Lo scrigno più prezioso

di Yavannah
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Angoscia ***
Capitolo 2: *** Perdono ***
Capitolo 3: *** Niente più erba pipa ***
Capitolo 4: *** In cerca di sollievo ***
Capitolo 5: *** L'incontro con Dain ***
Capitolo 6: *** Nella vasca di Thranduil ***
Capitolo 7: *** La stanza da letto del re ***
Capitolo 8: *** Ciclamini ***



Capitolo 1
*** Angoscia ***


La strada che da Collecorvo conduceva a Dale sembrava non avere mai fine.

 

L’aria dell’accampamento era tetra e tutti, Elfi e Uomini, sentivano il gelo penetrargli fin nelle ossa ; il cielo plumbeo oscurava il sole e ovunque il nevischio , misto a fango, rendeva l’atmosfera ancor più cupa. Inoltre, così come la nebbia s’insinuava fra le pieghe dei  vestiti, una sensazione orribile prese a insinuarsi  lentamente nell’animo di Bilbo.

 

La vista , per la stanchezza, gli si appannava : invano il Mezzuomo cercava di tenere il passo nel seguire la guardia elfica che gli faceva strada tra le tende, e il cuore gli martellava in petto allo stesso ritmo della ferita che gli pulsava, dolorosamente , sulla tempia.

Vide numerosi guaritori affaccendarsi qui e là con ampolle e rotoli di bende tra le lettighe improvvisate, e i fiochi rantoli dei feriti che si spegnevano lentamente portarono più volte Bilbo a fermarsi e scrutare tra le coperte, sperando – voleva esserne sicuro – che nessuno di quelli fosse qualcuno che conosceva, qualcuno a cui aveva voluto bene.

 

Si era appena lasciato sfuggire un sospiro di sollievo nel constatare che si trattava anche stavolta di Uomini o Nani di Dain – ed era intimamente convinto che i Valar l’avrebbero punito, per questo – quando d’un tratto il soldato elfico si fermò.

«Sei atteso, mastro Baggins», fece quello indicando una figura alta e magra presso una delle tende più grandi, che il Mezzuomo suppose essere di Thranduil – dopotutto, erano tutte tende elfiche - e, ringraziato il soldato con un cenno del capo, avanzò lentamente nella bruma. Si avvicinò cautamente alla figura incappucciata – e, ora poteva vederlo, anche piuttosto lacera – e quando questo si voltò Bilbo vide chiaramente che era ferito e aveva un braccio appeso al collo.

 

«Bilbo?», disse l’uomo con stupore, sgranando gli occhi, mentre un sorriso si allargava sul suo volto.

«Gandalf?», gli fece eco lo hobbit, avvertendo il sollievo inondare la sua anima angosciata.

«Sei giunto, infine», fece ancora lo stregone . «Temevo non ce l’avessi fatta, ma gli hobbit, a quanto ho imparato, sono creature straordinarie»

Detto questo, l’ Istar prese Bilbo per un gomito e lo condusse verso l’apertura della tenda.

«Vieni»

 

Lo hobbit sbarrò gli occhi – non voleva varcare quella soglia – non sapeva bene cosa lo aspettasse, perché il macigno del suo tradimento gli pesava ancora sul cuore, e voleva mettere più tempo possibile tra sé e quella resa dei conti che prima o poi, lo sapeva, sarebbe arrivata.

Cercò di divincolarsi, senza successo, e vide Gandalf spostare il telo che faceva da porta verso l’interno, che rivelò alcune armi gettate contro una parete della tenda, - non sembravano in buone condizioni-  una lanterna e un pagliericcio.

«Che cos …» si lasciò sfuggire Bilbo, e poi Gandalf lo vide diventare bianco come un cencio e portarsi le mani alla bocca , divorato dall’orrore.

Riverso sul giaciglio e coperto alla meglio con una pelliccia , c’era l’ultima persona  che Bilbo si aspettasse di vedere.

 

«Thorin …», sussurrò lo hobbit contro le proprie dita, e alzò il piccolo volto sporco e spaventato verso lo stregone. «Guarirà, Gandalf? Dimmi che guarirà», ma l’Istar gli restituì uno sguardo grave.

«Il suo primo pensiero, dopo i suoi nipoti, è stato per te», sussurrò Gandalf, posandogli una mano sulla spalla. «Avvicinati. Egli non avrà pace finche non ti avrà parlato»

La frase gettò Bilbo nel panico, che nonostante vedesse Thorin immobile e ferito, ancora rammentava la sua stretta ferrea sulla gola, e la minaccia di farlo rotolare giù dalla Montagna – era stato Gandalf a salvarlo – quando aveva scoperto ciò che lo Scassinatore aveva fatto.

 

Quel giorno aveva perduto per sempre la sua fiducia …

 

Lo stregone parve indovinare i sentimenti dello hobbit, perché gli sorrise bonario.

«Non avere timore, va’ da lui», lo invitò con un gesto della mano. «Sono ore che chiede di te»

 

 

 

Ciao a tutti!

Visto che detestavo l’idea di descrivere la Battaglia dei Cinque Eserciti, ho deciso di accantonare l’altra storia per proseguire qui – i personaggi sono gli stessi, solo i capitoli saranno un po’ più brevi e aggiornati più frequentemente. Presto ci saranno delle new entry che spero saranno di vostro gradimento, oltre a qualche flashback che aiuterà a comprendere meglio alcune vicende passate.

Detto questo, vi saluto !!!

Vostra affezionatissima Yavannah

 

 

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Capitolo 2
*** Perdono ***


«Se riusciremo, tutti condivideranno le ricchezze della Montagna. Avrete abbastanza oro da ricostruire Esgaroth per dieci volte almeno !»

Il viscido lacchè del Governatore , Alfrid, ascoltava con interesse i mormorii della folla raggruppata attorno al Municipio, rimuginando sulla sua prossima mossa.

 

Quei nani non gli andavano proprio a genio, considerò : Bard ne aveva sicuramente architettata un’altra delle sue. Tuttavia , Alfrid aveva pur sempre dalla sua il sindaco della città : e questo, in un posto come Esgaroth, gli garantiva l’immunità da molte situazioni pericolose e gli consentiva di dire la sua anche quando avrebbe fatto meglio a star zitto. L’uomo, basso e di aspetto sgradevole, strinse i piccoli occhietti maligni in direzione di Thorin, che aveva appena terminato la sua arringa.

 

«E perché mai dovremmo crederti sulla parola, eh? Non sappiamo nulla di te», disse l’uomo scoprendo i denti giallastri ed arcuando il suo unico, brutto sopracciglio. «Chi , qui, può garantire per la tua persona?»

La folla riprese a mormorare, stavolta in maniera più fitta, mentre la neve volteggiava pigra nel cielo e si posava tra i capelli dei presenti, e i nani trattennero il fiato, finché qualcuno non ruppe il silenzio.

«Io», squittì una voce acuta a loro ben nota. «Garantisco io»

Il piccolo hobbit si erse per quanto lo permettesse la sua statura, mentre il Governatore arricciò il naso come a voler dire “e tu, adesso, chi diavolo saresti?”, ma Bilbo non si lasciò intimidire, facendosi avanti e sfoderando le sue doti di oratore.

