Sfigata

di Ossimoro Vivente
(/viewuser.php?uid=745110)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sfigata ***
Capitolo 2: *** La Gara ***
Capitolo 3: *** Classe ***
Capitolo 5: *** Bilancia ***
Capitolo 6: *** Il Falso Porno ***



Capitolo 1
*** Sfigata ***


SFIGATA
Rakèl era una ragazzina.
Una delle solite ragazzine da liceo che abitava in una casa normale con una famiglia normale. Non era nè ricca ne povera, nè bella nè brutta ma, come tutti, aveva il suo carattere: era sfigata.
O, almeno, andava in giro come una sfigata.
Aveva i capelli color miele di media lunghezza, disordinati, come se fosse appena sveglia, infatti aveva occhi grandi e nocciola, ma stanchi, con pochi riflessi e cerchiati ventiquattro ore su ventiquattro.
Alta un metro e un barattolo, si vestiva sempre da maschiaccio (anche se di sè un po' lo era) mettendo le prime cose che trovava, usando sempre come giubbotto una giacca rossa e calda come il fuoco più grande del suo corpo minuto, comprata nel reparto maschi di un negozio cinese.
Era particolarmente affezionata a quella giacca sgualcita, tanto che divenne il suo marchio di fabbrica, e la indossava sempre.
Tutte le mattine si rintanava, come un bruco nel bozzolo, in quel tessuto rosso così morbido e rassicurante. Era la sua sicurezza. Non si sentiva osservata e poteva fare quello che voleva davanti alle persone senza pensare a quegli stupidi e monotoni problemi da adolescente rivista all'infinito. Come la paura di sentirsi grassa o brutta.
Era come un rifugio dove nessuno poteva entrare. Solo lei.
E se faceva caldo di sotto indossava solo una t-shirt, o si tirava su le pesanti maniche. E se faceva freddo al posto della t-shirt una felpona, anche se una felpa sopra l'altra era proprio brutto a vedersi come abbinamento, e i pettegolezzi di chi non si faceva mai i fatti suoi (al mondo ce ne sono tanti) si facevano sempre sentire. Si chiedevano se lei non sentisse freddo in inverno, e perchè non sceglieva mai al suo posto un normale giubbotto ; o se mandasse mai in lavatrice, quella benedetta giacca. Ma a Rakèl non interessavano i pettegolezzi. Se ne fregava e continuava a indossarla fieremente dimostrando a tutti il suo amore incondizionato per essa, anche se non si accorgeva che in realtà gli altri a guardarla pensavano solo a quanto fosse sciatta.
Inoltre, Rakèl era distratta e maldestra. Ma non poco!
Non mancava mai che un giorno inciampasse da qualche parte (o perdesse addirittura l'equilibrio da sola);mettesse il sale nel latte al posto dello zucchero; che non seguisse il discorso di qualcuno facendo la figura della scema; o facesse figure peggiori a ginnastica ritrovandosi spesso e volentieri una sonora palla spiaccicata in faccia.
Rakèl era pure una tipa paranoica, complessata e eternamente indecisa su tutto.
Ingigantiva i problemi in un modo tutto suo, rimuginava troppo su ogni cosa e nessuno comprendeva mai questo suo modo di essere, cosa che la disperava ancora di più.
E stava tutti i giorni camminando inerte con lo zaino in spalle mentre nel suo contorto cervello aveva colori di mille sfumature e contrasti.
A volte c'erano esplosioni di rabbia o di gioia, a seconda, altre volte delle gocce che scendevano lente e delicate per la tristezza.
Ma poche volte capitava che i colori fossero ordinati nei posti giusti per formare paesaggi di natura calma e rilassata. Ma quelle poche volte per Rakèl erano da assaporare in ogni istante : erano la quiete dopo la tempesta, e non sapeva mai quando sarebbero tornate.
Era talmente indecisa che a ogni domanda si dilungava nel logorroico senza arrivare mai a una vera risposta ; sennò la trovavi con gli occhi a girella e con il fumo che fuoriusciva dal naso e dalle orecchie.
Non sapeva parlare con risposte dirette, intelligenti o di bella figura a quelle persone che la prendevano in giro.
Per questi suoi problemi non aveva uno straccio di amico e a scuola era sempre stata una frana.
Quando le persone sapevano che frequentava il Liceo Artistico, le chiedevano sempre, come suole, che anno di superiori frequentava, e Rakèl era costretta a ripetere a malincuore la stessa solfa.
-Mi ero portata due materie, ma purtroppo non sono riuscita a recuperarle.-
E spesso, detto questo, seguivano versi concitati come: -Oooh, povera, ma come è successo?-
-Eh, mi sono impegnata in estate come mi sembrava meglio, ma credo di non aver fatto abbastanza e mi sono spaccata la schiena per niente.-
-Cavolo, che disdetta, e agli esami cos' hai fatto?-
E Rakèl sospirava sconsolata.
In verità era dispiaciuta, che si aspettavano??
Quando Rakèl seppe di essere stata bocciata senza dire una parola, salì le scale per andare al terrazzo. E lì pianse tutte le sue lacrime.
Piangeva urlando disperatamente al cielo, poi mugugnava qualcosa da sola fra sè, poi gemeva e singhiozzava, e dopo tornava a sbraitare.
Poi,ogni tanto alzava gli occhi lucidi su, con tutta la testa, e si perdeva in quelle nuvole delineate dolcemente dalla calda luce del sole che contrastavano in modo quasi surreale con il fresco color turchese del cielo.
E Rakèl si chiedeva, con la bocca semiaperta dallo stupore, perchè, con tutto il caos che aveva in testa, il mondo doveva restare sempre così bello e perfetto.
Per tutto il giorno non fece altro che piangere ad alternanze, per poi svegliarsi il giorno dopo con due bubboni al posto degli occhi.
Non sopportava mai il fatto di dover raccontare agli altri la storia della sua bocciatura perchè fu un duro colpo per lei. La faccenda la buttò giù insieme all'autostima che si stava ancora costruendo.
Per questo Rakèl si considerava una sfigata.
E fu così che cominciò la sua degna storia da sfigata.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** La Gara ***


