Che gli elementi si scatenino

di L S Blackrose
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** La famiglia prima di tutto ***
Capitolo 3: *** Tra libri e coltelli ***
Capitolo 4: *** Degno di fiducia ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


 



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Prologo







Una violenta tempesta scuoteva la fortezza da cima a fondo.

Non era una novità: il cielo sopra il mare del Nord, in quel punto preciso, aveva sempre una sfumatura color grigio piombo.
Opprimente e deprimente, pensò il prigioniero. Con un moto di fastidio, scostò una ciocca di capelli dalla guancia e appoggiò la fronte su una delle pietre sudicie che contornavano la minuscola finestrella della cella.
La sua cella.

Le possenti nuvole plumbee erano chiaramente visibili anche da quel buco striminzito. Lo sciabordio delle onde si era intensificato nelle ultime ore, una musica vellutata che accompagnava il rombo dei tuoni e le luci intermittenti dei fulmini.

Il prigioniero si lasciò sfuggire uno sbuffo poco convinto. Distolse gli occhi dai fori della grata – l’unico, misero, legame che lo collegava al mondo esterno – e si diresse a passo strascicato verso l’angolo più lontano dalla fessura che dava sul mare.

Tutto di quello che lo circondava – odori, colori, rumori - gli suscitava un’orrenda sensazione di déjà-vu.
Osservò con un sopracciglio inarcato la paglia scomposta che componeva il suo giaciglio, poi passò ai ciuffi di un opaco color platino che gli sfioravano le spalle e che identificò come i propri capelli, alla lunga barba crespa della medesima tonalità, alle unghie scheggiate e luride, al suo corpo smagrito nascosto da una tunica stracciata e puzzolente.
Chiuse gli occhi e si lasciò ricadere all’indietro, rannicchiandosi su se stesso per tentare di isolarsi da quella realtà fatta di sporcizia, gelo e lamenti.

Azkaban era un’isola.
Un’isola che non compariva sulle mappe – nemmeno su quelle del mondo magico.
Ci si arrivava solo mediante passaporta e solo in casi di estrema importanza, accompagnati obbligatoriamente da un permesso ministeriale.

L’uomo fece un mezzo sorriso che sapeva di sconfitta. Niente a che vedere col ghigno che un tempo solcava abitualmente le sue labbra pallide: questa era una smorfia priva di qualsiasi arroganza o allegria.

Azkaban. La prigione dei maghi.
Non era la prima volta che ci entrava da prigioniero e di certo questa volta non ne sarebbe uscito con le proprie gambe.

In cosa poteva sperare? Nessuno avrebbe mai preso le sue difese, nessuno l’avrebbe mai perdonato, non sarebbe venuto nessuno a tirarlo fuori da quel posto disgustoso e oscuro. Oscuro come la sua anima.

D’altronde, quale persona sana di mente potrebbe mai provare compassione per un assassino?
Per uno spregevole, crudele mangiamorte razzista come lui?

Una persona del genere non esisteva. E lui conosceva più di metà del mondo magico: nemmeno uno dei suoi vecchi amici sarebbe stato disposto a mettere in discussione la propria reputazione – e carriera – per cercare di tirarlo fuori da quella cella. Da quella cella repellente come lui stesso, come i crimini che aveva commesso al seguito dell’Oscuro Signore. Meritava di stare lì.

Lo sguardo acceso da una luce febbrile, il prigioniero alzò davanti al volto il braccio sinistro.
Contemplò in silenzio, a labbra contratte, il disegno nero che spiccava sulla pelle biancastra e scarna e lo percorse con un dito. Leggermente, delicatamente, come se scottasse.

In verità, non lo sentiva bruciare. Non fisicamente, almeno.
Gli orrori compiuti sotto il segno di quel marchio erano impressi a fuoco nella sua anima, altrettanto indelebili e ripugnanti. Niente avrebbe mai potuto cancellarli. Niente, nessun gesto o parola, avrebbe potuto eliminare la presenza nefasta che quel simbolo portava con sé.

Artigliò la pelle dell’avambraccio con furia, quasi nel tentativo di grattare via i contorni ormai sbiaditi del teschio e del serpente. L’unica cosa che ottenne fu un’acuta fitta di dolore, assieme a quattro graffi paralleli che subito iniziarono a sanguinare.

L’uomo guardò quelle strisce rossastre con distacco. Un tempo andava fiero di quel liquido color cremisi che gli scorreva nelle vene, mentre adesso lo vedeva per quello che realmente era. Altro, semplice, sangue versato.

Un grido straziante interruppe le sue amare riflessioni e gli procurò una fitta all’altezza dello stomaco.
I muscoli delle braccia iniziarono a tremargli violentemente, la mano andò automaticamente a posizionarsi al suo fianco, tastando la paglia con insistenza.
Quando si rese conto che non avrebbe mai trovato ciò che stava freneticamente cercando – il bastone a forma di serpente che celava al suo interno la bacchetta di olmo – la sua mascella ebbe un guizzo e il suo intero corpo si accasciò a terra, come se qualcuno gli avesse lanciato una fattura.

Sapeva chi, anzi cosa, stava per arrivare.
Dopo averci avuto a che fare per mesi, quasi rimpiangeva i dissennatori.

Dalla caduta del Signore Oscuro, il Ministero aveva allontanato le vecchie guardie di Azkaban, spedendole in un territorio sufficientemente lontano e delimitato da barriere magiche invalicabili. Al loro posto erano state insediate delle creature che, personalmente, trovava altrettanto mostruose: le Incantatrici, minuscoli esserini fatati che mantenevano i prigionieri in un perenne stato di torpore, dovuto alla polvere di cui le loro ali erano cosparse.

Impregnava l’aria, era impossibile resisterle.
Allo scoccare di ogni ora, una fata entrava nella cella per controllare che il prigioniero fosse ancora in vita. Se così era, gli regalava un piccolo sorriso e protendeva le lunghe mani affusolate per toccargli il viso.

L’uomo storse la bocca, mente reprimeva un brivido al ricordo di quell’insolito rituale.
Era quello che lo terrorizzava di più, il contatto con quelle bestiacce alate. Ti entravano nel cervello, estrapolandoti i pensieri con l’abilità del più dotato dei legilimens e obbligandoti a ripercorrere gli avvenimenti che più interessavano loro.
L’obiettivo di quelle creature era quello di convertire le anime dannate che toccavano, sempre che, in quelli che soggiornavano ad Azkaban, ci fosse ancora qualcosa da poter convertire.

Quegli insetti fatati erano tutti così … schifosamente buoni. Le loro piccole menti non riuscivano nemmeno a concepire l’idea astratta del Male, erano puri come un unicorno, puri come il più bianco dei gigli. Era la differenza a provocare dolore, la differenza tra le loro anime candide e quelle tenebrose dei prigionieri. Era quella la ragione delle urla persistenti che rimbalzavano sulle pareti di roccia fetida come un’eco senza fine.

Il volto dell’uomo divenne più pallido ad ogni secondo che passava.
Sentiva quelle creature avvicinarsi, vedeva la scia luminosa che preannunciava la loro comparsa farsi sempre più vivida. Squarciava i tentacoli di oscurità che avvolgevano la cella e gli feriva gli occhi.

Ad un certo punto, lo scintillio fu talmente insopportabile che dovette serrare le palpebre con forza.
Avanti, pensò, arrendendosi. Venite a prendermi. Mostratemi quanto nera e corrotta sia la mia anima, mostratemi il mostro che sono stato. Tanto lo so, so di essere perduto.

Una lacrima minacciò di scendere sulla sua guancia, ma lui la ricacciò indietro con stizza.
Un uomo come lui aveva il diritto di piangere? No, certo che no. Un mangiamorte non aveva nessun diritto.

La porta della cella cigolò nell’aprirsi.
La luce ormai era diventata abbagliante, filtrava tra le sue palpebre chiuse come un raggio di sole estivo. Caldo, brillante, ma estremamente fastidioso.

Un basso mormorio lo fece irrigidire. Da quando in qua quegli esseri parlavano? Non li aveva mai sentiti articolare alcun suono, con i prigionieri comunicavano attraverso la mente.
Il bagliore si offuscò appena, così l’uomo si azzardò a socchiudere gli occhi.

Altri bisbigli a mezza voce, poi il suono di un paio di passi, bassi ticchettii sulle pietre sconnesse del pavimento della cella. Un respiro lieve a pochi metri da lui. – Buonasera –.

Una voce. Da quanto tempo non udiva una voce umana? Anni, decenni, secoli forse?
Il prigioniero la classificò come l’ennesima allucinazione, perciò non rispose.

La voce non si diede per vinta. – Buonasera, Lord Malfoy – insistette, calcando con intenzione l’ultimo nome. Anzi, cognome.

A quel punto, gli occhi grigi dell’uomo si spalancarono, ma senza realmente mettere a fuoco l’ambiente circostante.
L’aveva chiamato? Qualcuno aveva davvero pronunciato il suo nome?

– Lord Malfoy? – ripeté la voce.

E fu allora che Lucius Abraxas Malfoy capì che non si trattava di un’illusione.

La sua mente, da sola, non sarebbe mai riuscita a creare quell’enfasi, quell’inflessione dolce - e, allo stesso momento, preoccupata - che aveva avvertito in quelle due parole.

Batté le palpebre e, quando finalmente inquadrò la figura che gli stava di fronte, il suo cuore prese a battere più forte nel petto.
Possibile che le fate fossero in grado di manipolare anche la fantasia, oltre i ricordi? Perché la figura che gli stava di fronte poteva benissimo essere scambiata per una visione.

La luce delle ali delle creature, rimaste a distanza e fuori dalla porta della cella, faceva da contorno ad un profilo femminile di media altezza.
Sebbene non potesse scorgerne il volto a causa del chiarore che aveva alle spalle, il prigioniero capì che si trattava di una ragazza.

Quando la sconosciuta si avvicinò di un altro passo, mettendosi quasi in ginocchio per posizionare i suoi occhi all’altezza di quelli di lui, Lucius riformulò il pensiero precedente, classificandola come una giovane ragazza. Doveva avere sì e no l’età di Draco …

Draco. Draco. Draco.

Emise un flebile lamento mentre l’immagine di suo figlio gli riempiva la mente e si coprì gli occhi con le mani, nel tentativo di riprendere una parvenza di controllo.

La voce, rimasta muta per qualche secondo, tornò a farsi sentire, più nitida che mai. – Lord Malfoy, vi spiacerebbe guardarmi in faccia? Sapete, non è molto educato ignorare chi vi sta parlando. Una donna potrebbe offendersi –.

L’uomo sussultò come se lei l’avesse pungolato con la punta della bacchetta.
Ora non aveva più alcun dubbio: quella che aveva accanto era una persona vera, viva. Un’allucinazione, anche una semplice creazione della sua mente, sarebbe stata quantomeno più garbata.
Mocciosa impertinente, come si permette?
Sentì affiorare una scintilla di irritazione unita ad un pizzico di umiliazione. Da quanto non si preoccupava per il proprio aspetto fisico?

Quando incrociò lo sguardo sbigottito di Lucius, la ragazza addolcì il tono. – Perdonate la mia scortesia, ma dovevo pur farvi reagire in qualche modo – continuò, poggiando entrambe le ginocchia a terra. Il lungo mantello che indossava si aprì a ventaglio attorno alle sue gambe, strusciando sulle pietre lerce.

Lucius incrociò un paio di occhi verde smeraldo che lo lasciarono senza fiato. Profondi, insondabili, bellissimi.
Eppure freddi e distanti, come se avessero vissuto secoli e secoli e visto più atrocità di quante un semplice essere umano sia disposto a sopportare.