«Io ho viaggiato lontano con questi nani attraverso grandi pericoli», dichiarò a voce alta e chiara, mentre Ori, accanto a lui, annuiva concorde, «e se Thorin Scudodiquercia da’ la sua parola, la mantiene»

 

 

***

 

 

Bilbo aveva macinato centinaia di leghe da quel lontano, terso mattino di Aprile, quando aveva lasciato Casa Baggins , ma i pochi metri che lo separavano dal ferito gli sembrarono  il tragitto più accidentato che avesse mai percorso in tutta la sua vita.

 

Il pallore che gli aveva invaso il volto aveva lasciato il posto a una grigia rassegnazione, e fu a capo chino che , giunto davanti alla branda del Re sotto la Montagna, attese.

«T … thorin » esordì , timido, quando vide che il nano non dava segni d’aver avvertito la sua presenza, e tirò su col naso quando l’altro si mosse tra le coperte, rivelando il petto nudo coperto da bende sanguinolente.

Il suo viso però era stato deterso, a differenza di quello di Bilbo che era tuttora sporco di fango, sangue e sudore, ma questo allo hobbit poco importava.

 

«Sapevo che saresti venuto», disse Thorin a voce bassissima. «Ti aspettavo …»

Il petto del nano si alzava e si abbassava a un ritmo innaturale; sembrava febbricitante.

Bilbo deglutì a fatica , cercando di distogliere lo sguardo per quanto poteva.

«Il mio onore, o quello che ne rimane, mi impone di chiarire questa situazione con te, mastro Scassinatore», riprese Thorin a fatica, ma con voce straordinariamente ferma. Nel parlare i suoi occhi si erano leggermente aperti rivelando le profonde iridi azzurre ; ma subito dopo li richiuse, soffocando un gemito dovuto allo sforzo ; e Bilbo si chinò prontamente su di lui.

 

«Non devi affaticarti», disse piano lo hobbit, parlandogli come si farebbe ad un bambino. Sapeva bene quanto fosse testardo. «Ci sarà tutto il tempo di chiarire dopo, quando ti sentirai un pochino meglio»

Ma Thorin, come immaginava , non lo ascoltò. Il nano si mosse, irrequieto, nel giaciglio, e si sforzò di tenere gli occhi aperti.

«Io sto morendo, Bilbo», sussurrò quindi verso il soffitto, fingendo di non aver sentito l’altro che aveva smesso per un attimo di respirare. «Me lo devi, questo»

 

Lo hobbit sentì una morsa di orrore artigliargli le viscere, mentre la nausea salì a lambirgli lo stomaco ; si fece, se possibile, ancor più pallido. Non poteva essere : il grande, forte Thorin Scudodiquercia non poteva morire. Se si era salvato lui, un piccolo coniglietto insignificante, come poteva il nano veterano di tante battaglie andare nelle Aule di Mandos?

 

«Cosa … ti devo, Thorin?», balbettò impacciato Bilbo, non appena si riebbe.

«Io ti ho screditato agli occhi degli Uomini», quasi ruggì Thorin, supplice. «Potrai mai perdonarmi, Bilbo?»

Il nano adesso aveva ripreso ad ansimare, mentre un sottile velo di sudore gli imperlava la fronte. Il Mezzuomo, senza pensare, raccolse una pezzuola gettata su un tavolinetto, e gli asciugò il viso.

Scottava.

 

«Hai la febbre, Thorin. Stai delirando», gli disse con un sorriso malinconico; sicuramente , se fosse stato in sé, lo avrebbe come minimo afferrato di nuovo per la gola.

Altro che perdono.

«Non sono mai stato … tanto lucido in vita mia», insisté l’altro , e a Bilbo non restò altro che sospirare, stringendo gli occhi.

 

Perché non gli urlava contro? E perché non lo … odiava?

 

«Io … mi sono macchiato di tradimento, Thorin», gli ricordò lo hobbit stancamente. «Io ti ho sottratto l’Archepietra con l’inganno e l’ho consegnata al nemico …»

«Bard non è il nemico», puntualizzò il nano, «e tu non sei un traditore. Se non fosse stato per te, non avrei mai capito i miei errori. Non avrei mai capito che la cupidigia aveva preso il sopravvento»

Il Mezzuomo si sentì improvvisamente molto stanco, e lo assalì una gran voglia di piangere.

 

Forse, se Thorin lo avesse trattato con disprezzo e bandito per sempre da Erebor, si sarebbe sentito meno disperato, una volta tornato a casa. Forse, se i nani avessero riconosciuto in lui soltanto colpe, non avrebbe avvertito la loro mancanza , rintanato nel suo smial. Ma ricordava bene l’espressione sconvolta di Elyn e le lacrime silenziose di Balin, quando Thorin aveva tentato di ucciderlo, sulla Porta Principale. Non poteva negare di provare un incondizionato amore, per tutti loro, e ora voleva soltanto una scusa per sgattaiolar via come un ladro, non visto, fino alla Contea.

 

Si vergognava. Si riscosse dal fissare il pavimento della tenda quando il re , facendo un movimento scoordinato, fu scosso da un accesso di tosse. Bilbo si rese conto di stringere di ancora fra le dita la pezzuola , e la usò per pulire un po’ di sangue dalle labbra di Thorin.

Quella vista lo preoccupò.

«Vuoi che vada a chiamare … un guaritore, Thorin?», disse in fretta.

Il re dei Nani scosse la testa.

«Voglio che resti con me , quando sarà il momento», gli disse con voce fioca. «Ti va?»

Bilbo annuì più e più volte, agitato, gli occhi che si facevano sempre più lucidi a ogni minuto che passava.

«Tutto … tutto quello che vuoi», disse soltanto. «Ma non ti devi stancare», aggiunse con una smorfia che voleva essere un sorriso.

«La mia ora è giunta, che io mi stanchi o no», dichiarò il nano, «e noi due dobbiamo parlare. Devo riappacificarmi con un caro amico, e poi , solo allora, potrò andarmene in pace»

 

Il lembo della tenda all’improvviso si dischiuse per rivelare Gandalf, che fissò Bilbo un istante con espressione interrogativa, a cui Bilbo rispose con un cenno ; l’Istar, compreso che andava tutto bene, si ritirò all’istante.

«I ragazzi … i ragazzi sono vivi», cominciò Thorin allargando le labbra in uno dei suoi rari sorrisi. «Sono felice che la mia vita non sia andata interamente sprecata. Ho parlato già con Dain e disposto ogni cosa ; Fili regnerà non appena sarà guarito, e nel frattempo mio cugino e Balin ne faranno le veci»

 

Una nuova serie di colpi di tosse interruppe i discorso del ferito, e Bilbo asciugò altro sangue dalle sue labbra riarse.

«Acqua», sillabò Thorin, e Bilbo scattò in piedi come una molla. Sempre sul tavolino, scorse una borraccia di pelle e , scoprendola piena a metà, la utilizzò per bagnare le labbra del moribondo. Poi lo fece bere, ricordandosi solo in quel momento che anch’egli ardeva dalla sete e che aveva una ferita alla testa che pulsava da morire. Il re parve cogliere quella smorfia, e lo osservò mentre riponeva la borraccia e tornava accanto a lui, a capo chino.

