Correte, la Nebbia sta arrivando

di Marra Superwholocked
(/viewuser.php?uid=515498)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Presentimento ***
Capitolo 2: *** Non c'è due senza tre ***
Capitolo 3: *** Non è un film ***
Capitolo 4: *** Interferenze ***
Capitolo 5: *** Ai piani alti ***
Capitolo 6: *** Occhi neri ***
Capitolo 7: *** Sale e ketchup ***
Capitolo 8: *** Oggetti di scena ***
Capitolo 9: *** Di nuovo a casa ***
Capitolo 10: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Presentimento ***


Capitolo 1
Presentimento


Samanta correva a perdifiato. Sapeva che quello era il suo ultimo ritardo possibile e che l'avrebbero rispedita a casa se si fosse presentata in classe a lezione già iniziata. Non le importava della pioggia, aveva chiuso l'ombrello una volta entrata nel pullman e non voleva certamente perdere tempo a riaprirlo una volta scesa da esso: avrebbe dovuto camminare piano e non sarebbe arrivata in tempo. Ancora qualche passo sull'asfalto e poi rallentò la corsa non appena si fu addentrata nei corridoi della scuola. Nonostante il suo fisico da ballerina di danza classica, Samanta sentì una fitta alla milza che aumentava d'intensità ad ogni passo, mentre quest'ultimo produceva un fastidioso scricchiolio sul pavimento.
Si fermò. Sentiva che qualcosa non andava per il verso giusto.
La colpì un'altra fitta di dolore e questa volta appoggiò una mano al muro per tenersi in equilibrio.
Alla fine, Samanta cedette: prese il telefonino e, grondante per le gocce di pioggia che le scendevano fino al collo bagnandole la sciarpa, digitò un messaggio per l'amica Cinzia:


non sto bene di' alla prof che sono rimasta a casa un bacio sam


Premette il tasto “Invia” e ne digitò un altro, questa volta per la madre:


per favore vienimi a prendere non sto bene sono in atrio


Premette nuovamente il tasto e aspettò la Peugeot della madre, in silenzio, nell'atrio della scuola.
Rimase seduta parecchi minuti prima di sentire sfrecciare sull'asfalto bagnato del parcheggio della scuola la macchina di sua madre. La portiera si aprì e ne uscì un ombrello a scacchi neri e bianchi seguito dalla testa di una donna che di femminile non aveva proprio niente. Chiuse frettolosamente la portiera dalla quale era uscita, aggrottò la fronte in cerca dell'entrata e s'incamminò accigliata verso la figlia.
«Ehi! Che è successo, tesoro?» le chiese mentre si spostava la frangetta unta dagli occhi.
«Ho dei dolori che non mi piacciono per niente e poi oggi non è giornata» le rispose Samanta scendendo dalla panca di legno vicino al gabbiotto della sicurezza.
Camminando, i dolori aumentavano e così Samanta fu costretta, suo malgrado, ad accettare l'aiuto della madre che reggeva contemporaneamente l'ombrello, la figlia e le chiavi della macchina.
Raggiunsero la loro Peugeot con non poche difficoltà, vi si infilarono dentro e partirono.
«Sam, ti spiace se ti porto con me al lavoro? Sono un po' in ritardo.»
«Va bene.» Come sempre, avrebbe voluto aggiungere.


«Prof, Samanta non sta bene. È rimasta a casa.»
«Ok, dille che la verifica la recupererà la prossima volta che ci vediamo. Lo so che tanto avete il cellulare sempre acceso e a portata di mano... Oggi che giorno è, ragazzi?»
«Giovedì» risposero cinque ragazze all'unisono.
«Grazie. Cinzia, dille che la farà.. Lunedì prossimo. Se verrà, naturalmente.» La professoressa Spinetta le regalò uno dei suoi numerosi sorrisi falsi, poi consegnò i fogli per lo svolgimento del saggio breve, il secondo in cinque anni scolastici dei ragazzi di quella classe.
In effetti, la professoressa Spinetta non fu mai un'insegnante coi fiocchi: entrava in classe con un largo ritardo, cominciava a parlare di politica o di sua figlia, spiegava con ben tre libri diversi e le cose che diceva non coincidevano mai con quelle scritte sui libri di testo ufficiali dei ragazzi. L'anno prima aveva quasi litigato con una sua alunna perché sosteneva che stesse chiacchierando con una finestra, mentre la poveretta stava semplicemente sbadigliando girata verso quest'ultima per la noiosa lezione su Guicciardini. E le aveva messo un grazioso tre sul suo libretto dei voti.
Inutile dire che la professoressa Spinetta stava simpatica a ben pochi ragazzi della scuola: quando si trattava di scherzare, lei era la prima a farsi avanti, ma si sentiva misteriosamente stanca ogni volta che doveva aprire un libro per una nuova lezione.
Ora se ne stava lì, seduta alla sua cattedra, a sorseggiare la sua strana bevanda dietetica, nient'altro che un intruglio di acqua e sostanze chimiche che promettevano un fisico alla Bay Watch.
Poverina, non raggiunse mai questo obiettivo.
Finite le tre ore di saggio breve, i ragazzi si alzarono e uscirono dalla classe per l'intervallo. Molti si lamentarono dei documenti estremamente difficili, altri andarono spediti a fumare senza più pensare al compito appena fatto. Cinzia no: andò a spegnere le luci e tornò al suo posto, con la testa appoggiata alla spalla del suo ragazzo, Raffaele, della sua stessa classe, a messaggiare con Samanta.


Sam, che ti è successo? Cos'hai?


Ciao le solite fitte alla milza.


No, Sam, ti conosco. Non staresti a casa nemmeno se ci fosse un uragano in arrivo..


Ok.. Qualcosa mi diceva che oggi non dovevo venire a scuola, e non era il compito ;)


Cosa?!


Ho come la sensazione che oggi sarà una giornata fuori dal comune. State attenti XD


Ahahah Sam.. >.< Guarisci <3


Cinzia mise via il cellulare e si abbandonò tra gli abbracci di Raffaele, senza notare che il computer si era spento da solo.
«Ma la campanella? Sono in ritardo di dieci minuti..» chiese d'un tratto Raffaele, vedendo che l'orologio segnava già le undici e un quarto.
Cinzia si alzò controvoglia ed esaminò il suo orologio da polso: la campanella non era suonata. E la classe non era tornata, ma erano tutti fuori. Andò verso l'uscita dell'aula e.. Tutte le luci erano spente: le macchinette delle merendine erano morte, le luci al neon sul soffitto sembravano non esserci, i bidelli provavano, senza riuscirci, a suonare la campanella..
Ma il blackout durò ben poco: il soffitto s'illuminò all'improvviso, i computer ripresero a funzionare e la campanella stordì i ragazzi che si erano radunati nei corridoi per capire cosa stesse succedendo.
Tornò tutto normale. Ma solo nelle classi..
Infatti, al piano di sotto, le palestre rimasero buie e silenziose. Una professoressa di educazione fisica, la Manichetti, si ritrovò chiusa nello sgabuzzino insieme a materassini di gomma e palle da basket, mentre una nebbiolina grigiastra penetrava dalla serratura e si diffondeva nell'ambiente.
La professoressa Manichetti batté sulla porta più e più volte, ma non ottenendo risposta si inginocchiò ed estrasse dal suo zainetto una forcina che non usava più da quando si era tagliata i capelli alla Anne Hathaway dopo Alice in Wonderland.
«Avanti..» imprecò la Manichetti a denti stretti, mentre la nebbiolina le offuscava la vista.
Un click e la porta si aprì: la professoressa si alzò di scatto e constatò subito di essere da sola, al buio. Si voltò e quella nebbia di fumo che poco prima aleggiava intorno alla sua testa, ora vorticava senza sosta in mezzo alla stanza. Chiuse immediatamente la porta e vi rimase qualche istante attaccata, chiedendosi che diavoleria fosse. Probabilmente si era divertita troppo, la sera prima, in quel pub.
Dal suo zainetto-mille-risorse tirò fuori una piccola torcia a litio e l'accese: sembrava di essere nei sotterranei di un castello.
«Ma perché non c'è mai nessuno, qui, all'intervallo?!» esclamò mentre saliva le scale per tornare in vicepresidenza.
Nei corridoi del primo piano vi trovò molti studenti, ancora disorientati per il recente blackout. I bidelli avevano cominciato a chiamarsi tra di loro con i cellulari – i telefoni della scuola non davano ancora segni di vita – per avere notizie da dare agli insegnanti e ai ragazzi che giravano senza meta, incuranti delle lezioni già ricominciate.
«Che succede, Mimma?» chiese la Manichetti alla prima bidella che le passò davanti.
«Eh, è andata via la corrente, prof, e sono andati tutti nel panico. Io l'ho detto ai ragazzi di stare tranquilli, ma hanno continuato lo stesso a uscire dalle classi.»
La Manichetti indugiò qualche istante ma, essendo la Vicepreside, doveva agire: si rizzò sulla schiena e cominciò a camminare per il lungo corridoio mentre richiamava i pochi studenti che riconosceva come suoi per farli tornare in classe e ristabilire l'equilibrio.


Le lezioni ripresero il loro corso naturale: la classe di Cinzia prendeva appunti sul sistema nervoso mentre Samanta, dall'ufficio di sua madre, messaggiava senza sosta con Silvia, una sua amica che era stata bocciata l'anno prima e che frequentava la sua stessa scuola.


Ciao Silvia! Tutto bene? Oggi non sono a scuola, non mi sentivo bene.. Magari domani passo da te


Ehi ciao! Sisi tutto ok ma cos'hai? Spero nulla di grave! Qui è andata via la luce e c'è stato un po' di caos..


Davvero?? Oh.. Be' ora è tornata, no?


Sisi tornata! Stiamo facendo Tasso, ha riconsegnato le verifiche e..ho preso 7!!


Brava! Comunque..mia mamma vuole sapere quando verrai da noi a mangiare!


Sam aspettò a lungo la risposta di Silvia, ma quest'ultima non arrivò. Pensò che avesse finito il credito e si concentrò sulla pioggia che cadeva fitta fitta bagnando la finestra dell'ufficio di sua madre; alzò le gambe e le appoggiò sulla scrivania, con in grembo un buon libro da gustare, Il Piccolo Burattinaio di Varsavia.
Ma perché Silvia non rispondeva al suo ultimo messaggio?

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Non c'è due senza tre ***


Capitolo 2
Non c'è due senza tre


«Cos'è stato? Rachele, va' a vedere cosa succede! Proprio adesso che stavo sistemando il registro elettronico!» esclamò la professoressa Rossi col viso imperlato di sudore e le mani tremanti per lo stress causato dal secondo blackout della giornata.
Era passata più di un'ora e ancora non avevano trovato una soluzione al problema che aveva bloccato l'intero istituto, un omnicomprensivo che vedeva l'unione di un liceo scientifico e due istituti tecnici.
Ancora buio, ancora tetro. E la pioggia non aiutava ad affrontare la situazione in modo sereno.
«Prof, è così dappertutto. Non solo da noi, ma anche i tecnici, ho appena parlato con Enzo» disse Rachele tornando in aula. Enzo era uno dei bidelli di quel piano, tarchiato, occhialuto e con la parlantina facile, sempre pronto a scherzare con gli studenti. Ma questa volta anche lui era abbastanza preoccupato.
La professoressa Rossi squadrò uno per uno i sedici studenti che componevano la classe: chi era teso, cercava di asciugarsi le mani sui jeans; chi non ci voleva pensare, fissava le case delle finestre. E poi c'era Rebecca che, come sempre, era intenta a mangiare ed era più preoccupata per le merendine nelle macchinette spente che per quello che stava succedendo sotto i suoi occhi.
All'interno della classe calò un improvviso silenzio, interrotto solo dai taralli masticati da Rebecca e dalle lancette dell'orologio in fondo all'aula.
«Bene, ehm..» riprese la Rossi, «dunque, stavamo dicendo? Ah, sì, il valore simbolico del giunco in Dante. Allora..».
«Prof, non sarebbe meglio controllare?» intervenne Silvia, vedendo l'espressione un po' ansiosa di alcune compagne. «Non riusciamo a vedere nemmeno quello che scriviamo.».
«Be', ma potete ascoltare, giusto?».
Tick, tock. Tick, tock.
Non riuscì ad aggiungere altro: la corrente tornò appena in tempo per far suonare la campanella e tutti infilarono i loro libri di letteratura italiana nelle cartelle per poi vestirsi, pronti ad affrontare le gocce gelate di pioggia di dicembre. La Rossi cercò di dettare i compiti, ma si bloccò quasi subito, stufa di parlare al vento, e li salutò uscendo veloce nei corridoi affollati.
Silvia non sarebbe uscita subito dalla scuola: doveva ancora fare ben tre ore di laboratorio cinematografico e Rachele aveva intenzione di aspettarla fino alle cinque del pomeriggio.
«Cosa ti sei portata, oggi, da studiare?» le chiese Silvia mentre si dirigevano in mensa per pranzare.
«Io? Studiare?» esclamò lei.
Silvia la guardò attentamente: non ne poteva più. Rachele aveva smesso di seguire le lezioni e non faceva altro che sbadigliare per cinque ore continue distraendo così Silvia, la sua compagna di banco.
«Ti ricordo che domani abbiamo una verifica» le disse Silvia.
«Sì, ma è matematica. Ormai ci ho rinunciato, è inutile.»
«Tieni.» Silvia le buttò tra le mani il suo quaderno di matematica appena furono entrate in mensa, poi prese una moneta da due euro e per pagare il suo panino.
«E questo cos'è?» chiese Rachele guardando con disgusto il quaderno.
«Indovina.». Addentò il panino e lanciò uno sguardo provocatorio all'amica.
«E va bene. Studierò matematica» acconsentì lei.
«Brava bimba.»


