Il canto dei lupi

di Eylis
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Iintroduzione ***
Capitolo 2: *** Anna ***
Capitolo 3: *** Melea ***
Capitolo 4: *** I lupi ***
Capitolo 5: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Iintroduzione ***


Credits: la frase “Ci sono notti in cui i lupi tacciono e solo la luna ulula” presente nell’introduzione è una citazione di George Carlin

Link al concorso: WritersArena - Lupus in fabula



Introduzione




L’uomo si strinse nel proprio cappotto chiaro, ne rialzò per bene il bavero e si calcò il cappello in testa. Nessuno sapeva scorgerne lo sguardo dal colore indefinibile, ma a nessuno realmente importava. Erano in pochi che osavano avvicinarsi a quella mesta creatura. Eppure una sorta di leggenda diceva che coloro che avevano avuto questo ardire avevano udito storie di grande saggezza pronunciate dalle sue labbra screpolate ma gentili. Quella notte una persona avrebbe avuto questa dolce fortuna, una sola ragazza che, fuggita dal proprio villaggio, si era avventurata nella foresta illuminata debolmente dalla luna ed aveva incontrato quell’uomo. L’uomo che tutti chiamavano Lupo a causa della sua natura tanto schiva, misteriosa e selvatica.

“Entra, ragazza, siediti.” La giovane entrò nella caverna riscaldata da un fuoco acceso sulla pietra e si sedette vicino a quella fonte di calore. Intimidita strinse a sé le proprie ginocchia senza osare alzare lo sguardo. L’uomo l’aveva trovata che vagava per la foresta, evidentemente perduta, e l’aveva invitata a seguirlo nella sua casa.
“Vi ringrazio per l’aiuto che mi state dando, non avrei saputo dove riposare altrimenti…”
“Cosa ti ha portato qui?” La ragazza ebbe un lieve sospiro, evidentemente esitava.
“Io…” Si interruppe. L’uomo le fece un gesto di diniego, in fondo le aveva posto quella domanda per pura cortesia.
“Non importa, non sei tenuta a spiegarmi nulla.” Le porse una ciotola colma di una zuppa densa e dall’odore acre ma dal buon sapore. “Mangia, ti darà forza.”
“La ringrazio signore…”
“Non chiamarmi a quel modo, non sono come le persone con le quali solitamente usi questo termine. Chiamami semplicemente Ted.”
“D’accordo… Ted.”
“E tu ragazzina? Hai un nome?” Mentre parlava aveva agguantato una calda coperta da un angolo di quella strana dimora e gliel’aveva posta sulle spalle. Il fuoco non sembrava sufficiente a toglierle il gelo di quella notte invernale che le era penetrato fin nelle ossa.
“Io… sono Cosette.” Silenzio. Probabilmente quello non era il vero nome della giovane, ma a Lupo non importava. Dopotutto nemmeno Ted era il suo. Si servì a sua volta di una buona scodella di quella particolare minestra ed entrambi mangiarono immersi nei loro pensieri.

“Cos’è stato?” Allarmata la ragazza posò la ciotola vuota a terra e si guardò attorno. Aveva udito un suono, proveniente dall’esterno della caverna, un segnale lugubre e lontano che le aveva provocato un brivido lungo la schiena. L’uomo la rassicurò con lieve un movimento del capo.
“Non preoccuparti, qui sei al sicuro.”
“Ma cos’era?”
“Lupi.” La giovane ebbe un grido di spavento. Non si era resa conto dei pericoli a cui andava incontro quando si era avventurata in quel bosco tanto fitto, ed ora pensare che avrebbe potuto incontrare quelle bestie la terrorizzava.
“E se dovessero entrare?”
“Non entreranno.”
“Come fai ad esserne tanto certo?” L’uomo sospirò, come se un peso gravasse sulle sue spalle.
“Ragazzina… Cosette. Non sono i lupi che devi temere. Ci sono cose ben peggiori là fuori. Ci sono notti in cui i lupi tacciono e solo la luna ulula.”
“Cosa intendi?” Cosette era sempre più perplessa. Quell’uomo era strano, malgrado non le sembrasse malvagio.
“Mettiti comoda, ti racconterò delle storie. Starà a te, poi, giudicare la veridicità di questi racconti come meglio ti aggraderà.” La ragazza annuì lentamente, preda ad un sentimento misto di curiosità e timore.
“D’accordo, ti ascolto.”

