Paris, State of mind

di Lely_1324
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cap.1 ***
Capitolo 2: *** Cap.2 ***
Capitolo 3: *** Cap.3 ***
Capitolo 4: *** Cap.4 ***
Capitolo 5: *** Cap.5 ***
Capitolo 6: *** Cap.6 ***
Capitolo 7: *** Cap.7 ***
Capitolo 8: *** Cap.8 ***
Capitolo 9: *** Cap.9 ***
Capitolo 10: *** Cap.10 ***
Capitolo 11: *** Cap.11 ***
Capitolo 12: *** Cap.12 ***
Capitolo 13: *** Cap.13 ***
Capitolo 14: *** Cap.14 ***
Capitolo 15: *** Cap.15 ***
Capitolo 16: *** Cap. 16 ***
Capitolo 17: *** Cap.17 ***
Capitolo 18: *** Cap.18 ***
Capitolo 19: *** Cap.19 ***



Capitolo 1
*** Cap.1 ***


Salve a tutti! Sono tornata con un nuovo progetto.. allora la storia si prospetta abbastanza lunghetta perciò i capitoli sono a loro volta abbastanza lunghi! In ogni caso spero vi piaccia e non vi annoi! Jen e colin vivranno un amore travolgente che li poterà fino a Parigi.. ma ancora è presto e non voglio anticiparvi nulla!
Ps: per esigenza della trama Jen è ancora findanzata con Sebastian Stan, che intepretava il cappellaio Matto. 
Detto questo vi lascio alla lettura! 
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Ultimo giorno di riprese. Il sole era tramontato ormai da diverse ore, i macchinisti smontavano e sistemavano con calma le luci e le apparecchiature più disparate, i costumisti mettevano via gli ultimi abiti di scena..la quiete dopo la tempesta. Loro  si erano riuniti al tavolo del buffet, per condividere la cena  e salutarsi.
Lana: "Anche quest'anno è andata!"  Sebastian "Già..con un mese di ritardo, ma è finita!"
Ginnifer:"Eh il ragazzo scalpita, ha un matrimonio da organizzare!"
Josh:"Ma c'è ancora tempo, e poi la sua deliziosa fidanzata è una perfetta organizzatrice.." e così dicendo, mise fraternamente un braccio intorno alle spalle della fidanzata in questione, mentre Meghan annuiva con un sorriso. Lei ricambiò il sorriso di lei e di tutti gli altri, guardandoli in viso uno a uno. Ma quel sorriso divenne incerto quando si accorse della mancanza di qualcuno. Josh la osservò, e riuscì ancora una volta a leggerle nel pensiero.
J:"Qui ci vorrebbe una battuta di Colin, ma mi sa tanto che il nostro eroe ha deposto le armi e abbandonato il campo di battaglia." "Ma come, se ne va di soppiatto senza salutare?"commentò Ginnifer con una nota di dispiacere.
L:"Si sarà rifugiato qualche minuto nella sua roulotte, vedrai che lo incroceremo prima di andare a casa."
Sebastian:"Giusto, proporrei anch'io di andare a prendere le nostre cose..tanto ci vediamo  fuori. Andiamo, tesoro?"
Jen uscì finalmente dal silenzio nel quale si era rifugiata, e rispose:"Si..avviati pure..vado a cercare Katie, non ho fatto in tempo a salutarla prima!" e così dicendo si allontanò in fretta, lasciando Sebastian con uno sguardo dubbioso: lei e Katie non erano grandi amiche.
Non sapeva bene perchè si stava dirigendo a passo spedito verso la sua roulotte. Tanto lo avrebbe visto quasi certamente dopo, e non aveva niente di particolare da comunicargli. E allora?
Ma ormai stava già bussando timidamente, inspirando aria.
Pochi istanti dopo la porta si aprì, mostrando un uomo bagnato con un asciugamano in vita e un'espressione interdetta dipinta in viso.
Jen arrossì di colpo, realizzando tutt'a un tratto la stupidaggine che aveva fatto nell'andare a cercarlo senza un motivo preciso:"Sc..scusami, io...io volevo solo salutarti come si deve, temevo te ne fossi già andato."
Colin si passò distrattamente una mano sul mento :"Avevo solo bisogno di farmi una doccia, sono distrutto dalla stanchezza..ma sarei venuto a salutarvi, non sono così stronzo!" rispose e accennò a un breve sorriso, guardandola per un momento negli occhi..ma solo per un momento.
Jen arrossì ancora di più:"Oh lo so, lo so che non sei uno str..perdonami per l'invadenza." Abbassò anche lei lo sguardo, andando però a incontrare con gli occhi i suoi pettorali nudi. Decisamente, aveva fatto una stupidaggine!
Colin cominciò a percepire quello strano imbarazzo che si creava fra loro due quando erano da soli e non avevano un copione di cui discutere, un certo tipo di imbarazzo che non dipendeva dalla mise discinta che sfoggiava in quel momento. Stasera, non aveva proprio voglia di reggerlo.
"Non hai niente da farti perdonare, anzi sei stata molto gentile a venire. Adesso ti lascio, immagino che Sebastian ti stia aspettando..comunque ci rivediamo all'uscita. Divertiti in Francia!"
Si sforzò di sorriderle e richiuse piano la porta, mentre Jen annuiva lentamente e deglutiva a vuoto.
Ecco. Adesso sapeva perchè era andata a disturbarlo. Il motivo era che le mancava. Le costava ammetterlo, ma da qualche mese a questa parte lui le mancava. Certo, lo vedeva ogni giorno sul set e girava con lui molte scene, ma  lui smessi i panni di Hook, non era più il solito Colin. Non con lei. Non era più allegro come un tempo, non le regalava più i suoi sguardi radiosi, e a volte la evitava di proposito. Questo le dispiaceva. Le dispiaceva molto. 

L.A 14 Maggio 1:00 AM

Affondò la testa nel cuscino, e chiuse gli occhi, sperando di riuscire a prendere sonno. Nel tardo pomeriggio aveva rimesso piede sul suolo americano, dopo un volo interminabile partito da Parigi. Quel viaggio di lavoro in Francia era stato brevissimo e decisamente stancante, ma si era portata a casa un carico di dolci sensazioni e ricordi: dietro le palpebre chiuse, rivedeva la maestosità della Tuor Eiffel al tramonto, sentiva riecheggiare la musica proveniente dal porticato che costeggiava la senna, e il suo cuore palpitava ancora per l'incredibile calore con cui era stata accolta dai fans. Nessun isterismo, nessuna caccia all'attrice americana: semplicemente degli splendidi sorrisi, applausi scroscianti e qualche timido tentativo di approccio per chiederle un bacio, un abbraccio.
Sospirò contenta: era stupido da parte sua generalizzare, ma aveva avuto l'impressione che i Francesi amassero Emma, e amassero Jennifer molto di più rispetto ai suoi connazionali.
 Forse perchè a Los Angeles lei era soltanto una delle tanti attrici offuscata dalle grandi dive, o forse perchè gli americani apprezzavano un altro modello di donna..ma non le importava. 
Loro apprezzavano la serie, il suo personaggio, quello di Colin..Colin!
Sicuramente era a Dublino, Foese dormiva ancora, forse si era già alzato. L'unica cosa certa era che non l'avrebbe rivisto per parecchio tempo: ed era meglio così. L'ansia che provava ultimamente nei suoi confronti era un'emozione strana, e assolutamente sciocca: era normale che lui non fosse più affabile come un tempo, i ritmi sul set erano diventati sempre più pesanti per lui..e poi..e poi lei stava per sposarsi, forse lui cominciava a sentirsi un pò in imbarazzo con Sebastian dopo le scene che avevano dovuto recitare nei mesi scorsi. Sentì le guance avvampare al ricordo di quel bacio, e subito si sentì in colpa nei confronti dell'uomo che stava dormendo al suo fianco. Sebastian era stato dolce e premuroso più del solito: era venuto a prenderla in ereoporto, la aveva stretta ra le braccia e po l'aveva accompagnata a casa, quella che da li a poco sarebbe diventata la loro casa. Le aveva preparato la cena mentre lei si immergeva in un caldo bagno rilassante. Dopo la cena, l'aveva condotta in camera da letto: lei era esausta a causa del fuso orario, ma l'aveva accolto dolcemente fra le proprie braccia, perchè sentiva il bisogno di allontanare certe stupide fantasie e ricordare chi era davvero, e chi erano le persone che l'amavano davvero. Richiuse gli occhi e si avvicinò di più a Sebastian: dopo il matrimonio, i suoi dubbi si sarebbero dissolti. Confortata da questo pensiero, riuscì finalmente ad addormentarsi.


Dublino 14 Maggio  9:30 AM

Aprì piano gli occhi, fece un lungo sbadiglio e cominciò a stiracchiarsi nel letto. Il posto accanto al suo era vuoto, e dalla porta socchiusa sentì un buon odore di caffè e toast provenire dalla cucina: Helen  aveva preparato la colazione. Si sollevò su un braccio per dare un'occhiata alla sveglia: i ragazzi erano già a scuola. Si abbandonò nuovamente sul materasso, godendosi la calma di quei risvegli irlandesi e ripensando con un sorriso alla bella serata che aveva trascorso. Era andato con i suoi figli  in un locale dalle parti di Lambeth, dove facevano musica dal vivo . Si era seduto a un tavolo piuttosto appartato con Rebecca, la sua figlia più grande. Mentre aspettavano  le ordinazioni si era accorto di un mormorio crescente alle sue spalle e di parecchi sguardi puntati su di lui: la cosa lo aveva subito innervosito, ma sua figlia aveva appoggiato con nonchalance la testa sulla sua spalla, guardandolo con un'espressione sorridente e orgogliosa. Il nervosismo era subito passato: le aveva risposto a sua volta con una smorfia buffa e riconoscente, e aveva ringraziato Dio per quei figli che gli perdonavano troppe cose . Era questo che aveva, ed era molto più di quanto si meritava. Era sempre stato un padre assente, e lo sarebbe stato ancora sopratutto per il piccolo Evan. Quando lui e Helen avevano avuto Rebecca la sua carriera doveva ancora decollare, ma adesso era tutta un'altra storia. Si ripromise di essere un padre miglire di quanto non fosse stato. Era il minimo che doveva  anche a Helen: il loro non era un matrimonio perfetto, ma d'altronde nessun matrimonio lo è.
Cazzo. Il pensiero era finito ancora lì. A quel matrimonio. Nascose la faccia sotto il lenzuolo e si lanciò in una serie di imprecazioni contro la propria persona. Ripensò controvoglia alla sensazione che aveva provato l'inverno scorso, quando era stato annunciato a tutto il mondo il fidanzamento ufficiale: un'irritante sensazione di  incredulità si era impossessata di lui. Come se non avesse mai voluto accorgersi di quanto era serio il loro rapporto. Idiota. Si era subito imposto di darci un taglio con certe situazioni ambigue ma non era per niente facile, vuoi per certe scene che aveva dovuto girare , vuoi perchè lei andava comunque a cercarlo con il suo beato candore. D'altro canto, lei non poteva capire... e se capiva , sicuramente lo negava per salvaguardare il clima sereno sul set e l'efficacia del loro lavoro. Saggia ragazza. Così come saggio era il suo futuro marito. Sì, forse il loro sarebbe stato un matrimonio perfetto: e lui,anche se a malincuore,  lo augurava  a entrambi. Perchè loro se lo meritavano davvero.


L.A 26 Maggio 9:00 PM

Si pulì le mani con un tovagliolo di carta, bevve un altro sorso di birra e si distese più comodamente sul divano, inspirando la leggera brezza che penetrava dalle finestre aperte. Dallo stereo acceso una musica jazz si diffondeva dolcemente nell’appartamento.
Si sentiva bene: quella settimana era tornato a Los Angeles ed aveva cominciato le riprese di un nuovo progetto. Non gli era stato facile riprendere i ritmi americani dopo giorni di assoluto relax, ma interpretare un ruolo secondario in un film non era niente in confronto al lavoro con la serie. Tuttavia l'estenuante fatica sul set era un prezzo che pagava di buon grado, perchè era stato proprio il personaggio di Hook a  dare una svolta alla sua vita, alla sua carriera. In quell’istante sentì bussare alla porta .A Los Angeles, la sera, non usciva quasi mai. Né riceveva visite Bhè, in realtà ogni tanto riceveva visite da parte del custode o della donna delle pulizie: dato che quest’ultima non lavorava di sera, doveva trattarsi sicuramente di Jim. Si alzò dal divano ed andò ad aprire. Sulla soglia comparve una bella ragazza dall’aria imbarazzata, che gli sorrise esitante.
Colin trasalì: “J-Jennifer?! Che ci fai qui? È successo qualcosa?!”
Jen: “No no..scusa se non ti ho telefonato prima di venire..è che ho deciso all’ultimo momento, così..e il tuo portinaio mi ha riconosciuta e mi ha fatto salire senza citofonarti..” le veniva quasi da ridere al pensiero di quel simpatico vecchietto che con aria complice le aveva detto -Salga pure signorina, tanto io sono una tomba!- ma si trattenne per non confondere ulteriormente l’uomo che aveva di fronte.
Colin: “Sei sola? Non c'è Sebastian?"
Jen sospirò: possibile che da quando si era fidanzata non esisteva più solo e soltanto Jen, ma sempre Jennifer e Sebastian?! “ A  Bucarest. È andato a trovare i suoi. So che non è educato da parte mia farti queste improvvisate, ma ho bisogno di parlarti..di parlarti di lavoro.”
Colin emise un sospiro di sollievo, senza sapere il perché. Allora si accorse di essere lui quello poco educato: “Non ti ho ancora fatto entrare! Vieni, accomodati.” Si scansò, la fece passare e si richiuse la porta alle spalle.
“Stavi mangiando. Scusami ancora.” disse Jen, notando un cartone di pizza d’asporto buttato sul pavimento.
“No, non c’è problema! Avevo appena finito! Tu hai cenato? Vuoi del vino?” le chiese, vergognandosi del disordine e della propria agitazione.
Jen: “Vedo che stavi bevendo una birra..se ne hai un’altra, la accetto volentieri.”
Colin annuì vigorosamente e si precipitò a prenderle una birra, mentre Jen si sedeva sul divano.
Le si sedette accanto, imponendosi di mostrare nonchalance.
Entrambi sorseggiarono la propria birra.
Dio quanto avrebbe voluto abbracciarla, proprio lì, in quel preciso istante e sentire il gusto amaro della birra sulle sue labbra. Si impose di razionalizzare e si alzò nuovamente: “Spengo lo stereo.”
“No!” esclamò Jen, toccandogli il braccio “Adoro Miles Davis.”
Colin riprese il suo posto.
“Ti sei tagliato la barba.”
"Già.."
Nell’aria, solo le note di Davis.
Jen si fece coraggio, sapendo che spettava a lei iniziare la conversazione: “Come ti ho detto, vorrei parlarti di una cosa che riguarda il nostro lavoro..forse mi darai della paranoica, ma ho bisogno per la mia serenità di fare chiarezza su certe questioni prima di riprendere lo show. So che è ancora presto, ma vorrei parlarne adesso perchè il mese prossimo sarò in Europa per il mio nuovo film.".
Colin: “Non ti devi giustificare.”
Jen: “Comunque…siamo andati al party della Fox settimana scorsa. Abbiamo parlato un po’ della quarta stagione. Katie  sembrava entusiasta”
Hugh: “Perché, tu non lo sei?”
Jen: “Non tanto.”
Ricordav bene la senzazione provata quella sera durante il party organizzato dal palinsiaseto Fox. Si era messa in posa sfoggiando i suoi sorrisi migliori. Quella sera si sentiva bella, serena, la Jennifer che conosceva. Ma poi era arrivata la stangata.. visto il calo degli ascolti registrato dalle ultime puntate, per "tenere vivo l'interesse" , Katie, la loro produttrice esecutiva, aveva deciso di "rivoluzionare le dinamiche tra i personaggi". Le veniva la  nausea solo pensare all'ipocrisia che si celva dietro quelle frasi.  La mente di quella donna aveva partorito l'idea malsana di tagliare fuori Emma dalla vita di Hook e rimpiazzarla prontamente con la bella Elsa, alias Georgina Haig. " Una storia tra di loro sarebbe stroppo scontata- si era difesa- e l'arrivo di Georgina porterà una ventata di aria fresca allo show-" 
" Sono certa che a colin non dispiacerà- aveva continuato- sapete forse non dovrei dirlo ma mi ha detto di essere entusiasta aal'idea di girare con Georgina...con lei ha un'ottima intesa"
Katie si sentì però in dovere di dire qualcosa anche a Jennifer: come autrice e produttrice, sapeva bene quanto l’armonia nel team fosse fondamentale per la buona riuscita del lavoro
"Ovviamente Colin si trova bene anche con te Jennie"  Jennifer annuì distrattamente. 
 Aveva sempre creduto ciecamente nella loro intesa professionale. Adesso però le venne il dubbio che la recente freddezza di Colin  potesse dipendere dal fatto che questa intesa si fosse incrinata, e che lui non la stimasse una partner alla sua altezza. 
Così dopo una notte tormentata era passata da lui.
Poteva accettare, seppur a malincuore, che i loro rapporti fossero cambiati al di fuori del set. Ma non poteva continuare a lavorare con il pensiero che non la apprezzasse come attrice. 
Le sue parole la riportarono alla realtà
Colin “Capisco. Sei presa con il matrimonio, e temi di non farcela quando riprenderemo..”
Jen: “Lascia stare il mio dannato matrimonio!” e si alzò di scatto.
Colin rimase immobile, esterefatto.
Jen: “Sc-scusami..è che tutti tirano in ballo la storia del matrimonio anche quando io ho tutt’altro per la mente.”
Si rimise a sedere, mortificata: “Tu non sei più a tuo agio con me, sul set..e anche fuori dal set.”
Colin quasi si strozzò con la birra. Negare l’evidenza era ormai un’impresa ridicola. Non intuiva ancora bene cosa diavolo le stesse passando per la mente, ma, vedendo il suo sconforto, si costrinse a formulare una spiegazione accettabile: “Jennifer..il lavoro diventa sempre più pesante per me, lo sai...e magari rischio di indebolire l’intesa con i miei colleghi, mi dispiace..”
Jennifer scosse la testa energicamente :" Se preferisci recitare con Georgina non è un problema solo..perchè non credi nelle mie capacità professionali?”
Stavolta fu Colin a balzare in piedi: “Ma che diavolo stai blaterando?!”
Jen: “Oh  dovevi sentire Katie quando ci ha detto di come tu sia elettrizzato dall’idea di girare Georgina, e di come invece ti sei sentito in a disagio con me..perchè io per te sono un’attricetta acerba vero?! Mi dispiace che tu sia stato costretto a infilarmi la lingua in bocca, ma non preoccuparti, dalla prossima stagione avrai una partner al tuo livello!”
Colin seguiva ipnotizzato le labbra furenti di Jennifer, incredulo di quello che stava sentendo e del fatto che lei, Jen, stesse urlando, e stesse urlando proprio con lui!
“Ok. Sei paranoica.” le disse con un sospiro.
Jen sospirò profondamente: “Un tempo anche tu parlavi con entusiasmo di Emma e Hook, e mi sembrava ti piacesse lavorare con me..io..io non credo che potrei dare il meglio di me sapendo che tu sei a disagio o hai da ridire sul mio modo di recitare..so di avere ancora molto da imparare..." Colin  sorrise dolcemente. Era la prima volta che la vedeva così vulnerabile: " Mi diverto a recitare con Georgina- la interruppe- rido, faccio battute, un po’ come succede con Josh,,.ma non ho cambiato idea sui Hook ed Emma. E non ho cambiato idea su di te...sono molto fortunato a lavorare con una professionista come te…ma purtroppo è vero, girare certe scene con te mi imbarazza moltissimo, perché tu sei bellissima....perchè spesso anche solo guardati neglio occhi mi confonde.. ” Si rimise a sedere, finendo la sua birra per cercare di mascherare l’imbarazzo.
Jen rimase in piedi, immobile, cercando di assimilare ogni singola parola di quanto le aveva detto. Lui la stimava. Lui voleva che la storia fra i loro personaggi continuasse. Lui la trovava bellissima. Lui si sentiva confuso. E si vedeva: lo osservava, e lo trovava sincero e confuso. Anche lei si sentiva confusa quand’era con lui. Per tanti, tanti motivi che forse nessuno dei due conosceva bene. Decise che era il caso di sciogliere l’imbarazzo.
Jen: “Diciamo che ti credo. E diciamo che ti do ragione..forse sono un pochino paranoica." Lui le sorrise complice e aggiunse qualcose riguardi i prossimi script, ma improvvisamente non le importava più: perché lui l’aveva chiamata Jen, come un tempo.
Lui vide i suoi lineamenti rilassarsi e si sentì ancora una volta invaso da quel senso di pace e dolcezza che gli infondevano i suoi occhi sorridenti. Tornò ad accorgersi della musica che si diffondeva ininterrottamente nella stanza, e un’idea gli balenò per la mente. Ora o mai più.
Colin: “Vuoi essere la mia sposa in fuga?”
Jen: “C-cosa?!”
Colin si accorse della propria gaffe, e scosse la testa nella sua maniera buffa: “Ami Miles Davis. Immagino tu abbia visto Se scappi ti sposo con il tuo papi Richard Gere.”
Jen: “Non ci credo. Hai visto Se scappi ti sposo. E anche Trappola d’amore, scommetto.”
Colin “Trappola d’amore l’ho visto per via di Sharon Stone..sai com’è, gli uomini della mia generazione sono rimasti segnati da quell’accavallamento di gambe..Se scappi ti sposo l’ho visto una sera con mia figlia..e sai qual è l’unica cosa buona di quel film, a parte la Roberts?”
“La musica di Miles Davis.” annuì Jennifer, cominciando a capire.
“Già..It never entered my mind..vorrei proporti di ballarla con me .." esclamò lui, con il cuore che gli tremava.
Jen: “Va a metterla.”
Colin  non se lo fece ripetere e andò a cambiare il CD. Poi le si avvicinò titubante e le mise una mano intorno alla vita, mentre una melodia struggente iniziò a circondarli. Lei gli prese l’altra mano e appoggiò la fronte sulla sua spalla, evitando di guardarlo. La sentì rilassarsi contro il suo corpo: si stavano riconciliando e forse si stavano dicendo qualcosa che le parole non avrebbero mai potuto pronunciare. A un certo punto, Colin sentì la propria spalla inumidirsi. Non le disse niente, perché sapeva che lei voleva soltanto continuare a ballare in silenzio.
Finita la musica, sciolsero anche le loro mani. Lei si asciugò le lacrime e se ne andò, con un sorriso riconoscente.
Lui chiuse la porta a chiave e si ributtò sul divano. Adesso poteva piangere anche lui.

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Capitolo 2
*** Cap.2 ***


L.A 9 Giugno, 4:00 PM

Girava già da un’ora in sella alla sua moto, senza una destinazione precisa: l’asfalto era rovente e lui si sentiva stordito dal caldo, tuttavia non si decideva ancora a tornarsene a casa. Quel giorno si era svegliato tardi, di malumore, e dopo pranzo aveva cominciato a provare una sensazione di fastidio che non aveva mai sperimentato da quando era in America: incredibilmente, si sentiva annoiato. Nei weekend di riposo in genere si lasciava andare ad una salutare stanchezza, rilassava corpo e mente sul suo divano ascoltando buona musica o provando a suonare qualcosa. Qualche volta si sentiva invadere dalla nostalgia per Dublino, per la sua casa e allora ritornavano puntuali i sensi di colpa. Ma mai aveva avuto il privilegio di annoiarsi. Oggi però era successo, probabilmente perché i ritmi di lavoro rallentati non lo stancavano abbastanza. Così, si era affidato alla sua amata Triumph e si era lasciato portare in giro su quelle enormi corsie californiane, sperando che una corsa in moto potesse raddrizzargli la giornata. Era arrivato dalle parti di Universal City quasi senza accorgersene. La zona gli era familiare perché c’era stato una sera con i suoi colleghi : ovviamente, c’era anche lei, anzi, era stata proprio lei a trascinarli lì, perché la sorella lavorava come cantante e cameriera da Miceli’s, un locale alla moda che si trovava in quei paraggi. Aveva continuato a pensare a Jen da quel sabato sera in cui si erano chiariti. Non l’aveva mai sentita così vicina come in quei pochi minuti del loro lentissimo ballo, quando lei si era affidata a lui così teneramente da mostrargli perfino le proprie lacrime. Lui no, non ce l’aveva fatta a lasciarsi andare alla commozione insieme a lei, perché non si fidava di se stesso, specialmente quando si trattava di Jennifer. Si erano riavvicinati quanto bastava per continuare a lavorare fianco a fianco, ma non abbastanza da confondere o compromettere le proprie posizioni: lui era un marito fedele, lei una fidanzata fedele in procinto di sposarsi.
Si era fermato sul ciglio della strada e si era tolto un momento il casco, per godersi un venticello refrigerante che si era alzato in quel momento e dare un’occhiata alle indicazioni stradali. Sentì presto una voce chiamarlo da dietro:
“Colin..Colin sei tu?"
Accidenti! Ci mancavano solo i fans! Si girò di malavoglia, con un sorriso forzato. Una bella ragazza bionda gli si avvicinò: “Ti ricordi di me?” Anche se l’aveva incontrata una volta soltanto, non sarebbe riuscito a scordarsela: quella giovane donna somigliava molto a quell’altra che ultimamente era spesso nei suoi pensieri.
Colin: “Julia! Che piacere incontrarti di nuovo!”
Julia: “Anche per me! Che ci fai qui?”
Colin: “Assolutamente niente. Solo un giro in moto. Lavori sempre in quel locale?”
Julia: “Si, vengo via adesso da là. Sono passata a concordare i brani che canterò stasera.”
Colin  ricordava che aveva davvero una bella voce.
Julia: “Come stai? Jen mi ha detto che lavori nientemeno che con Keanu Reeves! Da adolescente avevo un suo poster in camera!”
Colin: “Si, è lui il protagonista. Abbiamo legato molto bene, è un ragazzo alla mano, sempre molto disponibile. Mi trovo davvero a mio agio su questo set.”
Julia: “Bhè spero che ti trovi a tuo agio anche sul set di Once upon a Time! Questo telefilm è eccezionale..“
"Troppo gentile.” replicò Colin con un sorriso.
Julia: “Senti…perché non passi al locale stasera? Non voglio assolutamente chiederti di suonare..così, se sei libero, mi piacerebbe fare due chiacchiere tra una pausa e l’altra..non sarò l’unica a cantare, ci sono altre due colleghe..ad essere sincera non avrei dovuto neppure lavorare, vado solo a dare una mano dato che siamo a corto di personale stasera...”
Gentile e generosa. Non si era sbagliato nella prima impressione che si era fatto di lei. Perché non accettare? Quel giorno la propria solitudine gli sembrava insopportabile..era strano ma aveva davvero voglia di compagnia.
Colin: “vengo per le 21?”
Julia: “perfetto! Mi fa davvero piacere, Colin.”
Colin: “No, sono io che ti ringrazio. È un bel posto, si mangia bene, e tu canti meravigliosamente.”
“Con tutti questi complimenti somigli tanto a Hook... solo sei meno... come potrei definirlo? Spavaldo.” esclamò Julia con una risata.
Colin: “Solo perché mi sono tagliato la barba. Quando ricresce, ormai lo divento  senza accorgermene!"

Aveva passato una bella serata. Era stato bene in compagnia di quella ragazza. Paradossalmente, aveva pensato a Jen meno del solito. Julia le somigliava nell’aspetto, nell’atteggiamento aggraziato e dolce. Ma il carattere era diverso. Jen era decisamente più volitiva, più allegra, più sbarazzina..sempre che qualcosa non la turbasse. Anche lei si trovava benissimo con quell’uomo. Parlavano di musica, si scambiavano opinione su questo o quel brano. Così, si erano rivisti più di una volta nei giorni seguenti, e una sera Colin aveva perfino preso il posto del suo chitarrista, mandando il pubblico in visibilio.

L.A. 22 Giugno, 8:30 p.m.