Una volta finito di pranzare, si divisero: Rachele si trascinò in atrio mollando sulla panca di legno il quaderno di Silvia; quest'ultima si preparò mentalmente a passare tre ore chiusa in aula proiezioni ad ascoltare i nuovi consigli dei registi che avevano organizzato il laboratorio, mentre Lorenzo, un suo ex compagno di classe, l'avrebbe tormentava con le sue solite battutine che non facevano ridere nemmeno se colpite da un Incantesimo Rallegrante del professor Vitious.
Ivan, il regista più giovane dei tre, continuava a fissare i prescelti per il cortometraggio cercando di capire a chi affidare le parti più importanti e a chi, invece, un semplice ruolo da comparsa o da boomista. Non vi erano dubbi: quello era il gruppo di studenti più bizzarro con cui avessero mai lavorato. C'era Nicoleta, una ragazza romena che non faceva altro che atteggiarsi come una diva di Hollywood; Alessio, un chitarrista molto magro, dall'aria gentile e decisamente simpatico; Catherine Jane, una ragazza filippina che andava matta per i manga e Sherlock; e tanti altri, tra cui anche Rebecca, che stava finendo il suo panino. Anche un ex compagno di classe di Silvia, Raffaele, che spesso si divertiva ad imitare Jack Sparrow anche grazie alla sua somiglianza a Johnny Depp, aveva preso parte al gruppo e faceva di tutto per sottrarre Silvia dalle grinfie di Lorenzo.
«Ehi, Rossa di Capelli, vieni qua.»
«Renzo, smettila, non voglio abbracciarti.»
«Silvia, vieni un attimo, secondo te vanno bene queste battute?» la chiamò Raffaele.
Lei volò immediatamente dall'altra parte della classe. «Grazie, Lele» sussurrò. Facendo finta di controllare che la mini sceneggiatura scritta da Raffaele corrispondesse con la descrizione della protagonista del cortometraggio, Silvia voltò le spalle a Lorenzo mentre quest'ultimo continuava a borbottare con quel suo orrendo basco bordeaux in testa.
«Bene! Penso sia perfetto come inizio, bravi.»
«Grazie, capo!» disse scherzosamente Raffaele allontanandosi.
A Silvia spettava di revisionare il lavoro del suo gruppo, in questo modo aveva più tempo degli altri per rilassarsi. Prese il telefonino e vide che non aveva risposto ad un messaggio di Samanta. Le era arrivato durante il secondo blackout.


Ti faccio sapere.. Bacio


Premette il tasto “Invia” e mise a posto il telefonino.
La luce del soffitto vacillò per qualche istante e tutti smisero improvvisamente di parlare.
«Calma, ragazzi, dev'essere il temporale» cercò di tranquillizzarli Marco, il primo regista in ordine d'età.
Silvia non era d'accordo. E non era nella sua indole stare ferma ad aspettare.
Si ritrasse lentamente verso l'uscita, mentre gli altri riprendevano il loro lavoro; aprì piano la porta e sgattaiolò fuori. Con passo felpato, camminò svelta fino alla panca dell'atrio, dove l'aspettava Rachele che, come immaginava, stava ascoltando della musica col suo cellulare.
Le piombò davanti talmente senza preavviso che per poco non rotolò giù dalla panca.
«Avete già finito?» le chiese Rachele tutta affannata e guardandosi nello specchietto per controllarsi i capelli. Il motivo per cui era rimasta lì ad aspettarla era un ragazzo, e non un ragazzo qualsiasi: era Lorenzo. Come logico che potesse essere, Silvia non era molto felice di aiutarla con quella specie di gorilla ammaestrato, ma aveva comunque acconsentito alla richiesta dell'amica.
«Vedo che hai studiato molto.»
«Ehm.. Sì! Ho dato uno sguardo agli ultimi argomenti.»
«Già, peccato che la verifica sia su tutto il programma.»
«Gli darò un'occhiata a casa» si affrettò a chiudere il discorso. «Ma avete già finito?» chiese nuovamente Rachele guardandosi alle spalle per vedere se gli altri uscivano dalla classe.
«No, stordita. Ho solo notato qualcosa di strano nella luce e sono venuta a vedere se anche qua c'erano problemi. Visto altre stranezze, qui in giro?»
«Tutto normale.» Poi Rachele abbassò la voce e la guardò di sotto in su. «Più o meno, normale.»
Silvia stava per tornare indietro, ma si fermò di scatto. «Cosa intendi?»
«Be'..» le si avvicinò. «Penso che siano entrati dei troll. Magari si sono nascosti nei sotterranei!»
«Rachele, non sei affatto simpatica. Scommetto che ci stanno nascondendo qualcosa.»
«Riprenditi, non viviamo in un film! E nemmeno in un libro! Questa è la realtà: niente fantasmi, niente alieni, niente...niente...» Rachele si fermò, impietrita. Fissava un punto oltre la spalla di Silvia; lo indicava, la faccia contorta in una smorfia di terrore.
Una frazione di secondo dopo, Lorenzo posò una sua manona sulla testa di Silvia e col suo vocione tentò di spaventarla. «Ti stavo cercandooooo...»
Silvia non si voltò nemmeno. «Rachele, ti presento Lorenzo. Lorenzo, ti presento Rachele.» E così il suo compito era terminato. «Sentite, io torno in classe.»
«Silvia!» Rachele la guardò in modo minaccioso.
«Vabbè, ti accompagno. Vedi quanto sono premuroso?» si offrì Lorenzo.
«Vai avanti, arrivo.»
Lorenzo cominciò a camminare sbatacchiando di qua e di là le braccia flosce, diretto in aula proiezioni.
«Cosa ti salta in mente?!» urlò sottovoce Rachele.
«Tu mi hai chiesto di presentartelo e io l'ho fatto. Non mi hai detto nulla sul dopo..»
«Resta il fatto che sei pazza!»
«Grazie al cielo, altrimenti sai che noia?»
Rachele e Silvia rimasero a chiacchierare solo qualche altro istante, il tempo necessario per assistere al terzo blackout della giornata, quello da cui partì il loro incubo.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Non è un film ***


Capitolo 3
Non è un film


Era successo di nuovo, ma questa volta Silvia e Rachele erano da sole.
Silvia, che superava Rachele di una decina di centimetri in altezza, le cinse le spalle con un solo braccio e le fece segno di tacere. Rachele non aveva alcuna intenzione di contraddirla.
«Seguimi» le sussurrò Silvia all'orecchio.
Si guardarono negli occhi; Silvia la fece voltare, la prese per il gomito e la guidò in aula proiezioni, insieme agli altri.
Mentre camminavano lungo il corridoio dove la mattina stessa Samanta si era sentita male, si sentirono i passi delle due ragazze che echeggiavano per tutta la scuola. Ma non era il solo rumore nelle vicinanze.
La pioggia cadeva senza sosta e al contatto con le finestre della scuola emetteva un leggero rumore sinistro. Un rumore che certo non riuscì a sovrastare le urla di Laura e Nadia, due compagne di classe di Rachele e Silvia che videro le due ragazze correre verso di loro, provenienti dalle scale.
«Correte, correte!» urlò Nadia con le lacrime agli occhi e i capelli lisci ormai tutti scompigliati dalla corsa.
«Che succede, ragazze? Perché siete qui?» chiese Silvia cercando di fermarle.
Rallentarono la corsa ed entrambe si misero le mani sulle ginocchia cercando di riprendere fiato.
«Eravamo..su..per studiare..e poi..sono arrivati..dei cosi..» Nadia trattenne il respiro per un paio di secondi. «Laura, va' avanti tu.. Ti prego!» e si accasciò a terra, con gli occhi puntati sulle scale.
Laura si porse in avanti, tremante. «Io e Salvatore eravamo in mensa a.. Vabbè, poi è arrivata Nadia e siamo andati di sopra. All'improvviso ci siamo accorti di essere completamente da soli, non c'era nessuno oltre noi tre! Strano, abbiamo pensato. Così siamo andati in giro e.. ». Laura si fermò. Tremava dalla testa ai piedi, era pallida.
«E..? » la incoraggiò Silvia.
Improvvisamente, come se le fosse passato per la testa un fulmine, Rachele notò che mancava qualcuno. «Dov'è Salvatore?» chiese quasi urlando.
«Appunto. L'hanno..l'hanno..» cominciò Laura, la fidanzata di Salvatore.
«Preso!» terminò Nadia.
Era come se l'avessero presa a pugni nello stomaco, ma Laura aveva ancora la forza di reggersi in piedi nonostante quel peso.
Un boato, una porta che si spalanca. Le quattro ragazze si guardarono a vicenda negli occhi, senza sapere cosa fare.
«Non possiamo stare qui, qualsiasi cosa stia arrivando» disse Rachele.
«Pensa, pensa, pensa..» si disse tra sé Silvia.
Nadia si rialzò da terra. «Non c'è un'aula sicura in cui possiamo andare? In cui c'è altra gente?»
«Sì! Brava! L'aula proiezioni!» esclamò Silvia; subito dopo le corse incontro e le schioccò un bacio sulla fronte. «Vedi che, quando vuoi, la tua testolina funziona?»
Silvia correva davanti alle altre tre ragazze che ogni dieci metri si guardavano alle spalle per controllare che nessuno, o niente, le seguisse. Ma Nadia, che era dietro tutte, si fermò e nessuno parve notare la sua assenza. Quando ormai erano prossime alla porta dell'aula che le avrebbe mantenute in salvo per qualche ora in più, Laura si girò per controllare che l'amica fosse dietro di lei, ma non c'era.
«Ragazze! Nadia è.. Sparita.»
Ivan, Marco e Diego, i tre registi, erano i più tesi all'interno di quella classe, mentre i ragazzi del progetto sembravano prendere quella specie di imprevisto come una semplice avventura.
«Silvia! Dov'eri?» chiese Marco che faceva rigirare su se stessa la fede nuziale al dito.
«A cercare un'amica e poi abbiamo incontrato altre due ragazze, ma..» si girò e non poté che constatare la verità: questa volta Nadia non era semplicemente in ritardo. «Una di noi è rimasta indietro.»
«Due, idiota» la corresse sottovoce Laura.
Marco, dal suo metro e ottanta centimetri di altezza, tremava al solo pensiero di dover uscire da quell'aula.
«Aspettate..» intervenne Lorenzo. Poi si rivolse a Raffaele: «Oggi si fermava anche Arcio, non è vero?» chiese nella speranza che l'amico gli desse una risposta negativa. Arcio, il suo Arcio.. Quello con cui non faceva altro che parlare di De Andrè e politica.. Soprannominato così per la sua passione: il tiro con l'arco.
«Sì, ma prima ho visto di sopra altra gente, forse sono vostri compagni di classe, Silvia» disse Raffaele.
«Chi?»
«Non lo so, ma è meglio andare a controllare, non credi? Ah, e poi ho visto anche Willy e Maria Vittoria.. Che ci fanno qua?»
«Willy e la Mari? Saranno venuti a trovarci..» disse storpiando la bocca in una smorfia.
Willy, soprannome che si diede da solo per un cartone animato, l'aveva sempre trattata male, sin dal primo anno di liceo, ma le stava a cuore perché tentava di fare del suo passatempo – scrivere canzoni – un lavoro; Maria Vittoria era una ex compagna di classe di Silvia che ora frequentava lo stesso istituto di Willy e non era ben vista né da Silvia stessa né, tanto meno, da Rachele e le altre, dato che l'anno prima era in classe anche con loro.
Prima Salvatore, adesso Nadia. Non potevano e non dovevano perderne altri, ovunque fossero.
«Bene. Io e Ivan andiamo di sopra. Tu, Diego, rimani qui con loro» disse Marco tutto tremante e sudando freddo. Quello che stava vivendo non era un film di Dario Argento.
Rachele, Silvia e Laura si scostarono appena per lasciar passare Ivan il capellone e Marco lo sposino, che si chiuse la porta alle spalle.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Interferenze ***