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Capitolo 2
*** Anna ***


1. Anna

“Viveva un tempo una ragazza, una splendida giovane di nome Anna. Era stata promessa in sposa ad un uomo importante, un vero gentiluomo ricco ed affascinante. Anna era felice della sua fortuna, ed ogni giorno pensava al suo futuro sposo con la gioia nel cuore. In realtà non l’aveva visto che poche volte, quando di soppiatto era riuscita ad allontanarsi dalla propria casa per intrufolarsi nel giardino di lui.”

“Una volta la ragazza riuscì a parlare con l’uomo. Quella notte i suoi genitori avevano scordato di chiudere a chiave il catenaccio che serrava la porta secondaria, e lei silenziosa l’aveva aperta ed era corsa, a piedi nudi, per le strade del paese. Era riuscita a scavalcare il muro che circondava il giardino della casa dell’uomo grazie ad un albero che vi cresceva accanto, e come le altre volte aveva spiato all’interno dell’abitazione da una finestra. Lui era lì, come ogni sera, chino sulla propria scrivania a sbrigare le faccende che lo riguardavano. Da quella posizione Anna poteva scorgere unicamente la sua schiena ed i suoi capelli neri, che le parevano lisci e soffici. A tratti però egli sollevava il capo e spostava il suo sguardo verso il calendario appeso al muro vicino. Allora Anna poteva vederne il profilo del volto. Questo la rendeva felice, poteva sentire il suo cuore battere un poco più forte, come quello di un uccellino. Ma quella sera successe qualcosa di imprevisto. Mentre si inginocchiava a fianco della finestra per essere più comoda la ragazza calpestò involontariamente degli sterpi dimenticati dal giardiniere, ed a quel lieve rumore l’uomo voltò il capo sorpreso.”

“Anna non ebbe il tempo di nascondersi, il suo futuro sposo l’aveva scoperta. L’uomo si alzò e si avvicinò alla finestra rimasta aperta.
- Chi sei? -
- Non mi riconosci? - L’uomo ebbe un moto sorpreso, poi un sorriso distese il suo volto.
- Anna! - Lei annuì felice. - Come mai sei qui? -
- Volevo vederti… - L’uomo d’istinto le donò una lieve carezza sul viso, ed a quel semplice gesto sentì il proprio cuore riscaldarsi.
- Ormai non manca più molto. - Anna annuì, arrossendo.
- No… presto farai di me tua moglie. -
- Sei felice per questo? -
- Sì, molto… Da molto tempo ti ammiro, e… più volte sono venuta qui per scoprire qualcosa di te e del tuo mondo. - L’uomo le sorrise con volto sincero.
- Va ora, o ti scopriranno. Ci rivedremo presto, te lo prometto. -
- Vado, ma il mio cuore rimarrà qui, con te, per riscaldarti questa notte. Non ho il permesso di vederti fino a che non diverrò tua, ma non sanno che già da tempo appartengo unicamente a te. - Anna si sollevò leggermente e sfiorò con un dito le labbra di quell’uomo che aveva avuto i suoi sentimenti. Lui sorrise nuovamente, poi piano ricambiò quel gesto innocente e la salutò. Avrebbe voluto conoscere il sapore di quella bocca tanto graziosa e pura, ma sapeva di dover attendere.”

“Il mattino seguente Anna fu trovata priva di vita in una via buia e squallida del paese. Dal sangue, dalle vesti strappate e da quell’espressione d’angoscia, terrore e dolore non fu difficile per la gente capire cosa le era successo, e subito si scatenò una caccia all’assassino. Ogni abitante del paese frugò in tutte le case, nei campi, nelle stalle. Qualsiasi minimo indizio anche se non fosse stato utile avrebbe dato loro una stilla di speranza. Ma tutto fu vano, non una sola traccia fu rinvenuta e nessuno seppe mai dire chi fosse il colpevole, o dove si fosse rifugiato. Ancora oggi questa storia corre come leggenda sulle bocche delle madri come monito per le loro figlie impazienti, e nessuno sa trattenere un sospiro d’orrore ed una morsa di tristezza al cuore.”

