The Crown Prince

di Madama Pigna
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** La Grotta ***
Capitolo 3: *** Incontro con.. ***
Capitolo 4: *** Skepna ***
Capitolo 5: *** Skepna - parte 2 ***
Capitolo 6: *** Patto col diavolo ***
Capitolo 7: *** Bambini ***
Capitolo 8: *** Una trappola per principi ***
Capitolo 9: *** Altri nemici ***
Capitolo 10: *** Problemi ***
Capitolo 11: *** Rincontri bruschi ***
Capitolo 12: *** Solitudine ***
Capitolo 13: *** Alleanze fruttuose ***
Capitolo 14: *** Benvenuti? ***
Capitolo 16: *** Non proprio benvenuti ***



Capitolo 1
*** Prologo ***






Note autrice: 
Ehm.. Che cosa posso dire per introdurre questa fanfic? Tante cose, quindi sarebbe meglio mettere ordine, cosa per me non trppo facile XD

Questa Missing Moments è stata concepita mesi e mesi fa.. Ed era stata pensata in modo completamente diverso da questo.

E va bene, lo ammetto: l'ispirazione mi è venuta leggendo ''Il Principe'' di Machiavelli e mi è piaciuto così tanto che volevo scrivere questa fic sulla falsariga di quell'opera, okay? Scusate se la vostra Madama Pigna è una secchiona XD
Poi però ho continuato a scrivere NSSARDS, e la figura di Byleistr si è evoluta in modo ancora più aangst e introspettivo del previsto. Senza dimenticare che poi da Machiavelli siamo passati, per vostra fortuna, a Galileo ergo i miei interessi si erano spostati abbastanza da non leggere COMPLETAMENTE il Principe. XDDD in parole povere: fare una raccolta su quello che deve o non deve fare un Principe non avrebbe, diciamo, colto l'anima di Byleistr, che oltre a essere un nobile con un eccessivo senso del dovere è anche altro: uno Jotun, un fratello trascurato e un figlio maltrattato.. un amico (questo ultima caratteristica si capirà in seguito).. Perciò ho deciso che sì, questa sarà una raccolta incentrata anche sui problemi politici e sociali di Jotunheim, ma non solo. Tratterò argomenti pure piuttosto pesanti (vedi violenza sui minori/razzismo/eccetera), ma personalmente credo che il rating rosso sia superfluo; e che anche un minorenne abbia diritto di leggere quello che gli pare, se se la sente. Quindi nei capitoli più pesanti metterò SEMPRE un avviso, per i più sensibili (adulti o meno che siano).
Detto ciò.. questo è solo un breve prologo, nemmeno troppo soddisfacente a mio parere, ma se avete voglia di commentarlo non mi fate un dispiacere XD Godetevi la lettura, spero che vi piaccia :D
Alla prossima!

 
Madama Pigna










Ogni comunità, grande o piccola che sia, ha bisogno di un leader.
E’ nella natura delle cose.
Quale che sia il Regno, Paese, Nazione, quale che sia il tipo di governo (democratico, comunista, monarchico), è quasi inevitabile che il potere venga raccolto, ufficialmente o meno, nelle mani di uno solo.

 
Jotunheim è sempre stato un mondo conservatore. Forse proprio per questo uno dei più antichi. I suoi abitanti, gli ermafroditi Giganti di Ghiaccio, formavano una delle razze più fiere dei Nove, e il loro senso patriottico, di solito, era piuttosto decantato. Uno Jotun non avrebbe mai chinato la testa di fronte a nessuno, se non al suo Re. E i Re, su Jotunheim, non erano mai considerati realmente tali, se non dimostravano di avere la forza, l’intelletto e il carisma per meritarsi un tale onore ed onere.

Byleistr era consapevole di ciò. Era giovane, troppo giovane per prendersi le responsabilità di quel mondo ormai caduto in rovina, ma era anche vero che della giovinezza, escluso il corpo robusto, aveva ben poco.



 
Alcuni dicono che si rimane giovani finché si hanno dei sogni.
 
Non che il Principe non ne avesse. Ma, proprio come un vecchio stanco della vita, li considerava, appunto, solo sogni. Non guardava mai alle sue speranze come se fossero cose fattibili, anzi, cercava di soffocarle ogni qual volta era in suo potere. Aveva dei doveri verso il suo popolo, e li avrebbe perseguiti fino al suo ultimo respiro, ma coltivare fantasie che poi lo avrebbero soltanto fatto soffrire non aveva alcun senso.
 
Per sperare ci vuole forza. Per sperare, soprattutto, ci vuole una luce in mezzo all’oscurità.
Gli occhi di Byleistr erano stati accecati da troppo tempo per vedere anche solo una piccola candela.
Se avesse avuto qualcuno da amare, a cui affidarsi, qualcuno che curasse le sue ferite interiori e che fosse in grado di voler bene al suo animo corrotto, forse ci sarebbe stata, la speranza, nel cuore  del Principe di Jotunheim.
 
Ma come poteva, Byleistr, dare un pezzo del proprio cuore a un’altra persona? Come poteva scaricare tutta la perenne stanchezza, gli incubi, le responsabilità che gravavano sulle sue spalle? Per amare bisogna avere fiducia. Ma quando è la stessa persona che ti ha dato alla luce a farti soffrire, quando è la stessa persona che ti ha messo al mondo a picchiarti senza un reale motivo, a fare terra bruciata intorno a te, a rendere la tua vita –e quella degli altri- un inferno, come puoi aprirti a qualcuno senza avere paura di soffrire ancora di più?
 
Byleistr ricordava ogni singola notte passata a piangere cercando di dormire rannicchiato in un letto che si era fatto troppo piccolo per un bambino in piena crescita, ma che nessuno si sarebbe preso la briga di cambiare per lui. Ogni singola notte in cui non poteva dormire a pancia su, se non voleva che il suo corpo urlasse il dolore causato dalle frustate. Ricordava troppo bene tutte quelle notti tremende.         

E al risveglio (se ce ne sarebbe stato uno), lo avrebbe aspettato l’ennesima giornata in cui avrebbe dovuto essere forte, per lui e per gli altri. In cui avrebbe sofferto, in cui sarebbe stato trattato come lo schiavo che non era.
Era ormai passato il tempo in cui poteva permettersi di essere fragile.
Non ci sarebbe stato più nessuno a proteggerlo.

 
Doveva pensare solo al futuro della sua gente, senza distrazioni inutili.
Nient’altro doveva avere importanza.

Non per lui.











 

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Capitolo 2
*** La Grotta ***















La Grotta della Fonte era fredda.
Gelida, anzi.
 
Non era pervasa dal semplice freddo – quello non avrebbe impressionato Byleistr più di tanto.
Era o non era un Gigante di Ghiaccio?
 
No.. in quel luogo la vita mancava del tutto. La morte sembrava permeare ogni cosa. Come una macchia che non sarebbe andata più via. Come una malattia che infettava la pelle. Come una maledizione eterna..
C’era lo spirito di un’anima defunta, lì dentro; uno spirito non-vivente che era sempre stato noto per la sua mancanza di pietà. Per la sua durezza e asprezza.
Ed era lui a causare questa atmosfera così.. così macabra.
 
Mimìr l’Onniscente.
 
Uno dei Re più antichi e severi della storia di Jotunheim. Si diceva che il suo acume era tale da capire i meccanismi di tutto quello che accadeva intorno a lui. Da comprendere persino quello che gli altri pensavano. Certi credevano addirittura che fosse stato un telepate. Probabilmente era così.
 
 
 
 
 
- Avvicinati, giovane Gigante. Avvicinati.. -.
 
Byleistr fissava l’Antenato immobile, senza dire nulla.
Lo stupore, per un momento, lo aveva colto impreparato.
 
Tuttavia si avvicinò, a passi cauti.
 
Sarebbe voluto scappare da lì. Ma qualcosa.. qualcosa lo portava a restare. Non sapeva cosa.
Con il senno di poi avrebbe ipotizzato che forse era stato convinto a non muoversi da lì.
 
Fissò Mimìr con un misto di rispetto e di paura. Aveva capito chi fosse –erano molte le storie che parlavano di quel Gigante, anche se fino a quel momento erano poche quelle in cui credeva.
Era un tipo scettico, dopotutto.
 
 
 
 
Sentì lo sguardo indagatore dello Jotun percorrerlo da parte a parte, come se lo stesse esaminando.
Gli occhi della Testa di Mimir, la quale fluttuava sopra una pozza d’acqua gelata, vagavano sul suo corpo, in cerca forse di difetti o qualità, ma soprattutto sembravano scrutargli la mente e l’anima.
 
Byleistr aveva sempre tenuto i suoi pensieri e le sue emozioni per sé. Non voleva che qualcuno entrasse all’improvviso dentro di lui per fare quello che più gli pareva. Ma in che modo poteva ribellarsi?
 
Decise quindi di stare zitto e al suo posto. Quello che aveva sempre fatto, durante gli anni della sua infanzia. Quando non era in grado di difendersi né dai bastoni né dalle malelingue.
 
 
 
Quando l’Antenato sembrò finire la sua ispezione, lo guardò negli occhi con un misto di austerità e alterigia.
- Vedo che sei un tipo disciplinato, Byleistr Laufeyson. E’ un bene. Devi sempre sapere qual è il momento buono per ribellarsi e quale non lo è -, affermò, duro, come se stesse parlando ad un bambino.
Il Principe non replicò. Non lo avevano mai trattato da adulto. Ma da secoli ormai non lo trattavano nemmeno da bambino. Anche quando le sue mani non erano ancora sporche di sangue innocente.
Cercò di non pensarci. Sentiva ancora la voce di suo fratello mentre lo chiamava mostro.
- E’ inutile crucciarsi sugli errori (o gli orrori) del passato, piccolo principe, e penso che tu lo sappia -.
- Sì, Re Mimìr -, rispose il giovane, non sapendo come ci si dovesse riferire ad un Antenato.
 
- Curioso, non trovi? Non credevi che la mia anima risiedesse davvero qui, insieme alla mia testa, eppure al contrario di molti altri venuti a cercarmi sei sopravvissuto alle Catene e sei giunto fin qui. Pensi di avere dei doni particolari che te lo abbiano permesso? -, chiese l’anziano Gigante, con tono beffardo.
 
Byleistr rispose con sincerità. – No. Solo fortuna, suppongo. Se c’è una ragione particolare per cui sono ancora vivo, immagino sia perché ho un dovere da seguire. Una missione che non sono ancora riuscito a compiere come vorrei -, disse, e le sue ultime parole traboccavano biasimo verso se stesso.
 
- Sei severo con te stesso, e questo mi piace. Spesso i giovani sono degli smidollati che si concedono qualunque piacere e vizio, trascurando le loro responsabilità. E qual è il tuo dovere, figlio di Laufey e Farbauti? -.
- Proteggere la mia gente -.
- Da chi? -.
- Da chiunque possa rivelarsi pericoloso. Laufey, i suoi seguaci. Gli Asir o qualunque altro straniero con intenzioni bellicose. Anche da me stesso, se sarà necessario -.
- Molto bene. Allora perché non hai ancora concluso nulla? -, domandò Mimìr, tagliente.
 
Quel quesito fu uno schiaffo morale per Byleistr, il quale si sentì molto più incapace di quanto fosse in realtà. Tentò di spiegarsi, ma il suo tono di solito secco e determinato si era fatto flebile.
- Se.. se mi fossi ribellato.. Laufey avrebbe fatto del male a mio fratello.. -.
- Credi che un mutaforma come lui non sarebbe stato in grado di difendersi? -.
- Non lo so. Non è un mago esperto, non ha studiato il Seidr. Segue solo l’istinto e io avevo paura che mio padre riuscisse a.. -.
 
- SILENZIO! -, urlò Mimìr.
 
- IL TUO PEGGIORE SBAGLIO E’ STATO TENERLO LONTANO DALLO SCHIFO CHE TUO PADRE CAUSAVA! IN QUESTO MODO LO HAI RESO CIECO, DEBOLE E INCAPACE DI DIFENDERSI! -, continuò.
Un potente alone azzurro, che già avvolgeva il capo del Gigante, esplose avvolgendo la grotta, colpendo in pieno Byleistr. Non lo spazzò via, ma il Principe poté sentire quel gelo che emanava persino dentro la sua anima. Non seppe replicare con convinzione a quell’accusa. Non sapeva che altro fare, non aveva idea di come difendere suo fratello e la sua gente da Laufey a quei tempi. Era solo un infante..
 
- Io.. io volevo solo proteggerlo come mi aveva chiesto mio padre.. -, mormorò. Il freddo era tale che si era istintivamente abbracciato il petto, strofinando i palmi delle mani sugli arti per riscaldarsi.
- Un bambino non può proteggere un altro bambino -, fu la fredda replica di Mimìr.
 
- Ma tanto ormai a che servono questi rimproveri? Helblindi se ne è andato. Ho ucciso suo figlio. Lo capisco da me di avere fallito e di aver distrutto l’unica persona che mi voleva bene.. -, disse, abbassando lo sguardo. Non si sarebbe mai perdonato per quello che aveva fatto al suo stesso fratello.
Non si sarebbe mai perdonato..
 
 
 
- SCIOCCO! -, urlò Mimìr. Nello stesso momento in cui urlò, un’altra onda di energia azzurra si diramò dalla Testa, spargendosi per tutta la caverna e scompigliando i capelli di Byleistr. Si riparò il volto con un braccio, sentendo ancora un gelido vento percorrere il suo corpo. Il tono dell’anziano si era fatto terrificante.
- NON SARAI MAI UN BUON RE, SE PRIMA NON PLACHERAI I TUOI CONFLITTI INTERIORI!! CREDI FORSE CHE UN PROBLEMA SI RISOLVI IGNORANDOLO, FIGLIO DI LAUFEY?!! -.
- NO! -, replicò Byleistr con lo sguardo basso, urlando pur di farsi sentire. – Ma come posso stare bene con me stesso, dopo quello che ho fatto?! -, continuò, pur immaginando che l’Antenato si sarebbe infuriato ancora di più.
Contrariamente a quanto si aspettava, però, l’Onnisciente sembrò calmarsi, guardandolo con superiorità.
La corrente magica sembrava essersi placata, per il momento.
- Infatti. Anche quando le tue ferite smetteranno di sanguinare, e apparentemente rimarranno solo delle cicatrici, tutte le volte che ci ripenserai sentirai sempre il dolore quasi come se fossero ancora fresche. La tua agonia vivrà di pari passo con la tua coscienza, giovane Gigante. Ma puoi sfruttarla a tuo vantaggio. Vuoi davvero rendere Jotunheim un luogo migliore, piccolo principe? -.
- Certo che lo voglio! -, rispose lui.
- Bene. Allora non dimenticare mai quello che hai fatto. Non negare mai a te stesso i tuoi errori. Prendi il tuo dolore e usalo contro i tuoi nemici. Rendilo la tua corazza, fanne la tua forza, fai in modo che ti sproni e che non ti blocchi nell’autocommiserazione. Ritorci le tue paure in modo che siano tue alleate, e non tue nemiche, contro chi vuole la tua morte. Sfrutta le ore d’insonnia per pensare a come agire, per stare in guardia. Nasconditi nell’ombra per scovare i traditori e punirli. Usa la tua oscurità per ricostruire un mondo pieno di luce -.
 
Il principe ascoltò attentamente. Era un discorso sensato, supponeva, del resto non avrebbe mai potuto dimenticare il male che aveva compiuto. Tuttavia abbassò lo sguardo, ancora una volta.
Non si sentiva all’altezza.
 
- E il mio popolo? Cosa penserà il mio popolo di me, adesso? Ciò che ho fatto non mi farà mai conquistare la loro fiducia. E senza quella, come potrò avere il loro appoggio? Non mi accetteranno mai -, disse, privo di ottimismo.
 

Mimìr lo guardò intensamente per un momento. Pensoso. Poi parlò.






- A questo credo di avere una soluzione.. -.





 

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Capitolo 3
*** Incontro con.. ***



 


 






 
Nel Passato: 
 

Era completamente da solo.
Lasciò perdere lo scalpello, che appoggiò delicatamente a terra con il martello per non fare rumore.
Già chino sul pavimento azzurro-bluastro della sala del trono, sfiorò il ghiaccio con le dita, fino a mostrare un tocco più deciso con tutto il palmo. Si concentrò, dopodiché fu un attimo. Il ghiaccio, sotto l’impulso della sua mano, iniziò a cospargersi di crepe, prima nel giro di pochi metri, su tutta la superficie poi, fino a spezzarsi del tutto.
Con un secchio alla mano, Byleistr ne raccolse i frammenti gelidi, spaccandoli ulteriormente in granelli per fare spazio agli altri. Riempito il primo contenitore, passò al secondo, dopodiché al terzo e al quarto.
Quando finì anche il quinto, sospirò, contento di aver risparmiato tutto il tempo che ci voleva a spezzare il ghiaccio senza l’uso di doti particolari. E senza che nessuno se ne accorgesse, per fortuna.
 
Si guardò le mani. Spezzare il ghiaccio tramite impulsi mentali non era una cosa da tutti. Neanche tra gli Jotun. Era una dote preziosa, soprattutto in un combattimento, ed era una dote rara.
Suo padre Laufey ne era capace, per esempio. Era una delle sue più grandi abilità, in effetti.
Con quel dono, si potevano persino risvegliare gli antichi Jagare, le enormi bestie ibernate nel ghiaccio.
 
Tuttavia lui non era il tipo di persona che amava andare in giro a vantarsi di quello che sapeva fare. E, comunque, non sapeva come avrebbe reagito Laufey, se si fosse accorto di quel potere.
Non lo sapeva e soprattutto non lo voleva sapere.
Probabilmente avrebbe trovato un’altra scusa per maltrattarlo. Era meglio che nessuno ne venisse a conoscenza.
 
In quel modo, se non altro, per compiti del genere aveva qualcosa in meno da fare.
Guardò un angolino della stanza. In effetti, era quasi invitante.
Avrebbe potuto riposarsi qualche minuto. Non per tanto tempo, certo, solo qualche minuto.
Per un motivo o per un altro, non riusciva mai a riposarsi molto bene. Troppa stanchezza. Troppi incubi.
 
E poi il suo letto cominciava a diventare un po’ corto. Se avesse continuato a crescere in altezza, presto i suoi piedi non ci sarebbero più entrati. Ma dubitava che qualcuno lo avrebbe cambiato, se lo avesse chiesto.
 
Byleistr era il Principe più umile dei Nove Regni. Non avrebbe disprezzato un piccolo e scomodo angolino per dormire –no, dormire no, perché se qualcuno se ne fosse accorto sarebbero stati guai-  o riposare un po’.
Tanto gli era stato proibito di andarsene finché non avesse finito. Se fosse uscito troppo presto sarebbe stato sospetto. E, in ogni caso, gli sarebbe aspettato altro lavoro da fare.
 
Camminò lentamente verso la sua breve meta, aguzzando le orecchie per capire se c’era qualcuno nelle vicinanze. Ma non sembrava stesse per arrivare nessuno, così si sedette, appoggiando la schiena alla parete fredda. Chiuse gli occhi, trattenendo un sospiro di sollievo. Finalmente poteva sedersi. Gli sembrava incredibile. Lavorava in piedi da tutto il giorno. All’alba era ritornato dalla caccia. Senza poter andare a dormire, era stato mandato a pulire le stalle, da solo, e ci aveva messo quasi tutta la mattina solo per togliere lo sterco da ogni singolo anfratto. Non aveva mangiato niente a pranzo, se non uno sporadico pezzettino di carne rubato a un servitore passato accanto a lui.
 
(Ma almeno era carne. Tutto sommato poteva andargli peggio: poteva anche non mangiare affatto).
 
Poi suo padre gli aveva ordinato di sovrintendere al trasporto delle vivande nelle cucine reali.
In parole povere, aveva trasportato sacchi e carichi vari su e giù per tre ore. La tortura peggiore era non poter assaggiare niente di tutto quello che gli passava da sotto il naso. I servi erano quasi tutti degli stolti, sì, ma il cuoco sapeva sempre se mancava qualcosa nel suo territorio. E riferiva ogni volta.
 
Il problema principale di Byleistr, comunque, non era il cibo.
No. Il problema era che Laufey lo trattava come uno schiavo.
E se il Re trattava suo figlio come tale, evidentemente il resto di Utgarda sentiva di poter fare lo stesso.
I Principi di tutti gli altri Regni, alla sua età, di solito passavano il tempo ad addestrarsi e istruirsi. Anche un’offesa banale verso la loro figura sarebbe stata punita severamente.
 
Byleistr era autorizzato ad allenarsi solo di notte, quando era troppo stanco persino per addormentarsi, e non vedeva un libro da così tanto tempo che non era nemmeno più sicuro di saper leggere.
Scrivere sì. Ogni tanto scribacchiava i propri pensieri nella neve, per poi cancellarli subito dopo.
Ma persino i bambini scrivevano meglio. Lui capiva a stento la sua stessa scrittura.
 
Quanto alle offese.. beh, Byleistr si era abituato a farsele scivolare addosso, ignorandole, ma sapeva sempre che, alle sue spalle, nessuno parlava molto bene di lui. Soprattutto da quando a palazzo c’era Skrymìr, il nuovo braccio destro di suo padre. Se lo era messo contro fin da subito, e lo Jotun non aveva esitato a far circolare voci false e crudeli sul suo conto.
 
Ai membri del popolo diceva che era uno spietato, brutale assassino di nani.
Agli abitanti della reggia riferiva di tutte le volte in cui il Principe avrebbe venduto il proprio corpo a molti Jotun per dei favori, o anche gratis. In pratica, che era una puttana come quelle che s’incontrano nei vicoli.
A suo padre raccontava di averlo visto trasgredire delle regole importanti o di aver trascurato qualche dovere domestico. Per dimostrarlo sporcava appositamente tutto quello che Byleistr ripuliva.
 
Erano tutte bugie, dicerie senza prove, eppure la gente ci credeva lo stesso. Tanto dicevano così tante cose sul suo conto che era difficile contarle o anche solo decidere quale fosse la più falsa. O dolorosa.
 
Quando il Principe se ne era reso conto era già troppo tardi. Inutile riempire di botte chi lo provocava insultandolo a proposito dei suoi costumi sessuali – perché sì, faceva male sentirsi dire sei solo una puttana, oppure che ne dici se andiamo a divertirci da qualche parte solo io e te, bel principino?
L’unica cosa che riusciva a ottenere erano una ventina di frustate, come minimo.
Perché picchiava gli altri senza alcun motivo apparente.
Laufey godeva nel farlo soffrire, e sfortunatamente non era l’unico.
 
Tanto valeva inghiottire lacrime e repliche, tirando avanti facendo finta di niente.
Non aveva alcun amico che potesse dubitare delle sue azioni, quindi aveva poca importanza quale fosse la sua effettiva reputazione. E suo fratello non si accorgeva mai di niente, perciò con lui non si poneva il problema.
 
Ma quanto avrebbe voluto che qualcuno si rendesse conto di come stesse così male.
Non pretendeva che all’improvviso arrivasse una sorta di salvatore e lo portasse via da quella vita, no.
 
Non poteva scappare. Aveva giurato a Farbauti che avrebbe protetto Helblindi, che avrebbe protetto Jotunheim. Non era ancora riuscito a fare molto, ma questo non lo sollevava dai suoi doveri.
 
Però, se avesse avuto qualcuno con cui parlare, con cui potesse sentirsi libero.. Qualcuno che lo capisse, qualcuno che lo apprezzasse così com’era, senza ipocrisia, senza menzogne.. Senza per forza avere qualcosa in comune, bastava qualcuno con cui avere almeno un rapporto di simpatia, o con cui sfogarsi quando non ce la faceva più a trattenere le lacrime e doveva versarle tutte isolandosi nella solitudine della sua stanza..
Quello che desiderava era un amico. Punto. Semplicemente un amico.
Per scacciare almeno un pochino di quel vuoto, di quella infelicità che sentiva dentro.
 
Ma lui era un Principe di Jotunheim.
Se in un qualche futuro voleva porre fine alla sofferenza del suo popolo, non poteva permettersi degli amici. C’era una buona probabilità che nessuno sarebbe stato sincero con lui.
 
E poi, quale stolto avrebbe voluto essere amico di una disobbediente puttana pluriomicida?
Nessuno.
 
 
 





 
 
Nel Presente:

 
 
Dopo altri giorni di cammino, finalmente, il Principe scese dalle Catene di Mimìr.
 
Non aveva bisogno di una mappa per orientarsi. La geografia del suo Regno era una delle poche cose che riteneva di aver imparato abbastanza bene, guardando le mappe nei libri che leggeva da piccolo.
E poi, anche senza esserne sicuro, soltanto un luogo su Jotunheim aveva così vegetali: la Jarnvidr.
 
Nota anche come Foresta di Ferro.
 
Naturalmente era ancora nel limitare del bosco, ma presto la rete di rami sopra di lui si sarebbe infittita e le discese di roccia planate. Nel frattempo, però, la sera era scesa, e lui aveva bisogno di un rifugio sicuro.
 
La sua ferita non era ancora guarita, anzi. Doveva starci piuttosto attento, prima che s’infettasse..
 
Intravide una crepa, sul bordo della montagna, e si chiese se fosse abbastanza grande da ospitarlo.
 
Calpestando gli aghi di pini sul terreno, Byleistr si avvicinò, notando come oltre quella soglia lo spazio fosse abbastanza grande da contenere un’intera stanza, anche se non molto grande.
Sbirciò l’interno, semibuio. La mano sinistra si posò sulla parete.
 
In quell’istante ebbe un flash.
 
Accompagnava un altro gigante, più anziano solo di alcuni decenni, estremamente debole poiché estremamente vicino dal dare alla luce una vita. Una piccola fiamma che si sarebbe spenta dopo ben poco.
 
- B-Byleistr.. F-fa male! Ti prego aiutami.. -.
 
 
Chiuse immediatamente gli occhi, stringendo il bordo pietroso con le mani, che s’incrinò. Scosse la testa, come se così facendo potesse scacciare quel ricordo. Magari avesse potuto aiutare Helblindi.. Magari..
In quel caso non si sarebbe sentito così vuoto.
 
- Un bambino non può proteggere un altro bambino -.
 
 
Prese un respiro profondo. Nella sua mano destra un sacco di tela grezza, suo unico bagaglio, portava la testa addormentata di Mimìr. L’Antenato era caduto in una sorta di catalessi, un coma per risparmiare energie, poiché era la Grotta a permettergli di far da tramite tra i vivi e i morti, e lontano da essa non sarebbe diventata nient’altro che polvere, una volta consumata la magia.
 
Ma il fine giustifica i mezzi. La situazione era troppo disperata per non fare dei sacrifici e, infondo, la permanenza di Mimìr in mezzo alle montagne era ormai diventata inutile. Nemmeno i più coraggiosi, ormai, tentavano imprese come quella che Byleistr aveva compiuto.
 
 
Così Byleistr si decise a entrare, nonostante una forte sensazione di disagio si fosse impossessata di lui.
Quel posto gli ricordava troppo la collina in cui aveva perso suo fratello, e quel ricordo era ancora troppo fresco perché riuscisse a pensarci senza che il dolore fosse insopportabile.
La piccola caverna era buia. Non vedeva molto. Tuttavia con la poca luce che entrava nell’abitacolo riusciva a intravedere alcune sagome. Uno sgabello, una grossa pietra che forse fungeva da tavolo, un giaciglio fatto probabilmente con gli aghi di pino e le altre foglie del bosco. Tutto di dimensioni abbastanza.. ridotte.
 
Fece appena in tempo a formulare quel pensiero, che percepì un movimento alle sue spalle.
 
Veloce come il vento si girò, evitando per un pelo che l’affondo di un pugnale lo colpisse nello stomaco.
 
