Gli Immortali di Cenere

di heydrarry
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 - TERI ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 - RIA ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 - ELES ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 - MEL ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 - ELES ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 - MEL ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 - TERI ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 - RIA ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 - ELES ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 - MEL ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 - RIA ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 - TERI ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 - MEL ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 - ELES ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 - RIA ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 - TERI ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 - MEL ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 - TERI ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 - RIA ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 - EPILOGO ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 - TERI ***


Attenzione!

Questa storia appartiene ad una serie. Prima di questa fan fiction che tu, amato lettore, stai per leggere, ce n’è un’altra. Se l’hai letta, prego, continua pure a leggere e grazie per aver voluto leggere il sequel. Se non l’hai letta e non ti interessa nemmeno, continua pure e buona lettura, ma ti avverto: non ti garantisco che tu possa capire proprio tutto perché non so se sono stata abbastanza brava a fare in modo che tu capissi lo stesso, (dovrai dirmelo tu) ma ti assicuro che ho fatto del mio meglio.
Lettore avvisato, mezzo salvato.
Se invece vuoi scoprire cosa è successo prima perché non vuoi fermarti durante la lettura e domandarti “Ma di che Ade sta parlando?”
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Capitolo 1

 

TERI

 

 

Mi sedetti sull’erba, vicino a Nico e a Gregor, i miei fratelli. Lasciai appositamente spazio accanto a me, sperando che qualcuno di speciale lo occupasse. C’erano le coppiette che si sbaciucchiavano, come al solito, ma per la prima volta, dopo un anno dalla mia delusione amorosa, non mi infastidiva. I miei fratelli parlavano tra loro, io fissavo le Cabine, sperando che quel ragazzo mi raggiungesse. Mi sentii un po’ idiota. Non volevo prendermi di nuovo una cotta. Ne avevo avuta una sola ed ero stata così tremendamente delusa da essermi chiusa in me stessa e diventare ciò che ero, una ragazza dall’aspetto poco raccomandabile. Non ero mica nata dark, nossignore. Prima ero una ragazza simile a Eles, la bellissima figlia di Apollo, non propriamente popolare, ma mi piaceva stare in compagnia, andare al parco e ridere. Quella dark era la mia modalità di difesa, attiva da così tanto tempo da non riuscire a disattivarla. Qualcuno si sedette accanto a me, appoggiando la sua lanterna sul prato.
«Hey» mi salutò Leo, sorridente. Ricambiai con un sorriso appena accennato. Quando iniziava lo spettacolo dei fuochi d’artificio? Non vedevo l’ora che spegnessero le lanterne. Arrossire davanti a lui sarebbe stato più che imbarazzante.
«Senti, Teri...» disse Leo, così a bassa voce che dovetti sporgermi verso di lui per sentire.
«...Domani parti per l’impresa e non hai ancora un’arma tutta tua. Ecco io...ne avrei fabbricata una. Mi chiedevo se durante i fuochi d’artificio ti andasse di venire a vederla».
Un’arma era ciò che desideravo e stare con lui anche. Ma evitai di mostrarmi troppo felice.
«Certo, mi piacerebbe» risposi, sorridendo appena.
Il volto di Leo sembrò illuminarsi, ma probabilmente era solo una mia impressione.
«Okay, appena inizia lo spettacolo ti porto nel Bunker 9».
Fece appena in tempo a finire la frase che le altre lanterne si spensero e il botto iniziale esplose nel cielo. Leo si affrettò a spegnere la sua lanterna e ad alzarsi in piedi. Mi misi in piedi cercando di essere più silenziosa possibile e seguii Leo verso la Foresta. Leo accese il fuoco nella sua mano facendo luce. Non parlammo durante il percorso. Si sentiva solo il crepitio del fuoco e il rumore dei rami sotto i nostri piedi. Era strano. Avevamo iniziato a parlare durante gli allenamenti di corsa e mi aveva fatta ridere. E, come se le risate fossero droga, ne volevo di più. Volevo ridere e sentirmi felice, in quella nuova vita al Campo.
«Eccoci arrivati» annunciò il figlio di Efesto, spegnendo il fuoco nella sua mano. Lo seguii nel Bunker, trattenendo a stento un sorriso di impazienza.
«Il tuo mondo» mormorai, guardandomi intorno. Quel posto era pieno di attrezzi, armi e altri progetti lasciati a metà.
Leo sorrise fiero.
«Sì, lo è. Mi sento molto più a mio agio qui, tra le macchine»
«Piuttosto che con le persone» dissi, proseguendo la sua frase. Aveva tutta la mia comprensione.
Ci fu un istante di silenzio. Poi Leo sorrise e prese da un chiodo un laccetto nero con qualcosa che luccicava. Afferrò un lembo della sua maglietta arancione e ripulì quell’oggetto facendolo brillare ancora di più. Poi si avvicinò per mostrarmelo. Era un laccetto di cuoio nero con quattro perline dorate.
«Permetti che te lo allacci?» chiese. Annuii e spostai i capelli. Leo appoggiò la collana sul mio collo e la strinse in un nodino. Il contatto delle perline dorate sulla mia pelle non fu freddo come mi aspettavo, anzi, emanavano un lieve calore. Le dita di Leo che trafficavano per annodare il laccetto mi facevano appena il solletico sul collo, ma erano piacevolmente calde.
«Ecco fatto» disse il figlio di Efesto. Lasciai ricadere i capelli sulle spalle.

«Ti dona, per essere un’arma»
«Grazie Valdez» replicai. «Come funziona?»
«Appoggia una mano sulle perle e poi tira il laccetto come se volessi strappartelo. Però sarà il caso di allontanarti un po’, a meno che non voglia tagliarmi la testa»
Indietreggiai di qualche passo e afferrai il laccetto in corrispondenza delle perle, poi feci come per strapparmelo, come aveva detto Leo. Le quattro perle si tramutarono in un’elsa dorata e il laccetto in una lama di una sciabola affilata e nera come la pece. Sull’elsa vi era scolpito il simbolo di Ade in basso rilievo. Rigirai la spada per provarne il peso. Era perfetta per me. Notai sull’altro lato dell’elsa il simbolo di Efesto e sorrisi.
«Ferro dello Stige» mormorai, stupita e facendo ruotare la spada nell’aria. Leo annuì, sorridendo.
«Sono riuscito a procurarmene un po’ quando sono stato negli Inferi» spiegò. «E dopo aver visto che amavi la spada di Nico ho deciso di usarlo per fabbricarne una simile»
Annuii. «È stupenda, Leo. Come faccio a richiuderla?»
«Appoggia la lama di taglio sul tuo collo, come se volessi decapitarti» rispose.
Così feci. Non appena la lama toccò il mio collo si assottigliò fino a diventare un laccetto e l’elsa si divise in quattro innocenti perle dorate.
«Oh miei dei, Leo! È incredibile! Grazie, davvero». Mentre provavo la spada, il ragazzo aveva afferrato qualcosa dal tavolo da lavoro e aveva cominciato a lavorarci su in modo maniacale. Sembrava nervoso.
«Ma se tipo restassi attaccata ad una roccia solo per la collana e sotto di me ci fosse il vuoto la sciabola si aprirebbe e cadrei giù?»
Leo non distolse lo sguardo da ciò che stava modificando.
«No, le perle si aprono solo se tirate dalle tue mani. E no, se qualcuno volesse ucciderti con la tua stessa arma non potrebbe, la lama si assottiglierebbe e tornerebbe a essere una collana».
«Wow» mormorai.
«Sono contento che ti piaccia. Così avrai un’arma potente anche tu nell’impresa» disse Leo, sempre concentrato sul suo lavoro. Chinò la testa, impegnato, e mi sembrò di scorgere le guance tingersi di rosso. C’erano i suoi capelli ricci a coprirmi la visuale, quindi probabilmente mi sbagliavo. In lontananza sentivo ancora i fuochi d’artificio. Ancora pochi minuti e poi le lanterne si sarebbero riaccese e gli altri mezzosangue si sarebbero accorti della nostra assenza. Meglio sfruttare il tempo rimasto, pensai. Appoggiai le mie mani sulle sue, togliendogli di mano l’affare su cui era tanto concentrato. Leo non oppose resistenza e alzò lo sguardo verso di me. Sentivo il cuore battermi forte. Appoggiai quella specie di hard disk che gli avevo tolto dalle mani sul tavolo da lavoro e gli sorrisi. Leo deglutì a fatica e sentii il suo respiro farsi più corto. Eravamo così vicini che i suoi capelli ricci mi solleticavano la fronte. Allungai le mani tremanti e le appoggiai intorno al suo collo. Leo appoggiò le sue sui miei fianchi senza smettere di guardarmi negli occhi.
Si sporse appena e avvertii la calda e piacevole sensazione delle sue labbra sulle mie. Sentii il cuore battere forte contro il petto, o forse era il suo. Non riuscivo più a distinguerli, tanta era la vicinanza. Le sue mani soffici mi accarezzavano i fianchi. Feci passare una mano tra i suoi capelli. Per tutta la durata del bacio pensai due cose. Primo, era il primo bacio più bello che potessi desiderare e Leo baciava così bene che non volevo più staccarmene. E secondo, il mio cuore batteva così forte che mancava poco alla sua esplosione.
Quando ci staccammo (troppo presto) mi accorsi di aver trattenuto il fiato per tutto il tempo.
«Non potevo non farlo prima di partire» dissi. Leo mi accarezzò le guance.
«Non mi dire che temi di non tornare»
Lo guardai dritto negli occhi.
«Sì che temo di non tornare. Sono addestrata da così poco...E poi queste creature che disturbano Ade...non credo che saranno così gentili anche con sua figlia».
Leo scosse la testa.
«Mi sei piaciuta sin da quando ti ho vista cacciare quella creatura infernale dal Campo» disse. «Sei straordinaria, Teri. Sono certo che tornerai. E lo farai ancora più bella e forte di prima».
Rimasi senza parole e mi limitai a fissarlo con un sorriso incredulo sulle labbra.
«Forse ho detto troppo...» mormorò, e fece per staccarsi ma lo trattenni e lo baciai di nuovo.
Forse sarà stato il primo bacio così bello da farmene desiderare altri, ma avrei voluto che quei fuochi d’artificio non finissero più. Leo mi strinse i fianchi con una presa più salda, facendo aderire i nostri corpi. Il bacio, dapprima timido e dolce, si stava facendo più passionale e la stanza si stava facendo piuttosto calda.
Leo si staccò all’improvviso, guardandosi le mani. Abbassai lo sguardo anch’io e vidi che stavano fumando. Trattenni a stento un sorriso.
«Scusa» disse, impacciato. «Ho perso il controllo per...per l’emozione». Le sue guance erano ancora più rosse di prima.
«Non mi hai fatto niente» lo rassicurai. «Sta’ tranquillo». Leo sorrise.
«Svegliati» rispose, con una voce non sua. Aggrottai la fronte.
«Come sarebbe a dire?»
«Svegliati, ho detto!» sbraitò quella voce aggressiva. Sentii dolore al lato destro e un secondo dopo Leo svanì. Riaprii gli occhi in una cella polverosa. Ludkar era in piedi accanto al mio letto, con uno sguardo sprezzante.
«Alzati!» gridò. Scostai la coperta e mi alzai. Era più alto e muscoloso di me, ma lo fissai con tutta la sfacciataggine che riuscii a trovare.
Mi avevano rapita dopo il funerale di Aurora e Rose, due ragazze morte nell’impresa contro i vampiri neonati, la stessa impresa da cui temevo di non tornare. Aurora era mia amica, una delle prime che mi aveva accolta al Campo. Dopo il funerale ero emotivamente e fisicamente distrutta. Così Ludkar e Kolor avevano approfittato per rapirmi. Nessuno se n’era accorto per via della confusione.
Mi avevano tagliato il laccetto regalatomi da Leo e anche la treccia in cui erano legati i miei capelli. Poi mi avevano presa a pugni e io non avevo avuto forza per difendermi.
Quando avevo sputato il sangue dalla bocca l’avevano pulito dalla mia faccia con la mia treccia.
«Così la mandiamo come avvertimento» aveva detto Ludkar a Kolor. L’altro aveva annuito, poi aveva fischiato ed una cornacchia l’aveva raggiunto. Aveva sussurrato qualcosa in una lingua che non ero riuscita a capire e poi la cornacchia era partita. Ludkar mi aveva legato i polsi e bendata. Avevo rivisto la luce in una fabbrica grigia e puzzolente di bruciato. Un altro loro amico Nocturno aveva scelto una stanza buia e mi ci aveva gettata dentro. Di quel tipo mi ricordavo solo i capelli lunghi e ricci e le braccia forti. Non avevo né detto niente né pianto. Aprivo i rubinetti dopo che mi avevano servito la cena. Non rivolgevo loro nemmeno una parola.
Facendo un calcolo approssimativo ero lì da almeno un paio di mesi. Era fine agosto, o forse settembre, ma non riuscivo a rendermene conto perché in quel posto non faceva né caldo né freddo. Non c’era nemmeno differenza tra giorno e notte. Si respirava polvere e basta.
Mi stropicciai gli occhi, e trattenni un sospiro. Ogni “notte” era lo stesso sogno. Volevo capire come contattare Mel. Era la ragazza con cui avevo un legame empatico, quindi avrei potuto mandarle un messaggio tramite sogno. Ma dopo tutti i tentativi in risposta avevo solamente un ricordo che conservavo dalla mia ultima sera al Campo prima di partire per l’impresa. Era il ricordo più bello che avessi, certo, ma non mi aiutava a chiedere aiuto.

«Allora, bellina» disse Ludkar. «Oggi ti presenterò il signor Attizzatoio. Sono certo che diventerete amici. E magari vi faccio un piccolo video e lo mando al tuo papà laggiù. Così, si deciderà a fare cosa gli diciamo noi».
«Perdete il vostro tempo» replicai. E come se Ade avesse un lettore dvd.
«Ah sì?» Premette l’attizzatoio contro il mio ginocchio. Urlai, sia per il gesto improvviso che per il dolore lancinante. «Fa niente. Tanto, con tutta l’eternità davanti, chi se ne importa del tempo perso?». E schiacciò nuovamente l’attizzatoio bollente contro la mia gamba. Lanciai un altro grido, più forte del primo, che mi lasciò senza fiato. Lo guardai con tutto l’odio che riuscii a trovare e riuscii a trovare la forza di tirargli un pugno. Caricai e puntai alla mascella. Ludkar si dovette far male, perché sputò sangue nero. Ne approfittai per tirargli un calcio e allontanarlo da me. Non riuscii a spostarlo di nemmeno un centimetro. Anche mentre tossiva sangue era più forte di me.
Trattenni un conato. Quando si fu ripreso, mi guardò nuovamente negli occhi. Allungò una mano, e pensai che stesse per darmi uno schiaffo. Invece mi accarezzò le guance con fare gentile.
«Sai, mi piacciono le ribelli». Corrugai la fronte. Sì, e io detesto i Guns N’ Roses.
«Davvero» confermò, davanti alla mia espressione sospettosa. Mi spostò una ciocca di capelli dal viso e tracciò il contorno delle mie labbra con il pollice.
«Peccato che il signor Attizzatoio non la pensi così». E schiacciò l’arma incandescente contro il mio petto.

 

Angolo dell’autrice
SALVEEEE! Chiedo umilmente perdono. La storia era praticamente pronta a Settembre, mancavano le mie ultime correzioni e anche quelle della mia beta. L’avrei anche postata ad Ottobre, come avevo promesso, ma ci sono stati dei problemi. A Settembre sono stata in Romania ed è stata la mia prima esperienza all’estero e per questo bellissima, ma sono tornata in Italia con una stupenda broncopolmonite presa sul Danubio (pioveva e io avevo soltanto una felpa di cotone) che mi ha tenuta a letto con febbre e tosse per quindici giorni. Poi sono guarita e tornata a scuola, ma dovevo recuperare le cose perse in dieci giorni di viaggio in Romania più i quindici di malattia. Praticamente avevo una montagna di compiti che, grazie agli dei, sono riuscita a fare. Ed è arrivata la fine ottobre. In questi giorni ho rivisto la fan fiction con la mia beta Mela (ma dai?! Chi sarà mai? Btw, grazie raggio di sole) e oggi finalmente posso dirmi più o meno soddisfatta e postare. Posterò ogni weekend.
Spero vi piaccia, fatemi sapere in una recensione (anche critica!) e buona domenica!
           

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 - RIA ***


Attenzione!

Questa storia appartiene ad una serie. Prima di questa fan fiction che tu, amato lettore, stai per leggere, ce n’è un’altra. Se l’hai letta, prego, continua pure a leggere e grazie per aver voluto leggere il sequel. Se non l’hai letta e non ti interessa nemmeno, continua pure e buona lettura, ma ti avverto: non ti garantisco che tu possa capire proprio tutto perché non so se sono stata abbastanza brava a fare in modo che tu capissi lo stesso, (dovrai dirmelo tu) ma ti assicuro che ho fatto del mio meglio.
Lettore avvisato, mezzo salvato.
Se invece vuoi scoprire cosa è successo prima perché non vuoi fermarti durante la lettura e domandarti “Ma di che Ade sta parlando?”
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Capitolo 2

 

RIA

 

 

Afferrai la palla e ci palleggiai per un po’, a bordo campo.
«Vuoi muoverti?!» gridarono i miei compagni di squadra. Sorrisi ad una delle ragazze che avevano alzato gli occhi al cielo e sibilato un “ragazza idiota”, credendo che non l’avessi sentita.
Portai il mio indice e il mio medio in corrispondenza dei miei occhi e poi li puntai verso di lei, mimando con la bocca un “Ti vedo”.
Fermai la palla con la mano sinistra e chiusi la destra in un pugno, per poi eseguire la migliore battuta d’inizio mai vista in quel cortile malandato.
La palla schizzò nell’altro campo e la partita iniziò.
Me la cavavo in pallavolo, di solito.
La scuola era iniziata da ormai tre settimane. Mio padre aveva deciso di iscrivermi ad una scuola superiore più vicina al Campo e il padre di Mel e la madre di Eles avevano deciso di fare la stessa cosa. Frequentavamo così la stessa scuola, ma essendo più piccola di loro non avevo nemmeno una lezione in comune. Oh, voi vi starete chiedendo cos’è il Campo. Dovete sapere che io sono una semidea. Mio padre è un avvocato, mia madre è Nemesi, dea greca della vendetta e della giustizia. Eles, figlia di Apollo e Mel, figlia di Atena sono le mie compagne d’avventura. Insieme abbiamo affrontato un esercito di vampiri l’estate scorsa. Non eravamo solo noi tre in quest’impresa. C’erano anche dei guerrieri provenienti dal futuro e Teri, la prima figlia di Persefone, la dea della primavera. Teri era stata rapita il giorno stesso in cui eravamo rientrate dall’impresa. Erano stati i Nocturni, una specie di vampiri molto vecchi e dal giorno del rapimento non avevamo avuto nemmeno uno straccio di notizia. L’unica cosa che sapevamo era che era viva, perché in caso contrario anche Mel sarebbe morta. Tra loro c’era un legame empatico, ma fino a quel momento era stato utile solo a dirci che era viva, ovunque fosse.
Segnai un punto per la mia squadra.
In quelle tre settimane di scuola Eles aveva deciso di diventare meno popolare rispetto a quando era nell’altra scuola, ma con scarsi risultati. Non poteva farci niente se era bella ed era il tipo di tutti i ragazzi. Mel non aveva ancora avuto occasione di mostrare la sua intelligenza superiore ai professori, essendo solo al ventuno di settembre. Io non avevo nessuna caratteristica che spiccasse particolarmente come loro due. Non ero un genio, né bellissima. Ma alcune delle mie compagne di classe avevano capito che era meglio non avermi come nemica.
Schiacciai la palla nell’altro campo e alcuni dei miei compagni gridarono frasi d’incoraggiamento.
L’aria mite di settembre era piacevole e mi stavo divertendo.
Qualcuno urlò una frase piuttosto volgare e mi voltai, alzando un sopracciglio.
«Bonjour finesse!» esclamai, rivolta al ragazzo. Era un tipo alto, rotondo e con l’espressione idiota. I capelli erano unticci, gli occhi piccoli e infossati. Indossava dei vestiti troppo piccoli per lui che gli lasciavano scoperta la panciona e quei prosciutti che aveva al posto dei polpacci.
Il ragazzo mi guardò e cominciò a correre nella mia direzione urlando parolacce. Poi all’ultimo secondo mi scansò e continuò a correre.
C’era qualcosa di strano. Uscii dal campo di pallavolo e entrò un altro ragazzo al mio posto. Corsi alla panchina e presi la mia borsa. Me la portavo sempre insieme. Era una piccola borsa di jeans un po’ scolorito che si chiudeva con una zip che sembrava poter contenere appena un cellulare (che noi semidei non usiamo), invece ci andava un mondo intero. Io ci mettevo principalmente dracme, soldi mortali, il mio coltello avvelenato, il mio scudo camuffato come un cd di bronzo e altre armi pericolose donatemi da Chirone, che non starò qui a dirvi perché altrimenti comincerete a dire che sono troppo piccola per usarle e blah, blah, blah.
Presi il mio coltello avvelenato e lo sfoderai. Il ragazzo strano si voltò di scatto verso di me.
«Tanto sei morta, Cacciatrice» sibilò, con una voce diversa.
Cacciatrice? Che cosa significava? Non avevo mai giurato la mia fedeltà ad Artemide.
Il ragazzo fece come per togliersi la maglietta ma la sua testa cominciò a girare a trecentosessanta gradi. Poi si gettò a terra e al posto delle braccia gli spuntarono due serpenti. Presi il disco di bronzo dalla borsa e feci come per lanciarlo, trasformandolo in uno scudo.
«Io non ne sarei così sicura» replicai e mi avventai su di lui. Schivai un morso di uno dei due serpenti e affondai il coltello nel collo del serpente. L’altro sibilò e mi attaccò ad una gamba, ma saltai evitando il morso. Il serpente rimasto mi sputò addosso qualcosa che a contatto con il mio scudo sfrigolò e lasciò una bruciatura. Se sul bronzo aveva quell’effetto preferivo non pensare a ciò che sarebbe potuto succedere alla mia pelle. Sentii lo scudo farsi improvvisamente più pesante e poi scottare. Lo lasciai cadere e inciampai. Il mostro mi si avvicinò sibilando.
Rotolai su un fianco e solo in quel momento mi accorsi che il secondo serpente si stava riformando. Oh, fantastico. Due serpenti che non sapevo come sconfiggere, un coltello avvelenato che non avvelenava un bel niente e niente scudo. Per fortuna quel mostro non funzionava come l’idra, a cui se tagliavi una testa ne rispuntavano due ancora più arrabbiate al suo posto.
I due serpenti sibilarono verso di me, così tentai l’unica possibilità che mi restava. Lanciai il coltello tra le due teste. La mia migliore amica al Campo Mezzosangue, Arika, figlia di Zeus, mi aveva insegnato a prendere bene la mira, anche da stesa.
I due serpenti si mossero in modo strano, ondeggiando. Poi si afflosciarono a terra.
Recuperai subito il coltello e mi rialzai in piedi. Mi aspettavo di ritrovare polvere giallognola sulla lama, invece c’era sangue nero. Alzai lo sguardo e vidi che il mostro non si era dissolto come mi aspettavo. Non ebbi nemmeno il tempo di aggrottare le sopracciglia che i due serpenti si ripresero. Riaprirono gli occhi gialli e li puntarono su di me, ancora più furiosi di prima.
Sputarono ovunque quel veleno strano che mi aveva bruciato lo scudo. Scansai i primi colpi, ma poi presero il polso e lasciai la presa sul coltello. Mi inginocchiai a terra e sentii le lacrime che mi riempivano gli occhi per il dolore, simile a mille aghi infuocati conficcati nella pelle. Trattenni un urlo e tirai un pugno ad uno dei serpenti che si innervosì ancora di più. Che brutta morte che avrei fatto.
Ad un tratto una luce più forte di quella del sole entrò nel mio campo visivo. Un secondo dopo il mostro era sparito e mi accorsi di una mano che mi offriva aiuto. L’afferrai e mi rimisi in piedi. Me l’aveva porta una figura alta, dalle spalle larghe. Un cappuccio nero calato sul volto m’impediva di vederlo in volto, o forse era il veleno che cominciava a fare effetto e mi rendeva la vista più scura del normale.
«Questo deve essere tuo» disse una voce maschile, porgendomi il coltello. Cercai di prenderlo, ma mi sentii mancare la terra da sotto ai piedi. Mi sentii afferrata al volo.
«Merda. Il demone deve averti colpito con il veleno. Menomale che Alec mi ha lasciato il suo stilo» mormorò quella voce grave ma giovane.
Il ragazzo mi appoggiò per terra e sentii qualcosa di caldo sfrigolare sulla mia pelle. Bruciava appena, ma in confronto al veleno era un dolore minimo. Sbattei gli occhi e riuscii a mettere a fuoco un paio di occhi azzurri su un volto diafano. Quel ciuffo di capelli biondi mi fece pensare ad un angelo.
«Hey, tutto bene? Sembra che l’iratze stia facendo effetto...ma con voi piccolini non si sa mai»
«Non ho la minima idea di cosa sia un iratze, ma mi sto sentendo meglio» risposi, mettendomi seduta.
Mi porse il coltello, lo presi e lo rinfoderai.
«La prossima volta assicurati che ci siano le rune prima di affrontare un demone»
«Le rune? Demone? Non si chiamavano semplicemente mostri? Amico, sarà la saliva che quel coso mi ha sputato, ma tu parli decisamente strano»
Il ragazzo aggrottò le sopracciglia bionde. Avrà avuto circa sedici, massimo diciassette anni. Era vestito completamente di nero e dallo scollo e dalle maniche della maglietta si vedevano delle strisce nere di tatuaggi. Alle spalle aveva degli spadoni enormi, in mano teneva una spada sottile che gli illuminava il volto con una luce azzurrognola.
«Strano? Sei tu che sei strana per essere una Cacciatrice»
«Ma che diavolo avete tutti oggi? Non sono una cacciatrice, per Zeus!»
Un tuono fece tremare il terreno.
«Già, i nomi sono potenti. Dicevo, non sono una Cacciatrice. Non ho mai giurato fedeltà ad Artemide. Sono una semplice semidea, figlia di una divinità minore, per giunta»
Mi parve che la confusione del ragazzo aumentasse.
«Ma no, tu sei figlia di Carl, sei una Shadowhunter. Gli assomigli molto»
«Come conosci mio padre? Chi sei?»
«Mi chiamo Hen. Sono uno Shadowhunter, come te e come tuo padre. Ma tu non hai la runa della vista!» esclamò, afferrandomi la mano. La ritrassi, indispettita.
«Okay, Hen. Probabilmente mi avrai scambiata per un’altra persona. Io sono Ria, una semidea figlia di Nemesi. E ti garantisco che mio padre non è uno Shadowcoso»
«Wow, figlia di Nemesi. Ecco a cosa si riferiva Carl quando ha detto che fai parte di due mondi diversi contemporaneamente».
Non mi piacevano quelle insinuazioni. Probabilmente il Carl a cui si riferiva lui non era mio padre. Era un nome piuttosto comune.
«No, caro. Appartengo ad un solo mondo, quello dei semidei greci. Fine della storia» E quel mondo mi bastava e avanzava per due o tre vite.
«No, Ria. Non hai mai notato che tuo padre è pieno di tatuaggi come questi?» chiese, sollevando una manica. Il suo avambraccio era pieno di strane linee nere che erano spaventosamente simili a quelle di mio padre. Che moda strana.
«Sono rune. Come quella che ho fatto a te per farti guarire, l’iratze. Se nel tuo sangue scorresse solo sangue mondano e divino saresti morta. Invece nel tuo sangue scorre sia l’icore di Nemesi che il sangue dell’angelo Raziel» Mi guardai il polso ferito dal veleno del demone e vidi delle strisce nere che andavano sbiadendosi e lasciavano una cicatrice. Capii perché non si fosse dissolto in polvere giallognola. Non era un mostro della mitologia greca, ma un demone. Mi sentii scombussolata. La testa mi girava vorticosamente e non saprei dirvi se fosse per colpa del veleno che mi circolava ancora nel corpo oppure per la presa di coscienza di ciò che mi stava succedendo. Non potevo far parte veramente di due mondi strani, no. C’era sicuramente una spiegazione. Le coincidenze esistono, no?
«Che significa mondano?» chiesi ad Hen.
«Okay, qui c’è da fare un bel chiarimento e la storia è bella lunga. Andiamo, gli altri avranno già salvato le tue amiche».


Hen mi condusse sul cortile anteriore della scuola. Nessuno sembrava accorgersi di noi. La Foschia faceva vedere ai mortali ciò a cui avrebbero potuto dare una spiegazione, ma non ci faceva diventare completamente invisibili.
«Ti ho resa invisibile agli occhi dei mondani» spiegò, come leggendomi nella mente. Probabilmente si era accorto della mia espressione stupita.
«Ah, ecco Viktor e Jace! Quelle devono essere le tue amiche. Anche loro semidee?»
«Sì» mormorai. «Quella riccia con gli occhi grigi è Mel, figlia di Atena. L’altra, l’abbronzatissima, è Eles, figlia di Apollo»
Hen fece un cenno ai due ragazzi, uno moro e l’altro biondo, seduti accanto alle mie amiche. Non appena ci videro scesero dal muretto e si affrettarono a raggiungerci.
«Ehm, rinfrescami la memoria. Apollo è il dio del sole, della medicina e delle arti. Atena, invece? Dea della saggezza, giusto?»
«E della strategia militare» aggiunsi.
«Nemesi, tua madre, è la dea della vendetta»
«Esatto»
I due ragazzi e le mie amiche si avvicinarono. Vidi che anche Eles aveva una runa sulla spalla e un’altra sull’avambraccio. Anche io ne avevo due. Dedussi che una fosse l’iratze e l’altra quella per rendermi invisibile. Mel non aveva niente.
«Perché Mel non ha rune?» chiesi.
«Temo proprio che la tua amica non sia come te e Eles» disse uno dei due ragazzi. Era quello moro, con la carnagione chiara e una spruzzata di lentiggini sul naso. Anche lui vestito di nero e pieno di rune. Osservai lo scollo e le maniche del biondo e non mi stupii di vedere i segni neri che facevano capolino.
«Eles è una Shadowhunter come me?» domandai.
Eles annuì, anche se non sembrava convinta. Non sapevo lei, ma io non ci avrei completamente creduto prima di ricevere conferma da mio padre.
«Jace, è vero. Queste ragazze fanno parte di due mondi strani contemporaneamente»
«Allora Carl non aveva bevuto. Probabilmente anche la ricciolina riuscirebbe a sopportare una runa non troppo potente, non essendo completamente mondana» rispose il biondo.
«Ho un nome» borbottò Mel, per poi guardarsi intorno con aria preoccupata.
«Non parlare troppo, ricciolina, altrimenti potrai salutare questa scuola mondana ed entrare in un manicomio»
Mi resi conto che lei era l’unica visibile e se avesse parlato sarebbe apparsa piuttosto idiota. Mel sembrò fare uno sforzo immane per non mandare Jace a quel paese e si spostò con fare nervoso l’elastico azzurro che aveva al polso, che non era altro che la sua arma camuffata.
«Che c’è? Vuoi dire qualcosa, ricciolina?» continuò Jace.
«Jace, quando smetterai di fare l’idiota?» intervenne Viktor. «Andiamo, Carl ci starà aspettando all’Istituto. Dobbiamo chiarire un bel po’ di cose».

 

Angolo dell’autrice
Ciao mie margheritine! :) Innanzitutto voglio ringraziare Maia_Auro e MyrenelBebbe per aver recensito, e vi invito a passare dalle loro storie che sono asdfghjkl.
Perdonatemi ma sono totalmente idiota. Avevo già corretto il capitolo e stavo per postarlo sabato, ma non so perché me ne sono scordata. Il bello è che ero convinta di averlo postato!
Me ne sono accorta solo oggi, perdonatemi. In questo capitolo ho introdotto il crossover con Shadowhunters. Dei personaggi originali ci sono Jace, Magnus,
Alec e Hodge ed è un AU in cui Jace e Clary non si sono mai conosciuti e Jace resta un Wayland. Spero vi piaccia e fatemi sapere cosa ne pensate in una recensione, anche critica.
Un bacio e alla prossima!

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 - ELES ***


Capitolo 3

 

ELES

 

 

Decidemmo di prendere la metropolitana per raggiungere l’Istituto di cui Viktor aveva parlato. Viktor, lo slanciato e muscoloso ragazzo che mi aveva salvato la vita. Aveva l’aria dolce, con quegli occhi scuri e le lentiggini sul naso e sulle guance, ma mentre combatteva assumeva uno sguardo piuttosto inquietante. Due demoni mi avevano attaccata contemporaneamente mentre andavo in bagno. Il mio arco non era stato molto utile, visto che un battito d’occhi dopo i mostri si erano ricomposti.
Viktor mi aveva spinta di lato e li aveva uccisi con pochi, letali e decisi colpi di lama angelica. Mi aveva curato la ferita alla spalla con uno strano simbolo nero tracciato da un affare che lui aveva definito ‘stilo’. Poi mi aveva intimato di richiudere l’arco e seguirlo nel cortile della scuola. Lì avevo trovato Mel piuttosto scossa, seduta accanto ad un ragazzo biondo vestito di nero come Viktor. E poi era arrivata la bomba.
«Tu sei la figlia di Angelina, vero?» mi aveva detto Jace. «Le somigli molto»
Stavo per chiedergli come conoscesse mia madre, quando Viktor mi aveva afferrato il polso e mi aveva tracciato un altro simbolo nero con lo stilo.
«Serve a renderti invisibile. Noi lo siamo già, ma tu puoi vederci perché hai nelle vene sangue di Shadowhunter. Tua madre è una cacciatrice di demoni professionista».
«Mio padre non è uno Shadowhunter. Ma io vi vedo lo stesso» aveva detto Mel.
«Ne sei sicura? Come si chiama?» aveva chiesto il biondo.

«Si chiama Larry Evans»
Sia Viktor che l’altro, Jace, si erano fatti pensierosi.
«E non credo proprio che Atena sia una Cacciatrice di demoni» aveva aggiunto Mel, prima che Jace e Viktor potessero aprire bocca.
«Atena?» aveva domandato Jace. Aveva lanciato un’occhiata a Viktor.
«Quindi Carl non mentiva. Appartenete a due mondi strani contemporaneamente. Ecco perché puoi vederci pur non essendo una Shadowhunter»
«Io non appartengo al vostro mondo» aveva borbottato Mel.
Ed io non avevo fatto in tempo a chiarire che anche per me era così. Mia madre era solo una poliziotta, mio padre era Apollo. Poi avevo visto i strani segni neri che i due ragazzi avevano sulle braccia e mi ero sentita impallidire, cosa strana per me. Erano uguali a quelli di mia madre.
Pochi minuti dopo eravamo sulla metropolitana.
«E quindi siete per metà dee e per metà Shadowhunter, tranne la figlia di Atena, qui» disse Hen. «Direi un bel mix di pericolosità. Non mi sorprende che i demoni abbiano...» Jace gli tirò un calcio allo stinco, interrompendolo.
«Non sta a te dirlo, Hen» mormorò. «Carl e Hodge sapranno spiegare la situazione meglio di noi»
«Non potete dirci nemmeno un indizio su cosa si tratta?» chiese Mel, sottovoce.
«Tieni, usa questo per parlare. Così la gente non ti prenderà per pazza» disse Viktor, porgendole un cellulare. Nell’istante in cui lo vidi lo feci volare via spingendo il braccio di Viktor verso il finestrino.
«Sei matta?» sbottò Viktor.
«Per noi quegli affari sono un pericolo! È come gridare ai mostri “hey, siamo qui! Venite a prenderci”. Non credo che le vostre armi fluorescenti fermerebbero mostri mitologici.» spiegò Ria.
Mel annuì. Era piacevole non sentirla fare la solita so-tutto-io. Peccato che quel silenzio sarebbe durato poco.
«Giusto. Carl ci aveva detto anche questo» disse Viktor. «Ma era il mio nuovo Galaxy!»
«Carl ci ha detto un macello di cose ed era impossibile ricordarsele tutte» replicò Hen.
Il resto del viaggio proseguì in silenzio.
La metropolitana si fermò e scendemmo dal mezzo.
Mentre percorrevamo la stazione, vidi uno schermo sintonizzato su canale 39. Trasmettevano notizie flash.
«Indossano dei costumi, ma non siamo ad Halloween. Sono i supereroi del mondo reale!» esclamò la giornalista. Aggrottai la fronte e mi fermai davanti allo schermo.
«Perché ti fermi?» chiese Mel, guardandosi indietro. Le feci cenno di avvicinarsi.
«Da quando due anni fa i primi cittadini si sono infilati il mantello e maschera, il movimento ha iniziato ad espandersi». L’inquadratura cambiò e inquadrò un uomo vestito con una divisa da supereroe bordeaux e bianca, con tanto di maschera.
«Sono un supereroe grazie a Kick-Ass!» esclamò.
L’immagine staccò su un altro tizio con una divisa militare blu, con elmetto e, anche lui, con una maschera. Agitava delle strane seghe a sonagli mentre parlava.

«Sì, torni a casa dal lavoro, ti infili il costume, e vai con le seghe in ricognizione!»
La scena cambiò ancora su una coppia. I due indossavano delle semplici tute blu con delle strisce arancioni. Anche loro, maschere abbinate. Dalla felpa aperta si intravedeva la foto di un bambino.

«Vogliamo rendere le strade sicure» dichiararono.

«Già, dobbiamo preoccuparci di proteggere gente così» commentò Jace. «Si vanno a cercare i guai da soli, questi mondani».

Mi strinsi nelle spalle e li seguii fuori dalla stazione.


I tre ragazzi ci condussero per le strade di Brooklyn, fino a quando non ci imbattemmo in una cattedrale meravigliosamente imponente.
Anche Ria e Mel tenevano il naso in su, e non c’era da biasimarle. Era davvero stupendo.
«Questo è l’Istituto, ragazze» annunciò Hen, entrandoci.
L’interno era spettacolare quanto l’esterno. Le mani mi prudevano per il desiderio di prendere fogli e pastelli e mettermi a disegnare per catturare quell’immagine.

