Forte come una tempesta

di Mary P_Stark
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 16: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***




N.d.A.: Molte di voi si sono chieste come fosse il rapporto tra Winter e Autumn, prima dell'arrivo di Erin. Bene, ora potrete scoprirlo. Buona lettura, e benvenute nel mondo di Autumn!


 
Prologo.


 
 
“Ehi, Win, scommetto quello che vuoi che non riesci a battermi, stavolta!” rise allegramente Autumn, portando con sé la sua scatola di freccette.

Levando il capo dal libro che stava consultando, il gemello sollevò uno scuro sopracciglio e scrutò il fratello con aria derisoria, replicando: “Autumn, quando mai mi hai battuto, a freccette?”

“Potrebbe essere la volta buona… dai, accontentami!” ghignò l’altro, dandogli una pacca affettuosa sul braccio nel passargli accanto.

Il ghigno divenne un sorriso furbo, e Winter non poté che rispondere con un altro identico e pieno di sfida.

“E va beneee. Vorrà dire che sarò clemente” acconsentì allora il gemello, levandosi in piedi con eleganza per seguirlo nel salottino.

La casa che avevano trasformato nella loro piccola, accogliente tana dopo la morte dei loro genitori, stava diventando davvero troppo stretta, per loro.

Se era già difficile convivere con tre donne, in casi normali, per Win e Autumn, diventava praticamente impossibile quando sopraggiungevano le vacanze di primavera.

E tutti loro tornavano dai rispettivi studentati all’università.

Le loro stanze, adatte più a dei ragazzini che a dei giovani adulti, e maghi, erano  strette come le restrizioni ai loro poteri.

Era generalmente impossibile tenerli a bada, in special modo quando si ritrovavano tutti assieme.

Il Potere dei Quattro era forte, in loro, e mai Brigidh si sarebbe aspettata di incontrare un simile concentrato di bravura.

Anche se i loro maestri l’avevano messa in guardia fin dall’inizio, sulle loro enormi potenzialità.

Ma rimanevano dei giovani di diciannove anni, con caratteri diametralmente opposti e opposti modi di vedere le cose.

E anche una Veggente come lei poteva avere qualche difficoltà a tenerli a bada.

Il Training di apprendistato era terminato solo l’anno precedente, e gli Adepti della dea che erano giunti lì da Dublino, mandati con il solo scopo di allenarli, avevano spergiurato fossero i più forti Dominatori di sempre.

Osservare i due giovani Hamilton, attraverso la sua sfera di cristallo, era quasi come rubare loro l’intimità, ma intervenire in quel momento non le pareva giusto.

Brigidh distolse lo sguardo dalla sfera e la avvolse con un pesante telo di velluto scuro dopodiché, levatasi in piedi dal suo scranno, si volse a fissare la giovane in piedi alle sue spalle.

Non poteva piombare in casa come se nulla fosse, non con quello che le sarebbe spettato di fare di lì a poco.

Pur non volendolo, pur sapendo di stare tradendo anche l’ultima promessa fatta alla sorella, sorrise mesta alla ragazza in sua compagnia e mormorò: “Dobbiamo andare.”

 
∞∞∞

Autumn sorrise grato al fratello, che rispose con uno altrettanto lieto, altrettanto complice.

A Winter era sempre piaciuto avere un fratello maschio, oltre alle sorelle, specialmente da quando mamma e papà li avevano lasciati.

Certo, lui adorava alla follia anche Spring e Summer, e così pure zia Brigidh, ma non era la stessa cosa.

Solo con Autumn aveva ammesso quanto gli mancasse Kimmy, quanto i suoi sorrisi lo ossessionassero la notte, quanto il solo pensiero che un altro ragazzo potesse baciarla lo mandasse al manicomio.

Autumn era stato gentile con lui ogni volta e, ogni volta, lo aveva ascoltato con il cuore aperto.

Certo, lo aveva anche preso in giro per quella cotta adolescenziale, ma in fondo si era sempre mostrato comprensivo con lui, e lo aveva aiutato nei momenti di sconforto.

Per Autumn, invece, le cose erano un po’ diverse.

Si era sempre confidato molto poco e, a parte il giorno del funerale dei loro genitori, non l’aveva mai più visto piangere.

Sapeva quanto dovessero mancare anche a lui, ma sapeva anche quanto mostrare i suoi sentimenti non gli piacesse, specialmente quelli che Autumn riteneva potessero farlo apparire debole.

Durante il training di apprendistato, a cui tutti loro si erano sottoposti, erano stati presi da dubbi, paure e crisi d’ansia, ma solo Autumn non aveva mai mostrato agli altri cosa realmente avesse patito in quegli anni.

Non dubitava che anche i suoi studi, per diventare un degno Guardiano dell’Aria, fossero stati duri eppure, di quel periodo della sua vita, non aveva confidato nulla a nessuno.

E ora questa visita dall’Irlanda, a rimescolare nuovamente le loro vite.

La zia era stata vaga nelle spiegazioni, ma Winter non vi aveva trovato nulla di strano.

In fondo, se n’erano andati dalla terra natia proprio per non avere a che fare coi nonni.

Normale che Brigidh volesse proteggerli dalle cattive notizie, visto e considerato che era stata proprio lei a riallacciare quei rapporti, volutamente interrotti anni addietro.

La zia li avrebbe messi al corrente di tutto non appena lo avesse ritenuto necessario, non un attimo prima.

Quando infine raggiunsero il salottino, e raccolse dalla mano di Autumn le sue freccette, Win scagliò un paio di dardi giusto per prova, e il gemello lo imitò parimenti.

Già sul punto di iniziare la partita, il suono di una risatina trillante scampanellò nella casa, sorprendendoli entrambi e Winter, volgendosi per primo, lanciò un’occhiata confusa in direzione di una bellezza ramata a lui sconosciuta.

Autumn, già sul punto di scagliare il primo dardo, si volse a mezzo proprio nel momento del lancio e, a occhi sgranati, fissò lo sguardo in due iridi color dell’erba in primavera.

Per un istante, pensò che il cuore gli si sarebbe fermato per sempre.

Il dardo cadde malamente a terra, riportandoli tutti alla realtà e la giovane, sorridendo a entrambi i giovani Hamilton, asserì: “Scusate, vi ho disturbato proprio nel momento peggiore.”

La erre strascicata con cui pronunciò le parole, il tono dolce e dal timbro dichiaratamente irlandese, fecero fremere Autumn come una corda di violino.

Ma quando Brigidh entrò a sua volta nella stanza, ebbe un brutto presentimento, che cancellò in un colpo solo il piacere della visione di quella bellissima ragazza.

Avvolte le esili spalle della giovane con un braccio, la donna fissò i nipoti senza sapere bene da dove cominciare.

Come dare una simile notizia?

Come consegnare uno dei suoi nipoti al destino a cui, sua sorella e suo cognato, avevano sperato di non dover condannare?

Come dire a uno di loro che il suo errore, la sua paura, i suoi  dubbi, sarebbero stati la causa prima di un ennesimo dolore?

Winter, ignaro dei dubbi della zia, parlò per primo.

Si avvicinò alla sconosciuta con la mano protesa, dicendo: “Io sono Winter, tanto piacere.”

“Piacere mio, Winter. Io sono Erin O’Hara” mormorò la ragazza, sorridendogli calorosamente.

Il giovane rispose al sorriso con sincero apprezzamento e simpatia e Brigidh, con un sospiro tremulo, mormorò al nipote: “Lei è la tua Promessa, tesoro.”

Il brutto presentimento si tramutò in orrore e, mentre il gemello sgranava gli occhi per poi arrossire fino alla radice dei capelli, Autumn percepì con chiarezza un nuovo, profondo sentimento: l’odio.

Winter divenne il bersaglio di quel sentimento, un attimo dopo aver udito la zia proferire simili parole e, mentre Erin sorrideva comprensiva a un confuso futuro sposo, Autumn desiderò poter radere al suolo tutto quanto.

Perché, in nome della Tessitrice di Destini, la donna di cui si era innamorato al primo sguardo, doveva sposarsi con il gemello?!






 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Capitolo 1
 
 
 
 
Non sapeva mai esattamente cosa provare, a ogni suo nuovo successo, a ogni punto depennato con la sua stilografica Parker.

Gioia? Terrore? Aspettativa?

Davvero non ne aveva idea.

Le faceva una certa paura, in effetti, pensare di non terminare l’elenco ma, a ogni traguardo raggiunto, si chiedeva se non dovesse aggiungerne qualcuno giusto per scaramanzia.

Sua madre, di sicuro, si sarebbe messa le mani nei capelli se l’avesse fatto, mentre suo padre si sarebbe mostrato più indulgente ma, in segreto, avrebbe fatto esattamente come la moglie.

Come dar loro torto, dopotutto?

Era appena tornata da un corso accelerato di rafting, ed era scesa in gommone dalle rapide del fiume Colorado, solo per porre alla loro attenzione il prossimo punto della lista.

Parapendio.

Certo, per quello avrebbe dovuto fare un altro corso e, per l’ennesima volta, avrebbe fatto venire i capelli bianchi ai genitori, ma voleva portare a termine quella lista.

Era la sua vita. E ci avrebbe messo tutta se stessa per arrivare in fondo al suo progetto.

 
∞∞∞

Imbolc1.

La sua nipotina compiva un mese, e lui l’aveva vista solo in fotografia.

Sunshine Armony Parker era nata senza alcuna complicazione per bimba e madre e, dopo solo pochi giorni di degenza in ospedale, era tornata a casa nell’abbraccio caloroso e amorevole della famiglia.

Autumn aveva seguito con trepidante attesa l’intero decorso del parto, seduto nel silenzio del suo salotto.

Le mani sudaticce si erano strette attorno a una bottiglia di birra mentre, tamburellando un piede a terra, aveva ascoltato il vociare caotico in sala parto.

Storm, il suo bel lupo americano dal pelo grigio, si era accucciato ai suoi piedi e l’aveva fissato in ansia per tutto il tempo, quasi comprendendo il suo stato di puro terrore.

Quando aveva percepito il vagito della sua nipotina, un sospiro di sollievo era scaturito dalle labbra tese in una smorfia, ma la sua paura non era scemata finché non aveva saputo che anche Spring era fuori pericolo.

In un attimo, aveva preso il suo cellulare e aveva mandato un messaggio a Max per congratularsi con lui dopodiché, non potendo resistere, aveva cercato Summer al telefono.

Lei aveva risposto dopo alcuni squilli, la voce resa roca dalla commozione provata e, in un rantolo, lui le aveva chiesto di Spring.

Sapeva che stava bene, ma era sempre meglio sincerarsi.

Summer gli aveva confermato che entrambe erano in salute e, in uno slancio di cortesia, gli aveva chiesto se volesse parlare con la sorella.

Lui aveva rifiutato, adducendo come scusa il non volerla disturbare proprio in quel momento ma, nel riagganciare, Autumn si era dato da solo dell’idiota.

La verità, era che non aveva avuto il coraggio di farlo.

Per più di un motivo, trovava più semplice parlare con Summer, piuttosto che con Spring.

La sua bionda gemella, aveva il potere di mandarlo in briciole con la sola presenza psichica, figurarsi se ci avesse parlato!

Avrebbe iniziato a piangere come un bambino petulante, mandando in frantumi lo scudo che, con gli anni, aveva creato attorno a sé per sopravvivere.

Avrebbe affrontato la sorella a tempo debito, ma non prima di essersi sincerato di avere la mente salda e il cuore un po’ più calmo e sicuro.

“Ehi, capo! C'è Mark del National Weather Service al telefono!” esclamò Sandra dal bancone dell’agenzia di viaggi di proprietà di Autumn, attirando la sua attenzione.

Come sempre, pensare alla nipote gli aveva fatto perdere di vista tempo e spazio.

Quando si affacciò sul bancone per afferrare la cornetta, strizzò l'occhio a Sandra e prese la chiamata.

“Ciao, Mark. Come butta?”

“Tutto regolare, per ora. Mancano ancora otto, nove settimane ai momenti Kodak, perciò dormo abbastanza tranquillo. Volevo però sapere se, anche quest'anno, farai il tuo servizio di ronda con i ragazzi” si informò l'uomo, con tono vagamente speranzoso.

“Potrei mai mancare al mio appuntamento con le tempeste?” ironizzò Autumn, appoggiando i gomiti sulla superficie marmorea del bancone. “Inoltre, devo testare un nuovo tipo di radar doppler, perciò ne approfitterò non appena la Tornado Alley comincerà a darci dentro.”

“Ti adoro, ragazzo. Quand'è che ti decidi a sposarmi?!” rise di gusto Mark, soddisfatto della risposta appena ottenuta.

Autumn si lasciò sfuggire un ghigno e replicò: “Divorzia da Malika, e sarò da te il giorno dopo. Lo sai che non vedo l'ora di sbatterti per bene!”

Sandra fece tanto d'occhi, a quel commento ben poco elegante, e gli fece segno di piantarla, cercando nel frattempo di non scoppiare a ridere, ma Autumn non vi badò.

In quel momento non c'erano clienti, perciò poteva essere un po' più sboccato del solito.

“Te lo sogni, bello! Sarei io a sbattere te!” ribatté Mark, continuando a ridere sonoramente con la sua possente voce. “Col tuo bel faccino, non meriteresti altro. E' un insulto all’intero genere maschile, che tanta bellezza sia finita su un’unica faccia.”

Coi suoi capelli castani tagliati corti e leggermente arricciati sulle punte, il volto volitivo e serio, la barba appena accennata, e due occhi color del mare che avrebbero steso anche un cuor di ghiaccio, Autumn era un'autentica calamita per gli estrogeni.

Il suo fisico prestante e l'altezza importante – raggiungeva il metro e ottantatré – lo rendevano una preda appetibile ma, almeno stando alle voci che correvano, da che era sbarcato a Tulsa, non lo si era mai visto con una donna.

Non in atteggiamenti intimi, per lo meno.

Già da tempo le tre addette alla reception dell'agenzia di viaggi, di cui Autumn era titolare – la Sundance Voyages – avevano rinunciato ad appioppargli qualcuna.

E lui ne era stato ben lieto, ricoprendole di attenzioni tutte fraterne, e proteggendole da uomini indesiderati e scocciatori occasionali, quando necessario.

Un autentico cavaliere dall’armatura scintillante.

Peccato che, al solo nominare qualcosa di più di una birra in compagnia, diventasse scorbutico e solitario come un orso in procinto di chiudersi nel suo sonno invernale.

Nessuna di loro era a conoscenza dei motivi che lo spingessero a rifuggire le attenzioni femminili; visto che non era gay, dove stava il dilemma?

Autumn non avrebbe mai risposto, questo lo sapevano ormai da tempo, come sapevano quali domande fare, o non fare.

Altro elemento tabù, con lui, era la famiglia.

Sapevano che veniva da Washington D.C., che i suoi genitori erano morti quando aveva quattordici anni, che aveva una zia in America, un fratello, due sorelle e due nipoti, ma la cosa finiva lì.

Quando si cercava di scavare a fondo nella sua storia, diventava più ermetico di un contenitore a tenuta stagna.

Lo si sentiva parlare spesso al telefono in una strana lingua e, ogni volta, sembrava sia lieto che angustiato da ciò che sentiva ma, anche in quel caso, il riserbo era massimo.

E se c'era una cosa che incuriosiva e affascinava una donna, o almeno le donne di quell’ufficio, erano proprio i segreti.

Farlo capire ad Autumn era tutt'altra storia.

La telefonata andò avanti su quella linea ancora per un paio di minuti e, quando finalmente l’uomo mise giù, Sandra intrecciò le dita sotto il mento e celiò: “Sentirvi parlare così ha fatto salire la temperatura di questa reception.”

Ammiccando, l’uomo si volse per scrutarla in viso e replicò: “Devo accendere il condizionatore?”

“A febbraio? Non di certo! Ma cerca di non esagerare, o noi moriremo di invidia!” ridacchiò Sandra, indicando Bethany al suo fianco che, con un foglio ciclostile, si stava facendo aria con espressione maliziosa.

Lui scoppiò a ridere e, sollevando una mano per mandarle calorosamente al diavolo, si diresse verso il suo ufficio.

“Si divertiranno di più i vostri uomini, stanotte!”

“Poco ma sicuro” sentenziò Sandra sfregandosi le mani al solo pensiero, e facendo  così scoppiare in un altro accesso di risa il suo capo.

Quando però si ritrovò solo nel suo ufficio, che guardava direttamente sulla strada principale di Tulsa, Autumn si azzittì.

Chiusi gli occhi, si concentrò su Sunshine e, nel giro di pochi attimi, ne avvertì il respiro pacato e il lieve sospirare nel sonno. Stava dormendo, la piccola.

Sorrise e, sedutosi che fu alla sua scrivania, rimase in collegamento per diversi minuti solo per sentirla dormire placidamente.

In quei brevi momenti gli parve di essere lì, di vedere il suo bel faccino paffuto e roseo e la spolverata di capelli chiari sulla testolina minuta.

All'improvviso, udì il suono di una porta che si apriva, e il rumore di alcuni passi sul pavimento in parquet. Max.

Avrebbe riconosciuto i suoi mocassini ovunque.

Percepì il fruscio dei suoi vestiti – ipotizzò si stesse piegando sulla culla – e il dolce e orgoglioso saluto che il padre tributò alla sua bambina.

Sorridendo tra sé, accarezzò con il suo elemento una spalla di Max per fargli notare la sua presenza e, subito, avvertì i movimenti improvvisi dell'uomo e la sua apparente sorpresa.

“Autumn?”

La sua voce gli giunse alle orecchie come se si fosse trovato nel suo ufficio, pur se li dividevano miglia e miglia di territorio ricolmo di una miriade di elementi disturbanti.

Il fatto che, poi, fossero a Washington D.C., peggiorava solo le cose.

Lì, i segnali erano disturbati dalla rete di potere messa in piedi dalla massoneria, al momento del concepimento della città stessa.

Lui era in grado di oltrepassarne le maglie solo perché vi aveva abitato per lungo tempo, e ne aveva imparato i segreti, ma altri Dominatori dell'Aria non ne sarebbero mai stati capaci.

Ugualmente, la ricezione era abbastanza buona.

Un altro colpetto alla sua spalla e Max, più sicuro, disse: “Ehi, amico, ciao. Se non ti scoccia troppo, chiameresti Spry? Non ha il coraggio di farlo, ma so che muore dalla voglia di parlarti. E... una cosa. Ho un impegno lì in zona, e Spring vorrebbe venire con me, portando anche Sunshine. Non è che potremmo... sì, insomma, venire anche a farti visita?”

Irrigidendosi dietro la sua scrivania, Autumn prese immediatamente il suo cellulare e inviò un messaggino a Max.

Quando udì il bip in risposta, seppe che era arrivato.

Preventivamente, Max uscì dalla stanza della figlia e digitò il numero di telefono del cognato. Nel giro di un paio di squilli, Autumn rispose.

“Ehi, ciao” esordì Max. Ad Autumn piaceva molto, quell'uomo, non poteva negarlo.

“Cognato” mormorò lui, serafico.

“Senti, non vorremmo scocciarti con la nostra presenza, e Spry si è sincerata di non dire nulla a Winter, mentre io ho detto che sarei andato in tutt'altra zona” si affrettò a dire Max, prevenendo qualsiasi protesta.

Il Guardiano dell’Aria sorrise.

Quei due si erano veramente trovati.

Avevano lo stesso modo di esprimersi, di corsa, come se il tempo non bastasse mai, e con tono sempre molto compito.

“Dove alloggerete?” gli chiese allora Autumn.

Più sereno, Max disse: “Alloggeremo al Duble Tree... è della catena degli Hilton Hotel. Ho una conferenza lì e...”
Interrompendolo con una risatina, il cognato asserì: “Max, rallenta, non c'è bisogno che tu mi faccia un piano di volo. Va bene. Ma siamo sicuri che la bimba non avrà problemi? In fondo, è ancora molto piccola.”

Max allora ridacchiò e, con un tono tra il tronfio e il meravigliato, disse: “Stando a quel che ci ha detto Brigidh, Sunshine sarà la prossima Guardiana dell'Aria, quindi sarà nel suo elemento naturale. Inoltre, anche il pediatra ha detto che non ci sono controindicazioni, perché il viaggio è breve. Dovremo solo attuare qualche piccolo accorgimento.”

Quella notizia colpì Autumn come un pugno al plesso solare e, per alcuni secondi, non fu in grado di parlare.

La sua... erede.

A rigor di logica, avrebbe dovuto essere lui ad addestrarla, una volta raggiunta la sua maturità sessuale, quando i gangli di potere si risvegliaao pienamente al flusso di energia degli Elementi.

Lui era stato addestrato da un uomo scelto da Nonna Shaina – visto che il Dominatore dell’Aria si era rifiutato di venire in America per addestrarlo.

Le faide erano dure a morire, anche quando c’erano di mezzo degli interessi potenti come quelli che intercorrevano nel loro Clan.

Il pensiero di poter fare, per Sunshine, quello che il Vecchio Guardiano non aveva fatto per lui, lo fece rabbrividire di aspettativa e di terrore.

Rammentava fin troppo bene cos'era successo a lui, quando aveva iniziato a percepire la prima volta l'energia dell'Aria.

All'epoca, aveva avuto all'incirca l'età di Malcolm.

Si era spaventato a morte, ed era corso dal padre per sapere cosa gli stesse succedendo.

Anthony allora lo aveva preso sulle sue ginocchia e gli aveva spiegato che, nel giro di un paio d'anni al massimo, avrebbe iniziato il suo training per diventare Guardiano.

Con un sorriso, aveva aggiunto che, quello che aveva percepito per la prima volta, era stato il saluto di Arianrhod al suo nuovo Dominatore.

Sia il padre che la madre non erano stati Guardiani, ma solo portatori del dono e, grazie ai matrimoni combinati dal Clan, avevano generato quattro gemelli destinati a dominare i quattro Elementi.

Pur amandosi, avevano aborrito la scelta delle loro famiglie di obbligarli a tale scelta e, non appena si erano sentiti abbastanza sicuri per il grande salto, erano partiti per l’America, lasciandosi alle spalle ricordi e sicurezze.

Negli anni, la loro decisione era stata da prima osteggiata, poi caldeggiata da alcuni.

Con il passare del tempo, i più giovani componenti del Clan avevano iniziato una vera e propria battaglia per riportare la libertà all'interno delle loro famiglie, pur senza grosso successo.

Quando infine Sean O'Gready, studioso di Lingue Antiche, aveva parlato con lui e Winter del suo desiderio di trovare un modo per evitare la Legge dei Prescelti, si erano trovati d’accordo ad aiutarlo.

Forse la prima volta in assoluto, dalla morte di Erin, in cui i due fratelli si erano parlati, seppur per un breve momento.

Grazie a Sean, Colin e Miranda, questo scambio di battute si era ridotto a ben poche, scarne parole e, in seguito, tutto era avvenuto senza un loro coinvolgimento diretto.

O, comunque, non nello stesso momento.

Grazie anche all’intervento di Mæb, che aveva concesso l’accesso agli archivi segreti, Colin era riuscito a portare fuori il grimorum, e Miranda aveva guidato come una folle per raggiungere Sean.

Miranda, la sua potenziale futura sposa.

Sorrise, ricordando come l’avesse seguita con il suo potere, il cuore in gola per l’ansia, mentre conduceva Colin e il grimorum in salvo, protetti dal suo scudo d’Aria.

Gli era sembrata in tutto simile a Michael Schumacher, alla guida e, quando finalmente aveva fermato la piccola Mini Minor nel cortile di casa di Sean, l’aveva chiamata per complimentarsi con lei.

Miranda ne aveva riso e, nel ringraziarlo per lo Scudo Protettivo, gli aveva promesso di tenerlo informato sugli sviluppi.

Come da accordi, lui si era occupato di tenere al riparo Sean dagli occhi indiscreti del Clan e, in quel periodo, aveva avuto tutto il tempo di ammirare la tenacia del giovane studioso.

In fondo, nessuno dei tre Prescelti si era dimostrato una semplice pedina del Clan, e avevano messo in mostra doti davvero sorprendenti, pur senza avere alcun potere nominale.

Durante una delle loro numerose telefonate, Miranda lo aveva poi messo al corrente della sua futura maternità, e del prossimo matrimonio con Colin.

Quando Miranda gli aveva parlato del loro bambino, che sarebbe nato più o meno quell’estate, si era quasi sentito in dovere di pestare per bene l'irlandese.

In fondo, sentiva come proprio il diritto di proteggere anche Miranda, visto che in qualche modo erano da sempre stati legati.

Lei ne aveva riso, e Colin si era detto più che lieto di saperlo a migliaia di miglia di distanza, pur se apprezzava il suo interessamento nei confronti della futura moglie.

Sapere che sua nonna aveva desistito dall’obbligare Colin e Miranda a separarsi lo aveva allietato, ma non era sicuro che quella vecchia megera avesse perso il gusto di ficcare il naso ovunque.

Non si era mai arresa, in quegli anni, e dubitava che l'ammutinamento di parte del Clan, come dei Prescelti, potesse bastare a fermarla.

Dalla riunione del Consiglio, avvenuta a Yule, non era scaturito nulla di nuovo e, da quel che aveva saputo da Colin, era stato indetto un nuovo incontro nel periodo di Ostara2.

Dopotutto, da una dannatissima Dominatrice del Fuoco, cosa poteva aspettarsi se non sotterfugi e altri sotterfugi ancora? Erano tutte delle maledette testarde senza speranza.

“Una... una Guardiana dell'Aria, eh? Beh, promette bene fin dall'inizio” ironizzò a fatica Autumn, tornando con i piedi per terra per riprendere la conversazione col cognato.

Come doveva sentirsi, di fronte a quella scoperta?

Orgoglioso? Atterrito? Fiero?

Davvero non lo sapeva.

“Malcolm dice che non vede l'ora di poter giocare con lei” ridacchiò Max, tutto contento. “Se la porta in giro tutto giulivo. Ha passato mezza giornata a fare domande su domande a Spry, su come tenerla senza farle male!”

Autumn sorrise. Mal era davvero un bravo bambino, e anche per questo si era allontanato dalla famiglia.

Winter c’entrava solo in parte, anche se una buona fetta di colpa era da attribuire a lui.

Non poteva comunque non pensare ai poteri del nipote che, entro breve si sarebbero scatenati come uno tsunami.

Come sottoporlo a tutto lo stress emotivo che teneva dentro? No, impensabile.

Doveva stargli lontano.

Tossicchiando, Max aggiunse: “Winter dice che assomiglia a vostra madre quando era neonata.”

L'accenno al fratello lo fece rabbuiare un istante ma, ripensando alle foto della mamma – che tante volte aveva guardato nell'album di famiglia – fu costretto ad ammettere che aveva ragione.

“Sì, in effetti è vero. Mamma aveva lo stesso nasino a punta, e le stesse labbra a cuore” mormorò l’uomo, annuendo debolmente.

“Beh, comunque arriveremo lì domenica prossima” si affrettò a dire Max, forse timoroso di aver detto troppo. “Sarà un piacere vederti in faccia, amico.”

“Altrettanto” ghignò lui, chiudendo la chiamata.

E così, avrebbe visto sua nipote e suo cognato di persona.

Lasciandosi andare contro lo schienale imbottito della poltrona, si crogiolò in quel pensiero e non pensò a ciò che era successo solo pochi mesi prima con Summer.

Quello scontro aveva lasciato strascichi non indifferenti nel suo animo e, più di tutto, la presenza del carillon della mamma in casa gli dava al tempo stesso fastidio e dolore.

Non poteva liberarsene e, allo stesso momento, non voleva farlo.

Passandosi una mano sui corti capelli, ringhiò a bassa voce: “Sei una vera stronza, Summy.”

 
∞∞∞
 
Come aveva fatto a dimenticare quell'inebriante profumo di fresia e sole? O la dolce carezza del corpo di Spring stretto al suo in un abbraccio caloroso?

Autumn la tenne avvinta a sé per diversi secondi, assaporando tutto questo e molto altro ancora e, quando infine la lasciò andare, le baciò affettuosamente la fronte mormorando: “Mo chrói...fàilte. Conas ta tù.”3

Lei rispose con un sorriso e asserì lieta e vagamente emozionata: “Tá me go maith.”4

Tornando all'inglese, dichiarò poi allegramente: “Sei davvero bellissimo, brathàir. Ti fa bene l'aria di Tulsa.”

“E a te fa bene fare la mamma. Sei stupenda, sorella” le sorrise Autumn prima di rivolgersi a Max, che teneva premurosamente in braccio la piccola Sunshine.

Allungandogli una mano, l'uomo esclamò: “Benvenuto anche a te. E grazie per aver reso felice la mia Spry.”

“Piacere di conoscerti, Autumn” asserì Max, stringendogli la mano con forza, gli occhi chiari che studiarono quel volto dai tratti forti ed eleganti assieme.

Sì, i gemelli non si somigliavano davvero, pur se riflettevano ognuno a modo proprio l'appartenenza a uno stesso ceppo famigliare.

Erano tutti orgogliosi, dal portamento fiero e dallo sguardo sicuro di sé.

I tratti regali appartenevano a tutti e quattro e, nei loro occhi brillanti, si intravedeva – a chi sapeva coglierlo – il potere che scorreva nel loro sangue.

La postura di Autumn, poi, era ancor più rigida e impostata di quella di Winter, come se sulle sue spalle gravasse un peso enorme e che, solo a stento, riusciva a sopportare.

Che fosse la causa prima dei suoi screzi con l'altro gemello di casa Hamilton? Difficile dirlo, visto che era un argomento off limits.

“E tu, signorina, sei Sunshine?” mormorò Autumn, rivolgendosi infine alla bambina.

Questa, mosse la testolina bionda in direzione del suono della sua voce bassa e roca e, nell'aprirsi in un sorriso sdentato, lanciò un urletto prima di muovere una mano grassoccia verso di lui.

“Il riconoscimento dell'Elemento” sussurrò Spring, orgogliosa e fiera.

Il gemello annuì, sfiorando con un dito quella mano stupenda e color delle pesche. Subito, la bimba glielo strinse con forza e, tra loro, scorse una scintilla.

Sì, Sunshine Armony Parker sarebbe diventata una Dominatrice dell'Aria con i fiocchi.

Avvertendo un groppo in gola, Autumn si affrettò a scostarsi dalla nipotina prima di lasciarsi andare a una lacrimuccia ben poco virile e, indicando una berlina chiara poco distante, disse: “Venite, vi accompagno all'albergo.”

“Non vuoi farci vedere il caos che regna a casa tua?” ironizzò Spring, mettendosi a braccetto del gemello.

“Diciamo che, al momento, è piena di macchinari, e non saprei davvero dove farvi passare. Sto portando a termine un nuovo radar doppler e, visto che la stagione dei tornado comincerà con qualche settimana di anticipo, ho i tempi contingentati” le spiegò Autumn, aprendole una portiera per farla salire.

Sull'altro lato del sedile posteriore, era già stato montato un ovetto per Sunshine.

A quella vista, Spring si fece malinconica e mormorò: “Oh, brathàir...

“Non ti sconvolgere tanto. L'auto è a noleggio, e l'ovetto me l'ha prestato Candice, una mia amica” la rabberciò bonariamente Autumn, indicando a Max di salire davanti assieme a lui.

“Perché, tu che auto hai?” si informò Max, allacciandosi le cinture mentre Autumn metteva in moto.

“Un chevy tutto ammaccato, che uso quando vado fuori a caccia di tornado, e una Alfa Romeo JTS Spider... decisamente poco adatta per portare un bebè” ghignò il cognato, avviandosi lungo la strada per uscire dall'aeroporto.

“Se proprio non possiamo entrare, puoi almeno farci vedere dove abiti? Daiii, ti pregooo!” esclamò la donna, intrecciando le mani in preghiera.

L'uomo rise sommessamente e, nell'avviarsi in direzione del suo quartiere, dichiarò: “Sei sempre la stessa, Spry.”

“Lo so” ammiccò lei, dondolando un dito di fronte alle manine protese di sua figlia, che trillò felice.

Autumn la ammirò distrattamente nello specchietto retrovisivo e, tra sé, si disse che, in effetti, un po' era cambiata.

Aveva una sicurezza nello sguardo che prima non aveva mai avuto e, nei confronti di sua figlia, era un amore. Si vedeva al primo sguardo quanta affinità vi fosse tra loro.

E Max? Beh, era un raggiante neo-papà, e guardava la sua sposa come se il mondo iniziasse e finisse con lei.

Così avrebbero dovuto essere marito e moglie! Non come...

Imponendosi di non pensarci, per non rovinare la giornata assieme alla famiglia – era un evento così raro! – Autumn raggiunse il suo quartiere dopo un lungo peregrinare per vie e semafori.

Piccole case a un piano sorgevano le une vicine alle altre, e prati ancora ricoperti da qualche sparuta spruzzata di neve minacciavano già l'arrivo della primavera.

Le piante, ancora prive del loro fogliame, mostravano però i primi timidi accenni di ripresa e, quando l'auto si fermò di fronte a un villino in sasso bianco e sprazzi di pareti intonacate color pesca, Autumn disse: “Il mio regno.”

“Ti si addice. C’è molto di te, qui.”

Spring annuì compiaciuta e, mentre Max ridacchiava per quel commento, la donna slacciò la piccola dall'ovetto e Autumn fece gli onori di casa.

Passando lungo il vialetto in pietra liscia e bianca, raggiunsero la porta d'ingresso e lì, lanciato uno sguardo a una supplichevole Spring, le ordinò: “Non toccare nulla! E' un ordine! O giuro che ti caccio fuori a pedate!”

“Agli ordini!” esclamò lei tutta giuliva, entrando non appena il fratello glielo permise.

Sulla soglia, però, si fermò immediatamente e, vagamente dubbiosa, indicò verso il basso e mormorò: “Ehm… è normale che ci sia un lupo in casa tua, Autumn?”

Non avendo minimamente pensato a Storm, troppo preso dalla presenza della famiglia per ricordarselo, Autumn fu lesto a dire: “Non è cattivo. Ed è il mio coinquilino.”

La sorella lo guardò da sopra una spalla con aria vagamente scettica e celiò: “Che eri strano lo sapevo, ma da qui a prendersi un lupo in casa ce ne corre. Ha un nome, comunque?”

“Si chiama Storm e, da quel che vedi, è ben addestrato” replicò il gemello, sorridendo complice al lupo che, ancora accucciato a terra, li stava guardando con aria curiosa e attenta.

La coda falciava l’aria a tutta velocità, segno che Storm era curioso ed eccitato al tempo stesso.

Spring allora si piegò sulle ginocchia, allungò una mano verso l’animale per lasciarsi annusare e, con un accenno di potere, lo sfiorò sul capo mormorando: “E’ un piacere incontrarti, figlio delle foreste e delle nebbie. Possa la nostra permanenza non arrecarti disturbo, e la nostra amicizia renderti lieto.”

Il lupo le leccò la mano, scodinzolando allegro e, sollevatosi sulle forti zampe, si allungò per sfiorarle il viso con il naso umido e freddo.

Ciò fatto, reclinò il muso verso il basso e si dileguò un attimo dopo, sparendo oltre una porta da saloon visibile dall’entrata di casa.

Max, che aveva osservato l’intera scena in silenzio, sospirò e disse a mezza voce: “Quello cosa voleva essere?”

“Posso parlare con tutte le creature viventi, Max, non te lo ricordi?” asserì quieta Spring, come se nulla fosse. “Gli ho solo fatto capire che non stiamo invadendo il suo territorio.”

“Stregoni” chiosò l’uomo, fissando esasperato la figlia. “Tu vedi di essere chiara fin dall’inizio, quando ti troverai qualcuno per la vita. Tua madre è stata una frana, quando l’ha fatto.”

“Ha un mese, Max… non pensi sia un tantino presto per insegnarle cose simili?” brontolò Spring, proseguendo dentro casa di Autumn, che stava sghignazzando platealmente.

“Non si sa mai. Siete notoriamente testoni, in famiglia. Prevenire è meglio che curare” replicò sagace il marito, imperturbabile di fronte allo sguardo glaciale che la moglie gli lanciò.

Lei sospirò, scuotendo esasperata il capo.

Max, sorridendo comprensivo, osservò la moglie gironzolare attentamente tra una miriade di scatoloni ancora da sballare in quello che, a prima vista, sembrava il paradiso del maschio americano.

Uno schermo al plasma, di almeno quaranta pollici, era appeso alla parete di fronte al divano – enorme – in pelle chiara e dall’aria decisamente comoda.

Una poltrona bianca e dalle linee moderne era ricoperta di riviste, per lo più del settore meteorologico, anche se si potevano intravedere diversi numeri di Sport Illustrated.

Sull'ampia libreria, in fondo al salone, si trovavano un sacco di oggetti mesoamericani, oltre alle fotografie di Sunshine, Malcolm e delle sorelle Hamilton.

Poco più in là, una più vecchia ritraeva i loro genitori.

Ma quello che colpì Max, fu la vista di una teca contenente quelli che sembravano i cimeli di un atleta.

Guantone, mazza e pallina erano sistemati su appositi piedistalli.

Ben ripiegata e stirata, infine, una maglia con i colori bianco e blu di Yale –  evidentemente l’Università che aveva frequentato Autumn – era sistemata in una cornice di legno scuro.

A giudicare dalle mostrine contenute nella teca, doveva essere stato parecchio bravo.

Quel che invece attirò l’attenzione di Spring fu altro, e i suoi occhi si velarono subito di mestizia e dolce rammarico.

Accanto al camino – in ardesia scura e dalle linee semplici e piatte – , poggiato su una mensola in legno scuro, se ne stava uno strano oggetto a forma di torre.

“Il carillon della mamma…” mormorò la donna, sfiorando la riproduzione del Tor di Avalon con dita leggere.

Il gemello le si avvicinò, avvolgendole le spalle con un braccio e lei, silenziosa, si lasciò andare contro il suo torace, sospirando nel chiudere gli occhi e farsi cullare dai ricordi.

Max li osservò muto, sorridendo tra sé al pensiero di quanto, le posture di Winter e Autumn, fossero simili.

Per quanto i due provassero rancore l’uno nei confronti dell’altro, erano maledettamente identici nel trattare le sorelle, ugualmente forti e protettivi.

Se solo l’avessero saputo, probabilmente avrebbero dato in escandescenze, ma lui era bravo a mantenere i segreti, e di sicuro, non avrebbe rovinato la giornata alla moglie nominando Winter.

Quando il momento di sconforto passò, Spry sorrise al gemello con gratitudine.

“Summ mi aveva detto di averlo lasciato a te, dopo la sua visita, ma mi ha fatto uno strano effetto vederlo.”

“Se lo vuoi, puoi prenderlo.”

“Lo lascerò a te. Se Summy te l’ha portato, avrà avuto i suoi motivi” scrollò le spalle la gemella, negandosi quel piacere.

La sorella poteva apparire impulsiva, ma non aveva mai compiuto un solo gesto avventato in tutta la sua vita e, se aveva lasciato quel prezioso cimelio al gemello, doveva aver scorto qualcosa che lei non sapeva.

Le sarebbe piaciuto portarlo a casa, ma era meglio che stesse con Autumn.

 
 
 
________________________
N.d.A.: Nella prima parte di questo capitolo, sentiamo i primi pensieri della protagonista della storia, assieme a Autumn, ma ve la presenterò meglio al prossimo aggiornamento. 

1.      Imbolc (festività celtica): Corrisponde al 2 febbraio.
2.      Ostara (festività celtica): Corrisponde al periodo tra il 19 e il 22 marzo, a cavallo con l’Equinozio di Primavera.
3.      Mo chrói...fàilte. Conas ta tù (gaelico irlandese): Mio cuore, benvenuta. Come stai?
4.      Tá me go maith. (gaelico irlandese): Io sto bene.



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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


2.
 
 
 
 
 
Passare del tempo con la nipotina, la sorella e il cognato, gli era servito a sentirsi meno solo, meno isolato e, quella sera stessa, aveva telefonato a Summer per sapere come le andassero le cose.

Non che sbirciare non fosse divertente.

Ma, ora che stava in pianta stabile con John, le volte che li aveva beccati a letto insieme, erano state di gran lunga superiori alle restanti, per cui…

Meglio chiamare.

Dopo aver ricevuto conferme anche da lei sul suo buono stato di salute, si era arrischiato a domandare di Malcolm, venendo a scoprire che il nipote si era fratturato un dito facendo a botte a scuola.

Subito sconcertato e turbato, era scoppiato a ridere nel venire a sapere i motivi della rissa.

Cherchez la femme.

Malcolm si era battuto come un lottatore per difendere una compagna di classe, rimediando un dito rotto, ma anche l’ammirazione imperitura della fanciulla e di metà della scuola (la parte femminile).

L’altra metà, ora lo guardava con rispetto e vaga soggezione e, pur avendo portato a casa anche un richiamo formale dal preside, se l’era cavata con poco, dopotutto.

Summer e Kimberly erano scoppiate a ridere, quando Winter si era limitato a sogghignare, e Autumn si era ritrovato a fare lo stesso.

Come dar torto al ragazzo, in fondo?

La sorella gli aveva detto che Winter si era raccomandato di non fare più a botte, a scuola, ma si era anche congratulato con il ragazzo per il coraggio dimostrato.

Seduto alla guida del suo chevy, diretto verso l’agenzia di viaggi e sede del suo gruppo di Cacciatori di Tornado, Autumn sorrise nel ripensare ai tre giorni passati con parte della sua famiglia, e sospirò.

Le ragazze gli mancavano, ed era atroce star lontano da Malcolm, non vederlo crescere come avrebbe voluto, ma la vicinanza con Winter era ancora insopportabile.

E il pericolo che Malcolm capisse i motivi del suo rancore, del suo desiderio di rivalsa nei confronti del padre, si faceva di giorno in giorno più serio.

No, nel primo caso avrebbe finito con il cercare di ammazzare il gemello, lo sapeva, e questo davvero non se lo poteva permettere.

Nel secondo, avrebbe turbato davvero troppo il nipote, e questo pensiero era di per sé insopportabile. Quel ragazzo aveva già sofferto troppo.

Ancora doveva capire perché avesse deviato quel proiettile, tanto tempo prima.

Scrupoli? Coda di paglia? Chissà.

A ogni modo, non aveva sopportato l’idea che anche Kimberly morisse, visto quanto lo stesso Mal gli si era già affezionato.

Comunque, meglio l’esilio a una rissa con potenziali vittime, e all’odio imperituro del nipote.

Inoltre, Summer e Spring lo tempestavano di fotografie, e-mail e messaggini, perciò era un po’ come averle ugualmente vicine.

Zia Brigidh, invece, non aveva mai tentato di tenere contatti con lui.

La donna sapeva fin troppo bene quanto il nipote ce l’avesse ancora con lei.

Autumn non poteva dimenticare che, anche a causa sua, i nonni li avevano trovati, mandando all’aria tutto ciò che i loro genitori avevano fatto per tenerli lontani dalle macchinazioni del Consiglio.

Senza il suo intervento, Erin non si sarebbe mai sposata con Winter, e lui non avrebbe mai dovuto struggersi d’amore per lei, o abbandonare la famiglia.

“Dio, che schifo la vita, a volte…” brontolò tra sé, posteggiando nel suo parcheggio privato, accanto all’entrata dello stabile a quattro piani dove si trovava l’agenzia.

Sopra la sua testa, un enorme cartello luminoso occupava per gran parte della facciata e, nell’osservarlo divertito, lo trovò un tantino eccessivo.

Quella scritta era davvero enorme.

Ma, a lasciar fare alle donne, succedeva così.

Sandra e Bethany si erano sbizzarrite, nello scegliere il font e la grandezza dell’insegna dell’agenzia, e quello era stato il risultato.

Ben gli stava, a mostrare un po’ di elasticità mentale.

 
∞∞∞

“Cosa... vorresti fare?”

Quel rauco gracidio riverberò per il salotto di casa Snow, come il suono profondo di un gong in un tempio e Melody, sbuffando, si preparò all'ennesima battaglia campale con la madre.

Il padre, Thomas Jefferson Snow – il nonno era stato categorico, sul nome – fissò le sue due donne quasi pronto a defilarsi, ma la sua dolce metà glielo impedì con un'occhiata d'acciaio.

Avrebbe partecipato anche lui all’ordalia, questa volta.

“Non se ne parla neanche!”

Il dissenso categorico di Sabrina Emerson Snow giunse come una pioggia di chicchi di grandine sulla testa della figlia che, rattrappendosi un poco nelle esili spalle, replicò cocciuta: “Fa parte dei miei desideri, però.”

“Questa faccenda sta diventando un'ossessione! Puoi anche evitare di seguire tutti i punti di quella maledetta lista che hai scritto! Non è un obbligo morale, sai?!” sbottò la madre, sbattendo sonoramente le braccia grassocce contro i fianchi rotondi.

In quel momento, il suo viso rubizzo era rosso come un peperone maturo, e Melody temette per le sue coronarie. Mamma non era mai stata una persona controllata e, negli ultimi anni, era addirittura peggiorata.

Capiva il perché – le sue attività ricreative erano tutto tranne che tranquille, o sicure per la sua incolumità – ma non poteva fare a meno di gettarsi in quelle avventure.

Erano... vitali, per lei. Sentiva di doverlo fare.

Il sangue stesso le gridava contro in cerca di nuovo nutrimento, di altra adrenalina.

Farlo capire ai suoi genitori, ormai allo stremo delle loro forze, era tutt'altro affare.

Cercando di non apparire più testarda di quanto non fosse già per natura, Melody chetò lo spirito con un lungo, profondo respiro, e mormorò: “Mamma, calmati. Non ho detto che voglio lanciarmi dall'Empire State Building senza paracadute. Voglio solo finire il dottorato in meteorologia, e desidero fare la tesina sulla Tornado Alley.”

“Ma perché?!”

La sua esplosione emotiva fu simile a quella di un tuono nel cielo.

Thomas rabbrividì, sapendo che sarebbe stata una di quelle volte.

Anche Mel lo sapeva, ed entrò subito in modalità di attacco, pur se con maggiore gentilezza del solito.

“Forse perché ci abitiamo, e sarebbe carino fare una tesi su qualcosa che viviamo sulla pelle tutti gli anni?” le fece notare con candore la figlia, sorridendo tenue e ingenua quanto bastò per far scoppiare sua madre.

Sabrina non abboccò minimamente e ringhiò feroce al suo indirizzo, apparendo più un mastino feroce, che una docile donna di cinquant’anni.

“E perché dovresti andare assieme a dei cacciatori di tornado, spiegami!?”

“Ehm...” tentennò Melody, grattandosi pensosa una tempia, da cui pendeva una ciocca dei capelli di un originale color bianco di titanio. “... forse perché così è più reale?”

“Tu mi farai impazzire, lo so!” strillò allora la madre, lanciando per aria le mani, mentre il suo balletto attorno al tavolino del salotto ebbe inizio.

Melody aveva assistito a quella scena un sacco di volte, per essere precisi sedici, e cioè a ogni sua nuova avventura.

Suo padre Thomas, invece, a gran parte di quegli spettacoli non aveva partecipato, e vedere la moglie gironzolare per la stanza del piano terra come un bufalo nervoso, fece uno strano effetto.

Impallidì, si sentì cedere le gambe e crollò infine su una poltrona, passandosi una mano sul viso madido di sudore freddo.

Melody provò pena e sconforto per entrambi.

Sapeva di essere egoista, di non aver la minima considerazione dei loro sentimenti, ma ciò che si proponeva di fare era troppo importante.

Reclinando il capo per un momento, la giovane si guardò le braccia nude – in casa, era solita indossare maglietta e pantaloncini, indipendentemente dalla stagione – e, aggrottando la fronte, mormorò: “Mamma, guarda.”

La donna bloccò la sua filippica per incrociare lo sguardo della figlia, che appariva seria e determinata e, dubbiosa, si chiese cosa volesse mostrarle di così strano. O importante.

Lei appariva come al solito; alta, magra e dalla pelle chiara.

Era tonica e forte, grazie alla quantità di sport praticati negli anni, e i suoi strani capelli bianchi, invece di invecchiarla, la rendevano bella e sbarazzina.

Facevano risaltare l'ovale perfetto del volto e i suoi occhi grigi come lame di spada, oltre alla sua bocca carnosa e a cuore.

Melody era sempre stata bella. Ma anche troppo sfrenata e desiderosa di avventure, soprattutto per essere una ragazza.

“Cosa devo vedere, Mel?”

Sabrina lo disse con rassegnazione, muovendo mollemente le braccia come a spingerla a parlare.

“Sono forte. Non sono una mammoletta. Posso sopportare qualsiasi cosa, e tu lo sai” sottolineò la figlia, mettendo dell'acciaio nei suoi occhi chiari.

“So benissimo tutte queste cose, Melody, ma devi anche pensare che, ormai, questa faccenda sta diventando insostenibile per entrambi.”

Nel dirlo, la donna lanciò un'occhiata al marito, che appariva ancora parecchio turbato.

“Se fosse per te, scaleresti anche l'Everest a mani nude e senza respiratore, ma devi pensare che vederti sempre in pericolo, ci sta uccidendo.”

Il colpo andò a segno.

Melody reclinò colpevole il capo e gli occhi le si riempirono di lacrime, lacrime che però non lasciò sfuggire dalla gabbia offerta dalle palpebre socchiuse.

Con voce roca e a stento controllata, replicò: “Voglio finire il dottorato, mamma. E desidero farlo grazie all'aiuto del miglior cacciatore di tornado della zona. Nessuno si è mai fatto un graffio, grazie a lui, e lo zio mi ha organizzato un incontro con lui per domani. Sarò al sicuro, ve lo posso dire per cosa certa. E dopotutto, si tratta dell'ultimo punto della lista. Poi basta, niente più follie. Terminato quello, mi riterrò soddisfatta.”

Quell'accenno fece singhiozzare debolmente il padre che, trovato il coraggio di rialzarsi, lanciò un'occhiata disperata alla moglie e disse a mezza voce: “Se ti fidi di lui, noi ci fideremo di te. Ancora una volta. Ma stai attenta.”

“Lo farò” assentì grata Melody, correndo ad abbracciare il padre.

Un attimo dopo, la giovane si volse verso la madre ma lei declinò e si allontanò in silenzio, lasciandoli soli nel salotto.

La giovane sospirò sconsolata e Thomas, dandole una pacca consolatoria sulla schiena, mormorò: “Sai che tua madre si arrabbia subito, ma poi sbollisce altrettanto alla svelta.”

