Merlin’s Magic Loves Arthur

di elyxyz
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 di 2 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 di 2 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 di 2 ***


Merlin’s Magic Loves Arthur

So che dovrei aggiornare le storie già in corso, invece di postare cose nuove, ma sono un po’ in crisi… per la fine delle ferie e per la fine di due storie che mi hanno tenuta impegnata per anni.

Così, mi dispiace, oggi ho preferito caricare una nuova storia piuttosto che star lì a piagnucolare.

È composta di soli due capitoli, una ‘what ifmerthur senza collocazione precisa rispetto al telefilm, dove la magia di Merlin assume sembianze umane e animali.

 

 

Dedicata a chi mi segue con costanza e affetto.

A chi si entusiasma per le mie bizzarre ispirazioni e mi sostiene.

Grazie.

 

 

 

 

Merlin’s Magic Loves Arthur

 

(Parte 1 di 2)

 

 

 

 

C’erano state volte in cui Merlin aveva scherzato sul fatto che la sua magia amasse Arthur come (e forse più di) lui.

Erano le volte in cui il suo servo combinava qualche romantica sciocchezza, o si lasciava andare a qualche gesto un po’ troppo sentimentale per non incolpare qualcun altro – o qualcos’altro, nella fattispecie – per scagionarsi.

In quei momenti, il re di Camelot aveva sempre accantonato la faccenda con uno sbuffo accondiscendente, catalogandola come una delle tante stranezze del suo amante.

Tutto questo, fino a quando Merlin non si ammalò.

 

L’inverno, nelle terre dei Pendragon, non era mai stato clemente. Lo stregone se ne lamentava di continuo dicendo che, quantomeno, l’umile vita a Ealdor aveva avuto almeno un vantaggio: inverni freddi sì, ma mai così lunghi e tanto rigidi.

 

I rigori – da che mondo era mondo – avevano sempre avuto come compagni i malanni di stagione: morbi transitori come geloni, tossi, raffreddori e febbri.

E Merlin, in qualità di assistente del medico di corte, aveva curato un’infinità di persone, restando eccezionalmente sano, pur essendo rimasto a contatto con le più disparate indisposizioni.

Arthur diceva sempre che il suo servo era così sciocco che pure le malattie – per dignità – evitavano di avere a che fare con lui.

 

Poi, una mattina di fine febbraio, quando ormai il disgelo era alle porte e l’ultima epidemia di febbri era stata debellata da quasi una luna, Arthur non fu svegliato – come sempre – dal suo valletto, ma da uno degli altri servitori del palazzo.

Con un inchino deferente, il giovane Malcom lo avvisò che Merlin era indisposto e che lo avrebbe sostituito nell’assolvere ai suoi doveri.

 

Indisposto, un accidente!, aveva considerato il re, arpionando una salsiccia con troppa foga, dopo essersi fatto aiutare nel vestirsi per partecipare ad una riunione del Consiglio.

 

Aveva congedato definitivamente il servo, chiarendogli che non sarebbero stato richiesti ulteriori servigi. Poi fece mente locale di preparare una bella ramanzina per quello scansafatiche.

D’accordo, forse la battuta di caccia del dì addietro non era stata la scelta più azzeccata, ma fingersi malato per ripicca gli sembrava un tantino puerile e Merlin avrebbe dovuto fare i conti con lui!

 

Fu così che, dopo un interminabile, noiosissimo incontro con i Nobili Consiglieri, re Pendragon – anziché tornare nei propri appartamenti per pranzare – deviò verso la torre che ospitava il cerusico reale e il suo maldestro assistente magico.

 

Merlin sapeva fingere bene, considerò, sentendolo tossire – non appena varcata la soglia dell’ambulatorio – fin dalla sua stanzetta. O forse no, si corresse, con un rigurgito di sensi di colpa, allorché raggiunse il suo valletto incosciente, febbricitante e visibilmente malandato.

 

“Merlin, ma cosa…?” Si ritrovò a dire, incredulo, sfiorandogli la fronte bollente.

 

“È un morbo influenzale piuttosto aggressivo”, gli rispose Gaius, comparendogli alle spalle a tradimento, facendolo sussultare.

 

Il vecchio ebbe il buon cuore di non infierire, mentre posava una bacinella colma d’acqua e delle bende intrise che poi adagiò sulla pelle rovente del suo figlioccio.

 

“È… lui… voglio dire… non è niente di serio, vero?” domandò allora il monarca, mentre lo stomaco gli si torceva per l’ansia.

 

“La sua vita non è in pericolo, se è ciò che temete. Ma credo ci vorrà una settimana perché raggiunga il culmine e possa guarire”.

 

Arthur si limitò ad annuire, segno che aveva inteso.

“C’è qualcosa che posso fare per lui?”

 

“Forse avreste dovuto impedirgli un’infreddatura ieri pomeriggio”, spiegò il vecchio medico, nella sua voce pacata c’era tutto il suo austero rimprovero. “Ma oramai è tardi per pentirsene”, lo scagionò poi, con senso pratico. “Ad ogni modo sì, Sire, c’è qualcosa che potete – anzi, che dovete, fare: rimanetegli lontano. Ho ragione di credere che la sua febbre potrebbe essere contagiosa e non potete ammalarvi anche voi, soprattutto non ora, con la delegazione di Mercia in arrivo domani…”

 

Arthur comprese le parole infuse di buonsenso dell’anziano archiatra, tuttavia il suo cuore gli diceva che il suo posto era lì, lì con l’idiota che amava.

 

Eppure, essere il re gli ricordava ogni giorno che le scelte che compiva – il più delle volte – non erano quello che voleva fare, ma quello che andava fatto.

 

“Potrei avere qualche istante con lui?”

 

Gaius accondiscese, uscendo da lì, chiudendo silenziosamente la porta dietro di sé.

 

Il nobile sospirò, sedendosi sul piccolo sgabello davanti al letto.

“Servo inutile e idiota, che mi combini?” soffiò poi, sottovoce, per non disturbare il sonno agitato del mago.

Con mano leggera, gli carezzò uno zigomo appuntito, infondendo in quel gesto d’affetto tutto l’amore che in quel momento non poteva dimostrargli.

“Cerca di rimetterti in fretta, d’accordo? Ho già licenziato Malcom, quindi non c’è nessuno a pulire le mie camere, a lavare i miei abiti, a lucidare la mia armatura… Chi credi mi scriverà il discorso che devo fare domani al re di Mercia?

Arthur afferrò il panno intiepidito e lo intinse nuovamente nell’acqua fresca per dargli sollievo.

“Il mago più potente al mondo… ridotto ad uno straccio! Dov’è la tua magia quando serve?!” lo pungolò, per spronarlo a reagire e non per infierire sulla sua condizione. “Non importa quale astruso incanto devi adoperare… Ti rivoglio al mio fianco, intesi? Se non ti fosse chiaro, ho bisogno di te”, gli confessò, chinandosi per sfiorargli le labbra con le proprie.