“Quando l’uomo venne a conoscenza della fine della sua promessa sposa sembrò impazzire. Fuggì nel bosco, incurante del pericolo, e per lunghi giorni e lunghe notti stette seduto su di un grande masso privo di cibo, acqua o conforto. Fissava le proprie mani contratte quando il sole le illuminava, e quando il cielo si riempiva di stelle alzava il capo e lasciava le proprie lacrime scorrere di fronte alla luna. Non emise mai un solo suono, ma quel suo muto dialogo con l’astro notturno era così colmo di dolore che nessuno osava avvicinarglisi. Quando infine tornò alla propria dimora, una parte del suo cuore sembrava svanita. Poiché non aveva potuto regalarla ad Anna l’aveva invece donata alla luna.”



Cosette non riuscì a trattenere oltre i singhiozzi e pianse per quella vicenda tanto triste e dolorosa.
“Povera Anna, è così ingiusto!” Lupo le carezzò piano i capelli.
“Sì, è ingiusto, ma a volte la giustizia non fa parte di questo mondo. A volte si può solo continuare a vivere e sperare, vivere e credere nei lupi. Perché i lupi non ti abbandonano, loro sanno cosa significhi soffrire.”
“Credevo che i lupi fossero bestie senza cuore e pericolose…”
“Ti sbagli, ma non ti biasimo per questo. Le leggende sono troppo radicate nel cuore delle persone. Ma ora ascolta, voglio raccontarti un’altra storia.”

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Capitolo 3
*** Melea ***


2. Melea

“C’era una volta un bambino, un ragazzino dolce e sincero dal sorriso sempre solare. Viveva con la sua famiglia ai margini di un vecchio paese, e trascorreva le sue giornate giocando e scherzando con la sorellina ed i tre fratelli poco più grandi di lui. I loro genitori erano severi ma buoni, e li crescevano con modestia e saggezza. Purtroppo il padre di questa famiglia doveva spesso assentarsi per lavoro, ed era lontano da casa per lunghi periodi, a volte anche per interi mesi. I bambini erano sempre addolorati quando egli doveva partire, ma sapevano che al suo ritorno le sue tasche sarebbero state colme di dolci chicche per loro. Così ogni volta gli si raccomandavano di non dimenticare i dolcetti a loro preferiti, lo salutavano con un bacio e lo seguivano fino ai margini della foresta, per poi vederlo scomparire tra gli alberi che celavano il sentiero alla loro vista. Solo quando nemmeno il suono degli zoccoli del cavallo era più percepibile i ragazzi tornavano a casa ed abbracciavano la loro madre, chiedendole di raccontare loro una fiaba.”

“Era inverno quando il padre partì nuovamente per un viaggio. Promise alla moglie Melea ed ai figli che sarebbe stato lontano solamente per due settimane, così da poter trascorrere con loro il Natale. Il bambino ed i fratelli già avevano iniziato a sognare i regali che avrebbero trovato sotto il grande albero nel loro salotto, e scongiurarono il padre di portare loro qualcosa di speciale. Egli giurò che li avrebbe accontentati, e dopo aver salutato la moglie con un bacio partì. Quella fu l’ultima volta che il bambino poté vedere quella figura forte e gentile allontanarsi nella foresta.”

“Solamente qualche giorno più tardi una donna bussò alla porta della casa del bambino e della sua famiglia. Venne ad aprire la madre, che le chiese cosa volesse.
- Melea, corri! Sta arrivando un messaggero dalla foresta, e sta cercando te! -
- Ma per quale motivo? Chi potrebbe avere qualcosa da comunicarmi in questo modo? -
- Non te lo so dire, ma mi hanno riferito che ha un’aria funesta e veste di un mantello nero. - Melea fu colta da un’improvvisa paura e corse fuori, diretta verso il sentiero della foresta. Il bambino ed i fratelli tentarono di seguirla, ma la donna che era arrivata nella casa per dare quella notizia li trattenne costringendoli ad aspettare.”

