L'Insolito Caso della Dottoressa Jekyll e della Signora Hyde

di DoctorFez1988
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo / Una Porta Sfondata... ***
Capitolo 2: *** I - Passeggiando per le Strade di Londra ***
Capitolo 3: *** II - Il Racconto di Rapunzel Enfield (1° Parte) ***
Capitolo 4: *** III - Il Racconto di Rapunzel Enfield (2° Parte) ***
Capitolo 5: *** IV - Pazzia o Infamia? ***
Capitolo 6: *** V - Alla Ricerca della Signora Hyde ***
Capitolo 7: *** VI - La conversazione con la Signora Hyde ***
Capitolo 8: *** VII - La Tranqullita di Anna Jekyll ***



Capitolo 1
*** Prologo / Una Porta Sfondata... ***


Una Porta Sfondata...
 
Durante una scura e nebbiosa notte di Londra del XIX Secolo un laboratorio, racchiuso in una specie di cantina, fu pervaso da un frenetico terrore e da una feroce inquietudine, a causa di certi fattori che avevano il potere di trasfigurare un tempio votato a scienza e logica in uno che era pervaso da paura e ansia. Tra questi fattori, la lampada appesa al soffitto sostenuto da robuste travi di legno e l’umile caminetto scolpito in una delle pareti, il cui fuoco scoppiettava come il riso di un diavoletto, illuminavano entrambi il locale, facendolo sembrare simile all’antro di una strega. C’erano banchi di lavoro, sgabelli, armadi, cassapanche e persino le nicchie a volta delle pareti erano invase da artefatti usati da scienziati, dottori e alchimisti. Erano perlopiù boccette, manoscritti scientifici, provette, sacchetti con dentro polveri, alambicchi, bilance e altri oggetti dediti alla ricerca del sapere. Molti di quegli oggetti di vetro erano ricolmi di sostanze chimiche, spesso dai nomi impronunciabili per chi non era dotto, i cui colori sfumavano in tonalità di verde, ambra, porpora, viola e altri ancora. Alcuni degli oggetti di vetro, come provette e beute, erano posti sopra i becchi di bunsen, la cui fiamma nata dal gas ne faceva ribollire e gorgogliare il liquido contenuto, esalando così nebbie contorte, che salivano verso il soffitto con la funesta grazia dei fantasmi. Quei fumi chimici erano intensi e il loro olezzo era un insieme di miasmi indescrivibili, che potevano tenere lontano i più viscidi parassiti da quel laboratorio, come ratti e scarafaggi. La maleodorante foschia riusciva persino a infiltrarsi tra le fessure dei mattoni grigi dei muri, mettendo in risalto, negli angoli più elevati del soffitto, le scintillanti ragnatele tessute dai piccoli, neri e affusolati figli di Aracne. Sparsi per la dura, grigia, fredda e ruvida superfice del pavimento c’erano fogli con appunti scientifici, altri libri di sapere, scatole vuote di fiammiferi, con i medesimi ormai neri e consumati, e altri oggetti di piccole/medie dimensioni. Tutti questi elementi rendevano l’ambiente del luogo il più angosciante e terribile che si potesse immaginare, ma non erano niente in confronto al fattore catalizzatore per eccellenza, in altre parole un’ombra. Un’ombra sinuosa, affusolata, alta e statuaria. Si muoveva per il laboratorio con la frenesia di un lupo messo alle strette, mantenendo però anche la calma e la fierezza di una tigre che era pronta a tutto. La caratteristica più insolita della misteriosa figura era l’aura di gelo che emanava da ogni parte del suo essere, un freddo capace di superare persino il calore del fuoco nel caminetto e delle fiammelle scaturite dai becchi di bunsen messe tutte assieme. La gelida creatura stringeva nella propria mano sinistra l’oggetto che gli avrebbe permesso di mettere finalmente un freno a tutte le sciagure che lei aveva scatenato e dove agire in fretta, prima che fosse troppo tardi… prima che quella gente ostile potesse entrare nel laboratorio. Esistevano solo due ingessi che davano accesso a quel luogo avvolto dal sinistro freddo intenso della misteriosa ombra. La prima porta era stata sbarrata da un mobile rovesciato di lato, rendendola impraticabile. Dalla parte opposta del laboratorio, la seconda porta era stata chiusa a chiave con doppia mandata, e non c’erano mobili abbastanza vicini con i quali sbarrarla e non c’era ormai più tempo per spostarli. La misteriosa entità, che era stata lei a chiudere quella porta, sapeva che fuori dalla soglia i suoi aggressori erano pronti a sfondarla per di entrare. Lei lo sapeva soprattutto dopo aver sentito le dure, seppur leali, parole di uno di essi, una cosa che gli faceva deprimere e allo stesso tempo infiammare il cuore di risentimento, nonostante riuscisse a non tradire alcun cambiamento nella sua imperscrutabile espressione sul suo viso, duro e freddo come i ghiacci di Jotunnheim. Un colpo poderoso fece vibrare la seconda porta dall’esterno, facendo sollazzare i cardini e la serratura dal loro ancoraggio. Il suono di quel frenetico colpo pervase come un sinistro eco in tutto il laboratorio. L’inquietante e solenne figura, anche se sorpresa, non trasalì più di tanto e non si lasciò sfuggire alcuna minima esclamazione e/o imprecazione, solo un lieve e mesto sospiro di rassegnazione. I suoi aggressori avrebbero sfondato quella porta da un momento all’altro, e sarebbero entrati nel laboratorio con il proposito di prendere quell’essere e rinchiuderlo in qualche lurida gattabuia. Doveva fare in fretta, ma anche molta attenzione! Il piccolo oggetto di vetro che stringeva nella sua mano sinistra poteva rappresentare la sua la sua salvezza, ma, al contempo, il suo totale annientamento, nel caso avesse commesso il più piccolo errore. Il secondo tumultuoso colpo si abbatte sulla porta, facendo di nuovo vibrare cardini e serratura. L’ombra del gelo dovette prepararsi al peggio! Corse verso un angolo del laboratorio, lontano da quella porta che, presto o tardi, sarebbe stata demolita sotto i colpi dei suoi aggressori, nascondendosi tra i nebbiosi effluvi prodotti da provette e beute in ebollizione. Un terzo colpo sulla porta, che iniziò a deformarsi verso l’interno del laboratorio, con cardini e serratura sul punto di essere sradicati dal legno, come un dentista cava un dente avariato dalla bocca del proprio paziente. L’inquietante figura guardava la porta, prossima alla distruzione, con i suoi gelidi occhi che non tradivano alcun segno d’insicurezza o paura, solo una forte tensione e una severa determinazione. Nella sua mano sinistra stringeva il piccolo e prezioso oggetto, nell’altra un altro manufatto, più lungo, affusolato, elegante e, soprattutto, pericoloso e, probabilmente, non avrebbe esitato a usarlo, pur di compiere il suo ultimo e disperato atto. Era pronta a tutto, anche di affrontare gli aggressori che prima erano amici suoi. Forse non lo avrebbe mai ammesso, soprattutto in una notte così tumultuosa come questa, però gli dispiaceva quello che stava accadendo, ma ormai ogni tassello di tutta questa vicenda stava per avere il suo epilogo ed era scoccata l’ora della resa dei conti. Finalmente giungeva la fine di tutte le terribili vicende che lei stessa aveva provocato, che si fosse risolta male o bene. Un altro feroce colpo e la porta si deformò ancora di più verso l’interno, e i cardini e la serratura erano ormai prossimi ad essere spazzati via dal furore degli aggressori. La figura misteriosa era ormai pronta a riceverli, inginocchiata nell’angolo in cui si celava. Il quinto colpo fu quello definitivo. Il fendente, infatti, fece saltare cardini e serratura, infrangendo l’intelaiatura di legno all’interno del locale spettrale. Sulla soglia ormai aperta, si stagliò allora una figura femminile, che stringeva tra l’oggetto con il quale aveva trapassato e devastato la porta del laboratorio, un’ascia, la cui lama ricurva e lucente faceva ricordare la dimora di Artemide, che s’innalzava nel cielo notturno, che era velato dalle nebbie londinesi, che spesso nascondono i più oscuri, e spesso atroci, enigmi della città. Era una giovane donna dalla corporatura snella, vestita con abiti scuri che creavano un visibile contrasto tra essi e la pelle chiara del suo viso. Le guance e le labbra, di solito di un tenero color rosato, erano divenute in quella notte di un febbrile rosso. I suoi lunghi e castani capelli erano legati una coda di cavallo. Si trattava di Belle Joan Utterson, che era avvocata e moglie di uno dei più famosi legali londinesi, Walt Louis Utterson. Belle, normalmente, era una persona gentile, saggia, austera, amabile e ragionevole, di solito più incline a perdonare che a condannare. Di solito, per l’appunto, ma non quella notte, nella quale avrebbe affrontato la sua nemica. Stringendo con fervore l’ascia, Belle varcò l’uscio che aveva demolito ed entrò in quello che ormai era diventato il covo del mostro, che da parecchio tempo aveva terrorizzato la città di Londra con le sue azioni fredde e terribili. I suoi occhi, il cui colore ricordava le ghiande dei boschi selvatici, scrutavano con determinata e furente intensità il laboratorio, cercando di penetrare con essi la nebbia di fumi chimici. Il suo volto, che di solito ricordava la bellezza di una pungente rosa rossa, era solo leggermente accigliato, ma il suo cuore era pieno di rabbia carnefice verso la sua nemica, una furia che poteva essere paragonata solo a quella di una… bestia! Lei continuò ad avanzare con sfrenata decisione e risoluta collera, seguita da altre persone dietro di lei, e poi gridò, pronta a usare l’ascia contro il suo nemico, l’ombra che si nascondeva in agguato nei recessi del laboratorio:
 
“Dove ti stai nascondendo Elsa Hyde? Che cosa ne hai fatto alla nostra beneamata Anna Jekyll?” I rintocchi del Big Ben, che segnavano la mezzanotte, risuonarono lugubri e solenni, come per fare da eco al grido di Belle…

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Capitolo 2
*** I - Passeggiando per le Strade di Londra ***


Passeggiando per le Strade di Londra
 
Belle, moglie dell’avvocato Utterson, era una donna dall’aspetto dolce, dal lieve e sincero sorriso; calma, solerte, devota, con una leggera austerità che l’aveva teneramente coltivata assieme al suo amato consorte. Era a volte un po’ timida e romantica, ma anche risoluta e coraggiosa, di solito poco incline alla collera. Possedeva una bellezza semplice e genuina, e un’eleganza sobria, mai eccessiva, eppure adorabile. Era persino grande amante di romanzi, passione condivisa con serenità da suo marito. Insomma, sapeva comunicare qualcosa di amabile. Quando stava con le persone a lei care, che fossero parenti, amici, o anche semplici conoscenti, nel suo sguardo scintillava un senso di profonda e tenera umanità. Un sentimento che lei riusciva a manifestarlo a pieno più nei gesti che a parola, nonostante tutti amassero la sua squisita pura eloquenza. Fu grazie alle qualità di questa vivace e indipendente, ma allo stesso tempo mitigata e ordinata donna dalla lunga e meravigliosa chioma castana che il cuore di Walt Louis Utterson, una volta scontroso, irascibile, solitario e astioso, fu cambiato in qualcosa che ora richiamava umiltà, compassione, romanticismo e gentilezza. Belle e il suo amato si erano conosciuti all’università di Oxford, entrambi studenti nella facoltà di legge. Come molti parrucconi accigliati e figli di papà arroganti, Utterson non vedeva di buon occhio che una donna come Belle studiasse il mestiere dei legali. Utterson era un giovanotto alto, vigoroso e affascinante, i capelli splendidamente rossicci e gli occhi di un azzurro scintillante. Si considerava un novello donnaiolo che cercava di seguire le orme di Giove, ma il suo caratteraccio lo rendeva persino odioso per le ragazze, per non parlare del fatto che seguisse di malavoglia gli studi di legge come avrebbe voluto suo padre. Almeno era questo l’animo del giovane prima che conoscesse Belle, che nonostante quest’ultima non lo trovasse sopportabile, intravide in lui qualcosa di teneramente fragile e amareggiato nel suo cuore. All’inizio i due non potevano incontrarsi senza doversi punzecchiare a vicenda, di scontarsi e di discutere, spesso animatamente. Poi però, dopo alcuni cruciali eventi e con il passare del tempo, entrambi iniziarono a imparare l’uno dall’altro, ad aprire il proprio cuore e le frecce di Cupido fecero il resto. Finalmente era sbocciata la rosa del loro amore, che mai si sarebbe appassita, che divenne più forte e inflessibile con il passare dei giorni.
 
Una volta che entrambi ebbero preso la laurea in giurisprudenza, la giovane coppia di avvocati celebrò le proprie nozze circa un anno dopo, e aprirono il loro studio legale nel proprio nido d’amore, una semplice e adorabile casa, decorosamente spaziosa, situata in uno dei quartieri più tranquilli di Londra. Assieme a loro, vivevano altre quattro persone nella casa, che ormai erano considerate quasi come membri della famiglia. Il primo fra i quattro era un romantico e affabile maggiordomo e cuoco che veniva dalla Francia, si chiamava Lumière ed era magro e asciutto come un candelabro. Poi c’era il signor Tockins, un uomo rotondetto, di bassa statura, con baffetti che sembravano le lancette di un orologio, che aveva la mansione di segretario e contabile dello studio legale degli Utterson. Era un tipo pomposo, serio, leale, severo e facile alla tensione, puntuale come un orologio svizzero, ma anche molto dolce, loquace e allegro quando era necessario. La terza persona era Miss Bric, domestica e governante, una simpatica e robusta donna dal naso all’insù come una teiera da tè, con un temperamento materno, caritatevole, saggio, educato, rigoroso, ordinario e senza tanti fronzoli. Il quarto ospite di casa Utterson era Chicco, figlio unigenito di Miss Bric. Chicco era un amabile e birbante bimbetto dai capelli biondi, che riempiva la dimora con le sue gioiose risate. Il piccolo viveva in una stanza vicino a quella della madre e, come suo segno distintivo, aveva un dente leggermente scheggiato, che invece di deturpare il suo faccino, lo rendeva persino più adorabile. Bisogna sapere che, da quando gli Utterson avevano aperto il loro studio legale, il tempo nella loro dimora scorreva tranquillo e sereno, scandito però anche da casi giudiziari che passava tra le mani della coppia, che si divideva il lavoro con amorevole equilibrio. Più che altro, quelle che gli Utterson dovevano affrontare nel tribunale, erano spese cause apparentemente perse, ma loro, con un’onesta, coraggiosa e umana perseveranza, riuscivano spesso a vincerle, anche a costo di pestare i piedi a nobili arroganti e/o personalità dell’alta società londinese, spesso con la puzza sotto il naso, che spesso cercavano di velare le loro ipocrite, speculatrici, disoneste e ingiuste azioni, spesso compiute a spese di poveracci onesti, che chiedevano solo di vivere con dignità e un minimo di benessere, personale o famigliare che fosse.
 
Belle aveva inoltre la fortuna di avere in famiglia la miglior cugina che si potesse desiderare, una vivace e graziosa ragazza di nome Rapunzel Enfield. Un poco più giovane di Belle, Rapunzel era una deliziosa creatura dai lunghissimi capelli sfiorati dal tocco di Mida, gli occhi come due splenditi smeraldi e il viso di una dolcezza accattivante. La biondina possedeva un carattere gentile, timido, romantico e sbarazzino, con un’inclinazione più energica, infantile, creativa e curiosa di quando potesse essere Belle. Rapunzel, ragazza di belle speranze, sognava di diventare una grande pittrice, e fortunatamente possedeva il talento, la passione, la perseveranza e la pazienza di un artista. Aveva inoltre un fidanzato, un giovanotto di nome Eugene Gray, un tipo simpatico e affascinante, romantico, un po’ narcisista, furbetto e a volte parecchio testardo. Il ragazzo dalla scura chioma, pizzetto e gli occhi di un magnifico bruno chiaro, studiava giurisprudenza ed era diventato allievo presso lo studio legale degli Utterson. Rapunzel e il suo amato avevano un appartamento in affitto in un condominio vicino alla dimora degli Utterson. Le due cugine si volevano un gran bene a vicenda e ormai si consideravano come sorelle, mentre Eugene era divenuto buon amico di Walt.
 