 

Fu un lieve bussare alla porta a farlo ricomporre, prima che Gaius apparisse avvisandolo che era richiesto da Geoffrey, lo scrivano di corte, per discutere sul trattato da presentare l’indomani.

 

Arthur lasciò la stanzetta a malincuore, sentendo già un piccolo vuoto dentro al petto.

 

 

***

 

 

L’ora del pranzo era passata da un bel po’, quando Arthur fece ritorno negli appartamenti reali.

Appena varcata la soglia, rammentò di non aver comandato ad alcun servo il proprio pasto né una sostituzione per i giorni a venire.

Grande fu il suo stupore, quindi, allorché vide il focolare ben avviato, il letto rifatto, le stanze riordinate e un fumante vassoio colmo di cibo pronto per essere divorato.

 

Ringraziando l’anima pia che aveva provveduto a ciò, si sedette a tavola, pronto a divorare il più gustoso cosciotto d’agnello della sua vita.

Dio, quanto gli era mancato questo sapore negli ultimi mesi!

 

Se Arthur fosse stato meno distratto dal succulento cibo, avrebbe capito che febbraio non rientrava ancora nella stagione giusta per sacrificare gli agnelli… e che, quindi, quel pasto aveva qualcosa di inusuale.

Ma a caval donato non si guardava in bocca, e Sua Maestà divorò con gusto ogni portata.

 

Fu solo verso la fine, quando cioè il suo stomaco era finalmente sazio, ch’egli s’accorse di qualche altra stranezza.

Nascosta sotto ad un canovaccio v’era la sua torta preferita, ancora tiepida, come appena sfornata.

Crostata di fragole, in febbraio? Ma come era poss-

Il rumore di un pezzo d’armatura che sbatteva contro il pavimento lo fece trasalire spaventato. Ma forse era solo un caso; chi l’aveva pulita in precedenza, poteva aver posizionato male alcune parti…

 

Tuttavia, un istante dopo, un altro suono metallico si ripeté, e successivamente l’anta del suo armadio cigolò sinistramente – anche se non vi erano correnti d’aria né finestre aperte – e… Buon Dio! Era il suo elmo, quello che stava rotolando sopra il tappeto?

 

“Chi va là!” strepitò, rovesciando nella foga lo scranno su cui era seduto, per impugnare una forchetta come arma e correre nella stanza attigua.

Arthur non era pronto a vedere ciò che si trovò davanti, ma probabilmente non lo era neppure lo spazzolone che, poverino, spaventato com’era dal suo urlo, tremava a mezz’aria come segno di resa.

 

Accanto ad esso, un gambale fluttuante faceva una specie di pomposo inchino e uno spallaccio roteava su se stesso, accarezzato da uno strofinaccio, e tutto il resto della sua armatura penzolava ovunque, nel bel mezzo di un’ipotetica pulizia.

 

“Ma che diamine succede?!” esclamò, sconcertato, e tutto cade a terra con un fragoroso tonfo.

 

Che… che ci fossero i fantasmi?, ipotizzò re Pendragon, grattandosi la nuca mentre scrutava guardingo i pezzi ora immobili. No, doveva esserci di mezzo Merlin. In qualche modo. Anche se non sapeva come, visto che, poco fa, versava incosciente a letto.

 

Arthur rilasciò un lungo sospiro.

“Ehm…” ritentò, valutando quale risultato avrebbe sortito. A quel punto, la vecchia spazzola si risollevò da terra, sembrando in ascolto.

 

“C’entrate qualcosa con la magia del mio servo?” tirò a indovinare, anche se parlare con un bruschino spelacchiato non rientrava esattamente fra i doveri di un re.

 

Lo spazzolone sembrò annuire, con un mezzo inchino deferente.

 

“È stato lui a comandare… a comandare tutto questo?” rifece, allargando le braccia per indicare la sistemazione della stanza.

 

Lo spazzolone fece un gesto ingarbugliato in risposta.

 

“Non riesco a capirti”, ammise il monarca, strofinandosi una tempia.

 

Fu allora che un grande bagliore illuminò l’ambiente, e dove un istante prima v’era il nulla, ora sostava una bellissima fanciulla, eterea ed evanescente come uno spirito – quello che probabilmente era – anche se vestita con gli stessi abiti del suo servo.

 

“E tu chi saresti?!” l’interrogò Arthur, incredulo. “E perché diamine sei abbigliata come Merl-” L’intuizione corretta gli venne d’istinto, perfettamente precisa pur nella sua completa follia. “Sei la magia di Merlin?!

 

La donna spirito annuì, con sguardo devoto e una riverenza autenticamente ossequiosa. E Arthur deglutì a vuoto.

L’unica volta in cui aveva veduto la magia del suo servo, questa si era materializzata come una sfera di luce incandescente, una palla pulsante davanti a Merlin, che gli aveva detto che quella era la sua forma più pura: energia impossibile da plasmare.

 

Ed ora eccolo lì, lo stesso Potere, ma con sembianze umane.

La cosa più sconcertante, però, era che, sotto sotto, Arthur sapeva che era vero. Da quel nucleo di forma umana poteva percepire lo stesso calore benevolo, lo stesso agglomerato di sentimenti positivi e amore incondizionato che percepiva stando accanto al suo compagno. Lo sentiva familiare.

 

“Sei qui per sostituirti al tuo padrone?” chiese quindi, e la magia storse il nasino in una smorfia infastidita.

 

“D’accordo, perdonami. Merlin non è il tuo padrone, siete un tutt’uno, vero?” riconsiderò, facendola sorridere e arrossire. “Tu sei parte di lui, come lui è parte di te…” le disse, ricordando le parole che tante volte aveva usato lo stregone, per spiegargli il suo dono.

“Ma non dovresti essere accanto a Merlin, per aiutarlo a guarire?” l’interrogò un momento dopo, pensieroso, ma la magia, ancora una volta, scosse il capo come diniego.

 

“Non puoi fare niente per lui?”

 

Di nuovo, ricevette un contrito no come risposta.

 

“Beh, d’accordo. Puoi… puoi restare qui, se vuoi…” le accordò. Perché – che diamine – cos’altro poteva dire?

 

La magia sorrise incantata e non perse tempo; con un bagliore molto più piccolo del primo, scomparve nel nulla. Un istante dopo, Arthur vide che tutti i pezzi dell’armatura si stavano pulendo e lucidando da sé, mentre un piumino spolverava le mensole e un ciocco di legna volava da solo verso il focolare.

Dalla cesta degli abiti lavati e stirati, in lenta processione, si levarono le sue camicie e i pantaloni, come soldati in marcia, diretti verso l’armadio.

Da dietro il paravento, il re poteva sentire lo strofinio della scopa contro il pavimento.

 

Beh, d’accordo. Che male poteva fare?

 

Si sedette allora alla propria scrivania, ad affrontare ciò che aveva evitato fino a quel momento: l’odioso discorso che non sapeva da che parte incominciare.

 

Per un po’ lasciò vagare lo sguardo sui tanti piccoli incantesimi che scorrazzavano davanti a lui, dando loro la colpa per la sua mancanza di concentrazione, ma poi, con spirito di sacrificio, decise di concentrarsi per buttare giù almeno qualche riga decente.

