The Last Resort

di Evil_Queen2291
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Lost and found ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Traduzione di un lavoro originale di Alaska829Snow. https://www.fanfiction.net/s/9334566/1/The-Last-Resort

PROLOGO
 
Emma entrò nel vialetto al 108 di Mifflin Street alle 00:11.
 
Le servivano esattamente 11 minuti per arrivare a casa dopo il suo turno serale. Conosceva perfettamente questo dettaglio dopo anni passati a far la spola – dopo anni trascorsi provando ogni possibile combinazione di percorsi dal parcheggio della stazione alla soglia della villa. Ma, dopo tutto quel tempo, conosceva quel ritmo; quando i semafori sarebbero stati verdi – quale incrocio era più trafficato di notte – quali strade evitare con la pioggia.
 
Lo sapeva per una semplice ragione: perché la salvatrice aveva aspettato tutta la vita per capire davvero il significato della parola famiglia. E, per quanto totalmente disfunzionale potesse essere la sua, ogni secondo trascorso lontano da loro era impiegato pensando a come tornarci.
 
Uscì dalla macchina ed entrò in casa, togliendosi immediatamente gli stivali nel corridoio e salendo le scale. Una volta arrivata in cima, infilò la testa nella prima porta aperta a sinistra. Amelia, la sua bambina di cinque anni, era completamente addormentata. La sua lampada da notte era accesa e lei stava abbracciando il suo orsacchiotto preferito, stretto al petto. Emma non aveva intenzione di entrare nella stanza perché non avrebbe rischiato di svegliare sua figlia; le bastava dare un’occhiata. La parte peggiore nel tornare a casa dopo mezzanotte era perdersi l’ora della nanna. E perdere l’ora della nanna significava perdersi Regina che cantava canzoni ridicole sugli animali della fattoria, cosa che, Emma ne era piuttosto sicura, era lo spettacolo più bello che avesse mai visto in qualsiasi mondo.
 
La seconda porta nel corridoio era di Charlotte, quindici anni. Ma Emma non si preoccupò neppure di controllare se sua figlia stesse nel suo letto. Sapeva già, con assoluta certezza, dove fosse Charlotte. C’era solo un posto in cui poteva essere – attaccata alla madre dalla quale era un’esatta replica.
 
Quindi Emma raggiunse la fine del corridoio ed aprì la porta della propria camera dal letto. Osservò la familiare immagine di Regina seduta a letto, occhiali sul naso, impegnata a leggere un libro. La salvatrice aveva passato buona parte del loro matrimonio ad insistere che sua moglie non dovesse aspettarla sveglia, ma aveva perso quella battaglia anni addietro. Non riesco a dormire lo stesso se non ci sei, le diceva sempre Regina.
 
Charlotte, prevedibilmente, occupava lo spazio accanto alla bruna. Di solito la ragazza era sveglia e piuttosto chiacchierona – ma quella sera era addormentata, con un film ancora in sottofondo.
 
Regina sollevò gli occhi e sorrise. “Bentornata a casa.”
 
“Ciao” le sussurrò di rimando. “Dovrei svegliarla?”
 
“A meno che tu non voglia dormire sul pavimento stanotte.”
 
“Non esiste” le disse mentre si avvicinava al letto. Gentilmente, ed amorevolmente, scosse sua figlia. “Charlotte
 
“Mamma” la ragazza si mosse ed aprì gli occhi. “Sei tornata.”
 
“Sì, e tu sei nel mio posto.”
 
“Quando mi sono addormentata?”
 
“Circa un’ora fa.” La informò Regina mentre le accarezzava gentilmente la spalla.
 
“MI dispiace” corrugò la fronte arricciando il naso. “Mi son persa metà del film.”
 
“Non preoccuparti, possiamo guardarlo di nuovo domani.”
 
Emma si alzò ed entrò nella cabina armadio per cambiarsi – prese il suo paio preferito di pantaloni di tuta mentre sentiva la conversazione che proseguiva.
 
“A che ora vuoi andare a fare shopping domani mattina?” chiese Charlotte a Regina.
 
“Quando preferisci?”
 
“Possiamo andare verso le dieci, più o meno?”
 
“Certo, possiamo far colazione fuori.”
 
Mamma” Emma sentì la figlia chiamare lei “Vieni con noi domani?”
 
“Se vuoi” riemerse, sentendosi incredibilmente sollevata dopo essersi tolta di dosso l’uniforme.
 
“Certo che voglio” le disse Charlotte mentre scendeva dal letto. “Ho il ballo della scuola venerdì, sai.”
 
“Quindi, in parole povere, stai per scegliere un vestito terribilmente effeminato?”
 
“Forse” ipotizzò. “Non ho ancora deciso quanto effeminato.”
 
“Allora è meglio che ci sia anch’io per supervisionare questa uscita di shopping o tornerai a casa somigliando ad un cupcake.”
 
“Beh, se mammina mi lasciasse mettere uno dei suoi vestiti da regina non dovremmo neppure andare a fare spese.”
 
“Neanche per idea” intervenne Regina. “Non per questo ballo o in nessun altro della tua vita.”
 
“Son piuttosto sicura che nessuno di quei vestiti sia appropriato per il liceo, ragazzina.”
 
