Will you ever come back?

di biancoceano
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** 01. Winter Serendipity. ***
Capitolo 3: *** 02. Canitiem Caledonia. ***
Capitolo 4: *** 03. Trying to fix you. ***
Capitolo 5: *** 04. I'll always remember you. ***
Capitolo 6: *** 05. Ready for the fight. ***
Capitolo 7: *** 06. No escape. ***
Capitolo 8: *** 07. Grab my hand. ***
Capitolo 9: *** 08. Crystalline eyes. ***
Capitolo 10: *** 09. No choice. ***
Capitolo 11: *** 10. Moving forward. ***



Capitolo 1
*** Prologo. ***


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Will you ever come back?




Note: Per non confondervi, i pensieri di Kurt quando è con il Dottore verranno evidenziati così. Quando è solo, verrano scritti senza alcuna modifica.


Prologo.

 
Sera.

Un ragazzo stava passeggiando tra le strade imbiancate di New York. Faceva molto freddo, quella sera: il giovane, fortunatamente, aveva deciso di indossare un cappotto abbastanza pesante, insieme ad un cappello che impediva ad i suoi capelli scuri di andargli davanti agli occhi. 

Adorava quel periodo dell'anno: adorava i fiocchi di neve e l'atmosfera che si respirava. Adorava restare a casa sotto le coperte a leggere un libro con una buona tazza di cioccolata accanto. Era il suo paradiso personale, e guai a chi osava disturbarlo! Metteva sempre il silenzioso al telefono, in modo da restare fuori dal mondo. Ah, adorava quel momento. Era solo suo, e nessuno poteva toglierglielo. 

Quella sera aveva deciso di uscire perchè aveva bisogno di prendere una boccata d'aria.  L'aria fredda contro la sua pelle era una piacevole carezza, anche se gli rendeva la punta del naso fredda come un ghiacciolo. Passeggiando con le mani nelle tasche, il ragazzo buttava ogni tanto uno sguardo su qualche vetrina. Una particolarmente addobbata attirò la sua attenzione. Dall'esterno, poteva intravedere i genitori con i propri figli cercare i regali dell'ultimo minuto. Gli mancava un po' quel calore che respirava in famiglia da piccolo: i regali, l'albero e, soprattutto, l'allegria. Da quando i suoi genitori si erano separati nulla era stato più lo stesso. Il padre si era trasferito a Londra e la madre era morta anni fa. Il ragazzo aveva deciso di essere abbastanza grande da poter andare a vivere da solo; adesso aveva un piccolo appartamento proprio nel centro della Grande Mela. 

"Se proprio devo andare a vivere da solo, non voglio vivere in un posto isolato." Si era detto.  E quale posto migliore di New York?

Imboccò il viale che portava a casa sua, quando uno strano rumore attirò la sua attenzione. Si guardò intorno alla ricerca di qualche auto o camion, ma non vide nulla. Incuriosito, seguì il rumore fino ad un angolo. 

All'improvviso, qualcosa di inaspettato accadde: davanti ai suoi occhi si materializzò una cabina blu. Il ragazzo pensò di avere le allucinazioni, così si strofinò gli occhi. Quando li riaprì, la cabina era ancora lì. Immobile. Decise di avvicinarsi, ma dei rumori provenienti dall'interno lo costrinsero ad allontanarsi. 

Provò una strana sensazione, però. Come se quella strana scatola l'avesse già vista da qualche altra parte. 

Il ragazzo si nascose dietro un cassonetto dell'immondizia e restò ad osservare. All'improvviso, dalla strana scatola blu uscì un uomo altrettanto strano avvolto da una nube di fumo. Era molto lontano, quindi non riusciva a vedere chiaramente chi fosse; vide solo che non era molto alto e che indossava abiti scuri.

E stava parlando con la cabina.

"Oh, no! Ancora! Guarda qui che bruciature. Ma perchè le rigenerazioni devono essere così dannatamente traumatiche?" Urlò lo strano individuo. "A proposito..." E rientrò dentro.

Il giovane, ancora appostato dietro i cassonetti, non riusciva a credere ai suoi occhi. Stava impazzendo o cosa? 

All'improvviso l'essere misterioso uscì di nuovo, e dal taschino di quello che doveva essere un cappotto o una giacca, cacciò uno strano aggeggio dalla punta illuminata.

"Oh, almeno è più grande e... giallo. Andiamo, un cacciavite giallo?" Disse alla cabina blu. "Vecchia mia, così non si fa. E... ehi! Nuove mani più graziose. Questo significa che sono basso oppure... sono una donna! Oh, andiamo, una donna?!" Disse e fece per specchiarsi in uno dei vetri della cabina.

"Okay, okay. Non sono una donna... ma non ho i capelli rossi! Ancora! Insulsi capelli scuri... ancora!" Disse, arrabbiandosi con il suo riflesso.

Così disse, e ritornò dentro, chiudendo le porte dietro di sé.

All'improvviso il ragazzo vide delle fiamme divampare all'interno della scatola blu, e si spaventò. "Ma cosa sta succedendo?" Disse tra sé. Non sapeva se andare a vedere da vicino oppure restarsene al sicuro nel suo nascondiglio. Decise di andare a dare un'occhiata. Dopo tutto, lo strano individuo poteva aver bisogno di aiuto.

Uscì cautamente dal suo nascondiglio e si avvicinò allo strano oggetto. Bussò e disse forte: "Ehi, scusi. Ho visto delle fiamme. E' tutto ok? Non volevo disturbare, è solo che..." E le porte della cabina si aprirono. 

Il ragazzo si trovò di fronte un ragazzo di venti anni circa, capelli scuri e ricci e occhi color miele. E, ancora una volta, gli sembrò di averlo già visto. 

Lo strano ragazzo della cabina non sapeva cosa dire. Di certo non poteva raccontargli la verità; aveva la netta sensazione che il ragazzo l'avrebbe scambiato per pazzo. "Oh, sì. Tutto a posto, stavo solo, ehm, aggiustando il telefono, qui. Sai, una cabina della polizia per chiamate pubbliche senza telefono sarebbe, ehm, strana sì. Comunque, grazie." E gli rivolse un caldo sorriso. 

Il giovane notò che l'uomo della cabina era vestito in modo strano, decisamente non da poliziotto. Aveva un lungo cappotto blu, pantaloni scuri alle caviglie, camicia, bretelle rosse e... mocassini. Per di più senza calzini, a dicembre. 

"Credo che per oggi non riuscirò ad aggiustare la mia p... ehm, questa cabina. Ci penserò domani." Disse, e la accarezzò. Poi si rivolse di nuovo al ragazzo. "Scusa, sapresti dirmi la data di oggi e l'anno in cui ci troviamo?" 

Il giovane era sbalordito. Non sapeva che anno fosse? Ma da dove veniva, dallo spazio? "Tutto ciò è molto strano." Pensò. "Siamo nel duemiladieci. Ventitrè dicembre duemiladieci, per l'esattezza." Rispose, cercando di sembrare il più cordiale possibile. 

"Duemiladieci, bene. Un bell'anno. Ricco di... cose e... persone. Uhm." Guardò il cielo come alla ricerca di qualcosa. Poi si rivolse di nuovo al ragazzo, battendosi una mano sulla fronte. "Che maleducato, non mi sono nemmeno presentato! La rigenerazione non deve avermi fatto molto bene." Sorrise di nuovo. "Piacere, sono il Dottore." Tese la mano.

"Il Dottore? Dottore chi?" Si chiese il giovane. "Da quando la gente si presentava con il proprio titolo di studio?"

"Dottore? Non ha un nome?" Rispose, cercando di non sembrare scortese. 

"No, solo Dottore." Sorrise, ancora con la mano tesa. "Ma dammi del tu."

"Perfetto, è decisamente pazzo."

"Piacere, Dottore." Disse, stringendogli la mano. "Io sono Kurt."

"Uhm, Kurt. Nome decisamente terreste. Questo conferma la mia tesi!" Rispose, sorridendo come un bambino quando riceve un giocattolo.

"Terrestre, ma di cosa sta parlando? Certo che sono terreste! Non potrei essere altrimenti!" 

"Bhè, sì. Sicuramente più terrestre di un ragazzo che si fa chiamare semplicemente Dottore senza dire il suo nome di battesimo. Cos'è, hai un nome strano e hai vergogna di presentarti?" Disse Kurt, ridendo. 

Il sorriso del Dottore si spense e la sua faccia si incupì. "Dottore è il mio nome e, no, non ho un nome di battesimo perchè li considero insulsi e privi di significato." Spiegò il Dottore, tutto d'un fiato. 

"Oh, se lo dici tu. Ma "Dottore" non mi sembra così pieno di significato. E' un titolo di studio come un altro e, francamente, mi sembri anche molto giovane per avere un titolo simile. "

Il sorriso dello strano essere si illuminò di nuovo. "Oh, questo vuol dire che la mia faccia è più giovane. Almeno qualcosa è andato bene." Si specchiò di nuovo. "E ritornando al discorso del nome: non è un titolo di studio, è una promessa che ho fatto anni fa. Una promessa che, anche se provassi a raccontartela, non capiresti." Aggiunse, sempre guardando il suo riflesso nel vetro.

"Okay, come vuoi. Fa lo stesso." Disse Kurt, stringendosi nelle spalle. "Bhè, credo si sia fatto tardi. Se non hai bisogno di aiuto o altro, io andrei. Fa abbastanza freddo e non ho voglia di prendere una brutta influenza proprio a pochi giorni da San Silvestro." 

Il Dottore si voltò verso il ragazzo. Nel suo sguardo si poteva leggere tristezza. Cosa credeva, che un umano appena conosciuto volesse passare del tempo con un pazzoide che non la smetteva di dire cose senza senso? Non doveva più sperarci. Forse la solitudine non era così male, meno dolore sicuramente. L'ultima sua ospite gli aveva spezzato il cuore. Ricorda ancora i suoi occhi castani vivaci e la sua parlantina.

Rachel.
Non l'avrebbe dimenticata. 

"Oh, sì certo. Bhè, Kurt, è stato un piacere conoscerti. Non credo ci rivedremo ancora, quindi buon Natale e felice anno nuovo! Si dice così sulla Terra, giusto?" Disse, e poi abbracciò il ragazzo semi-sconosciuto che gli stava di fronte.


Kurt non sapeva se rispondere all'abbraccio, così decise di ricambiare. Sempre meglio essere gentili. 

Sì, sulla Terra diciamo così." Rispose, sciogliendosi dall'abbraccio. "Allora buona notte e auguri anche a te." 

Riprese a camminare lungo il viale che conduceva alla sua abitazione, quando il ragazzo della cabina lo richiamò. "Kurt?" 

Il ragazzo sì voltò.

"Duemiladieci, hai detto?" Urlò il Dottore.

Kurt annuì. "Precisamente." 

"Oh, allora scommetto che il prossimo sarà davvero un anno favoloso per te. Buonanotte!" Aggiunse, e lo salutò con la mano.

"Lo spero. Grazie." Disse, con una faccia interrogativa. 

Per tutto il tragitto, Kurt continuò a domandarsi l'identità di quello strano ragazzo. Diceva di essere un dottore, ma era fin troppo giovane; parlava di "Terra" come se lui fosse un alieno, e per di più era uscito da una cabina che era apparsa dal nulla davanti ai suoi occhi. 

Forse aveva la febbre e forse aveva davvero le allucinazioni.

Giunse finalmente alla porta di casa sua. Prima di infilare la chiave nella toppa, si girò verso la direzione dove doveva esserci la cabina. Anche se era distante da casa sua, si vedeva ancora l'angolo dove fino a qualche minuto prima c'era stata la strana scatola blu. Non c'era più. Vuoto.

"Non sono pazzo, non immaginato tutto, andiamo!" Disse, alzando gli occhi al cielo. 

Ritornò a volgere lo sguardo verso quell'angolo. "Il prossimo anno sarà un anno fantastico, eh?" Rise, e infilò finalmente la chiave nella toppa. "Nah, non ci credo."
 



Note autrice: Ho unito in una fanfiction le cose che adoro di più: il Dottore e la Klaine. L'ho scritta tantissimo tempo fa, ma mi ci è voluto un po' per pubblicarla. Ci vuole coraggio a pubblicare un crossover del genere! 
Spero con tutto il mio cuore che sia di vostro gradimento.
Sentitevi liberi di fare correzioni e/o suggerimenti, ovviamente.
Ci vediamo fra 8 giorni. :)
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Capitolo 2
*** 01. Winter Serendipity. ***


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Will you ever come back?
-Winter Serendipity.



Era quasi mezzanotte quando Kurt decise di allontanarsi dalla festa e uscire sul terrazzo. Era la notte del trentuno dicembre, l'ultima notte dell'anno, la notte più lunga. Non amava quella festa a causa dei fuochi d'artificio che continuavano fino a tarda notte, creando una nebbia fittissima che gli impediva di vedere il cielo. Adorava osservare le stelle, soprattutto d'inverno; per qualche assurda ragione, gli sembravano più brillanti. Fortunatamente, la mezzanotte non era ancora arrivata e lui poteva starsene lì tranquillo per altri dieci minuti. Si sedette su una sedia e lasciò vagare la sua mente, come se i suoi pensieri potessero liberarsi nel blu infinito sopra di lui. Stranamente, la sua mente andò ai giorni prima di Natale dell'anno precedente, quando uno strano individuo di cui non ricordava più il volto proprietario di una cabina gli aveva fatto una specie di profezia. "Scommetto che il prossimo sarà davvero un anno favoloso per te!" A pensarci su, nulla di favoloso era accaduto. Era rimasto il solito Kurt; nulla di più, nulla di meno. 

"Kurt?" Disse una voce, squotendolo. "Ehi. Ehi, Kurt! Mi senti?" 

Il ragazzo sussultò, costringendo i suoi pensieri a ritornare nello spazio circoscritto della sua mente. 

"'Cedes, sì, scusami. Cosa c'è?" Rispose lui, voltandosi verso l'amica. 

Si conoscevano sin da bambini, lui e Mercedes. Non ricordava un singolo momento in cui Mercedes non fosse stata al suo fianco, e lui le voleva davvero bene. Era grazie a lei se si era fatto degli amici e se ogni tanto usciva con qualcuno. Non amava tanto la compagnia; preferiva restarsene a casa in compagnia di se stesso. La ragazza aveva combattuto molto per fargli avere una vita da persona normale, in passato. E ci era riuscita; magari non completamente, ma ce l'aveva fatta. 

"C'è che mancano pochi minuti alla mezzanotte e tu sei qui fuori come un eremita a pensare a chissà cosa." Disse lei, mettendosi le mani sui fianchi. "Cosa vuoi fare? Restare a contare le punte di ogni stella per tutta la nottata?" 

Sbuffando, Kurt rispose. "No, torno dentro fra un secondo. Devo finire una cosa." 

Mercedes si avvicinò con una faccia un po' dispiaciuta. Si inginocchiò vicino alla sua sedia e disse: "Tesoro, ma dove ho sbagliato con te?" E si rialzò. "Dentro, fra due minuti." Continuò, e chiuse la porta del terrazzo dietro di sé.

Kurt riordinò i suoi pensieri e si alzò di malavoglia. Prima di rientrare, però, gettò uno sguardo al cielo ancora limpido. Così limpido che al ragazzo sembrò di aver visto una stella cadente. 

"Non può essere. Mi sarò sbagliato." Pensò. Ma il dubbio lo tormentava, e quindi espresse comunque un desiderio. 

Tornò dentro e si chiuse la porta alle spalle.


"Tre, Due, Uno. Buon Anno!"

Urla, schiocchi di baci, spumante, bicchieri e risate riempirono il salone, tramutatosi all'improvviso in una festa di paese. 

"Tesoro, auguri!" Mercedes gli arrivò da dietro e lo abbracciò. "Allora, nuovo anno, nuova vita. Sai come si dice, no?" Sorrise. Il suo alito apeva di alcol. 

"Già, 'Ced. Come no." Sorrise, scettico. "Ma comunque, auguri anche a te, tesoro." E le schioccò un bacio sulla guancia.

