There we sat in the snow

di Emmie90
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un nuovo vicino ***
Capitolo 2: *** Succede sempre così. ***
Capitolo 3: *** Non c'è niente che non vada nel tuo armadio, Amelia. ***
Capitolo 4: *** "Amelia McKenzie...Grifondoro!" ***
Capitolo 5: *** Discorsi notturni. ***
Capitolo 6: *** Due anni non passano in fretta. ***
Capitolo 7: *** Prepotenze e rivelazioni. ***
Capitolo 8: *** Non così. ***
Capitolo 9: *** Buon compleanno, Amy. ***
Capitolo 10: *** Cosa può fare un bolide ben lanciato ***
Capitolo 11: *** Ci vuole tempo. ***



Capitolo 1
*** Un nuovo vicino ***



La storia è ambientata nel mondo di Harry Potter, anche se i due protagonisti sono stati creati prendendo spunto dai personaggi di Doctor Who: Amy Pond per lei, Eleven (un po' anche Rory caratterialmente) per lui. Gli sviluppi della trama e i loro caratteri si evolvono poi in maniera differente, ma lo scheletro dei loro personaggi e storie è stato attinto da questa serie tv che amo particolarmente. Una specie di tributo, insomma.
Ringrazio inoltre NadyaTompsett che mi ha concesso di usare il suo personaggio (Steven) per questa storia.


There we sat in the snow

 

1.Un nuovo vicino.

 

Era una domenica mattina autunnale fredda ma luminosa, un sole pallido faceva capolino rischiarando l’atmosfera e regalando una tenera aurea fiabesca alla campagna scozzese. Nel paesino di Pittenweem sembravano tutti ancora a casa: erano solamente le sette di mattina e quel 3 ottobre la stradina sembrava deserta. Le case erano silenziose, una accanto all’altra, con i giardini che mostravano colori autunnali e foglie cadute. Il fogliame iniziò a scricchiolare sotto il leggero tocco di un paio di stivaletti rossi di gomma, la loro proprietaria era infatti sgattaiolata in giardino, senza farsene accorgere e, ancora in camicia da notte, puntava decisa verso il grosso albero del giardino.
Aveva due verdi occhioni vispi e una massa di capelli rossi, leggermente spettinati ma lisci e lucenti. Aveva suppergiù sui sette, otto anni e dal suo sguardo si capiva che avrebbe dato del filo da torcere a quelli di venti, se solo avesse potuto. La bambina si era velocemente arrampicata sull’albero per poi sedersi su un ramo piuttosto robusto: aveva preso il vizio di nascondersi lì il più delle volte, come se quella posizione potesse renderla tranquilla e protetta.
La sua attenzione venne colpita da un movimento sospetto nel giardino accanto: quella casa era chiusa e disabitata da anni, e adesso? Un ragazzino era seduto sulla scala della casetta intento a leggere qualcosa, all’improvviso una signora si affacciò dalla finestra del piano superiore:
“Steven, tesoro, ricordati di darmi una mano con le lenzuola dopo.”
Il ragazzo annuì vistosamente, continuando a tenere il capo chino sul libro e la donna rientrò nella casa.
La bimba strabuzzò gli occhi, chi erano? E quel ragazzo? Le sembrava così strano, era diverso dai ragazzini che si vedevano nel paese, lui era silenzioso e, non vedeva bene, ma sembrava avere uno sguardo particolare.
Amelia McKenzie non era una bambina tranquilla, per niente, e mentre si faceva quelle domande era già scesa dall’albero, non prima di aver tirato una castagna sulla testa del povero malcapitato lettore. Il ragazzo si portò una mano alla testa, lamentandosi, per poi cercare la fonte di quel disturbo: ma l’unica cosa che vide fu una macchia rossa sfuggente. Forse se le era solo immaginata.
La bambina aveva fatto il giro del tronco fino ad avvicinarsi alla staccionata tra i due giardini, era nascosta tra le piante che osservava il suo nuovo vicino. Tra le fronde si intravedeva solo un occhio e la punta rossa di uno stivaletto: stava valutando la situazione.
Steven alzò leggermente lo sguardo dal libro puntandolo verso le siepi e la bambina fece un guizzo veloce per nascondersi, scaturendo però un leggero rumore. Il ragazzo scosse la testa, credendo fosse un soffio di vento, anche se … ma no, non c’era proprio nessuno: la strada sembrava decisamente deserta, eppure aveva lo strano sentore di essere spiato.
Passarono una quindicina di minuti: il ragazzo era sempre lì tutto preso dal suo libro e la bambina era ormai corsa nel giardino dei vicini, con fare silenzioso, senza farsi notare. Era ferma a qualche passo dal lettore, lo squadrava dalla testa ai piedi, chiedendosi da dove fosse sbucato: il giorno prima era certa che non ci fosse, e poi … aveva dei vestiti strani, non sembrava uguale agli altri; forse arrivava da molto lontano: lei non aveva mai potuto viaggiare, i suoi zii erano un po’ anziani e il massimo che facevano era andare fino al centro commerciale che distava qualche kilometro dal piccolo paese.
Amelia roteò gli occhi, vedendo che non veniva assolutamente notata, si avvicinò sporgendo la testa e cercando di vedere cosa c’era scritto sul libro.
“Cosa leggi?”
La bambina colse del tutto alla sprovvista il ragazzo che diede in un urlo spaventato e cadde all’indietro, quasi sbattendo la testa contro la porta della casa.
“Volevo solo sapere cosa leggevi.”
Continuò la piccola, alzando un sopracciglio alla vista della reazione di Steven.
“Sei strano.”
Continuò poi, aveva la lingua lunga, parlava tanto, forse troppo, ma in fondo nel paesino la adoravano tutti: era molto difficile non prenderla in simpatia.
Il ragazzo cercò di rimettersi in una posizione rispettabile, recuperando il libro e chiudendolo sulle ginocchia, per poi alzare lo sguardo sulla sua interlocutrice, grattandosi la testa leggermente in imbarazzo per essersi fatto vedere in quella maniera da una bambina. La piccola rossa lo guardava ancora in attesa, teneva gli occhi ben fissi e svegli su di lui.
“Da quanto tempo mi spii, piccoletta?”
Domandò facendo una smorfia sentendosi dare dello strano, era successo praticamente tutta la sua infanzia, la gente era solita trovarlo strano, sfigato, solitario, patetico; ma quella bambina sembrava averlo detto con aria curiosa, come se quella cosa non facesse altro che renderlo più interessante ai suoi occhi.
 “Penso che questa sia tua.”
Continuò allungando una mano e aprendola rivelò nel palmo la castagna che poco prima Amelia gli aveva tirato.
“Mi era caduta per sbaglio.”
Si giustificò lei, anche se la sua espressione tradiva un’aria furbetta, per poi sedersi senza tanti complimenti al suo fianco, sulla scalinata della casetta: era piccola e si teneva le ginocchia con le mani mentre continuava a spiare la copertina del libro.
“Io sono Amelia McKenzie.”
Disse come se quella fosse una questione fondamentale del discorso, poi si girò verso di lui, gli occhietti verdi che lo squadravano interessata.
“Steven McIntosh, piacere di conoscerti Amelia. Tu … abiti lì?”
Le domandò indicando con un cenno del capo la casa accanto alla sua e la piccola annuì.
“Con i miei zii, adesso stanno dormendo, io sono uscita fuori, mi annoio a stare la domenica mattina nel letto. Preferisco uscire e fare qualcosa … poi ho visto te da sopra all’albero. Tu non c’eri ieri.”
Il ragazzo la guardò esterrefatto, ma anche divertito, ma quanto parlava? Nemmeno si conoscevano. Però era buffa, con quei capelli così rossi e quell’aria da birba.
“Lo so che non c’ero, sono arrivato stamattina presto. Stiamo ancora mettendo la nostra roba a posto.”
Le spiegò voltandosi verso di lei sul gradino, lui era magrolino e già piuttosto alto anche se doveva compiere appena sedici anni alla fine del mese. Lei giocherellava con la sua camicia da notte a fiorellini e finì poi per tornare a guardare il libro.
“Chi è Sherlock Holmes? Ha un nome strano. C’è scritta la sua vita qui dentro? Vedi? Anche tu spii la gente, anche se non da dietro un cespuglio.”
Incrociò le braccia sul petto, gonfiando leggermente le guanciotte rosse per il leggero fresco del mattino.
“In un certo senso c’è scritta la sua vita, si. Ci sono le sue avventure, era un detective. Sai che cosa vuol dire, Amelia?”
Chiese lui gentilmente, osservando quella piccola creaturina che faceva delle domande tanto impudenti.
“Certo che lo so. Mi piacciono le avventure, anche io voglio viverne una un giorno.”
Poi abbassò la voce, prima di guardarsi intorno alla ricerca di qualcosa o qualcuno che potesse sentire quello che stava per dire.
“Dentro al mio armadio penso ci sia qualcosa di strano.”
Disse con aria seria e per certi versi quasi preoccupante.
“Se ti piacciono le avventure dovresti venire a vedere prima o poi, forse tu puoi aiutarmi.”
Il suo sguardo faceva benissimo capire che non avrebbe accettato un no in risposta, poi sorrise convinta che quella frase avesse reso lei e la sua storia molto interessante.
Steven stava per rispondere qualcosa, probabilmente rassicurarla sul fatto che non ci fosse niente di strano nella sua camera, ma fu interrotto da una voce di donna che chiamava la bambina.
“Penso di dover andare.”
Fece una smorfia, per poi guardarlo.
“Non devi dire a nessuno che ero qui, capito?”
Lui annuì con aria grave, promettendo, mentre lei dopo un’altra occhiata si alzava dal gradino camminando verso il cancelletto, corse via svoltando e probabilmente imboccò il vialetto di casa sua.
Il ragazzo sorrise tra sé e sé per quella buffa conoscenza per poi venire nuovamente colpito da qualcosa sulla testa. “Dannazione, di nuovo?” si lamentò alzando lo sguardo verso l’albero dei vicini.
La bambina era lì sopra con un’aria divertita.
“Non dovevi andare a casa, tu?”
Domandò lui, rimproverandola leggermente con lo sguardo.
“Adesso vado, volevo solo dirti che hai proprio la faccia da scemo quando qualcuno ti lancia una castagna in testa.”
Ridacchiò divertita e poi in un batter d’occhio scomparve, scendendo dall’albero.
Steven rimase a bocca aperta, incapace di replicare a quella frase, guardando il punto dove poco prima si trovava la bambina.

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Capitolo 2
*** Succede sempre così. ***