“Va bene” Charlotte fece loro la linguaccia mentre era ancora sull’uscio. “Buona notte. Vi voglio bene.”
 
“Anche noi ti vogliamo bene” le rispose Emma.
 
 
 
Emma fissò intensamente Regina mentre riprendeva il libro dal comodino.
 
“C’è qualcosa che non va?” le chiese la regina, senza alzare gli occhi dalla pagina. Erano quel tipo di coppia – così in sintonia da percepire quando qualcosa non era a posto.
 
Emma non era sicura di voler tirar fuori l’argomento – era stanca, e probabilmente non era nulla di cui preoccuparsi. Sapeva di dover tenere la bocca chiusa e mettersi a letto. Non era neppure sicura di come esprimere verbalmente la strana sensazione che era sul punto di sopraffarla. Quello strano pensiero non c’era neppure qualche minuto prima – ma sembrava aver messo radici e si rifiutata di andar via.
 
Sfortunatamente, realizzò che era troppo tardi per far marcia indietro – quando sua moglie sapeva che qualcosa non andava, sarebbe arrivata al problema – anche se Emma non avesse voluto.
 
“Non ti preoccupa” cominciò con riluttanza “che una quindicenne ti chiami ancora mammina?”
 
“Perché dovrebbe preoccuparmi?”
 
“Non è un po’ cresciuta?”
 
“Ha due madri, cosa dovrebbe fare?”
 
“Chiamare te ‘mamma’ e me ‘ma’ come fa Henry?”
 
“Charlotte non è Henry” ribatté Regina tranquillamente. “Ed ha sempre chiamato te ‘mamma’ e me ‘mammina’.”
 
“Sì, lo so.”
 
“Quindi, perché all’improvviso stasera è un problema?”
 
“Alle volta mi preoccupo che non sia una ragazza abbastanza forte, sai?”
 
Emma ancora non capiva le parole che le venivano fuori dalla bocca – sapeva solo che aveva bisogno di dirlo. La sincerità della frase fece sì che Regina mettesse via il suo libro, abbandonando il capitolo che cercava di terminare; era consapevole che quella conversazione richiedesse tutta la sua attenzione.
 
“La figlia della Regina Cattiva e della Salvatrice non è abbastanza forte per te? Charlotte ha un potere che va ben oltre la sua età – la sua magia è sostanzialmente inarrestabile.”
 
“So che è forte con la sua magia, ma è anche emotivamente forte?”
 
“Certo che lo è.”
 
“Non lo so.” Emma non era convinta. “Non dovrebbe odiarci in questa fase? Le adolescenti dovrebbero essere un inferno – ho pensato che avrebbe dovuto far capricci ed arrampicarsi fuori dalla finestra di notte per mettersi nei guai. Dovrebbe sbattere la porta ogni tanto e dirci che le stiamo rovinando la vita.”
 
Dio che ne scampi,” l’intero corpo di Regina per poco non fu sul punto di aver le convulsioni solo all’idea. “Sembra orribile. Non capisco perché tu voglia una cosa del genere.”
 
“Non lo voglio.” Insistette Emma. “È solo che, non lo so…davvero dovrebbe voler passare il suo sabato a far spese con la mamme?”
 
“Non ho idea di cosa ‘dovrebbe’ fare o quale libro di istruzioni tu stia seguendo. So solo che volevamo dare ai nostri figli l’infanzia che noi non abbiamo avuto – e questo è quello che abbiamo fatto.”
 
“Lo so che l’abbiamo abbiamo fatto.”
 
“Pensi che, poiché entrambe siamo diventate forti affrontando cose orribili, nostra figlia sia debole perché ha una famiglia solida ed una bella vita?”
 
“No, non è questo che intendevo.”
 
“Ma sei arrabbiata con me perché Charlotte ci vuole bene? O perché non è abbastanza ribelle per te?”
 
“Non sono affatto arrabbiata con te,” si ammorbidì la bionda. “Sono solo sorpresa. Non capisco come abbiam fatto noi a crescere una ragazza così obbediente. Voglio dire, davvero…come abbiamo fatto noi due a crescere una ragazza così normale?”
 
“Smettila di lamentarti. Abbiamo fatto un buon lavoro con nostra figlia ed ora siamo i suoi modelli.”
 
“Tu” la corresse Emma, con una nota di tristezza nella voce. “Tu sei il suo modello – anzi, direi che la parola giusta sia adorazione. Charlotte adora la terra che calpesti.”
 
“Non di nuovo.” Regina quasi la supplicò.
 
“Cosa?” lo sceriffo alzò le mani al cielo. “Non è colpa tua se sei la sua preferita. Non hai chiesto di essere la mamma numero uno, è semplicemente successo.”
 
“Per l’ultima volta, Charlotte non ha una mamma preferita.”
 
“Sei tu quella che vuole sempre vicino.”
 
“Allora come mai l’unica cosa che voleva stasera era che tu tornassi a casa così poteva chiederti se ti andasse di venire a fare shopping con noi domani? Ti vuole accanto allo stesso modo.”
 
“Sono solo preoccupata per lei. Voglio che sia in grado di camminare sulle sue gambe. Alle volte penso che la coccoliamo troppo.”
 
“Pensi che io la coccoli troppo.” Concluse Regina.
 