Un giorno, il signor Utterson annunciò a sua moglie che sarebbe partito per Oxford, assieme a Eugene come assistente personale, per fare le veci del maestro di giurisprudenza all’università per qualche tempo. Anche se la cosa la intristiva parecchio, Belle era una donna compressiva e paziente, e augurò la buona sorte al suo amato per il soggiorno a Oxford, e i coniugi si scambiarono la promessa di scrivere il più spesso possibile una lettera all’uno all’altro. Rapunzel non riuscì a evitare di versare qualche triste lacrima nel doversi separare, anche se solo per un breve periodo, dal suo amatissimo Eugene. Si presentò però anche un vantaggio confortante in quella triste e sofferta separazione. Infatti, Belle fece preparare la stanza degli ospiti per Rapunzel, in attesa del ritorno dei loro principi azzurri, fece sì che la cantina sotto la dimora divenisse lo studio degno di un pittore per i lavori della cugina. La biondina non finiva più di ringraziare sua cugina per tutto questo. Quella convivenza tra cugine avrebbe addolcito il periodo di malinconia fino a quando sarebbero ritornati i loro uomini da Oxford. Almeno due o tre volte la settimana, le due cugine ricevevano un pacco con dentro due lettere da parte dei loro rispettivi uomini, con lo scopo puro e sincero di confortare le loro amate, che rispondevano con altrettanta solerzia quelle missive. Con il passare del tempo, Rapunzel diventò la persona più amata di casa Utterson, al pari di sua cugina. La dolce convivenza delle due giovani aveva fatto nascere delle abitudini durature, che sarebbero rimaste salde anche con il ritorno dei loro rispettivi amati, come il tè delle cinque di pomeriggio e le passeggiate domenicali. Per Belle, quest’ultima attività era un modo rilassante per stendere i nervi dopo una settimana di lavoro nel gestire lo studio legare e dare battaglia al tribunale senza l’appoggio di suo marito, e la compagnia di Rapunzel rendeva quelle scampagnate per le strade londinesi ancora più piacevoli. Durante quelle passeggiate, infatti, Rapunzel dava sfogo a tutta la sua gioviale vitalità, non perdendo occasione di giocare con i bambini per strada, sotto lo sguardo divertito di sua cugina, fare le coccole ai mici vagabondi, visitare graziosi negozi e bancarelle al mercato, respirando l’aria delle tipiche vie londinesi e facendo conoscenza con persone affabili e simpatiche. In quelle tranquille e vivaci passeggiate, le due cugine davano sempre il benvenuto, con evidente gioia, all’arrivo di un terzo conoscente.
 
Durante uno dei loro pellegrinaggi domenicali, in una luminosa giornata di marzo, si ritrovarono per caso nella via di un quartiere di febbrile operosità, situato in un punto piuttosto lontano dalla casa degli Utterson. Quel giorno Belle indossava un semplice e gradevole vestito blu e un delizioso cappellino dello stesso colore e una rosa rossa posta sopra di esso, che rispecchiavano la sua personalità. Sua cugina invece indossava un abito leggermente più sfarzoso e vivace di quello di Belle, con colori che variavano dal rosa al lilla, ed era accompagnato da un copricapo più grande, decorato con magnifico fiore giallo. La strada dove le due cugine stavano percorrendo, nonostante fosse normalmente pervasa da quiete amabile, era l’epicentro brulicante del viavai di mercati, soprattutto durante i giorni feriali. Il quartiere era pieno di decorose abitazioni, appartenenti a persone con un notevole tenore di vita, botteghe di tutti i generi, i cui proprietari, nella più pura e semplice onesta, facevano a gara per accattivarsi nuovi clienti. Si poteva costatare che la zona in questione era una delle più pulite e ordinate di Londra, come se ogni notte fosse tirata a lucido prima dell’ascesa del sole mattutino. In confronto ad esso, gli altri quartieri che gli stavano attorno erano ricoperti da un lieve velo di squallore. C’era però una macchia che sfigurava quel candido luogo, per quanto insignificante fosse. Se qualcuno camminasse per quella strada verso oriente e voltasse lo sguardo verso alla sua sinistra, noterebbe sicuramente che la fila di Botteghe era tranciata in due per dare accesso a un cortile, e proprio in quel punto un edificio dall’aria cupa pretendeva su quella via il proprio frontone. Era un fabbricato a due piani privo di finestre. Al piano terra si trovava solo una porta sovrastata dalla superfice di una muraglia, sulla quale sembrava essere stata dipinta dallo scuro colore della decadenza e dell’abbandono, che proseguiva inarrestabile fino alla gronda. Sotto ogni punto di vista, quella porta urlava i segni della rovina, come se fosse stata sfiorata dalla mano della signora di Helheim. Quella porta, priva di campanello e batacchio, aveva la vernice che, con il trascorrere del tempo, aveva perso tutto il suo colore, ed era ricoperta da bolle e screpolature, da farla sembrare l’entrata di una cripta abbandonata. Vicino a quell’uscio, si accucciavano i gatti randagi, che spesso ci facevano gli artigli sul legno. I perditempo, che fossero vagabondi, scolari monelli o giovanotti irrispettosi, avevano ormai tracciato tutti i colori del vandalismo si quel povero varco, senza che nessuno prendesse la briga di cacciarli via o ripararne i danni. Rapunzel e sua cugina passeggiavano dall’altro lato di quella via ma, quando furono all’altezza della porta, la prima ebbe un sussulto d’inquietudine, spegnendo la vivace allegria che l’aveva accompagnata fino a quel momento, come se temesse da quella soglia potesse emergere un orribile mostro. Belle non poté non notare il cambiamento d’umore improvviso di sua cugina e gli chiese preoccupata:
 
“Che cos’hai Rapunzel?” La biondina guardò sua cugina con sguardo indeciso e timoroso, come se avesse un terrore profondo di rivelare i suoi pensieri connessi a quella porta sfigurata. Dopo un lungo attimo di esitazione, la biondina infine rispose con una voce meno squillante del solito:
 
“Vedi cugina, quella porta laggiù mi riporta alla mente il fattaccio di un terribile e inspiegabile scandalo!” Belle guardò la porta indicata da sua cugina, per poi rivolgere di nuovo lo sguardo a quest’ultimo, con aria di curiosità e perplessità.
 
“Te la sentiresti di raccordarmelo?” Chiese Belle a sua cugina, con tutta la dolcezza e la gentilezza che poteva avere nella voce. Rapunzel, seria in volto, iniziò allora a raccontare la sinistra e insolita storia di quella porta, collocata a uno sconvolgente antefatto avvenute tra le via di Londra.

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Capitolo 3
*** II - Il Racconto di Rapunzel Enfield (1° Parte) ***


Il Racconto di Rapunzel Enfield (1° Parte)
 
Devi sapere che l’antefatto di cui ti sto raccontando, cara cugina, è accaduto durante un mattino di qualche tempo fa, verso la fine di gennaio, in cui accompagnavo Miss Bric al mercato rionale, che di solito si trova proprio vicino a questo quartiere. Sai bene che è abitudine di Miss Bric andarci di mattina presto, poco prima che i gestori abbiano finito di sistemare le loro bancarelle, così da poter superare gli altri sul tempo nel comprare i prodotti migliori, ed io, il più delle volte, la accompagnavo ben volentieri a quelle uscite. Quel giorno il posto era ancora avvolto dalle londinesi brume mattutine, i primi guizzi dell’alba ancora non si vedevano, e i lampioni a gas, che sembravano in solenne processione, avrebbero illuminato la strada ancora un po’ prima che la loro luce fosse spenta. Ciò nonostante, c’era già un grande affluente di mercati che si affrettavano a preparare i loro prodotti, e parecchie persone provenienti dai quartieri vicini erano scese già in strada, come se avessero avuto la stessa idea della nostra governante. Mentre procedevo, assieme a Miss Bric, per quella via non potei fare  a meno di notare una ragazzina, che era poco più giovane di me, che vagava per il mercato nella speranza di vendere qualcuna delle boccette vitree, contenenti delicati e dolci profumi, tenuti in una cesta di vimini intrecciati, imbottita sul fondo con un po’ di paglia fine, in modo che i suoi prodotti non si cozzassero a vicenda. Si trattava di una giovane orfanella popolana, con lunghi cappelli, il cui colore ricordava i campi di grano che biondeggiano in estate, e i suoi occhi erano di un blu intenso meraviglioso. Indossava vestiti semplici e un poco rattoppati. Il suo viso era un frammisto di semplicità, gentilezza e spensieratezza. Sorridendo lieta e sincera, la giovane cercava di vendere i suoi profumi ai passanti e, fortunatamente, riusciva a fare discreti affari, abbastanza da avere il pasto quotidiano assicurato. Tu mi conosci, non seppi resistere e acquistai da quella amabile, laboriosa e onesta venditrice una boccetta che conteneva un meraviglioso profumo alla lavanda per poche sterline, alla quale ne aggiunsi un paio in più per la simpatia che provavo per lei, il cui nome, mi disse, era Ailin. Dopo uno scambio di sorrisi gioiosi e saluti cordiali, io ritornai da miss, che intanto stava trattando con il fruttivendolo, che aveva appena aperto il suo banco ricolmo di frutta e verdura fresca, mentre Ailin continuò il suo giro per il mercato, dove altre bancarelle e negozi vicini stavano iniziando ad aprire i battenti.
 
Mi ero appena messa vicina alla nostra governante, cara cugina, che iniziai a girarmi intorno, godermi la vista della vivace confusione e dell’assicurante chiasso del mercato rionale, che precedevano il chiarore del giorno. Scorsi nuovamente la giovane venditrice di profumi, che camminava lesta e sorridente, appena in tempo, purtroppo, per assistere a quello che sarebbe stato l’inizio di eventi cupi e insoliti che ora udirai. Davanti ai miei occhi, Ailin stava percorrendo il mercato, quando successe una fatalità! La strada dove si trovava il mercato era visibilmente vecchia, e le grigie mattonelle del suo lastricato erano un po’ smosse verso l’alto in alcuni punti e, per un vile scherzo delle Parche, Ailin inciampò con il piede contro uno di essi, e perse l’equilibrio. La povera ragazza cascò rovinosamente a terra, distesa in avanti, e con lei, anche la cesta dei profumi. Inevitabilmente, come sicuramente immaginerai, alcune boccette vitree volarono fuori dalla cesta che cadeva assieme alla sua proprietaria, e quando toccarono la strada, esplosero in mille pezzi e i profumi liquidi che contenevano schizzarono come fa la ruota di una carrozza in corsa con una pozzanghera, ma purtroppo la situazione era destinata a peggiorare. Infatti, dalla direzione opposta che Ailin percorreva prima di cadere, stava arrivando un’altra persona. Si tratta di un vecchio nano, magro come una lucertola, con grosso naso a punta, baffoni e capelli grigi, occhi azzurri opachi. La caratteristica, che però spiccava più di tutte nella sua persona, era l’aria di un pomposo e pretenzioso uomo con la puzza sotto il naso che emanava disgustosamente da tutti i pori. Era vestito con una severa eleganza scura, un pastrano che gli arrivava fino alle ginocchia, guanti bianchi, un grosso cilindro in testa, un monocolo sull’occhio sinistro e scarpe con le ghette. In mano teneva, come per complemento, un bastone di legno pregiato, la cui impugnatura sferica era stata fatta con l’avorio più prezioso. Quel tipo era affiancato, da entrambi i lati della sua persona, da due uomini alti e grossi come armadi, vestiti di rosso scuro. Entrambi avevano i capelli di un castano rossiccio, e uno di loro aveva i mustacchi. Quei due uomini avevano l’aria di leali, seri e truci molossi, pronti ad abbagliare e mordere al minimo schiocco di dita del loro padrone. L’ometto in mezzo ai due giganti che ti ho descritto era nientemeno che Sir Basil Weselton, membro del parlamento, famoso nel fare il bello e il cattivo tempo a Londra e aveva il favore della nostra regina, nonostante molti sapessero che si trattava di un essere meschino, avido, in cetri casi persino senza scrupoli e che pensava solo al suo tornaconto, al suo prestigio e ai privilegi derivanti dalla sua carica. Non andava mai fuori per le vie di Londra senza le sue personali guardie del corpo, che lo seguivano come ombre, pronti a eseguire ogni suo ordine e, secondo alcune indiscrezioni, incarichi tipici dei sicari, ed erano conosciuti come il braccio violento e prepotente di Weselton. Quella purtroppo era davvero un’immane sciagura per Ailin, perché la chiazza di profumo derivante dalla sua caduta finì per inzaccherare proprio le vesti di Weselton. Con un grottesco grido di sdegno, Weselton fece un salto all’indietro, con la faccia disgusta e incredula. Il grido di quell’odioso gnomo attirò l’attenzione di commercianti e passanti nelle vicinanze, compressa Miss Bric.  Weselton guardò inorridito il suo pastrano macchiato di profumo liquido, poi rivolse la sua attenzione ai frammenti di vetro e poi ancora la povera Ailin, che cercava di rimettersi in piedi. Appena vide la ragazza, Weselton passò dalla smorfia di repulsione a quella di furore incontenibile, e la pelle del suo viso divenne di un rosso peperoncino, cominciando a scalciare e pestare i piedi sul selciato come un bambino viziato, strillando poi come un vecchio corvaccio:
 
“Dannata Ragazzina! Guarda come si è ridotto il mio pastrano d’alta moda! Lo sai mocciosa, quanto viene a costare questo pregiato capo d’abbigliamento?” Ailin, mentre si rialzava e cercava di recuperare la cesta con le altre boccette ancora integre, disse con voce rotta e dispiaciuta per l’accaduto:
 
“Mi dispiace signore… è stato un incidente… Io non avevo intenzione…” Weselton non voleva però sentire ragioni o scuse, essendo ormai preso da una feroce indignazione.
 
“Tutto questo è Inaccettabile, inammissibile, inconcepibile… la mia persona è stata orribilmente messa in ridicolo, vigliaccamente sfigurata e insolentemente imbrattata dalle tue schifose porcherie, lurida stracciona!” Credimi cugina, ogni parola vomitata dalla bocca di quel mostro in miniatura vestito da lord mi faceva stizze di rabbia nel cuore e, se non ci fosse stata Miss Bric a trattenermi per un braccio, sarei andata da lui e gli avrei gridato nell’orecchio il fatto suo.
 
“Uomini, prendetela!” ordinò furibondo il corvaccio con un secco e inflessibile schiocco di dita. Le sue guardie del corpo, senza alcuna esitazione, si gettarono come mastini sulla poveretta e ognuno di loro la afferrò per il braccio, stringendolo in una morsa dolorosa, e uno di loro addirittura gli strappò dalle sue mani la cesta che aveva recuperato da terra.
 
“No! Vi prego! Io non ho fatto niente! Vi supplico, lasciatemi!” gridava disperata Ailin, che stava iniziando a piangere. Intorno a quell’intollerabile scena di crudeltà, sul potente che calpesta un debole, si era intanto avvinata una folla di persone. Uomini e donne. Giovani e vecchi. Importanti imprenditori e semplici lavoratori. Tra quella gente, proprio in prima fila per assistere a quell’osceno spettacolo, c’eravamo io e Miss Bric. Weselton senza far caso al pubblico che lo osservava, si avvicinò alla ragazza in lacrime con uno sguardo simile a uno spietato sparviero. Appena a soli due passi da Ailin, che continuava a piangere a chiedere perdono e indulgenza, Weselton si tolse uno dei suoi guanti bianchi. A quel punto il nano percosse il volto della giovane con quel guanto, continuando a guardarla con aria di disgusto e il suo animo divorato dal furore dell’indignazione.
 
“Chiudi quella bocca, stracciona!” Gracchiò furiosamente Weselton, mentre si rimetteva il guanto che era stato utilizzato come in manganello di un poliziotto. La povera Ailin si zittì e abbassò il capo verso terra, continuando a versare lacrime di sconforto, che gli ricavano il viso dolorante e infine cadendo come una lieve pioggia d’autunno. Credimi, molte delle persone nella folla sarebbero volute intervenire in favore della giovane e rimproverare le biasimevoli azioni di quell’odioso vecchio, ma la fama e la carica che rivestivano come uno scudo quest’ultimo e il fatto che avesse al suo fianco quei due uomini, insensibili al pianto della loro prigioniera, rendevano pericolosa tale azione, per quando nobile e giusta fosse. Io più di tutti mi sarei lanciata a difesa della ragazza ma Miss Bric mi trattene, nonostante apprezzasse il mio spirito verso il prossimo, bisbigliandomi all’orecchio che avrei rischiato la prigione se avessi osato intervenire. Nemmeno se fosse passato un poliziotto in quel momento, avrebbe potuto alzare un dito contro quell’abietto uomo. Weselton, se lo voleva, poteva rovinare la vita di una persona che fosse di rango affine o sottostante al suo ed era uno dei confidenti più stretti della regina. Insomma era intoccabile e questo mi faceva ribrezzo, vista la piega che quella situazione stava prendendo. Weselton continuava a fissare trucemente la povera Ailin e sembrava sul punto di infliggergli la condanna alla pena capitale. Quel corvo mise l’impugnatura del suo bastone sotto il mento della ragazza, costringendola ad alzare la testa davanti e lui… gli sputò in faccia!
 
