La Clessidra Della Morte: C'est La Mort

di OfeliaMontgomery
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'incidente. ***
Capitolo 2: *** La casa della Morte. ***
Capitolo 3: *** No, io mi nutro di anime colpevoli. ***
Capitolo 4: *** Oui ma cherie. ***
Capitolo 5: *** Cristallo cattura che? ***
Capitolo 6: *** #1-2: Le prime due vittime. ***
Capitolo 7: *** La parete disgustosa e la Dama della Morte. ***
Capitolo 8: *** #36: Il professor Tisdale. ***
Capitolo 9: *** #46: Ubriacone violento. ***
Capitolo 10: *** Fatto. Ora che ci guadagno? ***
Capitolo 11: *** Sam, Sammy, Samantha…Oh la mia Samantha. ***
Capitolo 12: *** L'angelo dalle ali nere. ***
Capitolo 13: *** Domande, risposte e debiti. ***
Capitolo 14: *** Dorian Bonnet pt.1 ***
Capitolo 15: *** Dorian Bonnet pt.2 ***
Capitolo 16: *** #47: Oscar. ***
Capitolo 17: *** #48-49: Due al prezzo di uno. ***
Capitolo 18: *** […]ma se vuoi, puoi venire a cena con noi. ***
Capitolo 19: *** Una cena divertente fra Katie, Lucas e Cordelia. ***
Capitolo 20: *** Una serata al Luna Park. ***
Capitolo 21: *** A casa di Lucas. ***
Capitolo 22: *** Al matrimonio della zia gotica di Lucas pt.1 ***
Capitolo 23: *** Al matrimonio della zia gotica di Lucas pt.2 ***



Capitolo 1
*** L'incidente. ***


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Katie Stokes insieme a sua madre e un’amica della donna, si stavano dirigendo ad un matrimonio. Erano in viaggio da quasi un’ora e Katie si stava davvero annoiando, anche perché la madre non voleva nemmeno accendere la radio. Le strade che portavano al New Jersey quella mattina erano deserte e per loro fortuna non avevano incontrato nemmeno un intoppo. Viaggiavano tranquillamente e a velocità moderata.
«Mamma quanto manca?» chiese Katie sbuffando e mettendosi a posto il lungo vestito rosso fuoco.
«Circa venti minuti» rispose la madre svoltando a destra di un incrocio.
Katie sbuffò ancora, appoggiandosi contro allo schienale del sedile della piccola macchina della madre.
«Dai KatKat rilassati» parlò l’amica della madre, girando il capo verso la ragazza. Katie fece un sorriso tirato poi annuì.
La madre, Sophia, aveva quarantatre anni, ma ne dimostrava almeno sette in meno. Aveva i capelli biondo cenere e due grandi occhi azzurri, entrambe le cose le aveva ereditate anche Katie. Ma la ragazza i capelli se li era tinti di un biondo molto più chiaro, quasi platino. L’amica della madre, Sarah, invece aveva i capelli castano ramati e occhi leggermente a mandorla, color della corteccia degli alberi.
Katie iniziò a trafficare nella sua borsa alla ricerca dello specchietto che si portava sempre dietro, ma non fece in tempo a trovarlo che una macchina le tamponò da dietro. L’auto iniziò a sbandare, fino a finire in un fosso sul ciglio della strada. L’auto si era totalmente catapultata nella boscaglia, rotolando un paio di volte. Katie picchiò fortemente la testa contro al finestrino mentre veniva scaraventata da una parte all’altra dell’auto, senza riuscire a fermarsi. La madre e Sarah urlavano dal dolore mentre venivano schiacciate contro al sedile dalle cinture di sicurezza; il parabrezza e i finestrini, ormai ridotti in pezzi, schizzavano da ogni parte e le colpivano in pieno, ferendole gravemente.
Di colpo l’auto si fermò. Aveva finito di rotolare. Le donne si ritrovarono con l'auto a testa in giù bloccate da un enorme tronco rovesciato al suolo, miracolosamente vive. No, non tutte vive, Katie aveva smesso di respirare.
La madre tossendo sangue chiamò più volte la figlia, senza però ricevere mai una risposta. Sophia facendo piano, anche perché aveva male dappertutto, girò la testa verso la figlia, notò che le sgorgava sangue dalla testa e le gocciolava persino sugli occhi, ormai chiusi definitivamente. La sua dolce Katie era morta.
La madre cercò di slacciarsi le cinture di sicurezza, ma si erano incastrate. Con la poca forza che le rimaneva le tirò, riuscendo a sbloccarle. La donna tolte le cinture, scivolò giù dal sedile e sbatté la schiena contro il voltante, ma questo non la fermò. Prima controllò se Sarah era ancora viva poi strisciandosi verso la figlia, provò a svegliarla, ma quest’ultima non si mosse nemmeno di un millimetro. La madre urlò dal dolore, mentre si aggrappava al vestito della figlia e la tirava.
Sarah riuscì a slacciarsi la cintura e ad uscire dalla macchina. Si trascinò fuori, ricoperta di tagli e lividi. Chiamò Sophia dicendole che la macchina avrebbe preso fuoco fra poco, perché stava perdendo olio.
Sophia tirò su con il naso mentre accarezzava un braccio della figlia poi gattonò indietro, ferendosi il ginocchio con un pezzo di vetro ed infine uscì dalla macchina. Aprì lo sportello del passeggero e strascinò fuori l’ormai cadavere di Katie, «Sarah ti prego aiutami» la supplicò la donna, cercando di spostare la figlia da lì.
Sarah si alzò barcollando poi mettendo un piede dolorante davanti all’altro, si avvicinò a Sophia ed insieme trascinarono Katie il più lontano possibile dalla macchina. Poi la macchina scoppiò in un forte boato e si elevarono alte fiamme che carbonizzarono la vettura. Il forte scoppiò fece scaraventare le due donne e Katie al suolo. Sophia teneva stretta fra le braccia il cadavere delle figlia e piangeva, piangeva tutte le lacrime che aveva in corpo perché l’aveva perduta, perduta per sempre.

 

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Capitolo 2
*** La casa della Morte. ***


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Katie sbatté un paio di volte le palpebre prima di rendersi conto di trovarsi dentro ad un enorme clessidra di vetro. Aveva i lunghi capelli biondi metà appiccicati al viso per via del sangue e l’altra metà tutta arruffata e indossava ancora il vestito rosso che aveva nel incidente in auto. Era piena di tagli: sulle braccia, sul viso, sul collo e sul petto. Katie guardò verso il basso e notò che pian piano stava venendo risucchiata dal buco che l’avrebbe portata al bulbo sottostante. Il bulbo in basso, pian piano si stava riempiendo di sangue, del sangue di Katie.
La ragazza iniziò ad urlare e sbattere le mani contro al vetro della clessidra. Era spaventata a morte. Che diamine stava succedendo? E dove si trovava?
Di colpo Katie sentì la clessidra muoversi e due mani scheletriche avvolgerla.
Le due enormi mani scheletriche iniziarono a scuotere con forza la clessidra, fino a far materializzare Katie fuori da essa. Ma comunque all’interno della clessidra c’era una piccola Katie che veniva pian piano risucchiata e trasportata nel bulbo di sotto.
Katie venne investita da una forte luce rossa che le fece chiudere istintivamente gli occhi. Quando li riaprì, si trovò davanti uno alto scheletro vestito di un saio nero, che impugna una falce fienaia. Katie urlò ma dalla sua bocca non uscì nemmeno un suono. La Morte scosse il cranio scheletrico, «Tutte le sante volte urlate come dei pazzi» la sua voce era bassa e profonda. Katie aveva notato che la bocca non si era minimamente mossa e allora capì che parlava attraverso la mente.
«Chi sei? E perché mi trovo qui?» domandò e questa volta la voce c’era. Lei ovviamente mosse le labbra.
La Morte fece un passò in avanti e avvicinò il suo teschio al viso della ragazza «Sono la Morte e tu ti trovi qui perché sei nel mio limbo, nella mia casa». Katie tremò impaurita. Pensò di scappare, ma dove sarebbe andata? Era nel limbo della Morte...l’avrebbe trovata ovunque si fosse nascosta.
«Ma io…mia madre? Ero con lei e Sarah, Sarah!» strillò Katie sventolando una mano in avanti.
«Loro sono vive, tu sei bloccata qui» disse la Morte, andandosi a sedere sul suo trono composto da teschi e ossa di ogni parte del corpo.
«Perché io?» domandò tirando su con il naso. Solo allora si rese conto di star piangendo e non semplici lacrime, ma lacrime di sangue.
«Perché tu sei l’unica che è morta in quel incidente» scrollò le spalle scheletriche e aspettò che il suo corvo si appoggiasse sulla falce. La Morte sfiorò con un lungo dito scheletrico il capo del corvo che gracchiò per poi puntare i suoi occhi rossi in quelli azzurri e spaventati di Katie.
«Forza siediti. Dobbiamo parlare di una questione molto importante» disse serio, facendo rabbrividire Katie.
Katie annuì e alzando il suo lungo vestito rosso, strappato in certi punti, si andò a sedere sull’ultimo gradino, al fianco del trono e aspettò che la Morte le parlasse.
La ragazza si mise a guardare in giro e notò che quella stanza oltre ad essere circolare, era davvero spoglia e cupa. Non vi era alcun oggetto o mobile, solamente il trono al centro della stanza. Ed era illuminata solamente da torce appese alle pareti, fatte di pietra, intorno a loro.
Katie si passò l’indice e il medio, di entrambe le mani, sotto agli occhi per togliere via i residui delle lacrime versate. Quando abbassò lo sguardo e si guardò le mani, vide il sangue, il suo sangue.
«Perché piango sangue?» domandò Katie, pulendosi le mani macchiate di sangue sul vestito.
La Morte si mise una mano sotto al mento per sostenersi la testa e guardò attentamente Katie, «Perché non possiedi più la tua anima» rispose con chiarezza.
«Oh..» Katie era senza parole. Aveva perduto la sua anima e ora, ora era costretta a stare in un limbo per sempre.
«C’è una possibilità che tu possa riaverla indietro, intendo l’anima » spiegò in modo cortese il cupo mietitore. Katie alzò di scatto il viso e guardò attentamente il mietitore ma poi distolse lo sguardo, perché quei buchi neri al posto degli occhi gli facevano venire i brividi. Il corvo gracchiò per poi spostarsi sulla spalla di Katie. La ragazza balzò in aria spaventata, per poi scusarsi e rimettersi a sedere, cercando anche di calmarsi un po’.
«Se vuoi indietro la tua anima…dovrai uccidere cento persone e prenderne le anime per me» continuò a spiegare il cupo mietitore «Ma avrai tempo solamente fino al giorno di Halloween» disse infine.
«Poi avrò indietro la mia anima?» domandò Katie dopo aver ascoltato la proposta del mietitore. La ragazza poi si rese conto che mancavano esattamente tre mesi ad Halloween e sperò con tutto il cuore di riuscire a farcela.
La Morte rise e la sua risata echeggiò dentro alla testa di Katie, come una dolce melodia macabra.
«Vedo che il fatto di uccidere persone non ti ha fatto cambiare idea sul riavere indietro la tua anima» constatò lo scheletro grattandosi il mento ossuto.
Katie gonfiò le guance con fare infantile «Non voglio rimanere bloccata qui per l’eternità e poi so già chi saranno le mie vittime» disse infine scrollando le spalle.
«Bene, allora puoi andare nella tua stanza. Hergar falle strada» concluse la Morte, dando al corvo un colpetto in testa e indicandole la porta alla sinistra del trono.

 

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Capitolo 3
*** No, io mi nutro di anime colpevoli. ***


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Katie se ne stava sdraiata sul letto con le gambe a penzoloni mentre fissava attentamente il soffitto di pietra. La ragazza si sentiva come se dentro di lei ci fosse un vuoto incolmabile, privo di emozioni e pieno di angoscia e di solitudine. Era angosciata al pensiero di dover rimanere lì, ma allo stesso tempo era spaventata all’idea di dover uccidere persone per potersi liberare.
Katie sospirò per poi guardarsi un attimo in giro, muovendo appena la testa. La camera in cui era stata portata da Hergar, il corvo, era molto lugubre e romantica. Le pareti erano color blu notte e la stanza era illuminata da un grande lampadario di cristallo. I mobili erano neri, massicci e intarsiati con rose. Oltre al letto c’erano anche: un divano, una poltrona, un armadio e una cassettiera, ovviamente neri. Le finestre erano rigorosamente chiuse e nascoste da delle maestose tende blu.
Katie si stava davvero annoiando, così balzando giù dal letto, decise di andare ad esplorare il castello della Morte.
Il rumore dei suoi tacchi sulle mattonelle del pavimento risuonava lungo il corridoio principale come il lento rintocco di un orologio a pendolo che si udiva in lontananza.
Katie trattenne il respiro mentre camminava lentamente per il corridoio senza sapere nemmeno lei dove andare.
Katie camminò per circa dieci minuti, prima di scendere le scale e ritrovarsi al piano terra. La ragazza svoltò l'angolo e si trovò di fronte a una porta aperta. Diede un'occhiata all'interno e vide quella che era evidentemente la sala della musica. Perché c’era un pianoforte e su un tavolo rotondo vicino ad esso invece c’era adagiato un violino. C’erano anche due divani di pelle nera che servivano per assistere a qualche concerto, se così si poteva dire. Anche se Katie si domandava a cosa potesse servire una stanza del genere alla Morte.
Di colpo sentì gracchiare. Katie si girò spaventata e vide Hergar fissarla con i suoi occhi rosso fuoco. La ragazza indietreggiò pian piano per poi correre verso la sua stanza.
 
Katie continuava a camminare avanti ed indietro per sua stanza. Si stava annoiando e non sapeva cosa fare in quel posto. Se a quell’ora fosse stata ancora viva, si sarebbe sicuramente trovata al matrimonio di Taylor, l’amica della madre e, si sarebbe sicuramente divertita. Avrebbe bevuto un bel bicchiere di champagne, mangiato fino a scoppiare e ballato fin che i piedi non le avrebbero chiesto pietà. Invece nulla di tutto ciò sarebbe potuto accadere.
Sospirò rumorosamente poi si gettò sul letto a pancia in giù, soffocando un urlo contro il cuscino. Quando smise di urlare, si rese conto di non aver ancora mangiato ma allo stesso tempo di non avere appetito.
«Fare così non ti servirà a nulla. Ah, se hai fame, puoi sempre usufruire della cucina. Lì è pieno del vostro cibo da umani» parlò il cupo mietitore entrando nella stanza della ragazza.
Katie si tirò su di scatto, si girò con il corpo verso di lui e lo guardò attentamente con un sopracciglio alzato «Cibo da umani? Tu non mangi?» gli domandò.
La Morte fece un passo in avanti, camminava sorreggendosi al suo fedele ed elegante bastone da passeggio.
«No, io mi nutro di anime colpevoli» le rispose, andandosi a sedere su l’unica poltrona di pelle nera, proprio di fronte a Katie.
«Oh…Quindi ora ti servo io per poterti nutrire o..?» chiese Katie, dondolando le gambe avanti e indietro.
«Mi servi anche tu, sì. Ho altre anime intrappolate qui che mi fanno le consegne, se così si può dire» rispose La Morte cercando di essere un po’ spiritoso. Infatti fu così perché Katie emise un risolino.
«Capisco. Quanti anni hai?»
«Troppi. Ora va pure a mangiare che io ho delle faccende da sbrigare» fu sbrigativo nel risponderle poi si alzò dalla poltrona e così come era comparso, scomparì dietro alla porta della camera di Katie.
Katie sospirò ancora e ancora. Non capiva perché il mietitore si era comportato in quel modo strano quando gli aveva chiesto l’età. Era solamente una stupida domanda.
 
Katie con l’aiuto di Hergar riuscì a trovare la cucina. La cucina era grande e illuminata da una finestra oltre che da un lampadario a candele. Le pareti erano rosse e ricordavano molto il sangue ed era ornata da numerose piastrelle bianche e grigie. C’erano una dispensa e scaffali in legno marrone più antichi, mentre si notavano il distacco del frigorifero e della lavastoviglie dal resto della cucina per via del loro stile più moderno e dal loro colore grigio luminoso. La cucina ospitava un tavolo per sei persone, ricoperto da una tovaglia rossa e con un vaso pieno di rose nere e blu.
La ragazza andò ad aprire il frigorifero e prese un succo d’arancia e un tramezzino ancora dentro la sua plastica iniziale. Chiuse il frigorifero; appoggiò il succo e il tramezzino sul tavolo per poi andare a cercarsi un bicchiere da poter usufruire.
«E’ la prima anta a sinistra» una voce maschile alle sua spalle la fece sobbalzare. La ragazza lasciò perdere la sua ricerca e si girò. Katie pensava che alle sue spalle si sarebbe trovata il mietitore invece trovò un ragazzo umano o meglio come lei, un senza anima al servizio della Morte.
«Sei al servizio della Morte anche tu?» domandò Katie senza pensarci troppo.

 

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Capitolo 4
*** Oui ma cherie. ***


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«Oui ma cherie» rispose il ragazzo, sorridendo malizioso. Katie sbuffò «Evita, grazie» disse seccata «Comunque da quanto sei qui?» chiese infine.
Il ragazzo si grattò il mento, «Mi chiamo Dorian, comunque. Sono qui da un mese e mezzo. Tu invece devi essere appena arrivata dato che hai ancora voglia di mangiare» rispose Dorian, indicando il tramezzino e il succo sul tavolo.
Katie scrollò le spalle, «Che cosa dovrebbe significare?» domandò confusa.
«Noi siamo dei senza anima, non ci serve mangiare. Ma quando uno di noi è appena arrivato qui, ha ancora la sensazione di dover per forza mangiare per restare in forze invece non è così. Noi non necessitiamo di mangiare, noi siamo morti e così anche la nostra voglia di cibo.» spiegò Dorian spostando una sedia indietro, trascinandola sul pavimento ed emettendo un rumore stridulo per poi sedersi tranquillamente. Katie fece lo stesso però lei la sedia l’aveva alzata per non emettere alcun rumore.
«Quindi il mio è solamente un riflesso naturale» disse lei scettica. Dorian annuì prendendo il succo d’arancia di Katie e bevendone un sorso.
«Vedi, nel berlo non ho provato nulla. Pian piano la tua voglia di cibo sparirà, ma fino a quel momento goditelo, mangia tutto quello che puoi e bevi tutti quello che vuoi» disse Dorian con gentilezza.
Katie si era soffermata a guardare il ragazzo mentre lui era intento a spiegare. Dorian era un ragazzo giovane, slanciato e dal fisico ossuto. Il volto pallido e scarno, era incorniciato da una massa di capelli neri spettinati, lungi fino alle spalle. Gli occhi verdi fissavano un punto dietro alle spalle della ragazza mentre le mani grandi, con dita lunghe e affusolate, stringevano il cartone del succo d’arancia. Sedeva con la schiena ricurva sul tavolo della cucina e teneva le sue lunghe e secche gambe accavallate.
«Beh? Sono troppo bello, lo so» disse spavaldo, facendo ritornate Katie alla realtà. La ragazza fece spallucce, prese il suo tramezzino poi senza degnare Dorian di uno sguardo, uscì dalla cucina.
«Ehi, non mi hai ancora detto come ti chiami» urlò Dorian.
A separare la cucina dal salone c'era solo un arco che rendeva quindi le due stanze un tutt’uno. Infatti il soffitto e le pareti del salone avevano lo stesso colore della cucina. Cioè rosse. Nel salotto a differenza della cucina, c’erano due finestre tenute coperte da delle tende bianche. Un enorme lampadario di diamanti era posizionato proprio al centro del soffitto e dava un tocco classico. C’erano due divani: uno di pelle nera e uno di pelle rossa e si trovavano vicino ad un caminetto che scaldava per bene tutta la sala. Sul caminetto erano posizionati due teschi e in mezzo ad essi, c’era un candelabro dalle candele rovinate e consumate. Una grande porta a due ante collegava la sala al corridoio principale. Ed era proprio in quella direzione che si stava dirigendo Katie.
«Katie!» urlò a sua volta la ragazza per poi chiudersi la porta del salotto alle spalle.
 