Nessuna ragazza dovrebbe avere degli occhi così, si disse Lucius, ripensando all’espressione straziata che, ogni volta, dopo essere stato costretto ad assistere ad uno dei consueti massacri di babbani indetti dall’Oscuro Signore, campeggiava sul volto di suo figlio. Ciò nonostante gli occhi di Draco - i suoi stessi occhi - non avevano mai avuto quella sfumatura decisa che denota una fermezza di carattere rara ed incorruttibile.

Lucius studiò con attenzione il profilo della ragazza, per quanto la luce soffusa glielo consentisse.
Era una purosangue, su questo non aveva dubbi.

Dove aveva già visto quei lineamenti spigolosi e soprattutto quegli occhi leggermente a mandorla?
Rimase sovrappensiero per alcuni minuti, ma non riuscì ad associare quei tratti marcati ad un nome o ad una casata.
Attese che fosse lei a presentarsi, ma rimase deluso.

– Ditemi, Lord Malfoy – proseguì la giovane, socchiudendo appena le palpebre. – Cosa sareste disposto a fare per uscire di qui? –.

Lucius sgranò ancora di più gli occhi. Una strega indiscutibilmente purosangue, determinò dopo aver udito quella frase così diretta. Il tono sottintendeva una spiccata nota di arroganza: lei sapeva che l’uomo avrebbe ceduto a qualsiasi sua richiesta pur di lasciare quella prigione maledetta.

E Malfoy non aveva nessuna intenzione di smentire quella convinzione. Si schiarì la voce prima di parlare, aveva la bocca completamente secca. – Qualsiasi … qualsiasi cosa – assicurò, senza mai distogliere gli occhi da quelli della giovane.

Lei non cambiò espressione, sul suo volto non c’era alcuna traccia di sorriso o divertimento.
Era spaventosamente seria e severa, dimostrava molti più anni di quelli che effettivamente aveva.

Se riesce ad intimorire un mangiamorte del mio livello, deve essere estremamente potente, rifletté Lucius.
Quella ragazza non andava sottovalutata.

– Ne ero certa – rispose lei, con un breve cenno del capo.
Poi, sotto lo sguardo allarmato di Lucius, alzò una mano e la posò sulla sua guancia ispida.

Tacquero entrambi, ma i loro occhi rimasero vigili a scrutarsi. Dopo alcuni minuti, le labbra della ragazza formarono un accenno di sorriso, il primo da quando era entrata.
Si staccò da lui e si alzò da terra, fronteggiandolo dall’alto con quelle iridi implacabili, rese più scure dalla folta cortina di ciglia di cui erano circondate. – Come pensavo. Noi due andremo molto d’accordo, Lord Malfoy – concluse quasi tra sé.

Lucius restò immobile a fissarla. Quel contatto l’aveva scosso nel profondo, come succedeva quando il Signore Oscuro gli afferrava il viso per sondargli la mente a forza. Il paragone era tremendo: come si poteva mettere a confronto un folle mago pluriomicida con una ragazzina? Ovviamente, lui preferiva mille volte che fosse lei a toccarlo.

Ora la giovane non lo stava più esaminando con quegli incredibili occhi smeraldini.
Aveva mosso qualche passo verso il muro alle spalle del prigioniero e sembrava assorta nella contemplazione degli scorci di panorama tempestoso che si scorgevano tra le fessure della griglia. – Ascoltatemi bene, Lord Malfoy, perché non mi ripeterò – esordì qualche istante più tardi.

Lucius aguzzò le orecchie, lo sguardo puntato sullo strascico del mantello scuro di lei.

– Questo incontro rimarrà segreto. Voi non parlerete a nessuno di me, io farò lo stesso e non ci incontreremo mai più –.
Fece una piccola pausa, prendendo un respiro profondo. – Voglio mettere in chiaro una cosa: non sono venuta qui per scagionarvi, non nutro particolare compassione per voi. Tuttavia, dopo avervi messo alla prova, la mia opinione nei vostri confronti è nettamente migliorata -.

Lucius corrugò la fronte. Di che prova stava parlando?

La ragazza inclinò il capo verso di lui. – Sono venuta qui per cercare un alleato, Lord Malfoy. In cambio della vostra collaborazione, mi attiverò per farvi uscire da Azkaban –.

L’uomo fece per ribattere, ma lei non gliene lasciò il tempo.
Agitò una mano come per scacciare un fastidioso insetto. – Attraverso procedure strettamente legali, si intende. Non vi aiuterò ad evadere, state tranquillo – continuò, con un ghigno, come se il solo fatto che lui potesse pensarlo la divertisse. – Entro pochi mesi sarete fuori, potrete riabbracciare la vostra famiglia. In cambio, pretendo solo un piccolo favore –.

Lucius si impose di non cadere in ginocchio ai suoi piedi. Sarebbe anche arrivato ad implorare una ragazzina pur di lasciarsi alle spalle quella tetra cella fetida. Gli occhi gli si fecero lucidi. – Di cosa si tratta? – chiese, con voce roca.

– Dovrete rintracciare una … persona per me – dichiarò lei, calcando con sarcasmo sulla terz’ultima parola. – Ho deciso di rivolgermi a voi perché so che siete il più indicato per questo compito. In passato avete avuto uno stretto rapporto con colui che sto cercando –.

Lucius pose la domanda con una sorta di timore reverenziale, la voce gli si spezzò a metà sillaba. – Chi? –.

La ragazza lasciò che quell’unica parola sfumasse nel silenzio della cella prima di pronunciare un nome.
Un nome che fece ghiacciare il sangue nelle vene del mangiamorte.

– Fenrir Greyback –.

 









 
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Ciao a tutti! Questa è la mia prima ff sulla saga di Harry Potter, siate clementi ;)

Si tratta di uno dei film mentali che il mio cervellino malato ha progettato mentre rileggevo per l’ennesima volta i libri in questione (ah, leggo anche molte ff di questo fandom, essendo una fan della coppia Draco-Hermione, e non solo!) … quindi mi farebbe molto piacere conoscere i vostri pareri in merito ;)


Nel prologo non si capisce, perciò vi svelo un particolare in più sulla trama: nella storia, Draco sarà uno dei personaggi principali, a fianco della misteriosa ragazza dagli occhi verdi ;)

Spero di avervi incuriosito … un bacio, a presto!

Lizz

p.s. come potrete notare anche in seguito, molti personaggi (tra cui Silente, Piton, Fred e Greyback) sono vivi e vegeti.
Le fate incantatrici sono una mia invenzione ;)

per qualsiasi info, vi lascio il link della mia pagina fb https://www.facebook.com/pages/Lizz/1487353441540966 (nuova di zecca xD)

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Capitolo 2
*** La famiglia prima di tutto ***





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Capitolo 1

 

    La famiglia prima di tutto





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- Mysie! Ehi, Mysie, vieni a vedere! – trilla una voce a pochi passi da me.
Una voce che, da mezz’ora a questa parte, non ha taciuto neanche per un istante.

Con un sospiro, distolgo gli occhi dalla vetrina scura del negozio di animali per posarli sull’esile figura di mio cugino Nick.
Il mantello di velluto lo ricopre interamente, facendolo sembrare ancora più minuto; la sciarpa che stamattina gli ho avvolto attorno al collo - facendo finta di non sentire le sue continue lamentele - sta scivolando giù per la sua schiena, ma lui non sembra essersene minimamente accorto.

Ha il naso incollato alla vetrina appannata del negozio di scope da corsa, le mani che premono sul vetro come se volessero farlo scomparire, gli occhi che brillano.
Prego che non gli venga in mente di creare pasticci con la magia proprio nel mezzo di Diagon Alley.
Non sarebbe la prima volta: è da quando ha quattro anni che fa scoppiare le finestre ogni volta che qualcuno lo rimprovera ingiustamente. Al Castello abbiamo già collaudato quanto le sue emozioni influiscano sull’ambiente circostante, perciò mi affretto ad avvicinarmi a lui per prevenire imbarazzanti inconvenienti.

Afferro la sciarpa prima che tocchi terra e la riposiziono al suo posto. Un gemito di Nick dimostra che forse ho stretto un po’ troppo il nodo.
Mio cugino distoglie finalmente l’attenzione – e soprattutto le dita – dalla vetrina e mi lancia un’occhiataccia di rimprovero.

Le mie labbra tradiscono un sorrisetto. – Si può sapere cos’hai da strillare? Stai attirando l’attenzione – dico, guardandolo con condiscendenza dall’alto del mio metro e sessantasette.

Nick si sposta i capelli color cioccolato dalla fronte e indica il negozio. – Possiamo entrare? – chiede, in tono implorante. – Ti prego, Mysie, solo un secondo! –.

Comincio a scuotere la testa già a metà della sua supplica. – Non se ne parla – taglio corto, muovendo l’indice davanti al suo volto nella perfetta imitazione della nostra governante, Mrs Temperance. – Sappiamo bene entrambi che, se dovessimo … diciamo per errore … mettere piede in questo negozio, ne usciremmo solo dopo aver speso decine di galeoni. E dubito che il nonno farebbe i salti di gioia –.

Mio cugino batte le palpebre e osserva con un sopracciglio inarcato le scope da corsa al di là del vetro.
Non mi sfugge il desiderio impresso nelle sue iridi, ma sa anche lui che ho ragione.

Stranamente, non contesta il mio rifiuto. Anzi, nonostante la delusione, si lascia scappare una risatina. – Sai che sei veramente convincente quando la imiti? – esclama, guardandosi attorno con fare cospiratorio. – A proposito della vecchia, dov’è finita? –.

Gli faccio segno di tacere e lancio una breve occhiata alle mie spalle. – Da Madama McClan -.

Lui alza le spalle. – Allora ci raggiungerà tra un’ora, come minimo – ribatte, allentando la spessa sciarpa di lana che torna a ricadergli sulle spalle.
Congiunge le mani davanti al volto e sporge il labbro inferiore come se stesse per piangere. – Nemmeno un minuto? Un minutino piccolo piccolo … -.

– Puoi continuare a pregarmi fino a domani, la mia risposta non cambierà – replico, alzando il bavero del mantello con noncuranza. – Abbiamo cinque scope a casa, puoi usarle quando vuoi. Cosa te ne faresti di una nuova? Non puoi nemmeno portarla a scuola, visto che … -.

- … Che quelli del primo anno non possono avere manici di scopa personali – mi interrompe Nick, citando la frase a memoria. – Lo so, lo so – sbuffa, tornando ad analizzare l’interno del negozio, dove un kit per la manutenzione delle scope fa bella mostra di sé in una costosa valigetta di pelle di drago.

La sua espressione corrucciata mi intenerisce.
Mi torna in mente la mattina di qualche mese fa, quando è entrato in sala da pranzo di corsa, sul volto l’espressione più raggiante che gli avessi mai visto. Perfino nonno Cronus era rimasto interdetto per qualche momento - cosa che non accade nemmeno nelle situazioni più imprevedibili, visto il suo incredibile sangue freddo.
Nick aveva continuato a sorridere, nonostante noi due lo guardassimo con gli occhi spalancati e le tazze da thè a mezz’aria. Si era allungato sul tavolo, aveva sgraffignato un biscotto e poi aveva sventolato davanti alle nostre facce sconvolte un pezzo di pergamena.

“E’ arrivata! La mia lettera per Hogwarts è arrivata” aveva detto, anzi urlato, facendo sussultare perfino le cameriere e Mrs Temperance, che se ne stavano tranquille dall’altra parte della stanza a consumare la colazione.

