Untitled - [If Our Love Is Tragedy, Why Are You My Remedy?]

di malandrina4ever
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


 

PROLOGO.

 

 


James è convinto che prima o poi arrivi per ogni ragazzo il momento in cui si chiede come sarebbe baciare Sirius Black.

Magari non per forza Sirius, d’accordo, ci sono persone nel mondo che non lo hanno mai visto –e questo è l’unico motivo plausibile per cui potrebbe non essere lui la loro fantasia erotica. Non che James abbia fantasie erotiche sul suo migliore amico, è chiaro: è solo quell’immagine che gli sfreccia in mente ogni tanto, quando guarda Sirius, delle loro labbra che si uniscono e allora è lecito chiedersi come sarebbe. Tutti gli studenti di Hogwarts, maschi e femmine, se lo chiedono, anche se nessuno ne parla.

Ma non c’è bisogno di parlarne, no? È lì, sotto gli occhi di tutti, Sirius, con la sua bellezza strana e magnetica. L'eccezione alla regola.


***


Remus cerca di mostrarsi il più contrariato possibile, mentre Piton scivola sulla chiazza d’olio magicamente apparsa ai suoi piedi e le risate dei suoi amici riecheggiano nel corridoio. Li ha raggiunti pochi minuti prima, in qualità di Prefetto, per distoglierli dal loro ennesimo scherzo e si è ritrovato nascosto dietro un’armatura insieme a loro, con un sorriso che, in qualità di malandrino, proprio non riesce a trattenere.

Mentre il Serpeverde incespica nel mantello nel tentativo di rialzarsi, Sirius grida compiaciuto qualcosa sulla scia di unto lasciata dai suoi capelli e la risata di Peter si fa quasi isterica. Remus sembra l’unico a notare il ritardo di un’altra risata, che arriva solo dopo diversi secondi.                                                                

 La sua mascella si contrae impercettibilmente.

 James sta di nuovo guardando Sirius in quel modo. 

 


 


 

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


 

CAPITOLO 1.

 

 


Checché ne dica Sirius, non è stato premeditato.

Trappola è l’ultima parola adatta a definire il suo innocente invito a fare qualche passaggio di pluffa in sella alle scope sulle acque del lago.Quello non era premeditato, è successo e basta.

Beh, non era premeditato almeno fino a pochi secondi prima che James decidesse di farlo, gettarsi a tutta velocità contro Sirius, che questo gran volatore, pace al suo ego, non l’è mai stato. La caduta ha superato persino le sue aspettative: il suo amico ha fatto una mezza capriola in aria, tentando disperatamente di aggrapparsi alla scopa e poi è precipitato a peso morto a pochi metri dalla piovra, provocando una cascata al contrario e un pigro allontanarsi di tentacoli.

Il problema, quello che ha reso l’esperienza più bagnata e meno piacevole per James, è che pur non essendo riuscite ad aggrapparsi alla scopa, le frenetiche dita di Sirius si sono strette attorno al braccio dell’unico altro essere umano nei paraggi: lui per l’appunto. E se non eccelle nel volo, c’è da dire che la forza non gli manca, così James si è ritrovato capovolto a testa in giù sotto due metri d’acqua, così disorientato da tentare di risalire in superficie dalla parte sbagliata, come la sua testa ha constatato dall’impatto poco rilassante con il fondale sabbioso del lago. Forse è per quello e per tutta l’acqua che gli è entrata nelle orecchie che la voce lamentosa del suo amico gli giunge lievemente ovattata. L’Avvincino che con tutta probabilità galleggia in un punto imprecisato all’interno del suo cranio di certo non aiuta.

- Sei un maledetto idiota.

Sirius arranca sulla riva del Lago Nero, tremando visibilmente, e le sue braccia si sciolgono giusto il tempo di dare uno spintone a James, per poi riavvilupparsi spasmodicamente attorno al petto. James barcolla e per poco non finisce di nuovo in acqua.

Sirius continua a sbuffare e James non riesce a smettere di ridere né di fissare le gocce gelide che scivolano veloci sulla pelle dell’altro, dalle punte dei capelli e tra le ciglia, lungo la mascella, fin sotto il colletto della camicia, ormai trasparente.

- Sei un maledetto idiota, Prongs – ribadisce Sirius e le sue labbra hanno assunto una sfumatura quasi violacea ora, nettamente in contrasto con la pelle bianca del viso. Gli abiti fradici sono sempre più pesanti e il loro gelo quasi doloroso sulla pelle, ma mentre il vento ghiacciato gli sferza le orecchie, James non può fare a meno di pensare che Sirius è bello nell’unico modo possibile.

Ed ha ragione, perché James è un maledetto idiota.

 

 

 


 

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


 

CAPITOLO 2.

 

 


Sirius è abituato ad essere bello, lo è da tutta una vita e tuttavia non smette di rallegrarsene: è l’unica eredità piacevole che gli ha concesso la sua famiglia, quei lineamenti perfetti che gli attirano sguardi sognanti e sorrisi carezzevoli, che lui si diverte a ricambiare con gesti ammiccanti o con assoluta indifferenza, perfettamente padrone della situazione.                                                                                                                                  

Cammina baldanzoso tra la folla, sfacciatamente arrogante, come si sente chiamare spesso a ben ragione.                         

 A sua discolpa Sirius può dire di non passare le ore davanti allo specchio a rimirare la sua bellezza: la vede costantemente riflessa nei visi di chi gli sta attorno, nel rossore sulle guance e gli sguardi in soggezione. E sa che effetto hanno sulle persone gli occhi di un Black, che tra quel grigio trasparente Sirius ci è cresciuto.                                                                                                                                                                                      

 Non ha il minimo tatto con chi è attratto da lui, è permaloso e vendicativo, perde interesse quasi istantaneamente e non abbassa mai lo sguardo. Non ha bisogno di sentirsi dire che la maggior parte delle ragazze –e dei ragazzi, Sirius non ha mai trovato una ragione rilevante per limitarsi – che si rifanno gli occhi con lui, non sopporterebbero la sua vicinanza per più di qualche giorno. 

Sa di essere bello solo da lontano, come la luce che attira le falene per poi bruciarle col calore della fiamma.

E gli sta bene, lo ha accettato anni prima: è solo il sangue dei Black che scorre in lui e che traspare nei sorrisi di scherno e negli scoppi d’ira, nelle battutine sarcastiche, spesso troppo velenose per un Grifondoro. 

È bello solo da lontano ed è questo che rende così divertenti gli sguardi incantati rivolti a lui, lo inebriano e lo eccitano, come quando resta in giro per i corridoi oltre il coprifuoco e non viene scoperto da Gazza. 

 Non è qualcosa di cui vantarsi, Sirius se ne rende conto, ma gli provoca una perversa soddisfazione che le persone si ingannino su di lui, come quando il Cappello Parlante ha gridato Grifondoro e la sua famiglia lo ha visto davvero per la prima volta. 

Sirius è bello da tutti i suoi diciassette anni di vita e non si lascia mai toccare da un paio di occhi che si soffermano troppo a lungo su di lui, in quel modo speciale e sempre uguale, su decine di visi diversi. Ha smesso di sentirsi lusingato anni prima e quando non si diverte, è quasi annoiato dalle attenzioni che gli si riversano addosso. 

Più spesso però ne ride con James, sotto lo sguardo esasperato di Remus e quello invidioso di Peter. 

E a volte, a volte è James a guardarlo in quel modo e Sirius non è divertito né annoiato da quegli occhi nocciola fissi su di lui. È spiazzato e una silenziosa, irrilevante parte di lui si scopre persino intimidita da quello sguardo, perché James non è una falena ingannata dalla luce nella notte, è già in mezzo alla fiamma e le sue ali non si bruciano. Lo guarda da vicino e lo vede ancora bello.

Sirius sa di non avere nulla di sbagliato, sa di aver fatto bene a ribellarsi all’antica e nobile casata dei Black e sa che deludere una madre come la sua è qualcosa di cui andar fieri, che traditore del sangue non è la peggiore delle cose che potrebbe essere. 

Ma è solo quando James lo guarda in quel modo che le sue smettono di essere parole vuote ripetute fino allo sfinimento da un orfano perduto.

È solo quando James lo guarda in quel modo che Sirius inizia a crederci davvero. 

 

 

 

 


 

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


 

CAPITOLO 3.