Nel buio del luogo non poteva vedere il viso dell’aggressore, ma l’altezza, beh, quella sì.
 
Era quella di un bambino.
..O di un nano molto giovane.
 
- MUORI! -, urlò il piccoletto, provando un altro attacco.
 
Byleistr, però, nonostante la stanchezza, non ci mise molto a lasciar cadere a terra il suo sacco e bloccare il polso del ragazzino – perché la voce era quella, appunto, di uno Jotun forse appena adolescente.
 
Il Principe era giovane ma era uno Jotun appena adulto. E notevolmente più grosso.
Un dettaglio non esattamente trascurabile.
 
Nonostante il buio, tra un’imprecazione e l’altra Byleistr riuscì a bloccare contro sé il nano, per poi uscire fuori, dove c’era più luce. All’aria aperta poté notare una zazzera di capelli bianchi sul capo del giovane.
 
- Mollami! -, urlò ancora lo Jotun.
 
Così il Principe mollò il nano, che svelto si allontanò, in cerca forse di una via di fuga. Ma le sue spalle davano alle pareti di roccia, e davanti a lui Byleistr bloccava il passaggio.
 
- E tu chi diavolo saresti? -, chiese il Gigante, il sopracciglio alzato e le mani sui fianchi.  Non aveva evocato nessuna arma. Non avrebbe lottato contro un nano, per di più così giovane.
 
 
L’altro lo guardò con odio.
- Mi chiamo Thìalfi. E tu hai ucciso i miei amici! -, disse, cercando, ancora una volta, di ucciderlo.






 

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Capitolo 4
*** Skepna ***



 
Note autrice: 
Sono una vergona, lo so, scusatemi.. Non è proprio un bel periodo per me e questo si riflette sulla scrittura >.< d'ora in poi cercherò di aggiornare all'incirca ogni dieci giorni, ancora non sono in condizioni per gli aggiornamenti settimanali.. e si è visto, purtroppo >.<







 
Come potete immaginare, a Byleistr ci volle poco per bloccare Thìalfi dai suoi propositi.
Lo afferrò per il polso, torcendoglielo finché lui non cedette la presa sull’arma.
Quello tentò ancora di dimenarsi, ma inutilmente.
 
- Spiegati meglio, nano. Io non ti ho mai visto in vita mia -, parlò il corvino, alzando un sopracciglio.
Apparentemente insensibile all’accusa del ragazzo, che non aveva smesso di guardarlo con furia e odio.
- Sei stato tu a tradire i nani che sono stati uccisi tempo fa! -, urlò lui, con le lacrime agli occhi.
Il viso del Principe si pietrificò, comprendendo di cosa stesse parlando Thìalfi.
- Li hai uccisi tu! -, continuò lui, imperterrito.
 
Byleistr lo lasciò. 
Il suo sguardo si perse nel bianco della neve, che ancora rifletteva i pochi rimasugli di luce della sera. Gli sembrò di vederla rossa. Come il sangue.


 
Fu un solo istante di debolezza. Poi il suo viso divenne freddo e duro. Una maschera.
- Stupido. Non parlare di cose che non conosci -, affermò. – E se proprio devi cercare di uccidere qualcuno -, aggiunse, - Vedi di sceglierle meglio, le tue vittime -.
Entrò nella caverna, riprendendo la testa di Mimìr. Poi se la mise in spalla, preferendo cambiare aria. Uscì.
– Diventerai un assassino, ma forse, e dico forse, almeno non ti farai ammazzare -, mormorò.
 

Thìalfi lo fissò stupito. Sorpreso probabilmente dal fatto che il Principe non cercasse di ucciderlo.
Lo stupore durò poco, comunque. Finì per seguire Byleistr, stringendo un altro pugnale di ghiaccio.
- Fermo! Tu non te ne andrai così! -.
- Oh sì che lo farò, invece. E faresti meglio a non seguirmi, non vorrai mica che lo Sterminatore di Scarti stermini anche te! -, rispose il Principe, con un tono sarcastico assolutamente insopportabile che però celava dietro qualcosa di profondamente diverso. Amarezza, forse?
 
Chi lo sa.

 
Thìalfi era comunque troppo concentrato a far crescere la sua rabbia per rendersene conto.
Quasi come se questa potesse aiutarlo nell’uccidere Byleistr. Magari renderlo più coraggioso per farlo, forse?

E chi lo sa.

 
- Vieni qui! -, strillò, stringendo i pugni. – Non ho ancora finito con te! -.
Byleistr alzò un sopracciglio. Si fermò solo un istante per girarsi. – Se è per questo non hai nemmeno iniziato -, affermò, continuando a camminare per la sua strada subito dopo.
 
 
La tendenza a farsi del male può avere origini estremamente particolari: nel caso del piccolo Jotun, forse da collegare ad un distorto senso di dolore e dovere che lo spingeva a cercare di vendicare le persone a lui care che erano state uccise. Pur sapendo di essere più che pessimo nel corpo a corpo.
 
E non solo per le dimensioni.. C’era anche una discreta goffaggine in gioco.
 
 
Il nano, infatti, cercò di seguirlo, testardo, senza però vedere la radice di un albero, in parte occultata dalla neve. Rigidi com’erano i suoi muscoli, non fu abbastanza agile per mantenere l’equilibrio, cadendo così in modo decisamente imbarazzante. E per fortuna la neve ammorbidiva il terreno, altrimenti avrebbe di certo sentito un forte dolore al naso.
 
Nulla lo salvò tuttavia dalla storta che si prese con quella caduta.
 
Un gemito di dolore, e il Principe, alzando gli occhi al cielo, si voltò ancora.
 
Non fu il nano dolorante per terra, però, ad attirare la sua attenzione.
 
Spalancò gli occhi.
Sentì un brivido percorrergli la pelle.
Come se ogni centimetro del suo corpo si fosse immediatamente allertato alla vista di quella bestia.
 
Uno Skepna. Un esemplare adulto molto più grosso di lui.
 
 
 
 




 

 
Poco tempo prima... 

 
 
- Non ci riuscirai -, affermò Helblindi.
Il fratello gli scoccò un’occhiataccia. – E perché no? -, chiese, scorbutico.

Il maggiore sospirò, passandosi una mano sul viso, prima che questa ritornasse accanto al fianco. – Byleistr, dammi retta. Evita di provarci, o rischierai di farti male. Tu con gli animali hai un pessimo rapporto. E lo sai. Loro ti detestano e tu detesti loro -, disse, cominciando a seguire il giovane che si era avviato verso le deserte lande ghiacciate lontane da Utgarda.
- Non è mica una cosa di amore reciproco quello che cerco -.
­- Può darsi, ma Byleistr, seriamente, non vai d’accordo nemmeno con un gattino Midgardiano, come pensi di poter controllare uno Skepna? -, chiese il fratello, decisamente preoccupato. Non sottovalutava le capacità fisiche di Byleistr, anzi, ma uno Skepna era pur sempre uno Skepna e non capiva come mai il minore avesse accettato quella stupida sfida. Insomma, solo i Giganti molto stupidi o molto sicuri di sé provavano a domare uno di quei bestioni. Specie se si trattava di esemplari adulti..


- Devo comunque provarci -, mormorò Byleistr.
Accettare una sfida del genere da quegli idioti degli scagnozzi di Laufey era stato stupido, lo sapeva.
Era stato un maledetto momento di debolezza.
Un momento di debolezza in cui non è riuscito a sopportare le loro battute, che lo avevano portato a un’esasperazione e una frustrazione tale da farlo agire in quel modo.

Che stupido, pensava Byleistr stesso, sconsolato. Ma non poteva rimangiarsi la parola, o sarebbe stato anche peggio. Avrebbe solo confermato alcune delle voci che giravano a palazzo su di lui.
Non voleva essere un debole.. eppure lo era.
 



Continuò quindi a camminare, seguito dal fratello, che quel giorno aveva deciso di essere la voce della ragione. Il suo tono petulante gli martellava il cervello in maniera fastidiosa. Come coscienza era davvero pessimo, Helblindi. Sapeva perfettamente di stare facendo una cosa stupida, ma non c’era gran che da fare!

 
Arrivati al limite della Jarnvidr Helblindi aveva smesso di parlargli, ormai arresosi. Tuttavia era ancora con lui. Il secondogenito lo guardò. - Meglio se te ne vai.. -, disse, mormorando.
Helblindi scosse la testa. – Non ti lascio solo contro un intero branco di Skepna.. -, disse, testardo.
Byleistr desiderò che fosse così ragionevole sempre, e non solo nelle situazioni relativamente più semplici.
 
Si inoltrarono nella foresta, camminando in mezzo agli alberi con cautela, diretti verso la zona dove ben sapevano quegli animali amavano pascolare. Peccato fossero animali onnivori.
Carne e piante? Nessuna differenza per loro. Tanto andava tutto nello stomaco no?
Anche se la prima era decisamente più sostanziosa.
 


 
Poi li videro.

Un gruppo di circa dodici, enormi animali dalla pelle azzurra e gli occhi rossi si stava nutrendo di un compagno morto probabilmente per cause naturali. Alcuni pensavano che gli Skepna non fossero cannibali per natura, ma che le condizioni sempre più critiche di quel mondo di brina li portassero a non fare troppo gli schizzinosi quando si trattava di cibo.

Zampe tozze, coda lunga e piena di escrescenze ossee a punta, zanne affilate, tra cui un paio che usciva fuori dalla bocca come due corna mortali. Dai muscoli grossi e l’altezza spropositata – erano alti tanto quanto i cavalli più grossi lo sono proporzionalmente agli umani. Solo in dimensioni Jotun.

Beh, i parenti degli Skepna erano anche peggio, sebbene ormai quasi estinti: i Jagare.
Grossi il doppio e aggressivi dieci volte tanto. Ma gli esemplari ancora vivi erano stati tutti ibernati dai Giganti di Ghiaccio. Ce ne era uno proprio a Utgarda, guarda caso: congelato contro una delle pareti del palazzo reale in modo che lo vedessero tutti. Un vanto della famiglia reale.. oppure un avvertimento?
 
Nemmeno Laufey era così pazzo da risvegliarlo senza un buon motivo.
Byleistr non ci aveva mai neppure pensato.
 
Quelle erano creature troppo distruttive per essere lasciate a piede libero.
 
L’ultima volta che esseri simili erano stati liberati?
La Grande Guerra, ovviamente.
Anche se fu una mossa inutile, visto che Odino li aveva comunque sconfitti.
Come in futuro avrebbe fatto qualcun altro con un’arma potente tanto quanto Gugnir..
 
 
I due giovani si nascosero dietro alcuni cespugli, osservandoli.
Gli animali non sembravano aver fatto caso ai due. Ma visto che avevano un ottimo olfatto, presto o tardi li avrebbero individuati, non ci si doveva illudere del contrario.
 
- Con quale hai intenzione di provare? -, bisbigliò Helblindi, spiando il branco attraverso le foglie.
Byleistr li osservò attentamente, ogni tanto levando la testa sopra il cespuglio. Senza farsi notare troppo.
 
- Quello lì -, rispose piano, indicando uno degli esemplari. Uno Skepna di statura media. Non troppo grosso da rendere il tutto ancora più difficile, e nemmeno troppo piccolo per essere bollato come coniglio.
 
Suo padre ne aveva uno mastodontico. Non lo portava spesso, però quando lo faceva, beh, era impossibile non notarlo. Se avesse saputo di quella scommessa, probabilmente lo avrebbe costretto a scegliere il più grosso. Anche senza maltrattarlo fisicamente, sarebbe bastata qualche battuta di scherno a convincerlo.
 
 
Helblindi lo osservò. – Non credo che sia una buona idea.. -.
- Me lo hai già detto, fratello. Non essere ripetitivo -, sbuffò il minore.
Il maggiore scosse la testa. – Non è questo. Mi riferisco allo Skepna: sembra molto.. sulle sue, ecco. E’ più isolato rispetto agli altri -, mormorò, osservandolo. Gli Skepna in fondo si muovevano in branco.
Erano i Jagare i cacciatori solitari.
Byleistr scrollò le spalle. – Forse è quello di guardia, oppure è vecchio o malato -.
Helblindi continuava a fissare l’animale. – O forse è quello più aggressivo.. Byleistr aspettami! Dammi retta un secondo! -, affermò Helblindi, per quanto si sforzasse di non urlare. Ma il fratello era già lontano.
 
Byleistr, mentre l’altro cercava di richiamarlo, faceva il giro largo del luogo, con un pugnale di ghiaccio in mano. Non sarebbe mai riuscito a evocarne abbastanza per una spada o una mazza, lo sapeva. Non sul suo corpo, almeno. Il suo corpo tendeva a mandare gli impulsi in grado di spezzare il ghiaccio.
Ma poteva accontentarsi.
 
 
 
Ponderò bene la situazione. Gli Skepna erano animali grossi e feroci, ma, se colti di sorpresa, tendevano a scappare come impazziti da tutte le parti, senza una logica precisa, calpestando tutto quello che c’era intorno a loro. Era una delle tante ragioni per cui quasi nessuno tendeva a dar loro la caccia da solo. O in due.
 
Così a Byleistr venne un’idea.
 
Si riparò dietro un tronco, iniziando ad arrampicarsi. Le escrescenze ossee della mano, ancora in crescita, gli facevano male e già gli impedivano di aprire completamente le dita, ma resistette.
Si fermò solo a una certa altezza, seduto in un grosso ramo che sembrava reggere il suo peso senza problemi. Del resto in quella parte della Jarnvidr gli alberi erano molto grandi. Antichi di generazioni.
 
Con la coda dell’occhio, Byleistr vide un falco fissarlo con una strana perplessità. Una delle ali aveva qualcosa di strano: si intravedeva, tra le piume, una cicatrice vecchia ma ancora visibile.
Alzò gli occhi al cielo. – Helblindi, se sei troppo incapace per stare in forma bipede sopra un albero, abbi almeno la decenza di non fissarmi così -, esclamò.
L’uccello guardò il giovane con aria stizzita. Poi beccò Byleistr sull’avambraccio. Lui lo scacciò con una mano.
- E smettila di fare il bambino -, affermò, ignorando la piccola macchia di sangue dell’arto superiore.
 
Una cosa che, per fortuna, non era stata intaccata troppo dalle creste sulle dita era la mira.
Non eccellente, ma buona quanto bastava.
 
Lanciò il pugnale di ghiaccio con forza, colpendo il fianco di uno degli animali, che ringhiò di dolore.
Subito dopo un secondo, diretto verso la schiena di un vicino. I bestioni si agitarono ulteriormente.
Un terzo, e tutto il branco cominciò a correre via da ogni parte.
 
Una piccola daga di ghiaccio non sarebbe mai stata sufficiente a uccidere uno Skepna.
Ma poteva essere un buon diversivo.
 
La bestia che aveva scelto fu una delle ultime a cercare di lasciare la radura. Annusava l’aria intorno a lui come se cercasse di individuare nemici. Era proprio sopra l’albero in cui Byleistr si nascondeva.
Ragion per cui ne approfittò, saltando sopra di esso e infilzando un altro pugnale per aggrapparsi meglio.
 
Ovviamente, lo Skepna si imbizzarrì subito, agitandosi con forza pur di scrollarsi Byleistri di dosso.
Helblindi volò piano fino al terreno nevoso, ritornando alla sua forma originale e osservando la scena.
Non sapeva perché, ma in quei giorni si sentiva un po’… un po’ strano.
 
Qualche volta non riusciva neppure a trasformarsi bene. Non nei suoi tempi normali, ecco. Più lentamente.
E questo, per lui, era decisamente strano.
 
Tuttavia i suoi pensieri ritornarono ben presto alla battaglia del fratello.
Se la stava cavando piuttosto male.
 
Helblindi si mise una mano sulla bocca. – Byleistr! -, urlò.
 
 
 
In una frazione di pochi secondi, infatti, divenne molto chiaro chi, fra i due avversari, avrebbe vinto lo scontro.





 

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Capitolo 5
*** Skepna - parte 2 ***



 
Note autrice: 
E rieccoci qua.. stavolta con tempi di aggiornamento vagamente meno indecenti.. Comunque sia, vorrei chiedere (a coloro che hanno ancora voglia di seguirmi) una piccola cosuccia: per caso avete notato dei 'peggioramenti' nei capitoli? Tempi di attesa a parte, il mio stile è sempre lo stesso o vi pare che io stia facendo un passo indietro? Perché è già da un po' che ho questa impressione.. spero solo sia lo stress xP in ogni caso, al di là di questo, ringrazio infinitamente quelli che continuano a seguire questa piccola storia, nonostante i miei inciampi :)
Alla prossima! Spero che il capitolo vi piaccia.

Madama Pigna














Il giovane secondogenito si trovava proprio sopra la groppa dell’animale, cercando di reggersi a esso senza essere disarcionato. Sfortunatamente, come Helblindi avrebbe potuto testimoniare in seguito, non ci riuscì: lo Skepna si agitava abbastanza da metterlo in seria difficoltà.
 
Finché, tra una scrollata e l’altra, Byleistr non volò lontano dall’animale, casualmente verso il fratello, che si abbassò appena in tempo per evitare che letteralmente gli piombasse addosso.
E per fortuna. Ancora non si era reso conto delle sue.. condizioni.
 
Il più piccolo sentì la schiena urtare contro la corteccia ruvida di un albero. Gemette, per poi cadere subito dopo a faccia in giù, tra le radici della pianta.
 
Non riuscì nemmeno a pensare di aver fatto una delle sue stupidaggini più grosse. L’unica cosa che era in grado di sentire non era il suono dei suoi pensieri, ma il dolore della colonna vertebrale che lo immobilizzava.
 
La bestia scrollò le spalle grosse, un movimento simile a quello di un gatto che si prepara a balzare.
 
Ma Helblindi si mise in mezzo ai due. Il suo volto era divenuto di pietra.
- Non osare avvicinarti! -, disse duro, stringendo i pugni. Anche se un po’ spaventato lo era, ammettiamolo.
 
E lo Skepna, miracolosamente, si fermò.
 
 
 
 
 
 
 
Circa una decina di minuti dopo – durante i quali Byleistr non sapeva dire esattamente quanto fosse stato cosciente – il Principe aprì gli occhi leggermente, trovando la sua vista coperta da un manto di neve e dall’albero con cui si era scontrato. Lentamente posò i palmi a terra, facendo forza sui muscoli per alzarsi faticosamente. Ebbe un lieve giramento. Forse aveva sbattuto la testa.
Si stropicciò una mano sugli occhi, non ricordandosi subito dello Skepna contro cui lottava poco prima.
Udì una risata. La risata di suo fratello. Stupito, si voltò.
 
E quel che vide lo fece semplicemente ammutolire.
 
 
A qualche metro da lui, Helblindi stava accarezzando il musone dell’animale, con uno stranissimo sorriso.
Lo Skepna, per tutta risposta, ogni tanto gli leccava la mano, apparentemente senza alcuna intenzione di mangiargliela. Anzi, addirittura la sua lingua bavosa andò ad ‘accarezzare’ anche la faccia del primogenito. Che per fortuna non rimase indifferente a quel gesto di affetto.
- Bleah! Che schifo, Geri! -, esclamò, cercando di pulirsi la faccia.
 
 
Lentamente, con le sopracciglia pericolosamente aggrottate, il fratello maggiore camminò verso di loro.
- Geri? Ha anche un nome ora, questa stupida bestia?! -.
 
 
L’atteggiamento dello Skepna cambiò all’istante. Si scostò dal mago, mettendosi di fronte allo Jotun.
Un ringhio. Gli occhi rossi scintillavano di rabbia con la luce riflessa della neve.
 
 
La mano di Byleistr si armò di pugnale. Bravo, vieni qui, maledetto bestione!, pensò.
- NO! Geri, stai fermo! Non gli dare retta… - disse Helblindi, ponendosi in mezzo ai due. Il mago accarezzò il muso dello Skepna. Cosa ci trovasse, poi, considerando che quelli non erano animali esattamente belli a vedersi, Byleistr proprio non lo capiva. - …Mio fratello ha un brutto carattere. E’ molto scorbutico, soprattutto con gli estranei – continuò. Il più giovane lo guardò come se fosse un cretino.
Stava parlando di lui come si parla di un bambino!
 
In ogni caso l’animale si calmò.
- Visto? Non erano necessarie le tue maniere forti -, disse Helblindi, con tono di rimprovero. Poi, senza rendersi conto di star rigirando il coltello nella piaga, aggiunse sarcastico: - Sai una cosa, voi due vi somigliate molto! Avete proprio un bel caratterino docile -. E mentre lo diceva continuava ad accarezzare Geri.
 
Byleistr, che alla prima affermazione gli si era irrigidita la mascella, alla seconda ringhiò.
Gettò la daga per terra, in mezzo alla neve e, colto da un’ira improvvisa, diede di spalle al fratello e se ne andò, furioso, già immaginando le battute di scherno che avrebbe ricevuto tornando a Utgarda.
 


Strinse i pugni. Questa non era la peggiore delle umiliazioni subite.
Eppure bruciava, bruciava molto.
Anche le sue lacrime solitarie sembravano ardere come fuoco sulle sue guance, chissà come mai.

 
Perché non riusciva mai a farne una, almeno una giusta?
 
 
 
 
 
*****************************
 
 
 
 
 
- Non. Ti. Muovere -, mormorò. L’animale non li aveva ancora notati.
Ancora per poco, se conosceva bene quel tipo di creature.
 


 
Thìalfi, ignaro di quella presenza, cercò di alzarsi faticosamente facendo leva sul ginocchio.
Si appoggiò a un albero, in piedi su una gamba sola. Poi gemette, facendo una smorfia.
Forse non lo aveva nemmeno sentito.
 

Fu allora che lo Skepna, che forse si stava già allontanando, voltò la testa.
Anche da quella distanza Byleistr sentì uno sbuffo minaccioso, presto seguito da una condensa nebbiosa dalle narici. Gli occhietti aggressivi puntarono subito i due, rimanendo a fissarli per alcuni secondi.
 
Poi la bestia emise un terribile ringhio, quasi un ruggito, scoprendo tutte le zanne.
Si girò. Poi caricò verso di loro, correndo con le sue tozze ma forti quattro zampe.
 
A quel punto anche Thìalfi, più pallido del ghiaccio, si era accorto di lui. Ed era immobilizzato dalla paura.
La bestia si avvicinava sempre più velocemente, tagliando metro dopo metro, con quella sua andatura mostruosa e nonostante questo al tempo stesso scattante.
Pochi secondi e avrebbe preso Thialfì.
 
Tre secondi. Il nano non si muoveva.
Due. Il nano aveva smesso di respirare.
Uno. Il nano pensò di stare per morire.
 
 
 
Byleistr fece invece quella che sarebbe poi diventata un’abitudine: gli salvò la vita.
 
Il Principe corse verso Thìalfi, spingendolo via appena in tempo. – Attento! -.
I due rotolarono in mezzo alla neve, separandosi.
L’animale non li aveva presi per un soffio. Così, per inerzia, aveva continuato a procedere, abbastanza velocemente, anzi forse troppo, tanto da non riuscire a non scansare un abete. Si udì un tonfo sordo, come di qualcosa di grosso che sbatte con qualcosa di ancora più grosso, poi un altro verso animalesco.
Lo Skepna aveva sbattuto il testone contro l’albero, che aveva riversato tutta la sua neve su di lui, scuotendo forte i rami. Nel frattempo il Principe aveva aiutato Thìalfi a rialzarsi.
 
- Stai bene? -, chiese, sinceramente preoccupato.
L’altro Jotun si fermò a guardarlo con sincera incredulità.
- Sì, sto bene.. credo -, rispose. Caviglia a parte, ovviamente.
Byleistr diede un’occhiata alle sue spalle. - Allontaniamoci da qui. Ho paura che quell’animale non mollerà tanto facilmente -, disse.
- Ma in non posso cammina.. Ehi! Che stai facendo?! -.
- Ti salvo la pelle -, rispose il Principe.
 
Difatti aveva appena sollevato il nato, portandoselo sopra la spalla come un sacco, per poi iniziare a correre. Strinse i denti. La bruciatura faceva male. Ma doveva ignorare quel dolore. Come sempre.
 
 
Thìalfi, sebbene quasi a testa in giù, cercò di alzare la testa, cercando lo Skepna con lo sguardo.
Vedeva passare gli alberi accanto a sé, per poi rimpicciolirsi sempre più velocemente.
Sbarrò gli occhi.
- Ci sta raggiungendo! -, urlò.
 
 
L’enorme bestia, con la sua andatura pesante, era estremamente veloce per la sua stazza.
 
In fondo era pur vero che Byleistr aveva dei limiti.
E ne era ben consapevole.
 
In condizioni normali avrebbe anche potuto seminarlo ma.. ma era ferito, era stanco, e aveva un nano sulle spalle. Per quanto si sforzasse, davvero, non riusciva ad andare più veloce.
 
 
 
Quando l’animale fu sul punto di raggiungerli, il Gigante si fermò all’improvviso, per poi scostarsi.
Il trucco ripetuto funzionò solo in parte: Thìalfi era stato gettato su un mucchio di neve un istante prima, per cui era semi incolume. Byleistr non si spostò abbastanza velocemente e una delle lunghe escrescenze dello Skepna – la destra -, lo atterrò, dandogli un colpo al fianco allo stomaco che gli mozzò il fiato.
 
 
 
Byleistr restò lì, per alcuni secondi (alcuni secondi di troppo, pensava lui) immobilizzato.
Una parte di lui si chiese se non fosse troppo debole per fare quel genere di cose.
 
Cercò di ignorare quella vocina, alzandosi da terra.
Mise una mano sul torace. Sperò solo di non avere qualche costola rotta.
Aggrottò le ciglia abbassando gli occhi. La sua mano era sporca di sangue.
Fece finta di non vederla.
Guardò in direzione del bestione e di Thìalfi. Il piccolo Gigante dai capelli bianchi aveva cercato di scappare dalla bestia, ma inutilmente. Era appena caduto per terra alla base di un albero, fissando con terrore l’animale. Pensando, probabilmente, di stare per diventare la sua cena.
 
 
 
 
- FERMO! -, urlò il Principe rivolto allo Skepna. Poi, non seppe bene il perché, aggiunse qualcos’altro.
– TE LO ORDINO! -.
 
La bestia ruotò il corto collo, voltando la grossa testona verso di lui. Fissandolo per pochi istanti.
Bastò anche meno perché balzasse verso di lui, quasi investendolo in pieno.
Byleistr arretrò di un passo appena. Non avrebbe potuto retrocedere oltre comunque, visto che la sua schiena andò a sbattere contro la corteccia di un albero.
 
..Dannazione, pensò. Se anche avesse voluto muoversi di un metro, le zanne prominenti dello Skepna lo avrebbero ucciso subito. Decise tuttavia di mantenere la calma.
 
Quelle dannate bestie fiutavano molto bene la paura.
Anche se forse in quel caso quell’esemplare in particolare sarebbe stato distratto dal sangue.
Che cosa incoraggiante.
 
Con cautela, appoggiò le braccia al tronco, senza dar cenno di voler attaccare, fissando negli occhi color fuoco l’animale. Un animale che lo guardava con rabbia, quasi non fosse Thìalfi il suo obiettivo originale..
 
 
Ma in effetti quello Skepna aveva un’aria.. familiare. Molto familiare, stranamente.
 
Era.. era lo stesso che aveva incontrato mesi fa.
Poco prima che Helblindi scoprisse la sua gravidanza.
 
 
Forse rendersene conto aiutò a fissarlo negli occhi senza cedere.
Rosso contro rosso, sebbene con sfumature assai diverse.
I due si fissarono a lungo, in quella vera e propria battaglia di sguardi.
Immobili, ma pronti a scattare se fosse stato necessario.
La ferita non era grave, ma continuava a sanguinare.
 
