Tell me a secret

di passiflora
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Thyme ***
Capitolo 2: *** L'invito ***
Capitolo 3: *** Scarborough fair ***
Capitolo 4: *** La mappa dei miei segreti ***
Capitolo 5: *** 5. Un estratto ***
Capitolo 6: *** 6. Un gran mucchio di forse ***
Capitolo 7: *** 7.Via della Resurrezione ***
Capitolo 8: *** 8. Resurrexit sicut dixit ***
Capitolo 9: *** 9. Beloved ***
Capitolo 10: *** 10. Tea ***
Capitolo 11: *** 11. Pool ***
Capitolo 12: *** 12. Fred e Varga ***
Capitolo 13: *** 13. Unghie ***
Capitolo 14: *** 14. Earl gray ***



Capitolo 1
*** Thyme ***


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Ognuno di noi custodisce dei segreti, ma quelli di qualcuno sono più grandi e pericolosi di altri.

Chi custodisce segreti simili, intimamente sa di compiere un atto coraggioso e vanesio, colmo d'orgoglio; un atto che riesce a farli sentire potenti, quasi che il loro valore si misurasse sulla capacità di resistere alla tentazione di rivelare ciò che sanno. Questi individui si sentono parte di una oscura élite, selezionati dal destino per portare con piacere un silenzioso, ma fatale fardello. Custodire un segreto simile è un atto capace di far sentire un uomo vivo e morto allo stesso tempo, ed è anche capace di corrodergli l’anima fino a condurlo alla rovina.

 

Thyme doveva essere stata una di quelle persone; doveva essere stata in possesso di uno di quei grandi segreti perché era l’unica ragione che avrebbe potuto indurre qualcuno a ridurla in quel modo. Questo era quello che pensava Sage, fissando il corpo dell'amica graziosamente adagiato all’interno della bara.

Qualcuno, dopo l’autopsia, si era preso il compito di ricomporre il cadavere di Thyme e lo aveva truccato e vestito con abiti adatti ad una scolaretta dodicenne. "Se solo lei lo avesse saputo si sarebbe arrabbiata moltissimo" pensò Sage fissando il giovane corpo morto circondato da fiori freschi. "Thyme si sarebbe certamente fatta seppellire con addosso un tailleur nero attillato, tacchi a spillo e occhiali da sole. Non con maglioncino verde e gonna a scacchi".

Il viso di Thyme, coperto da un’importante strato di cerone per nascondere la sfumatura bluastra assunta dalla pelle, si era gonfiato, come anche le mani dalle quali erano state estirpate le unghie finte che lei amava; il corpo sembrava essersi sciolto dall'interno, così che il liquidi ristagnavano verso il fondo e conferivano all’intero corpo un aspetto molle. Il collo era solcato dalla ferita che l'aveva uccisa che sebbene fosse stata ripulita e ricucita per sembrare meno profonda rimaneva comunque lì, visibile e intollerabile agli occhi dei disperati presenti. Però, anche in quelle condizioni, Thyme rimaneva bellissima, sfolgorante, esattamente com’era stata da viva. Sembrava addirittura che tutto il velluto viola del rivestimento interno della bara non facesse che far risaltare i suoi ricci dorati.

Accanto a Sage, Tea singhiozzava sommessamente. Vicino a lei Fred, Varga e Pool rimanevano in silenzio, gli occhi fissi nel vuoto, ognuno assorto nei propri pensieri. Pool, che frequentava abitualmente la chiesa, sembrava essere quello meno a disagio. I gemelli, invece, si tenevano ben lontani da qualunque celebrazione religiosa e avevano fatto uno strappo alla propria personale regola per essere lì, avvolti dentro i loro migliori cappotti neri, che conferivano loro un’aria stranamente lugubre.

“Che pensino ad altro" si disse Sage. " Sempre meglio che guardare quell'orrore”.

 

La funzione ebbe inizio pochi attimi dopo e per tutta la sua durata fu un susseguirsi di parole inutili, sbagliate e fuori luogo. Era evidente come né il sacerdote, né i genitori di Thyme, che avevano fornito indicazioni sulla loro figlia in modo che l'omelia sembrasse cucita su misura, e neppure i parenti presenti, conoscessero minimamente la loro giovane e compianta defunta. Thyme non era la buona e brava ragazza che tutti sembravano credere, né era l’angelo educato e sensibile che era stato descritto dal prete.

“Forse lo vogliono credere” pensò Fred, la cui attenzione era stata catalizzata dal pianto disperato di una prozia, seduta alle sue spalle. “Forse viene più facile piangere la morte di una buona e brava ragazza. Se così non fosse non potrebbero commuoversi con altrettanto trasporto.”

« Oh, povera bambina » singhiozzava la prozia, la voce impastata rotta dal pianto. « Così giovane... la scuola... gli amici... la chiesa... Oh, signore, signore... »

Le labbra di Fred guizzarono in un sorriso. La chiesa, sì. Thyme, con tutto quello che nascondeva, frequentava la parrocchia come se nulla fosse; in quanto alla scuola, la vecchia prozia doveva essere poco informata e forse il suo ultimo incontro con Thyme era avvenuto diversi anni prima, perché la ragazza aveva a malapena finito il liceo e, mentre i suoi amici avevano proseguito con l’università, lei aveva provveduto a trovarsi un lavoro part-time, il primo di una lunga serie.

 

La funzione terminò e i presenti scivolarono fuori dalla chiesa per raccogliersi nel piazzale antistante prima di seguire la bara fino al cimitero.

I ragazzi uscirono per ultimi, fermamente decisi ad evitare gli sguardi languidi dei presenti, così lucidi di lacrime e avidi di compassione. Insieme, compatti, si ritirarono in un angolo del porticato.

« Thyme gli avrebbe riso in faccia » commentò Pool ammirando lo spettacolo dei parenti e dei falsi amici che singhiozzavano disperati. « A tutti quanti. In particolare ai suoi genitori. »

« Oppure avrebbe continuato la recita. Sarebbe stato da lei. Recitare, piangere più forte di tutti gli altri » commentò Fred, il cui soprannome, parecchio tempo prima, era stato Parsley.

« Ma per farlo bisogna supporre che i presenti siano abbastanza svegli da capire il sarcasmo, e non penso sia questo il caso » le rispose Varga, suo fratello.

« Un angelo biondo » intervenne Sage, facendo il verso al tono salmodiante e patetico del sacerdote. « Una brava bambina, una brava lavoratrice, casta, pura, gentile e premurosa. »

Gli amici abbassarono la testa e scoppiarono in una silenziosa risata.

Non era il caso di farsi vedere intenti a ridere sguaiatamente davanti a tutti quegli addolorati parenti, ma bisognava riconoscerlo: quella descrizione di Thyme era così lontana dalla realtà da cadere nel grottesco.

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Capitolo 2
*** L'invito ***


La gente si accalcava sui gradini della chiesa, formando una piccola cascata di cappotti neri. Posteggiato sul piazzale, ripieno di fiori bianchi, un carro funebre attendeva di ingoiare la bara. Il portellone posteriore alzato faceva assomigliare la lunga auto ad un coccodrillo che aspetta un’ignara preda a fauci spalancate.
I cinque ragazzi uscirono dalla chiesa e si rintanarono in un angolo lontano del porticato, sempre decisi ad evitare qualunque contatto con i presenti.
Tra loro, l’unica che singhiozzava era Tea. I suoi grandi occhi scuri erano rossi e lucidi di lacrime e aveva le tasche piene di fazzoletti usati.
« Smettila, Tea » sbottò Sage, irritata dal silenzioso sussultare delle spalle della ragazza.
« Scusatemi » mormorò lei, asciugandosi gli occhi. « Mi dispiace, ma non riesco a smettere di piangere. Cioè, a voi non smuove niente? È morta! Non è uno scherzo e nemmeno una delle sue stupidaggini. È morta, definitivamente morta » aggiunse, assumendo per un attimo uno sguardo risoluto che stupì i suoi amici.
« Non capisci » rispose Fred. « La sua morte è proprio un’altra delle sue stupidaggini. Si è andata a cacciare in qualche casino ed è stata ammazzata. Pensaci, è proprio nel suo stile. »
« Siete sicuri che si sia andata a cacciare in qualche casino? » continuò Tea. Parlare la distraeva e aveva smesso di piagnucolare.
« E come facciamo ad esserne sicuri? Dovremmo avere delle prove schiaccianti » intervenne Pool.
« Quindi non... Lo dite perché... »
« Lo diciamo perché è stata ritrovata seduta su una tomba, con la gola tagliata da un orecchio all’altro. Ti sembra casuale, una cosa simile? È fin troppo facile capire che è stata uccisa in modo calcolato » disse Varga. Era un ragazzo di poche parole, ma quando parlava, di solito sapeva dire la cosa giusta, come un computer che elabora i dati inseriti e sputa fuori la risposta perfetta.
« Ma chi potrebbe averle fatto una cosa simile? E per cosa? » chiese Tea, gli occhi nuovamente luccicanti di lacrime. Non riusciva a trattenersi. Parlare di Thyme, pensare alla sua sofferenza, la straziava. Ma gli altri sembravano non capire, non sentire. D’accordo, Thyme era una strana ragazza, difficile, ma era stata ammazzata e aveva provato dolore e forse si era messa a piangere anche lei, per la paura magari. Perché gli altri sembravano non pensarci? Per quanto falsa, volgare e incosciente, Thyme era pur sempre un essere umano. Anzi, lo era stata.
« Come facciamo a saperlo? Droga? Thyme avrebbe potuto avere dei casini con uno spacciatore. Oppure, non lo so, aveva visto qualcosa durante una delle sue uscite clandestine e qualcuno l’ha fatta fuori per questo » ipotizzò Fred.
« Suppongo che ce lo dirà la polizia tra qualche tempo » concluse Varga.
 
« Ragazzi, ciao. »
Una voce tremula, esitante, interruppe le loro elucubrazioni. La madre di Thyme comparve da dietro il corpo massiccio di Varga e tutti i ragazzi maledirono se stessi per non aver fatto caso al suo arrivo. Cos’aveva sentito di quanto si stavano dicendo?
« Salve signora » esclamarono, quasi in coro, come bambini sorpresi nel bel mezzo di qualche comportamento riprovevole.
La madre di Thyme stirò le labbra in un sorriso. Era dimagrita molto da quando avevano ritrovato il corpo di sua figlia in quel cimitero, seduta compostamente su una tomba, coperta del suo stesso sangue. E come darle torto, dopotutto? Thyme era pur sempre il suo angelo biondo, no?
" Sua figlia non avrebbe pianto, né sarebbe deperita, se a morire fosse stata lei, signora " si ritrovò a pensare Fred e quel pensiero le fece dolere lo stomaco.
« Sentite, dopo l’inumazione vorremmo invitare qualche parente e amico di Thyme a casa nostra. Vorremmo offrirvi qualcosa da bere e da mangiare. Ecco... vorremmo partecipaste, tutti quanti » disse la donna e puntò gli occhi chiari e spenti su ognuno di loro, facendo intendere perfettamente che un rifiuto sarebbe stato considerato un affronto imperdonabile alla memoria della defunta e, cosa ben peggiore, all’orgoglio di tutti i suoi parenti ancora in vita.
« D’accordo » rispose Tea, ergendosi a portavoce del gruppo.
Questa volta, le labbra della donna non si contrassero in nessun sorriso di cortesia. Gli angoli della sua bocca sottile rimasero piegati verso il basso, come se qualcuno ci avesse agganciato dei pesi.
Mosse semplicemente la testa, in una sorta di silenzioso e sofferente ringraziamento. Dopo di che, girò su se stessa e proseguì il giro degli inviti presso altri parenti.
« E così, pare che siamo incastrati » commentò Pool.
« Facciamolo, per questa volta. Non può essere così terribile » sospirò Tea.
« Sarà peggio che terribile » piagnucolò Fred.
« Invece sapete che vi dico? » esclamò Sage. Gli occhi dei suoi amici si puntarono su di lei. Sage attese per un attimo, poi scrollò le spalle esili e disse: « Sarà interessante. »
 

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Capitolo 3
*** Scarborough fair ***


Per quanto durante la cerimonia i ragazzi -esclusa Tea- avessero mantenuto un atteggiamento freddo e distaccato, sprezzante e quasi disgustato nei confronti degli altri invitati, quando la bara di Thyme venne inserita nel loculo e murata a tutti quanti si strinse il cuore. Fu un attimo, come strappare un cerotto. Poi tutto era di nuovo tornato alla normalità, solo senza Thyme, che era stata chiusa in un buco nel cemento da cui non sarebbe uscita mai più; insomma, era più o meno come dire che era partita per le Maldive e ci si era trasferita in pianta stabile. Tra i due scenari, le Maldive si addicevano a Thyme molto più del buco nero, quindi i cinque ragazzi decisero che immaginare la ragazza distesa sulla sabbia a sorseggiare un cocktail, circondata da muscolosi indigeni, per il resto della vita sarebbe stato più plausibile. Certo Thyme non sarebbe ricomparsa a smentire le loro fantasie, quindi tanto valeva giustificare la sua assenza in un modo che le si addiceva. Tanto il risultato non cambiava. Il vuoto rimaneva.
 