I Cacciatori ci condussero verso un ascensore. Vi entrammo, ancora in silenzio per lo stupore.
«Non vedo l’ora di dirlo ad Annabeth. Sono certa che amerebbe questo posto» disse Mel.
«Ce ne sono molti di mezzosangue in giro?» chiese Hen.
«Abbastanza. C’è un Campo tutto per noi» risposi.
Arrivammo al piano e uscimmo dall’ascensore. Un gatto miagolò verso Viktor, che sorrise e gli accarezzò la testa.
«Ciao Church. Ti dispiacerebbe condurci da Carl?» domandò.
Pensai che il gatto avrebbe continuato a farsi coccolare, invece si girò e ci condusse lungo un corridoio.
«Intelligente» mormorai.
Viktor si girò verso di me e mi fece l’occhiolino.
«Ci puoi scommettere, bellezza»
Alzai gli occhi al cielo. Non essere chiamata ‘bellezza’ non mi era mancato affatto durante l’estate. Non mi piaceva essere chiamata così, mi faceva sentire sottovalutata e stupida. Okay, non mi vantavo di essere intelligente quanto Mel, ma non ero nemmeno idiota.
«Chissà come sembrerai con il corpo pieno di rune» continuò. «Quando finirai l’allenamento mi offrirò di fartele di persona»
«Oh, sono certa che tu non hai la minima capacità di farle prendere le Rune. E ti prego, evita di fare il pedofilo» borbottò Mel.
«Perché, quanti anni avete?» domandò Viktor.
«Io ne ho quattordici. Mel ne ha compiuti quindici due giorni fa e Ria ne farà quattordici tra cinque giorni» risposi.
«Oh, wow. Sembrate più grandi» disse Hen.
Pensai che se davvero fossi stata metà Shadowhunter, avrei dovuto farmi le rune. E il pensiero non mi piaceva. Avevo qualcosa contro i tatuaggi, i piercing e qualsiasi cosa deturpasse il corpo. Ero strana per la mia età, lo ammetto, ma non me ne vergognavo.
Il gatto ci condusse in una biblioteca. Dietro una scrivania c’era un uomo dai capelli brizzolati, gli occhi verde scuro e l’aria angosciata. Indossava un completo elegante. Dal colletto spuntava appena una spirale nera, e così anche dai polsini. Quando ci vide entrare il viso gli si illuminò e ci corse incontro.
«Papà!» esclamò Ria, abbracciandolo forte.
L’uomo la strinse forte a sé.
«Ciao Riri» mormorò.
Assistere a quella scena mi fece sentire di troppo. Era così familiare e intima che mi sembrava davvero una violenza della privacy stare lì, a guardarli.
Viktor, Jace e Hen sembravano piuttosto stupiti. Probabilmente non avevano mai visto Carl comportarsi in quel modo così affettuoso.
Padre e figlia finalmente si separarono e Carl ci sorrise, gentile.
«Voi siete Eles e Mel, giusto?» domandò. «Io sono Carl Blu- ehm, Johnson» porgendoci la mano.
Gliela strinsi, presentandomi.
«Perché ti sei corretto?» chiese Ria, sospettosa. «Lo so, papà. Hen me l’ha spiegato»
«Cosa?! Avevo detto di non dirle niente!» esclamò Carl, lanciando un’occhiataccia di rimprovero a Hen.
«Signore, la ragazza non voleva seguirci. Era l’unico modo per condurla qui»
L’espressione di rabbia di Carl si addolcì.
«Oh, allora se le cose stanno così...Bè, Riri, ora lo sai. Mi dispiace averti tenuto nascosto tutto, ma non avrei davvero potuto fare altrimenti»
Ria annuì.
«Lo capisco, papà. Quindi, Johnson non è il nostro vero cognome?»
Il padre scosse la testa. «Sedetevi, ragazze. Viktor, Jace, Hen, grazie per la missione. Siete stati davvero efficienti, ma ora vorrei parlare con le ragazze. Vi chiamerò io quando avrò nuovamente bisogno di voi, okay?»
I tre ragazzi annuirono e lasciarono la biblioteca, mentre noi ci sedemmo sui divanetti; io e Mel su uno e Carl e Ria su quello di fronte.
«Immagino sia una storia piuttosto lunga» disse Mel.
«Sì, immagini bene. Il nostro vero cognome è Blueway, Ria. Ho dovuto camuffarlo in Johnson perché...Bè, partiamo dall’inizio. Quando ho conosciuto tua madre, non sapevo che fosse una dea. Era bellissima, certo, ma non potevo immaginare che provenisse dall’Olimpo.
«Non ti racconterò certo tutti i dettagli della nostra storia, tesoro. Insomma, per farla breve, sei nata tu. Quando Nemesi ti ha affidata a me, rivelando poi la sua vera identità, capii che addestrarti a diventare una Shadowhunter sarebbe stato pericoloso. Così decisi di cambiare il nostro cognome in uno mondano e crescerti come una ragazza normale, fino a quando non sarebbe arrivato il tuo momento di andare al Campo.
«Ora capisci perché ero così felice che tu fossi lì? Pensavo che in te fosse prevalente la parte di tua madre. Potevi vedere attraverso la Foschia, ma il mio mondo, era a te invisibile. Non volevo vedere la tua pelle piena di cicatrici e di rune, ed ero sollevato. Purtroppo questo è valso solo per te, tesoro». Gli occhi dell’uomo si riempirono di lacrime.
Ria sbiancò in viso. Deglutì a fatica, asciugandosi il sudore delle mani sui pantaloni.
«Papà...che è successo?»
«Nemesi mi spiegò le cose basilari sul funzionamento del mondo dei semidei greci. Poi andò via, sgommando sulla sua moto, diretta all’Olimpo. Mi lasciò solo, incapace, indifeso, con una neonata da accudire e i demoni da combattere. Qualche anno dopo conobbi Veronica, una Shadowhunter come me. Pensai di aver trovato finalmente la felicità e la stabilità. Lei ti adorava, e tu adoravi lei. Quando tu avevi tre anni, però, lei dovette trasferirsi in un altro istituto, a Boston. Io non potevo andare spesso da lei, avendo molto da fare qui, all’Istituto di Brooklyn. Tu non te la ricordi molto per questo. Nonostante la distanza, quattro anni dopo nacque Onny, con i suoi stessi occhi azzurri. Fui uno stupido a pensare di potermi finalmente godere un po’ di felicità. Si sarebbe trasferita qui, a New York, e saremmo stati bene. La notte della nascita di Onny, un maledettissimo demone superiore...» l’uomo non finì la frase. Le lacrime sgorgavano lungo le sue guance. Chissà se ne avesse mai parlato con qualcuno. Quella, però, era la storia di Ria e di Carl. Io e Mel eravamo delle intruse. Intuii, però, che se ci aveva fatto accomodare e assistere era per un motivo ben preciso. In qualche modo, riguardava anche noi, e soprattutto me. Chissà qual era, invece, la storia di mia madre.
Ria abbracciò il padre, accoccolandosi accanto a lui. Il padre le accarezzò la schiena, poi si asciugò le lacrime.
«Ho cresciuto te e Onny da solo. Mi sono buttato a capofitto nel lavoro e soprattutto lasciavo che voi foste la mia felicità. Ho tirato avanti per sette anni, preoccupandomi che tu non entrassi in contatto con il mondo degli Shadowhunters. Avrei cominciato a educare Onny la prossima settimana, ma...»
Tutto il corpo di Ria era in allarme.
«Che è successo ad Onny, papà?»
Il padre abbracciò la figlia, scoppiando in un pianto sommesso.
Guardai Mel, e anche lei aveva lo sguardo perso. Non sapevamo cosa fare. Ria era sotto shock.
«Papà, non sarà mica...» Scosse la testa, rifiutandosi di dire quella parola. «L’hanno rapito, no? È ancora vivo, vorranno un riscatto o qualcosa del genere»
Carl annuì, stampandosi sulle labbra un sorriso d’incoraggiamento. Ma Ria, dopo essersi messa in piedi, urlò. Io e Mel sobbalzammo.
La figlia di Nemesi si buttò tra le braccia del padre, e scoppiò a piangere. Soffocava le urla, si aggrappava al padre.
Parecchio tempo dopo sollevò lo sguardo.
«Sai chi è stato?»
«No, Riri, ma lo scopriremo presto»
Ria annuì.
«Scusi, signor Blueway» intervenne Mel. «Ma noi cosa centriamo qui?»
«Oh, giusto. Scusate, ragazze, ma sono ancora un po’...colpito da ciò che è successo. Ho saputo che state cercando Teri Nabaci, figlia di Ade, rapita all’inizio dell’estate»
«Esatto» disse Mel. Si fece in avanti con il busto, improvvisamente interessata. Eravamo tutti preoccupati per Teri, ovviamente, ma Mel aveva un legame empatico con lei, quindi era più unita a lei rispetto a chiunque.
In quel momento la porta si aprì. Un ragazzo dai capelli neri e gli occhi azzurri entrò nella stanza. Indossava i vestiti neri da Shadowhunter e le sue braccia muscolose erano ricoperte di rune. In spalla portava un arco e una faretra vuota. Qualche graffio e livido gli rovinavano appena il viso delicato e gentile.
«Oh, Alexander, grazie all’Angelo, sei arrivato! Accomodati»
Il ragazzo appoggiò l’arco e la faretra ai piedi di una poltrona e poi si accomodò.
I suoi occhi azzurri si posarono su di me, poi su Mel e infine su Ria.
«Sono loro, vero?» chiese, sorridendo.
Carl annuì, e il ragazzo si alzò e venne a stringerci la mano.
«Io sono Alexander, ragazze, ma chiamatemi pure Alec. Lieto di conoscervi. Vi porto brutte notizie, purtroppo»
«Che è successo?» domandò Carl, accigliandosi. Il suo corpo trasmetteva nervosismo e preoccupazione. Alec si sedette sulla poltrona e sospirò.
«È arrivata una busta. Credo siano i rapitori di Onny».

 

Angolo autrice
Eeeed eccomi qui! Miracolosamente puntuale. Spero vi piaccia x

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 - MEL ***


Attenzione!

Questa storia appartiene ad una serie. Prima di questa fan fiction che tu, amato lettore, stai per leggere, ce n’è un’altra. Se l’hai letta, prego, continua pure a leggere e grazie per aver voluto leggere il sequel. Se non l’hai letta e non ti interessa nemmeno, continua pure e buona lettura, ma ti avverto: non ti garantisco che tu possa capire proprio tutto perché non so se sono stata abbastanza brava a fare in modo che tu capissi lo stesso, (dovrai dirmelo tu) ma ti assicuro che ho fatto del mio meglio.
Lettore avvisato, mezzo salvato.
Se invece vuoi scoprire cosa è successo prima perché non vuoi fermarti durante la lettura e domandarti “Ma di che Ade sta parlando?”
clicca qui.

 

Capitolo 4

 

MEL

 

 

Carl si alzò in piedi di scatto. Cominciò a camminare per la stanza in preda al nervosismo. Alec ci rivolse uno sguardo ansioso, senza aggiungere altro.
Ria, invece, stringeva con le mani il cuscino del divano.
Respirò profondamente. Aveva bisogno di ossigeno per calmarsi.
«Io voglio vedere il messaggio» disse digrignando i denti.
Alec rivolse uno sguardo interrogativo a Carl, che si fermò al centro della stanza e annuì, dandogli un silenzioso permesso. Il ragazzo si alzò dalla poltrona.
«Farai meglio a seguirmi, allora» disse, rivolgendosi a Ria. La ragazza si alzò dal divanetto, fissando un punto nel vuoto con aria truce. Conoscendola, aveva già in mente un piano. Non che fossimo amiche da una vita, ma quei mesi insieme mi avevano insegnato molto di lei.

«Veniamo anche noi» intervenne Eles, scattando in piedi. Feci lo stesso, pronta a seguire Alec.
Per aver rapito un bambino non potevano essere di certo persone gentili e disponibili a contrattare, ma non avevo paura. Avevo affrontato mostri peggiori.
Carl sospirò.
«Sì, vi raggiungo anch’io»
«Papà, non sei obbligato. Posso farlo io» disse Ria, lanciando uno sguardo deciso al padre. L’uomo ridacchiò.
«Non stai parlando con un vecchietto, Riri. Andiamo».

Alec ci condusse in un’altra stanza, un ufficio ben arredato e ordinato. Dalla finestra filtrava la debole luce del sole che stava per tramontare. Da quante ore avevamo lasciato la scuola? Probabilmente le lezioni pomeridiane erano già finite da un pezzo. Respirai il profumo di libri nella stanza.
Sulla scrivania in mogano c’erano alcuni fogli impilati, un libro blu dall’aspetto antico ma in perfetto stato, un piccolo schermo spento e un telefono. Sentii il corpo irrigidirsi. Quegli affari erano fin troppo usati dai Cacciatori di demoni.
«Direi che è piuttosto evidente che voi Shadowhunters non abbiate problemi con la tecnologia»
Alec aggrottò la fronte. «Perché, voi sì?»
«Evitiamo di usarli se non in casi di estrema necessità. Rivelano la nostra posizione ai mostri, così come Internet» spiegai.
«L’Istituto è protetto sia dai demoni che dai mostri mitologici» disse Carl. «Mi sono preoccupato di far tracciare rune di protezione che valessero per entrambi non appena è nata Ria. Siete al sicuro. Alexander, cosa hanno mandato?»
«Una busta dal contenuto pesante» rispose il ragazzo. Poi prese una busta da un cassetto e la porse a Carl.
«Credo che tocchi a te aprirla» disse Alec.
L’uomo annuì. Ria gli strinse una mano, come per infondergli coraggio. Si guardarono negli occhi e vidi che si parlavano tramite un linguaggio muto, un’intesa particolare, che non si riesce a comprendere a pieno da un punto di vista esterno.
Io non sapevo niente dell’intesa che potevano avere Ria e Carl, ma ricordavo perfettamente l’intesa tra me e mio padre. Non era uno Shadowhunter come il padre di Ria e nemmeno un dio come il padre di Eles, ma solo un venditore di caffè e libri. Chissà come stava il mio caro papà. Non ci sentivamo da più di una settimana. Non potevo usare il telefono per evitare che i mostri entrassero nella scuola e lui non poteva passare a trovarmi per via del negozio. Mi promisi di mandargli un messaggio Iride il mattino dopo.
Carl strappò il lembo della busta. Vi mise una mano dentro e vi estrasse un vecchio registratore di voce.
Ria premette il pulsante ‘play’. Fu una voce giovane a parlare.
«Hey Carl. O forse dovrei chiamarti per cognome, Johnson? O Blueway? Certo che hai fatto un bel casino, bello. Sono Chris D’Amico. Esatto, il figlio del boss. Mio padre è morto, ma per tua sfortuna sono rimasto io. Voglio uccidere quel figlio di puttana che ha fatto esplodere mio padre con un bazooka. E mi serve il tuo fantastico arsenale, compresi quegli affari che usate per tatuarvi. Voglio che combattiate al mio fianco per attuare la mia vendetta. Tu hai avuto una relazione con la dea della vendetta, giusto? Bè, direi proprio che lei sarebbe felice se tu mi aiutassi. Per contattarmi diventa mio follower su Twitter, ricambierò il follow così potremo parlarci tramite messaggi privati. Mi chiamo The Mother Fucker. Oppure, se non vorrai seguirmi con il tuo esercito...bè, il tuo bambino salterà in aria. BOOM!»
Il nastro finì di girare e la registrazione terminò con un clic del pulsante ‘play’ che tornava al proprio posto.
Ria aveva l’aria dubbiosa.
«Mi sembra una presa in giro» disse. E concordavo con lei. La voce registrata era giovane, probabilmente di un ragazzo di diciott’anni. E quel soprannome assurdo? Non poteva essere serio. Ma gli Shadowhunters conoscevano questo D’Amico, e lo capii dall’espressione preoccupata di Alec e di Carl. 
«Come facciamo?» chiese Alec. «C’è un modo per non aiutarli e salvare Onny?»
Carl assunse un’aria pensierosa.
«Chris D’Amico è ricco sfondato, e spesso i soldi sono più potenti delle nostre rune. Salvare Onny senza arruolarsi nel suo esercito di criminali è impossibile»
«Carl non possiamo davvero farlo! Siamo Nephilim, abbiamo il sangue dell’Angelo nelle nostre vene! Come possiamo pensare anche solo minimamente di collaborare con un criminale mondano!?» obiettò Alec, alzandosi in piedi. Carl si passò una mano sulla faccia.
«Troveremo il modo di salvare Onny senza uccidere nessuno» replicò.
«Sì, certo. È un mondano, ma non è idiota. Libererà Onny solo dopo aver ucciso il suo nemico e noi non possiamo permetterci di uccidere mondani. Siamo al servizio dell’Angelo per proteggere la gente dai demoni e dai Nascosti pericolosi, per Raziel!»
«Alexander, forse non ti è chiara una cosa» mormorò Carl. Sembrò fare uno sforzo immane per contenere la rabbia. Fece un respiro profondo. «Lì c’è mio figlio». Lo disse con un tono di voce basso ma tagliente come lame.
Alec fece un passo indietro. Si rabbuiò in viso, e si risedette.
Carl abbassò le spalle e chinò la testa.
«Credo che sia meglio pensare un po’ a ciò che ha detto D’Amico»
Alec annuì.
Un attimo dopo squillò un cellulare. Carl prese il proprio telefono e aprì il nuovo messaggio. Sbiancò in viso. Deglutì. Poi lesse il messaggio. Incredibile come poche parole possano avere effetti peggiori delle armi. Me ne rendevo conto solo adesso, dopo anni e anni di libri e temi scolastici.
«Abbiamo tre giorni di tempo per decidere».

 

«Ricapitolando» dissi. «Dobbiamo arruolarci anche noi nell’esercito di D’Amico per avere maggiori possibilità di salvare Onny e mentre noi mostriamo i nostri straordinari poteri di semidee voi salvereste Onny. Tutto questo mentre saremo circondati da supercriminali armati fino ai denti».
«Esatto» rispose Viktor. «Oppure, se preferisci, gli fai uno spogliarello. Così si distrae meglio»

Afferrai un cuscino dal divano e glielo lanciai addosso. Il ragazzo lo afferrò al volo, con velocità e grazia. Ma ero io ad avere problemi oppure ero davvero circondata da gente elegante nei contesti più improbabili?
Prima Eles e la sua bellezza che non risentiva di sudore e stanchezza, poi Teri e la sua classe anche nell’arrabbiarsi e adesso anche questi Cacciatori disinvolti e garbati anche nel lanciarsi cuscini addosso. Scossi la testa per scacciare quel pensiero fuori contesto.
«Qui non abbiamo poteri straordinari. Il mio potere è l’intuito, l’intelligenza, ma questa roba risulta spesso noiosa ai mortali. L’unica cosa straordinaria che ho, forse, è il mio arco. Ma è una scusa troppo debole per distrarli, non li distrarrei per più di cinque minuti»
«Invece, Eles e Ria? Che poteri hanno?»

«Ria ha la sua borsa che contiene un sacco di roba. Al Campo si dice che ci siano anche armi donatele da Chirone da usare in momenti di massima emergenza. Eles ha la sua abbronzatura e, anche lei, il suo arco» spiegai.
«Bè, ricciolina, ti conviene organizzare una bella conferenza sulle armi» commentò Jace. Alzai gli occhi al cielo, mordendomi la lingua per non ribattere. Ero una ragazza orgogliosa, e se fossi stata dell’umore giusto gli avrei anche risposto per le rime. Ma non era quello il caso.
«Oppure» ripresi. «mi conviene andare al Campo Mezzosangue, reclutare un figlio di Efesto bravo con il fuoco, una figlia di Afrodite che usi la tua lingua ammaliatrice e il gioco è fat-»
«Okay, okay, frena» mi interruppe Hen. «Lingua ammaliatrice? Afrodite? È proprio la dea dell’amore?»
Che razza di domanda idiota!
«No, è la cassiera del supermercato sotto casa. Certo che è proprio lei! Alcune dei suoi figli hanno il potere di ammaliare la gente solo parlando»
Più scoprivano cose nuove sul mio mondo, più gli Shadowhunters sembravano estasiati. Essere mezzosangue non era così bello come credevano. Era una vita difficile quanto la loro, e non c’era nessuna runa ad aumentare le nostre potenzialità.
Tuttavia, anche il loro mondo era affascinante. Quando era arrivata all’Istituto la madre di Eles, Angelina, e aveva convocato la propria figlia nel suo ufficio, ero rimasta sola con Alec. Ria e Carl stavano cercando insieme una stanza vuota in cui sistemare due letti in più, uno per me e l’altro per Eles. Ria avrebbe dormito con il padre. Angelina, non facendo vivendo all’Istituto non aveva una camera propria da condividere con la figlia.
Alec mi aveva appena fatto una domanda su che tipo di armi usassimo noi semidei quando era stato chiamato da una ragazza dai capelli neri e la carnagione olivastra, probabilmente la sorella.
Così ero rimasta sola in quel piccolo ufficio. Avevo preso uno dei libri che c’era sulla scrivania e avevo iniziato a sfogliarlo. Era il Codice degli Shadowhunters, con le rune, la demonologia e i vari tipi di Nascosti, ovvero le fate, gli stregoni, i vampiri e i lupi mannari.
Avevo scoperto un sacco di cose interessanti. Leggere è una distrazione efficace, arricchisce e soprattutto rilassa. Purtroppo la calma e la tranquillità erano durati troppo poco.
Jace aveva spalancato la porta, aveva chiesto di parlarmi. Così avevo appoggiato il Codice sulla scrivania e l’avevo seguito in un’altra stanza. Prima avevamo fatto due chiacchiere sui nostri mondi, poi mi avevano proposto il piano per salvare Onny.
«Come fate a sapere...» avevo fatto per chiedere, ma Viktor e Hen mi avevano spiegato di aver sentito tutto ciò che era successo nell’ufficio.
Da come mi parlavano avvertii un rapporto di stima che si stava creando. Sentivo che loro mi temevano, anche se in parte, perché ero per metà dea. E io ero intimidita davanti a loro, perché...bè, quale ragazza di quindici anni non lo sarebbe davanti a dei ragazzi alti, muscolosi e tatuati?
Ma non era un punto di svantaggio, anzi. Secondo me sarebbe stato il punto d’unione per una collaborazione. Così, decisi di parlare e sputare il rospo.
«La ragazza con cui ho un legame empatico, Teri, figlia di Persefone, è stata rapita quest’estate» iniziai. E così raccontai la storia di Ludkar, il Nocturno (ovvero una specie di vampiro), e della sua rivalità con Teri, del giorno in cui una cornacchia aveva lasciato vicino al falò del Campo la treccia nera insanguinata di Teri e un laccetto nero con le perline dorate, l’arma della ragazza. Parlai dell’evoluzione del mio rapporto con la figlia di Persefone. Spiegai che fino al giorno del suo rapimento tutti la credevano figlia di Ade. Chiarii la faccenda del legame empatico e dei sogni su di lei che io aspettavo di avere ogni notte, ma che non arrivavano mai.
I ragazzi mi ascoltarono senza fiatare. Quando ebbi finito calò un silenzio tombale. Fu Jace a interromperlo.

«Siete come me e Alec, quindi».
«Ovvero?»
«Siete parabatai. Bè, non è proprio la stessa cosa. Ma potreste esserlo»
«Parabatai...É un termine greco...Dovrebbe essere un soldato affiancato da un auriga, no?»
«Sì, ma nel nostro linguaggio sono due guerrieri che agiscono in coppia e che giurano protezione a vicenda»
«So che è viva, perché altrimenti morirei anch’io. So che Ludkar è con lei, so che è disarmata, so che è ferita. Se essere parabatai mi farebbe sapere qualcosa di più...»
«No, ne dubito. E per diventare parabatai lei deve essere qui, con te. Non puoi compiere il rituale parabatai da sola» rispose Viktor.
«Ti aiuteremo a trovarla, Mel» disse Alec, entrando nella stanza.
«Hai origliato?» domandò Jace.
«Non ho origliato. Ero sulla soglia, ma voi non ve ne siete accorti»
«Grazie Alec» mormorai. Hen si alzò in piedi e si stiracchiò.
«Bè, direi che questa missione era quello che ci voleva per movimentarmi la vita» commentò. «Vado a dormire, sono distrutto».
«Buonanotte» risposi. Poco dopo anche Viktor lo seguì.
«Mel, ero venuto a dirti che la stanza tua e di Eles è pronta. Puoi andarci quando vuoi. Ti abbiamo lasciato anche degli asciugamani e dei vestiti puliti, così puoi farti una doccia» disse Alec. «Io vado a farmene una, a proposito. ‘Notte Jace». Poi si avvicinò a me e appoggiò una mano sulla mia spalla.
«Dormi bene, d’accordo? Credo che domani sarà una giornata impegnativa» disse, sorridendomi e guardandomi con la sua espressione gentile.

«Grazie, davvero, Alec. ‘Notte»
Il ragazzo sorrise e andò via.

«Già. Domani entrerò nel mondo dei semidei greci!» esclamò Jace, con finto entusiasmo.
«Non vi sto obbligando» replicai. «Sentivo che dovevo parlarne con qualcuno più esperto di me nel combattere».
«Quale onore!» disse Jace, con enfasi. «La figlia della dea della strategia militare ci dice che siamo più esperti di lei nel combattere! Sono lusingato, ricciolina»
«Bè, è la verità» borbottai.
Jace rise. «Tranquilla, mi piace scherzare con te. Sono davvero lusingato e conoscere il vostro mondo di persona sarà una bella esperienza. ‘Notte». Aggrottai la fronte. Da quando era gentile? Avevo passato praticamente l’intero pomeriggio con lui e mi aveva sempre risposto male e non c’era stata nemmeno una parola non farcita di sarcasmo.

Entrai nella stanza che Alec mi aveva indicato. Era piuttosto piccola. Al centro c’erano due letti, sopra ognuno di essi un paio di asciugamani e dei vestiti puliti piegati con cura.

Una piccola porta sulla destra era spalancata, mostrando un piccolo bagno. Decisi di farmi una doccia, prima che Eles prendesse possesso del bagno.
Mentre l’acqua scorreva via dal mio corpo, trascinando con sé sporcizia e sudore, mi ritrovai a pensare a quel pomeriggio singolare. Ero certa che quella notte sarebbe stata piena di volti nuovi, mostri, demoni, lame angeliche e libri di Shadowhunters, ma ancora niente Teri.

Indossai il pigiama e asciugai i capelli alla bell’e meglio. Quando tornai in camera, la stanza era ancora vuota. Feci spallucce. Probabilmente Eles stava ancora parlando con la madre. Non avevo intenzione di aspettarla.
Così mi infilai sotto le lenzuola, appoggiai la testa sul cuscino, mi assicurai che la mia arma, Oxypetes, camuffata ad elastico fosse ben stretta al mio polso. Infine spensi l’abat-jour posizionata sul grazioso comodino tra i due letti.

 

Ero già stata lì, in quel mare di cenere. Il cielo sopra di me era bianco sporco, con delle crepe. Una luna nera in quel cielo, come un occhio malvagio, era ciò che mi aveva inquietata sin dalla prima volta in cui ero stata lì. Era il Cinerarium, il luogo in cui finivano le anime in coma, gli oggetti bruciati o i Nocturni infilzati da qualcosa, il luogo tra la vita e la morte. Ma c’era qualcosa di diverso. Tutto sembrava più irreale, più confuso.
Dietro di me si ergeva un palazzo enorme, grigio e sgretolato. Un battito d’occhi dopo vidi l’ultima persona che mi aspettavo di vedere. Ludkar era in piedi vicino alla porta di una cella. I suoi capelli rossi facevano da cornice sanguinante attorno al suo volto.  Non poteva vedermi, evidentemente. Aprì la porta e lo seguii all’interno della stanza. Per poco non mi sentii mancare, anche se avevo capito che mi trovavo in sogno.
Teri era stesa per terra, i capelli spettinati e arruffati e il viso sporco di nero. Si copriva gli occhi con le mani e tremava.
«Alzati» sbottò Ludkar. Teri emise un sospirò tremolante. Avrei voluto urlare, piangere e picchiare Ludkar. Quella non era la Teri forte che conoscevo. Era il suo fantasma.
La ragazza si alzò a fatica. Le occhiaie sotto i suoi occhi erano così nere da fare invidia ai suoi capelli.
Ludkar la guardava con sguardo glaciale. Non provava nemmeno un minimo di pietà per quella ragazza così debole? Era completamente disumano.
«Stanotte hai urlato di nuovo» disse il Nocturno. «Sempre gli stessi nomi»
Teri non alzò neanche lo sguardo.

«Ho riconosciuto la maggior parte dei nomi che hai pronunciato. Ria, la ragazzina che ha un’aria non meno truce della tua. Poi Eles, l’abbronzatissima, Niall, la capra, Nico e Gregor, i tuoi pallidissimi fratellini. Chirone, quel disgustoso ibrido di umano e cavallo. Ah, poi la mia preferita. Mel, l’adorabile ricciolina figlia di Atena». Sentii un brivido correre lungo la mia schiena e la mano prudere per sfoderare l’arco. Quella creatura mi provocava solo ribrezzo. Ludkar prese delicatamente la mano di Teri e la fece sedere su una brandina. Avvolse un braccio intorno alla spalla della ragazza, le scostò una ciocca di capelli e le accarezzò una guancia.

«Ma dimmi un po’, chi è questo Leo?» chiese Ludkar, con voce simile ad un coltello ricoperto di miele. Una lacrima rigò la guancia di Teri. Poi alzò lo sguardo e mi guardò dritta negli occhi. Disse una sola cosa prima di svanire: «Scappa».

Mi risvegliai di soprassalto. La luce dell’alba filtrava dalle tendine davanti alla finestra della camera. Ricordai dov’ero e sentii il cuore sprofondare.
Eles era nel letto vicino al mio e respirava regolarmente.
Teri mi aveva chiamata. Era riuscita a stabilire un collegamento tramite i sogni per farmi sapere come stesse e soprattutto dove fosse. Ciò significava che quei lividi, quei capelli spettinati e quel tremolio costante erano reali. Teri aveva paura ed era completamente sola e abbandonata ai suoi incubi nel Cinerarium. Ed essendo quel posto una vibrazione diversa della realtà aveva fatto fatica a stabilire un collegamento.
Sapere dove fosse, però, non semplificava molto le cose. Come raggiungere  quel posto e soprattutto, come andarsene?
Ma neanche starmene con le mani mano era d’aiuto. Era il momento d’agire.

 

Salveee! Perdonate il ritardo, se non fosse stato per Maia_Auro (passate dalla sua ff che non ve ne pentirete) che mi ha ricordato oggi di postare, me ne sarei probabilmente ricordata la prossima settimana.
Spero che finora sia stato tutto chiaro e mi auguro che la lettura resti comprensibile nonostante adesso dovrò gestire un crossover su ben tre libri e un film. Fatemi sapere cosa ne pensate e a presto!

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 - ELES ***


Attenzione!

Questa storia appartiene ad una serie. Prima di questa fan fiction che tu, amato lettore, stai per leggere, ce n’è un’altra. Se l’hai letta, prego, continua pure a leggere e grazie per aver voluto leggere il sequel. Se non l’hai letta e non ti interessa nemmeno, continua pure e buona lettura, ma ti avverto: non ti garantisco che tu possa capire proprio tutto perché non so se sono stata abbastanza brava a fare in modo che tu capissi lo stesso, (dovrai dirmelo tu) ma ti assicuro che ho fatto del mio meglio.
Lettore avvisato, mezzo salvato.
Se invece vuoi scoprire cosa è successo prima perché non vuoi fermarti durante la lettura e domandarti “Ma di che Ade sta parlando?”
clicca qui.

 

Capitolo 5

 

ELES

 

 

Quando aprii gli occhi il cielo era azzurro pallido. Ricordare il motivo per il quale non ero né al Campo e né a casa mia mi fece tremare. La consapevolezza degli ultimi avvenimenti era come una grassa signora che mi si era appena seduta sul petto.
Il sole era appena sorto. Diedi un’occhiata all’orologio appeso alla parete opposta e vidi che erano le sette e dieci. Mi girai pigramente dall’altro lato e mi accorsi che Mel non era nel suo letto. Probabilmente era già andata a fare colazione.
Scostai le coperte e mi alzai, stiracchiando la schiena e le braccia. Mi avviai in bagno sbadigliando, ma quando feci per aprire la porta trovai Mel seduta per terra, intenta a scrivere qualcosa su un quadernetto dalla copertina blu.
«Ehm, buongiorno» dissi.
«Uhm, ciao!» esclamò. Diede un’occhiata fuori e spalancò gli occhi. «Santa Atena, che ore sono?»
«Le sette e dieci»
«Oh miei dei! Sono stata qui per più di un’ora! Devo assolutamente sbrigarmi» scattò in piedi e uscì dal bagno.
«Posso sapere cosa hai fatto nel bagno per più di un’ora?» domandai, mentre cercava qualcosa nella stanza.
«Ho chiamato mio padre con l’iPhone e poi ho preso qualche appunto sul sogno che ho fatto stanotte. Ne parliamo a colazione, però»
Qualcosa mi diceva che quel sogno riguardava Teri.
«Sicuro» dissi. «A dopo».

La cucina non era così affollata come lo era al Campo. Intorno al tavolo erano seduti Viktor, Jace, Ria, Mel e mia madre. Quella scena era così strana. C’erano le mie tre vite unite. La prima, rappresentata da mia madre, ovvero la vita in cui ero una normale adolescente americana che andava a scuola e veniva corteggiata dagli idioti. La seconda, rappresentata da Mel e Ria, la vita della figlia di Apollo. E infine la terza, rappresentata dagli Shadowhunters, quella in cui ero una cacciatrice di demoni.
Il problema era doverle vivere tutte e tre. Il giorno prima mia madre mi aveva spiegato tutto.
«Ho capito che evitare il tuo lato Shadowhunter è inutile. I pericoli di questo mondo verranno sempre a cercarti e non posso permettere che tu ti trovi di nuovo impreparata. Viktor è capitato lì in tempo, ma se avesse ritardato solo di qualche minuto ora non saresti davanti a me». L’aveva detto con voce risoluta. Capii che mia madre aveva già capito che un giorno sarebbe potuto accadere. Aveva già accettato la mia morte, ma i suoi occhi sembravano soffrire. Ero più potente di una normale Shadowhunter e anche di un semidio qualsiasi, ma questo mi esponeva a più pericoli, quelli di entrambi i mondi.
«Quindi? Cosa devo fare? Studiare qui all’Istituto?» avevo chiesto. Mia madre aveva scosso la testa, sorridendo.

«Sei già preparata. Devi solo prendere le rune».

L’idea di tatuarmi non mi allettava, ma era una forma di protezione come un’altra.
Mia madre mi sorrise dall’altro capo del tavolo.
«Buongiorno tesoro» disse. Ora che eravamo all’Istituto mostrava i Marchi senza problemi. Di solito tendeva a nasconderli. Ora capivo che non era mai stata una poliziotta. Mi aveva raccontato balle per quattordici anni, ma non riuscivo ad odiarla. Era mia madre e nei suoi occhi leggevo sofferenza, nonostante il suo egoismo nel volermi escludere dal suo mondo.
«Buongiorno» risposi, sedendomi tra lei e Mel.

«Bene» disse Mel. «Ora che ci siamo tutti, posso dirvelo»
«Oh, cominciamo bene la giornata» borbottò Jace.
Mel lo ignorò.
«Stanotte ho sognato Teri» annunciò.
Lo avevo già intuito, ma saperlo accese una nuova scintilla di speranza.
«Come sta?» chiedemmo in coro io e Ria.
Mel scosse la testa. «Male, ma resiste». Le tremava appena la voce.
«Dov’è?» domandò mia madre. Evidentemente sapeva già tutto.
«Nel Cinerarium. Avevamo, ovviamente, capito benissimo. Ludkar l’ha rapita. E si concede anche il lusso di fare il lurido con lei»
«Che schifo» disse Ria, disgustata. «Dobbiamo raggiungere quel posto al più presto e salvarla»
«Dobbiamo parlarne con Chirone» replicò Mel. «E il Cinerarium non si “raggiunge”. È una vibrazione della realtà differente dalla nostra, non un castello da trovare grazie ad una mappa».
«Mi stai dicendo che non possiamo salvare Teri?»
«No. I Crepuscolari lo raggiungono grazie all’iris. Troveremo il modo anche noi. Voi due siete mezze dee e mezze Shadowhunters, è praticamente impossibile che non possiate accedere ad un luogo di cenere» intervenne Viktor.
«E tu come le sai queste cose?» chiese Jace.
«Mi sono informato. Ho intenzione di salvare questa figlia di Persefone. Anche se non l’ho mai vista, mi sembra la donna ideale per me»
«Ha il ragazzo» intervenne Ria. «Mi dispiace deluderti. Anzi no, non mi dispiace». Viktor e Ria si scambiarono un’occhiataccia. Quella ragazza aveva gusti difficili in fatto di ragazzi.
«Teri avrebbe saputo come raggiungere il Cinerarium» disse Mel, sospirando. «Devo cercare di contattarla di nuovo tramite sogno. I messaggi Iride sono praticamente inutili. È in un’altra vibrazione della realtà, il contatto è praticamente impossibile»
«Quanto potrebbe volerci?» domandò Jace.
Mel scosse la testa, sconsolata. «Lei per contattare me ci ha messo più di due mesi. Non so quanto mi ci vorrà»
«Magari il collegamento è già stabilito e ci vorrà meno del previsto» disse mia madre.
Mel annuì. «Già, è probabile».
In quel momento entrò Carl nella cucina.
«Buongiorno a tutti!» esclamò, sorridendo. «Oggi è una giornata speciale per te, Ria, tesoro. E anche per te, Eles»
«Perché?» chiese Ria. In effetti volevo saperlo anch’io.
«Come, Angelina non ve l’ha detto?»

Mia madre scosse la testa.
«Me ne ero quasi dimenticata a causa della faccenda della figlia di Parsapede»
«Persefone» la corressi.
«È lo stesso. Comunque, ciò che dovevo dirvi è che oggi prenderete i Marchi. Ho già chiamato i Fratelli Silenti. Nel frattempo vi insegnerò a maneggiare le lame angeliche».

