti faceva soffrire. La verità è che pensavo di poter fare amicizia, senza rendermi conto che stavo andando troppo oltre. Io pensavo di stare facendo esattamente quello che facevo prima con Annabeth, Percy, Einar, Lars… Pensavo di stringere legami amichevoli, non di sostituirti con un’altra. Almeno lo credevo, perché, ora me ne rendo conto, sono stato uno stupido. Ma ti giuro che non ho mai pensato di mollarti per un’altra. Quindi… ti prego di scusarmi. Questo è stato il mio errore, ma posso assicurarti che io non ho mai smesso di amarti.» Le presi la mano e la strinsi, avvicinandola a me. «So che non basterà mai a scusarmi, ma ti assicuro: non ho mai pensato di tradirti. Scusami… So di esser stato stupido.»
La figlia di Hell mi guardò incerta e si morse il labbro inferiore, confusa. «Alex… Io vorrei crederti, ma non sono il tipo. Troppe persone vicine a me mi hanno deluso. Hanno fatto promesse che non hanno mantenuto. Sono certa che tu sia in buona fede, però non sono del tutto sicura che tu riesca a mantenere le tue intenzioni. Come faccio a fidarmi? Come posso sapere che domani non cambierai idea?»
«Non posso fare altro che non darti la mia parola. Giuro sullo Stigie e sull’Isola di Foreseti che non ti tradirò mai più. È il massimo che posso fare, ma ti prego di credermi. Io ti chiedo solo di perdonarmi… Ti prego» giurai, poggiandole una mano sulla spalla.
Lei si morse il labbro inferiore, indecisa, e mi fissò con durezza, anche se si era un po’ sciolta. Sembrava confusa e la sua mente doveva essere parecchio incasinata in quel momento, ma non crollò.
«Alex» disse, alzandosi.
Provai a trattenerla, ma lei si sottrasse.
«Io… non lo so, va bene? Vorrei fidarmi di te, davvero, ma in questo momento non ne sono capace. Inoltre, tu mi fai una promessa che non puoi mantenere, lo sai anche tu. Quindi, per ora, non so bene cosa decidere.»
Si avviò verso la porta con un sorriso che sembrava triste e di scherno al tempo stesso, mentre io la osservavo abbattuto. Un po’ ci avevo sperato, ma me lo meritavo. Il casino, alla fine, era colpa mia.
Notai che il suo viso era una maschera confusa, le sue mani tremavano leggermente, ed era come se le gambe si muovessero pesanti, quasi lei non volesse andarsene. Avrei voluto trattenerla, ma non potevo.
«Solo… dammi un po’ di tempo» aggiunse piano, con una nota triste nella voce, prima di richiudersi la porta alle spalle.
Mi lasciai ricadere sul letto, stanco, con la sensazione di avere le ossa ed il cuore a pezzi. Anche se il cuore era molto più doloroso.
Einar entrò dopo qualche minuto e fu lui a raccontarmi della sua avventura e della resistenza del forte, durante la mia assenza. Mi disse di come Jason e Astrid avessero resistito, coordinando insieme l’azione di difesa, di come, insieme a Lars e Leo, avesse recuperato l’arco di Robin Hood, Sibilo, e di come erano riusciti a tornare alla fortezza con l’aiuto di Volund, il dio fabbro che li aveva aiutati a sconfiggere Toante.
«… e Lars ha posizionato gli esplosivi di Leo alle spalle dei mostri, facendo crollare su di loro mezza montagna, mentre Leo e Volund facevano a pezzi il gigante» concluse, con un sorriso, dandomi una pacca sulla spalla. «Capo, è bello vederti ancora intero. Vivo, forse non proprio vegeto, ma almeno hai ancora le gambe attaccate al corpo.» Ghignò, fissandomi divertito.
«Muoio dal ridere» risposi, sarcastico, anche se sorridevo. Era sempre bello sentire i vecchi amici. «Vedrò di riprendermi presto, dobbiamo finire questa storia.»
«Fai con calma, capo» mi consigliò il figlio di Loki, dandomi un leggero pugno sul petto.
Dopodiché mi lasciò solo. Ricevetti altre visite nella mattinata: da Piper, che, però, se ne andò subito; da Leo che fu parecchio interessato a quello che mi era capitato; da Clarisse e altri del Campo Mezzosangue, ansiosi di rivedermi in piedi, in particolare lei che si arrabbiava con me per essermi preso tutto il divertimento; da Lars che, come suo solito, non fece nessun tentativo di conversazione – ci limitammo ad osservarci a lungo, per noi bastava quello – e, alla fine, con mia sorpresa, anche Jason.
«Vedo che sei vivo» mi fece notare il figlio di Giove, accigliato.
«Dispiaciuto?» chiesi, cautamente, come per trovare un modo conciliante per riprendere a darcele.
Appena l’avevo visto, mio padre era tornato alla carica urlandomi di tagliargli la testa, cosa che non aiutava a far passare la mia emicrania.
«Chi ti conosce dice che di solito non sei così scontroso» osservò.
Anche lui stava combattendo contro i suoi istinti, lo sapevo bene.
Sospirai e mi massaggiai le tempie. «Scusami, Grace, ma non è sempre facile sopportare mio padre, qui dentro» dissi, puntandomi l’indice alla tempia.
«Non è facile nemmeno per me» ammise Jason, avvicinandosi. «Ma dobbiamo smetterla o qui non si va da nessuna parte. Dobbiamo salvare un’amica insieme… e di certo non possiamo farlo in queste condizioni.»
Annuii, anche se la testa continuava a pulsarmi sempre più forte.
«Se per te va bene, vorrei che la smettessimo di dare ascolto ai nostri genitori divini e facessimo pace, almeno fino a che non avremo salvato Annabeth» propose, porgendomi la mano in segno di amicizia.
La studiai, riflettendo. Jason non era una cattiva persona, era solo un po’ troppo rigido, ma sapeva quando doveva fermarsi e poi aveva combattuto insieme alla mia orda, aiutandola a salvarsi. Decisi che potevo fidarmi e gli strinsi la mano.
«Odino non ha mai fatto nulla per me. Sono con te, Jason Grace» accettai con un sospiro, cercando di capire cosa provasse.
Era sciolto e aveva fiducia in me, quindi potevo riporla anche io in lui. Ignorai la voce di mio padre che, a gran voce, mi accusava. Traditore.
 
≈Lars≈
 
Quando ci riunimmo tutti insieme nella sala principale del forte, non mi aspettavo di vedere anche Alex. C’eravamo tutti: Blindivor aveva assunto la guida dei nani e Ragnar dei Berserk, Clarisse,  Rachel, Piper e Leo che rappresentavano i greci e, insieme a noi, c’erano Rebekka con i suoi due capitani – Neil ed Elyza –, Astrid, Einar, Helen e Nora.
Di colpo, però, la porta si era aperta e Alex era entrato aiutato da Jason. Aveva l’aria stravolta e non proprio quella di un capogruppo, ma sembrava abbastanza in forze da reggersi in piedi. Ancor più sorprendente, era il fatto che si facesse sorreggere dal figlio di Giove.
«Vedo che ci stiamo organizzando senza di noi» scherzò, sedendosi con noi.
«Vedo che ti sei ripreso, Dahl» constatò Rebekka, accigliata, guardando prima me, poi il figlio di Odino. «Devo presupporre che riprenderai tu il controllo della tua Orda, a meno che Nilsen non abbia qualcosa in contrario» aggiunse, sorridendo criptica.
«No» dissi subito, ribadendo la mia posizione. Non ero adatto a comandare un gruppo di semidei, lo sapevo bene io stesso. «Alex riprenderà il controllo dell’orda.»
«Tranquillo, amico mio» disse il figlio di Odino, lanciandomi un’occhiata rassicurante.
Annuii e sospirai, felice di tornare ad essere il secondo in comando che ero sempre stato.
«Allora. Innanzitutto, non so ancora in che condizioni è l’Orda del Drago» cominciò il figlio di Odino, osservandoci. «Qualcuno di noi… ci ha lasciati?» chiese cautamente.
Era sempre stato sensibile su questo argomento e si dava la colpa di ogni morte.
«Nessuno» rispose Rachel, congiungendo le mani sotto il mento. «Io ed Helen ne stavamo appunto parlando: l’Orda del Drago non ha avuto perdite, ma moltissimi feriti. I Berserk ed i nani hanno avuto qualche morto, ma non sembra che la cosa li preoccupi. Piuttosto, sembrano più interessati di prima a massacrare i responsabili.»
«Ho parlato con alcuni di loro» aggiunse la figlia di Frigga, osservandoci. «Si occuperanno dei riti funebri personalmente. Tuttavia, io e Rachel vorremmo parlarvi di qualcos’altro.»
Le due ragazze si osservarono e fecero un cenno di intesa, prima di riprendere il discorso.
«Abbiamo fatto un sogno condiviso» spiegò seriamente. «Gli Dèi sono sempre più irrequieti e sappiamo perché. Ymir è davvero pronto a ricomporsi, e si rimetterà insieme, se non facciamo qualcosa. Il problema è che lui ha bisogno di qualcosa per ricomporsi, ed è sangue.»
«Proprio come Gea» aggiunse Rachel, preoccupata. «Solo che il rituale per Ymir è diverso.»
«Esatto» riprese Helen, annuendo. «Nei nostri sogni, sappiamo che lui ha bisogno di sangue proveniente dal cielo e di odio. Non so esattamente di cosa si tratti, ma Odio e Sangue sono gli elementi grazie a cui si risveglierà, e lo farà presto.»
«Quindi è pericoloso andare a salvare Annabeth, vero?» chiese Piper, preoccupata. «Che dobbiamo fare?»
«Di certo Annabeth è un’esca» precisò Helen, accigliata. «Non so se la sorella di Astrid è consapevole di questo o viene solo usata facendo forza sul suo orgoglio e la sua ossessione. Quello che è certo è che dobbiamo essere cauti.»
«Non c’è dubbio» confermò Alex, annuendo. «Ma dobbiamo anche salvarla. Siamo venuti qui apposta. Sappiamo, almeno, la conformazione del campo di battaglia?»
«I miei rinforzi hanno inviato degli esploratori in avanscoperta» rispose Blindivor, che era stato in silenzio fino a quel momento. «Sappiamo che la valle ove quella semidea si è accampata è ricoperta dai resti di molte navi, ma lei è stanziata ai piedi di un monte ripido, circondato da un accampamento di mostri e non-morti da lei evocati.»
«Allora dobbiamo organizzarci» decise subito il figlio di Odino, fissandoci tutti, uno ad uno.
La discussione prese una piega piuttosto confusionaria, mentre cercavamo di decidere quale fosse la tattica migliore da adottare. Clarisse era per un attacco diretto, ma Piper e Rebekka protestarono che avrebbe messo in pericolo Annabeth. Io avrei preferito lanciare un assalto alla montagna per sfondare, ma avrebbe richiesto troppe perdite. Alla fine, Alex e Jason riuscirono a cooperare per creare una strategia efficace.
«Rebekka, io e te guideremo i semidei in un attacco laterale, da ovest. Blindivor e Ragnar andranno da est e attaccheranno sull’altro lato. Li sorprenderemo all’alba con un attacco a tenaglia» spiegò, dopo aver disegnato su un foglio una piantina molto approssimativa del campo di battaglia.
«Noi greci, invece, siamo meno, ma abbastanza da difenderci. Ci muoveremo alle spalle dei nemici e attaccheremo il covo di Kara e dei non-morti direttamente per liberare Annabeth prima che sia troppo tardi. Non voglio che lei corra pericoli, ormai siamo vicini a tornare a casa e non intendo ritirarmi ora» aggiunse Jason, mostrando il difficile percorso che avrebbero intrapreso i greci su una cartina.
Era la parte della missione meno pericolosa, ma anche la più importante. Senza Kara a guidarli, i mostri si sarebbero dispersi facilmente e, con un po’ di fortuna, l’attacco lampo si sarebbe risolto con successo.
«Sei sicuro di farcela, capo?» chiese Einar, fissando il figlio di Odino preoccupato. «Ti sei ripreso solo da qualche ora.»
«Se tutto va bene, potrò riposare quando sarò tornato» replicò lui, stringendosi le spalle. «Posso resistere ed intendo a farla finita: Kara ci ha procurato fin troppi guai. Prima ce la togliamo di torno, meglio sarà per tutti.»
Tutti ci ritrovammo a dover ammettere che era vero: dovevamo farla finita con lei prima possibile. Kara non era come Astrid. Era una pazza furiosa ed un’assassina. L’oscurità che portava in sé, ormai, l’aveva divorata.
«Io sono d’accordo» confermai, alla fine, alzandomi. «Questo attacco ci permetterà di evitare un  massacro insensato.»
«Molto bene» concordò Rebekka. «Sono con voi.»
«Avrei preferito uno scontro diretto, ma mi accontenterò di questa scaramuccia» decise la figlia di Ares, soddisfatta.
Tutti si dissero d’accordo su quello che sarebbe accaduto l’indomani. Non eravamo lontani e con la Skidbladnir avremmo potuto trasportare tutte le nostre forze in posizione entro la mattina dopo. Fu una bella faticaccia convincere tutti a riposare un po’, dato che saremmo partiti appena il sole fosse calato, ma, nonostante qualche protesta, tutti furono pronti a partire la sera stessa.
Dopo la nostra partenza, mi misi al timone. Alex aveva tentato di prendere il comando, ma avevamo tutti insistito che si preparasse e riposasse, dato che era ancora stanco. Con riluttanza aveva annuito, lasciandoci il comando, mentre tornava nella sua cabina.
La nave si era allargata e fatta più grande, così da ospitare ogni passeggero. Ora sembrava un transatlantico, per il numero di persone che doveva trasportare.
«Ehi, Nilsen» disse Einar, avvicinandosi a me. «Non dovresti riposare?» domandò, inarcando un sopracciglio.
«Non preoccuparti» risposi, nonostante il sonno stesse effettivamente facendo effetto.
«Si vede che sei stanco, amico» disse, spingendomi via dal timone e mettendosi al mio posto. «Lascia che me ne occupi io.»
Provai a protestare, ma il figlio di Loki fu a dir poco irremovibile e fui praticamente costretto ad andare nella mia stanza. Arrancai fino alla porta e mi gettai sulla branda, mentre, accanto a me, russava Will Solace, con la testa affondata nel cuscino. Anche io crollai sul letto, rendendomi conto solo in quel momento quanto, in realtà, fossi stanco.
Mentre dormivo la mia anima fu portata lontano da lì.
Ero di nuovo nel palazzo degli Dèi, ed era accesa una violenta discussione. Thor, Odino e Njordr urlavano contro la maggior parte delle altre divinità furibondi, mentre Frigga sembrava volersi nascondere dal marito che, più che mai, sembrava pronto a distruggere qualcosa – magari lei.
«Distruggeremo i romani, ora e per sempre!» urlava furibondo, alzando la lancia, con man forte di suo figlio.
«Marito…» provò Frigga, alzandosi. La sua voce rimbombava anche nella mia mente. «Non dobbiamo ignorare Ymir. Egli è pericoloso. Se ci alleassimo con Gea…»
«Silenzio, donna!» sbraitò  Njordr, alzandosi in piedi, anche lui sul piede di guerra. Le sue nocche erano bianche strette intorno al manico della fiocina. «Affogherò la loro stupida città con un maremoto tale che non potrebbero salvarsi nemmeno con una delle loro stupide flotte!»
«Divino Odino, forse non è il caso di essere così aggressivi» provò un giovane dio biondo, dall’aria atletica e luminosa. Baldr, il dio della luce.
«Silenzio, figlio!» urlò il padre di tutti, puntando contro di lui la lancia. «Chiunque si opporrà alla distruzione di Roma sarà considerato un traditore!»
Gli Dèi ripresero a discutere, sempre più concitati e furibondi, mentre io osservavo la scena da dietro il trono di mia madre, preoccupato ed indeciso. La furia del Re degli Dèi sembrava tale da distruggere ogni cosa e persino l’alleanza con i Greci era a rischio: se si fosse opposto all’Olimpo, ci saremmo fatti nemici anche loro, oltre che i Romani. Come mai Odino era così iracondo?
«Preoccupato, figlio mio?» chiese mia madre, ancora seduta, anche se i suoi occhi celesti indugiavano su di me.
Si era accorta della mia presenza e deglutii. Sperai di non averla disturbata, perché genitori o no, gli Dèi avevano la brutta abitudine di disintegrarti se li infastidivi.
«Madre» sussurrai, inchinandomi. «Stavo solo sognando e mi sono ritrovato qui» spiegai, un po’ timoroso.
«Posso capirlo» ammise, alzandosi. Gli Dèi erano talmente occupati a litigare che non si accorsero di me e lei che ci allontanavamo. «I miei fratelli e sorelle sono bellicosi e furibondi, oggi.»
«Come mai?» chiesi, voltandomi a vedere la baraonda. «Il Re degli Dèi sarà anche un guerriero, ma non credo sia così…. ehm…. cieco, da pensare che la guerra contro i Romani sia una vera soluzione.»
«Tu non puoi capire, figlio mio» disse la dea, sospirando. «Anche io penso sia meglio la pace, anche se per motivi diversi. La verità è che qualcuno sta sfruttando questo odio per distrarci» mi confidò, inginocchiandosi accanto a me.
Dall’alto dei suoi tre metri, anche così era piuttosto alta rispetto a me.
«Quindi che dobbiamo fare?» mi informai, preoccupato.
«Nulla. Noi benediremo la vostra battaglia e vi garantiremo la vittoria, ma questo non significa che sopravvivrete, figlio mio. Qualcuno ha consacrato il territorio su cui combatterete a Ymir. Se su di esso verrà versato il sangue giusto, allora, il Primo Gigante si risveglierà» spiegò seria, mentre il mio cuore iniziava a martellarmi in petto per l’ansia.
«Non c’è modo di evitarlo?» chiesi, sperando in un consiglio utile.
«Nemmeno noi sappiamo cosa potrebbe accadere. Sappiamo solo questo: “Ymir si sveglierà per il sangue dorato di un dio furibondo e di due principi avvelenati dall’odio”» enunciò, fissandomi negli occhi, come per assicurarsi che avessi capito.
«Un dio furibondo… forse è Chione, sta con Kara. Ma due principi avvelenati dall’odio… Non saprei. Alex e Jason sembrano essersi riappacificati…» provai, indeciso, mentre cercavo di arrovellarmi.
Forse attaccare non era una buona idea, ma ormai era fatta.
«Ricorda che l’odio può tornare. Se dovessero ferirsi in uno scontro, loro due potrebbero risvegliare Ymir. E mentre siamo distratti a massacrarci a vicenda, con i rispettivi Dèi Primordiali a infastidirci, c’è il rischio che qualcuno agisca alle nostre spalle» mi avvertì la dea, seria, mentre si alzava. «Tieni d’occhio il tuo comandante e prega che Odino sappia ragionare, o il mondo intero brucerà» aggiunse, mentre il sogno si faceva più nebbioso.
Quando la mattina mi svegliai, mi misi in fila insieme a tutti gli altri. Era prima mattina ed il sole appena visibile mi feriva gli occhi, dando alla landa desolata una luce opaca e scura. In lontananza, oltre i colli, il campo di mostri guidati da Kara dormiva tranquillo, certi che Toante ci avesse schiacciati.
L’alba era vicina e dovevamo agire in fretta. Alex e gli altri si riunirono ed io li raggiunsi per accordarmi sugli ultimi dettagli. Fu una riunione rapida e silenziosa. Nessuna protesta. Nessuna esitazione.
Tutti d’accordo, ci mettemmo alle posizioni decise e attendemmo. Alex era in prima linea, con me, con gli scudi levati. Fui sorpreso di vedere Astrid, accanto a lui, pronti a lanciarsi alla carica insieme. Di nuovo, come a Manhattan.
«Fate silenzio» ci raccomandò il figlio di Odino sottovoce, mentre avanzavamo compatti lungo il fianco occidentale del campo avversario. «Caricheremo solo quando saremo vicini.»
La prima linea era guidata da me e Alex, ed era munita di scudi rotondi, pronti a caricare, in modo da sbattere in faccia ai mostri un solido muro di legno e metallo. Dietro di noi, Astrid e Nora guidavano il resto di noi, armati di grandi armi a due mani, mentre, tra le dune di neve ed i relitti di nave, Einar, alla guida degli arcieri, si posizionava pronto a colpire.
Fu nell’istante in cui Alex urlò e si lanciò contro le mura di legno marce che un’ondata di coraggio mi investì, cancellando la paura. Il suo corpo divenne splendente della benedizione di Odino che entrò in risonanza con noi, rendendoci immuni alla paura.
Il mio corpo fu sommerso da una scarica di energia.
Il freddo abbandonò le mie membra.
Alzai lo scudo e caricai.
I mostri furono colti di sorpresa e avevamo già superato il fossato, quando si alzarono e provarono a respingerci. Saltai tra i loro ranghi e mulinai la spada.
La battaglia era iniziata.

 
koala's corner.
Ci avviciniamo sempre di più alla fine, e questo significa scontri, scontri e ancora scontri. In linea con lo stile di vita semidivino.
Difatti, un'altra battaglia si prospetta dopo questa, ma il Boss Finale sarà davvero Kara? Oppure qualcun altro di nostra conoscenza?
C'è una parte pseudo-romantica Alrid, però Astrid non cade subito tra le braccia dell'eroe - e per fortuna - e si concede il suo tempo. (aka: passaggio di testimone a chi dovrebbe avere più polso)
Leo ha distrutto il suo primo gigante *coro esultante* Per quanto riguarda Lars, verrà il momento anche per lui (y)
Continuate a seguirci, alla prossima!

Soon on DNN: abbiamo già annunciato battaglia, ma probabilmente se ne combatteranno due. Quelle interiori valgono, no?


 

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Capitolo 20
*** ASTRID/PIPER/ANNABETH • La volta buona – ma non per tutti ***


La volta buona  ma non per tutti

♦Astrid♦
 
Ero alla ricerca di angolini stretti, bui, anche puzzolenti o sudici, bastava che potessi incunearmici. Avevo bisogno che qualcosa premesse contro il mio corpo, perché mi sentivo andare in pezzi e non volevo perderne nessuno. Mi strinsi le braccia al petto e cercai di tenermi insieme con le mie sole forze, ma c’erano frammenti di me che solo una qualità di colla poteva saldare nuovamente.
 

Dopo, quando Alex fece il suo ingresso nella sala, mi sentii fisicamente male. C’erano troppi pensieri nella mia testa, troppe urla nella mia mente, che non mi permettevano di sopravvivere alla sua vista.
Focalizzati su Annabeth, mi dissi. Concentrati su di lei. Invece, mentre la discussione iniziava e la voce di Alex nella mia memoria si sommava alla sua nel presente, pensai a un’onda che si infrangeva di continuo contro una scogliera.
Ogni volta tornava indietro e ogni volta si ributtava contro di essa, instancabile. Il bello era quando si ritirava nel mare e si ricomponeva.
Il 70% del corpo umano era fatto di acqua, esattamente della stessa materia di quell’onda, e mi dissi che per quanto mi frantumassi contro la mia personale scogliera, sarei potuta sempre tornare insieme.
 