Il nonno ed io ci eravamo scambiati uno sguardo. I suoi occhi nocciola esprimevano allo stesso timore e gioia, che io non potevo fare a meno di ricambiare.
Quella comunicazione silenziosa valeva più di mille parole.

Mi ero alzata di slancio dalla sedia per abbracciare Nick e il nonno mi aveva imitato. Sebbene i suoi modi siano sempre composti e alteri, da vero purosangue, nonno Cronus non risparmia mai gesti d’affetto verso i suoi nipoti. Soprattutto verso Nick, il quale è cresciuto viziato da tutti.
Mi sono incaricata di correggere questo difetto che ho contribuito ad accentuare, prima che diventi irrecuperabile.

Quel giorno mio cugino non ha smesso un attimo di chiacchierare, sorridere e fare continue domande su Hogwarts.
Leggeva e rileggeva quella lettera vergata con un brillante inchiostro verde bottiglia e la maneggiava quasi fosse una preziosa reliquia.

Ho dovuto chiedergli due volte il permesso per poterla anche solo sfiorare. Titubante, lui me l’ha concesso, ma, per tutto il tempo che ho impiegato a leggerla, ha continuato a lanciare rapide occhiate al foglio, quasi temesse che potesse prendere fuoco al solo tocco delle mie dita.
Ora la pergamena è al sicuro nella tasca interna del suo mantello, quella vicina al cuore.

Allungo una mano verso Nick e gli accarezzo delicatamente le ciocche castane scompigliate che gli incorniciano il viso. – Sai che non devi temere nulla, vero? Ad Hogwarts sarai al sicuro, conoscerai nuovi amici e potrai scrivermi ogni volta che vorrai -.

Lui incrocia per un istante i miei occhi, poi abbassa la testa. – Ho paura – confessa a mezza voce. – E se venissi smistato a Tassorosso? Nonno non me lo perdonerebbe mai. E se fossi una frana in tutte le materie? E se tutti mi trovassero strano? E se … -.

– Smettila – lo ammonisco dolcemente, mettendo due dita sotto il suo mento per obbligarlo a guardarmi in faccia. – Poter studiare ad Hogwarts è un onore. Riguardo alla Casa in cui verrai smistato … sappi che ti vorremmo bene lo stesso, anche se dovessi finire a Tassorosso. Nonno non ti cancellerebbe dal testamento per così poco, sta tranquillo. In quanto a ciò che potrebbero pensare gli altri di te, cosa ti ho insegnato? -.

Nick apre la mano a ventaglio e comincia a contare sulle dita. – Uno, sii sempre te stesso, non importa cosa gli altri si aspettino da te. Due, ragiona con la tua testa. Tre, se dicono che sei strano, significa che ti invidiano o ti temono. Quattro, non attaccare mai per primo, ma non esitare a difenderti. E cinque, se vuoi vendicarti, assicurati di avere un piano che ti assicuri di uscirne indenne -.

Terminata l’enunciazione delle mie cinque regole di vita, alza gli occhi su di me.
Non deludo le sue aspettative: gli concedo uno dei miei rari sorrisi – che solo Nick riesce a suscitare – e annuisco con approvazione. – Esattamente. Però ricordati di non nominare mai il punto cinque in presenza del nonno: non penso che gli piacerebbe sapere che ti sto incitando ad andare contro uno dei suoi insegnamenti basilari -.

– Cooperazione e perdono – cita Nick, con una smorfia. – Non mi sono mai sembrate parole da Serpeverde –.

Gli faccio l’occhiolino. – Perché non lo sono, infatti. Nonna Demetra era una Grifondoro, sebbene fosse cugina di secondo grado del nonno. Ed è sempre stata lei a dettare legge al Castello -.

L’espressione schifata di mio cugino si accentua. – Piegarsi così al volere di una donna: ecco, questo non è certamente da Serpeverde -.

– Ne riparleremo quando ti sposerai –.

Lo invito a prendermi a braccetto e Nick si lascia trascinare via dall’entrata del negozio di scope.
Non senza aver prima sospirato teatralmente come se lo stessi scortando al patibolo.

Decido di concedergli un minimo di svago, considerato il suo comportamento inaspettatamente docile delle ultime ore. Frugo nella tasca del mantello e gli porgo un sacchetto di stoffa. – Perché non vai a farti un giro al negozio di scherzi? – propongo, e lo vedo illuminarsi. – Io ti aspetto da Ollivander. Non combinare disastri e vedi di non spendere tutti i galeoni che ti ho dato, altrimenti andrai ad Hogwarts senza bacchetta -.

Nick mette il broncio. – Ma Mysie, noi siamo ricchissimi! -.

- Il nonno è ricchissimo, non noi – lo correggo, mentre tiro su il cappuccio del mantello.

Lui torna all’attacco come se non avessi aperto bocca. – Inoltre fra qualche anno il patrimonio di famiglia passerà a te, quindi tu, da brava sorella maggiore, dovrai sommergermi di regali e lasciarmi sperperare almeno un quarto di tutti quei galeoni come più mi piace. Non ti pare giusto? -.

Alzo gli occhi al cielo per l’assurdità di quel discorso. Quando vuole qualcosa, Nick non esita a ricordarmi di essere diventato, grazie alla bontà di mio padre, un fratello acquisito oltre che cugino. Di solito questa precisazione mi fa cedere; ora, invece, provoca l’effetto contrario.
Punto l’indice verso le luci sfavillanti del negozio di scherzi dei fratelli Weasley. – Ti conviene filare via prima che riesca ad afferrare la bacchetta -.

Nick scoppia a ridere. – A dopo, Mysie – mi saluta, accompagnando il mio soprannome con una linguaccia.

Libero un sospiro di rassegnazione. A volte mi chiedo se questa peste ed io siamo realmente parenti: io alla sua età ero molto più tranquilla ed educata.
- A dopo, piccola felce – mormoro, anche se so che non può più sentirmi. – Vivi spensierato finché puoi. A me non è stato concesso neppure quello -.










 
* * *






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L’eco dei miei passi risuona tra i muri di mattoni scuri che costeggiano la stretta stradina che sto percorrendo a passo spedito, neanche avessi un branco di Inferi alle calcagna.

Un soffio di vento gelido mi costringe a socchiudere gli occhi e incassare ancora di più la testa tra le spalle.
Lancio un’occhiata alla strada alle mie spalle, tanto per assicurarmi di non essere seguito.
È impossibile che qualcuno mi riconosca: il mantello che indosso mi copre da capo a piedi, potrei facilmente confondermi con le ombre del vicolo verso il quale sono diretto.

Volto appena il capo per sibilare: - Sbrigati, Olly, non ho tutto il giorno -.

– Sì, padron Malfoy – squittisce l’elfo in questione, accelerando il passo fino ad arrivare a pochi metri da me.
Si ferma alle mie spalle e tenta di inchinarsi, ma il grosso scatolone che tiene tra le braccia glielo impedisce. Traballa leggermente e si affanna a ritrovare una parvenza di equilibrio, mentre io roteo gli occhi scocciato da tanta goffaggine.

Alla fine mi vedo costretto a prendergli il pacco dalle mani per evitare spiacevoli inconvenienti.
Una volta liberato da quel pesante fardello, Olly strabuzza gli occhi ed emette un gemito. – Chiedo perdono, padrone. Olly si scusa, Olly non intendeva … -.

Lo blocco prima che possa attirare troppo l’attenzione con i suoi lamenti. – Sì, sì. Cammina – borbotto, precedendolo nuovamente in direzione dell’alta porta scura che si intravede in fondo alla via.

Olly si piega su se stesso in un altro maldestro inchino, ripete per almeno altre dieci volte che gli dispiace, prima di zampettare diligentemente fino all’entrata del negozio, accanto alla quale lo sto aspettando. Batto il piede con impazienza, sempre tenendo stretto lo scatolone, mentre lui allunga la mano per aprire la porta.
Si inchina fino a terra e mi lascia passare per primo, tremando leggermente quando il lembo del mio mantello gli sfiora le caviglie esili come ramoscelli.

Non so se fulminarlo con lo sguardo o alzare gli occhi al cielo per l’esasperazione.

Di cosa ha paura? Di me? Cosa diavolo ho fatto per suscitare questo cieco terrore?
Non ho mai alzato la bacchetta su di lui, né su nessuno degli altri elfi domestici di proprietà della mia famiglia.
Non li ho mai minacciati di morte, né picchiati come faceva mio padre.

Mio padre.

Getto una veloce occhiata alla vetrina sudicia prima di avventurarmi oltre la soglia del negozio.
Forse è a causa del mio aspetto se perfino gli elfi che mi hanno visto crescere temono di subire atroci punizioni semplicemente standomi vicino. Come se potessi incenerirli con un semplice schiocco di dita, o le mie iridi fossero mortali come quelle di un basilisco.

Assomiglio troppo a mio padre, lo sento ripetere fin da quando ero bambino. Un tempo lo consideravo un complimento, me ne vantavo in continuazione.
Tutto ciò che volevo era che lui fosse orgoglioso di me: cercavo di conquistare la sua approvazione in ogni modo, mi comportavo esattamente come ci si aspettava dall’unico erede della prestigiosa famiglia Malfoy.

Mi chiedo a cosa siano serviti tutti i miei sforzi di dimostrarmi all’altezza delle aspettative dei miei genitori.
I risultati che ho ottenuto sono un marchio permanente sulla pelle ed uno più profondo, che mi squarcia l’anima.

Mio padre era il mio modello, il mio idolo. Ma era anche un mostro, un fanatico che seguiva ciecamente gli ordini folli del più grande mago oscuro che sia mai esistito.
Un assassino che, pur di restare nelle grazie del suo signore, non ha esitato a sacrificare la propria famiglia ed il futuro del suo unico figlio.

Il figlio di un mostro è mostro a sua volta.

Ho perso il conto di quante volte ho udito sussurrare frasi come questa, nel corso dei due mesi appena trascorsi.
Dopo la condanna di mio padre, è stato indetto un processo contro mia madre e me, altrettanto colpevoli secondo il Wizengamot. Ci avrebbero spediti ad Azkaban con un biglietto di sola andata se non fosse stato per la testimonianza di Potter.

Già, sono in debito con lo Sfregiato. Che gioia.
Mi consola il fatto che mio padre abbia deciso di collaborare alla cattura dei mangiamorte fuggitivi, in una, seppur tardiva, dimostrazione di pentimento.

Avanzo con sicurezza nelle tenebre del negozio che, negli anni precedenti e sempre grazie a mio padre, ho avuto modo di conoscere bene.
Appoggio sul bancone il grande pacco che tengo tra le braccia, mentre Olly spicca un saltello per premere la mano ossuta sul piccolo campanello che i clienti generalmente usano per richiamare l’attenzione del venditore.
È la prima volta che me ne servo, non ho mai avuto bisogno di farmi annunciare da un ridicolo trillo metallico. Rivolgo un cenno di approvazione all’elfo - che si esibisce nel consueto, profondo inchino -, poi rimango immobile ad attendere la comparsa del negoziante. Il dito che tamburella sul legno marcio del bancone tradisce tutto il nervosismo che tento, inutilmente, di dissimulare.

Se non fosse per quel pezzo di pergamena che ho ricevuto due giorni fa, ora non sarei in questo buco polveroso nel quale speravo di non rimettere più piede per almeno un decennio, se non per sempre.

Mia madre ha quasi avuto un infarto quando, dopo aver strappato dalla zampa del gufo quel pezzo di carta stropicciata, ha notato il sigillo di ceralacca color pece sul davanti della busta: il contorno di un esagono con al centro una A stilizzata.
Il simbolo di Azkaban.

