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Questa
storia appartiene ad una serie. Prima di questa fan fiction che tu, amato
lettore, stai per leggere, ce n’è un’altra. Se l’hai letta, prego, continua
pure a leggere e grazie per aver voluto leggere il sequel. Se non l’hai letta e
non ti interessa nemmeno, continua pure e buona lettura, ma ti avverto: non ti
garantisco che tu possa capire proprio tutto perché non so se sono stata
abbastanza brava a fare in modo che tu capissi lo stesso, (dovrai dirmelo tu)
ma ti assicuro che ho fatto del mio meglio.
Lettore avvisato, mezzo salvato.
Se invece vuoi scoprire cosa è successo prima perché non vuoi fermarti durante
la lettura e domandarti “Ma di che Ade sta parlando?” clicca qui.
Capitolo 1
TERI
Mi sedetti sull’erba, vicino a Nico e a Gregor, i miei
fratelli. Lasciai appositamente spazio accanto a me, sperando che qualcuno di
speciale lo occupasse. C’erano le coppiette che si sbaciucchiavano, come al
solito, ma per la prima volta, dopo un anno dalla mia delusione amorosa, non mi
infastidiva. I miei fratelli parlavano tra loro, io fissavo le Cabine, sperando
che quel ragazzo mi raggiungesse. Mi sentii un po’ idiota. Non volevo prendermi
di nuovo una cotta. Ne avevo avuta una sola ed ero stata così tremendamente
delusa da essermi chiusa in me stessa e diventare ciò che ero, una ragazza
dall’aspetto poco raccomandabile. Non ero mica nata dark, nossignore. Prima ero
una ragazza simile a Eles, la bellissima figlia di Apollo, non propriamente
popolare, ma mi piaceva stare in compagnia, andare al parco e ridere. Quella
dark era la mia modalità di difesa, attiva da così tanto tempo da non riuscire
a disattivarla. Qualcuno si sedette accanto a me, appoggiando la sua lanterna
sul prato.
«Hey» mi salutò Leo, sorridente. Ricambiai con un sorriso appena accennato.
Quando iniziava lo spettacolo dei fuochi d’artificio? Non vedevo l’ora che
spegnessero le lanterne. Arrossire davanti a lui sarebbe stato più che
imbarazzante.
«Senti, Teri...» disse Leo, così a bassa voce che dovetti sporgermi verso di
lui per sentire.
«...Domani parti per l’impresa e non hai ancora un’arma tutta tua. Ecco io...ne
avrei fabbricata una. Mi chiedevo se durante i fuochi d’artificio ti andasse di
venire a vederla».
Un’arma era ciò che desideravo e stare con lui anche. Ma evitai di mostrarmi
troppo felice.
«Certo, mi piacerebbe» risposi, sorridendo appena.
Il volto di Leo sembrò illuminarsi, ma probabilmente era solo una mia
impressione.
«Okay, appena inizia lo spettacolo ti porto nel Bunker 9».
Fece appena in tempo a finire la frase che le altre lanterne si spensero e il
botto iniziale esplose nel cielo. Leo si affrettò a spegnere la sua lanterna e
ad alzarsi in piedi. Mi misi in piedi cercando di essere più silenziosa possibile
e seguii Leo verso la Foresta. Leo accese il fuoco nella sua mano facendo luce.
Non parlammo durante il percorso. Si sentiva solo il crepitio del fuoco e il
rumore dei rami sotto i nostri piedi. Era strano. Avevamo iniziato a parlare
durante gli allenamenti di corsa e mi aveva fatta ridere. E, come se le risate
fossero droga, ne volevo di più. Volevo ridere e sentirmi felice, in quella
nuova vita al Campo.
«Eccoci arrivati» annunciò il figlio di Efesto, spegnendo il fuoco nella sua
mano. Lo seguii nel Bunker, trattenendo a stento un sorriso di impazienza.
«Il tuo mondo» mormorai, guardandomi intorno. Quel posto era pieno di attrezzi,
armi e altri progetti lasciati a metà.
Leo sorrise fiero.
«Sì, lo è. Mi sento molto più a mio agio qui, tra le macchine»
«Piuttosto che con le persone» dissi, proseguendo la sua frase. Aveva tutta la
mia comprensione.
Ci fu un istante di silenzio. Poi Leo sorrise e prese da un chiodo un laccetto
nero con qualcosa che luccicava. Afferrò un lembo della sua maglietta arancione
e ripulì quell’oggetto facendolo brillare ancora di più. Poi si avvicinò per
mostrarmelo. Era un laccetto di cuoio nero con quattro perline dorate.
«Permetti che te lo allacci?» chiese. Annuii e spostai i capelli. Leo appoggiò
la collana sul mio collo e la strinse in un nodino. Il contatto delle perline
dorate sulla mia pelle non fu freddo come mi aspettavo, anzi, emanavano un
lieve calore. Le dita di Leo che trafficavano per annodare il laccetto mi
facevano appena il solletico sul collo, ma erano piacevolmente calde.
«Ecco fatto» disse il figlio di Efesto. Lasciai ricadere i capelli sulle
spalle.
«Ti dona, per essere un’arma»
«Grazie Valdez» replicai. «Come funziona?»
«Appoggia una mano sulle perle e poi tira il laccetto come se volessi
strappartelo. Però sarà il caso di allontanarti un po’, a meno che non voglia
tagliarmi la testa»
Indietreggiai di qualche passo e afferrai il laccetto in corrispondenza delle
perle, poi feci come per strapparmelo, come aveva detto Leo. Le quattro perle
si tramutarono in un’elsa dorata e il laccetto in una lama di una sciabola
affilata e nera come la pece. Sull’elsa vi era scolpito il simbolo di Ade in
basso rilievo. Rigirai la spada per provarne il peso. Era perfetta per me.
Notai sull’altro lato dell’elsa il simbolo di Efesto e sorrisi.
«Ferro dello Stige» mormorai, stupita e facendo ruotare la spada nell’aria. Leo
annuì, sorridendo.
«Sono riuscito a procurarmene un po’ quando sono stato negli Inferi» spiegò. «E
dopo aver visto che amavi la spada di Nico ho deciso di usarlo per fabbricarne
una simile»
Annuii. «È stupenda, Leo. Come faccio a richiuderla?»
«Appoggia la lama di taglio sul tuo collo, come se volessi decapitarti»
rispose.
Così feci. Non appena la lama toccò il mio collo si assottigliò fino a
diventare un laccetto e l’elsa si divise in quattro innocenti perle dorate.
«Oh miei dei, Leo! È incredibile! Grazie, davvero». Mentre provavo la spada, il
ragazzo aveva afferrato qualcosa dal tavolo da lavoro e aveva cominciato a
lavorarci su in modo maniacale. Sembrava nervoso.
«Ma se tipo restassi attaccata ad una roccia solo per la collana e sotto di me
ci fosse il vuoto la sciabola si aprirebbe e cadrei giù?»
Leo non distolse lo sguardo da ciò che stava modificando.
«No, le perle si aprono solo se tirate dalle tue mani. E no, se qualcuno
volesse ucciderti con la tua stessa arma non potrebbe, la lama si
assottiglierebbe e tornerebbe a essere una collana».
«Wow» mormorai.
«Sono contento che ti piaccia. Così avrai un’arma potente anche tu
nell’impresa» disse Leo, sempre concentrato sul suo lavoro. Chinò la testa,
impegnato, e mi sembrò di scorgere le guance tingersi di rosso. C’erano i suoi
capelli ricci a coprirmi la visuale, quindi probabilmente mi sbagliavo. In
lontananza sentivo ancora i fuochi d’artificio. Ancora pochi minuti e poi le lanterne
si sarebbero riaccese e gli altri mezzosangue si sarebbero accorti della nostra
assenza. Meglio sfruttare il tempo rimasto, pensai. Appoggiai le mie mani sulle
sue, togliendogli di mano l’affare su cui era tanto concentrato. Leo non oppose
resistenza e alzò lo sguardo verso di me. Sentivo il cuore battermi forte.
Appoggiai quella specie di hard disk che gli avevo tolto dalle mani sul tavolo
da lavoro e gli sorrisi. Leo deglutì a fatica e sentii il suo respiro farsi più
corto. Eravamo così vicini che i suoi capelli ricci mi solleticavano la fronte.
Allungai le mani tremanti e le appoggiai intorno al suo collo. Leo appoggiò le
sue sui miei fianchi senza smettere di guardarmi negli occhi.
Si sporse appena e avvertii la calda e piacevole sensazione delle sue labbra
sulle mie. Sentii il cuore battere forte contro il petto, o forse era il suo.
Non riuscivo più a distinguerli, tanta era la vicinanza. Le sue mani soffici mi
accarezzavano i fianchi. Feci passare una mano tra i suoi capelli. Per tutta la
durata del bacio pensai due cose. Primo, era il primo bacio più bello che
potessi desiderare e Leo baciava così bene che non volevo più staccarmene. E
secondo, il mio cuore batteva così forte che mancava poco alla sua esplosione.
Quando ci staccammo (troppo presto) mi accorsi di aver trattenuto il fiato per
tutto il tempo.
«Non potevo non farlo prima di partire» dissi. Leo mi accarezzò le guance.
«Non mi dire che temi di non tornare»
Lo guardai dritto negli occhi.
«Sì che temo di non tornare. Sono addestrata da così poco...E poi queste
creature che disturbano Ade...non credo che saranno così gentili anche con sua
figlia».
Leo scosse la testa.
«Mi sei piaciuta sin da quando ti ho vista cacciare quella creatura infernale
dal Campo» disse. «Sei straordinaria, Teri. Sono certo che tornerai. E lo farai
ancora più bella e forte di prima».
Rimasi senza parole e mi limitai a fissarlo con un sorriso incredulo sulle
labbra.
«Forse ho detto troppo...» mormorò, e fece per staccarsi ma lo trattenni e lo
baciai di nuovo.
Forse sarà stato il primo bacio così bello da farmene desiderare altri, ma
avrei voluto che quei fuochi d’artificio non finissero più. Leo mi strinse i
fianchi con una presa più salda, facendo aderire i nostri corpi. Il bacio,
dapprima timido e dolce, si stava facendo più passionale e la stanza si stava
facendo piuttosto calda.
Leo si staccò all’improvviso, guardandosi le mani. Abbassai lo sguardo anch’io
e vidi che stavano fumando. Trattenni a stento un sorriso.
«Scusa» disse, impacciato. «Ho perso il controllo per...per l’emozione». Le sue
guance erano ancora più rosse di prima.
«Non mi hai fatto niente» lo rassicurai. «Sta’ tranquillo». Leo sorrise.
«Svegliati» rispose, con una voce non sua. Aggrottai la fronte.
«Come sarebbe a dire?»
«Svegliati, ho detto!» sbraitò quella voce aggressiva. Sentii dolore al lato
destro e un secondo dopo Leo svanì. Riaprii gli occhi in una cella polverosa.
Ludkar era in piedi accanto al mio letto, con uno sguardo sprezzante.
«Alzati!» gridò. Scostai la coperta e mi alzai. Era più alto e muscoloso di me,
ma lo fissai con tutta la sfacciataggine che riuscii a trovare.
Mi avevano rapita dopo il funerale di Aurora e Rose, due ragazze morte
nell’impresa contro i vampiri neonati, la stessa impresa da cui temevo di non
tornare. Aurora era mia amica, una delle prime che mi aveva accolta al Campo.
Dopo il funerale ero emotivamente e fisicamente distrutta. Così Ludkar e Kolor
avevano approfittato per rapirmi. Nessuno se n’era accorto per via della
confusione.
Mi avevano tagliato il laccetto regalatomi da Leo e anche la treccia in cui
erano legati i miei capelli. Poi mi avevano presa a pugni e io non avevo avuto
forza per difendermi.
Quando avevo sputato il sangue dalla bocca l’avevano pulito dalla mia faccia
con la mia treccia.
«Così la mandiamo come avvertimento» aveva detto Ludkar a Kolor. L’altro aveva
annuito, poi aveva fischiato ed una cornacchia l’aveva raggiunto. Aveva
sussurrato qualcosa in una lingua che non ero riuscita a capire e poi la
cornacchia era partita. Ludkar mi aveva legato i polsi e bendata. Avevo rivisto
la luce in una fabbrica grigia e puzzolente di bruciato. Un altro loro amico
Nocturno aveva scelto una stanza buia e mi ci aveva gettata dentro. Di quel
tipo mi ricordavo solo i capelli lunghi e ricci e le braccia forti. Non avevo
né detto niente né pianto. Aprivo i rubinetti dopo che mi avevano servito la
cena. Non rivolgevo loro nemmeno una parola.
Facendo un calcolo approssimativo ero lì da almeno un paio di mesi. Era fine
agosto, o forse settembre, ma non riuscivo a rendermene conto perché in quel
posto non faceva né caldo né freddo. Non c’era nemmeno differenza tra giorno e
notte. Si respirava polvere e basta.
Mi stropicciai gli occhi, e trattenni un sospiro. Ogni “notte” era lo stesso
sogno. Volevo capire come contattare Mel. Era la ragazza con cui avevo un
legame empatico, quindi avrei potuto mandarle un messaggio tramite sogno. Ma
dopo tutti i tentativi in risposta avevo solamente un ricordo che conservavo
dalla mia ultima sera al Campo prima di partire per l’impresa. Era il ricordo
più bello che avessi, certo, ma non mi aiutava a chiedere aiuto.
«Allora, bellina» disse Ludkar. «Oggi ti presenterò il
signor Attizzatoio. Sono certo che diventerete amici. E magari vi faccio un
piccolo video e lo mando al tuo papà laggiù. Così, si deciderà a fare cosa gli
diciamo noi».
«Perdete il vostro tempo» replicai. E come se Ade avesse un lettore dvd.
«Ah sì?» Premette l’attizzatoio contro il mio ginocchio. Urlai, sia per il
gesto improvviso che per il dolore lancinante. «Fa niente. Tanto, con tutta
l’eternità davanti, chi se ne importa del tempo perso?». E schiacciò nuovamente
l’attizzatoio bollente contro la mia gamba. Lanciai un altro grido, più forte
del primo, che mi lasciò senza fiato. Lo guardai con tutto l’odio che riuscii a
trovare e riuscii a trovare la forza di tirargli un pugno. Caricai e puntai
alla mascella. Ludkar si dovette far male, perché sputò sangue nero. Ne approfittai
per tirargli un calcio e allontanarlo da me. Non riuscii a spostarlo di nemmeno
un centimetro. Anche mentre tossiva sangue era più forte di me.
Trattenni un conato. Quando si fu ripreso, mi guardò nuovamente negli occhi.
Allungò una mano, e pensai che stesse per darmi uno schiaffo. Invece mi
accarezzò le guance con fare gentile.
«Sai, mi piacciono le ribelli». Corrugai la fronte. Sì, e io detesto i Guns N’
Roses.
«Davvero» confermò, davanti alla mia espressione sospettosa. Mi spostò una
ciocca di capelli dal viso e tracciò il contorno delle mie labbra con il
pollice.
«Peccato che il signor Attizzatoio non la pensi così». E schiacciò l’arma
incandescente contro il mio petto.
Angolo dell’autrice
SALVEEEE! Chiedo umilmente perdono. La storia era praticamente pronta a
Settembre, mancavano le mie ultime correzioni e anche quelle della mia beta. L’avrei
anche postata ad Ottobre, come avevo promesso, ma ci sono stati dei problemi. A
Settembre sono stata in Romania ed è stata la mia prima esperienza all’estero e
per questo bellissima, ma sono tornata in Italia con una stupenda broncopolmonite presa sul Danubio (pioveva e io avevo
soltanto una felpa di cotone) che mi ha tenuta a letto con febbre e tosse per
quindici giorni. Poi sono guarita e tornata a scuola, ma dovevo recuperare le
cose perse in dieci giorni di viaggio in Romania più i quindici di malattia.
Praticamente avevo una montagna di compiti che, grazie agli dei, sono riuscita
a fare. Ed è arrivata la fine ottobre. In questi giorni ho rivisto la fan
fiction con la mia beta Mela (ma dai?! Chi sarà mai? Btw,
grazie raggio di sole) e oggi finalmente posso dirmi più o meno soddisfatta e
postare. Posterò ogni weekend.
Spero vi piaccia, fatemi sapere in una recensione (anche critica!) e buona
domenica!
Questa
storia appartiene ad una serie. Prima di questa fan fiction che tu, amato
lettore, stai per leggere, ce n’è un’altra. Se l’hai letta, prego, continua
pure a leggere e grazie per aver voluto leggere il sequel. Se non l’hai letta e
non ti interessa nemmeno, continua pure e buona lettura, ma ti avverto: non ti
garantisco che tu possa capire proprio tutto perché non so se sono stata
abbastanza brava a fare in modo che tu capissi lo stesso, (dovrai dirmelo tu)
ma ti assicuro che ho fatto del mio meglio.
Lettore avvisato, mezzo salvato.
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Capitolo
2
RIA
Afferrai la palla e ci palleggiai per un po’, a bordo campo.
«Vuoi muoverti?!» gridarono i miei compagni di squadra. Sorrisi ad una delle
ragazze che avevano alzato gli occhi al cielo e sibilato un “ragazza idiota”,
credendo che non l’avessi sentita.
Portai il mio indice e il mio medio in corrispondenza dei miei occhi e poi li
puntai verso di lei, mimando con la bocca un “Ti vedo”.
Fermai la palla con la mano sinistra e chiusi la destra in un pugno, per poi
eseguire la migliore battuta d’inizio mai vista in quel cortile malandato.
La palla schizzò nell’altro campo e la partita iniziò.
Me la cavavo in pallavolo, di solito.
La scuola era iniziata da ormai tre settimane. Mio padre aveva deciso di
iscrivermi ad una scuola superiore più vicina al Campo e il padre di Mel e la
madre di Eles avevano deciso di fare la stessa cosa. Frequentavamo così la
stessa scuola, ma essendo più piccola di loro non avevo nemmeno una lezione in
comune. Oh, voi vi starete chiedendo cos’è il Campo. Dovete sapere che io sono
una semidea. Mio padre è un avvocato, mia madre è Nemesi, dea greca della
vendetta e della giustizia. Eles, figlia di Apollo e Mel, figlia di Atena sono
le mie compagne d’avventura. Insieme abbiamo affrontato un esercito di vampiri l’estate
scorsa. Non eravamo solo noi tre in quest’impresa. C’erano anche dei guerrieri
provenienti dal futuro e Teri, la prima figlia di Persefone, la dea della
primavera. Teri era stata rapita il giorno stesso in cui eravamo rientrate
dall’impresa. Erano stati i Nocturni, una specie di vampiri molto vecchi e dal
giorno del rapimento non avevamo avuto nemmeno uno straccio di notizia. L’unica
cosa che sapevamo era che era viva, perché in caso contrario anche Mel sarebbe
morta. Tra loro c’era un legame empatico, ma fino a quel momento era stato
utile solo a dirci che era viva, ovunque fosse.
Segnai un punto per la mia squadra.
In quelle tre settimane di scuola Eles aveva deciso di diventare meno popolare
rispetto a quando era nell’altra scuola, ma con scarsi risultati. Non poteva
farci niente se era bella ed era il tipo di tutti i ragazzi. Mel non aveva
ancora avuto occasione di mostrare la sua intelligenza superiore ai professori,
essendo solo al ventuno di settembre. Io non avevo nessuna caratteristica che spiccasse
particolarmente come loro due. Non ero un genio, né bellissima. Ma alcune delle
mie compagne di classe avevano capito che era meglio non avermi come nemica.
Schiacciai la palla nell’altro campo e alcuni dei miei compagni gridarono frasi
d’incoraggiamento.
L’aria mite di settembre era piacevole e mi stavo divertendo.
Qualcuno urlò una frase piuttosto volgare e mi voltai, alzando un sopracciglio.
«Bonjour finesse!» esclamai, rivolta al ragazzo. Era un tipo alto, rotondo e
con l’espressione idiota. I capelli erano unticci, gli occhi piccoli e
infossati. Indossava dei vestiti troppo piccoli per lui che gli lasciavano
scoperta la panciona e quei prosciutti che aveva al posto dei polpacci.
Il ragazzo mi guardò e cominciò a correre nella mia direzione urlando
parolacce. Poi all’ultimo secondo mi scansò e continuò a correre.
C’era qualcosa di strano. Uscii dal campo di pallavolo e entrò un altro ragazzo
al mio posto. Corsi alla panchina e presi la mia borsa. Me la portavo sempre
insieme. Era una piccola borsa di jeans un po’ scolorito che si chiudeva con
una zip che sembrava poter contenere appena un cellulare (che noi semidei non
usiamo), invece ci andava un mondo intero. Io ci mettevo principalmente dracme,
soldi mortali, il mio coltello avvelenato, il mio scudo camuffato come un cd di
bronzo e altre armi pericolose donatemi da Chirone, che non starò qui a dirvi
perché altrimenti comincerete a dire che sono troppo piccola per usarle e blah,
blah, blah.
Presi il mio coltello avvelenato e lo sfoderai. Il ragazzo strano si voltò di
scatto verso di me.
«Tanto sei morta, Cacciatrice» sibilò, con una voce diversa.
Cacciatrice? Che cosa significava? Non avevo mai giurato la mia fedeltà ad
Artemide.
Il ragazzo fece come per togliersi la maglietta ma la sua testa cominciò a
girare a trecentosessanta gradi. Poi si gettò a terra e al posto delle braccia
gli spuntarono due serpenti. Presi il disco di bronzo dalla borsa e feci come
per lanciarlo, trasformandolo in uno scudo.
«Io non ne sarei così sicura» replicai e mi avventai su di lui. Schivai un
morso di uno dei due serpenti e affondai il coltello nel collo del serpente.
L’altro sibilò e mi attaccò ad una gamba, ma saltai evitando il morso. Il
serpente rimasto mi sputò addosso qualcosa che a contatto con il mio scudo sfrigolò
e lasciò una bruciatura. Se sul bronzo aveva quell’effetto preferivo non
pensare a ciò che sarebbe potuto succedere alla mia pelle. Sentii lo scudo
farsi improvvisamente più pesante e poi scottare. Lo lasciai cadere e
inciampai. Il mostro mi si avvicinò sibilando.
Rotolai su un fianco e solo in quel momento mi accorsi che il secondo serpente
si stava riformando. Oh, fantastico. Due serpenti che non sapevo come
sconfiggere, un coltello avvelenato che non avvelenava un bel niente e niente
scudo. Per fortuna quel mostro non funzionava come l’idra, a cui se tagliavi
una testa ne rispuntavano due ancora più arrabbiate al suo posto.
I due serpenti sibilarono verso di me, così tentai l’unica possibilità che mi
restava. Lanciai il coltello tra le due teste. La mia migliore amica al Campo
Mezzosangue, Arika, figlia di Zeus, mi aveva insegnato a prendere bene la mira,
anche da stesa.
I due serpenti si mossero in modo strano, ondeggiando. Poi si afflosciarono a
terra.
Recuperai subito il coltello e mi rialzai in piedi. Mi aspettavo di ritrovare
polvere giallognola sulla lama, invece c’era sangue nero. Alzai lo sguardo e
vidi che il mostro non si era dissolto come mi aspettavo. Non ebbi nemmeno il
tempo di aggrottare le sopracciglia che i due serpenti si ripresero. Riaprirono
gli occhi gialli e li puntarono su di me, ancora più furiosi di prima.
Sputarono ovunque quel veleno strano che mi aveva bruciato lo scudo. Scansai i
primi colpi, ma poi presero il polso e lasciai la presa sul coltello. Mi
inginocchiai a terra e sentii le lacrime che mi riempivano gli occhi per il
dolore, simile a mille aghi infuocati conficcati nella pelle. Trattenni un urlo
e tirai un pugno ad uno dei serpenti che si innervosì ancora di più. Che brutta
morte che avrei fatto.
Ad un tratto una luce più forte di quella del sole entrò nel mio campo visivo.
Un secondo dopo il mostro era sparito e mi accorsi di una mano che mi offriva
aiuto. L’afferrai e mi rimisi in piedi. Me l’aveva porta una figura alta, dalle
spalle larghe. Un cappuccio nero calato sul volto m’impediva di vederlo in
volto, o forse era il veleno che cominciava a fare effetto e mi rendeva la
vista più scura del normale.
«Questo deve essere tuo» disse una voce maschile, porgendomi il coltello.
Cercai di prenderlo, ma mi sentii mancare la terra da sotto ai piedi. Mi sentii
afferrata al volo.
«Merda. Il demone deve averti colpito con il veleno. Menomale che Alec mi ha
lasciato il suo stilo» mormorò quella voce grave ma giovane.
Il ragazzo mi appoggiò per terra e sentii qualcosa di caldo sfrigolare sulla
mia pelle. Bruciava appena, ma in confronto al veleno era un dolore minimo.
Sbattei gli occhi e riuscii a mettere a fuoco un paio di occhi azzurri su un
volto diafano. Quel ciuffo di capelli biondi mi fece pensare ad un angelo.
«Hey, tutto bene? Sembra che l’iratze stia facendo effetto...ma con voi
piccolini non si sa mai»
«Non ho la minima idea di cosa sia un iratze, ma mi sto sentendo meglio»
risposi, mettendomi seduta.
Mi porse il coltello, lo presi e lo rinfoderai.
«La prossima volta assicurati che ci siano le rune prima di affrontare un
demone»
«Le rune? Demone? Non si chiamavano semplicemente mostri? Amico, sarà la saliva
che quel coso mi ha sputato, ma tu parli decisamente strano»
Il ragazzo aggrottò le sopracciglia bionde. Avrà avuto circa sedici, massimo
diciassette anni. Era vestito completamente di nero e dallo scollo e dalle
maniche della maglietta si vedevano delle strisce nere di tatuaggi. Alle spalle
aveva degli spadoni enormi, in mano teneva una spada sottile che gli illuminava
il volto con una luce azzurrognola.
«Strano? Sei tu che sei strana per essere una Cacciatrice»
«Ma che diavolo avete tutti oggi? Non sono una cacciatrice, per Zeus!»
Un tuono fece tremare il terreno.
«Già, i nomi sono potenti. Dicevo, non sono una Cacciatrice. Non ho mai giurato
fedeltà ad Artemide. Sono una semplice semidea, figlia di una divinità minore,
per giunta»
Mi parve che la confusione del ragazzo aumentasse.
«Ma no, tu sei figlia di Carl, sei una Shadowhunter. Gli assomigli molto»
«Come conosci mio padre? Chi sei?»
«Mi chiamo Hen. Sono uno Shadowhunter, come te e come tuo padre. Ma tu non hai
la runa della vista!» esclamò, afferrandomi la mano. La ritrassi, indispettita.
«Okay, Hen. Probabilmente mi avrai scambiata per un’altra persona. Io sono Ria,
una semidea figlia di Nemesi. E ti garantisco che mio padre non è uno
Shadowcoso»
«Wow, figlia di Nemesi. Ecco a cosa si riferiva Carl quando ha detto che fai
parte di due mondi diversi contemporaneamente».
Non mi piacevano quelle insinuazioni. Probabilmente il Carl a cui si riferiva
lui non era mio padre. Era un nome piuttosto comune.
«No, caro. Appartengo ad un solo mondo, quello dei semidei greci. Fine della
storia» E quel mondo mi bastava e avanzava per due o tre vite.
«No, Ria. Non hai mai notato che tuo padre è pieno di tatuaggi come questi?»
chiese, sollevando una manica. Il suo avambraccio era pieno di strane linee
nere che erano spaventosamente simili a quelle di mio padre. Che moda strana.
«Sono rune. Come quella che ho fatto a te per farti guarire, l’iratze. Se nel
tuo sangue scorresse solo sangue mondano e divino saresti morta. Invece nel tuo
sangue scorre sia l’icore di Nemesi che il sangue dell’angelo Raziel» Mi
guardai il polso ferito dal veleno del demone e vidi delle strisce nere che andavano
sbiadendosi e lasciavano una cicatrice. Capii perché non si fosse dissolto in
polvere giallognola. Non era un mostro della mitologia greca, ma un demone. Mi
sentii scombussolata. La testa mi girava vorticosamente e non saprei dirvi se
fosse per colpa del veleno che mi circolava ancora nel corpo oppure per la
presa di coscienza di ciò che mi stava succedendo. Non potevo far parte
veramente di due mondi strani, no. C’era sicuramente una spiegazione. Le
coincidenze esistono, no?
«Che significa mondano?» chiesi ad Hen.
«Okay, qui c’è da fare un bel chiarimento e la storia è bella lunga. Andiamo,
gli altri avranno già salvato le tue amiche».
Hen mi condusse sul cortile anteriore della scuola. Nessuno sembrava accorgersi
di noi. La Foschia faceva vedere ai mortali ciò a cui avrebbero potuto dare una
spiegazione, ma non ci faceva diventare completamente invisibili.
«Ti ho resa invisibile agli occhi dei mondani» spiegò, come leggendomi nella
mente. Probabilmente si era accorto della mia espressione stupita.
«Ah, ecco Viktor e Jace! Quelle devono essere le tue amiche. Anche loro
semidee?»
«Sì» mormorai. «Quella riccia con gli occhi grigi è Mel, figlia di Atena.
L’altra, l’abbronzatissima, è Eles, figlia di Apollo»
Hen fece un cenno ai due ragazzi, uno moro e l’altro biondo, seduti accanto
alle mie amiche. Non appena ci videro scesero dal muretto e si affrettarono a
raggiungerci.
«Ehm, rinfrescami la memoria. Apollo è il dio del sole, della medicina e delle
arti. Atena, invece? Dea della saggezza, giusto?»
«E della strategia militare» aggiunsi.
«Nemesi, tua madre, è la dea della vendetta»
«Esatto»
I due ragazzi e le mie amiche si avvicinarono. Vidi che anche Eles aveva una
runa sulla spalla e un’altra sull’avambraccio. Anche io ne avevo due. Dedussi
che una fosse l’iratze e l’altra quella per rendermi invisibile. Mel non aveva
niente.
«Perché Mel non ha rune?» chiesi.
«Temo proprio che la tua amica non sia come te e Eles» disse uno dei due
ragazzi. Era quello moro, con la carnagione chiara e una spruzzata di lentiggini
sul naso. Anche lui vestito di nero e pieno di rune. Osservai lo scollo e le
maniche del biondo e non mi stupii di vedere i segni neri che facevano
capolino.
«Eles è una Shadowhunter come me?» domandai.
Eles annuì, anche se non sembrava convinta. Non sapevo lei, ma io non ci avrei
completamente creduto prima di ricevere conferma da mio padre.
«Jace, è vero. Queste ragazze fanno parte di due mondi strani
contemporaneamente»
«Allora Carl non aveva bevuto. Probabilmente anche la ricciolina riuscirebbe a
sopportare una runa non troppo potente, non essendo completamente mondana»
rispose il biondo.
«Ho un nome» borbottò Mel, per poi guardarsi intorno con aria preoccupata.
«Non parlare troppo, ricciolina,
altrimenti potrai salutare questa scuola mondana ed entrare in un manicomio»
Mi resi conto che lei era l’unica visibile e se avesse parlato sarebbe apparsa
piuttosto idiota. Mel sembrò fare uno sforzo immane per non mandare Jace a quel
paese e si spostò con fare nervoso l’elastico azzurro che aveva al polso, che
non era altro che la sua arma camuffata.
«Che c’è? Vuoi dire qualcosa, ricciolina?»
continuò Jace.
«Jace, quando smetterai di fare l’idiota?» intervenne Viktor. «Andiamo, Carl ci
starà aspettando all’Istituto. Dobbiamo chiarire un bel po’ di cose».
Angolo
dell’autrice
Ciao mie margheritine! :) Innanzitutto voglio ringraziare Maia_Auro e MyrenelBebbe per
aver recensito, e vi invito a passare dalle loro storie che sono asdfghjkl.
Perdonatemi ma sono totalmente idiota. Avevo già corretto il capitolo e stavo
per postarlo sabato, ma non so perché me ne sono scordata. Il bello è che ero
convinta di averlo postato!
Me ne sono accorta solo oggi, perdonatemi. In questo capitolo ho introdotto il
crossover con Shadowhunters. Dei personaggi originali ci sono Jace, Magnus,
Alec e Hodge ed è un AU in cui Jace e Clary non si sono mai conosciuti e Jace
resta un Wayland. Spero vi piaccia e fatemi sapere cosa ne pensate in una
recensione, anche critica.
Un bacio e alla prossima!
Decidemmo di prendere la metropolitana per raggiungere
l’Istituto di cui Viktor aveva parlato. Viktor, lo slanciato e muscoloso
ragazzo che mi aveva salvato la vita. Aveva l’aria dolce, con quegli occhi
scuri e le lentiggini sul naso e sulle guance, ma mentre combatteva assumeva
uno sguardo piuttosto inquietante. Due demoni mi avevano attaccata
contemporaneamente mentre andavo in bagno. Il mio arco non era stato molto
utile, visto che un battito d’occhi dopo i mostri si erano ricomposti.
Viktor mi aveva spinta di lato e li aveva uccisi con pochi, letali e decisi
colpi di lama angelica. Mi aveva curato la ferita alla spalla con uno strano
simbolo nero tracciato da un affare che lui aveva definito ‘stilo’. Poi mi aveva
intimato di richiudere l’arco e seguirlo nel cortile della scuola. Lì avevo
trovato Mel piuttosto scossa, seduta accanto ad un ragazzo biondo vestito di
nero come Viktor. E poi era arrivata la bomba.
«Tu sei la figlia di Angelina, vero?» mi aveva detto Jace. «Le somigli molto»
Stavo per chiedergli come conoscesse mia madre, quando Viktor mi aveva
afferrato il polso e mi aveva tracciato un altro simbolo nero con lo stilo.
«Serve a renderti invisibile. Noi lo siamo già, ma tu puoi vederci perché hai
nelle vene sangue di Shadowhunter. Tua madre è una cacciatrice di demoni
professionista».
«Mio padre non è uno Shadowhunter. Ma io vi vedo lo stesso» aveva detto Mel.
«Ne sei sicura? Come si chiama?» aveva chiesto il biondo.
«Si chiama Larry Evans»
Sia Viktor che l’altro, Jace, si erano fatti pensierosi.
«E non credo proprio che Atena sia una Cacciatrice di demoni» aveva aggiunto
Mel, prima che Jace e Viktor potessero aprire bocca.
«Atena?» aveva domandato Jace. Aveva lanciato un’occhiata a Viktor.
«Quindi Carl non mentiva. Appartenete a due mondi strani contemporaneamente.
Ecco perché puoi vederci pur non essendo una Shadowhunter»
«Io non appartengo al vostro mondo» aveva borbottato Mel.
Ed io non avevo fatto in tempo a chiarire che anche per me era così. Mia madre
era solo una poliziotta, mio padre era Apollo. Poi avevo visto i strani segni
neri che i due ragazzi avevano sulle braccia e mi ero sentita impallidire, cosa
strana per me. Erano uguali a quelli di mia madre.
Pochi minuti dopo eravamo sulla metropolitana.
«E quindi siete per metà dee e per metà Shadowhunter, tranne la figlia di
Atena, qui» disse Hen. «Direi un bel mix di pericolosità. Non mi sorprende che
i demoni abbiano...» Jace gli tirò un calcio allo stinco, interrompendolo.
«Non sta a te dirlo, Hen» mormorò. «Carl e Hodge sapranno spiegare la
situazione meglio di noi»
«Non potete dirci nemmeno un indizio su cosa si tratta?» chiese Mel, sottovoce.
«Tieni, usa questo per parlare. Così la gente non ti prenderà per pazza» disse
Viktor, porgendole un cellulare. Nell’istante in cui lo vidi lo feci volare via
spingendo il braccio di Viktor verso il finestrino.
«Sei matta?» sbottò Viktor.
«Per noi quegli affari sono un pericolo! È come gridare ai mostri “hey, siamo
qui! Venite a prenderci”. Non credo che le vostre armi fluorescenti
fermerebbero mostri mitologici.» spiegò Ria.
Mel annuì. Era piacevole non sentirla fare la solita so-tutto-io. Peccato che
quel silenzio sarebbe durato poco.
«Giusto. Carl ci aveva detto anche questo» disse Viktor. «Ma era il mio nuovo
Galaxy!»
«Carl ci ha detto un macello di cose ed era impossibile ricordarsele tutte»
replicò Hen.
Il resto del viaggio proseguì in silenzio.
La metropolitana si fermò e scendemmo dal mezzo.
Mentre percorrevamo la stazione, vidi uno schermo sintonizzato su canale 39.
Trasmettevano notizie flash. «Indossano dei costumi, ma non siamo ad
Halloween. Sono i supereroi del mondo reale!» esclamò la giornalista.
Aggrottai la fronte e mi fermai davanti allo schermo.
«Perché ti fermi?» chiese Mel, guardandosi indietro. Le feci cenno di
avvicinarsi. «Da quando due anni fa i primi cittadini
si sono infilati il mantello e maschera, il movimento ha iniziato ad
espandersi». L’inquadratura cambiò e inquadrò un uomo vestito con una
divisa da supereroe bordeaux e bianca, con tanto di maschera. «Sono un supereroe grazie a Kick-Ass!»
esclamò.
L’immagine staccò su un altro tizio con una divisa militare blu, con elmetto e,
anche lui, con una maschera. Agitava delle strane seghe a sonagli mentre
parlava.
«Sì, torni a casa dal lavoro,
ti infili il costume, e vai con le seghe in ricognizione!» La scena cambiò ancora su una coppia. I due indossavano delle semplici
tute blu con delle strisce arancioni. Anche loro, maschere abbinate. Dalla
felpa aperta si intravedeva la foto di un bambino.
«Vogliamo rendere le strade
sicure» dichiararono.
«Già, dobbiamo preoccuparci di proteggere gente così» commentò
Jace. «Si vanno a cercare i guai da soli, questi mondani».
Mi strinsi nelle spalle e li seguii fuori dalla stazione.
I tre ragazzi ci condussero per le strade di Brooklyn, fino a quando non ci
imbattemmo in una cattedrale meravigliosamente imponente.
Anche Ria e Mel tenevano il naso in su, e non c’era da biasimarle. Era davvero
stupendo.
«Questo è l’Istituto, ragazze» annunciò Hen, entrandoci.
L’interno era spettacolare quanto l’esterno. Le mani mi prudevano per il
desiderio di prendere fogli e pastelli e mettermi a disegnare per catturare
quell’immagine.
I Cacciatori ci condussero verso un ascensore. Vi entrammo,
ancora in silenzio per lo stupore.
«Non vedo l’ora di dirlo ad Annabeth. Sono certa che amerebbe questo posto»
disse Mel.
«Ce ne sono molti di mezzosangue in giro?» chiese Hen.
«Abbastanza. C’è un Campo tutto per noi» risposi.
Arrivammo al piano e uscimmo dall’ascensore. Un gatto miagolò verso Viktor, che
sorrise e gli accarezzò la testa.
«Ciao Church. Ti dispiacerebbe condurci da Carl?» domandò.
Pensai che il gatto avrebbe continuato a farsi coccolare, invece si girò e ci
condusse lungo un corridoio.
«Intelligente» mormorai.
Viktor si girò verso di me e mi fece l’occhiolino.
«Ci puoi scommettere, bellezza»
Alzai gli occhi al cielo. Non essere chiamata ‘bellezza’ non mi era mancato
affatto durante l’estate. Non mi piaceva essere chiamata così, mi faceva
sentire sottovalutata e stupida. Okay, non mi vantavo di essere intelligente
quanto Mel, ma non ero nemmeno idiota.
«Chissà come sembrerai con il corpo pieno di rune» continuò. «Quando finirai
l’allenamento mi offrirò di fartele di persona»
«Oh, sono certa che tu non hai la minima capacità di farle prendere le Rune. E
ti prego, evita di fare il pedofilo» borbottò Mel.