“Ti sbatterò nel più duro, inflessibile e temuto riformatorio di Londra, il luogo adatto per randagi umani come te, che sfigurano questa città senza rimosso e attendano alla dignità di persone rispettabili come me…” Ero sul punto di esplodere nel sentire quelle parole. Ancora un po’ e non sarebbero più bastati il braccio e le raccomandazioni di Miss Bric a Trattenermi e avrei fatto come un fiume che travolge e annienta una diga.
 
“… non prima però che ti abbia dato personalmente una lezione che non dimenticherai tanto facilmente…” Terminò di dire Weselton, digrignando i denti e Lasciando ricadere il viso seviziato di Ailin, alzò il suo bastone verso il cielo ed era inequivocabile che lo volesse farlo abbatterlo sulla sua povera vittima, come farebbe un brutale boia. Nella folla c’erano persone che si copriva il volto con le mani o volgeva lo sguardo da un'altra parte per non vedere la terribile e improvvisata esecuzione che si stava per compiere. Ormai la mia pazienza era solo un filo sottilissimo e, una volta tranciato, avrei fatto una strage pur di fermare quel mostro prima che potesse andare troppo oltre… so cosa stai pensando cugina. Pensi che sia questo lo scandalo orribile che mi è tornato alla mente quando siamo passate davanti a quella porta, non è vero? Ebbene, ti sbagli di grosso… perché quello che ti ho raccontato finora non ha niente a che fare con quella soglia decrepita, almeno non direttamente. Quello che venne dopo fu ancora più sconcertante, scandaloso e inesplicabile, anche se ciò fece giustizia per Ailin e inflisse il castigo a Weselton. Quando avrai sentito il resto di questa storia, anche tu cugina troverai il suo finale ambiguo e scandaloso, nonostante finisca nel migliore dei modi per la giovane venditrice di profumi. Come ti ho già detto prima, Weselton che si faceva giuria, giudice e giustiziere, era sul punto di abbassare violentemente il bastone su Ailin in lacrime, in balia di quei due molossi travestiti da umani. Nessuna delle persone nella folla intorno a quell’insopportabile scena osava opporsi ed io ero sul punto di gettarmi contro quell’uomo, dargli una lezione e salvare Ailin, anche a costo mi farmi male o di rischiare la prigione, se ciò significava fare vera giustizia. Fu allora che arrivò lei...

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Capitolo 4
*** III - Il Racconto di Rapunzel Enfield (2° Parte) ***


Il Racconto di Rapunzel Enfield (2° Parte)


 Quello che successe in seguito, cugina, fu un fatto così assurdo che persino io faccio ancora fatica a crederci, nonostante l’abbia visto con i miei stessi occhi. In direzione dello sguardo di Weselton, dal fondo della strada, si udirono dei passi che ebbero effetti inspiegabili su cose e persone, ed era chiaro che si stavano avvicinando verso di noi. Per quanto il rumore di quei passi non fosse assordante, aveva comunque lo stesso effetto di un tuono che annunciava la tempesta, simile al rintocco di una solenne marcia funebre. Quel suono ebbe il potere di congelare tutti gli altre, di ammutolire grida e sussurri. L’intera folla, me compressa, volse lo sguardo, avvolta da perplessità, sgomento e inspiegabile terrore, in direzione da cui provenivano quei passi. Quando udì per la prima volta quel suono, cugina, era come se la mia anima fosse trafitta da una lama di gelo. Credo che lo stesso effetto si fosse manifestato anche negli altri presenti, nessuno escluso, nemmeno Weselton e le sue guardie del corpo. Con l’avvicinarsi dei passi verso di noi, la nebbia divenne sempre più intensa, quasi sul punto di soffocare il chiarore dei lampioni, minacciando di gettare un velo di oscurità sull’intera zona, e il freddo d’inverno sembrò acquisire ogni secondo un nuovo vigore pungente e innaturale. Ogni essere vivente, animale o uomo, rimasse come congelato nel sentire quella camminata… si potrebbe dire… ultraterrena. Quei passi, lenti e inesorabili, si avvicinarono sempre di più verso di noi e, infatti, dopo alcuni secondi che sembravano durare all’infinito, apparve dal nulla e in lontananza un’ombra al centro della via in discesa. All’inizio era indistinta, essendo avvolta dalle nebbie divenute più spesse, come per stregoneria, ma era chiaro che fosse scura, alta e sottile, e si avvicinava verso di noi, producendo quei passi così inquietanti e solenni, rigidi e decisi, senza mai un attimo di esitazione, regolari come l’orologio di Padre Tempo. Ad ogni passo, i contorni e i lineamenti di quella figura si fecero sempre più distinti ed evidenti, un’ombra che sovrastava ogni altra, e la nebbia gli faceva spazio come un devoto servitore. Quando la figura misteriosa giunse ormai a pochi passi dal crocchio di persone, si fermò con un ultimo passo che risuono per la strada più di tutti gli altre precedenti e getto un silenzio irreale da gelare il cuore. Ogni suo singolo particolare si mostrò in tutta la sua terribile, fredda e avvenente magnificenza. Era una donna.
 
Credimi, prima di allora non ho mai visto una donna come quella, la cui bellezza ed eleganza fossero l’unione perfetta di gelo e oscurità. Non si riusciva a comprendere la sua vera età, perché sembrava una giovane ragazza e una donna matura nel medesimo tempo. Lei era alta, snella, sinuosa e maestosa, che metteva in ridicolo persino la bellezza di Brunilde d’Islanda. I suoi abiti erano di un’eleganza cupa ma meravigliosa allo stesso tempo, che faceva sembrare quelli di Weselton dei semplici stracci. All’inizio, forse per uno scherzo della nebbia, scambiai il colore di quegli abiti per il nero ma, osservando poi meglio, capì che in realtà si trattava di un blu così scuro da ricordare i recessi oceanici di Poseidone. Ai piedi indossava dei raffinati stivaletti, neri come le tenebre, ed erano la causa della solenne marcia di poco fa. Le sue mani erano velate da guanti di seta, il cui colore era simile a quello del suo abito. Quelle mani, dalle punte delle dita ai polsi, erano delicate e graziosamente proporzionate con il resto del corpo di quella donna. Il suo stile, freddo ma stupendo insieme, era poi completato da tre elementi. Una mantellina, anch’essa blu scuro, che scendeva fino a metà schiena ed era legata intorno al collo da un fermaglio d’argento a forma di fioco di neve. Sul capo teneva un cappello a tese larghe, con sopra un fioco che lo rendeva spaventosamente stupendo, il cui colore dell’insieme eguagliava con il resto dell’abbigliamento freddo e profondo. Infine, nella mano destra, stringeva con rigorosa grazia un lungo e affusolato bastone da passeggio, il cui legno era verniciato di un nero lucido, e l’impugnatura d’argento aveva le fattezze di una testa di lupo, nei cui occhi erano incastonati due piccoli zaffiri scintillanti. Ciò che però esaltava a gran voce nell’aspetto di quella donna, come la luce di un faro in mezzo ad un mare scuro come le sue vesti, era sicuramente il suo volto, più gelido di una lastra di ghiaccio. Da sotto il copricapo scuro, la sua lunga chioma dal biondo platinato, legata in una magnifica e audace treccia, scendeva per la spalla sinistra con gelida fierezza. La pelle del suo viso, così sicuramente con il resto del corpo, era di un regale candore. Le guance e le labbra erano tinte dal rosa più freddo e scintillante che abbia mai visto su una persona. I suoi occhi, di un azzurro glaciale, erano scintillanti come gioielli, avvolti da un’aura di severa e risoluta determinazione. Quello che però mi faceva veramente accapponare la pelle nel vedere quella donna era l’espressione sul suo volto, che era un insieme di sfumature che creavano un’inquietante armonia nei suoi lineamenti, simili alla grazia intrigante di Artemide, alla severa solennità di Odino, alla salda volontà di Atena, alla fredda risolutezza di Skadi e alla cupa riservatezza di Persefone. Insomma, quella donna possedeva il portamento dell’inverno. Chiunque la guardasse, era percosso da un brivido di gelo spirituale, come se lei sprigionasse un freddo supremo da tutta la sua persona, e non c’era essere vivente che non provasse un rispetto timoroso e una silente paura nei suoi confronti. Sul suo volto non c’erano mai segni di rabbia, gioia o malinconia e, come l’enigma di una sfinge, non si riusciva a comprendere se il suo animo fosse votato al bene o al male, il che non faceva altro che aumentare il terrore di chi la guardasse, anche solo per un istante.
 
La donna, con sguardo eternamente freddo e imperscrutabile, guardò la folla che gli sbarrava il cammino, e che a sua volta la osservava con cupo rispetto e raggelante timore. Poi, senza dire una sola parola, la fredda fanciulla fece segno con il bastone alla gente di farla passare e loro, senza alcuna replica, come se stregati dal suo gelido ascendente, aprirono una breccia e lei, chinando solennemente il capo per ringraziarli ma senza mai sorridere o proferire parola, ricominciò a camminare con lo stesso passo che aveva annunciato il suo arrivo in questa via. Appena entrò nella cerchia di persone, la donna continuò il suo cammino, apparentemente indifferente al nano, alla ragazza in lacrime e ai due uomini prepotenti poi, però, si fermò di colpo proprio vicino a loro. Senza che si fosse alcun mutamento nella sua espressione così fredda e riservata, la donna volse lo sguardo quella scena che ci aveva riempito gli animi di crudele angoscia. Lei si avvicinò alla ragazza piangente e impotente, e si frappose tra quest’ultima e Weselton. Quell’omuncolo era rimasto così colpito dalla fredda bellezza e dalla fiera durezza di quella creatura uscita dalle nebbie che aveva abbassato lentamente il bastone e parve che parte della sua rabbiosa indignazione fosse svanita come un fiammifero consumato. Che cosa avrebbe fatto quella donna ad Ailin? L’avrebbe umiliata e percossa, o invece l’avrebbe salvata e consolata? Andò così. Sempre con il viso immutabile, la gelida donna si chinò davanti ad Ailin, che continuava a tenere il capo abbassato e a singhiozzare silenziosamente. La donna mise la mano, con la quale teneva il suo bastone, sotto il mento della venditrice di profumi, alzando delicatamente la testa di quest’ultima, fino all’istante in cui gli sguardi delle due fanciulle s’incrociarono a vicenda. Quando Ailin vide quegli azzurri occhi così splendidamente gelidi, smise di piangere e sembrò che stesse ammirando lo sguardo imperscrutabile di un angelo. La donna osservò con invisibile curiosità il viso di Ailin, rigato da lacrime, segnato da un livido sulla guancia destra e insozzata dallo sputacchio di quell’ignobile di Weselton. Allora la donna mise l’altra mano in una delle tasche del suo abito, tirò fuori da essa un fazzoletto nero di raffinato tessuto e le rifiniture dorate e lo usò per pulire il volto della sfortunata Ailin. Per un attimo vidi Ailin che sembrava percepire un affilato freddo, come se il gelo emanato da quella donna si concentrasse soprattutto nelle sue mani. Non so se i miei occhi mi fecero un brutto tiro, ma ebbi la strana sensazione di vedere sul volto della misteriosa donna un sottile sorriso, che però non seppi intuire il significato. Dopo aver pulito il viso di Ailin, la donna strinse fermamente nella mano il fazzoletto inzaccherato, si rialzò in tutta la sua spettacolare freddezza e… si voltò verso Weselton, guardandolo intensamente negli occhi. Non saprei dirti quali sensazioni provasse quella donna per quell’odioso uomo, a causa della sua compostezza così fredda, calma e inespressiva. Per un attimo Weselton rimasse come di sasso nel vedere quella sorta di dea del gelo che lo squadrava da capo a piedi poi, cercando a stento di ricomporre il suo atteggiamento da importante membro del parlamento, fece una profonda reverenza alla creatura dalla platinata chioma e si presentò, tentando di fare un sorriso sotto i suoi ingrigiti baffi:
 
“Ehm, Sir Basil Weselton del parlamento al vostro servizio, amabile signora! Posso sapere, di grazia, il vostro nome?” Che razza di sfrontato cascamorto, con un grottesco servilismo nella voce, osò persino chiedere alla donna, con un gesto della mano, di fargli il baciamano. Sembrava che si fosse già dimenticato della povera Ailin. Comunque la misteriosa donna non sembrava dare molta retta alle svenevolezze di quel tappo con i bassi, nonostante non smettesse di osservarlo in modo enigmaticamente gelido. Allora successe un fatto così impensabile che, se fosse stato possibile, tutti i presenti, compressa la sottoscritta e Miss Bric, rimassero ancora più ammutoliti di prima, come se mancassero loro il respiro. La donna parlò con una voce che possedeva la forza, la bellezza e la freddezza di una regina:
 
“Il mio nome è Elsa Hyde, ma per voi sono soltanto la signora Hyde… e credo che questo sia vostro!” Con un impeto risoluto, seppur controllato, la donna lanciò con prodigiosa forza il nero fazzoletto contro il volto di Weselton, coprendolo delle offese asciugate dal volto di Ailin. Weselton, colto alla sprovvista dal gesto della donna che si faceva chiamare con nome di Elsa Hyde, si tolse il fazzoletto dalla faccia e lo gettò a terra, con l’animo convulso da furore e indignazione rinnovati, e iniziò a sbraitare con la solita voce sgradevolmente gracchiante:
 
“Come avete osato farmi questo inammissibile affronto? Prima la stracciona con le sue sozzerie e ora questo ignobile insulto, è forse una cospirazione, un complotto a danno della mia persona? Lo sapete almeno chi sono io?” Weselton sembrava persino più furioso che mai, ma la signora Hyde non sembrava impressionata o infastidita dalla reazione di quell’odioso nano contro di lei. La donna, con una calma impressionante e incrollabile, mise il suo bastone sotto il braccio sinistro, iniziò a togliersi con classe i guanti di seta, rivelando due mani candide come il suo viso e disse con una voce decisa, inflessibile, severa e quella che sembrava essere un sottile e gelido sarcasmo:
 
“Oh, si parla moltissimo di voi, caro il mio Weselton, come l’essere più abietto, crudele, disonesto, vile, schifato e prepotente di tutta la città! Mi sono dimenticata di qualcosa? Ah già… anche bruttino e pessimo corteggiatore. Se poi mi volete chiedere i nomi di tutte che parlano così male di voi, allora è meglio che voi sappiate che la lista è abbastanza lunga da avvolgere completamente il Big Ben come una mummia e ne avanzerebbe ancora parecchia…” La gente non riusciva a concepire, ed io con loro, che quella donna parlasse senza timore o rimosso in quel modo di fronte a Weselton, come se lei lo considerasse come una persona qualunque, o peggio, come un miserabile.
 
“Uomini! Prendete questa donna scellerata! Pagherà più della stracciona, anche se dovessi ridare alla Torre di Londra la funzione di prigione e buttarle entrambe in cella a marcire!” Strepitò rabbiosamente il baffuto corvaccio, mentre la donna, senza dargli retta, s’infilava i guanti nella tasca del suo abito e strinse nuovamente il suo bastone in mano e prese una curiosa postura, simile a un moschettiere pronto a sfoderare la sua spada. I due uomini, ricevuto il nuovo ordine del loro padrone, gettarono Ailin e la sua cesta con veemenza da una parte per strada e si lanciarono alle spalle della signora Hyde per agguantarla brutalmente ma lei, con la fredda prestanza di un leopardo delle nevi, rivelò la vera identità del suo bastone da passeggio. Un bastone animato! Hyde, infatti, sfoderò dal legnoso involucro nero una lunga e sottile lama scintillante, con l’impugnatura dell’argentato lupo convertita a elsa di spada e, con una fulminea a straordinaria agilità, fece una giravolta e… tranciò di netto le cinture dei due uomini, che rimassero all’istante con i pantaloni abbassati, mettendo in imbarazzante mostra le loro mutande bianche… a cuoricini rossi. Molte persone nella folla, me compresa, non poterono fare a meno di lasciarsi sfuggire delle risate, mentre i due uomini, paonazzi dall’imbarazzo, mettevano le mani davanti alla loro biancheria intima messa allo scoperto, solo la signora Hyde non rideva e sembrava non avesse ancora finito di dare loro una lezione. Lei rimise la lama nell’involucro di legno, ridandogli la funzione di bastone da passeggio, lo pose per terra vicino a lei e, senza alcuna esitazione, serrò con entrambe le sue mani bianchissime attorno alle gole dei due uomini. Essendo uomini grossi e vigorosi, per sopraffarli ci sarebbe voluto almeno un branco di leoni, ma la signora Hyde riuscì a sottometterli all’impotenza con una facilità disarmante. Infatti, nel momento in cui la donna aveva stretto le gole dei due uomini con solo entrambe le mani, questi ultimi crollarono in ginocchio tremolanti, divenuti pallidi come fantasmi, come se travolti da uno spaventoso freddo formato da cento e più inverni, con smorfie di terrore disperato sui loro volti. I due uomini cercavano di liberarsi dalla morsa di quelle mani così gelide ma furono sforzi inutili, perché era combattere contro una statua di ghiaccio che non poteva essere sciolta nemmeno con il fuoco. Io e il resto della folla rimanevo spaventati da ciò che succedeva e sembrava che la donna avesse intenzione di mettere fine all’esistenza dei due uomini… ma poi li lasciò andare, scaraventandoli a terra con vigorosa freddezza, come se fossero dei sacchi di patate, vivi e infreddoliti.
 