 
Stavo cercando di dormire nella mia stanza, ma il mio tentativo si limitava a soffocare sotto le coperte troppo pesanti, rannicchiata in posizione fetale. Mi abbracciavo le gambe piegate con le braccia, mentre le ginocchia premevano contro il mio petto e il mio seno. Potevo sentire la mia pancia accarezzarle ogni volta che respiravo.
Più che respirare, però, mi nutrivo della musica che le cuffie iniettavano nelle mie orecchie. Da ore, ormai, si susseguivano brani dei Green Day, dei Fall Out Boys, dei The 69 Eyes e tanti altri. In quel momento, Amy Lee cantava My Immortal direttamente nella mia anima.
Come gli stessi Evanescence, anch’io mi sentivo lentamente svanire. Avrei potuto aprire gli occhi e osservare le dita delle mie mani scomparire nel nulla.
Il fatto era che l’avrei preferito a un nuovo confronto con Alex. C’era un così grande casino nella mia testa che io… Ugh. Non sapevo nemmeno da che parte iniziare.
Con il suo giuramento doppio sullo Stige e sull’Isola di Foreseti si era privato di scelte future che non fossero la morte e, in un certo senso, aveva tolto anche a me la possibilità di decidere in tutta tranquillità. Perché Alex sentiva il costante bisogno di mettere in gioco la sua vita, di usarla come merce di scambio come se non valesse nulla.
E continuava a dire che mi amava, a spergiurare che non aveva fatto apposta a tradirmi, ma… ma non era forse peggio questo? Ri
tenere di essere abbastanza da meritare di amare due persone contemporaneamente? Era accaduto inconsciamente o la sua era una semplice forma di egoismo mascherato?
Provavo ad immaginarmi senza di lui, eppure non vedevo nulla. Sentivo solo il palato seccarsi, mentre il mio battito cardiaco accelerava.
Amy Lee intonò l’ultima nota, e la melodia del piano rimase sospesa per un’altra manciata di secondi. Aspettai l’inizio di una nuova canzone, magari un secondo pezzo degli Evanescence, ma l’attacco della musica tardava ad arrivare e l’angoscia mista al fastidio incominciava già a montare dentro di me.
Le cuffie gracchiarono, poi il verso di un uccello mi riempì i timpani. Mi immobilizzai, mentre una sequenza di quei canti fluiva nelle mie orecchie. Li identificai con estrema facilità. Veniva per prima un’upupa, con il suo gargarismo prolungato, seguito dal richiamo del barbagianni, e poi l’usignolo e il merlo e il picchio.
Con uno scatto improvviso, mi strappai le cuffie dalle orecchie e gettai l’iPod il più lontano possibile da me. Strisciai fuori dal bozzolo caldo delle coperte sui gomiti e ansimai in cerca d’aria. Non avevo la minima idea che avessi un file audio del genere tra la mia musica.
Di solito, per mio padre e le memorie legate a lui non c’era spazio se non tra i rifiuti. Eppure, quella clip doveva essermi sfuggita. Ricordavo ancora le giornate trascorse insieme nei boschi, quando ancora potevamo considerarci una famiglia, passate a imparare i richiami dei vari uccelli.
Che gran pezzo di merda, pensai, sentendo un saporaccio amaro in bocca. Persino quando la situazione è già abbastanza complicata di suo, il bastardo viene a rompere, portandosi dietro tutta la sua merda.
Scesi giù dalla cuccetta, andando a recuperare il mio iPod. Dopotutto, nonostante contenesse quella robaccia, era indispensabile alla mia sopravvivenza. Mi rimisi a letto, scorsi avanti altre tre canzoni in Riproduzione Casuale e mi rimisi le cuffie nelle orecchie.
Fu così che mi colpì la rivelazione. Spalancai gli occhi, mentre la musica svaniva attorno a me. Quasi in trance, misi in pausa il brano, mi liberai delle coperte e dei fili vari. Camminai fuori dalla stanza in camicia da notte e calzettoni.
Il legno scricchiolava sotto i miei piedi, mentre mi orientavo nella Skidbladnir. Purtroppo o per fortuna, avevo ben impresso in mente dov’era situata la camera di Alex. Ci entrai di soppiatto, ma, anche da mezzo-vivo, il figlio di Odino aveva il sonno del guerriero e mi sentì varcare la soglia.
Affaticato dalla lunga giornata, si tirò su un gomito e strizzò gli occhi. «Astrid?» farfugliò, la voce impastata dal sonno.
«Sorpresa!» esclamai, ma il mio tono era l’esatto opposto della felicità.
Alex provò ad accendere la luce, ma lo fermai. C’erano cose che si potevano confessare solo al buio.
«Posso sedermi là?» chiesi, indicando vagamente i piedi del suo letto.
Alex batté due volte le palpebre. «Sì» rispose lui, che non si era ancora ripreso dallo stupore.
Mi sedetti in fondo al materasso, la schiena contro la parete. Raccolsi le gambe, tenendomi le ginocchia, ma i miei piedi toccavano ugualmente i suoi stinchi, duri sotto la coperta.
«Non sono ancora sicuro di essere sveglio» disse, dopo che mi fui sistemata. «Sei reale, Astrid? O solo una proiezione della mia mente?»
«La tua mente è troppo ordinata per far apparire una ragazza semi nuda nel cuore della notte nella tua stanza» replicai.
Malgrado tutto, riuscii a farlo sorridere.
Mi schiarii la gola. «Comunque, sono venuta qui per dirti che ho riflettuto su tutto ciò di cui abbiamo parlato. Devo dirti una cosa e voglio che tu mi ascolti» cominciai.
Alex si tirò ancora un po’ più su. «Hai la mia completa attenzione, Astrid. Ti prego, parla» mi incalzò.
Non sapevo ancora bene se il mio discorso fosse sensato o meno, ma sentivo il bisogno impellente di buttare fuori tutto. Dopotutto, come Alex mi aveva chiarito la Situazione Piper, io dovevo dargli una risposta. Annuii e deglutii in sequenza prima di iniziare.
«C’era una storia che piaceva particolarmente a mio padre e che mi raccontava spesso, da bambina. Le prime miniere non avevano sistemi di ventilazione, per cui i minatori portavano nei nuovi antri dei canarini dentro una voliera. Diceva che i canarini erano particolarmente sensibili al metano e al monossido di carbone, il che li rendeva perfetti per rilevare la presenza di gas pericolosi. Finché cantavano, i minatori sapevano che la zona era sicura. Ma, quando morivano, si doveva evacuare subito.»
Feci una pausa. Poi, piano piano, cantai come uno di quei canarini.
«Aspettando che tu ti svegliassi» ripresi, «non sapevo che farne della nostra situazione. Mi è ritornata in mente questa storia, che è perfetta per descrivere come mi sentivo. Era come se io fossi il minatore, e con il mio canarino esplorassi una nuova parte della miniera. Non mi fidavo del canto dell’uccello, però, e mi chiedevo: “devo uscire di qui prima che sia troppo tardi? Devo andarmene prima che salti in aria?”»
Presi un lungo sospiro per calmarmi. Passai le mani sudate sulla coperta, cercando di asciugarle.
«Ma mi sono resa conto che canarino e minatore non c’entrano nulla. Il punto è che mi sono basata unicamente sul passato, concentrandomi su ciò che avevi fatto, sulle ferite che mi avevi inflitto, e lo applicavo al futuro come certezza. Invece, avrei dovuto pensare al presente. Nel presente, tu mi hai giurato sull’Isola di Foreseti e sul fiume Stige che non mi tradirai mai più. Nel presente, noi possiamo essere una persona sola, appartenere una all’altro. Nel presente, io amo te e tu ami me, e nulla conta più. Siamo semidei, viviamo alla giornata, perché non sappiamo se saremo ancora in grado di camminare su questa terra il giorno seguente. E quindi io decido stare con te, Alex Dahl, perché il prossimo tramonto potrebbe essere l’ultimo e, quando morirò, voglio pensare a te e me insieme all’alba di quel giorno che non sapevo si sarebbe concluso con la mia fine.»
Quando chiusi la bocca, non rimase altro che il silenzio. Vagamente, mi chiesi se avessi appena ucciso il canarino che avrebbe dovuto garantirmi la salvezza.
Alex fece uno strano verso con la bocca, raschiante, e mormorò: «Dèi… Dèi, Astrid, vieni qui.»
Alzai le coperte e mi ci infilai sotto. La camicia da notte mi salì fin sopra l’ombelico e avrei dovuto rabbrividire, ma il mio corpo aderiva con quello di Alex, che stava letteralmente bollendo. Anche se così non fosse stato, in quella posizione non avrei mai potuto avere freddo. Alex scivolò affianco a me e mi baciò la tempia, lentamente, stampandomi l’impronta delle sue labbra.
«Tu hai scelto di rimanere con me perché pensi al presente» disse, «ma io desidero te perché credo nel futuro. E credo in un futuro con te. Forse, se ci spingiamo così lontano, non posso darti la stabilità che cerchi, ma nessuno potrà mai farlo. Sono un semidio, ed evidentemente neanche quello con l’aspettativa di vita più lunga, eppure ti voglio promettere ancora che starò sempre al tuo fianco. Ogni strada che prenderò, sarà anche la tua. Ogni pendio che deciderò di scalare, lo scalerò con te.» Soffiò via i miei capelli, in modo da potermi sussurrare all’orecchio: «Ti amo, Astrid. Nel presente e nel futuro.»
Ti amo, Alex, pensai. Nel presente e nel futuro.
Era ovvio che l’avessi pensato, perché il figlio di Odino sorrise sulla mia pelle e uno sbuffo di piacere e sollievo mi scaldò la nuca. Mi mordicchiò l’orecchio, tirandomi il lobo con i denti. Gli morsi a mia volta la spalla, per gioco, e mi girai, in modo da poterlo vedere in faccia – o  immaginarne la forma, visto il buio.
Gli passai l’indice e il medio sulla bocca, sentendo sotto i polpastrelli la ruvidezza delle sue labbra screpolate. Infilai la mano sotto la sua maglietta e percorsi tutta la sua schiena, soffermandomi sulle sporgenze della colonna vertebrale e le scapole. Mi bloccai sui suoi fianchi, il palmo della mano fermo sulle ossa del bacino, e mi portai più vicino a lui.
Alex mi baciò il naso e cercò la mia bocca. Fu un bacio lungo, tutta questione di mento, sentito con ogni particella del corpo, un bacio profondo. Non era la notte adatta per fare l’amore, così mi abbandonai sul suo petto mentre lui mi circondava con un braccio.
Chiusi gli occhi, abbassai le palpebre ed inspirai il suo odore. Puzzava di sudore e di malattia e non me ne fregava un cazzo.
 
►Piper◄
 
All’alba, Alex e Astrid erano di nuovo insieme. Osservandoli con la coda dell’occhio, tirai un sospiro di sollievo. Nonostante i piani di mia madre e Freyja che giocavano contro di loro e contro di me, ero riuscita a riparare i danni che avevo causato, alla fine.
Smisi di guardarli per dedicarmi a Jason, che era già concentrato sulla battaglia futura. Il vento gli scompigliava i capelli biondi, di qualche centimetro più lunghi rispetto a quando si era svegliato su quel pullman senza ricordi. Gli presi la mano e intrecciai le mie dita alle sue.
«Grazie» gli dissi.
Il figlio di Giove sembrò ritornare di colpo sulla Terra. «Uh?» fece. Poi notò le nostre mani unite e sorrise.
«Ti stavo ringraziando» gli spiegai, sorridendo a mia volta. «Se non ci fossi stato tu, Astrid mi avrebbe già squartato da tempo, non avrebbe conosciuto tutta la storia e non sarebbe successo quello che sta accadendo ora.»
Jason si voltò, cercando la figlia di Hell, e contemplò con sollievo e serenità lei e Alex di nuovo insieme.
«Menomale che si è sistemata questa situazione» sospirò.
«Già» concordai.
«E, comunque» riprese lui, «spero che anche tu e Astrid possiate stringere amicizia, un giorno. Anche questo è un problema da risolvere.»
«Credo che ci vorrà del tempo. È palese che Astrid mi odi» obiettai, trattenendomi dal fare una smorfia.
Jason mi strinse la mano. «Lei odia un po’ tutti, tranquilla. Sotto sotto, sono convito che sia capace di ben altro.»
Non ero convinta che tra me e la figlia di Hell sarebbe mai corso buon sangue, a meno che non si fosse verificato un miracolo.
«Sarà» sospirai. «In ogni caso, ci sono cose più importanti di cui preoccuparsi, adesso.»
Jason si irrigidì immediatamente al pensiero di Annabeth e dello scontro che ci attendeva per salvarla.
«Riusciremo a riportarla a casa» sentenziò, come se non avesse dubbi.
Finsi anch’io di esserne sicura al cento percento. «Nessuno riuscirà a fermarci.»
 
 
Quando l’esercito nemico impattò ad ovest contro i semidei guidati da Alex e ad est contro nani e Berserk, ricordai a me stessa la promessa che mi ero fatta e me la ripetei a mo’ di mantra. Non volevo dipendere più da nessuno, non volevo che qualcuno a cui tenevo si sacrificasse per me, che altri morissero al posto mio, e per questo dovevo essere forte e coraggiosa.
Strinsi Katoptris e pensai che non era più il pugnale di Elena, una donna che non aveva combattuto in guerra, ma che era diventato il mio, ed io mi sarei battuta.
Jason, a capo di noi semidei greci, si voltò verso coloro che stavano dietro di lui e ordinò: «Marciamo in avanti. Silenziosi e compatti.»
I monconi dell’esercito di Toante erano impegnati nello scontro, ma era sempre meglio non farsi notare ed evitare di correre rischi inutili. Ci mettemmo in cammino secondo le istruzioni del figlio di Giove, senza discutere. Clarisse era accanto a me e brandiva la sua lancia elettrica; aveva gli occhi fissi davanti a sé, ma un ghigno le increspava le labbra.
Percorremmo un tratto sulla stessa pianura dove combattevano anche gli altri, poi ci separammo dall’ala est e iniziammo ad inerpicarci sopra la montagna. La pendenza, a quell’altitudine, era minima, eppure il terreno sassoso rendeva difficile seguire il percorso.
Man mano che salivamo, potevo assistere allo svolgersi della battaglia sotto di me come dai posti privilegiati di un teatro.
La manovra a tenaglia stava funzionando come previsto: i mostri non sapevano a chi dedicare più attenzione e il risultato era una grande disorganizzazione. Se, poi, una parte degli attaccanti diminuiva la potenza dei loro colpi, l’altra veniva in suo aiuto e teneva occupati i nemici, mentre i compagni recuperavano pochi minuti di riposo. I nani erano ancora eccitati dalla comparsa del loro dio, Volund, e falciavano mostri su mostri, inarrestabili.
Inciampai in una pietra e dovetti distogliere lo sguardo dallo scontro. Concentrai la mia attenzione sui miei piedi, in modo da non scivolare di nuovo. Non potevamo – non potevo – permettermi errori e distrazioni così grossolani.
Guardavo ancora a terra, quando i massi incominciarono a vibrare. Avevamo percorso un tratto di strada non irrilevante, ma non ero stanca e il mio affaticamento non poteva giustificare quella visione. I sassi più piccoli tremarono ancora e si sollevarono lievemente da terra. No, questo non potevo essermelo sognata.
«Jason» chiamai.
Il figlio di Giove fece arrestare la marcia di colpo. C’era più stupore che irritazione, quando domandò: «Piper? Cosa c’è?»
Con tutta la dignità possibile, dichiarai: «Le pietre tremano. È possibile che ci siano un segnale di un problema, giusto?»
Jason studiò il terreno e, alla nuova scossa, i sassi si sollevarono ancora. Il figlio di Giove alzò di scatto lo sguardo, guardò a destra e a sinistra, poi davanti a sé.
«Credo che Kara si sia appena accorta della nostra presenza» disse, a voce abbastanza alta da farsi sentire anche dai semidei in coda. «Teniamoci pronti a un attacco.»
Diede segno di riprendere a camminare, ma, invece di continuare a stare in testa, mi si avvicinò e si complimentò con me. «Ottima osservazione, Pipes. Chiunque ci ritroveremo davanti, adesso siamo preparati.»
Scrollai le spalle. «Il secondo passo sarà imparare a essere una brava guerriera.»
«Riuscirai a farti valere.» Jason mi rassicurò con un sorriso, prima di ritornare a capo del gruppo di mezzosangue.
Camminammo ancora per pochi minuti. La situazione di relativa calma si tramutò in un pochi secondi in una scena di guerriglia. Soldati non-morti delle più disparate epoche comparvero all’improvviso davanti a noi. Alcuni erano nudi scheletri, e le loro ossa bianche stringevano spade che si ricordavano ancora bene come usare, altri vestivano uniformi mimetiche dell’esercito lacere e mezze strappate.
«Ci attaccano!»
Non capii da dove provenisse il grido, ma, d’un tratto, tutti noi semidei greci eravamo uniti e ci guardavamo le spalle a vicenda. I non-morti si lanciarono contro di noi, forti del numero. Attorno a me c’erano facce sia titubanti che senza paura, ma ognuna di loro era determinata a fare la sua parte. E così avrei fatto anch’io.
Bastò che uno solo di noi incrociasse la propria lama con quella dell’avversario, che il combattimento sembrò esplodere all’improvviso. Inghiottii la paura e mi gettai a capofitto nello scontro. Con un pugnale, dovevo essere veloce e letale.
La parte razionale del mio cervello, quella che non era assorta nell’arte della sopravvivenza, pensò che era un po’ come danzare: potevi non essere un ballerino provetto, ma era sempre meglio lasciarsi andare e affidarsi all’istinto, che rimanere impalati nel mezzo della pista. Esattamente come stavo facendo io, permettendo ai naturali riflessi semidivini di guidarmi in quella massa di corpi vivi e morti e di salvarmi la pelle.
Mettere fuori gioco quei dannati scheletri non era facile come sembrava, soprattutto se non avevi una spada con cui mandare in frantumi le loro ossa. Ma anche un calcio ben assestato e una lama che separava le vertebre della spina dorsale portavano al raggiungimento dello stesso obiettivo.
Mi facevano male i polmoni e le ginocchia, e il sudore mi scorreva lungo i fianchi, quando riuscii a ritagliarmi uno momento per recuperare il fiato. Grazie agli Dèi, ero ancora illesa.
Avevamo respinto la gran parte del plotone di non-morti, a dispetto dei numeri. Clarisse ne stava facendo a pezzi uno in quel preciso istante. Mi si gonfiò il petto d’orgoglio per essere parte di quel gruppo di mezzosangue, capace di resistere a quell’attacco e a quelli a venire, ma mi si sgonfiò l’attimo dopo, quando un ex ufficiale dell’esercito sudista strappò letteralmente via la gola a una figlia di Efesto.
Nelle mie vene ribollì odio, e corsi nella direzione di quel figlio di buona donna con tutta l’intenzione di farlo fuori. Sarei morta con il suo fioretto piantato nel pento, se Jason non avesse intercettato l’attacco. Neutralizzò il non-morto con poche mosse, dato che l’aveva colto di sorpresa, e a lavoro finito sputò sopra le sue ossa.
Alzò il suo sguardo su di me e mi sentii trapassare. «Niente azioni avventate, Piper» mi disse. «Per favore.»
Balbettai qualche scusa sconnessa. «Non volevo… non era programmato…»
Il biondo scosse la testa. «Non fa nulla.» Tirò fuori un sorriso da chissà dove. «Stai andando bene.»
Jason aggiunse qualcos’altro, ma me ne dimenticai in fretta, non era nulla di importante. Non so quanto tempo ci impiegammo a eliminare tutti i non-morti, ma, quando finimmo, ero esausta e in un bagno di sudore.
Contammo tre perdite – tra cui la ragazza senza più una gola –, però non avevamo tempo per degnarle di più di qualche sguardo. Dopo aver raggiunto il covo di Kara e averla sconfitta, saremmo tornati indietro per onorare i nostri morti. Adesso, era necessario andare avanti, andare da Annabeth.
 
♣Annabeth♣
 
Ero sveglia o stavo sognando? Erano davvero rumori di una battaglia, quelli che udivo? Oppure, era solo la mia mente stanca che si faceva beffe di me, portandomi alle orecchie quei suoni che conoscevo, mio malgrado, così bene?
Non mi fidavo di me stessa né dei miei sensi, ma avevo ormai imparato a conoscere perfettamente la rabbia di Kara. E quando si metteva a marciare senza sosta, con l’angolo sinistro delle labbra che le pendeva sul mento, tentata di distruggere ogni cosa si trovasse sul suo cammino, era più che arrabbiata. Il che significava che il Campo Nord mi aveva trovato e stava combattendo per raggiungermi.
Mi permessi un sorrisetto. Cercai di mantenerlo invariato nonostante fosse la cosa più facile per Kara da mandare in frantumi, in quella grotta. Se dopo i suoi calci non mi facessero così male le costole, le avrei riso in faccia.
Al posto della mia risata mancata, però, comparvero due semidei all’ingresso della caverna. Una era Piper, le trecce disfatte e il viso stanco affilato quanto il suo pugnale. Accanto a lei, si ergeva Jason, gli occhi che mandavano lampi dello stesso oro dell’acciaio del suo gladio.
«Kara» disse il figlio di Giove, lievemente ansimante. «Non hai scampo.»
La figlia di Hell sguainò con studiata calma la sua spada bipenne. «Davvero?» chiese.
Lo fronteggiò con spavalderia, mentre una dozzina di non-morti sbucava dal terreno accanto a lei e si dirigevano fuori a domare forze che non riuscivo a vedere a causa della mia posizione.
Sentii il combattimento tra i tre – Kara, Jason e Piper – direttamente nelle viscere. Tremavo agli affondi, gelavo alle parate, mugugnavo grida alle finte e sobbalzavo ai colpi letali schivati a pelo. Sospettai di poter morire d’infarto, se quel duello non si fosse concluso in fretta.
Ero talmente dentro la battaglia che non feci caso ai rumori che man mano scemavano sotto di me, alle pareti di pietra che smettevano pian piano di vibrare. Fu un colpo al cuore vedere comparire all’improvviso Alex, affiancato, come sempre, da Astrid.
Kara ringhiò di rabbia e frustrazione. Bastarda, pensai, crogiolandomi nella sconfitta della ragazza che avevo imparato ad odiare durante quelle settimane. Questo non te l’aspettavi, vero? Cosa farai, adesso che sei da sola, eh?
Ora che era in seria inferiorità numerica e già fiaccata da Piper e Jason, la gemella malvagia di Astrid non aveva davvero nessuna chance di scamparla. La sua spada bipenne si incrociava con Excalibur, ma subito doveva occuparsi del gladio di Jason, in una danza di lame più mortale che mai.
La figlia di Afrodite lasciò che i semidei più abili di lei si occupassero di Kara e si diresse da me. Recise le corde che mi legavano le caviglie e tagliò quelle che tenevano stretti polsi.
«Annabeth» mi disse, commossa. «Come ti senti?»
Mi massaggiai i solchi lasciati dalle corde e, nonostante il dolore, le sorrisi. «Decisamente meglio, ora» risposi, la voce roca.
Ero certa che mi avrebbe abbracciato, in circostanze meno gravose. Invece, mi aiutò ad alzarmi. Sul principio, le gambe mi cedettero e lei mi dovette sorreggere.
Ah, dannate ginocchia, imprecai, stringendo i denti. La forzata immobilità mi aveva resa rachitica come una vecchietta. In quel momento, avevo davvero bisogno di un deambulatore. Malgrado le stilettate di dolore che mi contraevano i muscoli senza pietà, sorrisi a ciò che avrebbe commentato Percy a quel pensiero.
Un grido improvviso mi riportò al presente. C’era un duello in corso, c’erano Alex e Astrid e Jason che richiedevano la mia attenzione immediata. Ma non era stato nessuno di loro tre a urlare di dolore, bensì Kara.
Ci impiegai più del solito a collegare il suo braccio monco alla mano che giaceva nella polvere a mezzo metro dai miei piedi. Le dita erano contratte attorno all’elsa della spada, le nocche scorticate e sporche di sangue che sembravano ancora attraversate da tremiti.
Era surreale come non riuscissi a staccare gli occhi da quella vista orripilante e ne catalogassi ogni dettaglio: le pellicine delle dita, le unghie corte e rosicchiate, le macchie di sangue sul dorso in contrasto con la pelle diafana, così delicata, e l’osso scheggiato del carpo avvolto da un fascio di tendini… E poi, se spostavo lo sguardo su Kara, il suo avambraccio monco, con la pelle slabbrata e sanguinante rivoltato sul resto del braccio.
Mi girò la testa alla vista di tanto sangue, di quei grumi scuri che si mischiavano al fluido più rosso e meno denso, di frammenti di osso e carne viva.
Kara era sotto shock, era pallida e tremava, fissava a ripetizione la sua mano e il braccio separati, come non capacitandosi di ciò che era accaduto. Era immobile, come tutti noi, come la scena stessa e l’aria che respiravamo.
Nessuno si muoveva, e mi sembrò che potessimo rimanere in quella situazione di stallo per l’eternità.

koala's corner.
Siamo arrivati al ventesimo capitolo, evviva!
Sostanzialmente, ho tre paure: 1) che il discorso e le azioni di Astrid in generale non abbiano senso, 2) che la parte di Piper faccia schifo perché è difficilissimo scrivere un POV che parla di guerra quando il tuo pg, che narra in prima persona, non sa un cavolo di guerra, e 3) che il POV di Annabeth sembri troppo breve e quindi, in pratica, inutile.
Qui c'è, però, uno dei momenti culminanti di questa storia perché, finalmente, Kara esce di esce di scena definitivamente. (in videochat: si leva dai coglioni.)
Ma nonostante la dipartita di un personaggio femminile, ne "ritorna" un altro, ovvero Annabeth.
E io devo dire per fortuna, perché tra il casino che è Astrid-Passione, il lavoro che mi dà Piper-?, Annabeth-Ragione mi serviva proprio. Tipo, tanto. anche per evitare queste scene lamentose che non mi si addicono, bleah
Questi sono i momenti di autostima di wolfie. Amatela lo stesso, altrimenti si deprime :P
Io non mi deprimerò mai! - dichiarai fermamente svuotando vaschette gelato.
Parentesi di tale spessore a parte, speriamo che il capitolo vi sia piaciuto ^^ Ci state regalando tante recensioni e siete ancora più meravigliosi del solito, vi meritate una cassa di eucalipto u.u Alla prossima!