“Melea corse fino ai margini della foresta, dove incontrò il messaggero. Questi nel vederla si fermò e scese da cavallo avvicinandosi alla donna con sguardo serio.
- È lei la moglie del signor Preston? - Melea annuì.
- Sì, sono io. Mi dica, come conosce mio marito? L’ha visto? Come sta? È partito pochi giorni or sono, ma ci ha promesso che per Natale sarebbe tornato… - Nonostante quelle parole che tentavano di essere colme di speranza il messaggero lesse chiaramente nella voce della donna quella paura che già la dominava, e sapeva che ella non aveva torto. Il proprio abito scuro portava cattive nuove. Per questo le prese le mani con delicatezza.
- Mia signora, in realtà io non conoscevo suo marito. Ho avuto solamente la fortuna di incontrarlo una volta, ed è stato lui a mandarmi da voi. Voleva che sapeste che… che voi siete rimasta sempre nel suo cuore, e che la sua anima pregherà per voi. - Melea emise un grido strozzato.
- No, no… non è… non è possibile… -
- Sono dolente, signora Preston, è stato un brutto incidente… - La donna urlò con quanto fiato aveva in corpo e con uno strattone si liberò da quella stretta gentile che in quel momento le pareva una morsa crudele. Iniziò a correre senza neppure guardare dove stava andando, senza curarsi della direzione né del terreno impervio. Ma i suoi piedi incontrarono presto una sottile, trasparente lastra di ghiaccio che l’inverno aveva creato da una pozza d’acqua. Colta di sorpresa Melea perse la presa sul terreno, scivolò e cadde a terra battendo la testa sui massi che segnavano il sentiero.”

“I figli della famiglia Preston si trovarono in un sol giorno orfani di padre e costretti ad accudire la madre malata. A causa del colpo infatti, o forse del dolore, Melea aveva perso la ragione. Non era più in grado di riconoscere chi le stava attorno, inveiva contro i suoi stessi figli e trascorreva le proprie giornate a ninnarsi dondolandosi avanti ed indietro e farneticando di strani, fantastici mondi. I fratelli del bambino, in poco tempo, iniziarono a litigare sempre più spesso fra di loro, accusandosi a vicenda di quanto era successo. Tutti sapevano che nessuno aveva colpa di quei fatti, ma la loro angoscia e la tensione che si era generata nella casa erano tali che i ragazzi solo in quel modo riuscivano ad estrarre dal loro cuore la rabbia che vi era insita. Il bambino invece, quel ragazzino un tempo tanto solare, spesso prendeva per mano la sorellina e correva nel bosco. Saliva su di un masso, faceva sdraiare la sorella perché gli poggiasse il capo in grembo, ed assieme ascoltavano a lungo il silenzio della foresta. Era un luogo popolato dai lupi, ma al loro arrivo non un solo lamento si udiva più: sembrava che le bestie volessero rispettare il loro dolore. Dovette trascorrere un lungo tempo prima che il bambino riuscisse a chiudere dentro di sé quel male. Ma a volte, quando ormai cresciuto la sera si affacciava alla finestra della propria camera ed osservava la notte, gli pareva che la luna volesse colmare per lui quel vuoto orribile. Come se cantasse, in onore al suo pianto lontano, per mitigare quella tristezza che a volte non riusciva ad impedire di affacciarsi sul suo volto.”


“Perché mi racconti queste storie, Ted?” L’uomo si riscosse dai pensieri che avevano accompagnato la fine delle sue parole e posò nuovamente lo sguardo su Cosette. Povera ragazzina, lontana da casa per chissà quale motivo, ancora così ingenua eppure già avvolta da un’aria malinconica. La voce gli si fece rude, e le rispose con malgarbo.
“Perché spero di insegnarti qualcosa, ecco perché. Ora taci e ascolta, ho ancora un racconto per te.”

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Capitolo 4
*** I lupi ***


3. I lupi

“Abitava, in un piccolo paese, un uomo dal viso sempre corrucciato e dalla pelle segnata più dalle intemperie che dall’età. Dimostrava infatti molti più degli anni che in realtà portava sulle sue spalle. I suoi occhi erano come un lago profondo, dove chi osava affacciarvisi scorgeva una grande pena. Tutti mormoravano fatti orribili alle spalle dell’uomo, e da molto tempo l’intero villaggio lo evitava. Nessun episodio particolare lo rendeva pericoloso ai loro occhi, ma ognuno ne aveva timore, forse a causa di quell’aura tanto placa e grave che emanava al suo passaggio.”

“Ma l’uomo non si curava di quei bisbiglii misti di pena e paura che lo seguivano ad ogni passo, anzi non li sentiva neppure. Il suo cuore era colmo di ricordi, e spesso vi si perdeva desiderando di poter tornare al tempo in cui questi erano realtà. Aveva una casa ricca e ben costruita, ma trasandata, poiché nessuno la curava più. Aveva da tempo lasciato le cameriere ed i giardinieri liberi di fare la loro scelta, e questi se ne erano andati. Solo Berta, una vecchia badante, aveva mantenuto ferma il suo posto, e si occupava dell’uomo in modo che questi almeno mangiasse regolarmente ed avesse un minimo di cura della sua figura. L’uomo era sempre cortese con la donna, e quando questa si recava al mercato del paese cercava sempre di difenderlo di fronte ai pettegolezzi che immancabilmente percepiva per le strade al suo arrivo.”