La ragazza era tornata in camera sua e si stava mangiando il tramezzino sdraiata in pancia in giù sul letto. Nella cassettiera della sua stanza aveva trovato un blocco da disegno con un bella copertina nera e al suo interno una matita. Katie aveva deciso di disegnare qualcosa dato che si stava davvero annoiando.
Quando finì di mangiare il tramezzino, appoggiò il sacchetto sul comodino per poi ritornare sul letto e incominciare a disegnare.
Iniziò a tracciare delle righe a caso per poi ritrovarsi a disegnare il mietitore con lei al suo fianco. Lei indossava il suo lungo vestito rosso e sorrideva malignamente mentre teneva una mano appoggiata sulla spalla ossuta e coperta dalla tunica, della Morte. Trattenne un urlò poi strappò il figlio e lo accartocciò, lanciandolo da qualche parte nella stanza. Tornò sul blocco, su un foglio bianco e ricominciò a disegnare. Questa volta cercando di pensare a qualcosa di bello e di felice.
«E’ un bellissimo disegno, perché l’hai buttato?» domandò il mietitore stando sulla porta della camera della ragazza con il mano il disegno di lei.
Katie urlò per la sorpresa, «Tu! Tu mi farai morire se continui ad apparire così» disse puntandogli un dito contro.
Il cupo mietitore rise, «Sei già morta. Ah, ho saputo che hai conosciuto Dorian, è un ragazzo tanto strano» disse grattandosi il mento.
Katie fece spallucce, «Non mi importa di lui. L’unica cosa che voglio sapere è: quante anime deve prendere lui per poter riavere la sua anima?» gli domandò.
«Cinquanta» rispose La Morte poi lanciò il disegno, precedentemente accartocciato, sul letto della ragazza «E’ un bel disegno, continua così» disse ancora prima di sparire, di nuovo.
Katie sbuffò. Non era possibile. Tutte le volte che voleva delle risposte da lui, lui decideva di rispondere ad una sola domanda e poi sparire nel nulla. E per quale diamine di motivo Dorian doveva prendere solamente cinquanta anime mentre lei cento?

 

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Capitolo 5
*** Cristallo cattura che? ***


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Katie si trovava in camera sua, nel suo letto, quando si svegliò di colpo nel bel mezzo della notte. Cercò l’interruttore per accendere la luce ma quando pigiò sul tasto, questa non si accese, quindi pensò fosse saltata la luce. La ragazza uscendo dal suo caldo e morbido letto, scese le scale al buio e raggiunse i suoi genitori che erano intenti a guardare la tv in salotto. Provò a chiamarli ma dalla sua bocca non uscì nemmeno un suono. Era muta. Si mise di fronte ai suoi genitori, proprio davanti alla televisione, ma loro non si mossero nemmeno di un millimetro. Stavano lì immobili a guardare la televisione. Katie cercava di chiamarli. Urlava ‘mamma, papà’ ma senza emettere suoni. La porta della cucina si spalancò e da lì, uscì il cupo mietitore che tagliò con un colpo netto le gole dei genitori di Katie. La ragazza urlò fortissimo, questa volta la voce c’era. Vide le teste dei suoi genitori rotolare sul pavimento e tutto il sangue macchiare il divano bianco, creando un enorme chiazza rossa. Katie scoppiò a piangere mentre vedeva il mietitore uscire da dov’era entrato. La lasciò sola, sola nella sua disperazione.
Katie si svegliò di colpo ed era completamente bagnata, persino i capelli alla base della nuca erano zuppi di sudore, così come la camicia da notte che era fradicia ed appiccicata alla schiena. Il cuore le batteva velocemente e aveva le lacrime agli occhi. Nel suo incubo erano i genitori a morire, invece nella realtà era lei quella morta. Era lei quella che non sarebbe tornata in vita. Era lei che non avrebbe più rivisto la sua famiglia. Era lei che sarebbe dovuta rimanere in quel posto fino alla completazione della sua missione. Era lei quella che si sentiva dannatamente sola e stanca.
«Incubo eh?» domandò una voce maschile all’interno della stanza.
La ragazza scattò in avanti terrorizzata. Chi diamine era ora?
«Chi sei? Dorian sei tu?» chiese a sua volta Katie con la voce tremante mentre cercava di accendere la sua lampada da comodino.
«No, sono Hergar» rispose la voce, uscendo allo scoperto. Nel buio della stanza si potevano notare solamente gli occhi rosso sangue del corvo, adesso umano.
Katie riuscì finalmente ad accendere la luce. Quando alzò il viso e si ritrovò davanti un ragazzo alto e slanciato, dai capelli neri e la pelle diafana che sorrideva mostrando dei denti aguzzi e spaventosi.
«Hergar? Tu eri un corvo e, e, e ora sei un ragazzo? Oddio non ci capisco più niente» esclamò Katie passandosi le mani fra i capelli, scuotendo anche la testa.
Il corvo rise divertito, «Posso trasformarmi in qualsiasi cosa io voglia. Principalmente sono il corvo della Morte, ma nel tempo libero sono un ragazzo» spiegò alzando le spalle. La voce di Hergar era rauca e gracchiante.
«Capisco. Beh ora puoi anche uscire dalla mia camera. Ora ho seriamente bisogno di una doccia e di rimanere sola» disse Katie indicando al corvo la porta della sua camera. Il ragazzo salutò con un cenno la ragazza poi uscì dalla sua camera.
Katie non aveva mai desiderato così tanto farsi una doccia come in quel momento. Sciolse la coda facendo scendere delicatamente sulla schiena i lunghi capelli biondi e velocemente si svestì. Aprì l’acqua ed entrò nella doccia. Un getto d’acqua fredda la investì in pieno, facendola rabbrividire al primo impatto. Girò la manovella verso quella calda e stette lì a godersi lo scorrere dell’acqua sulla pelle. Si passò le mani fra i capelli, tirandoli poi tutti indietro per lasciare scoperto il viso. Stette sotto al getto d’acqua per quasi dieci minuti poi decise che era meglio uscire e provare a riaddormentarsi.
Uscì dalla doccia, si avvolse l’asciugamano intorno al corpo e poi ne usò uno per tamponarsi i capelli. Quando ebbe finito di asciugarsi il corpo e almeno un po’ i capelli, se ne tornò in camera in cerca di qualcosa da indossare. Aprì l’armadio e cercò una maglia o un vestito da poter indossare per la notte. Trovò un vestito nero abbastanza lungo, lo indossò poi si mise sotto alle coperte e provò ad addormentarsi.
 
La mattina seguente Katie si svegliò con il gracchiare di un corvo e il corvo in questione era Hergar. Katie borbottò qualcosa per poi nascondere la testa sotto al cuscino e rimettersi a dormire.
«Katie, il cupo mietitore vuole la tua missione abbia inizio oggi» disse Hergar, lanciando sul letto della ragazza un enorme borsone blu scuro. La ragazza sobbalzò nel letto, fulminò con lo sguardo Hergar ed infine sbuffò sonoramente, incrociando le braccia sotto al seno.
«Cos’è quella roba?» domandò con la voce impastata dal sonno.
«Sono le tue armi e il tuo cristallo cattura anime» la Morte fece la sua entrata d’effetto facendo come sempre spaventare Katie. Hergar ritornò ad essere un corvo e si posò tranquillamente sulla spalle del mietitore.
«Cristallo cattura che?» Katie alzò un sopracciglio non capendo.
Il mietitore si avvicinò al letto della ragazza, usando come sempre il suo bastone fatto in legno con il pomello d’oro e gli si piazzò davanti, «Cristallo cattura anime» ripeté la Morte.
Con le sue mani scheletriche aprì il borsone blu ed estrasse dal suo interno una piccola palla di cristallo bianco «E’ questo. Quando sarà pieno, diventerà blu e in quel momento dovrai portarlo a me» spiegò il mietitore.
Katie annuì «Va bene e che armi dovrò usare?» domandò indicando il borsone. La Morte rise cupamente e il tutto rimbombò nelle orecchie e nella mente della ragazza che si allarmò un po’. Che diamine di armi avrebbe dovuto usare?
La Morte estrasse dalla borsa: un falcetto con la lama ricurva e manico in legno, che secondo lui era l’arma migliore; un pugnale con lama corta, dritta e a due tagli e un machete con impugnatura e lama dritta a un solo taglio. La lama era lunga quasi 40 centimetri.
Il mietitore le disse che aveva un’ultima cosa da darle. Dalla borsa estrasse un mantello di velluto nero con il cappuccio e glielo lanciò in testa. Katie protestò e togliendosi il mantello di dosso, si spettinò tutti i capelli, facendola sembrare un leoncino.
«Questo è tutto. Preparati perché la tua missione sta per iniziare» disse il mietitore, uscendo dalla stanza per lasciare il tempo alla ragazza di prepararsi. Katie si lasciò cadere indietro sbuffando sonoramente.

 

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Capitolo 6
*** #1-2: Le prime due vittime. ***


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Katie stava camminando nel vicolo il più in fretta possibile, muovendo velocemente le gambe. Il tintinnare delle lame, una contro all’altra, spezzava il silenzio di quel piccolo vicolo, sporco e puzzolente. Il vicolo buio aveva un aspetto spettrale e odorava di cassonetto andato a male. Il cielo che si intravedeva fra gli edifici era grigio, nuvoloso e minacciava pioggia. Come inizio non poteva andare peggio.
Katie aveva percepito un sonoro sospiro alle sue spalle e in quel momento le fu chiaro che c’era una presenza sconosciuta e indesiderata che la seguiva.
Velocizzò il passo, sentendo il suo cuore accelerare i battiti. L’uomo dietro di lei rise divertito. Katie strinse fortemente i pugni, conficcandosi le unghie nei palmi delle mani e irrigidì il copro.
«Dove vai bellezza?» chiese l’uomo.
Katie non rispose a quel uomo e continuò a camminare. Avanzò lungo il vicolo, guardando la luce di un lampione alla fine della strada. Se voleva ucciderlo avrebbe dovuto farlo prima di arrivare alla fine del vicolo. O ora o mai.
«Bellezza non vorrai scappare?»  chiese ancora ma questa volta ridendo.
Katie sentì i passi del uomo venire verso la sua direzione e il respiro le si accelerò. I passi si fecero sempre più vicini. Katie estrasse dalla sua cintura, nascosta dal mantello nero, la piccola falce e la tenne dietro alla schiena pronta per usarla.
In un tempo decisamente breve, l’uomo l’aveva raggiunta e superata. Le si piazzò davanti con un’aria da maniaco. Katie lo guardò con aria disgustata invece.
Era un uomo sulla cinquantina, calvo e grasso che indossava una lurida canottiera bianca sudaticcia e dei jeans luridi e pieni di buchi. Se ne stava con le braccia incrociate e con il suo sguardo divorava avido il viso di Katie. Perché era l’unica parte scoperta. Si maledisse per non essersi tirata sul viso il cappuccio del mantello.
«Non ti avvicinare» strillò Katie, indietreggiando fino a toccare con la schiena il muro di qualche negozio, nascosto in quel vicolo.
L’uomo rise e si avvicinò ancora di più «Perché? Sei così bella» le disse. Alzò un braccio e con una mano cercò di accarezzarle una guancia, ma Katie fu più veloce. Fece uscire allo scoperto la sua piccola falce e con un colpo netto, tagliò la gola del uomo.
«Ti avevo avvertito» disse macabramente Katie.
L’uomo si portò le mani alla gola per provare a fermare l’emorragia. Il sangue sgorgava velocemente dal quel enorme squarcio, macchiandogli anche i vestiti. Sull’asfalto, intorno all’uomo, si stava creando un enorme pozza di sangue.
Katie estrasse la piccola palla di cristallo bianca dalla tasca dei suoi pantaloni e la mise davanti al uomo. Una luce bluastra uscì dal corpo del uomo. Era l’anima che stava venendo risucchiata nella palla di cristallo.
Quando ebbe finito, pulì la lama della falce per poi rimettersela nella cintura e ritirò il cristallo nella tasca dei pantaloni. Poi si tirò su il cappuccio ed uscì dal vicolo come se non fosse successo niente.
 
Katie aveva bisogno di bere qualcosa, anche se come gli aveva spiegato Dorian non ne necessitava.
Si fermò davanti ad un’insegna a neon che doveva essere a intermittenza invece ora sembrava invece sul punto di spegnersi. L’insegna era classica, era solo una linea verde con sfumature azzurre che componeva in corsivo le parole “Green Wave".
Entrò nel bar. Il bar se lo si guardava bene poteva anche essere un bel posto, peccato per l’ odore di tabacco, whisky e gin. Il locale aveva le panche e i tavoli in legno, un grande e lungo bancone dove venivano servite le bevande e anche una sala a parte per il biliardo. Il pavimento era di legno e le pareti erano verde scuro.
«Ciao tesoro, cosa vuoi che ti serva?» chiese una donna dai capelli fucsia sulla trentina d’anni.
Katie la guardò per bene. Oltre ad avere i capelli fucsia, aveva anche due piercing: uno sul labbro inferiore a destra e uno sulla lingua perché quando le aveva parlato lo aveva visto scintillare, illuminato dalla luce del bar.
«Un birra, grazie» le rispose Katie scrollando le spalle. La barista gliela servì subito e le sussurrò che la offriva la casa. Katie la ringraziò ancora. Ne bevve un sorso e un sorso ancora per poi finirla quasi subito, senza nemmeno averla gustata.
Ancora non ci poteva credere. Aveva ucciso e non era nemmeno stato tanto difficile. Quel uomo se l’era meritato. Voleva farle del male. Almeno ora che era morto, non avrebbe fatto del male a nessun altro.
Katie ringraziò ancora la barista poi cercò di uscire da lì, spintonando anche delle persone perché non la lasciavano passare.
«Cafoni» urlò quando finalmente fu fuori da quel casino.
Si mise a posto il cappuccio e poi incominciò a camminare, senza nessuna meta precisa.
«Puoi decidere di farti vedere da chiunque o solamente dalla tue vittime» le spiegò la Morte. Katie annuì mentre si faceva spiegare come comportarsi la fuori.
«Ah, ricordati che per catturare le anime, il cristallo lo devi posizionare davanti alla tua vittima» continuò il mietitore mettendosi un dito sul mento.
«Uhm, puoi anche comparire e scomparire a tuo piacimento» disse ancora, prima di condurre la ragazza in una stanza munita solamente di uno specchio, che in quel momento illuminava di una luce viola.
«Devi passare da lì» indicò lo specchio dalla luce viola «Ma ricorda di pensare prima alle destinazione poi potrai buttarti. E per ritornare qui non dovrai fare altro che immergerti in acqua, che sia un lago, un fiume o un mare e quando riaprirai gli occhi, sarai di nuovo a casa » disse infine il mietitore.
Katie quando tornò al presente, si rese conto di aver camminato fino ad una piccola spiaggia in cui veniva sempre quando era piccola.
«No, ti ho detto di lasciarmi» urlò una voce femminile che attirò l’attenzione di Katie. Quando si girò, vide una ragazza che veniva trascinata per un braccio da ragazzo. La ragazza aveva lo sguardo spaventato mentre quello di lui era solamente furioso.
«Ti prego, mi fai male» piagnucolò la ragazza.
Il ragazzo le tirò uno schiaffo sulla guancia che rimbombò fino ad arrivare alle orecchie di Katie, «Così impari piccola puttanella. Tu sei mia» disse con cattiveria, questa volta tirandola per i capelli.
La ragazza urlava mentre cercava di divincolarsi dalla presa del suo possessivo fidanzato.
Katie chiuse gli occhi e decise di mostrarsi solamente a lui. Cominciò a correre verso di loro, «Ehi tu! Lasciala andare» gridò Katie al ragazzo possessivo.
Il ragazzo mollò di poco la presa e si girò verso la ragazza, «Fatti i cazzi tuoi lurida vacca» le urlò contro.
«Jason con chi stai parlando?» chiese spaventata la fidanzata del tipo possessivo.
«Zitta puttana!» le strattono ancora i capelli facendola urlare dal dolore.
«Perché non la lasci andare eh?» domandò Katie estraendo dalla cintura la falce.
«Lei è mia. Col cazzo che la lascio andare. Posso fare quello che voglio con lei» disse digrignando i denti.
Katie alzò le spalle «Bene. Allora morirai» disse semplicemente lei.
Il ragazzo non fece in tempo a replicare che Katie gli tagliò la gola con un colpo di falce. La ragazza urlò spaventata quando vide il sangue uscire dalla gola del suo fidanzato poi riuscendo a staccarsi dalle sua presa ferrea, scappò via. Forse in cerca della polizia o forse semplicemente si era messa in salvo.
Katie infine catturò l’anima del ragazzo poi si incamminò verso il mare per immergersi nell’acqua gelida e tornare a casa.

 

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Capitolo 7
*** La parete disgustosa e la Dama della Morte. ***


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«Wow sei tornata a casa con due vittime e io che pensavo che saresti tornata a casa a mani vuote» esclamò Dorian entrando nella camera della ragazza.
Katie gli mostrò il dito medio, «Perché non te ne vai? Non ho bisogno di sentirmi dire ‘ste minchiate» ribatté acida lei.
Dorian invece di fare quello che le aveva detto la ragazza, si stravaccò sulla poltrona di pelle.
«Oh c'mon, stavo scherzando» ribatté a sua volta lui sbuffando.
«Perché non vai a rompere le palle a qualcun altro?» domandò lei indicandole la porta.
Dorian alzò un sopracciglio «Chi? Siamo solamente io, tu e Elisa, ma a lei mancano due vittime e poi potrà riavere l’anima» disse serio lui.
«Beh vai da ‘sta Elisa. Cià» borbottò Katie sventolando una mano, come per dirgli ‘ciao ciao, ora puoi andartene’.
Dorian sbuffò sonoramente, «Antipatica» esclamò uscendo dalla sua stanza.
Finalmente Katie se ne poteva stare in camera da sola. Era sul punto di aprire il suo blocco da disegno, quando il gracchiare di Hergar la fece sviare dalla sua decisione.
«La Morte mi vuole vedere?» domandò seccata Katie. Hergar gracchiò ancora, quindi significava ‘sì e immediatamente’.
Katie buttò il suo blocco sul letto e seguì Hergar nella stanza in cui era arrivata il primo giorno. Il mietitore era seduto sul suo trono e teneva fra la mano ossuta un bicchiere pieno di una sostanza bluastra. Le anime che avevano preso lei e Dorian.
«Katie volevo congratularmi con te. Due vittime il primo giorno sono una grande cosa. C’erano ragazzi che tornavano a mani vuote» disse la Morte, appoggiando il bicchiere sul tavolino al fianco del trono per poi iniziare ad applaudire.
«Grazie» disse timidamente Katie. Se fosse stata viva a quell’ora sarebbe stata rossissima in viso.
«Volevo mostrati una cosa, seguimi» continuò la Morte, alzandosi dal trono con l’aiuto del suo bastone.
Katie seguì la Morte, fino al enorme porta sulla destra del trono. Il mietitore spalancò la porta, al suo interno c’era solamente una parete orribile e disgustosa. Non c’erano mobili e nient’altro, era solo una stanza spoglia. Ma sulla parete centrale c’erano i visi di persone e le loro braccia che cercavano di uscire da lì. Erano un ammasso informe di persone unite fra loro. I visi delle persone emettevano versi di dolore oppure chiedevano aiuto, allungando anche le braccia come per afferrare qualcosa.
«Che cos’è questo?» domandò fra lo disgustato e lo spaventato.
«Sono le anime delle persone di cui mi nutro per tenermi in forze. Sono tutti uomini che hanno fatto del male. Stupratori, drogati, maniaci, pedofili…devo continuare?» rispose la Morte elencandone il contenuto.
«Non ci sono donne o bambini. Anche perché i bambini vanno di diritto nel Paradiso. Qui ci sono solo loro e qui dovranno soffrire per l’eternità» continuò a spiegare come se fosse fiero di quella parete disgustosa. Katie boccheggiò incredula, era senza parole.
«Una delle persone che hai ucciso è qui. Quello che ti stava seguendo nel vicolo era uno stupratore. Ha violentato almeno cinque ragazzine fra i dieci e diciotto anni» disse con voce piatta.
«Oh» Katie era semplicemente senza parole.
«L’altro? L’altro dov’è andato?» domandò infine curiosa di sapere che fine aveva fatto l’altra sua vittima.
«E’ andato all’Inferno» rispose soddisfatto.
«Posso chiederti una cosa?» domandò Katie passandosi una mano fra i capelli. La Morte annuì, muovendo in su e in giù il suo teschio.
«Perché hai scelto proprio me?» chiese con scioltezza.
«Non ti ho scelta. Sei rimasta bloccata qui. Quando qualcuno muore, io raccolgo la loro anima e la conduco verso la strada per il paradiso oppure per l’inferno. Io la tua anima non l’ho raccolta, anzi ti sei ritrovata direttamente qui, nella tua clessidra» rispose chiaramente la Morte grattandosi il mento ossuto.
«La mia clessidra?» chiese alzando un sopracciglio.
«Sì, la tua clessidra, quella da cui ti ho tirata fuori il primo giorno. E’ lì dentro che si trova la tua anima. Man mano che il tempo scorre però la tua anima viene risucchiata e trasportata nel bulbo inferiore e, se mai dovesse venir risucchiata del tutto, tu non potrai riaverla più indietro» rispose il mietitore facendo segno a Katie di seguirla fuori da quella stanza.
Uscirono da lì per poi dirigersi verso una serra. Quando i due misero piede nella serra, Katie ne rimase esterrefatta, era bellissimo e il profumo inebriante delle rose era così buono. C’erano solo rose, di ogni colore, persino nere. Da quelle ancora da sbocciare a quelle secche e ormai da tagliare.
Si avvicinò ad una rosa e la sfiorò con le dita, era vellutata poi passò a sfiorare le foglie che erano ruvide e infine toccò il gambo spinoso, cercando di non bucarsi.
La Morte le fece segno di seguirlo e si andarono a sedere su una piccola panchina verde sotto ad un arco di ferro con delle rose rampicanti, attorcigliate intorno ad esso.
«Wow è bellissimo» esclamò esterrefatta Katie.
«Era della Dama della Morte» ribatté La Morte guardandosi in giro poi sospirò rumorosamente e questo rimbombò nelle orecchie di Katie.
«Chi era? Tua moglie?» provò a chiedere Katie. Il mietitore rise e la sua risata echeggiò nelle orecchie di Katie come musica. Si stava innamorando di quella risata che era come una dolce melodia macabra.
«No, era la Morte prima di me. Prima che io la uccidessi» rispose il mietitore ritornando serio.
«Come hai fatto ad ucciderla? Ma quindi è possibile distruggere la Morte?»
«Quante domande! Primo: non ti dirò come ho fatto ad ucciderla perché sennò potresti provare ad uccidere me e secondo: sì, è possibile, è possibile distruggere la Morte. Ma la persona che ucciderà la Morte prenderà il suo posto, com’è successo con me» dichiarò il mietitore.
«Giusto, hai ragione» ribatté Katie emettendo un risolio, «E’ successo tanto tempo fa? Cioè è da tanto tempo che sei la Morte?» chiese ancora la ragazza.
Il mietitore sospirò, «Kathryn è meglio che tu torni nella tua stanza per preparati per le tue prossime missione» rispose lui sviando le domande della ragazza. Katie sbuffò seccamente. Ancora una volta aveva sviato le sue domande. Ancora una volta le aveva raccontato metà della verità. Come ogni santa volta.
«Va bene» bonficchiò Katie, alzandosi dalla panchina per poi uscire dalla serra e tornare in camera sua con passo svelto.