Capitolo 4
Interferenze

 


«Bene... Dunque... Andate avanti col lavoro, ragazzi. Abbiamo una scadenza da rispettare.» Diego sembrava molto più impacciato del solito, con quei capelli sempre spettinati che urtavano i nervi a Silvia: avrebbe voluto mollare tutto e correre da lui per sistemarglieli.
Tutti ripresero a lavorare, meno che Laura e Rachele. La prima si sistemò su una sedia contemplando il cellulare: si aspettava una chiamata dal suo ragazzo, anche solo un messaggino, ma non arrivò nulla. Rachele, invece, era rimasta appiattita alla parete, felice, impaurita e disperata nello stesso momento: era nella stessa stanza con Lorenzo, Laura e Nadia avevano parlato delle cose e – cosa più importante – quelle cose, probabilmente, si erano prese la sua Nadia.
Silvia non era fredda di cuore, anche lei stava male per Salvatore e Nadia, ma era presa dai suoi ragionamenti. Cos'erano quelle cose di cui parlavano le sue due compagne di classe? Cosa c'entravano i tre blackout della giornata? E perché Catherine se ne stava tutta da sola a fissare gli alberi fuori dalla finestra?
«Cathy, tutto bene?» Silvia le andò accanto facendola trasalire.
«Mio Dio, Silvia! Un giorno o l'altro mi verrà un infarto!»
«Scusa» disse lei ridendo con l'angoscia nascosta sotto il sottile strato dell'epidermide. «Cosa vedi?»
«Non riesco a nasconderti proprio nulla, vero?»
«Dopo che mi hai raccontato del Terzo Occhio, no. Lo sai che sono affascinata da tutte queste cose.»
Quattordici anni insieme, durante i quali si erano perse e ritrovate già ben tre volte a causa della scuola – Silvia aveva due anni in più rispetto a Catherine – ma mai una volta che Catherine fosse riuscita a fargliela sotto al naso. Solo due anni prima, Silvia non ricordava nemmeno più quale fosse l'argomento da cui scaturì tutto quanto, Catherine raccontò all'amica-sorella di un antico rituale filippino grazie al quale si poteva far aprire il terzo occhio. Sua madre l'aveva fatto e non era per nulla spaventata da ciò o chi vedeva e sentiva. Sogni, presenze e sensazioni strane, tuttavia, facevano rizzare i peli del collo alla povera Catherine, ma non per questo si diede per vinta: sfruttando una visita ai parenti, Catherine andò con i suoi genitori nelle Filippine e si sottopose al rituale. All'inizio, tutto le sembrava o troppo uguale a prima o troppo diverso, ma con l'andare del tempo capì che due realtà così differenti non potevano coesistere se non si concentrava e ora fissava quella finestra come se fosse la cosa più bella e più spaventosa che avesse mai visto.
«I colori...» rispose Catherine.
«Tutto qui? Colori? E io che pensavo vedessi in bianco e nero come i cani. Guarda te la vita...»
«Silvia.»
«Dai, scherzavo, non prendertela.»
«I colori sono più pallidi del solito, ecco cosa stavo cercando di dire.» Volse lo sguardo e percepì lo sgomento negli occhi di Silvia.
«Cosa intendi dire?»
«È come se ci fosse una velina trasparente tra me e il mondo là fuori, qualcosa che offusca la mente, non so... Si capisce?»
«Perfettamente. Sai cosa vuol dire?»
«Potrebbe significare tutto o niente, who nose?» disse toccandosi il naso.
Quel gesto fece sorridere Silvia che, però, non aveva accantonato le parole appena udite.
«Ragazze, avete già in mente un titolo per il cortometraggio?» Raffaele si avvicinò alle due amiche e con gesti morbidi imitò un inglese mentre sorseggiava il suo prezioso tè.
«No, Lele, non ancora. Tu?» Silvia appoggiò la schiena alla finestra e avvertì un brivido raggelante.
«Avevo pensato a Troppo Vicino. Che ne dite? Lo propongo a Marco appena torna?»
«Be', è un cortometraggio sullo stalking... Io dico che è perfetto, non è vero, Cathy? ...Cathy? Catherine.»
«Mhm?»
«Scusaci un attimo, Lele» disse Silvia portandosi via l'amica lontana da orecchie indiscrete. «Ma che ti prende?!»
«Credo che si sistemerà tutto.»
«E non è una buona cosa?»
«Sì, ma...» Catherine aveva di nuovo gli occhi persi nel vuoto.
«Ma...? Cathy, mi stai spaventando a morte!»
L'amica guardava qualcosa che nessun altro poteva vedere, qualcosa di straordinario, che avrebbe messo fine a quell'incubo. Erano solo immagini sgranate e poco nitide, ma poteva intuire facilmente cosa stesse accadendo non lontano da loro. Una ragazza con i capelli rossi che correva inseguendo un ragazzo un po' scoordinato nei movimenti. Inseguiti a loro volta da un altro ragazzo i cui occhi lasciavano trasparire più anni di quanti la stessa Catherine avesse mai immaginato. La rossa lo rimproverava per aver sbagliato un'altra volta rotta, lui si limitava a correre senza avere idea di dove stessero andando. Lo vide sfrecciare davanti ai suoi occhi. Poi Catherine riuscì a dire solo tre parole: «Uomo stropicciato, salvaci!»


«Rory! Va' a sinistra! Poi subito a destra!» ordinò l'ultimo dei tre nuovi arrivati. Stavano correndo da pochi minuti, ma si sentiva i polmoni in fiamme come non mai. «Amy, dentro!»
La rossa seguì il primo ragazzo e lasciò la porta aperta per l'ultimo di loro, il quale non smise di correre nemmeno una volta entrato nella sala. Si fece spazio e appoggiò il naso alla finestra, appannandola. Si guardò distrattamente attorno, l'orologio da polso, poi ancora attorno.
«Ehm... Dottore?» disse il ragazzo scoordinato.
«Sì, Rory?»
«Ti sei accorto che...?»
«Che ci sono altre persone? Sì, Rory, certo che mi sono accorto, non sono mica cieco!»
Il silenzio nella stanza fu interrotto solo da un lungo e assordante tuono.
«Ciao a tutti, io sono il Dottore e loro sono Amy e Rory. Piacere di conoscervi. Chi ha voglia di raccontarmi cosa succede qui?» disse l'uomo stropicciato girandosi. Silenzio. E nessuno che lo guardasse, come se non lo potessero vedere se non solo i suoi due amici. «Ah, fantastico!»
«Dottore, che succede? Perché fanno così?»
«Non ci possono vedere né sentire, a quanto pare. Ragazzi miei, sarà più difficile del solito.» Mise ad entrambi un braccio attorno alle spalle e guardò la manciata di studenti tutti indaffarati e per nulla consapevoli della loro presenza.
«Sì, come se viaggiare con te fosse semplice» disse Rory.
«Ohi! È che... il TARDIS, a volte, fa di sua iniziativa. Stavo impostando le coordinate per una bella spiaggia e...»
«Ci siamo persi» concluse Amy La Rossa. «Ora che facciamo?»
«Non lo so.»
«Almeno sai dirci cos'erano quelle cose là fuori?» chiese Rory.
«O perché, ad esempio, pensi che qui siamo al sicuro...»
«Rory, Amy. Ci sono tanti alieni nell'universo, molti dei quali pericolosi. I Dalek e i Cyberman sono i primi della lista, ma la Nebbia non è da sottovalutare.»
«La Nebbia?»
«Sì, Amy. Non parla, per questo le ho dato un nome che rispecchia la sua figura. Non so da dove venga, ma la prima volta che l'ho incontrata ero su un pianeta disabitato. Questa volta è diverso. Sarà pericoloso.»
«Uomo stropicciato, salvaci!»
Amy, Rory e il così detto Dottore ammutolirono. L'ultimo tirò fuori una penna luminosa e studiò l'aria. «Ah-ah! Lo sapevo!» disse divertito.
«Vorremmo sapere anche noi, Dottore.»
«Rory, la nostra realtà è uguale alla loro, solo che la Nebbia interferisce con le loro menti. Ma non per tutti! La ragazza che ha appena urlato è in grado di sentirci e vederci! Ehilà!» Agitò forte una mano davanti agli occhi di Catherine e quest'ultima curvò appena gli angoli della bocca all'insù, come un sorriso.
«Non posso di certo fare in modo che tutti loro abbiano la stessa mente di questa ragazza, ma posso fare così!» Alzò la mano e azionò quello che lui chiamava cacciavite sonico. Loro tre non si accorsero di nulla, ma agli occhi degli studenti e del regista si fece strada la realtà: come dei fantasmi usciti dalla foschia, il Dottore, Amy e Rory “uscirono” dall'interferenza causata dalla Nebbia.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Ai piani alti ***


Capitolo 5
Ai piani alti

 