Guidava esausta ma sorridente al volante della sua BMW, diretta a Universal City. Era tornata quel pomeriggio stesso da Parigi, dopo settimane di estenuanti riprese. Si era rilassata un paio d’ore a casa sua, poi Sebastian aveva raggiunto il suo manager per una cena di lavoro e lei aveva deciso di fare una sorpresa alla sorella, raggiungendola da Miceli’s. Non l’aveva avvisata del proprio arrivo, aveva deciso di concedersi quel weekend a casa solo il giorno prima, durante una pausa sul set. Domenica avrebbe ripreso un volo per la Francia. Svoltò l’angolo e rallentò in prossimità del locale. Improvvisamente si fermò di colpo e accostò, spegnendo il motore. Vide Julia appena fuori dal parcheggio, che parlava con un uomo, il quale si trovava in sella a una moto di grossa cilindrata. Avrebbe riconosciuto quell’uomo e quella Triumph in mezzo a una folla di motociclisti. I due ridevano amabilmente, poi sua sorella gli appoggiò una mano sulla spalla e lo baciò su una guancia. Lui allora si infilò il casco e partì, salutandola con la mano.
Jennifer stringeva con forza il volante, pietrificata dallo stupore. Non ricordava di averlo mai visto ridere così insieme a lei. E non avrebbe mai e poi mai immaginato di vederlo un giorno ridere in quel modo insieme a sua sorella. Julia, che si trovava ancora di fuori, la vide immediatamente e le corse incontro, incredula:
“Jenny! Tesoro, sei tornata!”
Lei uscì dalla macchina, e le parlò con voce gelida: “Non mi hai detto che ti vedevi con Colin.”
Julia: “S-si..cioè, ci vediamo da poco..lo hai visto andar via?”
Jen non rispose, continuando a fissarla con le labbra serrate.
Julia: “Tesoro, non starai mica pensando che..”
Jen: “Perché non mi hai detto che uscivate insieme? Perché lui non me l’ha detto?!”
Julia: “Perché ci stiamo vedendo solo da pochi giorni, se tu non fossi stata in Europa lo avresti saputo.”
Jen: “Cosa Julia, cosa avrei dovuto sapere??!!! Che adesso hai delle  relazioni con  uomini sposati?!”
Julia: “Jennifer, ma cosa..”
Jen: “Vi ho visti prima. Sinceramente, mi sembrate un po’ troppo intimi per due che si conoscono da così poco tempo.”
Julia cominciava a spazientirsi: “Stai esagerando..sarà colpa del fuso orario, ma non ti permetto assolutamente..”
Jen: “è sposato, capisci? SPOSATO!!!”
Julia: “Stai equivocando tutto, vieni dentro e...”
Ma Jen non la ascoltava più. Si rimise al volante e andò via senza dire una parola.


Quella sera Julia era l’unica a dover cantare, e sarebbe stata impegnata più del solito. Aveva deciso perciò di passare solo per un aperitivo veloce, e poi era ritornato al suo appartamento. Era sul terrazzo a fumarsi una sigaretta quando vide un’auto inchiodare davanti al residence. Una ragazza scese velocemente, dirigendosi spedita alla portineria.
Colin inghiottì il fumo, spense velocemente la sigaretta e andò ad aprire la porta, allarmato.
Jen uscì dall’ascensore come una furia, colpendolo con le mani in pieno petto:
“Vi state prendendo gioco di me!”
Colin: “Che è successo ancora?! Credevo avessimo chiarito..”
“Vi ho visti prima! Tu e mia sorella!” urlò Jen.
Colin vide Jim, il portinaio, sbirciare preoccupato dalla rampa delle scale. La prese per un polso: “Entra, se continui a urlare così finiremo sui giornali!” La condusse con fermezza nel proprio appartamento, e richiuse la porta.
Colin: “Ma che ti è preso?! Io e tua sorella non facciamo nulla di male!”
Jen: “Ah sì?! Vediamo..vi siete visti un’unica volta più di un anno fa, quando c’eravamo tutti..poi, GUARDA CASO, la incontri nuovamente mentre io sono in Europa, vi vedete pochissime volte ma tu ti prendi la briga di andare a trovarla prima che cominci a lavorare, e vi salutate amorevolmente fuori dal locale come una coppia qualsiasi…aggiungiamo poi che lei è una splendida ragazza single e tu l’uomo più desiderato di Los Angeles, con una moglie dall’altra parte del pianeta..ma certo, sicuramente non fate niente di male, sono io quella paranoica, giusto?”
 “Si, sei di nuovo paranoica.” le rispose sopirando e sorridendo suo malgrado
“E tu sei solo un ipocrita che recita la parte del marito devoto ma non vede l’ora di portarsi a letto una bella donna" 
Non potè aggiungere altro, perché due labbra le coprirono violentemente la bocca. Jen lo spinse via, scioccata: " Lasciami, non voglio avere altro accheffare con te.."
Colin, respirando affannosamente per la rabbia: “Hai ragione. Ho una gran voglia di portarmi a letto una bellissima donna. Ma non si tratta di Julia.”
Gli occhi di Jen divennero più ampi, più scuri: “ Sai bene che sto per soposarmi..." la sua era più una consatatazione che una protesta. 
Colin: “..è la seconda volta che vieni a casa mia urlandomi addosso, senza che io ti abbia fatto niente..a che gioco stai giocando Jen?” le si avvicinò di nuovo pericolosamente, e le sfiorò le labbra con le sue. Un tocco delicato e nient'altro.  Lei rimase rigida, poi si rilassò contro il suo corpo, stringendo saldamento il tessuto della sua camicia tra le mani, bisognosa del suo calore, delle sue attenzioni.  Quando accorse che aveva iniziato rispondere con veemenza al bacio, intrecciando la sua lingua con quella di lui, pose fine a quell'assalto e gli morsicò rabbiosamente un labbro. Colin sussultò, portandosi una mando alla bocca. 
 Lei lo guardò come un felino pronto a difendersi e poi scappò via, mentre Colin si puliva con il dorso della mano il labbro sanguinante.

L.A. 23 Giugno  1:30 a.m.

Buttato sul divano come un sacco di stracci e un labbro che gli pulsava ancora, Colin  fissava il soffitto, inerte, incapace di muoversi e di organizzare un pensiero coerente. Gli occhi, statici e traslucidi, lasciavano filtrare appena l’intensità delle emozioni che lo stavano attraversando. Sentì il cellulare suonare e lo aprì meccanicamente, con il vago timore che potesse essere lei. “Si”
“Colin sono Julia. È successa una cosa.” rispose una voce incrinata.
Lui sospirò pesantemente: “Jennifer?”
“S-si..è..è lì con te?” domandò Julia, con un certo stupore.
“ No. Non più. È stata qui prima. Crede che siamo amanti..almeno, lo credeva..comunque, è convinta che le abbiamo nascosto qualcosa. Era molto arrabbiata.”
Julia: “Ci ha visti fuori dal locale stasera, e ha frainteso tutto. Ho provato a chiamarla più volte, ma ha il cellulare spento. Non mi va di chiamare Sebastian..ma sono un po’ preoccupata, non ho mai visto Jen perdere il controllo in quel modo.”
A lui tornò in mente lo sguardo fiero che gli aveva lanciato prima di lasciare l’appartamento: “Tranquilla, credo sia tornata padrona di sé. Adesso sarà sicuramente a casa..con Sebastian.”
Julia rimase in silenzio per un po’, infine si fece coraggio e gli parlò apertamente: “Tu mi piaci Colin. Ma non ho mai equivocato la nostra situazione..avevo sperato di coltivare una bella amicizia con te, ma dentro di me sapevo che Jen avrebbe reagito male.”
Lui non disse niente.
Julia: “Io e mia sorella siamo molto legate, sono sicura che ci chiariremo. Ora, siete tu e lei a dover chiarire..per il bene di entrambi.”
Colin: “Purtroppo credo che la situazione si sia ulteriormente complicata, fra noi due.”
Julia intuì vagamente quello che poteva essere successo: “Dovete risolvere questa..questa cosa.."  quella ragazza aveva pienamente ragione. 
 Colin: “D’accordo. Proverò a parlarle nei prossimi giorni..e lascerò Sebastian  fuori da tutto questo.”
Julia sospirò : “Domenica ripartirà per Parigi, e Sebastian non la lascerà sola un istante prima del decollo..dovrai aspettare.”
Colin serrò la mascella, infastidito. Ma, riflettendoci un momento, capì che forse era meglio così: il ricordo della sua bocca lo avrebbe tormentato ancora per parecchi giorni, e non era il caso andare a cercarla in quelle condizioni.

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Capitolo 3
*** Cap.3 ***


Parigi 24 Giugno  11:00 p.m.

Varcò la soglia della sua camera, mentre il garçon le portava dentro i bagagli. Si voltò per dargli la mancia, ma il ragazzo alzò la mano, sorridendo:
“No mademoiselle per carità, sono un suo devoto fan, niente mancia da lei!”
Jen contraccambiò il sorriso con dolcezza.
“Bene..b-buona serata!” esclamò il giovane, chiudendosi maldestramente la porta alle spalle.
Jen continuò a sorridere fra sé e sé: come donna, non poteva non sentirsi lusingata quando gli uomini le rivolgevano quelle impacciate attenzioni.
Si lanciò letteralmente sul morbido letto, stirando le braccia e respirando a pieni polmoni. Aveva appena trascorso il peggiore weekend della sua vita: venerdì notte non aveva chiuso occhio, sabato Sevastian non si era staccato un attimo da lei ma aveva continuato a sentirsi braccata dalle emozioni della sera prima. Si era limitata a mandare un unico messaggio a Julia -Ti voglio bene. Appena torno ci vediamo. Tua Jenny- e ad assolvere al suo ruolo di fidanzata: grazie al cielo, il mestiere di attrice le aveva insegnato a tenere a bada i propri stati d’animo..di solito ci riusciva bene, e da quando aveva lasciato quell’appartamento ci era riuscita benissimo. Ma adesso i suoi poveri muscoli reclamavano un bagno caldo per tutta la tensione accumulata. Si alzò dal letto, raggiunse la lussuosa stanza da bagno e aprì l’acqua della vasca.
La porta finestra che dava sul balcone era socchiusa, e Jen si avvicinò per spalancarla: adorava l’aria di Parigi. Si sporse, lasciandosi inondare da quel mare di profumi.
“Ce ne hai messo di tempo per trovarmi.”
Girò la testa di scatto, e si trovò accanto una figura maschile, con la schiena appoggiata al muro.
Jen smise di respirare e impallidì di colpo.
“J-Jennifer..non ti spaventare, sono io, Colin! Mi vedi bene alla luce?!” esclamò l’uomo, avvicinandosi spaventato dalla sua reazione e annuendo vigorosamente, come per dire -Hey sono io, tranquilla!.-
Jen sbarrò gli occhi, e si appoggiò al braccio di lui: “Sei..sei reale?”
Colin: “Oddio..vieni dentro.”
Lei si lasciò condurre come un automa in camera; la fece sedere sul letto, le versò un bicchiere d’acqua e andò a chiudere il rubinetto della vasca da bagno. La scrutò ansioso, mentre lei portava il bicchiere alla bocca tenendolo con due mani tremanti, come una bambina. Idiota. Le era quasi venuto un colpo per causa sua.
Colin le prese il bicchiere vuoto, e lo appoggiò al comodino, mentre lei continuava a guardarlo con espressione vacua.
Le sistemò un cuscino dietro la schiena, e la invitò ad appoggiarvisi, mentre le si sedeva accanto sul letto:
“ Scusami, ti prego.Sono un coglione. Ti ho terrorizzata. Il tizio di prima non ha voluto la mancia perché si era già intascato 100 euro per farmi entrare e tenere la bocca chiusa..ovviamente anche il direttore dell’hotel sa della mia presenza qui, e quando mi ha visto si è messo ad elencarmi il suo codice d’onore sul rispetto per i clienti e la loro privacy…insomma, io non sono a Parigi stanotte, capisci quello che intendo dire?” voleva tranquillizzarla, ma temeva che potesse fraintendere.
Jen: “Come hai fatto a trovarmi?”
Colin: “Tua sorella. Dice che dobbiamo chiarirci..per il bene di tutti.” Idiota. Neanche lui credeva a quello che stava dicendo. Era li per lei e per lei soltanto.
Jen emise un sospiro doloroso e chiuse gli occhi. Le lacrime cominciarono a scorrere lentamente dalle palpebre chiuse.
Colin deglutì nervosamente. “Sei stanca.”
Jen: “Sono esaurita.”
Colin: “È anche per colpa mia.“ Lei si limitò a non rispondere.
"Non dovevo venire." continuò lui " È che non sopporto l’idea che tu mi odi. Tu mi odi, vero?”
Jen scosse convulsamente la testa continuando a piangere ad occhi chiusi, quasi volesse scacciare i pensieri che la popolavano.
Colin: “Me ne vado?”
Jen aprì piano gli occhi, serrò le labbra e fece segno di no con il capo.
Non seppe ciò che lo spinse a farlo, forse il suo sguardo implorante, forse era semplicemente ciò che desiderava fare da tempo,  ma si adagiò tranquillamente sul letto accanto a lei, cingendole morbidamente la vita con un braccio, mentre lei appoggiava la fronte sul suo petto e ancora una volta lo inumidiva con il proprio pianto. Pochi minuti dopo si addormentò, totalmente esausta.
Non aveva previsto questo. Aveva messo in conto una sfuriata da parte sua e, nella peggiore delle ipotesi, lui che fuggiva via prima che lei chiamasse la reception. Una parte di sé non aveva potuto sottrarsi neppure alla fantasia di loro due insieme. Quello che non aveva minimamente considerato era la possibilità di trovarsela così, docile e remissiva a cercare riposo contro il suo petto. Si era abbandonata a lui come quella sera del ballo, e questo strano senso di fiducia che lei continuava a nutrire nei suoi confronti lo mandava completamente in confusione. Ma anche lui era troppo stanco per inseguire i propri pensieri, e si lasciò andare al sonno.

Parigi 25 Giugno  3:30 a.m.

Spalancò gli occhi, e fu subito sveglio. Così come era scivolato improvvisamente nel sonno, allo stesso modo ripiombò nel mondo reale…più o meno reale. Era a letto con Jen. Non in quel senso, ma comunque erano sdraiati sullo stesso matrimoniale, i corpi rivolti  l’uno verso l’altro. La situazione era troppo strana, troppo carica di incognite per concedersi il lusso di un sonno pigro e prolungato. Lei invece continuava a dormire..e stava riposando davvero. Lo capiva dai suoi lineamenti rilassati, dal suo respiro leggero e regolare, dalle dita aperte ancora appoggiate al petto di lui. Quelle dita delicate che sfioravano la sua t-shirt e quella bocca socchiusa gli misero in moto l’immaginazione, e subito sentì i muscoli irrigidirsi. Quella vicinanza cominciava a produrre i suoi effetti collaterali. Scivolò via prudentemente da quell’aura femminile e si alzò piano dal letto.
Si avvicinò alla finestra situata sulla parete di fondo, dalla quale proveniva una brezza più energica: ne aveva bisogno per scrollarsi di dosso quel languore. Spalancò lentamente le ante, cercando di non farle cigolare: gli si parò davanti una visione magnifica della Tour Eiffel, che lo salutava dall’alto con tutto il suo spudorato romanticismo. Colin richiuse i battenti senza pensarci due volte. Ma il cigolio del legno fu più stridente del dovuto e  Jen cominciò a mugulare.
Cazzo.
La vide strusciarsi sul copriletto come una gatta, e infine girarsi dalla sua parte.
“Che fai?” gli chiese assonnata.
“Chiudo le ante. C’è troppo vento.” E una visuale schifosa, avrebbe voluto aggiungere.
Jen capì al volo. Avrebbe sotterrarso per tutto ciò che stava nascondendo al suo fidanzato: ma l’immagine della faccia sgomenta di Colin alla vista della scena del crimine le fece scappare una dispettosa risata.
Lui parve non apprezzare:
“Vi state prendendo gioco di me!” esclamò petulante, replicando la scenata che lei gli aveva fatto sul pianerottolo di casa.
La risata di Jen si mitigò in un malinconico sorriso: “Torna a letto e stai buono. Io domani devo lavorare!”
“Ho prenotato una singola. Meglio che raggiunga il mio letto a una piazza.” le rispose sospirando.
Jen lo osservò, seria in volto: “Le cose non torneranno più come prima, vero?”
Lui abbassò la testa, e si mise a parlare: “Mi hai colpito dal primo sguardo che ci siamo scambiati...ti ho vista crescere giorno dopo giorno, come attrice e come donna. Diventi sempre più bella Jen..e i tuoi occhi diventano sempre più pericolosi.”
Lei rimase in silenzio.
Colin: “É stata colpa mia. Non avrei dovuto baciarti. Non avrei dovuto dirti ciò che ti ho detto..non avrei dovuto oltrepassare il limite.”
Ancora silenzio.
“Rimettiti a dormire, Jen.” e uscì dalla stanza.

Mentre sonnecchiava con i gomiti appoggiati al banco della reception, la vide venirgli incontro a passo deciso. Mon Dieu: forse non aveva gradito la sorpresa del suo collega!
“Mademoiselle..ha bisogno di qualcosa?!” le chiese con voce stridula.
Jen gli piazzò sotto al naso una banconota da 100 euro.
“Si. Ho bisogno che tu mi accompagni alla camera del Sig. O'Donoghue ; continuando a tenere la bocca chiusa, s’intende. Così come devono fare i tuoi colleghi dell’hotel. Il signore non si trova a Parigi, chiaro?”
Il ragazzo ammiccò: “Ovviamente. Come già le ho detto, sono un suo fan devoto” e le sfilò con garbo la banconota.
La accompagnò alla stanza 18, e con il passe-partout fece scattare la serratura senza far rumore.
“Sempre a vostra disposizione” disse, andandosene via soddisfatto. Amava i divi di Hollywood.

Jen entrò a passo felpato, richiudendo la porta. Si diede un’occhiata in giro per abituarsi all’oscurità: le pupille le si dilatarono per il buio e il cupo desiderio che sentiva crescere in sé. Fece scivolare dalle spalle la vestaglia leggera e cercò a tentoni la sponda del letto. La sua mano trovò la coscia di lui, che giaceva su un fianco, immobile e assolutamente silenzioso.
Si distese senza esitazione nel poco spazio che restava tra il corpo di lui e il ciglio del letto, e prese ad accarezzargli le labbra.
“Lo so che sei sveglio.”
“Ho ancora il labbro livido per il morso che mi hai dato” le rispose in un sussurro, tirandosi indietro per farle spazio.
“Si? Mi dispiace..non volevo farti male..” le sue dita percorsero con delicatezza quel labbro ferito. Poi gli si avvicinò piano, e lo accarezzò con le proprie labbra:
“Sono qui per farti sapere che so baciare anche senza far male.”
D’un tratto Colin la rovesciò sulla schiena, e le fu sopra.
“Non ho più voglia di giocare Jennifer.”
“Dimmi cosa vuoi” disse lei con voce soffocata.
“Voglio farti mia  come mai ho fatto con nessun altra. Voglio che il tuo corpo conservi i segni del mio passaggio domani, dopodomani e se Dio vuole anche il giorno che tornerai fra le braccia del tuo fidanzato.”
Jen sentì il cuore in gola, e non riuscì a rispondergli. Allora allungò le mani dietro la sua nuca, e questa volta fu lei a catturargli la bocca.

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Capitolo 4
*** Cap.4 ***


Parigi 25 Giugno  11:00 a.m.

Sollevò lentamente le palpebre, ammiccando per la luce fastidiosa che aveva invaso la stanza. Sentì il proprio corpo dolorante, sudato, la pelle vischiosa..o meglio, invischiata ad un’altra pelle di un corpo che giaceva sotto di lei e la circondava. Ma non provò un senso di fastidio, di disagio: anzi, sistemò meglio il ventre sull’addome di lui e strusciò piano il viso sul suo petto. Sentì il cuore battergli a intervalli regolari, mentre il respiro gli sollevava leggermente il torace: era meravigliosamente addormentato. Jen pensò che non si era mai sentita così bene in tutta  la sua vita: era la prima volta che sperimentava questo senso di totale, languido abbandono..i pensieri ovattati, il cuore calmo , una sensazione di calda euforia  che le scorreva ancora nelle vene regalandole piccoli brividi di piacere.
Tuttavia, dovette lasciare quel morbido talamo per dare un’occhiata alla sveglia e raggiungere in fretta il bagno: doveva essere sul set nel primo pomeriggio. Prima di entrare nel box doccia, si concesse uno sguardo prolungato nello specchio: Colin non aveva mentito sull’intenzione di lasciarle dei segni. Aveva stretto in maniera così possessiva i suoi fianchi da lasciarle i lidivi. E poi c'erano i segni della sua barba sulla pelle chiara del suo collo. Avrebbe dovuto truccarsi da sé prima di raggiungere il camerino, sperando che la propria make-up artist fosse distratta e silenziosa come di consueto. Finita la doccia, si avvolse nell’accappatoio e rientrò in camera. Il suo amante la stava contemplando dal letto, con i capelli arruffati e un sorriso fra il timido e il beffardo. Jen non seppe resistere all’impulso di raggiungerlo di nuovo. Si sedette sul bordo del letto, regalandogli uno sguardo profondo che lui comprese immediatamente: quello sguardo voleva dire Io sto bene, tu stai bene? . Le rispose aprendosi in un dolce sorriso e percorrendola in tutto il corpo con i propri occhi cobalto, come a volerla ringraziare per ciò che era stato suo. 
Colin: “A che ora vai al lavoro?”
Jen: “All’una e mezza..tu..tu che farai?”
Colin: “Io non avrei impegni fino a venerdì”
Jen: “Ti fermerai a Parigi?”
Colin:”Solo se vorrai”
Jen: “Si, lo voglio” con un sorriso radioso.
“Allora credo che mi trasferirò nella tua camera. Un letto singolo non è adatto a quello che ho in mente” le rispose, con un guizzo degli occhi.
Jen abbassò lo sguardo, e disse confusamente: “Meno male che di giorno lavoro, così avrai solo la notte per riempirmi di lividi..sempre che io te lo conceda ancora! Non sei proprio il principe azzurro, sai?” e nel pronunciare queste parole, non potè non pensare a Sebastian.
Colin  intuì i pensieri di lei, e un’onda di preoccupazione lo trafisse come una lama in pieno petto mozzandogli i respiro. Sciolse con circospezione l'accappatoio di Jennifer, giocando con l'orlo di spugna, e lasciò vagare lo sguardo su i suoi fianchi che conservavano l'impronta indelebile della loro passione. Cerco il suo sguardo, ma lei glielo negò. Allora si sporse in avanti fino a sfiorare con le labbra la sua pelle, indugiandovi e lasciandovi caldi baci che tracciavano un sentiero immaginari sul suo addome. La sentì tramare sotto il proprio tocco. Si volse una seconda volta verso di lei nella vana speranza di incontrare i suoi occhi, che tuttavia trovò chiusi.
Colin: “ Perdonami, ti prego” disse in un sussurro. Una supplica. Una preghiera.
Soffiò quindi delicatamente sulla pelle inumidita dal passaggio delle sue labbra facendola rabbrividire. Fu a quel punto che sentì le mani di lei sulle sue spalle allontanarlo delicatamente 
Jennifer: " Se continui così non credo uscirò presto da questa camera..." 
Lui le sorrise complice.
Colin: " So che non puoi resistere al mio fascino, tranquilla, lo capisco.." 
Jennifer ricambiò il suo sorriso, grata che avesse stemperato l'atmosfera tra di loro.
Jennifer : " sappi signor O'Donoghe che so benissimo tenerti in riga.”
Colin: “Non credo proprio.”
Jen: “Perché?”
Colin: “Perché stanotte sono stato l’unico a dettar legge” e con nonchalance si accese una sigaretta. Oh, la stava provocando apertamente. E volutamente.
La mente di lei fu attraversata da flash della notte passata: avvampò per quelle immagini e si sentì punta nell'orgoglio per l’arroganza di lui, così con un gesto deciso gli sfilò la sigaretta dalle dita e poi la spense nel posacenere poggiato sul comodino.
Colin:” Che fai?”
Jen: “Comincio a dettare la mia, di legge. Niente fumo in camera.”
Colin: “Riaccendimene un’altra. E non toccare più le mie Malboro" 
Jen: “Se non ubbidisco, che fai? "
Colin: “Non ti ho forse detto che ho ricevuto una rigida educazione irlandese? Posso sempre recuperare i vecchi metodi di punizione..” la prese per i fianchi, e la rovesciò sul letto. Lottarono per alcuni secondi come due ragazzini, mentre il risentimento cedeva il posto ad una dispettosa allegria. Infine lui riuscì a immobilizzarla, distesa a pancia in giù sul materasso,  e le alzò l’accappatoio: Si concesse qualche secondo per far vagare lo sguardo per tutta la lunghezza delle sue gambe e infine  le diede un piccolo morso sulla coscia, appena sotto i glutei.
“Ahi! Mi hai morso davvero!” gridò Jen in tono semiserio.
“ Giusto per ricordarti che so mordere anch’io” le rispose di rimando, ammirando soddisfatto i leggeri segni impressi nella carne.
“Ancora con questa storia?! Ti ho già chiesto scusa per il tuo povero labbro e..” s'interruppe di colpo, perché sentì la fronte di lui che si appoggiava sulla sua schiena, mentre le infilava una mano tra le cosce.
“Colin..devo vestirmi, fare colazione..devo andare sul set...” cercò di protestare, ma sentì che i seni e il ventre cominciavano a tendersi per il desiderio: gemendo piano, non potè fare a meno di separare le cosce, e invitare la sua mano da musicista a proseguire quella melodia. Chiuse gli occhi e si lasciò invadere da quel mare di sensazioni, mentre il respiro  di lui le scaldava la schiena e le sue agili dita si inoltravano in sentieri che aveva appena cominciato a conoscere.

Parigi, 25 Giugno 11:00 p.m.

Colin" Mi dispiace"
Jen aspettò che il respiro si calmasse, e poi parlò: " Per cosa..?”
Colin “…mi dispiace privarti delle tue ore di sonno, dato che devi lavorare.”
Jen si girò dalla sua parte, baciandogli il braccio - Dio adorava quei bicipiti-: “Non avresti dovuto raggiungermi a Parigi allora!”
Colin: “Non sapevo che sarebbe finita in questo modo. Non credevo che mi avresti voluto qui, insieme a te..così.”
“Neanch’io lo avrei mai creduto..” rispose lei, con la mente assente.
“Cominci a pentirti?” chiese lui, esitante.
Lei sospirò, e si lasciò avvolgere dalle sue braccia. Non erano così sconsiderati da concedersi un’avventura senza portarne il peso della colpa. “In realtà, stavo pensando a Paul e Jeanne.”
Colin  nascose un sorriso nei capelli di lei: “Ultimo tango a Parigi?”
“Si..” continuò lei, assorta “ci ho pensato oggi, fra le strade della città. Io sono Jeanne.”
Colin: “Forse..ma io non somiglio affatto a Brando!”
Jen: “Jeanne si sta per sposare..ha un fidanzato che le vuole bene, la ammira immortalandola con la sua cinepresa..insieme stanno realizzando un film, che poi è la loro vita..poi Jeanne incontra questo straniero, quest’uomo enigmatico, e per la prima volta si prende una pausa. Smette di recitare, sospende le riprese. Si rifugia in un mondo parallelo.”
Lui le accarezzò i capelli, ascoltandola con attenzione e assimilando parola per parola quello che stava dicendo. “Dì un po’..devo cominciare a temere per la mia incolumità?” le chiese in tono scherzoso, cercando di alleggerire l’atmosfera che si era creata. Lei gliene fu grata, ma volle comunque finire il discorso:
“No, puoi stare tranquillo, non ho armi con me...sto soltanto dicendo che questo è il nostro mondo parallelo, l’occasione che ci è stata offerta..l’America è così lontana, stiamo qua finchè possiamo!”
Colin cercò di reprimere un brivido, sperando che Jen non si accorgesse del proprio turbamento. Dunque, lei era d’accordo a vivere fino in fondo quell’avventura, in clandestinità e senza pensare al domani. Anche lui sapeva che era la cosa migliore da fare: ormai, avevano trasgredito e tanto valeva godere della presenza dell’altro fino in fondo, prima che arrivasse l’ora dell’addio. Perché lui credeva che il loro sarebbe stato un addio: Jeanne non aveva voluto cambiare il proprio destino. E lui non era affatto come Paul.

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Salve a tutte! Siete meravigliose e non so come ringraziarvi per i vostri commenti!

Allora..per chi non avesse mai visto Ultimo Tango a Parigi..i protagonisti sono Paul (Marlon Brando) e Jeanne (Maria Schneider). Diventano amanti; il futuro marito di Jeanne è un regista alle prime armi, che sceglie la fidanzata come protagonista della sua pellicola..come dice Jen, quel film rappresenta la vita che stanno progettando assieme. Paul e Jeanne vivono una passione fuori misura, e alla fine a farne le spese è soprattutto Paul , che viene ucciso. (per questo Colin chiede se deve temere per la propria incolumità). 
Che sia un film senza senso o un capolavoro ormai fa parte della storia del cinema.
Grazie ancora di cuore, spero che il capitolo non vi abbia deluso.

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Capitolo 5
*** Cap.5 ***


Parigi 27 Giugno 11:30 p.m.