"Non vieni a vedere i fuochi d'artificio in terrazza? Dai, mi fai compagnia." Esordì sorridendo, mantenendo il bicchiere in una mano e il braccio di Kurt nell'altra.

"Ci vengo solo per poco. Mi annoio a mantenere la candela, dato che sono tutte coppiette e che tu hai Sam." Rispose il ragazzo, con aria stanca.

Kurt si fece trascinare fuori e l'amica andò da Sam, lasciando solo ad ammirare quello spettacolo che, per la prima volta in vita sua, stava apprezzando per davvero. I colori erano bellissimi, come i giochi che quelle mille scintille stavano facendo nel cielo. Coprivano le stelle, è vero, ma erano meravigliosi. Mentre il ragazzo era assuefatto da quella magia, una cosa nel cielo catturò la sua attenzione. Non era un altro fuoco d'artificio, non aveva l'aspetto di una stella e sicuramente non era un aereo. 

Cosa diavolo era? 

Decise di non badarci molto, e ritornò a fissare i colori che si fissavano nel cielo per pochi secondi, fino a sparire completamente nell'aria.


Kurt era tornato tardi a casa. Si era dato una rinfrescata e poi messo subito a letto. Avrebbe passato il primo giorno dell'anno a casa sua, in pace. Aveva già organizzato un mezzo programma:

ore 11:00 - Sveglia
ore 11:20 - Doccia
ore 11:40 - Colazione
ore 12:00 - Maratona di Friends 
ore 14:00 - Cibo cinese
ore 15:00 - Riposino
ore 17:00 - Mercedes arriverà per portare donuts
ore 17:30 - Maratona di Friends con Mercedes
ore 19:30 - Pizza
ore 20:00 - Maratona di Friends con la pizza e Mercedes
ore 23:00 - Mercedes, devi andartene perchè ho sonno

Sarebbe stata una bella giornata alla fine. Si stava per alzare, quando un boato proveniente dal bagno lo fece risedere. 

"Ma cosa sta succedendo?" Si alzò in fretta e furia, prese la mazza da baseball vicino al letto ed entrò nel bagno. 

"Chiunque tu sia, sono arma-" Fece per dire, quando gli comparve davanti la stessa cabina dell'anno precedente.  Credeva di essere in preda ad un deja-vù. La cabina blu che era apparsa in un vicolo vicino casa sua più di un anno fa, era lì, nel suo bagno. Come diavolo era finita nel suo bagno? Chi l'aveva trasportata là? Ieri sera era tutto okay, ed ora c'era una cabina della polizia degli anni sessanta nel suo bagno. 

"Mi hanno drogato." Si disse, chiudendosi la porta alle spalle. "Non sono pazzo. Conto fino a tre, ritorno dentro e tutto sarà come prima." 

"Uno." Chiuse gli occhi.
"Due." Fece un respiro lungo.
"Tre." Rientrò dentro e riaprì gli occhi.

Ciò che vide non era esattamente "come prima". Seduto sul water, c'era un uomo. Era di spalle, quindi il ragazzo riuscì a vedere solo la folta chioma riccia e scura e un arnese che aveva in mano. Quando Kurt entrò, lo stava puntando per la stanza e quel coso faceva un rumore strano.

"Mi scusi, lei chi è? E cosa diamine ci fa nel mio bagno?" Urlò il ragazzo, con un tono di finta cortesia. 

Il tipo strano sembrò non sentirlo. Aveva ancora quell'aggeggio dalla punta illuminata in mano.

"Bobina di trasferimento temporale, qui. Ma perchè qui? Cosa c'è di speciale qui?"

"Le ho fatto una domanda, è pregato di rispondermi. Altrimenti chiamerò la polizia." Disse ancora Kurt, sperando di catturare l'attenzione del tipo sul water. A pensarci bene, quella voce gli ricordava qualcuno, però. L'aveva già sentita, non si stava sbagliando.

"Ma non può essere qui. Qui fa schifo." Per tutta risposta, il tipo continuò il suo monologo.

"Senta," e si avvicinò "lei piomba qui in casa mia, in che modo non si sa, e si permette di dire che qui fa schifo! Ma insomma!" 

L'altro, pur non degnandolo di uno sguardo, parlò. "E strano. Hai una bobina di trasferimento temporale nel bagno di casa tua. E' strano e non riesco a spiegarmelo." 

Kurt gli si avvicinò e vide che stava fissando lo strano arnese. L'aveva già visto l'anno scorso.
Cacciavite, l'aveva chiamato il. Ma non aveva nulla dei tipici cacciaviti, pensò.  
"Il tipo dell'anno scorso." Si disse tra sé. E, come per magia, gli si accese una lampadina.

"Io non la capisco e non ho nemmeno intenzione di farlo. Se ne vada." Disse. "Subito."

"Kurt, non capisci. Non posso andarmene. C'è qualcosa di sbagliato qui e devo capire perchè."  Alzò la testa e fissò i suoi occhi in quelli del ragazzo.

Kurt non poteva crederci. Il tipo strano di circa un anno fa con il feticcio per gli abiti strani era nel suo bagno e, cosa ancora più strana, si ricordava il suo nome. 

"Dottore?" Disse il ragazzo, a metà tra lo stupito e il timido. 

"Ovvio, che domande. Chi altro?" Si alzò e sfoggiò un grande sorriso. "Oh, ehm, mi dispiace per il tuo bagno. Sai, il mio TARDIS ha subito qualche incidente recentemente, quindi, ehm, scusa."

TARDIS. Adesso ricominciava con i suoi termini strani. 

"Okay, adesso che hai ricominciato a parlare in modo strano, puoi dirmi come diamine sei atterrato nel mio bagno?!" Era rosso di rabbia, non riusciva a capire come avesse fatto a piombargli in casa. E soprattutto, era la seconda volta che vedeva quell'uomo. Cosa voleva da lui? 

"Se te lo dicessi non capiresti. Piuttosto, dammi una banana." Disse il Dottore.

Aveva sentito bene, voleva davvero una banana? Gli sembrava di vivere un incubo.

"Una banana? Ma per- Oh, va bene, non capirei." Fece Kurt, perchè il Dottore aveva aperto la bocca per dire ciò che lui aveva anticipato.

Uscì da quello che una volta era stato il suo bagno e si era diretto verso la cucina per prendere la banana. Si girò per portargliela e se lo ritrovò esattamente dietro di lui, a due centimetri dalla sua faccia.

"Ma che diavolo ti prende? Spostati." Lo stava infastidendo. Adesso era troppo; doveva andarsene, o avrebbe chiamato la polizia. 

"Hai qualcosa di strano. I tuoi occhi, hanno qualcosa di strano." Rispose il Dottore, che se stesse seguendo una sorta di filo logico esistente solo nella sua mente. "Sono troppo azzurri."

"I miei occhi sono sempre stati normali. Non ho mai visto serpi uscire dalle mie pupille né piangere sangue durante la luna piena." 

"No, certo." Fece per prendere il cacciavite, ma Kurt lo bloccò.

"Non osare scannerizzarmi gli occhi con quel coso, okay? Tienilo lontano da me. E spostati." Continuò con il suo tono brusco. Anche se, quasi quasi quel complimento, se così poteva essere chiamato, sui suoi occhi gli aveva fatto piacere. 

Il Dottore sembrava un po' offeso. "Come vuoi. Hai preso la ban-" 

Le parole furono stroncate da un rumore metallico proveniente dal'ex bagno. Un rumore metallico accompagnato da una voce altrettanto metallica che, sfortunatamente, il Dottore conosceva fin troppo bene.

Si diede una manata sulla testa e disse: "Stupido, stupido me. Novecentosettantaquattro anni e ancora non capisci nulla. Stupido." 

Con un movimento agile sfilò il cacciavite dal taschino della sua giacca strana e si avvicinò alla porta del bagno. 

Kurt non sapeva se seguirlo o no. Indeciso, restò in cucina ad osservare la scena da lontano.

Il Dottore aprì leggermente la porta e sbirciò all'interno. "No. Non di nuovo." Sussurò tra sé. Poi tornò in cucina e si rivolse al ragazzo. 

"Kurt." Fece una pausa. "Scappa."


Angolo autrice: Vi chiedo scusa per non aver aggiornato in tempo. Il problema è che più la rileggevo più avevo qualcosa da cambiare. Sarò più precisa, promesso. 
Questo capitolo serviva soprattutto a presentare Kurt, che avevo già presentato nel Prologo, ma non ampiamente come volevo. Ovviamente, più avanti presenterò anche il mio Dottore (o mio Blaine.) che ha sicuramente una storia molto più complessa. Parlerò anche della fantomatica Rachel. 
Ci vediamo fra 8 giorni (precisi, stavolta.).
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Capitolo 3
*** 02. Canitiem Caledonia. ***


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Will you ever come back?
-Canitiem Caledonia.

 

Ad Ire e Maira.
Grazie.




Strana storia, la vita. 
Quando ci si illude di aver risolto tutto, quando si crede che i problemi siano finiti, ecco che ricompaiono di nuovo più forti di prima. In quel momento, la consapevolezza di aver sprecato momenti della propria vita per nulla, di aver perso persone per nulla, prende il sopravvento.
Gli incubi avevano affollato le sue notti inquiete, e i protagonisti erano sempre loro. Avevano una voce, si muovevano e, se visti da lontano, aveva anche sembianze umane.
Ma non lo erano, perchè non avevano più sentimenti.



Il Dottore era ancora di fronte alla porta, sbarrandola con le mani. Gli occhi chiusi persi chissà in quale ricordo. 
Gli ritornarono alla mente delle frasi dette da quei mostri, in una notte di più di cento anni fa.

"I sentimenti ci rendono deboli, Dottore. E tu ne sei la prova. Guarda l'amore, l'odio, la gentilezza e la misericordia dove ti hanno portato. Non sei più nulla, Dottore. Non esisti più."

E invece esisteva, e in quel momento non si era mai sentito più vivo.

Con un solo colpo, aveva abbassato una leva e aveva fatto saltare in aria milioni di quegli esseri.

"Niente misericordia per voi. Non più."

Ma fu un episodio isolato, perchè il Dottore aveva capito quasi subito di aver sbagliato. In quel momento, era sceso esattamente al loro livello. Era diventato una macchina, un automa senza più sentimenti. Aveva guardato la scena dall'alto e aveva visto solo macerie; pezzi di latta ormai senza vita. Fu allora che si concesse di piangere. 

"Io sono come loro. Sono esattamente come loro." Si era detto, singhiozzando. 

Ed ora si trovava esattamente di fronte allo stesso problema, ma quella volta sarebbe stato diverso. 
Peggio, perchè erano in cerca di vendetta.

"Io non sono come loro." E aprì la porta.



Kurt stava assistendo alla scena nascosto sotto il tavolo della cucina, indeciso sul da farsi. 

"Chiamo la polizia?" Pensò. "Non mi sembra un problema che un poliziotto potrebbe risolvere, però." E scartò subito l'idea.

"Scappare e chiamare aiuto?" Si chiese. "Sì, ma chi crederebbe mai ad un "Salve, ho degli strani esseri in casa che vogliono uccidere un tizio che conosco appena. Mi verrebbe ad aiutare? Magari chiami anche l'accalappia-esseri strani, grazie." Era fuori discussione.

Poteva sempre scappare, ma in qualche modo, si sentiva in dovere di restare lì e di non lasciare solo il Dottore.
Perché? Perché aveva questa sensazione? 
Era molto simile a quella che aveva provato la prima volta che l'aveva visto.
"Io credo di conoscerlo." Gli aveva detto la sua mente. Ma no, era sicuro di non conoscerlo affatto.

"Perfetto, passerò il resto della mia vita sotto questo tavolo." Sbuffò e cercò di farsi più avanti per vedere il Dottore cosa aveva intenzione di fare.

Il sangue gli si gelò.
Il Dottore aveva appena aperto la porta e Kurt poteva vedere quali esseri si stavano nascondendo nel suo bagno.
Erano di metallo, luccicanti e, da lontano, sembravano quasi umani.
Avevano gambe normali, ma le braccia erano tutta un'altra cosa.
Due lunghi tubi di ferro facevano da base a numerosi oggetti spaventosi.
Lame affilatissime, forbici appuntite, aghi dall'aspetto tutt'altro che rassicurante e, per chiudere in bellezza, artigli al posto delle dita.
No, non avrebbe mai potuto lasciarlo solo di fronte a tutto ciò.
Si alzò di scatto e prese la prima cosa che si trovò davanti. 

"Impasto per biscotti." Osservò. "Bah, meglio di nulla."

Prese la rincorsa e, urlando, lanciò la ciotola con l'impasto in testa ad un di quei cosi.

"Spero voi abbiate fame." Urlò.

Questo li mandò fuori strada per un secondo esatto, il tempo che servì al Dottore per urlargli contro.

"Ma sei impazzito?

"No, stavo cercando di salvarti."

"Con una ciotola piena di impasto?!"

"Senti, almeno io ho preso in mano la situazione invece di chiacchierare amabilmente con degli assassini!"

"Non stavo chiacchierando amabilmente!"

Avrebbero potuto continuare all'infinito, ma un ruggito li costrinse a smettere.

"Sì?" Il Dottore si voltò verso gli automi e sorrise. "Desiderate?" 

L'automa, per tutta risposta, ruggì talmente forte da scompigliare i capelli ad entrambi.

"Okay, magari avevi ragione. Chiacchierare amabilmente non serve." Asserì il Dottore, guardando Kurt.

"Ma davvero?!" Rispose lui, sarcastico. "Senti, dobbiamo uscire da qui. Apri la tua cabina." 

Gli automi stavano avanzando verso di loro, gli artigli sguainati.

"Non posso." Rispose lui, cercando il cacciavite nella sua giacca. "Sono esseri intelligenti e potrebbero rubare la tecnologia solo guard-"

"HO DETTO APRILA!" Kurt urlò con tutta la sua forza.

Il Dottore non sapeva chi fosse più spaventoso tra i due. 
Probabilmente il ragazzo che aveva accanto.

Schioccò le dita e fece strada. Prima di chiudere disse ai bestioni: "Ehm, solo un momento. Arrivo subito e continuiamo la chiacchierata." Sorrise ed entrò.

Si trovò Kurt esattamente dietro di lui e per poco non lo urtò.

"No. Un grande e gigantesco, no." La sua voce tradiva stupore. 

"Bella, eh? La mia Sexy." Disse, e diete una pacca alla porta della cabina, che provocò un altro boato dagli alieni fuori.

"Come può essere? Cioè, da fuori non è nemmeno due metri quadri e dentro è... è." Fece qualche passo avanti. Si avvicinò alla console. 

"Oh, non toccare. Se ti siedi, ti spiegherò tutto strada facendo." Allontanò il ragazzo dalla plancia di comando e si mise al timone della sua nave.

"Cosa intendi per- whoooo." Si era appena seduto ed era già stato scaraventato a terra.

"Scusa, Sexy è un po' vecchiotta."  E la nave, per tutta risposta, scaraventò a terra anche lui, offesa.

Il Dottore si ritrovò sopra Kurt.
Oh, che cosa imbarazzante.


Si fissarono per cinque lunghi secondi, e si soffermò ancora una volta sugli occhi del ragazzo.
Azzurri. Erano più azzurri del cielo stesso.
Aveva viaggiato tantissimo e conosceva gli umani meglio della sua gente; nessuno mai aveva avuto i suoi stessi occhi.

"E se Kurt non fosse umano?" La sua mente iniziò a turbinare. "Questo spiegherebbe ogni cosa."

"Tutto questo è molto romantico, davvero." Disse Kurt, con voce gentile. "Ma ora mi faresti il piacere di scendere? E' finito il turno. Se vuoi fare un altro giro, beh, non puoi perchè la giostra ha chiuso!" E sottolineò le ultime parole.

"Scusami." E gli diede una mano per aiutarlo ad alzarsi.

La cabina si fermò all'improvviso e con un botto. 

Il Dottore si avvicinò subito alla console, sapendo che c'era qualcosa di sbagliato. Girò il monitor verso di sé e lesse qualcosa in Gallifreyano.

"Ma certo, avrei dovuto aspettarmelo. Kurt..." Fece una pausa. "benvenuto su Canitiem Caledonia." E sorrise. 