Carl e mia madre condussero me e Ria per alcuni corridoi che non avevo avuto occasione di visitare. Arrivammo finalmente in una stanza. Guardandomi intorno vedevo solo armi di tutti i tipi e dimensioni e pesi, elastici, corde per l’allenamento.
«Ricordate che qualsiasi cosa può trasformarsi in un’arma quando siete in pericolo. Dovete essere capaci di uccidere un demone anche quando perdete l’arco o il coltello» spiegò Carl.
«Oggi vorremmo vedere ciò di cui siete capaci, per scegliere le rune che potete già prendere e quelle per le quali bisogna aspettare ancora qualche anno. Sappiamo che potreste già prendere molte rune perché siete praticamente pronte, però è meglio essere prudenti in queste cose in cui c'entra la magia» proseguì mia madre. «Ah, e consegnateci le vostre armi da semidee»
«Perché?» chiesi immediatamente, portandomi automaticamente una mano al passante in cui tenevo il mio arco chiuso a cilindro.
«Tranquilla, tesoro.» disse mia madre, sorridendo. «Le modificheremo in modo che vengano aggiunte le rune. Così potrete usarle sia contro i mostri sia contro i demoni»
«Come fate ad aggiungere le rune su ogni freccia che mi servirà?» chiesi. «E come fate a sapere che le rune non annulleranno il potere del bronzo celeste?»
«Già. Probabilmente le rune annulleranno il veleno della lama del coltello di Ethan» aggiunse Ria.
«Ragazze, credete seriamente di essere le prime ed uniche semidee Shadowhunter della storia? È raro, certo, ma si sono già fatti i primi esperimenti e le rune non entrano in conflitto con il bronzo celeste e con il ferro dello Stige, anzi, rendono le armi più potenti, ricercate e invidiate» disse Carl. Suonava convincente. Effettivamente gli Shadowhunter erano ovunque nel mondo e gli dei dell’Olimpo si trasferivano spesso, quindi non era affatto improbabile. Sospirai.
Sfilai il cilindro dal passante e glielo consegnai. Ria diede al padre il suo coltello.
«Ehm, sarebbe meglio se aprissi già l’arco. Io non saprei come fare» disse mia madre.
«Oh, giusto». Feci per riprendere il cilindro d’oro per aprirlo, ma non fu necessario. L’arco si spalancò in tutto il suo splendore nella mano di mia madre mentre io stavo ancora per tendere la mano.
«Oh santo Raziel! Non è divertente aprire le armi telecomandate nelle mani delle proprie madri» mi rimproverò.
«N-non sei stata tu? Credevo che...Io ho bisogno di toccarlo per poter...Chi Ade è...». Non riuscivo a completare le frasi. Era assurdo.
«Quest’arco è potente, signorina. Evidentemente stai cominciando a manovrarlo meglio»
«Bè, meglio, no?» disse Carl. «Ria, tesoro. Lasciami anche lo scudo. Potrebbe tornare molto utile uno scudo resistente al veleno di demone.»
Ria annuì rassegnata e afferrò dalla sua borsetta il disco di bronzo decorato e lo aprì con un leggero scatto del polso. Ricordai le prime volte che cercava di aprirlo senza cadere e prendeva le rincorse da almeno due chilometri prima.
«Bene. Io traccio le rune su queste armi. Non ci vorrà molto, ma tu inizia a spiegare loro come funzionano le spade angeliche» disse Carl a mia madre.
Mia madre annuì, sorridendo, mentre Carl lasciava la stanza. Non ero una figlia di Afrodite, quindi non ero particolarmente esperta, ma mi sembrava che tra quei due ci fosse qualcosa. Lo speravo, perché dopo essere stata piantata in asso da un dio dell’Olimpo ed essersi ritrovata una bambina con dei superpoteri tra le mani, mia madre non doveva essere stata felicissima.
Mia madre afferrò una spada sottile e lunga quanto il suo braccio.
«Ogni spada angelica ha il proprio nome, corrispondente ad un angelo. Sono armi potentissime, e la sola luce fa male agli occhi dei demoni. Immaginate infilzarli con un’arma del genere. Per voi non sarà difficile manovrarle, quindi salto la parte della tecnica» spiegò. «Una sola raccomandazione: mai chiamare una spada Raziel»
«Cosa succederebbe?» chiese Ria.
«Non vuoi saperlo davvero, fidati». Niente di buono, ovviamente, ma meglio rimanere nell’ignoranza in certi casi.
«Si chiama Lelahel» mi informò mia madre, porgendomi la spada. La presi con le mani tremanti. Non capitava certo tutti i giorni di prendere una spada con il nome di un angelo.
«Lelahel» sussurrai e la spada prese vita. La luce era bianca tendente all’azzurro. Non avevo mai visto qualcosa di così bello.
All’improvviso non tremavo più. Mia madre porse un’altra spada a Ria.
«Questa si chiama Sitael». Ria l’afferrò senza timore.
«Sitael» la chiamò, e la spada si illuminò. Mi sentii scoraggiata. Non era la prima volta che avevo un modo diverso di affrontare una situazione difficile. Prima di partire per l’impresa l’estate precedente Mel, Ria, Teri e io andammo da Chirone. Le altre tre erano sicure, o almeno, lo sembravano. Mel aveva la saggezza per saper affrontare l’impresa e ponderare le sue scelte, Ria aveva l’agilità e la furbizia necessarie per tornare vincitrice, e Teri aveva la forza sia fisica che mentale per affrontare qualsiasi cosa. Io cos’avevo? Una bella tintarella, una bella voce e un talento per gli acquerelli. Poi durante l’impresa avevo cambiato idea. Avevo contribuito anch’io, ma la mia insicurezza non era mai svanita. A cosa serviva essere bella? Avrei venduto volentieri la mia abbronzatura pur di avere la sicurezza che Ria aveva nel maneggiare quella spada angelica. Aveva afferrato l’arma con tranquillità, come se fosse una barretta di cioccolata fondente.
«Ora che avete le vostre spade, provatele contro un fantoccio. State attente, non sono spade facili da maneggiare»
«E poi che facciamo?» domandò Ria.
«Poi ve lo spiego» replicò asciutta mia madre.
Ria si avvicinò con passo sicuro ad un fantoccio e cominciò a menare fendenti. Feci un respiro profondo e la imitai.
Affondai la lama nel manichino con tutta la forza che avevo. La lama brillò leggermente durante l’affondo. Girai su me stessa e sfilai la spada, per poi menare fendenti sibilanti e squarciando la stoffa del fantoccio.
Le piume svolazzavano lente sul pavimento, sui miei vestiti e sulle scarpe, ma non ci prestavo attenzione. Quelle poche mosse che avevo fatto con la spada angelica mi erano costate una fatica enorme. Bella semidea che ero. Neanche capace di maneggiare una spada.
Dopo aver preso un respiro profondo, ricominciai. Se la prima volta mi era sembrato faticoso, questa volta mi sembrò uno sforzo immane.
Lanciai un’occhiata a Ria e anche lei, dopo appena mezzo minuto che ci stavamo allenando era affaticata e aveva il fiato grosso. Ad un tratto mi sentii sbalzata all’indietro e chiusi gli occhi d’istinto. Non sbattei contro il muro grazie a due braccia forti che mi avevano afferrata in tempo.
«Oh miei dei!» esclamai. Aprii gli occhi e vidi gli occhi azzurri e il sorriso rassicurante di mia madre.
«Tranquilla, tesoro» disse. «Non è successo niente».
Mi rialzai e mi massaggiai il polso.
«La spada...» mormorai, con voce soffocata. Quel colpo era stato forte.
«Ti ha rifiutata» disse mia madre.
«Le spade possono rifiutare?» domandò Ria, fermandosi dal menare fendenti.
Quell’attimo di distrazione per poco non costò caro anche a lei.
Un lampo si scatenò dall’elsa della spada e Ria la lasciò prontamente. La spada cadde a terra, spegnendosi e producendo un rumore metallico.
«Okay, mi rispondo da sola. Le spade possono rifiutare e direi che sono anche piuttosto suscettibili».

 

Ero al centro della stanza semibuia. Avevo il fiato corto e sentivo un nodo allo stomaco. Non ero nemmeno riuscita a pranzare. L’unica cosa a cui riuscivo a pensare erano le Rune. I Marchi angelici. Non volevo prenderli. Assolutamente no. Ora che mi ritrovavo nel momento di prenderli mi rendevo conto di quanto non appartenessi a quel mondo. Volevo tornare al Campo.  
Due Fratelli Silenti entrarono nella stanza. Indossavano abiti color pergamena con dei cappucci a coprire il volto.
Viktor me ne aveva parlato, ma vederli dal vivo era tutta un’altra cosa.
Ria fu la prima. Nel frattempo io mi allontanai e cercai di calmarmi bevendo un po’ d’acqua.
Il fratello Silente le si avvicinò e prese lo stilo. Quando parlò fu come se parlasse direttamente nella mia testa e mi chiesi se stesse parlando solo con me.
Ciao, piccola Blueway. Sono fratello Enoch.
Ria sorrise.
«Salve»
Inizieremo con la Runa della Vista. Sei pronta?
Ria annuì e porse la mano a Fratello Enoch che prese lo stilo con le mani bianche e affusolate e iniziò a disegnare spirali nere. Proseguì con la Runa della Velocità, Forza, Abilità, Coraggio, Potere Angelico.
Sul viso di Ria non vidi altro che fierezza.
Puoi andare.
«Grazie Fratello Enoch» disse la ragazza e mi raggiunse, sorridendo. Sembrava che si fosse fatta i tatuaggi che voleva farsi da un vita.
«Fa male?» chiesi.
Ria scosse la testa.
«Nah, pizzica un po’ ma niente di che». Mi diede una pacca sulla spalla e mi alzai. Raggiunsi il centro della stanza e feci un respiro profondo.
Ciao, Eles.
Il suo strano modo di parlare mi fece indietreggiare. Poi aveva le orbite vuote e il viso pieno di cicatrici. Era inquietante.
«Uhm, salve» mormorai, mentre portavo già una mano alla cintura. Poi mi ricordai che l’arco ce l’aveva mia madre per farci applicare delle rune.
Non temere, piccola Nephilim. Le Rune fanno già parte di te, non ti faranno del male, anzi. Potenzieranno ciò che sai già fare.

Riuscii solamente ad annuire.
Come sempre, la prima è quella della Vista.

Porsi la mano, e mi accorsi di stare tremando. Fratello Enoch l’afferrò con fare deciso e appoggiò la punta dello stilo sul dorso.
Sentivo il cuore battermi forte in gola. Sentii pizzicare leggermente e in quel momento Fratello Enoch sollevò lo stilo e lasciò andare la mano.
Mi guardò, scuotendo la testa.
«C-che s-succede?» balbettai.
Non puoi prendere i Marchi se non li senti tuoi. Non sei pronta.

 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 - MEL ***


Capitolo 6

 

MEL

 

 

Sentii qualcosa di freddo bagnarmi la faccia. Aprii gli occhi di scatto e mi accorsi di avere il viso bagnato e anche buona parte della maglietta. Alzai lo sguardo e c’era Jace davanti a me, con un bicchiere in mano.
«Oh, finalmente! Pensavo fossi caduta in letargo»

«Era necessario bagnarmi la faccia?» sbottai.
«Sbrigati. Dobbiamo andare in missione e servite anche voi. Tieni il tuo braccialetto» mi lanciò il mio elastico azzurro.
«Oxypetes!» esclamai. «Chi diavolo ti ha dato il permesso di prenderlo?»
«Carl» rispose semplicemente. «Ora ha anche le rune, quindi puoi uccidere i demoni»
«Oh..»

Jace girò i tacchi e fece per andarsene, ma lo fermai.
«Hey, aspetta!» esclamai. Jace si bloccò senza voltarsi.
«Suppongo che dovrei ringraziarti» mormorai.
Mi aspettavo che scrollasse le spalle e andasse via senza aggiungere altro, o sorridesse sornione per poi fare una battuta delle sue. Invece le sue labbra si piegarono all’insù in un sorriso che mi parve sincero.
«Non c’è di che». Poi andò via.
Mi alzai dal divanetto e andai nella camera che mi avevano assegnato la sera prima, insieme ad Eles. Mi sfilai la maglietta bagnata che Isabelle, la sorella di Alec, mi aveva prestato per dormire e indossai la mia maglietta del Campo. Mi sentivo molto più a mio agio nell’arancione che nel nero dei Nephilim. 

Capii che per Ria fosse l’esatto contrario quando la vidi entrare nella camera con indosso un completo nero. Intorno alla vita c’era una cintura in cui erano inseriti dei coltelli con le rune incise sopra, più il suo coltello avvelenato e qualcosa che assomigliava vagamente ad una penna. Poi mi accorsi che sulla sua pelle c’erano dei segni neri.

«Le rune» mormorai, indicando il suo collo e le sue braccia.
«Già» disse, sorridendo orgogliosa. Ciò che smorzava tutto quel nero era la bandana rossa che portava per tenere indietro i capelli biondo cenere e la sua borsa di jeans. Quel nero le donava anche qualche anno in più.
«Anche Eles...?» lasciai la domanda sospesa, incapace di continuare. Vedere una ragazzina di neanche quattordici anni vestita da guerriera con quei ghirigori incisi nella pelle mi aveva shockata e non poco.
Ria scosse la testa. «Niente da fare. Il Fratello Silente sentiva che non era pronta e sarebbe stato troppo doloroso per lei. Credo che la poca forza di volontà sia pericolosa anche per una discendente di Shadowhunter come lei. Non è abbastanza convinta della sua origine. Credo si senta molto più vicina ad Apollo che a Raziel. Si spiega anche perché la spada angelica l’abbia completamente sbalzata via, mentre a me ha dato solo una leggera scossa in un momento in cui non ero concentrata»
«Effettivamente voi due mettete a dura prova due culture profondamente diverse» dissi, obbligandomi a smettere di fissare le rune. Guardare quei segni mi faceva morire le parole in bocca.
«Già. Però Eles è una tipa intelligente e presto accetterà entrambi. Oh, bene, vedo che sei pronta. Hen mi ha detto che Jace ha potenziato il tuo arco con le rune»
«Sì, tuo padre gliel’aveva ordinato». Mentre parlavo presi un asciugamano e asciugai alla bell’e meglio i capelli.
«Mio padre? Mio padre non sa nemmeno che quel tuo elastico sia un arma». Mi tolsi l’asciugamano dalla faccia e fissai Ria per qualche secondo, mentre un pensiero strano faceva capolino nella mia mente.
«Oh, beh...Quindi...No, è impossibile». Tuffai nuovamente la faccia nell’asciugamano continuando ad asciugare i capelli.
Ria ridacchiò. «Dai, sbrigati. Dobbiamo andare in missione».
Appoggiai l’asciugamano sul letto e tirai i capelli indietro con un frontino.
«Okay, andiamo».


Le strade della città erano particolarmente luminose quella sera. Non avevo mai girato molto per Brooklyn negli ultimi mesi.
«Allora, in cosa consisterebbe questa missione?»

«A quanto pare avete bisogno di viaggiare tra mondi paralleli. Nessuno è più affidabile del sommo stregone di Brooklyn» disse Hen.
«Wow. Sommo stregone. Suona figo» disse Ria.
«Oh, ci puoi giurare!» esclamò Alec. Poi parve rendersi conto di ciò che aveva appena detto e arrossì violentemente.
«Ehm, cioè...voglio dire, io...»
«Sì, Alec, sappiamo cosa volessi dire» lo schernì Hen.
«Perlomeno Magnus sa che stiamo per imbucarci all’ennesima delle sue feste?» chiese Viktor.
«Non sarebbe nemmeno la prima volta che succede» replicò Jace. Jace e Viktor camminavano avanti, subito seguiti da Hen e Alec. Dietro di loro c’eravamo io e Ria. Eles era l’ultima del gruppo. Al contrario di Ria, non aveva preso le rune e il nero della divisa moriva sulla sua carnagione olivastra. Ria aveva portamento e sguardo fieri, invece Eles camminava a testa bassa. Non avevo idea di cosa dirle, quindi preferii tacere per non peggiorare la situazione.


L’appartamento dello stregone era pieno di strane creature che bevevano roba altrettanto strana.
«Benvenute nel Mondo Invisibile» mormorò Jace.
«Sono così...» cominciò Ria, cercando la parola. «...strani»
«Loro sono i Nascosti. Stregoni, licantropi, vampiri, fate. Non credo avrete particolari difficoltà a riconoscerli»
«Sì, ma dov’è lo stregone che cerchiamo?» domandai.
«Non puoi rilassarti un po’? Hai quindici anni, ormai. Sarebbe anche ora di cominciare a partecipare alle feste» replicò Viktor, porgendomi un cocktail.
Ad un tratto intervenne una voce alle nostre spalle.
«Più che partecipare, direi imbucarsi». Mi voltai di scatto, portando la mano al polso per sfoderare Oxypetes.
Dietro di noi c’era un ragazzo dai lineamenti orientali, con capelli neri e pieni di glitter. Mi guardò negli occhi e ne rimasi quasi incantata. Erano due fessure gialle, come quelle dei gatti.
«Woah, stai calmina.» disse, indicando l’elastico che stavo per sfoderare. «Sono il padrone di casa» disse il ragazzo.
«Immaginavo che gli stregoni fossero più...» rispose Ria.
«Con la barba bianca? , non necessariamente. Vedo due nuovi acquisti, Jonathan». Posò il suo sguardo su di me. «Ops, tre. Ma come mai lei indossa una maglietta arancione e non ha rune? Nuovo codice di abbigliamento?» 
«Ehm, signor Bane» intervenni. «Io non sono una Nephilim. Sono una semidea, figlia di Atena».
«Io e Eles siamo metà Nephilim e metà dee. Io sono la figlia di Carl Joh- ehm, Blueway.» intervenne Ria, dando una gomitata ad Eles per farle alzare lo sguardo.
«E l’abbronzatissima è figlia di Angelina. E di Apollo» intuì Magnus.
«Come fa a...?» fece per chiedere Eles.
«Hey, sono uno stregone e vivo da molti più secoli di voi. Crediate che non conosca il Campo Mezzosangue? Non incontro semidei da parecchio, ma sono piuttosto informato sul vostro mondo»
Gli Shadowhunters parvero impressionati.
«Sì, ma come fa a sapere che mio padre è...» continuò Eles.
Magnus la interruppe con un gesto della mano. «Il tuo arco. La profezia del figlio di Apollo che doveva ricevere l’arco del padre è stata annunciata da più di un secolo»
«C’è una profezia su di me?!» la voce di Eles si alzò di diverse ottave.
Magnus sorrise e scosse la testa. «No» disse, per poi lasciarsi sfuggire una risatina. «Ce ne sono a centinaia. Un sacco di profezie citano l’arco e il predestinato figlio di Apollo che lo riceverà e su come distruggerà tutti e ci salverà blah blah blah. Non vanno interpretate alla lettera».
Eles deglutì rumorosamente e abbassò nuovamente lo sguardo.
«Bene. Ditemi cosa volete, così ve ne andate il più presto possibile»
Alec prese prontamente parola. «Conosci il Cinerarium, Magnus?»
Lo stregone assunse un’aria pensierosa.
«Cinerarium...Cinerarium...Sì, certo! È una vibrazione di mezzo tra la vita e la morte»
«Esatto. Abbiamo bisogno di raggiungerlo»
«Volete che vi faccia un incantesimo per finire in coma? Volentier-»
«Veramente» intervenne Alec. «Pensavamo a qualcosa di meno duraturo»
Magnus si fece pensieroso. Poi sobbalzò ricordandosi di qualcosa.
«Seguitemi»
Cominciò a parlottare tra sé mentre ci conduceva in un’altra stanza piena di libri, ampolle e tessuti pregiati buttati un po’ ovunque.
«I Crepuscolari riescono a...se non ricordo male. Ma sì, dovrebbero...Ma non credo che ce ne siano...Ma sì che ci sono, i Nocturni hanno sempre...»
Prese un diario con la copertina di cuoio e cominciò a sfogliare velocemente le pagine. In quella stanza il rumore della festa veniva soffocato, così scese presto uno strano silenzio, interrotto solamente dallo scricchiolio delle pagine. La stanza era piuttosto colorata e disordinata. Rivolsi uno sguardo a Jace che scrollò le spalle e alzò gli occhi al cielo, mimando “stregone stravagante” con le labbra. Annuii e sorrisi.
«Ecco!» esclamò Magnus, ad un tratto.
Prese un bigliettino dalla scrivania, una piuma e l’intinse nell’inchiostro. Ci scribacchiò qualcosa, poi lo consegnò ad Alec.
Poi ci spinse via dalla stanza.
«Ora andate, veloci! Ho ospiti, io!»
«Grazie mille, signor Bane» disse Ria.
«Chiamami pure Magnus» rispose lo stregone, sorridendo. Poi ci spinse verso la porta.
«Grazie per averci aiutati, Magnus!» esclamò Alec, sorridendo. Lo stregone gli fece un occhiolino che sembrò mandare in brodo di giuggiole il giovane Nephilim.
«Ora andate».

«Dobbiamo andare in una discoteca? Seriamente? La soluzione ai nostri problemi sarebbe una discoteca?!». Dire che Viktor fosse nervoso era un eufemismo. Hen faticava a zittirlo.
«Viktor, per l’amor di Raziel, datti una calmata! Magnus non è uno stregone qualsiasi. Ci sarà pur un motivo se ci ha dato l’indirizzo del Pandemonium»
Dato che Viktor sembrava intenzionato a strozzare lo stregone, decisi di intervenire.
«Hen ha ragione» dissi. «In tre mesi di questa storia » indicai la maglietta arancione. «ho imparato a non sottovalutare niente»
Viktor sbuffò. «Okay, andiamoci. Ma giuro che se è una fregatura, quello stregone...»
«Okay, ti sei spiegato» lo liquidò Alec.

Il Pandemonium era illuminato da poche luci psichedeliche. Mi sfuggiva come saremmo riusciti a vederci qualcosa.
«Dunque» disse Alec, urlando alle nostre orecchie «Qui c’è scritto che dovremmo chiedere di Eder».
«E noi non sappiamo nemmeno se sia un nome femminile, maschile, se sia un cliente abituale, il dj, un barman...»
«...Una ballerina di lapdance» proseguì Viktor.
Nonostante il semibuio scorsi l’occhiataccia che gli lanciò Hen.
«Okay, meglio dividersi» intervenne Jace. «Girare in sette in una discoteca non è quello che si dice normale».
Gli Shadowhunters si dissolsero in poco tempo tra la folla. Mi guardai intorno imbarazzata.
«Okay, Eles, tu sei la più indicata per orientarsi qui» disse Ria.
Eles alzò gli occhi al cielo.
«Il fatto che io sia stata popolare non significa che sia un’esperta di discoteche» ribatté.
«Sì, ma sei sempre più esperta di noi e soprattutto sembri più grande, quindi potresti anche avvicinarti al bancone degli alcolici» le urlai all’orecchio. Si strinse nelle spalle.
«Effettivamente la maglietta del Campo e la frontiera tra i capelli non è che ti diano esattamente l’aria da ragazza in discoteca» concordò.
Poi sorrise. «Andiamo».
Distrarla dalla storia delle rune non poteva far altro che bene.
Sgomitammo tra i ragazzi che ballavano. Vidi Eles che diceva qualcosa all’orecchio di Ria, ma non riuscii a percepire niente. Ci avvicinammo ai bagni.
Ria prese lo stilo dalla cintura e tracciò una runa su una porta.
«Ma questo è...»
«Shh!» mi zittì Ria. «Vuoi farti scoprire?»
La stanza per colori non era molto diversa da quella di Magnus. E nemmeno per quello che riguardava i glitter. Abiti vistosi, per ballerine di burlesque, erano appoggiati un po’ ovunque, sulle sedie, sui divani, sulle tolette, sugli stand. L’aria profumava di cosmetici e di profumi costosi. Per terra c’erano sparse scarpe con tacchi vertiginosi, insieme a boa di struzzo e guepiere.
«Non riesco a capire cosa centri questo camerino con...»

Eles mi interruppe.
«Siamo riuscite ad entrare in questa discoteca grazie agli Shadowhunters, ma se vogliamo chiedere di Eder dobbiamo renderci presentabili. E poi hai sentito che ti ha detto Viktor, prima? Devi imparare a partecipare alle feste, ormai hai quindici anni!». Così dicendo mi sfilò il cerchietto dalla testa e mi spinse con una mossa fulminea su una sedia.
Poi afferrò una scatoletta con dentro qualcosa di rosa e armata di pennellino, cominciò a spalmarmelo sulle guance.
«Non esagerare, però» mormorai, pregando Afrodite di non assomigliare ad un pagliaccio. Eles sorrise mentre prendeva una scatolina azzurra e un pennellino più sottile. Scusate il linguaggio poco tecnico, ma non conosco niente di make-up.
«Zitta e chiudi gli occhi. Ria, tu cercale un paio di scarpe che le possano andare e un paio di orecchini vistosi»
«E vedo anche di trovarle una collana carina. Tu mettile un bel rossetto, tipo quelli che mettevi tu l’anno scorso» aggiunse la figlia di Nemesi.
«Brava ragazza. Oh, e non dimenticare una maglietta scollata!»

«Hey Ria!» intervenni. «Però, non troppo scollata!»
Una volta che Eles mi ebbe messo anche il rossetto, mi permise di guardarmi allo specchio.
Intorno agli occhi avevo un trucco sulle sfumature del nero e del blu, mentre il colore sulle guance e sulle labbra era piuttosto naturale. Intorno al collo avevo un ciondolo argentato. La maglietta che Ria mi aveva scelto non era poi così scollata, ma piena di paillettes e di un blu acceso, abbinate alle scarpe dello stesso colore. Non avevo mai visto i miei capelli ricci così perfetti e vaporosi. Dimostravo almeno un paio d’anni in più.
Quando distolsi lo sguardo dall’immagine nello specchio, vidi che Eles era già pronta. Si era tolta la divisa da Shadowhunter per indossare un vestito bianco. Il trucco era già perfettamente applicato sul suo viso. Avevo sempre pensato che Ria fosse un maschiaccio. Invece sapeva esattamente cosa mettersi per non sembrare pacchiana e darsi qualche anno in più. Eravamo tutte pronte e stavamo per uscire dal camerino, quando la porta si spalancò.
«E voi chi diavolo siete?!».

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 - TERI ***


Capitolo 7

 

TERI

 

Sorrisi per il sollievo, dopo mesi. Ce l’avevo fatta. Avevo finalmente contattato Mel. Ero spossata e non me ne ero resa conto fino a quel momento. Contattare la figlia di Atena aveva costituito un obiettivo talmente fondamentale in quei due mesi da non farmi sentire la stanchezza. Ora che l’obiettivo era stato raggiunto sentii la fatica investirmi come un carro armato.
Ludkar accanto a me mi aveva appena fatto una domanda, ma io non ci avevo prestato attenzione. Ero occupata a interrompere la comunicazione, altrimenti Ludkar si sarebbe accorto che avevo mandato una richiesta d’aiuto.
«A chi hai detto scappa?» domandò Ludkar, corrugando la fronte. Diamine. Dovevo inventarmi qualcosa, e alla svelta. Così finsi una voce fioca e un’espressione triste. Non che fosse poi così difficile, dopo mesi lì dentro e dopo aver visto tante tragedie messe in scena dai figli di Apollo.
«A me stessa» mormorai.
«Mi dispiace, tesoro. Ma finché tuo padre non si deciderà a lasciarci un pegno, un segno che non si riprenderà questo privilegio che ci ha donato, io non ti lascerò andare. E deve lasciarci anche un posto lì giù, negli Inferi. Siamo suoi pari, deve trattarci come tali.». Peccato che mio padre fosse morto sedici anni prima. Ade mi proteggeva, ma non ero sua figlia. Ma annuii. Ludkar sorrise.
«Vedo che ragioni, splendore.». Mi scostò una ciocca di capelli e mi soffiò sul collo. Rabbrividii mentre la sua mano fredda mi afferrava dai fianchi.
«Ludkar!» gridò qualcuno, fuori dalla cella.
«Oh, proprio ora che cominciavamo a divertirci...». Si strinse nelle spalle. «Se la caveranno da soli».
«Non ora!» gridò di rimando.
Sentii un altro brivido percorrermi la schiena e cercai di trattenere il tremito che mi aveva colto il labbro inferiore. Cosa diavolo aveva intenzione di fare? Sentii i sensi alla massima allerta. Fece per avvicinare il suo viso al mio.
«Ludkar, è urgente!» urlò nuovamente qualcuno. «Si tratta dell’arma!»
Ludkar sobbalzò. Poi mi accarezzò lievemente la guancia e le nostre labbra si sfiorarono. Chiusi gli occhi istintivamente, ritraendomi appena, ma la sua era una presa di ferro.
«Mi racconterai un’altra volta di questo Leo» soffiò sulle mie labbra, e feci in tempo a riaprire gli occhi per vederlo sorridere languidamente. Poi aprì la porta della cella e andò via.
Mi appoggiai sul cuscino della brandina e vi nascosi il viso. Sentivo la gola bruciare per le lacrime che volevo versare, ma ormai avevo i condotti lacrimali consumati. Ero stanca di piangere. Mi consolavo all’idea che fossi riuscita a contattare Mel. L’avevo vista diversa nel messaggio. Era più magra, si era sfoltita i capelli e i suoi occhi grigi erano più brillanti. Dopo averla vista, ne sentii ancora di più la mancanza. Mi accoccolai sotto la copertina ruvida e cercai di spegnere il cervello e dormire.
Ovviamente il mio cervello non la pensava così, e decise di farsi venire tutti i problemi in quel momento.
Ripensai a come mi ero salvata dalle mani luride di Ludkar. L’avevano chiamato per qualcosa...un’arma. L’arma che volevano come pegno da parte di Ade, certo. Ma perché Ludkar si era affrettato così tanto?
Mi alzai dalla brandina e mi avvicinai alla porta della cella, sperando di riuscire a captare qualcosa. Sentivo delle voci, ma erano solo bisbigli indistinti. Mi mancava quasi quel morto vivente di Jasper, il vampiro che avevo conosciuto qualche mese prima e che aveva un superudito, per quanto idiota potesse essere. Morto vivente, ma certo! Avrei potuto evocare un’anima e chiederle di origliare per conto mio. Alla fine, ero sempre protetta da Ade come se fossi sua figlia.
Poi la realtà del posto in cui ero mi si spiattellò in faccia come una doccia fredda. Non potevo evocare proprio nessuno. Ero in un’altra vibrazione della realtà, ero nel luogo tra la vita e la morte.
Ero già esausta per aver chiamato Mel, una persona viva. Figurarsi un morto, che vuole l’intero McDonald’s per fare la propria apparizione e quello di cui disponevo io era solo un pezzo di pane raffermo.
Mi aggrappai alla porta della cella, frustrata.
E poi quelle voci si fecero chiare.
«La ragazza ha scoperto il suo lato di Cacciatrice» disse una voce roca. Non era quella di Ludkar e nemmeno quella di Kolor. Ma non mi era nuova. «È arrivata da poco all’Istituto, ma il nostro informatore mi ha comunicato che ha cominciato l’allenamento, anche se non va poi così bene.»
Poi sentii Ludkar parlare.
«Come sarebbe?»
«Le spade angeliche la rifiutano e lei rifiuta le rune».
Non avevo idea di cosa stessero parlando. Rune, spade angeliche, Cacciatori. Non potevo essere io. Non mi avevano fatto toccare né spade né rune, qualsiasi cosa fossero. Forse non ero l’unica ad essere prigioniera.
«Va benissimo invece» disse Ludkar.
«Come sarebbe?»
«Non preoccuparti. Va avanti»
«Sta acquisendo più padronanza dell’arco di Apollo».
Spalancai gli occhi. Esisteva solo un arco che poteva avere quel nome. E apparteneva ad Eles.
In quei mesi forse aveva scoperto questo suo lato da Cacciatrice con spade angeliche e rune, anche se io non avevo idea di cosa significasse. Conoscevo solo le Cacciatrici di Artemide, e nonostante non le avessi mai viste, sapevo che non usavano spade angeliche e tantomeno rune.
«Tra quanto credi sarà pronta?» chiese Ludkar.
«Basterà farle perdere qualcuno a cui tiene particolarmente. E si consegnerà a noi» rispose la voce roca.
«E chi sarebbe questo qualcuno?»
«Abbiamo già la figlia di Ade»
«Ma il loro legame non è forte come quello che c’è tra la figlia di Ade e la figlia di Atena. E sicuramente quella ricciolina impicciona non permetterà a nessuno di consegnarsi per Teri al posto suo. No, ci vuole qualcuno di più vicino al cuore della super abbronzata.»
«Ora che mi ci fai pensare ci sarebbe qualcuno».

«Non la madre. Non mi azzarderei mai a torturare una Shadowhunter esperta».
«Già. Maledetti Shadowhunters. Tu sei stato due settimane in quel Campo. Non ricordi niente?»

«Mh, fammi pensare. Ci sarebbe questo semidio, James. Anche lui figlio di Apollo e molto affezionato alla sua sorellina. E a Mel. Oppure Liam, figlio di Ermes. Ha una cotta seria per Eles

«E quale ragazzino non ha una cotta per quella patetica abbronzatissima?»

«No, e sta proprio qui il bello. Eles sembra ricambiare.»

«Liam, hai detto, giusto? Bene.»
«Fa' in modo che soffra, ma non ucciderlo fino a quando Eles non avrà ceduto.» si raccomandò Ludkar.

«Tranquillo, Ludkar. So come fare».

«Jack, fa' come ti dico e basta. Niente stronzate».
«Okay, capo».

Sentii una sedia spostarsi. Pensai che fosse l'adrenalina a schiarire i suoni alle mie orecchie. Dovevo avvisare di nuovo Mel. Dovevo dirle di avvisare il Campo e soprattutto Liam e James.

«Oh, aspetta Jack! Pensavo che potremmo incrementare la dose per convincere la piccola semidea a schierarsi dalla nostra parte. E anche Ade a lasciarci il pegno che vogliamo».

«Certo»

«Allora io ti filmerò mentre ti farai una bevuta dalla pallidina, lassù. È debole. Farle male sarà facile».

Spalancai gli occhi e mi morsi la lingua per trattenere un urlo.

«E lei com'è?»

«Molto carina, posso garantirtelo».

«Si può fare anche adesso».

«Bene, allora andiamo».
Un’irrazionale paura mi attanagliò lo stomaco e il respiro accorciarsi.
Sentii nuovamente una sedia scostarsi. Tornai subito sulla branda. Non dovevano pensare che avessi origliato.

Sentii i passi che si avvicinavano mentre avvertivo lo stomaco stringersi in un nodo. Sulla soglia comparvero Ludkar e un altro ragazzo sulla trentina. Aveva i capelli lunghi e castani, ricci. Era quello che mi aveva buttata nella cella, due mesi prima. Aveva la pelle pallida come quella di Ludkar e gli occhi azzurri come il cielo. Era leggermente più basso di Ludkar, ma più muscoloso. Sarebbe stato anche bello se non avessi saputo cosa stava per farmi. Volevo evocare dei fiori, come mi aveva insegnato Persefone, per farli inciampare, ma in quel mondo di cenere era impossibile.

«Ora stai tranquilla, bella. Sarà veloce, ma intenso». E ridacchiò.

Strinsi la coperta in un pugno.

«No...» mormorai. «Per favore, no».

Fu un istante. Jack si avventò su di me e mi bloccò le braccia al muro.

«Sarà divertente» mi disse, e respirai il suo alito puzzolente di sangue, spingendo indietro un conato di vomito.

Mi divincolai, ma evidentemente i Nocturni erano accumunati da una presa di ferro. Tutte le fortune. Cercai di sferrargli un calcio, ma il suo corpo sembrava fatto di marmo.

«Ferma, ferma. Hai davvero troppa energia. Dovrei togliertene un po'». I canini spuntarono scintillanti dalle sue gengive.
In quegli occhi azzurri fu come se rivedessi la mia vita. Vidi mia zia, che mi aveva accudita per quindici anni. Ricordai quando scoprii di essere diversa, di avere poteri, al ballo scolastico e inseguita da un Ciclope. Ricordai quando creai un collegamento empatico con Mel. Rividi Niall, il mio adorabile satiro e migliore amico, i miei fratelli Gregor e Nico, gli occhi dolci e multicolore di Persefone, mia madre. Ricordai i baci di Leo, le sue mani calde, il suo sorriso furbo. Era finita. Le lacrime scorrevano lungo le mie guance. Il mio ultimo pensiero andò ad Ade, mio padre. Non lo era davvero, ma restava il mio riferimento. Ero pronta a morire.

Ma nel momento in cui i canini sfiorarono il mio collo sentii uno strano calore provenire dai miei piedi. Riaprii gli occhi e vidi che i miei piedi stavano prendendo fuoco.

«Ma che diavolo succed-» borbottò Jack, ritraendosi. Le fiamme ai miei piedi si alzarono, avvolgendomi le gambe.

«Le fiamme nel Cinerarium dovrebbero essere viola...Tutto questo è..».

Le fiamme, invece, erano stupende, come quelle che Leo faceva spuntare tra le sue mani. Mi era mancato quel colore.

Ludkar tentò di toccare il fuoco, ma non riuscì nemmeno ad avvicinarsi. C’era come un campo di forza intorno a me. Mi si tapparono le orecchie. Vedevo i due Nocturni agitarsi e cercare di spegnere quello che ormai si stava trasformando in un incendio. Io, invece, ero tranquilla. Il dolore che mi provocava il fuoco non era insopportabile. Preferivo morire così, piuttosto che dissanguata e torturata. Basta in quel luogo a metà, tra il mondo della vita e quello della morte. Dovevo andare e appartenere ad uno solo. Alla fine, la mia vita non era stata così brutta. Raggiungere Ade non sarebbe nemmeno stato così male. Le fiamme divamparono e fui completamente avvolta in una colonna di fumo e fiamme.

 

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 - RIA ***


Capitolo 8

 

RIA

 

 

Una ragazza dai capelli bianchi e lunghissimi, che verso le punte divenivano color biondo cenere, era sulla porta. I suoi occhi erano viola come l’ametista e la guepiere che indossava era dello stesso colore. Corrugò la fronte.
«Oh, giusto! Voi dovete essere le nuove arrivate»
«Ehm...» fece per dire Mel. «Veramente noi...»
«Sì, so che non siete le spogliarelliste. Quelle sono russe. Siete le nuove bariste, no?»
«Esatto!» esclamò Eles. «Il capo ci ha detto di venire a vestirci qui»
«Sì, l’avevo intuito. Comunque io sono una delle ballerine. Mi chiamo Eder»
Spalancammo gli occhi tutte e tre insieme. L’avevamo trovata. Non mi sarei mai immaginata una ballerina di lapdance, anche se Viktor lo sperava, ma l’importante era che era lì, di fronte a noi.