“Mmmm…buonissimo!” mugugnò Jennifer con la bocca piena.
Colin rise di cuore nel vederla rimpinzarsi in quel modo. Sul set mangiava a stento, presa com’era dal proprio rigore professionale.
“Anche il vino è ottimo” aggiunse lui, sorseggiando direttamente dalla bottiglia.
"saresti un’ottima sommelier, amore.”
Jen spalancò gli occhi e gli catturò la bocca in un impeto di gioia e di incredulità. Era la prima volta che la chiamava amore.
“Amore...” gli sospirò fra le labbra lei, facendogli eco e accarezzandolo con quei grandi occhi verdi.
Erano seduti su una panchina appartata della Rive Gauche, godendosi la brezza della Senna e il dopocena di lusso che Jen si era procurata alla Brasserie Lipp: due mille-foglie e un Moulin-à-Vent rosso dal prezzo spropositato..ma per lui avrebbe fatto questo ed altro. Non era stato facile convincerlo ad uscire dalla sua pigra tana, vale a dire la camera di Jen, più precisamente il letto di Jen, dove in quei giorni lui aveva dormito, mangiato, fumato, guardato la TV, aspettando semplicemente che lei finisse le riprese e tornasse a casa, buttandosi sul letto e baciandolo con una risata incosciente. E poi la sera prima non avevano fatto l’amore perché lei era rientrata tardissimo, esausta, e lui le aveva fatto notare che non era così depravato da approfittarsi di una donna sull’orlo del collasso: così, l’aveva invitata fra le sue forti braccia, dove lei si era subito addormentata. Dunque, avevano una notte da recuperare..e il loro tempo stava scadendo, perché il giorno dopo lui sarebbe ripartito. Ma Jen aveva talmente insistito per vedere Parigi insieme a lui, che alla fine Colin era stato costretto ad accettare. Anche perché quella sera lo aveva informato che la mattina seguente non sarebbe andata sul set. Decisamente, una ragazza del genere non poteva non essere accontentata.
Erano dunque sgattaiolati fuori dall’hotel con l’aria di due fuggiaschi. Ignorando silenziosamente la Tour Eiffel, si erano incamminati per i boulevards stretti l’uno all’altro, con una certa apprensione. Poi, quando avevano avuto la conferma che nessuno li stesse degnando di una particolare attenzione, avevano rallentato il passo, sorridendo, per giungere mano nella mano dalle parti di Saint Germain, dove si trovava la celeberrima “Lipp”.
“Ci pensi? Qui pranzava il fior fiore degli intellettuali francesi” lo stava informando lei, mentre gli sfilava la bottiglia di mano.
“Lo so. Anthony ha visto le foto dentro.”
“Chi?” domandò Jen, prima di bere un'altro sorso di  vino.
“Il mio amico, nonché grande estimatore, Anthony Hopkins..non hai visto la standing ovation che mi ha tributato quando ho vinto il Golden Globe?! Comunque..il vecchio Anthony è un habituè di Lipp.”
Rimasero in silenzio, finendo il dolce. Quell’accenno involontario ai Golden Globes li aveva riportati bruscamente al mondo reale. Jenn intuì i pensieri di lui, perché si era subito rabbuiato in volto: nonostante fosse un incredibile attore, nel quotidiano riusciva a malapena a celare le proprie emozioni, i suoi occhi lo tradiavano. 
“Paul..avevamo detto niente ricordi..” esordì lei, titubante.
“ Lo so..è che non ho potuto fare a meno di pensare al fatto che, quella sera, tu eri troppo occupata a sbandierare il tuo fidanzamento per badare a me.”
Jen sentì una fitta nel petto. Questo non era leale.
“Ci frequentavamo mesi..prima o poi dovevamo comunicarlo ufficialmente.”
“Già..e organizzare un matrimonio in fretta e furia..d’altro canto, come si fa a dir di no sulla Tour Eiffel!” le sibilò con voce tagliente. Scherzo del destino, era stato proprio sulla torre Eiffel che Sebastian le aveva fatto la proposta. Quella città  sembrava essere la più grande contraddizione della sua vita.
“Il vino ti rende ancora più possessivo..e crudele.”
“Io crudele?! Sei tu quella che prima cinguettava al telefono con la sua futura suocera, elencando invitati e bomboniere...!”
“ Ma che cosa vuoi da me?! Che rinunci il mio futuro per farti da amante segreta?"
“Non ti scaldare:ho intenzione di intralciare i tuoi piani.” Così dicendo, si alzò dalla panchina e si rimise a camminare in direzione dell’hotel. Jen sospirò dolorosamente, prese il vino e lo seguì poco distante, completamente in silenzio.


Dopo essere rientrati in camera, lui si isolò subito sul balcone con le sue sigarette, lei si infilò nella doccia, sperando che l’acqua riuscisse a lavare via le lacrime rabbiose che aveva cercato di nascondere. Maledetto. Con quel suo sguardo di ghiaccio riusciva sempre a spezzarla e a ribaltare la colpa dalla sua  parte , quando avrebbe dovuto essere lei a sentirsi offesa dalle sue stupide accuse. Lui, e quell’orribile fede nuziale che lasciava impunemente sul comodino..
Mentre soffocava i singhiozzi sotto il getto caldo dell’acqua, lo sentì entrare in bagno. Eh no, questa volta non sarebbe bastata qualche carezza e un pò di bognoschiuma a lavare via l'episodio dalla sua mente e dal suo cuore. Poi, dalla cabina appannata, vide che si appoggiava alla parete, portandosi al petto un grosso aggeggio di legno. Lei non riuscì a trattenere un sorriso fra quei singhiozzi bagnati.
Ed ecco che la sua chitarra cominciò a intonare i primi accordi di Apologize, mentre la voce di lui cantava per chiederle perdono.

Jen aspettò l’epilogo di quella sgangherata canzone d’amore, e poi si lanciò fuori dalla doccia, stringendolo a sé e baciandolo fra le risate e le lacrime.
“Era il tuo modo per chiedermi scusa?”
“In realtà mi sono portato dietro la chitarra per andare a suonare nei sotterranei della metro, credendo che tu mi avresti cacciato la prima sera. Ma, a quanto pare, mi è servita lo stesso”
“Già..hai fatto bene a portarla..ma adesso posala e vieni sotto la doccia…non volevo dirtelo per non sembrare sfacciata, ma abbiamo una notte da recuperare!”
Colin scosse il capo sorridendo, e scomparve con lei in una nebbia di vapore.
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Salve a tutte! Ecco il nuvo capitolo! è un pò più corto del solito ma spero vi piaccia ugualmente! I vostri commenti mi riempono di gioia e sono contentissima che la storia vi piaccia. 
Ma tornando a noi... nel capitolo Colin fa rifermento a Anthony Hopkins con cui ha recitato nel suo film d'esordio Il Rito, così come qualche capitolo fa Jen aveva fatto riferimento a Trappola D'amore. Detto questo buona giornata, siete fantastiche.

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Capitolo 6
*** Cap.6 ***


Parigi 28 Giugno  8:30 a.m.

Si risvegliò lentamente, controvoglia, eppure spinta da un’urgenza, come se qualcuno la chiamasse al di là della coltre del sonno.
La prima immagine che percepì fu quella del volto di lui, dei suoi occhi che la fissavano e quasi la trafiggevano. Quel maledetto giovedì era dunque arrivato.
Lei ricambiò il suo sguardo con occhi dolci e tristi.
Nessuno dei due aveva voglia di parlare: d’altra parte, c’era da dirsi tutto e niente. Anche volendo, le parole non sarebbero bastate.
Mano a mano che il torpore la abbandonava, Jen sentiva sempre più forte il peso di quel momento: cominciò a sbattere più volte le palpebre, e ad inghiottire i primi singhiozzi che le salivano in gola.
Colin le appoggiò l’indice sulle labbra, supplicandola: “No..hai già pianto abbastanza stanotte. Non voglio ricordarti in lacrime”.
Jen annuì, posando baci leggeri sulle sue dita.
Lui si fece ancora più vicino, e le sussurrò: “ Dimmi come vuoi essere amata.”
“Come?” esclamò Jen, confusa.
Colin si passò una mano sul viso, in quel suo gesto tipico: “Ho bisogno di fare ancora l’amore con te prima di prepararmi e chiamare il taxi…sinceramente non penso riuscirei ad andarmene senza poterti stringere ancora una vota...voglio che tu mi dica come vuoi essere amata.”
Jen si portò la mano di lui sul cuore: “Amami come se fosse l’ultima volta.”
“È l’ultima volta” rimarcò lui con voce soffocata.
Jen: “Non ne abbiamo la certezza..forse Jeanne e Paul si incontreranno ancora”. Neanche lei ci credeva, ma lo aveva detto comunque per ricacciare indietro le lacrime. “Ti prego, amami come se fosse l’ultima volta.”
Colin sospirò pesantemente, e tolse la mano dal suo seno segundo con la punta dell'indice il percorso umido che una lacrima aveva lasciato sul volto di Jen.
Lei chiuse gli occhi e si dispose supina, aspettando.
Lui si chinò, e intraprese quel viaggio
 Raggiunse la zona cava della gola con la pelle ruvida del dito, prima di muoversi lungo la clavicola destra, lungo la spalla e lungo il fianco del collo: ad un certo punto, quando lui si trovava con il dito a pochi centimetri dal suo orecchio, lei annaspò. A quel punto le torturò quella zona, fino a quando lei non annaspò nuovamente, prima di sostituire il tocco del dito con quello delle labbra, facendola gemere in modo molto delicato e piegare la testa, incerta.
Le baciò delicatamente le palpebre chiuse, umide per le lacrime trattenute, mentre tracciava con le dita leggeri percorsi sul suo ventre pallido. Poi le sue labbra si spostarono su una tempia, e da lì giù, a seguire la curva della nuca, dove il profumo di lei era più intenso. Inspirò, sentendo crescere il desiderio: ma questa volta non avrebbe avuto fretta.
Si piegò ancora di più in avanti: millimetri li separavano ancora, prima che lui sollevasse la mano destra e tracciasse con l'indice il percorso, tracciato dal dito sinistro, muovendosi stavolta sul suo lato. Lei rabbrividì, quando con la pelle ruvida del dito, lui le arrivò a metà strada lungo la clavicola.
Poté sentire il corpo di lei tremare, nonostante la piccola barriera d'aria, che c'era tra di loro: poté avvertire il suo bisogno, il suo desiderio, che si stava propagando verso di lui e che lo stava supplicando di toccarla, senza aver bisogno di parlare. Tutto di lei chiedeva di lui: il calore del suo corpo, il suo sapore, che gli era rimasto in bocca, il suono dei suoi respiri brevi e rapidi, il rossore della sua pelle e il suo profumo, che gli aveva riempito le narici.
Non voleva andare via, e lei non voleva che se ne andasse.
Ma non poteva destare dei sospetti, non poteva rischiare che si venisse a sapere.
Voleva tenere questa cosa per sé.
Voleva tenere lei per sé.
La sentì muoversi appena sotto di lui:
"Tu non vai da nessuna parte” le disse sull'onda di quei pensieri, stringendola leggermente, per riaffermare la frase appena detta.
“Mai” mormorò lei
Colin s’accigliò leggermente al suono di quella singola parola.
In quel momento, con calore di lei che lo avvolgeva, riuscì ad ammettere a se stesso che quella donna sembrava essere la cosa più bella che gli fosse mai potuta capitare.
I loro occhi s’incontrarono.
E subito compresero che questo sarebbe stato qualcosa di totalmente diverso da tutte le altre volte che l’avevano fatto e forse da tutte le altre volte che l’avrebbero fatto.
Si prese il suo tempo, toccando ed accarezzando con reverenza ogni singola parte del corpo di lei e baciandola, come se avesse avuto tutto il tempo di questo mondo, prima di scivolare dentro il suo calore e muoversi con colpi meticolosamente lenti perché il ventre di lei conservasse la traccia di quell’amplesso inappagato. Forse era crudele da parte sua, ma voleva che quello splendido corpo di donna continuasse a sentire la  mancanza dei suoi dolci trapassi.... di lui, di lui soltanto.

Parigi 28 Giugno 10:00 am

“Mia” sussurrò lui in modo primitivo e possessivo, nell'allungare una mano, per avvolgere entrambi i loro corpi con il piumone.

Lei in risposta gli graffiò scherzosamente il petto con i denti
“La tua possessività si sta di nuovo manifestando” gli disse lei, sorridendogli compiaciuta.
“sei mia” - le mormorò in tono calmo e basso, che le fece nascere una pozzanghera di calore nel ventre.
Dopo aver emesso  delle parole intellegibili nell'aria mattutina Jennifer si riaddormentò tra le sue braccia, avvolta dal suo corpo e cullata dalle sue carezze, scivolando in un stato di beata incoscenza ,mentre lui con la mano le premeva contro il ventre piatto, tenendola stretta a sé.

Gli piaceva riuscire a dormire con lei.
Gli piaceva quella calda vicinanza che era stata assente nella sua vita.
Si era quasi dimenticato di quanto calore potesse generare un altro corpo e non si era reso conto di quanto fosse stato freddo, fino a quando non si era svegliato col caldo corpo di lei, premuto contro di sé, quella mattina

Si sporse oltre la sua spalla per intercettare con lo sguardo la radiosveglia posta sul comodino.
Il display a caratteri verdi intermittenti segnava le dieci.
Sospirò pesantemente, e dopo essersi concesso di godere del calore di lei ancora qualche istante, si diresse verso il bagno con l'intenzione di fare una doccia.
Arrivò fino alla porta prima di fermarsi al suono di un delicato lamento proveniente dal corpo nudo che aveva lasciato nel letto.

Girandosi fu leggermente scioccato da quanto piccola e vulnerabile lei sembrasse rannicchiata nelle lenzuola di quel grande letto. Un’immagine ben lontana dalla donna che aveva imparato a conoscere ed amare.
Lei si lamentò ancora.

Lui sospirò pacatamente e ritornò di fianco al letto.

Piegandosi su di lei, sistemò un grande cuscino su cui farle appoggiare la schiena, dove alcuni minuti prima c’era stato il suo petto.

Lei emise un miagolio, corrugando leggermente la fronte.

Le accarezzò i capelli senza pensarci, ma fu sua la decisione di piegarsi in avanti e di posarle un bacio sulla fronte sussurrando – “Shh, va tutto bene Jen”

Lei mugolò dolcemente, distendendo la fronte, mentre cominciava ad addormentarsi in modo più profondo.
 
Quella doccia fu una delle cose più difficili che avesse mai  scelto di  fare.

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Capitolo 7
*** Cap.7 ***


Gli uomini potevano chiudere gli occhi davanti alla grandezza, davanti all’orrore, e turarsi le orecchie davanti a melodie o a parole seducenti. Ma non potevano sottrarsi al profumo. Poiché il profumo è fratello del respiro. Con esso penetrava gli uomini, a esso non potevano resistere, se volevano vivere. E il profumo scendeva in loro, direttamente al cuore e là distingueva categoricamente la simpatia dal disprezzo, il disgusto dal piacere, l’amore dall’odio”. 
Patrick Süskind, Il Profumo






Chicago 7 Luglio  1:30 p.m.

“Ti è piaciuto l’arrosto, tesoro?”
“Si mamma, era tutto buonissimo.”
“Davvero signora..a Los Angeles non mangiamo mai così bene, neppure al ristorante!”
“Oh caro..il mio genero è sempre troppo gentile!”
Judy sorrise alla figlia, accondiscendente e orgogliosa: non avrebbe potuto scegliersi un fidanzato migliore. Jen ricambiò con il  suo solito, dolce sorriso, e nessuno  si accorse dell’ombra che le aveva oscurato gli occhi.
Le riprese del film erano finalmente terminate, e lei stava trascorrendo qualche giorno a casa dei suoi, prima che si riaccendessero le luci di un altro set..un set che condivideva col suo futuro marito, e con un uomo che neppure lei sapeva più come definire. Quel set  aveva segnato la sua vita, ed era stato per lei una casa faticosa ma accogliente: ora, non sapeva più niente. Continuava ad aggrapparsi ai punti fermi della sua esistenza...il suo fidanzato, il matrimonio da organizzare, la sua famiglia, gli impegni di lavoro da rispettare..ma il suo mondo interiore si era dissolto come un castello di sabbia, e lei non sapeva più se un giorno avrebbe riconquistato la propria serenità.
David: “Tesoro..tutto bene?”
Jen: “Certo papà! Sono solo un po’ stanca”.
Judi: “Non avresti dovuto accettare quel ruolo! I preparativi per le nozze sono ancora in alto mare, e fra pochi giorni dovete pure riprendere il telefilm..ragazzi miei, il tempo stringe!”
“Smettila, mamma. Ho tutto sotto controllo”.
La graziosa signora rivolse alla figlia uno sguardo preoccupato: le aveva risposto con voce alterata, e questo non era da lei. Jen si morsicò il labbro, e cercò di rimediare:
”Scusa mamma..non potevo rifiutare quel ruolo, è un’occasione importante per la mia carriera.”
“E poi così ha avuto una valida scusa per rivedere la nostra città, vero amore ?” esclamò Sebastian, strizzando l’occhio alla suocera.
Amore…Dio come suonava male detto da lui.
“Proprio così!” rispose lei, dissimulando le proprie emozioni con una risata cristallina.
“Vive l’amour!” la voce di suo fratello suonò bonaria ma ironica “scusa sorellina, ma troppo zucchero mi guasta la bocca. Resto fedele alle mie ragazze” e sfilò dalla tasca dei pantaloni un pacchetto di Malboro.
David: “Daniel, vai fuori a fumare..sai che le nostre donne non sopportano l’odore del fumo!”

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“Eh no! Vai fuori a fumare..sai che non sopporto l’odore del fumo!”
“Non ce la faccio a raggiungere il terrazzo..mi hai completamente prosciugato”. Le baciò la fronte, e lei ricambiò con un finto broncio:
“Stai violando ancora le nostre regole di convivenza”.
“Devo darti ragione..” ammise Colin “ma a un condannato non si rifiuta l’ultima sigaretta.”
Condannato. Condannato a partire. Condannato a lasciarti. Condannato a rivederti insieme a quell’altro, giorno dopo giorno. Condannato a guardare negli occhi mia moglie senza poter abbassare lo sguardo per la colpa. Condannato ad amarti..sempre.
Jen gli sfilò la Malboro dalle dita, e fece un tiro, aspirò lentamente, incatenando gli occhi malinconici a quelli di lui, e buttando fuori il fumo con grazia.
Colin: “Anche tu violi le regole..ti avevo detto di non toccare le mie Malboro, ragazzina"
Jen: “Ma a una condannata non si rifiuta l’ultima sigaretta”.

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Eccolo che ritornava, il suo odore, il suo profumo: qualcosa di unico e di indescrivibile con una nota amara data dal tabacco...a lei ricordava l'acqua profonda del mare...
Jen sorrise dolcemente a suo padre, che si avviò in veranda dietro a Daniel. Stavolta quel sorriso era sincero: il suo  profumo si era risvegliato in lei, e ora le blandiva il cuore e le sfiorava la pelle, e lei temeva quasi che anche gli altri potessero sentirlo.


Dublino 7 Luglio  7:30 p.m.

“Abbiamo finito? Stanno chiudendo!” protestò con voce lagnosa. Si appoggiava svogliato al carrello come un qualunque padre di famiglia in un qualunque supermercato del centro.
“Si..” replicò Helen, controllando il biglietto della spesa “andiamo a recuperare Rebecca e poi ci avviciniamo alle casse.”
Colin sterzò a destra, e s’infilò nella corsia dalla quale proveniva la voce di sue figlia.
Rebecca: “Mamma  hai preso il bagnoschiuma?”
Helen: " Si tesoro, quello alla vaniglia.."

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Si svegliò sola nel letto.
Aveva dormito poco e male, forse solo qualche minuto...era quel tipo di sonno agitato e non ristoratore.
Quando sentì il rumore dell'acqua scrosciare nella doccia, la realtà la colpì bruscamente.
Era giunta l'ora. Pregò di riaddormentarsi e svegliarsi quando lui se ne fosse già andato. O meglio di risvegliarsi e trovarlo al suo fianco.
Quanto desiderava abbracciarlo, sussurragli “Ti amo” e pregare che non finisse mai ma era esattamente questo ciò che temeva sarebbe accaduto. 
Non riusciva a sopportare nemmeno l’idea di perdersi un solo secondo con lui:il pensiero del dolore che, sapeva, avrebbe provato quando lui se ne fosse andato, le dilaniava il cuore.

Così decise di vivere il momento, di godersi il tempo che aveva a disposizione con lui e di addolorarsi delle proprie perdite quando le avesse effettivamente perse.
Si alzò da letto e cercò qualcosa da indossare.
Il giorno prima non gli era dispiaciuto che lei  indossasse la sua camicia, per cui sperava che non ci fossero problemi se avesse fatto lo stesso anche oggi.

Si sentiva completamente a proprio agio  coperta dai suoi vestiti, come se fosse vicino a lui, anche se così non era, e allo stato attuale delle cose lei aveva bisogno di tutto il conforto che poteva trovare.
Prese la prima camicia che ebbe a portata di mano e se la premette contro il volto.

Respirò profondamente.

Anche se la camicia era pulita e profumava di detergente, c’era qualcosa di unicamente suo impregnato nello spesso cotone.

La indossò dalla testa, respirando ancora profondamente a occhi chiusi, per apprezzarne a pieno il profumo.

Ma anche così lei voleva di più del suo odore. Voleva lui.
Si diresse a passo svelto verso il bagno.
Lui si era infilato sotto la doccia, in spaventoso ritardo. Quando l’aveva vista entrare, le aveva lanciato uno sguardo supplice, lo sguardo di chi avrebbe voluto non può:  il tempo era scaduto.
Lei sorrise ed allungò una mano, per prendere il sapone.
Iniziò a lavargli il petto e le braccia con movenze lente e circolari, mentre gli sfiorava il volto e il collo con baci bagnati, graffiandogli occasionalmente il petto con le unghie perfettamente curate. Si mosse su e giù lungo la sua schiena con carezze lunghe e profonde.
" Vaniglia?" le aveva sussurrato sulla labra " non credo sia molto virile..." Lei aveva riso e lui aveva chiuso gli occhi per poter apprezzare meglio quel suono ormai così familiare ed indispensabile per lui.  Aveva mentito  su quel suo bagnoschiuma alla vaniglia: ormai quell’odore gli piaceva, perché faceva parte di Jen. Il profumo di vaniglia, troppo dolce di per sé, si mitigava magnificamente a contatto la sua pelle candida andandosi a sposare con quell’aroma tipicamente suo, così dolce e femminile,che la pelle di lei conservava in maniera indelebile. Quell’odore delicato, languido e  inebriante  si intensificava lungo il profilo dei seni, diventando assolutamente irresistibile.
Le prese il sapone dalle mani, accarezzandole la pelle dal collo fino all'inarcatura della schiena. Ripose il sapone sullo scaffale e prese lo shampoo, versandosene una buona quantità sulla mano, prima di muovere le lunghe dita tra i suoi capelli.

Con i seni premuti contro il petto, Colin riuscì a sentirla fare le fusa, mentre la massaggiava, muovendo gentilmente le dita  ed applicandole una pressione calmante contro la nuca. Lei gemette lievemente, quando lui con i pollici le accarezzò le tempie, ricoprendole poi di baci.
Lei era come una chitarra: con un tocco leggerissimo riusciva a farle produrre dei suoni dolcissimi.Ma le mani di lei non rimasero ferme: presero lo shampoo  ed iniziarono a muoversi tra i capelli di lui, molto più corti e sottili.

Lui rimase sorpreso da quanto belle furono quelle sensazioni.
Si baciarono delicatamente, accarezzandosi con tocchi provocanti e leggeri come un battuto d’ali.
Lacrime calde iniziarono a bagnare le guange di Colin, mescolandosi all'acqua che scorreva sul suo viso.
Si baciarono in modo dolorosamente lento: lui mosse le mani, che erano sulla vita di lei, su e giù lungo i suoi fianchi; lei fece vagare le proprie lungo le spalle e la schiena bagnata di lui.

Lui l’avvolse tra le braccia e poggiò la testa tra i suoi seni, tranquillizzato dal suo ritmico respiro e dalle sue dita, che gli si mossero tra i capelli.

Ringraziò il cielo che quel profumo vanigliato gli si fosse incollato addosso e lo avesse  avvolto come un manto confortante mentre si richiudeva la porta alle spalle, lasciandola sola, in accappatoio, a piangere sul loro letto, senza abbandonarlo neanche in aeroporto, dandogli la forza di prendere quel maledetto volo per l’America.
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Come per miracolo, lo avvertì distintamente anche in quel supermarket  affollato, e si sentì subito meno solo.

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Capitolo 8
*** Cap.8 ***


L.A. 19 Luglio  6:00 p.m.

Guardami..girati e guardami, almeno per un secondo..
Niente. Nonostante lei cercasse i suoi occhi con insistenza, e tentasse stupidamente di richiamare la sua attenzione con la forza del pensiero, lui non si soffermò mai sul suo viso.
Il cast si era riunito già da qualche giorno; avevano fatto delle foto, letto qualcosa dei primi copioni e incontrato i nuovi arrivati. Lei capiva che sarebbe stato difficile avvicinarsi con tutto quel caos intorno…difficile, ma non impossibile. Capiva che una conversazione fra loro due sarebbe stata rischiosa in quel contesto…ma uno sguardo, un solo sguardo dei loro no. A lei sarebbe bastato questo: incontrare quell’azzurro e decifrarvi il messaggio che custodiva per lei. Ma lui non gliel’aveva ancora concesso. Era parso molto rilassato, sicuro di sé, aveva subito dominato la scena con il suo  senso dello umor  attirandosi intorno le nuove leve..specialmente le due donne, inutile negarlo...risero tutti per qualcosa che aveva detto, e lei non fu da meno, anche se la sua risata uscì leggermente stridula.

Fortunatamente, tutto stava procedendo nel migliore dei modi. Lui per primo si stupì del comportamento pacato che riusciva ad ostentare: nonostante fosse un uomo emotivo ed insicuro, quando si prefiggeva un compito riusciva quasi sempre a portarlo a compimento, mascherando la propria inquietudine con l’ironia. Il suo compito attuale consisteva nell’evitarla, e nel convincerla con il suo silenzio che quella loro parentesi era ormai chiusa, e non c’era più nient’altro da dire, nient’altro da fare, se non nascondersi nuovamente dietro i volti di Hook ed Emma. Grazie al cielo quei primi giorni sul set erano stati talmente frenetici che non avrebbe potuto avvicinarla neanche se ne avesse avuto l’intenzione...troppa gente con cui parlare, troppe cose da fare. Ovviamente l’aveva salutata, insieme agli altri, e aveva avuto persino la faccia tosta di chiederle se il soggiorno in Europa fosse stato piacevole, mentre Sebastian sorrideva e parlava di una futura luna di miele oltreoceano. Ma non l’aveva ancora guardata: non in quel modo, nel loro modo. Semplicemente, i suoi occhi cerulei avevano vagato assenti sulla figura di lei, soffermandosi appena sulle labbra mentre lei gli rispondeva con voce agitata e si contorceva le mani.
Lei invece lo guardava, in continuazione: pur non avendoli ancora incontrati, si sentiva addosso quegli smeraldi ovunque andasse, ovunque cercasse di nascondersi…lei lo stava chiamando, ma lui non poteva assolutamente risponderle...era ancora troppo presto, forse sarebbe riuscito a specchiarsi nuovamente in quegli occhi solo con un copione in mano e le direttive di un regista da seguire.
Anche adesso, il suo sguardo indugiava appena su quell’abito rosso alla sua destra e sul luccichio di quel dannato anello, e fu più che mai grato a Ginnifer per la disinvoltura con cui si era inserita fra loro due.

“Non ci siamo ancora presentate per bene!”
Si voltò con aria assente, trovandosi di fronte una graziosa brunetta che le tendeva la mano.
“Hai ragione..in questi giorni abbiamo girato come trottole..puoi chiamarmi Jen”.
“Ok! Io sono  Elizabeth”
Jen le strinse la mano con un sorriso caloroso: sapeva  come ci si sentiva ad essere l'attrice più giovane in un cast di tutto rispetto. Le sarebbe piaciuto se qualcuno in passato le avesse offerto la sua amicizia.
" è un piacere avere nei nuovi membri in questa strana e pazza famiglia.."
“Grazie...ti ringrazio Jen, sono lusingata..ma anche terrorizzata all’idea di lavorare con attori del vostro calibro.." e nel dire questo si voltò in direzione di Colin, che stava ancora scherzando con Ginnifer. Jen sentì una stretta al cuore, e ringraziò il cielo che in quel momento la sua interlocutrice non la stesse guardando.
“ Che uomo incredibile..” esordì la ragazza “beata te che l’hai baciato...chissà se avrò anch’io questa fortuna!”
Jen cominciò a pensare che quella donna non era poi così terrorizzata, e forse non era così simpatica come aveva pensato. 
Le sorrise educatamente, abbassando lo sguardo.
Elizabeth  percepì quell’improvvisa freddezza, e pensò che forse fra Jennifer e Colin i rapporti non erano del tutto idilliaci, o che probabilmente lei fosse turbata dal fatto di girare scene così intime con un fidanzato che la osservava dall’altra parte della telecamera.
“Beh…tanto mi sa che la prossima fortunata sarà Georgina, con buona pace del mio fidanzato e del tuo futuro sposo!” rise Elizabeth.
“Vedo che ha un grande feeling con lei.. - continuò, ignorando il silenzio di Jennifer- ma immagino che non ci sia nient’altro, vero?”
“Non penso proprio!” le rispose Jen con finta allegria “Lei ha già un compagno, e Colin non si toglie mai la fede fuori dal set.” -Quasi mai.. - pensò
“Si...ho detto una sciocchezza, scusami…è che mi pare quasi impossibile che un uomo così spudoratamente attraente  riesca a mantenersi fedele ad una moglie che vede talmente di rado..”
“È molto legato alla sua famiglia” tagliò corto Jen.
“Non ne dubito! Ma, se posso essere sincera...non gliene farei una colpa se di tanto in tanto si concedesse una distrazione, o se ne fosse tentato..”
Le parole di Elizabeth erano rivolte a Georgina, ma Jen non potè fare a meno di pensare che fossero state pronunciate per lei.