Soon on DnN: Naaah, nulla di particolare, ragazzi - solo Dèi che entrano nei corpi di semidei e cercando di squartarsi a vicenda e di fare una colletta di mani, da aggiungere a quella già mozzata di Kara.

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Capitolo 21
*** ALEX/LARS/JASON • I Re degli Dèi scatenano la Terza Guerra Mondiale ***


I Re degli Dèi scatenano la Terza Guerra Mondiale
•Alex•
 
Quando ero arrivato insieme ad Astrid sulla cima del colle, l’unica cosa che mi interessava era portare i miei compagni fuori da quell’inferno di ghiaccio.
Colti i mostri di sorpresa, era stato facile avere la meglio. Avevo evocato il potere di mio padre che, per qualche ragione, era stato molto semplice da richiamare, quasi il suo istinto guerriero fosse amplificato da qualcosa. Con esso, evocai i miei poteri e li espansi ad entrambe le orde, trasformandoli in un gruppo di guerrieri pressappoco invincibili.
Massacrai mostri finché non ne ebbi abbastanza, ma, quando vidi i greci circondati da un gruppo di non-morti, non ci vidi più. Dovevo aiutarli.
«Lars, a te il comando! Chiedi aiuto a Rebekka, lei ti saprà consigliare!» ordinai, cercando di farmi sentire sopra il clangore della battaglia.
«Sissignore!» urlò il figlio di Eir, in prima linea, insieme ai suoi compagni, mentre spingeva con lo scudo  contro una banda di dracene in abiti invernali, che ripiegavano sotto i nostri colpi.
Corsi verso il colle, approfittando della distrazione generale che regnava tra le schiere di mostri, impossibilitati a capire chi e come combattere l’attacco a tenaglia. I nani erano una furia ed i Berserk avevano assunto la loro forma definitiva: orsi bipedi alti anche cinque metri che brandivano armi enormi e schiacciavano ogni cosa sul loro cammino.
Non smisi di correre finché Astrid non mi venne incontro, tagliando la testa di un goblin.
«Alex!» mi avvertì, indicando il colle, dove vedevo lo scontro, che si era concentrato intorno ad un apertura nella roccia gelata.
«Sbrighiamoci!» convenni, correndo e abbattendo mostri.
Ormai deciso a porre fine a quella storia, mi girai un attimo, assicurandomi che semidei nordici, Berserk e nani stessero vincendo, dopodiché seguii Astrid fino alla cima, dove i greci stavano combattendo un branco di non-morti.
«Andate nella grotta!» urlò Clarisse, colpendo uno scheletro con lo scudo, mandandolo in frantumi. «Qui ce la caviamo!»
Annuii e superai il campo di battaglia velocemente, aiutando chi potevo. Astrid spaccò la testa di un ex-soldato carolingio che stava per colpire alle spalle Silena, mentre io decapitai un soldato indipendentista prima che potesse assalire Connor. Will mi salvò da un non-morto con una freccia ben mirata e Leo non aveva problemi a dar fuoco ad ogni cosa che gli capitava a tiro. Le ossa erano un combustibile a dir poco adatto per lui.
Sopra di noi, Speil, Vesa ed altre viverne piombavano sulle facce dei giganti, graffiandoli e schiacciandoli come vere furie celesti. Mordevano e sbatacchiavano nemici senza sosta, aiutando non poco i semidei. 
Io ed Astrid ci facemmo strada tra i mostri e, finalmente, raggiungemmo la grotta. Jason e Piper stavano fronteggiando Kara, mentre Annabeth era rannicchiata sul fondo, debole e con alcune contusioni, ma ancora viva.
«È finita!» esclamai, stringendo Excalibur, che emanava la sua luce argentea in tutto lo spazio circostante.
«Ma guarda: Alex e la cara sorellina…Devo immaginare che sia divertente, vero? Siamo quattro contro uno, però non intendo morire ora!» urlò la figlia di Hell, anche su i suoi occhi non avevano più quel brillio folle, ma sembravano più dilatati dal terrore, come quelli di un animale che, messo alle strette, si gioca il tutto per tutto pur di resistere.
«Un peccato» sibilò Astrid. «Pensavo che la morte, a te, facesse solo piacere!» gridò, lanciandosi contro la gemella in un impeto di rabbia.
Le due ragazze iniziarono a combattere e, per un istante, esitai ad intervenire. La mia ragazza sembrava impazzita: menava colpi ad una velocità impressionante, parando e rispondendo ad ogni colpo. Strinsi meglio l’elsa della spada e partii anche io all’attacco, insieme a Jason, mentre Piper correva ad aiutare Annabeth.
«Questo è per tutti i semidei che hai ammazzato, stronza!» urlò Astrid alla sorella, prima di riprendere con ancor più foga.
Non potei fare a meno di ammirare Kara per la sua incredibile forza. Da sola riusciva a resistere all’attacco di ben tre semidei addestrati. Complice, sicuramente, la lunghezza della sua arma, ma indubbiamente era una combattente di tutto rispetto.
Ma tutti sapevamo che la sua era una lotta disperata. Era sola e reggere la stancava. Sbagliò una schivata e Jason la ferì di striscio al fianco. Lei provò a rispondere con un affondò, ma si sbilanciò: l’apertura perfetta.
In seguito, non seppi dire cosa mi fosse passato per la testa o cosa fosse successo esattamente. Una parte di me si pentì della mia azione, ma cercai di metterla a tacere. Seppi solo che, quando la vidi perdere l’equilibrio, impugnai la spada a due mani, brandendola con tutta la mia forza, puntando alla mano destra per disarmarla.
Ma invece di sentire la dura elsa dell’arma, la mia spada penetrò la soffice carne del polso. La forza con cui l’avevo usata fu tale che, in pochi istanti, il metallo lacerò tessuti e tendini. L’osso oppose una flebile resistenza e si tranciò come burro.
Kara emise un bestiale urlo di dolore, mentre il suo polso si separava dalla mano con uno sprizzo di sangue cremisi che imbrattò le pareti della grotta, mentre le dita si stringevano ancora, negli spasmi, intorno all’elsa dell’arma caduta.
La figlia di Hell crollò a terra tenendosi il braccio sanguinante, portandosi la lesione al petto e cercando di tamponarla, mentre il mio corpo veniva percorso da una scarica di adrenalina. Ansimavo per la fatica e anche per uno strano ed inebriante senso di eccitazione e onnipotenza. Osservai l’arto mozzato senza provare il raccapriccio che mi sarei dovuto aspettare.
Era stato facile. Quanto era fragile la vita dei miei avversari in confronto alla mia. Avrei potuto affondare Excalibur nel petto di quella ragazza con la stessa facilità e spedirla permanentemente da sua madre.
«Ora possiamo finirla» commentò Jason.
Anche lui, accanto a me, ansimava, ma era serio e accigliato, mentre osservava la nostra avversaria strisciare pietosamente fuori, lasciandosi dietro una scia di sangue cremisi. Astrid non disse nulla; i suoi occhi sembravano ossidiana, da quanta durezza e inquietudine emanavano.
«Già…» confermai, mentre sentivo le mie labbra aprirsi in un sorrisetto sinistro.
Marciai all’esterno inseguendo Kara, che era crollata sul fianco del colle. Poco lontano i semidei greci la tenevano sotto tiro, pronti ad ucciderla, ma alla vista mia e di Jason si ritirarono.
Alle nostre spalle, Astrid e Piper aiutavano Annabeth ad uscire che venne subito soccorsa da Will e Rachel. La rossa abbracciò stretta l’amica. Era stanca, ferita, stremata, ma non sembrava in pericolo.
La battaglia, sotto di noi, si era conclusa in modo veloce e cruento: vittoria schiacciante per noi ed i pochi caduti stavano per essere portati via. Lars, Nora e Rebekka stavano salendo il crinale, per raggiungerci.
«E adesso» dissi in un soffio, rivolta alla ragazza che si era chiusa in posizione fetale sul terreno. «Preparati a tornare nell’Hellheim… per sempre» annunciai, alzando la spada.
«Aspetta!» gridò Kara, alzando la mano sana,  guardandomi terrorizzata. «T-ti prego… risparmiami.»
Nonostante sapessi che non lo potevo evitare, il suo tono supplichevole mi fermò. Tuttavia, imposi al mio cuore di non lasciarsi ingannare. Io dovevo ucciderla. Ma lo volevo davvero? Era davvero quella la mia intenzione?
«Nemmeno quelli che hai ammazzato a sangue freddo volevano morire. Perché dovrei offrire a te la pietà che tu hai negato loro?» chiesi, fissandola con un odio che non sentivo mio, quasi il mio corpo si rifiutasse di provarlo.
Insieme alla rabbia, stava nascendo in me una senso di colpa ed inquietudine inspiegabile.
«So di non aver alcun diritto di chiedere pietà, ma ti prego…Io non ho altra scelta… Se ora mia madre mi vede tornare come spettro, non mi risparmierà nulla…» sussurrò, stringendo il polso tagliato al petto.
«Direi che te lo sei meritato» sputò Astrid, accanto a me, fissandola con odio.
«Cosa c’è, sorellina? Ansiosa di liberarti di me?» scherzò Kara, ricambiando lo sguardo velenoso.  «Dopotutto chi sono io, se non ciò che saresti potuta diventare?»
«Sta’ zitta!» strepitò l’altra, dilatando le narici furibonda, ma con una nota di paura nella voce. «Io non sono te! Io non sarei mai stata te! Alex, non darle corda!»
Strinsi i denti, mentre la pietà si faceva strada nel mio cuore.
«Non ho avuto scelta» disse la ragazza stesa a terra, fissandomi. «Credi che sia stato facile? Essere il cagnolino di mia madre, per così tanto tempo… L’Hellheim non è luogo dove crescere. Credete che la vostra vita sia difficile, ma la mia è stata peggiore. Io volevo solo avere ciò che mi è stato negato e mia madre aveva promesso di liberarmi, se mi fossi opposta a voi. Che altro potevo fare? Nessuno è tanto sciocco da opporsi alla dea della morte. Forse mi odi, ma ti chiedo di ricordare che io sono frutto di una scelta non mia… forse, ora potrei essere vostra alleata, invece che nemica, e al mio posto potrebbe esserci qualcun’altro» concluse, abbassando le palpebre e gemendo per il dolore, mentre la mia mano aveva un tremito.
Per un attimo, il corpo di Astrid e quello di Kara si sovrapposero. Il cuore rallentò, mentre un acuto dolore mi colpiva il petto. Forse era senso di colpa, forse pietà. Non sapevo spiegarlo, ma la rabbia e la collera mi avevano abbandonato.
«D’accordo…» dissi, abbassando la spada.
«Cosa?» Astrid mi guardò come se fossi impazzito.
«Non ti ucciderò, Kara Jensen. Ti porterò ad Asgard dove saranno gli Dèi a scegliere il tuo fato. Non mi abbasserò al tuo livello, non sono un animale» dichiarai, prendendola per il braccio sano.
«Sei sicuro, capo?» chiese Einar, che ci aveva raggiunti, insieme a Rebekka, Nora e Lars.
I suoi occhi scintillarono di rabbia vendicativa: non aveva dimenticato la morte di Alyssa.
«Lo so, Einar, ma… Ho sempre dato una seconda possibilità a tutti, la darò anche a lei» spiegai, guardandolo.
Avevo dato anche a lui molte di quelle possibilità.
Il figlio di Loki abbassò lo sguardo e sospirò: «La scelta spetta a te, capo. Hai ragione.»
«Non puoi farlo!» protestò Astrid, mettendosi davanti a me. «Il veleno ti ha fritto il cervello? Lei ha cercato di ammazzarci tutti, ha ucciso semidei a sangue freddo e rapito Annabeth al solo scopo di portarci in questa maledetta trappola! È un’assassina, un pezzo di merda, e non posso credere che ti abbia convinto con il suo bel discorsetto! Non si merita la tua pietà!» strepitò, furibonda, mentre mi guardava con astio.
Non retrocessi e la fissai deciso. «E quindi? Devo diventare un assassino io stesso? Mi stai chiedendo troppo, Astrid! Ti rendi conto che, in questo momento, tu e lei potreste essere scambiate di posto? È stata una scelta di Hell, non sua. Forse non potrò cambiarla, ma, almeno, potrei dimostrarmi migliore di lei. Entrambi potremmo dimostrarci migliori di lei» replicai, guardandola negli occhi.
Le sue labbra tremolarono, mentre i suoi occhi vagavano su Kara, che Nora stava legando.
«Io… come vuoi, Alex» disse, voltando il capo, forse dispiaciuta, forse odiando me. «Dopotutto, le mie decisioni di solito sono pessime» aggiunse, andando verso Annabeth, che sembrava stare un po’ meglio.
«Molto bene, andia…» stavo per dire, ma Jason mi fermò.
Il suo sguardo era acceso di rabbia e puntava verso Kara. Nora provò a fermarlo, ma lui le dette una spinta, e alzò il gladio.
«Non intendo lasciarla in vita!» esclamò, mentre io gli fermavo il polso. «È un pericolo per tutti! Non solo per te, Alex, ma anche per i Greci e per Roma!»
«Sei matto? Non puoi ammazzarla, è indifesa!» protestai, mentre il mio cervello iniziava ad essere invaso da immagini di rabbia.
Kara strisciò via, mentre io tentavo di mantenere il controllo su me stesso. Odino stava tornando all’attacco, e ‘sta volta più veemente che mai.
«Non toccarmi, figlio di Odino!» urlò Jason, spingendomi via. I suoi occhi scintillavano, mentre il suo corpo sembrava percorso da spasmi. Le sue mani sudavano, strette intorno al gladio. «Non ti permetterò di mettere in pericolo la mia città!»
«Jason, fermati!» provò a dire Leo, ma il figlio di Giove puntò il gladio contro di lui.
«Stai indietro, graecus!» intimò con voce alterata, il suo corpo iniziava a scintillare.
«Ora basta!» gridai io, stringendo la spada.
La testa divenne pesante, la mia vista si annebbiò, il mio corpo fu percorso da un’ondata di energia, mentre tutta la collera di Odino si riversava in me.
Dopo non fui più io.
 