 

«Conosco quell’espressione», sussurrò Thorin, che ormai riconosceva lo sguardo corrucciato dello hobbit quando era sovrappensiero. «Avanti, chiedi»

La domanda uscì dalle labbra del Mezzuomo prima che potesse fermarla.

«Tu … ti fidi di Dain?», chiese a bruciapelo, e immediatamente sgranò gli occhi dall’orrore : i nani erano notoriamente molto facili all’offesa, e lui aveva appena detto qualcosa di potenzialmente offensivo su un membro della famiglia reale.

«Mi fido di mio cugino, si», fece il re. «Dubiti forse di lui? Da’ voce ai tuoi pensieri», e questa frase rese Bilbo un po’ più tranquillo.

«Lui … beh, non ha accettato di prender parte alla Compagnia, ecco tutto», si schermì lo hobbit, torcendosi le mani, per non dover ammettere che Dain gli stava antipatico a pelle. «Io avrei scelto Dwalin, come vice reggente»

«Dwalin sarebbe stata un’ottima scelta, concordo con te» sussurrò il nano, «ma è pur sempre il mio migliore amico, e dubito riesca ad essere lucido … subito dopo che me ne sarò andato»

 

Bilbo sapeva che tra i due figli di Fundin era Balin ad essere il più incline alle lacrime, ma sapeva anche che, da quella perdita, Dwalin sarebbe uscito devastato.

Proprio come lui.

«Hai pensato proprio a tutto», commentò dopo qualche istante di silenzio, per alleggerire la tensione. «Così Dwalin avrà più tempo per stare vicino ai ragazzi»

A Bilbo si spezzava il cuore al pensiero dei due giovani nani rimasti ormai senza guida, dato che erano già orfani di padre, la mamma era lontana sui Monti Azzurri, e oltretutto ora avevano anche il peso di un regno da ricostruire e un popolo da guidare.

Anche stavolta, però, Thorin parve leggergli nel pensiero.

«Fili e Kili se la caveranno», disse tra un colpo di tosse e l’altro, «ma adesso è di noi che dobbiamo parlare. Bilbo, non mi è rimasto  … molto tempo»

Un singhiozzo disperato uscì dalla gola dello hobbit, e gli occhi , da lucidi che erano, gli si riempirono di lacrime. Il suo labbro prese a tremare e rimase lì, torreggiando sul ferito, in attesa.

«So bene che sono stato ingiusto e crudele  … con te, quel giorno alla Porta», disse Thorin, gli occhi appannati mentre la voce si faceva sempre più fioca. «Ma quella non era che … l’ombra del nano che conoscevi e che vedi qui ora, davanti a te»

 

Il Mezzuomo prese a tremare incontrollabilmente, scuotendo la testa in modo febbrile .

Non poteva andarsene, non adesso…

«E per questo voglio … rimediare»

La voce del re era calma e serafica, come se stesse per prepararsi a una notte di riposo ; la voce d’un uomo in pace con se stesso.

«Ho disposto affinché scelga tu stesso … i gioielli e i preziosi che più desideri; poiché non esiste un’adeguata … ricompensa per la tua amicizia e i tuoi numerosi servigi»

Bilbo, la vista appannata dalle lacrime, non vide che Thorin aveva tirato fuori la mano e la tendeva verso di lui : quando batté le palpebre e due grosse lacrime gli rotolarono sulle guance, vide la grande mano callosa dalle unghie sporche e scheggiate. Non l’aveva mai toccata, e senza pensare mise in quella del nano la sua mano infinitamente più piccola.

 

«Hai le mani fredde», disse Thorin, «e non voglio trattenerti oltre»

Un improvviso raggio di sole invernale colpì a sorpresa la tenda filtrando attraverso il telo verde scuro, in modo così repentino che entrambi trasalirono.

«E’ un segno», sussurrò il nano, sognante. «Sembra che i Valar abbiano finalmente perdonato i miei errori e che Mandos mi attenda nelle sue Aule, dopotutto»

Un drappello di elfi rumorosi passarono e salutarono Gandalf fuori dalla tenda, il quale evidentemente era ancora di guardia fuori dalla porta.

 

«Non puoi andartene, testardo d’un nano», disse poco dopo Bilbo con voce rotta, «non ci siamo detti ancora tutto!»

Thorin per tutta risposta chiuse gli occhi ed emise un rantolo.

Altro sangue.

«Ti ripeto che la mia sentenza è stata revocata», cercò di scandire con difficoltà, «e tu puoi disporre di tutto l’oro che desideri …»

«Ma io non lo voglio … a me non importa un accidente del tuo oro!», strillò Bilbo sempre più affannato, mentre altre lacrime gli rigavano le guance sporche e fuligginose. «Né dell’ Archepietra!»

Thorin pensò che on aveva mai conosciuto una persona così buona e disinteressata, e voleva farglielo sapere.

«Sappiamo entrambi perché hai portato la gemma agli Uomini», annuì il nano, bonario, «e non è stato per avidità, o per opportunismo …»

Ora il Mezzuomo vedeva con chiarezza la vita lasciare le membra di Thorin, mentre febbrilmente cercava di tamponare altro sangue con la pezzuola divenuta ormai scarlatta.

 

«lo hai fatto per amore», disse il nano con le ultime forze che gli rimanevano. «Non sopportavi che i tuoi amici morissero di stenti all’interno della Montagna, a causa della … stoltezza del loro re»

Bilbo emise un risolino tra le lacrime, e strinse ancor di più le dita ormai fredde di Thorin.

 

Come faceva a dirgli che l’aveva fatto per lui, dopo tutto questo tempo?

 

Era giunta la resa dei conti.

«Ho consegnato l’Archepietra a Bard perché volevo proteggerti», disse Bilbo, la voce interrotta dai singhiozzi. «Solo che … non ci sono riuscito», e nel cadere in ginocchio la casacca si aprì leggermente, lasciando intravedere la lucente cotta di Mithril.

«Anche io volevo proteggerti» disse Thorin, allungando la mano per sforare la casacca sporca e sbrindellata dello hobbit. «E sono felice di esserci riuscito»

 

 

Eccoci qua.

Io a piangere come una demente e forse voi pure, suppongo.

Il Bagginshield, soprattutto quello a senso unico, mi uccide.

Capitemi.

Yavannah

 

 

 

 

 

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Capitolo 3
*** Niente più erba pipa ***


UN MESE PRIMA, A EREBOR

 

«Bene, El», fece Kili distratto, una volta rientrati nella Montagna. «Tutto si sistemerà. Vedrai»

La ragazza si avvoltolò come poteva nella coperta , annuendo e ringraziandolo con un piccolo sorriso.

La mano del nano salì a grattargli la chioma indomabile.

«Tu resterai in compagnia di Bofur», le disse facendo per andarsene, «vuoi?», e così facendo passò proprio accanto al giocattolaio, dandogli un’amichevole pacca sulla spalla. Bofur gli fece un occhiolino, e così Elyn andò a sedersi, docile, accanto al cugino di suo padre.

 

Il giocattolaio sorrideva furbescamente, mentre  i capelli intrecciati da poco fuoriuscivano disordinatamente da sotto il largo cappello di feltro; i suoi abiti, di colore marrone, erano leggermente cascanti, un po’ perché gli erano stati dati dagli Uomini, un po’ per la dieta forzata a base di rimpinzimonio a cui i nani erano sottoposti da parecchi giorni.