LA GARA
                                          
Il sole sorgeva lentamente nella città confondendosi al tramonto in quel preciso istante in cui mattina e sera si eguagliano alla perfezione.
Una città piena di viottoli e stradine si risvegliava pian piano con le prime macchine a passare per le strade nella penombra e nel silenzio dell'alba.
I bar cominciarono a infornare le brioche e alcune persone uscivano ancora in pigiama sui loro balconi a godersi il sereno paesaggio e a respirare la dolce brezza mattutina.
La ragazzina dalla felpa rossa uscì dal portone di casa sua. Dalla sua sciarpa,di tanto in tanto, spuntavano e si dileguavano delle piccole nuvolette di aria condensata.
Camminò, trasportando i suoi capelli crespi, verso il garage, dove si trovava la sua arrugginita bicicletta.
Era forse più di un anno che non ci saliva sopra. La usava solo in estate, quando non aveva nulla da fare, ma quel giorno Rakèl si era svegliata con la voglia di andare alla scuola del paesino scendendo per le vie, facendosi accarezzare dolcemente dal venticello.
Portò la bici al bordo della strada e ci salì goffamente sopra.
La discesa mostrava quasi tutto il paesino con palazzetti, lampioni che si spegnevano e alberelli verdi che facevano da primo piano al cielo che via via più su sfumava dal giallo ocra del sole, all'azzurro antico del cielo.
Rakèl tolse il freno e inarcando la schiena iniziò a pedalare, poi lasciò libere le gambe e si fece trasportare entusiasta dalle ruote della bici che giravano veloci tralasciando lo scorrevole ticchettio della catena.
Istintivamente Rakèl scosse ritmicamente il petto, poi aprì la bocca e rise sonoramente.
Si stava divertendo un mondo.
Poi si lasciò andare e...
-WOHOOOO!-
Urlò euforica senza curarsi minimamente della città e esternando la sua felicità senza alcuna vergogna.
Non sapeva che, in una di quelle casette, viveva un ragazzo che stava uscendo di casa in bici a quell'ora proprio come lei. Solo che lui la usava molto più spesso.
Mentre apriva il cancello se la vide passare davanti a pochi metri di distanza come una pazza, facendogli scompigliare lentamente i capelli rossicci, tra i cui in alcune ciocche ricciolute, si intravedevano nell'ombra, dei piccoli occhi verdi e osservatori che girarono verso la figura in bicicletta e che poi assunsero uno sgurado di sfida.
Gli venne istintivo. Salì agilmente sulla sua costosa mountain bike e partì come un fulmine, inseguendola.
Naturalmente riuscì a raggiungerla, e senza che Rakèl se ne accorgesse, la oltrepassò come se niente fosse, ma il ragazzo ghignava sotto i baffi consapevole delle sue abilità.
Rakèl smise di ridere, quando lo vide davanti a se. Cosa che a lui fece provare ancora più gusto.
La biondina, indignata, rimise piede sul pedale e pian piano sfrecciò davanti a lui, lasciandolo un po' sorpeso dalla mossa. E lei, senza neanche pensare alle conseguenze, sopraffatta dalla bella figura che riuscì a fare, girò la testa dietro e gli mostrò fieremente la lingua. Brutta mossa.
Concentrata solo sul gesto beffardo, Rakèl perse l'equilibrio, e...TUNF!
Cadde per terra come un sacco di patate e sbattè contro la spalla e il fianco destri.
Le sfuggì un gemito e si raggomitolò come un ghiro che dorme tenendosi la testa fra le braccia per non farsi vedere la faccia dalla vergogna, mentre la ruota della sua bici continuava a girare a vuoto. Tenne gli occhi chiusi col sangue che ribolliva dalla rabbia e dalla paura, e il cuore che le batteva forte. Le serviva qualche minuto per farle rendere conto di aver appena fatto una figura imbarazzante davanti a uno sconosciuto.
Non ebbe neanche il tempo di fare delle supposizioni su cosa avrebbe fatto il ragazzo, che sentì vicino il rumore dei freni e di un piede che si appoggiava a terra.
Rakèl aprì un occhio temendo che l'avrebbe presa in giro, fu la prima cosa che pensò, nient'altro le veniva in mente.
Invece no, si ritrovò una grande mano che pendeva, rosea e con delle lunghe dita protese verso di lei.
Alzò la testa tenendo gli occhi socchiusi dal sole che si stava pian piano alzando, e vide il viso del ragazzo che la guardava inerte, aspettando che la mano venisse afferrata, e aveva l'aria di ritrarla a pochi secondi di lì, se non fosse successo.
Si accorse che lo riconosceva, almeno di vista. Lo vedeva passare spesso con quella montain bike insieme a degli amici,e faceva parte anche della sua stessa scuola, ma non sapeva nè di che anno, nè di che classe era. Ma quel tizio attirava la sua attenzione perchè aveva visto poche persone con i capelli ricci e rossi come i suoi; lo trovava particolare.
Rakèl prese quella mano, anche se in modo diffidente. Si tirò su e, silenziosamente, prese la sua bicicletta. Il ragazzo, ancora in bici, con le braccia libere a sfiorare i fianchi,la osservava sempre con quell'espressione seria e vagamente scontrosa.
Poi Rakèl usò una mano per tenere il manubrio e l'altra per toccarsi i sicuri lividi alla spalla. E come si alzò, se ne andò, senza neanche guardarlo, tenendo  gli occhi giù mentre gli girava le spalle, per poi assumendo una delle tante espressioni più imbarazzate e insicure che avesse mai fatto.
Il ragazzo le guardava le spalle assorto, ancora immobile e con gli occhi socchiusi.
Poi sbuffò stizzito:-Poteva almeno dirmi grazie.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Classe ***