 



Il russare di Peter copre il rumore lieve dei passi, ma quando il letto scricchiola leggermente e le coperte lo scoprono per un attimo, James apre gli occhi nell’oscurità del dormitorio.

Lo sente muoversi piano alle sue spalle, mentre si infila sotto le coperte e sa che è lui prima ancora di avvertire il respiro caldo sull’orecchio. Resta immobile, steso sul fianco, mentre il braccio destro di Sirius scivola tra la sua testa e il cuscino e il sinistro gli cinge la vita. I capelli dell’altro gli solleticano il collo e lui chiude gli occhi, sorridendo nel buio.

James non ha una spiegazione riguardo a questo, non tenta nemmeno di convincersi che tutti i migliori amici lo fanno. Lui e Sirius non ne parlano mai e negli occhi dell’altro non c’è nulla di strano la mattina dopo, le mattineNon lo sente sgattaiolare via per tornare nel suo letto, prima che gli altri si sveglino; per quel che ne sa potrebbe benissimo essere un sogno.

Probabilmente anche Remus e Peter, se mai hanno notato qualcosa, devono aver pensato ad un bizzarro delirio notturno.

Non che a James importi di altro che non sia l’odore della pelle di Sirius in quei momenti. A volte, quando è passato un po’ di tempo e il suo migliore amico – è il suo migliore amico, dannazione - può fingere di essersi addormentato, quando persino James può convincersi di stare già dormendo, gira piano la testa, strofinando il naso e le labbra contro il polso di Sirius.

Non sa cosa lo spinga a schiudere appena la bocca, ma alla mattina può ancora sentire il sapore della pelle salata di Sirius, lì dove è così bianca e sottile da lasciar intravedere le vene che gli percorrono i polsi. Quando il sole sorge e il materasso al suo fianco è vuoto, James ne sente ancora la consistenza tra le labbra, contro la lingua, troppo reale perché sia solo un sogno.

 

Quando un Frank tredicenne gli aveva confessato imbarazzato di voler fare una cosa simile con il seno di Alice Prewett, James lo aveva preso in giro per mesi, salvo poi passare nottate intere a immaginare come sarebbe stato leccare i capezzoli di Lily Evans.

Sono passati quattro anni e James a volte ci pensa ancora ed è su questo che prova a concentrarsi non appena apre gli occhi, con il sapore della pelle di Sirius ancora sulla lingua.

È solo che i polsi di Sirius non hanno nulla a che fare con tutto questo; James non immagina come siano, ma lo sa, lo sa e gli sono entrati sotto la pelle, nelle vene, nel sangue, in ogni molecola d’ossigeno che gli arriva al cervello.
Non può far uscire il loro odore dal suo corpo né dalla sua mente: ci ha messo un po’, ma alla fine ha capito. 

Così non ci pensa, si alza dal letto e ride e scherza, va a lezione, mangia, stuzzica Evans e gioca a Quidditch e per tutto il tempo sono lì, per tutto il tempo Sirius è lì. E alla fine diventa normale per James, conviverci e basta. 

È innamorato del suo migliore amico da così tanto tempo che quasi non ci fa più caso.


***


Mancano pochi giorni al plenilunio e questo vuol dire svegliarsi di colpo, le orecchie tese a captare anche il minimo rumore.

Remus ci ha fatto l’abitudine ai sensi da licantropo: non è più un bambino che si sveglia gridando nel cuore della notte convinto che ci sia qualcuno in camera, quando è solo suo padre che si è rigirato nel letto, nella stanza accanto.

Ha diciassette anni ora e sa gestire la situazione: spalanca gli occhi nel buio e aspetta, immobile, che i passi in realtà così leggeri siano seguiti dall’aprirsi della porta del bagno. Succede quasi sempre ed a quel punto lui si rilassa e abbassa le palpebre.

Altre volte sente i passi, ma la porta del bagno resta chiusa.

Il cigolio impercettibile del materasso, i sospiri leggeri, pelle contro pelle.

 

Remus chiude gli occhi anche quelle volte.

Sono solo James e Sirius.

 

 

 

 

 


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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


 

CAPITOLO 4.

 

 

 

 


La prima volta è stata al quarto anno.

L’aria fredda di Novembre, il manto scuro del cielo sopra di loro, la torre di Astronomia e due bottiglie di Whiskey Incendiario trafugate dall’ufficio di Lumacorno.


I primi sorsi giù tutti d’un fiato, gara a chi si mostra più impassibile.


Le chiacchiere infinite di Sirius sulle stelle sopra di loro. Il suo dito che traccia deciso la costellazione del Cane Maggiore, l’orgoglio nel riconoscersi in quella più luminosa, di cui porta il nome, il sorriso amaro nell’indicare Regolo.

E James che non sente una singola parola.


  Il liquido caldo che scende e brucia la gola.


Sirius sa un sacco di cose sulle stelle, può mandare interi paragrafi a memoria dal suo libro di Astronomia di quando era ancora un bambino, il giovane erede di Grimmauld Place costretto a ripetere all’infinito le stesse nozioni all’educatore, sotto lo sguardo severo di Walburga. Che i Black hanno tutti nomi di astri e la famiglia sopra ogni cosa.

Sirius potrebbe parlare di stelle per tutta la notte.

A James non importa assolutamente nulla delle stelle.

Le labbra di Sirius sono bagnate e c’è una goccia di liquido scuro che gli scorre lenta sul mento.


Si sono scambiati le bottiglie a un certo punto.


Le dita di James scivolano sul collo umido della bottiglia, mentre se lo preme con foga sulle labbra intorpidite. Gli sbatte sui denti, una volta o due. Ci passa sopra la lingua e continua a bere, mentre Sirius continua a muovere le sue fottute labbra, troppo bagnate, troppo carnose, troppo e basta.

Ed è James quello che non sta zitto di solito.

Ma Sirius ha gli occhi lucidi per l’alcool, le ciocche scure quasi umide sulla fronte sudata e tutto quello a cui fa caso sono le stelle sopra le loro teste.

E James stringe il collo della bottiglia più forte che può, perché le labbra di Sirius non sono distanti anni luce.


Una bottiglia vuota è abbandonata a pochi passi da loro, il vento la fa rotolare piano.


Quando l’altro prova ad alzarsi, barcollante, James lo afferra per la camicia e lo ritira bruscamente a terra, perché Sirius non deve andare da nessuna parte. È una delle poche cose che sa al momento: le stelle sono stupide e troppo lontane, non fa più così freddo come prima di bere e Sirius deve stare lì con lui.

Il Whiskey Incendiario bagna il maglione della divisa di Sirius quando lui atterra malamente sulla pietra fredda. Alcune gocce finiscono anche sulla mano di James ed è a quel punto che Sirius scoppia a ridere. Forte, come fa tutto.

La risata dell’altro è troppo alta e risuona nella notte, su fino alla stella di cui porta il nome, perché è così che ride Sirius, come se dovesse sfidare il mondo intero e gli dei stessi. La sente spesso, James, quella risata, ma ora gli perfora i timpani, risuonando nella sua testa come un’esplosione prolungata. E non lo sopporta.

È allora che la bottiglia si rovescia a terra e il liquido scuro si sparge sulla pietra, mentre James afferra Sirius per i capelli e lo tira verso di sé con uno strattone impellente. Stringe le labbra del suo migliore amico tra i denti, sordo al gemito di dolore, e le lecca, perché non c’è nient’altro che debba fare al mondo di così importante. La sua intera vita, passata, presente e futura, si esaurisce sulle labbra di Sirius, sangue misto a Whiskey sulla sua lingua.

Passano pochi infiniti secondi e Sirius lo spinge forte, le mani sul suo petto, le labbra che si allontanano di scatto dalle sue. La pozza di Whiskey sotto la schiena di James gli bagna il maglione e lo fa rabbrividire, l’odore forte che gli arriva alle narici e tutte quelle fottute stelle che lo fissano dall’alto e si prendono gioco di lui. Anche Sirius sta ridendo ora e non lascia che James si sollevi sui gomiti: gli è sopra in un attimo, il suo petto che lo schiaccia a terra, una gamba tra quelle di James e le dita bianche che si stringono tra i capelli dell’altro, tirandoli. Denti contro denti e la lingua calda di Sirius che gli corre sul collo e lecca ogni traccia di Whiskey dal mento. E continua, anche quando del Whiskey non c’è più traccia.