 

 

***

 

 

Un’intera veglia dopo, e un’infinità di fogli cestinati a terra, Arthur stava ancora a rosicchiare la punta della sua penna d’oca, rimpiangendo la mancanza del suo scudiero.

Merlin poteva essere un pasticcione su mille cose, ma il re doveva riconoscere che i discorsi che il suo valletto gli scriveva lo avevano salvato da un sacco di figuracce.

 

Oh, e come avrebbe fatto, adesso?

Persino la magia pareva averlo abbandonato, perché da almeno due tacche di candela non si udiva più nessun suono o nessuno spostamento soprannaturale.

Arthur era praticamente certo di essere rimasto solo. Solo con i propri crucci.

 

Ma proprio quando stava per cedere, sbattendo la fronte contro il legno del tavolo, si accorse della penna accanto alla sua mano, che si muoveva da sola, scivolando con maestria sulla pergamena, senza neppure una sbavatura.

 

Arthur rimase affascinato da quel movimento sinuoso, dal lieve grattare della punta contro la carta ruvida e, quando sbatté le palpebre, s’accorse che era passato un terzo di veglia. Il documento vergato restava lì, davanti a lui, l’inchiostro pronto ad asciugare.

 

Dopo averlo letto – e, caspita, era a dir poco perfetto! – lasciò un sentito ringraziamento alla magia, anche se non sapeva dove indirizzare esattamente la sua riconoscenza.

 

Poi, giusto mentre stava considerando di andare a vedere come stesse Merlin, arrivò Gwen, inviata dall’archiatra reale, per un aggiornamento sulle sue condizioni. Ah, quella vecchia volpe di Gaius…

 

Purtroppo, Sua Maestà dovette reprimere il desiderio di rivedere l’altra metà della sua medaglia e fu costretto ad accontentarsi di sapere che, nel complesso, la situazione rimaneva invariata.

Arthur ringraziò Guinevere per lo zelante ragguaglio e per la premura con cui lei aveva predisposto la sua cena: la serva si era infatti presentata sull’uscio degli appartamenti reali con tanto di vassoio colmo di ogni prelibatezza, che il sovrano, in realtà, una volta rimasto solo, spiluccò appena.

 

I pasti serali erano un momento di pace che lui e Merlin avevano imparato a condividere da tempo; quando non era richiesta la loro presenza ai banchetti, godevano della quiete del tramonto e di una porzione divisa a metà, rubandosi il cibo o imboccandosi a vicenda.

Poi, pigri e sazi, chiacchieravano di tutto e di niente fino all’ora di coricarsi e si sarebbero amati mentre la luna faceva il suo percorso in cielo.

 

Arthur sospirò tristemente. Sarebbe stata una lunga notte solitaria…

Quindi raccattò un po’ di energia per dirigersi nel corridoio esterno e comandare alla guardia di turno di reperire un servo e una tinozza da riempire per il suo bagno. Forse rimanere in ammollo l’avrebbe rilassato un po’.

 

Sua Maestà non fece neppure in tempo a formulare pienamente quel pensiero, che la magia di Merlin comparve, ancora una volta dal nulla, con uno sguardo adorante e un inchino servizievole.

Ma allora… come mai Merlin era sempre stato così irriverente e screanzato?, si domandò d’istinto.

 

Con un battito di mani, tre paia di secchi d’acqua fumante comparvero all’istante e, da soli, si diressero verso la tinozza oltre il paravento, rovesciandosi in essa con fragoroso scrosciare.

 

Arthur osservò la magia rimboccarsi le maniche della tunica evanescente e muovere le lunghe dita esili in direzione dello strofinaccio con cui, solitamente, Merlin gli lavava la schiena. Il pezzo di stoffa raggiunse ubbidiente le mani incantate.

 

“Ehm… Lo apprezzo davvero, e… e non intendo mancarti di rispetto… Ma non mi sento a mio agio con una serva, e…

 

Ancora una volta, il re non riuscì nemmeno a terminare la frase, che la magia cambiò aspetto, diventando un giovane servo aitante, ma assolutamente diverso da Merlin sotto ogni foggia, tranne che per i vestiti.

 

D’accordo, dovette ammettere, forse non era tanto la questione femminile a turbarlo, quanto più il fatto che fosse qualcun altro, e non Merlin, a mettergli le mani addosso. Il bagno era diventato qualcosa di intimo per loro, e…

 

…E come avrebbe fatto a deludere la magia del suo stregone, dopo tanta abnegazione e sollecitudine che stava dimostrando nei suoi confronti?

 

Merlin non gli diceva sempre che il suo Dono aveva un debole per lui?

 

Non volendo contrariarlo, Arthur fece un cenno assertivo del capo verso il valletto soprannaturale, ma per buona misura andò a spogliarsi dietro il divisorio e, solo una volta che fu in ammollo – l’acqua era deliziosamente perfetta, d’accordo –, gli diede il permesso di comparire.

 

 

***

 

 

Magia aveva delle mani fantastiche.

Re Pendragon represse a stento un gemito di piacere per come i suoi muscoli stanchi venivano sciolti con lenti, meravigliosi massaggi. Il suo collo e le spalle sembravano ringiovaniti di un secolo almeno e il Dono del suo stregone pareva sapere esattamente quali punti premere e le zone da trattare.

Forse aveva memorizzato questo particolare spiando Merlin, ma… al diavolo! Per un trattamento così, avrebbe perdonato a Magia qualunque cosa…

 

E poi l’acqua rimaneva gradevolmente al punto giusto, senza raffreddarsi mai.

E lui si stava appisolando, lì, in ammollo. Poteva rimanere così per sempre…

 

Fu proprio quando considerò di assopirsi un pochino, che il suo valletto magico smise la manipolazione e gli porse un telo con cui doveva coprirsi.

Poi, con un inchino riverente, si smaterializzò da lui e Sua Maestà, tutto sommato, fu felice di quella garbata gentilezza.

 

Probabilmente Magia si era congedata per la notte, pensò (domandandosi quando aveva iniziato a chiamarla con un nome proprio nella sua testa), vedendo gli abiti per dormire ben disposti davanti al suo armadio.

Arthur si prese il tempo di asciugarsi con cura, rivestendosi pigramente, perché non c’era nessuna testaccia dura ad aspettarlo nudo nel letto a baldacchino.

Successivamente deviò verso il tavolo e si versò un generoso calice di vino speziato per conciliarsi il sonno e si diresse, scalzo, verso lo scranno imbottito.

 

Per poco non rovesciò la coppa, tale era il suo stupore.

Re Pendragon non si aspettava proprio ciò che vide: un grosso gatto evanescente era addormentato sul tappeto davanti al fuoco del camino.

Arthur sorrise intenerito. Anche Merlin si accoccolava sempre su quel punto per leggere i suoi libri di incantesimi.

 

Lentamente, per non destarlo, il sovrano si accomodò al suo fianco, lasciandosi affascinare dalle braci roventi e dalle lingue di fuoco che danzavano seducenti dinanzi a lui.