3.Succede sempre così

 Erano passati due anni da quando la casetta accanto a quella dei McKenzie era diventata la dimora di Steven e famiglia. Rispettivamente il sesto e settimo anno del tassorosso e Amelia aveva passato praticamente ogni giorno d’estate con lui, una volta lo aveva persino trascinato sugli scogli a cercare di pescare, inutile dire che nessuno dei due aveva preso nemmeno l’ombra di un pesce. Steven la aveva portata al cinema in un paese vicino, aveva cercato di imparare da lei la difficile arte dell’arrampicata sugli alberi, ma non era agile come lei e la scena finiva sempre con Amelia che rideva dall’alto di un ramo e il sedere del ragazzo che scivolava sul terreno. Certo, avevano parecchi anni di differenza, ma quando erano insieme nessuno dei due sembrava ricordarsene davvero.
“Amy, dai, vieni giù … allontanati da quella finestra.”
La voce della zia arrivò dal corridoio cercando di convincere la bambina a scendere: era ormai dalla mattina che continuava a rimanere lì, a fissare la strada dalla sua finestra.
“Tesoro, facciamo la torta insieme, ti va? Quella con il ripieno alla cannella.”
Provò ancora, sperando di attirare così la sua attenzione.
“Aspetto qui. Aspetto ancora un po’, falla tu e poi io la mangio dopo.”
Amelia rispose senza schiodarsi dalla sua posizione, teneva le ginocchia strette a lei avvolgendole con le braccia, il mento poggiato su di esse, gli occhioni verdi ben vigili e fissi oltre il vetro, i capelli rossi un po’ scompigliati.
La zia scosse il capo, sapendo che niente la avrebbe convinta, scendendo le scale e raggiungendo la cucina, sperava solo che la piccola non rimanesse delusa, delusa per l’ennesima volta.
Passarono un altro paio d’ore, la testolina sbatté contro il vetro risvegliandola dal leggero torpore che l’aveva circondata, si stropicciò un occhietto cercando di scrutare bene la situazione: qualcuno la stava salutando con la mano. Un ciuffo da un lato, l’espressione timida, avrebbe riconosciuto Steven ovunque. Rispose al saluto tirandosi in piedi e aprendo la finestra, l’arietta fresca di settembre le solleticò il viso.
“Scendi?”
Le chiese il ragazzo, infilandosi le mani in tasca e dondolandosi leggermente sul posto, alzando lo sguardo su Amelia.
“Devo asp … no, va bene, scendo.”
La sua espressione non sembrava la solita faccetta vispa e birichina, sembrava così delusa e triste, come se le fosse successo qualcosa. Steven era passato sotto casa McKenzie già un paio di volte in giornata e aveva sempre scorto la chioma rossiccia di Amy alla finestra e sapere che lei non si era mossa da lì tutto il giorno non era certo rassicurante.
Amelia comparve nel giardino, aveva le spalle ricurve e sembrava avere la testa altrove.
Steven le diede un colpetto sulla testa, come se volesse bussare, chinandosi poi a guardarla in volto.
“Ehi, piccoletta, che ti succede?”
Chiese, guardandola in maniera gentile, cosa che ormai accadeva sempre, aveva preso a cuore quella bambina.
“Non sono una piccoletta. “
Brontolò lei, come faceva sempre, quando lui le faceva notare che era piccola confronto a lui.
“Non è venuto nemmeno oggi e aveva scritto. Forse non voleva vedermi.”
Steven capì che c’era qualcosa che non andava davvero: di chi stava parlando? Chi non avrebbe voluto vederla?
Si sedette sui gradini del portoncino, come facevano sempre, uno accanto all’altro.
“Di chi stai parlando, Amy? Chi doveva venire oggi?”
Le domandò, sperando che Amelia rendesse il discorso un po’ più comprensibile.
“Papà. Aveva detto che oggi sarebbe passato da Pittenweem, lo aveva detto. Ho sentito che parlava al telefono con lo zio. Loro non volevano che io lo sapessi, non so perché.”
Gli zii di Amelia avevano temuto che lui non si presentasse e che la bambina rischiasse di rimanerci male, esattamente come era accaduto.
Steven rimase immobile un paio di secondi: Amy non parlava mai dei suoi genitori, non conosceva nulla di loro dalla vocetta di lei, certo chiunque sapeva che sua madre era morta dandola alla luce, ma del padre non aveva mai saputo niente, non aveva idea del perché non fosse lì con loro.
“Forse ha avuto un contrattempo, non credi? Verrà domani.”
E così aveva aspettato tutto il giorno, ferma alla finestra, solo sperando di veder spuntare il padre nella via. Perché la aveva fatta aspettare in quel modo, cosa c’era che non andava?
“No, non viene quasi mai. Lavora lontano, lontano … Lavora in America, tu ci sei mai stato? Lui non è un mago, la mamma lo era però. Da quando lei, lei … è morta lui è andato via, lo vedo solo poche volte.”
Spiegò, era la prima volta che ne parlava con qualcuno, forse perché nessuno le aveva mai chiesto niente sul serio.
“No, Amy, l’America è davvero molto lontana. Non ci sono mai stato là.”
Quindi era per la tragedia capitata alla nascita della figlia che il padre la aveva lasciata con gli zii? Steven, le portò un braccio attorno alle spalle, abbracciandola leggermente, riconosceva quello sguardo: Amelia stava cercando di non fare vedere che era triste e che voleva piangere. Faceva sempre così, lei non piangeva mai, piegava solo il labbro in quel modo, iniziava a stropicciarsi gli occhi e a tenere lo sguardo basso.
“Lui non mi vuole Steven? Perché gli altri papà tornano per Natale, le vacanze o i compleanni e il mio no? Forse io non gli piaccio tanto, ma non capisco, non gli ho mai fatto niente. Gli avevo anche fatto un disegno quando ero più piccola, come avevo fatto a te, ricordi?”
Amelia alzò il capo su di lui, non riusciva a capacitarsene, perché non voleva mai venire a trovarla? Prima pensava che fosse per il lavoro, per la lontananza, ma aveva iniziato a credere che non fosse per quello, che forse lui non volesse.
Steven si ritrovò a stringerla forte a sé, senza dirle niente: probabilmente lei era così uguale a sua madre, forse era la copia piccola di quello che suo padre aveva perso. La aveva abbandonata? Era quello che aveva fatto davvero? Di certo non poteva chiedere a lei, non avrebbe saputo dargli risposta.
“Un giorno sarò grande e andrò io in America a trovarlo, verrai con me?”
Chiese con la sua solita spontaneità, guardandolo come se fosse l’unica speranza che le rimaneva.
“E gli chiederò perché non viene quasi mai a trovarmi, perché mi fa sempre aspettare.”
Lui a quelle parole le sorrise rassicurante, dandole un piccolo bacino sulla fronte, per poi scompigliarle leggermente i capelli rossi, guadagnandosi un’occhiataccia della bambina.
“Si, verrò con te, quando sarai grande.”
Amelia fece un sorrisone, visibilmente contenta, e i suoi occhi si illuminarono leggermente.
Rimasero in silenzio un paio di minuti, vicini uno all’altra, senza bisogno di parole per rappresentare ciò che pensavano.
Fu Amelia a interrompere quel momento iniziando nuovamente a parlare, cambiando discorso, come faceva spesso.
“Ah, dovevo dirti una cosa: a scuola hanno chiesto di scrivere un tema sul migliore amico per le vacanze, io ho descritto come tu non sei capace di arrampicarti sugli alberi e che non mangi dolci. Però non te lo faccio leggere, è una cosa privata, poi tu lo correggi e invece io voglio che rimanga così.”
Steven arrossì leggermente sentendosi praticamente dichiarare il migliore amico di Amelia, non che non lo pensasse anche lui, quella peste di dieci anni aveva riempito il suo cuore più di qualsiasi suo coetaneo.
“Adesso che hai finito Hogwarts possiamo andare tutti i giorni a pattinare d’inverno. Ti insegnerò io, a me ha insegnato Mary, lei è bravissima, sai?”
Continuò a parlare imperterrita, forse aveva recuperato un bel del suo solito carattere. Steven la guardò preoccupato, si era quasi dimenticato che doveva parlarle, che doveva probabilmente mettere fine alle sue fantasie sul loro inverno insieme.
“Amy … mmm, ero passato per dirti che beh, ecco, si … andrò all’Accademia per fare l’auror.”
Si passò una mano tra i capelli, parecchio dispiaciuto e aspettando una sua reazione.
“E non sei contento? Tu vuoi tanto fare l’auror, vero? Perché fai quella faccia? Gli auror non possono pattinare, per qualche ragione che non sappiamo?”
Amelia lo guardò, avvicinando il suo visino al suo e scrutandolo bene, non riusciva a capire perché non dovesse essere una cosa positiva.
“Non tornerò a Pittenweem per due anni … non sapevo come dirtelo, Amy, mi mancherai tanto.”
Le disse prima che lei potesse rispondere, ma lei lo guardava, sembrava le avessero appena detto che quell’anno non ci sarebbe stato il Natale.
“Ah…”
Nemmeno una chiacchierona come lei riusciva a trovare parole in quel momento, si sentiva di nuovo abbandonata, questa volta da Steven. E due anni erano tanti, erano troppi.
“Troverai un’altra amica con i capelli rossi, vero? Forse nemmeno tu tornerai più.”
Riuscì a parlare solo dopo parecchi minuti di silenzio, nel quale la sua testolina aveva cercato di ragionare e fare luce sulla situazione.
“No, Amy, questo no. Tu sei la mia amica con i capelli rossi, anzi no, tu sei la mia sola amica. Tornerò sempre qui se ci sei tu, va bene?”
La guardò, mettendole le mani sulle spalle, cercando di farsi guardare negli occhi, per farle capire che non scherzava.
“Te lo prometto, devi fidarti di me.”
Amelia rimase un momento a guardarlo, poi sembrò venirle in mente qualcosa e posò una manina sul terreno ai suoi piedi afferrando una castagna: era di nuovo autunno e nel giardino se ne potevano trovare parecchie.
“Tieni. Questa non te la tirerò in testa.”
Gliela tese, sistemandola poi nella sua mano. Gli sorrise, stava cercando di essere forte, ma in realtà non voleva che stesse via così tanto tempo, si era affezionata tanto a lui, era una bambina che faceva pochissima fatica a fare amicizia, ma non sarebbero bastati tutti gli studenti di Hogwarts a mettere fine alla mancanza di Steven.
“Grazie, la terrò sempre con me, così mi ricorderò dei tuoi fantastici lanci dritti sulla mia testa.”
Lui le sorrise, infilandosi la castagna nella tasca dei pantaloni.
“Sbrigati a diventare un auror, Stev, così poi tornerai e andremo a pattinare insieme.”
Si alzò di colpo, stringendolo in un abbraccio, portandogli le braccina attorno al collo; sembrava aver accettato la sua partenza, ma in realtà si sentiva tremendamente sola, prima suo padre e adesso Steven.
“Quando parti?”
Chiese, sciogliendosi dall’abbraccio e facendo qualche passo indietro.
“Domani mattina, ho appena finito di fare la valigia e sono venuto a dirtelo.”
Lui si grattò nuovamente la testa, come sempre quando era in imbarazzo.
“Allora ci dobbiamo salutare.”
Il labbro di Amy tremò nuovamente, abbassando lo sguardo.
Non disse più niente e scappò in casa, incapace di stare ancora lì senza scoppiare a piangere. Se fosse rimasta avrebbe notato quella che era un’inconfondibile gocciolina scivolare dall’angolo dell’occhio di Steven facendosi largo silenziosamente lungo la sua guancia, fino a cadere sulla castagna che aveva ritirato fuori dalla tasca, stringendola forte tra le dita.

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Capitolo 3
*** Non c'è niente che non vada nel tuo armadio, Amelia. ***


2.Non c’è niente che non vada nel tuo armadio, Amelia.


Steven aveva cercato di stare il più lontano possibile dalla gente del nuovo paese, dopo la piccola bambina dai capelli rossi non aveva conosciuto nessun altro nel primo giorno a Pittenweem; escludendo la simpatica signora della panetteria che aveva tentato di capire se fosse una spacciatore o un attaccabrighe, dove la madre lo aveva mandato sperando di farlo uscire almeno un po’.
Non era il tipo da volere la vicinanza della gente, preferiva osservarla da lontano: chiedersi perché lui si sentisse così diverso e solitario; non che fosse una persona triste, adorava ridere e scherzare come qualsiasi sedicenne, ma i ragazzi della sua età non sembravano amare davvero la sua compagnia.
Era la sera del suo secondo giorno in quel tranquillo luogo scozzese e pensava fosse il momento giusto per fare due passi. Passò davanti alla casa dei McKenzie, sorridendo leggermente al pensiero della buffa bambina che dormiva nel suo lettino. Si mise le mani in tasca continuando a camminare, illuminato dalla luce soffusa di un lampione.
“Ti sei dimenticato di me, McIntosh.”
Non sembrava una domanda e la voce era quella della piccola. Miseriaccia, sentiva anche le voci adesso, Amelia sicuramente dormiva a quell’ora: probabilmente era la stanchezza del trasloco e..., abbassò lo sguardo: si era sentito tirare i pantaloni con un forte strattone.
“Dovevi venire a vedere il mio armadio: ti ho aspettato.”
Gli occhioni verdi della bambina lo squadravano, in un certo senso quasi rimproverandolo per quella dimenticanza.
“Amelia.”
Il ragazzo sorrise: quella piccola lo metteva di buon umore.
“Sono stato occupato con il trasloco, non pensavo di dover venire subito: me lo hai detto solo ieri.”
Cercò di giustificarsi guardandola con un’espressione sicura, per certi versi, anche se una parte di lui si sentiva in colpa per non avere davvero dato retta ad Amelia.
“Oh, senti, domani verrò a vedere, okay?”
“No. Vieni adesso.”
E, senza dargli tempo di replicare, lo tirò verso la sua casa, afferrandolo per una mano.
“hmm. Amelia e i tuoi zii cosa diranno?”
Chiese leggermente preoccupato e cercando di stare dietro alla sua corsa verso la casa.
“Non ci sono: sono andata a casa dei signori al fondo della via.”
Spiegò scrollando le spalle, come se la cosa non la toccasse più di tanto, mentre saliva le scale che portavano al piano superiore della sua casa sempre trascinando il ragazzino dietro di lei.
La cameretta era tutta sui toni del blu e del rosso, con un lettino accostato alla parete sinistra mentre su quella opposta vi era un armadio a due ante e una scrivania colma di quelli che da lontano sembravano fogli e pastelli.
Steven avvicinandosi buttò un occhio su quest’ultima: la sua attenzione venne catturata da un disegno probabilmente fatto dalla bambina: un ragazzo seduto intento a leggere, con un ciuffo di capelli inconfondibilmente acconciati da un lato.
“Hei, ma … sono io?”
Chiese lui timidamente guardando la bambina con espressione curiosa, facendola così voltare e abbassare lo sguardo sul foglio, ci mise una scatola di biscotti sopra nascondendolo così alla vista.
“Solo uno che ti somiglia.”
Borbottò la piccola rossa, guardandolo con la coda dell’occhio, ci fu un secondo di silenzio e poi lei indicò l’armadio con un dito.
“Io ci sento le voci lì dentro. Non credo che sia normale. Nel tuo si sentono? Perché ho controllato in quello degli zii e non si sente nulla.”
Si avvicinò all’anta destra dell’armadio di legno scuro appoggiandoci l’orecchio e facendo segno di fare silenzio. Steven alzò un sopracciglio, ma decise di compiacerla: perciò si sistemò sull’anta affianco, in attesa.
“Non credo di riuscire a sentire, Amelia, forse non sono abbast-“
Si bloccò guardando l’espressione della bambina: sembrava per la prima volta spaventata da qualcosa, cosa poteva fare ora? Non sapeva come andavano trattati i bambini spaventati, dannazione.
Prese un attimo di tempo, deglutendo e grattandosi la testa con aria timida.
“Amy, non devi avere paura.”
la guardò in viso mentre si abbassava, inginocchiandosi sul pavimento e arrivando così alla sua altezza.
“Va tutto bene, te lo assicuro.”
Le posò le mani sulle spalle, mentre Amelia lo guardava, cercando di capire se fidarsi o no.
“Ma io le sento, Steven.”
Lui le sorrise sperando che non si mettesse a piangere o che urlasse, facesse la pazza o qualsiasi altra cosa potesse fare una bambina, le era sembrata davvero indifesa per un attimo e avrebbe fatto qualsiasi cosa per farle tornare il sorriso.
“Nessuno mi ha mai chiamato Amy.”
aggiunse poi, storcendo leggermente il naso, inclinando il capo da un lato, come se valutasse quella nuova scoperta.
“Bhè, scusa, non lo farò più se non...”
tentò di iniziare Steven, ma come al solito la bambina rispose prima che potesse finire la frase.
“Mi piace, ma anche Amelia mi piace. Puoi chiamarmi in entrambi i modi, a me va bene.”
poi si avvicinò alla scrivania togliendo con le sue piccole manine la scatola di biscotti e prendendo il disegno.
“Lo puoi tenere se ti piace. Anche se non sei tu il ragazzo che legge.”
annuì con fin troppo vigore e chiunque avrebbe capito che il suo era un semplice modo per non far capire che il ragazzo aveva attirato così tanto la sua attenzione da farle fare un disegno con lui come protagonista.
Gli tese il foglio aspettando, anche se la sua espressione era sicura, sicura che lui lo avrebbe preso.
“Oh, io...grazie. Lo terrò in camera mia.”
disse infilandoselo nella tasca della giacca, dopo averlo piegato con cura.
La bambina fece un sorrisone soddisfatto per poi afferrare un biscotto dalla scatola a cuori rossi.
“Tieni.”
disse mettendogliene uno nella mano.
“Non mi piacciono molto i dolci, sai?”
Lei lo guardò come se avesse appena detto una di quelle cose da grandi che lei non riusciva ancora a capire, fece una smorfia per poi ritrarre il biscotto a sé, dando un morso prima ad uno e poi all'altro, mentre si sedeva sul letto.
“Hai una fidanzata, Steven?”
chiese lei, sempre con la sua grande delicatezza: non credeva di poter essere inopportuna a volte, era spontanea.
“Cosa? Bhè, bhè...no. Ma che domande sono, insomma!”
disse lui arrossendo leggermente e scuotendo il capo, come a voler metter fine a quel discorso.
“Hai degli amici, allora?”
domandò ancora lei imperterrita, alzando lo sguardo su di lui.
“Li avevo. Ovvero, ne avevo uno quando ero in orfanotrofio...poi sono andato via e non lo ho più sentito, adesso non so dove sia.”
disse lui, sedendosi sul letto accanto a lei.
“Orfanotrofio?”
chiese Amelia, leggermente preoccupata: sapeva che lì andavano i bambini che non avevano nessuno e non era una bella parola, quello lo sapeva.
“Già, sono stato lì per un po' di anni.”
abbassò lo sguardo, non ne parlava mai con nessuno, preferiva non farlo, ma quella bambina era un piccolo mostro: gli avrebbe fatto dire qualsiasi cosa.
“Magari io diventerò tua amica.”
si pulì le manine una sull'altra mentre lo diceva, togliendo le briciole che avevano lasciato i biscotti.
Lui la guardò stupito da quella frase, ma non riuscì a non sorriderle.
“Ora vai, io devo dormire.”
si alzò di scatto tirandolo per un braccio e spingendolo verso la porta della stanzetta, senza dargli tempo di dire o fare altro.
In pochi secondi si ritrovò nel giardino dei McKenzie e, scuotendo il capo tra l'allibito e il divertito, riprendeva la sua passeggiata senza sapere che oltre la tendina un occhio verde lo osservava.