“No, Regina – ti giuro…”
 
“Adesso mi metto a dormire,” la regina si arrese e spense la luce. “Non c’è nessuna discussione da fare.”
 
Emma conosceva il tacito accordo: Regina aveva chiuso il litigio prima che sfuggisse di mano. Gliene era particolarmente grata quella sera – perché neppure lei voleva litigare.
 
Tutto quello che voleva era avere il corpo di sua moglie premuto su di sé. Si arrampicò nel letto e le si accoccolò alle spalle – la stessa cosa che aveva fatto tutte le sere per sedici anni. E Regina non glielo negò. Anzi, intrecciò le loro dita.
 
La promessa, fatta molto tempo prima, di non andare mai a letto troppo arrabbiate da non potersi abbracciare non era mai stata spezzata.
 
 
 
La mattina dopo, presto, Emma era sveglia prima di sua moglie. A dirla tutta, non era neppure sicura di essersi davvero addormentata. Rimase a letto, fissando il soffitto, sentendosi ridicola per il casino che aveva causato la sera prima.
 
Avvertì Regina muoversi ed automaticamente si illuminò, convinta di poter sistemare le cose.
 
“Ciao” le sussurrò Emma quando la bruna si girò ed aprì gli occhi.
 
“Ti sei calmata?”
 
“Sì” le promise. “Mi dispiace. È la nostra prima figlia ed è così diversa da me alla sua età. So che è una cosa positiva, ma alle volte non la capisco affatto.
 
“Sì, beh,” la voce di Regina era ancora roca per il sonno ma grondava sarcasmo, “è difficile comprendere come qualcuno possa ‘adorare la terra su cui cammino’…vero?”
 
“Smettila” Emma mise il broncio, odiandosi per aver ferito la donna che ora la guardava negli occhi. “Io adoro la terra su cui cammini e lo sai. Vorrei solo che guardasse anche me allo stesso modo.”
 
“Charlotte ti vuol bene più della sua stessa vita.”
 
“Era così che ti sentivi?” le chiese, “Quando Henry…”
 
“Non guardava me nello stesso modo?” Regina completò la domanda e non ebbe bisogno di pensare a lungo prima di rispondere. “Sì.”
 
“Immagino di meritarmelo allora, huh? Il karma è uno stronzo e tutto il resto.”
 
“Non è la stessa cosa. Henry non guardava me nel modo in cui guardava te perché io gli avevo mentito. Tu, invece, stai immaginando tutta questa storia con Charlotte. È solo nella tua testa.”
 
“Ne sei sicura?”
 
“Assolutamente. So che pensi che io la vizi e magari lo faccio…ma è una giovane donna molto forte che non potrebbe volerti più bene di quanto già non te ne voglia.”
 
“Okay” accettò Emma. “Ti amo.”
 
“Lo so – ma alle volte sei davvero impegnativa da gestire.”
 
“Non ho avuto il giusto bentornato ieri sera,” si lamentò mentre si spostava verso la moglie, salendole su a cavalcioni. “Il che è decisamente una stronzata.”
 
“Non è certo colpa mia, cara.”
 
“Non ti sto incolpando” le disse mentre si accostava per baciarle il collo. “Ma mi piacerebbe che mi aiutassi a rettificare la cosa.”
 
Emma finalmente ottenne il bacio per il quale era corsa a casa dopo il suo turno di mezzanotte. Era in ritardo di qualche ora – ma ne valeva ugualmente la pena.
 
I loro volti, tuttavia, si allontanarono quando furono interrotte dal suono della porta che si apriva.
 
“Ragazzina,” grugnì Emma quando vide Charlotte entrare nella stanza. “Quante volte deve succedere prima che tu impari a bussare?”
 
“Scusate!” squittì la ragazza, girandosi verso il muro e portandosi teatralmente le mani sugli occhi. “Mi dispiace! È solo che c’è la nonna di sotto.”
 
“Le hai dato l’orario sbagliato?” chiese Regina, mentre guardava l’orologio e si toglieva gentilmente Emma di dosso. “Non avrebbe dovuto esser qui prima di un’altra ora.”
 
“No, le ho detto di venire a prendere Amelia alle 9:30, esattamente come hai detto tu; sembra sul punto di dar di matto per qualcosa.”
 
“Okay, tesoro, stiamo venendo.”
 
“Invece no…” mormorò Emma sottovoce. “Charlotte, puoi aprire gli occhi e girarti.”
 
“Vai a preparare tua sorella,” Regina diede istruzioni mentre si alzava dal letto. “Ce la vediamo noi con tua nonna.”
 
 
 
“Qual è il problema?” chiese Emma a sua madre mentre scendeva le scale, Regina immediatamente dietro di lei. “Non ho ancora avuto la mia dose di caffeina, quindi spero non sia qualcosa che richiede sforzo mentale.”
 
“Ho bisogno di parlarti,” fu la sola spiegazione che diede loro Snow White – ma il suo andirivieni, ed il modo in cui si tormentava le dita, erano chiari segni che si trattava di una questione urgente.
 
“Fai in fretta, mamma. O forse hai dimenticato perché oggi devi far da babysitter? Dobbiamo andare a fare spese per assicurarci che la nostra figlia maggiore sia una vera principessa per il ballo della scuola.”
 