«Perché, quanti anni avete?» domandò Viktor.
«Io ne ho quattordici. Mel ne ha compiuti quindici due giorni fa e Ria ne farà
quattordici tra cinque giorni» risposi.
«Oh, wow. Sembrate più grandi» disse Hen.
Pensai che se davvero fossi stata metà Shadowhunter, avrei dovuto farmi le
rune. E il pensiero non mi piaceva. Avevo qualcosa contro i tatuaggi, i
piercing e qualsiasi cosa deturpasse il corpo. Ero strana per la mia età, lo
ammetto, ma non me ne vergognavo.
Il gatto ci condusse in una biblioteca. Dietro una scrivania c’era un uomo dai
capelli brizzolati, gli occhi verde scuro e l’aria angosciata. Indossava un
completo elegante. Dal colletto spuntava appena una spirale nera, e così anche
dai polsini. Quando ci vide entrare il viso gli si illuminò e ci corse
incontro.
«Papà!» esclamò Ria, abbracciandolo forte.
L’uomo la strinse forte a sé.
«Ciao Riri» mormorò.
Assistere a quella scena mi fece sentire di troppo. Era così familiare e intima
che mi sembrava davvero una violenza della privacy stare lì, a guardarli.
Viktor, Jace e Hen sembravano piuttosto stupiti. Probabilmente non avevano mai
visto Carl comportarsi in quel modo così affettuoso.
Padre e figlia finalmente si separarono e Carl ci sorrise, gentile.
«Voi siete Eles e Mel, giusto?» domandò. «Io sono Carl Blu- ehm, Johnson»
porgendoci la mano.
Gliela strinsi, presentandomi.
«Perché ti sei corretto?» chiese Ria, sospettosa. «Lo so, papà. Hen me l’ha
spiegato»
«Cosa?! Avevo detto di non dirle niente!» esclamò Carl, lanciando
un’occhiataccia di rimprovero a Hen.
«Signore, la ragazza non voleva seguirci. Era l’unico modo per condurla qui»
L’espressione di rabbia di Carl si addolcì.
«Oh, allora se le cose stanno così...Bè, Riri, ora lo sai. Mi dispiace averti
tenuto nascosto tutto, ma non avrei davvero potuto fare altrimenti»
Ria annuì.
«Lo capisco, papà. Quindi, Johnson non è il nostro vero cognome?»
Il padre scosse la testa. «Sedetevi, ragazze. Viktor, Jace, Hen, grazie per la
missione. Siete stati davvero efficienti, ma ora vorrei parlare con le ragazze.
Vi chiamerò io quando avrò nuovamente bisogno di voi, okay?»
I tre ragazzi annuirono e lasciarono la biblioteca, mentre noi ci sedemmo sui
divanetti; io e Mel su uno e Carl e Ria su quello di fronte.
«Immagino sia una storia piuttosto lunga» disse Mel.
«Sì, immagini bene. Il nostro vero cognome è Blueway, Ria. Ho dovuto camuffarlo
in Johnson perché...Bè, partiamo dall’inizio. Quando ho conosciuto tua madre,
non sapevo che fosse una dea. Era bellissima, certo, ma non potevo immaginare
che provenisse dall’Olimpo.
«Non ti racconterò certo tutti i dettagli della nostra storia, tesoro. Insomma,
per farla breve, sei nata tu. Quando Nemesi ti ha affidata a me, rivelando poi
la sua vera identità, capii che addestrarti a diventare una Shadowhunter
sarebbe stato pericoloso. Così decisi di cambiare il nostro cognome in uno
mondano e crescerti come una ragazza normale, fino a quando non sarebbe
arrivato il tuo momento di andare al Campo.
«Ora capisci perché ero così felice che tu fossi lì? Pensavo che in te fosse
prevalente la parte di tua madre. Potevi vedere attraverso la Foschia, ma il
mio mondo, era a te invisibile. Non volevo vedere la tua pelle piena di
cicatrici e di rune, ed ero sollevato. Purtroppo questo è valso solo per te,
tesoro». Gli occhi dell’uomo si riempirono di lacrime.
Ria sbiancò in viso. Deglutì a fatica, asciugandosi il sudore delle mani sui
pantaloni.
«Papà...che è successo?»
«Nemesi mi spiegò le cose basilari sul funzionamento del mondo dei semidei
greci. Poi andò via, sgommando sulla sua moto, diretta all’Olimpo. Mi lasciò
solo, incapace, indifeso, con una neonata da accudire e i demoni da combattere.
Qualche anno dopo conobbi Veronica, una Shadowhunter come me. Pensai di aver
trovato finalmente la felicità e la stabilità. Lei ti adorava, e tu adoravi
lei. Quando tu avevi tre anni, però, lei dovette trasferirsi in un altro
istituto, a Boston. Io non potevo andare spesso da lei, avendo molto da fare
qui, all’Istituto di Brooklyn. Tu non te la ricordi molto per questo.
Nonostante la distanza, quattro anni dopo nacque Onny, con i suoi stessi occhi
azzurri. Fui uno stupido a pensare di potermi finalmente godere un po’ di
felicità. Si sarebbe trasferita qui, a New York, e saremmo stati bene. La notte
della nascita di Onny, un maledettissimo demone superiore...» l’uomo non finì
la frase. Le lacrime sgorgavano lungo le sue guance. Chissà se ne avesse mai
parlato con qualcuno. Quella, però, era la storia di Ria e di Carl. Io e Mel
eravamo delle intruse. Intuii, però, che se ci aveva fatto accomodare e
assistere era per un motivo ben preciso. In qualche modo, riguardava anche noi,
e soprattutto me. Chissà qual era, invece, la storia di mia madre.
Ria abbracciò il padre, accoccolandosi accanto a lui. Il padre le accarezzò la
schiena, poi si asciugò le lacrime.
«Ho cresciuto te e Onny da solo. Mi sono buttato a capofitto nel lavoro e
soprattutto lasciavo che voi foste la mia felicità. Ho tirato avanti per sette
anni, preoccupandomi che tu non entrassi in contatto con il mondo degli
Shadowhunters. Avrei cominciato a educare Onny la prossima settimana, ma...»
Tutto il corpo di Ria era in allarme.
«Che è successo ad Onny, papà?»
Il padre abbracciò la figlia, scoppiando in un pianto sommesso.
Guardai Mel, e anche lei aveva lo sguardo perso. Non sapevamo cosa fare. Ria
era sotto shock.
«Papà, non sarà mica...» Scosse la testa, rifiutandosi di dire quella parola.
«L’hanno rapito, no? È ancora vivo, vorranno un riscatto o qualcosa del genere»
Carl annuì, stampandosi sulle labbra un sorriso d’incoraggiamento. Ma Ria, dopo
essersi messa in piedi, urlò. Io e Mel sobbalzammo.
La figlia di Nemesi si buttò tra le braccia del padre, e scoppiò a piangere.
Soffocava le urla, si aggrappava al padre.
Parecchio tempo dopo sollevò lo sguardo.
«Sai chi è stato?»
«No, Riri, ma lo scopriremo presto»
Ria annuì.
«Scusi, signor Blueway» intervenne Mel. «Ma noi cosa centriamo qui?»
«Oh, giusto. Scusate, ragazze, ma sono ancora un po’...colpito da ciò che è
successo. Ho saputo che state cercando Teri Nabaci, figlia di Ade, rapita
all’inizio dell’estate»
«Esatto» disse Mel. Si fece in avanti con il busto, improvvisamente
interessata. Eravamo tutti preoccupati per Teri, ovviamente, ma Mel aveva un
legame empatico con lei, quindi era più unita a lei rispetto a chiunque.
In quel momento la porta si aprì. Un ragazzo dai capelli neri e gli occhi
azzurri entrò nella stanza. Indossava i vestiti neri da Shadowhunter e le sue
braccia muscolose erano ricoperte di rune. In spalla portava un arco e una
faretra vuota. Qualche graffio e livido gli rovinavano appena il viso delicato
e gentile.
«Oh, Alexander, grazie all’Angelo, sei arrivato! Accomodati»
Il ragazzo appoggiò l’arco e la faretra ai piedi di una poltrona e poi si
accomodò.
I suoi occhi azzurri si posarono su di me, poi su Mel e infine su Ria.
«Sono loro, vero?» chiese, sorridendo.
Carl annuì, e il ragazzo si alzò e venne a stringerci la mano.
«Io sono Alexander, ragazze, ma chiamatemi pure Alec. Lieto di conoscervi. Vi
porto brutte notizie, purtroppo»
«Che è successo?» domandò Carl, accigliandosi. Il suo corpo trasmetteva
nervosismo e preoccupazione. Alec si sedette sulla poltrona e sospirò.
«È arrivata una busta. Credo siano i rapitori di Onny».
Angolo autrice
Eeeed eccomi qui! Miracolosamente puntuale. Spero vi piaccia x
Questa
storia appartiene ad una serie. Prima di questa fan fiction che tu, amato
lettore, stai per leggere, ce n’è un’altra. Se l’hai letta, prego, continua
pure a leggere e grazie per aver voluto leggere il sequel. Se non l’hai letta e
non ti interessa nemmeno, continua pure e buona lettura, ma ti avverto: non ti
garantisco che tu possa capire proprio tutto perché non so se sono stata
abbastanza brava a fare in modo che tu capissi lo stesso, (dovrai dirmelo tu)
ma ti assicuro che ho fatto del mio meglio.
Lettore avvisato, mezzo salvato.
Se invece vuoi scoprire cosa è successo prima perché non vuoi fermarti durante
la lettura e domandarti “Ma di che Ade sta parlando?” clicca qui.
Capitolo
4
MEL
Carl si alzò in piedi di scatto. Cominciò a camminare per la
stanza in preda al nervosismo. Alec ci rivolse uno sguardo ansioso, senza
aggiungere altro.
Ria, invece, stringeva con le mani il cuscino del divano.
Respirò profondamente. Aveva bisogno di ossigeno per calmarsi.
«Io voglio vedere il messaggio» disse digrignando i denti.
Alec rivolse uno sguardo interrogativo a Carl, che si fermò al centro della
stanza e annuì, dandogli un silenzioso permesso. Il ragazzo si alzò dalla
poltrona.
«Farai meglio a seguirmi, allora» disse, rivolgendosi a Ria. La ragazza si alzò
dal divanetto, fissando un punto nel vuoto con aria truce. Conoscendola, aveva
già in mente un piano. Non che fossimo amiche da una vita, ma quei mesi insieme
mi avevano insegnato molto di lei.
«Veniamo anche noi» intervenne Eles, scattando in piedi. Feci
lo stesso, pronta a seguire Alec.
Per aver rapito un bambino non potevano essere di certo persone gentili e
disponibili a contrattare, ma non avevo paura. Avevo affrontato mostri
peggiori.
Carl sospirò.
«Sì, vi raggiungo anch’io»
«Papà, non sei obbligato. Posso farlo io» disse Ria, lanciando uno sguardo
deciso al padre. L’uomo ridacchiò.
«Non stai parlando con un vecchietto, Riri. Andiamo».
Alec ci condusse in un’altra stanza, un ufficio ben arredato e
ordinato. Dalla finestra filtrava la debole luce del sole che stava per
tramontare. Da quante ore avevamo lasciato la scuola? Probabilmente le lezioni
pomeridiane erano già finite da un pezzo. Respirai il profumo di libri nella
stanza.
Sulla scrivania in mogano c’erano alcuni fogli impilati, un libro blu
dall’aspetto antico ma in perfetto stato, un piccolo schermo spento e un
telefono. Sentii il corpo irrigidirsi. Quegli affari erano fin troppo usati dai
Cacciatori di demoni.
«Direi che è piuttosto evidente che voi Shadowhunters non abbiate problemi con
la tecnologia»
Alec aggrottò la fronte. «Perché, voi sì?»
«Evitiamo di usarli se non in casi di estrema necessità. Rivelano la nostra
posizione ai mostri, così come Internet» spiegai.
«L’Istituto è protetto sia dai demoni che dai mostri mitologici» disse Carl.
«Mi sono preoccupato di far tracciare rune di protezione che valessero per
entrambi non appena è nata Ria. Siete al sicuro. Alexander, cosa hanno mandato?»
«Una busta dal contenuto pesante» rispose il ragazzo. Poi prese una busta da un
cassetto e la porse a Carl.
«Credo che tocchi a te aprirla» disse Alec.
L’uomo annuì. Ria gli strinse una mano, come per infondergli coraggio. Si
guardarono negli occhi e vidi che si parlavano tramite un linguaggio muto,
un’intesa particolare, che non si riesce a comprendere a pieno da un punto di
vista esterno.
Io non sapevo niente dell’intesa che potevano avere Ria e Carl, ma ricordavo
perfettamente l’intesa tra me e mio padre. Non era uno Shadowhunter come il
padre di Ria e nemmeno un dio come il padre di Eles, ma solo un venditore di
caffè e libri. Chissà come stava il mio caro papà. Non ci sentivamo da più di
una settimana. Non potevo usare il telefono per evitare che i mostri entrassero
nella scuola e lui non poteva passare a trovarmi per via del negozio. Mi
promisi di mandargli un messaggio Iride il mattino dopo.
Carl strappò il lembo della busta. Vi mise una mano dentro e vi estrasse un
vecchio registratore di voce.
Ria premette il pulsante ‘play’. Fu una voce giovane a parlare.
«Hey Carl. O forse dovrei chiamarti per cognome, Johnson? O Blueway? Certo che
hai fatto un bel casino, bello. Sono Chris D’Amico. Esatto, il figlio del boss.
Mio padre è morto, ma per tua sfortuna sono rimasto io. Voglio uccidere quel
figlio di puttana che ha fatto esplodere mio padre con un bazooka. E mi serve
il tuo fantastico arsenale, compresi quegli affari che usate per tatuarvi.
Voglio che combattiate al mio fianco per attuare la mia vendetta. Tu hai avuto
una relazione con la dea della vendetta, giusto? Bè, direi proprio che lei
sarebbe felice se tu mi aiutassi. Per contattarmi diventa mio follower su
Twitter, ricambierò il follow così potremo parlarci tramite messaggi privati.
Mi chiamo The Mother Fucker. Oppure, se non vorrai seguirmi con il tuo
esercito...bè, il tuo bambino salterà in aria. BOOM!»
Il nastro finì di girare e la registrazione terminò con un clic del pulsante ‘play’ che tornava al proprio posto.
Ria aveva l’aria dubbiosa.
«Mi sembra una presa in giro» disse. E concordavo con lei. La voce registrata
era giovane, probabilmente di un ragazzo di diciott’anni. E quel soprannome
assurdo? Non poteva essere serio. Ma gli Shadowhunters conoscevano questo
D’Amico, e lo capii dall’espressione preoccupata di Alec e di Carl.
«Come facciamo?» chiese Alec. «C’è un modo per non aiutarli e salvare Onny?»
Carl assunse un’aria pensierosa.
«Chris D’Amico è ricco sfondato, e spesso i soldi sono più potenti delle nostre
rune. Salvare Onny senza arruolarsi nel suo esercito di criminali è
impossibile»
«Carl non possiamo davvero farlo! Siamo Nephilim, abbiamo il sangue dell’Angelo
nelle nostre vene! Come possiamo pensare anche solo minimamente di collaborare
con un criminale mondano!?» obiettò Alec, alzandosi in piedi. Carl si passò una
mano sulla faccia.
«Troveremo il modo di salvare Onny senza uccidere nessuno» replicò.
«Sì, certo. È un mondano, ma non è idiota. Libererà Onny solo dopo aver ucciso
il suo nemico e noi non possiamo permetterci di uccidere mondani. Siamo al
servizio dell’Angelo per proteggere la gente dai demoni e dai Nascosti
pericolosi, per Raziel!»
«Alexander, forse non ti è chiara una cosa» mormorò Carl. Sembrò fare uno
sforzo immane per contenere la rabbia. Fece un respiro profondo. «Lì c’è mio
figlio». Lo disse con un tono di voce basso ma tagliente come lame.
Alec fece un passo indietro. Si rabbuiò in viso, e si risedette.
Carl abbassò le spalle e chinò la testa.
«Credo che sia meglio pensare un po’ a ciò che ha detto D’Amico»
Alec annuì.
Un attimo dopo squillò un cellulare. Carl prese il proprio telefono e aprì il
nuovo messaggio. Sbiancò in viso. Deglutì. Poi lesse il messaggio. Incredibile
come poche parole possano avere effetti peggiori delle armi. Me ne rendevo
conto solo adesso, dopo anni e anni di libri e temi scolastici.
«Abbiamo tre giorni di tempo per decidere».
«Ricapitolando» dissi. «Dobbiamo arruolarci anche noi
nell’esercito di D’Amico per avere maggiori possibilità di salvare Onny e
mentre noi mostriamo i nostri straordinari poteri di semidee voi salvereste
Onny. Tutto questo mentre saremo circondati da supercriminali armati fino ai
denti».
«Esatto» rispose Viktor. «Oppure, se preferisci, gli fai uno spogliarello. Così
si distrae meglio»
Afferrai un cuscino dal divano e glielo lanciai addosso. Il
ragazzo lo afferrò al volo, con velocità e grazia. Ma ero io ad avere problemi
oppure ero davvero circondata da gente elegante nei contesti più improbabili?
Prima Eles e la sua bellezza che non risentiva di sudore e stanchezza, poi Teri
e la sua classe anche nell’arrabbiarsi e adesso anche questi Cacciatori
disinvolti e garbati anche nel lanciarsi cuscini addosso. Scossi la testa per
scacciare quel pensiero fuori contesto.
«Qui non abbiamo poteri straordinari. Il mio potere è l’intuito,
l’intelligenza, ma questa roba risulta spesso noiosa ai mortali. L’unica cosa
straordinaria che ho, forse, è il mio arco. Ma è una scusa troppo debole per
distrarli, non li distrarrei per più di cinque minuti»
«Invece, Eles e Ria? Che poteri hanno?»
«Ria ha la sua borsa che contiene un sacco di roba. Al Campo
si dice che ci siano anche armi donatele da Chirone da usare in momenti di
massima emergenza. Eles ha la sua abbronzatura e, anche lei, il suo arco»
spiegai.
«Bè, ricciolina, ti conviene organizzare una bella conferenza sulle armi»
commentò Jace. Alzai gli occhi al cielo, mordendomi la lingua per non
ribattere. Ero una ragazza orgogliosa, e se fossi stata dell’umore giusto gli
avrei anche risposto per le rime. Ma non era quello il caso.
«Oppure» ripresi. «mi conviene andare al Campo Mezzosangue, reclutare un figlio
di Efesto bravo con il fuoco, una figlia di Afrodite che usi la tua lingua
ammaliatrice e il gioco è fat-»
«Okay, okay, frena» mi interruppe Hen. «Lingua ammaliatrice? Afrodite? È
proprio la dea dell’amore?»
Che razza di domanda idiota!
«No, è la cassiera del supermercato sotto casa. Certo che è proprio lei! Alcune
dei suoi figli hanno il potere di ammaliare la gente solo parlando»
Più scoprivano cose nuove sul mio mondo, più gli Shadowhunters sembravano
estasiati. Essere mezzosangue non era così bello come credevano. Era una vita
difficile quanto la loro, e non c’era nessuna runa ad aumentare le nostre
potenzialità.
Tuttavia, anche il loro mondo era affascinante. Quando era arrivata
all’Istituto la madre di Eles, Angelina, e aveva convocato la propria figlia
nel suo ufficio, ero rimasta sola con Alec. Ria e Carl stavano cercando insieme
una stanza vuota in cui sistemare due letti in più, uno per me e l’altro per
Eles. Ria avrebbe dormito con il padre. Angelina, non facendo vivendo
all’Istituto non aveva una camera propria da condividere con la figlia.
Alec mi aveva appena fatto una domanda su che tipo di armi usassimo noi semidei
quando era stato chiamato da una ragazza dai capelli neri e la carnagione
olivastra, probabilmente la sorella.
Così ero rimasta sola in quel piccolo ufficio. Avevo preso uno dei libri che
c’era sulla scrivania e avevo iniziato a sfogliarlo. Era il Codice degli
Shadowhunters, con le rune, la demonologia e i vari tipi di Nascosti, ovvero le
fate, gli stregoni, i vampiri e i lupi mannari.
Avevo scoperto un sacco di cose interessanti. Leggere è una distrazione
efficace, arricchisce e soprattutto rilassa. Purtroppo la calma e la
tranquillità erano durati troppo poco.
Jace aveva spalancato la porta, aveva chiesto di parlarmi. Così avevo
appoggiato il Codice sulla scrivania e l’avevo seguito in un’altra stanza.
Prima avevamo fatto due chiacchiere sui nostri mondi, poi mi avevano proposto
il piano per salvare Onny.
«Come fate a sapere...» avevo fatto per chiedere, ma Viktor e Hen mi avevano
spiegato di aver sentito tutto ciò che era successo nell’ufficio.
Da come mi parlavano avvertii un rapporto di stima che si stava creando.
Sentivo che loro mi temevano, anche se in parte, perché ero per metà dea. E io
ero intimidita davanti a loro, perché...bè, quale ragazza di quindici anni non
lo sarebbe davanti a dei ragazzi alti, muscolosi e tatuati?
Ma non era un punto di svantaggio, anzi. Secondo me sarebbe stato il punto d’unione
per una collaborazione. Così, decisi di parlare e sputare il rospo.
«La ragazza con cui ho un legame empatico, Teri, figlia di Persefone, è stata
rapita quest’estate» iniziai. E così raccontai la storia di Ludkar, il Nocturno
(ovvero una specie di vampiro), e della sua rivalità con Teri, del giorno in
cui una cornacchia aveva lasciato vicino al falò del Campo la treccia nera
insanguinata di Teri e un laccetto nero con le perline dorate, l’arma della
ragazza. Parlai dell’evoluzione del mio rapporto con la figlia di Persefone.
Spiegai che fino al giorno del suo rapimento tutti la credevano figlia di Ade.
Chiarii la faccenda del legame empatico e dei sogni su di lei che io aspettavo
di avere ogni notte, ma che non arrivavano mai.
I ragazzi mi ascoltarono senza fiatare. Quando ebbi finito calò un silenzio
tombale. Fu Jace a interromperlo.
«Siete come me e Alec, quindi».
«Ovvero?»
«Siete parabatai. Bè, non è proprio la stessa cosa. Ma potreste esserlo»
«Parabatai...É un termine greco...Dovrebbe essere un soldato affiancato da un
auriga, no?»
«Sì, ma nel nostro linguaggio sono due guerrieri che agiscono in coppia e che
giurano protezione a vicenda»
«So che è viva, perché altrimenti morirei anch’io. So che Ludkar è con lei, so
che è disarmata, so che è ferita. Se essere parabatai mi farebbe sapere
qualcosa di più...»
«No, ne dubito. E per diventare parabatai lei deve essere qui, con te. Non puoi
compiere il rituale parabatai da sola» rispose Viktor.
«Ti aiuteremo a trovarla, Mel» disse Alec, entrando nella stanza.
«Hai origliato?» domandò Jace.
«Non ho origliato. Ero sulla soglia, ma voi non ve ne siete accorti»
«Grazie Alec» mormorai. Hen si alzò in piedi e si stiracchiò.
«Bè, direi che questa missione era quello che ci voleva per movimentarmi la
vita» commentò. «Vado a dormire, sono distrutto».
«Buonanotte» risposi. Poco dopo anche Viktor lo seguì.
«Mel, ero venuto a dirti che la stanza tua e di Eles è pronta. Puoi andarci
quando vuoi. Ti abbiamo lasciato anche degli asciugamani e dei vestiti puliti,
così puoi farti una doccia» disse Alec. «Io vado a farmene una, a proposito.
‘Notte Jace». Poi si avvicinò a me e appoggiò una mano sulla mia spalla.
«Dormi bene, d’accordo? Credo che domani sarà una giornata impegnativa» disse,
sorridendomi e guardandomi con la sua espressione gentile.
«Grazie, davvero, Alec. ‘Notte»
Il ragazzo sorrise e andò via.
«Già. Domani entrerò nel mondo dei semidei greci!» esclamò
Jace, con finto entusiasmo.
«Non vi sto obbligando» replicai. «Sentivo che dovevo parlarne con qualcuno più
esperto di me nel combattere».
«Quale onore!» disse Jace, con enfasi. «La figlia della dea della strategia
militare ci dice che siamo più esperti di lei nel combattere! Sono lusingato,
ricciolina»
«Bè, è la verità» borbottai.
Jace rise. «Tranquilla, mi piace scherzare con te. Sono davvero lusingato e
conoscere il vostro mondo di persona sarà una bella esperienza. ‘Notte».
Aggrottai la fronte. Da quando era gentile? Avevo passato praticamente l’intero
pomeriggio con lui e mi aveva sempre risposto male e non c’era stata nemmeno
una parola non farcita di sarcasmo.
Entrai nella stanza che Alec mi aveva indicato. Era piuttosto piccola. Al
centro c’erano due letti, sopra ognuno di essi un paio di asciugamani e dei
vestiti puliti piegati con cura.
Una piccola porta sulla destra era spalancata, mostrando un
piccolo bagno. Decisi di farmi una doccia, prima che Eles prendesse possesso
del bagno.
Mentre l’acqua scorreva via dal mio corpo, trascinando con sé sporcizia e
sudore, mi ritrovai a pensare a quel pomeriggio singolare. Ero certa che quella
notte sarebbe stata piena di volti nuovi, mostri, demoni, lame angeliche e
libri di Shadowhunters, ma ancora niente Teri.
Indossai il pigiama e asciugai i capelli alla bell’e meglio.
Quando tornai in camera, la stanza era ancora vuota. Feci spallucce.
Probabilmente Eles stava ancora parlando con la madre. Non avevo intenzione di
aspettarla.
Così mi infilai sotto le lenzuola, appoggiai la testa sul cuscino, mi assicurai
che la mia arma, Oxypetes, camuffata ad elastico fosse ben stretta al mio
polso. Infine spensi l’abat-jour posizionata sul grazioso comodino tra i due
letti.
Ero già stata lì, in quel
mare di cenere. Il cielo sopra di me era bianco sporco, con delle crepe. Una
luna nera in quel cielo, come un occhio malvagio, era ciò che mi aveva
inquietata sin dalla prima volta in cui ero stata lì. Era il Cinerarium, il
luogo in cui finivano le anime in coma, gli oggetti bruciati o i Nocturni
infilzati da qualcosa, il luogo tra la vita e la morte. Ma c’era qualcosa di
diverso. Tutto sembrava più irreale, più confuso.
Dietro di me si ergeva un palazzo enorme, grigio e sgretolato. Un battito
d’occhi dopo vidi l’ultima persona che mi aspettavo di vedere. Ludkar era in
piedi vicino alla porta di una cella. I suoi capelli rossi facevano da cornice
sanguinante attorno al suo volto.Non
poteva vedermi, evidentemente. Aprì la porta e lo seguii all’interno della
stanza. Per poco non mi sentii mancare, anche se avevo capito che mi trovavo in
sogno.
Teri era stesa per terra, i capelli spettinati e arruffati e il viso sporco di
nero. Si copriva gli occhi con le mani e tremava.
«Alzati» sbottò Ludkar. Teri emise un sospirò tremolante. Avrei voluto urlare,
piangere e picchiare Ludkar. Quella non era la Teri forte che conoscevo. Era il
suo fantasma.
La ragazza si alzò a fatica. Le occhiaie sotto i suoi occhi erano così nere da
fare invidia ai suoi capelli.
Ludkar la guardava con sguardo glaciale. Non provava nemmeno un minimo di pietà
per quella ragazza così debole? Era completamente disumano.
«Stanotte hai urlato di nuovo» disse il Nocturno. «Sempre gli stessi nomi»
Teri non alzò neanche lo sguardo.
«Ho riconosciuto la maggior
parte dei nomi che hai pronunciato. Ria, la ragazzina che ha un’aria non meno
truce della tua. Poi Eles, l’abbronzatissima, Niall, la capra, Nico e Gregor, i
tuoi pallidissimi fratellini. Chirone, quel disgustoso ibrido di umano e
cavallo. Ah, poi la mia preferita. Mel, l’adorabile ricciolina figlia di
Atena». Sentii un brivido correre lungo la mia schiena e la mano prudere per
sfoderare l’arco. Quella creatura mi provocava solo ribrezzo. Ludkar prese
delicatamente la mano di Teri e la fece sedere su una brandina. Avvolse un
braccio intorno alla spalla della ragazza, le scostò una ciocca di capelli e le
accarezzò una guancia.
«Ma dimmi un po’, chi è
questo Leo?» chiese Ludkar, con voce simile ad un coltello ricoperto di miele.
Una lacrima rigò la guancia di Teri. Poi alzò lo sguardo e mi guardò dritta
negli occhi. Disse una sola cosa prima di svanire: «Scappa».
Mi risvegliai di soprassalto. La luce dell’alba filtrava dalle
tendine davanti alla finestra della camera. Ricordai dov’ero e sentii il cuore
sprofondare.
Eles era nel letto vicino al mio e respirava regolarmente.
Teri mi aveva chiamata. Era riuscita a stabilire un collegamento tramite i
sogni per farmi sapere come stesse e soprattutto dove fosse. Ciò significava
che quei lividi, quei capelli spettinati e quel tremolio costante erano reali.
Teri aveva paura ed era completamente sola e abbandonata ai suoi incubi nel
Cinerarium. Ed essendo quel posto una vibrazione diversa della realtà aveva
fatto fatica a stabilire un collegamento.
Sapere dove fosse, però, non semplificava molto le cose. Come raggiungerequel posto e soprattutto, come andarsene?
Ma neanche starmene con le mani mano era d’aiuto. Era il momento d’agire.
Salveee! Perdonate il ritardo, se non fosse stato
per Maia_Auro (passate
dalla sua ff che non ve ne pentirete) che mi ha ricordato oggi di postare, me
ne sarei probabilmente ricordata la prossima settimana.
Spero che finora sia stato tutto chiaro e mi auguro che la lettura resti
comprensibile nonostante adesso dovrò gestire un crossover su ben tre libri e
un film. Fatemi sapere cosa ne pensate e a presto!
Questa
storia appartiene ad una serie. Prima di questa fan fiction che tu, amato
lettore, stai per leggere, ce n’è un’altra. Se l’hai letta, prego, continua
pure a leggere e grazie per aver voluto leggere il sequel. Se non l’hai letta e
non ti interessa nemmeno, continua pure e buona lettura, ma ti avverto: non ti
garantisco che tu possa capire proprio tutto perché non so se sono stata
abbastanza brava a fare in modo che tu capissi lo stesso, (dovrai dirmelo tu)
ma ti assicuro che ho fatto del mio meglio.
Lettore avvisato, mezzo salvato.
Se invece vuoi scoprire cosa è successo prima perché non vuoi fermarti durante
la lettura e domandarti “Ma di che Ade sta parlando?” clicca qui.
Capitolo
5
ELES
Quando aprii gli occhi il cielo era azzurro pallido. Ricordare
il motivo per il quale non ero né al Campo e né a casa mia mi fece tremare. La
consapevolezza degli ultimi avvenimenti era come una grassa signora che mi si era
appena seduta sul petto.
Il sole era appena sorto. Diedi un’occhiata all’orologio appeso alla parete
opposta e vidi che erano le sette e dieci. Mi girai pigramente dall’altro lato
e mi accorsi che Mel non era nel suo letto. Probabilmente era già andata a fare
colazione.
Scostai le coperte e mi alzai, stiracchiando la schiena e le braccia. Mi avviai
in bagno sbadigliando, ma quando feci per aprire la porta trovai Mel seduta per
terra, intenta a scrivere qualcosa su un quadernetto dalla copertina blu.
«Ehm, buongiorno» dissi.
«Uhm, ciao!» esclamò. Diede un’occhiata fuori e spalancò gli occhi. «Santa
Atena, che ore sono?»
«Le sette e dieci»
«Oh miei dei! Sono stata qui per più di un’ora! Devo assolutamente sbrigarmi»
scattò in piedi e uscì dal bagno.
«Posso sapere cosa hai fatto nel bagno per più di un’ora?» domandai, mentre
cercava qualcosa nella stanza.
«Ho chiamato mio padre con l’iPhone e poi ho preso qualche appunto sul sogno
che ho fatto stanotte. Ne parliamo a colazione, però»
Qualcosa mi diceva che quel sogno riguardava Teri.
«Sicuro» dissi. «A dopo».
La cucina non era così affollata come lo era al Campo. Intorno
al tavolo erano seduti Viktor, Jace, Ria, Mel e mia madre. Quella scena era
così strana. C’erano le mie tre vite unite. La prima, rappresentata da mia
madre, ovvero la vita in cui ero una normale adolescente americana che andava a
scuola e veniva corteggiata dagli idioti. La seconda, rappresentata da Mel e
Ria, la vita della figlia di Apollo. E infine la terza, rappresentata dagli
Shadowhunters, quella in cui ero una cacciatrice di demoni.
Il problema era doverle vivere tutte e tre. Il giorno prima mia madre mi aveva
spiegato tutto.
«Ho capito che evitare il tuo lato Shadowhunter è inutile. I pericoli di questo
mondo verranno sempre a cercarti e non posso permettere che tu ti trovi di
nuovo impreparata. Viktor è capitato lì in tempo, ma se avesse ritardato solo
di qualche minuto ora non saresti davanti a me». L’aveva detto con voce
risoluta. Capii che mia madre aveva già capito che un giorno sarebbe potuto
accadere. Aveva già accettato la mia morte, ma i suoi occhi sembravano
soffrire. Ero più potente di una normale Shadowhunter e anche di un semidio
qualsiasi, ma questo mi esponeva a più pericoli, quelli di entrambi i mondi.
«Quindi? Cosa devo fare? Studiare qui all’Istituto?» avevo chiesto. Mia madre
aveva scosso la testa, sorridendo.
«Sei già preparata. Devi solo prendere le rune».
L’idea di tatuarmi non mi allettava, ma era una forma di
protezione come un’altra.
Mia madre mi sorrise dall’altro capo del tavolo.
«Buongiorno tesoro» disse. Ora che eravamo all’Istituto mostrava i Marchi senza
problemi. Di solito tendeva a nasconderli. Ora capivo che non era mai stata una
poliziotta. Mi aveva raccontato balle per quattordici anni, ma non riuscivo ad
odiarla. Era mia madre e nei suoi occhi leggevo sofferenza, nonostante il suo
egoismo nel volermi escludere dal suo mondo.
«Buongiorno» risposi, sedendomi tra lei e Mel.
«Bene» disse Mel. «Ora che ci siamo tutti, posso dirvelo»
«Oh, cominciamo bene la giornata» borbottò Jace.
Mel lo ignorò.
«Stanotte ho sognato Teri» annunciò.
Lo avevo già intuito, ma saperlo accese una nuova scintilla di speranza.
«Come sta?» chiedemmo in coro io e Ria.
Mel scosse la testa. «Male, ma resiste». Le tremava appena la voce.
«Dov’è?» domandò mia madre. Evidentemente sapeva già tutto.
«Nel Cinerarium. Avevamo, ovviamente, capito benissimo. Ludkar l’ha rapita. E
si concede anche il lusso di fare il lurido con lei»
«Che schifo» disse Ria, disgustata. «Dobbiamo raggiungere quel posto al più
presto e salvarla»
«Dobbiamo parlarne con Chirone» replicò Mel. «E il Cinerarium non si
“raggiunge”. È una vibrazione della realtà differente dalla nostra, non un
castello da trovare grazie ad una mappa».
«Mi stai dicendo che non possiamo salvare Teri?»
«No. I Crepuscolari lo raggiungono grazie all’iris. Troveremo il modo anche
noi. Voi due siete mezze dee e mezze Shadowhunters, è praticamente impossibile
che non possiate accedere ad un luogo di cenere» intervenne Viktor.
«E tu come le sai queste cose?» chiese Jace.
«Mi sono informato. Ho intenzione di salvare questa figlia di Persefone. Anche
se non l’ho mai vista, mi sembra la donna ideale per me»
«Ha il ragazzo» intervenne Ria. «Mi dispiace deluderti. Anzi no, non mi
dispiace». Viktor e Ria si scambiarono un’occhiataccia. Quella ragazza aveva
gusti difficili in fatto di ragazzi.
«Teri avrebbe saputo come raggiungere il Cinerarium» disse Mel, sospirando.
«Devo cercare di contattarla di nuovo tramite sogno. I messaggi Iride sono
praticamente inutili. È in un’altra vibrazione della realtà, il contatto è
praticamente impossibile»
«Quanto potrebbe volerci?» domandò Jace.
Mel scosse la testa, sconsolata. «Lei per contattare me ci ha messo più di due
mesi. Non so quanto mi ci vorrà»
«Magari il collegamento è già stabilito e ci vorrà meno del previsto» disse mia
madre.
Mel annuì. «Già, è probabile».
In quel momento entrò Carl nella cucina.
«Buongiorno a tutti!» esclamò, sorridendo. «Oggi è una giornata speciale per
te, Ria, tesoro. E anche per te, Eles»
«Perché?» chiese Ria. In effetti volevo saperlo anch’io.
«Come, Angelina non ve l’ha detto?»
Mia madre scosse la testa.
«Me ne ero quasi dimenticata a causa della faccenda della figlia di Parsapede»
«Persefone» la corressi.
«È lo stesso. Comunque, ciò che dovevo dirvi è che oggi prenderete i Marchi. Ho
già chiamato i Fratelli Silenti. Nel frattempo vi insegnerò a maneggiare le
lame angeliche».
Carl e mia madre condussero me e Ria per alcuni corridoi che non avevo avuto
occasione di visitare. Arrivammo finalmente in una stanza. Guardandomi intorno
vedevo solo armi di tutti i tipi e dimensioni e pesi, elastici, corde per
l’allenamento.
«Ricordate che qualsiasi cosa può trasformarsi in un’arma quando siete in
pericolo. Dovete essere capaci di uccidere un demone anche quando perdete
l’arco o il coltello» spiegò Carl.
«Oggi vorremmo vedere ciò di cui siete capaci, per scegliere le rune che potete
già prendere e quelle per le quali bisogna aspettare ancora qualche anno.
Sappiamo che potreste già prendere molte rune perché siete praticamente pronte,
però è meglio essere prudenti in queste cose in cui c'entra la magia» proseguì
mia madre. «Ah, e consegnateci le vostre armi da semidee»
«Perché?» chiesi immediatamente, portandomi automaticamente una mano al
passante in cui tenevo il mio arco chiuso a cilindro.
«Tranquilla, tesoro.» disse mia madre, sorridendo. «Le modificheremo in modo
che vengano aggiunte le rune. Così potrete usarle sia contro i mostri sia
contro i demoni»
«Come fate ad aggiungere le rune su ogni freccia che mi servirà?» chiesi. «E
come fate a sapere che le rune non annulleranno il potere del bronzo celeste?»
«Già. Probabilmente le rune annulleranno il veleno della lama del coltello di
Ethan» aggiunse Ria.
«Ragazze, credete seriamente di essere le prime ed uniche semidee Shadowhunter
della storia? È raro, certo, ma si sono già fatti i primi esperimenti e le rune
non entrano in conflitto con il bronzo celeste e con il ferro dello Stige,
anzi, rendono le armi più potenti, ricercate e invidiate» disse Carl. Suonava
convincente. Effettivamente gli Shadowhunter erano ovunque nel mondo e gli dei
dell’Olimpo si trasferivano spesso, quindi non era affatto improbabile.
Sospirai.
Sfilai il cilindro dal passante e glielo consegnai. Ria diede al padre il suo
coltello.
«Ehm, sarebbe meglio se aprissi già l’arco. Io non saprei come fare» disse mia
madre.