“Una sera avvenne un episodio molto spiacevole. L’uomo stava tornando dalla sua passeggiata quotidiana nella foresta, ma sulla via del ritorno trovò ad aspettarlo un gruppo di giovanotti con un ghigno dipinto in volto. Forse per la baldanza causata dalla loro età, forse per una scommessa vincolante, i ragazzi dimostrarono presto di non avere buone intenzioni nei confronti della loro vittima.
- Ehi, tu, che ci fai sempre nel bosco? -
- Non lo sai forse che è pericoloso? -
- Ti sbagli Matt, non è il bosco ad essere pericoloso! È questo vecchio! -
- Ehi, hai ragione Todd, dovremmo farci attenzione! -
- Forza ragazzi, vediamo che ci può fare il vecchiaccio! - I ragazzi iniziarono a spintonare l’uomo lungo il suo percorso, gli tiravano le vesti e cercavano di farlo inciampare. Ma egli non disse una sola parola e si limitò ad avanzare per la sua strada come meglio poteva. D’un tratto però uno dei giovani abbandonò il gruppo e salì leggermente lungo il pendio che costeggiava il sentiero. Aveva scorto un grosso masso in bilico poco sopra, e divertito pensò di spingerlo verso l’uomo.”

“L’uomo si accorse del pericolo. Lì a fianco sorgeva un vecchio albero completamente morto, che resisteva in piedi solo grazie ad un precario equilibrio. Tutti al paese sapevano quanto quella carcassa fosse pericolosa, da anni ognuno proclamava che si sarebbe dovuto abbattere. Eppure nessuno mai l’aveva divelto. Non una persona aveva voluto accollarsi quella fatica. Nel vedere il masso rotolare verso l’albero l’uomo ebbe unicamente il tempo di fulminare i ragazzi con un’occhiata carica di disprezzo e paura. Poi si udì un forte rumore di legno schiantato ed un grido subito taciuto.
- Matt! -
- Matt svegliati, svegliati! - I ragazzi attorniarono il loro amico con il terrore in volto. Il giovane era rimasto schiacciato dalla vecchia pianta che si era schiantata al suolo, ed ora sembrava incosciente. O forse morto. L’uomo tentò di avvicinarsi per controllare la situazione, ma i giovani nel vedere le sue intenzioni balzarono in piedi senza più ragionare.
- Sei stato tu! -
- È tutta colpa tua, lo sappiamo! -
- Cosa gli hai fatto?! - Egli cercò di indurli alla calma perché potessero tentare di salvare il loro amico, ma i ragazzi con una forte spinta lo fecero cadere nel fogliame accanto al sentiero e corsero urlando verso il paese.”

“Poche tempo dopo l’uomo si trovò imprigionato nello stesso luogo in cui era caduto, senza possibilità di fuggire. Gli abitanti del paese, inferociti e sconvolti, dovendo trovare uno sfogo per il loro dolore non avevano obiettato nel sentire la versione narrata dai ragazzi.
- Sono i suoi occhi! -
- Ci ha guardati e l’albero è caduto, è stato lui! -
- I suoi occhi sono maledetti, fissa sempre tutti con quell’aria tanto cattiva! - I giovani urlavano quelle frasi con rabbia, senza davvero rendersi conto di quanto male stavano causando, e la folla, incitata da quelle parole, aveva agguantato l’uomo. Lo tenevano stretto per le braccia, per le gambe, costringendolo ad inginocchiarsi al suolo e piegarsi in avanti. Egli inizialmente aveva cercato di spiegare quanto era successo, ma poi aveva capito che quell’episodio era unicamente diventato una scusante per liberarsi finalmente di lui. Dell’uomo che faceva paura, che induceva a bisbigliare alle sue spalle, che era scansato perché dentro di sé portava troppo dolore. Gli abitanti del paese formarono un cerchio di torce che splendevano nella notte nuova attorno all’uomo. Di fronte a lui stava la madre di Matt. La donna, inginocchiata a terra con il ragazzo fra le braccia, gridava al cielo la perdita di suo figlio e bestemmiava contro l’uomo.
- Guarda, mostro, cos’hai fatto! -
- Ora ti faremo pagare per i tuoi peccati! -
- I tuoi occhi sono maledetti, maledetti! -
- Dobbiamo strapparglieli! -
- Sì, caviamogli gli occhi, così non potrà più guardare nessuno con quella sua anima nera! - Tre uomini gli si fecero vicini. Due di loro gli immobilizzarono il capo, incapaci perfino di scorgere il terrore che solo invadeva lo sguardo della loro vittima. Il terzo invece prese un vecchio ferro appuntito che una ragazza magra e bisbetica gli passò, e lo squadrò con un ghigno.
- Hai finito ora di far del male, bastardo. - L’uomo urlò dal dolore mentre gli veniva cavato l’occhio destro.”