La pietra tombale venne applicata. Le scritte d’ottone non erano ancora pronte, così al loro posto era stato applicato un cartoncino plastificato che riportava il vero nome di Thyme -un nome che nessuno usava più, nemmeno i suoi genitori-, le date di nascita e morte, una foto di lei, bella e sorridente, e una frase tratta da qualche libro della bibbia.
Ci furono pianti, più o meno sguaiati a seconda del grado di parentela del piangente, e imprecazioni sulla vita ingiusta, sul destino crudele e su Dio che vede e provvede.
« Non è il destino che l’ha ammazzata, idioti » sibilò Pool, la cui pazienza andava esaurendosi. « E non sarà Dio a punire chi l’ha fatto. » Quella gente gli metteva addosso i brividi. L’ignoranza e la stolida banalità lo terrorizzavano, e quel mucchio di parenti gli sembrava l’incarnazione perfetta di tutti i suoi incubi. "Faceva bene Thyme, a fuggire. L’avrei fatto anche io."
 
Un’ora dopo, i cinque ragazzi erano a casa di Thyme, nel soggiorno grigio e bianco, i cui brutti mobili di scarsa qualità giocavano un ruolo consistente nel rendere la piccola riunione ancora più patetica. Oltre ai ragazzi erano presenti altre dieci persone e i genitori di Thyme. La sorellina di lei, l’unico componente della famiglia per cui la defunta avrebbe mosso -stancamente- un dito, se ne stava seduta su una sedia, in disparte, osservando la scena in silenzio. Aveva otto anni e somigliava a Thyme con una goccia d’acqua ma, a differenza della sorella defunta, la ragazzina aveva un carattere solitario, gentile e timido. Era anche dotata di una spiccata intelligenza e le piaceva osservare il mondo cercando di capire da sola le cose che nessuno le spiegava. In quel momento, certamente cercava attribuire un significato a quella riunione insolita. Le zie che a malapena conosceva blateravano cose in proposito all’infanzia di Crisa -perché Thyme si chiamava Crisa e le zie non avrebbero mai usato un soprannome inglese per riferirsi alla loro nipotina adorata che non vedevano da almeno sei anni-, le nonne singhiozzavano convulsamente, gli uomini stavano tutti in silenzio tranne lo zio, che sembrava arrabbiato con la polizia e diceva parolacce. Nel complesso, sembrava si fossero riuniti per poter parlare dei boccoli di Thyme da bambina e per poter piangere più forte di quanto avessero potuto fare in chiesa, tutti stretti uno all’altro sui divani. Gli unici a sembrare annoiati erano i ragazzi, che se ne stavano in piedi, appoggiati al muro quasi lo volessero sostenere.
 
E poi venne il momento in cui uno zio domandò perché mai tutti continuassero a chiamare Thyme in quel modo. « Che lingua è? » sbottò indignato. « Inglese? Perché tutta questa mania dell’inglese? Non abbiamo dei bei nomi noi? Eh? »
I ragazzi sospirarono in coro. Tea si chinò verso il vecchio signore e con la voce più dolce che poté produrre spiegò: « Significa timo. È un nomignolo preso da una canzoncina. »
« Timo? Significa timo? E che soprannome è timo? E poi? Ci sono anche il basilico e la salvia? »
« E anche il rosmarino » disse Tea, la cui voce calma tradì una scintilla di stizza. Rosemary era lei, era stato il suo soprannome per anni.
« Sciocchezze » concluse l’uomo e si voltò dall’altra parte, esprimendo così tutta la sua disapprovazione verso quelle stupidaggini da giovani che lui non capiva.
Tea si alzò e guardò i suoi amici, sconfitta. Fred strinse le spalle, Sage scosse la testa. Pazienza, che ci potevano fare se quell’uomo era vecchio e ottenebrato da un dolore di circostanza?
« Siamo ad una fiera » mormorò Pool, qualche minuto dopo, quando ormai era nata un’animata discussione in proposito al tasso di diffusione dell’inglese in Italia e nel mondo.
« Ma non quella di Scarborough » disse Tea, con un lieve sorriso.
« No, a quella del "non sappiamo di cosa parlare e quindi parliamo a vanvera" » commentò Varga.
In quel momento, Sage si staccò dal gruppo. Sistemò una ciocca dei capelli ondulati e con passo composto raggiunse i genitori di Thyme. Parlò con loro per un po’, intrecciando le dita delle mani e cercando di assumere un'aria più innocua e convincente possibile. Dopo qualche minuto i due sembrarono cedere alle sue richieste e Sage tornò dagli amici sfoggiando un sorriso trionfante poco adatto all'occasione.
 
« Venite con me » disse, facendo un rapido cenno con la testa.
« Dove, esattamente? » domandò Pool.
« A vedere la cosa per cui tutti noi abbiamo accettato di essere qui » rispose Sage. Varga la fissò in silenzio. Era giunto alla conclusione che Sage lo turbava, soprattutto quando sorrideva come in quel momento. Fu il primo a muoversi per seguirla.
La ragazza li condusse nella cucina adiacente al soggiorno e poi nella piccola stanza dove risiedevano i grandi elettrodomestici di casa e una nutrita collezione di scatoloni. Il padre di Thyme, un uomo alto e filiforme, ampiamente stempiato, aveva preso una delle scatole e l’aveva deposta sull’asse da stiro. Ad una prima, rapida occhiata il contenuto pareva consistere semplicemente in fogli di giornale. Un attimo dopo, nella stanzetta sopraggiunse Anna, la madre di Thyme, che depositò accanto allo scatolone una piccola busta di plastica contenente un vecchio cammeo appeso ad una catenina di ottone.
« Ecco, questo lo aveva al collo. È l’unica cosa che ci hanno restituito, perché era stato pulito e non presentava tracce utili » disse, per poi sparire nuovamente, tornando a condividere e alleviare il proprio dolore con i parenti seduti in soggiorno. Suo marito la seguì.
Rimasti soli, i ragazzi rivolsero a Sage i loro dubbi.
« Scusa, cos’è questa roba? » chiese Fred, traendo un pacco di fogli dalla grande scatola.
« Materiale sul caso di Thyme » disse Sage, sfregandosi le mani. Aveva dipinto in volto uno sguardo famelico, quasi dovesse gettarsi sopra un lauto banchetto e non su incartamenti riguardanti un caso d’omicidio.
« E cosa ne dovremmo fare? » domandò Pool.
« Leggerlo » esclamò Sage, come se quella conclusione fosse la più logica possibile. « Per saperne di più. Magari ci viene in mente qualcosa che la polizia non può capire né sapere. »
« Oh, andiamo. Indagare è il loro lavoro. Perché dovremmo scoprire noi qualcosa quando loro brancolano nel buio? » esclamò Tea.
« Perché? » Sage si voltò verso l’amica, incrociando le braccia al petto, risoluta. « Perché nei film funziona sempre così. Arriva l’investigatore dilettante e capisce tutto. Io mi sono chiesta il perché! Perché loro capiscono sempre tutto e la polizia no? È semplice: perché l’investigatore dilettante di solito conosce bene la vittima e vede le cose così come le avrebbe viste lei; di conseguenza si accorge di particolari all’apparenza insignificanti, ma in realtà molto importanti! »
Il ragionamento non faceva una piega. Tutti tacquero, compreso Varga, che approvava la logica di Sage e per questo si sentiva arrossire.
« D’accordo allora. Cerchiamo qualcosa di interessante » mormorò Tea, prendendo dalla scatola un pacchetto di fotografie.
 

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Capitolo 4
*** La mappa dei miei segreti ***


Tea non riuscì ad andare oltre alla terza fotografia, così delegò il compito a Varga. Fred lesse velocemente gli articoli di giornale e sentenziò: « Nulla che non sapessimo già. » A Pool erano stati affidate le copie delle deposizioni dei testimoni. Thyme era stata ritrovata da una vecchia signora che si era recata al cimitero di prima mattina, in occasione del compleanno del marito morto. Stava raggiungendo la tomba di quest’ultimo quando aveva notato la chioma bionda di Thyme baluginare tra le lapidi. Aveva pensato subito ad una qualche bravata da ragazzini e, temendo di ritrovarsi dei teppisti tra i piedi, era corsa a chiamare il guardiano. Questi si era avvicinato abbastanza da notare il sangue che ricopriva il corpo della ragazza e la superficie liscia della tomba. A quel punto, i due si erano decisi a chiamare la polizia.
« Pensa un po’, magari era ancora viva ed è morta perché quella vecchia ha avuto paura di avvicinarsi a lei » commentò Fred, osservando un paio di foto che il fratello aveva messo da parte. Ritraevano il corpo di Thyme, seduto compostamente sulla tomba, le gambe incrociate, le mani appoggiate sulle cosce e la testa china in avanti.
« Si sa che più si invecchia più i difetti si ingigantiscono » disse Varga.
« Già, come se da vecchi si avesse il diritto di indugiare nei propri mali » ridacchiò Pool.
« È che abbiamo già passato una vita a cercare di comportarci bene. Ad un certo punto, chi il bene non ce l’ha si stanca di fingerlo. Dev’essere liberatorio » esclamò Sage. Era appena tornata nello stanzino dopo essere stata, a sua detta, al bagno. Varga sentì il cuore battere un po’ più velocemente e un sorriso affiorargli alle labbra: era arguta, Sage. Molto. Alzo lo sguardo su di lei e pensò che era anche bella di una bellezza furba, di quelle che si insinuano sotto la pelle un po’ alla volta, fino a raggiungere il cervello e metterci radici.
In quel momento, la ragazza teneva le mani dietro la schiena. « Ho una cosa, qui » canticchiò. Subito dopo mostrò l’oggetto celato. Si trattava di un quadernetto molto sottile, con la copertina chiara e anonima. « Un diario? » domandò Pool.
« Un’agenda » corresse Sage.
« E dove l’hai trovata? » chiese Tea, prendendo il quaderno dalle mani dell’amica con la stessa prudenza con cui avrebbe maneggiato dell’esplosivo.
« In bagno, nascosta » disse Sage.
« Scusa? » esclamò Fred. « In bagno, nascosta? E tu come facevi a sapere che c’era? »
« E perché era nascosta? » aggiunse Varga.
Tea, nel frattempo, aveva sfogliato le prime pagine del quaderno. Ognuna di esse era occupata da una sola indicazione, scarabocchiata al centro della pagina. Thyme aveva una grafia disordinata e infantile, cosa che rendeva difficile decifrare i suoi elaborati a meno di non essere in possesso di una buona dose di pazienza. In più, quelle note sembravano scritte in codice. Thyme sapeva come coprirsi le spalle.
Tea sfogliò le pagine fino a trovare all’ultimo appunto, poi mostrò ai suoi amici la scritta, tenendo aperto il quaderno nel punto giusto.
« Sapevo che era lì perché un giorno venni trovarla e la sorpresi mentre la nascondeva » stava spiegando Sage.
« Ma questo non l’hai detto alla polizia » osservò Pool.
« No, non l’ho fatto » ammise Sage. « Ma supponevo che l’avrebbero trovata. Non era poi così ben nascosta. »
« Cosa credete che voglia dire, questa roba? » intervenne Tea. Quattro paia di occhi si sollevarono su di lei. Varga tese l’ampia mano e afferrò il quaderno, per esaminarlo più da vicino. Sage si sporse sopra la sua spalla, per vedere meglio, e il ragazzo si adoperò perché lei rimanesse appoggiata lì ancora per molto, sfogliando il misterioso quaderno con biblica lentezza.
« Sage » intervenne Fred. « Cosa sono quelle note? »
« Non ne ho idea » ammise la ragazza. « Quando scoprii Thyme, lei mi disse solo che era una mappa per "ritrovare i suoi segreti". »
I ragazzi sgranarono gli occhi. « Come? » esclamò Tea.
« È per questo che sono subito andata a cercare quel quaderno, quando ho capito che non era stato trovato » disse Sage, scostandosi dal comodo appoggio della spalla di Varga.
« Quindi... » mormorò quest’ultimo. « L’ultimo di questi segreti potrebbe essere quello che l’ha uccisa. » Improvvisamente, il sottile quaderno che teneva tra le mani sembrava essere diventato pesante come un’incudine.
« Potrebbe, sì » ammise Sage.
Nella stretta stanza calò il silenzio. Le fotografie del ritrovamento erano sparse a terra, tra i piedi dei ragazzi, insieme ai fogli di giornale e alle fotocopie dei documenti. Tutto materiale pressoché inutile. Anche il medaglione, che giaceva ancora sull’asse da stiro, intoccato, era inutile. Avevano in mano qualcosa di potenzialmente decisivo: loro, non la polizia; loro, che non sapevano né potevano nulla. E questo corrispondeva esattamente alla situazione descritta da Sage quando erano rimasti soli in quello sgabuzzino.
« Sage » disse Pool. « Perché non hai detto subito che volevi trovare quell’agenda? Senza mettere in piedi tutta questa recita. »
« Volevo che ci lasciassero soli a parlare » rispose lei. « Volevo allontanarmi da quelle persone insopportabili, volevo vedere le fotografie di persona e volevo verificare che l’agenda non si trovasse già tra le prove. »
« Ma l’avresti letto... » iniziò Pool, ma venne interrotto dalla ragazza. « Non leggo i quotidiani » sbottò Sage, poi continuò con la sua arringa difensiva: « Ora, quell’agenda probabilmente contiene cose che comprometterebbero l’immagine di Thyme davanti ai suoi genitori. Non so cosa abbiano già scoperto su di lei, ma sapete che Thyme era brava a non lasciare tracce dei suoi passatempi! Quindi io penso che nemmeno la polizia abbia scoperto molto di quello che faceva. Quindi, volete davvero distruggere quella gente, l’immagine che gli è rimasta della loro povera Crisa, dovendo giustificare una specie di diario segreto nascosto in bagno? Io no. »
Mentre parlava, Sage arrossiva sempre di più. Alla fine, nascose il volto tra le mani e si mise a piangere. I capelli celarono le sue lacrime, ma le sue spalle sobbalzavano in modo inconfutabile. « Scusate » esclamò un attimo dopo, alzando la testa e inspirando rumorosamente con il naso. « Mi dispiace, non volevo. Solo che... accidenti, scusate. Non sono infallibile. Lo so che ho fatto una stupidaggine, ma... »
« Mi sembra un indirizzo » intervenne Tea, rompendo l’atmosfera elettrica che si era venuta a creare.
« Dove lo vedi, l’indirizzo? » domandò Pool, scettico.
« Scritto lì, Pool » rispose Tea, facendogli il verso.
Fred si sporse verso il fratello, che reggeva il quaderno davanti a sé, e cercò di guardare quei segni disordinati e irregolari sotto la nuova prospettiva suggerita da Tea.
 