La bottiglia mezza piena rotola più veloce, fino a scontrarsi con l’altra, in un tintinnio di vetro verdognolo.


La pietra dura contro la sua schiena, oltre la stoffa sottile della divisa, è gelida, ma Sirius è bollente sopra di lui. E gli sta succhiando le labbra con la sua stessa urgenza, ci si aggrappa nello stesso modo disperato e James pensa che potrebbe piangere solo per il modo in cui Sirius lo sta baciando. I suoi occhiali sono finiti da qualche parte accanto alla sua testa, probabilmente in mezzo a tutto il Whiskey che Lumacorno certamente non aveva destinato a quello, ma non è come se avesse bisogno della vista per sapere che tutto ciò che di più vero e bello il mondo ha da offrire è sopra di lui in quel momento, la testa che si staglia contro il cielo stellato e le ciocche nerissime che si confondono col manto della notte. E gli occhi grigi che sembrano volerlo trapassare sono quello che lo fa scattare ed ora è Sirius ad essere terra, con James che gli rotola contro e gli stringe le dita attorno ai polsi, bloccandolo così, perché sia suo per sempre.

Sirio brilla forte sopra di loro e la luce biancastra continua a infilarsi di sfuggita nel campo visivo di James, mentre loro non si fermano neppure per un attimo. Continuano a lottare e a leccarsi, si aggrappano l’un l’altro e si mordono e Sirio non è mai stata così brillante e Sirius non è mai stato così bello, col sangue che gli cola dalle labbra gonfie e le guance infiammate, i capelli spettinati come quelli di James lo sono sempre.  

E continuano, continuano esattamente così per tutta la notte, perché non c’è tempo e lo sanno entrambi. Perché il Whiskey si asciugherà dalla pietra ad un certo punto e quello smetterà di essere possibile. Le stelle svaniranno e con esse le labbra di Sirius, perché sono distanti anni luce in realtà, perché è il suo migliore amico e James si sforza con tutto se stesso di renderlo sbagliato.

Sirius ghigna e il biancore dei denti è quasi abbagliante nel buio, la smorfia ferina di un amore impossibile che ringhia piano nella testa di James da sei anni, in ogni momento, che lo attanaglia e attacca forte nel silenzio, serrando le zanne alla sua gola e togliendogli il respiro. E tutto quello che vuole James è lasciarsi soffocare, solo per una notte, dalla forza inarrestabile di quello che hanno, smettere di combatterla per una notte soltanto, farselo bastare, una notte per tutta la vita.

E James ha voglia di urlare ogni volta che incrocia gli occhi di Sirius.


È quasi l’alba quando Remus si accorge che è uno solo il respiro che gli arriva alle orecchie. Non ha bisogno di aprire gli occhi per sapere che è Peter.


Le stelle non si vedono più da un po’, ma James ne stringe ancora una tra le braccia. Ha freddo ora e il vento gelido sembra aprirgli mille infiniti taglietti sul viso, carezzandolo ininterrottamente, ma non vuole attraversare la porta a pochi passi da loro. Sa che quando entreranno nel castello cambierà tutto e sa che se si muove adesso, se allontana il naso dal collo caldo di Sirius, se lo sveglia, allora sarà finita davvero. Appoggia le labbra contro le sue, immobile, chiude gli occhi e prega che Sirius continui a dormire per un altro po’, solo un altro po’.

Qualche altro secondo.

L’ultima boccata d’aria prima dell’apnea.


Lumacorno non noterà che la serratura del suo armadietto privato è stata forzata prima di altre quattro ore.


Quando Sirius apre gli occhi, le labbra di James scivolano piano dalle sue, contro la sua spalla nuda e poi via. E quel gesto lento basta per mettere a tacere ogni speranza.

È stato un sogno, Sirius lo sa. È successo e ne porta i segni freschi sulla pelle, ma è destinato a svanire oltre i confini di quella notte isolata, fuori dal tempo e dalla realtà.

La spalla di James è calda contro la sua, mentre Sirius, gli occhi puntati al cielo sopra di loro, si passa la lingua sulle labbra e il sapore ferreo del sangue gli riempie la bocca.

È mattina, Sirio non brilla più.


Il Whiskey ha lasciato solo un alone umido sulla pietra.


Sirius scoppia a ridere.

 

 

 

 

 

 

 

 


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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


 

 

CAPITOLO 5.

 

 

 



Peter. Come la porta si apre di colpo, due occhi rossi lo inchiodano al pavimento, trafiggendogli il petto in un’unica fitta lancinante, un dolore che gli buca il cuore e grida quel nome e James non ci vuole pensare e James sta per morire. E Peter li ha traditi e James non ha altro che l’aria tra le dita, la bacchetta abbandonata sul divano nell’altra stanza e James sta per morire, James sta per morire.  

James sta per morire e fa male, perché Peter, Peter, Peter. James sta per morire e quel nome gli toglie il fiato, gli annebbia la mente e lui ha voglia di urlare e prendere a pugni il muro. Perché sarebbe morto per ognuno di loro, i Malandrini, la cosa più pura della sua vita, ed è così che finisce. E alla fine lo sta facendo davvero, morire per quell’amicizia che è stata il suo mondo. Peter. Ed è così che finisce.

Sta per morire e fa male, perché sente i passi veloci di Lily sulle scale alle sue spalle e non riuscirà a salvarli. Lei tiene Harry tra le braccia, suo figlio, piccolo e caldo e che rideva fino a un attimo prima, giocando con le scintille colorate della sua bacchetta, suo figlio, che non è riuscito a sfiorare per l’ultima volta . Sua moglie e suo figlio e James non può fare altro che mettere il suo corpo tra la morte e loro, ma non riuscirà a salvarli. Sta per morire e non riuscirà a salvarli.   

E fa male perché la luce verde riempie il suo intero campo visivo ora e James lo sa che sta per morire, che Peter li ha traditi tutti, che solo un miracolo salverà Lily ed Harry, e nonostante tutto c’è solo un pensiero fisso nella sua mente, è solo uno il volto che continua a vedere, che si sovrappone a quello di Voldemort, un viso che è lì, sopra il verde accecante e nel suo respiro affannato, nel battito furioso del suo cuore e nel sangue che gli pompa nelle vene. E Peter li ha traditi e Lily ed Harry moriranno, ma tutto il mondo è Sirius, tutto quello che resta è Sirius ed è sempre stato solo Sirius.

E James non sente l’Avada Kedavra, perché quella risata simile a un latrato gli rimbomba nelle orecchie e gli sembra che Sirius non abbia mai smesso di ridere in tutti quegli anni, nemmeno per un secondo, dal primo momento in cui lo ha visto sul treno per Hogwarts, una vita prima. E non vede gli occhi rossi, non vede il verde luminoso, c’è solo il grigio dell’iride del suo migliore amico e la consapevolezza improvvisa e totale che non sarebbe dovuto essere il suo migliore amico, che è tutto sbagliato e che lui non dovrebbe morire lì in quel modo a vent’anni, non dopo una vita passata a fare altro, altro che non fosse baciare le labbra di Sirius ogni minuto di ogni giorno, proprio ogni singolo giorno.

E James lascia che il panico gli mozzi il fiato nel petto, perché sta per morire e ha amato Sirius con tutte le sue forze in ogni istante della sua vita, ma non è ancora abbastanza, non sarebbe abbastanza nemmeno se avesse altri vent’anni a disposizione, e tutto il tempo dell’universo non basterebbe per amare Sirius come James ama Sirius.

Vuole l’eternità intera James, ne vuole ogni secondo, e pensa che nemmeno allora sarà mai sazio di quell’amore assoluto che prova, ma quando il raggio di luce verde lo colpisce in pieno e i suoi occhi nocciola si spalancano e qualcosa si spegne al loro interno, è in quel momento che James smette di amare Sirius.

 


*

 


Sirius non la vuole tutta l’eternità e ad Azkaban grida più forte di tutti gli altri prigionieri, quelli pazzi davvero, fa sanguinare le nocche contro la pietra gelida della sua cella, si graffia e si brucia la gola e tutto per far uscire gli occhi sbarrati di James dalla sua testa, ma non ci riesce.

I Dissennatori lo sanno, che amare James per l’eternità intera è il suo incubo peggiore e Sirius continuerà a sentirlo e a vederlo e ad amarlo proprio fino alla fine, quando il velo nero gli carezzerà piano il viso e avrà la consistenza delle labbra di James.