“Non è mia intenzione farvi soffrire, ma io...

Non terminò la frase. Suo padre sapeva già tutto da tempo.

“Lo so. E lo sa anche mamma. Se solo avessimo la certezza che stavolta è sul serio l’ultima tua avventura spericolata, lei si sentirebbe più tranquilla” asserì suo padre, il tono di voce stanco, rassegnato.

Melody preferì non mettere a voce il suo pensiero ma suo padre la comprese ugualmente, e sospirò.

 
∞∞∞

A volte, pensava che Robin fosse un completo pazzoide.

Non che non ne avesse avuto riprova in più di un'occasione.

Le viti che aveva nel femore destro, la piastra che teneva salda la caviglia sinistra e la profonda cicatrice - che portava come un trofeo - sull'avambraccio destro, ne erano la bandiera.

A ogni buon conto, non l'avrebbe cambiato con nessuno al mondo. Come leggeva le carte lui, nessuno poteva.

Conosceva a menadito tutte le strade da lì a Detroit, carreggiate comprese, e poteva districarsi in mezzo a una tempesta con la stessa facilità di una donna in un negozio di abiti, durante il Black Friday.

Stavolta, però, dubitò davvero delle sue doti mentali.

Che gli aveva detto il cervello, quando aveva invitato una universitaria a seguirli nelle loro scorribande per le pianure? A caccia di tornado, poi!

Grattandosi pensieroso una tempia, la barba incolta lì a dargli un fastidio cane – non l'aveva tagliata perché si era svegliato tardi, quel mattino – Autumn si chiese per la millesima volta cosa dovesse farci, con quella tipa.

Sarebbe venuta in Agenzia proprio quella mattina, e lì avrebbe perorato la sua causa.

Non aveva per nulla voglia di affrontare una ragazzina armata di notes giallo, pennarello in mano e occhi sognanti quanto inconsapevoli, ma non se l'era sentita di dire di no a Robin.

Gli doveva troppi favori, per non accettare di fargliene almeno uno.

Innanzitutto, era stato lui il primo amico che aveva trovato lungo la sua nuova strada, quando era giunto da Washington D. C. come un cane bastonato e il cuore a pezzi.

La morte di Erin, aveva sfilacciato anche l'ultima bava di ragno che l’aveva tenuto legato alla famiglia.

Dopo aver ingiuriato a male parole Winter, aveva preso armi e bagagli ed era salito sul primo pullman utile.

La linea Grey Hound che aveva preso lo aveva condotto fino a Tulsa, nel regno dei tornado e delle tempeste e lì, al suo arrivo sulla pensilina, aveva visto Robin per la prima volta.

Seduto sul cassone del suo pick-up a bersi sconsolato una birra, gli era parso avere l'aria di un cane malmenato più volte, e con forza.

Autumn si era sentito molto in sintonia con lui ma, come al solito, aveva preferito non mostrare agli altri quanto, anche il suo cuore, fosse stato pestato a dovere.

Gli era passato a fianco per raggiungere il punto informazioni poco distante, ma Robin l'aveva fermato, dicendogli che non avrebbe trovato nulla da quella parte, solo altre grane.

Autumn si era girato a fissarlo con aria confusa e Robin, dopo essere balzato giù dal cassone, gli aveva allungato una mano e si era presentato.

“Robin 'cuore infranto uno' Emerson. Tanto piacere. Tu come ti chiami, 'cuore infranto due', se posso chiedere?”

Suo malgrado, lo aveva trovato simpatico ed estremamente intuitivo e, dopo un attimo di incertezza, aveva accettato la sua stretta di mano, presentandosi a sua volta.

Da quel momento, erano diventati inseparabili.

In breve tempo, era subentrato al vecchio proprietario dell'Agenzia di Viaggi più grande di Tulsa, sempre grazie all'aiuto di Robin e, nel giro di un anno, aveva fondato la sua personale squadra di cacciatori di tornado.

Durante una loro gita ad Aspen, poi, Autumn aveva trovato Storm in mezzo alla bufera, ed era sempre stato Robin a dargli una mano a farlo sopravvivere ai primi, terribili giorni lontano dalla mamma morta.

Storm lo considerava come il suo secondo padrone, e a ben d'onde.

Robin si sarebbe tagliato una mano, per lui, lo sapeva bene.

Perciò, come poteva dirgli di no? Proprio non se l’era sentita.

Allungandosi contro lo schienale reclinabile della poltrona da ufficio, su cui era mollemente accomodato, Autumn si passò le mani tra le corte onde castane.

E, dentro di sé, sperò ardentemente che la ragazza fosse pronta a un eventuale rifiuto.

Non voleva pesi morti nella squadra, perché il più piccolo errore poteva voler dire farsi male, veramente molto male.

Lui poteva controllare fino a un certo punto i tornado, in modo che non compromettessero la loro missione, ma non poteva impedire che colpissero.

L'equilibrio stesso del pianeta sarebbe stato compromesso, se si fosse messo a giocare coi venti.

Avrebbe potuto far esplodere un'intera città, a causa di un tifone fuori controllo, e solo perché aveva risparmiato a un'altra zona il colpo di coda di un tornado.

Non se lo poteva proprio permettere.

L'unica cosa che era in suo potere fare, era dare una mano al servizio di allerta meteo e, con quello che sapeva di fisica e meccanica, cercare di mettere a punto un radar doppler più efficace degli attuali in commercio.

Era snervante, ma non poteva semplicemente dire all'addetto meteo: “quel giorno, nel tal Stato, ci sarà una tempesta”.

A volte, molte a dir la verità, detestava i suoi poteri, anche se sapeva benissimo che, in quei cinque anni vissuti a Tulsa, aveva comunque fatto la differenza, ove possibile.

Anche lui era fallibile, e non poteva prendere dappertutto nel medesimo momento, ma era riuscito in qualche modo a migliorare l'allerta meteo nei paesi più piccoli, e questo era già un successo.

L'interfono gracchiò, interrompendo di fatto i suoi pensieri errabondi e, rispondendo a Sandra, mormorò: “Dimmi, ciliegina mia.”

La donna all'altro capo ridacchiò – il gioco della frutta era l'ultima trovata di Autumn, in ufficio – e disse il più seriamente possibile: “E' arrivata la stagista. La faccio passare, arancino mio?”

“Ovvio. Mi tocca” ironizzò l'uomo, chiudendo la comunicazione.

In un attimo si levò in piedi, poggiando poi il fianco contro l'ampia scrivania e, a braccia conserte, attese l'arrivo della molto poco attesa universitaria.

Un breve colpetto alla porta lo spinse a dire 'avanti' e, subito dopo, fece capolino una giovane alta e magra, dal corpo da fotomodella, curiosi capelli bianchi stretti da un fazzoletto e due occhi volitivi e forti.

Autumn si raddrizzò lentamente, studiando con maggiore attenzione quel concentrato di stranezza al femminile.

Indossava jeans attillati e strappati in più punti, anfibi neri dal pesante carro armato, un top dei Linkin Park e una camicia da cowboy legata in vita, e arrotolata sui gomiti.

Sulla spalla, portava una pesante sacca militare e, alle orecchie, pendevano due grandi cerchi dorati.

Il sacco informe di tela venne poggiato a terra e, con due rapidi passi, la ragazza fu da lui con la mano protesa e un mezzo sorriso stampato in faccia.

Sorriso bianco latte su labbra carnose e piene color rosso sangue, notò con un certo nervosismo Autumn, irrigidendosi immediatamente.

“Io sono Melody Snow, tanto piacere... arancino” esordì la ragazza, sollevando ironica le sopracciglia scure.

Lui strinse quella mano sottile e dalle lunghe dita, su cui spiccavano corte unghie laccate di nero e una collezione di anellini d’argento e, storcendo la bocca, replicò: “Interfono alto, eh?”

“Già” scrollò le spalle Melody, senza aggiungere altro.

“Autumn Hamilton, piacere mio” disse allora lui, indicandole di accomodarsi mentre lui tornava al suo posto, dietro la scrivania.

La ragazza accettò la cortesia e recuperò la sacca prima di accomodarsi, accavallando le gambe e poggiando gli avambracci sui braccioli della poltrona, in posa del tutto rilassata.

Gli occhi, però, brillarono incerti quanto speranzosi, e Autumn ne rimase colpito.

Era giovane, forse aveva venticinque, ventisei anni, ed era magra come un fuso, tutta fibra e nervi e forme deliziose che, nonostante tutto, notò più che bene.

Non era appariscente come certe donne che aveva conosciuto, di sicuro somigliava più alle modelle odierne, che alle dive in carne degli anni cinquanta, ma era … beh, davvero bella.

Scacciò quel pensiero dalla mente con un moto di stizza e, senza attendere oltre, chiese a Melody di spiegarle i motivi della sua richiesta.

Lei allora estrasse dalla sacca una carpetta in carta rigida e gliela allungò, dicendo: “Qui c'è il mio curriculum. Spiega da solo perché voglio partecipare alla caccia.”

Autumn la aprì curioso e sbirciò i suoi dati anagrafici con interesse – era di Tulsa –, scoprendo così che aveva ventotto anni, che aveva già una Laurea in Fisica, e stava completando un dottorato in Climatologia.

D'istinto, sbirciò sul muro alla sua destra, dove erano state rilegate le sue tre lauree in Fisica, Meccanica e Meteorologia e, sorridendo spontaneamente, dichiarò: “A quanto pare, vuoi fare una tesi sui cambiamenti climatici dell'ultimo decennio, e il relativo aumento dei tornado nella zona.”

“Ho pensato che trattare sul campo questo argomento potesse dare una marcia in più al mio lavoro.”

Scrollò le spalle, come se dover dare una spiegazione alle sue intenzioni fosse superfluo.

“Immagino saprai che intervenire sul campo è...” iniziò col dire Autumn, soffermandosi un attimo dopo sugli hobby della ragazza, elencati nel curriculum con dovizia di particolari.

Parapendio, free style sugli sci, equitazione e cross country, kitesurf, … brevetto di volo per elicottero e aereo. Arti marziali.

Di certo, non amava le attività tranquille.

Tossicchiando, Autumn tornò a guardarla e notò immediatamente il suo sorrisetto furbo e, sì, la determinazione nei suoi occhi orlati da lunghe ciglia scure.

Era evidente che aveva capito cosa l'avesse bloccato di punto in bianco e, per un momento, si accigliò.

Non era mai stato trasparente per nessuno, e ora arrivava dal nulla quella ragazzina allampanata e lo smascherava in pochi secondi.

Aveva perso il tocco, per caso?

“Dando per scontato che, evidentemente, il pericolo è il tuo mestiere...” tornò a parlare Autumn, facendole sgorgare una scampanellante risata. “... penso che, innanzitutto, potresti cominciare con il presentarti alle nostre riunioni preparatorie. Le uscite vere e proprie sono solo una parte del nostro lavoro. Studiamo a tavolino le tabelle altimetriche, stratimetriche e barometriche di tutta la Tornado Alley, e ci confrontiamo con vari Centri di Analisi meteorologica prima di stilare una mappa approssimativa del campo di azione. Inoltre, alcuni di noi sono impegnati anche accanto alle apparecchiature, per cui avrai a che fare con bulloni, cacciaviti e fili elettrici.”

“Non c'è problema. Ho costruito il mio primo impianto elettrico a otto anni, e a dodici ho mandato in corto circuito quello della scuola” dichiarò lei, scrollando nuovamente le spalle.

Forse era il suo marchio di fabbrica, notò Autumn con un certo divertimento.

“Ottimo. Due occhi in più fanno sempre comodo. Va da sé che, quando entreremo in scena, tu prenderai ordini da me e ti atterrai strettamente alle mie direttive. Non mi piacciono le teste calde e, se metterai in dubbio la mia autorità, ti caricherò così in fretta sul pick-up che non te ne accorgerai neppure.”

Mise un tono autoritario nella sua voce, ma Melody non ci fece neppure una piega. Era evidente che non lo temeva neppure un po', e questo diede un po' fastidio a Autumn.

Era abituato a tutt'altro genere di atteggiamento, in una donna, specialmente se si trovava da solo con l'altro sesso in una stanza chiusa, e senza testimoni attorno.

Quando Robin gli aveva proposto quel piccolo strappo alla regola, gli aveva dato del pazzo, ma evidentemente conosceva questa ragazza abbastanza da sapere che non avrebbe creato guai.

Il fatto che fosse immune al suo fascino, però, lo infastidì un poco.

Ma forse, più semplicemente, non era interessata agli uomini, bensì alle donne. Oppure era già felicemente fidanzata.

O anche...

Lì, Autumn si fermò, perché stava dando ai numeri su una cosa che, in teoria, non avrebbe dovuto interessargli affatto.

La verità, però, era che quella ragazza dallo sguardo sicuro, un curriculum strambo quanto copioso e due occhi che sembravano traforargli l'anima, lo incuriosiva.

Ed era decisamente la prima volta che gli accadeva in tanti, tantissimi anni.

“Obbedirò ciecamente, farò tutto quello che mi direte, laverò anche le vostre auto...” iniziò a dire Melody, facendo accigliare immediatamente Autumn. “... ma c'è un favore che ti chiedo, in cambio... se posso.”

“Spara” borbottò lui, mettendosi sul chi vive.

Arricciando le spalle come se fosse in castigo, la ragazza ammise controvoglia: “Mamma mi ha cacciata di casa, e ha vietato a parenti e amici di darmi asilo, e credimi, lei è in grado di minacciare benissimo, e di certo non a vuoto. Non era esattamente d'accordo con la mia iniziativa, e questo è il risultato.”

“Come?!” esalò sconvolto Autumn, non aspettandosi niente del genere.

Melody annuì con veemenza, dando forza alle sue parole.

“Chiederei a zio Robin, ma lui è il fratello di mamma, e sa cosa vuol dire vederla arrabbiata. Se tu conoscessi qualcuno dei tuoi colleghi disposto a prestarmi anche solo una branda, per me andrebbe benissimo. Dormirò anche in una rimessa, se necessario.”

C'era acciaio nelle sue parole, così come nei suoi vividi occhi grigi, occhi che gli ricordavano troppo quelli di …
Scuotendo il capo per il fastidio – non aveva nessun motivo per paragonare Melody a Winter – Autumn si massaggiò pensoso il mento.

Quindi, Robin gli aveva scodellato la nipote, eh?

Che gran figlio di…

“Ci tieni così tanto a partecipare a questa cosa? Non sarebbe meglio studiare da casa i nostri resoconti, senza far infuriare tua madre? Robin ti potrebbe portare tutta la documentazione, e staresti al sicuro tra le tue quattro mura di casa” le propose a quel punto lui, preferendo non imprecare per le manchevolezze dell’amico, quanto a informazioni basilari.

“Io devo partecipare. E' la cosa a cui tengo di più.”

La sua forza di volontà, la veemenza e il coraggio contenuti nella sua voce e sì, la sua disperazione, convinsero Autumn che c'era molto più di un capriccio, in quella richiesta.

E fu questo a farlo capitolare.

Si sarebbe cacciato nei guai, ma non se la sentiva di abbandonare un cucciolo nella tempesta, e Melody gli ricordava troppo Storm, per lasciarla in balia di quello che lei stessa aveva scatenato.

Intrecciate le mani in grembo, Autumn si appoggiò completamente contro la poltrona, facendo scricchiolare la copertura di pelle nera.

“Visto che so già che troveresti solo porte chiuse, dai miei colleghi, poiché la maggioranza di loro vive ancora con i genitori, e uno è escluso in automatico perché non ti manderei mai a stare da lui, rimango io. Non me la sento di domandare alle mie impiegate, visto che conosco bene le loro situazioni familiari. Sono tutte troppo impegnate coi figli, e in casa loro non hanno posto. Io posso offrirti una camera, ma ti dovrai dare da fare con i lavori di casa, oltre a darmi una mano con il radar doppler.”

Melody si illuminò letteralmente in volto e, aprendosi in un sorriso radioso, esalò: “Farò tutto quello che mi dirai, non temere.”

“Problemi con i cani?” le chiese allora lui.

“Affatto. Ne hai uno?” ritorse lei.

“Già” chiosò lapidario.

Sbattendo confusa le palpebre di fronte a quella risposta telegrafica, Melody si chiese cosa non le stesse dicendo sul cane, ma preferì accantonare il discorso per chiarirne un altro, più impellente.

“Voglio specificare una cosa, però. Non sono il tipo di ragazza che... beh, che gira tra le lenzuola altrui, tanto per usare un eufemismo. Robin ha decantato solo le tue doti, e non ha detto nulla sui tuoi difetti, perciò, se pensi che io sia quel genere di ...”

Autumn la interruppe con un secco gesto della mano e, dopo essersi alzato e aver raggiunto la porta dell'ufficio, le fece segno di raggiungerlo.

Che volesse sbatterla fuori? Si era giocata tesi e letto in cui dormire in un colpo solo? Era stata così stupida?

Vagamente preoccupata, Melody fece per scusarsi ma lui la azzittì con un'occhiata gelida e, nell'aprire la porta, si rivolse alle sue dipendenti.

“Ragazze, verreste a dormire da me, stasera?”

“Anche adesso” dichiarò Bethany, scrollando le spalle con noncuranza. “Chiamo Troy e glielo dico.”

“Suo marito” sussurrò a mo' di spiegazione Autumn, ghignando divertito.

Colette, poco distante, sbatté dolcemente le palpebre e disse eccitata: “Mi renderesti la donna più felice del pianeta. E, sicuramente, daresti un sollievo enorme a Paul e Seb, visto che è da un po’ che dicono di voler fare una serata ‘per soli uomini’. Li chiamo?”

“Marito e figlio di tre anni” disse ancora Autumn, sorprendendola sempre di più.

“E perché verreste a casa mia senza problemi?” chiese ancora lui, ora apertamente ghignando.

Le due donne, a quel punto, compresero dove volesse andare a parare il loro capo e Bethany, la più anziana, sorrise in direzione del visetto confuso di Melody.

“Autumn non ha mai sfiorato una donna con un dito e, per noi, è come il cavaliere con l'armatura scintillante, bambina. Certo, noi tutte avremmo voluto, a un certo punto, che si togliesse quella stramaledetta armatura e giocasse un po' con noi, ma non l'ha mai fatto.”

Poi, rivolta ad Autumn, aggiunse: “Sempre il solito guastafeste, comunque.”

Lui rise sommessamente e, lanciatole un bacio, tornò a chiudersi la porta alle spalle, appoggiandovi le ampie spalle per poi fissare ironico Melody.

“Okay, hai chiarito l'unico punto che mi stava a cuore chiarire” decretò lei, sorridendo a denti spianati.

“Hai fatto comunque bene a dirmelo, così abbiamo evitato inutili fraintendimenti. Non ho interesse a cercare divertimento con le donne e, stando in mia compagnia, lo scoprirai presto. Sapere che non ti vuoi infilare nel mio letto, mi è di conforto.”

Melody ridacchiò e, divertita, disse: “Se mia madre sapesse che sto parlando di sesso con un uomo che ho conosciuto da circa dodici minuti, mi taglierebbe la testa.”

“Parlarne non è mai un male, e chiarisce le cose. A volte, essere troppo puritani sui rispettivi pensieri, porta a casini ben peggiori che una sana chiacchierata senza peli sulla lingua” replicò tranquillo Autumn, tornando alla sua scrivania.

Lei lo seguì, annuendo.

“Quoto in toto. Non ho problemi a dire quel che penso.”

“Bene, perché nessuno di noi è molto... diplomatico.”

Autumn sorrise a quel commento, e Melody lo imitò, complice.

“Devo sapere qualcosa, vista la nostra futura convivenza?” chiese a quel punto lei.

Era una parola strana, per Autumn, visto che per anni aveva vissuto solo con il suo Storm in maniera praticamente monastica, ma visto che ormai le aveva offerto vitto e alloggio...

“Mi sveglio alle sei ed esco per una corsetta, perciò non ti stupire se sentirai dei rumori per casa a un orario strambo. Io faccio colazione alle otto, ma tu puoi gestirti come meglio credi. Pranzo quando mi ricordo, e ceno quando ho fame. Storm, il mio lupo, è molto indipendente, ma si fa capire quando ha bisogno di qualcosa. Per il resto, direi non ci sono altre cose da sapere.”

Melody annuì e, curiosa, gli domandò: “Quando dici lupo, intendi pastore tedesco?”

“No. Intendo lupo.”

Lei sbatté le palpebre, annuì e non disse più nulla.

E Autumn ne fu molto, molto felice.

Perché si era accorto fin da subito di un particolare parecchio inquietante: con Melody, aveva voglia di parlare.
E a lui non succedeva mai.

Assolutamente mai.



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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


3.
 
 
 
 
 
“Sarebbe stato carino se mi avessi avvertito prima, che si trattava di tua nipote” precisò Autumn, tirando una lattina di birra a Robin dopo aver depredato il suo piccolo frigo bar da ufficio.

Robin la intercettò senza problemi e ghignò divertito, strappando la linguetta per poi gettarla nel cestino lì accanto.

“Non sarebbe stato altrettanto divertente vedere la tua faccia incazzata.”

“Ti incazzerai tu, adesso. Lei viene a dormire da me, stanotte, e per le altre notti a seguire” lo mise al corrente Autumn, sorseggiando la sua birra con aria serafica.

Robin sputacchiò la sua, lanciò un’imprecazione degna di un bordello cinese e lo fissò accigliato per diversi secondi, indeciso su cosa dire, o fare.

“Che diavolo ti è venuto in mente di…”

Non riuscì a terminare di parlare. Era troppo sconvolto.

“Dimmi quali opzioni le rimanevano, oltre a tornarsene a casa senza la possibilità di partecipare?” replicò Autumn, facendo spallucce. “Tu non vuoi ospitarla perché hai paura delle ire di tua sorella, il che la dice lunga su quanto tu sia realmente un uomo.”

Il sogghigno di Autumn si fece lampante, e Robin borbottò disgustato.

“Non ti facevo così fifone” rincarò la dose il giovane, appoggiandosi alla sua scrivania con aria solo apparentemente innocente.

L’amico, per contro, sollevò il dito medio e Autumn, scoppiando a ridere, glielo restituì per diretta conseguenza.

“Dai, Rob, non fare il guastafeste! Sapevi che ti avrei fatto girare le palle, dopo uno scherzo del genere” sogghignò Autumn, poggiando la sua birra sulla scrivania.

Tornato serio dopo alcuni attimi, aggiunse: “Pensaci bene, e poi dimmi se avevo opzioni valide oltre a questa, da offrirle. Lucas non può di sicuro ospitarla, perché abita con la madre, e così pure Nelson e Jordie. Da Wyatt non la manderei mai, visto il suo amore per le ragazze…”

“Della gnocca in generale, vuoi dire…” convenne Robin, lasciando sgorgare una risata sgangherata.

“Parla bene! Ci sono delle signore, di là!” esclamò Autumn, indicando la porta con un sorrisone tutto denti. Gli costò un sacco non ridere alla battutaccia dell’amico.

Robin fece spallucce.

“Comunque, come vedi, rimanevo solo io. E non posso chiedere a Sandra, Beth o Collie di tenerla con loro, visto che nelle loro case c’è già confusione sufficiente, e spazio insufficiente. E non mi dire che preferiresti vederla dormire su un divano, perché non ci credo neppure per un attimo.”

“Sì, però…”

“Però, cosa? Lo sai che non le torcerei neppure un capello.”

“Ci dovresti solo provare!” sbottò Robin, diventando rosso come un peperone.

“Calma i bollori, amico, se non vuoi farti scoppiare una coronaria. Non ho la minima intenzione di portarmi a letto tua nipote, se è quello che temi, e lei ha chiarito la stessa identica cosa. Sarà come essere di nuovo all’università, solo che il mio compagno di appartamento sarà una donna. E, ti assicuro, i miei ormoni sono molto controllati, ora.”

“Come non saperlo! Ti chiamano Fra’ Autumn!” sghignazzò Robin, facendo sorridere l’amico.

La sua idiosincrasia nei confronti degli appuntamenti, così come la sua cavalleria innata, erano ben noti a tutti.

“Quindi, dov’è il problema?” mormorò a quel punto il giovane, levando le mani con aria interrogativa.

“E’ solo che il mio cricetino… beh, è pur sempre una donna, e tu un uomo e…”

Autumn sghignazzò senza ritegno.

“La chiami… cricetino?”

“Okay, lo so che ora è alta e bella, ma da piccola era proprio un frugoletto” sorrise sornione Robin, ridacchiando.

“Non voglio saperlo, grazie. Te lo assicuro, non metterò mai le mani fuori posto, con lei. La tratterò come tratterei Summer o Spring, d’accordo?” gli promise Autumn, allungando un pugno verso l’amico.

Robin picchiò il proprio contro quello dell’uomo di fronte a sé e, per lui, la faccenda fu conclusa.

Sapeva che ogni impegno era debito, per Autumn.

 
∞∞∞

Melody  sedeva a gambe accavallate su una poltroncina color cielo, che si trovava assieme a tante altre nell'ampia sala d’attesa dei clienti dell'agenzia di viaggi.

Guardandosi intorno, notò ampi cartelloni che pubblicizzavano alte montagne innevate quanto bianche spiagge caraibiche, tutte abbinate a prezzi concorrenziali e nomi altisonanti.

Non era stata in gran parte di quei posti, ma le parevano ottime mete in cui andare per svagarsi un po'.

Gli ultimi anni della sua vita li aveva passati, soprattutto, in giro a fare pazzie, all’università e...

“Melody?”

Scostandosi di colpo dai suoi pensieri erratici, la giovane sorrise a Sandra, una delle impiegate di Autumn e, curiosa, disse: “Dimmi.”

“Noi ci fermiamo per la pausa pranzo. Ti va di unirti a noi?” le propose la donna, indicando Colette e un'altra ragazza, sua coetanea, di nome Virginie.

In tutto, le donne che lavoravano all’agenzia erano quattro. Bethany era uscita prima, per andare a prendere la figlia a scuola.

“Oh... grazie” assentì lei, levandosi in piedi con agilità prima di curiosare con lo sguardo verso la porta chiusa, oltre la quale sapeva trovarsi Autumn assieme a suo zio Robin. “Loro non vengono?”

“Se non sono spuntati fino ad ora, penso che oggi salteranno. O usciranno più tardi” chiosò Miranda, scrollando le spalle.

“Saltano il pranzo?”

“A volte, quando chiacchierano di lavoro, se ne dimenticano proprio.”

Melody storse il naso alla notizia – per lei, i pasti erano sacri – ma si accodò alle tre donne, lasciando che la sua sacca rimanesse al sicuro, oltre lo sbarramento delle scrivanie delle segretarie.

Chiusa che ebbero la porta dell'Agenzia, Colette prese sottobraccio Melody e disse: “Devi sapere che il nostro capo, ogni tanto, preferisce rimanere solo coi suoi pensieri, e Robin è l’unico che riesca ad avvicinarlo. Con gli altri, morde.

Nel dirlo, mimò un morso, e Melody ridacchiò.

“Zio Robin è un mito, in queste cose. Farebbe parlare anche una suora di clausura!” assentì lei, facendo scoppiare a ridere le tre colleghe.

“In effetti, è così. Autumn è un po’ burbero, a volte, ma per tuo zio ha sempre la porta aperta” assentì Virginie. “Ma non pensare che sia cattivo. E' molto disponibile con chi ha bisogno e, a suo tempo, ognuna di noi ha avuto necessità di essere aiutata da Autumn. Ma chi tenta un approccio diverso dall'amicizia, con lui casca male.”

Annuendo convinta, Sandra rincarò la dose.

“Una nostra vecchia collega tentò di instaurare un rapporto intimo con lui, ma il nostro capo fu categorico. Gentile, ma categorico. Se si voleva lavorare con lui, certe cose non dovevano neppure passarci per la testa.”

Colette sospirò e scosse la testa, come se stesse parlando di un’ovvietà.

“Lory non ce la fece. Se ne andò dopo neppure un mese.”

“Autumn è un monaco, da questo punto di vista. E neppure fuori dal lavoro è diverso” sostenne con convinzione Sandra. “E' anche per questo che i nostri uomini si fidano così tanto di lui. Sanno che Autumn non alzerà mai un dito, se non per difenderci.”

“Un vero cavaliere” esalò Melody, vagamente sorpresa.

“O un cuore spezzato senza possibilità di redenzione” ipotizzò Colette, dubbiosa. “Posso capire che, con le sue colleghe, voglia mantenere un sano rapporto di lavoro, ma fuori? Perché non esce mai con nessuna? Dacché è arrivato a Tulsa, non ha mai neppure accennato a trovarsi una donna.”

“Non è di qui?”

Melody trovò curiosa quella strana discussione, ma non riuscì a smettere di fare domande. Autumn la incuriosiva.

“Viene da Washington D.C., dove ha due sorelle, un fratello, due nipoti e una zia” le spiegò Virginie. “Sappiamo poco di loro, perché tendenzialmente non si sbottona mai molto sul suo passato, ma una cosa è certa. Con il fratello, è in rotta all'ennesima potenza.”

“L'unica volta che ci mostrò la foto del suo primo nipote, tutte noi avemmo la brillante idea di chiedergli dei suoi genitori, e lui per poco non si fece venire un infarto. Divenne pallido come un morto e, in due parole, ci disse che la cognata era morta. Non disse nulla sul fratello.”

Il tono di Sandra lasciò intendere un sacco di cose e Melody, turbata, si chiese cosa fosse successo tra i due, per creare un simile dissapore.

“Devono essersene detti di tutti i colori, se lui ha lasciato una famiglia così numerosa per trasferirsi qui” chiosò lei, meditabonda.

“Da quel poco che sappiamo, con le due sorelle va d'amore e d'accordo e, con il cognato, pure. Abbiamo anche visto l'ultima nipotina, Sunshine, ed è un vero amore.”

Colette sospirò deliziata al solo ricordare quel giorno e Sandra, annuendo, si dichiarò innamorata della bambina e della bellissima madre.

Virginie allora, ridendo, replicò che lei avrebbe volentieri rubato il marito a Spring – così si chiamava una delle sorelle di Autumn – visto quant'era bello e gentile.

Con quelle battute a far da sfondo, entrarono in una tavola calda, dove si sedettero a quello che, a detta di Melody, doveva essere il loro tavolo fisso.

Dopo aver ordinato enchiladas per tutti, Colette riprese il discorso sui gemelli Hamilton, con rinnovato entusiasmo.

“Di sicuro, c'è una cosa. Hanno dei geni portentosi.”

“Non si può dire che la Natura non sia stata generosa. Non so chi scegliere, tra i quattro” assentì con vigore Sandra, sorseggiando un po' d'acqua gassata.

“Ma... se avete detto che...” tentennò Melody, vagamente confusa.

Colette giunse in suo soccorso, afferrando lo smartphone per poi digitare un nome sulla barra iniziale di Google.

Dopo alcuni attimi, una marea di foto comparvero sul piccolo schermo e la donna, passato il cellulare alla ragazza, disse: “Dottor Winter Hamilton, paleoclimatologo del NOAA, attualmente fidanzato con la dottoressa Kimberly Clark, anche lei di stanza al NOAA di Washington. La brunetta al suo fianco.”

“Per. La. Miseria” esalò Melody, facendo tanto d'occhi.

Quell'uomo era un vero colosso, con quelle ampie spalle, l'altezza invidiabile e lo sguardo volitivo.

Nero di capelli e dalla pelle chiara, avvolgeva protettivo un braccio attorno alla vita della minuta compagna in quella che, all'apparenza, sembrava l'uscita di un tribunale.

E fu in quel momento che, all'improvviso, rammentò.

L'anno passato c'era stato un bel casino, su al Nord, e alcuni scienziati del NOAA erano stati coinvolti in una serie di sparatorie, solo per pura fortuna conclusesi senza danni per loro.

E così, quell'uomo era il gemello di Autumn?

Beh, di sicuro non si somigliavano, neanche un po'. Anche se era indubbio il suo carisma, oltre che la sua bellezza disarmante.

“Prova a cliccare il nome Summer Hamilton” le propose a quel punto Colette, ridacchiando.

“Li hanno chiamati come le quattro stagioni?” ridacchiò divertita Melody, muovendo agile le dita sullo schermo touchscreen del cellulare.

“Già” assentirono le donne, sorridendo all'unisono.

“Oh mamma! Ma è... strepitosa!” sbottò la giovane, non appena le immagini si aprirono dinanzi a lei come un fiore sbocciato al primo sole.

La bellezza rossa che le stava davanti in posa tranquilla, nonostante alle sue spalle stesse eruttando un vulcano, appariva meravigliosa e perfetta in ogni sua parte, e osservava il fotografo con i suoi penetranti occhi verdi.

“Non è reale, vero? E' fotoshoppata!” esalò Melody, continuando a osservarla incredula.

Virginie rise di gusto a quel commento, e replicò: “Purtroppo per noi, no. Summer è veramente così. E' un insulto a tutto il genere femminile, ma non puoi odiarla perché è dolce come un cioccolatino.”

Appoggiato il cellulare sul tavolino, Melody sorrise deliziata quando vide arrivare i piatti di enchiladas fumanti e, di buon grado, iniziò a mangiare di gusto.

Tra un boccone e l'altro, però, trovò il tempo di dire: “Oltre che un concentrato di bellezza, questa famiglia è anche un suppurato di intelligenza. Autumn ha tre lauree, da quel che ho visto nel suo ufficio, il fratello è un paleoclimatologo affermato e Summer è una vulcanologa. Spring ha qualche dottorato?”

“In chimica, se non erro. Inoltre, Winter ha un PhD in meteorologia, se non ricordo male. Dovrei guardare la sua scheda su wikipedia” borbottò Virginie, sbocconcellando la sua enchilada bollente.

A quel commento, Melody ridacchiò. Non le era mai capitato di conoscere persone che fossero inserite su wikipedia.

“Di sicuro, si sono fatti il mazzo, almeno stando alla loro scheda.”

Colette digitò il nome di Winter su Google e, dopo aver aperto la pagina di wikipedia, la mostrò a una sconcertata Melody.

I genitori erano morti quando loro avevano quattordici anni e, soli assieme alla zia di appena venticinque anni, si erano arrabattati per sopravvivere, riuscendo a ottenere ciascuno una borsa di studio.

C'era un accenno alla moglie, Erin O'Hara, morta di leucemia più di cinque anni addietro.

Quel particolare la fece rabbrividire. Aveva lasciato un figlio di nome Malcolm.

“Diavolo, che storia!” esalò, riconsegnando il cellulare a Colette.

“Naturalmente, non ti sognare di chiedere spiegazioni a Autumn. Tutto quello che sappiamo ci è pervenuto dalla rete, perché lui è più ermetico di una camera a tenuta stagna” la avvertì Virginie, accigliandosi. “Se proverai ad accennare alla famiglia, potresti ritrovarti senza un dito.”

“Sono affari suoi. Non voglio ficcare il naso, solo preparare la tesina nel miglior modo possibile” sentenziò Melody, convinta.

“Beh, con lui potrai imparare molto. E' un autentico genio, in quel che fa, e grazie a lui e ai suoi modelli previsionali, si è potuti arrivare a un avviso radio di circa quaranta minuti. Tempo sufficiente per mettere al sicuro un sacco di gente” dichiarò ammirata Sandra, con lo stesso tono che una madre orgogliosa avrebbe avuto per il suo figliolo prediletto.

Questo fece sorridere Melody, ma le fece anche tornare alla mente perché fosse lì con le colleghe di Autumn, in attesa che lui la accompagnasse a casa sua.

Sua madre l'aveva cacciata di casa a suon di urla e pianti, e di certo quella rabbia non si sarebbe sbollita alla svelta.

Stavolta sapeva di aver tirato troppo la corda, ma voleva a tutti i costi portare a termine quanto si era prefissata.

Glielo dicevano il suo sangue e il suo cuore. Doveva completare la sua tesina in quel modo, e solo Autumn poteva aiutarla come lei desiderava essere aiutata.

Alla fine, sua madre avrebbe capito.

A ogni buon conto, terminò la sua enchilada e, scusandosi con le sue nuove amiche, si appartò nel locale per telefonare a suo padre.

Questi rispose al terzo squillo e Melody, nel sentirlo sollevato, sorrise.

“Ciao, pa'. Come va a casa? Mamma è ancora in fase F51?”

“Più o meno. Per ora, è in cucina a sistemare ma, fino a mezz'ora fa, stava denigrando tutti i miei avi fino al tuo pro-pro-prozio Sebastian” le spiegò Thomas, con un tono leggero e amorevole.

Melody sollevò un sopracciglio, divertita, e replicò: “Oh. E non ha accennato alla pro-pro-pro-non so quante volte prozia Rachel? Quella che tutti pensavano fosse una delle streghe di Salem?”

“Ci arriveremo quando passerà alla sua genia” sentenziò l'uomo, vagamente divertito. “Tu come stai?”

“Un po' dispiaciuta e tanto, tanto eccitata. Zio Robin aveva ragione. Autumn Hamilton è un genio, nel suo ambiente, e mi ha accettata nel gruppo. Mi ospiterà lui.”

“Sicura di voler farti ospitare da lui? C'è da fidarsi?” tentennò il padre.

“Pa', zio Robin non vuole rischiare che la mamma lo azzanni alla gola. E sai che, quando è infuriata, è capace di tutto. Non voglio che tagli in contatti con tutta la famiglia per colpa mia. Inoltre, Autumn è un autentico santo, da quel che mi stanno dicendo le sue colleghe. A tempo debito, tutte loro hanno avuto bisogno di un aiuto, e lui si è sempre prestato senza chiedere nulla in cambio. Ti puoi fidare, davvero. E ha la fiducia dello zio, oltretutto.”

Lo disse per rassicurarlo, ma sapeva di credere alle sue stesse parole.

“Tu ti fidi?”

“Mi ispira fiducia, sì” assentì Melody.

“Allora va bene. Ma se qualcosa non quadra, chiamami. In barba alla rabbia di mamma, tu sei anche mia figlia” le propose il padre.

“Lasciala sbollire. Io sto bene.”

“Hai tutto, con te?”

“Tutto quello che mi serve, tranquillo” lo rassicurò lei, sorridendo di fronte alle premure gentili del padre.

“Sai che la mamma ti vuole bene, vero?”

“Lo so, e mi spiace farla arrabbiare tanto, specie dopo questi ultimi anni così incasinati e sfrenati ma... sento di doverlo fare” sospirò Melody, grattandosi dietro l'orecchio con fare nervoso.

“Ti sei sempre fidata delle tue sensazioni. Lascia che sia così anche stavolta. In fondo, te lo meriti.”

“Meritereste anche voi un po' di tranquillità, invece io non so mai dove fare il nido” ironizzò la ragazza, ridendo senza alcuna allegria nella voce.

“Risolveremo tutto, come abbiamo sempre fatto. E alla mamma ci penso io. Tu pensa alla tesina, e ringrazia Mr Hamilton per l'ospitalità. Mi sdebiterò con lui.”

“Non credo gli interessino i soldi, papà. Da quel che mi pare di aver capito, quando si offre di fare qualcosa, non è per opportunismo.”

“Mi farai sapere, allora.”

“D'accordo” assentì lei, mandandogli un bacio per poi chiudere la comunicazione.

Tornata che fu dalle dipendenti dell'Agenzia, Melody si aggregò a loro per andare a pagare e, dopo essersi incamminate per rientrare, si chiese se tutto ciò che aveva detto al padre fosse vero.

 
∞∞∞

“Andiamo?”

La voce roca di Autumn le giunse a sorpresa e, sollevando il viso dal libro che stava leggendo, Melody lanciò un'occhiata al suo viso e annuì.

Tre delle impiegate erano impegnate con altrettante coppie, in attesa di trovare il luogo da sogno adatto a loro. La quarta, Colette, stava completando una serie di copie nell’annessa saletta delle fotocopiatrici.

Levatasi in piedi e afferrata la sua sacca, salutò le donne e si incamminò giù per le scale assieme ad Autumn, che camminava spedito dinanzi a lei.

Per qualche strano motivo, il cuore le balzò nel petto all’idea di andare a casa con lui.

Stava iniziando una nuova avventura, e sapeva già che sarebbe stata bellissima.

Le sue sensazioni erano davvero positive.

Quando infine raggiunsero il parcheggio, Autumn la indirizzò verso un pick-up che aveva visto tempi migliori e, nel salirvi sopra, gli domandò: “Lo usi per le incursioni nelle tempeste?”

“Sì vede, eh?” ironizzò lui, mettendo in moto.

In automatico, la radio si accese e la giovane ascoltò con una certa sorpresa il canale scelto dall’uomo; era musica country.

Con un sorrisino, cercò di immaginarsi Autumn in sella a un cavallo, con speroni agli stivali, un grosso cappello da bovaro in testa e le briglie tra le forti mani.

La sola idea la fece sospirare, portando l’uomo a volgere lo sguardo incuriosito verso di lei, che scoppiò a ridere di gusto.

“Scusa, è che ho tentato di immaginarti come un cowboy, e quello che ne è venuto fuori era piuttosto interessante.”

“Dici sempre quello che ti passa per la testa? Senza filtri?” esalò Autumn, vagamente sconcertato.

“Quasi sempre, specialmente se sono complimenti. Hai una bella faccia, e un cappello da cowboy non ti starebbe male” dichiarò lei, facendo spallucce.

Un attimo dopo, inquadrò con le mani, quasi volesse scattargli una foto, e l’uomo ghignò.

“Oh… buono a sapersi. Ma non sperare che mastichi tabacco.”

“Bleah. No, che schifo!”

Autumn la fissò per qualche altro attimo ancora, turbato e divertito al tempo stesso dalla schiettezza di quella ragazza e, con un mezzo sorriso, si incuneò nel traffico cittadino per tornarsene a casa.

Con lei.

Era davvero strano pensare che, per alcune settimane, avrebbe avuto ospiti a casa e, soprattutto, un’ospite femminile.

A Storm sarebbe venuto un collasso.

E forse anche a lui.

Davvero era sicuro di non crearsi dei guai sotto il suo stesso tetto, tirandosi in casa quel concentrato di estrogeni fin troppo attraenti?

Era bravo a tenere a bada i suoi istinti primari ma, dannazione, avere in casa tutto il giorno una donna, era tutt’altra cosa che vederne una ogni tanto.

E Melody era attraente, dannatamente attraente, anche con quegli strani capelli bianchi. Chissà perché se li era tinti di quel colore?

A giudicare dalle sopracciglia, e dalle lunghe ciglia arcuate e scure, il suo colore originale doveva essere il nero, ma per qualche strana ragione aveva preferito quella tinta insolita.

Che però, stranamente, le donava tantissimo.

Pensa ad altro, Autumn, o manderai a puttane la promessa fatta a Robin, disse tra sé l’uomo, stando più attento del solito alle auto che gli sfrecciavano accanto.

C’era solo una donna, nel suo cuore, e tale sarebbe rimasta fino alla fine dei suoi giorni.

Non c’era spazio per altre.

 
∞∞∞

Quando Melody scese dal pick-up, sorrise nel vedere la villetta dai rivestimenti in pietra chiara e le pareti in stucco color pesca, dal grazioso giardino ben tenuto e la staccionata chiara.

La rimessa era chiusa e, tutt’intorno, c’era un ordine quasi maniacale.

Non una foglia fuori posto, non un solo attrezzo lasciato in giro anche per sbaglio.

Di sicuro, Autumn non era uno di quegli uomini che, dove appoggiavano, lasciavano.

Questo la colpì favorevolmente.

Quando, però, vide comparire un enorme lupo grigio da dietro l’angolo di casa, ogni suo pensiero si azzerò e, attirata dallo sguardo ambrato dell’animale, lasciò andare la sacca e allungò una mano verso di lui.

Il lupo si avvicinò guardingo sotto l’occhio attento del suo padrone e, annusato che ebbe quella lunga e sottile mano, la leccò una volta prima di sedersi a terra e scodinzolare.

Melody sorrise spontaneamente; l’aveva accettata.

“Ciao. Io sono Melody, ma anche Mel. Tu sei Storm, vero? Non penso ci siano altri tuoi fratelli, in giro.”

Rise tra sé per quel discorso del tutto senza senso e, nel sorridere a un curioso Autumn, aggiunse: “Sai, tanto per fare amicizia.”

“Storm è solo. E ti capisce, non temere” la rassicurò lui, indicandole di seguirlo.

Lei obbedì silenziosamente, lanciando un ultimo sorriso a Storm, che si accodò tranquillo a loro.

Dopo aver varcato la soglia di casa e aver messo piede sul parquet chiaro, si bloccò di colpo e spalancò gli occhi.

Tutto era in ordine anche lì, oltre che pulito e, a giudicare da una prima occhiata, le sue origini irlandesi si fondevano con un interesse personale per la mesoamerica.

Cimeli di discendenza celtica, erano inframmezzati a maschere di dèi pagani dell’era azteca e inca, e strumenti musicali di fattura irlandese si trovavano assieme a tamburi anazasi e toltechi.

Di sicuro, una collezione degna di nota.

Così come era degno di nota l’enorme schermo LCD, piazzato sulla parete dinanzi a un divano color nocciola, che dava l’idea di essere decisamente comodo.

Sorrise nell’immaginarsi Autumn spaparanzato lì con Storm, una bottiglia di birra in mano, la partita di football alla TV e il camino ultramoderno acceso per fare atmosfera.

“Vieni?” la richiamò Autumn, facendola tornare con i piedi per terra.

“Sì, arrivo” assentì lei, seguendolo.

Autumn si incuneò in un corridoio illuminato da applique a forma di foglia e, dopo aver oltrepassato un paio di porte chiuse, che lui le spiegò essere il bagno e la sua stanza, si fermò e disse: “La tua reggia, … cricetino.”

Melody lo fissò disgustata, mentre un ghigno sempre più evidente si faceva strada sul volto dell’uomo.

“Oddio… te l’ha detto. Ti prego, ti supplico… non chiamarmi mai così, se vuoi che ti risponda” esalò la giovane, passandosi una mano sul viso con espressione esasperata.

Lui rise sommessamente e, nell’aprire la porta della stanza, dichiarò: “Sarà la mia arma contro di te. Ma la userò solo in caso di estrema necessità, è una promessa.”

“Strozzerò zio Robin, domani” gli garantì lei, aprendosi in un sospiro di sorpresa non appena fu entrata in camera assieme al padrone di casa.

Un letto a una piazza e mezzo, dal telaio in ferro battuto, era accompagnato da un comodino in legno chiaro, un mobile a tre ante e una scrivania coordinati.

In un angolo, accanto alla finestra, si trovava un enorme specchio a muro dalla cornice in legno liscio, mentre un secondo era appeso alla parete a fianco del letto.

Melody sorrise nell’intravedere la loro immagine riflessa.

“E’ perfetta, grazie.”

“Le lenzuola sono bianche, niente disegni strani o imbarazzanti, perciò non preoccuparti di trovare brutte sorprese” le spiegò lui, aprendo la finestra per cambiare aria. “Se hai freddo, c’è un copriletto più pesante, nell’armadio, oltre a un altro paio di cuscini.”

“Non c’è problema. In casa, sto sempre in maglietta e pantaloncini. Sono calorosa” scrollò le spalle lei, poggiando a terra la sacca.

Il parquet in terra era chiaro, forse frassino, e appariva liscio e curato alla perfezione.

Sì, Autumn era uno stacanovista dello straccio, a quanto pareva.

“Domani conoscerai il resto della squadra, perché vengono qui per una breve riunione” la informò a quel punto Autumn, già sulla porta della stanza.

“Va bene” assentì la giovane, volgendosi per scrutarlo.

Appariva stranamente a disagio, ma forse era comprensibile.

Di certo, quella mattina, non si era aspettato di tornarsene a casa, la sera, con un’ospite a sorpresa.

E, di sicuro, non con una donna conosciuta giusto quel giorno.

“Io devo uscire per un’ora, più o meno. Fai come se fossi a casa tua. Le chiavi le lascio sulla porta così, se vuoi chiuderti dentro, puoi farlo. Comunque, c’è Storm a vigilare sul fortino.”

Le sorrise sghembo, quasi si stesse sforzando di apparire cordiale, e Melody si sentì in colpa nei suoi confronti.

Stava incasinando l’ennesima vita, a causa dei suoi desideri.

Avrebbe dovuto trovare un modo davvero impareggiabile, per ringraziare Autumn di tutti i disagi che gli stava causando.

“Vai pure. Starò bene.”

Lo disse con un sorriso, e piena di tutta quella convinzione e sicurezza che lui aveva notato già dalle sue prime parole, quella mattina, nel suo ufficio.

Sapeva che non avrebbe avuto paura neppure con lo scendere della sera, perché era una ragazza coraggiosa.

Ogni sua parola, ogni suo gesto, lo dimostrava.

Poteva uscire tranquillo.

“Beh, vado e torno. Se ti viene fame, nel frigorifero c’è della pizza da scaldare e qualche sottaceto. Torno con del cinese, ti va?”

“Il cinese va bene, ma dividiamo a metà” assentì Melody.

“Okay. A dopo, allora” disse Autumn, svanendo dalla sua vista quasi di corsa.

Nel giro di un minuto sentì la porta d’entrata aprirsi e chiudersi e, un istante dopo, il rombo scoppiettante del pick-up allontanarsi dalla casa.

Quando fu sicura di essere sola – con l’eccezione di Storm – uscì dalla stanza e tornò in salotto a curiosare.

Sulle scaffalature ordinate e pulite della libreria, trovò alcune foto – i suoi nipoti, ipotizzò lei – e, sorridendo nel vedere quelle facce limpide e belle, si disse che doveva amarli molto.

La cornice che aveva scelto non era solo costosa, ma anche stupenda.

Accanto a quella, se ne trovava un’altra delle sorelle e, poco più in là, sbiadita dal tempo e consunta ai lati, una foto ritraeva una coppia felice, attorniata da quattro bambini di circa due anni.

“I genitori…” sussurrò Melody, chinandosi per meglio osservarla.

La fotografia lasciava trapelare tutto l’amore che provava la coppia e Melody, deglutendo a fatica, sentì sorgerle un groppo in gola.

Il pensiero che fossero morti in un incidente, lasciando soli i quattro figli di quattordici anni, la fece star male.

Per la loro zia doveva essere stato un trauma, crescerli tutti, e così pure per loro doveva essere stato uno shock diventare adulti senza la presenza dei genitori.

Non aveva la minima idea di cosa volesse dire perdere di colpo, e a quel modo, la propria famiglia.

La sua, era da sempre unita e amorevole, anche se quell’ultimo litigio l’aveva allontanata dalla madre.