«Pare proprio che dovrai farmi da bambinaio, oggi», lo informò la ragazza, e il parente fece vibrare i baffi in un accenno di risata. Questo era il bello di Bofur : anche quando tutto andava storto, non si abbatteva mai.

«Sai, non mi dispiacerebbe affatto se tu tornassi per un attimo bambina», commentò lui. «Almeno per un po’ mi risparmierei un bel po’ di grattacapi», aggiunse cospiratorio, volgendo gli occhi alla sua destra : e quando Elyn guardò in quella direzione, vide che in un angolo lontano c’era qualcuno intento ad arrotolare il suo sacco a pelo.

Fili.

 

La nana avvampò, quando per un istante i suoi occhi incontrarono quelli del ragazzo, e immediatamente distolse lo sguardo.

«Sai che sei ancora più bella, quando arrossisci?», le confessò Bofur sottovoce, «Ma non dirglielo mai. Si potrebbe  ingelosire», sussurrò facendo mostra delle sue famose fossette.

Elyn fin da piccola aveva sempre adorato le fossette di Bofur, così come ora amava quelle di Fili : e il fatto che entrambi sorridessero così spesso le portava alla mente i bei momenti passati dell’infanzia.

«Oh, ma lui non può essere geloso di te», rispose lei fiduciosa, e la sua mano uscì dalla coperta per posarsi su quella del nano più grande. «In fondo lo sanno tutti che sono la tua nipote preferita»

 

Nel frattempo, Elyn con la coda dell’occhio vide Fili che lasciava la stanza per andare dietro al fratello, e subito dopo suoi occhi castani si fissarono in quelli del giocattolaio.

«Peccato che non valga il contrario», finse di accigliarsi lui. «Tu saresti capace perfino di essere gelosa di Dis, per quanto ne so», e nel dirlo tirò fuori l’ultimissimo pezzo di carne secca che aveva previdentemente messo da parte al pranzo del Governatore. Ne strappò una striscia per sé e il resto lo offrì alla nana, che cominciò a masticare con entusiasmo.

«Adesso non essere esagerato», bofonchiò lei a bocca piena, prima di deglutire e strappare un nuovo morso. «Certo, se Lady Dis lo trattasse come tratta Kili, e cioè come un nanetto di tre anni, forse potrebbe darmi fastidio, ma per fortuna non lo fa»

 

La mente di Elyn volò alla sua adolescenza a Ered Luin e non poté fare a meno di sorridere – quante ne avevano combinate a quei tempi? Troppe.

«Una volta Marla li beccò che la spiavano mentre faceva il bagno», raccontò divertita e un tuffo di nostalgia le inondò il cuore al pensiero dell’amica lontana, «e ancora ricordo le urla di Dis che gli correva dietro con un battipanni …»

«Davvero? Fili e Kili?», chiese Bofur, che intanto aveva tirato fuori la pipa e l’occorrente per fumare.

«Kili e Ori», gli rivelò Elyn, e il giocattolaio non poté reprimere un ‘ooohh’ di sorpresa. «Dori, per fortuna, non l’ha mai saputo : e Fili, con le buone, ha convinto la madre a non dire nulla a Thorin. Com’è lui , fissato con l’onore, per una cosa del genere minimo li avrebbe costretti a un matrimonio riparatore!»

«Non mi dire», strabuzzò gli occhi Bofur, espirando una boccata di fumo. «Non lo facevo tanto bigotto», e arricciò il naso quando la vide inarcare un sopracciglio. Poi, però, rendendosi conto che presto Elyn sarebbe entrata a far parte della famiglia reale, corresse il tiro.

 

«Cioè, tutti sanno che l’Unico Amore di Thorin era Lucris, ma questo non gli ha impedito di avere la sua dose di amanti, negli anni lontani da Erebor», raccontò sovrappensiero, «salvo poi buttare Dwalin in acqua se si avvicinava troppo a Dis. Non è un po’ un controsenso?», e aspirò una nuova boccata di fumo, mentre ora il suo sguardo sognante era rivolto al soffitto.

«Boh», convenne lei, «a volte sembra che il nostro re si perda in un bicchier d’acqua»

Bofur alzò l’indice della mano con cui reggeva la pipa.

«Ci puoi giurare», disse con enfasi, «a volte è la contraddizione fatta nano … ma va bene così», concluse facendo spallucce. «Uno mica può essere perfetto»

La nana sorrise e annuì, d’accordo con lui, e lo guardò sbattere la pipa sul pavimento di pietra, svuotandola del contenuto bruciacchiato.

 

«Dannazione», imprecò Bofur tra i denti, ed Elyn gli chiese cosa ci fosse che non andava.

Il giocattolaio , infatti, da allegro e sorridente, era divenuto all’improvviso triste e mogio.

«Ho finito il tabacco, piccola», la informò in tono tetro. «Era l’ultima fumata. La mia tabacchiera è vuota … peccato, l’erba pipa era l’unica cosa che teneva a bada la fame», disse indicando il piccolo astuccio di cuoio marrone abbandonato accanto alla sua gamba destra.

Elyn espirò rumorosamente – e lei non desiderava altro che le si materializzasse davanti un’altra striscia di carne secca, tanto era buona- mentre pensava a qualche frase per consolarlo della perdita.

«Vedrai che presto ti procurerai altra erba pipa», dubitando però fortemente che gli altri nani, figurarsi Bilbo, avrebbero ceduto un po’ delle loro scorte – piuttosto misere, bisogna dirlo – al compagno.

Bofur raccolse mestamente l’astuccio, come a indovinare i pensieri di lei , e lo ripose nella tasca interna della casacca marrone.

«Si, come no», fece in tono volutamente sarcastico. «Quelli accampati giù a Dale di sicuro non vedono l’ora»

 

 

***

 

La mancanza del re , a questo punto , iniziava ad essere notata, come pure quella di Bilbo, anche se tutti capivano che il Mezzuomo aveva bisogno di ambientarsi e, quindi, di esplorare : cosa decisamente non necessaria per Thorin, che dopotutto, a Erebor ci era nato. Se Kili era stato distratto dalle vicende della nottata, ora la sua preoccupazione per lo zio si era fatta concreta. Stava giusto avviandosi a cercarlo - e decisamente sperava di non    perdersi, nel labirintico regno del suo bisnonno - quando qualcuno lo tirò per la tunica.

 Il suo  fratello minore.

 

Fili aveva gli occhi cerchiati di nero - segno che aveva dormito poco e male - e lo guardava strano.

«Allora, che ti ha detto?» chiese a bruciapelo, e Kili strinse gli occhi , confuso.

«Che mi ha detto chi?», fece Kili scocciato, convinto ormai che il fratello stesse dando i numeri.

«Come chi» , sospirò Fili alzando gli occhi al cielo. «Elyn»

Kili sicuramente si aspettava la domanda, tuttavia finse indifferenza,  sgranando eccessivamente gli occhioni scuri.

«Ah»,  disse sfoderando un sorrisetto e un’occhiata complice. «Beh, a perdonare ti perdona, ma questo non vuol dire che potrai startene qui con le mani in mano»

 

Fili, che già pregustava la vittoria, a quelle parole enigmatiche strinse improvvisamente gli occhi, deluso e poco convinto.