“Ora sparite, e alla svelta se possibile!” Disse Elsa Hyde con voce alta e inflessibile verso i due uomini, che si rialzarono a fatica, come se quel gelo mostruoso di prima avesse intaccato persino le loro ossa, e fuggirono, cercando di tenere su i loro pantaloni con le mani, facendosi largo tra la folla e lasciando il loro padrone in balia di quella donna di ghiaccio.
 
“Argh, per cosa li pago a fare quei due vigliacchi!” gracchiò imbestialito Weselton, ma poi si ammutolì improvvisamente quando vide la signora Hyde guardarlo nuovamente con uno sguardo ancora più freddo di prima. Poi lei passo da Weselton alla povera Ailin, che cercava di rialzarsi con grave sforzo da terre dopo essere stata buttata via dai suoi aguzzini come se fosse una cartaccia inutile. La donna spostò di nuovo lo sguardo verso la folla e lo puntò proprio verso me e Miss Bric. Quando vidi quegli gelidi azzurri occhi che mi puntavano contro, fui come percossa da una folata di gelido vento.
 
“Tu, vai a soccorrere la ragazza, ora!” mi ordinò con solenne freddezza quella donna, puntando il suo indice verso di me, poi spostandolo verso la povera Ailin. Non so se sia stato che mi stava a cuore la povera Ailin o il forte ascendente che la signora Hyde esercitò su di me, ma non esitai a eseguire il suo ordine, anche se avevo il cuore stretto da un inquietante e indefinibile timore. Corsi verso Ailin, la aiutai a rialzarsi e a recuperare la sua cesta, e la accompagnai dolcemente al sicuro nella folla, tra le braccia di Miss Bric, che la trattò come se fosse stata sua figlia. Mentre facevo tutto questo, non potevo evitare di osservare con grave terrore quella donna, così fredda e dura nel suo viso, dando l’idea che avesse il cuore di ghiaccio, nonostante sembrasse aver operato per mettere Ailin al sicuro dalle angherie di Weselton e dei suoi sgherri. Non riuscivo ad ammirarla come una valchiria che punisce i torti, ma solo a guardarla come se fosse uno spietato spirito di ghiaccio. La signora Hyde tornò a guardare gelidamente Weselton, che tremava piuttosto visibilmente nonostante cercasse inutilmente di nasconderlo.
 
 “Vi… avverto signora Hyde… io sono un fidato confidente della regina… una personalità di alto prestigio… potrei gettarvi nel pantano dello scandalo…”  Bofonchiava Weselton, con un tono di voce che sembrava lo spettro opaco della furente e determinata indignazione di poco fa, rotto da una paura tale che sembrava che l’uomo fosse al cospetto di Caronte il nero traghettatore. La donna, dopo aver ripreso da terra il suo bastone e rimessi i guanti, si avvicinò sempre di più verso quell’uomo, prima risoluto e ora impaurito. Per un singolo e interminabile attimo, pensai atterrita che lei avrebbe usato di nuovo il suo bastone animato… per compiere un delitto, proprio davanti ad una schiera di persone. Si fermò a solo due passi da Weselton e inizio a dire, con una freddezza più intensa che mai:
 
“Ecco cosa penso del vostro alto prestigio, Sir Basil Weselton…” Con una fulminea mossa, Elsa Hyde strappò il grosso cilindro dal capo di Weselton, lo sfondo con un pugno, poi gettato a terra e infine calpestato senza pietà, sotto lo sguardo incredulo di Weselton e della gente. Poi tolse il monocolo dalla faccia della sua vittima e lo scagliò a terra, frantumandolo così in mille pezzi. Privò Weselton del suo bastone e distrusse l’impugnatura d’avorio facendolo schiantare contro la strada, per poi buttarlo via come se fosse un profano cimelio destinato al rogo inquisitore. Poi, come Eolo, soffiò sulla chioma ingrigita di Weselton, rivelando a tutti che si trattava di un parrucchino, che cade a terra e fu calpestato anch’esso come il cilindro sotto gli stivaletti neri. Infine diete a Weselton un tale manrovescio da farlo trovare disteso per terra come se stesse su un letto. Poi pose con temibile fermezza un piede sul petto dell’uomo disteso per strada. Ansimando dal terrore e dal peso che quell’impietosa donna esercita con il piede sul suo petto, Weselton cercava di liberarsi, ma era come lottare contro una colonna di ghiaccio. Fu allora che lei abbassò il volto verso quello dell’uomo e gli disse, quasi sussurrando, con il sottile e gelido sarcasmo di prima:
 
“Per quanto riguarda l’idea di gettare il mio nome nello scandalo, avverto che per me non ha alcuna importanza… ma siccome s tratta di voi… potrei non esitare a far arrivare all’orecchio della regina i nomi di certe personalità legate al vostro. Ditemi, come stanno Roxane Belladonna, Dorothy Trinciacuori e Lucy Labbra di Fuoco?” Il discorso della donna aveva reso il viso di Weselton più pallido di un morto.
 
“E ora levati dai piedi, vecchio stoccafisso, o sarò io a gettarti sotto dieci metri di melmoso scandalo!” Disse la signora Hyde infine, con una scintilla di truce minaccia nella voce, e tolse il piede dal petto dell’uomo e lui, rialzandosi da terra faticosamente e tremante, fuggì via come un coniglio, facendosi largo tra la folla, come se inseguito dalla peste e strepitando in modo stridulo. Non sapevo cosa pensare di quella donna, che aveva strapazzato, umiliato e persino minacciato un membro del parlamento senza alcuna esitazione o pietà. Certo, Weselton aveva avuto il fatto suo per una volta ma quella donna sembrava più terribile e spietata di lui. La signora Hyde si girò verso in punto nella folla in cui c’eravamo io, Miss Bric e Ailin e si avvicinò a noi con il suo freddo incedere. Non sapevo cosa pensare, era come se l’avvicinarsi di quella donna nella nostra direzione mi gelasse mente e cuore in una morsa implacabile. Appena giunse a pochi passi da noi, Elsa Hyde disse senza cambiare minimamente il tono della sua voce e indicando Ailin con il bastone:
 
“Se mi seguite, la ragazza sarà risarcita del danno materiale, fisico e morale che gli è stato ingiustamente inflitto!” Nonostante tirassi un lieve sospiro di sincero sollievo nel sentire quella frase, non riuscivo a smettere di provare nei confronti della donna un pungente timore. Io, Ailin e Miss Bric seguimmo la signora Hyde, mentre la folla si disperse per tornare alle loro normali faccende quotidiane, soprattutto per dimenticare i fatti insoliti che avevano appena assistito, come se si fossero trattati solo di un effimero sogno, da cui è bene destarsi. I primi raggi del mattino lacerarono finalmente ciò che restava dell’oscurità notturna, dando ufficialmente inizio al nuovo giorno e gran parte delle grigie brume si diradò, ma non quelle che stavano nei paraggi della signora Hyde. Infatti, dovunque lei andasse, per quando i raggi del sole fossero luminosi e caldi, la zona che le stava intorno era ineluttabilmente avvolta da nebbie intense, umide e gelide, che nemmeno i giorni della merla erano capaci di tanto. Chiunque posasse gli occhi su di lei, anche solo per sbaglio, sentiva le vene congelare. Cani e gatti, che fossero domestici o randagi, rimanevano in silenzio e non osavano nemmeno avvicinarsi a lei, come se si trattasse di una minacciosa tigre siberiana. Insomma, era come se dal suo animo si espandesse un furente inverno che investiva impetuoso tutto ciò che lo circondava. Dopo qualche minuto di cammino, la gelida donna ci portò proprio davanti a questa porta!
 
Sì, cugina, la stessa porta che mi ha scagliato una tagliente inquietudine appena l’ho rivista. Giunte tutte e quattro davanti a quella soglia decrepita, Elsa Hyde estrasse frenetica, ma senza mai scomporsi una chiave dalle sue tasche. Entrò nell’edificio con la velocità del vento e uscì quasi subito, stringendo nella mano con severo contegno un assegno dal valore di cento sterline d’oro della banca Coutts, pagabile al portatore e firmato da un nome… Belle, è questo l’inspiegabile scandalo che ti ho accennato prima che dessi inizio a raccontare questa vicenda e mi fa tremare il cuore, il nome scritto su quell’assegno, che non era quello di Elsa Hyde, ma di un'altra persona! Non chiedermi di rivelarti il nome che era scritto su quel nefasto assegno, anche se si tratta di un cardine importante di questo racconto, un nome, comunque, molto famoso e che ricorre spesso sui giornali. Mi sentì rabbrividire nel vedere quel nome sull’assegno in mano a quella donna dai pensieri gelidi e indecifrabili. Il valore in sterline sull’assegno era elevato, ma quella firma valeva più di un diamante, se autentica. Vinsi con fatica il timore che provavo per quella donna e, coraggiosamente, gli feci notare che questa storia aveva un che di oscuro, poiché nella vita reale è improbabile trovare qualcuno che, di mattina presto, s’insidia nella porta di uno scantinato in rovina e ne salta fuori con un assegno di cento sterline firmato da un’altra persona, per giunta di notevole stima. Miss Bric mi appoggiò in questo e Ailin non sapeva se accettare oppure rifiutare quell’assegno. Elsa Hyde si accigliò leggermente, senza però mostrare segni di rabbia o offesa, e poi replicò senza scomporre la sua inalterabile freddezza, come un segno di sfida nei nostri confronti:
 
“Non vi dovette agitare! A quest’ora le banche staranno iniziando ad aprire i propri sportelli. Rechiamoci alla banca Coutts e li incasserò io stessa l’assegno!” Così ci avviammo tutte quante verso la banca. La fredda donna consegnò l’assegno e chiese di verificare se la firma era autentica o falsa. Purtroppo arrivò la conferma, senza troppo attendere, che era innegabilmente autentica. Appena riscosso il denaro e consegnato nelle mani di Ailin, che ringraziò e promise che lo avrebbe usato al meglio e con responsabilità, la signora Hyde si congedò da noi, facendoci notare che era rischioso parlare di questa storia dell’assegno in giro, senza apparentemente minacciarsi. Poi se ne andò, portandosi via con sé, come dei cani che seguono fedeli il loro padrone, la nebbia e il freddo innaturali e l’ultimo segno della sua presenza che avvertì prima che svanisce era il suono dei suoi passi, gelidi e inflessibili. La vicenda che hai appena ascoltato, cugina, finì in questo modo: Ailin riceve il suo risarcimento e con quel denaro aprì una bancarella di profumi nel mercato rionale, dove ora è aiutata dagli altri commercianti e protetta dai poliziotti del quartiere. Weselton, dopo qualche giorno, consegnò alla corona le sue dimissioni dal parlamento senza dare spiegazioni e sparì dalla città di Londra assieme ai suoi sgherri e non fece più ritorno, come se stesse scappando da una minaccia innominabile. Dopo quella volta, io e Miss Bric ci promettemmo a vicenda di non raccontare a nessuno, neanche a te cugina, non per la silente minaccia di Elsa Hyde, ma per il timore di portare nello scandalo la persona che firmò quell’assegno. Si tratta di una brutta faccenda! Quella donna di ghiaccio era un individuo con il quale nessuno avrebbe voluto a che fare, una creatura insensibile; mentre chi aveva firmato l’assegno, era la personificazione della bontà e della dolcezza e, quel che è ancora più struggente, un angelo che non esita mai ad aiutare gli altri senza aspettarsi riconoscenze, solo il piacere di vederli sorridere. Ricatto ecco la parola giusta! Una calda e gentile persona che sborsa una simile cifra in assegno per un essere gelido e indifferente. Ecco perché chiamo lì edificio con quella porta la Casa del Gelido e Scandaloso Ricatto, sebbene anche questo, è evidente, non riesca a far sorgere alcuna spiegazione plausibile. Quello che sto cercando di dirti, cugina, è che Elsa Hyde e una creatura immonda nata con il cuore di ghiaccio duro, Insensibile, spietata, calcolatrice, maestra nel plagiare, ingannare con la maestria di Loki, umiliare e usare le persone per i suoi scopi. Sospetto, infatti, che quella volta al mercato, quella donna avesse compiuto quelle azioni non per aiutare una poveretta come Ailin, ma per umiliare e rovinare Weselton, provando un silente piacere nel farlo, celandolo nel suo animo glaciale, e avesse risarcito la povera venditrice di profumi solo per fare bella figura e nascondere ciò che egli e veramente. Una strega di ghiaccio, un mostro dedito a ricattare e distruggere persone con gelida raffinatezza e sottile sagacia! L’aura di gelo intorno a lei nasconde i suoi propositi indicibili e crudeli, sempre in agguato a scatenarli quando più gli conviene e il suo forte e rigido ascendente sembra renderla intoccabile. Questa è la mia conclusione, cugina. Per quanto mi riguarda, anche se spero che il cielo mi perdoni, Elsa Hyde non è un essere umano, ma un demonio plasmato nei ghiacci degli inferi.

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Capitolo 5
*** IV - Pazzia o Infamia? ***


Pazzia o Infamia?
 
Con quelle ultime parole appena pronunciate, Rapunzel sembrò perdersi in una cupa meditazione. Belle guardò sua cugina in un frammisto di preoccupazione e sorpresa. Infatti, conosceva la bionda fanciulla da una vita, e non l’aveva mai sentita parlare di qualcuno in quel modo, come se stesse descrivendo con timore uno spettro maligno. Lo sguardo di Belle distolse Rapunzel dalle sue riflessioni:
 
“Perdonami cugina… temo di aver esagerato nelle mie ultime parole, ma ogni volta che ripenso a quel giorno e a quella fredda donna, sento subito un gelo che mi punge l’anima, rendendo i miei pensieri sempre cupi e diffidenti nei suoi confronti, come una specie di anatema…” Belle riflette un attimo sulle parole di Rapunzel, poi gli chiese a bruciapelo, cercando però di avere comunque un tono calmo e gentile:
 
“Non sai se la persona che firmò quell’assegno abita in questo edificio?” Rapunzel rispose:
 
“Un amabile posticino non è vero? No, ne sono sicura perché avevo visto solo di sfuggita il recapito; quella persona vive in una piazza, però non so bene dové.” Belle ritornò a chiedere:
 
“E tu o Miss Bric non avete mai chiesto informazioni su questo fabbricato?” Rapunzel si fece un po’ più seria:
 
“Io e Miss Bric non abbiamo mai approfondito, volevamo dimenticare quella malnata vicenda, anche se in questo frangente ti ho dovuto parlarne. Inoltre volevamo evitare il rischio di portare il firmatario di quell’assegno nello scandalo.”
 
“Penso di poter comprendere le vostre ragioni.” Disse l’avvocata. Poi Rapunzel disse:
 
“Certo, quando sono giunta davanti a questo edificio per la prima volta, non potei evitare di osservare gran parte dei suoi particolari. Non sembra abitata. Di porte c’è solo quella e non vi entra o esce anima viva, eccetto la nostra gentildonna, anche se molto raramente. Se guardi bene al piano superiore, puoi notare una finestra che si affaccia sul cortile. Quella finestra è sempre sbarrata, ma con i vetri puliti. Poi c’è un comignolo che vomita fumo nerastro, perciò qualcuno deve pur viverci in quell’edificio. Anche questa però non è una prova, perché su quel cortile si accatastano tali e tanti edifici, tanto che è difficile stabilire dové finisca l’uno e cominci l’altro!” Le due fanciulle passeggiarono per un certo tratto di selciato, in silenzio, poi Belle disse, con un tono deciso ma delicato allo stesso tempo:
 
“Cugina, capisco che rievocare questa vicenda ti metta in grave disagio, e non che vuoi creare scandalo. Questo l’avevo ormai intuito da un pezzo, fin da quando mi hai descritto questa signora Hyde, ma se non ti chiedo il nome del firmatario di quell’assegno, è perché già lo conosco. Vedi Rapunzel, il tuo racconto ha un significato per me molto più profondo di quanto tu possa concepire!”  La bionda ragazza guardò sua cugina con grande sorpresa e gli disse con una sfumatura di sdegno:
 
“Potevi anche dirmelo subito cugina! Non sono più una bambina!” Belle, con dolcezza, gli replicò:
 
“Perdonami se non ti ho detto subito su ciò che già sapevo, ma ora dimmi, sei sicura che quella donna, Hyde, usasse una chiave?” Rapunzel rispose:
 
“Quella… donna aveva una chiave e, quel che più conta, c’è l’ha ancora, perché per sbaglio sono giunta vicino a questo edificio circa qualche giorno fa e l’ho vista usarla. Anche quella volta, seppur di sfuggita, mi sia sentita il cuore stretto da una fredda morsa di ghiaccio…” La signora Utterson trasse un profondo sospiro, poi disse:
 
“Cugina, questa faccenda potrebbe essere più intrigata di quando sembri già, quindi me ne occupi io… se mai dovessi scoprire qualcosa su questa storia, senza provocare scandalo inutile a nessuno che non lo meriti, te lo farò sapere! Per ora promettiamoci di non parlarne più finché non ci sarà un epilogo su questo… insolito caso.” Le due cugine si scambiarono quella promessa con un sorriso reciproco d’intesa e ritornarono a passeggiare per le vie di Londra, con i cuori un po’ più risollevati. In quello di Belle però c’era ancora un lieve alone di cupezza, perché l’avvocata conosceva due particolari salienti di quell’insolita storia, e non voleva per ora rivelarli a sua cugina. Belle sapeva benissimo, dove portava quella lugubre soglia che ormai era conosciuta come la porta del ricatto. Inoltre aveva già sentito il nome di Elsa Hyde e sapeva già che quel misterioso nome aveva un legame inspiegabile con colei che aveva firmato quell’assegno. Si trattava della dottoressa Anna Jekyll, cliente affezionata dello studio legale degli Utterson e, soprattutto, migliore amica di Belle fin dall’infanzia.
 