≈Lars≈
 
Quando vidi cosa stava per accadere fu troppo tardi. Mia madre mi aveva avvertito, ma, preso dallo scontro e dalla necessità di sincerarmi delle condizioni di Annabeth, non mi ero reso conto del pericolo. Ironico che la pietà di Alex avesse portato a quella situazione così pericolosa.
«Fermi!» urlai, cercando di fermarli.
Ma Alex non era più lui. Il suo unico occhio sano scintillò e con una spinta mi gettò a terra. La sua forza era decuplicata, mentre veniva circondato da una sinistra aura dorata.
«Indietro, traditore!» intimò con voce alterata, come se fosse posseduto. «Ora ucciderò questo figlio di Giove, così che Roma sappia che non deve più sfidare la mia autorità!»
«Dannazione» sbottai, cercando di fermarlo. «Fermateli, sono impazziti!» avvertii, ma era troppo tardi.
Jason ed Alex si lanciarono l’uno contro l’altro, ma c’era qualcosa di diverso in loro. Alle loro spalle si ergevano figure di luce iridescenti che ricordavano due uomini antichi. Quello alle spalle di Jason sembrava un robusto e allenato uomo dai ricci castani che indossava una tunica, ma in mano teneva un fulmine, più simile ad una lancia. Quello dietro Alex, invece, era più un guerriero, con armatura ed elmo, e aveva in mano una lunga lancia, che terminava con una punta elaborata.
«Odino e Giove hanno preso possesso di loro!» urlai, gettandomi per fermarli. «Dobbiamo bloccarli prima che si uccidano!»
Troppo tardi. Io, Piper, Leo, Astrid ed Einar provammo a placcarli, ma nell’istante stesso in cui si scontrarono, le due spade provocarono un’onda d’urto che ci respinse indietro. La figlia di Afrodite picchiò la testa contro una roccia e rimase stordita. Noi altri, però, fummo abbastanza fortunati da cadere nella neve.
Il problema era che Jason ed Alex combattevano, ma non sembravano loro. Si scambiavano colpi di spada con una ferocia inaudita e non osavamo avvicinarci, dato che, insieme a loro, stavano combattendo i loro genitori divini ed il rischio di essere disintegrati era parecchio alto.
«Dannazione» imprecai.
Il figlio di Giove saltò sopra un fendente, evitandolo con maestria e si gettò al di là del dirupo, ma un cavallo che sembrava fatto di energia elettrica e nuvole nere lo prese al volo e cavalcò via.
«Maledetto! Come osi fuggire?» sbraitò Alex, con la voce alterata da Odino.
Con la mano provò a richiamare Vesa, ma la viverna si doveva essere accorta che il padrone era impazzito perché sibilò furibonda e si ritirò ringhiando. Odino non parve prendere molto bene la cosa e fischiò.
Prima che uno di noi potesse far nulla, un enorme destriero grigio ad otto zampe apparve in cielo ed atterrò accanto al ragazzo, nitrendo e scalciando, ma si lasciò montare ed Alex partì all’attacco.
Jason lo vide arrivare ed iniziarono a piovere fulmini, mentre il suo cavallo sterzava in aria, lasciandosi dietro una scia elettrica.
Presto il cielo fu invaso da magie e fulmini. Dardi di energia sibilavano, esplodendo, mentre il figlio di Giove rispondeva con fulmini che impattavano contro le barriere runiche dell’avversario con una violenza inaudita.
Spesso arrivavano in corpo a corpo. Paravano e fendevano velocissimi, per poi staccarsi e allontanarsi subito dopo.   Era uno spettacolo mostruosamente bello, ma andava fermato.
«Portami lassù!»
Mi voltai e vidi che a chiamarmi era Piper. Aveva del sangue sulla nuca, ma l’aria decisa di chi aveva un obbiettivo ben preciso.
«Sei matta?» chiesi, sorpreso, mentre il cielo si oscurava.
L’alba era passata, ma sembrava notte.
«Dobbiamo fermarli prima che si ammazzino. Io posso bloccarli, ma mi serve il tuo aiuto!» replicò rapidamente, indicando il cielo, che sembrava spaccato in due dallo scontro.
Non erano solo Alex e Jason a combattere. I loro rispettivi genitori stavano sostenendo la battaglia con tutti i loro poteri. Fulmini dorati piovevano dal cielo plumbeo, mentre l’aria era carica di energia magica e deflagrazioni simili ad esplosioni di bombe scuotevano il ghiaccio, rompendolo e spaccandolo, rivelando il mare gelido sotto di esso. Sotto di noi, i semidei i nani ed i Berserk si stavano allontanando per non essere travolti.
«Siete pazzi! Non potete andare!» protestò Leo, osservando il cielo preoccupato.
«Sta zitto, Valdez! Vengo anche io!» lo rimbeccò la figlia di Hell, avvicinandosi.
«No!» la bloccai, poggiandole una mano sulla spalla. «Speil non reggerebbe tutti e tre, e lassù sarà dura.»
«Col cazzo che mi scarichi in questo modo!» sbottò, guardandomi con astio. «Non so sei miope o cosa, Nilsen, ma lassù il mio ragazzo si sta facendo ammazzare di nuovo e io devo aiutarlo.»
«Ascoltami! In questo momento, è più utile che siamo solo noi due. Io guido Speil, Piper li calma, in due saremo più veloci» spiegai, cercando di farla ragionare.
Non avevamo molto tempo e non potevo certo legarla.
«Be’, allora troverò un altro modo per raggiungerlo. McLean, ti tengo gli occhi addosso: non fare cavolate» acconsentì malvolentieri.
Io e Piper annuimmo, mentre richiamavo Speil, che atterrò al mio fianco. Non avevo tempo per esitare. Salii e Piper mi fu subito dietro, mentre gli altri cercavano di diminuire il panico tra i nostri compagni. Spiccammo il volo e non fu esattamente una cosa simpatica. Volammo in mezzo a scariche di luce, fulmini, incantesimi e saette magiche.
Alex e Jason erano quasi irriconoscibili. Avvolti in armature di luce, probabilmente emanazione dei poteri di Odino e Zeus, con gli occhi che brillavano come lanterne nel buio ed i lineamenti alterati, sempre più simili ai loro genitori divini. I loro destrieri sbattevano gli zoccoli sull’aria come se non avessero problemi, mentre i due continuavano a duellare, incuranti del fatto che i loro corpi stessero letteralmente andando a fuoco.
«Dobbiamo fermarli! Ora proviamo ad avvicinarci» urlai, schivando una scarica elettrica.
«Non lo farete!» gridò una voce con scherno, mentre un dolore lancinante mi si dipanava dalla spalla.
Una stalattite di ghiaccio si era piantata nel mio braccio.
«Chione!» esclamò Piper furibonda, osservando la dea dei ghiacci greca che si lanciava contro di noi, brandendo una spada seghettata.
«Speil, vira!» ordinai.
La mia viverna eseguì, evitando che venissi decapitato, ma un altro corpo nero apparve tra le esplosioni ed investì Speil, che ruggì dolorante, perché un’altra viverna nera gli artigliava le ali.
«Andatevene!» urlò Piper, cercando di distrarli, mentre eravamo in caduta libera.
«Non credo lo faremo, stupida ragazzina!» gridò il guerriero che cavalcava la viverna nera, lo stesso che mi aveva sconfitto, quando Alex era caduto. «La loro morte ci serve!»
«Maledetti!» imprecai, estraendo la spada e cercando di liberare Speil, ma non sembrava essere facile.
Ormai il suolo era vicinissimo.
Fu allora che arrivarono i rinforzi. Vesa, cavalcata da Einar, si gettò contro la viverna nera, liberando Speil e allontanando Sarevock da noi, permettendoci di riprendere quota.
Chione ci fu addosso, ma fu investita da un ombra. Astrid aveva usato un viaggio ombra per catapultarsi addosso alla dea. La figlia di Hell le infilava due dita in un occhio, mentre con l’altro braccio cercava di strangolarla, stringendo la gola.  Insieme a lei, Leo che, a metà volo, si era aggrappato ai piedi dell’avversaria avvolto in lingue di fuoco.
«Fermateli!» urlò Astrid, indicando Alex e Jason, che continuavano a combatte.
Intorno a loro si era creato un tornado, mentre giganteschi avatar di Odino e Zeus si affrontavano, avvolgendo i corpi dei loro figli come bozzoli luminosi.
«Vai, Speil!» incitai, mentre la mia cavalcatura evitava le esplosioni ed i fulmini.
Quando fummo vicini, per poco non soffocai: l’aria era rada e, quando ispiravo, mi sembrava che i polmoni bruciassero, come se persino gli atomi stessi della materia fossero in conflitto davanti ai due Dèi. Piper non stava meglio: era ancora ferita alla nuca ed era bianca come un cadavere.
La mia viverna sbatteva le ali con energia, cercando di mantenere quota, ma sembrava al limite.
«Siamo vicini!» urlai, indicandoli.
Nonostante fossero a pochi metri fui costretto ad sgolarmi per superare il clangore dell’oro contro l’acciaio, il rumore delle esplosioni e delle onde d’urto. Persino guardarli era diventato quasi impossibile, a causa degli avatar sempre più luminosi.
Il luogo dove avevamo combattuto Kara sembrava distare miglia. Evidentemente lo scontro si era spostato ancora. Me ne rallegrai: almeno i nostri amici non erano in pericolo.
«Ok» sussurrò Piper, prendendo fiato. Dopodiché urlò: «FERMATEVI!»
Nonostante non fosse indirizzato a me, dovetti farmi forza per non ubbidirle. I suoi poteri erano davvero incredibili. Persino Einar non riusciva ad essere così convincente. Tuttavia non sortirono effetti: probabilmente il potere di Odino e Giove ne inibiva la forza o forse il rumore del duello stava coprendo la sua voce. Se solo fossimo riusciti ad avvicinarci ancora.
Mentre Piper impartiva ordini con i suoi poteri, mi avvicinai, ma, qualsiasi cosa volessimo fare, fu inutile.
Di colpo, ci fu un esplosione più potente delle altre e fummo sbalzati via. Speil precipitò, sbattendo le ali in modo scomposto, mentre le urla mi invadevano le orecchie.
Dopo quasi un minuto sentii le zampe della mia viverna afferrarmi per la giacca. Nell’altra zampa, reggeva la figlia di Afrodite. Mosse le ali furiosamente, ma era ancora sbilanciata dall’onda d’urto e, nonostante tutto, sbattei contro qualcosa di duro e si fece tutto nero. Per un attimo fui assalito dal panico, mentre sentivo qualcosa di freddo invadermi la bocca soffocandomi.
Poi, però, riuscii a sbattere le palpebre e quello che vidi mi tolse il fiato.
Sleipnir e il cavallo di Jason erano spariti, ma Alex ed il figlio di Giove erano ancora in piedi, al centro della landa di ghiaccio, avvolti in una luce dorata.
Chione era poco lontana e stava combattendo contro Leo, mentre Sarevock ed Einar si affrontavano in cielo. Astrid correva verso di noi. 
«Muori, figlio di Roma!» urlò il figlio di Odino.
«Tu sei solo un barbaro!» replicò Jason.
Nello stesso istante brandirono con violenza le spande, incrociandole. Ai loro piedi si alzò una nuvola di neve, vento ed energia, mentre scintille sprizzavano dal punto in cui le lame si toccavano.
Subito dopo si separarono e si lanciarono di nuovo all’attacco. Jason lanciò un fendente e colpì Alex di striscio al petto. La lama trapassò l’armatura, ma non affondò troppo, lasciando una scia rossa di sangue e qualche goccia cadde a terra.
Il figlio di Odino non sembrò per nulla felice della ferita e rispose con un lungo fendente che colpì l’avversario al polpaccio. Il figlio di Giove urlò di dolore e cadde a terra, perdendo il gladio.
«Ora morirai!» gridò Alex, marciando verso di lui.
«Fermati!»
La voce di Piper risuonò nella valle, mentre lei si portava davanti ad Alex per proteggere il suo ragazzo.
«Non lo farai» si impose la figlia di Afrodite, guardando il figlio di Odino negli occhi.
«Togliti di torno, greca!» sibilò il ragazzo, furioso, con la voce del padre ad alterare la sua. «Io lo ucciderò!»
«Non lo farai» replicò lei, facendosi avanti. Ormai la punta della spada era a pochi millimetri dal suo petto. «Tu non sei Alex! Io l’ho conosciuto, ed Alex non ucciderebbe un amico. Non ucciderebbe la persona con cui ha fatto pace. Lui è leale e di parola. Lui è meglio di te. Tuo figlio è meglio di te, Odino.»
Dire ad Odino che qualcuno era migliore di lui, era, dalle nostre parti, il modo più veloce di morire. Di solito in modo doloroso. Ma, per qualche ragione, il Re degli Dèi barcollò. Il suo avatar era una maschera di pura rabbia, ma Alex vacillò.
Jason, intanto, si era alzato e aveva raccolto il gladio e sembrava pronto ad attaccare.
«No! Jason, non farlo!» Piper si voltò verso di lui. «Non devi! Anche tu sei migliore di tuo padre! Non farti guidare dal tuo odio! Non servirà a niente ucciderlo! Ascoltatemi, ragionate! Non aiuterete i vostri amici, se vi ucciderete a vicenda.»
L’avatar di Giove sparì con un urlo di disappunto, mentre suo figlio tornava in sé con un gemito. Lo scontro l’aveva provato a tal punto che la maglietta era bruciata in più punti, e lui si accasciò a terra in posizione fetale, tremando come una foglia.
«Bene! Ora scansati, ragazzina» ordinò Odino, che non aveva ancora abbandonato il corpo di Alex.
«No!» urlai, cercando di fermarlo. «Alex, svegliati! Io ti conosco, non sei così!»
«Levati, traditore!» gridò, ma questa volta era debole.
Il suo corpo sembrava in preda ad una lotta interna e, mentre avanzava, i suoi movimenti erano macchinosi e difficili.
«Fermati, per gli Dèi!» urlò la figlia di Afrodite, tentando di immobilizzarlo.
Ma Odino riuscì a non cedere e cademmo entrambi a terra. Piper emise un gemito di dolore, mentre il sangue iniziava a scorrerle più copioso dalla nuca. Jason sussurrò il suo nome, mentre io provavo a rialzarmi.
Eravamo troppo deboli. La guerra sarebbe scoppiata comunque. Avevo fallito.
«Alex!»
Astrid si parò davanti al suo ragazzo che, questa volta, vacillò, indietreggiando, mentre l’avatar di Odino spingeva per avanzare.
«Sentimi bene, Alex Dahl» cominciò lei, puntandogli contro l’indice. A quella mossa lui abbassò la spada. «Non mi importa chi ti stia controllando o cosa ti frulli in quella testa bacata, apri le orecchie! Devi prendere le redini del tuo corpo, perché altrimenti ti faccio tornare in te a calci in culo, e non mi importa chi ci sarà dentro di te! Già, Odino, puoi andare a quel paese! Lascia il mio ragazzo!»
A questo punto mi chiesi come mai Odino non fosse apparso a disintegrare entrambe le ragazze.
«Togliti di torno puttana figlia di…»
«Non insultare la mia ragazza!»
La voce di Alex si sovrappose a quella del padre e lui lasciò andare Excalibur, che cadde sul ghiaccio con un tintinnio.
«Tu sei mio figlio, ubbidiscimi! Uccidi il figlio di Giove! Lui è tuo nemico!» urlò il Re degli Dèi, ancora nel corpo del figlio.
«No! Lui non è mio nemico! È il tuo, sei tu che mi vuoi convincere del contrario! Vattene! BASTA!» gridò, tenendosi la testa tra le mani. «ESCI DALLA MIA TESTA!»
Nell’istante stesso in cui urlò, la luce si riversò fuori dal suo corpo, come una piena che straripa dagli argini. Fu percorso da un orribile tremito di carne e, alla fine, crollò a quattro zampe, ansimando e tremando per le ferite.
«A-astrid» sussurrò, alzando lo sguardo.
Gli occhi di lei scintillarono di sollievo e Astrid corse ad aiutarlo.
«M-mi dispiace» mormorò, stringendola. «Non ero in me.»
«Non preoccuparti. Ora andiamocene» lo rassicurò lei, aiutandolo ad andarsene, mentre Piper, che si era ripresa, si occupava di Jason.
Mi alzai, sentendomi anche un po’ solo, tenendomi il braccio ferito.
«Ehi, fratello» sussurrò Alex, guardandomi. «Scusami anche tu.»
Gli sorrisi e annuii. «Non preoccuparti… fratello.»
Ci eravamo allontanati di pochi passi, quando Leo precipitò davanti a noi avvolto da una coltre di ghiaccio.
«C-ciao, ragazzi!» ci salutò con un sorriso tremante.
«Chione…» sussurrai, voltandomi.
La dea greca fluttuava ad ali spiegate sul punte dove, poco prima, avevano combattuto Alex e Jason. Il sangue ancora fresco bagnava il suolo.
«Non ve ne vorrete andare senza di me» ci canzonò, mentre Einar atterrava al nostro fianco con l’arco stretto in mano.
«Mi dispiace» si scusò il figlio di Loki, scendendo da Vesa, mentre Sarevock e la sua viverna nera atterravano accanto a Chione. «Non sono riuscito a sconfiggerlo.»
«Qualsiasi cosa vogliate, non siete riusciti a batterci!» urlai, preparandomi a combattere. «Alex e Jason sono ancora vivi, la vostra guerra non scoppierà!»
«Scoppierà lo stesso, invece» replicò serio Sarevok, smontando e mettendo piede sul ghiaccio.
«Due principi avvelenati dall’odio ed il sangue rancoroso di un dio. Così disse la profezia del risveglio di Ymir. Alex, Jason, principi di Asgard e di Roma. Abbiamo il sangue, versato su questi ghiacci che io stesso ho consacrato a Ymir, ora non mi resta che il sangue di un dio. Chione non è qui a caso. Vuoi fare gli onori?»
Sgranai gli occhi e partii all’attacco, ma, prima che potessi arrivare a metà percorso, il ghiaccio mi bloccò le caviglie. Ma non era stata Chione. Ymir si era reso conto del suo imminente risveglio e li stava aiutando.
«Chi meglio di una dea della neve potrebbe risvegliare il Padre dei Giganti dei Ghiacci? Che questo sia il segno della nostra alleanza. Gea ed Ymir ricreeranno il mondo, ed io sarò al loro fianco» annunciò Chione, altezzosa, mentre si passava la lama della spada sulla mano.
Provai a liberarmi per fermare l’inevitabile. Einar tese l’arco per poter colpire i due, ma un muro di ghiaccio si materializzò davanti al proiettile, che ci si schiantò senza effetto, mentre gocce di icore dorato colavano sopra quello rosso dei nostri comandanti.
Non appena si toccarono un’onda d’urto si propagò da quel punto ed il ghiaccio sembrò contrarsi, mentre un terremoto scuoteva la collina. I monti gelati intorno a noi si muovevano come dita di un’enorme mano.
«Meglio andarsene ora, amica mia» commentò Sarevock, guardando Chione. «Non vorrei mai che lui ci scambiasse come parte del sacrificio.»
Mentre sparivano in una colonna di luce e un’ombra gigantesca si materializzava sopra di noi, ebbi l’orrendo dubbio che quel sacrificio fossimo noi.
 
■Jason■
 
Non pensavo potesse esistere una cosa così spaventosa. Ymir non era un gigante, ma era come mille di essi messi insieme. Avevo visto Porfirio, il Re dei Giganti Greci, ma, ora che vedevo il padre di quelli nordici, non potei fare a meno di pensare che, al confronto, Porfirio era un nano. Persino Tifone impallidiva davanti alla grandezza di quello che avevamo davanti.
Era alto… be’… difficile dirlo, ma doveva essere sui mille metri o giù di lì. Le sue mani erano talmente ampie che avrebbe potuto afferrare una collina e schiacciarla con una manata, come se fosse una mosca. Il volto era una maschera di odio ed una folta barba composta da nubi, come i capelli, gli contornava la bocca irta di zanne che dovevano essere grandi come tronchi di sequoie, se non di più.
Il suo corpo era composto principalmente da roccia e ghiaccio e sembrava affaticato, ma si stava riprendendo in fretta dal torpore. La sua risata rombò come mille tuoni, mentre un urlo di vittoria gli usciva dalla gola. Tale che, probabilmente, si poteva sentire dall’equatore.
«LIBERO! FINALMENTE! SONO DI NUOVO COMPLETO!» ululò con forza verso il cielo. «È ORA, NIPOTE! ORA DISTRUGGERÒ LA TUA INSULSA CITTÀ E RIPRENDERÒ POSSESSO DEL MIO MONDO. E COMINCERÒ DISTRUGGENDO TUO FIGLIO ED I SUOI AMICHETTI!» concluse abbassando lo sguardo su di noi.
I suoi movimenti erano lenti ed intorpiditi, ma presto avrebbe agito e non avevo dubbi che non avrebbe faticato a schiacciarci.
«Ehm… qualcuno ha un piano?» chiese Leo, alzandosi a fatica, mentre Lars si liberava dal ghiaccio e ci raggiungeva.
«Sì…» sussurrò Alex, che si appoggiava ad Astrid. Si erse in piedi e strinse la spada che portava a fianco, estraendola. «Lui vuole il sangue di Odino ed io sono un suo figlio. Voi scappate, potreste farcela. Io rimango a tenerlo impegnato.»
«Non ci provare!» strepitò Astrid, agguantandolo per la maglietta. «Ti sei sacrificato anche troppe volte. Io non ti lascerò andare!»
Era sull’orlo delle lacrime, lo vedevo bene, ma, nonostante questo rimaneva ferma, pronta a resistere a tutto, pur di rimanere accanto al suo ragazzo.
«Astrid! Hai un’idea migliore?» chiese Alex, guardandola. «Non c’è altra scelta, qualcuno deve rimanere qui, o moriremo tutti. Non possiamo sfuggirgli.»
La mano di Ymir, ormai, era vicina.
«Allora verrò con te.»
Quell’affermazione ci lasciò tutti di stucco. Astrid incrociò le braccia davanti ad Alex e assunse un cipiglio deciso.
«Hai detto che tu immaginavi un futuro insieme, giusto? Allora eccoci. Se il nostro futuro è quello di morire qui, in questo posto di merda, su questo ghiacciaio dimenticato dagli Dèi, allora così sia. Ma sarà con te» affermò, con tono deciso di chi non ammette repliche.
I due si fissarono per qualche attimo, finché Alex non la abbracciò e annuì.
«D’accordo» sussurrò, prendendole le mani. «Allora… insieme?»
«Dèi, Alex, . Insieme. Rimaniamo qui a cincischiare ancora un po’ o salviamo la pellaccia ai nostri amici?»
I due ci guardarono in modo diretto e si avvicinarono.
«Mi fido di voi» sussurrò il figlio di Odino, stringendo la spada. «Lars…. L’Orda è ai tuoi ordini. Einar, semplicemente grazie. Jason» disse, voltandosi verso di me. «Ti prego di accettare le mie scuse.»
«Non scusarti. Non dovresti andare» risposi, stringendo i denti.
Mi sembrava che li stessi abbandonando.
«Non possiamo fare altro» replicò il figlio di Odino, guardandomi negli occhi. «Salvate Asgard e Roma. Non permettete che le nostre case vadano distrutte.»
«Capo, stai attento» si raccomandò Einar, con gli occhi stranamente lucidi. «Anche tu, dolcezza.»
«Tranquillo, Einar» sorrise la figlia di Hell, stranamente tranquilla.
«Fratello…» Lars si avvicinò ad Alex e lo abbracciò. «Cerca di tornare vivo, anche se sembra impossibile. Tu ce la puoi fare.»
«Lo farò. Ora, andate!»
Detto questo richiamò Vesa e, insieme alla sua ragazza, si mise in groppa alla creatura alata e volò verso il gigante.
Nessuno di noi sembrava ansioso di andarsene, ma non potevamo fare nulla per loro. Mentre i nostri due amici andavano ad affrontare una minaccia troppo grande persino per loro, mi imposi di prendere il comando.
«Andiamo, forza» dissi, mentre Piper mi aiutava a camminare.
Leo ci seguì a ruota, insieme ad Einar, ma Lars rimase fermo un attimo ad osservare la scena, prima di seguirci.
Come Alex aveva supposto, Ymir si concentrò su di lui. Forse fiutava il sangue del nipote Odino che l’aveva fatto a pezzi, fatto sta che puntò alla viverna che, probabilmente, per lui era poco più che una vespa fastidiosa.
Il figlio di Odino lanciava contro il  gigante tutte le sue magie, ma, già debole per lo scontro con me e senza l’appoggio del padre, i suoi attacchi erano poco più che schizzi d’acqua contro la roccia.
Era praticamente impossibile allontanarsi a sufficienza, ma, in lontananza, vedevo quello che prima era stato l’esercito di Kara e sembrava si fosse accorto del colossale gigante – difficile non farlo – che si avvicinava. Forse stava pensando ad una ritirata.
«Capo!»
Einar, si era fermato e stava guardando indietro. Ci voltammo tutti quanti e quello che vedemmo ci pietrificò.
Alex aveva tentato di opporsi al soffio di ghiaccio del gigante alzando una barriera magica, ma la potenza del suo avversario era tale che non aveva retto nemmeno un minuto ed ora, disarcionato da Vesa, cadeva svenuto da un’altezza di diverse centinaia di metri.
La sua spada era ancora stretta in mano, ma era in frantumi. Le schegge di acciaio cadevano intorno a lui, scintillando degli ultimi residui di potere, mentre Astrid, ancora sul dorso di Vesa, urlava il suo nome, cercando di convincere la viverna a recuperarlo.
«Devo tornare ad aiutarlo. Andate voi, io…» stava iniziando a dire il figlio di Loki, quando una potente esplosione scosse il fianco di Ymir.
«ODINO!» urlò rivolto al cielo.
Alzando lo sguardo, vidi qualcosa che non credo avrei più rivisto: un’aurora boreale si era aperta nel cielo che si era, di colpo, fatto scuro. Su di essa, difficile da non riconoscere, cavalcava il Re degli Dèi Nordici sul suo destriero ad otto zampe. Al suo fianco correvano due grossi lupi bianchi e, sulle sue spalle, erano appollaiati due corvi neri che gracchiavano. Impugnava una lancia e nell’altra mano reggeva lo scudo.
Al suo fianco una schiera di divinità Asgardiane, una delle quali – una donna dai corti capelli biondi in armatura – cavalcò fino ad Alex e lo trasse in salvo, dopodiché fece un cenno alla viverna, che la seguì docile.
«OSI SFIDARMI, PICCOLO NIPOTE?» urlò il gigante al dio, stringendo i pugni. «SEI QUI PER SALVARE TUO FIGLIO?»
«Mio figlio non è più nelle mie grazie da molto tempo» replicò il Re degli Dèi, inarcando le sopracciglia, mentre la dea bionda depositava Alex accanto a noi, consegnando i frammenti di spada a Volund ­– ma quando era arrivato? –, mentre Astrid scendeva e andava a vedere come stava il suo ragazzo.
«Sono qui per distruggerti di nuovo, nonno. Scusami, però ce l’ho ancora con te per aver ucciso mio padre. E credimi, saranno passati gli anni, ma non siamo certo deboli. Io ed i miei figli ti distruggeremo! PER ASGARD E L’ALFHEIM!» urlò Odino, puntando la lancia contro il gigante. 
«PER ASGARD E L’ALFHEIM!» risposero tutti gli Dèi al suo seguito, lanciandosi contro il nemico.
«Andate con Heimdallr!» ci consigliò la dea che aveva salvato Alex, indicando il dio barbuto che era apparso con un arcobaleno accanto a Volund. «Vi porterà ad Asgard.»
«Ma i nostri amici?» chiesi, preoccupato che lo scontro tra Dèi potesse coinvolgerli.
«Stanno bene» disse Heimdallr, guardandomi altezzoso. Dovevo immaginare che non andassi a genio a nessuno di loro. «Mi sono occupato di riportarli al Campo con il Bifrost, così come i nani. Avranno il tempo di fuggire a sud, mentre affrontiamo Ymir.»
«Grazie agli Dèi» dissi, grato, mentre lui apriva un portale che sembrava un arcobaleno.
«Andate, forza!» ci incitò la dea, sfiorando la fronte di Alex, che rinvenne.
Dopodiché montò sul suo destriero, che prese il volo, e si unì alla battaglia.
Piper mi aiutò a varcare il portale. Leo ed Einar si dettero il cinque, seguiti da Lars. Gli ultimi furono Alex ed Astrid, che fuggirono mentre Vesa e Speil volavano a sud.
Eravamo salvi.
O meglio, loro erano salvi, perché, non appena superai il Bifrost, mi ritrovai nella piazza di una grandissima città dorata – Asgard – circondato da un drappello di elfi che mi puntavano contro le lance.

 
koala's corner.
Buonasera, semidei! Questo capitolo è un tantino più lungo del solito, ma era davvero impossibile dividerlo in due e, di solito, quando un gigante si risveglia nessuno vuole interromperlo - nemmeno noi, ci avrebbe presi come un sacrificio.
E' stato davvero fighissimo scrivere questi POV, soprattutto quando Alex e Jason si scontrano e Alex sconfigge il figlio di Giove, perché lui è più forte, più intelligente, più bello, più tutto.
E quassù potete ammirare quando Jason non stia simpatico ad Ax... A parte questi due maschioni che si scontrano, se ve lo siete chiesti, già, è proprio Alex a mozzare la mano di Kara, non Astrid o Jason.
E, anche se tutti volevate vederla morta, Alex è troppo combattuto per farlo o per permetterlo. Ma tranquilli, a differenza delle altre volte, non darà fastidio per un bel po'.
A proposito di persone fastidiose: Chione non era venuta al nord per un viaggio di piacere, bensì per donare il sangue partecipando al progetto A.R.G.M.C. (Aiuta a Resuscitare Giganti Molto Cattivi.)
Ymir è il nonno di Odino – e di Loki – e, in sostanza,  i due si detestano perché Ymir aveva cercato di uccidere suo figlio/il padre di Odino prima che avesse dei figli. Non ebbe fortuna, povero gigante :P Invece, la dea che aiuta Alex, se non si era inteso, è Eir, la mamma di Lars.
Alex cerca di nuovo di sacrificarsi, o suicidarsi, a seconda dei punti di vista. Questa volta, però, Astrid decide di unirsi a lui. Un pensiero potrebbe essere "oooh, fa molto Percabeth! As long as we're together!", quello più importante dovrebbe essere "yes! Astrid lo farebbe sicuramente!" Perché noi non ragioniamo per imitazione, ma per quello che farebbero questi personaggi se fossero vero^^
Speriamo che il capitolo vi sia piaciuto, un abbraccio e alla prossima! Non perdetevi questi ultimi capitoli, la storia è agli sgoccioli!

Soon on DnN: POV delle tre ragazzuole, che racconta cosa succederà a Kara e a Jason. Poretti.