«In che senso?», domandò guardandosi intorno con circospezione, nel timore che qualcuno li sentisse.

Kili lo squadrò da capo a piedi :  suo fratello era proprio imbranato, decisamente. Ed ora era arrivato il momento di agire.

«Nel senso che dovrai rispolverare quelle vecchie, noiosissime lezioni di Balin. Hai    presente?», e immediatamente vide Fili assumere quell’espressione tipica di quando si arrovellava il cervello, senza però venirne a capo. Di solito quella era una condizione che provocava profondo imbarazzo nell’erede, se Thorin era presente, ma col fratellino poteva tranquillamente essere se stesso.

«No ... Veramente no», rispose candidamente il nano biondo, scuotendo leggermente la testa e facendo dondolare le treccine ai lati dei baffi.

Kili, allora, sorridendo soddisfatto, si piazzò davanti all’altro, pronto a spifferare il suo piano.

«Fiori, fratello»,sussurrò in tono eloquente, dandogli una bella pacca sulla spalla.  «Fiori»

 

 

 

 

Eccoci qua.

Ecco che arriva il primo flashback! Ho l’impressione che questa storia non piaccia granché e devo darmi da fare per renderla più carina, dato che l’altra aveva ventordicimila visite e quindi mi avete abituata male …

E’ tutta colpa vostra, sappiatelo!!!

Tuttavia sono contenta di aver intrapreso questo nuovo percorso, perché nella vita bisogna sempre reinventarsi , anche quando si è una umile scrittrice di fan fictions!

Beh, finalmente i nostri piccioncini sono tornati (mi erano mancati un sacco) e ora la storia inizia ad entrare nel vivo. Grazie a tutti quelli che leggono, e soprattutto a chi recensisce, perché adoro sapere quello che ne pensate.

A presto!

 

 

 

 

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Capitolo 4
*** In cerca di sollievo ***


Una folata di vento spazzò le foglie accartocciate verso nord, ammonticchiandole contro i ruderi di pietra; il contrasto tra il  bianco del nevischio, il rossiccio dorato delle foglie secche e il nero verdastro del fango rendeva l’atmosfera ancor più lugubre. Il vecchio nano dalla barba candida, seguendo le orme lasciate da due piedi scalzi a lui ben noti, si avviò lentamente a testa bassa osservando l’andirivieni di nani ed elfi che si affaccendavano attorno ai falò per preparare il pranzo.

«Non l’avresti mai detto, eh, Balin?»- , erano state le sue ultime, fioche parole che gli aveva rivolto. - «Accamparci con gli elfi»-, e qui Thorin , nonostante le ferite, si era lasciato sfuggire uno sbuffo che voleva essere un sorriso. -«è chiaro come l’aria,cugino,che il mio tempo su questa terra è scaduto … quindi, se vuoi esaudire i desideri di un moribondo, ti prego, fallo portare qui»

A quel ricordo, il veterano di tante battaglie cercò di continuare a distinguere i segni lasciati dai piedi di Bilbo, ma si accorse che la vista gli si era improvvisamente appannata. Le palpebre si abbassarono, e grosse lacrime piovvero nel fango davanti a lui; ma non gli importava. Stava appunto frugando nelle tasche per cercare un fazzoletto per soffiarsi il lungo naso adunco, quando andò a sbattere contro qualcosa – o qualcuno, a giudicare dalla stoffa delle vesti ruvide,e, ora poteva vederlo benissimo, grigie.

Gandalf.

 

«Sei tornato, dunque», lo accolse l’Istar bonariamente, posandogli la mano del braccio sano sulla spalla: l’altro, e per la precisione quello sinistro, era appeso al collo a causa di una brutta frattura , anche se  Elrond gli aveva assicurato che sarebbe tornato come nuovo in un baleno.

Il nano alzò gli occhi ancora lucidi sul volto rugoso e familiare dello stregone, e annuì.

«Non avevo nulla da fare, qui. Il re mi ha congedato, e sono andato a sincerarmi delle condizioni di mio fratello», replicò Balin, sospirando stancamente. Una simile disfatta l’aveva provata solo in gioventù, ai Cancelli di Moria : ma stavolta si sentiva del tutto sopraffatto. «Dwalin sta dormendo, dato che non ha fatto che abbaiare al guaritore elfico tutto il tempo perché non lo toccasse», spiegò il vecchio nano, e l’altro avrebbe riso se la situazione non fosse stata così tragica. «Sono riusciti a salvargli il piede, anche se si porterà dietro una lieve zoppia»

Lo stregone annuì, e gli angoli della bocca si piegarono in un sorriso che però non raggiunse gli occhi.

«E’ più di un’ora che è lì dentro», considerò Balin a capo chino, indicando con la mano la grossa tenda verde che si stagliava davanti a loro. «So che avevano molto da dirsi, ma, insomma …» e scosse la testa, mentre la candida barba biforcuta veniva ancora una volta sferzata dalla tramontana. Fece per avviarsi verso l’entrata, ma l’Istar lo bloccò – Thorin era stato chiaro – e il nano lo guardò supplice.

«Non credo che ci sia più tempo, ormai», lo precedette spedito, spostando la mano di Gandalf che gli bloccava i movimenti. «Anche Bilbo ha diritto a un po’ di pace», e così, deglutendo il nodo che gli si era formato improvvisamente in gola, in poche falcate raggiunse la porta.

«Mai parole furono più sagge, amico mio», gli fece eco lo Stregone, che, alto com’era, era giunto rapidamente accanto a lui, e indicava l’apertura della porta. Dall’interno non proveniva nessun rumore, cosa che mise del tumulto nel cuore di Gandalf; e Balin rimase lì, impacciato, senza sapere se entrare oppure no.

Quello che lo aspettava lo spaventava, forse, più di quanto non lo fosse stato a Moria, quando suo padre Fundin era stato ucciso : ma allora Balin era ancora un nano nel pieno delle forze, ed aveva ancora, nonostante la perdita, uno scopo. Passare tutta la vita con Thorin e Dwalin e lavorare alacremente per ridare al popolo la patria perduta: era questo che avevano fatto, ma adesso… non voleva la Montagna senza Thorin, senza la loro guida di sempre.

Sollevò la mano sinistra – e il grosso anello del re spiccava tra le dita tozze – e si rese conto che lui non lo voleva quel potere, non ancora, non …

 

«Balin, i ragazzi hanno bisogno di te. Fili avrà bisogno di te», disse Thorin, guardando il parente attraverso le palpebre semiabbassate. «Per ora prenderai tu il mio posto, e governerai esattamente come farei io. Darai a Dain quanto gli spetta e i nostri regni consolideranno una vecchia amicizia». Dain, seduto accanto a Balin,osservava stralunato il cugino mentre si toglieva dal dito l’anello e lo deponeva nel palmo di Balin, inginocchiato accanto a lui; il suo volto, incorniciato dalla barba grigia,  era impassibile.  Mentre il vegliardo rigirava tra le mani con venerazione l’anello,scuotendo la testa, Thorin notò che le sue guance erano rigate di lacrime.

«Non ti chiederò di non piangere, Balin»,disse il re sottovoce, stancamente.«Metti l’anello. Lo consegnerai a Fili tra qualche tempo, non appena sarà pronto», e qui sia Balin che Dain annuirono alla richiesta.