Tutti tenevano gli occhi puntati su quei tre fantasmi. O non erano fantasmi? Ormai si erano abituati alle stramberie. A partire da quella professoressa un po' particolare di storia dell'arte che, quando spiegava, guardava tutto meno che i suoi studenti, ma sembrava vedere e sentire ogni cosa all'interno di una classe.
«È lui!» disse piano Catherine. «È l'uomo stropicciato
«Ragazzi, ma cosa c'è nel cibo della scuola? Allucinogeni?» esclamò un ragazzo. «Giuro che non mangerò mai più qui!» disse un altro. La povera Rebecca, invece, pose su un banco ben intagliato e con graffiti degni di una mostra d'arte una merendina acquistata poco prima alle macchinette quando vi era ancora l'elettricità.
«Non è cibo avariato! Catherine...» Silvia cercò di far riprendere il controllo ai più disperati, richiedendo anche l'aiuto dell'amica.
«Non sono fantasmi né ologrammi. Sono persone reali come noi. Umani. Be', tranne uno.» Catherine sapeva che c'era dell'altro, ma preferì tenerselo per sé. Sua madre le aveva insegnato che, molte volte, le persone si spaventano per poco e lei aveva già detto troppo.
La faccia di Diego fu più una smorfia di terrore che altro. Alieni in una scuola?! Quel giorno aveva anche qualche linea di febbre e si maledisse per non aver ascoltato i saggi consigli di Marco: «Stai a casa» gli aveva detto, «tanto tu sei l'Uomo della telecamera e prima di registrare ne passerà di tempo...»
«Sono sorpreso!» applaudì il Dottore, che ora aveva occhi solo per quella strana ragazzina con la maglia dei Guns'n'Roses e la pelle olivastra che non riusciva comunque a nascondere il suo imbarazzo. «Fammi indovinare... Sei di origini filippine, quindi – stando a quel che sai su di noi e a quel che io so sulle Filippine – credo che tu ti sia fatta aprire il Terzo Occhio.» Si strofinò le mani in segno di soddisfazione e con un pizzico di preoccupazione negli occhi: si era accorto che, lasciando da parte l'adulto, quei ragazzi dovevano avere tra i quindici ed i vent'anni.
«Sì» fu la risposta di Catherine.
«Bene!» Il Dottore fece una piroetta agitando la giacca in tweed e le grandi mani che non stavano mai ferme. «Amy, Rory, siamo in Italia. In una scuola, per la precisione. Ragazzi» disse poi rivolto agli studenti, «loro sono i miei amici, Bellegambe e Nasone l'Infermiere, mentre io, be'... Io sono il Dottore!» disse, aspettandosi il domandone.
Crunch, crunch, crunch... Rebecca si sentì le guance in fiamme: la fissavano tutti. «Che c'è?! Ho fame!» esclamò con del cioccolato sull'angolo della bocca.
«Ed è...alieno?» Rachele andò al fianco delle uniche due persone che conosceva davvero bene – Silvia e Catherine – e notò il ridicolo farfallino verde al collo del Dottore.
«Ovvio! Hai sentito la tua amica, no?»
«Ma falla finita... Si vede lontano un miglio che sei solo un attore da quattro soldi! Non mi fregate, tu e i tuoi amici registi. Dico bene, Diego?» Lorenzo il Polemico rivolse uno sguardo ammiccante all'uomo, somigliante a Cesare, peraltro, che però era sorpreso come tutti gli altri.
Silvia era altrettanto sorpresa e anche un po' affascinata da tutto quanto. In realtà, lei aveva sempre avuto paura ogni qualvolta sentiva parlare di alieni, abductions e roba simile, ma mai più avrebbe immaginato di incontrare un alieno così simile alla razza umana. Magari stava sognando. O forse l'alieno aveva semplicemente svuotato un corpo umano e ci si era nascosto dentro. Rabbrividì a quel pensiero e cercò di scacciarlo via, lontano da lei, agitando anche un po' la mano come per scrollarsi di dosso la fastidiosa immagine di un uomo, un ragazzo, a cui venivano tolti organi, muscoli, tendini e ossa mentre un essere informe e gelatinoso ne indossava il corpo come fosse stato il costume di una mascotte.
«Bene! Ora ditemi cosa sta succedendo qui. Perché il TARDIS non atterra mai in qualche posto sconosciuto se non per un motivo preciso. E, in più di novecento anni, tutti i motivi precisi per cui il TARDIS è atterrato in un luogo sconosciuto erano perché c'era un motivo preciso! No, un momento. Ho perso il filo del discorso. Di solito non mi capita! Maledetta Nebbia...»
«Dottore?»
«Sì, Amy?» rispose con un sorriso tanto largo da procurargli due fossette sulle guance. Cosa che Silvia notò senza sforzi e, per questo motivo, le sembrò di avere un infarto, ma uno di quelli piacevoli.
«Credo che siano già abbastanza terrorizzati anche senza le tue spiegazioni...terrorizzanti.»
«Amy, non posso fargli pensare che qui sia tutto in regola! Insomma, una cosa aliena sta correndo per i corridoi della loro scuola – piuttosto malandata, direi anche – e fa qualcosa ai loro amici! Non posso nascondergli nemmeno che la Nebbia ha disseminato morte su milioni e milioni di pianeti in tutto l'Universo!»
«Ecco, appunto» disse ironica Amy coprendosi gli occhi con la mano. «Dicci solo cosa dobbiamo fare e non farli andare nel panico.»
Gli ordini di Amy, al Dottore, parvero molto strani. Solitamente, lei era una tipetta tosta, sì, ma che voleva sapere cosa stava succedendo sotto i suoi occhi, ogni istante. Lui, d'altra parte, amava spiegarle i processi fisici di questo e la tecnologia di quell'altro e, anche se la vedeva un po' intontita dai suoi paroloni, lei se ne stava lì ad ascoltarlo come una bambina. Ed era proprio così che la vedeva ogni volta: come una bambina; come Amelia, non come Amy. Quella dolce bambina che lo aveva accolto in casa sua, che lo aveva “chiamato” per aiutarla, che lo aveva aspettato sotto le stelle.
«D'accordo... Dunque...» il Dottore guardò tutti coloro che erano presenti nella stanza, analizzò una seconda volta l'aria, infine tirò fuori la lingua. «Siamo al piano terra.»
«E allora?» chiese Lorenzo.
«E allora, stupido testone che non sei altro, siamo facile preda» gli rispose il Dottore.
«Ehi, calmati, bell'alieno... Chi pensi di essere, il Re della galassia?» Lorenzo, con le sue gambe lunghe e mollicce, si avvicinò al Signore del Tempo e lo guardò dai suoi centottanta e più centimetri d'altezza.
«No» rispose lui sistemandosi il cravattino. «Sono solo il suo Guardiano» gli rispose da sotto in su.
Lorenzo non afferrò bene la questione e si allontanò, infastidito da quell'essere così troppo all'inglese da fargli venire la nausea.
«Come stavo dicendo prima di essere interrotto, siamo al piano terra. Chi sa dirmi come si comporta, di norma, la nebbia?» domandò agli studenti.
Rebecca, mollò giù il pacchetto di patatine – ma quante caspita di merendine si era comprata?! - e alzò la mano, imitando Hermione Granger.
«D-dimmi...» disse il Dottore.
Rebecca abbassò il braccio. «Rimane giù!» rispose felice.
«Ding! Esatto, la nebbia rimane giù. E rimane giù anche questo tipo di nebbia. Quindi, a meno che non siate dei Dalek e abbiate difficoltà a salire le scale... Tutti su!»
Amy e Rory, seguendo a ruota il Dottore, cominciarono a correre verso la porta, ma Catherine li bloccò con un secco «No!» Tutti si voltarono nella sua direzione, stupefatti per ciò che aveva appena fatto: Catherine di solito era molto taciturna, ma ora sembrava vibrarle dentro una strana energia alimentata da qualcosa di più dell'adrenalina.
«Non possiamo andarcene di sopra senza prima controllare che nessun altro sia qui nei paraggi!» urlò Catherine, in fiamme.
«Ha ragione» Lele si fece largo tra la folla di ragazzi. «Là fuori ci saranno almeno una decina se non di più di persone che non hanno idea di cosa stia accadendo qui. Non possiamo lasciarli soli.»
«Giusto.» Il Dottore tirò fuori il suo cacciavite sonico e, con diplomazia, indicò Diego, Raffaele e Catherine (età, cervello e portento). «Voi tre verrete con me e Rory. Tu, Amy, vai con gli altri, portali di sopra.» Aprì la porta e assaporò l'aria fresca del corridoio. «Via libera. Andiamo.»
«Aspetta! Dove va Catherine, vado pure io.» Silvia prese sottobraccio la sua amica e assunse l'espressione di chi non ammette repliche.
Il Dottore capì di non poter fare altrimenti se non di portarsi dietro anche lei, nonostante sapesse che, molto probabilmente, gli avrebbe ostacolato un po' il lavoro. «Allora andiamo.» Aprì la porta, ma mentre loro sei proseguivano per il corridoio al piano terra, gli altri, capitanati da Amy, salivano le scale più vicine. La rossa si voltò un'ultima volta per lanciare un bacio silenzioso a suo marito, ormai lontano nell'ombra.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Occhi neri ***


Capitolo 6
Occhi neri

 


«Silvia!» Una ragazza dai folti capelli biondi era aggrappata alla spalla di un altro ragazzo e avevano entrambi l'espressione di chi aveva appena visto un fantasma.
La diretta interessata voltò di scatto il capo e riconobbe subito i due. «Mari! Willy! Che ci fate qui?»
Maria Vittoria e Willy erano seduti sulla cattedra che anticipava l'entrata dell'infermeria delle palestre. Sul tavolo avevano abbandonato zaini e giubbotti. «Siamo venuti per una specie di rimpatriata, ma...» cominciò la bionda.
«Ma poi ci siamo addormentati» concluse Willy.
Il Dottore, nel frattempo, era andato avanti nel corridoio per rilevare qualunque cosa che potesse aiutarlo, ma la fortuna non era dalla sua parte. «Rory, torniamo indietro, qui non c'è nessun altro» disse al ragazzo.
«Un momento.» Lele, che aveva seguito il Dottore e Rory, si era fermato proprio di fronte ad un vecchio armadio in ferro rosso dentro l'infermeria e cercava di sbirciare attraverso le sottili aperture orizzontali. «Vedo un luccichio strano...» Avanzò di qualche passo finché non vide qualcosa sfrecciargli davanti, proprio all'interno dell'armadio. Fu un movimento brusco, ma non gli sfuggì.
Catherine fu la prima a prendere una decisione: andò diretta alla porta che conduceva alla piccola saletta; dopo di lei vi entrò il Dottore, che fece segno agli altri di rimanere lì dov'erano, per non correre troppi rischi.

«Ebbene?» Silvia si rivolse a Willy. Proprio non poteva sopportare la presenza della biondina.
«Eh?»
«No, dico. Vi siete addormentati?» chiese Silvia.
«Sì!» Maria Vittoria si intrufolò nella loro discussione senza indugio. «Stavamo aspettando l'orario d'uscita, ma credo di essermi appisolata poco prima della campanella. Non abbiamo sentito nulla!» Era affannata, sudata, confusa. E anche una brava attrice.
«Willy. Mari. L'infermeria è proprio di fronte alla campanella. Com'è possibile che non abbiate sentito nulla?!»
«Prima il Dottore mi ha detto che questa Nebbia può interferire con le nostre menti. Può aver fatto qualcosa anche a loro. In fin dei conti, noi che ne sappiamo?» Lele se ne stava con le braccia incrociate, di fianco a Silvia, in una posa da pistolero con tanto di stuzzicadenti fra le labbra.
«Lele, credimi, tu sei un attore nato.» Silvia diede una leggera gomitata all'amico poi tornò seria. «Ma a quale scopo può averlo mai fatto?»
«Per lo stesso per cui siete qui anche voi. Credo. Il genio è il Dottore» disse Rory avvicinandosi al gruppo.
Willy e Maria Vittoria si scambiarono un'occhiata a dir poco confusa. «Cosa?! Chi?!» chiesero in coro.
«Storia lunga» tagliò corto Silvia. «Ma perché non sono ancora usciti da lì?»
Proprio mentre Silvia si stava domandando cosa stessero facendo il Dottore e Catherine ancora nell'infermeria, questi due sbucarono fuori da essa correndo a tutta birra. «Via via via!» urlò l'alieno.
Gli altri non ebbero nemmeno il tempo di capire che una folata di vento quasi sovrannaturale li investì all'improvviso. Sembrava il vento di un uragano pronto a sterminare qualunque cosa al suo passaggio, ma – stranamente – fogli, sedie e altri oggetti, che normalmente avrebbero fatto i chilometri con quel vento, sembravano soggetti di un'istantanea.
Rimasero tutti lì impalati come dei bambini davanti ad uno spettacolo di magia, ma ciò che stavano fissando non era affatto un'illusione: la Nebbia vorticava incessante, disturbata dall'umana e dal gallifreyano che non avevano saputo resistere alla loro curiosità. Avevano aperto l'armadio, l'avevano vista. E ne avevano avuto paura.
Uno per uno, Rory riuscì a far scattare l'adrenalina di ciascuno degli studenti e di Diego.
Il Dottore corse senza pensare alle scale, senza voler raggiungere gli altri, perché è vero che l'unione fa la forza, ma con loro, al piano superiore, c'era Amy. «Per di qua!» urlò in coda al gruppo.
«Dove stiamo andando?!» chiese Diego in preda al panico e con il fiatone corto per le troppe sigarette.
«Ehm... Non lo so!»
Alla fine, si ritrovarono tutti chiusi in una piccola aula dalle pareti fredde come il ghiaccio, senza contare che il riscaldamento si era spento automaticamente circa dieci minuti prima. Erano già le sei di sera, tutti loro dovevano essere chi a casa, chi agli allenamenti di calcio, chi da un'altra parte nell'universo.
Il Dottore si assicurò che la porta dell'aula fosse ben chiusa, ma quel maledetto di un cacciavite sonico non poteva nulla sul legno, quindi si limitò ad arretrare, pronto a rivedere la Nebbia che sbucava o dalla serratura o da sotto la porta stessa. Tirò con sé anche gli altri e li portò dietro la sua schiena. Sentiva i loro respiri affannati sul suo collo sudato. Voleva dire qualcosa, qualsiasi cosa che potesse tranquillizzarli, ma si sentì la gola bruciare: era una bugia troppo grossa, quella.
Poi, quando cominciarono a riprendere un battito cardiaco regolare, ecco che l'urlo squarciò il silenzio e la tranquillità tanto agognata. Un urlo straziante di dolore, che riempì l'aria di paura quasi accecante.
Rory si sentì le gambe molli e pesanti, come se qualcuno gli avesse caricato una tonnellata di pietre addosso. «Quella... Era la voce di...» La frase gli si fermò in gola.
Il gallifreyano ripensò ad un particolare: Catherine, come lui, aveva notato una strana polvere sul ripiano più basso dell'armadio dell'infermeria. Era gialla, quasi ocra e aveva un odore tra il dolciastro e il bruciacchiato. Improvvisamente capì di che cosa si trattava: era zolfo.«Amy!» esclamò il Dottore.