V.d.Rsx
55
Ch.frt.Ch
 
« Quella "v.d" potrebbe stare per "via del" o "della" » mormorò. « E il numero potrebbe essere il numero civico. Ma il resto? »
« Scopriamolo » esclamò Sage e tutti furono silenziosamente d’accordo.
 
 
 

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Capitolo 5
*** 5. Un estratto ***


Dal diario personale del Dr. M.F:

 

I test sono stati ripetuti. Come sempre denotano una perfetta lucidità d’intenti in entrambi e una spiccata intelligenza (personalmente, la definirei fuori dal comune).

Sebbene le personalità dei due soggetti si discostino molto, non persiste tra i due un rapporto di dominazione-sottomissione. I due soggetti coesistono in perfetta armonia e parità, dimostrando una sintonia e una vicendevole comprensione tale da sfiorare i limiti del grottesco. (Fingono?)

Questo rapporto sembra però essere esclusivo, poiché verso terzi i soggetti sembrano dimostrare soltanto gelida cortesia o al più una fredda amichevolezza (mancanza di empatia? Traumi? Sociopatia? Misantropia?).

Tra i due, la personalità più dinamica è sicuramente quella della ragazza. Essa manifesta una spiccata sicurezza, eloquio forbito, pronto, schietto e intriso di bruciante ironia. Ostenta idee e ideali molto chiari, che supporta con argomenti di indubbiamente logici (mi mette in difficoltà). Durante i nostri incontri si dimostra impertinente, impudica e a volte minacciosa. Eppure, per quanto essa parli senza i freni tipicamente apposti dall’inibizione o dal pudore, il suo sguardo rimane freddo. Ho il sentore che racchiuda dentro di sé qualcosa che nessuno dei test, né tanto meno le mie sedute, riusciranno mai neppure a toccare. Definirei la ragazza come Aria, che spazza e distrugge e muta, ma rimane impalpabile.

L’unico che, a mio parere, riesce e riuscirà mai a scoprire il nucleo nascosto di Aria è il ragazzo. Se la ragazza è impetuosa, ma inafferrabile, egli è, senza dubbio, il Fuoco, oscuro e intoccabile. Il soggetto si presenta taciturno e riflessivo, incline al silenzio. Nonostante ciò ogni sua parola sembra essere quella giusta e definitiva. Ammetto di essermi trovato più volte spiazzato di fronte all’arguzia delle sue conclusioni. (Sebbene portare avanti un dialogo che lui non desideri sembri essere quasi impossibile.)

Il Fuoco lo si vede bruciare principalmente attraverso gli scritti di cui il soggetto riempie quaderni interi (forma preferita di espressione). Ho letto alcuni di quei passaggi e ne sono rimasto turbato. Cosa si agita dentro quel ragazzo ho timore di scoprirlo. Vorrei poter mettere le mani sui suoi quaderni.

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Capitolo 6
*** 6. Un gran mucchio di forse ***


La mappa dei segreti di Thyme giacque nella borsa di Fred per tre giorni prima che qualcuno osasse accennare a lei e alla nota misteriosa che conteneva.
Sebbene nessuno avesse avuto il coraggio di parlarne apertamente, tutti e cinque i ragazzi avevano a lungo rimuginato sul codice misterioso, esaminando un’ampia gamma di possibili soluzioni senza approdare a nulla di concreto. Al termine di quei tre giorni, quando si ritrovarono con l’intendo di discutere, ognuno di loro propendeva con una discreta certezza verso la propria opinabile versione, ma attendevano che fosse qualcun altro a parlare per primo e nel frattempo tergiversavano.
La prima ad esprimersi fu Tea.
« Ragazzi, io ci ho pensato ininterrottamente, ma temo di non essere arrivata a niente » disse. « A parte quel "Via di" oppure "del" non c’è nulla di chiaro. "Rsx" potrebbe essere solo "r" e poi "sx" stare per "sinistra". »
« Oppure essere "rs" e poi "x" come numero, quindi dieci. Thyme aveva una calligrafia incomprensibile. Potremmo addirittura aver sbagliato a leggere » commentò Pool.
Erano seduti nell’ampio salotto della casa dei gemelli. Fred e Varga avevano preparato del tè e Pool lo sorseggiava con la dignità di un lord vittoriano.
« E la seconda riga? » chiese Tea.
« Il cinquantacinque? Abbiamo supposto che fosse un numero civico, ma se ad esempio volesse dire qualcosa come "contare cinquantacinque da sinistra"? » osservò Fred. Teneva la tazza piena di liquido bollente appoggiata in bilico sul ginocchio. Suo fratello la guardava con un sorriso divertito e complice. Chissà quante tazze avevano rotto facendo quel giochino.
« Riguardo la terza riga, io ritengo che sia scritta in un’altra lingua » disse Varga e, come sempre, le sue parole suonarono come un dogma inappellabile. « Francese o inglese, ritengo. Dubito che Thyme avrebbe mai pensato al latino o a qualsiasi altra cosa che fosse appena più complicata. »
« In francese faceva pena. E in inglese se la cavava per un pelo » osservò Sage.
« Esatto. Per questo io ritengo che il codice sia più semplice di quanto crediamo. Stiamo attribuendo a Thyme più ingegno di quanto non ne avesse in realtà. »
« Thyme era furba come una volpe » obiettò Sage, esibendosi in un’espressione corrucciata che la fece sembrare ancora più graziosa. Non le piaceva che Varga parlasse male di Thyme.
« Furbo è ben diverso da ingegnoso » esclamò Fred, afferrando al volo la tazza che si era sbilanciata e stava per cadere e ingoiando una sorsata di tè. « Thyme aveva un talento naturale per approfittarsi delle situazioni e delle persone, ma in quanto a procurarsi i mezzi da sola... »
« E va bene, Thyme non era ingegnosa e la cosa più complicata a cui è riuscita a pensare per cifrare i suoi segreti è stata scrivere in una lingua straniera. Ma cosa? E quale? » continuò Sage, incrociando le braccia al petto. Varga la guardò. Le braccia strette sotto il seno non facevano che metterlo in risalto schiacciando la stoffa contro le generose rotondità. Distolse lo sguardo quando si accorse che sua sorella lo stava guardando e ridacchiava, nascondendosi il viso con la grossa tazza rossa fumante.
« Hai già pensato a qualcosa, Varga? » chiese Pool e le parole che gli uscirono di bocca suonarono incrinate e titubanti alle sue orecchie. Si sentì arrossire e cercò di tranquillizzarsi ripetendosi che era solo suggestione, che in realtà aveva parlato nello stesso modo di sempre e nessuno si era accorto di nulla.
« Sì » rispose il ragazzo. Depose la sua tazza sul tavolino di vetro al centro del cerchio di poltrone e prese il foglio dove precedentemente era stata trascritta la nota lasciata da Thyme. Prese anche una penna dall’estremità mangiucchiata e si mise a scarabocchiare borbottando: « Ch.frt.Ch. Supponendo che abbiamo a che fare con un riferimento spaziale, che sia scritto in inglese e che sia composto da parole abbastanza semplici perché Thyme riuscisse a ricordarle, quei "ch" potrebbero stare per church, chamber o chapel. Forse chair o chariot, ma non credo che cerchiamo una sedia e neppure un carro. »
« "Frt" che cosa sarebbe? » domandò Tea.
« Forse inizio a capire anche io » intervenne Sage, sporgendosi verso il tavolino. « È probabile che voglia dire semplicemente "di fronte". Che indichi qualcosa di fronte a qualcos’altro. »
« Esatto, quello è quasi certo. Tornando ai "ch", se Thyme avesse scelto il francese avremmo chapelle, champagne, chalet... chinois » borbottò Fred, muovendo la mano in cerchio man mano che snocciolava parole in francese.
« Sage, tra l’inglese e il francese qual era la lingua preferita di Thyme? » domandò Varga, chino sul foglio e intento a scrivere.
« L’inglese » rispose Sage.
« Allora avrà sicuramente scelto quello » esclamò. Poi alzò lo sguardo e allungò il foglio verso gli altri ragazzi, che si chinarono su di esso come girasoli attratti dalla luce di quel sole di carta. Varga aveva riscritto l’appunto di Thyme riempiendo i vuoti con quanto avevano dedotto fino a quel momento. La frase che ne risultava suonava come:
 
Via di/del/della Rsx
55
Chapel front Church
 
« La cappella di fronte alla chiesa? » disse Pool.
« Sembra che dobbiamo cercare una chiesa al numero civico cinquantacinque di quella via misteriosa » osservò Tea.
« Oppure » obiettò Varga. « Un cimitero. »
 
 

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Capitolo 7
*** 7.Via della Resurrezione ***


Dopo quella rivelazione i ragazzi passarono le rimanenti ore pomeridiane a percorrere mentalmente tutte le aree del circondario di loro conoscenza alla ricerca di un luogo che corrispondesse alle caratteristiche giuste. Tutti e cinque abitavano in una piccola cittadina di periferia, sviluppatasi attorno al nucleo, una volta pulsante, di un convento di frati con chiesa annessa. Intorno alla città per chilometri si stendeva solo la campagna disseminata di piccoli centri urbani, ognuno dotato del proprio piccolo luogo di culto e, probabilmente, del proprio piccolo cimitero.
Esclusero la possibilità che Thyme si fosse spinta in una delle città di maggior dimensione e rilevanza storica, distanti ognuna più di un’ora di autobus da casa sua. No, paradossalmente Thyme era stata una tipa piuttosto casalinga. Conosceva il fiorente e oscuro sottobosco di quella piccola realtà periferica e tanto le bastava, era il suo regno.
« Di cimiteri ne abbiamo almeno quattro, qui nei dintorni » osservò Pool, riportando al loro posto gli occhiali che gli erano scivolati fino alla punta del naso. « C’è il nostro, quello di Belmonte, quello sulla collina a Boccalaura e Santi Spiriti, a venti minuti di macchina, costruito cinque anni fa in aperta campagna, accanto alla strada. »
L’approfondita conoscenza cimiteriale di Pool stupì in ugual modo tutti i presenti che, tuttavia, non gli fecero domande in proposito.
« Thyme è stata trovata nel nostro cimitero » mormorò Tea. « Secondo me non dovremmo cercare molto lontano. »
« Ma nel nostro cimitero la chiesa è fuori dal perimetro. E di fronte non c’è nessuna cappella » esclamò Fred.
« Negli altri siete mai entrati? » domandò nuovamente Pool e il suo sguardo si posò involontariamente su Varga, che scrutava assorto lo schermo del computer. Le folte sopracciglia nere quasi si congiungevano, gettando un’ombra sui suoi occhi chiari. Pool distolse immediatamente lo sguardo.
« No » borbottò Varga, estraendo dalla bocca l’estremità della penna. « Ma possiamo farlo ora. »
Voltò il portatile tenendolo sulle ginocchia e mostrò ai compagni l’immagine presa dal satellite di un piccolo cimitero.
« Cimitero di Belmonte » proclamò. « Al numero civico tredici di Via Giovanni Battista. Direi che non è il nostro uomo. »
« Google Maps » ridacchio Sage. « Non è proprio uno strumento da buon detective. »
« Credi che Sherlock si sarebbe fatto degli scrupoli ad usare Google Maps? » rispose Varga, sorridendole.
« Ne dubito. Ma lui forse non ne avrebbe avuto bisogno. »
 