«Sì, molti fanno quella faccia quando sentono il mio nome. Tranquille, niente di quello che dicono è vero. Ora andate, su, prima che il capo mi rimproveri di trattenervi». Non avevo la minima idea di cosa si dicesse di Eder, ma in quel momento non avevo intenzione di indagare.
«Ehm, okay. Grazie Eder, ci si vede» dissi io.
Uscimmo dal camerino, fermandoci nell’anticamera prima della sala da ballo.
«Dovremmo dirlo agli altri» disse Mel.
«Sì, facile ritrovarli. Ci sono solo un duecento persone qui!» esclamò Eles.
«Non è difficile. So rilevare la scarsa attività celebrale di Jace anche a questa distanza» ribatté Mel.
La tenda che separava l’anticamera dei camerini e la sala da ballo si scostò all’improvviso.
Sulla soglia comparve Jace.
«Non è carino parlare alle...» borbottò. Poi spalancò gli occhi. «Wow! Ti sei cambiata...»
«Sì, le tue colleghe Shadowhunters non volevano che andassi in giro in una discoteca con la maglietta del Campo e il cerchietto tra i capelli»
Jace annuì, continuando a guardarla insistentemente. Per poco non gli scoppiai a ridere in faccia.
«Non fissarmi così, idiota. Non ci sono insulti che sopporterò questa sera» sbottò Mel. Peccato che non si accorgesse che Jace non la stava fissando per cercare qualche battutina, ma la stava fissando perché era davvero uno schianto.
«Comunque abbiamo trovato Eder» annunciò Mel.
Jace si ricordò di smettere di fissare con sguardo ebete la figlia di Atena e si diede un contegno.
«Avviso gli altri»
«Okay, noi ti seguiamo» disse Eles.
Rientrammo nella sala da ballo e in quel momento vedemmo salire sul palco Eder. I capelli bianchi fluivano come un’aureola intorno al suo corpo slanciato. Il pubblico urlò quando entrò. Eder afferrò il palo con nonchalance e cominciò a muoversi a ritmo di musica. Raggiungemmo gli altri. Viktor e Hen erano intenti a ordinare qualcosa, mentre Alec lanciava loro occhiate preoccupate.
«Dovremmo essere sobri per incontrare questo Eder» urlò per sovrastare la musica.
Viktor ingollò il cicchetto di liquore e lanciò un’occhiata alla ballerina di lapdance.
«Oh, andiamo Alec. Stiamo in discoteca, qualcosa per scioglierci un po’ ci vuole. Altrimenti ci scambiano per sbirri»
Alec alzò gli occhi al cielo, poi si voltò e ci vide. Ci mise qualche istante prima di focalizzarci e capire chi fossimo. Eravamo davvero così irriconoscibili? Forse Mel più di tutte.
«Oh, eccovi» disse.
«Sappiamo chi sia Eder» avvisò Mel.
Viktor appoggiò il bicchierino sul bancone.
«E dove sarebbe?» chiese, interessato.
Mel fece un cenno con la testa verso il palo di lapdance. Viktor spalancò gli occhi e Hen rise.
«Dimmi che scherzi»
«Ti sembra una che abbia voglia di scherzare?» sbottò Mel, aggrottando le sopracciglia.
Viktor la squadrò dalla testa ai piedi.
«Tesoro, con quella scollatura non è poi così facile prenderti sul serio».
Mel pestò il piede di Viktor con una mossa istantanea. Un tacco conficcato nel piede non doveva essere piacevole, vista la reazione del Nephilim. Viktor spalancò gli occhi e si piegò in avanti.
«Woah! Okay, ti credo»
«E come ci avviciniamo?» intervenne Hen.
«Sappiamo dov’è il camerino» dissi. «Ma ha appena iniziato a ballare. Non credo che il suo spettacolo finisca dopo appena un brano»
Alec annuì. «Già, e mi pare pure piuttosto acclamata. Credo che ci toccherà aspettare»
«O farla scendere con la forza» continuò Jace.
«Non dovremmo attirare l’attenzione» disse Eles. «Già sembriamo tipi sospetti, figuriamoci se la tiriamo giù dal cubo».
Viktor guardava imbambolato la ragazza.
«Devo ricordarmi di ringraziare Magnus. È davvero una bomba. Mai avuta una missione così piacevole».
«Amico, prima vuoi tracciare le rune ad Eles, poi non vedi l’ora di andare in missione per trovare Teri, ora quest’altra. Dovresti vergognarti. Hey, ma ti sta guardando!» esclamò Hen.
Viktor sorrise nella direzione della ragazza.
«Sì, okay, bella storia d’amore, ma magari avremmo bisogno di avvicinarla e dirle che ci manda Mag-»
Non feci in tempo a concludere la frase che Viktor scivolò sullo sgabello e cadde a terra, svenuto.
«Oh per l’Angelo!» esclamò Alec, chinandosi.
«Cosa...» fece per dire Hen, ma in quel momento i presenti si accorsero di un ragazzo svenuto al bancone degli alcolici.
«Oddio, fate spazio!» esclamavano. «Fategli aria, è svenuto!»
Anche Eder smise di ballare e scese con un balzo dal cubo. I presenti si ritrassero per farla passare. Camminava come una modella, incrociando i piedi davanti a sé.
«Oh, portatelo nei camerini! Ha bisogno d’aria!» esclamò. «Vi faccio strada!»
Così Alec e Hen afferrarono Viktor e seguirono Eder. Io, Mel, Eles e Jace decidemmo di andare insieme.
Il dj si affrettò a rialzare il volume della musica e tutti sembrarono dimenticarsi del ragazzo tatuato e vestito di nero appena svenuto. Mi chiesi se la Foschia c’entrasse qualcosa.
Raggiungemmo Eder, Hen e Alec nel corridoio che conduceva ai camerini. Eder spalancò la porta del suo camerino.
«Venite, appoggiatelo sul divanetto!».
«Non capisco» disse Jace. «Stava bene fino a un secondo prima. Ho visto le sue palpebre abbassarsi come se si addormentasse e poi boom!»
«Già, proprio strano...» concordò la ballerina. Poi chiuse la porta dietro di sé.
«Okay, ora non ci sentirà nessuno» disse. «Viktor sta benissimo. Ora lo raggiungiamo, d’accordo?»
«Come sarebbe?» chiese Hen. «È appena svenuto!»
Eder scosse la testa.
«Sono una Crepuscolare allenata. Guardando dritto negli occhi una persona posso spedirla nel Cinerarium»
«Come facevi a sapere che noi...» cominciai a chiedere, ma per l’ennesima volta la mia domanda restò sospesa nell’aria.
«Se Magnus mi conosce ci sarà pure un motivo!» esclamò. «Anche se non ho mai incontrato delle semidee Nephilim».
«E chi ti ha detto che siamo semidee?»
«Certi eroi hanno proprio la faccia da coraggiosi. Comunque, ora basta chiacchiere. Andiamo!»
Afferrò Mel dalle spalle e la guardò dritta negli occhi.
«Begli occhioni grigi!» esclamò. Mel non fece in tempo a rispondere che si ritrovò svenuta. Eder la fece appoggiare su una poltrona.
«Aspetta!» la bloccò Eles. «Come facciamo ad assicurarci che ci raggiungerai?»
Eder indicò una boccettina dal contenuto viola su uno dei tavolini pieni di cosmetici.
«Quello mi trasporterà con voi. L’effetto dura poco, ragazzi. Prima dell’alba ci risveglieremo». Mi convinse. Ed evidentemente convinse anche Eles perché si lasciò guardare negli occhi. Eder la fece appoggiare su una sedia.
Poi fu il mio turno. Mi guardò dritta negli occhi.
I suoi occhi sembravano due ametiste incastonate nel volto diafano. Ebbi la sensazione che si espandessero sempre più, fino ad avvolgermi. Un lieve senso di torpore si impadronì di me, e annusai nell’aria anche il profumo dell’iris. Il viola mi circondava, fino a quando non ne fui completamente risucchiata.


Aprii gli occhi e la luce mi accecò. Mi schermai gli occhi con una mano, poi mi abituai alla luce e potei vedere meglio il cielo. Era strano. Ora capivo cosa intendesse Mel quando diceva che sembrava di essere all’interno della luna.
Mi rialzai a fatica, sentendo i muscoli ammaccati. Mi guardai intorno e vidi una landa desertica grigia. Mi chinai e toccai il terreno. Cenere.
Poi dalla luna nera partì un tornado al cui interno vidi tre figure nere: gli Shadowhunters. Ma dov’erano le mie amiche? E se fossi finita in un punto diverso? Vidi gli Shadowhunters atterrare sulla cima di una duna poco distante da me.
Così decisi di risalirla per raggiungerli.
Camminare sulla cenere era ancora più scomodo che camminare sulla sabbia. Ogni due passi scivolavo e dovevo aggrapparmi anche con le mani.
«Oh, ecco Ria!» esclamò Hen, vedendomi arrivare alla cima.
Avevo il fiatone, quindi preferii non rispondere.
Stavo per aggrapparmi alla cima e mettermi in piedi accanto a loro, quando una mano grigia spuntò da sotto la cenere, afferrandomi un polso.
Urlai per lo spavento e tirai uno strattone per liberarmi. Dalla cenere spuntò una figura umanoide grigia, che urlava parole incomprensibili. Sembrava cieca, non focalizzava il mio viso.
«Ria!» mi chiamò Hen.
Tirai uno strattone per liberarmi della presa di quell’uomo e caddi all’indietro, rotolando lungo la duna. Sentivo la schiena ammaccata, ma non osai muovermi. Vidi che la creatura di cenere aveva afferrato Hen da una gamba. Gli Shadowhunters sfoderarono le loro armi angeliche. Alec spezzò con un solo fendente il braccio della creatura che si sbriciolò.
Hen si affrettò a scendere dalla duna.
«Per l’Angelo, Ria, come ti senti? Vieni, ti aiuto». I suoi occhi chiari erano preoccupati. Accettai volentieri la sua mano e mi rimisi in piedi.
«Mi sento un po’ ammaccata. Credo di essermi fatta qualche livido»

«Vieni, fatti dare un’occhiata». Mi voltai di schiena e Hen mi sollevò appena la maglietta ormai mezza strappata.
«Sì, hai qualche livido. Ma con un iratze starai meglio di prima. Oh, hai perso il tuo stilo mentre rotolavi. Ricordami di dartene un altro quando torniamo». Afferrò lo stilo dalla propria cintura e lo appoggiò sulla mia schiena. Sentii il lieve bruciore sulla pelle che in quella giornata era diventato familiare per me. Prendere le Rune non si era rivelato poi così doloroso per me. Per Eles...era tutto un altro discorso.
«Ecco fatto» disse Hen, abbassandomi la maglietta e sorridendomi.
Poi si girò di schiena e si chinò appena.
«Ora ti accompagno io su in cima. Salta su». Risi e saltai sulla schiena di Hen. Mi aggrappai con le mie braccia alle sue e risalimmo insieme la duna.
«Grazie per il passaggio» gli dissi, scendendo dalla sua schiena.
«Sei leggera quanto una piuma» replicò. «Le spade angeliche sono più pesanti».
Alec e Jace erano lì, ad aspettarci.
«Okay, ora dovremmo trovare gli altri» disse Alec, cominciando ad incamminarsi.
«Come se fosse facile» borbottò Jace, seguendolo.
«Be’, dai. Mel non sarà difficile da ritrovare per te. Credo ti sia rimasta piuttosto impressa stasera» ribatté Alec, rivolgendogli un sorrisetto furbo.
Il rossore di Jace fu ancora più evidente in quel luogo così grigio. Risi, accompagnata da Hen e Alec.
«Questa me la pagate» borbottò.
«Oh, nel caso spuntino altre strane creature grigie dal terreno, tenete le armi pronte».
Aprii la borsa e seguii il suggerimento di Hen, sfoderando il coltello avvelenato. Nonostante la mamma di Eles mi avesse lasciato Sitael, preferii usare la mia solita arma, ora potenziata anche dalle Rune.
Camminammo per un chilometro, o forse anche meno, e non trovammo niente e nessuno. Nemmeno qualcosa di simile alla creatura che mi aveva afferrato il polso qualche minuto prima.
«Non è che la ballerina ha sbagliato e ci ha portati in un posto diverso?» chiese Jace.
Mi strinsi nelle spalle.
«Se così fosse, lo scopriremo».
Poi c’imbattemmo in un luna park abbandonato e grigio, tanto per cambiare. Sull’insegna rovinata la stanghetta della P si era cancellata, così l’insegna era “Luna Dark”.
«Non poteva avere un nome più azzeccato» commentò Hen.
«Eccoli!» esclamò una voce. Varcammo il cancello e vedemmo Eder. Alle sue spalle c’erano Viktor, Mel ed Eles.
Loro erano la prima macchia di colore (oltre il rossore sulle guance di Jace) che vedevo da quando ero caduta in quel posto.
Eder spiccava particolarmente con la sua guepiere e i suoi occhi viola e Mel aveva quella maglietta blu elettrico che tanto piaceva a Jace, visto che sembrò incantarsi per la seconda volta vedendola.
«Non potevi impegnarti un po’ di più per farci finire tutti nello stesso posto?» sbottò Hen.
Eder sorrise. «Si vede che siete parabatai, voi due» rispose, indicando Viktor. «Mi avete chiesto esattamente la stessa cosa. E come ho già detto al tuo amico, non dipende da me, purtroppo. Il Cinerarium è un posto mutevole come sabbia al vento. Anzi, direi cenere al vento».
Hen non aggiunse altro.
«Bene, benvenuti nel Cinerarium!» esclamò Eder.
«Io sono la vostra guida in guepiere Eder e oggi ci divertiremo un mondo! Il nostro tour partirà dalla vecchia fabbrica. Sono quasi certa che troveremo ciò che vi serve. Per favore, non disperdetevi. Qui ci si perde facilmente». La Crepuscolare si sfilò un fiore viola dai capelli e lo sventolò in aria.
«Seguite il fiore. Andiamo!».

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 - ELES ***


Capitolo 9

 

ELES

 

 

Mi sembrava di camminare da ore. I piedi affondavano nella cenere ed ogni passo si faceva sempre più pesante. Respirare cenere non era di aiuto.
«Come fai a sapere che nella fabbrica c’è esattamente ciò che ci serve?» chiesi ad Eder.
«I Nocturni non sono tipi fantasiosi. I loro covi sono sempre gli stessi. Fabbrica – Cinema – Luna Dark – Cattedrale. Nella Biblioteca di Alessandria non ci vanno mai. Come avete visto, alla Luna Dark non c’era proprio nessuno. La Cattedrale è troppo scoperta. Ora ci stiamo dirigendo alla fabbrica, che avendo più stanze e una mappa più complicata mi sembra la scelta più probabile per nascondere una semidea potente come la vostra amica».
«Ma allora sai tutto!» esclamò Mel. La figlia di Atena si sentiva giustamente spodestata dal suo ruolo di ‘so tutto io’.
«So abbastanza» replicò la Crepuscolare.


«Ma quanto è distante questa fabbrica?» chiese Ria. «Non è piacevole farsi una camminata in questo posto».
«Purtroppo, come vi ho già detto, il Cinerarium è un posto strano. Cercate di concentrarvi tutti sulla nostra meta e non sulla fatica che vi costa camminare tra la cenere. Sarà più facile raggiungere la fabbrica». Così feci. Non so spiegarvi come, ma appena superata una duna vedemmo la fabbrica imponente davanti a noi. Fino a dieci metri prima non si vedeva proprio niente. Dal comignolo della struttura fuoriusciva un fumo violaceo.
«Quello» indicò Eder. «È il fuoco di questo mondo. Invece di bruciare e far sparire le cose, le fa apparire. Sottoforma di cenere o comunque cose bruciate, ma le fa apparire. Il fuoco viola è il mezzo che usano le cose per raggiungere il Cinerarium».
«Che razza di posto» borbottò Viktor.
«L’ho detto anch’io la prima volta che sono finita qui».

Scorsi degli uomini all'ingresso dell'edificio.

«Sono Nocturni?» chiesi. Eder annuì.

«Okay, parliamo il più in silenzio possibile. I Nocturni hanno un udito ultra sviluppato. Dunque, vada per il classico piano. Io, Viktor e Hen li distraiamo su un lato. Jace, Alec e Ria sull’ altro. Tu e Mel entrate e liberate la ragazza».

Viktor la guardò impressionato.

«Intelligente» mormorò. Eder gli sorrise, e intravidi le sue guance tingersi di rosso attraverso i capelli candidi.
Poi si riscosse.
«Andiamo, dai. Noi prendiamo questo lato» disse la Crepuscolare, indicando la propria destra.
«Okay, allora noi ci vediamo dopo» salutò Ria, camminando verso sinistra seguita da Jace e Alec.
«A noi tocca aspettare» disse Mel, guardandomi.
«Grazie per prima» aggiunse.
«Per cosa?» chiesi. Non ricordavo di averle fatto un favore.
«Per avermi resa carina. È una bella sensazione».
Risi piano, per non attirare l’attenzione dei Nocturni nella nostra direzione.
«Non c’è di che»
«Io e te non siamo mai andate molto d’accordo» osservò Mel. «Abbiamo avuto molti alti e bassi».
Annuii. «Be’, nemmeno tu e Teri vi siete volute bene a prima vista».
Mel sembrò rifletterci un attimo. «Sì, ma è più facile detestare una ragazza popolare che una ragazza dark che non conosce quasi nessuno».
«Giusta osservazione» concordai. «Tu e James vi siete più risentiti dalla fine dell’estate?».
Mel s’irrigidì.
«Gli avevo detto che l’avrei chiamato, ma lui ha detto che sarebbe stato meglio se mi avesse contattata lui appena avrebbe avuto un po’ di tempo libero dall’infermeria»
«E non si è fatto più sentire» dedussi. Mel si strinse nelle spalle.
«Dai, tanto ora hai Jace che ti fai il filo!»
Mel fece una smorfia di stupore misto ad imbarazzo.
«Chi? Jace? Ma se non fa altro che prend-» la sua voce si era alzata di diverse ottave e le tappai la bocca.
«Shh!». Poi mi sporsi oltre la duna e vidi l’ultima cosa che volevo vedere. Una delle due guardie si stava muovendo verso di noi.
Imprecai.

«Mi sa che ci sarà un cambio del piano. Preparati». Mel tirò il cappio al suo elastico trasformandolo nel suo arco argentato.
Io feci per allungare una mano verso il cilindro per aprirlo nel mio arco, ma quello si spalancò in tutta la sua bellezza nel mio braccio, con una freccia già incoccata.
«Wow!» esclamai.
«Lo apri senza toccarlo, ora, eh?» replicò Mel.
Annuii. Ci sporgemmo oltre la duna di cenere e prendemmo la mira. Un secondo dopo le frecce sibilarono verso il Nocturno. Non avevamo fatto i conti, però, con la velocità di quelle creature.
L’uomo afferrò al volo le due frecce.
«Oh, dolcezze, non avete capito proprio niente, allora!»
«Bene. Visto che è così...» dissi, e l’arco si richiuse in un istante e scivolò nuovamente nella cintura. Afferrai la spada angelica.
«
Lelahel» sussurrai. Nello stesso istante in cui la spada si accese, il Nocturno si avventò su di me. Parai la sua mano che voleva afferrarmi e premetti la lama di taglio contro il suo polso.
Il Nocturno urlò di dolore e lasciò la presa. Ritentò un pugno, ma fui più veloce di lui. Con un fendente gli mozzai una mano. Il Nocturno si piegò in due, mentre la sua mano giaceva tra la cenere, diventando nera.
I suoi occhi erano pieni di lacrime mentre mi guardava terrorizzato.
Un secondo dopo una freccia argentea gli si conficcò nella schiena e cadde a terra, morto.
Mel riportò il braccio lungo il fianco, mentre un’altra freccia era già ricomparsa.
«Bene» disse. «Credo che far rotolare il corpo lungo il pendio sia l’idea migliore. Così l’altra guardia ci raggiungerà e gli altri potranno entrare».
Annuii.
«Aiutami».
Quel Nocturno non era leggero. Farlo rotolare ci costò più fatica di quella che avremmo pensato di impiegare.

Poi ci nascondemmo nuovamente dall’altro lato della duna e vedemmo che l’altra guardia non c’era più. Ci guardammo, preoccupate.
«Credo sia andato a chiamare i rinforzi» disse Mel.
Vedemmo gli Shadowhunters, Ria ed Eder ai piedi della duna.
«Scendete!» gridò Eder. Ormai non aveva senso essere silenziosi, visto che ci avevano scoperti.
«Piano B» annunciò la ragazza. Si mise una mano nel corsetto e sfoderò un pugnale. Davvero piena di risorse. «Affrontiamoli!».
Raggiungemmo gli altri.
«Forse è anche il piano migliore» affermò Viktor.
«Esistono pochi Nocturni al mondo» disse Eder. «Credo saremo in maggioranza».
«Siamo solo otto» le ricordò Ria.
«Basteremo, fidati».
Fissavamo tutti il cancello d’ingresso. Nessun segno di vita.
«E se la guardia se ne fosse andata? Magari aveva finito il turno» ipotizzò Jace.
«Hanno rapito una semidea figlia di uno dei Tre Pezzi Grossi, il che significa una delle semidee più potenti. Secondo te lasciano dei buchi tra un turno e l’altro, a rischio e pericolo che soffino il loro piccolo tesoro? I Nocturni non sono così ingenui».
«No di certo, ma forse lasciano incustodito il cancello perché il loro piccolo tesoro non c’è più» disse una voce roca.
Tornammo a guardare il cancello. Sulla soglia c’era un uomo. Dalla pelle chiara intuii fosse un altro Nocturno. Aveva gli occhi azzurri, i capelli lunghi e ricci, i baffi e la barba curati. Sembrava un pirata. O uno dei tre moschettieri.
«Come sarebbe non c’è più?» disse Mel, facendo un passo avanti. «L’avete ammazzata? Vi uccido, bastardi!». Fece per scoccare una freccia, ma Jace la trattenne.
«Calmati! Non ha detto questo!»
«Lasciami, Jace! Voglio strozzarlo con le mie mani!».
«Immagino che tu sia la figlia di Atena». Il Nocturno-pirata aveva un’aria triste. Mel annuì, dubbiosa. Il Nocturno scosse la testa.
«Mi dispiace» disse.
«Ti dispiace un corno! Cosa le avete fatto?»
«Io sono Jack, comunque. Eravamo andati nella cel- nella stanza di Teri per...insomma per...darle la cena. Ma lei è...Ha preso fuoco. Ed è sparita».
«Il fuoco di questo mondo non era fatto per portare invece che per far sparire?» chiese Hen.
Jack annuì. «Sì, ma il fuoco non era quello viola. Era quello rosso. L’ha portata via, l’ha fatta dissolvere. Se un’anima che sta nel Cinerarium deve tornare nel mondo della vita, allora viene avvolta in un tornado e va via attraverso la luna nera. Se deve andare nel mondo della morte, allora si dissolve».
«TACI!» urlò Mel. «Sarei morta anch’io, lurido bugiardo! La state torturando, ecco la verità! Lasciatela in pace, lasciatela! Cosa volete da lei? Basta, basta!»  E scoppiò a piangere, istericamente. Sembrava voler dire quelle parole da giorni.  Jace l’afferrò per un polso per tirarla via, ma Mel si buttò nelle sue braccia e nascose il viso contro il suo petto. Lo Shadowhunter la strinse forte a sé, mormorandole qualcosa. Sentii il cuore stringersi. Non avevo mai visto Mel così demoralizzata e disperata.
«Ecco, vedete...i collegamenti empatici vengono spezzati se uno dei due si trova qui. Tentare di contattare la persona con cui si è legati empaticamente può essere fatale. Ecco perché non l’abbiamo portata in un rifugio nel nostro mondo, altrimenti vi avrebbe detto dove si trovava e non avremmo ottenuto ciò che vogliamo da Ade».
Mel lasciò il petto di Jace e si voltò verso il Nocturno, ancora più arrabbiata di prima.
«Lei ci era riuscita. Lei è forte!»
Jack sembrò avere un’intuizione. Ed evidentemente la ebbe anche Mel, perché si irrigidì.
E avevo capito anch’io. Teri era morta per il tentativo di comunicare con Mel tramite collegamento empatico. L’avevamo capito tutti. Il silenzio si fece pesantemente tombale davanti a quella fabbrica.
«NO!» gridò Mel, piegandosi sulle ginocchia e piangendo. «NO, NO, NO!»
Io e Ria corremmo per raggiungerla. Ci chinammo accanto a lei e l’abbracciammo. Le lacrime scorrevano lungo le mie guance. Mel si coprì il volto con le mani e cominciò a singhiozzare. Era un momento tutto nostro. Per un attimo dimenticai gli Shadowhunters, Eder, Jack, la fabbrica e il Cinerarium.
C’eravamo solo noi e il nostro dolore. Non riuscivo ancora a crederci. Teri, morta.
«Tom!» esclamò Jack, guardando oltre le nostre spalle. Poi ricordai. Avevamo ammazzato un Nocturno.
Gli Shadowhunters sfoderarono le spade, e anche noi fummo costrette a riprenderci per armarci.
«L’avete ucciso!» urlò Jack, con le lacrime agli occhi.
«VOI AVETE RAPITO LA MIA PARABATAI!» gridò Mel, ancora più forte di lui. «Se non l’aveste rapita non avrebbe mai cercato di contattarmi da questo posto infernale e non sarebbe morta! Cosa ti aspettavi, eh? Che ti regalassimo carne cruda per ringraziarti?»
Intravidi l’ombra di un sorriso sul volto di Jace. Mel aveva usato una parola del Mondo Invisibile, parabatai.
Ad un tratto cominciò ad alzarsi un vento forte.
«Non finisce qui, semidee» disse Jack. «Me la pagherete!».
Il ventaccio si trasformò in un tornado che ci avvolse e ci portò via, lontani da quella fabbrica, lontani dalla tomba di Teri.

Riaprii gli occhi nel camerino di Eder. Gli altri si stavano svegliando, come me.
Quando Mel si svegliò aveva già gli occhi rossi e le guance bagnate.
«Dobbiamo andare immediatamente al Campo» dissi. Mel e Ria annuirono.

«Vi accompagno» si intromise Jace. «Delle ragazze di quattordici e quindici anni non girano da sole per le strade di New York alle sei del mattino».
«Sì, vengo anch’io» aggiunse Eder. «Ovviamente non vestita così».
Decidemmo di cambiarci anche noi. Mel indossò nuovamente la maglietta del Campo, ma lasciò perdere il frontino. Stava molto meglio senza.
Io e Ria recuperammo le divise da Shadowhunters.
Eder si cambiò in jeans e t-shirt, e legò i capelli in una treccia. Struccata restava sempre bella, il che era frustrante. Salutammo gli altri che tornavano all’Istituto e noi prendemmo un taxi per Long Island. Ormai era l’alba.
Sentivo un mattone sul cuore. Come avrei fatto a dirlo a Nico e a Leo, le persone che l’amavano di più al mondo?
«Dovremmo dirlo anche alla zia mortale» disse Ria, rompendo il silenzio.
«Già. Sapete dove abitava?» domandai.
«Sì, io sì. Mi regalava sempre dei dolcetti quando passavo con la mia banda di teppistelli» disse Ria, sorridendo. «Teri ci guardava sempre ammirata». Non riuscivo a ricordare il periodo in cui Ria andava in giro con quei ragazzini a fare scherzi. Sembravano passati secoli, invece erano passati appena quattro mesi.
Erano successe troppe cose. Le nostre vite erano cambiate radicalmente, eravamo destinate ad altro. Mi resi conto di aver dimenticato la maggior parte delle mie “amiche” della vecchia scuola e mi dispiaceva. Rimpiangevo quella vita, seppur io sentissi sin d’allora di essere diversa. Avevo sempre avuto quel senso di vuoto che solo più tardi ero riuscita a colmare, quando avevo scoperto la mia vera origine. Mezza dea, mezza Shadowhunter.
E della seconda metà non ne ero nemmeno così felice. Mi aveva portato solo più morti da piangere.
Il tassista parcheggiò e Jace lo pagò.
«Offro io» disse, sorridendo.
Oltre l’arco d’ingresso si espandeva il Campo. Anche a fine estate era stupendo, colorato, vivo. Alcuni mezzosangue vi restavano tutto l’anno.
Mossi qualche passo in avanti.
«Jace, Eder» dissi. «Vi presento la nostra casa».

 

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 - MEL ***


Capitolo 10

 

MEL

 

 

Varcammo l’ingresso del Campo. Mi ero ripromessa che la volta successiva in cui l’avrei fatto sarei stata con Teri. Invece lei era andata via. Si era dissolta in cenere. Aveva raggiunto il padre, sia Ade che quello naturale.
Mi obbligai a bloccare le lacrime. Dovevo dirlo prima a Leo, a Nico, a Niall, a Chirone.
Ridiscendemmo il pendio della Collina Mezzosangue. Il sole sorgeva, mentre il mio cuore stava tramontando.
Raggiungemmo le Cabine.
«Dormite qui?» chiese Jace, guardandosi attorno. Annuii.
«La mia casa è la numero Sei» risposi. Poi elencai i vari dei, indicando le corrispettive cabine. Jace sembrava affascinato.
Arrivai alle Cabine aggiunte, quelle che erano state costruite da poco.
«Ecate, Tyche, Ebe, Nike, Nemesi, Ipno, Iride e...». Sentii formarsi un groppo in gola.
«Ade» dissi, a voce strozzata. Feci un respiro profondo e distolsi lo sguardo dalla Casa. Non volevo pensare a Nico, lì dentro, che tra pochi minuti avrebbe scoperto tutto.
«E questo falò?» chiese. Apprezzavo che non volesse farmi pensare a Teri, ma era una cosa che avevo ormai dentro. Era parte di me, eravamo più che semplici amiche.
«È il focolare di Estia, dea della famiglia e, appunto, del focolare domestico. Non si spegne mai» spiegai. Jace mi guardò con i suoi occhi ambrati e mi sorrise.
«Hai davvero una bella casa» disse. Ricambiai il sorriso.
«Mel!» mi chiamò una voce. Mi voltai e vidi Annabeth, in piedi sulla soglia della Cabina Sei.
«Annabeth!». Corsi ad abbracciarla. Sentire le sue braccia avvolgermi fu un sollievo. Fu come se mi togliesse qualche sasso dal peso che avevo sul cuore.
Di nuovo sentii le lacrime minacciare di sgorgare, ma le ricacciai indietro.
Volevo bene alla mia sorellastra, ma Nico e Leo erano i primi che dovevano saperlo. Ne avevano il diritto.
«Ciao Annabeth!» la salutarono Ria ed Eles. Annabeth ricambiò il saluto.
«E loro sono Eder e Jace» dissi, facendo un gesto verso il Nephilim e la Crepuscolare. «Jace è un Cacciatore di demoni. Te ne parlerò meglio». Annabeth strinse la mano prima ad Eder, poi a Jace.
«Perché Ria e Eles sono vestite come lui?» domandò.
«Ti spiegherò anche questo, promesso. Sono successe parecchie cose». Annabeth mi guardò con i suoi occhi grigi uguali ai miei. Mi scannerizzò il volto e capii che lei avesse percepito qualcosa sul mio umore.
«Hey!» gridò un’altra voce. Sentii il corpo irrigidirsi quando la riconobbi.
Mi voltai e vidi Leo che ci salutava.
«Ragazze!» poi sembrò accorgersi di Jace. «E ragazzo!».
Ci raggiunse camminando velocemente.
«Novità?» chiese, speranzoso. Vidi che al polso portava il laccetto di Teri. Chiusi gli occhi e cercai di respirare mentre le lacrime bruciavano infondo alla gola.
«Leo...» iniziò Eles. Le orecchie si tapparono. Mi rifiutai di sentire quelle tre parole.
Riaprii gli occhi e vidi il sorriso di Leo spegnersi. Fece qualche passo indietro. Si passò una mano tra i capelli mentre il suo sguardo guardava nel vuoto.
«Non può essere...Come fate a saperlo?»
Lasciai perdere ogni sforzo di trattenermi mentre Ria gli spiegava tutto. Io non ne avevo la forza. Piansi di nuovo.
«Mi dispiace, Leo». Feci per andare ad abbracciarlo.
«No. No...No...No...» ripeteva. Poi cacciò un ultimo “NO” tra i singhiozzi. Urlò di dolore, di disperazione, diede un calcio al terreno.
«TERI! NO!» gridò, mentre si accasciava a terra.
La porta della Cabina Tredici si spalancò un secondo dopo. Sulla soglia comparve Nico, con i capelli ancora più spettinati del solito, come se si fosse appena alzato.
«Cosa succede?». Cadde il silenzio. Nico vide Leo accasciato a terra, piangente.
Vidi la sua espressione cambiare, la consapevolezza, l’orrore sul suo volto.
Le porte delle Cabine cominciavano ad aprirsi. I Mezzosangue volevano sapere chi avesse urlato a prima mattina.
Nico si sedette sui gradini della Cabina Tredici e nascose il volto contro le cosce.
I Mezzosangue uscirono dalle Cabine e si fermarono sulle soglie, guardando la scena. Chirone arrivò al galoppo.
«Ragazze!» esclamò. «Cosa...?»
Poi alzò lo sguardo oltre le nostre spalle e vide Leo, ancora lì, che piangeva. Il volto del centauro si rabbuiò. Diede una pacca sulla spalla a me, ad Eles e a Ria.
«Mi dispiace». Non ci chiese di raccontargli tutto subito. Facemmo colazione. Decisi di fregarmene delle regole e sedermi al tavolo Tredici, accanto a Nico. Non potevo vederlo da solo. Atena avrebbe capito, per una volta.
Nico non toccò cibo. Io mangiucchiai un pezzo di pane, ma lasciai le uova e il bacon intatti.
«Dovresti mangiare qualcosa» disse Jace. Non feci in tempo a replicare che qualcuno mi chiamò.
«Mel!».
Alzai lo sguardo e vidi James. I suoi capelli biondi erano più lunghi, ma il sorriso era quello di sempre. Sembrava il classico californiano e mi chiesi quanto dovessimo sembrare strani insieme: la secchiona e il palestrato. Mi alzai di scatto e corsi verso di lui.
Mi abbracciò forte e respirai il suo profumo che tanto mi era mancato. Le sue braccia forti mi avvolsero e mi sentii protetta, come non mi sentivo da settimane.
Mi scostò i capelli e mi accarezzò una guancia con il pollice. Sentivo il suo cuore battere forte contro la mia mano.
«Mi sei mancata» bisbigliò.
Premetti la mia fronte contro la sua.
«Non mi hai chiamata» mormorai.
«È da un po’ che i messaggi Iride non funzionano» disse. «Stiamo cercando di capire cosa succeda. Iride non è stata rapita o qualcosa del genere, ma dice che l’iPhone non è più disponibile, non riesce a farlo funzionare per il Campo. Chirone sta ancora cercando di capire cosa stia succedendo».
Aggrottai la fronte.
«Io sono riuscita a chiamare mio padre ieri mattina» replicai.
James annuì. «Infatti, dicevo solo per il Campo. Le comunicazioni da e per il Campo non vanno. Comunque, non vedevo l’ora di rivederti...Anche se mi dispiace che sia in un’occasione così triste».
Annuii.
«Già. L’importante è che tu sia qui» bisbigliai.
James sorrise e il mio cuore perse un battito. Ricordai la prima volta che avevo visto il suo sorriso. Ero svenuta dopo aver ammazzato un ciclope e lui era un infermiere. Si era presentato come figlio di Apollo, e io gli avevo detto che aveva bisogno di cure. E invece di offendersi mi aveva sorriso, gentile, e mi aveva spiegato tutto con pazienza. Si avvicinò alle mie labbra. Mi cominciarono a sudare i palmi delle mani. I suoi occhi verdi, bellissimi come allora, erano così vicini. Avvertii il fiato farsi più corto.
Le sue labbra toccarono le mie in un contatto veloce, seppur dolce e romantico.
«Forse non è il caso di baciarsi qui» mormorò. Annuii.
«Ti va di farci un giro?» chiese, prendendomi per mano e intrecciando le dita. Quel contatto mi lasciò quasi senza fiato. Eravamo sempre stati solo buoni amici. Non c’era mai stato un vero flirt tra noi. Avrei voluto tanto rispondergli di sì, andiamo a farci una passeggiata e non torniamo mai più. Ma dovevo andare a trovare la zia di Teri. Mi guardai intorno, e vidi che Ria e Eles stavano ancora parlando con Chirone. Sospirai.
«Magari solo per qualche minuto» risposi. Gli occhi di James si illuminarono.
«Andiamo, allora».
Riuscimmo a muovere solo qualche passo verso i campi di fragole che qualcuno mi chiamò a gran voce.
«Mel!»
Mi voltai e vidi Niall che correva verso di me. Lasciai la mano di James e corsi ad abbracciarlo.
Niall era sempre stato il mio migliore amico. Durante il cambiamento dalla vita normale che avevo prima, alla scoperta di essere una semidea, lui era rimasto il mio punto fermo, l’unica cosa che non era mai cambiata.
«Come mai sei tornata?» chiese. Oh, giusto. Lui non lo sapeva ancora.
«Teri» risposi. «È...». Mi mancò il fiato. Non ero ancora riuscita a dire quella parola. Non riuscivo nemmeno ad ammetterlo a me stessa. Così passai a spiegargli prima com’era successo.
«Contattarmi dal Cinerarium l’ha...distrutta»
Vidi gli occhi azzurri di Niall spalancarsi. Poi riempirsi di lacrime. Il satiro si gettò a terra.
«È colpa mia» disse, tra i singhiozzi. «Tutta colpa mia».
Mi inginocchiai accanto a lui.
«Ma che dici? Tutt’al più la colpa è mia. Teri ha cercato di contattare me ed è...». Un’altra volta sentii la gola che mi si chiudeva nel pronunciare quella parola.
«No, Mel. Io sono il suo custode. Avrei dovuto proteggerla, avrei dovuto consegnarmi al posto suo, sarei dovuto morire al posto suo. È colpa mia»
Scossi la testa e gli accarezzai i capelli rossi.
«Non ti avrebbero mai preso al posto suo, Niall. Loro vogliono minacciare Ade e l’avrebbero potuto fare solo rapendo Teri. E ora non possono nemmeno farlo più. Sono quasi certa che prima di...di...andar via, Teri sia stata felice di aver distrutto i loro piani. È andata via come voleva lei, alla fine».
La prima a scoppiare in lacrime quando Jack aveva annunciato la notizia, ero stata io. Ora mi ritrovavo a consolare gli altri.
Guardai James, e gli rivolsi uno sguardo dispiaciuto.
James sorrise e si avvicinò.
«Tranquilla. Stasera dormite qui?» chiese, con il suo sorriso gentile. Lo guardai dritto negli occhi e sentii il cuore sciogliersi.
«Sì, credo proprio che mi fermerò». James mi accarezzò una guancia e, senza che accorgermene, mi feci più avanti. Il figlio di Apollo sembrò cogliere la mia silenziosa richiesta e mi baciò. Le sue labbra erano calde, abili e morbide. Staccarmi da lui fu un’impresa all’altezza della battaglia contro i vampiri neonati.
«A dopo» sussurrò, a fior di labbra.
«A dopo» ripetei, sorridendo. James si allontanò, tornando in mensa. Poco dopo vidi Eles e Ria che correvano per raggiungerci. Eles non indossava più la divisa da Shadowhunter, si era già riappropriata dei jeans e della t-shirt arancione del Campo. Le donavano di più.
«Niall, noi avremmo intenzione di andare dalla zia di Teri. Tu, per caso, sai dove abiti?».
Niall si alzò di scatto.
«Ovvio. Andiamo».


Ria fu silenziosa per tutto il viaggio. Eles mi disse che mancavano solo due giorni e poi Carl avrebbe dovuto consegnare un esercito a D’Amico per avere salva la vita del figlio. Ria si sentiva responsabile. Quella ragazza era più forte di tutte noi messe insieme.
La zia di Teri viveva in una bella casa, circondata da campi immensi di verde.
Era mattina inoltrata, le dieci, forse. Non avevo l’orologio con me.
«Come si chiama la zia?» chiesi a Niall, mentre Eles pagava il taxista.
«Pia» rispose il satiro. «È figlia di semidei. Suo padre era figlio di Ares e sua madre era figlia di Iride. Sa tutto del nostro mondo».
«Bene» commentò Ria. «Almeno non dovremo inventarci spiegazioni imbarazzanti».
Percorremmo il vialetto che separava la casa dalla strada.
Fu Niall ad avvicinarsi alla porta. Bussò due volte.

«Chi è?» chiese una voce femminile.
«Signorina...siamo degli amici di sua nipote Teri».
Signorina?

