Il Canto dei Due Cieli

di Fabio93
(/viewuser.php?uid=27705)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Tempesta ***
Capitolo 2: *** Lungo il sentiero ***
Capitolo 3: *** Arriva la notte ***
Capitolo 4: *** Noi siamo l'Impero ***
Capitolo 5: *** La corte oltre le montagne ***
Capitolo 6: *** Indietro non si torna ***
Capitolo 7: *** Ombre nella Notte ***



Capitolo 1
*** Tempesta ***


Il Canto dei Due Cieli

 

Fabio93

 

Tempesta

 

Yanagi camminava spedito, affondando i piedi nella sabbia fine.

Uno sbuffo di vento, rabbioso e freddo, gli passò fra i capelli radi e le vesti ampie, dissipando per un attimo il caldo del mezzogiorno. L'uomo guardò alla sua destra, verso il mare: nuvole grige e cariche di pioggia si gonfiavano all'orizzonte, come vele gigantesche a trainare la tempesta. La loro ombra pian piano si allungava nel cielo, scura e minacciosa come un cattivo presagio.

Sul delta dello Shiruba il tempo era capriccioso, passava all'improvviso dal caldo asfissiante alla burrasca. Non c'era da stupirsi che, allontanandosi dallo sbocco del grande fiume, non ci fossero che piccoli villaggi di pescatori a vivere di quel poco che il mare concedeva loro.

Yanagi si fermò un istante, passandosi la mano sulla fronte sudata. Era stanco ed accaldato, la schiena gli doleva: era sicuro che quella notte avrebbe pagato lo scotto per quella lunga camminata. Eppure, nonostante gli acciacchi della vecchiaia che si insinuavano come ruggine nel suo corpo, si sentiva bene. Dopo quel viaggio interminabile da un capo all'altro dell'Impero, arrivato su quella spiaggia senza nome o memoria, quasi non riusciva a credere che la sua meta fosse davanti a lui a meno di una decina di metri di distanza: la palafitta sembrava quasi osservarlo, sospesa sulle onde ancora placide e trasparenti con le sue esili gambe di legno.

Non c'erano segni di vita lì attorno, ma la barca lunga e sottile tirata a secco testimoniava che il proprietario era in casa, anche se non sembrava voler uscire a dargli il benvenuto.

Era comprensibile, si disse Yanagi, ma la sua visita era necessaria quanto inevitabile: i suoi passi, come briciole d'ombra disseminate sulla sabbia, non avevano che percorso un sentiero tracciato per lui da un destino più grande ed ineluttabile. E quindi, dopo un'ultima esitazione, l'uomo si diresse verso quel destino, celato alla vista da un'esile porta di legno.

 

 

Yanagi si svegliò all'improvviso e coi sensi all'erta, tuffandosi fuori dal sonno come un nuotatore in cerca d'aria. La sua stanza era immersa nel buio, tolta la luce dei fulmini, che entrava in piccole schegge dalle fenditure nelle pareti. Il vento ululava, la pioggia fitta colava a rivoli dalle imposte sbarrate e gocciolava giù dal tetto di fronde e legno.

La tempesta era arrivata, violenta, con raffiche che sembravano voler prendere la piccola baracca e sradicarla come un'erbaccia dal terreno. Yanagi rabbrividì al tocco di uno spiffero gelido. Il cuore gli batteva forte nel petto, si sentiva inspiegabilmente irrequieto. Cercò di calmarsi, concentrandosi sul proprio respiro, e funzionò. Almeno un po'.

Cosa lo aveva svegliato? Forse un tuono, era plausibile. Eppure non lo credeva, c'era qualcos'altro, a renderlo inquieto, qualcosa che però non riusciva ad afferrare. La pioggia continuava a cadere, mille dita di ghiaccio che frugavano, che cercavano un pertugio attraverso cui insinuarsi.

C'era qualcosa che non andava, una vibrazione negativa che aleggiava nell'aria come il ricordo di un brutto sogno. Yanagi scacciò quel pensiero sciocco e infantile. Si sentì all'improvviso vecchio e stanco, spintosi troppo lontano in una terra che non conosceva e arrivato ad aver paura delle ombre. Eppure...

Per un attimo vento e pioggia diminuirono d'intensità, in una tregua momentanea prima del prossimo assalto, e allora ne fu certo. Eccolo, il rumore che lo aveva svegliato!

Rumore di passi.

Rimase paralizzato per l'incredulità, stringendo le dita sull'orlo delle coperte. Lo avevano seguito, chissà da quanto, e lui non si era accorto di niente. Era caduto nella trappola come il più grande degli sciocchi.

Passi attorno alla casa, fuori dai muri, sopra al tetto, ovunque. Ora che li aveva colti fra lo scrosciare della pioggia non riusciva a sentire altro: era circondato. Si alzò di scatto dal proprio giaciglio e gettò da parte le coperte, cercando a tentoni l'oggetto che vi aveva nascosto sotto. Doveva fare in fretta. Forse aveva ancora tempo, se solo gli avessero lasciato qualche altro...

-Fermo! Non muovere un muscolo!-

La voce lo raggiunse nel momento stesso in cui chiudeva la presa attorno alla sua wakizashi, ancora inguainata nella fodera rossa laccata. Yanagi si congelò sul posto.

Maledizione!

La luce tremula di una lanterna proiettò la sua ombra sul pavimento.

-Girati, lentamente.-

Yanagi obbedì, senza nemmeno cercare di nascondere la propria arma, sarebbe stato inutile. Le sagome dei ninja emersero dal buio come conchiglie lasciate indietro dalla marea: l'oscurità scivolò via da loro come un fluido, permettendo alla luce di rivelarne la presenza. Erano in tre; il più alto, probabilmente quello che gli aveva rivolto la parola, reggeva la lanterna. Tutti erano vestiti delle consuete uniformi nere: non fosse stato per il lume non li avrebbe distinti dal buio della notte, e forse neanche quello sarebbe bastato, se non avessero voluto farsi vedere. Tuttavia, il luccichio malevolo e affilato dei kunai nelle loro mani, quello era inconfondibile.

-Posa a terra la spada e calciala verso di noi. Non fare scherzi, vecchio.-

La voce era giovane ed insolente. Yanagi esitò: non voleva separarsi dalla propria wakizashi, menchemeno per ordine di quel ninja, ma sapeva di essere in grosso svantaggio. Forse sarebbe riuscito a far fuori quei tre, forse, ma che dire degli altri che attendevano fuori, pronti ad intervenire? Semplicemente non aveva speranze. L'unica cosa che poteva fare era cercare di guadagnare tempo per l'altra persona che sicuramente i ninja cercavano.

Una raffica di vento scosse la casa, passando come un brivido violento sulle assi di legno, e la lanterna tremolò leggermente. Yanagi posò la spada a terra e con un calcio la allontanò da sé; il ninja alto la afferrò e la fece scomparire subito dietro la propria schiena.

-Hai fatto la scelta giusta, Harada Yanagi. Ora torna a sederti sul tuo futon, per favore.-

Un quinto uomo fece il suo ingresso nella stanza, la voce compassata e leggermente acuta. Era di media statura, robusto, avvolto in un pesante mantello scuro e fradicio di pioggia. Era l'unico a volto scoperto e a non indossare l'uniforme d'ordinanza: aveva un viso paffuto e anonimo, di quelli di cui ti scordi nell'attimo esatto in cui distogli lo sguardo. Eppure Yanagi lo riconobbe all'istante e non poté fare a meno di concedersi una risata, priva d'allegria.

-Ikeda Hikari, il comandante supremo della Kuroame, l'ordine dei ninja, è venuto di persona a catturarmi! Suppongo di doverlo considerare un onore...-

Hikari ricambiò il sorriso, divertito, e prese la lanterna dal suo sottoposto. Si muoveva con la sicurezza placida di chi sente di avere la situazione sotto pieno controllo.

-Sei un pesce grosso, Yanagi-san, e meriti tutta l'attenzione che possiamo rivolgerti. Ora siedi.- quella volta non era una richiesta.

Harada obbedì, riluttante. Hikari esaminò con attenzione la stanza, sebbene il futon, una pila di indumenti ed un vaso da notte fossero gli unici arredi presenti. Infine si sedette difronte a Yanagi, posando la lanterna al proprio fianco, prendendosi tutto il tempo necessario.

-Ti sei trovato un bel posticino.- commentò.

-Mi piacciono le cose semplici.- tagliò corto Yanagi.

Il nina sorrise ancora, accondiscendente. Le ombre disegnate dal lume tramutarono la sua espressione in un ghigno lupesco.

-Sai, per un po' abbiamo pensato di averti perso, e che ti fossi dato alla macchia come tutti quei tuoi compagni traditori.-

Yanagi strinse i pugni, cosa che non fece che allargare il sorriso del ninja.

-Noi non siamo traditori! Il nostro Imperatore è stato assassinato, Danzo è solo un usurpatore!-

Il ninja ridacchiò e si sporse verso il samurai furente.

-Sono sicuro che avresti molto da dire a riguardo, ma non è questo il momento di parlare di politica.- spiegò, fissando Yanagi negli occhi.

Gli occhi scuri di Hikari sembravano volergli sondare l'anima da capo a fondo, e forse ne erano davvero capaci.

-Tu ed i tuoi compagni avete scelto di voltare le spalle al nuovo Imperatore, e perciò siete dei traditori. Quelli di voi che non hanno trovato la morte che invece meriterebbero se ne stanno ben nascosti come si addice a conigli come loro, e come converrebbe anche ad un samurai vecchio e stanco come te.- Hikari scrutò il volto del suo interlocutore, studiandone l'espressione di rabbia a stento trattenuta.

-Eppure, dopo anni, tu ti rifai vivo...e sei talmente sciocco da lasciarti dietro un mare di tracce. Tracce che conducono...qui- e fece un ampio gesto con la mano -Nel bel mezzo del nulla. Cosa c'è di così importante qui, per te?-

Hikari si zittì per qualche secondo, ma, come ci si poteva aspettare, Yanagi non aprì bocca. Solo il vento e l'acquazzone, a cercare di fare a brandelli quel silenzio forzato con la loro furia.

-Beh, forse dovremmo chiederlo al tuo amico pescatore...- riprese il ninja -Un mio uomo dovrebbe essere qui a momenti a portarci sue notizie.-

Qualsiasi speranza che i ninja non fossero a conoscenza dei suoi piani crollò in quel momento, in silenzio, ma rovinosamente, come il più grande dei castelli di carta. Sapevano tutto, e fin dall'inizio.

Il samurai abbassò lo sguardo a contemplarsi le mani ancora strette in grembo e capì che quello era il momento di agire, nonostante le probabilità contrarie. Ormai non aveva più carte da giocare: che la persona che era venuto a cercare fosse scappata o fosse stata catturata, lui non poteva più farci niente. Però poteva evitare di farsi portare in prigione come un qualunque delinquente, dove sarebbe stato torturato ed umiliato fino al giorno della sua sommaria esecuzione.

Non era quello il destino di un samurai, non era la morte che voleva per sé.

Inspirò a fondo, come assorto nei propri pensieri. Eppure aveva già preso la sua decisione.

L'attimo dopo era scattato in avanti, le mani tese verso Hikari, le dita contratte come artigli pronte a cavargli gli occhi. Il ninja reagì con prontezza chiudendo la guardia ed impedendogli di arrivargli al viso. Yanagi gli afferrò la veste e lo gettò di lato come un sacco di stracci e poi si alzò in piedi ignorando il dolore alla schiena che il movimento gli provocò. Il nemico più vicino si fece sotto, lui evitò il suo kunai e lo stese senza cerimonie con un pugno alla bocca dello stomaco.

Aveva occhi solo per uno dei ninja, colui che gli aveva sottratto la wakizashi.

Quello capì le sue intenzioni ed optò per un attacco preventivo: il kunai, guidato dal braccio esperto, disegnò una parabola lucente a mezz'aria, diretto alla gola del samurai.

La vista di Yanagi non era più perfetta e dovette agire d'istinto. Alzò un braccio, bloccando quello dell'avversario per poi rivolgergli contro la sua stessa arma con un rapido gioco di leve.

-No!- sibilò il ninja, prima che lui lo sbattesse contro il muro, affondandogli il kunai nel petto.

Yanagi rigirò il pugnale nella ferita, giusto per essere sicuro di chiudere per sempre quella bocca insolente, poi lasciò cadere a terra il corpo esanime del ragazzo, riprendendosi contemporaneamente la spada corta.

Si lanciò all'attacco del terzo ninja, ma quello era ormai pronto: deviò i suoi colpi di spada col proprio pugnale, indietreggiò di qualche passo e poi lo colpì al ginocchio con un calcio, rapido ed inaspettato come un colpo di frusta. Il dolore esplose come una stella nella testa del vecchio, che incespicò all'indietro, mulinando la spada per impedire all'avversario di avvicinarsi.

-Fermo! Quel bastardo lo ammazzo io.-

Hikari si era rialzato, buttando da parte il mantello bagnato. L'espressione divertita aveva lasciato il posto ad una maschera inespressiva e concentrata. Non era armato, ma il samurai aveva il sospetto che le sue mani fossero letali come una spada ben affilata.

-Se hai intenzione di buttare via quel poco che ti rimane da vivere fatti sotto: sarò ben felice di aiutarti.- sibilò Hiraki, avanzando lentamente.

Con la coda dell'occhio, Yanagi vide altri ninja schierarsi tutt'attorno nel poco spazio disponibile, in attesa del permesso di fare scempio delle sue carni. Non poteva scappare, e poi, con la schiena e la gamba destra sul punto di cedere, non sarebbe andato lontano. Se gli Dei avevano deciso che era lì che doveva morire, beh, che così fosse, ma sarebbe morto sporco del sangue dei suoi nemici.

Hiraki capì le sue intenzioni e chiuse la guardia, in attesa.

Ancora una volta, Yanagi respirò a fondo e con calma. Sentì la propria energia, la poca che gli rimaneva, fluirgli nelle vene, scorrergli nei muscoli e a fior di pelle. Per un attimo, la schiena ed il ginocchio malandati non furono più un problema.

Per un attimo, l'unico importante.

Svuotando i polmoni, mettendoci tutto sé stesso, Yanagi si lanciò in un ultimo, disperato attacco.

Ma Hiraki fu più rapido, fu una scheggia.

Si abbassò ed evitò la wakizashi, che affondò inutile nel muro, per poi colpire col palmo aperto il ventre di Yanagi, rompendogli le ossa del bacino. Il dolore fu lancinante ed immediato; Hikari, ancora accovacciato, gli afferrò una caviglia e spinse sul suo ginocchio sbilanciandolo all'indietro. Il samurai cadde fra le braccia di uno dei suoi assassini, che gli conficcò il suo kunai dritto in un rene.

Il vecchio emise un sospiro strozzato e le gambe gli cedettero. Cadde a terra a faccia in giù, senza più la forza di rialzarsi.

Hikari gli si avvicinò e raccolse da terra la sua wakizashi.

-Non c'è onore nella morte di un traditore.- disse, poi lo trapassò con la sua stessa spada.

Yanagi sentì il sangue inzuppargli le vesti, ma non soffrì: un pietoso torpore stava prendendo il posto del dolore pulsante, e gli sembrava quasi di fluttuare nel vuoto, sulle onde di un mare di tenebra che presto lo avrebbe sommerso.

Capì che quella, per lui, era la fine, ma non era dispiaciuto: la sua non sarebbe stata una morte vana.

Mentre l'oscurità calava sui suoi occhi, uno dei ninja faceva rapporto al superiore.

La palafitta era stata trovata vuota.

 

 

Ebbene sì, si ricomincia, e questa volta porteremo il lavoro al termine.Pubblico questo capitolo per farvi sapere che la storia non è morta, e sia io che il mio compagno Mist Guardian vogliamo continuarla. Ci sono state modifiche importanti nella storia, ed ogni capitolo precedentemente pubblicato è stato rivisto e riscritto. Sì, insomma, non stiamo badando a spese.
Spero di poter presto continuare la pubblicazione, e che almeno l'inizio sia stato di vostro gradimento. Grazie di aver letto; lasciate una recensione, mi raccomando!
E continuate a seguirci, naturalmente!

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Lungo il sentiero ***


Fabio93

 

Lungo il sentiero

 

 

Naoki sollevò lo sguardo dai propri piedi stanchi, posandolo sul villaggio che pareva attenderlo con pazienza alla fine della salita. Del villaggio, in realtà, vedeva solo l'imboccatura, il resto era precluso alla vista da un'alta palizzata di legno, leggermente inclinata verso l'esterno. A guardare quelle punte aguzze, come aculei di un riccio singolare, rivolte verso le ombre del bosco, Naoki si sentì attraversare da una leggera inquietudine.