 
Alla fine, Geri sbuffò, voltandosi.
 
Si allontanò dal luogo nevoso, quasi avesse perso la voglia o l’appetito per attaccarlo.
 
 
Byleistr era allibito. Di sicuro non se lo aspettava.
Ma aveva la sensazione che non sarebbe stato il suo ultimo incontro con quello Skepna.
 
 
 
 
 
Tuttavia dopo poco non ci pensò più.
Erano arrivati alcuni ‘amici’ ribelli di Thìalfi. Non tutti esattamente nani gracili come lui.
Probabilmente, aver salvato la vita al piccoletto aveva significato salvare la vita a se stesso.
Nascosti agli occhi di tutti, quei Giganti di Ghiaccio avevano visto tutto.

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Capitolo 6
*** Patto col diavolo ***



 
Note autrice: 
Sfortunatamente per voi, dovrete aspettare ancora qualche giorno per avere un po’ di azione xD
In ogni caso vi do’, oltre che una parte sostanzialmente di passaggio, anche un piccolo indizio su quello che succederà dai prossimi capitoli in poi, cari lettori/lettrici ;D 
ps: scusate se il capitolo è un po' corto, ma ho deciso di tagliare alcune parti che non erano granché ^^'
pps: nella parte finale del capitolo c'è una scena leggermente splatter, siete avvisati xD
 



 
Alcuni anni dopo…


Erano passati circa dieci anni da allora.
Non era stato affatto facile, all’inizio, guadagnarsi il rispetto (ma soprattutto la fiducia) degli altri Giganti ma, vuoi gli sforzi, vuoi la fortuna e il sostegno di Thìalfi (che aveva completamente cambiato idea su di lui), alla fine era riuscito a ottenere l’aiuto di parte della popolazione.
E non dimentichiamoci la raccomandazione di Mimìr nei suoi confronti davanti a quei ribelli di alcuni anni prima, fatta poco prima di sgretolarsi e ritornare definitivamente nel mondo dei morti.
 
 
 
Byleistr era diventato, a tutti gli effetti, un ribelle.
Anzi. Il capo dei ribelli.
 
Fu molto strano abituarcisi. Certo, era capitato più volte che qualcuno avesse messo in discussione la sua autorità (e in quelle occasioni lui aveva dovuto agire di conseguenza dimostrando di meritarsi la sua posizione), ma generalmente il modo in cui tutti lo trattavano era... radicalmente cambiato.
 
Nessuno lo ricattava o maltrattava, nessuno calpestava la sua dignità come se fosse stato il passatempo più divertente del mondo. Anzi, quasi tutti gli Jotun che lo circondavano guardavano a lui come a una... una figura di riferimento. Come qualcuno di cui potersi fidare senza alcuna remora, ecco.
 
Non che questo lo tirasse su di morale. Aveva seguito molto bene i consigli di Mimìr, forse troppo bene.
Era troppo occupato a migliorare le condizioni della sua gente per pensare a se stesso.
 
 
In quel momento, stava rientrando dalla caccia con un altro Jotun, un ex soldato più o meno suo coetaneo, di nome Thrim. Non c’era una particolare confidenza tra loro – per tutti Byleistr era il guerriero dall’indole solitaria, e a lui non dispiaceva che la pensassero così -, ma era uno di quelli per cui serbava (relativamente) più fiducia. E soprattutto era molto meno chiacchierone di Thìalfi.
 
Entrambi portavano due prede morte sulle spalle, non esageratamente pesanti.
Avevano anche due bisacce per erbe e funghi colti dal bosco. Del resto, Byleistr si era sempre categoricamente rifiutato di delegare queste attività forse un po’ umili per il suo rango.
Ma dal momento che di quel genere di cose se ne infischiava, la gente si era abituata a quelle stranezze.
 
 
- Credete che gli altri abbiano già finito, Principe? – domandò Thrim, guardando in direzione del campo, ancora troppo lontano per essere visto in mezzo agli alberi però.
Si riferiva alla costruzione di una piccola torretta di osservazione, mimetizzata fra gli alberi.
Era una peculiarità degli Jotun l’abilità di mimetizzarsi con il paesaggio e quei Giganti non erano da meno. Poiché avevano stabilito quella zona come base principale della resistenza, infatti, avevano anche costruito dei rifugi sopra gli alberi, non troppo visibili da terra.
Ci voleva, anzi, un occhio molto attento per coglierle.
 
- Probabile, se non ci sono stati imprevisti. E comunque ti ho già detto mille volte che puoi chiamarmi per nome, Thrim -, rispose Byleistr. Non si era ancora abituato al modo… quasi servile con cui gli altri avevano iniziato a trattarlo. Non gli piaceva per niente. E soprattutto non gli piaceva che si riferissero a lui con il ‘voi’ o che lo chiamassero ‘Principe’. Gli sembrava quasi una presa in giro, dopo anni di maltrattamenti subiti. Lui si chiamava Byleistr, punto e basta.
Il ‘voi’ preferiva gettarlo in pasto a qualche futuro remoto. Forse rimandarlo a quando sarebbe diventato Re. Se sarebbe vissuto abbastanza a lungo da diventarlo, per intenderci.
Tra un’attività bellica e l’altra, pur essendo l’unico erede al trono, poteva succedere qualunque cosa.
Tutti gli Jotun sapevano che solo i membri della stirpe di Ymìr potevano usare il Cuore di Jotunheim (noto anche come Scrigno degli Antichi Inverni), e proprio per questo nemmeno la maggior parte degli alleati di Laufey avrebbe mai osato ammazzarlo volontariamente. Almeno ufficialmente. Lo Scrigno era in mano agli Asir da secoli, ormai, e molti avevano perso la speranza di vederlo ritornare nella propria terra di origine.
 
Perciò Byleistr non era troppo sicuro di poter contare su questa sorta di ‘copertura’.
Ragion per cui non abbassava mai la guardia, come in quel momento.
 
 
Conoscendo suo padre (o madre, come sarebbe stato chiamato se la loro non fosse stata una razza ermafrodita) non si sarebbe stupito se avesse mandato un sicario a ucciderlo, arrivati a quel punto.
 
 
 
 
 


 
Nel frattempo, ad Utgarda...
 
 



 
- SIETE DEGLI IMBECILLI! DEGLI INCAPACI INCOMPETENTI! -, tuonò Laufey, al limite dell’ira funesta.
Uno dei suoi luogotenenti si fece piccolo piccolo di fronte a lui, balbettando. – Mi-mio signore, vostro figlio ha usato una strategia ineccepibile contro i nostri Jotun.. i suoi soldati hanno una ferocia e una determinazione paurosa.. non potevamo fare niente per.. -, provò, ma l’occhiata piena di rabbia del Re lo zittì.
- Stai forse adulando quel ragazzino insolente? Stai forse mettendo in dubbio la forza del mio esercito? -, chiese il sovrano, con una luce folle nei suoi occhi. Si alzò dal trono, fulminando l’altro Gigante e avvicinandosi a lui. Che arretrò di un passo.
- Mio signore assolutamente no! -, si affrettò a rispondere.
- Non OSARE scappare da me, inetto! -.
- Mio signore perdonatemi io… -.
Lo Jotun non ebbe il tempo di continuare. Sì udì il rumore di ghiaccio crescente quando è evocato da Giganti, e tutti i presenti videro la testa del sottoposto rotolare giù, lontano dal corpo che gli era appartenuto.
Il servo del Re era stato ucciso in un battito di ciglia.


Nessuno aveva potuto fare niente, e, anche in caso contrario, nessuno avrebbe rischiato la propria vita per un altro, in quella stanza.
 
Schizzi di sangue sporcarono il pavimento azzurro, creando ben presto una larga pozza dove il liquido aveva potuto espandersi. Laufey, immobile, il cui ghiaccio tinto di rosso circondava ancora il suo braccio, si voltò, ritornato calmo, e tornò a sedersi. – Che la testa di questo incompetente vi ricordi che io non accetto errori -, disse.
- Infilzatela in una picca, per quello che mi riguarda. E portate il suo corpo fuori dalla mia vista -, sibilò.

I due soldati semplici lì presenti obbedirono all’istante, forse perché molto spaventati o forse perché molto avvezzi ai modi di fare del sovrano. Il resto dei Giganti stette in silenzio, immobile. In attesa di ordini.
 



Nel frattempo, Laufey pensava.
Quel traditore stava diventando un problema molto più grave di quanto si aspettasse.
Aveva cercato di raddrizzarlo quando era bambino, ma evidentemente non ci era riuscito.
Il caro Byleistruccio aveva ereditato, in fondo in fondo, alcune sue caratteristiche, contrariamente a quantro pensava Laufey: era riuscito a fargli credere che si fosse del tutto piegato al tipo di condotta da lui intrapresa come Re. E come padre.
 



Anche la furbizia strategica, in effetti, non era poi così mediocre per un giovane della sua età.


Ma gli bruciava troppo ammetterlo.

Byleistr conosceva molto bene suo padre, e di conseguenza era capace di prevedere le sue mosse – e questo era un male. Perché Laufey, invece, nonostante conoscesse fin troppo il Byleistr adolescente e bambino, ed era capace di controllarlo, beh, tra la scomparsa di Helblindi e tutto il resto non era assolutamente in grado di capire al cento per cento le strategie usate dal Byleistr adulto.

Perché se il bambino aveva un fratello da proteggere, l’adulto non aveva più niente da perdere.
 
Fu come se un mantice avesse soffiato sul braciere della sua rabbia. I suoi occhi sembrarono scintillare.
E tuttavia non urlò. Anzi, parlò con un tono estremamente calmo.


 
Un brutto segno. E lo capirono tutti.
- Portatemi la meticcia -, ordinò, fissando il vuoto.

Alcuni lo fissarono perplessi. – Mio signore, la prigioniera che..? -, proferì uno di loro.
- SI’, razza di IDIOTA. E se non vuoi finire come quell’altro ti conviene portarla SUBITO qui. Non sono stato abbastanza chiaro, prima? -, replicò il Re, che distrattamente passava la mancina sopra il braccio armato, affilando con i suoi poteri quella pericolosa lama di ghiaccio. Lo Jotun deglutì, per poi inchinarsi e camminare frettolosamente fuori dalla sala.
– Subito, maestà -.
 
 
Idioti. Sono circondato da degli idioti.
Al suo fianco, Skrymìr nascondeva un ghigno di soddisfazione nel vedere l’apparente inefficienza degli altri servi del Re. Soltanto lui sembrava non essere un completo incompetente.
Ragion per cui preferiva tenerselo stretto.
 
 
Strinse le labbra.
Arrivare a usare una schifosa mezzosangue per incastrare suo figlio… Umiliante.
 
Ma il fine giustificava i mezzi, no?
Anche se i mezzi erano scarti di cui liberarsi al più presto.
Per quello doveva aspettare. Aveva una lista delle priorità estremamente precisa, il Re.
Prima doveva riportare quel traditore di suo figlio a Utgarda, e decidere cosa farne (anche se aveva già un’idea in merito), poi avrebbe pensato al suo passatempo preferito: vedere gli scarti crepare.
 
 



Aspettò solo pochi minuti prima che i suoi servitori arrivassero con prigioniera al seguito.
Il figlio di Hela ghignò, guardando delle iridi verde chiaro fissarlo con odio.
- Ho una proposta da farti, ragazzina... se tu, ovviamente, sei disposta ad ascoltarla -.
 
 




Sfortunatamente, la ragazzina non solo la ascoltò.

La accettò.






 

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Capitolo 7
*** Bambini ***



 
Note autrice: 
E rieccoci! *_* mi piace molto scrivere dei tre fratelli, e ho ancora tante fic nel cassetto... perciò mi stavo chiedendo: dopo questa raccolta di Missing Moments pensavo di farne una simile su Helblindi, e forse lascerei in giro qualche oneshot qua e là... Vorreste essere avvisati? Oppure siete già stufi di questa serie? xD a voi la scelta! Spero che il capitolo vi piaccia! Auguri e buon 2015 dalla vostra Madama Pigna ^^

p.s: sto sistemando un vecchio schizzo per darvi un'idea su come immagino le regioni di Jotunheim, spero di finire abbastanza presto per poterlo postare ;)
p.p.s: la maggior parte delle informazioni su Jotunheim è anche frutto di alcune ricerche, ma la rielaborazione è mia. Mia. Considerando che ho sudato per creare contesti, trame, OC ecc. gradirei, se qualcuno volesse prendere ispirazione e/o ambientare le proprie storie in ambienti simili, essere contattata per discuterne, grazie.
Ovviamente questo vale anche per altro tipo di materiale, come le immagini da me realizzate (vedi sopra).



 
 
 




 
*********************
 





Si accovacciò sul suo letto, appoggiando il fianco sinistro sul materasso.
Il suo viso era rivolto verso il muro. La schiena verso la porta.
No, non piangeva. Da tempo ormai aveva imparato a gestire il dolore delle frustate.
 
Con l’amara naturalezza di chi cura da solo le proprie ferite, si era fasciato il busto, le spalle sfregiate e lacerate, si era infilato una casacca vecchia ma pulita e se ne era andato a dormire, finalmente.
 
Le lenzuola, come anche il letto, erano corte. Se le alzava fino alle spalle i piedi erano scoperti, viceversa per tenere calde quelle estremità del corpo parte della sua schiena rimaneva coperta solo dai vestiti.
Per risolvere il problema si piegava su se stesso, cercando di non disperdere il calore del suo corpo.
 
 
Era sera tardi.
Nemmeno le stelle s’intravedevano dalla sua piccola finestra.
La notte era farcita di nuvole a renderla ancora più nera.
 
A Byleistr non era mai piaciuta, anche se era l’unica occasione in cui poteva fermarsi a respirare.
Per molti quella era l’ora del riposo, per lui il momento in cui i pensieri relegati in un angolino della sua testa durante la giornata si liberavano dalle loro catene, pronti a tormentarlo.
Non conosceva la pace. Dubitava che l’avrebbe mai avuta.
 
Non poter vedere neanche gli astri del cielo rendeva il suo animo solo più inquieto.
 
Chiuse gli occhi. Magari poteva fingere che le stelle fossero visibili, solo che non poteva vederle perché teneva gli occhi chiusi cercando di dormire. Le ali della sua fantasia, però, erano state lacerate da anni. Difficilmente riusciva a illudere se stesso su qualcosa, anche la più piccola e insignificante.
 
 
 
Improvvisamente sentì bussare, e si alzò di scatto.
Se si fosse trattato di Laufey sarebbe stato meglio non farlo aspettare…
 
Udì ancora bussare, stavolta un po’ più forte.
- Byleistr, apri! Sono io! -, bisbigliò Helblindi, e il fratello percepì una strana urgenza nella sua voce.
Pareva tremante.
 
Fece appena in tempo ad aprire, perché subito dopo il giovane mago gli gettò le braccia al collo piangendo. Byleistr per un istante s’irrigidì, per ben tre motivi diversi: il modo in cui Helblindi era venuto a contatto con le sue ferite, il fatto che lui fosse sempre estremamente restio a quel genere di gesti, e infine la domanda che premeva nella sua mente. – Che… che cosa è successo, Helblindi? -, chiese, preoccupato.
 
Suo fratello singhiozzava mentre gli rispondeva.
- A-avevi ragione… mi-mi dispiace… Skrimìr mi ha sempre mentito… l’ho sentito parlare con Laufey… Lui non lo vorrà mai… p-proverà a ucciderlo! -. Parlava in modo sconnesso, e il più giovane non poteva dire di essere riuscito a capire tutto.
 
- Aspetta Helblindi -, Byleistr si staccò delicatamente dal fratello, avviandosi a chiudere la porta.
Non prima di essersi affacciato sul corridoio per capire se c’era qualcuno nelle vicinanze.
 
Chiuse la porta, prendendo Helblindi per mano e conducendolo sul letto.
- Siediti -, disse, secco ma dentro di sé seriamente inquieto. Lo guardò negli occhi. – Spiegati meglio -.
 
 
Helblindi tirò su col naso, senza smettere di piangere. – Guardami, Byleistr -.
Lo Jotun si accigliò. – Lo sto già facendo -, rispose, confuso.
Il più grande scosse la testa. – No, intendo dire guardami qui -, replicò. Afferrò la mano del fratello, portandola verso il suo ventre e appoggiandola su di esso, nonostante fosse dura e spigolosa.
- Mio figlio. Negli ultimi due mesi è cresciuto pochissimo. Prima non capivo il perché ma ora... sì -, disse, fissandolo con occhi lucidi. – Il mio bambino è un nano -, affermò, spaventato come mai prima di allora.
- Se qualcuno lo venisse a sapere… Lo ucciderebbero subito! E io non so cosa fare Byleistr! -, continuò, riprendendo a singhiozzare, coprendosi il volto bagnato di lacrime con le mani.
 
Il Gigante di Ghiaccio era pietrificato.
L’unica cosa ferma nella sua mente, ora in un vortice di pensieri confusi, era l’immagine di Laufey che in un modo o in un altro costringeva il fratello all’aborto. Anche tramite il suo omicidio se necessario.
 
Si riscosse solo vedendo il fratello in quelle condizioni.
Facendo attenzione a un pancione che non era realmente tale strinse l’altro contro di sé, lasciando che si appoggiasse al suo petto bagnandogli il tessuto della maglia.
 
- Troveremo una soluzione, Helblindi. La troveremo. Te lo giuro, farò il possibile per salvare entrambi -.
 
Ma se il suo cuore desiderava ardentemente mantenere quella promessa, la sua testa gli diceva che il possibile forse non sarebbe stato abbastanza.
 
Helblindi avrebbe retto il suo fallimento?
Byleistr non ne era molto sicuro.
 















 
Dentro il suo piccolo rifugio nella Jarnvidr, il Principe si svegliò all’improvviso, alzandosi di scatto, accaldato.
Ansimava, e gli ci vollero alcuni secondi per rendersi conto di dove era e perché si trovava lì, piuttosto che nella sua squallida stanzetta nel palazzo reale di Utgarda.
 
Si passò una mano sulla fronte, dove un po’ di brina occupava il posto del sudore.
Quei ricordi influenzavano le sue azioni di giorno e tormentavano la sua mente di notte.
Inutile dire che di rado dormiva per cinque ore di fila. Al massimo riposava per tre o quattro ore solo perché spesso era troppo stanco per fare dei sogni... O forse era meglio dire incubi, nel suo caso.
 
Si guardò intorno, cercando di allontanare quei pensieri.
Una stanza con pareti e pavimenti lignei, molto semplice, pochi mobili e un giaciglio forse un po’ duro, dall’umile materasso imbottito di foglie e paglia, più qualche pelliccia (ma solo perché era pieno inverno. Anche gli Jotun avevano dei limiti).
 
Una pelliccia, appunto, copriva solo le gambe di Byleistr, poiché alzandosi il busto si era scoperto.
Istintivamente, guardò verso il basso, verso la cicatrice di quella bruciatura che l’aveva colpito sulle Catene di Mimìr. Copriva per buona parte l’interno della coscia destra, e anche dell’inguine.
Ragion per cui, al contrario di altri guerrieri Jotun, non seguiva la vecchia tradizione dei corti perizomi (che comunque trovava ridicoli), ma usava dei pantaloni neri, quasi sempre lunghi.
 
Non era esattamente il tipo da vantarsi dei propri sfregi (anche se ne aveva collezionato qualcuno negli anni, specie sulla schiena, e non c’era bisogno di dire cosa li avesse causati), soprattutto quelli che riguardavano certe zone non esattamente accessibili al pubblico.
 
 
Toccò il suo fianco destro, all’altezza dell’ombelico, lì dove la ferita provocatagli da Geri aveva lasciato una cicatrice bianco-azzurrina leggermente rialzata rispetto al resto della cute.
Un taglio leggermente irregolare che si inclinava scendendo verso il basso.
 
Non era il primo ricordo memorizzato dalla sua pelle, e di certo non sarebbe stato l’ultimo.
 
Sospirò, decidendo definitivamente di alzarsi dal letto.
Doveva lavarsi. E poi, la giornata era solo iniziata.
 
 
Si avvicinò quindi a un piccolo mobile, ove stava una bacinella.
Un gesto della mano, un po’ di concentrazione e l’oggetto si riempì di ghiaccio.
Aggrottò le sopracciglia, concentrato. Una delle poche espressioni facciali che gli capitava spesso di fare.
 
Il ghiaccio si sciolse nel giro di alcuni secondi, diventando acqua.
Acqua gelida, ma pur sempre acqua.
 
Si soffermò a osservare il liquido, e ciò che rifletteva.

La sua mano destra andò verso una ciocca nera, che mise davanti agli occhi.
 
Poi il suo sguardo andò verso la finestra. Era ancora molto presto.
Decise quindi che avrebbe fatto una breve passeggiata vicino alle rive del Vàn.
 
 
 



 
***********************



 
 
 
 
 
 
Per la seconda volta quel giorno Byleistr guardò il suo riflesso, chinandosi sull’acqua gelata e limpida.
Aveva un volto giovane, bello. Lineamenti perfetti, pelle senza imperfezioni (non in viso, almeno). I suoi segni dinastici risaltavano gli zigomi e le labbra sottili.  Gli occhi, color rubino, avevano una tale fissità da intimorire chiunque, e, lo Jotun non se ne rendeva conto, anche a incantare, dato il mistero che li avvolgeva. Nulla, se non il fisico scolpito o lo sguardo duro, faceva pensare a un guerriero o a un ribelle.
Anche gli altri Jotun, commentando il suo aspetto, dicevano solo che era bello. Bello e basta.


 
Ma al Principe cosa poteva importargliene? La sua bellezza che scopo poteva avere? Nessuno.
Non avrebbe risolto i problemi del suo mondo con la sua... avvenenza, e lo sapeva perfettamente.
E poi lui non riusciva nemmeno a vedersi piacente. Aveva una faccia come qualunque altra, punto.
Solo una cosa lo distingueva...
 

Forse è colpa dei capelli, pensò.

 
Era uso tra i membri della famiglia reale tenerli lunghi. Già i capelli erano rari, nel suo pianeta, figuriamoci i capelli neri, traccia inconfondibile della diretta discendenza di Ymir. Erano anche considerati un segno di bellezza, e, probabilmente, era soltanto quello ad attirare davvero l’attenzione.
 

Scostò un ciuffo ribelle dal viso. Alla fine lui non considerava i capelli di alcuna utilità. Davano fastidio quando erano sporchi o disordinati e per prendersene cura si perdeva solo tempo.
 
Laufey lo prendeva sempre per i capelli, prima di maltrattarlo. In particolare per quelli sopra la fronte, dove faceva più male.  Anche durante un combattimento qualcuno avrebbe potuto benissimo tirarglieli, lunghi com’erano. E questo certamente non sarebbe stato un vantaggio.
 



 
Nel suo pugno apparve un pugnale di ghiaccio.
Byleistr si mise in ginocchio, senza smettere di guardare il suo riflesso, e cominciò ad afferrare diverse delle sue ciocche corvine, cominciando a tagliarle in modo rude.
Taglio dopo taglio, la lunga chioma perse volume, mentre la forma della testa veniva resa più evidente ora che i capelli divenivano molto più corti. Quando finì, lasciò sciogliere l’arma.
 


Intorno a lui, sparse e abbandonate sul suolo nevoso, diverse ciocche, nere come invernali notti senza luna.

Così va un po’ meglio, pensò il giovane, sfiorando le escrescenze ossee della nuca che prima, in mezzo a tutti quei fili corvini, si vedevano poco o per niente. In quel modo aveva sicuramente un aspetto più consono alla sua posizione. Un Principe, sì, e un erede al trono; ma anche capo dei ribelli e guerriero a tempo pieno.
                                           









 
 
**********************









 
 
 
- Ti sei tagliato i capelli? -.
- Giudica tu stesso -.
- Ma… perché? -.
- Non erano utili -.
- A me piacevano i tuoi capelli -.
- E a me no. Thìalfi, dobbiamo davvero parlare della mia acconciatura o possiamo passare a faccende serie? Perché sai che detesto perdere tempo -, sbuffò Byleistr. La vanità non era nel suo carattere e comunque non amava ricevere complimenti. Non credendo di meritarseli, non li credeva mai del tutto sinceri.


 
Il nano incrociò le braccia, offeso. Poi decise di lasciar perdere. I pensieri del suo Principe erano sempre stati un mistero per chiunque, e capirli, anche se non amava ammetterlo, andava oltre le sue capacità. – D’accordo. Hai presente quella base militare al confine tra la Jarnvidr e Prymheim? -.
- Sì. Non era stata abbandonata due secoli fa? -.
- E’ vero, ma temo che la abbiano rimessa a nuovo -, rispose lo Jotun dai bianchi capelli, scuro in volto, consegnando a Byleistr una piccola pila di documenti. Resoconti di alcune spie, presumibilmente.
 

Il guerriero li prese tra le mani, cominciando a leggerli.
Più andava avanti con le righe di testo, più le sue labbra sembravano farsi sottili, le sue sopracciglia diventare un tutt’uno. In verità stava cercando di limitare il più possibile quel tipo di linguaggio del corpo, non amava che si carpissero informazioni da lui senza che dicesse una parola.

Forse con il tempo sarebbe stato più bravo in quel genere di cose.
 


 
Comunque sia, si trovavano in una grande stanza, con un tavolo dalle dimensioni idonee per far sedere quasi una decina di Giganti. In questo tavolo vi era una mappa di Jotunheim, con tutte le sue regioni: Utgarthia con la capitale Utgarda, la Foresta di Ferro, l’oceano Rànheim con l’isola Hlésey, Prymheim, le Catene di Mimìr, Grijòtuna e Geiròdargardar. Quasi tutte queste aree, quelle abitabili almeno, erano segnate da piccoli modellini di avamposti nemici, basi amiche, città e villaggi.
Era il luogo dove Byleistr e gli Jotun più fidati si riunivano per discutere le faccende più importanti.
 
 
 
Thìalfi si avvicinò. – E ci sarebbe anche un’altra cosa… mi hanno chiesto di intercedere perché tu accettassi di far vivere i figli di chi abita in questa base... beh, qui -.
 
 
 
 
Il Principe non interruppe il suo silenzio.
Almeno per un po’.
 
 
 
 
Poi, Byleistr si tenne la radice del naso tra le mani, sospirando. – Thìalfi, ne abbiamo già parlato. Io non voglio bambini in questa base. Possono stare negli altri rifugi, non mi oppongo ovviamente, ma non qui. Sarebbero un pericolo per tutti -.
- Ma molti Jotun hanno famiglia e sarebbero ben più felici se.. -.
- Proprio perché hanno famiglia devono capire che quello che chiedono è inconcepibile: non ospiterò dei mocciosi in un luogo pieno di ribelli attivi. Se questo posto fosse scoperto, rischierebbero la morte, e con loro i Giganti che li proteggono, e sai che parlo per esperienza. In ogni caso non lo considererei il posto più adatto dove crescere il proprio figlio. Non parliamone più, per favore -, rispose il Principe.
Il sottoposto annuì, capendo di non avere possibilità di prevalere in quel discorso.
 
Dopotutto era in torto. Lui stesso approvava il ragionamento del guerriero Jotun.
 
I due continuarono quindi a studiare le carte, in cerca della strategia migliore per attaccare una cava di pietra dove i nani, piuttosto che ucciderli, si preferivano come schiavi. Ovviamente era necessaria un’ulteriore documentazione, se non una visita del Principe stesso, visto che lui ‘non delegava mai nulla a nessuno’.
 
E poi, quella della schiavitù dei nani era sicuramente una faccenda abbastanza grave da attirare senza problemi l’attenzione di Byleistr e dei suoi seguaci.
 