“Ti sei concesso una distrazione con me?!”
Colin per poco non lasciò cadere la sigaretta. Era uscito all’aperto per il suo solito rituale da tabagista, quando all’improvviso aveva udito spalancarsi la porta dietro di sé. Prima ancora che lei parlasse, l’aveva riconosciuta dal suo dolce profumo.
Riprese immediatamente il controllo, fissando un punto imprecisato dell'orizzonte: “Abbassa la voce, per il bene di entrambi.”
Jen si strinse nelle braccia, sentendo improvvisamente freddo, e fece come lui le aveva chiesto: “D’accordo. Ma rispondi alla domanda: sono stata una distrazione per te?”
Lui si portò la sigaretta alla bocca, silenzioso, immobile.
Lei allora allungò d’impeto le mani verso quel volto, per costringerlo a girarsi.
“Sei impazzita?!”
“Guardami negli occhi e dimmi che non sono stata uno sfogo per te.”
Colin serrò le labbra, e abbassò la fronte, nervoso.
Jen spalancò gli occhi, incredula: “Ti prego rispondimi...amore...”
Si avvicinò senza guardarla, sussurrandole in un orecchio: “Jennifer, Jeanne e Paul sono morti. La pausa è terminata. Non parliamone più. Adesso dobbiamo riprendere il lavoro. ” Buttò il mozzicone a terra, aprì la porta e scomparve all’interno dell’edificio.
Jen restò lì ancora per qualche minuto, osservando il mozzicone che piano piano si spegneva e cercando di scacciare i brividi che le percorrevano la schiena con gli ultimi raggi del sole al tramonto.


L.A. 21 Luglio  2:30 a.m.

Cambiò di nuovo posizione, serrando cocciutamente le palpebre, nell’ennesimo tentativo di prendere sonno. Stette così per alcuni minuti, ascoltando i brusii che provenivano dalla finestra aperta. Infine, buttò indietro il lenzuolo con stizza, alzandosi di scatto e camminando verso la finestra, per prendere un po’ d’aria. Pazzesco. Per una volta che riusciva a coricarsi ad un’ora decente, il sonno tardava a venire, nonostante la pesantezza che gli opprimeva la testa. Probabilmente era il caldo estivo della California...
sì, sicuramente il suo fisico non ci si era ancora abituato…
Stronzate.
Erano quegli occhi a non lasciarlo dormire. Quegli occhi che aveva spiato per tre lunghi anni, quegli occhi nei quali era annegato a Parigi, e che adesso si rifiutava ostinatamente di incontrare.
Era stato crudele con lei. Ma quando aveva sentito che lei lo stava chiamando amore il terrore di cedere lo aveva costretto a tirare fuori il peggio di sé.
Era stato lui a passare il confine fra loro, confondendo lei e rischiando di mandare a rotoli la sua vita proprio quando era a un passo dal matrimonio. Fino a quando lei e Sebastian avevano continuato a frequentarsi senza promesse e dichiarazioni alla stampa, lui si era illuso che il loro fosse semplicemente un flirt fra colleghi, disimpegnato e perfino scontato…e se lei diceva ai giornalisti di essere single, se viveva ancora con sua sorella..allora avrebbe continuato ad essere sua, tramite quello strano ed intrigante gioco di sguardi che apparteneva a loro due soltanto. Queste sue stupide fantasie erano state spazzate via quando lei era tornata al lavoro con un anello al dito e uno sguardo emozionato, lo sguardo tipico delle future spose. Come aveva potuto farle questo…
Ma stavolta non avrebbe lasciato che fossero gli altri a sistemare il danno. Lui era colpevole, ancora, ed era giunto il momento di dimostrare a se stesso che era finalmente capace di porre riparo ai propri errori..a qualsiasi costo, anche a costo di ferirla ulteriormente e farsi odiare da lei per il resto dei suoi giorni. Tanto, lei era giovane, e con Sebastian avrebbe dimenticato in fretta. Sebastian  era bravo ad aggiustare le cose, anche se il più delle volte non se ne rendeva neppure conto. 
Lui no..non l’avrebbe dimenticata. Non avrebbe potuto dimenticare mai i suoi occhi. Mentre respirava l’aria della notte, non potè fare a meno di paragonare quegli occhi allo sguardo della donna a cui era ufficialmente legato, Helen. Lo sguardo di lei l’aveva accolto indulgente fin dal primo istante, e lui vi si era totalmente affidato, senza riserve.
Era questa la differenza: mentre gli occhi di sua moglie sapevano guidarlo, rimproverarlo, rassicurarlo..gli occhi di Jen lo terrorizzavano. Lo catturavano, lo ammaliavano, e poi lo lasciavano così, spaventato, in balia di se stesso. Eppure…mentre nello sguardo di Jo leggeva giustamente biasimo, e compassione per i suoi limiti di uomo, negli occhi di Jen aveva visto soltanto tenerezza..mai pietà. Quando avevano fatto l’amore, a Parigi, quegli occhi, che solo pochi giorni prima aveva visto lampeggiare di rancore, lo avevano guardato con un senso di docilità e di abbandono che mai nessuna donna gli aveva rivolto prima di allora, come se quella forte ragazza avesse voluto che fosse lui, proprio lui, a trasportarla, a condurla…ad amarla.
In quei momenti, lui avrebbe giurato di aver letto in quello sguardo qualcosa di simile all’adorazione..un sentimento di resa incondizionata, di cieca fiducia.
Riaprì gli occhi, cercando di scrollarsi di dosso quei ricordi. Si diresse in bagno, e si diede una rapida occhiata allo specchio.
Idiota.
S’infilò nella doccia, e lo sguardo gli cadde su un flacone di bagnoschiuma dall’etichetta francese.
Jen glielo aveva infilato nel beauty di nascosto, e lui se l’era ritrovato in mano solo quando aveva disfatto lo zaino nel suo appartamento di Los Angeles. Lo aveva riposto sulla mensola del box doccia, e non l’aveva mai usato. Fino a quel momento.
Idiota.
Sorrise fra sé, con un senso di vergogna, mentre apriva il flacone inebriandosi di quell’essenza alla vaniglia. Fece scorrere l’acqua, e si passò il bagnoschiuma sul corpo: ad occhi chiusi, poteva quasi sentire quelle dita femminili che lo accarezzavano un’altra volta. Appoggiò la testa parete di plexiglas, e si lasciò scivolare contro di essa.
" Dio, cosa ho fatto Jen...." 

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Capitolo 9
*** Cap.9 ***


Salve a tutte! Io non so proprio come ringraziarvi, per il vostro sostegno e per le bellisime recensioni. Non sapete che gioia sia per me leggerle. Grazie, siete fantastiche. Spero che il capitolo vi piaccia! 
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L.A. 22 Luglio  3:30 p.m.

Si sforzò di tenere lo sguardo fisso sulla strada, che scorreva monotona al di là del finestrino. Al suo fianco, Sebastian  faceva la stessa, identica cosa, mentre aspettavano che l’autista li conducesse alla loro destinazione. Nemmeno quell’uomo dall’aspetto bonario aveva il coraggio di dire una parola, imbarazzato dal pesante silenzio che regnava nell’abitacolo. Non era un silenzio carico di rabbia…era un silenzio che gravava di incomprensione, di stanchezza, di tristezza.
Il giorno prima avevano litigato. Raramente discutevano, e, se lo facevano, era solo per stupidaggini, nervosismi del momento. Apparentemente, anche ieri era successa la stessa cosa. Erano ritornati a casa..la casa di Jen, dopo avere accompagnato Julia all’aeroporto. Jesse aveva avvertito distintamente una strana tensione fra  la sua  fidanzata e Julia.
Mentre pranzavano, aveva provato ad indagare con Jen: lei si era subito irrigidita, aveva risposto in maniera evasiva e,lasciato il suo piatto a metà, si era diretta in bagno. -Ho bisogno di un bagno- gli aveva detto. Lui l’aveva seguita per cercare di capire cosa l’avesse turbata tanto. E lei, freddamente, l’aveva invitato ad uscire, e aveva chiuso la porta a chiave.
Sebastian era rimasto allibito. Pur essendo una coppia in procinto di sposarsi, avevano sempre gestito il loro rapporto con la massima sincerità reciproca, conservando ciascuno la propria casa, la propria indipendenza: eppure, nel corso dei tre anni passati insieme, non si era mai sentito  rifiutato da lei come in quell’istante in cui aveva sentito scattare la serratura della porta.
Quando finalmente era ricomparsa in cucina, lui l’aveva guardata ferito, dicendole: “A Parigi ti piaceva condividere la vasca da bagno con me.."
Jen aveva abbassato lo sguardo, nervosa. Lui non aveva insistito, un po’ per la mortificazione ricevuta, un po’ perché comunque era convinto che entro sera lei gli avrebbe chiesto scusa, avrebbe fatto l’amore con lui e si sarebbe confidata.
Ma non era accaduto niente di tutto questo. Lei aveva voluto coricarsi prestissimo, lasciandolo solo sul divano. Quando l’aveva raggiunta a letto, si era accorto che fingeva di dormire, e si era steso al suo fianco, spegnendo la luce con un sospiro pesante.
Adesso, a distanza di ventiquattro ore, lei non parlava ancora. Ma ciò che lo confondeva di più non era il fatto che lei si ostinasse a non voler parlare…era che sembrava non averne proprio voglia. Quell’apatia insolita, quel senso di oppressione che scorgeva nel suo viso lo stupiva, lo spaventava, rendendolo incapace di gestire la situazione. Così, se ne stava in silenzio anche lui, aspettando che quello strano momento passasse.
Finalmente, giunsero all’auditorium dove si sarebbe tenuta la conferenza stampa con tutto il cast di OUAT. Lei scese, sollevata di non dover più tollerare quella vicinanza forzata, e, avvistato Josh, lo raggiunse con un sorriso riconoscente. Josh riusciva sempre a trasmetterle un senso di serenità. E Dio solo sapeva di quanto ne avesse bisogno.
Si era comportata male con Sebastian. Lui non si meritava tutto questo. Ma lei, al momento, non poteva far niente…niente, se non fingere un sorriso di circostanza per i fotografi, sperando di non scoppiare in lacrime da un momento all’altro. Avrebbe voluto chiedergli perdono per il dispiacere che gli aveva causato: ma era attanagliata dal senso di colpa, dalla rabbia per il comportamento di Colin, dal timore che la loro storia venisse a galla…la loro storia…anche questo la torturava. Cosa pensava davvero Colin di loro due..di lei? Ed eccolo arrivare. Si fermò a scambiare due battute con Josh e Ginnifer, salutandola con un cenno del capo, senza degnarla di uno sguardo. Ancora. Poi lo intravide  avviarsi all’interno della sala insieme a loro due, mentre lei e Sebastian venivano fermati dai giornalisti, con le solite, identiche domande, e una copia di Instyle Weddings che veniva sventolata sotto il loro naso.


Si misero a sedere; ai due uomini dello show fu chiesto di posizionarsi accanto a Jennifer: Colin sua destra, Josh  alla sua sinistra. Il solito schema. Al di là del sipario, sentivano la sala brulicare di addetti stampa e fotografi che sistemavano le proprie attrezzature. Lui scambiò come al solito qualche battuta con Megan, mentre una ragazza gli appuntava il microfono, e, come al solito, ignorò la giovane donna dal tailleur bianco che se ne stava immobile al proprio posto, senza parlare con nessuno. Ebbe come la sensazione di avere accanto a sé un angelo, triste e delicato: gli si strinse il cuore, ma ormai non era più in grado di confortarla senza arrecare danno alla sua vita. Se l’avesse presa ancora fra le braccia, le avrebbe fatto unicamente del male.
Abbassarono le luci, mentre il sipario si apriva e dallo schermo alle loro spalle partiva la sigla dello show: in quell’istante, con il buio intorno e gli applausi scroscianti del pubblico, Colin sentì l’irresistibile impulso di girarsi, per incontrare il suo viso almeno di nascosto, dopo giorni di latitanza. Ma lei percepì subito quel movimento: non aspettava altro. Così, i loro sguardi si incrociarono, e anche se lui non potè leggerle negli occhi, vide il suo profilo addolcirsi in un sorriso di sollievo e di soddisfazione.
Finalmente…mi stai guardando.


Santa Monica, Pacific Park 11:00 p.m.

Il Fox Day si stava prolungando oltremisura, ma grazie al cielo quel parco giochi era affollato da vecchi colleghi e distrazioni di ogni tipo. Ogni tanto, buttava l’occhio qua e là, per seguire i suoi spostamenti. Si era cambiata per il party serale, ed ora indossava un semplice abito estivo, la cui gonna fluttuava al vento mentre si muoveva con leggiadria da un punto all’altro del parco, firmando autografi e posando per i fotografi. Strano che Sebastian non la stesse seguendo come un’ombra, come tendeva a fare di solito. Un improvviso timore gli attraversò la mente, ma lo scacciò subito via. No..impossibile. Lei indossava l’anello di fidanzamento, e quel suo ragazzo così tranquillo sicuramente non avrebbe mai sospettato niente. Non che fosse stupido..era semplicemente troppo pieno di fiducia. Lui era colpevole anche nei suoi confronti ma Sebastian. Ma lui l’avrebbe avuta come moglie, come madre dei suoi figli e poteva giustamente sentirsi grato nei confronti della vita.
Dove diavolo era finita…ah, eccola là che si metteva in posa con i ragazzi  di Prison Break. Meno male che non  la stringevano troppo..a volte sentiva verso di lei uno strano di senso di protezione, come se avesse avuto paura che si potesse rompere se solo la avessero stretta troppo. Idiota. Quel bellisimo sorriso che si apriva sul suo viso la faceva  sembrare proprio una bambina che si stava divertendo al luna park..nessuno di loro avrebbe mai conosciuto la donna selvaggia e volitiva che era stata sua in quell’hotel di Parigi. Nessuno mai..forse nemmeno il suo futuro marito. Questo in parte lo confortava.
Aveva cominciato a fissarla, seppur da lontano: non appena se ne rese conto, distolse repentinamente lo sguardo e si diede un’occhiata in giro, sperando che nessuno l’avesse colto in quegli attimi di contemplazione. Sospirò di sollievo, e si allontanò in direzione delle montagne russe.

Sentì una voce raggiungerlo da dietro, e si voltò velocemente, spaventato.
“Ho visto che mi guardavi..” gli disse, con un sorriso incerto.
“Vattene..ci può vedere chiunque!”
“E allora? Sto solo chiacchierando con un mio collega..”
Colin riprese a camminare, più svelto di prima. Ma dopo pochi istanti, sentì una mano afferrarlo per la giacca e spingerlo in malo modo in un ripostiglio situato dietro le montagne russe.
Dio, quella donna dannatamente cocciuta.
Dentro era buio, e il buio divenne l’oscurità più totale quando Jen si richiuse la porta alle spalle. Colin intravide la sua esile figura che si avvicinava a lui: lo stava chiudendo in trappola, un’altra volta. 
“Che..che cosa pensi di fare..” domandò lui, visibilmente a disagio.
“Esigo delle risposte. Educate ed esaurienti.” rispose lei, risoluta.
“Te l’ho già data una risposta, l’altro giorno.”
“No!” urlò Jen “hai evitato di rispondere e sei fuggito via..non lo merito, Colin!”
Sapeva bene che non lo meritava..ma come faceva a non capire che ogni singola parola fra di loro era una tortura per lui, e un pericolo per lei?
“Usciamo di qui, Jennifer..”
“Ho il diritto di sapere! " 
Jen vide che reclinava il capo, insicuro..come faceva abitualmente quando sentiva il bisogno di sgusciare via dalle situazioni…gli si avvicinò, chiedendo con più dolcezza:
“Ti prego, Colin..”
“...ti sto rendendo infelice.. e non mentirmi, sappiamo entrambi che è la verità!"
Jen restò immobile, senza fiatare. Lo sentì ridere, amaramente:
“Vedi? La verità non ha bisogno di altri commenti! E adesso usciamo di qui..”
Fece un passo verso la porta, ma fu fermato dalle braccia di lei, che gli cinsero velocemente la schiena, mentre la sua fronte chiara  si appoggiava sul torace, fra i bottoni slacciati della camicia.
Restò lì, paralizzato.
“È vero..non sono felice..ma in questo momento mi sento così viva..."
Si stava ubriacando del suo profumo, e di quel respiro che gli solleticava la pelle..ma non voleva, non poteva farla soffrire..
“Non voglio che tu sia infelice..io..io non sono capace, non sono mai stato capace di rendere felice qualcuno..” esordì con voce soffocata.
Jen alzò il viso, cercando di fissarlo nell’oscurità. Gli prese il volto, e cominciò ad accarezzarlo, come solo lei sapeva fare. Colin sentì un nodo alla gola, e sbattè le palpebre, nel timore che qualche lacrima potesse liberarsi dai suoi occhi. Sapeva che un solo istante di commozione insieme a lei lo avrebbe mandato in pezzi.
Lei sentì fra le dita il suo turbamento, la sua paura, e non potè fare altro che sollevarsi sulle punte, e baciarlo. 
"Amore...ti prego..” supplicò lui, nel disperato tentativo di resisterle…ma  lei  aveva già coperto le sue labbra con le proprie, impedendogli di parlare. Colin gemette dolorosamente, abbandonandosi ai suoi teneri movimenti, assaggiando il sapore dello zucchero filato che lei aveva mangiato prima.
Invertì le posizioni dei loro corpi, e spinse lei contro il muro. .. Jen si adagiò con la schiena contro la parete di mattoni, cercando di reggersi sulle ginocchia mentre lo sentiva  lanciarsi verso il suo collo e ricoprirlo di dolcissimi baci.  Il bisogno che aveva di lei era caotico, e troppo urgente. Voleva stringerla a sé e lo fece. Si allontanò appena da lei e la accolse tra le sue braccia, stringendola per la vita sottile e accarezzandole lentamente i capelli nel tentativo di rallentare i battiti dei loro cuori.
Dio quanto gli era mancata. Nessuno l’aveva mai baciato prima di allora con quell’urgenza così tenera e disperata. Nessuno..nemmeno lei, fino a quel momento.
Si lasciò cullare per alcuni minuti dal suo calore
“N-non doveva succedere ancora..io non so più cosa fare, Jen..” balbettò spaventato.
Lei si allontanò da lui sciogliendo il loro abbraccio
“Io invece so cosa devo fare”.
Gli diede un ultimo bacio, lento e dolcissimo e sparì in un caos di luci e di suoni, lasciandolo lì, in un caos di oscurità e di confuso silenzio.

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Capitolo 10
*** Cap.10 ***


L.A. 2 Agosto  5:00 p.m.

Un’altra auto blu che percorreva l’asfalto di Los Angeles.
Un altro party a cui presenziare.
Un altro autista impacciato, e due giovani attori da accompagnare agli Studios, sempre gli stessi, sempre silenziosi e assorti nei propri pensieri.
Scesero dall’auto ringraziando, e raggiunsero Lana che li attendeva sulla passerella, prima che i fotografi riuscissero a scattare qualche immagine dei promessi sposi di Hollywood.
Le cose non andavano affatto bene.
Jen non era più la stessa. Lui aveva intuito che, per il momento, non voleva sentir parlare di matrimonio. Era tesa, sfuggente, e stava perdendo di nuovo peso..segno che c’era qualcosa che la assillava, la preoccupava. Aveva sbagliato a lasciarla stare, sperando che tornasse l’allegra ragazza di sempre… l’avrebbe convinta a parlare, a cercare il suo aiuto…e le cose si sarebbero sistemate. Dopo tutto, lei non si era mai sfilata il suo anello, il suo pegno d’amore, e non lo allontanava quando lui le portava il caffè nelle pause sul set o la raggiungeva a casa, in piena notte, per addormentarsi al suo fianco. Sì, era ancora sua.


LA 2 Agosto 23:30 Pm 

Jen uscì dal bagno, chiudendo l’acqua del rubinetto e infilando lo spazzolino nel bicchiere. Non disse niente, e s’infilò sotto il lenzuolo.
Sebastian: “Tesoro, ho bisogno di parlare con te...e ci terrei che tu mi ascoltassi con attenzione.”
Jen trasalì, girandosi di scatto dalla sua parte. Il ragazzo si accorse del suo turbamento:
“Hey, tranquilla, non ho intenzione di lasciarti! Non potrei mai..e nonostante desideri che tu diventi al più presto la signora Stan, mi rendo conto che la tua serenità viene prima di tutto. La nostra serenità. Vuoi rimandare ulteriormente il matrimonio, vero?”
Jen deglutì, mettendosi a sedere e guardandolo perplessa.
 “Sei sotto stress, hai lavorato per tutta l’estate, e ora che è ripreso lo show devi pure pensare alla cerimonia, a finire di sistemare la casa..senza contare che abbiamo sempre i giornalisti addosso, a pressarci per avere notizie sul lieto evento..che rischia di non essere così lieto con tutto il casino che abbiamo intorno!”
“Io credo tu abbia ragione...!”
Non riusciva a vederla bene nella penombra della stanza, ma quando le sfiorò il viso sentì il palmo della propria mano inumidirsi di lacrime.
“non piangere Jennifer..non sono dispiaciuto.. non cambia niente se ritardiamo le nozze di qualche mese..”
“Voglio finirla qui Sebastian”.
Lui farfugliò qualcosa, e scoppiò in una risata stridula:
“Mi hai quasi spaventato!”
Ma sentiva le lacrime di lei scendere ancora più copiose fra le sue dita.
“Mi dispiace tanto..” disse fra i singhiozzi.
Lui le afferrò le braccia con entrambe le mani:
“Jen…non sei in te..non ti rendi conto di cosa stai dicendo..forse..forse è meglio se ci mettiamo a dormire e ne riparliamo con calma domani”
Lei si liberò dalla sua stretta.
“..tu meriti una donna che sappia amarti con tutta se stessa! Ma io non posso farlo”
Le prese la testa fra le mani, urlando con voce roca: “Ma sei tu quella donna! Dio, suona come una dannato clichè. ...sei più stanca di quel che pensassi, e dubiti perfino di te stessa..del nostro amore..”
Jen aprì la bocca, come per dire qualcosa, ma lui la  interruppe
“Non dire più niente..ho sbagliato a forzare la mano con te stasera…non abbiamo bisogno di parlare!  Abbiamo bisogno di farci una vacanza insieme, noi due soli..domani vado a parlare con Katie, sono sicuro che ci concederà qualche giorno.."
“Non è del tuo amore che dubito ma del mio...voglio rompere il fidanzamento.”
“Smettila, Jennifer!” ora la sua voce era deformata da un’insolita venatura rabbiosa.
“Ormai ho deciso, Sebastian.”
“TU..Tu avresti deciso? Siamo in due a dover decisere, Dannazione!”
Le lasciò andare le tempie, allontanandosi da lei, scioccato. Affondò la testa nel proprio cuscino, dandole le spalle:
“Dormiamo. Domani questo delirio sarà sparito come un brutto sogno.”
Jen si distese supina, continuando a piangere silenziosamente.
“Mi dispiace tanto ma non cambierò idea.”


3 Agosto, 2:30 p.m.

Stava appoggiato con la schiena alla parete, il copione in mano e aspettava di girare la prossima scena, intanto che il tecnico delle luci e gli scenografi davano istruzioni alla miriade di giovani attori che lo circondavano, ciascuno con un numero identificativo appeso al collo. Ma per quanto si sforzasse, non riusciva a concentrarsi sulle battute: non per il caos che aveva intorno, no..ormai a quello era abituato. Ciò che lo distraeva era la visione periferica di altri due giovani attori, che discutevano nervosamente, appartati, in fondo al corridoio del set.
Non poteva sentire quello che si stavano dicendo, parlavano sottovoce: ma il ragazzo aveva un’espressione attonita, rabbiosa, che mai gli aveva visto dipinta in volto fino ad allora...e la ragazza..quella ragazza, la sua Jen, si stringeva nelle braccia più che poteva, come a difendersi, e nel contempo come a chiedere scusa. La sua Jen...aveva il diritto di rivendicarla come sua?  Turbato, tornò a fissare le pagine che stringeva in mano, non riuscendo a vedere altro che lettere e lettere senza senso.
A un certo punto, sentì un sospiro pesante, e una voce familiare farsi vicina.
“Ah, le donne!”
Alzò lo sguardo, incrociando lo sguardo di Sebastian.
“Non ci crederai, ma la mia fidanzata sembra impazzita!”
Colin deglutì, cercando di abbozzare un sorriso, ma tutto ciò che ottenne fu uno strano ghigno preoccupato.
“Scusami, so che sei molto impegnato..è che mi chiedevo se tutte le donne diventano paranoiche in prossimità del matrimonio!”
 “Beh..credo di sì..anche mia moglie era molto nervosa..”
Balle. Da quando aveva scoperto di essere incinta, Helen non aveva desiderato altro che diventare la signora O'Donoghue il più in fretta possibile. E quando lui le aveva detto: “Ormai siamo già una famiglia, perché non mettiamo nero su bianco?” aveva visto il suo viso rasserenarsi, e quell’espressione placida non l’aveva abbandonata fino al giorno delle nozze.
Sebastian “Grazie Colin, un po’ mi consola! Jen ha davvero bisogno di staccare la spina per un pò..pensa, Katie ci darebbe anche qualche giorno libero, ma lei si rifiuta  categoricamente! Alle volte sa essere così ostinata, non puoi neanche lontanamente immaginare.."
Colin rise sommessamente, abbassando la fronte.
Sebastian gli mise confidenzialmente una mano sulla spalla:
“Scusa ancora..se hai occasione di parlarci, vedi di convincerla ad accettare l’offerta di Katie! Lo sai vero, che hai un certo ascendente su di lei?”
Colin lo fissò, non riuscendo a dissimulare il proprio stupore, ma lui si stava già allontanando con un sorriso di riconoscenza.
Colin inspirò profondamente, mormorando fra sé: “Non ti rendi minimamente conto...”
Poi girò lo sguardo dalla parte di Jen, che, da lontano, aveva seguito con il cuore in gola il loro breve colloquio.
Incatenò i propri occhi ai suoi, per pochi istanti, e fece di no con la testa, quasi in maniera impercettibile.
No…non sospetta niente.
No…non fare cazzate.
No...non sei sola.
 Jen comprese, e gli rispose con un accenno di sorriso, stanco e rassegnato.


15 Agosto, 7:00 p.m.

“Non riesco ancora ad abituarmi a questa barba!”
“ Alle donne piace...” rispose in tono scanzonato.
Helen gli rivolse un’occhiata severa, e lui sbuffò, finendo di abbottonarsi la camicia.
La sua famiglia lo aveva raggiunto a Beverly Hills per una breve vacanza. 
In quel momento, la presenza di sua moglie e dei suoi figli era più che mai un’ancora di salvezza.
Perché lui stava naufragando. E non era il solo.
Dopo quello scambio di battute con Sebastian, si era fatto forza e aveva trovato il modo di convincere Jen ad aspettarlo nel suo trailer. Finite le riprese, era corso da lei, mosso questa volta non dal desiderio, ma dal bisogno di sapere cosa diavolo fosse successo.
Ma quando aveva spalancato la porta e l’aveva vista corrergli incontro piangendo, le parole gli erano morte in gola e non aveva potuto far altro che chiudere a chiave e stringerla forte, baciandole gli occhi ricolmi di lacrime, gli zigomi bagnati, accarezzandole la schiena scossa dai singhiozzi.
" Mi fa male ovunque.." gli aveva sussurrato ancora stretta tra le sue braccia. E lui aveva colto tutti i significati che quella frase implicava.
"Dove ti fa male, amore?"le aveva domandato e lei sopirando gli aveva indicato le gambe.
-Dannati tacchi -aveva mormorato
Le aveva avvolto un braccio attorno alle palle per poi passarle l'altro sotto le ginocchia così da sollevarla e farla sdraiare sul divano, facendole poggiare le gambe sul proprio grembo.
Lui le aveva  sfiorato la guancia con la mano e si era abbassato per  baciarla mentre con l’altra mano ricominciava a lavorarle sulle sue gambe doloranti, dalle caviglie sottili  fino al fianco, e qualcosa di simile alla contentezza lo aveva  invaso, semplicemente perché lei si fidava tanto di lui da permettergli di toccare quella sua pelle perfetta.

Ma lui aveva i suoi figli ed Helen, sì, per quanto...
Loro erano i suoi punti cardinali.
Ma le sue certezze vacillavano
Specialmente quando la aveva vicina.
Non osava chiedersi cosa fosse Jen per lui, men che meno in quel preciso istante, mentre sua moglie gli stava sistemando il colletto della camicia. Si stavano preparando per uscire tutti quanti a cena.
D’un tratto sentì la voce della figlia provenire dal salotto:
“No.. Che peccato!! Papà, alla TV hanno detto che i tuoi colleghi hanno rotto il fidanzamento! Hanno litigato? Tu lo sapevi?”
Helen sentì il marito tremare, e alzò lo sguardo verso di lui: “Colin, tu lo sapevi?”

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Capitolo 11
*** Cap.11 ***


L.A. 18 Agosto , 3:00 p.m.