CLASSE
 
La bici si appostò in malo modo vicino a una fila di soli motorini,e il freno venne girato con un fastidioso stridìo metallico.La giornata di Rakèl si era già ridotta in un brutto incubo di cui si doveva subito svegliare, e questo le lasciò una forte irritazione al cervello. Questa era la prima ed ultima volta che andava a scuola con quel catorcio che le aveva già procurato abbastanza guai.
La stizza e l'antipatia per quel ragazzo che fino a poco fa in un certo senso ammirava, si stava facendo via via più insopportabile. Era ancora rossa di rabbia e il sangue continuava a ribollirle nelle vene. Acchiappò la tracolla dal cesto, se la mise in spalla velocemente e si girò indignata a camminare con in viso un broncio viziato e infantile.
Era arrivata nel cortile della scuola, che brulicava di ragazzi e di chiacchiericcio diffuso. Vedendo quell'orda ancor prima di fondercisi dentro, Rakèl sentì un antico ribrezzo. Chi si abbracciava con altri, chi rideva con atri, chiacchierava, scherzava...CON ALTRI.
Tentò di piegare un angolo della bocca in su. Si rassegnò subito, capendo che nessuno l'avrebbe mai considerata (grazie al cielo). Si addentrò piccola tra gente sempre alta e cercò l'elenco delle classi in cui sarebbe stata destinata. Le venne subito uno sbuffo quando vide che era stata assegnata alla stessa piccola e noiosissima aula, puntualmente bollente quando faceva caldo, e gelida quando faceva freddo, con un fastidioso pilastro, vicino cui l'anno scorso si era seduta, e che le impediva di vedere la porta quando entrava qualcuno, adatto per un buono stretching giornaliero del collo.
Girò le spalle alla tabella degli elenchi e si spostò in un angolino vicino alla porta della scuola ad aspettare a testa bassa per non guardare le persone che aveva tutte intorno.
Al suono della campanella le sussultò il cuore e le ci volle un po' per comandare ai muscoli di cominciare a camminare. Si fece strada nella calca, ma essendo tutti più alti di lei non riusciva a vedere null'altro davanti a sé. Finchè non vide una ragazzina piccola e bassa quanto lei dai capelli castani, così lunghi che le sarebbero arrivati alle cosce se non fosse che li avesse attaccati ordinatamente in un'appariscente treccia alta con un laccetto che dava a vedere un grazioso fiocchetto a pois.
Per via del suo aspetto, anche lei era rimasta nella mente di Rakèl dall'anno scorso come una ragazza particolare, ma sconosciuta.
Sorrideva. Parlava in generale un po' con tutti quelli che aveva intorno, e a due di loro sentì dire:-Vediamo...Aula 4...-
Era proprio quella di Rakèl. Così, incuriosita, la inseguì.
Quando entrò la ragazza prima di lei, c'erano già alcuni ragazzi che si stavano gettando prontamente all'ultima fila di banchi, e pian piano l'aula si era già riempita, erano pochi. Dopo la ragazza, Rakèl si sentì un'intrusa a entrare e sedersi come se niente fosse alla prima fila, lasciata per ultima dalla classe, come suole fare il primo giorno di scuola. Per Rakèl non aveva importanza questo futile rito, così, come se in un certo senso le fosse mancato, si mise davanti colui che conosceva meglio di tutti gli individui che ora le presentavano: il pilastro.
I suoi nuovi compagni cominciarono ad accorgersi di lei e presero ben presto a osservarla un po' sorpesi mentre parlavano con gli amici. Rakèl si limitò a prendere il libro che aveva tenuto in caldo nella borsa per i sicuri momenti di noia o asocialità.
Primo Levi. Sicuramente qualcosa di molto ottimista, ma le interessavano tanto i libri sulla Seconda Guerra Mondiale, e non capiva perchè era attratta e rispinta allo stesso tempo dalla vita, o per meglio dire “vita ”che facevano gli ebrei ai campi di concentramento. Forse aveva un animo un po' macabro e pessimista. Ma sapeva che in ogni caso, l'argomento non l'avrebbe tirata su di morale.
La ragazza che aveva seguito e che adesso era dietro di lei cercò ti attirare la sua attenzione.
-Scusa?-
Rakèl si girò. Si ritrovò lo stesso sorriso raggiante e tenero che le tendeva la mano.
-Mi chiamo Sam, piacere di conoscerti! Tu sei...?-
-Rakèl- Rispose con un sorriso forzato e stringendole la mano con noncuranza.
-Ti ho vista in giro proprio in questa classe l'anno scorso. La mia era davanti alla tua, ma non sapevo fossi stata bocciata...Mi dispiace...-
-Già, anche a me-
E istintivamente Rakèl si girò stroncando la conversazione che stava per sbocciare, e si maledisse all'istante. Si vergognò di rigirarsi a chiedere scusa, sarebbe stato sconveniente e imbarazzante, quindi lasciò perdere.
-Cavolo, se sono sempre stata così antipatica nelle presentazioni, posso capire perchè non mi considera neanche un pulviscolo atmosferico.- Pensò irritata.
Ovviamente nessuno dei suoi nuovi compagni della classe si sedette al banco vicino a lei, e non ne era sorpresa, solo si chiedeva chi sarebbe stato l'ultimo disgraziato a dovercisi sedere a forza perchè non c'erano altri posti...
-TU?!-
Rakèl alzò lentamente gli occhi dal suo libro, lasciando immobile il braccio che prima sosteneva la sua testa. Da un'espressione di piena noia pian piano il viso le si deformò in una sorpesa faccia da ebete con la bocca che si lasciò pendere semi aperta.
Il giovane ciclista riccioluto le si presentò davanti con la faccia ancora più stupita della sua. In quel momento si rese conto di quanto fosse alto rispetto a lei.
Rakèl istintivamente provò a salvarsi con il mezzo sorriso che aveva tentato quando si era ritrovata davanti alla folla di studenti, ma solo quando capì che qualcuno finalmente lo guardava, si rese conto che doveva essere davvero orribile.
 