 
 
Peccato che era proprio quello che si aspettava Skrìmir.





 

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Capitolo 8
*** Una trappola per principi ***



 
Note autrice: 
Miei dei... vi chiedo scusa, davvero, in questo periodo mi hanno affibbiato compiti talmente assurdi e stramaledettamente banali a scuola e quest'anno scolastico mi sta davvero logorando i nervi. Oggi ho avuto un 'congedo per malattia', diciamo così XP ho approfittato di questa giornata per scrivere gran parte del capitolo, spero sia vagamente decente... non posso dire che aggiornerò sempre con regolarità a questo punto, i miei esami si avvicinano e la tensione cresce. La storia è troppo importante per me da abbandonarla, e alcune cose saranno importanti anche per il sequel, per cui continuerò a scriverla, ma NON garantisco regolarità. Sto anche cercando di scrivere qualche originale e alcune oneshot missing moments sempre su questo filo di storie (anche perché alcune di voi avevano espresso il desiderio di vedere alcune scene non ancora trattate, e io volevo tanto soddisfarle).

Bando alle ciance, vi lascio al capitolo... Come sempre, per dubbi, domande, critiche ecc. non fate i timidi e chiedete :)
Alla prossima!
Madama Pigna
 













Si muovevano cauti, i ribelli.
Molto cauti.



Raramente attaccavano basi stabili – soprattutto quando erano territori fuori dalla Jarnvidr, anche se di poco -. Di solito era più sicuro tendere semplici agguati nei sentieri della Foresta di Ferro, la strada più breve per viaggiare tra le regioni Utghartia e Prymheim. L’unica alternativa era Geiròdargardar, la regione dell’estremo sud. Una prospettiva poco allettante, considerando che non era una terra molto accogliente, sebbene abitabile (sempre in relazione al clima di Jotunheim in generale).
Byleistr sapeva che la maggior parte dei soldati di Laufey non avrebbe mai intrapreso quella via senza un ordine diretto ed esplicito. Anche perché nessuno dei suoi tirapiedi (a eccezione di Skrymìr e pochi altri) era molto sveglio. Solo i più saggi preferivano evitare quella foresta ormai abitata da “briganti che attaccavano qualunque povero Gigante di Ghiaccio di passaggio” (O almeno, quella era la versione che Laufey cercava di far prevalere sulla verità. Ma la maggior parte degli Jotun non se la beveva).
 
Tuttavia nessuno, tra i ribelli, poteva accettare che altri Jotun (peraltro innocenti) vivessero in condizioni simili, e Byleistr non era diventato una sorta di fuorilegge per guardare senza far niente la sua gente soffrire. Per questi motivi parte dei guerrieri dell’erede al trono erano lì, insieme al Principe di Jotunheim in persona. Con il passare delle ore, mandando avanti degli esploratori per sondare il terreno (casomai ci fossero soldati tra loro e la meta), si mossero verso il confine est della Jarnvidr, lì dove ci si poteva affacciare alla terza regione centrale del globo, Prymheim.
 
 
 
 
Non lontano dalla base militare Byleistr e gli altri Jotun osservavano le scene a loro davanti, nascosti.
Vi era un basso e spoglio edificio di pietra (probabilmente dove vivevano e lavoravano i ‘gestori’ dell’attività), da cui entravano e uscivano diversi Giganti di dimensioni medie. Il terreno circostante era ricoperto di neve dura e sporca, come se fosse stata calpestata più volte.
 
Fuori, diversi Jotun in catene (nani, ma non solo) portavano sulle spalle pesanti carichi di pietra, provenienti sicuramente dalla cava vicina. Nel mentre, alcuni soldati ‘pungolavano’ con la frusta o con qualche arma di ghiaccio i più lenti o affaticati, allo scopo di farli andare più veloci.
Sfortunatamente erano molti i guerrieri di Laufey lì intorno.
 
Il principe osservò a lungo il luogo con i suoi occhi color rubino.
C’era una buona probabilità di avere perdite considerevoli, se non si fossero mossi con attenzione.
 
Fortunatamente la base non era troppo grande, di conseguenza non doveva disperdere nessuno dei suoi guerrieri e il numero di avversari era comunque limitato.
 
Si voltò verso Thrim. Lui annuì, già immaginando ciò che voleva sapere l’erede al trono.
- Sono tutti al proprio posto, Princi… Byleistr -, affermò. – Possiamo procedere -.
 
Gli occhi del corvino si assottigliarono, pensosi.
Non sapeva esattamente perché, ma aveva una strana sensazione riguardo quella missione.
Come se qualcosa non… non fosse giusto, ecco.
Sì, c’era decisamente qualcosa di sbagliato in quella situazione, seppure apparentemente non aveva nulla di diverso dalle altre volte.
Perso nei suoi pensieri, non si accorse subito del modo in cui gli altri Jotun lo guardavano, in attesa di ordini. Fu sempre Thrim, quindi, a prendere la parola. - … Principe? Byleistr? -.
Byleistr si riscosse. Forse sono solo troppo paranoico?, si chiese. Poteva anche essere. Lo pensavano tutti; lo dicevano tutti. (Non davanti a lui però). Annuì, anche se non era troppo convinto.
Sperò soltanto che gli altri Giganti non se ne fossero accorti. Un capo poco determinato non avrebbe fatto una grande impressione, né agli occhi dei nemici né agli occhi degli amici.
 
- Bene. Procediamo con il diversivo, allora -, disse.
 
I guerrieri incaricati si prepararono al piano: erano volontari offertisi per confondersi tra gli schiavi di ritorno dalla cava e mettere così fuori combattimento gli altri soldati in arrivo, liberando alcuni dei prigionieri per iniziare la rivolta contro i tirapiedi di Laufey ancora a piede libero. Sinteticamente il piano era quello.
 
 
 
 
Tuttavia passarono soltanto pochi secondi perché Byleistr capisse di aver intuito bene.
Una pioggia di frecce colpì alle spalle la compagnia, ferendo gli Jotun dietro il corvino, e fu solo per fortuna che Byleistr, Thrim e pochi altri non furono colpiti.
Almeno Thìalfi non c’era... Le battaglie non erano per lui.
(Anche perché era effettivamente un po’ fifone).
 
 
 
Subito dopo un gruppo di soldati circondò quella parte di bosco in cui erano nascosti.
Probabilmente si erano avvicinati mentre erano fermi in quel luogo.
 
Un’imboscata!, pensò il Principe. Sono un idiota! Avrei dovuto prevedere questa possibilità!
 
- ATTENTI! -, urlò Thrim, vedendo un’altra pioggia di frecce in arrivo.
La maggior parte dei Giganti fece appena in tempo a creare degli scudi di ghiaccio, sì, ma altri non furono così svelti. I feriti aumentarono. Byleistr vide alcuni Giganti crollare a terra senza rialzarsi più.
 
No!
 
- Combattete, Giganti di Jotunheim! Difendiamo i nostri diritti! -, urlò, più per incoraggiare i suoi Jotun che per un effettivo sentimento positivo riguardo a quella lotta. Gettò un’occhiata alle sue spalle, comprendendo quanto e come si erano fatti imbrogliare: un’altra ondata di soldati stava correndo verso di loro, armi in pugno. Venivano dalla ex-base militare.
Ancora qualche secondo e sarebbero stati completamente circondati!
 
Respinse l’attacco di uno dei nemici che era riuscito a penetrare nel gruppo, diretto verso di lui.
- Mantenete i ranghi! -, ringhiò, uccidendo definitivamente il Gigante con una pugnalata al cuore.
Cercava di evitarlo, quando poteva. Odiava mettere fine alle vite di membri della sua stessa razza.
Ma non sempre poteva permettersi quel tipo di buonismi. Come in quel caso.
 
- Formazione a riccio! -, chiamò il principe, indicando col capo la nuova orda di nemici.
 
Lui e gli Jotun più interni del gruppo – erano circa cinquanta guerrieri in tutto, per chi se lo stesse chiedendo - formarono una barriera, lunga una sessantina di metri, alta sei e larga forse cinque. Aveva la forma di un arco e, verso il lato esterno, lunghissime lame di ghiaccio vi si affacciavano, tali che nessuno Jotun si sarebbe potuto arrampicare, appuntite e levigate com’erano.
Immediatamente, infatti, la seconda orda di nemici si fermò, dando il tempo ai ribelli di potersi occupare della prima. Così, mentre urlava disposizioni ai suoi uomini, Byleistr sentì una voce familiare.
Fin troppo familiare.
- Muovetevi, branco di inutili codardi! Demolite quello stupido muro! Arcieri, COLPITE ANCORA! -.
 
Skrimìr!
 
Byleistr nemmeno si voltò per avere una conferma dei suoi sospetti. Si limitò a dare ordini ai più vicini.
- Tenete d’occhio gli alberi, e se vedete qualcosa colpitela immediatamente! -.
 
 
Cercando di difendersi sia dalle armi di ghiaccio sia dalle frecce di durissimo legno della Jarnvidr, evocò uno scudo che ricoprì il suo avambraccio sinistro, con cui si protesse al terzo soffio di frecce.
Nel frattempo una lancia si era formata nella sua mano destra, e prima che i suoi impulsi corporei potessero spezzarla la scagliò in alto, lì dove tra le foglie del pino lì accanto aveva visto un’ombra muoversi.
Riuscì a colpire lo Jotun arciere, che cadde al suolo.
- Thrim, coprimi! -, disse. Il nemico morto si trovava a qualche metro da lui. Si avvicinò, rubandogli l’arco e la faretra ancora prima. Notò che erano di ottima fattura, e considerato che ne circolavano davvero pochi simili in giro, lo trovò strano. In ogni caso non ci rifletté sopra: mentre Thrim lo difendeva dai nemici di terra iniziò a scagliare dardi lì dove immaginava ci fossero gli arcieri (a giudicare da dove erano venute le frecce precedenti), una ventina di Jotun massimo presumibilmente.
 
Non li prendeva sempre. Non aveva una gran mira, soprattutto considerando le escrescenze delle sue mani, ma non era la prima volta che impugnava un arco (anche se non ne usava uno da… da circa dieci anni) perciò dopo qualche tentativo li prese quasi tutti. Quasi.
 
- PRINCIPE!!! -.
 
Thrim lo coprì con uno scudo ghiacciato che altrimenti lo avrebbe trapassato da parte a parte. – Veniva da quella parte! -, indicò lo Jotun. – Credo che l’arciere lì sopra abbia ucciso la maggior parte dei caduti tra noi -.
Byleistr ringraziò, poi grugnì un assenso e senza pensarci due volte puntò l’arco verso l’albero segnalato.
Tuttavia l’assassino doveva essersi reso conto di essere stato scoperto, perché scese dall’albero con un salto e fuggì dietro le linee. – Dannazione! -, imprecò Byleistr. Poi si mise arco e frecce dietro la spalla, aveva dei nemici da affrontare e la pungente muraglia non avrebbe retto a lungo, lo sapeva.
 
- Thrim, prendi il comando. Dobbiamo liberare quegli schiavi! -.
- Ma come?! Siamo accerchiati! -.
- Ci penso io, tu non lasciare che ci blocchino del tutto! -.
 
Il principe corse verso le mura di ghiaccio, arrampicandosi velocemente. Come aveva immaginato, i soldati di suo padre stavano iniziando a fare il giro, una volta compreso che quella era una via inaccessibile. Tuttavia dal suo lato Byleistr aveva una possibilità in più per superare l’ostacolo.
Una volta sulla sommità, i soldati cercarono di fare marcia indietro, vedendo il Principe che praticamente sembrava stesse consegnandosi a loro. Invece di chiedere pietà per i suoi seguaci o qualcosa di simile, però, Byleistr non fece nulla di tutto quello.
Cercando di mantenere l’equilibrio, piegò le ginocchia, scivolando lungo le grandi lame mortali.
All’ultimo momento, quando sentì che il ghiaccio stava per rompersi sotto il suo considerevole peso, saltò. In tal modo superò i soldati più vicini a lui, che si erano fermati a guardarlo fluttuare  nell’aria.
 
Atterrò sul terreno ghiacciato rotolando con l’inerzia causata dall’energia rimanente usata nell’azione.
Si rialzò appena in tempo per difendersi dai due Giganti più vicini, e poi corse. Corse mettendo tutta la forza che aveva nelle gambe, raggiungendo gli schiavi meno lontani, ormai privi di carnefici (tutti corsi a dare man forte) ma ancora incatenati. Non disse loro nulla. Prese tra le mani le catene usate per imprigionarli, e usò i poteri ereditati da Laufey per ridurle in pezzi.
Iniziò da quelli che sembravano più idonei al combattimento, poi dagli altri.
Prima ancora che potessero ringraziare Byleistr li interruppe.
- I ringraziamenti dopo, se siete in grado di combattere aiutate i miei uomini! -.
 
I Giganti in grado di combattere obbedirono, gli altri scapparono lontano dalla base.
Il Principe di Jotunheim riportò la sua attenzione ai soldati, che ora correvano tutti verso di lui, anche se particolarmente ostacolati dagli schiavi. E si sarebbe anche gettato nella mischia, se solo…
 
- Dopo ben dieci anni nemmeno un saluto, principino? -.
 
Il moro strinse i denti. – Più che un saluto ti meriteresti una pugnalata… Skrymìr -.
- Mi ferisci, davvero -, affermò il Gigante, scuotendo la testa. I due erano distanti dai combattimenti quel tanto da poter parlare senza essere disturbati troppo dal rumore.
- Mi mancano molto le nostre… sessioni -, affermò, sorridendo sadico. – Mi dispiace che non le abbiamo mai… approfondite fino a un certo punto. E’ davvero un peccato -.
Byleistr strinse le labbra, sapendo benissimo a cosa si riferisse l’altro.
- E’ davvero un peccato che non ti abbia ancora ficcato un pugnale nello stomaco -, replicò, furioso.
- La franchezza è sempre stata una delle tue caratteristiche più rilevanti. Dovresti imparare a essere più… sottile, ecco. E’ importante nella politica questo sai? -, disse Skrymìr, avvicinandosi. Il suo avambraccio si ricoprì di brina, finché non prese la forma di una sciabola estremamente appuntita.
Byleistr strinse i pugni. Da essi presero forma due lunghi pugnali.
 
Quante volte aveva desiderato affrontare Skrymìr in un vero duello, piuttosto che subire le torture ordinate da suo padre Laufey? Ora aveva l’occasione di vendicare tutto quello che aveva subito da lui.
Anche se non era nulla paragonato a quello che il Re gli aveva fatto…
 
 
Urlando di rabbia attaccò per primo, desiderando ardentemente che il pugnale penetrasse nel petto di Skrymìr il più profondamente possibile. Ovviamente, non essendo stato un colpo dato con lucidità, l’altro Jotun lo deviò di lato con facilità. Ma si era scoperto. Allora Byleistr, approfittandone, tenne lui stesso il braccio armato di Skrymìr lontano, andando a colpire con il braccio destro.
 
Il colpo sarebbe andato a segno? Oppure no?
 
Non possiamo saperlo. Prima che Byleistr potesse evidentemente toccare l’acerrimo nemico in quel punto prefissato, una freccia lo colpì al braccio. Trattenendo a stento un gemito cercò di proteggersi, ma la possibilità di uccidere Skrymìr era sfumata, e lo Jotun lo mandò a terra con un pugno in viso, gettandosi poi su di lui e bloccandolo, incurante di peggiorare la situazione del suo braccio.
Puntò anzi la sua arma contro la gola dell’erede al trono. Poi si chinò sul suo orecchio.
- Vorrei prenderti qui e ora, Byleistr, ma tuo padre vuole ammazzarti di botte personalmente, prima di lasciare che ti deflori. Perché sei ancora vergine, vero? Dal tuo sguardo pavido, deduco di sì -, mormorò, talmente vicino al corvino che le loro labbra avrebbero potuto sfiorarsi.
Byleistr era immobile.
Sia per le parole cariche di sadismo dette da Skrymìr, sia per la lama che minacciava la sua gola.
 
 
Fu molto fortunato. Nonostante avesse commesso l’errore di non tenere d’occhio il resto della battaglia (come comandante era suo dovere) gli Jotun suoi seguaci erano riusciti a rompere le fila nemiche, e insieme ai prigionieri liberati correvano in soccorso al loro Principe.
 
Qualcuno sollevò Skrymìr e lo buttò di lato, salvandolo probabilmente dalla cattura. Thrim, ovviamente. – Schifoso traditore della propria razza! -, lo insultò, dandogli un calcio all’inguine tanto per stare sicuri che non l’avrebbe ucciso mentre aiutava il suo principe ad alzarsi.
- Byleistr, il tuo braccio! -, disse, notando la freccia.
- Ci penseremo dopo! Ora andiamo, il nostro lavoro qui è finito! -.
 
 
 
 
 
 
 
 
E così i ribelli si ritirarono, correndo verso la parte più profonda e inesplorata della Jarnvidr.
Non sapevano di essere seguiti da una cacciatrice esperta.
 


E Byleistr, forse perché ferito o forse perché turbato, non fece in modo, come suo solito, di cancellare le loro tracce.





 

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Capitolo 9
*** Altri nemici ***




Note autrice: 
Ho dovuto interrompere la scrittura. Stava diventando davvero troppo lungo o.O
Ringrazio LuciaDeetz per avermi dato alcuni consigli per l'impostazione grafica.

Piccole note prelettura sui significati dei nomi:
 
Farbauti: dal nome Fàrbauti, significa colui che colpisce pericolosamente, secondo alcuni un riferimento al fulmine. Personaggio della mitologia norrena citato da Snorri Sturluson. Padre di Loki, Helblindi, Byleistr e compagno di Laufey, conserva questi ruoli anche nella mia fanfiction e in generale nella stragrande maggioranza del fandom, ma non penso sia necessario dirlo xD
 
Laufey o Nàl: il primo nome significa isola di foglie (da qui la leggenda secondo cui essendo stata colpita dal ‘fulmine’ Farbauti Laufey, una dea Asir nel mito, abbia generato il dio del fuoco Loki), il secondo sottile o ago. Per alcuni questo è un riferimento agli aghi di pino, per altri questo identifica Nàl come una divinità dei morti.
 
Blodhugadda: letteralmente con la chioma insanguinata: un nome da valchiria perciò :)
 
Thìalfi: è un servo di Thor insieme alla sorella Roskva (personaggi del mito di Utgarda-Loki)
 
Thrim: un Re dei Giganti che rubò il martello di Thor per chiedere in cambio la dea Freya. Il personaggio mitico non ha niente a che fare con il Thrim della mia fic, ma mi piaceva come suonava x)
 
Byleistr: colui che scatena la tempesta, escluso il nome e la parentela con Loki non si sa nulla di lui, così come di Helblindi, colui che acceca con la morte.
 
Skrymìr: il personaggio più amato di questa fanfiction xD il nome significa xxx, anche lui citato nel mito di Utgarda-Loki (per evitare confusione in chi non è ancora pratico di mitologia norrena: Utgarda-Loki e Loki Laufeyson NON sono la stessa persona. Almeno ufficialmente… a me piace pensare che Loki in realtà abbia creato un’illusione per ingannare Thor e prendersi gioco di lui senza essere scoperto ;D).
 

 













 
Aveva circa milletrecento anni, la prima volta che fu mandato a cacciare un po’ di carne fresca.
Non aveva assolutamente esperienza in quel campo.
Poche volte aveva accompagnato suo padre Farbauti in quel genere di attività, e lui gli aveva dato qualche insegnamento per il futuro, ma era stato molti secoli prima e comunque non poteva certo bastare. Ragion per cui dubitava che avrebbe portato qualcosa a ‘casa’ per cena.
(In quel caso, per lui probabilmente non ci sarebbero state nemmeno un paio di verdure).
 
Aveva chiesto al padre se poteva essere accompagnato da qualcuno più esperto, ma il Re aveva pensato che il principino avesse invece paura di andare da solo nella Jarnvidr; tanto da criticare aspramente quella richiesta con battute di scherno, che avevano fatto ridere tutti i cortigiani presenti.
 
Mentre s’inoltrava nel cuore della Foresta di Ferro, si morse il labbro al pensiero di quella magra figura.
Cercò quindi di concentrarsi sulla caccia. Farbauti gli aveva sempre detto che, per fare una cosa bene, bisognava isolare la propria mente da tutti i pensieri fuorvianti, buoni o cattivi che fossero.
Soprattutto durante uno scontro. E, almeno in alcuni casi, la caccia poteva rivelarsi davvero uno scontro.
Una lotta per la sopravvivenza.
 
 
 
Lui lottava tutti i giorni contro le prove che gli si rivolgevano senza che potesse rifiutarsi.
Perché erano prove, o almeno lui le affrontava così, non conoscendo altri modi con cui sostenerle: prove che doveva assolutamente superare, se voleva essere degno del ruolo che Farbauti gli aveva affidato.
 
Era una questione di resistenza. Resistenza al dolore, nella maggior parte dei casi. E all’umiliazione.
Niente di più, niente di meno. Byleistr cercava di convincersene.
 
Se non riusciva a sopportare quello, come sarebbe stato in grado di agire per il bene del suo popolo?
 
 
Ma subire passivamente qualche tortura era ben diverso dal muoversi attivamente per qualcosa, come una caccia o un duello vero e proprio. E in quello non aveva ancora esperienze rilevanti.
Anzi, era come se non ne avesse. Stava così spesso per conto suo che non si relazionava con gli altri nemmeno per fare a botte. Ed erano passati anni da quando lui e Helblindi arrivavano alle mani in un litigio. Non aveva ancora cominciato a litigare con qualunque essere che lo importunasse volutamente.
 
Istintivamente guardò il proprio corpo: fin da bambino era sempre stato più alto rispetto ai suoi coetanei, in alcuni casi persino in confronto con ragazzi più grandi, ma era magro.
Molto magro.
 
Non aveva ancora i muscoli delineati che lo avrebbero reso uno dei guerrieri più forti di Jotunheim. No, per quello ci sarebbe voluto del tempo. La sua sottigliezza non era data dalla sua corporatura, ma dalla fame: c’erano periodi, come l’inverno o come quando arrivava la carestia, in cui non era molto difficile intravedere le sue costole. Altra ragione per cui dubitava che sarebbe riuscito a uccidere qualche animale: non aveva molta forza né molta astuzia. E con certi animali affidarsi alla fortuna era stupido.
 
 
 
Pur sapendo che non avrebbe concluso quasi sicuramente nulla studiò il terreno, in cerca di qualche traccia che potesse aiutarlo. Vide qualche impronta di piccoli animali, ma niente che potesse effettivamente soddisfare i crampi allo stomaco. Aveva bisogno di un animale almeno di medie dimensioni. Almeno per risparmiarsi un ceffone, una volta tanto.
 
Strinse i pugni. Non fare il codardo, idiota, pensò.
 
Continuò a camminare, cercando di fare piano. Chissà, magari avrebbe incontrato una bestia vecchia e debole… oppure ferita… Tuttavia si disse di non contare sulla fortuna. Non era mai stata dalla sua parte.
 
Dopo circa una ventina di minuti arrivò vicino a un piccolo torrente, forse collegato al Vàn, se non aveva ancora perso l’orientamento. E proprio lì, chino sull’acqua limpida, un giovane cervo stava dissetandosi.
 
Subito Byleistr si nascose alla vista dell’ignaro animale, osservandolo. Pensò che probabilmente la bestia avesse le zampe più robuste delle sue gambe. Ma sembrava distratto. Forse se si fosse avvicinato di soppiatto e lo avesse ferito in un punto vulnerabile, sarebbe stato più facile catturarlo o comunque bloccarlo. E se lo avesse azzoppato, allora sarebbe stata una sciocchezza ucciderlo.
 
Non che lui morisse dalla voglia di farlo. Non voleva. Non gli piaceva l’idea di fare del male a un animale, o di farlo a qualcuno più in generale, non era mai stato sadico come suo padre. Ma doveva. In fondo anche lui mangiava la carne, almeno quando glielo permettevano. Gli serviva per mantenersi in forze.
 
Nella sua mano apparve un pugnale. Non era eccellente con i lanci, ma ultimamente si stava allenando per migliorare. L’importante era colpirlo, comunque. Se anche non l’avesse ucciso, l’animale scappando avrebbe lasciato in giro le sue tracce di sangue. Da lì in poi avrebbe dovuto solo seguirlo, sperando che crollasse il prima possibile. Prese quindi la mira, decidendo di mirare al collo.
 
Alcuni secondi di concentrazione, però, furono abbastanza da fargli perdere la preda.
 
Una freccia di legno colpì il petto della bestia, che cadde con un verso di dolore.
Subito un’ombra, non molto lontana da lui, uscì allo scoperto, preparandosi a reclamare il bottino. Anche Byleistr si avvicinò, estremamente seccato di aver perso una preda in questo modo.
 
- Ehi! Quel cervo era mio! -, urlò, arrabbiato, pronto a fronteggiare il ladro, chiunque egli fosse.
 
Tuttavia, una volta poco distante dalla figura sottile, non più alta di lui, si stupì di vedere una lunga chioma di capelli bianchi, acconciati con attenzione in una treccia articolata.
La figura aveva una fascia di tela a coprire solo la parte superiore del petto, altra cosa strana.
 
Quando si voltò, il volto di Byleistr fece un’espressione sorpresa.
Una… ragazza?, pensò. Non aveva mai visto una ragazza Jotun.
 
Ella aveva infatti delle forme vagamente femminili. Vagamente, perché, proprio come lui, sembrava a malapena un’adolescente. E poi, la piattezza del suo bassoventre, seppure coperta dai pantaloni, non lasciava alcun dubbio: quella non era una creatura ermafrodita come lui.
 
E anche se in quanto a esseri monosessuati aveva visto solo dei guerrieri Asir maschi, certe differenze le sapeva.
 
Inoltre gli occhi non erano quelli rossi tipici degli Jotun purosangue, e non poté fare a meno di fissarli.
 
La cornea era bianca. E le iridi… avevano un colore verde chiaro.
 
Stava per dire qualcosa, ma la Gigantessa lo guardò con sufficienza, prima di dire – Oh, perdonami, non avevo visto che aveva il tuo nome sopra! -, con tanto d’inchino sarcastico.
Si chinò sull’animale, ancora vivo, e lo guardò con freddezza.
Presa la freccia tra le mani, la tolse con un colpo secco dal torace del cervo, prima di infilzarlo nuovamente nel cuore mettendo così fine alle sue sofferenze.
 
Rialzatasi sbuffò, spostando una ciocca ribelle che le stava sopra un orecchio. Poi però sembrò cambiare idea, e si tolse il fermaglio di ferro che le fermava i capelli, decidendo di rifarsi la treccia.
- Comunque -, borbottò (teneva l’oggetto fra le labbra) – Tutta questa carne non mi serve. Possiamo smezzare… Se a Sua Grazia non dispiace -, continuò, lanciandogli un’occhiata divertita.
Byleistr non si sorprese tanto del fatto che la ragazza aveva compreso le sue origini (i capelli neri erano una prova inconfutabile della sua identità) ma era stupito dal suo atteggiamento sfrontato, questo sì.
Lui non avrebbe usato quel tono con suo padre nemmeno sotto minaccia di morte.
 
-… Sei… sei una mezzosangue? -.
- Preferisco dire di essere ‘diversamente Jotun’ -.
Byleistr la guardò perplesso.
- Hai… hai sangue di Asir? -.
- Sì -.
 