Come dei fulmini, tutti ed otto salirono di corsa le scale che portavano al piano superiore della scuola. Subito, vi trovarono un piccolo gabbiotto protetto da vetri doppi in cui le bidelle svolgevano il loro lavoro, ma questi, ovviamente, era vuoto. Dall'altra parte, tuttavia, si era radunato l'altro gruppo di ragazzi tra cui vi erano anche Laura, Rachele e i due registi, Marco e Ivan. Solo una persona era rimasta isolata: Amy.
Essa dava le spalle al Dottore e agli altri. La sua schiena era ingobbita dallo sforzo e – a giudicare dalle facce di chi riusciva a scorgere il suo viso – non aveva un bell'aspetto.
«Amy?» Rory fece un passo avanti, tendendole una mano. «Stai bene?»
Il Dottore lo bloccò all'istante. «Non farlo. Non sappiamo cos-»
«Frottole.» La voce di Amy fu glaciale, tagliente come la lama di un coltello appena affilato.
«C-cosa?» chiese il Dottore.
«Tu sai cosa sono.»
Rory non fece neanche mezzo passo che Amy mimò il gesto con cui si scaccia una mosca e il ragazzo si alzò in volo per andare a sbattere subito dopo contro il gabbiotto delle bidelle. Lei, poi, si voltò lentamente, tenendo la testa bassa e un sorriso beffardo sulle labbra.
Un battito di ciglia, uno solo, e il Dottore vide i suoi occhi.
Neri come la pece.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Sale e ketchup ***


Angolo dell'autrice:
Tilena: Eccomi qui, dopo tanto tempo, ahimé, a pubblicare FINALMENTE il settimo capitoloooooo =D
*Una Amy selvaggia appare alle spalle di Tilena* Era ora, non ti sembra?!
Tilena: Taci. Ho avuto dei problemi col sito ç_ç E poi dovresti portarmi rispetto T^T Sono molto più crudele del tuo amico Steven, sappilo :3
Amy: Ho i briv-
*Tilena si volta di scatto brandendo una sega elettrica tutta lucente*
Amy: Mi shutappo all'istante.
Tilena: Brava =D Ora. Come vi dicevo, sono finalmente arrivata al settimo capitolo e come già avevo architettato, qui avrei fatto succedere qualcosa di particolare, ma solo perché il 7 è il mio numero magico XD Vi anticipo che ci sarà qualche specie di citazione, ma non proprio... Insomma, è che in questo periodo sono malata di Supernatural e quindi ho pensato di mett-
*Amy mette subito una mano sulla bocca di Tilena*
Tilena: ... Ti ueppeue uei uipeuiuempi a Sueuaual...
*Amy tira fuori un cartello stile Willy il coyote con la scritta SPOILER! e toglie la mano dalla bocca di Tilena*
Tilena: Simpatica... E va bene ._. Anche se non avrei spoilerizzato granché, ora vi lascio direttamente al capitolo, perché non mi va di annoiarvi con i miei discorsi ^^” Se avete delle perplessità, dubbi e domande di ogni genere non esitate a contattarmi e ricordate che una recensione è sempre ben accetta, che sia positiva o meno :3 Grazie a tutti e... Buona lettura!!
*Amy, shutappata, saluta con la manina*


xoxo
Tilena

 

Capitolo 7
Sale e ketchup

 


Neri. Più lucenti del marmo, più pericolosi della notte. Gli occhi di Amy avevano perso ogni briciolo di umanità, rinchiusa chissà dove nella sua mente. Ostaggio di qualcosa che andava oltre la realtà che i ragazzi attorno a lei conoscevano, oltre l'umano.
«Amy...» Rory, mezzo intontito, si stava rialzando a fatica. «I tuoi occhi...»
«Zitto, tu» ruggì lei, volgendo solo per un istante lo sguardo sul ragazzo. «Ciao, Dottore, era da tanto tempo che volevo conoscerti.»
Il gallifreyano se ne stette con la testa bassa, a guardarsi le punte delle scarpe impolverate. «Ah, sì?» chiese speranzoso di, così facendo, allungare il tempo, ma le lancette non si fermavano.
Amy fece una risatina mozzata, poi tornò seria. «Questi umani non ti hanno stufato? A me sì.»
«È questo, allora, il tuo piano? Radere al suolo anche questo pianeta?»
«Oh, no, Dottore. Quello è ciò che farebbe un alieno.» La ragazza schioccò la lingua sul palato e aspettò la domanda del Dottore che, però, non arrivò. «Che chiacchierone!» scherzò. «Una domanda alla volta, vi prego!» Amy si guardò in giro: terrore era la sola cosa che leggeva negli occhi di ogni individuo lì accanto a lei. Meno che il Dottore ed una ragazza: Catherine.
Quest'ultima – prima che il Dottore potesse chiedere chi fosse il nuovo inquilino del corpo di Amy – una volta incrociato lo sguardo della rossa, prese fra le dita da pianista il suo amuleto appeso al collo, quello che, con una catenella lunga quasi mezzo metro, teneva nascosto a tutti, quello che rappresentava una stella a cinque punte inscritta in un cerchio di fuoco. Poi, con quanto più fiato aveva, recitò scandendo bene le prime parole del rituale in latino. «Exorcizamus te» cominciò.
«No!» urlò Amy terrorizzata, portandosi le mani alle orecchie.
«Omnis immundus spirit-» Catherine cercò di continuare, ma – come tutto era iniziato – sembrò finire, più presto del solito. Troppo velocemente, pensò, dato che dalla bocca di Amy fuoriuscì un fumo nero e denso, quasi tangibile, simile ad un velo fatto di seta; puntò dritto verso le scale per scenderle subitamente.
E poi venne il silenzio.


«Stai... bene?» Rory pose la domanda alla moglie mantenendo una certa distanza.
Il Dottore ignorò totalmente la coppietta che, fra mille ostacoli, rimaneva sempre forte come una roccia. Andò, infatti, spedito verso Catherine mentre Amy chiedeva dell'acqua, col suo atteggiamento da duro e arrabbiato, ma che non avrebbe fatto paura nemmeno ad una mosca, per quanto ci provasse. «Cos'è successo?» le chiese guardandola dritta negli occhi.
«Io...»
«Dimmi la verità» la avvertì.
Catherine cercò negli occhi di Silvia un sostegno, ma dall'altra parte non vi fu nemmeno comprensione. «Io... Be'... Può darsi che io sappia qualcosa sugli esorcismi...»
Le espressioni che andarono a dipingersi sulle facce dei presenti – Dottore compreso – furono qualcosa di davvero indescrivibile. Si passava dallo sbigottimento alla pura adrenalina, condita con tic di panico e un pizzico di confusione di cui, in questi casi, l'espressione q.b. è proprio da ignorare.
«Tu cosa?!» Silvia quasi corse nel mettersi di fronte l'amica. «Quello era un esorcismo?!»
«S-sì...» E non è la prima volta che lo faccio, avrebbe voluto aggiungere, ma le sembrò già abbastanza così.
«No, dai» disse Rory mezzo sconvolto. «Dottore, avanti...»
Lui se ne rimase zitto e immobile. Avrebbe voluto essere da un'altra parte, un posto qualsiasi, ma non lì. «Catherine, da quanto tempo sapevi?»
«Da quando abbiamo visto entrambi le tracce di zolfo in infermeria» fu la risposta di lei.
«E, sentiamo, per quale assurdo motivo non ne hai parlato con me
«Non ne ero sicura.. Insomma, lo zolfo è molto reperibile, poteva anche essere...»
«Cosa?! Polvere di zolfo usata come sali da bagno?!» urlò il Dottore.
«Ehi, calmati, okay?» Amy prese la mano dell'alieno e gliela strinse forte. «Sto bene.»
Lui la guardò con occhi ballerini e senza dire una parola se ne andò nel gabbiotto delle bidelle, in cerca di un po' di tranquillità. Ma non ce la faceva, non poteva rimanere calmo, non in quella situazione. Camminò, infatti, avanti e indietro, su e giù, con la schiena ricurva e le sopracciglia aggrottate, mentre fuori la notte cominciava ad annientare ogni raggio di luce rimasto.
 

«E così... Fra un esercizio di matematica e l'altro, ti metti a fare esorcismi...» Willy era tornato in sé dopo quello a cui aveva appena assistito e, per la prima volta, stava rivolgendo la parola a Catherine. La conosceva solo di vista, non l'aveva mai salutata, ma sapeva che era la migliore amica di Silvia, la sua ex compagna di classe a cui piaceva scrivere. Come lui, ma non in rima. «Lo sai? Mi piaci» disse e se ne andò pensando a qualche altra melodia rappata.
«Quello era Willy» lo presentò Silvia a Catherine. «Fa sempre così. Sembra antipatico, ma lo fa solo per apparire forte. In realtà è un tenerone.»
«Mi ricorda Dean Winchester...» le sussurrò Catherine.
«A proposito di Winchester...» Silvia la prese in disparte da tutti quanti. «Quando avevi in mente di dirmelo?»
«Che cosa?»
«Che cosa...»
Catherine si tormentò le mani un po' sudate cercando le parole giuste. «Prima o poi, te l'avrei detto...»
«Prima o poi?»
«Sì, be', non è facile vivere con una cosa del genere.»
Silvia la guardò torva, insicura sul da farsi. Conosceva quella ragazza praticamente da tutta una vita e si erano dette sempre tutto, ma a volte ci sono segreti che nemmeno la tua migliore amica potrebbe mai comprendere. Ecco perché anche Silvia stessa aveva sempre nascosto a Catherine il suo “passatempo” preferito. «Posso immaginare» disse, infatti, con lo sguardo basso. «Cathy» aggiunse a voce bassa. «C'è una cosa che devo dir-»
«Catherine!» Il Dottore interruppe il discorso delle due amiche, richiamandola a gran voce. Stava correndo verso di loro, quando le indicò l'amuleto che portava al collo. «Ne hai altri? Ti prego, dimmi di sì!» le chiese affannato.
«In verità, no... Ho solo questo.»
«Ah, no!» si disperò poggiando le mani sulle ginocchia. «E come si costruisce?»
«Non si costruisce... Ma, aspetta, come fai a sapere che è un amuleto?» gli chiese Catherine.
Il Dottore si tirò su e si gustò il momento da sapientone. «Facile. Quello che tutti pensano essere un simbolo del Diavolo è, in realtà, un simbolo che, se inscritto in un cerchio di fiamme – le quali rappresentano l'Inferno – tiene alla larga ogni tipo demone e, quindi, protegge dalle possessioni.»[1]
«Sì, ma solo da quelle» completò Catherine. «Non può nulla contro i loro poteri.»
«Già» disse il gallifreyano sorridendole.
«Non credo ci sia molto da ridere.» Silvia si avvicinò di soppiatto ai due. Scambiò un fugace sguardo con quello strano tizio che si faceva chiamare Dottore, poi prese di nuovo parola: «Io so di cosa abbiamo bisogno ora» disse e subito dopo richiamò tutti i suoi compagni di scuola. «Ragazzi, questo non è uno scherzo, dovete prestare molta attenzione per ogni cosa che fate e dite. Per questo, la cosa migliore da fare è riunirvi tutti in un'unica stanza e aspettare che...»
«Sei forse impazzita?!» sbraitò Maria Vittoria tutta tremante. «Io non me ne starò buona buona ad aspettare che un mostro mi faccia la stessa cosa che ha fatto a questa ragazza!» aggiunse tirando per un braccio la povera Amy. «Se voi volete che questa qui vi dia ordini, fate pure! Io mi darò da fare per cercare un'altra soluzione! Ma chi è che ti ha dato il permesso di capitanarci?! Ne capisci meno di-»
«Taci.» Silvia non la guardò nemmeno nel pronunciare quell'ordine, non le serviva. Ormai era talmente allenata che non necessitava più del contatto visivo, ma poteva anche solo far affidamento ai ricordi o all'immaginazione. Infatti, sapeva benissimo che il suo ordine avrebbe avuto buon esito: Maria Vittoria si dava tanto da fare, ma la bocca era ...scomparsa. L'unico modo per farla star zitta era proprio quello e mentre lei si agitava come una pazza nel tentativo di aprire uno squarcio con le unghie, Silvia riprese a parlare come se nulla fosse, ignorando gli sguardi di tutti. «Propongo di andare tutti in Aula Magna, la più grande di tutte. Farà freddo, ma almeno non avremo l'intralcio di banchi e sedie.»
«Che idiozie.» Lorenzo era tornato alla carica. «Vuoi davvero andare incontro a quella cosa?!»
Maria Vittoria si agitò nell'approvare quanto appena detto dall'ex compagno di classe.
«Sì» rispose Silvia. «È l'unica cosa che quel demone non si aspetta e dobbiamo rimandarlo da dove è venuto. All'Inferno.»
Ci fu qualche istante di silenzio, durante i quali tutti, o quasi, pensarono alle loro famiglie che li aspettavano a casa, preoccupati. Come avrebbero spiegato loro quello che stavano vivendo in quel momento? Una parte di loro avrebbe continuato a vivere con il terrore di rivivere quell'esperienza, se ne fossero usciti vivi...
«E va bene.» Lele si fece largo tra i suoi compagni di scuola, tenendo lo sguardo fisso su Silvia, la ragazza che tutti avevano etichettato come “strana” e “diversa”. Se l'avessero vista gli altri... «Che cosa dobbiamo fare?»
«Be', per cominciare... Ho bisogno del tuo aiuto, così come il tuo, Marco, e di te, Dottore.»
L'ultimo dell'elenco trasalì, un po' impreparato, ma annuì unendo i palmi delle mani. «Scommetto che il nostro compito sarà di recuperare del sale, non è vero?»
«Esatto, ma non è la sola cosa che ci serve. Devo prendere anche del ketchup.»