Accostò la moto al marciapiede, di fronte ad una lussuosa vetrina di abbigliamento. Si tolse il casco e diede una rapida occhiata all’interno, sbuffando con una delle sue espressioni perplesse e involontariamente comiche:
“Mi dici che bisogno hai di comprarti un completino intimo?”
Sua figlia sbuffò a sua volta, fingendosi irritata:
 “Ancora? Papà, non ho un  fidanzato, non lo mostrerò a nessuno! Per una volta che sono a Beverly Hills, lasciami fare un po’ di shopping in santa pace!”
Colin: “La mamma lo sa?”
Rebecca: “No, perché avrei dovuto dirglielo? Non ho niente da nascondere!”
Colin si rimise il casco, rassegnato: “E va bene, tu entra, intanto io vado a fare benzina. Ma dopo vengo io a pagare di persona, voglio proprio vedere che cosa hai intenzione di metterti indosso!”
La ragazza gli sorrise riconoscente, infilandosi subito nella boutique, mentre lui le lanciò un ultimo sguardo incerto, e si avviò in cerca di una stazione di rifornimento.

Passò velocemente la mano su tessuti di seta e cotone, cercando un pigiama che potesse fare al caso suo. Aveva appena allontanato l’ennesima commessa, che l’aveva subito riconosciuta e sembrava avere la pericolosa intenzione di mostrarle ogni singolo capo del negozio. Lei era stata gentile e sorridente come al solito, ma le aveva fatto capire che era molto di fretta e preferiva dare un’occhiata da sola. Non aveva mentito: quella sera era attesa ad un’asta di beneficenza. E il suo aspetto non era dei migliori.
Con la coda dell’occhio, vide la donna avvicinarsi ad una ragazza, che era entrata da poco e si guardava intorno un po’ spaesata. Jen si girò completamente dalla sua parte:era una adolescente come tante, eppure insolita da quelle parti, dato che non era minimamente truccata ed era vestita in maniera quasi dimessa. Ma non era stato questo a catturare la sua attenzione: in quei lineamenti pallidi e delicati aveva scorto un qualcosa di familiare, ed era quasi certa di averla già vista prima di allora. Ed ecco che la sentì parlare, rivolta alla commessa.
Tipico accento irlandese. Non si era sbagliata.
Mentre riportava l’attenzione sui pigiami che aveva di fronte, cercando di rallentare i battiti del suo cuore, vide la figlia di Colin dirigersi verso di lei, o, meglio, verso gli scaffali di biancheria intima che stavano alle sue spalle, scortata dalla solita commessa. Jen si voltò quasi senza volerlo, tanto era il desiderio di scrutare meglio quel volto. Rebecca si fermò, scrutandola a sua volta, e allargò gli occhi dallo stupore.

Riaccostò la moto al marciapiede, ed entrò con circospezione, in cerca di sua figlia. Individuò subito la lunga chioma castana, in prossimità della cassa: era stata più svelta di quanto avrebbe potuto immaginare. Colin sorrise, pensando che forse non era proprio in cerca di un completino eccentrico e provocante, come i suoi timori di padre gli avevano fatto supporre. Dopo tutto era ancora la sua bambina. Ma quel sorriso sornione gli si congelò in una smorfia di incredulità non appena scorse una figura di donna a fianco della ragazza.
L’avrebbe riconosciuta fra mille.
Non l’aveva più vista dalla notizia clamorosa della rottura: alla fine, lei aveva accettato quei pochi giorni di ferie che Katie le aveva accordato e se ne era andata dai suoi a Chicago, lasciando ai colleghi pochi dubbi su chi fosse il responsabile di quella piccola tragedia. Colin pensò che quella breve pausa dal set non doveva essere stata affatto piacevole: i tratti del suo viso erano tirati, provati, eppure mostravano una pacatezza insolita, quasi un senso di sollievo.
Inchiodato a pochi passi da loro e perso nel caos dei propri pensieri, non si era neppure reso conto che sua figlia e la sua..e Jennifer lo stavano guardando in silenzio. Fu Jen a parlare per prima:
“Ciao, Colin. Ho appena conosciuto tua figlia. Abbiamo fatto compere insieme.”
Colin: “Ah sì?" Il suo sguardo era indecifrabile La ragazza gli mostrò l’acquisto, e lui sorrise “Bello. E adatto alla tua età, tesoro.” Tirò fuori la sua platinum card e mise una mano sulla spalla della figlia, invitandola a uscire con lui:
“Ciao Jennifer.” 
“Ciao Colin. Felice di averti conosciuta, Rebecca.”
La ragazza contraccambiò il saluto, e s’avviò verso l’uscita ancora circondata dal braccio forte e protettivo del padre.
Lui non si girò a guardarla.


“È la tua amante, vero?”
Il casco gli cadde di mano, e sentì le ginocchia tremare mentre si abbassava a raccoglierlo. Con voce agitata e irritata, le rispose subito: “Ma cosa diavolo ti passa per la testa?!”
Rebecca gli mise addosso quei suoi occhi chiari, pacati e scintillanti nella semioscurità del garage, e non disse una parola.
Colin le accarezzò una guancia: “Che cos’è questa novità?” La sentì tremare sotto il suo tocco, come quando da bambina serrava le labbra per sforzarsi di non piangere. Lui tremò a sua volta, e un sospetto terribile gli attraversò la mente: “Hai parlato con la mia collega? Vi siete dette qualcosa?”
Rebecca: “Hai intenzione di lasciarci per lei, papà?”
Sospirò pesantemente per riprendere aria, e se la tirò al petto, baciandole la testa: “Non ho la minima idea di cosa possa averti detto. Tesoro, tu e tuo fratello siete tutta la mia vita: come puoi pensare che potrei abbandonarvi?”
La ragazza ricambiò l’abbraccio, e alzò il volto verso quello del padre, sorridendo debolmente: “Scusa, papà. Ti voglio bene.”
Colin si affrettò a baciarle la fronte per distogliere lo sguardo da quegli occhi innocenti, nel timore che sua figlia potesse accorgersi della smorfia colpevole che gli stava attraversando il volto.


Sentì suonare il campanello, e, senza rispondere al citofono, aprì e si avviò velocemente alla porta con le chiavi di casa in mano: il taxi era stato più veloce del previsto. Spalancando l’uscio andò quasi a sbattere contro una figura d’uomo alta e possente. Jen alzò lo sguardo, illuminandosi in viso. Ma si irrigidì di colpo nell’istante in cui i suoi occhi incontrarono quelli dell’uomo che amava. Erano glaciali e nello stesso tempo furenti: non li aveva mai visti così. Deglutì piano, facendogli spazio per entrare, e richiuse la porta alle loro spalle.
Jen lo guardò senza capire, sbattendo le palpebre.
“Cosa diavlo hai detto a mia figlia?!”
Jen si tirò indietro, spaventata: “N-niente, come puoi pensare..”
Colin le prese un braccio, stringendoglielo forte “Rompi con il tuo fidanzato senza avvertirmi. Sparisci dal set, oggi incontri mia figlia e subito dopo lei si convince che io voglia lasciarli per te.”
Jen spalancò gli occhi, assolutamente incredula e incapace di parlare.
“Adesso mi spieghi cosa diavolo ti sei messa in testa”
Una mano lo colpì violentemente al volto, facendolo girare di scatto. Jen si liberò della sua presa, riaprì la porta e disse piano: “Fuori.”
Colin la fissò, con la mano sulla guancia: Aveva sbagliato tutto con lei, ancora una volta.

Si infilò velocemente nel taxi, stringendo convulsamente la borsetta con una mano e tamponandosi gli zigomi con l’altra, nel tentativo di asciugare le prime lacrime che cominciavano a liberarsi dai suoi occhi, rischiando di rovinarle il trucco. Non doveva assolutamente piangere. Non quella sera.
La sera della sua prima uscita pubblica dopo la notizia della rottura.
La sera che precedeva la notte del suo compleanno. Quando se l’era visto comparire sulla soglia di casa, aveva subito pensato che lui l’avesse raggiunta per farle gli auguri prima degli altri. Ma si era sbaglita.

L.A. 19 Agosto  4:00 p.m.

“Non hai ancora finito?”
“Metto in valigia le ultime cose e arrivo!”
Colin si appoggiò alla porta, osservando sua figlia che cercava di stipare un intero guardaroba nel suo trolley da viaggio.
“Non voglio storie al check-in!” la avvisò con tono bonario.
Rebecca gli rispose con un sorriso frettoloso, raccogliendo gli ultimi indumenti sparsi sul letto. Esitò un momento, e prese in mano la piccola scatola rigida dell’intimo acquistato il giorno prima. Lui deglutì a vuoto, percependo tutto l’imbarazzo della figlia.
“Tesoro, spero che il malinteso di ieri si sia risolto del tutto. Voglio che torni a casa tranquilla.”
La ragazza gli si avvicinò, abbassando la voce: “Mi sono comportata come una bambina. Quando alla tv hanno detto che la tua collega non si sposava più, ho sentito cose che non mi sono piaciute per niente..e quando ieri pomeriggio vi ho visti insieme nel negozio..io credo di avere confuso la realtà con la finzione”
Colin la strinse in un rapido abbraccio, turbato da quella confessione innocente “è stata così gentile con me papà..” replicò la ragazza, mostrandogli l’elegante confezione “non avercela con lei per colpa mia!”
“Tu non hai nessuna colpa, Rebecca! Nessuna!” la rassicurò staccandosi da lei. "Non sai quanto mi mancate, quando pranzo da solo nel weekend e mi sveglio al mattino, in questa casa silenziosa e vuota..” su questo, era assolutamente sincero.
Sua figlia lo fissò, visibilmente rasserenata, e depose il pacchetto nel trolley, chiudendolo finalmente non senza una certa fatica.

In aeroporto, salutò la sua famiglia, sentendo che cominciava a mancargli la terra sotto i piedi. Mentre si dirigeva lentamente alla sua macchina, pensò che aveva ancora una cosa da fare prima che quella giornata volgesse al termine. E si maledisse di nuovo, silenziosamente, perché, non appena i suoi avevano lasciato il suolo americano, la mente di lui era stata assalita dall’immagine di una donna sola e ferita.

Gli aprì in pigiama, con i capelli ancora bagnati,  il volto pallidissimo. Gli occhi erano gonfi, arrossati: forse perché l’aveva svegliata, forse perché aveva pianto.
Lui pensò che non l’aveva mai desiderata così tanto.
“Ero certa che prima o poi saresti passato” la voce apatica, monocorde. Ne fu stupito. Allungò la testa verso l’interno, credendo che lei lo facesse passare. Ma Jen restò ferma sull’ingresso, con una mano sulla porta aperta.
Lui inspirò, facendosi coraggio: “Ieri ero fuori di me”
Jen lo guardò con aria assente.
“Rebecca mi ha detto di aver sospettato di noi due dopo aver sentito degli stupidi pettegolezzi...ha anche detto che le sei simpatica e che sei stata molto gentile con lei, non so come ringraziarti per questo...ho cercato di rassicurarla, e credo di esserci riuscito. Mi ha perfino chiesto scusa. Mi sarei preso a schiaffi..perchè ho dovuto mentirle,e...e anche per il modo in cui ti ho trattata, Jennifer.”
“Ciò che conta è che ora i tuoi figli siano sereni.”
"Già..penso che lo siano.”
“Se sei qui a pochi minuti dalla mezzanotte, significa che sono ripartiti per Dublino.”
Colin fece un cenno d’assenso.
Jen sorrise rassegnata, facendogli gelare il sangue: “Quindi ti sei precipitato qui per avere l’assoluzione e avere la tua libra di carne, giusto?”
Lui la fissò, completamente spiazzato: “Che stai dicendo? Mi sentivo in colpa per averti accusata ingiustamente..”
“Bella novità, Colin! Tu ti senti sempre in colpa, tu vieni e poi te ne vai spinto dal rimorso..ma questa non è Parigi!”
“Ti ho detto delle cose terribili Jennifer, ma ero angosciato per mia figlia..”
Jen: “ E FINISCILA DI NASCONDERTI DIETRO AI TUOI FIGLI!”
Colin serrò dolorosamente le labbra.
Lei fece un passo indietro, mortificata: “Hai ragione. Forse non ti capisco. Ma neppure tu mi capisci. Ieri sera sono andata ad un’asta di beneficenza. C’era anche Sebastian. Il ragazzo che progettava un futuro con me. Era ancora sconvolto e risentito per il modo in cui l’ho lasciato, eppure ha capito che mi sentivo persa, che mi sentivo sola, e ha aspettato la mezzanotte insieme a me per farmi gli auguri. Perché oggi è il mio compleanno.
Per questo ho dovuto rompere il fidanzamento: non per te, non per me...per lui, perché un ragazzo così si merita un amore grande, che io non posso dargli. Non ti ho detto della mia decisione, perché tu non c’entri, e perché non volevo farti andare in panico. Non ti ho mai chiesto niente, Colin. Non mi aspettavo niente. Però..” e qui la voce cominciò a tremarle, ma s’impose di bloccare subito quel fremito involontario delle labbra “però non sto passando un bel momento, e non mi sarei mai aspettata di essere colpita con tanta cattiveria dall’unica persona che sentivo vicina.”
Colin serrò i pugni, chinando il capo: “Perdonami.Non le pensavo davvero quelle cose, mi devi credere.”
Jen: “Ti credo. E ti perdono. Contento? Almeno non dovrai sentirti in colpa anche per questo..” e gli sorrise amaramente.
“Mi stai trattando come un idiota, Jennifer.”
Lei si tirò indietro i capelli dal volto, nervosa e spazientita: “Non sei un idiota! Non era mia intenzione..sai che c’è? Sono stanca, domani devo alzarmi alle sei e ho bisogno di dormire. Mettiamoci una bella pietra sopra, ok? Buonanotte, ci si vede sul set” e nel dire questo accostò piano la porta, lasciandolo fuori, con la fronte corrugata per lo stupore e la rabbia che provava contro se stesso.

Scaraventò lo zaino e il giubbotto per terra, aprì il frigorifero e tirò fuori una birra. Cercò nelle tasche le sigarette e, non trovandole, si ricordò di averne un pacchetto nuovo nello zaino. Vi frugò all’interno, e la sua mano si posò sulla carta rosa di un pacco regalo.
Non si era dimenticato del suo compleanno.


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Capitolo 12
*** Cap.12 ***


L.A. 16 Settembre 8:00 p.m

Aprì piano la portiera, salutò di nuovo l’autista e si decise ad uscire con una certa esitazione. Fans urlanti, divi in passerella e reporter invadenti che già lo puntavano come falchi in agguato. E lui lì in mezzo, solo più che mai.
Odiava tutto questo.
Atteggiò i suoi soliti sorrisi buffi, mentre veniva flashato e agguantato dal primo tizio con un microfono in mano.
“Non è accompagnato stasera, signor O'Donoghue?”
“No, sono tragicamente solo. La mia famiglia ha già fatto ritorno a Dublino.”
"Vedranno lo show in TV?”
“Mmm..non credo resisteranno fino a quell’ora, sa com’è, col fuso orario..”
“Allora è meglio che i suoi figli vadano a dormire!”
“Si, infatti...andate a letto, ragazzi!” disse con  un largo sorriso alla telecamera.
Bene, stava andando bene.
Avanzò cautamente sul tappeto rosso, mascherando il disagio con la propria verve comica e cercando di raggiungere il prima possibile l’ingresso dell’auditorium. Forse lì dentro si sarebbe sentito più al sicuro, almeno fino a quando lo spettacolo non fosse cominciato. Varcata la soglia, intravide nell’atrio i volti di Michael e della sua fidanzata, e un sospiro di sollievo gli sfuggì dalle labbra. Non avrebbe potuto incrociare persone più gradevoli di loro.
Gab: “Signor O'Donoghue!”
Colin: “Gabriella, ma non ci davamo del tu?”
“Beh, sì..è che ci vediamo talmente di rado..” replicò la ragazza avvampando in viso.
Michael: “Ecco, hai fatto colpo anche su di lei. Sette anni di fidanzamento buttati via in pochi secondi, grazie tante amico!”
“Ma si piange sempre addosso in questo modo?!” esclamò Colin rivolto a Gabriella, mentre colpiva con un pugno la spalla dell’amico.
“Ahi! Modera i tuoi colpi !” si lamentò Michael, ma dietro gli occhiali i suoi occhi sorridevano.
Entrarono nell’auditorium, e ciascuno prese il posto che gli era stato assegnato. Colin divenne sempre più teso e silenzioso, mentre la folla che si era lasciato alle spalle si riversava all’interno della sala, in un inferno di voci e flash abbaglianti.
Ma non era più questo il motivo del suo turbamento.
Pochi minuti prima si era girato a salutare Josh e Ginnifer e aveva catturato con la coda dell’occhio Julia e Jennifer, che avanzavano lentamente in cerca dei propri posti. 
Si era rimesso subito a sedere, fingendo di non averle viste. Aveva tenuto ostinatamente lo sguardo fisso dinanzi a sé, sforzandosi di non far caso a quanto succedeva dietro di lui, ma quando il resto del cast si era voltato a parlare con le nuove arrivate era stato costretto a fare quello che ci si aspettava facesse. Semplicemente, girarsi di nuovo e salutare.
E l’aveva vista.
Bella. Troppo bella, per non essere più sua.
E davvero, non era più la sua Jennifer: per quanto fosse spudoratamente, esageratamente bella, non riusciva più a intravedere in lei la fresca ragazza che aveva lo aveva amato fino a poche settimane fa. Le rivolse un sorriso di circostanza, così come alla sorella. Si sporse persino ad abbracciare Julia, ma non riuscì a guardarla negli occhi. 
La vide conversare amabilmente con  Ginnifer la voce leggermente stridula, l’allegria ostentata. Poi si sedette nella sua terza fila, visibilmente in disparte rispetto al resto del cast, anche lei con lo sguardo fisso dinanzi a sé, anche lei sola più che mai.
Quando al termine della serata Jen posò il bicchiere, salutò in fretta e si allontanò con Julia, facendosi strada tra la folla del locale, lui la guardò andare via, indugiando sulla sua bianca schiena scoperta:  in quell’andatura sensuale e incerta riconobbe finalmente qualcosa della ragazza vulnerabile che era stata sua. 

L.A. 17 Settembre 1:00 a.m.

Scese dal taxi salutando l’autista e aprendo velocemente l’ombrello, cercando di ripararsi il più possibile dal temporale di fine estate che era scoppiato all’improvviso in quella notte serena. Armeggiò con la borsetta davanti al cancello di casa, cercando le chiavi, quando si accorse di una presenza silenziosa a pochi passi da lei. Sobbalzò per lo spavento, e il cuore accelerò ancora di più i suoi battiti quando riconobbe l’uomo che la guardava sotto la pioggia. Ebbe l’impulso di correre in casa, perché non aveva né la voglia né la forza di confrontarsi con lui; ma vederlo lì, completamente fradicio, le fece stringere il cuore. Si avvicinò cautamente, alzando l’ombrello sulla sua testa per cercare di ripararlo.
“Ho proprio bisogno di parlarti” le disse.
Jen annuì, seria in viso: “Ti apro il garage, porta dentro la moto.”

L’aveva fatto accomodare sul divano, portandogli un asciugamano pulito perché si potesse asciugare alla meno peggio. Era stata tentata di offrirgli una tuta che Sebastian aveva dimenticato lì da lei, ma aveva subito scosso la testa fra sé e sé, pensando che non l’avrebbe considerato un gesto carino. Perciò si era messa a fare del caffè caldo per entrambi, mentre lui sbirciava fra i DVD sparsi sul tavolino del salotto.
Lei gli porse la tazza bollente in un gesto stranamente familiare e lui la prese timidamente dalle sue mani delicate.
Jen lo fissò pensierosa, senza riuscire però ad incrociare il suo sguardo: andò a prendere del caffè anche per sé, e ritornò in salotto, sedendosi prudentemente sulla poltrona, ad una certa distanza da lui. Colin la osservò mentre si allontanava da lui, come se fosse un pericoloso sconosciuto, e si coprì il volto con le mani: “Come abbiamo potuto arrivare a questo punto..” sussurrò piano fra le proprie dita.
Jennifer si morse il labbro, cercando di placare la propria frustrazione, ma non rispose nulla, tornando a bere il proprio caffè.
 Nella casa calò un silenzio imbarazzante, come se si fosse improvvisamente svuotata dei suoi inquilini; entrambi erano troppo mortificati per parlare. . Lo lo vide alzarsi di colpo, prendendo in mano lo zaino. Si alzò di scatto anche lei, senza sapere il perché.
“Te ne vai?” gli chiese.
“Fra poco. Prima devo darti una cosa” e nel dire questo, tirò fuori dal proprio zaino un pacco sottile color rosa.
"...Ce l’ho nello zaino da un pò..la sera del tuo compleanno abbiamo avuto quel malinteso per via di Rebecca...sul set ci siamo incrociati poche volte, e tu eri così distante...per questo avevo pensato di dartelo questa sera, poi non mi intrometterò più nella tua vita." 
Quelle ultime parole le raffreddarono il cuore. Prese esitante il pacco dalle sue mani, ancora incredula. Lo vide voltarsi bruscamente, ed avviarsi alla porta.
“Dove scappi?!” gli urlò dietro.
“N-non scappo..esco solo a fumare una sigaretta.”
“Allora vai in veranda” replicò Jen andando ad aprire la porta a vetro “così stai al coperto. Piove ancora”
Colin annuì imbarazzato, uscendo dal salotto. Jen aspettò che si sedesse su una sedia di vimini, dandole le spalle. Quando fu certa che non avesse l’intenzione di fuggire si accomodò sul divano e iniziò a scartare con cura il proprio regalo.
Da sotto la carta color pastello uscì un vecchio 33 giri, dalla cover sbiadita ma ancora in ottimo stato. Miles Davis plays for lovers. Sorrise, e cominciò a cercare sul retro il titolo della ballata che aveva inaugurato la loro storia: eccola lì, It never entered my mind...già, anche a lei non era mai passata per la testa l’eventualità che...ma il corso vorticoso dei suoi pensieri fu interrotto dalla vista di una busta rosa, che non aveva notato subito perché mimetizzata nella carta regalo. Diede un’occhiata furtiva a Colin, controllando che fosse ancora al suo posto, e quindi si decise ad aprirla, emozionata come una bambina. Trovò un piccolo biglietto, scritto a mano con una calligrafia incerta: - All’unica donna a cui ho chiesto di ballare. All’unica che mi ha fatto ridere delle mie ferite- . All’interno della busta, c’erano alcune fotografie. Jen le riconobbe all’istante, e si portò una mano alla bocca. Risalivano a tre anni fa, ma sembrava passata un’eternità: lei e Colin al Pronto Soccorso dell’ospedale di Vancouver, mentre aspettavano pazientemente il medico di turno. In un altro scatto, lei che rideva come una stupida, cercando di sistemarsi una fascia sul braccio, mentre Colin la guardava sbuffando. In un altro ancora, lei che si sottraeva al fotografo nascondendo il viso contro la sua spalla , mentre anche lui soffocava a stento una risata, leccandosi un labbro ferito.
Jen rise anche in quel momento, mentre accarezzava quelle foto e tutti i ricordi che le suscitavano: un giorno, mentre stavano girando Colin era andato a sbattere involontariamente contro una sottile vetrata, riducendola in frantumi. Jen era subito corsa in suo aiuto, ma era inciampata nei tacchi, finendo anche lei tra i quei cocci taglienti. Si erano guardati con la bocca spalancata, e poi Jen era scoppiata a ridere in maniera incontrollabile, seguita di lì a poco dalla calda risata di lui. I tagli non erano profondi, ma tutti avevano insistito perché Matt, uno dei fotografi di scena, li accompagnasse al Pronto Soccorso; una volta arrivati, il ragazzo si era lasciato andare alla sua mania per lo scatto, fotografandoli a più riprese, nonostante le allegre minacce di Jen e le bonarie lamentele di Colin.
“Chi lo sa” aveva detto “magari lo show diventerà un cult e potrò vendere questi scatti su eBay!”
E invece...quelle foto, chissà perché, erano finite nelle mani di Colin. E adesso erano nelle sue.
Sobbalzò, sentendolo rientrare, e si strinse sul divano, posando quei piccoli tesori sul tavolino. Colin le  si avvicinò infreddolito, sedendosi al suo fianco: solo allora ebbe il coraggio di guardarla negli occhi. Gli stava sorridendo, con un sorriso aperto, luminoso, che da tempo non aveva più visto risplendere sul suo volto. E gli occhi...anche quelli sorridevano, e sembravano ancora più verdi circondati dal rosso di quelle guance in fiamme.
Dannazione.
Si appoggiò coi gomiti alle ginocchia, passandosi con forza le dita sulla fronte. Non ce l’avrebbe fatta a guardarla un’altra volta. Non quella notte. Ma qualcosa doveva pur dire.
"Forse il CD ce l'avevi già..ma il caro, vecchio vinile non credo; è un pezzo raro"
Silenzio.
“Ho voluto scongiurare il pericolo che Matt vendesse le foto su internet”.
Ancora silenzio.
Deglutì più volte, cercando di sciogliere il nodo che gli si stava formando in gola: “Penso spesso a quando finirà la serie, a quando finirà tutto questo...”
“Anch’io..” disse Jen in un soffio.
“Quando sarà tutto finito, e io...e io dovrò tornare in Irlanda..” si interruppe bruscamente nel sentire la propria voce tremare; bevve d’un sorso il caffè freddo che gli era rimasto nella tazza, e continuò tutto d’un fiato: “quando dovremo dirci addio voglio che tu possa ricordarti dei bei momenti che abbiamo passato insieme. Voglio dire, a parte tutto quel sesso fantastico che abbiamo fatto...almeno, è stato fantastico per me..” aggiunse, lanciandole un’occhiata di sottecchi. La vide sbuffare in maniera buffa e malinconica, nascondendo il viso fra le mani.
“C’è stato qualcosa di buono fra noi due...vorrei che non andasse perduto..” la voce ormai ridotta a un fremito " Non credo che riuscirò a dimenticari Jen.."
Lei gli prese una mano,: “Neanche io non potrò mai dimenticarti. Mai..” gli disse dolcemente.
In quell’istante, tutta l’incertezza, la stanchezza, la rabbia e l'impotenza di quelle settimane gli crollarono addosso, scuotendolo nel profondo. E le lacrime, che si erano quasi sempre rifiutate di uscire dai suoi occhi, cominciarono a sgorgare con violenza, come la pioggia che fuori continuava a battere incessantemente. Si fregò le palpebre con la manica della giacca, sentendosi ridicolo.
Fece per alzarsi, ma lo trattenne, attirandolo a sé. Sentendo di nuovo la sua pelle dopo tutto quel tempo, lui lasciò andare qualsiasi difesa: soffocò a malapena un singhiozzo contro il suo seno, e poi si accasciò sulle sue ginocchia, il viso premuto contro il suo ventre, mentre piangeva, come mai ricordava d’avere fatto in vita sua. Lei se lo strinse con forza, temendo che potesse sfuggirle dalle braccia, mentre il suo costosissimo abito  si bagnava e si stropicciava con quel pianto convulso. Dopo un tempo imprecisato, smise di singhiozzare e chiuse gli occhi contro il suo grembo, mentre sentiva ancora i baci e le lacrime cadute dagli occhi di lei posarsi delicatamente fra i suoi capelli.

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Capitolo 13
*** Cap.13 ***


L.A. 21  7:00 a.m.