 

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Capitolo 8
*** #36: Il professor Tisdale. ***


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Katie camminava avanti e indietro nella sua stanza. Era nervosa perché si aveva ucciso due persone ma sarebbe riuscita a continuare a farlo? Sarebbe riuscita a prendere la vita di altre persone per salvare la sua anima?
Si passò le mani fra i capelli e tirò delle ciocche cercando di farsi del male da sola, ma il dolore aveva smesso di sentirlo quando aveva ucciso la prima vittima.
«Dannazione» esclamò sospirando.
«Devi stare tranquilla» Hergar era apparso nella sua stanza, passando dalla finestra, che finalmente era riuscita ad aprire.
«Non è così facile» ribatté la ragazza, buttandosi sul letto. Le molle cigolarono sotto al suo peso. Hergar si avvicinò al letto e ci si sedette sopra, accavallando le gambe «Lo so che all’inizio è difficile, ma se pensi che poi alla fine riavrai la tua anima indietro, ne dovresti essere contenta» disse il corvo accarezzando i capelli biondissimi di Katie.
Katie mugugnò qualcosa poi alzò il viso e guardò negli occhi Hergar. Azzurri come il cielo contro rossi come il sangue.
«Non riesco ad essere contenta. Io uccido delle persone. Se riavrò indietro la mia anima andrò sicuramente all’Inferno» disse abbassando lo sguardo e distruggendo il contatto fra i loro occhi.
Hergar scosse la testa «Le anime che uccidi qui non verranno contate. Tu non andrai all’Inferno. Katie tu sei una così brava persona» le disse il corvo, sorridendole e mostrandole i denti aguzzi.
«Grazie» disse Katie, strofinando gli occhi ormai colmi di lacrime di sangue.
«No…Ehi, non piangere» disse Hergar abbracciandola di slancio. Katie dopo lo shock iniziale, mise entrambe le mani dietro alla schiena di lui e appoggiò la testa sulla sua spalla, assaporando al meglio un po’ di contato umano. Katie sentì le mani di lui sui suoi fianchi per poi passare sulla schiena ed infine risalire fino alle spalle e stringendola ancora di più. Hergar aveva la pelle gelata in confronto a quella tiepida di Katie e questa cosa la fece rabbrividire appena.
Hergar si staccò da lei tossicchiando, «Ora è meglio che vada. Riposati un po’ piccola Katie» le disse accarezzandole una guancia poi scendendo dal letto, si trasformò in corvo e volò fuori dalla finestra ancora aperta.
 
Dopo quel giorno, Katie era riuscita ad uccidere ancora e ancora. Era arrivata a quota trentacinque. E tutte le sue vittime erano: tossici, drogati, stupratori, maniaci e assassini. O li cercava in giro per la città oppure andava nel carcere più vicino e cercava la sua vittima perfetta. Solamente che in carcere era più difficile, perché la gente iniziava a chiedersi com’era possibile che tutte quelle persone continuavano a morire in circostanza abbastanza strane. Così alla fine Katie decise di uccidere solamente quelli ancora in libertà.
Katie se ne stava di fronte alla casa del suo vecchio insegnante del liceo. Era risaputo che quello schifoso ci provava costantemente con le sue alunne e che molte volte allungava le mani. Ma tutte le volte veniva riassunto dopo un paio di mesi a casa perché non c’erano prove concrete.
La casa del signor Tisdale era circondata da un grande giardino e dietro ad esso si intravedeva la sua casa di un colore grigio topo. La grande scalinata che conduceva al portone d'ingresso era ornata da mille fiori colorati che lasciavano intendere che era sposato.
Katie fece un lungo respiro, saltò giù dalla sua moto che aveva comprato da poco e si diresse verso il cancello. Lo oltrepassò e con passo svelto, si avviò verso la casa del suo ex professore.
Katie decise di non farsi vedere dal professore così si sarebbe divertita a farlo spaventare. Entrò nella casa, passando attraverso la porta. Appena mise piede in casa, cercò il signor Tisdale che in quel momento si trovava in cucina ed era intento a cucinare. Il signor Tisdale aveva i capelli brizzolati, leggermente mossi, gli occhi parevano di ghiaccio, chiari e vitrei e il viso era squadrato. Era alto circa un metro e novanta, aveva le spalle larghe ed era sulla quarantina. Indossava una vestaglia marrone che gli arrivava fino alle ciabatte dello medesimo colore.
Katie sorrise malignamente. La ragazza alzò una mano e la tenne mezz’aria per poi stringerla a pugno e sbatterla con violenza contro al muro, emettendo un forte rumore. Il signor Tisdale sobbalzò guardandosi in giro. Katie continuava a battere contro al muro, tanto da farsi uscire sangue dalle mani anche se alla fine le ferite si rimarginavano in fretta. Il professore continuava a sentire forti rumori di battiti contro il muro, così decise di smettere di cucinare per andare a controllare se ci fosse qualcuno nella casa.
«C’è qualcuno?» domandò impugnando un coltello da cucina. Nessun rumore, silenzio più totale poi un altro battito contro al muro.
«Non è divertente» gridò l’uomo spaventato. Katie invece sorrise macabramente.
La ragazza iniziò a correre velocemente per la casa, facendo sbattere le porte e le finestre in modo violento, così tanto, da farle infrangere in mille pezzi.
«Basta, non è divertente» gridò ancora.
«Oh si che è divertente» parlò Katie con voce profonda e cupa, non facendosi ancora vedere dall’uomo.
«Chi sei?» domandò con voce tremante mentre teneva puntato il coltello davanti a sé.
«La persona che ti ucciderà» rispose Katie estraendo la sua falce e materializzandosi davanti al professore.
L’uomo indietreggiò spaventato «Katie Stokes! Tu eri morta! Come puoi essere qui?!» esclamò puntando il coltello contro alla ragazza.
Katie fece dondolare la falce davanti al suo stesso viso «Questa è più efficace» disse sorridendogli divertita.
L’uomo era visibilmente spaventato. Il respiro gli si era fatto irregolare, tremava e aveva gli occhi lucidi e spaventati.
«Perché?» domandò il professore piagnucolando.
«Perché sei un porco» rispose Katie per poi sferrare un colpo di falce che gli squarciò la gola. Il sangue iniziò a schizzare fuori e l’uomo cominciò a fare fatica a respirare. Si inginocchiò a terra, senza forze, mentre teneva una mano sulla ferita da cui sgorgava copioso il sangue.
Katie sentì la porta di casa aprirsi, la moglie era tornata. La ragazza decise che era meglio andare e incominciò a scomparire.
«Addio signor Tisdale» sorrise malignamente Katie prima di sparire del tutto.
Katie si materializzò fuori dalla casa del signor Tisdale, dove c’era la sua moto, ci salì sopra e aspettò l’urlo che avrebbe fatto da lì a poco la moglie. L’urlo non tardò ad arrivare, era forte, acuto e pieno di dolore.
Katie diede un ultima occhiata alla casa poi fece partire la moto e sfrecciò fino al mare più vicino per poi poter finalmente tornare a casa.

 

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Capitolo 9
*** #46: Ubriacone violento. ***


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Katie stava cambiando ed era nel limbo della Morte solamente da un mese. In un mese aveva ucciso quasi quaranta persone senza neanche avere un rimpianto e un ripensamento. Si sentiva quasi sollevata nel uccidere qualcuno.
Il mietitore era felice di vedere quel cambiamento nella ragazza, mentre Hergar un po’ di meno perché sperava che almeno lei non sarebbe cambiata. Invece stava cambiando, eccome se stava cambiando.
Katie in quel momento si trovava nella sua stanza, mezza nuda, intenta a disegnare qualcosa sul suo blocco da disegno.
«Toc Toc» bussò Hergar sulla porta della stanza di Katie per poi entrare. Katie sollevò il viso dal suo blocco e sorrise dolcemente al corvo.
«Ciao, come ti senti?» chiese il corvo, andandosi a sdraiare sul letto della ragazza, cercando di non fissarle le lunge gambe scoperte.
Katie alzò le spalle «Come dovrei sentirmi? Bene? Uhm…No, mi sento divinamente in forma» gli rispose stiracchiando le braccia verso l’alto.
Hergar sospirò per poi annuire «Che disegni di bello?» domandò ancora cercando di sbirciare nel blocco da disegno della ragazza. Katie lo tirò indietro, appoggiandoselo al seno e stringendolo con un braccio, pur di non farli vedere al corvo.
«Eddai! Fammi vedere» disse Hergar, gattonando sul letto di Katie per cercare di avvicinarsi a lei e sfilarle il blocco da disegno.
«No» Katie gli fece la linguaccia poi saltò giù dal letto e si nascose in bagno. Hergar balzò giù dal letto, si avvicinò con passo svelto verso la porta del bagno e provò ad aprirla ma era chiusa. Il corvo passò da essere un pennuto ad un umano e ora ad un scarafaggio. Passò sotto alla porta e quando fu dentro al bagno, ritornò ad essere umano, facendo sobbalzare Katie.
«Cazzo» esclamò portandosi una mano sulla bocca.
«Sorpresa!» ribatté Hergar mettendosi le mani sui fianchi.
«Cazzo, mi ero dimenticata che ti puoi trasformare in quel cazzo che vuoi!» esclamò ridendo Katie. Si passò una mano fra i lunghi capelli biondi poi sospirò, consegnando il suo blocco al suo amico mutaforma. Hergar lo afferrò al volo ed iniziò a sfogliare il blocco. C’erano disegni di angeli; di demoni; di diavoli; un ritratto di lui; dei ritratti dei genitori ed infine l’ultimo, due rose nere, ancora da completare.
«Sono tutti meravigliosi, soprattutto il mio ritratto» esclamò Hergar sorridendole. I suoi denti aguzzi brillarono illuminati dalla luce.
«Grazie» lo ringraziò abbassando lo sguardo verso il basso per via del complimento.
«Oggi hai qualche missione? A che quota sei arrivata?» le chiese Hergar andandosi a sedere sul gabinetto, di fronte alla vasca da bagno.
Il bagno era abbastanza grande per due persone. Appena entravi, sulla sinistra c’era la vasca da bagno e accanto c’era il cesto della biancheria sporca. Di fronte alla vasca c’era il gabinetto che era di colore nero. La parete di fronte alla porta aveva un’ampia finestra e sul davanzale c’erano tutte le cose necessarie per l’igiene personale (shampoo, bagnoschiuma, creme per il viso etc). Il gabinetto si trovava sotto la finestra. Al fianco del gabinetto c'era un lavandino con un armadietto e lo specchio in cui Katie passava ora a guardarsi. Il bagno era dipinto di bianco e sul pavimento c'è un tappeto verdognolo.
«Mmh…quarantacinque se non sbaglio» disse grattandosi il mento mentre pensava alla quota a cui era arrivata, «Sì, quarantacinque» confermò battendo le mani sulle cosce.
«Bene, allora divertiti con la prossima. Ora vado, ciao piccina» disse Hergar alzandosi dal gabinetto. Si mise a posto i pantaloni, schioccò un bacio sulla fronte di Katie poi uscì dal bagno per tornarsene dal mietitore.
 
Katie era tornata sulla terra per uccidere la sua quarantaseiesima vittima. Era un uomo sulla quarantina d’anni, che beveva e picchiava selvaggiamente la moglie e la figlia di appena sei anni.
La ragazza era riuscito ad agganciarlo ad un bar in cui andava quotidianamente, prima di tornare a casa per massacrare la moglie e la figlia. Fu davvero facile per lei trascinarlo fuori dal bar, le bastò dirgli di andare a casa sua a bere qualcosa di molto più forte. Lui cadde subito ai suoi piedi e la seguì fino ad un vecchio appartamento, ormai inutilizzato per via dei troppi omicidi. Lo colpì alla testa con un sasso per poi con tutte le forze che aveva in corpo, trascinarlo all’interno per giocarci un po’.
L’uomo incominciò a sbattere violentemente lo ciglia per mettere a fuoco la stanza che lo circondava. Era illuminata da una luce giallastra, ma la stanza rimaneva comunque cupa. La stanza era sporca e qualche macchia di sangue, dei vecchi omicidi, era rimasta sulle pareti verdastre e incrostate di quella camera.
«Ti sei svegliato, finalmente. Dormito bene?» La voce di Katie era beffarda e tagliente, così tanto che fece trasalire la sua vittima.
La sua vittima tentò di divincolarsi, ma i nodi che gli bloccavano le caviglie alla sedia e le braccia ai braccioli, non glielo permettevano.
Katie avanzò verso la sua vittima. La ragazza sotto al mantello era vestita di nero e portava i capelli legati in una coda alta. Nonostante il caos nella mente della vittima la riconobbe subito: era la ragazza che aveva incontrato al bar.
«Dove sono? Perché mi hai portato qui?» chiese, con la voce rauca. Aveva la gola secca.
«Le vere domande sono: Perché mi merito di essere qui? Cosa ho fatto di male per essere qui? E soprattutto perché dovrò morire in questo lurido posto abbandonato da tutti?» Katie elencò le domande mostrando le sue unghie laccate di nero.
«Io non ho fatto niente. Ho una famiglia da mantenere, non puoi uccidermi» piagnucolò l’uomo, cercando ancora di divincolarsi dalla sedia.
«La tua famiglia starà molto meglio senza di te» disse tagliente la ragazza. Katie si avvicinò ad un tavolo pieno di arnesi, tra cui la sua adorata falce. Decise che avrebbe usato un coltello da cucina, bello lungo e affilato. Ovviamente già usato in precedenza.
 
«Lo sapevo! Quella puttana di mia moglie di ha pagato per spaventarmi eh?» domandò furioso per poi sputare sugli stivaletti di pelle nera della ragazza.
Katie gli mostrò il coltello da cucina poi scosse la testa «No, seriamente tua moglie non centra un cazzo» rispose secca.
Katie si avvicinò all’uomo, lentamente cominciò a sbottonargli la camicia, un bottone alla volta, fissandolo negli occhi con un sorriso beffardo, causandogli brividi di terrore lungo la schiena. Iniziò a sudare freddo. Quella pazza l’avrebbe davvero ucciso?
«Sì, mio caro» dopo avergli letto la mente continuò con il suo lavoro.
Lei gli aprì in fretta la camicia, tenendo ben saldo il coltello. Gli passò lentamente la lama sulla guancia poi scese fino ad arrivare al petto.
«No, ti prego non fermi del male. Ti scongiuro» disse con la voce strozzata dai singhiozzi.
Katie in tutta risposta sorrise ancora, mostrando i suoi denti bianchissimi, prima di far penetrare la punta del coltello da cucina nella sua carne. Il dolore fu pungente ed improvviso. La sua vittima gridò, mentre lei continuava ad incidere, lacerando la sua pelle. Il sangue iniziò a fuori uscire dalla ferità, sporcandogli i vestiti e la parte di pavimento intorno alla sedia. Katie si stava divertendo mentre continuava a fissarlo negli occhi per vedere tutto il dolore che gli stava causando. Tutto il dolore che lui aveva causato alla sua famiglia, ora ritornava a lui.
Quando finalmente Katie ritirò il coltello da cucina, lui si accasciò sulla sedia, sudato, sanguinante (con un enorme squarcio nello stomaco) e morto.

 

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Capitolo 10
*** Fatto. Ora che ci guadagno? ***


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«Dorian, il mietitore quando ho iniziato la mia missione mi ha spiegato che ognuno di noi ha un potere diverso, tu quale hai?» esordì Katie, entrando fulminea nella camera del ragazzo.
Dorian rise divertito, «Perché dovrei rispondere alla tua domanda dopo che mi hai risposto di merda un mese fa? Ed tra l’altro è d’allora che non parliamo» disse lui serio.
Katie fece schioccare la lingua, annoiata, osservando lo smalto nero che ricopriva le sue lunge e appuntite unghie, «Ti prego, ho bisogno di saperlo» disse alzando lo sguardo per poi guardarlo dritto negli occhi.
Dorian sbuffò poi si tirò su dal letto e avvicinandosi a Katie, le si mise davanti e fece un sorriso sghembo. Si poteva notare chiaramente che lui era molto più alto di lei, perchè Katie gli arrivava alle spalle. «Posso controllare le menti delle altre persone. Posso fargli fare quello che voglio. Il tuo?» rispose il ragazzo cercando di accarezzarle una guancia ma la ragazza fu veloce e si scostò immediatamente.
«Telecinesi» rispose svelta Katie per poi girarsi verso la sua destra e far levitare nell’aria la poltrona del ragazzo.
«Complimenti» ribatté Dorian applaudendo. Katie rimise al suo posto la poltrona poi fulminò con lo sguardo il ragazzo, «Ho bisogno del tuo aiuto. Ho bisogno che tu vada dal notaio di questa famiglia – gli mostra un foglietto – e gli faccia cambiare il testamento, mettendo la moglie come erede di ogni centesimo che quella merda di uomo ha tenuto da parte e non al quel cazzo di bar dove va sempre ad ubriacarsi» spiegò la ragazza, mettendo nella mano del ragazzo il foglietto.
«Fallo, ti prego» disse ancora, chiudendo la mano a pugno su quella di lui.
«E io cosa ci guadagno?» domandò Dorian, prendendo il foglietto e mettendoselo in tasca.
 «Non lo so. Ti prego fallo. Quella famiglia ha sofferto così tanto per colpa di quella merda di uomo. Fallo» lo scongiurò lei. Dorian sospirò rumorosamente, «Va bene, lo farò» disse scrollando le spalle. Katie sorrise, lo ringraziò poi uscì dalla sua camera per prepararsi alla sua missione.
 