Il vecchio nano però  esitava.

«Hai»- esordì quindi con voce rotta-«un qualche messaggio per Dis?», e con sguardo grave posò gli occhi sul volto del suo re, vedendovi per un attimo passare un lampo di tristezza. «Dì a mia sorella che mi dispiace. Per il mio comportamento, per la ferita di Fili. Ma Kili non è pronto», esalò e la sua voce fu interrotta da un colpo di tosse. «Balin, dici a Dis che la felicità non è per sempre, e che deve approfittare di ogni attimo, perché essa non tornerà. Deve farlo soprattutto per i ragazzi. Forse, dopotutto, potrebbe smetterla di crogiolarsi nell’autocommiserazione e … dare quella seconda possibilità a tuo fratello»

Dain a quella frase sgranò gli occhi, poi tornò impassibile.

«Dwalin … Dwalin ne sarebbe onorato, lo sai», rispose Balin, sorridendo tra le lacrime.

 

 

«Thorin ti ha attribuito un grande onore conferendoti la reggenza, seppur temporanea», commentò Gandalf, e l’altro chiuse il pugno e abbassò la mano, sconsolato. «Si è sempre fidato di te. Sono sicuro che gli renderai onore, ma … non vuoi entrare?», chiese lo stregone indicando la porta, visto che erano lì fermi da dieci minuti buoni.

Balin deglutì a fatica, chiuse gli occhi e spostò il lembo di tela verde, infilandovi la testa.

Era quasi tentato di uscire, terrorizzato all’idea della scena che lo attendeva all’interno, ma si fece coraggio.

Silenzio.

Balin mosse i piedi uno dopo l’altro ed entrò nella tenda, in silenzio, cercando di distinguere qualcosa nella penombra. L’unico suono sembrava provenire dal suo cuore che martellava incessantemente nei timpani, e quando mise a fuoco fu sicuro che di lì a poco si sarebbe fermato. Thorin era immobile, pallido sul giaciglio, e la sua mano inerte stringeva qualcosa di piccolo, con cinque lunghe dita. Un’altra mano.

«Bilbo», gracchiò Balin, che non aveva riconosciuto lo Scassinatore in quella che, a prima vista, sembrava solo una vecchia coperta ammonticchiata sul pavimento. «Stai … bene?»

Il mucchio di coperte si mosse impercettibilmente, e un suono sofferente provenne ovattato da sotto di esse. Balin si chinò circospetto e, delicatamente, spostò il lembo di stoffa, ma niente lo avrebbe mai potuto preparare alla scena pietosa che gli si parava davanti.

Il Mezzuomo era raggomitolato su se stesso, tremante, e il suo viso era macchiato e bagnato da continue lacrime. Il nano vide il suo petto di tanto in tanto scuotersi dai singhiozzi, e la mano scese ad accarezzargli i riccioli castani ; voleva consolarlo, ma non sapeva proprio come fare.

«Bilbo», continuò Balin con dolcezza, con un sorriso paterno. «Non devi fare così. Ti prenderai un malanno se te ne stai qui al freddo a disperarti», lo esortò non smettendo mai di accarezzare la testa dello hobbit, che si strofinò forte gli occhi, spostando la polvere e la fuliggine verso le guance.

«Lui … lui», iniziò Bilbo, voltandosi verso il nano e mostrando i suoi occhi lucidi e arrossati. «Se n’è andato, Balin. E’ … è freddo», e in quella strinse il suo palmo in quello senza vita di Thorin.

Balin lo aiutò a mettersi seduto e gli coprì le spalle con la coperta elfica, dato che quello non smetteva di tremare : ma non era per il freddo. Il nano lo aveva sperimentato sulla propria pelle troppe volte : il dolore, la paura e la disperazione erano il pane quotidiano di un nano, ma non certamente di uno hobbit. I Mezzuomini erano creature dedite alla vita tranquilla, e nella Contea era raro che succedesse qualcosa di brutto; ma Bilbo era forte e l’avrebbe superato, di questo era sicuro.

«Voleva separarsi da te in amicizia», sussurrò Balin, mentre faceva di tutto per non posare gli occhi sul cadavere del suo re. «E lo ha fatto, suppongo, testardo com’è»

Bilbo si tastò il bernoccolo sulla fronte : il dolore era sempre presente, ma ormai non lo avvertiva più; anzi, gli sembrava quasi di non avere più un corpo che potesse provare qualcosa.

«Ci siamo detti molte cose», ammise lo Scassinatore con voce roca, provando finalmente ad alzarsi. «E sono felice di aver condiviso tutto questo … con tutti voi», e un attimo dopo era tra le braccia di Balin, che gli dava dei colpetti affettuosi sulle spalle.

Un fruscio di stoffa li fece trasalire : Gandalf li sorprese così, abbracciati, e adesso anche Balin piangeva.

«Per noi è lo stesso , ragazzo», sorrise tra le lacrime il vecchio nano. «Ci puoi giurare che è così»

Bilbo annuì, cercando di assumere un contegno composto in presenza dello stregone, che chinò la testa davanti al giaciglio in segno di rispetto.

«E’ morto, dunque», disse Gandalf gravemente, per poi voltarsi subito verso Balin. «Suppongo che ti occuperai tu dell’organizzazione del rito funebre», considerò subito dopo, mentre il vecchio nano copriva con la coperta il volto del suo sovrano.

«Ci vorrà un po’, si», ammise Balin con un sospiro. «Dis non farà in tempo, ma useremo i Corvi Imperiali per convocare una delegazione dai Colli Ferrosi. Dain si è raccomandato tanto»

Gandalf assunse una strana espressione, per poi tornare subito a quella consueta.

«Benissimo, allora», fece tirandosi dietro Bilbo. «Tu hai bisogno di mangiare qualcosa di caldo, e di dormire. Vieni »

Bilbo guardò Balin per l’ultima volta e seguì lo stregone fuori dalla tenda.

«Organizzare un funerale è una cosa impegnativa, e tu devi essere forte», disse l’Istar a voce alta, destreggiandosi tra le tende, mentre Bilbo faticava a tenere il passo. «E’ lì che siamo diretti», lo informò poi dirigendosi verso una tenda decisamente più piccola di quella di Thorin. Bilbo allungò il passo per quanto glielo permettessero le corte gambette e si parò davanti al vecchio, che lo guardò con aria interrogativa.

«Gandalf», gracchiò Bilbo ormai senza voce, «io non voglio presenziare al funerale: quello di Lucris è stato più che sufficiente», e la sua mente tornò a quando settimane prima, a Erebor, avevano eretto una pira per la donna che un tempo Thorin aveva amato. «Voglio … voglio solo tornare a casa»

Gandalf non rispose, e Bilbo lo precedette all’interno della tenda, che si rivelò vuota a parte un giaciglio di pelliccia e un tavolino con alcune provviste. Un nano – uno dei nani di Dain , a giudicare dall’armatura –entrò e si inchinò allo stregone , che lo bloccò con un cenno.

«Bisognate di qualcosa, mio signore?», chiese il soldato, e Bilbo notò che aveva un accento molto diverso da quello dei compagni di Thorin.

Gandalf annuì.