«Siete i sesti questa settimana!» replicò la voce, infastidita. Effettivamente la voce non sembrava vecchia.
«Ditemi le due rock band preferite di mia nipote e saprò che siete davvero i suoi amici!».
Spalancai gli occhi. Pur avendo un collegamento empatico, era una domanda a cui non sapevo rispondere. Sapevo che le piaceva il rock, ma le band... Mi voltai verso Ria ed Eles e le vidi entrambe in difficoltà.
Niall, invece, rispose prontamente.
«Guns N Roses e Skunk Anansie».
«È giusto» ammise la voce. «Ancora un’altra domanda».
«Ma siamo davanti alla sfinge o davanti alla zia di Teri
«Okay, allora non volete parlarmi davvero» replicò, stizzita.
«Teri è morta!» si affrettò a dire Niall. «È stata rapita e portata nel Cinerarium, un luogo di mezzo tra vita e morte. Ha cercato di contattare Mel, la figlia di Atena con cui aveva un collegamento empatico e questo le è costato la morte». Le guance di Niall erano nuovamente rigate di lacrime.
La porta si spalancò. Una donna di circa trentacinque anni era ferma sulla soglia. Era magra, ma muscolosa e alta. Aveva i capelli rossicci, gli occhi verdi e lucidi. Le mani nodose erano chiuse in due pugni stretti lungo i fianchi.
«Niall?» chiese.
Il satiro annuì. Lo sguardo della donna si posò su Eles.
«La signorina McTemar?». La figlia di Apollo annuì.
«Ria? Ria Johnson?» domandò la donna, guardando la figlia di Nemesi.
«Ria Blueway, signorina.»
«La figlia di Carl? Gli somigli molto» disse Pia.
Conosceva Carl. Conosceva gli Shadowhunters.
Ria annuì. Poi la donna mi guardò e sorrise appena.
«Tu...facile. Tu sei Melissa. Oh, giusto. Mel».
Le rivolsi un sorriso tirato.
La donna sospirò.
«Venite». E si fece da parte per farci entrare.
La casa, all’interno, era piccola, ma accogliente. C’erano pochi mobili, un camino, un divano di pelle blu tutto graffiato e un gatto nero che ci dormiva sopra. Di fronte a noi c’era una porta finestra che illuminava la casa, sulla sinistra una piccola cucina da cui proveniva un profumo di menta mischiato all’odore dello zucchero, sulla destra un corridoio non molto lungo che affacciava su due stanze.
«Accomodatevi» disse Pia, indicando i divani. «Gradite qualche biscotto cioccolato e menta?» chiese.
«Sì, grazie» dissero Ria e Niall.
Il pane mangiucchiato a colazione mi bastava, così non presi altro che un bicchier d’acqua.
Pia servì i biscotti e l’acqua e poi si sedette di fronte a noi.
«Io vorrei che Teri avesse una lapide» annunciò, guardandosi le ginocchia. «So che apparteneva al vostro mondo, ma io le ho voluto bene sin da quando Demetra e Ade me la lasciarono in custodia. Ero poco più che ventenne, i miei genitori erano morti da poco, il mio ragazzo mi aveva lasciata. L’amore che un neonato può dare nella sua incoscienza era quello perfetto». La voce di Pia tremava appena, come il suo labbro inferiore. «Quindi vorrei che avesse una lapide commemorativa come una persona normale».
«Sì, lo capiamo» commentò Ria.
«I funerali si svolgeranno stasera al tramonto, al Campo» aggiunse Eles. «Vorremmo che tu ci fossi. Credo che potrai entrare, visto che non sei completamente mortale». Pia annuì.
«Volete vedere la sua camera?»
Fui in piedi prima che potessi rendermene conto.

La camera aveva le pareti viola scuro. Le lenzuola nere erano perfettamente piegate. Ai piedi del letto c’era una fila ordinata di Converse con le borchie, nere, con i teschi. Sopra il letto c’era una mensola con una fila di dischi. Ria si allungò per prenderne uno e lesse ad alta voce.
«Appetite for destruction. Wow».
«Il suo preferito» disse Pia. «E l’ha fatto diventare anche il mio preferito».
Niall sorrise. «La sua canzone preferita era Mr Brownstone. La cantavamo spesso insieme».
Spostai lo sguardo su una scrivania disordinata.
C’erano foglietti sparsi ovunque, libri di scuola aperti, bracciali di pelle nera buttati qua e là. Sulla sedia c’era una felpa dei Nirvana spiegazzata e dei jeans al rovescio.
«Non ho mai toccato niente del suo disordine» disse Pia, seguendo il mio sguardo. «A lei piaceva così».
«Volete fermarvi a pranzo?» chiese la donna. I suoi occhi sembravano chiedere disperatamente un sì come risposta.
«Certo!» esclamò Niall, sorridendo.
«Bene! Oh, Niall, puoi anche toglierti i piedi finti e stare comodo».

Quando Pia servì a tavola un pranzo tipicamente italiano il mio stomaco borbottò impaziente.
«Gome si ghiama quetto?» chiese Niall, a bocca piena.
«Carbonara» rispose Pia. «Vedo che è di vostro gradimento».
Annuimmo.
«Senza offesa per voi dell’Olimpo» commentò Eles, indicando il soffitto. «Ma è davvero da dei!»
Pia sorrise e arrossì quasi quanto i suoi capelli.
«Grazie». Fuori dalla finestra si sentivano le mucche muggire.
Pia chiese delle rune di Ria, Eles raccontò della sua debolezza da Shadowhunter, e Pia la incoraggiò.
Niall poi sgranocchiò anche una lattina di Coca Cola e ruttò contento. Sembrava un pranzo tra amici in un sabato qualunque. Poi arrivò una telefonata.
«Oh, un attimo solo!». Pia rispose al telefono.
Mi mossi sulla sedia, irrequieta. Quegli aggeggi mi innervosivano.
Pia annuì, e il suo sorriso si spense.
«Okay, a più tardi». E chiuse la conversazione.
«Che succede?» chiese Ria.
«Il marmista aveva poco da fare oggi. La lapide di Teri è pronta» annunciò. «Ci aspettano al cimitero tra un’ora».
Lasciai cadere la forchetta nel piatto.

 

 

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 - RIA ***


Capitolo 11

 

RIA

 

 

Salimmo sulla jeep di Pia. Niall era seduto accanto al posto del conducente, mentre noi eravamo sedute dietro. Mel era rigida come una statua.
Pia mise in moto e partì. L’intero viaggio fu silenzioso. Pia non accese nemmeno lo stereo.
Eles guardava fuori da finestrino, tracciando distrattamente con le dita il contorno dell’iratze cicatrizzato tracciatole da Viktor, due giorni prima.
Appoggiai la testa al sedile e sospirai. Ricordavo quando avevo iniziato ad apprezzare Teri. Mi era sempre piaciuta, sin da quando la vedevo a scuola. Non eravamo poi così diverse, solo che lei per vendicarsi prendeva direttamente a pugni, mentre io organizzavo scherzi, non potendo fare altrimenti. Sarebbe stato figo averla nella mia banda, ma era due anni più grande di me e non avevo avuto il coraggio di chiederglielo. Poi quando stavamo per partire per l’impresa, Mel e Eles avevano litigato e io avevo cercato di calmarle. Le due ragazze mi avevano rimproverata per essermi intromessa, e Teri mi aveva difesa.
«Il fatto che il vostro genitore divino sia uno dei dodici dei dell’Olimpo non vi autorizza a fare le prepotenti nei confronti di una discendente di una divinità minore!». Aveva esclamato. Poi mi aveva chiesto di camminare accanto a lei, visto che ero la più matura.
Mi aveva fatta sentire grande, importante, apprezzata, come una sorella maggiore e come faceva Arika, d’altronde. Già, Arika. Figlia di Zeus, sola nella sua cabina come lo ero io. Era via per un’impresa, quindi al Campo non c’era. Non vedevo l’ora di riabbracciarla. Poi il pensiero di Arika mi portò immediatamente a quello di Onny. Strinsi i pugni. Tra poche ore sarebbe scaduto il termine per la decisione di mio padre. O si schierava dalla parte di D’Amico, o Onny era morto. Avvertii la pelle accapponarsi al solo pensiero e repressi le lacrime.
Alzai lo sguardo e vidi che Pia stava parcheggiando. Eravamo arrivati. Nessuno disse niente. Ci slacciammo le cinture e scendemmo dalla jeep.
Un uomo vestito di nero ci aspettava all’ingresso.
«Signorina Nabaci» disse, inchinando lievemente il capo.
«Salve, signor Goldowl» rispose Pia.
«Prego, seguitemi». Seguimmo l’uomo all’interno del cimitero.
«È quella là in fondo» indicò l’uomo. «Se avete bisogno di qualche momento, parliamo dopo di soldi». Pia annuì. La lapide bianca spiccava rispetto alle altre presenti nel cimitero, sporche di terra e logorate dal tempo. Incisa nel  marmo c’era la scritta:
“In memoria di Teri Nabaci. 27-3-1998 / 23-9-2013”. Sentii un brivido di freddo attraversarmi la schiena e fui costretta a distogliere lo sguardo.
Scorsi, poco distante da noi, un altro funerale. C’era una bara color mogano e la figura esile di un ragazzo vestito in nero accanto. Tutt’intorno c’erano dei poliziotti.
Poco dopo vidi altre persone raggiungere il ragazzo.
«Ci dispiace per tuo padre» disse uno. Mi si strinse il cuore. Era appena diventato orfano. Hey, aspetta un attimo. Ma erano distanti da me. Riuscivo a sentirlo, certo! Le rune potenziavano anche l’udito.
«Siamo appena usciti di prigione, altrimenti ti avremmo aiutato a trovare D’Amico». Spalancai gli occhi. Non poteva essere una coincidenza.
Il ragazzo stava abbracciando una ragazza bionda, quando lei urlò: “ATTENTO!”. E in quel momento scoppiò una bomba. La ragazza sbatté contro la statua di un angelo. Afferrai lo scudo dalla borsa di jeans e lo aprii. Ora che mio padre ci aveva aggiunto le rune era anche più facile aprirlo. Sfoderai una spada angelica e la chiamai per farle prendere vita. Mel e Eles furono accanto a me con i loro archi in un istante.
Sentii Niall gridare: “Pia, va’! Corri!”. La donna non se lo fece ripetere due volte. Niall modificò le sue stampelle con un rapido gesto che si tramutarono in due xiphos. L’aria si riempì subito di fumogeni. Eles afferrò dalla mia cintura lo stilo.
«Che diavolo fai?» chiesi, urlando per cercare di sovrastare le urla disperate e gli spari.
«Dobbiamo tracciare delle rune per la visione e per la respirazione». Eles mi afferrò il braccio e tracciò una runa con sicurezza e velocità. Poi fece la stessa cosa su Mel e Niall.
«Eles, no! Loro non hanno sangue di Shadowhunters
«Non importa! Possono sopportarla lo stesso!». Infine tracciò la stessa runa sulla propria mano, con la sicurezza con cui tracciava la propria firma, come se ce l’avesse dentro.
Strani ceffi coperti dalle maschere urlavano «Prendetelo!», indicando e gesticolando verso il ragazzo orfano.
«Ragazze, ma sono solo mortali...Non capisco...» disse Niall.
«Dobbiamo intervenire» dissi. «Il ruolo degli Shadowhunters comprende anche questo».
Uno degli strani ceffi ci passò davanti e si fermò a guardare le nostre armi.
«Chi sono questi stronzi con questi fucili?» sbottò. La Foschia gli copriva la vera sembianza delle nostre armi. Fece per tirare un pugno a Niall, ma il satiro si abbassò in tempo e gli diede uno zoccolo dritto nello stomaco. Lo strano ceffo si piegò in due, mentre Niall gli diede un colpo sulla testa con il pomello dello xiphos.
La ragazza bionda, dietro un albero, spalancò gli occhi.
«Mindy!» gridava il ragazzo che quegli uomini mascherati avevano indicato e che ora stavano trascinando via, in un furgoncino bianco.
Vidi un uomo grosso, mascherato anche lui, venire verso di noi. Aveva gli occhi completamente scuri, come quelli degli insetti.
«Chi siete? Amichetti di Hit Girl?»
Non feci in tempo a rispondere che una freccia scura gli trafisse il cuore.
«Aveva bevuto sangue di demone» disse Eles. «Tutti quelli mascherati l’hanno fatto».
Non mi fermai a chiedere come lo sapesse.
«Dobbiamo proteggere quelli che si stanno nascondendo lì» indicai l’albero. «E salvare il ragazzo!».
Allungai una mano verso la borsa di jeans e sfoderai un vero fucile. Chirone me l’aveva donato tre mesi prima, con la raccomandazione di utilizzarlo in emergenze estreme. Il centauro sapeva che i mondani si stessero mischiando con strane faccende e sapeva che mi avrebbero coinvolta.
Quella era una vera emergenza estrema. Stavano profanando un cimitero. Mi arrampicai su una roccia e sparai contro le ruote del furgoncino.
«Lurida stronzetta!» gridò uno dei ceffi che stava trascinando via il ragazzo. Corse verso di me, ma una freccia argentea gli trafisse il collo.
Anche le persone che si erano nascoste dietro l’albero si decisero ad uscire e a combattere. Volavano pugni, calci, sangue. Nemmeno durante la battaglia contro i vampiri neonati avevo visto così tanta confusione.
Riposi il fucile e scesi dalla roccia, ma un tizio mi afferrò per i capelli. Non avevo visto che mi arrivava alle spalle. Urlai quando caddi sbattei la testa contro il terreno. L’uomo mi mise un piede sul petto. Vidi dei puntini gialli ballarmi davanti agli occhi. Cercavo di respirare tutto l’ossigeno che potevo.
«Sei morta, bambolina» sibilò.
Non sarei mai morta uccisa da un mortale mondano.
Mai. Cercai di allungare una mano verso il fucile, che giaceva a pochi centimetri da me. Ma il ceffo non era stupido. Calciò via il fucile.
«No, no. Stai buona. Una pallottola in testa ed è tutto finito».
Girai la testa all’indietro e vidi Mel che combatteva con un altro di quei tipi mascherati e tatuati. La figlia di Atena lo afferrò dal polso, lo disarmò e poi lo spinse contro una lapide. L’uomo cadde, e Mel gli sparò. Non era più quella ragazzina timida che si nascondeva dietro un libro. Decisamente non lo era più.
Tornai a guardare il mio aguzzino e vidi il buio della canna della pistola. Non avrei salvato Onny. Mio padre avrebbe perso due figli. Morta uccisa da un mortale. Volevo scalciare, ma quell’uomo mi teneva ben stretta. Il dito stava per premere il grilletto. Chiusi gli occhi.
«BASTA!» gridò una voce, sovrastando tutto il caos. Un attimo dopo un proiettile attraversò la testa del mio aguzzino, che cadde a terra, morto. Mi rialzai a fatica e vidi tutti quegli uomini mascherati cadere a terra come sacchi di patate. Scorsi nel furgoncino l’autista, anche lui mascherato, accasciato sul volante. Tutto si fece stranamente silenzioso.
Mi voltai verso la fonte dei proiettili e per poco non mi sentii mancare. Indietreggiai e inciampai in un corpo, cadendo.
«Teri!» urlò un’altra voce. Era quella di Mel.
La ragazza riportò il braccio con cui teneva la pistola lungo il fianco e si voltò. Era proprio lei. E non come l’aveva descritta Mel, ovvero dimagrita, sporca, triste, con i capelli corti e scompigliati. Era Teri come la ricordavo, con i capelli neri perfettamente lisci e lunghi, gli occhi scuri fieri e coraggiosi, muscolosa e pulita.
«TU!» gridò Teri, indicando un uomo mascherato che cercava di scappare.
«Non voglio ammazzarti. Riferisci una cosa a Chris D’amico». L’uomo mascherato si tolse la maschera e si fermò, annuendo.
«I morti non...» iniziò Teri, sparandogli ad una gamba.
«Si». Gli sparò ad un braccio.
«Disturbano!». Un proiettile dritto nel cuore.
«WOW!» esclamò una voce, dietro di me. Mi voltai e vidi la ragazza bionda che sorrideva verso Teri.
«Tu sì che sei una cazzuta!».
Il ragazzo che i ceffi volevano rapire si alzò e si pulì il vestito nero con le mani.
«Sì, decisamente. Grazie per avermi salvato la vita» disse, guardando Teri. Il ragazzo aveva i capelli ricci, gli occhi verdi e sul naso portava degli occhiali rotondi.
Teri annuì. Poi fece cadere la pistola per terra e guardò verso Mel. Sorrise a trentadue denti e si fiondò ad abbracciarla.
«Mel!». La figlia di Atena ricambiò l’abbraccio e vidi la sua schiena sussultare appena. Piangeva.
Mi accorsi anch’io di avere le lacrime agli occhi e di star correndo verso di loro. Io, Eles e Niall ci stringemmo intorno a Teri, che ci baciò e abbracciò tutti, in lacrime.
«Credevo di avervi persi» disse.
«Anche noi» mormorò Niall, lasciandole un bacio tra i capelli.
«Dov’è mia zia?» chiese.
«Credo sia fuori...» disse Niall. «Le ho detto di nascondersi quando è scoppiato tutto il casino».
Teri annuì. Poi non potei fare a meno di ricordare una cosa.
«Teri, ma tu conosci Chris D’amico» dissi.
La figlia di Persefone annuì.
«So cosa è successo a tuo fratello. Ma sta bene»
«Conoscete Chris D’amico?» domandò qualcun altro. Teri si girò e davanti a noi c’erano il ragazzo riccio, la bionda, una coppia che si teneva per mano, un ragazzo di colore e uno magrolino, con gli occhiali. Mi sembrava di averli già visti.
«Sì» risposi. «Ha rapito mio fratello».
La ragazza bionda fece un passo in avanti.
«Io sono Mindy» disse, porgendomi una mano. «Conosciuta anche come Hit Girl».
Le strinsi la mano.
«Ria Blueway» risposi. «Credo proprio che siamo sulla stessa barca».
Erano loro. I supereroi. I Justice Forever. Il ragazzo ricciolino era  Kick-Ass, quello che D’Amico voleva uccidere.
«Dobbiamo andare all’Istituto» disse Eles. «Immediatamente».
«Okay» intervenne Niall. «Avviso Jace ed Eder di raggiungerci. Così Ria e Eles portano questi supereroi all’Istituto e lì organizzate un piano, insieme a Jace e ad Eder, ovviamente, mentre io, Mel e Teri torniamo al Campo. Questa ragazza ha bisogno di abbracciare qualcuno». Teri sorrise.
«Come avresti intenzione di avvisare Jace?» chiese Mel.
«Con un messaggio Iride. Mi pare ovvio» rispose Niall, alzando un sopracciglio.
«Non funzionano da qualche giorno. Me l’ha detto James».
Niall aggrottò la fronte.
«Almeno per quanto riguarda il Campo» aggiunse Mel.
Il satiro parve confuso.
«No...L’iPhone non ha mai smesso di funzionare. Proprio ieri sera ho parlato con Arika».
Mel sembrò interdetta. Abbassò lo sguardo e Teri le strinse una mano e le sorrise.
«Avrà una spiegazione» disse la figlia di Persefone, con sguardo rassicurante. Mel annuì.

I supereroi ci raccontarono tutto. Kick-Ass aveva ucciso D’Amico Senior per vendicare la morte di Big Daddy, il padre di Hit Girl. Poi D’Amico Junior aveva voluto la vendetta. Era un giro di mafia, vendetta e sangue, seppur tra mortali.
«Mel!» sbraitò una voce. La figlia di Atena si voltò e vide Jace, nero quanto la divisa da Cacciatore, che camminava velocemente verso di lei. Dietro il Nephilim c’era Eder.
«Si può sapere perché diavolo non mi avete avvisato che andavate via? Mi avete spaventato!»
Mel sospirò.
«Mi dispiace, ma avvisare la zia di Teri riguardava noi».
«Non volevo essere incluso, ricciolina. Volevo solo che mi avvisaste». Mel fece un sorrisetto.
«Dai. Non mi dire che non ti sei divertito tra le figlie di Afrodite».
Jace alzò gli occhi al cielo, ma notai un lieve guizzo delle labbra. Stava cercando di trattenere un sorriso.
Avevo visto la sua espressione quando Mel era corsa da James. Il Cacciatore aveva abbassato lo sguardo come un cucciolo appena rimproverato. In quel momento mi era sembrato anche più giovane. Era strano vedere l’amore fare il proprio effetto. Be’, forse non era proprio amore, ma, insomma, era bello vedere nascere le cotte.
«Non le ho conosciute, idiota» replicò Jace.
«Lui dev’essere uno dei Nephilim, vero?» intervenne Teri, squadrandolo dalla testa ai piedi. Jace la guardò come se solo in quel momento si fosse accorto di altre persone oltre Mel.
«Uhm, sì?»
Teri socchiuse gli occhi, soppesandolo. Riconoscevo quello sguardo. Era lo sguardo del ‘attento-a-come-ti-muovi’.
Teri gli porse una mano e in quel momento inorridii. Sul polso aveva un’ustione. Sull’avambraccio sinistro ce n’era un’ altra. E non avevano un bell’aspetto.
«Teri» si presentò la figlia di Persefone.
Jace spalancò gli occhi.
«Sì, quella morta e resuscitata» aggiunse la ragazza, ridacchiando. Jace sorrise appena, imbarazzato e strinse la mano.
«Jace Wayland. E...ehm, sinceramente, mi ricordi un po’...».
Eder si era appena avvicinata al gruppo.
«Lei» proseguì Jace, indicando prima Eder e poi Teri. Le due ragazze aggrottarono la fronte in contemporanea e trasalii. Avevano davvero la stessa espressione.
«Io non credo...» disse Eder, e Teri annuì.
«No, invece un po’ vi somigliate» commentò Kick-Ass, chiamato anche Dave.
«Sì, un po’ la grandezza degli occhi, la forma delle labbra...» aggiunse Mindy.
«Comunque» intervenne Teri. «Io sono Teri, quella che davate per morta». E porse la mano ad Eder.
«Io sono Eder. Sai, siamo venuti alla tua ricerca nel Cinerarium. Li ho accompagnati io» raccontò, indicandoci.
L’altra corrugò le sopracciglia. «E come avresti fatto?»
«Io sono una Crepuscolare» spiegò. «Metà umana, metà Nocturna. Metà giorno, metà notte. Ecco perché posso viaggiare nel Cinerarium».
Teri spalancò gli occhi.
«Oh miei dei».
«Sì, davvero strano, eh?». Teri annuì, sorridendo, ma dai suoi occhi mi parve che nascondesse qualcosa.
«Quindi è la tua parabatai?» chiese Jace a Mel, indicando la figlia di Persefone.
Teri colse l’occasione per cambiare discorso.
«Sono la sua auriga? Da quando?»
«Significa che siamo come sorelle, gemelle in battaglia».
«Oh». Teri sorrise raggiante. Aveva davvero un bel sorriso, solo che quando l’avevo conosciuta io lo mostrava ben poco.
«Sì» confermò. «Siamo parabatai».

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 - TERI ***


Capitolo 12

 

TERI

 

 

Risvegliarmi era stato strano. La prima cosa che avevo visto erano stati due occhi neri, capelli dello stesso colore e un volto pallido con un’espressione preoccupata che mi aveva ricordato vagamente Napoleone.
 «Teri?» aveva domandato il dio.
«Padre» avevo provato a rispondere, ma dalla mia bocca non era uscito che un suono roco e flebile.
«Riposa, cara» aveva detto un’altra voce. Avevo spostato lo sguardo e avevo visto due occhi preoccupati cangianti di colore.
«Madre» avevo detto, sorridendo. Avevo cominciato a vedere offuscato e avevo capito di stare piangendo. Quell’esperienza nel Cinerarium mi aveva davvero devastata per arrivare a piangere così facilmente.
«Prendi questo» aveva continuato Persefone, porgendomi un cubetto d’ambrosia. Avevo cercato di issarmi sui gomiti ma avevo urlato per una fitta lancinante di dolore ed ero stata costretta a stendermi di nuovo.
«Ferma, ferma. Sei appena arrivata» mi aveva ammonita Ade. «Ti aiuto io». E così aveva fatto. L’ambrosia sapeva di biscotti al cioccolato e menta che preparava mia zia.
Poi avevo richiuso gli occhi, esausta.
«Mi ha chiamato padre» aveva sussurrato Ade, con un tono di voce incredulo.
«Sì, l’ha fatto» aveva risposto la dea, e dal suo tono di voce avevo intuito che stesse sorridendo. «Resteresti sempre tale, anche se potesse conoscere suo padre naturale». Silenzio. Avevo sentito una mano tiepida toccarmi i polsi, le ginocchia, il petto. Quella di mia madre.
«Le ustioni non guariscono» aveva commentato il signore degli Inferi.
«Teri era debole nel momento in cui hai fatto il passaggio...Forse il fuoco infernale l’ha...»
«No» aveva risposto secco. «Il fuoco infernale non può farle del male, altrimenti non avrebbe avuto senso proteggerla sotto la mia ala sin da piccola. E non sono ustioni da fuoco infernale. Sembra che qualcuno l’abbia ferita di proposito con una sostanza particolare mischiata al fuoco».
«L-l-lud-d-dka-a-a-» avevo risposto, sempre con voce debole. Avevo cercato di schiarirmela, ma il semplice movimento della gola mi era costata una fatica enorme.
«Ludkar? Teri, hai proprio detto Ludkar?» aveva chiesto Persefone, apprensiva. Avevo riaperto gli occhi e avevo annuito. Avevo cominciato a sentire il sollievo che mi stava dando l’ambrosia.
«Pallido? Capelli rossi, viso nero...» aveva chiesto Persefone. Avevo annuito di nuovo.
Gli occhi della dea si erano spalancati.
«Lo conosci?» aveva domandato Ade.
Persefone aveva annuito, con gli occhi ancora spalancati.
«È lui». Mi era parso che il suo respiro si fosse fatto più corto.
«Lui chi?» aveva chiesto ancora il dio. Domanda lecita.
Persefone si era seduta su un divanetto lì accanto.
«Lui, Ade. Il padre di Teri».
Ade aveva afferrato il bordo del letto su cui ero stesa e l’aveva stretto. Avevo temuto lo stesse per rompere con me sopra.
«Quindi Teri è...».
«Sì» aveva risposto Persefone.
«Sono cosa?» la voce mi si era schiarita. Ero riuscita anche ad issarmi sui gomiti. Sentivo gli effetti benefici dell’ambrosia.
Persefone mi aveva guardata intensamente.
«Sei immortale». Avevo ridacchiato.
«Non potevate scegliere momento peggiore per dirmelo, madre» avevo detto. «In questo momento mi sento tutto, tranne che immortale».
«Non è il caso di scherzare, Teri. Sei una creatura immortale, il che significa che non invecchierai mai e che sarai una dea a tutti gli effetti. Ecco perché sentivi la presenza di altre creature immortali, a Forks e a Seattle. Dovrai schierarti quando ci saranno guerre tra dei. Vedrai i tuoi amici invecchiare e morire. Ti piace davvero questa prospettiva?».
Mi era mancato il respiro. Troppe cose insieme. L’uomo che mi aveva rapita, presa in giro, picchiata e ferita, era mio padre. E grazie a lui, ero immortale. Ecco perché ero riuscita a sentire le voci di Ludkar e Jack, mentre parlavano di Eles. Avevo un udito più sviluppato di una comune semidea. Solo il bronzo celeste mi avrebbe potuta uccidere. Avrei visto Leo invecchiare e morire.
«Suvvia, Persefone. Non essere così dura. È solo una ragazza».
«Ade!» aveva esclamato la dea. «Deve sapere cosa significa».
«L’ha capito benissimo» aveva replicato. Poi si era rivolto a me. «Teri, se tu volessi, io potrei toglierti l’immortalità». Avevo alzato lo sguardo verso di lui, speranzosa.
«Ma questo implica toglierla anche a Ludkar.» era intervenuta Persefone. «Quando se ne renderà conto, andrà su tutte le furie e ci sarà una guerra. È quello che volete, voi due, padre e figlia?».
Avevo scorto l’angolo della bocca di Ade tremare appena, nel tentativo di nascondere un sorriso. Padre e figlia.
«Persefone, calma. Teri non mi ha ancora risposto».
«Io...» avevo indugiato. «Io non lo so. Non voglio vedere Nico e Gregor morire. Tantomeno Leo e Mel, e nessun altro».
Ade aveva corrugato la fronte. «Leo?». Poi sembrò avere un’intuizione e aveva sorriso.
«Il figlio di Efesto, già. Immagino che tu lo ami molto». Mi ero sentita avvampare. Non sapevo se lo amassi o fosse solo una cotta, una storiella. Io sapevo di provare qualcosa di forte per lui. E sapevo di volerlo baciare al più presto.
«Ehm, ecco...io credo...credo di sì».
Ade aveva annuito.
«So a cosa potrebbe portare l’amore» aveva detto, rivolgendo uno sguardo intenso a Persefone.
«Non te ne importa niente di guerre, di divieti, di patti se hai lei, o lui, accanto». Avevo sorriso quasi senza accorgermene.
«Ad ogni modo» aveva proseguito. «Ci penseremo più tardi, va bene? Ora hai altre cose da sapere».
Avevo annuito. Poi mi avevano raccontato tutto su D’Amico e sugli Shadowhunters.
Poco prima di andare, Ade mi aveva trattenuta per un altro minuto, mentre Persefone era a curare il proprio giardino.
«Mi hai reso davvero fiero durante la tua impresa contro i vampiri, anche se non sono il tuo vero padre».
«Voi resterete sempre mio padre. Non accetterò mai di buon grado l’idea che io abbia lo stesso sangue di Ludkar». Ade aveva annuito.
«Mi rendi orgoglioso. E anche Nico e Gregor lo fanno. Credo che debbano saperlo».
Mi aveva accompagnata fino all’uscita del palazzo e per la prima volta avevo visto gli Inferi. Sentii una strana sensazione viscida e fredda alla bocca dello stomaco davanti a quel panorama. Avevo sempre immaginato le fiamme più brillanti, le urla delle anime più forti, le rocce più acuminate. Sembrava la versione in rovina degli Inferi.
«Padre, ma...» Mi ero voltata verso il dio e avevo trattenuto a stento un grido. I capelli neri e lucenti erano stati rimpiazzati da un colore argenteo. Il volto era smagrito, le orbite vuote e le spalle accasciate.
«Padre! Che vi prende?»
«Sapevo che non sarei riuscito a trattenerlo...Mi è costata troppa fatica portarti qui» aveva borbottato, con voce fioca.
«Cosa? Padre, cosa succede? Trattenere cosa?»
«Devi andare».
«No! Non me ne andrò finché non saprò cosa succede».
Ade scosse la testa, e fu costretto ad appoggiarsi al cancello del palazzo.
«Mi hai reso fiero, Teri. Ma il Tormento di questo mondo, il mio Tormento, non è finito con la morte completa dei neonati. È andato tutto bene per qualche giorno dopo la battaglia, ma poi è tornato tutto, anche più forte e doloroso di prima».
«Che cos’è?»
Il dio aveva scosso la testa.
«Non riesco a capire. Ma sono debole, Teri. Mi sono sforzato di restare nel mio aspetto migliore davanti a te, ma mi ha portato via troppe energie. Se Ludkar e i suoi Nocturni dovessero scatenare davvero una guerra, io non riuscirei a...»
Un attacco di tosse l’aveva costretto a interrompersi e l’angoscia mi aveva attanagliato la gola e lo stomaco. Era colpa mia. Se non avesse dovuto salvarmi e fingere di stare bene davanti a me, avrebbe avuto più energie.
«Padre, ma ci sono i vostri fratelli...Siete i Tre Pezzi Grossi, no? Avete sconfitto i Titani...E gli altri dei dell’Olimpo...Vi aiuteranno» mi ero affrettata a dire.
«Non possono, anche se volessero. C’è qualcosa di sbagliato qui, nel mio regno e devo sbrigarmela io. I Nocturni sono forti, sono troppi»
«Non vi basterebbe togliere loro l’immortalità?»
«Posso toglierla solo a pochi di loro per volta. E i rimanenti s’infurierebbero ancora di più. Ho combinato un disastro, benedicendoli». Scossi la testa.
«Non potete esservi ridotto in queste condizioni solo per colpa loro. Ci dev’essere qualcos’altro».
Ade aveva tossito nuovamente, coprendosi la bocca con una mano. Quando l’aveva spostata e si era raddrizzato, la mano era sporca di oro. Icore.
«Padre...» avevo mormorato, con le lacrime che mi bruciavano la gola.
«Concordo con te, Teri. Non credo che siano solo loro a farmi stare così. Ma qualsiasi cosa ci sia, oltre i Nocturni, non si decide a manifestarsi e sono certo che non sarà nulla di buono. Ora, devi andare. Non dire niente sulle mie condizioni ai tuoi fratelli, né a Melissa, né alle due Shadowhunters e neanche al tuo custode, Niall. Solo Chirone può saperlo, d’accordo?»
«D’accordo».
«Potrai parlarne ai tuoi fratelli dopo che avrai concluso la faccenda».
Già. Non stavo lasciando gli Inferi come se avessi appena finito una vacanza. Stavo lasciando quel posto con una missione da compiere.
«Va bene, padre. Lo giuro sull-»
«Non sei costretta a giurare sullo Stige. Mi fido di te, anche se non sono contentissimo che tu faccia quello che stai per fare.» Abbassò la voce. «E non mi piace che Persefone non ne sappia niente»
«Lo so, padre. Nemmeno a me piace. Ma voglio farlo, con tutti i rischi che comporterà. Ne sono sicura. Lo giuro sullo Stige»
Ade si era portato una mano ad artiglio sul cuore, e poi aveva indirizzato il gesto verso l’esterno, verso di me. Un vecchio gesto di scongiuro che avevo visto fare a Niall. Avevo fatto lo stesso.
Poi Ade aveva schioccato le dita ed ero stata avvolta da una colonna di fumo e fiamme, come mi era successo nel Cinerarium. Così ero tornata sulla Terra.
Avevo incontrato mia sorella in quel cimitero. Molti avevano notato la mia somiglianza con Eder e io avevo capito il motivo quando mi aveva spiegato di essere una Crepuscolare. Era figlia di Ludkar, come me. Ma mi era mancata la forza di dirlo ai miei amici, e poi avrebbe implicato dir loro della mia immortalità. Il pensiero mi faceva ancora rabbrividire.
Ora eravamo in viaggio per il Campo. Sentivo il cuore battere forte al pensiero di rivedere Leo. Quando ero tornata dall’impresa contro i vampiri neonati avevo avuto appena qualche ora per stare con lui, poi ero stata rapita. Se avevo trattenuto le lacrime davanti a Mel, dubitavo fortemente che ci sarei riuscita davanti a Nico o a Leo.
Era ormai il tramonto.
Varcato  l’ingresso del Campo sentii il cuore sprofondare. Vidi Nico che portava un lenzuolo con il simbolo di Persefone da un lato e quello di Ade dall’altro. Dovevano bruciarlo per il mio funerale. Leo era accanto a lui, con le spalle accasciate. Per un attimo fui colta da un’idea. Scappare via, non farmi rivedere e sparire dalle loro vite. Sarebbe stato meglio se mi avessero già creduta morta e non immortale. Io non avrei sopportato vedere una mia amica, o Nico, o Gregor, o Leo rimanere giovani mentre io invecchiavo. Ma era il mio cervello a pensarla così. Non mi accorsi nemmeno di star già correndo verso di loro.
«Avete tanta fretta di disfarvi di me?» chiesi, non potendo nascondere un sorriso.
Vidi sul volto di Nico il succedersi di varie emozioni. Prima infastidito, poi sorpreso, infine sollevato. Lo strinsi forte tra le mie braccia, e lui fece lo stesso.
«Nico...». Risi, nel vedere il suo raro sorriso. Era diventato più alto, più muscoloso e gli erano cresciuti i capelli.
Abbracciarlo fu quasi strano, visto che era lui quello più basso di me, tre mesi prima.
«Cos’è successo?» domandò.
«È una lunga storia». Scossi la testa. «Non ho voglia di raccontarla ora. Comunque nostro padre vuole farti sapere che è fiero di te». Nico sorrise ancora di più, poi allentò la presa.
«Va’ da lui» sussurrò.
«Fai pure con comodo, eh» disse Leo, ma sorrideva, con le lacrime agli occhi.
Il suo corpo non era più un sogno. Era lì, tra le mie braccia. Le sue lacrime mi bagnavano le guance, e quando vidi i suoi occhioni scuri colmi di lacrime non potei trattenermi e piansi. Nascosi il viso contro il suo petto, dove sentivo il suo cuore battere all’impazzata. Strinsi la sua maglietta e mi ci aggrappai come per assicurarmi che fosse tutto vero e che non sarebbe svanito con un calcio allo stinco da parte di Ludkar. Gli accarezzai le guance e sentii il calore che avevo sognato sotto i polpastrelli. Sì, era reale. Lo baciai, come avevo sognato di farlo tante volte, con lentezza, ma con amore.
Dimenticai che ci fossero delle persone intorno a me che un attimo prima pensavano di dirigersi al mio funerale e che ora mi vedevano baciare Leo.
Saranno stati i mesi di torture e ferite, ma quei baci mi sembravano ancora più belli, quelle labbra più soffici. Con una mano mi accarezzava i capelli, con l’altra mi attirava a sé.
Interrompemmo il bacio e lo guardai negli occhi. Senza dire niente, mise una mano nella sua cintura degli attrezzi e prese il mio laccetto nero. Me lo riannodò. La sensazione delle sue mani calde sul mio collo mi riportò a quella sera prima di partire per l’impresa. Mi era mancato.
Poi mi scostò una ciocca di capelli e sorrise. Appoggiò la fronte contro la mia.
«Resta» mormorò, stringendo le mie mani nelle sue. Allacciai le dita e sorrisi. In quel momento il dubbio che mi aveva colta nel palazzo di Ade sparì. Sapevo la differenza tra amore e cotta.
«Resterò» risposi.

Quella stessa sera i semidei decisero di organizzare una festa in onore del mio ritorno, ma dopo una mezz’ora di abbracci e visi sollevati, non ne potei più. Mi alzai dal tavolo tredici e mi diressi verso la Casa Grande.
Chirone era seduto nella sua sedia a rotelle magica, intento ad esaminare qualcosa.
«Buonasera signore» dissi, fermandomi sull’uscio.
«Oh, ciao Teri! Accomodati pure» rispose, con la sua voce cordiale.
Mi sedetti di fronte a lui.
«Quando ero nel Cinerarium ho sentito qualcosa dai Nocturni che credo sia opportuno che lei sappia. Be’, e non è neanche l’unica cosa da sapere».
Così gli raccontai tutto. Non sarei riuscita a portarmi sulle spalle e nel cuore tutto. Non era come mantenere nascosta una cotta per qualcuno o un segreto adolescenziale qualsiasi.
Chirone era stato ad ascoltare, pazientemente, mentre il suo sguardo si era fatto sempre più preoccupato. Quando ebbi finito, non mi sentii sollevata, ma sicuramente meglio di prima.
«La prima cosa che dobbiamo fare è proteggere Eles. È la massima priorità. Se finisse tra le mani dei Nocturni significherebbe un’arma in più dalla loro parte, e non possiamo permetterlo». Annuii.
«Per quanto riguarda tuo padre, Teri, se lui stesso non sa cosa sia che tormenta il suo regno, non vedo come noi potremmo aiutarlo. Ciò che mi auguro è che sull’Olimpo non si scatenino nuovi litigi. Essere uniti è fondamentale»
Fondamentale? Addirittura?, pensai, ma mi trattenni. Chirone sembrò leggermi nel pensiero o semplicemente la mia espressione era facile da leggere.
«Sì, fondamentale. Sta arrivando una guerra».