Aveva sentito certe storie prima di partire, su cose che si aggiravano nelle regioni interne dell'Impero: cose che venivano con la notte, che attaccavano i viaggiatori. Era stato facile liquidarle, allora, davanti ad un bicchiere di sakè e al riparo della propria dimora, ma ora era tutta un'altra faccenda. Il bosco, che si chiudeva su di lui come una cupola di rami e foglie sopra il sentiero in salita, era placido e fresco: una vera manna rispetto ai campi assolati e piatti che aveva attraversato più a valle. Tuttavia, ora che tutte quelle storie avevano ripreso vita nella sua testa trascinandosi fuori dalle cripte della memoria, la penombra gli pareva appena più fitta, come se gli si fosse stretta pian piano intorno, strisciandogli vicino mentre lui riposava.

Si scoprì a tendere l'orecchio in cerca di un fruscio sospetto sotto il canto delle cicale, e a guardarsi attorno per cogliere eventuali movimenti fra le ombre del sottobosco, ma non c'era nulla in agguato fra il verde, e quella non era nemmeno la prima foresta che attraversava e dalla quale sarebbe uscito indenne. Era solo suggestione, suggestione mista a stanchezza, si disse. Comunque, decise che era meglio riprendere il cammino ed uscire dal bosco.

Riprese a salire, un passo dopo l'altro, cercando di ignorare lo sfinimento e i brutti presentimenti. Non sapeva che posto fosse, né chi o cosa vi avrebbe trovato, ma sperava di potersi prendere almeno un po' di riposo dopo quel suo lungo viaggio.

Riposo.

Il suono stesso della parola cominciava a sembrargli alieno. Da quanto tempo era in cammino? Quante strade e sentieri aveva attraversato, quanti boschi, quanti torrenti si era lasciato alle spalle, nella sua lenta corsa verso est? Davvero non avrebbe saputo dirlo. Sapeva solo di essere esausto: gli pareva di essere partito anni ed anni prima, anche se non potevano essere passate più di un paio di settimane.

Un'ombra più pesante delle altre gli scivolò sul viso: la palizzata incombeva su di lui, la porta d'accesso spalancata come una bocca sdentata. Campanelli e pergamene adornavano l'ingresso, disposti senza apparente ordine come le ultime foglie su un albero in autunno, animandosi ad ogni alito di vento con tintinnii e fruscii sommessi. Erano un altro tipo di protezione, per tenere fuori ciò che quei semplici pali di legno non potevano fermare. Naoki sorrise, nervoso: la gente del posto era davvero superstiziosa. Sfiorò un campanello, sperando gli portasse un poco di fortuna, e varcò la soglia dell'entrata.

Il villaggio era lungo e stretto, un serpente di case intrappolato fra le colline, tagliato a metà da quell'unica strada che aveva portato Naoki fin lì, ma in confronto alla foresta che lo circondava pareva più che ampio. Le cime degli alberi parevano ammiccare dalla sommità della palizzata, sporgendosi curiosi per spiarne l'interno.

La figura di Naoki catturò subito gli sguardi dei pochi presenti, perlopiù donne e bambini ancora troppo giovani per lavorare nei campi. Non che lui fosse un grande spettacolo, comunque: sporco, appiedato e coi capelli scuri e arruffati, pareva quasi un grumo di polvere con le gambe. Eppure tutti lo guardavano, interrompendo le loro faccende o i discorsi in cui fino ad un secondo prima erano immersi. Dopotutto, era uno straniero. Nessuno lo conosceva, nessuno sapeva quali fossero le sue intenzioni o cosa contenessero le sue bisacce. Poteva essere un innocuo viandante, oppure una minaccia per tutti loro.

Una vecchia signora, seduta all'ombra del proprio tetto, lo guardò passare seguendolo coi suoi occhi sottili e scuri; era magra, un mucchietto d'ossa e pelle imbrunita dal sole in contrasto coi capelli lunghi e bianchissimi. Un paio di donne, un attimo prima prese in una discussione concitata, si zittirono appena lo scorsero. Lui le salutò con un piccolo inchino e una di loro, la più giovane, rispose appena, mentre l'altra lo osservava con un misto di sorpresa e diffidenza. Lasciatesele alle spalle, Naoki le sentì riprendere a parlare, ora con tono più basso, quasi cospiratorio.

Tutto sommato, per essere gente che viveva dietro una barriera di pali acuminati, l'accoglienza non era stata delle peggiori, ma in ogni caso qualche contadino di malumore non sarebbe stato un problema: Naoki voleva riposo, un luogo dove fermarsi, e che il resto andasse pure al diavolo.

Il caseggiato si aprì in una piccola piazza circolare. Al suo centro, all'ombra di un vecchio ciliegio nodoso, c'era un pozzo: era rotondo, in pietra grigia e dall'argano per il secchio era stato ricavato un arco in legno, verniciato di rosso. A pendere dalla parte superiore dell'arco c'erano altre pergamene e campanelli. Improvvisamente, Naoki si accorse di essere maledettamente assetato, e che un sorso d'acqua fresca avrebbe dato una svolta alla sua giornata.

Tre bambini giocavano a rincorrersi, ridendo e sollevando un gran polverone. Quando lo videro arrivare rimasero per un attimo indecisi a fissarlo e poi si allontanarono d'improvviso come uccellini spaventati, tutti tranne uno: un ragazzetto magro e scompigliato. Rimase impalato, con la bocca socchiusa e la testa alzata per guardarlo in faccia mentre si avvicinava al pozzo.

-Hisashi! Vieni via!- lo chiamò uno dei suoi compagni, ma lui lo ignorò.

-Chi sei tu?- gli chiese invece, allungando l'ultima lettera mentre lo seguiva con lo sguardo.

-Io? Mi chiamo Naoki, piacere di conoscerti, Hisashi-kun.- gli rispose, cercando di essere il più cordiale possibile.

Fece girare l'argano per immergere il secchio nel pozzo, dando il via ad una sinfonia di cigolii stonati. L'ombra del ciliegio aleggiava su di lui, immobile ma plasmata dal vento, placando in parte la calura estiva.

-Mi sai dire che posto è questo?- domandò al bambino, che ancora lo fissava affascinato, come se avesse davanti uno strano animale parlante.

-Questo...oh! Sì! Qui è...-

-Ehi tu!-

Una terza voce si intromise nel discorso. Naoki alzò lo sguardo dal ragazzino, posandolo sulla figura che veniva loro incontro: un uomo asciutto e allampanato, avvolto in un kimono sgargiante, dai lunghi baffi grigi, come i suoi capelli.

-Cosa credi di fare?- gli chiese, sventolando il pugno chiuso -Lascia stare il bambino!-

Hisashi si defilò in un istante. Naoki finì di ritirare il secchio e lo poggiò sul bordo del muretto. Il suo interlocutore lo raggiunse e gli si piantò davanti, ancora in attesa di una sua risposta.

-Sono molto assetato, un sorso d'acqua non prosciugherà i vostri campi.- spiegò lui, senza riuscire a rabbonirne lo sguardo.

-Quest'acqua non è per te, ma per gli abitanti di Tsukishi, forestiero! E poi che ci fai qui tutto solo, in questa stagione? Eh? Chi sei?- si sporse verso di lui, arricciando il naso in una smorfia disgustata -Tu porti guai. Lo sento!-

Una piccola folla curiosa si stava riunendo nella piazza, commentando a bassa voce la scena. Qualcuno ridacchiava.

-Sono solo di passaggio, io...-

-Ecco, bene! Allora passa, o torna da dove sei venuto, che è anche meglio!- fece un gesto ampio e nervoso con la mano, come a voler scacciare un insetto fastidioso.

-Speravo di poter...-

-Ma allora non mi ascolti!- sembrava tenerci davvero a litigare -Ti ho detto che devi...-

-Falla finita, Yoichi-san.-

Ancora una volta, qualcuno si intromise e questa volta la voce era calma e profonda. Yoichi guardò oltre la spalla di Naoki, che si girò a sua volta sperando di non trovarsi faccia a faccia con un altro svitato. Un uomo li osservava, seduto all'ombra di un portico dall'altra parte della piazza. Naoki non riusciva a vederlo bene da lì, ma si intuiva che doveva essere un tipo piuttosto massiccio. C'erano un paio di ragazzi che si affaccendavano, vicino a lui, alle prese con quello che sembrava un grosso mantice.

-Non ti intromettere, Tetsuya-san, tu non c'entri!-

-Oh, andiamo, non essere così teso. Cos'ha fatto lo straniero per meritarsi tanto astio?-

Nonostante la distanza che li separava, la sua voce suonava forte e autoritaria.

-Lui ha...beh...- le parole sembrarono bloccarglisi in gola, mentre lui cercava di districarle e trovare quelle giuste -Stava...bevendo dal pozzo!-

Naoki non poté fare a meno di sorridere: si rendeva conto di quanto era ridicola l'accusa, espressa ad alta voce? Dal rossore che gli stava accendendo il volto, probabilmente sì.

-Capisco. Lascia che ci parli io, Yoichi-san.-

Yoichi aprì e chiuse la bocca, cercando le parole come un pesce cerca l'aria.

Fissò Naoki con astio, come a volergli rivolgere un ultimo insulto, poi gli girò le spalle e si allontanò a grandi passi, così com'era venuto. Lo scontro era stato evitato, ma la tensione era ancora palpabile, come un miasma nell'aria calda e secca.

-Vieni qui, ragazzo.-

A malincuore, Naoki si allontanò dal pozzo; avvertiva ancora gli sguardi della gente fissi su di lui, come mosche curiose a zampettargli sulla pelle. Tetsuya lo aspettò, osservandolo in silenzio mentre si avvicinava. Aveva un fisico massiccio, avvolto in una tunica blu scuro aperta sul petto; sedeva a gambe incrociate, le mani enormi poggiate sulle ginocchia. Era senz'altro il fabbro del villaggio: all'ombra del portico erano assiepati diversi strumenti da lavoro ed alcuni blocchi di metallo grezzo. Al suo fianco, due ragazzi vestiti solo di pantaloni leggeri azionavano l'enorme mantice che soffiava sulla fornace circolare: ad ogni sbuffo, piccole fiamme prendevano vita, passando fra le braci come un'onda fra gli scogli.

-Qual è il tuo nome?- gli domandò, con la stessa voce calma ma decisa di poco prima.

-Mi chiamo Naoki, signore.-

I respiri del mantice davano e toglievano spessore alle ombre del portico, illuminando a tratti gli occhi scuri del fabbro con barbigli di fuoco.

-Naoki-san, devi scusare Yoichi-dono per l'episodio di poco fa: è l'unico sacerdote del villaggio, e si sente in dovere di perseguitare ogni forestiero che gli capita a tiro- si concesse un sorriso, ma il suo sguardo rimase fisso su quello dell'altro -Ma dimmi, tu perché se qui?-

-Sono un semplice forestiero in cerca di viveri e di rifugio.- spiegò per l'ennesima volta.

-Questo lo dici tu. Di questi tempi è meglio diffidare delle parole di chi non si conosce.-

Il mantice andava su e giù come il respiro di un gigante sopito. I due giovani assistenti li osservavano senza fiatare.

-È verissimo, ma vi assicuro che sono solo di passaggio e non intendo procurarvi guai.- o meglio, sperava di non procurarne, ma questo non lo disse. Si sarebbe fermato un paio di giorni al massimo, non poteva accadere nulla.

Tetsuya portò una mano callosa al viso, passandola sulla barba ispida mentre soppesava le sue parole.

-E dove sei diretto, Naoki-san?-

-A Mizumori, signore. Spero di essere sulla strada giusta.-

-Oh, lo sei, anche se in questo periodo non si vedono molti viandanti, da queste parti, sei un po' in anticipo rispetto alla maggior parte dei viaggiatori diretti alle fiere delle grandi città. Ad ogni modo, ti basterà proseguire lungo il sentiero che ti ha portato qui, grossomodo, anche se sarebbe stato più semplice seguire una delle vie imperiali lungo il corso dello Shiruba.-

Quello era un argomento spinoso. Naoki non poteva permettersi di seguire le strade più importanti: i piccoli sentieri rendevano il suo viaggio più scomodo, ma molto più sicuro.

Uno dei ragazzi si alzò ed andò a prelevare un lingotto di ferro da arroventare. Naoki lo seguì con lo sguardo, mentre pensava alle parole giuste da dire, e fu allora che scorse quattro oggetti impilati su una rastrelliera di legno logora e tarlata. Quattro oggetti dalla forma inconfondibile.

-Sono katane, quelle?-

Il fabbro si girò a guardare le spade nascoste all'interno di altrettante semplici custodie nere, prive di decorazioni.

-Si, e forgiate da poco. Andrò a venderle al mercato di Ichiro fra qualche settimana, probabilmente.-

Naoki si mordicchiò il labbro, indeciso, eppure irresistibilmente attratto.

-Potrei vederne una, se non vi spiace?-

Tetsuya lo squadrò per qualche secondo, come a voler valutare se potesse o meno fidarsi di dargli in mano una spada e Naoki temette che da un momento all'altro lo avrebbe riempito di domande o cacciato via dal villaggio.

-Dayu-chan!-

Uno dei ragazzi si girò verso il suo maestro, che gli indicò con un cenno del capo la rastrelliera delle katane. Svelto, quello andò a prenderne una, per poi porgerla a Naoki con un inchino rispettoso.

-A voi.- disse.

Era un ragazzo alto, dal fisico asciutto. Il viso, però, era ancora quello morbido di un bambino, sotto lo strato di fuliggine che lo sporcava. Naoki prese la spada, e quello tornò di corsa al proprio lavoro.

Naoki sfoderò la spada lentamente, quasi con riverenza, liberandone il metallo sottile dalla custodia smaltata. Stese il braccio, puntandola davanti a sé perché la luce della brace ne abbeverasse le linee precise e la curva suadente. Forse la spada non era delle migliori, o delle più belle, ma era leggera e bilanciata e, come ogni katana, emanava un fascino irresistibile. Solo tenerla in mano faceva sentire Naoki più alto e forte.

Il fabbro lo osservò per tutto il tempo, spostando gli occhi dal suo volto assorto all'arma che reggeva in mano.

-Che ne pensi?- chiese infine.

-È molto bella, signore.-

Tetsuya sbuffò e scosse il capo.

-Non è nulla al confronto delle spade che forgiano i fabbri più rinomati...eppure, ti dirò, non riesco a non esserne fiero.- sia la voce che lo sguardo gli si addolcirono un poco, mentre indugiava a guardare la propria creazione, la guardava quasi come si guarda una figlioletta in fasce.

-Forgiare una katana non è da tutti in ogni caso.- lo difese Naoki, rinfoderandola -Ma...quanto costerebbe una di queste?-

Il fabbro lo guardò sorpreso, e lui subito di pentì della domanda.

-Beh, ragazzo, penso che costi più di quanto tu possa permetterti. E poi, hai il permesso di tenerne una?-

-Il permesso...?-

-Per possedere una katana devi avere un permesso imperiale...e costa quanto la spada, se non sei dell'esercito. Dove hai vissuto negli ultimi anni, per non saperlo?-

-Lontano.- spiegò porgendogli la spada -Ma non abbastanza.-

Tetsuya posò la katana al proprio fianco.

-Capisco cosa intendi.- gli disse, e parve sincero -Comunque, senza permesso non posso vendertela, anche se tu avessi i soldi. Potrei forgiarne una senza sigillo e lasciare che te la veda tu con le autorità, ma anche in quel caso correrei dei rischi, rischi che per te non sono disposto a correre.-

-Capisco benissimo, non importa...-

-Piuttosto...- si lisciò ancora una volta la barba, osservandolo con quegli occhi duri e scuri come il ferro -Puoi fermarti al villaggio per qualche giorno, se lo desideri. Col mio benestare nessuno ti darà problemi, stai tranquillo. Devi scusare la nostra diffidenza, ma sono tempi pericolosi e tu sei un estraneo, per noi.-

-Vi ringrazio molto.- fece Naoki con un piccolo inchino ed un grande sollievo nella voce -C'è una locanda, qui, o un posto dove poter trovare il cibo e il riparo che cerco?-

Passi leggeri alle sue spalle.

-Padre, sono tornata!-

Entrambi rivolsero gli occhi verso la nuova arrivata.

“Un vero bocconcino” osservò Naoki “Anche se ancora un po' acerbo...”