Note:
[1] Il simbolo è un amuleto presente nella serie tv “Supernatural” sin dal primo episodio, ma i significati descritti li ho inventati (è molto probabile che siano tutt'altro!)


Angolo dell'autrice:
*anf anf* Sono stanchissima... Ho scritto tutto in una notte, dato che avevo poco tempo e volevo pubblicare al più presto ç_ç Vogliatemi bene e datemi almeno un paio di giorni per riprendermi xD Tutta la trama è dentro al mio cervellino, al sicuro da ogni pericolo, state tranquilli, ma ci vorrà un po' per mettere tutto per iscritto, perché un conto è farsi film mentali, un altro è scriverli :P
Ah, volevo inoltre approfittarne per augurare a tutti voi un felice 2015!! :D


xoxo
Tilena

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Oggetti di scena ***


Angolo dell'autrice:
Buongiorno (o buonasera, dipende dai punti di vista xD) a tutti! Oggi sono felice perché Amy è andata in vacanza con Rory e non torneranno prima del 20 di marzoooo :D Hanno trovato per caso un biglietto della lotteria vincente e hanno così deciso di andarsene in crociera... Eheheh...
Ma torniamo a noi! Se qualcuno ha avuto dei problemi a trovare me o la mia/le mie storia/e (oddio che casino..), è perché ho deciso di cambiare nome utente, nickname: chi sa dello “scoppio” tra Tim Burton ed Helena Bonham Carter potrà capire... ç_ç Ci sono rimasta malissimo =(
Così ora (appena EFP accoglierà la mia richiesta) mi farò chiamare Marra_SuperWhoLocked (“Marra” è per una mia cara amica che non so perché ha cominciato a chiamarmi così; “SuperWhoLocked” sta per Supernatural + Doctor Who + Sherlock).
Un'altra cosa: mi scuso per i terribili ritardi sia per questa storia che per l'altra, ma ho mille cose da fare e non riesco ad organizzarmi a dovere... In più, non so per quale motivo, EFP non mi caricava le pagine delle ff che devo ancora terminare di leggere =( Ho bisogno d'aiuto ç_ç
*Appare un Castiel confuso*
OMMIODDIO
Castiel: “Tutto bene?”
NOPE. ADDIO, CUORE! *dies*

 

 

Capitolo 8
Oggetti di scena

 


E così, il resto del gruppo si incamminò cautamente verso l'Aula Magna, come aveva proposto Silvia e confermato il Dottore qualche istante dopo. Una volta scese le stesse scale che poco prima videro il passaggio del demone, attraversarono un piccolo spazio che collegava il settore in cui si trovavano al settore opposto, ma – prima di imboccare quel corridoio – trovarono altre scale e scesero anche quelle. Aprirono il primo portone, sempre guardandosi le spalle l'un l'altro, ed ecco che l'ambiente gelido e oscuro dell'Aula li accolse a braccia aperte.
Un primo sguardo gettato attorno a quelle sedie congelate e al palco illuminato con una sola luce d'emergenza confermò l'assenza di qualsiasi cosa. In effetti, nemmeno un demone sarebbe così pazzo da addentrarsi in quel luogo. Forse.
Amy e Rory si assicurarono che non fosse rimasto nessuno fuori dall'Aula e chiusero bene la porta d'entrata. Incrociarono i loro sguardi e per un momento, inconsapevolmente, pensarono la stessa cosa: che quella col Dottore fosse una vita pericolosa, a cui volevano rinunciarvi una volta per tutte. Glielo diremo quando tutto questo sarà finito, pensò Amy, poi lei e Rory si sedettero con gli altri ad aspettare.


«Ben fatto, grazie.» Silvia prese il sacco di sale da cucina che le stava porgendo Marco, il più alto del piccolo gruppo che aveva scelto di andare nella mensa scolastica. Be', scelto non è proprio la parola adatta. Diciamo che egli aveva aderito solo perché Silvia, Catherine e Raffaele erano sotto la sua responsabilità e non doveva perderli di vista nemmeno un attimo, specialmente in quella situazione. E poi con gli altri c'erano già Ivan e Diego, tutto sommato. Ce l'avrebbero fatta, ne era sicuro.
«Perfetto, ragazzi. Ora... Torniamo con gli altri.» Il Dottore contò cinque sacchi di sale, ma nessuna bottiglietta di ketchup. Al suo posto, tuttavia, Catherine trovò della vernice bianca abbandonata dagli operai che lavoravano lì da pochi mesi per sitemare muri e controsoffitti.
Tutti e cinque presero un sacco di sale ciascuno, il Dottore rubò di mano a Catherine la tolla di vernice e il pennello mezzo incrostato degli operai ora al riparo da quell'incubo e raggiunsero di gran carriera l'altro gruppo.
«Dottore! Tutto a posto?» Amy fece svolazzare i suoi lunghi capelli rossi e stritolò l'amico in un lungo abbraccio. Quando lo lasciò andare, sul suo volto vide dipinta una nota di ansia.
«Sì» le mentì. E mentì anche a tutti gli altri: «Vi riporterò tutti a casa.»
«Metteremo fine a questa storia, troveremo Nadia e Salvatore e torneremo sani e salvi a casa. Bla, bla, bla.» Rebecca se ne stava raggomitolata su una sedia a guardarsi i piccoli ricci biondi che le cadevano sulle spalle. Li studiava con piccoli movimenti delle braccia per vedere che tipo di sfumature assumevano in base alla quantità di luce che li colpiva. «Dottore, tu sei davvero un bugiardo coi fiocchi. Saresti il cocco di papà.»
Il gruppo rimase a dir poco impietrito da quelle parole (Papà? Vuole dire Lucifero? Il Diavolo?!), ma nessuno si azzardò a emettere un solo suono. Nessuno tranne Rachele. «Re...becca?»
«Santo cielo, no! Smettetela di darmi tutti questi nomi assurdi e volgari! Amy, Rebecca... Io non sono come voi. Sono migliore. E di certo non mi faccio intimidire da una banda di schizzati.»
Silvia, che si era accorta prima di tutti che quella non era più la vecchia Rebecca, si era messa dietro tutti gli altri e con l'aiuto di Catherine era riuscita a scivolare e a trovare nelle quinte un ampio tappeto usato per un vecchio spettacolo: lo capovolsero.
«Conoscendo quel tipo di demone, vorrà farsi sentire da tutti noi e andrà certamente a cantarcele sul palco. Ama attirare l'attenzione si di sé.»
«Cathy, tutti i demoni son fatti così.»
Risero, ma dalle loro bocche uscirono risate un po' distratte, fredde.
«Silvia?» disse poi Catherine sottovoce.
«Mhm? Che c'è?»
«La vernice. L'abbiamo dimenticata di là.»
«Cosa?!» quasi urlò Silvia. «No, no, no! No, no, no, no!» Sembrava in preda al panico, con quei suoi occhi sbarrati e la bocca in una smorfia di terrore. «No, ti prego, dimmi che scherzi! Stai scherzando, vero? Vero?!»
No, Catherine non stava scherzando: non aveva avuto il tempo di pensare alla vernice e al pennello mentre scappavano sul retro del teatro. Come biasimarla? «Mi dispiace, scusa...»
«No... Cathy, non è colpa tua! Non è colpa di nessuno! Ma ora dobbiamo pensare ad un piano B» disse guardandosi attorno.
«Io ho questo» disse piano Catherine tirando fuori dalla tasca dei jeans un piccolo coltellino svizzero.
«Ma sei fuori di melone a portare a scuola una cosa del genere?!»
Catherine si strinse nelle spalle. «Be', non si sa mai. Invece della vernice possiamo usare il m-»
«No! Non se ne parla nemmeno!»
«Ma perché? Insomma, è l'unica soluzione!»
«Sei un genio, ma non te lo farò fare» disse Silvia severa.
«E, sentiamo, hai qualche altra opzione?»
Silvia puntò lo sguardo a terra. «Forse un'alternativa. Dammi il coltellino, tu cerca un pezzo di stoffa.»
«Ma-»
«Niente ma. C'è bisogno del tuo latino.»