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Capitolo 4
*** "Amelia McKenzie...Grifondoro!" ***


4.“Amelia McKenzie …Grifondoro!”

 
“Mi raccomando, niente guai. Almeno i primi giorni. Ricordati che mi aspetto qualche lettera, non dimenticartene. E … non fare di testa tua.”
La zia stava dando le ultime raccomandazioni ad Amelia. Si trovavano al binario 9 e ¾, mancavano solo dieci minuti prima che l’espresso per Hogwarts partisse con al suo interno anche la giovane Amelia, pronta al suo primo anno nella scuola di magia.
“Cassie, risparmia il fiato, tanto lo sai che farà di testa sua.”
Commentò Alfred stringendo a sé la moglie con un braccio e sorridendo compiaciuto alla nipote.
“Piuttosto ricordale di non spendere tutti i galeoni per i dolci del carrello.”
Amelia rise abbracciandoli entrambi e tirando con sé la gabbietta del suo piccolo gufetto. Avrebbe preferito di gran lunga un gattino dal pelo arancio, ma la sua scelta era ricaduta su un volatile per un solo motivo: la posta. Voleva essere sicura che Steven potesse riconoscere il suo gufo e che non ci fossero problemi con quelli della scuola.
La ragazzina guardò il piccoletto che sonnecchiava sul trespolo, facendo dei suoni molto buffi, arruffando le piume: si, forse aveva scelto il gufo più deficiente di tutti, non sembrava un granché affidabile, ma la aveva colpita per la sua aria tenera.
“Gufo, prova a sgarrare una sola volta e …”
Lasciò la frase in sospeso, guardando dentro la gabbietta avvicinando un occhio alle sbarre dorate.
Aveva poi salutato per l’ennesima volta gli zii con un movimento ampio del braccio ed era salita sul treno: non vedeva l’ora di iniziare quella nuova avventura, di sapere in che casa sarebbe finita, di scoprire i passaggi segreti di Hogwarts, di visitare Hogsmeade, di imparare a fare incantesimi e pozioni. L’entusiasmo della ragazzina era ben visibile dato il suo sguardo allegro e quel sorriso ampio che si apriva sul suo volto.
Cercò un posto sul vagone, facendosi largo tra i vari studenti, fino a quando trovò spazio in uno scompartimento con altri tre ragazzi. Una con dei capelli riccissimi e neri, nerissimi e lucidi, un ragazzo dall’aria triste e un po’ insicura, e una ragazza strampalata, di sicuro non al primo anno.
Amelia si lasciò cadere sul sedile con un grosso sospiro, per poi guardarsi intorno.
“Qui è sempre così? ”
Chiese, guardando i suoi tre compagni di viaggio, la sua faccia era buffissima e allegra, come al solito.
“Oh, io sono Amelia e questo è Gufo. Ha un po’ la faccia da scemo, ma io lo trovo carino, è speciale.”
La ragazza riccia si lasciò scappare un risolino sentendola parlare, per poi guardarla.
“Io sono Jenny e sinceramente non ho idea se sia sempre così, è il mio primo anno.”
Le rispose scrollando le spalle.
Amelia stava per aprire bocca e rispondere, ma scattò in piedi aprendo la porta dello scompartimento, senza dare nessuna spiegazione: la si sentì parlare lì fuori e tornare poco dopo con le braccia cariche di dolci del carrello.
“Forse mi sono un po’ lasciata prendere dall’entusiasmo.”
Constatò quando ebbe lasciato cadere tutte le leccornie sul sedile vuoto accanto al suo.
“Mangerai davvero tutta quella roba?”
Chiese la stralunata ragazza che sedeva con loro, era inconfondibile il fatto che fosse una parente di Luna Lovegood: stessi capelli biondi e stesso sguardo sconclusionato.
“Io diventerei una mongolfiera, sei veramente incredibile!”
Continuò Jenny, guardando la montagna di dolci esterrefatta, notando che Amelia si era già ficcata in bocca una cioccorana e una manciata di gelatine tutti gusti +1.
Ma l’attenzione della rossa era tutta sul ragazzo silenzioso, da quando erano lì aveva sempre tenuto lo sguardo basso, sul libro che stava leggendo, senza mai partecipare alla conversazione.
“Prendete pure cosa volete!”
Rispose lei, incrociando le gambe e sistemandole sotto di lei, mettendosi comoda, praticamente arrampicandosi sul sedile.
“Hei, tu, non vuoi una cioccorana?”
Chiese guardando il ragazzo solitario, possibile che non alzasse nemmeno lo sguardo verso di loro? Doveva essere davvero, davvero timido.
Il ragazzo si voltò a guardarla, insicuro, poi fece segno di no con il capo, tornando poco dopo a guardare verso il finestrino.
Amelia fece una faccia tra il perplesso e l’offeso, mordendo poi il dolce, staccando con impeto la testa alla povera rana. Quel ragazzo le aveva per un istante ricordato Steven, il suo Steven. Era praticamente un anno che non lo vedeva, che non poteva abbracciarlo o prenderlo in giro, le mancava terribilmente. Ogni tanto arrivavano delle sue lettere in cui il ragazzo cercava di raccontarle cosa succedeva all’accademia e Amelia ricambiava con delle divertenti descrizioni delle sue mirabolanti giornate a Pittenweem; ma adesso stava andando a Hogwarts, forse uno dei momenti più importanti nella vita di un giovane mago, e lo avrebbe tanto voluto accanto a lei. Proprio sul binario, lo avrebbe voluto lì accanto ai suoi zii, che si preoccupava per lei e cercava di metterla in guardia da quelli che potevano essere i pericoli nel grande castello per una tipetta come Amelia. Invece lui era lontano, probabilmente con altra gente più interessante e grande di lei. Sospirò cercando di non pensarci: era il primo giorno ad Hogwarts, doveva essere indimenticabile e poi, prima di andare a dormire avrebbe affidato alle zampette tremolanti del piccolo Gufo la cronaca di quanto accaduto durante lo smistamento. Guardò il volatile: sempre se avesse trovato l’accademia auror in cui recapitare la lettera, non le sembrava poi così affidabile, ma avrebbe rischiato.
 

***

 
Il soffitto della sala grande era meglio di qualunque immagine mentale si fosse mai fatta grazie ai racconti dell’amico: era la cosa più emozionante che avesse mai visto.
Se ne stava con il naso per aria, intenta a scrutare ogni angolo della sala mentre uno ad uno venivano chiamati per lo smistamento. Sentì un forte colpo provenire dalla sua sinistra e si voltò senza capire, notando Jenny che cercava di farla tornare alla realtà con dei gesti e indicandole con un dito il cappello parlante.
“Amelia McKenzie!”
La voce era leggermente alta e sembrava sul punto di spazientirsi, così Amelia assunse un sorrisetto che sperava fosse di scuse, fece uno dei suoi risolini e corse verso lo sgabello sistemato nella sala.
“Oh, Amelia, sei proprio coraggiosa … e non sembri una che sta molto alle regole, vero?”
“wow … sembra di essere dallo psicologo!”
Commentò meravigliata la ragazza, sentendo la vocina del cappello nella sua testa, tutto avvenne in un secondo prima che il cappello urlasse a gran voce: GRIFONDORO.
Un applauso si alzò dal tavolo oro e rosso dove la giovane venne accolta con una generosa serie di pacche sulle spalle e di strette di mano.
“I piatti si continueranno a riempire finché saranno vuoti, vero?”
Fu la prima cosa che chiese al suo vicino di posto, che forse per la domanda o l’espressione della rossa scoppiò allegramente a ridere annuendo.
Amy sembrò molto soddisfatta della risposta e salutò Jenny che si era appena unita al tavolo, smistata a grifondoro anche lei.
 

***

 
“… ricordo che il villaggio di Hogsmeade non è accessibile per gli studenti del primo e del secondo anno.”
La faccia di Amelia lasciava intendere quanto tutto ciò non fosse nei suoi piani, e la luce furbetta nei suoi occhi faceva capire che stava tentando di trovare una soluzione alla McKenzie alla questione e quindi che i guai sarebbero arrivati ben presto.
“Dovremmo aspettare ancora due anni prima di andare ai Tre Manici.”
Commentò Jenny con un tono di voce sconsolato scrutando l’espressione di Amelia che non lasciava presagire nulla di buono.
“ O forse no.”
Disse la rossa guardandola con un sorrisetto vispo.
“ Oh. Beh, se la metti così sono con te.”
Jenny stava forse per aggiungere ancora altro quando una ragazza con due occhioni azzurri e un’aria leggermente preoccupata, che sembrava non essersi persa una parola del loro discorso, si intromise.
“Vi farete scoprire, cosa volete fare?”
Chiese sollevando un sopracciglio curato e osservandole quasi volesse rimproverarle.
“Solamente andare a svaligiare Mielandia alla prossima gita ad Hogsmeade.”
Commentò Amy scrollando le spalle e fingendo un’espressione innocua.
“Puoi venire con noi, magari ci aiuterai a non farci scoprire e sarai più tranquilla.”
Già, niente avrebbe fermato la curiosità della giovane McKenzie, non era una ragazza pericolosa e nemmeno una sprovveduta, ma era testarda e non rifletteva molto sulle sue azioni, decideva quasi sempre su due piedi. E poi perché avrebbero dovuto aspettare due anni per bere burro birra e comprare dolci o scherzi?
Kate si ritrovò a sorridere e annuire.
“ Se si tratta di salvaguardare l’orgoglio dei Grifondoro, allora …”
Le tre ragazze sembravano aver appena stretto un patto con l’intento di sgattaiolare al villaggio magico alla prima occasione.
 

***

 
“Hai già sonno? Beh, hai mangiato tre porzioni di dolce, mi sembrava un po’ esagerato.”
Kate era seduta davanti al caminetto nella sala di Grifondoro accanto a Jenny, mentre Amelia si era alzata diretta al dormitorio.
“Naaa. Io sto benissimo. Devo andare a scrivere una lettera e sperare che Gufo la mandi dove deve. Probabilmente arriverà quando sarò tornata a casa per le vacanze.”
Spiegò alle due con un’espressione che faceva intendere tutta la sua diffidenza nei confronti del pennuto.
“Alla tua famiglia?”
Domandò Jenny, voltandosi verso di lei, incuriosita.
“In un certo senso, beh, sì.”
Amelia sorrise, abbassando il capo e dirigendosi verso il dormitorio. Si, in fondo Steven era ormai parte della sua famiglia.

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Capitolo 5
*** Discorsi notturni. ***



Scusate l'attesa, ma ecco qui il 5° capitolo! Spero vi piaccia come gli altri. : )


5. Discorsi notturni.

 