«Oh, giusto». Feci per riprendere il cilindro d’oro per aprirlo, ma non fu
necessario. L’arco si spalancò in tutto il suo splendore nella mano di mia
madre mentre io stavo ancora per tendere la mano.
«Oh santo Raziel! Non è divertente aprire le armi telecomandate nelle mani
delle proprie madri» mi rimproverò.
«N-non sei stata tu? Credevo che...Io ho bisogno di toccarlo per poter...Chi
Ade è...». Non riuscivo a completare le frasi. Era assurdo.
«Quest’arco è potente, signorina. Evidentemente stai cominciando a manovrarlo
meglio»
«Bè, meglio, no?» disse Carl. «Ria, tesoro. Lasciami anche lo scudo. Potrebbe
tornare molto utile uno scudo resistente al veleno di demone.»
Ria annuì rassegnata e afferrò dalla sua borsetta il disco di bronzo decorato e
lo aprì con un leggero scatto del polso. Ricordai le prime volte che cercava di
aprirlo senza cadere e prendeva le rincorse da almeno due chilometri prima.
«Bene. Io traccio le rune su queste armi. Non ci vorrà molto, ma tu inizia a
spiegare loro come funzionano le spade angeliche» disse Carl a mia madre.
Mia madre annuì, sorridendo, mentre Carl lasciava la stanza. Non ero una figlia
di Afrodite, quindi non ero particolarmente esperta, ma mi sembrava che tra
quei due ci fosse qualcosa. Lo speravo, perché dopo essere stata piantata in
asso da un dio dell’Olimpo ed essersi ritrovata una bambina con dei superpoteri
tra le mani, mia madre non doveva essere stata felicissima.
Mia madre afferrò una spada sottile e lunga quanto il suo braccio.
«Ogni spada angelica ha il proprio nome, corrispondente ad un angelo. Sono armi
potentissime, e la sola luce fa male agli occhi dei demoni. Immaginate
infilzarli con un’arma del genere. Per voi non sarà difficile manovrarle,
quindi salto la parte della tecnica» spiegò. «Una sola raccomandazione: mai
chiamare una spada Raziel»
«Cosa succederebbe?» chiese Ria.
«Non vuoi saperlo davvero, fidati». Niente di buono, ovviamente, ma meglio
rimanere nell’ignoranza in certi casi.
«Si chiama Lelahel» mi informò mia madre, porgendomi la spada. La presi con le
mani tremanti. Non capitava certo tutti i giorni di prendere una spada con il
nome di un angelo.
«Lelahel» sussurrai e la spada prese
vita. La luce era bianca tendente all’azzurro. Non avevo mai visto qualcosa di
così bello.
All’improvviso non tremavo più. Mia madre porse un’altra spada a Ria.
«Questa si chiama Sitael». Ria l’afferrò senza timore.
«Sitael» la chiamò, e la spada si
illuminò. Mi sentii scoraggiata. Non era la prima volta che avevo un modo
diverso di affrontare una situazione difficile. Prima di partire per l’impresa
l’estate precedente Mel, Ria, Teri e io andammo da Chirone. Le altre tre erano
sicure, o almeno, lo sembravano. Mel aveva la saggezza per saper affrontare
l’impresa e ponderare le sue scelte, Ria aveva l’agilità e la furbizia
necessarie per tornare vincitrice, e Teri aveva la forza sia fisica che mentale
per affrontare qualsiasi cosa. Io cos’avevo? Una bella tintarella, una bella
voce e un talento per gli acquerelli. Poi durante l’impresa avevo cambiato
idea. Avevo contribuito anch’io, ma la mia insicurezza non era mai svanita. A
cosa serviva essere bella? Avrei venduto volentieri la mia abbronzatura pur di
avere la sicurezza che Ria aveva nel maneggiare quella spada angelica. Aveva
afferrato l’arma con tranquillità, come se fosse una barretta di cioccolata
fondente.
«Ora che avete le vostre spade, provatele contro un fantoccio. State attente,
non sono spade facili da maneggiare»
«E poi che facciamo?» domandò Ria.
«Poi ve lo spiego» replicò asciutta mia madre.
Ria si avvicinò con passo sicuro ad un fantoccio e cominciò a menare fendenti.
Feci un respiro profondo e la imitai.
Affondai la lama nel manichino con tutta la forza che avevo. La lama brillò
leggermente durante l’affondo. Girai su me stessa e sfilai la spada, per poi
menare fendenti sibilanti e squarciando la stoffa del fantoccio.
Le piume svolazzavano lente sul pavimento, sui miei vestiti e sulle scarpe, ma
non ci prestavo attenzione. Quelle poche mosse che avevo fatto con la spada
angelica mi erano costate una fatica enorme. Bella semidea che ero. Neanche
capace di maneggiare una spada.
Dopo aver preso un respiro profondo, ricominciai. Se la prima volta mi era
sembrato faticoso, questa volta mi sembrò uno sforzo immane.
Lanciai un’occhiata a Ria e anche lei, dopo appena mezzo minuto che ci stavamo
allenando era affaticata e aveva il fiato grosso. Ad un tratto mi sentii
sbalzata all’indietro e chiusi gli occhi d’istinto. Non sbattei contro il muro
grazie a due braccia forti che mi avevano afferrata in tempo.
«Oh miei dei!» esclamai. Aprii gli occhi e vidi gli occhi azzurri e il sorriso
rassicurante di mia madre.
«Tranquilla, tesoro» disse. «Non è successo niente».
Mi rialzai e mi massaggiai il polso.
«La spada...» mormorai, con voce soffocata. Quel colpo era stato forte.
«Ti ha rifiutata» disse mia madre.
«Le spade possono rifiutare?» domandò Ria, fermandosi dal menare fendenti.
Quell’attimo di distrazione per poco non costò caro anche a lei.
Un lampo si scatenò dall’elsa della spada e Ria la lasciò prontamente. La spada
cadde a terra, spegnendosi e producendo un rumore metallico.
«Okay, mi rispondo da sola. Le spade possono rifiutare e direi che sono anche
piuttosto suscettibili».
Ero al centro della stanza semibuia. Avevo il fiato corto e
sentivo un nodo allo stomaco. Non ero nemmeno riuscita a pranzare. L’unica cosa
a cui riuscivo a pensare erano le Rune. I Marchi angelici. Non volevo
prenderli. Assolutamente no. Ora che mi ritrovavo nel momento di prenderli mi
rendevo conto di quanto non appartenessi a quel mondo. Volevo tornare al Campo.
Due Fratelli Silenti entrarono nella stanza. Indossavano abiti color pergamena
con dei cappucci a coprire il volto.
Viktor me ne aveva parlato, ma vederli dal vivo era tutta un’altra cosa.
Ria fu la prima. Nel frattempo io mi allontanai e cercai di calmarmi bevendo un
po’ d’acqua.
Il fratello Silente le si avvicinò e prese lo stilo. Quando parlò fu come se
parlasse direttamente nella mia testa e mi chiesi se stesse parlando solo con
me. Ciao, piccola Blueway. Sono fratello
Enoch. Ria sorrise.
«Salve» Inizieremo con la Runa della Vista. Sei
pronta? Ria annuì e porse la mano a Fratello Enoch che prese lo stilo con le mani
bianche e affusolate e iniziò a disegnare spirali nere. Proseguì con la Runa
della Velocità, Forza, Abilità, Coraggio, Potere Angelico.
Sul viso di Ria non vidi altro che fierezza. Puoi andare.
«Grazie Fratello Enoch» disse la ragazza e mi raggiunse, sorridendo. Sembrava
che si fosse fatta i tatuaggi che voleva farsi da un vita.
«Fa male?» chiesi.
Ria scosse la testa.
«Nah, pizzica un po’ ma niente di che». Mi diede una pacca sulla spalla e mi
alzai. Raggiunsi il centro della stanza e feci un respiro profondo. Ciao, Eles.
Il suo strano modo di parlare mi fece indietreggiare. Poi aveva le orbite vuote
e il viso pieno di cicatrici. Era inquietante.
«Uhm, salve» mormorai, mentre portavo già una mano alla cintura. Poi mi
ricordai che l’arco ce l’aveva mia madre per farci applicare delle rune. Non temere, piccola Nephilim. Le Rune
fanno già parte di te, non ti faranno del male, anzi. Potenzieranno ciò che sai
già fare.
Riuscii solamente ad annuire.
Come sempre, la prima è quella della Vista.
Porsi la mano, e mi accorsi di stare tremando. Fratello Enoch
l’afferrò con fare deciso e appoggiò la punta dello stilo sul dorso.
Sentivo il cuore battermi forte in gola. Sentii pizzicare leggermente e in quel
momento Fratello Enoch sollevò lo stilo e lasciò andare la mano.
Mi guardò, scuotendo la testa.
«C-che s-succede?» balbettai. Non puoi prendere i Marchi se non li
senti tuoi. Non sei pronta.
Sentii qualcosa di freddo bagnarmi la faccia. Aprii gli occhi
di scatto e mi accorsi di avere il viso bagnato e anche buona parte della
maglietta. Alzai lo sguardo e c’era Jace davanti a
me, con un bicchiere in mano.
«Oh, finalmente! Pensavo fossi caduta in letargo»
«Era necessario bagnarmi la faccia?» sbottai.
«Sbrigati. Dobbiamo andare in missione e servite anche voi. Tieni il tuo
braccialetto» mi lanciò il mio elastico azzurro.
«Oxypetes!» esclamai. «Chi diavolo ti ha dato il
permesso di prenderlo?»
«Carl» rispose semplicemente. «Ora ha anche le rune, quindi puoi uccidere i
demoni»
«Oh..»
Jace girò i tacchi e fece per andarsene,
ma lo fermai.
«Hey, aspetta!» esclamai. Jace
si bloccò senza voltarsi.
«Suppongo che dovrei ringraziarti» mormorai.
Mi aspettavo che scrollasse le spalle e andasse via senza aggiungere altro, o
sorridesse sornione per poi fare una battuta delle sue. Invece le sue labbra si
piegarono all’insù in un sorriso che mi parve sincero.
«Non c’è di che». Poi andò via.
Mi alzai dal divanetto e andai nella camera che mi avevano assegnato la sera
prima, insieme ad Eles. Mi sfilai la maglietta
bagnata che Isabelle, la sorella di Alec, mi aveva prestato per dormire e
indossai la mia maglietta del Campo. Mi sentivo molto più a mio agio
nell’arancione che nel nero dei Nephilim.
Capii che per Ria fosse l’esatto contrario quando la vidi
entrare nella camera con indosso un completo nero. Intorno alla vita c’era una
cintura in cui erano inseriti dei coltelli con le rune incise sopra, più il suo
coltello avvelenato e qualcosa che assomigliava vagamente ad una penna. Poi mi
accorsi che sulla sua pelle c’erano dei segni neri.
«Le rune» mormorai, indicando il suo collo e le sue braccia.
«Già» disse, sorridendo orgogliosa. Ciò che smorzava tutto quel nero era la
bandana rossa che portava per tenere indietro i capelli biondo cenere e la sua
borsa di jeans. Quel nero le donava anche qualche anno in più.
«Anche Eles...?» lasciai la domanda sospesa, incapace
di continuare. Vedere una ragazzina di neanche quattordici anni vestita da
guerriera con quei ghirigori incisi nella pelle mi aveva shockata e non poco.
Ria scosse la testa. «Niente da fare. Il Fratello Silente sentiva che non era
pronta e sarebbe stato troppo doloroso per lei. Credo che la poca forza di
volontà sia pericolosa anche per una discendente di Shadowhunter
come lei. Non è abbastanza convinta della sua origine. Credo si senta molto più
vicina ad Apollo che a Raziel. Si spiega anche perché
la spada angelica l’abbia completamente sbalzata via, mentre a me ha dato solo
una leggera scossa in un momento in cui non ero concentrata»
«Effettivamente voi due mettete a dura prova due culture profondamente diverse»
dissi, obbligandomi a smettere di fissare le rune. Guardare quei segni mi
faceva morire le parole in bocca.
«Già. Però Eles è una tipa intelligente e presto
accetterà entrambi. Oh, bene, vedo che sei pronta. Hen
mi ha detto che Jace ha potenziato il tuo arco con le
rune»
«Sì, tuo padre gliel’aveva ordinato». Mentre parlavo presi un asciugamano e
asciugai alla bell’e meglio i capelli.
«Mio padre? Mio padre non sa nemmeno che quel tuo elastico sia un arma». Mi
tolsi l’asciugamano dalla faccia e fissai Ria per qualche secondo, mentre un
pensiero strano faceva capolino nella mia mente.
«Oh, beh...Quindi...No, è impossibile». Tuffai nuovamente la faccia
nell’asciugamano continuando ad asciugare i capelli.
Ria ridacchiò. «Dai, sbrigati. Dobbiamo andare in missione».
Appoggiai l’asciugamano sul letto e tirai i capelli indietro con un frontino.
«Okay, andiamo».
Le strade della città erano particolarmente luminose quella sera. Non avevo mai
girato molto per Brooklyn negli ultimi mesi.
«Allora, in cosa consisterebbe questa missione?»
«A quanto pare avete bisogno di viaggiare tra mondi paralleli.
Nessuno è più affidabile del sommo stregone di Brooklyn» disse Hen.
«Wow. Sommo stregone. Suona figo» disse Ria.
«Oh, ci puoi giurare!» esclamò Alec. Poi parve rendersi conto di ciò che aveva
appena detto e arrossì violentemente.
«Ehm, cioè...voglio dire, io...»
«Sì, Alec, sappiamo cosa volessi dire» lo schernì Hen.
«Perlomeno Magnus sa che stiamo per imbucarci all’ennesima delle sue feste?»
chiese Viktor.
«Non sarebbe nemmeno la prima volta che succede» replicò Jace.
Jace e Viktor camminavano avanti, subito seguiti da Hen e Alec. Dietro di loro c’eravamo io e Ria. Eles era l’ultima del gruppo. Al contrario di Ria, non
aveva preso le rune e il nero della divisa moriva sulla sua carnagione
olivastra. Ria aveva portamento e sguardo fieri, invece Eles
camminava a testa bassa. Non avevo idea di cosa dirle, quindi preferii tacere
per non peggiorare la situazione.
L’appartamento dello stregone era pieno di strane creature che bevevano roba
altrettanto strana.
«Benvenute nel Mondo Invisibile» mormorò Jace.
«Sono così...» cominciò Ria, cercando la parola. «...strani»
«Loro sono i Nascosti. Stregoni, licantropi, vampiri, fate. Non credo avrete
particolari difficoltà a riconoscerli»
«Sì, ma dov’è lo stregone che cerchiamo?» domandai.
«Non puoi rilassarti un po’? Hai quindici anni, ormai. Sarebbe anche ora di
cominciare a partecipare alle feste» replicò Viktor, porgendomi un cocktail.
Ad un tratto intervenne una voce alle nostre spalle.
«Più che partecipare, direi imbucarsi». Mi voltai di scatto, portando la mano
al polso per sfoderare Oxypetes.
Dietro di noi c’era un ragazzo dai lineamenti orientali, con capelli neri e pieni
di glitter. Mi guardò negli occhi e ne rimasi quasi
incantata. Erano due fessure gialle, come quelle dei gatti.
«Woah, stai calmina.»
disse, indicando l’elastico che stavo per sfoderare. «Sono il padrone di casa»
disse il ragazzo.
«Immaginavo che gli stregoni fossero più...» rispose Ria.
«Con la barba bianca? Bè, non necessariamente. Vedo
due nuovi acquisti, Jonathan». Posò il suo sguardo su di me. «Ops, tre. Ma come mai lei indossa una maglietta arancione e
non ha rune? Nuovo codice di abbigliamento?»
«Ehm, signor Bane» intervenni. «Io non sono una Nephilim. Sono una semidea, figlia di Atena».
«Io e Eles siamo metà Nephilim
e metà dee. Io sono la figlia di Carl Joh- ehm, Blueway.» intervenne Ria, dando una gomitata ad Eles per farle alzare lo sguardo.
«E l’abbronzatissima è figlia di Angelina. E di Apollo» intuì Magnus.
«Come fa a...?» fece per chiedere Eles.
«Hey, sono uno stregone e vivo da molti più secoli di
voi. Crediate che non conosca il Campo Mezzosangue? Non incontro semidei da
parecchio, ma sono piuttosto informato sul vostro mondo»
Gli Shadowhunters parvero impressionati.
«Sì, ma come fa a sapere che mio padre è...» continuò Eles.
Magnus la interruppe con un gesto della mano. «Il tuo arco. La profezia del
figlio di Apollo che doveva ricevere l’arco del padre è stata annunciata da più
di un secolo»
«C’è una profezia su di me?!» la voce di Eles si alzò
di diverse ottave.
Magnus sorrise e scosse la testa. «No» disse, per poi lasciarsi sfuggire una
risatina. «Ce ne sono a centinaia. Un sacco di profezie citano l’arco e il
predestinato figlio di Apollo che lo riceverà e su come distruggerà tutti e ci
salverà blahblahblah. Non vanno interpretate alla lettera». Eles deglutì rumorosamente e abbassò nuovamente lo
sguardo.
«Bene. Ditemi cosa volete, così ve ne andate il più presto possibile»
Alec prese prontamente parola. «Conosci il Cinerarium,
Magnus?»
Lo stregone assunse un’aria pensierosa.
«Cinerarium...Cinerarium...Sì,
certo! È una vibrazione di mezzo tra la vita e la morte»
«Esatto. Abbiamo bisogno di raggiungerlo»
«Volete che vi faccia un incantesimo per finire in coma? Volentier-»
«Veramente» intervenne Alec. «Pensavamo a qualcosa di meno duraturo»
Magnus si fece pensieroso. Poi sobbalzò ricordandosi di qualcosa.
«Seguitemi»
Cominciò a parlottare tra sé mentre ci conduceva in un’altra stanza piena di
libri, ampolle e tessuti pregiati buttati un po’ ovunque.
«I Crepuscolari riescono a...se non ricordo male. Ma sì, dovrebbero...Ma non
credo che ce ne siano...Ma sì che ci sono, i Nocturni
hanno sempre...»
Prese un diario con la copertina di cuoio e cominciò a sfogliare velocemente le
pagine. In quella stanza il rumore della festa veniva soffocato, così scese
presto uno strano silenzio, interrotto solamente dallo scricchiolio delle
pagine. La stanza era piuttosto colorata e disordinata. Rivolsi uno sguardo a Jace che scrollò le spalle e alzò gli occhi al cielo,
mimando “stregone stravagante” con le labbra. Annuii e sorrisi.
«Ecco!» esclamò Magnus, ad un tratto.
Prese un bigliettino dalla scrivania, una piuma e l’intinse nell’inchiostro. Ci
scribacchiò qualcosa, poi lo consegnò ad Alec.
Poi ci spinse via dalla stanza.
«Ora andate, veloci! Ho ospiti, io!»
«Grazie mille, signor Bane» disse Ria.
«Chiamami pure Magnus» rispose lo stregone, sorridendo. Poi ci spinse verso la
porta.
«Grazie per averci aiutati, Magnus!» esclamò Alec, sorridendo. Lo stregone gli
fece un occhiolino che sembrò mandare in brodo di giuggiole il giovane Nephilim.
«Ora andate».
«Dobbiamo andare in una discoteca? Seriamente? La soluzione ai
nostri problemi sarebbe una discoteca?!». Dire che Viktor fosse nervoso era un
eufemismo. Hen faticava a zittirlo.
«Viktor, per l’amor di Raziel, datti una calmata!
Magnus non è uno stregone qualsiasi. Ci sarà pur un motivo se ci ha dato
l’indirizzo del Pandemonium»
Dato che Viktor sembrava intenzionato a strozzare lo stregone, decisi di
intervenire.
«Hen ha ragione» dissi. «In tre mesi di questa storia
» indicai la maglietta arancione. «ho imparato a non sottovalutare niente»
Viktor sbuffò. «Okay, andiamoci. Ma giuro che se è una fregatura, quello
stregone...»
«Okay, ti sei spiegato» lo liquidò Alec.
Il Pandemonium era illuminato da poche luci
psichedeliche. Mi sfuggiva come saremmo riusciti a vederci qualcosa.
«Dunque» disse Alec, urlando alle nostre orecchie «Qui c’è scritto che dovremmo
chiedere di Eder».
«E noi non sappiamo nemmeno se sia un nome femminile, maschile, se sia un
cliente abituale, il dj, un barman...»
«...Una ballerina di lapdance» proseguì Viktor.
Nonostante il semibuio scorsi l’occhiataccia che gli lanciò Hen.
«Okay, meglio dividersi» intervenne Jace. «Girare in
sette in una discoteca non è quello che si dice normale».
Gli Shadowhunters si dissolsero in poco tempo tra la
folla. Mi guardai intorno imbarazzata.
«Okay, Eles, tu sei la più indicata per orientarsi
qui» disse Ria. Eles alzò gli occhi al cielo.
«Il fatto che io sia stata popolare non significa che sia un’esperta di
discoteche» ribatté.
«Sì, ma sei sempre più esperta di noi e soprattutto sembri più grande, quindi
potresti anche avvicinarti al bancone degli alcolici» le urlai all’orecchio. Si
strinse nelle spalle.
«Effettivamente la maglietta del Campo e la frontiera tra i capelli non è che
ti diano esattamente l’aria da ragazza in discoteca» concordò.
Poi sorrise. «Andiamo».
Distrarla dalla storia delle rune non poteva far altro che bene.
Sgomitammo tra i ragazzi che ballavano. Vidi Eles che
diceva qualcosa all’orecchio di Ria, ma non riuscii a percepire niente. Ci
avvicinammo ai bagni.
Ria prese lo stilo dalla cintura e tracciò una runa su una porta.
«Ma questo è...»
«Shh!» mi zittì Ria. «Vuoi farti scoprire?»
La stanza per colori non era molto diversa da quella di Magnus. E nemmeno per
quello che riguardava i glitter. Abiti vistosi, per
ballerine di burlesque, erano appoggiati un po’
ovunque, sulle sedie, sui divani, sulle tolette, sugli stand. L’aria profumava
di cosmetici e di profumi costosi. Per terra c’erano sparse scarpe con tacchi
vertiginosi, insieme a boa di struzzo e guepiere.
«Non riesco a capire cosa centri questo camerino con...»
Eles mi interruppe.
«Siamo riuscite ad entrare in questa discoteca grazie agli Shadowhunters,
ma se vogliamo chiedere di Eder dobbiamo renderci
presentabili. E poi hai sentito che ti ha detto Viktor, prima? Devi imparare a
partecipare alle feste, ormai hai quindici anni!». Così dicendo mi sfilò il
cerchietto dalla testa e mi spinse con una mossa fulminea su una sedia.
Poi afferrò una scatoletta con dentro qualcosa di rosa e armata di pennellino,
cominciò a spalmarmelo sulle guance.
«Non esagerare, però» mormorai, pregando Afrodite di non assomigliare ad un
pagliaccio. Eles sorrise mentre prendeva una
scatolina azzurra e un pennellino più sottile. Scusate il linguaggio poco
tecnico, ma non conosco niente di make-up.
«Zitta e chiudi gli occhi. Ria, tu cercale un paio di scarpe che le possano
andare e un paio di orecchini vistosi»
«E vedo anche di trovarle una collana carina. Tu mettile un bel rossetto, tipo
quelli che mettevi tu l’anno scorso» aggiunse la figlia di Nemesi.
«Brava ragazza. Oh, e non dimenticare una maglietta scollata!»
«Hey
Ria!» intervenni. «Però, non troppo scollata!»
Una volta che Eles mi ebbe messo anche il rossetto,
mi permise di guardarmi allo specchio.
Intorno agli occhi avevo un trucco sulle sfumature del nero e del blu, mentre
il colore sulle guance e sulle labbra era piuttosto naturale. Intorno al collo
avevo un ciondolo argentato. La maglietta che Ria mi aveva scelto non era poi
così scollata, ma piena di paillettes e di un blu acceso, abbinate alle scarpe
dello stesso colore. Non avevo mai visto i miei capelli ricci così perfetti e
vaporosi. Dimostravo almeno un paio d’anni in più.
Quando distolsi lo sguardo dall’immagine nello specchio, vidi che Eles era già pronta. Si era tolta la divisa da Shadowhunter per indossare un vestito bianco. Il trucco era
già perfettamente applicato sul suo viso. Avevo sempre pensato che Ria fosse un
maschiaccio. Invece sapeva esattamente cosa mettersi per non sembrare pacchiana
e darsi qualche anno in più. Eravamo tutte pronte e stavamo per uscire dal
camerino, quando la porta si spalancò.
«E voi chi diavolo siete?!».
Sorrisi per il sollievo, dopo mesi. Ce l’avevo fatta. Avevo
finalmente contattato Mel. Ero spossata e non me ne ero resa conto fino a quel
momento. Contattare la figlia di Atena aveva costituito un obiettivo talmente
fondamentale in quei due mesi da non farmi sentire la stanchezza. Ora che
l’obiettivo era stato raggiunto sentii la fatica investirmi come un carro
armato. Ludkar accanto a me mi aveva appena fatto una
domanda, ma io non ci avevo prestato attenzione. Ero occupata a interrompere la
comunicazione, altrimenti Ludkar si sarebbe accorto
che avevo mandato una richiesta d’aiuto.
«A chi hai detto scappa?» domandò Ludkar, corrugando
la fronte. Diamine. Dovevo inventarmi qualcosa, e alla svelta. Così finsi una
voce fioca e un’espressione triste. Non che fosse poi così difficile, dopo mesi
lì dentro e dopo aver visto tante tragedie messe in scena dai figli di Apollo.
«A me stessa» mormorai.
«Mi dispiace, tesoro. Ma finché tuo padre non si deciderà a lasciarci un pegno,
un segno che non si riprenderà questo privilegio che ci ha donato, io non ti
lascerò andare. E deve lasciarci anche un posto lì giù, negli Inferi. Siamo
suoi pari, deve trattarci come tali.». Peccato che mio padre fosse morto sedici
anni prima. Ade mi proteggeva, ma non ero sua figlia. Ma annuii. Ludkar sorrise.
«Vedo che ragioni, splendore.». Mi scostò una ciocca di capelli e mi soffiò sul
collo. Rabbrividii mentre la sua mano fredda mi afferrava dai fianchi.
«Ludkar!» gridò qualcuno, fuori dalla cella.
«Oh, proprio ora che cominciavamo a divertirci...». Si strinse nelle spalle.
«Se la caveranno da soli».
«Non ora!» gridò di rimando.
Sentii un altro brivido percorrermi la schiena e cercai di trattenere il
tremito che mi aveva colto il labbro inferiore. Cosa diavolo aveva intenzione
di fare? Sentii i sensi alla massima allerta. Fece per avvicinare il suo viso
al mio.
«Ludkar, è urgente!» urlò nuovamente qualcuno. «Si
tratta dell’arma!» Ludkar sobbalzò. Poi mi accarezzò lievemente la
guancia e le nostre labbra si sfiorarono. Chiusi gli occhi istintivamente,
ritraendomi appena, ma la sua era una presa di ferro.
«Mi racconterai un’altra volta di questo Leo» soffiò sulle mie labbra, e feci
in tempo a riaprire gli occhi per vederlo sorridere languidamente. Poi aprì la
porta della cella e andò via.
Mi appoggiai sul cuscino della brandina e vi nascosi il viso. Sentivo la gola
bruciare per le lacrime che volevo versare, ma ormai avevo i condotti lacrimali
consumati. Ero stanca di piangere. Mi consolavo all’idea che fossi riuscita a
contattare Mel. L’avevo vista diversa nel messaggio. Era più magra, si era
sfoltita i capelli e i suoi occhi grigi erano più brillanti. Dopo averla vista,
ne sentii ancora di più la mancanza. Mi accoccolai sotto la copertina ruvida e
cercai di spegnere il cervello e dormire.
Ovviamente il mio cervello non la pensava così, e decise di farsi venire tutti
i problemi in quel momento.
Ripensai a come mi ero salvata dalle mani luride di Ludkar.
L’avevano chiamato per qualcosa...un’arma. L’arma che volevano come pegno da
parte di Ade, certo. Ma perché Ludkar si era
affrettato così tanto?
Mi alzai dalla brandina e mi avvicinai alla porta della cella, sperando di
riuscire a captare qualcosa. Sentivo delle voci, ma erano solo bisbigli
indistinti. Mi mancava quasi quel morto vivente di Jasper, il vampiro che avevo
conosciuto qualche mese prima e che aveva un superudito, per quanto idiota
potesse essere. Morto vivente, ma certo! Avrei potuto evocare un’anima e
chiederle di origliare per conto mio. Alla fine, ero sempre protetta da Ade
come se fossi sua figlia.
Poi la realtà del posto in cui ero mi si spiattellò in faccia come una doccia
fredda. Non potevo evocare proprio nessuno. Ero in un’altra vibrazione della
realtà, ero nel luogo tra la vita e la morte.
Ero già esausta per aver chiamato Mel, una persona viva. Figurarsi un morto,
che vuole l’intero McDonald’s per fare la propria apparizione e quello di cui
disponevo io era solo un pezzo di pane raffermo.
Mi aggrappai alla porta della cella, frustrata.
E poi quelle voci si fecero chiare.
«La ragazza ha scoperto il suo lato di Cacciatrice» disse una voce roca. Non
era quella di Ludkar e nemmeno quella di Kolor. Ma non mi era nuova. «È arrivata da poco
all’Istituto, ma il nostro informatore mi ha comunicato che ha cominciato
l’allenamento, anche se non va poi così bene.»
Poi sentii Ludkar parlare.
«Come sarebbe?»
«Le spade angeliche la rifiutano e lei rifiuta le rune».
Non avevo idea di cosa stessero parlando. Rune, spade angeliche, Cacciatori.
Non potevo essere io. Non mi avevano fatto toccare né spade né rune, qualsiasi
cosa fossero. Forse non ero l’unica ad essere prigioniera.
«Va benissimo invece» disse Ludkar.
«Come sarebbe?»
«Non preoccuparti. Va avanti»
«Sta acquisendo più padronanza dell’arco di Apollo».
Spalancai gli occhi. Esisteva solo un arco che poteva avere quel nome. E
apparteneva ad Eles.
In quei mesi forse aveva scoperto questo suo lato da Cacciatrice con spade
angeliche e rune, anche se io non avevo idea di cosa significasse. Conoscevo
solo le Cacciatrici di Artemide, e nonostante non le avessi mai viste, sapevo
che non usavano spade angeliche e tantomeno rune.
«Tra quanto credi sarà pronta?» chiese Ludkar.
«Basterà farle perdere qualcuno a cui tiene particolarmente. E si consegnerà a
noi» rispose la voce roca.
«E chi sarebbe questo qualcuno?»
«Abbiamo già la figlia di Ade»
«Ma il loro legame non è forte come quello che c’è tra la figlia di Ade e la
figlia di Atena. E sicuramente quella ricciolina impicciona non permetterà a
nessuno di consegnarsi per Teri al posto suo. No, ci
vuole qualcuno di più vicino al cuore della super abbronzata.»
«Ora che mi ci fai pensare ci sarebbe qualcuno».
«Non la madre. Non mi azzarderei mai a torturare
una Shadowhunter esperta». «Già. Maledetti Shadowhunters. Tu
sei stato due settimane in quel Campo. Non ricordi niente?»
«Mh, fammi pensare. Ci
sarebbe questo semidio, James. Anche lui figlio di Apollo e molto affezionato
alla sua sorellina. E a Mel. Oppure Liam, figlio di
Ermes. Ha una cotta seria per Eles.»
«E quale ragazzino non ha una cotta per quella
patetica abbronzatissima?»
«No, e sta proprio qui il bello. Eles sembra ricambiare.»
«Liam, hai detto,
giusto? Bene.»
«Fa' in modo che soffra, ma non ucciderlo fino a
quando Eles non avrà ceduto.» si raccomandò Ludkar.
«Tranquillo, Ludkar.
So come fare».
«Jack, fa' come ti dico e basta. Niente
stronzate». «Okay, capo».
Sentii una sedia spostarsi. Pensai che fosse l'adrenalina a
schiarire i suoni alle mie orecchie. Dovevo avvisare di nuovo Mel. Dovevo dirle
di avvisare il Campo e soprattutto Liam e James.
«Oh, aspetta Jack! Pensavo che potremmo
incrementare la dose per convincere la piccola semidea a schierarsi dalla
nostra parte. E anche Ade a lasciarci il pegno che vogliamo».
«Certo»
«Allora io ti filmerò mentre ti farai una bevuta
dalla pallidina, lassù. È debole. Farle male sarà facile».
Spalancai gli occhi e mi morsi la lingua per trattenere un
urlo.
«E lei com'è?»
«Molto carina, posso garantirtelo».
«Si può fare anche adesso».
«Bene, allora andiamo».
Un’irrazionale paura mi attanagliò lo stomaco e il respiro accorciarsi. Sentii
nuovamente una sedia scostarsi. Tornai subito sulla branda. Non dovevano
pensare che avessi origliato.
Sentii i passi che si avvicinavano mentre avvertivo lo
stomaco stringersi in un nodo. Sulla soglia comparvero Ludkar
e un altro ragazzo sulla trentina. Aveva i capelli lunghi e castani, ricci. Era
quello che mi aveva buttata nella cella, due mesi prima. Aveva la pelle pallida
come quella di Ludkar e gli occhi azzurri come il
cielo. Era leggermente più basso di Ludkar, ma più
muscoloso. Sarebbe stato anche bello se non avessi saputo cosa stava per farmi.
Volevo evocare dei fiori, come mi aveva insegnato Persefone,
per farli inciampare, ma in quel mondo di cenere era impossibile.
«Ora stai tranquilla, bella. Sarà veloce, ma
intenso». E ridacchiò.
Strinsi la coperta in un pugno.
«No...» mormorai. «Per favore, no».
Fu un istante. Jack si avventò su di me e mi bloccò le
braccia al muro.
«Sarà divertente» mi disse, e respirai il suo
alito puzzolente di sangue, spingendo indietro un conato di vomito.
Mi divincolai, ma evidentemente i Nocturni
erano accumunati da una presa di ferro. Tutte le fortune. Cercai di sferrargli
un calcio, ma il suo corpo sembrava fatto di marmo.
«Ferma, ferma. Hai davvero troppa energia.
Dovrei togliertene un po'». I canini spuntarono scintillanti dalle sue gengive. In quegli occhi azzurri fu come se rivedessi la mia
vita. Vidi mia zia, che mi aveva accudita per quindici anni. Ricordai quando
scoprii di essere diversa, di avere poteri, al ballo scolastico e inseguita da
un Ciclope. Ricordai quando creai un collegamento empatico con Mel. Rividi Niall, il mio adorabile satiro e migliore amico, i miei
fratelli Gregor e Nico, gli occhi dolci e multicolore di Persefone,
mia madre. Ricordai i baci di Leo, le sue mani calde, il suo sorriso furbo. Era
finita. Le lacrime scorrevano lungo le mie guance. Il mio ultimo pensiero andò
ad Ade, mio padre. Non lo era davvero, ma restava il mio riferimento. Ero
pronta a morire.
Ma nel momento in cui i canini sfiorarono il mio collo
sentii uno strano calore provenire dai miei piedi. Riaprii gli occhi e vidi che
i miei piedi stavano prendendo fuoco.
«Ma che diavolo succed-»
borbottò Jack, ritraendosi. Le fiamme ai miei piedi si alzarono, avvolgendomi
le gambe.
«Le fiamme nel Cinerarium
dovrebbero essere viola...Tutto questo è..».
Le fiamme, invece, erano stupende, come quelle
che Leo faceva spuntare tra le sue mani. Mi era mancato quel colore.
Ludkar tentò di toccare il fuoco, ma non riuscì nemmeno ad avvicinarsi.
C’era come un campo di forza intorno a me. Mi si tapparono le orecchie. Vedevo
i due Nocturni agitarsi e cercare di spegnere quello
che ormai si stava trasformando in un incendio. Io, invece, ero tranquilla. Il
dolore che mi provocava il fuoco non era insopportabile. Preferivo morire così,
piuttosto che dissanguata e torturata. Basta in quel luogo a metà, tra il mondo
della vita e quello della morte. Dovevo andare e appartenere ad uno solo. Alla
fine, la mia vita non era stata così brutta. Raggiungere Ade non sarebbe
nemmeno stato così male. Le fiamme divamparono e fui completamente avvolta in
una colonna di fumo e fiamme.
Una
ragazza dai capelli bianchi e lunghissimi, che verso le punte divenivano color
biondo cenere, era sulla porta. I suoi occhi erano viola come l’ametista e la
guepiere che indossava era dello stesso colore. Corrugò la fronte.
«Oh, giusto! Voi dovete essere le nuove arrivate»
«Ehm...» fece per dire Mel. «Veramente noi...»
«Sì, so che non siete le spogliarelliste. Quelle sono russe. Siete le nuove
bariste, no?»
«Esatto!» esclamò Eles. «Il capo ci ha detto di
venire a vestirci qui»
«Sì, l’avevo intuito. Comunque io sono una delle ballerine. Mi chiamo Eder»
Spalancammo gli occhi tutte e tre insieme. L’avevamo trovata. Non mi sarei mai
immaginata una ballerina di lapdance, anche se Viktor
lo sperava, ma l’importante era che era lì, di fronte a noi.
«Sì,
molti fanno quella faccia quando sentono il mio nome. Tranquille, niente di
quello che dicono è vero. Ora andate, su, prima che il capo mi rimproveri di
trattenervi». Non avevo la minima idea di cosa si dicesse di Eder, ma in quel momento non avevo intenzione di indagare.
«Ehm, okay. Grazie Eder, ci si vede» dissi io.
Uscimmo dal camerino, fermandoci nell’anticamera prima della sala da ballo.
«Dovremmo dirlo agli altri» disse Mel.
«Sì, facile ritrovarli. Ci sono solo un duecento persone qui!» esclamò Eles.
«Non è difficile. So rilevare la scarsa attività celebrale di Jace anche a questa distanza» ribatté Mel.
La tenda che separava l’anticamera dei camerini e la sala da ballo si scostò
all’improvviso.
Sulla soglia comparve Jace.
«Non è carino parlare alle...» borbottò. Poi spalancò gli occhi. «Wow! Ti sei
cambiata...»
«Sì, le tue colleghe Shadowhunters non volevano che
andassi in giro in una discoteca con la maglietta del Campo e il cerchietto tra
i capelli» Jace annuì, continuando a guardarla insistentemente.
Per poco non gli scoppiai a ridere in faccia.
«Non fissarmi così, idiota. Non ci sono insulti che sopporterò questa sera»
sbottò Mel. Peccato che non si accorgesse che Jace
non la stava fissando per cercare qualche battutina, ma la stava fissando
perché era davvero uno schianto.
«Comunque abbiamo trovato Eder» annunciò Mel. Jace si ricordò di smettere di fissare con sguardo
ebete la figlia di Atena e si diede un contegno.
«Avviso gli altri»
«Okay, noi ti seguiamo» disse Eles.
Rientrammo nella sala da ballo e in quel momento vedemmo salire sul palco Eder. I capelli bianchi fluivano come un’aureola intorno al
suo corpo slanciato. Il pubblico urlò quando entrò. Eder
afferrò il palo con nonchalance e cominciò a muoversi a ritmo di musica. Raggiungemmo
gli altri. Viktor e Hen erano intenti a ordinare
qualcosa, mentre Alec lanciava loro occhiate preoccupate.
«Dovremmo essere sobri per incontrare questo Eder»
urlò per sovrastare la musica.
Viktor ingollò il cicchetto di liquore e lanciò un’occhiata alla ballerina di lapdance.