Parla, falle perdere tempo, devi rallentare le lancette dell'orologio. «Come dobbiamo chiamarti, dunque? Chi sei?» Sì, be', non è originale, ma basterà. Poi ti inventerai dell'altro. Vero?!
«Mi chiamo Marianne, ma potete chiamarmi Mary» rispose il demone.
«Okay, Mary.» Il Dottore premette le dita ai lati del farfallino e se lo sistemò ben bene. «Dobbiamo cominciare a ragionare» disse poi più serio che mai.
Mary si concesse una risata a pieni polmoni. «Ma io non voglio ragionare! Io voglio solo uccidervi tutti» chiarì sorridendo.
Il Dottore non diede segno di preoccupazione. Forse perché l'unica cosa che gli venne in mente in quel preciso istante fu una canzoncina, una stupida canzoncina, cantata da delle stupide bambole fatte di stupido legno. Le odiava.
Tick tock, Dottore. No, no, questa volta non erano le bambole. Era la voce nella sua testa e più vi prestava attenzione, più riusciva a capire di chi fosse. Dottore, l'orologio va avanti e tu te ne stai lì impalato a guardare?
Rose, smettila l'avvertì lui in silenzio.
Lei rise in lontananza e la sua voce svanì come fumo nell'aria. Già gli mancava. Ogni tanto gli faceva compagnia tormentandogli la mente nei momenti più difficili, quelli in cui non riusciva a ragionare. Oppure lo confortava, ma era raro. Lui la chiamava Rose. Ma non era lei. Aveva le sue sembianze e la sua meravigliosa voce. Ma non era lei. Dunque, cos'era? Non lo sapeva nemmeno lui. Be', forse sarebbe più giusto dire che non lo ricordava. Non ricordava più il Momento perché l'aveva incontrato tre vite fa (anche in quella precedente, a dire il vero) e ne erano passati di anni e di sventure da allora... Quello che non sapeva era che l'avrebbe incontrato di nuovo.
«Sono riuscita a fuggire dall'Inferno con non poche difficoltà e secondo te io mi faccio abbindolare da un paio di marmocchi?» Mary cominciò a camminare lentamente attraverso i ragazzi che quel giorno volevano solo fare qualche ipotesi per la trama di un cortometraggio. Non li degnò nemmeno di uno sguardo. Amava giocare con le sue prede. Raggiunse gli scalini che portavano al palco senza notare lo strano trambusto a pochi passi da lei.
«Silvia! Cathy!» sussurrò Rachele quando si accorse che le due amiche le erano spuntate alle spalle all'improvviso. «Dov'eravate finite? Mi stavo preoccupando!»
«Zitta!» ruggì Mary al centro del palco, illuminata a dovere e visibile a tutti.
Tra i presenti calò finalmente il silenzio. Si sentiva solo il lontano ronzio dei neon e la pioggia che cadeva senza sosta, battente e fredda.
«Perché ci metti così tanto?» chiese il Dottore.
«Mhm? Che intendi dire?» Mary fece finta di pensarci su.
«Ucciderci. Se lo desideri con tutto il cuore, ammesso che tu ne abbia ancora uno, perché ci fai aspettare e sperare?»
«Oh...» Fece un passo, uno solo, più indietro. Silvia se ne accorse e con lei anche Catherine. «Mi piace far andare la fiamma a fuoco lento, far rosolare ben bene e poi metterci del pepe. Si capisce?»
«Sì. Si capisce. Fin troppo, direi. Ma perché?»
«Un ordine di papà.»
«Vale a dire?»
«Lui ti vuole morto stecchito» disse sorridendo.
Catherine e Silvia si scambiarono un'occhiata fugace, ma significativa. Insieme affiancarono il Dottore, il quale notò la mano fasciata di Silvia.
«Ehi, tu» la provocò Silvia sorreggendosi involontariamente al braccio del Dottore. «Se vuoi lui, dovrai passare prima sui nostri cadaveri.»
I loro compagni di scuola rabbrividirono per la sfrontatezza con cui Silvia parlò al demone. Avrebbero voluto avere il coraggio di registrare quella piccola scena, ma nessuno si azzardò a tirare fuori un solo cellulare. Non solo perché avevano paura di muoversi: in effetti, che senso avrebbe avuto registrare una cosa del genere se poi non ci fosse stato un lieto fine per loro?
Mary sembrò intimidita da quella ragazza pronta a tutto pur di salvare uno stupido alieno con false promesse, ma era tutta recitazione. «Volentieri, pasticcino» disse preparandosi a fare un salto di due metri.
Silvia rise.
Catherine si schiarì la voce.
Mary saltò.
E ripiombò a terra un istante dopo.
Frastornata e umiliata, Mary guardò ai suoi piedi e notò un vecchio tappeto sgualcito e umido. Umido di sangue, quello di Silvia. «Stupide cacciatrici» ringhiò poi furiosa.

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Di nuovo a casa ***


Capitolo 9

Di nuovo a casa

 


Mary non aveva occhi se non per quelle due ragazzine avventate. Come avevano osato? Lei, tra i più forti della sua specie, che non era mai stata sconfitta, nemmeno dal cacciatore più arguto, ora era letteralmente stata fregata da due fecce umane e da un sudicio tappeto. Un tappeto che, sollevandolo, mostrava un frammento della trappola: un pentacolo circondato da un cerchio con strani simboli al suo interno.
«Siete state furbe» si congratulò Mary rialzandosi. Qualche battito con le mani e la testa china cercavano di nascondere il sorriso isterico di un demone terrorizzato. Sapeva ciò che sarebbe successo di lì a breve.
Silvia agitò la mano ferita e bendata in segno di saluto e mimò un inchino. Catherine, invece, sebbene avesse già affrontato altri demoni come quelli, avvertì una strana sensazione di panico. Le tremava lo stomaco tanto che le sembrava in preda a convulsioni. Aveva molta paura.
«Prima che mi rispediate a casuccia, però, ho una cosa da dire al vostro amichetto» disse Mary in tono grave.
«Okay. Parla» la incitò il Dottore.
Il demone indicò il gruppo di umani lì presenti con loro. «Davvero credi di poterli salvare tutti?»
All'improvviso, Amy e Rory si sentirono come un peso sullo stomaco.
«O noi o la Nebbia o qualcos'altro. Che differenza fa? Prima o poi, succederà e tu non puoi farci nulla.» Mary avrebbe voluto girare attorno al Dottore, stuzzicarlo con una folata di vento che l'avrebbe scaraventato da qualche parte su quelle quattro mura, ma non poteva e dovette arrendersi a quella piccola trappola di sangue. Dalla gola di Rebecca fuoriuscì una risata stridula.
«Succederà? Cosa?» domandò Catherine.
«Già, cosa? Cosa c'è di così forte che io non posso combattere?» completò il Dottore.
Mary non rispose. Se ne stava semplicemente lì a fissarlo con gli occhietti ridotti a fessure. Percepì ansia nella mente dell'alieno, ma non la sfruttò in suo favore. Non tutta, per lo meno. «Succederà. Ma non è questo l'importante, per il momento.» Si diede uno sguardo alle unghie smaltate di verde. Ah, che ribrezzo pensò. Poi sbuffò e rise subitamente, leggendo quel nome nella mente di lui. «Lo sai, Dottore, che Rose non tornerà, vero?»
«Non osare...»
Amy e Rory, come tutti gli altri, si scambiarono occhiate perplesse e convennero che era meglio non chiedere.
«Non osare cosa? Pronunciare il suo nome? Leggere le tue paure? Le tue ansie?» Rise di nuovo, questa volta più sommessamente. Vide che le sue parole avevano provocato non poco stress nel Dottore, il quale non riusciva a distogliere gli occhi dal pavimento e ne fu compiaciuta. «Cos'è, il gatto ti ha mangiato la lingua? Magari è stato proprio quel gattino dal pelo rosso che tu e la piccola Rose avete visto sparire da uno scatolone in mezzo alla strada durante i preparativi delle Olimpiadi...»
«Stai zitta!» le urlò il gallifreyano.
Mary mise da parte l'ironia e tornò cupa mentre ora il Dottore provava un fortissimo desiderio di rispedire indietro quel dannato demone. Si sentì impotente, ma era una semplice illusione: le sole persone che potevano farle del male erano due sempliciotte dall'aria tonta e con poca esperienza. Nulla di cui preoccuparsi, quindi. Ma si sbagliava.
Silvia, infatti, guardò uno ad uno tutti gli altri. Diego, Ivan e Marco erano proprio dietro di loro, sull'attenti, ma senza sapere cosa fare esattamente; i suoi compagni di scuola erano pietrificati e abbracciati o solo più vicini; i compagni di viaggio del Dottore si tenevano per mano. Nadia e Salvatore mancavano ancora all'appello. «Dove sono?» le chiese fissando il demone tramite gli occhi di Rebecca. Cercò un punto di contatto con la sua amica, per rassicurarla, per dirle che sarebbe tornato tutto come prima, ma il demone era molto potente e, anche se la ragazza era certamente cosciente, Mary era l'unica capace di nascondere se stessa per far riaffiorare Rebecca. «Dove sono?» ripeté.
«Chi?»
«Oh, avanti, sai benissimo chi
«No, veramen-»
«Eccovi! Finalmente vi abbiamo trovati!» La voce arrivò da lontano, alle spalle di tutti e quando si girarono ebbero una meravigliosa sorpresa: Nadia e Salvatore correvano verso di loro; Nadia andò diretta da Rachele, mentre Salvatore strinse forte la sua ragazza, Laura, e la baciò a lungo, fregandosene, per una volta, di essere sotto gli occhi di tutti.
«Ma che...» Il Dottore apparve disorientato. Si grattò la guancia, fece un paio di gesti incomprensibili con le mani, spiaccicò qualche sillaba sconnessa. «Dov'eravate?» chiese frastornato.
«Abbiamo visto una strana nebbia, poi è sparita. Siamo stati sempre qui, a girovagare per la scuola! Eravate spariti nel nulla!» disse subito Nadia con voce squillante. «Ma... Che ci fa Rebecca sul palco?»
«Lunga storia» tagliò corto Silvia.
«Ma non è possibile...» disse il Dottore pensando ad alta voce.
«Ah, come sei patetico...» Mary si mise seduta. «Amante delle smancerie e ora pure stupido. Come fai ad essere ancora vivo?»
«Ti ho detto che devi stare zitta» l'avvertì ancora il Dottore puntandole un dito contro.
«Ma che-» iniziò Nadia, ma Rachele le allungò subito una mano alla bocca e lei capì che doveva stare calma e tacere. Più facile a dirsi che a farsi, per lei, ma avrebbe fatto uno sforzo.
«Rammollito.» A Mary tornò il sorriso sulle labbra. «Bugiardo. Sprovveduto ed ingenuo.»
Una corsa inaspettata ed un salto ed ecco che il Dottore, improvvisamente di fronte a Mary, azionò il suo cacciavite sonico e un'onda investì l'udito del demone provocandole dolori lancinanti alla testa.
«Avverto solo due volte» le disse a denti stretti, mentre lei si copriva le orecchie con le mani.
«Smettila! Smettila!» lo pregò strillando. «Basta!»
«Dottore» lo chiamò Amy e lui spense il cacciavite.
Sempre con gli occhi sul demone, saltò giù dal palco. «Ti lascerò in pace solo se mi dici cosa deve succedere.»
Mary ansimò qualche istante e si pulì dalla fronte il sudore freddo. «Perché dovrei dirtelo?»
Per tutta risposta, il Dottore rialzò il cacciavite su di lei, pronto a farlo ronzare di nuovo.
«Va bene! Va bene! Ti dirò tutto!» Mary quasi urlò nel rimettersi in piedi. «Tutto ciò che vuoi, ma metti via quel coso!»
Al Dottore parve terrorizzata e, stranamente, provò piacere. Ma non era un mostro: mise al suo posto il cacciavite sonico e tese l'orecchio. «Se io sto zitto, tu devi parlare. Dunque?»
Mary deglutì. Fuori, il vento correva ancora e tra poco lei avrebbe fatto la sua ultima gita fuori porta. La vita dei demoni potrebbe essere paragonata ai temporali. Arrivano oscurando tutto ciò che incontrano, si scatenano con poco, provocano disagi se non peggio e poi, di punto in bianco, spariscono.
«La Nebbia, come la chiami tu, agisce per gradi: isola uno alla volta gli abitanti di un pianeta e li fa morire di disperazione» spiegò Mary. «Ha preso quei due idioti e li ha fatti sparire per un po', giusto il tempo necessario per accorgersi che qui c'era già qualcuno più forte di lui o di lei. Ma tornerà di sicuro. Non lascia mai un lavoro a metà, oh no.»
Il Dottore rimase qualche istante in silenzio. Un pericolo, se non scampato, almeno rimandato. «E poi? Mi sembrava avessi anche dell'altro da dirmi.»
Mary prese fiato. «Demoni o alieni, non importa chi lo farà. Sappiamo solo che qualcuno o qualcosa porrà fine alla razza umana. Presto o tardi, tutto questo svanirà e tu non potrai farci niente.»
«Che intendi dire?»
«Una sorta di ...Apocalisse, hai presente?»
Il Dottore cercò di mantenere una poker face credibile, ma sapeva che i demoni non sempre mentono.
Mary tornò a ridere, compiaciuta dal suo turbamento interiore.
«Non c'è nulla da ridere!» si arrabbiò il Dottore, ma lei aumentò il volume della risata, che riecheggò per tutta l'Aula. «Bene» le disse pacato. «Che ne dici di tornare ai Tropici?»
Catherine capì al volo e si precipitò subito al fianco del Dottore. Silvia la vide allungare all'alieno un foglio stropicciato e intuì cosa vi fosse scritto. Sorrise per quel suo gesto degno di lei e ne fu felice. Era stata una giornata a dir poco tremenda e troppo pesante anche per due come loro.
«A voce alta, mi raccomando» gli disse, poi Catherine tornò da Silvia a gustarsi la fine di quella storia.
Un grido, un serpentone di fumo e vi fu di nuovo silenzio.