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Capitolo 22
*** PIPER/ANNABETH/ASTRID • Giganti che vai, Dèi incavolati che trovi ***


Giganti che vai, Dèi incavolati che trovi
►Piper◄

Quando vidi gli elfi abbassare le loro lance e puntarle contro Jason, non seppi se urlare per la frustrazione o svenire. Possibile che la situazione non potesse finire bene una volta per tutte, e basta? Non ne avevamo forse il diritto, dopo Kara, dopo Ymir?
«Costa sta succedendo, qui?» domandò Alex, massaggiandosi una tempia.
Era ancora un po’ stordito, ma si reggeva sulle proprie gambe ed era abbastanza in sé da constatare che la situazione non quadrava.
«Già» intervenne Jason, lanciando un’occhiataccia agli elfi. «Perché sembrate tanto intenzionati a trafiggermi?»
Uno di loro lo pungolò con la punta della lancia. «Ordini del divino Odino» spiegò. «Siamo stati  incaricati di prendere in consegna il figlio di Giove chiamato Jason Grace non appena avesse messo piede ad Asgard.»
«Dovete farlo per forza con quelle?» indagò Leo, alludendo alle armi che venivano puntate contro il biondo.
L’elfo che aveva parlato scrollò le spalle, ma nessuno accennò un movimento.
«Dove dovete portarlo?» chiese Alex.
«È necessario che raggiunga la Sala dei Troni per essere giudicato dal Re degli Dèi» rispose l’elfo. «È la progenie di Roma e per questo è un nemico di Asgard. Odino vuole sottoporlo a un interrogatorio e…»
«Oh, andiamo. Tutto questo è ridicolo» sbottò Astrid, sbuffando sonoramente. 
Per una volta, mi trovai completamente d’accordo con lei.
«Odino non è qui. Sta combattendo contro Ymir, il gigante più grande che sia mai esistito, e non credo ritornerà per un po’. Non è forse meglio lasciarci andare e prendere un appuntamento per una prossima volta?» intervenne Einar, sfoggiando un sorriso affascinante e imprimendo nel tono di un po’ magia. «Siamo tutti esausti e desiderosi di tornare a casa.»
L’elfo lo squadrò da capo a piedi. «No» dichiarò, lapidario.
Mi schiarii la voce. Avevo sfruttato i miei poteri così tanto che mi doleva la gola. «Allora, scortatelo senza le lance puntate contro. Non vedete che è ferito? Non può certo ribellarsi e scamparla, contro tutti voi.»
Gli elfi sembrarono notare ora il taglio sanguinante del figlio di Giove. Vacillarono.
«Fatemi stare vicino a lui. Lo aiuterò a camminare» continuai. «Non scapperemo né tenteremo di ferirvi, ma, se volete essere sicuri, formate pure un cerchio attorno a noi e scortateci là come i criminali che non siamo.»
Gli elfi non trovarono niente di meglio da obiettare e, convinti anche dalla mia lingua ammaliatrice, mi lasciarono camminare accanto a Jason. Si appoggiava a me il meno possibile, per non pesarmi troppo sulle spalle, ma sapevo che era più esausto di me.
«Ti reggo, Jason» gli dissi, piano. Non volevo che gli elfi mi sentissero.
«Mh?»
Il figlio di Giove rialzò la testa. Per un attimo, si dimenticò di fingersi perfettamente vigile e potei vedere la stanchezza marcargli i lineamenti del viso. Pregai che Odino non ci impiegasse tanto a giudicarlo, perché non ero sicura che sarebbe arrivato in fondo al processo – se così si poteva definire quello che sarebbe stata un’accusa ingiusta – senza prima ricevere delle cure adeguate.
«Jason» lo richiamai. «Ti prego, appoggiati a me. Risparmia un po’ di forze.»
Omisi “per il peggio che verrà dopo”. Non c’era bisogno di ricordarglielo.
«Ma…»
«Fallo» lo stroncai.
Controvoglia, seguì il mio consiglio. Con il suo peso addosso mi era più difficile camminare dritta, ma non gli avrei chiesto di alleggerirmi il carico. Jason chiuse gli occhi per un istante e mi baciò la tempia.
Sussurrò: «Sei la migliore, Pipes.»
Spero davvero che sia così, pensai, trattenendomi dal sospirare. Se me lo diceva lui, però, potevo anche crederci.
 
♣Annabeth♣

Non avrei saputo dire se camminare di nuovo nella Sala dei Troni di Asgard fosse un’esperienza piacevole. La volta precedente, tanto per cominciare, gli Dèi non ci odiavano completamente e Odino non era accecato dall’odio. Poi, mancava Percy. Nonostante metà delle divinità greche e una buona parte di quelle nordiche, per lo meno, volessero disintegrarlo a causa della sua insolenza, la sua presenza era rassicurante. Un pensiero mi confortava: almeno, non avrei incontrato Era.
I nostri passi rimbombavano per l’enorme sala. Ero troppo stanca per ammirare l’architettura del luogo, così come lo ero stata mentre lo raggiungevo. Avevo avuto modo di studiare più a fondo gli stili in voga tra i nordici e li trovavo affascinanti, con il loro miscuglio di forza, temperanza e delicatezza, ma ora passavo davanti a pezzi artistici senza quasi battere ciglio. I miei desideri primari si limitavano a una doccia calda, un letto morbido e un po’ di ambrosia.
Leo, Piper e Jason, invece, erano stregati da ciò che si presentava ai loro occhi. Mi affiorò un sorriso alle labbra al ricordo delle emozioni che avevo provato io, quando ero stata al loro posto. Man mano che si avvicinavano ai troni, però, il loro entusiasmo si spegneva.
Quando ci trovammo al cospetto di quello più grande, che apparteneva ad Odino, gli elfi si fermarono e così facemmo noi. Attendevamo che il Re degli Dèi si mostrasse – sempre che avesse deciso di farlo, visto che una manciata di minuti fa stava combattendo con Ymir.
«Sono sicura che tuo padre ci farà morire nell’attesa» borbottò Astrid rivolta ad Alex, infilandosi le mani sotto le ascelle.
Tremava vistosamente e non sembrava in grado di smettere; della brina si era depositata sul suo giaccone invernale. Anche Alex si trovava nello stesso stato, tremante come se l’avessero appena tirato fuori da un frizer regolato a - 40°. Toccai la spalla alla figlia di Hell, facendola voltare verso di me.
«Cosa ti succede?» le chiesi.
«Non ne ho la più pallida idea. Credo sia colpa di quel gigante dei miei stivali» mi rispose, battendo i denti. «Di certo, non tremo dalla paura di quest’incontro.»
«Oh, invece dovresti, Astrid Jensen.»
Una figura scura si materializzò su un trono disposto a sinistra rispetto a quello di Odino. Loki vestiva ancora in modo casual, con i jeans grigi strappati e una T-Shirt con scollo a V. I capelli gli ricadevano sciolti attorno al viso e gli sfioravano le spalle, mentre gli occhi brillavano di una luce inquietante.
Einar sospirò. «Papà» disse, senza disturbarsi di celare troppo il tono esasperato.
Il dio degli inganni sventolò la mano nella sua direzione. «Ciao, figlio mio!» lo salutò. «Comunque» riprese, accavallando le gambe, «dovevate vedere quanto si è gonfiato Odino quando è stato amabilmente mandato a quel paese dalla “mezzosangue che ha stregato suo figlio”. È andato su tutte le furie! Oh, se voleva tagliarle la testa!»
L’idea sembrava divertirlo più del dovuto.
«Oh, Loki, sta’ zitto.»
Con un puf! di un bel rosso accesso e glitter, Freyja comparve sul suo trono. Indossava la tenuta da battaglia più aderente che avessi mai visto e i suoi capelli sembravano fiamme pronte a incenerire ogni nemico, ma il sorriso che rivolse ad Astrid scaldava il cuore.
«Finché sarò viva, cioè per l’eternità, Odino non torcerà un capello a questa deliziosa ragazza. La sua storia d’amore con Alex Dahl deve ancora arrivare al culmine. E sia dannata se qualcuno cercherà di mandare a monte i piani che ho in serbo per questi due piccioncini!»
Astrid avrebbe avuto un’aria minacciosa, se non stesse tremando come un pulcino zuppo. «Suppongo di doverti ringraziare per aver fatto precipitare il mio ragazzo insieme a una certa figlia di Afrodite» ringhiò.
Precipitare? pensai, mentre Freyja scoppiava in una sincera risata. Mi sarei dovuta far raccontare parecchie cose, dopo esserci assicurati di non essere in pericolo di incenerimento.
A poco a poco, tutti gli Dèi arrivarono ad occupare i loro troni. Mi sorprese notare dell'icore dorata scendere da un piccolo taglio sulla fronte di Skadi, la dea della caccia e dello sci, quando si mostrò; Ymir doveva essere ancora più potente di quello che avevamo visto, se era riuscito a ferire una dea. L'ultimo ad apparire fu Odino. Il suo unico occhio mandava lampi e sedeva al suo posto con un atteggiamento talmente minaccioso che feci un passo indietro. Non avevo mai avuto l’occasione di vedere nessun dio così in collera e sperai vivamente che quella fosse l’ultima.
Gli elfi si inchinarono di colpo, sincronizzati gli uni con gli altri, e attesero a capo chino gli ordini del loro supremo comandante.
«Qualcuno vuole spiegarmi» iniziò il Re degli Dèi, la voce rabbiosa che rimbombava dappertutto, «perché il traditore non è in catene?»
Njordr tossicchiò, esitante. «Fratello, non ti ricordi più i tuoi ordini? Volevi solo che venisse portato qui per essere giudicato.»
«E questo non sottintendeva in catene?» lo rimbeccò Odino. «Qualcuno lo ammanetti!»
Prima che uno degli elfi potesse obbedire, Alex si fece avanti. Potei percepire tutti noi trattenere il fiato all’unisono. Cosa aveva intenzione di fare, adesso? Con Odino così in collera, sarebbe morto prima di aprir bocca.
«Avevi promesso un processo, padre. Questa è già una sentenza.»
Odino si sporse in avanti, l’occhio fisso in quello del figlio. «Come osi schierarti a favore di un romano? Proprio tu, che hai il mio sangue nelle vene?»
Alex tremava come un infermo, ma la sua voce rimase ferma. «È vero, il sangue della progenie di Odino scorre nelle mie vene. Ma la mia testa non è la tua, e lo stesso vale per la mia vista, che non è offuscata da un odio centenario come la tua.»
Odino prese un grosso respiro e si gonfiò come una mongolfiera. Lo ucciderà, pensai. Invece, Eir salvò Alex sul filo del rasoio.
«Concedigli un processo, Odino» disse. «Solo pochi minuti di riflessione.»
«Pochi minuti?» le gridò addosso lui. «Sai cosa può fare Ymir in pochi minuti
Eir non batté ciglio. «Potrebbe radere al suolo uno Stato o due, e porre fine alla vita di semidei come tuo figlio. Non l’hai forse appena salvato da lui?»
«Eir ha ragione» intervenne Foreseti, conciliante. «Se non ti fosse importato di lui, l’avresti lasciato morire poco fa. Ascolta ciò che dice. Un processo è la cosa più giusta da fare.»
Venni travolta da un’ondata di amore per quell’unico dio pacifico in quel pantheon di divinità schizzate pronte a farsi la guerra. Odino borbottò un assenso smozzicato, scurendosi in volto.
«Forza, romano. Parla. Di’ qualcosa in tua difesa» incalzò Tyr.
Tutti gli occhi si puntarono su Jason, che deglutì. Era cosciente, così come lo era ognuno di noi, che qualunque cosa avesse detto non sarebbe bastata.
Alla fine, il figlio di Giove prese un bel respiro e parlò: «Non posso negare né di essere un romano né di essere figlio di mio padre. Però, non ho mai desiderato essere il nemico di nessuno di voi. Lo dimostra il fatto che io e Alex ci siamo promessi a vicenda di fidarci l’un l’altro, di non dare peso al passato che grava sui nostri due popoli. Qualunque offesa io o Giove, mio padre, vi abbia arrecato, io chiedo perdono anche da parte sua.»
Con fatica, si inginocchiò di fronte a tutti gli Dèi e chinò il capo come un penitente, in attesa.
«Qualcun altro vuole deporre in favore di Jason Grace?» domandò Odino, annoiato. «A parte mio figlio, ovvio. Se fosse per lui, mi sfiderebbe alla singolar tenzone per aver salva la vita di ogni suo amichetto.»
«E non è forse un atto di coraggio e amore da lodare?» chiosò Freyja, ma venne ignorata.
Sembrava che nessuno fosse in grado di scalfire l’animo del Re degli Dèi, che aveva già preso la sua decisione.
Si fece avanti Piper, che mise una mano sulla spalla del suo fidanzato. La ammirai per il coraggio che aveva acquisito nei mesi in cui non ero stata con lei, perché, quando ero partita per la Norvegia, la figlia di Afrodite che conoscevo non sarebbe stata in grado di parlare di fronte a una schiera di Dèi ostili.
«Io sono figlia di Afrodite, per questo…» iniziò. Stava per fermarsi, ma si morse il labbro e si sforzò di andare avanti: «… per questo posso comprendere quanto l’amore per una persona o un luogo che ci è caro ci spinga a fare di tutto per proteggerli. Ma non è da Jason che dovete difendere Asgard, né da Giove, bensì dal vostro stesso odio. Esso sta rendendo offuscata la vostra vista e riporta a galla i ricordi del passato. Un tempo, forse, dovevate difendere il vostro popolo dall’espansione dell’Impero, ma adesso è possibile scendere a patti. Riflettete, è la scelta migliore.»
«Anch’io, come Piper, sono un greco» s’inserì Leo, che frugava nel cinturone alla ricerca di chissà cose, forse le parole adatte, «e posso confermare ciò che ha detto. Jason non è il vostro nemico. Seppur diverso, non lo è. Ho avuto l’onore di poter combattere al fianco di Volund e, nonostante non fossi uno dei suoi figli, lui si è fidato di me, che non sono nato per le battaglie. Io vi chiedo di fidarvi del mio amico, che in quanto a virtù è di molto superiore a me.»
«Jason non ha esitato un secondo a difendermi da Kara» intervenni. «Io, se fossi in voi, premierei il coraggio che ha dimostrato e la sua fedeltà alla causa. Inoltre, un figlio non deve pagare per le colpe del padre.»
Sapevo che agli Dèi la tirapiedi di Hell non era mai piaciuta e sperai che, facendo loro presente la questione, ponessero su un piano più altro il disprezzo che provavano nei suoi confronti rispetto a quello che riponevano in quelli di Jason. In ogni caso, una deposizione a favore rimaneva pur sempre tale.
«Ho combattuto al fianco di Jason Grace, schiena contro schiena con lui, e posso assicurare che non ha avuto la minima esitazione, quando si trattava di salvare uno qualsiasi dei vostri figli mettendo a rischio la sua incolumità. Inoltre, credo che, se una persona ti rispetta ed è buona con te, così come lo è Jason, non gli si dovrebbe sbattere la porta in faccia.»
Astrid non godeva del favore degli Dèi, ma si stava schierando dalla parte del figlio di Giove, e questo significava che si fidava di lui. Mi stupii che fosse riuscita a lasciarsi andare con delle altre persone a tal punto da difenderle pubblicamente. Dovevo decisamente venire a conoscenza di tutti i dettagli dell’impresa al più presto.
Einar e Lars cercarono di prendere a loro volta parola, ma non ci riuscirono. Odino era palesemente irritato dal supporto che stavamo dando al romano che tanto odiava. Si tirava la barba, come se quel gesto potesse trattenerlo, e temetti che se la strappasse.
«Abbiamo capito» brontolò, scuro in volto. «Non c’è tempo per altre chiacchiere. Votiamo.»
«Democraticamente» aggiunse Foreseti.
A un cenno di Odino, chi era a favore della condanna alzò la propria mano. Tra loro c’erano Tyr, Thor – non c’era da stupirsi, erano Dèi devoti alla guerra –, Frig – era prevedibile che la moglie di Odino lo appoggiasse –, e Njordr. La prima a dichiararsi contraria fu Eir, seguita da Volund, Heimdallr e Freyja. Contai ansiosamente le mani, poi le ricontai, perché non era possibile che avessimo avuto una fortuna tanto sfacciata. Perché Loki si era astenuto, e i contrari superavano i favorevoli grazie alla mano levata di Idun.
«Oh, caro Odino, non guardarmi così» fece il dio degli inganni, ridendosela sotto i baffi. «Sai bene che amo il caos. E cosa provocherebbe più caos, un Jason Grace morto o uno vivo?»
«Maledetto!» strepitò Odino, balzando giù dal suo trono e tentando di afferrargli la gola. «Te lo faccio vedere io, il caos, serpe che non sei altro!»
Loki era un piantagrane di prima categoria, ma non desideravo vederlo strangolato dal Re degli Dèi e fui sollevata di vederlo scomparire nell’ombra un attimo prima che venisse preso. Odino ululò la sua rabbia.
«Be’» disse Eir, battendo le mani. Si notava perfettamente il suo sforzo di non ridere del suo re. «Possiamo constatare che Jason Grace è salvo, no? Passiamo all’altra questione che preme?»
«Non accetterò di buon grado questa sentenza!» urlò Odino, agitando i pugni in aria.
«Allora» ribatté la dea della medicina, «accettala e basta.»
Si susseguì un gioco di sguardi – quello infuocato di Odino e quello gelido di Eir –, che vide come vincitrice la madre di Lars. Come se niente fosse successo, il dio si sedette nuovamente e ordinò agli elfi di portare dentro l’altra prigioniera.
Obbedienti, i soldati annuirono, si alzarono e si dispersero. Tre minuti dopo, due di loro erano di ritorno. Trascinavano Kara sul marmo, tenendola sollevata per le ascelle, mentre le sue gambe strusciavano sul pavimento. Le era stato fasciato il moncherino, ma le bende erano già macchiate di sangue e andavano cambiate.
Indurii il mio cuore e rimasi impassibile alla sua vista. La mia carceriera aveva fatto tante di quelle azioni malvage che non poteva aspettarsi di non pagarne mai il prezzo. Il mio altro aguzzino, però… Ha evitato che Kara ti uccidesse, no? Come puoi definirlo aguzzino? pensò una parte di me. L’altra la mise a tacere subito: Non scherzare. Si è solo assicurato che non morissi per il freddo, non confondere questo con un atto di gentilezza. Sarebbe come prendere le parti di uno stupratore che, invece che violentarti e basta, ha usato il preservativo.
«Kara Jensen» cominciò Odino, soppesando la figura in ginocchio davanti a lui. «È un piacere averti finalmente tra noi.»
«Il piacere è tutto mio» replicò la figlia di Hell con voce roca.
Astrid la fissava come se volesse conficcarle un pugnale nella schiena. Immaginai che, se l’avesse fatto, nessuno si sarebbe lamentato.
«Non c’è dubbio che, almeno questa volta, siamo tutti concordi sulla tua colpevolezza. Giusto, Eir?»
La dea non raccolse la provocazione. Con ammirevole grazia e nonchalance, concordò: «Certamente. Vi è solo da discutere la pena da assegnarle.»
«Mio figlio le ha risparmiato la vita. Compiresti di nuovo questa scelta?» gli chiese il Re degli Dèi.
Alex annuì. «Non spetta a me il compito di giudicare le sue azioni. Lei mi ha chiesto pietà e io gliel’ho concessa.»
Kara chinò il capo ancora più profondamente, quasi toccando il pavimento con la fronte. «Domando ancora pietà, divino Odino» disse, con perfetto tono supplichevole e devoto. «So che non potete assolvermi, ma almeno permettetemi vivere.»
Il Re degli Dèi si lisciò la barba, pensoso. «Perché dovrei lasciare in vita una servitrice di Hell come te?»
«Tutto ciò che ho fatto l’ho fatto per sopravvivere. Non avevo possibilità di scelta. Se fosse stato altrimenti, servirei voi, invece che lei» rispose Kara, diventando tutt’uno col pavimento.
«Se posso permettermi» tossicchiò Foreseti, «forse dovremmo considerare l’opinione di chi ha subito le angherie della figlia di Hell. Chi meglio di Annabeth Chase, che è stata rapita da lei, può chiarirci il quadro?»
Desiderai farmi piccola piccola, oppure poter scomparire come aveva fatto Loki. Non volevo farmi carico del destino di Kara, non volevo avere tutto quel potere su di lei, né su nessun altro.
Odino sospirò e roteò gli occhi. «Va bene, Foreseti. Sii breve, figlia di Atena.»
Grandioso, pensai. Osservai Kara, china come se fosse in preghiera, poi i miei amici e infine gli Dèi. Prima di parlare, presi un bel respiro.
«Non c’è dubbio che Kara sia colpevole, e non solo del mio rapimento. Ricordo ancora perfettamente il suo intervento nella Battaglia di Manhattan, i semidei che ha ucciso» dissi. «Ma, nonostante ciò, non saprei dire se si merita la morte. Se quello che dice è vero, prima non le è mai stata concessa una possibilità di scelta, e non voglio toglierla così definitivamente anche adesso. Per questo, suggerisco l’idea che venga imprigionata, e che in carcere rifletta sulle sue azioni.»
Foreseti annuì alle mie parole. «Molto saggia.»
Buttai fuori il fiato che non mi ero accorta di stare trattenendo. Mi sentii ancora più spossata di quanto non fossi stata prima.
«Tutti favorevoli all’incarcerazione, quindi?» domandò Eir.
Gli Dèi approvarono la sentenza, seppur alcuni di loro erano riluttanti. Non avevano disintegrato né Jason né Kara, oggi, e probabilmente erano delusi.
«Bene!» esclamò Odino. «Soldati, portate in prigione Kara Jensen. Compagni, dobbiamo fermare l’avanzata di un gigante.»
«Finalmente!» gridò Thor, alzandosi in piedi e facendo roteare il suo martello.
Un attimo dopo, era scomparso e si era lasciato dietro un paio di tuoni. Impazienti di ritornare a combattere, gli altri Dèi impugnarono le proprie armi e seguirono l’esempio di Thor. Mentre noi semidei, finalmente, potevamo rilassarci un po’.
 
♦Astrid♦
 
La mia giacca a vento era da buttare. La giacca a vento che aveva resistito ad anni di utilizzo da semidea, a un’impresa tra i ghiacci, a una battaglia contro un esercito e a un volo inaspettato, era diventata inutilizzabile perché la presenza raggelante di Ymir l’aveva fatta diventare dura come il cristallo. La situazione mi sembrava un po’ ridicola, soprattutto perché ora mi toccava far visita ad Annabeth con una coperta di plaid buttata sulle spalle che mi faceva assomigliare a una suora.
In più, tremavo come un budino. La valchiria che mi aveva visitato mi aveva spiegato che, probabilmente, essendo andata troppo vicino a Ymir, un po’ della sua magia del ghiaccio mi aveva colpito ed aveva fatto effetto. Così, avrei tremato per un paio di giorni. A meno che non fossi morta improvvisamente a causa di un cuore congelato. Ma, come avevo detto alla valchiria, il mio cuore era già di ghiaccio e di certo non sarei morta. Lei mi aveva guardato alquanto male, aveva scrollato la testa e mi aveva lasciata passare, indicandomi la branda dove si stava riposando Annabeth.
Quando la figlia di Atena mi vide, mi sorrise e incrociò le gambe, facendomi spazio sul letto. Sperando di non assomigliare troppo a una madonna illuminata, ricambiai il sorriso e mi accomodai sulla coperta di fronte a lei.
«Finalmente un po’ di tranquillità» esordii.
«Già» concordò Annabeth. «Gli Dèi ti stancano più delle imprese.»
Risi piano, cercando di nascondere quanto mi turbasse vederla così magra ed esausta. «È una fortuna che sia finito tutto bene» continuai.
Parlare degli Dèi era come discutere del tempo: un modo per riempire i buchi. «Non potrei trovarmi più d’accordo che adesso…»
Annabeth annuì una volta, poi abbassò lo sguardo. Voltai anch’io la faccia, all’improvviso in imbarazzo.
«Ehm…»
«Uhm…»
«Astrid.»
«Sì?» Mi girai verso di lei.
Gli occhi di Annabeth erano di un grigio fitto, carico, come nebbia. «Forse potremmo smetterla di fare le dure e abbracciarci.»
Diedi velocemente un’occhiata in giro, come se mi importasse davvero che qualcuno ci potesse spiare, e poi le gettai le braccia al collo. Annabeth ricambiò, stringendosi a me con calore. Rimanemmo così per un bel pezzo, ad occhi chiusi e in silenzio, perché le parole sarebbero state solo d’intralcio.
La figlia di Atena mormorò piano, spostandomi una ciocca di capelli con il fiato: «Mi sei mancata, Astrid.»
Esalai un respiro tremolante. «Anche tu, Annabeth» sussurrai. «Anche tu.»
 