“Non con te. Devo parlare con Regina.”
 
“Uh ragazze” scherzò la bionda, “ci vogliono mesi prima del mio compleanno.”
 
Ma sua madre non rise – anzi, rimase inquietantemente seria.
 
“Va bene, se dovete cominciare ad organizzarvi così presto,” proseguì Emma, “Andrò a fare una doccia.”
 
Si girò e tornò al piano di sopra.
 
 
 
“Hai intenzione di dirmi cosa sta succedendo?” chiese Regina, quando sua moglie scomparve. Guardò Snow direttamente cercando di interpretare la sua espressione. Ma tutto quello che riuscì a capire è che sua suocera non riusciva a trovare le parole. “Quando vuoi, cara.”
 
“Ti ricordi di quanto abbiamo realizzato che tu ed Emma avere il vero amore e Gold era affascinato nel dirmi che tu avresti partorito i miei nipoti?”
 
“Sì, certo che ricordo.”
 
“Penso di aver finalmente capito perché”
 
“Perché era ossessionato dall’idea di me ed Emma che concepiamo dei bambini con la magia?” Regina rise leggermente mentre cercava di seguire i filo sconnesso dei pensieri di Snow. “So già il perché…è ossessionato da noi…aveva bisogno di noi per i suoi piani contorti e malati prima ancora che nascessimo.”
 
“Ma…”
 
“Non ho più paura di quell’uomo da quasi vent’anni,” tagliò corto. “Perché sembri sul punto di svenire?”
 
Regina!” urlò Snow – facendo sobbalzare il sindaco; lo scatto fu completamente inaspettato, “Tu non capisci. Le bambine, le nostre bambine sono in pericolo.”
 
Di cosa diavolo stai parlando?
 
Regina sentì la rabbia partire alla base dello stomaco e risalirle lungo la gola. Poteva sentirne il sapore. Se doveva esser onesta, la spaventava. Era passato molto tempo da quando aveva avuto bisogno di sentirsi così – da quando aveva avuto bisogno di difendere le persone che amava da veri pericoli.
 
Era stato splendido dover difendere le sue figlie al massimo da qualche bullo nel cortile della scuola. Non era stato così con Henry. Non c’erano più pericoli in agguato a Storybrooke. Almeno, fino a quel momento.
 
Voleva uccidere sua moglie per aver portato sfortuna; per aver passato la notte precedente a lamentarsi del fatto che Charlotte non fosse mai stata messa alla prova – che le fosse andato tutto liscio.
 
Improvvisamente, Regina ebbe la certezza che non si trattava di una coincidenza. Emma era sempre stata in grado di percepire quando le cose stavano per cambiare. Ed ora capiva che l’idea, la preoccupazione che loro figlia non fosse forte abbastanza non era casuale. Il pensiero era stato inserito nella testa di Emma dallo stesso istinto materno che negava ostinatamente di avere.
 
“Non ha solo bisogno di te ed Emma,” le disse Snow, “Adesso ha bisogno anche di loro.”
 
Erano passati anni, pensò Regina, da quando aveva sentito l’oscurità come una forza così reale dentro di sé. Eppure ora la sentiva perfettamente – più oscura e più feroce di sempre.
 
“Bene” disse a denti stretti, “Posso prometterti che questo è l’ultimo errore che Rumpelstiltskin farà in vita sua.”
 
 

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Capitolo 2
*** Lost and found ***



 
Regina camminava lungo il marciapiede di Main Street, Storybrooke. Non era sicura del perché continuasse a far visita alla tomba di sua madre a quelle assurde ore della notte. Forse, pensò, era dovuto al fatto che a quell’ora le strade erano vuote quanto la sua vita.
 
A prescindere dalle ragioni, non sembrava in grado di smettere – continuava a ritrovarsi lì, senza eccezioni, tutte le sere.
 
Era un rituale inutile, lo sapeva. Non avrebbe cambiato nulla. Non avrebbe cambiato il fatto che Cora era morta e che lei, ancora una volta, non aveva nessuno. Non avrebbe cambiato il fatto che Henry era, ancora una volta, con la maledetta famiglia Charming.
 
Ma non per molto, promise a se stessa. Perché aveva stretto il cuore di Snow White tra le mani – ed era nero come il cielo notturno. Doveva solo aspettare ancora un po’.
 
Ma, dannazione, era così stufa di aspettare.
 
In particolare, quella sera, pioveva a dirotto e si maledisse per non aver preso la macchina. Camminava sotto l’ombrello – ma il vento stava aumentando ed era ancora piuttosto lontana da casa.
 
Con la coda dell’occhio, notò una figura minuta in piedi sotto la tenda di un negozio. Era decisamente un’ora insolita, pensò, per aspettare in piena tempesta.
 
Avvicinandosi vide che la figura era una ragazzina, che stringeva tra le braccia una bambina addormentata. Regina si guardò attorno velocemente, cercando una qualche traccia dei genitori – ma le due ragazze sembravano esser proprio come lei: completamente e totalmente sole.
 
“Stai bene, cara?” chiese, avvicinandosi.
 