La ragazza doveva avere attorno ai quindici anni, era vestita con abiti stinti e un po' troppo larghi per il suo fisico snello. Aveva capelli lunghi e molto scuri, con sfumature rosso cupo dove il sole li colpiva, come il soffio sveglia il fuoco sopito fra le braci. Gli occhi erano più grandi di quelli del padre, e screziati da piccoli tocchi di verde: Naoki li fissò per qualche secondo in più di quanto non fosse educato fare, affascinato.

Lei gli passò accanto, esaminandolo con una rapida occhiata, ma senza rivolgergli la parola.

-Bentornata, Sayuri-chan. Hai preso quello che ti ho chiesto?-

-Certo, padre.- gli porse un cesto dall'aria parecchio pesante.

Mentre Tetsuya ne esaminava il contenuto, Naoki e la ragazzina si studiarono di sottecchi

-Molto bene. Sayuri-chan, questo è Naoki, è di passaggio nel nostro villaggio, vorresti portarlo alla locanda di Shoichi?-

La cosa non parve convincerla, a giudicare dalla piega che assunsero le sue labbra.

-Un forestiero che ha fatto così tanta strada riuscirà di certo a trovare una locanda...-

-Non essere impertinente! Fa come ho detto, e dopo torna a casa.- la redarguì il fabbro, poi si alzò e pose una mano sulla spalla di Naoki -Ti affido a mia figlia: è tempo che io torni al lavoro.-

-Certo. Grazie ancora per l'aiuto, signore.-

Naoki si congedò con un inchino e poi seguì la ragazza fuori dal portico: era davvero un bel bocconcino.

 

 
Dire che questo capitolo è nato da un parto difficile è dire poco: basta vedere quanto sia durato il travaglio. Spero che sia valsa la pena aspettare! Purtroppo l'azione è carente, ma recupereremo coi prossimi, non si possono sempre ammazzare personaggi a caso, o sbaglio?
Lascia una recensione, se ti va, alla prossima!

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Arriva la notte ***


Fabio93

 

Arriva la notte

 

Usciti dalla bottega del fabbro, i due proseguirono oltre il pozzo, dove la stradina che percorreva il villaggio riprendeva a salire in morbide curve seguendo le linee delle colline. La locanda non era lontana, e Sayuri camminava a passo svelto, ma ci voleva comunque un po' di tempo per arrivarci.

Un silenzio imbarazzato li accompagnava fra le case e gli sguardi della gente, alcuni curiosi, la maggior parte diffidenti. La stessa Sayuri non riusciva a sentirsi a suo agio a camminare con un perfetto sconosciuto: non sapeva davvero nulla di lui, che poteva essere un bandito, o anche peggio...

-Pensi che i tuoi vicini ce l'avranno con te per avermi accompagnato?-

Sayuri quasi sobbalzò, non aspettandosi l'inizio di una conversazione. Si girò e osservò il viso asciutto del suo accompagnatore. Era giovane, ma aveva un’aria molto stanca e consumata. Sul suo volto iniziavano ad apparire le prime rughe e aveva una cicatrice sulla guancia sinistra: non doveva aver avuto una vita facile. Continuò a fissarlo, finché non si accorse che lui ricambiava lo sguardo, ancora in attesa di una risposta . Colta dall’imbarazzo tornò immediatamente a guardare davanti a sé.

-Non temere, non ti mangio.-

–No, non è quello, è solo che...- abbozzò un sorriso e cercò le parole con cura -È strano ricevere visitatori in questo periodo, e le cose strane non piacciono, alla gente di qui.-

-È comprensibile e forse anche io sarei diffidente, ma davvero non sono qui per portare guai. Mi credi?-

Sayuri dovette riflettere un poco. Non lo conosceva e non poteva certo dire di fidarsi di lui, eppure non si sentiva minacciata: le pareva sincero, nel dirsi innocuo.

-Mio padre ci crede.- disse infine, levandosi d'impiccio.

Il giovane sbuffò, forse insoddisfatto del suo parere.

-In ogni caso- riprese con un sospiro – hai detto che di visitatori ogni tanto ne ricevete.-

-Sì, di solito piccoli mercanti diretti alle città più grandi, verso l'interno. Se ne vedono molti per il grande mercato di Mizumori, ad esempio, e a volte ci va anche mio padre.- spiegò, girandosi nuovamente a guardarlo.

 

Un grande lago. Schizzi di luce riflessi sulle onde.

 

Sayuri sbatté le palpebre, mentre lo sguardo tornava a mettere a fuoco le case, la strada e Naoki. Per un attimo la sua mente era scivolata via, lontano.

-Anche tu sei diretto a Mizumori, vero?-

Lui la guardò un po' stupito.

-Beh, sì. Ma come lo sai?-

-Ho tirato a indovinare...e comunque era la cosa più logica, no?-

Non poté fare a meno di sorridere, a quella piccola bugia. Non aveva affatto tirato a indovinare, l'immagine della grande città lacustre le si era presentata davanti agli occhi, chiara e nitida: era una cosa a cui lei era abituata, ma un po' troppo strana per parlarne in giro.

-Mi piacerebbe vederla, un giorno! Mio padre c'è stato e mi ha raccontato del lago circondato dalla foresta e delle tante piccole isole che compongono la città. Deve essere un luogo unico...- gli confessò, cercando di richiamare alla memoria i paesaggi descritti dal padre. Non aveva altro che la propria fantasia e quel suo particolare intuito, per vedere il grande mondo oltre la barriera di legno del suo villaggio. -Sapete, molti dei miei compaesani sono spaventati dal mondo fuori dalla barriera di legno. Dicono che sono successe cose orribili in passato e che dalla morte dell'Imperatore il mondo sia cambiato. Così hanno innalzato questa palizzata, per tenere fuori tutto quello che non gli piace o che li spaventa. A me invece piacerebbe poter viaggiare, vedere le grandi città dell'Impero!-

Naoki non riuscì a trattenere una breve risata, al che lei lo fulminò con lo sguardo.

-Scusami, non intendevo offenderti! È che non mi aspettavo un discorso del genere. Forse avrai la tua occasione di viaggiare lontano, te lo auguro.-

-Sarà...comunque, siamo arrivati.-

La locanda di Shoichi era costruita su tre piani, ognuno con ampie finestre e tetti spioventi d'argilla nera; era proprio dal lato opposto del villaggio, a poca distanza dalla palizzata che lo racchiudeva. Poco più avanti la strada tornava ad essere un semplice sentiero sterrato, stretto da entrambi i lati dal bosco fitto.

I due rimasero a guardarsi ancora un po': lui sembrava voler continuare a chiacchierare, mentre Sayuri cominciava ad essere ansiosa di porre fine all'incontro. Lo aveva accompagnato alla locanda, come le aveva chiesto suo padre, ed era stata educata e gentile, ora però voleva proprio tornare a casa: anche se non lo aveva ammesso, un po' la preoccupava il pensiero di cosa avrebbero detto i suoi compaesani. Forse non era poi così diversa dagli altri, come le piaceva pensare...

-Sayuri-chan- disse il forestiero, con fare pensoso -Ci sono molti posti bellissimi da vedere, nell'Impero, e chissà quanti altri nel mondo intero, ma si sono anche cose di cui...ecco, di cui è giusto aver paura. Cose che ti fanno venir voglia di costruire difese come questa.-

Indicò con un cenno del capo la palizzata, guardandola con sguardo assente, catturato da chissà quali pensieri o ricordi. Sayuri attese che lui aggiungesse qualcosa, ma Naoki non disse altro: le sue parole rimasero sospese fra di loro come un petalo ormai secco che rimane aggrappato al proprio fiore.

-Beh- riprese poi con un sospiro –credo sia giunto il momento di separarci. Grazie ancora per avermi accompagnato Sayuri-chan-

Pronunciando le ultime parole cercò di assumere un tono scherzoso, ma la sua espressione non la convinse. Qualsiasi cosa si fosse risvegliata in lui poco prima era ancora presente, si agitava in profondità nei suoi occhi, appena visibile. Cosa fosse a preoccuparlo, però, Sayuri non avrebbe saputo dirlo e nessuna intuizione le giunse in soccorso.

-Di nulla…- ripose -Bene.-

Chinò leggermente il busto in segno di saluto e si diresse verso casa, guardando un'ultima volta indietro, per vedere il forestiero entrare nella locanda. Una folata di vento gelido soffiò all’improvviso, facendola rabbrividire: raccolse le braccia attorno alle spalle per proteggersi dal freddo e inspirò l'aria della sera. La luce dorata del tramonto si raccoglieva fra le foglie degli alberi e sui tetti delle abitazioni come acqua dopo un temporale: tutto pareva più acceso e splendente ora che il giorno era in bilico sull'orlo della notte.

Quando giunse al basso casolare di legno che chiamava casa, verso il confine ovest delle mura, quel piccolo spettacolo di luci ed ombre era già finito. La sua era più ampia delle altre abitazioni del villaggio per via della fucina che occupava metà del piano inferiore. Entrò dall'altro lato attraverso la grande porta scorrevole, suo padre era lì: la schiena poggiata contro la parete, lo sguardo assorto e fra le dita la sua sottile kiseru in metallo e bambù dalla quale si levava un sottile filo di fumo grigio.

-Buonasera padre, sono tornata.- disse abbozzando un sorriso, e un lieve inchino del capo.

Tetsuya spostò su di lei lo sguardo e ricambiò il sorriso. Portò la kiseru alle labbra e inspirò a fondo.

-Come è andata col forestiero? Ti ha dato problemi?-

-No, nessuno, certo però che è un tipo misterioso...un po' strano.-

-Chissà...- fece suo padre, con uno sbuffo di fumo -Comunque per oggi gli abbiamo dedicato fin troppo del nostro tempo, ora che ne dici di preparare la cena prima che tuo padre muoia di fame, figlia sconsiderata?-

 

Era buio, nella piccola stanza di Sayuri. La luna era un alone pallido di luce e le ombre erano fitte. Dopo la cena aveva sbrigato in fretta le ultime faccende e poi si era ritirata per dormire: si sentiva stanca, benché non fosse stata una giornata particolarmente dura. Eppure non riusciva ad addormentarsi. Continuava a ripensare all'ultimo sguardo di Naoki, alle sue strane allusioni, ai pali aguzzi come denti che ringhiavano alla foresta e che le erano sempre parsi così innocui e familiari.

Ci sono tante cose là fuori. Cose di cui è giusto aver paura.

Si rigirò sul suo futon , inquieta. Le voci degli alberi bisbigliavano sommesse coi fruscii portati dal vento. Il legno della casa scricchiolò e Sayuri sentì un brivido accarezzarle la schiena. Perché si sentiva così tesa? Non ne aveva motivo, eppure sentiva una paura irrazionale agitarsi dentro di lei, in attesa di qualcosa che la facesse emergere, esplodere, e quel qualcosa stava arrivando, piccola Sayuri, arriva, sembrava dirle quella minuscola e fredda goccia di paura che aveva dentro. Rimase in attesa, trattenendo il fiato, senza sapere nemmeno cosa stava aspettando.

Qualsiasi cosa fosse, però, non arrivò. La ragazza sbuffò e tornò a chiudere gli occhi, cercando di pensare ad altro, magari alla bellissima luce del tramonto. E quando stava per rassegnarsi ad una notte in bianco, arrivò il sonno, e con esso, i sogni.

 

 

Nel sogno era il tramonto, si lasciava trasportare da un fiume di luce dorata e calda. Non c'era orizzonte, tutto era spazio e colore e sensazione.

Le pareva di udire una melodia, le note dolci e infantili di un flauto forse, o forse un sospiro di fronde. Un richiamo, comunque, di una voce che le pareva di ricordare.

Lasciò che il fiume la conducesse, lo sguardo rivolto ad un cielo terso e profondo.

E poi.

Freddo.

La luce del tramonto le morì sulle labbra come un grido di sorpresa e lei sguazzava in una palude di tenebra. La paura le si arrampicò dentro, le artigliò la gola e le morse il respiro. Nel buio ora c'era una luce, e la luce era rossa, un caos di forme e colore di sangue e la luce era fuoco, le fiamme aguzze e terribili come zanne e mordevano e danzavano nel caos su una musica che era fatta di urla. E d'improvviso la danza si fece inseguimento e quelle fiamme così rosse come sangue al sole del tramonto si lanciarono verso Sayuri e, oh, ecco, la paura le esplose dalle labbra e lei gridò e lei...

 

 

Si svegliò di soprassalto, col fiatone.

A poco a poco il cuore rallentò i suoi battiti e gli occhi misero a fuoco i contorni della sua stanza. Tirò un sospiro di sollievo: per quanto orribile, era stato tutto solo un sogno. Inutile rimettersi a dormire, comunque, visto che ormai albeggiava. Si tirò su dal futon, poi, mentre si chinava per ripiegare il proprio lenzuolo, capì che qualcosa non andava. La luce non era quella giusta, non era quella del sole all'alba, era...troppo rossa.

Il cuore le balzò in gola. Per un attimo rimase paralizzata dall'orrore per qualcosa di orribile che ancora non conosceva e che era uscito fuori dai suoi incubi per tornare a perseguitarla, poi quell'attimo passò e lei si fiondò fuori dalla camera e giù per le scale.

Una volta per strada, tutto ebbe senso: fiamme alte e vigorose squarciavano il buio della notte, spandendo un alone rossastro su tutto il villaggio. La locanda di Shoichi era in fiamme. Sayuri si portò le mani alle labbra per impedirsi di gridare. Il suo sogno si avverava davanti ai suoi occhi! Ma com'era possibile? Com'era successo?

Una mano la afferrò la spalla, facendola sobbalzare.

-Sono io, non ti spaventare...- la voce del padre era calma come al solito e la rassicurò un poco.

Anche lui fissava le fiamme, sul volto un'espressione indecifrabile.

-Padre, che cosa sta succedendo? Pensate sia stato...-

-Non lo so, potrebbe essere stato di un incidente…poco importa, ormai.-

Tutti gli altri abitanti stavano uscendo dalle loro case, unendosi a quelli che li avevano preceduti, correndo con secchi d’acqua dal pozzo verso la locanda in fiamme. Tra le parole di paura e di preoccupazione di quelli rimasti indietro, tra il groviglio di voci che si sovrapponevano Sayuri poteva udire un'unica parola comune a tutte: forestiero.

Che avessero ragione? Che fosse stato lui ad aver dato fuoco alla locanda?

-Sayuri, dobbiamo aiutare gli altri e fermare l’incendio. Corri a prendere un secchio per l'acqua e vai! Io devo prendere una cosa nella fucina, ti raggiungerò subito.-

La ragazza non se lo fece ripetere, corse in casa ed afferrò il primo secchio che riuscì a trovare per poi dirigersi al pozzo e riempirlo in fretta e furia, facendosi largo fra la calca dei compaesani. Corse a svuotarlo sulle fiamme che avevano ormai avvolto la locanda. C'erano urla e voci e l'odore di bruciato appestava l'aria. Il calore era insopportabile e l'incendio non accennava a placarsi nonostante gli sforzi di tutti i presenti: da un momento all'altro avrebbe coinvolto anche le altre case e sarebbe stato un disastro irrecuperabile.

Vuotato il secchio fece per tornare a riempirlo al pozzo, quando qualcuno le afferrò il polso in una morsa di ferro.

-Tu! Ti ho vista, mentre lo accompagnavi da Shoichi!-

Yoichi la fissava con sguardo terribile, gli occhi illuminati dalla luce febbrile delle fiamme.

-Lasciatemi andare, che fate?!- Sayuri tentò di liberarsi, ma la stretta dell'uomo era troppo forte.

-Ti ho vista! Ti ho vista!- gridò lui, strattonandola fino a farle cadere il secchio di mano -Hai portato la sventura su di noi, ci hai condannato a mor-

Il discorso venne troncato di netto. Yoichi balbettò qualcosa e poi rovinò a terra, nella polvere. Sayuri lo fissò a bocca spalancata, incapace di comprendere e spaventata. Si accorse che qualcosa le bagnava il volto, si asciugò meccanicamente col dorso della mano, e nonostante la scarsa luce riconobbe immediatamente quel liquido viscoso e scuro: sangue.

Tornò a guardare Yoichi, che ancora non si era mosso. Era morto, comprese. Alzò lo sguardo per cercare aiuto, ma non ne trovò alcuno: tutto attorno a lei, cadaveri.

 

Un altro parto difficile, tant'è che c'è stato pure un aborto di mezzo: quello di Mist Guardian come autore del capitolo! Va comunque detto che mi ha fornito la bozza e mi ha dato spunti decisamente utili per finire il lavoro, ringraziamolo quindi tutti in coro. Che dire, le cose iniziano a movimentarsi, e meno male: i capitoli di dialogo sono dannatamente difficili da scrivere. Mi auguro di aver fatto un lavoro passabile, ma fatemelo sapere: ogni recensione è gradita! Grazie, e alla prossima!