 

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 - MEL ***


Capitolo 13

 

MEL

 

 

Leo e Teri si stavano baciando davanti a tutto il Campo Mezzosangue. Avevo sentito il cuore farsi improvvisamente pesante e un nodo serrarmi lo stomaco.
Alzai lo sguardo oltre i due ragazzi e incontrai gli occhi verdi che tanto mi avevano fatto battere il cuore. James. Mi sorrise. Non riuscii a ricambiare.
Aggrottò la fronte e mi fece cenno di seguirlo. I miei piedi si mossero prima che potessi proibirmi di stargli dietro come un cagnolino. La mia solita saggezza aveva dei problemi a restare tale quando incontravo quegli occhioni verdi.
«Dove vai?» chiese qualcuno, forse Jace. Gli altri suoni mi arrivavano ovattati. Sentii i Mezzosangue applaudire. Forse erano applausi per Teri e Leo. Percepivo la felicità di Teri. Avevo percepito anche il suo sgomento quando le avevano detto che assomigliasse ad Eder. Non ne avevo capito il motivo, ma l’avrei fatto presto. Non poteva nascondermi i suoi sentimenti.
«Torno subito» risposi a Jace.
James mi afferrò una mano e mi condusse nella zona dell’arena. Il suo tocco era piacevolmente caldo e  non la smetteva di sorridere. Sentii le gambe farsi come gelatine quando mi guardò dritta negli occhi. I suoi non erano color smeraldo o verdemare, piuttosto un verde tendente al nocciola ma non riuscivo a non trovarli stupendi. Il sole al tramonto ne metteva ancora più in risalto il colore e anche la sua abbronzatura. Sfiorò le mie labbra con le sue, ma in quel momento mi risvegliai da quel torpore e ricordai la sua sfacciata bugia. Mi scansai.
«Allora? Adesso che la tua amica è viva non posso più baciarti?». Ridacchiò, ma io ero serissima.
«Le comunicazioni Campo-Esterno funzionano benissimo» dissi. Il suo sorrisetto sicuro vacillò.
«Come dici, scusa?»
«Oh, ti prego, James!» esclamai, stizzita. «Abbi almeno la decenza di non insultare la mia intelligenza!».
«Io non sto insultando proprio niente e nessuno, Mel» ribatté, con voce calma.
«Sì, invece. L’hai fatto. Niall mi ha detto di essere riuscito a contattare Arika, che è fuori dal Campo per un’impresa, proprio ieri sera. Se volevi che ci baciassimo solo qui al Campo, e là fuori fossimo perfetti sconosciuti, bastava dirlo, così non mi sarei presa il fastidio di pensarti ogni notte e innamorarmi di te!». Sapevo di stare arrossendo, ma ormai avevo rinunciato a contenerlo. Solo Teri ne era capace, ma nemmeno lei ci riusciva sempre.
James sorrise. Perché mi faceva tutto questo? Era maledettamente bello e gentile, e anche se mi aveva mentito non riuscivo a non pensare che avessi davanti a me una delle sette meraviglie del mondo.
«Sei innamorata di me?» chiese, cercando di prendere di nuovo la mia mano. Mi ritrassi.
«No» risposi, secca. Il suo sorriso si spense. «Non provarci nemmeno. So che non ti dispiaccio completamente, altrimenti non credo mi avresti baciata. Ma non vuoi niente di serio. Vuoi che quando io sono via durante l’inverno ci sia un’altra bella semidea pronta a corteggiarti, in modo da non aver tempo per nemmeno un minuto di telefonata. Non chiedevo ore di conversazione, ma solo qualche minuto, per dirsi che si sta bene, che si è sopravvissuti ad un’altra giornata. Ti ho capito, James. Ma io non voglio far parte di questo tuo giochetto. Non c’è bisogno di dire altro».
«Smettila» disse lui, brusco.
«Di far cosa? Di dirti la verità? Oh, scusa tanto se non voglio essere una delle tante».
«No, smettila di analizzarmi. Non sono un campione da analizzare in laboratorio, Sapientona. Sai perché non ti ho telefonato? Perché avevo paura. Ho paura. Avevo paura che la voce di Iride mi dicesse che fosse impossibile contattarti. Avevo paura che la finestra si aprisse e vedessi le tue amiche che piangevano sul tuo corpo. L’ho sognato così tante volte, così tante notti che non sono mai riuscito a lanciare quella dracma nell’arcobaleno, il mattino dopo». I suoi occhi erano ormai pieni di lacrime.
Sospirai, mentre il mio cuore sprofondava.
«Ti ho detto di smetterla di prendere in giro la mia intelligenza».
«Cosa? Mel, ti sto dicendo la verità!»
«Apollo, signore della poesia e del teatro» risposi, mentre un tuono scuoteva il pavimento. Già, la potenza dei nomi, ma continuai imperterrita. «Immagino che la sua progenie mortale abbia ereditato un ottimo talento per la recitazione». Girai sui tacchi e feci per andarmene.
«Non mi credi? Allora sei tu quella a cui non importa!»
Mi voltai nuovamente, stringendo i pugni.
«Giuramelo sullo Stige, allora».
Gli occhi di James si abbassarono. Era improvvisamente interessato alla sua collana di cuoio con le perline del Campo.
«Mel, io...»
«Lo immaginavo»
«Credevo ti fidassi di me e non ricorressi a questi giochetti stupidi!»
«James!» gridai. «Ho detto di non prendere in giro la mia intelligenza!» Il mio urlo risuonò in tutta l’arena.
Il ragazzo fece qualche passo indietro, come se dichiarasse la ritirata da una battaglia.
Mi guardava con gli occhi spalancati.
«È un addio?» chiese, sottovoce.
Distolsi lo sguardo dalla sua espressione triste. Mi stava mentendo. Riuscivo a percepire la sua falsità. «Sono una figlia di Atena, James. La pazienza non è il mio forte, ma te lo ripeterò per l’ennesima volta.» Anch’io avevo abbassato il tono di voce, ma lo guardavo dritto negli occhi. Dovette fargli un certo effetto, perché lo vidi agitarsi. «Smettila.Di.Prendere.In.Giro.La.Mia.Intelligenza».
Dissi, scandendo ogni parola. Poi uscii dall’arena a grandi falcate, mentre le lacrime mi bagnavano le guance. Sentivo il cuore pesante, lo stomaco in subbuglio e una brutta sensazione amarognola in bocca.
Mi diressi verso la Cabina Sei, decisa a piangere tutte le mie lacrime prima di addormentarmi. Gli altri figli di Atena erano a cena, così avrei evitato domande invadenti. Immaginavo già il giorno seguente: un duello di spade amichevole con Annabeth, una gara di scalata sulla montagna di fuoco con Jace con tanto di battibecco, una passeggiata per i campi di fragole insieme a Niall e Teri e magari anche qualche lezione in più di tiro con l’arco con Chirone.
Aprii la porta della Cabina Sei e accesi la luce.
Urlai per lo spavento quando vidi una figura nera sul mio letto, che sobbalzò e si svegliò.
«Jace!» esclamai, con un sospiro di sollievo. «Mi hai spaventata».
Il Nephilim si stropicciò gli occhi.
«Ti aspettavo» disse. «Hai detto che saresti tornata subito e sei stata via più di un’ora».
«Un’ora? Credevo fosse molto di meno».
«Già, quando ci si diverte il tempo vola» mormorò, più a sé stesso che a me. «È quando si aspetta qualcuno che non passa mai».
«Primo, non dovresti entrare nelle cabine. Secondo, togliti almeno le scarpe quando ti stendi sul mio letto e terzo, non mi sono affatto divertita».
Jace alzò lo sguardo e aggrottò la fronte quando incontrò i miei occhi.
«Che è successo?»
«Niente, perché?»
«Hai pianto».
«Già. Rivedere Teri viva e vegeta dopo che pensavo di non rivederla mai più mi ha fatto un certo effetto...»
Jace scosse la testa.
«No, hai pianto ora. Hai ancora gli occhi e le guance umide». Le sfiorò con un dito.
«Non sono affari tuoi». Jace mi studiò per qualche altro istante.
«Sì, lo so».
Calò il silenzio, mentre lui era ancora seduto sul mio letto e io in piedi, aspettando che si spostasse e andasse via. Invece continuava a guardarmi e a studiarmi con i suoi occhi ambrati. Mi stava facendo sentire a disagio. Incrociai le braccia sullo stomaco, distogliendo gli occhi dai suoi. Stavo distogliendo lo sguardo parecchie volte in quel giorno, tranne per quella parentesi con James.
Jace si alzò in piedi, sovrastandomi con il suo corpo. Sentivo ancora la sensazione del suo sguardo sul mio viso. Non appena si alzò e si scostò appena feci per sedermi sul mio letto, ma mi trattenne da un braccio. La sua presa era forte, ma non mi faceva male. Incontrai il suo sguardo duro.
«Non meriti di stare così» sussurrò. «E lui non merita una ragazza come te. Anzi, merita di stare proprio solo, con le sue medicine e la sua tintarella».
Non replicai niente, ma ebbi l’impressione di aver sorriso appena.
Lasciò la presa sul mio braccio e si avvicinò all’uscio.
«Ho visto Teri parlare con Chirone. Credo che domani sarà una giornata impegnativa, quindi riposati bene». Non aspettò che rispondessi. Uscì dalla cabina e chiuse la porta dietro di sé.
Sospirai, sprofondando la faccia nel cuscino. Mi sentivo esausta, svuotata, inutile. Prima il ritorno di Teri, poi quella battaglia assurda con dei semplici mortali, seguita dalla mia rottura con James e, per concludere in bellezza, anche Teri che parlava con Chirone di qualcosa che, dal tono di Jace, sembrava grossa. Sentivo lo stomaco chiuso, quindi decisi di non andare a cenare. Sfilai le scarpe sporche di terreno e mi stesi sul letto, aspettando il sonno. Ovviamente Ipno doveva avercela con me, perché restai con gli occhi aperti per un bel po’.
Quando sentii le palpebre appesantirsi, qualcuno urlò il mio nome. Oh, andiamo.
«Mel, sbrigati! Ria è qui!». Niall, il mio custode. Mi dispiace, Niall, non ce la faccio. Domani. Ma non ebbi la forza di aprire bocca, e chiusi gli occhi, coprendo le orecchie con il cuscino.
Sentii dei colpi alla porta.
«Mel, ti prego! Vieni!» esclamò ancora Niall. Sembrava davvero in ansia, ma non riuscivo proprio a darmi la spinta per alzarmi dal letto e aprire gli occhi.
«Lasciami sola!» urlai di rimando.
«Mel, esci subito di lì o ti prendo per i capelli e poi ti faccio ingoiare ogni singolo ricciolo!» . Riconobbi il tono cordiale di Teri. Improvvisamente la spinta che cercavo per alzarmi si presentò. Avevo imparato a non sottovalutare le minacce della mia parabatai, quindi mi alzai dal letto e mi avviai verso la porta, strascicando i piedi e stropicciando gli occhi.
Quando l’aprii vidi Teri con l’espressione più spaventosa che avessi visto. Era un misto di rabbia, preoccupazione e terrore.
«Finalmente!» esclamò, stizzita. «È successa l’ultima cosa che doveva succedere».
Chiusi la porta dietro di me.
«Ovvero?»
«Eles non si trova» annunciò Ria. «Eravamo all’Istituto, quando ad un tratto non l’ho vista più. Abbiamo setacciato tutte le stanze, ma niente».
«Chi l’avrebbe rapita? Non credo che sia andata via...»
«No, infatti» convenne Ria. «Ma chi ha il bel vizio di rapire gente?»
«D’Amico» rispose una voce alle mie spalle. Mi voltai e vidi il ragazzo del cimitero, Dave, insieme a Mindy e al resto della compagnia.
«Che diavolo ci fanno loro qui?» domandai, alzando il volume della voce.
«Lo so, Mel» disse Teri. «Nemmeno a me sta bene l’idea che loro stiano qui».
Ria sospirò. I suoi occhi verde scuro sembravano nascondere molto più dolore di quello che quel corpo minuto sembrava poter sopportare.
«È necessario che loro stiano qui. E non credo sia stato D’Amico ad aver rapito Eles
«Ho capito che abbiamo recentemente incontrato nel Cinerarium pericoli più gravi dei ceffi mascherati di D’Amico, ma da quel che so non è che questo The Motherfucker sia un angioletto».
Ria scosse la testa.
«Lo saprei se Eles stesse lì».
«E come lo sapresti?» chiese Teri, nervosa. Sembrava essere sul punto di dire qualcosa e contemporaneamente impedirsi di dirlo.
Ria abbassò la testa, mentre una lacrima le scivolava lungo la guancia. Era la prima volta che mi sembrava così piccola. Molto di più di quando avevo visto i Marchi sulla sua pelle. Tre giorni dopo avrebbe compiuto quattordici anni. Non era così grande come dimostrava di essere davanti ai mostri, ai demoni e ai Nocturni. Era solo una ragazzina divisa tra due mondi pieni di pericoli, senza una madre che l’abbracciasse e la rassicurasse.
«Che succede?» chiese Mindy, avvicinandosi a Ria. Erano molto simili. Entrambe bionde, con gli occhi verdi ed entrambe ottime lottatrici, solo che Mindy era più grande, probabilmente aveva la mia età.
«Mio padre ha accettato di far parte delle schiere di D’Amico».
Sentii la tensione scendere su tutti. Teri era ancora più nervosa. Evidentemente sapeva tutto.
«Era questa l’ultima cosa che doveva succedere?» le chiesi. Teri scosse la testa.
«Quando ero nel Cinerarium ho sentito i piani di Jack e Ludkar. Parlavano di Eles. Ce l’hanno loro». Scosse la testa. «Oh, e tanto per portare buone notizie. L’impresa della scorsa estate non è servita a niente».

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 - ELES ***


Capitolo 14

 

ELES

 

 

Davanti a me c’era una luce chiara, azzurrognola e quasi accecante, ma essendo figlia di Apollo riuscivo a vedere la luce direttamente senza che gli occhi mi lacrimassero o ne risentissero in alcun modo.
Cercai di muovermi, ma mi dolevano tutti i muscoli e mi accorsi di non sentirmi le gambe. Sudavo freddo. Non ricordavo nemmeno cosa mi fosse successo.
Alzai appena la testa e le vidi. Le mie gambe erano lì. Per lo meno ero tutta intera, anche se mi faceva male ogni singolo osso. Poi i ricordi mi investirono come una valanga.

Ero nell’Istituto, e io e Ria avevamo appena saputo che Carl aveva deciso di schierarsi con D’Amico per salvare Onny. Gli Shadowhunters si stavano preparando per raggiungere il covo del figlio del boss e annunciare la notizia.
«Andate a dormire, ragazze» aveva detto mia madre, sorridendoci. «Avete avuto una giornata faticosa».
Mi ero alzata dalla sedia, le avevo dato un bacio sulla guancia e mi stavo per avviare per il corridoio, ma mi ero accorta che Ria non mi stava seguendo.
«Tu vai» mi aveva detto. «Io ti raggiungo tra un po’». I suoi occhi verde scuro mi imploravano di lasciarla sola. Avevo annuito ed avevo preso il corridoio per raggiungere la stanza.
Un collega di mia madre, il signor Hodge, mi aveva fermata nel corridoio.
«Scusami, Eles, giusto?» mi aveva chiesto. Avevo annuito.
«Ciao, Eles. Io sono Hodge, dirigo l’Istituto con il padre di Ria. Ho bisogno di un favore, ma non c’è nessun Shadowhunter in giro per l’Istituto. Potresti farmelo tu?»
«Certo, volentieri». Avevo sorriso.
«Oh, grazie mille. Allora, dovresti andare a cogliere delle erbe violacee che si trovano accanto al cancello dell’Istituto. C’è uno stregone che sta facendo un incantesimo, in biblioteca, e gli servono urgentemente. Io devo supervisionare il suo lavoro».
Mi aveva porto una strega luce.
«Usa questa». L’avevo ringraziato e avevo preso l’ascensore.
Ero uscita dall’Istituto ed ero andata vicino al cancello, con la strega luce che emanava calore e proiettava la sua luce bianca e potente sul cortile.
Accanto al cancello, verso la parte esterna, c’era un ciuffo d’erba viola dai bordi ondulati.
Avevo guardato intorno, ma non avevo trovato niente di simile, quindi avevo pensato che doveva essere solo quel ciuffo.
Avevo cercato di afferrarlo dall’interno del cortile, ma non ci ero riuscita. Era come se fosse scivolato via, fuori dall’Istituto. Nemmeno il tempo di varcare il cancello che mi avevano afferrato dalle braccia e mi avevano ammanettata.
«Okay, bella Shadowhunter» aveva mormorato una voce maschile alle mie spalle. «Stai ferma e deciditi a collaborare con D’Amico».
«Lasciatemi!» avevo esclamato, divincolandomi. «Carl Blueway ha già accettato di collaborare con voi!»
«Oh, davvero? Be’, ma a noi serve la tua completa collaborazione. Quindi, o stai zitta, ci segui e fai cosa ti diciamo noi, oppure...».
Mi fece girare verso un furgoncino. Uno degli scagnozzi mascherati del cimitero era lì davanti. Aprì lo sportello. All’interno del furgoncino c’era una figura accasciata. Aveva i capelli corti e le spalle larghe. Un uomo, o un ragazzo.
«Alza la testa!» abbaiò il tipo che mi aveva ammanettata. Lo scagnozzo che aveva aperto il furgone prese un bastone nero e lo puntò sotto il collo dell’uomo e gli fece alzare il mento.
Cacciai un urlo di spavento e sorpresa pronunciando il suo nome. Liam. Quello stupido, divertente e stupendo figlio di Ermes, con una contusione all’occhio destro e il labbro spaccato e sanguinante.
«NO! Lui...Lui...non c’entra niente con gli Shadowhunters. Lasciatelo, per favore!». Avevo cercato di divincolarmi.
«Eles...» aveva mormorato lui, con voce fioca. E poi aveva sorriso, un sorriso che gli aveva fatto brillare anche gli occhi azzurri. Ed era stato come vedere il sole spuntare su un panorama perfetto da dipingere.
«Sto bene, tranqui-» Lo scagnozzo lo aveva interrotto con un colpo di bastone sul collo. Poi gli aveva sferrato un pugno. Liam aveva sputato sangue.
«Non starai bene a lungo, se non convincerai la tua ragazza a collaborare per noi».
«Collaborerò» avevo risposto prontamente.
«Bene». Poi il mio aguzzino mi aveva messo una mano sulla bocca e mi aveva spinta verso l’interno del furgoncino. E mi ero risvegliata di fronte a quella luce.

Mi decisi ad alzarmi. Feci per fare uno scatto in avanti e scendere da quel lettino su cui ero stesa quando una scossa mi spinse di nuovo contro il cuscino.
«Braccas meas...» imprecai, ma un’altra scossa mi interruppe. Cercai di spostare lo sguardo e guardarmi intorno. Nessuno. Liam. Dov’era Liam? Cosa gli avevano fatto? Dopo che l’avevano usato per attirarmi, che fine aveva fatto? Tremai al solo pensiero.
«COSA VOLETE?» gridai, per farmi sentire in tutta la casa. «Avevo detto che avrei collaborato!».
Silenzio. Riuscivo solo a sentire il mio respiro accorciarsi.
Una voce maschile entrò in diffusione nella stanza.
«Per amore, mia stupida Shadowhunter mezzosangue, si fanno le peggiori sciocchezze. Come favorire il nemico e poi tradirlo. La nostra è una misura di sicurezza».
Conoscevo quella voce. Non era quella di Chris D’Amico. Avevo sentito la sua in quella registrazione che aveva inviato all’Istituto e non era così. Era piuttosto più roca, più cantilenante, con un accento diverso.
«Chi sei? Fatti vedere, vigliacco!». Ero l’ultima a poter giudicare chiunque un vigliacco, visto che stavo tremando di paura.
«Sono uno degli inquilini affascinanti della Cabina Tredici. Oh, be’. Ex inquilini».
«Ludkar». Il suo nome mi uscì con un tono sprezzante.
«Già, tesoro, proprio io. Ora, muovi un muscolo e farai la fine della tua antipatica amica Teri».
Sentii come una sorta di sollievo. Ludkar credeva che Teri fosse ancora morta.
«Jack ci ha detto com’è andata» dissi. «Teri è morta avvolta in una colonna di fiamme. Non l’avete uccisa voi».
«Oh, fa lo stesso. Farai la sua stessa fine».
«Cosa volevate da lei?»
«Be’, prima di tutto non è stata carina con me. E poi era perfetta per minacciare Ade e contemporaneamente divertirmi con lei».
Cercai di sorvolare sul divertirsi. Non volevo saperlo, altrimenti sarei esplosa.
«Minacciare Ade per cosa?»
«Ehi, vuoi sapere un po’ troppo. Posso fornirti dettagli sul divertirsi, se proprio vuoi, ma il resto è top secret».
«No, grazie. Lasciala riposare in pace, almeno ora». Cercai di far scendere un paio di lacrime, e non fu difficile in quella situazione.
«Come vuoi. Sarebbe stato divertente, comunque. Oh, arriva il boss».
Sentii una porta spalancarsi e un istante dopo il lettino su cui ero stesa si mise in verticale, facendomi sobbalzare.
Davanti a me c’era un ragazzo di poco più di diciott’anni, dai capelli e occhi scuri, con un filo di barba. Era vestito come un qualsiasi ragazzo della sua età. Non poteva essere lui il boss.
«Ciao Eles» mi disse. Oh, be’. L’apparenza inganna.
«Ciao» risposi. Vedere un ragazzo mondano mi tranquillizzava, anche se non avrei dovuto, considerando l’accanimento dei suoi scagnozzi mascherati nel cimitero.
«Dunque, Eles McTemar. Immagino che tua madre ti abbia detto che non è il tuo vero cognome». Si sedette su uno sgabello poco lontano da me.
«Sì, immaginavo fosse una copertura, ma non ho ancora scoperto il mio cognome da Shadowhunter. Non gliel’ho chiesto e non mi interessa».
«Ah già. Delle due, tu sei la Shadowhunter che non accetta di esserlo». Aprii la bocca per ribattere, ma non ne uscì nemmeno una parola. Aveva ragione. Io non volevo incidermi la pelle con uno stilo e vestirmi di nero. Volevo essere solo una semidea, con la mia maglietta arancione sgargiante e la pelle pulita.
«Allora, immagino che tu sia qui perché abbiamo minacciato Liam, no?».
«Anche» risposi. Il ragazzo annuì.
«Siamo stati costretti a farlo. Non accettando la tua discendenza da Raziel avresti potuto non sentirti parte degli Shadowhunter e quindi non collaborare con loro e, di conseguenza, con noi».
Annuii.
«Sì, capisco. Ma collaborerò».
«Cerca di metterti dal mio punto di vista, Eles. Mi stai dicendo che mi aiuterai senza sapere quale sia il mio obiettivo. Non sembrerebbe strano se succedesse a te?».
«Be’, dopo aver minacciato il mio...amico Liam, so che mi conviene aiutare».
«Sono appena quattro anni più grande di te, Eles. Non voglio trattarti come un adulto tratta un bambino. È l’errore peggiore. Ho dovuto minacciare Carl Blueway perché gli adulti sono stupidi. Non parlano altra lingua se non quella delle minacce e delle cattive maniere. Quindi, cercherò di convincerti a schierarti dalla mia parte, essendo praticamente mia coetanea».
«La ascolto, signor D’Amico»
«Signore? Chiamami Chris. Comunque, dicevo. Correggimi se sbaglio. Tu sei figlia di Apollo»
«Esatto, Chris»
«Ti ha riconosciuta, ma non l’hai mai incontrato»
Annuii.
«Quindi è come se non avessi mai avuto un padre. Non siamo poi così diversi. Mio padre è stato ammazzato da Kick-Ass»
«Ma tuo padre aveva ucciso Big Daddy, il padre di Hit Girl» risposi. Dave e Mindy mi avevano raccontato tutto, mentre li portavo all’Istituto.
Chris non si scompose.
«Esatto. Ma io ho progetti più grandi. Uccidere Kick-Ass serve solo per togliermelo dalle palle. Voglio i supereroi qui, a New York. E non finti, con il solo potere delle pistole. Voglio che siano forti come gli Shadowhunter, veloci come i vampiri, potenti come gli dei, spietati come i demoni e numerosi come i Sottomondo».
«I sottoche?»
«Oh, te lo spiegherò dopo. Ovviamente, questo progetto è molto ambizioso. Ecco perché mi servi tu. Il tuo arco è sinonimo di eccellenza, successo, luce. Donandolo ai Sottomondo farai in modo che si liberino dall’oscurità e uccidano i Sopramondo che non permettono loro di uscire e vivere la loro vita. É il loro turno, ora!»
I suoi occhi stavano cambiando.
«Okay, questi Sottomondo vogliono godersi un po’ il sole. Ma se dono loro il mio arco, uccideranno anche me, che sono una Sopramondo.»
«No, ovviamente. Risparmieranno noi che li abbiamo aiutati a risorgere. Uniranno le varie creature sovrannaturali e saremo più forti. Sarà un mondo migliore, Eles. Fidati!»
Aveva la terra al posto degli occhi. Letteralmente. Stavo cercando di trattenere un urlo di terrore.
Ricorsi alle lezioni di teatro che avevo preso a scuola.
«Sì, mi fido» risposi. «Ma perché rapire Onny? Perché ti servono gli Shadowhunters?»
«Mi serve un esercito» spiegò.
«A cosa ti servirebbe?»
«Prima dobbiamo uccidere quegli stupidi, egoisti e datati degli dei dell’Olimpo. Le divinità minori non saranno difficili da ammazzare, ma per i dodici abbiamo bisogno di aiuto»
«Dimentichi il dio degli Inferi»
«Oh, Ade, vero?»
«I nomi sono potenti» gli ricordai.
«Sì, vabbè. Chi se ne frega. Comunque, lui è già quasi sistemato. Ogni vampiro che nasce lo indebolisce sempre più. Tra poco sarà morto, e a quel punto i Sottomondo entreranno in azione e prenderanno il suo posto. Sguinzaglieranno le creature infernali che Ade tiene tanto al sicuro e le scateneranno contro gli dei del piano di sopra. Poi arriveremo noi. Un quarto dei, un quarto Shadowhunters, un quarto demoni e un quarto vampiri».
«Creeranno degli ibridi?»
«Esatto. Io sarò il primo. Oh, questo progetto è così entusiasmante che mi stava facendo dimenticare la cosa più importante». Afferrò un coltello e una fiala da un tavolo lì vicino e incise il mio palmo per far sgorgare qualche goccia di sangue. Conficcai i denti nel labbro inferiore, ma lo lasciai fare. Dovevo stare dalla loro parte per capire esattamente il piano.
«Sangue di Shadowhunter mezzosangue senza rune. Perdona il gioco di parole, cara.» Prese un foglio attaccato alla parete e spuntò delle voci con una penna.
«Okay, questo mi farà risparmiare la fatica di prendere il sangue sia da un dio che da uno Shadowhunter. Ho già il sangue del vampiro. Mi manca solo quello di un demone». Ormai parlava più a se stesso che a me. Poi prese un etichetta, vi scrisse qualcosa e l’attaccò alla fiala in cui c’era il mio sangue.
«Sono contento di esserci riuscito»
«A far cosa?» domandai.
«A convincerti senza ricorrere alle maniere forti»
«Be’, è un piano perfetto, Chris. Voglio aiutare in tutti i modi possibili»
Il ragazzo mi sorrise, e sembrava sincero.
Premette un bottone e immediatamente le cinghie che mi tenevano fermi i polsi e le caviglie si slegarono, facendomi cadere per terra. Chris mi aiutò a rialzarmi.
«Grazie, Eles»
«Io ringrazio te, per questa opportunità». Scusate l’autocelebrazione, ma mi sarei data un Oscar da sola. Il ragazzo mi accarezzò una guancia, poi vi lasciò un bacio. Restai immobile, trattenendo il respiro. Non sembrò accorgersi del mio irrigidimento. Poi mi sorrise e aprì la porta, affacciandosi nel corridoio.
«Hey, tu! Dì ad una delle cameriere di preparare una stanza. Abbiamo un’ospite».

 

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 - RIA ***


Capitolo 15

 

RIA

 

 

Mi portai istintivamente una mano alla perlina di argilla che avevo appesa al collo. Era il mio souvenir dell’estate trascorsa al Campo. Era tutta nera con una dentatura scintillante dai canini allungati dipinta sopra. Avevano deciso di rappresentare così i vampiri che avevamo sconfitto quell’estate. O meglio, che non avevamo sconfitto.
«E tu come fai a saperlo?» chiese Mel. Teri sospirò.
«Quando i Nocturni mi hanno vista prendere fuoco non era perché stessi morendo. Ade ha creato un passaggio per il suo palazzo attraverso le fiamme infernali e mi ha spiegato un po’ di cose. Mi ha aggiornata sugli Shadowhunters, sul Campo, su D’Amico e mi ha annunciato felicemente che abbiamo disturbato Katniss, Johanna e Finnick per niente»
«Perché non ce l’hai detto prima?» domandò la figlia di Atena, stizzita.
«Prima quando, Mel? Non potevo nemmeno tornare al Campo senza portare altre brutte notizie?».
«Ria!» gridò qualcuno. Mi voltai e sorrisi.
«Arika!» esclamai, e le corsi incontro. La figlia di Zeus mi abbracciò forte. Avevamo legato sin da subito. Eravamo sole nelle nostre cabine, e forse per questo le avevo fatto un po’ pena e aveva deciso di aiutarmi con il mio addestramento. Mi aveva insegnato a maneggiare bene un coltello, a prendere la mira anche da stesa, a non farsi prendere dal panico quando si viene disarmati e a riutilizzare un qualsiasi oggetto come arma. Gran parte delle mie capacità era dovuta a lei. Dimostrava circa diciassette anni, ma in realtà ne aveva centodue. Era stata chiusa per novant’anni nell’Hotel Lotus, un posto in cui non si cresce e non ci si accorge nemmeno del tempo che passa.
«Finalmente. Mi sei mancata tantissimo» disse, scompigliandomi i capelli. In quei mesi era cresciuta in altezza, i capelli erano ancora più scuri e il viso più magro metteva ancora più in evidenza gli occhi azzurri.
«Oh sì, Ria, ci sei mancata tantissimo!» ripeterono i gemelli Ripton, figli di Ares, dietro di lei. Non eravamo mai andati d’accordo. Mi avevano presa di mira sin dai primi giorni al Campo, ma non erano riusciti a fare i bulli perché mi ero vendicata subito dopo, nonostante temessi la loro altezza e i loro muscoli. Man mano che i giorni erano passati eravamo scesi ad uno stuzzicarsi innocente, poi ero tornata a casa da mio padre e non ci eravamo sentiti più.
«Non davvero» aggiunse Rupert.
«Come siete amabili» dissi, sarcasticamente.
«Oh, anche tu, piccola Shadowhunter». Daniel mi pizzicò una guancia.
«Come fate a saperlo?» chiesi. Daniel si strinse nelle spalle.
«Le notizie girano» replicò. «Ora non ti montare la testa solo perché hai i tatuaggi. Io resto più figo».
Alzai gli occhi al cielo. Nel suo modo di scherzare c’era qualcosa di strano. I suoi occhi non sembravano molto divertiti.
«Sì, come no».
«Dov’è Liam?» chiese Niall. Arika si strinse nelle spalle.
«Abbiamo preso il pullman per Long Island. Un attimo dopo era sparito. Non era né per strada né da nessuna parte. Avevamo perso molte armi, non avevamo né nettare né ambrosia con noi. Così abbiamo deciso all’unanimità di tornare al Campo e chiamare i rinforzi» spiegò Arika.
Vidi i muscoli di Teri irrigidirsi.
«L’hanno preso per attirare Eles» disse Mel.
Niall si passò una mano tra i capelli rossi.
«Certo. Classica mossa. Ma come diavolo facevano a sapere che Eles e Liam hanno una cotta l’uno per l’altra? Liam ne ha parlato molto durante l’impresa?» chiese Teri.
«Be’, sinceramente non lo sapevo nemmeno io. Non ne ha fatto il minimo accenno» rispose Arika.
Niall alzò le sopracciglia e si guardò intorno.
«Ma certo» mormorò il satiro. «I Nocturni devono averli osservati durante la scorsa estate e si sono appuntati ogni cosa che vedevano come un punto debole. Abbiamo accolto delle spie alleate a D’Amico a braccia aperte».
Calò il silenzio. Gli unici rumori erano gli altri mezzosangue che festeggiavano. Dave e Mindy erano seduti sulla soglia della cabina Sei e ci osservavano, come se cercassero il coraggio di dire qualcosa.
«Se fossi D’Amico e non vorrei che trovaste Eles la nasconderei in un posto difficile da raggiungere» disse Mindy. «Quindi una collaborazione con dei Nocturni mi tornerebbe utile per nasconderla nel Cinerarium».
«Di nuovo quel maledettissimo posto!» sbottò Teri.
«Ade ti ha salvata da lì» disse Mel. «Potrebbe...»
«No» la interruppe l’altra. «Non può. Io sono sopravvissuta per miracolo perché sono protetta da lui. Eles brucerebbe e finirebbe negli Inferi come anima, non come umana nel posto sbagliato».
«Oppure» proseguì Mindy. «Se volessi attirare i miei peggiori nemici supereroi, una Shadowhunter Mezzosangue e il suo gruppetto di begli amici semidei, la terrei in un posto ovvio».
«E lui vuole ucciderci. Sa che voi ci proteggete, quindi ci attira tutti lì e ci fa la festa» disse Dave.
«Figo!» esclamò Daniel, ridacchiando. «Suona proprio come una guerra. Amo le guerre moderne».
«Ti sembra divertente? Anch’io sono la figlia della dea della vendetta, e questo è un giro di vendette, ma non fa ridere per niente!» lo rimproverai.
Mi afferrò per un braccio e mi avvicinò a sé.
«Mi sei mancata davvero, comunque» disse sottovoce, con le labbra accanto al mio orecchio.
Poi si allontanò di scatto e cominciò a camminare a grandi passi verso la Casa Grande.
«Andiamo a fare rapporto a Chirone, Rup» gridò. Arika e Rupert trattennero una risata.
«’Notte, ragazze» dissero, e seguirono Daniel.
Corrugai la fronte e lo guardai andarsene, perplessa.
«Okay, era strano» mormorai.
Mi girai verso i miei amici e vidi che anche loro trattenevano una risata.
«Ehm, okay. Abbiamo bisogno di un piano. C’è un bel casino dietro questa storia» dissi, cercando di dissimulare l’imbarazzo causato da ciò che era appena successo.
Teri sembrò riprendersi dal momento pseudo-divertente.
«Ehm, io non so davvero da dove partire. E non dimentichiamo che tuo padre ha accettato la collaborazione con D’Amico. Quindi, riassumendo. Abbiamo Eles, Onny e un intero esercito di Shadowhunter, compreso il tuo Jace» disse, guardando Mel, ma questa la interruppe.
«Jace sta qui al Campo»
«Oh, è rimasto quindi...» Teri sorrise appena. «Comunque, dicevo. Eles, Onny e un intero esercito di Shadowhunter sono nel pugno di quel bastardo. E non dimentichiamo che voi due supereroi avete dei padri da vendicare. Quindi, mia cara figlia della dea della strategia militare, tocca a te».
«Supereroi mortali, semidei, vampiri, Crepuscolari, Shadowhunters...Da quand’è che siamo così affolati?» domandai, stizzita.
«Sono un arrivo miracoloso, Ria» disse una voce alle mie spalle. Chirone. «Stiamo imparando molto».
«Già. Ma siamo anche molto in pericolo» replicò Niall.
Mel spalancò gli occhi.
«Ma certo!» esclamò. «L’ultima parte della profezia!»
«
Solo uno si sa orientare, solo uno può la difesa organizzare, uno diventerà l’obiettivo, del grande e straordinario arrivo» recitò Teri.
Mel annuì.
«Le parole sono importanti» disse. «Significa che c’è una sola persona nella profezia che si sa orientare, che si sa difendere e che sarà l’obiettivo. Uno solo, non tre persone, come pensavamo inizialmente»
«Eles» disse Chirone. «Lei ha saputo condurvi nel punto in cui si poteva creare un passaggio tra presente e futuro. Gli Shadowhunters, i Nocturni, D’Amico. Sono il grande e straordinario arrivo, per quanto possano essere cattive le intenzioni di alcuni di loro. E tutti vogliono qualcosa da lei. Gli Shadowhunters vogliono che si identifichi con loro, i Nocturni e D’Amico vogliono il suo arco. Ed evidentemente sarà anche lei ad organizzare la difesa».
«Quindi non dobbiamo fare niente per salvarla?» chiese Dave.
«No. Lei deve restare con loro. Sa cosa fare. Noi dobbiamo solo salvare Onny Blueway».
«Non so da dove iniziare» mormorai, sopraffatta. Troppe cose tutte insieme mi stavano investendo.
«Propongo una cosa» intervenne Niall. «Dormiamo. Ne abbiamo bisogno. Dobbiamo chiarire tutta questa situazione. Oggi è stato un giorno pieno. Teri che ritorna dal Mondo dei Morti, la rottura di Mel e James, Eles rapita. Non ho un cuore forte. Buonanotte». Mel fece una smorfia.
«Vado anche io» annunciai. Mi avviai verso la Cabina Sedici.
Aprii la porta e accesi la luce. Non era cambiato niente dall’ultima volta che ero stata lì. La luce violacea del lampadario, il quadro di Ethan, il comodino sempre inutilizzato da me, in quanto mettevo tutto in borsa. Mi buttai sul mio letto e affondai il viso nel cuscino.
Non ero niente. Teri era tornata dai morti. Aveva il potere sui fiori, sui morti, sui serpenti. Aveva un ragazzo premuroso, era sicura di sé, era stata la Prescelta nell’impresa.
Eles era una mezza Shadowhunter come me, capace di orientarsi nel labirinto di Dedalo, capace di organizzare una difesa contro qualsiasi cosa fosse il pericolo che ci aspettava là fuori, capace di unire mondi diversi in cui vivevano creature diverse: vampiri, Nephilim, Crepuscolari e Nocturni.
Mel era intelligente e saggia, aveva interpretato lei la profezia, e nonostante fosse stata tradita da James, c’era già un Nephilim fighissimo che le andava dietro. Arika era combattiva, forte, una maestra. Loro erano figlie di divinità maggiori. Be’, Teri non lo era, ma una divinità maggiore la proteggeva.
Io ero diversa e non ero niente.
Mio padre era uno Shadowhunter purosangue, mio fratello pure ed entrambi ora erano da D’Amico.
Io ero a metà. Né completamente Nephilim né completamente mezzosangue. Ed era come se non avessi mai visto davvero i miei genitori. Non sapevo che faccia avesse Nemesi. Non avevo mai fatto caso alle Rune di mio padre e sapevo che il suo cognome fosse Johnson fino ad una settimana prima. E il giorno dopo sarebbe stato il mio compleanno. Quattordici anni senza poter vedere i miei veri genitori. Be’, mio padre almeno aveva avuto il coraggio di dirmi tutto. Mi aveva allenata e avevo preso le rune. Per quanto riguardava il lato di mia madre, non avevo nessun potere che mi distinguesse, solo una stupida borsa che ormai non aveva più la sua particolarità. Dopo aver usato le armi contro gli scagnozzi di D’Amico si era ristretta e conteneva esattamente ciò che dimostrava di poter contenere: poco più che un cellulare. Io, ovviamente, non ce l’avevo e usavo quella borsa per metterci lo stilo e la bandana rossa che mettevo di solito ma che non potevo più usare ora che indossavo solo il nero dei Cacciatori. Avevo allacciato il coltello avvelenato di Ethan alla cintura da Shadowhunter, insieme alle altre armi.
Aprii la borsa, presi lo stilo e la bandana e li appoggiai sul comodino. La borsa aveva perso il suo color blue jeans e assumeva più un colore pallido, azzurrino spento e sporco.
Evidentemente l’incantesimo era legato alle armi da fuoco che Chirone mi aveva donato. Ora che erano scariche e abbandonate in un cimitero, la borsa era tornata ad essere normale. Chirone sapeva che prima o poi avrei avuto bisogno di quelle armi, per salvare Eles, l’obiettivo. Ora che avevo svolto il mio ruolo, ovvero partecipare all’impresa, svelare il mio lato da Nephilim e uccidere un bel po’ di scagnozzi di D’Amico non avevo più un ruolo.
Il mio ruolo era “una con la borsa”, come diceva la profezia.
Fine. Una lacrima cadde sulla borsa. Non mi ero nemmeno accorta di star piangendo.
Mi ripetei che almeno mio padre mi aveva introdotta alla vita da Nephilim, mia madre no. Il Campo Mezzosangue non poteva pretendere niente da me. Mia madre non poteva pretendere niente da me. Ero solo un’inutile figlia di una divinità minore.
Strinsi la borsa in un pugno e andai verso la porta della Cabina, a grandi passi. La spalancai e scaraventai la borsa con tutta la mia forza verso il focolare di Estia. La fiamma divampò e vidi una bambina dai capelli castani, l’aria tranquilla. Indossava una tunica greca.
«Estia» mormorai.
La bambina mi sorrise. Un battito di ciglia dopo era sparita.
Tornai nella Cabina e sollevai il lenzuolo del mio letto. Sotto c’era ancora la mia vecchia borsa degli scherzi. Nessuno l’aveva toccata. L’afferrai e ci ritrovai tutte le cose che usavo per fare scherzi, prima di scoprire di essere semidea. Dentro c’erano anche i miei pantaloni mimetici preferiti.
Presi la bandana rossa, la maglietta arancione del Campo e il coltello di Ethan. Staccai la perlina d’argilla dal mio collo e tornai al focolare. Ci buttai tutto dentro. Non aspettai di guardarle bruciare.
Poi incominciai a correre. Ero solo io, con la mia divisa da Nephilim e le armi angeliche. Mi asciugai le lacrime e mi ordinai di riprenermi.
Io ero Ria Blueway, e non piangevo. Io ero Ria Blueway, e non ero “la figlia di una divinità minore”, ero una Nephilim con i fiocchi, che aveva preso le rune senza problemi perché aveva il sangue dell’angelo Raziel nelle vene. Avrei salvato la mia vera famiglia. Superai la collina Mezzosangue, lasciandomi alle spalle quel posto a cui non ero mai davvero appertenuta.