 
Qualcuno bussò sulla mia spalla. «Astrid?»
Mi voltai di scatto. «Oh, sei tu, Grace» dissi, incrociando le braccia e assumendo un atteggiamento spavaldo. «Mi stavi cercando?»
«Veramente sì.» Jason si passò una mano tra i corti capelli biondi. Splendevano quanto i finimenti dorati che erano dovunque, ad Asgard, persino nei pressi dell’infermeria. «Volevo ringraziarti.»
Inarcai un sopracciglio. «Per cosa?»
Non che non potessi immaginarlo, ma volevo sentirlo uscire dalla sua bocca per intero.
«Per aver deposto in mio favore di fronte agli Dèi» chiarì il figlio di Giove. «Non è da tutti essere così coraggiosi o onesti. Grazie per essere stata entrambe le cose.»
Un sorrisetto compiaciuto mi si dipinse sulle labbra. «Di nulla, Grace.»
Il biondo annuì. Poi, all’improvviso, sorrise.
Cos…? pensai. Avevo una brutta sensazione.
«Soprattutto, mi ha colpito come tu potessi essere meno spaventata da una schiera di Dèi ostili che dall’altezza» proseguì, difatti, il figlio di Giove.
«Tu non…» Lasciai ricadere le braccia lungo il corpo, gonfiandomi come un palloncino. «Rivelalo a qualcuno, e con qualcuno intendo Piper McLean, e giuro sull’Isola di Foreseti che…»
Jason mi interruppe con una sonora risata. Lo lasciai sbellicarsi finché voleva, guardandolo con l’odio che si riserva per chi ha mangiato la tua scorta segreta di merendine a tua insaputa.
«Hai finito?» sbottai, scocciata, dopo un minuto buono.
Il figlio di Giove si asciugò gli angoli degli occhi. «Sì. Scusa. È che…» Rischiò di riattaccare a ridere come un idiota, ma riuscì a dominarsi. Tossicchiò. «Stavo dicendo, è che tu sei così impavida, che uno non si immagina che tu abbia paura di qualcosa. Soprattutto non si aspetta che tu soffra di vertigini.»
«Ah-ah. Lo so già che è una paura stupida, per un mezzosangue. Non c’è bisogno che il Signor Pretore me lo ricordi» replicai, acida.
Jason recuperò la serietà. «Io non volevo prenderti in giro…»
«No?»
Lui roteò gli occhi. «È strano, tutto qui. Ma è anche assolutamente normale. Non c’è nulla di cui vergognarsi.»
Gonfiai le guance, come un pesce. «Sarà» borbottai, guardando da un’altra parte.
«Comunque» riprese Jason, «a meno che Alex non reclami la tua presenza, vorrei proporti di diventare stabilmente la mia spalla in battaglia.»
Quell’affermazione magnetizzò la mia attenzione su di lui. Nascosi al meglio il piacere che mi provocava quella proposta e replicai: «Spalla? Io? Sicuro di non esserti confuso?»
Jason mi sorrise. «Dai, Astrid, hai capito.»
Sbuffai e alzai teatralmente gli occhi al cielo. «Va bene, Grace. Affare fatto.»
Ci stringemmo la mano, e non so come lui riuscì a non farsi scappare via la mia, che era scossa dai tremiti. Fece per sorpassarmi, ma io lo fermai, trattenendolo per la spalla. Gli andai dietro, mentre mi sfilavo un orecchino e mi ritrovavo una mezzaluna in mano.
«Comunque» dissi, premendogli la lama sul collo e sentendomi piacevolmente malvagia, «se parli a qualcuno delle mie vertigini, sappi che non avrai vie di scampo. Dopotutto, ti ricordo che non sei il mio migliore amico per sempre, posso ancora pugnalarti alla schiena.»
 
 
In teoria, io e Alex saremmo dovuti uscire presto dalle nostre stanze al Campo Nord per salutare Annabeth, Jason, Leo e tutti gli altri. In pratica, cercavamo di raggiungere il più furtivamente la sua stanza da capogruppo per goderci un momento insieme. Sfida non da poco, quando il 90% del tuo cervello era preso a svolgere funzioni di vitale importanza come baciarsi rimanendo in piedi.
Alex mugolò di piacere, allontanando le sue labbra dalle mie per respirare. Mi scostò una ciocca di capelli dal viso e me la riportò dietro l’orecchio, ma lasciò la sua mano ferma sul mio volto.
«Dèi, quanto sei bella…» mormorò, accarezzandomi la guancia.
Il suo sguardo si accese di malizia e un ghigno affiorò sulle sue labbra. Il momento dopo, mi aveva sollevato e appoggiato al muro, mentre io mi reggevo a lui con le gambe attorno al suo bacino. Ci baciavamo con passione, come se l’unico modo per respirare fosse rubarsi il fiato a vicenda.
Gli presi una mano e me la misi sul ventre, invitandolo a sollevare la maglietta, perché volevo sentirlo sul mio corpo, sulla mia pelle, sulla mia anima. Entrambi tremavamo ancora di freddo, ma a me sembrava di bruciare.
Alex mi depose una scia di baci sul collo, sapendo che li amavo da morire. Gli infilai le mani tra i capelli e pregai intimamente che non si fermasse.
Quando Hermdor sbucò alle spalle del figlio di Odino, ci trovò così, avvinghiati e tutti presi a baciarci.
«Eh-ehm» tossì il comandante.
Alex si bloccò immediatamente nel riconoscere la voce e mi mollò all’improvviso, lasciando a me il compito di atterrare e non cadere a terra come una stupida.
La faccia di Hermdor era una maschera di rigidità e disapprovazione, i suoi occhi mandavano lampi e sopra la sua testa lampeggiava la scritta a neon “COMPLIMENTI, SIETE NEI GUAI!”. Io e Alex arrossimmo in contemporanea.
«Per questa volta» esordì Hermdor, «farò finta di essere arrivato in un altro momento e di non avervi scovati a scambiarvi intese effusioni in luoghi pubblici.»
«Grazie, signore» balbettammo.
Idioti idioti idioti.
Lui grugnì. «Stavo cercando la signorina Jensen, in ogni caso.»
«Davvero?» farfugliai, mentre mi sistemavo la maglietta. «Perché?»
«C’è una chiamata per te. Seguimi. E niente saluti calorosi con il capo dell’Orda del Drago» ribadì.
Rivolsi ad Alex uno sguardo colpevole. Lui scrollò le spalle e disse: «Ti aspetto fuori per parlare ancora un po’ con chi deve partire.»
«Okay.»
Hermdor gli diede subito la schiena e non si premurò di controllare se lo stessi seguendo, perché era ovvio che fosse così. Aveva una falcata lunga e veloce, ed era difficile tenere il suo passo, infatti gli stavo praticamente correndo dietro.
Raggiungemmo il Forte principale, l’unico luogo che disponeva di un telefono pubblico. Era uno di quei vecchi modelli dai bordi smussati, color vernice nera, attaccato al muro. Hermdor rialzò la cornetta e me la passò, dopodiché si allontanò e mi lasciò sola.
Accostai il telefono all’orecchio. «Pronto?» domandai.
Una voce maschile mi rispose dall’altra parte: «Sto parlando con la signorina Astrid Jensen?»
«Sì» risposi, attorcigliando il filo della cornetta. «C’è qualche problema? Lei chi è?»
Ignorò le mie domande. «La figlia di Rupert Jensen?»
Mi asciugai le mani sudate sui jeans. Ogni volta che si nominava mio padre si verificavano dei problemi. «Sì» dissi, continuando a giocare con il filo.
Pausa. Le pause, al telefono, sembravano infiniti. «Sono l’ispettore von Aue. Chiamo dal dipartimento di polizia di Oslo.» Si fermò ancora, il tempo di almeno cinque lunghi respiri. «Proviamo a metterci in contatto con Lei da questa mattina, signorina.»
Mi stavo innervosendo. Il filo attorcigliato della cornetta mi stava bloccando la circolazione delle dita.
«Vuole dirmi che c’è?» sbottai. «Ispettore von Aue» aggiunsi dopo, con rabbia.
Il tizio sospirò. Un sospiro triste, pesante, che odorava di fumo fin qui. Poi: «Suo padre è morto.»
Udii come una detonazione. Le mie orecchie si tapparono e si stapparono in sequenza. Un fischio lungo e acuto mi dava fastidio ai timpani.
«Scusi?»
Odiai il sussurro roco che uscì dalle mie labbra.
«Mi dispiace davvero molto, signorina Jensen. Le mie più sentite condoglianze.»
La mano mi tremò e lasciò andare il telefono, che sbatté contro il muro, stock. Il fischio nelle mie orecchie continuava. Mi si mozzò il respiro. Le ginocchia mi si spezzarono.
E io caddi a terra.

koala's corner.
Terzultimo capitolo, semidei! Ormai siamo davvero vicinissimi alla fine di Dispersi nel Nord.
I titoli dei capitoli, però, restano ugualmente pessimi xD
Se ormai mi conoscete almeno un pochino, potete intuire che la parte che più mi è piaciuto scrivere è quella di Astrid. Angst <3
Non c'è fine alle prove cui sottoponiamo i nostri personaggi :P Dopotutto, Odino avrebbe disintegrato volentieri Jason, ma Alex deve sempre fare di testa sua ed è riuscito a farlo graziare.
Mentre Kara viene mandata in prigione. Alcuni - molti? - di voi l'avrebbero preferita morta, ma c'est la vie. Annabeth aveva le sue ragioni per decidere così, ma chissà cosa pensiamo noi...
Attenzione, il prossimo sarà il penultimo capitolo! Continuate a seguirci, mi raccomando!

Soon on DnN: vedrete il finale dei maschietti e la tenerezza di Alex all'ennesima potenza. Preparatevi.
 

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Capitolo 23
*** ALEX/EINAR • Il dolce abbraccio di una madre ***