 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Noi siamo l'Impero ***


Fabio93

 

Noi siamo l'Impero

 

Il bastone di legno disegnò un arco perfetto, calando dall'alto con un sibilo minaccioso.

Yasu portò il proprio sopra la testa, reggendolo con entrambe le mani da un'estremità in modo che il resto pendesse verso il basso seguendo la linea della sua schiena: il colpo in arrivo scivolò via lungo la sua guardia e lui roteò il bastone abbattendolo sul fianco esposto del nemico. La figura in uniforme nera accusò il colpo e crollò di peso sul tatami con un gemito strozzato.

Yasu si girò immediatamente ad affrontare gli altri due avversari, anche loro in divisa e armati di bastoni da combattimento. Si fecero sotto senza esitazione, costringendolo ad una serie continua di parate e schivate. Lui continuò a muoversi, aspettando il momento giusto per contrattaccare e impedendo agli altri di circondarlo: anche se la palestra era ampia, bastava una distrazione per ritrovarsi chiuso in un angolo. Il lungo bastone di legno scuro e levigato vibrava con violenza nelle sue mani mentre assorbiva i colpi secchi e precisi che piovevano come grandine da ogni lato, ma Yasu era forte e i suoi sottoposti, anche se più giovani di lui, non lo spaventavano.

Riuscì a cogliere uno dei due alla tempia con un colpo di taglio e quello si afflosciò come un arbusto colto dalla falce.

-Rimaniamo io e te, Aki-kun.- fece Yasu, rivolto all'ultimo contendente rimasto.

Aki, occhi sottili, capelli corti e viso squadrato, sorrise lievemente, girando cauto attorno al suo avversario. Era in atto una tacita tregua, in cui ognuno cercava di studiare l'altro per trovarne il punto debole e chiudere il duello.

-Che dici, l'ho colpito troppo forte?- chiese, indicando con un cenno del capo il ninja colpito in testa, ancora svenuto.

-Abane-san ha la testa dura, non vi preo...-

Yasu non lo lasciò finire e si lanciò all'attacco. Cercò di aggirare la guardia di Aki, guidando il bastone dell'avversario col proprio, ma l'altro non si fece cogliere di sorpresa e assecondò ogni suo movimento senza scoprirsi, forzando invece il contatto per costringerlo ad indietreggiare. Fisicamente Aki era il più forte e stava sfruttando la situazione a proprio vantaggio. Yasu balzò di lato per disimpegnarsi, ma ancora una volta l'altro lo seguì, incalzandolo con affondi e attacchi rapidi, per sfinirlo. Yasu doveva porre fine al combattimento il prima possibile, o sarebbe stato sopraffatto: decise di giocare sporco e scoprì di proposito il proprio fianco destro. Nella foga dell'attacco Aki non fiutò la trappola e si fiondò in avanti con un affondo che avrebbe sicuramente messo Yasu al tappeto. Se lo avesse colpito.

Yasu ruotò su sé stesso, rapido e improvviso come l'acqua di un torrente, afferrò il bastone di Aki con la mano sinistra, sferrandogli un calcio con la gamba destra. L'altro riuscì a raccogliere le braccia al petto e assorbire il colpo, ma dovette lasciare la propria arma in mano al suo nemico.

-È finita.- sentenziò lui, cercando di nascondere l'affanno nel proprio respiro, mentre il sottoposto lo fissava affranto, stupito della velocità con cui la situazione si era ribaltata.

-Sei stato troppo avventato, in un vero combattimento questo errore ti sarebbe costato la vita.- gli disse -Ad ogni modo, è stato un buon duello.-

Gli si avvicinò e gli rese il bastone, che quello accettò con un inchino.

-Vi ringrazio, Yasu-sama. Siete un combattente formidabile.-

-Comandante?-

Un ometto in tunica azzurra fece il suo ingresso nella palestra. Yasu gli riservò un'occhiata disinteressata e un po' ostile. Sapeva che gli attendenti come quello, che non facevano parte dei corpi militari, erano indispensabili per far funzionare i grandi avamposti come quello di Iraka, eppure non si era mai abituato alla presenza di quei burocrati servili e deboli. Non erano guerrieri, sicuramente non erano veri ninja, eppure facevano formalmente parte della Kuroame: una contraddizione che a lui non era mai piaciuta.

-Cosa succede? Sono impegnato.-

L'attendente guardò con un certo nervosismo i due ninja ancora stesi a terra, prima di riportare il proprio sguardo sugli occhi grigi e duri di Yasu.

-Mi duole interrompere il vostro allenamento, ma Hikari-sama vi sta aspettando nei vostri alloggi.-

La notizia lasciò Yasu con un lieve senso di vertigine.

-Hikari-san? E quando è arrivato?- domandò, togliendosi il sudore dalla fronte con la manica.

-Si è presentato pochi minuti fa all'ingresso e ha preteso di parlare con voi.-

Era tipico di Hikari spostarsi da un posto all'altro senza farsi annunciare, e di solito non per visite di piacere. Yasu sentiva un chiaro odore di bruciato sotto quell'affare, ma temporeggiare non avrebbe fatto che permettere alle fiamme di crescere.

-Che sia maledetto...- mormorò a denti stretti -Andrò a incontrarlo. Abbi cura di far mandare un guaritore per quei due...-

-Sarà fatto, comandante.-

L'ometto si congedò con un rapido inchino. Yasu rimase immobile per qualche secondo a riordinare i pensieri, poi uscì dalla palestra a grandi passi, salendo ai piani superiori del complesso militare; i corridoi erano larghi e dotati di ampie finestre che da una parte davano sul cortile centrale, dove i ninja di grado più basso si allenavano quotidianamente, dall'altra si affacciavano sulle mura che difendevano la caserma. L'intera struttura era un viavai di gente indaffarata e tutti chinavano il capo rispettosamente al suo passaggio, anche se pochi lo conoscevano per davvero: dopotutto la segretezza era alla base della loro organizzazione. La base di Iraka infatti contava circa un centinaio di ninja ufficiali, ma quelli con più esperienza e di grado più alto vi lavoravano senza che nessuno, se non i capi come Yasu, ne fosse a conoscenza. Perfino lui, in realtà, dubitava di sapere tutto riguardo alla sua giurisdizione: era più che probabile che i pezzi grossi come Hikari avessero infiltrati in ogni grande base a tenerli informati di ciò che vi accadeva.

Yasu raggiunse le sue stanze, che si sviluppavano su due piani: di sopra c'era la sua stanza personale, piccola e umile, di sotto invece quella più ampia dove accoglieva gli ospiti e lavorava sui documenti ufficiali. Si chiese se fosse il caso di passare dal secondo piano per cambiarsi d'abito, ma poi decise di non voler perdere tempo, d'altra parte era stato Hikari ad arrivare senza preavviso e a coglierlo di sorpresa. Si avviò quindi verso l'entrata al piano inferiore e il ninja di guardia alla porta scorrevole, armato di una lancia decorata con un ciuffo di piume rosse, gli rivolse un inchino rispettoso e la aprì per lui. La camera era spaziosa, decorata con vasi e mobiletti dai colori vivaci. Dal lato opposto una porta-finestra dava accesso a un terrazzo affacciato sul cortile centrale, la luce del giorno la attraversava come un fiume silenzioso, abbeverando i due bonsai posizionati ai suoi lati come piccole sentinelle.

-Hikari-sama, la vostra visita ci rende onore.- disse Yasu, chinando il capo.

L'uomo dall'altra parte della stanza, intento ad ammirare una katana prima appesa al muro, si girò verso di lui e gli rivolse un sorriso di circostanza. Era vestito in ambiti ampi e sgargianti, che nascondevano le linee del suo corpo e quelle di eventuali armi che poteva portare addosso.

-Yasu-san! Vedo che il nostro avamposto prospera, nelle tue mani.- avanzò verso di lui reggendo la spada fra le mani, ancora all'interno della fodera verde smeraldo -Davvero un'ottima katana. Te la sei fatta forgiare da un fabbro della città?-

-Potremmo considerarla un trofeo, in verità. È appartenuta a Giichi Okada, un samurai che contribuii a catturare due anni fa.-

-Ora ricordo, certo!- il suo sguardo parve illuminarsi, mentre si alzava per incontrare quello di Yasu -Uno dei tanti traditori in fuga verso est, verso Long Yu. Beh, uno importante, senza dubbio. E a proposito di traditori: ci sono affari urgenti dei quali dobbiamo discutere.-

Si girò per rimettere a posto la spada, lasciando Yasu qualche secondo per macerare nei propri dubbi.

-Siediti, avanti.- fece poi, con un sorriso cordiale fin troppo ampio.

A Yasu non piaceva prendere ordini nel proprio ufficio, ma non poteva permettersi di competere con un personaggio influente come Hikari, così dovette assecondarlo e ingoiare l'orgoglio. Si sedettero ai lati opposti di un tavolino in pietra rossa che occupava il centro della stanza.

-Come sai- disse a quel punto Hikari, a voce tanto bassa che Yasu faticò ad udirlo -nonostante i nostri sforzi per essere presenti ovunque e stroncare la ribellione sul nascere, il malcontento è ancora diffuso, per le strade del nostro Impero. I fuochi della ribellione ardono ancora, sotto un piccolo strato di cenere fredda.-

Gli rivolse uno sguardo penetrante, come a volersi assicurare che capisse cosa intendeva. Yasu gli rivolse un piccolo cenno d'assenso.

-Come se non bastasse, ora dobbiamo guardarci anche dai nostri nemici oltre confine, che ormai non fanno più segreto delle truppe che stanno radunando. Hai mantenuto il collegamento con la corte di Noburu?-

-Ovviamente, è un pericolo da non perdere di vista.- rispose Yasu, cercando di capire dove il suo interlocutore volesse andare a parare -Stavo appunto terminando un rapporto completo da inviarvi. I signori feudali più importanti di Long Yu si sono riuniti a Yu Ta, l'ultima grande città prima del confine. Hanno lasciato indietro il grosso delle loro truppe, ma se volessero potrebbero essere in assetto di guerra entro qualche settimana. È probabile che Noburu voglia solo più assicurarsi di avere i grandi feudatari dalla sua.-

Hikari annuì con aria grave alle sue parole.

-Un giovane esuberante, il nostro Noburu, non c'è che dire. E sventuratamente è a capo di una nazione potente...-

Hikari chinò la testa, intrecciando le mani davanti a sé, come preso in un'attenta riflessione. Yasu ne osservò il volto corrucciato, tamburellando con le dita sulla pietra fredda del tavolino: non riusciva a capire se fosse o meno tutta una messa in scena per metterlo sulle spine. Ad ogni modo, era sicuro che fosse in arrivo qualcosa di grosso.

-Ah, questa proprio non ci voleva!- riprese infine l'altro, risollevando lo sguardo -Se ci attaccasse potrebbe costringerci ad una guerra su due fronti, perché è certo che i rivoltosi non se ne staranno a guardare. Occorre agire subito. Quando l'Imperatore leggerà il tuo rapporto sono sicuro che approverà la mia decisione.-

-Volete...agire senza aspettare l'ordine dell'Imperatore?-

Hikari gli rivolse l'ennesimo grande sorriso di infinita pazienza, come se stesse parlando con un bambino un po' tonto.

-Caro Yasu, ma noi siamo l'Impero. Grazie a noi i nemici del regno vengono scovati e uccisi. Grazie a noi il mercato nero è tenuto sotto controllo e tutti i mercanti più grossi pagano profumatamente per rimanere in affari. È grazie a noi se Danzo-sama siede ancora su quel suo bel trono, non scordarlo mai.-

Yasu non rispose, non si permise nemmeno di annuire. Erano parole pericolose quelle, ma se c'era qualcuno che poteva permettersi di pronunciarle, questo era il capo della Kuroame.

-Quindi- continuò -tu obbedirai all'ordine che sto per darti, che poi verrà approvato dal sommo Imperatore: voglio che Noburu venga assassinato.-

Yasu non si scompose, sebbene dentro si sé fosse in subbuglio. I rischi di un'operazione simile erano altissimi e, se avesse fallito, il destino dell'Impero sarebbe stato in bilico quanto il suo. Qualcosa non gli tornava. Era comprensibile voler stroncare la minaccia di Long Yu, ma una mossa così azzardata rischiava di ritorcersi contro di loro, e oltretutto l'Imperatore sarebbe stato coinvolto solo all'ultimo. Scrutò per qualche secondo lo sguardo di Hikari, che però non vacillò né diede segno di impazienza: era lo sguardo di un uomo che vedeva le cose andare esattamente secondo i suoi piani.

-Ho ninja affidabili a cui assegnare il lavoro. Noburu sarà morto entro il prossimo mese.- Yasu sentì il peso di ogni parola mentre la pronunciava.

-E a quel punto l'esercito che stava mettendo in piedi si disperderà e i suoi signori feudali faranno a gara per spartirsi il regno.- concluse per lui Hikari, evidentemente soddisfatto -Molto bene, mi auguro che non ci siano impedimenti. Fammi portare un tè, Yasu-san. Sarò in partenza col tuo rapporto entro il pomeriggio.-

 

 

Sul tetto del tempio, al di sopra delle case della città, al di sopra perfino dello sguardo attento degli dèi, Yasu sedeva con la schiena poggiata ad una decorazione in legno a forma di leone ruggente.

Quello era il posto che spettava ad uno come lui, ne era più che convinto. Nato da una famiglia umile e senza prospettive, era riuscito a farsi strada fino a diventare uno dei capi ninja più importanti, contando solo sulle proprie capacità. Per questo Hikari gli aveva assegnato il controllo di quella regione di confine: era un ruolo di grande responsabilità, ma anche lontano dalla capitale, dov'era il vero potere. Lo temeva.

E per lo stesso motivo gli aveva assegnato quell'assassinio, ne era quasi certo. Se avesse fallito, cosa molto probabile, la sua testa sarebbe rotolata giù da un ceppo insanguinato a guerra conclusa, forse anche prima. Hikari, invece, non rischiava nulla: un fallimento sarebbe ricaduto su Yasu, mentre un successo non solo gli avrebbe dato il merito di aver assassinato la guida della nazione rivale, ma gli avrebbe anche permesso di eliminare pian piano i rivoltosi interni.

Che fare dunque? Qual era la mossa giusta per uscire dall'ombra di Hikari? Sentiva che, nascosta dietro le insidie di quella missione, per lui c'era una grossa opportunità di risalire la piramide del potere della Kuroame.

Il vento lieve mormorava di sere estive e di alberi in fiore, ma non aveva risposte per lui. Aveva una scelta difficile davanti, ma, in fondo, sapeva cosa avrebbe fatto. Passi leggeri e furtivi tradirono la presenza di un'altra persona sul tetto. Yasu si girò e individuò un'ombra venire verso di lui, a schiena china e a passo svelto.

-Aki-kun.- salutò, senza esitazione. Rimanendo un ninja abbastanza a lungo, si impara a riconoscere le persone dalla loro corporatura e dal loro modo di muoversi, e l'uniforme anonima non fa più differenza per un osservatore attento.

-Sono venuto come desideravate, comandante.- gli disse quello, inginocchiandosi.

Yasu respirò a fondo. Se avesse parlato ora, non ci sarebbe stato ritorno: da quello che stava per dire dipendeva il suo futuro, la sua vita. E la vita di molte, molte altre persone.

-Aki-kun, ascoltami bene. Ho una missione molto importante, e molto difficile, da assegnarti.-

 

 

Ebbene, il prossimo capitolo dovrebbe giungere dalle abili mani del mio collaboratore, si spera. Quanto a questo, spero di aver prodotto qualcosa di decente, ditemelo voi, magari. C'è un punto e virgola, nel capitolo: non posso che dedicarlo a Melinda Pressywig, nostra fedele lettrice. Lei capirà.
E questo è quanto: grazie per aver letto, alla prossima!

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** La corte oltre le montagne ***


Mist Guardian

 

La corte oltre le montagne

 

L’imponente drago rosso serpeggiava e si scuoteva, le sue fauci spalancate, come stessero per divorare una preda. La folla si raccoglieva ai lati delle vie della città per lasciarne passare il corpo di seta e nastrini, ammirando la sua sinuosa forma avanzare sorretta da un corteo di uomini preceduto da monaci che ne accompagnavano l’avanzare con dei flauti.