Il giovane Principe si accigliò ancora di più. I sanguemisto erano cacciati su Jotunheim tanto quanto i nani, se non ancora più spietatamente. Se avevano sangue di Asir poi… tutti, che fossero dalla parte di Laufey o meno, non si facevano alcuno scrupolo a cancellare esseri così indesiderati da quella terra dilaniata.
I guerrieri di Asaheim avevano messo la parola ‘fine’ a molte vite, durante la Grande Guerra, e i sopravvissuti (guerrieri o meno che fossero) non erano affatto indulgenti con i mezzosangue che ne erano nati, che fossero stati concepiti in modo consenziente o meno. Soprattutto nel primo caso, perché in circostanze simili erano cacciati anche i genitori di quei mezzi mostri se difendevano la propria prole.
 
- E lo dici così? Come se niente fosse?! Qualcuno potrebbe ucciderti, o peggio, potrebbe volerti consegnare ai soldati di Re Laufey! -, esordì il principino. L’altra fece spallucce.
- Potrebbero volerlo, sì, e allora? Basta guardarmi per capire la mia natura. E poi per uccidermi devono prima acchiapparmi -, affermò lei, con un sorriso spavaldo in viso.
Un retaggio del suo sangue Asir?
 
- Piuttosto, quale dei due principi sei, Altezza? Così so come chiamarti -, chiese la mezzosangue, trovando strano il fatto che l’altro non avesse chiamato il Re ‘padre’. Aveva anche notato una grossa tumefazione violacea all’altezza dello zigomo destro. Non chiese da cosa (o da chi) era stata provocata.
 
 
Byleistr era estremamente colpito dall’atteggiamento della mezzosangue.
Nessuno sconosciuto, da che ne aveva memoria, gli aveva mai parlato in quel modo.
 
Era sincera, sarcastica ed eccessivamente franca, è vero, ma non lo aveva insultato, né preso in giro né umiliato in alcuna maniera. Beh, forse un pochino, ma molto poco rispetto a quanto era abituato.
 
E, al contrario di molti suoi coetanei, non sembrava per nulla spaventata dal suo rango.
O anche solo dal fatto che lui avrebbe potuto benissimo denunciare la sua esistenza ai soldati.
 
Ovviamente Byleistr sapeva che non avrebbe certo fatto una cosa del genere, né per un nano né per un sanguemisto, anche se quest’ultima categoria lo metteva in forte disagio. Lui stesso in fondo aveva visto gli orrori della Grande Guerra. Però questo l’altra non poteva saperlo…
 
- Byleistr. Io sono… sono il principe Byleistr -, rispose, con una nota esitante nella voce.
 
 
 
Ma il loro dialogo così bizzarro e surreale non era destinato a durare a lungo.
 
 
Il freddo alito del vento giunse fino a quella sponda, portando con sé voci concitate di cacciatori.
 
Byleistr si voltò, già intravedendo alle sue spalle gigantesche sagome adulte di Jotun armati.
Erano ancora lontani, ma li vedeva bene.
 
Ritornato col viso verso il fiume, diede una spinta alla giovane mezzosangue.
– Vattene! Vattene, prima che ti prendano! Altrimenti ti uccideranno! -.
 
E la ragazzina, per quanto fosse temeraria, sapeva che gli conveniva obbedire.
 
Scappò prima ancora che potesse dirgli come si chiamasse.
 
 
Il suo arco e le sue frecce, abbandonate per terra, furono raccolte dal corvino, che da allora cominciò a usarlo per la caccia, con successi discreti. A partire dal cervo ucciso dalla mezzosangue, cominciò a mangiare piccole porzioni di quello che cacciava in segreto. In questo modo non soffrì più troppo la fame, cominciando quindi a mettere su un po’ di carne e, soprattutto, muscoli.
 
Con il passare dei secoli, però, il principe smise di pensare alla strana creatura incontrata nella Jarnvidr e il tempo e le preoccupazioni cancellarono il ricordo della meticcia dalla sua mente.
 
 
 
 

 
******************





Quando il contingente di guerrieri ed ex prigionieri arrivò alla base nel profondo della Jarnvidr, Byleistr era semplicemente furioso.
 
Cinquanta Jotun erano partiti con lui, e di quei cinquanta solo ventisei (compreso lui) erano ritornati. Tutti feriti più o meno gravemente, esclusa una manciata di fortunati come Thrim.
Qualche perdita era contemplata, lo sapevano tutti, ma perdere mezzo squadrone di combattenti Jotun a causa di una trappola non prevista… era una statistica inaccettabile.
 
 E chi se ne importava se gli schiavi liberati rimpinguavano le file.
Metà di quei Giganti erano morti seguendolo e il Principe non poteva accettare una perdita simile!
 
Appena arrivati, chiese subito di coloro che avevano spiato la base passando poi le informazioni.
Purtroppo, come poi scoprì, essi ormai facevano parte di quei cadaveri che sicuramente Skrìmir stava lasciando volontariamente in pasto alle bestie. Una consapevolezza che lo rese ancora più iroso.
 
 
Non molti ebbero il coraggio di cercare di calmarlo, sapevano tutti molto bene che una forza come quella dell’erede al trono era pericolosa se mal controllata. Thìalfi e Thrim ci provarono comunque, ma invano. Byleistr era pur sempre molto giovane e anche se non aveva alzato le mani contro nessuno, né alzato (troppo) la voce, era evidente che volesse prendere qualcosa fra le mani e distruggerla, tanto i suoi occhi rubino erano infuocati di collera.
 
Per non demolire la sua immagine pubblica, o perlomeno evitare di danneggiarla troppo, il secondogenito di Laufey preferì uscire dalla zona abitata dai suoi guerrieri, andando a sbollire la propria rabbia da un’altra parte, completamente da solo. Incurante dei possibili rischi.
 
 
 
 
 
 
 
 




 
I rami sopra di lui tremavano.
Già da alcuni minuti tutta la neve che li caricava era scivolata via, a volte in grandi mucchi, a volte in leggere nubi di polvere bianca, ma Byleistr non se ne curava. Nel frattempo nella corteccia colpita dai suoi pugni si era formato un incavo, scavato dalle escrescenze ossee che la scontravano con forza. Alcuni piccoli pezzi di legno vivo e resinoso avevano finito per incastrarsi fra le dita e il palmo, provocando piccole ferite al Principe. Neanche di quello gli importava.
 
La sua terribile reazione non era dovuta alla perdita dei suoi guerrieri. Non solo.
Era la motivazione più importante, ma l’esperienza gli aveva insegnato a controllare il dolore provocato da un lutto (perché anche se non lasciava che qualcuno si avvicinasse a lui intimamente, questo non voleva dire che non ci tenesse molto all’incolumità dei suoi uomini), ma... ma quello era l’ennesimo fallimento che non era riuscito ad arginare del tutto, l’ennesimo errore per cui non aveva pagato lui ma altri, l’ennesima occasione in cui non era riuscito a essere abbastanza.
 
E le parole di Skrymìr… il suo corpo sopra di lui, il modo lascivo in cui lo aveva toccato… in cui lo aveva sempre toccato… lo disgustavano. Lo facevano sentire ancora più sporco di quanto non fosse già.
 
 
 
Smise di prendere a pugni quella titanica pianta innocente, ormai con il fiatone.
Non aveva usato la mano destra per sfogarsi, a causa della ferita bendata.
 
Anche se avrebbe voluto farlo.
 
Appoggiò la fronte sull’albero. Calma. Reagire così non serve a niente, lo sai.
Beh, il suo cervello lo sapeva di sicuro. Il suo cuore un po’ meno, purtroppo.
Chiuse gli occhi. Infondo avevano ragione certi scettici a dire che un ragazzino non poteva certo guidare delle ribellioni contro il Re, nemmeno se era il figlio del Re stesso.
Anche se fisicamente aveva raggiunto l’età matura e le loro leggi lo definivano adulto, aveva solo poco più di millesettecento anni. Ne avrebbe fatti millesettecento trentasette quell’anno, per la precisione.
 
Insomma, non poteva dire di avere l’esperienza di chi aveva il doppio dei suoi anni! E in effetti vi erano anche Jotun più anziani, tra i vari ribelli, anche se pochi ne avevano più di duemila o duemilacinquecento e nessuno superava i quattromila. In caso contrario forse sarebbe stato seriamente problematico avere un’autorità credibile.
 
Non lasciò che nessuna lacrima, ghiacciata o meno che fosse, uscisse dai suoi occhi.
Ragazzino oppure no, non era comunque più il tempo per poter piangere.
 
 
 
 
 
 
 
- Siamo arrabbiati, eh? -, esordì una voce.
 
Byleistr spalancò le palpebre. Non aveva sentito nessuno avvicinarsi.
 
Si voltò di scatto, alzando lo sguardo verso la direzione da cui era venuta quella voce.
 
 
 
 
In piedi sul ramo di un albero, con il fianco appoggiato al tronco principale e le braccia incrociate, una figura lo guardava con un sorriso di scherno. – In fondo la sconfitta è dura da digerire -, disse.
Poi saltò giù con agilità come se fosse un gesto quotidiano, attutendo l’impatto piegando le ginocchia.
Si rialzò. - Non trovi, Principe Byleistr? -, domandò, diretta e non senza un pizzico di beffa.
 
 
Il volto del corvino si indurì. Nella sua mano sinistra apparve un pugnale di ghiaccio.
 
- Chi sei e che cosa vuoi? -, chiese aggressivo.
 
 
Davanti a lui stava una donna dalle forme prosperose: seno discretamente abbondante, fianchi larghi. Tuttavia i muscoli non coperti dai vestiti erano asciutti, tonici.
Indossava corti pantaloni di pelle – pelle di Skepna, apparentemente -, e una maglietta di tela grezza con una scollatura leggera. Le sue calzature erano in cuoio.
 
Ma erano due i dettagli che più attirarono l’attenzione di Byleistr.
 
Il primo erano gli occhi. Occhi che non erano certamente da Jotun, cosa che portò il Principe a capire di trovarsi davanti a una mezzosangue. Questa conclusione creò una pulce nell’orecchio dello Jotun, che tuttavia non capì quale fosse la ragione di ciò.
 
Il secondo era l’equipaggiamento della donna. Oltre a un arco lungo e a una faretra colma di dardi appesa alla schiena, aveva degli schinieri di metallo a coprire le braccia. Una spada era agganciata alla sua cintura, insieme ad alcuni pugnali. Non avrebbe avuto nulla da invidiare a una valchiria, insomma.
 
Quello che sorprendeva di più Byleistr, soprattutto, era il fatto che nonostante la ragazza (apparentemente sua coetanea) fosse armata fino ai denti non tenesse in mano nessuna arma.
 
 
 
 
- Siamo anche nervosi, vedo. Non mi riconosci, Principe Byleistr? Eppure ci siamo già incontrati una volta -, replicò la fanciulla con un sorriso mellifluo che Byleistr detestò fin dal primo istante.
Gli si avvicinò con passi lenti e misurati.
- Io non ti ho mai visto. E non mi hai risposto -.
Byleistr si mise in posizione di combattimento, maledicendo tra sé e sé la ferita che gli impediva di usare il braccio destro. Non era mancino.
 
L’altra fece spallucce. – Non importa -, disse. Poi fece un leggero inchino, anche quello però con degli intenti sbeffeggiatori. – Il mio nome è Blodhugadda, figlio di Laufey. Lieta di rifare la tua conoscenza -.
 
Byleistr stette in guardia. Sempre più irritato. (E in quel modo stava esattamente facendo il suo gioco).
 
Mentre la sanguemisto si era chinata, tuttavia, il Principe aveva notato un particolare preoccupante.
Nella faretra della sconosciute vi erano frecce con una parte posteriore particolare, poiché dei sottili pezzi di legno erano incastrati per prendere il posto delle piume, non essendoci uccelli nel loro regno.
 
Erano le stesse frecce che avevano colpito la maggior parte dei suoi guerrieri.
Uno di quegli stessi dardi gli aveva forato il braccio d’altronde, sarebbe stato difficile non riconoscerlo.
 
 Arretrò di un passo.
- Sei stata tu a colpirmi? -.
 
La ragazza sorrise, mostrando i denti dritti e bianchi. Leggermente appuntiti.
- Dunque è vero quello che si dice di te. Sei perspicace. Ma certo che sono stata io! E non ti ho minimamente sfiorato un nervo, chi ti ha bendato te l’ha fatto notare? Certo, il tuo braccio sarà fuori uso per un po’, ma devi ammettere che ho una certa mira -, affermò, approfittando dell’occasione per vantarsene. Uno sbaglio forse un po’ sciocco da parte sua.
 
Il Principe ringhiò, decidendo che era il momento di tagliare il discorso.
E tagliare anche la gola della nemica, già che c’era.
Partì subito con un affondo, infischiandosene del fatto che la ragazza non tenesse un’arma in mano.
Era una nemica, una nemica che aveva probabilmente ucciso molti dei suoi Jotun e che, soprattutto, se lo aveva seguito fin lì conosceva l’ubicazione del loro covo. E questo avrebbe significato un’altra strage.
 
 
Forse aveva decisamente sottovalutato la mezzosangue, però.
 
Non essendo una Jotun purosangue e portandosi dietro tutte quelle armi, era molto probabile che ella non sapesse manipolare il ghiaccio. Tuttavia, Byleistr non sapeva né il come né il quando né il perché, all’improvviso si ritrovò con il braccio sinistro bloccato dietro la schiena. E la mezzosangue glielo stava torcendo, cosicché il pugnale gli scivolò dalle dita, venendo presto impugnato dall’avversaria.
 
Che naturalmente glielo puntò alla gola, nonostante lui si stesse divincolando in modo non indifferente. – Calma Principe Byleistr. Siamo partiti con il piede sbagliato, temo -.
- Hai ucciso i miei uomini! Sei dalla parte di Laufey! -, ringhiò Byleistr.
Un po’ di concentrazione, e il pugnale che sfiorava la sua giugulare si spezzò in mille pezzi.
La pelle di Blodhugadda si ustionò.
– Ahi! -, gemette, mentre il palmo della sua mano si ricopriva di bolle nerastre. Mollò la presa sul Principe, che svelto si girò per colpirla. Ma lei estrasse la spada con la mano ancora sana, quella che prima teneva il pugnale. – Fredda i tuoi bollori, Principe. O forse sarebbe il caso di dire scalda i tuoi freddori, ma dubbi retorici a parte è meglio se ascolti ciò che ho da dirti, prima di cercare di ammazzarmi. Mi hai fatto male, sai? -, disse, stranamente tranquilla, con la spada puntata verso di lui.
 

Byleistr non fu affatto convinto dalle parole della meticcia. Anche il suo braccio destro si armò di spada, nonostante la ferita e le raccomandazioni del guaritore di non sforzare l’arto.
Ma Byleistr non aveva alcuna intenzione di lasciar andare via la mezzosangue.





Perlomeno non senza lasciar dietro qualche pezzo.

Perlomeno i suoi uomini sarebbero stati vendicati.






 

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Capitolo 10
*** Problemi ***


Note Autrice:
Vi chiedo infinitamente scusa per il ritardo, specialmente a frostgiant perché le avevo detto che ci sarebbe voluto poco... comunque l'anno scolastico sta finendo, e confido che dopo gli esami sarò più rilassata e scriverò meglio e più in fretta. Nel frattempo perdonatemi, ma per ora il mio ritmo è questo, anche se ho intenzione di finire tutte le fic che ho in mente per questo head canon. Ci vorrà molto tempo, ma le scriverò. Se avete ancora la pazienza per seguirmi: grazie, grazie di cuore.

Madama Pigna











La mezzosangue fissò il Principe di Jotunheim alzando un sopracciglio.

- Sul serio? -, chiese. – Vuoi davvero batterti con il braccio ferito? Tanto varrebbe darmi ascolto prima di… -, continuò, ma le sue parole furono interrotte dall’attacco di Byleistr.

Cominciarono così a lottare, senza risparmiare né forza né arguzia.


Il corvino però, pieno d’ira repressa, non riusciva a controllare i propri sentimenti.
Non gli capitava spesso di arrabbiarsi così, ma quella sfortunata serie di circostanze avevano stuzzicato la sua ira più che a sufficienza. Pessima notizia, poiché c’era un motivo se di solito si controllava con una severa autodisciplina: quando si è accecati dalla rabbia si smette di ragionare, e in questo modo si prendono decisioni affrettate, comportandosi in maniera spesso sbagliata.

Blodhugadda, o almeno era in tal modo che la nemica aveva detto di chiamarsi, non sembrava parare gli attacchi dello Jotun con troppa difficoltà. Certo, Byleistr aveva una grande forza fisica, ma a quell’età non era ancora così esperto nella tecnica e soprattutto nel tenere a freno le proprie emozioni.


La meticcia non sembrava più grande di lui, ma era perfettamente calma e controllata. Parava, faceva per disarmare, attaccava punti non mortali e poi parava ancora. Forse non era altrettanto forte, ma sapeva studiare la situazione per trarne un vantaggio.



A un certo punto Byleistr riuscì ad atterrarla, tenendola bloccata col suo peso sul terreno.

Lei sorrise maliziosa. – Una posizione un po’ troppo ambigua Principe, non trovi? -, disse.

E dal momento che Byleistr aveva abbassato la guardia, riuscì a invertire le posizioni dandogli per prima cosa un pugno. Poi mise la mano sulla sua cintura, estraendo un pugnale ricurvo, forse un po’ grezzo ma non per questo meno tagliente. D’altro canto il corvino, pur avendo una discreta forza fisica, aveva il braccio praticamente inutilizzabile nonostante i suoi sforzi. Sentiva l’arto ormai rigido sotto il blocco dell’avversaria, ed era uno svantaggio ben poco indifferente se combattevi in uno scontro senza alcuna riserva...


Tutti e due erano feriti in più punti con diversi tagli, escoriazioni e ustioni da gelo.

Non sembrava però che ai due importasse.



- Ora… -, disse Blodhugadda, con il fiatone. – Ti degnerai di… ascoltarmi, Principe Byleistr? -, continuò, fissando lo Jotun sotto di lui con occhi verdini alquanto irritati.






E’ probabile che Byleistr avrebbe cercato di ucciderla nuovamente, se ne avesse avuto la possibilità. Tuttavia ciò non accadde: i due udirono dei rumori in lontananza farsi sempre più distinti, come se un gruppo numeroso si stesse avvicinando.
Byleistr sentì dalla meticcia qualcosa di simile a un’imprecazione.
Inoltre un ringhio basso proveniva dalla sua sinistra. Ed era molto più vicino delle voci concitate.

- Merda -, inveì la donna dai bianchi capelli.




La sua spada era stata distrutta durante la colluttazione.
E un grosso Skepna molto arrabbiato pareva avercela proprio con lei.

(In seguito il figlio di Laufey lo avrebbe riconosciuto come Geri.)



Fulminea, prima che Byleistr potesse approfittare della sua momentanea distrazione, la donna si alzò, mettendo la mano sinistra dentro un sacchettino appeso alla cintura.



Geri si avvicinò, probabilmente desideroso di colpirla con le sue zanne.
Non riuscì a fare nulla però: la mezzosangue uscì dal contenitore di stoffa una polverina grigia, gettandola in mezzo ai suoi occhi. E probabilmente era anche molto irritante, perché subito l’animale ringhiò di dolore, alzandosi su due zampe più volte e scuotendo la terra sotto il suo peso, tanto da costringere Byleistr a spostarsi prima di esserne schiacciato spietatamente. Nel frattempo i compagni di Byleistr erano giunti, ma Blodhugadda era già fuggita scomparendo dalla vista di chiunque. Compresa quella del Principe, che appena resosi conto del suo fallimento ringhiò delle imprecazioni che sicuramente nessuno apprezzerebbe sentire uscire dalla bocca di un Principe.



Si avvicinò a Geri, cercando di calmarlo.



Dopo alcuni minuti (in cui lo Skepna sbuffò, ringhiò e quasi attaccò) riuscì a domarlo, più o meno. In fondo era la terza volta che lo incontrava, forse non era un caso. Forse avrebbe potuto effettivamente usarlo, se la bestia avesse smesso di mettergli perennemente i bastoni fra le ruote.

Ma erano pensieri secondari. Nemmeno il ricordo di Helblindi lo distraeva più di tanto.


Voltatosi verso i suoi guerrieri, si limitò a un semplice urlo.

- Ho bisogno di volontari per una caccia! -.


Dopo che il Principe ebbe spiegato sommariamente l’accaduto al gruppo, molti Giganti si offrirono spontaneamente per cercare la mezzosangue nemica. Tutti erano ben consci di quanto sarebbero stati in pericolo se la spia mezza Asir non fosse stata trovata: in quel caso, la loro base principale sarebbe stata sicuramente a rischio. Quanti soldati avrebbe mandato Laufey pur di distruggerla, sterminare i ribelli e arrestare il Principe? Sicuramente un gran numero, tanto per non sbagliare.

Anche metà del suo esercito, pensava Byleistr.








Alcune ore dopo, a diversi chilometri di distanza...







Blodhugadda gettò alcuni pezzi di carbone nel forno distrattamente, incurante delle fiamme improvvisamente più calde e vive di prima. Uscita dalla capanna che gli faceva da officina si sedette sul moncherino di un antico albero, tagliato diversi anni prima. In mano aveva un contenitore pieno a metà di una pomata maleodorante e delle bende, prese con sé presumibilmente per curarsi le ferite.

E non delle ferite qualsiasi, ma le bruciature inferitole dal Principe Byleistr.
Digrignò qualche insulto verso di lui tra i denti, iniziando a spalmare l’unguento per poi fasciarsi le ustioni. Non erano come quelle che aveva subito in passato da altri Giganti, infatti. I poteri dell’Erede di Laufey rendevano questa particolare capacità della sua specie ancora più intensa.

E la sua spada? Distrutta!
Andata in pezzi, dannazione. Come vetro.

Almeno aveva ancora il suo pugnale preferito con sé. E l’arco. L’arco era fondamentale. Era l’arma con cui dava il meglio di sé e lo sapeva bene. Con una lancia, un’ascia o una spada poteva anche non essere mortale, forse, ma con un arco sì.

Sospirò.
In ogni caso quelle ustioni da freddo non sarebbero guarite presto, lo sapeva bene.

Resistente al freddo? Mica tanto, per gli standard Jotun, anche se reggeva il clima.
Gli svantaggi di avere sangue di Asir nelle vene, supponeva.


Dopo essersi fasciata le ferite tornò al suo piccolo laboratorio, cercando di non pensare alle pulsazioni dolorose delle bolle blu-nerastre sul corpo.
(Che comunque non miglioravano al calore del fuoco).




Si cominciarono a udire rumori di martellate sul metallo. Un chiasso tale che la sua artefice sicuramente non si sarebbe potuta accorgere di altri rumori nemmeno volendo.

La mezzosangue passò quindi alcune ore a ricostruire le sue armi con il poco metallo che  le era rimasto. Avrebbe dovuto procurarsene dell’altro molto presto, e purtroppo non era una cosa molto semplice di quei tempi… Perché solo gli imbecilli o i pazzi non erano coscienti di quella situazione di merda, ecco. Blodhugadda sapeva molto bene di far parte di una generazione di Jotun davvero sciagurata, come avrebbe detto sua madre. Una generazione troppo giovane quando la tirannia di Laufey aveva avuto inizio, troppo inesperta per stroncarla sul nascere ma abbastanza vecchia per ricordare gli anni più rosei con struggente nostalgia. Una generazione sciagurata, nata dalle ceneri di un mondo un tempo glorioso e cresciuta storpia, come mancante della giusta linfa vitale, se non addirittura priva di radici… Quanto a lei, una mezza Asir, beh il discorso non cambiava poi tanto: suo padre era un guerriero Asir che l’aveva concepita con quello che chiamava madre (uno Jotun) quasi duecento anni prima della Grande Guerra. Non sapeva niente di lui, perché non l’aveva mai visto. Solo il suo nome.
Anzi in effetti qualche differenza c’era: gli esseri come lei in quegli anni erano odiati da tutti, su Jotunheim, non solo da qualche fanatico. Dunque Blodhugadda aveva imparato ad arrangiarsi da sola e a vivere secondo il modo che gli conveniva di più sul momento. Una cacciatrice solitaria perennemente nei boschi.

Poi era stata catturata ed era dovuta scendere a patti con il destino.



Se non fosse stato per la brillante idea di Laufey di usare le sue abilità per arrivare a scovare suo figlio, probabilmente sarebbe morta qualche giorno dopo la sua cattura in chissà quale modo orribile, che la meticcia preferiva non immaginare: la prigione di Utgarda era temuta per diversi motivi, primo fra tutti Skrymìr. Se, infatti, Laufey si scomodava a torturare solo prigionieri importanti, il suo luogotenente era incaricato, tra gli altri compiti, di ricavare più informazioni possibili dai ribelli e di punire i delinquenti meno abbienti (per la maggior parte poveri disperati che rubacchiavano pur di mangiare), e questo poteva significare solo una cosa: tortura.
Del genere più orribile e doloroso.
Qualcuno mormorava anche a proposito di violenze carnali. Stupri.


E Blodhugadda non aveva voglia di scoprire se quelle voci fossero fondate o meno.


Aveva accettato la proposta di Laufey per puro istinto di sopravvivenza. Lo odiava e lo temeva, come tutti, ma in realtà non simpatizzava per nessuna delle due parti: come mezza Asir, era più saggio e più sicuro per lei tenersi fuori da quella guerra civile – perché di fatto era una guerra – a prescindere.


Perciò, anche se aveva seguito Byleistr e il suo seguito, e aveva addirittura cercato di avvertirlo, non era per nulla intenzionata a seguire il resto dell’accordo, né di aiutare chicchessia in quel guaio. Era solo per sdebitarsi a causa del braccio ferito, tutto qui.
Inoltre sapeva cosa voleva fare Laufey con suo figlio: un destino che, sinceramente, non avrebbe augurato nemmeno al suo peggior nemico.

Tutto il resto, però, morale o immorale che fosse, non la riguardava. Non era una vera Jotun o comunque non era considerata tale, quindi perché immischiarsi? Preferiva passare il resto dei suoi giorni in relativa tranquillità e solitudine.


Ma il destino – o chi ne faceva le veci – doveva averle messo gli occhi addosso, perché la meticcia non avrebbe affatto avuto una vita tranquilla e solitaria da quel giorno in poi.





Troppi pensieri e troppe martellate indebolivano i suoi sensi quando i soldati di Laufey guidati da Skrymìr andarono a prenderla. Troppo tardi si rese conto della trappola, perché loro sapevano dov’era il suo rifugio malgrado le avesse cercato di nasconderlo.

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Capitolo 11
*** Rincontri bruschi ***




 
Byleistr sapeva che si trovavano nei guai.
In guai seri, purtroppo.


Nonostante i due giorni di ricerche, infatti, né lui né i suoi Jotun erano riusciti a trovare anche solo le tracce di quella donna. La mezzosangue era brava a sparire senza essere inseguita. E chissà da quanto tempo lavorava per Laufey! Lui non ne aveva mai nemmeno sentito parlare! Del resto, anche se i sanguemisto erano generalmente odiati da tutti, di solito quelli che li ammazzavano con gran gioia erano proprio gli scagnozzi di suo padre… Nonché il Re stesso, certo.

Ma forse in fondo aveva un senso, agli occhi di un mezzosangue, cercare protezione da chi aveva il potere offrendo i propri servigi. Tanto, da una parte e dall’altra rischiavano comunque la morte, almeno lì apparentemente avevano più probabilità di sopravvivenza. Apparentemente, perché Byleistr sapeva benissimo che vivere dalla parte di Laufey, se mezzosangue, assicurava sempre una morte orribile e dolorosa, possibilmente molto lenta.