La mano di mia madre tremava nel porgermi la lettera ancora intatta. Le orecchie mi fischiavano, ma cercavo di dominare l’inquietudine per non far preoccupare ulteriormente la donna che se ne stava rigidamente appoggiata al bordo del tavolo e aspettava il verdetto con le labbra serrate in una linea dura. L’ultima volta che ci era giunta una missiva con quel sigillo, era stato per comunicarci l’effettiva condanna di mio padre.

Dopo aver rotto con un colpo secco la ceralacca, dalla busta era fuoriuscito un piccolo pezzetto di pergamena, sporca di terra e macchiata di umidità. L’avevo girata lentamente, col cuore che martellava nel petto, perché sapevo che una lettera di quella fattura non poteva provenire dal Ministero.
Il retro del foglio era solcato da poche frasi, scritte sicuramente di fretta e con uno stile inconfondibile.

Draco,
un angelo mi ha assicurato che le catene si spezzeranno.
Vai a caccia del Lupo nordico, usa qualsiasi mezzo.
Vendi tutto quello che tengo chiuso nel segreto, dimentichiamo il passato.

Tuo padre

Era un messaggio in codice, ovviamente. Tutto ciò che entrava o usciva da Azkaban veniva minuziosamente esaminato, la posta in particolare.
Chissà come aveva fatto Lucius a mettere le mani su inchiostro e pergamena.

Avevo riletto quel breve messaggio più volte per afferrare i concetti principali.
Punto primo: una persona aveva promesso a mio padre la scarcerazione.
Punto secondo: per ottenerla, lui aveva dovuto accettare una qualche specie di accordo. Nessuno faceva mai nulla per nulla, lo sapevo per esperienza.
E ora dovevo vendere gli oggetti che teneva nascosti nella stanza segreta sotto il pavimento del salotto. Quando parlavamo tra noi la chiamavamo semplicemente ‘il segreto’, perciò su quella frase non avevo dubbi. Dovevo forse intenderla come una specie di redenzione? O era una delle condizioni per ottenere la liberazione?
Punto terzo: … dovevo cacciare un lupo?

Mia madre aveva capito dalla mia espressione che non si trattava di notizie particolarmente orrende, perciò si era messa al mio fianco per dare un’occhiata al messaggio. Arrivata alla firma, si era tappata la bocca con la mano, come per trattenere un singhiozzo.

Le avevo esposto la mia personale interpretazione e lei si era dimostrata d’accordo.
“E il lupo? Cosa pensi significhi?” le avevo chiesto, sperando che almeno lei avesse decifrato quel riferimento che a me risultava incomprensibile.

Mia madre aveva chiuso un attimo gli occhi, come per scacciare un’immagine poco piacevole dalla mente. “Il Lupo della mitologia nordica, Fenrir”, aveva spiegato in tono grave. “Tuo padre ti sta mandando a caccia di Fenrir Greyback”.

Un secco colpo di tosse mi riporta alla realtà.

L’uomo che mi sta osservando con cipiglio altezzoso dall’altra parte del bancone non è Borgin, il proprietario di Magie Sinister noto per il contrabbando di oggetti oscuri.
A giudicare dall’indifferenza con cui si sofferma sui miei capelli color oro pallido - un tratto distintivo dei Malfoy -, deduco che non sappia nulla della mia famiglia.
Ecco spiegato il motivo di quell’occhiata arrogante che mi sta irritando oltre ogni dire.

Come fa a non riconoscermi?

Credevo di essere diventato famoso quasi quanto Potter, ma a quanto pare mi sbagliavo.
Non so se la cosa mi faccia piacere, stavo cominciando ad apprezzare quest’improvvisa popolarità.

Il tizio oltre il bancone riserva a Olly e alla mia persona una smorfia palesemente schifata, poi posa gli occhi sullo scatolone di cartone grezzo. – Posso esservi utile? – chiede a labbra strette, come se perfino parlare con me lo disgustasse.

È evidente che non sa con chi ha a che fare.
Nonostante la guerra sia terminata da ben quattro mesi, ho notato che i mangiamorte incutono ancora terrore.
Perché non approfittarne?

Non volevo arrivare a tanto, ma …

Con noncuranza, senza perdere il contatto visivo, tiro su la manica del maglione che porto sotto al mantello e metto in bella mostra il Marchio nero.

Il volto dell’uomo si fa mortalmente pallido e deglutisce a vuoto un paio di volte, prima di farfugliare: - Io … voi … non … -.

Ignoro i suoi balbettii incoerenti. – Sono qui per vendere. La merce è in buono stato – dichiaro lapidario, aprendo la scatola con un colpo di bacchetta. Lo invito ad esaminare gli oggetti, sfidandolo a contraddire la mia precedente affermazione. – Troverete la lista e i prezzi fissati sul fondo. Non accetto contrattazioni -.

Lui annuisce freneticamente. – S-sì, signore -.

E’ comico vedere come certe persone diventino estremamente servizievoli con il giusto incentivo.
Quest’uomo non fa eccezione. Mi ha perfino chiamato ‘signore’!
Se indossasse una casacca logora, potrei facilmente scambiarlo per il fratello maggiore di Olly.

Le mie labbra non riescono a trattenere un ghigno perfido. – Oggi mi sento generoso – continuo, in tono mellifluo. Lui si irrigidisce appena, ma non smette di fissarmi. – Ho qualcos’altro per voi. Gratis -.
Accentuo l’ultima parola e tiro fuori una scatolina di velluto dalla manica del mantello. La apro con un dito, analizzando attentamente la reazione del commesso.

I suoi occhi scuri come l’ebano cominciano a scintillare quando capisce di cosa si tratta. – P-posso? – domanda, allungando entrambe le mani.

Alzo le spalle. – Fateci quel che volete. È vostro – affermo, e lui si prodiga in inchini degni del più umile degli elfi domestici.
Quando lancio uno sguardo ad Olly, capisco di non essere l’unico a trovarlo viscido e ripugnante come un insetto di dubbia provenienza. – In cambio pretendo solo un piccolo favore -.

Il mago perde il sorrisetto intriso di cupidigia che gli si era dipinto in viso alla vista del grosso diamante e si fa subito guardingo.

Piazzo sul bancone un pezzo di carta stropicciata. L’ho strappato da uno degli ultimi numeri della Gazzetta del Profeta: in mezzo all’articolo sulle ultime condanne ai danni dei mangiamorte - nel quale si offre una lauta ricompensa per la cattura dei fuggitivi -, spicca la foto in bianco e nero di Fenrir Greyback. – Tenete occhi e orecchie ben aperti. Se dovesse giungervi qualche voce, non esitate a contattarmi -.

Spingo verso il negoziante fattosi improvvisamente reticente la scatolina con la pietra preziosa che apparteneva ai cimeli di famiglia da generazioni.

Se può contribuire alla liberazione di mio padre, non mi faccio scrupolo a disfarmene.
Lucius Malfoy sarà anche un mostro, un brutale assassino, ma resta pur sempre mio padre.

E, per me, la famiglia viene prima di tutto il resto.

 
 








 
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Ciao gente! Sono riuscita a terminare il primo capitolo a tutti gli effetti, quindi mi sembrava giusto pubblicarlo subito, tanto per darvi un assaggio dei protagonisti della storia (non so se per i prossimi capitoli riuscirò ad essere tanto rapida) ;)

Per Artemis (Mysie) ho scelto come presta volto l’attrice Katie McGrath (che interpreta Morgana nel telefilm ‘Merlin’);
alla fine di ogni capitolo troverete le foto dei vari personaggi ;)


Olly l’elfo deve il suo nome al cantante Olly Murs (che adoro) e il sigillo di Azkaban è una mia invenzione ;)

A presto,

Lizz
 


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Cronus

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Capitolo 3
*** Tra libri e coltelli ***








 

Capitolo 2

 

       Tra libri e coltelli






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Esco da Magie Sinister quasi di corsa, lasciando Olly ad occuparsi della riscossione dei galeoni.

Ovviamente, i prezzi che ho stabilito sono inferiori al valore originale degli oggetti che mio padre conservava nella stanza segreta. Non volevo rischiare che il commesso rifiutasse l’affare: conoscendo l’avarizia dei proprietari di quel negozio, ho anteposto il fine al guadagno.
Non che la cosa mi sia dispiaciuta particolarmente: sono più che felice di essermi liberato di quel materiale che mio padre usava per i suoi esperimenti oscuri. Veleni, strumenti per la negromanzia e la tortura … rabbrividisco al solo pensarci.
Sono riuscito ad infilarli in quel pacco solo grazie alla magia, non mi sarei mai azzardato a toccarli a mani nude.

Mi appoggio con la schiena al muro di mattoni accanto al negozio e osservo distrattamente le nuvole scure che si rincorrono nel cielo.
Nonostante il Signor Osc… Voldemort – devo imparare a pronunciare il suo vero nome, accidenti! – sia morto, l’ambiente risente ancora degli effetti dell’aura malvagia che si è scatenata durante la sua ascesa. Tempeste di neve, ad agosto! Già, decisamente non è ciò che ci si aspetterebbe di vedere in piena estate.

Fortunatamente oggi il tempo si è dimostrato più clemente del solito. Solo qualche fiocco di tanto in tanto, accompagnato da una temperatura che finora credevo raggiungibile solo d’inverno, nei sotterranei di Serpeverde.

Tiro su il cappuccio del mantello, per ripararmi dalle sferzate di vento gelido e strofino le mani per riportare un po’ di calore ai polpastrelli.
Ho le dita gelate, come mi capita solo quando sono estremamente nervoso.

Uno scalpiccio frettoloso mi distrae dalle mie riflessioni, facendomi sussultare. Indietreggio di qualche metro per nascondermi in una nicchia del muro e, dopo essermi assicurato di avere il volto ben coperto, mi volto verso la fonte del rumore improvviso.

Una figura esile sta percorrendo di corsa la strada principale di Notturn Alley.
Quando arriva a pochi metri da me capisco che si tratta di un ragazzino, vestito con abiti di chiara foggia babbana. La sua folta chioma ricciuta, color rosso acceso, mi fa immediatamente pensare ai Weasley. Che sia uno dei tanti figli di quel babbanofilo di Arthur? Quanti sono, dodici?

Tuttavia il cappotto grigio che indossa pare costoso, nuovo di zecca, di certo non il tipo di capo che si potrebbe trovare negli armadi di quei pezzenti. Aggrotto le sopracciglia. Che diamine ci fa un bambino tutto solo in giro per un quartiere malfamato come questo?

Le poche persone che passeggiano per la via – principalmente individui equivoci, streghe dall’aspetto terrificante e contrabbandieri senza scrupoli – sembrano stupiti da quell’insolita presenza quasi quanto me. La maggior parte fa finta di nulla, altri lo fissano come se avessero avvistato un succulento pezzo di carne su cui affondare i denti. Mentre decido se intervenire o meno in suo soccorso, il ragazzino si ferma in mezzo alla strada e rimane immobile come una statua.
Dalla sua espressione terrorizzata capisco che si è reso conto che una delle streghe sedute sui ciottoli lo sta fissando con insistenza.

E’ mortalmente pallida, indossa una lunga tunica color pervinca e ha i capelli di una raccapricciante tonalità verde foglia. Sotto i nostri sguardi inorriditi – il mio e quello del bambino -, fa un accenno di sorriso, che mette in mostra i canini aguzzi, e si passa la lama di un coltello tra le labbra. Un rivolo di sangue le cola dalla bocca, ma lei non sembra curarsene più di tanto. Ha ancora gli occhi puntati sul bambinetto: non lo perde di vista nemmeno per un istante e sono più che certo che le sue intenzioni siano tutto fuorché amichevoli.