Le fusa di Magia gli giunsero inattese, ma non sgradite. Non si era neppure accorto del fatto che le stava accarezzando il pelo folto della schiena… Ma concentrandosi, si meravigliò di quando fosse morbido e setoso.

 

“Non pensi che sia ora di andare a letto?” domandò ad un certo punto, forse retoricamente.

Da un lato, non si aspettava di ricevere una vera risposta, tuttavia… era un essere senziente quello che gli sostava accanto, quindi non era da escludere.

Nelle veglie precedenti, benché muta, Magia era riuscita a comunicare con lui, perciò il cavaliere non sapeva cosa aspettarsi.

 

I mugolii d’apprezzamento del gatto crebbero di intensità e Arthur si sentì in dovere di grattargli dietro le orecchie, indugiando per qualche momento ancora, e poi – quasi di colpo – il suono cessò.

Il felino si risollevò dal comodo giaciglio, stiracchiandosi indolente. Gli si strusciò addosso con gratitudine e poi fece qualche passo per distanziarsi e si sedette sulle zampe posteriori, fissando il monarca in attesa.

 

Anche il nobile lo imitò, rialzandosi dal pavimento per sgusciare sotto alle coltri del suo letto, sbadigliando.

L’ora in cui di solito si coricava era passata da un bel po’, senza che lui se ne rendesse conto.

E tutto questo perché Magia l’aveva distratto.

L’aveva fatto per tenergli compagnia?

 

Forse si era trasformata in animale per apparirgli meno invadente, e il re si sentì scaldare il cuore per quella delicata gentilezza.

Stava per invitarla a rimanere lì, al calduccio, quando il pensiero del suo compagno, solo e sofferente, lo fece rabbuiare.

 

“Devi andare da Merlin”, le disse. Non era una domanda o un comando. Era una semplice constatazione.

 

Meoww…” ribatté il gatto magico, dopo essersi leccato il pelo con dovizia.

 

“Vorrei essere lì con lui, ma non posso”, gli spiegò. “Potresti vegliarlo per me?”

 

Meoww…” replicò Magia, spiccando un balzo verso il letto.

Come il grosso felino si acciambellò a lato del re, il suo mantello si mise a brillare e una sfera di luce dorata si separò dal corpo soprannaturale dirigendosi verso la porta e oltrepassando il legno magicamente.

 

“Grazie”, le disse il nobile, accarezzandola un’ultima volta, prima di soffiare sull’unica candela accesa.

 

Meo”, rispose infine lei, traghettandolo nel mondo dei sogni…

 

 

Continua...

 

 

 

Disclaimer: I personaggi di Merlin, citati in questo racconto, non sono miei; appartengono agli aventi diritto e, nel fruire di essi, non vi è alcuna forma di lucro, da parte mia.

 

Ringraziamenti: Un abbraccio alla mia kohai che subisce le mie paranoie. X°D

E a Laura, che si sciroppa le anteprime con un entusiasmo che mi commuove.

Note: Oh, d’accordo. Penso l’abbiate capito: Magia è fondamentalmente una merthur fangirl. ^_=

 

Non starò ad ammorbarvi sui cicli di accoppiamento delle pecore. Posso dirvi però che mi sono documentata e a febbraio di solito non ci sono agnelli.  XD

 

La parte in cui Magia pulisce le camere e l’armamentario di Arthur, rimanendo invisibile, è un chiaro omaggio a “Fantasia” della Disney e alla “Spada nella roccia”.

 

Dal telefilm, sappiamo che è Merlin a scrivere i discorsi di Arthur, da quando questi è diventato re.

 

Come detto nel capitolo, ad un certo punto ‘la magia’ è diventata ‘Magia’, perché Arthur si rivolge a lei come se questo fosse il suo nome proprio.

 

 

Anticipazione del prossimo capitolo:

 

Arthur osservò, impotente, i rapaci girare in tondo in cielo, liberi di cavalcare le correnti d’aria e di gridare la loro stridula felicità, e pregò qualunque divinità in ascolto affinché Cenred non si accorgesse del piccolo ricordino che era atterrato, con assoluta precisione, sulla sua testa.

In alternativa, andava anche bene che non capisse – o non immaginasse – che la colpa era di Magia, perché Merlin sarebbe morto di crepacuore, vedendola impagliata come trofeo dentro al maniero del re di Mercia.

 

Re Pendragon cercò di distogliere gli occhi dal guano che gocciolava tra i capelli del sovrano davanti a lui, e sperò ardentemente che nessuno avrebbe osato fiatare sull’argomento.

 

Giusto in quel mentre, Magia planò in picchiata, afferrando con gli artigli ferali una piccola lepre selvatica, uccidendola, per poi portargliela in dono.

Arthur, suo malgrado, accettò l’offerta e le accarezzò il capo, facendole arruffare le piume di soddisfazione, sotto lo sguardo seccato dell’altro regnante.

 

 

Avviso di servizio (per chi segue le altre mie storie): Qualche giorno fa, ho postato una flash-fic spoiler 5x13 The morning after(ed eventuali pareri sarebbero apprezzati).

 

 


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Grazie.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 di 2 ***


Eccoci alla seconda e ultima parte della storia

Eccoci alla seconda e ultima parte della storia. (Anche se ho altre bozze in cui Magia prende la sua autonomia da Merlin).

Ricordo a tutti che è una ‘what ifmerthur senza collocazione precisa rispetto al telefilm, dove la magia di Merlin assume sembianze umane e animali.

Le motivazioni del comportamento di Magia saranno spiegate nelle note finali. Anticipo, però, che non c’è alcun intento sessuale nelle sue azioni.

 

 

Dedicata a chi mi segue con costanza e affetto.

A chi si entusiasma per le mie bizzarre ispirazioni e mi sostiene.

A chibimayu, FlameOfLife, hiromi_chan, chibisaru81, Insaluber, niclue, Barby_Ettelenie_91, Hamlet_, Rosso_Pendragon, DevinCarnes, katia emrys, Orchidea Rosa, Sheireen_Black 22, Burupya e marghevale123, per aver trovato il tempo di lasciare un parere.

Grazie.

 

 

 

 

Merlin’s Magic Loves Arthur

 

(Parte 2 di 2)

 

 

 

 

Il mattino successivo, quando Arthur si svegliò, Magia era diventata un piccolo cane nero che dormiva ai piedi del suo letto.

Il re si prese qualche istante per raccapezzarsi, ma poi considerò che le stranezze di Merlin avrebbero dovuto abituarlo anni fa ad aspettarsi di tutto.

 

Anche se la bestiolina dormiva ancora, sul comodino accanto a loro c’era già una nutriente colazione: il profumo delle salsicce calde si espandeva nell’aria, facendogli gorgogliare lo stomaco.

Arthur si risollevò lentamente, ma il movimento bastò a svegliare l’animale, che lo salutò abbaiando festoso e scodinzolando verso di lui, strappandogli un sorriso.