Sarà sul punto di scoppiare a ridere Sirius, forte come in quel dannato Halloween del 1981, ma i denti affilati del Lethiefold affonderanno nella sua gola un attimo prima e morirà così Sirius Black, con una risata affogata nel sangue e ancora perdutamente innamorato di James Potter, esattamente come quella notte di quasi vent’anni anni prima, quando le sue labbra sapevano di Whiskey e sangue sotto il cielo stellato di Hogwarts e Sirius credeva che le avrebbe baciate per sempre.

 

 

 

 

 

 


 


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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


 

 

CAPITOLO 6.

 

 

 


 

“Peter!” Ha bussato diverse volte alla porta dell’amico, prima di iniziare ad agitarsi. Ha chiamato il suo nome più piano, con più calma, prima di iniziare a gridarlo. Ha aspettato vari minuti, cercando di essere una persona ragionevole e non pensare al peggio, ha persino provato a telefonargli, prima di estrarre la bacchetta, sfondare la porta e precipitarsi nell’appartamento di Peter Minus, la mente già catapultata negli scenari peggiori, come la stanza sottosopra e nessuna traccia del Malandrino. Non è Sirius quello positivo del gruppo, lui è quello pessimista e quando si precipita dentro è già convinto che i Mangiamorte abbiano scoperto chi è il vero Custode Segreto e lo abbiano catturato per torturarlo fino a farlo parlare.  “Peter, dannazione! Peter! Pet-James.”

Sirius è cresciuto in una villa austera tappezzata di teste d’elfo mozzate, tra pareti scure e gelide in cui ogni carezza moriva sul nascere e le grida coprivano il rumore degli schiaffi di sua madre sulle guance, i tonfi più secchi del dorso della mano di suo padre, le bacchettate rigide dell’educatore sulle sue dita paffute di bambino, quelle che lasciavano scie rossastre e brucianti. I pizzicotti lievi di suo fratello Regulus non producevano alcun suono, ma erano quelli che a volte facevano piegare appena le labbra di Sirius verso l’alto. Esisteva una ‘stanza della punizione’ a Grimmaulde Place, dove Sirius passava parecchio tempo, perché non è mai stato un bravo bambino a detta di tutti, una stanzina dalle pareti strette dove Sirius ha imparato cos’è il dolore ad undici anni, pochi mesi dopo essere stato smistato a Grifondoro e aver disonorato così la sua famiglia. È stata la prima volta, ma non l’ultima, e nel corso degli anni Sirius ha iniziato ad associare quella stanzina claustrofobica alla maledizione Cruciatus, al suono delle sue stesse grida e delle lacrime brucianti sul viso. Ha sempre pensato di aver imparato cos’è la paura in quella piccola stanza buia ed umida del suo sangue, ma ora Sirius sa di essersi sbagliato.

Sirius impara cos’è la paura per la prima volta quando il nome del suo miglior amico gli esce in un sussurro vibrante dalle labbra, tra le pareti spoglie dell’appartamento di Peter, perfettamente in ordine, nessuna traccia di combattimento. Sirius impara cos’è la paura, quella vera, quella assoluta e totalizzante, che ti blocca il fiato e le urla in gola, mentre corre fuori col cuore che gli martella nel petto e salta in sella alla sua moto, stringendo forte le mani sudate attorno al manubrio per farle smettere di tremare. È vagamente conscio del vento troppo forte che gli fa socchiudere e lacrimare gli occhi, dei capelli lunghi che gli frustano le guance, del fatto che la sua moto sbanda per aria come non ha mai fatto, mentre lui preme l’acceleratore al massimo. È lì su quella moto Sirius, ma non ci è davvero, perché il suo corpo ha smesso di avere importanza nel momento in cui ha realizzato che non c’erano segni di combattimento, che c’è una spia nell’Ordine da mesi e che loro sono stati tutti dei grandissimi idioti. Non uno di noi, diceva James e loro gli credevano, perché di James ci si può sempre e solo fidare, per quella luce sicura negli occhi nocciola, per il modo in cui l’angolo della sua bocca si piega appena verso l’alto anche quando non sta sorridendo. Ed ora l’angolo della bocca di James è tutto quello a cui Sirius riesce a pensare, le sue labbra e il suo naso e i suoi capelli e le sue mani e tutto quello che Sirius abbia mai amato e tutto quello che sarà mai in grado di amare nella sua vita. Ed è in pericolo. James è in pericolo, perché Peter ha tradito e potrebbe già essere troppo tardi. Potrebbe essere troppo tardi e Sirius impara cos’è la paura in quell’esatto momento, perché non riesce nemmeno a concepire un mondo senza James e se Sirius non riuscirà ad andare abbastanza veloce con la sua moto, se non vincerà quella folle corsa contro il tempo, allora sarà tutto finito. James morirà e il mondo intero con lui.  

Sirius non ha mai creduto in Dio. Lo sguardo di sua madre mentre gli puntava la bacchetta contro quando lui era già a terra e le grida strazianti del suo amico Remus che ogni mese, proprio ogni singolo mese, attraversa l’inferno non glielo hanno mai permesso. Sirius non ha mai creduto in Dio e non sa a chi si sta rivolgendo quando smonta dalla sella spingendo il manubrio di lato e oltre il tonfo sferragliante della moto che cade a terra riesce a sentire solo la sua stessa voce che articola ti prego, ti prego, ti prego. Si inginocchierebbe a terra Sirius e continuerebbe a piangere e pregare al cielo nero per tutta la notte, ma le sue gambe incerte iniziano a correre verso la casa. Non c’è più una porta a cui bussare e ci sono macerie e fumo ovunque, ma Sirius lo nota a malapena. Ti prego, ti prego, ti prego. Manca qualcosa all’interno delle sue gambe, probabilmente l’osso, perché sente come se stessero per crollare a terra da un momento all’altro, ma non accade. Sirius continua ad andare avanti, il fumo che gli brucia gli occhi e non c’è niente al mondo che importi in questo momento a parte trovare lui. E poi le sue gambe cedono davvero, alla fine, quando una scarpa da ginnastica bianca spunta oltre il fumo, proprio davanti alla porta, proprio dove Sirius sapeva che l’avrebbe trovata e ti prego, ti prego, ti prego.

Chiude gli occhi per un attimo, in ginocchio di fronte a James Potter steso a terra, perfettamente immobile, e prega. Prega che sia solo svenuto e che quando riaprirà gli occhi e si chinerà su di lui, scoprirà che l’angolo della sua bocca è ancora piegato verso l’alto, in quella smorfia appena accennata che non lo lascia mai, neppure quando dorme. Prega di chinarsi sul suo petto e sentire il respiro, non importa quanto lieve, e vedere le ciglia scure che gli sfiorano le guance da sotto gli occhiali.

Sirius impara cos’è la paura in quell’infinito momento in cui tiene le palpebre serrate sugli occhi a separarlo dalla verità. Ti prego, ti prego, ti prego. Lo amo, dannazione. Ti prego.

Sirius apre gli occhi.

Non ha mai creduto in Dio, ma quel giorno inizia ad odiarlo.

 


Un neonato, al piano di sopra, sta piangendo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 


   

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


 

 

CAPITOLO 7.

 

 

 


 

«Non è James, Sirius! A volte, a sentire come parli di lui, è come se fossi convinto di riavere il tuo migliore amico!»

 

 

Quando Harry entra in una stanza, china appena il mento verso il basso, puntandosi uno sguardo incerto attorno, come se volesse evitare di attirare l’attenzione; è un movimento quasi impercettibile, ma è lì, ogni volta e Sirius non può non notarlo. I suoi capelli neri sono naturalmente scompigliati, come se vi fosse esploso un fuoco d’artificio di Zonko in mezzo, ed Harry li tocca raramente, sempre e solo nel tentativo di allisciarseli, ma più spesso le sue dita sono solite fermarsi più in basso, ad accarezzare la cicatrice che gli sfregia la fronte. Parla a bassa voce Harry ed ha un sorriso gentile, l’atteggiamento un po’ sulla difensiva di un bambino che è cresciuto in un sottoscala tra le urla degli zii e gli spintoni del cugino. Lo guarda come il padre e il fratello maggiore che non ha mai avuto, con gli occhi verdi spaventati, ma anche pieni di fiducia per il padrino che potrebbe ancora essere. Ed è l’unica cosa che sia rimasta di lui.