Era la vigilia di una delle festività più importanti del Paese, il giorno in cui le possenti Rivelazioni erano scese dai cieli a debellare l’oscura magia che contaminava il mondo, e, nella Città di Giada, capitale santa, questo giorno era celebrato maestosamente. Quella sera tutti erano in festa: chi assisteva ammirato alla parata del drago nella via principale, tempestata di colori, voci e lanterne; chi girava tra le bancarelle poste nelle vie principali in un vorticoso mescolarsi di spezie e stoffe pregiate e manufatti sacri e cibi tradizionali; chi andava a porgere omaggio nella maestosa pagoda Yu Ta, sede del culto e dalla quale l’intera città aveva preso il nome; e chi invece preferiva passare la sera circondato dai propri cari celebrando il lieto giorno con più intimità.

Dall’alto della residenza imperiale tuttavia, a guardare lo spettacolo da una delle innumerevoli balconate in legno rosso, Mei-Hua non si sentiva minimamente partecipe di tutta quella gioia. Tutta Yu Ta era in festa e lei lì, appoggiata tristemente al legno della balconata, a sospirare e a farsi accarezzare il viso dalla brezza della sera. Avrebbe davvero voluto trovarsi laggiù, in mezzo alle persone, a vivere. Ma la prima cortigiana dell’Imperatore non può mai lasciare il palazzo senza permesso: e quella sera, le era stato proibito.

Era stata portata nel quartiere del piacere all’età di dieci anni, e da allora non era mai stata libera. Sempre vincolata dall’umore di altre persone, dai loro capricci, perché in fondo anche se formalmente era una donna libera, si era sempre sentita una schiava. Nessuno l’aveva mai trattata come una persona, era sempre e solo stata un oggetto: utile e grazioso a vedersi, certo, ma di cui non si sentiva la mancanza una volta distolto lo sguardo. A quei pensieri, una lacrima le scese sulla guancia e il suo tocco freddo quasi la sorprese, come se fosse venuta fuori per conto suo.

Un rumore di passi fuori dalla sua stanza la distolse dai suoi pensieri malinconici. Doveva ricomporsi: si asciugò la lacrima con la manica della veste e cercò di assumere un’aria impassibile.

La porta di legno scorrevole si scostò e senza troppi complimenti un soldato in armatura leggera e armato di lancia decorata con pendenti nastri rossi entrò nelle sue stanze.

-Nessuno ti ha mai insegnato un minimo di gentilezza?- disse lei voltandosi verso lo sgradito ospite, lasciando frusciare per terra le sete crude e stinte delle quali era vestita.

-Bada a come parli donna! Non è certo a te che devo il mio rispetto. Sono venuto qui solo per informarti che l’Altissimo ti attende nelle sue stanze, vedi di essere pronta ad essere ricevuta.-

La donna dovette trattenere un sospiro rassegnato.

-Ti ha detto anche per cosa sono richiesta?-

Al sentire quelle parole sul volto del soldato si dipinse un sorriso malizioso

–E cosa potrebbe mai volere il nostro Imperatore da te?- si lasciò scappare una risatina beffarda –Proprio non ne ho idea...!-

Mei-Hua si sentì avvampare. Avrebbe volentieri preso a schiaffi quel sorriso compiaciuto, tuttavia non poteva lasciarsi andare e cercò di nascondere la rabbia dietro il solito sorriso di cortesia.

–Sarò subito da lui, lasciami il tempo di vestirmi in maniera più consona.- allargò le braccia per mettere in mostra le vesti umili che indossava.

Il sorrisetto malizioso sparì dal volto della guardia, delusa dalla scarsa reazione alle sue provocazioni.

-Bene.- sì limitò ad aggiungere, rivolgendole un ultimo sguardo dall'alto in basso prima di uscire dalla stanza.

Appena fu nuovamente sola, Mei-Hua trasse un lungo sospiro di sconforto e rassegnazione. Quella era la sua vita. Non importava quanto tempo lei spendesse ad osservare la gioia e le luci oltre le mura del palazzo, e quanto ad immaginarsi un'altra persona: lei era la prima cortigiana dell’Imperatore, una bambola al suo servizio.

Si diresse verso uno scomparto della parete dove teneva tutti i suoi abiti: optò per uno yukata rosso ornato di camelie, dal tipico gusto Nisoriano: forse l’Imperatore avrebbe apprezzato un richiamo alla terra dei suoi antenati, pensò. Finito di indossarlo, si spostò verso uno specchio dalla cornice decorata di kirin danzanti, per truccarsi. Il riflesso continuava a mostrarle quel volto impassibile, il volto di una donna ormai rassegnata.

Quel soldato era come tutti gli altri. Il suo stato di donna di piacere non faceva che seguirla ovunque andasse, qualunque cosa facesse, come un fantasma, una malattia, un marchio.

Finì di truccarsi e di acconciarsi i capelli, guardò la sua immagine nello specchio controllando ogni dettaglio. Compiaciuta del risultato aggiunse l’ultimo tocco: frugò in una piccola scatolina piena dei suoi gioielli e prese un bellissimo fermacapelli a forma di giglio, un ricordo della sua defunta madre e unico frammento rimastole della sua vita passata: ricordi felici ai quali spesso si aggrappava nei momenti di maggior sconforto, per trovare pace.

Controllò di non aver tralasciato nulla, sorrise soddisfatta e si bagnò il collo con un essenza profumata al gelsomino. Infine, ormai pronta, si incamminò, celando e sue emozioni dietro una maschera sorridente e spensierata.

 

 

Aprì gli occhi ancora assonnati, rigirandosi nel letto: non riusciva a prendere sonno.

Domani sarebbe stata celebrato l’avvento delle Rivelazioni nella piazza centrale davanti alla Pagoda, il che comprendeva un sontuoso banchetto nel palazzo imperiale con i nobili più importanti dell’impero.

Ma domani non sarebbe stata una celebrazione come tutte le altre. L’Imperatore quella notte non aveva solo voluto il suo corpo, avevano bensì parlato a lungo di cosa sarebbe avvenuto: le cose che dovevano essere dette, le decisioni che dovevano essere prese...e il solo pensarci le faceva venire un groppo allo stomaco. Si girò e intravide la sagoma dell’Imperatore accanto a lei, la sua schiena ancora imperlata di sudore, i lunghi capelli neri che vi ricadevano in maniera disordinata. Indugiò qualche secondo su di lui con lo sguardo. Il momento era vicino.

 

 

Gli abitanti si erano riuniti a gran numero quel giorno. L’immensa piazza davanti alla Pagoda era gremita di gente: persone appartenenti a tutte le classi sociali, dai nobili ai poveri, dai mercanti agli schiavi, tutti loro riuniti nella celebrazione.

Come prima cortigiana, Mei-Hua era ammessa al padiglione riservato alla nobiltà: un enorme tendone di tessuto rosso e bordi dorati con uno scranno per l’Imperatore e comodi cuscini per permettere ai nobili, consiglieri e a lei di assistere agevolmente alla cerimonia. Una fila di soldati armati di lancia li separavano dalle altre classi sociali, mentre loro erano a pochi metri dalla maestosa gradinata dorata che portava alla Pagoda di Giada, svettante nella sua magnificenza. Era un’immensa costruzione scolpita nella giada più pregiata e levigata, scintillante alla luce del sole. I suoi quattro piani, tanti quante erano le Rivelazioni, erano ognuno contraddistinto da un ampio tetto di tegole dorate, e ad ogni angolo di questi, statue di leoni ruggenti anch’essi di giada. Il pinnacolo finale, altissimo, era un opera d’arte magnifica anch’esso: un drago dello stesso materiale della costruzione vi si avvinghiava attorno per tutta la sua lunghezza, e il suo volto feroce era rivolto ai fedeli nella piazza.

Tutti erano lì, in attesa dell’uscita dei quattro sacerdoti. Mei-Hua cercò di carpire qualche rumore proveniente dalla pagoda, ma il vociare dei cittadini copriva ogni altro suono. Nell’attesa, la mente le tornò agli eventi pianificati e una forte agitazione riprese possesso di lei.

Si voltò verso l’Altissimo: il suo viso era inespressivo, la sua figura austera nelle vesti verdi e dorate, ricamate col drago che si morde la coda, lo stemma imperiale. Era ancora giovane, aveva da poco compiuto trent'anni, eppure nessuno a corte si sognava di prenderlo alla leggera: era inflessibile e determinato, dentro di sé aveva un fuoco che non attendeva altro che il soffio giusto per poter divampare. Non doveva aver notato che lei lo stava fissando, in quanto non spostò lo sguardo dall’edificio per tutta la durata dell’attesa. Solo le Rivelazioni sapevano a cosa stesse pensando, ma anche lei aveva le sue idee a riguardo.

D’un tratto, il suono di un gong interruppe il vociare di tutti, spostando l’attenzione dell’intera piazza verso i gradini dorati. Quattro figure anziane uscirono a passi lenti dal portone dell’edificio, tutte in sontuosissime vesti verdi e oro, e sul petto lo stemma del culto raffigurato: il fiore di loto a quattro petali.

Si sistemarono in fila sul gradino più alto, rivolti ai fedeli.

Mei-Hua non aveva particolare fede nel culto, ma per lei era un'ottima occasione per distrarsi e dimenticare un po' le sue preoccupazioni. Si sentiva a suo agio in quei momenti: se pensava che in quella piazza non era più solo la prima cortigiana imperiale, bensì anche Mei-Hua, una donna e una fedele, le sembrava sentirsi un po’ più libera del marchio che portava sempre con sé.

D’un tratto uno dei quattro anziani si fece avanti per prendere la parola: era un ometto gracile, calvo e con una lunga barba grigia che gli scendeva fino alle ginocchia. Eppure, nonostante paresse che sotto quelle vesti sgargianti non ci fosse altro che un mucchio d'ossa tremanti, la sua voce risuonò con sorprendente chiarezza e vigore nella piazza.

-O beneamati fedeli, celebriamo questo momento di immensa gioia! Celebriamo la luce di Kariobinia che squarciò il velo di tenebre che chiudeva gli occhi ai nostri antenati, mostrando loro la gloria! Celebriamo Tenseiku e Viruparia, discesi a cacciare gli idoli pagani con la loro furia! Celebriamo Mahamayuri che con la sua immensa ferocia e giustizia ha liberato le nostre anime dal giogo di questi falsi dei, prendendole sotto la sua custodia! - prese fiato, ed aprì le braccia come ad accogliere tutte le persone riunite ai suoi piedi -Noi tutti viviamo della prosperità e della pace che le Rivelazioni ci hanno donato, costruendo l'Impero di Long Yu: il più potente e glorioso di tutti i regni. Accogliamo ancora una volta la loro luce nei nostri animi, e che essa possa risplendere, in tutta la sua sfavillante potenza, ad illuminare la via del nostro Imperatore: lode alle Rivelazioni!-

Dette quelle parole, tornò in mezzo agli altri tre, che con un gesto della mano fecero passare dei giovani monaci tra la folla con delle incensiere, sprigionanti un forte odore di fiori.

Successivamente ci fu un secondo suono di gong, uno dei quattro si schiarì, la voce e annunciò: -Si proceda col rituale! Nobili Rivelazioni, accogliete questo nostro pegno e rinnovate la vostra protezione su di noi!-

Era giunto il momento dell’ospite d’onore.

All'interno di una piccola gabbia di ferro sorretta da due giovani adepti, un'animale scrutava i presenti con due occhi gialli pieni di paura, cercando di ritrarsi il più possibile per quanto permettesse la sua angusta prigione. La volpe era l’emblema della magia oscura, in quanto una delle icone più antiche della religione pagana che il culto delle Rivelazioni aveva soppiantato, perlomeno a Long Yu. Per celebrare la purificazione da questa magia quindi, l'animale andava sacrificato.

La gabbia venne portata davanti all'imperatore, che pronunciò una breve preghiera rituale, con tono meccanico e distaccato, in segno di preparazione alla purgazione.

Quando l'animale venne allontanato dal cospetto dell'Altissimo, Mei-Hua ne incrociò lo sguardo e, nonostante il torpore in cui i suoi sensi erano parzialmente sprofondati a causa dell’incenso, non poté non provare compassione per quella volpe: anche lei si sentiva intrappolata da invisibili sbarre di ferro, costretta ad interpretare un ruolo che non le apparteneva. Negli occhi della volpe vide la stessa paura, la stessa rabbiosa confusione che lei teneva nascosta nell'animo.

Mentre veniva portata al cospetto dei sacerdoti l'animale tentò di rigirarsi all'interno della gabbia, rizzando i peli e digrignando i denti, terrorizzata. Non vide però uno degli anziani estrarre un coltello finemente decorato. La lama, guidata da mani esperte, penetrò in fretta fra il pelo e i muscoli della volpe, recidendone la gola; il corpo dell'animale fu scosso da un brivido violento, ci fu un debole guaito, poi più nulla. Solo sangue sul pelo della volpe, sul ferro delle sbarre e sulle mani dei sacerdoti.

Il sacrificio ghermì l’attenzione della folla, scuotendola con un tremito di soddisfazione; lei, al contrario, si sentiva solo nauseata.

L’uomo con la mano insanguinata si fece avanti invocando nuovamente la benedizione divina.

-Vi prego o gentile Kariobinia, o augusto Tenseiku, o possente Viruparia e o feroce Mahamayuri, accettate in sacrificio questa empia creatura! Liberateci dalla sua corruzione!-

Estrasse dalla manica una piccola fialetta dorata, come in un abile gioco di prestigio, versandone il contenuto sulla gabbia e sulla carcassa della volpe: un liquido oleoso e di colore scuro. Un valletto accorse a porgergli una fiaccola appena accesa, che quello sollevò al di sopra della propria testa, come a voler illuminare la piazza gremita.

-Che la luce delle Rivelazioni consumi l'empio e illumini il giusto! Sia lode alle Rivelazioni!-

Il sacerdote lasciò cadere la torcia. A contatto col fluido nerastro, il fuoco prese vita e avvolse il corpo dell'animale in una crisalide di fiamme colorate, come lunghi drappi di seta al vento. Il cadavere si consumò in fretta, senza fumo e senza rumore, se non un lieve sfrigolio, divorato da quel fuoco sgargiante eppure famelico. La folla rimase a guardare, completamente assorta dal gioco di colori e dal suo oscuro fascino.

Mei-Hua sapeva che la sostanza che alimentava le fiamme era ben più di uno spettacolo per i fedeli: adeguatamente corretta era un'arma potente, che aveva deciso le sorti di numerose battaglie.

La formula era un segreto custodito gelosamente dal clero, per la cui benedizione molti nobili erano disposti a pagare profumatamente.

Dopo quello spettacolo tutti i fedeli si inchinarono recitando un sutra. Anche Mei-Hua si unì al coro, sussurrando la preghiera con voce meccanica e assente: aveva pronunciato quelle parole centinaia di volte, e non una sola volta le avevano dato conforto. E poi, non riusciva a smettere di pensare alla volpe: per un momento, seppur brevissimo, si era sentita veramente vicina a quella creatura e ne aveva sentito la paura come fosse stata la sua. Forse quegli animali avevano davvero qualcosa di speciale, in fondo.

 

 

Dopo qualche ora la cerimonia era finita e con un'ultima benedizione i sacerdoti rientrarono in silenzio nella Pagoda. I fedeli iniziarono lentamente a disperdersi e lei cercò di riprendere padronanza dei sensi ancora leggermente intontiti dagli incensi. Doveva dirigersi insieme all’ Imperatore e ai nobili verso il palazzo, per il banchetto. Come prima cortigiana avrebbe dovuto intrattenere le persone giuste, carpire frasi e intenzioni, dire solo quello che doveva senza lasciarsi andare. Tutt'altro che un pranzo spensierato.

Percorsero la via principale di Yu Ta, da ogni lato la gente per le strade si inchinava al loro passaggio. Dovette ammettere che la cosa non le spiaceva, anche se solo per la luce riflessa del suo protettore, era bello sentirsi importanti, almeno un po'.

Giunsero finalmente alla residenza imperiale lì a Yu Ta. Una enorme costruzione in legno laccato di rosso e avorio, praticamente una città nella città: tra ponti sospesi, terrazzamenti, giardini e tempietti non era affatto difficile perdersi in quell’enormità. La facciata principale lasciava a bocca aperta chiunque la vedesse: statue guardiane a ogni angolo del tetto, bassorilievi e incisioni tra le pareti, eleganti lanterne e stendardi col drago. Perfino lei, dopo tutti quegli anni, non riusciva a non rimanerne incantata ogni volta “non avrei potuto chiedere gabbia più sontuosa” pensò fra sé mentre entravano, lasciandosi scappare un sorriso malinconico.