 
Quella sera, dopo aver consumato la cena preparata e servita da Miss Bric e Lumiere, Rapunzel si diresse in camera sua per mettersi a letto, mentre Belle si avviò verso lo studio in cui lavorava assieme al marito nell’ambito legale. Nell’ufficio, in quel momento, c’era il signor Tockins, che stava finendo di sistemare alcune importanti pratiche. Una volta che l’uno e l’altro si furono scambiati, con reciproca gentilezza e rispetto, la buonanotte, Tockins lasciò lo studio, mentre la signora Utterson vi rimasse e andò ad aprire una cassaforte nella parete, celato dietro un grande quadro sulla cui tela era dipinto un vaso colmo di meravigliose rose rosse. Rimosse dall’angolo più riposto della cassaforte un plico su cui era vergata la dicitura Testamento della Dottoressa Anna Jekyll. L’avvocata mise lo scottante documento su un tavolino vicino alla elegante poltrona rossa sulla quale si era seduta. Dopo un attimo di esitazione, belle si mise a leggere quel testamento. Si trattava di un testamento olografo perché la signora Utterson, sebbene lo avesse ricevuto in custodia dopo che era stato redatto, si era rifiutata nel modo più assoluto di contribuire alla sua stesura. Osservando il documento con aria accigliata e cupa, Belle pensava:
 
“Sapevo di riconoscere questo nome… infatti, e presente nel testamento di Anna! C’è scritto nero su bianco che, nell’eventualità che essa dovesse scomparire, tra i suoi maggiori beneficiari ci sarebbe… questa nuova e misteriosa amica… una donna che si fa chiamare… Elsa Hyde!” Da tanto tempo quel documento era una vera spina nel fianco per l’avvocata. Fino allora Belle sentiva la sua anima ribollire d’indignazione per il semplice fatto che non sapeva nulla riguardo alla signora Hyde: adesso, per un improvviso e imperioso rovesciamento, perché sapeva. Era un caso già esageratamente insolito, legato a quel nebuloso nome del quale non riusciva a sapere niente. Diventava però senz’altro terribile quando quel nome cominciava a prendere forma tramite i gelidi e seducenti lineamenti descritti da Rapunzel Enfield. Anche se ancora non l’aveva conosciuta di persona, Belle non aveva una buona sensazione in quella donna misteriosa, descritta come portatrice di gelo, timore e inquietudine.
 
“L’avevo attribuito a pazzia…” Pensava l’avvocata, riconsegnando alla cassaforte l’odioso plico.
 
“… ora temo che si tratti di un’orribile infamia…” La signora Utterson si ripromise di non parlarne a nessuno, nemmeno a sua cugina, di ciò che sapeva sul testamento di Anna, almeno finché non si sarebbe sistemato questo insolito caso o solo per assoluta necessità, cercando comunque di non causare alcuno scandalo eccessivo, se il cielo lo avesse voluto. Mentre usciva dallo studio per andare a letto, la signora Utterson decise che l’indomani si sarebbe diretta alla dimora della dottoressa Jane Lanyon, sua amica d’infanzia e di Anna. Forse Belle avrebbe reperito da Jane informazioni su quella misteriosa donna di ghiaccio. Ormai, quando l’orologio a pendolo nel soggiorno stava per scandire la mezzanotte, tutti gli abitanti di casa Utterson stavano già dormendo.
 
 
 
Il giorno dopo, quando ormai la luce del mattino illuminava tutta Londra, Belle uscì da casa, dirigendosi verso Cavendish Square, santuario di medici e dotti, dove abitava la sua cara amica, la famosa dottoressa Jane Lanyon, grande esperta di scienze naturali, medicina e talentuosa nel disegno.
 
“Spero tanto che Jane possa dirmi qualche informazione rilevante su questa faccenda si Jekyll e Hyde… se sarà necessario, allora gli riferirò in segreto quello che so sul testamento…” Si diceva Belle. Poco dopo, l’avvocata si trovò davanti alla porta d'ingresso della dimora di Lanyon. Belle suonò il campanello, e subito dopo sopragiunse per risposta dall’interno della casa una strana voce stridula e gracchiante che stilava:
 
“Craaa! Craaa! Scocciatori alla porta! Scocciatori alla porta! Craaa! Non vogliamo comprare le vostre enciclopedie della domenica! Ne abbiamo già troppe qui dentro! Craaa!” La donna si limitò a un lieve sorriso divertito, perché sapeva bene a chi apparteneva quella voce così bizzarra. La porta si aprì dopo qualche secondo e sulla soglia apparve una giovane donna, che doveva avere circa l’età di Belle, vestita con grazioso abito giallo. Aveva una lunga chioma castana, due dolci e vispi occhi azzurri, le guance e le labbra teneramente rosee e le palpebre di un tenue color lavanda. La dottoressa Lanyon, appena vide Belle, la accolse con il più cordiale e loquace benvenuto che si potesse immaginare, con un pizzico di teatralità, ma puramente sincerò. Jane fece poi accomodare la nuova arrivata nel salotto, adibita anche come studio medico per i suoi pazienti, per farli così sentirli a proprio agio durante le visite. Sopra allo scrittorio della dottoressa, appollaiato in una gabbia argentata, c’era il proprietario di quella strana voce che la signora aveva udito poco fa. Era un pappagallo rosso, con le punte delle ali tinte di blu, il becco e le zampe entrambe giallo oro. Appena l’esotico uccello vide Belle, gracchiò con fare sfacciato:
 
“Craaa! Ciao pulzella! Craaa! Vuoi dare bacetto al piccolo Iago? Craaa!”
 
“Iago! Ti ho già un miliardo di volte di non infastidire gli ospiti che vengono a farmi visita, e lo stesso vale per i pazienti!” Riproverò Jane al suo animaletto domestico, quest’ultimo mise arrogantemente il broncio.
 
“Sempre adorabile il tuo Iago, eh?” Rise lievemente Belle.
 
“Guarda, cara, se questo pettegolo insolente con le piume non appartenesse a una specie rarissima, lo avrei già messo in forno a cuocerlo, tanto di mela in bocca!”
 
“Craaa! Iago odia le mele! Craaa!” Le due giovani donne non poterono evitare di ridere divertite. Belle sapeva che Jane, nonostante tutto, in realtà voleva un gran bene a quell’irritante e adorabile pappagallo, e lo era anche viceversa, anche se il pennuto non lo avrebbe mai ammesso apertamente. Lanyon preparò del buon tè e diete qualche biscotto al suo irritante ma simpatico pappagallo, così da tenerlo buono e zitto, in modo che non disturbasse la conversazione tra lei e la sua cara amica. Dopo un po’ che le due donne parlarono del più e del meno, Belle decise di aprire il discorso sulla faccenda che la preoccupava con pungente pertinacia. Iniziò quindi a dire rivolta alla dottoressa Lanyon:
 
“Suppongo cara Jane, che tu ed io siamo le amiche più care di Anna Jekyll!”
 
“Supponi bene Belle!” Rispose sorridendo Jane, continuando poi a parlare, facendosi però un po’ più seria:
 
“Anche se ultimamente Anna ed io abbiamo qualche attrito, pur solo a livello professionale e scientifico!”
 
“Che indenti dire?” Domandò Belle. Jane Lanyon allora rispose:
 
“Tu sai che la nostra cara Anna è una brava studiosa in campo medico, chimico e psicologico, e persino filantropa, adorabile oratrice e virtuosa nel violino ma… da un po’ di tempo addietro si è messa in testa idee e teorie bizzarre sul comportamento e sulla personalità dell’animo umano, che le alte sfere delle varie accademie le hanno giudicate come sproloqui pseudoscientifici, anche se ciò non sembra aver intaccato lo spirito gioioso, esuberante e gentile di quella ragazza, anche si diventa leggermente irritabile su quest’argomento.”
 
“Anna ha sempre avuto fin da bambina un temperamento del genere, oltre che piena di curiosità, eccentricità e fantasia!” Intervenne Belle, ripensando per un attimo all’infanzia trascorsa assieme ad Anna.
 
“Troppo fantasiosa ed eccentrica a volte, soprattutto quando si parla di argomenti scientifici con lei!” Replicò Lanyon e, dopo un breve sorso di tè, continuò:
 
“Anche se mi sento tuttora legata a lei in nome dei tempi andati, non sono capace di sostenere le sue idee campate in aria!” Aggiunse poi, facendosi paonazza:
 
“Se non mette la testa a posto al più presto, quella ragazza potrebbe rischiare di essere bollata come un’eretica dal mondo scientifico!” Quel guizzo di rabbia in Jane fu un sollievo per la signora Utterson:
 
“Si tratta solo di dissapori professionali scientifici!” Pensò, e poi che la sua attenzione alla scienza fosse più fievole di un respiro su uno specchio, salvo che non si trattasse di cause legali, non si pentì di aggiungere nei suoi pensieri:
 
“Dunque niente di grave…” Belle lasciò alla sua cara amica qualche istante perché si riprendesse il proprio contegno e quindi giunse al nocciolo della questione a lei cara, rivolgendo alla ricercatrice la fatidica domanda per la quale era venuta:
 
“Hai mai incontrato o sentito parlare di una nuova protetta di Anna… che si chiama Elsa Hyde?”
 
“Hyde?” Fece eco Jane Lanyon, con aria di perplessità sul volto.
 
“No, mai sentito questo nome prima d’ora…”
 
 
 
Furono tutte qui le informazioni che la signora Utterson si portò dietro, in quella sua grande e comoda poltrona nella stanza che condivideva con il suo amato marito, dove vi rimase seduta a meditare sulla faccenda senza requie, fino all’ora di pranzo. Aveva deciso di non parlare a Lanyon della faccenda su Jekyll e Hyde, fino a che non avrebbe trovato risposte per svelare il mistero di quell’insolito caso. Dopo pranzo, Belle passò il resto del giorno a sistemare le pratiche di alcuni vecchi casi giudiziari portati avanti da lei e il suo consorte, così da tenersi occupata fino a cena, anche se quell’insolita faccenda era come un aggressivo tarlo nella sua testa. Per un incredibile miracolo, Belle era riuscita a nascondere la sua preoccupazione e cupezza dai suoi domestici e persino da sua cugina. Quando scese la notte però, il sonno tardava a giungere nel letto matrimoniale a baldacchino, e quando finalmente arrivò, arrecava ben poco sollievo alla sua mente travagliata da mille interrogativi. Quando l’orologio a pendolo cantò il battito dei dodici rintocchi di mezzanotte, lei se ne stava ancora a ponderare la mente attorno a quell’enigma così insolito e intrigante. Sino allora aveva stuzzicato soltanto la sua curiosità, ma ora sembrava avesse soggiogato anche la sua immaginazione. Mentre giaceva immobile senza un attimo di tregua nell’oscurità, resa ancora più inaccessibile dai pesanti tendaggi della stanza, le parole dei fatti esposte da Rapunzel e ciò che aveva letto su quel testamento l’altra notte diedero forma a immagini come una lanterna magica. Belle non sapeva se era la sua immaginazione a prendere il sopravvento o se un sinistro torpore l’aveva stretta nel suo abbraccio e ora stava sognando. Il sogno più inquietante che Belle avesse mai fatto. Era come se i dubbi e le ansie che Rapunzel provava nei confronti di Elsa Hyde, simili alla peste bubbonica, avessero attecchito la mente e l’animo di Belle.
 
Egli, infatti, immaginava, o forse sognava Londra completamente imprigionata da un velo di ghiaccio durissimo e azzurro. La città era inoltre sommersa da un mare di nebbia argentata. Il cielo era ricoperto da nubi scurissime, dalle quali scendevano imperiosi e sferzanti innumerevoli fiochi di neve. Ciò che però inorridiva Belle era che le strade della città erano invase da burattini di dimensioni d'uomo, plasmate nel ghiaccio, con un buco a forma di cuore nel petto e le fattezze dei londinesi, comprese tutte le persone a lei più care. Improvvisamente un vento soprannaturale iniziò a soffiare ferocemente e prese con sé le scuri nubi, la neve sferzante e la fitta nebbia, fondendoli insieme e dando forma e vira propria a una gigantesca figura femminile che sovrastava l’intera città. La fredda creatura non aveva un volto attraverso il quale Belle poteva riconoscerla: persino in quella fantasia, immaginaria o onirica che fosse, appariva senza volto, o si trattava di un viso sempre elusivo, pronto a celarsi dinanzi al suo sguardo, come se indossasse un etereo cappuccio, capace comunque di sottomettere uomini e donne al suo dominante e terrificante ascendere. L’entità di nubi, nebbia e neve muoveva le mani come un sinistro burattinaio, i cui fili invisibili ed eterei si snodavano in ogni angolo e vicolo di Londra, ed erano legati ai gelidi burattini, che iniziarono a camminare e muoversi in modo grottesco ai suoi comandi, come miseri giullari privi di allegria. Fu allora che Belle si rese conto che si muoveva contro la sua volontà, perché anche lei era una fredda marionetta che possedeva le sue fattezze, come tutte le altre. Senza cuore… senza volontà… senza speranza… senza futuro… imprigionata come gli altri londinesi ai voleri di quell’essere freddo e impaccabile come l’inverno, senza nemmeno rendersi conto di ciò che succede…
 
Per un enorme sforzo di volontà, Belle si ridestò dalla sua fervida immaginazione alla quale gli era stato allentato il guinzaglio, o da quello che poteva essere un gelido incubo. Fu così che nella testa della giovane donna germogliò e crebbe quanto mai imperiosa, spasmodica, la curiosità di vedere la fisionomia della vera signora Hyde. Se mai gli fosse stata concessa di posare una sola volta almeno lo sguardo su di lei, era convinta che tutto quel misterioso enigma fosse destinato a diradarsi come nebbia, come in genere accadde con fatti innaturali quando sono osservati da vicino. Avrebbe potuto cogliere il senso di quella strana predilezione, o vincolo (attribuitegli il nome che più vi aggrada) e persino delle clausole insolite sul testamento. Senza contare infine che doveva essere un viso che valeva la pena di vedere: il volto di una donna fredda, capace di celare emozioni e sentimenti con solenne scaltrezza. Un volto la cui semplice comparsa. Accompagnata dal gelo che lo avvolgeva come un velo invisibile, aveva suscitato nell’animo di Rapunzel, in genere così lieta, solare e vivace, un senso di morboso timore e diffidenza inusuale. Alzandosi per un attimo sul letto, Belle si ripromise che avrebbe incontrato e affondato di petto quella fantomatica Elsa Hyde a qualsiasi costo, senza coinvolgere  qualcun altro in questo insolito caso, se non era necessario, e avrebbe chiarito quello che poteva essere un malsano legame tra quella gelida donna e l’amabile dottoressa Anna Jekyll.

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Capitolo 6
*** V - Alla Ricerca della Signora Hyde ***


Alla Ricerca della Signora Hyde
 
Da quel momento in poi, la signora Utterson iniziò a sorvegliare quell’uscio famigerato, sperduto nel mare dei lindi fabbricati. Si poteva scorgere in quel quartiere la presenza della sua elegante persona il mattino prima dell’orario d’ufficio, sul mezzogiorno quando il lavoro ferveva e il tempo disponibile era come un contagocce, di notte sotto gli occhi velati della luna. Con ogni luce possibile, a tutte le ore che si possano concedere, di trambusto e di quiete, anche con il vento, la pioggia, la nebbia e le tenebre, la donna rimase a sentinella di quella porta del ricatto. Per mantenere la segretezza di quelle sue uscite, Belle aveva spiegato ai suoi domestici che doveva recarsi da un possibile cliente che richiedeva la massima riservatezza. Altre volte invece Belle lo faceva di nascosto, all’insaputa degli altri. Solo Rapunzel sospettava su dove andasse sua cugina, ma non volle approfondire o fargli domande, avendo in lei grande fiducia. Anche se non gli piaceva dover nascondere la verità in quel modo, l’avvocata sapeva che la situazione lo esigeva. Alla fine, dopo quasi una settimana, giunse la ricompensa per la sua paziente attesa.
 