«Oh, andiamo Alec. Stiamo in discoteca, qualcosa per scioglierci un po’ ci
vuole. Altrimenti ci scambiano per sbirri»
Alec alzò gli occhi al cielo, poi si voltò e ci vide. Ci mise qualche istante
prima di focalizzarci e capire chi fossimo. Eravamo davvero così
irriconoscibili? Forse Mel più di tutte.
«Oh, eccovi» disse.
«Sappiamo chi sia Eder» avvisò Mel.
Viktor appoggiò il bicchierino sul bancone.
«E dove sarebbe?» chiese, interessato.
Mel fece un cenno con la testa verso il palo di lapdance.
Viktor spalancò gli occhi e Hen rise.
«Dimmi che scherzi»
«Ti sembra una che abbia voglia di scherzare?» sbottò Mel, aggrottando le sopracciglia.
Viktor la squadrò dalla testa ai piedi.
«Tesoro, con quella scollatura non è poi così facile prenderti sul serio».
Mel pestò il piede di Viktor con una mossa istantanea. Un tacco conficcato nel
piede non doveva essere piacevole, vista la reazione del Nephilim.
Viktor spalancò gli occhi e si piegò in avanti.
«Woah! Okay, ti credo»
«E come ci avviciniamo?» intervenne Hen.
«Sappiamo dov’è il camerino» dissi. «Ma ha appena iniziato a ballare. Non credo
che il suo spettacolo finisca dopo appena un brano»
Alec annuì. «Già, e mi pare pure piuttosto acclamata. Credo che ci toccherà
aspettare»
«O farla scendere con la forza» continuò Jace.
«Non dovremmo attirare l’attenzione» disse Eles. «Già
sembriamo tipi sospetti, figuriamoci se la tiriamo giù dal cubo».
Viktor guardava imbambolato la ragazza.
«Devo ricordarmi di ringraziare Magnus. È davvero una bomba. Mai avuta una
missione così piacevole».
«Amico, prima vuoi tracciare le rune ad Eles, poi non
vedi l’ora di andare in missione per trovare Teri,
ora quest’altra. Dovresti vergognarti. Hey, ma ti sta
guardando!» esclamò Hen.
Viktor sorrise nella direzione della ragazza.
«Sì, okay, bella storia d’amore, ma magari avremmo bisogno di avvicinarla e
dirle che ci manda Mag-»
Non feci in tempo a concludere la frase che Viktor scivolò sullo sgabello e
cadde a terra, svenuto.
«Oh per l’Angelo!» esclamò Alec, chinandosi.
«Cosa...» fece per dire Hen, ma in quel momento i
presenti si accorsero di un ragazzo svenuto al bancone degli alcolici.
«Oddio, fate spazio!» esclamavano. «Fategli aria, è svenuto!»
Anche Eder smise di ballare e scese con un balzo dal
cubo. I presenti si ritrassero per farla passare. Camminava come una modella,
incrociando i piedi davanti a sé.
«Oh, portatelo nei camerini! Ha bisogno d’aria!» esclamò. «Vi faccio strada!»
Così Alec e Hen afferrarono Viktor e seguirono Eder. Io, Mel, Eles e Jace decidemmo di andare insieme.
Il dj si affrettò a rialzare il volume della musica e tutti sembrarono
dimenticarsi del ragazzo tatuato e vestito di nero appena svenuto. Mi chiesi se
la Foschia c’entrasse qualcosa.
Raggiungemmo Eder, Hen e
Alec nel corridoio che conduceva ai camerini. Eder
spalancò la porta del suo camerino.
«Venite, appoggiatelo sul divanetto!».
«Non capisco» disse Jace. «Stava bene fino a un secondo
prima. Ho visto le sue palpebre abbassarsi come se si addormentasse e poi
boom!»
«Già, proprio strano...» concordò la ballerina. Poi chiuse la porta dietro di
sé.
«Okay, ora non ci sentirà nessuno» disse. «Viktor sta benissimo. Ora lo
raggiungiamo, d’accordo?»
«Come sarebbe?» chiese Hen. «È appena svenuto!» Eder scosse la testa.
«Sono una Crepuscolare allenata. Guardando dritto negli occhi una persona posso
spedirla nel Cinerarium»
«Come facevi a sapere che noi...» cominciai a chiedere, ma per l’ennesima volta
la mia domanda restò sospesa nell’aria.
«Se Magnus mi conosce ci sarà pure un motivo!» esclamò. «Anche se non ho mai
incontrato delle semidee Nephilim».
«E chi ti ha detto che siamo semidee?»
«Certi eroi hanno proprio la faccia da coraggiosi. Comunque, ora basta
chiacchiere. Andiamo!»
Afferrò Mel dalle spalle e la guardò dritta negli occhi.
«Begli occhioni grigi!» esclamò. Mel non fece in
tempo a rispondere che si ritrovò svenuta. Eder la
fece appoggiare su una poltrona.
«Aspetta!» la bloccò Eles. «Come facciamo ad
assicurarci che ci raggiungerai?» Eder indicò una boccettina dal contenuto viola su uno
dei tavolini pieni di cosmetici.
«Quello mi trasporterà con voi. L’effetto dura poco, ragazzi. Prima dell’alba
ci risveglieremo». Mi convinse. Ed evidentemente convinse anche Eles perché si lasciò guardare negli occhi. Eder la fece appoggiare su una sedia.
Poi fu il mio turno. Mi guardò dritta negli occhi.
I suoi occhi sembravano due ametiste incastonate nel volto diafano. Ebbi la
sensazione che si espandessero sempre più, fino ad avvolgermi. Un lieve senso
di torpore si impadronì di me, e annusai nell’aria anche il profumo dell’iris.
Il viola mi circondava, fino a quando non ne fui completamente risucchiata.
Aprii gli occhi e la luce mi accecò. Mi schermai gli occhi con una mano, poi mi
abituai alla luce e potei vedere meglio il cielo. Era strano. Ora capivo cosa
intendesse Mel quando diceva che sembrava di essere all’interno della luna.
Mi rialzai a fatica, sentendo i muscoli ammaccati. Mi guardai intorno e vidi
una landa desertica grigia. Mi chinai e toccai il terreno. Cenere.
Poi dalla luna nera partì un tornado al cui interno vidi tre figure nere: gli Shadowhunters. Ma dov’erano le mie amiche? E se fossi
finita in un punto diverso? Vidi gli Shadowhunters
atterrare sulla cima di una duna poco distante da me.
Così decisi di risalirla per raggiungerli.
Camminare sulla cenere era ancora più scomodo che camminare sulla sabbia. Ogni
due passi scivolavo e dovevo aggrapparmi anche con le mani.
«Oh, ecco Ria!» esclamò Hen, vedendomi arrivare alla
cima.
Avevo il fiatone, quindi preferii non rispondere.
Stavo per aggrapparmi alla cima e mettermi in piedi accanto a loro, quando una
mano grigia spuntò da sotto la cenere, afferrandomi un polso.
Urlai per lo spavento e tirai uno strattone per liberarmi. Dalla cenere spuntò
una figura umanoide grigia, che urlava parole incomprensibili. Sembrava cieca,
non focalizzava il mio viso.
«Ria!» mi chiamò Hen.
Tirai uno strattone per liberarmi della presa di quell’uomo e caddi
all’indietro, rotolando lungo la duna. Sentivo la schiena ammaccata, ma non
osai muovermi. Vidi che la creatura di cenere aveva afferrato Hen da una gamba. Gli Shadowhunters
sfoderarono le loro armi angeliche. Alec spezzò con un solo fendente il braccio
della creatura che si sbriciolò. Hen si affrettò a scendere dalla duna.
«Per l’Angelo, Ria, come ti senti? Vieni, ti aiuto». I suoi occhi chiari erano
preoccupati. Accettai volentieri la sua mano e mi rimisi in piedi.
«Mi sento un po’ ammaccata. Credo di essermi fatta qualche livido»
«Vieni,
fatti dare un’occhiata». Mi voltai di schiena e Hen
mi sollevò appena la maglietta ormai mezza strappata.
«Sì, hai qualche livido. Ma con un iratze starai
meglio di prima. Oh, hai perso il tuo stilo mentre rotolavi. Ricordami di
dartene un altro quando torniamo». Afferrò lo stilo dalla propria cintura e lo
appoggiò sulla mia schiena. Sentii il lieve bruciore sulla pelle che in quella
giornata era diventato familiare per me. Prendere le Rune non si era rivelato
poi così doloroso per me. Per Eles...era tutto un
altro discorso.
«Ecco fatto» disse Hen, abbassandomi la maglietta e
sorridendomi.
Poi si girò di schiena e si chinò appena.
«Ora ti accompagno io su in cima. Salta su». Risi e saltai sulla schiena di Hen. Mi aggrappai con le mie braccia alle sue e risalimmo
insieme la duna.
«Grazie per il passaggio» gli dissi, scendendo dalla sua schiena.
«Sei leggera quanto una piuma» replicò. «Le spade angeliche sono più pesanti».
Alec e Jace erano lì, ad aspettarci.
«Okay, ora dovremmo trovare gli altri» disse Alec, cominciando ad incamminarsi.
«Come se fosse facile» borbottò Jace, seguendolo.
«Be’, dai. Mel non sarà difficile da ritrovare per te. Credo ti sia rimasta
piuttosto impressa stasera» ribatté Alec, rivolgendogli un sorrisetto furbo.
Il rossore di Jace fu ancora più evidente in quel
luogo così grigio. Risi, accompagnata da Hen e Alec.
«Questa me la pagate» borbottò.
«Oh, nel caso spuntino altre strane creature grigie dal terreno, tenete le armi
pronte».
Aprii la borsa e seguii il suggerimento di Hen,
sfoderando il coltello avvelenato. Nonostante la mamma di Eles
mi avesse lasciato Sitael, preferii usare la mia
solita arma, ora potenziata anche dalle Rune.
Camminammo per un chilometro, o forse anche meno, e non trovammo niente e
nessuno. Nemmeno qualcosa di simile alla creatura che mi aveva afferrato il
polso qualche minuto prima.
«Non è che la ballerina ha sbagliato e ci ha portati in un posto diverso?»
chiese Jace.
Mi strinsi nelle spalle.
«Se così fosse, lo scopriremo».
Poi c’imbattemmo in un luna park abbandonato e
grigio, tanto per cambiare. Sull’insegna rovinata la stanghetta della P si era
cancellata, così l’insegna era “Luna Dark”.
«Non poteva avere un nome più azzeccato» commentò Hen.
«Eccoli!» esclamò una voce. Varcammo il cancello e vedemmo Eder.
Alle sue spalle c’erano Viktor, Mel ed Eles.
Loro erano la prima macchia di colore (oltre il rossore sulle guance di Jace) che vedevo da quando ero caduta in quel posto. Eder spiccava particolarmente con la sua guepiere e i
suoi occhi viola e Mel aveva quella maglietta blu elettrico che tanto piaceva a
Jace, visto che sembrò incantarsi per la seconda
volta vedendola.
«Non potevi impegnarti un po’ di più per farci finire tutti nello stesso
posto?» sbottò Hen. Eder sorrise. «Si vede che siete parabatai,
voi due» rispose, indicando Viktor. «Mi avete chiesto esattamente la stessa
cosa. E come ho già detto al tuo amico, non dipende da me, purtroppo. Il Cinerarium è un posto mutevole come sabbia al vento. Anzi,
direi cenere al vento». Hen non aggiunse altro.
«Bene, benvenuti nel Cinerarium!» esclamò Eder.
«Io sono la vostra guida in guepiere Eder e oggi ci
divertiremo un mondo! Il nostro tour partirà dalla vecchia fabbrica. Sono quasi
certa che troveremo ciò che vi serve. Per favore, non disperdetevi. Qui ci si
perde facilmente». La Crepuscolare si sfilò un fiore viola dai capelli e lo
sventolò in aria.
«Seguite il fiore. Andiamo!».
Mi sembrava di camminare da ore. I piedi
affondavano nella cenere ed ogni passo si faceva sempre più pesante. Respirare
cenere non era di aiuto.
«Come fai a sapere che nella fabbrica c’è esattamente ciò che ci serve?» chiesi
ad Eder.
«I Nocturni non sono tipi fantasiosi. I loro covi
sono sempre gli stessi. Fabbrica – Cinema – Luna Dark – Cattedrale. Nella
Biblioteca di Alessandria non ci vanno mai. Come avete visto, alla Luna Dark
non c’era proprio nessuno. La Cattedrale è troppo scoperta. Ora ci stiamo
dirigendo alla fabbrica, che avendo più stanze e una mappa più complicata mi
sembra la scelta più probabile per nascondere una semidea potente come la
vostra amica».
«Ma allora sai tutto!» esclamò Mel. La figlia di Atena si sentiva giustamente
spodestata dal suo ruolo di ‘so tutto io’.
«So abbastanza» replicò la Crepuscolare.
«Ma quanto è distante questa fabbrica?» chiese Ria. «Non è piacevole farsi una
camminata in questo posto».
«Purtroppo, come vi ho già detto, il Cinerarium è un
posto strano. Cercate di concentrarvi tutti sulla nostra meta e non sulla
fatica che vi costa camminare tra la cenere. Sarà più facile raggiungere la
fabbrica». Così feci. Non so spiegarvi come, ma appena superata una duna
vedemmo la fabbrica imponente davanti a noi. Fino a dieci metri prima non si
vedeva proprio niente. Dal comignolo della struttura fuoriusciva un fumo
violaceo.
«Quello» indicò Eder. «È il fuoco di questo mondo.
Invece di bruciare e far sparire le cose, le fa apparire. Sottoforma di cenere
o comunque cose bruciate, ma le fa apparire. Il fuoco viola è il mezzo che
usano le cose per raggiungere il Cinerarium».
«Che razza di posto» borbottò Viktor.
«L’ho detto anch’io la prima volta che sono finita qui».
Scorsi degli uomini all'ingresso
dell'edificio.
«Sono Nocturni?»
chiesi. Eder annuì.
«Okay, parliamo il più in silenzio
possibile. I Nocturni hanno un udito ultra
sviluppato. Dunque, vada per il classico piano. Io, Viktor e Hen li distraiamo su un lato. Jace,
Alec e Ria sull’ altro. Tu e Mel entrate e liberate la ragazza».
Viktor la guardò impressionato.
«Intelligente» mormorò. Eder gli sorrise, e intravidi le sue guance tingersi di
rosso attraverso i capelli candidi.
Poi si riscosse.
«Andiamo, dai. Noi prendiamo questo lato» disse la Crepuscolare, indicando la
propria destra.
«Okay, allora noi ci vediamo dopo» salutò Ria, camminando verso sinistra
seguita da Jace e Alec.
«A noi tocca aspettare» disse Mel, guardandomi.
«Grazie per prima» aggiunse.
«Per cosa?» chiesi. Non ricordavo di averle fatto un favore.
«Per avermi resa carina. È una bella sensazione».
Risi piano, per non attirare l’attenzione dei Nocturni
nella nostra direzione.
«Non c’è di che»
«Io e te non siamo mai andate molto d’accordo» osservò Mel. «Abbiamo avuto
molti alti e bassi».
Annuii. «Be’, nemmeno tu e Teri vi siete volute bene
a prima vista».
Mel sembrò rifletterci un attimo. «Sì, ma è più facile detestare una ragazza
popolare che una ragazza dark che non conosce quasi nessuno».
«Giusta osservazione» concordai. «Tu e James vi siete più risentiti dalla fine
dell’estate?».
Mel s’irrigidì.
«Gli avevo detto che l’avrei chiamato, ma lui ha detto che sarebbe stato meglio
se mi avesse contattata lui appena avrebbe avuto un po’ di tempo libero
dall’infermeria»
«E non si è fatto più sentire» dedussi. Mel si strinse nelle spalle.
«Dai, tanto ora hai Jace che ti fai il filo!»
Mel fece una smorfia di stupore misto ad imbarazzo.
«Chi? Jace? Ma se non fa altro che prend-» la sua voce si era alzata di diverse ottave e le
tappai la bocca.
«Shh!». Poi mi sporsi oltre la duna e vidi l’ultima
cosa che volevo vedere. Una delle due guardie si stava muovendo verso di noi.
Imprecai.
«Mi sa che ci sarà un cambio del
piano. Preparati». Mel tirò il cappio al suo elastico trasformandolo nel suo
arco argentato.
Io feci per allungare una mano verso il cilindro per aprirlo nel mio arco, ma
quello si spalancò in tutta la sua bellezza nel mio braccio, con una freccia
già incoccata.
«Wow!» esclamai.
«Lo apri senza toccarlo, ora, eh?» replicò Mel. Annuii. Ci sporgemmo oltre la duna di cenere e prendemmo
la mira. Un secondo dopo le frecce sibilarono verso il Nocturno.
Non avevamo fatto i conti, però, con la velocità di quelle creature.
L’uomo afferrò al volo le due frecce. «Oh, dolcezze, non avete capito proprio niente,
allora!»
«Bene. Visto che è così...» dissi, e l’arco si richiuse in un istante e scivolò
nuovamente nella cintura. Afferrai la spada angelica.
«Lelahel» sussurrai. Nello stesso istante in cui la spada si
accese, il Nocturno si avventò su di me. Parai la sua
mano che voleva afferrarmi e premetti la lama di taglio contro il suo polso.
Il Nocturno urlò di dolore e lasciò la presa. Ritentò
un pugno, ma fui più veloce di lui. Con un fendente gli mozzai una mano. Il Nocturno si piegò in due, mentre la sua mano giaceva tra la
cenere, diventando nera. I suoi occhi erano pieni di lacrime mentre mi guardava terrorizzato.
Un secondo dopo una freccia argentea gli si conficcò nella schiena e cadde a
terra, morto.
Mel riportò il braccio lungo il fianco, mentre un’altra freccia era già
ricomparsa.
«Bene» disse. «Credo che far rotolare il corpo lungo il pendio sia l’idea
migliore. Così l’altra guardia ci raggiungerà e gli altri potranno entrare».
Annuii.
«Aiutami».
Quel Nocturno non era leggero. Farlo rotolare ci
costò più fatica di quella che avremmo pensato di impiegare.
Poi ci nascondemmo nuovamente dall’altro lato della
duna e vedemmo che l’altra guardia non c’era più. Ci guardammo, preoccupate.
«Credo sia andato a chiamare i rinforzi» disse Mel.
Vedemmo gli Shadowhunters, Ria ed Eder
ai piedi della duna.
«Scendete!» gridò Eder. Ormai non aveva senso essere
silenziosi, visto che ci avevano scoperti.
«Piano B» annunciò la ragazza. Si mise una mano nel corsetto e sfoderò un
pugnale. Davvero piena di risorse. «Affrontiamoli!».
Raggiungemmo gli altri.
«Forse è anche il piano migliore» affermò Viktor.
«Esistono pochi Nocturni al mondo» disse Eder. «Credo saremo in maggioranza».
«Siamo solo otto» le ricordò Ria.
«Basteremo, fidati».
Fissavamo tutti il cancello d’ingresso. Nessun segno di vita.
«E se la guardia se ne fosse andata? Magari aveva finito il turno» ipotizzò Jace.
«Hanno rapito una semidea figlia di uno dei Tre Pezzi Grossi, il che significa
una delle semidee più potenti. Secondo te lasciano dei buchi tra un turno e
l’altro, a rischio e pericolo che soffino il loro piccolo tesoro? I Nocturni non sono così ingenui».
«No di certo, ma forse lasciano incustodito il cancello perché il loro piccolo
tesoro non c’è più» disse una voce roca.
Tornammo a guardare il cancello. Sulla soglia c’era un uomo. Dalla pelle chiara
intuii fosse un altro Nocturno. Aveva gli occhi
azzurri, i capelli lunghi e ricci, i baffi e la barba curati. Sembrava un
pirata. O uno dei tre moschettieri.
«Come sarebbe non c’è più?» disse Mel, facendo un passo avanti. «L’avete
ammazzata? Vi uccido, bastardi!». Fece per scoccare una freccia, ma Jace la trattenne.
«Calmati! Non ha detto questo!»
«Lasciami, Jace! Voglio strozzarlo con le mie mani!».
«Immagino che tu sia la figlia di Atena». Il Nocturno-pirata
aveva un’aria triste. Mel annuì, dubbiosa. Il Nocturno
scosse la testa.
«Mi dispiace» disse.
«Ti dispiace un corno! Cosa le avete fatto?»
«Io sono Jack, comunque. Eravamo andati nella cel-
nella stanza di Teri per...insomma per...darle la
cena. Ma lei è...Ha preso fuoco. Ed è sparita».
«Il fuoco di questo mondo non era fatto per portare invece che per far
sparire?» chiese Hen.
Jack annuì. «Sì, ma il fuoco non era quello viola. Era quello rosso. L’ha
portata via, l’ha fatta dissolvere. Se un’anima che sta nel Cinerarium
deve tornare nel mondo della vita, allora viene avvolta in un tornado e va via
attraverso la luna nera. Se deve andare nel mondo della morte, allora si
dissolve».
«TACI!» urlò Mel. «Sarei morta anch’io, lurido bugiardo! La state torturando,
ecco la verità! Lasciatela in pace, lasciatela! Cosa volete da lei? Basta,
basta!»E scoppiò a piangere,
istericamente. Sembrava voler dire quelle parole da giorni.Jace l’afferrò per
un polso per tirarla via, ma Mel si buttò nelle sue braccia e nascose il viso
contro il suo petto. Lo Shadowhunter la strinse forte
a sé, mormorandole qualcosa. Sentii il cuore stringersi. Non avevo mai visto
Mel così demoralizzata e disperata.
«Ecco, vedete...i collegamenti empatici vengono spezzati se uno dei due si
trova qui. Tentare di contattare la persona con cui si è legati empaticamente
può essere fatale. Ecco perché non l’abbiamo portata in un rifugio nel nostro
mondo, altrimenti vi avrebbe detto dove si trovava e non avremmo ottenuto ciò
che vogliamo da Ade».
Mel lasciò il petto di Jace e si voltò verso il Nocturno, ancora più arrabbiata di prima.
«Lei ci era riuscita. Lei è forte!»
Jack sembrò avere un’intuizione. Ed evidentemente la ebbe anche Mel, perché si
irrigidì.
E avevo capito anch’io. Teri era morta per il
tentativo di comunicare con Mel tramite collegamento empatico. L’avevamo capito
tutti. Il silenzio si fece pesantemente tombale davanti a quella fabbrica.
«NO!» gridò Mel, piegandosi sulle ginocchia e piangendo. «NO, NO, NO!»
Io e Ria corremmo per raggiungerla. Ci chinammo accanto a lei e l’abbracciammo.
Le lacrime scorrevano lungo le mie guance. Mel si coprì il volto con le mani e
cominciò a singhiozzare. Era un momento tutto nostro. Per un attimo dimenticai
gli Shadowhunters, Eder,
Jack, la fabbrica e il Cinerarium.
C’eravamo solo noi e il nostro dolore. Non riuscivo ancora a crederci. Teri, morta.
«Tom!» esclamò Jack, guardando oltre le nostre spalle. Poi ricordai. Avevamo
ammazzato un Nocturno.
Gli Shadowhunters sfoderarono le spade, e anche noi
fummo costrette a riprenderci per armarci.
«L’avete ucciso!» urlò Jack, con le lacrime agli occhi.
«VOI AVETE RAPITO LA MIA PARABATAI!» gridò Mel, ancora più forte di lui. «Se
non l’aveste rapita non avrebbe mai cercato di contattarmi da questo posto
infernale e non sarebbe morta! Cosa ti aspettavi, eh? Che ti regalassimo carne
cruda per ringraziarti?»
Intravidi l’ombra di un sorriso sul volto di Jace.
Mel aveva usato una parola del Mondo Invisibile, parabatai.
Ad un tratto cominciò ad alzarsi un vento forte.
«Non finisce qui, semidee» disse Jack. «Me la pagherete!».
Il ventaccio si trasformò in un tornado che ci avvolse e ci portò via, lontani
da quella fabbrica, lontani dalla tomba di Teri.
Riaprii gli occhi nel camerino di Eder. Gli altri si stavano svegliando, come me.
Quando Mel si svegliò aveva già gli occhi rossi e le guance bagnate.
«Dobbiamo andare immediatamente al Campo» dissi. Mel e Ria annuirono.
«Vi accompagno» si intromise Jace. «Delle ragazze di quattordici e quindici anni non
girano da sole per le strade di New York alle sei del mattino».
«Sì, vengo anch’io» aggiunse Eder. «Ovviamente non
vestita così».
Decidemmo di cambiarci anche noi. Mel indossò nuovamente la maglietta del
Campo, ma lasciò perdere il frontino. Stava molto meglio senza.
Io e Ria recuperammo le divise da Shadowhunters. Eder si cambiò in jeans e t-shirt, e legò i capelli
in una treccia. Struccata restava sempre bella, il che era frustrante.
Salutammo gli altri che tornavano all’Istituto e noi prendemmo un taxi per Long
Island. Ormai era l’alba.
Sentivo un mattone sul cuore. Come avrei fatto a dirlo a Nico e a Leo, le
persone che l’amavano di più al mondo?
«Dovremmo dirlo anche alla zia mortale» disse Ria, rompendo il silenzio.
«Già. Sapete dove abitava?» domandai.
«Sì, io sì. Mi regalava sempre dei dolcetti quando passavo con la mia banda di teppistelli» disse Ria, sorridendo. «Teri
ci guardava sempre ammirata». Non riuscivo a ricordare il periodo in cui Ria
andava in giro con quei ragazzini a fare scherzi. Sembravano passati secoli,
invece erano passati appena quattro mesi.
Erano successe troppe cose. Le nostre vite erano cambiate radicalmente, eravamo
destinate ad altro. Mi resi conto di aver dimenticato la maggior parte delle
mie “amiche” della vecchia scuola e mi dispiaceva. Rimpiangevo quella vita,
seppur io sentissi sin d’allora di essere diversa. Avevo sempre avuto quel
senso di vuoto che solo più tardi ero riuscita a colmare, quando avevo scoperto
la mia vera origine. Mezza dea, mezza Shadowhunter.
E della seconda metà non ne ero nemmeno così felice. Mi aveva portato solo più
morti da piangere.
Il tassista parcheggiò e Jace lo pagò.
«Offro io» disse, sorridendo.
Oltre l’arco d’ingresso si espandeva il Campo. Anche a fine estate era
stupendo, colorato, vivo. Alcuni mezzosangue vi restavano tutto l’anno.
Mossi qualche passo in avanti.
«Jace, Eder» dissi. «Vi
presento la nostra casa».
Varcammo l’ingresso del Campo. Mi ero
ripromessa che la volta successiva in cui l’avrei fatto sarei stata con Teri. Invece lei era andata via. Si era dissolta in cenere.
Aveva raggiunto il padre, sia Ade che quello naturale.
Mi obbligai a bloccare le lacrime. Dovevo dirlo prima a Leo, a Nico, a Niall, a Chirone.
Ridiscendemmo il pendio della Collina Mezzosangue. Il sole sorgeva, mentre il
mio cuore stava tramontando.
Raggiungemmo le Cabine.
«Dormite qui?» chiese Jace, guardandosi attorno.
Annuii.
«La mia casa è la numero Sei» risposi. Poi elencai i vari dei, indicando le
corrispettive cabine. Jace sembrava affascinato.
Arrivai alle Cabine aggiunte, quelle che erano state costruite da poco.
«Ecate, Tyche, Ebe, Nike, Nemesi, Ipno, Iride
e...». Sentii formarsi un groppo in gola.
«Ade» dissi, a voce strozzata. Feci un respiro profondo e distolsi lo sguardo
dalla Casa. Non volevo pensare a Nico, lì dentro, che tra pochi minuti avrebbe
scoperto tutto.
«E questo falò?» chiese. Apprezzavo che non volesse farmi pensare a Teri, ma era una cosa che avevo ormai dentro. Era parte di
me, eravamo più che semplici amiche.
«È il focolare di Estia, dea della famiglia e,
appunto, del focolare domestico. Non si spegne mai» spiegai. Jace mi guardò con i suoi occhi ambrati e mi sorrise.
«Hai davvero una bella casa» disse. Ricambiai il sorriso.
«Mel!» mi chiamò una voce. Mi voltai e vidi Annabeth,
in piedi sulla soglia della Cabina Sei.
«Annabeth!». Corsi ad abbracciarla. Sentire le sue
braccia avvolgermi fu un sollievo. Fu come se mi togliesse qualche sasso dal
peso che avevo sul cuore.
Di nuovo sentii le lacrime minacciare di sgorgare, ma le ricacciai indietro.
Volevo bene alla mia sorellastra, ma Nico e Leo erano i primi che dovevano
saperlo. Ne avevano il diritto.
«Ciao Annabeth!» la salutarono Ria ed Eles. Annabeth ricambiò il
saluto.
«E loro sono Eder e Jace»
dissi, facendo un gesto verso il Nephilim e la
Crepuscolare. «Jace è un Cacciatore di demoni. Te ne
parlerò meglio». Annabeth strinse la mano prima ad Eder, poi a Jace.
«Perché Ria e Eles sono vestite come lui?» domandò.
«Ti spiegherò anche questo, promesso. Sono successe parecchie cose». Annabeth mi guardò con i suoi occhi grigi uguali ai miei.
Mi scannerizzò il volto e capii che lei avesse percepito qualcosa sul mio
umore.
«Hey!» gridò un’altra voce. Sentii il corpo
irrigidirsi quando la riconobbi.
Mi voltai e vidi Leo che ci salutava.
«Ragazze!» poi sembrò accorgersi di Jace. «E
ragazzo!».
Ci raggiunse camminando velocemente.
«Novità?» chiese, speranzoso. Vidi che al polso portava il laccetto di Teri. Chiusi gli occhi e cercai di respirare mentre le
lacrime bruciavano infondo alla gola.
«Leo...» iniziò Eles. Le orecchie si tapparono. Mi
rifiutai di sentire quelle tre parole.
Riaprii gli occhi e vidi il sorriso di Leo spegnersi. Fece qualche passo
indietro. Si passò una mano tra i capelli mentre il suo sguardo guardava nel
vuoto.
«Non può essere...Come fate a saperlo?»
Lasciai perdere ogni sforzo di trattenermi mentre Ria gli spiegava tutto. Io non
ne avevo la forza. Piansi di nuovo.
«Mi dispiace, Leo». Feci per andare ad abbracciarlo.
«No. No...No...No...» ripeteva. Poi cacciò un ultimo “NO” tra i singhiozzi.
Urlò di dolore, di disperazione, diede un calcio al terreno.
«TERI! NO!» gridò, mentre si accasciava a terra.
La porta della Cabina Tredici si spalancò un secondo dopo. Sulla soglia
comparve Nico, con i capelli ancora più spettinati del solito, come se si fosse
appena alzato.
«Cosa succede?». Cadde il silenzio. Nico vide Leo accasciato a terra,
piangente.
Vidi la sua espressione cambiare, la consapevolezza, l’orrore sul suo volto.
Le porte delle Cabine cominciavano ad aprirsi. I Mezzosangue volevano sapere
chi avesse urlato a prima mattina.
Nico si sedette sui gradini della Cabina Tredici e nascose il volto contro le
cosce.
I Mezzosangue uscirono dalle Cabine e si fermarono sulle soglie, guardando la
scena. Chirone arrivò al galoppo.
«Ragazze!» esclamò. «Cosa...?»
Poi alzò lo sguardo oltre le nostre spalle e vide Leo, ancora lì, che piangeva.
Il volto del centauro si rabbuiò. Diede una pacca sulla spalla a me, ad Eles e a Ria.
«Mi dispiace». Non ci chiese di raccontargli tutto subito. Facemmo colazione.
Decisi di fregarmene delle regole e sedermi al tavolo Tredici, accanto a Nico.
Non potevo vederlo da solo. Atena avrebbe capito, per una volta.
Nico non toccò cibo. Io mangiucchiai un pezzo di pane, ma lasciai le uova e il
bacon intatti.
«Dovresti mangiare qualcosa» disse Jace. Non feci in
tempo a replicare che qualcuno mi chiamò.
«Mel!».
Alzai lo sguardo e vidi James. I suoi capelli biondi erano più lunghi, ma il
sorriso era quello di sempre. Sembrava il classico californiano e mi chiesi
quanto dovessimo sembrare strani insieme: la secchiona e il palestrato. Mi
alzai di scatto e corsi verso di lui.
Mi abbracciò forte e respirai il suo profumo che tanto mi era mancato. Le sue
braccia forti mi avvolsero e mi sentii protetta, come non mi sentivo da
settimane.
Mi scostò i capelli e mi accarezzò una guancia con il pollice. Sentivo il suo
cuore battere forte contro la mia mano.
«Mi sei mancata» bisbigliò.
Premetti la mia fronte contro la sua.
«Non mi hai chiamata» mormorai.
«È da un po’ che i messaggi Iride non funzionano» disse. «Stiamo cercando di
capire cosa succeda. Iride non è stata rapita o qualcosa del genere, ma dice
che l’iPhone non è più disponibile, non riesce a
farlo funzionare per il Campo. Chirone sta ancora
cercando di capire cosa stia succedendo».
Aggrottai la fronte.
«Io sono riuscita a chiamare mio padre ieri mattina» replicai.
James annuì. «Infatti, dicevo solo per il Campo. Le comunicazioni da e per il
Campo non vanno. Comunque, non vedevo l’ora di rivederti...Anche se mi dispiace
che sia in un’occasione così triste».
Annuii.
«Già. L’importante è che tu sia qui» bisbigliai.
James sorrise e il mio cuore perse un battito. Ricordai la prima volta che
avevo visto il suo sorriso. Ero svenuta dopo aver ammazzato un ciclope e lui
era un infermiere. Si era presentato come figlio di Apollo, e io gli avevo
detto che aveva bisogno di cure. E invece di offendersi mi aveva sorriso,
gentile, e mi aveva spiegato tutto con pazienza. Si avvicinò alle mie labbra.
Mi cominciarono a sudare i palmi delle mani. I suoi occhi verdi, bellissimi
come allora, erano così vicini. Avvertii il fiato farsi più corto.
Le sue labbra toccarono le mie in un contatto veloce, seppur dolce e romantico. «Forse
non è il caso di baciarsi qui» mormorò. Annuii.
«Ti va di farci un giro?» chiese, prendendomi per mano e intrecciando le dita.
Quel contatto mi lasciò quasi senza fiato. Eravamo sempre stati solo buoni
amici. Non c’era mai stato un vero flirt tra noi. Avrei voluto tanto
rispondergli di sì, andiamo a farci una passeggiata e non torniamo mai più. Ma
dovevo andare a trovare la zia di Teri. Mi guardai
intorno, e vidi che Ria e Eles stavano ancora
parlando con Chirone. Sospirai. «Magari solo per qualche minuto» risposi. Gli occhi di James si
illuminarono.
«Andiamo, allora».
Riuscimmo a muovere solo qualche passo verso i campi di fragole che qualcuno mi
chiamò a gran voce.
«Mel!»
Mi voltai e vidi Niall che correva verso di me.
Lasciai la mano di James e corsi ad abbracciarlo. Niall era sempre stato il mio migliore amico. Durante
il cambiamento dalla vita normale che avevo prima, alla scoperta di essere una
semidea, lui era rimasto il mio punto fermo, l’unica cosa che non era mai
cambiata.
«Come mai sei tornata?» chiese. Oh, giusto. Lui non lo sapeva ancora.
«Teri» risposi. «È...». Mi mancò il fiato. Non ero
ancora riuscita a dire quella parola. Non riuscivo nemmeno ad ammetterlo a me
stessa. Così passai a spiegargli prima com’era successo.
«Contattarmi dal Cinerarium l’ha...distrutta»
Vidi gli occhi azzurri di Niall spalancarsi. Poi
riempirsi di lacrime. Il satiro si gettò a terra.
«È colpa mia» disse, tra i singhiozzi. «Tutta colpa mia».
Mi inginocchiai accanto a lui.
«Ma che dici? Tutt’al più la colpa è mia. Teri ha
cercato di contattare me ed è...». Un’altra volta sentii la gola che mi si
chiudeva nel pronunciare quella parola.
«No, Mel. Io sono il suo custode. Avrei dovuto proteggerla, avrei dovuto
consegnarmi al posto suo, sarei dovuto morire al posto suo. È colpa mia»
Scossi la testa e gli accarezzai i capelli rossi.
«Non ti avrebbero mai preso al posto suo, Niall. Loro
vogliono minacciare Ade e l’avrebbero potuto fare solo rapendo Teri. E ora non possono nemmeno farlo più. Sono quasi certa
che prima di...di...andar via, Teri sia stata felice
di aver distrutto i loro piani. È andata via come voleva lei, alla fine».
La prima a scoppiare in lacrime quando Jack aveva annunciato la notizia, ero
stata io. Ora mi ritrovavo a consolare gli altri.
Guardai James, e gli rivolsi uno sguardo dispiaciuto.
James sorrise e si avvicinò.
«Tranquilla. Stasera dormite qui?» chiese, con il suo sorriso gentile. Lo
guardai dritto negli occhi e sentii il cuore sciogliersi.
«Sì, credo proprio che mi fermerò». James mi accarezzò una guancia e, senza che
accorgermene, mi feci più avanti. Il figlio di Apollo sembrò cogliere la mia
silenziosa richiesta e mi baciò. Le sue labbra erano calde, abili e morbide. Staccarmi
da lui fu un’impresa all’altezza della battaglia contro i vampiri neonati.
«A dopo» sussurrò, a fior di labbra.
«A dopo» ripetei, sorridendo. James si allontanò, tornando in mensa. Poco dopo
vidi Eles e Ria che correvano per raggiungerci. Eles non indossava più la divisa da Shadowhunter,
si era già riappropriata dei jeans e della t-shirt arancione del Campo. Le
donavano di più.
«Niall, noi avremmo intenzione di andare dalla zia di
Teri. Tu, per caso, sai dove abiti?». Niall si alzò di scatto.
«Ovvio. Andiamo».
Ria fu silenziosa per tutto il viaggio. Eles mi disse
che mancavano solo due giorni e poi Carl avrebbe dovuto consegnare un esercito
a D’Amico per avere salva la vita del figlio. Ria si sentiva responsabile.
Quella ragazza era più forte di tutte noi messe insieme.
La zia di Teri viveva in una bella casa, circondata
da campi immensi di verde.
Era mattina inoltrata, le dieci, forse. Non avevo l’orologio con me.
«Come si chiama la zia?» chiesi a Niall, mentre Eles pagava il taxista.
«Pia» rispose il satiro. «È figlia di semidei. Suo padre era figlio di Ares e
sua madre era figlia di Iride. Sa tutto del nostro mondo».
«Bene» commentò Ria. «Almeno non dovremo inventarci spiegazioni imbarazzanti».
Percorremmo il vialetto che separava la casa dalla strada.
Fu Niall ad avvicinarsi alla porta. Bussò due volte.
«Chi è?» chiese una voce femminile.
«Signorina...siamo degli amici di sua nipote Teri».
Signorina?
«Siete i sesti questa settimana!» replicò la
voce, infastidita. Effettivamente la voce non sembrava vecchia.
«Ditemi le due rock band preferite di mia nipote e saprò che siete davvero i
suoi amici!».
Spalancai gli occhi. Pur avendo un collegamento empatico, era una domanda a cui
non sapevo rispondere. Sapevo che le piaceva il rock, ma le band... Mi voltai
verso Ria ed Eles e le vidi entrambe in difficoltà. Niall, invece, rispose prontamente.
«Guns N Roses e Skunk Anansie».
«È giusto» ammise la voce. «Ancora un’altra domanda».
«Ma siamo davanti alla sfinge o davanti alla zia di Teri?»
«Okay, allora non volete parlarmi davvero» replicò, stizzita.