Il dolce abbraccio di una madre
•Alex•
 
Il giorno sarebbe dovuto essere bello e assolato, nonostante la neve ed il freddo invernale della Norvegia. Annabeth stava meglio e ci stavamo salutando. Aspettavamo Astrid da un pezzo. La figlia di Atena avrebbe voluto vederla, prima che la Skidbladnir partisse, riportandola a casa. Mi chiese anche di continuare le ricerche di Percy, in attesa di informazioni maggiori, anche se, con l’arrivo di Jason e degli altri, era palese che lui fosse a Nuova Roma.
Il figlio di Giove mi aveva dato, in modo confidenziale, l’ubicazione della città segreta dei romani, a patto che la tenessi segreta. Io avevo giurato, ma avevo la sensazione che mio padre sapesse già molto su Nuova Roma e che presto l’avrei sentito.
Eravamo, ora, nell’area di allenamento, adibita in modo non diretto a zona di atterraggio e aspettavamo Astrid. Ero preoccupato: Hermdor non aveva specificato nulla riguardo a quello che sarebbe successo, quindi non sapevo dire che cosa poteva trattenerla.
«Non dovresti andare a cercarla?» chiese la figlia di Atena, preoccupata.
«Forse…» risposi, incerto.
Se c’era un problema, di solito, lei preferiva affrontarlo da sola. Avevo paura di darle fastidio.
«Va’ da lei» mi consigliò Piper, sorridendomi.
Non capivo se stesse usando la lingua ammaliatrice o no.
«Forse avete ragione» considerai, avviandomi verso il forte principale. «Aspettatemi qui!» raccomandai loro, certo che ci avrei messo poco.
Invece, dopo esser passato accanto al lago, arrivai al Forte principale e la trovai in lacrime, distrutta e disperata.
«Astrid!» esclamai, correndo verso di lei e tentando di abbracciarla, ma lei si scansò.
«Lasciami stare!» urlò, istericamente, dandomi una spinta.
Io indietreggiai, sorpreso, ma non protestai. Mi sedetti per terra, lasciandola sfogare. Non sapevo di cosa si trattasse, ma intuii che si trattasse della telefonata, dato che l’apparecchio era saltato, tanto forte l’aveva rigettato al suo posto.
Rimanemmo entrambi seduti a lungo. Osservai Astrid che si sfogava disperata su non sapevo bene cosa, ma sapevo che andava lasciata stare, in questi casi. Ci volle un po’, ma quando si riprese sbuffò e mi guardò.
«Saluta Annabeth e Jason da parte mia. Anche Leo e Piper e tutti quanti. Io non vengo» disse, asciugandosi le lacrime, fissandomi tristemente. Le braccia abbandonate sui fianchi, come se fosse troppo debole per reggerle.
«Astrid… che è successo?» chiesi, provando ad avvicinarmi per sfiorarle la guancia.
Volevo che capisse che io c’ero, ma lei si scansò velocemente.
«Scusami, Alex, non ora… voglio… stare da sola» sussurrò flebilmente, scappando via.
La osservai andarsene sentendomi triste e abbattuto. Questo, sommato ai brutti presentimenti che avevo per il futuro, non migliorò certo il mio umore.
Salutai i nostri amici greci, promettendo loro che, qualsiasi cosa sarebbe accaduta, avrei aiutato, almeno per quel che potevo.
«State attenti. Sono sicuro che Gea sta tramando qualcosa con Ymir» raccomandai loro, stringendo la mano di Jason.
«Andremo a Nuova Roma tutti insieme. Sono certo che mi ascolteranno e potremmo allearci contro questa minaccia» mi rispose con un sorriso.
La gamba era fasciata a causa della ferita che gli avevo inferto, ma non sembrava risentirne troppo.
«Speriamo bene» confermai, dandogli una pacca sulla spalla.
«Allora… ci vediamo presto?» chiese Annabeth, abbracciandomi..
«Verrò a trovarvi in America. E poi voglio venire anche io a Nuova Roma, ho la sensazione che devo esserci» risposi, stringendola come se fosse mia sorella. «Tu riguardati e cerca di star bene. Ritroveremo Percy» la rassicurai.
Lei annuì, e passai a Leo, che aveva appena salutato Einar.
«Ci vediamo, Valdez. Cerca di star bene, e ricordati che puoi farcela. Nulla è impossibile… Almeno, non per te» gli ricordai, stringendogli la mano.
Se avessi potuto gli avrei fatto l’occhiolino.
«Tranquillo, bello, e non preoccuparti: finché sarai con me i romani non ti attaccheranno. Nessuno può resistere al fascino di Leo Valdez» replicò con un sorrisone furbo, mettendosi sull’attenti, come un soldato.
Salutai tutti i greci a seguire, augurando loro buona fortuna, dato che ne avrebbero avuto bisogno. Lars si prese il disturbo di riportarli a casa con la Skidbladnir insieme a Nora e Finn. Li salutai da lontano, insieme a diversi ragazzi dell’Orda del Drago che facevano lo stesso per amici e compagni, anche se una forte inquietudine mi attanagliava il petto come le zampe di un rapace.
Probabilmente era il silenzio tombale in cui era caduta la mia mente, dopo l’arrivo di Ymir. Jason mi aveva confidato che suo padre aveva continuato a sussurrare parole malevole su di me, durante la sua permanenza, mentre il mio era diventato stranamente silenzioso. Come la calma che precede il cataclisma. La verità è che una parte di me sapeva che lo scontro che volevo impedire era inevitabile.
Provai a cercare di nuovo Astrid, ma non la trovai. Einar mi disse che era da sola nella sua stanza, dove non voleva vedere nessuno. Volevo provare a parlarle, ma prima che potessi raggiungerla, Hermdor mi bloccò e mi disse che i capi delle orde dovevano incontrarsi al Forte Principale per un annuncio importante, così fui costretto a seguirlo.
Mi presentai con Einar, come mio unico secondo, e trovai Johannes, Rebekka, Oscar e Grete.
«Capi delle Orde, benvenuti per esservi presentati» cominciò il Direttore, mettendosi seduto.
Tutti seguimmo il suo esempio e ci accomodammo.
«Il Padre dei Giganti del Ghiaccio si è risvegliato ed i nostri Dèi sono impegnati in guerra. Noi con loro dobbiamo prepararci allo scontro. Odino ha richiesto che tutti noi fossimo pronti, prima di partire per il fronte. Per tanto, il Campo Nord è appena sceso in guerra. Saranno dati a tutti i semidei permessi di due settimane per tornare alle famiglie e salutarle, prima di partire per la guerra» annunciò duramente, squadrandoci con i suoi  penetranti occhi grigi come l’acciaio.
«Quindi partiamo per andare a nord, signore?» chiese Oscar, inarcando le sopracciglia.
«Va benissimo» concordò Grete, accarezzando il manico della sua ascia. «Se gli Jotunar vogliono sconfiggere gli Dèi, ci uniremo all’esercito di Asgard per sconfiggere loro ed il loro padre maledetto.»
«No!» ci fermò Hermdor, prima che io potessi esprimere il mio consenso. «Andiamo ad ovest.»
«Cosa?» domandai, sorpreso. «Il nostro nemico è a nord!» protestai.
«Odino è preoccupato delle possibili minacce. Nuova Roma potrebbe rivelarsi ostile. Odino vuole che il Campo Nord sia pronto a rispondere ad un suo possibile attacco. Invierà contingenti di rinforzo e navi per poter attraversare l’atlantico. Elfi e Nani sono inviati in grossi eserciti a nord per occuparsi dei Giganti. Noi difenderemo Asgard da un possibile attacco alle spalle» spiegò Hermdor, tutt’altro che infastidito dal mio intervento.
«Finalmente! Gli Dei sono con noi!» urlò Johannes, eccitato. «Quando partiamo? Voglio massacrare qualcuno di quei maledetti.»
«Ma loro non sono nostri nemici!» bottai, battendo i pugni sul tavolo. «Sono semidei, esattamente come noi!»
«Sono nostri nemici!» replicò Il figlio di Thor, guardandomi negli occhi furibondo. «Dobbiamo distruggerli! I nostri Dèi ci ringrazieranno per la loro morte!»
«Non possiamo ucciderli! Non siamo animali!» dissi, mettendomi faccia a faccia con lui.
Non avevo certo paura di quel gorilla senza cervello.
«BASTA!» ci ordinò Hermdor, separandoci con tanta forza che barcollammo entrambi.
Sbuffai, furibondo, pronto a venire alle mani, ma fummo bloccati dalle parole del Direttore che ci paralizzò con una delle sue solite occhiate di fuoco.
«Sono certo che Alex Dahl abbia un’idea migliore di Odino. Dopotutto, lui ha detto di rimanere in guardia, non di attaccare. Che cosa hai in mente, tu, Dahl?» indagò, lanciandomi un’occhiata di avvertimento.
Se mi fossi sbagliato, avrei pagato le conseguenze.
«Possiamo parlare con loro» proposi subito, cercando di guadagnare tempo. «Lasciatemelo fare, magari possiamo stringere un’alleanza. Loro potrebbero restituirci la Corona di Odino e aiutarci contro Ymir. Ne guadagneremo tutti.»
Tutti mi guardarono, soppesando le mie parole. Sudavo per la tensione, dato che non sapevo cosa avrebbero fatto loro. Andavo con loro, al Campo Nord, da più di cinque anni, eppure, con i loro genitori divini che gli dicevano chissà cosa, non ero più sicuro di poter confidare nel loro buonsenso.
«Diamogli questa possibilità» convenne Rebekka, fissando i suoi compagni. «Dopotutto ha più esperienza di noi ed è figlio di Odino. Chi meglio di lui potrebbe trattare con i romani?»
Ci volle un po’, ma, alla fine, riuscii a convincere tutti i capi delle orde a non attaccare subito ed aspettare una mia possibile trattativa con gli amici di Jason, anche se dovetti concentrarmi molto per non pensare ad Astrid. Alla fine si accettò di intavolare una possibile trattativa con loro, però, se ci fossero stati segni di minaccia, i semidei nordici non avrebbero esitato ad attaccare.
Quella sera tornai al Forte, sperando di ritrovare Astrid, ma, invece, Einar mi trascinò nella sala comune, dove i miei compagni si stavano riunendo. Molti di loro avevano l’aria tesa e abbattuta. Mostravano ancora ferite e lividi provocati durante gli scontri contro Kara nella nostra spedizione a nord, ma intuivo che ci fosse altro, dietro.
«Alex» mi chiamò Marcus, che si teneva il braccio fasciato. «Vorremmo parlarti» disse, facendosi avanti.
«Certo… Cosa volete dirmi?» chiesi, sedendomi per terra, davanti al camino, mentre gli altri si riunivano intorno a me.
«Vorremmo chiederti che cosa dobbiamo fare» iniziò Ren, portandosi una ciocca di capelli rossi dietro l’orecchio. Sembrava nervosa. «Abbiamo saputo dei permessi e della… possibile guerra contro Roma.»
«Esatto» confermò Xenia, una figlia di Ullr. «Dobbiamo prepararci ad uno scontro?»
«No» risposi subito, cercando di mantenere la calma. «So che i vostri genitori divini stanno spingendo per la guerra, ma con Ymir alle porte non apriremo un altro fronte. Noi discuteremo con i romani e chiederemo loro un alleanza.»
«Perché dovremmo? Siamo figli di Asgard, possiamo occuparci da soli di Ymir. Inoltre, chi ci dice che possiamo fidarci di loro?» domandò Allan, figlio di Tyr, guardandomi in modo minaccioso.
«Siamo solo semidei. Non dico che siamo deboli, ma da loro c’è anche Gea. Credete che ci lascerà in pace? Dobbiamo cooperare per sconfiggere questi nemici. Non fatevi influenzare dall’odio dei vostri genitori. I romani non hanno fatto nulla né a voi né a me. Insieme diventeremo ancora più forti e potremmo sconfiggere qualsiasi nemico. Vi chiedo solo di avere fiducia in me e di combattere per la pace» spiegai, senza abbassare lo sguardo.
Tutti mi osservarono a lungo, finché, senza dire una parola, si alzarono e annuirono.
«Siamo con te, Alex. Speriamo tu abbia ragione. Cercheremo di non batterci contro i romani, a meno che non si renda necessario» accettò Marcus, annuendo.
Gli strinsi la mano e sorrisi, mentre Einar annuiva soddisfatto. Se tutto andava bene, forse, non si sarebbe risolto con un massacro.  
Il giorno dopo io rimasi con Astrid tutto il tempo che potevo, aspettando che lei mi parlasse di quello che era successo. Inevitabilmente, crollò. Pianse di nuovo, ma la cullai. Le sue lacrime rigavano le guance e bagnavano la mia maglietta, mentre inveiva contro suo padre che era morto. La strinsi forte, finché non si calmò.
Fu quasi con dolore che le dissi del permesso che Hermdor ci aveva dato, perché lei non aveva più nessun luogo da chiamare casa, ma le promisi che, qualsiasi cosa fosse successa, io e mia madre l’avremmo ospitata.
Ero molto dispiaciuto per lei, ma una parte di me non poté fare a meno di pensare che, forse, senza suo padre, sarebbe stata meglio. Dopotutto, era un criminale. Un’altra parte di me, invece, mi faceva provare pietà per quella famiglia così sfortunata.
Non fu difficile, quindi, tornare a casa. Dopo colazione preparammo le valige e prendemmo la via del ritorno. Il Campo aveva dato il via ad un servizio bus che ci avrebbe riportati a casa o all’aeroporto, per chi abitava lontano. Un pericolo, visto che i mostri avrebbero potuto fiutarci, ma indispensabile dato che, alcuni di noi, avevano parenti esterni.
Einar sarebbe ritornato dalla madre, mentre io ed Astrid ci saremmo fermati a casa sua a prendere delle cose, prima di trasferirsi a casa mia.
Fu un viaggio silenzioso, carico di tensione e tristezza: avevamo paura per un futuro che sembrava troppo cupo, che poneva sulle nostre spalle il destino di oltre tremila anni di civiltà e migliaia, se non milioni, di vite umane.
Il cielo, sopra di noi, era grigio e scuro ed una neve leggera cadeva, ondeggiando leggermente. L’influenza di Ymir si stava facendo sentire anche qui. I meteorologi mortali avevano  identificato la causa di queste condizioni particolare come l’effetto di una misteriosa perturbazione formatasi al polo Nord fisico che avrebbe provocato una primavera molto fredda ed interessato tutto l’emisfero boreale del mondo.
Un modo molto gentile con cui la Foschia stava nascondendo la potenza del Padre dei Giganti del Ghiaccio agli occhi dei mortali. Se avessero potuto vedere quello che avevo visto io, i suoi occhi glaciali e il suo viso, specchio della furia e del caos originale, i mortali sarebbero scappati dal terrore. Per fortuna, gli Dèi sembravano reggere il colpo… Per il momento, anche se avevo timore di sapere quanto avrebbero retto.
Cercai di non pensare al peggio e che, almeno per ora, stavo con Astrid. Non fu affatto semplice, però, quando, davanti a casa sua, ci ritrovammo dinnanzi quattro volanti della polizia ed il nastro giallo non superabile che delimitava le scene del crimine.
«Che cazzo succede?» sbottò la figlia di Hell, guardandosi intorno spaesata.
Prima che potessi dire qualcosa, uno dei poliziotti si avvicinò a noi impettito.
«Astrid Jensen?» chiese, fissandoci con sospetto.
«Sì» rispose bruscamente lei, lanciandogli un’occhiataccia.
«Ci siamo già sentiti per telefono. Sono l’ispettore von Aue, del dipartimento di polizia» spiegò lui, mostrando il distintivo assicurato alla cintura. «Chi è il suo amico?» chiese, rivolgendosi a me.
«Mi chiamo Alex Dahl, signore» risposi, cercando di mantenere la calma, ma strinsi i pugni, sentendomi leggermente teso.
«…Dahl» sussurrò, annotando tutto su un tablet. «Brutta ferita, quella. Come te la sei procurata?» aggiunse, ammiccando al mio occhio di meno.
«Pirata della strada» risposi tranquillo. Hermdor aveva un semidio che lavorava in un ospedale della zona, e aveva fatto stillare un rapporto ed un certificato per il mio falso incidente, quindi ero coperto. «Non si sono fermati al rosso.»
«Capisco.»
«Io, invece, non capisco cosa stia succedendo a casa mia» sbottò Astrid, nervosa, guardando male l’ispettore. «Perché non sono stata informata di questo
«Ha riagganciato. Inoltre, temevo che, se avessi l’avessi informata, avrebbe tentato la fuga» spiegò il poliziotto.
Alle sue spalle, da un furgone, uscivano dei poliziotti con tute isolanti, come per entrare in una zona contaminata.
«Che vuol dire?» chiesi, indicando il nastro di separazione. «È successo qualcosa?»
«In effetti, sì» ammise l’ispettore, assumendo un’aria dispiaciuta ma decisa, tornando ad osservare la mia ragazza. «Se non avesse terminato la telefonata, le avrei specificato le circostanze della morte di suo padre, signorina Jensen.»
Strinsi la mano di Astrid, intuendo che stava venendo fuori qualcosa di grosso. Lei ricambiò la stretta e annuì, cercando di assumere il più in fretta possibile una maschera di indifferenza.
«Suo padre è rimasto coinvolto in una sparatoria con la polizia. Sono morti due agenti e tre spacciatori e abbiamo sequestrato un grosso carico di stupefacenti e compiuto numerosi arresti. Suo padre era coinvolto in un grosso traffico di droga» illustrò l’ispettore von Aue, accigliato, fissando i suoi occhi azzurri a quelli neri di Astrid.
Sentii la presa di lei aumentare sulla mia mano, ma cercò di assumere la sua aria più innocente possibile. «Da-davvero?» chiese, stupita. «Io… non ne avevo idea.»
«Ne è sicura?» insistette l’agente. Era palese che non le credesse e aveva assottigliato leggermente le palpebre, come per minacciare. «Qualsiasi elemento potrebbe esserci utile. Si ricordi che nascondere qualcosa alla polizia è ostacolo alla giustizia, un reato penale.»
«Assolutamente sicura, ispettore» replicò decisa Astrid, senza esitare. «Ora, per favore, posso rientrare in casa mia? Non posso vivere di questi soli vestiti» aggiunse, provando a superare il cordone.
«Non così in fretta» la fermò lui con il braccio. «Devo farle ancora qualche altra domanda.»
«Posso rimanere con lei?» chiesi, cercando di calmare gli animi.
L’ispettore non sembrò gradire la mia presenza, ma annuì sebbene contrariato, lasciandoci entrare sotto scorta di altri due agenti. Ci fece accomodare in salotto, sul divano, mentre lui si accomodava sulla poltrona. Intorno a noi, gli agenti della polizia scientifica prelevavano campioni ovunque.
Uno di loro portò via un portatile in una busta, forse per esaminarlo meglio in centrale.
«Sapeva degli strani movimenti bancari di suo padre?» domandò l’ispettore, dopo che ci fummo seduti. «Pare che avesse un secondo conto segreto in Svizzera.»
«Svizzera? No. Mio padre ed io non avevamo un buon rapporto, anche se non credo mi avrebbe mai lasciato gironzolare per il suo conto» rispose Astrid, tagliente.
Sorrisi. Sapeva farsi rispettare.
L’ispettore non gradì la risposta, ma si sporse in avanti e aggiunse: «E non era nemmeno al corrente di come mai usciva spesso fuori dai suoi orari di lavoro?»
«Diavolo, no! So solo che aveva un’amante e non avevo voglia di indagare sulla donna che si portava a letto» sbottò nervosa.
Stava perdendo il controllo, ed iniziava a sudare.
«Mi scusi, ispettore» intervenni, poggiandole una mano sulla spalla. «Non crede di mancare un po’ di sensibilità? Suo padre è morto!» gli ricordai.
«Non credo debba essere un ragazzo a dirmi come si fa il mio lavoro» mi fece notare aggressivo, cercando di spaventarmi. Come se un poliziotto mortale potesse.
«No, ma credo di poter conoscere la mia ragazza meglio di Lei. Le posso assicurare che Astrid è una persona onesta» replicai, senza abbassare lo sguardo.
Non mi sarei mai fatto battere da quel poliziotto che si credeva chissà chi.
«Molto bene…» sbuffò infastidito, tornando a concentrarsi su Astrid. «Le darò il tempo di riprendersi dal lutto, signorina Jensen, ma mi deve dare un indirizzo dove poterla rintracciare.»
Si alzò imitato da noi due.
«Starà a casa mia» risposi, dicendogli il numero civico.
«Molto bene. Rimanga a disposizione, signorina Jensen» concluse l’ispettore, tendendoci la mano.
Non la strinsi. Quel tipo non mi piaceva per niente, e nemmeno ad Astrid.
«Certo, signore. Stia tranquillo, non scapperò nei boschi inseguita dalla polizia di tutta Oslo» rispose sarcastica, ignorando la mano tesa. «Ora posso andare in camera mia?»
«Uno degli agenti la accompagnerà» disse in fretta il poliziotto, andandosene, facendo un cenno ai suoi di accompagnarci.
Arrivati al piano superiore, dove c’era la stanza di Astrid, il poliziotto si mise davanti alla porta, permettendoci di avere un po’ di privacy, mentre Astrid prendeva un grosso zaino da sotto il letto e ci metteva dentro alcune sue cose: la maggior parte erano poster e CD con il lettore apposito di gruppi e band che le piacevano, poi vestiti, biancheria, alcuni effetti personali.
«Grazie, Alex» disse, mentre ripiegava un paio di calzini e io prendevo alcuni suoi CD. «Non ti saresti dovuto esporre così tanto.»
«Non dire sciocchezze. Quel pallone gonfiato ti avrebbe sfinita, era il minimo che io potessi fare» spiegai, mettendo i CD in valigia e abbracciandola da dietro per la vita. «Mi dispiace.»
«Non è colpa tua» sussurrò Astrid, rigirandosi uno strano flauto tra le mani. «Non è colpa tua.»
Rimasi un attimo ad abbracciarla, dopodiché la lasciai e lei mise il flauto nella borsa. Sapevo che era uno strumento che Rupert aveva fatto per la figlia. Mi aspettai che Astrid lo spezzasse per gettarlo via, oppure che lo lasciasse semplicemente lì. Invece sospirò e lo lasciò cadere nello zaino.
«Maledetto… Ha rovinato tutto» sussurrò, tremando come una foglia per la rabbia, la tristezza e la frustrazione.
«Astrid» la rassicurai, tenendole la mano. «Lo so che è dura per te. Mi dispiace tanto.»
«Tutti quelli a cui voglio bene o mi tradiscono o mi abbandonano, oppure fanno entrambe le cose» sbuffò senza, però, lasciare la mia mano.
«Non io» dissi sicuro, sollevandole il viso per darle un bacio a fior di labbra. «Io non ti abbandonerò, Astrid.»
Lei annuì e deglutì, ingoiando il pianto, ricacciando le lacrime, abbracciandomi. La strinsi forte a me, lasciando che il calore del suo corpo mi tranquillizzasse. Quando fummo entrambi calmi, prese il suo zaino e ce ne andammo, diretti verso casa mia.
Arrivammo quando il sole stava per tramontare. Eravamo stanchi  ed Astrid era scossa. Mia madre ci preparò una cena veloce a basa di carne impanata e verdure. Inizialmente era molto felice di vederci, ma, quando aveva visto le condizioni di Astrid era entrata subito in modalità “mamma protettiva”.
Le avevamo spiegato delle indagini su Rupert e del fatto che Astrid sarebbe rimasta a casa nostra per un po’. Non batté ciglio e annuì, invitando la mia ragazza a sistemarsi nella stanza degli ospiti, rassicurandola, dicendole che non sarebbe stata di disturbo.
Passammo la serata a guardare la tv, con i telegiornali che, improvvisamente, si erano focalizzati su quella che già veniva definita tempesta del secolo. I mortali avevano identificato la tempesta che occupava praticamente quasi tutto il Polo Nord e che si stava spandendo lentamente verso sud con un’ondata implacabile di gelo e precipitazioni.
Nelle città più a nord era già stato diramato l’allarme meteo e la gente veniva invitata ad evacuare le proprie abitazioni.A sentire quelle notizia, mi si strinse il cuore, al pensiero che, se avessi fallito, non importava quanto a sud si sarebbero potute spostare. Ymir avrebbe congelato anche il deserto.
Mia madre ci guardò apprensiva. Lei sapeva tutto, ormai, della mia vita da semidio e, nonostante questo, non disse nulla. Si limitò ad un sospiro rassegnato.
Quella sera, Astrid andò a letto molto presto. Distrutta dalla giornata, si lasciò abbracciare prima di infilarsi sotto le coperte e addormentarsi come un sasso.
Ma io non ci riuscii. Rimasi in cucina, ad osservare il tavolo che, al buio, sembrava fatto di roccia vulcanica, pensando a quanto poco roseo appariva il futuro.
Una parte di me voleva scappare. Insomma, io ero solo un semidio Come potevo sconfiggere il Padre di tutti i Giganti del Ghiaccio se non ci riuscivano gli Dèi? Che si trovassero qualcun altro da manipolare e su cui scaricare la loro divina frustrazione.
Idiota!
L’altra parte della mia mente tornò in sé, quando la mano di mia madre si poggiò sulla mia spalla.
«Non riesci a dormire?» chiese, con voce dolce, come un canto calmante.
La stessa voce che da diciassette anni mi rivolgeva, quando avevo un problema.
La stessa voce che mi cantava la ninna nanna, quando avevo quattro anni.
La stessa che mi tranquillizzava, quando a cinque avevo paura dei tuoni e dei lampi che solcavano il cielo.
La stessa che a sei mi proteggeva, quando i mostri iniziarono a perseguitarmi.
La stessa che urlava disperata, quando scappai di casa, sperando che la mia assenza aiutasse.
«No, mamma. Non riesco a dormire» ammisi, trattenendo le lacrime. «Ho paura.»
«Tutti hanno paura, tesoro» mi rassicurò, abbracciandomi da dietro e sfiorando la mia testa con la sua, i capelli castani le ricadevano in morbide ciocche, incorniciandole il bel viso solcato da leggere rughe d’età.
Sbuffai senza diniego a quel contatto, che, anzi, mi rassicurò. Finsi di essere ancora un bambino che si lasciava cullare dalla mamma, e non un ragazzo che, affacciato all’età adulta, doveva affrontare non solo problemi adolescenziali, ma salvare il mondo.
Mia madre attese diversi minuti che io iniziassi, ignorando il mio testardo silenzio.
«Ho paura di non essere all’altezza» crollai, infine, sentendomi un nodo stringermi la gola. «Cos’altro devo fare per dimostrare di meritare una vita decente? Non desidero diventare un dio, né diventare qualcuno di importante. Ma voglio vivere… Voglio che i mostri ti lascino in pace, voglio che gli Dèi la smettano di tormentarmi e voglio che quel dannato gigante se ne torni da dov’è venuto!» sbottai, mentre due lacrime solitarie mi rigavano il volto, lasciando andare la frustrazione e la rabbia che provavo e che, come suo solito, scemava in fretta.
Dana mi guardò e si sedette accanto a me. «Posso capirti» iniziò, accarezzandomi la schiena e le spalle, cercando di rassicurarmi. «Non sono una semidea, certo, ma posso comprendere come ci si sente. So che tu hai paura, Alex, ma so una cosa di te. Tu non ti tirerai indietro, e riuscirai a fare ciò che vuoi, indipendentemente dal successo che potrai ottenere» disse, facendomi voltare verso di lei.
Ormai ero alto quanto mia madre, ma lei emanava una forza ed un’esperienza che mi facevano sentire bimbo.
«Che vuoi dire?» chiesi, sorpreso dalla sua fiducia.
«Io ti conosco, tesoro. Sei mio figlio e nessuno ti conosce meglio di me. So per certo che, qualsiasi cosa accada, tu non ti arrenderai mai. Farai sempre del tuo meglio, finché sarai in piedi. Vorrei poterti dare rassicurazioni migliori, ma di una cosa sono certa: qualsiasi cosa tu faccia, non mi deluderai, e non deluderai chi ti sta intorno. Ti voglio bene» mi rassicurò, stringendomi in un abbraccio.
Ed io la lasciai fare, sentendomi protetto come quando ero piccolo e chiedevo a lei di proteggermi.
Aveva ragione: dovevo fare la mia scelta, e sentirla mia. Avrei combattuto perché le persone come lei non se ne andassero.
Per Einar e Lars, come fratelli, per me. Per Nora, mia sorella e compagna. Per Astrid, la mia ragazza, per fare in modo che non soffrisse più una perdita.
E per Dana Dahl. La donna che ero fiero poter dire mi aveva cresciuto e amato. Che era mia madre.
 
∫ Einar ∫
 
C’erano giorni in cui avrei voluto fuggire da quel luogo. Un quartiere fatiscente delle periferie di Oslo, uno di quelli malfamati, dove, nei film, ci sono quelle sparatorie fighissime e quei salti da ninja sui muri, manco fossero delle scimmie. La verità era che, se eri di casa, era un quartiere tranquillo. Bastava farsi i fatti propri e tentare di non rapinare la gente per guadagnarsi da vivere.
Casa mia era un bilocale al terzo piano di un palazzone fatiscente che più volte mi ero chiesto come mai non fosse crollato sotto il suo stesso peso. Ma era casa mia.
Quando entrai, però, non mi ritrovai davanti un maniaco che si divertiva con mia madre o lei che preparava un pasto veloce prima di tornare a quello che si poteva definire a malapena un lavoro.
C’erano degli scatoloni nella stanza principale che fungeva da cucina e salotto, tutti pieni dei nostri pochi averi: qualche libro, poche foto, scattate da mia madre quando era ancora giovane, alcune mie da bambino e tutto il necessario per andarsene. Sembrava un trasloco.
Entrai nella mia stanza, poco lontana, gettando lo zaino sul letto ad una piazza, mentre, con mio incredibile stupore, sentivo mia madre canticchiare allegra.
Canticchiare?
Mi sorpresi: mia madre aveva una voce molto bella, che non poche donne le invidiavano, ma che, negli ultimi tempi, non sentivo spesso. Ogni volta che tornavo era sempre più abbattuta e stanca, quasi spossata, mentre sospirava.
Ultimamente, per sopportare il dolore della maledizione di Sigyn, aveva iniziato ad assumere antidolorifici forti, che, però, la stavano rendendo peggio di una drogata. Era molto assente e soprappensiero.
Invece, in quel momento la sentivo… felice.
Mi tolsi le scarpe e andai in camera sua, per assicurarmi che tutto andasse bene e, con mia sorpresa, la trovai che stava piegando alcuni vestiti.
«Mamma!» salutai, correndo ad abbracciarla.
«Einar!» mi rispose, stringendomi forte, cullandomi come se fossi un bambino. Be’, era mia madre, per lei lo sarei sempre stato. «Fatti guardare, sembri sciupato» aggiunse, guardandomi in viso.
«Sto bene, mamma. Solo che, al Campo, abbiamo compito un’impresa di una certa importanza. E… diciamo che c’è molto di cui parlare» spiegai, sentendomi leggermente in imbarazzo.
Mia madre sapeva praticamente tutto della mia vita da semidio ed era felice che potessi passare il mio tempo lontano da quel quartiere, ma, quando le dicevo così, si preoccupava sempre. Infatti i suoi occhi si intristirono un po’, ma riuscì a sorridere, mentre una scintilla di allegria che non le vedevo da tempo le illuminava il volto.
«Be’, mi racconterai tutto davanti ad una bella tazza di tè. Anche io ho una buona notizia» mi rassicurò, dandomi un bacio sulla guancia, dirigendosi in cucina.
La seguii sempre più confuso, ma felice per lei. Doveva essere accaduto qualcosa di molto buono.
«Come mai tutti questi scatoloni?» chiesi, mentre prendevo le bustine di tè e lei riscaldava l’acqua.
Elinor mi sorrise radiosa, prima di rispondere. «Ce l’ho fatta, tesoro! Ho un lavoro ed una casa quasi in centro. Ho acquistato un appartamento per entrambi, in un quartiere migliore e più vicino al negozio in cui andrò a lavorare. Non è nulla di ricco o particolarmente elegante, ma è un posto accogliente. Mi hanno trovato un lavoro in un negozio elettronica. Possiamo trasferirci, Einar… andarcene da qui.»
La notizia mi prese alla sprovvista, ma sorrisi felice: erano anni che mia madre combatteva per avere una vita un po’ migliore. Aveva speso tutto, pur di permettermi di vivere decentemente e, allo stesso tempo, mettere qualcosa da parte per comprarci una casa migliore e finalmente ce l’aveva fatta. Ma io non avrei potuto seguirla.
«Partiamo domani, ho noleggiato un furgone e abbiamo poco. Quando mi hai chiamata per dirmi che tornavi volevo farti una sorpresa, per questo non ti ho detto niente» continuò, versando il tè, radiosa come non mai.
Mi fece male il cuore a vederla così: il Fato – o  forse c’era lo zampino di mio padre – aveva dato a lei la felicità per togliergliela subito dopo averla conquistata. Come facevo a dirle di Ymir, dei romani, di Sarevock e di tutta la merda che stava arrivando?
Strinsi la tazza di tè, sentendomi come se il padre dei Giganti del Ghiaccio mi avesse soffiato contro un raggio gelido che mi aveva prosciugato di ogni calore.
«Di che mi volevi parlare, caro?» chiese, mia madre che, al contrario di me, sembrava lo specchio della felicità.
Deglutii, mandando giù un po’ di tè, sperando che mi aiutasse a rendere tutto più facile. Non fu facile, ma, le raccontai tutto.
La prima parte fu abbastanza semplice: la nostra impresa al Polo Nord, come avevamo superato la calotta polare, fino a spingerci alle porte dello Jotunheim, dove, dopo aver sconfitto il gigante greco Toante, avevamo affrontato Kara e ne eravamo usciti vincitori.
Le raccontai di Sarevock, Chione ed Ymir, e di come gli Dèi stessero combattendo a nord, nel tentativo di distruggerlo. Dopodiché le parlai dei Romani, di Jason, del Campo Giove in America e del pericolo di una guerra su scala globale, mentre, a nord, il più grande e potente dei mostri tramava per distruggere la civiltà occidentale.
Le parlai, infine, della nostra missione e di come noi semidei fossimo implicati nel difficile piano di salvaguarda della gente mortale.
Quando finii, tutto l’entusiasmo nello sguardo di Elinor si era spento, sostituito da un luccichio preoccupato.
«Tu… non…. non vorrai andare» sussurrò con voce tremante, mentre mi prendeva una mano.
Distolsi lo sguardo. «Cos’altro dovrei fare?» sospirai. «Devo tornare.»
«No che non devi» sbottò, alzandosi in piedi. «Se non ricordo male il Campo Nord non ha vincoli: se vuoi, puoi andartene, smetterla di frequentarlo!»
«Mamma! Ne abbiamo già parlato. Se lo facessi, ti metterei in pericolo! Già i mortali di questo posto non sono esattamente raccomandabili, figuriamoci i mostri che potrei attirare, ed io non ci tengo a vederti…»
Mi bloccai. Non riuscivo nemmeno a pensarla senza vita. Mi venivano le lacrime agli occhi solo a figurarmi quello che avrebbero potuto farle i mostri per arrivare a me.
«Einar, ti prego» disse, con voce supplichevole, mentre gli occhi le si inumidivano. «Questa è la nostra occasione… la nostra occasione per essere felici. Da quando sei nato ho sognato di darti il meglio. So di non essere stata la migliore delle madri. Ci sono stati momenti in cui temevo di non avere possibilità, ma non ti ho mai lasciate, sebbene fossi disperata. Non lasciarmi adesso… Non andartene proprio ora che potremmo stare meglio, che potrei darti tutto quello che non ti ho dato fino ad ora.»
Non la guardai, tenendo gli occhi fissi sul motivo a fiori rossi e bianchi della tovaglia, sentendomi  soffocare dai sensi di colpa. Se solo avessi potuto avere una scelta diversa. Se solo avessi potuto rimanere con lei senza rimpianti.
Ma non potevo. C’erano persone che contavano su di me, al Campo. Alex, Lars, Astrid, Nora, Helen… Nico.
«Non posso» sussurrai, deglutendo, cercando di sciogliere il nodo alla gola. «Mamma, non posso farlo. Devo aiutare i miei amici. So che le mie parole ti potranno sembrare vuote, ma fuori di qui ho allargato la mia famiglia. Ho incontrato persone che mi hanno dato possibilità insperate, mi hanno accettato per ciò che sono. Non voglio dire che tu non sia più la mia famiglia, mamma, lo sarai sempre. Ma non posso lasciarle al loro destino, sarebbe come se abbandonassi i miei fratelli.» O le persone che amo, aggiunsi mentalmente, mentre la mia mente andava a Nico, che volevo tanto rivedere.
Mia madre abbassò lo sguardo rassegnata. «Sapevo che un giorno ti saresti allontanato da me, Einar, ma pensavo sarebbe avvenuto più tardi e non con il rischio di dover piangerti, stringendo in mano un mucchi di terra sulla tua tomba» sbuffò, con macabro sarcasmo.
«Cenere, mamma. I nordici cremano i loro morti» la corressi, sperando di rispondere battuta su battuta.
Ma non era proprio il momento di fare il brillante.
«Quel che sia, non voglio che ti accada» concluse, asciugandosi le lacrime.
«Mamma…» sussurrai, stringendole la mano che non mi aveva lasciato. «Io so che hai paura, ma ti assicuro che, qualsiasi cosa accada, farò di tutto per tornare da te. Alla fine di questa… merda, tornerò e ci godremo una nuova vita, lontano da questo schifo» la rassicurai, guardandola negli occhi.
Dicevo sul serio.
«E poi, se dovessi fallire, Ymir distruggerà tutto comunque, quindi sono incentivato a non morire» aggiunsi sarcastico, cercando di alleggerire la tensione ulteriormente.
Mia madre mi sorrise mestamente. «Devo presupporre che c’entri quel ragazzino di tredici anni che è venuto a trovarci qualche mese fa, vero?» intuì, ammiccando, anche se il suo sguardo rimaneva triste.
Mi sentii avvampare, nonostante non avessi problemi del genere, anzi, di solito ero io a fare commenti arguti per far arrossire gli altri e farli sentire in imbarazzo.
«Nico è un amico» risposi, senza fretta, mentre lei mi fissava. «Okay, forse qualcosa di più» aggiunsi, quasi sotto voce.
Elinor sospirò stanca, ormai rassegnata. «D’accordo, tesoro. Immagino che io non possa fare nulla per convincerti.» 
Scossi la testa, facendole capire che io avevo preso la mia decisione. Qualsiasi cosa sarebbe accaduta, non mi sarei tirato indietro.
«Almeno ti va di restare per ‘sta notte e domani che ci trasferiamo? Così sai dove tornare» mi propose, sorridendo.
Un sorriso triste, ma non senza speranza.
«Certo mamma» risposi, abbracciandola. «Con piacere.»
E lei mi strinse. Mi strinse, come fanno tutte le madri che vedono i figli partire per la guerra, sapendo che, forse, sarebbe stata l’ultima volta che li vedevano. Un abbraccio possessivo, forte, ma carico d’amore e di affetto che solo una madre può comunicarti.
Sul suo volto solo una tacita raccomandazione: «Torna a casa.»
Quella notte, rimasi sdraiato sul letto, sveglio, desideroso di addormentarmi e rifugiarmi nel mondo dei sogni, dove la fantasia e l’immaginazione diventano uno schermo contro la realtà maligna e crudele. Eppure, non avevo sonno.
Non riuscivo a sopportare quella situazione di merda in cui mi trovavo. Mi sentivo tradito dal fato e dagli Dèi che mi avevano giocato quel brutto tiro. Sembrava quasi che la mia vita non potesse mai andare per il verso giusto.
Pensai ad Astrid ed Alex, che erano pronti a sacrificare la loro stessa vita pur di stare insieme.
Perché io rischiavo la vita per gli altri? Cosa mi spingeva a farlo?
Mentre pensavo, presi in mano lo specchio comunicante che mi teneva in contatto con Nico di Angelo, che, in quel momento, si trovava a Nuova Roma. Una parte di me avrebbe voluto chiamarlo, un’altra parte  avrebbe voluto mandare tutto a quel paese e chi s’è visto s’è visto.
Ma la verità era che io sapevo bene per cosa, o meglio, per chi ero così ansioso di rischiare la vita, pur sapendo che, nel mio schifoso cinismo, mi sarei dovuto vergognare di quello che provavo. Attaccarsi alle persone rendeva schiavi di esse, come Astrid ed Alex, che erano schiavi l’uno dell’altra e viceversa. Eppure, in qualche modo, era una schiavitù accettabile, perché la migliore di tutte.
Era proprio vero: l’amore fa fare follie e rende ciechi, pensai, rigirandomi nel letto, mentre la risposta nella mia mente rimbombava chiara: Nico di Angelo.