La via era invasa da una foschia grigia che si avvinghiava come edera in ogni angolo del quartiere, la luna era malinconicamente opaca, l’aria frizzante e i lampioni faticavano a illuminare gli edifici. Pareva una notte stregata. Verso le dieci, quando negozi e botteghe erano già chiuse, gli ultimi echi di vita quotidiana si percepivano appena. Si trattava di suoni circa familiari, come una massaia che finisce di rimettere a posto il suo regno di pentole e mestoli, un bimbo che si fa leggere una novella dalla madre, i versi degli animali, che fossero cani o gatti, domestici o randagi, e i passi dei viandanti notturni. La strada, in cui si trovava il tetro fabbricato, si faceva deserta e silenziosa, nonostante quei lievi suoni famigliari. La signora Utterson faceva la guardia da qualche minuto appena era arrivata, quando avvertì dei passi insoliti che si avvicinarono. Durante le sue perlustrazioni notturne aveva reso il suo udito più acuto di quanto lei stessa potesse immaginare, capace di percepire i passi di una persona singola che spiccavano all’improvviso, per quanto ancora distanti, sul possente ansimo e frastuono della città. Si ritrasse dietro l’angolo d’accesso del cortile del decrepito fabbricato con il chiaro e istintivo presentimento che quella fosse la fatidica occasione che aspettava.
 
I passi che la signora Utterson aveva udito erano simili a quelli descritti da sua cugina: il loro incedere, per quanto il suono fosse basso, avevano una funebre solennità tale da zittire ogni altro rumore o bisbiglio. Era come se il tempo si fosse bloccato di colpo. Passi regolari, privi di qualsiasi incertezza, da renderli persino inquietanti. I passi si stavano avvicinando con elegante rapidità e all’improvviso, appena imboccata la via, echeggiarono con più fredda solennità. Belle allora si sentì di colpo investita da un freddo pungente, come se fosse stata morsa da una vipera di ghiaccio e notò che la nebbia si era fatta ancora più intensa di poco fa. Come se quei passi avessero qualcosa di malefico. Sporgendosi dal cantone, l’avvocata poteva ormai rendersi conto con che genere di persona aveva a che fare. Senza ombra di dubbio, era la donna descritta da sua cugina. Bellissima come il ghiaccio, alta e statuaria, abiti scuri che avvolgevano la sua elegante sagoma, teneva in mano il bastone con l’argentata testa di lupo, e il suo volto era quasi nascosto dal copricapo a tese larghe e una sciarpa che la avvolgeva quasi con gelida tenerezza, anche se si poteva scorgere il cantore della sua pelle, che era persino più luminoso dei lampioni quasi soffocati dalla nebbia. Nel vedere quella donna, Belle sentì un nuovo gelo, ancora più spaventosamente intenso di prima, schiacciargli il cuore. La nuova venuta si stava avvicinando senza indugi al decadente edificio, quando si bloccò improvvisamente, proprio davanti all’entrata del cortile, senza però lasciarsi trasparire ansietà o nervosismo nella sua persona. Il suo respiro, quasi impercettibile, non aveva sussulti o esitazioni, e continuava ad essere cupamente regolare.
 
Belle pensò per un agghiacciante attimo di essere stata scoperta, poi però si accorse che la signora Hyde aveva girato la testa dalla parte opposta del suo nascondiglio dietro l’angolo dell’edificio. L’avvocata, sollevata, tirò un silenzioso sospiro e allora percepì altri due paia di passi si avvicinarono verso la signora Hyde, proprio dalla direzione in cui guardava quest’ultima. Passi dal suono furtivo e ambiguo. A causa della nebbia e della tensione del momento, la signora Utterson non s’è ne era accorta. Fu allora che vide due figure nere, che avevano imboccato la via e sembrava che si dirigessero proprio verso la gelida donna. Da prima erano solo due sagome indistinte, una era alta e magra, l’altra bassa e rotonda, poi quando si fecero più avanti verso la signora Hyde, la loro natura si fece evidente. Erano due uomini, che sembravano essere usciti da una canna fumaria. Uno di loro era altissimo e magro, con un lungo naso che ricordava il becco di un corvo, quasi calvo di capelli neri, con occhi e ghigno dalla gentilezza ambigua e sospetta. L’altro uomo era notevolmente più basso e tozzo del primo, anch’egli con pochissimi capelli neri in testa. Aveva anch'esso un naso a becco, leggermente più corto dell’altro uomo e uno sguardo un po’ più goffo e ingenuo. Entrambi i due uomini avevano in testa dei berretti scuri schiacciati e indossavano abiti neri, vecchi, rattoppati e lerci. Essi si avvicinavano entrambi come avvoltoi verso la fredda donna, che sembrava indifferente della loro presenza e non si vedeva alcuna emozione nei suoi meravigliosi e gelidi tratti sul suo viso. Ognuno di quegli uomini teneva le proprie mani sprofondate nelle tasche, come se volessero celare nelle loro sporche dita oscuri segreti, e si fermarono a un paio di passi dalla signora Hyde.
 
“Buona sera, graziosa dama, i miei più rispettabili ossequi!” Si fece avanti lo spilungone, levandosi il berretto e facendo una profonda riverenza davanti alla signora Hyde, e con una voce così educata e gentile da essere sospetta. La donna continuò a osservare i due loschi figuri, senza mai tradire alcun segno di timore o nervosismo.
 
“Altrettanto, se la cosa vi fa piacere… che cosa desiderate, distinti signori?” La voce della donna fece gelare l’animo di Belle. Dura, solenne, inflessibile e seducente allo stesso tempo. Persino i due loschi figuri rimassero impressionati all'udire quella voce così fredda. Ciò nonostante, mentre si rimetteva il cappello in testa, il più alto dei due fece un passo avanti verso la signora Hyde e gli disse, con una cordialità nella voce da sembrare melensa e sospetta:
 
“Vede, mia cara signora, io e il mio compare qui accanto pensavano che una graziosa dama come voi non dovrebbe passeggiare di notte per la città di Londra! Persino in quartieri benestanti come questi ci sono tanti delinquenti in giro, pronti ad attendare alla vostra borsa e alla vostra persona, non è forse così, mio vecchio Orazio, eh?” Il losco spilungone diete allora una vigorosa pacca sulla schiena del povero Orazio, che quasi rischiò di cadere a terra a faccia in giù.
 
“Si… Si… Gaspare ha proprio ragione, un sacco di lestofanti, malintenzionati, canaglie, mascalzoni…” Disse il baffuto ometto, mentre si riprendeva dalla pacca di Gaspare che gli aveva quasi scassato la schiena, e aveva inizio a elencare tutti i titoli che si potevano attribuire a un criminale, contandoli con le dita delle mani.
 
“Ora non esagerare razza di Idiot… ehm, mio caro amico!” Esclamò Gaspare, quasi sul punto di perdere la calma, ma si trattene, limitandosi a dare un bel calcione al sedere del suo compare. Mentre Orazio si massaggiava il suo fondoschiena dolorante, Gaspare continuò, rivolgendosi alla signora Hyde con un distorto sorriso di losca cordialità:
 
“Perciò, ecco, Orazio ed io ci chiedevamo se per lei, cara e soave dama, fosse un piacere che noi due la scortassimo diligentemente alla sua sicura dimora.” Mentre Gaspare diceva questo, la signora Hyde si era intanto sfilata i guanti con cupa eleganza, rivelando due mani dal gelido e delicato cantore, e li infilò poi in una tasca delle sue vesti.
 
“Sono molto onorata della vostra proposta, siete così gentili…” Cominciò a dire la signora Hyde, senza mai tradire esitazioni ed emozioni nella voce e nel suo sguardo.
 
“… ma vedete, io sono già davanti alla mia dimora, quindi non ho bisogno della vostra scorta… buona notte signori…” Allora Elsa Hyde diete le spalle dei due uomini e si diresse senza esitazione perso il cortile, ma improvvisamente una mano nodosa e rapace la afferrò per il braccio, nella cui mano stringeva il bastone, anche se la donna non ebbe turbamenti o sussulti in volto e nel corpo, nemmeno quando si ritrovò una lama di coltello a un centimetro dal suo collo.
 
“Allora non le dispiacerà se lei ci invita in casa sua… sa, giusto per fargli compagnia…” Diceva Gaspare, con un tono di voce feroce e uno sguardo cattivo, stringendo con più forza il polso della donna, che quest’ultima però sembrasse non provare dolore o fastidio.
 
“Un modo elegante per dire o la borsa o la vita, non è forse così?” Disse Elsa Hyde, con una voce priva di qualsiasi terrore o disperazione, come se non si preoccupasse della sua vita in pericolo. L’avvocata, dal suo nascondiglio, era scioccata per la scena che si presentava davanti ai suoi occhi e non sapeva se intervenire o chiedere aiuto alla polizia, per paura che quei due loschi uomini potessero far del male alla loro vittima o peggio! Elsa Hyde continuava, però, a non mostrare paura e disperazione, come se il suo volto fosse duro come ghiaccio. A quel punto, la gelida signora, con l’altra mano ancora libera, afferrò di scatto quella del farabutto che stringeva il manico del coltello e fu questione di un attimo, anche meno. Un gelo devastante, più spietato dell’inverno della Scandinavia, invase corpo, mente e anima del furfante, che sembrò divenire debole, pallido e più rigido di una statua. La signora Hyde riuscì così a liberarsi della presa di Gaspare, disarmandolo del coltello e gettandolo a terra senza pietà come un lurido straccio.
 
“Come potete costatare io non ho bisogno di alcuna scorta! So benissimo difendermi con le mie sole forze!” Disse Elsa Hyde, mentre osservava impassibile il povero Gaspare, ancora stretto da quell’orribile e spettrale freddo, mentre cercava a gran fatica di rialzarsi. Belle vide però che Orazio aveva estratto anche lui un coltellaccio, la cui lama riluceva alla fioca luce dei lampioni e si avventò come una furia alle spalle di Elsa Hyde. Per un attimo la signora Utterson era sul punto di uscire dal suo nascondiglio e avvisare la signora Hyde del vile attacco, ma sembrava che quest’ultima avesse gli occhi dietro la testa. Infatti, senza voltarsi, Elsa Hyde si scansò da un lato e Orazio mancò in pieno il suo bersaglio. Con il bastone poi, l’inespressiva donna fece inciampare e rotolare per terra il suo aggressore.
 
“Dannata strega… ora ti sistemo io…” Imprecò Gaspare, rialzandosi in piedi anche se con grande sforzo, con il coltello nuovamente in mano, pronto a scagliarsi contro la signora Hyde, mentre quest’ultima sfoderò dal suo bastone una lunga lama, più sottile e lucente dei coltellacci dei due aggressori. Belle sentì come un nuovo freddo, più spietato che mai, come se tutto il gelo del mondo si concentrasse nell’elegante lama di Elsa Hyde. Con abile e agile mossa degna di un maestro spadaccino, la gelida dama ferì il dorso della mano di Gaspare con la quale stringeva il pugnale, che gli scivolò per l’immane e gelido dolore. Una fitta tale da far gridare Orazio in modo straziante e l’uomo si ritrovò in ginocchio davanti a piedi della signora Hyde, mentre Orazio stava tremando come una foglia, disteso con la faccia per terra e le mani sulla testa, senza mai osare rivolgere lo sguardo verso colei che sarebbe dovuta essere la loro preda, e invece si era rivelata una predatrice priva d’indulgenza. Bella era sbalordita nel vedere come la signora Hyde era riuscita a sistemare i suoi aggressori con raffinata spietatezza. Allora, puntando la lunga lama lucente verso i due uomini impotenti, Elsa Hyde si rivolse a loro con un nuovo tono nella voce.  Una fredda e intensa rabbia, eppure elegante e controllata allo stesso tempo:
 
“Ora statemi bene a sentirmi sciacalli che non siete altro! Non ho tempo da perdere per due fuligginosi scarafaggi come voi, tanto meno di consegnarvi alla polizia di Scotland Yard, perciò vi offro questa alternativa… voi ora vi leverete dai piedi e giurate sulla vostra misera esistenza di non farvi più vedere in questo quartiere… in caso contrario, sarò io stessa, personalmente, a farvi sparire…” A quel punto, Elsa Hyde ferì con la lama del suo bastone animato la guancia sinistra di Gaspare, facendo gemete terrorizzato quell’uomo dal nuovo gelido dolore che pungeva fino alle ossa. Uno sottile goccia vermiglia cade da quella ferita sulla strada, così rossa e accesa in contrasto con il grigio della pietra.
 
“Certo… mia gentile signora… tutto quello che volete… servi vostri… il mio compare ed io c’è ne andiamo via subito…” Gemeva con voce rotta Gaspare mentre si rialzava tremante in piedi e scappò via gridando come se inseguito da una tigre siberiana, mentre il suo compare, Orazio, lo tallonava impaurito a ruota libera, rischiando più volte di inciampare, e i due loschi uomini sparirono nella nebbia, come se inghiotti da essa. Dopo aver ripulito la sua lama con un fazzoletto e ringuainato nel bastone nero, Elsa Hyde si ricompose subito nella sua silente e fredda solennità, come se non fosse successo nulla, si rimesse i guanti e si diresse verso il grigio e spoglio cortile. Belle si chiese con terrore se quella donna avrebbe davvero avuto la volontà di far sparire quei due malandrini se non se ne fossero andati via... era un terribile pensiero per l’avvocata e in parte poteva confermare i timori di sua cugina Enfield. La gelida rabbia in quell’enigmatica donna poi, trattenuta con cupa eleganza e severità, la rendeva ancora più inquietante, cose se nascondesse qualcosa di orribile e innominabile nella sua fredda anima. La signora Utterson pensò persino che quella creatura, di umano, ne avesse solo l’aspetto.

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Capitolo 7
*** VI - La conversazione con la Signora Hyde ***


La conversazione con la Signora Hyde

Per quanto il gelo e il timore stringessero l’animo di Belle, lei era più decisa che mai ad andare fino in fondo e di affrontare a faccia a faccia la fantomatica Elsa Hyde. Mentre la gelida dama si dirigeva senza indugi verso la porta, tirando fuori al contempo una chiave con il gesto abituale di chi rincasa, la signora Utterson uscì dal suo nascondiglio, entrò nel tetro cortile e si mise alle spalle della signora Hyde:
 
“La signora Hyde, suppongo!” La signora Hyde s’immobilizzò all’istante pochi attimi prima di mettere la chiave nella serratura, senza però fare sussulti ed esclamazioni. Rigida, silenziosa e imperscrutabile, come una tigre siberiana che si prepara all’agguato. Sebbene evitasse di voltarsi verso lo sguardo dell’avvocata, gli rispose con la sua gelida e sensuale voce:
 
“Sì, sono io! Che cosa volete? Ci conosciamo forse?”
 
“Vedo che siete in procinto di entrare…”  Rispose l’avvocata, con tutta la calma e la serietà che possedeva, nonostante il rovo di gelo che gli avviluppava l’animo, e continuò:
 
“Sono una cara vecchia amica della dottoressa Jekyll… la signora Utterson di Gaunt Street, un nome che non dovrebbe suonarvi nuovo. Trovandovi qui, ho pensato di approfittare dell’occasione per entrare. Devo comunque confessare che non ho potuto fare a meno di ammirare il modo in cui avete sistemato quei brutti ceffi poco fa!”
 
“Per loro è stato un bene che se ne siano andati via spontaneamente… anche per voi, signora Utterson…” L’ultima frase della signora Hyde suonava come una minaccia, anche se in maniera quasi impercettibile. Poi la signora Hyde aggiunse, assumendo un sottile tono melodrammatico, senza però sminuire il sensuale gelo della sua voce:
 
“In una città come Londra, che può sembrare sicura pulita e luminosa, ma che in realtà nasconde anche insidie, lordura e tenebre, ogni cittadino deve pur sapersi difendersi, tanto più una donna, non crede?” La signora Utterson replicò, con uno scintillio di timorosa esitazione nella voce:
 
“Purché secondo i limiti della legge…” L’avvocata ebbe la sensazione di sentire una sottile e fredda risata provenire dalla signora Hyde, che subito disse con voce impassibilmente gelida:
 
“Comunque non troverete la dottoressa Jekyll, se volevate incontrarla. Egli, infatti, è fuori di casa!” Mentre era sul punto di infilare nella serratura della rovinata porta, la signora Hyde fu colta da una domanda diretta e decisa dell’avvocata:
 
“Se non sono indiscreta, posso sapere perché mai avete la chiave della porta che porta al laboratorio privato di Anna Jekyll?” Dopo qualche secondo di freddo silenzio, la signora Hyde rispose sicura e tranquilla, senza tradire alcuna titubanza:
 
“La cara, dolce e piccola Anna… la dottoressa ed io ci frequentiamo da parecchio tempo... in campo scientifico indento dire… fin dai tempi di Oxford…” Belle assunse uno sguardo pieno di stupore:
 
“Strano! Essendo un’amica d’infanzia, pensavo di conoscere tutti i suoi…” L’altra s’intromise nel discorso come un lampo:
 
“… colleghe? Già… noi due siamo colleghe… si può dire che siamo addirittura sorelle legate dalla passione per la scienza, e, infatti, dividiamo persino il laboratorio! Ora, se volete scusarmi…” La signora Hyde infilò con gesto fulmineo la chiave, ma all’improvviso, evitando sempre di guardare Belle, domandò, senza mai tradire nessuna emozione:
 
“Come fate a conoscermi?”
 