«Teri è morta!» si affrettò a dire Niall. «È stata rapita e portata nel Cinerarium,
un luogo di mezzo tra vita e morte. Ha cercato di contattare Mel, la figlia di
Atena con cui aveva un collegamento empatico e questo le è costato la morte».
Le guance di Niall erano nuovamente rigate di
lacrime.
La porta si spalancò. Una donna di circa trentacinque anni era ferma sulla
soglia. Era magra, ma muscolosa e alta. Aveva i capelli rossicci, gli occhi
verdi e lucidi. Le mani nodose erano chiuse in due pugni stretti lungo i
fianchi.
«Niall?» chiese.
Il satiro annuì. Lo sguardo della donna si posò su Eles.
«La signorina McTemar?». La figlia di Apollo annuì.
«Ria? Ria Johnson?» domandò la donna, guardando la
figlia di Nemesi.
«Ria Blueway, signorina.»
«La figlia di Carl? Gli somigli molto» disse Pia.
Conosceva Carl. Conosceva gli Shadowhunters.
Ria annuì. Poi la donna mi guardò e sorrise appena.
«Tu...facile. Tu sei Melissa. Oh, giusto. Mel».
Le rivolsi un sorriso tirato.
La donna sospirò.
«Venite». E si fece da parte per farci entrare.
La casa, all’interno, era piccola, ma accogliente. C’erano pochi mobili, un
camino, un divano di pelle blu tutto graffiato e un gatto nero che ci dormiva
sopra. Di fronte a noi c’era una porta finestra che illuminava la casa, sulla
sinistra una piccola cucina da cui proveniva un profumo di menta mischiato
all’odore dello zucchero, sulla destra un corridoio non molto lungo che
affacciava su due stanze.
«Accomodatevi» disse Pia, indicando i divani. «Gradite qualche biscotto
cioccolato e menta?» chiese.
«Sì, grazie» dissero Ria e Niall.
Il pane mangiucchiato a colazione mi bastava, così non presi altro che un
bicchier d’acqua.
Pia servì i biscotti e l’acqua e poi si sedette di fronte a noi.
«Io vorrei che Teri avesse una lapide» annunciò,
guardandosi le ginocchia. «So che apparteneva al vostro mondo, ma io le ho
voluto bene sin da quando Demetra e Ade me la lasciarono in custodia. Ero poco
più che ventenne, i miei genitori erano morti da poco, il mio ragazzo mi aveva
lasciata. L’amore che un neonato può dare nella sua incoscienza era quello
perfetto». La voce di Pia tremava appena, come il suo labbro inferiore. «Quindi
vorrei che avesse una lapide commemorativa come una persona normale».
«Sì, lo capiamo» commentò Ria.
«I funerali si svolgeranno stasera al tramonto, al Campo» aggiunse Eles. «Vorremmo che tu ci fossi. Credo che potrai entrare,
visto che non sei completamente mortale». Pia annuì.
«Volete vedere la sua camera?»
Fui in piedi prima che potessi rendermene conto.
La camera aveva le pareti viola scuro. Le lenzuola nere erano perfettamente
piegate. Ai piedi del letto c’era una fila ordinata di Converse con le borchie,
nere, con i teschi. Sopra il letto c’era una mensola con una fila di dischi.
Ria si allungò per prenderne uno e lesse ad alta voce.
«Appetite fordestruction.
Wow».
«Il suo preferito» disse Pia. «E l’ha fatto diventare anche il mio preferito». Niall sorrise. «La sua canzone preferita era MrBrownstone.
La cantavamo spesso insieme».
Spostai lo sguardo su una scrivania disordinata.
C’erano foglietti sparsi ovunque, libri di scuola aperti, bracciali di pelle
nera buttati qua e là. Sulla sedia c’era una felpa dei Nirvana spiegazzata e
dei jeans al rovescio.
«Non ho mai toccato niente del suo disordine» disse Pia, seguendo il mio
sguardo. «A lei piaceva così».
«Volete fermarvi a pranzo?» chiese la donna. I suoi occhi sembravano chiedere
disperatamente un sì come risposta.
«Certo!» esclamò Niall, sorridendo.
«Bene! Oh, Niall, puoi anche toglierti i piedi finti
e stare comodo».
Quando Pia servì a tavola un pranzo tipicamente italiano il mio stomaco
borbottò impaziente.
«Gome si ghiamaquetto?» chiese Niall, a bocca
piena.
«Carbonara» rispose Pia. «Vedo che è di vostro gradimento».
Annuimmo.
«Senza offesa per voi dell’Olimpo» commentò Eles,
indicando il soffitto. «Ma è davvero da dei!»
Pia sorrise e arrossì quasi quanto i suoi capelli.
«Grazie». Fuori dalla finestra si sentivano le mucche muggire.
Pia chiese delle rune di Ria, Eles raccontò della sua
debolezza da Shadowhunter, e Pia la incoraggiò. Niall poi sgranocchiò anche una lattina di Coca Cola
e ruttò contento. Sembrava un pranzo tra amici in un sabato qualunque. Poi
arrivò una telefonata.
«Oh, un attimo solo!». Pia rispose al telefono.
Mi mossi sulla sedia, irrequieta. Quegli aggeggi mi innervosivano.
Pia annuì, e il suo sorriso si spense.
«Okay, a più tardi». E chiuse la conversazione.
«Che succede?» chiese Ria.
«Il marmista aveva poco da fare oggi. La lapide di Teri
è pronta» annunciò. «Ci aspettano al cimitero tra un’ora».
Lasciai cadere la forchetta nel piatto.
Salimmo sulla jeep di Pia. Niall era seduto accanto al posto del conducente, mentre
noi eravamo sedute dietro. Mel era rigida come una statua.
Pia mise in moto e partì. L’intero viaggio fu silenzioso. Pia non accese
nemmeno lo stereo. Eles guardava fuori da finestrino, tracciando
distrattamente con le dita il contorno dell’iratze
cicatrizzato tracciatole da Viktor, due giorni prima.
Appoggiai la testa al sedile e sospirai. Ricordavo quando avevo iniziato ad
apprezzare Teri. Mi era sempre piaciuta, sin da
quando la vedevo a scuola. Non eravamo poi così diverse, solo che lei per
vendicarsi prendeva direttamente a pugni, mentre io organizzavo scherzi, non
potendo fare altrimenti. Sarebbe stato figo averla
nella mia banda, ma era due anni più grande di me e non avevo avuto il coraggio
di chiederglielo. Poi quando stavamo per partire per l’impresa, Mel e Eles avevano litigato e io avevo cercato di calmarle. Le
due ragazze mi avevano rimproverata per essermi intromessa, e Teri mi aveva difesa.
«Il fatto che il vostro genitore divino sia uno dei dodici dei dell’Olimpo non
vi autorizza a fare le prepotenti nei confronti di una discendente di una
divinità minore!». Aveva esclamato. Poi mi aveva chiesto di camminare accanto a
lei, visto che ero la più matura.
Mi aveva fatta sentire grande, importante, apprezzata, come una sorella
maggiore e come faceva Arika, d’altronde. Già, Arika. Figlia di Zeus, sola nella sua cabina come lo ero
io. Era via per un’impresa, quindi al Campo non c’era. Non vedevo l’ora di
riabbracciarla. Poi il pensiero di Arika mi portò
immediatamente a quello di Onny. Strinsi i pugni. Tra
poche ore sarebbe scaduto il termine per la decisione di mio padre. O si
schierava dalla parte di D’Amico, o Onny era morto.
Avvertii la pelle accapponarsi al solo pensiero e repressi le lacrime.
Alzai lo sguardo e vidi che Pia stava parcheggiando. Eravamo arrivati. Nessuno
disse niente. Ci slacciammo le cinture e scendemmo dalla jeep.
Un uomo vestito di nero ci aspettava all’ingresso.
«Signorina Nabaci» disse, inchinando lievemente il
capo.
«Salve, signor Goldowl» rispose Pia.
«Prego, seguitemi». Seguimmo l’uomo all’interno del cimitero.
«È quella là in fondo» indicò l’uomo. «Se avete bisogno di qualche momento,
parliamo dopo di soldi». Pia annuì. La lapide bianca spiccava rispetto alle
altre presenti nel cimitero, sporche di terra e logorate dal tempo. Incisa
nelmarmo c’era la scritta:
“In memoria di TeriNabaci.
27-3-1998 / 23-9-2013”. Sentii un brivido di freddo attraversarmi la schiena e
fui costretta a distogliere lo sguardo.
Scorsi, poco distante da noi, un altro funerale. C’era una bara color mogano e
la figura esile di un ragazzo vestito in nero accanto. Tutt’intorno c’erano dei
poliziotti.
Poco dopo vidi altre persone raggiungere il ragazzo.
«Ci dispiace per tuo padre» disse uno. Mi si strinse il cuore. Era appena
diventato orfano. Hey, aspetta un attimo. Ma erano
distanti da me. Riuscivo a sentirlo, certo! Le rune potenziavano anche l’udito.
«Siamo appena usciti di prigione, altrimenti ti avremmo aiutato a trovare
D’Amico». Spalancai gli occhi. Non poteva essere una coincidenza.
Il ragazzo stava abbracciando una ragazza bionda, quando lei urlò: “ATTENTO!”.
E in quel momento scoppiò una bomba. La ragazza sbatté contro la statua di un angelo.
Afferrai lo scudo dalla borsa di jeans e lo aprii. Ora che mio padre ci aveva
aggiunto le rune era anche più facile aprirlo. Sfoderai una spada angelica e la
chiamai per farle prendere vita. Mel e Eles furono
accanto a me con i loro archi in un istante.
Sentii Niall gridare: “Pia, va’! Corri!”. La donna
non se lo fece ripetere due volte. Niall modificò le
sue stampelle con un rapido gesto che si tramutarono in due xiphos.
L’aria si riempì subito di fumogeni. Eles afferrò
dalla mia cintura lo stilo.
«Che diavolo fai?» chiesi, urlando per cercare di sovrastare le urla disperate
e gli spari.
«Dobbiamo tracciare delle rune per la visione e per la respirazione». Eles mi afferrò il braccio e tracciò una runa con sicurezza
e velocità. Poi fece la stessa cosa su Mel e Niall.
«Eles, no! Loro non hanno sangue di Shadowhunters!»
«Non importa! Possono sopportarla lo stesso!». Infine tracciò la stessa runa
sulla propria mano, con la sicurezza con cui tracciava la propria firma, come
se ce l’avesse dentro.
Strani ceffi coperti dalle maschere urlavano «Prendetelo!», indicando e
gesticolando verso il ragazzo orfano.
«Ragazze, ma sono solo mortali...Non capisco...» disse Niall.
«Dobbiamo intervenire» dissi. «Il ruolo degli Shadowhunters
comprende anche questo».
Uno degli strani ceffi ci passò davanti e si fermò a guardare le nostre armi.
«Chi sono questi stronzi con questi fucili?» sbottò. La Foschia gli copriva la
vera sembianza delle nostre armi. Fece per tirare un pugno a Niall, ma il satiro si abbassò in tempo e gli diede uno
zoccolo dritto nello stomaco. Lo strano ceffo si piegò in due, mentre Niall gli diede un colpo sulla testa con il pomello dello xiphos.
La ragazza bionda, dietro un albero, spalancò gli occhi.
«Mindy!» gridava il ragazzo che quegli uomini mascherati
avevano indicato e che ora stavano trascinando via, in un furgoncino bianco.
Vidi un uomo grosso, mascherato anche lui, venire verso di noi. Aveva gli occhi
completamente scuri, come quelli degli insetti.
«Chi siete? Amichetti di Hit Girl?»
Non feci in tempo a rispondere che una freccia scura gli trafisse il cuore.
«Aveva bevuto sangue di demone» disse Eles. «Tutti
quelli mascherati l’hanno fatto».
Non mi fermai a chiedere come lo sapesse.
«Dobbiamo proteggere quelli che si stanno nascondendo lì» indicai l’albero. «E
salvare il ragazzo!».
Allungai una mano verso la borsa di jeans e sfoderai un vero fucile. Chirone me l’aveva donato tre mesi prima, con la
raccomandazione di utilizzarlo in emergenze estreme. Il centauro sapeva che i
mondani si stessero mischiando con strane faccende e sapeva che mi avrebbero
coinvolta.
Quella era una vera emergenza estrema. Stavano profanando un cimitero. Mi
arrampicai su una roccia e sparai contro le ruote del furgoncino.
«Lurida stronzetta!» gridò uno dei ceffi che stava
trascinando via il ragazzo. Corse verso di me, ma una freccia argentea gli
trafisse il collo.
Anche le persone che si erano nascoste dietro l’albero si decisero ad uscire e
a combattere. Volavano pugni, calci, sangue. Nemmeno durante la battaglia contro
i vampiri neonati avevo visto così tanta confusione.
Riposi il fucile e scesi dalla roccia, ma un tizio mi afferrò per i capelli.
Non avevo visto che mi arrivava alle spalle. Urlai quando caddi sbattei la
testa contro il terreno. L’uomo mi mise un piede sul petto. Vidi dei puntini
gialli ballarmi davanti agli occhi. Cercavo di respirare tutto l’ossigeno che
potevo.
«Sei morta, bambolina» sibilò.
Non sarei mai morta uccisa da un mortale mondano.
Mai. Cercai di allungare una mano verso il fucile, che giaceva a pochi
centimetri da me. Ma il ceffo non era stupido. Calciò via il fucile.
«No, no. Stai buona. Una pallottola in testa ed è tutto finito».
Girai la testa all’indietro e vidi Mel che combatteva con un altro di quei tipi
mascherati e tatuati. La figlia di Atena lo afferrò dal polso, lo disarmò e poi
lo spinse contro una lapide. L’uomo cadde, e Mel gli sparò. Non era più quella
ragazzina timida che si nascondeva dietro un libro. Decisamente non lo era più.
Tornai a guardare il mio aguzzino e vidi il buio della canna della pistola. Non
avrei salvato Onny. Mio padre avrebbe perso due
figli. Morta uccisa da un mortale. Volevo scalciare, ma quell’uomo mi teneva
ben stretta. Il dito stava per premere il grilletto. Chiusi gli occhi.
«BASTA!» gridò una voce, sovrastando tutto il caos. Un attimo dopo un
proiettile attraversò la testa del mio aguzzino, che cadde a terra, morto. Mi
rialzai a fatica e vidi tutti quegli uomini mascherati cadere a terra come
sacchi di patate. Scorsi nel furgoncino l’autista, anche lui mascherato,
accasciato sul volante. Tutto si fece stranamente silenzioso.
Mi voltai verso la fonte dei proiettili e per poco non mi sentii mancare.
Indietreggiai e inciampai in un corpo, cadendo.
«Teri!» urlò un’altra voce. Era quella di Mel.
La ragazza riportò il braccio con cui teneva la pistola lungo il fianco e si
voltò. Era proprio lei. E non come l’aveva descritta Mel, ovvero dimagrita,
sporca, triste, con i capelli corti e scompigliati. Era Teri
come la ricordavo, con i capelli neri perfettamente lisci e lunghi, gli occhi
scuri fieri e coraggiosi, muscolosa e pulita.
«TU!» gridò Teri, indicando un uomo mascherato che
cercava di scappare.
«Non voglio ammazzarti. Riferisci una cosa a Chris D’amico». L’uomo mascherato
si tolse la maschera e si fermò, annuendo.
«I morti non...» iniziò Teri, sparandogli ad una
gamba.
«Si». Gli sparò ad un braccio.
«Disturbano!». Un proiettile dritto nel cuore.
«WOW!» esclamò una voce, dietro di me. Mi voltai e vidi la ragazza bionda che
sorrideva verso Teri.
«Tu sì che sei una cazzuta!».
Il ragazzo che i ceffi volevano rapire si alzò e si pulì il vestito nero con le
mani.
«Sì, decisamente. Grazie per avermi salvato la vita» disse, guardando Teri. Il ragazzo aveva i capelli ricci, gli occhi verdi e
sul naso portava degli occhiali rotondi. Teri annuì. Poi fece cadere la pistola per terra e
guardò verso Mel. Sorrise a trentadue denti e si fiondò ad abbracciarla.
«Mel!». La figlia di Atena ricambiò l’abbraccio e vidi la sua schiena
sussultare appena. Piangeva.
Mi accorsi anch’io di avere le lacrime agli occhi e di star correndo verso di
loro. Io, Eles e Niall ci
stringemmo intorno a Teri, che ci baciò e abbracciò
tutti, in lacrime.
«Credevo di avervi persi» disse.
«Anche noi» mormorò Niall, lasciandole un bacio tra i
capelli.
«Dov’è mia zia?» chiese.
«Credo sia fuori...» disse Niall. «Le ho detto di
nascondersi quando è scoppiato tutto il casino». Teri annuì. Poi non potei fare a meno di ricordare
una cosa.
«Teri, ma tu conosci Chris D’amico» dissi.
La figlia di Persefone annuì.
«So cosa è successo a tuo fratello. Ma sta bene»
«Conoscete Chris D’amico?» domandò qualcun altro. Teri
si girò e davanti a noi c’erano il ragazzo riccio, la bionda, una coppia che si
teneva per mano, un ragazzo di colore e uno magrolino, con gli occhiali. Mi
sembrava di averli già visti.
«Sì» risposi. «Ha rapito mio fratello».
La ragazza bionda fece un passo in avanti.
«Io sono Mindy» disse, porgendomi una mano.
«Conosciuta anche come Hit Girl».
Le strinsi la mano.
«Ria Blueway» risposi. «Credo proprio che siamo sulla
stessa barca».
Erano loro. I supereroi. I JusticeForever. Il ragazzo ricciolino eraKick-Ass, quello
che D’Amico voleva uccidere.
«Dobbiamo andare all’Istituto» disse Eles.
«Immediatamente».
«Okay» intervenne Niall. «Avviso Jace
ed Eder di raggiungerci. Così Ria e Eles portano questi supereroi all’Istituto e lì organizzate
un piano, insieme a Jace e ad Eder,
ovviamente, mentre io, Mel e Teri torniamo al Campo.
Questa ragazza ha bisogno di abbracciare qualcuno». Teri
sorrise.
«Come avresti intenzione di avvisare Jace?» chiese
Mel.
«Con un messaggio Iride. Mi pare ovvio» rispose Niall,
alzando un sopracciglio.
«Non funzionano da qualche giorno. Me l’ha detto James». Niall aggrottò la fronte.
«Almeno per quanto riguarda il Campo» aggiunse Mel.
Il satiro parve confuso.
«No...L’iPhone non ha mai smesso di funzionare.
Proprio ieri sera ho parlato con Arika».
Mel sembrò interdetta. Abbassò lo sguardo e Teri le
strinse una mano e le sorrise.
«Avrà una spiegazione» disse la figlia di Persefone,
con sguardo rassicurante. Mel annuì.
I supereroi ci raccontarono tutto. Kick-Ass aveva
ucciso D’Amico Senior per vendicare la morte di Big Daddy,
il padre di Hit Girl. Poi D’Amico Junior aveva voluto la vendetta. Era un giro
di mafia, vendetta e sangue, seppur tra mortali.
«Mel!» sbraitò una voce. La figlia di Atena si voltò e vide Jace,
nero quanto la divisa da Cacciatore, che camminava velocemente verso di lei.
Dietro il Nephilim c’era Eder.
«Si può sapere perché diavolo non mi avete avvisato che andavate via? Mi avete
spaventato!»
Mel sospirò.
«Mi dispiace, ma avvisare la zia di Teri riguardava
noi».
«Non volevo essere incluso, ricciolina. Volevo solo che mi avvisaste». Mel fece
un sorrisetto.
«Dai. Non mi dire che non ti sei divertito tra le figlie di Afrodite». Jace alzò gli occhi al cielo, ma notai un lieve
guizzo delle labbra. Stava cercando di trattenere un sorriso.
Avevo visto la sua espressione quando Mel era corsa da James. Il Cacciatore
aveva abbassato lo sguardo come un cucciolo appena rimproverato. In quel
momento mi era sembrato anche più giovane. Era strano vedere l’amore fare il
proprio effetto. Be’, forse non era proprio amore, ma, insomma, era bello
vedere nascere le cotte.
«Non le ho conosciute, idiota» replicò Jace.
«Lui dev’essere uno dei Nephilim,
vero?» intervenne Teri, squadrandolo dalla testa ai
piedi. Jace la guardò come se solo in quel momento si
fosse accorto di altre persone oltre Mel.
«Uhm, sì?» Teri socchiuse gli occhi, soppesandolo. Riconoscevo
quello sguardo. Era lo sguardo del ‘attento-a-come-ti-muovi’.
Teri gli porse una mano e in quel momento inorridii.
Sul polso aveva un’ustione. Sull’avambraccio sinistro ce n’era un’ altra. E non
avevano un bell’aspetto.
«Teri» si presentò la figlia di Persefone. Jace spalancò gli occhi.
«Sì, quella morta e resuscitata» aggiunse la ragazza, ridacchiando. Jace sorrise appena, imbarazzato e strinse la mano.
«JaceWayland. E...ehm,
sinceramente, mi ricordi un po’...». Eder si era appena avvicinata al gruppo.
«Lei» proseguì Jace, indicando prima Eder e poi Teri. Le due ragazze
aggrottarono la fronte in contemporanea e trasalii. Avevano davvero la stessa
espressione.
«Io non credo...» disse Eder, e Teri
annuì.
«No, invece un po’ vi somigliate» commentò Kick-Ass,
chiamato anche Dave.
«Sì, un po’ la grandezza degli occhi, la forma delle labbra...» aggiunse Mindy.
«Comunque» intervenne Teri. «Io sono Teri, quella che davate per morta». E porse la mano ad Eder.
«Io sono Eder. Sai, siamo venuti alla tua ricerca nel
Cinerarium. Li ho accompagnati io» raccontò,
indicandoci.
L’altra corrugò le sopracciglia. «E come avresti fatto?»
«Io sono una Crepuscolare» spiegò. «Metà umana, metà Nocturna.
Metà giorno, metà notte. Ecco perché posso viaggiare nel Cinerarium». Teri spalancò gli occhi.
«Oh miei dei».
«Sì, davvero strano, eh?». Teri annuì, sorridendo, ma
dai suoi occhi mi parve che nascondesse qualcosa.
«Quindi è la tua parabatai?» chiese Jace a Mel, indicando la figlia di Persefone. Teri colse l’occasione per cambiare discorso.
«Sono la sua auriga? Da quando?»
«Significa che siamo come sorelle, gemelle in battaglia».
«Oh». Teri sorrise raggiante. Aveva davvero un bel
sorriso, solo che quando l’avevo conosciuta io lo mostrava ben poco.
«Sì» confermò. «Siamo parabatai».
Risvegliarmi era stato strano. La prima
cosa che avevo visto erano stati due occhi neri, capelli dello stesso colore e
un volto pallido con un’espressione preoccupata che mi aveva ricordato
vagamente Napoleone. «Teri?» aveva
domandato il dio.
«Padre» avevo provato a rispondere, ma dalla mia bocca non era uscito che un
suono roco e flebile.
«Riposa, cara» aveva detto un’altra voce. Avevo spostato lo sguardo e avevo
visto due occhi preoccupati cangianti di colore.
«Madre» avevo detto, sorridendo. Avevo cominciato a vedere offuscato e avevo
capito di stare piangendo. Quell’esperienza nel Cinerarium
mi aveva davvero devastata per arrivare a piangere così facilmente.
«Prendi questo» aveva continuato Persefone,
porgendomi un cubetto d’ambrosia. Avevo cercato di issarmi sui gomiti ma avevo
urlato per una fitta lancinante di dolore ed ero stata costretta a stendermi di
nuovo.
«Ferma, ferma. Sei appena arrivata» mi aveva ammonita Ade. «Ti aiuto io». E
così aveva fatto. L’ambrosia sapeva di biscotti al cioccolato e menta che preparava
mia zia.
Poi avevo richiuso gli occhi, esausta.
«Mi ha chiamato padre» aveva sussurrato Ade, con un tono di voce incredulo.
«Sì, l’ha fatto» aveva risposto la dea, e dal suo tono di voce avevo intuito
che stesse sorridendo. «Resteresti sempre tale, anche se potesse conoscere suo
padre naturale». Silenzio. Avevo sentito una mano tiepida toccarmi i polsi, le
ginocchia, il petto. Quella di mia madre.
«Le ustioni non guariscono» aveva commentato il signore degli Inferi.
«Teri era debole nel momento in cui hai fatto il
passaggio...Forse il fuoco infernale l’ha...»
«No» aveva risposto secco. «Il fuoco infernale non può farle del male,
altrimenti non avrebbe avuto senso proteggerla sotto la mia ala sin da piccola.
E non sono ustioni da fuoco infernale. Sembra che qualcuno l’abbia ferita di
proposito con una sostanza particolare mischiata al fuoco».
«L-l-lud-d-dka-a-a-» avevo risposto, sempre con voce
debole. Avevo cercato di schiarirmela, ma il semplice movimento della gola mi
era costata una fatica enorme.
«Ludkar? Teri, hai proprio
detto Ludkar?» aveva chiesto Persefone,
apprensiva. Avevo riaperto gli occhi e avevo annuito. Avevo cominciato a
sentire il sollievo che mi stava dando l’ambrosia.
«Pallido? Capelli rossi, viso nero...» aveva chiesto Persefone.
Avevo annuito di nuovo.
Gli occhi della dea si erano spalancati.
«Lo conosci?» aveva domandato Ade. Persefone aveva annuito, con gli occhi ancora
spalancati.
«È lui». Mi era parso che il suo respiro si fosse fatto più corto.
«Lui chi?» aveva chiesto ancora il dio. Domanda lecita. Persefone si era seduta su un divanetto lì accanto.
«Lui, Ade. Il padre di Teri».
Ade aveva afferrato il bordo del letto su cui ero stesa e l’aveva stretto.
Avevo temuto lo stesse per rompere con me sopra.
«Quindi Teri è...».
«Sì» aveva risposto Persefone.
«Sono cosa?» la voce mi si era schiarita. Ero riuscita anche ad issarmi sui
gomiti. Sentivo gli effetti benefici dell’ambrosia. Persefone mi aveva guardata intensamente.
«Sei immortale». Avevo ridacchiato.
«Non potevate scegliere momento peggiore per dirmelo, madre» avevo detto. «In
questo momento mi sento tutto, tranne che immortale».
«Non è il caso di scherzare, Teri. Sei una creatura
immortale, il che significa che non invecchierai mai e che sarai una dea a
tutti gli effetti. Ecco perché sentivi la presenza di altre creature immortali,
a Forks e a Seattle. Dovrai schierarti quando ci
saranno guerre tra dei. Vedrai i tuoi amici invecchiare e morire. Ti piace
davvero questa prospettiva?».
Mi era mancato il respiro. Troppe cose insieme. L’uomo che mi aveva rapita,
presa in giro, picchiata e ferita, era mio padre. E grazie a lui, ero immortale. Ecco perché ero riuscita a sentire le
voci di Ludkar e Jack, mentre parlavano di Eles. Avevo un udito più sviluppato di una comune semidea.
Solo il bronzo celeste mi avrebbe potuta uccidere. Avrei visto Leo invecchiare e morire.
«Suvvia, Persefone. Non essere così dura. È solo una
ragazza».
«Ade!» aveva esclamato la dea. «Deve sapere cosa significa».
«L’ha capito benissimo» aveva replicato. Poi si era rivolto a me. «Teri, se tu volessi, io potrei toglierti l’immortalità».
Avevo alzato lo sguardo verso di lui, speranzosa.
«Ma questo implica toglierla anche a Ludkar.» era
intervenuta Persefone. «Quando se ne renderà conto,
andrà su tutte le furie e ci sarà una guerra. È quello che volete, voi due,
padre e figlia?».
Avevo scorto l’angolo della bocca di Ade tremare appena, nel tentativo di
nascondere un sorriso. Padre e figlia. «Persefone, calma. Teri
non mi ha ancora risposto».
«Io...» avevo indugiato. «Io non lo so. Non voglio vedere Nico e Gregor morire.
Tantomeno Leo e Mel, e nessun altro».
Ade aveva corrugato la fronte. «Leo?». Poi sembrò avere un’intuizione e aveva
sorriso.
«Il figlio di Efesto, già. Immagino che tu lo ami
molto». Mi ero sentita avvampare. Non sapevo se lo amassi o fosse solo una
cotta, una storiella. Io sapevo di provare qualcosa di forte per lui. E sapevo
di volerlo baciare al più presto.
«Ehm, ecco...io credo...credo di sì».
Ade aveva annuito.
«So a cosa potrebbe portare l’amore» aveva detto, rivolgendo uno sguardo
intenso a Persefone.
«Non te ne importa niente di guerre, di divieti, di patti se hai lei, o lui,
accanto». Avevo sorriso quasi senza accorgermene.
«Ad ogni modo» aveva proseguito. «Ci penseremo più tardi, va bene? Ora hai
altre cose da sapere».
Avevo annuito. Poi mi avevano raccontato tutto su D’Amico e sugli Shadowhunters.
Poco prima di andare, Ade mi aveva trattenuta per un altro minuto, mentre Persefone era a curare il proprio giardino.
«Mi hai reso davvero fiero durante la tua impresa contro i vampiri, anche se
non sono il tuo vero padre».
«Voi resterete sempre mio padre. Non accetterò mai di buon grado l’idea che io
abbia lo stesso sangue di Ludkar». Ade aveva annuito.
«Mi rendi orgoglioso. E anche Nico e Gregor lo fanno. Credo che debbano
saperlo».
Mi aveva accompagnata fino all’uscita del palazzo e per la prima volta avevo
visto gli Inferi. Sentii una strana sensazione viscida e fredda alla bocca
dello stomaco davanti a quel panorama. Avevo sempre immaginato le fiamme più
brillanti, le urla delle anime più forti, le rocce più acuminate. Sembrava la
versione in rovina degli Inferi.
«Padre, ma...» Mi ero voltata verso il dio e avevo trattenuto a stento un
grido. I capelli neri e lucenti erano stati rimpiazzati da un colore argenteo.
Il volto era smagrito, le orbite vuote e le spalle accasciate.
«Padre! Che vi prende?»
«Sapevo che non sarei riuscito a trattenerlo...Mi è costata troppa fatica
portarti qui» aveva borbottato, con voce fioca.
«Cosa? Padre, cosa succede? Trattenere cosa?»
«Devi andare».
«No! Non me ne andrò finché non saprò cosa succede».
Ade scosse la testa, e fu costretto ad appoggiarsi al cancello del palazzo.
«Mi hai reso fiero, Teri. Ma il Tormento di questo
mondo, il mio Tormento, non è finito con la morte completa dei neonati. È
andato tutto bene per qualche giorno dopo la battaglia, ma poi è tornato tutto,
anche più forte e doloroso di prima».
«Che cos’è?»
Il dio aveva scosso la testa.
«Non riesco a capire. Ma sono debole, Teri. Mi sono
sforzato di restare nel mio aspetto migliore davanti a te, ma mi ha portato via
troppe energie. Se Ludkar e i suoi Nocturni dovessero scatenare davvero una guerra, io non
riuscirei a...»
Un attacco di tosse l’aveva costretto a interrompersi e l’angoscia mi aveva attanagliato
la gola e lo stomaco. Era colpa mia. Se non avesse dovuto salvarmi e fingere di
stare bene davanti a me, avrebbe avuto più energie.
«Padre, ma ci sono i vostri fratelli...Siete i Tre Pezzi Grossi, no? Avete
sconfitto i Titani...E gli altri dei dell’Olimpo...Vi aiuteranno» mi ero
affrettata a dire.
«Non possono, anche se volessero. C’è qualcosa di sbagliato qui, nel mio regno
e devo sbrigarmela io. I Nocturni sono forti, sono
troppi»
«Non vi basterebbe togliere loro l’immortalità?»
«Posso toglierla solo a pochi di loro per volta. E i rimanenti s’infurierebbero
ancora di più. Ho combinato un disastro, benedicendoli». Scossi la testa.
«Non potete esservi ridotto in queste condizioni solo per colpa loro. Ci dev’essere qualcos’altro».
Ade aveva tossito nuovamente, coprendosi la bocca con una mano. Quando l’aveva
spostata e si era raddrizzato, la mano era sporca di oro. Icore.
«Padre...» avevo mormorato, con le lacrime che mi bruciavano la gola.
«Concordo con te, Teri. Non credo che siano solo loro
a farmi stare così. Ma qualsiasi cosa ci sia, oltre i Nocturni,
non si decide a manifestarsi e sono certo che non sarà nulla di buono. Ora,
devi andare. Non dire niente sulle mie condizioni ai tuoi fratelli, né a
Melissa, né alle due Shadowhunters e neanche al tuo
custode, Niall. Solo Chirone
può saperlo, d’accordo?»
«D’accordo».
«Potrai parlarne ai tuoi fratelli dopo che avrai concluso la faccenda».
Già. Non stavo lasciando gli Inferi come se avessi appena finito una vacanza.
Stavo lasciando quel posto con una missione da compiere.
«Va bene, padre. Lo giuro sull-»
«Non sei costretta a giurare sullo Stige. Mi fido di
te, anche se non sono contentissimo che tu faccia quello che stai per fare.»
Abbassò la voce. «E non mi piace che Persefone non ne
sappia niente»
«Lo so, padre. Nemmeno a me piace. Ma voglio farlo, con tutti i rischi che
comporterà. Ne sono sicura. Lo giuro sullo Stige»
Ade si era portato una mano ad artiglio sul cuore, e poi aveva indirizzato il
gesto verso l’esterno, verso di me. Un vecchio gesto di scongiuro che avevo
visto fare a Niall. Avevo fatto lo stesso.
Poi Ade aveva schioccato le dita ed ero stata avvolta da una colonna di fumo e
fiamme, come mi era successo nel Cinerarium. Così ero
tornata sulla Terra.
Avevo incontrato mia sorella in quel cimitero. Molti avevano notato la mia
somiglianza con Eder e io avevo capito il motivo
quando mi aveva spiegato di essere una Crepuscolare. Era figlia di Ludkar, come me. Ma mi era mancata la forza di dirlo ai
miei amici, e poi avrebbe implicato dir loro della mia immortalità. Il pensiero
mi faceva ancora rabbrividire.
Ora eravamo in viaggio per il Campo. Sentivo il cuore battere forte al pensiero
di rivedere Leo. Quando ero tornata dall’impresa contro i vampiri neonati avevo
avuto appena qualche ora per stare con lui, poi ero stata rapita. Se avevo
trattenuto le lacrime davanti a Mel, dubitavo fortemente che ci sarei riuscita
davanti a Nico o a Leo.
Era ormai il tramonto.
Varcatol’ingresso del Campo sentii il
cuore sprofondare. Vidi Nico che portava un lenzuolo con il simbolo di Persefone da un lato e quello di Ade dall’altro. Dovevano
bruciarlo per il mio funerale. Leo era accanto a lui, con le spalle accasciate.
Per un attimo fui colta da un’idea. Scappare via, non farmi rivedere e sparire
dalle loro vite. Sarebbe stato meglio se mi avessero già creduta morta e non
immortale. Io non avrei sopportato vedere una mia amica, o Nico, o Gregor, o
Leo rimanere giovani mentre io invecchiavo. Ma era il mio cervello a pensarla
così. Non mi accorsi nemmeno di star già correndo verso di loro.
«Avete tanta fretta di disfarvi di me?» chiesi, non potendo nascondere un
sorriso.
Vidi sul volto di Nico il succedersi di varie emozioni. Prima infastidito, poi
sorpreso, infine sollevato. Lo strinsi forte tra le mie braccia, e lui fece lo
stesso.
«Nico...». Risi, nel vedere il suo raro sorriso. Era diventato più alto, più
muscoloso e gli erano cresciuti i capelli.
Abbracciarlo fu quasi strano, visto che era lui quello più basso di me, tre
mesi prima.
«Cos’è successo?» domandò.
«È una lunga storia». Scossi la testa. «Non ho voglia di raccontarla ora.
Comunque nostro padre vuole farti sapere che è fiero di te». Nico sorrise
ancora di più, poi allentò la presa.
«Va’ da lui» sussurrò.
«Fai pure con comodo, eh» disse Leo, ma sorrideva, con le lacrime agli occhi.
Il suo corpo non era più un sogno. Era lì, tra le mie braccia. Le sue lacrime
mi bagnavano le guance, e quando vidi i suoi occhioni
scuri colmi di lacrime non potei trattenermi e piansi. Nascosi il viso contro
il suo petto, dove sentivo il suo cuore battere all’impazzata. Strinsi la sua
maglietta e mi ci aggrappai come per assicurarmi che fosse tutto vero e che non
sarebbe svanito con un calcio allo stinco da parte di Ludkar.
Gli accarezzai le guance e sentii il calore che avevo sognato sotto i
polpastrelli. Sì, era reale. Lo baciai, come avevo sognato di farlo tante
volte, con lentezza, ma con amore.
Dimenticai che ci fossero delle persone intorno a me che un attimo prima
pensavano di dirigersi al mio funerale e che ora mi vedevano baciare Leo.
Saranno stati i mesi di torture e ferite, ma quei baci mi sembravano ancora più
belli, quelle labbra più soffici. Con una mano mi accarezzava i capelli, con
l’altra mi attirava a sé.
Interrompemmo il bacio e lo guardai negli occhi. Senza dire niente, mise una
mano nella sua cintura degli attrezzi e prese il mio laccetto nero. Me lo
riannodò. La sensazione delle sue mani calde sul mio collo mi riportò a quella
sera prima di partire per l’impresa. Mi era mancato.
Poi mi scostò una ciocca di capelli e sorrise. Appoggiò la fronte contro la
mia.
«Resta» mormorò, stringendo le mie mani nelle sue. Allacciai le dita e sorrisi.
In quel momento il dubbio che mi aveva colta nel palazzo di Ade sparì. Sapevo
la differenza tra amore e cotta.
«Resterò» risposi.
Quella stessa sera i semidei decisero di organizzare una festa in onore del mio
ritorno, ma dopo una mezz’ora di abbracci e visi sollevati, non ne potei più.
Mi alzai dal tavolo tredici e mi diressi verso la Casa Grande. Chirone era seduto nella sua sedia a rotelle magica,
intento ad esaminare qualcosa.
«Buonasera signore» dissi, fermandomi sull’uscio.
«Oh, ciao Teri! Accomodati pure» rispose, con la sua
voce cordiale.
Mi sedetti di fronte a lui.
«Quando ero nel Cinerarium ho sentito qualcosa dai Nocturni che credo sia opportuno che lei sappia. Be’, e non
è neanche l’unica cosa da sapere».
Così gli raccontai tutto. Non sarei riuscita a portarmi sulle spalle e nel
cuore tutto. Non era come mantenere nascosta una cotta per qualcuno o un segreto
adolescenziale qualsiasi. Chirone era stato ad ascoltare, pazientemente, mentre
il suo sguardo si era fatto sempre più preoccupato. Quando ebbi finito, non mi
sentii sollevata, ma sicuramente meglio di prima.
«La prima cosa che dobbiamo fare è proteggere Eles. È
la massima priorità. Se finisse tra le mani dei Nocturni
significherebbe un’arma in più dalla loro parte, e non possiamo permetterlo».
Annuii.
«Per quanto riguarda tuo padre, Teri, se lui stesso
non sa cosa sia che tormenta il suo regno, non vedo come noi potremmo aiutarlo.
Ciò che mi auguro è che sull’Olimpo non si scatenino nuovi litigi. Essere uniti
è fondamentale» Fondamentale? Addirittura?, pensai,
ma mi trattenni. Chirone sembrò leggermi nel pensiero
o semplicemente la mia espressione era facile da leggere.
«Sì, fondamentale. Sta arrivando una guerra».