 
-Perchè sei qui?!-
-Perchè TU sei qui?! Pensavo fossi più piccola, visto che sei tappa!-
-Io pensavo fossi più grande, visto che sei uno spilungone!-
Tutta la classe restò interdetta a guardare l'inaspettata scena. Subito dopo alcuni non si trattennero dai risolini.
Il ragazzo riccioluto si spazientì fra sé, poi alzò la testa dietro Rakèl e urlò:
-Cavolo, Jona, potevi almeno lasciarmi un posto lì infondo!-
Dall'ultima fila rispose una faccia dalle guance rosse e paffute che mostrava un sorrisone divertito a occhi socchiusi.
-Scusa Gabriel, non ci ho pensato!-
Da sopra gli occhi di Rakèl, il riccioluto sbuffò irritato, poi girò i tacchi e passò da dietro la sua sedia con un po' di difficoltà perchè il pilastro stringeva il passaggio.
Seduto vicino a lei Gabriel cambiò espressione sbollendo la rabbia e assumendo un volto più calmo, quasi triste. Posò lo zaino sul banco e, senza neanche guardarla si girò con la sedia all'indietro per parlare con gli altri.
Arrivò il prof. E per quelle scarse ore di mattinata non si rovolsero né sguardo né parola, e Rakèl pian piano pensò che per schifarla così tanto doveva avere una qualche rara malattia.
 
La stanza era semi illuminata dalle persiane della finestra aperta, da cui fuoriusciva del venticello fresco che ondeggiava ritmicamente le bianche tende con armonia silenziosa. Si intravedevano nella penombra i muri rivestiti di giallo antico coperti di tanto in tanto da mensole di legno su cui poggiavano delle statuette di fatine dolci e leggiadre, della porcellana vecchia e sempre polverosa, delle strane creazioni di carta, di polistirolo, o di argilla, e delle foto raffiguranti una dolce bambina bionda con i capelli a caschetto, ma con due tendine al posto della frangia, perchè lei odiava la frangetta. Era circondata sempre da verde erba rigogliosa e da alberi, ed era illuminata dai chiari e freschi raggi del sole.
C'erano una scrivania e un armadio di legno, uno stereo, una tastiera e un letto dalla coperta azzurra.
Poi c'era una libreria. Da uno spigolo pendeva un cappellino di lana. Conteneva pile di libri vari. Dai romanzi ai classici. Dalle storie vere a quelle fantasy. Poi c'erano i fumetti.
Per la maggior parte manga che parlavano di storie d'amore divertenti e originali, o di magiche e avvolgenti avventure, per il resto c'era una modesta collezione degli amati fumetti di Rat-Man, di Topolino, dei Peanuts e qualche volumetto della Bonelli, di cui la padrona amava i disegni, ma non apprezzava tanto lo stile delle storie e si annoiava sempre. I fumetti spesso e volentieri erano circondati da statuette, pupazzetti e collane a tema.
La maniglia della porta di abbassò all'improvviso e Rakèl l'aprì con un ampio giro di 180 gradi. Poi la richiuse allo stesso modo dando qualche colpetto alla maniglia per assicurarsi che gli spifferi non l'aprissero con quel fastidioso fischio che significava l'estenuante mossa di alzarsi e camminare verso la porta per richiuderla.
Rakèl si aggirò per la sua stanza guardandosi intorno come per la prima volta.
Posò lo zaino a terra e si snodò la sciarpa insieme alla sua felpa rosso carminio.
Poi si abbandonò a peso morto sul letto con la testa affondata nel cuscino. I capelli sparpagliati a circondargliela.
Forse avrebbe potuto cambiare classe, forse non era troppo tardi.
Trovarsi già il nemico il primo giorno di scuola era una cosa frustrante. Le veniva da piangere se pensava a come era irritato solo per il fatto che si doveva sedere vicino a lei. In fondo Rakèl non era così infastidita dalla cosa anche se l'odio era diventato reciproco. Forse avrebbe dovuto dirgli grazie quando l'aveva aiutata a rialzarsi...
Poi per Sam era ancora più dispiaciuta. Non doveva essere così sfuggente con lei, sembrava una tanto cara ragazza...
L'atteggiamento da antipaticona era qualcosa che le veniva naturale, ma mai con l'intenzione. In realtà Rakèl era una brava ragazza. Poco ottimista, certo, ma sempre con l'intenzione buona, senza far mai male a una mosca. Solo che non sapeva relazionarsi con gli altri, visto che passava l'adolescenza da sola, tenendosi tutto dentro, sfogandosi magari scrivendo o disegnando.
Si immaginò lei con i lacrimoni, un broncio buffo e con i capelli rigorosamente spettinati come sempre che guardava come una povera sfigata la folla di persone sempre felici e sorridenti insieme, con Gabirel che si girava verso di lei e che le mostrava il dito medio col sorriso felino.
Si sentiva fiera di se stessa quando immaginava queste scene di autoironia. Come se sfruttasse la sua bassa autostima per far ridere.
Si mise a sedere sul letto, ci pensò su e si precipitò alla scrivania munedosi di matita e  gomma. Il foglio era pulito e pronto ad essere straziato di scarabocchi.