«Allora l’hai fatto?» domandò Katie, entrando in cucina. Dorian era lì, intento a leggere qualcosa.
Il ragazzo alzò lo sguardo dal libro, «Fatto. Ora che ci guadagno?» chiese a sua volta ritornando a leggere.
Katie alzò le spalle poi tirando indietro una sedia, ci si sedette sopra, proprio di fronte al ragazzo. «Non lo so, ma davvero ti ringrazio per averlo fatto» gli rispose lei, accennando un sorriso.
Dorian emise un grugnito, «Ho capito, non ci guadagnerò niente, fantastico» lo disse sarcasticamente poi si alzò dalla sedia e uscì dalla cucina, lasciando Katie da sola.
Katie sospirò bruscamente poi appoggiò la testa, facendo toccare la guancia sinistra, sul tavolo gelido e stette lì, immobile, a pensare.
«Dorian è un’idiota. Non gli devi nulla» il mietitore sbucò da nulla facendo così sobbalzare Katie sulla sedia.
Katie scosse la testa, «Non è giusto, lui mi ha aiutato e io non so che dargli in cambio. Il mio potere non è così forte come il suo» disse la bionda, alzando il viso dal tavolo.
«Tu, il tuo potere lo destreggi molto bene. Dorian all’inizio non riusciva nemmeno ad usarlo. Tu ci sei riuscita subito» il mietitore con lentezza appoggiò la sua mano ossuta sulla spalla della ragazza, «Non ti distruggere per Dorian. Non ha bisogno di nulla» le sussurrò all’orecchio facendola tremare appena.
Katie annuì «Va bene. Ora vado nella mia stanza a disegnare un po’» disse alzandosi dalla sedia per poi rimetterla al suo posto.
Il cupo mietitore annuì, dicendole che poteva pure andare a riposarsi. Katie gli sorrise appena, fece qualche passo poi girò la testa indietro «Hai visto Hergar?» domandò la bionda al nulla. Il mietitore era scomparso nel nulla, come sempre. La bionda scosse la testa. Avrebbe dovuto cercarsi Hergar da sola.
 
«Sì, praticamente vuole qualcosa in cambio, ma io non so minimante cosa» sbraitò Katie buttandosi di peso sul letto, facendolo cigolare.
«Non devi nulla a Dorian. Lascia perdere, non scervellarti per lui» Hergar le si sedette accanto e le sorrise.
«Hai appena detto la stessa cosa che mi ha detto prima il mietitore» ribatté Katie ridendo.
Hergar alzò le spalle «Si vede che la pensiamo allo stesso modo» disse il mutaforma, afferrando la mano di Katie per poi stringerla delicatamente.
«Ti va di andare sulla terra? Voglio farti vedere una cosa» chiese Hergar, illuminando i suoi grandi occhi rossi. Katie annuì, sorridendo all’amico.
In pochi minuti si erano ritrovati sulla terra. Stavano camminando da circa dieci minuti e quella via silenziosa, con un’enorme quantità di alberi maestosi che creavano un tunnel verde, le ricordava qualcosa. Si guardò in tondo poi come se un fulmine l’avesse colpita in pieno, si ricordò che quella era la strada che percorreva ogni santo giorno, per arrivare a casa della sua migliore amica, Samantha.
«Mi stai portando dalla mia migliore amica? Perché?» domandò Katie schivando un sacchetto di plastica pieno di spazzatura, buttato in mezzo alla via.
«Perché so che ti manca. Magari vederla ti farà stare meglio» rispose Hergar, mettendosi al fianco della ragazza che aveva diminuito la velocità dei passi.
«Grazie» Katie lo ringraziò lasciando un leggero bacio sulla sua guancia gelida.
In poco tempo si ritrovarono davanti alla villetta a due piani di Samantha. Tutto intorno alla villa era verdeggiante ed era completamente recintata ed ombreggiata da piante di alto fusto con anche un tavolo e un paio di sedie per mangiare all'aperto. Cosa che Katie e Samantha facevano sempre in estate, sin da quando erano piccole.
La villa era composta da due piani ed era color panna. La scala esterna era fatta di cemento ed era rivestita da piastrelle in ceramica con la ringhiera nera. Le luci della villa erano accese quindi qualcuno era in casa.
«Sei pronta?» chiese Hergar, guardando la bionda che fece un piccolo cenno di consenso.

 

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Capitolo 11
*** Sam, Sammy, Samantha…Oh la mia Samantha. ***


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Katie e Hergar passarono attraverso i muri della casa di Samantha, in cerca della ragazza. La trovarono sdraiata sul letto, con l’enorme pancione in evidenza, mentre che le leggeva un libro. I lunghi capelli biondo platino naturale erano raccolti in uno chignon mentre gli enormi occhi a palla color verde con sfumature che ricordavano il cielo, erano contornate da grandi occhiaie, segno che non dormiva da un po’.
La camera di Samantha era proprio come se la ricordava. Le pareti completamente tappezzate da poster, vecchie fotografie e cartoline dei posti in cui erano andate in vacanza: Roma, Parigi, New York etc…queste tre delle tappe però, erano le più importanti perché era in quei posti che la loro amicizia si era rafforzata ancora di più. Il letto dagli enormi cuscini viola e la coperta verde fluo – comprata qualche anno prima in un mercatino – erano al centro della stanza. Un grande finestra di fronte al letto, illuminava la camera. La scrivania era sotto alla finestra, mentre l’armadio verde limone era al fianco del letto – anche se prima era dove in quel momento si trovava la sua libreria –. Lei e Katie si divertivano a cambiare la posizione dei mobili, ma da quando l’avevano cambiata l’ultima volta era rimasta uguale.
«Quanto è bella» sussurrò Katie, quasi come se avesse paura che la sua migliore amica la potesse sentire, ma non vedere.
«Katie non ti può sentire, non serve sussurrare» disse Hergar accennando un sorriso. La ragazza annuì rattristata, «Giusto, me n’ero dimenticata» ribatté abbassando lo sguardo.
«Sai che lì dentro c’è il mio nipotino?» indicò la pancia di Samantha, stando sulla soglia della camera da letto di lei, «E non lo potrò vedere crescere» disse infine con le lacrime di sangue agli occhi.
Hergar l’abbracciò, stringendola fortemente contro il suo petto gelido, «Lo vedrai dal paradiso. Lo proteggerai dal paradiso» le sussurrò dolcemente all’orecchio. Katie tirò sul con il naso, annuendo sulla spalla del mutaforma.
«Sam, Sammy, Samantha…Oh la mia Samantha» disse Katie staccandosi dal mutaforma per andarsi a sedere infondo al letto della sua migliore amica. Hergar invece stette sulla porta ad assistere alla scena.
«Quanto mi manchi. Piccola mia, ti vorrò sempre bene, sempre» disse fra le lacrime che ormai non smettevano più di scendere copiose sulle guance. Hergar emise un leggero sospiro, quasi impercettibile, ma che Katie sentì perfettamente. La ragazza abbassò la testa. Non voleva che Hergar la guardasse e in tutta sincerità non voleva guardarlo in faccia. Si sentiva così debole in quel momento, così triste che avrebbe distrutto qualsiasi cosa pur di ritornare alle sua vecchia, alla sua vera vita.
«Sammy, tesoro, Oscar è di nuovo sulla soglia di casa e vuole veramente parlare con te. Cosa devo fare? Lo mando via o lo faccio salire?» domandò la madre della migliore amica di Katie, entrando nella stanza e passando attraverso Hergar che per qualche secondo scomparse con metà del corpo per poi ritornare.
La donna tremò come se una forte scossa l’avesse colpita in pieno «Oddio, una scossa di freddo» esclamò toccandosi i capelli rigorosamente raccolti in una crocchia.
«Digli che non me ne frega più niente di lui e che no, non lo voglio vedere né ora né mai» parlò Samantha con voce fioca, tirandosi su e appoggiando la schiena contro agli enormi cuscini rosa, che avevano comprato lei e Katie un paio di anni fa.
«Dio, quella feccia di Oscar rompe ancora. Perché non la lascia in pace? Dannazione!» esclamò aspra la bionda, alzando gli occhi al cielo.
«Va bene tesoro, glielo riferirò. Ah…più tardi vuoi un passaggio per andare in ospedale  o ti porta Liam?» le domandò la madre con gentilezza.
«Liam lavora» rispose Samantha, controllando il cellulare che segnava le 15.01 «Finisce alle quattro, ma io per le tre e mezza devo essere in ospedale quindi non ce l’ha fa a venire» continuò la ragazza sospirando.
«Okay. Mi preparo. Inizia a farlo anche tu» le disse la madre prima di uscire dalla camera della figlia.
Samantha alzandosi con malavoglia dal letto, iniziò a raccattare qualcosa di pulito da indossare per la visita ospedaliera.
«Hergar usciamo dalla camera. Non mi sembra normale stare qui a guardarla mentre che si cambia» disse Katie oltrepassando il mutaforma per poi uscire dalla camera e scendere le scale.
La bionda si ricordava perfettamente com’era la casa dell’amica. Il primo piano era composto da un ampio salotto dalle pareti azzurre, una poltrona di pelle color panna, molto comodo e grazioso e di un divano di pelle nero, altrettanto comodo. Delle tende gialle, armonizzavano l'ambiente, rendendolo più accogliente e familiare. Nell'angolo, di fronte al divano e alla poltrona, c'era una televisione molto grande a schermo piatto, mentre nella parte opposta c'è un mobile di legno antico in cui era riposta l’argenteria. Il pavimento era ricoperto da una moquette beige. La cucina era grande, abitabile e funzionale. Le pareti erano dipinte di un colore giallo molto bello, che ricordava il grano. Il pavimento era fatto da piastrelle in ceramica di color grigio topo. Tutti gli utensili erano disposti nei loro gusti posti e cioè rendeva la cucina molto ordinata. C’erano anche un frigo grande e capiente e un tavolo in vetro e sei sedie. C’era anche un ripostiglio, in cui Samantha e Katie, quando erano piccole, si divertivano a nascondersi e un bagno di servizio, in cui passavano ore a truccarsi con i trucchi delle madre di Sammy. La scala a chiocciola portava al piano superiore, dove c’erano due camere da letto con bagno incorporato. La camera matrimoniale, quella dei genitori di Sammy, era davvero enorme. Katie e Sammy, quando erano piccole, giocavano sempre in quella camera perché spaziosa e luminosa. I colori nero e oro della cassettiera e dei comodini davano un tocco di lusso all'ambiente, mentre il bagno, altrettanto grande, aveva anche una vasca da bagno con idromassaggio. E poi c’era la camera di Sammy, in cui lei e Katie avevano fatto i più grandi casini della loro adolescenza, ma di cui non si erano mai pentite.
«Ti manca tanto» non era una domanda ma un affermazione quella che fece Hergar, guardando gli occhi di Katie riempirsi nuovamente di lacrime. La ragazza annuì appoggiando la testa sulla spalla del mutaforma.
«Mi manca tantissimo» sussurrò tirando su con il naso. Katie si passò una mano sugli occhi strofinandoli poi scoppiò a ridere, una risata nervosa «Non immagino quanto sia orribile in questo momento. La mia faccia sarà una macchina rossa a fuori di piangere sangue» esclamò passandosi le mani fra i capelli.
«Sì, fai abbastanza schifo. Quindi ora va a lavarti la faccia e vedi di rimettiti in steso, così poi andiamo via» le disse Hergar dandole un piccolo colpetto sulla spalla. Katie gli fece la linguaccia per poi scomparire nel bagno di servizio al primo piano.

 

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Capitolo 12
*** L'angelo dalle ali nere. ***


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«Quando arriveremo all’ospedale vedi di starmi vicina, capito?» disse Hergar, facendo così voltare la bionda verso di lui, «Perché?» domandò lei.
«Perché i pazienti degli ospedali possono vederci, quelli con malattie o in fin di vita» rispose il corvo appoggiando la testa contro il sedile dell’auto di Samantha. Katie annuì, muovendo appena la testa, facendo così scendere una ciocca di capelli che le andò davanti al viso. Se la portò svelta dietro all’orecchio poi appoggiò anche lei la testa contro al sedile dell’auto.
Hergar sbuffò rumorosamente «Quanto diamine ci mettono ad arrivare?» domandò seccato, beccandosi così una gomitata nello stomaco da parte di Katie.
«Guarda, arrivano» esclamò Katie tirandosi su e indicando un punto davanti a sé, dove si trovavano Sammy e la madre.
«Alla buonora» ribatté il corvo, facendo un sorriso sghembo all’amica.
Samantha e la madre entrarono di fretta in macchina. La madre della ragazza fece partire la macchina, mentre Sammy sceglieva un disco d’ascoltare.
«Sei agitata?» domandò la madre alla figlia, incurante delle due persone sedute sui sedili posteriori. Sammy scosse la testa poi finalmente scelse il disco d’ascoltare, lo infilò nella radio e fece partire la prima canzone. Marina and the Diamonds iniziò a cantare sulla base di Bubblegum Bitch e la musica echeggiò nell’auto.
«Oh Marina» dissero in coro Katie e Sammy. Ovviamente Samantha non sentì la voce di Katie, ma Katie, lei sentì la malinconia con cui la sua amica aveva pronunciato quel nome. Marina era la loro cantante preferita; tutta l’estate scorsa l’avevano passata ad ascoltarla fino allo sfinimento. A Sammy mancava Katie, come a Katie mancava Sammy.
«Quanto vorrei abbracciarla e dirle che sono qui» disse tristemente la bionda ossigenata. Hergar appoggiò la sua testa sulla spalla dell’amica e poi le diede un bacio sul collo «Lo so, ma non puoi. Lei sentirebbe solamente delle grandissime scosse d’elettricità e di certo questo al bambino non farebbe bene» le disse il corvo, dandole un altro bacio sul collo per poi tornare al suo posto. Katie annuì rattristata poi appoggiò lentamente la testa contro al finestrino e guardò il cielo che stava pian piano diventando sereno. Le nuvole che passeggiavano indisturbate sopra di loro, sembravano essere sul punto di scomparire per lasciare spazio alla luce del sole di splendere nel cielo.
 
«Ora stiamo dietro di loro, okay?» disse Hergar appena furono fuori dall’auto di Sammy. Katie annuì legandosi i capelli in una coda disordinata.
Le due donne iniziarono a salire i grandi e lunghi gradini bianchi dell’ospedale. Passo dopo passo i due iniziarono a seguirle. Nell’ascensore, per i corridoi, fino a fermarsi davanti allo studio del ginecologo di Sammy. Le due donne si sedettero su due sedie di legno mentre Katie si guardò in giro. L’ospedale era bianco, ogni cosa era bianca. Forse l’unica stanza colorata era quella per i bambini che stavano in ospedale per un lungo periodo.
«Odio gli ospedali» sussurrò Katie camminando avanti e indietro per il corridoio. Hergar era sparito, dopo che le due donne si erano sedute, lui era come scomparso nel nulla. Katie si stava annoiando e non sapeva cosa fare, quindi decise di fare un giro andando contro a quello che gli aveva detto il corvo, cioè stare buona e non farsi vedere.
Nelle narici aveva l'odore penetrante dei disinfettanti e dei medicinali. Nelle orecchie il suono ritmico del monitor che controllava il battito di una signora anziana che giaceva su un letto bianco, in una stanza altrettanto bianca, composta da quattro letti e una grande e unica finestra.
Katie avrebbe voluto entrare in quella stanza, ma qualcuno o meglio qualcosa la fece bloccare immediatamente. Nella stanza della signora era apparsa una sagoma dalle sembianze umane, ma guardandola meglio si potevano notare delle grandi e possenti ali nere. Era un angelo dalle ali nere, dalla pelle bianca e lucente e dal corpo scolpito. La donna allungò una mano verso l’angelo che l’afferrò delicatamente e ci lasciò sopra un leggero bacio. Katie stette a guardare tutta la scena. L’angelo si avvicinò ancora di più all’anziana e le domandò qualcosa, qualcosa che Katie non riuscì a sentire, nemmeno percepire. La donna disse qualcosa poi chiuse gli occhi e aspettò che l’angelo finisse il suo lavoro. L’angelo nero fece sfiorare appena le sue labbra con quelle dell’anziana poi si ritrò indietro e aspettò che al suo fianco apparisse l’anima della donna.
La macchina che controllava il battito cardiaco della donna, smise di emettere i ‘bip’ per poi venir sostituito da un lungo e unico sonoro ‘biiip’. Gli infermieri iniziarono a correre verso la stanza dell’anziana, chiamarono i dottori che portarono un defibrillatore per riuscire a risvegliare la donna, ma inutilmente. Ora la donna si trovava al fianco dell’angelo e guardava il suo corpo senza vita, giacere su quel letto d’ospedale. Diede un’ultima occhiata alla stanza poi insieme all’angelo sparì nel nulla. Katie trattene allungo il respiro poi lasciò che i suoi polmoni si riempissero d’aria. Sbatté un paio di volte le ciglia come per chiedersi se quello che aveva fosse stato reale. Sì, era tutto reale. La donna era deceduta e lei non aveva fatto nulla se non guardare.
«Katie, dannazione! Ti ho cercata dappertutto. Che diamine ci fai qui?» domandò Hergar tirandola verso di sé per un braccio. Katie scosse la testa «Nulla, mi stava annoiando e ho fatto un giro. Tu eri sparito. Dove dannazione eri?» domandò a sua volta lei mettendo le mani sui fianchi.
«Ero andato a controllare una cosa e a te aveva detto di non muoverti. Forza andiamo» rispose il corvo, trascinandola via da lì.
«Samantha e sua madre sono già entrate nello studio. Vuoi andare dentro anche tu o aspetti fuori?» domandò Hergar quando furono arrivati al punto di partenza.
Katie scosse la testa, «Voglio tornare a casa, ora» disse con voce esile mentre si accasciava a terra. Si sentiva debole, senza forze e non riusciva a capirne il motivo. Perché era rimasta tanto sconvolta da quello che aveva visto? Lei non faceva lo stesso? Non prendeva le anime delle persone? Ma perché quell’angelo aveva preso l’anima di una persona buona?
«Okay. Katie alzati e andiamocene» Hergar l’aiutò ad alzarsi poi aspettò che si sistemasse, quando ebbe finito uscirono da lì insieme. «Poi mi spiegherai cos’è successo» concluse il corvo, prima di prendere per una mano Katie e scomparire nel nulla.