 
koala's corner.
Buonasera, semidei! Questo è il penultimo capitolo della serie e vi annunciamo già da subito che l'ultimo verrà pubblicato venerdì stessi , per una serie di motivi vari che potete vedere sula pagina FB di "Cronache del Nord."
La prima parte del POV di Alex è un classico dei semidei: piove merda. Ovviamente, Odino non poteva starsene buono ed è pronto a fare guerra al Campo Giove. E Johannes fa lo stronzo come al solito.
Io mi stupisco di come Ax abbia arricchito il suo vocabolario da quando mi frequenta. Davvero. E' commovente.
Poi, volevamo mostrare un po' le madri dei semidei che sono sempre rimaste di sfondo, quindi abbiamo esplorato le loro vite adesso portando un po' di gioia.
Dopo Dana, c'è anche Elinor, che forse ricorderete per il piccolo colloquio padre-figlio di Venti del Nord con la partecipazione di Sigyn.
Einar è lo sfigato del gruppo, che però ha anche lui un buon rapporto con sua madre :P
Ci vediamo venerdì, alla prossima!

Soon on DnN: POV Astrid, finale di stagione (?) decisamente felice. Evviva!
 

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Capitolo 24
*** ASTRID • Let it snow ***


Let it snow
♦Astrid♦
 
La radio era accesa, ma la si poteva a stento definire rumore. L’abitacolo era invaso dal silenzio. Non che io non stessi simpatica a Dana, o viceversa, solo… A dire la verità, non ero a conoscenza del perché non stessimo chiacchierando e nemmeno mi interessava.
Cercai di concentrarmi sulla musica – era persino il mio genere, Dana doveva aver sintonizzato la radio su una frequenza che potesse piacermi; santa donna – come facevo di solito per distrarmi, ma non funzionò. Mi misi a fissare la gente fuori dal finestrino.
Prendere l’autobus. Salutare il fioraio amico di uno dei tuoi genitori. Leggere un libro su una panchina. Portare a passeggio il cane. Attività banali, quotidiane e magari noiose per qualsiasi mortale, ma una manna dal cielo per ogni semidio.
Spiai la mamma di Alex attraverso lo specchietto retrovisore. Mi era piaciuta subito, anche solo perché suo figlio era Alex e le andava tutta la mia stima per averlo cresciuto così bene. Non ero ancora riuscita a capire perché non mi odiasse, però, e provai a capirlo attraverso le piccole zampe di gallina attorno ai suoi occhi.
Certo non era più una ragazzina, ma invecchiava con classe. Era un peccato che si fosse innamorata di Odino, invece che di un mortale onesto, perché se lo sarebbe meritato.
Sospirai, appoggiando la testa contro il vetro del finestrino. La morte faceva schifo. Era un pensiero banale, soprattutto per una figlia di Hell, ma, davvero, la morte faceva schifo. In quella frase misera era riassunta una verità universale.
Durante la nostra esistenza su questo pianeta, ci si creava delle certezze. Per esempio: gli hamburger dei fast-food erano cibo spazzatura, però erano tremendamente buoni. O: non importava quanto i film horror fossero prevedibili, si gridava a ogni colpo di scena. Una delle mie riguardava mio padre e dichiarava fermamente che io odiavo lui, e lui odiava me. Adesso, me l’aveva portata via.
La morte rendeva tutti perfetti, riusciva a cancellare i peccati di ogni uomo. Di un tiranno potevi dire “era crudele”, però subito veniva fuori “ma aveva una visione politica che, letta in un altro modo, poteva essere considerata buona”. La morte tirava fuori i “ma”. Quando mio padre era vivo, ero sicura di odiarlo. Ora, non facevo che ricordarlo per le cose buone che aveva fatto.
Mi tornavano in mente memorie che credevo da tempo dimenticate, come le torte che infornavamo insieme dopo una gita nel bosco, o io che tentavo invano di insegnarli a intrecciarmi i capelli.
Che ne era della bambina che andava a letto senza cena perché il padre si era scordato di cucinarle qualcosa? Della stessa ragazzina che aspettava ore davanti al cancello della scuola, ma che doveva tornare a casa da sola ogni volta? Di tutte quelle insulse, minuscole cose che erano nulla, ma facevano male lo stesso?
Non avevo mai perdonato niente a nessuno. Però, se pensavo alle volte che Rupert mi aveva ricoperto di insulti, aggiungevo subito che magari aveva assunto un po’ della droga che spacciava, o che non lo intendeva veramente. Quando ripensavo alle volte che era quasi arrivato alle mani, notavo che si era fermato prima di colpirmi.
Scuse su scuse, “ma” e “ma” e “ma” e “ma”. La verità era che i morti non si possono incolpare di nulla, non importava quanta merda avessero gettato sui vivi. E anche se non volevo perdonare mio padre, lui si era fatto uccidere e, ancora una volta, mi stava costringendo a fare qualcosa che non mi andava. Sempre a dettare legge come un despota, persino ora.
Mi arrabbiavo con me stessa perché mi stavo dimostrando di una tale debolezza che il solo pensiero mi faceva andare il sangue alla testa. Mi sarebbe piaciuto molto potere affermare “mio padre è morto. Bene. Passiamo avanti, la prossima notizia sarà più rilevante, spero” con tutta la spavalderia di cui disponevo, invece stavo crollando.
La bambina che piangeva Rupert chiusa nell’armadio per non farsi sentire e beccarsi una sgridata era rimasta là, chiusa dentro il guardaroba, seppellita dalle pellicce. Io non ero più una bambina. Eppure...
Avrei dato via un rene, lo stomaco, pur di smetterla di piangere mio padre che padre non era stato. Era più una presenza che aleggiava in casa, infestando l’ambiente con ricordi felici che avevano un sapore amaro e memorie tristi che avevano il gusto salato delle lacrime. La mia era una casa di urla e fantasmi, e non mi sarebbe dovuta mancare mai.
Il ticchettio della freccia inserita mi riportò alla realtà di colpo, così di colpo che sbattei la testa contro il finestrino.
«Al diavolo anche tu, mmfcoso bastardo» brontolai, massaggiandomi il punto dolente.
Sperai che Dana non mi avesse sentito, perché non credevo le sarebbe piaciuto venire a sapere quanto vasto fosse il mio vocabolario edizione Scaricatore di Porto 2010.
«Ci siamo quasi» mi informò, rimanendo però concentrata sulla strada.
La cute mi pulsava ancora un po’. «Mh-mh» dissi.
L’ispettore Simpatia von Aue si era recato personalmente a casa Dahl, ieri, e mi aveva comunicato che mi sarei dovuta presentare in commissariato per la deposizione ufficiale entro la settimana e, inoltre, avrei dovuto dichiarare che il defunto fosse proprio mio padre – come se ci fossero dubbi a riguardo – e quindi fare un salto in obitorio.
«Perché?» avevo domandato.
Con un’alzata di spalle, il poliziotto aveva risposto: «Pura prassi. Formalità varie. Scartoffie. Le chiami come vuole, signorina Jensen.»
Avrei dovuto pagare da me il funerale, ma dato che non disponevo di sufficiente denaro, Alex e Dana si erano coalizzati contro di me e mi avevano costretto ad accettare il loro aiuto finanziario. Avevo optato per la cremazione, la soluzione più economica, nonostante il figlio di Odino mi avesse guardato come per ricordarmi che i nostri eroi veniva bruciati su una pira. Non mi era uscito di commentare “altro che eroe, lui brucerebbe solo all’Inferno”.
Dana parcheggiò proprio davanti alla centrale di polizia, spense il motore e scese per prima. La visita di oggi era all’obitorio. Rimasi da sola in auto, sprofondata nel sedile del passeggero. Sospirai. Poi, aprii la portiera e affiancai la mamma di Alex e salii i pochi gradoni che introducevano all’ingresso.
Non mi preoccupai di seguire i discorsi, mi limitai a ripetere a pappagallo nome, cognome, età e blablabla vari a chi me lo avesse chiesto.
Un medico legale nel suo camice bianco ci invitò a salire con lui in ascensore, così avremmo evitato di farci due piani scale, seppure in discesa. Aveva una pancetta da birra, peli bianchi che gli spuntavano dalle orecchie e un viso che si poteva definire solo con due aggettivi: smorto e grigio. Dal momento che non avevo afferrato come si chiamasse, lo ribattezzai Mai ‘Na Gioia. Nessuno mi avrebbe potuto dire che non gli calzasse a pennello.
Mai ‘Na Gioia ci condusse per lunghi corridoi vitali quanto lui, dopodiché si fermò davanti a una porta a vetri, digitò un codice e quelle scorsero, permettendo l’accesso.
«È il terzo tavolo» esordì, la voce grigia quanto lui. Non gli feci notare che mio padre non era un tavolo. «Fate pure con comodo, io non interferirò. Se volete uscire, fatemi un cenno.»
Mai ‘Na Gioia si piazzò dietro di noi e si fuse con l’ambiente. La mamma di Alex mi mise una mano sulla spalla e mi invitò gentilmente a procedere. Passammo davanti al primo tavolo, al secondo, ci fermammo al terzo.
Dicevano sempre che i morti sembravano dormire. Non ero d’accordo. Mio padre giaceva sulla schiena, coperto da un lenzuolo bianco dai piedi alle spalle, dove due cuciture iniziavano e scomparivano sotto il tessuto. Aveva un colorito bianco-giallogno, i lineamenti distesi e la mani stese accanto al corpo, immobili.
Non sapevo cosa mi fossi aspettata, ma non era quello. Era così… pacatamente anormale. Rupert che non stava mai fermo, che doveva sempre avere qualcosa tra le mani – soprattutto se aveva bevuto o se era fatto –, che dormiva in un grumo di coperte con una gamba da un lato e l’altra chissà dove, che appariva corrucciato anche da addormentato. Non era mai stato così immobile in vita sua e non sapevo perché e semplicemente c’era qualcosa che non andava e forse non conoscevo abbastanza bene la morte e
Un fiotto di bile mi ostruì la gola di colpo. Mi scostai la mano di Dana dalla spalla
(Dèi vi prego non voglio vomitarle addosso)
Un cestino, un cestino, un cestino, un cestino! Ce n’era uno in quella dannata stanza?
(Cazzo, dai, sul pavimento no)
Non riuscii più trattenere i conati e aprii la bocca.
La mamma di Alex gesticolò freneticamente per attirare l’attenzione del medico legale, e anche il mio corpo gridava uscire uscire uscire.
 
 
Mi sciacquai la bocca più volte tenendo aperto il rubinetto del lavandino nei bagni delle donne. Mi buttai dell’acqua fredda anche sul viso, dopodiché mi asciugai faccia e mani con la carta igienica, tamponandomi le tempie.
Aprii una porta a caso e mi sedetti sulla tavoletta del wc. Mi presi la testa tra le mani, sperando che smettesse presto di pulsarmi. Non mi andava di far aspettare Dana, soprattutto perché si sarebbe preoccupata ancora di più.
Sbuffai. Un ciuffo di capelli si sollevò in aria e mi ricadde tra gli occhi, incastrandosi con le ciglia. Sgomberai la mia mente da ogni pensiero, felice o triste che fosse, e ridussi la mia attività celebrale al minimo, sperando che in questo modo mi passasse il mal di testa.
Non alzai il capo, quando un rumore di tacchi riempì l’ambiente, ma lo feci quando Dana bussò sulla porta aperta del bagno.
«Come ti senti, Astrid?» mi domandò, tenendo la voce bassa.
«Mhpf» sbuffai. «Bene, suppongo. Per fortuna non avevo mangiato molto, questa mattina.»
E menomale che Alex non è qui. Sarebbe andato in panico e mi avrebbe soffocato con le sue attenzioni, pensai. Avevo preso una decisione giusta, quando gli avevo chiesto di rimanere a casa, oggi.
«Sicura?» Dana mi toccò la fronte, sentendo se era calda, e iniziò a frugarsi nella borsa. «Mal di testa? Vuoi qualcosa? Sì? Ho una bustina di Oki, ma non so se è indicato a stomaco vuoto…»
«Va bene così, davvero. Mi passerà in fretta» la fermai, bloccando quel flusso continuo di domande fatte tutte di seguito senza riprendere fiato.
Riluttante, la mamma di Alex smise di affannarsi alla ricerca dell’Oki. Era strano e al contempo carino vederla in piena attività protettiva, mi dava un’idea di come doveva essere stato averla come madre. Era una sensazione che scaldava il cuore.
Dana si inginocchiò davanti a me, cercando di catturare il mio sguardo sfuggente. «Astrid, tesoro» mormorò. «Mi dispiace così tanto.»
Lo disse in modo talmente sincero che mi brillarono gli occhi. «Grazie» sillabai, perché non volevo che la voce mi tradisse.
Prese ad accarezzarmi il ginocchio con la mano. «Oh, cara. Sei così bella, Astrid, lo sai, vero? E così forte.»
Mi scappò da ridere. «Forte?» ripetei, alzando lo sguardo su di lei. «Ma se non faccio altro che piangere da giorni per una persona che detestavo. Non dovrei provare niente e, invece, sono qui, seduta su un cesso in un fottuto bagno pubblico, che combatto per non scoppiare in singhiozzi ancora una volta.»
«Al contrario di quel pensi, sei molto forte. Credimi» ribatté, senza vacillare. «L’importante non è trattenere le lacrime. L’importante è raggiungere un punto d’arrivo, rialzarsi e ricominciare d’accapo. Il dolore si vince resistendo, non negandolo. Concediti di soffrire, ogni tanto, Astrid.»
Mi sarebbe piaciuto replicare che non la pensavo in quel modo, che si sbagliava, ma non mi venivano le parole.
«Posso abbracciarti?» mi uscì invece.
Incominciavo a vedere sfocato e il labbro inferiore mi tremava.
Dana annuì e aprì le braccia. «Vieni» mi invitò, dolce.
La abbracciai di slancio, stringendola forte e inspirando il suo profumo benigno di mamma. Rimasi impassibile per una manciata di secondi, poi la mia faccia si contorse e scoppiai a piangere rumorosamente, senza badare a fermare lamenti e mozziconi di frasi senza senso prima che uscissero dalla mia bocca.
Probabilmente le inzuppai la camicia di muco e lacrime, ma a Dana non sembrava importare. Continuava a massaggiarmi la schiena e a mormorare “così, così”, coccolandomi come se fossi sua figlia.
Così, così, seguii il suo consiglio e, per una volta nella vita, mi lasciai andare completamente.
 
 
La notte, feci un incubo. Sognai gli Dèi che combattevano Ymir. Odino era in prima linea e brandiva la sua lancia, affiancato da Baldr, che brillava intensamente, e Thor, i cui capelli mandavano scintille elettrostatiche. Non mi sorpresi, invece, di non scorgere Loki.
Ma pure Eir si stava dando da fare, dimostrando che anche le donne sapevano il fatto loro. Emanava potere persino con i capelli corti sporchi, scarmigliati e con alcune ciocce intrise di icore dorata, anzi, forse intimidiva di più così, se si considerava lo sguardo acceso, gli occhi smeraldo grandi e decisi, un mezzo sorriso di divertimento che le incurvava le labbra.
Smisi di contemplare la fierezza della dea, cercando di svignarmela dal posto il più in fretta possibile. Avevo già avuto il mio incontro ravvicinato con il Padre dei Giganti del Ghiaccio e mi era bastato.
Come se non l’avessi pensato, mi sentii puntati i suoi occhi sulla schiena. Riluttante, girai lentamente la testa. Il suo sguardo mi trafisse. Le mani presero a tremarmi, per il freddo o il terrore o entrambi. Non riuscivo a cessare di fissarlo, ero come inchiodata lì, una statua di piombo.
La sua voce rimbombò nella mia mente. «Vi troverò e vi schiaccerò tutti quanti, piccoli mezzosangue» disse. «Aspettatemi.»
Mi svegliai di soprassalto, il fiato corto per la paura. Chiusi gli occhi e feci dei respiri profondi, inspirando ed espirando, inspirando ed espirando. Quando riacquistai la calma, mi sistemai meglio sotto le coperte e riaprii gli occhi. Il mio cuore perse un battito.
Vi troverò.
Le pareti della stanza degli ospiti risplendevano di una luce bianca, fredda, che si rifletteva sullo strato di ghiaccio che le aveva ricoperte all’improvviso.
Vi schiaccerò.
Anche le mie lenzuola erano rigide e ricoperte di brina e cristalli di ghiaccio. Iniziai a tremare. I brividi mi scuotevano tutta, mentre facevo scivolare le gambe fuori dal piumone. Le punte dei miei piedi erano livide e congelate.
Tutti quanti.
Le mie urla echeggiarono nella notte.
Aspettatemi.

 
koala's corner.
Ed è finita! *fuochi d'artificio scoppiano di qua e di là in colori blu e nero*
Questo è l'epilogo più deprimente che si possa mai leggere sulla faccia della terra, perché Wolfie ha voluto essere tanto cattiva con Astrid, lasciando tutti a bocca asciutta. Tipico messaggio da: "Leggete il seguito o non saprete nulla".
Non posso negarlo, ho convito Ax a scegliere un finale da ansia invece che uno felice e contento. I REGRET NOTHING. Il capitolo si spiega un po' da solo, sono più crudele con voi che con Astrid, credo. Quello che è accaduto è tutto nella norma.
Come sempre, siete i seguaci migliori che potessimo desiderare di avere. Quindi, un grazie enorme a coloro che hanno inserito Dispersi nel Nord tra i peferiti (AliNicoKITE  Amy_demigod  Amy_the_dreamer A_M_N  callie vee canux EleNina266  eltanininfire Fan of The Doors Giotta02  GraceJackson Graeca IlCantoDiLorelei Ilgladiatore999  Kallyope  Kamala_Jackson  Keyla99  kiara00  la ragazza di titanio lililisa_jb69  littleconny  Little_fox love_fire_blade lune rouge Nialls_flowers  Sapientona Xenia Lancaster _Krios_ _psychokiller_ _Selene_Moon_), a chi l'ha posta tra i seguiti (a l e x e y Akasuna No Gray Tokisaki  Amy_the_dreamer CatyFF09 Darkness_Angel DiamanteLightMoon  effe_95 Emmaguendalina Fyamma GossipGirl88  GraceJackson  Halfblood_Slytherin inlovewithLeoValdez  Iulia Nightshade Kamala_Jackson littleconny MadreDeiDraghi moon_26 Morgan_H Pegasusqueen Poseidonson97 sister_of_Percy  swashbuckling_starlight  Vale_Caleo 2000 Vodia _Selene_Moon_ ) e chi l'ha segnata tra i ricordati (Dreamer_10 elimarca01 GraceJackson
).
Un grazie speciale ai recensori, che sono sempre riusciti a ritagliare una finestra di tempo da dedicare a noi e alle nostre storie. We ♥ you so much!
Sono felice che ci siano stati nuovi aggiunti e chi c'è da sempre, invece, non si sia annoiato. Presto vi regaleremo perle della nostra cru dolcezza estrema :3
Per rimanere sempre aggiornati sul corso della saga, vi invitiamo a seguire la nostra pagina facebook https://www.facebook.com/pages/Cronache-del-Nord/714709385281830 Alla prossima!

Piccoli spoiler: be', la prossima storia sarà ambientata durante MoA e avrete nuovi POV, speriamo possano piacervi tutte le nostri risoluzioni!

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