"Che? Santo cielo, ma perchè non parli in modo normale?" Rispose lui, con voce seccata.

"Oh, non preoccuparti." Aprì le porte della cabina e gli fece segno di seguirlo. "Ti piacerà."
 



Angolo autrice: Prima di tutto, vorrei ringraziare tutti coloro che hanno messo tra i preferiti o tra le seguite la mia storia.
Davvero, grazie. *abbraccio*
E' stata una settimana davvero piena: sono andata al meet&greet con Lea Michele e ho visto due mie care amiche che vivono lontane, alle quali ho dedicato questo capitolo.
Tornando a noi: i nuovi nemici hanno un po' dei Cybermen, dei Dalek e degli Automi della saga "The Infernal Devices" di Cassandra Clare.
Volevo qualcosa di nuovo e di più cattivo. 
Inoltre, su questo nuovo pianeta succederanno delle... cose. 
Ah, amo i cliffhangers. 

Ci vediamo fra otto giorni. 
(Per il banner, crediti ad Ivola. <3)

P.S. Se avete qualcosa da dirmi, oltre all'ask box, potete trovarmi su twitter.
Sono @elevensmelody.

 

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Capitolo 4
*** 03. Trying to fix you. ***


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Will you ever come back?
-Trying to fix you.

 

La cabina atterrò con il suo solito rumore. Prima di scendere, il Dottore controllò per il sicurezza il pianeta; il TARDIS lo portava spesso in luoghi strani e pericolosi.
Gli tornò in mente la volta in cui si era trovato sul pianeta dello zucchero filato. Era bellissimo, certo, ma ad ogni angolo c'erano dei piccoli esserini che tentavano di infilzarlo con degli strani lecca-lecca. Nonostante i suoi tentativi di allontanarli, si era ritrovato con uno di quegli strumenti malefici in un posto decisamente doloroso. Oh, non l'avrebbe dimenticato mai più.

"Ecco, siamo arrivati." Esordì, spegnendo i motori. "E' sicuro, possiamo scendere."

Si girò verso Kurt e vide il terrore dipinto sul suo volto.
Poteva solo immaginare come poteva sentirsi un umano su di un pianeta alieno. Conosceva abbastanza bene la Terra e conosceva la storia dei suoi abitanti. Avevano una gran paura di ciò che poteva esserci nello spazio, temendo attacchi nucleari o chissà cosa. Mandavano continuamente sonde spaziali e cose del genere alla ricerca di una forma di vita oltre a quella umana, ma non avevano mai trovato nulla. La verità è che gli alieni, come venivano chiamati da loro, esistevano, ed erano davvero in molti. Ovviamente, avevano capito che quegli strani oggetti nel loro cielo non erano nuovi corpi celesti, ma tecnologia terrestre mandata lì solo per cercare loro. I primi ad accorgersene furono gli Snaketen, alieni dalla testa di serpente e corpo di struzzo. Avevano fatto subito rapporto alla polizia spaziale per difendersi. Contrariamente a ciò che si può pensare, gli alieni sono molto pacifici e temono qualsiasi tipo di attacco dagli esseri umani. E, per quanto possa essere infinito l'universo, le voci riuscivano comunque a circolare. Ovunque la Terra godeva di cattiva fama; le guerre civili, gli omicidi, le violenze in generale erano cose inaudite per i coinquilini della Terra. Certo, non erano tutti dei santi, ma cercavano comunque di non commettere crimini, perché la pena da scontare era tutt'altro che dolce.

Il Dottore si avvicinò a Kurt e lo prese per le spalle, facendolo girare verso di sé. "Kurt, non devi avere paura, okay? Gli alieni, come li chiamate voi, sono esseri pacifici." Tentò di rassicurarlo. "Tranne quelli del pianeta dello zucchero filato. Quelli sono malvagi dentro."

"S-sì, okay. Ma se dovesse succedermi qualcosa, sappi che tornerò in veste di fantasma e ti perseguiterò fino all'ultimo tuo respiro." Rispose Kurt con voce sommessa.

"Oh, avrai una vita lunga da fantasma, allora." Sorrise, ed uscì dalla cabina trascinandosi dietro il ragazzo.

"Oh, un'ultima cosa." Fece lui, prima di chiudersi dietro la porta. "Qui non sono il Dottore, sono in incognito. Sono Blaine Anderson, da ora. Non dimenticarlo, okay?"

Blaine. Certo che il suo alter ego aveva un bel nome. Ma a pensarci bene, tutto era meglio di Dottore.

"Non lo dimenticherò." Disse Kurt, e si avviarono.


Fu una passeggiata quasi piacevole. Kurt non si sarebbe mai aspettato di camminare sul suolo alieno e di trovarlo piacevole. La compagnia del Dottore alla fine non gli dispiaceva, ma non quando parlava in modo complicato.
La sua mente tornò per un attimo al suo pianeta e a casa sua.
Casa sua e Mercedes.

"Oh, santo cielo!" Esclamò lui facendo spaventare il Dottore. "Mercedes!"

"Che cosa?" Rispose lui. "A cosa ti serve una macchina ora?"

"Ma quale macchina. Parlavo della mia amica. Sicuramente avrà sentito di ciò che è successo ed ora mi starà cercando." Disse con voce allarmata. "Sarà preoccupatissima."

Il Dottore lo fissò con un sopracciglio alzato. Ma perché gli umani si preoccupavano in continuazione dei loro cari? Lui aveva lasciato casa molto giovane e non si era mai preoccupato di ciò che si era lasciato dietro. I Signori del Tempo erano sempre stati molto arroganti e credevano di essere i padroni dell'universo. Lui non era così e non voleva nemmeno esserlo. Forse questo l'aveva spinto ad andarsene senza rimorsi.
Però un po' lo capiva, Kurt. Aveva provato preoccupazione per una sola persona in tutta la sua vita.
Rachel.
Un velo di tristezza calò sui suoi occhi.

"Santo cielo, santo cielo! Come faccio?" Fece per prendere il cellulare ma vide che non aveva campo. "Avrei dovuto immaginarlo."

"Oh, dai qua!" E gli strappò il telefono da mano. Prese il suo cacciavite-non-proprio-cacciavite e lo scannerizzò. "Prova ora." E glielo ridiede.

"Funziona!" Esclamò con una luce che gli brillava negli occhi. "Mercedes? Ehi, Ced! Sono vivo. Sono da un.. amico. Tornerò presto. Tu non preoccuparti, sto benissimo." E riattaccò.

La voce della sua amica di sempre lo aveva fatto sentire decisamente meglio. Ced gli faceva sempre lo stesso effetto; riusciva a rimettergli il buon umore.

Si girò verso il suo amico e gli rivolse un sorriso caldo. "Dottore, grazie. Davvero."

Il Dottore fu quasi colpito da quel gesto. Non lo ringraziavano quasi mai, ed era sempre una gioia sentire quella parola rivolta a lui. "Ma figurati. Vogliamo proseguire? La strada è lunga."

"Dove stiamo andando esattamente?" Domandò Kurt, curioso.

"Lo vedrai." Rispose soddisfato. "Spoiler."


I due arrivarono finalmente a destinazione. Kurt si trovò di fronte ad uno spettacolo insolito e stupendo allo stesso tempo. Il Dottore, o Blaine, lo aveva portato ad una sorta di mercato alieno. Ogni tipo extra-terrestre era lì riunito per comprare cibo luminiscente e ben poco invitante.

"Allora, cosa ne pensi?" Disse il Dottore, con un sorriso caldo. "Questa è la Enlighten Shore. Una sorta di mercato di cibi tradizionali di ogni pianeta presente nell'universo."

Kurt si stava guardando attorno. Ai negozi erano appese ovunque strane pietanze molto simili a salsicce, ma di un verde sgargiante. Fece per entrare per curiosare, ma qualcuno gli attanagliò il braccio.

"No, tu non puoi mangiare quel cibo." Disse Blaine, squotendo la testa.

"Ma non volevo mangiarlo, volevo solo entrare e dare un'occhiata." Rispose lui, un po' stizzito.

"Kurt, sono un Signore del Tempo e sento quando qualcuno sta mentendo." Disse lui, fissandolo intensamente. "Poi, lo dico per il tuo bene. Puoi anche prendere una di quelle salsicce di Asgaard, ma non verrò in tuo aiuto quando vomiterai rospi arancioni." E lo lasciò.

Al ragazzo vennero i brividi e si allontanò subito.

"Posso portarti in un bel posto. Fanno dei pancake con sangue di Trixi. Ovviamente, chiederò di non metterla sui tuoi." Sorrise.

"Sangue di Trixi... ma cosa mangiate? Santo cielo." E volse i suoi occhi al cielo. "Conosci bene questo posto, vero? Ma tu hai centinaia di anni, cosa chiedo a fare."

"Sì, lo conosco molto bene. Sono venuto ultimamente con una mia cara... amica." Un velo di tristezza calò sugli occhi del Dottore.

L'ultima volta era stato lì in compagnia di Rachel. Vedere quei posti, quei negozi, quei cibi lo faceva sentire un po' nostalgico. Se solo non fosse successo quello che era successo, probabilmente lei sarebbe ancora con lui. Un paio di profondi occhi marroni comparvero davanti ai suoi.
"Verrò a salvarti." La sua voce echeggiò nella sua mente.

"Non sapevo che i Signori del Tempo potessero avere amici." La voce di Kurt lo risvegliò dai suoi pensieri.

"E come mai?" Chiese lui, incuriosito.

"Per quella cosa degli anni. Cioè, mi hai detto di essere ultracentenario, deve essere difficile avere amici che vivano abbastanza." Rispose il ragazzo con una scrollata di spalle.

"Sei più sveglio di quanto pensassi."

"Dot-Blaine, mi hai parlato di un'amica. Dal tuo tono, deve essere stata molto importante, immagino."

"Perché hai usato il passato, Kurt?" Si girò di scatto.

"Perché non è più con te e quindi, facendo due più due..."

"Avevo ragione: sei sveglio." Si sedette su uno sgabello fuori a quello che sembrava un bar. Cameriere dalla pelle azzurra come il cielo servivano ai tavoli bevande e pietanze disgustose. "Se hai una mezza giornata, ti racconto tutta la storia."

Kurt poteva vedere la tristezza nei suoi occhi. Quegli occhi vecchi anni ed anni eppure così giovani. Aveva letto di stregoni che avevano vissuto più di mille anni ma che non ne dimostravano più di 20. Era il caso del suo Dottore. Chissà quante sofferenze, quante perdite aveva vissuto e quante violenze quegli occhi avevano visto. Gli venne l'impulso irrefrenabile di abbracciarlo. Ma, una parte della sua mente, quella razionale, gli suggerì che era la mossa sbagliata, almeno in quel momento.

"Per te, ho tutto il tempo del mondo." E si mise comodo.

 
 



Angolo autrice: Con un giorno di ritardo, ecco il nuovo capitolo.
Vi anticipo già che nel prossimo si parlerà di *rullo di tamburi* Rachel!
Non vedo l'ora di presentarvela, perché avrà dei tratti in comune con la Rachel che tutti conosciamo.
Inoltre, notato il riferimento a River? Ci stava tutto!
Prima di andare, volevo dirvi che sto lavorando ad una OS su Friends.
Non vi interessa nulla, lo so. *piange*
Ci vediamo fra 8 giorni prima dello hiatus di due settimane. (?

Come sempre, per il banner crediti ad Ivola. <3


 

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Capitolo 5
*** 04. I'll always remember you. ***


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Will you ever come back?
-I'll always remember you.


Era una sera come tutte le altre, Kurt. Esattamente come tutte le altre. 
Eravamo nel TARDIS e ci stavamo riposando da un viaggio stancante nella Terra degli Zaffiri. E, contrariamente a ciò che potrai pensare, gli zaffiri non sono pietre prezione; sono alieni totalmente blu, grossi e pieni di pustole. 
Ti starai chiedendo perché l'avevo portata proprio in quel posto. Non ne ho idea, Kurt. Alla fine, poco contava, perché lei rendeva ogni posto bello. 
Stavo dicendo: eravamo nel TARDIS e Rachel era stanca morta. Le dissi di andarsi a riposare nella sua stanza, perché avremmo viaggiato tutta la notte verso Anatòmia93, pianeta di acciaio. 

"No, preferisco restare qua con te." Mi rispose, con uno dei suoi soliti sorrisi. "E poi la tua navicella spaziale mi spaventa tantissimo." 

"Rachel, per l'ennesima volta, si chiama TARDIS. E cosa avrà di così spaventoso la mia Sexy?" Risposi io. Avrai ben capito che tengo tantissimo alla mia Se- nave. 

"L'altro giorno ero alla ricerca del bagno e mi ha portato nella vasca degli squali." Continuò lei, con una scrollata di spalle. "Ora, non voglio aprire la questione sugli squali, ma credi che il TARDIS mi odi." 

"Sexy non odia nessuno." Dissi. "Forse." 

Si sedette su una delle sedie accanto alla sala di comando. Buttò la testa all'indietro e fissò il soffitto. 

"Sembra che non abbia limite. Una delle illusioni dei Signori del Tempo, suppongo." 

"Illusioni?" Feci io, stupito. "Rachel, noi Signori del Tempo non siamo illusionisti. Utilizziamo solo un tipo di tecnologia diversa dalla vostra." 

"Quindi mi stai dicendo che la tecnologia del futuro è mirata all'illusione?" Rispose lei. 

"Che pensieri profondi e profondamente sbagliati." 

Adoravo Rachel quando faceva quelle uscite. Spesso parlavamo di un argomento assolutamente banale, come i cravattini, e lei se ne usciva con pensieri totalmente fuori luogo. Ricordo che una volta iniziò a parlare dell'illusione della vita mentre parlavamo dei motori del TARDIS.

"Ci hai pensato, Dottore?" Esordì lei, all'improvviso.

"A cosa? Penso a milioni di cose in un solo istante. Dimmene una e potrò dirti sinceramente che in quel preciso istante ci stavo pensando." Risposi io, scherzando.

"Alla vita." Disse. "Mi spiego. Hai mai avuto la sensazione che tutto ciò sia un'illusione? A volte ci rifletto su." 

"Santa fisica meccanica, in cosa ti ho trasformata! Quando ti ho conosciuto per la prima volta eri una frivola ragazza di Lima piena di sé." Continuai io.

"Ma le persone cambiano, mio caro Dottore. O meglio, tu mi hai cambiata." E mi abbracciò forte. 

Quando mi abbracciava mi sentivo al settimo cielo, e ci sono stato. Voglio dire, sono stato sul pianeta Settimo Cielo; se vuoi ti ci porto più tardi. 
Ad ogni modo, Rachel aveva la capacità di farmi sentire bene con un semplice abbraccio. Quante volte mi ha visto giù per motivi che non ti sto a spiegare e mi è venuta vicino, cercando di consolarmi. 
Hai detto tu stesso che i Signori del Tempo non possono avere amici, ma lei è stata la cosa più vicina ad un'amica che io abbia mai avuto.
Scusa gli occhi lucidi e scusa le chiacchiere; i miei ricordi spesso prendono vita e parlano per me. Scherzi di una mente che ne ha viste tante.
Ma tu sei qui per ascoltare di quella sera, e quello ti racconterò. 


Eravamo entrambi nella sala di comando, quando sentii un botto provenire dal lato sinistro della cabina. Credevo fosse un Pragmata*, così non ci diedi tanto peso. 
Rilassai le spalle e volsi di nuovo il mio sguardo alla plancia di comando, quando un nuovo botto colpì il TARDIS.
Decisamente, non era un Pragmata.

"Qualcosa non va?" Chiese Rachel, con sguardo preoccupato. 

"Non credo. Cioè, spero." Risposi. Non sapevo davvero cosa stesse accadendo lì fuori, ma il mio sesto senso mi diceva che non era nulla di buono. 
Girai il monitor verso di me, selezionando l'esterno del TARDIS. I miei cuori iniziarono a battere all'impazzata. 
Ah, giusto, non ti ho detto che ho due cuori. Potresti farci mille battute, come "se qualcuno ti spezza il cuore, puoi sempre usare l'altro". 
Ti assicuro che quella sera entrambi andarono in mille pezzi. 