Tramite l’onnisciente satellite, i cinque spiarono tutto il circondario, zoomando e allontanandosi, come fossero spifferi freddi che si insinuavano tra le lapidi per poi fuggire lontano.
Dopo aver esaminato ognuno dei siti precedentemente individuati da Pool, scoprirono con sconforto che nessuno di essi corrispondeva a ciò che cercavano.
La delusione scottò i loro cuori, ma per orgoglio nessuno lo volle dare a vedere. Stavano quasi per iniziare a sdrammatizzare -segno evidente che la situazione aveva insita in sé una vena drammatica- quando Sage saltò sulla poltrona urlando : « Cazzo! ».
« Sì, cara? » esclamò Fred, sgranando gli occhi. « Si trattava di un lapsus freudiano o ti è venuto in mente qualcosa? »
« Ma certo che mi è venuto in mente qualcosa! » rispose Sage, ignorando la battuta dell’amica. Fece passare lo sguardo su tutti i presenti, studiando la pausa con consumata abilità, dopo di che spiegò: « Abbiamo pensato soltanto ai cimiteri in funzione, ma esistono anche quelli privati e quelli in disuso. E se fosse uno di quelli? »
Nel frattempo, Pool aveva preso il computer e stava digitando qualcosa. Le dita lunghe e magre, da pianista, scrivevano e riscrivevano una frase che veniva puntualmente cancellata.
« Che ne pensi, Pool? Ti ho fatto venire in mente qualcosa? » domandò Sage.
Pool le fece cenno di tacere. Tea, seduta sulla poltrona accanto a quella del ragazzo, si sporse a guardare. « Via della Resurrezione » lesse.
Varga alzò la testa di colpo. « Rsx... resurrexit? » esclamò.
« Non esistono né Via dei Risorti, né Via del Risorto e nemmeno Via Risorgimento, o qualcosa del genere. L’unica è questa: Via della Resurrezione » disse Pool, poi sospirò e voltò il portatile verso i ragazzi. Sullo schermo, il puntino rosso contrassegnato con la lettera A puntava dritto quello che sembrava un piccolo cimitero invaso dall’erba e dalle foglie secche. Non vi erano tombe a terra, ma lungo tutto il perimetro interno erano addossati ossari e mausolei. Sul lato corto, a Ovest, c’era una piccola chiesetta, distinguibile dai mausolei solo per la croce che capeggiava sul tetto. Dalla parte opposta, a ovest, un mausoleo più grande degli altri.
« Numero civico? » domandò Tea.
« Cinquantacinque » rispose Pool.
« Andiamoci » esclamò Fred, autoritaria. « Ora. »
 

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Capitolo 8
*** 8. Resurrexit sicut dixit ***


«Latino, non ci posso credere» borbottó Varga. Erano chiusi nella macchina di Tea, imbottigliati nel traffico ma piuttosto vicino alla loro meta, e questo rendeva Varga particolarmente nervoso. O forse lo rendeva nervoso il fatto che Pool fosse giunto alla soluzione prima di lui, una soluzione che non era poi tanto difficile da raggiungere.
«Abbiamo sottovalutato Thyme» rispose Sage.
«Non c'era ragione per sopravvalutarla» sbuffó il ragazzo.
«Ma tu non ci avevi pensato, al latino. Giusto? Allora forse dovremmo sottovalutare anche te» si intromissione Tea, mentre faceva svoltare l'auto a sinistra, lungo una via poco frequentata costeggiata da fossi e belle case.
Fred ridacchió, ma il ragazzo le ignorò entrambe e si rivolse a Pool. « Come mai hai pensato al latino, Pool? » domandó. Pool si schiarí la voce, come se dovesse iniziare un discorso importante, e disse: « Quell' "rsx" mi ha in qualche modo ricordato le abbreviazioni che si usavano nei testi sacri in latino, nei cartigli che si trovano nei quadri o nei mosaici da parete, oppure nelle incisioni sulle tombe. Cose così. Anche se credo di non aver mai visto questa abbreviazione in particolare, sembra che ci stia portando da qualche parte. O almeno speriamo. »
«Fortuna» commentò Varga. 
«Lettere classiche» lo corresse sua sorella.
In quel momento, Tea arrestò la macchina di fronte al cancello di un piccolo cimitero dall'aria decadente. Edera non potata pendeva dal limite superiore del muro, avviluppando e nascondendo gli spuntoni metallici che in origine lo sovrastavano.
All'interno si potevano scorgere mausolei dalle mura ingrigite dal tempo, ultima traccia rimanente dell'esistenza della famiglia che li aveva costruiti, il cui nome era inciso sull'architrave delle porte insieme ad auguri di riposi pacifici e salvezza eterna.
A terra, un tappeto di foglie secche.
« Ho come l'impressione che sia chiuso » proclamò Sage.
« Trovi? Dovremmo chiamarti Sagace, non Sage » le rispose Fred.
Scesero dall'auto e si avvicinano al cancello. Tea afferrò le sbarre di ferro e le scosse. Quelle cigolarono, ma rimasero ostinatamente chiuse. 
« Sembra che la ricerca termini qui, infranta contro queste sbarre di ferro » commentò Pool, malinconico. Con un gesto elegante sistemò gli occhiali che erano nuovamente scivolati troppo in basso.
Il sole del tardo autunno stava già tramontando, i sulla strada lampioni si erano già accesi e il silenzio era quasi innaturale. Nessuno tranne loro sembrava volersi avventurare lungo quella via dal nome altisonante. In quel momento, ognuno dei ragazzi si sentì un estraneo indesiderato e sopportato con malcelata ostilità. Avrebbero voluto andare via, ma allo stesso modo volevano anche rimanere e soddisfare la bruciante curiosità che li divorava. Percepivano qualcosa di proibito e pericoloso dietro quel cancello e questo bastava a tenere i loro piedi incollati sulla soglia del cimitero e le loro volontà oscillanti.
Dopo un silenzio che parve infinito, interrotto solamente dal soffiare del vento della sera, Fred esclamò: « No, col cavolo che torno indietro. Io voglio sapere ora. »
Poi, ignorando i commenti stupiti degli amici, si inerpicò con agilità sul cancello sfruttando come appoggio gli intrecci di foglie e fiori di ferro che si attorcigliavano intorno alle sbarre. Superò gli spuntoni a forma di giglio che coronavano la sommità del cancello ed infine si lasciò cadere dall'altra parte. Atterrò con agilità piegandosi sulle gambe allenate, si rialzò e si inchinò alla volta del piccolo gruppetto in attesa dalla parte opposta.
« E ora, Tarzan? » domandò Varga, per nulla impressionato dalla prodezza di Fred.
« Fate lo stesso » rispose lei.

Vi furono delle proteste, ma alla fine tutti riuscirono a scavalcare il cancello senza riportare gravi danni. Tea, la cui madre era avvocato, continuava a domandarsi in quanti modi stessero infrangendo la legge, ma nessuno dava retta alle sue turbe. Erano finalmente dentro il cimitero indicato da Thyme e sembrava quasi che tra quelle colonne di marmo e le foglie secche aleggiasse ancora qualcosa di lei, come una tenue traccia di profumo lasciata dietro di sé e mai svanita. Quasi che l'aria immobile del cimitero avesse mantenuto tutto così com'era.
« Ecco la chiesa » disse Fred, che nel frattempo aveva esplorato i ristretti dintorni. Indicò il punto in cui sorgeva la piccola cappella con il tetto sormontato dalla croce. Sull'architrave spoglio erano incise delle parole in stampatello: RESURREXIT SICUT DIXIT.
« Ed ecco a voi la cappella di fronte alla chiesa » continuò la ragazza, indicando dalla parte opposta. Lì, un mausoleo più grande ed elaborato degli altri svettava solitario, staccato dai suoi simili da due file di ossari, libero dallw foglie secche e dalle erbacce che invece infestavano tutte le altre tombe. La struttura del mausoleo, sebbene arricchita da fregi e vezzose colonnine corinzie, era identica a quella della chiesetta finanche nella scritta che incombeva sopra l'entrata. 
«Questa simmetria mi inquieta » mormorò Tea. 
« Non inquieta solo te » rispose Sage. 
Oramai si era fatto buio e il cimitero era privo di illuminazione. I ragazzi ritennero comunque opportuno rimanere e decisero di esplorare entrambe le costruzioni, nel malaugurato caso i cui la frase di Thyme fosse stata " church front chapel" e non viceversa.

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Capitolo 9
*** 9. Beloved ***


La porta della piccola chiesa era chiusa a chiave è non ci fu modo di aprirla. Il buio e il freddo pungente non aiutavano di certo, rendendo i ragazzi impazienti e meno disposti a perdere tempo.
Con la tomba ebbero più fortuna. I battenti della massiccia porta di legno erano chiusi, ma non a chiave. Varga li spalancò in un concerto di cigolii, ma solamente per rivelare al di là una solida grata d'acciaio che sbarrava definitivamente il loro cammino e cancellava le loro speranze e velleità di detective.
Il metallo lucido, nuovo, scintillava alla luce dei flash dei cellulari che i ragazzi stavano utilizzando come torce d'occasione.
« Questa mi sembra piuttosto nuova » commentò Pool. « Un po' poco in linea con il resto del setting. »
«Piuttosto anacronistico » mormorò Fred.
« Ma è sempre meglio di una porta chiusa » commentò Tea, che aveva ormai accettato l'idea di essere diventata una fuorilegge. « Almeno si riesce a vedere attraverso le sbarre. » Detto ciò, puntò appoggiò il cellulare contro la grata, in modo che il led luminoso spandesse la sua luce pallida all'interno della camera mortuaria. Subito gli altri la imitarono e presto l'interno del mausoleo fu sufficientemente illuminato perché potessero almeno farsi un'idea della conformazione di quel luogo proibito.
La stanza era polverosa, zeppa di fiori secchi che nessuno si era preoccupato di buttare, di ragnatele e di candele consumate, la cera bianca solidificata intorno al supporto sotto forma di piccole montagnole granulose. Appoggiati a terra, i ragazzi riuscirono a contare sei sarcofagi vecchio stile, grosse casse di pietra decorata con bassorilievi, con una lastra spessa più di cinque centimetri a fare da coperchio. Nei muri erano scavate delle nicchie che, per quanto riuscirono a scorgere, sembravano contenere dei vasi. Sopra le nicchie, un lungo fregio di ossari.
L'unico elemento che dentro il mausoleo non trasudava vecchiume erano dei mazzi di fiori quasi freschi che giacevano sopra due dei sarcofagi.
« Che cosa dovremmo capire, Thyme? » mormorò Tea. « Che segreto dovrebbe esserci qui? »
« Vedete qualcosa di interessante, di strano? » chiese Sage.
« Solo quei fiori » disse Fred. « E la grata. Questo cimitero non è abbandonato come sembra. »
« Forse ci stiamo concentrando sulla cosa sbagliata » disse Varga, il fiato che si condensava nell'aria gelida e impregnata dell'odore della polvere.
« Provate a leggere i nomi scritti sulle tombe che hanno i fiori appoggiati sopra » suggerì Pool. Era il più alto di tutti e svettava sulle teste degli altri ragazzi, ma era anche piuttosto miope e non aveva alcuna speranza di riuscire a leggere qualcosa con il solo ausilio della scarsa luce dei led dei loro cellulari. 
« Dunque... » iniziò Varga. « Ida... Ida... qualcos'altro... »
«Sull'altro c'é scritto Ettore, ne sono quasi sicura » disse Sage. 
« Bene, Ettore e Ida. Ma il cognome? » esclamò Fred, strizzando gli occhi e schiacciando la fronte contro la grata di metallo. «Ai... Aier... no, Alek... Aleksandros? »
Alle sue parole seguì un momento di silenzio, sufficiente a far filtrare quella nuova informazione dentro le loro coscienze e a scatenare la dovuta reazione. 
« Aleksandros? » ripeté Sage. « Quegli Aleksandros? »
« Ida e Ettore Aleksandros, i due imprenditori, sì » mormorò Pool, ripescando nella sua capiente memoria i ricordi inerenti l'oscuro caso di cronaca che aveva coinvolto i due coniugi, uccisi brutalmente a pochi giorni di distanza uno dall'altro. 
« Lui é stato ucciso per primo, nel giugno di sei anni fa. Se non sbaglio è stato trovato in un campo, praticamente sventrato. E lei lo ha seguito qualche giorno dopo, sparata. Nessun colpevole»
« Sulle tombe c'è scritto anche "beloved" » disse Sage. « E qualcos'altro. »
« In inglese, che pretenzioso » commentò Fred. 
« Forse Thyme ha scelto di scrivere in inglese... per questo? » mormorò Tea. 
« Che sia o che non sia, Thyme qualcosa doveva pur aver scoperto qualcosa, no? E siccome abbiamo due vittime di omicidio, forse... » disse Fred. « Forse Thyme aveva scoperto qualcosa a quel proposito... »
« Non mi sembra una cosa che Thyme avrebbe potuto fare » borbottó Varga. 
« Come scrivere in latino » lo apostrofò Tea. « Eppure l'ha fatto. »
Varga la colpì sulla testa, piano ma con risolutezza. « Torna nei ranghi, Tea » esclamò e lei rise. 

« Ehi! » Una voce squillante li raggiunse e li paralizzò davanti alla porta del mausoleo. Smisero di parlare, di pensare, di respirare finché la voce non parlò di nuovo. Erano stati scoperti.
« Ehi voi! Cosa ci fate lì? » ripeté la voce. « Rispondete, tanto vi ho visti! »
«Che facciamo?» sussurrò Sage.
« Rispondiamo, sorridiamo e ci comportiamo come se nulla fosse. E chiudiamo questa tomba » disse Varga con fermezza, come se fosse l'unica cosa ragionevole da fare. I ragazzi non poterono che essere d'accordo. Si allontanarono dal mausoleo e Varga richiuse la porta di legno sopra la grata, gettando nuovamente nel buio le tombe degli Aleksandros.
« Rispondetemi! » 
I ragazzi si avviarono verso il cancello, simulando il loro migliore atteggiamento remissivo. Al di là di sbarre e fiori in ferro battuto si scorgevano due sagome, una delle quali si sporgeva e si agitava. 
« Eccoci, eccoci » rispose Pool, che del gruppo, insieme a Tea, era certamente il più diplomatico. 
Arrivarono al cancello, Varga li raggiunse. Le due sagome erano ancora difficilmente distinguibili per via della fitta oscurità.
« Volete spiegarmi cosa ci fate qui dentro? » continuò la sagoma più bassa, quella di una ragazza. « E chi siete? » aggiunse l'altra figura, più alta e dalla voce profonda; sicuramente un ragazzo.
« Vi spieghiamo tutto quando usciamo, promesso » disse Pool. « Come avete fatto a sapere che eravamo qui? » 
« Ci hanno avvertiti i vicini » rispose la ragazza. 
« Ma chi siete voi? » chiese Tea.
« I figli di quelli di cui stavate esplorando la tomba » rispose la ragazza. 