 

Il nobile si chiese se Magia si nutrisse di qualcosa, anche se il suo corpo era immateriale. Quando la vide sbavare davanti al prosciutto che si stava mettendo in bocca, decise che sì – magica o meno, aveva ceduto alla gola – e aveva condiviso il suo pasto con lei.

 

Una volta che si furono saziati, Magia si trasformò nuovamente nel valletto del giorno prima e lo aiutò a vestirsi con l’armatura per i consueti addestramenti, prima dell’arrivo del re di Mercia, previsto per il pomeriggio.

 

Dopo che fu pronto, lo scudiero magico si ritrasformò in animale e lo seguì verso lo studio del medico di corte, per avere notizie su Merlin.

 

 

***

 

 

La formazione delle nuove reclute era qualcosa che aveva sempre aiutato Arthur.

A seconda dell’occasione, aveva avuto modo di sfogare malumori, tensioni, energia in eccesso; talvolta era stata solo un diversivo per tenergli la mente occupata, come in quel caso: Merlin aveva ancora la febbre alta, anche se Gaius – cacciandolo via dalla stanzetta – continuava a ripetere che non c’era da preoccuparsi.

Arthur sentiva anche l’ansia per l’imminente incontro con il monarca di Mercia, per il rinnovo degli accordi di pace. C’erano mille cose che potevano andare storte e scatenare una guerra era davvero l’ultima cosa da augurarsi.

Per questo, anche se aveva il fiatone, il cavaliere continuò a menare fendenti a destra e a manca, sfinendosi e sfinendo i vari sventurati che avevano l’ardire di incrociare la spada con lui.

Poi, come dal nulla, Magia smise di starsene accucciata ed iniziò ad abbaiare, distraendolo, decretando una pausa che tutti bramavano da un bel po’ e guadagnandosi una serie di apprezzatissime carezze da parte dei presenti.

 

Successivamente, alle calcagna del re, fece rientro negli appartamenti reali, dove predispose un bagno rinvigorente e gli abiti da cerimonia.

 

Allorché Arthur si rese presentabile con il suo aiuto, fu tempo di scendere nuovamente nel cortile ad accogliere la delegazione straniera, che era stata avvistata in lontananza dalle vedette di guardia sulle torri.

Quando re Pendragon si volse verso il valletto magico per invitare Magia a seguirlo, si ritrovò dinnanzi nuovamente la sua trasposizione canina, ma questa volta aveva preso la forma di un’enorme bestia nera, con il garrese che gli arrivava quasi all’anca.

Se Magia si fosse sollevata sulle zampe posteriori, senza dubbio sarebbe stata alta quanto lui.

 

Arthur deglutì a vuoto, impressionato, mentre l’animale prese a scodinzolare festosamente nella sua direzione, spingendolo col muso imponente verso la porta.

 

D-d’accordo, è tardi. Ho compreso…” farfugliò, sentendosi spostare a viva forza, con disagio.

Un momento dopo, però, la sua mano entrò in contatto con il manto morbido della bestia e – istintivamente – glielo lisciò, ricevendo in cambio un uggiolio di gioia.

 

Non importava che fosse grossa come un pony, pelosa come un orso e intimorente come un lupo (a cui, in seconda analisi, vagamente assomigliava), Magia restava ancora incredibilmente vittima del suo fascino e Arthur si lasciò scappare un sorriso, aumentando lo strofinio dietro le enormi orecchie pelose.

 

 

***

 

 

Arthur aveva compreso perché il Dono di Merlin avesse scelto di assumere quella forma nel momento esatto in cui re Cenred comparve a capo della sua carovana.

Si vedeva lontano un miglio che l’uomo non era né particolarmente felice di essere lì né propenso a rendergli le cose facili.

Era noto a tutti che fosse un tipo arrogante, pericoloso, calcolatore nel trarre in propri profitti da qualsiasi occasione gli si presentasse e stava ostentando chiaramente che si riteneva il più forte fra loro due.

 

Accanto a lui, Magia ringhiava sommessamente, annusando la tensione nell’aria e Arthur le sussurrò gentili parole rassicuranti, comprendendo che il Potere di Merlin aveva tutta l’intenzione di difenderlo da qualunque minaccia.

Pur apprezzando enormemente l’intento, il giovane Pendragon era ugualmente consapevole che no, non poteva rischiare di scatenare un incidente diplomatico perché il suo cane magico poteva essere impazzito e aveva improvvisamente morso quell’antipatico di Cenred.

 

Shh… a cuccia”, sussurrò allora, facendosi udire solo da lei. E di colpo essa tacque, rimanendo immobile, capendo i suoi desideri.

Tuttavia, Arthur seppe che Magia si era presa la sua soddisfazione nel momento in cui il sovrano di Mercia, scendendo da cavallo, l’aveva scorta vicino al re e aveva sgranato gli occhi, per un istante intimidito.

 

Una volta che si furono scambiati i convenevoli, ed era stato loro offerto ristoro, Cenred e i suoi consiglieri avevano chiesto di iniziare le trattative e Arthur si era detto che prima fossero cominciate e prima sarebbero finite, quindi acconsentì di buon grado.

 

 

***

 

 

Non appena tutti i nobili avevano preso posto, Magia si accomodò sul pavimento rasente al suo scranno. Persino da seduta, il suo muso spuntava oltre il grosso tavolo di legno – dove erano state stese le mappe e i trattati da discutere – incombendo silenziosa, ma inquietante. Le sue orecchie erano tirate all’indietro, tese e pronte a scattare ad ogni imprevisto e i suoi canini, francamente spaventosi, spuntavano dalla bocca in un monito minaccioso.

 

Nessuna persona sana di mente vi si sarebbe avvicinata di sua spontanea volontà né tantomeno avrebbe pensato di stuzzicarla dandole noia.

 

Forse questo avrebbe dissuaso Cenred dal compiere viscidi ricatti, perché il monarca straniero si trovava in evidente disagio malcelato ogni volta che incrociava lo sguardo dell’animale e non solo perché riteneva la sua presenza eccessiva e un’ostentazione di potenza irritante da parte di Arthur Pendragon... no, era qualcosa di più subdolo e difficile da cogliere.

 

Il re di Camelot ruppe la tensione allungando una mano per accarezzare affettuosamente il capo dell’animale che, istantaneamente, abbandonò la postura di attacco e, con un piccolo luccichio magico, si tramutò a mezz’aria nel simpatico cagnolino che aveva trovato al suo risveglio.

 

Un ansito sorpreso uscì dalle labbra di re Cenred, mentre l’altro sovrano si accomodava il famiglio sulle ginocchia, nient’affatto propenso a separarsene.

 

Da quando Uther era morto, l’uso della magia non era più vietato a Camelot.

Naturalmente, la notizia si era sparsa fra i Cinque Regni e, benché anche a Mercia ne fossero consapevoli, Arthur immaginò che non fosse facile per lui vederla usare così liberamente fra i muri del palazzo e la cosa gli fece spuntare un piacevole sorriso di soddisfazione che fu lesto a reprimere.