"Scappa." Fu l'unica cosa che riuscii a dire. "Scappa nella stanza più lontana del TARDIS, Rachel." 
 
I miei occhi saettarono per la plancia di comando alla ricerca di qualcosa che potesse fermare quelle macchine del male lì fuori, ma non c'era nulla. 
Non mi ero mai arreso, non ero mai fuggito da nulla fino a quel momento; era nella mia natura restare e combattere il male. Ma quella sera... quella sera, Kurt, ho imparato che non tutti possono essere salvati; a volte arrendersi è l'unica cosa da fare.
Ho fatto un errore, in tutta questa storia: ti ho descritto Rachel come una ragazza perfetta e senza pecche. 
Era totalmente diversa da così.
Era ambiziosa, disposta a tutto pur di raggiungere il suo scopo. Mi aveva raccontato delle avventure a scuola e di quanto tutti non la sopportassero perché alla fine riusciva ad ottenere sempre ciò che voleva. 
Solo una persona riusciva ad amarla per ciò che era e lei faceva spesso il suo nome.
Finn.
Potevo vedere tutte le stelle dell'universo brillare nei suoi occhi quando pronunciava il suo nome.
Sappi che non sono invadente, perché sono il primo che non ama parlare di sé, ma una volta mi venne spontaneo chiedere di quel Finn.
Mi disse che l'aveva amato con il tutto il suo cuore e che avrebbe fatto di tutto per lui.
Aveva usato il passato, quindi non chiesi null'altro. 
Un altro suo difetto era la testardaggine. 
Santa plancia di comando, quanto era testarda! 
Sfortunamente, lo fu anche quella sera, e decise di restare al mio fianco. Le urlai più e più volte che non era necessario, che non avrebbe potuto fare nulla comunque, ma nulla; restò con me. 

"Stai sotto la console, allora. Non muoverti per nessuno motivo." La avvertii. 

"Certo, ma voglio sapere cosa sta succedendo." Mi rispose determinata.

Presi un respiro profondo. "Ci sono degli alieni fuori. Sono degli aggeggi infernali, dotati di strumenti di tortura in ogni parte del loro corpo. Sono pericoli, anche più dei Dalek." Mi avvicinai a lei sotto la console. "Non voglio che tu ti faccia del male, resta al sicuro qua."

Cercai in ogni modo di non farli entrare, di respingerli, ma loro ci riuscirono comunque. Un'ondata di argento invase la sala di comando, accompagnata dal suono fastidioso dei loro ingranaggi che si muovevano.

"Non ho nulla di vostro qui, non ho fatto male a nessuno di voi. Cosa volete?" Chiesi io, per la prima volta davvero spaventato.

"La tua mente, figlio di Gallifrey." Risposero loro in coro. La voce come unghie sulla lavagna.

"Non sarà mai vostra." 

"Allora morirai." E iniziarono ad avanzare sguainando le loro armi. 


Ero in panico. 
Non avrei mai potuto dare loro la mia mente, perché custodisco troppo segreti che potrebbero ridurre in cenere l'universo. Morire era l'unica opzione, ma anche quella più drastica. 
La scelta era tra me e l'universo intero.
Vedi cosa significa essere me? Non lo augurerei nemmeno al mio peggior nemico.
Scelsi l'universo, ovviamente. 

"Morirò." Dissi io, semplicemente. 

"NO!" Disse Rachel, uscendo dal suo rifugio. "Resterai qui. Posso proteggerti con il mio corpo. Sono un'umana, me l'hai detto mille volte che siamo esseri fragili destinati a morire." Prese un respiro profondo. "Voglio morire per una buona causa, almeno."

"Non posso lasciartelo fare!" 

"Non spetta a te decidere." Disse lei, con le lacrime agli occhi. 

"Invece posso! E' la mia battaglia, Rachel! Non puoi combatterla tu!" Mi arrabbiai tantissimo. Non potevo permetterglielo. 

"Dottore, tu non capisci. Perché non ci riesci?" Singhiozzava. "Mi hai chiesto di Finn, una volta, ed io ti ho detto che avrei fatto di tutto per lui perché l'amavo." 

"Cosa c'entra questo ora?" Chiesi. Ho centinaia di anni, ma certi sentimenti mi sono ancora totalmente estranei. 

"C'entra, perché io ti amo." E pianse ancora più forte, asciugandosi le lacrime con la manica del suo maglioncino. 

"Oh, Rachel..." 


Non potevo crederci, Kurt. La stavo costringendo a morire per me, ti rendi conto? 
L'amore non aveva mai fatto parte della mia vita, nemmeno quello materno. 
Trovarmi di fronte a quella dichiarazione fu un duro colpo per me e non sapevo assolutamente cosa dire.

"Rachel, sai che non posso amarti." Le dissi gentilmente, alzandole il viso verso il mio. 

"Sì, ed è per questo che ho deciso di morire. Meglio lì da sola, che qui senza di te. Perché, diciamocelo Dottore, non resterò per sempre con te. Morirò prima che tu possa accorgertene. Non posso permettermi il lusso di invecchiare con te e di godermi le gioie della vita insieme. Che senso ha restare ancora?" 

"Ha senso! Santo cielo, Rachel! Hai una vita davanti con o senza di me!" 

"Ciò che tu non capisci è che tu crei dipendenza, Dottore. Non potrei vivere senza te; mi ucciderebbe." 


Sentire quelle parole mi fece sentire malissimo. Ogni singola parte del mio corpo mi faceva male come se mille aghi mi si fossero conficcati all'improvviso nella pelle. 
Ho combattuto milioni di alieni e di robot infernali, ma l'amore è peggio.
L'amore ti scava dentro e ti toglie ogni energia; ti rende debole. 
E la debolezza è un lusso che un Signore del Tempo come me non si sarebbe mai potuto permettere.


"Lasciami andare." E senza che io me ne accorgessi, si era sciolta dalla mia presa e si era avvicinata a quegli essere senza scrupolo. 

"Se volete lui, dovrete prima passare sul mio corpo."  E loro non se lo fecero ripetere due volte. 

Erano a due passi da lei quando accadde una cosa imprevedibile. Un fascio di luce accecante uscì dalla console del TARDIS e ci investì tutti. 
Fui costretto a coprirmi il viso con il braccio, perché i miei occhi non riuscivano a sopportare tutta quella luminosità. 
Sentii Rachel e gli automi urlare di dolore e poi il fascio sparì. 
Lei era distesa a pochi passi dalle porte d'entrata con i brandelli degli alieni che le vorticavano intorno.
Corsi subito da lei e mi appoggiai la sua testa in grembo. 

"Rachel." Disse a voce bassa. "Rachel, dimmi che ci sei." 

Lei aprì debolmente gli occhi.
Le sorrisi. 

"Ehi." Le dissi.

"Ehi." Mi rispose. "Tutto okay?" 

Che paradosso. Lei che chiedeva se andava tutto okay a me. Non è strana la vita, Kurt?

"Tutto okay." Era viva. "C'è qualcosa che posso fare per te?" 

"Disperdimi in atomi." Rispose semplicemente. 

"Che cosa?" Non potevo crederci. Era viva e voleva morire. 

"Sto morendo, riesco a sentirlo. Se mi disperdi in atomi, avrò la possibilità di starti sempre accanto anche se non potrai vedermi." Tossì.

"Ma sarà come morire." Stavo piangendo. Non avevo mai pianto fino a quel giorno. Te l'ho detto: l'amore rende deboli. 

"Se questa è l'unica possibilità di essere sempre al tuo fianco, non mi importa." 

Rimasi in silenzio. Non potevo.

"E' il mio ultimo desidero. So che puoi esaudirlo." Mi disse lei. Determinata fino all'ultimo.

"D'accordo." Presi il mio cacciavite dal taschino e inziai ad accenderlo. Non potevo fare nulla per farle cambiare idea, lo sapevo. 

"Un'ultima cosa, Dottore." 

"Dimmi pure." 

"Grazie." E chiuse gli occhi.

Impostai il cacciavite sulla massima frequenza e glielo puntai addosso. 

"A te." Le sussurrai, anche se non poteva sentirmi. "Di tutto." 


Mille particelle si alzarono in volo, facendo sparire la figura ai miei piedi. In un battito di ciglia, uscirono dal TARDIS in un vortice di luce e si dispersero nell'universo. Accesi il monitor e le vidi confondersi con le altre stelle; granelli di polvere luccicante su di un tappeto blu.
Scoppiai in lacrime.
L'avevo già fatto prima, ma non così forte. I singhiozzi scuotevano il mio corpo e potevo sentirlo andare in pezzi ogni minuto che passava. 
Andai avanti per più di due ore, senza mai fermarmi. 
Ma poi il TARDIS si mise in moto da solo; forse aveva capito che avevo bisogno di girare pagina. 
Ma non ero pronto.
Ho viaggiato per decenni da solo, come unica compagna Sexy. 
Cercare qualcun altro equivaleva a tradire Rachel e non potevo farlo. 
Ho visto posti stupendi, dove il sole tramontata nel mare e sorgeva con le stelle a fargli compagnia e ho visitato pianeti fatti di diamanti preziosi che brillavano di luce propria, ma nulla aveva più senso senza la sua compagnia. 

So a cosa stai pensando, e posso dirti che no, non è come credi. 
Anche se tutto ciò che ti ho raccontato può portare a questo tipo di pensiero, non è assolutamente così. 
Ancora prima di conoscere lei,  ho visto a cosa può portare l'amore e ho giurato che non mi sarei mai innamorato
L'ho giurato, e i Signori del Tempo mantengono sempre ogni giuramento. 
Non lascerò mai che l'amore mi renda debole, non lascerò mai più entrare nel mio cuore e marchiarmi nel profondo.
Amare è uccidere, Kurt.
Ed essere amati equivale ad essere uccisi.**
Non posso morire, è un lusso che non posso permettermi. 


Kurt aveva le lacrime agli occhi. 
Aveva tenuto il respiro sospeso per tutto il racconto ed era un record per lui.
Ancora una volta, poteva intravedere il dolore celato dietro quegli occhi verdi. Si sentì all'improvviso triste e dispiaciuto per lui, e desiderò alleviare il suo dolore in qualche modo. 
"Blaine" disse lui, e tese la mano sul tavolo verso la sua "mi dispiace. Se c'è qualcosa che posso fare per te, dimmelo." 

"C'è solo una cosa che puoi fare." Disse il Dottore, tra le lacrime. "Abbracciami forte."

Restarono così per cinque minuti buoni, fino a quando gli occhi di Blaine non catturarono un'immagine familiare. 

"Mi sarò sbagliato sicuramente." Disse lui, staccandosi da Kurt.

"Cosa c'è?"

"Nulla." Risposre lui, gli occhi ancora lucidi, rivolti verso quel punto. "Nulla di cui preoccuparsi." 


*Ho usato la parola "Pragmata" perché la classicista che è in me voleva uscire.
Per chi non lo sapesse, "pragmata" significa "cosa" in greco.
Mi sembrava adatto come nome per un corpo celeste.


(Secondo asterisco che efp non mi fa vedere.) Mi diverto a rubare citazioni, non ditemelo.
L'avrò letta miliardi di volte in miliardi di posti diversi e la trovo ancora bellissima e piena di verità.



 
 



Angolo autrice: Allora, che ve ne pare di questo capitolo tutto dedicato a Rachel e Doctor!Blaine?
Spero con tutto il cuore che il personaggio e la sua relazione con il Dottore vi sia piaciuta. Non è proprio la Rachel che conosciamo tutti; è leggermente cambiata e cresciuta, ma dentro è sempre la solita rompiscatole. 

Passiamo alla parte dove riesco a leggervi nel pensiero.
Vi starete chiedendo perché ho scelto proprio Rachel.
Partiamo dal presupposto che Blaine non è riuscito a stringere amicizie davvero forti con altre ragazze e Rachel mi è sembrata quella più vicina ad un'amica per lui. 
Poi c'è stato un bacio tra loro due, e potrebbe tornarmi utile. *emoji con l'occhiolino*

Ringrazio tutti coloro che dedicano un po' di tempo alla mia storia.
Ve ne sono infinitamente grata.

Questo è l'ultimo capitolo prima della pausa di due settimane; vi prometto che in questi 15 giorni di vacanza scriverò tantissimo e al mio ritorno non vi lascerò a bocca asciutta. 
Ah, e volevo annunciarvi una "novità".
Per ogni capitolo, sceglierò una canzone che faccia da sottofondo. 
Per questo, vi consiglio "Wings" di Birdy.

Vi auguro buone vacanze e buona 8x01. (ahimè, non potrò fare la diretta.)
Ci vediamo a settembre! *abbraccio*

P.S. Grazie ad Ivola, per il banner e per la "betata". <3


 

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Capitolo 6
*** 05. Ready for the fight. ***


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Will you ever come back?
-Ready for the fight.


Kurt e Blaine stavano camminando nel mercato più grande e famoso dell'universo. Ovunque erano esposte strane maschere e candele dai colori sgarganti e dai profumi stranamente dolci. Il ragazzo, affascinato, chiese a cosa servissero e il Dottore rispose che erano oggetti legati alla religione dei caledoniani. Era di tipo politeista: adoravano il Padre Sole e la Madre Luna, ma la divinità creatrice di tutto era la Divina Terra.
Avevano usanze molto particolari: per esempio, al mattino tutti i componenti di un nucleo familiare dovevano riunirsi attorno ad una tavola imbandita e ringraziare la Divina Terra per aver concesso alla loro anima un'altro giorno di vita sulla Terra. Era davvero importante rispettare questo rituale, perché gli dei sapevano essere molto vendicativi; soprattutto la dea creatrice.
Per loro sfortuna, i caledoniani erano molto ingenui e molto credenti, così osservavano tutte le regole fissate per evitare ripercussioni.
Kurt adorava ascoltare storie di paesi lontani e di religioni sconosciute; lo affascinavano, un po' come le stelle.
Adesso che ci pensava, non aveva ancora detto al Dottore la sua passione per i corpi celesti.

"Dott- Dannazione, mi dimentico sempre." Si corresse, sbattendosi una mano sulla fronte. "Volevo dire che queste storie sono davvero piacevoli da ascoltare. Ed è raro che qualcosa, oltre ai corpi celesti, mi affascini."

"BANG!" Fece lui, prendendo una banana da un banco e puntandogliela contro.

"Santo cielo, ma cosa ti prende?" Si mise le mani sui fianchi e abbasso il frutto che teneva puntato addosso. "Sarai anche ultracentenario, ma a volte ti comporti come una bambino."

"Kurt, ne ho viste tante e ho imparato che un po' di infantilità fa sempre bene." Rispose lui, sbucciando la banana. "Altrimenti la mia vita sarebbe un dramma continuo. Vuoi?" Gli porse il frutto sbucciato, ma il ragazzo rifiutò.

"Sarà. Non ho avuto il tempo di sperimentare questa tua filosofia di vita." Continuò Kurt. "Cosa stavi dicendo?" Chiese, con la bocca piena. "Che la religione dei caledoniani mi affascina."

"Già, è davvero bella. Ha un qualcosa di esotico." Fece una pausa, fissando il cielo privo di nuvole. "Ti va di prendere un frozen yogurt al dentifricio?" Ed iniziò ad avviarsi.

"Ehi, aspetta." Lo trattenne per un braccio. "Al dentifricio? Vuoi dire che qui fanno frozen yogurt al dentifricio? Santo cielo, devono avere uno stomaco di ferro da queste parti."

"Non solo al dentifricio. Anche al detersivo, alla ruggine, al sapore di fiume inquinato e altri gusti che non vorresti ascoltare." Ammiccò.

Kurt arrossì. "Già, sono già disgustato abbastanza."

Il Dottore si avviò di nuovo verso la via del frozen yogurt, poi si fermò di scatto. "Però hai ragione. I corpi celesti sono proprio affascinanti." Sorrise tra sé e sé e riprese a camminare, con Kurt che gli stava dietro.
Sfortunatamente, nessuno dei due si accorse dell'ombra nascosta che li stava osservando.