La ragazza non le rispose. Ma i suoi occhi la osservarono, scrutandola in ogni dettaglio, quasi nutrendosi della sua sola immagine. Alla fine, i loro occhi si incrociarono ed il sindaco non riuscì a leggere l’espressione della sconosciuta. Ma un brivido intenso le corse lungo la schiena.
 
“Cosa fai in giro a quest’ora di notte con questo tempo?”
 
Di nuovo, nessuna risposta. Per un momento, Regina si chiese se la ragazza avesse paura di lei. Ma non sembrava esserci neppure una briciola di paura sul suo viso. Quello che vedeva, invece, era sofferenza, probabilmente per il peso della bambina addormentata tra le sue braccia e dello zaino sulle sue spalle – o forse per qualcos’altro.
 
Regina guardò la ragazza e non poté fare a meno di pensare alla sera in cui Henry era scappato di casa. Pensò a quanto fosse terrorizzata – queste due ragazze, sapeva, erano figlie di qualcuno. E non poteva, non voleva, lasciarle lì.
 
“È tua sorella?”
 
“Sì” rispose finalmente la ragazza – la sua voce poco più che un sussurro.
 
“Vi siete perse?”
 
“Non ne sono sicura.”
 
“Bene, siete di Storybrooke? Perché è qui che vi trovate.”
 
La ragazza sospirò – e Regina non aveva idea del perché si stesse comportando come se quella fosse una domanda difficile.
 
“Presumo che tua madre ti abbia insegnato a non parlare con gli sconosciuti.”
 
“Sì” le sorrise velocemente. “Lo ha fatto.”
 
“Bene, normalmente è un ottimo consiglio – ho insegnato a mio figlio la stessa cosa. Tuttavia non potete stare lì tutta la notte, altrimenti tu e tua sorella vi ammalereste. E non vogliamo questo, non è vero?”
 
“No, infatti.”
 
“Io sono Regina”
 
“Io sono Charlotte. E mia sorella è Amelia.”
 
“Piacere di conoscerti, cara. Ora, c’è qualcuno che posso chiamare per te?”
 
“Um,” meditò Charlotte. “Conosci Emma Swan? È lo sceriffo, giusto?”
 
“Sì, conosco lo Sceriffo” Regina rabbrividì al solo nome della salvatrice – ma cercò di rimanere concentrata su quello che stava facendo. “Hai bisogno della polizia?”
 
“Forse.”
 
“Sei ferita? Qualcuno ti ha fatto del male? È successo qualcosa ai tuoi genitori?”
 
“Non sono ferita” le assicurò Charlotte. “Sono solo molto confusa e voglio andare a casa.”
 
“Okay” le rispose Regina. “Vuoi andare alla stazione dello sceriffo?”
 
“Solo se…”
 
“Se cosa, Charlotte? Di cosa hai bisogno?”
 
“Vieni con noi?”
 
“Certo” la rassicurò Regina. “Credo tu abbia bisogno di una pausa. Perché non lasci a me Amelia mentre tu porti l’ombrello? Va bene per te?”
 
“Grazie.”
 
Charlotte passò sua sorella, addormentata, a Regina -  il cui cuore si illuminò immediatamente al contatto. Era passato tanto tempo da quando aveva stretto un bambino tra le braccia in quel modo – e non sapeva quanto le fosse mancato. Le mancava che qualcuno avesse bisogno di lei. Le mancava essere amata.
 
“Ti assicuro che non è affatto un problema.”
 
 
 
 
L’ultima persona che Emma si aspettava di vedere alla stazione in piena notte era Regina Mills. Quando il sindaco entrò con una bambina addormentata tra le braccia ed una ragazzina accanto, lo Sceriffo saltò giù dalla scrivania per la sorpresa.
 
Regina?
 
Non aveva idea di cosa significasse quella scena. Ma era perfettamente consapevole che la madre adottiva di suo figlio era in pieno lutto, arrabbiata e potenzialmente pericolosa.
 
“Signorina Swan, sembra proprio che questa sera sia una di quelle rare circostanze in cui ho bisogno del suo aiuto.”
 
“Che succede?” chiese, completamente spiazzata. Emma non sapeva perché Regina fosse andata da lei per chiedere aiuto, soprattutto considerando gli eventi dell’ultima settimana.
 
“Ho trovato queste due giovani signorine senza supervisione sul marciapiedi, sotto la pioggia. Saresti capace di trovare i loro genitori?”
 
“Okay.” Emma annuì, mantenendo alta la guardia.
 
“Non è un tranello” le confermò freddamente Regina, percependo il suo livello di disagio. “Voglio davvero aiutarle.”
 
L’istinto diceva ad Emma che Regina non stava mentendo. E l’aspetto esausto della ragazzina completamente a disagio rendeva la storia piuttosto credibile.
 
“Io sono Emma” si presentò alla ragazza. “Perché non metti giù lo zaino e ti siedi alla mia scrivania?”
 
La ragazza annuì mentre eseguì le istruzioni.
 
“Siete ferite?”
 
“No,” rispose Regina, mentre si sedeva su di una panca lì vicino, la bambina ancora addormentata tra le braccia. “Non lo sono.”
 
“Son piuttosto sicura che non abbia bisogno che tu risponda per lei – ma grazie.”
 