 
Il primo anno ad Hogwarts era passato come niente, senza troppi rimproveri per il terzetto di ragazze di Grifondoro e, almeno apparentemente, senza guai troppo grossi. In realtà le tre stavano mettendo a punto un piano per riuscire a prendere parte alla gita ad Hogsmeade del mese di ottobre. C’era qualcuno che aveva notato però il bisbigliare delle ragazze e il loro zittirsi ogni volta che uno studente più grande iniziava a parlare di Hogsmeade. E quel qualcuno non era altro che il giovane Corvonero, il ragazzino timido che poco più di un anno prima aveva rifiutato la cioccorana di Amelia; ancora si chiedeva perché avesse rifiutato un dolcetto che amava, ma si era sentito profondamente in imbarazzo alla vista di quegli occhioni verdi sorridenti che gli porgevano la rana con un’espressione allegra.
In quel momento aveva provato quasi odio verso di lei: come riusciva ad essere così spontanea, divertente e buffa? Al tavolo di Grifondoro la avevano accolta e apprezzata in un battito di ciglio, i più grandi le parlavano e ridevano alle sue battute o ai suoi pasticci. Avrebbe dato qualsiasi cosa per essere un po’ come lei e non essere costretto a stare da solo, a contare sulla mano gli amici che aveva avuto o la gente con cui parlava. Per fortuna nessuno lo aveva mai preso in giro o insultato, semplicemente lo ignoravano, come se fosse una persona strana o di poca considerazione. In fondo a Colin questa situazione non dispiaceva: poteva studiare nascosto tra le sue montagne di volumi in biblioteca, scrivere e leggere senza nessuno che lo disturbasse. E poi aveva un amico, era un Corvonero più grande di qualche anno e avevano scoperto di amare gli stessi libri babbani, cosa che li aveva finiti per legare in un’amicizia nel giro di poco tempo.
Non aveva smesso di tenere d’occhio la ragazza con i capelli rossi, non sapeva perché se ne fosse fissato tanto, ma davvero la considerava insopportabile. Il suo detestarla continuò per parecchi mesi del primo anno, scorgendola nei corridoi, osservandola in biblioteca: come poteva stare seduta in quel modo e riuscire comunque a leggere? Mangiava sopra i libri, ma sembrava così affascinata dalla lettura che a volte era impossibile non fingere di non notare la mole di briciole che coprivano il tavolo.
Doveva ammetterlo: non avrebbe mai creduto che una ragazza così solare e così divertente venisse da una situazione famigliare così triste: non aveva mai avuto una madre e suo padre aveva finito con l’abbandonarla. Colin si era ritrovato a invidiarla ancora di più, lui pensava che tutto ciò che c’era di negativo del suo carattere provenisse dall’aver perso il padre, ma allora perché lei era così? Sapeva di iniziare ad essere assurdo, ma era ormai un pensiero fisso.
Ma l’odio si tramutò in ammirazione e forse in una sorta di affetto nel mese di marzo dello stesso anno.
Stava camminando nel parco di Hogwarts, gli piacevano i sentieri un po’ nascosti, quelli che normalmente la gente non apprezzava. La vide subito: Amelia era seduta sotto un albero, in mezzo alla leggera neve, a gambe incrociate e teneva tra le mani una bambolina. Aveva i capelli rossi anch’essa, con un grosso fiocco blu da un lato in tinta con l’abitino. Doveva chiamarsi Lindsay, visto che la ragazza la stava chiamando in quel modo, ma stranamente Amelia era triste, sembrava assorta nei suoi pensieri, i suoi occhi non avevano quella solita luce brillante e spiritosa e non c’era nessun sorrisone sul suo viso.
“Dannazione, McIntosh, te la farò pagare per avermi fatto passare il Natale senza di te. Mi manchi tanto. Ti abbraccerò fortissimo, ma solo dopo averti dato un pugno su quella tua faccia da scemo. Ti prego, torna presto, Steven.”
La Grifondoro era sicuramente certa di essere sola e non poter essere udita da nessuno: ma Colin era appoggiato al tronco di un albero lì accanto e, senza accorgersene, i suoi occhi si inumidirono: lei non era come sembrava. Aveva la forza che lui non avrebbe mai tirato fuori, preferendo isolarsi e piangersi addosso. Forse solo in quel momento capì che non era odio quello che aveva provato per lei in tutti quei mesi, era un sentimento nuovo che non aveva mai provato prima; si chiese come avesse fatto a non notare mai che i suoi capelli avevano i riflessi di un tramonto infuocato, che le sue mani fossero così piccole e affusolate. Lasciò cadere il libro che teneva tra le mani, iniziando a correre verso l’interno del parco, sperando che lei non lo avesse visto e che non avesse capito che aveva udito tutto e che … aveva pensato certe cose. Oddio, ma era stupido? Lei nemmeno sapeva come si chiamava, come poteva anche solo notare la sua presenza o sospettare qualcosa? Poteva stare tranquillo e ritornare nell’ombra.
Durante l’estate del primo anno Colin aveva cercato di razionalizzare quei pensieri e quanto aveva visto nel parco, tutto sommato la sua non era davvero una cotta, pensava di provare affetto per quella ragazza, li accomunava la perdita di un genitore e lei rappresentava quello che lui avrebbe voluto essere, ma non tutti erano in grado di fingersi o tentare di essere così forti; pensò che quello Steven, chiunque fosse, doveva essere fortunato, lei doveva volergli molto bene per riuscire a nascondere la sua solita allegria e apparire triste e sconsolata.
Il secondo anno era cominciato da appena un mese e lui non aveva smesso con le buone abitudini: lanciava sempre un’occhiata al tavolo di Grifondoro ogni mattina a colazione e il vedere la chioma rossa lo tranquillizzava, era una specie di buona fortuna.
In biblioteca sentiva il profumo di biscotti, spezie e mele caramellate e sapeva che lei era arrivata, si accontentava di poco, ma erano quelle piccole cose che si aspettava tutti i giorni e che gli strappavano un sorriso.
Aveva sentito che il loro piano sarebbe stato messo in atto quella stessa notte e sapeva che si sarebbero cacciate nei guai, non temevano le regole e tanto meno sembravano avere paura di uscire da Hogwarts nel buio della sera, oltre il coprifuoco. Ci aveva ragionato sopra tutto il giorno, doveva far finta di niente? Lasciare che succedesse qualcosa e che si facessero beccare dai professori? Prima di rendersene veramente conto si era avvolto in un pesante mantello e si era recato nel corridoio che portava nella torre di Grifondoro. Erano le quattro di notte, le avrebbe viste uscire dal dipinto dopo poco.
“shh, Kate fai silenzio, non vorrai che si svegli tutto il castello. Merlino, ti sta benissimo quel maglione, ora piantala.”
La voce di Amelia non tardò ad arrivare, il ragazzo allora invocò tutto il suo coraggio e fece capolino oltre una delle armature.
“So cosa volete fare.”
Disse a mezza voce, sapendo benissimo di stare facendo la figura dello scemo e che le ragazze si sarebbero messe a ridere: ma non Amy che lo guardò inclinando il capo e facendo un passo avanti.
“Sei il ragazzo del treno, vero?”
Chiese inclinandosi verso di lui, come se volesse controllare meglio.
Lui annuì, uscendo completamente allo scoperto e piazzandosi in mezzo al corridoio, nel goffo tentativo di impedirle di passare.
“E’ pericoloso uscire di notte e vi farete espellere. “
Disse solamente, cercando di non abbassare lo sguardo e mantenere un tono asciutto e un minimo autoritario.
“ E quindi non dovremmo cercare di andare ad Hogsmeade? Tu come facevi a sapere che … insomma, come fai a saperlo?”
Domandò Amelia, leggermente perplessa, pensava che il loro piano fosse perfetto e segretissimo e adesso quel Corvonero sapeva tutto, oh, Hogwarts! Forse parlavano persino i piatti in sala grande, non si stupiva più di nulla.
“ Senti, non vuoi farlo per me, fallo almeno per quel tipo … Steven, o come si chiama.”
Oddio, ma perché non era stato zitto e aveva tirato fuori quel nome? Era diventato scemo? Ora avrebbe capito che la aveva spiata quel giorno nel parco, si sarebbe arrabbiata e lui avrebbe fatto la figura dello stupido.
“ … Per Steven? “
Amelia strabuzzò gli occhi e lo guardò per la prima volta intimidita, lui sicuramente la avrebbe sgridata dicendole di non andare e di non mettersi nei guai. Di tornare nel dormitorio e aspettare l’anno seguente per la gita. Socchiuse gli occhi, cercando di ragionare.
“Oh, dannazione, sono le cose che mi direbbe lui! Anche quando non c’è mi tiene d’occhio. Ti ha mandato lui, ammettilo!”
Colin fece un passo indietro, nemmeno conosceva quel tipo di cui parlavano! Lo aveva detto solo sperando di convincerla e sembrava funzionare.
“Beh, no, ovvio che non mi ha mandato il tuo ragazzo o quello che è. Non lo conosco neppure.”
Amelia scoppiò a ridere in maniera cristallina.
“Ma quale ragazzo? Potrei essere quasi sua figlia! Beh, oddio, no. Ho solo otto anni in meno, ma noi siamo solo amici, tanto amici.”
Spiegò lei, ridacchiando, proprio non credeva che loro due si sarebbero potuti fidanzare, insomma … che schifo! Quello era il suo migliore amico, era grande e lei … no, era assurdo e persino un po’ strambo.
“Ah, okay. Beh, non fare sciocchezze.”
Disse prima di voltarsi e fare per andarsene: lui ci aveva provato, ora toccava a lei prendere l’ultima decisione.
“Hei, lo sai? Gli somigli, un po’. Grazie, era una cosa stupida da fare.”
Sorrise facendo un ciao con la mano, notando che lui aveva girato la testa per ascoltarla.
“Il piano è saltato, hanno già beccato due fuori dai dormitori qualche minuto fa.”
Disse con aria desolata tornando indietro e avvicinandosi alle amiche.
Era incredibile come Steven ci fosse sempre per lei, anche quando non era presente. Sorrise a quel pensiero, rientrando nella torre.

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Capitolo 6
*** Due anni non passano in fretta. ***


Ehilà, scusate per l'attesa: ora sono qui con un nuovo capitolo che spero sia di vostro gradimento, io adoro con tutto il cuore questa coppia e spero di passare questo sentimento anche a voi con la mia storia. Buona lettura.
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Em.


 

6.Due anni non passano in fretta.

 
Nella cucina dei McKenzie c’era il delirio: Amelia era in casa da sola e si era messa in testa che avrebbe fatto dei biscotti per il giorno seguente, ovvero Natale. Aveva chiesto la ricetta alla signora che abitava in fondo alla via, in modo da poter fare una sorpresa agli zii e tenerli all’oscuro dei suoi progetti. Il quale, a quanto pareva, era cucinare il tavolo più che i biscotti, visto che montagnole di farina e di cioccolato in polvere abbellivano il legno come tanti alberelli, la ragazza però sembrava tutta intenta nella sua opera e osservava con fare critico i biscotti che aveva prodotto in un intero pomeriggio: beh, non erano molto belli, ma magari se era fortunata sarebbero stati buoni, o almeno mangiabili.
“Oh, insomma.”
Si disse infilandosene poi uno in bocca, masticò e per poco la ragazza non diede in un conato di vomito: erano disgustosi, dolcissimi e con un retrogusto inconcepibile.
“Forse sarà meglio comprarli già fatti.”
Fu questa la conclusione a cui arrivò la tredicenne dopo aver direttamente dirottato il suo lavoro nella pattumiera.
Il campanello diede in un trillo delicato, quasi timido e Amelia urlò un “arrivo”, facendosi poi largo tra i resti della sua prova culinaria, riuscì finalmente ad arrivare alla porta della casa e aprirla con un movimento veloce.
Spalancò la bocca, rimanendo ferma a fissarlo.
“Ciao Amelia.”
Era Steven. Era Steven dopo due anni e qualche mese di assenza. Era Steven con un sorrisetto timido sul volto. Era Steven e lei gli chiuse la porta in faccia senza nemmeno salutarlo.
“... Ma cosa?! Amy, aprimi! Sono tornato! Non dovrò più tornare all’accademia, sono arrivato in tempo per Natale. Amelia!”
Si ritrovò a tirare un pugno alla porta, senza capire il comportamento della ragazza: pensava fosse felice di rivederlo.
Passò qualche minuto e Amelia riapparse, aprendo piano la porta, lo fissò con una faccia imbronciata senza dirgli nulla, ma questa volta fece un passo avanti, verso di lui.
Si ritrovò ad arrossire notando l’espressione perplessa e sorpresa con cui lui la stava fissando.
“Perché mi guardi così? Diventare un auror ti fa assumere quella faccia da scemo? Beh, la avevi anche prima in effetti.”
Commentò, ma ancora non aveva sorriso, sembrava volerlo tenere sulle spine, forse per averla lasciata sola così tanto tempo.
A quelle parole fu la volta del ragazzo di arrossire per essere stato così miseramente scoperto a fissarla in quel modo.
“ No, beh, s-sei … cresciuta. Solo quello.”
Era visivamente una ragazza ora, la aveva lasciata che era poco più che una bambina, ma ora non aveva più nulla della piccolina ed era bella, molto, lo aveva chiaramente notato, sarebbe stata una bellissima ragazza da grande, Steven ne era certo.
“Ho tredici anni adesso. Ti sei perso due Natali, il mio arrivo ad Hogwarts, due miei compleanni, la prima volta che ho fatto lo sgambetto ad un deficiente, il mio smistamento. Ti sei perso molte cose, McIntosh.”
Lei parlò guardandolo con gli occhioni verdi che lo fissavano e speravano di farlo sentire in colpa, almeno un pochino.
“Non puoi tornare come se niente fosse, adesso.”
Steven la osservò con espressione mortificata: era vero, si era perso tante cose importanti di lei e, nonostante le lettere che si erano scambiati, non aveva potuto starle vicino come avrebbe voluto. Quante volte aveva sperato di poter vedere la sua faccia buffa e sentirla ridere per qualcosa che aveva combinato, sarebbe stato più facile superare gli anni all’accademia se ci fosse stata lei con lui.
Iniziò a parlare, sperando di potersi spiegare e che Amelia cedesse presto e gli sorridesse.
 “Oh, Amy, non volevo lasciarti sola per due anni, lo sai. Credi di non essermi mancata? Un sacco di volte mi chiedevo cosa stavi facendo e … oh, Amy, davvero: non puoi avercela con me per questo. I-io … guarda, la ho tenuta sempre, per tutto questo tempo …”
Si infilò una mano nella tasca dei pantaloni e ne estrasse la piccola castagna che lei gli aveva dato quando stava per lasciare Pittenweem e iniziare l’addestramento da auror.
Amelia puntò lo sguardo sul piccolo frutto e senza nemmeno accorgersene l’espressione sospettosa di poco prima lasciò il posto a un leggero sorriso. Stava cedendo e anche Steven lo sapeva, infatti fece una delle sue migliori facce da “cucciolo”, o almeno così le chiamava Amy, quelle in cui il suo sguardo diventava dolcissimo e gli occhi si illuminavano insieme ad un tenero sorriso sulle sue labbra.
“Oh … va bene. Va bene, perdonato.”
Disse la ragazzina per poi lanciarsi praticamente tra le sue braccia e stringendolo forte a lei, senza nessuna intenzione di lasciarlo andare.
“Mi sei mancato tanto! Sei stato proprio uno scemo ad andartene per così tanto tempo!”
Gli diede uno scappellotto sulla spalla incitata da quelle parole, ma prima che lui potesse difendersi o replicare in qualche modo, lei lo strinse nuovamente.
“Adesso non te ne vai più, vero? Nessun corso di iper-perfezionamento alle Bahamas o chissà che altro fate voi auror.”
Continuò dopo essersi sciolta da quell’abbraccio così affettuoso e guardandolo sospettosa.
“No, Amy, rimarrò a Pittenweem. Con te. Si, certo, lavorerò al ministero ma verrò a casa tutte le sere.”
Amelia si mordicchiò un labbro, annuendo con il capo e facendo oscillare i lucenti capelli rossi.
“Sono contenta che tu sia qui. Mi stufavo senza nessuna faccia da scemo da prendere in giro, sai?”
Lo prese in giro con un sorrisetto furbetto, era ovvio che non era per quello che le era mancato: non potergli parlare, confidarsi con lui, ridere o semplicemente sapere che era con lei gli erano cose che le erano mancate più di quanto Amelia avrebbe mai ammesso al ragazzo. Lo considerava davvero il suo migliore amico, nonostante la grande differenza d’età, nonostante qualsiasi cosa.
Amelia adocchiò un sacchettino a terra, che doveva essere caduto durante l’abbraccio, lo indicò guardando poi Steven incuriosita.
“E quello? E’ per me?”
Senza nemmeno attendere la sua risposta aveva preso il pacchetto e aveva iniziato a scartarlo, sedendosi sui gradini della casetta.
L’auror alzò gli occhi al cielo, divertito dal suo solito comportamento: almeno caratterialmente non era cambiata proprio per nulla.
Le si sedette accanto, osservandola scartare il suo regalo.
“Non dovresti almeno aspettare la mezzanotte, tu?”
Chiese invano, mentre un bel paio di pattini da ghiaccio venivano alla luce sotto lo sguardo estasiato di Amelia che si voltò verso di lui a bocca aperta. Sapeva di aver azzeccato regalo, la ragazzina aveva parlato della sua passione per il pattinaggio almeno in tre sue diverse lettere.
“Uhh, sei senza parole? Non posso crederci, questo è un momento da ricordare!”
La prese in giro e per tutta risposta si vide arrivare una manata sulla testa, seguita un secondo dopo da un bacino sulla guancia per ringraziarlo del regalo.
“Quindi verrai a pattinare con me, domani?”
Il ragazzo scosse il capo, massaggiandosi la testa e osservandola con un sopracciglio alzato: lui? Pattinare? Ma non se ne parlava neppure, mai e poi mai. Avrebbe fatto la figura dello scemo, almeno più di quanto riuscisse già a fare solitamente a Pittenweem, non avrebbe mai messo i pattini ai piedi, non c’era modo di convincerlo.
“Non ci penso neppure, Amy, i pattini sono tuoi, vacci tu. Io semmai ti guardo.”
Amelia con uno sguardo capì che non sarebbe riuscito a convincerlo in nessun modo e che non valeva la pena di insistere, almeno per adesso.
“Un giorno riuscirò a portarti, McIntosh a costo di infilarteli io i pattini o di doverti drogare!”
Stava scherzando, era ovvio, ma Amelia era imprevedibile e forse, bhè, non era così sicuro che non sarebbe davvero mai arrivata a tanto.
Si scambiarono uno sguardo dopo quella frase ed scoppiarono entrambi a ridere, immaginandosi la scena appena descritta da lei.
“Grazie per il regalo, è davvero bellissimo, Stev. Ottima mossa per farti perdonare, soldato.”
Ridacchiò, divertita e posando i pattini alla sua destra: quel giorno nevicava, ma i gradini erano riparati e asciutti.
“Sai che hai un sosia a Hogwarts? Nel senso, per un attimo ho creduto lo avessi mandato tu per controllarmi, ma invece giura di non conoscerti. “
Lui alzò le mani in segno di difesa, abbozzando un sorrisetto.
“Lo avessi mandato io almeno non avrei scelto la mia copia o mi avresti scoperto subito. Davvero mi somiglia? Intendi che ha la faccia da scemo pure lui?”
Domandò leggermente dubbioso, aspettandosi di tutto dalle future parole della ragazza.
“Naaa, che dici, solo tu hai la faccia da scemo come dico io. Ha evitato che uscissi da scuola di notte, intendo in quel senso.”
Lui alzò nuovamente un sopracciglio sentendosi dire che solo lui aveva la faccia da scemo, ormai aveva iniziato a prenderlo come un complimento, anche perché lei lo diceva in maniera affettuosa, lo sapeva. Un istante dopo la sua espressione si fece severa, osservandola come se avesse sentito bene solo in quel momento.
“Amelia McKenzie”
Tuonò.
“Cosa hai cercato di fare di notte fuori da Hogwarts?”
Il risolino in difficoltà della ragazza fu seguito da una serie di spiegazioni, facendogli notare che sicuramente si sarebbe fermata all’ultimo momento, prima di fare una sciocchezza.
“Ogni volta che cerco di farne qualcuna, sento la tua vocina nella testa.”
Fece una smorfia, facendo ridere il ragazzo che la strinse a sé con un braccio e un’espressione soddisfatta.
Passarono quasi un’ora seduti a guardare la neve e raccontarsi tutto quello che si erano persi uno dell’altra in quei due anni, non era cambiato niente e, ne erano certi, mai sarebbe cambiato.