Emerse a fatica dalla coltre di sonno che lo avvolgeva, infastidito dalla debole luce che gli filtrava attraverso le palpebre. Tenne gli occhi chiusi, mentre il suo cervello cominciava a ricordare gli avvenimenti della sera prima e a decifrare le sensazioni del presente. Era sdraiato a pancia in giù su un morbido divano, il viso affondato nel cuscino: qualcuno aveva provveduto ad adagiargli una calda coperta sulla schiena. Intuendo una presenza al suo fianco, sollevò il mento sul cuscino e si decise ad aprire gli occhi: era seduta sulla sua poltrona, l’abito della sera precedente era stato rimpiazzato da un semplice pigiama, che si intravedeva appena sotto la vestaglia di cotone grezzo. Lo guardò tranquilla, sorridendogli: lui intuì che era da un po’ che lo stava guardando, aspettando il suo risveglio. Stranamente, non si sentiva a disagio: forse dipendeva dal pianto liberatorio di poche ore prima, che gli aveva placato i nervi e rilassato le membra, o forse dipendeva da quello sguardo stanco e delicato che si era posato su di lui. Era come una carezza.
“Buongiorno” disse Jen “sono le 7 passate”.
“È tardi” rispose lui . Ma non sembrava avere fretta.
“Non hai chiuso occhio, vero?” continuò, osservando i cerchi blu sotto i suoi occhi verdi.
Jen non si preoccupò di replicare, limitandosi ad alzare le sopracciglia: “Non importa. Tanto dovrò raggiungere gli studios solo nel pomeriggio...vuoi fare una doccia?”
"...non disturbarti, preferisco farla direttamente là. Ho un trailer superaccessoriato!”
Jen si stropicciò le mani, vergognandosi di quella offerta inopportuna: “Come vuoi. Ma lascia almeno che ti prepari un po’ di caffè.”
Colin annuì in silenzio, e lei scomparve in cucina. Sul tavolino della sala stavano ancora sparsi i regali che le aveva portato; sorrise impercettibilmente, dandosi un’occhiata furtiva nel vetro e passò una mano sugli occhi gonfi, sconsolato dal proprio aspetto. Lei era sempre bellissima, in qualunque condizione fosse. Sentì i suoi  passi che lo raggiungevano di nuovo, accompagnati dal forte aroma di caffè. Gli porse la tazza e si riaccomodò sulla poltrona con la sua in mano, esattamente come aveva fatto la sera prima. Ancora loro due in quel salotto semibuio, intenti a sorseggiare in silenzio il proprio caffè: la stessa scena, così uguale eppure così profondamente diversa. C’era sempre quella distanza di sicurezza fra i loro corpi, ma entrambi percepivano una connessione nuova,  una connessione che non dipendeva più dal desiderio, ma da qualcosa di più calmo e confortante.
Il suo caffè gli sembrò più dolce e più buono. Lo riscaldò fin nelle ossa.
Si alzò in piedi, raccogliendo lo zaino e prendendo il proprio giubbotto dallo schienale di una sedia: “Mi apri il garage e il cancello per favore? Vado a prendere la moto.”
Jen si alzò a sua volta, tornando bruscamente alla realtà: “Sì, certo. Colin...non ti ho ringraziato per i tuoi regali.”
 “Lascia stare. Non si tratta di diamanti costosi.” Entrambi pensarono subito all’anello di fidanzamento che Sebastian le aveva comprato giusto un anno fa. Non sapeva neanche lui come diavolo gli fosse uscita quella frase infelice.
“Meglio così. Non tutti i diamanti sono per sempre” sussurrò Jen.
Lui la penetrò con quell’azzurro ghiaccio e la vide rabbrividire sotto il suo sguardo. Ma era tardi, doveva andare.
“Grazie a te per il caffè." Jen sorrise, poi alzò gli occhi per incontrare quelli di lui, come a volerlo salutare: “Ci vediamo nel pomeriggio allora.”
“Va bene”.
Le si avvicinò piano, e appoggiò le labbra sulla sua fronte scoperta, indugiando innocentemente in quel tocco.
“Dormi un po’, angelo.”
La sentì annuire timidamente sotto il suo bacio. Si staccò con lentezza da lei, e andò a recuperare la sua moto. Jen lo seguì, manovrando il telecomando del suo cancello per permettergli di uscire, e lo guardò andare via. Quindi rientrò in salotto, prese il 33 giri di Davis dal tavolino e lo posizionò sul giradischi che suo padre le aveva regalato quando si era trasferita a Los Angeles. Lasciò che la musica colmasse tutta la solitudine di quella casa, si tolse la vestaglia e si distese sul divano, appoggiando la guancia sul cuscino e avvolgendosi nella coperta, ancora impregnata del suo calore e del suo profumo. 

Parigi 5 Ottobre 2:00 Pm
Si sforzò di tenere gli occhi aperti, per non perdere nulla del panorama che scorreva veloce al di là del vetro appannato. Mentre a Los Angeles batteva ancora un sole estivo, qui il clima era quasi autunnale e le provocava dei piccoli brividi lungo la schiena: doveva ammettere però che Parigi era più affascinante attraversata dal freddo, con la sua pioggia leggera e i cappuccini fumanti.
Cristina: “Va un po’ meglio, Jen?”
“Sì grazie! Ho sempre una leggera nausea dopo questi viaggi transoceanici, ma adesso sta passando” rispose, sorridendo alla sua stilista, seduta sul sedile anteriore di fianco all’autista.
Cristina: “Bene. Come sai, stasera abbiamo la cena alla Maison Boucheron, e ti voglio assolutamente raggiante, tesoro!”
“Cercherò di fare del mio meglio” replicò , alzando gli occhi al cielo.  Cristina  era costantemente iperattiva e attenta ai minimi dettagli: ma doveva esserle grata per averle procurato l’invito alla prestigiosa settimana della moda, nientemeno che nella capitale francese. Era un’ottima occasione di visibilità, e un piacere, dopotutto.
Voleva assolutamente dedicare quei giorni a se stessa, mostrarsi più bella e sorridente che mai e godersi la magia che questa città sapeva offrirle, senza per questo ritornare sui ricordi della scorsa estate. Ma sapeva di mentire a se stessa, e questa consapevolezza divenne ancora più evidente quando l'auto accostò dinanzi all’ingresso di un hotel che le era ben familiare.
Cristina: “Non capisco perché hai insistito nel voler prenotare al tuo vecchio hotel! Avresti dovuto soggiornare insieme a me al Bradfort, ha una collocazione migliore e un servizio ineccepibile..”
Jen uscì dalla vettura, sbuffando leggermente: “Lo sai che mi affeziono a certi posti, alle persone.." e qui si interruppe bruscamente.
Cristina: “D’accordo, oggi abbiamo il pomeriggio libero e puoi riposare quanto vuoi: ma stasera ti passo a prendere alle 7, ed esigo di trovarti in tutto il tuo splendore!”
Jen le mandò un bacio con la mano, mentre due ragazzi si avvicinarono per prenderle i bagagli e accompagnarla nella hall.


La camera era la stessa, uguale a come l’aveva lasciata la scorsa estate: lo stesso arredamento, gli stessi colori. Solo il copriletto era cambiato, pensò Jen, accarezzando la trapunta e cercando di rilassarsi.
Non aveva ancora visto Philippe, il simpatico garcon che l’aveva servita con discrezione durante il suo ultimo soggiorno..ma aveva chiesto di lui, e le avevano detto che avrebbe ripreso servizio il giorno dopo. Jen rise sommessamente col viso premuto sul cuscino, e si raggomitolò come un gatto, cercando di scacciare quel freddo pungente che le era penetrato fin nelle ossa. Forse stavolta il jet lag l’aveva sballata più del previsto; o forse aveva fatto male a rimettere piede in quella camera d’albergo.
D’un tratto il suo cellulare squillò per l’arrivo di un sms: 
- Hey! Ti avevo detto che mi sarei fatto vivo:  tu sei viva? Le news di prima mattina non parlano di disastri aerei, ma se mi rispondi sto più tranquillo.-
 Jen schioccò le labbra, cominciando a digitare sulla tastiera:
- Purtroppo non mi sono schiantata su qualche isola tropicale in compagnia di aitanti giovanotti..sono a Parigi come da programma, presa in ostaggio dalla mia stilista personale. -Dall’altra parte del globo, un uomo si grattò nervosamente la barba
-Mi permetto di ricordarti che non lavori per Hoorwitz e che la prossima settimana ti aspettano alcune scene con un aitante giovanotto irlandese- Jen sorrise trionfante al pensiero di averlo indispettito:
- Allora ci vediamo tra qualche giorno- 
-Cerca di divertirti. Mi manchi da impazzire.
. - Jen chiuse il telefono, portandoselo al petto. Aveva detto che l’avrebbe chiamata. Ad essere onesti, non l’aveva proprio chiamata: ma un sms era un sereno compromesso per entrambi. 
Perché, da quella casta notte in cui avevano festeggiato in ritardo il suo compleanno, le loro vite si erano accomodate in un sereno compromesso. Avevano ripreso a mangiare allo stesso tavolo in mensa, ma solo in compagnia degli altri; avevano ricominciato a ridere e scherzare,anche se non con la stessa complicità di prima; e avevano ricominciato a parlare, a raccontarsi le giornate, ma senza scendere nel particolare. Certo lei non gli aveva raccontato di aver ballato da sola, ad occhi chiusi, sulle note di It never entered my mind; e ovviamente lui non le aveva confidato di aver continuato a farsi la doccia con quel bagnoschiuma alla vaniglia. Questi erano ormai gesti imbarazzanti e solitari, che non appartenevano più alla vita reale. La vita reale contemplava l’affettuosa amicizia di due persone adulte, che avevano condiviso un’esperienza folle e non volevano più farsi del male, perché tenevano l’uno all’altra. Ma nessun compromesso poteva essere perfetto: qualche volta lei si lasciava andare al piacere di stuzzicarlo nella sua natura possessiva, e lui si lasciava cadere nella sua trappola, per il piacere di risponderle a tono e vederla allontanarsi in una camminata un po’ rigida, ipnotizzato dal movimento ondulatorio dei suoi fianchi. Qualche volta lei si sentiva addosso un freddo insistente, e aveva quasi voglia di piangere, pur non sentendo alcun tipo di dolore: come in quel preciso istante. E qualche volta lui faticava più del solito a tirarsi fuori dal letto, e spegneva il cellulare per evitare che Helen lo chiamasse: come in quel preciso istante.



Parigi, 5 Ottobre, 9:30 p.m.

Vagò con gli occhi per la sala, un po’ frastornata da tutta quella gente famosa e al contempo sconosciuta, e dai flash che i fotografi le sparavano all’improvviso in pieno volto. Cristina l’aveva lasciata da sola per raggiungere la cerchia dei protetti di Karl Lagerfeld, promettendole che più tardi glielo avrebbe presentato. “Nel frattempo, vai verso l’uscita della boutique tesoro, e mettiti in mostra per i paparazzi!” le aveva detto prima di piantarla sui due piedi. E Jen l’aveva accontentata, anche perché non aveva nient’altro di meglio da fare. Aveva assistito con grande interesse alle sfilate di quei giorni, ma le cene e i cocktail di benvenuto l’avevano messa un po’ a disagio, circondata com’era da stilisti strampalati ed ossequiosi e da modelle petulanti o, al contrario, esageratamente silenziose. Anche i party di Los Angeles erano spesso noiosi e superficiali, ma quello era ormai il suo territorio dove aveva imparato bene come muoversi.
“Odio queste stupide feste” la raggiunse una voce alle sue spalle.
Jen si voltò, scrutando meravigliata l’espressione acuta e intelligente di una giovane donna.
“Jennifer Morrison, vero? Sono felice di fare la tua conoscenza” disse, rivolgendole la mano.
“Il piacere è tutto mio, signora Coppola..” rispose, stringendole la mano con emozione.
“Signora Coppola?! Mio Dio Jen, non rivolgerti a me come se fossi davvero una donna di Cosa Nostra..”
La regista le sorrise, rassicurandola: “Ti prego, chiamami semplicemente Sofia. Ho solo qualche anno più di te!”
Jen: “Lo so lo so..e che mi avevano informata che avresti partecipato alla serata, e ci tenevo davvero a conoscerti..”
Sofia: “E io ci tenevo a conoscere te! Sono una tua fan, sai?”
Jen rise dolcemente, scrollando le spalle: “Sei troppo buona, Sofia..”
Sofia: Sai, tu e Colin sareste stati perfetti per un film che ho girato anni fa..”
“Lost in translation?” azzardò Jen timidamente.
“Già, proprio quello!” rispose Sofia, evidentemente compiaciuta.
“Devo ammettere che è il mio preferito, fra i film che hai diretto” continuò Jen “è poetico e delicato..”
Sofia: “Ti ringrazio. Forse è davvero il fim che mi è riuscito meglio...Ad ogni modo, senza togliere nulla a Bill e Scarlett, Colin sarebbe stato davvero perfetto nel ruolo dell’artista in decadenza, e tu saresti stata una Charlotte fresca e convincente..più che altro, è la vostra intesa ad essere incredibilmente convincente!”
Jen arrossì di nuovo: “Mi lusinghi Sofia, ma esageri..la Johansson è stata bravissima in quella parte, e c’era affinità con il suo collega..”
Sofia: “Sono attori straordinari, ma non ho mai avuto la fortuna di dirigere due partner con una chimica così spontanea e potente come la vostra”
Jen finì il drink che teneva in mano da circa mezz’ora, per evitare di parlare ulteriormente di Colin, nel timore che la sua interlocutrice potesse scorgere nelle sue parole il turbamento che l’aveva assalita al ricordo di lui, e di ciò che avevano saputo creare con i loro personaggi. Cercò dunque di portare la conversazione su altri binari: “Sai, non è la prima volta che vengo a Parigi, e la adoro, ma mi sento sempre un po’ smarrita quando sono lontana da casa..”
Sofia: “Penso sia normale, a me piace passare lunghi periodi in Europa e in Giappone, ma solo quando sono a New York mi sento a casa. Però, come ho cercato di far capire con il mio film...smarrirsi in un paese straniero può voler dire ritrovare se stessi”

*************************************
Era passata da poco la mezzanotte, e non si decideva ad alzarsi da quella panchina, raggomitolata nel suo cappotto Chanel e cullata dal gorgoglìo della Senna e da una melodia proveniente dalle strade del centro. A Parigi la musica non mancava mai. Di fronte a lei, i camerieri della Brasserie Lipp si affrettavano a capovolgere le sedie sui tavoli all’aperto, non degnandola di uno sguardo: dovevano chiudere il locale, e non avevano il tempo di intrattenersi con quella misteriosa sconosciuta nascosta nell’ombra. Jen avrebbe voluto entrare, comprarsi qualche prelibatezza e salutare il gestore, che era stato così gentile con lei la scorsa estate, ma già la conversazione con Sofia l’aveva immersa in un mare di acuta malinconia, e temeva di scoppiare a piangere se qualcuno le avesse rivolto di nuovo la parola. Perciò si limitava a starsene seduta da sola, sulla soglia dei ricordi.
Il cellulare squillò, facendola sobbalzare: Jen lo aprì di scatto, senza controllare la provenienza della chiamata: “Si..?”
“Sono io, Colin.”
Proprio adesso..Jen si morse il labbro, inspirando a pieni polmoni: “Hey..tutto bene lì in America?”
“Sì..ti sento strana, stai bene?”
Jen: “Certo, sono solo un po’ stanca di tutte queste feste..sei al lavoro?”
“No..” rispose con un certo fremito nella voce “ oggi ho avuto la grazia del venerdì libero. Ma ho un appuntamento..”
Un appuntamento..Jen lo interruppe subito, sentendo le lacrime pizzicarle gli occhi: “Sei stato gentile a chiamare, ma non voglio disturbarti se vai di fretta..” e in sottofondo sentiva distintamente il traffico di Los Angeles.
 “Non vado di fretta..sicura di star bene? Forse stavi dormendo e ti ho svegliata..”
“Sto benissimo!”  rispose Jen stizzita , al colmo dell’irritazione “sc-scusami..è che ho già un padre che me lo chiede in continuazione, non ho bisogno di altre premure di questo tipo...se proprio vuoi saperlo, sono sulla Rive Gauche, a godermi la notte parigina”
Colin esitò un momento prima di parlare: “Da sola?”
Ma in quel momento lei era troppo agitata per compiacersi della sua gelosia: “Sì, da sola” rispose seccamente.
Colin: “Non dovresti andare in giro da sola, di notte, per le strade di una città straniera... potresti perderti..”
Jen: “Sai cosa ho capito stanotte? Ho capito che smarrirsi in un paese straniero può voler dire ritrovare se stessi”
Silenzio.
E subito dopo, all’improvviso, un braccio possente le cinse le spalle: “Beh, io ho ritrovato te, Jeanne”




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Capitolo 14
*** Cap.14 ***


Chiuse lentamente la porta e vi si appoggiò con tutta la schiena, respirando a fondo per placare i battiti tumultuosi del proprio cuore. Anche l’uomo che aveva di fronte sembrava aver perso la baldanza di prima e, curvo nelle spalle, si guardava attorno con un’aria un po’ persa, anche lui desideroso di restare al buio, per non dover incontrare i suoi occhi.
“Ho fatto male a venire?” parlò infine.
“Se non lo sai tu..” rispose lei con un filo di voce.
“Era strano saperti a Parigi senza di me.”
“Sì...era strano anche per me.”
Trasse un lungo respiro per farsi coraggio e le si avvicinò lentamente: la sua mano grande e calda le circondò una guancia, sentendola umida al tatto.
“Stai piangendo”
“Mi hai spaventata a morte!” si lamentò lei, ancora inchiodata alla porta “è mai possibile che devi sempre farmi prendere questi colpi quando mi raggiungi a Parigi?”
“Mi piace sorprenderti..” sussurrò lui accarezzandole il volto.
“Dì piuttosto che ti piace stressare il mio povero cuore..” brontolò Jen, coprendo la mano di lui con le sue dita delicate.
Lo sentì ridere piano, e poi la tirò a sé, stringendosela al petto. Jen si aggrappò a quelle spalle possenti, sprofondando il viso fra la sua camicia aperta e lasciandosi andare ad un sospiro liberatorio.
Sorrise fra sé: a giudicare dalle pulsazioni violente che gli scuotevano il petto, anche il cuore di lui non se la stava passando molto bene.
“Allora piangi perché sei ancora spaventata..” continuò lui, parlandole fra i capelli.
“Sì, sono ancora spaventata...e sono felice.”
Non aveva  bisogno di sapere nient’altro. Si chinò  sul suo viso, catturandole le labbra.
“Dio quanto mi sei mancata..” le sussurrò sulla bocca. Jen si inebriò del suo respiro caldo, e cominciò finalmente a sentirsi invasa da un piacevole tepore, che dal seno le si irradiava in tutto il corpo. Sospirò ancora  e gli circondò il volto con entrambe le mani, spingendolo ancora di più verso di lei e schiudendo le labbra per lui.
La  lingua di lui penetrò con calma e con forza, cominciando ad assaporare piano quel sapore dolce e intossicante che tanto aveva bramato in quei lunghissimi giorni e in quelle lunghissime notti. La lambì voluttuosamente, ad occhi chiusi, e con una mano le sollevò gentilmente la nuca, per spingersi più in profondità e baciarla come mai aveva baciato nessun’altra prima di allora. Dopo un tempo indefinito e sospeso, dovettero staccarsi per incamerare aria: lui si appoggiò alla sua fronte, lei si strofinò sulla sua guancia scavata ed ispida, i respiri violenti, i polmoni che bruciavano per la mancanza di ossigeno.
Poi lui le sfilò il cappotto, e il sangue ricominciò a scorrergli vorticosamente nelle vene.


Parigi, 6 ottobre 11:00 a.m.

“Sei diventata troppo magra”
“Non esagerare..”
“Sul serio, l’estate scorsa il tuo fondoschiena era un cuscino decisamente più morbido” continuò Colin, il volto comodamente appoggiato a quel particolare cuscino, un braccio disteso sul materasso, l’altro che le cingeva possessivamente le cosce.
Jennifer si limitò a boforchiare qualcosa, la mente ancora offuscata dal sonno. Ma un morso improvviso la svegliò all’istante: “AHI! Ma sei scemo??!!” gridò, liberandosi dalla sua presa e massaggiandosi la natica dolorante.
“Fa male?”
“Certo che sì!”
“Ti ho fatto un test rapido di valutazione della massa corporea: se avessi più ciccia su quei glutei, non avresti sentito dolore” sentenziò Colin, camuffando a malapena un sorriso di soddisfazione.
“Ah sì? D’accordo, vorrà dire che la prossima volta sarò io a sperimentare questo tipo di test su una particolare zona del tuo corpo..” gli rispose Jen con uno sguardo di sfida.
“Togliti dalla testa queste idee sadiche: è uno strumento delicato, se lo danneggi ci andrai di mezzo anche tu..” la redarguì scherzosamente lui, e si ributtò sul letto . Jen approfittò dell’occasione per ammirarlo nella luce del mattino: era terribilmente bello.
“Le brave ragazze non spiano gli uomini nudi mentre dormono” esclamò Colin, spalancando gli occhi e trafiggendola con un azzurro luminosissimo.
Lei sorrise maliziosa e si insinuò come una gatta fra le sue gambe iniziando a baciargli e leccargli il segno rossastro con cui lo aveva marchiato sul collo.
“Allora non ti piaccio più così magra..” lo stuzzicò lei, continuando a baciarlo lungo la giugulare.
“Dio Jen, sei sempre meravigliosa, lo sai..." le rispose lui con voce roca, e con un gesto agile ribaltò le loro posizioni, chinandosi poi a baciarle una tempia.
Jen gli accarezzò una guancia, piegando il viso di lato: “Ti amo” gli sussurò con la voce rotta dall'emozione.
Sentì subito la mascella di lui serrarsi sotto le sue dita, e il viso contrarsi in una smorfia dolorosa. Quegli occhi di cielo, umidi di pianto, si distolsero dai suoi, e Jen si maledisse mentalmente per le parole che le erano sfuggite di bocca. Gli circondò il volto con le mani e cercò le sue labbra, ansiosa di ristabilire subito un contatto con lui. Colin non si negò al bacio, ma stavolta rispose con una certa timidezza, quasi con timore, scrutandola con attenzione mentre lei gli si abbandonava completamente.
Dopo che si furono separati, le depose un ultimo bacio sulla fronte, cercando di nasconderle l’inquietudine che lo aveva assalito.
“Ordiniamo la colazione, Jeanne?”
Jen annuì col capo, ancora insicura. Colin allungò il braccio e afferrò il cellulare dal comodino, cercando un nome in rubrica.
“Possiamo usare il telefono dell’albergo per il servizio in camera” gli disse Jen.
“Ma io chiamo il nostro garcon sul cellulare..ieri sera gli ho chiesto il numero, e la sua disponibilità totale 24 ore su 24, dietro lauto compenso, s’intende...Phil? Sono Colin. Ci porteresti la colazione in camera, s’il vous plait?”
Jen sentì in risposta la voce buffa ed ossequiosa del ragazzo.
“Allora? E non t’azzardare ad ordinare solo caffè nero!” la informò Colin con tono fintamente minaccioso.
“Croissants alla crema di vaniglia” proclamò Jen.
Colin annuì soddisfatto, e parlò nel telefono: “Cross..”
“Croissants alla vaniglia, ho sentito mademoiselle Jennifèr, sig. O'Donoghe!” rispose Philippe, in un tono un po’ troppo euforico.
Colin sbattè le palpebre, e continuò: “Ok ragazzo, facciamo un patto fra uomini: la puoi ascoltare, ma non la puoi vedere, né tanto meno toccare, intesi?”
Jennifer lo colpì all’istante . “Aaahhh...” si lamentò Colin “questo è scorretto da parte sua signorina Morrison..."
“Scusami caro, preferivi forse il test sulla valutazione della massa?” gli rispose Jen con un sorrisetto diabolico.
Colin la imprigionò fra le braccia, e la ribaltò sulla schiena, bloccandola nel letto col peso del proprio corpo. Jen provò in tutti i modi a liberarsi, ma lui era troppo forte per una donna minuta come lei.
Philippe, dal canto suo, li sentiva lottare e lamentarsi, e non sapeva se era il caso di preoccuparsi o di sentirsi invidioso. Provò a balbettare qualcosa nel cellulare: “S-signor O'Donoghue...va tutto bene lì?”
“Très bien, mon chér!” esclamò Colin. Jen si placò tra le sue braccia e, girandosi verso di lui, gli baciò una guancia in modo estremamente dolce. Lui sorrise, accarezzandole distrattamente il braccio e si puntellò sui gomiti per non gravarla ulteriormente col proprio peso, ma non la lasciò andare.
“hai sentito bene, Phil? Non venire subito però, sali fra una mezz’oretta, ok?” concluse rivolgendole un sorriso carico di significato.

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Capitolo 15
*** Cap.15 ***


Erano immersi nella vasca da più di mezz’ora, lui che le faceva da schienale circondandola col proprio corpo, lei seduta fra le sue gambe, la nuca appoggiata al suo petto. Gli occhi chiusi, le voglie placate, si rilassavano parlando di tutto e niente, lasciando che l’acqua calda lenisse i loro corpi felici e doloranti, svuotasse le loro menti.
Jen interruppe il silenzio con un filo di voce: “Dunque parti domani mattina”.
“Già” si limitò a risponderle, e, spostandole i capelli di lato, prese a baciarla lungo la linea della nuca.
“Io ho il volo di sera. Cristina passerà a prendermi alle cinque” continuò Jen con tono monocorde.
“Lo so. Ne abbiamo già parlato” le rispose Colin affondando il viso nel suo collo.
“Scusa” disse lei, passandogli una mano sulla guancia “tanto ci vediamo lunedì sera al party di beneficenza, vero?”
“Certo” la rassicurò, baciandole il palmo della mano “non potrei mai mancare .." Jen annuì, accarezzandogli una gamba.
 Avrebbe voluto dirgli che lei, aveva ormai un effetto profondo, devastante e rigenerante, su tutto ciò che lui era, sui pensieri che gli attraversavano la mente, sulle emozioni che  solcavano il suo cuore. Ma si trattenne, limitandosi a regalargli un bacio delicato.

L.A. 8 ottobre 8:30 p.m.

Non appena lo sguardo del suo amico catturò l’arrivo di Jennifer, la sua curiosità fu in parte soddisfatta. Era stato evasivo quando gli aveva chiesto come avesse trascorso quel weekend e sinceramente non se ne spiegava la ragione. A Josh non sfuggì quel brevissimo contatto visivo, né il brevissimo scambio di sorrisi appena accennati. Ed entrambi avevano dipinta sul volto un’espressione di intima felicità. Sapeva che si trattava di una faccenda  immorale e potenzialmente dannosa, ma in quel momento non potè fare a meno di sentirsi contento per i suoi colleghi.
“Tieni gli occhi a bada, Colin ” gli bisbigliò ironicamente “ci sono fotografi in tutta la sala”
“Vado a prendermi un altro Martini”
Nell’avvicinarsi al buffet le passò accanto e sentì che conversava con Megan di sfilate parigine : subito una corrente di elettricità e calore gli percorse la spina dorsale, ma continuò spedito verso il suo tavolo, temendo di non riuscire a mascherare la propria euforia.
“Forse un po’ di alcool mi calmerà” pensò fra sé e sé ingoiando un altro po’ di quel liquido bianco. 
In quel momento, fecero il loro ingresso nella sala i produttori di Once upon a Time: uno di loro, accompagnato dalla moglie,  teneva in braccio un bambino dall’espressione allegra e vivace.
“Vedo che stasera sei felice anche tu, Zeke” mormorò fra sé, sorridendo apertamente alle risatine di giubilo del ragazzino. Le due donne si unirono presto al gruppo, salutando affettuosamente il loro giovane ospite. Lui rimase ancora al suo posto, ipnotizzato dalla scena: Meghan si era subito chinata ad accarezzargli i capelli e a baciarlo, col suo fare espansivo e avvolgente. Jen, invece, si era limitata ad accarezzargli teneramente una spalla, scambiandoci occhiate divertite e ridendo come una ragazzina non appena Zeke lanciava uno dei suoi gridolini.
Colin alzò gli occhi al cielo: ventotto anni, ma in fondo era ancora una bambina. Lui a quell’età stava già aspettando la nascita della sua prima figlia. Chissà lei che tipo di madre sarebbe stata...in quell’istante gli passarono per la mente immagini veloci della sua infanzia, di sua madre e poi della sua vita familiare a Dublino, con Helen che preparava la cena e Rebecca che le dava una mano con Evan. Aveva sempre pensato che, per essere un buon genitore, fosse necessaria una certa disposizione alla disciplina e all’autocontrollo: sua padre ne aveva abusato dopo la morte di sua madre, Helen se ne era servita per crescere due figli con un marito semi-latitante. Lui non era mai riuscito ad essere severo coi propri figli, forse perché si sentiva in colpa nei loro confronti. Ora osservandola mentre rideva con Zeke, pensò che molto probabilmente Jen non sarebbe mai stata una mamma forte e autorevole: probabilmente avrebbe coccolato troppo i suoi figli, li avrebbe viziati. Ma, con una fitta al cuore, pensò anche che, forse, si poteva essere dei buoni genitori anche in quel modo, che si poteva dare una direzione alla propria vita anche in quel modo: con un po’ di passione, con un po’ di tenerezza. Perché Jennifer Morrison era proprio questo: una strana, pericolosa combinazione di passione e tenerezza.


Era già passata la mezzanotte, ma lui non l’aveva raggiunta, né si era fatto sentire. Aveva forse sbagliato nel credere che sarebbe passato da casa sua, quella notte? Eppure, poche ore prima, non aveva distolto gli occhi dai suoi, e le aveva sorriso con dolcezza: a Jen era sembrato un tacito accordo, una promessa. Ma lo stava aspettando da più di un’ora, seduta sul suo divano, con l’abito da sera ancora indosso e le scarpe col tacco. Dunque, non sarebbe venuto? Come la prima volta, dopo il loro ritorno da Parigi la scorsa estate..ma allora era tutto diverso. Lei era fidanzata con Sebastian, e le giornate parigine erano state perlopiù una folle maratona di sesso...questa volta c’era stato qualcos’altro fra di loro, ne era assolutamente sicura. C’erano state le sue carezze sui capelli, mentre lei chiudeva gli occhi e si addormentava; c’era stata la malcelata preoccupazione per il suo repentino dimagrimento; c'erano stati gli abbracci stretti e le parole sussurrate sulla pelle; c’erano state le sue risate cristalline, che Jen aveva quasi dimenticato. E allora, perché non era con lei adesso?
“Se Maometto non va alla montagna..” mormorò Jen fra i denti e, senza pensarci due volte, andò a prendere le chiavi della macchina.