 

Se Cenred avesse mai coltivato segretamente qualche mira di espansione, ora avrebbe dovuto fare i conti con la potente magia che proteggeva il regno dei Pendragon e questo, probabilmente, sarebbe stato un ottimo deterrente per i suoi sporchi piani – assieme all’esercito di prodi cavalieri che lui stesso aveva formato e addestrato, e che aveva intenzione di esibire alla prima occasione.

 

 

***

 

 

Quella prima riunione era stata più indolore di quanto avesse creduto, indubbiamente grazie alla presenza rassicurante di Magia, che aveva sostituito Merlin nel migliore dei modi.

 

Arthur riuscì a ritagliarsi il tempo per visitare il suo compagno, ma Gaius lo aveva dissuaso dall’entrare, poiché effettivamente anche Gwen sembrava esser stata contagiata dallo stesso malessere e, di conseguenza, il rischio per lui era troppo alto.

 

Merlin, gli fu detto, risultava ancora inconscio, ma la sua situazione era stabile. La febbre alta combatteva il morbo influenzale e, entro qualche giorno, secondo il cerusico, si sarebbe ristabilito.

 

A malincuore, perciò, il cavaliere fece ritorno nelle proprie stanze e, mentre si preparava per l’immancabile, doveroso banchetto che avrebbe reso onore al loro ospite, il Dono del suo servo lo assistette, silenzioso ed efficiente, dopo aver ricevuto le lodi e i ringraziamenti da parte sua, per l’operato svolto in precedenza.

 

Una volta che fu pronto, egli osservò Magia in forma di servitore – vestito con gli stessi abiti del suo mago – e le chiese d’istinto: “Vorresti accompagnarmi?”

 

Con un cenno del capo deferente, il ragazzo magico prese nuovamente la forma del molosso canino di quel pomeriggio e si preparò, ubbidiente, ad attenderlo all’entrata.

 

Arthur si sentì sinceramente felice per quella scelta e, armato di tanta pazienza e diplomazia, si stampò un sorriso di circostanza sul volto.

Come avrebbe preferito mille volte saltare la cena e lasciarsi cadere a peso morto sul tappeto davanti al focolare, con Magia a fare le fusa per rilassarlo!

 

Il Dono parve comprenderlo, perché lo sfiorò con un colpo di muso amichevole, come a infondergli coraggio, e lo guardò con languidi occhioni fiduciosi.

 

 

***

 

 

Appena entrati nel salone, Cenred lanciò uno sguardo di disgusto e diffidenza al grosso cane e Magia, da lontano, lo ricambiò con altezzosità.

Arthur meditò che, forse, non era stata la sua idea migliore, quella di invitarla ad accompagnarlo, anche se – visti i precedenti di Merlin – se Magia si fosse presentata come valletto, probabilmente avrebbe finito per rovesciare un’intera brocca di vino addosso al sovrano ospite solo per dispetto.

 

Forse leggendo i suoi pensieri, il Dono girò l’enorme muso verso di lui, scambiando un lungo sguardo, come se gli stesse chiedendo qualcosa… o forse il permesso per qualcosa.

 

“Niente danni. Ti prego…” sospirò, impotente di fronte a quegli occhioni supplici, che tanto gli ricordavano quelli di Merlin, e a cui non sapeva più dire di no.

 

Magia sorrise – ammesso che i cani potessero sorridere – prima di tramutare il proprio corpo in una bolla di fulgida luce abbacinante.

 

Quando il re di Camelot riacquistò la vista, trovò davanti a sé la splendida, eterea fanciulla del dì addietro e, prima ancora di sapere come, le porse galantemente il braccio, affinché lei potesse appoggiarvisi per percorrere insieme il resto della navata verso la tavolata imbandita.  

 

Il sussurro di meraviglia dell’assemblea non si era ancora spento, né tra gli stranieri né tra la sua gente, ma poteva concedere loro il fatto che Magia fosse davvero, davvero magnifica – anche senza gioielli o collane, brillava da sola come un diamante incastonato in quell’abito d’oro che la faceva apparire al pari di una divinità – cosa che, in parte, lei era.

 

Persino re Cenred era rimasto a bocca aperta, congelato come una statua di sale, in contemplazione di tale rara beltà.

Magia sorrideva, soddisfatta della sua piccola vittoria, mentre si lasciava ammirare e invidiare da tutti gli astanti.

E Arthur sorrise con lei, assaggiando un pezzo della sua rivincita, mentre la omaggiava come se fosse stata la Castellana, sperando che a Merlin non sarebbe venuto un malore, una volta che avrebbe saputo della sfrontata esibizione del suo Dono ribelle.

 

 

***

 

 

Quella notte Magia si accoccolò nuovamente sul tappeto accanto al baldacchino, cane da difesa e silenziosa presenza.
Sua Maestà allungò una mano oltre il bordo del materasso, grattandole affettuosamente le orecchie pelose, mentre la folta coda batteva ritmicamente il proprio gradimento.

 

Si era dimostrata impeccabile durante tutto il banchetto, anche se Arthur aveva seriamente temuto una dichiarazione di guerra in un momento o due, soprattutto quando re Cenred si era lamentato della sua presenza muta – al pari di un grazioso ninnolo soprammobile, l’aveva definita – e re Pendragon era stato sul punto di paventare che il sovrano ospite sarebbe diventato cenere all’istante (o tramutato in qualche odioso, viscido animale che lo rappresentasse bene, come un rospo o un serpente); invece Magia si era sollevata dal tavolo d’onore e, accompagnata dalla sua aura splendente, si era accomodata dove gli strumenti dei musici di corte avevano predisposto il successivo intrattenimento e lei, soave ed incorporea, aveva allietato i presenti con il più struggente brano mai udito, pizzicando le corde dell’arpa con le sue esili dita diafane, intessendo una melodia che riempiva il cuore di ognuno, facendolo traboccare con sentimenti commoventi.

 

Quando l’esibizione finì, un boato di applausi fece tremare le vetrate del castello, tanto era l’entusiasmo dell’assemblea.

Con un inchino del capo e una delicata riverenza, Magia aveva ringraziato il suo pubblico, riprendendo posto accanto al re di Camelot, che le sorrideva estasiato.

 

 

***

 

 

Il mattino successivo, di buon’ora, le due delegazioni aveva ripreso i lavori, scambiando i rispettivi pareri e valutando cosa andava mantenuto dei precedenti trattati e cosa andava cambiato.

Se tutto fosse filato liscio, tutta quella fastidiosa incombenza si sarebbe conclusa prima di sera e, l’indomani, Cenred e il suo seguito avrebbero potuto fare ritorno a Mercia.

 

C’era, però, una cosa che stava a cuore ad Arthur.

Era un azzardo rischioso, perché re Pendragon era consapevole che avrebbe potuto sollevare un polverone, senza ottenere nulla da quell’incognita, ma doveva almeno tentare e per questo aveva lasciato appositamente per ultima la questione.

 

Cercando di apparire propositivo e ragionevole, egli chiese che il villaggio di Ealdor venisse annesso a Camelot ed era stato pronto a cedere, come controfferta, un generoso appezzamento a Nord, ricco di miniere di ferro.