 

-La vostra bellezza è ogni anno più abbagliante mia signora.- la elogiò un grasso nobile del sud mentre metteva in bocca un delicato abalone.

Si girò subito verso di lui, coprendosi la bocca con la lunga manica mentre masticava il più in fretta possibile, sorridendogli con lo sguardo.

–Siete troppo gentile nobile Yi-Huo- si affrettò a dire non appena ebbe deglutito –ma dovreste dedicare le vostre attenzioni a donne più meritevoli, dopotutto sono solo una dama di compagnia.-

-A mio giudizio siete la migliore di tutte, la vostra bellezza farebbe impallidire qualsiasi imperatrice!-

A quelle parole non poté fare a meno di arrossire, sapeva fin troppo bene dove voleva andare a parare con tutte quelle lusinghe, ma accettare qualche complimento non avrebbe fatto male, dopotutto.

-L'Altissimo è un uomo davvero fortunato: darei metà di tutte le merci stipate nel mio porto, giù a Tien-Zhao per godere della vostra compagnia anche solo una notte...- il nobile allungò una mano grassoccia e unta per sfiorare la sua, fissandola con quei suoi occhi piccoli e scuri.

-Meglio di no: non ve ne rimarrebbero abbastanza per pagare Lan-Liu, mio signore.- rispose con una leggera risatina.

Yi-Huo scoppiò in una fragorosa risata che quasi si perse, tuttavia, nel baccano generale.

-Quella serpe di tesoriere, che sia maledetto!- l'uomo staccò la mano da quella di Mei-Hua per posarsela sul petto, come a voler contenere la minaccia di un nuovo eccesso di ilarità.

Una serva, in abiti colorati e stretti, posò vicino a loro un vassoio colmo di carne di maiale agrodolce, cosa che parve attirare l'attenzione di Yi-Huo, almeno per il momento.

Mei-Hua bevve un piccolo sorso di Huangjiu tiepido dalla propria ciotola, il liquido le scaldò piacevolmente il petto mentre scendeva giù per la gola e il suo sapore forte le riempì il palato, una volta deglutito ispirò a fondo il profumo del liquore, grata della piccola pausa nella conversazione.

La sala dell'Airone era piena di odori di spezie e di decine di voci che si sovrapponevano: si sentiva come seduta al centro di uno sciame di mosche fastidiose e non vedeva l'ora che tutto fosse finito. Non era nemmeno riuscita a cogliere molte informazioni interessanti, la maggior parte dei nobili invitati si dilungava in ciance inutili, qualcuno discuteva sui costi sostenuti per radunare le truppe. I più furbi, infine, aprivano la bocca solo per assaggiare le prelibatezze servite a tavola, aspettando che fosse Noburu a prendere la parola, cosa che certamente avrebbe fatto prima della fine del banchetto.

Cercò con lo sguardo lo scranno dorato dell'Imperatore. Noburu sorseggiava la sua ciotola di Huangjiu con aria assorta, fissando un punto imprecisato davanti a sé. Accanto a lui aveva voluto i generali più importanti di Long Yu, che sembravano invece immersi in discorsi concitati. Alla destra dell'Imperatore sedeva Shou-Sun, suo zio e confidente. Nonostante l'età era ancora un bell'uomo, il cui fisico possente era in esatto contrasto col suo portamento delicato, e i capelli grigi tagliati corti gli davano un certo fascino: chissà come sarebbe stato essere la sua dama di compagnia, invece che del nipote. Come se avesse avvertito gli occhi di Mei-Hua su di sé, Shou-Sun si girò ad incontrarne lo sguardo, con un lieve sorriso sul volto. Non sarebbe stato affatto male, credeva.

Shou-Sun tornò a girarsi verso Noburu e lo scosse con delicatezza per la spalla, strappandolo ai suoi pensieri. Si sporse a sussurrargli qualcosa, Mei-Hua vide l'Imperatore annuire con aria decisa, e seppe che il momento cruciale era arrivato.

L'Altissimo si alzò in piedi, la sua figura resa ancora più imponente dalle vesti sontuose che indossava, scrutando i commensali come un marinaio che cerchi nell'orizzonte i segni della tempesta.

-Miei gentili ospiti.- parlò con voce chiara e forte, poi attese che ogni chiacchiericcio si placasse -Abbiamo mangiato e celebrato insieme questo lieto giorno, ma, come penso tutti voi avrete ormai capito, non è solo per rendere omaggio alle Rivelazioni che vi ho voluti qui, oggi.-

Nel parlare spostava lo sguardo da un nobile all'altro, tenendo i pugni saldamente piantati sul tavolo imbandito: appariva senz'altro autoritario, quasi minaccioso, ma la sua rigidità tradiva un'inquietudine profonda.

-Non faccio segreto del mio sangue nisoriano. Il fratello di mia madre, il Mikado di Nisora, è stato spodestato e brutalmente assassinato e il carnefice siede ora sul suo trono! Danzo non è che un traditore, appropriatosi con l'inganno di qualcosa che non gli appartiene e che mai potrà appartenergli.- sollevò il mento, mentre le sue parole aleggiavano in quella pausa studiata e piena di tensione -Il mio sangue reclama vendetta! Sono giovane, e per molti di voi ancora inesperto, ma so cosa è giusto fare: noi marceremo contro Danzo e lo annienteremo. Io sono l'ultimo discendente della dinastia del vero Mikado e sotto di me Long Yu e Nisora saranno riuniti in un unico, vasto e potente impero! Questo è quello che faremo, quello che è giusto fare, e non ci sarà spazio per la codardia.-

Il vociare dei nobili si alzò all'improvviso come uno stormo di uccelli spaventati, fino a riempire l'intera sala in una cacofonia incomprensibile e concitata. Chi protestava, chi esibiva il proprio consenso, chi ancora si inchinava all'Imperatore blaterando parole incomprensibili.

Un giovane nobile sì alzò di scatto, con un’espressione entusiasta in volto –O nobile Imperatore, è da tempo che sostengo che voi dobbiate riprendervi il trono di Nisora, vostro di diritto! Mi avrete sempre dalla vostra parte, o Altissimo, in questa causa più che giusta!-

Per un poco le voci di assenso si fecero più forti, provenienti soprattutto dai nobili più giovani o meno influenti, notò Mei-Hua, ansiosi di guadagnarsi il favore dell'Imperatore. Noburu parve rasserenato da quel sostegno, tanto da concedersi un accenno di sorriso soddisfatto.

Ad un certo punto una figura in abiti color giada, probabilmente un esponente del clero, si alzò in piedi con espressione contrariata.

-Vi prego di riconsiderare la questione, o Altissimo. Dare inizio a un massacro in nome di un vecchio torto non è qualcosa che Kariobinia guarderebbe con favore...e non è mai saggio privarsi del favore delle Rivelazioni...-

Il viso di Noburu si adombrò, il sorriso scomparve come un'orma sulla sabbia, cancellata dal mare.

-E come vede Kariobinia il tradimento, invece?- lo attaccò, fulminandolo con lo sguardo.

-Non fraintendete le mie parole, Imperatore. Dico solo che...-

-Quello che il ciarlatano vuole dire, Altissimo, è che la Pagoda non muoverà un dito se non pagata profumatamente.-

Era stato un uomo alla destra di Noburu a parlare, mentre giocherellava con un osso di anatra nel piatto da portata, quasi che la conversazione non lo interessasse granché.

L’uomo in verde si voltò verso di lui con sguardo indignato.

-Come osate…possa Mahamayuri avere pietà della vostra anima!-

-Che venga a prendersela.-

-Silenzio!- tuonò l’Imperatore, e subito i due litiganti si ammutolirono -Non intendo sottostare a vili ricatti, nobile Xin-Hu. La vostra lealtà mi è dovuta, soprattutto in una causa come questa! In caso contrario, sapete bene come è punito il tradimento nel mio Impero .-

Il volto dell’uomo in verde sbiancò di colpo, cercò di ribattere, ma parve non trovare le parole per farlo e si rimise lentamente a sedere, lo sguardo basso e meditabondo, ancora leggermente tremante.

-Non è cosa insensata, tuttavia, parlare di denaro.- intervenne Chen-Ou-Yang, lisciandosi con fare pensoso la lunga barba nera -Una guerra contro Nisora non farà bene ai commerci, e rischia di ridurci sul lastrico.-

Chen-Ou-Yang era a capo di un feudo prospero e ricco di risorse, nonché uno dei generali più importanti di Long Yu. Tutto questo potere, però, non lo rendeva un individuo facile da sottomettere.

-I costi della guerra saranno ripagati dalla conquista, mio caro Cheng-Ou-Yang.-

Fu-Gao era un altro tassello fondamentale della corte di Noburu e Mei-Hua lo aveva sentito nominare più di una volta dall'Imperatore. Era un uomo enorme, con una cicatrice pallida sulla mascella: il ricordo di una delle tante battaglie da cui era uscito vittorioso. Come shì di Xuejing, a occidente, passava gran parte della primavera a respingere le tribù barbare che attraversavano i passi montani al primo disgelo.

-Ma dobbiamo essere sicuri di conquistarla.- continuò – Nisora è un impero vasto e potente e in sedici anni Danzo ha avuto tutto il tempo di rimettere insieme la nazione. Non sarà come andare in guerra contro qualche barbaro indisciplinato, cosa in cui ho una certa dimestichezza, ma anzi potremmo avere guai seri anche solo a valicare il confine.-

-Vi credevo un guerriero valoroso e leale, Fu-Gao.- rispose l’imperatore, seccato di quelle continue risposte negative e di tutti i dubbi e le insicurezze che stavano portando a galla.

-Voi avete il mio appoggio per questa guerra, Altissimo, ma il mio compito consiste anche nel mettervi al corrente dei rischi.-

Mei-Hua stava osservando assorta la scena, seduta al suo posto. Si aspettava sarebbe finita così. L’Altissimo era ancora giovane e desideroso di gloria e onori, non aveva minimamente preso in considerazione tutte quelle sfaccettature negative, o almeno così le era parso quando era stata messa al corrente del piano, ma la sua espressione durante la discussione con i nobili le aveva dato ragione.

-Trascurate una cosa, tuttavia.- Shou-Sun li interruppe, con un sorriso cordiale e pacificatore.

-E quale, se posso chiedere?-

-Nisora è una nazione potente, ma tutt'ora divisa. Diversi feudi attendono solo l'occasione giusta per rovesciare Danzo e noi gliene daremo una più che buona.-

A quelle parole il volto di Noburu parve illuminarsi: finalmente una buona notizia. Shou-Sun era sempre stato il sostegno del quale l’imperatore aveva sempre avuto bisogno: una figura paterna, un consigliere capace, un amico. Era molto affezionato a Noburu, e le sue abilità da capace stratega si stavano nuovamente rendendo indispensabili.

-Spiegatevi meglio- riprese Fu-Gao, scettico ma allo stesso tempo curioso.

Shou-Sun sorrise a quelle parole, come si trovasse davanti un ragazzino sciocco –L’omicidio di un Mikado e di una stirpe non tende a portarsi dietro molta benevolenza, mio nobile generale. Aggiungiamo anche che Danzo ha estirpato l'intera organizzazione dei samurai, che pure era molto influente e stimata dal popolo. Nisora pur se esteriormente salda e potente è all’interno un formicaio di malcontenti, e non tutti i membri della famiglia imperiale sono stati massacrati: il possente feudo di Mizumori ha nelle vene lo stesso sangue della defunta Imperatrice di Nisora ed ho i miei seri dubbi che in tutti questi anni se ne stiano stati completamente buoni e abbiano dimenticato quel massacro- concluse soddisfatto, lanciando un’occhiata vittoriosa a Fu-Gao, che pur se con aria titubante non poté fare a meno di riconoscere la rilevanza delle sue parole.

I nobili iniziarono a mostrarsi molto meno agitati, e tutti spostarono il loro sguardo dall’ Imperatore a Shou-Sun, Noburu stesso pendeva dalle sue labbra mentre continuava il suo discorso su come portare a loro favore il malcontento dell’Impero confinante, un discorso che doveva per certo essersi preparato per l'occasione, ma che suonava perfettamente naturale e coinvolgente.

Mei-Hua l’aveva sempre pensato: sarebbe dovuto essere Shou-Sun a regnare. Era più portato e più esperto del nipote. Era benvoluto da tutti, e pareva anche un abile stratega, eppure aveva sempre sostenuto che non era il trono ad interessargli: era legato a Noburu da un affetto sincero e non avrebbe mai cospirato alle sue spalle, inoltre sosteneva che la guida di un Impero fosse più un fardello che un dono o una conquista.

Vedere tutti quei nobili pendere dalle sue labbra ignorando l'Altissimo, tuttavia, rafforzava in lei quell'idea. Aveva portato un raggio di accecante luce solare nella notte del piano avventato dell’Imperatore: l’uno aveva lanciato l’dea, ma era stato l’altro a organizzare tutti i preparativi. Comunque non si poteva mai dire: gli Imperatori, per quanto potenti, non sono diversi dai loro sudditi davanti alla morte. Oltre le montagne, un'intera dinastia imperiale era stata decimata, dopotutto, e non era affatto detto che Noburu sarebbe durato ancora a lungo, soprattutto non senza il sostegno del suo nobile zio.

“Dove sarebbe questo impero senza di voi o nobile Shou-Sun…”

 

 

 

Rullo di tamburi, ecco qua il mio primo capitolo! Sì esisto veramente e non sono solo l'amico immaginario del mio collaboratore, cosa che so tutti avrete pensato...in ogni modo! Capitolo tutt'altro che facile e che su alcuni punti non mi lascia pienamente soddisfatto, ma non sapevo come fare altrimenti D: siate clementi...è il mio primo capitolo su efp XD (ma detto questo consigli e critiche ovviamente più che bene accetti!) dulcis in fundo un grazie di cuore al mio sopracitato collaboratore! senza la sua mano sempre vigile questo capitolo non sarebbe mai venuto alla luce...grazie! ho finito con la solfa...detto questo spero il capitolo vi sia piaciuto! e per il prossimo tornerete nelle abili mani di Fabio93 non temete XD

 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Indietro non si torna ***


Fabio93

 

Indietro non si torna

 

La discussione si protrasse ben oltre la fine del banchetto, lunga e monotona come lo scorrere di un fiume in secca. I nobili si schieravano dall'una e dall'altra parte, e anche dopo l'intervento di Shou-Sun, che pure aveva messo a tacere parecchi scettici, gli animi stentavano a quietarsi. Ora che l'idea della guerra cominciava ad essere accettata, inoltre, c'era da mettere in chiaro quali fossero i possibili guadagni, oltre al trono per l'Altissimo. Ogni nobile, in maniera più o meno esplicita, cercava di assicurarsi un'adeguata ricompensa per il proprio coinvolgimento nel futuro conflitto: la lealtà sembrava essere un bene estremamente costoso.

Mei Hua vide Noburu sprofondare sempre più in un mutismo corrucciato, lasciando che fossero i suoi generali a discutere per lui. Lo conosceva abbastanza bene da sapere cosa gli passava per la testa: non era un uomo amante delle discussioni politiche, avrebbe semplicemente voluto prendersi quello che gli spettava e passare all'azione. Eppure nemmeno l'Altissimo poteva permettersi di sottomettere i propri nobili con la forza senza il rischio di scatenare una pericolosa lotta interna. O almeno, Noburu non era un Imperatore abbastanza influente per farlo, e lei era pronta a scommettere che la cosa lo rodesse dentro, come un tarlo famelico che scavava sempre più a fondo nel suo animo.

Quando le ombre iniziarono ad allungarsi e la luce cominciò a farsi più tenue e calda, Mei Hua ne approfittò per scivolare via senza rumore e rintanarsi nel silenzio confortevole della sua stanza, qualche piano al di sopra della sala del banchetto. Noburu non avrebbe avuto bisogno di lei per un po': avrebbe ascoltato, seppur contro voglia, le opinioni di tutti i suoi ospiti, pensando poi in un secondo momento come portarli dalla sua parte e procedere coi suoi piani.

Una volta in camera si chiuse la porta scorrevole alle spalle e accese una lampada ad olio per illuminare l'ambiente. Si adagiò sul proprio letto, esausta, ma non si spogliò né si sciolse i capelli: anche se era ancora impegnato a discutere di politica, entro quella notte l'Imperatore avrebbe chiesto di lei, ne era certa.

Rimase così ad osservare le ombre disegnate dal lume rincorrersi sul soffitto di legno, ascoltando i rumori della festa che, per strada, andava spegnendosi, e lasciando che le sue membra e la sua mente trovassero un po' di riposo. C'erano volte, come quella, in cui provava un desiderio quasi fisico di lasciarsi andare alla deriva, di dimenticare ed essere dimenticata. Di poter guardare gli affanni di quella vita falsa e vuota allontanarsi e sparire, come le luci di un porto viste da una nave appena salpata. Sarebbe stato così bello, così dolce...