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Capitolo 7
*** Prepotenze e rivelazioni. ***



Scusate per l'attesa lunghissima, ma ecco qui il settimo capitolo! Un episodio davvero, davvero importante per la nostra coppia. Fatemi sapere cosa ne pensate.

Emy.





7.Prepotenze e rivelazioni.

Was a long and dark December
from the rooftops I remember
there was snow, white snow.

If you love me
w
on't you let me know?

I took my love down to violet hill
there we sat in the snow.
All that time she was silent still.”

 

Violet Hill –Coldplay.

 

 

 

Una mano tamburellava sul dorso del libro, mentre i capelli rossi si scostavano nuovamente scivolando davanti agli occhi. Era sdraiata sul letto, con la schiena appoggiata sul piumone a righe rosse e bianche: Amelia diceva che le ricordava un grosso lecca-lecca, simile a quelli che si trovavano da Mielandia o alle fiere di paese. Era tornata a Pittenweem per le vacanze natalizie del quinto anno ormai da qualche giorno, ma il suo baule era ancora aperto sul pavimento e sembrava non essere stato svuotato, anzi, rimescolato per prendere solo quanto poteva servire. Il disordine si era già impossessato della stanza, costringendo la ragazza a effettuare un percorso fatto di salti e piroette per raggiungere la porta.

Il suo sguardo si alzò dalle pagine per posarsi sulla finestra: stava sperando in un bel po’ di neve e poi probabilmente sarebbe corsa da Steven per ingaggiare una battaglia a palle di neve, che lei avrebbe sicuramente vinto, se solo lui fosse stato a casa. Il suo lavoro di auror gli portava via parecchio tempo e non sapeva mai quando avrebbe potuto trovarlo a Pittenweem, anche se abitava ancora con i genitori proprio accanto a lei. Posò il libro e scese dal letto, superò il baule con un salto e si fermò davanti ai vetri, la strada era vuota se non per un puntino lontano; lei inclinò il capo facendo una lieve smorfia nello sforzo di vedere chi fosse. Quel modo di camminare sapeva potesse appartenere solo ad una persona: le scappò una risatina, mentre senza accorgersene aveva appoggiato la mano sul vetro, quasi come se potesse riuscire a toccare la figurina lontana. Le dita scivolarono leggermente, quasi accarezzando qualcosa di invisibile. Sembrò notare solo in quel momento che il suo indice stava disegnando quello che doveva essere un cuore, rimanendo marcato sulla finestra a causa del freddo gelido. Si sentiva strana, mentre riportava lo sguardo su Steven che si avvicinava, guardandolo attraverso quel cuore.

E così mi sono innamorata, Steven?”

Sussurrò, appoggiando la testa alla finestra, cancellando il disegnino con la mano: cosa cambiava ora che aveva realmente capito i suoi sentimenti? Non poteva certo andare da lui e dirglielo! Insomma, era il suo migliore amico, non poteva. E se lui la avesse guardata come se fosse un’idiota, ridendole in faccia e dicendole di non prenderlo in giro? Lo sapeva, certo, lui le voleva bene, ma l’amore era un’altra cosa.

Valeva la pena rischiare di perderlo solo perché lei si era innamorata in maniera così stupida? Si ritrovò a sospirare, scuotendo il capo: no, quella era una cosa che doveva tenere per sé.

Riportò l’attenzione sulla strada, un’altra volta, ma le figurine ora erano ben cinque. Cercò di mettere meglio a fuoco la situazione: riconobbe la massa di ricci scuri di Kevin, il figlio del macellaio, la sua stazza gli aveva fatto guadagnare il titolo di “roccia” ma Amelia era dell’idea che di roccioso avesse solo il cervello; aveva indicato Steven dicendo qualcosa che sembrava aver fatto ridere il compare: Paul, un magrissimo ragazzo che emanava acidità e cattiveria anche a kilometri di distanza. Il terzo ragazzo, che di nome faceva Mark e di fatto faceva ‘senza cervello’, diede uno spintone a Steven, che non reagì abbassando solamente il capo e cercando di recuperare la sua borsa da terra. Tutto ciò sotto lo sguardo soddisfatto di un bel ragazzo biondo, con un fisico atletico e la faccia da schiaffi: Jack, tanto coraggioso da non mettersi mai in prima persona a eseguire le sue malefatte.

Ad Amelia mancò il fiato, mentre una rabbia si impadroniva di lei: sapeva che tanti lo prendevano in giro, trattandolo in malo modo, ma quattro contro uno?! E poi quello era il suo Steven, non poteva accettare una cosa simile. Spalancò la finestra, facendosi accogliere da un vento pungente e una sferzata gelida che le fece rizzare i capelli rossi.

Lasciatelo in pace, razza di idioti che non siete altro!”

Urlò muovendo un pugno in aria, con l’intento di sembrare minacciosa; scorse Kevin e Paul ridacchiare divertiti da quella uscita della ragazza per poi essere zittiti da un’occhiata del loro capo, che alzò il capo verso la finestra di Amelia con fare tranquillo.

Guarda che ci stiamo solo divertendo, tranquilla McKenzie.”

Sfoggiò un sorriso smagliante, per poi infilarsi le mani in tasca e lanciare uno sguardo di intesa ai suoi amici.

Amelia non lo considerò minimamente, cercando gli occhi di Steven, che sembrava terribilmente imbarazzato e evitava il suo sguardo. Per un istante vide il brillio verde delle sue iridi che puntavano verso di lei. Rimise la testa dentro la camera, chiudendo la finestra e saltellando per la stanza cercando di raggiungere il corridoio della casa. Non pensò nemmeno per un momento a quello che stava facendo, sapeva che doveva farlo e basta.

La porta di casa McKenzie si aprì di colpo, rivelando la ragazza con i capelli rossi mossi dal vento, senza giacca, con l’espressione di chi era spinto da una decisa nota di impulsività e affetto.

Camminò con passo sicuro nel vialetto della villa, afferrando poi un paio di sassi e tenendoli nella mano destra.

Ho detto che dovete lasciarlo in pace!”

Ripeté muovendo la mano come se fosse la sua arma e mostrando ai ragazzi che non scherzava, perché chissà, avrebbe anche potuto tirarli davvero.

Steven alzò finalmente il capo su di lei, incrociando lo sguardo della ragazza, che senza volerlo arrossì leggermente, a causa dell’intimità di quell’incontro visivo. Lo raggiunse, dandogli le spalle, come se lo volesse coprire e difendere dagli attacchi di quegli stupidi.

Non sto scherzando, vi avverto. Andate a giocare ai deficienti da un’altra parte.”

Teneva lo sguardo sui quattro, soppesando i sassi e passandoli da una mano all’altra: era solo una ragazzina, il vestitino blu che si muoveva al vento, lo sguardo severo e compunto che scrutava davanti a sé.

Se solo si fosse girata in quel momento avrebbe notato lo sguardo di Steven su di lei, i suoi occhi erano quelli di un innamorato, non di un amico. La guardava con ammirazione e profondo amore, forse proprio sapendo che la ragazza non poteva notarlo. Avesse potuto la avrebbe stretta fra le sue braccia, portandola via da quella via, da quel paese, da quella terra, rimanendo con lei per sempre.

Allora?”

Chiese la ragazza, rivolgendosi a Kevin in quel momento, che la osservava come se la credesse pazza, ma nessuno dei quattro osava fiatare, forse preoccupati dallo sguardo arrabbiato di Amelia.

Ringraziate che Steven non si difenda, perché è un auror, o non lo sapete?”

I tre bulletti guardarono in direzione di Jack in cerca di un ordine per capire come dovevano reagire a quelle provocazioni.

Non ho tempo da perdere con te, dolcezza. Andiamo.”

Si decise infine il biondo parlandole con aria sprezzante, avvicinandosi alla ragazza con fare sensuale e scostandole una ciocca di capelli dal viso.

Cercami quando non sei impegnata a difendere questo perdente.”

Le disse, con un sorrisetto pieno di sé, che gli valse una faccia schifata da parte di Amelia, per poi portare lo sguardo su Steven.

McIntosh, è stato un piacere rivederti.”

Ridacchiò falsamente, per poi allontanarsi, seguito dai tre ancora confusi da quella ritirata.

Amy attese ancora in posizione d’attacco che i capelli biondi del ragazzo fossero solo più un puntino lontano nella via.

Sospirò poi rilassata, voltandosi verso Steven, che sembrava più imbarazzato che mai.

Tutto bene? Sono solo degli idioti, lasciali perdere.”

Gli disse, sorridendogli e lasciando poi cadere i sassi che teneva ancora stretti in mano con una risatina un po’ timida.

Non avresti dovuto, potevano farti del male, Amelia.”

Rispose il ragazzo, quasi rimproverandola leggermente, anche se la guardava con profonda gratitudine, mascherando l’amore che aveva riempito il suo sguardo per tutto il tempo in cui lei gli aveva dato le spalle.

Naaa. So correre veloce.”

Minimizzò, sistemandogli una mano sulla spalla, muovendola piano come se volesse fargli coraggio con quel gesto: era più bassa di lui, sebbene fosse parecchio alta per la sua età.

Chiamami quando torneranno, sassi ne trovo sempre in giro.”

Lui le sorrise, quasi divertito dalle sue parole, lasciandole poi un piccolo e dolce bacio sulla fronte.

Grazie, Amy.”

Sussurrò con voce riconoscente, spettinandole poi i capelli, cosa che fece quasi rabbrividire la ragazza: non aveva mai fatto caso a quanto fosse profondo lo sguardo di Steven, ci si sarebbe potuta perdere in quel verde, come in un bel giardino. Il suo giardino.

Cioccolata con panna per ringraziarmi?”

Propose lei, con un sorrisetto allegro, gli diede un piccolo colpetto sulla spalla, con fare scherzoso, forse per cedere alla tentazione di baciarlo stringendogli le braccia intorno al busto e lasciandosi cullare dal suo calore.

Offri tu!”

Si perse in una risata, per poi fare una piroetta e iniziare a correre verso il porto della cittadina.

E non dimenticare la torta!”

Aggiunse, voltandosi verso di lui con un sorrisone e facendogli cenno di seguirla.

Ma Amy, non hai nemmeno la giacca! Aspetta …”

Steven però scosse il capo con una espressione divertita, sapendo già che niente avrebbe fermato la corsa della ragazza, e con un ultimo sorriso la seguì, raggiungendola.

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Capitolo 8
*** Non così. ***


Ed eccomi qui con un nuovo capitolo, scusatemi per l'attesa! Spero che vi possa piacere come i precedenti e che capiate che questa è una storia "lenta" e fatta di attese e di piccoli momenti.
Buona lettura! E lasciatemi un commento se leggete, mi fa piacere sapere cosa ne pensate.
 
8. Non così.
 
Una Amelia quasi sedicenne era stretta nelle braccia del suo fidanzato del momento: Jack. Aveva quattro anni più di lei, la fama di aver sedotto mezza Pittenweem e di trattare le ragazze nel peggior modo possibile. Come fosse finito con Amy era un mistero anche per lei, forse sperava che il poco amore reciproco la avrebbe fatta sentire meno in colpa, che sarebbe durata poco e non ci sarebbe rimasta troppo male. O forse, inconsciamente, sperava di provocare interesse agli occhi di Steven, vedendola con un ragazzo più grande e popolare.
Il ragazzo le aveva appena infilato una mano sotto la gonna, toccandole la pelle morbida e candida della coscia, ma venne interrotto dalla rossa che cercò di distogliere la sua attenzione da quello che lui aveva iniziato a fare, togliendogli la mano e posandosela su un fianco.
“Facciamo un giro?”
Propose indicando il parco circostante: erano nei giardinetti del paesino, su una panchina isolata che sembrava essere il luogo preferito di Jack.
“Eh? E perché?”
Domandò lui, guardandola come se fosse scema: che gli fregava di fare un giro quando teneva tra le braccia una ragazza e non vedeva l’ora di passare ad altro di molto più invitante?
Le diede un bacio insistente per poi posarle una mano sulla pelle nuda della schiena, sotto la maglietta rossa della ragazza.
“Voglio andare a casa, mia zia ha detto che sarei dovuta tornare presto.”
Brontolò lei: come poteva non capire? Era così chiaro che non avesse nessuna intenzione di lasciarsi andare con lui: doveva essere Steven e non quel biondo slavato con quei pettorali ben scolpiti. L’unica cosa che voleva fare era scappare a casa sua ed essere lasciata in pace.
“Amelia ma che problema hai? Vuoi farti desiderare, piccola? Guarda che potrei stufarmi. E lo sai che ne trovo altre dieci come te.”
Fece uno dei suoi sorrisini soddisfatti, quelli che le ragazze di Pittenweem pensavano potessero valergli un posto nella copertina di un giornale di moda.
“Non mi piace questo posto. Non qui.”
Disse lei per poi svicolare dalla sua presa, alzandosi in piedi e deglutendo.
“Mi accompagni?”
Chiese lei, guardando ovunque tranne che il ragazzo, ma perché non lo lasciava e basta?
“La strada la conosci no?”
Replicò lui, sistemandosi la giacchetta di pelle e mettendosi poi le mani in tasca mentre si alzava.
Amelia fece una smorfia, ma sinceramente preferiva così: non voleva fare tutta la strada con Jack.
 