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Capitolo 10
*** 10. Tea ***


   Ci sono persone che rimangono impresse nella mente di chi le incontra pur senza aver fatto o detto nulla di rilevante. Georgiana e Iago Aleksandros appartenevano a questo genere di individui.
  Nessuno dei cinque ragazzi avrebbe saputo dire cosa dei due fratelli li avesse colpiti di più. Per Tea sarebbero stati forse la pelle pallida e i capelli dorati; Fred avrebbe indicato il modo in cui gli occhiali incorniciavano gli occhi chiari del ragazzo, mentre suo fratello avrebbe detto di essere stato rapito dalla piacevole voce di entrambi. In fondo, poco importava cosa dei due fratelli orfani avesse tanto pesantemente impressionato i ragazzi; il problema era che dopo quell'incontro i poveretti non riuscirono più a liberarsi del loro pensiero.
  
    Dopo averli sgridati severamente a causa della loro sconsiderata e non autorizzata esplorazione, i due ragazzi si erano presentati e avevano domandato loro cosa li avesse incuriositi così tanto da spingerli a penetrare di notte in un cimitero chiuso.
    Non avevano avuto altra scelta che raccontare la verità, sebbene epurata da svariati dettagli. Per esempio non venne accennato alcunché in proposito al fatto che Thyme fosse morta sgozzata per mano di ignoti psicopatici.
    I due fratelli erano parsi comprensibilmente diffidenti. Il racconto e le motivazioni addotte dai ragazzi per giustificare le proprie bravate notturne erano deboli in struttura e logica, ma l'effetto prodotto era stato quello di suscitare curiosità nei due giovani Aleksandros.
    « Se tornate domani possiamo farvi vedere noi l'interno del mausoleo » aveva detto il ragazzo, Iago. « Alla luce del sole è tutta un'altra cosa, ve lo assicuro. »
    Presi accordi per incontrarsi non tanto nel pomeriggio del giorno seguente, giorno zeppo di irrinunciabili impegni universitari, quanto la mattina del giorno dopo ancora, i cinque si erano rintanati nella macchina di Tea ed erano ripartiti alla volta delle proprie case, lasciando Iago e Georgiana soli nel piazzale del cimitero.
    Al momento della partenza, per un lunghissimo istante, la luce dei fari dell'auto aveva colpito i due fratelli, fermi uno accanto all'altra, rivelando con chiarezza il loro aspetto. Ed era stato quello l'istante in cui la loro immagine si era impressa a fuoco nella mente dei ragazzi. In seguito non fecero che imputare la colpa di un simile turbamento alla suggestione, all'ansia e allo spavento per essere stati colti con le mani nel sacco come gli ultimi tra gli imprudenti, nonché a tutte queste cose insieme.

    Tea accompagnò per prima Sage, poi Pool, i gemelli ed infine sé stessa. Solo qualche settimana prima tra Sage e Pool ci sarebbe stata Thyme, che sarebbe saltata fuori dall'auto sbuffando perché non aveva voglia di tornare da "quei noiosi". A quel pensiero, Tea non poté fare a meno che profondersi in malinconici sospiri. A lei Thyme piaceva. Era una ragazza così dinamica, così misteriosa e sopra le righe, così affascinante e disinvolta, così divertente e ironica... Tutto il contrario di quello che era lei. Ma Tea era anche troppo saggia per provare invidia e (quest'ultima attività molto comune tra le femmine di qualunque età) spendere i suoi anni migliori a rodersi il fegato nella vana, ma pur sempre viva, speranza che tanto più si fosse crogiolata nella bile, tanto più avrebbe magicamente nociuto all'oggetto del proprio odio. 
    Parcheggiò l'auto nel cortile privato del condominio e salì in casa. Davanti agli occhi aveva ancora l'immagine dell'interno del mausoleo, fusa insieme con quella di Thyme - viva - e con quella dei due ragazzi che avevano incontrato. 
    Tea non era una ragazza che si scioglieva facilmente in amorose e infondate fantasticherie  e nemmeno si lasciava scottare il cuore facilmente. Sua madre le aveva insegnato ad essere razionale e a procedere per gradi, sempre, indagando a fondo le persone prima di farsi sfuggire qualsivoglia giudizio. Ma quel ragazzo... Iago...
    Forse era stato il suo nome, così Shakespeariano, così inconsueto. Aveva letto Otello, Tea, e il fatto che qualcuno portasse il nome di un consigliere traditore e seminatore di morte e discordia la incuriosiva ed eccitava. Oppure erano i capelli biondi: Tea amava i capelli biondi, quelli naturali, di un'elegante, eterea sfumatura dorata. 
    Fu la cameriera bulgara ad aprirle la porta. Il suo accento dell'Est, dopo trent'anni passati in Italia, non era ancora svanito, a differenza della sua predilezione per l'aglio, di cui all'inizio, raccontava spesso, abusava senza vergogna. Quell'abitudine le era costata il posto e così si era iscritta a un corso di cucina. Quindi, oltre a svolgere la mansione di domestica, Danica svolgeva ora anche la funzione di cuoca, esigendo un onorario maggiorato e debitamente proporzionato alle proprie doti.
    « Salve signorina » disse. « Ha passato un bel pomeriggio? »
    « Ottimo, grazie Danica » rispose Tea, appendendo il cappotto al muro. 
    Avrebbe voluto continuare, raccontarle dell'incursione nel cimitero, dei due fratelli, ma non disse nulla se non : « Mamma è tornata? »
     « No » dispose la donna. Dalla cucina proveniva un odore squisito, ma Tea non aveva molta fame. « Ha detto che non rincasa per oggi. »
    « Sarà con Guido » sospirò Tea. Da quando sua madre aveva incontrato quell'uomo stava vivendo una seconda giovinezza: locali, viaggi nei weekend, fare tardi la notte... Cose in cui sua figlia non aveva mai neppure pensato di spendere del tempo.
    Tea cenò con lo sguardo basso, fisso sul cibo che consumava con lentezza eccessiva. 
    « Hai conosciuto qualcuno, Tea? » le chiese Danica, quando ritenne di aver osservato e dedotto abbastanza. 
    « Sì e no » rispose la ragazza. 
    « O è sì o è no » esclamò la donna, poi diede un colpetto affettuoso alla spalla di Tea. « Sarebbe ora che ti trovassi qualcuno! Mia nipote ha la tua età e... »
    « É già sposata e ha due figli, lo so » la interruppe Tea: quella storia l'aveva sentita almeno un centinaio di volte a partire da quando aveva compiuto diciassette anni, ovvero lo stesso anno in cui Miriana, la giovanissima e formosa nipote di Danica, era convolata a nozze con un giovane del suo paese, tale Peter, dai capelli corti e lo sguardo torvo. La storia andava arricchendosi mano a mano che la famiglia di Miriana si allargava, ma Tea non si lasciava impressionare.
     « Non è che stai così per quel tuo amico, Pur... Pol... »
    « Pool? Oh, Dani, avevo dieci anni! Ancora con quella storia? »
    « Io ho incontrato il mio defunto marito quando ne avevo otto » la redarguì Danica. 
    « Posso assicurarti che non si tratta di Pool » la rassicurò Tea. 

    No, non era Pool, anche se lo era stato per molti anni. Prima cotta, primo batticuore, primi sogni romantici, primi baci a lungo desiderati e poi così deludenti. Non era Pool a toglierle l'appetito, era Iago. L'aveva fissata mentre guidava l'auto lontano da quel cimitero? Le sembrava di sì, ma quasi certamente stava invece ammirando Sage, seduta accanto a lei. Iago... Iago... Poteva davvero essere intenta a rigirarsi nella mente il pensiero, l'immagine di quel ragazzo? Stava davvero perdendo tempo a indagare l'istante in cui i loro sguardi si erano per caso incontrati alla ricerca di un segno, di un fugace barlume di interesse? Davvero continuava a riascoltare le sue parole, a plasmare la sua voce in frasi dolci solo per il privato piacere di immaginare come potevano suonare se sussurrate nel suo orecchio?
    Sì, lo stava facendo. E quella notte, per quei pensieri che l'assillavano e che non poteva né voleva scacciare, Tea perse il sonno.

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Capitolo 11
*** 11. Pool ***


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-Chiudi quella porta!- La voce irritata che urtò le sensibili orecchie di Pool non appena fu ebbe messo piede in casa lo avvertì che sua sorella era rincasata e stava creando. Maddalena, che gli amici chiamavano Kiwi, trascorreva la maggior parte dell’anno nei panni della studentessa in trasferta (il che equivaleva a dire che spendeva troppi soldi in alcol, sigarette e feste in maschera), ma quando decideva di onorare la famiglia della propria presenza, allora assumeva anche il ruolo di sovrana indiscussa dello spazio domestico. 
Spandeva ovunque i propri averi, indipendentemente dalla categoria a cui essi appartenevano, e lo faceva soprattutto nei luoghi meno adeguati. Era stato così che la loro timorata madre, donna anonima e stimata catechista, si era ritrovata ad offrire biscotti e preservativi ad una collega altrettanto modesta e suscettibile. Oltre che nell'impegnativa attività di regina di casa, Kiwi impiegava il proprio tempo a dormire, mangiare e “creare”, ovvero dipingere croste surrealiste tristemente brutte mentre sedeva semi nuda su uno sgabello nel bel mezzo della veranda. In quei momenti, nulla doveva essere spostato, aperto o acceso e Pool aveva appena violato la regola, distruggendo irrimediabilmente l'atmosfera. 
    -Ciao Madda- la salutò Pool. 
    -Zitto, mi distrai- rispose lei.
    Pool si spogliò del cappotto e raggiunse la ragazza nella veranda. Quello che Maddalena stava dipingendo poteva sembrare un paesaggio notturno scarabocchiato da uno scimpanzé, o da un bambino di cinque anni al massimo, ma sicuramente si trattava della trasposizione metafisica di un orgasmo, oppure la rappresentazione della turba psichica di una vergine dopo il primo rapporto sessuale consumato con un uomo molto più vecchio di lei. Kiwi aveva una fissazione per questo genere di soggetti, ma i suoi lavori non rendevano a questi la dignità che gli spettava.
    Pool trascinò uno sgabello accanto a quello della sorella e vi si sedette.
    -Non dovevi farlo- lo rimproverò lei. -Mi rovini tutta l’atmosfera.-
    Pool non rispose e lei si accorse che quel silenzio aveva una consistenza diversa, che non si trattava di una semplice protesta co tro le sue strane convinzioni da genio creativo. Pool voleva dirle qualcosa (e lei sapeva anche cosa), così gli domandò: -Allora, come va? Come procede?-
    -Male, molto male- rispose lui, soffiando fuori le parole in uno sbuffo amaro.
    -Non è la risposta giusta, caro mio. Ma quanti anni hai? Non sei più un ragazzino, il tempo dei segreti è passato. Tu ti devi liberare. Sei chiuso dentro la gabbia di te stesso, dentro il bravo bambino che studia da classicista e va in chiesa tutte le domeniche. Paolo, credimi, così finirai per impazzire.-
Detto ciò, Kiwi passò a suo fratello la canna liberatrice che andava consumandosi nel posacenere. Pool l'afferrò e se la ficcò tra le labbra, aspirando a fondo il fumo dall’odore dolciastro che gli bruciò la gola: buon segno.
    -Devi decidere da che parte stare- continuò lei, spennellando di blu un angolo della tela.
    -Non ci riesco- rispose lui, mesto, tirando un’altra boccata.
    -Allora non scegliere. Forse vuoi tutti e due, va bene anche così. Sai quanti ne conosco, di indecisi come te?-
    Se su una cosa non c’erano dubbi, questa era il fatto che Maddalena avesse moltissimi amici e che la maggior parte di questi fossero individui singolari, dai gusti decisamente inconsueti in qualunque campo in cui un essere umano possa avere dei gusti. Questo rassicurava Pool almeno un po’: lo faceva sentire meno strano.
    In quel momento i genitori dei due rientrarono dall’incontro parrocchiano settimanale. Kiwi sfilò la canna dalle labbra del fratello e la schiacciò contro la tela umida di colore, dopo di che impiastricciò il tutto con una corposa passata di rosso. “Ciclo mestruale” pensò Pool dopo essersi domandato quale potesse essere il significato recondito di quella pennellata vermiglia. 
    Salutò la ragazza, che si accingeva ad intraprendere una lunga e animata discussione con i loro padre in proposito ai vergognosi significati che usava attribuire ai quadri che dipingeva, e veleggiò rapidamente verso la propria camera. Aveva una pagina da scrivere e l’ispirazione certo non gli mancava.
    Quei due fratelli… I loro nomi erano allo stesso tempo affascinanti e ridicoli, altisonanti e snob, ma certamente difficili da dimenticare; come del resto lo erano loro stessi. Non che avessero un aspetto particolare, o almeno tanto gli era parso. Certo, aveva avuto poco tempo per farsi un’idea precisa, ma avrebbe rimediato di lì a un paio di giorni. Iago, che bella voce aveva…
    Da dietro un mucchio di libri Pool estrasse un sottile quaderno: il suo “diario”, il decimo dall’inizio dell’anno. Da quando gli era stato detto che mettere i propri pensieri per iscritto non era una cosa da femmine e nemmeno da persone dalla psiche turbata, e che anzi era piuttosto utile per mettere in ordine le idee e per, addirittura, migliorare nella produzione di testi, Pool aveva fatto ampio uso di quei quaderni. Ogni volta che ne terminava uno si trovava immancabilmente di fronte all’arduo compito di trovare un nascondiglio adeguato per quei forzieri zeppi di parole pericolose (sì, la sua devota e pia madre era anche una impudente impicciona e amava curiosare tra gli averi del figlio), ma un inconveniente tanto piccolo non gli aveva mai impedito di concedersi il piacere di crogiolarsi nel proprio talento autobiografico.
    Il brano di quella sera riguardava l’incursione nel cimitero e l’incontro con i due fratelli. Pool si perse nella descrizione dell’atmosfera cristallizzata che aleggiava in quel luogo abbandonato, delle sfumature del marmo, degli sguardi languidi delle statue d’angelo che decoravano i mausolei; dedicò particolare cura alla composizione del paragrafo riguardante la tomba degli Aleksandros, sottolineando l'odore acre della polvere, la finezza dei bassorilievi che decoravano i sarcofagi e l’appassita bellezza dei fiori deposti su di essi; infine, passò a descrivere l’incontro con Iago e Georgiana. 
    Si sorprese nel descrivere i due ragazzi con più particolari di quanti ricordasse di aver notato, indugiando sulla piega delle loro labbra, sul movimento delle dita delle loro mani, sulle note della loro voce. Ma perché? Non notava mai una simile quantità di piccolezze ad una prima, frettolosa occhiata. Per quanto si vantasse di essere un osservatore attento ed esperto, mai si era lasciato impressionare fino a quel punto da un paio di sconosciuti.
    Tanta fu la cura che impiegò nel narrare i fatti di quel giorno che quella pagina di diaro finì con l’essere uno dei suoi capolavori, se non l’unico. Quando rilesse le proprie parole, una calda ondata d’eccitazione gli salì dalle viscere, offuscandogli la vista e mandandogli a fuoco il viso. Se sua sorella aveva bisogno dell’erba per riuscire a dipingere quei quadri orrendi a lui bastava affondare nella propria mente e immagini inquietanti e provocanti salivano alla superficie come sabbia dal fondo smosso di uno stagno. 
    Ora che aveva messo per iscritto i suoi pensieri poteva anche concedersi di dormire. Si mise a letto mentre ancora le immagini dell’incontro con i due ragazzi, dalle sue stesse parole rese sfolgoranti di poetica bellezza , gli occupavano la mente. Sepolto sotto le coperte ripensò alla ragazza, Georgiana, e al suo corpo minuto, a quell’aria da brava ragazza tradita dal tono di voce imperioso e dallo sguardo (sebbene Pool ne avesse avuto solo un assaggio in penombra), che rivelava una natura tutt’altro che docile. Si divertì per un po’ a pensare a lei, ma dopo qualche tempo, quando in casa le voci umane lasciarono il posto ai sussurri della notte, in quel momento i pensieri di Pool vagarono verso lidi meno leciti. Le sue mani scivolarono verso il basso mentre con la voce di Iago sussurrava a sé stesso che non c’era niente di male in quello che voleva...
 