Emma osservò da vicino come la ragazza divenne tesa ed incrociò le braccia, trasalendo al commento. Ma continuò con le sue domande, con l’intenzione di risolvere la cosa il più velocemente possibile. “Allora, vi siete perse? Vivete a Storybrooke?”
 
Ma non ottenne nessuna risposta.
 
“Okay” sospirò Emma, già frustrata. “Possiamo cominciare piano se vuoi – puoi dirmi almeno il tuo nome?”
 
La ragazza abbassò la testa, verso il pavimento, evitando di guardarla negli occhi.
 
“Regina?” Emma guardò verso la bruna. “Conosci i loro nomi?”
 
“Pensavo non volessi che parlassi per loro.”
 
“Beh, non vado da nessuna parte se non so nulla su di loro.”
 
“Charlotte,” Regina cedette più velocemente di quanto Emma si aspettasse. “Ed ho in braccio Amelia.”
 
“Cognome?”
 
“Se lo avessi saputo ovviamente non sarei dovuta venire da te, dal momento che so come funziona una guida telefonica” le rispose. “Pensavo che trovare le persone dovesse essere una caratteristica di famiglia.”
 
“Charlotte,” Emma ignorò la risposta sarcastica, “Puoi dirmi il tuo cognome?”
 
“No,” le braccia della ragazza rimasero incrociate. “Mi avvalgo della facoltà di non rispondere.”
 
Regina rise internamente per la risposta insolente, ma lanciò verso Charlotte uno sguardo di disapprovazione.
 
“Ragazzina, non è così che funziona il diritto al silenzio. Se ti sei persa, non ti posso aiutare se non so dove riportarti.”
 
Mentre Emma parlava, Amelia si mosse tra le braccia di Regina ed aprì gli occhi. “Mammina,” mormorò la bambina. “Ho lasciato la mia coperta a casa.”
 
“Amelia,” ringhiò Charlotte, alzandosi di scatto dalla sedia, “Chiuditi la bocca.
 
Hey” la rimproverò Regina. “Non credo sia appropriato dire a tua sorella di chiudersi la bocca.”
“È solo stanca, ignorala; non sa quello che dice.”
 
“Non preoccuparti, Amelia,” la rassicurò Regina. “Ti riporteremo presto a casa e sono sicura che potrai avere la tua coperta. Tua sorella deve solo collaborare.”
 
Emma improvvisamente notò che quando Charlotte si era alzata, era caduta una lettera dalla tasca della sua giacca, finendo sul pavimento. Emma la prese, rimanendo piuttosto confusa nel trovare sull’intestazione due nomi decisamente familiari.
 
“Cosa diavolo è questa?” chiese.
 
“Dammela,” Charlotte strappò violentemente l’oggetto dalle mani di Emma. “Non è per te.”
 
“Allora perché c’è il mio nome scritto sopra? E perché c’è anche quello di Regina?”
“C’è il mio nome?” chiese con curiosità Regina, mentre cercava di mantenere Amelia occupata.
 
“Conosciamo i tuoi genitori o qualcosa del genere?”
 
“No.”
 
“Stai mentendo. So sempre quando le persone mentono.”
 
“No, non puoi. Pensi di poterlo fare.”
 
“Come, ragazzina?”
 
“Lascia stare,” Charlotte fece marcia indietro. “Solo, fidati, non sai niente di me o della mia famiglia. È la verità.”
 
“Vai a scuola con Henry?” chiese Regina. “Devo ammetterlo, hai un aspetto…familiare.”
 
Henry!” Amelia si illuminò, mentre giocava con i capelli di Regina. “Quando arriva Henry?”
 
“Amelia!” urlò di nuovo Charlotte, sbattendo un piede a terra. “Ti ho detto di smetterla di parlare
 
“Quindi lo conosci,” concluse Regina, confusa da quel comportamento. “Significa che vivete a Storybrooke.”
 
“E quindi probabilmente noi conosciamo i tuoi genitori.” Concluse Emma.
 
“Non ne voglio parlare,” Charlotte prese un profondo respiro, portandosi le mani alla fronte. Emma la osservò – non potendo fare a meno di notare come gli occhi della ragazza continuassero a posarsi sul sindaco.
 
“Saresti più tranquilla se, uhm, lei andasse via?” chiese Emma, chiedendosi se la ex regina cattiva potesse essere una fonte di intimidazione. “Puoi parlare solo con me, se vuoi.”
 
“Credi che abbia paura di lei?”
 
“Beh, metà della città ha paura di lei. Non è poi così folle come ipotesi.”
 
“Non ho paura di lei – mi piace. Ed è stata più gentile di te.”
 
Emma si sentiva persa. Non aveva idea di come procedere. La sua esperienza con i bambini era limitata ad Henry – ed Henry non le aveva mai dato questo genere di problemi.
 
“Charlotte, per favore,” la pregò Regina. “Dove sono i tuoi genitori?”
 
“Non capite, tutto questo è sbagliato. Non è qui che dovevamo arrivare. Ho bisogno di capire cos’è successo. Dovete lasciarci andare immediatamente.”
 
“Non posso certo farvi vagare da sole in piena notte; siete minorenni.”
 
“Sì, ragazzina…non vai da nessuna parte fino a quando non ci dici chi sono i tuoi genitori.”
 