Erano passati due giorni dalla panchina nel parco e i due ragazzi erano nuovamente soli a casa McKenzie.
“Vuoi qualcosa da mangiare?”
Chiese Amelia, mentre apriva un mobiletto della cucina per cercare qualcosa, probabilmente i suoi biscotti preferiti, ma Jack la afferrò per i fianchi tirandola a sé.
“Magari dopo.”
La strinse forte, bloccandola contro il muro e baciandola in maniera ben poco casta.
“J-jack…”
Iniziò lei, cercando di opporre un minimo di resistenza, non riusciva a lasciarsi andare: nemmeno le piaceva Jack, e nella casa di fianco … no, non voleva.
“Potrei dirlo a tutti, lo sai? E non credo che poi avresti altre possibilità, dolcezza.”
Lei spalancò gli occhi verdi: sarebbe arrivata fino a Steven la voce? Avrebbe saputo anche lui quanto era stupida e inesperta e forse non la avrebbe mai più voluta, lui era così grande confronto a lei.
“Di cosa hai paura, Amelia? Che lo sappiano i tuoi zii?”
Domandò ancora, canzonandola con un ghigno furbastro.
“No, i-io … no. “
deglutì, non le sembrava di avere tante altre possibilità: o lo sbatteva fuori e continuava a sognare la sua prima volta con il ragazzo di cui era innamorata da più di un anno o..bhè, non sarebbe poi stato così grave, in fondo. Le sue amiche ne parlavano così tanto … si mordicchiò un labbro, insicura.
“Vieni di sopra.”
Concluse infine, afferrandolo per una mano e portandolo nella sua camera.
 
Amelia era seduta sul letto, occupata ad abbottonarsi la camicetta: uno dei bottoncini venne colpito da una lacrima e luccicò per un momento tra le dita di lei. Non era felice, non era elettrizzata, non si sentiva più grande o più donna, si sentiva solo uno schifo, vuota e sbagliata.
“Piccola, io vado.”
disse Jack, avvicinandosi poi a lei e lasciandole un colpetto su una coscia: non si accorse del suo stato emotivo o del fatto che i suoi occhi fossero lucidi e tristi.
Lei annuì, abbassando lo sguardo per non rilevare le piccole lacrime che le imperlavano le ciglia e non lo rialzò fino a quando non sentì il cancelletto della sua villa chiudersi alle spalle del ragazzo.
Non aveva nessun motivo per trattenere le lacrime ora, mentre si infilava la gonna e lanciava uno sguardo al letto disfatto. Si avvicinò poi con mani tremanti, sfiorando il lenzuolo: le mani di lui su di lei, nessun ti amo, nessuna parola gentile, la bocca di lui che la baciava con insistenza. Chiuse gli occhi, cercando di non ricordare e afferrò il lenzuolo con entrambe le mani, tirandolo con forza. Una volta che lo ebbe tra le mani, con i bordi che sfioravano il pavimento, tirò ancora fino a quando non lo strappò, quasi concentrando la sua rabbia su quel pezzo di stoffa che le ricordava quanto era stata sciocca; si lasciò cadere per terra, affondando il volto tra i lembi di cotone, mentre le lacrime ricominciavano a scendere senza possibilità di trattenerle.
Non seppe dire quanto rimase lì, in quella posizione sul freddo pavimento, ma non riusciva a rimanere ancora in quella stanza, sentiva addosso l’odore, il fastidio … si alzò, lasciando cadere malamente il lenzuolo e correndo in bagno, sciacquandosi la faccia con forza, per poi guardare il suo riflesso nel vetro davanti a lei. Non credeva che le avrebbe dato così fastidio, ma non era come aveva sempre desiderato, era stato così freddo e vuoto e avrebbe solo voluto capirlo e aver cacciato Jack prima che fosse troppo tardi.
Forse sarebbe bastato uscire da quella stanza, prendere un po’ d’aria e sarebbe stata meglio, si sentiva soffocare, senza via di uscita lì dentro.
Con aria mogia e colpevole si sedette sul gradino antistante il cancelletto di casa, lo sguardo fisso sulla strada, anche se non guardava davvero; appoggiò la fronte sulle gambe, facendo ricadere i capelli rossi in avanti. Si sentiva come se avesse messo piede in un incubo, faceva freddo ed era tutto ovattato, un po’ confuso, i contorni non erano ben nitidi.
Steven stava tornando a casa, passando proprio di fronte ad Amelia, si fermò osservandola, anche se lei non poteva vederlo tenendo la testa in quel modo.
“Hei, Amy.”
La salutò avvicinandosi di qualche passo: ma che aveva? Non gli aveva ancora risposto: solitamente avrebbe fatto un sorrisone e avrebbe urlato un ‘ciao’ a squarciagola, magari seguito da un ‘come stai, faccia da scemo?’, ma adesso non sembrava nemmeno accorgersi della sua presenza.
“Va tutto bene, Amelia?”
Domandò ancora, continuando a non vedere arrivare nessuna risposta dalla testolina rossa. Dopo qualche secondo, la ragazza sembrò decidersi ad alzare lo sguardo incontrando quello di lui. Steven la osservò con attenzione: dannazione, erano lacrime quelle che aveva tra le ciglia? Aveva pianto? Non poteva certo permetterlo. Che cosa era accaduto alla sua Amelia?
Senza pensarci troppo le si sedette accanto, posandole con cautela una mano sul braccio, con un movimento dolce.
Il respiro di Amelia si fermò in quell’istante, era così diverso da poco prima, era solo una piccolissima carezza ingenua, ma aveva toccato molto più a fondo di quanto non avesse fatto Jack.  Si sentì sporca e sbagliata per tutto quello che aveva fatto con quella stessa pelle che ora lui le stava sfiorando con così tanta dolcezza.  Ritrasse il braccio, strofinandosi più volte il posto dove lui aveva posato la mano.
“Non è niente.”
Disse un secondo dopo, pensando che forse Steven si sarebbe sorpreso per quel comportamento: non era mai stata così strana, era sempre allegra e divertente.
Steven non sembrava per niente convinto dalla sua frase seguita da quell’espressione così triste: la conosceva troppo bene per non capire che sole tre parole in un tempo di qualche minuto era un record al quale Amelia non era mai arrivata.
“Se qualcuno ti ha fatto qualcosa me lo devi dire, ok?”
commentò poi guardandola seriamente: come poteva non capirlo? Avrebbe fatto qualsiasi cosa per vederla sorridere di nuovo.
La ragazza sentì accartocciarsi qualcosa a livello del petto a quella frase, un nuovo calore la riempì, cullandola dolcemente, come se potesse sentirsi al sicuro ora. Era solo una frase, ma si sentiva protetta: a lui interessava davvero. Non ne avrebbe certamente parlato, non voleva farlo e non certo con lui, ma lo sentiva vicino, come mai prima d’ora.
Si voltò così verso di lui con espressione riconoscente e senza dire nulla lo circondò in un abbraccio: fino a un attimo prima non voleva che lui la toccasse, perché si sentiva così colpevole, ma ora non riusciva a fare a meno della sua vicinanza, di sentirlo vicino a lei anche fisicamente, di potersi perdere nella sua stretta.
Steven, dopo un attimo di smarrimento, si decise a  posarle un braccio sulle spalle dandole dei colpetti un po’ imbarazzati, ma allo stesso tempo colmi di amore: cosa poteva averla sconvolta così tanto? Aveva capito che non sarebbe riuscito a farla parlare in alcun modo e di certo non voleva costringerla, ma non la avrebbe sicuramente lasciata sola in quello stato. Sarebbe rimasto lì stretto a lei fino a quando non si sarebbe finalmente calmata e non avesse fatto uno dei suoi bellissimi sorrisi. Anche se ci fosse voluto un giorno intero, voleva solo che sapesse che adesso c’era lui lì con lei.
 

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Capitolo 9
*** Buon compleanno, Amy. ***


Eccomi qui, ragazzi, con un nuovo capitolo! Dopo la mazzata della volta scorsa vi regalo qualcosa di dolce e molto "invernale", buona lettura e lasciatemi un commento se vi va.

 
 9. Buon compleanno, Amy.
 

28 novembre. Esattamente il sedicesimo compleanno di Amy: la ragazza si era svegliata con una spiccata propensione all’azione, non soltanto perché era il giorno della sua nascita, ma anche perchè quel giorno gli studenti di Hogwarts avrebbero nuovamente messo piede ad Hogsmeade. Amelia amava quel posto, soprattutto d’inverno, con qualche fiocco di neve qua e là, sembrava una fiaba e … c’era Mielandia: una divoratrice di dolci come lei proprio non poteva non desiderare ardentemente di fare razzie in quel tempio dello zucchero. Si era vestita in tutta fretta, ansiosa di ricevere la posta della mattina, infilandosi un maglioncino rosso con un grosso cuore sul davanti.
“Kate! Jenny!”
Chiamò le sue compagne di stanza, visto che si era bellamente svegliata prima di entrambe. L’altra grifondoro, Samantha, probabilmente era già scappata in biblioteca; studiava così tanto che Amelia si chiedeva spesso perché non fosse finita a Corvonero: forse era una seconda Hermione, come l’amica di Potter. Si dimenticava sempre di chiederle se ci fosse un briciolo di parentela tra le due, avrebbe spiegato molte cose.
Le due ragazze si svegliarono qualche minuto dopo venendo accolte da un sorrisone esagerato di Amelia che le guardava trionfante.
“Buon Compleanno!”
Esclamarono praticamente in coro mentre lei si lanciava sui loro letti per abbracciarle.
“Secondo me oggi Paul ti farà gli auguri …”
Iniziò Jenny con aria maliziosa, espressione che contagiò subito anche Kate.
“E come fa a sapere che è il mio compleanno?”
Chiese Amelia, alzando un sopracciglio: oh, si, Paul era veramente un ragazzo carino, stava a Tassorosso … proprio come Steven ed era al settimo anno.
“Lo ha chiesto a me quando ci ha sentite parlare del tuo regalo …”
Kate ridacchiò di gusto mentre veniva colpita da una cuscinata in pieno volto da Amy.
Le risate delle ragazze riempirono presto anche i corridoi di Hogwarts mentre insieme si dirigevano nella sala grande.
Amelia continuava a lanciare occhiate in aria, cercando con gli occhi un gufo che planasse su di lei, in realtà erano già arrivati i pacchi dagli zii e anche da un paio di amici di Pittenweem, ma non c’era niente da parte di Steven: nemmeno un biglietto.
I gufi smisero presto di fare le loro consegne e un’ombra triste si impadronì dello sguardo della Grifondoro: si era dimenticato? Già, ora aveva da fare: era un auror, stava al ministero tutti i giorni, combatteva maghi oscuri e probabilmente era circondato da donne carine e in carriera.
La sua testolina rossa si mosse in un cenno di diniego più volte, come a voler cacciare quei pensieri: era il suo compleanno e nessuno lo avrebbe rovinato: sarebbe andata da Mielandia e si sarebbe strafogata di qualsiasi cosa.
“Andiamo!”
Guardò le due ragazze alzandosi e dirigendosi verso il grosso portone di ingresso della scuola. Jenny la guardò sospettosa:
“Ma Amy, la colazione … non la hai ancora finita e … oh, dannazione, va bene, arriviamo.”
 
Nevicava leggermente sulla cittadina magica e questo aveva fatto tornare il buonumore alla ragazza, la neve le piaceva così tanto, le dava un senso di pace, tranquillità, di feste, di calore e di profumo di dolci natalizi.
“Che dici, dritte da Mielandia?”
Chiese Kate sorridendo ad Amelia, ben sapendo le intenzioni dell’amica. Amy però non sembrava nemmeno aver sentito: guardava di fronte a lei, come assente, immobile.
Le due ragazze seguirono il suo sguardo notando un ragazzo fermo al fondo della via, sotto la neve. Teneva le mani in tasca e aveva un’espressione timida e introversa, si guardava intorno come se cercasse qualcuno.
“Steven.”
Sussurrò Amelia, quasi incantata, spalancò gli occhioni verdi, per un attimo si dimenticò del suo compleanno, di Mielandia, di Hogsmeade, di Kate e Jenny, della neve, di qualsiasi cosa. C’era solo Steven, che era lì per lei. Ne era certa.
Il ragazzo si voltò verso l’inizio della via, anche se era impossibile che avesse realmente sentito quel sussurro. Si tolse il ciuffo dal viso, facendole un sorriso imbarazzato: avrebbe riconosciuto quei capelli rossi anche a kilometri di distanza. Poi si decise e alzò una mano in segno di saluto, anche se era piuttosto irrigidito dal freddo, non era come Amelia, non gli piaceva poi così tanto stare sotto la neve, al gelo.
Una macchia rossa prese presto il posto di Amelia visto che la ragazza si era messa a correre nella sua direzione. Sentiva il cuore che batteva fortissimo, forse lo avrebbero sentito anche i visitatori di Hogsmeade, o almeno così credeva; non smise un istante di osservarlo mentre continuava a correre per togliere distanza tra lei e Steven: oh, era il miglior compleanno che avesse mai passato e non era nemmeno ancora finito.
Allargò le braccia stringendole attorno al collo del ragazzo quando si trovò a pochi passi da lui, quasi lanciandoglisi addosso. Probabilmente rimasero abbracciati per un tempo che ai due sembrò un’eternità, mentre la ragazza affondava il volto sulla sua spalla.
“Pensavo ti fossi dimenticato di me e del mio compleanno.”
Disse lei, qualche istante dopo, ma senza lasciarlo andare: era da settembre che non si vedevano e le era mancato così tanto, chissà se per lui era la stessa cosa, almeno un pochino.
“Che cosa sciocca da pensare, Amy. Volevo solo farti una sorpresa.”
Commentò lui, quando si sciolsero dall’abbraccio e la osservò con un sorriso trionfante.
Lei fece una faccina compunta per poi dargli un colpo sulla testa.
“E il mio regalo?”
Chiese, fingendosi veramente interessata, anche se il più grande regalo era già lì in carne ed ossa e niente avrebbe potuto superarlo.
“Non cambi mai, eh, Amelia McKenzie?”
Infilò una mano nel mantello ma non ne estrasse niente, sembrò solo controllare la vera presenza del pacchetto.
“Qui nel mantello, ma te lo darò dopo, se farai la brava.”
Lei sorrise soddisfatta per poi iniziare a fare qualche saltello sul posto, con aria allegra e piena di voglia di fare.
“Possiamo fare un sacco di cose! Tu rimani tutto il giorno, vero? Perché sarebbe davvero un peccato, da quanto tempo non venivi ad Hogsmeade? Mielandia! Oh, non possiamo non andarci, solitamente ci rimango almeno un’ora, ma non ti dispiace vero? E poi possiamo andare a prendere qualcosa ai tre manici insieme, così mi darai il mio regalo e … sei un auror, hai paura della Stamberga Strillante? Io non molto, ma le mie amiche non si vogliono mai avvicinare troppo …”
Steven la osservava con un’espressione colma di tenerezza: era la solita chiacchierona che, se iniziava a dire qualcosa con quel tono felice, non la smetteva più. Avrebbe fatto qualsiasi cosa lei avesse voluto, era lì per lei, anche se doveva dire passare un pomeriggio in mezzo ai dolci di Mielandia.
“… Oh, porcoboccino, le mie amiche!”
Si voltò verso il punto in cui credeva di aver lasciato le due qualche minuto prima: erano ancora lì che la osservavano a metà tra l’allibito e il divertito.
Lei indicò Steven con un dito e poi sé stessa facendo cenno con la testa verso il centro di Hogsmeade, poi indicò le due ragazze e con la mano mimò un ‘dopo’, subito seguito da un’espressione di scuse.
Kate e Jenny si guardarono per un attimo per poi ridere e urlare in coro: “vai, vai!”
Amy ringraziò con un sorrisone e poi afferrò la mano di Steven, facendola dondolare leggermente per un attimo.
“Tutta tua! Andiamo?”
Chiese tirandolo verso il centro della cittadina.
Steven assunse un’espressione imbarazzata come era solito fare, sentendosi prendere la mano in quel modo, ma non oppose nessuna resistenza, anzi la seguì trovandosi a osservare quella testa rossa con un sorriso pieno d’amore. Scosse poi il capo divertito.
“Amy, aspetta, so che hai fretta di aprire il regalo, ma c’è tempo.”
Le disse ridendo e sistemandosi poi al suo fianco, mentre camminavano insieme sotto la leggera neve. Uno sguardo, un sorriso, forse il migliore compleanno possibile.
 