Sirius lo sa che Harry non è James e a volte potrebbe prendere a pugni il muro solo per questo.

Lo sa meglio di chiunque altro, che era lui quello che entrava nelle stanze sempre un passo dietro a James, oppure al suo fianco, e vedeva i suoi occhi sicuri spaziare curiosi all’interno, il mento che scattava automaticamente in alto di qualche millimetro e il sorriso sornione che si dipingeva sulle sue labbra, già pronto a catalizzare l’attenzione di tutti i presenti su di sé. Sirius ha perso il conto delle volte che ha visto volare le dita di James tra i suoi capelli, a scompigliarli ancora di più perché è così che gli piacevano; a volte invece erano le dita di Sirius quelle che scorrevano veloci tra i capelli morbidi dell’altro e James inclinava appena il capo, poggiando la nuca calda sul suo palmo per una frazione di secondo appena, guardandolo di sfuggita. C’era l’infinito in quegli sguardi casuali che gli rivolgeva sotto gli occhi di tutti, mentre Peter e Remus continuavano a chiacchierare di fianco a loro e Sirius aveva tutto quello che si potesse desiderare dalla vita. Era il modo in cui James camminava, la piega delle sue labbra e le ciocche scure che gli sfioravano la fronte, le sue mani che non stavano mai ferme e la voce alta e vivace, sempre pervasa da quel suo timbro ironico, che riempiva ogni silenzio. Era la risata che esplodeva forte e vibrava di vita, il modo in cui correva sempre per qualche metro prima di saltare sulla scopa e spiccare il volo, i piedi che si davano la spinta da terra e le ginocchia strette attorno al manico perfettamente levigato; era il suo sguardo fiero quando il  pugno si alzava di scatto sopra la testa tra le acclamazioni della folla, le ali del boccino che si agitavano frenetiche nella sua presa. Era la vita che sprizzava da ogni suo gesto, la luce che lo animava e a volte raggiungeva anche Sirius, a volte lo accecava. Erano le gocce d’acqua fredda che sgocciolavano dai suoi capelli e finivano sulle guance di Sirius, quando emergeva dal lago nero e scuoteva forte la testa, il sole estivo che gli accendeva riflessi ipnotizzanti sui capelli; era la sua schiena calda premuta contro di lui, il cuore che batteva forte nel petto, sotto le braccia di Sirius, anche mentre James fingeva di dormire, il sapore salato della sua pelle e l’odore del suo collo sotto il naso di Sirius, la punta calda della sua lingua che faceva capolino dalle labbra morbide e gli carezzava piano il polso.

Erano gli zoccoli che battevano sulla terra fresca spezzando i ramoscelli e schiacciando le erbacce, i muscoli guizzanti da animale e le corna possenti di un cervo che correva per la foresta proibita ogni notte di luna piena; gli zoccoli più leggiadri del suo Patronus sfioravano l’aria e svanivano in un guizzo azzurrino, la sua voce che gridava il suo nome in mezzo ad ogni battaglia e il modo in cui lo raggiungeva sempre, pronto a combattere al suo fianco.     

Erano mille cose che non sono più, quelle che Sirius non può dimenticare né confondere, perché i Dissennatori gliele hanno fatte rivivere proprio ogni ora di ogni giorno ad Azkaban e ad un certo punto sono semplicemente rimaste impresse nelle sue retine. Sono le mille cose che lo rendevano James e la realtà è che sono stampate nel cervello e sulla pelle di Sirius, fin dentro l’anima, ammesso ne abbia una, da molto tempo prima di Azkaban.

La verità è che Sirius conosceva James meglio di chiunque altro al mondo ed Harry non gli somiglia neanche un po’.

 

 

«Il rischio sarebbe stato il pepe per James.»

 


Ha il suo naso, i suoi capelli, le sue labbra e persino le sue dita, ma non ha nulla che sia James e Sirius vorrebbe davvero riuscire a non odiarlo per questo.

Ha il suo naso, i suoi capelli, le sue labbra, le sue dita ed è un perenne monito di quello che è stato, di quello che sarebbe potuto essere e allo stesso tempo di quello che non sarà mai più, mai più. È una foto sbiadita di James che ha smesso di muoversi da tempo.

La verità è che Sirius vorrebbe che Molly avesse ragione, vorrebbe crederci a volte. Ci sono momenti in cui guarda Harry e non desidera altro che riuscire ad ingannarsi, cancellare il suo nome dalla testa e riavere James accanto a sé, solo per un attimo, solo un’altra boccata d’aria, l’ultima prima di una nuova apnea. Vorrebbe non aver passato sette anni accanto a lui giorno e notte, vorrebbe non aver prestato tanta attenzione ad ogni suo minimo gesto, allora forse riuscirebbe a ingannarsi, ma semplicemente non può. Conosce James meglio di chiunque altro al mondo e questa è la sua maledizione, guardare Harry e pensare a James per il semplice fatto che non riesce a vederlo, per il semplice fatto che James è quello a cui Sirius pensa tutto il tempo.

 


«Sono passati quattordici anni, e ancora non passa giorno senza che io non senta la mancanza di tuo padre.»

 

 

Fa male da quattordici anni e il tempo non fa che renderlo peggiore, come la lama di un coltello che continua a grattare lenta sulla stessa ferita sanguinante, arrivando sempre più vicina alla carne viva, giù fino all’osso. James ci credeva, che l’amore era l’unica forza in grado di sconfiggere la morte, una forza così potente da sopravvivere ad essa; Sirius non lo sa se il suo amore gli sopravvivrà e continuerà ad aleggiare nell’aria anche dopo che avrà smesso di respirare, ma sul dolore non ha dubbi: se c’è qualcosa dentro Sirius di così forte da restare anche dopo la morte, allora sarà la sofferenza che prova da quattordici anni. 

Gli altri sussurrano tra loro a volte e Sirius sa che si chiedono quanto sia rimasto di lui dopo Azkaban, se quel posto non l’abbia reso pazzo davvero. Sirius si sente pazzo e vuoto, ma in fondo lo sa che è stato James a fargli questo: e dev’essere pazzo sul serio, perché in certi momenti c’è qualcosa che gli manca di Azkaban ed è il poter gridare fino a perdere la voce e far sanguinare le nocche contro la pietra liscia e fredda della sua cella, strapparsi i capelli e farsi bruciare la gola per ore, sbattere i polsi a terra e poi restare lì, steso sul pavimento tra il sangue e il sudore e la sensazione dei capelli di James tra le dita.

Ora Sirius non può più urlare, deve muoversi nella villa austera in cui è cresciuto e fare cose che non hanno più davvero importanza, combattere una guerra che gliel’ha strappato e fingere che la vita continui, che il mondo abbia ancora un qualche senso, che non sia tutta una grande farsa in cui manca l’attore principale. Fa male in un modo diverso ora, più silenzioso e pesante; non urla più e a volte non riesce nemmeno a respirare, ma continua la sua recita anche se il sipario è calato, perché a fingere sono sempre stati bravi i Black e lui quello è.

E gli occhi di Sirius continuano a cercare Harry proprio come la lingua che non smette di stuzzicare la ferita sulle labbra, lo cercano ed è il sollievo e la disperazione della consapevolezza che James è esistito, che tutto quello è stato, vivo e reale come il dolore bruciante che è sempre con lui. Sirius guarda Harry ed è come ricevere un pugno in faccia, ma è anche la prova fisica che James non ha sempre vissuto solo nella sua testa, che c’è stato un tempo in cui era lì accanto a lui e Sirius non era innamorato di un fantasma.

Sirius non era un fantasma e i capelli tra le sue dita erano morbidi e odoravano di lui, si piegavano appena sotto il suo tocco e poi tornavano a stagliarsi verso l’alto, forti e ribelli come il proprietario. Il suo respiro era caldo e lo faceva rabbrividire, la sua risata sovrastava ogni altro rumore e le sue labbra sapevano di Whiskey e sangue quella notte di una vita prima. E non è mai stato tutto un sogno.

James era vero e gli manca come l’aria nei polmoni.

 


« Bel colpo, James! »  

 

 

Sirius sa perfettamente che Harry non è lui, ma ci sono attimi fugaci in cui riesce a dimenticarlo.   

 

 

 

 

 

 


 

 

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


 

 

 

CAPITOLO 8.