Proprio per questi motivi dentro la base c’era un grande andirivieni: stavano portando via tutto il trasportabile, prima che chissà quanti soldati arrivassero per uccidere i ribelli e arrestare lui. Dovevano andarsene il prima possibile, e infatti lui stesso trasportava pesi da mettere sui carri (di cui alcuni già partiti in luoghi più sicuri) e spronava gli altri a essere più veloci. Dopo un po’, però, fermò un Gigante più anziano di lui di alcuni secoli, chiedendogli dove fossero Thìalfi e Thrim. Lui gli indicò l’albero dove fino a qualche giorno prima si tenevano le riunioni strategiche più importanti. La costruzione di legno nascosta tra i rami mastodontici c’era ancora, ma avrebbero dovuto demolire anche quella se non volevano lasciare tracce.

Il Principe si avvicinò a essa a grandi passi e poi, dal momento che la scala non c’era più (avrebbe dovuto informarsi su chi fosse stato l’incompetente che prima toglieva la scala per salire e scendere prima di  tutto il resto), con un balzo si arrampicò su una delle ramificazioni più basse e grosse, non a caso vicino al tronco. Anche se con il braccio ancora ferito, e quindi poco adatto a fare grandi sforzi, lentamente riuscì a penetrare tra i rami dell’albero senza doverlo usare troppo. In fondo non era Helblindi: guariva abbastanza velocemente ma non aveva una rigenerazione istantanea, aveva bisogno comunque di qualche giorno per le ferite di media gravità. In certi casi anche poco più di una settimana, ed erano passati poco meno di tre giorni da quando la meticcia lo aveva colpito con l’arco.

Comunque riuscì a raggiungere la costruzione e, entrando, notò i due Jotun che cercava seduti al grande tavolo rotondo, impegnati in una fitta conversazione.



Non li interruppe subito, né loro si accorsero immediatamente della sua presenza.
Non amava attirare l’attenzione, e se qualcuno non si accorgeva del suo arrivo tanto meglio, essere silenzioso poteva essere una cosa vantaggiosa in fondo. Oppure no?
Ascoltando il discorso, però (dopotutto non poteva farne a meno, era troppo vicino), aggrottò le sopracciglia. Stavano parlando proprio di lui. E di quello che era successo negli ultimi giorni.


- Non penso che Byleistr dovrebbe continuare a farlo -. A parlare era Thìalfi.
- E’ stato solo una volta. Può succedere a chiunque di perdere la calma, e ti faccio notare che lui ha un autocontrollo di gran lunga superiore a quello della maggior parte di noi -, disse Thrim. Byleistr allora fece per nascondersi. Voleva sapere che cosa stessero macchinando quei due.


- Non è solo una questione di autocontrollo, Thrim! Hai visto come ha reagito quando è tornato: a momenti prendeva a pugni qualcuno. E’ frustrato, Thrim -.
- Intendi dire sessualmente? -, chiese lui in tono malizioso. Evidentemente non prendeva la cosa troppo sul serio. Byleistr strinse le labbra, irritato da quel tipo di riferimento, ma non disse niente.

Thìalfi arrossì. – Lo sai che non intendo in quel senso! -.
- E tu sai che non devi impicciarti nei suoi affari personali né affermare se è in grado o meno di prendere decisioni lucide sul campo. I suoi sentimenti non sono di tua competenza, mi pare -, rispose pacatamente ma con decisione l’altro. Byleistr gli fu in parte grato per questo, ma il fatto che i due Jotun di cui si fidava relativamente di più stessero parlando di lui in quei termini lo metteva a disagio. Ma soprattutto lo faceva ribollire di rabbia.

Chi erano Thìalfi e Thrim per intrufolarsi nei suoi affari senza che nemmeno fosse presente?!
E soprattutto con quale maledetta presunzione Thìalfi andava dicendo che non era lucido?!

Era forse impazzito? Quel genere di pettegolezzi non aiutava per niente né il morale né la disciplina né la motivazione degli Jotun che erano con lui! E magari il nano era già andato in giro a esprimere i suoi stupidi dubbi per tutto il campo! Cosa diavolo gli era venuto in mente?

E comunque erano affari suoi se si sentiva frustrato o meno. Il nano non si doveva permettere di avere quell’atteggiamento nei suoi confronti. Punto. Che avesse ragione o meno, ammesso e non concesso che l’avesse, non aveva alcuna importanza. Si controllava perfettamente, lui.

In quanto ai giorni precedenti… erano stati uno stupido errore, punto. Non si sarebbero ripetuti. Mai più. L’aveva giurato a se stesso in precedenza e ora se lo stava imponendo di nuovo.


Fece un passo avanti, uscendo quindi dall’ombra e palesandosi agli occhi dei due Jotun.
Inizialmente non disse nulla, fissando i presenti con gli occhi rossi come rubini e altrettanto gelidi. Del resto le pietre preziose non sono mai troppo calorifere.




E Byleistr… Byleistr era prezioso, Thìalfi lo aveva pensato fin da quando lui gli aveva salvato la vita e lo pensava tuttora. Era prezioso per la base, per la strategia, per l’intera Jotunheim. Era freddo con tutti eppure non aveva mai maltrattato nessuno, né abusato della sua posizione. Era sempre disposto a dare una mano senza che gli fosse chiesto niente. Anzi: aiutava e basta, senza voler essere ringraziato.
Byleistr era prezioso per tutti, ma soprattutto era prezioso per Thìalfi. E lui non voleva che il suo Principe si facesse del male cercando di fare del bene agli altri.

Mai il giovane guerriero gli aveva parlato dei suoi demoni. Aveva sommariamente spiegato la storia di suo fratello a lui e ai suoi primi seguaci, ma non altro. Eppure il giovane dai bianchi capelli sapeva che il corvino dormiva pochissimo la notte. Sapeva che usava una polverina dello stesso colore della sua pelle per nascondere le occhiaie. Conosceva i pettegolezzi riguardo a ciò che aveva vissuto a Utgarda, e dal suo atteggiamento e da quel poco che sapeva di quel mostro di Skrymìr non stentava a credere che ci fosse una verità, dietro quelle voci nascoste.
Che il secondogenito di Laufey fosse maltrattato, del resto, non era mai stato nascosto a nessuno. Nessuno eccetto il principe Helblindi, s’intende.


Il piccolo Gigante si chiedeva come uno Jotun sano di mente potesse essere così ottuso da non vedere i fatti per così tanti anni. Se lui fosse stato il fratello di una creatura così bella come Byleistr, e se fosse stato un mago e un mutaforma, avrebbe certamente messo fine a quelle angherie, o perlomeno ci avrebbe provato! Ma purtroppo non era nessuna delle due cose.

Non aveva mai conosciuto Helblindi, seppure era stato amico di quei nani che lo avevano ospitato – oh, ma Thìalfi era sicuro che, se lo avesse mai conosciuto, lo avrebbe detestato.



Intanto Byleistr continuava a fissarli. Il silenzio che avvolse i tre durò molto a lungo.
Fu Thìalfi, alla fine, che decise di spezzarlo.

- Non dovresti fasciarti meglio il braccio o fissarlo o …? -, chiese lui, riferendosi all’arto, ma Byleistr lo interruppe a metà frase con un gesto della mano. – Non ho il braccio rotto, Thìalfi, è solo una ferita come tante altre -, rispose. Continuava a fissarlo in un modo davvero, davvero brutto.
– Devi smetterla di comportarti così nei miei confronti -.
- Ma… -.
- Niente ma. E’ un ordine. Non voglio che tu insinui debolezze inesistenti della mia persona, e se in futuro non saprai resistere all’impulso non esiterò a cacciarti da questa base. Non sono un bambino e non intendo essere trattato come tale da nessuno, tantomeno da te. Sono stato chiaro? -.
- Io volevo solo… -.
- SONO STATO CHIARO? -.
Thrim si era già mentalmente preparato a una reazione violenta del Principe. Thìalfi deglutì.
- Sì, Byleistr. Sei stato chiarissimo -.


Passarono altri pochi secondi di silenzio. Poi, più calmo ma non meno irritato, il corvino annuì.
- Bene. Comunque vi ho cercato perché voglio che partiamo subito. Entro quattro, cinque ore al massimo, e sarebbero forse comunque troppe. Abbiamo smantellato quasi tutto, faremmo meglio ad andarcene subito da qui. Ormai questo posto non è più sicuro -.













Alcune ore dopo, divisi in squadre e prendendo strade diverse, i ribelli erano in viaggio verso la loro nuova meta, conosciuta solo da uno o due individui per gruppo tra i più fidati. In tale luogo avrebbero edificato una nuova base, possibilmente più sicura e difendibile della prima, almeno se riuscivano ad arrivare tutti interi e se avessero avuto abbastanza tempo per costruirla. Byleistr non cercava lo scontro diretto con tutto l’esercito. Non poteva, e per diverse ragioni d’altronde. Prima di tutto perché i suoi uomini non erano così tanti, e c’erano appena altre quattro basi, almeno in quegli anni, dove risiedevano altri Jotun dalla sua parte. Troppe poche per prendere il potere o anche solo affrontare più scontri diretti, soprattutto considerando che solo la metà di quei Giganti di Ghiaccio erano in grado di combattere: gli altri erano per la maggior parte o troppo giovani o troppo vecchi o storpi. Tuttavia Byleistr aveva organizzato con tanta fatica quei gruppi dapprima disordinati di ribelli non per conquistare il trono con la forza ma per compensare la mancanza di aiuti da parte di chi effettivamente deteneva il potere ufficiale, quindi non era quello effettivamente il problema.



Il secondo motivo – quello politicamente parlando più importante – era il rapporto di sangue con Laufey, il suo genitore partoriente. Anche se di spirito infimo e decisamente malvagio, Laufey non poteva in alcun modo essere detronato dal figlio, questo dicevano le Antiche Leggi.
Un legame simile, infatti, su Jotunheim era considerato sacro al di là di ogni circostanza. Anche se tra padre e figlio uno dei due era uno degli Jotun più malvagi che si fossero mai visti, ciò non giustificava comunque l’omicidio da parte di uno di essi nei confronti dell’altro. Nella famiglia reale, perciò, nessun Principe sarebbe mai potuto salire al trono se responsabile della morte del padre. Almeno non se lo era considerato ufficialmente.
I meno conservatori avrebbero forse sostenuto comunque Byleistr se mai avesse ucciso Laufey, ma il corvino sapeva fin troppo bene come la propria razza fosse conservatrice riguardo ad alcuni aspetti del loro mondo: anche se fosse diventato Re, non si sarebbe mai liberato completamente del risentimento di almeno una parte della popolazione. E lui voleva un popolo unito, non diviso da un’altra eventuale guerra civile ancora più cruenta di quella attuale (perché a volte gli scontri ribelli/soldati in quegli anni erano comunque inevitabili).

Di conseguenza, lui e i suoi seguaci dovevano aspettare che la natura facesse il suo corso, o che qualcun altro a loro estraneo uccidesse Laufey facendo un favore a tutti gli Jotun. Poi Byleistr sarebbe stato libero di andare contro l’esercito del padre, se per allora avesse avuto sufficienti sostenitori, e sarebbe potuto diventare Re. Sempre se fosse vissuto abbastanza a lungo.


Il già citato Principe, intanto, ben consapevole di queste circostanze, guidava il suo gruppo – quello che percorreva il tratto di bosco più a rischio di agguati, tra l’altro – verso il loro obiettivo, una parte della Jarnvidr estremamente fitta protetta in parte dai territori di caccia degli Skepna, in parte da un corso di fiume più violento, in parte dalle ripidissime pareti rocciose delle Catene di Mimìr. Era molto concentrato: si muoveva silenziosamente tra gli alberi, attento a non produrre rumori sospetti, guardandosi intorno e aguzzando le orecchie casomai ci fossero stati aggressori in giro. Con lui stavano altri quindici Jotun, più Thìalfi. Non gli aveva ancora perdonato ciò che aveva fatto pocanzi, ma preferiva tenerlo d’occhio. Del resto inconsciamente Byleistr esigeva dalle pochissime persone a cui aveva dato un po’ di fiducia quasi quanto esigeva da se stesso, soprattutto perché bastava praticamente un niente per fargli cambiare idea in proposito, tanto chiuso e sospettoso com’era.



Thìalfi era in gamba dal punto di vista logistico e gli era fedele, sì, ma Byleistr non credeva che avesse altre particolari capacità che potessero essere utili alla loro causa. Perciò difficilmente sarebbe mai riuscito a guardarlo sotto una luce diversa. Era già abbastanza complicato considerarlo un “amico” anche senza contare giornate come quella…




Erano circa a metà strada quando il suddetto Thìalfi, una volta raccolto il suo coraggio, si decise ad avvicinarsi a lui distaccandosi leggermente dal gruppo pur di parlargli e chiarire quelle che erano le sue precedenti intenzioni. Non voleva che Byleistr rimanesse arrabbiato con lui per chissà quanto tempo! Aveva agito in quel modo pensando al suo bene dopotutto.
Così, cercando di allungare il passo (già lento rispetto agli altri Jotun, figurarsi rispetto a Byleistr che era persino più alto della media normale) e arrivando quasi a correre si mise accanto al Gigante. Che non lo degnò di uno sguardo, è doveroso aggiungere. - Byleistr… senti io… volevo dirti… -, tentò il nano, ma il Principe lo interruppe prima di lasciarlo finire.
- Non c’è assolutamente niente che devi dirmi, Thìalfi. Aggiungere altro sarebbe superfluo -, disse lui, continuando a tenere gli occhi fissi sul sentiero. Il piccolo Jotun dai capelli bianchi scosse la testa.
– Non è vero. Anzi ci sono molte cose da aggiungere visto che hai parlato solo tu -, replicò. Allora Byleistr chinò lo sguardo su di lui, con gli occhi rossi pieni d’irritazione.


- Ma davvero? A me invece sembra che tu ne abbia dette tante di cose -, disse.
- Non mi hai lasciato spiegare! Quello che ho detto lo dicevo per il tuo bene! -.
Il corvino si fermò.
All’improvviso Byleistr sentì dentro di sé una gran voglia di discutere. - Il mio bene?! Ma ti senti quando parli? Ti rendi conto almeno di quanto suona ridicolo detto da te riferito a me? -.
- Non c’è niente di male a essere preoccupati per un amico, sai? -.
- Invece sì, se danneggi la sua immagine! Non puoi metterti in mezzo tra me e le mie responsabilità -, replicò il Principe. – In ogni caso non è il momento migliore per parlarne. Non ora, e soprattutto non qui. Questo posto è troppo pericoloso -, aggiunse, guardandosi intorno e ricominciando a camminare. Aveva definitivamente perso la concentrazione purtroppo.

Aveva bisogno di un po’ di silenzio, ma evidentemente Thìalfi non era disposto a concederglielo. – Oh certo, è troppo pericoloso! -, affermò. Ora era lui quello arrabbiato. – Ma perché non la smetti di usare queste scuse per evitare certi argomenti? “E’ troppo rischioso”, “Non è importante” oppure “Non abbiamo tempo da perdere” e “Danneggerebbe la mia immagine di Principe”! Tutte scuse! Sii abbastanza onesto da ammettere di avere delle debolezze invece di farti sembrare invincibile o che ne so io! Sei freddo come il marmo e non dai un minimo di calore a nessuno! Non c’è da stupirsi evidentemente se ti da’ fastidio quando qualcuno si avvicina a te! -, disse, a voce sempre più alta soprattutto. Nel frattempo a Byleistr era sembrato di sentire qualcosa, ma con tutto il baccano che stava facendo il nano non riusciva a percepire nient’altro.

Si chinò sul nano, cercando di fargli abbassare la voce. – Thìalfi sta’ zitto, ho sentito qualcosa! -, disse, ma il nano lo ignorò.
– Allontani tutto e tutti come se avessero la peste! Sei uno schifoso stronzo, ecco cosa sei! -.
- Thìalfi dannazione fa’ silenzio per un momento! -.
- E pretendi pure di essere meglio di tuo padr… -.
- STAI ZITTO! -, urlò Byleistr, esasperato.





Fu proprio in quel momento che il Principe intravide una figura nascosta tra i cespugli, con quella che apparentemente pareva una cerbottana. D’istinto spinse Thìalfi di lato, ma non poté evitare che il piccolo dardo diretto verso il nano lo colpisse al braccio, mentre un altro, non visto, lo colpiva all’altezza del collo. I due oggetti, pregni probabilmente di un potente sonnifero, fecero presto il loro effetto: Byleistr neanche si accorse che, nonostante il caos nascente, ai suoi uomini fosse infine capitata una sorte simile. Crollò forse nel sonno più profondo della sua vita, mentre la sua caduta era attutita dalle felci e le foglie sul terreno, come il morbido materasso che non aveva mai avuto da quando suo padre Farbauti era morto. 





 

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Capitolo 12
*** Solitudine ***








 
E rieccoci.
Potrei dire tante cose riguardo a tutto il tempo che ho messo per aggiornare.
Ma in sostanza posso sintetizzare così: con gli esami scolastici conclusi nel mese di luglio (e piuttosto bene dopo tutto, visto che ho preso quasi cento) stavo ritornando a scrivere quando c’è stato, alcune settimane fa, un problema abbastanza grave di natura strettamente personale, ragion per cui onestamente non ho avuto neanche il pensiero di scrivere. Ma intanto ora problema è (mezzo) risolto e la situazione va meglio, non ho più ragione di preoccuparmi tanto quindi non c’è più motivo per non continuare. Comunque sia: dedico questo capitolo a una persona che probabilmente non lo leggerà mai. E per fortuna perché, triste com’è, non sarebbe apprezzato da qualcuno cui piacciono generi meno tragici. E come ben sapete questa storia è partita fin dall’inizio come Aangst puro. Detto ciò siete liberi di detestarmi visti i contenuti del capitolo :) che è tutto flash back.
Buona lettura.

Madama Pigna
















Byleistr non aveva mai giocato con le bambole, prima della Grande Guerra.
Suo padre Farbauti era convinto che a una certa età i bambini dovessero giocare all’aria aperta, sfogando la loro vivacità con giochi più animati. Lui non se ne era mai lamentato: il movimento non gli dispiaceva per niente e non gli interessava molto giocare con fantocci di legno o tessuto.

Poi però Farbauti era morto.
Laufey proibì sia a Byleistr sia a Helblindi di perdere tempo a giocare con degli ‘straccioni’. In ogni caso, il più piccolo aveva cominciato a chiudersi in se stesso e la compagnia di bambini che, lo sapeva bene, detestavano la sua famiglia o ne avevano paura lo metteva davvero troppo a disagio per lasciarsi andare.
Ben presto si allontanò dalla loro compagnia, e anche suo fratello Helblindi cominciò ad avere qualche difficoltà nel comunicare con lui. Stava sempre per i fatti suoi, Byleistr: anche prima non era mai stato molto socievole, e se interagiva con gli altri era solo perché Farbauti lo incoraggiava ad affrontare la timidezza.

Così pensava. E in virtù delle sue riflessioni tendeva a capire le cose più velocemente dei suoi coetanei. Spesso finiva con il fare domande scomode agli adulti, perché rimaneva comunque un bambino e non poteva comprendere tutto quello che succedeva davanti ai suoi occhi. Era sempre stato un tipo curioso, detestava non arrivare a capire qualcosa ed era più forte di lui chiedere spiegazioni. E allora i più grandi (Laufey, nella fattispecie), s’innervosivano, a volte si arrabbiavano parecchio e lo scacciavano via bruscamente, spesso non prima di avergli dato un ceffone.
Così Byleistr tornava nella sua piccola stanzetta conscio di non potere uscire da lì se non dopo il pasto successivo, senza poter mangiare niente.

L’unica cosa che aveva imparato da quelle sberle era capire quando bisognava stare zitti. Nient’altro.


Erano quelli i momenti in cui il principino sentiva la sua solitudine come una condanna.
Gli altri bambini non sarebbero mai stati suoi amici, dopo quella guerra.
A Helblindi non poteva raccontare niente di tutto quello che passava, o rischiava di metterlo nei guai.

Spesso piangeva. Spesso si rannicchiava nel suo letto e cercava di fare più silenzio possibile. Una volta Laufey lo aveva sentito singhiozzare; e siccome era
fastidioso, era entrato in camera e lo aveva colpito più volte con un bastone, che faceva molto più male di un semplice schiaffo.

E perciò Byleistr era sempre molto triste.
Aveva paura di suo padre, così evitava di uscire troppo spesso dalla sua camera, per incontrarlo il meno possibile.

Ma non aveva nessuno con cui passare il tempo, con cui giocare. Niente e nessuno.

Poi un giorno, camminando per strada in uno di quei periodi in cui Laufey era via da Utgarda per sistemare qualche faccenda fuori dalla Capitale, aveva trovato uno strano oggetto. Si era chinato per terra, e incurante della pozzanghera in cui giaceva lo aveva raccolto. Era una specie di pupazzo, fatto con umilissime pezze.

Byleistr si era guardato intorno, cercando di capire a chi appartenesse. Non voleva rubare un giocattolo a un altro bambino. Magari ne avrebbe sentito la mancanza.
Ma non c’erano suoi coetanei in giro.
Che si fossero nascosti per non incontrarlo?

Cercando di non pensarci, il piccolo era tornato alla reggia, nascondendo la bambola sotto la maglia. Poi l’aveva ripulita alla bella e meglio, e gli aveva dato un nome:
Pokk.
"Ringraziamento".


Aveva subito cominciato a parlarci: gli riportava com’era andata la giornata, gli rivelava piccoli segreti, certe volte gli raccontava anche alcuni momenti passati con il suo papà, prima che lui morisse.
Era un modo come un altro per sentirsi meno solo. Tanto che Pokk dormiva accanto a lui, la notte. Chissà perché aveva meno incubi quando lo appoggiava nel suo cuscino, in modo che fosse sempre accanto a lui.

Ben presto ai due si unirono anche altri bambolotti. Byleistr in persona li costruiva con le vecchie pezze che i servi non usavano più, secondo loro ormai inutilizzabili. Le appallottolava, lasciando cinque lembi strappati per gambe e braccia, cercava di dargli una forma tenendo assieme i pezzi con dei fili, e per fare la testa imbottiva un piccolo avanzo di tessuto con il quinto lembo, bloccando sempre il tutto con i fili (quasi sempre straccetti ridotti a strisce).


Non era un lavoro elegante, anzi quei manichini di stoffa non valevano proprio niente, ma Byleistr era contento di saper fare almeno quello. Le sue bambole erano il suo piccolo orgoglio, la sua piccola fonte di serenità. Con loro giocava, parlava, inventava tante piccole avventure. Si sentiva bene in quei momenti.

Purtroppo doveva tenerle sempre nascoste. Laufey non avrebbe mai approvato.
Non aveva argomenti con cui poterlo dire con certezza, ma in ogni caso suo padre andava sempre contro qualunque cosa lui facesse. A volte era anche contradditorio: quando gli ordinava di fare una cosa e lui la faceva, finiva comunque con l’irritarlo, spesso lasciando Byleistr incerto su come dovesse comportarsi.
Probabilmente l’esistenza stessa dei suoi figli lo faceva arrabbiare.
Era quindi colpa loro? Ma lui e suo fratello non avevano chiesto di nascere...



Helblindi un giorno lo scoprì mentre faceva conversazione con Pokk, e volle giocare con lui. Dopo un po’ di titubanza, il suo fratellino acconsentì. Come poteva arrecargli danno con i suoi piccoli amici?

Dopo poco tempo, però, a Helblindi piacquero fin troppo. Seduti per terra nella stanza di Byleistr, stavano cominciando a ridere, ridere forte. Erano le prime risate infantili che qualcuno sentiva da dopo la Grande Guerra, nella città di Utgarda. Risate semplici, per qualcosa di semplice, addirittura banale apparentemente.
Ma Laufey non gradiva quella ritrovata felicità.
Quando li udì, entrò come un lampo nella minuscola camera, e strappò dalle mani di entrambi tutti i pupazzi.
Li distrusse davanti ai loro occhi, riducendoli in piccoli brandelli che finirono sul pavimento.
- Pulisci tutto -, aveva ordinato a Byleistr. – E guai a te se ti ripesco a giocare con questa roba da pappamolle! -, aveva continuato, per poi andarsene sbattendo forte la porta.




Dopo alcuni secondi di silenzio, Helblindi era stato cacciato via in malo modo.
Byleistr aveva chiuso la porta e, chino su quello che era rimasto dei suoi amici di stracci, era scoppiato a piangere, finendo sul pavimento a stringere i resti di quello che un tempo era stato Pokk.
Ma non era il suo nome quello che chiamava.


- Papà… -, chiamava. – Papà… -.
Quel giorno non riuscì a piangere in silenzio.
Invocò suo padre molte volte, pregando che ritornasse, pregando che lo stringesse tra le braccia dicendogli che sarebbe andato tutto bene, che il dolore sarebbe passato, che almeno lui gli voleva bene.

Le sue preghiere non potevano essere esaudite.
Ma forse, pensava Byleistr accovacciato sul pavimento freddo, se Farbauti non poteva tornare da lui, forse era Byleistr che poteva raggiungerlo.

Poi, però, al desiderio di morire si sovrappose il senso della vergogna.
Si sentiva un codardo. Una nullità.
In quel modo avrebbe lasciato suo fratello indifeso. Doveva mantenere la sua promessa.
Probabilmente, dal Vhalalla Farbauti si sentiva deluso dal suo comportamento.
A quel pensiero, poté solo piangere più forte.

Per non lasciare suo fratello inerme, avrebbe dovuto sforzarsi, resistere di più.


Ma si sentiva
solo. Si sentiva tanto, tanto solo.








 

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Capitolo 13
*** Alleanze fruttuose ***


 
 





Un leggero dolore al collo. Un forte senso di pesantezza.
Si sentiva completamente intorpidito. Anche la testa non era pienamente lucida.
Tuttavia cominciava risvegliarsi qualcosa nella sua mente.
Chi era?
- Principe… -.
Dov’era?
- Principe Byleistr… -.
Cos’era successo?
- Byleistr! -.
 
Sussultò, aprendo gli occhi e svegliandosi di colpo.
– Finalmente! -, esclamò una voce familiare.
Allora Byleistr fece per muoversi, ma si accorse che sfortunatamente non poteva farlo come in realtà avrebbe voluto. Seduto sul freddo ghiaccio, con la testa precedentemente chinata (per questo sentiva dolore al collo – ma allora, considerata la sua natura Jotun, da quanto tempo era in quella posizione?), le sue mani erano bloccate dietro la schiena da solide catene metalliche. E dietro di lui, a condividere una prigionia simile con quelle stesse manette, c’era qualcun altro. Si girò, allungando il collo ancora un po’ dolorante e notando una chioma di lunghi, arruffati capelli bianchi. La figura si voltò, mostrando il sorriso sarcastico di una donna. Blodhugadda lo guardava spudorata come sempre. Poi ella alzò gli occhi al cielo con un sospiro.

- Ben destato principino! Mi chiedevo quando ti saresti svegliato. Hai dormito qualcosa come un giorno e mezzo. O forse di più. Non sai che noia. Non credevo che una sola dose potesse stenderti per così tanto. A questo punto mi chiedo se quel nano che era lì con te sia sopravvissuto… -, continuò la meticcia. Byleistr scosse la testa, ancora intontito. – Credo fossero due… i dardi -, mormorò. La mezza Asir annuì. – Alla questo spiega tutto -.
 
- Per niente. Cosa è successo? -, chiese Byleistr. Si era addormentato praticamente subito, d’altronde. Sicuramente soprattutto a causa della doppia dose di sonnifero, ma di certo il suo sonno arretrato aveva aiutato. Non dormiva mai in modo decente, c’era da sorprendersi?
 