    

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Capitolo 12
*** 12. Fred e Varga ***


- Mi consola sapere che non siamo gli unici ad avere dei nomi imbarazzanti - esclamò Fred non appena furono entrati in casa. La cena era già pronta, i loro genitori aspettavano seduti a tavola. Ridevano di qualcosa, ma riuscirono comunque a sentire la battuta della ragazza.

    - Prendetevela con vostra nonna, Valentino e Filomena -, esclamò il loro padre.

    - Tanto vi chiamano tutti Fred e Varga, non vedo di che potete lamentarvi -, aggiunse la madre.

- Dovreste essere orgogliosi di portare i nomi dei vostri antenati -, puntualizzò l’uomo, la cui madre era per l’appunto la summenzionata nonna, la quale ventuno anni prima aveva imposto ai due gemelli neonati dei nomi risalenti al diciassettesimo secolo.

-Non è l’orgoglio a farci sopportare la vergogna, oh padre: è il tesoro- rispose Fred, sedendosi a tavola seguita dal fratello.

Esisteva infatti una leggenda di famiglia, tramandata con fierezza di padre in figlio, che voleva il nobile capostipite della casata possessore di un prezioso tesoro poi andato nascosto e di conseguenza perduto. Tale leggenda profetizzava che soltanto un individuo nelle cui vene scorresse il sangue del fondatore e che fosse insignito di un “nome all’altezza” sarebbe riuscito a ritrovare il perduto patrimonio. Sicchè dall’alba dei tempi nella famiglia di Fred e Varga era esistita l’usanza di affibbiare ai nuovi nati dei nomi improbabili nella speranza che un giorno qualcuno di loro sarebbe incappato in un forziere straripante di dobloni d’oro zecchino, o qualcosa di simile. Filomena e Valentino erano stati niente di meno che i figli di Guglielmo Maria, il famigerato capostipite, e la nonna dei gemelli aveva pensato che due nomi di tale portata avrebbero certamente attrirato una gran quantità di fortuna verso i bambini. Quando suo figlio Ulderico si era rifiutato di torturare i suoi figli in quel modo subdolo e duraturo, la nonna era passata ad argomenti molto più pragmatici: o li chiami così o ti diseredo totalmente e senza possibilità di appello. La scelta era stata, in un certo qual modo, obbligata.

-Chi è che avrebbe nomi peggiori dei vostri?- domandò la loro madre (che portava il normalissimo nome di Marta) la quale non aveva mai digerito il ricatto della volitiva suocera ed era stata la prima, negli anni, ad appoggiare l’uso dei vari soprannomi che si erano succeduti nella storia dei due ragazzi fino ad approdare agli ormai consolidati Fred e Varga. A volte, Marta rimpiangeva il dolce “Parsley”, nomignolo attribuito alla figlia dalle sue amichette durante quella rosea e gioiosa epoca che era l’infanzia, quando Fred si faceva ancora vestire con le gonne e portava i capelli neri lunghi e legati in trecce; l’esatto contrario di ora, che vestiva come un motociclista e teneva i capelli costantemente legati in una coda anonima, rifiutando la propria essenza di donna e qualsiasi cosa fosse anche solo in odore di femminilità.

-Due che abbiamo conosciuto-, rispose la ragazza.

-E come si chiamano, se è possibile saperlo?-

-Iago e Georgiana-, disse Varga, masticando un pezzo di bistecca.

-Shakespeariani-, commentò Ulderico.

-Ridicolmente shakespeariani, sì-, concordò Fred.

-Ma dove li avete trovati due così?-, domandò Marta.

-All’entrata di un cimitero in disuso in cui ci eravamo intrufolati per fare delle indagini-, rispose Varga. Quell’affermazione galleggiò per un po’ tra i quattro commensali, ma la tensione e lo stupore si infransero presto contro la risata di Ulderico.

-Mi aspettavo una trama migliore da te, Varga-, disse rivolto al ragazzo. -Giallista dei miei stivali. Cos’è, l’input di un nuovo racconto?-

-No, è proprio la verità-, rispose Varga, sorridendo al padre. Fred, dall’altro lato del tavolo, seguiva lo scherzo, pronta ad intervenire prima che fosse troppo tardi. Non era certa che raccontare ai loro genitori di quell’incontro fosse la migliore delle idee. Quei due ragazzi le erano parsi così… strani. Prima di parlarne doveva capirne il motivo.

-Certo, allora scrivici sopra uno dei tuoi racconti e vendilo. Magari è la tua fantasia malata l’eredità di Guglielmo Maria. Sai, si dice che si dilettasse a scrivere strane storie che poi faceva mettere in musica ed eseguire durante i banchetti-, disse Ulderico e con quella battuta la conversazione si spostò sul tema meno scottante di banchetti e musica di scarsa qualità, facendo tirare a Fred un vago sospiro di sollievo.

 

Verso l’una di notte, mentre la ragazza leggeva sprofondata sotto le coperte, Varga entrò nella sua stanza, le sfilò il libro dalle mani e lo ripose sul comodino, dopo di che si distese accanto a lei.

-Dì ciò che vuoi dire-, gli intimò Fred, usurpata del proprio spazio vitale.

-A te sono sembrati strani, vero?-, domandò lui, il viso impassibile rivolto verso il soffitto.

-Definisci strani-, rispose lei.

-Sono… luminosi-, disse il ragazzo dopo aver cercato per qualche secondo una parola adatta.

-Luminosi? Io avrei detto il contrario: oscuri.-

-Ed è proprio per questo che sembrano luminosi-, rispose Varga.

-Forse ci siamo fatti suggestionare dalle circostanze, come dei ragazzini-, disse la ragazza.

-Senza dubbio è quello che abbiamo fatto-, rispose lui. -Ma se ci fosse un fondo di verità, in questa suggestione, quale sarebbe? Perché ci hanno impressionati tanto? Non riesco a non pensare alla loro voce, al modo in cui parlavano.-

Fred si morse le labbra. Anche lei aveva continuato a rimestare nella testa alcuni piccoli dettagli riguardanti i due fratelli. Rivedeva continuamente Iago che sistemava gli occhiali sul naso mentre alzava gli occhi su di lei. Aveva sempre creduto di non rientrare nel novero delle fanciulle dall’emozione facile; quel nutrito gruppo di ragazze e donne di ogni età capaci di cadere in deliquio ad ogni minimo cenno di un bell’uomo. Invece, in quei pochi attimi, le sue convinzioni avevano iniziato a traballare pericolosamente facendola vergognare di sé stessa. L’adolescenza è finita, si era detta, non fare mai più la ragazzina con gli ormoni impazziti. Così richiamata all’ordine, la sua coscienza si era immediatamente raffreddata e Fred aveva affrontato con la giusta dose di freddezza l’incontro con i due fratelli e i suoi effetti collaterali.

Varga invece no. Varga scriveva racconti, soprattutto gialli, e aveva l’abitudine di cercare il mistero ovunque esso potesse risiedere; quando lo trovava, fosse in una persona o in un luogo, vi si aggrappava come una zecca e non riusciva a smettere di esplorarlo fintanto che la vena di oscurità non si esauriva, lasciandolo senza nutrimento. Allora si staccava e andava a cercare un’altra fonte da cui attingere, un altro segreto con cui divertirsi.

-Ci faremo un’idea più precisa quando li incontreremo di nuovo-, rispose la ragazza, accorgendosi immediatamente di voler evadere le domande del fratello. Fred non aveva alcuna intenzione di mostrarsi debole davanti a chicchessia, tantomeno per un motivo così futile e Varga lo sapeva, tant’è che non insistette oltre con le disquisizioni su Iago e Georgiana.

-Secondo te, cosa ha trovato Thyme in quella tomba?-, chiese.

-Anche a questo non ho pensato. Ho deciso di rimandare la formulazione di qualsiasi opinione ad un’analisi più approfondita-, rispose Fred e questo mise fine alla conversazione.

Rimasero distesi uno accanto all’altra in silenzio, esattamente come facevano da piccoli, poco dopo che i loro genitori avevano separato le loro camere e Varga aveva paura di dormire da solo.

Con gli anni i ruoli si erano invertiti e ora era Fred a soffrire d’insonnia, ma quando Varga si alzò per andarsene, alle due e dieci del mattino, lei stava già dormendo da almeno venti minuti.  


 

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Capitolo 13
*** 13. Unghie ***


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Sabato pomeriggio arrivò lentamente, come il giorno di Natale quando si è bambini e non si vede l’ora di scartare i regali tanto attesi. Alle due del pomeriggio Pool, Tea, Fred e Varga si palesarono davanti al cancello del piccolo cimitero, puntuali come non lo erano mai stati prima, e rimasero ad aspettare l’arrivo dei due fratelli, tutti e quattro imbarazzati dal proprio personale eccesso di zelo. Certo, potevano giustificare tutta quell’attenzione dicendo a sé stessi che si trattava quasi di una "questione di lavoro", ma sapevano bene che non era così, non totalmente.

Passarono quindici lunghi minuti e l’assenza di Sage, Iago e Georgiana passò dall’essere giustificabile a risultare sospettosa e poco corretta.

« Ci fanno aspettare, » ridacchiò Tea, « me lo aspettavo da Sage, ma speravo che almeno quei due fossero persone puntuali. »

« Bisogna dire che nemmeno noi siamo mai stati molto puntuali » disse Pool. « Siamo il bue che dice cornuto all’asino. »

In quel momento, lo sferragliare di una vecchia bicicletta segnalò loro l’arrivo imminente di Sage. Nessuno l’aveva più sentita dall’ultima volta in cui si erano incontrati e allo stesso modo nessuno aveva preso accordi con lei riguardo ai mezzi di trasporto per quel giorno. Inoltre, la casa di Sage si trovava piuttosto lontana dal luogo in cui sorgeva il cimitero e l’attraversata in bicicletta doveva averle impiegato parecchio tempo; quindi perché non si era fatta viva?

« Scusatemi, » mormorò lei, sfinita dalla corsa, « pensavo di partire molto prima, ma ho avuto un contrattempo. »

« Respira e riprenditi. Miss e mister Mistero non sono ancora arrivati » borbottò Fred.