 

 

 

 



Quando la bottiglia si ferma su Lily, il gruppetto viene percorso da fischi e risate, ma il modo in cui gli occhi di tutti si soffermano almeno per un secondo, quasi per caso, su James, ha un che di teso e palpabile.
James lo sa il perché, naturalmente, come anche Lily: ha sempre cercato di dare un tono giocoso e quasi denigratorio ai suoi inviti alla ragazza, che è poi il motivo principale per cui lei continua a rifiutarli – anche se lui questo non lo sa - , ma non è servito a molto: Grifondoro ha appena vinto la prima partita a Quidditch dell’anno, i ragazzi del sesto sono tutti nel dormitorio dei Malandrini a festeggiare tra Burrobirre e Firewhiskey e non c’è una sola persona in quella stanza che non abbia notato quanto forte sia la cotta di James Potter per Lily Evans.

Ed è solo un bacio a stampo, davvero, che in fondo nessuno in quella stanza è così Grifondoro da essersi ribellato alla regola in favore di qualcosa di più spinto, ma tutti continuano a lanciargli occhiate a metà tra il preoccupato e il divertito, perché a girare la bottiglia è stato Sirius ed ora James deve guardare il suo migliore amico baciare la ragazza per cui ha una cotta.

Lily è più bella del solito quella sera, le ciocche sanguigne che le sfuggono dalla coda sfatta e gli occhi verdissimi appena un po’ lucidi sopra le guance accaldate. I primi due bottoni della camicetta slacciati hanno un effetto quasi magnetico sullo sguardo un po’ perso di James, che per tutta la sera, bicchiere dopo bicchiere, non ha fatto che cadere da quelle parti sempre più spesso.

Lei non sostiene più di odiarlo, a differenza dell’anno scorso, ma è ancora lontana dal prendere anche solo in considerazione i suoi inviti. Eppure mentre si porta silenziosamente al centro del cerchio gli lancia un’occhiata veloce, e forse James ha bevuto troppo, ma giurerebbe che c’erano delle scuse da qualche parte in quello sguardo. Poi gli occhi verdi di lei si spostano alla sinistra di James, in attesa, e così fa lui.

Si aspetta di trovare già lo sguardo di Sirius fisso su di sé quando si volta, ma non è così. Sirius si dilunga su un punto imprecisato della stanza per qualche secondo di troppo, prima di voltarsi quasi distrattamente verso James. Non è uno sguardo rassicurante, o di scuse e nemmeno minimamente a disagio, come ci si aspetterebbe da uno che guarda il proprio migliore amico prima di baciarne la cotta storica. Non c’è nulla di tutto questo negli occhi di Sirius e sul suo volto continua ad aleggiare un’espressione indecifrabile, in cui James riesce a riconoscere forse una traccia di scherno nella piega appena accennata delle labbra, un lampo fulmineo di sfida prima che il suo amico gattoni sicuro verso il centro del cerchio, dandogli le spalle, la B argentata dei Black che gli ciondola dal collo tra i bottoni aperti della camicia candida, che lasciano aperto un vasto scorcio sulla pelle ancora più bianca che c’è sotto. James segue ogni movimento come ipnotizzato, dai pantaloni scuri che si tendono quando Sirius si mette inginocchio al braccio che si solleva piano, le dita lunghe  che si infilano tra i capelli di lei e spingono decise la nuca di Lily in avanti, contro le sue labbra.

C’è qualcosa nel modo in cui Sirius si è mosso, nel modo in cui lo ha guardato, che fa sì che James si stupisca quando lui non cerca di fare nulla di più di quello, le sua labbra premute su quelle di lei per qualche secondo appena, un lieve incurvamento, come a trattenerle per qualche secondo e poi sono di nuovo lontani come lo sono sempre stati.

James riusciva già a vedere la lingua di Sirius infrangere la barriera di carne umida e farsi spazio nella bocca di lei, o soffermarsi almeno ad accarezzarne l’entrata per il puro gusto di farlo, ma non è la sua immaginazione quella che gli mozza il fiato in gola. Sono i capelli rossi di lei che sfiorano la mascella dura di lui, solleticandola appena quando si allontanano. È il modo in cui le ciocche sanguigne si confondono per un attimo con quelle corvine quando si chinano l’uno sull’altro. È qualcosa di indefinito che accende in James l’istinto forte di distogliere lo sguardo e allo stesso tempo lo costringe a non staccare gli occhi dalla scena fino all’ultimo secondo.

Quando si allontanano, James ha la sensazione che l’universo abbia perso il suo ordine logico e vorrebbe gridare contro Frank per aver proposto quello stupido gioco babbano e Remus per non aver insistito abbastanza a lungo su quanto fosse un’idea stupida, poi sia Sirius che Lily rivolgono improvvisamente gli occhi a lui, come dimentichi dell’esistenza l’uno dell’altra, e James sente distintamente il sollievo che lo pervade insieme a un’ansia nuova, che stringe silenziosa ma ferrea la sua morsa attorno alle viscere, perché non è sicuro di quali occhi agognasse di più su di sé.  




 

Lo capisce anni dopo James.

Ha appena detto sì e Lily è splendida e raggiante nel suo abito da sposa, il sorriso dolce che lo ha catturato sin da subito e i capelli fiammeggianti oltre il bianco acceso del velo. Ha appena detto sì ed ora può baciare la sposa, ma lui resta immobile per un istante, spostando perso lo sguardo da lei, solo per un secondo e la sente ridere, sente le risate pazienti degli invitati che riecheggiano per la navata e non capisce che è per via del modo in cui ha spostato smarrito lo sguardo sul suo testimone, come a chiedere il permesso e cercare una qualche guida nell’emozione del momento. Il fatto è, James non ha l’aria persa perché è sopraffatto dalla felicità: è il pessimo tempismo di un ricordo che sembra appartenere a una vita prima, che è riaffiorato in quell’esatto momento a coprire il viso luminoso di sua moglie. È il modo in cui la risata di lei svanisce insieme a tutti gli altri rumori in un silenzio che esiste solo nella testa di James, solo negli occhi grigi di Sirius, che è il luogo dove è sempre esistito il mondo intero. Se ne sta lì al suo fianco, come sempre, perfetto nel suo smoking nerissimo che fa sfigurare James e chiunque altro in quella chiesa e le risate di tutti gli invitati muoiono nel grigio vivo dei suoi occhi, lucenti come stelle tra le ciocche scure della notte.

È solo un attimo e quando James si volta di nuovo verso sua moglie e la bacia, Lily non ha ancora smesso di ridere, proprio come gli invitati che si lasciano andare a fischi e applausi. È un attimo, ma ora James la sa la risposta, che per un istante infinito tutte le risate si sono spente negli occhi di Sirius fissi su di lui e ne è rimasta solo una, graffiante e simile a un latrato, così forte e penetrante da fargli male alle orecchie, anche se le labbra di Sirius sono immobili. È il modo in cui James continua a sentire Sirius ridere anche dopo, quando la bacia, e dopo ancora, quando sono da soli e i capelli di lei si confondono con la federa color sangue del cuscino, e James vorrebbe solo che Sirius la piantasse di ridere, almeno per un attimo, almeno mentre ha tra i denti e sotto la lingua la pelle bianca di lei.

Ma Sirius non ha mai dato retta a nessuno e continua a ridere forte e James la sa la risposta ora e la odia, perché non era lei, dannazione, non era di lei che era geloso.

 





Sono rimasti soli ora.

Il respiro profondo di Remus si sente appena dalle tende chiuse del suo baldacchino mentre Peter si è addormentato con la schiena contro il muro e una Burrobirra mezza vuota ancora in mano, la schiuma che sporge da un lato e gli sfiora la lana del maglione ad ogni respiro. Tutti gli altri se ne sono andati da un tempo indefinito, lasciando la stanza nello sfacelo più totale. 

La bottiglia è ancora per terra e continua a girare sotto le dita distratte di Sirius.

James,il viso accaldato e la pelle nuda della schiena contro la parete fresca, ha la gola secca e le labbra intorpidite, ma non si alza per prendere dell’acqua. Resta lì, la nuca abbandonata contro il muro e il silenzio sulle labbra. Si sforza di non fare caso all’insistenza con cui Sirius, gli occhi grigi fissi nei suoi, continua a bloccare di scatto la bottiglia in modo che indichi James. 



 

 


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Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***


 

 (Per chi non lo sapesse, la Rowling ha rilasciato su Pottermore giorno e mese di nascita di Sirius: 3 Novembre.)