Sapeva comunque che, al minimo squillo di telefono, lei sarebbe accorsa per proteggerla, fiera e potente come una leonessa.

Una lacrima le sfuggì, al pensiero di averla fatta arrabbiare e Storm, zampettando al suo fianco, si strusciò contro le sue gambe come per esserle di conforto.

Lei lo accarezzò, sorridendogli grata e, nel tornare al suo pellegrinaggio conoscitivo, incappò in qualcosa di davvero curioso.

Da quel che le pareva di ricordare, la strana torre che si trovava sulla mensola accanto al camino, in levigata ardesia grigia, era il Tor di Avalon.

Quando scorse quella che non poteva che essere la manopola di un carillon, la girò e, a sorpresa, ne scaturì una dolce e struggente melodia.

Davvero curioso, come oggetto, soprattutto per un uomo.

A meno che non fosse un cimelio di famiglia, il che allora poteva spiegare la sua presenza in quella casa dannatamente maschile.

I colori erano allegri, andavano dal giallo paglia all’arancio, il divano era chiaro e in pelle scamosciata, e tutti i mobili erano moderni e dalle fattezze semplici e lineari.

Il fatto che non vi fossero tende alle finestre, ma solo delle veneziane, era il chiaro sintomo della mancanza di una presenza femminile in casa.

Una donna avrebbe subito inserito della batista, e sicuramente qualche svolazzo qua e là.

Era chiaro che le colleghe di Autumn non avevano mentito.

L’uomo faceva vita monastica.

Da cosa dipendesse, era un mistero, ma a lei stava bene così.

Per quello che doveva fare, un uomo non le serviva.

Quando però, più tardi, lo vide tornare e consegnarle una borsa piena di lenzuola nuove, e tutte colorate, il suo cuore fece una capriola inaspettata e, nell’osservarlo entrare in cucina, si ritrovò a sorridere dolcemente.

Un attimo dopo, lo seguì, e il sorriso rimase sul suo viso.

 
 
 
________________________
1: F5: grado di distruzione massimo per un tornado. La sigla deriva dal nome Fujita, colui che per primo ideò, per l’appunto, la Scala Fujita, che calcola la potenza di un tornado in base a ciò che “mangia”.
 
 

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


4.
 
 


 
 
D’accordo, se lei aveva pensato di essere strana, c’era chi la batteva alla grande.

Persino suo zio Robin, che era considerato la pecora nera della famiglia, appariva come un impettito damerino, al confronto della stramba squadra messa in piedi da Autumn.

Lì, nel salotto del suo coinquilino, chi spaparanzato sul divano, chi seduto a terra e in compagnia di miriadi di fogli, chi in piedi accanto alla finestra, il loro sembrava più un centro di recupero, che un gruppo di scienziati.

Anche Autumn era stato costretto a dar ragione allo sguardo scettico, e vagamente ironico, che Melody gli aveva lanciato, quando li aveva visti tutti assieme nel salotto di casa.

“Sono strani, lo so, ma sono dei geni da paura” si era limitato a dire lui, scrollando  le spalle come se nulla fosse, prima di avanzare con birre e salatini per tutti.

Lei aveva nicchiato, ghignando, e si era fatta avanti assieme a lui con un vassoio enorme e pieno di fette di pizza.

Quando Autumn l’aveva presentata al gruppo, Wyatt ci aveva provato dopo neppure un nanosecondo, ma Robin lo aveva rimesso immediatamente al suo posto, sottolineando che la nipote non si toccava neppure con un dito.

Questo aveva fatto scatenare le risate di tutti e, ben presto, il fatto di essere l’unica ragazza del gruppo era passato in secondo piano.

Nel sentirli parlare, Melody si era ricreduta alla svelta sulla sua prima opinione, e ora studiava interessata alcune carte barometriche assieme a Lucas.

A parte la capigliatura rasta, e le maglie di tre taglie più grandi, era il più normale tra il gruppo di strambi ragazzi entrati in casa di Autumn.

Jordie e Nelson facevano coppia fissa, e rappresentavano un punto di domanda grosso come un condominio, per Mel.

Quando li aveva visti entrare assieme, e scambiarsi occhiate cariche di fuoco, ci era quasi rimasta male.

Perché due montagne di muscoli, due bellocci da far paura, stavano assieme?

Metà delle donne dell’Oklahoma stavano sicuramente piangendo adirate, ne era più che sicura.

Nel complesso, però, erano la normalità fatta a persona… se non si faceva caso alla loro pelle, quasi del tutto ricoperta di tatuaggi.

In compenso, erano dei mostri dell’elettronica, e sapevano far funzionare i loro portatili al massimo delle loro potenzialità.

Ma quello che la sconvolgeva di più era Wyatt.

A parte il fatto che ci aveva provato con lei dopo un breve scambio di sguardi, Wyatt era un autentico Stephen Hawking della meccanica.

Robin rappresentava un po’ il loro padre putativo, e Autumn era il fratello maggiore di quella strana squadra di scombinati.

Lei, a quel punto, chi poteva essere? La sorellina minore? Forse.

A ogni buon conto, quello strano ammasso di testosterone e neuroni a 24 carati, le piaceva.

“Direi che, stando a tutti i dati in nostro possesso, ci possiamo aspettare le prime tempeste sul fare degli inizi di marzo, molto prima del solito. Solo tre settimane da adesso, quattro al massimo. Gli spostamenti del niņo sono regolari, e la corrente termoalina non ha subito sconvolgimenti sostanziali, negli ultimi sei mesi. C’è stata una correzione di circa zero punto sette gradi Celsius, ma nulla che abbia guastato la circolazione delle acque provenienti dal Golfo del Messico.”

Poggiando uno dei plichi che teneva in mano, Lucas proseguì dicendo: “Stando ai rapporti che ci arrivano dal NOAA, le correnti suboceaniche del Pacifico sono regolari, e lo strato di ghiaccio del Circolo Polare Artico ha subito un calo del tre percento scarso.”

“Di questo passo, se niente cambia, ci ritroveremo bombardati dal solito ciclo di tempeste, ma niente di anomalo, secondo me” intervenne Jordie, gli occhi fissi sulle carte barometriche che aveva in mano.

“Melody?” le domandò a quel punto Autumn, desiderando farla partecipare di quella discussione.

“Non ho notato niente di anomalo, in effetti, a parte una discreta depressione sulla Siberia. Non so quanto potrà inficiare, ma dovremmo tenerla sott’occhio” sintetizzò lei, puntando il dito sulla cartina che teneva sulle ginocchia.

In quel momento, era seduta sul tappeto di fronte al camino, le gambe intrecciate e i capelli nivei stretti nell’onnipresente fazzoletto colorato.

Quella sera, era azzurro cielo.

Robin sorrise, e Autumn annuì soddisfatto. La ragazza era in gamba, se era riuscita a vedere quel particolare al primo colpo.

Quest’ultimo aveva preferito non parlarne per scoprire chi l’avrebbe notata, e fu favorevolmente colpito dal fatto che fosse stata proprio lei, una neofita del mestiere, a scorgere quell’anomalia.

Era competente, e molto.

“La ragazza ha fiuto. Neppure l’ho vista” le sorrise Nelson, levando una mano per battere il cinque con lei, che accettò di buon grado l’ovazione.

“Molto bene, direi che è più o meno tutto, per stasera. Domani, Wyatt, voglio che mi porti quei circuiti che ti sei candidamente dimenticato a casa” disse Autumn, levandosi in piedi per sgranchirsi le gambe. “Ho intenzione di lavorare al radar doppler per le prossime due settimane, perciò ti voglio sveglio e allerta. Niente nottatacce in giro per night, mi raccomando.”

“Mi tarpi le ali, capo!” sbottò il giovane con un sogghigno, ammiccando all’indirizzo di Melody, che nicchiò con fare falsamente altezzoso.

Nelson ridacchiò, mentre Jordie allungò un pugno all’indirizzo della ragazza, a cui lei batté contro il proprio.

“So benissimo di che ali stai parlando e credimi, se stanno anche un po’ ferme, non gli farà male” brontolò Autumn, assestandogli un’occhiataccia degna di un padre accigliato quanto frustrato.

Wyatt sghignazzò ma annuì, gli fece un saluto militare prima di alzarsi per raccogliere le sue cose, e fu pronto a prendere il volo per altri lidi.

Melody si chiese se sarebbe andato direttamente a casa, o se avrebbe fatto un salto in città, in barba alle raccomandazioni del suo capo.

Uno dopo l’altro, uscirono infine dalla casa di Autumn, lasciando che, pian piano, tornasse la normalità in quelle quattro mura.

Robin fu l’ultimo ad andarsene e, con un bacio alla nipote e una stretta di mano al padrone di casa, si diresse verso la sua jeep, partendo con un lieve stridio di gomme.

L’improvviso silenzio che venne a circondarli, lasciò vagamente interdetta Melody che, sorridendo ad Autumn, asserì: “Fa strano tutta questa pace, dopo il casino di prima.”

“In effetti…”

Passando accanto allo stereo, l’uomo pigiò un bottone, e nel salotto si diffuse come un gorgoglio d’acqua il suono ancestrale e puro di un’arpa celtica, accompagnata magistralmente da un violino irlandese.

La ragazza si guardò intorno alla ricerca delle casse e, trovandole in punti strategici della stanza, commentò ammirata: “Un impianto a regola d’arte.”

“Mi piace ascoltare la musica nel migliore dei modi. Se guardi attentamente, c’è anche in bagno. Ho un impianto a diffusione domotica, di conseguenza puoi azionare l’impianto stereo da qualsiasi punto della casa” le spiegò Autumn, raccogliendo piattini e bicchieri poco alla volta.

I suoi movimenti erano tranquilli e sereni, niente affatto affrettati.

“Lascia, faccio io” intervenne Melody, raggiungendolo.

“Sei stanca. Perché non vai a letto?” replicò lui, dandole un colpetto paterno sulla testa.

Lei mise immediatamente il broncio e borbottò: “Non trattarmi come una bambina!”

Autumn allora si fermò, la osservò nel suo completo jeans e maglietta dei Backstreet Boys e, ancora una volta, si stupì nel notare quanto fosse attraente.

Pareva che, qualsiasi cosa indossasse, facesse risaltare ogni cosa, in lei.

Cos’aveva di così diverso da tutte le altre donne? Cosa?

Preferendo non indagare oltre, le mise il vassoio in mano e la accontentò senza dire una parola.

Riempì la superficie d’acciaio con quello che trovò sul tavolino dopodiché, con un elegante inchino, le disse: “Prego, può andare.”

Melody allora levò il nasino alla francese verso l’alto e, con una camminata che avrebbe fatto invidia a Naomi Campbell, si diresse verso la cucina.

L’uomo la osservò senza distogliere mai lo sguardo e, dopo essersi sincerato di aver imparato a memoria ogni minimo particolare del suo fondoschiena spettacolare, brontolò e le diede la buonanotte.

Era molto meglio fare una bella doccia. Gelata.

Quella convivenza forzata si stava già rivelando più difficile del previsto, ed erano solo al primo giorno!

A quanto pareva, aveva trovato l’unica donna sulla faccia della terra capace di mettere in discussione le sue regole di condotta.

Dannato Robin! Gliel’avrebbe fatta pagare!

 
∞∞∞
 
La canna dell’acqua era pronta, il sapone pure, ora restava una sola cosa da fare.

Catturare Storm.

Lui e il bagno infrasettimanale non andavano esattamente d’accordo, ma non gli avrebbe permesso di girare per casa meno che pulito e profumato.

Il fatto che, dopo quattro anni, quel benedetto lupo non avesse ancora compreso bene le regole del convivere civile, rimaneva un mistero.

Ora si trovava nei pressi della quercia muschiata del giardino, apparentemente indeciso se scappare, o giocare con il padrone ad acchiapparella.

“Ogni settimana… non è possibile, Storm,… ogni settimana è la solita storia. Hai il pelo lungo, maledetto lupastro, e tu hai la pessima abitudine di ruzzolarti in terra più volte di quante vadano bene per mettere piede in casa” brontolò Autumn, fissandolo con riprovazione.

Storm gli abbaiò contro e Mrs Erikson, nel passare lungo il marciapiede con il suo carrello della spesa, sorrise spontaneamente e si fermò accanto alla staccionata.

Tutta giuliva, ammirò quello splendido esemplare di uomo, prima di passare a quello di lupo per chiosare: “Siamo alle solite, Autumn?”

“A quanto pare, sì, AnnMarie. Non ne vuole sapere” sospirò l’uomo, intrecciando le forti braccia sul torace, coperto da una maglia di cotone blu.

Sorridendo benevola, la donna fissò con curiosità il vicino di casa.

Non aveva mai fatto mistero di non comprendere come, un così aitante esemplare di maschio, vivesse perennemente solo… e con un lupo a fargli da compagno.

Ma forse, almeno stando alle sue ultime informazioni, quest’anomalia era finalmente stata corretta.

“Ho notato che c’è una ragazza che circola per casa, da qualche giorno a questa parte. Ti sei finalmente accasato, caro?”

Non avevo dubbi che l’avessi notata, pensò divertito Autumn, studiando di straforo la figura sottile e minuta della vicina.

Era difficile non notare Melody, specialmente quando si metteva in testa di pulire le grondaie di casa, in barba ai suoi dinieghi.

La ricordava ancora, appesa su quella scala, con sacco, guanti e imprecazioni a corollario.

Le risate che si era fatto, erano state direttamente proporzionali alle occhiate curiose dei vicini.

Uno di questi, evidentemente, era andato a informare la già informatissima Mrs Erikson.

Avrebbe notato anche la presenza di un criceto, se era per quello, ma avere notizie fresche piaceva anche ad AnnMarie, anche quando non era lei a raccoglierle.

Era un asso, nel farsi gli affaracci altrui.

“Un’amica a cui sto prestando una parte del mio tetto. Mi aiuta con il lavoro” si limitò a dire lui, continuando a fissare accigliato il suo lupo, che ora stava saltellando accanto alla quercia, quasi sfidandolo a raggiungerlo.

AnnMarie rise di fronte a quell’aperta presa in giro e, tornando a riprendere la sua passeggiata, dichiarò con leggerezza: “Beh, se vuoi mandare la tua amica a casa mia, le offrirò volentieri un tè e dei pasticcini. A presto, caro.”

“Alla prossima, AnnMarie” la salutò lui, sapendo benissimo i motivi di quell’invito.

Non era una rarità vedere una donna in casa sua, …era un evento biblico.

Certo, aveva aiutato alcune sue amiche, tempo addietro, ma erano stati casi così singolari che nessuno aveva posto domande.

Nessuno si scandalizza quando un uomo aiuta una donna perseguitata dall’ex marito, o da un fidanzato geloso. Se ne compiace e basta.

Qui, invece, la faccenda era decisamente diversa, ed AnnMarie se n’era accorta subito, accidenti a lei e al suo occhio fino!

Avrebbe dovuto sapere che non sarebbe stata zitta a lungo.

Beh, Melody non era certo una ragazza a cui si potevano mettere i piedi in testa e, anche se fosse andata una volta o due dall’anziana signora, non sarebbe successo nulla.

Aveva abbastanza lingua sciolta per tenerle testa.

Inoltre, nessuno dei due era interessato all’altro, quindi non c’era niente da nascondere.

Sei sicuro?,  lo accusò una vocina scettica nella sua mente.

Lui la scacciò con rabbia, tornando a prestare attenzione solo a Storm.

“A noi due, lupastro.”

Il lupo abbaiò, e Autumn iniziò ad avvicinarsi con sguardo determinato.

All’interno della casa, in quel mentre, Melody si bloccò un istante per osservare la scena dalla finestra.

Lo straccio in una mano e lo spray antistatico nell’altra, si appoggiò al muro e sogghignò, divertita dalle pose di uomo e animale.

Un sorriso spontaneo le salì al volto, nel vedere con quanta determinazione Autumn stesse prendendo quella che, in apparenza, avrebbe dovuto essere una semplice toeletta al cane.

Che dovesse aspettarsi qualcosa di diverso? Divertente?

Mel si sistemò meglio, in attesa di sviluppi succosi, ma il telefono scelse quel momento per interrompere il suo interludio.

Visto che Autumn era evidentemente impegnato, si decise ad accettare la chiamata e, tranquilla, sollevò il cordless per rispondere.

“Casa Hamilton. Chi parla?”

“Ah… sono Spring. Tu chi sei?”

“Oh, sei una delle sorelle di Autumn! Ciao! Io sono Melody, una sua amica” esclamò allegra lei, lanciando un’occhiata alla bellezza bionda presente in una delle fotografie appese ai muri.

“E… lui dov’è?” chiese Spring, ancora piuttosto frastornata.

Da quando Autumn aveva delle amiche… soprattutto in casa sua?

“Al momento, è impegnato a cercare di acchiappare Storm. Deve fargli il bagno e…”

Si interruppe di colpo per scoppiare a ridere, quando l’uomo scivolò su una pozzanghera – formatasi a causa della canna dell’acqua rimasta aperta.

Cercando di contenersi per dare una spiegazione alla sua interlocutrice, esalò: “Temo che ora sia più che impossibilitato a venire per risponderti. Direi che è zuppo e sporco di fango da capo a piedi, e il suo lupo gli sta saltando attorno prendendolo bellamente in giro.”

“Che è successo?” gracchiò l’altra, sempre più sconcertata da quella strana telefonata.

“E’ scivolato in una pozzanghera, e ora sembra un uruk-kai  appena uscito dal suo guscio.”

Poi, rendendosi conto di non avergli fatto esattamente un complimento, scoppiò nuovamente a ridere.

“Oddio, che ho detto!”

Spring a quel punto rise con lei, contagiata dalla sua allegria, e disse: “Non importa. Se non ti spiace, parlerò un po’ con te, allora.”

“Nessun problema e, prima che tu me lo chieda, non sono la ragazza di tuo fratello e non ci vado a letto. Mi ha offerto un tetto sotto cui stare, visto che mia madre mi ha temporaneamente sbattuta fuori casa, e io lo aiuto con i Cacciatori di Tornado perché voglio fare una tesina sul tema.”

La gemella di Autumn rimase vagamente sconvolta da tanta sincerità – e lei che pensava di non avere peli sulla lingua! – e, ancora un po’ stordita, assentì dicendo: “Okay. Mi saresti andata bene anche se andavi a letto con lui, comunque.”

“Buono a sapersi” dichiarò Melody, continuando a osservare Autumn alle prese con Storm.

Ora, anche il lupo era bagnato fradicio e coperto di sapone, ma il padrone non era migliorato, quanto a fango e sporcizia. Anzi, era peggiorato, e di molto.

“Come procedono le cose, fuori?”

“Direi che siamo sul due a uno per il lupo. Storm è davvero furbo” dichiarò Mel, ridacchiando. “Mi sa tanto che gli preparerò i salviettoni per il secondo round.”

“Sei carina.”

“Pratica. Quando arriverà sulla porta di casa, sarà incavolato come una biscia, e sicuramente non metterà mai piede dentro così conciato. Fargli trovare il necessario per non vederlo girare nudo per casa, è la soluzione migliore per evitare casini.”

Spring a quel punto scoppiò a ridere di gusto e, asciugandosi una lacrima d’ilarità, esalò: “No, in effetti vedere il suo sedere in bella mostra, potrebbe sconvolgere chiunque.”

“Per l’amor di Dio, potrebbe anche essere un’esperienza interessante, ma preferisco evitare inutili – per quanto succulenti – spettacoli hot” replicò serafica Melody, sorridendo suo malgrado all’idea di vedere nudo il suo padrone di casa.

Sarebbe stata un’esperienza senz’altro degna di nota.

“Oh, cielo, Melody… giuro che mi stai facendo morire dal ridere. Sono contenta che tu passi un po’ di tempo con mio fratello. Ha bisogno di avere intorno una persona solare come te” sentenziò la donna, ridendo sommessamente.

“Ben lieta di essere d’aiuto con le mie battutacce di spirito. Immagino che non possa chiedere a te perché non parla mai di suo fratello, vero?”

“E’ un argomento tabù, in famiglia, inoltre non ho la minima idea del perché non si parlino” sospirò Spring, impotente.

“Fa niente. Vedrò di evitare l’argomento ‘Winter’ che, peraltro, dalle foto mi è parso davvero un bell’uomo” dichiarò Melody, pacifica, facendo spallucce.

“L’ho sempre detto che Win conquista sempre e comunque. L’hai visto su internet, immagino, perché non penso che Autumn abbia una sua foto in casa. L’ultima volta che sono stata lì, non ne ho viste.”

“No, infatti. Ci siete tu e Summer, Malcolm, la piccola Sunshine e Max. Niente Winter, né Erin.”

La spontaneità di Melody l’aveva ormai conquistata e, con rinnovata fiducia, Spring disse: “E’ bello che ci sia qualcuno lì con lui, … anche se sei solo un’aiutante nel suo pazzo secondo mestiere.”

“Stai dando della pazza anche a me. Sono contenta” ridacchiò Mel.

“Siamo in tanti a essere pazzi, in famiglia. Considerati in buona compagnia.”

“Se conoscessi mio zio, il livello di pazzia a cui sei abituata salirebbe di grado” le fece notare la ragazza, facendo ridere a crepapelle la sua uditrice.

Melody fu soddisfatta; Spring le era piaciuta fin da quando le colleghe di Autumn le avevano parlato di lei ma, per telefono, era ancora meglio.

Le dava soddisfazione non sbagliarsi sulla gente.

Quando riuscì finalmente a contenersi, Spring disse: “Volevo solo sapere come stava ma, avendo parlato con te, sono già soddisfatta così.”

“Devo farti richiamare?”

“Saprà lui se chiamarmi o meno. Ha un sesto senso, per queste cose.”

“Okay.”

Poi, ironica, aggiunse: “Devo aspettarmi anche la chiamata di tua sorella, entro sera?”

“Poco ma sicuro. Sparlerò subito di te con lei, questo è certo.”

Fu il turno di Melody di ridere apertamente e, nel salutare Spring, disse: “Mi ha fatto davvero piacere parlare con te.”

“Altrettanto, cara. A presto!”

Quando ebbe messo a posto il cordless, tornò a curiosare fuori, ma di Autumn non vide alcuna traccia.

Tre secondi dopo comprese perché.

Spalancò la porta con sguardo arcigno, coperto di fango da capo a piedi e Melody, ghignando al suo indirizzo, corse a prendergli l’accappatoio e le infradito.

L’uomo, furibondo, sgattaiolò nel contempo nella piccola lavanderia, che si trovava accanto alla porta d’ingresso.

Quando Melody tornò nel salone, avvertì chiare le sue imprecazioni sbraitate a gran voce, oltre al fruscio di abiti gettati di malagrazia a terra.

Non sapendo bene che fare, disse a mezza voce: “Ho il tuo accappatoio. Sei presentabile?”

“Ah, grazie. Sì, non sono nudo, se è quello che intendevi” borbottò lui.

Mel allora si fece avanti e, per poco, non strillò di paura.

Un attimo dopo si diede dell’idiota e, stralunata, fissò la superba rappresentazione di un drago, che Autumn aveva sulla parte alta della schiena.

Era talmente reale che, in un primo istante, lo aveva creduto vero.

Piegato leggermente in avanti, impegnato a togliersi la T-shirt imbrattata, l’uomo offrì uno spettacolo di muscoli guizzanti alla giovane che, deglutendo a fatica, gracchiò: “Cacchio, che bel tatuaggio…”

Lui si volse, la guardò con un mezzo sorriso e, nel gettare la maglietta nella cesta dei panni sporchi, indugiò un attimo sul suo viso arrossato dall’imbarazzo.

Roco, mormorò: “Mai visto uno, forse?”

“Sì, certo, ma cavoli… questo è meraviglioso. E’ così reale che, per un attimo, ho pensato che un drago ti fosse saltato sulla schiena!”

Esplose a ridere un attimo dopo averlo detto e Autumn, suo malgrado, rise con lei e accettò l’accappatoio che la giovane gli offrì.

“Beh, se ti interessa, ti do il nome di quello che me l’ha fatto” le propose, iniziando a slacciarsi i jeans.

Melody batté in ritirata alla svelta e, restando fuori dalla stanza, replicò: “Non posso, sono allergica.”

“Peccato, ti avrei visto bene con un tatuaggio su una spalla… o magari alla base della schiena, come si fanno molte ragazze.”

Lei lo avrebbe davvero desiderato molto, se non fosse stato per quel piccolo problema di allergia che aveva.

“Posso farmi solo quelli all’henné.”

“Un vero peccato davvero. Ti avrei stretto la mano per consolarti, e intanto mi sarei goduto la vista del tuo fondoschiena punzecchiato dall’ago del tatuatore” ironizzò lui, uscendo in accappatoio dalla stanzetta, e ghignando ironico per dare leggerezza al suo dire.

“Fanne uno tu, lì in basso, così sarò io a consolarti” replicò lei, scrollando le spalle con altrettanta leggerezza.

“Non tentarmi, ragazza. Potrei davvero decidere di farlo, e solo per vedere se avresti il coraggio di rimanere lì a guardare” la sfidò Autumn, avvicinandosi a lei e guardandola dall’alto al basso con malizia.

La giovane ribatté al suo sguardo senza colpo ferire e l’uomo, suo malgrado, rimase sorpreso dalla sua totale mancanza di paura o tensione.

Aveva pensato che, di fronte a una proposta così diretta, si sarebbe tirata indietro, invece lo sfidava apertamente così come aveva appena fatto lui.

Non era una ragazza da sottovalutare.

A quel punto le sorrise gentilmente e, datole un buffetto sul naso, la oltrepassò dicendo: “Scusa lo scherzo. Non volevo metterti in imbarazzo.”

“Abbiamo scherzato in due, il che lo rende divertente” dichiarò Melody, riprendendo in mano straccio e spray antistatico. “Ah, ha chiamato tua sorella Spring, e abbiamo parlato un po’. Entro sera arriverà anche la chiamata di Summer, tra l’altro.”

“E tu come… oh, Sandra e le altre, vero?”

“Già. Se aspettassi te, saprei che hai origini irlandesi solo in punto di morte” ironizzò lei, spruzzando lo spray sul tavolino.

Autumn la fissò per un attimo senza dire niente, dopodiché esplose in una grassa risata e si allontanò per andarsene in bagno a farsi una doccia.

Avere Melody in giro per casa era una cosa dannatamente strana… ma anche dannatamente piacevole.

E al diavolo se le sue sorelle avevano scoperto la sua presenza lì. Che pensassero quello che volevano.

Non gli dispiaceva affatto avere una coinquilina come lei.

 
∞∞∞
 
Si era divertita a parlare con Summer – era esplosiva come le foto facevano immaginare – e, nonostante le occhiatacce di Autumn, aveva sparlato finché lui non le aveva strappato di mano il telefono.

A quel punto, però, la gemella l’aveva pregato – urlato, per la precisione – di ridarle il cordless e Autumn, non più padrone della situazione, si era rifugiato in cucina a bersi una birra.

Erano passate ore, da quella telefonata.

E adesso se ne stava sdraiata nella sua stanza, osservando insonnolita la sveglia sul comodino.

Sconcertata, fissò i numeri a cristalli liquidi come se non credesse ai suoi occhi.

Erano le due e trentacinque.

Non era ancora riuscita ad addormentarsi, nonostante avesse sgobbato tutto il giorno, e lavorato con Autumn al computer sulle stratimetrie delle tempeste.

Storcendo la bocca a cuore, si levò silenziosamente da letto per andarsi a prendere un po’ di latte freddo, sperando con tutto il cuore che la aiutasse a chetarsi.

Non era mai una bella cosa, quando perdeva il sonno a quel modo, ma poteva dare tranquillamente la colpa a tutta quella situazione nuova, e così inaspettata per lei.

Abitava a casa di Autumn da più di una settimana e, a parte la prima notte di digiuno totale da sonno, tutto era migliorato in fretta.

Molto semplicemente, quella notte poteva non aver digerito qualcosa, e le braccia di Morfeo stentavano ad avvolgerla nel loro calore.

Chissà.

Non si sentiva appesantita, ma tutto poteva essere.

Passò dinanzi alla porta chiusa della stanza di Autumn, chiedendosi se almeno lui stesse dormendo ma, non appena raggiunse il salotto, fu costretta a fermarsi, allibita.

Lui se ne stava là, nel bel mezzo del salone, in ginocchio e a torso nudo, i pugni poggiati sulle cosce, abbracciate da pantaloni di seta nera.

Aveva rimosso il tappeto che ricopriva gran parte del pavimento del salone e, a sorpresa, Melody scorse un intaglio meticoloso e raffinato sul parquet chiaro.

Un pentacolo contornato da fregi celtici, se il suo occhio non la ingannava.

La penombra della stanza poteva anche averla fuorviata – l’unica luce presente era fornita da due grosse candele bianche, poggiate ai due lati dell’uomo – ma non le sembrava possibile.

Osservò quella schiena imponente dalla pelle bronzea, quel drago così magistralmente eseguito da parere vivo, e tremò.

“Non riesci a dormire, Melody?” le domandò a sorpresa lui, facendola trasalire per la sorpresa.

Pensava di essere stata silenziosa, ma Autumn si era ugualmente accorto di lei!

Levatosi in piedi, si volse verso di lei senza peraltro uscire dal pentacolo e la giovane, nel notare i fregi dorati dipinti sul suo torace, esalò: “Cosa… cosa sono?”

Lui reclinò il viso a scrutare quei simboli di morte e rinascita e, con un leggero sospiro, mormorò: “Rappresentano la vita e la morte. Onoravo la memoria di una mia congiunta che è trapassata.”

Pur se ancora sconvolta, lei annuì debolmente e, rammentando di colpo la scheda di Winter, sussurrò: “Ricordavi Erin, vero?”

Lui si accigliò, distolse lo sguardo e tornò a inginocchiarsi senza offrirle alcuna risposta, dandole così la conferma di aver fatto centro.

Per qualche motivo, era un argomento che non intendeva affrontare, ma non le dava l’impressione che fosse a causa di Winter che, a quanto pareva, lui mal sopportava.

No, c’era un legame diverso, tra lui ed Erin, ed era questo il motivo di quello strano rito notturno.

Entrò silenziosamente in cucina per prendere un bicchiere di latte e, nel tornare in camera, le sembrò di scorgere una lacrima sul viso dell’uomo.

Non chiese nulla – sapeva che non le avrebbe risposto – e, così come era giunta, così tornò in silenzio in camera, senza però cancellare dalla sua mente il profondo turbamento scorto sul viso dell’uomo.






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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


 
5.
 
 
 

 
Pancakes, sciroppo d’acero e burro d’arachidi erano ben sistemati sul piccolo tavolo della cucina quando, stordito e stanco, Autumn fece il suo ingresso traballante.

Ai fornelli, Melody stava facendo scaldare un bricco di acqua – probabilmente, per un tè – e, sulla macchina del caffè, una brocca di liquido scuro e fumante lo stava già aspettando.

Scrutando tutt’intorno con aria confusa, il profumo naturale della pelle della giovane che, come una droga, avvolgeva tutta la stanza assieme agli aromi della colazione, Autumn mugugnò: “Cos’è successo?”

“Buongiorno” disse soltanto lei, sorridendogli.

Lui si sedette sulla sedia in legno scuro, dopo aver recuperato la caraffa del caffè per servirsene un po’.

Presi un paio di pancake, li affogò nello sciroppo d’acero e mormorò: “Buongiorno a te. Come mai hai fatto la colazione?”

“Mi andava.”

Scrollò le spalle e, nel versare l’acqua bollente nella sua tazza – dove galleggiava una bustina di tè all’arancia – aggiunse: “Mi sono svegliata con l’ispirazione.”

Storm stava divorando la sua colazione in un angolo, tutto contento di avere le sue crocchette preferite e una ciotola piena d’acqua con cui dissetarsi.

Melody aveva pensato anche a quello.

“Beh, grazie.”

Lei si limitò a sorridere nel sedersi e, afferrata che ebbe la forchetta, la affondò nei pancakes inumiditi di sciroppo.
Restarono in silenzio per alcuni istanti, godendosi la quiete della casa e di quella mattina domenicale.

Non c’era nulla a disturbare quella calma misurata, eppure Autumn si sentiva a disagio, e ne conosceva anche i motivi.

Vederla, la notte scorsa, ignara di ciò che lui stava facendo e così vulnerabile ai suoi occhi duri e freddi, lo aveva fatto star male.

Non era stato corretto, da parte sua, comportarsi in maniera così gelida di fronte a una sua domanda più che lecita.

Chiunque, al suo posto, avrebbe chiesto spiegazioni nel trovare un uomo mezzo nudo, nel bel mezzo della casa, intento a pregare al centro di un pentacolo intagliato nel pavimento.

Non importava che fosse a casa sua, e perciò in pieno diritto di avere i suoi vizi e le sue manie; lei era un’ospite, e gli ospiti si onoravano, non si trattavano a pesci in faccia.

Anche se ponevano domande scomode, di cui si voleva parlare ben poco.

Si scolò la tazza di caffè prima di tossicchiare imbarazzato, non sapendo bene da dove cominciare.

“Vorrei scusarmi.”

“E per cosa?” gli domandò lei, sinceramente sorpresa.

“Per stanotte. Meritavi molto più di un’occhiataccia” precisò l’uomo, lanciandole un’occhiata da sotto le lunghe ciglia scure.

Lei gli sorrise, e scosse il capo.

“E’ un tuo diritto fare quel cavolo che ti pare in casa tua, Autumn. Ero solo sorpresa, tutto qui, ma questo non mi autorizzava a ficcare il naso. Perciò, dovrei essere io a chiederti scusa.”

“Preferirei di no, o mi sentirei ancora più stronzo di quanto già non mi senta adesso” ironizzò lui con un mezzo sorriso.

“Non lo sei, tranquillo” lo rassicurò allora la giovane, dando una scrollatina leggera alle spalle minute.

“Era una preghiera per Erin, comunque” sottolineò Autumn, prendendo un gran respiro al solo nominarla.

“Le dovevi essere molto affezionato, se il solo parlare di lei ti fa impallidire” gli fece notare lei, con estrema comprensione.

Lui si limitò ad annuire, non sentendosela di dire altro.

Melody, allora, tornò a sorridergli e batté una mano sulla sua.

“Vorrei ricordarla anch’io, se non ti scoccia troppo. Cosa le piaceva?”

“Ma… perché?” esalò lui, confuso più che mai. Perché gli stava chiedendo una cosa simile?

Tornando seria, la giovane mormorò a testa bassa la sua risposta.

“Ho sempre pensato che, più persone ricordano i cari estinti, più la loro memoria viene preservata e, in qualche modo, non smettono mai di vivere. Perciò…”

Sorridendole con una spontaneità che di rado usava, Autumn a quel punto le disse: “Le piacevano molto le rose bianche. Le adorava. Ma anche le carson la facevano impazzire. Winter gliele…”

Si interruppe di colpo, rendendosi conto, solo in quel momento, di quel che stava facendo per la prima volta da anni.

Fissando stordito la giovane dinanzi a lui, si chiese cosa gli avesse mai fatto per renderlo così loquace.

Da quando in qua parlava alla gente di suo fratello e di Erin?

Melody parve comprendere la sua confusione e, forse, anche la sua paura.

Limitandosi a scuotere il capo, mormorò: “Le comprerò delle rose bianche e rosse. Le metterò sul davanzale di una delle finestre che danno a est, così lei le potrà vedere al sorgere del prossimo sole. Va bene?”

Autumn annuì come un automa e la giovane, senza più chiedergli nulla, divorò la sua colazione prima di domandargli le chiavi del pick-up.

Lui gliele offrì senza neppure chiedere a cosa le servissero e, quando la sentì allontanarsi da casa, si lasciò crollare sulla sua poltrona preferita, subito raggiunto da Storm.

Accarezzandolo distrattamente, la sua mente venne invasa da un ricordo in particolare che lo lasciò a bocca aperta, esitante e sconcertato.

A ogni anniversario, Winter aveva regalato un mazzo di dodici rose bianche a Erin, avvolte in un enorme fiocco rosso e lei, ogni volta, aveva sorriso e lo aveva abbracciato calorosamente.

C’era sempre stata solo gioia reale nei suoi occhi, ora riusciva a vederla bene nei suoi ricordi, come se solo in quel momento fosse in grado di farlo.

E Win non l’aveva stretta a sé per dovere, ma per reale piacere, con complicità.

Erano… complici. Uniti nonostante tutto, di fronte a tutti.

Passandosi una mano tra i capelli, Autumn mormorò: “Possibile che non abbia mai capito un accidente, Storm?”

Il suo lupo lo fissò con penetranti occhi d’ambra e, in silenzio, poggiò il muso sulle sue gambe come a dargli conforto.

Quelle rose… non erano solo semplici fiori.

Erano un simbolo.

La rosa bianca simboleggiava non solo l’amore puro e sincero, ma anche l’amicizia nata senza secondi fini, egualmente pura ed egualmente imperitura.

E lei le aveva sempre amate fra tutte.

“Dio, Erin…” mormorò lui, chiudendo gli occhi e lasciando che il capo gli crollasse all’indietro, rivolgendo i suoi occhi al soffitto.

Non aveva capito proprio nulla, di loro?

 
∞∞∞
 
Stancarsi fino allo sfinimento, in ufficio, non era un buon modo per affrontare i problemi, e ammetteva senza remore che i suoi ricordi lo erano.

Aveva dato per scontato che essi fossero ben cementati in un angolo segreto della sua mente, inaccessibili a chiunque.

Invece, a Melody era bastata una frase per trascinarlo nell’abisso.

E ora non aveva il coraggio di tornare a casa per paura che altre frasi, altri accenni, gli facessero ricordare più di quanto volesse.

Era davvero assurdo che fosse arrivato ad aver paura di una ragazza!

Con nero cipiglio, si levò dalla sua poltrona, raccolse una carpetta colma di dati sulle tempeste e, in silenzio, se ne tornò a casa.

L’agenzia era chiusa per via della serrata domenicale, perciò non trovò nessuno nell’ampia stanza dove accoglievano i clienti.

A fargli compagnia trovò solo la luce a led dell’allarme, che lui disattivò un istante per poter uscire.

Fuori, la luna era velata di grigio da radi cirri e Autumn, nell’aprire il suo pick-up, si chiese cosa avesse fatto Melody quel pomeriggio.

Non l’aveva sentita rientrare, si era solo ritrovato le chiavi del pick-up sul piatto svuota tasche, che teneva sulla cassettiera vicino all’entrata.

Quando era salito sul suo furgone, aveva inspirato il suo dolce profumo e, con quell’aroma nelle narici, si era recato a lavorare, mangiando un sandwich che si era preparato prima di uscire.

Non aveva chiamato casa per avvertire Melody della sua assenza, terrorizzato all’idea che lei potesse domandargli qualcosa di scomodo.

Perché quella ragazza riusciva a farlo sentire così… strano?

Impiegò poco per rientrare a casa, il traffico era quasi nullo ma, quando posteggiò il pick-up, quasi crollò contro di esso non appena vide le rose oltre il vetro della finestra che si apriva sul giardino.

Erano bellissime, ne era sicurissimo anche da quella distanza, e immaginava senza alcuna fatica quanto fossero profumate e morbide al tatto.

Vagamente stordito, accarezzò Storm sulla testa nel rientrare a casa con lui e, non appena fu dentro, dovette bloccarsi per la troppa sorpresa.

A gambe conserte sul pavimento, in maglietta e pantaloncini spaiati, Melody stava studiando con maniacale attenzione il pentacolo che lui aveva scolpito nel pavimento.

Era così concentrata che non lo udì né entrare né chiudere la porta e, quando Storm le si avvicinò per leccarla in viso, lei sobbalzò per la sorpresa prima di scoppiare a ridere di sé.

Autumn ascoltò rapito quella risata, ne osservò il viso chiaro e illuminato dal divertimento, e assaporò sulla lingua l’aroma fragrante che galleggiava in tutta la casa.

Non erano solo le rose, non era solo lei, era… ogni cosa. Tutto era più luminoso, più buono, più allegro, da quando c’era Mel nella sua vita.

Davvero scioccante quanto, in una settimana, quella ragazza fosse riuscita a fare.

“Ehi, ciao!” esclamò lei, levandosi in piedi con grazia ferina.

“Cosa guardavi?” si informò Autumn, avvicinandosi a lei.

Inclinando il capo di bianchi capelli, ora trattenuti da una treccia sulla schiena, Melody indicò il pentacolo con aria seriosa.

“L’hai fatto tu?”

“Nessun pavimentista si sarebbe permesso di incidere il parquet. Si sarebbero suicidati, piuttosto” sottolineò Autumn con un risolino.

“L’avevo ipotizzato. Quindi, le statuine prive di marchio e firma che ci sono su quello scaffale, le hai fatte tu.”

Nell’indicargliele con aria accusatoria, Mel parve in tutto e per tutto un avvocato pronto a far crollare il colpevole durante un interrogatorio.

Lasciandosi andare a una risata sommessa, Autumn si avvicinò alla scaffalatura in questione e, dopo aver preso tra le mani una statuina a forma di lupo, la soppesò tra le mani e la consegnò alla ragazza.

“E’ Storm, quando era cucciolo. La feci non appena tornammo a casa.”

“Sei un vero artista” mormorò ammirata la ragazza, rimettendo l’opera al suo posto.

“Mi tengo impegnato.”

“Questo è molto più che tenersi impegnato, e tu lo sai” sottolineò Mel, dandogli di gomito.

“Winter è più abile con il metallo, mentre io sono quello del legno” borbottò lui, non chiedendosi neppure più perché stesse nominando il fratello.

Quando c’era Melody nei paraggi, non riusciva a stare zitto. Fosse un bene o un male, doveva ancora stabilirlo.

“Spring e Summer fanno qualcosa anche loro?”

“Spring è un’abile cucitrice e tessitrice. Non credo esista al mondo donna più brava di lei” le spiegò l’uomo, indicando un centrino su cui riposava una sfera color granato. “Lo ha fatto Spry.”

“Wow! Che mano!” esalò Mel, sgomenta.

Ridacchiando, Autumn le indicò un quadro dipinto a olio e aggiunse: “Quello, invece, lo ha fatto Summer. Per lei, la pittura non ha segreti.”

“Un’arte per ciascuno di voi” mormorò Melody passeggiando per il salotto in ammirazione di ciò che era appeso ai muri o poggiato sui mobili.

Lui la seguì con lo sguardo, notando con quanta leggiadria si muovesse e, solo in quel momento, notò i suoi piedi nudi sull’assito ligneo.

Erano belli e, suo malgrado, Autumn si sentì un imbecille a notare una cosa simile.

Un anellino d’argento cingeva l’illice del piede destro.

Scuotendo il capo, fece per dire qualcosa, anche una scemenza, pur di togliersi dalla testa simili pensieri, ma Melody lo sconvolse a morte, portandolo a muoversi per diretta conseguenza.

“Sai, pensavo ai vostri nomi, poco fa. Visto che siete tutti irlandesi, la traduzione gaelica del tuo nome sarebbe Fo…”

Intervenendo prima che potesse portare a termine quella parola – che avrebbe risvegliato poteri ancestrali che non poteva governare da solo – Autumn la attirò a sé, nel centro esatto del pentacolo.

Stordita da quel movimento improvviso, il petto premuto contro quello ansante dell’uomo mentre i suoi occhi, turbati e, sì, vagamente spaventati, la scrutavano ansiosi, lei esalò: “Che succede?”

“Non usare quel nome” la mise in guardia lui, cercando di non annullare le distanze che lo separavano da quella bocca rossa e carnosa.

Perché non riusciva a controllarsi, quando lei era nei paraggi?

“Altrimenti?” lo sfidò la ragazza, inclinando il capo su un lato e sorridendo maliziosa.

Dio, perché avevano inventato gli ormoni?!

Autumn faticò non poco ad azzittirla in un modo di cui, più avanti, si sarebbe pentito amaramente.

Cercando di contenere rabbia e desiderio, disse roco: “Sono superstizioso all’inverosimile, e dire quei nomi al di fuori di un Cerchio di Potere, è considerato un gesto irrispettoso.”

Melody allora fissò i loro piedi all’interno del pentacolo e, socchiudendo gli occhi, sussurrò: “Qui, posso dirli?”

Lui annuì, non arrischiandosi a parlare.

Avrebbe avvertito il risveglio del suo potere, ma tutto ciò sarebbe avvenuto senza danni per cose e persone. O per Melody.

Foghara l’ho pronunciato bene?”

Autumn annuì ancora, saggiando sulla lingua il suo nome ancestrale, pronunciato alla perfezione dalla giovane.

Il suo Elemento danzò dentro di lui, lo carezzò come una miriade di piume candide e, pur non volendo, gli venne la pelle d’oca.

Sperò che Melody non se ne accorgesse, o non avrebbe saputo cosa risponderle in merito.

Per sua fortuna – più o meno – la giovane era impegnata a rammentare i nomi delle stagioni nell’antica lingua dell’isola del trifoglio. La terra che, dacché aveva quattro anni, non aveva più visto.

Con voce flebile, lei proseguì in un sussurro delicato.

Earrach  è Spring, Samhradh è Summer e Geamhradh è Winter, giusto?”

“Perché ti è venuto in mente di cercare i nostri nomi nella lingua d’origine dei miei avi?” le domandò a quel punto lui, curioso e stordito.

L’effetto degli effluvi del suo potere erano ormai scemati, eppure le sue mani restarono saldamente ancorate alle sue braccia, come preda di una scossa a basso voltaggio.

Non l’aveva ancora mollata.

Ed era davvero indeciso se farlo, in un prossimo futuro.

“Li conosco da anni. Studio la mitologia celtica da quando avevo sei anni” replicò lei, sorprendendolo. “Potrei citarti interi brani dei poemi ossianici, ma suppongo che non ti interessi.”

Lui le sorrise e, chiusi gli occhi, mormorò roco: “Di Tura accanto alla muraglia assiso, sotto una pianta di fischianti foglie stavasi Cu Culhain; lì presso al balzo posava l’asta, appiè giacea lo scudo.”

Melody sorrise deliziata e Autumn, nel tornare a guardarla, quasi perse la sua personale battaglia contro il desiderio di affondare in lei anima e corpo.

Perché era capitata nella sua vita? Lui non voleva simili distrazioni!

“Il Canto primo di Fingal.”

“Esatto.”

Il trillo del microonde li fece entrambi sobbalzare per la sorpresa.

L’uomo, mollando la presa sul braccio di Melody come se si fosse ustionato, la osservò arrossire leggermente prima di scappare ridacchiante in direzione della cucina.

Dopo aver oltrepassato le porte da saloon praticamente di corsa, lei urlò: “E’ pronta la cena!”

E a lui non restò altro che raggiungerla, fissato da Storm che, ironico e divertito,  avrebbe voluto dare del fesso al suo padrone, se solo avesse potuto parlare.

A ogni modo, lui già ci si sentiva.

Dietro di lui, i contorni del Cerchio di Potere si illuminarono per un istante, disperdendo l’ondata di energia trattenuta dall’incantesimo intessuto tutt’attorno.

Autumn osservò gli Elementali svanire dalla stanza in un turbinio argentato e, con un sospiro rassegnato, entrò finalmente in cucina.

 
∞∞∞

Non aveva la più pallida idea di cosa fosse successo, quella sera, ma di una cosa era certa.

Non era sveglia perché non si sentiva bene, ma per una ragione ben diversa e, suo malgrado, più spaventosa dell’alternativa.

Perché non era mai stato nei suoi piani, provare ciò che era sicura di stare provando in quel momento.

Ma, allo stesso tempo, non voleva che quel piccolo germoglio, cresciuto a sorpresa in lei, svanisse nel nulla.

Era stato strano, disturbante e sì, affascinante, essere afferrata da Autumn a quel modo.

Schiacciata contro il suo ampio petto, come se il mondo stesso si fosse mosso contro di lei, e lui volesse proteggerla.

Le era parsa strana la sua scusa, ma i suoi occhi avevano espresso sincera ansia, sincero terrore, e lei non se l’era sentita di smentirlo.

A cena, avevano parlato ancora di Ossian.

L’aveva ascoltato declamare altri brani dell’opera ma, come aveva temuto e immaginato, subito dopo aver sparecchiato, si era sistemato davanti alla TV per guardare il baseball.

Non che non sospettasse il suo amore per quello sport, visto che teneva all’interno di una bacheca la sua maglia e tutti i suoi giocattoli dell’università.

Ma aveva sperato di poter parlare ancora un po’ con lui.

Forse, però, la partita era stata solo una scusa per evitare quel che, entrambi, avevano provato in quegli istanti di vicinanza.

Lanciando uno sguardo al suo comodino, Melody prese tra le mani la sua lista tanto ben scritta a computer e, con un sorriso divertito e speranzoso, appuntò una nota a piè pagina.

E chi se lo sarebbe aspettato, giunti a quel punto?

Sistemarsi a casa di Autumn Hamilton era stato divertente ma, già dopo il primo giorno di convivenza, aveva scoperto quanto difficile fosse averlo sempre nei paraggi.

Si era detta di poter resistere senza problemi al fascino ruvido di quell’uomo – lei non cercava guai con gli uomini – ma i suoi modi schivi, gentili e premurosi l’avevano messa subito nei guai.

Storm, poi, aveva complicato tutto.

Adorava quel lupo dal pelo grigio e gli occhi ambrati, e lui sembrava aver capito quanto fosse forte la sua passione, perché le gironzolava sempre attorno con aria adorante.

Capire cosa girasse per la testa di Autumn, non era altrettanto facile come capire il lupo con cui coabitava.

Stando a quello che le avevano detto Sandra e le altre, però, non era una novità.

L’aveva sorpresa, perciò, sentirgli parlare della sua famiglia.

E, a giudicare dalle sue reazioni, anche lui era parso sgomento nell’udire la sua stessa voce declamare ricordi così lontani.

Il nome di Winter era galleggiato per la casa come una maledizione in attesa di trovare la sua vittima ma, all’ultimo momento, essa era diventata una benevola malia e lo aveva sciolto di colpo.

Non si era aspettata di scoprire tanto di lui in così poco tempo.

Questo, però, aveva anche risvegliato in lei sentimenti che non aveva voluto mettere sul piatto della bilancia, all’inizio di quell’avventura.

Perché non si poteva permettere niente del genere, non con la Spada di Damocle che le pendeva sulla testa e che, forse, le avrebbe tagliato il collo di netto.