“Non mi credereste se ve lo dicessi.”
 
“Mettimi alla prova,” insistette Emma. “Saresti sorpresa delle cose in cui credo di recente.”
 
“Per questa volta passo.”
 
“Ed io passerò tutta la notte facendoti la stessa dannata domanda,” la salvatrice si rifiutava di arrendersi. “Quindi, riproviamoci. Come si chiamano i tuoi genitori.”
 
“Regina ed Emma.”
 
“Molto divertente; prova di nuovo, su.”
 
“Ti sto dicendo la verità.”
 
“Non sono dell’umore giusto per giocare con una ragazzina saputella che non vuole collaborare, okay? Stai parlando con qualcuno che ha passato un bel po’ di tempo nel sistema di affidamento, il che significa che mi dispiacerebbe davvero esser costretta a mandarci anche te.”
 
Emma notò come le sue parole dure colpirono Charlotte. Aveva sperato che un po’ di ‘carota-e-bastone’ la spaventasse al punto di farla parlare – ma riuscì solo a farla piangere.
 
Le vane minacce non sembrano necessarie, Sceriffo Swan.” Intervenne Regina. “Non succederà nulla del genere, Charlotte, te lo prometto.”
 
“Mammina?” la ragazza guardò Regina uno sguardo disperato e senza speranza. “Questo significa che tu mi credi?”
 
“No, io…” il sindaco balbetto. “Crederti su cosa?”
 
“Sai,” iniziò Charlotte, le lacrime ancora negli occhi, “mi hai detto che hai sempre voluto chiamare tua figlia Charlotte, perché…”
 
“Significa libertà,” completò Regina – ed Emma vide come tutto il colore le abbandonasse il viso.
 
“Mi hai detto che è quello che hai sempre voluto per me perché tu non l’avevi mai avuta con Nonna Cora.”
 
“Io no…non capisco.”
 
“Voi ci avete mandate qui per proteggerci.”
 
Da cosa?
 
“Regina,” la interruppe Emma, “perché stai ancora parlando? Questo è sicuramente una sorta di scherzo terribilmente crudele.”
 
“Non sto scherzando! Lo giuro.”
 
All’improvviso, Emma ebbe un’idea distorta. “È stata Cora?”
 
“Mia madre è morta tra le mie braccia.” Regina era furente. Ed Emma sapeva che se la regina non avesse avuto una bambina seduta in braccio, avrebbe urlato a pieni polmoni. “Ha smesso di respirare ed io ho sepolto il suo corpo freddo. Pensi che sia ritornata in vita per ucciderti assumendo la forma di due ragazzine perse?”
 
“Ho visto tua madre metter su delle cose piuttosto fuori di testa. E non l’ho vista morire, ok? Non ero lì.”
 
“Sai una cosa? È stato un errore da parte mia venire qui e pensare che potessi essere utile a qualcosa.”
 
“Semplicemente non voglio che tu venga manipolata più di quanto non sia già successo, okay? Come diavolo hai fatto a cascarci da principio? A tua madre non importava nulla di te. Voleva solo più potere e ti ha usata per cercare di ottenerlo.”
 
“Sarebbe stata capace di preoccuparsi per me, se il suo cuore non fosse già stato avvelenato quando l’ho riportato nel suo petto. E dov’era la tua preoccupazione sull’esser manipolata quando tua madre ha fatto in modo che uccidessi la mia?”
 
“Basta!” urlò Charlotte. “Sapevo che non andavate d’accordo ma non pensavo che andasse davvero così male”
 
“Non siamo i tuoi genitori, ragazzina. Non so cos’altro dirti se non che l’unica cosa che io e Regina abbiamo in comune è che abbiamo passato entrambe delle settimane orribili. Quindi, chiunque ti ha convinta a fare questo ha davvero un pessimo senso dell’umorismo.”
 
“Ho mentito.” Charlotte ignorò Emma e marciò verso Regina. Prese Amelia e le diete in cambio la lettera, “La lettera è per voi. La leggerai almeno?”
 
Regina osservò la busta da vicino prima di aprirla. Tenne le due pagine tra le mani. I suoi occhi esaminarono le parole per pochi secondi prima di parlare. “Questa è…è la mia grafia.”
 
Guardò di nuovo verso le due ragazze, che erano in piedi, tenendosi per mano.
 
“Dimmi che lo vedi quando ci guardi.” La supplicò Charlotte.
 
“Vedere cosa?”
 
“Solo…ti prego, provaci.”
 
“Tu…credo che tu mi somigli.”
 
“Sì, è quello che dicono tutti.”
 
“Regina, andiamo,” insistette Emma. “Cora aveva il tuo aspetto quando ha ucciso Archie, o chiunque abbia ucciso sul serio, ok? Le cose non sono sempre quel che sembrano.”
 
“Hai detto che non è qui che dovevate arrivare,” Regina si rivolse a Charlotte. “Dove sareste dovute andare?”
 
“Smettila,” continuò la bionda. “Per favore, non cascarci; finiresti solo con il farti del male.”
 
“È tutto scritto nella lettera ma…Storybrooke non è sicura per noi in questo momento. Avete cercato di mandarci indietro nel tempo, a quando vi eravate già sposate ma prima di avere me.”
 