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Capitolo 13
*** Domande, risposte e debiti. ***


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«Devo parlare con il cupo Mietitore» disse Katie, parlando ad un teschio appoggiato sul bracciolo del trono del Mietitore.
«Sarà qui a minuti» parlò meccanicamente il teschio poi serrò la mandibola e non parlò più.
Katie sospirò, sedendosi nello stesso punto in cui si era seduta la prima volta che era arrivata lì. La bionda iniziò a mangiucchiarsi le unghie nell’attesa.
«Katie» parlò il Mietitore nella testa della ragazza. Katie balzò in aria e si guardò in giro, ma della Morte nessuna traccia.
«Sto arrivando» parlò ancora per poi varcare la soglia con la sua solita andatura lenta e il suo bastone che lo accompagnava in ogni sui passo.
«Oh, finalmente!» esclamò la bionda, mettendosi una ciocca di capelli dietro all’orecchio, scappata dalla coda quando era balzata in aria.
Il Mietitore rise, con la sua dannata risata macabra e melodiosa allo stesso tempo, «Cosa succede? Hergar mi ha detto che siete andati a trovare la tua migliore amica» disse lui.
Katie annuì, «Sì, ho rivisto Samantha. Cosa succede? Succede che quando siamo andati in ospedale con la mia-»
«Siete stati in ospedale?» le interruppe la Morte, andandosi a sedere poi sul suo trono.
«Sì, per poter vedere la visita di Samantha ma poi ho visto una cosa che mi ha sconvolto un po’ e volevo chiedere spiegazioni a te» rispose Katie gesticolando con le mani.
«Che cosa ti ha sconvolto? E tu e Hergar siete stati attenti a non farvi vedere?» domandò il Mietitore, appoggiando una mano ossuta sul mento, con l’altra mano, invece, prese un bicchiere colmo di anime e ne bevve un sorso.
«Sì, non ci ha visto nessuno. Ho visto un angelo dalle ali nere che prendeva la vita a una signora anziana, perché?» domandò curiosa la ragazza.
Il Mietitore rise ancora e la risata echeggiò sonoramente nelle orecchie di Katie, «Era l’angelo della Morte, Azrael. Lui non prende le anime delle persone come fate voi. Lui prende le anime di persone all’ultimo stadio, persone che sono pronte per morire. Purtroppo in molti casi, succede che Azrael debba prendere anche le anime di bambini ed è triste, ma se malati terminali, non hanno vita lunga» spiegò il cupo sorseggiando il bicchiere d’anime.
«Ho visto che le sussurrava qualcosa e che la donna gli ha anche risposto. Io però non sono riuscita a sentire nulla, perché?» domandò ancora Katie, sempre più curiosa.
«Azrael, chiede se vogliono tornare sulla terra almeno una volta all’anno, come spiriti e se sì, quale giorno. Quasi tutti rispondono il giorno del compleanno dei nipoti o il compleanno dei figli. Pochi non accettano la proposta di Azrael.
Nessuno può sentire le parole di Azrael se non la persona che sta per lasciare il proprio corpo per andare in Paradiso.» rispose il Mietitore, appoggiando il bicchiere sul tavolino al fianco del trono per poi incrociare le mani e appoggiarle sulla veste nere.
Katie annuì, «Grazie per questa spiegazione. Ora ho capito e scusa se ti ho disturbato» disse la bionda alzandosi da terra.
«Nessun disturbo, mia cara Katie» sussurrò il Mietitore poi scomparve nel nulla, lasciandosi dietro una nuova nera.
Katie tornò nella sua stanza con il discorso della Morte nella testa. Però una cosa non gliel’aveva chiesta, perché si era sentita così male dopo aver visto l’angelo della Morte? Lo voleva davvero sapere e si maledì per non averglielo chiesto.
Quando entrò nella stanza, si trovò Dorian intento a guardare i suoi disegni. Katie si arrabbiò tantissimo e con due falcate arrivò vicino al ragazzo e gli strappò il blocco da disegno dalle mani.
«Non toccare le mie cose» gli urlò contro poi gli tirò uno schiaffo sulla guancia che rimbombò nella stanza della ragazza.
Dorian si ritrasse dalla ragazza, portandosi una mano sulla guancia, non sentiva nessun dolore ma quel riflesso ancora non gli era andato via del tutto.
«Cazzo, tu sei pazza! È solamente un dannato blocco da disegno» esclamò Dorian furioso.
«Oh! Ora quello arrabbiato sei tu? Non io eh? Entri nella mia stanza, frughi fra le mie cose e hai anche il diritto di incazzarti? No, mio caro» ribatté furibonda la ragazza.
«Ero venuto qui per il saldo del tuo debito. Mi servi per uccidere la mia penultima vittima» dichiarò il ragazzo dalla pelle bianchissima.
Katie lo fulminò con lo sguardo poi incrociò le braccia al petto, «Cosa vuoi che faccia?» domandò sospirando bruscamente.
«Devi spaventare una persona, muovendo gli oggetti come tu sai fare. Se lo farai il tuo debito sarà saldato» rispose Dorian seriamente.
Katie scrollò le spalle, «Va bene lo farò. Quando partiamo per questa missione?» gli domandò guardandolo dritto negli occhi.
«Ora, se vuoi» rispose lui, alzandosi dal letto «Ti aspetto fuori» concluse, uscendo dalla stanza della ragazza.
Katie tirò un sospirò di sollievo, avrebbe spaventato quella persona e poi finalmente avrebbe potuto dire di essere libera da Dorian e dal debito verso di lui.
Si cambiò in fretta, indossando i suoi pantaloni di pelle nere e la sua maglia dello stesso colore. Prese il giubbotto di pelle nere che aveva buttato sulla poltrona, quando era arrivata a casa prima e lo indossò.
«Eccomi, sono pronta. Andiamo» disse Katie, quando fu fuori dalla sua camera e di fronte a Dorian.
«Bene» ribatté Dorian sorridendo malignamente.

 

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Capitolo 14
*** Dorian Bonnet pt.1 ***


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«Dorian, che cosa vuoi che faccia?» chiese Katie con il fiatone, a stento riusciva a credere di avere ancora questi riflessi umani che non gli appartenevano più.
Stavano camminando da circa un’ora e lei era impaziente di sapere che cosa avrebbe dovuto fare. Erano in uno dei quartieri più malfamati del New Jersey, Camden. Nell’aria si sentivano solamente il rumore dei tacchi di Katie, al contatto con l’asfalto lurido e bagnato, a causa della pioggia di qualche minuto prima e il costante lamentarsi di Dorian perché ancora non aveva trovato la sua vittima. Di tanto in tanto si scorgeva qualche ubriacone coricato tra la spazzatura, ma l’obbiettivo di Dorian era seduto ad un bar che sorseggiava una bella birra fresca.
«Lo vedi quello lì?» indicò un uomo seduto ad un tavolo fuori da un bar abbastanza lurido. Katie annuì capendo che era quella la vittima da spaventare.
«Bene, fra cinque minuti lui si alzerà da quel tavolino e andrà alla sua auto, è in quel momento che tu agirai poi al resto ci penserò io» disse Dorian guardando attentamente l’uomo ridere con i suoi amici ubriaconi.
«Lo conosci?» domandò schietta Katie, beccandosi uno sguardo inceneritore da parte di Dorian.
Katie si ammutolì, continuando a guardare quel uomo. Era un uomo grasso, viscido - aveva appena toccato il culo ad una cameriera, palpandolo anche - e sudato, persino da quella distanza si vedeva il sudore colarli dalla fronte. I pochi capelli che aveva in testa erano unti e crespi. Gli occhi un po’ troppo vispi e vogliosi, quando si trattava di guardare ragazzine passare per quella strada. Le mani grosse e tozze stringevano il boccale di birra. Stava ricurvo con la schiena sul tavolo e parlava con voce anche fin troppo alta con i suoi amici. Era davvero disgustoso.
Katie non sapeva dove Dorian l’avesse trovato o se lo conosceva, ma aveva promesso di aiutarlo e l’avrebbe fatto. Tanto un uomo così a cosa serviva?
Passarono esattamente cinque minuti, proprio come aveva detto Dorian, quando l’uomo si alzò dal tavolo senza pagare per poi dirigersi verso una vecchia auto grigia, tutta fracassata.
«Non mi immagino gli interni» esclamò disgustata Katie, cominciando ad avviarsi anche lei verso la macchina con al fianco Dorian.
Come pensava, gli interni erano ancora peggio di quanto potesse sembrare orribile già vista da fuori. La macchina puzzava da fare schifo. Odore di alcool, vomito e chissà cos’altro. Era piena di sporcizia e immondizia, carte di barrette di cioccolato, bottiglie di vetro vuote e chissà quanta altra roba.
«Dio, che schifo» esclamò Katie, spostando dal sedile posteriore una bottiglia mezza vuota di Rum poi si sedette, cercando di stare il più immobile possibile. Non voleva toccare nient’altro in quella macchina piena di gemi.
Dorian si sedette senza fare storie, sul sedile dietro al posto di guida, «Così mi sarà più facile sgozzarlo» disse il ragazzo scrollando le spalle. Katie annuì guardandosi in giro con aria schifata.
«Vuoi che comincio?» chiese la ragazza scrocchiandosi le dita. Dorian sorrise malignamente poi con un cenno della testa le diede il consenso.
Katie fissò attentamente la radio che si accese e da cui partì una canzone spacca timpani. L’uomo alla guida balzò sul sedile poi imprecò contro alla radio ed infine la spense. Ma Katie la fece riaccendere, la musica ripartì e il volume si alzò sempre di più. L’uomo imprecava contro alla radio, la picchiò anche, cercando di spegnerla. Di colpo la musica cessò e nell’auto calò un silenzio di tomba.
«Brutta carcassa di merda» esclamò l’uomo tornando a guardare la strada.
Katie rise divertita poi con un cenno della testa, fece partire le spazzole dei tergicristalli. Si muovevano lentamente poi la velocità aumentava, sempre, sempre di più.
«Macchina di merda ma che diavolo ti prende?» domandò furibondo il guidatore. Cercò di bloccarle, spegnerle, ma nulla la velocità delle spazzole aumentava. Poi come con la radio, si fermarono di colpo a metà del loro lavoro.
«Devo continuare?» domandò Katie girandosi verso Dorian che annuì mentre estraeva dalla tasca un coltello da cucina.
Katie fece ripartire le spazzole e la radio poi aggiunse anche i finestrini che iniziarono ad abbassarsi ed alzarsi senza che l’uomo facesse nulla.
Il guidatore iniziò ad avere paura. Stava sudando e il cuore gli batteva all’impazzata. I due ragazzi riuscivano a percepirlo benissimo e questa cosa a loro piaceva.
«Okay, ora puoi fermarti» disse Dorian allungandosi verso l’uomo. Katie bloccò ogni movimento e aspettò che Dorian finisse quello che lei aveva iniziato.
Dorian avvicinò lentamente il coltello da cucina alla gola dell’uomo, gli prese con forza la testa e con un colpo netto, gli tagliò la gola. Il sangue iniziò a schizzare sul parabrezza e sul volante dell’auto. Colava lungo la ferita e scendeva copiosamente sui vestiti, sporcando ogni cosa. L’uomo cercò di tappare la ferità con le mani senza però riuscirci.
I due ragazzi scomparvero dalla macchina e aspettarono che essa si schiantasse contro a qualcosa. Si scontrò con un palo della luce a pochi metri di distanza da loro. Il palo colpì in pieno la parte anteriore dell’auto, accartocciandola su se stessa. Entrambi sorrisero macabramente. Poi la macchina scoppiò in aria e un enorme fiamma di fuoco l’avvolse completamente. Da lontano si sentivano già le sirene dell’ambulanza sopraggiungere sul posto dell’incidente.
«Dorian, posso sapere chi era? Lo conoscevi?» chiese Katie, affiancando Dorian poi si incamminarono verso una casa poco distante dall’auto in fiamme.
«Era mio zio» rispose con un filo di voce senza guardare la ragazza negli occhi ma il cielo stellato.

 

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Capitolo 15
*** Dorian Bonnet pt.2 ***


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«Tranquilla, sto bene. Quella feccia se lo meritava, così come la persona che abita in quella casa» disse atono, guardando la casa di un giallo sbiadito davanti ai loro occhi.
«Chi è? E che cos’ha fatto?» domandò curiosa la ragazza, affianco il ragazzo.
«Mio padre» disse sospirando poi con passo svelto si diresse verso la casa. Katie dovette correre per raggiungerlo.
Quando furono davanti alla porta di casa, si fermarono e Katie aspettò il consenso di Dorian per poter entrare dentro.
«Dorian» una voce bisbigliata e infantile li fece voltare verso destra. Nascosta dietro al muro di casa Bonnet, c’era una piccola bambina dalle guance scavate e dalla pelle bianca e malaticcia, che sembrava venir accentuata ancora di più dalla luce della luna, in quella notte buia.
«Chloé cosa ci fai qui fuori?» domandò Dorian avvicinandosi alla bambina e avvolgendola fra le sue braccia.
«Papà sta facendo del male alla mamma e io ho paura» rispose la bambina piagnucolando. Dorian la strinse ancora di più fra le sue braccia, cercando di riscaldarla un po’, per poi ricordarsi che lui era freddo come il marmo e che non emetteva calore.
«Chloé vai nella tua stanza, a papà ci penso io» le disse dolcemente Dorian baciandole la fronte, «Principessa mi prometti che proteggerai sempre la mamma?» le domandò infine il ragazzo. La bambina dalla chioma corvina annuì, mostrandogli un enorme sorriso, salutò Katie con un ‘ciao amica di Dorian’ poi corse in casa per rifugiarsi nella sua stanza.
«E’ tua sorella?» domandò Katie scioccata. Perché poteva vederli? Il padre picchiava la madre? E lo zio che cos’aveva fatto?
Dorian annuì sospirando bruscamente «Chloé è malata, può vederci per quello motivo. Mia madre lavora sette giorni su sette per riuscire a portare a casa abbastanza soldi per poter fare operare Chloé. Ma poi arriva a casa mio padre, prende i soldi che mia madre ha guadagnato e li spende per alcool e puttane, poi torna a casa e picchia mia madre fin quando ne ha le forze. Non ha mai alzato le mani su Chloé, ma di lei come di me non gliene mai fregato nulla. Se morisse anche Chloé per lui sarebbe solo una liberazione» finì il suo discorso a corto di fiato. Dorian non aveva mai raccontato a nessuno della sua famiglia e mai, si sarebbe aspettato di raccontarlo ad un senza Anima come lui.
«Dorian, io…io, mi dispiace» disse Katie a corto di parole.
«E’ stato mio padre ad uccidermi. Mi ha accoltellato in un vicolo e mi ha lasciato lì a morire e mio zio faceva da palo» parlò ancora Dorian prima di correre su per le scale ed entrare in casa, passando attraverso la porta. Katie lo seguì subito e quello che trovarono fece stare male entrambi. La madre di Dorian aveva il viso sporco di sangue, il naso rotto e chissà quante altre ossa, era sdraiata su un fianco sul pavimento e piangeva disperata mentre il marito le inferiva contro.
«Ti prego, basta» gridò fra le lacrime. Il marito invece di smettere le tirò un altro pugno in pieno viso, «E’ colpa tua se quello stupido ragazzino è morto e sarà colpa tua quando tua figlia morirà» le urlò contro con rabbia, tenendo in una mano una bottiglia di Whisky.
«No, non è vero. È solo colpa tua bastardo» gli gridò contro Dorian con le lacrime agli occhi. Katie non l’aveva mai visto così distrutto, così ferito. Avrebbe voluto abbracciarlo ma si limitò ad appoggiarli una mano sulla spalla, per cercare di calmarlo.
La donna piangeva con la testa appoggiata sul pavimento e si teneva una mano sulla pancia, probabilmente perché il padre di Dorian le aveva rotto qualche costola e, pensava solamente alla sua piccola Chloé e al suo defunto Dorian.
L’uomo bevve un altro sorso di Whisky poi barcollante per via di tutto l’alcool che aveva in corpo, salì le scale e si rifugiò nel suo studio.
«L’ultima vittima» sibilò Dorian, sorridendo macabramente. Katie aveva capito che Dorian aveva tenuto il padre come ultima vittima perché poi dopo lui, finalmente sarebbe stato liberto.
La madre si trascinò verso il tavolino che tenevano in salotto, quando fu vicino ad esso, afferrò il telefono di casa e chiamò le uniche persone che avrebbe potuto aiutare lei e sua figlia: la polizia.
«Mi darai una mano con mio padre?» domandò Dorian alla bionda porgendole una mano, la ragazza gliela afferrò poi corsero di sopra ed entrarono nello studio del padre di lui.
Lo studio puzzava di alcool ed era un accumulo di sporcizia e disordine; un mucchio di fogli erano sparsi sul pavimento, altri buttati a caso sulla scrivania e potevi trovare persino pezzi di pizza di chissà quanto tempo ancora nel cartone. L’uomo era seduto sulla sua poltrona e sorseggiava la sua bottiglia di Whisky con la pancia che fuoriusciva dalla maglia sudicia e troppo corta per lui.
«Guarda che merda di persona! Picchia la moglie e ora è qua bello e tranquillo a sorseggiare alcool» disse con disprezzo Dorian, tirando fuori dalla sua tasca dei pantaloni dei fogli piegati su se stessi.
«Cosa sono?» domandò Katie indicando i fogli che aveva fra le mani.
«Il suo testamento, dove lascerà tutti i soldi che ha risparmiato a mia madre e a mia sorella».
Katie fece cadere un libro dalla libreria che si trovava al fianco della scrivania. L’uomo balzò in alto e si guardo in giro, «Chloé sei tu?» domandò con la voce impastata per via del alcool.
Katie fece levitare la bottiglia di Whisky che teneva in mano e aspettò di vedere la reazione del uomo. Il padre di Dorian scattò in piedi e si guardò in giro terrorizzato.
«Katie riesci a farlo tornare seduto?»
Katie mosse velocemente la mano destra e il padre di Dorian si ritrovò incollato alla sedia.
«Grazie.»
Dorian si mise al fianco del padre, appoggiò i fogli sulla scrivania e toccandogli la testa, iniziò a sussurrarli cose all’orecchio, che Katie non poteva percepire.
L’uomo impugno la penna e iniziò a scrivere sui fogli che aveva appoggiato lì Dorian; stava scrivendo il suo testamento seguendo quello che gli aveva ordinato il ragazzo. Dorian sorrise macabramente mentre aspettava che il padre finisse di firmare il foglio. Quando ebbe finito glielo strappò dalle mani, se lo infilò in tasca poi aprì un cassetto della scrivania del padre ed estrasse una pistola. Sorrise ancora poi sussurrò qualcos’altro al padre che afferrò con forza la pistola e se la puntò alla tempia ed infine sparò, spargendo sangue e cervello per tutta la stanza.
Uscirono di corsa dalla stanza per poi entrare in un’altra. La stanza di Chloé. La piccola bambina dagli occhi blu e i capelli corvini, stava rannicchiata e impaurita sotto alle coperte.
«Chloé, devi consegnare questo alla mamma e poi finalmente sarete libere» le sussurrò Dorian, appoggiando i fogli sul letto rosa della bambina.
La bambina tirò fuori la testa e guardò con le lacrime agli occhi il fratello e poi Katie, «E tu? Tu sarai libero?» quella domandò lo spiazzò perché spalancò gli occhi.
«Sì, sarò libero e ti proteggerò sempre, anche da la su» le rispose lui, baciandole la testa.
«Ora abbracciami forte e poi vai dalla mamma con quei fogli, okay?» le disse amorevolmente, aprendo le braccia e aspettando che lei ci si tuffasse dentro.
La piccola Chloé annuì poi si tuffò fra le braccia del fratello. Katie si sentì di troppo, così decise di uscire dalla stanza e lasciarli soli.
Poco dopo Dorian uscì con al fianco Chloé che corse giù e si buttò fra le braccia della madre, tutta dolorante. Dorian invece tornò nello studio per raccogliere l’anima del padre, felice di poter riavere finalmente la sua ed essere libero da quell’inferno.

 

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Capitolo 16
*** #47: Oscar. ***


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«Così ora riavrai indietro la tua anima» affermò Katie, camminando in uno dei lunghi corridoi del castello della Morte con affianco Dorian.
«Già, finalmente e finalmente la mia famiglia è libera da quei due pezzi di merda» ribatté lui passandosi una mano fra i capelli neri, scompigliandoli.
«Sono felice per te» commentò Katie, appoggiando una mano sulla spalla del ragazzo.
I due ragazzi si salutarono per l’ultima volta poi Dorian svoltò a sinistra ed entrò nella sala del trono, mentre Katie se ne tornò in camera sua a pensare alla sua prossima vittima.