«Ringrazia Dain per la premura, e … se non ti è di troppo disturbo, un po’ d’acqua calda per il nostro amico Scassinatore», e lì Bilbo sgranò gli occhi, rendendosi conto di quanto dovesse apparire sporco e sgradevole.

«Nessun disturbo, mio signore», rispose l’altro, e uscì frettolosamente per recuperare quanto richiesto.

Bilbo, piuttosto corrucciato, si parò davanti a Gandalf picchiettando il piede sul pavimento.

«Sono mesi che entro ed esco da fiumi, foreste, montagne innevate e pioggia scrosciante», disse alzando l’indice verso il suo interlocutore. «Da quando in qua avrei bisogno di acqua calda

Gandalf sbuffò e lo invitò a sedersi sul corto sgabello di legno, e subito dopo , sospirando, gli passò una pipa e la borsa del tabacco.




Salve miei cari!

Ormai manca poco al 17… quest’anno cercherò di fare la brava e di non ammazzarmi di spoiler, come ho fatto con gli altri due film, ma sento che sarà difficile. Ho già visto delle bellissime clip che hanno già ispirato molte di voi – e la cosa mi riempie il cuore di GIUOIA- e sono sicura che, da quel poco che ho visto, il fatturato della Tempo e della Scottex questo mese avrà una rapida impennata.

Vi ringrazio per il tempo che mi dedicate, e un mega abbraccio a Idrilcelebrindal.

A presto!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 5
*** L'incontro con Dain ***


«Quella pietra era di mio padre, e appartiene a me», ruggì il nano, irritato e sconvolto come non mai. «Come avete fatto a impadronirvene?», aggiunse poi rivolto a Bard, l’uccisore del drago, che ancora lo fissava torvo da una grata della Porta senza proferire verbo.

Non poteva essere. Aveva cercato quella gemma per giorni e giorni , e saperla in mano agli Uomini lo riempiva di disgusto; no, non potevano certo averla avuta senza l’aiuto di un qualche traditore.

Il Re sotto la Montagna si voltò a fissare uno per uno i suoi compagni,in cerca di un qualche indizio, e gli parve di cogliere un fremito negli occhi dello Scassinatore, il quale si sentì scandagliare l’animo da quei penetranti occhi azzurri.

E poi, finalmente, giunse l’ammissione.

 

«Gliel’ho data io l’ Archepietra, Thorin», dichiarò lo hobbit, facendo un passo avanti mentre il suo pomo di Adamo si muoveva nel deglutire a vuoto.

Il silenzio che ne seguì era tanto denso che si tagliava con la lama di un coltello. Bilbo , a questo punto, non osava guardare il compagni : sapeva che cosa dovevano provare in quel momento.

Stupore, disprezzo. Forse odio.

Ebbe un attimo di esitazione e rivolse lo sguardo in direzione di Balin, rigido come la pietra e pallido come non l’aveva visto mai. I suoi occhi luccicavano di lacrime di paura, e Bilbo ebbe un moto di stizza quando il vecchio nano afferrò Elyn per il polso : la ragazza , era evidente, aveva avuto una mezza idea di frapporsi fra il Mezzuomo e il re.

“Brutti ingrati!”-pensò Bilbo amareggiato-“ho fatto tutto questo per salvarvi, e questo è il ringraziamento!” ma quando si voltò di nuovo verso il re, notò che il suo volto era trasfigurato dalla furia. Indietreggiò, terrorizzato, e inciampò sui propri piedi incerti, raccolse gli ultimi barlumi di coraggio che gli erano rimasti e aprì la bocca per provare a far ragionare il sovrano di Erebor.

«No … non può essere», sibilò Thorin a voce bassissima. «Io mi fidavo di te »

Quella frase, per Bilbo, fu come una pugnalata in pieno petto. Aveva tradito e se ne stava lì come se nulla fosse successo, cercando invano qualcosa da dire, insomma una scusa che rendesse la sua situazione meno vergognosa e immorale.

«Ascolta … posso spiegarti … ogni cosa», cominciò, mentre il terrore cominciava a serpeggiare nel suo animo disperato : non sarebbe tornato vivo alla Contea, non dopo ciò che aveva commesso. «Non è come credi …»

 

Ma come si faceva a spiegare ad un re folle che sarebbero morti tutti di inedia, se non si fossero alleati degli Uomini? E gli attacchi degli orchi, sempre più numerosi, non erano indice di nuovi guai in arrivo?

 

Bilbo arretrò di lato, non osando posare gli occhi su quel re per il quale tante volte aveva rischiato la vita: guardare la sua espressione ferita e alterata dalla follia gli faceva troppo male.

Thorin, che fino a quel momento aveva mantenuto un tono calmo e quasi composto, notando ciò strinse i pugni in un moto di rabbia.

«Spiegare cosa, scassinatore?». Il suo tono non tradiva altro che disgusto e disappunto, oltre che una malcelata furia. «Il tuo tradimento?»

Lo hobbit abbassò la testa, sconfitto: sapeva che ormai era giunta la fine. Kili continuava a passare lo sguardo fra lui e lo zio, spaventato e preoccupato al tempo stesso; e quando questi si voltò di scatto verso Bilbo , prontamente si inframmise tra di loro.

«Zio … Bilbo l’ha fatto per aiutarci … non puoi …» , ma il re aggredì anche il nipote.

«Cosa non posso, Kili?», urlò furente, guardando tutti con occhi allucinati. «Non sono forse il re?»

Bilbo, a questo punto, spaventato come un topo in trappola, inspirò a fondo e decise che, in fondo, forse era troppo giovane per morire. Nel momento stesso in cui vide Thorin avanzare verso di lui con fare minaccioso, la sua mano si infilò in tasca e frugò quel poco che bastava per riconoscere con le dita quel familiare cerchietto d’oro. E così, senza staccare un attimo gli occhi da quelli furibondi di Thorin, estrasse l’anello, lo infilò al dito e sparì.

«CODARDO!!!»,gridò il nano, il fiato corto e la confusione stampata in volto : quell’anello magico , che tante volte li aveva aiutati, stavolta si era intromesso tra lui e la sua vendetta.

Balin, intanto, che per l’angoscia aveva tenuto per tutto il tempo la mano sul cuore, lasciò andare un sospiro di sollievo, come se avesse trattenuto aria per tutto quel tempo.

In mezzo alla compagnia calò il silenzio; solo un fruscio verso il Muro attirò l’attenzione del re.

«Sta sgusciando via come un topo », urlò allarmato.«Vi ordino di prenderlo, presto!»

Ovviamente nessuno voleva prendere Bilbo, ma neppure volevano contrariare un Thorin alterato e ridotto in quello stato; così, in fila indiana, i nani si arrampicarono sul Muro ed uscirono all’esterno, fingendo di obbedire.

Bilbo, fermo immobile sullo spiazzo, li guardò uno per uno con le lacrime agli occhi; Fili , reggendo tra le mani la sua ascia bipenne, mise le mani a coppa e sussurrò, abbastanza forte da farsi sentire : «Va’, Bilbo! Non preoccuparti per noi!»

«E grazie di tutto!», aggiunse Ori, che adesso piangeva come un vitello.

Un ruggito alle loro spalle li destò dal torpore. Thorin, ancor più furibondo, stava calando dal muro e la Compagnia, presa in castagna, cominciò a disperdersi fingendo di cercare qualcosa, o qualcuno.