Ci mancava solo questa.

Devo essere l’unico esemplare di mangiamorte dotato di coscienza.
La quale, oltre ad essere viva, vegeta e perfettamente funzionante, pare essersi decisa a fare gli straordinari.

Non mi sarò mica lasciato contagiare dalla mania di protagonismo di Potter, vero? Da quando in qua scelgo di aiutare spontaneamente un’altra persona?
Non ero io il codardo per eccellenza? Sbuffando d’irritazione - e maledicendo la vocetta che mi sta incitando a darmi una mossa - mi preparo ad intervenire.

- Lascia stare il ragazzo -.

Non sono stato abbastanza rapido. Qualcun altro mi ha preceduto e si è schierato in difesa del ragazzino.
Una figura abbastanza alta, avvolta in un mantello nero simile al mio, afferra il piccolo per la spalla e lo scuote delicatamente.
Lui strizza le palpebre come se faticasse a inquadrare l’ambiente che lo circonda, come se … accidenti, quella megera lo stava ipnotizzando. Ecco perché restava immobile a guardarla e non reagiva!

– Guarda, guarda – esclama l’arpia in questione, alzandosi in piedi lentamente. Allunga una delle sue unghie ad artiglio verso la figura incappucciata, che ora si è piazzata davanti al bambino come per fargli da scudo. – Chi abbiamo qui? – gracchia, leccando via le gocce cremisi che le si erano appiccicate al mento.
Annusa l’aria come un animale che ha fiutato la preda. – Sangue reale, stirpe di re. L’ultima felce d’argento. Quale onore -. Ridacchia e fa una riverenza derisoria alla sconosciuta.

So che si tratta di una donna perché la voce che ho sentito era indubbiamente femminile. La lunga treccia scura che sbuca dal cappuccio del mantello me lo conferma.
- Non disturbarti – ribatte la misteriosa salvatrice, in tono freddo. Estrae la bacchetta dalla manica e la punta contro la strega in viola. - Faccio volentieri a meno dei tuoi omaggi -.

La megera ridacchia ancora, ma è un suono nervoso e falso. L’apparizione di quel legnetto ha cancellato di colpo tutta la sua spavalderia. – State cercando di spaventarmi, Milady? -.

– No – replica l’altra con sfrontatezza. – Ci sto riuscendo –.
Posso quasi vedere il ghigno beffardo che accompagna quelle parole e non posso fare a meno di ammirare quell’incredibile autocontrollo.
Io sarei già scappato a gambe levate davanti all’occhiata assassina della mezza-vampiro.

L’arpia digrigna i denti, ma non accenna a replicare.
La ragazza ne approfitta per muovere qualche passo in direzione del passaggio che conduce a Diagon Alley, sempre tenendo la bacchetta rivolta verso l’avversaria. Trascina con sé il bambino, che ha le guance pallide come quelle di un fantasma e non accenna a staccarsi dal lembo del suo mantello. Lui conosce l’identità della misteriosa salvatrice. Lo capisco da come la guarda, quasi in adorazione, e dalla fiducia con cui si lascia condurre via.

Mi ritrovo ad invidiare quel moccioso. Non so nemmeno io perché.
So solo che anch’io voglio conoscerla, voglio poter associare quella voce imperiosa e quei modi combattivi ad un volto.

Proprio quando sto per uscire dal mio nascondiglio per seguire la coppia di fuggitivi, la megera fa un passo in avanti e scaglia il coltello verso la ragazza.
Sento il sangue gelare nelle vene.

Si può sapere cosa stai aspettando, Draco?! Usa la magia! Presto!

Per Salazar, sto davvero pensando come uno di quei bambocci dell’Esercito di Silente.
Odio avere una coscienza.

Frugo nella tasca alla ricerca della bacchetta, ma, anche questa volta, la ragazza precede il mio intervento.
La sua mossa è molto più veloce di qualsiasi incantesimo io possa mai sperare di lanciare.

Si gira di scatto e afferra prontamente la lama, a neanche venti centimetri dal volto. La tiene sospesa davanti agli occhi per un momento, poi, con un movimento deciso del polso, la rispedisce alla mittente. Il coltello compie una stretta parabola, finendo per conficcarsi nel muro alle spalle della mezza-vampiro.
A due millimetri dalla sua chioma verde foresta.

– Non sfidarmi, Zamia – tuona la sconosciuta in nero all’indirizzo della megera. La sua voce non trema nemmeno: è secca come un colpo di frusta, letale come una freccia avvelenata. – Non farlo mai più –.

La megera stringe gli occhi. Aspetta che la ragazza si allontani di qualche passo per sibilare: – Lui ti troverà, figlia di Morgana –, con un tono che mette i brividi.

Ormai tutte le persone che si trovano lungo la strada si sono fermate ad osservare la scena: i loro sguardi saettano dall’arpia in viola all’incappucciata come se stessero seguendo i passaggi di pluffa di due cacciatori in un’immaginaria partita di Quidditch.

La sconosciuta, sebbene si sia irrigidita alle parole della mezza-vampiro, non risponde e riprende a camminare.
Gli spettatori si scostano per lasciarla passare, alcuni accennano addirittura un inchino.

Sento la ruga di perplessità che solca la mia fronte farsi ad ogni secondo più pronunciata.
Si può sapere chi diavolo è quella ragazza? E perché tutti sembrano conoscerla a parte me?!

Lei e il bambino sono quasi scomparsi nell’angusto passaggio che porta a Diagon Alley, ma la megera non demorde. – Lui ti troverà, stanne certa. Non potrai nasconderti per sempre, principessa – aggiunge, allargando le labbra in un sorriso perverso, che mette in mostra i lunghi canini.

Trattengo il respiro quando la ragazza volta leggermente il capo.
Perfino la mezza-vampiro reprime un brivido: l’occhiata di fuoco che le sta inviando la sconosciuta è percepibile anche se celata dal cappuccio. – Che mi trovi. Lo sto aspettando – dichiara, prima di seguire il ragazzino oltre l’arco del portico che separa i due quartieri della Londra magica.

Non intendo lasciarla fuggire.

Mentre mi precipito al suo inseguimento quasi inciampo su Olly, appena uscito da Magie Sinister e già prostrato ai miei piedi.
Mi porge un sacchetto di pelle tenendo lo sguardo ostinatamente puntato a terra. – Olly ha fatto come il padrone ha ordinato, ma ha dovuto minacciare quell’uomo due volte prima di avere il denaro che spettava al padrone … -. La sua vocetta stridula si spezza verso la fine della frase e china ancora di più il capo, come se si aspettasse una terribile punizione.

Inarco un sopracciglio. – Beh, e allora? – chiedo, spazientito.
Non ho tempo da perdere con lui e i suoi lamenti. Ho una ragazza da inseguire.

L’elfo si torce le lunghe dita scheletriche. – Olly ha … Olly ha detto che il padrone è cattivo, molto cattivo, e che gli avrebbe lanciato una maledizione se non avesse dato i soldi a Olly … -.

Il suo tono contrito suscita una risata spontanea da parte mia. – Ben fatto – affermo, prendendo il sacchetto tintinnante dalle sue mani. – Ora va a casa, Olly. E dì a mia madre che tornerò per cena -.

Lui sgrana gli occhi e balbetta degli increduli ringraziamenti. – Sì, padrone. Subito, padron Malfoy -.
Allunga una mano per afferrare il bordo del mio mantello e si inchina. Mi allontano un attimo prima che inizi a sbaciucchiare la spessa stoffa e gli faccio cenno di andare. Olly obbedisce all’instante, scomparendo con un sonoro crack.

Comincio a correre. Attraverso la strada, passando tra gli spettatori che ancora non si sono decisi a sloggiare, e mi fiondo verso Diagon Alley.
Quando giungo davanti alla vetrina del Giglio Nero – la più famosa gioielleria di tutta la Londra magica – mi fermo per riprendere fiato e guardarmi attorno, alla ricerca della misteriosa ragazza. Il viale costeggiato da negozi è affollato come ogni pomeriggio, pieno di gente che indossa esattamente lo stesso tipo di mantello della ragazza che bramo di ritrovare.

Ma perché poi? Cosa spero di scorgere al di sotto di quel cappuccio?
Non lo so nemmeno io. Eppure quella voce … aveva un non so che di familiare.
Mi ha trasmesso una bella sensazione, un … senso di appartenenza?

Sto delirando, non c’è altra spiegazione. Lancio un’ultima occhiata alla folla di persone che mi circonda: è inutile che mi affanni, la preda mi è sfuggita.
Caccia terminata.

Con un grugnito di frustrazione, mi dirigo verso uno dei pub meno frequentati. Non mi va di incontrare nessuno di mia conoscenza.
Tuttavia dopo dovrò per forza fare un salto al Ghirigoro per comprare i nuovi libri e lì non avrò scampo.
Di certo mi imbatterò in qualche compagno di scuola e, a causa della sfortuna che non sembra darmi un attimo di tregua, si tratterà sicuramente di quello sfregiato di Potter.











 
* * *






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Rallento il passo solo quando sono certa di aver messo una distanza sufficiente tra noi e quell’arpia diabolica.
Diciamo mezzo chilometro.

La luce della lanterna appesa accanto all’insegna del negozio di Madama McClan illumina debolmente il volto pallido di Ruben, che ha il occhi lucidi e tira su col naso per tentare di ricacciare indietro le lacrime.

Gli passo una mano tra i capelli, un gesto che compio sempre per rassicurare Nick quando è giù di morale. – E’ tutto a posto. Sei al sicuro, ora – mormoro, tentando di mascherare il tremito leggero della mia voce.

Quella mezza-demone è stata fortunata: se quando mi ha attaccata fossi stata sola, non gliel’avrei fatta passare liscia.
Zamia dovrebbe essere grata al ragazzo che mi sta davanti se l’ho lasciata con tutti gli arti al proprio posto. Ho scagliato anatemi mortali per molto meno.

Abbasso il cappuccio per incrociare gli occhi spaventati di Ruben. – Ça va, mon petit. Pas de panique, c’est fini -.

Quella frase, che ho pronunciato nella sua lingua madre per tranquillizzarlo, sembra ottenere l’effetto opposto.
Lui si rifugia tra le mie braccia e scoppia a piangere. – Elle … elle était une vampire, n’est pas? Ces yeux … -.
Non termina la frase, ma rabbrividisce e dalla gola gli sfugge un singhiozzo soffocato.

Mi allontano di poco per poterlo guardare in faccia. – Qu’est-ce que tu faisais là? Quel posto è pericoloso anche per i maghi adulti, dovresti saperlo -.

Ruben annuisce. Prende un bel respiro e si strofina le guance umide con il dorso della mano. – Dovevo raggiungere Minia all’Emporio del Gufo e così non ho fatto caso a dove stavo andando. Puis cet homme-là* … quel signore mi ha detto che se volevo fare più in fretta, mi avrebbe indicato una scorciatoia ed io gli ho creduto … -. Alza su di me le sue iridi azzurro cielo in uno sguardo implorante. – Mi dispiace tanto, Mysie. È colpa mia se quella ti ha … -.

Minimizzo l’accaduto con un gesto della mano. - Non fa nulla. L’importante è che tu stia bene. Tremo al pensiero di quello che poteva succedere se non ti avessi trovato -.

Ruben fa una piccola smorfia. – Sei come Roxi. Vi preoccupate sempre per gli altri e mai per voi stesse – dichiara, quasi in tono imbronciato.

Sento un tuffo al cuore quando pronuncia il soprannome di sua sorella, la mia migliore amica. – Ci hanno fatte con lo stampino … - comincio a dire, ma lui mi precede e completa la frase.