 

 

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 - TERI ***


Capitolo 16

 

TERI

 

 

Mi stiracchiai e sbadigliai, alzandomi dal letto.
Era bello tornare a dormire su un materasso comodo e non su una brandina con le lenzuola ruvide.
«Dove vai?» mugugnò Leo, aprendo gli occhi.
«Sarebbe ora di alzarci, pigrone» risposi, pizzicandogli una guancia. «E ho promesso a Nico che ci saremmo allenati insieme, stamattina»
Leo si issò sui gomiti e mi guardò.
«Dici che gli dei si arrabbieranno per stanotte?». Sorrisi e gli stampai un bacio sulle labbra.
«Sono tornata dall’Inferno, Leo. E per Inferno non intendo il regno di mio padre. Sono stata prigioniera per due mesi, mi davi per morta. Ce lo meritavamo, no? E poi hai messo questo letto in un bunker, non in un tempio a loro consacrato».
Leo mi accarezzò una guancia.
«Bene, a meno che non ti vada di dare spiegazioni imbarazzanti ai tuoi fratelli e soprattutto al mio, sbrigati a rivestirti e a tornare in Cabina» dissi.
Lui mi tirò per un braccio e mi attirò a sé. Sentire il suo corpo vicino al mio evocò nella mia mente i ricordi della sera precedente e mi mozzò il respiro. Mi fece un sorrisetto, mentre mi scostava i capelli da un lato. Le sue mani calde mi accarezzavano la schiena.
Cominciò a baciarmi il collo lentamente. Chiusi gli occhi, mordendomi il labbro inferiore.
«Leo, dovremmo proprio...». Lasciai la frase sospesa, incapace di continuare. Appoggiare le mani sul suo petto per spingerlo via mi costò uno sforzo enorme.
«Poi glielo spieghi tu a Nico»
«Oh, eddai!» borbottò lui.
Afferrai la sua maglietta arancione dal pavimento e gliela lanciai addosso.
«Sbrigati. Ci vediamo dopo». Mi chinai per dargli un bacio sulle labbra e poi uscii di corsa dal Bunker Nove, prima che ci ripensassi.
Era ormai mattino. Entro mezz’ora il Campo si sarebbe animato. Corsi per raggiungere le Cabine. Avevo già corso nella Foresta prima di allora, durante una Caccia alla Bandiera, quindi fui veloce.
Raggiunsi la Tredicesima e aprii la porta. Nico dormiva. Tirai un sospiro di sollievo e mi sfilai le scarpe.
«Guarda che potevi restare con lui un altro po’» mugugnò mio fratello. «Tanto stamattina starai con me, caso chiuso».
Non riuscii a trattenere una risata.
«Okay, ammetto di essere una frana nello sgattaiolare» risposi.
Nico si girò verso di me e sorrise.
«Decisamente». Mi studiò con i suoi occhi scuri, poi fece un sorrisetto.
«Ammettilo, dai. Ti sei divertita!»
«Nico!» Cercai di fingermi indignata, ma il mio sorrisetto ebete mi tradì.
«Spero di non diventare zio». Spalancai gli occhi e scoppiai a ridere, mentre gli tiravo addosso un cuscino. Nico rise e me lo rilanciò. Mi sedetti sul suo letto e lo abbracciai.
«Da quando sei così affettuosa?» chiese. «Certo che Ludkar ti ha proprio cambiata».
Sentii un tuffo al cuore. Avrei voluto dirglielo. Avrei dovuto dirglielo. Ah Nico, a proposito, io sono immortale.
«Mi sei mancato» risposi. «Anche i metallari hanno sentimenti».
La porta si spalancò. Saltai giù dal letto di scatto. Una vecchia abitudine del Cinerarium. Ma sulla soglia non c’era Ludkar. C’era Mel, con il petto che si alzava e abbassava, gli occhi spalancati e le labbra schiuse. Sentii i muscoli rilassarsi.
«Mi hai spaventata, idiota. Che è successo?» chiesi.
«Ria è sparita»
«Anche lei?»
«Manco solo io» commentò Mel «Ma non trovo che questo gioco sia divertente».

«Come diavolo avrebbero fatto a rapirla dall’interno del Campo?» chiese Niall, dopo che avevamo perquisito metà Campo.
«Probabilmente l’hanno attirata fuori» ipotizzò Mel.
«Sì, ma l’ho vista andare nella Cabina Sedici con i suoi piedi. Come avrebbero fatto ad attirarla fuori? Le Cabine non sono propriamente vicine all’ingresso» ribatté Niall.
«Ragazzi!» gridò Arika, raggiungendoci. Scosse la testa. «Niente da fare anche da questa parte»

Mel sospirò.
«Sono due ragazze in meno di dodici ore» commentai. «Cosa vogliono ancora da noi?»
Le spalle di Arika si irrigidirono. Si avvicinò lentamente al focolare di Estia.
«Ma cos’ha visto?» chiesi a Mel. Lei mi rivolse uno sguardo confuso.
Arika si chinò davanti al fuoco e raccolse una borsa sporca di terreno.
Si avvicinò a noi.
«Questa è la borsa di Ria. La portava prima che Chirone le donasse l’altra»
«Che ci faceva vicino al focolare di Estia?» domandò Niall. Arika scosse la testa. Poi aprì la borsa e ne tirò fuori la maglietta del Campo, il coltello avvelenato, una bandana rossa e una borsa di jeans scolorito.
«Sono le cose di Ria...» mormorò il satiro. «Che significa?»
«Sono le cose legate alla parte di semidea di Ria» specificò Arika. «Voleva bruciare i suoi ricordi da semidea. Non è stata rapita. È scappata». Mi portai una mano tra i capelli. Chirone aveva detto che era importante restare uniti. Bell’inizio.
«Che ci siamo persi?» chiese Jace. Era appena arrivato, insieme a Dave e Mindy. Avevano dormito nella Casa Grande.
«Ria è scappata» annunciò Mel, facendo un sorrisetto tirato. «Tutta questa fortuna finirà per emozionarmi».
Dave e Mindy erano qualche passo indietro e stavano discutendo. Riuscivo a sentire cosa si stessero dicendo.
«Capisci, ora, Dave? Abbiamo ancora bisogno di te. Abbiamo bisogno di Kick-Ass» disse Mindy.
«Devo avvisare Carl» dichiarò Jace.
«Che succede?» chiesi a Mindy e a Dave. I due mortali mi guardarono, sorpresi che li avessi sentiti. Avrei voluto darmi un ceffone da sola. Avevo un udito superiore a quello di una normale semidea, ma lo sapevo solo io, oltre ad Ade e a Persefone. Avrei dovuto fingere un udito normale.
«Vi vedo nervosi» mi affrettai a dire. «Qualcosa non va?»
Dave sospirò.
«Ho promesso a mio padre che non avrei più fatto Kick-Ass. È morto per colpa mia. Si è consegnato a mio posto, per proteggermi. E io gli ho detto che nessuno si sarebbe accorto della sua morte. Glielo devo»
Mi si spezzò il cuore a vederlo così. Era un ragazzo di appena diciott’anni che aveva perso il padre e che era finito in una situazione più grande di lui. E per giunta, era un semplice mortale.
«Dave...» cominciò Mindy. «Tuo padre ti voleva bene, come il mio ne voleva a me»
«Ha ragione» confermai. «Altrimenti non si sarebbe consegnato, no?»
«Ti aiuteremo a vendicarlo» intervenne Mel.
«D’Amico ha già fatto troppi casini» convenne Mindy.
Dave le rivolse un sorriso tirato.
«Lanciamo un appello su Internet, allora. Ci sarà qualche supereroe pronto a combattere».
«Internet?» domandai. «Se proprio devi. Ma calcola già una persona in più dalla vostra parte».
«Due» mi corresse Mel.
«Due persone e un satiro» aggiunse Niall. Jace fece un passo in avanti.
«Non dimenticatevi del più figo»
Dave ci rivolse uno sguardo sorpreso e ammirato.
«Ma voi siete...siete forti. Voglio dire, voi due siete due semidee, lui è uno Shadowhunter e lui è...ehm...metà asino?»
Guardò le zampe caprine di Niall con un’espressione confusa.
«Di immortales, ma perché nessuno riesce a distinguengere un asino da una capra? Sono un dannato satiro, bello»
«Ehm, sì, è lo stesso. Comunque, dicevo che siete straordinari. Perché dovreste combattere per me?»
«Oh, tu sei rimasto indietro. Abbiamo degli Shadowhunters da salvare» disse Jace. «Non permetterò che i miei amici facciano da schiavetti ad un bambino viziato»
«Okay, wow. Grazie, gente. Quindi, qual è il piano?» chiese Dave.
Calò il silenzio.
«Ehm, ecco. Questo è un problema» commentò Niall.
«Io ho un piano» dichiarò Mindy. «Io e Dave andiamo nel solito posto in cui ci alleniamo. Dobbiamo prendere le nostre armi e nel frattempo dobbiamo lanciare un avviso a tutti i supereroi disposti a schierarsi dalla nostra parte»
«Non vi lasciamo andare da soli» intervenni.  «È troppo pericoloso»
«Infatti» convenne Jace. «Io e Alec veniamo con voi in questo posto».
«E nel frattempo noi cosa facciamo?» chiese Mel.
«Voi andate all’Istituto con Eder. Tracciatevi delle rune per la vista e per l’udito, prendete le armi angeliche. Riempitevene le tasche. Poi vi manderò un sms con l’indirizzo del covo di D’Amico»
«Dimentichi un particolare» disse Mel. Jace chiuse gli occhi, facendo una smorfia.
«Ah già, niente telefoni.»
«Allora ci vediamo nel punto di ritrovo dei Justice Forever, la nostra squadra. Questo è l’indirizzo». Dave mi porse un bigliettino con un indirizzo scritto a penna.
«Ricapitolando: io e Alec accompagniamo questi due per fare questo fantomatico annuncio, poi ci vediamo tutti in questo punto di ritrovo e andiamo da D’Amico tutti insieme appassionatamente per aprirgli il c-»
«Jace!» lo riprese Mel.
«Okay tutto chiaro!» commentò Mindy. «Andiamo!»
«Io avevo promesso a Nico che avremmo trascorso la mattina insieme...» mormorai.
«Capirà» disse Mel, accarezzandomi il braccio.
«Certo» convenne Mindy. «Ma non rimandare dei momenti con le persone che ami. Potrebbero essere gli ultimi». Il modo in cui pronunciò quelle parole mi fece stringere il cuore. Aveva perso qualcuno.
Non le chiesi niente. Fino a ventiquattr’ore prima tutti mi davano per morta. Mi avevano rapita pochi mesi prima, dopo essere appena rientrata da un’impresa e aver trascorso troppo poco tempo con i miei fratelli. Sorrisi e raggiunsi Nico per fare colazione.

«E basta!» esclamai, cercando di assumere un tono innervosito ma senza successo. Scoppiai a ridere mentre mi toglievo l’ennesima pallina di mollica di pane dai capelli.
«Ma sei carina con i capelli a pois!»
«Ah, così dici? Vieni subito qui!»
«Ma perché vuoi rincorrermi?» domandò mentre correva verso il campo di fragole. «I tuoi capelli sono adorabili! A Leo piaceranno da impazzire!»
«Nico!» gridai, afferrandolo per la maglietta e facendolo cadere per terra.
«Chiedimi scusa»
«Perché dovrei?»
«Perché altrimenti mi vedrò costretta a fare questo...» cominciai a fargli il solletico sulla pancia, mentre lui si contorceva e rideva.
«No, ti prego, basta, basta! Ho le lacrime agli occhi! Non lo dirò più, scusa!»
Mi fermai perché mi facevano male le guance e la pancia per le troppe risate. Mi buttai per terra, accanto a lui.
Guardammo il cielo per un po’, in silenzio. C’erano più nuvole bianche rispetto all’estate, ma era sempre il tetto di quella che era la mia casa.
«Dici che Gregor stia bene?» chiesi.
«Lo spero» rispose Nico. «La sua famiglia non naviga propriamente nell’oro, ma spero che vada tutto bene. Merita di essere felice, dopo un’estate a fare incubi su di te».
Sobbalzai. Un brivido mi percorse la schiena.
«Già, me l’aveva detto mentre ero a Seattle, per l’impresa. Aveva previsto tutto. Ma come ha fatto? Voglio dire, che c’entrano i Nocturni con lui?»
«Non saprei». Nico si strinse nelle spalle. «Forse le previsioni sono su di te, non sui Nocturni».
Suonava strano.
«Aveva incubi anche da quando ci conoscevamo da poco. Ci siamo avvicinati proprio perché quando aveva paura dormiva nel mio letto. Non possono essere su di me. All’inizio credevo fosse per via della protezione di Ade su entrambi, ma io lo sono sin da neonata, lui da neanche un anno. Abbiamo genitori diversi. Ho un collegamento empatico con Mel, ma lei ha cominciato a sognarmi quando io sono riuscita a stabilire un collegamento dal Cinerarium, che mi è quasi costato la vita».
Nico spalancò gli occhi.
«Invece Gregor ti sognava senza particolari problemi di comunicazione». Mi guardò.
«I suoi incubi sono collegati a qualcosa che lui conosce bene».
Lo dicemmo all’unisono. «I Sottomondo hanno un accordo con i Nocturni».

«Volevano rapirmi per minacciare Ade» dissi. «Vogliono Eles perché il suo arco è come un portafortuna molto potente»
«Ma certo!» esclamò Nico. «Il Sottomondo non è distante dagli Inferi e gli Inferi sono in continua espansione. I vampiri hanno portato scompiglio, quindi qualche anima vendicativa sarà riuscita a scappare e a fare casini nel Sottomondo. Vogliono ristabilire i confini. Posso garantirti che i Ratti del Sottomondo non sono tipi con cui si possa negoziare pacificamente. Vogliono vendetta».
Ci fu un istante di silenzio in cui mi guardai attorno. Stranamente la cosa oltre a spaventarmi mi affascinava. Nel senso, ero tornata alla mia vita. Tornavo finalmente in campo di battaglia, lottavo e non stavo seduta tutto il giorno in una cella polverosa. La mia visita forzata in quel posto, però, mi aveva fruttato informazioni sui piani dei Nocturni.
«Oh miei dei» mormorò Nico. «Accidenti!». Si alzò in piedi e diede un calcio al terreno, frustrato. Poi si inginocchiò, con le spalle accasciate. Mi alzai in piedi e gli poggiai una mano sulla spalla, facendolo voltare verso di me.
«Che Ade ti prende?». Nico sospirò e tornò a stare in piedi e cominciò a camminare avanti e indietro e a gesticolare, nervoso.
« Io non volevo che Gregor andasse via alla fine dell’estate. Avevo una strana sensazione. Ma lui ha insistito. Doveva badare alle sorelline, doveva aiutare i genitori e aveva la scuola, ma mi promise di contattarmi con l’iPhone ogni settimana. Sono stato così preso dalla notizia della tua “morte” che non me ne sono reso conto. »
«Arriva al punto, per favore. E smettila di andare avanti e dietro, mi sta venendo il torcicollo!»
Nico si sedette si nuovo e mi guardò dritta negli occhi. Sentii una strana sensazione alla bocca dello stomaco.
«Gregor è il loro guerriero. Il guerriero di Sopramondo che aiuterà il Sottomondo. Lo chiamano così. E non mi manda un messaggio Iride da dieci giorni».
«Non è una coincidenza» dissi. «Onny, Gregor, me. Subito dopo che sono stata liberata, vengo sostituita da Eles e da Liam. Questa cosa mi puzza parecchio.»
«Onny?»
«Sì, il fratello di Ria. Oh, giusto, tu non lo sai. I genitori non divini di Ria ed Eles sono Nephilim, cacciatori che hanno la missione di uccidere i demoni. Loro sono sia Shadowhunters che semidee...»
«Onny è anche figlio di Nemesi?»
«No...Nephilim al centopercento. Perché? Dove vuoi arrivare?»
«Uno Shadowhunter, Onny, un semidio, Liam, e il guerriero umano dei Sottomondo, Gregor» disse Nico.

«Accompagnati da una semidea Shadowhunter, Eles, che non accetta il suo lato da Nephilim e che ha un’arma potente e leggendaria dalla sua» aggiunsi.
Nico mi si avvicinò. Aveva lo sguardo impaurito, ma c’era una scintilla particolare in quegli occhi scuri. Era spaventato, ma deciso ad agire.
«Suona proprio come una trilogia per un sacrificio, con tanto di arma».

 

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Capitolo 17
*** Capitolo 17 - MEL ***


Capitolo 17

 

MEL

 

 

Teri finì di parlare. Aveva il fiatone per quanto aveva parlato velocemente.
«Raggiungiamo Eder all’Istituto» dissi, cercando di restare calma. Mi guardai intorno, fissando i semidei che ci avevano ascoltate. «Ma credo che ci sia qualcuno di voi che vuole arruolarsi»
Nico fece un passo avanti.
«Io e Teri abbiamo da salvare nostro fratello» disse, con determinazione.
«Bene» annuii.
«Non potrò salvare mia sorella, ma voglio che veda che io ci sono e che non è sola. Riuscirà a tirarsi fuori al più presto» annunciò Will Solace.
«Io voglio che Ria capisca che sua madre è sempre con lei, che il Campo è casa sua, come lo è l’Istituto. Non esiste una scelta» mormorò Arika. Sembrava davvero afflitta. Cercai di mettermi nei suoi panni. Se ci fosse stata Teri al posto di Ria sarei stata sicuramente come lei.
«Siamo in dieci a schierarci per i supereroi. Salverai tu Onny, Arika. Noi cercheremo di crearti un passaggio tra i simpatici scagnozzi di D’Amico. Se Ria sa che siamo stati noi semidei a salvare suo fratello sono certa che avrà un ripensamento su questo posto». Feci un gesto con il braccio per indicare il Campo.
Arika mi sorrise. Guardai Teri e Nico. Ora che sapevo che Teri non era davvero sorella di Nico riuscivo a distinguere meglio i loro lineamenti diversi.
Teri aveva la pelle di qualche sfumatura più scura, i capelli erano più castano scuro che completamente neri e con la luce del sole sul viso riconoscevo la differenza dei loro occhi. Quelli di Nico erano color caffè e si faceva quasi fatica a distinguere l’iride dalla pupilla, quelli di Teri erano di un colore più chiaro, con qualche sfumatura di rosso. L’unica cosa che avevano ancora in comune era lo sguardo tenebroso e anche piuttosto arrabbiato. No, le cose in comune erano due. Entrambi volevano salvare Gregor, con cui non avevano nemmeno una goccia di sangue in comune. Erano tre fratelli senza sangue in comune che però avrebbero fatto qualsiasi cosa l’uno per l’altro.
«Non vi dirò cosa fare. Lo sapete benissimo». Nico e Teri si guardarono, poi posarono nuovamente lo sguardo su di me e fecero un sorrisetto.
«Avete le armi con voi?»
Niall sollevò le sue stampelle, Arika sfiorò l’elsa della sua spada e Will si sistemò la faretra sulla spalla. L’elastico azzurro era ben stretto. Lo sfiorai e un ricordo fece capolino nella mia testa. Ricordavo quando mi ero svegliata dopo aver combattuto un ciclope. James mi aveva dato il benvenuto nel Campo e aveva sfiorato l’elastico. Pensare a lui mi provocò una fitta al petto. Scossi la testa e scacciai quel pensiero.
«Allora direi che possiamo proprio andare. Ve ne serviranno altre».
Cominciammo a risalire la collina Mezzosangue. Jace era già andato via con i supereroi. Mi sentivo diversa dall’ultima volta che ero partita per l’impresa. Ero più tranquilla sulle mie doti da combattente ma più insicura sulle perdite. Eravamo di più, quindi c’erano più probabilità che qualcuno morisse. Non ero affatto pronta.
 «Scusate, dove credete di andare?» domandò una voce alle nostre spalle.
«Annabeth, ne sei sicura?». Lei mi lanciò un’occhiataccia. Risi. Domanda stupida.
«Teri!» esclamò Leo. «Aspettatemi!». Lo sguardò di Teri si illuminò, mentre Nico si scurì in volto.
Leo la raggiunse, ma non si sfiorarono. Tuttavia gli sguardi e i sorrisi che si scambiarono erano praticamente inequivocabili.
«Okay, dai. Muoviamoci. Eder ci sta aspettando».

Il peso delle armi degli Shadowhunter era maggiore di quello che mi aspettassi.
Delle strane creature con dei mantelli color pergamena ci avevano assicurato che le avremmo potute usare senza problemi. I Fratelli Silenti – così li avevano chiamati Viktor e Hen – ci avevano detto che avevamo il combattimento nel sangue tanto quanto i Nephilim, se non anche di più. Quest’ultima cosa, però, l’avevano detta quando Viktor e Hen non erano a portata d’orecchio.
“Noi Nephilim tendiamo ad essere un po’ permalosi.” Aveva detto Fratello Zaccaria, e mi era sembrato ridacchiasse.
Camminavamo verso il punto di raccolta dei Justice Forever quando mi accorsi degli sguardi di Viktor ed Eder.
Quella notte Afrodite si doveva essere divertita molto.
Respirare quell’aria di romanticismo non faceva altro che farmi sentire una schifezza per come avevo trattato James.
Poi sentii una voce femminile nella mia testa che mi diceva: “Non dimenticare come ha preso in giro la tua intelligenza, pensando fossi una stupida figlia di Afrodite. I ragazzi ci sottovalutano sempre”.
Mi fece sentire meglio.  Qualcosa mi disse che era stato il primo consiglio ricevuto da mia madre. Mi sorpresi che Atena, dea della strategia militare e della saggezza, avesse scelto di consigliarmi per la prima volta proprio sui ragazzi.

Raggiungemmo il punto di raccolta dei famosi Justice Forever. Era piuttosto piccolo, ma era organizzato per bene. Il motivo a stelle e strisce era ricorrente.

Quando ci misi piede feci fatica a riconoscere Dave. Poi lo vidi. Aveva una maschera verde e gialla, ma da sotto indossava un’armatura nera e verde corazzata. In vita aveva una cintura gialla con le iniziali ‘KA’. Accanto a lui, Jace ed Alec. Tanto per cambiare, erano vestiti di nero. Mi accorsi di aver soffermato troppo lo sguardo sui bicipiti di Jace quando Teri mi diede una gomitata nelle costole.
«Ehm, buonasera» disse Niall, imbarazzato.
«Eccovi!» esclamò una ragazza con una parrucca viola e una tuta metalizzata. Aveva anche un mantello nero.
«Mindy?» chiese Teri, incredula.
La ragazza rise.
«Andiamo, dai. Speriamo che i supereroi abbiano letto il nostro messaggio online».

Proseguivamo verso il locale di The Motherfucker. Camminavo accanto a Teri. Mi aveva appena raccontato ciò che era successo con Leo quella notte, attenta a modulare la voce in modo che la sentissi solo io. Mentre parlava ridacchiavo. Teri era completamente rossa in viso, ed era piuttosto strano vederla così. Tuttavia ero felicissima per lei.
«Tu, con James?» chiese, alla fine. Sospirai e le raccontai la nostra lite della sera prima.
«Certo che quando hai i cinque minuti è meglio non toccarti» affermò. «Direi che sei quasi più pericolosa di me».
Scossi la testa. «No, ti lascio quest’onore. A proposito, come mai hai fatto quella faccia quando ti hanno detto che assomigli ad Eder?»
Teri trasalì.
«Shh, non farti sentire!» esclamò. Poi raddrizzò le spalle e sospirò. «I conquilini del piano di sotto mi hanno curata e mi hanno spiegato un po’ di cose. Praticamente io sono-». Mindy la interruppe.
«Eccoci».
Di fronte a noi si ergeva un portone rosso con dei simboli neri. Dalle varie traverse arrivavano uomini e donne vestiti da supereroi, armati di clave, con maschere strane e soprattutto con lo sguardo determinato. Avevano letto il messaggio.
«Il potere di Internet» commentò Viktor, guardandosi intorno. «E voi semidei vi concedete il lusso di essere tecnofobi...puah!»
«Scusa tanto se attira mostri!» ribatté Niall.
«Te lo spiego dopo» sussurrò Teri.
Mi guardò e capii esattamente cosa intendesse. “Tanto io e te ci proteggiamo a vicenda, quindi è inutile porsi la domanda. Sopravviveremo e basta”.
«Allora, ragazzi.» Dave attirò la nostra attenzione. «Entro prima io, con Mindy. Voi entrerete in un secondo momento, d’accordo?»
«Perfetto!» esclamò Hen. Viktor strinse forte la mano di Eder. La ragazza gli sorrise e indicò con un cenno della testa Hen. Viktor, così, fece un passo avanti e si posizionò accanto a lui. Il mio sguardo andò a Jace. Accanto a lui, Alec. Si stavano disegnando delle rune.
Due coppie di parabatai. Arika era senza la propria. Anche se non aveva nessun collegamento empatico con Ria, si vedeva che fossero proprio tagliate per stare insieme.
«Se solo potessi, Mel, vorrei compiere il rito parabatai.»
Sorrisi e sentii le lacrime che mi inumidivano gli occhi, ma non feci in tempo a dire niente perché qualcuno dei supereroi spalancò la porta del locale. Vidi un esercito di supereroi quasi tutti vestiti in nero. Al centro uno con un mantello strano e un costume nero e rosso. Aveva un microfono ad archetto. Dietro di lui, uno squalo in un acquario. Ma non era quello il motivo per il quale i Nephilim si erano irrigiditi. Dietro l’acquario c’erano altri Nephilim, Ria compresa, accanto a quelli che erano evidentemente dei demoni e mostri mitologici. Ciclopi, manticore, stinfalidi.
«Sono demoni drevak quelli accanto a Carl!?» chiese Alec, con la voce più acuta di un paio di ottave. Erano come dei vermi troppo cresciuti.
«E lui ci sta accanto senza problemi» mormorò Jace.
«Quelli sono segugi...» disse Nico. «E quello accanto a loro è...»
«Ludkar» concluse Teri. Fece un respiro profondo e poi si portò la mano al collo. Strappò la collanina che si allungò nella sua sciabola, ora munita anche di rune. Calò il silenzio. Poi Kick-Ass parlò.

«Cos’è, Chris? Ti stai cagando sotto?»
L’altro ragazzo inclinò appena la testa.
«Sì. E mi pulirò dalla merda con la tua faccia». Dave mosse qualche passo avanti, senza paura. Non riconoscevo affatto quel ragazzo orfano che avevo visto appena il pomeriggio precedente.
«Pagherai per ciò che hai fatto a mio padre»
«Tuo padre?!» Chris camminò in avanti. «Tu hai fatto fuori mio padre con un bazooka!».
Ad un tratto una ragazza dai codini rossi che avevo visto nel punto di ritrovo dei Justice Forever, esclamò «Schwartz!».
Un pastore tedesco cominciò ad abbaiare. Lo lasciammo passare, mentre correva verso Chris e lo addentava in un punto piuttosto sensibile.
Dave gli diede un pugno dritto alla mascella.
«Cosa state aspettando?!» gridò Doctor Gravity, un altro tipo dei Justice Forever.
Tirai il cappio al mio arco e puntai verso un demone drevak.
La freccia si conficcò in una poltrona.
Ero troppo lontana. Guardai Teri che combatteva a mani nude contro un uomo di colore con una maschera a forma di teschio. La sua sciabola era per terra. Vidi un’altra donna vestita che correva per prenderela. Mi ci buttai sopra prima che la raggiungesse. Le bloccai i polsi con i piedi, ma cercai di non schiacciare troppo. Era pur sempre una mortale che aveva fatto la scelta sbagliata.
La donna urlò, dimenandosi. Allungò le dita e riuscì ad afferrarmi le caviglie. Persi l’equilibrio e inciampai. Fece per rialzarsi.
«Dove pensi di andare, eh?»
Le tirai i capelli biondi con una mano e con l’altra mi sfilai un coltello dalla cintura che ci avevano dato all’Istituto. Glielo puntai alla gola.
«Non ti conviene muoverti»
«Oh, piccola semidea» disse. Sembrava che ci fossero due o tre voci che parlavano attraverso la sua bocca.
«Morirai prima di poter urlare aiuto. E poi, nessuno ti sentirebbe in questo casino. Né la tua amichetta Teri, né la tua sorellina Annabeth...».
Ad un tratto il suo collo fece un giro di scatto di centottanta gradi, voltandosi così verso di me. Aveva gli occhi completamente neri. Urlai e saltai indietro, andando a sbattere contro un corpo di un uomo morto.
«E tantomeno il tuo fidanzatino abbronzato, che ti ha lasciata completamente sola!»
«Hai ragione!» gridò una voce. «Loro forse non la salveranno, ma io ti ucciderò, stronza!»
Vidi un lampo e poi la testa della donna rotolò a terra.

Jace mi porse una mano.

«Spero di non doverti più salvare i ricci» commentò. Accettai la sua mano e mi rimisi in piedi.
Vidi una freccia che arrivava al massimo della velocità, puntando alla sua tempia. Lo spinsi per farlo indietreggiare, ma il suo corpo era troppo pesante per farlo spostare. La freccia, però, lo mancò di un soffio e si conficcò in un palo proprio alle mie spalle, portandosi via una ciocca dei miei capelli.
Jace aveva gli occhi spalancati.
«MELISSA!» gridò. «Stavi per farti uccidere!»
«Zitto, Johnathan. Noi arcieri sappiamo come funziona la traiettoria di una freccia e io sapevo esattamente che si sarebbe conficcata nel pilastro accanto a me»
«Vieni, ti aiuto a liberarti...»
Scossi la testa e strattonai i capelli. Alcuni ricci restarono infilzati, ma non m’importava.
«Hai appena rischiato la vita per me e ti sei anche strappata dei capelli pur di non perdere tempo?»
«Non ho rischiato la vita, Wayland. Sapevo dove sarebbe finita la freccia e sapevo di non rischiare niente. E siamo nel bel mezzo di una battaglia, non ad un appuntamento»
Jace sorrise. «Ma potrebbe diventarlo, magari più tardi».
Non feci in tempo a metabolizzare ciò che mi aveva appena detto. Osservai la freccia scoccata per uccidere Jace e sentii il cuore sprofondare.
«Cos’hai?» chiese lui.
«Questa è di Eles». La cercai con lo sguardo, ma non la vedevo da nessuna parte.

«Ma perché Eles vorrebbe ucciderm-».
«Jace!» gridai. Gli feci da barriera con il mio corpo, spingendolo dietro il pilastro. Fui veloce e la freccia mi sfiorò la spalla. Sentii un lieve bruciore. Probabilmente solo un graffio superficiale.
«Okay, questo non è un bel posto per flirtare» disse Jace, afferrandomi per un braccio e tirandomi con sé dietro il pilastro, mentre una pioggia di frecce dorate bucava il pilastro.
Riuscimmo a spostarci da quel punto e a sgattaiolare dietro l’acquario dello squalo. Sfoderai il coltello preso dall’Istituto quando vidi una ragazza bionda con la maglietta arancione stesa per terra.
«Annabeth!» Lasciai Jace alla base delle scale e corsi da lei. Saltai oltre il corpo di un supereroe. Scansai il pugno di un criminale. Poi vidi Nico che l’aiutava ad alzarsi.
Una clava di un criminale lo colpì dritto alla testa. Nico si irrigidì e cadde a peso morto.

 

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Capitolo 18
*** Capitolo 18 - TERI ***


Capitolo 18

 

TERI

 

 

Rotolai su un fianco e recuperai la mia sciabola. Feci per infilzare quel maledetto demone, quando il mio fendente fu parato da una lama lucente.
Alzai lo sguardo e vidi Ria.
«Eccoti, finalmente!» esclamai, sentendo la tenaglia che mi stringeva il cuore allentarsi appena.
«Credevo fossi scappata con qualche bel ragazzo». Feci per rialzarmi in piedi, ma Ria mi puntò la lama al collo.
«No» disse, ma non c’era nessuna sfumatura particolare nella sua voce e tantomeno nella sua espressione. Sembrava in trance.
«Ria, stai bene?» chiesi.
«Morirai» rispose. «Ora».
«Oh, buono a sapersi. Anch’io sto benone, grazie per averlo chiesto». La colpii con un calcio al polso, facendo cadere la spada angelica. L’afferrai e gliela puntai al petto, mentre il demone drevak ringhiava.
«Non ucciderai questa stupida Nephilim mezzosangue» proseguì Ria. Chiuse gli occhi.
«Vuoi scommettere?». Ria si buttò in avanti. Afferrò la mia sciabola, poi mi prese per i capelli e mi fece voltare.
«No, ti risparmio la fatica. Tanto vincerei lo stesso».
Mi puntò la sciabola al collo.
«La tua amichetta sta per ucciderti». Presi un respiro profondo e cercai di pensare come avrebbe fatto Mel, e agire con diplomazia e pazienza. Provai a racimolare le parole.
«Ria, so che sei lì. Reagisci. Questa non sei tu. Hai dimenticato i nostri pomeriggi insieme, con Mel e Niall, nel campo di fragole? E non dirmi che hai dimenticato il tuo scherzo ai gemelli Ripton! E Arika? È praticamente tua sorella. Ria, combatti. Sei forte. Sei una semidea e sei una Nephilim.».
La lama si allontanò. Mi girai e vidi il viso di Ria pieno di lacrime. Non feci in tempo a gioire perché un attimo dopo mi resi conto che era sempre priva di espressione.
«Lei ti sente, ovviamente. Ma non può fare niente per controllare il proprio corpo. Addio, stupida figlia di Ade». Mi afferrò di nuovo dai capelli e fece per tagliarmi la gola. La lama, al contatto con la mia pelle, si assottigliò e tornò ad essere un laccetto nero. L’elsa dorata sfuggì dalla mano di Ria e si divise in quattro perline. Me la strappai nuovamente, ritrasformandola e colpii la testa della ragazza con l’elsa, tramortendola. Il demone drevak scattò. Mi saltò addosso, ma riuscii a respingerlo. Le sue tenaglie erano talmente forti da riuscire ad ammaccare la spada.
Poi vidi come un flash e la testa del demone cadde in una pozza di sangue nero.
Eder mi sorrise.
«Ci sono ancora parecchi demoni da uccidere per spezzare il loro legame con i Nephilim, sorellina. Muoviti, dai». Spalancai gli occhi.
«Shh, nessuno deve saperlo. Per tutti resti la figlia di Ade. È molto più sicuro».
«Come funziona questo legame demone-Nephilim?» chiesi.
«Traggono forza l’uno dall’altro, ma è il demone che comanda. L’unico modo per interrompere questa connessione è far svenire o confondere il Nephilim, che è la forza maggiore, e poi uccidere il demone, in modo che il legame si spezzi. Quando Ria si risveglierà sarà se stessa»
Ad un tratto il lucernario sopra le nostre teste si ruppe. Chris vi era appeso. Dave lo teneva.
«Aggrappati a me, Chris! Ti aiuto!»
«No, no! Lasciami, lasciami!»
«Oh miei dei...» mormorai.
«Attenta!» esclamò Eder.
Feci appena in tempo ad abbassarmi per evitare la lama angelica.
Era Eles.
«Anche lei...» mormorai. La ragazza cercò di afferrarmi per un braccio, ma fui più veloce e la feci inciampare. Le bloccai le braccia con le mani.
«Mi dispiace». Feci per darle un pugno, ma la sua espressione mi fece bloccare.
«Eles?»
«Zitta» bisbigliò. «Sono io, Teri. Il legame con me non funziona. Ho già ucciso il demone che avrebbe dovuto essere legato a me.»
«Provamelo»
La guardai in faccia. I suoi occhi dorati brillavano.
«Eles McTemar, la smorfiosa popolare. Abbiamo combattuto i vampiri insieme ai guerrieri dal futuro. Sei innamorata di -»
«Okay! Sei tu, sei tu».
«Certo che sì, testona. Ma non posso far saltare la copertura. Fingi di darmi un pugno o quello che ti pare, fingerò di essere svenuta. Ma devo ancora restare qui. Sarò i vostri occhi e le vostre orecchie»
Annuii, poi tirai un sospiro di sollievo.
Alzai lo sguardo e vidi Eder che stava per infilzare una siringa nella schiena di Eles.
«NO!» gridai e le fermai il polso. Eder aveva un’espressione perplessa. Raddrizzai la schiena «Faccio io». Mia sorella annuì e mi porse la siringa. Sollevai i capelli della ragazza, finsi di cercare la vena, quindi puntai l’ago al collo. Lasciai ricadere i capelli per nascondere il gesto di premere lo stantuffo verso l’esterno e non nella vena.
La figlia di Apollo finse di sobbalzare, poi chiuse gli occhi. Menomale che aveva ereditato il talento per il teatro da suo padre.
«Muoviti, Teri» mi incitò Eder.
«Non c’è tempo da perdere».
Si sentì lo scrocio di un tuffo. Poi l’urlo di Chris.
Pochi secondi dopo la vasca si tinse di rosso. I pochi criminali rimasti si affrettarono per soccorrere il ragazzo.
«Di immortales» mormorai.
In tre persone riuscirono a portarlo fuori dall’acqua. Buona parte delle sue gambe non c’era più. Repressi un conato di vomito.
Una macchina nera arrivò a tutta velocità nel locale. Lo caricarono sui sedili posteriori, poi l’auto ripartì ad alta velocità. Il resto dei criminali e dei  supereroi cominciava a scemare. Sembravano non accorgersi dei Nephilim e dei demoni.
Poi ricordai le parole di Ade riguardo la Foschia e le Rune di Invisibilità.
Vidi Jace dare un pugno ad un uomo che mi ricordava molto Ria. A qualche metro di distanza, Alec posava a terra una ragazza dai capelli lunghi e neri.  Lì accanto, Annabeth era svenuta.