Il locale in cui entrarono era abbastanza normale, se non fosse stato per le strane bevande esposte. Avevano colori sgargianti e alcuni avevano anche bulbi oculari all'interno.
A Kurt vennero i brividi.

"Blaine, sei sicuro che qui facciano frozen yogurt? Voglio dire, l'unica cosa di ghiacciato che vedo è questa scultura qui sopra che- AAAAAAAAAH!"
La strana forma che Kurt aveva scambiato per scultura era, bhè, un essere vivente.
Con grande spavento del ragazzo, questa si mosse ed iniziò a parlare con voce sorprendentemente umana.

"Come posso servirla, signore?" Disse la forma di ghiaccio. Aveva le sembianze di un grosso pesce in abiti vittoriani con tanto di monocolo.

"Vorremmo un frozen yogurt. Al dentifricio, per favore." Chiese il Dottore, con altrettanta educazione.

Il pesce di ghiaccio chiamò a gran voce un cameriere e quello si precipitò subito. "Alfred? ALFRED! Vieni qui, i signori desiderano un frozen yogurt al dentifricio. Ti prego di esaudire il loro desiderio." Disse ad un'altra forma di ghiaccio dalle sembianze di una lumaca. "Vi prego di scusare la sua lentezza. Oggigiorno tutti rifiutano la gavetta e il lavoro duro."

"Non si preoccupi, non abbiamo alcuna fretta." Rispose il Dottore con cordialità, e si andò a sedere ad uno dei tavoli vicino al bancone.

Kurt era ancora scosso dalla vista di quei pezzi di ghiaccio prendere vita.
Andiamo, da quando il ghiaccio parlava e indossava abiti vittoriani oppure aveva un lavoro? Non avrebbe mai immaginato che gli alieni fossero così, soprattutto il Dottore.

"Non vi avevo immaginato così." Esordì il ragazzo all'improvviso.

"Cosa?" Rispose il Dottore. Stava osservando degli strani frutti viola accanto al reigstratore di cassa.

"Intendo, tutti sulla Terra immaginano gli alieni come esseri verdi e viscidi con grossi occhi neri e mani con dita palmate." Spiegò Kurt. "Invece siete così diversi. Soprattutto tu; sei così simile a me.. cioè, a noi umani."

"Non è vero, siete voi che siete più simili ai Signori del Tempo. Ricorda: noi esistiamo da molto prima." Disse Blaine con un sorrisino soddisfatto dipinto sul volto. "Comunque, alieni verdi e bavosi esistono. Si chiamano Slitheen e vivono su Raxacoricofallapatorius."

"Razza di cosa?" Kurt non aveva capito una singola parola di ciò che il suo amico aveva detto.

"Raxacoricofallapatorius. Il loro pianeta natale."

I due frozen yogurt arrivarono in un vassoio d'argento portato da Alfred.
Il Dottore lo ringraziò e gli diede delle strane strisce di alluminio come mancia.
O era tirchio oppure era la moneta utilizzata su quel pianeta.

"Ecco qui. Assaggia e dimmi cosa ne pensi."
Il ragazzo assaggiò con molta cautela e, fortunatamente, aveva un buon sapore. "Mh, buono."

"Deve esserlo. E' semplice menta; ho detto dentifricio solo per vedere lo sguardo sconcertato prendere vita sul tuo volto." Disse il Dottore, mandando giù una grossa cucchiaiata di yogurt.

Kurt arrossì all'improvviso. Come si permetteva? Non poteva prendersi gioco di lui in questo modo.
Stava per rispondere quando scorse qualcosa di metallico nel suo yogurt. Lo prese e lo osservò; alcune lettere erano incise su, ma appartenevano ad un altro alfabeto.

"Blaine, dai un occhiata a questo."
Il Dottore prese lo strano cilindretto ed iniziò a studiarlo accigliato. Si accorse quasi subito delle strane lettere incise su ed impallidì.
L'avevano scovato anche lì.
Kurt notò subito lo sguardo del Dottore e gli chiese cosa stesse accadendo.

"Ci hanno trovati." Disse lui, semplicemente.

"Chi?"

"Gli esseri comparsi dal nulla nel bagno di casa tua, quelli che hanno portato via Rachel." Spiegò. "Non posso più scappare."

A Kurt vennerò in mente le parole che gli aveva detto il Dottore poche ore fa; non era mai scappato da nulla, ma lo aveva fatto quando quegli esseri avevano invaso il suo bagno.

"Mi hai detto che non sei mai scappato da nulla; allora, perché l'hai fatto quando hai incontrato me? Perché non sei rimasto a combattere quegli esseri?"

"Perché sapevo di non avere speranze e non potevo metterti in pericolo. Li conosco e non potevo permetterlo. Hai ragione: ti conoscevo appena, ma sentivo di doverti proteggere. Non chiedermi perché." Spiegò il Dottore, con semplicità.

"D'accordo, non lo farò. Ma devo chiederti cosa hai intenzione di fare adesso." Disse il ragazzo, fissando il cilindro tra le dita del Dottore.

"Finire lo yogurt e andare all'indirizzo scritto qui sopra."

"Cioè?" Chiese Kurt.

"Londra, Regno Unito." Finì ciò che aveva davanti e si alzò. "Pianeta Terra."

Kurt lo guardò con un sopracciglio alzato senza muove un muscolo. "Una sola domanda: perché devi rendere tutto sempre così teatrale?"

"Ti prego, sono un Signore del Tempo. Ho la teatralità nel sangue."



Il TARDIS li portò in un batter d'occhio a Londra. Come al solito, pioveva e l'aria era pungente. Il Dottore si precipitò fuori dalla cabina con Kurt alla calcagna.

"Okay, siamo qui. Ora vuoi spiegarmi cosa ci siamo venuti a fare?" Chiese il ragazzo, un po' infastidito.
Perchè doveva sempre tenerlo all'oscuro di tutto? Era con lui da mezza giornata e non sapeva praticamente nulla di ciò che stesse accadendo.

"Il cilindretto conteneva un foglio all'interno. Una specie di rompicapo che, grazie alla mia mente brillante, sono riuscito a risolvere." Si pavoneggiò il Dottore.

"E' arrivato Capitan Modestia." Borbottò Kurt sottovoce.

"Cosa? Non ho sentito."

"Non ho proferito parola." Rispose il ragazzo, sorridendo angelico. "Allora, cosa dice il rompicapo?"

"Che dobbiamo farci un giro sulla London Eye." Rispose lui, semplicemente.

"Stai scherzando." Da quando gli attacchi alieni avvenivano in pieno pomeriggio, di fronte a mezza popolazione londinese e a più di cinque metri da terra? Forse anche loro si erano evoluti.

"Per nulla. Abbiamo appuntamento alle 18:00, quindi..." Controllò un orologio da taschino. "abbiamo dieci minuti di tempo. Muoviamoci."



Pochi minuti dopo, i due erano già in una delle cabine della ruota panoramica.

"Adesso mi spieghi cosa c'è scritto su quel pezzo di carta che hai mostrato all'ingresso." Chiese Kurt, sbalordito.
Era stato in gita a Londra con la scuola da adolescente e avevano aspettato ore in fila prima di salire su. ll Dottore aveva semplicemente mostrato un foglio di carta e la folla si era aperta come se fosse arrivata la regina Elisabetta II.

Gli mostrò la carta. "Assolutamente nulla. Si chiama carta psichica, appare un nome di una personalità importante ogni volta che ne ho bisogno." La guardò e se la rimise in tasca. "Ora sono il presidente della Repubblica Italiana. Mi chiedo come abbiano fatto a crederci, dato che l'ultima volta che ho controllato il presidente era ultra ottantenne."

"Sei pieno di sorprese." Gli disse Kurt, guardandolo con aria divertita.
Non aveva mai conosciuto un essere così interessante in tutta la sua vita.
Ed era anche attraente.
Scosse la testa.

"Dovrebbe partire a bre-AAAAAH!" Non riuscì a finire la frase, perché la cabina in cui alloggiavano si staccò dall'impalcatura ed iniziò a volare da sola nel cielo.
Kurt soffocò un grido di paura mentre il Dottore cercava di guarare fuori dalle finestre per vedere cosa stesse accadendo.

"Oh santo cielo." Fu l'unica cosa che riuscì a dire. "Ci hanno trovati prima del previsto."

Si voltò verso Kurt e lo prese per le spalle.
Si ritrovò di nuovo a fissare quegli occhi troppo blu per essere di un essere umano. Era come se il cielo, il mare e l'oro si fossero fusi insieme per dare colore agli occhi di quel ragazzo. Doveva indagare, perché c'era qualcosa sotto.
Doveva.

 "Kurt." Iniziò, fissandolo. "Sta per succedere di nuovo. Vogliono la mia mente, ma io non posso lasciargliela; l'universo con tutte le sue stelle cadrebbe se anche solo ci pensassi. Ti chiedo solo una cosa: fai attenzione."

"O-okay." All'improvviso i dolcetti fosforescenti e le statue di ghiaccio viventi sembravano giocattoli. Guardò ancora una volta fuori dalla finestra della cabina e notò un'astronave sopra di loro; casa sua gli sembrava lontana anni luce.

"Allora tieniti forte." Gli prese la mano. "Erchomai!" Urlò con tutta l'aria che aveva nei polmoni.
Erchomai.
Sto arrivando.
 



Angolo autrice: E dopo 15 giorni di sole e mare (aggiungiamoci anche il naso scottato e i capelli indomabili), eccomi qui con un nuovo capitolo!
Spero che questo vi piaccia, dato che il precedente non ha ricevuto recensioni; ci tenevo molto a sapere la vostra opinione su Rachel...
Ad ogni modo, vi avverto da ora che il prossimo capitolo si concluderà con un cliffhanger. Quindi, tenetevi pronti.
Oh, e cosa ve ne pare di Twelve e della nuova serie? Io lo adoro già e la stagione sarà grandiosa, secondo me.

La canzone che vi consiglio per questo capitolo è Bones di James Blunt.

Ci vediamo fra 8 giorni.

P.S. Grazie ad Ivola per il banner. <3


 

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Capitolo 7
*** 06. No escape. ***


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Will you ever come back?
-No escape.



I due amici si risvegliarono in un ambiente asettico. Era tutto bianco e la luce era quasi accecante. Kurt apri gli occhi e cercò di mettersi seduto lentamente, ma ogni parte del suo corpo gli faceva male.

"Sono in paradiso." Fu la prima cosa che riuscì a pensare.

Si guardò intorno alla ricerca del Dottore e lo trovò all'altro capo della stanza, ancora addormentato. Si sentì avvilito; era solo in un ambiente sicuramente alieno, disarmato e senza Blaine accanto. Poteva andare peggio? Con grandissimo sforzo, si rimise a sedere. Cercò di dirigersi verso il Dottore, ma due omini bianchi gli si pararono davanti.

"La Metal System prega i suoi ospiti di mettersi comodi. Lo spettacolo inizierà tra poco." Dissero in coro con voce metallica.

"Ospiti? Spettacolo? Non siamo in un villaggio vacanze!" Protestò Kurt. Cercò di spingerli, ma loro ripresero con la litania.

"Devo uscire da questa situazione." Pensò. "Magari se parlo con voce metallica mi scambieranno per uno di loro."

Tentò l'esperimento, ma nulla da fare; i robot avevano ricominciato con la loto lamentela.

"Oh, d'accordo! L'avete voluto voi." Grazie ad un calcio nei posti giusti, il ragazzo riuscì a mettere fuori gioco i due omini di latta. Si sistemò la felpa che indossava e si spolverò i jeans scuri. "Almeno le ore passate in palestra con Mercedes hanno portato a qualcosa di buono." Avanzò velocemente verso il Dottore e, una volta arrivato al suo fianco, tentò di svegliarlo. Al terzo tentativo, il Dottore urlò qualcosa di indecifrabile e gli puntò il cacciavite sonico in mezzo alla fronte.

"Getta le armi, amico. Sono io." E gli diede una mano per alzarsi.

"Sai per caso dove siamo capitati?" Balbettò lui con la voce impastata. Kurt gli porse una mano per aiutarlo ad alzarsi.
Il ragazzo notò subito la loro ruvidezza: erano piene di calli e screpolate in più punti. "Giovani e vecchie allo stesso tempo." Pensò.

"Avevo intenzione di chiederlo a te." Kurt fece spallucce. "Non ne ho idea. Credevo fosse il paradiso."

"Nah, il paradiso è tutta un'altra cosa. Fiori, farfalle colorate, profumi, vestiti bianchi svolazzanti, cose così." Si sistemò gli abiti e si ravviò i riccioli.

"Sei stato in paradiso?!" Kurt strabuzzò gli occhi.

"Anche all'inferno. Credimi, Dante aveva perfettamente ragione: ci sono davvero dei tizi immersi nello sterco." Riprese il cacciavite sonico e scannerizzò l'ambiente circostante.
La scritta "Nessuna informazione disponibile" lampeggiava sul piccolo schermo dell'aggeggio.

"Ti va di andare in avanscoperta?" Senza aspettare la risposta del compagno, si avviò verso il lungo corridoio che si snodava proprio alla sua destra.


Dall'altra parte della navicella spaziale, un uomo era seduto in una poltrona di velluto rosso.
Le mani candide giunte davanti al suo viso, lo sguardo perso chissà dove.
Lo aveva trovato, finalmente; erano anni che lo stava cercando. Dopo quella serata di tanti anni fa, era sparito dal suo radar e ancora non riusciva a capire perché.
Il Dottore era una grande sfida, perché nessuno aveva osato spingersi così oltre con lui. Tutti si erano sempre arresi a quegli occhi azzurri enigmatici che sembravano spruzzare veleno al solo fissarli.
Ma lui no.
E questo faceva crescere ancora di più la voglia di avere la sua mente. Doveva contenere segreti importantissimi per non volerla consegnare dopo tutto ciò che aveva passato.
Ricordava ancora gli occhi pieni di lacrime di quella insulsa umana mentre gli dichiarava il suo amore e lo sguardo vuoto del Dottore mentre assisteva alla sua morte.
Balsamo per i suoi occhi.
Si alzò con grazia dalla sua poltrona e con agilità si diresse verso il citofono posto accanto alla porta.
Con voce secca, disse: "Portameli qui."
Chiuse la comunicazione e tornò a sedersi. Le dita affusolate giocherellavano con il filo della lampada.
Stava arrivando.


Sfortunatamente, i corridoi erano uguali alla stanza che avevano lasciato poco prima: inopportabilmente bianchi e senza segni distintivi. Questo rendeva anche complicato cercare di orientarsi, e ogni corridoio appariva uguale al precedente.

"Siamo già passati di qui." Esordì il Dottore, bloccandosi di scatto e facendo sbattere Kurt contro la sua schiena.
Il ragazzo si accorse solo ora del profumo che emanava.
Sapeva di buono.

Si riscosse quasi subito. "Non so se hai notato, ma siamo già passati in ognuno di questi corridoi. Sono tutti uguali." Si staccò da lui e si appoggiò al muro. Desiderava un letto ed una tazza di tè caldo da potersi godere in santa pace.

"Sì, ma di qui ci siamo già passati, ne sono sicuro." Cacciò il suo cacciavite e scannerizzò il corridoio.
"Nessuna informazione disponibile."
Ripose l'utensile e si grattò il mento. "C'è qualcosa di strano." Appoggiò l'orecchio al muro ed ascoltò.

Kurt lo imitò, ma non riusciva a sentire nulla. "Non vorrei disturbarti mentre ti impicci dei fatti dell'intonaco, ma cosa diavolo stai facendo?"

"Si muovono." Disse all'improvviso il Dottore. "Si stanno muovendo in questo preciso istante."

Kurt non era sicuro di aver capito bene. "Cosa si sta muovendo? I corridoi, per caso?" Incrociò le braccia e alzò un sopracciglio.

"Eppure all'inizio eri così perspicace..." Questo gli costò una gomitata nello stomaco. "Ahi! Scherzavo. Si stanno muovendo perché vogliono portarci da qualche parte."

"O da qualcuno." Disse Kurt, gli occhi fissi di fronte a sé. "Guarda lì."

"Una porta."