Le due ragazze erano ferme davanti al portone di ingresso della scuola, un sorrisetto vispo copriva entrambi i loro volti quando videro arrivare Amelia.
“Brrr … si gela, vero? Devo mangiare per tre stasera, come minimo!” Iniziò la rossa, con fare allegro e sperando di concentrare l’attenzione delle due ragazze su qualcosa di diverso dal suo pomeriggio: perché quelle loro facce … beh, sembrava proprio che stessero aspettando un suo racconto.
“Non penserai di salvarti con la scusa del cibo, Amelia McKenzie.” Iniziò Kate parandolesi di fronte e guardando Jenny con un cenno del capo, che subito la spalleggiò continuando.
“Carino il tuo ragazzo. Un auror vero?” Ridacchiò guardando la rossa con un sorrisetto sornione.
“Si, un auror. E non è il mio ragazzo, è solo … un amico, il mio vicino di casa di Pittenweem!” replicò Amelia spalancando la bocca, sconvolta. “Per lui sono come una sorellina che conosce da sempre!”
Continuò, guardandole con espressione seria, cercando di fare capire che era la verità.
“Cosa dicevate di quel Paul?”
Chiese spingendole verso l’ingresso con una finta risatina interessata e sperando di dirottare nuovamente l’argomento della loro conversazione.
Le amiche si persero in qualche commentino sul ragazzo di Tassorosso, ma Amy non sentì nulla sul come la divisa da portiere gli stesse bene, su come avesse parato ben tre volte volteggiando nel cielo nell’ultima partita, troppo impegnata a lanciare un ultimo sguardo alla stradina che portava ad Hogsmeade.
 
 
 
 
 

 

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Capitolo 10
*** Cosa può fare un bolide ben lanciato ***


Scusate, scusate, scusate per l'attesa immensa, ma ora ecco qui il nuovo capitolo. E...c'è un nuovo arrivato nella storia: Johnny!
Fatemi sapere cosa ne pensate,
Emy.

10.Cosa può fare un bolide ben lanciato.
 
Erano passati mesi da quella visita di Steven ad Hogsmeade e Amelia continuava a mantenere segreto il suo amore per lui, non poteva rivelarlo per nessun motivo, ne sarebbe andata di mezzo la loro amicizia e non poteva rischiare una cosa simile. Le sarebbe passata, in un modo o nell’altro.
 
Le tre grifondoro erano al campo da quidditch, la rossa sdraiata sugli spalti ad occhi chiusi, godendosi quella mite giornata di inizio aprile. Kate stava cercando di fare una treccia a Jenny, lamentandosi di come fosse impossibile con i suoi capelli così ricci. Erano sedute accanto ad Amelia, che però non sembrava partecipare a quel battibecco sui capelli dell’amica.
A mettere fine a quel discorso furono delle voci maschili, precisamente quelle di Derek e Johnny: due ragazzi dell’ultimo anno, nessuno negava che fossero molto carini, soprattutto Johnny. Kate mollò la sua impresa per dare un colpetto ad Amelia.
“Hei, dormi? Guarda chi c’è?”
Amy si era seriamente appisolata e si rialzò di colpo, tirandosi in piedi:
“si… l’incantesimo d-“
Disse ad alta voce, attirando così l’attenzione dei due ragazzi che si voltarono a guardarla. Lei fece una mezza risata, in difficoltà, non tanto per quanto aveva appena fatto, ma vedendo Johnny salutarla con un cenno della mano e dire qualcosa su come le stessero bene i capelli in quel momento. Si portò una mano ai capelli, sentendoseli chiaramente spettinati per aver dormicchiato sulla pietra, così il suo sguardo pieno di disappunto tornò alle amiche, entrambe impegnate ad osservare i movimenti dei ragazzi nel campo.
“maledizione.”
Commentò lei, sbuffando e tornando a sedersi con espressione indecifrabile. Secondo Kate e Jenny il ragazzo biondo stava cercando di attirare l’attenzione di Amelia da almeno una settimana o due. Ovvero da quando si erano ufficialmente conosciuti, momento che Amelia avrebbe volentieri voluto dimenticare visto che lei aveva inavvertitamente bruciato la colazione di Johnny al tavolo di Grifondoro. Non lo aveva fatto apposta, stava solo cercando di eseguire un incantesimo e il ragazzo aveva avuto la sfortuna di decidere di sedersi proprio di fronte a lei, ottenendo così un bel bacon alla fiamma. Amy si era scusata per un paio di minuti, seriamente dispiaciuta del disastro per poi accorgersi che aveva anche dato fuoco al suo compito di trasfigurazione, che si trovava nei pressi del piatto mentre Johnny cercava disperatamente di finirlo.
Per completare la bellissima scena il ragazzo, dopo un momento di smarrimento, si era passato una mano tra i capelli, guardandola con fare accattivante e commentando:
“Tu faresti proprio andare a fuoco qualsiasi cosa, testolina rossa.”
Amelia ricordava perfettamente di aver spento i bollenti spiriti del ragazzo svuotando il suo bicchiere di succo di zucca su di lui e il suo piatto. Probabilmente era stata una reazione esagerata, ma lei era così: imprevedibile e spontanea.
“Spengo anche in fretta le fiamme, però.”
Commentò la rossa, con una faccetta birbetta e divertita, che per un istante sembrava aver compiaciuto ulteriormente Johnny.
Non che non fosse un bel ragazzo, anzi, Amelia era certa che lo fosse: bel fisico, bella postura, occhi chiari, capelli biondi. Ma non sarebbe stata un’altra della sua collezione, cosa credeva? Che non sapesse cosa si diceva di lui per Hogwarts? Cambiava ragazza spessissimo e non aveva serie intenzioni con nessuna. Non aveva nessuna intenzione di trovare un secondo Jack, qualcuno che puntasse solamente ad averla e poi la facesse piangere senza nemmeno accorgersi di quello che provava.

Si girò alla ricerca delle amiche che però la stavano salutando con la mano qualche metro più in là: ma che razza di situazione era quella? La stavano lasciando lì apposta? Certo, loro non sapevano di Jack e dei motivi per cui Amelia potesse avere timore di ricambiare le attenzione del biondo.
“Nessun regalo per il prossimo Natale a voi due.”
Borbottò la ragazza, posandosi i gomiti sulle ginocchia e dando così sostegno al capo con le mani, mentre guardava verso il campo con aria indignata.
I due ragazzi si stavano allenando, ma era sicura che normalmente non si togliessero la maglietta in mezzo al campo scrollando i capelli al vento. Bhè, perché era quello che stava facendo Johnny in quel momento, lanciando poi un’occhiatina verso gli spalti, assicurandosi che lei stesse guardando. Amelia fece visibilmente una faccia schifata, mentre un colpo di vento le muoveva la gonna mostrando le belle gambe, cosa che fece scaturire un fischio di approvazione dal campo, subito seguito da un grosso colpo e un tonfo sul pavimento.
“Opss”
Amelia si alzò cercando di capire cosa fosse successo: Johnny era a terra che si teneva il braccio piegato con un’angolazione del tutto innaturale mentre Derek cercava di scusarsi.
“scusa ma … dove cavolo stavi guardando! Avresti dovuto pararlo quel bolide, per le mutande di Merlino! Guarda come ti sei ridotto.”
La ragazza si lasciò scappare una risatina alla vista di quella scena, scendendo poi verso il campo, per assicurarsi che la situazione non fosse più grave di quanto sembrava: Madama Chips lo avrebbe sistemato in un batter d’occhi.
I due si zittirono sentendola ridere e osservandola come a cercare una spiegazione per la sua espressione divertita.
“Johnny dove stavi guardando?”
Lo prese in giro lei, accorgendosi che Derek non aveva notato il suo sguardo e il suo verso di apprezzamento di poco prima.
“Perché quel bolide lo avrei fermato persino io.”
Calcò molto su quell’io, sapendo che lui avrebbe capito il perché.
Johnny non sembrava poi così in difficoltà alle parole della ragazza, anche se cercò subito di rialzarsi per non sembrare un deficiente seduto a terra a tenersi il braccio rotto.
“Va tutto bene, niente può abbattermi con così poc- AHHH”
Aveva cercato di riposizionarsi il braccio aiutandosi con quello buono ma i risultati non furono quelli sperati, anzi il braccio sembrava ancora più pendere in maniera spaventosa.
“Fa veramente schifo, dovresti andare in infermeria, credo.”
Commentò la ragazza avvicinandosi e osservandoli entrambi, annuendo. Derek però scosse il capo, togliendosi dall’impiccio.
“Devo andare, sono in punizione con il prof di difesa. E se sa che ho anche spaccato il braccio al mio migliore amico … scusa.”
Guardò Johnny che scrollò le spalle, scaturendo così un’altra ondata di dolore, e lo guardò con espressione fintamente tranquilla.
“La strada la conosco.”
Con una pacca sulla spalla- sana- i due si salutarono mentre Amelia rimaneva a guardare perplessa: uomini, e chi li capiva?
Il biondo stava cercando di chiudere il baule con le varie palle da quidditch, ma l’avere il braccio destro completamente inutilizzabile non rendeva il processo fattibile.
“Oh, piantala di voler fare il grandioso!”
Sbottò Amelia avvicinandosi al baule e aiutandolo a chiuderlo, era forse la prima volta che si trovavano così vicini: Johnny sentiva perfettamente il buon profumo di lei, scorgeva i suoi piccoli orecchini con la iniziale del suo nome e la curva sinuosa della spalla, scese ad osservarla con lo sguardo, mordicchiandosi leggermente un labbro, percorrendo le sue gambe praticamente perfette.
“Avrebbe dovuto colpirti in testa.”
Disse lei voltandosi verso di lui, ma aveva un bel sorriso divertito sul volto.
“Già successo, ma una bella ragazza era lì pronta a soccorrermi, come adesso.”
Replicò lui alzando e abbassando un sopracciglio con fare malizioso, lei ridacchiò: aveva capito che non c’erano speranze con quel tipo, ma a suo modo era simpatico e la faceva ridere.
“Ti accompagno, dai, non arriveresti mai … probabilmente avrei il taglio del tuo braccio sulla coscienza.”
Disse dopo qualche secondo, mentre faceva lievitare il baule fino al suo posto e accennava alla scuola con un cenno del capo.
“Lo so che vorresti urlare dal male.”
Continuò prendendolo in giro, incamminandosi verso l’infermeria con il biondo che si grattava la testa colto in flagrante.
“Preferirei urlare in altri modi con te.”
Commentò lui, con un’espressione completamente maliziosa e osservandola trionfante per la battuta appena fatta.
Amelia invece di guardarlo con aria sconvolta scoppiò a ridere, tanto da doversi tenere la pancia con la mano, mentre salivano le scale.
“Ma … oh Johnny, sei troppo divertente, più del solito, dovresti farti male più spesso.”
Commentò ancora, ridendo, per poi spingerlo dentro l’infermeria, salutando madama Chips.
Avrebbe potuto andarsene ora, tornare nella sala comune e sgridare quelle due pazze delle sue amiche, ma invece rimase lì ad aspettare che l’infermiera avesse finito di visitarlo.
Voleva solo assicurarsi che andasse tutto a posto, in un certo senso era lei, o meglio una parte di lei, che aveva fatto distrarre il ragazzo. Si auto convinceva che la spiegazione fosse quella, ma in realtà aveva trovato il ragazzo piacevole, forse non era così male come pensava: poteva anche essere divertente.
Passarono una ventina di minuti prima che Amy potesse rientrare, facendo scaturire così un sorriso sul volto del ragazzo che non immaginava che lei potesse essere fuori ad aspettare.
“Quanti giorni di vita ti rimangono, quindi?”
Chiese avvicinandosi al letto con una delle sue espressioni buffe e forse leggermente imbarazzate, mentre si sedeva accanto a lui.
“Grazie. Sei stata molto gentile, Amelia.”
Lui la guardò con fare sincero, non era quella la sua solita faccia, aveva qualcosa di diverso, sembrava un vero ringraziamento, forse persino affettuoso, tanto che fece arrossire la ragazza, non pronta a quella frase, detta così sinceramente.
“I-io … bhè, tu mi hai fatta ridere. E poi lo sappiamo che era solo colpa mia.”
Cercò di dire qualcosa di divertente, ma era successo qualcosa da quel grazie, non sapeva nemmeno spiegarsi che cosa. Lui la guardava e si stava avvicinando al suo viso, lo capiva chiaramente, ma lei non fece nulla per tirarsi indietro. Il ragazzo lo prese come un permesso o qualcosa di simile e la baciò, facendosi spazio tra le sue labbra, posandole la mano sul fianco, nel gesto di stringerla a sé. Era così profumata, così deliziosa che quasi non si accorse che quel bacio non era uno dei suoi soliti baci peccaminosi, ma aveva qualcosa di dolce, di delicato.
“Starò qui fino a domani, poi avrò bisogno di qualcuno che mi accompagni al dormitorio, probabilmente.”
Disse lui, sussurrando sulle sue labbra, nel tentativo di chiederle quello che sembrava un appuntamento, ben deciso a vederla ancora e non per un caso fortunato.
Amelia sembrava ancora un po’ insicura, non poteva negare che quel bacio le fosse piaciuto e che … il pensiero di rivederlo dopo tutto ciò non era proprio una cattiva idea.
“Mi stai già mandando via?”
Chiese la ragazza, riassumendo una faccia birichina dopo i piccoli sintomi di inquietudine di pochi istanti prima, guardandolo con aria interessata e scostandosi un ciuffo dal volto. Era solo un bacio e lui non era Jack, era convinta che gli assomigliasse sempre di meno, in un certo senso.
Lui non perse tempo, riavvicinando i loro visi e ribaciandola nuovamente, anche se la sua mano questa volta stava cercando di accarezzarla in maniera più decisa di prima. In quel momento maledisse il non poter muovere l’altro braccio, ma Amy non fece in tempo ad accorgersi di questi suoi pensieri dato che vennero interrotti dall’infermiera che puntò un dito contro la porta dicendole di lasciarlo riposare e non agitarlo in quel modo.  Cosa che provocò sommesse risatine in entrambi.
“Va bene, va bene, non lo agiterò più … per oggi.”
Disse lei, camminando verso la porta e girandosi un attimo prima di uscire con un sorrisetto vispo, facendo un cenno di saluto con la mano.
“Eh si, è da sballo, vero?”
Commentò Johnny con aria allegra quando lei non fu più visibile, voltandosi verso la donna, che in tutta risposta se ne andò borbottando qualcosa sui giovani.
 