“Scusami,” Regina scosse la testa, “hai detto sposate?”
 
“Pensavi di aver avuto due figlie con lei per divertimento?”
 
“Mi hanno fatto una lobotomia prima?”
 
“Dev’esser stata una procedura congiunta,” aggiunse Emma. “Nessuno in questa stanza sa che non l’ho gli organi giusti per avere un figlio con la Regina Cattiva? O non hai ancora fatto educazione sessuale a scuola?”
 
“Non è cattiva” sbottò Charlotte. “Ed io sono il frutto del vero amore.”
 
“Gesù Cristo” lo Sceriffo rise, “le cose migliorano minuto per minuto.”
 
Emma era ufficialmente oltre il divertito ed in parte si chiedeva se fosse in una sorta di sogno assurdo. Quindi prese lo zaino che Charlotte aveva lasciato accanto alla sua scrivania, lo mise sulle sue gambe e cominciò ad aprirlo.
 
“Dammi lo zaino! Non puoi aprirlo, è mio.”
 
“Sono lo Sceriffo ed ora è sotto sequestro.” Emma fece spallucce. “Potresti avere della droga qui. Anzi, ne sono piuttosto sicura dal momento che devi essere completamente fatta per tirar fuori una storia del genere.”
 
“Charlotte,” proseguì Regina, “Perché Storybrooke non è sicura per voi due?”
 
“Rumpelstiltskin.”
 
“Si, ragazzina – questo è davvero originale. Sai, quando scopro chi sei davvero, stai sicura che…” si fermò a metà frase nel momento in cui tirò fuori una foto dallo zaino bagnato. L’immagine era abbastanza per far girare la stanza.
 
“Cosa c’è che non va?” sentì Regina chiederle. “Che cos’è?”
 
“Come hai fatto?” chiese Emma imperiosamente. “La foto sembra vera.”
 
“Perché è vera.” Le disse Charlotte.
 
“Quale foto?” Regina si avvicinò alla scrivania della salvatrice. “Sembra…”
 
“Il vostro matrimonio.”
 
“Photoshop?” Emma guardò verso Regina.
 
“No,” rispose Charlotte. La ragazza mise le mani nello zaino e prese una seconda foto. “Questa è di Natale dello scorso anno.”
 
“Photoshop” ripeté Emma, questa volta meno sicura.
 
“Charlotte,” chiese Regina. “Cosa sta luccicando sotto la tua maglia?”
 
“Oh, giusto” – tirò fuori la catenina e la tenne tra le dita. “L’anello di matrimonio della Nonna. Me lo ha dato prima di partire. Nonno lo ha usato per trovare lei, così ha detto che quanto voi due sareste venute a prendermi per portarmi a casa, vi avrebbe aiutato a trovarci.”
 
“È lo stesso anello” Regina annaspò. “È l’anello di Mary-Margaret.”
 
“Ho usato photoshop anche per questo?”
 
“Non può essere lo stesso anello,” protestò Emma. “Perché quell’anello è al dito di Mary-Margaret.”
 
“Mi dispiace ufficialmente per Henry, quando ha dovuto convincerti che la maledizione fosse reale. Ho sempre pensato che stesse esagerando su quanto irritante fosse stato ma non vedo l’ora di dirgli che mi rimangio tutto, non appena arrivo a casa dalle mie vere mamme.”
 
“Henry,” sussurrò Regina. “Se Storybrooke non è sicura…lui sta bene?”
 
“Henry è al sicuro perché tecnicamente non è frutto del vero amore. Mamma lo è per via di Nonna e Nonno…Io per voi due…lo stesso vale per Amelia. Ma Henry no per…insomma, Neal. Poi Henry non vi avrebbe mai lasciate da sole a vedervela con Gold.”
 
“Vero Amore,” ripeté Emma ad alta voce, mentre le sue guance diventavano rosse. “Sei figlia del vero amore perché la me del futuro sposa la Regina Cattiva – una donna che ha cercato di uccidermi più di una volta e che al momento vuole uccidere mia madre che ha ucciso sua madre?”
 
“Non è cattiva.”
 
“Quel che ti pare,” Emma si alzò. “Lascia perdere – ho bisogno d’aria.”
 
La salvatrice uscì teatralmente dalla stanza.
 
 
 
“Non penso che mi creda,” Charlotte guardò Regina, ancora scioccata. “E penso che ora mi odi.”
 
“Credo che sicuramente le hai fatto venire un attacco di panico.”
 
“Ne ho fatto venire uno anche a te?”
 
“Non lo so. Forse il mio comincerà tra un minuto.”
 
“Ma mi credi?”
 
“Io…non so a cosa credere in questo momento,” ammise. “Non ha senso…ma somigli molto a me quando avevo la tua età. Non so come ho fatto a non notarlo subito.”
 
“Forse non volevi notarlo.”
 
“Forse, cara.”
 
“Forse non avrei dovuto dirvelo. Pensi che mam – scusa, Emma – starà bene?”
 
“Penso…penso che dovrei portarti a casa.” Concluse Regina. “Tu e tua sorella avete bisogno di mangiare qualcosa e di andare a letto.”
 
Casa” l’intero volto di Charlotte si illuminò all’idea. “Non hai idea di quanto sia allettante.”
 
 

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