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Epilogo ***


Epilogo


Amy seguì suo marito nel TARDIS, poco oltre il cancello della scuola. Dopo di loro, entrarono uno ad uno gli studenti e i tre registi.
«Per la miseria!» urlarono sotto voce più o meno tutti.
Una volta chiuse le porte della Macchina, il Dottore prese posto alla consolle e – una leva, un pulsante, scampanellio di qua, frustata di là – partirono. Indietro nel Tempo e vari i luoghi in cui riportarli sani e salvi. Un pasto caldo e avrebbero sicuramente – e letteralmente – recuperato il tempo perduto durante quella notte.


«Bene. Ora mancate solo tu e Silvia» disse il Dottore aspettandosi gli indirizzi.
Le due ragazze si scambiarono giusto un'occhiata, quanto necessario per intendersi. «Be', ecco... Dobbiamo chiederti una cosa» disse infine Catherine un po' titubante.
Amy e Rory cominciarono a preparare le loro cose: tra poco sarebbero tornati a casa e, nonostante ci avessero ripensato sull'addio, ogni tanto preferivano tornare alla vita di ogni giorno, tra parenti ed amici.
«Che cosa volete chiedermi?»
Silvia aspettò che l'amica aprisse di nuovo bocca, ma non lo fece, bloccata dall'emozione. Prese per mano l'amica e in una sola voce riuscirono a sparare quel loro desiderio fuori dalle loro teste. E per il Dottore fu come un invito a nozze.
«Vorremmo venire con te!»


Catherine si aggrappò alla svelta alla prima cosa stabile che trovò nel TARDIS. In un lampo, il Dottore aveva scatenato tutto quel trambusto, come sempre, per la troppa adrenalina che gli scorreva in corpo. Anche Silvia si stava divertendo a viaggiare col Dottore, ma, dopo quasi un mese di vagabondaggio, era giunto il momento di tornare a quel giorno in cui tutto era cominciato, per non destar sospetti. Dovevano tornare sui loro passi.
Il gallifreyano sembrò notare l'espressione angosciata di Silvia e d'impulso frenò il viaggio. Ora galleggiavano tra le stelle e tutto ciò che avevano intorno era rappacificante. «E va bene. Vi riporterò dove c'è bisogno di voi» disse con un sorriso triste. Poi abbassò una leva e il TARDIS emise un rumore secco.
Dove c'è bisogno di voi.
Non è mentire, è omettere.
«Arrivati!» Il Dottore corse ad abbracciarle con grande enfasi ed ecco che un nodo andava già a formarsi alla bocca dello stomaco.
«Grazie, Dottore» disse Catherine.
«No, grazie a voi, ragazze! Siete state geniali e anche molto coraggiose. Spero di rivedervi, un giorno o l'altro...»
«Sicuro! Ma come facciamo a contattarti?»
Il Dottore infilò una mano nella giacca e ne estrasse un pezzetto di carta con un numero stranamente lungo. «Non perdetelo.»
Catherine prese il foglietto tra le sottili dita. «007700900461?» domandò perplessa. «È il tuo numero di telefono?»
«No» rispose lisciandosi la giacca. «Certo che no! Io non ho un telefono.»
«Ehm...» Silvia indicò il telefono all'interno del TARDIS.
«Mhm? Ah! Sì, giusto, quello! Sì, allora ho un telefono» disse con un ampio sorriso.
Le due umane abbracciarono un'ultima volta quel bizzarro damerino alieno e uscirono lentamente dal TARDIS. Quando si girarono, videro il Dottore chiudere le porte con un po' di nostalgia e, improvvisamente, la Macchina svanì da sotto il loro naso.
Silvia distolse lo sguardo dal nulla e lo posò su Catherine. «Andiamo?»
L'amica le rispose con un cenno del capo.


Lì vicino c'era un piccolo locale, poco appariscente, ma pieno di gente. Silvia lo indicò. «Sicuramente, piace.»
Catherine sorrise, divertita dalla battuta ironica. Notò poi, raggiungendo il marciapiede, che un cartello sulla vetrina diceva Giovedì la crostata costa la metà, da noi. «Ehi, Silvia?»
«Sì?»
«Che giorno è oggi?» chiese già affamata.
«Credo fosse giovedì. Cioè, lo è ancora, solo un'altra volta» disse Silvia ridendo. «Perché?»
Catherine si fermò sulla soglia del locale con un gran sorrisone stampato in faccia. «Due crostate al prezzo di una!»
Entrambe risero senza pensieri, sicure che tra pochi istanti sarebbero tornate a casa. Entrarono nel locale affollato e si sedettero su due sgabelli davanti al bancone. Pochi istanti dopo, ecco che due piatti con una fetta di crostata alle pesche ciascuno aspettavano di essere ripuliti.
«Silvia, quand'eravamo ancora a scuola, mi avevi detto che c'era una cosa di cui volevi parlarmi...»
L'amica abbassò lo sguardo, imbarazzata. Se ne era quasi dimenticata e, per certi versi, sperò che l'avesse fatto anche Catherine. Ma lei era stata sincera e non meritava nessuna bugia. «Già, è così.» Non si era mai preparata nessun discorso e ora si sentiva la testa in fiamme. Non sapeva nemmeno da dove cominciare, a dirla tutta, e sperava di non dire qualcosa di sbagliato. «È da diversi anni che pratico magia bianca, rossa e verde» disse tutto d'un fiato. Ecco fatto, ci voleva tanto? pensò tra sé e sé. «Studio anche magia nera, ma solo per contrastarla, lo giuro! In fondo, non faccio nulla di male...»
Catherine rimase a bocca aperta, a dir poco incredula. «Ma è una cosa fichissima! Perché non me l'hai mai detto?»
Interdetta, Silvia sorrise senza pensarci. «Pensavo mi avessi presa per un'idiota.»
«Ti pare? Sei una wiccan!»
«In effetti, date le circostanze, direi che non c'è male!» Poi Silvia addentò la sua fetta di crostata, deliziosa e morbida come poche, con la sua pasta frolla burrosa, che avrebbe fatto girare la testa anche a Dean Winchester e a Ronald Weasley.


Con la bocca ancora piena di crostata, Silvia si ripulì le mani con un tovagliolino e le scappò l'occhio su un cartoncino arancione appeso proprio di fronte a loro, sopra ai liquori. Subito, richiamò, con qualche manata leggera sulla spalla, l'attenzione dell'amica, la quale stava ancora studiando l'ultimo boccone di torta prima di dirgli addio.
«Che c'è?! Calm-» Vide la scritta e per poco non sbiancò. «Quello... Quello è il prezzo del caffè?»
«Sì!» le rispose Silvia.
«Ed è...»
«Sì!» ripeté. «Sì, Cathy. A meno che il TARDIS non ci abbia rincitrullito il cervello, quello è il prezzo del caffè in dollari
«Ma non è possibile!»
Silvia mollò lì Catherine e si precipitò alla vetrina. Quando si voltò, vide il barista servire un gruppo di uomini in giacca e cravatta, probabilmente di qualche ufficio nei paraggi. Fece segno a Catherine di seguirla e lei, senza farsi notare, con nonchalance scivolò veloce verso la porta come fece anche Silvia, fischiettando tranquillamente.
«A furia di viaggiare col Dottore, impari a fare cose indecenti!» dichiarò Silvia con mille sensi di colpa.
«Silvia, aspetta. Io qui non vedo nessuna scritta inglese...»
Si guardarono attorno un po' spaesate. Insegne di negozi e cartelli pubblicitari sembravano parlare la loro stessa lingua, eppure...
«Il Dottore una volta ha detto che il TARDIS ti entra in testa e traduce per te... Quindi...» Silvia si portò di fronte all'amica. «Quindi basta concentrarsi, credo.»
«Spero sia stato solo un errore di quel barista» sussurrò Catherine impaurita.
«Non sei la sola.»
Mente separata da qualsiasi rumore, pensiero. Un po' come cercare un'informazione in un palazzo mentale, solo un po' più difficile e dannatamente frustrante. Funziona meglio ad occhi chiusi, si accorse Catherine e Silvia la imitò.
Per i passanti, quelle non erano che due matte con gli occhi chiusi. Un tizio cercò addirittura ai piedi delle ragazze un cappello. Si aspettava, da un momento all'altro, che lo spettacolo iniziasse, ma niente: se ne stettero immobili e silenziose per due buoni minuti e, quando riaprirono gli occhi, qualcuno pensò anche che fosse il caso di chiamare un'ambulanza.
Improvvisamente, come se una lampadina si fosse accesa nelle loro teste, capirono dov'erano. Le pubblicità parlavano chiaro, così come i cartelli stradali.
«Siamo in...» A Catherine le si fermarono le parole in gola.
Fu Silvia a completare la sua frase. «America!»

 


Angolo dell'autrice:
Marra: Buonsalve a tutti, gente! Eccomi alla fine di tutto... *sigh*
*Castiel appare all'improvviso alle spalle di Marra, come sempre corrucciato*
Marra: Cosa...?
Castiel: Questa non è la fine.
Marra: Certo che sì, invece. La storia l'ho scritta io .-.
Castiel: No. Cioè, sì, ma no.
Marra: Potresti parlare la mia lingua, per favore?! >.<
Castiel: Ma io sto parlando la tua lingua...
Marra: AAAAAAAAAA ç_ç
*versi di grilli*
Marra: Spiegati!
Castiel: Dicevo che questa storia non è finita! Silvia e Catherine si sono ritrovate in America e non sanno il perché, giusto?
Marra: Giusto ._. E quindi?
Castiel: Che senso ha? Le vuoi lasciare veramente lì?
*altri grilli*
*Marra sbatte la testa contro il muro*
Castiel: Potresti smettere? Mi metti a disagio...
Marra: Tu a disagio... Okay. Ammettendo che io volessi scrivere il seguito... Di cosa dovrei parlare?
Castiel: Questo non è un problema mio.
Marra: Ah, sì, così è facile! Ora che mi hai messo la pulce nell'orecchio intendi lavartene le mani?!
*Castiel si guarda le palme delle mani*
Castiel: Non sono sporche...
Marra: Giuro che ti strozzo. Lo faccio. Scappa o ti uccido.
*Castiel sparisce nel nulla*
Marra: ._. Lo strozzo. Porca miseria, un giorno o l'altro.... COMUNQUE! :D Che dire? Quell'angelo mi ha messa in crisi e... Credo che penserò ad un “finale alternativo”... In realtà qualcosa mi sta già ronzando in testa... Qualcosa come... Oddio, sì... Ce l'ho *^* Sì, è definitivo! Scriverò un seguito :D Lo intitolerò “Carry Salt” (“Porta il sale”) e sarà una fan fiction su Supernatural *^*
*Marra fangirleggia a vita lalala*

 


Ehi, cari lettori... Sì, proprio voi :)
Volevo ringraziare tutti coloro che hanno lasciato una piccola o grande recensione: grazie di cuore, mi avete aiutata molto supportandomi e dandomi anche dei buoni consigli! Critiche positive e negative hanno reso possibile il finale di questa storia!
Ringrazio inoltre tutti coloro che hanno anche solo sbirciato, che non hanno recensito, perché anche le “visualizzazioni” contano molto ;)
Un abbraccio speciale, poi, va alla mia grande amica che io chiamo “sis”... Sì, proprio lei, Catherine... Grazie, sorellina, per tutto!
Le mie scuse, invece, vanno a tutti voi. Mi spiego: in partenza, questa doveva essere una semplice ff su Doctor Who. Non so perché, in seguito si è trasformata in una specie di cross over non dichiarato... Il Dottore è poco presente, così come per Amy e Rory... Supernatural ha preso il sopravvento... Mi son fatta prendere dall'emozione e ho scritto un po' di cavolate, credo, ma per me l'importante è di avervi intrattenuti con una dose di simpatia e taaaaaanta suspense :) Se non fosse così, mi dispiace moltissimo, davvero :(
Spero in un arrivederci (sarebbe meglio arrileggerci, ma non esiste .-.) e vi auguro tante ff meravigliose xD


Un abbraccio,
Marra
la vostra ex Tilena
*Castiel fa ciao con la manina*

 

FINE ...?
:)

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2883389