 
 

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Capitolo 11
*** Ci vuole tempo. ***


Ragazzi, buonasera! Scusate se vi faccio sempre aspettare così tanto tra un capitolo e l'altro. Spero che la storia continui a piacervi e vi sarei grata se lasciaste un commentino ogni tanto: mi fa sempre piacere sapere cosa pensate della FF!
Kiss,
Em.


11.Ci vuole tempo.


Johnny aveva aspettato, scrutando il corridoio, appoggiandosi al muro, sbuffando. Infine diede un calcio alla parete, lamentandosi e dirigendosi verso il dormitorio.
Lei non era nemmeno nella sala comune, si era presa gioco di lui? Certo, lui era il primo a non pretendere nulla in una relazione, ma aveva detto che sarebbe stata lì, lei lo aveva assicurato con quel suo sorriso buffo e quei capelli rossi. Maledizione a lei, non era certo l’unica ragazza carina della scuola, cosa credeva? Che avrebbe retto ai suoi giochetti?
E probabilmente era vero, avrebbe messo una pietra sopra la questione solo se non se la fosse trovata davanti una settimana dopo, nel corridoio che portava alla torre di astronomia.
“Scusa.”
Disse la ragazza porgendogli una cioccorana. Gli si era parata davanti, evitando che lui rientrasse nella sala comune dopo la lezione.
“Lo so, probabilmente pensi che sia un troll, o un’altra creatura orribile e non vuoi più vedermi e hai ragione, volevo solo dirti che mi dispiace non esser-… “
La ragazza non riuscì a finire la frase, si sentì spingere contro il muro mentre la bocca del ragazzo premeva delicatamente sulla sua, la mano della ragazza che piano si aggrappava alla sua spalla, lasciandosi andare a quel bacio.
“Scapperai di nuovo McKenzie?”
Si informò il ragazzo, osservandola con fare quasi divertito: non sapeva bene perché, ma quella ragazza era davvero interessante e il suo modo di fare non faceva che aumentare quella sensazione.
“Forse no, cioè … no. Scusa. “
Commentò lei, mordicchiandosi un labbro, mentre lo guardava. Lei sapeva perché era scappata, erano passati pochi mesi dall’esperienza negativa con Jack e non aveva frequentato nessun ragazzo da quel momento, incapace di lasciarsi nuovamente andare e ripetere una situazione simile. Forse era arrivato il momento di prendere in mano la questione e capire che non erano tutti come quel cretino.
“E poi non posso scappare se mi tieni stretta contro il muro, no?”
Aggiunse poco dopo con un sorrisetto, mentre lui la stringeva maggiormente.
“E secondo te perché ti sto tenendo così?”
Johnny la ribaciò dopo aver detto quella frase, cercando un maggior contatto con la ragazza e portandole la mano destra sul sedere, mentre l’altra si infilava sotto il golfino della divisa.
Non era un tipo che andava molto cauto, era abituato ad arrivare subito a un contatto fisico piuttosto diretto. Non si era accorto di come Amelia si sentisse a disagio capendo perfettamente le intenzioni del ragazzo.
“Conosco un posticino, testolina rossa.”
Le disse, senza ovviamente togliere le mani dalle loro posizioni, ma anzi mordendole un labbro subito dopo, non immaginava minimamente che le sue intenzioni non fossero le stesse di quelle di Amelia.
“Quel posto dovrà aspettare, ho lezione adesso.”
Commentò lei, anche se la sua espressione non tradiva nessuna timidezza, sembrava quasi volerlo mettere alla prova, mettere alla prova la sua pazienza.
“Non ci andare. Vieni con me.”
Le rispose con semplicità Johnny per poi ammiccare e guardarla maliziosamente.
“Potrei insegnarti molte cose anche io, chi lo sa.”
Lei sorrise ma si scostò lentamente dal suo corpo, risistemandosi la divisa e arretrando.
“Vado a lezione, ci vediamo dopo in sala comune.”
Fece un ciao con la mano incamminandosi verso il corridoio e inciampandosi quasi nella cioccorana che Johnny aveva fatto cadere nel baciarla. Si voltò verso di lui, dopo aver strenuamente cercato di mantenere l’equilibrio, facendo una risata e una linguaccia. Si rivoltò un secondo dopo correndo verso l’aula di aritmanzia.
 
 
Derek e Johnny erano ancora nel dormitorio maschile, il biondo sdraiato nel letto, che mangiucchiava una mela, completamente rilassato e tranquillo.
“Da quanto tempo esci con Amy? Mi sembra che stai sempre con lei ultimamente.”
Chiese Derek, che cercava di finire un saggio di erbologia, voltandosi verso di lui e aspettando una risposta. Ogni sera passava un sacco di tempo davanti al camino della sala comune a parlare e scherzare con lei, di giorno invece sembrava trascinarlo al parco. Sembravano molto intimi, in un certo senso.
“Una quindicina di giorni, all’incirca. Beh, non ho motivo di lasciarla.”
Ridacchiò lui, dando un altro morso alla mela, in realtà lei iniziava a piacergli davvero, era divertente, solare, bella e decisamente attraente. Non gliela dava mai vinta, e non sembrava fare le cose per compiacerlo, anzi, lo stuzzicava apposta il più delle volte.
“Quindi ci sa fare la rossa. Buon per te.”
Derek lo guardò con espressione maliziosa, facendogli capire subito che cosa intendesse.
“Si, insomma, ci sa fare … noi, si. Ok, non abbiano ancora fatto niente. Lo so, non ci credi.”
Derek ruppe la piuma che aveva tra le mani, spargendo inchiostro sul pavimento. Lo guardò con espressione allibita, per poi cercare di rimediare al danno e rivoltarsi verso di lui.
“Sto parlando con Johnny McCutheon? No, perché il Johnny che conosco io beh, cioè, lei è proprio figa, cosa stai aspettando?”
L’amico sembrava sorpreso, conosceva bene Johnny e sapeva che a quel punto della relazione conosceva già molto approfonditamente la compagna.
“Ma che ne so! Non che non ci abbia provato, figurati! Ma lei sfugge: sorride, mi guarda divertita e scappa.”
Scosse il capo, come se la questione fosse troppo complessa.
“ Non so perché lo faccia, forse ho fatto qualcosa di sbagliato.”
Si grattò la testa dubbioso, in effetti non capiva perché lei scappasse sempre sul più bello, bloccandolo e lasciandosi scappare il momento buono ogni volta.
“E … tu la aspetterai?”
Chiese Derek, vistosamente sorpreso e sghignazzando in preda alle risatine.
“… innamorato, McCutheon?”
A quella domanda Johnny gli lanciò il cuscino, con fare scherzoso, sperando di zittirlo e farlo smettere di ridere. Inutile dire che lo centrò in pieno viso.
“Ma va … voglio solo aspettare, sono sicuro che sarà uno schianto. Hai visto che gambe?”
Anche se non era convinto nemmeno lui che l’unica cosa che lo facesse aspettare fossero le belle gambe di Amelia, forse era il suo bel sorriso vivace, quel tono di voce allegro … quel suo modo di fare, ma non era innamorato, no. Forse.
 

***

 

Maggio. Gita ad Hogsmeade, giorno che per Amelia voleva dire riempire le sue scorte con i dolci di Mielandia e sistemare le sue provviste sotto il letto nel dormitorio, ma questa volta Jenny e Kate avevano la sua lunga lista e un sacchetto di galeoni mentre Amy si trovava a Hogwarts, precisamente nel corridoio che portava alla torre di Grifondoro.
Aveva il fidanzato per mano e sembrava volergli dire qualcosa, ormai iniziava a prendere confidenza con il ragazzo e stava bene con lui, era divertente, la faceva ridere e aveva persino smesso di provare a forzarla a fare altro, ben capendo che c’era qualcosa che gli sfuggiva e che, in un certo senso, rispettava la sua decisione.
“Amy, faremo tardi per Hogsmeade, devi saccheggiare Mielandia mentre io intrattengo i clienti e non li faccio passare, ricordi?”
Le disse Johnny guardandola con aria divertita, ma anche un po’ perplessa, stavano andando nella direzione inversa.
“Non voglio andare ad Hogsmeade oggi.”
Spiegò voltandosi verso di lui con un leggero sorriso, ma sembrava convinta di quanto stava dicendo. Johnny fece per replicare qualcosa ma lei finì la frase:
“Voglio stare con te.”
L’espressione quasi intimidita di Amelia, il suo sguardo e il fatto che lei avesse indicato con il dito la loro sala comune lasciò intendere al ragazzo come pensava di passare quel pomeriggio. La guardò leggermente perplesso, anche se la sua mente stava già vagando a lussuriosi pensieri.
“Oh, in questo caso. Ne sei sicura?”
Chiese, accarezzandole leggermente una spalla mentre la guardava negli occhi per assicurarsi che non lo stesse prendendo in giro e che andasse tutto bene.
Lei in risposta ridacchiò e si diresse correndo verso la torre, tirandoselo dietro.
“Non penso che nessuna ragazza sia mai entrata nel dormitorio maschile, mi piace essere un’avventuriera.”
La si sentì dire mentre facevano le scale del dormitorio e lui la fermava contro la porta baciandola con desiderio.
Come potevano ben prevedere nessun grifondoro dell’ultimo anno era rimasto a scuola: erano da soli; il ragazzo la spinse verso il suo letto, facendo in modo che si sdraiasse su di esso portandosi poi sopra di lei e passandole una mano sulla coscia, mentre le sorrideva e si chinava a baciarla.
Andava tutto bene, Johnny le piaceva, era un bel ragazzo, era gentile, non la avrebbe fatta piangere nonostante avesse molta esperienza, ma … Amelia non stava rispondendo a nessuna delle attenzioni del ragazzo, si fermò a guardarlo in maniera, per certi versi, spaventata.
Johnny subito pensò che fosse l’imbarazzo, credeva che non fosse del tutto a suo agio e le ci volesse tempo, ma poi vide i suoi occhi, c’era qualcosa, ne era certo, e non poteva passarci sopra.
“Amelia … dobbiamo parlare.”
Disse lui, tirandosi su dal suo corpo e sdraiandosi al suo fianco, senza più toccarla.
“Mi dispiace … sarà un po’ l’imbarazzo, non è niente.”
 Lei si sistemò su di lui, cercando di prendere qualche iniziativa per fargli vedere che non aveva problemi, ma in realtà rimase ferma immobile, sopra di lui, a guardarlo.
“Non riesco a dimenticarmi di … quella cosa.”
Sussurrò infine, socchiudendo gli occhi, come se si volesse nascondere e non far capire che era stata veramente lei a dire quelle parole.
“Ti va di parlarne con me?”
Chiese Johnny, osservandola con leggera preoccupazione, non era sicuramente da lui un comportamento così affettuoso, ma non riusciva a trattarla in altro modo, lei era diversa e sembrava veramente spaventata da qualcosa, forse poteva aiutarla.
“è una cosa stupida,  successa quasi un anno fa … non avrai voglia di sentire.”
Fece per rialzarsi, sentiva la pressione di quel momento, non era giusto, ma avrebbe voluto un abbraccio di Steven. Oh, ma perché pensava a lui in un momento del genere? Doveva toglierselo dalla testa, era e doveva essere solo un amico, lo sapeva.
Johnny la afferrò per un polso, trattenendola dall’andarsene.
“Forse devi solo parlarne, sai?”
Si sedette sul letto, guardandola e aspettando, facendo cenno di sedersi accanto a lui. La rossa rimase ferma un istante, senza fare niente, insicura, poi si sedette rimanendo in silenzio e guardandosi le scarpe, aspettando di trovare il coraggio di parlarne.
“Ti è mai capitato di beh, sbagliare tutto? C’era un ragazzo, uno scemo, ha preso in giro per un sacco di tempo Steven e … non so perché stessi con lui, non lo so. Mi ha detto delle cose, e come una stupida ho fatto quello che voleva … non era così c-che …”
La voce di Amelia si spezzò, alzando il capo verso di lui, sapendo che il suo sguardo avrebbe parlato per lei.
“Ho pianto per tutto il tempo e non se ne è nemmeno accorto, nemmeno quando è andato via.”
Si sentì stringere tra le braccia di Johnny, che la trattenevano con dolcezza a sé, la sua mano passava lentamente tra i suoi capelli, ma non c’era nessun secondo fine in quelle mosse, voleva solo fargli sapere che lui la avrebbe protetta, per quanto valesse. Senza nemmeno rendersene conto le stava svelando la parte più nascosta di sé, non era un menefreghista, non era come sembrava, sapeva regalare tenerezza e dolcezza alle persone a cui teneva, dovevano solo dargli modo di poterlo fare, metterlo al sicuro, a suo agio. E con Amy era sempre stato così.
“Vieni qui.”
Le disse, cercando le parole per aiutarla e consolarla, non poteva immaginare cosa avesse provato tutte le volte che lui aveva cercato di insistere, credendo che in fondo lo volesse anche lei, la paura che aveva negli occhi, ma che mascherava così bene … oh, Amy, se solo lo avesse saputo.
“Tu sei fantastica, Amy, non devi lasciare che nessuno ti faccia piangere, hai capito? Puoi superarlo, con calma, forse troverai qualcuno che ti farà capire che non c’è più niente di cui avere paura …”
Sembrava quasi imbarazzato, ma la guardava seriamente, cercando il suo sguardo e facendole capire che non scherzava. Ormai molto spesso si chiedeva se non fosse innamorato di quella testolina rossa, ma si continuava a rispondere che non era vero, solo che teneva a lei e non voleva soffrisse.
“Vuoi essere tu quel qualcuno?”
Le parole uscirono dalla bocca di Amelia, prima che forse lei se ne potesse veramente accorgere. Non tutte le cose dovevano andare male, lui era una di quelle cose belle che le erano capitate e lei non voleva più avere paura.
“Quando vorrai, testolina rossa.”
Le diede un bacio leggero sulla fronte, ricadendo con la schiena sul letto, tenendola stretta a sé, senza dire più niente, osservando quei capelli rossi con un sorriso. Non era così che si immaginava la giornata con Amy, ma non avrebbe cambiato niente, per altro ci sarebbe stato tempo.
 
 
 

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