 
Katie camminava velocemente, passando per la quinta strada nel centro del borough di Manhattan in New York City. Quella mattina faceva un caldo infernale. L’aria era afosa, si faceva perfino fatica a respirare. Katie per fortuna non sentiva quasi nulla, ma bastava guardare le persone che passavano per di lì per capire quanto soffrissero per il caldo. C’erano persone che si coprivano dai raggi solari con il parasole, altre che bevevano in continuazione e altre che continuavano a togliere indumenti, fino a rimanere quasi in costume.
La bionda aveva sentito delle ragazze organizzarsi per andare al mare e come un flashback, si ricordò dell’estate scorsa passata con la sua Sammy.
Lei e la sua dolce Sammy che si divertivano come bambine in acqua mentre Liam, il ragazzo di Samantha, le filmava con la videocamera e poi a fine giornata si rivedevano i video per ridere un po’. Le mancava passare le sue giornate con Sammy, non che con Hergar non si divertisse, ma le mancava la sua migliore amica.
«Ho saputo che Dorian se ne è andato e che tu l’hai aiutato, brava Katie» ed eccolo lì, Hergar in tutto il suo tetro splendore appoggiato alla porta di un piccolo bar. Indossava una maglia con lo scollo a V nera che lasciava intravedere la pelle bianca del petto e dei pantaloni di pelle dello stesso colore che gli facevano risaltare le gambe lunge e secche.
«Grazie» ribatté Katie sorridendogli e andando contro per abbracciarlo.
«Stai già scegliendo la tua prossima vittima?» le domandò infine quando si staccò da lei. Katie scosse la testa «So già chi è la mia prossima vittima, Oscar, l’ex di Sammy» gli rispose lei prendendo per un braccio il mutaforma e trascinandolo verso l’appartamento di Oscar. L’appartamento di Oscar si trovava nella parte alta dell’Upper East side, lungo il cosiddetto “Museum Mile” della Fifth Avenue, vicino al Guggenheim ed al Metropolitan Museum of Art di New York.
«Sei sicura della tua scelta?» le domandò Hergar, quando Katie si fermò davanti al palazzo in cui abitava il ragazzo.
«Sì.»
L’atrio del palazzo era molto illuminato, le pareti erano di un colore simile al bronzo; sulla destra c’erano gli ascensori ed era in quel punto che la bionda si stava dirigendo.
Katie entrò nell’ascensore, «Hergar puoi pure andare, qui ci penso io» gli disse pigiando il tasto numero ‘5’, Hergar annuì e se ne andò, mentre lei aspettò che le due porte si chiudessero.
Quando fu arrivata al quinto piano, uscì dall’ascensore e si diresse verso il lussuoso appartamento di Oscar. Katie fece un profondo respiro poi passò attraverso la porta per poi ritrovarsi nell’appartamento di Oscar.
L’appartamento di Oscar era enorme, ci era già stata con Samantha due anni fa, quando ancora stavano insieme. L’atrio e il corridoio avevano le pareti dorate e sulla destra di esso c’era la prima camera da letto, la camera di Oscar, quella in cui lui e Samantha avevano passato la maggior parte del loro tempo, secondo quello che aveva raccontato a Katie. Katie iniziò a camminare e il rumore dei tacchi che battevano sul pavimento di marmo, echeggiava nel corridoio. Passò attraverso una porta che dava sul soggiorno e passando da un’altra porta, sulla destra, si trovò l’enorme cucina. Le pareti erano dipinte di bianco. Il pavimento era in gres porcellanato dall’effetto legno. Al centro della cucina c’era un tavolo di vetro con intorno sei sedie. Tutti gli elettrodomestici erano di ultima generazione ed erano ritirati nei loro giusti posti. Ma di Oscar nessuna traccia. Katie, allora uscì dalla cucina e lo cercò nel ampio ed enorme soggiorno al fianco della cucina. Sul lato sinistro c'era un tavolo con otto sedie e al centro della stanza c’era un grande divano da tre posti di pelle con al fianco uno da due e in mezzo un piccolo tavolino bianco. Vi era anche una grande finestra, infatti si trattava di una stanza molto luminosa. Sulla destra della stanza c’era un mobile a parete piena di dvd, dischi musicali, videogiochi e souvenir provenienti da tutto il mondo, perché Oscar amava raccoglierli. Al suo fianco c’era un enorme televisore da 55 pollici e i divani erano puntati verso esso. Infine vi era un tappeto persiano molto costoso sul pavimento.
Oscar era lì, seduto sul suo bellissimo divano di pelle che guardava un film d’azione, ignaro di quello che sarebbe accaduto fra poco.
Katie sorrise macabramente poi mosse un dito in cerchio e la televisione cominciò a cambiare canale.
Oscar sbuffò rumorosamente, rimettendo sul canale in cui c’era il film. Katie scosse la testa e un dvd cadde a terra, poi cadde un videogioco ed infine con una mossa della mano, il mobile si scaraventò a terra con un forte e rumoroso tonfo.
«Ma che cazzo?» esclamò Oscar scattando in piedi come una molla.
Katie rise divertita, estraendo dal giubbotto un bisturi e apparendo anche agli occhi di Oscar.
«Katie!!» esclamò scioccato il ragazzo, portandosi una mano fra i capelli castani.
«Ehilà Oscar» lo salutò lei, mostrandogli il bisturi.
Oscar incominciò ad indietreggiare, «Che cosa vuoi fare con quello? E poi come fai ad essere qui?» domandò il ragazzo a corto di saliva.
Katie alzò le spalle poi con una mossa della mano, fece tornare a sedere Oscar e salì sulle sue gambe.
«Perché non ci divertiamo un po’? Ho voglia di divertirmi» disse la bionda, lanciando a terra il suo giubbotto per poi iniziare a sbottonarsi la camicetta.
Oscar non ci mise molto a strappargliela di dosso ed ad avventarsi sul collo della ragazza, sapendo che aveva comunque un bisturi fra le mani. Katie glielo lasciò fare, portando entrambe le mani dietro alla schiena del ragazzo e stringendosi a lui. Poi con un furia inaudita, lo colpì un paio di volte nella schiena con il bisturi, facendolo urlare dal dolore.
«Questo è per Samantha» strillò lei, colpendogli questa volta la spalla. Ad Oscar incominciò ad uscire sangue anche dalla bocca oltre che dalle ferite.
«Questo è per aver quasi ammazzato Liam» strillò ancora lei, conficcandogli il bisturi nella pancia, sentendo la carne di lui stringersi intorno alla lama. Lui emise un gemito di dolore, portandosi una mano sulla pancia.
«E questo è per aver cercato di violentarmi al mio diciottesimo compleanno» lo colpì alla gola, aprendogliela in due. Il sangue iniziò a colare velocemente, sporcandola anche, ma di quello se ne importò ben poco. Stette ferma a guardarlo soffrire, come lui aveva fatto soffrire la sua migliore amica e lei. Infine si alzò dal ragazzo, tutta sorridente perché aveva avuto la sua vendetta.
Pulì il bisturi con la manica della sua camicetta poi lo ritirò nel giubbotto di pelle ed estrasse da esso il cristallo cattura anime. Infine tornò con il viso verso il ragazzo ancora vivo e gli lasciò un bacio sulle labbra per poi aspettare che morisse per prendergli l’anima.
Oscar esalò un ultimo respiro, prima di morire con una mano ancora stretta intorno alla gambe di Katie.
«Addio riccone dei mie stivali» esclamò Katie raccogliendo l’anima di Oscar poi com’era comparsa nella stanza, sparì, lasciando la stanza in un silenzio di tomba.

 

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Capitolo 17
*** #48-49: Due al prezzo di uno. ***


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Katie si guardò intorno, nemmeno lei sapeva perché era entrata in un supermercato; forse non voleva perdere le poche cose che le rimanevano della vita umana: fare la spesa come un comune mortale e rilassarsi un po’.
Stava riempiendo il carrello della spesa di ogni tipo di cibo, ovviamente poi dopo l’avrebbe rimessi al proprio posto. Fare la spesa l’aveva sempre tranquillizzata, infatti era così. Stava cercando di non pensare a Samantha e alla reazione che potrebbe avere quando scoprirà che Oscar era stato ucciso.
«Mi scusi, potrebbe spostare il carrello? Devo prendere i piselli in scatola» chiese una signora anziana spingendo il carrello in avanti. La bionda annuì e si spostò da lì, scusandosi con la signora per poi dirigersi verso le scaffalature dei salumi.
Katie era sul punto di rimettere apposto ogni cosa, quando di colpo due persone incappucciate e armate di pistole, fecero irruzione nel supermercato e urlarono di stendersi tutti a terra. La ragazza al posto di stendersi al suolo, scomparve agli occhi di tutti e con passo svelto si avviò verso i due ladri.
Uno dei due ladri - l’uomo perché l’altro ladro era una donna - puntò una pistola alla fronte della cassiera che tremò fortemente. «Apri immediatamente la cassa» le ordinò con voce potente e rude. La donna invece controllava che nessuno si muovesse o chiamasse la polizia.
La cassiera iniziò a piangere silenziosamente mentre apriva tremolante la cassa e tirava fuori tutto l’incasso.
«Grazie» disse sarcastico prima di spararle un colpo nello stomaco. La povera cassiera si accasciò al suolo con una chiazza di sangue enorme sullo stomaco.
Katie si materializzò davanti ai due ladri e con colpi veloci e decisi, taglio le gole ad entrambi. I due ladri si accasciarono al suolo mentre i clienti del supermercato iniziarono ad urlare e a correre fuori per chiedere aiuto, altri invece semplicemente scappavano. Beh, non era da tutti i giorni vedere due persone venir sgozzate senza però vedere chi era stato. Katie raccolse le anime dei due ladri poi si nascose fra gli scaffali per poi materializzarsi agli occhi di tutti. Uscì di corsa da lì e si avvicinò alla cassiera che stava sanguinando.
«Vedrai che andrà tutto bene. Hanno chiamato l’ambulanza» le disse dolcemente Katie mentre le scostava una ciocca di capelli dalla fronte.
«Morirò» disse la cassiera tossendo sangue. Katie le sussurrò ‘shh’ mentre continuava ad accarezzarle la testa.
Da lontano si sentirono le sirene dell’ambulanza, «Visto, stanno arrivando» esclamò Katie, scostandosi dalla cassiera per uscire dal supermercato e fare segno all’ambulanza di fermarsi lì.
«E’ dentro, le hanno sparato» urlò Katie indicando la cassiera attraverso le porte di vetro chiuse.
Gli infermieri scesero dall’ambulanza e tirarono fuori un lettino che portarono di corsa dentro al supermercato.
Poco dopo arrivò la polizia, che chiese a tutti quelli che erano rimasti davanti al supermercato cos’era successo. Toccò anche a Katie dare una spiegazione, «Non so cosa sia successo. Io era lontana da loro. Ho solamente sentito lo sparo e poi poco dopo le urla delle persone» spiegò lei cercando di essere il più convincente possibile.
L’agente di polizia segnò tutto sul suo taccuino, «Okay, può pure andare» le disse lui. Katie non se lo fece ripetere due volte, se ne andò immediatamente. Appena ebbe svoltato il vicolo iniziò a correre, verso dove non si sa, ma il più lontano possibile da quel posto. Quando finì di tranquillizzarsi, iniziò a cercare la sua prossima vittima, la cinquantesima, finalmente.
Katie continuava a camminare avanti e indietro per le strade del Maryland, più precisamente di Baltimora, alla ricerca della sua prossima vittima, quando per puro caso si imbatté in una rissa. Un ragazzo cicciotello stava venendo picchiato da un ragazzo alto e muscoloso.
Il ragazzo alto sferrò un ultimo colpo sul viso di quello cicciotello poi lo lasciò cadere a terra. Il cicciotello alzandosi a fatica scappò dalle grinfie del suo assalitore.
«Bravo, corri e non farti più vedere» urlò furioso il ragazzo alto sferrando un calcio contro ad un scatolone che si trovava in quel vicolo buio e puzzolente.
Katie si stava avvicinando con passo veloce verso il ragazzo, era sul punto di estrarre la sua falce quando una ragazzina sui quindici anni gli corse in contro e lo abbracciò.
«Dio Cordelia» disse il ragazzo stringendo fortemente fra le braccia la ragazzina. Quando si staccarono, Katie poté notare che la ragazzina aveva un enorme ematoma sullo zigomo sinistro e il labbro inferiore spaccato.
«Grazie» le sussurrò lei, sorridendo appena.
«Se quel bastardo prova ancora ad avvicinarsi a te, lo ammazzo. Nessuno tocca mia sorella» disse digrignando i denti e afferrando il braccio della sorella per poi abbracciarla ancora.
«Gli ho detto che era finita almeno una ventina di volte eppure continuava ad avvicinarsi e provava a baciarmi anche se io non volevo. Io non sono riuscita a fermarlo, ma spero che adesso la smetterà» disse con la voce strozzata da un singhiozzo.
«Oh vedrai che lo farà» disse serio lui mentre accarezzava dolcemente i rossi e mossi capelli della sorella. «Forza ora andiamo a casa» si staccò da lei e le diede una pacca sul sedere che la fece sobbalzare e ridere allo stesso tempo.
«Lucas?»
«Si?»
«Sei il fratello migliore del mondo» disse Cordelia sorridendo al fratello per poi saltagli addosso.
Katie era rimasta dolcemente sbalordita dal mondo in cui quel ragazzo aveva protetto la sorella. Il mondo in cui le accarezzava i capelli e la stringeva a sé con fare protettivo.
I due fratelli se ne andarono via e Katie rimase da sola in quel vicolo sporco ad aspettare la sua prossima vittima.
 
La mattina seguente per Katie fu abbastanza noiosa, così per non stare tutto il giorno chiusa nella stanza nel limbo della Morte, decise di andare a bere - anche se non lo necessitava - un caffé.
Entrò dentro al primo bar che si era trovata davanti. Il bar era tutto un gioco di toni del bianco e nero: il pavimento a scacchi, i divanetti in pelle neri e i tavoli in marmo bianco. Un grande e lungo bancone di marmo nero era la destinazione di Katie. Con passo svelto si diresse verso di esso e si sedette su un alto sgabello bianco che andava ad alternarsi con gli altri (uno bianco e uno nero e così via). 
«Caffé?» domandò un cameriere.
Quando Katie alzò lo sguardo, non si sarebbe mai aspettata di incontrare il ragazzo di ieri. La ragazza sbatté un paio di volte le ciglia per controllare se era vero o un frutto della sua immaginazione.
«Vuole un caffé o qualcos’altro?» domandò ancora il ragazzo. Katie annuì «Un caffé andrà più che bene» rispose guardandolo attentamente mentre le serviva il caffé in una mug di ceramica.
Era davvero molto alto, almeno un metro e ottantacinque, con un viso aguzzo pieno zeppo di lentiggini, un naso regolare e due occhioni verdi contornarti da delle spesse occhiaie. I capelli rossi erano folti, corti e tirati indietro col gel.
«Grazie» le disse gentilmente Katie, sposandosi tutti i capelli sulla spalla sinistra.
«Di nulla» ribatté lui, andando a servire gli altri clienti.
Katie lo guardò lavorare, si era davvero pentita di quello che stava per fare ieri notte. Era così ansiosa di arrivare alla cinquantesima vittima che avrebbe ucciso chiunque e lo stava per fare. Si sentiva così in colpa perché alla fine lui voleva solamente difendere la sorella.
Il ragazzo stava tornando dalla sua parte per prendere altro caffé e le ordinazioni di altri due clienti al fianco di lei.
«Mi chiamo Katie» disse la bionda, quando il ragazzo dai capelli rossi le fu davanti.
«Lucas» ribatté lui sorridendole.

 

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Capitolo 18
*** […]ma se vuoi, puoi venire a cena con noi. ***


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Katie camminava avanti e indietro davanti al bar in cui lavorava Lucas, stava aspettando che il ragazzo finisse il turno. Voleva parlargli ancora. Voleva parlare con qualcuno che non fosse Hergar o il Cupo Mietitore. Qualcuno di umano.
«Si, buona serata Ben» Lucas salutò un altro cameriere poi uscì dal bar e si trovò davanti Katie che gli sorrideva.
«Katie!» esclamò, sorpreso di trovare la ragazza lì.
«Ciao Lucas» disse gentilmente lei.
«Che ci fai qui?» le chiese lui passandosi una mano fra i capelli rossicci.
«Volevo sapere se ti andava di uscire?» provò a chiedere la bionda toccandosi una ciocca di capelli.
Lucas si passò una mano fra i capelli «In verità devo andare a prendere mia sorella agli allentamenti di cheerleading, ma se vuoi, puoi venire a cena con noi» rispose lui accennando un sorriso.
Katie ricambio il sorriso «A tua sorella non dispiacerà?» domandò lei, giocherellando con l’orlo della sua canotta nera.
Lucas emise un risolino «Per niente, anzi sarà felice di conoscerti» rispose divertito. Katie si grattò un guancia con le sue unghie laccate di nero, «Ah si?» chiese.
«Sì e sappi che ti riempirà di domande» rispose Lucas facendole segno di seguirla verso la sua macchina.
 
Durante il tragitto Katie non fece altro che fare domande a Lucas. Era partita con domande sulla sorella per poi finire a parlare del suo lavoro al bar. Quando si fermarono per via del semaforo rosso, Lucas si girò verso Katie e la osservò curioso. I suoi capelli biondo platino erano spostati di lato con una ciocca ribelle che andava ad adagiarsi sulla guancia destra. Indossava una canotta nera con lo scollo a V e degli skinny jeans neri. Il suo volto ero pensieroso ma allo stesso tempo felice.
«Quale scuola frequenta tua sorella?» chiese Katie guardando fuori dal finestrino.
«La Paul Laurence Dunbar High School» rispose Lucas svoltando a destra e fermandosi davanti ad una struttura. Katie lesse Paul Laurence Dunbar Comunity High School scritto a caratteri grandi e rossi sul muro della struttura e capì che erano arrivati a destinazione. La parte centrale della scuola era fatta di vetri e cartongesso, mentre ai lati era fatta di mattoni. Una bandiera americana era sostenuta da una lunga asta di acciaio al fianco dell’entrata.
«Se vuoi puoi aspettare qui oppure entrare con me» disse Lucas lasciandola con due opzioni. Katie optò per la seconda, entrare con lui nella scuola anche perché non voleva rimanere in macchina da sola.
I due ragazzi uscirono dalla macchina e insieme scavalcarono la ringhiera di ferro, anche se a pochi centimetri c’era una salita che portava al luogo di sosta, in cui i ragazzi passavano i primi minuti del mattino, prima di entrare nella struttura scolastica.
Entrarono nella scuola; l'ambiente interno era bianco e molto luminoso grazie alle grandi vetrate e la struttura era fatta di pilastri, rigorosamente circolari.
«Vieni, la palestra è di qui» disse Lucas prendendo per una mano Katie e trascinandola verso una porta arancione. Scesero due rampe di scale poi passarono attraverso un’altra porta blu e finalmente, si ritrovarono in palestra.
«Lucas Conway!» esclamò una donna alta, magrissima e dai capelli brizzolati. Indossava una tuta azzurrina e teneva fra le mani un quaderno in cui ora stava scrivendo qualcosa. Katie fece due più due e capì che era l’allenatrice anche perché di adulto non c’era nessun altro.
«Tua sorella si sta cambiando. Dite a Cordelia che è arrivato suo fratello» urlò la donna con voce potente. Due ragazze, che si stavano scaldando i muscoli, si alzarono di colpo e corsero nello spogliatoio per fare quello che l’allenatrice aveva chiesto.
«Grazie coach Swift» lo ringraziò lui sorridendogli.
Dieci minuti dopo, uscì dallo spogliatoio sulla parete di destra, la sorella di Cordelia. I capelli erano stati legati in una coda alta e i vestiti erano stati cambiati, dalla divisa da cheerleader a una gonna di jeans e una maglietta a righe bianche e rosa.
«La scuola è iniziata da una settimana eppure la coach si ostina a farle stare un’ora in più ogni pomeriggio» sussurrò Lucas all’orecchio destro di Katie.
«Perché?» chiese Katie guardandolo con la coda dell’occhio. Lucas alzò le spalle «Penso per imparare prima le coreografie e alla fine farle al meglio» rispose lui sorridendo alla sorella.
Cordelia si avvicinò a passo svelto verso di loro, tra l’altro con un enorme sorriso sulle labbra, «Ciao» disse lanciando a Lucas il suo borsone. Lucas lo afferrò al volo poi fulminò la sorella con lo sguardo. Cordelia fece spallucce poi guardò la ragazza al fianco del fratello. Katie era molto imbarazzata, forse perché stava conoscendo la sorella del ragazzo di cui si stava infatuando.
«Ciao, io sono Katie, un’amica di Lucas» si presentò la bionda porgendo una mano a Cordelia. Lei la guardò curiosa poi afferrò la mano e ricambiò la stretta.
«Non sapevo che mio fratello frequentasse qualcuno di sesso femminile» commentò Cordelia, sorridendo sotto i baffi.
Lucas sbuffò, «Evita e andiamo a mangiare che sto morendo di fame» ribatté il rosso, incamminandosi verso la porta da cui lui e Katie erano entrati.
«Katie mangia con noi?» chiese Cordelia salterellando. Katie annuì sorridendo alla ragazza. «Ah, che bello» esclamò infine, abbracciando di slancio Katie che perse per qualche secondo l’equilibrio per poi riacquistarlo poco dopo.
«Cordelia! Ti prego lasciala stare che la spaventi!» sbraitò Lucas, aspettando che le due ragazze si avvicinassero a lui. Cordelia gli fece la linguaccia poi corse su per le scale, lasciando indietro Lucas e Katie.
«Perfetto» commentò sarcastico Lucas, guardando Katie che sorrideva divertita.