Pur sapendo che questo sarebbe stato uno scambio nettamente sfavorevole sulla carta, era comunque pronto a battersi per ottenerlo, perché questo voleva essere il suo dono a Merlin – la sicurezza di sua madre e della sua gente.

Ovviamente, Arthur era altrettanto consapevole che Cenred sarebbe stato sordo all’idea di perdere terreno a priori, foss’anche stato un inutile villaggio ai confini del regno, che era così povero da non versare le tasse, ottenendo terreni più vantaggiosi in cambio.

Era una questione di principio per lui. Perdere era sempre scomodo.

 

Come prevedibile, il monarca gli aveva espresso una serie di rimostranze, rivelandosi oppositivo e reticente all’avvicendamento.

Arthur aveva decisamente sperato che le miniere avrebbero fatto gola a quell’ingordo, ma ad un certo punto si erano arenati, ognuno sulla propria posizione, senza via d’uscita e una decisione, e la riunione era stata rimandata al giorno seguente, rinviando così anche la partenza degli ospiti.

 

 

***

 

 

Quel pomeriggio, per placare gli animi di tutti e sedare il malcontento, era stata proposta una battuta di caccia con il falcone.

 

Mentre si preparava, Arthur aveva ancora i nervi tesi per il susseguirsi della discussione ed era anche francamente deluso con se stesso, per non essere riuscito a strappare ciò che bramava a Cenred.

Magia, invece, benché percepisse il suo stato d’animo, aveva fatto le fusa riconoscente per quel gesto d’inattesa generosità. Come Merlin, anch’essa era nata a Ealdor e si considerava, a parimenti del mago, come figlia spirituale di Hunith.

C’era mancato poco che Magia si tuffasse con le braccia al collo del suo signore, tale era stata la sua gioia, ma l’espressione triste del re l’aveva dissuasa.

 

Poi, una volta che fu pronto, il cavaliere le chiese di unirsi a loro nella battuta di caccia e il Dono riassunse la forma del molosso, seguendolo fin nel piazzale dove, sorprendendo tutti, s’era trasformata in un maestoso falco reale – decisamente il più grosso e bello fra i predatori presenti lì.

Dopo un piccolo giro di prova, il rapace magico si era appollaiato sulla spalla di Arthur, solenne e altero.

 

D’accordo, si disse Arthur, sentendo la schiena pungere per lo sguardo d’odio che si sentiva dirigere contro. Forse scatenare la gelosia di Cenred non era la via migliore per convincerlo a cedergli ciò che voleva, ma non era colpa sua se Magia era fondamentalmente una dannata esibizionista!

 

Fingendo noncuranza, il re di Camelot diede il via alla partenza e la piccola carovana si mise in movimento.

 

 

***

 

 

Arthur osservò, impotente, i rapaci girare in tondo in cielo, liberi di cavalcare le correnti d’aria e di gridare la loro stridula felicità, e pregò qualunque divinità in ascolto affinché Cenred non si accorgesse del piccolo ricordino che era atterrato, con assoluta precisione, sulla sua testa.

In alternativa, andava anche bene che non capisse – o non immaginasse – che la colpa era di Magia, perché Merlin sarebbe morto di crepacuore, vedendola impagliata come trofeo dentro al maniero del re di Mercia.

 

Re Pendragon cercò di distogliere gli occhi dal guano che gocciolava tra i capelli del sovrano davanti a lui, e sperò ardentemente che nessuno avrebbe osato fiatare sull’argomento.

 

Giusto in quel mentre, Magia planò in picchiata, afferrando con gli artigli ferali una piccola lepre selvatica, uccidendola, per poi portargliela in dono.

Arthur, suo malgrado, accettò l’offerta e le accarezzò il capo, facendole arruffare le piume di soddisfazione, sotto lo sguardo seccato dell’altro regnante.

 

“Questa è una noia mortale, Pendragon!” lo apostrofò quindi, con altezzosità. “Permetti che il tuo animaletto ci tolga tutto il divertimento!” lo accusò, additando l’uccello. “Ora ci inoltreremo nel bosco e ti farò vedere io come si caccia!” esclamò spavaldamente, prima di sfilare le staffe e di scendere da cavallo.

 

Nessuno avrebbe potuto prevedere quella buca nel terreno, nascosta dal fogliame, e Cenred vi pose sopra il piede, cadendo malamente a terra con irripetibili imprecazioni.

Un istante dopo, la sua guardia personale e Arthur gli erano accanto, mentre egli, pur sbraitando per cercare di rialzarsi, non riusciva a sostenere il proprio peso per la caviglia dolorante.

 

“Potrebbe essere una distorsione!” esclamò qualcuno.

 

“O una slogatura!” aggiunse qualcun altro.

 

“Oppure è rotta…” considerò Arthur, quando lo stivale del nobile fu sfilato e la parte dolente appariva chiaramente già gonfia e tumefatta. “Vi accompagnerò personalmente dall’archiatra reale”, propose quindi, con buonsenso. “Gaius saprà certamente cosa fare”.

 

“No! Non se ne parla!” s’infuriò Cenred, ancora suscettibile per la magra figura della sua caduta. “Non mi lascerò curare da un ciarlatano! Voglio il mio medico personale! Nel mio castello!”

 

“Sire… siate ragionevole…” tentò di rabbonirlo uno dei suoi cavalieri più anziani. “Il viaggio è lungo e voi non siete in salute…

 

E i trattati non sono ancora completi, meditò Arthur, sentendo che la situazione gli sarebbe sfuggita di mano, se quel testardo avesse voluto perseguire le proprie intenzioni.

 

Poi, come dal niente, Magia smontò dalla sella su cui si era appollaiata e si trasformò nuovamente con sembianze umane, accostandosi al ferito.

 

“No!” ruggì questi, allarmato. “Non mi toccare!” intimò, allungando un braccio come barriera fra loro, ma il Dono non si fece impressionare e, chinandosi a terra, schioccò le piccole dita agili della mano destra. Dai polpastrelli fuoriuscì immediatamente un sottile filo d’oro luccicante che corse ad attorcigliarsi attorno alla lesione del re.

 

Tutto era stato così veloce che le guardie presenti non riuscirono nemmeno a sguainare le spade e Cenred non ebbe neppure il tempo di lamentarsi. Egli percepì solo un gran calore e, un momento dopo, dov’era il filo magico e la parte contusa, non v’era più niente. La sua gamba era guarita.

 

Osservandola sbigottito, si sentì sollevare dai suoi uomini e, perfettamente sano, poté riprendere a camminare.

 

 

***

 

 

L’indomani, Arthur s’era aspettato di dover combattere nuovamente per strappare Ealdor dalle mani di Mercia, quindi rimase abbastanza stupito quando Cenred, appena si erano seduti al tavolo delle trattative, gli rese noto che aveva pensato alla sua proposta e, considerato che il villaggio era più una rogna che un guadagno (frequenti erano infatti le razzie dei predoni e non era sua intenzione occuparsene), aveva deciso magnanimamente di cederne il dominio.