Leo e Teri si
stavano baciando davanti a tutto il Campo Mezzosangue. Avevo sentito il cuore
farsi improvvisamente pesante e un nodo serrarmi lo stomaco.
Alzai lo sguardo oltre i due ragazzi e incontrai gli occhi verdi che tanto mi
avevano fatto battere il cuore. James. Mi sorrise. Non riuscii a ricambiare.
Aggrottò la fronte e mi fece cenno di seguirlo. I miei piedi si mossero prima
che potessi proibirmi di stargli dietro come un cagnolino. La mia solita
saggezza aveva dei problemi a restare tale quando incontravo quegli occhioni verdi.
«Dove vai?» chiese qualcuno, forse Jace. Gli altri
suoni mi arrivavano ovattati. Sentii i Mezzosangue applaudire. Forse erano
applausi per Teri e Leo. Percepivo la felicità di Teri. Avevo percepito anche il suo sgomento quando le
avevano detto che assomigliasse ad Eder. Non ne avevo
capito il motivo, ma l’avrei fatto presto. Non poteva nascondermi i suoi
sentimenti.
«Torno subito» risposi a Jace.
James mi afferrò una mano e mi condusse nella zona dell’arena. Il suo tocco era
piacevolmente caldo enon la smetteva di
sorridere. Sentii le gambe farsi come gelatine quando mi guardò dritta negli
occhi. I suoi non erano color smeraldo o verdemare, piuttosto un verde tendente
al nocciola ma non riuscivo a non trovarli stupendi. Il sole al tramonto ne
metteva ancora più in risalto il colore e anche la sua abbronzatura. Sfiorò le
mie labbra con le sue, ma in quel momento mi risvegliai da quel torpore e ricordai
la sua sfacciata bugia. Mi scansai.
«Allora? Adesso che la tua amica è viva non posso più baciarti?». Ridacchiò, ma
io ero serissima.
«Le comunicazioni Campo-Esterno funzionano benissimo» dissi. Il suo sorrisetto
sicuro vacillò.
«Come dici, scusa?»
«Oh, ti prego, James!» esclamai, stizzita. «Abbi almeno la decenza di non
insultare la mia intelligenza!».
«Io non sto insultando proprio niente e nessuno, Mel» ribatté, con voce calma.
«Sì, invece. L’hai fatto. Niall mi ha detto di essere
riuscito a contattare Arika, che è fuori dal Campo
per un’impresa, proprio ieri sera. Se volevi che ci baciassimo solo qui al
Campo, e là fuori fossimo perfetti sconosciuti, bastava dirlo, così non mi
sarei presa il fastidio di pensarti ogni notte e innamorarmi di te!». Sapevo di
stare arrossendo, ma ormai avevo rinunciato a contenerlo. Solo Teri ne era capace, ma nemmeno lei ci riusciva sempre.
James sorrise. Perché mi faceva tutto questo? Era maledettamente bello e
gentile, e anche se mi aveva mentito non riuscivo a non pensare che avessi
davanti a me una delle sette meraviglie del mondo.
«Sei innamorata di me?» chiese, cercando di prendere di nuovo la mia mano. Mi
ritrassi.
«No» risposi, secca. Il suo sorriso si spense. «Non provarci nemmeno. So che
non ti dispiaccio completamente, altrimenti non credo mi avresti baciata. Ma
non vuoi niente di serio. Vuoi che quando io sono via durante l’inverno ci sia
un’altra bella semidea pronta a corteggiarti, in modo da non aver tempo per
nemmeno un minuto di telefonata. Non chiedevo ore di conversazione, ma solo
qualche minuto, per dirsi che si sta bene, che si è sopravvissuti ad un’altra
giornata. Ti ho capito, James. Ma io non voglio far parte di questo tuo
giochetto. Non c’è bisogno di dire altro».
«Smettila» disse lui, brusco.
«Di far cosa? Di dirti la verità? Oh, scusa tanto se non voglio essere una
delle tante».
«No, smettila di analizzarmi. Non sono un campione da analizzare in
laboratorio, Sapientona. Sai perché non ti ho telefonato? Perché avevo paura. Ho
paura. Avevo paura che la voce di Iride mi dicesse che fosse impossibile
contattarti. Avevo paura che la finestra si aprisse e vedessi le tue amiche che
piangevano sul tuo corpo. L’ho sognato così tante volte, così tante notti che
non sono mai riuscito a lanciare quella dracma nell’arcobaleno, il mattino
dopo». I suoi occhi erano ormai pieni di lacrime.
Sospirai, mentre il mio cuore sprofondava.
«Ti ho detto di smetterla di prendere in giro la mia intelligenza».
«Cosa? Mel, ti sto dicendo la verità!»
«Apollo, signore della poesia e del teatro» risposi, mentre un tuono scuoteva
il pavimento. Già, la potenza dei nomi, ma continuai imperterrita. «Immagino
che la sua progenie mortale abbia ereditato un ottimo talento per la
recitazione». Girai sui tacchi e feci per andarmene.
«Non mi credi? Allora sei tu quella a cui non importa!»
Mi voltai nuovamente, stringendo i pugni.
«Giuramelo sullo Stige, allora».
Gli occhi di James si abbassarono. Era improvvisamente interessato alla sua
collana di cuoio con le perline del Campo.
«Mel, io...»
«Lo immaginavo»
«Credevo ti fidassi di me e non ricorressi a questi giochetti stupidi!»
«James!» gridai. «Ho detto di non prendere in giro la mia intelligenza!» Il mio
urlo risuonò in tutta l’arena.
Il ragazzo fece qualche passo indietro, come se dichiarasse la ritirata da una
battaglia.
Mi guardava con gli occhi spalancati.
«È un addio?» chiese, sottovoce.
Distolsi lo sguardo dalla sua espressione triste. Mi stava mentendo. Riuscivo a
percepire la sua falsità. «Sono una figlia di Atena, James. La pazienza non è
il mio forte, ma te lo ripeterò per l’ennesima volta.» Anch’io avevo abbassato
il tono di voce, ma lo guardavo dritto negli occhi. Dovette fargli un certo
effetto, perché lo vidi agitarsi. «Smettila.Di.Prendere.In.Giro.La.Mia.Intelligenza».
Dissi, scandendo ogni parola. Poi uscii dall’arena a grandi falcate, mentre le
lacrime mi bagnavano le guance. Sentivo il cuore pesante, lo stomaco in
subbuglio e una brutta sensazione amarognola in bocca.
Mi diressi verso la Cabina Sei, decisa a piangere tutte le mie lacrime prima di
addormentarmi. Gli altri figli di Atena erano a cena, così avrei evitato
domande invadenti. Immaginavo già il giorno seguente: un duello di spade
amichevole con Annabeth, una gara di scalata sulla
montagna di fuoco con Jace con tanto di battibecco,
una passeggiata per i campi di fragole insieme a Niall
e Teri e magari anche qualche lezione in più di tiro
con l’arco con Chirone.
Aprii la porta della Cabina Sei e accesi la luce.
Urlai per lo spavento quando vidi una figura nera sul mio letto, che sobbalzò e
si svegliò.
«Jace!» esclamai, con un sospiro di sollievo. «Mi hai
spaventata».
Il Nephilim si stropicciò gli occhi.
«Ti aspettavo» disse. «Hai detto che saresti tornata subito e sei stata via più
di un’ora».
«Un’ora? Credevo fosse molto di meno».
«Già, quando ci si diverte il tempo vola» mormorò, più a sé stesso che a me. «È
quando si aspetta qualcuno che non passa mai».
«Primo, non dovresti entrare nelle cabine. Secondo, togliti almeno le scarpe
quando ti stendi sul mio letto e terzo, non mi sono affatto divertita». Jace alzò lo sguardo e aggrottò la fronte quando
incontrò i miei occhi.
«Che è successo?»
«Niente, perché?»
«Hai pianto».
«Già. Rivedere Teri viva e vegeta dopo che pensavo di
non rivederla mai più mi ha fatto un certo effetto...» Jace scosse la testa.
«No, hai pianto ora. Hai ancora gli occhi e le guance umide». Le sfiorò con un
dito.
«Non sono affari tuoi». Jace mi studiò per qualche
altro istante.
«Sì, lo so».
Calò il silenzio, mentre lui era ancora seduto sul mio letto e io in piedi,
aspettando che si spostasse e andasse via. Invece continuava a guardarmi e a
studiarmi con i suoi occhi ambrati. Mi stava facendo sentire a disagio.
Incrociai le braccia sullo stomaco, distogliendo gli occhi dai suoi. Stavo distogliendo
lo sguardo parecchie volte in quel giorno, tranne per quella parentesi con
James. Jace si alzò in piedi, sovrastandomi con il suo
corpo. Sentivo ancora la sensazione del suo sguardo sul mio viso. Non appena si
alzò e si scostò appena feci per sedermi sul mio letto, ma mi trattenne da un
braccio. La sua presa era forte, ma non mi faceva male. Incontrai il suo
sguardo duro.
«Non meriti di stare così» sussurrò. «E lui non merita una ragazza come te.
Anzi, merita di stare proprio solo, con le sue medicine e la sua tintarella».
Non replicai niente, ma ebbi l’impressione di aver sorriso appena.
Lasciò la presa sul mio braccio e si avvicinò all’uscio.
«Ho visto Teri parlare con Chirone.
Credo che domani sarà una giornata impegnativa, quindi riposati bene». Non
aspettò che rispondessi. Uscì dalla cabina e chiuse la porta dietro di sé.
Sospirai, sprofondando la faccia nel cuscino. Mi sentivo esausta, svuotata,
inutile. Prima il ritorno di Teri, poi quella
battaglia assurda con dei semplici mortali, seguita dalla mia rottura con James
e, per concludere in bellezza, anche Teri che parlava
con Chirone di qualcosa che, dal tono di Jace, sembrava grossa. Sentivo lo stomaco chiuso, quindi
decisi di non andare a cenare. Sfilai le scarpe sporche di terreno e mi stesi
sul letto, aspettando il sonno. Ovviamente Ipno
doveva avercela con me, perché restai con gli occhi aperti per un bel po’.
Quando sentii le palpebre appesantirsi, qualcuno urlò il mio nome. Oh, andiamo.
«Mel, sbrigati! Ria è qui!». Niall, il mio custode. Mi
dispiace, Niall, non ce la faccio. Domani. Ma non
ebbi la forza di aprire bocca, e chiusi gli occhi, coprendo le orecchie con il
cuscino.
Sentii dei colpi alla porta.
«Mel, ti prego! Vieni!» esclamò ancora Niall.
Sembrava davvero in ansia, ma non riuscivo proprio a darmi la spinta per
alzarmi dal letto e aprire gli occhi.
«Lasciami sola!» urlai di rimando.
«Mel, esci subito di lì o ti prendo per i capelli e poi ti faccio ingoiare ogni
singolo ricciolo!» . Riconobbi il tono cordiale di Teri.
Improvvisamente la spinta che cercavo per alzarmi si presentò. Avevo imparato a
non sottovalutare le minacce della mia parabatai,
quindi mi alzai dal letto e mi avviai verso la porta, strascicando i piedi e
stropicciando gli occhi.
Quando l’aprii vidi Teri con l’espressione più
spaventosa che avessi visto. Era un misto di rabbia, preoccupazione e terrore.
«Finalmente!» esclamò, stizzita. «È successa l’ultima cosa che doveva
succedere».
Chiusi la porta dietro di me.
«Ovvero?»
«Eles non si trova» annunciò Ria. «Eravamo
all’Istituto, quando ad un tratto non l’ho vista più. Abbiamo setacciato tutte
le stanze, ma niente».
«Chi l’avrebbe rapita? Non credo che sia andata via...»
«No, infatti» convenne Ria. «Ma chi ha il bel vizio di rapire gente?»
«D’Amico» rispose una voce alle mie spalle. Mi voltai e vidi il ragazzo del
cimitero, Dave, insieme a Mindy
e al resto della compagnia.
«Che diavolo ci fanno loro qui?» domandai, alzando il volume della voce.
«Lo so, Mel» disse Teri. «Nemmeno a me sta bene
l’idea che loro stiano qui».
Ria sospirò. I suoi occhi verde scuro sembravano nascondere molto più dolore di
quello che quel corpo minuto sembrava poter sopportare.
«È necessario che loro stiano qui. E non credo sia stato D’Amico ad aver rapito
Eles.»
«Ho capito che abbiamo recentemente incontrato nel Cinerarium
pericoli più gravi dei ceffi mascherati di D’Amico, ma da quel che so non è che
questo The Motherfucker sia un angioletto».
Ria scosse la testa.
«Lo saprei se Eles stesse lì».
«E come lo sapresti?» chiese Teri, nervosa. Sembrava
essere sul punto di dire qualcosa e contemporaneamente impedirsi di dirlo.
Ria abbassò la testa, mentre una lacrima le scivolava lungo la guancia. Era la
prima volta che mi sembrava così piccola. Molto di più di quando avevo visto i
Marchi sulla sua pelle. Tre giorni dopo avrebbe compiuto quattordici anni. Non
era così grande come dimostrava di essere davanti ai mostri, ai demoni e ai Nocturni. Era solo una ragazzina divisa tra due mondi pieni
di pericoli, senza una madre che l’abbracciasse e la rassicurasse.
«Che succede?» chiese Mindy, avvicinandosi a Ria.
Erano molto simili. Entrambe bionde, con gli occhi verdi ed entrambe ottime
lottatrici, solo che Mindy era più grande,
probabilmente aveva la mia età.
«Mio padre ha accettato di far parte delle schiere di D’Amico».
Sentii la tensione scendere su tutti. Teri era ancora
più nervosa. Evidentemente sapeva tutto.
«Era questa l’ultima cosa che doveva succedere?» le chiesi. Teri
scosse la testa.
«Quando ero nel Cinerarium ho sentito i piani di Jack
e Ludkar. Parlavano di Eles.
Ce l’hanno loro». Scosse la testa. «Oh, e tanto per portare buone notizie.
L’impresa della scorsa estate non è servita a niente».
Davanti a me c’era una luce
chiara, azzurrognola e quasi accecante, ma essendo figlia di Apollo riuscivo a
vedere la luce direttamente senza che gli occhi mi lacrimassero o ne
risentissero in alcun modo.
Cercai di muovermi, ma mi dolevano tutti i muscoli e mi accorsi di non sentirmi
le gambe. Sudavo freddo. Non ricordavo nemmeno cosa mi fosse successo.
Alzai appena la testa e le vidi. Le mie gambe erano lì. Per lo meno ero tutta
intera, anche se mi faceva male ogni singolo osso. Poi i ricordi mi investirono
come una valanga.
Ero nell’Istituto, e io e Ria
avevamo appena saputo che Carl aveva deciso di schierarsi con D’Amico per
salvare Onny. Gli Shadowhunters si stavano preparando per raggiungere il covo
del figlio del boss e annunciare la notizia.
«Andate a dormire, ragazze» aveva detto mia madre, sorridendoci. «Avete avuto
una giornata faticosa».
Mi ero alzata dalla sedia, le avevo dato un bacio sulla guancia e mi stavo per
avviare per il corridoio, ma mi ero accorta che Ria non mi stava seguendo.
«Tu vai» mi aveva detto. «Io ti raggiungo tra un po’». I suoi occhi verde scuro
mi imploravano di lasciarla sola. Avevo annuito ed avevo preso il corridoio per
raggiungere la stanza.
Un collega di mia madre, il signor Hodge, mi aveva fermata nel corridoio.
«Scusami, Eles, giusto?» mi aveva chiesto. Avevo annuito.
«Ciao, Eles. Io sono Hodge, dirigo l’Istituto con il padre di Ria. Ho bisogno
di un favore, ma non c’è nessun Shadowhunter in giro per l’Istituto. Potresti
farmelo tu?»
«Certo, volentieri». Avevo sorriso.
«Oh, grazie mille. Allora, dovresti andare a cogliere delle erbe violacee che si
trovano accanto al cancello dell’Istituto. C’è uno stregone che sta facendo un
incantesimo, in biblioteca, e gli servono urgentemente. Io devo supervisionare
il suo lavoro».
Mi aveva porto una strega luce.
«Usa questa». L’avevo ringraziato e avevo preso l’ascensore.
Ero uscita dall’Istituto ed ero andata vicino al cancello, con la strega luce
che emanava calore e proiettava la sua luce bianca e potente sul cortile.
Accanto al cancello, verso la parte esterna, c’era un ciuffo d’erba viola dai
bordi ondulati.
Avevo guardato intorno, ma non avevo trovato niente di simile, quindi avevo
pensato che doveva essere solo quel ciuffo.
Avevo cercato di afferrarlo dall’interno del cortile, ma non ci ero riuscita.
Era come se fosse scivolato via, fuori dall’Istituto. Nemmeno il tempo di
varcare il cancello che mi avevano afferrato dalle braccia e mi avevano
ammanettata.
«Okay, bella Shadowhunter» aveva mormorato una voce maschile alle mie spalle.
«Stai ferma e deciditi a collaborare con D’Amico».
«Lasciatemi!» avevo esclamato, divincolandomi. «Carl Blueway ha già accettato
di collaborare con voi!»
«Oh, davvero? Be’, ma a noi serve la tua completa collaborazione. Quindi, o
stai zitta, ci segui e fai cosa ti diciamo noi, oppure...».
Mi fece girare verso un furgoncino. Uno degli scagnozzi mascherati del cimitero
era lì davanti. Aprì lo sportello. All’interno del furgoncino c’era una figura
accasciata. Aveva i capelli corti e le spalle larghe. Un uomo, o un ragazzo.
«Alza la testa!» abbaiò il tipo che mi aveva ammanettata. Lo scagnozzo che
aveva aperto il furgone prese un bastone nero e lo puntò sotto il collo
dell’uomo e gli fece alzare il mento.
Cacciai un urlo di spavento e sorpresa pronunciando il suo nome. Liam. Quello
stupido, divertente e stupendo figlio di Ermes, con una contusione all’occhio
destro e il labbro spaccato e sanguinante.
«NO! Lui...Lui...non c’entra niente con gli Shadowhunters. Lasciatelo, per
favore!». Avevo cercato di divincolarmi.
«Eles...» aveva mormorato lui, con voce fioca. E poi aveva sorriso, un sorriso
che gli aveva fatto brillare anche gli occhi azzurri. Ed era stato come vedere
il sole spuntare su un panorama perfetto da dipingere.
«Sto bene, tranqui-» Lo scagnozzo lo aveva interrotto con un colpo di bastone
sul collo. Poi gli aveva sferrato un pugno. Liam aveva sputato sangue.
«Non starai bene a lungo, se non convincerai la tua ragazza a collaborare per
noi».
«Collaborerò» avevo risposto prontamente.
«Bene». Poi il mio aguzzino mi aveva messo una mano sulla bocca e mi aveva
spinta verso l’interno del furgoncino. E mi ero risvegliata di fronte a quella
luce.
Mi decisi ad alzarmi. Feci per
fare uno scatto in avanti e scendere da quel lettino su cui ero stesa quando
una scossa mi spinse di nuovo contro il cuscino.
«Braccas meas...» imprecai, ma
un’altra scossa mi interruppe. Cercai di spostare lo sguardo e guardarmi
intorno. Nessuno. Liam. Dov’era Liam? Cosa gli avevano fatto? Dopo che
l’avevano usato per attirarmi, che fine aveva fatto? Tremai al solo pensiero.
«COSA VOLETE?» gridai, per farmi sentire in tutta la casa. «Avevo detto che
avrei collaborato!».
Silenzio. Riuscivo solo a sentire il mio respiro accorciarsi.
Una voce maschile entrò in diffusione nella stanza.
«Per amore, mia stupida Shadowhunter mezzosangue, si fanno le peggiori sciocchezze.
Come favorire il nemico e poi tradirlo. La nostra è una misura di sicurezza».
Conoscevo quella voce. Non era quella di Chris D’Amico. Avevo sentito la sua in
quella registrazione che aveva inviato all’Istituto e non era così. Era
piuttosto più roca, più cantilenante, con un accento diverso.
«Chi sei? Fatti vedere, vigliacco!». Ero l’ultima a poter giudicare chiunque un
vigliacco, visto che stavo tremando di paura.
«Sono uno degli inquilini affascinanti della Cabina Tredici. Oh, be’. Ex
inquilini».
«Ludkar». Il suo nome mi uscì con un tono sprezzante.
«Già, tesoro, proprio io. Ora, muovi un muscolo e farai la fine della tua
antipatica amica Teri».
Sentii come una sorta di sollievo. Ludkar credeva che Teri fosse ancora morta.
«Jack ci ha detto com’è andata» dissi. «Teri è morta avvolta in una colonna di
fiamme. Non l’avete uccisa voi».
«Oh, fa lo stesso. Farai la sua stessa fine».
«Cosa volevate da lei?»
«Be’, prima di tutto non è stata carina con me. E poi era perfetta per
minacciare Ade e contemporaneamente divertirmi con lei».
Cercai di sorvolare sul divertirsi. Non volevo saperlo, altrimenti sarei
esplosa.
«Minacciare Ade per cosa?»
«Ehi, vuoi sapere un po’ troppo. Posso fornirti dettagli sul divertirsi, se
proprio vuoi, ma il resto è top secret».
«No, grazie. Lasciala riposare in pace, almeno ora». Cercai di far scendere un
paio di lacrime, e non fu difficile in quella situazione.
«Come vuoi. Sarebbe stato divertente, comunque. Oh, arriva il boss».
Sentii una porta spalancarsi e un istante dopo il lettino su cui ero stesa si
mise in verticale, facendomi sobbalzare.
Davanti a me c’era un ragazzo di poco più di diciott’anni, dai capelli e occhi
scuri, con un filo di barba. Era vestito come un qualsiasi ragazzo della sua
età. Non poteva essere lui il boss.
«Ciao Eles» mi disse. Oh, be’. L’apparenza inganna.
«Ciao» risposi. Vedere un ragazzo mondano mi tranquillizzava, anche se non
avrei dovuto, considerando l’accanimento dei suoi scagnozzi mascherati nel
cimitero.
«Dunque, Eles McTemar. Immagino che tua madre ti abbia detto che non è il tuo
vero cognome». Si sedette su uno sgabello poco lontano da me.
«Sì, immaginavo fosse una copertura, ma non ho ancora scoperto il mio cognome
da Shadowhunter. Non gliel’ho chiesto e non mi interessa».
«Ah già. Delle due, tu sei la Shadowhunter che non accetta di esserlo». Aprii
la bocca per ribattere, ma non ne uscì nemmeno una parola. Aveva ragione. Io
non volevo incidermi la pelle con uno stilo e vestirmi di nero. Volevo essere
solo una semidea, con la mia maglietta arancione sgargiante e la pelle pulita.
«Allora, immagino che tu sia qui perché abbiamo minacciato Liam, no?».
«Anche» risposi. Il ragazzo annuì.
«Siamo stati costretti a farlo. Non accettando la tua discendenza da Raziel
avresti potuto non sentirti parte degli Shadowhunter e quindi non collaborare
con loro e, di conseguenza, con noi».
Annuii.
«Sì, capisco. Ma collaborerò».
«Cerca di metterti dal mio punto di vista, Eles. Mi stai dicendo che mi
aiuterai senza sapere quale sia il mio obiettivo. Non sembrerebbe strano se
succedesse a te?».
«Be’, dopo aver minacciato il mio...amico Liam, so che mi conviene aiutare».
«Sono appena quattro anni più grande di te, Eles. Non voglio trattarti come un
adulto tratta un bambino. È l’errore peggiore. Ho dovuto minacciare Carl
Blueway perché gli adulti sono stupidi. Non parlano altra lingua se non quella
delle minacce e delle cattive maniere. Quindi, cercherò di convincerti a schierarti dalla mia parte, essendo praticamente mia
coetanea».
«La ascolto, signor D’Amico»
«Signore? Chiamami Chris. Comunque, dicevo. Correggimi se sbaglio. Tu sei
figlia di Apollo»
«Esatto, Chris»
«Ti ha riconosciuta, ma non l’hai mai incontrato»
Annuii.
«Quindi è come se non avessi mai avuto un padre. Non siamo poi così diversi.
Mio padre è stato ammazzato da Kick-Ass»
«Ma tuo padre aveva ucciso Big Daddy, il padre di Hit Girl» risposi. Dave e
Mindy mi avevano raccontato tutto, mentre li portavo all’Istituto.
Chris non si scompose.
«Esatto. Ma io ho progetti più grandi. Uccidere Kick-Ass serve solo per
togliermelo dalle palle. Voglio i supereroi qui, a New York. E non finti, con
il solo potere delle pistole. Voglio che siano forti come gli Shadowhunter,
veloci come i vampiri, potenti come gli dei, spietati come i demoni e numerosi
come i Sottomondo».
«I sottoche?»
«Oh, te lo spiegherò dopo. Ovviamente, questo progetto è molto ambizioso. Ecco
perché mi servi tu. Il tuo arco è sinonimo di eccellenza, successo, luce.
Donandolo ai Sottomondo farai in modo che si liberino dall’oscurità e uccidano
i Sopramondo che non permettono loro di uscire e vivere la loro vita. É il loro
turno, ora!»
I suoi occhi stavano cambiando.
«Okay, questi Sottomondo vogliono godersi un po’ il sole. Ma se dono loro il
mio arco, uccideranno anche me, che sono una Sopramondo.»
«No, ovviamente. Risparmieranno noi che li abbiamo aiutati a risorgere. Uniranno
le varie creature sovrannaturali e saremo più forti. Sarà un mondo migliore,
Eles. Fidati!»
Aveva la terra al posto degli occhi. Letteralmente. Stavo cercando di
trattenere un urlo di terrore.
Ricorsi alle lezioni di teatro che avevo preso a scuola.
«Sì, mi fido» risposi. «Ma perché rapire Onny? Perché ti servono gli
Shadowhunters?»
«Mi serve un esercito» spiegò.
«A cosa ti servirebbe?»
«Prima dobbiamo uccidere quegli stupidi, egoisti e datati degli dei
dell’Olimpo. Le divinità minori non saranno difficili da ammazzare, ma per i
dodici abbiamo bisogno di aiuto»
«Dimentichi il dio degli Inferi»
«Oh, Ade, vero?»
«I nomi sono potenti» gli ricordai.
«Sì, vabbè. Chi se ne frega. Comunque, lui è già quasi sistemato. Ogni vampiro
che nasce lo indebolisce sempre più. Tra poco sarà morto, e a quel punto i
Sottomondo entreranno in azione e prenderanno il suo posto. Sguinzaglieranno le
creature infernali che Ade tiene tanto al sicuro e le scateneranno contro gli
dei del piano di sopra. Poi arriveremo noi. Un quarto dei, un quarto
Shadowhunters, un quarto demoni e un quarto vampiri».
«Creeranno degli ibridi?»
«Esatto. Io sarò il primo. Oh, questo progetto è così entusiasmante che mi
stava facendo dimenticare la cosa più importante». Afferrò un coltello e una
fiala da un tavolo lì vicino e incise il mio palmo per far sgorgare qualche
goccia di sangue. Conficcai i denti nel labbro inferiore, ma lo lasciai fare.
Dovevo stare dalla loro parte per capire esattamente il piano.
«Sangue di Shadowhunter mezzosangue senza rune. Perdona il gioco di parole,
cara.» Prese un foglio attaccato alla parete e spuntò delle voci con una penna.
«Okay, questo mi farà risparmiare la fatica di prendere il sangue sia da un dio
che da uno Shadowhunter. Ho già il sangue del vampiro. Mi manca solo quello di
un demone». Ormai parlava più a se stesso che a me. Poi prese un etichetta, vi
scrisse qualcosa e l’attaccò alla fiala in cui c’era il mio sangue.
«Sono contento di esserci riuscito»
«A far cosa?» domandai.
«A convincerti senza ricorrere alle maniere forti»
«Be’, è un piano perfetto, Chris. Voglio aiutare in tutti i modi possibili»
Il ragazzo mi sorrise, e sembrava sincero.
Premette un bottone e immediatamente le cinghie che mi tenevano fermi i polsi e
le caviglie si slegarono, facendomi cadere per terra. Chris mi aiutò a
rialzarmi.
«Grazie, Eles»
«Io ringrazio te, per questa opportunità». Scusate l’autocelebrazione, ma mi
sarei data un Oscar da sola. Il ragazzo mi accarezzò una guancia, poi vi lasciò
un bacio. Restai immobile, trattenendo il respiro. Non sembrò accorgersi del
mio irrigidimento. Poi mi sorrise e aprì la porta, affacciandosi nel corridoio.
«Hey, tu! Dì ad una delle cameriere di preparare una stanza. Abbiamo
un’ospite».
Mi portai istintivamente una mano alla perlina di argilla che
avevo appesa al collo. Era il mio souvenir dell’estate trascorsa al Campo. Era
tutta nera con una dentatura scintillante dai canini allungati dipinta sopra.
Avevano deciso di rappresentare così i vampiri che avevamo sconfitto
quell’estate. O meglio, che non
avevamo sconfitto. «E tu come fai a saperlo?» chiese
Mel. Teri sospirò.
«Quando i Nocturni mi hanno vista prendere fuoco non era perché stessi morendo.
Ade ha creato un passaggio per il suo palazzo attraverso le fiamme infernali e
mi ha spiegato un po’ di cose. Mi ha aggiornata sugli Shadowhunters, sul Campo,
su D’Amico e mi ha annunciato felicemente che abbiamo disturbato Katniss,
Johanna e Finnick per niente»
«Perché non ce l’hai detto prima?» domandò la figlia di Atena, stizzita.
«Prima quando, Mel? Non potevo nemmeno tornare al Campo senza portare altre
brutte notizie?».
«Ria!» gridò qualcuno. Mi voltai e sorrisi.
«Arika!» esclamai, e le corsi incontro. La figlia di Zeus mi abbracciò forte.
Avevamo legato sin da subito. Eravamo sole nelle nostre cabine, e forse per
questo le avevo fatto un po’ pena e aveva deciso di aiutarmi con il mio
addestramento. Mi aveva insegnato a maneggiare bene un coltello, a prendere la
mira anche da stesa, a non farsi prendere dal panico quando si viene disarmati
e a riutilizzare un qualsiasi oggetto come arma. Gran parte delle mie capacità
era dovuta a lei. Dimostrava circa diciassette anni, ma in realtà ne aveva
centodue. Era stata chiusa per novant’anni nell’Hotel Lotus, un posto in cui
non si cresce e non ci si accorge nemmeno del tempo che passa.
«Finalmente. Mi sei mancata tantissimo» disse, scompigliandomi i capelli. In
quei mesi era cresciuta in altezza, i capelli erano ancora più scuri e il viso
più magro metteva ancora più in evidenza gli occhi azzurri.
«Oh sì, Ria, ci sei mancata tantissimo!» ripeterono i gemelli Ripton, figli di
Ares, dietro di lei. Non eravamo mai andati d’accordo. Mi avevano presa di mira
sin dai primi giorni al Campo, ma non erano riusciti a fare i bulli perché mi
ero vendicata subito dopo, nonostante temessi la loro altezza e i loro muscoli.
Man mano che i giorni erano passati eravamo scesi ad uno stuzzicarsi innocente,
poi ero tornata a casa da mio padre e non ci eravamo sentiti più.
«Non davvero» aggiunse Rupert.
«Come siete amabili» dissi,
sarcasticamente.
«Oh, anche tu, piccola Shadowhunter». Daniel mi pizzicò una guancia.
«Come fate a saperlo?» chiesi. Daniel si strinse nelle spalle.
«Le notizie girano» replicò. «Ora non ti montare la testa solo perché hai i
tatuaggi. Io resto più figo».
Alzai gli occhi al cielo. Nel suo modo di scherzare c’era qualcosa di strano. I
suoi occhi non sembravano molto divertiti.
«Sì, come no».
«Dov’è Liam?» chiese Niall. Arika si strinse nelle spalle.
«Abbiamo preso il pullman per Long Island. Un attimo dopo era sparito. Non era
né per strada né da nessuna parte. Avevamo perso molte armi, non avevamo né
nettare né ambrosia con noi. Così abbiamo deciso all’unanimità di tornare al
Campo e chiamare i rinforzi» spiegò Arika.
Vidi i muscoli di Teri irrigidirsi.
«L’hanno preso per attirare Eles» disse Mel.
Niall si passò una mano tra i capelli rossi.
«Certo. Classica mossa. Ma come diavolo facevano a sapere che Eles e Liam hanno
una cotta l’uno per l’altra? Liam ne ha parlato molto durante l’impresa?»
chiese Teri.
«Be’, sinceramente non lo sapevo nemmeno io. Non ne ha fatto il minimo accenno»
rispose Arika.
Niall alzò le sopracciglia e si guardò intorno.
«Ma certo» mormorò il satiro. «I Nocturni devono averli osservati durante la
scorsa estate e si sono appuntati ogni cosa che vedevano come un punto debole.
Abbiamo accolto delle spie alleate a D’Amico a braccia aperte».
Calò il silenzio. Gli unici rumori erano gli altri mezzosangue che
festeggiavano. Dave e Mindy erano seduti sulla soglia della cabina Sei e ci
osservavano, come se cercassero il coraggio di dire qualcosa.
«Se fossi D’Amico e non vorrei che trovaste Eles la nasconderei in un posto
difficile da raggiungere» disse Mindy. «Quindi una collaborazione con dei
Nocturni mi tornerebbe utile per nasconderla nel Cinerarium».
«Di nuovo quel maledettissimo posto!» sbottò Teri.
«Ade ti ha salvata da lì» disse Mel. «Potrebbe...»
«No» la interruppe l’altra. «Non può. Io sono sopravvissuta per miracolo perché
sono protetta da lui. Eles brucerebbe e finirebbe negli Inferi come anima, non
come umana nel posto sbagliato».
«Oppure» proseguì Mindy. «Se volessi attirare i miei peggiori nemici supereroi,
una Shadowhunter Mezzosangue e il suo gruppetto di begli amici semidei, la
terrei in un posto ovvio».
«E lui vuole ucciderci. Sa che voi ci proteggete, quindi ci attira tutti lì e
ci fa la festa» disse Dave.
«Figo!» esclamò Daniel, ridacchiando. «Suona proprio come una guerra. Amo le
guerre moderne».
«Ti sembra divertente? Anch’io sono la figlia della dea della vendetta, e
questo è un giro di vendette, ma non
fa ridere per niente!» lo rimproverai.
Mi afferrò per un braccio e mi avvicinò a sé.
«Mi sei mancata davvero, comunque» disse sottovoce, con le labbra accanto al
mio orecchio.
Poi si allontanò di scatto e cominciò a camminare a grandi passi verso la Casa
Grande.
«Andiamo a fare rapporto a Chirone, Rup» gridò. Arika e Rupert trattennero una
risata.
«’Notte, ragazze» dissero, e seguirono Daniel.
Corrugai la fronte e lo guardai andarsene, perplessa.
«Okay, era strano» mormorai.
Mi girai verso i miei amici e vidi che anche loro trattenevano una risata.
«Ehm, okay. Abbiamo bisogno di un piano. C’è un bel casino dietro questa
storia» dissi, cercando di dissimulare l’imbarazzo causato da ciò che era
appena successo.
Teri sembrò riprendersi dal momento pseudo-divertente.
«Ehm, io non so davvero da dove partire. E non dimentichiamo che tuo padre ha
accettato la collaborazione con D’Amico. Quindi, riassumendo. Abbiamo Eles, Onny
e un intero esercito di Shadowhunter, compreso il tuo Jace» disse, guardando
Mel, ma questa la interruppe.
«Jace sta qui al Campo»
«Oh, è rimasto quindi...» Teri sorrise appena. «Comunque, dicevo. Eles, Onny e
un intero esercito di Shadowhunter sono nel pugno di quel bastardo. E non
dimentichiamo che voi due supereroi avete dei padri da vendicare. Quindi, mia
cara figlia della dea della strategia militare, tocca a te».
«Supereroi mortali, semidei, vampiri, Crepuscolari, Shadowhunters...Da quand’è
che siamo così affolati?» domandai, stizzita.
«Sono un arrivo miracoloso, Ria» disse una voce alle mie spalle. Chirone.
«Stiamo imparando molto».
«Già. Ma siamo anche molto in pericolo» replicò Niall.
Mel spalancò gli occhi.
«Ma certo!» esclamò. «L’ultima parte della profezia!»
«Solo uno si sa orientare, solo uno
può la difesa organizzare, uno diventerà l’obiettivo, del grande e
straordinario arrivo»recitò Teri. Mel annuì.
«Le parole sono importanti» disse. «Significa che c’è una sola persona nella
profezia che si sa orientare, che si sa difendere e che sarà l’obiettivo. Uno
solo, non tre persone, come pensavamo inizialmente»
«Eles» disse Chirone. «Lei ha saputo condurvi nel punto in cui si poteva creare
un passaggio tra presente e futuro. Gli Shadowhunters, i Nocturni, D’Amico.
Sono il grande e straordinario arrivo, per quanto possano essere cattive le
intenzioni di alcuni di loro. E tutti vogliono qualcosa da lei. Gli
Shadowhunters vogliono che si identifichi con loro, i Nocturni e D’Amico
vogliono il suo arco. Ed evidentemente sarà anche lei ad organizzare la
difesa».
«Quindi non dobbiamo fare niente per salvarla?» chiese Dave.
«No. Lei deve restare con loro. Sa cosa fare. Noi dobbiamo solo salvare Onny
Blueway».
«Non so da dove iniziare» mormorai, sopraffatta. Troppe cose tutte insieme mi
stavano investendo.
«Propongo una cosa» intervenne Niall. «Dormiamo. Ne abbiamo bisogno. Dobbiamo
chiarire tutta questa situazione. Oggi è stato un giorno pieno. Teri che
ritorna dal Mondo dei Morti, la rottura di Mel e James, Eles rapita. Non ho un
cuore forte. Buonanotte». Mel fece una smorfia.
«Vado anche io» annunciai. Mi avviai verso la Cabina Sedici.
Aprii la porta e accesi la luce. Non era cambiato niente dall’ultima volta che
ero stata lì. La luce violacea del lampadario, il quadro di Ethan, il comodino
sempre inutilizzato da me, in quanto mettevo tutto in borsa. Mi buttai sul mio
letto e affondai il viso nel cuscino.
Non ero niente. Teri era tornata dai morti. Aveva il potere sui fiori, sui
morti, sui serpenti. Aveva un ragazzo premuroso, era sicura di sé, era stata la
Prescelta nell’impresa.
Eles era una mezza Shadowhunter come me, capace di orientarsi nel labirinto di
Dedalo, capace di organizzare una difesa contro qualsiasi cosa fosse il
pericolo che ci aspettava là fuori, capace di unire mondi diversi in cui
vivevano creature diverse: vampiri, Nephilim, Crepuscolari e Nocturni.
Mel era intelligente e saggia, aveva interpretato lei la profezia, e nonostante
fosse stata tradita da James, c’era già un Nephilim fighissimo che le andava
dietro. Arika era combattiva, forte, una maestra. Loro erano figlie di divinità
maggiori. Be’, Teri non lo era, ma una divinità maggiore la proteggeva.
Io ero diversa e non ero niente.
Mio padre era uno Shadowhunter purosangue, mio fratello pure ed entrambi ora
erano da D’Amico.