 

 



CAPITOLO 9.

 



3 Novembre 1959.

Sirius non collabora e una parte di Walburga inizia ad odiarlo già da allora, i denti digrignati per lo sforzo e il sudore che le imperla la pelle di porcellana.

Non c’è un modo magico per farlo e la realtà è che i Medimagi che la circondano potrebbero essere Babbani e non vi sarebbe alcuna differenza: è il limite che tiene i maghi ancorati alla terra, il confine che neppure la magia può oltrepassare, quello tra la vita e la morte. Lo sapeva già, Walburga, ancora prima di entrare in quella sala, che il parto l’avrebbe accomunata alla più sudicia delle Babbane, lei che della superiorità della sua famiglia ne ha sempre fatto il vanto più grande. È perché suo marito non la veda così, sporca ed inerme e umiliata, che ha insistito per essere sola: le dita affusolate e bianchissime si artigliano alla sbarra del lettino e non sentono la mancanza di nulla, il gelo del ferro come quello che le scorre nelle vene.

Orion è a due corridoi di distanza, il caffè scadente del San Mungo a scaldargli la lingua e i titoli in grassetto della Gazzetta del Profeta a scorrergli pigramente sotto gli occhi. E la verità è che Walburga non ha dovuto insistere affatto per essere sola.

Sono passate ore ed i Medimagi iniziano a diventare più insistenti con i loro suggerimenti. Walburga non ha paura del dolore, non ha paura di lasciarsi tagliare la pancia e lasciare che qualcuno ci infili dentro le mani, ma continua a scuotere forte la testa e rifiutare con il poco di voce che le resta, perché non è così che deve essere e non è così che sarà. Ha la vista annebbiata e sente di odiare ogni singola persona in quella stanza, più di tutti la giovane donna che continua a proporsi di andare a chiamare Orion. Sa che ci sono Sanguesporco a poche camere di distanza dalla sua, Medimagi e pazienti come lei, trattati come se fossero sullo stesso livello, e non lo sopporta, il suo stesso corpo si rifiuta all’idea di prolungare la sua permanenza lì, ma continua a scuotere la testa decisa ad ogni proposta, perché quello è il suo dovere e non vi si sottrarrà: darà alla luce un bambino perfetto, un erede maschio dal sangue purissimo da sacrificare sull’altare della famiglia Black, lì dove Druella e Lucretia hanno fallito. Spinge forte e guarda dritta davanti a sé, il sudore salato che le cola negli occhi e non riesce comunque a farla piangere. Spinge e ringhia come una belva feroce, urla e le sue sono grida di rabbia.

Sirius è tra le mani guantate dei Medimagi e piange forte, tutto impiastricciato di quel sangue purissimo che imparerà ad odiare. Walburga non si sporge verso di lui, non lo vuole prendere in braccio e a malapena si accorge del rumore secco del cordone ombelicale che viene reciso, ma lo fissa a lungo con i suoi occhi penetranti e severi prima di lasciar crollare la testa sul cuscino, sfinita.

Perfetto, Sirius è perfetto.

 


3 Novembre 1970.

I calici e le posate d’argento tintinnano riecheggiando all’interno dell’ampia sala da pranzo del numero dodici di Grimmauld Place, appena coperte dalle voci pacate e signorili degli ospiti. Il lungo tavolo di quercia è affollato di pietanze sontuose disposte ordinatamente sulla tovaglia di seta da elfi zelanti, tutti consapevoli che al primo errore finiranno ad ornare le pareti spoglie della villa, e Sirius cerca di respingere la nausea in fondo allo stomaco, trattenendo le smorfie che tanto fanno infuriare sua madre.

Compie undici anni quel giorno Sirius ed è il motivo per cui tutte quelle persone sono lì. I compleanni nella famiglia Black non sono mai stati una ricorrenza particolarmente felice per lui o qualunque altro bambino purosangue, più un’occasione sociale per mettere in mostra i propri averi, figli e ricchezze e mostrarsi all’altezza delle aspettative dei parenti che un modo per celebrare effettivamente il festeggiato – come dimostra la presenza nel piatto di Sirius di quel disgustoso dolce al rabarbaro che odia tanto, ma che è disgraziatamente anche il preferito di Cygnus.  Ma quel particolare compleanno Sirius lo aspetta da tanto, perché insieme alle cerimonie noiose e infinite arriverà anche la sua lettera per Hogwarts: è un’occasione speciale per lui, perché significa che quello sarà l’ultimo inverno passato tra le mura tetre di Grimmauld Place, ma se avesse saputo che compiere undici anni avrebbe significato anche trovarsi allo stesso tavolo con la famiglia Black al completo, probabilmente avrebbe fatto a meno di compierli.

Orion e Cygnus parlano di come rappresenterà degnamente la famiglia Black ad Hogwarts, coi colori sfavillanti di Serpeverde sulla divisa; Walburga e Druella stanno già decidendo con i figli di chi dovrà fare amicizia e da chi dovrà stare alla larga; tutti gli adulti al tavolo parlano di lui e l’unico che lo sta effettivamente guardando è suo fratello Regulus.

Sirius sente la nausea aumentare e non è il rabarbaro.

Nessuno gli chiede di esprimere un desiderio e lui si costringe a smettere di immaginare come sarebbe avere una persona a quel tavolo, una soltanto, che sia lì per lui. 



3 Novembre 1971.

 - Guarda, basta grattare la pera e...

Sirius ha dodici anni e le cucine di Hogwarts sono il primo vero regalo che qualcuno gli abbia mai fatto. James lo precede entusiasta nell’enorme stanzone affollato di vivande ed elfi domestici, la luce calda delle fiaccole ad accendergli riflessi chiari sulle lenti rettangolari degli occhiali e un sorriso entusiasta a piegargli le labbra, mentre si volta verso Sirius per controllare la sua reazione. Le ha scoperte qualche notte prima, James, mentre gironzolava per il castello sotto quel suo mantello dell’invisibilità e Sirius se ne rende conto perfettamente, anche se è solo un bambino, che la maggior parte dell’entusiasmo dell’altro non è per le cucine ma per la possibilità che esse gli offrono di impressionare il suo nuovo amico.

Il fuoco sfrigola nel camino accanto al loro divanetto e gli elfi continuano a portare cioccolata calda e torta di mele a non finire, mentre una crostata al rabarbaro giace abbandonata e intonsa a qualche tavolo di distanza, avanzo della colazione del mattino. James continua a far vagare impaziente gli occhi nocciola lungo i tavoli, entusiasta di poter indicare a Sirius qualche nuovo dolce da assaggiare –o, questo lo scoprirà solo un’oretta più tardi, da spiaccicargli in fronte. Compie dodici anni quel giorno Sirius e non lo ha detto a nessuno, ma qualcosa di sconosciuto gli solletica lo stomaco quando si rende conto che non fa differenza, che non importa se non sa che giorno è, James è lì per lui.

La verità è che a volte Sirius ha l’impressione che tutto quello che fa James, dalle giravolte sul campo da Quidditch alle corse notturne per i corridoi fino ai battibecchi coi Serpeverde e gli scherzi durante le lezioni, ogni singola cosa, sia – in un modo intangibile e che non riesce a spiegarsi - per lui.

 


3 Novembre 1975.

James lo bacia senza preavviso, come fa tutto, esplosivo e travolgente, le mani che gli inchiodano le spalle alla pietra gelida della Torre di Astronomia e le labbra ancora umide di Firewhiskey premute forte contro le sue, quasi con rabbia, e Sirius ne ha la certezza ora – è sempre stato per lui. Ogni gesto, parola o pensiero di James da quando si sono conosciuti, cinque anni prima, è sempre stato in relazione a Sirius e a Sirius gira la testa, perché una parte di lui è ancora l’undicenne a cui nessuno rivolge lo sguardo il giorno del suo compleanno e non sa come reagire a quegli occhi nocciola che lo vedono, lo vedono davvero.  

E Sirius si rende improvvisamente conto che è vero anche il contrario.
Che è per James, ogni suo respiro.  