- … e poi l’hanno gettato via. Ecco, parli anche come lei – dichiara, ridacchiando. – La vecchia Artemis non avrebbe mai inserito dei modi di dire babbani in un discorso. Roxi ti ha contagiato -.

- Roxi contagia tutti -.
Faccio un sorriso, ma è triste e pieno di amarezza.
Ruben ha ragione: se non avessi conosciuto Roxi, probabilmente sarei diventata una delle tante purosangue che non fanno altro che parlare di alberi genealogici e che trattano i babbani come fossero feccia.
Lei, una mezzosangue, mi ha dimostrato che non è la magia in sé a rendere un mago superiore, ma l’uso che se ne fa.
Nonostante le nostre origini e i nostri caratteri siano diametralmente opposti, Roxanne Scarlett Darcy ed io siamo molto più simili di quanto tutti credano.
Quello che ci unisce va al di là delle normali convenzioni. È un legame fatto di segreti, potere e dolore.

Sto per chiedere a Ruben che fine abbia fatto sua sorella, quando la porta del negozio di abbigliamento si spalanca di botto.
La sagoma che si staglia sulla soglia è minuta, vestita con abiti babbani – jeans strappati al ginocchio e una felpa bianca con la scritta Red Rulez – e assomiglia in modo impressionante al ragazzo che mi sta di fianco. – Ruben Rot Darcy! – sbotta, avanzando a grandi falcate finché non arriva a un palmo dal naso di lui. – Si può sapere dov’eri finito?! Ho setacciato metà dei negozi di Diagon Alley per trovarti! -.

Ruben china il capo con aria afflitta. – Scusa, Minia -.

Lei ha entrambe le mani sui fianchi e un cipiglio da generale. – Scusa un corno! Per Morgana, sai quanto mi sono spaventata? Mamma per poco non mi uccide quando le ho detto che eri sparito! E poi … -. Si blocca per guardarmi, come se si fosse accorta solo in quel momento della mia presenza, e rimane a bocca aperta.

– Buonasera, Carminia – dico, con una nota divertita nella voce. La sua espressione di stupore è quasi comica. – Ruben sta bene. Ci siamo incontrati per strada e l’ho trattenuto a chiacchierare. La colpa del suo ritardo è solo mia –.

Lei batte le palpebre, mi squadra da capo a piedi e poi lancia un gridolino.
Mi trattengo a fatica dall’alzare gli occhi al cielo. Tre, due, uno

- Artemis! – cinguetta, gettandosi di slancio tra le mie braccia. L’afferro a mezz’aria, impedendo così a entrambe di finire lunghe distese a terra. – Oh Merlino! Sono così felice di vederti! Come stai? Come mai sei qui? Ah già, che sciocca, sei venuta con Dominic, vero? È il suo primo anno, no? In che negozi siete stati? Avete visto le nuove scope da corsa? E le nuove uniformi? E … -.

- Minia, lasciala respirare. Così la strozzi – commenta una voce alle spalle della quindicenne, che mi lascia andare con un sorrisetto di scuse.
Scuote la lunga chioma infuocata e si volta verso la nuova arrivata. – Tutto a posto, mamma. Ruben era con lei -.

Malva Darcy mi fa l’occhiolino. – Perdona l’invadenza dei miei figli, hanno preso tutto da me -.

- Nessun problema – replico, chinandomi appena per permetterle di abbracciarmi.
Nessuno dei Darcy è particolarmente alto; l’unica che raggiunge il metro e settanta è Roxanne e supera tutti i familiari di trenta centimetri buoni.
Guardo il trio dai capelli color cremisi con curiosità. – Dovrei essere io a chiedervi cosa ci fate qui. Non frequentate Beauxbatons voi due? -.

Minia infila il giubbotto che sua madre le porge. – Siamo qui in vacanza e per fare acquisti – spiega, indicando le borse stracolme di stoffa e accessori che le svolazzano intorno. – A Beauxbatons le lezioni cominciano ad ottobre, quindi abbiamo ancora un po’ di tempo libero. Ne abbiamo approfittato -.

- Avete fatto bene – affermo, incrociando gli occhi blu di Malva. – Venite pure a trovarci quando volete. Il nonno mi chiede spesso vostre notizie: sarà contento di ospitarvi a Silver Castle -.

- E farvelo visitare da cima a fondo – completa una voce allegra.
Volto la testa per lanciare un’occhiata a Nick, che mi viene incontro con le braccia cariche di pacchi, scortato dalla figura slanciata e ossuta di Mrs Temperance.

Quest’ultima fa un rigido cenno del capo in direzione dei Darcy, per poi rivolgersi a me con sollecitudine. – Milady, Lord Silverfern ci aspetta per cena. Il signorino Dominic -, qui Nick fa un colpo di tosse, per ribadire quanto detesti essere chiamato col suo nome completo, - deve ancora comprare i libri e la bacchetta. Mi sono offerta di accompagnarlo, ma … -.

- Ma tu mi avevi promesso che ci saremmo andati insieme! – esclama Nick, dopo aver salutato con calore la ‘famiglia dalle chiome vermiglie’, come li chiama nonno Cronus.

Mrs Temperance fa un sospiro di rassegnazione e libera Nick dalle borse degli acquisti, facendole levitare come quelle di Minia. – Vi aspetto al Paiolo Magico. Non fate tardi – ci intima, ed io devo mordermi la lingua per non farle notare che ormai sono maggiorenne e che, se ho combattuto una guerra, posso benissimo affrontare Diagon Alley al tramonto senza correre rischi.

- Mamma posso andare anch’io con loro? – domanda Ruben, facendo gli occhi dolci a Malva. – Roxanne dice che nessuna libreria è più fornita del Ghirigoro e … -.

- D’accordo, ma non comprare altri libri sul Quidditch – lo ammonisce lei, allungandogli alcune monete. – Tra i tuoi e quelli di Minia potremmo aprire noi stessi una libreria -.

Ruben fa un sospiro affranto, mentre Nick scoppia a ridere.
I due si scambiano un’occhiata complice e, di comune accordo, mi trascinano via prima che le due donne trovino altre obiezioni per dissuaderci a proseguire con gli acquisti.

Quando arriviamo al Ghirigoro, mollano le mie mani e mi tengono aperta la porta come due impeccabili gentiluomini. – Che ruffiani – mormoro tra me, nel varcare la soglia. L’interno del negozio è luminoso e decisamente affollato, l’aroma di pergamena nuova aleggia dell’aria.
I libri sono ovunque: sugli scaffali, in pile disordinate sui tavoli di consultazione, ammucchiati agli angoli. Mi dirigo senza esitare verso il piano superiore, dove sono custoditi i volumi più antichi, e lascio i miei due accompagnatori liberi di scorrazzare al reparto dedicato al Quidditch.

Salgo la ripida rampa di scale e oltrepasso un gruppo di ragazzine chine su un libro rilegato in cuoio blu scuro. Sfogliano febbrilmente le pagine e lanciano continui gridolini estasiati. Spinta dalla curiosità, mi dirigo verso lo scaffale alla loro destra, pieno zeppo di quei volumi e ne afferro distrattamente uno.

Sgrano gli occhi alla vista della foto in copertina.
Un giovane dai capelli castano dorati ricambia il mio sguardo sconvolto ammiccando scherzosamente: si passa una mano tra i capelli già scompigliati ad arte e mi rivolge un affascinante sorriso sghembo. Accanto a lui ci sono altre tre persone: una ragazza in minigonna, un uomo con una chitarra in mano e … Roxanne.
Sì, è proprio lei. La sua riccia chioma rosso acceso è inconfondibile.

Le mie labbra si curvano verso l’alto mentre leggo il titolo del volume. La biografia ufficiale dei Nightshade, autografata dai membri della band e con tutti i testi dei loro maggiori successi. Ripongo il libro sullo scaffale, rispondendo con una smorfia al sorriso del leader del gruppo.

- Sei la prima che reagisce così davanti alla foto di Caleb Rochester – commenta una voce strascicata alla mia destra.

Vengo percorsa da un brivido e mi volto di scatto, irritata e allo stesso tempo sorpresa da quella reazione involontaria del mio corpo.
Incrocio due penetranti occhi grigio azzurri, nei quali brilla una scintilla di ironia. – Non sei una fan dei Nightshade? – mi chiede il ragazzo a cui appartiene quello sguardo color tempesta. È appoggiato con la schiena alla ringhiera in legno – dalla quale ci si può affacciare al piano terra – e tiene tra le mani un grosso libro dall’aria costosa. Lo sta sfogliando distrattamente con l’indice della mano destra, attorno al quale fa bella mostra di sé un anello d’argento con sigillo.

Rimango in silenzio a fissare le ciocche lisce che gli ricadono sulla fronte ampia: sono talmente chiare da sembrare bianche, tranne per qualche riflesso dorato creato dalla luce delle lampade.
Ho già visto quella stessa tonalità, abbastanza spesso di recente - principalmente nelle foto apparse sulla Gazzetta del Profeta -, ma soltanto una volta dal vivo.
Una settimana fa, ad Azkaban.

Rimango ad osservare quel volto pallido e affilato per un bel pezzo, dimenticandomi del tutto della domanda che mi era stata rivolta.  
Draco Malfoy distoglie lo sguardo da me per posarlo sul gruppo di ragazzine al mio fianco.
Mi rendo conto solo in quel momento di avere i loro occhi puntati addosso: mi guardano come se si aspettassero di vedermi sputare fuoco da un istante all’altro. Esitano un istante, poi lasciano cadere a terra la biografia della band e si precipitano giù per la scalinata, neanche avessero visto un demone infernale.

Aggrotto le sopracciglia davanti a quella reazione incomprensibile e rimetto a posto il libro con un incantesimo non verbale.
Quando mi volto nuovamente verso di lui, scopro che Draco Malfoy non mi sta più fissando.
Gli angoli delle sue labbra sono piegati impercettibilmente verso il basso e l’espressione si è fatta di pietra. Chiude di colpo il libro e lo ripone sullo scaffale, indugiando un attimo con le dita sul dorso rugoso. – Come mai tu non fuggi via? Dovresti essere terrorizzata. Uno sporco mangiamorte ti ha appena rivolto la parola -.

Qualcosa nel suo tono ironico e sprezzante mi fa sorridere.
Lui nota la mia espressione divertita e inarca un sopracciglio con aria perplessa.

- Non sono una che scappa – dico, alzando il mento e sfoggiando l’orgoglio che contraddistingue tutti i Silverfern. – E non ho paura di te –.

Gli occhi grigi dell’erede dei Malfoy mi scrutano da capo a piedi come se stessero analizzando una specie di animale in via d’estinzione.
Apre bocca per ribattere, ma il sopraggiungere di due piccole pesti glielo impedisce.

Nick e Ruben mi circondano e iniziano a parlare nello stesso momento. Devo concentrarmi per afferrare i loro discorsi sovrapposti.

- Mysie, guarda cos’ho trovato! -, questo è mio cugino, che apre un libro sulla storia del Quidditch e indica una foto in bianco e nero di un battitore intento a scagliare un bolide contro il cercatore avversario, - E’ lo zio! Zio Atlas! – esclama, mentre io traccio con un dito i contorni dell’immagine.

– Uno dei suoi tanti hobby – replico, scuotendo il capo.
Zio Atlas è in realtà il nostro prozio, l’eccentrico fratello minore di nonno Cronus. Tutti lo classificano come il più strano dei Silverfern, la pecora nera di famiglia. Io lo trovo geniale, il suo senso dell’umorismo è impareggiabile: oltre a Nick, è l’unico che riesce a farmi ridere.