 

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Capitolo 19
*** Una cena divertente fra Katie, Lucas e Cordelia. ***


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Lucas aveva portato le due ragazze in un ristorante italiano che era poco distante dalla scuola della sorella.
Appena misero piede nel ristorante furono come trasportati in Italia; l'arredamento era fantastico e il posto era accogliente, romantico e intimo. I tavoli erano di legno con intagliature, ai lati, dorate. Le sedie erano rivestite da dei cuscini dalla tela a fiori. Per ogni parete c’erano almeno due quadri con anche due paia di lampade a parete doppie. Al centro della stanza c’era un tavolino alto e a cerchio, con appoggiato sopra un vaso colmo di fiori. Ed infine il pavimento rivestito da una moquette verdognola.
«Salve» una cameriera dai capelli neri e legati in una coda alta, li accolse con un grande sorriso sulle labbra, «Seguitemi, vi porto al vostro tavolo» disse la donna, facendo segno ai ragazzi di seguirla.
«Vi lascio il listino, quando avete scelto, chiamatemi pure» disse la cameriera mettendo al centro del tavolo quattro listini rivestiti in pelle marrone.
«Grazie» lo dissero in coro e molto cordialmente. I tre ragazzi si sedettero immediatamente. Katie di fronte a Lucas, mentre Cordelia si era seduta alla destra del tavolo. Katie e Lucas presero subito il listino e cominciarono a leggere le pietanze che venivano fatte in quel ristorante. Mentre Cordelia al posto di guardare il listino, fissava Lucas poi passava a fissare Katie per vedere le loro reazioni.
«Cordelia, potresti smettere» disse Lucas abbassando il listino e guardando la sorella negli occhi. Verdi come gli smeraldi contro marroni come la corteccia degli alberi.
La ragazza fece scoccare la lingua contro al palato per poi decidersi ad aprire il listino e scegliere la sua ordinazione. Quando ebbero scelto, chiamarono la cameriera di prima e dettarono le loro ordinazioni.
I tre ragazzi presero come antipasto i Fried Calamari (Calamari fritti); Katie come primo piatto prese i Cheese Ravioli with marinara sauce (Ravioli al formaggio con salsa marinara); Cordelia prese gli Gnocchi with pesto (Gnocchi al pesto) mentre Lucas prese i Mushroom Ravioli (Ravioli ai funghi). Come secondo presero tutti e tre Veal Bolognese (Vitello Bolognese).
Stavano aspettando che arrivassero le loro ordinazioni, quando Cordelia iniziò a raccontare cose imbarazzanti sul fratello.
«Lo sai che mio fratello fino all’età di otto anni faceva la pipì nel letto?» domandò retoricamente Cordelia.
«Cordelia» Lucas digrignò i denti fulminando con lo sguardo la sorella. Lei scosse le spalle e continuò con il suo giochetto. «Ha perso la verginità a diciassette anni con una più grande di lui» disse ancora, guardando divertita il fratello che si stava passando una mano fra i capelli esasperato.
«Cordelia, finiscila!» disse Lucas guardando male la sorella che se ne fregò altamente.
«Al liceo era l’unico che non sapeva fare matematica, ma era il capitano della squadra di football ed era bravissimo» disse Cordelia guardando negli occhi Katie che sorrise.
«Io ero una cheerleader» ribatté Katie appoggiando una mano sotto al mento e il gomito sul tavolo.
«Ahhh, come me!» strillò Cordelia battendo le mani felice.
«Shh, Cordelia non urlare» la rimproverò il fratello facendole segno di abbassare la voce. Cordelia lo guardò male poi si sistemò i capelli e tornò al suo gioco: come sputtanare mio fratello.
«Ha dato il suo primo bacio a dodici anni ad una ragazzina con l’apparecchio, ew» lo disse tra il disgustata e il divertito. Katie rise portandosi una mano davanti alla bocca per non farsi sentire da Lucas.
«Ah, voi ragazze quando siete insieme, siete delle vipere» commentò Lucas portandosi le mani sul viso, scuotendo anche la testa.
Le due ragazze sorrisero divertite. «Ah, davvero?» domandò Katie guardandolo di sottecchi. «Cordelia perché non vai avanti con la tua lista» disse la bionda alla rossa, guardandola furbamente. Cordelia sorrise furbamente poi annuì, sotto allo sguardo incredulo del fratello.
«No, vi prego» disse esasperato Lucas, passandosi una mano fra i capelli.
All’inizio Katie si era sentita in imbarazzo perché era da molto che non usciva con un ragazzo, ma poi Cordelia l’aveva fatta sentire accettata ed era riuscita finalmente a rilassarsi.
«Allora rimangiati quello che hai detto e chiedici scusa» disse Cordelia incrociando le braccia al petto. Katie sorrise poi guardò Lucas e alzò le spalle facendo una smorfia buffa.
«Okay, okay. Mi dispiace, va bene? Ora la serata potrà passare in tranquillità?» domandò Lucas dopo essersi scusato con le due ragazze.
Cordelia annuì guardandosi in giro, «Ma ci siamo solo-» non fece in tempo finire la frase che due famiglie entrarono nel ristorante. I figli di entrambe le coppie iniziarono a correre fra i tavoli, fin quando le madri non li rimproverarono e finalmente smisero di far frastuono. Lucas rise, «Dicevi?» lo disse mentre le due coppie andarono a sedersi a due tavoli di distanza da loro.
Il ragazzo dopo aver spostato lo sguardo dalla sorella, lo posò su Katie «Non mi hai ancora detto di dove sei» le disse sorridendole.
Katie alzò il viso e guardò Lucas poi gli sorrise, «New York. Sono qui per trovare un amico» rispose gentilmente al ragazzo.
«Solo un amico?» domandò curiosa Cordelia. Katie annuì.
Katie avrebbe voluto essere sincera con loro, ma come poteva? Non poteva di certo dirgli che era morta e che ora era un senza Anima alla ricerca della prossima vittima d’ammazzare. Si sentiva in colpa ma che altro avrebbe potuto fare? Beh un mezza verità l’aveva detta. Lei era di New York, ma di certo non era lì per un amico.
La cameriera con le loro ordinazioni stava arrivando, «Ecco a voi» disse servendo i calamari fritti ai tre ragazzi. «Ora vi porto il bere» disse infine la donna per poi sparire in cucina per prendere le bibite.
«Gnam» esclamò Cordelia inforchettando un calamaro per poi portarselo alla bocca, morsicarlo e gustarselo al meglio. Il gusto inconfondibile dei calamari invase la bocca della ragazza che masticò con appetito il tutto.
«Buon appetito» disse cordialmente Katie poi si portò alla bocca, anche lei, un calamaro.
Quando finirono di mangiare i calamari, Cordelia iniziò a fare domande a Katie sulla sua vita.
«Katie è il tuo vero nome oppure è il diminut-» Cordelia non finì la frase che Katie le rispose immediatamente «Diminutivo di Kathryn» sorrise alla rossa poi bevve un sorso di acqua.
«Quanti anni hai?» continuò con le domande mentre Lucas ascoltava curioso.
«Ne ho ventuno» le rispose sorridendole poi guardò Lucas «Voi invece quanti anni avete?» chiese lei questa volta.
«Io ne ho ventitre mentre lei ne ha quindici» rispose Lucas passandosi un mano fra i capelli rossi. Katie sorrise, «Io a quindici anni sono entrata nelle cheerleader, poi a sedici anni ne sono diventata la capitana» raccontò la bionda, ricordandosi quei giorni come se fossero successi ieri.
«Che figo! Io non diventerò mai la capitana perché la capo cheerleader di adesso, è la figlia della coach» disse rattristata Cordelia.
«Non è giusta come cose» ribatté Katie, guardando il fratello che alzò le spalle come per dire che lui non poteva fare niente.
«Hai sorelle?» Cordelia si riprese subito e ritornò a fare domande alla bionda. Katie scosse la testa «Figlia unica» rispose lei, «Ma la mia migliore amica è come una sorella, quindi è come se l’avessi sempre avuta, solo che non di sangue» concluse sorridendo alla rossa.
«Bello» commentò la rossa poi guardò il fratello «Tu non parli?» gli domandò. Lucas la fulminò con lo sguardo «E’ un po’ impossibile con te che fai mille domande» rispose lui cercando di tenere la voce calma e non sfuriare davanti a tutti. Cordelia fece spallucce poi i suoi occhi si illuminarono quando vide che la cameriera stava portando il primo.
 
La cena passò tranquilla e molto lentamente, ma grazie a questo fu più facile per Katie capire com’erano i due fratelli. Cordelia era quella più espansiva, casinista, allegra e furba; mentre Lucas era quello più riservato, tranquillo, protettivo e dolce.
I tre ragazzi uscirono dal ristorante che era già buio, «E’ stata una serata davvero bella, grazie mille» disse dolcemente Katie, guardando i due rossi. Cordelia le saltò in braccio e la stritolò «Già ti voglio bene» le disse felice poi guardò il fratello «Quindi cretino vedi di tenertela stretta» concluse facendogli la linguaccia. Lucas le fece la linguaccia indietro poi annuì, «Vuoi un passaggio?» lo domandò alla bionda quando si fu staccata da Cordelia. «No, tranquillo, mi faccio venire a prendere. Ci vediamo domani» rispose Katie sorridendogli dolcemente.
Lucas annuì passandosi per l’ennesima volta una mano fra i capelli, «Va bene, però mi dovresti dare il tuo numero» le disse, tirando fuori dalla tasca dei pantaloni il cellulare.
Katie annuì poi afferrò il telefonino del ragazzo e scrisse il suo numero, «Mi scriverai?» chiese lei, guardando negli occhi. Azzurri come il cielo sereno contro verdi come gli smeraldi.
«Certo. Ciao bellissima» Lucas le diede un bacio sulla guancia poi fece segno a Cordelia di andare verso la macchina. Cordelia però prima diede un bacio, anche lei, sulla guancia alla bionda.
«Ci vediamo Katie» strillò Cordelia mentre correva verso l’auto del fratello. Lucas la salutò un’ultima volta poi anche lui, si diresse verso la sua auto. Partirono e Katie rimase lì a ripensare alla serata appena avuta e a come si era sentita mentre guardava Lucas. Katie non aveva mai creduto all’amore a prima vista, ma in quel momento si stava ricredendo perché si stava innamorando di Lucas e ancora non riusciva a crederci.
 
«Signore dobbiamo fermarla» parlò Hergar mentre guardava Katie attraverso una palla di vetro immersa in una leggera nebbiolina.
«Non possiamo, ma ben presto capirà che non può cambiare i piani da lei precedentemente scelti. Lui dovrà essere la sua cinquantesima vittima, sennò non potrà andare avanti con la sua missione. Gli umani si fregano da soli nello stesso momento in cui si innamorano» ribatté il Mietitore sorseggiando un bicchiere colmo di anime.
«Ne uscirà distrutta, la dobbiamo proteggere» ribatté a sua volta il mutaforma.
«Non possiamo» ribadì il Cupo serio, guardando la palla di vetro, in cui mostrava una Katie tutta sorridente. Ma quel sorriso ben presto sparirà per essere sostituito da lacrime di sangue.

 

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Capitolo 20
*** Una serata al Luna Park. ***


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Hergar volò attraverso la finestra che portava alla sala del Trono, in cui in quel momento c’era il Mietitore che sorseggiava un bicchiere di Anime e si ritrasformò nella sua forma umana.
«Allora?» la voce potente del Mietitore rimbombò nelle orecchie di Hergar che si inginocchiò al suo cospetto. «Parla Hergar. L’hai vista? Come sta?» domandò il Cupo al suo servo più fidato.
«Sì, l’ho vista. I dottori hanno chiesto alla madre se volevano staccare la spina, ma lei ha rifiutato» rispose Hergar alzandosi da terra.
«Bene. Lei è stabile?» chiese impaziente il Cupo. Hergar annuì «Sì, ma non potrà svegliarsi fin quando la sua Anima rimarrà qui» rispose il corvo rattristato.
Il Mietitore fece segno ad Hergar si stare zitto, «Questo è perché si è innamorata e ha complicato tutta la missione» disse severo, «Lascia che si diverta ancora per un po’, poi spiegale che la sua missione deve continuare e che quel umano dovrà morire» concluse finendo di bere tutte le sue Anime. Hergar annuì, fece un inchino poi uscì dalla stanza con l’intenzione di proteggere Katie.
 
Katie stava svuotando l’armadio della sua camera in una velocità quasi impercettibile. Stava cercando qualcosa da mettere perché Lucas le aveva chiesto di uscire con lui. Senza Cordelia. Era sul punto di disintegrare tutto, quando trovò un paio di shorts blue jeans che aveva usato solamente una volta nella sua vita da mortale e una maglietta grigia a maniche lunghe, leggera e con lo scollo a V. L’armadio era il suo, quello che aveva avuto nella sua vecchia camera da mortale perché aveva chiesto esplicitamente al Mietitore che lo voleva in quella stanza. Afferrò i due indumenti, li appoggiò sul letto poi si mise alla ricerca dei suoi stivali da cowgirl che li trovò nell’armadio, dentro ad una scatola.
«Toc Toc» Hergar bussò sulla porta già aperta della stanza di Katie. La bionda alzò la testa e sorrise al mutaforma, «Ehi. Entra pure» glielo disse mentre con una mano raccoglieva i vestiti e con l’altra teneva gli stivali.
«Mi cambio e arrivo» disse ancora Katie mentre entrava nel bagno. Hergar sospirò andandosi a sedere sul letto della ragazza. Katie ci mise poco a vestirsi, mentre a sistemarsi i capelli ci mise un’eternità. Non ne volevano sapere di stare al loro posto.
«UN ATTIMO E ARRIVO» strillò Katie da dentro al bagno mentre si passava la piastra su una ciocca di capelli, ancora mossa e non liscia come le altre. Quando finì, si diede un’ultima occhiata alla specchio, pettinandosi i capelli con le dita poi uscì dal bagno e sorrise ad Hergar.
«Come sto?» domandò appoggiando le mani sui fianchi e mettendosi in posa.
«Stai molto bene» rispose Hergar sorridendole, «Senti…sei sicura di quello che stai facendo?» domandò preoccupato il mutaforma. Katie alzò le sopracciglia, «Sì e poi è solo un’uscita» rispose la bionda andandosi a sedere sul suo letto.
«‘E’ solo un’uscita’, a me non sembra. Quel ragazzo ti piace» ribatté Hergar incrociando le braccia. Katie rise dolcemente «Sei per caso geloso?» domandò lei, passandosi una mano fra i capelli. Hergar sbuffò sonoramente «No. Mi preoccupo solo per te. Tutto qua» rispose lui poi con un saluto svelto, uscì dalla stanza della ragazza con la scusa di dover fare delle commissioni per il Mietitore. Katie alzò le spalle poi si buttò sul letto e sorrise ripensando a Lucas.
 
La maschera a forma di pagliaccio, da cui si entrava attraverso la bocca, era l’angolo più fotografato del Luna Park. Aveva un fascino enigmatico, divertente ed inquietante al tempo stesso. Lucas e Katie lo avevano appena sorpassato, tenendo in mano una mappa del Luna Park e stavano cerchiando tutte le attrazioni da provare. «Se proviamo per primo L’Hair Kaiser? C’è scritto che è la giostra al comando del Luna Park» Katie lo lesse sulla mappa poi indicò un enorme cartellone con luci colorate con su scritto ‘Hair Raiser’.
L’ Hair Raiser era l’ultima arrivata in ordine di tempo ma già guidava al comando. Il suo sedile saliva in alto, finché le gambe non si trovavano a penzoloni nel vuoto, restava il tempo di un ultimo sguardo al ponte e poi si andava giù in caduta libera con il cuore che saliva in gola.
«Dai, proviamo quello!!» esclamò eccitata la ragazza, trascinando il ragazzo da un braccio. I due ragazzi si misero in fila e aspettarono con grande eccitazione il loro turno.
«Non sei mai stata ad un Luna Park?» domandò Lucas passando una mano intorno al fianco di Katie e appoggiandoci sopra una mano. «Sì, ma da piccola» rispose lei appoggiando la testa sulla spalla del ragazzo. Lucas iniziò ad accarezzarle dolcemente i capelli e Katie iniziò a sentire il cuore battere a mille, lo sentiva battere nelle orecchie così forte che aveva paura che da un momento all’altro sarebbe scoppiato. Aveva un ansia fortissima tanto da farle venire dei crampi allo stomaco. Che significasse questo ‘avere le farfalle nello stomaco’? Si stava davvero innamorando di Lucas?
«Tu ci vieni spesso?» domandò la bionda alzando di poco la testa per poter guardare il ragazzo negli occhi.
«Con Cordelia ci vengo quasi tutti i fine settimana» le rispose emettendo una risata alla fine della frase.
«Bello. Io l’ultima volta che sono stata in Luna Park avevo dieci anni e ci ero andata con la mia migliore amica» raccontò Katie abbracciando da un fianco Lucas.
«Dopo questa giostra, prendiamo lo zucchero filato?» chiese Katie gonfiando dolcemente le guance. Lucas emise una risata leggera poi annuì «Se sopravviviamo a questo» commentò infine. Katie rise divertita guardando l’attrazione poi scosse la testa «Ovvio che sopravviviamo o hai paura?» domandò furba. Lucas la guardò con una sopracciglia alzata, «Ti sembra che abbia paura?» domandò lui indicandosi.
Katie lo spintonò facendogli la linguaccia, «No Mr. non ho paura, ma poi là sopra voglio vederti» commentò incrociando le braccia al petto e guardando il ragazzo con sfida. Il ragazzo ricambiò lo sguardo «Voglio vedere te là sopra» ribatté lui, pizzicando la guancia a Katie. Katie emise un grugnito fingendosi offesa, continuando a battere il piede a terra e guardando l’attrazione salire in aria.
«Dai» provò a farla girare verso di sé «Mi dispiace» le sussurrò all’orecchio per poi darle un bacio sulla guancia e Katie si sciolse. Katie si girò verso di lui e gli fece la linguaccia poi sorrise dolcemente.
La fila continuava a diminuire davanti di loro ma ad aumentare dietro di loro. Finalmente era arrivato il loro turno. Katie stringeva fortemente la mano del ragazzo mentre venivano allacciati ai sedili blu.
«Pronta?» domandò Lucas alzando la voce. Katie annuì stringendogli ancora di più la mano.
Il giostraio fece il conto alla rovescia, quando arrivò a tre, pigiò il tasto dello start e la giostra incominciò a scendere in picchiata.
Katie e Lucas urlavano come dei matti. I loro cuori battevano fortissimo. Sentivano l’adrenalina salire dentro al loro corpo. Il respiro veniva spezzato ogni volta che la giostra si fermava e tornava su, per poi ricominciare scendere in picchiata.
Quando scesero dalla giostra a Katie girava vorticosamente la testa, infatti Lucas l’aiutò a camminare, fino ad arrivare a un tavolo da picnic nella sezione dei bar e dei dolciumi.
«Siediti, forza» Lucas l’aiutò a sedersi poi si mise al suo fianco e la ragazza appoggiò la testa sulla sua spalla.
«Mai più» borbottò Katie a corto di fiato, facendo così ridere Lucas.
«Principessa ho vinto io» obbiettò lui passandosi una mano fra i capelli. Katie sbuffò sonoramente poi diede un colpetto sulla spalla al ragazzo, «Andiamo a prendere lo zucchero filato?» domandò infine.
«Certo principessa» rispose Lucas aiutandola ad alzarsi. «Grazie» ringraziò la bionda dopo aver afferrato la mano del ragazzo per poi tirarsi su.
 
Era mezzanotte passata e i due ragazzi stava uscendo dal Luna Park mano nella mano. Katie si era fatta comprare un sacchetto intero di caramelle e cioccolatini che ovviamente aveva condiviso con Lucas. Lucas invece vinse al gioco della pesca un delfino per Katie che saltò di gioia, dopo aver dato un lungo bacio sulla guancia al ragazzo. Poi i due ragazzi andarono anche sulla ruota panoramica. Katie dall’alto guardava affascinata tutte le persone che man mano che salivamo diventavano sempre più piccole, fino a diventare piccole come formiche. Mentre Lucas evitò di guardare giù perché soffriva di vertigini.
«E’ stato una serata fantastica» commentò Katie stringendosi al braccio di Lucas. Lucas annuì tirando un lungo sospiro «Ci credi che non voglio che finisca questa serata?» le domandò. Katie annuì, strusciando il viso contro alla spalla di Lucas, «Sono stanca, andiamo a dormire?» sbadigliò portandosi una mano davanti alla bocca.
«Vuoi venire da me? Oppure ti porto a casa?» chiese Lucas accarezzando la testa bionda della ragazza. Katie spalancò gli occhi quando si rese conto delle domande che le aveva fatto. Lei non aveva una casa. Quindi avrebbe dovuto accettare la proposta di andare a casa di lui. Non che le dispiacesse, ma non sapeva come comportarsi, era da tanto che dormiva a casa di un ragazzo.
«Andiamo da te» rispose Katie, staccando la testa dalla spalla del ragazzo per poi sorridergli dolcemente. Lucas annuì ricambiando il sorriso.