Non lo sapeva, non era sicura – e lei sperava tanto di no – ma nessuno le aveva dato la certezza dell’esito, nessuno si era espresso con un sì netto e definitivo.

Dovevano aspettare e sperare, ma lei non era famosa per avere pazienza.

Voleva sapere e, al tempo stesso, temeva la risposta che il tempo avrebbe potuto darle.

Di sicuro, i mal di testa notturni non erano un buon segno e, assieme alla mancanza di sonno, congiuravano contro di lei per farle nascere mille e più pensieri.

Ma non voleva pensarci adesso.

Aveva un compito da portare a termine, e lo avrebbe fatto a qualsiasi costo, anche strisciando, se necessario.

Avrebbe terminato gli studi, fatto una tesi spettacolare e visto i tornado da vicino.

Nuovamente, tornò con lo sguardo alla lista e, sorridendo, sottolineò con la penna la nota a piè pagina.

Quello era davvero un regalo insperato, ma le piaceva averlo annotato.

Sperava solo che Autumn non commettesse il suo stesso errore, perché altrimenti non se lo sarebbe mai perdonata.

Non dopo quello che aveva già passato.

Avrebbe dovuto tenere per sé quel piccolo germoglio e, per nessun motivo al mondo, avrebbe dovuto mostrarlo a colui che le aveva permesso di farlo nascere.




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N.d.A.: E' ormai chiaro che Melody nasconde qualcosa, ma ve lo dico fin d'ora... non parlerò. Verrà scoperto tutto a tempo debito. ;-)

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


 
6.
 
 
 
 
Autumn fissava accigliato e sì, parecchio incazzato, lo spettacolo che stava avendo luogo nel suo giardino privato.

In quella fresca mattina di fine inverno, con la primavera ormai alle porte, sotto un bel sole alto… Storm stava facendosi fare il bagno da Melody.

Senza schizzi o spruzzi. Senza imprecazioni o inseguimenti. Senza minacce o promesse.

Semplicemente, lui se ne stava lì, nella sua tinozza in acciaio, a farsi spazzolare dalla ragazza che, a maniche raccolte e pantaloncini corti, sembrava del tutto a suo agio.

I chiari capelli scintillavano nivei, al sole, quel giorno raccolti in due trecce, neanche fosse stata un’austriaca alle prese con il suo cane da pastore.

E lui, a quel punto, chi sarebbe stato; la pecora?

Neanche a parlarne!

Storse la bocca fin quasi a farsi male e, con un moto di insofferenza decisamente evidente, si allontanò dalla finestra per andare a cantarle di santa ragione al suo lupo.

Quello era un ammutinamento bello e buono!

Uscì perciò da casa, armato delle peggiori intenzioni ma, quando si ritrovò ad ascoltare la voce sommessa di Melody – e la canzone che stava intonando – si bloccò.

Ogni suo muscolo parve congelarsi sul posto, non più al suo comando, e la mente si focalizzò su quei suoni, su quelle parole, sull’angosciante potere di quella melodia.

 
 
The pale moon was rising above the green mountain
The sun was declining beneath the blue sea
When I strayed with my love to the pure crystal fountain
That stands in beautiful vale of Tralee.
She was lovely and fair as the rose of the summer
Yet, ’twas not her beauty alone that won me
Oh no! ‘Twas the the truth in her eye ever beaming
That made me love Mary, the Rose of Tralee.
The cool shades of evening their mantle were spreading
And Mary all smiling was listening to me
The moon through the valley her pale rays was shedding
When I won the heart of the Rose of Tralee.
Though lovely and fair as the rose of the summer
Yet, ’twas not her beauty alone that won me
Oh no! ‘Twas the the truth in her eye ever beaming
That made me love Mary, the Rose of Tralee.1
 
Sentir parlare di quell’amore sventurato, e provenire proprio da quelle labbra a cuore, lo fece sentire strano, quasi desideroso di scacciare la tristezza da colei che cantava.

Ma la sua voce era troppo bella, perché lui la interrompesse.

Il modo in cui trascinava le strofe troppo suadente, perché lui desiderasse che smettesse.

Il suo viso, percorso da pace e serenità, troppo abbagliante, perché lui volesse spegnerlo.

No, avrebbe ascoltato la canzone fino a che lei non si fosse stancata di ripeterla, e poi ancora e ancora.

Erano davvero tanti, troppi anni che non ascoltava quella canzone triste e dolente, e non perché non gli piacesse.

Ma perché piaceva a suo fratello, che ne era stato un sommo interprete, nei lunghi mesi che avevano visto Malcolm crescere in grembo a Erin.

Era sempre stata la sua canzone preferita, e Winter era quasi arrivato a perdere la voce, pur di cantarla ogni qualvolta Erin ne aveva sentito il bisogno.

Perché quel brano, o la voce del padre, avevano sempre calmato Malcolm già durante la gestazione.

Sorrise amaramente nel rammentare quando, una sera, il gemello aveva dovuto infilarsi in bocca tre mentine di seguito per raffreddare la gola dolente.

Niente lo aveva salvato dal buscarsi una polmonite coi fiocchi ma, incurante delle sue condizioni, si era infilato una mascherina per non attaccare nulla a Erin, e aveva cantato.

Si era sistemato ai piedi della sedia a dondolo della moglie e, una mano sul pancione, aveva intonato quella canzone fino a farsi venire una tosse indiavolata.

Solo allora Malcolm aveva smesso di scalciare ed Erin, con un sorriso, aveva spedito il marito a letto.

Winter si era trascinato tra le coltri e, per quattro giorni di seguito, aveva bruciato di febbre.

Ma Malcolm era stato calmo e buono, forse sapendo che il padre stava male.

E ora lei, inconsapevole come rugiada di mattina appollaiata su fresca erba, intonava proprio quella canzone.

Sì, il Fato si faceva davvero beffe di lui, poco ma sicuro.

Ristette in piedi per tutto il tempo della canzone, le mani in tasca e gli occhi lucidi di emozioni contrastanti.

Il suono di un clacson, però, mandò tutto all’aria e Autumn, riscuotendosi da quella trance involontaria, fissò accigliato oltre la staccionata per capire chi avesse interrotto quell’interludio.

Se non avesse ritenuto opportuno trattenersi, lo avrebbe investito col suo potere, poco ma sicuro.

A scendere dalla sua auto sgangherata, e rappezzata in più punti, fu però Wyatt e lui, nonostante tutto, dovette astenersi dal lanciargli addosso i suoi Elementali.

Una fata in particolare danzò innanzi a lui, più bellicosa che mai, e desiderosa di menar le mani.

Autumn le sorrise, la invitò a deporsi sulla punta del suo dito e, nel tornarsene in casa, le diede un bacio per chetarla.

Subito, la fata svaporò in un risolino aggraziato, e a lui non restò altro che entrare e bersi una birra.

Forse, più di una.

 
∞∞∞

“… e così, capo, quando mi sono accorto che la scheda madre era bruciata, mi sono dato subito da fare per trovarne un’altra. Davvero non me l’aspettavo, che ieri notte scoppiasse quel temporale. Non ho proprio pensato di staccarlo dalla corrente.”

Il tono di Wyatt fu così contrito che Autumn non se la sentì di infierire, anche se la sua pazienza era giunta al limite, alla fine del suo racconto.

Qualsiasi persona un po’ coscienziosa, staccava la corrente dagli apparecchi elettronici, durante un temporale con tuoni, fulmini, lampi e saette come quello che si era abbattuto su Tulsa.

Specialmente, le persone che lavoravano per lui.

Diavolo, ma non avevano ancora imparato niente, su quello che studiavano?

Non sapevano che le scariche elettrostatiche potevano mandare in pappa circuiti, batterie tampone e schede madri?!

Passandosi una mano tra la corta zazzera ondulata, Autumn lo fissò in cagnesco per alcuni attimi ma, alla fine, borbottò: “Prega che arrivi in tempo, Wyatt, o ti userò da parafulmine. Lo giuro.”

Il giovane deglutì, ma assentì.

Già pronto a dire altro, sbuffò quando lo vide distogliere lo sguardo e assestarsi in modalità ‘cacciatore’.

Evidentemente, Melody doveva essere entrata nel garage, non c’erano altre spiegazioni.

Già l’averla vista accanto al cane, potenziale preda di un estemporaneo concorso per Miss Maglietta Bagnata, lo aveva fatto andare in fregola.

Solo a stento era riuscito a trascinarlo dove doveva, e altrettanto a fatica era riuscito a farlo concentrare sul problema per cui, alla fine dei conti, si era presentato a casa sua.

Ora, però, Autumn dubitava che sarebbe riuscito a recuperarlo.

Quando si volse a sua volta, capì in parte il problema, ma scoppiò a ridere per pura ripicca, non appena si rese conto che, anche Melody, era stata battezzata da Storm.

Gocciolante da capo a piedi, teneva tra le mani la tinozza come se fosse stata un’arma contundente e, scocciata come poche altre volte, camminava a passo di marcia.

Era semplicemente furente.

Se per Wyatt, la vista della maglietta bagnata – fortunatamente blu – incollata ai suoi seni, fu scusa sufficiente per sospirare, per Autumn significò altro.

Dopotutto, non era ancora diventato una pecora, in quella sottospecie di branco allargato che era diventata la sua vita.

Afferrata la tinozza dalle mani di Melody, che lo fissò astiosa, l’uomo ghignò spudoratamente e chiosò: “Pensavi davvero che l’avresti passata liscia?”

“Era andato tutto così bene…” brontolò lei, intrecciando le braccia sotto i seni, per sommo compiacimento di Wyatt, che sospirò ancora.

Mel se ne accorse, aggrottò la fronte e ringhiò: “E smettila di sospirare, Wyatt! Ho le tette! E allora?! Quante ne hai viste? Mica sono diverse dalle altre, sai?!”

Autumn rise ancora più forte, guadagnandosi per diretta conseguenza uno scappellotto da Melody, che gli diede dell’insensibile e del troglodita.

Insensibile ai suoi insulti – pur se lo scappellotto lo aveva sentito tutto – l’uomo continuò a ridere, nel rimettere a posto la tinozza.

“Aaah! Uomini!” sbottò lei, levando le braccia in aria prima di dirigersi, a grandi passi, verso casa.

Wyatt fece per seguirla ma Autumn lo gelò con un’occhiataccia, sibilando: “Un passo di più e ti castro, ragazzino. Lei non si tocca.”

“Oh, dai, andiamo capo! E’ così carina!” si lagnò il ragazzo, fissandolo speranzoso.

Indifferente alla sua richiesta silenziosa, l’uomo replicò: “Se ti avesse voluto appresso, l’avrebbe fatto capire. Ma, stando così le cose, tu in casa non entri. E’ sotto la mia protezione.”

Il ragazzo allora sbuffò sonoramente, si mise le mani in tasca e si avviò verso il cortile per tornarsene all’auto.
Autumn, non contento, lo seguì e aggiunse: “Sia chiaro, Wyatt. Non sto scherzando. Melody è terreno proibito, okay? Ha detto chiaramente di non volere noia con gli uomini, e questo le ho promesso. Niente cazzate, o sei fuori.”

Il giovane studente di elettronica si accigliò, storse il naso e disse caparbio: “Lei è qui da neppure un mese, e la tratti come se fosse una nostra compare da anni. Io sono nel gruppo da più tempo!”

“Non si tratta di tempo, Wyatt, ma di serietà. Finché si resta nell’ambito delle battute, mi può star bene, ma se capirò che le da fastidio sul serio il tuo comportamento, mi vedrò costretto a sbatterti fuori. A calci, se necessario.”

Lo sguardo adamantino di Autumn chiarì a Wyatt la serietà delle parole dell’uomo e, con altrettanta serietà, il giovane replicò: “Non sei suo padre, Autumn, e neppure il suo ragazzo. Se voglio provarci con lei, lo faccio.”

L’uomo allora avanzò di un passo, fino a trovarsi petto contro petto con l’alto studente e, ruvido, asserì: “Se non hai ancora capito che non è interessata, allora abbiamo un problema bello grosso.”

“Non è che la vuoi per te, e cerchi di buttarmi fuori dal giro?” lo accusò il ragazzo, ora sfidandolo apertamente.

Una parte di sé diede ragione a Wyatt, ma il suo Io più intimo fremette d’ira, pronto a difendere sempre e comunque coloro che si era impegnato a proteggere.

Nel qual caso, Melody.

Autumn lo sospinse, forte della maggiore stazza e, arcigno in volto, ringhiò: “Non un’altra parola, Wyatt o davvero, sei fuori. Se, e quando, Melody vorrà cominciare qualcosa con te, sarà lei a volerlo. E ora, proprio non mi pare sia il caso.”

Lo studente fece per replicare, ma una doccia gelata quanto improvvisa colpì entrambi, portandoli a separarsi e a sputacchiare acqua quanto imprecazioni.

“La volete finire?!” sbraitò Melody, in piedi a poca distanza da loro e con la canna dell’acqua in mano.

Passandosi una mano sul viso grondante, Autumn la fissò al colmo dello stupore, ma la ragazza non lo guardò neppure.

Mel si diresse a grandi passi verso Wyatt, lo spintonò con un dito contro il petto e, a ogni parola, ripeté il gesto con maggiore forza.

“Non rompere le scatole al mio padrone di casa, hai capito? E chiariamo un punto, Mister-Cotta-Facile. Non voglio per nessun motivo avere una storia con te, venire a letto con te o spassarmela con te! Sei un mostro dell’elettronica ma, se non la pianti di fare lo stronzo, il doppler lo finirò io, è chiaro?!”

Le ultime parole praticamente le urlò, e coincisero con l’arrivo di Wyatt contro la sua auto.

Melody, più infervorata che mai, letteralmente scintillava di rabbia e Autumn, nonostante tutto, la trovò bellissima.

Come se la stessa Morrigan2 fosse scesa sulla terra per infierire sui suoi nemici.

Non contenta dei suoi strali, la ragazza puntò i pugni sui fianchi e, pur se bagnata fradicia, produsse un fremito di timore persino in Autumn.

Appariva tutto tranne che un cucciolo spaurito, in quel momento.

E Storm si unì all’arringa, ringhiando contro Wyatt, giunto al suo fianco come richiamato dall’ira della ragazza.

Se Summer fosse stata presente, ne avrebbe potuto ricavare lo spunto per un dipinto su una dea furente e il suo fido animale guida.

E lui avrebbe potuto creare una statua di lei senza alcun problema, bella e fiera com’era Melody in quel momento.

“Te lo dirò una volta per tutte, Wyatt. NON SONO INTERESSATA!”

Ciò detto, se ne tornò a grandi passi verso casa, tallonata dappresso da Storm.

Sbatté la porta d’ingresso con violenza e, per un attimo, Autumn pensò che sarebbero saltati via i cardini.

A quel punto, l’uomo fissò il ragazzo accanto all’auto e, serafico, disse: “Ebbene?”

“Ti chiamo quando arriva la scheda nuova” disse soltanto il ragazzo, montando in auto come se stessero andandogli a fuoco i pantaloni.

O quel che rimaneva del suo orgoglio.

Autumn rise sommessamente nel vederlo andar via praticamente sgommando e, lanciata un’occhiata in direzione della casa, esalò: “E quando mai ho pensato di doverla difendere? Ci sa fare anche da sola, altroché.”

 
∞∞∞
 
La trovò nel salone, le gambe intrecciate sul divano e i capelli stretti in un asciugamano.

Profumava di fresco e di donna, e il suo volto corrucciato rendeva più evidente la curva sensuale della sua bocca.

Autumn la raggiunse con un mezzo sorriso stampato in viso e, senza dire nulla, le sedette vicino, ma senza toccarla.

Dopo il bagno improvvisato, era passato in camera per cambiarsi, e aveva ascoltato distratto il picchiettare dell’acqua contro i vetri del box doccia.

Aveva preferito non perdersi in fantasie sfrenate su lei, e il suo corpo bagnato dall’acqua corrente e, in fretta, si era recato in cucina per prendersi una birra.

Era rimasto rintanato lì per un tempo indefinito e, nel frattempo, si era impegnato a preparare l’impasto per una pizza e il suo contorno d’ordinanza.

Quando aveva finito, mettendo il tutto a riposare al caldo, si era infine deciso a uscire allo scoperto.

“Scusa” borbottò a un certo punto Melody, chiudendo con un gesto secco della mano la rivista che aveva finto di leggere. “Per la doccia, intendo.”

“Hai evitato che facessimo a cazzotti” ironizzò lui, scrollando le spalle.

Lei lo sbirciò da sotto le lunghe ciglia scure e disse mogia: “So difendermi anche da sola, sai? Anche da idioti come Wyatt.”

“E’ parte del mio gruppo, come te, e se uno fa l’idiota, io lo correggo” replicò lui, pur sapendo di non dire interamente la verità.

L’accusa di Wyatt l’aveva colpito sul vivo, smascherando sensazioni sordide che, fino a quel momento, lui aveva saputo soffocare più che bene dentro di sé.

“Beh, grazie. E scusa ancora.”

Fece per alzarsi, ma Autumn la trattenne a un polso, facendo tintinnare la sua sfilza di braccialetti argentei.

Melody lo fissò dubbiosa, non sapendo bene cosa aspettarsi.

E neppure lui comprese appieno perché avesse voluto trattenerla accanto a sé.

Si limitò perciò a dire: “So che sei forte e coraggiosa, okay? Ma sono responsabile io, per te, almeno finché rimani qui.”

Lei si accigliò a quelle parole e, con uno strattone, si liberò della stretta.

“Quando avrò bisogno della tua protezione, te lo dirò. Per ora, voglio chiudere qui l’incidente, okay?”

“Come vuoi. Ma non rimani a guardare un po’ di baseball?” le offrì lui, sogghignando.

Mel cercò di rimanere seria, di darsi un tono, ma fallì miseramente.

Si ributtò sul divano come una bambina pronta a vedere l’ultimo film Disney e, per tutta la durata della partita, inveì contro la squadra avversaria dei campioni in carica.

Afferrò i salatini con una mano, tutte le volte che Autumn glieli offrì, mentre con l’altra si portava alla bocca la sua birra scura.

E, in tutto quel tempo, l’uomo si beò del suono della sua voce, accompagnata a quella dello speaker televisivo.

Perché, a conti fatti, guardare la partita con qualcuno era più divertente.

E gli ricordava molto il periodo in cui, assieme a Winter, aveva tifato con foga per i Washington Nationals.

Si stupì nel rendersi conto che Melody aveva lo stesso modo di strizzare il naso del fratello, quando notava qualcosa di sbagliato nell’arbitraggio.

Rise di quel particolare e lei, rendendosene conto, gli chiese lumi.

Autumn, allora, le avvolse le spalle con un braccio, con assoluta naturalezza, senza tentare minimamente un approccio di qualche tipo, solo per cercare un contatto umano.

Melody lo comprese subito, e non si scostò.

Si limitò a rimanere lì, con la mano di lui poggiata su una spalla e i suoi occhi chiari a fissarlo straniti.

Alla fine parlò, e per lei fu una sorpresa e un colpo al cuore.

“Tu e Winter avete lo stesso modo di arricciare il naso, sai?”

“Guardavi… guardavi le partite con lui?” riuscì a domandare, non sapendo bene come gestire la sua strana loquacità.

Pareva sereno, perciò non voleva rovinare tutto con una domanda di troppo… ma voleva sapere. Voleva sentirlo parlare, di sé, di tutto, di niente.

Voleva la sua voce, così rara da ascoltare, e perciò tanto più preziosa.

Autumn reclinò indietro il capo, chiuse gli occhi e mormorò: “Ci mettevamo sempre sul divano e, quando la zia non era a casa, prendevamo una birra a scrocco dalla sua riserva personale…” nel dirlo, ridacchiò. “… e poi ce la scolavamo davanti al televisore.”

Melody si lasciò andare a un risolino.

Anche lui rise e, nello stringere appena la mano sulla spalla di lei, aggiunse più melanconico: “Stavamo così, spalleggiandoci a vicenda, finché la partita non finiva.”

Lei allora sorrise, gli avvolse la vita con naturalezza e, con un gran ghigno, tornò a tifare a gran voce per la loro squadra, sbraitando così forte da far ridere di gusto il padrone di casa.

Fu molto tempo dopo, a partita conclusa, e con un paio di telefilm alle spalle, che Autumn spense il televisore.

Era l’una passata e fuori, nel quartiere, non volava una mosca.

Persino Storm aveva ceduto, andando a rintanarsi nella sua cuccia, sul retro della casa.

E lì, il capo poggiato sulle sue cosce, Melody dormiva della grossa, i capelli sparpagliati in una ragnatela di neve.

Non poté resistere.

Passò una mano tra quella fitta coltre di capelli setosi e ne sollevò una ciocca, lasciandola scivolare lentamente tra le dita.

Era stata molto gentile e disponibile, quella sera.

E lui si era lasciato andare all’ennesimo ricordo, all’ennesima sensazione, quasi il suo corpo avesse bisogno di lasciar fuoriuscire quell’energia repressa per anni.

Il suo volto si spostò a scrutare il carillon della madre, che riposava tranquillo su una mensola, e sorrise.

Da quando Summer lo aveva portato lì, non era passata notte in cui non lo avesse ascoltato, meditabondo e ferito.

La presenza di Melody aveva annullato quel bisogno.

Fin dal giorno del suo arrivo, Autumn non aveva sentito più il bisogno di quella rilassante melodia, della corroborante sensazione d’amore proveniente dal carillon.

Tornò a scrutare la sua coinquilina, che dormiva così profondamente da parere quasi in coma e, senza fare rumore, la sollevò tra le braccia.

Il capo crollò inerme contro la sua spalla mentre, infida, una mano si aggrappò alla sua camicia.

La guardò attentamente, ma tutto gli confermò che stava ancora dormendo.

Che cercasse conforto nell’inconscio del sonno?

Possibile.

Sorrise nel ripensarla battagliera e fiera, e si domandò se avesse in parte provato paura o ansia, quel pomeriggio.

Forse, le aveva semplicemente dato fastidio il comportamento di Wyatt, e questo l’aveva portata ad avere dei sogni non proprio idilliaci.

«Va tutto bene, Melody. I mostri non ti mangeranno, né le streghe busseranno alla tua porta» le sussurrò Autumn, avviandosi con passo tranquillo verso la stanza della ragazza. «C’è il Dominatore dell’Aria a vegliare su di te.»

Con delicatezza, la adagiò sul letto e, dopo averle rimboccato le coperte, si chiuse la porta alle spalle e si diresse in camera sua.

Si spogliò, rilassato e stranamente pacificato e, senza neppure aver bisogno di un buon libro, si assopì.

Nelle narici, il profumo di lei.

Nel cuore, una pace nuova, mai provata prima.


 
 
 
 
 
 
 
 
 
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1 http://www.irlandaonline.com/cultura/musica/canzoni-popolari-irlandesi/the-rose-of-tralee/
2 Morrigan: una delle facce della dea. Rappresenta la Dea Corvo, colei che presiede le battaglie e guida i suoi guerrieri nella lotta.

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


 
7.
 
 
 
 
Sdraiato sul suo consunto carrello sotto auto – un tempo rosso fuoco, ora molto meno – Autumn si accigliò non appena avvertì il profumo di gardenia di Melody farsi largo nel garage.

Ormai, quel profumo invadeva tutta la casa ma, se fosse stato solo un problema di flaconcini, li avrebbe fatti sparire alla svelta.

Il guaio era un altro. Quello era il profumo naturale della sua pelle e, come Guardiano dell'Aria, a lui non potevano sfuggire certi aromi.

Deliziosi come quello, poi, era praticamente impossibile.

Che ci faceva, comunque, in garage?

Solitamente, era sempre impegnata a far risplendere la casa, neanche si fosse messa in competizione con lui per il premio “Miglior Casalinga dell’Anno”.

Altrimenti, passava il tempo incollata al radar doppler, con cacciaviti e saldatore per le mani, e occhiali protettivi sul viso.

Era una strana inquilina.

Coabitavano per la loro missione pro-tesi di laurea da più di un mese – marzo era appena iniziato – e, mentre la stagione dei tornado si avvicinava a grandi passi, l'ansia di Melody sembrava crescere alla stessa velocità.

Che fosse così desiderosa di trovarsi faccia a faccia con un mostro di tal portata?

Possibile, visto quanto le piacevano gli sport estremi, e quanto ci stava dando dentro con gli studi e il lavoro con il gruppo di cacciatori di tornado.

Persino con Wyatt era giunta a un tacito accordo, dopo la sfuriata di alcuni giorni addietro.

Più di una volta, l’aveva trovata addormentata sopra i libri, o con gli occhi così pesti da sembrare uno zombie.

Non poteva dire niente, su di lei. Era davvero una stacanovista.

A ogni buon conto, le chiese per pura e genuina cortesia: “Hai bisogno di qualcosa, Mel?”

I suoi passi si interruppero sul cemento liscio della rimessa e lei, trattenuto per un istante il fiato, lo espulse lentamente, esalando una sconcertata imprecazione.

“Come hai fatto a sentirmi?! Stavo camminando in punta di piedi!”

Autumn sorrise tra sé – non avrebbe potuto giungergli alle spalle di sorpresa neanche volando – e, con una leggera spinta delle mani, sbucò da sotto l'Alfa Romeo e la fissò dal basso verso l'alto.

“Non me la si fa così facilmente. Ho l'orecchio fino, io.”

“Ho notato.”

Accigliata, si guardò attorno, tornò a scrutarlo con i suoi inquietanti occhi grigio ghiaccio e infine si accucciò, le braccia strette sullo stomaco in una posa difensiva.

Appariva stranamente vulnerabile, lei che di solito era tutta sorrisi, battute e congetture su un mondo utopistico, dove tutte le persone erano felici e spensierate.

Quel particolare fece aggrottare la fronte di Autumn che, dubbioso, le domandò: “Qualcosa non va? Non ti senti bene?”

Lei scosse il capo recisamente, serrando un istante quegli occhi indagatori prima di riaprirli, spalancarli a forza e infine dire: “Vorrei darti una mano.”

“Come?”

Quella domanda gli sgorgò dalla bocca con una tale sorpresa, che riuscì a far sorridere Melody, ora impegnata a non ridergli in faccia.

“Che c'è? Non ti ho detto che voglio smontare il carburatore della tua Alfa. Ti passerei solo le chiavi, e basta. Zio Robin mi ha insegnato la differenza tra una chiave a brugola e una chiave inglese.”

Quella specifica sulle sue competenze, lo fece sorridere.

“Se non hai nient'altro da fare... prendi un paio di stracci, là nel cestone, e usali per sederti. Il cemento non è esattamente pulito” le consigliò a quel punto, tornando sotto l'auto.

“D'accordo.”

Con un movimento rapido, la ragazza si affrettò a fare quanto dettole e, dopo essersi sistemata accanto alla cassetta degli attrezzi di Autumn – maniacalmente in ordine, a suo parere – intrecciò le gambe sugli stracci puliti e attese.

“Qual è il problema da risolvere?”

“Nessuno. Sto sostituendo il filtro dell'olio. Le sto facendo il tagliando” le spiegò lui, armeggiando con una chiave esagonale, gli occhi ridotti a due fessure scure.

“Oh. Anche papà lo fa, con la sua Bronco.”

“Se una cosa la si sa fare, perché delegare ad altri?” motteggiò Autumn, allungando una mano. “Mi passi la chiave dinamometrica?”

Melody passò in rassegna l'arsenale bellico dell'uomo, individuò quella che assomigliava a un microfono e, nel passargliela, disse: “Storm è appollaiato sul divano a guardare Ophra. E' normale?”

L’uomo scoppiò in una risata sgangherata e, nell'afferrare la chiave, esalò: “Quel lupo è matto come un cavallo. Sì, per lui è normale. Ne è innamorato pazzo. Credo sia il suono della voce.”

Melody scosse il capo, divertita all’idea che un lupo potesse essere ammaliato dalla voce della presentatrice più pagata d’America.

Ma di che si stupiva, ormai? Il mondo era bello perché era vario.

“Come lo conoscesti, di preciso? Non te l'ho mai chiesto, ma mi interessa.”

L'uomo sorrise a quel ricordo. Era dolce e amaro al tempo stesso, nel suo cuore.

“Lo conobbi quattro anni fa, durante una gita ad Aspen. Un bracconiere aveva messo delle tagliole in giro per i boschi, e la madre era finita in una di esse.”

Melody inspirò forte, già presagendo la fine tragica della lupa e Autumn, nel rendersi conto dell'aumento di adrenalina nel suo sangue – percepibile tramite il profumo della sua pelle – mormorò: “Ti risparmio la bruttura, ma alla fine morì.”

“Cercò di tranciarsi la zampa a morsi?” replicò per contro la giovane, mordendosi il labbro inferiore al solo pensiero.

Lui annuì, pur sapendo che non poteva vederlo.

“Se la strappò con l'unico intento di tornare dal suo cucciolo, ma il freddo e la ferita sanguinante la fecero morire. Storm la trovò morta a poche centinaia di iarde da quella che, ipotizzai, fosse la loro tana. Degli altri lupi del branco, non c'era traccia. Non seppi mai che fine fecero.”

“Deve essere stato uno spettacolo orribile.”

Melody si strinse le mani al petto ma, quando sentì il familiare ticchettio delle unghie di Storm, si volse sorridente e aprì le braccia per accoglierlo accanto a sé.

Il lupo non se lo fece ripetere e, docile, si accoccolò al suo fianco, poggiando il muso sulle sue gambe intrecciate, mentre Mel iniziava a grattarlo dietro le orecchie.

“Avrà percepito che parlavamo di lui. L'esibizionista!” ridacchiò Autumn, poggiando la chiave dinamometrica per poi cambiare il filtro.

“E' un lupo molto percettivo” mormorò lei, passando una mano sulla lunga schiena dell'animale. Era morbida e calda, e profumava di erba e di selvatico.

“E molto testardo. Impiegai nove ore per convincerlo a venire con me. Per tutto il tempo, lui se ne stette accanto alla madre morta, ringhiando contro di me mentre la tempesta infuriava sempre più forte.”

Quel ricordo in particolare gli era caro: lui e Storm si assomigliavano molto. Entrambi testardi fino al midollo, entrambi disposti a tutto per chi si amava nel profondo.

Melody sgranò gli occhi, sorpresa e sgomenta, ed esalò: “Scusa ma... sei stato nove ore al freddo e al gelo?!”

“Ero su una jeep” si inventò lì per lì Autumn. Di certo, non poteva dirle che il vento gelido e sferzante, su di lui, non aveva alcun effetto!

“Lo osservavo attraverso il vetro, sperando che si calmasse. Quando lo vidi stramazzare a terra, uscii e lo raccolsi, e Robin mi aiutò a sfamarlo e curarlo.”

La giovane sorrise spontaneamente. Sapeva da tempo che zio Rob, oltre ad essere scapestrato e folle, era anche amorevole con tutte le creature deboli e indifese.

Forse era per quello che, con lui, andava tanto d'accordo. Erano molto simili!

“Ce lo vedo, zio Robin, a dare il biberon a un cucciolo di lupo” assentì Melody, sorridendo dolcemente.

“Lo portammo a casa con noi e io lo chiamai Storm, visto che l'avevo trovato durante una tempesta” terminò di spiegare lui, lasciando che un sorriso agrodolce si formasse sul suo viso.

“E' stato un bel gesto” mormorò lei, continuando ad accarezzare il lupo, che uggiolò felice.

“Lo stai coccolando?” si informò Autumn.

“Già. Se lo merita, il cucciolone.”

Chinandosi, lei abbracciò strettamente Storm, affondando il viso nella sua gorgiera e il lupo, nel levarsi un poco, le leccò il viso facendola scoppiare a ridere.

Autumn uscì da sotto l'auto con una spinta e li trovò così, l'umana e il lupo avvinti in una posa dolcissima e qualcosa, nel suo cuore, si spezzò.

Fu come l'infrangersi di una diga, con l'acqua che riprendeva possesso dell'antico corso del fiume.

Il suo sangue pompò con maggiore vigore in tutto il corpo, ricordandogli cosa volesse dire provare passione, desiderio, struggimento... amore.

Si era rifiutato di provare simili sentimenti, dopo la morte di Erin, se non prima ancora.

Quando aveva trovato Storm, aveva deciso che l'amore che si sarebbe mai concesso di provare, sarebbe stato per lui.

E ora arrivava questa ragazzina stramba, con gusti davvero discutibili sullo stile di vita – decisamente troppo avventuroso e pericoloso – e tutte le priorità della sua vita subivano un tracollo.

Semplicemente, perché la vedeva abbracciata al suo lupo.

Non è per quello, e lo sai, gli disse una vocetta fastidiosa nella sua testa.

Quella strana convivenza era iniziata come uno scherzo, oltre che come un favore a Robin.

Ma era proseguita come l'inizio di una bella amicizia con una ragazza che non lo temeva, né lo guardava con occhi languidi.

Si era aperto con lei come non aveva fatto con nessun altro, nella sua squadra e, con Melody, aveva persino affrontato lo spinoso argomento riguardante la sua famiglia.

Certo, non si era dilungato molto, anzi, era stato parecchio telegrafico.

Ma, in cinque anni, era stata la prima volta che aveva inserito nella stessa frase i nomi di Winter e delle sue sorelle.

E, soprattutto, che aveva parlato di Erin a voce alta.

Cosa gli aveva fatto?

Passandosi una mano sul petto dolente, Autumn si scostò di un passo per non dover stare loro troppo vicini e, distogliendo lo sguardo, borbottò: “Mi faccio una doccia. Sei pregata di non ficcare il naso in casa.”

“Tranquillo, non ci tengo a vedere il tuo culo nudo gironzolare per le stanze” ironizzò Melody, facendogli sgranare così tanto gli occhi da farla scoppiare a ridere.

L'uomo la fissò sbalordito mentre, con assoluta calma, si levava in piedi, chiamava a sé un obbediente Storm e uscivano dal garage con la chiara intenzione di fare una passeggiata assieme.

Era stato liquidato, nel vero senso della parola.

E non riusciva a capire se la cosa gli desse fastidio, oppure no.

 
∞∞∞
 
Quando uscì dalla doccia, i corti capelli ricci gocciolanti e incollati alla testa, Autumn avvertì chiaramente un dolce profumo provenire dalla cucina.

Torta di mele.

Possibile che Melody si fosse messa a fare una torta?

A giudicare dal movimento che avvertiva nella stanza, parve di sì.

Afferrato un lembo dell'asciugamano se lo passò distrattamente sui capelli e, nell'entrare in cucina attraverso la porta da saloon, domandò: “Ehi, che combini qui?”

Lei si volse a mezzo, tutta sorridente e profumata di zucchero, uno sbuffo di farina sul naso e le mani infilate nei pesanti guanti da forno color cannella di Autumn.

Nuovamente, la sensazione di straniamento tornò.

Era semplicemente adorabile.

La cucina dai legni scuri e le pareti giallo sole la incorniciavano alla perfezione, così come il profumo che aleggiava grazioso nell’aria.

I capelli bianchi erano raccolti sulla nuca con l'onnipresente fazzoletto colorato – stavolta era verde e oro – e i suoi occhi chiari brillavano di soddisfazione e... di affetto?

Autumn non volle indagare troppo e, entrato che fu, si appoggiò al muro della cucina a braccia conserte, osservando uno scodinzolante Storm in attesa di un premio.

“Cosa gli hai promesso, per tenerti compagnia mentre armeggiavi con uova e farina?”

“Un osso bello grosso” ridacchiò lei, strizzando l'occhio al lupo, che abbaiò complice.

L'uomo sorrise e si avvicinò al tavolo per controllare la torta appena sfornata.

Era dorata alla perfezione, con fette di mela disposte a fiore sulla parte superiore, e sprigionava profumi di cannella e vaniglia e mela in egual misura.

Sembrava deliziosa. Esattamente come chi l'aveva fatta.

Ammetterlo era difficile da accettare, ma a quanto pareva era ancora in grado di trovare attraente una donna. E di provare attrazione sessuale verso quest’ultima.

Gli piacesse quella sensazione, era tutt'altro argomento.

“Come mai la torta?”

“Jordie mi ha chiamata sul cellulare, prima, dicendomi che sarebbero passati stasera per un breefing, in vista del fronte temporalesco previsto per metà mese.”

“Oh” esalò Autumn, non sapendo se sentirsi deluso, o sollevato, che quella torta non fosse solo per lui.

Melody se ne accorse, però e, con un'ironia pungente quanto dolce, asserì: “Pensavi l'avessi fatta per te? Non sei così speciale come pensi di essere, Mr Hamilton.”

Ciò detto, si tolse i guanti con affettazione, gli passò accanto e, noncurante, gli diede un buffetto sulla guancia rasata di fresco per poi uscire dalla cucina, lasciando uomo e lupo assieme.

E da quando in qua una donna lo trattava a quel modo?

Era abituato a un genere femminile dagli occhi luccicanti, o dallo sguardo ferito e bisognoso di attenzioni, oppure del tutto indifferente.

In quei casi aveva sempre saputo cosa fare. Ignorare i primi, aiutare i secondi e ridere dei terzi.

Ma, con Melody, che diavolo doveva fare? Rifuggiva da qualsiasi schema a cui lui era abituato e, cosa ancora peggiore, la trovava maledettamente sexy.

Lei, alta e sottile come un giunco, spigliata, decisa, anticonformista, pronta alla battuta e per nulla intimorita da lui, che sapeva di apparire burbero anche nelle migliori occasioni.

Storm abbaiò, attirando la sua attenzione e Autumn, squadrandolo male, ringhiò: “Non ti sognare di commentare, cagnaccio. Non è il momento.”

Il lupo lo fissò con aria di sufficienza e, imitata Melody, uscì dalla cucina con la coda ben alzata, sfiorando le gambe del suo padrone a mo' di presa in giro.

Sempre più basito, Autumn lo guardò defilare oltre la linea della cucina e, rimasto solo, esalò: “Ma che succede, oggi?”

 
∞∞∞

Le previsioni parevano inequivocabili.

Il fronte era in arrivo dall'Atlantico, e sembrava proprio che niente e nessuno avrebbe potuto deviarne le correnti.

Certo, mancava ancora una decina di giorni, più o meno e, se c'era una cosa che Autumn sapeva bene, era che il flusso delle correnti nel cielo era più mutevole del cuore di una donna.

Ma lui poteva sentirle, percepirle sulla pelle come una carezza voluttuosa, ne assaporava sulla lingua il sapore umido e feroce, e sapeva che quel fronte si sarebbe abbattuto sulla costa.

Avrebbe risalito la valle dei tornado preciso come un orologio svizzero, e si sarebbe abbattuto sugli Stati del Centro come un martello sull'incudine.

Saperlo, però, non lo aiutava, perché non poteva sbandierare a ogni centro NOAA da lì a Detroit cosa sapesse della tempesta in arrivo.

Doveva riuscire a finire di mettere insieme quel maledetto radar doppler, in modo tale che la macchina potesse vedere ciò che lui vedeva, e con la stessa accuratezza.

Ma tra il dire il fare, però, ce ne correva.

Ovviamente, la sua idea iniziale di terminare a breve, era finita nel cestino dell’immondizia.

Quando aveva provato a farlo funzionare, la scheda madre del computer era partita per altri lidi, e lui e Wyatt avevano passato una mezz’ora buona a smoccolare inferociti.

Melody si era ben guardata dal presentarsi in rimessa, quel giorno, presagendo guai, e così pure Storm.

Come se non fosse bastato quel problema, a far perdere loro la pazienza, trovare i pezzi di ricambio era parsa più una caccia al tesoro, che altro.

Alla fine, avevano perso ben sei giorni sulla tabella di marcia.

Un’eternità, per quello che avevano in mente di fare.

E ora, il suo dannato radar era là, appoggiato sul suo banco da lavoro nella rimessa, la pancia sventrata in attesa di un misero, maledettissimo chip, in arrivo da Tucson.

E lui era bloccato in casa senza poter far nulla per portarlo a termine, impegnato a guardare la sua coinquilina e, al tempo stesso, a cercare un motivo per non saltarle addosso.

Già, bel guaio.

Sdraiata sul divano a gambe conserte, la pesante tuta di felpa blu che la avvolgeva completamente, Melody stava facendo zapping senza grande partecipazione.

Autumn era seduto sulla poltrona bianca dirimpetto a lei, ed era ancora impegnato a leggere le carte barometriche consegnategli da Lucas quella sera stessa.

Il loro gruppo era rimasto quasi due ore, per consultare le carte e riordinare le idee in previsione di un pronto arrivo della tempesta.

Strano a dirsi, Wyatt si era comportato bene ma, dopo la sfuriata di Melody, Autumn avrebbe trovato strano il contrario.

E, durante la loro informale riunione, la torta, che la ragazza aveva preparato con cura amorevole, era stata spazzolata via.

Ora ne rimaneva un piccolo pezzetto, solitario testimone delle bocche fameliche che avevano divorato il resto dei suoi fratelli.

Con uno sguardo dubbioso, Autumn scrutò per l’ennesima volta oltre il bordo delle carte il viso sonnacchioso e pensoso di Melody, chiedendosi come stesse.

A metà della riunione, il suo cellulare era squillato e lei si era scusata con tutti, uscendo da casa per rispondere.

Quando era ricomparsa, i suoi occhi gli erano parsi spenti, non limpidi e chiari come al solito ma, vista la presenza degli altri, non le aveva chiesto nulla.

Ora, però, il suo silenzio prolungato lo preoccupò e, lasciate da parte le carte, le domandò accorato: “Tutto bene?”

Lei sollevò lo sguardo per un attimo, lo studiò e infine tornò alla televisione, borbottando: “Niente di cui tu ti debba preoccupare.”

“Se posso esserti d'aiuto...”

Melody allora sogghignò beffarda, sfidandolo con lo sguardo.

“Ahhh! Il valoroso Autumn, sempre pronto a levar la spada in difesa delle donzelle in pericolo! Non aspettavi altro, vero? Il cavalier servente, l'indomito servitore del gentil sesso... che però se ne sbatte altamente se le donne gli cadono ai piedi col cuore spezzato.”

Accigliandosi all'istante, Autumn replicò burbero: “Se sei in fase premestruale, dimmelo. Ho due sorelle e una zia, e ho vissuto con loro per più tempo di quanto io voglia ricordare, e so benissimo quanto stronze potete diventare, quando gli estrogeni sono sballati. Se invece è un insulto gratuito, ti dico subito che sono sempre stato onesto a sufficienza con tutte, perché nessuna possa dirsi ferita di proposito.”

Passandosi le mani tra i capelli, ora rilasciati sulle spalle e lunghi fino a oltre metà schiena, lisci e vellutati come seta di ragno scintillante, Melody emise un sospiro che sapeva di pura frustrazione.

Era ovvio che qualcosa non andava in lei, il punto era capire cosa.

Quello strano rimescolio, che sentiva dentro di lui come il volteggiare di una farfalla, era anche dentro il corpo di Mel?

Levatosi in piedi, oltrepassò la breve distanza che li separava e, inginocchiatosi che fu accanto al divano, la guardò da quella distanza ravvicinata notando lacrime che prima non aveva scorto.

Chi l'aveva fatta soffrire? Lui? Un amico? La famiglia? La telefonata c'entrava qualcosa?

“Autumn, senti...” tentennò lei, non sapendo bene che dire.

“Non è fase premestruale, eh?” ironizzò lui, vedendola storcere la bocca e dissentire con espressione addolorata. “Perché sei così triste e incazzata? E' colpa mia?”

La domanda giunse dubbiosa e preoccupata.

Mel scosse ancora il capo. Mogia, sporse il labbro inferiore come una bambina, e ad Autumn venne il desiderio di mordicchiarlo.

Aveva labbra fatte solo per uno scopo; essere baciate, divorate fino all'ultimo respiro utile.

E lo fece.

Reclinò su di lei senza dire nulla, dandole tutto il tempo di allontanarsi, di bloccarlo con una parola, con un gesto.
Melody non si mosse, rimase incatenata con lo sguardo agli occhi di Autumn finché la tensione non fu così alta da costringerla a serrarli, timorosa di quello che avrebbe potuto succedere dopo.

Quando quelle labbra calde sfiorarono le sue, leggermente tremanti, Mel sospirò di sorpresa.

Autumn sapeva essere delicato, quando voleva.

E quel bacio lo fu.

Delicato, indeciso, insicuro, pieno di dubbi, ma voluto.

Quando Melody lo afferrò alla nuca per attirarlo a sé, per approfondire quel contatto, Autumn perse del tutto il controllo sulla propria volontà.

Divenne uno strumento duttile nelle mani della giovane donna che, con un pizzico di timore e tanta aspettativa, sfiorò i denti di Autumn con la lingua in una muta richiesta.

Lui non la fece attendere.

Affondò in lei con forza, sospirando e ringhiando, e Melody inarcò all’indietro il capo, ansimante, mentre l'altra mano lo afferrava alla camicia per avvicinarlo a sé.

L'uomo non attese altri inviti.

La avvolse con le braccia, sollevandola come se fosse stata un fuscello e, senza mai smettere di baciarla, la condusse nella sua stanza, chiudendo la porta dietro di sé con un calcio.

I movimenti frenetici di uno fecero eco a quelli dell'altra, in un nervoso tentativo di eliminare le gabbie offerte dagli abiti.

Con un calcio, Autumn si liberò delle scarpe da ginnastica mentre Melody, praticamente fuori di sé, si strappò quasi di dosso i pantaloni della tuta, restando in indumenti intimi.

A quel punto le mani febbricitanti di lui l'avevano assaltata e depredata e, quando infine lei finì sul copriletto di cotone a disegni geometrici, ridacchiò estasiata.

Autumn la raggiunse in preda alla frenesia, continuando a baciarle il viso, il collo, le spalle, mentre le mani la liberavano dall'odiato reggiseno.

Un attimo dopo, la bocca fu sui suoi boccioli di rosa, eretti per lui e pronti a ricevere i suoi baci vogliosi.

Ansimando, Melody lo afferrò ai capelli, alle spalle, ovunque fosse possibile per trattenerlo a sé, e mugolò il suo nome.

Lo ripeté all'infinito, nel buio della stanza, mentre la bocca di Autumn la esplorava, divorandola un pezzo alla volta.

Lei si dimenò sotto quel corpo muscoloso e tonico, desiderosa che lui la prendesse, che mettesse fine al suo dolore interno e pulsante, ma Autumn non fu di quell'avviso.

La assaggiò lentamente, pezzetto dopo pezzetto, aumentando il fuoco fino a renderla viva e piena di passione, in attesa di essere sorseggiata con sommo godimento.

Quando raggiunse il centro della sua femminilità, Melody gridò roca e fu a quel punto che lui compì la magia.

La trasportò in volo verso cime sempre più alte mentre, con un'unica spinta, si unì a lei e, nell'estasi del momento, Melody dimenticò tutto, ogni dolore, ogni ansia, ogni aspettativa inutile per il futuro.

C'era solo Autumn. E lei.

Le spinte si mantennero lente, sonnacchiose, facendola tremare e vibrare come corde d'arpa – le stava sentendo realmente, o le stava solo immaginando? – mentre il corpo di Autumn diventava puro fuoco.

Mani nelle mani, i due amanti si baciarono appassionatamente mentre i loro corpi uniti danzavano all'unisono, diventando irrefrenabili, privi di inibizioni e di limiti, un'unica entità.

Quando infine raggiunsero l'acme, Autumn venne in lei con un grido rauco e forte, pieno di una soddisfazione e di un senso di liberazione che stupì entrambi.

Melody crollò stremata, ansando soddisfatta e del tutto priva di peso, persa in un mondo incorporeo, dove il piacere era l'unica legge dominante.

Fu Autumn a riportarla a galla, e a farla sorridere con le sue paure.

“Cristo... dimmi che almeno tu eri protetta...” ringhiò lui, crollando accanto a lei, ansante e distrutto. “Che idiota...”

Melody rise e, nel sollevarsi a sedere, lo fissò nella penombra della stanza, dove grevi raggi di luna conferivano ai loro corpi la consistenza di emanazioni mistiche.

Con un'impudenza che fece sorridere di malizia l'uomo, lei si mise a cavalcioni sul suo corpo tonico e forte e, nel massaggiargli il petto ricoperto di sottile peluria scura, mormorò sorniona: “Non rischi di diventare padre, credimi.”

“Avrei dovuto pensare... fare qualcosa per...” si lagnò Autumn, subito bloccato da un bacio di Melody.

“Hai fatto tutto esattamente come speravo facessi. Anche se, prima del nostro bacio, avrei preferito non insultarti. Non pensavo realmente quello che ho detto, ma ero incazzata.”

“E' possibile sapere perché, e con chi?” le domandò lui, massaggiandole distrattamente la base della schiena con semplici tocchi delle dita.

Melody fremette. Lo desiderava così tanto!

“Sei disposto a parlare di te, Winter ed Erin?” gli ritorse contro lei, vedendolo accigliarsi immediatamente. “Appunto.”

“Dimmi almeno se devo aspettare sulla porta un fidanzato infuriato” ribatté allora Autumn, storcendo la bocca al solo pensiero. Non gli andava l'idea che Melody potesse avere qualcun altro.

Non gli era sembrato, in quel lungo mese passato assieme, che lei si fosse mai assentata per vedere qualcuno, ma tutto poteva essere.

Lei era sua. Non doveva esserci nessun altro, nella sua vita.

Non appena ebbe formulato quel pensiero, però, Autumn si irrigidì e la giovane, nel rendersi conto del suo stato di ansia, si chinò per abbracciarlo con calore.

Dolcemente, sussurrò contro la sua gola: “Nessuno verrà qui per reclamarmi, e non è successo nulla di tremendo, Autumn. Tu volevi questo da me, adesso, e io volevo questo da te, adesso. Non farti venire sciocche paranoie. Non ti sto chiedendo di sposarmi e di avere sei bambini.”

Quel riferimento a una nidiata così numerosa fece sciogliere in parte il panico dell'uomo che, sorridendole sghembo, asserì: “Perché proprio sei?”

“Non saprei. Ne vuoi di più?” ironizzò allora lei, scostandosi dal suo petto per ammirarlo dall'alto.

“Voglio te. Ora” mormorò roco, sfiorandole i seni con mani delicate e ruvide al tempo stesso.

“Mi hai” replicò semplicemente Melody.

E fu veramente sua, per tutta la notte.





_____________________________
N.d.A.: spero, con questo capitolo, di aver soddisfatto l'ansia di molte, che anelavano a questo fantomatico traguardo. Sappiate, comunque, che niente è mai semplice, nelle mie storie, quindi spero non pensiate che sia tutto terminato qui. Siamo ben lungi dall'aver esaurito le sorprese, sappiatelo. :-)

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


8.
 