In aggiunta a ciò, il re straniero aveva anche rinunciato all’acquisizione delle miniere a Nord, adducendo una serie di motivazioni in realtà non troppo convincenti.

 

In un modo contorto, anch’egli possedeva una certa correttezza, un senso dell’onore. E questo era sicuramente il suo modo di ringraziare e sdebitarsi per l’aiuto ricevuto.

 

Con un grande sorriso, Arthur gli aveva stretto la mano ed, entro breve, lo scrivano di corte aveva redatto l’accordo che entrambi sottoscrissero.

 

Entro il primo pomeriggio, i visitatori abbandonarono finalmente Camelot per fare ritorno a casa.

 

 

***

 

 

Nei giorni seguenti, le cose tornarono alla normalità.

Anche se Merlin andava migliorando, le visite erano ancora vietate e Magia cercava di intrattenere il nobile padrone nei modi più disparati.

La malinconia di Arthur la faceva soffrire, e per questo s’era trasformata persino in un tenero coniglietto, dal pelo immacolato, per farsi accarezzare.

Successivamente, era divenuta un bellissimo uccello esotico dal piumaggio multicolore. Aveva incantato il re con il suo canto melodioso, almeno fino a quando Arthur non aveva osservato che anche a Merlin sarebbe piaciuto ascoltare siffatta melodia.

Magia si era allora tramutata in animali che il sovrano non aveva mai veduto, lasciandolo stupefatto. Ma, alla fine, egli le chiese solamente di tornare ad essere un gatto e di lasciarsi accarezzare, facendo le fusa. E lei non cambiò più.

 

 

***

 

 

La sera del sesto giorno, fu Gaius in persona a portare il ragguaglio medico.

Per un istante, Arthur fu preoccupato che recasse cattive notizie, e grande fu la sua gioia quando, invece, l’archiatra gli rivelò che la febbre era completamente scomparsa e che, quindi, il contagio era stato scongiurato.

 

“Potrei… potrei vederlo?” domandò egli, speranzoso, incurante di apparire vulnerabile come in realtà si sentiva.

 

“Mi dispiace, Sire. Ma sta già dormendo, poiché la malattia lo ha sfinito e deve recuperare le forze. Perciò vi sconsiglio di disturbare il suo sonno”, decretò il medico, a titolo definitivo, deludendolo.

Di fronte all’espressione affranta del giovane uomo davanti a lui, però, il vecchio ne ebbe compassione, per questo aggiunse: “Domattina, nondimeno, potreste essere la prima persona che vedrà al risveglio, se vorrete essere mattiniero…” gli suggerì, ammiccando. O forse no, forse era stato solo un tic nervoso del suo occhio, un balbettio della palpebra cadente… perché, certamente, Gaius non era tipo da ammiccare suggerendo tresche amorose al suo re.

 

Rimasto solo, il sovrano di Camelot accantonò la gioia, preparandosi a trascorrere quell’ultima notte in solitudine e, proprio per questo, la cosa gli risultava insopportabile.

 

“Mi manca Merlin…” ammise alla fine, sussurrandolo al soffitto del suo letto a baldacchino, ad un’ora imprecisata poco prima dell’alba, mentre grattava pigramente il pancino del gatto magico che lo confortava fuseggiando. “Mi manca… da morire”.

 

E dove un istante prima sentiva il morbido pelo, ora v’era il vuoto.

Arthur si risollevò sui gomiti, intontito dalla notte insonne, osservando sorpreso Magia che aveva preso le sembianze del suo servo – sì, per la prima volta era proprio identica a lui: lo stesso sorriso idiota e irresistibile, gli stessi occhi in cui amava perdersi e le stesse braccia accoglienti che lo stavano aspettando –, e Magia si arricciò contro di lui, per confortarlo con l’ultima soluzione, l’unica illusione che possedeva.

Ma Arthur, dopo un momento di smarrimento, ridacchiando imbarazzato, la scostò da sé, negandosi quel contatto. “Non posso, io-”

 

Allora una bolla di luce lo avvolse e, un istante più tardi, Arthur si ritrovò nella stanzetta del cerusico reale, accovacciato contro il corpo addormentato di Merlin, mentre Magia – la sfera luminosa – tornava a fondersi col mago, scomparendo dentro al suo petto, poiché aveva riunito le due facce della medaglia.

 

“Grazie”, le bisbigliò, certo che lei avrebbe capito.

 

“Arthur…” sentì chiamare nel sonno da Merlin, ed egli rispose nell’unico modo che conosceva. Se lo strinse contro, baciandolo piano – con tenerezza e riverenza, ma senza destarlo.

 

“Sono qui, Amore. Dormi”, gli suggerì, prima di cedere, finalmente, anch’egli al riposo.

 

 

- Fine -

 

 

 

Disclaimer: I personaggi di Merlin, citati in questo racconto, non sono miei; appartengono agli aventi diritto e, nel fruire di essi, non vi è alcuna forma di lucro, da parte mia.

 

Ringraziamenti: Un abbraccio alla mia kohai che subisce le mie paranoie. X°D

E a Laura, che si sciroppa le anteprime con un entusiasmo che mi commuove.

Note: Ecco la fine. Confesso che, in origine, la storia aveva una piega molto più comica e meno diabetica, ma è uscita così e non ho avuto il coraggio di cambiarla.

Ogni tanto, mi piace lasciare ai nostri eroi un po’ di pace e coccole, invece che quintali di angst.

Proprio per le deviazioni compiute dalla strada originale, adesso ho alcune bozze di idee con Magia personificata e prima o poi – da qualche parte – le posterò.

 

Dal precedente capitolo, ad un certo punto ‘la magia’ è diventata ‘Magia’, perché Arthur si rivolge a lei come se questo fosse il suo nome proprio.

 

Oh, d’accordo. Penso l’abbiate capito: Magia è fondamentalmente una merthur fangirl. ^_=

 

Come ho detto all’inizio, vorrei chiarire che Magia ama Arthur nel senso più puro e ingenuo del termine. Quando si trasforma in Merlin, lo fa per dare conforto al suo re, non per sostituirsi a Merlin nella loro relazione.

 

Poi, parafrasando i pensieri di Arthur, Magia è fondamentalmente una esibizionista.

Questo perché vuole essere una specie di rivincita di fronte a tutte le volte in cui Merlin ha dovuto nascondersi o tacere davanti alle ingiustizie quando la magia era ancora illegale.

Diciamo che si prende qualche meritata soddisfazione.^^

 

Magia prende determinate forme (come quella del grosso cane), perché odia istintivamente Cenred, poiché lei sa che non è un buon re.

Come Merlin, essa potrebbe combinare qualche guaio, ma alla fine sa sistemare sempre le cose.

 

I ‘famigli’ sono gli animali magici che nella tradizione popolare accompagnavano maghi e streghe. Esempio: come il gufo Anacleto di Merlino, nella Spada nella Roccia.

 

 

 

Avviso di servizio (per chi segue le altre mie storie):

 

  • Postata la conclusione della long-ficWaiting for you
  • Aggiornata Linette cap. 89.
  • Postata la shot “The morning after”, spoiler!5x13.

 

 


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