 

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Capitolo 21
*** A casa di Lucas. ***


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Lucas aveva appena parcheggiato la macchina davanti al suo box per auto. Katie aveva tenuto per tutto il viaggio gli occhi chiusi, con la testa appoggiata al finestrino.
«Katie. Ehi Katie, siamo arrivati» Lucas appoggiò una mano sulla spalla della ragazza, facendola girare verso di sé.
«Andiamo, forza» disse ancora il ragazzo uscendo dall’auto e andando ad aprire la portiera di Katie, aiutandola ad uscire.
«Dobbiamo camminare tanto?» chiese Katie sbadigliando. Lucas scosse la testa e indicò l’edifico davanti a loro. Un edifico vecchio con muri grigi e scialbi. Si diressero verso esso. Katie si teneva appoggiata a Lucas perché aveva paura di cadere a terra, talmente era stordita per via del sonno. Entrarono nell’edifico poi nell’ascensore, Lucas pigiò il tasto 3 ed esso iniziò finalmente a salire.
L’appartamento di Lucas non era grande. Appena si entrava nell’appartamento di Lucas, si poteva trovare un divano di pelle nera, un piccolo tavolino di vetro e un altrettanto piccolo televisore nell’angolo vicino alla porta. Dietro al divano c’era un mezzo muro bianco che faceva da divisorio. Dopo il mezzo muro si trovava, sulla destra, la camera da letto di Lucas. Mentre sulla sinistra si trovava il piccolo bagno che l’appartamento ospitava. Nella stessa parete del bagno, quasi di fianco al piccolo ‘salotto’ c’era la piccola cucina con un tavolo di marmo e quattro sedie.
«Che carino» commentò Katie appoggiando la testa sulla spalla di Lucas, «Tu abiti da solo?» chiese infine. Lucas annuì «Sì, ma Cordelia è praticamente sempre qui. Quando c’è scuola dorme sempre da me perché il mio lavoro è vicino ad essa e quindi la posso portare io. Solo nel weekend sta a casa» rispose lui sorridendo. Lucas fece segno a Katie di andarsi a sedere pure sul divano. La ragazza non se le fece ripetere due volte e si buttò sul divano. Affondò la faccia nel cuscino e si stiracchiò, facendo ridere Lucas che scuotendo la testa si diresse verso la cucina, «Vuoi qualcosa da bere? Tè? Acqua? Birra?» provò a chiedere lui. Katie tirò su la testa e sbadigliò per l’ennesima volta, «Un tè caldo, grazie» rispose lei poi appoggiò di nuovo la capoccia sul cuscino.
Lucas annuì ed iniziò ad armeggiare in cucina. Katie sentì che il ragazzo aveva acceso il fornello e che in quel momento stava riempiendo un pentolino di acqua. 
«Il tè come lo vuoi?» chiese Lucas, aprendo un’antina del mobile superiore per tirare fuori la scatolina contente le bustine di tè.
«Alla pesca, con un po’ di latte se ce l’hai» rispose Katie, girandosi un pancia in su e giocherellando con le dita sul tavolino di vetro.
«Certo» ribatté Lucas dopo aver spento il fuoco, perché l’acqua stava bollendo e rovesciarla in una tazza di ceramica con già dentro la bustina di tè e un cucchiaio di zucchero. Verso anche il latte. Aspettò qualche minuto poi tolse la bustina e la buttò nel lavandino.
Lucas si avvicinò alla ragazza con la tazza bollente fra le mani e l’appoggiò sul tavolino, «Attenta che scotta!» affermò lui, andandosi a sedere al fianco di Katie.
«Grazie» disse dolcemente Katie sorridendo al ragazzo che ricambiò il sorriso.
Katie aspettò qualche minuto che il tè cominciasse a raffreddarsi, quando Lucas le chiese una cosa che non si sarebbe aspettata di sentirsi chiedere in quel momento. Le chiese di andare con lui al matrimonio di sua zia. E come se un fulmine l’avesse appena colpita in pieno, il flashback del giorno dell’incidente le tornò in mente, facendole mancare il fiato.
«Ehi, ti senti bene?» domandò preoccupato Lucas portando una mano sulla schiena della ragazza, accarezzandogliela e una sulla spalla per tranquillizzarla. Katie annuì cercando di tranquillizzarsi sotto al tocco del ragazzo.
«Un mio amico mi ha dato buca all’ultimo, quindi ho invito in più e pensavo che sarebbe stato bello andarci insieme. So che ci conosciamo da poco, ma mi piace tanto» spiegò Lucas continuando ad accarezzare la schiena alla ragazza.
«Sarebbe bello andarci insieme, ma io non ho un abito ed è domani il matrimonio» ribatté lei alzando le spalle dopo essersi finalmente calmata.
«Possiamo comprarlo domani mattina prima di andare al matrimonio e per il trucco posso chiedere a Cordelia di portare i suoi, così potrai truccarti»
«Cordelia verrà qui domani? Quindi anche i tuoi genitori? Oddio!» commentò Katie portandosi una mano sulla fronte pensando al fatto che conoscerà i genitori del ragazzo.
«No, verrà solo Cordelia. È a casa di una sua amica. Questa sua amica verrà al matrimonio, quindi in macchina saremo io, te, Cordelia e la sua amica. Niente genitori» spiegò lui sorridendo divertito.
«Oh okay…beh ma i tuoi genitori gli conoscerò lo stesso al matrimonio»
«Guarda che non ti mangeranno, sono brave persone»
«Lo so, è solo che ho paura di non piacergli» disse Katie rattristata. Lucas la tirò verso se stesso e l’abbracciò, «Andrà tutto bene» le sussurrò all’orecchio.
«Lo spero vivamente, ora però vorrei bermi il tè e poi andare a dormire» disse scherzosamente Katie, staccando Lucas da se stessa.
«Va bene. Puoi dormire in camera mia, io dormirò qui» disse lui appoggiando la testa allo schienale del divano.
«Grazie Lucas» gli sorrise dolcemente poi gli diede un bacio sulla guancia sinistra e con la mano di destra gli accarezzò l’altra. Lucas sorrise dolcemente alla ragazza che aveva davanti che ricambiò il sorriso.
Katie si ritrasse da lui, prese la tazza di tè, ormai tiepida, e ne bevve un sorso. Lucas invece si alzò dal divano e andò in camera a prendersi una coperta da usare quella notte.
«Puoi pure usare una mia maglia per dormire stanotte» disse Lucas quando fu tornato nel salottino con fra le braccia una coperta rossa.
Katie lo ringraziò ancora poi si alzò dal divano, diede un altro bacio sulla guancia al ragazzo ed infine, si diresse in camera da letto per andare finalmente a dormire. Con un grande sorriso sulle labbra. Lucas si sdraiò sul divano, si coprì con la coperta rossa e si addormentò quasi subito con anche lui un sorriso sulle labbra.

 

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Capitolo 22
*** Al matrimonio della zia gotica di Lucas pt.1 ***


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Mattino.
Katie si ritrovò attorcigliata con una gamba e con le braccia, alle coperte. I capelli sparsi sul cuscino sembravano un ammasso di fieno e una gamba era a penzoloni fuori dalle coperte.
«Katie, ehi Katie. Svegliati, ti ho portato il vestito e la troussé» Cordelia salì sul letto del fratello e cercò di svegliare la ragazza che dormiva beatamente.
«Katie» la rossa la strattonò ancora, riuscendo a svegliarla, finalmente.
La bionda farfugliò qualcosa mentre sbadigliava, portandosi una mano davanti alla bocca.
«Buongiorno bella addormentata. E’ di prepararsi» disse Cordelia, saltando giù dal letto e trascinando con sé Katie che non voleva minimamente alzarsi da lì.
«Daiiii! Ti devo rendere perfetta, quindi alzati» Cordelia la tirava per un braccio cercando di alzarla dal letto. Katie sbuffò sonoramente mentre veniva tirata dalla ragazza rossa.
«Va bene, va bene. Ora mi alzo» disse Katie ormai sveglia.
Katie scese dal letto ed insieme a Cordelia entrarono nel bagno. La rossa iniziò ad aprire la troussé, mentre la bionda si andò a sedere sul bordo della vasca da bagno bianca.
«Quello sarà il tuo abito. Ho pensato che con il rosa saresti stata benissimo, quindi io ed Ellie abbiamo comprato questo e per i tacchi ne abbiamo presi un paio dei miei» spiegò Cordelia mentre estraeva dalla troussé una boccetta di fondotinta che fra poco avrebbe messo sul viso della bionda.
Katie guardo l’abito. Era un vestito con lo scollo a V, con pieghe sul davanti trattenute da un bel inserto che metteva in risalto il punto vita e con pizzo sulla schiena. Il fondo del abito era più lungo sul dietro e si chiudeva con cerniera al lato destro. Mentre i tacchi erano classici, a punta aperta e in vernice rosa.
«Wow, avete pensato a tutto» commentò Katie a disagio. Poi si accorse che Lucas non c’era in casa, «Tuo fratello non c’è?» domandò alla sorella del rosso. Cordelia scosse la testa mentre le fece segno di alzare un po’ il viso. «E’ andato a fare benzina, il viaggio sarà lungo più o meno due ore» rispose la sorella, spalmando sul viso della bionda il fondotinta.
Passarono circa un’ora in bagno per prepararsi per bene. Cordelia come abito ne aveva scelto uno lilla. L’abito di Cordelia aveva raffinate arricciature allo scollo, le spalline regolabili e un bellissimo fiore nero applicato sulla fascia sotto il seno. La parte superiore era in jersey morbido e la gonna era interamente plissettata. Come tacchi aveva scelto una scarpa trendy nera con la zeppa ad effetto sughero. Il trucco era leggero per entrambe: Cordelia sul lilla mentre Katie sul rosa.
Di colpo bussarono alla porta, «Siete pronte?» domandò Lucas da fuori. Le due ragazze urlarono in coro un enorme ‘sì’ poi uscirono dal bagno.
Lucas rimase con la bocca aperta mentre guardava Katie e sua sorella. «Siete stupende» commentò sorridendo ad entrambe. Cordelia roteò gli occhi «Ovviamente. Ora andiamo» disse spintonando il fratello. Katie invece rimase qualche passo indietro, leggermente imbarazzata.
«Katie, lei è Ellie. Ellie, lei è Katie, la ‘quasi fidanzata’ di mio fratello» Cordelia presentò le due ragazze. Ellie era una ragazza bionda con occhi azzurri e piccole labbra rosee. Indossava un abito molto simile a quello di Cordelia, solamente che era azzurro ed il fiore sulla fascia sotto al seno era bianco.
«Ciao» disse timidamente Katie alzando una mano. Ellie fece lo stesso poi arricciò il naso.
«Bene, ora che vi siete presentate possiamo partire» disse Cordelia tutta gasata.
 
 
Lucas, Katie, Cordelia ed Ellie si stavano avviando verso la Chiesa in cui si sarebbe celebrato il matrimonio. Lucas aveva avvertito i genitori che avrebbe portato qualcuno e che si sarebbero visto direttamente lì.
Katie era super agitata perché non era mai stata ad un matrimonio, ma anche perché quando era morta stava andando proprio ad una cerimonia del genere.
«Ehi tutto bene?» chiese Lucas, staccando la mano dal voltante per andarla ad intrecciare con quella di Katie. Katie annuì, «Sono solo un po’ agitata, cioè conoscerò i tuoi genitori e oddio» rispose la bionda agitata.
«Vedrai che andrà tutto bene» Lucas cercò di tranquillizzarla stringendole ancora di più la mano. Katie gli sorrise poi con la mano libera andò a stringere la stoffa rosa del suo vestito e provò a rilassarsi.
Cordelia ed Ellie se la ridevano nei sedili posteriori, mentre guardavano dei video divertenti sul cellulare.
«Katie andrà tutto bene» esordì la rossa staccando lo sguardo dal cellulare per guardare in avanti. Katie si girò verso di lei e le sorrise, «Grazie» disse dolcemente.
Erano arrivati. Lucas fermò la macchina e aspettò che Katie si rilassasse un po’ poi insieme uscirono dall’auto e si guardarono in giro. La Chiesa era circondata da palloncini bianchi e persone: amici e parenti della sposa e dello sposo. La Chiesa era gotica. Le pareti erano alte e slanciate verso l’alto che rappresentavano la vicinanza a Dio.
«Lucas! Cordelia!» una donna magra come uno stuzzicadenti e della lunghe gambe, li raggiunse con poche falcate. Quando la donna fu abbastanza vicina, Katie riuscì a vederla al meglio. Aveva folti, lunghi capelli castani e ricci, grandi occhi marroni, il naso era sottile e aveva una grande bocca con labbra carnose. La donna era semplice ed elegante. Indossava un vestito rosso, realizzato in tessuto traspirante, con pizzo floreale sulle maniche e ai lati del busto e ai piedi portava un paio di classiche decoltè in color neutro.
«Mamma!» esclamò Lucas abbracciandola di slancio. Cordelia fece lo stesso e l’abbracciò, quasi la stritolò. Quando i due fratelli si staccarono dalla madre, Lucas le presentò Katie, «Mamma, lei è Katie, una mia amica». Katie sorrise timidamente alla donna poi allungò una mano «E’ un piacere conoscerla signora Conway» disse con tono agitato.
«Oh, puoi chiamarmi Serena. Signora Conway mi fa sembrare così vecchia» disse in tono scherzoso sistemandosi i capelli. Katie annuì agitata poi abbassò lo sguardo e fissò il terreno ghiaioso.
«Ciao Ellie, come sei bella» disse affettuosamente la madre di Lucas, dando due baci sulle guance all’amica di Cordelia.
«Vado a cercare vostro padre» disse la donna guardandosi in giro alla ricerca del marito. Salutò tutti quanti poi si avviò verso l’entrata della chiesa. Si girò un’ultima volta e sorrise a Katie, «Katie, è stato un piacere conoscerti» le disse gentilmente. Katie le sorrise poi le rispose che anche per le era stato un piacere conoscerla.
«Visto? E’ andato tutto bene» esclamò Lucas abbracciandola da dietro. Katie annuì poi girò il capo verso la testa di lui e gli lasciò un bacio sulla guancia.
Iniziarono ad avviarsi verso la chiesa, quando Katie si fermò di colpo. Fra tutte le persone importanti che non avrebbe voluto incontrare in quelle circostanze era lì. Samantha era lì e la stava fissando con gli occhi strabuzzati.
«Katie? Com’è possibile? Come puoi essere qui se-?» domandò Sammy quando le fu vicino senza però finire la frase. Katie si scusò con Lucas, Cordelia ed Ellie poi si allontanò da loro, trascinandosi dietro la sua migliore amica.
«Samantha ti posso spiegare tutto. E’ una storia abbastanza lunga e molto, ma molto complicata» parlò tutta d’un fiato la ragazza perché ormai al limite dell’agitazione.

 

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Capitolo 23
*** Al matrimonio della zia gotica di Lucas pt.2 ***


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Samantha trattenne il fiato per qualche secondo poi diede aria ai polmoni, «Va bene, ti ascolto. Anche se mi sembra tutto così assurdo» disse infine la ragazza ormai confusa.
Katie prese una lunga boccata d’aria poi iniziò a raccontarle ogni cosa.
«Beh, ecco…dopo l’incidente mi sono ritrovata bloccata nel limbo della morte, so che può sembrare strano ma è la verità. Lui, il cupo Mietitore, aveva la mia anima e per riaverla indietro avrei dovuto uccidere cento persone entro il 31 di ottobre, entro Halloween. In quel momento accettai subito perché volevo la mia anima indietro e così iniziai ad uccidere persone malvagie. Persone che avevano fatto del male. Sai sono venuta persino a trovarti, eri così bella sdraiata sul tuo letto con il tuo enorme pancione in cui sta crescendo il mio nipotino e a pensare che non potrò mai tenero in braccio mi fa venir da piangere» Katie stava trattenendo le lacrime anche perché non erano lacrime normali, ma di sangue e beh avrebbe rovinato tutto il lavoro di Cordelia.
«Allora sei stata tu. Hai ucciso tu Oscar» esclamò Samantha portandosi una mano davanti alla bocca, «Perché?» domandò infine.
Katie fece un altro respiro profondo, «Per te, perché aveva quasi ucciso Liam e perché aveva cercato di stuprarmi al mio diciottesimo compleanno» disse con voce tremante.
«Cosa? Perché non mi ha detto nulla?» domandò sconvolta la bionda incinta.
Katie annuì, «Lui continuava a dirmi che se ti avrei detto qualcosa, ti avrei persa perché tu avresti creduto a lui e non a me. Perché era così presa da lui che qualsiasi cosa ti avrei detto, l’avresti presa come una bugia o un atto di gelosia per il fatto che tu fossi fidanzata mentre io no» rispose con la voce spezzata. Le lacrime erano sul punto di uscire, ma Katie stava cercando in ogni modo di ricacciarle indietro.
«Oh, Katie. Mi dispiace così tanto» disse rattristata Sammy poi abbracciò la sua migliore amica, stringendola fortemente anche se l’enorme pancia permetteva poco contatto.
«So che tutta questa storia è strana perché anche per me lo è, ma è così. Sono bloccata nel limbo della Morte, fino allo scadere dei miei giorni»
«Ma la missione dovrà essere conclusa per poter riavere indietro l’anima. Cento anime di persone colpevoli per la mia anima» concluse Katie con lo sguardo triste e vitreo.
«Ci riuscirai, riuscirai a riavere la tua anima. Devi riavere la tua anima» disse Sammy appoggiando entrambe le mani sulle spalle di Katie e stringendole fortemente.
Katie annuì cercando di auto convincersi che ci sarebbe riuscita che avrebbe riavuto la sua anima.
«Come mai sei qui?» domandò Katie cambiando discorso. Samantha sorrise, «I miei conoscono lo sposo, ma essendo che loro non potevano venire per problemi, sono venuta io» rispose alzando le spalle.
«Sai che amo i matrimoni, soprattutto per il cibo» Sammy rise, facendo ridere anche la sua migliore amica.
Era così bello poter parlare di nuovo con la sua migliore amica, raccontagli tutto di nuovo.
«Chi era quel bel ragazzo con cui, penso, tu sia venuta?» ammiccò Samantha guardando la sua migliore amica che arrossì di colpo.
Katie si grattò la nuca imbarazzata e completamente rossa in viso «E’ un ragazzo che ho conosciuto durante la missione. Lui non sa nulla. L’unica sei tu» rispose lei sorridendo timidamente.
Sammy annuì sorridente, «E’ davvero un bel ragazzo, complimenti. E’ bello tanto quanto Liam, no Liam un po’ di più» disse la ragazza incinta ridendo. Katie rise insieme a lei, dandole un colpetto sulla spalla.
«Comunque sei bellissima» commentò Katie guardando per bene la sua migliore amica.
Indossava un bellissimo abito di maglina in a pois, perfetto per tutti i mesi della gravidanza. Il vestito aveva uno scollo a V incrociato che consentiva anche di allattare comodamente. Con ai piedi un paio di ballerine blu scuro a pois bianchi.
«Grazie. Anche tu» ribatté Samantha prendendo per le mani Katie e alzando verso l’alto per guardarle il vestito al meglio.
«Sì, sei davvero una gnocca» ribadì la ragazza ridendo.
«Ora vado a sedermi un po’, ci vediamo dopo in Chiesa. Va bene piccina?» disse Samantha accarezzandole una guancia. Katie annuì «Certo, a dopo piccina mia» rispose lei, baciandole una guancia per poi darle una pacca sul culo, facendola ridere.
«A dopo» Samantha la salutò poi si diresse verso la Chiesa. Pochi minuti dopo ritornarono da lei: Lucas, Cordelia ed Ellie. Cordelia la riempì subito di domande che rispose con piacere perché si trattava della sua migliore amica.
«Andiamo in Chiesa. Lo sposo è già entrato» disse Lucas, prendendo per mano Katie ed avviandosi verso la chiesa.

 

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