 
 
 
Si era portato a letto Melody.

No, a voler essere del tutto onesti, l'aveva divorata.

In barba a tutte le sue bellissime regole di comportamento, ora evidentemente inutili, aveva fatto sesso sfrenato con la sua coinquilina.

Ed era più che certo che, se Robin lo fosse venuto a sapere, l'avrebbe evirato.

Cristo! Si era portato a letto sua nipote!

Ma, per quanto ci pensasse, per quanto si sentisse un idiota, sapeva benissimo che avrebbe rifatto ogni cosa avvenuta in quella strana notte.

Il suo profumo, la sua voce, il suo comportamento, tutto gli era entrato nel sangue giorno per giorno, come un lenitivo contro il dolore, come una droga somministrata sottopelle un po' alla volta.

Niente di lei gli ricordava Erin, eppure sentiva per Melody un trasporto, un coinvolgimento tali da offuscare i ricordi dell'unica donna che lui avesse mai realmente amato.

Certo, nella sua scapestrata gioventù universitaria, c'erano state molte donne, ma nessuna l'aveva mai veramente toccato.

Quando si era trasferito a Tulsa, aveva preferito fare vita monastica, dedicandosi unicamente al lavoro.

E a fare il cavalier servente, come lo aveva simpaticamente accusato Melody.

Sospirò tremulo al solo pensare al suo nome, lei che ora stava dormendo placida e accoccolata nel suo letto, avvolta dalle lenzuola sfatte e il copriletto colorato.

Si era alzato presto per farsi una doccia ma, quando l'acqua bollente aveva sfiorato la sua pelle, il profumo di gardenia di Melody si era levato dal suo corpo, a ricordo di ciò che avevano condiviso.

E la sensazione di sollievo provata all'idea di fare un bagno caldo, era stata sostituita dall'ansia di tornare da lei, tra quelle lenzuola, a condividere i suoi spazi e la sua aria.

Il suo profumo.

Passandosi una mano tra i corti capelli scuri, Autumn si chiese cosa diamine gli fosse successo.

Da quando in qua perdeva la testa per una ragazzina?

Certo, sette anni di differenza non erano un dramma, visto che erano entrambi maggiorenni e vaccinati, ma gli sembrava quasi di avere abusato di lei.

Coda di paglia, brontolò la sua vocetta interiore, sapendo bene da dove venissero quegli scrupoli.

Teneva così tanto all'amicizia di Robin da temere che, quel fatto apparentemente increscioso, potesse rovinarla per sempre.

Ma non resisteva proprio a starle lontano, ora che aveva scoperto ogni parte di lei, ogni suo più intimo segreto.

O quasi.

C'erano cicatrici sul suo corpo che, durante l'amplesso, aveva solo vagamente notato ma che ora, a mente lucida, lo incuriosivano.

Certo, con tutti gli sport estremi che aveva sul suo carnet, era probabile che più di una volta avesse visitato il pronto soccorso.

Ugualmente, voleva sapere cos'aveva combinato.

Voleva sapere tutto di lei.

“Dio, Erin... che sto facendo?” sussurrò lui, uscendo dal box doccia in una nuvola di vapore.

Le scure e lucide mattonelle erano opacizzate dal vapore, in quel momento… ma nulla avrebbe potuto ricreare naturalmente ciò che gli si parò innanzi in quell’istante.

Sotto i suoi occhi sconcertati e sì, terrorizzati, il vapore formatosi con il calore dell'acqua prese le sembianze di una donna... di una donna che lui conosceva molto bene.

“Cristo santo!” esclamò, scivolando sul pavimento umido, finendo così gambe all'aria e con ben poca grazia.

La figura di donna rise, o almeno a Autumn parve così, perché della sua risata non udì nulla, ne vide solo i risultati.

Il viso nebuloso divenne più chiaro, i tratti più importanti, e l'uomo riuscì quasi a scorgerne il contorno dei denti, messi in evidenza da quella bocca dalle labbra sottili.

Sì, non poteva essere che Erin, nelle sue nuove vesti di fata della bruma.

E questo lo portò anche a un secondo, più imbarazzante pensiero.

Era nudo come un bruco nel bel mezzo del suo bagno, con le chiappe sul pavimento e la schiena piantata contro la porta di vetro del box doccia.

Davvero una situazione idilliaca.

In fretta, afferrò il primo salviettone utile e se lo gettò sulle parti intime, giusto per salvare le apparenze.

Accigliato, poi, ringhiò: “Scusa, eh, ma di tutte le volte in cui avresti potuto apparirmi in questi anni, proprio questo scegli?!”

Lei rise ancora, scrollando le spalle con la solita noncuranza e Autumn, nonostante tutto, si ritrovò a sorriderle complice.

Ricordava ancora alla perfezione ogni suo vizio, ogni suo più piccolo gesto, e trovarsela lì, nel bagno, in quella strana forma, lo fece sentire … a posto. Intero.

Non più menomato da qualcosa che gli era sempre parso mancasse.

La fata che era Erin si volse a mezzo e, con un dito di vapore, tracciò alcune parole sul vetro appannato, così che Autumn potesse capire il motivo della sua visita.

Rialzatosi, e sistemato il salviettone intorno alla vita, l'uomo lesse il suo breve, conciso messaggio e, accigliato, ringhiò: “Non devi essere contenta che io abbia trovato qualcuno da amare. Io non amo Melody.”

La fata lo fissò scettica, scosse il capo con aria esasperata e cancellò il suo messaggio per scrivere altro.

Sai di essere testardo, vero?

“Essere irlandese è sinonimo di testardaggine. Dovresti saperlo anche tu, fata, visto che la sei per nascita” brontolò Autumn, intrecciando le braccia robuste sul petto.

Non ha senso rimuginare su un passato che non c'è mai stato. Non puoi bloccarti al giorno in cui ti innamorasti di me!

“E perché non dovrei farlo? Io ti amavo, Erin!”

Se non ascolti neppure le tue parole, non so come aiutarti, Autumn, e mi spiace molto.

“Nessuno mi può aiutare, Erin. Se a suo tempo io fossi stato il Primogenito, ti avrei amata come meritavi, e non avresti dovuto vivere al fianco di un uomo che amava un'altra donna.”

Il suo tono fu così amaro che Erin scrollò le spalle, sconsolata.

Anch'io amavo qualcun altro, e Win lo sapeva perfettamente.

“Cosa?!” esclamò Autumn, trasalendo visibilmente.

Fummo chiari fin dall'inizio, Autumn. Non ci furono mai segreti tra noi, per questo io sapevo di Kimmy. Ero addolorata per Winter, perché era intrappolato assieme a me in un matrimonio che nessuno dei due aveva voluto, ma lui fu gentile e generoso. Mi ascoltò, parlammo a lungo del ragazzo che avevo lasciato in Irlanda per raggiungere l'America e mi promise che, con tutto se stesso, avrebbe cercato di rendermi felice. E lo fece.

“Come potevi essere felice?”

Come poteva Lui essere felice? Chiediti anche questo, Autumn. Comincia a capire quanti e quali sacrifici ha fatto tuo fratello, non fossilizzarti solo sull'amore che provasti per me tanti anni fa.

Autumn reclinò il capo, cocciuto, e non disse nulla.

Erin, sospirando muta, continuò a scrivere la sua arringa sul vetro.

Dai colpe a Winter che lui non merita, e non starò più zitta, ormai. Meritate entrambi di vivere felici, ma solo uniti potete farlo! Parla con lui, chiarisciti! E accetta l'amore che provi per quella ragazza! Te lo meriti!

“Ma io ti amavo...” singhiozzò lui, crollando a terra in ginocchio.

Ascoltati, Autumn, e capirai da solo.

Dopo aver scritto quell'ultimo messaggio, Erin aprì la finestra del bagno e si lasciò trasportare dall'aria corrente fuori dalla stanza, perché il cognato potesse sfogare da solo il proprio dolore.

 
§§§

Stiracchiandosi nel letto matrimoniale di Autumn, Melody sorrise sonnacchiosa nello svegliarsi e, soddisfatta, scrutò il suo corpo sonnolento e soddisfatto.

I baci di Autumn avevano lasciato segni un po' ovunque, a memento della frenesia di quel loro primo amplesso.

Non le spiaceva avere il suo marchio sulla pelle, specialmente dopo aver dubitato tanto su quell'esito.

Non le ci era voluto molto per innamorarsi di lui.

Le era bastato guardarlo all'opera, ammirare la passione per il lavoro che svolgeva, o scrutarlo trasognata quando si prendeva cura di Storm. O di lei.

Era un uomo buono, burbero e ruvido come carta vetrata, a volte, ma gentile di cuore e generoso.

E lei non aveva avuto scampo alcuno, quando lui si era presentato dinanzi alla camera che la ospitava, il giorno stesso del suo arrivo, con lenzuola nuove e del suo colore preferito.

Quale altro uomo si sarebbe preso tante premure? Nessuno, a suo dire.

Solo Autumn. Il suo Autumn.

Almeno, era suo nel cuore che le batteva a tamburo nel petto.

Ma sapeva bene che quello di Autumn era ancora impegnato con un fantasma.

Al momento, però, non le importava, specialmente considerando la telefonata che aveva ricevuto solo la sera precedente.

Se quello che le avevano riferito era vero, e definitivo, non avrebbe mai condannato Autumn a quel genere di tortura.

Si sarebbe limitata a prendere quello che veniva da quel breve interludio passato con lui e, una volta terminata la sua tesi, si sarebbe ritirata nell'ombra.

A soffrire, probabilmente.

Ma l'avrebbe lasciato stare, non l'avrebbe trascinato con lei nell'abisso.

Non lo meritava davvero, visto che lui era riuscito a farle depennare l'ultimo punto della lista.

Sorridendo, si levò da letto e si infilò la maglia bianca di Autumn, che raggiungeva più della metà delle cosce e, passatasi una mano tra i capelli trasandati, andò in bagno.

Lì, trovò i resti di una doccia bollente e di uno specchio completamente imbrattato di ditate – ma che faceva, Autumn, in bagno? – e, scrollate le spalle, aprì l'acqua e si buttò sotto il soffione.

Ne uscì una ventina di minuti dopo, calda e profumata e, tutta sorridente, si diresse in cucina, dove trovò Autumn abbigliato solo con un salviettone, intento a preparare delle frittelle dolci.

Vederlo lavorare ai fornelli mezzo nudo era qualcosa di… saporitamente squisito. Veniva voglia di mordicchiarlo su quelle spalle ampie.

O da qualche altra parte.

“Buongiorno” mormorò lei, baciandogli un bicipite prima di avvolgerlo alla vita con le braccia.

Lui si volse a mezzo e, sorridendole sghembo, le diede un bacetto sulla fronte per poi attirarsela vicino, contro il petto.

Melody ne fu felice e, simile a un koala, lo avvolse stretto.

“Meno male. Pensavo ti fossi pentito di quel che è successo.”

“Sarebbe un po' da idioti, visto che l'abbiamo fatto tre volte di seguito.”

La giovane sorrise deliziata al solo ricordo e Autumn, nonostante tutto, ghignò soddisfatto. Era bello pensare di averla soddisfatta, e di poter farla sorridere in quel modo al solo pensiero di quello che avevano condiviso.

“Non sapevo bene come ti saresti sentito, visto quello che provi per Erin” mormorò lei, reclinando il capo per appoggiare l'orecchio in prossimità del suo cuore.

Era vagamente agitato, ma non pareva in ansia.

“L'amavo...” sussurrò distrattamente lui, rigirando una delle frittelle. Altre sei erano già pronte su un piattino di porcellana rossa.

“Allora, va bene” assentì Melody, sollevandosi in punta di piedi per baciarlo sulle labbra.

“Come?” esalò lui, vagamente confuso.

Lei si scostò, iniziò a preparare la tavola per la colazione, disponendo le tovagliette blu che tanto le piacevano.

Quando ebbe lasciato passare abbastanza tempo tra quella domanda confusa e la sua risposta, asserì: “Hai parlato al passato, quindi so di non aver ferito i tuoi sentimenti, o quelli della persona che hai amato.”

Ascoltati, Autumn, e capirai da solo.

Le parole di Erin gli rimbalzarono nella mente come il suono di un gong e, di colpo, tutto fu chiaro.

Melody, ciò che aveva sentito per lei fin da quando si erano visti la prima volta, il sentimento divorante che era cresciuto nel suo animo giorno dopo giorno, la decisione di portarlo a galla. Tutto.

Mollando padella e spatola, Autumn la raggiunse in due brevi falcate e, preso il suo viso tra le mani, lo sollevò delicatamente per baciarla, pieno di gratitudine e di sollievo.

Aveva amato Erin. Stava tutto in quelle tre, semplici parole.

Non aveva tradito la sua memoria, perché il suo cuore era già libero da tempo dal suo amore per lei.

Come gli aveva detto Erin, quel nuovo sentimento era puro e reale, non era frutto della sua fantasia, e non doveva averne paura, né provare ribrezzo per esso.

Amava Melody. Ed Erin era felice per lui.

Affondando in lei con rinnovata gioia, Autumn la sentì ridere lieta e vagamente sorpresa sotto la sua bocca.

Con una risata carica di rinnovata fiducia, la strinse a sé e mormorò contro la sua spalla: “Grazie. Grazie.”

“E di che?” rise lei, replicando con entusiasmo all'abbraccio.

“Di esserci.”

Disse solo questo, ma a Melody bastarono queste due semplici parole per crollare nell'abisso più nero.

Non era previsto che lui si innamorasse di lei, ma quello che aveva appena detto non poteva che voler dire questo.

Aveva sperato che Autumn non si lasciasse coinvolgere così tanto, che fosse suo malgrado più superficiale di così... anche se il solo pensarlo la fece sentire un'idiota.

Ormai, avrebbe dovuto saperlo che lui era tutto, tranne che una persona superficiale.

Cosa doveva fare, a questo punto?

Allontanarsi, ferirlo, fargli credere che fosse una ragazza leggera?

Nessuna di quelle ipotesi le piacque, perché lei non era così.

Ma non voleva neppure distruggerlo, perché sapeva bene che, quello a cui andava incontro, lo avrebbe spezzato.

Non voleva, eppure... non era in grado di separarsi da quelle braccia forti, da quel cuore pulsante, da quell'amore che aveva appena scoperto di provare.

Che Dio l'assistesse, non voleva separarsi da Autumn!

 
∞∞∞

Il pugno arrivò senza preavviso.

Ma, come razionalizzò Autumn quando riuscì a riconnettere il cervello, fu ben meritato.

Perché non è l'idea più felice del mondo quella di farsi vedere, fuori casa, con le mani sul sedere della nipote del tuo migliore amico.

Nel caricare il pick-up con le loro attrezzature, Melody si era comportata in maniera un po' civettuola e Autumn, giusto per renderle la pariglia, l'aveva bloccata contro il cassone in posa assai mascolina.

Lei aveva riso, lui si era spinto un po' più in là... e il pugno era arrivato silenzioso quanto micidiale.

E ora si ritrovava a terra, stordito come se una muta di bufali lo avesse investito, mentre le urla isteriche di Melody si confondevano coi ringhi di Storm e gli insulti di Robin.

Controllando con movimenti cauti che la mandibola fosse ancora al suo posto, Autumn si mise seduto, giusto il tempo di vedere Melody scaricare un pugno sulla pancia prominente dello zio.

Il colpo, evidentemente, andò a segno, perché Robin indietreggiò con aria accigliata e dolorante.

La nipote, al tempo stesso, si parò dinanzi a Autumn in posizione di difesa, dimostrando una conoscenza delle arti marziali maggiore di quanto lui non si aspettasse.

La ragazza sapeva il fatto suo, accidenti a lei!

“Oooh, andiamo, cricetino, non fare la sbruffona con me. Piantala di minacciarmi a quel modo, neanche fossi Keanu Reeves in Matrix!” brontolò Robin, tenendosi protettivamente la pancia contusa.

“Keanu è una schiappa, al mio confronto” ringhiò Melody, tutta sibili feroci e aria furente. “Non osare toccare Autumn! Ha tutto il diritto di toccarmi, è chiaro?!”

Robin si gonfiò come un tacchino, la faccia gli divenne paonazza e, simile a un’oca starnazzante, esclamò: “No che non ne ha il diritto! Lui sapeva che non avrebbe dovuto toccarti! Me l'aveva promesso!”

“Beh, non è colpa sua. Ci ho pensato io a condurlo sulla via della perdizione!” sbottò Melody, infuriata al pari dello zio. “Lui si è sempre comportato benissimo. Sono stata io che l'ho adescato.”

“Cricetino...” si lagnò Robin, fissando in alternanza Melody e Autumn che, nel frattempo, si era rimesso in piedi e fissava il suo vecchio amico con aria guardinga.

“Non ho più sei anni, zio Rob, non ha senso che mi chiami così. Sono una donna adulta e maggiorenne da un bel po', e posso prendermi tutti gli amanti che voglio. Scusa, ma non sei felice che abbia scelto proprio un uomo che stimi?”

Quell'arringa spudorata fece rabbrividire Robin che, grattandosi la zazzera che aveva sulla testa, esalò infelice: “Ti prego, non mettere  le parole ‘amante’ e ‘uomo’ nella stessa frase. Non lo sopporto!”

“Beh, ti converrà abituarti, perché Autumn è il mio uomo e il mio amante” sbottò Melody, abbracciando l’uomo dei suoi desideri con aria protettiva.

Robin li guardò assieme, scrutò gli occhi decisi della nipote e quelli amorevoli e protettivi di Autumn e, senza poter più dire nulla, esalò un sospiro sconfitto.

Storm riuscì a rilassarsi quanto bastò per raggiungere il suo vecchio amico e Rob, nel passargli una mano sulla testa, mormorò: “Ti ho fatto spaventare, eh, Storm? Ma il tuo padrone mi ha fatto proprio incazzare di brutto.”

“Scusa, Robin. So che non avrei dovuto, ma...” asserì Autumn, subito azzittito da un'occhiataccia dell'amico.

“Me l'avevi promesso, altrimenti non avrei mai permesso che lei venisse qui da te.”

Ricordargli la parola data non aiutò Autumn a sentirsi meglio, ma ancora Melody intervenne in sua difesa.

“Zio, ti ho già detto che Autumn non ha colpa. Inoltre, vuoi davvero togliermi quello che desidero?”

Robin aggrottò la fronte, a quelle parole, e replicò: “Questo è giocare sporco, Mel.”

“Me lo posso permettere, e tu lo sai” sbuffò lei, lasciando andare Autumn per tornare dallo zio. “Senti, puoi accettarlo e darci una mano quando arriveranno i tornado, oppure mettere il muso e mandarci al diavolo entrambi. Scegli tu. Ma un fatto non cambierà; io sto con Autumn, finché a entrambi starà bene, e questo vuol dire che mi vedrai baciarlo, o che vedrai lui palpeggiarmi, se gli va. Ce la fai a sopportarlo?”

Autumn ebbe il buongusto di starsene zitto e buono vicino al pick-up mentre Robin, da viola che era in viso, tornò pian piano a riprendere una colorazione umana.

Quando infine sospirò, l’uomo asserì di malavoglia: “Sei adulta, e so che Autumn è un brav'uomo. Ma stai attenta, cara.”

“Nei limiti del possibile” assentì lei.

Robin allora si avvicinò a Autumn, che rimase vigile e attento e, dopo un attimo di tensione, gli allungò una mano in segno di pace.

“Hai tra le mani la mia nipotina. Sai già cosa ti farò, se la farai soffrire.”

“Mi reputo debitamente avvisato. Ma non è mia intenzione ferirla, poco ma sicuro” dichiarò Autumn, stringendo la mano dell'amico.

Melody li fissò turbata, ben sapendo che non sarebbe stato certo lui a farle del male, bensì il contrario.

Ma era troppo egoista per rinunciare a qualcosa di tanto bello e forse,  dopotutto, ogni cosa sarebbe andata per il meglio.

Il cellulare di Autumn scelse proprio quel momento per squillare e lui, estrattolo dalla tasca anteriore dei jeans schiariti, accettò la chiamata e disse: “Ehi, Miranda! Ciao! Qual buon vento, a stóirin?”

“Vento buono, Autumn. Ho avuto un maschietto, e lo abbiamo chiamato Anthony, in onore di tuo padre” disse la donna con voce orgogliosa e sognante.

Gli occhi del Dominatore dell’Aria si sgranarono di sorpresa – era stato troppo preso da Melody, per controllare – e, con un sorriso di pura gioia, mormorò: “Le fate canteranno in coro la tua gloria, Miranda, e io accenderò una candela per il tuo cucciolo, che onorerò e benedirò. Siate lieti, la nuova stella è sorta, il nuovo sole è nato.”

Melody, che stava ascoltando distrattamente la telefonata, si sorprese per quelle parole così sentite e calorose e, curiosa, si chiese con chi stesse parlando, e chi fosse questa Miranda.

Un’amica? Una vecchia amante? Di sicuro, Autumn sembrava esserle molto affezionato.

“Tu ci onori, Guardiano dell'Aria. Saremmo felici se tu potessi vedere di persona il nostro piccolo e...”

Già sul punto di dire altro, Miranda venne bloccata dal singulto strozzato emesso da Autumn che, irrigidendosi di colpo, strinse la mano libera a pugno, poggiandola sul cuore, e sibilò: “Che diavolo stanno combinando?”

“Cosa succede, Autumn?” si preoccupò immediatamente Miranda, al pari di Melody e Robin, che lo fissarono confusi.

“Passami Colin. Subito.”

Il tono perentorio dell’uomo costrinse la neomamma a non porre ulteriori domande e, nel giro di pochi attimi, il marito di lei fu al telefono.

“Ehi, amico, che c'è?”

“Porta Mir’ lontano da lì. Andate da tua zia, a Temair. Non è sicuro rimanere a Dublino. Non adesso” lo mise in guardia Autumn, guardandosi intorno con espressione accigliata.

Qualcosa non andava, se lo sentiva nelle ossa.

Qualcosa di molto grosso.

Non appena inquadrò gli sguardi dubbiosi di Melody e Robin, si allontanò perché non sentissero il resto della conversazione.

C’erano troppe cose che avrebbe dovuto spiegare, e non era decisamente il momento.

“Vuoi spiegarmi che succede, Autumn?” gli domandò Colin, ora veramente turbato.

“Colin, c'è qualcosa che non quadra nelle energie che circondano il castello della nonna. Sta combinando qualcosa che non mi piace, soprattutto perché non riesco a entrare per curiosare. Andatevene immediatamente. A Temair, le reti di potere sono abbastanza forti, e vi terranno al riparo dai contraccolpi energetici che potrebbero eventualmente svilupparsi dal castello.”

“Così mi preoccupi” mormorò torvo Colin.

“Credimi, io lo sono più di te. Non ho idea di cosa stiano combinando là dentro, ma non mi piace per nulla quello che percepisco e, soprattutto, quello che non riesco più a percepire. Ora indagherò anche da...”

Non riuscì a terminare la frase.

Il suo Elemento, così come le correnti energetiche del suo corpo, andarono letteralmente in tilt e, come una marionetta privata dei suoi fili, crollò a terra senza forze.

Una folata di vento senza controllo si sprigionò dal suo corpo, mandando a gambe all’aria sia Robin che Melody, impreparati a un simile evento spontaneo quanto improbabile.

Solo la fortuna gli impedì di perdere i sensi, ma il contraccolpo psichico fu tremendo, quando tutto tornò alla normalità.

Il tutto durò solo qualche secondo, ma a Autumn parve un’eternità.

Portandosi le mani al petto, quasi gli avessero strappato il cuore dal corpo, mollò la presa sul cellulare e ringhiò per il dolore.

Si torse sul prato come se lo stessero dilaniando, la voce di Colin che filtrava dal cellulare a volersi sincerare sulle condizioni dell’amico.

Tutto inutile. Autumn non avrebbe potuto rispondergli neppure volendo.

Non aveva fiato nei polmoni per parlare.

Melody, pur sconvolta da ciò che aveva visto e che era appena successo, si rialzò in fretta da terra e lo raggiunse di corsa.

Afferrò il cellulare, disse in fretta due parole all’interlocutore per metterlo in attesa e, con mani tremanti, sfiorò le spalle rattrappite di Autumn.

Accucciatasi al suo fianco, preoccupata e bianca come un lenzuolo, lo strattonò dolcemente per farlo voltare e, spaventata dal suo pallore, esclamò: “Autumn! Parlami, che c'è?”

“Sto... bene... tranquilla” balbettò lui, percependo i propri poteri tornare alla normalità dopo quella scossa improvvisa e violenta.

Che diavolo stava succedendo?

“Non mi sembra. Sei più bianco dei miei capelli!” cercò di ironizzare lei, sorridendogli sghemba.

A fatica, grazie soprattutto all’aiuto di Melody, Autumn riuscì in qualche modo a mettersi seduto sull’erba.

Le diede un bacetto sul naso a punta prima di notare Robin a pochi passi da loro, pallido a sua volta e veramente preoccupato per lui. Oltre che confuso all’inverosimile.

Cos’era accaduto in quegli attimi? Cosa si era sprigionato da lui?

“E' okay, amico. Non sverrò” lo rassicurò, rimettendosi in piedi grazie all'aiuto di Melody.

Recuperato il cellulare, calmò anche le ansie di Colin e disse: “Chiama Sean e digli di raggiungervi. Non siete al sicuro, non in un luogo all’interno della rete di energia di nonna e soci. Andatevene. Porta via il piccolo da lì e nascondetevi, per la Dea!”

“Lo faremo, stai tranquillo” assentì Colin. “Ma chiamami più tardi, per farmi sapere se stai bene. Miranda, altrimenti, mi ammazzerà.”

Autumn sorrise sghembo, ma promise di chiamare.

Un attimo dopo aver terminato la telefonata con Colin, il cellulare trillò di nuovo e l’uomo, imprecando tra i denti, accettò la chiamata.

“Dimmi che stai bene, Spry, o giuro che parto per l'Irlanda domani stesso e ammazzo tutti.”

“Ho un po' di emicrania, ma la botta è stata forte. Ma che è successo?” mormorò stancamente la donna, in sottofondo la voce di Max che confortava la piccola Sunshine.

L'idea che la nipote potesse aver visto la madre stare male, fece così infuriare Autumn da fargli perdere completamente il controllo... e l'assennatezza.

Si dimenticò di chi vi fosse vicino a lui e, furente, ringhiò: “Strangolerei la nonna seduta stante... se solo mi permettesse di entrare. Sta facendo qualcosa al castello, lo sento.”

“Summer ti ha già...” iniziò col dire Spring, quando il telefono in casa di Autumn cominciò a squillare.

Melody lo fissò con mille domande nello sguardo ma, dopo un attimo, corse all'interno dell'abitato per rispondere e, dalla finestra, annuì al suo indirizzo.

“A quanto pare, Mel sta parlando con Summer” dichiarò Autumn, sempre più furibondo.

“Questa faccenda non mi piace. Ora ne parlo anche con Win perché, se la nonna sta giocando con i nostri poteri, la cosa si fa veramente seria. La zia ha già deciso di tornare a Dublino per chiedere spiegazioni, comunque attenderà il responso di Winter.”

Pur accigliandosi, Autumn annuì e disse: “Sì, parlatene con lui e poi riferiscimi.”

Silenzio.

E un singulto strozzato.

“Sei sicuro di star bene? Sei veramente Autumn?”

“Piantala, Spry, è una cosa seria. Qui sta succedendo qualcosa di maledettamente pericoloso, e i miei screzi con Winter possono passare tranquillamente sotto l'uscio, per i miei gusti.”

“Ricordati di cosa hai detto, quando te lo rinfaccerò.”

“Non sei la prima donna, oggi, a dirmi una cosa simile” sorrise Autumn, salutandola.

Quando vide tornare Melody, torva in viso e con le braccia conserte, seppe di essere nei guai.

“Quand'è che ci vorresti spiegare cosa sta succedendo? Perché tua sorella mi ha chiesto se puoi ancora sentire lei e John? E non credo che intendesse dire con le tue orecchie.

“Cristo, Summ!” si lagnò lui, passandosi una mano tra i capelli scompigliati. “Lei e la sua linguaccia.”

“E potresti anche spiegarci perché, dal tuo corpo, si è formato un piccolo tornado che ci ha stesi come birilli?” aggiunse Robin, più che confuso.

“Entriamo in casa. E' una storia, molto, molto lunga” sospirò Autumn, arcuando in avanti le spalle, l’idea stessa di parlare di ciò che era più pesante dell’intero globo.

Ma cosa poteva fare, a quel punto?






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N.d.A.: direi che c'è parecchia carne al fuoco, e so che avrete un sacco di domande su Melody, ma non posso rispondere, o rovinerei l'atmosfera. Perdonatemi. :-)

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***


9.
 
 
 
 
 
Doveva loro davvero più di una spiegazione sommaria, visto il mezzo tifone che si era scatenato nel giardino.

Era anche fortunato che, gli unici due testimoni oculari, erano prima di tutto suoi amici.

Figurarsi se ci fosse stato anche qualche vicino, a testimoniare della sua davvero singolare unicità.

Nel rientrare in casa assieme a Storm - che lo fissò preoccupato - , Melody e Robin, Autumn raccolse mentalmente le idee, ma nulla lo aiutò a chiarirsele.

Forse, perché il contraccolpo psichico era stato maledettamente forte, e il suo cervello faceva ancora fatica a riprendere un ritmo normale.

Ma che diavolo aveva combinato, la nonna? E c'erano di mezzo anche gli altri vecchi Guardiani? Zia Brigidh sarebbe riuscita a parlare con sua madre, o l'avrebbero buttata fuori a calci dal castello?

Non lo sapeva, ma era ancora troppo stordito per cercare di mettere in piedi anche una sola congettura sensata.

“Sedetevi, per favore, non sarà una cosa semplice da sopportare, o credere” mormorò a quel punto Autumn, crollando letteralmente sulla sua poltrona preferita.

Melody lo fissò turbata e sì, ansiosa.

“Sicuro di non aver bisogno di nulla? Sei ancora così pallido!”

“E' il flusso di potere che ritorna nella norma” borbottò lui, reclinando indietro il capo per poggiarlo contro lo schienale arrotondato. “L'Elemento dell'Aria è al mio soldo, ne detengo il potere assoluto e, grazie a ciò che ho nel sangue, io lo governo.”

Ciò detto sospirò, si passò una mano sul viso stanco e proseguì nel suo racconto.

“I miei antenati hanno nomi che si perdono nella notte dei tempi, e hanno origine divina quanto ancestrale. La mia famiglia è stata beneficiata del dono del governo degli elementi e, in ogni tempo, esistono sempre quattro guardiani degli Elementi. Nel nostro tempo, noi gemelli deteniamo il governo degli Elementali di ogni genere. Inoltre, mio nipote Malcolm è il Centro del Cerchio di Potere, il Guardiano dello Spirito, colui che detiene il governo dell’Anima.”

Melody e Robin si guardarono confusi e vagamente preoccupati, forse credendolo pazzo o pericoloso, ma Autumn non vi fece caso.

Max non l'aveva presa meglio, quando Summer gli aveva raccontato tutto.

Eppure, era riuscito a cavarsela egregiamente, ed era sicuro che anche loro avrebbero potuto assimilare quella scomoda verità.

Dopo un po’ di tempo e tranquillanti, almeno.

“Discendiamo dai Tuatha de Dannan, una stirpe di antichi dèi guerrieri di origine celtica. Arianrhod, colei che regge la Ruota del Destino, è la nostra guida e protettrice, e a Lei noi dedichiamo le nostre preghiere.”

Si interruppe un attimo, levò una mano per interrompere qualsiasi loro replica e, muovendo le dita come se stesse suonando, mormorò: “Questo è un esempio di quello che posso fare.”

L'arpa nell’angolo del salone prese a suonare, e le corde si mossero in assonanza con i movimenti di Autumn, ancora fermo sulla poltrona.

Melody sobbalzò sconvolta, mentre Robin diventava pallido come un cencio, forse pronto a darsela a gambe.

Il Guardiano, però, non smise di suonare la dolce, straziante melodia che stava ammorbando l’aria.

Era vitale che capissero… che vedessero.

Mel, allora, balzò in piedi, raggiunse l'arpa e la osservò con aria ammirata, incredula e affascinata assieme.

Sollevò una mano per avvicinarsi alle corde e, a sorpresa, avvertì sulla pelle uno strano ricircolo d'aria. Come il solleticare di mille piume morbidissime.

“La muovi tu... l'aria, intendo...” mormorò, osservando colpita il viso concentrato di Autumn.

“E' così che la suono. Non è a batteria, non è un gioco di prestigio. E' magia pura. Quella arcana, millenaria, appartenuta da tempi immemori alla mia stirpe, al mio retaggio” dichiarò sommessamente lui, interrompendo il suono dell'arpa semplicemente chiudendo la mano a pugno.

Robin allora emise un esile e tremulo sospiro mentre Melody, più coraggiosa, sorrise eccitata e piena di curiosità.
In pochi, rapidi passi fu da lui e abbracciò Autumn al collo, esclamando: “Fai qualcos'altro, ti prego!”

“Mel, insomma!” sbottò suo zio, fissando ancora parecchio frastornato il suo strano amico, che ora gli appariva decisamente uno sconosciuto.

“Scusa” fece la lingua lei, baciando Autumn su una tempia. “Io non ho paura, sono solo affascinata. Sei un mago, quindi? Puoi anche far comparire e scomparire le cose?”

La stramba euforia di Melody, unita alla sua totale sincerità, fecero sorridere Autumn che, afferratala a un braccio, se la prese in grembo sotto gli occhi accigliati di Robin.

“Io governo solo l'aria, Mel.”

Solo? Direi che è più di quel che riesco a fare io!” rise a quel punto lei, battendo le mani come una bambina felice.

Autumn semplicemente la adorò.

Non era spaventata, disgustata, inorridita da quella sua peculiarità.

Anche se poteva essere solo una reazione istintiva quanto passeggera, a cui avrebbe potuto seguire un crollo emotivo, poco importava.

In quel momento, era felice di vederla serena, eccitata e deliziata dal suo dono così speciale.

Robin era tutt'altro affare.

Appariva divorato dall’ansia, deciso suo malgrado ad ascoltarlo, pur se nei suoi occhi brillava la luce dell'insicurezza e della paura.

“Smettila di guardarlo come se fosse un mostro, zio!” sbottò Melody, sorprendendo i due uomini per la sua veemente sollecitudine. “Non ci ha detto che è il Dio della Distruzione, Satana, o un demone! Ha dei poteri soprannaturali, e allora? Non ci ha mai fatto del male e, anzi, cerca di usare i suoi doni per aiutarci.”

Volgendosi poi verso Autumn, aggiunse: “Perché è questo che stai cercando di fare cacciando tornado, vero?”

“Sei davvero troppo intuitiva, per i miei gusti” ridacchiò lui, avvolgendole la vita con le braccia per tenerla stretta a sé.

“Ehi, dico! Vacci piano! Sono presente io, amico!” brontolò Robin, pur con tono abbastanza calmo.

Autumn, allora, allentò la presa e mormorò: “Scusa se l'hai saputo così, Rob. Non volevo sconvolgere nessuno, per questo non ne ho mai parlato. Inoltre, come capirai anche da solo, questa cosa non può finire sulla bocca di tutti, o diventerei una cavia da laboratorio nel giro di un giorno al massimo.”

“Questo è sicuro... figurati se non tenterebbero di aprirti in due il cervello, quelli della CIA” brontolò Robin, annuendo torvo.

Si passò entrambe le mani sulla testa, nervoso come neanche di fronte a un F5, ma non fuggì.

“Appunto. Per questo, non mi presento dicendo 'salve, mi chiamo Autumn, e sono il Guardiano dell'Aria'. Primo, mi manderebbero al manicomio, secondo, potrei rischiare di finire su un tavolo di qualche laboratorio,… cosa che preferisco evitare.”

Lo disse con un mezzo sorriso, ma c'erano timore e verità nel suo tono di voce.

“Io e lo zio non ne faremo parola con nessuno. Te lo promettiamo” asserì con vigore Melody, sorridendogli comprensiva.

“Ne sarei lieto... anche perché, abbiamo dei sistemi di preservazione del segreto non proprio simpatici” storse il naso lui, facendoli accigliare entrambi.

Autumn fu così costretto a parlar loro di Mæb, dell'anziana Guardiana dello Spirito, che aveva libero accesso a qualsiasi anima vivente, a qualsiasi pensiero cosciente.

Quando spiegò cosa fosse in grado di fare, nessuno dei due si ritrovò a sorridere, alla fine della spiegazione.

“Di certo, ora so perché nessuno vi ha mai scoperti prima” borbottò Robin, infilando un dito nel colletto della maglia per allargarlo, sentendosi improvvisamente mancare l'aria per respirare.

“Beh, una nostra prozia, vissuta al tempo dell'Inquisizione, finì sul rogo, in effetti. Ma era una Dominatrice del Fuoco, per cui...” scrollò le spalle Autumn, non terminando la frase. Lasciò in sospeso il finale.

“Oh” esalò Melody, tappandosi la bocca con aria scioccata.

“Cristo, che storia assurda!” sbottò a quel punto Robin, levandosi in piedi per camminare un po'. “Ho bisogno di bere.”

“C'è della birra, in frigorifero. Serviti pure” asserì Autumn, comprendendolo senza problemi. Al posto suo, avrebbe tirato testate contro il muro.

“Lo farò di sicuro” brontolò l'uomo, andandosene a grandi passi verso la cucina.

Rimasto solo con Melody, lui la scrutò nei suoi chiari occhi di ghiaccio e mormorò: “Sicura che la cosa non ti sconvolge?”

“Un po' sì, ammettiamolo, ma è tutto molto eccitante, al momento. Magari, domattina, quando mi sveglierò al tuo fianco, sarò un poco più sconvolta, ma ora mi sto godendo l'idea che l'uomo che mi piace è un mago... o uno stregone. Come vi chiamate, in effetti?”

Gli pose la domanda con un sorriso, e con occhi che brillavano di eccitazione e curiosità, e Autumn non poté che risponderle.

“Siamo Guardiani, o Dominatori. Abbiamo anche nomi più specifici, ma non possiamo usarli al di fuori di un Cerchio di Potere, perché scatenerebbero forze ingovernabili.”

Melody sospirò di sorpresa, rammentando quella strana serata, la richiesta concitata di Autumn perché non usasse i loro nomi in gaelico, e comprese.

Gli carezzò le guance con dolcezza e, baciatolo delicatamente sulle labbra, mormorò: “Non mi fai paura, Guardiano dell'Aria, davvero. Sono ammirata, questo sì, ma non spaventata.”

“Ne sono lieto.”

“Quel che è successo prima, quindi, cos'era? Summer mi sembrava parecchio agitata, al telefono” si informò la giovane, tornando seria.

Aggrottando la fronte, Autumn ammise: “Non lo sappiamo. Non è mai successo prima e, da quel che posso percepire, c'è di mezzo mia nonna, ma non ne so molto di più. In qualche modo, si sta schermando da me. Nostra zia partirà domani per andare a Dublino, e tentare di scoprire cosa sta combinando, ma non credo che avrà molto successo.”

“Come mai proprio vostra zia?”

“E' un’altra lunga storia” ironizzò lui, sperando non le chiedesse altro.

Lei però lo baciò teneramente sulla bocca e, sorniona, sussurrò: “Ho tutta la notte per farti parlare. E ci riuscirò, stanne certo.”

Autumn non mise in dubbio le sue parole neppure per un istante. Sapeva, fin da quando le aveva dato quel primo bacio, di essere perduto in lei. E per lei.

 
∞∞∞
 
“E così, Erin e Win erano promessi. Miseriaccia, che casino!” sospirò Melody, scuotendo il capo contro la spalla nuda di Autumn. “E tu eri innamorato di lei...”

“Come hai giustamente condensato tu, un gran casino” ammise lui, avvolgendola con un braccio per poi sospingerla sopra di sé. “Ma non ho intenzione di parlare di loro due mentre sono a letto con te.”

“Non vuoi riconciliarti con lui? Con Winter, intendo.”

Il labbro inferiore le sporse malizioso e lui, dandole un buffetto, sorrise e scosse il capo.

“Non mi piegherò ancora alle tue richieste. Devo mantenere un po' di controllo sulla mia vita, per la miseria!”

Lei rise nel chinarsi per baciarlo sulle labbra e, condiscendente, asserì: “Sì, hai ragione, sono stata davvero cattiva a prevaricarti a questo modo. Che ragazza brutale che sono.”

“Un vero demonio” annuì lui, carezzandole i fianchi e le natiche con fare sensuale.

Melody socchiuse gli occhi e, dopo un istante, lasciò che lui la penetrasse con lente, morbide spinte, che la fecero sospirare di delizia.

Non voleva spingerlo oltre. Già farlo parlare di Winter ed Erin, era stato uno scoglio difficile da superare.

Non desiderava che vecchi incubi tornassero a invadere la sua mente, e solo perché lei voleva sapere, conoscere ciò che l'aveva legato a Erin.

Si sentiva sciocca a essere gelosa di una donna morta, soprattutto perché Autumn aveva scelto solo lei, dopo la morte della sua amata.

Eppure, il dubbio le rimaneva, e questo la faceva sentire egoista e cattiva.

Non poteva limitarsi ad amarlo, senza pretendere nulla di più?

Già il fatto che Autumn l'avesse baciata, avesse deciso coscientemente di rinunciare al suo stato monacale auto-imposto per stare con lei, doveva bastarle, eppure no.

Lei voleva di più. Come al solito, non sapeva accontentarsi.

Certo, quello che lui aveva detto solo qualche sera prima, poteva essere una riprova dei suoi sentimenti per lei, ma voleva sentirglielo dire.

Sei proprio perfida, Melody, pensò miserevolmente, sospirando.

“Non voglio che tu sia triste, mentre fai l'amore con me” le ordinò lui, capovolgendo i ruoli e ponendosi sopra di lei, imponente, fiero e selvaggio.

Un vero guerriero. E lui era di stirpe antica e divina.

Il solo pensarci la fece fremere.

Sto facendo l'amore con un dio, pensò, e la sua mente si perse.

Gridò il suo nome, lo graffiò sulla schiena mentre le emozioni si facevano troppo forti per essere sopportate in silenzio e, quando venne assieme a lui, seppe di essere perduta.

Lo amava senza possibilità di scampo alcuno e, che lei fosse dannata, lo avrebbe trascinato via con sé fino all'ultimo.

Non voleva affrontare quell'inferno da sola. Non stavolta.

 
∞∞∞

“... quindi, siamo sicuri che non sverrai un'altra volta, oppure che scatenerai tu un tornado? No, perché sai, la mia pellaccia, e quella della mia nipotina, dipendono anche da questo” terminò di dire Robin, mettendo fine alla sua filippica.

“Ora che so cosa può succedere, non sarò impreparato in caso di un secondo attacco, perciò no, non farò esplodere l'Oklahoma per errore” lo rassicurò Autumn, sorridendogli nel caricare l'ultima sacca sul pick-up.

Melody era ancora in casa e, per qualche motivo, la cosa lo turbò.

Lei, di solito, era sempre la prima a uscire, quando c'era da lavorare.

Quel giorno, invece, non si era ancora fatta viva.

Era passata una settimana dalla sua confessione shock, ma nulla sembrava averla turbata.

Né il venire a sapere tutta la verità, né lo scoprire quanto, in passato, avesse amato platonicamente Erin.

Forse, avrebbe dovuto dirle che quell'amore non c'era più, che era stato sostituito da qualcosa di più forte, di più dirompente... e che lei ne era l'unica causa.

Ma era anche dannatamente presto, non c'era fretta. Avevano una relazione da poco, non c'era bisogno di metterle addosso tutta quell'ansia.

Si impose perciò di non curiosare, di lasciarle i suoi spazi e, quando finalmente la vide uscire assieme a Storm, le rivolse un sorriso radioso e felice.

Lei rispose con uno altrettanto gioioso, ma qualcosa nel suo sguardo gli disse che, quello strano ritardo, non era dipeso dal rifarsi il trucco leggero, o dal cambiarsi la maglietta.

Qualcosa non andava.

Anche Robin parve di quell'avviso, perché la fissò ansioso e preoccupato.

La giovane, però, mandò entrambi al diavolo con una spallucciata, asserendo serafica: “Si vede che voi non ne capite niente, di ciclo mestruale. Fa male, se nessuno ve l'ha detto.”

“Oh” esalarono entrambi, distogliendo pudicamente lo sguardo.

Se c'era una cosa che metteva a tacere gli uomini, erano le mestruazioni, e tutto quello che vi era connesso.

Soddisfatta, Melody si arrampicò sul pick-up dopo aver salutato Storm e, quando anche Autumn fu salito al posto di guida, esclamò: “Si parte!”

“Sei maledettamente eccitata, per una che sta andando incontro a una tempesta coi fiocchi” le fece notare lui, mettendo in moto.

Sulla strada, la jeep di Robin prese vita e, assieme, si avviarono per uscire da Tulsa e dirigersi verso sud, in direzione di McAlester.

Lei sorrise, accese la radio e, piena di vitalità, cantò in coro con una cantante country che Autumn neppure riconobbe, tanto era perso ad ascoltare la voce trillante di Melody.

Il suo nome era davvero adatto; aveva la voce melodiosa di un angelo.

O di una fata.

A quel pensiero, sorrise e, tra sé, disse: “Erin aveva davvero ragione.”

“Come, scusa?” si intromise Mel, smettendo di cantare prima di abbassare il volume della radio.

“Ti ho detto di come Winter l'abbia legata alla bruma coi suoi poteri, no?” la informò lui, trovando quasi ridicolo come, ormai, riuscisse a parlare del fratello senza farsi venire l'orticaria.

Melody aveva fatto davvero un mezzo miracolo, con lui.

“Sì. E trovo la cosa davvero incredibile” assentì lei, tutta sorridente.

“Beh, è venuta a farmi visita, un po' di tempo fa, e mi ha fatto notare alcune cosette... su noi due.”

“Cosa?!”

La sua esplosione furente lo fece scoppiare a ridere e, nell'asciugarsi una lacrima di ilarità, esalò: “Calmati! Non è venuta per rivendicarmi o chissà che cosa, ma l'esatto contrario. Ero preoccupato, perché pensavo di aver sfogato su di te troppi anni di digiuno sessuale, di aver tradito la tua fiducia, o i miei sentimenti per Erin. Insomma, come diresti tu, mi stavo facendo delle seghe mentali.”

“Meno male che te lo dici da solo. A me sarebbe stata bene anche la tua prima ipotesi, sai?” ironizzò lei, ricevendo per diretta conseguenza uno schiaffetto sul ginocchio.

“E piantala, sciocca! Io non sono il tipo che va a letto con chicchessia.  Beh, per lo meno, non da quando lui non ha più il controllo sui miei pensieri, coscienti e non” precisò Autumn, indicandosi le parti basse con un sogghigno dolente.

“E quando è finito il suo predominio?” ridacchiò insolente la ragazza.

“Intorno ai ventisette anni, più o meno” analizzò lui, con fare serafico.

“Oddio, e ricordi pure quando!”

La risata di Melody esplose nell'auto come lo scampanellio allegro di mille pendagli dorati e Autumn, con un sorriso, ringraziò il giorno in cui Robin gli aveva mandato la nipote per quell'assurda tesi di laurea.

Mel lo stava salvando in un sacco di modi ma, soprattutto, gli stava restituendo la gioia di vivere, di condividere pareri e opinioni... e gli stava ridando una famiglia che pensava di aver perso per sempre.

Solo con lei, era riuscito a parlare abbastanza serenamente di Winter ed Erin.

Neppure con le sorelle era mai riuscito a farlo, e di questo gliene era più grato di quanto non riuscisse a dimostrare.

“Comunque...” ansò lei, cercando di riprendersi dal gran ridere. “... cosa ti ha detto, Erin?”

“Di ascoltare il mio cuore, sostanzialmente. E' stata il mio primo amore, e non la dimenticherò mai ma, per l'appunto, è stata.”

Melody si azzittì di colpo, sapendo bene cosa volesse dire con quel tono di voce e, mordendosi il labbro inferiore per l'ansia, mormorò: “Dillo, ti prego.”

Scrutando la strada come se vi fosse nascosto il segreto più importante del mondo, Autumn sussurrò roco: “Ti amo, e non voglio tacere solo perché ci conosciamo da poco, o perché tu sei molto più giovane di me, e forse vuoi fare altre esperienze. Volevo solo che tu lo sapessi. Sono venuto a letto con te perché ti amo, non per altri motivi.”

Melody lasciò che lacrime di gioia scivolassero lungo le sue gote rosse e, con un movimento improvviso quanto pericoloso, si strinse al braccio di Autumn facendolo sbandare.

“Ehi, cavoli, accidenti!” esclamò, ritrovandosi nella corsia opposta con il pick-up.

Sterzando in fretta – e ringraziando la dea per la mancanza di auto in strada – per riportarsi in carreggiata, Autumn fece per rabberciarla, ma le sue lacrime gioiose e il suo sorriso lo portarono ad azzittirsi.

Era semplicemente radiosa, il dolore di quella mattina pareva essere del tutto scomparso.

Nel depositare un bacio sui suoi capelli profumati, mormorò: “Vorrei non ammazzarmi proprio adesso, visto che mi hai restituito gran parte della mia vita.”

Lei strinse gli occhi, sentendosi felice e disperata al tempo stesso.

Accentuando la stretta sul suo braccio, Melody sussurrò emozionata: “Ti amo, ti amo, ti amo, e farò di tutto per rendere bella la tua vita. Per quel che potrò fare, s'intende.”

“Non devi fare nulla, in realtà” rise lui, ignorando gli abbaglianti nervosi di Robin che, evidentemente, non aveva compreso i motivi di quella sbandata improvvisa, e necessitava di spiegazioni.

“Devi solo esserci.”

Quelle tre parole, così semplici, così pure, mandarono quasi in frantumi Melody.

Che guaio aveva mai combinato?

Aveva appena distrutto un uomo che, già in passato, aveva perso la sua unica ragione di vita, rischiando di impazzire e di non poter recuperare più se stesso.

Ecco cos'aveva fatto.

E tutto perché era una maledetta, irrinunciabile egoista.

Un'egoista pazzamente innamorata dell'uomo che sedeva alla sua sinistra, che guidava con un sorriso speranzoso sulle labbra, verso un futuro per loro ignoto, ma che non riservava di certo gioia.