Io ero a metà. Né completamente Nephilim né completamente mezzosangue. Ed era
come se non avessi mai visto davvero i miei genitori. Non sapevo che faccia
avesse Nemesi. Non avevo mai fatto caso alle Rune di mio padre e sapevo che il
suo cognome fosse Johnson fino ad una settimana prima. E il giorno dopo sarebbe
stato il mio compleanno. Quattordici anni senza poter vedere i miei veri
genitori. Be’, mio padre almeno aveva avuto il coraggio di dirmi tutto. Mi
aveva allenata e avevo preso le rune. Per quanto riguardava il lato di mia
madre, non avevo nessun potere che mi distinguesse, solo una stupida borsa che
ormai non aveva più la sua particolarità. Dopo aver usato le armi contro gli
scagnozzi di D’Amico si era ristretta e conteneva esattamente ciò che
dimostrava di poter contenere: poco più che un cellulare. Io, ovviamente, non
ce l’avevo e usavo quella borsa per metterci lo stilo e la bandana rossa che
mettevo di solito ma che non potevo più usare ora che indossavo solo il nero
dei Cacciatori. Avevo allacciato il coltello avvelenato di Ethan alla cintura
da Shadowhunter, insieme alle altre armi.
Aprii la borsa, presi lo stilo e la bandana e li appoggiai sul comodino. La
borsa aveva perso il suo color blue jeans e assumeva più un colore pallido,
azzurrino spento e sporco.
Evidentemente l’incantesimo era legato alle armi da fuoco che Chirone mi aveva
donato. Ora che erano scariche e abbandonate in un cimitero, la borsa era
tornata ad essere normale. Chirone sapeva che prima o poi avrei avuto bisogno
di quelle armi, per salvare Eles, l’obiettivo.
Ora che avevo svolto il mio ruolo, ovvero partecipare all’impresa, svelare il
mio lato da Nephilim e uccidere un bel po’ di scagnozzi di D’Amico non avevo
più un ruolo.
Il mio ruolo era “una con la borsa”, come diceva la profezia.
Fine. Una lacrima cadde sulla borsa. Non mi ero nemmeno accorta di star
piangendo.
Mi ripetei che almeno mio padre mi aveva introdotta alla vita da Nephilim, mia
madre no. Il Campo Mezzosangue non poteva pretendere niente da me. Mia madre non poteva pretendere niente
da me. Ero solo un’inutile figlia di una divinità minore.
Strinsi la borsa in un pugno e andai verso la porta della Cabina, a grandi
passi. La spalancai e scaraventai la borsa con tutta la mia forza verso il
focolare di Estia. La fiamma divampò e vidi una bambina dai capelli castani,
l’aria tranquilla. Indossava una tunica greca.
«Estia» mormorai.
La bambina mi sorrise. Un battito di ciglia dopo era sparita.
Tornai nella Cabina e sollevai il lenzuolo del mio letto. Sotto c’era ancora la
mia vecchia borsa degli scherzi. Nessuno l’aveva toccata. L’afferrai e ci
ritrovai tutte le cose che usavo per fare scherzi, prima di scoprire di essere
semidea. Dentro c’erano anche i miei pantaloni mimetici preferiti.
Presi la bandana rossa, la maglietta arancione del Campo e il coltello di
Ethan. Staccai la perlina d’argilla dal mio collo e tornai al focolare. Ci
buttai tutto dentro. Non aspettai di guardarle bruciare.
Poi incominciai a correre. Ero solo io, con la mia divisa da Nephilim e le armi
angeliche. Mi asciugai le lacrime e mi ordinai di riprenermi.
Io ero Ria Blueway, e non piangevo. Io ero Ria Blueway, e non ero “la figlia di
una divinità minore”, ero una Nephilim con i fiocchi, che aveva preso le rune
senza problemi perché aveva il sangue dell’angelo Raziel nelle vene. Avrei
salvato la mia vera famiglia. Superai
la collina Mezzosangue, lasciandomi alle spalle quel posto a cui non ero mai
davvero appertenuta.
Mi stiracchiai e sbadigliai, alzandomi dal letto. Era bello tornare a dormire su un
materasso comodo e non su una brandina con le lenzuola ruvide.
«Dove vai?» mugugnò Leo, aprendo gli occhi.
«Sarebbe ora di alzarci, pigrone» risposi, pizzicandogli una guancia. «E ho
promesso a Nico che ci saremmo allenati insieme, stamattina»
Leo si issò sui gomiti e mi guardò.
«Dici che gli dei si arrabbieranno per stanotte?». Sorrisi e gli stampai un
bacio sulle labbra.
«Sono tornata dall’Inferno, Leo. E per Inferno non intendo il regno di mio
padre. Sono stata prigioniera per due mesi, mi davi per morta. Ce lo
meritavamo, no? E poi hai messo questo letto in un bunker, non in un tempio a
loro consacrato».
Leo mi accarezzò una guancia.
«Bene, a meno che non ti vada di dare spiegazioni imbarazzanti ai tuoi fratelli
e soprattutto al mio, sbrigati a rivestirti e a tornare in Cabina» dissi.
Lui mi tirò per un braccio e mi attirò a sé. Sentire il suo corpo vicino al mio
evocò nella mia mente i ricordi della sera precedente e mi mozzò il respiro. Mi
fece un sorrisetto, mentre mi scostava i capelli da un lato. Le sue mani calde
mi accarezzavano la schiena.
Cominciò a baciarmi il collo lentamente. Chiusi gli occhi, mordendomi il labbro
inferiore.
«Leo, dovremmo proprio...». Lasciai la frase sospesa, incapace di continuare.
Appoggiare le mani sul suo petto per spingerlo via mi costò uno sforzo enorme.
«Poi glielo spieghi tu a Nico»
«Oh, eddai!» borbottò lui.
Afferrai la sua maglietta arancione dal pavimento e gliela lanciai addosso.
«Sbrigati. Ci vediamo dopo». Mi chinai per dargli un bacio sulle labbra e poi
uscii di corsa dal Bunker Nove, prima che ci ripensassi.
Era ormai mattino. Entro mezz’ora il Campo si sarebbe animato. Corsi per
raggiungere le Cabine. Avevo già corso nella Foresta prima di allora, durante
una Caccia alla Bandiera, quindi fui veloce.
Raggiunsi la Tredicesima e aprii la porta. Nico dormiva. Tirai un sospiro di
sollievo e mi sfilai le scarpe.
«Guarda che potevi restare con lui un altro po’» mugugnò mio fratello. «Tanto
stamattina starai con me, caso chiuso».
Non riuscii a trattenere una risata.
«Okay, ammetto di essere una frana nello sgattaiolare» risposi.
Nico si girò verso di me e sorrise.
«Decisamente». Mi studiò con i suoi occhi scuri, poi fece un sorrisetto.
«Ammettilo, dai. Ti sei divertita!»
«Nico!» Cercai di fingermi indignata, ma il mio sorrisetto ebete mi tradì.
«Spero di non diventare zio». Spalancai gli occhi e scoppiai a ridere, mentre
gli tiravo addosso un cuscino. Nico rise e me lo rilanciò. Mi sedetti sul suo
letto e lo abbracciai.
«Da quando sei così affettuosa?» chiese. «Certo che Ludkar ti ha proprio
cambiata».
Sentii un tuffo al cuore. Avrei voluto dirglielo. Avrei dovuto dirglielo. Ah Nico, a proposito, io sono immortale.
«Mi sei mancato» risposi. «Anche i metallari hanno sentimenti».
La porta si spalancò. Saltai giù dal letto di scatto. Una vecchia abitudine del
Cinerarium. Ma sulla soglia non c’era Ludkar. C’era Mel, con il petto che si
alzava e abbassava, gli occhi spalancati e le labbra schiuse. Sentii i muscoli
rilassarsi.
«Mi hai spaventata, idiota. Che è successo?» chiesi.
«Ria è sparita»
«Anche lei?»
«Manco solo io» commentò Mel «Ma non trovo che questo gioco sia divertente».
«Come diavolo avrebbero fatto a rapirla dall’interno del Campo?» chiese Niall,
dopo che avevamo perquisito metà Campo.
«Probabilmente l’hanno attirata fuori» ipotizzò Mel.
«Sì, ma l’ho vista andare nella Cabina Sedici con i suoi piedi. Come avrebbero
fatto ad attirarla fuori? Le Cabine non sono propriamente vicine all’ingresso»
ribatté Niall.
«Ragazzi!» gridò Arika, raggiungendoci. Scosse la testa. «Niente da fare anche
da questa parte»
Mel sospirò.
«Sono due ragazze in meno di dodici ore» commentai. «Cosa vogliono ancora da
noi?»
Le spalle di Arika si irrigidirono. Si avvicinò lentamente al focolare di
Estia.
«Ma cos’ha visto?» chiesi a Mel. Lei mi rivolse uno sguardo confuso.
Arika si chinò davanti al fuoco e raccolse una borsa sporca di terreno.
Si avvicinò a noi.
«Questa è la borsa di Ria. La portava prima che Chirone le donasse l’altra»
«Che ci faceva vicino al focolare di Estia?» domandò Niall. Arika scosse la
testa. Poi aprì la borsa e ne tirò fuori la maglietta del Campo, il coltello
avvelenato, una bandana rossa e una borsa di jeans scolorito.
«Sono le cose di Ria...» mormorò il satiro. «Che significa?»
«Sono le cose legate alla parte di semidea di Ria» specificò Arika. «Voleva
bruciare i suoi ricordi da semidea. Non è stata rapita. È scappata». Mi portai
una mano tra i capelli. Chirone aveva detto che era importante restare uniti.
Bell’inizio.
«Che ci siamo persi?» chiese Jace. Era appena arrivato, insieme a Dave e Mindy.
Avevano dormito nella Casa Grande.
«Ria è scappata» annunciò Mel, facendo un sorrisetto tirato. «Tutta questa
fortuna finirà per emozionarmi».
Dave e Mindy erano qualche passo indietro e stavano discutendo. Riuscivo a
sentire cosa si stessero dicendo.
«Capisci, ora, Dave? Abbiamo ancora bisogno di te. Abbiamo bisogno di Kick-Ass»
disse Mindy.
«Devo avvisare Carl» dichiarò Jace.
«Che succede?» chiesi a Mindy e a Dave. I due mortali mi guardarono, sorpresi
che li avessi sentiti. Avrei voluto darmi un ceffone da sola. Avevo un udito
superiore a quello di una normale semidea, ma lo sapevo solo io, oltre ad Ade e
a Persefone. Avrei dovuto fingere un udito normale.
«Vi vedo nervosi» mi affrettai a dire. «Qualcosa non va?»
Dave sospirò.
«Ho promesso a mio padre che non avrei più fatto Kick-Ass. È morto per colpa
mia. Si è consegnato a mio posto, per proteggermi. E io gli ho detto che
nessuno si sarebbe accorto della sua morte. Glielo devo»
Mi si spezzò il cuore a vederlo così. Era un ragazzo di appena diciott’anni che
aveva perso il padre e che era finito in una situazione più grande di lui. E
per giunta, era un semplice mortale.
«Dave...» cominciò Mindy. «Tuo padre ti voleva bene, come il mio ne voleva a
me»
«Ha ragione» confermai. «Altrimenti non si sarebbe consegnato, no?»
«Ti aiuteremo a vendicarlo» intervenne Mel.
«D’Amico ha già fatto troppi casini» convenne Mindy.
Dave le rivolse un sorriso tirato.
«Lanciamo un appello su Internet, allora. Ci sarà qualche supereroe pronto a
combattere».
«Internet?» domandai. «Se proprio devi. Ma calcola già una persona in più dalla
vostra parte».
«Due» mi corresse Mel.
«Due persone e un satiro» aggiunse Niall. Jace fece un passo in avanti.
«Non dimenticatevi del più figo»
Dave ci rivolse uno sguardo sorpreso e ammirato.
«Ma voi siete...siete forti. Voglio dire, voi due siete due semidee, lui è uno
Shadowhunter e lui è...ehm...metà asino?»
Guardò le zampe caprine di Niall con un’espressione confusa.
«Di immortales, ma perché nessuno riesce a distinguengere un asino da una capra?
Sono un dannato satiro, bello»
«Ehm, sì, è lo stesso. Comunque, dicevo che siete straordinari. Perché dovreste
combattere per me?»
«Oh, tu sei rimasto indietro. Abbiamo degli Shadowhunters da salvare» disse
Jace. «Non permetterò che i miei amici facciano da schiavetti ad un bambino
viziato»
«Okay, wow. Grazie, gente. Quindi, qual è il piano?» chiese Dave.
Calò il silenzio.
«Ehm, ecco. Questo è un problema» commentò Niall.
«Io ho un piano» dichiarò Mindy. «Io e Dave andiamo nel solito posto in cui ci
alleniamo. Dobbiamo prendere le nostre armi e nel frattempo dobbiamo lanciare
un avviso a tutti i supereroi disposti a schierarsi dalla nostra parte»
«Non vi lasciamo andare da soli» intervenni.«È troppo pericoloso»
«Infatti» convenne Jace. «Io e Alec veniamo con voi in questo posto».
«E nel frattempo noi cosa facciamo?» chiese Mel.
«Voi andate all’Istituto con Eder. Tracciatevi delle rune per la vista e per
l’udito, prendete le armi angeliche. Riempitevene le tasche. Poi vi manderò un
sms con l’indirizzo del covo di D’Amico»
«Dimentichi un particolare» disse Mel. Jace chiuse gli occhi, facendo una
smorfia.
«Ah già, niente telefoni.»
«Allora ci vediamo nel punto di ritrovo dei Justice Forever, la nostra squadra.
Questo è l’indirizzo». Dave mi porse un bigliettino con un indirizzo scritto a
penna.
«Ricapitolando: io e Alec accompagniamo questi due per fare questo fantomatico
annuncio, poi ci vediamo tutti in questo punto di ritrovo e andiamo da D’Amico
tutti insieme appassionatamente per aprirgli il c-»
«Jace!» lo riprese Mel.
«Okay tutto chiaro!» commentò Mindy. «Andiamo!»
«Io avevo promesso a Nico che avremmo trascorso la mattina insieme...»
mormorai.
«Capirà» disse Mel, accarezzandomi il braccio.
«Certo» convenne Mindy. «Ma non rimandare dei momenti con le persone che ami.
Potrebbero essere gli ultimi». Il modo in cui pronunciò quelle parole mi fece
stringere il cuore. Aveva perso qualcuno.
Non le chiesi niente. Fino a ventiquattr’ore prima tutti mi davano per morta.
Mi avevano rapita pochi mesi prima, dopo essere appena rientrata da un’impresa
e aver trascorso troppo poco tempo con i miei fratelli. Sorrisi e raggiunsi
Nico per fare colazione.
«E basta!» esclamai,
cercando di assumere un tono innervosito ma senza successo. Scoppiai a ridere
mentre mi toglievo l’ennesima pallina di mollica di pane dai capelli.
«Ma sei carina con i capelli a pois!»
«Ah, così dici? Vieni subito qui!»
«Ma perché vuoi rincorrermi?» domandò mentre correva verso il campo di fragole.
«I tuoi capelli sono adorabili! A Leo piaceranno da impazzire!»
«Nico!» gridai, afferrandolo per la maglietta e facendolo cadere per terra.
«Chiedimi scusa»
«Perché dovrei?»
«Perché altrimenti mi vedrò costretta a fare questo...» cominciai a fargli il
solletico sulla pancia, mentre lui si contorceva e rideva.
«No, ti prego, basta, basta! Ho le lacrime agli occhi! Non lo dirò più, scusa!»
Mi fermai perché mi facevano male le guance e la pancia per le troppe risate.
Mi buttai per terra, accanto a lui.
Guardammo il cielo per un po’, in silenzio. C’erano più nuvole bianche rispetto
all’estate, ma era sempre il tetto di quella che era la mia casa.
«Dici che Gregor stia bene?» chiesi.
«Lo spero» rispose Nico. «La sua famiglia non naviga propriamente nell’oro, ma
spero che vada tutto bene. Merita di essere felice, dopo un’estate a fare
incubi su di te».
Sobbalzai. Un brivido mi percorse la schiena.
«Già, me l’aveva detto mentre ero a Seattle, per l’impresa. Aveva previsto
tutto. Ma come ha fatto? Voglio dire, che c’entrano i Nocturni con lui?»
«Non saprei». Nico si strinse nelle spalle. «Forse le previsioni sono su di te, non sui Nocturni».
Suonava strano.
«Aveva incubi anche da quando ci conoscevamo da poco. Ci siamo avvicinati
proprio perché quando aveva paura dormiva nel mio letto. Non possono essere su
di me. All’inizio credevo fosse per via della protezione di Ade su entrambi, ma
io lo sono sin da neonata, lui da neanche un anno. Abbiamo genitori diversi. Ho
un collegamento empatico con Mel, ma lei ha cominciato a sognarmi quando io
sono riuscita a stabilire un collegamento dal Cinerarium, che mi è quasi
costato la vita».
Nico spalancò gli occhi.
«Invece Gregor ti sognava senza particolari problemi di comunicazione». Mi
guardò.
«I suoi incubi sono collegati a qualcosa che lui conosce bene».
Lo dicemmo all’unisono. «I Sottomondo hanno un accordo con i Nocturni».
«Volevano rapirmi per
minacciare Ade» dissi. «Vogliono Eles perché il suo arco è come un portafortuna
molto potente»
«Ma certo!» esclamò Nico. «Il Sottomondo non è distante dagli Inferi e gli
Inferi sono in continua espansione. I vampiri hanno portato scompiglio, quindi
qualche anima vendicativa sarà riuscita a scappare e a fare casini nel
Sottomondo. Vogliono ristabilire i confini. Posso garantirti che i Ratti del
Sottomondo non sono tipi con cui si possa negoziare pacificamente. Vogliono
vendetta».
Ci fu un istante di silenzio in cui mi guardai attorno. Stranamente la cosa
oltre a spaventarmi mi affascinava. Nel senso, ero tornata alla mia vita.
Tornavo finalmente in campo di battaglia, lottavo e non stavo seduta tutto il
giorno in una cella polverosa. La mia visita forzata in quel posto, però, mi
aveva fruttato informazioni sui piani dei Nocturni.
«Oh miei dei» mormorò Nico. «Accidenti!». Si alzò in piedi e diede un calcio al
terreno, frustrato. Poi si inginocchiò, con le spalle accasciate. Mi alzai in
piedi e gli poggiai una mano sulla spalla, facendolo voltare verso di me.
«Che Ade ti prende?». Nico sospirò e tornò a stare in piedi e cominciò a
camminare avanti e indietro e a gesticolare, nervoso.
« Io non volevo che Gregor andasse via alla fine dell’estate. Avevo una strana
sensazione. Ma lui ha insistito. Doveva badare alle sorelline, doveva aiutare i
genitori e aveva la scuola, ma mi promise di contattarmi con l’iPhone ogni
settimana. Sono stato così preso dalla notizia della tua “morte” che non me ne sono reso conto. »
«Arriva al punto, per favore. E smettila di andare avanti e dietro, mi sta
venendo il torcicollo!»
Nico si sedette si nuovo e mi guardò dritta negli occhi. Sentii una strana
sensazione alla bocca dello stomaco.
«Gregor è il loro guerriero. Il guerriero di Sopramondo che aiuterà il
Sottomondo. Lo chiamano così. E non mi manda un messaggio Iride da dieci
giorni».
«Non è una coincidenza» dissi. «Onny, Gregor, me. Subito dopo che sono stata
liberata, vengo sostituita da Eles e da Liam. Questa cosa mi puzza parecchio.»
«Onny?»
«Sì, il fratello di Ria. Oh, giusto, tu non lo sai. I genitori non divini di
Ria ed Eles sono Nephilim, cacciatori che hanno la missione di uccidere i
demoni. Loro sono sia Shadowhunters che semidee...»
«Onny è anche figlio di Nemesi?»
«No...Nephilim al centopercento. Perché? Dove vuoi arrivare?»
«Uno Shadowhunter, Onny, un semidio, Liam, e il guerriero umano dei Sottomondo,
Gregor» disse Nico.
«Accompagnati da una
semidea Shadowhunter, Eles, che non accetta il suo lato da Nephilim e che ha
un’arma potente e leggendaria dalla sua» aggiunsi.
Nico mi si avvicinò. Aveva lo sguardo impaurito, ma c’era una scintilla
particolare in quegli occhi scuri. Era spaventato, ma deciso ad agire.
«Suona proprio come una trilogia per un sacrificio, con tanto di arma».
Teri finì di parlare. Aveva il fiatone
per quanto aveva parlato velocemente.
«Raggiungiamo Eder all’Istituto» dissi, cercando di restare calma. Mi guardai
intorno, fissando i semidei che ci avevano ascoltate. «Ma credo che ci sia
qualcuno di voi che vuole arruolarsi»
Nico fece un passo avanti.
«Io e Teri abbiamo da salvare nostro fratello» disse, con determinazione.
«Bene» annuii.
«Non potrò salvare mia sorella, ma voglio che veda che io ci sono e che non è
sola. Riuscirà a tirarsi fuori al più presto» annunciò Will Solace.
«Io voglio che Ria capisca che sua madre è sempre con lei, che il Campo è casa
sua, come lo è l’Istituto. Non esiste una scelta» mormorò Arika. Sembrava
davvero afflitta. Cercai di mettermi nei suoi panni. Se ci fosse stata Teri al
posto di Ria sarei stata sicuramente come lei.
«Siamo in dieci a schierarci per i supereroi. Salverai tu Onny, Arika. Noi
cercheremo di crearti un passaggio tra i simpatici scagnozzi di D’Amico. Se Ria
sa che siamo stati noi semidei a salvare suo fratello sono certa che avrà un
ripensamento su questo posto». Feci un gesto con il braccio per indicare il
Campo.
Arika mi sorrise. Guardai Teri e Nico. Ora che sapevo che Teri non era davvero
sorella di Nico riuscivo a distinguere meglio i loro lineamenti diversi.
Teri aveva la pelle di qualche sfumatura più scura, i capelli erano più castano
scuro che completamente neri e con la luce del sole sul viso riconoscevo la
differenza dei loro occhi. Quelli di Nico erano color caffè e si faceva quasi
fatica a distinguere l’iride dalla pupilla, quelli di Teri erano di un colore
più chiaro, con qualche sfumatura di rosso. L’unica cosa che avevano ancora in
comune era lo sguardo tenebroso e anche piuttosto arrabbiato. No, le cose in
comune erano due. Entrambi volevano salvare Gregor, con cui non avevano nemmeno
una goccia di sangue in comune. Erano tre fratelli senza sangue in comune che
però avrebbero fatto qualsiasi cosa l’uno per l’altro.
«Non vi dirò cosa fare. Lo sapete benissimo». Nico e Teri si guardarono, poi
posarono nuovamente lo sguardo su di me e fecero un sorrisetto.
«Avete le armi con voi?»
Niall sollevò le sue stampelle, Arika sfiorò l’elsa della sua spada e Will si
sistemò la faretra sulla spalla. L’elastico azzurro era ben stretto. Lo sfiorai
e un ricordo fece capolino nella mia testa. Ricordavo quando mi ero svegliata
dopo aver combattuto un ciclope. James mi aveva dato il benvenuto nel Campo e
aveva sfiorato l’elastico. Pensare a lui mi provocò una fitta al petto. Scossi
la testa e scacciai quel pensiero.
«Allora direi che possiamo proprio andare. Ve ne serviranno altre».
Cominciammo a risalire la collina Mezzosangue. Jace era già andato via con i
supereroi. Mi sentivo diversa dall’ultima volta che ero partita per l’impresa.
Ero più tranquilla sulle mie doti da combattente ma più insicura sulle perdite.
Eravamo di più, quindi c’erano più probabilità che qualcuno morisse. Non ero
affatto pronta. «Scusate, dove credete di andare?»
domandò una voce alle nostre spalle.
«Annabeth, ne sei sicura?». Lei mi lanciò un’occhiataccia. Risi. Domanda
stupida.
«Teri!» esclamò Leo. «Aspettatemi!». Lo sguardò di Teri si illuminò, mentre
Nico si scurì in volto.
Leo la raggiunse, ma non si sfiorarono. Tuttavia gli sguardi e i sorrisi che si
scambiarono erano praticamente inequivocabili.
«Okay, dai. Muoviamoci. Eder ci sta aspettando».
Il peso delle armi
degli Shadowhunter era maggiore di quello che mi aspettassi.
Delle strane creature con dei mantelli color pergamena ci avevano assicurato
che le avremmo potute usare senza problemi. I Fratelli Silenti – così li
avevano chiamati Viktor e Hen – ci avevano detto che avevamo il combattimento
nel sangue tanto quanto i Nephilim, se non anche di più. Quest’ultima cosa,
però, l’avevano detta quando Viktor e Hen non erano a portata d’orecchio. “Noi Nephilim tendiamo ad essere un po’
permalosi.” Aveva detto Fratello Zaccaria, e mi era sembrato ridacchiasse.
Camminavamo verso il punto di raccolta dei Justice Forever quando mi accorsi
degli sguardi di Viktor ed Eder.
Quella notte Afrodite si doveva essere divertita molto.
Respirare quell’aria di romanticismo non faceva altro che farmi sentire una
schifezza per come avevo trattato James.
Poi sentii una voce femminile nella mia testa che mi diceva: “Non dimenticare come ha preso in giro la
tua intelligenza, pensando fossi una stupida figlia di Afrodite. I ragazzi ci
sottovalutano sempre”. Mi fece sentire meglio.Qualcosa mi
disse che era stato il primo consiglio ricevuto da mia madre. Mi sorpresi che
Atena, dea della strategia militare e della saggezza, avesse scelto di
consigliarmi per la prima volta proprio sui ragazzi.
Raggiungemmo il punto
di raccolta dei famosi Justice Forever. Era piuttosto piccolo, ma era
organizzato per bene. Il motivo a stelle e strisce era ricorrente.
Quando ci misi piede
feci fatica a riconoscere Dave. Poi lo vidi. Aveva una maschera verde e gialla,
ma da sotto indossava un’armatura nera e verde corazzata. In vita aveva una
cintura gialla con le iniziali ‘KA’. Accanto a lui, Jace ed Alec. Tanto per
cambiare, erano vestiti di nero. Mi accorsi di aver soffermato troppo lo
sguardo sui bicipiti di Jace quando Teri mi diede una gomitata nelle costole.
«Ehm, buonasera» disse Niall, imbarazzato.
«Eccovi!» esclamò una ragazza con una parrucca viola e una tuta metalizzata.
Aveva anche un mantello nero.
«Mindy?» chiese Teri, incredula.
La ragazza rise.
«Andiamo, dai. Speriamo che i supereroi abbiano letto il nostro messaggio
online».
Proseguivamo verso il
locale di The Motherfucker. Camminavo accanto a Teri. Mi aveva appena
raccontato ciò che era successo con Leo quella notte, attenta a modulare la
voce in modo che la sentissi solo io. Mentre parlava ridacchiavo. Teri era
completamente rossa in viso, ed era piuttosto strano vederla così. Tuttavia ero
felicissima per lei.
«Tu, con James?» chiese, alla fine. Sospirai e le raccontai la nostra lite
della sera prima.
«Certo che quando hai i cinque minuti è meglio non toccarti» affermò. «Direi
che sei quasi più pericolosa di me».
Scossi la testa. «No, ti lascio quest’onore. A proposito, come mai hai fatto
quella faccia quando ti hanno detto che assomigli ad Eder?»
Teri trasalì.
«Shh, non farti sentire!» esclamò. Poi raddrizzò le spalle e sospirò. «I
conquilini del piano di sotto mi hanno curata e mi hanno spiegato un po’ di
cose. Praticamente io sono-». Mindy la interruppe.
«Eccoci».
Di fronte a noi si ergeva un portone rosso con dei simboli neri. Dalle varie
traverse arrivavano uomini e donne vestiti da supereroi, armati di clave, con
maschere strane e soprattutto con lo sguardo determinato. Avevano letto il
messaggio.
«Il potere di Internet» commentò Viktor, guardandosi intorno. «E voi semidei vi
concedete il lusso di essere tecnofobi...puah!»
«Scusa tanto se attira mostri!» ribatté Niall.
«Te lo spiego dopo» sussurrò Teri.
Mi guardò e capii esattamente cosa intendesse. “Tanto io e te ci proteggiamo a vicenda, quindi è inutile porsi la
domanda. Sopravviveremo e basta”. «Allora, ragazzi.» Dave attirò la nostra attenzione. «Entro prima io, con
Mindy. Voi entrerete in un secondo momento, d’accordo?»
«Perfetto!» esclamò Hen. Viktor strinse forte la mano di Eder. La ragazza gli
sorrise e indicò con un cenno della testa Hen. Viktor, così, fece un passo
avanti e si posizionò accanto a lui. Il mio sguardo andò a Jace. Accanto a lui,
Alec. Si stavano disegnando delle rune.
Due coppie di parabatai. Arika era senza la propria. Anche se non aveva nessun
collegamento empatico con Ria, si vedeva che fossero proprio tagliate per stare
insieme.
«Se solo potessi, Mel, vorrei compiere il rito parabatai.»
Sorrisi e sentii le lacrime che mi inumidivano gli occhi, ma non feci in tempo
a dire niente perché qualcuno dei supereroi spalancò la porta del locale. Vidi
un esercito di supereroi quasi tutti vestiti in nero. Al centro uno con un
mantello strano e un costume nero e rosso. Aveva un microfono ad archetto. Dietro
di lui, uno squalo in un acquario. Ma non era quello il motivo per il quale i
Nephilim si erano irrigiditi. Dietro l’acquario c’erano altri Nephilim, Ria
compresa, accanto a quelli che erano evidentemente dei demoni e mostri
mitologici. Ciclopi, manticore, stinfalidi.
«Sono demoni drevak quelli accanto a Carl!?» chiese Alec, con la voce più acuta
di un paio di ottave. Erano come dei vermi troppo cresciuti.
«E lui ci sta accanto senza problemi» mormorò Jace.
«Quelli sono segugi...» disse Nico. «E quello accanto a loro è...»
«Ludkar» concluse Teri. Fece un respiro profondo e poi si portò la mano al
collo. Strappò la collanina che si allungò nella sua sciabola, ora munita anche
di rune. Calò il silenzio. Poi Kick-Ass parlò.
«Cos’è, Chris? Ti
stai cagando sotto?»
L’altro ragazzo inclinò appena la testa.
«Sì. E mi pulirò dalla merda con la tua faccia». Dave mosse qualche passo
avanti, senza paura. Non riconoscevo affatto quel ragazzo orfano che avevo
visto appena il pomeriggio precedente.
«Pagherai per ciò che hai fatto a mio padre»
«Tuo padre?!» Chris camminò in avanti. «Tu hai fatto fuori mio padre con un
bazooka!».
Ad un tratto una ragazza dai codini rossi che avevo visto nel punto di ritrovo
dei Justice Forever, esclamò «Schwartz!».
Un pastore tedesco cominciò ad abbaiare. Lo lasciammo passare, mentre correva
verso Chris e lo addentava in un punto piuttosto sensibile.
Dave gli diede un pugno dritto alla mascella.
«Cosa state aspettando?!» gridò Doctor Gravity, un altro tipo dei Justice
Forever.
Tirai il cappio al mio arco e puntai verso un demone drevak.
La freccia si conficcò in una poltrona.
Ero troppo lontana. Guardai Teri che combatteva a mani nude contro un uomo di
colore con una maschera a forma di teschio. La sua sciabola era per terra. Vidi
un’altra donna vestita che correva per prenderela. Mi ci buttai sopra prima che
la raggiungesse. Le bloccai i polsi con i piedi, ma cercai di non schiacciare
troppo. Era pur sempre una mortale che aveva fatto la scelta sbagliata.
La donna urlò, dimenandosi. Allungò le dita e riuscì ad afferrarmi le caviglie.
Persi l’equilibrio e inciampai. Fece per rialzarsi.
«Dove pensi di andare, eh?»
Le tirai i capelli biondi con una mano e con l’altra mi sfilai un coltello
dalla cintura che ci avevano dato all’Istituto. Glielo puntai alla gola.
«Non ti conviene muoverti»
«Oh, piccola semidea» disse. Sembrava che ci fossero due o tre voci che
parlavano attraverso la sua bocca.
«Morirai prima di poter urlare aiuto. E poi, nessuno ti sentirebbe in questo
casino. Né la tua amichetta Teri, né la tua sorellina Annabeth...».
Ad un tratto il suo collo fece un giro di scatto di centottanta gradi,
voltandosi così verso di me. Aveva gli occhi completamente neri. Urlai e saltai
indietro, andando a sbattere contro un corpo di un uomo morto.
«E tantomeno il tuo fidanzatino abbronzato, che ti ha lasciata completamente
sola!»
«Hai ragione!» gridò una voce. «Loro forse non la salveranno, ma io ti
ucciderò, stronza!»
Vidi un lampo e poi la testa della donna rotolò a terra.
Jace mi porse una
mano.
«Spero di non doverti
più salvare i ricci» commentò. Accettai la sua mano e mi rimisi in piedi.
Vidi una freccia che arrivava al massimo della velocità, puntando alla sua
tempia. Lo spinsi per farlo indietreggiare, ma il suo corpo era troppo pesante
per farlo spostare. La freccia, però, lo mancò di un soffio e si conficcò in un
palo proprio alle mie spalle, portandosi via una ciocca dei miei capelli.
Jace aveva gli occhi spalancati.
«MELISSA!» gridò. «Stavi per farti uccidere!»
«Zitto, Johnathan. Noi arcieri sappiamo come funziona la traiettoria di una
freccia e io sapevo esattamente che si sarebbe conficcata nel pilastro accanto
a me»
«Vieni, ti aiuto a liberarti...»
Scossi la testa e strattonai i capelli. Alcuni ricci restarono infilzati, ma
non m’importava.
«Hai appena rischiato la vita per me e ti sei anche strappata dei capelli pur
di non perdere tempo?»
«Non ho rischiato la vita, Wayland. Sapevo dove sarebbe finita la freccia e
sapevo di non rischiare niente. E siamo nel bel mezzo di una battaglia, non ad
un appuntamento»
Jace sorrise. «Ma potrebbe diventarlo, magari più tardi».
Non feci in tempo a metabolizzare ciò che mi aveva appena detto. Osservai la
freccia scoccata per uccidere Jace e sentii il cuore sprofondare.
«Cos’hai?» chiese lui.
«Questa è di Eles». La cercai con lo sguardo, ma non la vedevo da nessuna
parte.
«Ma perché Eles
vorrebbe ucciderm-».
«Jace!» gridai. Gli feci da barriera con il mio corpo, spingendolo dietro il
pilastro. Fui veloce e la freccia mi sfiorò la spalla. Sentii un lieve
bruciore. Probabilmente solo un graffio superficiale.
«Okay, questo non è un bel posto per flirtare» disse Jace, afferrandomi per un
braccio e tirandomi con sé dietro il pilastro, mentre una pioggia di frecce
dorate bucava il pilastro.
Riuscimmo a spostarci da quel punto e a sgattaiolare dietro l’acquario dello
squalo. Sfoderai il coltello preso dall’Istituto quando vidi una ragazza bionda
con la maglietta arancione stesa per terra.
«Annabeth!» Lasciai Jace alla base delle scale e corsi da lei. Saltai oltre il
corpo di un supereroe. Scansai il pugno di un criminale. Poi vidi Nico che
l’aiutava ad alzarsi.
Una clava di un criminale lo colpì dritto alla testa. Nico si irrigidì e cadde
a peso morto.
Rotolai su un fianco
e recuperai la mia sciabola. Feci per infilzare quel maledetto demone, quando
il mio fendente fu parato da una lama lucente.
Alzai lo sguardo e vidi Ria. «Eccoti, finalmente!» esclamai,
sentendo la tenaglia che mi stringeva il cuore allentarsi appena. «Credevo fossi scappata con qualche bel ragazzo». Feci per rialzarmi in
piedi, ma Ria mi puntò la lama al collo.
«No» disse, ma non c’era nessuna sfumatura particolare nella sua voce e
tantomeno nella sua espressione. Sembrava in trance.
«Ria, stai bene?» chiesi.
«Morirai» rispose. «Ora».
«Oh, buono a sapersi. Anch’io sto benone, grazie per averlo chiesto». La colpii
con un calcio al polso, facendo cadere la spada angelica. L’afferrai e gliela
puntai al petto, mentre il demone drevak ringhiava.
«Non ucciderai questa stupida Nephilim mezzosangue» proseguì Ria. Chiuse gli
occhi.
«Vuoi scommettere?». Ria si buttò in avanti. Afferrò la mia sciabola, poi mi
prese per i capelli e mi fece voltare.
«No, ti risparmio la fatica. Tanto vincerei lo stesso».
Mi puntò la sciabola al collo.
«La tua amichetta sta per ucciderti». Presi un respiro profondo e cercai di
pensare come avrebbe fatto Mel, e agire con diplomazia e pazienza. Provai a
racimolare le parole.
«Ria, so che sei lì. Reagisci. Questa non sei tu. Hai dimenticato i nostri pomeriggi
insieme, con Mel e Niall, nel campo di fragole? E non dirmi che hai dimenticato
il tuo scherzo ai gemelli Ripton! E Arika? È praticamente tua sorella. Ria,
combatti. Sei forte. Sei una semidea e sei una Nephilim.».
La lama si allontanò. Mi girai e vidi il viso di Ria pieno di lacrime. Non feci
in tempo a gioire perché un attimo dopo mi resi conto che era sempre priva di
espressione.
«Lei ti sente, ovviamente. Ma non può fare niente per controllare il proprio
corpo. Addio, stupida figlia di Ade». Mi afferrò di nuovo dai capelli e fece
per tagliarmi la gola. La lama, al contatto con la mia pelle, si assottigliò e
tornò ad essere un laccetto nero. L’elsa dorata sfuggì dalla mano di Ria e si
divise in quattro perline. Me la strappai nuovamente, ritrasformandola e colpii
la testa della ragazza con l’elsa, tramortendola. Il demone drevak scattò. Mi
saltò addosso, ma riuscii a respingerlo. Le sue tenaglie erano talmente forti
da riuscire ad ammaccare la spada.
Poi vidi come un flash e la testa del demone cadde in una pozza di sangue nero.
Eder mi sorrise.
«Ci sono ancora parecchi demoni da uccidere per spezzare il loro legame con i
Nephilim, sorellina. Muoviti, dai». Spalancai gli occhi.
«Shh, nessuno deve saperlo. Per tutti resti la figlia di Ade. È molto più
sicuro».
«Come funziona questo legame demone-Nephilim?» chiesi.
«Traggono forza l’uno dall’altro, ma è il demone che comanda. L’unico modo per
interrompere questa connessione è far svenire o confondere il Nephilim, che è
la forza maggiore, e poi uccidere il demone, in modo che il legame si spezzi.
Quando Ria si risveglierà sarà se stessa»
Ad un tratto il lucernario sopra le nostre teste si ruppe. Chris vi era appeso.
Dave lo teneva.
«Aggrappati a me, Chris! Ti aiuto!»
«No, no! Lasciami, lasciami!»
«Oh miei dei...» mormorai.
«Attenta!» esclamò Eder.
Feci appena in tempo ad abbassarmi per evitare la lama angelica.
Era Eles.
«Anche lei...» mormorai. La ragazza cercò di afferrarmi per un braccio, ma fui
più veloce e la feci inciampare. Le bloccai le braccia con le mani.
«Mi dispiace». Feci per darle un pugno, ma la sua espressione mi fece bloccare.
«Eles?»
«Zitta» bisbigliò. «Sono io, Teri. Il legame con me non funziona. Ho già ucciso
il demone che avrebbe dovuto essere legato a me.»
«Provamelo»
La guardai in faccia. I suoi occhi dorati brillavano.
«Eles McTemar, la smorfiosa popolare. Abbiamo combattuto i vampiri insieme ai
guerrieri dal futuro. Sei innamorata di -»
«Okay! Sei tu, sei tu».
«Certo che sì, testona. Ma non posso far saltare la copertura. Fingi di darmi
un pugno o quello che ti pare, fingerò di essere svenuta. Ma devo ancora
restare qui. Sarò i vostri occhi e le vostre orecchie»
Annuii, poi tirai un sospiro di sollievo.