Restituisco il libro a mio cugino e presto attenzione a Ruben, che si era gentilmente fatto da parte mentre esaminavo l’articolo sullo zio Atlas.
Lui mi sorride e indica lo scaffale pieno di biografie dei Nightshade. – Dici che dovremmo comprarlo? -.

Nick fa finta di rabbrividire. – Ti prego. Come se convivere con lui in carne e d’ossa non sia già abbastanza – borbotta, rivolgendo una smorfia alla foto ammiccante di Caleb Rochester.

– E’ pur sempre nostro cugino – ribatto, tentando di essere diplomatica.

Tuo cugino – specifica Nick, e poi, perfidamente, aggiunge: - E il tuo fidanzato -.

– Farò finta di non aver sentito – borbotto io, seccata da quella precisazione. – Lo tollero solo perché è mio parente stretto. Non vedo l’ora che lui e Roxi si sposino, così quella pagliacciata, che il nonno si ostina a chiamare contratto matrimoniale, verrà ridotta in cenere -.

Le due pesti scoppiano a ridere, facendomi irritare ancora di più.
Detesto parlare di quel contratto - e di Caleb in generale - e loro lo sanno bene. La mia vendetta non si fa attendere.

Fulmino entrambi con una delle mie celebri occhiate truci e punto l’indice sulla fronte di Nick. – Ti concedo dieci minuti per comprare i libri che ti servono. Se ritardi anche solo di un secondo, andrai da Ollivander con Mrs Temperance -.

Mio cugino spalanca la bocca per protestare, ma io lo anticipo. – Regola numero quattro, piccola felce. Sapevi a cosa andavi incontro provocandomi –. Faccio oscillare l’indice davanti al suo volto nell’imitazione di un pendolo. – Tic, toc. Tic, toc – scandisco, con un ghigno maligno sulle labbra.

Nick parte a razzo – altra espressione importata da Roxi – diretto al reparto dedicato ai testi scolastici.
Ruben sogghigna e, dopo aver rivolto un ultimo sguardo alla foto dei Nightshade, scende al piano terra, probabilmente per rimettere a posto il libro sul Quidditch.

Sento qualcuno applaudire alle mie spalle.
Draco Malfoy è rimasto ad osservarmi per tutto il tempo, mi ero quasi dimenticata della sua presenza.
Mi scruta con una strana luce negli occhi. – Non ti ho mai vista ad Hogwarts, ma sono pronto a scommettere che saresti stata una perfetta Serpeverde –.

- Sì, me lo dicono in molti – replico, alzando le spalle con noncuranza.
Gli rivolgo un cenno del capo prima di imboccare la rampa di scale che conduce al piano di sotto. – E’ stato un piacere. Addio, signor mangiamorte -.

Le labbra sottili del ragazzo si piegano in un ghigno. – A presto, cugina di Caleb Rochester -.

Faccio l’ennesima smorfia schifata al suono di quel nome.
D’accordo, me la sono cercata.
I Malfoy sono avversari da non sottovalutare, devo tenerlo a mente.









 
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Ciao a tutti! Ecco a voi il terzo capitolo ;) che ne pensate del primo incontro tra Draco e Artemis? Vi è piaciuto?
Aspetto i vostri commenti: le opinioni di voi lettori sono fondamentali per chi scrive.


Sotto troverete le foto dei presta volto che ho scelto per i personaggi della storia ;) I cognomi di Roxanne e Caleb (Darcy e Rochester) sono in onore di due dei miei romanzi preferiti (Orgoglio e Pregiudizio e Jane Eyre).

A presto,

Lizz

p.s. il Giglio Nero e i Nightshade sono mie invenzioni ;)


*vi metto anche la traduzione delle frasi in francese: “Va tutto bene, piccolo. Niente paura, è finita” - “Lei era un vampiro, vero? I suoi occhi …” - “Cosa ci facevi lì?” - “E poi quell’uomo …”.








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Capitolo 4
*** Degno di fiducia ***










 

Capitolo 3

 

          Degno di fiducia





 




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Non appena metto piede al di là della barriera, storco la bocca e prendo seriamente in considerazione l'idea di retrocedere e tornarmene a casa.

L'espresso per Hogwarts emette un leggero sbuffo di fumo proprio in quel momento, purtroppo non abbastanza denso da nascondere la folla radunata sul bordo del binario. Tutto questo chiasso minaccia di farmi uscire di testa.

Sono felice di aver convinto mia madre a rimanere al Manor. E' ancora troppo sconvolta dalla condanna inflitta a mio padre: non è più uscita di casa dal processo, quindi dubito che sarebbe riuscita a reggere le occhiate disgustate, indignate e terrorizzate che mi accompagnano per tutto il tempo che impiego a raggiungere una delle carrozze. Mi costa molta fatica mantenere un'espressione fredda e distaccata quando l'unica cosa che vorrei fare è scappare a gambe levate.

Io ad Hogwarts non ci volevo tornare.

Quando è arrivata la lettera, ho perfino pensato si trattasse di uno scherzo di pessimo gusto. Invece era autentica, con tanto di sigillo del Preside e tutto il resto. Silente deve essere impazzito. Non gli è bastato il mio primo - e assolutamente patetico - tentativo di ucciderlo? Cosa vuole dimostrare, di essere in grado di redimere un mangiamorte? Sta provando a mostrarmi la retta via? Mi chiederà forse di diventare uno dei migliori amici di Potter?
Mi viene la nausea alla sola idea.

Perché diavolo ho accettato? Di sicuro ero sotto Imperius, non c'è altra spiegazione.
Scuoto la testa e do un colpetto di bacchetta sul coperchio del baule, facendolo levitare dentro al vagone. Lo posiziono in uno scompartimento vuoto e, dopo aver preso un profondo respiro, torno ad immergermi nella calca.

Appoggiato con la spalla al bordo della porta, scruto attentamente la massa di gente schiamazzante, cercando di individuare un volto familiare.
Non ho più avuto notizie dei miei fidati compagni, ma spero che abbiano avuto almeno un briciolo della mia faccia tosta nell'acconsentire a terminare gli studi ad Hogwarts. Prego che sia così, altrimenti niente mi impedirà di fare dietrofront e dire addio al mio ultimo anno di scuola.
Un anno intero perseguitato da minacce di morte, sguardi assassini e bisbigli scandalizzati? Ci sono già passato, è vero, ma trascorrere tutto il tempo a guardarmi le spalle non è certamente il mio ideale di divertimento.

Mentre rimugino tra me, socchiudo gli occhi per scorgere almeno una figura amica, o perlomeno non apertamente ostile nei miei confronti. Speranza vana, perché ogni mago o strega mi fissa come se volesse uccidermi col pensiero e, in tutta sincerità, non posso dar loro torto.
Mi merito anche di peggio, ma non darò loro la soddisfazione di mostrarmi debole. Ho già pagato per i miei errori e continuerò a portare quest'onta per tutta la vita. Ci penserà il marchio a ricordarmi in eterno che genere di persona io sia.

Sono tutti bravi a giudicare, ma sarei curioso di sapere quanti, al mio posto, avrebbero agito diversamente. Neanche un terzo, ci scommetto la bacchetta.
E hanno anche il coraggio di guardarmi dall'alto in basso come se fossi un animale ripugnante e potenzialmente velenoso, da cui è meglio stare alla larga.

Stringo i pugni, sforzandomi di trattenere la rabbia. Sarà davvero dura limitarsi a sopportare passivamente gli sguardi ostili e le provocazioni che di sicuro non mi verranno risparmiati una volta giunto al castello. Ho già voglia di lanciare qualche maledizione e il treno non è ancora partito.

Calma, Draco.

Un giovane mago, di circa quindici anni, avvolto in un mantello blu notte su cui spicca una sciarpa rossa e gialla, mi fissa con insistenza da parecchi minuti. Alzo il mento con arroganza e lo fulmino con un'occhiata. Lui sbarra gli occhi e fugge via all'istante. Mi compiaccio di riuscire ancora a spaventare qualcuno con un solo sguardo. Almeno non ho perduto tutto il mio potenziale: devo ricordarmi di fare pratica in vista dell'arrivo a Hogwarts.
Volto la testa dall'altra parte e scopro che un altro ragazzino mi sta guardando.

Salazar, è una persecuzione.

Incrocio le braccia con stizza e fisso il marmocchio a mia volta. Il suo viso ha qualcosa di familiare, ma sul momento non riesco a capire chi mi ricordi o dove lo abbia già visto. A giudicare dall'uniforme nuova di zecca che indossa, deve trattarsi di uno dei novellini.
Affilo lo sguardo, come ad intimargli di girare alla larga e smetterla di infastidirmi. Lui non reagisce, anzi continua a ricambiare l'occhiata con ostinazione. La sua espressione mi lascia lievemente perplesso: non è né spaventata, né incuriosita. Semplicemente mi guarda, quasi volesse analizzarmi in profondità. Come se stesse sondando la mia anima.

Quegli occhi … dove ho già visto quegli occhi?

Verdi come smeraldi, densi di saggezza e velati da un sottile accenno di malinconia.

Prima che riesca ad arrivare alla soluzione del mistero, il bambino si gira di scatto, come se qualcuno lo stesse chiamando. Faccio appena in tempo a saltare giù dal treno che lui è già svanito tra la folla.
Sbuffo infastidito e comincio a farmi largo tra le famiglie di maghi intente a salutare e dare le ultime raccomandazioni ai loro cari figlioletti. Pochi metri più in là individuo un gruppetto di persone che preferirei non conoscere. La famiglia Weasley al completo, più Granger e Potter.

Ma che bel quadretto.

Distolgo gli occhi prima che uno di loro si accorga che li sto fissando. Devo ancora ringraziare lo Sfregiato per aver testimoniato in mia difesa, ma non ho certo intenzione di ricoprirmi di ridicolo davanti a tutta questa gente. Dirò 'grazie', nulla di più. Gli tenderò un agguato nei corridoi, sempre che riesca a fare due passi senza i suoi fidati amichetti. Cosa di cui dubito.

Mi sfugge un mezzo sorriso che soffoco quasi subito. Quasi mi mancano i litigi con Potter, era troppo divertente ridere delle sue continue disgrazie. Farmi beffe di lui era il mio passatempo preferito, anche se devo ammettere che ho sempre provato uno strano rispetto nei suoi confronti. Era pur sempre uno dei pochi, se non il solo, in grado di tenere testa all'erede dei Malfoy. Non che la cosa non mi facesse infuriare, sia ben chiaro.
Ancora ricordo l'umiliazione ricevuta su questo stesso treno, all'inizio del primo anno, quando quell'idiota si è rifiutato di stringermi la mano. Nessuno mi aveva mai contraddetto in pubblico. Credo di aver sempre ammirato quel lato di Potter, è sempre stato così … incorruttibile. Il mio esatto contrario.

Sospiro stancamente e faccio per tornare dentro il vagone. Ho già il piede sul primo gradino, quando un intenso formicolio alla nuca mi fa trasalire.
Giro il capo di lato e corrugo la fronte, osservando la folla. La prima e unica volta che ho avvertito quella strana scossa è stata una settimana fa, al Ghirigoro. Quando ho posato gli occhi su quella strana ragazza …

Boccheggio. Ecco chi mi ricordava quel bambino! Aveva i suoi stessi occhi, dello stesso identico colore. L'avevo anche visto nel negozio, ma avevo prestato molta attenzione al suo aspetto. Ero troppo concentrato su di lei.