Continuava a girare nervosamente per casa, il giubbotto di pelle sulle spalle, il casco appoggiato sul tavolo della cucina. Sapeva che lei lo stava aspettando. Non si erano detti niente al riguardo, né a Parigi né tanto meno durante la festa di quella sera, ma sapeva che avrebbe dovuto andare da lei. Ed era già in spaventoso ritardo. Sentiva di dover andare, ma la mente gli urlava di restare lì, ancorato alla sua logica, e stavolta non soltanto per la fede che portava al dito. Il cellulare squillò, ed ebbe la certezza che fosse lei.
C: “Ciao”
J: “Hey..tutto ok?”
C: “ Sì “ mentì “è stata una bella serata”
J: “Bellissima...eri già a letto?” Senza di me.. 
C: “No..no..”
J: “Allora fammi entrare, per favore. Sono all’ingresso del residence.”
Deglutì per la sorpresa, uscì sul terrazzo della camera da letto e scorse, di sotto, una testolina bionda che emergeva dal buio della notte.
C: “Ti apro”
Buttò il giubbotto su una sedia e uscì sul pianerottolo, controllando che non ci fosse nessun altro in giro. L’ascensore si aprì, e gli comparve dinanzi, con un sorriso incerto. La fece accomodare in casa, richiudendosi la porta alle spalle.
J: “Ho fatto male a venire?”
“Se non lo sai tu..” le rispose ironicamente, replicando le parole pronunciate da lei a Parigi.
J: “Io dico che ho fatto bene a venire..” e, avanzando sinuosamente, lo circondò con le sue braccia. Poi gli portò le mani al volto, con quel suo gesto naturale, e, alzandosi sulle punte, lo baciò. Lui chiuse gli occhi, stordito dal bagliore di quegli smeraldi verdi e dal tocco delle sue dita, ma restò rigido e distaccato dal corpo di lei. Jen se ne accorse subito, e interruppe il bacio.
J: “Che c’è?”
Lui sospirò sconsolato, togliendo con delicatezza le sue mani dal  proprio volto.
H: “Los Angeles non è Parigi, te lo dissi anche l’altra volta..”
Jen fece un passo indietro, scrutandolo in viso. Ma lui teneva lo sguardo basso.
J: “Non provarci nemmeno..non provare ad allontanarmi come hai fatto questa estate...non mi farò intimorire dal tuo silenzio, non ti permetterò di scappare..”
Finalmente la guardò, spalancando gli occhi per le parole che aveva appena sentito. Si passò nervosamente una mano sulla fronte, poi sul mento e, puntandole gli occhi addosso, chiese a bassa voce: “Cosa vuoi?”- la sua resa era cominciata.
“Voglio passare la notte con te” le mani sui fianchi, le palpebre che sbattevano lasciando trapelare la sua emozione.
“Tu non vuoi soltanto questo da me, Jeanne” sentenziò Colin, la voce ridotta a un fremito.
“Certo che no” continuò Jen, piuttosto alterata “vorrei confrontarmi con un uomo che avesse il coraggio di chiamarmi per nome, invece di rincorrermi dall’altra parte del mondo per giocare agli amanti disperati.”
La guardò per secondi interminabili, diviso fra l’incredulità e il dolore. Poi le disse piano:
“Sei troppo intelligente per non capire che non possiamo, non posso spingermi oltre. È meglio che torni a casa, Jennifer”
J: “No.”
Colin sgranò gli occhi, deglutendo a vuoto: “C-cosa?”
J: “Prima parliamo, poi, forse, me ne andrò a casa” e incrociò le braccia sul petto.
C: “Ok ok..è colpa mia, ho sbagliato a venire di nuovo a Parigi...ma credevo che tu avessi capito!”
J: “Ma come faccio a capire se tu mi prendi e poi scappi via??!!!” esclamò Jen al colmo dell’esasperazione.
All’improvviso lui le si avvicinò , stringendole con forza le braccia: “E VA BENE! TI AMO! SEI SODDISFATTA ADESSO? ERA QUESTO CHE VOLEVI SENTIRTI DIRE ?”
Jen lo fissò incredula, cercando di svincolarsi dalla sua stretta dolorosa: “Stai mentendo..e mi stai facendo male!”
C: “Ce ne faremo molto di più se mi costringerai ad andare oltre..” le sussurrò sconsolato, lasciando la presa e voltandole le spalle. Jen si massaggiò le braccia, mentre gli occhi le si inondavano di lacrime, ancora una volta, ancora per quell’uomo che si rifiutava di guardarla, si rifiutava di amarla.
Esitando, colmò la breve distanza che li separava, e appoggiò con cautela la fronte sulla sua schiena, cingendogli lentamente la vita con le sue esili braccia: “Davvero provi qualcosa per me?”
Colin non rispose, ma lei lo sentì tremare sotto le sue mani.
J: “Se davvero mi ami, devi dirmelo piano..”
Quel suo ampio torace si alzò ed abbassò, liberando un sospiro di sollievo e di dolore. Girandosi nel suo abbraccio, si chinò su di lei, fronte contro fronte, e le sussurrò sulle labbra: “ ti amo..”
Lei incrociò gli occhi nei suoi, anche quell’azzurro brillava di lacrime trattenute, e di paura.
C: “Ti amo..” e cominciò a sfiorarle le labbra, con piccoli tocchi. Fu Jen ad approfondire il bacio, mugolando nella sua bocca tutto il suo struggimento. Lui si lasciò guidare, confuso e spaventato da quella nuova intimità.
C: “Ti amo” le ripetè ancora, come in trance, mentre le baciava delicatamente le palpebre, umide di pianto. La vedeva sorridere, e piangere ancora, in silenzio.
Poi, dopo qualche istante di esitazione, fece una cosa che non aveva mai avuto il coraggio di fare al di fuori del set. La prese in braccio, e la portò in camera da letto. Era un gesto che gli era sempre piaciuto: così antico, così romantico, eppure così imbarazzante, dolce, troppo dolce. Aveva paura che lei ridesse di lui, ma non lo fece. Jen si strinse col suo peso leggero intorno al suo corpo, la testa appoggiata nell’incavo del suo collo. E quando la depose sul suo letto, e le sciolse i capelli, e lesse nei suoi occhi un’adorazione incondizionata, si sentì spezzare il cuore per quello che le stava facendo.
 - “Ti amo”- glieli sussurò ancora e ancora, mentre le apriva la cerniera dell’abito, sulla schiena, e le toglieva la cintura. Una preghiera, una supplica di perdono. La liberò del vestito, le tolse le scarpe e le sfilò piano le autoreggenti, provocandole brividi violenti con quei suoi tocchi accennati. Poi si lasciò spogliare da lei, che non resistette all’impulso di baciarlo sul collo, sul petto. Questa volta era Jen ad essere vorace, impaziente. Lui si mise sopra di lei, cercando di prendere il controllo, e cominciò a baciarla fra l’incavo dei seni, per placare quella sua irrequietezza. 
...Ormai era andato oltre, non sarebbe più riuscito a tornare indietro.





     

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Capitolo 16
*** Cap. 16 ***


L.A. 9 ottobre 5:45 a.m.

Nel dormiveglia, la sentì scivolare con delicatezza dal suo abbraccio, e alzarsi dal letto. Aprì gli occhi controvoglia, per vedere la sua forma nuda che sgattaiolava in bagno, stringendosi nelle braccia per il freddo del mattino. Sbadigliò contro il cuscino, passando una mano sul materasso ancora caldo, inalando con un profondo respiro il profumo di lei. La prima volta che aveva dormito da lui, nel suo letto; nel cuore dell’invadente Los Angeles, senza più i giochi di Jeanne e Paul a far da scudo alle loro emozioni. Stavolta i giochi erano davvero finiti.
Quel suo corpo leggiadro riapparve dopo pochi minuti, e, camminando in punta di piedi, si intrufolò sotto le lenzuola, fissando il buio sopra di sé. Colin si mosse leggermente, e lei sobbalzò per la sorpresa: le cinse la vita con un braccio, facendola girare in modo che gli desse le spalle, e aderì completamente contro la sua schiena, infilando un ginocchio fra le sue gambe e stringendola possessivamente con un braccio.
“Scusa, non ti volevo svegliare” mormorò Jen, accarezzandogli la mano e muovendo piano le cosce.
“Mmm” brontolò Colin con un sorriso, affondando il viso nella sua nuca.
Stettero così per alcuni minuti, scaldandosi a vicenda senza parlare. Come al solito, toccò a lei rompere il silenzio: “Ho lasciato la macchina in un viale poco distante dal residence. Posso uscire sul retro e raggiungerla senza dare nell’occhio..”
La sua risata sommessa le solleticò il collo: “Eri davvero intenzionata a passare la notte da me!”
Jen non disse niente, sollevata che, al buio, lui non potesse scorgere il rossore violento che le aveva invaso le gote.
“Davvero mi ami?” le chiese a bruciapelo, improvvisamente serio.
Lei si limitò ad annuire, intrecciando le dita fra le sue.
“Come puoi amare un uomo che non ti sa dare niente in cambio. Come puoi amare qualcosa di così sbagliato?”
Jen lesse una nota di scetticismo nel suo tono. Sospirando, gli rispose: “E tu? Come puoi amare questa ragazzetta insipida?” 
Lo sentì ridere ancora, questa volta leggermente irritato:
“Hai detto una sciocchezza, e lo sai..sai di essere bella, anzi, bellissima”
“Per questo mi ami? Per la mia bellezza?”. Colin si staccò improvvisamente da lei, facendole mancare il respiro, e si sporse dal lato opposto del letto per accendere l’abat-jour. Jen si girò verso di lui, confusa, e lui le si riavvicinò prontamente, per rassicurarla: “No..” mormorò, guardandola pensieroso e alzò il viso, baciandola sulla fronte per non doverla guardare negli occhi: “Il mio amore non è stato un riflesso incondizionato alla tua bellezza...la tua bellezza, a dire il vero, mi ha spaventato fin dal primo giorno. Inizialmente mi sono sentito a disagio con te vicino. Eppure, mi sono innamorato..forse perché sei dolce..talmente dolce che il mondo intorno a te diventa subito più luminoso, più caldo. Perché sei talmente delicata che ho persino paura di farti male quando facciamo l’amore, ma ciò nonostante vorrei sempre andare più a fondo, toccarti dentro..perchè non mi sono mai sentito così forte, così uomo prima che i tuoi occhi si posassero su di me”.
Potè distintamente percepire  il calore delle sue guance in fiamme contro il suo viso, e la sua piccola mano che disegnava cerchi immaginari sul suo petto: “Ho lottato con tutte le mie forze per non innamorarmi di te.." sospirò Jen "mi sono detta che eri un uomo sposato..mi sono detta che mi stavo immedesimando troppo in Emma, e ho accettato subito le attenzioni di Sebastian..” Nel sentir pronunciare quel nome, Colin si irrigidì in un moto di colpa e di gelosia. Lei lo avvertì subito, e gli depose un bacio sulla spalla prima di continuare: “é stato facile volergli bene, sentirmi serena con lui..i miei lo adoravano, era tutto così semplice.. troppo semplice. E quando Katie mi ha sottoposto l'ipotesi che i nostri ruoli sarebbero cambiati nella quarta stagione, mi sono sentita mancare la terra sotto i piedi..pensavo che fosse per la paura di essere messa da parte..ma poi ti ho visto con mia sorella, tu mi hai baciato.. e ho capito che non avevo avuto paura di perdere Hook ed Emma... ma di perdere noi due.”
“Lo avresti sposato se non ci fossi stato io di mezzo?” le sussurrò velocemente.
“Credo di sì” gli confessò Jen, con una certa tristezza.
Colin sospirò pesantemente, serrando la mascella: “Ho cominciato a farti del male prima di quanto pensassi..” Jen lo circondò con una gamba, stringendosi al suo bacino, e con mano ferma lo tirò verso la sua bocca, baciandolo fino a rubargli il fiato, per fargli sentire il bisogno che aveva del suo respiro.
Jen: “Tu..tu mi fai sentire così viva..quando ti muovi dentro di me sento il sangue scorrere nelle vene e sei talmente bello e potente che quasi mi fai paura..e dopo..dopo ritorni così dolce e protettivo che sarei tentata di stringerti così forte da toglierti il respiro...” e gli accarezzò una guancia “non riuscirò mai a farti sentire quanto ti amo..”
Colin deglutì a vuoto, staccandosi ancora da lei e spegnendo di nuovo la luce. Ma nella penombra i suoi occhi azzurri scintillavano impetuosamente, rivelando tutte le emozioni contrastanti che vi si celavano. Le parole di lei lo avevano stordito di amore e di dolore. Catturata dal suo sguardo, Jen non potè fare a meno di stendersi sopra di lui col suo piccolo corpo: in quei momenti si rendeva pienamente conto del potere che quell’uomo aveva su di lei. Ma ormai non le importava più. Si rannicchiò sul suo ampio torace, aspettando che parlasse, o che la stringesse.
“Sono un vigliacco, Jennifer...” mormorò con voce spezzata “lo sono sempre stato. Ti amo, ma non ho cambiato la mia vita per te, mentre tu lo hai fatto, sei sempre stata tu quella forte...”. 
“Non sono stato un figlio felice” continuò, stupito dall’emozione che gli stringeva il petto “i miei figli non saranno infelici a causa mia”.
Si aspettava quelle parole, ma le fecero più male di quel che pensasse.
Jen si morse istintivamente un labbro: avrebbe voluto colpirlo per quanto quella scusa fosse banale e patetica, per quanto fosse maledettamente vera..invece lo baciò di nuovo, sentendo che lui stava reprimendo un singhiozzo, che era quasi sul punto di piangere..e avrebbe pianto per lei, per loro due. Solo questo contava.
“Il tuo amore mi basta” gli sussurrò, prima di scendere con la bocca sul suo corpo.
Lui sapeva che era sincera, ma non le credette.

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Capitolo 17
*** Cap.17 ***


L.A. 18 Ottobre 11:30 p.m.

 

Chiuse gli occhi per un istante, e abbozzò un mezzo sorriso fra quei capelli di seta, mentre la testa di lei si sollevava leggermente in un sospiro di commozione.

Colin: “Non avrei mai creduto che Kill Bill 2 fosse un film strappalacrime..”

Jen: “Non sto piangendo”

Le alzò il mento con un dito, costringendola a guardarlo negli occhi: “Vedo lacrime” mentre in viso gli si dipingeva quel suo solito sorrisetto ironico “voi donne pretendete sempre il lieto fine..”

“C’è stato il lieto fine!” esclamò Jen indispettita “lei ha fatto ciò che riteneva più giusto e ha ritrovato il suo bene più prezioso..la sua bambina!”

“Ma uccide il suo uomo..proprio come Jeanne in Ultimo Tango..” continuò Colin, corrugando la fronte in un’espressione di finto spavento.

“Già..” gli rispose con un sorriso malizioso “bisognerebbe prendere esempio da donne così..”

“La prossima volta vediamo un cartone animato, ok?” continuò lui, ridendo sommessamente.

Ma lei non lo ascoltava più: le sue piccole mani giocavano nervosamente coi bottoni della camicia di lui, mentre il pensiero le volava chissà dove. Quei suoi brevi momenti di sospensione lo riempivano di incanto e di stupore, e lo paralizzavano di paura. Sembrava una farfalla pronta a spiccare il volo.

“Un penny per i tuoi pensieri” proruppe Colin, intrecciando le dita fra le sue.

Jen: “Hai mai visto le lucciole?”

Una farfalla...

Colin sorridendo: “No, non credo che ce ne siano in Irlanda”

Jen: “Quand’ero bambina passavo molto tempo a casa di mia nonna, quella di cui ti ho parlato, che poi si è ammalata..aveva una casa ad Arlington Heights, con un prato grandissimo..qualche volta, nelle sere d’estate, comparivano questi piccoli gruppi di puntini luminosi, e cominciavano a danzare fra l’erba alta..io e Julia ne eravamo estasiate..” Sollevò il volto dal petto di lui, guardandolo con tenerezza: “ma a Los Angeles non le ho mai viste. Peccato.”

Peccato non poterti portare con me a Chicago..Colin si schiarì la voce, sospirando in maniera buffa. Se fosse stato un altro tipo di uomo, l’avrebbe baciata adorante in un momento come questo, quando lei sapeva essere ancora più dolce, e lo guardava come se lui fosse tutto il suo mondo. Ma non era abituato a quel tipo di amore, e si schermiva, si difendeva, quasi senza rendersene conto.

“Mmm..ti commuovi per un film di Tarantino e per degli insetti con la lampadina..Madre Teresa impallidisce ancora di più al tuo confronto..”

Jen scoppiò a ridere, mettendosi a cavalcioni su di lui e serrandogli il bacino fra le ginocchia, con un sorriso trionfante.

Colin mugolò di piacere e di un leggero dolore: “Non dirmi che Pai Mei ha insegnato anche a te la tecnica dell’esplosione del cuore con cinque colpi delle dita..”

“L’apparenza inganna..non sono poi così docile e sprovveduta..” e gli si avvicinò alle labbra, girandoci intorno con le proprie, baciandolo appena agli angoli della bocca, cullandosi sopra di lui, torturandolo piano, come a volte le piaceva fare.

“Dovrò comportarmi bene allora..” sospirò Colin ad occhi chiusi.

Adesso gli stava baciando le palpebre, anche lei con gli occhi serrati, le mani sulle sue guance ispide, i polpastrelli che seguivano le linee del suo viso, come un cieco che cerca di decifrare al tatto l’identità dell’amato: “Ho passato una serata bellissima. Ora sarà meglio che vada.”

Colin le serrò i polsi d’istinto, svegliandosi di soprassalto da quell’incantesimo. Controllò l’orologio, calcolando velocemente quante ore dovevano ancora passare prima che un volo della Irish Airline atterrasse al LAX e gli portasse sua moglie e i suoi figli.

Jen si liberò dolcemente della presa e si staccò dal suo abbraccio, lasciandolo stordito, eccitato e a disagio. Ma le sveltine non erano più roba per loro.

La vide dirigersi in bagno, e poi in camera da letto, e in cucina, dove prese dal tavolo un sacchetto aperto dei suoi biscotti preferiti: infine ritornò in salotto, raccolse la borsa dal divano, dove lui era rimasto seduto, con le gambe divaricate e quell’espressione confusa, infilò i biscotti nella borsa e diede un’ultima occhiata in giro, preoccupata di avere dimenticato qualcosa. Niente. Non ci sarebbe più stata alcuna traccia di lei in quell’appartamento, almeno per i prossimi dieci giorni. Finalmente, lo guardò di nuovo negli occhi:

“Ci vediamo domani sul set.”

Colin annuì lentamente, alzandosi controvoglia dal divano, e la accompagnò verso la porta.

“Stai qui” gli disse Jen, posandogli la mano sul petto. Colin annuì ancora e, senza dire una parola, le prese la testa fra le mani, e la baciò, intensamente, seriamente, mentre lei si sollevava sulla punta delle dita e lo accoglieva con tutta quella straordinaria comprensione di cui era capace.

Si staccò, ansimando ancora sulle sue labbra, e con le dita della mano lo colpì divertita all’altezza del cuore, mimando un’improbabile mossa di kung-fu. Poi, con la stessa mano, lo salutò sorridendo, e abbandonò quella casa.

Colin chiuse la porta a chiave, e si massaggiò il petto, sentendo ancora sotto le sue dita il calore lasciato dalla mano di lei: “Mi farà davvero esplodere il cuore.” E in quel momento aveva già fatto la sua scelta.

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Capitolo 18
*** Cap.18 ***


Lei se ne era andata.
Loro erano arrivati quella notte.
Le uniche parole che aveva scambiato con sua moglie era stati dei saluti assonnati mentre usciva quella mattina per andare sul set. Per andare da lei. Niente sembrava cambiato.
Fu un semplice squillo a rammentargli quanto poteva sbagliarsi. Tolse il cellulare dalla tasca dei jeans, maledicendosi mentalmente per non essersi ricordato di spegnerlo e aprì la chiamata senza controllare il display: “Si”
“Sono io”
C: " Helen! Che succede?”
H: “Isaac è morto”
C: “Oh..mi dispiace..quando è successo?” conosceva poco il cugino di Helen, ma sapeva che era malato da tempo.
H: “Circa un’ora fa..ho già fatto i bagagli.”
C: “Ah..capisco..mi dispiace cara, porgi le condoglianze anche a mio nome per favore..e non preoccuparti per Rebecca, stasera cercherò di staccare prima..”
H: “Che diavolo stai dicendo Colin” lo interruppe la donna con voce improvvisamente stizzita “nostra figlia torna a Dublino con me..con noi! Non dirmi che pensavi di rimanere a Los Angeles come se non fosse successo niente..”
Colin spalancò gli occhi per la sorpresa, deglutendo piano: “Ma..Helen..” cominciò, balbettando leggermente “non posso abbandonare il set così, senza preavviso..ci sono un centinaio di persone che dipendono dal mio lavoro, io non posso..”
“Ma certo che non puoi..” sospirò sua moglie, trattenendo a fatica il sarcasmo “decidi tu quali sono le tue priorità: questa volta non ho intenzione di alzare la voce.”
Dall’altra parte non ci fu replica: sapevano benissimo entrambi che quel breve scambio di battute era solo la punta di un iceberg, un iceberg nel quale il loro matrimonio si era incagliato e congelato nel corso degli ultimi anni.
H: “Abbiamo un volo nel primo pomeriggio: se ti sbrighi, possiamo raggiungere l’aeroporto insieme.”
 
 
Erano quasi le quattro quando arrivò agli studios, salutata dal sorriso gentile degli addetti alla sicurezza: parcheggiò l’auto e s’incamminò velocemente verso il luogo delle riprese, senza passare dal trailer..dopo tutto, aveva con sé soltanto la sua borsa: oggi aveva bisogno di vedere con i propri occhi che, almeno fra le pareti di quel suo mondo blindato, le cose procedevano come al solito. 
Si guardò intorno, aspettandosi di vederlo mentre cercava di riportare la calma elargendo direttive e pacche sulle spalle, con una sigaretta e l’accendino già pronti nel palmo della mano: ma lui non c’era.
“Bene, eccoti qui” si sentì afferrare vigorosamente per il braccio.
“Dov’è Colin?” domandò Jen a bruciapelo.
Katie la squadrò con un’espressione incredula, e leggermente divertita: “Come, non lo sai? È morto un parente della moglie ed è corso a Dublino per il funerale. E pensare che credevo di completare le riprese entro domani mattina..”
La ragazza ritrasse il braccio di scatto, e proseguì in direzione delle costumiste, senza dire una parola. 
Ebbe solo il tempo di controllare il cellulare, trovando il display muto e invariato, prima di essere inghiottita in un vortice di mani e voci.
 
 
 
 
Alzò il bavero del cappotto, reprimendo un brivido incontrollato: faceva freddo, gocce di pioggia sottili e impalpabili cadevano dal cielo, e i postumi del fuso orario non facevano che peggiorare il suo malessere. Passò lo sguardo sui propri figli, evitò invece di girarsi verso la moglie, che gli camminava di fianco. Avanzavano lentamente verso il cimitero, insieme ad un piccolo gruppo di parenti di Helen che lui conosceva a malapena.
Colin alzò gli occhi verso le case e gli alti palazzi che dominavano quella strada secondaria, identica a mille altre strade che circondavano i dintorni di Camden: era sempre stato a suo agio nell’austera eleganza della capitale, ma adesso si sentiva sopraffare dalla stanchezza e da un leggero senso di nausea, e, segretamente, anelava spazi aperti, e sole.
Da quando si sentiva un estraneo nella propria città?  Anche questa domanda era sbagliata.
 
A cena, la tensione con Helen saturava l’aria, e chiudeva lo stomaco a tutti.
Si erano sforzati comunque di instaurare una normale conversazione, parlando di scuola, vicinato, cronaca ..ma Colin commise l’errore di riportare l’argomento a Los Angeles, agli impegni che lo aspettavano, e sua moglie non seppe trattenersi:
“Puoi evitare, per favore, per una volta che sei a casa, e concentrarti sulla tua famiglia?”
La voce le uscì più dura e rancorosa di quanto avesse voluto. Lui tacque, sforzandosi di finire quello che aveva nel piatto. 
Rimasero solo loro due in cucina, con una gran bisogno di urlare, e il desiderio di ritornare in fretta alla normalità.
 
Con sua grande sorpresa, fu Heln ad abbozzare un tentativo di scuse, mentre se ne stavano distesi nel loro grande letto matrimoniale:
“Mi spiace aver alzato la voce, prima.."
“Non importa” le rispose lui con tono asettico.
“Ma non dovresti parlare sempre di lavoro, caro..questo lavoro ti allontana troppo da noi..” e allungò una mano verso il suo viso, nel tentativo di accarezzarlo. Colin si ritrasse d’istinto, senza rendersene quasi conto, e la mano della donna rimase sospesa nello spazio buio fra di loro. Heln chiuse la mano a pugno, ritirandola di scatto verso di sé, e domandò a bruciapelo: “Che c’è? Ce l’hai con me perché ti ho strappato dalle moine di qualche attricetta americana?”
Finalmente l’aveva detto. Credeva che si sarebbe sentito schiacciato dal peso della colpa, e invece qualcosa nel tono di lei gli fece montare ancora di più la rabbia che aveva in corpo:
“Lascia perdere Helen, è meglio che ci mettiamo a dormire” le intimò con voce bassa. Sua moglie fraintese quelle parole come se fossero un patetico tentativo di fuga, e rincarò la dose: “Non te la cavi così, mio caro! È proprio il caso che ti ricordi come si comporta un padre di famiglia!”
Si sentì afferrare per un polso da una mano nervosa e vigorosa, e ammutolì all’istante.
“Abbassa la voce, c’è Rebecca in casa. Mi hai costretto a lasciare il set e i miei colleghi nel caos, e ci passo sopra: ma sono stanco, stanchissimo, di essere trattato come un idiota, specialmente davanti ai miei figli”
H: “Tu..”
C “Basta! Te lo dico per l’ultima volta, Heln: non umiliarmi più davanti ai miei figli !"
Le mollò bruscamente il polso, e le voltò la schiena, lasciandola nello stupore e nella confusione più totali.
 
 
Al LAX, i paparazzi stavano come al solito in agguato, ma lui non si fece trovare impreparato, riuscendo persino ad abbozzare un sorriso. 
A Dublino aveva lasciato una situazione più incerta che mai, eppure, contro ogni sua previsione, non si stava torturando come un’anima in pena.
 Forse era il jet lag e l’insonnia prolungata ad offuscargli il giudizio, ma nel preciso istante in cui aveva toccato di nuovo il suolo americano si era ricordato di non averla più sentita da un’infinità di tempo, e questa era l’unica preoccupazione che gli dominava la mente. 
Non l’aveva neppure avvisata del suo ritorno ...mentre l’autista lo riaccompagnava al suo appartamento, valutò la possibilità di inviarle un sms, ma richiuse di scatto il cellulare. 
Poche stupide parole non sarebbero bastate.
 
 
Rimase muta a fissarlo sulla soglia di casa, come se non fosse reale: il casco in mano, il solito zaino in spalla, la barba appena più incolta, eppure le sembrava di non vederlo da una vita. Lui non seppe come interpretare il suo silenzio.
“Posso entrare?”
Jen sbattè le palpebre, e lo fece passare, richiudendosi la porta alle spalle. Sapeva che sarebbe tornato presto, era fin troppo consapevole dei propri doveri professionali: ma credeva di rivederlo direttamente sul set, al massimo di ricevere una telefonata..
Colin fece passare lo sguardo sulla sua figura, così minuta in quella camicia da notte chiara, i piedi scalzi: la vide arrossire leggermente, e si sentì un intruso ad invaderle la casa in quel modo.
Colin: “Io...lo so, avrei dovuto chiamarti prima di partire, e anche stasera...non sono neppure salito nel mio appartamento, ho preso le chiavi della moto e..ed eccomi qua.”
Lei si schiarì la voce, torcendosi le mani: “Mi dispiace per il vostro lutto, Katie mi ha detto...”
 “Un cugino di Jo, una brava persona...lo conoscevo appena”
 “capisco..” surrurrò Jen anche se non stava capendo più niente,  mille domande le si affacciavano alla mente
Colin: “Già”
Jen: “Vuoi..vuoi farti una doccia, mangiare qualcosa? Ho qualcosa di pronto, lo devo solo scaldare..”
Scosse il capo, sorridendo imbarazzato: “Non dovresti essere così gentile con me..”
Lei non sapeva cosa dire, ignara e preoccupata per quei giorni che aveva passato dalla sua famiglia, lontano da Los Angeles e da lei.
“Magari..magari mi stendo un attimo sul divano..sono un po’ stanco..” osò chiederle timidamente.
Jen: “Stenditi sul letto, e copriti bene, sei gelato” 
Colin la guardò negli occhi stupito, e vide che era tornata serena e perfettamente padrona della situazione.
Era bellisima, dolce e assurdamente intelligente. No, davvero non se la meritava.
La lasciò a trafficare in cucina, e raggiunse la camera che ormai conosceva bene: il letto era disfatto da un lato, il lato destro dove dormiva lei. Un sorriso rinfrancato gli aggraziò i lineamenti: buttò il giubbotto di pelle su una sedia, si tolse le scarpe, e si adagiò con un sospirò in quella nicchia ancora calda del corpo di lei.
Dio, il suo profumo! Quanto gli era mancata.
 
Quando riaprì gli occhi, la stanza era immersa nell’oscurità e nel silenzio, cadenzato solamente da un respiro gentile e regolare: lanciò un’occhiata alla radiosveglia, rendendosi conto che aveva dormito per più di quattro ore. 
Si avvicinò piano all’esile figura che gli dormiva accanto, cercando di scrutarne i dettagli nonostante il buio: il corpo era rivolto verso il suo, le ginocchia leggermente piegate all’unisono, il braccio destro rannicchiato contro il seno mentre il sinistro riposava sul cuscino, con il palmo rivolto verso l’alto. 
Distingueva solo le forme, e un delicato riflesso dei capelli dorati. Una parte di lui sentì improvvisamente il bisogno di svegliarla, di parlarle, ma l’altra parte, quella più fragile e impaurita, gli impose di trattenere il fiato..non per evitare di turbare il suo sonno, ma per rimandare le spiegazioni, il confronto, tutti quei maledetti e necessari discorsi che avrebbero fatto riaffiorare i suoi sensi di colpa e le sue incertezze. 
Le baciò piano il polso scoperto, e si alzò con altrettanta delicatezza dal letto.
 