Un lieve rumore, come di passi lenti e misurati.

-Giornata stancante?-

Mei Hua si rizzò a sedere, trovandosi davanti una sagoma alta e scura, come un ritaglio di cielo notturno. Un urlo le risalì la gola, ma, prima che ne uscisse, la sagoma scattò in avanti e le chiuse la bocca in una morsa di ferro, rigettandola di peso sul letto.

-Non fare la sciocca, vuoi farci scoprire così presto?-

Il ninja la fissava con occhi sottili e gelidi, in cui poteva vedere riflessi i suoi, invece colmi di paura: non si era aspettata una simile visita così all'improvviso. Quando capì che si era calmata, il ninja la lasciò andare e si sedette al bordo del letto, studiandola mentre lei cercava di recuperare il controllo sul suo cuore su di giri.

-Mi hai colta di sorpresa.- accusò l'ospite indesiderato.

-Sarei offeso dal contrario.-

-Cosa vuoi, da me, oggi? Non abbiamo avuto contatti per settimane e vi rifate vivi proprio adesso?! Non vedi quanta gente c'è in giro?- lo attaccò, ritrovando nella rabbia il proprio coraggio.

-Raccontami del banchetto.- le disse l'altro, senza badare alle sue proteste.

Mei Hua serrò le labbra e strinse i pugni. Nemmeno alla Kuroame importava nulla di lei, in fondo, nonostante tutte le informazioni che si era impegnata a raccogliere per loro nel corso del tempo. Sapeva che la consideravano solo un utile strumento per i propri fini, ma mettere la sua vita a rischio in quel modo! Eppure, guardando gli occhi del ninja, che le erano rimasti puntati addosso come quelli di un rapace che segue la preda, capì di non avere scelta.

-L'Altissimo vuole dichiarare guerra alla vostra nazione, ma questo ve l'ho già annunciato tempo fa. Tuttavia oggi ha reso ufficialmente partecipi i nobili più importanti di Long Yu del suo progetto...- si decise a dire.

-E...?- la incalzò l'uomo, con tono piatto, ma perentorio.

-E non tutti si sono mostrati d'accordo, soprattutto quelli più fedeli al Tempio delle Rivelazioni.-

Il ninja sbuffò.

-Hanno solo paura di perdere le ricchezze che il Tempio garantisce loro. Noburu dovrà promettere terre e denaro all'ordine religioso, ma alla fine li convincerà.-

-Conoscendo l'Altissimo, sono sicura che preferirebbe ucciderli...-

-Nemmeno Noburu sarebbe così sciocco. Piuttosto ridurrà in bancarotta il Paese per corrompere il Tempio, sperando che l'invasione lo ripaghi. Ad ogni modo, su una cosa hai ragione: questa guerra si farà.-

Mei Hua tese l'orecchio: erano passi, quelli che sentiva?

Non era sicura, ma non poteva scacciare il dubbio: se qualcuno fosse entrato nella stanza sarebbe stata la sua fine. Tuttavia cercò di rilassarsi: sicuramente il ninja si sarebbe accorto della presenza di qualche estraneo.

-Mi stai ascoltando?- la voce brusca dell'uomo la strappò ai suoi pensieri.

-Perdonami, mi sono distratta...-

Il misterioso individuo la scrutò con occhi attenti, come a soppesarla, poi decise di continuare. Le pose una domanda semplice, una domanda che tuttavia aveva il potere di cambiare la sua vita per sempre, o di porvi per sempre fine.

-Cosa sei disposta a fare, per la libertà?-

La mente della donna scivolò indietro, nei suoi ricordi, fino a quando, diversi anni prima, era stata avvicinata da un vecchio servo mentre girava per il palazzo imperiale della capitale. Si era rivelato una spia di Danzo in incognito e la sua bocca sdentata si era riempita di promesse per lei, qualora avesse voluto unirsi alla causa. E lei non aveva esitato, ma d'altra parte come avrebbe potuto? L'avevano contattata al momento giusto, e lei era sicura non fosse stato un caso. Avevano atteso giusto il tempo per lei di finire le lacrime da piangere, giusto il tempo perché nella sua testa si affievolissero le grida dell'unica persona cara che aveva avuto alla corte di Noburu, torturata fino alla morte per la sola colpa di averla desiderata, di averla cercata, quando lei era di proprietà dell'Altissimo.

L'odio che le si era acceso dentro e che lei covava tutt'ora le aveva dato la forza di affrontare tutti i pericoli del suo compito di spia. Il desiderio di vendicarsi di Noburu l'aveva guidata per anni, quello, assieme alla speranza di potergli finalmente sfuggire e raggiungere l'agognata libertà.

-La libertà...- ripeté lei, col tono di chi pensa a un vecchio amico mai più incontrato -Una vita vera al di là delle montagne...me l'avete promessa tante di quelle volte, in passato, eppure io sono ancora qui, intrappolata fra le mura di questo schifoso palazzo!- il suo tono si accese, facendosi d'un tratto pericolosamente alto.

Il ninja si protese verso di lei, giusto un poco. La luce della lampada ad olio sembrava non riuscire ad illuminarne i contorni, la sua uniforme era di un nero assoluto e perfetto. Istintivamente, Mei Hua si ritrasse, ma il muro alle sue spalle le bloccò la ritirata.

-Abbassa la voce.- fu il semplice consiglio del ninja -L'unica ragione per cui sei ancora qui è che ci sei stata enormemente utile. Sarebbe stato troppo rischioso rinunciare a te. Tuttavia, con la guerra imminente, è tempo di prendere provvedimenti...drastici. Dopodiché non ci saranno ragioni per rimandare oltre: la nostra offerta è ancora valida, ed è tua, se la vuoi.-

La donna abbassò lo sguardo, incapace di sostenere quello dell'altro. Le sue parole, tuttavia, avevano colpito nel segno.

-Undici anni fa, il mio villaggio fu raso al suolo durante una lotta fra clan rivali- raccontò al ninja, fissando con sguardo vacuo le pieghe delle pregiate lenzuola di seta -il nobile vincitore ebbe compassione di me, giovane ed innocente figlia di un mercante che aveva parteggiato per l'uomo sbagliato, e mi prese al suo servizio come donna di piacere. Più tardi mi regalò all'Imperatore, neanche fossi una vacca particolarmente feconda. Avrei potuto vivere una vita diversa, ma tutto ciò mi è stato portato via. Ora la mia vita non ha alcun valore, se non sotto le lenzuola dell'Altissimo.-

Alzò lo sguardo a sostenere quello del ninja e questa volta senza esitazione.

-Quindi, cosa sono disposta a fare?- si protese verso di lui, stringendo il pugno sulle lenzuola leggere -Tutto.-

L'uomo sembrò soddisfatto e annuì lievemente, infilò poi la mano nella cintura che portava alla vita, estraendone un piccolo cilindretto di legno scuro.

-Allora prendi questo.-

La donna soppesò l'oggetto fra le mani e notò che era in realtà un piccolo contenitore cavo.

-Cos'è?-

-Aprilo.-

All'interno c'era una polvere verde cupo, molto fine e che emanava un odore dolciastro.

-È polvere di “bacio di luna”, una pianta che cresce solo nei nostri boschi meridionali. I vostri medici non troveranno antidoto.-

Mei Hua spalancò gli occhi. Ora capiva: volevano che avvelenasse Noburu! Aveva sempre sospettato che quel momento sarebbe giunto, ma era lontana dall'essere pronta al suo arrivo. E se avesse fallito? Quante pene avrebbe sofferto, prima di essere giustiziata? L'Altissimo non si sarebbe certo mostrato clemente con un'assassina.

La svolta che aveva sempre atteso era lì davanti a lei, eppure lei titubava.

-Appena sarà possibile...-

-Deve essere stasera.- il tono non ammetteva repliche.

-Stasera...?-

Il ninja anuì.

-Se Noburu cade adesso, dopo questo segno di debolezza, i suoi nobili non ci penseranno due volte a scannarsi per il suo Impero. Sarebbe la fine di qualsiasi progetto di espansione nell'immediato futuro.-

-Noburu beve sempre del nettare di mele, prima di coricarsi...- rifletté la donna ad alta voce.

-Allora sarà l'occasione perfetta.-

Mei Hua si mordicchiò il labbro, pensosa: poteva farcela, non doveva fare altro che versare un po' di quella polvere nella bevanda e tutto il resto sarebbe venuto da sé. Richiuse il contenitore, sigillandovi all'interno anche i propri dubbi: avrebbe fatto ciò che andava fatto.

-Lo farò, ma i sospetti cadranno subito su di me. Dovrete portarmi immediatamente via di qui, lo farete?-

-Ho altri uomini, con me. Li userei per assassinare Noburu, se non fosse così ben protetto. Ma non sa di doversi proteggere anche da te. Fai questo per noi e ti garantisco che, quando il sole sorgerà, sarai dall'altra parte delle montagne.-

Non poté impedirsi di immaginare la scena. Guardò a Oriente: oltre quelle montagne c'era l'alba ad attenderla. E una vita tutta nuova.

Stava per porgli un'altra domanda, quando il rumore di passi in avvicinamento, questa volta ben udibile, interruppe la loro conversazione. Lei si girò verso l'entrata, già sicura di vedervi l'ombra del soldato mandato a chiamarla, ma per fortuna ancora non ce n'era traccia.

-Devi and...-

Sparito.

Il suo interlocutore era svanito nel nulla, come un alito di vento nella brezza mattutina. A testimonianza della sua venuta rimaneva solo il piccolo contenitore nelle sue mani. Pochi istanti dopo il soldato bussò alla cornice di legno della porta scorrevole.

-L'Altissimo ti desidera.-

Mei Hua nascose il cilindretto nell'ampio vestito.

-Arrivo subito.-

 

L'Altissimo sedeva al centro della propria stanza, fra statue di giada, mobili ricercati e vasi dorati, fissando con aria assente la mappa di Nisora, adagiata sopra un basso tavolino di legno. Sollevò lo sguardo solo quando lei gli arrivò a qualche passo di distanza e la donna si ritrovò a fissare degli occhi duri e carichi di rabbia. L'uomo celò in fretta le sue emozioni, ritornando a contemplare la mappa ricca di dettagli e disegni accurati.

-Sono al vostro servizio, Altissimo.- gli disse Mei Hua in tono sottomesso, sedendoglisi affianco.

-Mia dolce Mei Hua avevo proprio bisogno della tua voce gentile. Questa giornata è stata pessima oltre l'immaginabile.-

-Voi siete fatto per la guerra e la gloria, non per ascoltare le lamentele di nobili che dovrebbero invece obbedirvi.- cercò di rabbonirlo.

L'uomo sorrise amareggiato, ma non alzò lo sguardo dal foglio di pergamena: sembrava divorato da dubbi profondi. Improvvisamente, quel fisico possente appariva provato, piegato da un'età che non possedeva, ed ogni ruga sul viso serio di Noburu sembrava più nitida e marcata del solito.

-Cosa posso fare per voi, mio Imperatore? Forse un massaggio potrebbe alleviare le vostre pene?-

La proposta sembrò smuoverlo e finalmente la guardò negli occhi, come a volervi cercare un appiglio o una verità nascosta.

-Sarebbe di grande aiuto.-

-Molto bene, allora. Andate a sdraiarvi sul letto, mentre la vostra Mei Hua prende il necessario.-

Mentre Noburu raggiungeva il letto, al lato opposto degli ampi appartamenti, lei si diresse verso un mobiletto di legno intarsiato, quasi oscurato dal resto della pregevole mobilia, e ne prelevò dell'olio profumato e dei balsami alle erbe. Pochi secondi dopo si ritrovò a cavalcioni sulla schiena di Noburu, a massaggiarne con movimenti delicati i muscoli tesi e contratti. Due candele in cera d'api provvedevano a creare la giusta atmosfera, ora densa di odori floreali.

L'Altissimo grugnì la propria approvazione: era probabile che presto avrebbe chiesto a quelle mani esperte di scendere più in basso, ma per ora un massaggio alle spalle gli bastava. Mei Hua si sorprese di riuscire a nascondere le sue preoccupazioni dietro quei gesti meccanici e orrendamente familiari: in cuor suo avrebbe solo voluto spezzare il collo che ora stava accarezzando.

-Donna, tu si che sai cosa ci vuole per farmi felice...- le disse -Portami un bicchiere di nettare.-

Il cuore le balzò in gola e per un attimo la tensione la paralizzò: il momento era giunto!

-Certo, mio Signore.- riuscì a mormorare scendendo dal letto.

Si avvicinò ad un vassoio a forma di drago ruggente, posato per terra vicino al letto; sopra erano appoggiati diversi bicchierini in ceramica ed una bottiglia di nettare di mele, una bevanda dolce e leggermente alcolica. Fece in modo di dare le spalle a Noburu, mentre recuperava con mani tremanti il contenitore col veleno. Versò del liquido ambrato in un bicchiere, poi aprì il cilindretto e prelevò un pizzico di polvere.

Si bloccò.

Quanto ce ne voleva, per uccidere un uomo? Se non ne avesse messo abbastanza? Se la sostanza non si fosse sciolta e Noburu l'avesse notata?

I dubbi l'assalirono tutti insieme, spingendola sull'orlo del panico. L'Altissimo si rigirò nel letto, indispettito dall'attesa. Mei Hua trasse un profondo respiro e lasciò cadere la polverina nel bicchiere. Con suo immenso sollievo vide il veleno sparire immediatamente nella bevanda. Non rimaneva che sperare che sarebbe bastato.

Tornò dal nobile col bicchierino in mano e glielo porse, quello lo accettò con un cenno del capo e lo portò alle labbra. Il tempo parve fermarsi mentre tutto il suo essere si concentrava sul quel fatidico istante. Poi Noburu si arrestò e le rivolse uno sguardo che non gli aveva mai visto in volto.

-Bevi.- le disse.

Dentro di sé si sentì sprofondare, ma riuscì a non esternare il suo panico.

-Volete che beva con voi? Riempio subito un altro...-

-Bevi questo.- ripeté l'uomo, porgendole il bicchiere avvelenato con gesto inequivocabile.

Mei Hua non seppe cosa fare e rimase pietrificata sul posto con uno sciocco stupore dipinto sul viso. L'ira si accese negli occhi di Noburu, che le gettò la bevanda in faccia e la buttò giù dal letto.

-Maledetta!- sbraitò, con voce terribile.

Mei Hua cercò di rialzarsi, ma una mano enorme e forte le artigliò i capelli, mandandola a sbattere contro un mobiletto d'avorio. Dalla sua schiena una lama invisibile di dolore le trafisse il capo, impedendole perfino di gridare.

-Mi avevano detto di non fidarmi di te, ma io non volevo credere! Invece sei solo una puttana da quattro soldi!- completamente accecato dalla rabbia, l'Altissimo le sferrò un pugno che la costrinse in ginocchio, con la sensazione che qualcosa si fosse squarciato, dentro di lei.

Lui la sollevò di peso, afferrandola ancora per i capelli, e la trascinò al centro della stanza; lei cercò di liberarsi, ma non c'era verso: era come cercare di abbattere una quercia a mani nude.

-Guardie!- chiamò lui e due soldati fecero immediatamente il loro ingresso nella stanza poco illuminata.

-Questa donna ha cercato di avvelenarmi! Portatela immediatamente nelle segrete perché venga interrogata- le riservò un ultimo sguardo di disprezzo -e torturata.-

-No, mio signore, no! Vi prego!- supplicò lei, gli occhi accecati da lacrime di dolore e disperazione.

Cos'era andato storto? Come aveva fatto a scoprirla?

Ci fu un sibilo sottile, appena udibile al di sopra delle loro grida.

-Taci, traditrice!- le disse uno dei soldati, fattosi avanti per portarla via, poi il suo sguardo si abbassò sul suo seno e si fece stupito.

Anche la donna abbassò gli occhi: un lungo ago di metallo le si era conficcato nel mezzo del petto.

-Cosa...?- fece Noburu, poi uno dei soldati lo spinse a terra, per proteggerlo, mentre l'altro, gettata da parte la donna, corse verso le finestre in carta di riso che davano accesso alla terrazza, in cerca dell'assassino.

Non lo avrebbero trovato, si disse Mei Hua, mentre uno strano senso di freddo s'impadroniva di lei. Era quasi l'alba: il momento peggiore per dare la caccia alle ombre.