« Invece ci siamo, » disse improvvisamente una voce femminile alle loro spalle, « e questo soprannome mi piace molto. »

 

I due fratelli erano fermi alle spalle del gruppo, apparentemente comparsi dal nulla e senza produrre alcun rumore.

Georgiana fu la prima a farsi avanti, con le mani affondate nelle tasche del cappotto e un sorrisetto furbo dipinto in volto. Era graziosa; non molto alta, dal fisico esile e i tratti del volto morbidi, quasi infantili. Aveva gli occhi grandi, verdi, e la pelle rosea. Le guance arrossate le davano una tale aria da bambola che era difficile attribuirle un’età precisa.

Suo fratello Iago non presentava minori difficoltà. Portava i capelli biondi bene acconciati in una scriminatura di lato che gli conferiva un’aria d’altri tempi e un accenno di barba gli cresceva sul mento. Gli occhiali dalla montatura scura enfatizzavano la serietà del suo sguardo e serio e composto era anche il suo atteggiamento. Era alto, aveva le spalle larghe e un fisico asciutto e sembrava muoversi con calma misurata e solennità. Attribuirgli un’età era quasi impossibile, perché i tratti del suo volto non erano ancora quelli di un uomo, ma qualunque altra cosa suggeriva esattamente il contrario.

Il ragazzo seguì sua sorella da vicino, quasi fosse legato a lei tramite un invisibile guinzaglio.

« Eccoci. Vi prego di perdonare il nostro ritardo. Avevamo un impegno che ci ha trattenuti più a lungo del previsto » disse la ragazza. Poi si rivolse al fratello: « Apri il cancello » gli disse sorridendo e Varga, guardandola, considerò esatta la definizione che aveva usato per descrivere a Fred quei due sconosciuti: erano davvero luminosi, ma di una luce strana, insolita. Il motivo di tale considerazione, però, non lo aveva ancora capito e si ripromise di lavorarci a fondo, fintanto che non avesse decifrato le proprie sensazioni.

Iago si fece avanti in silenzio ed estrasse una chiave dalla tasca del cappotto a doppiopetto che indossava. Pochi attimi dopo il cancello era aperto e il ragazzo faceva loro segno di seguirlo.

 

Entrare da ospiti nel luogo in cui si erano intrufolati clandestinamente riuscì a mettere i ragazzi in imbarazzo, ma più ancora vi riuscì lo sguardo dei due fratelli, che li scortavano in silenzio, osservandoli mentre camminavano ai lati del gruppo, come delle guardie che trascinassero dei prigionieri al patibolo.

« Allora, » esclamò Georgiana mentre Iago si occupava di aprire la grata metallica che bloccava l’accesso alla tomba, « potete dirci qualcosa in più sulla vostra amica? Perché vi ha indirizzati proprio qui? E com’è morta, se posso chiedere? »

Fornire tanti dettagli su Thyme non era una scelta saggia, considerò Varga, tuttavia approfondire la vicenda sembrava un atto dovuto: i ragazzi stavano aprendo per il diletto di un manipolo di sconosciuti la tomba dei loro genitori. E poi, potevano conoscere Thyme e sapere qualcosa di lei che li avrebbe aiutati a chiarire le circostanze della sua morte. O addirittura, ma questa era al momento un’ipotesi poco attendibile, potevano essere parte del segreto che la ragazza voleva nascondere.

« La nostra amica si chiamava... Crisa, ma tutti la chiamavano Thyme. È stata ritrovata morta, con la gola tagliata, seduta su una tomba nel cimitero principale, quello dietro la chiesa del convento, » spiegò il ragazzo, osservando la reazione di Georgiana, la quale sgranò gli occhi e si portò una mano alla bocca per l’orrore. « La storia è finita su tutti i giornali » concluse lui.

« Oh, sì, ne ho letto! » esclamò la ragazza, il cui viso corrucciato per la pena aveva acquisito un'irresistibile tocco di tenerezza. « Che fine terribile! »

« Thyme aveva scritto l’indirizzo di questo cimitero su un quaderno ed per questo che siamo venuti fin qui » spiegò Fred, assumendo lo stesso atteggiamento sospettoso del fratello. « Quindi deve pure voler dire qualcosa. Avete mai visto o conosciuto la nostra amica? »

Iago aveva aperto la grata di metallo e attendeva appoggiato sulla soglia che i ragazzi entrassero.

« No, » rispose, precedendo la sorella, « ma i vicini ci hanno riferito che una ragazza bionda si è introdotta in questo cimitero almeno un paio di volte. Abbiamo cercato di coglierla sul fatto o rintracciarla, ma non ci siamo mai riusciti. Era svelta, a differenza vostra. Immagino sia di lei che parliamo. »

Tutti e cinque non poterono fare a meno di pensare che quelle parole corrispondevano alla pura realtà. Thyme non era affatto interessata allo studio, sebbene fosse una ragazza sveglia e brillante, ma eccelleva nello sport. Per anni era stata una ginnasta a livello agonistico, correva, nuotava e si prendeva cura del proprio corpo con la stessa paradossale perizia che riservava alla cancellazione delle prove riguardanti le proprie dannose e illegali abitudini.

« Sì, è lei » confermò Fred e improvvisamente l’atmosfera si fece cupa. Era confermato, i fratelli sapevano di Thyme... e ora?

 

Sage fu la prima ad avvicinarsi all’entrata del mausoleo, ma Iago la fermò appoggiandole una mano sulla spalla.

« Un momento, » disse, « avete detto che la vostra amica ha lasciato soltanto l’indicazione di un indirizzo. Dentro questo cimitero ci sono altre diciotto mausolei, quindi perché siete così certi che abbia indicato proprio il nostro? »

La voce del ragazzo era bassa e profonda, modulata in un’inflessione che riusciva a rendere le sue parole affascinanti ed inquietanti allo stesso tempo, qualunque cosa dicesse. Tea si ritrovò ad ascoltare Iago senza soffermarsi sulle sue parole, ma solo sul suono della voce così ipnotica. Resasi conto del proprio comportamento, cercò subito di rimediare facendosi parte attiva della conversazione: « Nel suo appunto c’era una indicazione specifica riguardante questa tomba. »

Iago lanciò uno sguardo verso sua sorella, che glie lo restituì facendosi seria per una frazione di secondo. Dopo di che, fu lei a prendere la parola. « Forse non lo sapete o non lo ricordate, ma i nostri genitori sono Ida e Ettore Aleksandros, i due imprenditori che sono stati uccisi... brutalmente alcuni anni fa, » disse, « mitomani si sono introdotti qui, cacciatori di tombe, curiosi, giornalisti e da ultima la vostra amica. Apparteneva forse ad una di queste categorie? Aveva un motivo per entrare qui? Aveva forse... scoperto qualcosa sui nostri genitori? »

« Non hanno mai trovato il colpevole, » aggiunse Iago, « né l’omicidio è stato mai rivendicato. »

« Questo lo sappiamo » rispose Pool, trovando per la prima volta la forza di rivolgersi al ragazzo. « Mi ricordo bene di quel caso. Ma Thyme non era una giornalista, né tanto meno una curiosa o una mitomane. Aveva tutt’altro genere di interessi... »

« Ed è per questo che anche noi siamo qui » terminò Fred, a cui non piaceva indugiare e che si stava spazientendo. « Per capirci qualcosa. »

« Allora prego, » disse Georgiana, « fatevi avanti e lasciate un po’ della felicità che portate. »

Quella citazione, lungi dall’essere percepita come una battuta, contribuì a raggelare il sangue dei ragazzi.

 

L’interno del mausoleo era piuttosto ampio e ingombro di piante secche, foglie, ragnatele, candele, fotografie, bigliettini, statuette votive e quant’altro si possa solitamente trovare all’interno di una qualsiasi altra tomba, ma in quantità molto maggiore. I sarcofagi posati a terra erano sei, mentre nei muri trovavano posto degli ossari e delle nicchie dentro cui erano posate grosse urne cinerarie. Quattro sarcofagi più piccoli erano deposti sopra dei supporti, a due metri di altezza e i due fratelli spiegarono ai ragazzi che dentro tre di quelli c’erano i corpi di altrettanti fratelli minori del loro nonno, morti in tenera età a causa di una grave malattia che se li era portati via nel giro di una settimana, mentre l’ultimo conteneva il terzo fratello del loro padre, morto a soli sei anni per un disgraziato incidente.

A terra erano posizionatii sarcofagi di Ida e Ettore, quelli di Xenia e Leone, i genitori di Ettore, ed infine due sepolcri vuoti, destinati ai due giovani eredi.

Sebbene l’interno del mausoleo fosse inquietante e affascinante, un’ambientazione degna di un racconto gotico, risultava anche tristemente privo di qualsiasi caratteristica sospetta. Le tombe erano decorate da bassorilievi raffiguranti festoni, fiori e piante e le frasi incise indicavano soltanto i nomi dei defunti e la data in cui si erano spenti; gli unici oggetti particolari erano i vecchi disegni di Iago e Georgiana, accumulati per anni sopra le tombe dei loro genitori, e alcuni oggetti di uso comune che i fratelli dissero di aver depositato lì come regalo e ricordo di alcuni momenti particolarmente felici seguiti alla morte dei due coniugi. La penna simboleggiava la partecipazione (e vittoria) di Iago ad un concorso letterario, la spilla a forma di chiave di violino era il concerto da solista di Georgiana e via dicendo.

Sui sarcofagi contenenti i corpi di Ida e Ettore era incisa la parola "beloved" che i ragazzi erano riusciti a scorgere durante la loro visita clandestina. Sotto la scritta erano state applicate due targhette sulle quali era stato scritto "mother" e "father".

 

« Perché in inglese? » domandò Tea, rivolgendosi a nessuno in particolare.

« Perché i nostri genitori si sono incontrati durante un periodo di studio in Inghilterra. Amavano l’inglese e... amavano anche gli autori inglesi » rispose Georgiana, sottolineando le proprie parole con una risata cristallina.

Fu in quel momento, mentre Varga era chino a raccogliere un vecchio disegno di bambino caduto a terra, che vide un foglio accartocciato. Senza pensarci, forse immedesimandosi in uno dei detective di cui lui stesso scriveva, lo raccolse e se lo infilò in tasca.

« Guardate! » esclamò in quel momento Sage. « Quella non era di Thyme? »

I ragazzi si assieparono immediatamente attorno a lei, compresi Iago e Georgiana, ed insieme scrutarono l’angolo buio verso il quale la ragazza puntava il dito.

            In effetti qualcosa c’era; un oggetto che non apparteneva certo alla categoria dei doni votivi: ai piedi del sarcofago contenente i resti mortali di Leone Aleksandros, c’era niente di meno che una delle rosee, decorate e luccicanti unghie finte di Thyme.

   

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Capitolo 14
*** 14. Earl gray ***


« Quindi Thyme è stata qui » disse Sage.

« Ve l’avevo detto » disse Georgiana, per nulla turbata dalla scoperta dell’unghia.

« Ma... c’è una grata davanti a quella porta! Com’è possibile che questa sia qui se Thyme non poteva nemmeno entrare? » tuonò la ragazza, voltandosi a guardare i due fratelli.

« La grata è lì da appena tre settimane, » spiegò Georgiana, sicura della propria verità, « la vostra amica è entrata qui più di un mese fa. »

« E volete dirmi che avete messo quella grata per lei? » intervenne Fred, scettica.

« Sì, è così » rispose Iago, calmo e sicuro tanto quanto la sorella. Fece passare lo sguardo su tutti i presenti, poi spiegò: « Sono fatti personali e non andrebbero giustificati. Tuttavia, capisco la vostra preoccupazione. Il fatto è che quando morirono i nostri genitori, il nostro tutore decise che era meglio non intervenire sulla tomba, in modo da attirare curiosi e giornalisti. Voleva che il caso avesse maggiore risonanza possibile. »

« Copertura mediatica, pubblicità per l’azienda » precisò Georgiana, sedendosi sul sarcofago di sua padre.

« Esatto, » riprese Iago, « dovevamo lasciare che mitomani e altri individui di quel genere entrassero liberamente, se volevano, e rubassero i nostri regali, le candele, i fiori o addirittura le salme, se poteva servire. Fortunatamente, almeno questo non è mai successo. »

« Dopo un paio di anni la curiosità si è spenta, le incursioni sono terminate e la questione della tomba è divenuta irrilevante. Nel frattempo siamo diventati entrambi maggiorenni e quando abbiamo sentito della vostra amica abbiamo deciso che ne avevamo abbastanza e abbiamo fatto mettere la grata. Questo è quanto » terminò Georgiana.

Le parole della ragazza parvero aleggiare tra loro come una sentenza definitiva, poi Sage ruppe l’atmosfera; scattò una foto dell’unghia, dopo di che la raccolse e la tenne nel palmo aperto.

« Che ne facciamo? » chiese. « Questa cosa è una prova che Thyme è stata qui. È una cosa che forse dovrebbe avere la polizia. »

« Il problema è: perché Thyme era qui? » disse Varga, poi puntò lo sguardo su Iago e Georgiana. « Che cosa avrebbe mai potuto trovare, in questa tomba? »

I due fratelli si scambiarono un altro sguardo fugace. Sembravano in grado di capirsi ad una velocità incredibile, segno evidente che erano molto legati.

« Venite a parlarne da noi, » disse Iago, « ve lo racconteremo davanti ad un té, se vi può far piacere. »

« Parleremo di cosa? Del motivo per cui Thyme era qui? Voi lo sapete? » borbottò Fred.