“Mi hai svegliata”
Sollevò bruscamente il capo dal piatto che aveva davanti, e la osservò mentre se ne stava appoggiata sullo stipite della porta, i capelli sciloti sulle spalle e uno sguardo dolce.
“Scusa..” mormorò Colin col cucchiaio a mezz’aria “credevo di non aver fatto rumore..”
Un sorriso luminoso le scoppiò in viso: “Ma no, non hai fatto nessun rumore..mi sono solo accorta che non mi eri più vicino” 
Lo raggiunse al tavolo della cucina, e gli si sedette di fronte, sistemandosi i capelli dietro le orecchie, senza smettere di guardarlo.
Calò di nuovo il silenzio fra loro: quella ritrovata intimità aveva un po’ smorzato il senso di disagio di quando si erano rivisti, ma c’erano ancora mille cose da dire, e nessuno dei due sapeva da dove cominciare. Ma Jen sapeva che sarebbe toccato a lei fare il primo passo, come sempre, e buttò fuori le prime parole che le attraversarono la mente:
“Tua moglie?”
Colin spalancò gli occhi: “Ah, il pragmatismo americano!” replicò con un sorriso ironico.
 Ma Jen era diventata improvvisamente seria.
“Helen è una donna intelligente e sveglia, ha intuito che..che Los Angeles è diventata molto importante per me. Abbiamo litigato, tutto qua. Niente di più, niente di meno. Lei mi conosce fin troppo bene”
“Davvero?” gli ribattè Jen con voce un po’ roca “davvero lei ti conosce così bene?”
Lui la guardò con un’espressione carica di stupore:
“Io...è quello che ho sempre pensato”
Jen si massaggiò la nuca, in un gesto nervoso: non era ancora il momento per certi discorsi, o forse lui non era pronto per ascoltarli..e lei? Lei voleva davvero entrare in competizione con la madre dei suoi figli?
“Torno a dormire” gli comunicò con voce gentile e controllata, alzandosi da tavola. 
Lui si limitò ad annuire, indovinando penosamente i pensieri che dovevano passarle per la testa. Anche la sua mente era inquieta, ma il fatto di trovarsi a casa di lei, di aver dormito nel suo letto gli aveva dato forza e una serenità del cuore che non trovava nessun appiglio alla ragione. 
Per questo, si alzò anche lui, mise il piatto nel lavandino e la raggiunse in camera da letto, stendendosi al suo fianco, nella penombra che ora rischiarava leggermente la stanza.
 Ma Jen adesso gli dava le spalle. Lui, allora, le si adagiò contro la schiena, circondandole la vita con un braccio e affondando il viso fra i suoi capelli. 
Non era sicuro di cosa stesse provando, se era confusa, ferita o arrabbiata con lui.. Sapeva solo che stanotte non poteva lasciarla dormire lontana da sé.
La sentì irrigidirsi per qualche secondo, ma poi sospirò, rilassandosi e rimanendo perfettamente immobile. Lui la strinse un po’ più forte, e prese a baciarla dietro l’orecchio, inarcando il bacino. Jen non protestò, ma non si mosse. 
Colin sospirò dolorosamente.
“Jen..girati, per favore”
Lei ubbidì, girandosi lentamente dalla sua parte, e lo fissò con occhi tristi e pensierosi. Poi, alzò una mano e cominciò ad accarezzargli una guancia, mentre lui si lasciava catturare senza condizioni da quegli occhi ipnotici.
 La mano scivolò dietro la nuca, e le sue labbra morbide gli si appoggiarono sulla bocca. Chiuse gli occhi all’istante, e la invase subito con la lingua, intrecciandola languidamente alla sua. Jen continuò a tenere gli occhi aperti ancora per qualche istante mentre rispondeva al bacio, e gli vide comparire in viso quell’espressione così arrendevole e indifesa che gli nasceva solo quando si abbandonava totalmente a lei. 
Allora chiuse gli occhi anche lei e si aggrappò a lui più che potè. 
Si staccarono diversi secondi dopo, entrambi con lo sguardo perso e il respiro concitato.
Si spogliarono a vicenda, senza fretta. 
Jen si distese supina, aspettandolo.
Puntellandosi sui gomiti e sulle ginocchia per non schiacciarla con il proprio peso, Colin cominciò ad ondeggiare piano sul suo ventre.
Lei allargò le anche e gli accarezzò i duri glutei, invitandolo ad entrare subito. 
Le scivolò dentro completamente, e Jen lo tirò a sé, avvolgendogli le spalle e stringendosi a lui, che si abbassò su di lei, mormorandole all’orecchio il suo struggimento.
 “Amore..” un unica parola, eppure gli era uscita strozzata.
Com’era possibile che un corpo così minuto e prezioso sembrasse essere stato creato apposta per il suo? 
Ogni muscolo di lei, ogni sguardo, ogni respiro seguivano ed assecondavano i suoi muscoli, i suoi sguardi, i suoi respiri, come una melodia a quattro mani che si componeva magicamente sulla tastiera del pianoforte, senza che nessuno sapesse da dove provenisse. 
Colin cominciò a muoversi, assaporando con dolce pena ogni lento affondo, e lei fece altrettanto, dilatandosi e stringendosi, mormorando contro la sua nuca parole intelleggibili. 
Il loro desiderio di incontrarsi completamente riusciva a tenere a bada la voglia folle che esplodeva ne loro ventri. 
E poi il ritmo di lui cominciò a correre, le mani e le lingue si intrecciarono convulsamente, Jen si sentì sollevare da onde vorticose di piacere e il calore di lui la invase.
Si distaccarono con lentezza, e Colin le diede un bacio leggero sulle palpebre, sentendole umide e salate.
“Ti ho fatto male? Stai bene?” l'apprensione era palpabile nella sua voce.
Jen: “Benissimo”
Non sapeva cosa li aspettava, ma sapeva soltanto che ormai nessun altro uomo avrebbe mai potuto farla sentire così.
 

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Capitolo 19
*** Cap.19 ***


Care, carissime ragazze!

Siamo arrivate in fondo alla fine di questa storia.

Premetto che trovo questo ultimo capitolo davvero orribile, ma non mi sembrava giusto lasciare il tutto in sospeso troppo a lungo.

Ma tornando a noi voglio ringraziarvi tutte, perchè siete meravigliose e perchè il vostro supporto è stato commevente. Non so come ringraziarvi, davvero non ci sono parole.

Un abbraccio e buona lettura.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Se lo teneva per sè ma qualcosa era cambiato, qualcosa cui erano al corrente solo Helen, i suoi figli, il suo fidato amico Stephen, il suo avvocato e la sua PR, come fosse un segreto.

 

Non era un vero segreto, era piuttosto qualcosa di personale e privato di cui soltanto le persone in qualche modo direttamente coinvolte erano appunto a conoscenza:chi per lavoro, chi perchè di famiglia. Tutte tranne una. La più importante.

Sì perchè di questione familiare si trattava, e non era propenso a condividerla con il resto del mondo, pur consapevole che prima o poi sarebbe arrivata all'orecchio di tutti.

 

Quel giorno si teneva l'ennesima conferenza stampa, una delle tante in quelle ultime due settimane, mancava poco alla messa in onda della season premiere e il network quindi spingeva a dare la maggiore visibilità possibile al cast.

Era nervoso, ogni volta temeva che le domande scivolassero sul personale per qualsiasi motivo e non avrebbe voluto mentire o peggio rispondere alla fatidica domanda "è vero che...?", cosa che lo metteva terribilmente a disagio al solo pensarci.

 

Ma la conferenza stampa stava filando liscia, pensò che ormai era fatta.

 

Le domande erano tutte incentrate sulla nuova stagione, sul futuro e le scelte adottate riguardo al suo personaggio, stava iniziando a pensare di potersi rilassare quando, dopo una sciocca domanda posta a Josh, un altro giornalista si alzò da in fondo alla sala e fece crollare la sua appena nata speranza.

 

Giornalista: -Signor O'Donoghue qualche giorno fa un conoscente mi ha rivelato un fatto, non sono certo della fodatezza della sua fonte, ma visto che lei è qui potrebbe fugare i miei dubbi... -fece una pausa di un paio di secondi -... è vero che lei e sua moglie Helen state divorziando?

 

La sala venne pervasa da una specie di brivido sottoforma di brusio diffuso, tutti, giornalisti, fotografi, colleghi, si guardarono intorno e poi guardarono lui.

Passarono manciate di secondi, ancora non riusciva ad emettere una sola sillaba, il cervello si stava rifiutando di elaborare una risposta adeguatamente educata ma abbastanza arguta da eludere la domanda. Niente non riuscì e chinò il capo, si grattò la fronte con la mano destra, la

sinistra stretta a pugno posata sulla corrispondente gamba. Panico. Imbarazzo.

 

"Cosa diavolo faccio adesso?" pensò, Non voleva che lei lo sapesse così.

Le cose sarebbero dovute andare diversamente.

C: ehmm.....uhmm... ecco... io .... non credo...che ... sia ... oppurtana ... la sua domanda...eeehmmm... - si percepì a mala pena la sua voce bassa più del solito, tentò di guardare la platea di giornalisti mentre un centinaio di flash illuminarono il piccolo palco dove stava seduto ma ritornò con il capo chino, la mano destra a massaggiarsi la fronte.

Si sentiva tutti gli sguardi addosso, si sentì intrappolato, l'ansia crebbe a tal punto da sentire il petto stringersi in una morsa...ma poi dalla bocca gli uscì non si sa come una risposta, forse l'istinto di conservazione lo portò a buttar fuori la tensione.

C: Sì, la sua informazione è corretta! - lo disse tutto d'un fiato a voce alta anche se un po' rotta dalla tensione di cui era figlia.

 

Lo sguardo fisso avanti, tutti quegli occhi, le macchine fotografiche e i flash che lo abbagliavano, le voci che si scatenarono in mille domande accavalandosi in un caos di suoni, rimase lì intontito per ancora un minuto e poi si alzò e se ne andò senza più dire nulla.

 

Si era rifugiato in un bagno poco lontano, cercando sollievo si sciacquò il viso con dell'acqua fresca, il beneficio fu minimo, anche se unito al silenzio che lo avvolgeva e il tempo che scorrendo si portava via un po' di angoscia. Iniziò a calmarsi.

 

Teneva ancora le mani chiuse a pugno, però il respiro si era stabilizzato: la mente corse verso di lei... si era fatto trovare impreparato, comportandosi da incapace. Ancora una volta.

 

Uscì dalla toilette e incontrò il gruppo intero dei suoi colleghi. Si bloccò all'istante, spostò istintivamente lo sguardo a fissarsi le scarpe, incapace di reggere i loro di sguardi, pensando che stessero giudicando il suo comportamento quanto meno infantile. Cosa che credeva anche lui.

 

Josh si avvicinò, posò una mano sulla spalla destra di Colin e parlò con tono amichevole, non cercando nemmeno di nascondere la sua preoccupazione per l'amico.

 

J: Ehi!...Stai bene ?... Va meglio? - sperava davvero che essere diretto e comprensivo servisse a farlo parlare.

 

Colin alzò lo sguardo e guardò l'amico in viso "mmmh...sì, va meglio. Grazie, credo che me ne andrò adesso...vado a casa...puoi dirlo tu Katie? - il tono sempre basso, parole riservate solo a Josh, e le ultime pronunciate come una supplica. Poi si rivolse al resto del gruppo:

"Scusate.... vi chiedo scusa per prima...immagino sia stato imbarazzante...scusatemi...eehmmm... va bene adesso vi saluto...ci vediamo lunedì agli studi....ciao a tutti - trovò la forza di mettere su un tenero sorriso che stava a significare ancora "scusatemi" e anche "siete molto carini a preoccuparvi".

 

Tutti risposero con un sorriso, un-"ciao" un "ok a presto", un "ciao stai bene" e qualcuno fissandolo con espressione preoccupata non riuscendo a dire nulla.

Jenn non disse nulla.

Lo seguì con lo sguardo mentre se ne andava e fu in quel momento, prima di girare l'angolo del orridoio che Colin pose lo sguardo su di lei. Le riservò un tenero sorriso, fece sbattere lentamente le palpebre e lasciò che lei vedesse bene i suoi occhi, le sue emozioni.

 

Jennifer rimase sopresa, quello squarcio di sincera apertura verso di lei, quello sguardo così intenso, ma soprattutto privato, intimo, non lo aveva mai visto, lui non lasciava trasparire così tanto.

Ed era tanto, lo capiva dal nodo che le si formò alla bocca dello stomaco.

Gli sorrise, anche se un po' incerta.

Sorrise pensando a quanto lo amasse, sorrise pensando a loro, al futuro che gli apriva davanti nella speranza che ciò trasparisse nei suoi occhi e sul suo viso.

Sì,lui aveva capito.

Le fece un accenno di assenso con il capo.

 

 

**********************************************************************************

Quella sera sarebbe stato solo, davanti la tv, cercando di godersi quei due giorni senza lavoro.

 

Era difficile pensare che non l’avrebbe vista, che non avrebbe parlato con lei, che non l’avrebbe ascoltata.

 

I primi tempi, sul set, lei lo rimproverava scherzosamente per il suo essere così taciturno.

Lui aveva un carattere aperto, solitamente. Ma con lei era stato tutto diverso.

Lei parlava, gesticolando, abbracciando i colleghi, animando i suoi discorsi con trasporto, con quella luce negli occhi trasparenti.

Lui asseriva, se era il caso.

Rideva.

Ma gli piaceva tanto perdersi nel suo fiume inarrestabile di energia ed entusiasmo che quasi aveva paura di intromettersi.

Avrebbe pasato ore ad ascoltarla.

 

Poi aveva cominciato a sorprendersi a guardarla, come se fosse la cosa più naturale del mondo, come si guarda il cielo di mattina per assicurarsi che sia una giornata di sole.

Lei aveva cominciato a ricambiare gli sguardi e, tutt’ad un tratto, aveva perso quell’irriverenza limpida nel dargli gomitate sportive.

 

“E dai, Colin! Non pensi anche tu che Josh si sia fatto i colpi di sole?Ma sì che lo pensi!!!”

 

E sistematicamente le sue labbra si incurvavano in un sorriso, era nata così la loro complicità.

Ma ora c'era ben altro in gioco, la posta era più alta.

Avrebbe voluto parlarle dopo l'evento, avrebbe voluto trascinarla via e baciarla fino a perdere il fiato, fare l'amore con lei fino a stare male.

Ma non era successo.

Era stato troppo codardo, e ancora una volta era scappato.

Ficcò la pizza nel microonde e impostò il timer.

 

La bustina colorata della profumeria era sul tavolo.

Questo era preoccupante.

Uscito dal quella maledetta conferenza stampa aveva avvertito il bisogno di abbracciarla, di insiprare il suo profumo.

Aveva pensato di chiamarla ma si era risoluto a non farlo.

Tirò fuori la scatolina bordeaux e oro e la aprì.

 

Ora che aveva la boccetta in mano, quasi non sapeva quale istinto l’avesse portato a spendere 40 dollari per quel liquido dorato.

Poi svitò il tappo e capì.

 

Puntò l’erogatore verso l’alto e spruzzò.

 

La nebulosa aleggiò per qualche istante nell’aria, sospesa, poi precipitò e sparì; mentre il profumo della pelle di Jennifer cominciava a spandersi.

 

La fragranza lo rasserenò, anche se lo strano sentimento si mescolava al desiderio di avere per sé chi portava quel profumo con tanta grazia e femminilità.

 

Spruzzò di nuovo il profumo, due o tre volte, in direzioni diverse.

 

Era quasi appagante...

 

Qualcuno suonò al citofono.

 

 

Colin si affrettò a posare la boccetta su una superficie orizzontale, poi corse all’uscio.

Controllò il videocitofono, sospettoso.

Corrugò la fronte nel tentativo di mettere meglio a fuoco ciò che altrimenti gli sembrava frutto di un’allucinazione visiva.

 

Jennifer.

 

Davanti al citofono c’era davvero lei.

 

Come in trance, premette il bottoncino che consentiva l’apertura del cancello di ferro.

 

Sentì i cardini di quest’ultimo cigolare e aprì la porta.

 

Jennifer gli sorrise, i capelli umidi di pioggia, le gote lucide e arrossate, le mani sepolte nelle tasche del cappotto.

 

Si guardarono negli occhi e lei gli sorrise, con la freschezza disarmante di sempre.

 

Non la stava solo guardando: oh, no, era molto di più.

Jen si sentì divorata dai suoi occhi: era come se lui volesse incidere nella memoria ogni dettaglio di quel momento.

Il suo sguardo le bruciava sulla pelle e poteva distintamente sentire una stretta attanagliarle lo stomaco.

Il calore si riversò nei occhi cristallini di lui, rendendoli ancora più intensi e un fremito di desiderio si fece strada nel petto di Jen.

 

Lei rimase un secondo immobile a guardarlo, quasi sconvolta; poi le si formarono due rughette tra le sopracciglia e ebbe un colpo di riso senza fiato.

 

J:"Wow. Sei una sorpresa continua."

 

Lui abbassò il capo e sorrise, imbarazzato.

 

"No, sono un cretino. Avrei dovuto dirtelo prima."

Il sorriso di Jen improvvisamente si incrinò. Qualcosa la distrasse.

 

- Cos’è questo odore?

-La pizza ha le acciughe. Lo so, ho dei gusti tremendi...

-No, non è la pizza...

 

Quando Colin capì era troppo tardi per inventare una scusa.

 

-Il mio profumo?-fece lei in un sussurro, guardandolo negli occhi.

Lui arrossì.

 

Cazzo.

 

Lei si sporse oltre la sua figura. Aveva individuato scatola e boccetta sul tavolo della cucina.

 

J:"C’è una donna dagli ottimi gusti, in questa casa?"

"No" si limitò a mormorare sommessamente Colin

L’ironia che Jen aveva provato ad esprimere scomparve dal suo volto mentre scrutava il viso di lui.

C:"Io..lo so ti sembrerà stupido ma ...cerca di capire... volevo il tuo odore ovunque, per sentirti sempre al mio fianco anche se casa é deserta, anche quando mi sento solo. Non potevo dirti che avevo voglia di impregnare la mia camera da letto di quell’odore per non essere più tormentato nel sonno dalla tua assenza.... forse il tuo profumo mi avrebbe dato l’illusione di stringerti a me in quel letto vuoto, e mi avrebbe fatto sentire in pace."

 

Lei gli si gettò al collo con un verso strozzato e lui la strinse forte.

La strinse per tutto quello che avevano perso e per quello che avrebbero potuto avere.

Il temporale infuriava, fuori era notte.

Poco importava che fuori ci fossero i tuoni, che le vetrate vibrassero del loro sordo rumore.

Le loro labbra si erano cercate contemporaneamente, in un’unione intensa e quasi violenta, in un’assoluta comunione di intenti.

Cercarono appiglio sul corpo dell’altro: lei aggrappata alle sue spalle, quasi artigliando la sua schiena foderata dalla T-shirt di cotone mentre lui stringeva con entrambe le mani le curva della sua schiena, quella che scendeva languidamente sulla rotondità del suo sedere.

 

Colin ripensò a quante volte aveva indugiato su quel pendio, a quante volte l’aveva coperto con la sua mano – enorme, rispetto ai suoi fianchi minuti- quando se l’era trovata vicina in qualche evento.

 

I baci erano profondi, affamati , senza freno, e divennero privi di alcun’inibizione,quanto lui la sentì insinuarsi sempre più stretta al suo corpo.

Jen sorrise ansante sulle sue labbra, cercando di placare il bruciore ai polmoni mentre si dirigevano in camera da letto.

Nota mentale: l'aria era strettamente necessaria, se ne sarebbe dovuta ricordare in futuro.

 

 

******************************************************************************

 

La luce che filtrava dalla finestra le disegnava lame d’argento sulla sua schiena chiara mentre capelli color mieli giacevano disordinati e luminosi sul copriletto di raso bianco.

 

Il suo respiro era profondo, forse dormiva.

 

Colin si passò una mano sulla fronte. Era ancor sudata.

 

L’aveva fatto. Aveva affrontato la realtà e i suoi sentimenti per Jen. Le cose d'ora in poi sarebbero state diverse.

 

Cominciava a sentire gli echi di una sensazione estremamente piacevole: la speranza.

La speranza di un futuro INSIEME.

 

Guardava quella schiena che si muoveva così dolcemente al ritmo di un respiro spensierato ed ebbe un fremito di stupore nel constatare quanto di nuovo la desiderasse.

 

Poi lei si mosse e si voltò.

 

Aveva aperto gli occhi e un sorriso le si era schiuso sul viso.

 

Gli occhi verdi erano spalancati e lo scrutavano con sincerità.

 

Gli toglieva il fiato: era così bella.

" Ti amo.." le sussurrò istintivamente.

Lei boccheggiò per la sorpresa.

Gli rendeva le cose difficili,con quella semplicità nelle parole.

Forse doveva smettere di fissargli le labbra.

Si, buona idea, perchè fissare le labra di un uomo è un pò da pervertita.

Si obbligò a distogliere lo sguardo.

Oh, accidenti, grave errore: aveva incrociato quegli occhi, i suoi occhi.

Dovrebbe essere illegale avere ciglia così lunghe, pensò.

Anche al buio i suoi occhi erano del colore dell'oceano.

Le si scaldò il sangue nelle vene.

" Mi ascolti?"

Battè lentamente le palpebre " Eh? Si! Si, certo"

Lui sorrise impertinente " Quindi dicevo..e tu?"

J:" Io cosa?"

Colin ridacchò:" Allora è vero che non mi ascoltavi. Eri troppo impegnata a fissarmi."

" Non è vero! " ribattè Jen indignata " hai superato da molto il livello accettabile di arroganza"

C:" Arroganza? Dico solo la verità. E poi non c'è niente di male se mi fissi...mi piace."

Jen restò senza parole. " Non ti stavo fissando. Non proprio...mi ero solo..distratta. Ecco quanto è entusuasmante parlare con te"

C:" Ogni cosa che mi riguarda è entusiasmante"

J:" Quansi come stare ad osservare una tartaruga che attraversa la strada."

C:"Già, continua a ripeterlo tesoro e forse un giorno ci crederai"

J: " E tu continua a chiamarmi tesoro e presto zoppicherai! "

Jen gli diede le spalle, rigirandosi nel letto in un gesto buffo.

Lui le cinse la vita sottile con le braccia e lei si rilassò contro il suo torace, beandosi del suo calore e della sua vicinanza.

J:" Stai sprecando il tuo tempo mio caro" gli sussorò ridendo quando lui iniziò a ricoprire la sua spalla di baci umidi.

C:"Quando si tratta di te non è mai uno spreco di tempo".

Lei gli dava le spalle e lui non la vide sorridere.

Ma le cose stavano tornando alla normalità, e tutto sarebbe andato bene.

 

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La festa era forse giunta all’apice, perché i flash dei pochi fotografi ammessi a presenziarvi erano inarrestabili e accecanti, e l’alcool scorreva a fiumi.

 

Era appena riuscito a scollarsi di dosso quella donna insistente, che aveva scrollato continuamente le onde bionde dei suoi capelli per lasciare che gli obbiettivi ne cogliessero tutto lo splendore.

 

E nonostante quella sua provocante bellezza, quelle curve evidenti sotto i vestiti sempre attillati, a lui non riusciva a piacere.

Forse perchè non era lei.

Sicuramente perchè non era lei.

Nessuna era come lei.

 

Quella sensazione netta e persistente che gli faceva intuire dove lei andasse a parare ogni volta che si rivolgevano la parola, lo inibiva e... Dio, quanto lo infastidiva.

 

Una volta aveva anche provato a stringersi a lui, in un gesto che si professava amicale, dunque innocente; ma si era ritratto, imbarazzato.

Sospettava che il suo concetto di amicizia celasse qualche mossa di seduzione ben calibrata.

 

Non chene avesse motivi particolari, Georgina.

 

Ma era orgogliosa della sua femminilità e del suo potere.

Nonostante la vita privata felice e soddisfacente, se aveva uomini attorno doveva essere sicura di ammaliarli. O, almeno, di provarci.

 

Ora lui la vedeva, mentre continuava a sorridere, raggiante. Con maniere loquaci, girava attorno ad anticipazioni succulente degli episodi appena finiti di girare.

Distolse lo sguardo con rara facilità.

 

Mandò giù un sorso di champagne disgustosamente dolce,e cercò con lo sguardo qualche faccia amica.

 

Si sentiva come un leone in gabbia.

Era nervoso ed era comprensibile.

Questa sarebbe stata la loro prima aparizione pubblica.

 

Quello champagne non gli piaceva proprio.

 

Posò la flûte nel vassoio più vicino e si lisciò la giacca, come faceva sempre, con la sua solita insicurezza.

 

Poi il corso dei suoi pensieri fu interrotto bruscamente.

-Le dispiacerebbe farsi fotografare accanto alla signorina Morrison?

 

Un bagliore improvviso.

-Può raggiungerla, per favore?

Annuì al piccolo fotografo impaziente, che si era già fatto spazio nella folla per guadagnarsi la sua postazione.

Non riuscì neppure a rendersi conto di quanto potesse sembrare inopportuno, ma il suo sguardo non poté fare altro che rimbalzare come una pallina da ping pong, finché non riuscì ad individuarla tra la folla di corpi che gremiva la sala.

Sospirò, come era solito fare, perché quella bellezza era struggente e lontana, perché aveva il timore di romperla anche solo guardandola.

Smise per un attimo di respirare, per la strana sensazione che cominciava a irradiarsi da qualche parte, dentro di lui.

Gli orecchini di brillanti luccicavano discretamente, mescolandosi alla pelle d’alabastro, mentre sul suo viso si apriva il suo solito sorriso, che scaldava il cuore ed irradiava chi aveva la fortuna di starle accanto.

 

Lei lo guardava avvicinarsi.

C: "Sei bellissima, Jen." Gli intensi occhi azzurri gli brillavano di ammirazione.

"Oh, Colin..."si lasciò sfuggire Jennifer.

Gli occhi di lui sembrarono chiederle cosa avesse, perché quella sua voce solitamente serafica e delicata aveva vibrato con un’amarezza insolita.

"Sei davvero, davvero bellissima." ripeté con dolcezza.

 

"E davvero, davvero sciocca-" gli fece il verso Jennifer, pizzicandosi le guance per tentare di ricomporsi " Non voglio neppure entrarci, lì dentro."

 

Ma lui le aveva già messo dolcemente una mano sul polso, in una maniera che non ammetteva repliche.

 

C:" Andiamo."

Si arrese..

J:" Va bene."

 

Colin sospirò, tendendo le braccia e ritraendole, nervoso e incerto sul da farsi.

Lei gli sorrise, divertita dalla sua esitazione.

J: "Qui" fece, molto brillantemente.

Gli prese il polso e se lo posò su un fianco, mentre con l’altra mano scivolava delicatamente lungo la sua schiena, per fermarsi al centro, un po’ sotto le spalle.

La mano di Colin si strinse un po’ sulla sua curva morbida, quasi senza volerlo.

I flash erano partiti.

Jen sentiva la sua cassa toracica spandersi e ritrarsi al ritmo agitato del suo respiro.

La sua espressione era così nervosa e tesa...

La mano poggiata sulla sua schiena scivolò lentamente di lato, verso il basso.

Non sapeva se gli avrebbe dato fastidio, ma le sembrò che ne avesse bisogno.

Trovò la sua mano e,dolcemente, vi introdusse la sua.

Colin deglutì per la sorpresa, quando sentì quella mano sottile insinuarsi tra le sue dita.

J: “Ho paura anche io, Colin.”

Grato a chi aveva fatto sì che i fotografi non potessero appostarsi ai lati del palco, Colin incrociò le sue dita con le sue e le strinse forte la mano.

Poi sorrise, con un coraggio nuovo.

Prese la sua mano e la portò tra di loro, ben in vista.

Era stanco di nascondersi...sarebbe stato un casino, un casino enorme ma non c'era cosa che in quel momento desiderasse di più che poterla tenere per mano pubblicamente.

Un brusio diffuso invase la sala e la sentì rinsaldare la presa sulle sue dita.

J: " Colin, adesso ci faranno a pezzi.. è troppo presto....tu stai ancora di"

C: "Conosci la storia di Icaro?" la interruppe

Jen annuì spaesata mentre i flash continuavano a impazzare.

" Sono volato troppo vicino al sole. Le mie ali di cera si sono sciolte. E' sempre stato troppo bello per essere vero, Jen. Ora voglio renderlo reale, perchè lo è sempre stato più di quanto fossimo pronti ad ammettere. Ma va bene. Cadrei cento volte se questo volesse dire che ho anche volato. Le persone si dimenticano sempre che Icaro ha anche volato. È famoso per la caduta, ma non credo che stesse fallendo mentre cadeva. Penso che stesso solo raggiungendo la fine del suo trionfo. Tu sei sempre stata i mio trionfo."

 

 

 

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