"Già, questo l'avevo notato anche io." Roteò gli occhi. "Cosa facciamo?"

"Bhè, le porte si aprono." Fece spallucce. "Apriamola."

"Avrei dovuto comprare un giubbotto anti-proiettile strada facendo." Roteò il pomello e fece per entrare, quando il Dottore lo trattenne per un braccio.

"Lascia entrare prima me, non si sa mai." E gli mostrò la punta illuminata del cacciavite.

"Oh, ma che gentiluomo. Potrei quasi credere che tu abbia una cotta per me." Disse il ragazzo, fingendosi lusingato.

"Eppure un tempo le buone maniere erano apprezzate. Si vede che sto invecchiando." Tirò un lungo sospiro, teatrale come la solito.

Kurt lo fissò, un'espressione indecifrabile in viso. "Già, ora metti da parte le tue manie di protagonismo ed entriamo."


L'ambiente in cui si trovarono era l'opposto della sala in cui si erano risvegliati. Aveva una carta da parati caramello e il parquet con un grosso tappeto al centro, una libreria che prendeva un'intera parete, poltrone e tavolini con gingilli rendevano la stanza ancora più accogliente.

"Questa navicella ha decisamente bisogno di un interior designer." Disse il Dottore, guardandosi intorno. Scannerizzò ancora una volta l'ambiente con il cacciavite, ma nulla.
La scritta "Nessuna informazione disponibile" campeggiava sul display.

Kurt stava osservando la stanza alla ricerca di qualche indizio oppure qualche segno che indicasse una via di uscita.
Si avvicinò alla libreria ed iniziò a leggere i titoli scritti suoi tomi. Dalla rilegatura sembravano molto antichi.

"Come fare autostop nell'ottava luna di Raxacoricofallapatorius."
"Wow, questo pianeta deve essere molto in voga." Penso Kurt.

"Stelle e pianeti: come allevare un corpo celeste."
"Alleravare corpi celesti? I cagnolini non si portano più?"

"Luci di Marte."
Prese il volume e disse tra sé: "Quindi gli alieni malvagi leggono anche romanzi rosa."
Diede un ultimo sguardo alla copertina che lasciava intendere il contenuto del libro e lo rimise al suo posto.

"Codice di Gallifrey."
La scritta in corsivo dorata e il sigillo arzigogolato sopra lo attrassero e lo convinsero a prenderlo.
Aveva una bellissima copertina in pelle color cuoio con un laccetto che serviva a chiuderlo. Sempre più spinto dalla curiosità, slacciò il nodo e sfogliò qualche pagina.
Bianco.
Era come se le parole fossero volate via. Avrebbe potuto essere una semplice agenda, è vero, ma sentiva che delle lettere erano state scritte su quella carta e poi, magicamente, erano sparite.

"Ehi, Blaine, vieni un attimo qui." Chiamò lui. Quel libro lo incuriosiva troppo e aveva bisogno di spiegazioni.

Il Dottore arrivò e si fermò a guardare il libro da sopra la spalla di Kurt. Appena vide il titolo impallidì.
Cosa ci faceva lì? Non poteva essere.
Gli strappò il volume da mano ed iniziò a sfogliarlo freneticamente.

Il ragazzo, spaventato dallo sguardo sul volto del Dottore, gli chiese cosa ci fosse di sbagliato in quel libro.

"Kurt, questo è il libro più importantde di Gallifrey. Sul Codice si basa tutta la storia dei Signori del Tempo, all'interno ci sono segreti che nessuno dovrebbe mai sapere." Rispondendo alla domanda che l'amico aveva solo pensato.

Kurt senti l'angoscia nella voce del suo amico. "Tranquillo, ho sfogliato qualche pagina, ma sono tutte bianche. Forse prima c'era scritto qualcosa, ma ora non più."

Finì di sfogliare il volume e il viso gli si illuminò di nuovo. Forse non era tutto perduto.

"Sono dei geni! Saranno anche arroganti, ma sono dei geni!" Iniziò a saltellare per la stanza con Kurt che lo osservava da lontano. Il Dottore notò il suo sguardo sconcertato e ritornò serio.
Cioè, non proprio serio.
Diciamo la versione seria del Dottore.

"Sarà meglio che questo venga con noi, per precauzione." E si infilò il volume nella giacca.

Un allarme assordante prese a suonare e costrinse i due amici a tapparsi le orecchie.
All'improvviso il pavimento prese a tremare violentemente e una grossa crepa si aprì proprio tra i due; Kurt tentò di reggersi sullo scaffale della libreria, ma una scossa più forte lo fece scivolare e cadere nel burrone che la crepa aveva aperto.
Il Dottore tentò tirararlo su offrendogli la sua mano, ma era troppo pesante.
Il ragazzo guardò giù e vide solo buio e desolazione. Gli passò davanti tutta la sua vita: i momenti passati con Mercedes, le sere spese al freddo a guardare le stelle, le festività con sua madre ed il Natale di due anni fa quando aveva incontrato il Dottore per la prima volta.
In quel momento, gli ritornarono in mente le esatte parole che gli disse quella sera:

"Oh, allora scommetto che il prossimo sarà davvero un anno favoloso per te. Buonanotte!" 

Sfortunatamente il Dottore aveva sbagliato i suoi calcoli, perché nel 2011 non era accaduto assolutamente nulla. Se solo fosse arrivato con un giorno di anticipo, avrebbe potuto davvero rendere quell'anno favoloso e azzeccarci con la profezia. Perché, ora che ci pensava, quel giorno con il Dottore si stava rivelando l'unica cosa entusiasmante della sua vita.
A stroncare il filo dei suoi pensieri fu la sua mano che perse la presa e lo fece sprofondare nel burrone.
Mentre cadeva, sentiva il Dottore urlare il suo nome.
Poi, il buio totale.

 



 
Angolo autrice: Ho aggiornato con un solo giorno di ritardo. Ehi, sto migliorando!
Voglio dirvi subito chi sarà il prestavolto del personaggio misterioso. *rullo di tamburi* Benedict Cumberbatch!
Andiamo, gente, come potevo non sceglierlo con quello sguardo che può mandare in tilt in tre secondi?
Poi è affascinante e potrebbe... SPOILEEEERS.

La canzone che vi consiglio per questo capitolo è How To Save A Life dei The Fray.

Ci vediamo la prossima settima aka ultima settimana di libertà. *piange a dirotto*

PS. Il solito grazie ad Ivols per il banner e stavolta anche per qualcos'altro. <3
 

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Capitolo 8
*** 07. Grab my hand. ***


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Will you ever come back?
-Grab my hand.



"Kurt, afferra la mia mano!" 

Era accovacciato accanto al dirupo che si era aperto esattamente al centro della stanza. Riusciva a vedere la paura all'interno degli occhi cristallini di Kurt; grosse lacrime gli stavano rigando le guance candide e le mani che teneva tra le sue erano più rosse del fuoco.
Stava per cedere, lo sentiva.
Gli sembrò di rivivere la notte di tanti anni fa: Rachel, gli alieni, lui, il TARDIS che andava a fuoco, la paura, le lacrime.
L'amore.
Era con Kurt da meno di una giornata o forse di più -con una macchina del tempo contare le ore è complicato- ma sentiva di doverlo proteggere e ti tenerlo lontano dai pericoli. Non sapeva se tutto ciò fosse dovuto al suo instinto naturale di tenere al sicuro ogni essere vivente o per qualcos'altro.
Ma cosa? 
Cercò un appiglio su cui fare leva, ma accanto aveva solo il tappeto e il Codice di Gallfrey. 
O almeno avrebbe dovuto essere accanto a lui.
Il libro era sparito.
Mentre tentava di riportare su Kurt gettò uno sguardo intorno a sé alla ricerca del volume, ma nulla. Si era volatilizzato.
Mentre cercava, sentiva le mani farsi sempre più scivolose e perdere presa. Si disse che questa volta sarebbe andata in modo diverso, che non ci sarebbero state vittime e cuori spezzati.
Che sarebbe andato tutto bene.
Nonostante i pensieri positivi, l'inevitabile accadde.
Le mani del ragazzo scivolarono dalle sue come sabbia tra le dita. Blaine cercò invano di riprenderle, sporgendosi pericolosamente dal burrone, ma nulla da fare.
Kurt era sprofondato nel buio.


"Avremmo dovuto usare l'altra entrata." Disse una voce, probabilmente femminile. 

"Di quale entrata stai parlando?" Rispose un'altra, decisamente maschile.

"Quella meno teatrale. Sai che odio queste cose." Continuò la voce femminile.

Il battibecco continuò per molto tempo, tanto da svegliare Kurt. Aprì gli occhi debolmente, riuscendo a malapena a distinguere i suoi attorno a lui. Non ricordava assolutamente nulla, solo un grosso rumore e qualcuno che chiamava il suo nome.
Ma dov'era? 

"Quindi, cosa ne facciamo?" La voce maschile si fece risentire. Il ragazzo, che ora era vigile, riuscì a distinguere le parole chiaramente. Il suo sesto senso gli diceva che non stava accadendo nulla di buono. Decise di rimanere nella stessa posizione, cercando di respirare regolarmente e meno rumorosamente possibile. 

"Dobbiamo aspettare Mister K. Non possiamo fare di nostra iniziativa. Ricordi? E' un codice arancione e non siamo autorizzati a prendere iniziativa." Continuò la donna, con una voce stizzita. Dal suono rasposa della sua voce, Kurt dedusse che poteva avere minimo sessant'anni. 
Qualcosa di freddo si avvicinò al suo braccio. Sentì la paura montargli dentro, ma cercò di mantenere il controllo e di non emettere nessun suono. 
La sentì strisciare lungo il suo braccio e un brivido gli percorse la schiena.

"Fermo. Pensa a qualcosa di bello e felice." Doveva stare calmo. Non era al sicuro, ma il Dottore sarebbe arrivato in fretta.
Il Dottore! Ecco chi stava urlando il suo nome!
Aprì cautamente un occhio per scrutare l'ambiente e sperò con tutto il cuore di trovare Blaine al suo fianco.

Bianco.
Accanto a lui c'era il muro.
Si sentì avvilito e svuotato, come se gli avessero tolto gli organi e li avessero sostituiti con la paura. 

"Oh, si è svegliato." Kurt sussultò; il suo piano era fallito. Sentì la voce maschile avvicinarsi sempre di più, accompagnato da uno strano fruscio, come se stesse indossando un mantello. 

Aprì entrambi gli occhi e notò la grande figura che si ergeva sopra di lui. Un uomo grande e grosso, vestito con uno strambo mantello rosso lo stava scrutando con due occhi aperti a fessure. 

"Alzati." Gli disse con voce dura, tendendogli una mano. Quello strano gesto di gentilezza strideva non poco con il tono di voce e la sua stazza. Decise di accettare l'aiuto e di mettersi in piedi. 

"Chi sei?" Chiese il ragazzo, spaventato ma determinato. Doveva sapere perché era stato trascinato in quelo luogo lontano dall'unica persona che avrebbe potuto aiutarlo. 
"Dottore, dove sei?" 

"Q. Chiamami Q." Gli voltò le spalle e si avviò lungo il corridoio che si snodava alla sua destra. "Seguimi." 

"Non vado da nessuna parte se non mi dici dove stiamo andando." 

"Ragazzino, se non ti muovi tu, troverò un altro modo decisamente meno gentile. Decidi." Non si voltò nemmeno. Stesso tono di voce perentorio.

"Okay, allora non mi muovo. Uccidimi se vuoi, ma con te non vengo." Incrociò le braccia e assunse un'espressione decisa, ma sentiva le gambe cedergli dalla paura e la bile salirgli piano piano.

"Sei tosto, ragazzo. Potresti essere perfetto, se non fossi umano." La risata cavernosa di Q echeggiò per la stanza. A Kurt vennero i brividi. "Stiamo andando da lui." 

"Potresti essere un po' più specifico?" Chiese il ragazzo, ancora più spaventato. "Lui" non era esattamente un nome e dal tono in cui l'aveva pronunciato, il signor Lui sembrava un essere spregevole e bavoso con quattro occhi, sette mani e un piede solo.
No, con un piede solo era decisamente buffo.
Quattro. Quattro andava meglio.

"Karas." Rispose lui, con voce stanca. "Il Capo dell'Universo." 


Il Dottore era ancora inginocchiato accanto al burrone con la testa fra le mani. 
Aveva perso anche lui, non poteva essere.
Sentiva la gola bruciare e la testa pulsare; non se lo sarebbe mai perdonato. Ma perché Kurt era venuto con lui? Perché non era scappato semplicemente come tutti gli altri? 

"Tu crei dipendenza." Le parole di Rachel gli echeggiarono nella mente.
 "Sono una dipendenza, e come tutte le dipendenze dopo un po' porto alla morte." 

Si rialzò, un nuovo sguardo sul suo viso aveva preso vita. 
Ogni parte del suo corpo stava sprizzando odio come mai prima di allora. 
Si avvicinò a quello che somigliava un microfono, ed iniziò ad urlare.

"Credi di essere furbo, eh? Oh, mio caro, quanto ti stai sbagliando! Viaggio da quasi mille anni, e di sbagli ne ho commessi. Molte persone sono morte per me, molte stanno vivendo una vita felice grazie a me e altri stanno combattendo il male perché io ho mostrato loro cosa può fare una mente capace ed un cuore buono. Comprendi cosa sto cercando di dirti? Io posso muovere il mondo e ridurlo in cenere dicendo una sola parola. Custodisco segreti che possono distruggere il tuo piccolo impero del terrore in un battito di ciglia. Non azzardarti a pensare nemmeno per un secondo che io non verrò a cercarti e a ridurti in poltiglia per vendicare la memoria di un mio amico. Molti mi considerano un dio, ma non sono misericordioso. Per nulla." 

Passarono pochi secondi dove il silenzio regnò sovrano e nulla accadde. Il Dottore stava per risedersi a terra, quando una porta apparì dal nulla; si trovò di fronte ad un altro corridoio bianco.

Si rimise in piedi, si asciugò le guance bagnate e corse verso l'ignoto. 


 


 
Angolo autrice:  Più di una settimana di ritardo. Ho battuto i record, che ne dite? 
Mi scuso per l'assenza, ma ho avuto vari "problemi"; ora dovrebbe essere tutto okay. 
Una cosa devo dirvela: sicuramente non riuscirò ad essere precisa (ma lo sono mai stata?) con gli aggiornamento, perché la scuola non mi lascia tanto tempo libero. 

Vi consiglio di ascoltare "Wherever you will go" dei "The Calling". 

Alla prossima. 

PS. Il solito grazie ad Ivola, la mia nuova compagna di banco. *proud mama*
 

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Capitolo 9
*** 08. Crystalline eyes. ***


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Will you ever come back?
-Crystalline eyes.




Kurt stava camminando a passo svento, scortato da i due individui vestiti di rosso. Secondo i suoi calcoli, stavano camminando da almeno mezz'ora; iniziava a sentire un dolore persistente alla gamba destra. 
La sua mente stava vorticando.
Ricordava di essere con il Dottore in una stanza accogliente e arredata diversamente dal resto dell'edificio, ricordava la terra muoversi e il grosso burrone aprirsi ai suoi piedi,ricordava la mano di Blaine tenere stretta la sua e la sua voce urlare il suo nome mentre il buio lo inghiottiva. 
Credeva di essere morto. 
Ma era lì, vivo e vegeto.
Solo in un ambiente estraneo e, soprattutto, alieno.
Fortunatamente, Kurt aveva imparato sin da piccolo a difendersi e a restare forte nella situazioni più difficili. Aveva perso la madre ad otto anni.
Ricordava ancora i suoi capelli fluenti e i suoi occhi azzurri come il mare, di una tonalità più scura della sua. Amava cantare ed era anche piuttosto brava; la mattina era sempre dolce svegliarsi con il suono angelico della sua voce. 
Ma la morte arriva sempre nei momenti più inaspettati, come un'onda che spazza via tutta la felicità presente. 
Quell'onda aveva prosciugato Kurt, e ad otto anni non si può essere già prosciugati. Il padre lo aveva portato fuori da quella situazione con dolcezza inaspettata, e lui gliene era stato grato infinitamente.
Ma un'onda raramente si arresta del tutto, e la seconda volta tornò più forte ed impetuosa di prima. 
Vivere in una cittadina aveva i suoi difetti, come la chiusura mentale. Attorno ai sedici anni, Kurt si era preso una cotta per un suo compagno di classse che, ovviamente, non ricambiava. In un modo oscuro, la notizia si sparse e Kurt iniziò a subire atti di bullismo. Decise di non dire nulla al padre, che aveva già mille problemi  scuramente più importanti. Riuscì ad andare avanti per un anno, fino a quando iniziò a subire anche violenza fisica. 
Certi segni non si possono nascondere all'infinito.
Ma aveva trovato la forza e si era rialzato. Se le leggi del tempo non glielo avessero impedito, sarebbe tornato volentieri al Kurt sedicenne per dirgli che alla fine sarebbe andato tutto bene.
E anche che fra qualche anno sarebbe stato prigioniero su una nave aliena in compagnia di due alieni dalle sembianze umane.
Si sarebbe mandato a quel paese da solo.