 


3 Novembre 1977.

È il suo ultimo anno ad Hogwarts e deve stare attaccato a James perché i loro piedi non spuntino dal mantello, a rendere ancora più sospetti i bisbigli invisibili ed eccitati che riempiono i corridoi di Hogwarts quella notte. Quando il pesante portone di quercia cigola piano mentre si chiude alle loro spalle e James inizia a correre veloce,  Sirius scatta a sua volta per non restare fuori dal mantello e gli afferra un braccio per farlo rallentare, ricordandogli che non sono ancora abbastanza lontani da poter gettare al vento ogni precauzione. Ma gettare al vento ogni precauzione è esattamente quello che James fa la maggior parte del tempo, perché il rischio è sempre stato il pepe per lui, e dopo avergli strappato il mantello di dosso inizia a correre ancora più veloce, gridandogli di stare al passo. Ha quasi diciassette anni James, ma ride come un bambino e Sirius lo osserva per qualche secondo prima di farsi contagiare dalla risata spericolata dell’altro e partire al suo inseguimento. Probabilmente è l’istinto del suo alterego canino a spingerlo a gettarsi alle calcagna della preda con tanta foga, o è l’istinto di Sirius e basta, che lo ha sempre indotto a inseguire James con dedizione disperata.

Quando sente finalmente il corpo dell’altro premuto contro il terreno duro e il proprio petto, il fiato e la risata che gli si mozzano in gola all’improvviso, Sirius è vagamente consapevole della possibilità di avergli potenzialmente rotto qualche costola lanciandosi contro di lui e interrompendo la sua corsa schiacciandolo a terra, ma è anche totalmente consapevole di come questo non sia neanche un po’ tra le priorità del momento. L’erba fresca e bagnata gli solletica le tempie mentre si china su James e lo rigira verso di lui con un gesto deciso. Affonda le dita nel terriccio, a pochi centimetri da dove sono finiti gli occhiali rettangolari dell’altro, e non appena sente di nuovo quella risata spensierata si abbassa fulmineo e gli ruba un bacio.

Ma James ride come se non ci fosse la guerra e quando Sirius si stacca le sue labbra sono ancora piegate verso l’alto in quel modo che rende tutto possibile e così facile, come se non fosse sbagliato, come se non fossero alle soglie di una guerra che li inghiottirà tutti, come se Silente non gli avesse parlato dell’Ordine della Fenice appena il mese prima. James ride come se avessero tutto il tempo del mondo e Sirius lo bacia di nuovo, perché lui invece lo sa che quella è solo la prima delle loro ultime notti ad Hogwarts, sa che non ci sarà mai un altro compleanno così – la verità è che non sa neppure se ci sarà un altro compleanno, una volta usciti di lì. Lo bacia lì sull’erba bagnata del parco di Hogwarts, perché il mondo è ancora nelle loro mani e James è ancora suo.

*

La mattina dopo Sirius apre gli occhi nel sole mattutino, le dita intirizzite dal freddo perse tra i capelli di James e lo sguardo fisso al cielo perlaceo sopra di lui. E lo sa che è una sfida provocatoria alla sorte e agli dei, quella felicità sfrenata ed eccessiva, irraggiungibile per chiunque. Lo sa che a nessun uomo è concesso essere così felice in mezzo ad una guerra e che pagherà il prezzo di ogni singolo bacio, lo sa ma non gli importa, perché i capelli di James tra le dita e l’odore della sua pelle sono più concreti e infinitamente più importanti della sorte e degli dei.

Sirius ha solo diciassette anni, James è tra le sue braccia, suo per una notte e per la vita, e l’universo può aspettare.


 

3 Novembre 1980. 

È il giorno del suo ventunesimo compleanno e sembrano passati molto più di tre anni.

La guerra non assomiglia a nulla di quello che si erano immaginati e li ha travolti dal primo all’ultimo, ciascuno in modo diverso. Ad Hogwarts insegnano che Grifondoro è la Casa del coraggio, ma da quando anche il suono di un telefono che squilla è in grado di far gelare a tutti loro il sangue nelle vene, quella parola ha smesso di avere un significato definito. C’è una spia nell’Ordine, Silente ormai ne è sicuro: è per questo che continuano a morire come mosche, uno dopo l’altro, colti di sorpresa al rientro a casa dopo una missione, come Gideon e Fabian, accerchiati e sopraffatti in pochi minuti di lotta furiosa nella loro cucina, o presi in mezzo alla folla, in strada, costretti da un Imperius sussurrato ad allontanarsi ed entrare volontariamente nella propria sala delle torture, fatti a pezzi poco a poco, come Benji, appena uscito dall’Accademia Auror. Si inizia a perdere il senso di festeggiare un compleanno, quando i tuoi compagni smettono di respirare a distanza di settimane l’uno dall’altro. Quando si contano i giorni e non gli anni.

Marlene McKinnon, che ventun anni li aveva compiuti il mese prima, è stata uccisa insieme alla sua intera famiglia quella settimana stessa e Sirius passerebbe quella sera chiuso in casa a fare finta di nulla, se non fosse per James e la sua convinzione che rinunciare anche alla più piccola occasione per festeggiare sarebbe come dichiararsi sconfitti in partenza, arrendersi alla guerra. Sirius non è convinto che cambi qualcosa, che non abbiano comunque già perso, anche se decidono di ricordarsi che è il suo compleanno e si riuniscono a casa Potter per una cena appartata – James e Lily sono costretti a casa da mesi ormai - , ma accetta comunque, perché gli unici momenti in cui, contro ogni logica, si permette di sperare che la vinceranno loro questa guerra e si ricorda anche perché dovrebbero vincerla sono quando è con James.

Non ci sono baci quell’anno, James non ride più come se non sapesse cos’è la guerra e Lily e Remus hanno gli occhi più stanchi che mai. Peter trema senza motivo a volte.

Sirius ha ventun anni, ha visto troppa gente morire ed è convinto di star già pagando il prezzo di tutte le risate e dei baci rubati sotto le stelle, ma quello che ancora non sa è che la guerra non ha neppure cominciato con lui. 



3 Novembre 1981.

Sono passati tre giorni.

Sirius ha le nocche sporche di sangue e sta fissando la stessa macchia sul muro della sua cella ad Azkaban da quando lo hanno spinto dentro piegato in due dalle risate e lui ha continuato fino alle lacrime, prima di gridare e prendere a pugni la pietra gelida così forte da ricoprirsi nuovamente di sangue appiccicoso, come quando Walburga lo ha spinto al mondo tra grida di rabbia ventidue anni prima. 

James è morto e sono passati solo tre giorni, ma Sirius non lo sa, perché il tempo ha smesso di esistere la notte in cui la guerra gli ha presentato il conto negli occhi senza vita del suo migliore amico. Sirius fissa il muro ora e resta in silenzio, cercando la risata spensierata di James nelle urla straziate degli altri prigionieri. La cerca per dodici anni e la trova nella foto in bianco e nero di un topo mutilato che lo fissa dalla pagina di un quotidiano. Guarda gli occhi neri di Peter e sente la risata spensierata di James.

Il giorno dopo il suo viso allucinato è in prima pagina su tutti i giornali del mondo magico e non.


 

 

 

 

È una moto? Mi hai davvero appena comprato una moto per il mio compleanno?

Così pare.

James Potter, questo è il più bel regalo di sempre.

Lo dici tutti gli anni.

Sta’ zitto, mi hai comprato una moto. Una moto!

È quello che ho fatto, sì. Se ti schianterai al suolo e morirai ti avrò sulla coscienza. E se la farai vedere a mamma e papà avrai me sulla coscienza, non credo che sia legale guidarle prima di una certa età. O qualcosa del genere.

Una moto. Una dannata moto. Ed è mia?

È così che funzionano di solito i regali, Padfoot.

E come sei passato dal considerarle ‘inutili trabiccoli babbani che non volano nemmeno’ al regalarmene una?

Chi ha detto che la tua moto non vola?

Che cosa hai appena detto?

Chi è la tua persona preferita al mondo, Sirius?

Il rombo della nuova moto di Sirius che decolla alle sue spalle intontisce James quasi più del bacio a stampo che il suo migliore amico quattordicenne gli ha schioccato con forza sulle labbra prima di superarlo entusiasta e saltare in sella. James fissa il vuoto per diversi secondi e la punizione che si beccherà quando i suoi genitori gli faranno notare che il mantello dell’invisibilità non è sufficientemente largo da coprire lo strano aggeggio apparso nel loro giardino non gli farà passare il buon umore. Sirius è felice e ne sarà valsa pena. Tutto quanto ne varrà la pena, fino all’ultimo abbagliante lampo di luce verde.


 

 


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