La donna si ritrovò a terra, senza la memoria di essere caduta. Quello spiedo avvelenato era per lei, non per Noburu, ne era sicura. Qualcuno aveva complottato per la sua morte.

Ma perché? Perché non potesse parlare? Era tutto così assurdo...

Cercò, nel mezzo di una stanza dai contorni sempre più sfocati, il sostegno di un ultimo sguardo amico. Non ne trovò alcuno. Senza pensarci, portò una mano ai capelli, a cercare il suo fermacapelli a forma di giglio. Lo strinse con forza, per quanto ancora poteva, quasi cercasse un ultimo appiglio prima dell'inevitabile tuffo nelle acque gelide e fonde che la attendevano.

Bisbigliò qualcosa, prima di lasciarsi andare al freddo abbraccio della morte, forse una supplica, o, forse, una preghiera, ma nessuno la sentì. Mei Hua morì senza lasciarsi dietro un solo sorriso sincero, non un ricordo, non una sola goccia di sangue.

 

 

Ci siamo, quindi: l'ennesima fatica superata! Il mio coautore si è ben calato nella parte del revisore pignolo e mi ha fatto riscrivere questo capitolo non so più quante volte, ma penso che in fondo ne sia valsa la pena. Mei Hua ci dice già addio, ma possiamo consolarci col fatto che la sua breve apparizione avrà risvolti importanti per il futuro della storia. Grazie per aver letto, spero che il capitolo sia stato di vostro gradimento: una recensione, ormai lo sapete, sarebbe di mio gradimento. In ogni caso, alla prossima!

 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Ombre nella Notte ***


Mist Guardian


Ombre nella Notte

 

Dolore. Un fortissimo dolore lo stava lentamente tirando fuori dalla voragine di tenebra nella quale era sprofondato, come un amo affilato trascina un pesce verso la superficie del lago. Il buio iniziava a dissiparsi, e una lieve luce rossastra si faceva strada tra le sue palpebre.

I suoi sensi stavano tornando, ma era ancora troppo intontito per rendersi conto di dove si trovasse. Un forte odore di fumo e legna bruciata gli pervase le narici e la sua mente iniziò a realizzare.

Spalancò gli occhi di colpo, ritrovandosi steso a terra, la schiena a contatto con il pavimento bruciacchiato, tutto attorno a lui fuoco. Il ruggito delle fiamme scuoteva l'aria, era come trovarsi nello stomaco di una grande bestia rovente.

Naoki fece per alzarsi, ma subito una fitta lancinante alla gamba lo costrinse a desistere. Spostò preoccupato lo sguardo verso i suoi piedi; una delle travi portanti della locanda caduta sulla sua caviglia.

Si sentì prendere dal panico: era bloccato in un edificio in fiamme e la kuroame era là fuori da qualche parte, oltre quelle cineree mura. Era solo una gara a chi, tra loro e l'edificio, lo avrebbe ucciso prima. Doveva andarsene ad ogni costo.

Un pezzo di legno in fiamme si staccò dal soffitto, o quello che ne restava, cadendo a pochi passi dalla sua testa e facendolo sobbalzare. La struttura della locanda oscillò come una barca sulle onde e per un attimo parve prossima a crollare e dissolversi in cenere. L'edificio reggeva ancora, ma Naoki doveva andarsene di lì prima che cedesse o prima che fiamme e fumo avessero la meglio su di lui.

Cercò di sollevare la trave con le mani e riuscì a spostarla leggermente, ma il dolore che ne derivò fu tale che non riuscì a trattenere un gemito. Provò a calmarsi, inspirò a fondo cercando di mandare via il dolore, chiuse gli occhi. Focalizzò la sua mente sulle gambe, cercando di concentrarsi per quanto possibile sulla caviglia intrappolata. Per un attimo gli parve quasi di vederlo, quel dolore accanito, avviluppato alla sua gamba come una piovra, e cercò di escluderlo dalle sue percezioni: un senso di torpore calò sulla sua gamba, concedendogli un po' di respiro.

Quando riaprì gli occhi, gli sembrò che il fuoco si fosse fatto più intenso e vicino, ogni boccata d'aria era come un sorso di metallo fuso giù per la gola: concentrarsi gli aveva sottratto tempo prezioso, era meglio non perderne altro. Prese saldamente la trave e la sollevò con tutte le forze che aveva, le fitte alla caviglia tornarono a farsi sentire, ma stavolta erano sopportabili. Spostò rapidamente l’arto ferito e si sollevò in piedi lasciando andare la trave, che cadendo portò con sé parte del pavimento.

Per un momento la gamba gli cedette costringendolo in ginocchio. Doveva restare concentrato finché non fosse stato al sicuro. Si rialzò dando fondo a tutte le sue forze, cercando di contenere il dolore, facendosi strada tra le macerie in fiamme della struttura: il calore gli mordeva la pelle, il fumo lo accecava, il rombo dell'incendio lo stordiva, ma lui doveva andare avanti.

Spostò alcuni resti di legno anneriti e consumati dal fuoco, uscendo alla luce della luna da una delle pareti laterali della locanda, ormai prive di consistenza. Una volta fuori inspirò avidamente l'aria della sera, ma le sue narici vennero subito impregnate di un forte odore di legna bruciata e fumo che lo fecero tossire. C’era anche un terzo odore, una nota acre e ferrosa che non faticò a riconoscere: sangue.

Si girò di scatto, e vide una gracile figura in bianco stare in piedi lungo la via principale, come paralizzata, tutta sporca di sangue in mezzo alle macerie e circondata da cadaveri. La riconobbe subito, essendosi separato solo poche ore prima: “Sayuri” se non ricordava male.

Provò una forte pena a vederla in quello stato, la ragazza allegra e spensierata di quel pomeriggio era stata travolta dalla scia di sangue che lui si portava dietro, se anche fosse sopravvissuta a quella notte non sarebbe mai più stata la stessa. Gli abitanti del villaggio avevano ragione a parlare male di lui.

Per un momento ebbe la forte tentazione di correre da lei, portarla con sé, salvare almeno una vita di tutte quelle che i suoi inseguitori avevano portato via, forse per sentirsi meno in colpa con sé stesso, ma subito accantonò quell'idea: non poteva mettere a rischio la sua vita per qualche contadinella. Si vergognava anche solo di avere quei pensieri egoistici, ma in fondo oramai era solo un reietto ed un codardo, e solo per quello era ancora vivo. No, doveva andarsene e alla svelta, o a breve avrebbe condiviso la stessa sorte di quella ragazza.

Si girò verso le mura parzialmente crollate del villaggio, pronto a fuggire, ma subito un grido di terrore echeggiò nell'aria attirando la sua attenzione.

Si voltò verso la fonte del suono: la piccola Sayuri. I suoi inseguitori le erano addosso, feroci e indomabili, con le lame sguainate. D'istinto fece per scattare nella sua direzione, ma subito si fermò, colto dal dubbio. I ninja non lo avevano ancora notato, con un po' di fortuna sarebbe riuscito a scappare , e probabilmente era la sua unica possibilità di farlo. Il kunai del primo ninja era ormai a pochi centimetri dalla gola della giovane, Naoki chiuse gli occhi per non assistere al massacro.

Il secco suono di due lame a contatto, tuttavia, lo costrinse a riaprirli. Una katana aveva intercettato il kunai.

Tetsuya si era come materializzato alle spalle di Sayuri impugnando una delle katane della bottega.

La ragazza scattò per lo spavento, inciampando su se stessa e cadendo per terra, e lì rimase come ammutolita, mentre i due uomini continuavano a danzare.

Gli assalti del ninja erano fulminei, ma il fabbro non si fece cogliere alla sprovvista, riuscendo a parare tutti i colpi, o almeno i più pericolosi, ricevendo solo qualche graffio. Naoki non poté non rimanere sorpreso: come poteva il fabbro di quel villaggio dimenticato dagli Dei combattere così bene?

La corta e sottile lama procedeva tuttavia instancabile in una pioggia di rapidi affondi, la katana del fabbro fu costretta a limitarsi ad incassare, il ritmo serrato non gli lasciava il tempo di contrattaccare e lo fece arretrare passo dopo passo, parando sempre meno colpi. Il ninja stava avendo la meglio.

In quel momento Naoki era posto davanti ad una scelta, che per molti anni non aveva mai preso in considerazione: smettere una volta per tutte di scappare e affrontare con coraggio il suo destino, qualunque esso fosse stato, oppure voltare nuovamente le spalle alle persone che incontrava sul suo cammino, ignorare tutto quello che gli era stato insegnato e scappare per riprendere la sua fuga apparentemente infinita.

Spostò nuovamente lo sguardo verso Tetsuya; il ninja assalitore scattò all’indietro rapidissimo e tre shuriken si conficcarono nel braccio del fabbro con la medesima velocità, e una freccia lo colpì da dietro sulla spalla: gli altri assassini non erano rimasti a guardare.

Tetsuya si inginocchiò dolorante, reggendosi con la spada piantata nel terreno come un naufrago si aggrappa a uno scoglio. Era allo stremo delle forze, il ninja pronto a porre fine alla sua vita davanti allo sguardo terrorizzato della figlia.

Senza quasi rendersene conto, Naoki aveva afferrato il primo pezzo di legno capitatogli a tiro, ed era corso verso di loro. Si fiondò sul primo ninja, ignorando il dolore alla gamba e spezzandogli il bastone sul collo, tramortendolo. Aveva fatto la sua scelta.

Gli altri non ci misero molto a reagire e gli furono presto addosso.

Naoki si trovò circondato dagli altri tre, senza vie di fuga e senza un'arma, costretto a schivare i loro affondi. Di questo passo era certo non sarebbe durato a lungo, senza contare che il dolore alla gamba non faceva che rallentare i suoi movimenti.

Tetsuya con le ultime forze rimastegli estrasse la spada dal terreno, e, mentre i ninja erano distratti da Naoki, cercò di approfittarne e colpirli alle spalle. Sollevò entrambe le braccia sopra il capo, pronto a menare un fendente e staccare la spalla di uno dei ninja, ma il suo nemico se ne accorse e pose fine al suo intervento con un calcio ben assestato allo stomaco.

Il fabbro rovinò a terra, perdendo la presa sulla spada, occasione che Naoki non si fece scappare: schivò l'affondo di uno dei ninja e come una serpe guizzò in direzione della spada, afferrandola.

Impugnò saldamente l'elsa e subito girò su se stesso, menando un colpo che tranciò il braccio dell'assalitore più vicino. Il ninja gridò di dolore mentre il sangue zampillava dal suo moncherino, ma gli altri ignorarono il compagno ferito e si concentrarono solo sulla loro preda.

Naoki respirò a fondo, concentrandosi sull'energia del proprio corpo, sentendola, nel tempo d'un solo respiro, percorrere ogni muscolo ed ogni osso. Anche se al di fuori c'era il caos, dentro di lui doveva regnare l'ordine: non doveva lasciare posto al dolore, o alla paura di essere sconfitto.

La sua lama scattò ad intercettare quella del primo avversario: parò all'interno, deviò il colpo per poi squarciare la gola del ninja, accompagnando il fendente con un rapido movimento del bacino. I nemici lo incalzarono, costringendolo ad arretrare; frappose fra sé e loro un fluido muro di metallo affilato, tenendoli a distanza per non farsi circondare.

Riversò la sua mente in quella sequenza interminabile di parate ed affondi, lasciando fuori tutto il resto, anche il dolore.

Uno dei ninja scattò verso sinistra per aggirarlo, Naoki agì d'istinto: mulinò la spada e gli aprì il ventre con una sola, precisa mossa. L'acciaio gli affondò i denti nel fianco: tre shuriken erano penetrati con precisione chirurgica fra le sue costole. Per un attimo il dolore sembrò svuotarlo di ogni forza, poi, però, riuscì a scacciarlo.

Concentrazione, controllo sulla propria mente e sui sensi. Quella era la via del guerriero, per lui era come non essere stato colpito.

Deviò un affondo, e poi un altro, incurante delle ferite, ma ben consapevole di essere in netto svantaggio. Tuttavia ora il nemico tentennava: come poteva combattere ancora, conciato in quel modo?

Una freccia gli sfiorò il volto, portandosi via un lembo di pelle.

Doveva liberarsi dell'arciere.

Si spostò sulla destra, frapponendo fra sé e l'arco gli altri nemici: muoversi gli era sempre più difficile, come se le sue membra pesassero ogni secondo di più, ma non doveva mollare. Abbassò leggermente la punta della spada, come se faticasse a reggerla; il ninja se ne accorse e con un balzo cadde nella trappola. Rischiando tutto, Naoki gli si gettò contro: il kunai affilatissimo gli sfiorò la gola, ma la sua katana affondò fino all'impugnatura nel ventre dell'assalitore.

Il ninja emise un verso strozzato e si accasciò, Naoki ne resse il peso con la spada ancora conficcata e, radunate le forze, scattò in avanti, verso l'arciere, usando il nemico morente come scudo.

Il cadavere parò una, due, tre frecce: poteva sentirne il tonfo.

Quattro.

Con un gesto violento staccò la lama dalle carni del suo scudo, la afferrò con entrambe le mani e girando su se stesso si avventò sull’arciere.

L’hankyu si spezzò sotto la forza della spada, ma il ninja balzò indietro evitando il colpo.

Naoki non gli diede tempo di reagire, gli fu subito addosso: uno, due tre affondi tentati e il ninja gli evitò tutti e tre.

“È abile…deve essere almeno un chunin”.

Proseguì a caricare, ma il ninja fu più rapido: come una serpe guizzò di lato uscendo dal raggio della spada e gli fu alle spalle, kunai in mano.

Riuscì a spostarsi di un passo, ma la piccola lama gli si conficcò nella spalla. Il dolore era lancinante, ma non doveva cedergli. Gridò, serrò i denti, strinse la sua presa sulla katana e girò su se stesso falciando la testa del nemico. Cadde in ginocchio, sbilanciato dal suo stesso slancio. Doveva rialzarsi, ma le forze iniziavano a mancargli.

Alzò la testa, ormai pesante come un macigno: il ninja a cui aveva tagliato la mano si era alzato in piedi, avvicinandosi cauto, sapeva che quello era il momento buono, ma non osava approfittarne.

Naoki si concentrò sul suo ki, ormai flebile: una gamba poi l'altra, entrambe lunghe chilometri, distantissime e intorpidite, e fu in piedi.

-Avanti, attaccami!-

L'avversario non colse la sfida, ma, anzi, guizzò lontano da lui con un movimento repentino.

“Che voglia ritirarsi? Oppure…”

Non fece in tempo a formulare il pensiero che già divenne realtà.

Il ninja strinse il braccio rimasto attorno alla giovane figlia del fabbro, puntandole con la mano un kunai alla gola, lasciandola immobile e terrorizzata.

“Vigliacco…” non sapeva come reagire.

Il ninja aveva visibilmente perso il controllo, era agitato: tanto che non si accorse della presenza alle sue spalle.

Tetsuya, pur se allo stremo si era materializzato dietro di lui, con in pugno uno dei kunai dei ninja caduti e affondò la sottile lama nella gola del nemico soffocandogli ogni suono.

Uno spruzzo di sangue colpì la schiena della figlia e quando la presa del ninja su di lei venne meno le ginocchia non la ressero, ma venne prontamente sorretta dalle braccia ferite del padre.

Era finita.

Non sembravano esserci più ninja, e in ogni caso Naoki non sarebbe riuscito a combattere ancora a lungo in quelle condizioni: il dolore e la stanchezza stavano prendendo il sopravvento.

Concentrazione o meno, non poteva combattere in eterno.

Ricadde a terra, lasciando andare la spada, riprendendo fiato.

I primi raggi di sole si affacciavano timidi da oltre le montagne, filtrando dalle nubi per scacciare le tenebre di quella notte maledetta.

Una lieve pioggia iniziò a cadere.

Levò il viso al cielo per accogliere le gocce fresche e lavare via il sangue dei suoi nemici.

I superstiti si avvicinarono alla scena, accerchiando la fanciulla ed il fabbro, all’inizio poté sentire il loro vociare, poi più nulla.

 

 

Ed ecco qua, con i miei soliti tempi, il nuovo capitolo lo so, mi odierete per i miei eterni tempi di produzione XD ma spero che almeno la qualità del capitolo ne giovi a scapito della vostra santa pazienza! Anzitutto un grazie al mio coautore (come sempre) che ha seguito questo ostico capitolo dall'inizio alla fine dandomi non pochi aiuti e un grazie a voi ovviamente che lo avete letto e continuate a seguire questa storia! detto questo spero vi sia piaciuto e alla prossima :D

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2508946