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N.d.A.: E' chiaro che il segreto di Melody farà imbestialire molte di voi, se non tutte, ma credetemi... non sono crudele fino a questo punto. Abbiate fede.... 

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Capitolo 11
*** Capitolo 10 ***


10.
 
 
 
 
Tutto era nero, purulento, febbricitante.

I venti sferzavano le auto, facendole dondolare come gondole sul Canal Grande a Venezia, in Italia.

O almeno, Mel pensava che dondolassero proprio così, visto che non ci era mai stata, pur desiderandolo molto.

Avevano preso in pieno una raffica di grandine, che aveva danneggiato ulteriormente le carrozzerie dei loro malandati mezzi ma, almeno, il radar doppler sembrava funzionare a meraviglia.

Ben nascosto nel cassone del furgone di Nelson, che guidava Jordie, il radar aveva iniziato a riportare, sul computer portatile di Wyatt, una serie di informazioni sulla tempesta in arrivo.

McAlester distava qualche miglio a est e, quasi sicuramente, sarebbe stata centrata in pieno.

Su questo, nessuno di loro aveva dubbi ma, grazie al radar doppler, erano riusciti a tracciare la sua direzione, avvertendo così la cittadina.

Ora, la tempesta si stava spostando furiosa verso nord-est, puntando come un missile teleguidato verso Oklahoma City e, tra Autumn e Robin, i cellulari fumavano.

Era un gran telefonare alle più importanti emittenti televisive, radiofoniche e alle locali centrali meteorologiche, per passare loro i dati riportati dal doppler.

Lucas e Melody, invece, studiavano attentamente l'avanzare del fronte, il suo svilupparsi, accrescersi, gonfiarsi e ruggire sopra le loro teste.

Il tornado avrebbe toccato terra entro breve, stando a quello che il radar stava ricevendo.

E sarebbe stato un vero mostro.

Dovettero spostarsi almeno cinque volte, per evitare il percorso principale della tempesta.

Come loro, altri cacciatori di tornado si mossero lungo le interstatali, per non perdere di vista quello spettacolo.

Il cuore di Melody pompava sangue a tutta velocità, elettrizzato da quell'immane potenza, affascinato da quella forza dirompente e distruttiva.

Nulla, di quanto aveva fin lì sperimentato, surclassava quel momento, e condividerlo con Autumn era splendido.

Sapere quanto lui fosse interconnesso con quelle forze, quanto il suo stesso corpo vibrasse come una cassa di risonanza di fronte a un simile sfoggio di energia, la galvanizzò.

Si avvicinò a lui, avvolgendogli la vita con un braccio, mentre sbraitava al telefono per avvertire un gruppo di cacciatori troppo vicini alla scia della tempesta.

L'uomo le sorrise brevemente senza smettere di urlare e, quando finalmente mise giù, le disse a gran voce: “Allora, come ti sembra la tua prima esperienza sul campo?!”

“Bellissima!” esclamò lei, lanciando un'occhiata verso il cielo ringhiante e scuro.

“Si scatenerà nei prossimi due minuti, in quel punto laggiù, dove c'è quella quercia secolare. La eviterà di pochissimo, ma centrerà in pieno quella fila di tralicci, divellendoli” le spiegò Autumn, indicandole il panorama con aria competente.

Mel gli sorrise, stretta nel suo abbraccio protettivo e caldo, annuendo a ogni sua spiegazione e chiedendosi, al tempo stesso, cosa volesse dire per lui sapere ogni cosa in anticipo.

“Ti turba il fatto di non poter salvare tutti, di conoscere queste cose e non poterle dire apertamente?” gli domandò lei, alla fine della sua spiegazione.

Autumn si limitò ad annuire, senza dire nulla ma, da come la strinse a sé, Melody comprese quanto, quella consapevolezza, lo mettesse a dura prova.

Non doveva essere facile poter governare un simile dono, conoscerne ogni segreto, e non poter intervenire più di quel tanto per salvare le persone.

“Summer pianse per settimane, dopo il terremoto che distrusse la Malesia. Per non parlare di Spring. Non parlò per giorni, e tenne il broncio per un mese buono” ammise lui, continuando a osservare il cielo purulento, mentre il vento li schiaffeggiava implacabile. “E' dura, maledettamente dura, ma non possiamo intervenire per cambiare le sorti di coloro che camminano su questa terra. Possiamo usare i nostri doni in altro modo, ma non per muoverci come dèi tra gli umani ignari.”

“Nessuno ci provò mai?” gli domandò lei, osservando il febbricitante via vai dei loro compagni.

Sembravano ansiosi di veder comparire il tornado, e stavano piazzando telecamere e fotocamere in punti strategici, nel loro piccolo accampamento.

“Ci provarono, ma vennero puniti. Mai ferire nessuno. E' la prima regola che ci viene insegnata. Ci si può difendere, ma non attaccare di proposito. Non possiamo usare la nostra superiorità in battaglia, per così dire, per prevaricare sugli altri. Neppure sui nostri simili.”

Sorrise nel dirglielo e, deponendo sulla sua fronte un bacio amorevole, le prese la mano ed esclamò: “Andiamo ad aiutarli, prima che Robin venga qui da noi e mi spezzi l'osso del collo.”

“Gli passerà” sorrise lei, correndo al suo fianco e sentendosi forte come la tempesta che stava crescendo furente sopra le loro teste.

 
∞∞∞
 
Mai, nella vita, avrebbe pensato di ritrovarsi faccia a faccia con un tornado, eppure, quello che aveva innanzi lo era eccome, e bello grosso.

Sferzava la terra con violenza inaudita, sollevando polvere, rami, sradicando piante, divellendo pali della luce e recinzioni come se fossero stati fuscelli.

Telecamere e fotocamere erano a pieno regime, e il radar doppler stava registrando una marea di dati che i giorni, le settimane seguenti, avrebbero dovuto studiare accuratamente.

Stretta a Autumn, che la teneva contro di sé avvolgendole la vita con le braccia forti, Melody osservò quello spettacolo della natura ignorando le grida eccitate dei suoi compagni.

C'erano solo loro due, e il tornado sul finire dell'orizzonte nero come la notte.

Si gonfiava, si contorceva, divorando tutto quello che c'era intorno, diventando sempre più grande, sempre più spaventoso.

“E' ancora stabile?” chiese Melody, cercando di non tremare. Paura? Eccitazione? Forse ne provava in egual misura ma sapeva che, con Autumn al suo fianco, non avrebbe corso alcun rischio.

“Lo è. Lo sto trattenendo” le sorrise lui, sorprendendola.

“Come? Ma avevi detto che...” esalò la giovane, sconcertata.

“Voglio che tu possa vederlo a lungo, godertelo, apprezzarlo. E' forza bruta, è bellezza, è terrore,... è la Natura che si riprende ciò che le hanno tolto. E' un po' come te.”

“Io sarei un tornado?” rise lei, pur apprezzando il paragone.

“Sei entrata nella mia vita con la stessa forza, la stessa velocità, e mi hai trascinato dentro di te dopo che, per anni e anni, ero stato solo l'ombra di me stesso. Sì, sei come quella tempesta, hai la sua stessa dinamicità, plasticità, eleganza e passione.”

Melody distolse lo sguardo dalle profondità blu mare di Autumn e, nell'osservare l'accrescersi del tornado, mormorò: “Sono come lui.”

“Sì.”

Un attimo dopo, lui le diede un bacio sui capelli e, a gran voce, esclamò: “Sbaracchiamo! Sta virando!”

In un breve battito di ciglia, ci fu un gran fermento e Melody, nell'aiutare a raccogliere le macchine e i treppiedi, sparsi per il campo incolto che avevano scelto per fermarsi, rise deliziata.

Era stata l'esperienza più eccitante di tutta la sua vita.

Quasi come innamorarsi di Autumn. O forse, erano le due facce della stessa medaglia.

In fondo, lui era il Signore delle Tempeste, e lei lo amava più di se stessa.

Caricarono in fretta i mezzi, sempre avvolti dall'euforia generale.

Dopo poco più di un minuto, furono in strada, in fuga da un gigante conico che, stando alla base che aveva sviluppato, doveva essere un F4.

Seguendo Robin, che guidava la fila di mezzi lungo la statale, si ritrovarono ben presto nelle vicinanze di un sottopassaggio pedonale.

In barba a tutto, vi si infilarono per scampare alla traiettoria del tornado, non avendo altre possibilità di ricovero nella zona.

Uno dopo l'altro, i mezzi discesero la breve stradina prima di incunearsi in un cunicolo basso e stretto, a stento sufficiente per contenere gli ingombranti furgoni di Nelson e Wyatt.

A quel punto, scendere dal pick-up sarebbe stato impossibile.

E, da quel che Melody aveva sentito nell’entrare, la cappotta avrebbe dovuto essere sostituita a causa dello sfregamento contro il soffitto di cemento.

Lì, però, il tornado non avrebbe fatto danni, lasciandoli intonsi e senza un graffio.

Abbassando il finestrino, Mel ne ascoltò l'avvicinarsi progressivo, il ringhiare furioso e violento che feriva le orecchie.

Con un sorriso estasiato sul volto, ne percepì tutta la forza distruttiva, tutta la sua energia.

Sorrise ad Autumn, i cui occhi brillavano come stelle incandescenti e, nel prendere la sua mano, la sentì vibrare come in risposta all'arrivo del tornado.

“Lo senti?” gli domandò.

Lui annuì, indicandosi gli occhi e, sorridendo, disse: “Immagino siano piuttosto brillanti, ora come ora.”

“Già. Sembrano fanali” sorrise di rimando lei.

“Parlo con le fate del vento. Sono piuttosto eccitate, al momento, e cavalcano le correnti del tornado come se fossero cavalli imbizzarriti. Sono parecchio dispettose, quando vogliono.”

Melody rise di gusto di fronte a quell'assurdità, ma non pensò neppure per un istante che le stesse mentendo.

Dopotutto, lui era uno stregone, e gli stregoni possono parlare con le fate, no?

“Guarda” le disse lui, allungando una mano verso di lei.

La giovane si volse completamente per guardarlo e, sotto i suoi occhi sgranati, una piccola fatina dalle ali trasparenti e la pelle azzurra si materializzò sul suo palmo.

Era poco più alta di una mano, magra e bellissima, con lunghi capelli bianchi e mossi come le creste del mare tempestoso. Nel vederla, ridacchiò imbarazzata e fece vibrare le ali a una velocità folle. Forse, la stessa del tornado.

Melody esplose in una risatina isterica quanto affascinata e, con gli occhi colmi di lacrime gioiose, esalò: “Posso... posso toccarla? Prenderla in mano?”

Autumn allora si espresse in una lingua che lei non comprese, e che dubitò subito essere gaelico.

Qualcosa sapeva di quell'antica lingua, ma non sembrava ciò che stava uscendo a fiume dalla quella bocca fantastica.

La fatina lo ascoltò assorta e, dopo aver annuito, balzò sui palmi protesi di Melody e si inchinò.

Un sorriso estatico sul viso, e gli occhi illuminati da una gioia mai provata, la giovane la sollevò un poco per meglio osservarla.

Notò subito un'intricata rete di tatuaggi che la ricopriva come una ragnatela, e sospirò per la sorpresa, chiedendosi cosa significassero.

Erano arabeschi infiniti, e parevano muoversi sulla sua pelle come un turbine di vento.

E forse era proprio così, visto che era un’Elementale dell'aria.

Si avvicinò a lei e, spontaneamente, le depositò un bacetto sulla testa, facendo attenzione ad essere delicata.

Quel che successe dopo, però, la sorprese e la preoccupò.

La fatina esplose in una miriade di cristalli argentati e Melody, turbata, esalò: “Oddio! Le ho fatto male? Non volevo!”

Autumn però le sorrise benevolo e, scuotendo il capo, replicò: “Si è emozionata perché è il primo umano a cui si mostra. Ora, a dirla tutta, sta cercando di abbracciarti, anche se le riesce un po' difficoltoso.”

La giovane ridacchiò divertita e lui, con indulgenza, disse: “Syenn-nahl-hrays, Melody ti è grata per la tua gentilezza. Ora puoi andare dalle tue sorelle, e grazie per esserti mostrata.”

“Grazie!” esclamò a sua volta lei, non sapendo bene dove guardare. Ormai era sparita alla sua vista.

“Ti ringrazia per essere stata così gentile con lei e, se sarà nei dintorni, tornerà a trovarti mostrandosi a te. Sa che può farlo, ora, perciò aspettati di vederla comparire quando meno te l'aspetti” le spiegò Autumn, chinandosi per baciarla con gratitudine.

“Non avresti potuto farmi regalo più bello” mormorò lei, cominciando a sentire i primi morsi della stanchezza.

“Ho in mente grandi cose, per noi. Questo è solo l'inizio” le sorrise Autumn, avvolgendola in un abbraccio.

Melody sperò soltanto di non spezzargli definitivamente il cuore e l'anima.

Non riusciva ad allontanarsi da lui. Non voleva, pur se sapeva di doverlo fare.

 
∞∞∞

Depositata sul letto una Melody stanca morta e addormentata, Autumn si assicurò che Storm avesse il necessario per mangiare dopodiché, sereno e rilassato, tornò in salotto da Robin.

“Direi che è stata una giornata memorabile. E, da domani, avremo migliaia di pagine di dati da studiare.”

Sorseggiò soddisfatto la birra che teneva in mano e, con un sorriso, la sollevò subito dopo come a elogio dell'amico.

“Hai trovato un riparo dannatamente buono, oggi. Quell'F4 ci avrebbe spazzati via, altrimenti.”

“Sai che puoi contare sempre sul mio fiuto” ghignò Robin, bevendosi la sua birra con sommo gusto. “Lo hai tenuto bloccato, vero?”

Autumn annuì con naturalezza.

“Voleva vederlo, gustarselo e, per quanto ho potuto, l'ho trattenuto. Sapevo che non avrei fatto alcun danno, perciò mi sono concesso uno strappo alla regola.”

“Le hai regalato una giornata che non potrà mai dimenticare.”

Il tono di Robin lo sorprese, perché fu maledettamente serio perciò Autumn, desiderando mettere a voce con lui ciò che provava, ammise: “L'amo, amico mio. Spero che la cosa non ti turbi, ma le cose stanno così.”

“Il tuo cuore spezzato, allora?”

“Mel ha iniziato a rinsaldarlo già dal primo giorno in cui ha messo piede qui, e ora batte solo per lei” asserì l'uomo, terminando la sua birra. “Voglio fare le cose per bene, con lei, Rob. Non intendo forzare i tempi. Finirà l'università e io la corteggerò come si deve, presentandomi anche ai suoi genitori. Mi sembra giusto, no?”

“Certo” mormorò Robin, vagamente accigliato.

“Sono sicuro di quello che sento perché, dopo Erin, non ho mai provato nulla di simile. Credo addirittura che lo surclassi, anche se mi sembra di fare un torto al mio primo amore, dicendo così.”

“Sei proprio partito, eh?” cercò di ironizzare Rob, sentendosi però morire dentro.

“Già. Ho finalmente trovato chi mi completa” asserì Autumn, sorridendo.

L'amico si alzò dalla poltrona, cozzò la propria bottiglia contro quella del padrone di casa a mo' di brindisi e dopo un ultimo sorso, disse: “Vado a casa a far riposare le ossa. E... buona fortuna a entrambi, allora.”

“Grazie. Sono lieto che approvi, perché ci ho sempre tenuto alla tua opinione.”

“Mel è una brava ragazza, e anche tu.”

Robin non disse altro e, con un mezzo saluto, uscì di casa.

Non c'era nulla che potesse dire, a quel punto.

Sperava solo che l’amico fosse abbastanza forte per sopportare l'altra tempesta che stava per cadere sulle loro teste, dopo quella che avevano combattuto quel giorno.

Rimasto solo, ad Autumn non restò altro che tornarsene in camera per riposare e, con un sorriso, si mise sotto le coperte e strinse a sé Melody.

Fu solo quando la giovane fu certa che lui si fosse addormentato che aprì gli occhi e, spossata come poche altre volte era stata, sgusciò fuori dal letto per recarsi nella sua stanza.

Era crollata stremata, durante il viaggio di ritorno ma, quando si era ritrovata nel letto di Autumn e aveva ascoltato le voci dello zio e dell'uomo che amava, impegnati in salotto, non aveva osato muoversi.

Le si era spezzato il cuore nel sentire tutto ciò che Autumn avrebbe voluto per loro e, per l'ennesima volta, si era data dell'egoista e della persona crudele.

Ma ora non aveva più tempo per crogiolarsi nel rimorso, doveva prendere le medicine o sarebbe crollata.

Raggiunta la sua sacca, estrasse il suo capiente beauty case e tirò fuori un flaconcino arancione, che portò con sé dirigendosi verso la cucina per recuperare un po' d'acqua.

Non fu un'impresa facile.

La stanchezza di quel giorno, combinata ai dolori che avvertiva in tutto il corpo, la costrinsero a rallentare il passo.

Già sul punto di spingere la porta da saloon per entrare in cucina, il fiato le mancò e un'esplosione nel petto le piegò le gambe.

Crollando in ginocchio come se fosse stata spinta a forza a terra, Melody cercò di rimettersi in piedi, ma nulla di quello che fece le fu d'aiuto.

Terrorizzata – sapeva bene cosa stava succedendo – tentò un'altra volta, ma nulla venne in suo soccorso.

Una nuova fitta al petto le strappò un singulto e, con le ultime energie che aveva in corpo, esalò il nome di Autumn prima di svenire.

Quel richiamo labile come il battito d'ali di una farfalla raggiunse l’uomo, svegliandolo dal suo sonno pacifico.

Non trovando Melody al suo fianco, la chiamò debolmente ma, non sentendo la sua voce all'interno della casa, si allarmò subito.

Senza badare a nulla se non a lei, uscì dalla sua camera per catapultarsi nella zona giorno e lì, con occhi sgranati e volto sconvolto, la trovò riversa a terra, svenuta e pallida come un cencio.

Sul pavimento, sparpagliate come tante stelle nel cielo, una serie di pastiglie attirarono subito la sua attenzione e, nel piegarsi in ginocchio accanto a lei, mormorò: “Mel... Mel, che succede? Rispondimi!”

La scosse, la chiamò, ma nulla avvenne e, sempre più spaventato, afferrò il flaconcino vuoto delle pastiglie e ne lesse il contenuto.

Gli occhi si sgranarono fin quasi a spezzarsi e, come in un incubo a occhi aperti, rammentò altre medicine, in un altro tempo, prese da un'altra donna.

“No... no... NO!” esclamò lui, deponendo in fretta Melody sul divano per poi afferrare il telefono.

Dopo aver chiamato il nove-uno-uno per richiedere un'ambulanza, si catapultò in camera per cambiarsi e, con il fiato corto e l'aria sconvolta, preparò lo stretto necessario per Melody.

Dopo aver messo tutto in un piccolo trolley, tornò da lei, che ancora versava in stato di incoscienza e, con il cuore a mille, le carezzò il viso e mormorò roco: “Dio, ti prego, svegliati... svegliati.”

Non seppe mai dire quanto tempo passò dalla sua chiamata all'arrivo dell'ambulanza ma, quando vide entrare i paramedici e la barella, Autumn si ritrovò a osservare tutta la scena con occhi fuori dalle orbite.

Il dottore gli pose alcune domande, mentre i colleghi caricavano Melody sulla barella e lui, con voce atona e piegata dall'ansia, rispose come poté.

Gli mostrò il flacone di medicine che aveva trovato a terra e, quando il medico le vide, aggrottò la fronte.

“Non lo sapeva, immagino” sentenziò l'uomo, mentre Autumn usciva con lui da casa. Storm era nel vialetto, in ansia e uggiolante.

Autumn lo tranquillizzò con un mezzo sorriso e gli disse di rimanere buono a casa dopodiché, con un agile balzo, salì sul retro dell'ambulanza assieme a Melody e ai paramedici.

Le porte vennero chiuse, le sirene spiegate e, a tutta velocità, si diressero verso l'Hillcrest Medical Center.

Senza mai distogliere lo sguardo da Melody, sapientemente controllata dai paramedici, Autumn prese il cellulare e chiamò Robin.

Roco, mormorò: “Mel si è sentita male. La stiamo portando all'ospedale.”

“Che cosa? Che è successo?!”

Lui non rispose, replicando con un'altra domanda.

“Perché prende farmaci antitumorali?”

 
∞∞∞
 
Era debole, come se un TIR le fosse passato sopra, pensando bene di fare retromarcia per assicurarsi di non aver tralasciato nulla, nel suo passaggio cruento.

Aprì a fatica gli occhi e si ritrovò a socchiuderli per la troppa luce, luce che venne subito attenuata mentre una voce, insicura, mormorava: “Mel? Come stai?”

Mosse la testa pesantissima verso la fonte di quella voce e, con un sorriso dolente, si rese conto di trovarsi in una stanza d'ospedale, e che Autumn appariva prossimo a un collasso nervoso.

“Dio, Autumn... scusami...”

Lui le fu subito accanto e, per quanto gli riuscì di essere rassicurante, le disse: “I tuoi genitori e Rob stanno arrivando. I dottori ti hanno stabilizzata e, da quel che so, ti hanno prelevato un bel po' di sangue per le analisi. Sembravano quasi divertirsi, a passarsi tutte quelle fialette.”

Le sorrise, ma lei non pensò neppure per un attimo che lui stesse bene, o che si sentisse tranquillo.

Quegli oceani in tempesta, che la stavano guardando luminosi, erano colmi di paura. Paura che lei per prima aveva scatenato.

Si morse un labbro, dolente come poche altre volte e, senza poterlo evitare, scoppiò a piangere.

“Non volevo ferirti. Dio solo sa che non lo volevo, ma non potevo lasciarti andare, non ce la facevo!”

“Ssst, non ti agitare, Mel. Va tutto bene” replicò lui, tergendole il viso con i pollici.

“No che non va bene. Ci sei già passato, e sai cosa mi succederà! Io ti amo, ma non volevo vederti soffrire a questo modo. Pensavo, credevo che non ti saresti innamorato di me. Quando ho capito di provare questi sentimenti per te, ero felice perché avevo potuto realizzare un desiderio che non avevo neppure voluto mettere nella mia lista e...”

Lui le sorrise, sollevando il foglio stampato che aveva ricavato dalla carta da lettere della Make a Wish Foundation.

A penna, contrariamente agli altri punti scritti a computer, si trovava ciò che li aveva condotti fino a quel punto.

Innamorarsi.

Non lo aveva mai realmente sperato ma, quando aveva iniziato a sentir crescere dentro di sé quel sentimento, piccolo e indifeso, Melody lo aveva protetto e rinvigorito, fino a farlo debordare glorioso.

Ma questo aveva condannato Autumn a un dolore indicibile, un dolore che lo avrebbe spezzato definitivamente.

“L'ho trovata nella tua sacca, mentre cercavo il necessario per portarti qui” le spiegò lui, ripiegandola con attenzione sul comodino. “Erin ne aveva una uguale, se non ricordo male.”

“Autumn...”

L'uomo non la ascoltò e, con un sorriso triste, aggiunse: “Chiese di poter salire sulla Batmobile e fare un giro per Los Angeles. Sai, la prima, quella di Michael Keaton.”

“Autumn” lo chiamò nuovamente Melody, con maggiore forza.

Lui le scostò una ciocca di bianchi capelli e le domandò: “Non sono tinti, vero?”

“No. L’ultimo ciclo di chemio me li fece cadere, e ricrebbero così” scrollò debolmente le spalle lei, spiacente.

“Sono comunque bellissimi e, su di te, stanno molto bene.” Lo disse con sguardo perso, come se non fosse veramente lì, come se la sua mente stesse galoppando veloce verso un luogo senza nome.

“Dio, Autumn…”

Lui si riscosse, come strappato a un incubo lontano e, vagamente perso, mormorò: “Cosa c'è?”

“Potrai mai perdonarmi per averti trascinato in quest'inferno?” gli chiese lei, cercando di non ricominciare a piangere.

Autumn allora le sorrise e, nel depositarle un caldo bacio sulle labbra, asserì: “Tu non morirai, Mel. Io so come fare. Tu non morirai.

Quel tono mise in allarme la giovane che, turbata, esalò: “Cosa vuoi fare?! Parlami, Autumn!”

L'uomo si limitò a guardarla con amore e, avviandosi verso la porta della stanza, le disse: “I tuoi genitori stanno arrivando. Ora, devo fare una telefonata.”

Guardando rabbiosa le macchine a cui era collegata, e che le impedivano di uscire da letto per bloccarlo, Melody ringhiò: “Non fare stronzate, Autumn. Torna qui!”

“Non temere, tornerò presto, te lo prometto” mormorò lui, uscendo un attimo dopo.

Nel corridoio, vide Robin e una coppia di mezza età dall'aria ansiosa e spaventata, sicuramente i genitori di Melody.

Quando Rob lo vide accelerò il passo e, raggiuntolo, esalò: “E' qui? Sta bene?”

“E' sveglia e stabile. Le stanno facendo un sacco di analisi, per quel che ne so” gli spiegò lui, prima di sorridere alla coppia in ansia.

L'uomo, muovendosi per primo, allungò una mano nella sua direzione e disse grato: “Le sono riconoscente per aver prestato i primi soccorsi a mia figlia. Sapere che non era da sola, mi ha rincuorato non poco.”

“Non c'è alcun debito, Mr Snow. Vorrei solo aver potuto fare qualcosa di più” replicò il giovane, scuotendo il capo.

“Temo che, nel caso specifico, lei potesse fare ben poco” sospirò la madre, melanconica.

“La lascio a voi. Io mi assento per qualche minuto” disse loro Autumn, prendendo la via del corridoio per portarsi in un luogo dove poter telefonare più agevolmente.

Robin lo fissò turbato, ma lui preferì non dirgli nulla. Era una cosa che non poteva certo spiegargli, e che doveva risolvere da solo.

Il punto, era mettere in pratica il suo piano.

Non appena si trovò nell'anticamera del reparto, in quel momento deserta e silenziosa, estrasse il cellulare dalla tasca.

Turbato, lo fissò per diversi minuti senza sapere che fare.

Erano le cinque del mattino, lì a Tulsa, mentre a Washington erano già le sei. Non un orario idilliaco, ma non poteva aspettare.

Preso un gran respiro, pigiò il numero breve per chiamare a casa di Winter.

Negli anni, lo aveva usato solo per sentire Malcolm, forte del suo potere che lo aveva aiutato ogni volta a conoscere gli spostamenti del gemello.

Abitare in una città con così tanti normali, era una fregatura, per i Guardiani, ma per lui era stato un vantaggio, perché aveva reso Win più luminoso di una stella, al suo sguardo.

Ora, però, era necessario parlare con lui, con Winter, con il suo fratellone.

Il solo pensiero lo portò quasi a piegarsi in due per il dolore, mentre ricordi di una vita passata assieme gli implodevano nel cervello.

Abbracci, risate, piccoli tafferugli, pacche sulle spalle, tutto tornò ad assillarlo, sgusciando fuori con violenza da dove lui li aveva rinchiusi.

Uno dopo l'altro, i ricordi tornarono, gli urlarono nella testa finché la voce di Winter, insonnolita e curiosa, domandò: “Chi è?”

Quella domanda non lo sorprese. Lui non conosceva il suo numero di cellulare.

Sorrise mesto di fronte a quella consapevolezza e, con tutto il coraggio che gli riuscì di trovare, mormorò: “Sono Autumn.”

Il silenzio all'altro capo si protrasse per un tempo indefinito e, a un certo punto, temette che il fratello volesse sbattergli il telefono in faccia.

Era un suo diritto, visti gli insulti – che ora sapeva essere stati ingiusti quanto ingiustificati – che gli aveva tributato cinque anni addietro.

Alla fine, però, gli sentì dire: “Malcolm è a letto. Se vuoi parlare con lui devi...”

“Volevo...” Inghiottì a fatica e aggiunse: “... parlare con te.”

Ancora silenzio.

Di certo, Winter doveva avere un punto di domanda grosso quanto il Nebraska stampato in faccia, in quel momento.

Il solo pensiero lo fece sorridere, nonostante tutto, e lo portò ad aggiungere: “Mi sta venendo una paresi al braccio, Win, a forza di aspettare che tu dica qualcosa.”

Quel nomignolo sbloccò il gemello che, torvo, replicò seccato: “Senti un po', Autumn. Mi chiami alle sei del mattino, dopo cinque anni di silenzio, e pretendi che sia pure brillante nelle risposte?!”

“Giusto. Vero. Scusa.”

Lo sentì prendere un gran respiro, rispondere sommessamente a una donna – Kimberly, comprese subito dopo – e infine dire: “Dimmi, forza.”

“Ho bisogno del tuo aiuto... dell'aiuto di tutti voi” ammise senza remore, con un tono di voce che racchiuse senza problemi tutto il suo bisogno e le sue speranze.

“Ho bisogno di un drink” lo sentì replicare per tutta risposta.

“Alle sei del mattino?” sbottò Autumn, vagamente confuso e sorpreso.

“O questo, o un fucile da puntarti alla testa. Scegli tu” ribatté Winter, serafico quanto glaciale.

“Vada per il drink” assentì subito il gemello, appoggiandosi al muro dietro di lui.

Forse non gli avrebbe sbattuto il telefono in faccia, alla fine dell'opera.

Lui l'avrebbe fatto, lo sapeva bene, ma Winter... beh, era Winter.

E lui contava proprio sulla profonda lealtà del gemello.

Lo sentì aprire un mobile, udì il tintinnare dei bicchieri e lo sciabordio leggero di un liquido.

Dopo alcuni attimi, Win mormorò: “Aaah, whisky irlandese, bevuto alle sei del mattino e a stomaco vuoto. Tra mezz'ora sarò ubriaco.”

“Devo richiamarti tra mezz'ora, allora?”

“No, idiota. Prendimi ora che sono sobrio e incazzato, te lo meriti.”

“Okay. Vero anche questo.”

“Allora, cosa ti porta a ricordarti, di colpo, che hai anche un fratello, oltre che a due sorelle e due nipoti? Non parlo della zia perché, da quel che so, neppure lei compare nella tua lista dei like.”

Il tono caustico, e vagamente ironico, di Winter lo fece sogghignare.

Somigliava a una delle loro vecchie discussioni, avvenute prima di... beh, prima di Erin.

“Spring o Summy ti hanno parlato di Melody?”

“La stagista che sta da te. Sì, me l'hanno accennato. Vuole ucciderti? Le posso dare una mano più che volentieri” ironizzò il gemello, ridacchiando perfidamente.

Autumn notò subito il suo tono divertito, a dispetto della minaccia gettatagli in faccia senza remora alcuna, e ne fu lieto.

Dopotutto, Winter non lo odiava, anche se era giustamente incazzato con lui.

“E' malata, Win. Sta morendo. E' come con Erin” ammise dopo alcuni istanti, tornando alla cruda realtà dei fatti.

Win inspirò con forza, emettendo un'imprecazione prima di dire torvo: “Sai che non possiamo ingannare la Morte, altrimenti l'avrei fatto io a suo tempo.”

“Non verrà ingannata, Win. Riceverà ugualmente un pegno. Ma non sarà Melody a soccombere” replicò Autumn, sorridendo sereno nella calma di quel luogo appartato.

Dirlo a voce alta glielo fece sembrare più reale e, per la prima volta da molte ore, si sentì meglio. Melody sarebbe sopravvissuta, e avrebbe avuto una vita piena e felice.

Senza di lui, ma avrebbe vissuto bene anche così.

“Cristo!”

Win imprecò nuovamente, parecchie volte, a dir la verità.

Si levò dalla poltrona in cui era crollato in preda alla confusione e, turbato, esalò: “Non combinare cazzate, okay?”

“Mi spiace, Winter. Per tutto, per te, per Erin, per non aver capito.”

“Autumn, smettila. Non me ne frega un cazzo di quel che è successo. Ci metto una pietra sopra anche adesso, ma tu non fare cazzate” esclamò lesto il gemello.

“Ero innamorato di Erin, per questo non capivo cosa vi legasse, come tu potessi renderla felice. Ora so, e capisco.”

“Maledizione, Autumn... perché non me lo dicesti mai? Avrei capito!” sbottò Win, perdendo la pazienza. “Per cinque anni, anche di più a dir la verità, non ho mai compreso cosa ti avesse allontanato da me, da noi, e ora scopro che era per questo? Ma pensavi che ti avrei criticato, odiato? Sono tuo fratello, per Dio!”

“Winter...”

“No, fammi finire, razza di imbecille che non sei altro!” ringhiò il gemello, ormai oltre la soglia della sopportazione. “Ti avrei ascoltato, ne avremmo pianto e riso assieme e, se Erin fosse stata innamorata di te, avrei fatto il diavolo a quattro per permettervi di stare insieme, cosa credi? Avrei fatto tutto il possibile per rendere felici entrambi!”

“Lo so... ora lo so.”

Winter sospirò, tornò a sedersi stancamente e mormorò: “Sapevi che Erin era innamorata di un altro, quando ci sposammo?”

“Me l’ha detto, sì” ammise Autumn.

“Io e lei eravamo nella stessa situazione. Impossibilitati ad amare chi volevamo. Come vedi, abbiamo molte più cose in comune di quante tu non credi” lo mise al corrente Win, sospirando nuovamente. “La ami? Questa Melody, intendo.”

“Sì” assentì lui, senza aggiungere altro.

“Prenoto un volo. Ma tu, non fare cazzate finché io e gli altri non siamo arrivati” lo mise in guardia Winter, minaccioso.

Autumn sorrise nonostante tutto.

“Anche volendo, devo aspettarvi.”

“Meglio. Perché sennò ti riporterei in vita con ogni mezzo, e solo per ammazzarti con le mie stesse mani” ringhiò Winter, torvo.

“Grazie.”

“Sei mio fratello, deficiente. Sei tu che te lo sei dimenticato, non io.”

Ciò detto, gli sbatté il telefono in faccia e Autumn, spegnendo il cellulare, sospirò e si lasciò andare a un pianto silenzioso quanto liberatorio.




 

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Capitolo 12
*** Capitolo 11 ***


 
11.
 
 
 
 
 
Robin, a volte, era un vero stronzo.

Se non fosse stato per lui, non sarebbe mai andato a casa.

Se non fosse stato per lui, non sarebbe mai uscito dalla stanza di Melody.

Se non fosse stato per lui... non avrebbe avuto tempo per piangere un po' per conto suo.

Gli rodeva ammetterlo, ma aveva avuto bisogno di quel momento di pausa, dopo tante ore di panico assoluto.

Vederla svenuta su quello stesso pavimento, che ora osservava come se fosse costellato di zanne acuminate, lo aveva quasi ucciso.

La corsa in ospedale non era stata meglio.

L'aveva osservata inerme, mentre la portavano in una delle salette dell'emergenza al pronto soccorso e, quando il medico se n'era uscito con quella frase orrenda, il suo mondo era semplicemente imploso.

Aveva una recidiva.

Il male oscuro che pensavano di aver debellato con chemioterapia e medicinali, era tornato sotto forma di leucemia, almeno stando ai primi controlli del sangue.

Se la vista dei medicinali antitumorali lo aveva insospettito – anche Erin li aveva presi, a suo tempo – quella conferma lo aveva quasi mandato al tappeto.

Leucemia. Come Erin.

Si passò una mano tra i capelli ispidi, ormai dritti come erba secca – non ricordava nemmeno più quante volte vi aveva infilato le dita – e Storm uggiolò preoccupato al suo fianco.

Era seduto al buio, chiuso nella sua casa bunker, senza lasciar penetrare la minima stilla di sole.

Non desiderava la luce calda del loro astro rosso e possente, ma solo poter sprofondare nel vuoto del dolore che lo stava già divorando.

Ben presto avrebbe raggiunto gli organi vitali, e di lui non sarebbe più stato recuperabile nulla.

A parte una cosa, piccola ma importantissima.

Ed era quella l'unica particella di sé che voleva donare a Melody, perché potesse vivere.

Diversamente, perderla lo avrebbe ucciso. Stavolta, non sarebbe sopravvissuto.

Perché gli piacesse ammetterlo o meno, quello che provava per Melody andava ben oltre l'amore platonico che, per tanti anni, l'aveva tenuto imbrigliato al ricordo di Erin.

E perderla avrebbe significato perdere il senno, se stesso, ogni cosa.

E un Guardiano dell'Aria non poteva permetterselo.

Il trillo del campanello lo sorprese, facendolo sobbalzare e Storm, ringhiando all'indirizzo della porta, si mise in posizione di attesa prima di uggiolare, sorpreso e confuso.

Autumn sorrise a mezzo – aveva riconosciuto  subito le persone all'esterno della casa – e, nel levarsi in piedi, mormorò: “Non sbranare nessuno, Storm. E' la mia famiglia.”

Il lupo lo seguì alla porta e, quando lui aprì il battente, si ritrovò a fissare uno squadrone in piena regola.

Summer era splendente nel suo completo jeans e camiciola, e se ne stava ritta e fiera accanto a John, che le avvolgeva protettivo la vita.

Spring teneva in braccio Sunshine e Max, attento e paterno, non aveva occhi che per loro.

Ma fu Winter ad attirare la sua attenzione.

Erano cinque anni che non lo vedeva, ma non era stato il passaggio del tempo ad averlo mutato, quanto la donna che gli stava ora al fianco.

Gli occhi smunti e distrutti dal dolore erano scomparsi, sostituiti dall'antico bagliore, carico di sagacia e gentilezza.

Le rughe di ansietà erano sparite, sostituite da una serenità nuova e più forte di quanto non gli avesse mai visto in volto.

Ma era la sicurezza con cui teneva la mano di Kimberly, a denotare il profondo cambiamento del gemello.

Mai, in tutta la sua vita, lo aveva visto così completo.

Malcolm teneva fiducioso la sua manina in quella libera di Kim, sereno e sicuro di sé nonostante la situazione un po' strana, e quel semplice tenersi per mano gli fece capire molte cose.

Non solo Kimmy teneva al bambino, ma quell'affetto era reciproco.

Lei non era un'intrusa, era esattamente dove doveva essere.

Era stato solo lui ad aver travisato tutto per anni e anni.

Suo nipote fece per muoversi verso di lui, ma Kimberly lo trattenne, scuotendo il capo prima di sorridergli comprensiva.

Sapeva bene perché lo aveva trattenuto.

Winter aveva la precedenza, per una volta.

Il gemello, il primogenito, il capo della famiglia si scostò dalla sua compagna per avvicinarsi a lui e Autumn, non sapendo bene che fare, si limitò ad attenderlo.

Storm parve comprendere e si accucciò semplicemente a terra, osservando con il dubbio negli occhi l'avvicinarsi dell'alto uomo bruno e dallo sguardo volitivo.

Si incontrarono sulla soglia di casa, entrambi imponenti e fieri, entrambi portatori di un potere distruttivo e benevolo al tempo stesso.

Come se quei cinque anni non fossero mai passati, Win lo attirò a sé per abbracciarlo.

Strinse forte, quasi frantumandogli le ossa, ma Autumn lo lasciò fare e replicò alla stretta.

Poggiò il capo contro la sua spalla – era sempre stato così alto, suo fratello? – e tremò, i ricordi a inondargli il cervello e le dure parole che aveva rivolto a Winter a conficcarsi nel suo cuore.

Nessuno parlò, né loro né le sorelle.

Win afferrò il fratello alla nuca, schiacciando il suo capo contro la spalla, come se non fosse abbastanza vicino, abbastanza stretto a lui.

Quando però quel contatto divenne troppo, in una miriade di modi diversi, Autumn si scostò, si deterse il viso con una mano e, fissando gli occhi di Winter, esalò: “Dio, quanto sono simili!”

Lui levò un sopracciglio, chiaramente incuriosito e dubbioso e il gemello, con un mezzo sorriso, mormorò: “Hai gli occhi uguali a quelli di Melody.”

“Già questo depone a suo favore” ghignò Win in risposta.

E la tensione che fin lì era crepitata attorno a loro, come corrente elettrica a basso voltaggio, scemò, scomparve similmente a una nuvola di fumo.

Summer e Spring corsero da Autumn per abbracciarlo e, con maggiore calma, Kim, Max, Malcolm e John raggiunsero il gruppo sulla porta.

Winter allora lasciò alle sorelle il compito di spupazzarsi il gemello e, piegatosi su un ginocchio, l'uomo accarezzò il capo del lupo, mormorando: “Immagino tu abbia fatto buona guardia al tuo cucciolo.”

Storm abbaiò fiero, ma Autumn replicò torvo: “Non sono il suo cucciolo. Semmai è il contrario!”

Il gemello lo fissò scettico.

“Fratellino, non sei un buon lettore di sguardi. Questo lupo ti è fedele come pochi, e si batterebbe per salvarti perché ti ha preso sotto la sua ala. Non importa quanto lui sia più giovane di te. Sei il suo cucciolo.”

“Papà ha ragione” assentì Malcolm, aggrappandosi alla vita di Autumn con un sorrisone che quasi toccava le orecchie. “Storm ti vuole proteggere.”

“Te l'ha detto lui come si chiama?” gli chiese lo zio, più che orgoglioso del nipote.

Mal annuì tronfio e, tutto felice, aggiunse: “Riesco a sentire sempre più cose, e papà dice che Mæb non potrà rifiutarsi di vedermi, visto quanto sono già potente. E poi, papà dice che posso già cominciare a fare pratica con lui, se voglio.”

Autumn sorrise a mezzo al gemello, che stava osservando il figlio con fiero orgoglio, e disse: “Ti ha sempre in bocca. Lo hai soggiogato, o che?”

“Non è idiota come te. Lui sa riconoscere le persone valide” celiò Winter, scrollando le spalle.

Il fratello storse la bocca e, accompagnato dalle risate di tutti, brontolò: “Quante volte ancora mi darai dell'idiota?”

“Ho cinque anni da recuperare. Fai un po' tu” si limitò a dire Win, serafico.

 
∞∞∞
 
Camminando nervosamente nel salotto del fratello, l'aria di chi avrebbe voluto uccidere qualcuno con sommo gusto, Winter esplose urlando: “Sapevo che eri un idiota, ma qui si travalica! Sei pazzo, da rinchiudere in manicomio seduta stante!”

“Tu hai legato Erin al tuo Elemento, facendola diventare una fata della bruma. Ottima pensata, ma io mi propongo di fare qualcosa di meglio” replicò pacificò Autumn, intrecciando le braccia sul petto.

“Di meglio?!” gridò il gemello, facendo rattrappire tutti i presenti.

Max, presagendo guai, era uscito con Sunshine e Malcolm nel cortile, e insieme stavano giocando con Storm.

Mai idea fu migliore di quella, vista la sfuriata che Winter stava propinando al gemello.

“Pensi che dare la tua vita in cambio di quella di Melody, sia meglio!?”

“Si salverebbe! Potrebbe vivere!” ringhiò Autumn, levandosi dalla poltrona per affrontare meglio il fratello.

Win lo prese per le spalle, scrollandolo con violenza, e gli sputò in faccia rabbioso: “Non capisci un cazzo, se la pensi così! Credi davvero che lei potrebbe vivere serena, se sapesse che ha ottenuto questa dilazione di condanna grazie alla tua morte?!”

“Dilazione?” esalò Autumn, ora confuso, sbarrando gli occhi color dell’oceano in tempesta.

Win si passò una mano tra i capelli, sconcertato e rabbioso al tempo stesso e, fissando il gemello con occhi che sprizzavano scintille, sibilò: “Arianrhod non fa scambi, neppure di questo genere. Non ama essere ingannata, e questo sarebbe un inganno bello e buono. La dea non ha la forbice in mano per te, ma per lei. Che decida di tagliare la corda della sua vita non dipende da te, ma da forze che noi non controlliamo! Pensi che non mi sarei sacrificato, a suo tempo, per dare questa possibilità a Erin?! Ci avevo già pensato, fratellino, arrivi tardi, ma Mæb mi disse di non farlo, che non avrei ottenuto nulla. Erin sarebbe stata presa in un altro modo, ma non sarebbe comunque sopravvissuta. Le regole sono queste, Autumn, e vanno rispettate. Io potei legare solo il suo spirito, di più non mi fu possibile.”

Lui scosse il capo, incredulo e furioso, e si aggrappò al gemello come se non avesse più forze.

Winter lo sostenne come poté ma le gambe di Autumn cedettero di schianto e, assieme, si ritrovarono a crollare in ginocchio sul parquet.

Il capo reclinato contro il torace del fratello, Autumn singhiozzò roco: “Non posso lasciarla andare così... non posso... non senza tentare qualcosa…”

“Legarla al tuo Elemento non sarebbe sufficiente, per te, vero?” asserì Winter, già conoscendo la risposta.

Il gemello scosse il capo, replicando: “Mi ucciderebbe, saperla una semplice emanazione del mio potere.”

“Vuoi una vita con lei, amarla, darle tutto di te” mormorò Win, carezzandogli il capo con comprensione e affetto.

Autumn si limitò ad annuire e Kim, presa l'iniziativa, si andò ad accucciare accanto a loro.

Rivoltasi al gemello ribelle, disse sommessamente: “Andiamo a parlare con Melody. Visto che lei è la diretta interessata, mi sembra giusto che sappia ogni cosa.”

“Kim...” mormorò Autumn, levando il capo per affondare in quegli occhi verdi come le giade più pure.

Lei gli sorrise e, datogli un bacio sulla guancia, aggiunse: “Siamo una famiglia, e si combatte assieme. Melody fa parte di tutto ciò, ed è giusto che venga tirata in mezzo.”

“Finalmente una che non urla e basta, ma usa il cervello” sbottò Summer, levandosi in piedi con grinta.

“Potevi parlare, se eri stanca di sentirli urlare” le fece notare John, imitandola.

“Io li avrei malmenati, lo sai. Non sono una pacifista” celiò la compagna, scrollando le spalle.

“Meno male che lo ammette” sentenziò Spring, levandosi in piedi a sua volta. “Coraggio, andiamo.”

 
∞∞∞

Gli occhi di Melody erano davvero in tutto simili a quelli di Winter.

E, come quelli dell'uomo avevano sprizzato fuoco, di fronte alla folle idea del fratello, così arsero quelli di lei non appena venne messa al corrente di tutto.

Nonostante fosse attaccata alla flebo della fisiologica, e i suoi parametri controllati da un ECG, esplose furiosa, balzando a sedere sul letto e facendo barcollare ogni cosa attorno a sé.

“Sei un emerito imbecille!” ringhiò la giovane, furente come una leonessa in caccia.

Winter lanciò un'occhiata divertita al gemello, una orgogliosa quanto incuriosita alla giovane e, alla fine, celiò: “La amo già.”

La presentazione di tutta la famiglia Hamilton aveva un po' sorpreso Melody e, quando era infine giunta a stringere la mano a Winter, lei aveva sbirciato timorosa il viso di Autumn.

Quando vi aveva scorto solo sicurezza e fiducia, però, si era tranquillizzata, e aveva ironizzato circa la mancanza di lividi sulla faccia del suo ragazzo.

Questo aveva fatto sorridere tutti, e Win le aveva promesso che avrebbe rimediato a tempo debito, una volta risolto tutto.

Passati i convenevoli, Autumn le aveva poi spiegato ogni cosa e, come prevedibile – almeno per tutti, tranne per colui che aveva ideato il piano – Melody era sbottata come una pentola a pressione.

“Tesoro, calmati, così non ti aiuti di certo e...” iniziò col dire Autumn, levando le mani per chetarla.

“Non chiamarmi ‘tesoro’ come se fossi una derelitta! Sarò anche sotto farmaci, ma posso spaccarti la faccia senza problemi! E lo farò, se non rinunci a questa follia!” ringhiò lei, minacciandolo con un dito puntato contro di lui.

“E' l'unico modo per salvarti” protestò il Guardiano, accigliandosi.

“Non mi sembra, almeno stando a quello che dice Winter” precisò la giovane, indicando il maggiore dei gemelli con aria inquisitoria, neanche fosse stata in tribunale.

Win le diede immediatamente il suo sostegno, poggiandole confortante una mano sulla spalla.

Lei allora gli sorrise grata, complice, e Autumn rabbrividì impercettibilmente a quella vista.

Winter ricambiò sguardo e sorriso e, poggiando i suoi occhi di ghiaccio bollente sul fratello, chiosò: “Mi sembra che Melody abbia dichiarato apertamente come la pensa.”

“Non farete comunella subito, spero? Vi conoscete solo da dieci minuti!” esalò sconvolto Autumn, fissandoli bieco in quegli occhi così simili, così maledettamente simili.

Kimmy ridacchiò e, nel dare di gomito al quasi cognato, celiò: “Non vedi che ragionano allo stesso modo?”

“Mi sono innamorato di una copia al femminile di mio fratello?” gracchiò a quel punto Autumn, crollando a sedere su una sedia, stravolto. “Potrei vomitare.”

“Ehi!” sbottarono all'unisono Winter e Melody, con identiche espressioni facciali, dando ulteriore prova delle loro inaspettate similitudini.

“Possibile che non ti fossi accorto di questo particolare? Eppure, pur conoscendola da pochissimo, a me sembra palese. Melody è come il vecchio Win” gli fece notare Kimberly, sorridendo a entrambi gli interpellati.

Sì, l’aveva notato, ma…

“Il nuovo Win com'è, scusa?” si informò allora Mel, rivolgendosi al maggiore tra i gemelli Hamilton.

“Un po' più burbero, ma si sta riprendendo una buona fetta del passato perso a compiangersi” le spiegò Winter, sorridendole gentilmente.

“Oh, posso essere burbera anch'io, se voglio, e in questo momento voglio eccome” ringhiò Melody prima di scivolare contro i cuscini, prostrata dalla stanchezza.

Autumn allora balzò subito in piedi e, terrorizzato, le disse con veemenza: “Vedi? Devi calmarti!”

“E tu devi piantarla di fare il cavaliere con l'armatura scintillante. Te l'ho già detto, io non ne ho bisogno” mormorò lei, in affanno.

“Non voglio legarti alle fate dell'aria, nel caso in cui tu...”

Si interruppe, non avendo la forza di proseguire nel suo dire, ma Melody terminò per lui.

“Se dovessi morire? Autumn, dillo. E' una possibilità, così come quella che trovino un donatore compatibile per il midollo. Io non ho rinunciato a battermi ma, a quanto pare, tu l'hai già fatto. Perché?”

Fu Winter a rispondere per lui.

“Con Erin, non trovammo un donatore compatibile, e così lei non poté essere salvata. Penso tema questo.”