Alzai lo sguardo e vidi Eder che stava per infilzare una siringa nella schiena
di Eles.
«NO!» gridai e le fermai il polso. Eder aveva un’espressione perplessa.
Raddrizzai la schiena «Faccio io». Mia sorella annuì e mi porse la siringa.
Sollevai i capelli della ragazza, finsi di cercare la vena, quindi puntai l’ago
al collo. Lasciai ricadere i capelli per nascondere il gesto di premere lo
stantuffo verso l’esterno e non nella vena.
La figlia di Apollo finse di sobbalzare, poi chiuse gli occhi. Menomale che
aveva ereditato il talento per il teatro da suo padre.
«Muoviti, Teri» mi incitò Eder. «Non c’è tempo da perdere».
Si sentì lo scrocio di un tuffo. Poi l’urlo di Chris.
Pochi secondi dopo la vasca si tinse di rosso. I pochi criminali rimasti si
affrettarono per soccorrere il ragazzo.
«Di immortales» mormorai.
In tre persone riuscirono a portarlo fuori dall’acqua. Buona parte delle sue
gambe non c’era più. Repressi un conato di vomito.
Una macchina nera arrivò a tutta velocità nel locale. Lo caricarono sui sedili
posteriori, poi l’auto ripartì ad alta velocità. Il resto dei criminali e
deisupereroi cominciava a scemare.
Sembravano non accorgersi dei Nephilim e dei demoni.
Poi ricordai le parole di Ade riguardo la Foschia e le Rune di Invisibilità.
Vidi Jace dare un pugno ad un uomo che mi ricordava molto Ria. A qualche metro
di distanza, Alec posava a terra una ragazza dai capelli lunghi e neri.Lì accanto, Annabeth era svenuta.
Nico la stava
soccorrendo. Dietro un pilastro, Leo si guardava le mani ancora fumanti,
impressionato. Ai suoi piedi un cumulo di cenere. Sorrisi.
«State davvero bene insieme» disse Eder.
Mi voltai verso di lei, corrugando la fronte.
«Come fai a saperlo?» domandai.
«Ho visto la sua reazione quando ha saputo che eri morta. Mai visto un ragazzo
così devastato. Sei importante per lui, si vede anche da come ti guarda. Certo,
anche al ricciolino piaci molto».
«Al ricciolino?». Ero piuttosto confusa.
«Sì, quello con la cintura degli attrezzi. Piaci anche a lui, ma non può
eguagliare il sentimento di Nico. Si vede da come ti guardano. Si percepisce la
differenza»
Risi.
«Eder, io e Nico siamo praticamente fratello e sorella»
La Crepuscolare inarcò le sopracciglia.
«Oh...». Sembrava imbarazzata. «Be’, forse solo per te».
Feci per replicare,
quando vidi una macchia rossa e nera saltare giù dal lucernario e atterrare
alle spalle di Nico. Il ragazzo cadde a terra.
Sentii dolore alla gola. Non mi ero accorta di aver urlato. La figura sparì e
ricomparve sulle scale, con un braccio attorno al collo di Eder.
«Mia adorata figlia!» Ludkar sorrise. No. Non poteva essere. Non poteva averlo
fatto davvero. Fu come se tutto l’ossigeno della stanza sparisse. Vidi il corpo
immobile di Nico. Non ero nemmeno pronta. Avevo un affare da sistemare con
Ludkar, ma non avevo ripassato il piano. Se avessi sbagliato una sola cosa
sarebbe stato un disastro.
«Nico...» la mia voce era più alta di diverse ottave.
«Teri, che significa?» mi chiese Mel, incredula.
Ormai la battaglia intorno a noi era quasi finita. I supereroi si
abbracciavano, sorridendo, e andavano via, passandoci davanti come se non ci
vedessero. Guardai Mel, sentendo le lacrime inumidirmi gli occhi.
«Mi dispiace...» mormorai, guardandola. Mi girai verso Leo e lo ripetei. Il
figlio di Efesto corse da me, abbracciandomi.
Ricambiai l’abbraccio, per quanto non dovessi farlo. Sapevo che sarebbe
successo. Persefone e Ade mi avevano avvertita.
«Va’, Leo. Mi dispiace, mi dispiace». Mi accarezzò le guance e mi baciò.
«Non ti lascio. Non esiste»
«Va’ via!» gridai, spingendolo via. Leo sembrò quasi terrorizzato. Vidi il mio
riflesso nei suoi occhi: il riflesso di un mostro. Lui meritava di meglio.
«Ti prego» aggiunsi, singhiozzando.
Sentii quella connessione tra me e Mel rompersi. Dovevo farlo. Era finita.
Accarezzai il viso di Nico e gli lasciai un bacio sulla fronte.
«Perdonami». Mi rialzai in piedi e guardai Ludkar, circondato da Nephilim
inespressivi.
«Lasciala andare, ora! È me che vuoi!»
«Oh, ma io voglio entrambe le mie figlie...» replicò il Nocturno. «Saremo una
famiglia bellissima!»
Eder scuoteva la testa.
«Teri è una trap-» Ludkar le coprì la bocca con una mano.
«Tua sorella è un po’ pazza. Credo che frequentare quel Nephilim le abbia fatto
del male. C’è sempre una pecora nera in famiglia»
«Di certo le madri delle tue figlie sono meravigliose e le ragazze hanno preso
tutto da loro» sbraitò Viktor. «Tu sei la pecora nera, bastardo!»
«Frequenta davvero cattive compagnie» constatò Ludkar, sorridendo, come se ne
fosse deliziato. «Capisci, Teri, che io lo faccio solo per te.» proseguì.
«Questa è la tua vera natura, capisci?».
«Fare cos-».
Ludkar spinse Eder nella vasca dello squalo. Un attimo dopo un proiettile mi
finì dritto nel cuore.
Mi buttai per terra e mi toccai il petto, mentre sentivo il sangue sporcarmi la
mano. Sentivo le urla di Eder.
Nico aveva appena
ripreso conoscenza.
«Teri, ma che...?»
«Vattene!» urlai, mentre il dolore mi attanagliava tutto il corpo. «ORA!»
Stavo morendo e morendo sarei diventata una Nocturna.
Mi sentivo in fiamme, ma non era niente rispetto al fuoco che mi aveva avvolta
nel Cinerarium.
Nico cercava di afferrarmi, ma scansavo le sue braccia.
«Vattene, vattene!». E se mi fossi cibata di lui una volta trasformata? Non me
lo sarei mai perdonato.
«Non se ne parla. Teri, ascoltami. Ricordi la prima volta che ci siamo
incontrati?»
«Sì che lo ricordo, stupido. Ora va’ via!»
«No» il suo tono era fermo. «Raccontamelo. Raccontami la tua prima settimana al
Campo».
Tirai su con il naso.
«Mi offrii di accompagnarti in infermeria pur di andare da Mel. Mi sentivo
debitrice nei suoi confronti, mi aveva salvato la vita». Un grido mi costrinse
a interrompermi. Sentivo le ossa pesanti ed era come se mi stessero tirando la
pelle.
«Continua»
«Parlammo tutta la notte» proseguii, con il respiro corto. Sentivo la mano di
Nico che stringeva la mia.
«Cosa ho detto quando sei stata riconosciuta? Parla, Teri. Parla»
«Hai detto...hai detto...che la prima ragazza che ti piaceva era tua sorella».
Riuscii a sorridere. Nico mi scostò i capelli sudati dalla fronte.
«Già. Dimmi della Cabina 13».
«C’eravamo io, te e Gregor. Poi sono arrivati quelli che si lamentavano delle
urla dovute agli incubi. Hanno infranto la nostra tranquillità».
Sentii un moto di rabbia crescere dal petto e propagarsi per tutto il corpo.
Nico lasciò la mia mano e si allontanò, aiutando Annabeth ad alzarsi. Avevo le guance
completamente umide. Non potevo fermarlo, non potevo tornare indietro, non
potevo nemmeno morire. Dovevo solo sperare che finisse presto. Era tutto
sbagliato. Non era così che Ade mi aveva spiegato cosa fare. Non era il mio
piano. Ad un tratto mi chiesi perché mi stessi preoccupando così tanto. Sentii
i canini e le unghie crescere, le ossa irrobustirsi, la pelle diventare come
d’acciaio.
Il dolore era scomparso.
«LUDKAR!» gridai, rialzandomi in piedi. Sentivo gli occhi dei miei amici
puntati addosso, ma riuscivo a focalizzarmi solo sulla rabbia nei confronti di
quel bastardo davanti a me.
«Oh, ciao figliola». Sorrideva come un ebete. Credeva che ora che ero come lui,
che la mia parte da Nocturna era emersa, gli sarei stata amica?
«Io direi, più che altro,
addio».
Saltai verso di lui.
Mi afferrò per la gola e mi spinse contro il muro.
Gli tirai un calcio, atterrandolo.
«Dovresti essermi fedele!».
«Come no. Hai appena ucciso mia sorella, rovinandomi la vita!»
Cominciai a sferrargli pugni alla mascella.
«Muori, bastardo!»
Ludkar era shockato.
«Dovresti essermi fedele...» ripeté. Lo agguantai per il foulard a spina di
pesce, poi lo presi dal collo e sbattei ripetutamente il suo cranio contro la
ringhiera.
«Fedele a te? Allora, sorpresa!». Gli addentai il collo. Il sapore del sangue
mi riempì la bocca e mi piacque. Mi dissetò come se fosse nettare.
«Teri, lasciami!» urlava Ludkar. Stava piangendo, ma non riuscivo a provare
niente per lui oltre all’odio.
«Non ricordavi che i Nocturni appena trasformati sono più forti, papà?». Pronunciai quell’ultima parola
con disprezzo, come se avessi appena sputato veleno.
Gli infilai una mano nel petto. Sentii il suo cuore battere forte contro la mia
mano. Lo agguantai e lo strappai via.
Ad un tratto mi mancò il fiato. Lasciai cadere il cuore di Ludkar e vomitai il
suo sangue nero. Sentii come se si fossero scaricate le batterie in un solo
istante. Probabilmente era l’effetto dell’adrenalina che svaniva.
Forse era stato solo un sogno. Mi ero addormentata quando mi avevano sparata e
avevo sognato tutto questo.
Mi guardai intorno e vidi l’acqua rossa dell’acquario, poi i visi familiari dei
miei amici. Il corpo di Eder era ai piedi di Viktor. I capelli del ragazzo
erano bagnati, come il suo viso e la sua divisa.
«Lo squalo non l’ha nemmeno considerata. Ma ha sbattuto contro il bordo vasca.
Emoraggia celebrale. Non avremmo potuto fare niente comunque».
Tutti erano shockati. Avevano appena visto un demone, un mostro, una creatura
infima.
Ade mi aveva spiegato tutto. “Se Ludkar ti uccide diventerai una
Nocturna. Poi uccidi Ludkar e tu sarai mortale. Ma ci vorrà forza di volontà
per non essergli fedele e potresti anche non riuscire a superarla e diventare
sua schiava”. Non c’era stato bisogno di ricordarmelo. Quando avevo sentito la potenza di
una Nocturna nelle vene avevo saputo esattamente cosa fare. Ed era stato grazie
a Nico. Non avevo programmato di soffrire così tanto durante la trasformazione
e avevo pensato fosse tutto un disastro. Invece era finita bene, più o meno.
Una mano si allungava verso dime.
L’afferrai e mi rialzai, appoggiandomi a quel corpo famigliare.
«Mi dispiace» mormorai, appoggiando la testa sulla sua spalla.
Mel mi accarezzò i capelli.
«Smettila di ripeterlo»
Sollevai lo sguardo.
«Non sapevo se potesse funzionare, Mel. Dovevo rompere il nostro legame per non
metterti a rischio. Tutto quello che ho fatto oggi era un grosso rischio per
te.»
«Credevo ti fidassi di più di me da dirmi tutto e non mettermi davanti al fatto
compiuto». Sembrava ferita. Scossi la testa.
«Mel, io ti dico tutto. Ma su questo...avevo giurato sullo Stige. Se avessi
infranto il giuramento parlandotene...non so che effetti può avere rompere un
giuramento del genere. Ti avrei messa in pericolo» Mel mi guardò a lungo.
«Dei, Teri. Ti preoccupi troppo per me. Anche nel Cinerarium hai interrotto la
comunicazione per paura che Ludkar se ne accorgesse e venisse a cercarmi. Io mi
sento impotente davanti a quello che fai per me. Ti ho salvata dal primo mostro
che abbiamo incontrato, ma poi?»
«Vuoi fare qualcosa per me?». Mel annuì.
«Ovvio»
«Abbracciami».
Riaprii gli occhi. Mi
guardai intorno.
Ero nella mia stanza dell’Istituto. Ricordavo cos’era successo. Eravamo
arrivati nel locale di D’Amico e i suoi scagnozzi avevano liberato dei demoni.
Poi ero stata affiancata da uno di quei mostri e poi era stato come
disconnettersi dal proprio corpo. Ero sempre io, ma non controllavo più le mie
azioni. Decideva tutto lui, quell’essere immondo. Quando avevo visto Teri ed
ero stata obbligata a combatterla avrei preferito morire. Poi ero svenuta. E
ora mi ero risvegliata lì e avevo controllo del mio corpo. Tirai un sospiro di
sollievo.
La porta si aprì e Hen vi entrò.
«Oh!» esclamò. «Sei sveglia».
«Ne sembri un po’ troppo sorpreso» mormorai.
Hen sorrise appena.
«Sono sorpreso dalla tua forza, bimba»
Ricambiai il sorriso. Decisi che era ora di alzarsi.
«Aspetta...Ti aiuto» Il Nephilim si affrettò a sistemare il cuscino in modo che
potessi appoggiarmi contro la testiera del letto. Non lo bloccai come avrei
fatto normalmente perché ne avevo bisogno.
«Grazie. Non hai applicato nessun iratze?»
«Solo per l’ammaccatura sulla tempia. Ma essere connessa ad un demone ti ha
spossata e l’unica cosa che guarisce è il più assoluto riposo per almeno tre
giorni».
«Tre giorni?! Scordatelo!»
«Okay, siccome oggi è il tuo compleanno, posso concederti due giorni»
«Uno»
«Uno e mezzo»
«Mezza giornata»
«Non è così che si contratta!» ribatté, pizzicandomi la guancia.
«Okay, vada per uno e mezzo». Mi arresi e sorrisi.
«Oh, a proposito. Auguri» Hen si chinò per darmi un bacio sulla guancia, poi
fece finta di tirar fuori qualcosa dai miei capelli. Mi porse una scatolina
rossa.
La presi e l’aprii. Al suo interno c’era il coltello di Ethan lucidato e
ripulito dal sangue incrostato di mostri e demoni.
Corrugai la fronte, poi vidi che all’interno della scatola vi era inciso il
simbolo dell’omega in oro.
«Hen, chi ti ha dato questa scatola?»
Lo Shadowhunter si strinse nelle spalle.
«Una donna riccia su una motocicletta.»
Lo sapevo. Stavo per richiudere la scatoletta e gettarla via, quando Hen
aggiunse:
«Sai, Ria, credevo somigliassi molto a tuo padre, invece hai lo stesso sguardo
e la stessa sicurezza di tua madre». Sorrisi e pensai a che strana famiglia
saremmo potuti essere. Uno Shadowhunter, una dea, e una figlia metà e metà che
vanno allo zoo o all’acquapark e si lamentano delle ore di coda e del caldo.
Sarebbe sembrato piuttosto singolare.
«Dove sono mio padre e mio fratello?».
«Onny dorme nella stanza accanto. Non gli hanno fatto niente, è solo un po’
scosso. Hanno conservato l’umanità almeno nei confronti dei bambini»
«Bene» tirai un sospiro di sollievo. «Vado a trovarlo tra un po’. E mio padre?»
«Ria, riposati»
«Dov’è?» insistetti.
«Ria, devi riposarti altrimenti non ti riprenderai mai...». Stava ripetendo il
mio nome con un tono strano un po’ troppe volte.
«NO!». Scostai le lenzuola da un lato e mi alzai in piedi. Avvertii un cerchio
stringermi la testa, ma lo ignorai. Spalancai la porta. Hen mi seguì per il
corridoio. Solo in quel momento mi accorsi di indossare ancora la divisa da
Cacciatrice.
«Ria, devi stare a riposo...»
«Non me ne frega niente. Dov’è?»
Aprii una porta, ma quella stanza era vuota.
«Ria, ascoltami. Rischi di svenire da un momento all’altro, puoi...»
Ne calciai un’altra.
Neanche in quella stanza c’era mio padre.
«Hen, vuoi che ti dia un pugno per farti stare zitto o mi vuoi dare una mano?»
borbottai, mentre spalancavo un’altra porta.
Il ragazzo sospirò.
«Ria, ti prego. Non rendermi le cose più difficili»
«Sei tu che stai mettendo in difficoltà me.»
Aprii l’ultima porta in fondo al corridoio e dovetti aggrapparmi la maniglia.
Quel piccolo percorso che avevo fatto mi era costato una fatica insolita e la
visione davanti a me non mi aiutò a sentirmi meglio.
Mio padre, pallido come il lenzuolo su cui era adagiato, circondato dai
Fratelli Silenti. Li avevo incontrati la prima volta qualche giorno prima,
quando avevo preso i miei primi Marchi.
«Papà?»
Uno degli uomini si voltò verso di me. La prima volta che avevo visto i
Fratelli Silenti avevo pensato fossero completamente privi di espressione.
Invece quello che mi stava guardando sembrava colto alla sprovvista. Signorina...
Sentii la sua voce nella mia testa.
«Fratello Zaccaria, cos’ha?» La mia voce uscì molto più roca di quello che
pensassi. Sentivo il cuore in gola. Mi dispiace. Fu come se mi avessero estratto i polmoni. Mio padre indossava una camicia
bianca e sul collo gli avevano tracciato il Marchio del lutto.
La stanza si mise a girare vorticosamente, ma mi obbligai ad avvicinarmi al
letto.
Sembrava stesse dormendo. Gli avevano pulito il viso, gli avevano pettinato i
capelli brizzolati.
Gli presi una mano fredda.
«Ti renderò fiero, papà» mormorai. «Mi prenderò cura di Onny. Tanto sarai
sempre con noi, vero?» Sì che lo sarà. Ora devi andare, Ria. Sentii le ginocchia cedere. Il mio cervello riusciva a formulare solo una
domanda: Perché proprio lui? Hen mi prese in braccio e mi tirò fuori dalla stanza. Aveva le sopracciglia
aggrottate. Mi aspettavo un rimprovero, ma poco dopo la sua espressione si
addolcì e mi strinse forte a sé.
Scoppiai a piangere contro il suo petto.
Probabilmente mi addormentai perché mi sembrò di avere la testa sottacqua
quando Hen mi porse un fazzoletto, dopo quelli che forse furono minuti e
minuti.
«C’è qualcuno che vuole parlarti» annunciò.
Arika mi corse incontro e mi abbracciò.
«Hai salvato tu Onny, vero?»
La ragazza annuì.
«Resterete qui all’Istituto?» chiese Arika.
«Non per ora. Voglio che mio fratello si separi da questa vita, almeno per un
po’. Lo farò tornare appena compirà nove anni per fargli iniziare
l’addestramento»
«E dove andrai?»
«Al Campo»
Arika mi guardò a lungo.
«L’appartamento in cui vivevo negli anni Venti è stato venduto tante volte, ma
ora è vuoto. Sono venuta qui per chiederti se...ecco, voleste venire a vivere
da me. Non sarò di certo come i vostri genitori, ma...»
«Oh per Raziel, Arika!» esclamai e l’abbracciai. Arika restò interdetta, ma
dopo pochi istanti ricambiò l’abbraccio.
«Grazie» mormorai.
«Potete trasferirvi da domani stesso. Ho anche un ambiente enorme per
allenarsi. Sono certa che tu e Onny vi divertirete, e magari potremmo anche-»
«Arika, non so come ringraziarti. Sei l’unico punto fermo che mi è rimasto in
questo casino»
Il sorriso della ragazza fu così sincero che le illuminò ancora di più gli
occhi blu elettrico.
Si abbassò appena verso di me.
«Chi è quel ragazzo che stavi abbracciando poco fa?» sussurrò al mio orecchio.
«Hey, Blackfox. Aspetta!» esclamai. Hen era quasi arrivato alla fine del
corridoio. Mi lanciò un’occhiata stupida e mi raggiunse.
«Che è successo?»
«Niente, volevo solo presentarti la mia migliore amica al Campo, Arika. Arika,
lui è Hen»
Arika allungò una mano senza esitare e sorrise, sicura di sé. Lo Shadowhunter
arrossì quando strinse la mano della ragazza e il rossore era ancora più
evidente su quella carnagione così chiara.
«Lieta di conoscerti»
«Oh, ehm, ciao. Pi-piacere tutto m-mio»
Arika cominciò a fargli delle domande come aveva fatto con me quando ci eravamo
conosciute.
Mentre chiacchieravano ne approfittai per sgattaiolare via e andare nella
stanza di Onny. Spinsi la porta delicatamente e mi infilai nella stanza. A
differenza della mia stanza all’Istituto, quella di Onny era più colorata e più
luminosa. Accanto al letto c’era un comodino con una lampada azzurra, e a
destra del comodino c’era un cesto di vimini pieno di peluche.
Le tende erano gialle e davano alla luce della stanza una sfumatura ancora più
calda. Onny era seduto sul letto disfatto e giocava con due aeroplani, fingendo
di farli scontrare e imitando le onomatopeiche con la bocca.
«Hey, pilota!»
Il bambino sollevò la testa e vidi il suo sguardo illuminarsi.
«Riri!»
Scese giù dal letto con un salto. Mi accovacciai per arrivare alla sua altezza
e lasciai che mi abbracciasse. Gli accarezzai i capelli biondi che ormai gli
arrivavano alle spalle.
«Dov’eri?» mi chiese, guardandomi con i suoi occhioni azzurri. Gli pizzicai il
nasino.
«Ero al Campo, Onny. Tu dov’eri?»
«Dal signore delle parolacce» rispose. Certo, intendeva Chris che aveva scelto
un soprannome da criminale piuttosto volgare.
«Ti ha fatto male?». Onny scosse la testa.
«Mi ha regalato questi» rispose, sollevando gli aeroplanini. «Vedi!»
«Ma che belli!» esclamai, prendendone uno. Avvertii come un costante pulsare
sotto le dita.
Corrugai la fronte.
«Onny, quando te li ha dati?» chiesi.
«Prima che arrivasse Reca». Intendeva Arika.
Cercai di vedere meglio all’interno del giocattolo. C’erano dei numeri che
scorrevano veloci.
Trenta secondi. Tolsi di mano l’altro aeroplanino da Onny che protestò.
«Mio!» ribadì.
«Sono cattivi» risposi. Onny mi prese per una gamba, e per evitare di pestargli
i piedi, inciampai.
Per avere meno la metà dei miei anni sapeva mettermi i bastoni tra le ruote.
L’altro aeroplano cadde, rompendosi. Onny prese a urlare.
«L’hai rotto!» gridò, facendosi venire gli occhi lucidi.
«No, Onny, meglio così!» Afferrai i resti del giocattolo e vidi un bigliettino
all’interno. “Non avete scampo, pivelli. La vostra
morte è pronta per essere diseppellita – C.D.” Mi ero quasi dimenticata dell’altro giocattolo. Mi
rialzai e vidi che Onny lo aveva quasi raggiunto. «NO!» urlai e glielo tolsi da sotto il naso poco
prima che ci mettesse le manine sopra. Vidi il numero rosso continuare a
scendere. Quattro.
Onny mi pestò i piedi e tempestò di pugni le mie gambe.
«Onny, basta! Ti prego!»
«No, mio, mio, mio!»
Due.
Scostai le tende. La finestra era più pesante di quello che immaginassi. Uno.
Riuscii finalmente a spalancarla. Zero. Il giocattolo lasciò le mie dita
nell’istante esatto in cui esplose nell’aria. Chiusi la finestra per evitare
che la polvere finisse nella stanza. Gli aveva dato i giocattoli poco prima che
arrivasse Arika, quindi meno di qualche ora prima. Sapeva che qualcuno
l’avrebbe salvato e portato all’Istituto e aveva mantenuto la promessa della
sua registrazione: Oppure, se non vorrai seguirmi con il tuo esercito...bè, il tuo bambino salterà in aria. BOOM! Mi voltai verso Onny. Mio
fratello tremava, sotto le coperte. Si era nascosto in fretta.
«Onny...» mormorai, sedendomi sul letto.
Una testa bionda fece capolino da sotto le lenzuola. «Finito?»
Annuii. «Finito.»
«Cattivi aeroplani» dichiarò, scostando le coperte e sedendosi accanto a me.
«Però gli altri giocattoli non erano cattivi».
«Gli altri giocattoli sono con te?»
Onny scosse la testa. «Sono rimasti a casa sua»
Tirai un sospiro di sollievo.
«Che giocattoli erano?» domandai.
«Pennarelli e matite» rispose. «Ho ancora i disegni, aspetta»
Dei pezzi di carta non potevano essere esplosivi, mi dissi. Onny prese dal
cassetto del comodino dei fogli piegati in quattro e me li porse.
«Che bello questo!» esclamai, aprendo il primo. Aveva disegnato alcuni
grattacieli che probabilmente vedeva dalla finestra della sua camera.
«Grazie». Sembrava davvero orgoglioso di sé. Gli scompigliai i capelli e presi
un altro foglio. Lo aprii ed ebbi un tuffo al cuore. Onny aveva disegnato un
bambino biondo, che non poteva essere altri che lui, che teneva la mano a
Chris. Dall’altro lato c’era una ragazza la cui pelle era colorata con un
marroncino chiaro.
«Chi sono questi?»
«Io, Lele, Chris» disse, indicando con un dito paffuto le figure disegnate.
«Com’era Lele?»
«Brava. Disegnavamo insieme».
Eles, certo. Probabilmente Chris non aveva torturato nessuno. Alla fine era un
ragazzo anche lui.
«E poi questo» disse Onny, porgendomi il terzo foglio.
«Vediamo un po’...». Lo aprii. Aveva disegnato una famiglia. C’era lui, al
centro, vestito di nero e con i Marchi. Accanto c’ero io, con la maglietta
arancione del Campo, anch’io avevo i Marchi. Poi c’era mio padre che mi teneva
per mano, vestito di nero e si intravedevano delle linee nere sul collo. E
infine una donna riccia, anche lei vestita di nero e viola scuro, ma non
c’erano Rune sulla sua pelle. Onny aveva disegnato anche una specie di
bicicletta accanto alla donna.
«Chi è?» chiesi, indicandola. A prima vista mi era sembrata Teri, ma non poteva
essere. Onny non la conosceva nemmeno.
«Mamma. L’ho sognata. È venuta anche oggi»
Nemesi. Anche lui l’aveva incontrata e credeva fosse sua madre. Un giorno gli
avrei spiegato tutto. Ma perché Nemesi non voleva farsi vedere proprio da me?
Che le avevo fatto?
«Oggi? A far che?»
«Ha lasciato un pacco a Hen, poi ha detto di salutare papà. A proposito,
dov’è?»
Non aveva nemmeno potuto salutarlo. Non lo vedeva da una settimana e non si
erano neanche potuti abbracciare.
«Onny, papà è andato via» mormorai, cercando di trattenere le lacrime.
«Via? Dove?»
«In cielo»
«Da Raziel?». Il labbro inferiore di Onny tremava.
Annuii. «Sì, da Raziel».
«È contento ora?»
«Tanto. Ma era contento anche qui»
Onny appoggiò la testa sul mio petto, cercando di nascondere i lacrimoni che
gli bagnavano le guance.
«Però mi mancherà».
«Anche a me».
Il figlio di Ade le
diede una pacca sulla spalla.
«Lo salveremo, Teri. Come Eles, il suo compito è di restare lì, almeno per ora»
Il corpo della ragazza rimase immobile.Nico capì che non era preoccupata solo per Gregor.
«Teri, quello che ti è successo...Non potevi saper-»
«No» lo interruppe lei, fredda. «Lo sapevo benissimo, Nico. E lo sapevi anche
tu. Mi hai aiutata. Non devi giustificare un mostro. A proposito. Perché l’hai
fatto?»
«Sapevo che era la cosa giusta da fare. Sembravi in cerca di te stessa e ti ho
aiutata».
Nico le si parò davanti. Ora che era più alto riusciva ad affrontare meglio
quegli occhi scuri che sembravano rimproverarti sempre qualcosa, ma allo stesso
tempo faceva fatica a non attirarla a sé e baciarla. La ragazza, però, non
riuscì a guardarlo negli occhi, ma non era nemmeno tipo da abbassare la testa,
così si concentro su un albero alla propria sinistra.
«Non fare la teatrale» replicò Nico. «Ho visto come mi hai guardato mentre ti
trasformavi».
Teri spostò gli occhi su quelli del ragazzo, ma senza muovere le braccia conserte.
«E come?» chiese, con tono di sfida.
«Avevi paura»
Teri gli lanciò un’occhiata fulminante. «Io non ho pa-»
«No» la interruppe Nico. «Non per te stessa. Ho visto la consapevolezza di
stare per morire e ho visto che l’avevi già accettato. Avevi paura per Leo, per
Mel, per me. Non ho mai letto niente di simile negli occhi di Ludkar».
Il figlio di Ade le scostò una ciocca nera dalla guancia e le sorrise. Si
aspettò che la ragazza ricambiasse il sorriso, ma il suo labbro inferiore
–quello che aveva sognato così tante volte di riempire di baci- cominciò a
tremare.
«Non è finita, Nico. La mia parte da Nocturna è ancora qui e basterebbe poco
per farla scatenare di nuovo». Anche la voce tremava. Poi tossì e si schiarì la
voce. «Eder avrebbe saputo aiutarmi. Quel bastardo dovrebbe morire»
«L’hai già ucciso, Teri. Direi che sarebbe opportuno lasciarlo stare»
«No, Nico. Non è morto, non definitivamente. Ucciderlo è servito solo per
togliermi l’immortalità con il risultato che potrei ritrasformarmi e morirne»
«Che significa? Immortale? Morire?»
Teri gli prese una mano. Nico sentì il cuore cominciare a battergli così forte
da rimbombare nelle orecchie.
«Vieni, devi sapere un po’ di cose».
Quando la ragazza ebbe finito di parlare, calò un silenzio pesante.
Nico fissava il proprio anello, senza sapere esattamente cosa dire. Il cuore
non aveva smesso di battere forte nella cassa toracica. Teri aveva conservato
parte dell’udito sviluppato e si era accorta di ogni singolo battito
accellerato del cuore di Nico, soprattutto quando gli aveva preso la mano.
Quindi Eder ci aveva visto bene.
Nico si alzò di scatto e calciò l’albero dietro cui si erano nascosti.
«Perché non me ne hai parlato?!» gridò.
«L’ho promesso sullo Stige» replicò Teri, calma. «Non potevo dirtelo fino a
quando non mi fossi liberata dell’immortalità».
«E adesso moriresti per un minimo attacco di rabbia, vero?»
«No, Nico. Non minimo. Dovrei arrabbiarmi parecchio per ritrasformarmi
completamente e poi morire»
«E nostro padre è debole. Quindi non può togliere l’immortalità a quel figlio
di-»
«Ti prego, Nico. Risolveremo questa situazione insieme. Siamo abbastanza
potenti per farlo».
«Perché l’hai fatto?»
«Fatto cosa?»
«Perché hai rinunciato all’immortalità? Saresti potuta rimanere immortale e
farti i fatti tuoi»
«Vuoi sentirtelo dire, eh? Va bene».
La ragazza appoggiò una mano su quella di Nico e sentì un tuffo al cuore quando
vide il sangue affluire verso le guance del ragazzo. Non voleva che soffrisse
per lei. Meritava di essere amato a sua volta.
«L’ho fatto perché
ti amo. E amo Mel, Leo, Gregor, Eles, Ria, Niall, Pia, Chirone. Amo i miei
genitori. L’ho fatto perché anche se non sembra, ma io amo. E anche se non l’avrei mai ritenuto possibile, io ho creato
qualcosa quando ho varcato l’ingresso di questo posto. Ho creato qualcosa con voi. E non avrei mai permesso ad un
genitore assente e serial killer di distruggere tutto»
Nico la strinse forte a sé.
«Va bene. Ma tu accetterai che Viktor di addestri e ti aiuti a controllare la
tua parte Nocturna».
«Non esiste»
«Sì, che esiste. Dormirà nella nostra Cabina. Abbiamo spazio. E non passerà
giorno senza che tu avrai imparato a gestire la tua rabbia»
«Ma-»
«Shh». Nico sollevò un dito. «Tu ti fai aiutare da Viktor e poi andiamo a fare
il-»
«Nico...»
«Andiamo a sconfiggere quei bas-»
Teri gli lanciò un’occhiataccia.
«Da quando sei diventata così intransigente sulle parolacce?»
«Ade non vorrebbe che fossi così volgare».
«Uffa...»
Le risate dei due ragazzi si levarono alte nell’aria.
«Buttatela nella gabbia» sputò il ratto del Sottomondo. La dea provò ad urlare
ma fu come se milioni di aghi le si conficassero nella gola. Le due bestie la
gettarono nella gabbia come se non pesasse niente e sbatterono la porta.
Due uomini si avvicinarono alla cella come se fossero comandati a distanza.
Mossero un pezzo di legno e pronunciarono una formula che alla dea sembrò
latina, ma che non riusciva a capire bene perché era stata confusa da una
sostanza che le avevano iniettato. Si sentì un ‘tic’ e poi fu avvolta da una bolla di oscurità e non poté sentire
più niente.
Dall’altro lato il ratto sorrise.
«Ottimo lavoro».
I due ratti si inchinarono senza aggiungere altro.
«Ora fate tornare i maghi nelle loro stanze»
«Certo, nostro signore» mormorarono i due. Presero i due maghi, ancora immobili
e impassibili davanti alla cella e li trascinarono malamente verso le scale.
«Piano!» esclamò. «Piano, per favore. Sono ospiti...per quanto si accorgano di
esserlo». E gli sfuggì una risatina. Gli altri due ridacchiarono e continuarono
a trascinarli verso le scale.
«Signore...»
«Vikus, mio caro! Prego, prego, entra! Ti aspettavamo con ansia».
L’uomo non poté far a meno di percepire una grondante ironia nel tono di
Gorger.
«Signore» ripeté Vikus. «Sapete che avete la mia più completa disponibilità e
lealtà, ma non potevo fare a meno di chiedermi, perché rapire una dea inutile
come Persefone? A cosa potrà mai servire?». Si trattenne dall’aggiungere “A
decorare questo covo puzzolenti con dei tulipani?”.
Gorger si alzò in piedi e si avvicinò all’uomo. Il ratto puzzava di sangue e
zolfo.
«Ah, mio caro innocente Vikus. Per quanto potrai essermi leale non potrai mai
capire i miei piani. Sei troppo buono». Scosse la testa con fare teatrale.
«Ricordi il guerriero?» domandò. Vikus sentì un tuffo al cuore. Lo ricordava
benissimo. L’aveva aiutato e gli voleva bene come ad un nipote.
«Il guerriero, signore?»
«Ma sì, dai. Il Sopramondo». Disse quel nome come se fosse veleno.
«Oh, sì. Perdonatemi, signore, quel guerriero non si vede da queste parti da
parecchio».
Gorger annuì.
«Sì, infatti. Il mio obiettivo è farlo tornare qui. Grazie a lui potremo
risorgere, Vikus. Non vorresti vivere alla luce del sole?»
L’uomo annuì. Certo che lo voleva. Laggiù, per quante lanterne potessero usare,
era sempre buio.
«Signore, io continuo a non capire cosa c’entri la dea...»
«È tutto collegato» replicò il re dei ratti. «Il Flagello è la vittoria del Sottomondo ed è qui, con
noi e dalla nostra parte. Il guerriero è la salvezza
dei Sottomondo, ma è lì, nel Sopramondo, da quegli stupidi semidei che gli
hanno montato la testa. I Nocturni mi hanno informato che aveva un bel rapporto
con Teri Nabaci e Nico Di Angelo, figli di Ade»
«E marito di Persefone...» sussurrò Vikus. Gorger trattenne una smorfia, con
poco successo.
«Non mi interrompere, Vikus» disse. Vikus inchinò la testa in segno di scuse.
«Comunque sì. Sei un servitore molto intelligente. Come dice la Profezia, per
arrivare al Sopramondo dobbiamo conquistare prima i tre regni dei Tre Pezzi
Grossi, a partire dal più basso. Gli Inferi confinano con il Sottomondo.
Quindi, quale modo migliore per sconfiggerli che farci attaccare?»
Vikus aggrottò la fronte. «Signore, non...»
«Sì, Vikus, lo so. Non capisci. Da re generoso che sono ti spiegherò tutto. Ora
siediti».
Fischiò e un ratto tutto spelacchiato e curvo portò uno sgabello.
«No, grazie, signore...»
«Siedi!» gridò, con il viso che si deturpava in un’espressione di rabbia. Vikus
si affrettò a sedersi.
Il viso di Gorger tornò ad essere una maschera di tranquillità.
«Visto? Non è così difficile. Ho convocato una vampira assetata di vendetta,
Victoria. I nostri collaboratori maghi l’hanno aiutata ad ideare un piano per
creare nuovi vampiri».
Il cervello di Vikus tradusse automaticamente “Ho attirato con del sangue la vampira assetata di vendetta, Victoria.
I nostri schiavi maghi l’hanno costretta ad ideare un piano per creare nuovi
mostri”.
«Queste mezze morti hanno destabilizzato gli Inferi e le anime, soprattutto
quelle più vendicative, che sono sfuggite al controllo di Ade, attaccandoci.»
proseguì Gorger. «Ade si è indebolito sempre più. I suoi fratelli lo detestano.
Sua moglie è qui. Dalla sua parte ha solo due figli. Ma che potranno fare due
mezzi umani e un dio vecchietto a confronto del nostro esercito e del nostro
guerriero?»
Non era una domanda retorica. Pretendeva una risposta.
«Niente» rispose Vikus.«Signore, ma non
capisco ancora come possiate attirare il guerriero qui»
«Be’, è vero che Ade l’ha preso sotto la propria protezione. Ma sarà debole. E
tua nipote farà il resto, Vikus. Gregor lascerà volentieri un dio protettore
debole e dei fratellastri per Luxa».
Vikus trasalì.
Gorger si alzò in piedi e andò verso una porta.
«Ho tralasciato un dettaglio importante. L’esercito. Seguimi».
Vikus deglutì e si alzò in piedi.
Gorger abbassò la maniglia ed entrò. L’uomo lo seguì. L’aria della stanza era
impregnata di sangue, ancora di più dell’alito di Gorger.
«La figlia di Ade e le sue stupide amichette mi hanno aiutato in questo» disse
il ratto. «Ho scoperto che nel futuro ci sarà un dittatore che sguinzaglierà
queste creature».
Vikus si accorse che si trovavano in una caverna. Sotto i loro piedi c’erano
ratti, ragni, scarafaggi e umani, ma nessuno di loro era come li ricordava.
Avevano zanne più acuminate, occhi rossi, voci più roche e movimenti più
fluidi.
«Che cosa sono, signore?»
«Sono vampiri, demoni e contemporaneamente Nephilim e semidei. Li chiamo
ibridi»
«Ibridi» ripeté Vikus, deglutendo rumorosamente.
«E sono pronti per radere tutto il Sopramondo al suolo».
Eles si svegliò di scatto, con il fiatone.
Non riusciva a distinguere se avesse le guance bagnate per le lacrime o per il
sudore. Cercò di schiarirsi la mente.
«Liam, Gregor» chiamò. «Svegliatevi, vi prego».