“E voi mi fareste un favore?” Replicò la signora Utterson:
 
“A disposizione.” Rispose con fredda schiettezza l’altra.
 
“Di quale favore si tratta?”
 
“Mi lascereste vedere il vostro viso, se la cosa non vi reca disturbo?” Ci fu qualche secondo di silenzio e ogni cosa intorno alle due donne sembrava essere stata pietrificata dallo sguardo di Medusa, e il freddo sembrò divenire più spietato. Allora la signora Hyde, con un’agilità così gelida e solenne da intimorire l’avvocata, si volse di fronte a quest’ultima con aria di sfida, levandosi il cappello e la sciarpa, rivelando il suo volto di rosea porcellana e la sua chioma intrecciata e platinata cadeva con eleganza sulla sua spalla sinistra. Le due donne si fissarono per qualche secondo. Il viso di Hyde era come descritto da Rapunzel e Belle rimase colpita soprattutto dai gelidi, meravigliosi e silenziosamente spietati occhi di quella donna, come fossero zaffiri illuminati da una fredda fiamma. Per l’avvocata non erano gli occhi di un angelo, strega, fata o demone. Semplicemente ed incredibilmente, erano gli occhi di una imperscrutabile, imperiosa e sublime tempesta di ghiaccio. Liberandosi da quegli occhi quasi ipnotici, Belle disse, con una live esitazione nella voce:
 
“Ora saprò riconoscervi… e potrà essermi utile in futuro!”
 
“Certo!” Ribatté la signora Hyde:
 
“È stato un bene che ci siamo incontrate questa notte e, cogliendo quest’occasione al volo, vi lascio il mio recapito!”
 
Così dicendo l’imperscrutabile donna consegnò alla signora Utterson un biglietto da visita, sul quale era scritto l’indirizzo di una via di Soho.
 
“Grazie! In tal caso, questo il mio!” Disse l’avvocata, ricambiando il gesto della signora Hyde.
 
“Vedrò di non sciuparvelo…” Replicò la fredda dama con un sibilo di sarcasmo nella sua voce, mettendo in tasca il biglietto datogli dalla signora Utterson.
 
“Per l’amor del cielo!” Pensò la signora Utterson.
 
“Che anche lei sia corsa col pensiero al testamento?” Tenne però per sé tale supposizione.
 
“E ora torniamo a voi!” Disse l’altra.
 
“Come fate a conoscermi?”
 
“Dalla descrizione della vostra persona, inconfondibile, con rispetto parlando.” Fu la risposta della signora Utterson, la cui voce faceva fatica a rimanere calma.
 
“E chi ve la fatta?”
 
“Abbiamo amiche in comune!” Disse la signora Utterson.
 
“Amiche in comune?” Gli fece eco la signora Hyde con la voce imperscrutabile pizzicata da una stizza di curiosità.
 
“E chi sarebbe?”
 
“Anna, per esempio!” Rispose la signora Utterson.
 
“Lei non vi ha mai parlato di me!” Sbottò la signora Hyde, sostituendo la stizza di curiosità che aveva in voce con un impeto furore, smorzato dalla sua imperscrutabile e gelida eleganza.
 
“Non credevo che una donna della vostra risma fosse capace di dire menzogne!” Continuò la gelida donna, puntando il bastone verso il viso dell’avvocata!
 
“Suvvia, signora Hyde!” Replicò Belle.
 
“Volevo solo…”
 
“Silenzio!” L’altra l’aveva zittita con una voce terribilmente tagliente e gelida e la nebbia intorno alle due donne dava l’impressione di voler stritolare la signora Utterson al solo comando di Elsa Hyde. Dopo qualche secondo, nel quale la signora Hyde guardava Belle con uno sguardo di silenziosa rabbia, oppure assordante come un tuono, con una solenne e prodigiosa rapidità, aveva già fatto scattare la serratura ed era scomparsa dentro, come un fantasma, portandosi con sé il freddo e la nebbia. I lampioni della via erano ora meno opachi e soffocati di prima, il gelo nell’aria era diminuito, ma non quello che imperversava nell’animo di Belle Utterson. Dopo la scomparsa di Elsa Hyde, l’avvocata rimase attonita per un breve lasso di tempo, il ritratto vivente dell’inquietudine. Riprese poi a ritroso la via, lentamente, sostando quasi ad ogni passo e portandosi il palmo della mano sulla bocca, con il gesto di chi è avviluppato da una spietata e angosciante perplessità. L’enigma che doveva affrontare, mentre camminava, era uno di quelli cui è arduo fornire una soluzione. La signora Hyde gli era apparsa fredda e imperscrutabile: Quando poi dava sfogo a emozioni come passione o rabbia, era come se si scatenasse una violenta tempesta di neve. Aveva un sorriso quasi privo di emozione, gelido e tagliente. Verso la signora Utterson, poi, si era comportata con un miscuglio di fredda arroganza, calcolatrice enigmatica e superbia inqualificabile. La sua voce, per quando suonasse seducente e meravigliosa, era colma di Immane e fredda spietatezza da gelare persino il fuoco di un cammino. I suoi occhi di celeste zaffiro possedevano un forte e inquietante ascendente si chiunque, che faceva da complemento alla sua statuaria e solenne bellezza, sia nel corpo sia nei suoi abiti, pari a quella di una regina, la cui età era difficile da comprendere. Per non parlare del fatto che la sua sola presenza evocata freddo e nebbia, come se fosse una strega, nell’aria e nelle anime delle persone. L’insieme di tutti questi dettagli che andavano a discapito della fama già sinistra di Elsa Hyde. Eppure anche assommandoli, non rendevano completamente plausibili l’inquietudine, la repulsione e avversione disumane che la signora Utterson aveva percepito in quella misteriosa donna, venuta dal gelo.
 
“Deve esserci dell’altro!” Si disse dubbiosa Belle.
 
“C’è qualcosa di più, anche se non riesco ad attribuirgli un nome. Il cielo mi perdoni, ma quella donna non sembra possedere un’anima umana! Mia povera Anna Jekyll, se mai mi fu dato di scorgere il segno di una strega su di un volto, l’ho vista su quello della tua nuova amica!” Svoltando l’angolo della via secondaria c’era una piazza coronata da eleganti e antiche magioni, ma in gran parte rovinosamente decadute rispetto all’alto rango che ricoprivano un tempo. Erano state quasi tutte suddivise in appartamenti e camere singole e affiatate a gente d’ogni risma: Incisori, cartografi, architetti mediocri, loschi avvocati, agenti di dubbie imprese. Una di quelle dimore, tuttavia, la seconda dopo l’angolo, aveva conservato la sua lussuosa e adorabile integrità. La signora Utterson si fermò dinanzi alla dimora che ispirava un’aria di agio fastoso e accogliente, per quanto immersa tra le spire di Erebus, tranne la lunetta a raggiera sopra l’ingresso, e bussò alla porta. Gli aprì un vecchio domestico, elegantemente vestito di blu e bianco. Era un ometto basso e visibilmente rotondetto.  L'uomo aveva la pelle chiara, i pochi capelli che gli rimanevano in testa e le basette erano bianche, sopracciglia nere e folte, un simpatico naso che appariva quasi come un pomodoro, e le pupille dei suoi occhi avevano il coloro della pece. Indossava un paio d’occhiali dalle lenti piccole e rotonde dalla montatura sottile e dorata. Il domestico, Spoole, era un uomo anziano che tempo fa faceva il nostromo su molte navi per parecchi anni, poi decise di ritirarsi sulla terraferma in veste di maggiordomo, famoso per la sua squisita affabilità e la sua abilità nel preparare un tè eccellente. Aveva un carattere leale, obbediente e bonario, ma a volte un po’ goffo e distratto, senza però sminuire il suo notevole intuito e la sua tagliente perspicacia.
 
“Oh! Signora Utterson! Come mai questa inaspettata visita crepuscolare, per quanto gradita sia?” Disse l’amabile domestico con aria lieta e sorpresa allo stesso tempo.
 
“So che l’ora è inqualificabile, mio caro Spoole, ma vorrei sapere se Anna Jekyll è in casa in questo momento!” Disse l’avvocata.
 
“Vado a vedere! Intanto, signora Utterson, si accomodi!” Rispose sorridente e solerte Spoole, facendo entrare nel frattempo l’ospite in una sala d’ingresso dal basso soffitto, spaziosa, accogliente, con il pavimento di mattonelle a fiori blu e rossi, riscaldata (come si una nelle ville di campagna) dalla viva fiamma di un cammino aperto, e arredata da graziosi stipi di rovere.
 
“La signora preferisce attendere accanto al fuoco, o devo introdurla in sala da pranzo?” Chiese Spoole con adorabile gentilezza. Il domestico aveva sempre avuto un alto e dignitoso rispetto per le donne di ogni età.
 
“Attenderò qui, grazie!” Rispose la donna la quale, avvicinandosi al cammino, si sporse oltre l’alto parafuoco. L’ambiente in cui era rimasta sola era la creazione prediletta della sua amica dottoressa, e si diceva che la stessa Utterson ne parlasse come del soggiorno più accogliente di Londra. Quella sera però uno spietato brivido di gelo gli invase le vene, nonostante il calore del caminetto, giacché gli occhi di zaffiro, imperscrutabili e duri, di Elsa Hyde erano una presenza invadente nella sua memoria. Persino il riverbero delle fiamme sul rovere lustro e l’inquieto palpitare dell’ombra sul soffitto gli facevano provare, il che era raro, un senso di nausea e disgusto della vita e quella sua tetraggine, avvertendo così un’oscura minaccia. Quando rientrò Spoole per informarla che la dottoressa Jekyll era uscita per una passeggiata, assieme a dei colleghi in ambito scientifico, Belle si sentì sollevata, e ne provò una rovente vergogna.
 
“Caro Spoole, tu sei al servizio della mia amica Anna e della sua famiglia da molto tempo, giusto?” Chiese la donna, e Spoole rispose diligentemente:
 
“Da una vita, signora!”
 
“Vedete, Spoole, il fatto è che questa sera ho visto una donna entrare dalla porta che conduce al laboratorio privato di Anna sul retro di questa casa, una certa Elsa Hyde. Ti è dato a sapere che la dottoressa divida assieme a quella donna quel laboratorio e se è regolare che quest’ultima lo usi anche quando Anna è assente?” Il domestico rispose:
 
“Certamente, signora Utterson, una cosa normale per quanto mi riguarda! La signora Hyde possiede la chiave e la dottoressa Jekyll ha ordinato a me e al resto della servitù di obbedire a quella donna!” L’avvocata insistette, assumendo un’aria stranita:
 
“La vostra padrona sembra riporre una grande fiducia in quella giovane donna, Spoole!”
 
“Sì, signora, è proprio così!” Disse Spoole.
 
“Non credo di aver avuto il piacere di incontrare la signora Hyde prima di questa sera, vero?” Chiese Utterson.
 
“Oh, no di certo, signora. Non fa mai colazione qui!” Rispose il maggiordomo e continuò:
 
“In questa parte della casa lei non si fa vedere quasi mai. Per lo più entra ed esce dal laboratorio!”
 
“Ebbene, vi auguro una buonanotte, mio caro Spoole!” Disse la donna, con un lieve sorriso.
 
“Buonanotte, signora Utterson!” Replicò Spoole, che era sempre lieto di veder sorridere una graziosa donna come Belle, divenendo leggermente paonazzo, come se avesse bevuto troppi bicchierini di vermut. La donna uscì e prese la via di casa con un macigno che gli stava flagellando il cuore.
 
“Povera Anna Jekyll!” Pensava.
 
“E se il suo legame con quella gelida donna fosse il risultato di un antico peccato, successo ai tempi di Oxford, il fantasma e il tumore di un’infamia segreta, il castigo che balza ora improvvisamente, dopo anni che la memoria, per intercessione della dea Mnemosise, ha steso un velo d’oblio e l’indulgenza verso di sé ha perdonato l’errore?” E l’avvocata, cupamente, si diete a meditare su tutta quell’insolita faccenda, quando poi improvvisamente, un guizzo di speranza gli balenò davanti agli occhi.
 
“Questa signora Hyde, a pensarci bene, deve avere chissà quali segreti; torbidi a giudicare dai suoi freddi occhi, il suo modo di fare, l’atteggiamento e il freddo che la sua stessa persona sembra emenare… segreti, al cospetto del quale, anche il peggiore che può possedere la povera Anna sarebbe puro come un bianco e tenero agnello al pascolo. È deciso, le cose non possono continuare così. Mi sento raggelare l’anima in ogni suo angolo al pensiero che quella sinistra creatura del gelo possa scivolare come un’ombra alla dimora di Anna! Povera Anna, quale risveglio ti attende! E quale pericolo! Se quell’Hyde intuisce soltanto l’esistenza di quel dannato testamento, non vedrà l’ora di diventare l’erede! Sì, bisogna che corra subito ai ripari, ammesso che Jekyll me lo permetta!” Ancora una volta gli tornarono alla mente, limpidi come cristallo, le insolite disposizioni testamentarie.
 
“Da come ne ha parlato Spoole, sembra quasi che Anna consideri e ami Elsa Hyde come… se fosse sua sorella!”

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Capitolo 8
*** VII - La Tranqullita di Anna Jekyll ***


La Tranquillità di Anna Jekyll

Per una combinazione veramente fortunata, il fato volle che un paio di settimane dopo, durante i primi giorni d’aprile, la dottoressa Jekyll invitasse a una delle sue deliziose cene una decina di amici, tra cui i vecchi compagni di Oxford, tutte persone stimate e benvolute. Tra gli invitati c’era Jane Lanyon che, su gentile richiesta della dottoressa Jekyll, si era fatta accompagnare dal suo pappagallo, e l’uccello, per quell’occasione, era in veste di adorabile e irriverente giullare. Naturalmente c’era anche Belle Utterson, accompagnata da sua cugina Rapunzel. Quest’ultima aveva sempre sentito favoleggiare riguardo ai pranzi, i tè e le cene, che Anna Jekyll organizzava, resi famosi per il semplice fatto che quegli eventi erano sempre in festa. Non c’era quindi da stupirsi che Rapunzel trepidasse d’eccitazione all’idea di incontrare la padrona di casa, e quando accade, assunse in viso l’espressione di chi ammirasse la perfetta apoteosi della bellezza primaverile. Anna Jekyll, una giovane donna che possedeva le movenze degne di una benevola regina. La sua figura era armoniosa, sinuosa e snella e la carnagione chiara. I suoi occhi scintillavano di un azzurro angelico dalle sfumature smeraldine, e ricordavano lo sguardo di una cerbiatta. Jekyll possedeva inoltre delle guance di un tenero roseo, e labbra deliziosamente sottili. Per non parlare della sua chioma, che erano uno spettacolo, libera come il vento e il cui colore dava l’idea del bronzo avvolto tra le fiamme, con una frangia sul lato destro della fronte. Quella sera Anna Jekyll indossava un magnifico abito dalle varie tonalità di verde, lasciava scoperte le spalle, gli avambracci fin sotto i gomiti e una leggera scollatura a cuore, e in questo modo, la giovane dottoressa aveva un aspetto ancora più affascinante e accattivante. Quando poi belle presentò sua cugina alla padrona di casa, la bionda fanciulla desiderò che Anna Jekyll fosse la sorella maggiore che aveva sempre voluto. La dottoressa Jekyll possedeva, infatti, una personalità piena di calda benevolenza, gentilezza, frizzante allegria, spirito di coraggio e ottimismo, loquacità esuberante, altruismo sincero, modi eleganti e maliziosi, apparentemente impulsivi e ingenui, con una scintilla di fantasia, intelligenza e stravaganza. Tale carattere che, unito alla sua adorabile e intrigante bellezza, metteva sempre Anna Jekyll al centro della scena nelle feste che organizzava. Sapeva poi intrattenere i suoi ospiti con le sue orazioni e la sua sublime abilità nel suonare il violino, cose che non mancarono in quella cena. Jekyll sapeva inoltre come far divertire i suoi invitati, e quella sera concesse al piccolo Iago di danzare un valzer con lei, appollaiato sul suo dito indice, regalando sorrisi divertiti a tutti i presenti. Anche quando Jekyll pestava sbadatamente il piede a qualcuno o faceva finire un’oliva nell’occhio di un povero malcapitato, non faceva altro che mostrarsi ancora più adorabile agli occhi dei presenti, con tutti i suoi pregi e difetti. Quando poi, verso la fine della festa, gli ospiti iniziarono a congedarsi e ad avviarsi verso le proprie dimore e Anna li ringrazio calorosamente per essere venuti e augurando loro la buona notte, la signora Utterson fece il modo di restare, assieme a sua cugina e Jane Lanyon, per la felicità del suo pappagallo. Non era per nulla una novità, bensì una veccia consuetudine, perché Utterson, quando era apprezzata, lo era di tutto cuore. Quando tutti gli altri ospiti erano già sulla soglia, spesso chiacchieroni e/o noiosi, Jekyll amava la compagnia di pochi intimi, soprattutto se erano Belle Utterson e Jane Lanyon, le sue più care amiche, e si riunivano spesso nel suo elegante salotto per chiacchierate intime, innocui pettegolezzi e altro ancora. Anna era seduta, assieme a Jane Lanyon, su un divano foderato di tessuto color oliva, posto vicino al lato destro del cammino, sopra il quale vi era una statuetta di bianco marmo, raffigurante un tozzo e paffuto satiro che danzava e suonava il Flauto di Pan. Iago era nella sua gabbia vicino ai piedi della sua padroncina, ed era intendo la lisciarsi becco e piume. Mentre Utterson e sua cugina erano sedute sul divano vicino all’altra parte del cammino. Il caro Spoole, che era al centro di quell’assemblea di giovani dame, aveva appena posato sul tavolino un vassoio d’argento, con sopra bicchieri di cristallo pregiato, una bottiglia di ottimo sidro di mele e qualche cioccolatino, di cui Anna Jekyll aveva una grande passione. Le quattro meravigliose fanciulle parlarono di ogni cosa, di natura sociale, scientifico, politico, pettegolezzi sulla famiglia reale, di quanto fossero carini certi uomini, sulle nuove mode londinesi che spopolavano. Rapunzel si sentiva onorata di trovarsi in quel salotto così raffinato assieme alle altre donne, essendo questa la sua prima visita alla dimora della dottoressa Anna Jekyll.
 