Nico la stava soccorrendo. Dietro un pilastro, Leo si guardava le mani ancora fumanti, impressionato. Ai suoi piedi un cumulo di cenere. Sorrisi.
«State davvero bene insieme» disse Eder.
Mi voltai verso di lei, corrugando la fronte.
«Come fai a saperlo?» domandai.
«Ho visto la sua reazione quando ha saputo che eri morta. Mai visto un ragazzo così devastato. Sei importante per lui, si vede anche da come ti guarda. Certo, anche al ricciolino piaci molto».
«Al ricciolino?». Ero piuttosto confusa.
«Sì, quello con la cintura degli attrezzi. Piaci anche a lui, ma non può eguagliare il sentimento di Nico. Si vede da come ti guardano. Si percepisce la differenza»
Risi.
«Eder, io e Nico siamo praticamente fratello e sorella»
La Crepuscolare inarcò le sopracciglia.
«Oh...». Sembrava imbarazzata. «Be’, forse solo per te».

 

Feci per replicare, quando vidi una macchia rossa e nera saltare giù dal lucernario e atterrare alle spalle di Nico. Il ragazzo cadde a terra.
Sentii dolore alla gola. Non mi ero accorta di aver urlato. La figura sparì e ricomparve sulle scale, con un braccio attorno al collo di Eder.
«Mia adorata figlia!» Ludkar sorrise. No. Non poteva essere. Non poteva averlo fatto davvero. Fu come se tutto l’ossigeno della stanza sparisse. Vidi il corpo immobile di Nico. Non ero nemmeno pronta. Avevo un affare da sistemare con Ludkar, ma non avevo ripassato il piano. Se avessi sbagliato una sola cosa sarebbe stato un disastro.
«Nico...» la mia voce era più alta di diverse ottave.
«Teri, che significa?» mi chiese Mel, incredula.
Ormai la battaglia intorno a noi era quasi finita. I supereroi si abbracciavano, sorridendo, e andavano via, passandoci davanti come se non ci vedessero. Guardai Mel, sentendo le lacrime inumidirmi gli occhi.
«Mi dispiace...» mormorai, guardandola. Mi girai verso Leo e lo ripetei. Il figlio di Efesto corse da me, abbracciandomi.
Ricambiai l’abbraccio, per quanto non dovessi farlo. Sapevo che sarebbe successo. Persefone e Ade mi avevano avvertita.
«Va’, Leo. Mi dispiace, mi dispiace». Mi accarezzò le guance e mi baciò.
«Non ti lascio. Non esiste»
«Va’ via!» gridai, spingendolo via. Leo sembrò quasi terrorizzato. Vidi il mio riflesso nei suoi occhi: il riflesso di un mostro. Lui meritava di meglio.
«Ti prego» aggiunsi, singhiozzando.
Sentii quella connessione tra me e Mel rompersi. Dovevo farlo. Era finita. Accarezzai il viso di Nico e gli lasciai un bacio sulla fronte.
«Perdonami». Mi rialzai in piedi e guardai Ludkar, circondato da Nephilim inespressivi.
«Lasciala andare, ora! È me che vuoi!»
«Oh, ma io voglio entrambe le mie figlie...» replicò il Nocturno. «Saremo una famiglia bellissima!»
Eder scuoteva la testa.
«Teri è una trap-» Ludkar le coprì la bocca con una mano.
«Tua sorella è un po’ pazza. Credo che frequentare quel Nephilim le abbia fatto del male. C’è sempre una pecora nera in famiglia»
«Di certo le madri delle tue figlie sono meravigliose e le ragazze hanno preso tutto da loro» sbraitò Viktor. «Tu sei la pecora nera, bastardo!»
«Frequenta davvero cattive compagnie» constatò Ludkar, sorridendo, come se ne fosse deliziato. «Capisci, Teri, che io lo faccio solo per te.» proseguì. «Questa è la tua vera natura, capisci?».
«Fare cos-».
Ludkar spinse Eder nella vasca dello squalo. Un attimo dopo un proiettile mi finì dritto nel cuore.
Mi buttai per terra e mi toccai il petto, mentre sentivo il sangue sporcarmi la mano. Sentivo le urla di Eder.

Nico aveva appena ripreso conoscenza.
«Teri, ma che...?»
«Vattene!» urlai, mentre il dolore mi attanagliava tutto il corpo. «ORA!»
Stavo morendo e morendo sarei diventata una Nocturna.
Mi sentivo in fiamme, ma non era niente rispetto al fuoco che mi aveva avvolta nel Cinerarium.
Nico cercava di afferrarmi, ma scansavo le sue braccia.
«Vattene, vattene!». E se mi fossi cibata di lui una volta trasformata? Non me lo sarei mai perdonato.
«Non se ne parla. Teri, ascoltami. Ricordi la prima volta che ci siamo incontrati?»
«Sì che lo ricordo, stupido. Ora va’ via!»
«No» il suo tono era fermo. «Raccontamelo. Raccontami la tua prima settimana al Campo».
Tirai su con il naso.
«Mi offrii di accompagnarti in infermeria pur di andare da Mel. Mi sentivo debitrice nei suoi confronti, mi aveva salvato la vita». Un grido mi costrinse a interrompermi. Sentivo le ossa pesanti ed era come se mi stessero tirando la pelle.
«Continua»
«Parlammo tutta la notte» proseguii, con il respiro corto. Sentivo la mano di Nico che stringeva la mia.
«Cosa ho detto quando sei stata riconosciuta? Parla, Teri. Parla»
«Hai detto...hai detto...che la prima ragazza che ti piaceva era tua sorella». Riuscii a sorridere. Nico mi scostò i capelli sudati dalla fronte.
«Già. Dimmi della Cabina 13».
«C’eravamo io, te e Gregor. Poi sono arrivati quelli che si lamentavano delle urla dovute agli incubi. Hanno infranto la nostra tranquillità».
Sentii un moto di rabbia crescere dal petto e propagarsi per tutto il corpo. Nico lasciò la mia mano e si allontanò, aiutando Annabeth ad alzarsi. Avevo le guance completamente umide. Non potevo fermarlo, non potevo tornare indietro, non potevo nemmeno morire. Dovevo solo sperare che finisse presto. Era tutto sbagliato. Non era così che Ade mi aveva spiegato cosa fare. Non era il mio piano. Ad un tratto mi chiesi perché mi stessi preoccupando così tanto. Sentii i canini e le unghie crescere, le ossa irrobustirsi, la pelle diventare come d’acciaio.
Il dolore era scomparso.
«LUDKAR!» gridai, rialzandomi in piedi. Sentivo gli occhi dei miei amici puntati addosso, ma riuscivo a focalizzarmi solo sulla rabbia nei confronti di quel bastardo davanti a me.
«Oh, ciao figliola». Sorrideva come un ebete. Credeva che ora che ero come lui, che la mia parte da Nocturna era emersa, gli sarei stata amica?

«Io direi, più che altro, addio».
Saltai verso di lui.
Mi afferrò per la gola e mi spinse contro il muro.
Gli tirai un calcio, atterrandolo.
«Dovresti essermi fedele!».
«Come no. Hai appena ucciso mia sorella, rovinandomi la vita!»
Cominciai a sferrargli pugni alla mascella.
«Muori, bastardo!»
Ludkar era shockato.
«Dovresti essermi fedele...» ripeté. Lo agguantai per il foulard a spina di pesce, poi lo presi dal collo e sbattei ripetutamente il suo cranio contro la ringhiera.
«Fedele a te? Allora, sorpresa!». Gli addentai il collo. Il sapore del sangue mi riempì la bocca e mi piacque. Mi dissetò come se fosse nettare.
«Teri, lasciami!» urlava Ludkar. Stava piangendo, ma non riuscivo a provare niente per lui oltre all’odio.
«Non ricordavi che i Nocturni appena trasformati sono più forti, papà?». Pronunciai quell’ultima parola con disprezzo, come se avessi appena sputato veleno.
Gli infilai una mano nel petto. Sentii il suo cuore battere forte contro la mia mano. Lo agguantai e lo strappai via.
Ad un tratto mi mancò il fiato. Lasciai cadere il cuore di Ludkar e vomitai il suo sangue nero. Sentii come se si fossero scaricate le batterie in un solo istante. Probabilmente era l’effetto dell’adrenalina che svaniva.
Forse era stato solo un sogno. Mi ero addormentata quando mi avevano sparata e avevo sognato tutto questo.
Mi guardai intorno e vidi l’acqua rossa dell’acquario, poi i visi familiari dei miei amici. Il corpo di Eder era ai piedi di Viktor. I capelli del ragazzo erano bagnati, come il suo viso e la sua divisa.
«Lo squalo non l’ha nemmeno considerata. Ma ha sbattuto contro il bordo vasca. Emoraggia celebrale. Non avremmo potuto fare niente comunque».
Tutti erano shockati. Avevano appena visto un demone, un mostro, una creatura infima.
Ade mi aveva spiegato tutto.
“Se Ludkar ti uccide diventerai una Nocturna. Poi uccidi Ludkar e tu sarai mortale. Ma ci vorrà forza di volontà per non essergli fedele e potresti anche non riuscire a superarla e diventare sua schiava”.
Non c’era stato bisogno di ricordarmelo. Quando avevo sentito la potenza di una Nocturna nelle vene avevo saputo esattamente cosa fare. Ed era stato grazie a Nico. Non avevo programmato di soffrire così tanto durante la trasformazione e avevo pensato fosse tutto un disastro. Invece era finita bene, più o meno. Una mano si allungava verso di  me. L’afferrai e mi rialzai, appoggiandomi a quel corpo famigliare.
«Mi dispiace» mormorai, appoggiando la testa sulla sua spalla.
Mel mi accarezzò i capelli.
«Smettila di ripeterlo»
Sollevai lo sguardo.
«Non sapevo se potesse funzionare, Mel. Dovevo rompere il nostro legame per non metterti a rischio. Tutto quello che ho fatto oggi era un grosso rischio per te.»
«Credevo ti fidassi di più di me da dirmi tutto e non mettermi davanti al fatto compiuto». Sembrava ferita. Scossi la testa.
«Mel, io ti dico tutto. Ma su questo...avevo giurato sullo Stige. Se avessi infranto il giuramento parlandotene...non so che effetti può avere rompere un giuramento del genere. Ti avrei messa in pericolo» Mel mi guardò a lungo.
«Dei, Teri. Ti preoccupi troppo per me. Anche nel Cinerarium hai interrotto la comunicazione per paura che Ludkar se ne accorgesse e venisse a cercarmi. Io mi sento impotente davanti a quello che fai per me. Ti ho salvata dal primo mostro che abbiamo incontrato, ma poi?»
«Vuoi fare qualcosa per me?». Mel annuì.
«Ovvio»
«Abbracciami».

 

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Capitolo 19
*** Capitolo 19 - RIA ***


Capitolo 19

 

RIA

 

 

Riaprii gli occhi. Mi guardai intorno.
Ero nella mia stanza dell’Istituto. Ricordavo cos’era successo. Eravamo arrivati nel locale di D’Amico e i suoi scagnozzi avevano liberato dei demoni. Poi ero stata affiancata da uno di quei mostri e poi era stato come disconnettersi dal proprio corpo. Ero sempre io, ma non controllavo più le mie azioni. Decideva tutto lui, quell’essere immondo. Quando avevo visto Teri ed ero stata obbligata a combatterla avrei preferito morire. Poi ero svenuta. E ora mi ero risvegliata lì e avevo controllo del mio corpo. Tirai un sospiro di sollievo.
La porta si aprì e Hen vi entrò.
«Oh!» esclamò. «Sei sveglia».
«Ne sembri un po’ troppo sorpreso» mormorai.
Hen sorrise appena.
«Sono sorpreso dalla tua forza, bimba»
Ricambiai il sorriso. Decisi che era ora di alzarsi.
«Aspetta...Ti aiuto» Il Nephilim si affrettò a sistemare il cuscino in modo che potessi appoggiarmi contro la testiera del letto. Non lo bloccai come avrei fatto normalmente perché ne avevo bisogno.
«Grazie. Non hai applicato nessun iratze
«Solo per l’ammaccatura sulla tempia. Ma essere connessa ad un demone ti ha spossata e l’unica cosa che guarisce è il più assoluto riposo per almeno tre giorni».
«Tre giorni?! Scordatelo!»
«Okay, siccome oggi è il tuo compleanno, posso concederti due giorni»
«Uno»
«Uno e mezzo»
«Mezza giornata»
«Non è così che si contratta!» ribatté, pizzicandomi la guancia.
«Okay, vada per uno e mezzo». Mi arresi e sorrisi.
«Oh, a proposito. Auguri» Hen si chinò per darmi un bacio sulla guancia, poi fece finta di tirar fuori qualcosa dai miei capelli. Mi porse una scatolina rossa.
La presi e l’aprii. Al suo interno c’era il coltello di Ethan lucidato e ripulito dal sangue incrostato di mostri e demoni.
Corrugai la fronte, poi vidi che all’interno della scatola vi era inciso il simbolo dell’omega in oro.
«Hen, chi ti ha dato questa scatola?»
Lo Shadowhunter si strinse nelle spalle.
«Una donna riccia su una motocicletta.»
Lo sapevo. Stavo per richiudere la scatoletta e gettarla via, quando Hen aggiunse:
«Sai, Ria, credevo somigliassi molto a tuo padre, invece hai lo stesso sguardo e la stessa sicurezza di tua madre». Sorrisi e pensai a che strana famiglia saremmo potuti essere. Uno Shadowhunter, una dea, e una figlia metà e metà che vanno allo zoo o all’acquapark e si lamentano delle ore di coda e del caldo. Sarebbe sembrato piuttosto singolare.
«Dove sono mio padre e mio fratello?».
«Onny dorme nella stanza accanto. Non gli hanno fatto niente, è solo un po’ scosso. Hanno conservato l’umanità almeno nei confronti dei bambini»
«Bene» tirai un sospiro di sollievo. «Vado a trovarlo tra un po’. E mio padre?»
«Ria, riposati»
«Dov’è?» insistetti.
«Ria, devi riposarti altrimenti non ti riprenderai mai...». Stava ripetendo il mio nome con un tono strano un po’ troppe volte.
«NO!». Scostai le lenzuola da un lato e mi alzai in piedi. Avvertii un cerchio stringermi la testa, ma lo ignorai. Spalancai la porta. Hen mi seguì per il corridoio. Solo in quel momento mi accorsi di indossare ancora la divisa da Cacciatrice.
«Ria, devi stare a riposo...»
«Non me ne frega niente. Dov’è?»
Aprii una porta, ma quella stanza era vuota.
«Ria, ascoltami. Rischi di svenire da un momento all’altro, puoi...»

Ne calciai un’altra. Neanche in quella stanza c’era mio padre.
«Hen, vuoi che ti dia un pugno per farti stare zitto o mi vuoi dare una mano?» borbottai, mentre spalancavo un’altra porta.
Il ragazzo sospirò.
«Ria, ti prego. Non rendermi le cose più difficili»
«Sei tu che stai mettendo in difficoltà me.»
Aprii l’ultima porta in fondo al corridoio e dovetti aggrapparmi la maniglia. Quel piccolo percorso che avevo fatto mi era costato una fatica insolita e la visione davanti a me non mi aiutò a sentirmi meglio.
Mio padre, pallido come il lenzuolo su cui era adagiato, circondato dai Fratelli Silenti. Li avevo incontrati la prima volta qualche giorno prima, quando avevo preso i miei primi Marchi. 
«Papà?»
Uno degli uomini si voltò verso di me. La prima volta che avevo visto i Fratelli Silenti avevo pensato fossero completamente privi di espressione. Invece quello che mi stava guardando sembrava colto alla sprovvista.
Signorina...
Sentii la sua voce nella mia testa.
«Fratello Zaccaria, cos’ha?» La mia voce uscì molto più roca di quello che pensassi. Sentivo il cuore in gola.
Mi dispiace.
Fu come se mi avessero estratto i polmoni. Mio padre indossava una camicia bianca e sul collo gli avevano tracciato il Marchio del lutto.
La stanza si mise a girare vorticosamente, ma mi obbligai ad avvicinarmi al letto.
Sembrava stesse dormendo. Gli avevano pulito il viso, gli avevano pettinato i capelli brizzolati.
Gli presi una mano fredda.
«Ti renderò fiero, papà» mormorai. «Mi prenderò cura di Onny. Tanto sarai sempre con noi, vero?»
Sì che lo sarà. Ora devi andare, Ria.
Sentii le ginocchia cedere. Il mio cervello riusciva a formulare solo una domanda: Perché proprio lui?
Hen mi prese in braccio e mi tirò fuori dalla stanza. Aveva le sopracciglia aggrottate. Mi aspettavo un rimprovero, ma poco dopo la sua espressione si addolcì e mi strinse forte a sé.
Scoppiai a piangere contro il suo petto.
Probabilmente mi addormentai perché mi sembrò di avere la testa sottacqua quando Hen mi porse un fazzoletto, dopo quelli che forse furono minuti e minuti.
«C’è qualcuno che vuole parlarti» annunciò.
Arika mi corse incontro e mi abbracciò.
«Hai salvato tu Onny, vero?»
La ragazza annuì.
«Resterete qui all’Istituto?» chiese Arika.
«Non per ora. Voglio che mio fratello si separi da questa vita, almeno per un po’. Lo farò tornare appena compirà nove anni per fargli iniziare l’addestramento»
«E dove andrai?»

«Al Campo»
Arika mi guardò a lungo.
«L’appartamento in cui vivevo negli anni Venti è stato venduto tante volte, ma ora è vuoto. Sono venuta qui per chiederti se...ecco, voleste venire a vivere da me. Non sarò di certo come i vostri genitori, ma...»
«Oh per Raziel, Arika!» esclamai e l’abbracciai. Arika restò interdetta, ma dopo pochi istanti ricambiò l’abbraccio.
«Grazie» mormorai.
«Potete trasferirvi da domani stesso. Ho anche un ambiente enorme per allenarsi. Sono certa che tu e Onny vi divertirete, e magari potremmo anche-»
«Arika, non so come ringraziarti. Sei l’unico punto fermo che mi è rimasto in questo casino»
Il sorriso della ragazza fu così sincero che le illuminò ancora di più gli occhi blu elettrico.
Si abbassò appena verso di me.
«Chi è quel ragazzo che stavi abbracciando poco fa?» sussurrò al mio orecchio.
«Hey, Blackfox. Aspetta!» esclamai. Hen era quasi arrivato alla fine del corridoio. Mi lanciò un’occhiata stupida e mi raggiunse.
«Che è successo?»
«Niente, volevo solo presentarti la mia migliore amica al Campo, Arika. Arika, lui è Hen»
Arika allungò una mano senza esitare e sorrise, sicura di sé. Lo Shadowhunter arrossì quando strinse la mano della ragazza e il rossore era ancora più evidente su quella carnagione così chiara.
«Lieta di conoscerti»
«Oh, ehm, ciao. Pi-piacere tutto m-mio»
Arika cominciò a fargli delle domande come aveva fatto con me quando ci eravamo conosciute.
Mentre chiacchieravano ne approfittai per sgattaiolare via e andare nella stanza di Onny. Spinsi la porta delicatamente e mi infilai nella stanza. A differenza della mia stanza all’Istituto, quella di Onny era più colorata e più luminosa. Accanto al letto c’era un comodino con una lampada azzurra, e a destra del comodino c’era un cesto di vimini pieno di peluche.
Le tende erano gialle e davano alla luce della stanza una sfumatura ancora più calda. Onny era seduto sul letto disfatto e giocava con due aeroplani, fingendo di farli scontrare e imitando le onomatopeiche con la bocca.
«Hey, pilota!»
Il bambino sollevò la testa e vidi il suo sguardo illuminarsi.
«Riri!»
Scese giù dal letto con un salto. Mi accovacciai per arrivare alla sua altezza e lasciai che mi abbracciasse. Gli accarezzai i capelli biondi che ormai gli arrivavano alle spalle.
«Dov’eri?» mi chiese, guardandomi con i suoi occhioni azzurri. Gli pizzicai il nasino.
«Ero al Campo, Onny. Tu dov’eri?»
«Dal signore delle parolacce» rispose. Certo, intendeva Chris che aveva scelto un soprannome da criminale piuttosto volgare.
«Ti ha fatto male?». Onny scosse la testa.
«Mi ha regalato questi» rispose, sollevando gli aeroplanini. «Vedi!»
«Ma che belli!» esclamai, prendendone uno. Avvertii come un costante pulsare sotto le dita.
Corrugai la fronte.
«Onny, quando te li ha dati?» chiesi.
«Prima che arrivasse Reca». Intendeva Arika.
Cercai di vedere meglio all’interno del giocattolo. C’erano dei numeri che scorrevano veloci.
Trenta secondi. Tolsi di mano l’altro aeroplanino da Onny che protestò.
«Mio!» ribadì.
«Sono cattivi» risposi. Onny mi prese per una gamba, e per evitare di pestargli i piedi, inciampai.
Per avere meno la metà dei miei anni sapeva mettermi i bastoni tra le ruote. L’altro aeroplano cadde, rompendosi. Onny prese a urlare.
«L’hai rotto!» gridò, facendosi venire gli occhi lucidi.
«No, Onny, meglio così!» Afferrai i resti del giocattolo e vidi un bigliettino all’interno.
“Non avete scampo, pivelli. La vostra morte è pronta per essere diseppellita – C.D.”
Mi ero quasi dimenticata dell’altro giocattolo. Mi rialzai e vidi che Onny lo aveva quasi raggiunto.
«NO!» urlai e glielo tolsi da sotto il naso poco prima che ci mettesse le manine sopra. Vidi il numero rosso continuare a scendere. Quattro.
Onny mi pestò i piedi e tempestò di pugni le mie gambe.
«Onny, basta! Ti prego!»
«No, mio, mio, mio!»
Due.
Scostai le tende. La finestra era più pesante di quello che immaginassi. Uno. Riuscii finalmente a spalancarla. Zero. Il giocattolo lasciò le mie dita nell’istante esatto in cui esplose nell’aria. Chiusi la finestra per evitare che la polvere finisse nella stanza. Gli aveva dato i giocattoli poco prima che arrivasse Arika, quindi meno di qualche ora prima. Sapeva che qualcuno l’avrebbe salvato e portato all’Istituto e aveva mantenuto la promessa della sua registrazione:
Oppure, se non vorrai seguirmi con il tuo esercito..., il tuo bambino salterà in aria. BOOM!
Mi voltai verso Onny. Mio fratello tremava, sotto le coperte. Si era nascosto in fretta.
«Onny...» mormorai, sedendomi sul letto.
Una testa bionda fece capolino da sotto le lenzuola. «Finito?»
Annuii. «Finito.»
«Cattivi aeroplani» dichiarò, scostando le coperte e sedendosi accanto a me. «Però gli altri giocattoli non erano cattivi».
«Gli altri giocattoli sono con te?»
Onny scosse la testa. «Sono rimasti a casa sua»
Tirai un sospiro di sollievo.
«Che giocattoli erano?» domandai.
«Pennarelli e matite» rispose. «Ho ancora i disegni, aspetta»
Dei pezzi di carta non potevano essere esplosivi, mi dissi. Onny prese dal cassetto del comodino dei fogli piegati in quattro e me li porse.
«Che bello questo!» esclamai, aprendo il primo. Aveva disegnato alcuni grattacieli che probabilmente vedeva dalla finestra della sua camera.
«Grazie». Sembrava davvero orgoglioso di sé. Gli scompigliai i capelli e presi un altro foglio. Lo aprii ed ebbi un tuffo al cuore. Onny aveva disegnato un bambino biondo, che non poteva essere altri che lui, che teneva la mano a Chris. Dall’altro lato c’era una ragazza la cui pelle era colorata con un marroncino chiaro.
«Chi sono questi?»
«Io, Lele, Chris» disse, indicando con un dito paffuto le figure disegnate.
«Com’era Lele?»
«Brava. Disegnavamo insieme».
Eles, certo. Probabilmente Chris non aveva torturato nessuno. Alla fine era un ragazzo anche lui.
«E poi questo» disse Onny, porgendomi il terzo foglio.
«Vediamo un po’...». Lo aprii. Aveva disegnato una famiglia. C’era lui, al centro, vestito di nero e con i Marchi. Accanto c’ero io, con la maglietta arancione del Campo, anch’io avevo i Marchi. Poi c’era mio padre che mi teneva per mano, vestito di nero e si intravedevano delle linee nere sul collo. E infine una donna riccia, anche lei vestita di nero e viola scuro, ma non c’erano Rune sulla sua pelle. Onny aveva disegnato anche una specie di bicicletta accanto alla donna.
«Chi è?» chiesi, indicandola. A prima vista mi era sembrata Teri, ma non poteva essere. Onny non la conosceva nemmeno.
«Mamma. L’ho sognata. È venuta anche oggi»
Nemesi. Anche lui l’aveva incontrata e credeva fosse sua madre. Un giorno gli avrei spiegato tutto. Ma perché Nemesi non voleva farsi vedere proprio da me? Che le avevo fatto?
«Oggi? A far che?»
«Ha lasciato un pacco a Hen, poi ha detto di salutare papà. A proposito, dov’è?»
Non aveva nemmeno potuto salutarlo. Non lo vedeva da una settimana e non si erano neanche potuti abbracciare.
«Onny, papà è andato via» mormorai, cercando di trattenere le lacrime.
«Via? Dove?»
«In cielo»
«Da Raziel?». Il labbro inferiore di Onny tremava.
Annuii. «Sì, da Raziel».
«È contento ora?»
«Tanto. Ma era contento anche qui»
Onny appoggiò la testa sul mio petto, cercando di nascondere i lacrimoni che gli bagnavano le guance.
«Però mi mancherà».
«Anche a me».

 

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Capitolo 20
*** Capitolo 20 - EPILOGO ***


Capitolo 20

 

EPILOGO

 

 

Il figlio di Ade le diede una pacca sulla spalla.
«Lo salveremo, Teri. Come Eles, il suo compito è di restare lì, almeno per ora»
Il corpo della ragazza rimase immobile.  Nico capì che non era preoccupata solo per Gregor.
«Teri, quello che ti è successo...Non potevi saper-»
«No» lo interruppe lei, fredda. «Lo sapevo benissimo, Nico. E lo sapevi anche tu. Mi hai aiutata. Non devi giustificare un mostro. A proposito. Perché l’hai fatto?»
«Sapevo che era la cosa giusta da fare. Sembravi in cerca di te stessa e ti ho aiutata».
Nico le si parò davanti. Ora che era più alto riusciva ad affrontare meglio quegli occhi scuri che sembravano rimproverarti sempre qualcosa, ma allo stesso tempo faceva fatica a non attirarla a sé e baciarla. La ragazza, però, non riuscì a guardarlo negli occhi, ma non era nemmeno tipo da abbassare la testa, così si concentro su un albero alla propria sinistra.
«Non fare la teatrale» replicò Nico. «Ho visto come mi hai guardato mentre ti trasformavi».
Teri spostò gli occhi su quelli del ragazzo, ma senza muovere le braccia conserte.
«E come?» chiese, con tono di sfida.
«Avevi paura»
Teri gli lanciò un’occhiata fulminante. «Io non ho pa-»
«No» la interruppe Nico. «Non per te stessa. Ho visto la consapevolezza di stare per morire e ho visto che l’avevi già accettato. Avevi paura per Leo, per Mel, per me. Non ho mai letto niente di simile negli occhi di Ludkar».
Il figlio di Ade le scostò una ciocca nera dalla guancia e le sorrise. Si aspettò che la ragazza ricambiasse il sorriso, ma il suo labbro inferiore –quello che aveva sognato così tante volte di riempire di baci- cominciò a tremare.
«Non è finita, Nico. La mia parte da Nocturna è ancora qui e basterebbe poco per farla scatenare di nuovo». Anche la voce tremava. Poi tossì e si schiarì la voce. «Eder avrebbe saputo aiutarmi. Quel bastardo dovrebbe morire»
«L’hai già ucciso, Teri. Direi che sarebbe opportuno lasciarlo stare»
«No, Nico. Non è morto, non definitivamente. Ucciderlo è servito solo per togliermi l’immortalità con il risultato che potrei ritrasformarmi e morirne»
«Che significa? Immortale? Morire?»
Teri gli prese una mano. Nico sentì il cuore cominciare a battergli così forte da rimbombare nelle orecchie.
«Vieni, devi sapere un po’ di cose».
Quando la ragazza ebbe finito di parlare, calò un silenzio pesante.
Nico fissava il proprio anello, senza sapere esattamente cosa dire. Il cuore non aveva smesso di battere forte nella cassa toracica. Teri aveva conservato parte dell’udito sviluppato e si era accorta di ogni singolo battito accellerato del cuore di Nico, soprattutto quando gli aveva preso la mano. Quindi Eder ci aveva visto bene.
Nico si alzò di scatto e calciò l’albero dietro cui si erano nascosti.
«Perché non me ne hai parlato?!» gridò.
«L’ho promesso sullo Stige» replicò Teri, calma. «Non potevo dirtelo fino a quando non mi fossi liberata dell’immortalità».
«E adesso moriresti per un minimo attacco di rabbia, vero?»
«No, Nico. Non minimo. Dovrei arrabbiarmi parecchio per ritrasformarmi completamente e poi morire»
«E nostro padre è debole. Quindi non può togliere l’immortalità a quel figlio di-»
«Ti prego, Nico. Risolveremo questa situazione insieme. Siamo abbastanza potenti per farlo».
«Perché l’hai fatto?»
«Fatto cosa?»
«Perché hai rinunciato all’immortalità? Saresti potuta rimanere immortale e farti i fatti tuoi»
«Vuoi sentirtelo dire, eh? Va bene».
La ragazza appoggiò una mano su quella di Nico e sentì un tuffo al cuore quando vide il sangue affluire verso le guance del ragazzo. Non voleva che soffrisse per lei. Meritava di essere amato a sua volta.

«L’ho fatto perché ti amo. E amo Mel, Leo, Gregor, Eles, Ria, Niall, Pia, Chirone. Amo i miei genitori. L’ho fatto perché anche se non sembra, ma io amo. E anche se non l’avrei mai ritenuto possibile, io ho creato qualcosa quando ho varcato l’ingresso di questo posto. Ho creato qualcosa con voi. E non avrei mai permesso ad un genitore assente e serial killer di distruggere tutto»
Nico la strinse forte a sé.
«Va bene. Ma tu accetterai che Viktor di addestri e ti aiuti a controllare la tua parte Nocturna».
«Non esiste»
«Sì, che esiste. Dormirà nella nostra Cabina. Abbiamo spazio. E non passerà giorno senza che tu avrai imparato a gestire la tua rabbia»
«Ma-»
«Shh». Nico sollevò un dito. «Tu ti fai aiutare da Viktor e poi andiamo a fare il-»
«Nico...»
«Andiamo a sconfiggere quei bas-»
Teri gli lanciò un’occhiataccia.
«Da quando sei diventata così intransigente sulle parolacce?»
«Ade non vorrebbe che fossi così volgare».
«Uffa...»
Le risate dei due ragazzi si levarono alte nell’aria.

«Buttatela nella gabbia» sputò il ratto del Sottomondo. La dea provò ad urlare ma fu come se milioni di aghi le si conficassero nella gola. Le due bestie la gettarono nella gabbia come se non pesasse niente e sbatterono la porta.
Due uomini si avvicinarono alla cella come se fossero comandati a distanza. Mossero un pezzo di legno e pronunciarono una formula che alla dea sembrò latina, ma che non riusciva a capire bene perché era stata confusa da una sostanza che le avevano iniettato. Si sentì un ‘tic’ e poi fu avvolta da una bolla di oscurità e non poté sentire più niente.
Dall’altro lato il ratto sorrise.

«Ottimo lavoro».
I due ratti si inchinarono senza aggiungere altro.
«Ora fate tornare i maghi nelle loro stanze»
«Certo, nostro signore» mormorarono i due. Presero i due maghi, ancora immobili e impassibili davanti alla cella e li trascinarono malamente verso le scale.
«Piano!» esclamò. «Piano, per favore. Sono ospiti...per quanto si accorgano di esserlo». E gli sfuggì una risatina. Gli altri due ridacchiarono e continuarono a trascinarli verso le scale.
«Signore...»
«Vikus, mio caro! Prego, prego, entra! Ti aspettavamo con ansia».
L’uomo non poté far a meno di percepire una grondante ironia nel tono di Gorger.
«Signore» ripeté Vikus. «Sapete che avete la mia più completa disponibilità e lealtà, ma non potevo fare a meno di chiedermi, perché rapire una dea inutile come Persefone? A cosa potrà mai servire?». Si trattenne dall’aggiungere “A decorare questo covo puzzolenti con dei tulipani?”.
Gorger si alzò in piedi e si avvicinò all’uomo. Il ratto puzzava di sangue e zolfo.
«Ah, mio caro innocente Vikus. Per quanto potrai essermi leale non potrai mai capire i miei piani. Sei troppo buono». Scosse la testa con fare teatrale.
«Ricordi il guerriero?» domandò. Vikus sentì un tuffo al cuore. Lo ricordava benissimo. L’aveva aiutato e gli voleva bene come ad un nipote.
«Il guerriero, signore?»
«Ma sì, dai. Il Sopramondo». Disse quel nome come se fosse veleno.
«Oh, sì. Perdonatemi, signore, quel guerriero non si vede da queste parti da parecchio».
Gorger annuì.
«Sì, infatti. Il mio obiettivo è farlo tornare qui. Grazie a lui potremo risorgere, Vikus. Non vorresti vivere alla luce del sole?»
L’uomo annuì. Certo che lo voleva. Laggiù, per quante lanterne potessero usare, era sempre buio.
«Signore, io continuo a non capire cosa c’entri la dea...»
«È tutto collegato» replicò il re dei ratti. «Il Flagello è la vittoria del Sottomondo ed è qui, con noi e dalla nostra parte. Il guerriero è la salvezza dei Sottomondo, ma è lì, nel Sopramondo, da quegli stupidi semidei che gli hanno montato la testa. I Nocturni mi hanno informato che aveva un bel rapporto con Teri Nabaci e Nico Di Angelo, figli di Ade»
«E marito di Persefone...» sussurrò Vikus. Gorger trattenne una smorfia, con poco successo.
«Non mi interrompere, Vikus» disse. Vikus inchinò la testa in segno di scuse.
«Comunque sì. Sei un servitore molto intelligente. Come dice la Profezia, per arrivare al Sopramondo dobbiamo conquistare prima i tre regni dei Tre Pezzi Grossi, a partire dal più basso. Gli Inferi confinano con il Sottomondo. Quindi, quale modo migliore per sconfiggerli che farci attaccare?»
Vikus aggrottò la fronte. «Signore, non...»
«Sì, Vikus, lo so. Non capisci. Da re generoso che sono ti spiegherò tutto. Ora siediti».
Fischiò e un ratto tutto spelacchiato e curvo portò uno sgabello.
«No, grazie, signore...»
«Siedi!» gridò, con il viso che si deturpava in un’espressione di rabbia. Vikus si affrettò a sedersi.
Il viso di Gorger tornò ad essere una maschera di tranquillità.
«Visto? Non è così difficile. Ho convocato una vampira assetata di vendetta, Victoria. I nostri collaboratori maghi l’hanno aiutata ad ideare un piano per creare nuovi vampiri».
Il cervello di Vikus tradusse automaticamente “Ho attirato con del sangue la vampira assetata di vendetta, Victoria. I nostri schiavi maghi l’hanno costretta ad ideare un piano per creare nuovi mostri”.
«Queste mezze morti hanno destabilizzato gli Inferi e le anime, soprattutto quelle più vendicative, che sono sfuggite al controllo di Ade, attaccandoci.» proseguì Gorger. «Ade si è indebolito sempre più. I suoi fratelli lo detestano. Sua moglie è qui. Dalla sua parte ha solo due figli. Ma che potranno fare due mezzi umani e un dio vecchietto a confronto del nostro esercito e del nostro guerriero?»
Non era una domanda retorica. Pretendeva una risposta.
«Niente» rispose Vikus.  «Signore, ma non capisco ancora come possiate attirare il guerriero qui»
«Be’, è vero che Ade l’ha preso sotto la propria protezione. Ma sarà debole. E tua nipote farà il resto, Vikus. Gregor lascerà volentieri un dio protettore debole e dei fratellastri per Luxa».
Vikus trasalì.
Gorger si alzò in piedi e andò verso una porta.
«Ho tralasciato un dettaglio importante. L’esercito. Seguimi».
Vikus deglutì e si alzò in piedi.
Gorger abbassò la maniglia ed entrò. L’uomo lo seguì. L’aria della stanza era impregnata di sangue, ancora di più dell’alito di Gorger.
«La figlia di Ade e le sue stupide amichette mi hanno aiutato in questo» disse il ratto. «Ho scoperto che nel futuro ci sarà un dittatore che sguinzaglierà queste creature».
Vikus si accorse che si trovavano in una caverna. Sotto i loro piedi c’erano ratti, ragni, scarafaggi e umani, ma nessuno di loro era come li ricordava. Avevano zanne più acuminate, occhi rossi, voci più roche e movimenti più fluidi.
«Che cosa sono, signore?»
«Sono vampiri, demoni e contemporaneamente Nephilim e semidei. Li chiamo ibridi»
«Ibridi» ripeté Vikus, deglutendo rumorosamente.
«E sono pronti per radere tutto il Sopramondo al suolo».

Eles si svegliò di scatto, con il fiatone.
Non riusciva a distinguere se avesse le guance bagnate per le lacrime o per il sudore. Cercò di schiarirsi la mente.
«Liam, Gregor» chiamò. «Svegliatevi, vi prego».

 

 

 

 

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