“Incurante del sangue che scorreva da quell’orbita ormai cava il carnefice si stava avvicinando anche all’altro occhio, quando nell’aria si percepì un forte ululato, subito seguito da altri lamenti altrettanto angosciosi e vicini. Nella folla si propagò immediato il panico.
- I lupi! -
- Sono i lupi, stanno arrivando! -
- Scappiamo, o ci sbraneranno! - Tutti corsero verso il paese lasciando cadere l’uomo a terra quasi incosciente, dimentichi del fatto che fosse umano quanto loro, e forse anche più del corpo ormai privo di vita di Matt che si erano premurati di raccogliere e portare con loro. Con un sforzo, cercando di non curarsi del dolore, l’uomo si passò l’orlo della giacca sull’occhio per mondarlo dal sangue, poi si tolse l’indumento e lo gettò lontano. Nel corso degli anni e delle sue passeggiate solitarie nella foresta aveva imparato a conoscere ed amare quelle bestie. E loro sembravano comprendere l’uomo. Ma sapeva che l’odore del sangue era per loro più forte di un effimero vincolo d’amicizia con qualcuno che non apparteneva alla loro specie. Lentamente si alzò in piedi e si trascinò lontano da quel luogo, diretto verso una caverna nel fondo della foresta che aveva scoperto anni addietro.”


Ora Cosette iniziava a capire. Il motivo per il quale Ted le aveva raccontato quelle storie, ciò che nascondevano, quell’aria malinconica che impregnava quel posto e l’intera foresta. Si avvicinò lentamente all’uomo.
“Ted…” Gli prese delicatamente il viso tra le mani e lo sollevò perché le fosse finalmente distinguibile, illuminato dalla luce delle fiamme. Pur sapendo cosa avrebbe visto ebbe un sussulto d’orrore quando scorse la cicatrice che sola riempiva quell’orbita cava da anni. Con un sorriso misto d’amarezza e dolcezza Lupo si nascose la parte lesa con la mano destra e sospirò leggermente.
“Brava ragazzina, vedo che il tuo cuore è stato abbastanza aperto da capire…”

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Capitolo 5
*** Epilogo ***


Epilogo

“Eri sempre tu.”
“Sì.”
“Il promesso sposo, il bambino, l’uomo… queste storie parlavano di te.”
“Sì.” La voce di Lupo si incrinò leggermente, e la ragazza ebbe l’impulso d’abbracciarlo. Si limitò però a prendergli le mani che l’uomo aveva di nuovo posato sulle gambe dopo aver abbassato il viso perché fosse oscurato dalla tesa del cappello.
“Ma perché? Perché Ted, perché?” La disperazione che muoveva la sua voce era così evidente, era tutto così ingiusto.
“Perché mi è successo tutto questo? O perché ho voluto raccontarti la mia misera vita? In realtà non lo so, ed in fondo non ha importanza. Non si torna al passato, non si può annullare ciò che è già successo.”
“Ma non è giusto!”
“Lo so, ragazzina, ma non puoi fare nulla. Solo accettare che sia successo ed andare avanti.” Cosette si accucciò a fianco dell’uomo e gli posò il capo in grembo, forse tentando inconsciamente d’imitare quel gesto compiuto tante volte dalla sorellina, molti anni addietro.
“Allora era di questa caverna che mi hai raccontato? E del paese che ho attraversato per giungere fin qui? È per questo che tutti mi hanno raccomandato di non entrare nella foresta?” Lupo considerò per un attimo quelle parole, sorridendo amaramente per la premura che i suoi compaesani avevano avuto per una ragazzina sconosciuta.
“È di tutto questo che ti ho parlato, sì. Quanto a quello che ti hanno detto al paese… In realtà credo ti stessero avvisando dei lupi, nient’altro. La gente scorda in fretta, tutto diventa leggenda, ed io ora mi posso presentare in paese senza timore. Certo, nessuno si avvicinerà a me. Nessuno oserà parlarmi, toccarmi, si limiteranno ad allontanarsi in attesa che io abbia sbrigato le mie faccende e che abbia lasciato il paese per tornarmene nella foresta.” Stette in silenzio ancora un attimo, poi riprese. “È come se… come se io fossi il vento. Invisibile, passa tra le persone muovendo in loro un brivido ed inducendole a chiudersi in casa fino a che torna il sereno, ma nessuno tenterà mai di fermarlo od incatenarlo. Sono invisibile ai loro occhi, inaccessibile ai loro cuori.”
“È triste.” Lupo la osservò, un poco stupito da quell’osservazione tanto semplice quanto seria. Le carezzò il viso mosso da una tenerezza che da molto non muoveva più i suoi gesti.
“In fondo non è così triste. Ora sono in pace, trascorro le mie giornate sereno, in compagnia degli alberi e del canto dei lupi.”
“E la notte?”
“E la notte è la luna a piangere per me.”