ANGOLINO AUTRICE: davvero,se qualcuno è riuscito ad arrivare fino a qui senza annoiarsi e senza pupille rinsecchite sarà il mio salvatore! Mi rendo conto che i capitoli saranno lunghetti, ma avevo scritto questa storia come un vero e proprio "libro" (anche se non sono molto ambiziosa nel farlo) e poi la mia maledizione-dono nel dilungarmi cel'ho da sempre ç_ç quindi... vabbe questo è un tentativo: se la storia vi ha preso davvero allora ci sono riuscita. Provar non nuoce!

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Bilancia ***


BILANCIA
 
Rakèl camminava  sul  marciapiede vicino alla scuola, inerte, a testa bassa e con i capelli dall'effetto “tendine” che le coprivano il viso.
Era depressa. Come sempre.
Mai qualcosa che le andava bene. Mai una volta che si sentisse soddifatta di ciò che faceva. La sua vita era così: un susseguirsi di cose andate storte e di conseguenze frustranti per un carattere e una sensibilità come la sua.
Nella strada accanto passavano auto e motorini. Tutti con lo stesso rombo, tranne uno. Tossiva freneticamente ma senza la regolarità di un normale motore. Il ritmo era lento e a Rakèl diede l'impressione di un motorino arrugginito.
Effettivamente era un vespino beige che appena se lo ritrovò davanti le parve un pezzo di storia, un antico e comune vespino usato spesso negli anni d'oro.
Ma rabbrividì al solo vedere quei dannati riccioli spuntare da sotto il casco del guidatore, quella maledetta ombra seduta stante.
Quando il piccolo veicolo infilò il cancello della scuola Rakèl non si trattenne dallo sbattere aggressivamente il piede sul terreno. Le fece rabbia. Le diede fastidio soprattutto il fatto di vederlo col motorino anzicchè la bici. Lei aveva evitato la sua come un sacro permesso nel precedere a lui quell'occasione, visto che era indubbiamente più bravo di lei. E invece no!
Scosse la testa duramente con gli occhi che guardavano socchiusi da una ceca rabbia il cancellino. Poi arricciò le labbra. Lo sapeva.
Da quando lo aveva visto sapeva che quello sarebbe stato un anno di merda.
 
Entrata in classe prima di lui, Rakèl vide i pochi compagni arrivati alzati che chiacchieravano allegramente sparpagliati nella classe.
Notò Sam, sta volta con due trecce morbide che le ricadevano sulle spalle e il ciuffetto attaccato con un fermaglio. Stava parlando con una coetanea più alta di lei dai capelli corti, e castani come gli occhi grandi e dolci, e dal sorriso come il suo. Dall'appello del giorno prima, Rakèl aveva capito si chiamasse Penny. Sembrava l’opposto e al contempo simile di Sam. C'era empatia tra le due, si capiva.
Sam assumeva tante facce dolci, e da quando era entrata Rakèl,a veva sentito almeno due volte la parola “carino” detto con la voce più tenera e allo stesso tempo “fastidiosa” che avesse mai sentito. Penny le aveva dato un bacio sulla guancia e l'altra, ancora più intenerita l'aveva abbracciata affettuosamente saltellando contemporaneamente dalla gioia.
Rakèl storse la bocca stranita tenendo lo sguardo ben distolto da loro. L'esagerazione di quello zucchero assunto tutto in una volta la mattina le stava fecendo venire il voltastomaco. Anche a lei riscaldava il cuore vedendo o sentendo dire di qualcosa di tenero, ma non sopportava il comportamento estremamente esaltato delle ragazzine davanti a cose del genere. Riusciva a vedere in loro uno sfondo diverso: con caramelle, lecca lecca, cuoricini rosa, e atmosfera soffusa.
Non si sentì pronta ad aprire bocca, quindi le venne solo di girare i tacchi da loro e andarsene a sedere sullo stesso posto del giorno prima.
-Buongiorno, Rakèl!-
Appena si girò, gli occhi di Sam la guardavano da lontano, ma poteva vederli tranquillamente da lì accesi e dolci con il solito sorriso gentile a far loro da contorno.
Si sentì in colpa quando non glielo ricambiò a dovere per l'ennesima volta. Riuscì a fare solo quel suo solito sorriso poco spontaneo, non ce la faceva a essere depressa con quella sua raggiante immagine. E le diede il buongiorno annuendo.
-Si ricorda ancora il mio nome- pensò.
Il banco vicino alla biondina continuava a restare vuoto, ma ancora non c'erano tutti quindi quando vide arrivare Gabriel, con lo zaino in spalla e il casco grigio del motorino in una mano, non si sorprese quando si mise a sedere vicino a Jona, ma le saltarono i nervi quando lo sentì sbuffare:-Finalmente un posto decente-
Non resistette a girarsi di scatto verso di lui per esprimere la sua collera.
-E con questo cosa vorresti dire?!-
Gabriel alzò la testa irritato.
-Che non voglio stare vicino a maldestre che poi non mi ringraziano!-
Le toccò un nervo scoperto, ma Rakèl cercò di non farlo vedere e rispondere.
-Maldestra?!Sei tu che fai lo spavaldo sorpassando una povera signorina!-
Il riccioluto alzò un sopracciglio stralunato. Non si trattenne dal ridere.
-P-povera signorina?! Ma ti sei vista allo specchio?-
Rakèl si sentì gli occhi inumidirsi.  Non potè fare altro che  rigirarsi al suo posto rassegnata.
-Idiota. Sapevo già di essere racchia, non occorreva il tuo supporto-
-Eh?-
Gabriel smise di ridere e si paralizzò con la bocca ancora aperta e sorridente. Poi gli si sgonfiò la voce:-Ma io stavo...-
-Gabriel!-
Arrivò il sorrisone di Jona a distrarlo. Capelli  tenuti all' in su da poco gel, dritti e retti. Aveva uno di quei tagli che andavano molto “di moda” tra i ragazzini di quel tempo: tutti i lati della testa rasati e delle setole di una spazzola di capelli al centro. Tipico dei ragazzi dai vestiti firmati e dai cellulari dalla forma a tavoletta che a man mano a quei tempi si facevano sempre più grandi, gettando via il loro vero utilizzo e la vera comodità di incavarlo in una comune tasca da jeans. Ed effettivamente...
-Guarda, non è figo il mio nuovo cellulare??-
Glielo mostrò grande quanto l’ avambraccio di Rakèl.
-Non gliene frega nulla a nessuno!-
-Ma dentro ci sono anche dei bei giochini!- Gli rispose con la faccia da triglia.
Il cellulare scomparve dalle sue mani. Gabriel ci stava già giocando.
Rakèl abbandonò la testa sulle braccia appoggiate sul banco sconsolata.
-Anche a me piacciono i giochini...-
La campanella della scuola tremò e nel chiacchiericcio tutti scivolarono lentamente ai loro posti, sembravano esserci tutti. La spalla le si riscaldò da una mano pallida.
Era Sam.
-Buona lezione, Rakèl-
Mentre Gabriel prendeva il diario dallo zaino, si sentì Jona avvicinarsi al suo fianco e fiatare:-Ma quindi tu sai chi è la nuova arrivata?-
Alzò la testa verso Rakèl un po' assorto e gli spiegò:
-Mi sono reso conto che è una mia vicina. Da quando l'ho sorpassata con la bicicletta mi odia a morte-
-Oh, ma che cavolo!-
La voce provenne da un ragazzone alto e robusto dai capelli gellati all'indietro che fece ingresso alla porta.
-Josef!- Esclamò Jona.
-E adesso dove vi aspettate che mi sieda io?-
Gabriel sorrise sotto i baffi.
-Da Rakèl!-
La ragazza non si girò neanche. Appoggiò la testa su una mano e guardò Josef davanti a lui, inerte. Anche lui lo era, ma sotto sotto sentiva un vago disagio che non volle esternare.
Il professore di pittura entrò in classe.
Quando si alzarono per salutarlo, la biondina arrivava appena alla spalla del ragazzone.
 