“Oh... quindi...tu sai?”

Win annuì, lanciando un'occhiata struggente al fratello, che stava osservando turbato la mano intrecciata a quella dell'amata.

“Autumn.”

Lui levò immediatamente il viso a scrutare quello pallido di Melody e la giovane, tenace, dichiarò: “Non pensare minimamente di legarmi al tuo elemento. Non lo sopporterei neppure io. Se va male, va male. Avrei preferito non metterti sulle spalle un simile peso, ma è andata. Ti amo, e non ho intenzione di cambiare i miei sentimenti per te.”

“Neppure io, ma...”

“Niente ma. Succede tutti i giorni che una persona perda un proprio caro, indipendentemente che questa persona abbia o meno il potere che voi tutti possedete. Va accettato come un dato di fatto, niente di più.”

Autumn sospirò, e Kimmy strinse la mano sulla sua spalla a mo' di conforto.

Summer allora intervenne e disse: “Melody ha ragione, Autumn, su tutta la linea. Lei sta ancora combattendo, ha fiducia nel sistema e nei dottori. Non puoi cedere proprio ora. Noi resteremo al tuo fianco, al vostro fianco, ma tu non devi crollare.”

“Siamo qui per voi, Autumn. Non sei solo” aggiunse Spring, avvolgendo la vita del fratello con un braccio.

“Melody non ha ombre dietro di sé, Autumn. E' un buon segno” mormorò John, sorridendogli benevolo.

“Dovrei solo pazientare, e sperare?” gracchiò l’uomo, addossandosi alla sorella e a Kim.

“Devi credere” dichiarò con forza Winter, la mano ancora poggiata sulla spalla di Melody. “Lei crede. Tu devi solo fare come Melody.”

Il trillo improvviso del telefono di Kimberly li sorprese tutti e, in fretta, la donna afferrò il telefonino, scusandosi con la famiglia prima di uscire dalla stanza in tutta fretta.

Dopo averla seguita con lo sguardo nella sua uscita, Autumn si andò ad accomodare sul bordo del letto di Melody.
 Le sfiorò la fronte con un bacio e disse: “Devo solo credere, quindi.”

“E non lasciarmi da sola. Ho un po' paura, a stare qui.”

“Dovranno portarmi fuori di peso, questo è poco ma sicuro” dichiarò allora Autumn, sorridendole.

Il rientro silenzioso di Kimmy nella stanza, portò l’intera famiglia a volgere lo sguardo nella sua direzione.

Il suo pallore, però, li mise subito in allarme, facendo sorgere sul volto di ciascuno di loro un’ombra di preoccupazione.

Subito, Winter le fu accanto, e turbato le domandò: “Cosa succede? I tuoi non stanno bene?”

“No, no, non è questo. E'...” tentennò lei, facendosi aria con una mano prima di cercare una sedia su cui crollare.

Fattala accomodare, Win le carezzò il capo di riccioli castano-ramati e attese che lei riuscisse a riprendere fiato. Nessuno parlò.

Quando il suo cuore riuscì a ritrovare un ritmo decente, dopo quell’improvviso sfarfallare seguito alla telefonata ricevuta, Kim riuscì a levare il capo per guardarli.

Fissando poi i suoi chiari occhi su Melody e Autumn, esalò con voce tremante: “Sono il potenziale donatore. Sono il potenziale donatore.”

Si fece nuovamente aria con la mano, non sapendo se essere terrorizzata o eccitata, e aggiunse: “Quando ho detto loro dove mi trovavo, mi hanno riferito che il ricevente si trovava qui, per cui… beh…oh, cavoli! Sono io!”

Vi fu il tempo per un solo, brevissimo, attimo di esultanza.

L’istante successivo, infatti, come già in precedenza era avvenuto, i poteri degli Elementi ebbero un picco e, per diretta conseguenza, i gemelli tracollarono.

Nello stupore generale, Winter crollò in ginocchio tenendosi la testa, Spring svenne tra le braccia di Summer, che scivolò priva di forza contro il muro, e Autumn ringhiò furioso prima di addossarsi a Melody.

John fu lesto a piegarsi sulla compagna e, grazie al suo loa, stese una rete protettiva che attutì gli effetti del contraccolpo, permettendo ai gemelli di riprendere a respirare normalmente.

Kimberly, ancora parecchio pallida, carezzò turbata la guancia del compagno ed esalò: “E' successo di nuovo?”

“Già. Autumn, la zia dice nulla?” ansò l'uomo, fissando turbato il fratello, che a stento si stava raddrizzando.

Il viso aggrottato, Autumn lanciò un'occhiata a John e gli domandò: “Riesci a tenerlo così ancora per un po'? Mi faciliterebbe la scansione.”

“Tutto il tempo che vuoi” assentì John, lanciando un'occhiata grata al suo loa, che lo omaggiò con un inchino.

Annuendo all'alto afroamericano, il Guardiano dell’Aria si mise allora a scandagliare l'etere in cerca della presenza della zia ma, come era avvenuto per la nonna, neppure lei rientrò nel suo schermo radar.

Era come sparita nel nulla.

“Cristo!” ringhiò furioso. “Niente da fare. Deve essere all'interno del castello che, in qualche modo, è diventato come una Gabbia di Faraday contro i miei poteri.”

“Sono stanca di crollare come una pera cotta. Nonna Shaina me la pagherà cara. Non si cerca di succhiarmi via il potere a questo modo!” sbottò Summer, tenendo ancora stretta a sé Spring, che appariva smunta e stanca.

“Come?!” esalò Winter, fissandola confuso.

“Oh... giusto. Voi non ve ne potete accorgere, perché i vostri poteri non hanno questa peculiarità. Avvertite solo un calo di tensione, per così dire, ma non ne capite il motivo.”

“Spiegati meglio, Summ” brontolò Autumn, passandosi una mano tra i capelli.

“Io assorbo, Autumn. Qualsiasi tipo di emozione,... o potere. E' così che funziona, con i Dominatori del Fuoco. Per questo, abbiamo bisogno di un Fulcro, contrariamente a voi. Per tenere a bada il nostro lato di vampirastri.”

Nel dirlo, sorrise a John, che ghignò in risposta.

“Avresti dovuto capire cosa mi passava per la testa, allora, negli anni scorsi…” replicò il gemello, aggrottando la fronte.

Summ sbuffò, scuotendo il capo.

“Percepivo solo la tua rabbia, il tuo rancore, ma non ne capivo i motivi. Non sono come Malcolm. Non arrivo a leggere l’anima, solo le sensazioni.”

Autumn annuì, ma ugualmente non comprese appieno i motivi di quello scompenso.

“A ogni modo, non dovrebbe avvenire il contrario? Sì, insomma, per natura, noi dovremmo assorbire i poteri dei vecchi Guardiani” borbottò confuso, scrutando i volti di fratello e sorelle.

Scuotendo il capo, Summer replicò torva: “I Dominatori del Fuoco possono rafforzare questo genere di prelievo, contrariamente agli altri. Solo che, solitamente, dovrebbe poter avvenire solo con i membri di uno stesso Elemento. Non sapevo che tutti i Guardiani potessero farlo forzatamente, e contemporaneamente, con le proprie controparti, e soprattutto al contrario.”

“Che diavoleria si è inventata, quella donna?” brontolò Autumn, massaggiandosi la nuca dolorante.

“Nonna sta facendo questo, in sostanza. Sta cercando di invertire il processo, ma senza successo, a quanto pare. Ed ecco spiegati i picchi di energia. Mi chiedo perché, però. Sa che è contro la Legge.”

Il volto perplesso di Summer la diceva lunga, su quanto tutta quella storia fosse assurda.

“La cosa non mi piace per nulla ma, almeno per ora, non possiamo...” iniziò col dire Autumn, subito bloccato da Melody.

“Dovete scoprire cosa succede, o la prossima volta potrebbe andare peggio di così. E' chiaro come il sole che quanto sta succedendo vi mette a rischio, e io non posso essere la scusa per impedirvi di indagare. Voi non potete fare nulla per me, ora, solo Kimberly può.”

Kim annuì con veemenza, dando ragione alla ragazza.

“Visto che mi trovo qui, mi farò ricoverare per gli esami di controllo, sperando che tutto combaci perfettamente, ma questo non implica necessariamente che voi rimaniate. Dovete andare in Irlanda per risolvere la cosa, una volta per tutte. Temo anche per zia Brigidh, a questo punto. Se Autumn non la sente, chissà cosa può esserle successo.”

I quattro gemelli si guardarono vicendevolmente con espressioni combattute, ma anche John si dichiarò d'accordo con le due donne.

“Melody e Kim hanno ragione. Stare qui non risolverà niente, mentre potreste essere più utili laddove si sta svolgendo questo casino psichico. Io rimarrò assieme a Max, Sunshine, Malcolm e Kimberly, e baderò che non succeda nulla. A cosa serve essere un houngan, altrimenti?”

“Okay, d'accordo, d'accordo. Non andate oltre” brontolò Winter, scuotendo il capo per azzittirli tutti. “Mi spiace ammetterlo, ma hanno ragione. Dobbiamo capire di persona cosa sta combinando la nonna, e da qui non possiamo farlo.”

Pur controvoglia, Autumn annuì nel rialzarsi in piedi.

Fissò poi Melody negli occhi e disse: “Torneremo prima che tu possa sentire la mia mancanza.”

“Fate quello che dovete fare. Pensa soltanto a quanta fortuna ci è capitata, Autumn. Kimberly è il potenziale di questa fortuna, ed è qui, ora. Non pensi voglia dire qualcosa?”

Volgendo lo sguardo a scrutare la donna, che stava sorridendo alla coppia, Autumn riuscì soltanto a dire: “So solo che le devo una cosa che le spetta di diritto, e da molto tempo.”

 
∞∞∞

“Non so perché l'ho portato. Forse, perché non riesco a farne a meno, ma è stato un bene, a questo punto” disse Kimberly, afferrando il suo zaino dal divano della casa di Autumn.

“Forse era destino.”

“Può essere” assentì lei, offrendogli il suo pugnale ingioiellato.

Autumn fu sorpreso nel vederlo e, sfiorando il turchese che rappresentava l'Elemento dell’Aria, mormorò: “Non pensavo che ti avesse fatto un pugnale. A Erin aveva confezionato uno stiletto, come da tradizione.”

“Mi disse che ero troppo combattiva e indipendente, e che un pugnale sarebbe stato più adatto a me.”

“Aveva ragione. Come sempre, a quanto pare” sospirò Autumn, chiudendo gli occhi.

“Autumn. L'amore può spezzare non solo il cuore alle persone, ma anche uccidere qualsiasi tipo di logica. Winter capisce, non devi temere che sia qui solo per dovere.”

“Lo so, Kimmy, ma mi fa male lo stesso averlo detestato ingiustamente per così tanto tempo” sospirò l'uomo, scuotendo infelice il capo. “Pensavo solo a Erin, alle perdite che aveva dovuto sopportare, ma non ho mai pensato a lui, a quello che lui aveva dovuto cancellare dalla sua vita, a causa di quella maledetta Legge.”

“In amore si è egoisti” gli sorrise Kimberly, comprensiva.

“Già” assentì lui, portandosi alle labbra il pugnale, in corrispondenza del turchese. “L'Aria è protettrice di colei che impugna quest'arma. Essa è ovunque e ovunque sarà la sua mano, disposta a sua difesa o pronta a combattere al suo fianco.”

Ciò detto, rese l'arma a Kimberly.

“Spero solo non debba mai servirti come protezione.”

“Un po' di protezione non è mai sprecata, questo è sicuro, specialmente quando c'è di mezzo Shaina” esordì una voce sulla porta di casa, portandoli a voltarsi entrambi.

Sorpresi e sgomenti, i due giovani si volsero a scrutare l'anziana signora che, armata di bastone e abbigliata come una gitana, se ne stava sulla soglia a scrutarli con ironia.

“Mæb?” esalò Autumn, a occhi sgranati.

“In tutti i miei ottantatré anni, ragazzo” sogghignò lei, scoppiando a ridere.





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N.d.A.: Spero di aver soddisfatto, almeno in parte, la vostra curiosità, e aver placato almeno un po' le vostre ansie.

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Capitolo 13
*** Capitolo 12 ***


12.
 
 
 
 


Se l'apparizione di Mæb li sorprese, le sue parole li mandarono in totale confusione. E fecero nascere l’ansia nei loro cuori.

Poggiata al suo bastone pomellato, lo sguardo torvo e l'aria seriosa, osservò i gemelli e i loro compagni, asserendo con sicurezza: “Avete spezzato la catena, e questo non è affatto piaciuto a Shaina.”

“L'avevamo notato” borbottò Summer, appoggiata al corpo imponente di J.C., che le avvolgeva protettivo la vita col braccio tatuato.

Mæb osservò la coppia con una certa ironia, replicando divertita: “Sei sfacciata come tua nonna ma, per lo meno, tu non hai una mente oscura come la sua.”

“Che intendi dire, Mæb?” si informò Winter, accigliato.

La donna lo ignorò per un istante per sorridere a Malcolm, che la osservava eccitato e serio al tempo stesso.

Orgogliosa, mormorò: “Avete tirato su un bravo ragazzo. E il suo potere è davvero grande, ma non è ancora il tempo che prenda su di sé il peso del suo Elemento.”

Mal si accigliò immediatamente e il padre, nell'avvolgergli le spalle con un braccio, disse sommessamente: “Non hai ancora dieci anni, Malcolm. E' normale che sia così.”

“Ma mi sento pronto.”

Mæb ridacchiò, annuendo al ragazzo, e replicò gentile: “L'anno prossimo io ti Inizierò, giovanotto, ma ora dobbiamo affrontare un pericolo troppo grande per te, che non saresti in grado di gestire con le tue sole forze. Aiuterò io tuo padre e i tuoi zii, perché aborrisco ciò che Shaina sta facendo.”

“Cos'ha in mente, di preciso?” si informò ancora Winter.

Stavolta l'anziana Guardiana rispose alla sua domanda.

“Vuole invertire il processo di passaggio delle consegne. Sente che il suo Elemento la sta abbandonando del tutto, per passare nelle mani di Summer che, già di per sé, è la più forte Dominatrice che la storia ricordi.”

Nel dirlo, sorrise alla Guardiana del Fuoco, che la omaggiò con un cenno del capo.

“E' possibile compiere un’opera simile?” domandò Spring, cullando tra le braccia una Sunshine addormentata e tranquilla.

“A quanto pare, ha trovato il modo di farlo ma, senza di me, le è difficile metterlo in pratica Per questo, avete solo ricevuto dei contraccolpi energetici, e non la perdita dei vostri doni” spiegò loro la Guardiana, picchiando in terra una sola volta il suo bastone.

“Quindi, con lei ci sono anche gli altri Guardiani” commentò torvo Autumn, sbuffando infastidito.

“E' difficile accettare lo scorrere del tempo, e Shaina è una cospiratrice nata. Già il fatto che Sean abbia trovato quell'appiglio, all'interno della Legge, l'ha messa in cattiva luce dinanzi ai Clan. La vostra defezione di massa, poi, le ha messo sotto gli occhi quanto poco conti il suo potere, ora come ora. Inoltre, subisce pressioni dalle famiglie, che non vogliono perdere il loro diritto di prelazione nei vostri confronti. Insomma, è tra l’incudine e il martello e, a quanto pare, ha scelto la via più oscura, per ottenere la vittoria.”

“Le stiamo togliendo la corona di mano, e lei non vuole” sbottò Summer, assottigliando le sue iridi da gatta.

“Esatto, Dominatrice” assentì Mæb, torva in viso e preoccupata.

“Questo scatenerà Arianrhod, la farà imbestialire di brutto” mormorò teso Winter, aprendo e stringendo le mani a pugno, nervoso.

“Poco ma sicuro. Le verranno i capelli dritti, letteralmente” assentì a sua volta Summer, turbata non meno del gemello.

Autumn scosse il capo, incredulo al pari degli altri, e si passò le mani tra i capelli in un gesto di tensione massima.

“Quando parlate di Arianrhod, non intendete un'entità in carne e ossa, vero?” si informò a quel punto Max, vagamente pallido.

I quattro gemelli si limitarono a guardarlo turbati e l'imprenditore, deglutendo a fatica, non chiese altro.

“Dobbiamo evitare che sia costretta a intervenire, o non possiamo sapere come si comporterà. Dopotutto, è una dea, e non è il caso che si metta a giocare ai birilli nel bel mezzo di Dublino, e solo perché ha la luna storta.”

Winter, Autumn e Spring fissarono accigliati la sorella, nel sentire quella frase irrispettosa ma lei, levando le mani in segno di difesa, esclamò: “Ehi, andiamo! L'ha già fatto, in passato!”

Max, John e Kim la guardarono allora basiti e la donna, suo malgrado, fu costretta a mugugnare: “La dea ha tre volti; quello di Dana, che è madre ed è fertilità. Da Lei discendiamo in quando eredi del sangue dei Tuata, che sono suoi figli. Quando essa tesse i fili della vita e della morte, imparziale e retta, è Arianrhod, e a Lei noi dobbiamo i nostri doni poiché Ella, in quella forma, decise il futuro della nostra stirpe. Ma quando è furente, quando si va contro le regole, Ella diventa Mórrigan, e allora sono dolori.”

“La dea corvo...” mormorò John, sgomento, sgranando gli occhi color cioccolato.

“Esatto” assentì Winter, torvo in viso.

“Bene. Ora che abbiamo chiarito cosa non deve diventare Arianrhod, direi che è il caso di partire” stabilì Mæb, battendo nuovamente a terra il suo bastone.

“Voi andate avanti. Io devo passare in ufficio per sbrigare un paio di faccende. Vi raggiungo in aeroporto” disse loro Autumn, afferrando in fretta le chiavi del suo pick-up.

“Vengo con te” lo informò Winter, lasciando che le sorelle andassero da sole.

Dopo aver dato un bacio a Kimberly e Malcolm, Win raggiunse fuori dalla casa il gemello e, salito con lui sul pick-up, disse: “Voglio proprio vedere cos'hai combinato qui, in questi anni.”

Autumn ghignò al suo indirizzo e mise in moto e, nel breve tragitto che li divideva dalla Sundance Voyages, il silenzio fece loro da compagno di viaggio.

Erano troppe le cose che i due gemelli dovevano affrontare, e prima di ogni altro chiarimento, dovevano risolvere il guaio messo in piedi da Shaina.

Per tutto il resto, ci sarebbe stato tempo.

Quando infine si ritrovarono nel parcheggio dinanzi al palazzo, Autumn afferrò il gemello a un braccio e, roco, disse: “Senti, Win... volevo dirti che...”

“L.A., una cosa alla volta. Risolviamo i problemi con la nonna, poi potremo parlare anche per un mese di fila, di quello che c’è stato tra di noi, okay?” gli promise lui, dandogli una pacca sulla spalla dopo avergli strizzato l’occhio.

L.A.

Erano secoli che non sentiva più quel nomignolo. Little Autumn.

Lui e Spring erano stati gli ultimi a uscire dal grembo materno.

Il dottore non aveva potuto fare diversamente che estrarli assieme, visto quanto erano abbracciati e stretti l'uno all'altra.

Senza il parto cesareo, la loro madre non sarebbe mai riuscita a partorirli e, come sempre, questo pensiero lo fece rabbrividire.

Non aveva la più pallida idea di quanto avesse dovuto soffrire ma, alla fine, ce l'aveva fatta.

Li aveva tenuti sul suo cuore tutti e quattro e, per anni, era stata la loro guida e il loro faro, assieme al marito.

L'incidente che li aveva strappati a tutti loro aveva fatto vacillare la sua fede in Arianrhod, nella sua giustizia.

Ma ora che si trovavano al dunque, forse comprendeva a cosa, quell'evento, fosse servito.

Per quanto crudele esse fosse stato.

Le incertezze della vita, le difficoltà a cui erano andati incontro, le cicatrici che avevano martoriato i loro animi fin da giovani, li avevano resi più forti di qualsiasi altro Guardiano prima di loro.

E ora potevano affrontare quella battaglia partendo avvantaggiati.

Avrebbero riscritto il loro futuro anche grazie al sacrificio dei loro genitori.

Più sicuro di sé, Autumn salì le scale assieme a Winter e, quando fece il suo ingresso nell'ampia hall dell'Agenzia di Viaggi, disse al fratello: “Questo è il mio piccolo centro operativo.”

Win si guardò intorno, approvando le scelte dei colori tenui e allegri, così come delle fotografie, ampie e solari.

Quando, però, si ritrovò puntati addosso quattro paia d'occhi, si chiese dubbioso: “Ho qualcosa in faccia?”

Autumn scoppiò a ridere, a quel commento e, nel dargli una pacca sulla schiena, mormorò: “Diciamo che sanno che eravamo in rotta, e vederti qui assieme a me, deve averle un po' sconvolte.”

Rivolgendosi poi alle sue dipendenti e amiche, l'uomo disse: “Signore, ho il piacere di presentarvi mio fratello Winter.”

Tutte, nessuna esclusa, si levarono in piedi per stringergli la mano e, con sorrisini divertiti e ancora vagamente confusi, gli fecero i complimenti per il prossimo matrimonio con la dottoressa Clark.

Questo incuriosì Winter che, interrogando con lo sguardo Autumn, gli sentì dire: “Ah, no, mio caro. Io non c'entro. Queste sono fanatiche del web e, a quanto pare, seguono le vostre vicende fin da quando hanno saputo che ho un fratello e due sorelle gemelli.”

“Non avremmo mai fatto le ficcanaso, se tu fossi stato un po' meno ermetico” gli fece notare Sandra, addolcendo il rimbrotto con un sorriso.

Touché. Hai ragione, Sandra, avrei dovuto fidarmi un po' più di voi e parlare, visto quanto vi siete fidate di me, a vostro tempo. Ma, come vi potrà confermare Win, non sono mai stato molto ciarliero.”

“Non l'avevamo notato” chiosò Colette, sorridendo bonaria.

Autumn preferì non rispondere, ma Winter si esibì in un sorriso così smagliante che le donne non poterono esimersi dal sospirare.

Era inutile, in casa Hamilton avevano distribuito troppa bellezza.

Preferendo non perdere altro tempo, e impedire che alle sue colleghe venisse un infarto per la troppa avvenenza del gemello, Autumn intervenne dicendo: “C'è un piccolo problema in famiglia, così dovrò partire per qualche giorno. Pensate a tutto voi, qui?”

“Parti tranquillo. Per le scadenze ci pensiamo noi, e i tuoi cacciatori si organizzeranno anche da soli. Se passano di qui, gli diciamo che sei partito per un viaggetto” lo tranquillizzò Virginie, dandogli una pacca sul braccio.

“Grazie, ragazze. Ci sentiamo presto” le osservò grato lui, avviandosi verso la porta.

“E' stato un piacere conoscervi, signore. A presto” disse allora Winter, gratificandole di grandi sorrisi.

“Andiamo, Casanova” brontolò Autumn, sospingendolo fuori in tutta fretta, ma con un sorrisino divertito stampato in faccia.

Win ridacchiò e, nel tornarsene in auto con lui, disse: “Kim mi ha detto che devo sorridere di più alla gente. Mi sto solo allenando.”

“Quando sorridi a una donna fai disastri, fratello. E dire che dovresti saperlo” ghignò il gemello, mettendo in moto il pick-up.

“Tanto, ce n'è solo una che mi interessa. Come a te, del resto.”

Quell'accenno fece tremare Autumn, le cui mani sul volante si tesero fino a far sbiancare le nocche.

Il gemello, pacato quanto confortante, mormorò per diretta conseguenza: “Non temere, andrà bene.”

“Sai perfettamente anche tu che essere potenziali donatori non vuol dire essere anche donatori” replicò l'uomo, pur senza acredine alcuna.

Winter ricordava bene quando si era ritrovato a navigare in un bicchiere di whisky, alla notizia di non poter donare il suo midollo a Erin.

Ma, peggio ancora, si era sentito in un'altra occasione, quando tutto era sembrato essere perfetto, destinato ad andare a buon fine.

“Mi chiamarono due anni dopo la morte di Erin” iniziò col dire Winter, sorprendendo un po' il gemello. “Ero risultato potenzialmente compatibile con un ragazzino del Nebraska, così andai di filata in ospedale per fare altri test ma, quando controllarono il DNA, risultò che non era adatto.”

“Cristo... non pensavo che avessi...”

La faccia di Autumn esprimeva tutta la sua sorpresa, il suo dispiacere e la comprensione che provava in quel momento per il gemello.

“Che mi fossi iscritto nelle liste dopo la morte di Erin? Lo feci eccome, e piansi come un bambino, seduto sulla poltrona del salotto, con un bicchiere di liquore in mano e il cuore spezzato a sbriciolarmisi nel petto.”

“Mi dispiace.”

“In seguito, tramite vie traverse, seppi che il ragazzino era riuscito a trovare un donatore...”

“Magdaleine?”

“Già, Big-Mama è un asso, a fare la strega” ghignò Winter, annuendo.

“Quindi, ti sentisti meglio.”

“Solo perché non era morto, ma pensai seriamente che il mio sangue non fosse buono per nessuno.”

“Sai che non è così” ci tenne a precisare Autumn.

“Quel giorno non ne fui così sicuro. Ma ora, sono più propenso a credere che tutto abbia un fine più grande. Non può essere un caso che Kimmy sia rientrata nella mia vita, e sia anche la donatrice compatibile per Melody. Dare e avere, Autumn. L'equilibrio del sistema.”

“Come una sorta di premio per aver perso Erin?” borbottò il gemello, disgustato alla sola idea.

“Non accade mai niente senza un motivo. E non credo che la Tessitrice goda nel farci soffrire. O nel dispensare premi.”

“Quindi?”

“Rilassati, e pensa a quello che stiamo per fare. A Melody penseranno Malcolm, Kimmy, John e Max.”

“Uno stregone, un mezzo Guardiano e tre mortali. Non male, come squadra” ironizzò Autumn.

“Max e Kim sanno il fatto loro, non temere. E anche Melody.”

“Non mi va che tu sia così in sintonia con lei” borbottò Autumn, fissandolo bieco mentre entravano nel parcheggio del locale aeroporto.

Winter scoppiò a ridere e replicò: “Siamo simili, fratellino, devi fartene una ragione.”

“Che schifo” sbuffò il gemello, fermando l'auto.



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N.d.A.: Stiamo avvicinandosi allo scontro finale, perciò preparatevi all'incontro tra nuova e vecchia guardia. :-)

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Capitolo 14
*** Capitolo 13 ***


13.
 
 
 
 
 
 
Sperare di trovare bel tempo in Irlanda, era come pensare di veder sorgere il sole a ovest.

Ma, quando i quattro gemelli si ritrovarono sotto un autentico diluvio, Autumn mugugnò torvo: “Forse, avrei dovuto dare un'occhiata migliore alle previsioni. Almeno, avremmo evitato di inzupparci come pulcini.”

“Perdi colpi, fratello. Pensavo non ti servisse accendere il canale meteo” ironizzò Winter, aprendo il suo ombrello per recarsi, assieme agli altri, in direzione dell'auto che avevano preso a noleggio tramite la Europcar.

“Ero un po' distratto, prima di partire” sottolineò per contro il gemello, fissandolo bieco.

Spring e Summer ridacchiarono nel sentirli battibeccare e i due fratelli, nell'osservarle con identiche espressioni accigliate, dissero in coro: “Beh, che vi prende?”

A quel punto Summ esplose in una chiassosa risata, e Spring si unì a lei un attimo dopo, portando Winter e Autumn ad adombrarsi ancor di più in viso.

Per nulla turbata dal loro cipiglio, la fulva gemella esclamò sarcastica: “Scusate, eh, ma dopo cinque anni di silenzi e stridore di denti, potremo pur ridere un po', visto che ora siete culo e camicia!”

I due gemelli si fissarono scettici e Spring, per dare man forte alla sorella, aggiunse: “Insomma, ammettetelo, una cosa del genere non ce l'aspettavamo di certo. Siete passati in un solo giorno dal non parlarvi affatto, al colloquiare candidamente come se nulla fosse successo. Potremo pur essere un po' sconcertate!”

Nuovamente, i due uomini si fissarono come se non comprendessero la loro confusione e a quel punto Summer, puntando le mani sui fianchi morbidi, esclamò: “Beh... ma ci state prendendo per i fondelli, o che?”

Con un mezzo sorriso carico di indulgenza, Winter riprese a camminare e disse con semplicità: “Sono le donne a essere vendicative e complicate. I maschi non si fanno di questi problemi. Risolto il dilemma, risolto tutto.”

“Cioè... così? Su due piedi? Senza... dovrò pensarci, o è una cosa difficile da accettare?” esalò Spring, senza parole non meno della gemella.

“Come ha detto Win, siete voi a complicare le cose, non noi” sottolineò Autumn, scrollando le spalle.

Le due sorelle si esibirono in identiche smorfie di disappunto e Summer, sbottando, mugugnò contrariata: “Cioè... noi vi abbiamo sopportato per tutto questo tempo, non ci siamo impuntate per puro rispetto verso di voi, quando sarebbe bastato semplicemente mettervi l'uno di fronte all'altro?!”

Autumn a quel punto sorrise mesto e scosse il capo, e così pure fece Winter.

“Serviva Melody” dissero poi in coro, quasi senza neppure accorgersene.

Summ sbottò, levando in aria le braccia con espressione esasperata e Spring, nello scuotere il capo, borbottò: “Non vi sarete presi a pugni, ma strani li siete davvero.”

I due fratelli risero sommessamente e, quando Win si mise al posto di guida, Autumn si accomodò sul sedile del passeggero, lasciando alle sorelle quelli posteriori.

Spostandosi verso la periferia, dove si trovava il castello di roccia grigia e bianca di proprietà della famiglia, il silenzio si impadronì dell'abitacolo, e per un buon motivo.

Le battute che li avevano accompagnati fino all'auto, erano servite per stemperare un poco l'ansia di tutti ma, man mano che si avvicinavano alla loro destinazione, i nervi presero a vibrare.

Le emanazioni di potere si riversavano come fiumi in piena lungo le strade, attraverso i muri di sassi delle case, all'interno del tessuto stesso della terra.

E a ogni nuova ondata, i loro sensi si facevano più allerta, più nervosi, non  presagendo nulla di buono.

Era grave che gli elementali scorrazzassero indisturbati, e pieni di energi,a tutt'intorno a loro.

Non appena raggiunsero Mount Seskin – a sud di Dublino – la cosa si fece ancora peggiore.

Costruito su un monolite di roccia, Hamilton Manor svettava con la sua torre merlettata e i muri fortificati.

Rialzato un centinaio di arde rispetto alla pianura circostante, era circondato da alta vegetazione e abbellito da un grazioso laghetto artificiale.

L'edera cresceva fiorente sul lato sud del castello e, tutt'attorno, le piante secolari e dalle folte chiome contribuivano a dare privacy agli abitanti del maniero.

“Ho prurito ovunque” borbottò Summer, massaggiandosi le braccia indolenzite.

“A chi lo dici” assentì Spring, mordendosi il labbro inferiore per il nervosismo.

I due fratelli non espressero a voce il loro disagio, ma fu ben visibile sui loro volti aggrottati.

Quando infine Winter fermò l'auto nell'ampio cortile antistante l'entrata, imprecò tra i denti.

In quella zona, il temporale non aveva neppure sfiorato la terra, ma tutti i gemelli avevano il sospetto che potesse c’entrare quell’impressionante emanazione di potere.

Sul portone d'ingresso, in pesante legno scuro e dagli enormi cardini in acciaio brunito, si trovava Nonno Angus.

Apparentemente preoccupato, li raggiunse con la sua andatura claudicante e il bastone ben stretto nella mano esile.

Era dannatamente invecchiato dall'ultima volta in cui l'avevano visto – alla nascita di Malcolm – e appariva stanco e sfibrato.

I gemelli scesero dall'auto e l'uomo, con un sorriso che sapeva di sollievo e speranza, mormorò roco: “Sia lodata la dea... siete venuti!”

“Nonno, che succede?” domandò turbato Winter, tenendolo a un gomito per timore che potesse cadere. Sembrava così debole!

Spring e Summer accorsero a loro volta per sorreggere l'uomo mentre Autumn, lo sguardo accigliato puntato sul castello, ringhiò: “La strega ha messo una rete di potere per impedirci di entrare.”

Angus annuì spiacente, rivolgendo un'occhiata implorante a ciascuno di loro e Winter, sorridendo benevolo al nonno, disse: “Ci penserà Mæb a dissiparla.”

Una volta giunti all'aeroporto di Dublino, la vecchia Guardiana dello Spirito si era allontanata dal loro gruppo per dirigersi alla Cattedrale di Kildare, dove si trovava il santuario di Santa Brigida.

Recarsi in un luogo caro all'omonima dea, da cui la santa aveva preso il nome – e il posto nel cuore degli irlandesi – , le sarebbe servito per debellare la barriera creata da Shaina.

Quale sistema migliore se non chiedere alla dea del fuoco irlandese, Brigidh, se non quello di contrastare la Dominatrice del fuoco?

Brigidh, rinominata poi Brigida dai romani, era sorella di Arianrhod, tra le dee, e avrebbe sicuramente prestato orecchio alla saggia Guardiana dello Spirito.

Anche perché, l'alternativa era così tremenda da non essere neppure sussurrata.

Nessuno di loro voleva pensare a cosa avrebbe potuto succedere, se la Lancia di Fuoco non si fosse prestata ad aiutarli.

La discesa di Arianrhod era un evento da non considerare, neanche nei più foschi presagi.

“Da quando Sean ha scoperto quanto effimero fosse il potere di Shaina, i Clan minori hanno deciso di rescindere dai vecchi patti, chiedendo maggiore giustizia per i loro figli ed eredi. Naturalmente, questo ha messo in allarme i capiclan più potenti, che non volevano venisse meno il loro diritto di prelazione, e così… insomma, potete immaginare da soli quanti nervosismi abbia creato, la scoperta del giovane O’Gready.”

Angus appariva stanco, mentre riferiva quei particolari ai nipoti, ancora fermi accanto all'auto con lui.

“Shaina era così furente, dopo la partenza di Sean e i ragazzi, che scacciò me e la servitù dal castello e convocò Selene, Marcus e Bright per aprire il Consiglio. Non mi fu permesso di partecipare ma, quando venni a sapere che avrebbero rimandato tutto alla festività di Ostara, la cosa mi parve strana... almeno finché Mæb rifiutò il suo invito a tornare qui, per l’Equinozio di Primavera. E ora questo.”

Ciò detto, abbracciò l’aria che li circondava con un gesto del braccio, a indicare il potere sfrigolante che ammorbava la zona circostante.

Winter, annuì, presagendo guai seri.

“E così, ha cercato di imbrigliare una forza che solo le Cinque Sorgenti possono manovrare” ringhiò Autumn, disgustato da quanto ormai avevano scoperto. “Per questo, siamo stati così male! I contraccolpi psichici dei suoi tentativi fallimentari, ci hanno quasi mandato in pappa il cervello!”

“Non mi ha voluto ascoltare... non ha ascoltato nessuno di noi. Sono mesi che cerchiamo, io e vari capiclan, di farla tornare a più miti consigli, ma lei non ne vuole sapere. Le Veggenti sono in preda ad autentiche crisi di nervi, a causa dei suoi esperimenti ma, da quando ha riunito i Quattro Elementi, è andato tutto molto peggio.”

“Zia Brigidh... dov'è?” si informò Spring, preoccupata.

“Al momento, è a casa di Eithe, in preda ai postumi di un brutto contraccolpo psichico” mormorò afflitto Angus, scuotendo il capo con aria abbattuta.

“La sorella di papà...” sussurrò Summer, mordendosi il labbro inferiore.

Era stata un'accanita sostenitrice degli Antichi Testi, e si era infuriata molto quando il fratello era scappato con la famiglia, per andare in America.

Curioso, che ora stesse aiutando la sorella della cognata.

“Sono cambiate molte cose, da quando Sean ha parlato al Clan di ciò che ha scoperto” ammise l'anziano, pensieroso.

Summer sorrise, a quel punto, e chiosò: “No, scusate un po'... ma il ragazzo doveva diventare mio marito. Non poteva che essere una volpe!”

I gemelli la fissarono con aria ironica e lei, scoppiando in una risatina allegra, esalò: “E dai! Potrò fare del sarcasmo, vista la situazione!”

Angus le sorrise benevolo, dandole una pacca sul braccio con affetto.

“Sei sempre stata la più spavalda tra i gemelli, ma sì... vista la situazione, ci sta che tu faccia dell'ironia. La situazione è già tragica così, senza buttarsi ulteriormente a terra.”

“Bravo, nonno... diglielo, ai miei fratelli” ironizzò Summ, sorridendogli calorosamente.

“Il punto è un altro. Nonna e gli altri Guardiani non riusciranno a mantenere in stallo ancora per molto le energie degli Elementi e, quando esse deflagreranno, non ci sarà un luogo in tutta Irlanda in cui si potrà stare al sicuro, a meno di non trovarsi in una rete di potere, o in un cerchio di pietre” borbottò Winter, tornando al nocciolo del problema.

Autumn gli aveva riferito di aver mandato in tutta fretta Sean, Miranda e Colin a Temair, antica capitale d'Irlanda poiché, nella zona, si trovava una delle reti di potere più forti di tutta l'isola.

Aveva fatto la scelta più giusta, ma non si poteva pensare di spostare ogni abitante d'Irlanda, in uno qualsiasi dei santuari sparsi sul territorio. Con che scusa? E con che tempistiche?

No, dovevano bloccare la follia della nonna e dei suoi amici, prima che tutta l'isola implodesse su se stessa.

Autumn ghignò all’improvviso, sorprendendoli e, rivoltosi ai gemelli e al nonno, mormorò: “Mæb è arrivata adesso. Inizierà il rito nel giro di pochissimi minuti.”

“Bene. Nel frattempo, vediamo di capire come agire.”

Winter fissò il nonno e gli domandò: “Tu sei al sicuro, nel castello?”

“C'è il mio sangue, in queste pietre, e Shaina non ha potuto impedirmi di tornare, ma non posso avvicinarmi ai sotterranei, dove loro stanno lavorando. Rimarrò nella cappella della dea a pregare, e lì sarò degnamente protetto.”

I quattro gemelli annuirono e, nel prendersi mano nella mano, si allargarono per formare un cerchio.

Autumn, concentrato su ciò che stava compiendo Mæb a Kildare, mormorò: “Sta estendendo il Pentacolo fino a inglobare la Contea di Kildare e quella di Dublino, dove ci troviamo noi. Ora, almeno queste zone sono protette da eventuali sbalzi energetici, ma di più non si può fare. Dovremmo trovarci in cinque punti differenti dell'isola, per proteggere tutto, ma è fisicamente impossibile, visto che dobbiamo entrare nel castello.”

“Ce lo faremo bastare. Possiamo usare i doni al massimo fulgore, ora?” si informò a quel punto Winter, fissando le alte mura del castello quasi fosse propenso ad abbatterle.

“Sì... Geamhradh” sogghignò Autumn, declamando con una certa enfasi il nome del fratello nell'antica lingua.

Winter inspirò a pieni polmoni il rifulgere del suo potere che, come una tempesta, si sprigionò dentro il suo corpo.

Foghara...” sussurrò allora Summer, chiamando Autumn perché anche il suo potere si sprigionasse nella sua piena potenza.

Samhradh...” disse Spring, sorridendo alla gemella che, letteralmente, prese fuoco sotto i loro occhi.

Earrach...” mormorò infine Winter, dando un bacio sulla tempia a Spring, che iniziò a profumare di fiori e di terra umida e fresca.

Insieme, poi, levarono i volti a scrutare il cielo, che ora si stava rasserenando dopo l'intensa pioggia che aveva colpito i dintorni di Dublino e, con tono accorato, esclamarono: “Meabhair1!”

L'aria prese a surriscaldarsi, attorno ai contorni del maniero.

Come se qualcuno avesse acceso la miccia di un candelotto di dinamite, tutt'intorno a loro si avvertì chiaramente una detonazione violenta.

I poteri del loro Cerchio erano infinitamente superiori a quello menomato di Shaina, perciò la barriera energetica eretta attorno al palazzo venne meno, lasciando loro libero il passaggio.

Soddisfatti, i quattro gemelli si diressero verso l'ingresso, seguiti a ruota da Angus che, nel segnalare ai pochi domestici rimasti di non mettersi in mezzo, mormorò: “Cercate di ricordarvi che sono vostri parenti.”

“Non abbiamo cominciato noi” sbottò Autumn, e Summer annuì di rimando, dello stesso avviso del gemello.

Winter, più conciliante, asserì: “Ne terremo debito conto, nonno, ma ora tu e gli altri andate nella cappella. Sarete più al sicuro. Qui, l'energia è assai instabile.”

“Sarò un semplice umano, ma la sento sulla pelle anche io, ed è fastidiosa” cercò di ironizzare l'anziano, facendo sorridere i quattro nipoti.

Dopo un ultimo sguardo, Angus fece segno alla sua sparuta servitù di seguirlo lungo le scale che portavano alla torre, dove si trovava la cappella della dea.

Winter, nel frattempo, osservò quei luoghi persi nei suoi ricordi di bambino e, con un sospiro, dichiarò: “Bene, a noi toccano le segrete. Siete pronti?”

Erano poche le sue memorie, ma ricordava ancora bene il rimbombo dei loro piedini sulle rocce del pavimento, i loro strilli allegri, il cicaleggio degli uccelli al mattino.

Era passata più di un’eternità, eppure tutto si annullò dentro di lui, … pur se nel modo sbagliato.

Non era lì per un lieto evento, né per rivangare antiche memorie di un passato lieto. Tutt’altro.

“Per litigare, sono sempre pronta” ghignò Summer, facendo scrocchiare le dita delle mani con aria alquanto bellicosa.

“Ti seguo a ruota, sorella.”

Autumn le diede di gomito con fare complice mentre Spring e Winter, fissando costernati quanto rassegnati i due fratelli, esalarono all’unisono: “Non ci sono speranze, per questi due.”

I gemelli in esame neanche li ascoltarono e, per primi, presero la via delle scale di pietra che conducevano dabbasso, illuminate da piccole applique a forma di fiamma.

L'umidità del terreno si fece presto sentire e, quando infine raggiunsero i piani inferiori, le barriere psichiche erette dal Cerchio di Shaina, fecero sfrigolare l'aria attorno a loro.

Forti del loro maggiore potere, i quattro proseguirono verso la stanza dei riti, dove sapevano trovarsi gli anziani Guardiani.

A fatica si mossero lungo il corridoio, spinti ad andarsene dal potere repulsivo emanato dal Cerchio menomato.

Era difficile camminare.

I loro corpi reagivano in malo modo all’energia negativa, come se fossero stati immersi nella melassa, ma quel confronto andata fatto una volta per tutte.

Avevano atteso fin troppo per far sentire anche la loro voce.

Era tempo che il Consiglio venisse destituito, e il futuro delle loro genti lasciato nelle mani di tutti, e non di pochi.
Non aveva più alcun senso portare avanti leggi dinastiche vecchie di secoli, e ancor meno imporne altre che non erano mai esistite.

Gli interessi economici non potevano essere scambiati per gli interessi della dea, e la menzogna non avrebbe più perdurato, dopo quel giorno.

Quando infine raggiunsero la porta della Sala dei Riti, Winter la aprì e, sotto i suoi occhi sgomenti, si mostrò un'immagine che mai avrebbe pensato di vedere.

In piedi e nel mezzo di un grande pentacolo di pietra – in cui spiccava la mancanza di Mæb – i quattro Guardiani stavano leggendo antiche formule da un tomo vecchio e stinto da secoli di corrosione naturale.

Le loro parole suonavano ancestrali anche alle loro orecchie addestrate e, pur con tutta la loro cultura del Sapere Mistico, quelle malie giunsero a loro estranee e oscure.

Aggrottando la fronte, Winter ed Autumn si guardarono vicendevolmente come chiedendosi cosa diavolo stessero ascoltando ma, come sempre, fu Summer a mettere a voce i loro dubbi.

“Si può sapere che diavolo state facendo?!”

I quattro Guardiani neppure la ascoltarono, proseguendo nelle loro torve litanie e Spring, cominciando seriamente a preoccuparsi, mormorò: “Non capisco un'acca di quello che stanno dicendo, ma le piante le conosco a sufficienza per sapere a cosa servono. Guardate là!”

Indicando un braciere in particolare, in cui stavano ardendo diversi arbusti di ogni genere e forma, la Guardiana della Terra sibilò sconcertata, stupita dall’assurdità stessa di quello che stava vedendo.

“Non posso credere che stiano usando aconito, spino bianco, echinacea e sangue di drago …tutto assieme! Ma sono impazziti del tutto?!”

“Oh, perfetto! Ecco perché non li sentivo! L'aconito li teneva protetti alla mia vista!” sbottò Autumn, sempre più inferocito.

I suoi occhi color del mare sprizzavano scintille argentate, il che non era mai un bene.

Winter, scrutando ansioso il fratello, sperò ardentemente di non vederlo esplodere e, per un istante, si domandò se, sulle torri del castello, si stessero addensando nubi di tempesta.

Il suo potere, di certo, stava interagendo come mai prima, con quello del gemello e, da quel poco che poteva percepire, la sua rabbia si stava convogliando, pericolosa e letale.

“Lo spino bianco avrebbe tenuto sotto controllo anche le tue manie violente, fratello, visto che inibisce l'uso di fulmini e tempeste” brontolò Spring, annuendo torva al suo indirizzo.

Anche lei, sebbene poco propensa alla lite, fremeva per il desiderio di mettere le mani attorno al collo di qualcuno.
Soprattutto, della Dominatrice della Terra, che aveva messo mano alle sue conoscenze per creare quella gabbia di Faraday, a protezione dei poteri di Autumn.

Ecco spiegato perché avessero atteso Ostara, per muoversi.

Selene sarebbe stata molto più potente, in quel periodo, e avrebbe potuto agire con i suoi poteri residui con maggiore precisione.

La sola idea le fece prudere le mani e, tutt’attorno a loro, il castello tremò, assieme alla terra stessa, fin dal centro del pianeta, a eco della sua ira.

“Già, e l'echinacea e il sangue di drago hanno permesso loro di rafforzare a sufficienza il Cerchio, così che non implodesse su se stesso. Davvero furbi” sbottò infine Winter, poggiando una mano sulla spalla di Autumn, sperando così di chetarne la furia.

Il fratello lo fissò rabbioso ma annuì e, rilasciando i pugni stretti lungo i fianchi, sibilò: “Non esploderò, promesso… ma non so ancora per quanto.”

Winter assentì e, torvo in viso, tornò a fissare lo sguardo sul braciere ardente… e su ciò che conteneva.

Disperdere le erbe del braciere sarebbe stato semplice, ma il Cerchio di Shaina sapeva bene che loro non l’avrebbero mai fatto.

Far crollare su se stesso un Cerchio in piena attività, sarebbe stato peggio che far esplodere una bomba atomica, e di certo questo non lo volevano.

L’unico sistema per abbatterlo era contenerlo e debellarlo al tempo stesso, grazie all’utilizzo di un altro Cerchio.

Ma non era affatto facile mettere in pratica una cosa del genere.

L'aria nell'enorme taverna, infatti, era satura di energia statica.

Un scintilla, e tutto il castello degli Hamilton sarebbe esploso, con loro dentro.

E l'energia in esso contenuta, fin lì trattenuta dal potere degli Elementi, si sarebbe sparsa su Dublino e l’Irlanda tutta, simile a una tempesta tropicale.

Summer quasi non respirava, terrorizzata all'idea che anche il più piccolo bargiglio del suo dono potesse scatenare l'inferno.

Lei non avrebbe avuto problemi a salvarsi e forse, in qualche modo, anche i suoi fratelli avrebbero trovato il modo di sopravvivere all'onda di fuoco divino.

Ma nessuno di loro voleva rischiare un simile evento. E questo Shaina lo sapeva bene.

Volgendo lo sguardo per sorridere alla nipote, e depositaria del suo stesso Elemento, esclamò tronfia: “Non hai il coraggio di intervenire, vero?!”

“Preferirei la smettessi di punzecchiarmi, nonna. Non sono dell'umore adatto” brontolò Summer, accigliandosi alla vista del suo sorrisetto trionfante.

“Lo sarai ancora meno, e così pure i tuoi fratelli e sorelle, quando compiremo ciò che andava fatto fin dall'inizio di questa follia!” sbottò la donna, allargando in un ghigno il suo sorriso soddisfatto.

Winter fu il primo a collegare quelle strane parole a ciò che stava per accadere e, mosso un passo verso di lei, urlò a gran voce: “Nonna, non farlo!”

“E' troppo tardi, Winter. Vi ho dove vi volevo... lontano da coloro che vi hanno portato sull'errata via! Ora, elimineremo il problema alla radice, e voi non potrete fare nulla per fermarci, a meno di non far esplodere tutto il palazzo, oltre all'intera città!”

“No!”

Quell'urlo concitato si levò contemporaneamente dai quattro gemelli, mentre un'onda di potere primigenio attraversò i loro corpi per raggiungere le persone che risiedevano nei loro cuori.

E coloro i quali, per primi, avevano portato scompiglio nel Clan quando, per secoli, tutto si era svolto secondo schemi preconcetti e voluti da chi deteneva il potere.

Quei legami, forti e puri, avrebbero guidato l'onda di energia solo laddove necessario, risparmiando gli ignari spettatori di quel sarebbe di lì a poco successo.

“No, no, NO!” strillò Spring, le lacrime agli occhi, avventandosi contro il Cerchio dei Quattro con l'intento di spezzarlo.

Fermati, Dominatrice!

La voce di Mæb si levò imperiosa nell'aria sfrigolante, bloccando Spring e Summer – che già si era mossa per fermare la gemella da quel suicidio scontato.

Spring allora urlò sconvolta, crollando in lacrime tra le braccia della gemella che, furente, la strinse a sé per poi urlare: “Non sai con chi hai a che fare, vecchia strega! Se anche riuscirai nel tuo intento, non la passerai liscia!”

Ma Shaina non la stava ascoltando.

Il suo sguardo era tutto per Winter che, sorridente e quasi tronfio, stava sfidando la progenitrice con i suoi occhi di ghiaccio vivo, ora brillanti come una supernova.

“Come... come avete fatto?!” sibilò la donna, mostrando ora tutti i suoi anni sul volto scarno e rabbioso.

A Winter, per un istante, parve di scorgere il volto crudo e scavato della morte.