- C’è stata un’imboscata. Hanno addormentato tutti con un sonnifero e poi hanno portato te via. A Skrymìr piacciono i trucchetti. E poi non voleva perdere tempo con una strage, anche se sicuramente gli avrebbe fatto molto piacere -, spiegò la meticcia semplicemente, per poi scrollare le spalle. – E a quanto ho capito non è stato molto difficile per i suoi non farsi notare. Stavi discutendo con il tuo compagno forse? – chiese, con un sorriso malizioso. – Eh, l’amore! -, aggiunse persino. Byleistr cercò di distanziarsi da lei, ma erano legati a filo doppio. – Thìalfi NON è il mio compagno. E’ un maledetto STUPIDO! – affermò con furente veemenza. Era in quella situazione solo perché quell'idiota di un nano non sapeva tenere quella sua dannata boccaccia chiusa!
 
Blodhugadda rise. - D’accordo, d’accordo. Come non detto, devo aver frainteso -, ammise. Tuttavia continuò. – Però è vero che ti ha distratto in qualche modo. I miei complimenti per la scelta dei tuoi servitori personali… - disse, ghignando. Byleistr aggrottò le sopracciglia.
– Non è un servitore -.
 
- Seguace, servitore -, Blod scrollò le spalle indifferente. – E’ uguale. Tu sei il Principe di Jotunheim, eserciti i tuoi diritti da Erede al Trono e i tuoi ti seguono quasi come cagnolini. Tipico delle masse, oserei dire – aggiunse la giovane donna canuta con uno sguardo fin troppo tranquillo.
- Non ti azzardare a parlare così di quegli Jotun! Loro hanno scelto chi seguire, non sono una massa d’individui senza cervello che seguono il pensiero comune! -, rispose Byleistr, adirato. Ma come si permetteva quella pezzo di asgardiana a insultare così i suoi… seguaci? Non erano servitori perché non lo servivano nel senso più letterale del termine. Ma la maggior parte non erano alleati perché non c’era parità a livello di autorità. Allora cos’erano? Sottoposti?
E lui di chi era sottoposto dunque? Per senso logico qualcuno avrebbe detto Laufey. Lui era il Principe di Jotunheim, sì, ma suo padre ne era il Re. Inoltre il corvino era anche un ribelle: volendo anche Skrimìr poteva dirsi legalmente parlando superiore. No, assolutamente no.
O forse sì?
 
 
Blodhugadda, comunque, non era spaventata dalla sua reazione. – Come dite voi, mio Principe! -, rispose, usando il voi in modo deliberatamente sarcastico. Il suo sorriso si era fatto storto.
 
 
Non volendo e in ogni caso non sapendo rispondere, Byleistr decise di concentrarsi sulle catene cercando di liberarsi. Era pieno giorno ma, come notò guardandosi intorno nell’accampamento di Jotun nemici, nessuno stava facendo loro la guardia. Anzi, non c'era assolutamente niente intorno a loro nel raggio di dieci metri, se non sparsa sterpaglia. Perché?
Prese fiato, stringendo i pugni e gonfiando i muscoli. Quel metallo era più duro del previsto.
 
- Inutile sforzarti, Principe. Queste sono catene di Uru*, non sei abbastanza forte per spezzarle! Nemmeno con quel tuo trucchetto anti-ghiaccio! -, affermò Blodhugadda, che cercava, per quanto possibile, di non sfiorare la pelle di Byleistr viste le sue ustioni precedenti.
- Come fai a sapere che sono di Uru?! -, ringhiò il corvino, nello sforzo immane di spezzare quelle dannate manette. Eppure, per quanto i suoi muscoli tremassero a causa dell’enorme sforzo e la temperatura della sua pelle fosse scesa tanto da far gelare ciò che era intorno a lui, i suoi tentativi erano inutili. Né i suoi muscoli né i suoi impulsi mentali erano in grado di fare qualcosa. Alla fine smise, ormai conscio che sarebbe stato solo uno spreco di forze.
 
- Perché le ho fatte io! Era l’unico Uru che avevo e mi hanno costretto a usarlo per costruirle -, rispose la mezzosangue piuttosto risentita. Byleistr girò il collo, cercando di guardarla in cagnesco nonostante fissarla direttamente negli occhi fosse abbastanza complicato in quella posizione. – Perché hai accettato di farle? -, chiese. La giovane sbuffò. – Mi hanno costretta a ingerire uno dei miei veleni. Hanno preso anche i miei sonniferi... O facevo il lavoro o non mi davano l’antidoto. Dovevo guadagnare tempo! -, replicò, giustificandosi. Poi continuò a parlare, stavolta più piano, cercando di girare il viso verso il suo orecchio. – Senti, Laufeyson, da qui nessuno dei due ne uscirà vivo, almeno non da solo. Se vogliamo salvarci la pelle dobbiamo collaborare, o non avremo nemmeno una possibilità -, disse. Byleistr non ne fu troppo convinto. – Laufey mi vuole vivo. Qui, al massimo, l’unica che rischia la morte sei tu -, affermò, pur sapendo che nemmeno lui era al sicuro. Infatti Blodhugadda rispose senza esitazione. – Il Re Tiranno ti vuole vivo per darti un destino anche peggiore della morte. Credimi, se vogliamo salvarci l’unica possibilità è quella di allearci, anche solo momentaneamente -, disse la mezzosangue, usando il meglio della sua retorica per convincerlo. Anche perché se non si fossero inventati qualcosa in fretta sarebbe davvero finita male. Per entrambi. Sapeva che non c’era alcuna via di fuga dalle terribili prigioni di Utgarda.
 
- Sei d’accordo, principino? -.
 
Anche Byleistr doveva saperlo, in fondo era cresciuto lì.
 
Infatti lui sospirò, rassegnato a un destino che non gli dava mai vita facile. – Va bene. Usciremo insieme da questa storia, e poi… Tutto come prima che ci conoscessimo. Nessuno dei due darà fastidio all’altro e se dovessimo rincontrarci non ci scontreremo ma ci ignoreremo, d’accordo? -.
- Propini patti migliori di quelli di tuo padre. Non particolarmente convenienti, però migliori. Accetto, ma – continuò la ragazza. – Se scappo e riesco pure a salvarti la pelle, Skrymìr mi darà la caccia e mi troverà se sarò da sola. Quindi dovrai darmi protezione dentro una delle tue basi! -.
- Chi dice che sarai tu a salvarmi la pelle e non il contrario? -.
- Conosco questa zona meglio di te. E ho già un’idea per andarcene via da qui - disse lei sorridendo furba. Aveva l'aria di essere molto sicura di sé, esattamente quello che Byleistr non era ma questo non significava che si fidasse delle sue parole, tutt'altro in verità.
 

- Vedi la terra intorno a noi? E’ morbida, feconda. Verrebbe voglia di piantarci qualcosa di buono invece di quegli stupidi sterpi che si usano per gli infusi – iniziò lei a parlare, ovviamente riferendosi al Concentrato di Bergelmir*. – Invece è il nido di una pianta carnivora molto pericolosa. Una soffocatrice. Hai presente? -.
 
Byleistr strabuzzò gli occhi. Ora capiva perché non c’era nessuno a fargli la guardia.
Non ce n’era bisogno.
 
Quasi a voler provare le parole della mezzosangue, un coniglio troppo grosso e dal muso troppo affilato per sembrare tale agli occhi di un midgardiano saltellò sopra quel terreno soffice solo in parte coperto dalla neve, per avvicinarsi a quella che sembrava un’innocua piantina e, si suppone, mangiarsela.
 
Fu un attimo. La terra attorno l’animale si smosse, e tentacoli arborei grossi quanto il braccio di un Asir ne uscirono fuori, strangolando il coniglio e trascinandolo all'istante sotto terra.
Il terreno si risollevò. Senza lasciare traccia che non fosse un po’ di polvere smossa.
 
 
Colto da una paura istintiva il Principe abbassò lo sguardo. I due erano ammanettati sopra una lastra di ghiaccio spessa circa venti centimetri. Ecco perché non erano stati divorati dalla pianta. A contatto con il freddo di quel materiale non sarebbero certo uscite allo scoperto.
 
- Le soffocatrici vivono generalmente sottoterra perché non sopportano troppo a lungo il gelo esterno di Jotunheim. Escono solo per mangiare. Tu sei un Gigante di Ghiaccio, se crei lastre abbastanza spesse e larghe da camminarci potremmo passare tranquillamente sopra questo terreno - spiegò la donna, anche se l'ermafrodita aveva già quelle conoscenze.
 
- Io non sono in grado di produrre così tanto ghiaccio - mormorò fissando la terra.
- Tu credi? Questo è da vedere. E comunque è anche per questo che ci sono io! -.
Byleistr si fece stupito. - Tu potresti farlo? - chiese. Il viso Blodhugadda si deformò in una smorfia. - Certo che no. Sono una comune mezzosangue, per quanto molto intelligente - disse senza alcuna modestia apparente. Scrollò le spalle. - Ma come ti ho detto conosco la zona. So come risolvere il problema... alla radice, è il caso di dire -.
- E i soldati? -.
- E' metà mattinata, certo non l'orario migliore per una fuga. Sono un po' in giro al momento, ma questa sera torneranno e non si cureranno di noi, credendoci in trappola. Questo, ovviamente, se tu farai esattamente quel che ti dirò... - mormorò la guerriera, cominciando a spiegare il suo piano al giovane Principe. In tutto quel tempo i loro corpi non smisero di essere così vicini, nonostante fossero solo le manette e la necessità a spingerli a quel contatto.
 
 
 
 
 
Quella sera i soldati, la maggior parte appena ritornati nel campo, fecero baldoria brindando al loro successo e mangiando a sazietà radunati attorno a un fuoco molto distante dai due.
Nessuno pensò minimamente di avvicinarsi per dar loro qualche provvista anche grama, tuttavia Skrymìr pensò bene di controllarli un paio di minuti e, perché no, anche deriderli.
 
Era sufficientemente bravo nella manipolazione del ghiaccio da poter passare sopra il terreno insidioso senza problemi, camminando sul ghiaccio vergine quasi come se fosse un dio sopra le acque. Certamente lui si credeva tale o qualcosa di molto simile.
Teneva le mani intrecciate tra loro dietro la schiena, il suo solito ghigno sadico a deformarne i lineamenti comunque poco piacenti, o forse non-piacevoli proprio a causa di esso.
- Buonasera, piccolo principe - iniziò canzonatorio, ignorando la mezzosangue.
Byleistr non rispose, nemmeno lo guardò. Anche se non poté evitare di stringere le labbra.
In ogni caso l'altro continuò. - Cos'è, speri forse di scappare? Ormai sappiamo entrambi quali sono le tue capacità, Byleistr. Non sai produrre così tanto ghiaccio da poter camminarci sopra in sicurezza. Guarda che lastre sottili stai costruendo. Oh giusto: non puoi, sei girato e incatenato. Ma la tua puttanella Asir potrà confermartelo. Morireste entrambi soffocati e divorati se provaste a posarvi un solo passo, e comunque dove sperate di poter andare così ammanettati? -.
 
Blodhugadda non rispose alla provocazione, ma dal suo leggero tremore Byleistr intuì la sua ira. I suoi occhi verdi, probabilmente, ardevano tanto quanto il rosso fuoco distante da loro.
 
Le parole di Skrymìr, comunque, sembravano ragionevoli: la zona delle soffocatrici era una striscia di terra lunga circa un miglio, a quanto la mezzosangue gli aveva detto, che divideva il campo dal resto della foresta. Il ghiaccio del principe tracciava un sentiero verso di essa, ma era sottile. Un umano, un piccolo Asir o un nano forse sarebbero riusciti a passarci sopra senza romperlo, certo non due creature grandi quanto Byleistr o Blodhugadda. Troppo peso.
Gli occhi di Byleistr fiammeggiarono. Nonostante tutto cercò di imprimere più energia e volontà al ghiaccio su quel terreno. Il gelo intorno a loro aumentò, e Blodhugadda ebbe dei brividi e stavolta non di rabbia, il principe lo sapeva bene. Ma nessuno dei due parlò.
 
Skrymìr rise. - Non ti arrendi mai, eh? Volitivo come sempre, ma stavolta la tua testardaggine non ti aiuterà. A ben vedere non ti ha mai aiutato - allungò la mano destra per una lasciva carezza alla guancia del principe, che si scostò lanciandogli un'occhiata calda di furia.
Lo Jotun replicò tirandogli i capelli in modo che il viso del principe fosse rivolto verso l'alto. Verso di lui. - Oh, non vedo l'ora di toglierti quell'espressione impudente dalla faccia. Non sai quanto ci divertiremo, una volta tornati a Utgarda. O almeno, sicuramente io me la spasserò tra le tue cosce. Tu... tu ci farai certo l'abitudine, magari inizierà a piacere anche a te con il tempo. Tuo fratello apprezzava molto - concluse con un ghigno sadico.
Prima che Blodhugadda potesse fermarlo, il principe approfittò del fatto che Skrymìr aveva lasciato la presa sui suoi capelli per addentargli una mano. Riuscì a afferrare il suo indice, e il sottoposto di Laufey gemette. Byleistr non mollò la presa nemmeno quando iniziò a sentire il sapore del sangue sulla sua lingua, anzi aumentò la forza della sua mascella finché Skrymìr non si liberò dandogli un pugno con la mano libera. Il corvino non emise un gemito.
 
- Maledetto bastardo! - il ghiaccio di Byleistr si incrinò mentre il suo creatore riceveva un altro pugno, a cui rispose sputando il grumo di sangue uscito dal dito leso.
- Giuro che me la pagherai! Mi rifarò anche sulla tua troietta di bassa lega per questo! - urlò, allontanandosi con fare indignato mentre il suo dito continuava a sanguinare copiosamente.
Il figlio di Laufey non distolse lo sguardo dalla figura dello Jotun finché non si perse in mezzo alle altre vicino al fuoco. Poi sospirò affranto, scuotendo la testa. - Perdonami, mi sono deconcentrato - disse, e in effetti il ghiaccio si era assottigliato e la mancanza di sostanze commestibili e nutrienti nello stomaco non aiutava, non aiutava per niente. Blodhugadda sbuffò.
- Ti pareva se non doveva venire quel bastardo a importunarti. Lascia stare, avrei fatto lo stesso -.
- Scusami. Se dovessimo fallire, tu... -.
- Mi farebbe comunque qualcosa in quel caso, lo sai meglio di me - replicò l'altra in tono lucidamente pratico, - Una tortura in più o una in meno non cambia. Ora non ti distrarre più, per favore - continuò. Per alcuni minuti cadde il silenzio, ma poi riprese a parlare.
 
- Gli avresti davvero staccato il dito con un morso? - chiese. Sembrava vagamente divertita.
- Gli staccherei ben altro a dire la verità, ma mi sono accontentato di quello che sono riuscito a prendere - replicò Byleistr, più calmo ora che non sentiva più l'eccessiva vicinanza di Skrymìr.
Blodhugadda scoppiò a ridere sguaiatamente, comprendendo il senso delle sue parole.
 
 
 
 
 
 
Dopo ore e ore di difficile veglia, passate a scambiarsi poche parole giusto per assicurarsi che nessuno dei due dormisse, finalmente arrivò l'alba. Era il momento di passare alla fase successiva.
- Sei sicura che funzionerà? - chiese il principe, scettico. La meticcia sbuffò, scostandosi in tal modo una ciocca di bianchi capelli dal viso. - Laufeyson, te l'ho già detto: non sono una cretina totale e a dirla tutta non mi piace ripetere sempre le stesse cose. Ho fabbricato le catene con l'Uru, certo, ma non le serrature che le tengono chiuse. Se ti concentri su quelli invece che sugli anelli, credimi, riusciremo a liberarci - affermò lei certa del suo piano.
Byleistr sospirò, cercando di ritentare a indirizzare il suo potere criocinetico sul metallo, stavolta non in modo generico ma sui punti precisi indicati dalla mezzosangue.
Non era bravo, o almeno non si considerava tale tuttavia si concentrò e sforzò al massimo.
Era stanco, affamato, reduce da un giorno e mezzo di sonno causato dai sonniferi ma non per questo meno debole. Nonostante questo però, alcuni minuti dopo sentì uno sfrigolio. Poi il rumore di metallo spezzato, anche se molto labile. Blodhugadda sorrise soddisfatta, e pur avendo le mani intirizzite armeggiò un po' con le manette fino a quando non riuscì a aprirle. Si alzò, non osando andare oltre al perimetro del cerchio di ghiaccio di Skrymìr, facendo lo stesso con quelle di Byleistr. Le aveva pur sempre fatte lei. - Visto? Sei uno Jotun di poca fede! - bisbigliò lei ridendo. Il Principe non rispose, perché doveva darle ragione.
 
I due ora erano entrambi in piedi, fissando il sentiero tracciato dallo Jotun con costanza durante tutto il giorno e la notte precedenti. Byleistr si agitò leggermente. - Sei sicura che funzionerà? -.
La mezzosangue annuì. - Sicura. Basta non fare eccessivo rumore, o ci scoprirebbero e comunque le piante potrebbero... come dire, essere turbate. Vado prima io - replicò la ragazza, che fermò con un gesto della mano ogni eventuale protesta. - Sono più calda di te. E il ghiaccio sarà più freddo adesso che dopo, quando tu comunque potrai congelarlo meglio passandoci sopra. E poi devo pur dimostrarti che ho ragione, no? -.
- Ma... -.
- Oh, non rompere Byleistr: preoccupati per me quando avrò finito di salvarti la pelle e tu dovrai ospitarmi per forza in mezzo ai tuoi. Sarò più in pericolo allora di adesso, credimi -.
Detto ciò la mezzosangue non lasciò spazio a altri discorsi, poiché scese dal piedistallo di ghiaccio e, delicatamente, posò i piedi sulla lastra di Byleistr.
 
Essa scricchiolò sotto il suo peso.
E lo fece ancora ai suoi passi successivi.
Tuttavia lei continuò a camminare, delicata entro i limiti di un Gigante adulto seppur con sangue di Asir. Il ghiaccio non era troppo robusto, tuttavia la meticcia non fu attaccata da nessuna pianta assetata di sangue. Oltrepassò il sentiero, lungo una decina di metri in pochi minuti e arrivò sana e salva dall'altra parte, voltandosi poi verso il principe con un sorriso di trionfo, per nulla oscurato dai capelli scarmigliati o dalle occhiaie profonde frutto della lunga notte.
Pose le mani sui fianchi larghi, poi lo invitò a seguirla con un cenno. Il tutto in silenzio.
Leggermente esitante ma deciso a andarsene, Byleistr pose il piede sinistro sulla lastra, in un punto diverso da quello toccato dalla mezzosangue, concentrandosi per emanare più freddo possibile dai piedi. La terra non diede cenno di muoversi.
 
Dunque l'idea della provvidenziale alleata era giusta.
Certo una sottile lastra come quella di Byleistr non reggeva bene il peso di uno Jotun adulto, tuttavia, se mantenuta a lungo e costantemente, essa poteva in ogni caso raffreddare a sufficienza il terreno affinché le soffocatrici sottostanti ne risultassero intorpidite, o comunque non osassero cercare di salire in superficie pronte a stritolare una possibile preda.
 
Doveva solo evitare di compiere passi troppo esterni, restare concentrato e non fare movimenti bruschi. Evitare i punti incrinati del ghiaccio dove era già passata la donna.
 
E così fece. Piano piano, senza eccessiva  fretta.
 
Infine arrivò dall'altra parte, perfettamente incolume.
Soddisfatta del risultato Blodhugadda gli diede un'amichevole - quanto esageratamente confidenziale  - pacca sulla spalla, che nonostante il fastidio Byleistr non rifiutò.
- Visto? Te lo avevo detto che avrebbe funzionato - disse lei, voltandosi per andarsene lontano dal luogo. La mezzosangue non aveva calcolato, però, che le piante non si sarebbero certo lasciate sfuggire così due prede succulente da sotto il naso. Quasi avessero una coscienza.
 
Da una parte del terreno distante dal ghiaccio uscì fuori un tentacolo a velocità fulminea. Esso pareva più grosso degli altri rami, quasi fosse più anziano. Afferrò il polso destro della ragazza e sfruttando l'effetto sorpresa la tirò verso il suo nido. Di pochi passi appena, tuttavia bastarono.
 
Immediatamente una serie di rami uscirono fuori dal terreno, afferrandola e tirandola a terra. Uno di essi iniziò a avvolgersi intorno al suo collo più volte, per poi stringere la presa.
 
 
- Byleistr! Byle… - la pianta soffocò il fiato della giovane impedendole di continuare.
Lo Jotun la fissò per alcuni secondi. Esitò. Ma poi si riscosse. Nel frattempo lei si dimenava.
- Blodhugadda! - esclamò il Principe. Avrebbe potuto lasciarla lì a morire, togliersi lo scomodo di una meticcia a scombinare l'atmosfera in mezzo ai suoi ribelli e andarsene indisturbato da lì. Non fece nulla di tutto questo. Piuttosto che rimangiarsi la propria parola e lasciar morire una persona in quel modo, per giunta sua alleata, si sarebbe buttato lui stesso lì in mezzo.
Cosa che stupidamente fece.
La pianta rampicante allungò i propri tralicci verso di lui, cercando di attorcigliarsi in mezzo ai suoi polsi e alle sue caviglie. Lui oppose stoicamente resistenza, allungando comunque le mani sul corpo della mezzosangue per strapparle di dosso i legami arborei. Ci riuscì, a partire dal collo. Blod prese una gran boccata d'aria, liberandosi e riuscendo a rotolare fin dove il terreno era sicuro. Fissava il Principe con terrore, perché non sapeva come fare per aiutarlo dopo essere stata liberata. Comunque allungò il braccio verso di lui. Lo avrebbe tirato da lì giocando a braccio di ferro con la soffocatrice, se necessario. - Prendi la mia mano! -.
E Byleistr la prese, insieme cercarono di tirarsene fuori. Ma la forza di quella soffocatrice sembrava superare quella dei due Jotun affamati e stanchi.
La mezzosangue tirò e tirò, con tutta la forza che aveva accumulato in quegli anni e che già il suo sangue di Jotun e di Asir le concedeva di per sé. Ma non bastava.
 
Per un istante i due pensarono che la pianta avrebbe avuto la meglio. E fu allora che Byleistr, nonostante tutte le energie impiegate nella manipolazione del ghiaccio, fece un ultimo sforzo.
La sua pelle divenne fredda, freddissima, al punto tale che i palmi di Blodhugadda si ustionarono all'istante. Lei fece una smorfia di dolore, ma non cedette.
I tralicci, invece, cominciarono a sgretolarsi. La soffocatrice non poteva gemere di dolore, tuttavia i rami ancora sani tremarono e, frettolosamente, cominciarono a ritirarsi, seppellendosi sotto il terreno soffice. La terra si smosse, ma non diede più segno di volersi sollevare. Finalmente libero nonostante gli arti doloranti Byleistr raggiunse Blod, al sicuro.
Se lei non lo avesse trattenuto, non era troppo certo che sarebbe riuscito a liberarsi in tempo.
 
- Sai... per un momento ho pensato che avresti lasciato mi prendesse -, mormorò lei portandosi le mani al collo per massaggiarlo nonostante le ustioni. La stretta della soffocatrice le aveva lasciato dei lividi vistosi, a onor del vero di un viola scuro e minaccioso sopra quella pallida pelle azzurrina.
 
- Eppure sai che non lo avrei mai fatto - affermò Byleistr, osservandola con attenzione.
La donna annuì. - Certo, ma la fifa a volte è più forte della ragione - replicò lei schiettamente.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 


 
 
 
*: metallo usato ad Asgard presente nei fumetti, il più resistente dell’universo prima del vibranio e in certi casi dopo la dargonite. Materiale usato per Gugnir, Mjolnir e il Distruttore. Nel mio universo ho pensato che magari Blodhugadda potesse averne ricavato un po’ da vecchie armi lasciate dal padre, anche se avendone poco non lo usa abitualmente.
**: il Concentrato di Bergelmir si ricava dall'ononima pianta, l'ho citato un paio di volte in NSSARDS. In pratica è una sorta di integratore, se vogliamo, molto importante nell'alimentazione degli Jotun, specie per la salute delle ossa ma non solo.

 

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Capitolo 14
*** Benvenuti? ***


 
 





- E' tutta colpa mia! -.

Erano passati alcuni giorni da che il Principe era stato rapito. Molto stranamente, non c'erano stati caduti né altre trappole a ostacolare i ribelli tuttavia, per quanti volontari lo avessero cercato e nonostante le spie pronte a aguzzare le orecchie in cerca di notizie interessanti, non era rimasta alcuna traccia del Principe Byleistr.
E ora Thìalfi, nella loro nuova base, disperato camminava avanti indietro all'interno di una delle principali costruzioni non sapendo più cosa altro fare per trovare l'amato Principe. Avevano realmente provato di tutto: silenziose ricerche nelle città più vicine, la caccia nei boschi, le spie dentro l'esercito di Laufey, gli esploratori delle Catene di Mimìr, i prostituti da cui alcuni generali del Tiranno andavano a sfogare le loro voglie... niente.
Assolutamente niente di niente.

- Dobbiamo andare a cercarlo! Mandare altre pattuglie nel bosco!-.
- Thìalfi... -.
- E' tutta colpa mia! Se gli avessi obbedito invece di parlare a voce alta a quest'ora saremmo tutti qui sani e salvi! Invece lui si è fatto colpire per proteggere me! -.
- Piangersi addosso non aiuterà Byleis... -
- Lo so! Ma non so più cosa possiamo fare per trovarlo! E se fosse già morto? E se Skrimìr lo avesse già ucciso con l'Aquila di Sangue* e dato il suo cadavere in pasto agli Skepna della foresta? - il tono era disperato nella sua replica. Era davvero, davvero terrorizzato all'idea che Byleistr possa essere caduto nelle mani del Cane del Re, così era noto Skrimìr fra i Giganti di Ghiaccio ribelli.
Thrym* non rispose subito, piuttosto lo osservò grave. - Lo so, ma non possiamo fare molto più di quanto abbiamo già fatto. Dobbiamo avere fede. Forse Byleistr è scappato e si è nascosto da qualche parte, aspettando la giusta occasione per... -.

- Fede un corno, Thrym! In che cosa, poi? Negli Antenati? Non mi pare abbiano aiutato molto, da che Laufey è salito al potere! - gli urlò addosso il nano, uscendo fuori dal loco borbottando la sua frustrazione.

Il guerriero lo osservò uscire all'esterno, per poi sospirare. Non è che non fosse preoccupato, però disperarsi prima di aver sentito qualche cattiva notizia era inutile. Uscì anche lui, osservando come il campo dei ribelli fosse in piena attività: alcuni stavano ultimando le costruzioni, altri stavano addestrando le nuove reclute, qualcuno in un angolo cucinava quella che sarebbe stata la loro cena: carne di Skepna e stufato di licheni. Niente di molto appetitoso quindi, considerati consistenza e sapore di quelle pietanze, ma di quei tempi ci si doveva adeguare. Insomma tutti erano affaccendati in qualche attività, il che era perfetto per lui.
Lanciò uno sguardo penetrante a un Gigante lì vicino, che annuì.

Nessuno li avrebbe notati mentre si allontanavano nel folto della Jarnvidr.


 
****************************


Byleistr scostò con noncuranza un ramo di pino mentre, dietro di lui, Blodhugadda lo seguiva, entrambi facendo attenzione a ogni possibile fonte di pericolo. In fondo non c'erano soltanto soldati per cui stare allerta, ma anche ogni genere di bestia feroce o peggio, velenosa. Proprio in quel momento il giovane Principe di Jotunheim deviò i propri passi, avendo notato un rospo curiosamente grosso, dalla pelle violacea e gli occhi neri, giacere pigramente sopra una roccia coperta di muschio umidiccio. Nel suo viso passò una smorfia.
Blodhugadda parlò al posto suo. - Semi di Discordia. Se non ricordo male, si chiamano così perché il loro veleno, oltre a essere letale nel giro di poche ore, causa alla vittima un atteggiamento aggressivo e potenzialmente omicida - disse. Non aveva mai vissuto in quella particolare area della Jarnvidr, la quale occupava una porzione del loro pianeta enorme, però aveva sentito parlare di alcune delle sue creature. Byleistr annuì, imperscrutabile.