Rakèl conosceva il professore Leone, colui che era arrivato in classe. Lo aveva sempre avuto dal primo anno di scuola superiore. E lui conosceva lei.
Una volta entrato e posato la sua logora e colorata cartella, Il prof. Leone chiese prima di tutto, grattandosi pigramente la pancia:
-Chi avevate l'anno scorso al posto mio?-
Sam stava per aprire bocca.
-La Pardo, però è stata...-
Gabriel fu interrotto.
-Ah,si è incinta- lo completò il prof. rammentando il fatto.
-Arguto il ragazzo...-Pensò Rakèl. Le sembrò un tipo attivo e sempre con la risposta pronta. Anche il giorno prima non solo sembrava intelligente e sveglio, ma faceva anche morire dal ridere a tutta la classe. Il suo senso dell'umorismo fu  per lei una lotta, perchè tentava in tutti i modi di non ridere e farsi vedere indifferente, ma non ci riusciva e le scappavano sempre gli sbuffetti.
Mentre pensava a questo si ritrovò all'improvviso il faccione del Leone che aveva appoggiato le mani sul suo banco.
-Rakèl...felice di riaverti in classe per la terza volta-
Lei finse di ridere cercando di non guardarlo, un po' intimidita dal fatto che adesso la osservavano tutti. Gabriel forse no.
-Prof. La prego non me ne parli...-
-Certo che però è un bel colpo venir bocciati per due materie...-
Ed ecco toccato un altro tasto dolente. Rakèl lo sapeva. Ci gode proprio a imbarazzare la gente. Sam lo guardò storto pensando fosse stato davvero sfacciato.
-Già...-
-E come ritieni di aver studiato durante l'estate?-
-Io pensavo bene...- Inghiottì la saliva tentando di avere una faccia normale -Solo che...Agli esami sono stata delusa. Tutto qui-
Le venne il flash della prof di matematica che durante gli esami le diceva con quella voce rimbombante:-Male. E' andata male-
-Capisco...-Annuì il Leone mentre tornava alla cattedra.-Beh, allora mi raccomando di andare bene quest'anno- Rakèl arricciò le labbra.
Avendo esaurito gli argomenti di cui parlare per non scendere in un silenzio imbarazzante davanti alla nuova classe, il Leone cominciò a dire:
-Chi è Sagittario di voi?-
Nessuno alzò la mano e la classe scese davvero nel silenzio che il prof voleva tanto evitare. Il Leone rimase deluso: lui era Sagittario. Poi l'imbarazzo venne rotto.
-Anche lei se ne intende di segni zodiacali, prof??-
Era Rakèl. Molte volte le capitava di lasciarsi andare quando si parlava delle cose che le piacciono, diventando a volte così allegra che ti si scaldava il cuore, ma a volte quasi rompiscatole. Era lunatica. Proprio come il suo segno zodiacale: Bilancia. Se non c'è l' “equilibrio” starà solo male .Nella sua vita non trovava mai alcun equilibrio, per questo era diventata di personalità molto mutevole .Quando era depressa non si poteva vedere, era insopportabile. Ma le poche volte in cui era di buon umore, esplodeva in una gioia contagiosa e bellissima. Peccato che non riusciva a essere tutte e due le personalità insieme.
L'oroscopo era una cosa che l’ affascinava. Sapeva tutti i caratteri dei vari segni e le interessava vederli nelle persone. Ne era fissata. Se ci credeva? Si,ma per lei era ovvio che non tutti i segni hanno comportamenti uguali alle persone che lo portano, naturalmente ci sono personalità diverse. Credeva che almeno un pizzico del segno doveva comunque esserci, magari ognuno a modo suo.
Poi dipendeva anche dall'ascendente. Lei era ascendente Pesci. Brutto affare. Un segno molto sensibile e dubbioso sulla propria personalità, spesso in lotta con se stesso. Rakèl lo sapeva, e si credeva sfigata anche per questo. In compenso però, aveva un mondo interiore ricchissimo e variegato, un modo di vedere le cose molto creativo e bello. Peccato che non era una dote che poteva mostrare agli altri, quindi socialmente non sapeva proprio che farci con questo segno. Eppure la Bilancia è molto socievole e amichevole, perchè lei non lo era? Colpa dell'ascendente, pensava.
Alzò la mano tutta eccitata chiedendo a gran voce:
-E chi è Bilancia di voi, eh??-
Fu lenta la risposta, per un po' Rakèl non vide nessuno alzare la mano. Poi nella classe si scostò qualcuno.
Gabriel alzò lentamente la sua mano guardando ,con gli occhi semi stupiti, la ragazza.
Rakèl restò con la mano appesa a ricambiare lo sguardo stralunata.
-S-solo tu?!-
Le spuntarono i diavoli capello per capello. Gabriel non sapeva cosa imprecare davanti alla presenza del prof, anche perchè non gli veniva in mente niente.
La ragazza si girò davanti a sé ridendo convulsamente.
Poi sbattè la faccia sul banco.
Accanto a lei Josef la guardò storto.
Ecco perchè lei e Gabriel non andavano d'accordo.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Il Falso Porno ***