Autumn allora fissò dubbioso il fratello che, soddisfatto, disse lapidario: “Non hai calcolato un paio di fattori, nonna, e questi ti hanno condannata a fallire. Sei sempre stata troppo sicura di te, e non hai mai pensato che qualcuno potesse batterti in astuzia.”

“Fratello...” esalò il gemello, cominciando a comprendere cosa volesse dire.

Le due sorelle li fissarono in attesa di risposte, gli occhi ancora pervasi dal terrore di aver perso le persone a loro care, e Win non si fece attendere.

Vederle così distrutte dal dolore, mise le ali al suo dire.

“Pensavi davvero che avrei lasciato i nostri cari privi di protezione? Davvero non mi conosci, nonna.”

“Cos'hai fatto?!” sbraitò allora Shaina, le ossa del cranio visibili sotto la pelle diafana del viso. I suoi occhi quasi uscirono dalle orbite.

“Il pugnale di Kimberly è imbevuto del mio sangue, nonna. Combinato con gli incantesimi protettivi legati alle gemme dell'elsa, ha contribuito a dare potere all'arma. E mi ha dato la possibilità di essere qui, e là, al tempo stesso. Autumn, se tu volessi controllare, direi che John lo sta usando egregiamente, e che Erin sta dando una sostanziale mano a mantenere saldo il cerchio protettivo, lì dove il nostro caro houngan lo ha formato.”

Il gemello si affrettò a fare quanto detto e, con una risata sgangherata, esalò scioccato: “Per la dea! Il suo loa è più furente di una muta di lupi a caccia! Pare aver gradito il regalino che gli hai lasciato. Quanto a Erin, ha formato una calotta di ghiaccio attorno alle ragazze, e sembra attendere che il reflusso di energia si dissolva.”

“Come avevo sperato” assentì Winter, guardandosi intorno con aria soddisfatta. “Miranda e gli altri?”

Autumn sorrise complice, ora più tranquillo e sicuro di sé.

“Non ho dubbi che stiano bene, visto dove li ho mandati. Ma controllerò comunque.”

“Te ne sarei grato, fratello. Sapendo che li avevi mandati a Temair, non mi sono preoccupato di estendere su di loro ulteriori protezioni, ma sapere da te che va tutto bene, sarà di aiuto.”

Il gemello lo omaggiò con un cenno del capo e, dopo aver controllato che i loro amici fossero in salute, ragguagliò il fratello.

“Summer, potresti…” disse allora Winter, sorridendole nel guardare la gemella con aria soddisfatta.

Intuendo cosa volesse da lui il gemello, la donna sprigionò dal nulla la fiamma sulla sua mano, sorprendendo non poco la già irritata Shaina e, con lingue di fuoco scarlatto, distrusse i bracieri contenenti le erbe divinatorie.

Subito, la barriera eretta dal Cerchio andò svanendo e i Guardiani, privati della loro guaina protettiva, fissarono spaventati Shaina, che non pareva né doma, né sconfitta.

“Come hai potuto?!”

La domanda furiosa della donna arrivò come uno strale, ma Winter non vi fece caso alcuno.

“Era chiaro come il sole che, dopo un simile dispiego di energia, quella latente nella stanza sarebbe drasticamente calata. Siete molto oltre il vostro miglior potenziale, nonna, e le erbe che avete usato servivano proprio a sopperire questa mancanza. Noi, invece, possiamo contare su un arco ascendente di potere, vista la nostra giovane età… fai un po’ tu i conti. Se aveste atteso l’Apice, sarebbe stato meglio.”

Il tono di Winter, ora, era vittorioso.

Molto bene, giovane Dominatore. Ma avrei preferito tu mi parlassi del tuo piano.

Win sorrise a quel rimbrotto, e mormorò per contro: “Le mie più sentite scuse, Mia Signora. Ma occorreva che i miei fratelli fossero sinceri nelle espressioni. E sappiamo bene quanto sia pessima, Summer, come attrice.”

“Ehi!” sbottò la gemella prima di accigliarsi, sospettosa. “Ferma un secondo. Perché hai chiamato Mæb...”

Autumn scoppiò a ridere all'improvviso, mentre i vecchi Guardiani dell’Aria, della Terra e dell’Acqua impallidivano di colpo, crollando a terra senza forze. Solo Shaina rimase in piedi, furente e per nulla sconfitta.

Il suo odio era tutto per la Guardiana del Fuoco, la nipote dai doni unici, colei che poteva creare il fuoco dal nulla.

Una cosa che lei, neppure al massimo fulgore, era mai riuscita a compiere.

Summer replicò al suo sguardo con un ghigno ma, contrariamente al solito, rimase zitta. C’era un’altra persona – niente meno che una dea – che avrebbe parlato per lei.

Spring, allora, mormorò sgomenta e timorosa: “Mia dea?”

Solo attraverso un Dominatore dello Spirito, avrei potuto manifestarmi, e il piccolo Malcolm era ancora troppo giovane per poter contenere il mio potere. Mi rincresce che tu non abbia capito subito a chi ti stavi rivolgendo, Shaina e, soprattutto, mi angustia che tu abbia esplicitamente contravvenuto alla prima legge che io insegnai ai vostri avi… e a te. Mai colpire nessun innocente con i propri poteri. Mai colpire un altro Guardiano. Mai abusare del proprio potere per ottenere altro potere.

Spring, a quell'accenno, si coprì la bocca per reprimere un singhiozzo sorpreso e Autumn, rivolgendosi al fratello, gli domandò: “Tu sapevi?”

“Ne ho avuto l'impressione, perché già una volta incontrai la dea... molto tempo fa.”

Il gemello comprese a quale momento si stesse riferendo – la morte di Erin – e, avvicinatosi a Winter, gli batté una mano sulla spalla, comprensivo.

“Ti dissi che prendere il posto di Melody non sarebbe servito a nulla, nel caso in cui lei fosse morta, perché già io chiesi una cosa simile ad Arianrhod. Fu in quel giorno che io La vidi, e un simile tocco di potere lo rammenti per tutta la vita.”

Grazie per aver mantenuto il segreto, Dominatore dell’Acqua.

“Dovere, Mia Signora.”

“Ci hai condannati tutti!” sbraitò in lacrime Selene, la Guardiana della Terra, fissando bieca Shaina, che ancora fremeva di rabbia malcelata.

Oh, non fare la lagna, Selene! Shaina non vi ha minacciati con un coltello puntato alla gola. E tutto il Clan sarebbe da condannare, da qui ai vostri predecessori di decimo grado! Ho sperato per secoli che il buon senso tornasse a governare le vostre menti, e invece è andato tutto sempre peggio. L’amore verso di me è diventato amore verso il denaro, verso il potere che esso poteva portare a voi e alle famiglie che a voi si sarebbero unite. E questo non è mai stato il mio volere!

Il rimbrotto di Arianrhod rimbalzò come un colpo di maglio tra le pareti della stanza, facendole tremare neanche fossero state fuscelli d’erba.

Selene si azzittì, impallidendo maggiormente, se possibile.

Nessuno dei gemelli parlò.

Quel tono non lasciò spazio a interpretazioni... e l'idea di trovarsi nei paraggi di una dea furente, non piacque a nessuno.

Neppure Summer, da sempre litigiosa e pronta a battibeccare, trovò il coraggio di uscirsene con una battuta al vetriolo.

Geamhradh, Earrach, Samhradh, Foghara, stringetevi in Cerchio, per cortesia, chiese a quel punto la dea, con voce stentorea e gelida quanto una notte d’inverno polare.

I gemelli si affrettarono a obbedire mentre Shaina, in un ultimo slancio di speranza, esclamò: “Io ho sempre guidato il Clan, per te! Li volevo forti, per te! Li volevo puri, per te! Questo non conta niente?!”

Quando sento parlare di purezza della razza, Shaina, mi vengono in mente solo cose brutte, e io non amo le cose brutte, soprattutto se toccano i miei figli.

Poi, rivolgendosi ai gemelli, la dea esclamò: Di norma, dovrei tagliare le loro vite così come le ho intessute per la prima volta, alla loro nascita. La colpa di cui si sono macchiati è grave, ma questa famiglia ha perso fin troppi affetti, perciò vi concederò di scegliere per loro, Dominatori. Cosa volete, per gli Anziani?Badate, ho ancora il falcetto in mano, e non sono famosa per la mia pazienza. Siate lesti!

Tutti guardarono immediatamente Winter che, con un mezzo sorriso, borbottò: “Scarica barile che non siete altro.”

Ciò detto, levò il viso verso l'alto, le mani di Autumn e Spring nelle sue, ed esclamò: “Gli siano tolti tutti i poteri, sia temporali che mistici, e siano destituiti dal Consiglio, il cui potere ora passerà nelle nostre mani!”

Fin troppo generoso, giovane Dominatore. Avrei preferito qualcosa di più cruento.

“Chiedo venia, Mia Signora” sorrise allora Winter, lanciando un'occhiata in direzione di Shaina, che appariva ai limiti della sopportazione umana.

Borbottò qualcosa, li fissò tutti con il fuoco negli occhi e, prima ancora che uno qualsiasi di loro potesse fare qualcosa per fermarla, si avventò contro Spring tenendo tra le mani il suo stiletto consacrato.

Quel che avvenne, in quei brevi momenti di panico e confusione, fu semplice quanto definitivo.

Arianrhod non era famosa per la sua pazienza, ma neppure per la sua elasticità mentale.

Quel gesto, semplicemente, la mandò in bestia.

Recise all'istante il filo rosso che teneva in vita Shaina e, prima ancora che la lama potesse calare sull'incolpevole Spring, la donna crollò a terra priva di vita, gli occhi vitrei e gelati dalla morte.

Nessuno osò parlare, toccarla, muoversi.

Tutto parve congelato nel tempo e nello spazio.

Fu la dea stessa a spezzare quell'istante interminabile.

Non parlo mai a vanvera. E dire che avrebbe dovuto saperlo. Ho pazientato per fin troppo tempo che i miei figli giungessero a più miti consigli, ho persino sopportato la creazione di quella maledetta torque, sperando che l’oscenità di una simile invenzione potesse far rinsavire anche i cuori più freddi, ma ciò non è avvenuto. Sono stata fin troppo buona, e mi accorgo di questo errore troppo tardi.

Ciò detto, scomparve e Spring, lanciando un'imprecazione degna di tale nome, strappò lo stiletto dalla mano dell'ormai esanime nonna.

Datolo poi alla gemella, ringhiò con occhi velati di dolore e furia: “Fondilo, ti prego.”

“Con sommo gusto” sibilò per contro Summer, prendendolo in mano.

Nel giro di pochi istanti, la lama si fece scarlatta e, sotto gli occhi di tutti, gocce di metallo fumante caddero sul pavimento di pietra, formando un'informe struttura metallica.

Fatto ciò, la Dominatrice del Fuoco, ora forte di tutti i poteri del suo Elemento, fissò i restanti Anziani e, torva in viso, ringhiò: “Dove si trova la torque?”

Senza aprire bocca, Magnus si mosse per aprire uno stipetto in un vecchio mobile in legno scuro e, dopo aver consegnato una scatola a Summer, indietreggiò a capo chino.

Winter aprì la scatola per la sorella e, accigliato non meno degli altri, fissò le cinque torque in acciaio siderale che, da fin troppo tempo, erano nelle mani del Consiglio.

Solo un simile acciaio, avrebbe potuto impedire il passaggio del potere nei loro gangli nervosi, poiché agiva direttamente sugli Elementali a loro asserviti.

Questo era risaputo da tempi immemori e, quando il Consiglio aveva subodorato le potenzialità insite in esso, la torque era stata la risposta alle loro necessità.

Per mantenere il potere nelle mani di pochi, i Guardiani e la loro libertà erano stati messi in secondo piano, ideando quelle oscure trappole.

La legge dei Prescelti era stata riletta a loro uso e consumo, così che le Prime Famiglie potessero diventare sempre più ricche e potenti.

Ma ora, tutto ciò avrebbe avuto un termine, il Clan sarebbe tornato agli antichi fulgori.

Una dopo l’altra, Summer ridusse le torque in masse di acciaio informe, che crollarono sul pavimento di pietra producendo tonfi sordi e definitivi.

Da ultimo, la donna bruciò anche la scatola che le aveva protette negli anni e, disgustata, fissò i restanti Anziani come se desiderasse far fare loro la stessa fine.

Fu solo la mano di Winter, stretta nella sua, a impedirle di attraversare il limite che non le era concesso oltrepassare.

“Credo che dovrei andare a dirlo al nonno” mormorò a quel punto Spring, perdendo lentamente il suo sguardo accigliato, che ancora era posato sulla loro progenitrice.

“Vengo con te” assentì la sorella, avvolgendole la vita con un braccio.

I gemelli si scambiarono un'occhiata significativa e, mentre il flusso di potere continuava a penetrare nei loro corpi, conferendo a ciascuno di loro nuova energia, Autumn scrutò gli Anziani e dichiarò torvo: “Qualcun altro vuole fare la sua stessa fine?”

Il mutismo generale bastò come risposta e Winter, piegatosi a terra per sollevare il corpo ormai morto di Shaina, sospirò pesantemente e si avviò verso la porta per uscire da quel luogo infausto.

Autumn lo seguì e, a breve distanza, anche i rimanenti Anziani uscirono dai sotterranei.

Nulla vi era più da compiere, in quel luogo. Il futuro e il passato si erano scontrati con alterna fortuna, ed ora potevano solo guardare avanti.

 
∞∞∞

L'alba era ormai prossima e, sul vicino lago, una bruma leggera si stava levando umida e spessa.

Winter, sorridendo appena nel veder comparire Erin al suo fianco, le disse: “Grazie per aver aiutato John.”

“Sei il mio Guardiano, Winter. Eseguirò sempre i tuoi ordini” ironizzò la fata, dandogli un colpetto con la spalla cristallina.

Lui ridacchiò.

“Sai benissimo cosa intendo, sciocchina.”

“Oh, lo so bene. Ma mi piace quando storci il naso a quel modo, a stóirin.

“Melody e Kimmy...”

“Estrarranno il midollo spinale a Kimmy questo pomeriggio, poi lo impianteranno in Melody.”

“Vorrei tu fossi là con loro, se non è un problema. Noi abbiamo alcune cose da sistemare qui e, per almeno un paio di giorni, non riusciremo a muoverci” la pregò allora Winter.

Erin si chinò a dare un bacio all'ex marito, appoggiato al parapetto di uno dei tanti balconi in pietra del castello e, gentilmente, gli disse: “Sarà un piacere, Winter, e lo sai. Inoltre, Kimmy mi ha pregata di non lasciarla sola troppo a lungo. Le fa un po’ paura, l’operazione.”

Winter annuì ed Erin, con un ultimo sorriso, si approssimò a scomparire in una nuvola di cristalli di ghiaccio.

“Erin...” mormorò una voce alle loro spalle.

La fata e Winter si volsero all'unisono e lì, sulla porta della stanza da letto del Guardiano dell'Acqua, fece la sua comparsa Autumn, in maniche di camicia e jeans.

Pareva essersi appena alzato, almeno a giudicare dai piedi nudi e i capelli in disordine.

“Autumn...”

“Devo dirgli qualcosa, Erin?” domandò allora Winter, lanciando un'occhiata preoccupata al fratello.

“Ci siamo già detti tutto, non temere. Ora andrò, come ti ho promesso.”

Già sul punto di svanire, Autumn bloccò Erin a una mano e, con gentilezza, la attirò a sé per un abbraccio, mormorando accorato: “Grazie, mo chrói... grazie.”

Erin tremolò, ma restituì l'abbraccio meglio che poté, replicando: “Mi basta sapervi insieme, e felici. Ora, sono più tranquilla.”

Ciò detto, svanì e Autumn, rivolgendo uno sguardo dubbioso al fratello, gli sentì dire: “E' felice per noi, per te. E dormirà sonni tranquilli, ora.”

“Le fate dormono?” replicò ironico Autumn.

“A modo loro” ghignò Winter, massaggiandosi distrattamente una mano.

Il gemello ne studiò curioso i movimenti quando, a sorpresa, un pugno degno di tale nome gli si scaricò in piena faccia, mandandolo lungo riverso sul pavimento.

Un attimo dopo, la risata sgangherata del fratello gli giunse in scherno.

“Ricordi? Te l'avevo promesso!”

Rialzatosi a sedere a fatica, ancora frastornato da quel colpo a tradimento, Autumn si tenne una mano sull'occhio pulsante e dolente.

Sbuffando infastidito, mugugnò: “Speravo te ne fossi dimenticato.”

“Lamentati anche. Dovrei riempirti di pugni, per tutti questi anni di separazione assurda. Invece, mi accontenterò di un solo cazzotto in faccia. Ritieniti fortunato” replicò il gemello, allungando una mano verso di lui per aiutarlo a rialzarsi.

Autumn la accettò, ben sapendo che non ci sarebbero state altre rappresaglie e, con un mezzo sorriso, disse: “Grazie per aver pensato a proteggere anche Melody.”

“E' parte della famiglia. Ovvio che l'avrei fatto” scrollò le spalle Winter, come se le parole del fratello fossero del tutto inutili.

“Quando hai pensato di mettere nelle mani di John un simile concentrato di potere?” si informò allora Autumn, tornando in camera assieme al gemello.

“Ci ho pensato quando Mæb è comparsa sulla porta di casa tua. Ho percepito subito la presenza della dea, e questo mi ha convinto di quanto fosse pericolosa la situazione, se Arianrhod stessa aveva deciso di prendere parte alla tenzone. Certo, non pensavo che nonna sarebbe stata tanto folle da incanalare un incantesimo attraverso noi, e per colpire i nostri cari, ma sospettavo che qualsiasi cosa ci fosse accaduta, avrebbe avuto ripercussioni su Kim e gli altri. Andavano protetti, così decisi di fare un piccolo incantesimo. Ne parlai con John ed Erin, così che fossero pronti a qualsiasi evenienza e, a quanto pare, non sono stato troppo prevenuto. Immettere il mio sangue nella lama, assieme a quello di John, ha creato un ponte che mi ha permesso di dargli, come dire, le chiavi per usare i poteri nel pugnale. Diversamente, non saremmo riusciti a combinare nulla. Per quanto riguardava Sean e gli altri, temevo anche per loro, visto che per primi hanno messo in moto il cambiamento ma, la tua idea di mandarli a Temair, mi ha tolto dall’impaccio di predisporre una rete di protezione anche per loro.”

“Avrei dovuto pensarci anch'io. A proteggere Mel egli altri in qualche modo, intendo” sospirò Autumn, scuotendo il capo con aria infastidita.

“L.A.... eri già abbastanza preoccupato per Melody, per poter pensare anche a questo. E, volente o nolente, a me piace prendermi cura di voi. Inoltre, sei stato tu a mandare Miranda e gli altri a Temair, no?” gli fece notare Winter, avvolgendogli le spalle con un braccio.

Autumn annuì, ma nei suoi occhi brillava ancora l’incertezza.

“Win...”

“Cosa c'è?”

“E se lei... se lei non sopravvivesse neppure dopo il trapianto?” riuscì a dire Autumn, pur se con voce a stento udibile.

“Sarà quel che la dea vorrà, ma affronteremo il bello e il brutto insieme.”

Autumn annuì ancora e, quando vide comparire in corridoio le gemelle, quasi avessero percepito il suo dolore, lui le avvolse in un caloroso abbraccio, a cui si unì anche Winter.

Summer baciò i fratelli sulle guance e, nel ridacchiare di fronte al livido ormai visibile sull'occhio di Autumn, celiò: “Mi sembrava strano che non faceste a botte.”

“Solo un pugno” sottolineò Win, tronfio.

“L'America è ancora lontana. Tutto è possibile” replicò Summer, dandogli di gomito.

I gemelli risero e Spring, nello stringersi ad Autumn, mormorò: “Non ti lascerò più andare, promesso.”

“E io non ti permetterò di farlo, mo chrói...

 
 
 
 
 
 
___________________________
 
1. Meabhair (gaelico irlandese): significa spirito, nella sua accezione più ampia, e si riferisce all'intelligenza aulica, all'arguzia. Rappresenta l'Elemento Spirito.


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Capitolo 15
*** Capitolo 14 ***


 
14.
 
 
 
 
 
Il mausoleo della famiglia Hamilton si trovava nel più antico cimitero di Dublino.

In quel luogo di riposo, il giorno seguente la tragica - quanto improvvisa - morte di Shaina Elianor O'Neilly, si tenne il suo funerale in pompa magna.

Ogni membro del Clan si presentò per l’evento e, a officiare il rito, pensò il più alto Prelato della Chiesa Cattolica presente su suolo Irlandese.

Di comune accordo, non vi furono fiori, ma la famiglia si premurò di chiedere donazioni ad associazioni caritatevoli ed enti benefici.

Nessuno domandò nulla sull'improvvisa scomparsa della loro guida, all'interno del Consiglio e, strano a dirsi, gli anziani membri rinunciarono in pianta stabile alle loro cariche.

Winter, in gran segreto, ne fu lieto, pur se non felice per come si fosse arrivati a quelle dimissioni.

Non aveva mai desiderato la morte della nonna, per giungere a un simile risultato.

Quando le celebrazioni terminarono, e i capiclan si diressero all'unisono verso il castello degli Hamilton, Winter si prese un istante per rimanere accanto al nonno.

Piegato dal dolore fin dall'istante della morte dell'amata, non aveva però mosso parola contro i nipoti.

In quel momento, fermo a pochi passi dai cancelli ottonati del mausoleo, osservava perso le insegne di famiglia incise sul blasone di metallo.

A poca distanza dall’anziano e da Winter, Colin e Miranda attendevano con il loro bambino.

Una mano poggiata sulla spalla del nonno, l’uomo mormorò: “Mi spiace non ci siano stati altri modi per fermarla.”

“Ha deciso di se stessa nel momento in cui ha levato la mano contro Spring” sospirò Angus, scuotendo il capo. “Già quello che aveva tentato di fare era grave, ma addirittura andare contro la propria nipote… ma cosa aveva per la mente? Cosa?”

Winter annuì, sapendo perfettamente quanto fossero vere quelle parole. E quanto dovesse pesargli la follia della moglie.

Era chiaro quanto, perdere i suoi poteri, fosse stata una richiesta troppo alta da sopportare, per Shaina.

Se avesse atteso l’Apice, avrebbe avuto gioco facile, ma a quel punto li avrebbe già persi tutti. Le cose erano andate troppo avanti, e lei aveva tentato l’intentabile.

Perdendo la vita nel tentativo di mantenere il controllo sul Clan.

“Starai bene, nonno?” gli domandò premuroso, scuotendolo appena.

“Sarà come la dea vorrà, nipote.”

Winter gli sorrise comprensivo e, dopo essersi voltato un istante per fare segno ai due amici di raggiungerli, mormorò: “Ho pensato di dire a Miranda e Colin di venire a stare da te, assieme al piccolo Anthony. Il castello è enorme e, visto che a Mir’ e Colin serviva una casa più spaziosa, e nei pressi di Dublino...”

Lo fissò speranzoso e, quando i suoi due amici li raggiunsero, diede una pacca sulla spalla al novello papà.

“Come... come le antiche consuetudini vogliono” mormorò Angus, apprezzando il gesto del nipote.

“Mi sono ricordato che, in tempi passati, era uso che il capoclan accogliesse in seno alla famiglia gli amici più cari, perché abitassero tra le pareti del castello del feudatario, perciò…”

Winter non disse altro e Colin, annuendo all’amico, si rivolse infine ad Angus, aggiungendo: “Saremmo davvero onorati di esserle d’aiuto nel mantenimento del castello.”

“Sarà piacevole avere un bambino che scorrazza per i corridoi di palazzo” assentì Angus, battendo una mano sul braccio del nipote e, subito dopo, su quello di Colin. “Ma di certo, non penserete al suo mantenimento, ragazzo. Dovrete pensare al piccolo Anthony, innanzitutto. E lui crescerà in una casa solida, dove sarà protetto e amato.”

“Aiuteremo comunque, per il puro piacere di farlo” sottolineò Miranda, avvolgendo la vita dell’anziano per abbracciarlo teneramente.

Un attimo dopo Anthony, ancora stretto nelle sue braccia, trillò felice e Angus, suo malgrado, si lasciò sfuggire una lacrima.

Colin e Winter sorrisero soddisfatti. La presenza del bambino avrebbe aiutato l’anziano a sopportare la scomparsa traumatica della moglie e, forse, a concedergli un tardivo senso di speranza.

“Una donna volitiva quanto dolce” asserì l'anziano, dando una pacca sul viso a Miranda, che ridacchiò.

Rivolgendosi poi al nipote, aggiunse: “Sarai un Capoclan saggio e rispettato, Winter.”

Saremo. Non guiderò il Clan da solo, ma supportato dall'aiuto dei miei fratelli, oltre che da quello di Miranda, Colin e Sean. Loro saranno le nostre orecchie e i nostri occhi in Irlanda e, se ci sarà bisogno di noi qui, verremo. Ma penso che, d'ora in poi, le cose saranno più semplici per tutti.”

“Verrete comunque a trovarci, vero?”

“Lo faremo, nonno, te lo prometto. Non appena Sunshine sarà in grado di viaggiare per così lunghe tratte, verremo” gli promise Winter, abbracciandolo a sua volta.

“Ora andiamo, figliolo. Non puoi certo perdere la tua investitura.”

Angus ridacchiò e, nel dare una pacca sulla schiena al nipote, lanciò un'ultima occhiata al mausoleo prima di avviarsi verso l'uscita assieme a Win, Miranda, Colin ed il piccolo Anthony.

 
∞∞∞

Ognuno dei capiclan firmò la propria fedeltà ai gemelli Hamilton e, sotto lo sguardo intenso e speranzoso di tutti, Winter eliminò ad aeternam la legge di Primogenitura.

Depennò altresì quella dei candidati al ruolo di Prescelti.

Nessuna Famiglia avrebbe mai più avuto il dubbio diritto di proporre uno dei propri figli – o figlie – ai futuri Guardiani.

Tutto avrebbe dovuto svolgersi nella più assoluta libertà, e la scelta dei propri compagni sarebbe avvenuta anche al di fuori del Clan, d’ora innanzi.

Ai capiclan fu chiesto unicamente di proseguire con il mantenimento dei riti in onore della dea, oltre che al rispetto del segreto sui poteri dei Quattro.

Nessuna delle tenute in mano alle Prime Famiglie sarebbe stata tolta, gli attuali privilegi – ottenuti dai passati matrimoni – non sarebbero stati cancellati.

Tutto sarebbe rimasto al suo posto, ma nulla sarebbe più passato attraverso l’imposizione del Consiglio.

Il fatto non indifferente che la dea si fosse palesata, e niente meno che nel corpo della Guardiana dello Spirito, aiutò non poco a far sì che tutti fossero solidali con un simile accordo.

Mæb, a quel punto, dichiarò solennemente di voler prendere sotto la sua ala il giovane Malcolm, perché cominciasse quanto prima il suo apprendistato.

Di comune accordo con la Dominatrice, ella si sarebbe trasferita nella villetta di Brigidh, che dichiarò di volerla come sua ospite finché la donna l'avesse desiderato.

Winter non dubitava che Mal sarebbe stato felicissimo di una simile decisione.

Mentre i festeggiamenti proseguivano nell’enorme salone delle feste, e libagioni profumate si intervallavano a fiumi di birra, Brigidh sorrise a Winter ed Autumn, venutisi a sedere accanto a lei.

Il contraccolpo psichico ricevuto al suo arrivo al castello l’aveva lasciata stordita, ma i molti giorni di riposo erano serviti a ridarle forza.

Certo, la fine della madre l’aveva comunque colpita, ma Brigidh aveva dimostrato di essere abbastanza forte per sopportare praticamente di tutto.

Stretta una mano per ciascun nipote, dispensò un bacio a testa e, lieta, disse: “Ora che vi rivedo insieme, il mio cuore può finalmente gioire. Le vostre sorelle, inoltre, mi hanno detto che una nuova fiamma si è unita alla famiglia.”

Autumn annuì e, seppure a fatica, le domandò: “So che non è corretto chiedertelo, zia, ma potresti scrutare nella Sfera per Melody?”

Lei gli sorrise, carezzando quel viso dalle guance ruvide di barba, dagli occhi ancora tormentati – ma in cui brillava una fiammella di speranza – e, senza indulgere oltre, parlò.

“Sai che la Vista giunge a me quando Ella lo desidera, a suo piacimento, e che difficilmente potrei sondare le decisioni della dea, se Lei non volesse.”

Autumn sospirò sconsolato, ma Brigidh sorrise maggiormente.

“Ma questo non vuol dire che Lei non mi abbia mostrato nulla.”

“Zia!” esalarono all’unisono i nipoti.

La donna ridacchiò – era così bello udire nuovamente le loro voci mescolate assieme! – e asserì: “Ho scorto una stella e un turbine di vento, ed essi danzavano assieme sotto una densa nevicata.”

Winter ed Autumn si guardarono vicendevolmente per alcuni attimi, prima di aprirsi in un cauto sorriso.

“Dando per scontato che, fino al prossimo inverno, non nevicherà…” iniziò col dire Winter, abbozzando una risatina.

“… oserei dire che è la prima previsione che capisco” terminò di dire Autumn, dando una pacca sulla spalla al gemello.

Brigidh si limitò a scrollare le spalle, senza più dire nulla.

In quel mentre, Summer e Spring giunsero loro accanto e, afferrate le mani dei gemelli, li portarono in pista per ballare una giga.

La zia li osservò con un sorriso agrodolce e, massaggiandosi la mano dove portava uno degli anelli della madre, mormorò: “Era questo a cui dovevi puntare, non all’assolutismo, mathaír.

Suo padre Angus la raggiunse qualche attimo dopo e, nel deporre nelle sue mani un boccale di birra, le domandò: “Come ti senti, tesoro?”

“Meglio di ieri, e domani sarà meglio di oggi” sentenziò lei, sorridendogli.

L’anziano padre annuì e, in silenzio, osservarono la gioia di quella serata di festeggiamenti con un piccolo peso sul cuore.

Ci sarebbe stato il momento per piangere adeguatamente Shaina, ma quello era il momento dei festeggiamenti, dell’allegria, della benedizione di un nuovo futuro.

Ostara non era mai stata festeggiata così degnamente. E apparsa ai loro occhi così triste.

“Non ci saranno più decisioni crudeli da prendere, né imposizioni per nessuno. Seguire la dea sarà un piacere, non più un dovere gravoso, ora che è la sua parola, e non quella degli uomini, ad esserci di guida e ispirazione” asserì Brigidh, carezzando la mano rugosa del padre.

“Avrebbe dovuto essere così fin dall’inizio” sospirò l’uomo, ben conoscendo le colpe di cui si era macchiata la moglie, appoggiata dai Guardiani dell’Aria, dell’Acqua e della Terra.

Le colpe di chi, prima di loro, aveva dato il via a quella lenta, lunga, apparentemente interminabile decadenza.

Ora gli Anziani sedevano composti in un angolo della sala, domi e deposti, e osservavano quei nuovi volti e quella nuova via quasi non comprendendone la vivacità, la brillantezza.

Era forse troppo, per i loro occhi ormai spenti.

 
∞∞∞

Quando infine la cerimonia si fu conclusa e tutti furono pronti per ripartire alla volta degli Stati Uniti, Brigidh si dichiarò più che lieta di tornare, soprattutto ora che aveva potuto rivedere assieme Winter e Autumn.

Il rientro fu tranquillo – anche grazie al tocco leggero del potere del Dominatore dell'Aria – e, quando finalmente atterrarono a Tulsa, i gemelli e Brigidh poterono tirare un sospiro di sollievo.

Senza attendere un minuto di più, si recarono in blocco all'ospedale e lì, dopo aver incontrato Robin in sala d'attesa, si fecero ragguagliare sulle ultime novità.

Robin fu prodigo di risposte e, forse anche grazie al suo immenso sorriso, Autumn non rischiò di morire prematuramente d'infarto.

Trovandosi temporaneamente in terapia intensiva, Autumn rinunciò a entrare per lasciare che i genitori di Melody rimanessero al fianco della figlia ma, con il tocco del suo potere, la visitò ugualmente.

Lo rincuorò percepire il battito forte del suo cuore, così come il suo respiro tranquillo ma, ugualmente, si rifiutò di tornare a casa per aspettare che lei si risvegliasse.

Disse a Spring, Summer e Brigidh di andare a casa sua, dove si trovavano John, Max, Sunshine e Malcolm dopodiché, assieme a Winter, Autumn si recò a far visita a Kimberly.

La giovane, ancora un po' stordita e stanca, se ne stava sdraiata sul fianco buono nel suo letto d'ospedale e, quando li vide entrare assieme, sorrise per un istante prima di liberarsi in una calda risata.

“Oh, Winter... dovevi proprio?”

Win lanciò un'occhiata all'occhio nero del gemello e, con una scrollata di spalle, ammise: “Gli sta ben fatta, ammettiamolo. E poi, sono stato onesto. Ne ha solo uno, di lividi.”

Allungando una mano verso di loro, Kim strinse quella di Winter, a cui si unì quella di Autumn, e disse: “Non avete idea del casino che c'è stato qui. Ero in camera di Melody, quando John è dato quasi di matto. Ha estratto dal mio zaino il pugnale che mi avevi fatto e, all'improvviso, Erin ha fatto la sua comparsa.”

Ridacchiò, e proseguì nel suo racconto.

“Erin si è disposta attorno a noi come una cupola di cristallo mentre John e, suppongo, il suo loa, hanno continuato per tutto il tempo a mormorare litanie in creolo, intervallandole a strani gesti nell'aria. Le pietre del pugnale pulsavano come cuori... è stato stranissimo, lo ammetto. Specialmente quando John si è inciso la mano col pugnale.”

“Supponevo l'avrebbe fatto” assentì Winter, deponendo un bacio sulla fronte della compagna. “E' servito a dargli maggiore controllo sul pugnale. Ricorda che apparteniamo a due correnti di potere diverse. Nei riti vuduisti, il sangue è una componente molto importante.”

“Sul momento, ho solo temuto si facesse troppo male” dichiarò Kim, scrutandoli dubbiosa. “Ma cos'è successo, poi?”

Winter e Autumn, a turno, le spiegarono ciò che era avvenuto in Irlanda e, quando le dissero della dea, la giovane strabuzzò gli occhi, murandosi la bocca.

Era chiaro che la notizia doveva esserle parsa parecchio fuori dagli schemi, nonostante fosse ormai abituata alla sua strana famiglia.

Autumn le sorrise comprensivo e, nel carezzarle il capo di riccioli castano rossicci, le disse: “Grazie per tutto quello che hai fatto, Kimmy. Non potrò mai sdebitarmi a sufficienza con te.”

“Da quel che ho saputo da Erin, sono io che dovrei ringraziare te” gli sorrise lei, sorprendendo entrambi i gemelli. “Mi ha detto che hai deviato quel colpo di AK-47, nello Stretto e che, senza il tuo intervento, sarei stata colpita in tutt'altro modo. Probabilmente, mortale. Perciò, io ringrazio te.”

Autumn arrossì come un peperone maturo, rifuggendo i suoi ringraziamenti come inutili, ma Winter non fu dello stesso avviso.

Abbracciò strettamente il gemello e, con voce rotta dall'emozione, lo ringraziò mille e mille volte, costringendo un sempre più imbarazzo Autumn a scostarlo a forza da sé.

Nessuno dei due parlò più di quell'incidente, ma quell'ultimo tassello servì a sanare anche l'ultima ferita nel cuore di entrambi i gemelli.

 
∞∞∞

Si risvegliò con un sorriso sulle labbra sognanti, e l’impressione di essere stata nel Paese delle Meraviglie fino a un istante prima.

Nello scorgere la bella fata dell’aria, che Autumn le aveva presentato solo alcuni giorni prima, e che in quel momento era assisa su un angolo del suo cuscino in attenta contemplazione, seppe che tutto era a posto.

Nella stanza della terapia intensiva, in quel momento, si trovava sua madre e, nello scorgere il suo volto stanco e riverso sullo schienale della poltrona, si ripromise di non farla agitare mai più a quel modo.

In quei lunghi anni di malattia, lei era stata la vera roccia salda della famiglia e, anche di fronte alle sue richieste più assurde, si era sempre comportata con estrema compostezza.

La sua ultima avventura, però, aveva stroncato anche la sua fibra eccellente, facendola esplodere.

Anche di quello avrebbe dovuto scusarsi con lei ma, forse, vedendola nuovamente in forze, si sarebbe ripresa a sua volta.

Lo sperava davvero.

Quasi come se avesse avvertito su di sé gli occhi chiari della figlia, Sophie si ridestò dal pesante sonno che l’aveva presa e, nel sorriderle, mormorò sonnacchiosa: “Cricetino…”

Melody trovò la forza di ridere, pur se sommessamente e la madre, alzatasi dalla poltrona, la raggiunse accanto al letto per carezzarle il viso con le mani inguantate.

Il lattice del guanto non sminuì la dolcezza della carezza, così come la mascherina che Sophie indossava, non alterò l’amore presente in quell’unica, tenera parola.

“Ciao, mamma…”

“Ciao, tesorino. Come ti senti?”

“Stordita, un po’ confusa ma… tutto sommato, sto bene” le spiegò Melody, allungando una mano per stringere quella madre protesa verso di lei.

Quando le loro dita si fusero in una stretta delicata, Sophie scoppiò in un pianto silenzioso quanto purificatore e la figlia, con un lento sospiro, asserì: “Giuro che non farò mai più nulla di pericoloso. Mi imbottirò di ovatta per il resto dei miei giorni, e non farò nulla di più rischioso di un uovo al tegamino.”

La madre esplose in una risata vagamente isterica, ma scosse il capo.

“Non saresti più tu, e mi spaventeresti per un altro motivo. Penserei che non hai più le forze per farlo, e questo mi farebbe venire mille dubbi. No, ti preferisco scapestrata e matta come sei sempre stata.”

“Lo prenderò come un complimento” celiò Mel, storcendo appena il nasino a punta.

“Lo era, credimi” assentì Sophie, torcendoglielo gentilmente in una strizzatina amorevole.

“Mamma… Autumn è…”

Si bloccò, perché non aveva trovato neppure un attimo di tempo per spiegarle cosa vi fosse tra loro, ma lei si limitò ad annuire e, con mosse misurate, attirò accanto al letto la poltrona per accomodarsi.

Vagamente confusa, Melody la curiosò con lo sguardo e, dinanzi ai suoi occhi sempre più sgranati e sorpresi, Sabrina Emerson Snow, la donna più concreta e con i piedi per terra del mondo, le spiegò tutto su Autumn.

Le parlò di ciò che si erano detti prima della sua partenza per l’Irlanda, ammise con lei la sua sorpresa nell’aver scoperto il loro amore… e rise imbarazzata nel parlare degli strani poteri della famiglia dell’uomo.

Gesticolò per tutto il tempo e, quando la fata andò a posarsi sulla spalla di Sophie, Mel comprese che anche la madre poteva vederla.

E che era lieta e strabiliata in positivo, per un simile evento.

“Questa piccola fatina non ti ha mai abbandonata. E’ sempre stata al tuo fianco, in ogni momento, …immagino anche durante l’operazione.”

L’elementale annuì orgogliosa, e Sabrina allungò un dito per carezzarla sul capo. Appariva come ringiovanita, nei pochi minuti passati dal suo risveglio, e Melody si chiese se non fosse proprio per merito di quella dolce fatina.

“Quindi… sai tutto” mormorò alla fine Mel, lappandosi le labbra secche e screpolate.

“Autumn ha ritenuto giusto che noi sapessimo ogni cosa e, a mio parere, ha dimostrato molto coraggio. Perché ce ne vuole davvero per fidarsi di due perfetti sconosciuti, e mettere nelle loro mani un segreto così pericoloso.”

“Siete i miei genitori. Non poteva che fidarsi” sorrise lei, sentendosi prossima alle lacrime.

Aveva sempre lasciato in sospeso quel pensiero, domandandosi segretamente se e quando ne avrebbe mai parlato con suo padre e sua madre.

E invece, eccolo lì, il suo eroe, a parlare da solo con loro, e di una cosa così determinante per il loro futuro assieme.

Certo, l’operazione era stata basilare. Ma anche quel punto lo era, allo stesso modo.

Sapere che Autumn si era spinto così in là per lei, la portò a dire: “Lo amo, mamma. Tantissimo. Perciò, dimmi… cos’ha detto il dottore?”

“L’operazione, tecnicamente parlando, è andata benissimo. Ora, sarà il tuo corpo a dirci se le cellule di Kimberly basteranno a guarirti. Ma io sono propensa a pensare di sì.”

“Sai, mamma? Anch’io.”

Aveva sfidato la morte, incontrato creature leggendarie e affrontato poteri ancestrali… ed era ancora lì.

Era davvero forte come la tempesta, e avrebbe continuato a dimostrarlo a tutti, ancora per molto tempo a venire.
 




___________________________
N.d.A. : siamo quasi giunti al termine. Manca solo l'epilogo e poi potremo dichiarare terminata l'avventura dei quattro gemelli Hamilton. Spero di aver risposto a (quasi) tutte le vostre domande e di non aver deluso nessuno.
Ma, soprattutto, grazie a chi mi ha seguito fin qui... ci rivediamo all'epilogo!

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Capitolo 16
*** Epilogo ***


Epilogo.
 
 
 
 
31 Ottobre – Intorno a mezzanotte.
 
 
“Ehi, campione! Che ci fai, qui, tutto solo?”

La voce trillante di Melody giunse alle sue orecchie come magia pura e, nel vederla giungere al suo fianco con un bicchiere di sidro in mano, la avvolse con un braccio e la strinse a sé, lieto.

Il cielo era ingombro di nubi, e tutto lasciava intendere che, presto o tardi, qualcosa sarebbe giunto.

Solo la notte prima aveva nevicato copiosamente, e lui e Mel avevano danzato sotto la neve come due bambini.

Samhain, probabilmente, avrebbe portato la stessa neve, e uguale gioia.

Imbacuccata in un pesante maglione di ciniglia bianco, che accarezzava le guance rosse di Melody, la giovane diede un bacio sulla guancia al suo fidanzato e mormorò: “Mamma si chiedeva se avessi intenzione di passare la notte qui.”

“Sarei rientrato nel giro di poco. La mezzanotte sta giungendo, e i riti per Samhain devono iniziare. E di certo, non potrebbero cominciare senza uno dei Dominatori” le sorrise lui, deponendole un bacio sulla fronte. “Stai bene? Non è troppo freddo, qui fuori?”

Melody rise gaia di fronte alle sue inutili paure e, con un sorriso furbo, asserì: “Autumn, sto bene. Sono guarita. Quando te lo ficcherai in testa?”

“Sono passati sei mesi. Non è un po' presto per essere così irresponsabilmente ottimisti?” brontolò per contro lui, togliendole il bicchiere di mano per poggiarlo, assieme al proprio, sul davanzale del balcone.

Presala per le spalle, la condusse sotto la luce di un vicino lampione a muro e, nell’osservarle i chiari occhi di ghiaccio, sospirò.

Appariva in salute, piena di una vitalità che poche altre persone avrebbero potuto vantare, eppure…

“Per essere sicuri, cosa dovremmo aspettare? Cent’anni, a tuo parere? Diciamo che, ancora per qualche anno, dovrò fare dei controlli accurati, ma mi sento bene, davvero. E zia Brigidh ha detto che non vede ombre nel mio futuro, così come non le vede John. E' un buon segno, no?” lo irrise bonariamente Mel, scostando le mani dalle sue spalle per prenderle tra le proprie.

Storcendo appena il naso, Autumn replicò: “Mi fiderò delle profezie della zia quando ne dirà una comprensibile. Quanto a J.C.... beh, appartiene a un'altra corrente divinatoria, però, insomma...”

“Malfidato” borbottò lei, pur sorridendo allegra.

“Si tratta di te. Sarò sempre un po' sul chi vive” ci tenne a dire Autumn, accigliato.

“A proposito di questo 'sempre'...”

Melody si espresse con il dubbio nella voce e, subito, Autumn si mise in agitazione.

“Cosa vuoi dire? Cosa mi nascondi?!”

La giovane sospirò, levando gli occhi al cielo coperto e, preso il suo viso tra le mani, lo baciò sulle labbra prima di dire perentoria: “Autumn, calmati!”

“E tu non fare la misteriosa!” sbottò allora lui.

Lei gli sorrise, divertita dal suo lato così burbero e turbato assieme, ma disse seriamente: “Sai che, con tutte le cure chemioterapiche che ho subito, non potrò avere figli, vero?”

Lui annuì, immediatamente più tranquillo.

“E ti sta bene lo stesso?”

Autumn allora comprese le sue paure e, abbracciatala stretta, le mormorò tra i bianchi capelli: “Ti amo, Melody, e non importa se avremo o meno dei figli. Ti vorrò come mia compagna per sempre, indipendentemente da questo. La dea disporrà in tal senso, credimi. E dove non arriveremo noi, altri ci penseranno. Pensa soltanto che il figlio di Miranda e Colin sarà il prossimo Guardiano dell'Acqua. Non trovi che il destino è strano, a volte?”

“In fondo, erano stati scelti bene, visto che dovevano essere i vostri consorti” sorrise a quel punto Melody, rammentando con divertimento la prima volta che aveva incontrato Miranda, proprio lì al castello degli Hamilton, dove ora si trovavano insieme a tutte le loro famiglie.

Era stato in occasione del loro primo viaggio in Irlanda, un paio di mesi addietro, quando finalmente Melody aveva fatto conoscenza con l'altro ramo della famiglia di Autumn.

L'uomo era parso un po' nervoso, ma lei si era intesa subito con la bionda e solare irlandese e, da quel momento, non avevano mai interrotto la loro conoscenza.

Ed ora si trovavano tutti lì, tra quelle mura imponenti e forti.

La famiglia Parker, alla vista di quell’imponente maniero, si era complimentata con Angus per la bravura degli architetti che lo avevano progettato.

Max, ridendo, aveva pregato il padre di non farsi venire in mente strane idee, ma lui aveva nicchiato senza dargli troppo ascolto.

Chris ed Ann Marie avevano dato comprensive pacche sulle spalle al fratello, ma l’uomo non le aveva trovate per nulla consolatrici.

Non dubitava, infatti, che il padre avrebbe pensato di costruire qualcosa del genere, al suo ritorno, visto quanto Hamilton Manor gli era piaciuto al primo sguardo.

A quel ricordo, Melody sorrise. Così come sorrise divertita ripensando a Kimberly quando, di fronte al blasone della famiglia, aveva ammesso coi suoi genitori di aspettare un figlio da Winter.

Malcolm era scoppiato in un grido di giubilo, e i coniugi Clark avevano abbracciato il genero con uguali sorrisi radiosi.

Angelique aveva poi guardato Summer e John, come aspettandosi che anche loro declamassero una simile notizia.

I due, però, avevano dato picche, e la donna si era dovuta accontentare di subissare Kim di complimenti.

Non c’era alcun dubbio. Quello sarebbe stato un Samhain con i fiocchi.

Tornando a guardare il suo timoroso fidanzato, Melody si sentì bruciare d’amore per lui. Era adorabile, quando si preoccupava a quel modo.

“Winter è molto orgoglioso all'idea di avere scoperto chi sarà il giovane che dovrà addestrare, tra qui e una dozzina d'anni. Naturalmente, io gli ho già detto che Sunshine sarà più forte di Anthony, visto che la addestrerò io. Ma questo è un particolare secondario.”

Autumn ghignò, e Melody gli diede un colpo di gomito al fianco.

“Sbruffone” mormorò lei, sorridendogli.

“Onesto” replicò l'uomo.

La brezza fredda carezzò loro i volti sereni e Autumn, nell’osservare i bianchi capelli dell’amata danzare al ritmo silenzioso del suo elemento, rammentò le parole della zia.

“Ho scorto una stella e un turbine di vento, ed essi danzavano assieme sotto una densa nevicata.”

Lanciò perciò un’occhiata verso il cielo e, spontaneo, un sorriso sorse sul suo viso.

Aveva iniziato a nevicare e, in quel momento, Melody era splendente come una stella, illuminata dalle lampade sul balcone.

Appariva raggiante, brillante come l’astro a cui Brigidh l’aveva paragonata.

Perché era indubbio, ora, ai suoi occhi consapevoli, il significato del suo dire.

La stella era Melody, e lui il turbine di vento, il Signore dell’Aria, preposto al governo di quell’Elemento.

Prese le sue mani, le levò verso il cielo per raccogliere i primi fiocchi di neve e, dopo averle fatto compiere qualche passo di danza, il cuore finalmente leggero, mormorò: “Mezzanotte è giunta, amor mio. Sia un lieto Samhain, per te.”

“Lieto Samhain anche a te, Dominatore dell’Aria” replicò allora Mel, levandosi in piedi per dargli un bacio. “E ora sbrighiamoci, se non vogliamo costringere Winter a darti un altro pugno per riportarti a più miti consigli.”

Scoppiando a ridere, lui scosse il capo, le avvolse le spalle e, dopo aver dato un ultimo sguardo alla nevicata, rientrò nel palazzo per raggiungere la sua famiglia.

La sua eredità.

Il suo futuro.





____________________________
N.d.A.: e con questo capitolo, chiudo le avventure dei quattro gemelli Hamilton.
Spero di aver chiuso correttamente il cerchio, di aver sanato i dubbi e risposto alle domande che, nel corso delle varie storie, ho sollevato.
E' stato un piacere condividere con voi queste mie avventure, e spero vorrete continuare assieme a me a viaggiare per altri mondi, con altri eroi e altri misteri.
Per ora, mi prenderò una brevissima pausa per sistemare le bozze che ho già pronte e, in un prossimo futuro, posterò la prima storia di una tetralogia intitolata "The Cross of Changes".
Il titolo del primo racconto sarà "The Dream of the Dolphin" e sarà sempre un paranormal romance, stavolta interamente ambientato in Irlanda... e nei suoi mari. E' una storia completamente slegata da quella dei gemelli Hamilton, quindi avremo personaggi nuovi, e nuovi misteri.
Spero di avervi incuriosito a sufficienza per convincervi a seguirmi anche nella terra del trifoglio.
Per ora, ringrazio tutti/e coloro che hanno letto e/o commentato le mie storie. Sappiate che il vostro sostegno, come i vostri consigli, sono serviti e serviranno a rendere sempre migliori le mie storie.
Grazie!
E a presto!!
Mary
                                                                                                             

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