Leggera, Cosette si sollevò sulle ginocchia ed attirò il viso di Lupo a sé. Gli tolse il cappello con tenerezza e gli sfiorò la fronte con un bacio.
“Vuoi che rimanga qui con te?” Lupo espirò violentemente a quelle parole inaspettate, e per un attimo il suo cuore si riempì di speranza. Vide il volto della ragazza fondersi nei suoi ricordi con quello di Anna, poi con quello della sua sorellina che ormai da anni non vedeva più. Le sue mani si mossero da sole per raggiungere il volto di lei, tremanti. Ma poi si fermò, e delicatamente la scostò da sé.
“Ragazzina…” Dovette fermarsi un attimo per schiarire la voce improvvisamente roca. “Non puoi rimanere qui. Non voglio la tua pietà.” Cosette scosse con forza il capo.
“Non è per questo che voglio rimanere con te! Ti prego, credimi!” Lupo le sorrise, consapevole d’averla messa alla prova pur già conoscendo la sua risposta.
“Ti credo, Cosette… Ma non puoi restare. Sono certo che hai una famiglia che ti sta cercando, e che piange per te. Sei fuggita di casa, chiunque lo capirebbe.” La ragazza arrossì per essere stata colta in fallo, e chinò il capo.
“Io…”
“Torna da loro. Hai la possibilità di essere felice, con un piccolo sforzo, non ti hanno insegnato nulla i miei racconti? Perdere ciò che hai di più caro è il più grande dolore, non lasciare che questo avvenga volontariamente.” Cosette si lasciò sfuggire un singhiozzo, ma dopo qualche istante annuì debolmente.

“E cosa racconterò?”
“Dì semplicemente che i lupi ti hanno chiamata, ed i lupi ti hanno riportata a loro. Ne sono certo, saranno felici di rivederti.”
“D’accordo…” L’uomo si levò in piedi e si affacciò all’entrata della caverna. In quel momento Cosette udì degli ululati.
“È l’alba, la foresta si sta svegliando.”
“Debbo partire?” Lupo annuì.
“Va’, e torna dalla tua famiglia. Nulla disturberà il tuo viaggio.”
“Potrò rivederti?” L’uomo rifletté per qualche istante, meditabondo.
“Chissà, forse un giorno…”
“Quando i lupi mi riporteranno fino a qui.”
“Già.” Cosette si alzò in piedi a sua volta e si accostò a Lupo. Lo abbracciò di slancio, mossa da un improvviso affetto verso quell’uomo tanto strano quanto ai suoi occhi speciale. Carezzò i suoi capelli che appena iniziavano a tingersi di grigio, poi i suoi occhi di fanciulla si fusero con quell’unico sguardo profondo mentre piano posava su quelle labbra screpolate un bacio sincero.
“Addio, Ted.”
“Addio, Cosette.” Se ne andò cantando coi lupi senza più voltarsi indietro.




Ringrazio di cuore Akane chan e zucchero filato per aver recensito questa storia e Akane chan, eLiSeTtA, KIba sensei, thid e zucchero filato per averla inserita fra i preferiti!!

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