IL FALSO PORNO
 
 
Passarono alcuni giorni e la povera biondina dalla felpa rossa entrò in classe senza una minima speranza nel cuore.
Si sedette inerte sulla sua sedia e non salutò nessuno, tranne Sam, che aveva sempre la pazienza di fare la prima mossa e che cercava sempre di dimostrarsi simpatica, gentile e altruista. Se solo avesse mai avuto il coraggio, sarebbe subito andata da lei a chiacchierare e a sederle vicino dimostrandosi simpatica, gentile e altruista come lei. Ma non sapeva mai come comportarsi all’inizio, così si arrendeva.
Gabriel, Jona e Josef riuscirono a sedersi tutti all’ultima fila dei banchi e cercarono di mantenerli per loro in modo da impossessarsene tutto l’anno.
Solo quel giorno Rakèl si accorse che c’era un altro ragazzo: Christian. Per  via della sua bocca spesso cucita, non lo aveva mai sentito parlare, quindi non ci fece caso.
Gli parlava spesso Josef, sembravano il giorno e la notte quei due. Josef gli raccontava con schiettezza e gesti migliaia di annedoti, e Christian a volte rideva o contraccambiava con frasi sarcastiche. Ma in generale era molto silenzioso, Rakèl lo aveva capito ,proprio perché lo notò solo quel giorno.
Osservandoli cominciò a interessarsi a quella comitiva di ragazzuoli. Insieme sembravano molto divertenti, e infondo Gabriel era l’unico con cui potersi sfogare a litigare, e con la scusa poteva anche fare conoscenza con gli altri suoi amici.
Sta volta il banco vicino a lei fu occupato da una ragazza magra e alta con una particolarità che a Rakèl piacque molto: i capelli. Castani, e così ricci che, fossero lisci le sarebbero arrivati alla schiena, invece sembravano quasi a caschetto e si fermavano solo alle spalle.
Cominciò a comprenderla subito, senza neanche parlarle, proprio perchè non si sentì rivolgere la parola, e pensò che doveva proprio essere timida, come lei.
Aveva l’espressione perennemente seria, sapeva il fatto suo. Le piaceva quella ragazza.
Si chiamava Charlie.
Quando arrivò la prof di italiano, Rakèl si accorse di non avere il libro di antologia, perché da quell’anno era nata una nuova edizione, e per tutto l’anno non sarebbe servito studiare il libro dell’anno scorso. Un’altro svantaggio dell’essere bocciata. Potevano almeno darle tregua i soldi per i libri, e invece no. Altra sfiga: doversi d’ora in poi abituare a fare fotocopie ogni qualvolta che doveva studiare nel libro nuovo, nonostante le abbia già studiate l’anno prima. Decisamente frustrante.
Restò appoggiata sul banco rassegnata a guardarla spiegare, quando si sentì spingere qualcosa sul braccio. Era Charlie che le passò il libro guardandola inerte.
Rakèl ci pensò su. Non sapeva se dirle di lasciar stare per non darle fastidio, o accettare col pretesto di avere un minimo di complicità con lei.
Al diavolo. Accettò, e la riccioluta poggiò la rilegatura del libro sullo spazio che divideva i loro banchi.
-Grazie- Rakèl riuscì a farle vedere il suo primo sorrisino sincero dell’anno.
Charlie annuì sfuggendole un altro sorriso.
Le piaceva proprio quella ragazza.
 