"Fermati." La voce profonda dell'uomo accanto a lui bloccò il flusso dei suoi pensieri. "Siamo arrivati."

La donna accanto a lui inserì un codice in una strana pulsantiera alla sua destra. Ciò che saltò agli occhi di carta, furono i caratteri sulla tastiera. Non erano numeri, sembravano ideogrammi. 

Una mano lo spinse violentemente all'interno. "Entra." E la porta si richiuse con un tonfo alle sue spalle.

Kurt si ritrovò in una stanza esattamente a quella in cui si era aperto il burrone, l'unica differenza era l'uomo dietro la scrivania. 
Aveva le dita affusolate giunte di fronte a sé. La pelle era bianchissima, decisamente più pallida della sua. Anche a quella distanza, riusciva a distinguere il colore dei suoi occhi: erano cristallini. Decisamente rari, ma belli da mozzare il fiato.

"Vieni avanti. Non ho intenzione di farti del male." La sua voce era profonda ma non spaventosa come l'uomo che l'aveva scortato. Aveva bellezza e gentilezza dentro di sé.
Kurt fece qualche passo avanti e si avvicinò alla scrivania dell'uomo. 

"Oh, così posso ammirarti meglio." Si alzò con grazia innata ed iniziò a scrutare il ragazzo da vicino. "Avevano ragione."

"Su cosa?" Trovò la forza di rispondere.  L'uomo rise alle sue parole. Era così delicata e... bella.

"Te. Ma non siamo qui per parlare delle tue qualità." Si avvicinò al suo orecchio e sussurrò. "Non è vero?" Rise delicatamente.
Kurt rabbrividì. 

"N-non so perché siamo qui."  Cercò di ricomporsi. Cosa stava cercando di fare? Continuò con voce più determinata. "Voglio sapere che fine ha fatto il mio amico."

"Amico hai detto, eh?" Iniziò a girare per la stanza con il suo passo felino. Kurt notò che indossava dei pantaloni neri decisamente troppo stretti, una camicia bordeaux di due taglie in meno e la giacca... no, quella andava bene. "Intendi il tipo con i mocassini, papillon e bretelle?" Rise.

"Lui. Ma non ci trovo nulla da ridere." Si fece più serio di prima. "Dimmi dov'è e facciamola finita con questo teatrino."

"Oh-oh. Sei testardo." Fece il giro della scrivania e tornò a sedersi. "Non lo so." Sospirò con fare teatrale.

"Come non lo sai?" 

"Non lo so, semplice. Non so dove sia. Eri tu il mio obiettivo, non lui." Disse semplicemente. "Forse è andato via, come fa sempre."

"Non lo conosci, non puoi dirlo." 

"Non lo conosco." Rise stancamente. "Bella questa. Ragazzo, lo conosco da più tempo di te. Sono un Signore del Tempo anche io." 

Queste parole, dette con così tanta leggerenza, generarono in Kurt una serie di sensazioni.
"Allora non è l'ultimo. Non è solo! Deve saperlo. Devo trovarlo!" 

Quasi come se fosse riuscito a leggergli nel pensiero, continuò: "So a cosa stai pensando... Kurt, giusto? Ecco, il Dottore ti avrà sicuramente detto di essere l'ultimo della sua specie. No, non lo è
 e lo sa,in un certo senso."Alzò gli occhi verso Kurt e fece una risata gelida. "No, non ti ha detto una bugia. Devi sapere che io per lui non esisto più, perché ho commesso un grande torto. Quando quei due ti hanno prelavato dalla Sala Grande per portarti da me, come mi hanno chiamato?"

"Karas, il capo dell'Universo." Rispose Kurt, gli occhi fuori dalle orbite. 

"Esatto, sono il capo dell'Universo, e questo il Dottore non l'ha mai digerito. Ha sempre considerato la razza dei Signori del Tempo estramamente arrogante e, ehi!, ha ragione. Abbiamo un grandissimo potere nelle nostre mani e molti di noi non hanno paura di utilizzarlo. Possiamo cambiare le leggi della fisica in un batter d'occhio, cambiare punti fissi della storia umana come se niente fosse, ma il Dottoruccio si atteggia a difensore del vostro insulso pianeta. Povero illuso." Si fermò solo per osservare il cielo luminoso fuori dalla sua finestra. Era blu notte e pieno di stelle luccicanti. Era saltato solo ora agli occhi del ragazzo, che rimase a fissarlo per un minuto buono totalmente estasiato. 
Era uno spettacolo mozzafiato, davvero.

"Bello, vero? Le stelle di questo pianeta sono sempre state così belle e luminose." Si girò di nuovo verso di lui. 

"Dove siamo?"

"A tempo debito, ragazzo. E' troppo presto." Allungò le dita pigramente verso uno strano display sulla sua scrivania. "Oh, ma guarda. Notizie felici per te. Ho un messaggio dal tuo amichetto." 

La voce di Blaine echeggiò per tutta la stanza. A Kurt venne da piangere. 

"E' vivo. Sta bene." Pensò. 

"Ti stavo parlando della vera natura del Dottore. Allora, come si fa chiamare da te? Dottore? Professore? John Smith? Oh... non dirmi Blaine Anderson! Quello lo usa solo con le persone speciali! Usa quello con te, non è vero? Sei speciale, allora." Si avvicinò di nuovo pericolosamente al suo viso e lo scrutò da vicino. Kurt riuscì ad osservare le iridi quasi trasparenti del suo interlocutore ed erano... strane. 

"Non sono speciale. Sono un semplice ragazzo terrestre. Il Dot-Blaine, mi ha portato su Caledonia: ho visto le cose che ci sono lì; quelle sono speciali. Io non sono nulla."

"Ingenuo ragazzo. Ovvio che non sei nulla, ma per lui sei speciale? Sai perché? Perché sei normale. Hai ragione, il Dottore ha visitato posti mozzafiato dove l'acqua si trasforma in diamante al solo tocco, ha visto stelle morire e pianeti sparire nel nulla. Ma non ha mai assaporato la normalità. Ti ha parlato dei suoi vecchi compagni?"

"Solo di Rachel." La voce atona, lo sguardo fisso davanti a sé.

"Sì, immaginavo." Fece un ghigno che poco aveva a che fare con i sorrisi melliflui di poco fa. "Bhè, devi sapere che al tuo Blaine piace portare compagni umani a spasso con sé. Solo, così, per assaporare la loro normalità e portargliela via. Già, perché dopo aver viaggiato con il Dottore come si può anche solo pensare di voler tornare alla normalità? No, lui si nutre di questo. E' egoista, devo ammetterlo. Ma, andiamo, chi non lo è almeno un pochino?" Il tono suadente era tornato.

"Non mi importano queste chiacchiere. Dimmi cosa vuoi da me e facciamola finita." Disse Kurt, la voce più dura della pietra.

"Oh, se proprio insisti... Il Dottore ha fatto commenti sui tuoi occhi?"

"Sì, perchè? Al ragazzo quella domanda sembrava estreamamente insensata in quel contesto, ma decise di assecondarlo. 

"Hai notato i miei occhi e quelli del tuo amico caro? Sono diversi da quelli terrestri. I miei sono cristallini, come ghiaccio, i suoi sono verdi con pagliuzze dorate, a volte caramello. Dimmi, ragazzo: hai mai visto degli occhi così?" Domandò candidamente. Ovviamente, conosceva già la risposta.

"No, non credo. Ma non fisso gli occhi della gente e non vedo come questo possa entrare in questo contesto."

"Perché i tuoi occhi, Kurt, sono azzurri. Sono troppo azzurri, a dire il vero. Ho viaggiato anche io sulla Terra per qualche anno, quando io ed il Dottore eravamo ancora amici. Non ho mai visto occhi come i tuoi. Sono azzurri con pagliuzze dorate, come se quel tocco di giallo volesse spazzare via la glacialità del colore predominante. La dice lunga su di te, sai?"

"Non ho capito dove vuoi andare a parare." Kurt iniziò ad infastidirsi molto. Cosa c'entravano i suoi occhi, ora? 

"Eppure ti facevo più sveglio. Di solito il Dottore se li sceglie bene i suoi compagni." Sorrise. "Dimmi, hai ancora tutti e due i genitori?"

"No, solo papà. Mamma è morta molti anni fa in un incidente stradale in Kansas." Rispose Kurt.

"Oh, adesso è davvero tutto più chiaro. Cristallino direi." Per la prima volta, Karas assunse un'espressione seria. Nonostante ciò, Kurt continuava a non capire. L'uomo sembrò accorgersene, perché disse: "Ma tu ancora non hai capito. O forse non vuoi caprire?" Si alzò di nuovo dalla sua scrivania. Kurt si irrigidì appena se lo vide a due passi dal suo naso.
"Oh, Kurt, Kurt, Kurt." prese per le spalle.

Kurt rabbrividì ancora una volta. "Dimmi cosa dovrei comprendere."

Karas rise, questa volta in modo glaciale. 
"Ma come, non ci sei ancora arrivato?" Si avvicinò ancora di più, quasi a sussurargli sulle labbra. "Sei come me. Come il Dottore. Sei un Signore del Tempo, Kurt."

 


 
Angolo autrice: Salve, gente!
Ve l'ho detto in uno dei capitoli prececenti: il prestavolto di Karas è Benedict Cumberbatch. Well, ho scritto certe scene apposta. *occhiolino malizioso*
Vi lascio con la solita canzone. 
I See You di Mika.
Alla prossima. *abbraccio*

Il solito grazie alla mia solita Ivola. <3

 

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Capitolo 10
*** 09. No choice. ***


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Will you ever come back?
-No choice.



30 Dicembre 2004.
La pioggia batteva incessante sui vetri dell'auto, diminuendo la visibilità. Kurt stava disegnando sui vetri appannati e guardava le goccioline di pioggia scorrere. Erano usciti per andare a compare gli ingredienti per la loro tipica torta di capodanno. Il bambino la adorava, e adorava ancora di più cucinarla con la madre; era bellissimo potersi sporcare le mani e il viso con la farina e non beccarsi una sgridata. Era un brutto periodo per lui, perché i suoi genitori si erano divisi da poco e lui veniva sballottato di qua e di là senza sapere il perché. La mamma gli aveva detto che il papà aveva deciso di iniziare una nuova vita in un nuovo posto con una nuova persona, perché non aveva saputo apprezzare le gioie che il cielo gli aveva già donato. Kurt credeva di essere lui il problema, di aver sbagliato qualcosa, ma alla fine si rese conto di non avere nessuna colpa per il comportamento del padre. Nonostante la separazione e il continuo sballottamento, aveva avuto la possibilità di passare le feste con sua madre.
Quale gioia più grande!
Aveva pregato per giorni e giorni perché ciò accadesse, e qualcuno lassù l'aveva ascoltato. Gli mancava l'unità familiare, certo, ma meglio di nulla. 

"Kurt, tesoro, siamo quasi arrivati. Hai preso la lista?" Chiese la madre, con la solita voce dolce.

"Sì, l'ho messa in tasca." Rispose il piccolo Kurt, con la tipica vocina tenera dei bambini.

La vide sorridere dallo specchietto retrovisore e sorrise anche lui di rimando, mostrando la bocca mancante di qualche dente.
Parcheggiò e spense il motore.

"Tesoro, resta in macchina. Vado a pagare il parcheggio e torno." Gli schioccò un bacio sulla guancia e si avviò.

Kurt la vide allonanarsi con un ombrello rosso in mano, i capelli biondi svolazzanti sotto. Era bellissima e il bambino glielo diceva spesso, guadagnandosi sempre occhiate dolci e abbracci pieni di amore. Abbracci che solo lei sapeva dare.
Prese la lista dalla tasca e la ricontrollò, per essere sicuro di non aver dimenticato nulla. Conosceva gli ingredienti a memoria, oramai. 
Passò più di mezz'ora e il bambino iniziò a preoccuparsi. Fece pulizia sui finestrini per vedere all'esterno, ma non la vide da nessuna parte.
Decise di aspettare un altro po'. Alla fine, non poteva essere tanto lontana. 

Passò un'ora e Kurt si spaventò decisamente. Scese dall'auto e si avviò verso il supermercato per chiedere aiuto. 
Non fece in tempo ad arrivare, perché suo padre gli venne incontro e lo prese in braccio.

"Piccoletto, andiamo a farci un giro, ti va?" Non gli diede nemmeno il tempo di rispondere che lo portò verso la sua macchina e andarono via. 

Per essere un bambino piccolo era abbastanza sveglio ed intelligente, e sapeva che qualcosa non andava. Non aveva il coraggio di chiederlo, perché non aveva la forza di sentire la verità. Si accoccolò sul sedile posteriore e, guardando sempre la pioggia cadere sul vetro, sprofondò in un sonno pieno di incubi.


"Cosa stai dicendo?! Io Signore del Tempo? Mi stai prendendo in giro?" Kurt era sconvolto. Stava scherzando, non c'era altra soluzione.

"No, non scherzerei mai su una cosa del genere. Devi sapere, Kurt, che tua madre non è morta in un incidente stradale, come tutti i giornali terrestri hanno detto, ma è morta, diciamo così, a causa di forze più potenti." Karas si sfregò le mani e tornò alla sua scrivania. Quella calma calcolata gli dava ai nervi. 

"Spiegati meglio." 

"Impertinente. Mi piace." Sorrise ed incrociò le dita davanti a sé. "Mi spiego meglio. Tua madre era una Signora del Tempo e anche molto rispettata, devo dire. Decise di entrare all'interno della mia cerchia di pochi eletti una volta finita la scuola, ed io accettai. Non avrei mai potuto lasciare una persona così importante fuori dal mio gruppo; poteva essermi utile. Ebbene, fu invitata a partecipare ad una spedizione sul pianeta Terra; su Gallifrey facevamo spesso queste cose, sai, per scoprire le abitudini degli altri pianeti. Fece un errore grandissimo: si innamorò di un umano, di tuo padre. Quando tornò a casa, fece di tutto per chiedere un TARDIS tutto suo, ma nessuno le diede ascolto. Scappò, lasciandosi tutto alle spalle. Lasciandosi me alle spalle. Kurt, nessuno può abbandonarmi di punto in bianco, nessuno l'ha mai fatto. Lei però lo fece. Devi sapere che, in un modo o nell'altro, ha pagato per quello che ha fatto." 

"TU HAI UCCISO MIA MADRE!" Kurt gli saltò addosso con tutta la forza che aveva. Avrebbe voluto fargli male da morire, prenderlo a pugni e fargli provare lo stesso dolore. Lo avrebbe fatto se solo il Dottore non fosse entrato nella stanza all'improvviso.

"Kurt, cosa stai facendo?" Entrò nella stanza ansimando. Ciò che vide lo fece spaventare: Kurt addosso ad un tizio vestito in modo elegante e, doveva ammetterlo, anche piuttosto affascinante. 

"Oh, ma guarda chi è arrivato." Karas si scrollò Kurt di dosso in un secondo e andò verso il Dottore. "Che piacere rivederti!"

Blaine lo guardò in faccia e sbiancò. "Karas." 

"In tutto il mio splendore." E fece una piroetta su se stesso.