- E' così. Sono un buon segno, in verità: significa che ci stiamo avvicinando a una fonte d'acqua non ghiacciata -.

La meticcia lo osservò. - Tu ti rifornisci di acqua in un territorio occupato da animali velenosi? -.
- Se la necessità chiama. In fondo quelli non sono animali aggressivi, purché non li si tocchi -.

Lei stette in silenzio per un minuto. - Tu sei il peggiore autolesionista che abbia mai conosciuto - dichiarò con sicurezza, ottenendo d'altra parte uno sbuffo. - Cosa c'è? -.
Il principe ribelle si voltò a guardarla. - Parli come Thìalfi -.
- Intendi uno dei tuoi servi? Quello contro cui sbraitavi prima di essere catturato? -.
- Come ti ho ripetuto già mille volte in questi giorni, loro non sono i miei... - sospirò, decidendo di lasciar cadere il discorso. - Sì, lui -.
Un ghigno percorse le labbra della Gigantessa, che però non gli disse nulla.

Nell'arco degli ultimi sei giorni avevano camminato molto. Dopo la fuga, si erano scoperti assai distanti dal punto in cui Byleistr era stato catturato, fin troppo vicini a Utgarda e piuttosto lontani dal luogo in cui avrebbe dovuto dirigersi il Principe con i suoi ribelli. Entrambi in condizioni non perfettissime e spesso dovendosi nascondere da pattuglie di numerosi soldati la loro marcia era stata lenta, ma infine erano arrivati vicini al loro obiettivo. Byleistr era pensieroso: si chiedeva esattamente cosa avesse deciso di fare Laufey con lui, se Skrimìr fosse riuscito a portarlo nella Capitale di Jotunheim. Certamente non una bella fine, e fin qui ci arrivava da solo, ma... esattamente, che cosa? E soprattutto: voleva davvero saperlo?

Si voltò verso la mezzosangue dai bianchi capelli, anche lei circospetta: sembrava aver perso il solito cipiglio beffardo e divertito. Aveva teso a restare indietro nell'arco delle ultime ore, come se non ci tenesse così tanto a tenere il passo. - Problemi? - domandò. In fondo, se dovevano allearsi, non era il caso di evitare il dialogo. Per quanto egli stesso non fosse certo così aperto e chiacchierone, tutt'altro.

Lei lo fissò con aria poco convinta. - Nulla, ma era da molto che non mi avvicinavo a una zona così piena di persone - rispose. Di solito, in effetti, viveva sola in aree sperdute del pianeta: in quanto meticcia, nessuna delle altre possibilità era accettabile, visto che finivano con la morte o con la schiavitù, di quei tempi. Ridacchiò. - Dubito saranno molto contenti della tua scelta, principino -.
Il Principe scrollò le spalle marmoree. - Sto solo mantenendo la mia parola. Se mi darai un motivo per cacciarti, lo farò, ma se sarai utile, e visto che sei abbastanza in gamba da essere sopravvissuta da sola per anni sicuramente lo sarai, starai con noi fino a quando lo desidererai. Non ho nulla contro i meticci pur se gli Asir non mi piacciono affatto; al momento sono altri i problemi che mi preoccupano - rispose, in maniera logica, quasi pragmatica se vogliamo. Byleistr per certi versi non era ancora abituato a mettere in gioco i sentimenti, fossero i suoi o quelli degli altri da tenere in conto nelle decisioni un po' più 'politiche'.

Perché decidere di ospitare una meticcia era una scelta politica nei fatti, anche se ancora non poteva certo capirlo. Questo perché affermava con forza un'idea: che i mezzosangue fossero al pari dei Giganti di Ghiaccio, con diritti, doveri, libertà e diritto a vivere. Un tempo, quando Jotunheim era ancora un mondo potente e rispettato, questo poteva anche avere luogo e terreno fertile, pur con la mentalità conservatrice di molti Giganti. Ma dopo la Grande Guerra, proprio con una meticcia Mezza Asir, era davvero possibile una cosa del genere? Difficile a dirsi. Byleistr stava già facendo cose ritenute quasi impossibili dai più, non si poteva pretendere da lui un'ennesima impresa di tale difficoltà. Ma il Principe era molto esigente con sé stesso, e anche se non aveva ancora capito appieno quanto profondo era l'odio del suo popolo per Asaheim (lui che, in fondo, aveva sempre attribuito quasi tutte le disgrazie del suo mondo a Laufey e non a Re Odino) presto avrebbe avuto modo di vederne gli effetti. E forse, non ne sarebbe stato molto felice.

Fecero scorta di acqua quando, come previsto da Byleistr, si avvicinarono lungo il corso di un torrente. Il Principe spiegò che da lì in poi avrebbero dovuto solo seguire il suo corso per arrivare a destinazione. Camminarono a lungo e di buona lena, decidendo che non era il caso di fermarsi più del dovuto.
 
- Dovremmo essere molto vicini. Stiamo attenti, può darsi che Thìalfi abbia lasciato in giro delle guardie, potrebbero non riconoscermi subito -.
- Con i tuoi capelli neri, segno innegabile della discendenza di Ymir, e quella postura così regale e militaresca? - la ragazza sbuffò divertita mentre lo prendeva blandamente in giro. - Ne dubito molto, principino. Al massimo punteranno gli archi solo contro di me -.
- Tu restami comunque dietro - replicò lui in tono neutrale.

A Blodhugadda non piaceva quel modo di fare così gelido, distaccato. Le dava l'idea che nascondesse qualcosa sotto, una personalità molto meno fredda di quanto sembrasse in taluni casi - e in effetti il Principe aveva dimostrato di essere molto... focoso, per essere un Gigante di Ghiaccio!
- Quindi... - cominciò il Principe, dopo alcuni minuti di silenzio. - Sei un'ottima arciera. Combatti anche con la spada. Sai forgiare armi e usare le erbe. Hai altre abilità di particolare rilevanza? -.
Blodhugadda ghignò. - Diciamo che ho diversi modi di sfruttare il mio tempo... Conosco le basi per guarire, avendo una certa pratica con l'erbologia. E so anche fare i massaggi. Interessato? - disse con un tono più mellifluo. Fu il turno di Byleistr quello di sbuffare. - No, grazie -.
- Oh, che peccato. Sembri un tipo molto teso sai? E non ti farebbe male una tagliata ai capelli decente. Ti prego non dirmi che te li sei tagliati da solo con un pugnale di ghiaccio. Non rispondere -.
- ... Non lo farò -.
- ACCIDENTI LO SAPEV... Ahia! - gemette a una gomitata un po' troppo brusca.
- Ssh! Ho sentito un rumore - replicò Byleistr, che cercava di zittirla.
All'inizio la mezzosangue credette che lo Jotun volesse solo farla smettere di parlare, ma poi ascoltò quei suoni anche lei. Aguzzò le orecchie, gli occhi aggrottati in una espressione perplessa ma concentrata.
 
Sembrava il curioso suono di due respiri sincronizzati, ansanti, oltre alcuni metri di boscaglia posti più avanti. Stettero ad ascoltare.
- Sembrano gemiti di dolore - mormorò il Principe, accigliato. Si avviò subito verso quella direzione, anche se con cautela, facendo il minimo rumore possibile. Blodhugadda fece per fermarlo. - Principe, aspetta un attim...-.
- Se ci sono dei Giganti in difficoltà è mio dovere aiutarli - replicò lui senza neanche voltarsi.
Blodhugadda gli fissò le spalle. - Guarda che quelli non sono gemiti di dolor... - il principe non sembrò darle retta. La mezzosangue fece un'imprecazione a mezza voce, seguendolo oltre i cespugli.
 
Lo Jotun evocò nella sua mano una lunga daga, muovendosi agile e silenzioso come una giovane pantera in mezzo alla vegetazione, in modo tale da avvicinarsi passando inosservato. Arrivato sul luogo, dietro un albero vicino, prese un respiro profondo e di scatto uscì allo scoperto, tenendosi in posizione di combattimento, pronto ad affrontare possibili nemici. Ma quello che trovò dinanzi ai suoi occhi, beh, fu piuttosto diverso dal tipo di scontro che immaginava essere in atto in quel momento.
 




Di fronte a lui, due Giganti di Ghiaccio erano l'uno sopra l'altro, sfregando i loro corpi tra loro, andando a esplorarli con le mani, nudi come erano nati. Dalle dimensioni e dalla muscolatura, dovevano essere entrambi due guerrieri. Quello di sopra, con le ginocchia in mezzo alle gambe ben aperte dell'altro, sembrava muovere il bacino con agili scatti verso lo Jotun sottostante, avanti e indietro, forse mettendoci pure una certa potenza. Entrambi gemevano, e il Gigante di sotto stringeva la schiena del partner quasi con disperazione.

Byleistr li osservò, totalmente basito. Ci mise alcuni secondi per capire cosa stessero facendo i due. Poi sbiancò. - THRYM?? Che stai facendo?! -. Naturalmente era una domanda retorica ma capitelo, la sorpresa del momento. I due immediatamente si fermarono, interrompendo pure un lungo bacio neppure molto casto. Lo Jotun ricevente, con la schiena poggiata sulla neve fresca, si affacciò sopra la spalla del compagno, e appena vide il principe divenne rosso come i Fiori di Fuoco di Muspellheim. - PRINCIPE BYLEISTR??? -.

Il braccio destro del guerriero si liberò molto facilmente dalla presa dell'amante, anche perché pure l'altro si rendeva conto che i due non erano più soli. Thrym afferrò velocemente i suoi vestiti, in verità pochissimi e molto poco coprenti dato il suo status di guerriero, ma che comunque coprivano la sua intimità. - Ti... ti abbiamo cercato per giorni! Pensavamo fossi catturato o peggio, già nelle prigioni di Utgarda! -.

Il corvino fissò il Gigante con cui l'altro si stava sollazzando. Era uno dei ribelli, ovviamente - ci mancava solo che Thrym giacesse con uno dei soldati di suo padre! - ma non era uno di quelli di particolare importanza, fosse solo nella strategia o nell'abilità in combattimento. Forse era uno dei cacciatori, non ricordava neppure il nome. Agarosk, forse?
- Lo vedo che eri molto impegnato a cercarmi -.

Onestamente, dirlo gli era venuto spontaneo. Thrym arrossì ancora di più, ma non distolse lo sguardo.
- Ho setacciato il territorio in cui sei scomparso per quatto giorni, e anche le zone circostanti. Sono tornato solo ieri notte -.
- Oh -.
- Thìalfi era spaventatissimo. E' preoccupato a morte... forse è meglio che raggiungi il campo, prima che vaghi da solo nella foresta cercandoti fra bestie feroci e piante velenose -.
 
Byleistr ci pensò su. Non era una possibilità remota, dato il soggetto. Ma non aveva poi così tanta voglia di parlargli, specie in privato. Sospirò. - D'accordo, ma tu e... il tuo accompagnatore - fissò con aria scettica l'altro Gigante - Verrete con me. Sei uno dei miei luogo tenenti, devi essere informato riguardo alcune novità -.

Il principe indicò con la mano la meticcia alle sue spalle. Naturalmente, una volta arrivata Blodughadda stava facendo del suo meglio per non ghignare come un'adolescente idiota di fronte ai due amanti colti in flagrante, quindi in quel momento non appariva molto minacciosa e impavida. Thrim era troppo imbarazzato per studiarla con più attenzione, quindi annuì. - Ma certo, Byleistr -.
- Abbiamo delle priorità dentro il campo, te lo ricordi sì? -.
- Ma certo! - e il futuro Capitano delle Guardie Reali di Jotunheim avrebbe aggiunto anche qualcos'altro se Byleistr non avesse deciso di girare i tacchi e andare verso l'entrata del campo. Nel mentre, pensando che poi era lui quello che si distraeva con le questioni personali, secondo Thìalfi.

Una cosa era certa: non voleva mai più assistere a una scena simile. Mai più.
Quella roba non faceva proprio per lui!















 
 
*Aquila di Sangue: metodo di tortura/condanna a morte citato saltuariamente nelle saghe norrene, anche se alcuni studiosi dubitano che sia mai stato effettuato. Non ne descriverò i dettagli cruenti per il momento, ma di tale procedimento se ne parlerà più avanti.
 
**Qualcuno avrà notato che ho scritto ThrYm e non ThrIm. Inizialmente il nome originale era Thrym, poi avevo considerato l'idea di cambiarlo, poi ho deciso di 'restaurarlo' ancora una volta, presto anche nei capitoli precedenti la dicitura sarà cambiata.
 
 
So che probabilmente chi leggeva questo ciclo di fanfiction prima delle lunghe interruzioni probabilmente sarà passato ad altre letture, ma anche con i casini della mia vita privata penso spesso a questi personaggi, voglio comunque continuare la storia anche se con lentezza, a prescindere da recensioni ecc (pure se non nego che mi dà una marcia in più sapere che qualcuno mi ha letto e si è preso la briga di recensire un capitolo). Non dico che adesso tutti i miei problemi siano risolti (solo i morti non hanno problemi, ricordate!), ma sono più serena al riguardo, quindi pure se forse con tempi biblici, la serie continuerà.

Alla prossima!
Madama Pigna


ps: chiedo venia per eventuali errori di ortografia e strafalcioni vari che magari durante la revisione non ho beccato causa stanchezza, ma non volevo posticipare oltre la pubblicazione.

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Capitolo 16
*** Non proprio benvenuti ***


 
 





Byleistr si era sempre sentito troppo piccolo.

Durante le prime decadi della sua vita era una cosa naturale, ovviamente. Tutti i bambini vogliono giocare a fare i grandi, fingendo di essere valorosi guerrieri o anche talentuosi maghi.
Quella sensazione, però, si era fatta più seria in pochissimo tempo, il giorno in cui Farbauti morì; e quando, sul finire dell’ultima Grande Guerra, il Re Laufey, suo padre, aveva instaurato la sua crudele dittatura, mandando deliberatamente  in rovina il Regno con le sue leggi prive di senso e umanità.
 
In quegli anni, la giovane mente del Principe smarrì quasi completamente, se non del tutto, la sua spensieratezza. Improvvisamente, si era ritrovato quasi come… vecchio, in un corpo che non si decideva a crescere. Non sorrideva, non rideva, non si divertiva più come una volta, era sempre sospettoso e soprattutto chiuso in se stesso, con tutti. E suo fratello Helblindi non faceva eccezione.

Ma all’epoca non se ne rendeva conto.
 
 
 
Byleistr desiderava tanto diventare grande.
Se fosse stato… più alto, più grosso, più forte, forse avrebbe potuto rendersi utile in qualche modo. Ma la crescita dei Giganti di Ghiaccio era così lenta…
 
Tutti i giorni, il giovanissimo Jotun si guardava allo specchio ghiacciato, alla ricerca di qualcosa, di qualsiasi cosa, che il giorno prima non aveva. Un piccolo segno della sua crescita, non chiedeva molto: capelli un pochino più lunghi, mento un pochino più affilato, cose così.

Quando non riusciva a trovare nulla (cioè quasi sempre), allora decideva di mettersi al muro per misurare la sua altezza. Ma nemmeno quella cambiava in fretta, e questo gettava il bambino nel più triste sconforto.
Oppure, deciso a non rassegnarsi, usciva dalla sua camera, troppo misera per essere quella di un Principe, e andava a seguire di nascosto le sessioni di allenamento dei ragazzi più grandi, per poi tentare di copiarle da solo.
 


 
Da adolescente le cose non cambiarono poi molto.

Soltanto, il Principe cercava un altro genere di cambiamento, guardandosi allo specchio.

Metteva davanti a sé il suo braccio, per renderlo più visibile alla superficie riflettente, e prendeva a osservarlo attentamente, con una scrupolosità quasi maniacale. Guardava i suoi bicipiti e si chiedeva se fosse abbastanza muscoloso. Tutto il suo corpo, con cui ormai aveva un rapporto quasi affetto da dismorfismo, era vittima di un’ispezione spietata, che non lasciava spazio nemmeno a un minimo di autocompiacimento.

Dopotutto, era da quando era bambino che aveva dimenticato cosa fosse l’amor proprio.
Il suo carattere, da sempre poco incline alle amicizie, si era affilato in una personalità cupa, priva di sogni e speranze, dedita più alle azioni concrete che alle fantasticherie stupide, come le chiamava lui.
 
Si sottoponeva ad allenamenti durissimi, svolgeva i suoi compiti senza mai lamentarsi, sopportava ogni genere di tormento che Laufey s’inventava pur di farlo cedere alla sua crudeltà.
Ma ogni volta, lui minimizzava i suoi sacrifici, calpestando i suoi bisogni personali.
 
Era più importante proteggere casa sua, e suo fratello Helblindi.
 
Eppure, niente di tutto quello che faceva sembrava mai abbastanza.








 
***********************






- No! No e ancora no! Questa mezzosangue non può stare con noi! -.


Era l'ennesima affermazione di diniego e ribellione da parte di uno dei tanti Giganti che avevano protestato alla venuta di Blodhugadda - quasi tutti tra quegli Jotun erano o molto giovani o molto vecchi, ma a Byleistr in fondo poco importava dell'età. In ogni caso era da quando aveva iniziato a organizzare i ribelli che non si ritrovava davanti così tanti contro la sua opinione. Sì, probabilmente aveva sottovalutato l'inconveniente. Si ripromise di ascoltare con più attenzione gli avvertimenti di Blodhugadda in futuro, proprio perché non aveva intenzione di cacciarla via nonostante lo avesse dovuto ripetere più e più volte.

- Mi ha salvato la vita - sottolineò, ancora e ancora, di fronte uno dei membri più anziani della base. - Aiutandomi a evadere dalla prigionia del Cane del Re, Skrymìr, che come voi tutti sapete, ha un sentimento di rivalità nei miei confronti da secoli -. Più una ossessione sessuale molto macabra e sgradita, questo Byleistr purtroppo lo sapeva, aveva passato tutta l'adolescenza a svincolare dai suoi assalti, spesso sfuggendo dalle sue grinfie per poco, molto poco. Ma certamente non lo avrebbe ammesso ad alta voce. - Non avrei potuto tornare sano e salvo da solo, non questa volta -.
- E' una schifosa meticcia, uno scarto di Asir! Come puoi sapere se non è tutto un trucco, Principe?! Ha persino ammesso di essersi alleata con Laufey! -.
- E' stata obbligata ad accettare un accordo. E' molto differente. Ora sta dalla nostra parte! -.
- Non abbiamo bisogno di lei! Non avresti dovuto portarla qui! -.

 
Byleistr alzò un sopracciglio. Era ancora molto giovane, non aveva neppure duemila anni (sempre se un'età del genere potesse considerarsi giovane, ma noi siamo umani, la nostra vita è molto più breve) ma era pur sempre il Principe e non poteva tollerare ulteriormente questi toni, soprattutto con uno Jotun molto più anziano. Lo facevano sembrare persino più piccolo di quanto fosse e non poteva permettere a nessuno di minare la sua autorità. Non tutti lo prendevano sul serio (ancora) e a ciò doveva porre rimedio. Si alzò. Con la sua singolare altezza svettava su quasi tutti gli Jotun, compresi quelli che, di fronte a lui, in uno degli spazi chiusi adibiti alle riunioni, lo fissavano con malcontento. Lui già detestava quando lo fissavano e basta.

Purtroppo però non era un fantasma e non poteva permettersi di essere invisibile.

- Ne abbiamo bisogno eccome. E' addestrata al combattimento. E' esperta di erbe ed è abile come fabbro. E conosce parte dei piani del nemico. Sarà una risorsa estremamente preziosa per noi. Inoltre - lanciò uno sguardo di fuoco a chi davanti a lui stava per controbattere. - Proprio perché sono il Principe io mantengo la parola data e saldo sempre i miei debiti. Blodhugadda mi ha chiesto protezione in cambio della sua alleanza e delle sue abilità. Così sarà. Ho già deciso e non intendo mettere ulteriormente in discussione il mio operato -.
 
I Giganti stettero in silenzio per un po'.Byleistr quasi si ritrovò a sperare che l'argomento fosse definitivamente chiuso, ma non ci contava poi così tanto, di questo passo.
- E come la mettiamo con il fatto che ha sangue di Asir? Quel popolo non ci ha già danneggiato abbastanza? -.

Byleistr sbuffò. - Abbiamo perso una guerra. Accade a ogni regno prima o poi. Quello che è venuto dopo, non è stata responsabilità di Odino o uno dei suoi sudditi. Sono state le scelte del Re a portarci fino a questo punto -.
- Ah sì? E come fai a essere sicuro che non saranno le tue scelte a distruggere quel poco che resta? -.

Questa era una voluta provocazione. Non avrebbe dovuto rispondere. Forse. Non rispondendo, sarebbe risultato debole, e ancora una volta troppo giovane, troppo inesperto, e... in realtà, nemmeno lui era mai troppo sicuro di fare le scelte giuste.

Non lo so, avrebbe voluto rispondere. Non poteva. Ma rimase saldo nella sua posizione.


- Dubito sia possibile fare scelte peggiori di quelle fatte da Laufey. Inoltre, Faramik, devo forse ricordati che sono stato io dare un senso, un reale potere ai ribelli? Io a guidarli e a impedirli di ammazzarsi in massacri? Io a proteggere le loro famiglie? Non sono mio padre e non intendo diventarlo adesso -.

Gli somiglio, anche se non vorrei.

- I tuoi stessi figli sono stati salvati dai miei soldati, soldati che ho scelto personalmente, Faramik. Quindi mi aspetto che tu non discuterai ulteriormente le mie decisioni sui miei alleati. Sei congedato. Lo siete tutti -.

Con un cenno della mano esortò ulteriormente i presenti a uscire. Una volta tutti fuori, risedette, sospirando di stanchezza. Era tornato da un giorno e mezzo e ancora non aveva potuto farsi una notte di sonno decente. Non che per lui fosse una novità, ma impedire che Blodhugadda fosse attaccata a vista prima e poi quasi linciata e insultata poi dalla folla in ansia dopo giorni dalla sua scomparsa, aveva richiesto un certo impegno, per non parlare delle lunghe ore di discussione che erano venute dopo.
 
A Blodhugadda era stata assegnata una stanza e uno spazio per lavorare ai margini del campo, dal momento che nessuno era particolarmente bendisposto a condividere gli spazi con lei. Probabilmente stava assettando il suo spazio lavorativo, o almeno così immaginava. Lui invece aveva un dannato bisogno di dormire, almeno per quel poco che riusciva. Forse al risveglio non avrebbe avuto così tanto mal di testa.

Si massaggiò la fronte.

Persone piccole, sfide piccole. Persone grandi, sfide grandi. Lo diceva sempre suo padre Farbauti, lui dubitava di essere poi un così grande condottiero, ma cercare di convincersene lo rincuorò un pochino. Forse non stava facendo un pasticcio. Forse stava davvero costruendo qualcosa di buono, nonostante tutto. Pregava fosse così.
 




- Odio dovertelo dire, ma te lo avevo detto -.

Il principe sobbalzò. Affacciata alla finestra, anzi, mentre la stava scavalcando proprio, la meticcia lo guardava con un certo interesse. - Sei un tipo strano, Byleistr Laufeyson. Mi piace -.
Se sotto vi era un altro messaggio implicito, come un ringraziamento o chissà che, Byleistr non lo colse, detestava essere colto di sorpresa. - Cosa ci fai qui? -.
- Ti ho portato delle erbe da infuso. Ti aiuteranno a dormire e ad alleviare il mal di testa - gli sorrise. - Perché chiunque avrebbe mal di testa dopo discussioni del genere -.

L'altro rabbrividì. Blodhugadda era fin troppo intelligente e intuitiva, non gli piaceva.
- Non ho bisogno di drogarmi, grazie -.

- Non ti impediranno di svegliarti se il pericolo incomberà, principino. E dovresti seriamente guardarti allo specchio, ogni tanto: hai delle occhiaie spaventose. Le avevi persino quando ci siamo incontrati la prima volta da bambini. Il trucco che usi per nasconderle non va bene a lungo termine, va' via quasi subito -.

La schiettezza della mezzosangue aveva causato un lungo, lungo momento di silenzio tra i due, che continuavano a osservarsi. - Non penso che comunque le userò spesso - disse, mentre prendeva il contenitore di creta in mano però. Non sapeva nemmeno perché stesse accettando l'aiuto. Lui non accettava mai aiuti. Negava persino di averne bisogno. Ma... forse era questo il punto. Blodhugadda non si proponeva di fare qualcosa, la faceva e basta. In questo erano simili.

E poi non era tediante come Thìalfi, ringraziando Ymir. - Grazie -.
- Sono io a doverti ringraziare, dopo avermi difeso probabilmente passerai per pazzo -.
- Ci vorrà un po' per farti accettare, è vero - assentì il Principe. - Certo, anche tu dovrai fare la tua parte... -.
 
Se lui con una fama di infanticida era riuscito a guadagnarsi il rispetto del suo popolo, anche se dopo anni, forse la meticcia non aveva così poche speranze. Lei fece spallucce. - Sono uno spirito libero, principe. Non mi inchinerò mai a nessuno solo per farmi piacere. Non mi interessa essere amata, se non posso essere me stessa -.

Ci fu una pausa. Era un silenzio scomodo, tanto che fu Byleistr a decidere di interromperlo. - Hai detto che ci siamo già incontrati in passato - aggrottò le sopracciglia. - Quando, esattamente? -.

La mezza Asir lo fissò. - Davvero non te lo ricordi? -.

Il Principe scosse la testa. No, non se lo ricordava minimamente. Forse Laufey gli aveva dato troppe botte in testa, ipotizzava, perché davvero non aveva la più pallida idea di quando l'avrebbe vista.
 
Blodhugadda non sapeva se offendersi o semplicemente lasciar perdere. Scosse la testa. - Non importa, è stato tanto tempo fa - disse, avviandosi verso l'uscita prima che il Principe potesse replicare in alcun modo.
 
 
 
 
 
Forse per Byleistr era normale. Fare l'eroe tragico, aiutare il suo popolo, soffrire per esso se era necessario.
Sì, il Principe Byleistr era fondamentalmente buono, anche se cercava di nascondersi dietro una maschera di freddezza che però, pure data l'età, non aveva ancora perfezionato. Tuttavia Blodhugadda ricordava ancora la prima volta in cui si erano incontrati. Ricordava il ragazzino alto ma denutrito che la fissava con stupore, ma mai, anche solo per un istante, mai con disprezzo o biasimo per quello che era. Ed era abbastanza sicura che la sua esistenza non fosse mai stata denunciata dal Principe, né ai cacciatori che quel giorno interruppero il loro incontro, né tantomeno a suo padre o altri. Era realmente convinto della giustizia in quella causa che tanto combatteva, nelle cose che aveva detto su di lei.
 
La meticcia aveva perso la fiducia nella giustizia, ammesso che essa esistesse. Sapeva che non poteva affidarsi a nessuno, non esisteva Jotun al mondo che le avrebbe mai concesso totalmente la sua fiducia o il suo affetto o il rispetto. Era sola, una sopravvissuta. Faceva quello che meglio le conveniva per sopravvivere, quel gesto fatto nei confronti di Byleistr era solo per sentirsi meno in debito con lui, e per evitare che le sue condizioni psicofisiche vertessero dal lato sbagliato. Finché Byleistr era vivo, lei aveva buone possibilità di sopravvivenza.
 
E poi... sarebbe stato divertente, assistere a ciò che sarebbe accaduto di più pericoloso e avventuroso nei secoli che sarebbero seguiti.

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