« Sì » rispose Georgiana. I suoi occhi verdi incontrarono quelli di Fred e vi si incollarono. « O almeno, abbiamo una buona dose di certezze. » Dopo di che, Georgiana sorrise alla ragazza e Fred dovette distogliere lo sguardo, perché si sentiva profondamente a disagio.

 

Uscirono dal cimitero senza parlare, ognuno immerso nei propri pensieri. Anche Iago e Georgiana riflettevano su quei ragazzi sconosciuti e strani. Vent’anni ognuno, eppure giocavano a fare i detective; innocenti e ingenui, erano entrati in un cimitero senza un piano, senza idee, senza sospetti. Erano persi nella loro confusione e questo era tenero, in qualche modo.

I due guidarono i ragazzi al di là della strada per poi percorrere una decina di metri sul ciglio della strada, costeggiando i resti di un vecchio muro di cinta, fino a raggiungere l’imboccatura di un viale alberato che si addentrava nei campi per qualche decina di metri. All’altro capo del viale si ergeva una magnifica casa a tre piani, evidentemente restaurata partendo dalla struttura di un vecchio edificio, probabilmente una fattoria. La facciata era invasa di finestre dai battenti in legno e al piano terra correva un porticato rustico, ma l’entrata era sopraelevata e vi si accedeva tramite due ali di scale e questo conferiva alla casa un tocco decisamente nobiliare.

« Prego » esclamarono i due, quasi in coro, guidando i ragazzi lungo le scale e poi all’interno di un ingresso che, con buona approssimazione, poteva essere ampio quanto l’intero appartamento di Tea. L’ambiente era ricolmo di mobili in legno, tappeti, pietra; complessivamente, sembrava di essere entrati in una dimora signorile medievale uscita da una fiction storicamente inaccurata, ma l’atmosfera che vi si respirava era unica e rendeva la casa particolarmente accogliente.

Una domestica comparve nell’ingresso e raccolse i cappotti dei ragazzi. « Portateci il té nel salotto, per favore » disse Iago e la donna, dopo aver fatto un rapido cenno con il capo, corse via stringendo a sé gli indumenti.

La tappa successiva fu proprio il salotto, un’ampia sala dotata di alte finestre e terrazzo. Dei divani massicci coperti di drappi di stoffa apparentemente molto costosi erano disposti davanti a un grande caminetto dentro cui scoppiettava un fuoco vivace. Sopra il caminetto, invece del canonico incrocio di fioretti, erano appesi due fucili. La ragione della loro presenza era facilmente intuibile: tutto intorno, sulle pareti, erano appese corna e teste di animali in varie gradazioni di rarità e dimensione.

« Appassionati di caccia » mormorò Tea, che stava imboccando la via del vegetarianesimo proprio perché la violenza, sull’uomo come sugli animali, la impressionava terribilmente.

« Il nonno e nostro padre » rispose Iago.

« Voi no? » proseguì Tea, evidentemente inquietata dai macabri trofei.

« Hai paura delle teste? Sono del nonno. Nostro padre sparava agli uccelli, alle lepri, ai cinghiali... Ma il nonno, lui si che era un esperto, » ridacchiò Georgiana, « però ammetto che anche noi abbiamo portato a casa qualche animaletto, qualche volta. »

« In realtà, siamo più bravi nel tiro al piattello » aggiunse Iago.

« Interessante » esalò Tea, mentre insieme agli altri si sedeva timorosa sopra i sontuosi divani. Georgiana si tolse le scarpe e incrociò le gambe sotto il corpo, in una posa civettuola e invitante, Iago si sedette e incrociò le gambe, con compostezza; gli altri rimasero rigidi e nervosi, con la schiena rigida e le mani appoggiate alle ginocchia.

Un domestico entrò nella sala portando un vassoio sopra cui erano posate delle tazze e una fumante teiera. Posò il vassoio sul tavolo, tenendo lo sguardo basso; veloce ed efficiente, approntò tutto perché né i padroni di casa né gli ospiti dovessero fare nulla da sé, arrivando addirittura a scoperchiare la zuccheriera. Veloce com’era venuto se n’era andò non appena ebbe terminato il proprio compito. Un attimo dopo entrò la domestica che aveva preso in consegna i cappotti. Reggeva un vassoio ricolmo di biscotti e pasticcini. Lo posò sul tavolino basso mentre si sforzava di tenere lo sguardo chino, un intento che non riuscì a mantenere a lungo. Era evidente come ci fosse qualcosa che le premeva di osservare, per curiosità o chissà quale altro motivo. Sfruttò il momento in cui si rialzò per allontanarsi e posò velocemente i propri occhi su ognuno dei ragazzi, dopo di che se ne andò.

« Prego, servitevi, » esclamò Georgiana, sorridendo, « non fate caso a Mila. È che non abbiamo spesso degli ospiti e voi suscitate curiosità. »

Nessuno seguì il suo suggerimento e le tazze di Earl Gray rimasero intoccate.

« Da cosa siete spaventati? » domandò Iago, « sono le teste? I domestici? »

« Tutti e due » rispose Pool, dando voce ai pensieri di tutto il gruppo.

« Non ci siete abituati, quindi è comprensibile. Ma vi prego, prendete almeno il tè. Ci teniamo » disse il ragazzo fissando Pool, afferrò immediatamente una tazza, fosse per compiacerlo, oppure far si che smettesse di guardarlo.

Dopo Pool, anche gli altri superarono la titubanza iniziale e presero il loro tè. Finalmente, dopo più di mezz’ora, si ritrovarono a parlare di Thyme.

 

« Allora, per quale motivo Thyme avrebbe dovuto entrare nel cimitero? » domandò Varga, di punto in bianco.

« Giusto. Dopotutto è per sapere questo che siete venuti qui, no? » rispose Georgiana, portando la tazza alle labbra mentre scrutava il ragazzo. Quello sguardo, lungi dall’intimidire o imbarazzare Varga, colpì Pool come una stilettata. Quegli occhi comunicavano un messaggio ben preciso e piuttosto evidente, ma talmente inatteso che forse, si disse il ragazzo, si trattava solo di una prepotente suggestione dettata.

Varga sostenne lo sguardo di lei, ma deglutì prima di rispondere: « Per cos’altro? »

« Questa è una zona molto tranquilla, » li interruppe Iago, « succede che ladri e spacciatori vengano a nascondere qui i loro affari. Partite di droga, oggetti rubati... Li lasciano in un giardino e tornano a prenderli in un secondo momento, più tranquillo. »

« Oppure, » aggiunse Georgiana, « mandano qualcun altro a farlo. » Sorseggiò un altro po’ di tè, poi continuò: « La vostra amica si drogava, per caso? »

« Sì » risposero in coro.

« Conosceva spacciatori o spacciava? »

« Sì. »

« Allora è spiegato cosa ci faceva nel cimitero » disse Iago, come se quella sua affermazione potesse concludere la questione.

Sebbene breve, quello scambio di battute era stato sufficiente affinché Varga capisse dove i due fratelli volevano arrivare. « Aveva nascosto qualcosa nella tomba? » disse, « oppure era andata a recuperarla! »

« Esattamente, » rispose Georgiana, sorridendo compiaciuta per la perspicacia di Varga, « un giorno ci è capitato di trovare delle dosi nascoste dietro uno dei sarcofagi. Le lasciammo dov’erano, un po’ per non entrare in un guaio, un po’ per stare a vedere cosa succedeva. Poco dopo sono iniziate le incursioni della vostra amica. Ovviamente, le dosi sparirono. »

« Avreste dovuto denunciare tutto alla polizia » disse Varga.

« Denunciare cosa? » lo interruppe Iago, la voce calma improvvisamente attraversata da una nota di concitazione che però non riuscì a rovinarne l’armonia, « una sconosciuta che entra nella tomba dei nostri genitori senza toccare nulla, senza lasciare tracce? »

« Poteva essere chiunque e non avevamo alcuna prova, nemmeno della presenza delle dosi » aggiunse Georgiana.

« Ma ora dovreste dirlo alla polizia. Magari faranno un po’ di chiarezza sul caso di Thyme » esclamò Fred.

« Certo, ma con discrezione. Vi abbiamo detto di chi siamo figli e capirete che non è il caso di sollevare un polverone » rispose Iago.

 

Pool chiese di poter andare in bagno e dopo aver ricevuto indicazioni si alzò e uscì dal salotto. Gli altri rimasero e assistettero alla conversazione che si dirigeva naturalmente verso lidi inaspettati. Succede, quando qualcuno fa involontariamente una domanda di troppo. Fu così che grazie a Sage i ragazzi vennero a conoscenza di un’ampia, disgustosa e dettagliata dose di particolari riguardante l’uccisione dei coniugi Aleksandros.

Ettore era scomparso dopo essere uscito a passeggiare nei campi dietro casa. A un centinaio di metri dall’abitazione si stendeva una macchia boscosa e lì, a quanto pareva, erano state perse le sue tracce. Iago e Georgiana, che a quell’epoca avevano tredici e undici anni, lo stavano seguendo. Erano rimasti indietro e quando avevano raggiunto il boschetto lui era già sparito. Erano tornati indietro perplessi e avevano atteso, ma l’uomo non era più tornato. Il corpo era stato ritrovato qualche giorno dopo, sulla riva di un fosso che tagliava uno dei campi al di là del boschetto. Sembrava si fosse trascinato lì con le ultime forze rimaste. Aveva il ventre squarciato e il corpo pieno di ferite, tutte poco profonde, e la polizia sospettò che il colpevole fosse una donna; ma avrebbe potuto essere qualunque cosa, perché non era stata mai trovata e perché sul corpo dell’uomo non era stato rinvenuto un solo indizio valido, né tanto meno nel bosco o nei dintorni.

Ida Aleksandros era invece stata uccisa da un colpo di arma da fuoco mentre si trovava, di notte, al limitare di quello stesso boschetto dov’era sparito il marito. Si trovava in uno stato mentale molto scosso e fragile; dopo la morte di Ettore, come accade spesso, ogni suo segreto era stato sviscerato e l’ombra di quei segreti era ricaduta su di lei e i suoi figli: presunte amanti, presunte abitudini aberranti, presunti giri di droga, presunte frodi fiscali, presunti finanziamenti illeciti. Un sacco di presunzioni e nessuna verità concreta che erano comunque riuscite a minare l’immagine pubblica degli Aleksandros e avevano rischiato di distruggere le loro aziende e la loro psiche. Ida, che camminava sulla riva scivolosa tra tristezza e depressione, era uscita di notte, durante un furioso temporale. Se qualcuno aveva sentito il rumore di uno sparo, lo aveva certamente scambiato per il rombo di un tuono. Così anche lei era morta, tre mesi dopo il marito.

In quel momento Pool rientrò nella stanza e tornò a sedersi, scusandosi per il ritardo.

« Sono rimasto a guardare i quadri che sono appesi nel corridoio, » confessò, « molto belli. »

« Non hanno mai trovato nulla? » rispese Sage, ignorando Pool, il quale non era stato ancora reso partecipe della conversazione avvenuta in sua assenza. « Nessun... movente, niente? »

« Venne provato che tutte le delazioni riguardo nostro padre erano false. I suoi affari erano puliti, così come la sua vita. La morte di mia madre, si disse, era stato un tentativo di correzione, oppure di emulazione, di quello che probabilmente era stato soltanto un omicidio avvenuto per caso. Forse nostro padre aveva sorpreso una donna mentre conduceva qualche attività poco lecita nascosta nel bosco e lei lo aveva aggredito. Mi è sempre sembrata una soluzione strana, ma tant’è, è l’unica... » spiegò Georgiana.

« E voi non avete visto né sentito nulla, in nessuno dei due casi? » domandò Fred.

« No, » rispose Iago, « quando morì nostra madre c’era un temporale apocalittico, mentre quando scomparve nostro padre eravamo molto piccoli, sia per età che per statura. Camminavamo a stento in mezzo a dell’erba più alta di noi, facendo attenzione a dove mettevamo i piedi. Nostro padre ci disse: " Vi aspetto di là, lumache! ", e ci superò lasciandoci soli, forse per farci un dispetto. Quando arrivammo, pensammo che si fosse nascosto e iniziammo a cercarlo, ma non trovammo nulla e il resto lo sapete. »

« E per quanto riguarda vostra madre? Si capì da dove aveva sparato l’aggressore? » domandò Varga.

« Neanche lontanamente. Pioveva, le tracce sono state cancellate. Il corpo di mia madre venne trovato solo la mattina, mentre ancora pioveva. Quindi immaginate. Tutto era bagnato, nel giardino c’erano cinque centimetri di fango, i rilevamenti furono difficili da fare e non portarono a nulla » spiegò Iago.

« E voi? » continuò Varga, « dopo i due omicidi cosa è successo a voi? »

« Siamo stati affidati a un tutore legale, che si è occupato di gestire il nostro patrimonio personale. L’azienda è in mano ai soci di nostro padre e a noi è stato ingiunto solamente di terminare gli studi, nel caso volessimo tornare a farne parte, » spiegò Georgiana, « il che è esattamente ciò che intendiamo fare. »

Vi furono alcuni attimi di silenzio, durante i quali i ragazzi sorseggiarono il proprio tè, assorti in macchinosi pensieri.

I dolci portati dalla domestica erano rimasti pressoché intoccati. Iago raccolse il vassoio e lo tese davanti agli occhi di Sage. « Bigné? » chiese, e al rifiuto di lei proseguì nel giro, riuscendo a liberarsi soltanto di un cestino alla frutta.

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