Fu ricreazione.
Sam, si alzò sgranchendosi le braccia con gli occhi inumiditi dallo sbadiglio.
-Che sonno…può essere che sono sempre così pigra?-
Disse ridendo a Penny. Poi le due se ne andarono nei corridoi, mentre Sam strisciava ancora assonnata.
Rakèl provvide al suo panino al salame e provolone, mangiucchiandoselo a gambe incrociate sulla sedia.
Charlie parlava con Nikkie e Carla, che erano dietro. Nessuno le dava caso e la biondina non sapeva cosa fare.
Intanto i quattro ragazzi, sempre uniti, erano ai loro posti a chiacchierare e a stare per i fatti loro allo stesso tempo. Rakèl si girò verso di loro. Vide Jona e Gabriel che confabulavano vicini vicini davanti a un cellulare. Agli occhi della ragazza avevano un’aria molto losca, così non si trattenne dalla curiosità.
-State guardando porno?-
A Jona scappò un risolino, Gabriel alzò la testa verso di lei completamente serio.
-Sì-
-Per niente!- lo contraddisse Jona ridendo, e rivolgendosi a Rakèl.-Ti pare che faremmo una cosa del genere a scuola? A casa è molto più sicuro!-
-E allora che state guardando?-
-Il mio motore-
-Il suo probabile motore- lo corresse Gabriel.
Rakèl riflettè un’attimo. Racimolò un po’ di coraggio e si buttò:
-Wow! Posso vedere?-
Fu la prima di tante altre volte che Gabriel lo disse. Fu la parola che da quel giorno in poi Rakèl non si fece mai ripetere due volte, la parola che al sentirla fiatare saltava sempre dalla gioia dentro. Non ne potè fare più a meno:
-Vieni-
E venne.
 
Arrivata da loro, Rakèl si accorse che le immagini che stavano guardando derivavano dal web. La ragazza sbalordita chiese:
-Cavolo, stai usando il wi fi della scuola?! Come hai fatto ad avere la password?-
Jona cercò complicità da Gabriel, ma lui era serissimo. Poi rispose:
-Da alcune…fonti- E sorrise felino.
-Puoi darmi la password? Sarebbe bellissimo avere internet anche a scuola!-
-E’ artistico10-
-Wow, password originale-Disse Rakèl sarcastica.
D’un tratto si rese conto.
Era vicino a due ragazzi. Stava parlando con loro. Era sé stessa. E si divertiva.
Da quant’era che non si sentiva così?
Chiacchierò ancora un po’ con Jona, mentre Gabriel cercava di restare serio o di ridere solo alle battute del suo amico, ma ogni tanto, di sottecchi, provava a osservare quasi con sguardo di sfida Rakèl. Lei se ne accorgeva, ma faceva finta di nulla. Era meglio fare così.
Poi ci fu il momento di imbarazzo dove sentiva solo loro due parlare, mentre lei non aveva null’altro da dire. Si accorse che dall’altra parte c’erano Josef e Christian che chiacchieravano allegri con Miriam e Danielle che avevano davanti ai loro banchi.
Pian piano andò verso di loro e con una frase che si sarebbe senza dubbio evitata chiese imbarazzata:-Posso partecipare alla conversazione?-
I quattro si girarono verso di lei un po’ stupiti. La ragazzina si sentì subito osservata e arrossì con una buffa espressione in faccia.
Josef prese la parola quasi ridendo per la situazione, mentre subito dopo anche le due ragazze gli diedero ragione sorridenti.
-Certo che puoi!-
Il ragazzone cercò di essere disponibile lasciandole mezzo posto per sedersi.
-Se vuoi sederti, qui ti lascio pure il posto-
-No no, macchè posso farne a meno, tranquillo!-Si salvò Rakèl.
Era stato troppo gentile per farla sedere appiccicata a lui senza che arrossisse per tutto il tempo dall’imbarazzo di avere un ragazzo così vicino a lei.
Così poggiò le mani ai bordi del suo banco e abbassò le gambe facendo parte del cerchietto di compagni.
Rakèl non potè dire nulla di particolare, ma si divertì lo stesso: si fece qualche idea di coloro che da quel giorno in poi dovevano essere i suoi compagni.
Josef parlava con carisma di animali, e sapeva come far ridere Rakèl e gli altri spettatori, con opinioni così spontanee da suscitare ilarità.
Christian raccontò alcuni anedoti divertenti quando Rakèl meno se lo aspettava.
Miriam era una ragazza bella d’aspetto: capelli lunghi ondulati e biondi; carnagione perfetta, corpo da modella e viso affilato. A prima impressione, Rakèl la considerò una persona monotona, vanitosa e che segue la moda degli altri, ma sentendola parlare si accorse di quanto in realtà fosse divertente e simpatica.
Anche Danielle aveva un corpo da modella, ed era bella quanto Miriam, solo che aveva dei morbidi capelli castani che arrivavano alle spalle al posto dei riccioli d’oro che aveva la sua amica, e in compenso, a prima impressione, era molto dolce. Aveva la tendenza a parlare molto, sempre con un caloroso sorriso stampato in faccia. Tanto che Rakèl si ritrovò molte volte a deragliare l’argomento della compagnia e a  parlare di  tutt’altro con lei. Lo stesso capitava a Danielle anche con Josef, con cui -si accorse Rakèl- condividevano allegramente la passione per gli animali, e le vennero in mente due sole parole che l’avrebbero descritta davvero come si deve: Suadente Conversatrice.
 
 
La ricreazione finì, e appena Rakèl drizzò le gambe per tornare al suo posto, si rivolse verso di loro e esclamò:-E’ stato un piacere!-
La compagnia sbuffò un sorriso.
-Il piacere è tutto nostro- Le ricambiò Josef.
E mentre trotterellava verso il suo banco notò Gabriel già girato all’indietro che la stava guardando, sta volta con fare interrogativo.
Rakèl, tant’era felice, gli sorrise a occhi vivaci, fregandosene della sua reazione, che fu infatti ancora più interrogativa di prima.
La ragazza avrebbe fatto uno di quei salti che facevano nei cartoni animati ,con i tacchi che si toccavano in aria, se non fosse che sarebbe caduta rumorosamente a terra. Così lo scarabocchiò in un altro povero foglio stropicciato.
Tutto accaduto per un falso porno, e per un po’ di coraggio racimolato.
Rakèl riuscì per la prima volta a farsi degli amici.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2818368