"Cosa ci fai qui e cosa vuoi dal mio amico." Disse con voce dura. 

"Oh, nulla di che. Solo parlargli delle sue origini." Karas lo fissò per un paio di secondi, poi continuò; un ghigno maligno sul suo viso. "Tu non sai. Devi sapere che il tuo amichetto qui è un Signore del Tempo. Non proprio per intero, a dirla tutta."

Blaine si sentì mancare. Lo sapeva.
Sapeva che Kurt aveva qualcosa di diverso, di strano, ma mai avrebbe pensato a questo.
Il terrore si mischiò alla sorpresa; solo in quel momento il Dottore si rese conto di non essere più solo. 
C'era un altro dubbio da chiarire.

"Cosa intendi con "quasi"?" 

"Il padre di Kurt è umano, la madre è una Signora del Tempo. Dato che due più due fa quattro, Kurt non ha tutte le caratteristiche della nostra specie." Fece una pausa e sospirò. "Ha solo una vita, non può rigenerarsi." 

L'aria si fece pesante.
La delusione era dipinta sul volto del Dottore, che si girò verso Kurt per vedere la sua reazione. Non lo aveva ancora guardato in faccia per davvero da quando aveva messo piede nella stanza. 
Tutto gli sembrava così surreale ed impossibile.
Aveva vissuto la sua vita con la consapevolezza di essere l'unico rimasto, l'unico ad avere il compito di rendere giustizia a quella razza antica ma, ormai, estinta da tempo.
La gioia di avere un suo simile che non aveva manie di protagonismo come Karas lo aveva investito come accade come un raggio di sole durante una giornata di pioggia. Ma le nuove sono più forti, e avevano vinto anche questa volta.
La mente del Dottore iniziò a lavorare freneticamente come suo solito, e giunse ad un'orrenda conclusione.

"Tu, sei stato tu!" La rabbia tinse il volto di Blaine. "Tu hai mandato gli automi a casa di Kurt! Tu sapevi già tutto! Cosa speri di ottenere, eh? Ricostruire la Razza Antica? O cosa?"

"Dottore, Dottore." Fece una risata. "No, assolutamente no. Voglio uccidervi e rimanere solo. Voglio la gloria tutta per me. Voglio essere ricordato come colui che ha donato giustizia alla razza più potente di tutti i tempi. Io, Dottore, e non tu."

Non fece in tempo a parlare che un raggio di luce violetta lo investì violentemente, facendolo cadere a terra. 
Nonostante la botta pesante, riuscì ad alzarsi e a fissare il suo nemico negli occhi.

"Da quando sei diventato così prevedibile?" Si asciugò un rivoletto di sangue. "Devi sapere che, venendo qui, ho preparato un giocattolino. Sai, quelli che facevo da piccolo e che tutti deridevano. L'ho costruito con i pezzi della tua navicella, Karas. Non ti hanno mai detto di non lasciare un Signore del Tempo da solo con una navicella? L'ultima volta che è successo, credo di averla rubata." Le gambe gli dolevano e stava per piegarsi; Kurt gli corse accanto e lo sorresse. Blaine lo guardò riconoscente. "E questo che a te mancherà sempre, Karas. Qualcuno che ti sorregga. Da quanti anni sei da solo? Tanti, a giudicare dal tuo viso. Hai passato la tua vita a circondarti di seguaci, mai veri amici. Ti vanti di essere il capo dell'Universo: bhè, complimenti! Ma la vera domanda è: hai qualcuno con cui dividerlo? Hai qualcuno che, ogni tanto, ti faccia i complimenti per il lavoro svolto? No, rispondo io. 
Io non sono nessuno, puoi vederlo tranquillamente. Viaggio da anni perché ho conosciuto la sofferenza e ho visto la guerra con i miei occhi; ho semplicemente detto "basta così" e sono fuggito. Vigliacco da parte mia, certo. Ma ero fermamente convinto che la mia gente sarebbe morta anche con il mio aiuto; allora perché non partire per nuove mete ed evitare stragi del genere?
Quanta gente che ho salvato, non puoi saperlo e non puoi nemmeno immaginarlo. Non ho ottenuto nessun riconoscimento e nessun vitalizio, ma sono soddisfatto. 
Tu cosa mi dici, eh? Sei soddisfatto del tuo lavoro? Di ciò che hai distrutto, delle persone a cui hai fatto del male? Sei soddisfatto di tutto il dolore che hai causato a migliaia di persone? 
Se lo sei, non ho intenzione di giudicarti. Ma, sfortunatamente, la mia esperienza mi dice esattamente il contrario.
Posso distruggere il tuo impero solo premendo un bottoncino, Karas." 

L'uomo sorrise amaramente. "Non lo farai, non ne sei capace." 

"Sono cambiato, il tempo passa." 

Il Dottore stava per premere il pulsante. Si girò verso Kurt, ancora accanto a lui pronto a sorreggerlo. 

"Mi dispiace." Disse. 

E il buio li avvolse. 


 
 


 
Angolo autrice:  Salve, gente!
Sono in super ritardo e mi scuso tantissimo.
Voglio dirvi subito che il prossimo capitolo sarà l'ultimo. Succederà una cosa molto triste che spiegherà un po' il titolo della storia.
Vi consiglio di ascoltare Die For You dei Lawson per questo capitolo.
Alla prossima (e ultima). <3
 

Il solito grazie ad Ivola. <3
 

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Capitolo 11
*** 10. Moving forward. ***


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Will you ever come back?
-Moving forward.

 

Alla persona che riempie i miei pensieri.
Così vicino, così lontano.



L'esplosione prodotta dal dispositivo aveva generato un grande confusione, quindi il tempo necessario per il Dottore di far riappararire il TARDIS e di condurvi dentro Kurt privo di sensi.
Sapeva che ciò che aveva appena fatto era profondamente sbagliato e contro la sua morale, ma era perfettamente consapevole di dover mettere un punto a quella storia. 
Entrò nella sua cabina trascinandosi dietro il corpo dell'amico e una bella nube di fumo; chiuse la porta dietro di sé ed attivò gli aeratori.
Quando il fumo si fu dissipato, Blaine intravide una strana figura avvicinarsi a loro due. Credeva di essere in preda a qualche strano effetto del fumo, quando la figura si fece distinguibile ai suoi occhi.
Adagiò Kurt sul pavimento della plancia di comando e si stropicciò gli occhi, perché chi si trovò davanti fu davvero sconcertante.

"Rachel." Disse, incerto. "Rachel, sei tu?"

La figura rise in modo angelico, esattamente come il Dottore la ricordava.

"Certo che sono io. Ma tu non sei tu, da come vedo." 

"Mi sono rigenerato poco dopo la tua..." Ciò che voleva dire gli morì in gola.

"Dottore, puoi dirlo. Sì, ero morta. Mi ha dispersa in atomi nell'universo esattamente secondo la mia volontà." Iniziò a fare il giro della consolle e sorrise. "Non è cambiato nulla."

"Sono cambiate molte cose, invece." Rispose con voce gelida. "Come hai fatto a... tornare in vita?"

"Lunga storia. Ma non sei felice di vedermi?" Disse lei, andandogli vicino per stampargli un bacio sulla guancia.

Il Dottore sorrise. "Non sono domande da fare." E la abbracciò, tenendola per le spalle. "Ciò non diminuisce la mia curiosità. Su, dimmi."

"Un aiutino qui, un altro là. Sai com'è." Disse con fare quasi annoiato.

"Certo che so com'è. Dimmi un'altra cosa: quanto mi credi stupido da uno a dieci?" Chiese lui con un finto sorriso stampato sulle labbra.

Rachel fece una faccia sconcertata. "Ma cosa dici? Sei uscito di testa?"

Il Dottore le si avvicinò cautamente, fino a quando non si ritrovarono a meno di due centimetri. "Ti ho posto una domanda." Sentiva il suo fiato caldo sulle guance.

"Non ti credo stupido." 

"Allora dimmi chi sei e smetti di fingere." Si allontanò, riprendendo la sua solita aria di chi non ha nulla di cui preoccuparsi. "Sai, quando ti ho vista da lontano ho davvero creduto che l'universo mi stesse ringraziando per tutti i favori svolti in questi secoli. Stupido me: anni ed anni e non ho ancora imparato che nessuno ringrazierà mai per ciò che fai." Fece una piroetta verso la porta e fece svegliare Kurt con uno schiaffetto sulla guancia. "Kurt, voglio presentarti una persona. Su, sveglia!" E lo tirò su, tenendolo per il braccio. 

"Ma cosa cavolo sta suc-" Era ancora intontito a causa dell'esplosione di poco prima.

"Amico mio, voglio presentarti Rachel. Te ne ho parlato, giusto? Vedi, voglio che tu sappia che le persone cambiano profondamente, anche se all'esterno sono sempre le stesse. La vedi laggiù? Carina e piccolina? Ha dei circuiti sonici sotto i vestiti. Circuiti che possono portarmi alla morte."

Kurt strabuzzò gli occhi. 

"Oh, non fare quella faccia! No, non ne vale la pena! Sai cosa, Kurt? E' giusto che sia così, è giusto stare dalla parte del più forte." Alzò le mani al cielo ed urlò. "AH-AH. Me l'hai fatta di nuovo! Ma no, non mi distruggerai. Non questa volta."

Si sentì una risata gelida. "Ebbene, hai capito tutto." Rachel sorrise sprezzante. "Ma, se permetti, la curiosità ora è mia."

"Posso soddisfarla tranquillamente. Hai presente il bacio sulla guancia che mi hai dato? Ecco, non lo hai mai fatto. Un primo inidizio più che palese. 
Secondo: quando ti ho dato l'abbraccio ho sentito qualcosa di metallico e duro sotto le mani. 
Non sei ancora soddisfatta? Allora, quando ti ho vista camminare. Eri fin troppo cauta e facevi fin troppa attenzione ai movimenti."

Lo guardò con aria di sfida.

"La mia domanda è: cosa hai intenzione di fare ora?" 

"Ucciderti. Sono stata programmata per questo. Mi hai chiesto come ho fatto a ritornare in vita: mi hanno trovata e riassemblata secondo i loro piani. Sono una macchina travestita da ragazza, Dottore. Sono un automa con i sentimenti e la ragione. Credimi quando ti dico che fare tutto ciò mi sta provocando un dolore inimaginabile, ma è l'unico modo per non morire ancora. Ho affrontato la morte solo per te, ricordi? Ho visto l'oscurità ed il dolore, ho assaggiato l'inferno e ho bevuto lacrime salate. Questo corpo è l'unica cosa che mi garantisce l'immortalità e, di conseguenza, la salvezza eterna."

Kurt era rimasto in disparte, seduto sulle poltroncine dietro la consolle. Ascoltava tutto ciò che si dicevano e vedeva tutto ciò che stava accadendo. 

"Mi stai dicendo che preferiresti vivere facendo del male piuttosto che vivere secondo dei principi? Preferisci sopportare la vista di una persona che muore piuttosto che essere una persona normale? Non venirmi a parlare di dolore, Rachel. In anni di viaggi nel tempo ho assaporato il dolore in ogni sua sfumatura, l'ho osservato cambiare a seconda dei sentimenti e delle persone, me ne sono fatto carico io stesso, e sono ancora qua. Vado ancora in giro ad aiutare persone per evitare che il mondo diventi pieno di persone come te, priva di ogni genere di morale e piene di egocentrismo. 
Ma vedo che ciò ti fa stare bene e, nonostante tutto, è ancora ciò che desidero.
Fai ciò che devi."

"Ma cosa dici? Dottore, ti si è trasformato il cervello in purè di pastinaca? Non puoi permettere una cosa del genere."

"Kurt, da quanto tempo viaggiamo insieme?" Si voltò verso di lui, mentre Rachel si avvicinava con le lacrime che sgorgavano dai suoi occhi.

"Non ne ho idea. Il tempo con te è relativo."

"Hai ragione. Ad ogni modo, c'è una cosa che non ti ho detto. A dire il vero, è più una regola."

"Cioè? Parla prima che sia troppo tardi!"

Le labbra di Blaine si aprirono in un dolce sorriso. "Il Dottore mente."

Si voltò velocemente e, trovandosi la ragazza a due passi da lui, gli premette il cacciavite sonico contro il petto. 

"Mi dispiace così tanto."


Il viaggio nel tempo presenta delle complicazioni. Tutti credoni sia una passeggiata: premi un pulsante qui, abbassa una leva là. Ecco, non è esattamente così.
Si deve trovare la destinazione giusta, ad esempio. E anche il tempo, che non è molto semplice. 
Poi, avere una macchina del tempo vecchia fa la sua parte.
Era ciò che stava passando nella mente del Dottore quando Kurt ritornò nella plancia di comando avvolto in un accappatoio.

"La piscina è stupenda. Ma come fai ad averne una qua dentro?" Chiese lui, asciugandosi i capelli con un asicugamano.

"I pregi della tecnologia gallifreyana." Si voltò e gli sorrise. "Vai a vestirti. Saremo a destinazione fra pochi minuti."

"Ai suoi ordini, signor Dottore. Oh, che cacofonia." E si avviò verso gli infiniti corridoi del TARDIS.

Sapeva che gli sarebbe mancato. Avevano passato poco tempo insieme e gli aveva mostrato troppe cose, ma capiva le necessità di Kurt. 
Poi, riportarlo a casa non significava necessariamente non rivederlo più. 
Forse.

La cabina fece un brusco movimento, segnale dell'atterraggio.
Il Dottore aprì le porte ed inspirò un po' di aria fresca del mattino. Kurt fece una corsa e si appoggiò allo stipite della porta.

"Eccoci a destinazione. Pronto per la normalità?" 

"Non tanto. Ma devo." Uscì dalla cabina e gli si pose di fronte. "Non voglio dirti addio."

"Nemmeno io, e non credo sia necessario. Posso tornare quando voglio, lo sai."

"Sì, hai ragione. Voglio però che tu sappia che questa avventura è stata davver molto importante per me. Mi ha aperto gli occhi su numerose cose. Quindi, grazie. E poi, promettimi che tornerai da me per davvero. Ci conto, sappilo." Gli sorrise. Il Dottore vide una luce diversa in lui. "Comunque, ci sono due cose che volevo chiederti prima di andare via."

"Spara. Cioè, si dice così da voi?"

"Fa molto primi anni duemila, ma posso perdonartelo. Comunque, volevo chiederti della mia natura. Ciò che ha detto Karas è vero?"

"Temo di sì. Ma non sei un Signore del Tempo completo perchè tuo padre è umano. Hai una sola vita, non puoi rigenerarti."

La delusione prese vita sul volto di Kurt. "Immaginavo."

"E' un bene, credimi. E' una semi-immortalità, e ciò signfica portarsi sulle spalle il peso di molte cose. Vivere una sola vita significa non vivere con i fantasmi che ti tormentano ogni notte." Sorrise stancamente. 

Si guardarono per un attimo infinito, poi, imbarazzato, Blaine chiese: "La seconda domanda?"

"Ah giusto." Arrossì. "Cosa ne dici di andare a prendere un caffè? O un tè o quello che ti pare. Così, per salutarci. Se vuoi."

Un largo sorriso prese vita sul volto di Blaine.

"Non faccio mai queste cose." Uscì fuori e chiuse la porta a chiavi. "Ma per te, Kurt, questo ed altro." 

E si avviarono fianco a fianco verso il futuro.

 

 
Angolo autrice:  E quindi, eccoci alla fine. 
Volevo dirvi grazie; grazie per aver letto questa storia, per averla messa tra i preferiti, tra le ricordate e tra le seguite. Grazie per avermi accompagnata in questa folle, folle avventura.
Grazie per aver realizzato il mio mini-sogno di pubblicare una long Klaine prima della fine di Glee.
Grazie di cuore. <3
Prima di andare via e sparire nel nulla per un po', volevo lasciarvi una canzone molto importante per me.
Enchanted di Taylor Swift.

Detto ciò, vi auguro tante cose dolciose e, se permettete, le auguro anche a me stessa perché ne ho davvero bisogno.

Grazie ancora.
Alla prossima!

*Clicca su "completa" ed esce di scena.*

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