Mentre svolgevo le ricerche per conto di mio padre, chiedendomi fino all'esasperazione per quale assurdo motivo volesse informazioni su quel mostro di Greyback, ho sfogliato vari libri di genealogia magica. Ignoravo il nome di quella ragazza e, sfortunatamente, anche il suo cognome. Eppure non mi sono dato per vinto. L'unica cosa che sapevo di lei era che era la cugina del cantante più famoso del mondo magico, ovvero Caleb Rochester.

Dopo aver ribaltato la biblioteca del Manor da cima a fondo, mi ero dovuto arrendere all'evidenza: di fatto quella ragazza non esisteva. In nessun volume si parlava di un presunto fidanzamento dell'erede della famiglia Rochester, una potente dinastia originaria del nord della Francia.

Sapevo per esperienza che quando viene stilato un contratto matrimoniale, accanto al nome del futuro sposo compare un simbolo rosso, una specie di spirale che racchiude le iniziali della persona che sposerà. Fino a un mese fa di fianco al mio nome erano disegnate una A e una G. Ora il simbolo è scomparso definitivamente.

Mi passo una mano tra i capelli, scoccando occhiate perplesse prima a destra poi a sinistra. I miei occhi scorrono svogliatamente su ogni persona presente sulla banchina, fino a soffermarsi su una figura avvolta in una lunga veste verde bottiglia. I lunghi capelli neri e lisci contrastano col colore acceso del vestito: catturano il mio sguardo, rimango a fissarli come ipnotizzato.
E' lei. Il mio intuito non si è sbagliato.

Una strana forza si impossessa di me e mi spinge ad avvicinarmi alla ragazza che popola i miei pensieri da sette giorni a questa parte.
Percorro i metri che ci separano con trepidazione, senza osare domandarmi il perché di questa mia improvvisa follia. Forse sono solo curioso di conoscere la vera identità dell'unica persona che, dalla fine della guerra, è riuscita a guardarmi negli occhi senza disprezzo né rimprovero.








 

* * *







 




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Osservo le guance lievemente arrossate di mio cugino.
Il treno non è ancora partito e già sento una fitta di nostalgia pungermi il petto.

Gli scosto una ciocca di capelli dalla fronte e gliela infilo sotto il berretto di lana grigia. - Mi mancherai, piccola felce - mormoro, dandogli un buffetto sul mento.

Nick, che detesta profondamente quel soprannome che gli ho appioppato quando aveva cinque anni, questa volta non protesta. I suoi occhi sono incatenati ai miei, li vedo farsi lucidi a poco a poco. Il labbro inizia a tremargli come ogni volta che sta per scoppiare a piangere.
Si slancia in avanti e mi circonda la vita con le braccia, affondando la testa tra le pieghe del mio mantello. - Ho … tanta paura, Mysie - lo sento dire tra i singhiozzi. - Non voglio andare. Voglio restare con te e il nonno -. Fa una pausa e rialza la testa quanto basta per guardarmi. - Non conosco nessuno. E saranno tutti più bravi di me. E … -.

Lo interrompo posandogli due dita sulla bocca. - Io non ho potuto studiare a Hogwarts. Tu sai perché - affermo, scoccandogli un'occhiata eloquente. Lui annuisce e si asciuga le lacrime con una manica della veste. - Non sai cosa darei per poter essere al tuo posto. Perciò smettila di frignare. Te lo proibisco categoricamente -. Imito il tono imperioso del nonno e Nick scoppia a ridere.

Gli tolgo le ultime tracce di lacrime dalle guance con i pollici e sorrido a mia volta. - Resteremo sempre in contatto, ti scriverò ogni volta che potrò. E tu vedi di finire in Serpeverde, altrimenti i ritratti degli antenati se la prenderanno con il nonno per l'educazione troppo da Grifondoro che ti ha impartito -.

Nick alza gli occhi al cielo e fa per dire qualcosa, ma qualcun altro lo anticipa.

- Lo sapevo che ci saremo incontrati di nuovo -.

Corrugo la fronte e volto il capo alla mia destra, trovandomi davanti il ghigno compiaciuto di Draco Malfoy.
La sua figura slanciata, messa in risalto dagli abiti cuciti su misura, risalta tra la folla di persone come una pantera finita per sbaglio in una gabbia di tigri. La similitudine con i felini si intona perfettamente alla situazione, visto che la gente evita con cura di passargli accanto e lo guarda come si guarderebbe un predatore affamato.

Lui non sembra farci caso. Tutta la sua attenzione è catalizzata su di me. Perché, poi?

Decido di premiare la sua faccia tosta con uno dei miei rari sorrisi. - Come dicono i Babbani, chi non muore si rivede. Salve, signor Mangiamorte -.

L'ho detto a voce alta, senza tener conto delle reazioni di chi mi sta intorno. Una signora che stava passando in quel momento, sussulta a quella parola e si affretta a trascinare i propri figli il più lontano possibile da noi.

Malfoy non batte ciglio. É dotato di un formidabile autocontrollo, non posso che ammirarlo per il sangue freddo con cui gestisce gli sguardi truci della folla. - Avrò mai il piacere di conoscere il tuo nome? - chiede, in modo formale, da vero Purosangue.

Ma tu guarda. Sta forse cercando di fare colpo su di me?

Sto per ribattere con una delle battute ironiche di Roxi, ma vengo preceduta da Nick.
Mio cugino si piazza davanti a Malfoy e lo squadra da capo a piedi con una lunga occhiata. - Ecco perché mi sembrava di averti già visto! Sei Draco Malfoy! - esclama, come se si fosse trovato davanti una celebrità. Mi ricorda le ragazzine che si accalcano sotto il palcoscenico ogni volta che Caleb tiene un concerto. - Ho sentito tanto parlare di te. Hai davvero il Marchio? Posso vederlo? - chiede, candidamente.

Un uomo sulla quarantina poco distante lo fissa con malcelata disapprovazione. Non so se ridere della faccia sbalordita di Malfoy o imitare l'altro mago e fulminare Dominic per la sua impertinenza. Nel dubbio, gli circondo le spalle con un braccio e lo tiro verso di me.
Lo fisso dall'alto con cipiglio autoritario. - Ti sembrano domande da fare? -.

Nick china il capo. - Ero solo curioso … mi dispiace, signor Malfoy -.

Incredibilmente, sembra che Draco Malfoy stia facendo di tutto per trattenere una risata. - Non ti preoccupare. Forse un giorno te lo mostrerò. Sempre che a tua … sorella vada bene -.

Nick si illumina come ogni volta che qualcuno ci scambia per fratelli e sorride all'altro mago. Sembra averlo preso in simpatia e, a giudicare dall'occhiata che si scambiano, la cosa è reciproca.

Il fischio della locomotiva ci riporta alla realtà. Mancano pochi minuti alla partenza del treno, la maggior parte degli studenti è già a bordo delle carrozze.

Malfoy aiuta Nick a sistemare il baule all'interno di uno scompartimento, poi mio cugino si affaccia dalla porta per un ultimo abbraccio. - Ti voglio bene, Mysie - sussurra, prima di darmi due baci sulle guance.

Gli tolgo il berretto per scompigliargli i capelli. - Ci vediamo presto. Nel frattempo vedi di non infrangere nessuna regola. Non fare nulla che io non farei -, mi limito a dirgli, visto che ci ha già pensato il nonno a riempigli le orecchie e la testa di mille raccomandazioni.

Sorrido nel ricordare il tono brusco con cui l'ha salutato sulla soglia di casa. Scommetto che non ha voluto accompagnare Dominic al binario solo per non far vedere a tutti che il grande Cronus Silverfern, famoso pozionista, si commuove come una donnicciola nel vedere il suo adorato nipotino partire per Hogwarts. In compenso, se l'è tenuto stretto al petto per almeno mezz'ora, neanche lo stessimo spedendo in Antartide con un biglietto di sola andata.
Potrà anche sembrare un vecchio burbero e insensibile, ma io so quanto amore si nasconda dietro quel suo freddo atteggiamento da Serpeverde. Per tenere Nick e me al sicuro ha rischiato la sua stessa vita.

Dopo avermi assicurato che si comporterà bene, mio cugino si fionda nello scompartimento e prende posto … accanto a Draco Malfoy.
Li vedo confabulare per qualche secondo, poi si sporgono entrambi fuori dal finestrino. Questa loro inaspettata complicità dovrebbe spaventarmi, invece mi rassicura. Sarò pazza a mettere mio cugino nelle mani di un ex mangiamorte, ma qualcosa mi dice che posso fidarmi di quel Serpeverde dagli occhi di ghiaccio.

Sospiro. Almeno saprò con chi prendermela se Nick si dovesse cacciare nei guai.

- Non temere, Artemis, terrò d'occhio io tuo fratello - dichiara Malfoy, calcando intenzionalmente il mio nome.

Porto le mani ai fianchi, dopo aver incenerito quel traditore di mio cugino con un'occhiata. - E questo dovrebbe tranquillizzarmi? -.

La mia voce si perde in mezzo al chiacchiericcio della folla. Il treno inizia a muoversi piano sui binari, producendo un fischio acuto che mi impedisce di udire la risposta di Malfoy.

Nick si sbraccia per salutarmi e io ricambio, cercando di ricacciare indietro le lacrime.
Separarmi da lui è come lasciar andare una parte di me, ma so che non posso permettermi fargli vedere quanto questa lontananza mi renda infelice. Mi è costato molto fingermi contenta all'arrivo della lettera di ammissione, quando invece avrei voluto stracciarla e ordinare a mio nonno di scrivere a Silente che Dominic non avrebbe mai e poi mai messo piede a Hogwarts.

Continuo a sbracciarmi finché il treno non scompare all'orizzonte, in mezzo ad una gigantesca nuvola di fumo.

Ormai sul binario siamo rimasti in pochi. Quindi posso lasciar scorrere qualche lacrima senza paura di dare spettacolo.

Il legame tra Nick e me è molto forte, paragonabile a quello tra madre e figlio. L'ho visto crescere, l'ho curato quando stava male; l'ho consolato e coccolato quando, dopo un incubo, correva nella mia stanza e si rifugiava nel mio letto.

Passo il dorso della mano sulle guance. Siamo entrambi orfani, soli al mondo, fatta eccezione per nonno Cronus. E Nick è così piccolo.
Vorrei averlo accanto, poterlo seguire con sguardo vigile, proteggerlo da tutto e da tutti con le unghie e con i denti. Ma so che non posso tenerlo per sempre sotto una teca di vetro: adesso ha undici anni, non è più un bambino.
Anche se ai miei occhi resterà per sempre quel moccioso paffuto che mi seguiva dappertutto come un'ombra.

Che gli elementi veglino su di te, piccola felce.

Lancio un ultimo sguardo al paesaggio circostante, prima di voltarmi e attraversare a testa alta la barriera.
Mi confondo in mezzo ai Babbani senza sforzo, trasfigurando la mia veste in una semplice tuta da ginnastica. Tiro su il cappuccio della felpa nera e comincio a correre.
Verso dove, non lo so.


 


 


 


 

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Ciao a tutti! Dopo molto tempo, sono riuscita a postare un nuovo capitolo.
Chiedo perdono a chi segue la storia, ma tra l'ispirazione che mi abbandona nei momenti meno opportuni e lo studio, ho pochissimo tempo per scrivere (ahimé) :'(

Mi piacerebbe sapere cosa ne pensate di questi primi capitoli, fatemi felice ;)

A presto,

Lizz

p.s. ricordo che nella mia storia alcuni personaggi quali Silente, Piton, Fred e Greyback sono vivi. Per altre curiosità, mi trovate nella mia pagina Facebook
  https://www.facebook.com/pages/Lizz/1487353441540966?ref=aymt_homepage_panel

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