“Lasciamelo dire Anna! Sei un’oratrice straordinaria e una padrona di casa premurosa. È stata una magnifica serata!” Esclamò Jane Lanyon.
 
“Craaa! Non dimenticare anche eccellente ballerina! Craaa!” Gracchiò Iago, scuotendo le ali.
 
“Grazie ad entrambi!” Replicò Anna, con un sorriso una risata pari a quelli di una ninfa dei boschi.
 
“Se mi posso esprimermi, padrona, l’esecuzione di violino da voi compiuto questa sera aveva l’impeto e l’euforia di un angelo!” Disse sorridendo Spoole, mentre riponeva al suo posto lo strumento musicale prediletto di Anna.
 
“Grazie Spoole! In effetti, credo di aver suonato il violino con un notevole trasporto questa sera!” Replicò Anna Jekyll, regalando un caloroso sorriso a Spoole. Per tutta quella sera, Belle Utterson aveva parlato poco, limitandosi a raccomandare e rassicurare su cugina, scambiare un paio di parole con gli invitati, questo perché era spesso soprapensiero riguardo alla faccenda del legame tra Anna Jekyll ed Elsa Hyde. Era evidente che tra quelle due donne non ci fosse niente in comune, sia nel portamento sia nel carattere, aveva pensato belle. Se Jekyll possedeva la bellezza di un verdeggiante prato in fiore pieno di vita, Hyde invece aveva quella di una landa fredda, ghiacciata e silenziosa. Se Jekyll portava la luce e il calore di gioia e ottimismo come la primavera, Hyde invece evocava il freddo, silenzio e timore al pari dell’inverno. Ogni particolare, anche il più piccolo e insignificante, dell’uno era l’opposto dell’altra, e questo era chiaro per Belle Utterson. Quello che l’avvocata non comprendeva era il legame tra quelle due donne così diverse tra loro, e questo la faceva tremare nell’animo, cercando però di nascondere agli altri questa sua sensazione. Ecco perché quella sera, appena ci sarebbe stata l’occasione giusta, ne avrebbe parlato con Anna Jekyll in persona, in privato se possibile.
 
“Che io abbia memoria, questa è stata una delle cene più belle e festose che tu abbia mai organizzato, cara Anna!” Disse Lanyon, dopo aver sorseggiato un po’ di sidro. Sempre sorridente, Anna si alzò dal divano, e con modi signorili, disse:
 
“Perché la mia euforia è più che motivata: Sono arrivata a un cruciale punto di svolta nelle mie ricerche!” Ahi, aveva pensato Belle Utterson, perché sapeva come sarebbe finita la cosa. Jane Lanyon infatti, divenne piè seria e posò quasi con freddezza il bicchiere sul tavolino.
 
“Non dirmi che sei ancora ossessionata da quella bizzarra teoria! Quando imparerai la lezione, Anna? Dammi retta, se la proporrai all’accademia delle scienze, ti rideranno dietro e ti daranno pure dell’eretica! Per la terza volta consecutiva!” Anna, volgendo lo sguardo verso Jane, aveva assunto un rossore intenso ed era accigliata a dir poco, e rispose con impetuosa risolutezza, come se non avesse paura delle opinioni e reazioni altrui:
 
“È escluso! Stavolta non lo faranno nell’uno nell’altro! Dovranno capire che la mia intuizione è…” Lanyon però la fermò, dicendo:
 
“Cara, lo scienziato moderno deve basarsi sulla logica, non sulle intuizioni. La logica, fredda e irremovibile, come la nostra vecchia comunità scientifica!”
 
“Ed è un madornale errore!” Replicò Anna, assumendo in maniera fulminea un atteggiamento solennemente teatrale, sia nei gesti, sia nel modo di parlare, tanto da lasciare senza fiato la giovane Rapunzel, anche se non era una grande appassionata di scienze in generale, e continuò dicendo:
 
“Lasciarsi trasportare dalle pulsioni, dare sfogo al proprio istinto è fondamentale perché la scienza apra nuove vie di studio e siano compiute scoperte atte a trascendere la coscienza umana! Puoi dire e credere a tutto quello che vuoi, Lanyon, ma ormai sono a un passo dal dimostrare la mia teoria!” Quello che diceva Jekyll non faceva altro che alimentare l'incendio dell’imbarazzante disappunto sul viso di Lanyon, trovando l’atteggiamento insistente e solenne della sua collega talmente insopportabile che a un certo punto, come un grillo, si alzò improvvisamente dal divano, prese la gabbia con Iago e si rivolse a Spoole con atteggiamento gentile ma schietto:
 
“Spoole! Soprabito e cappello per favore!”
 
“Ehm… Sì, signora Lanyon!” Replicò il buon maggiordomo, e sollecitamente portò quanto richiesto alla signora Lanyon.
 
“Magnifica serata, cena squisita, sublime violino, grazie di tutto e arrivederci!” Così salutò Jane alla sua collega Anna, come se stesse rischiando di perdere il treno.
 
“Aspetta, che?” Esclamò sorpresa Anna mentre raggiungeva Lanyon alla sala d’ingresso. Dopo essersi messa soprabito e cappello, Jane Lanyon, senza indugi, uscì dalla casa e chiuse la porta d’ingresso con veemenza alle sue spalle. Anna Jekyll inebetita e immobile davanti a quella porta per quasi una ventina di secondi, poi iniziò a stringere i pugni tenuti lungo i suoi fianchi e assunse in viso l’espressione simile a quella di Era quando coglie Zeus in amorosa flagrante con un'altra donna, e infine esplose:
 
“Razza di pedante, retrograda e becera! Io gli faccio partecipe di una scoperta rivoluzionaria scientifica senza precedenti, e lei scappa come se fossi da rinchiudere in manicomio! Lei dice di essere una scienziata, eppure si limita e leggere solo ciò che è stato già scoperto, invece di contribuire nel progresso, così come gli altri scettici parrucconi dell’accademia, ma alla fine dovranno ricredere a ciò che ho sempre sostenuto! Verrà il giorno!” Anna Jekyll sembrò persino sul punto di mettersi a piangere, ma riuscì a trattenersi, per non darla vinta a Lanyon e a tutti quei dispotici e mediocri accademici con la puzza sotto il naso che non erano altro. Tornò nel suo salotto con un muso lungo, sbuffando come una pentola sul fuoco. Si sedette sul divano di prima, senza rendersi conto degli sguardi perplessi di Belle e Rapunzel, e sembrava aver persino dimenticato della loro presenza. Dopo qualche secondo d’imbarazzante silenzio, Anna si riscosse dalla frustrazione che aveva annebbiato la nebbia e guardò le altre due giovani donne, soprattutto Belle, la sua più cara amica che abbia mai avuto nella sua vita.
 
“Scusami Belle, quasi mi dimenticavo di te e di tua cugina!” Disse Anna, mentre cercava di ritrovare il buonumore. Poi Jekyll rivolse tutta la sua attenzione verso Rapunzel e gli disse con sincera gentilezza:
 
“Mia cara, ti andrebbe di visitare la mia umile dimora, sotto la guida del mio caro Spoole?” Lo sguardo di disagio e perplessità sul viso della bionda fanciulla fu sostituito da un garbato sorriso d’eccitazione, e il maggiordomo era ben lieto di accompagnarla a visitare la dimora della sua padrona. Mentre Spoole accompagnava Rapunzel verso la biblioteca come prima tappa, Anna cercò di rilassare i nervi assaporando un cioccolatino fondente, poi si accorse dello sguardo indagatore e preoccupato di Belle Utterson:
 
“Oh, Belle! Spero davvero che tu mi possa perdonare per quello screzio con Jane! Tu mi conosci da una vita e sai che a volte perdo le staffe con una facilità disarmante!”
 
“Mi sembra ovvio! Dopotutto non sono solo la tua legale, ma anche la tua migliore amica!” Belle aveva iniziato il discorso con un tono pieno di grave severità da lasciare di stucco la dottoressa Jekyll. Belle continuò dicendo:
 
“Perché dovresti rivolgermi la parola, oppure consultarmi prima di prendere una grave decisione, come quella riguardante un certo documento?” Ormai Belle aveva aperto il discorso che attendeva di fare fin da quando era entrata nella casa di Anna Jekyll, lasciando quest’ultima pietrificata dallo stupore per un attimo. Poi la dottoressa si alzò in piedi dal divano e si mise davanti al fuoco del cammino con le braccia conserte e la testa bassa. Belle udì una risata malinconica e amara provenire da Anna, che poi disse:
 
“Che serata memorabile, davvero! Prima le rimostranze di quella pedante conservatrice di Jane Lanyon per quelle che lei considera le mie teorie scientifiche delle eresie. Oh, rimane pur sempre una gran brava persona, lo so, ma ciò non toglie che sia un’irrecuperabile pedante. Jane mi ha deluso in quando scienziata lungimirante!” Poi si voltò verso belle con uno sguardo adorabilmente malinconico:
 
“E ora tu, mia povera Belle? Per te è una disgrazia avermi come cliente. Non ho mai visto qualcun altro afflitto come te per il mio testamento!”
 
“Sai bene che non l’ho mai approvato!” Tirò dritto la signora Utterson senza tante cerimonie, alzandosi anche lei in piedi da divano e si mise anche lei davanti al cammino, vicino ad Anna. Le due giovani donne si guardarono allora a faccia a faccia. Belle, con il suo sguardo di severa e angosciante apprensione. Anna invece con quello di malinconico e amaro imbarazzo.
 
“Si lo so…” Rispose la dottoressa.
 
“Me lo hai già detto più di una volta!”
 
“Sappi che non è solo del documento in se di cui vorrei discutere con te! Sono a conoscenza di alcune voci sul conto di Elsa Hyde, la tua protetta!” Il viso di Anna divenne più pallido e un’ombra sinistra apparve nei suoi occhi.
 
“Credevo che fossimo d’accordo, se non erro, di non toccare più quest’argomento!” La voce di Anna, prima tenera e dolce, ora suonava aspra e pungente, e ciò inquietò ancora di più la signora Utterson.
 
“Anche se all’inizio lo trovavo insolito, avevo mantenuto codesto accordo, se non fosse per ciò che è giunto alle mie orecchie riguardo quella donna. Le voci circolano a Londra più veloci del vento.”
 
“E tu non dicevi che le voci che si sentono in giro non sono altro che pettegolezzi, a volte messi in giro per malizia? Ti prego di desistere, amica mia!” Replicò la dottoressa con una scintilla di disperazione nella voce.
 
“So che il mio legame con quella donna possa sembrare insolito e inquietante per te e gli altri, la mia è una posizione complicata, che non può essere risolta a semplici parole! Ho i miei motivi!” La signora Utterson gli disse allora:
 
“Anna, tu mi conosci, sai che puoi riporre in me tutta la tua fiducia. Liberati dal peso che grava nel tuo cuore, confidami tutto, e sono certa che poterti aiutare a risolvere questa faccenda.” Anna Jekyll replicò:
 
“Mia carissima Utterson! Il tuo è un gesto da amica. Veramente da amica sincera! Non trovo parole per ringraziarti come vorrei. Credo ciecamente alla tua parola e mi fiderei più di te che di qualsiasi altra persona al mondo. So che se io mi lasciassi cadere all’indietro con gli occhi chiusi, tu saresti dietro di me per prendermi e salvarmi, ma davvero non si tratta di quello che immagini, non è terribile fino a questo punto!comprendo la tua ostilità nei confronti di quella donna, che sembra solo un pezzo di ghiaccio, ma lasciati tranquillizzare… infatti, sappi che posso liberarmi della Signora Hyde in qualunque momento!” La dottoressa prese allora le mani dell’avvocata e le strinse calorosamente intorno alle sue con adorabile dolcezza:
 
“Ti do la mia parola su ciò che ti ho appena detto e ti sono grata per i sentimenti di vera amicizia che provi per me! Voglio inoltre aggiungere una parola, Belle, e sono sicura che non te la prenderai a male: questa, vedi, è una faccenda strettamente personale e di scongiuro amichevolmente di desistere!” Belle rifletté un poco, mentre osservava le fiamme del cammino danzare come spiritelli.
 
“Non voglio dubitare che tu possa avere ragione, amica mia!” Disse infine Belle:
 
“Orbene, poiché abbiamo ormai toccato quest’argomento, e spero per l’ultima volta, vorrei dirti questo!” Riprese la dottoressa, lasciando le mani della sua amica, avvicinandosi al tavolino al centro del salotto e versando sidro di mele in due calici di cristallo.
 
“Io ho un notevole interesse, è vero, per Elsa Hyde! So che l’hai vista, me l’ha detto lei stessa, e temo che sia stata un po’ fredda e magari persino insopportabile.” Mentre parlava, la dottoressa reggeva i due calici ricolmi di sidro e ne porse uno alla signora Utterson, che garbatamente lo prese.
 
“Io però ripongo, te lo dico con tutto cuore, un grande interesse in quella donna, come se per me fosse mia sorella, e posso assicurarti che anche lei in fondo prova lo stesso nei miei confronti. Perciò, qualunque cosa mi dovesse succedere di qualsiasi natura fosse, promettimi, te ne prego Belle, di sostenerla e assicuragli tutti i diritti che gli spettano. So che quella donna sembra provare un certo odio per questa città, ma questo perché ha avuto una vita difficile e si è dovuta sempre cavarsela da sola, per questo l’ho messa sotto la mia ala. Se tu fossi a conoscenza veramente di tutto su di lei, sulla verità che la riguarda, sono certa che lo faresti senza esitare, anche se non posso rivelartela! Promettimelo, comunque, mi liberesti l’animo da un grave fardello!”
 
“Non posso fingere che questa cosa mi vada a genio!” Rispose seria la signora Utterson.
 
“Non voglio costringerti a fartela piacere, Belle, conosco abbastanza bene il tuo carattere!” Prosegui Anna Jekyll, perorando la sua causa e ponendo una mano sul braccio di Belle in segno di solenne amicizia.
 
“Ti chiedo solo di essere nel giusto, come sei stata finora e sarai sempre, ne sono convinta. Ti chiedo solo di aiutarla, per amor mio, quando sarà necessario farlo.” Utterson non fu in grado di reprimere un profondo sospiro:
 
“In nome dell’amicizia che ci unisce…” Rispose:
 
“… te lo prometto!” E le due giovani donne, con entrambe un lieve sorriso d’intesa, fecero tintinnare delicatamente i propri rispettivi calici tra di loro per siglare quel patto. Nel profondo del suo cuore, Belle sperava che la sua migliore amica non si dovesse mai pentirsi della sua scelta.

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