«In nome di Durin, che state facendo?», abbaiò il sovrano, che con un tonfo atterrò sul duro pavimento davanti alla Porta. «prendete quel traditore! Giuro che ti ucciderò , Mastro Baggins, fosse l’ultima cosa che faccio!»

Lo hobbit non mosse un muscolo. Dopotutto era vero quello che diceva Thorin: era un traditore, e soprattutto era un codardo. Aveva passato gran parte del viaggio a far ricredere Thorin sulla sua inettitudine, e ora non voleva dargli soddisfazione. Era stato un traditore , si, ma codardo mai.

“Che mi uccida pure”, pensò Bilbo Baggins, deglutendo ma sentendosi la gola ormai riarsa per la tensione e lo spavento. “Non ho nulla da perdere, ormai”

La verità era che non valeva la pena vivere sapendo che Thorin lo disprezzasse : sapersi non più degno del suo affetto lo faceva sentire sconfitto e annientato, e raccolse tutto il suo coraggio per andare incontro a una morte che gli pareva certa e ineluttabile.

«Io … non ho paura di te, Thorin», disse con voce chiara, e contemporaneamente si tolse l’anello.

“Almeno morirò con il vento sulla faccia”, fu il suo ultimo pensiero, e tutto avvenne così velocemente che quasi non sentì i gemiti di paura dei suoi compagni. Vide davanti a se Thorin avanzare nella sua direzione, e il povero Mezzuomo ebbe appena il tempo si annaspare prima che venisse la fine.

«No …»

In pochi istanti il nano lo raggiunse,e la sua mano grande e callosa si serrò sulla gola del piccolo hobbit, sollevandolo da terra come una bambola di pezza.

Uno sguardo colmo di odio lo fissava,e per un po’ , davanti a se, non vide altro che due pozze azzurro cielo; poi gli occhi di Bilbo presero a lacrimare e la visuale gli si offuscò.

Non vide Elyn piangere, accanto a Balin,e non poté vedere l’espressione sconvolta di Dwalin quando notarono che il viso di Bilbo stava diventando violaceo per il soffocamento. I polmoni gli bruciavano, ed ebbe un moto di sollievo quando Thorin lo scagliò con forza sulla pietra; avrebbe potuto respirare ma il contraccolpo gli mozzò il fiato in gola e fu afferrato di nuovo senza pietà dal re furente. La presa sulla gola di Bilbo era ancora più ferrea, e lui sentì il vento aleggiare sotto i propri piedi : il re lo teneva sospesa giù per il dirupo.

“Avanti, Thorin. Fallo”, - si ritrovò a pensare.- “Non ha senso farmi soffrire così. Me lo devi, questo”, mentre il suo cervello non riusciva più a formulare pensieri coerenti e la visuale gli si copriva di puntini bianchi. “Mi dispiace, Thorin. Mi dispiace …”

 

 

Bilbo aprì gli occhi affannato e coperto di sudore.

Sulle prime non riconobbe la coperta verde che lo avvolgeva come un sudario e che gli si era attaccata addosso come un’edera ad un albero; si guardò intorno e si accorse che si trovava in una tenda. La piccola mano salì a detergere il sudore dalla fronte e notò che il suo viso era ancora sporco. Come al rallentatore, rivide nella propria testa la battaglia, la pietra che lo aveva colpito … e poi Thorin che lo perdonava e le sue lacrime inconsolabili. Aveva fumato insieme a Gandalf ma non era riuscito a mangiare alcunché, la sera prima –ed era sicuro che fosse la sera prima perché oramai era giorno fatto- ed ora il suo stomaco sembrava essersi attorcigliato per la fame – o era stato il sogno?

 

Gemette – si toccò a tastoni la testa e notò che era stata fasciata alla bell’e meglio, mentre dalla capigliatura proveniva uno strano odore dovuto sicuramente a un qualche intruglio elfico- infatti, notò con sollievo, il dolore si era decisamente attenuato.

Fece per mettersi a sedere – non senza difficoltà, considerato il freddo e l’umidità che, negli ultimi giorni, gli erano penetrati fin dentro le ossa-e un rumore all’interno della tenda lo fece trasalire.

 

Non era solo.

«E così», disse un grosso nano dalla folta barba grigia , vestito con un abito rossiccio con intricati intarsi sui risvolti – segno che proveniva da un nobile casato- «questo è l’animaletto che ha messo sotto scacco il Re sotto la Montagna», e mentre lo diceva , come se nulla fosse, si era diretto verso il tavolino e aveva afferrato una focaccina al miele , addentandola ed emettendo un verso di apprezzamento. «Gli elfi non mi sono mai stati granché simpatici, ma devo ammettere che sono ottimi cuochi», era stato il suo commento.

Bilbo si raddrizzò sul giaciglio, confuso : il venticello freddo che proveniva dall’apertura della tenda lo colpì, e il sudore gli si gelò addosso.

Gettò un’occhiata al suo interlocutore – doveva trattarsi di Dain- e notò con disappunto che, mentre lui dormiva, il nano doveva essersi spazzolato il meglio di quella che, ne era sicuro, doveva essere la sua colazione. Sul tavolino, infatti, adesso non c’era altro che due mele - piuttosto raggrinzite, ma lui le preferiva così perché più dolci e gustose- e qualche gheriglio; ma decise che era meglio non far capire che avesse notato la cosa.

“Di questi tempi, la diplomazia è l’unica carta vincente che ti rimane,Bilbo Baggins”, disse tra sé, e si mise in piedi avvolgendosi nella coperta , osservando il guerriero nanico di sotto in su.

 

«Non siamo stati presentati», esordì, e Dain fece una faccia come a voler dire “e perché mai avrebbero dovuto?”, «Ma io ti ho già veduto. Combattevi cavalcando un cinghiale da guerra»

Dain strinse gli occhi, e si pose davanti a lui sovrastandolo, mentre masticava l’ultimo boccone della focaccia.

«Io invece non ho visto te», rispose con la bocca piena, cosa che lo faceva assomigliare più a Bofur o a Kili che a Thorin- Thorin, lo ricordò Bilbo con rammarico, era uno che a tavola ricordava sempre le buone maniere, proprio come ogni hobbit che si rispetti,- «forse perché non combattevi con noi , ma con gli altri»

 

Il Mezzuomo sgranò gli occhi all’allusione, e finì di masticare il piccolo boccone di mela che aveva appena addentato.

«Ti sbagli», s’infiammò mostrando più coraggio di quanto non ne avesse in realtà, «perché il nostro nemico era il medesimo», e si rese conto che, se Dain gli era risultato antipatico a pelle, il sentimento era senz’altro ricambiato.

Il guerriero sembrava uno poco incline al perdono, e il fatto che Thorin avesse perdonato Bilbo forse , agli occhi del cugino, aveva posto il re in una condizione di inferiorità e poca attinenza al comando – in poche parole, Dain considerava Thorin un debole, - anche se si guardava bene dal dirlo ad alta voce.

«A proposito, grazie per … per il cibo», balbettò Bilbo, guardando la mela che stringeva in mano e dandole un nuovo , piccolo morso.

«Non c’è di che», fece Dain con noncuranza, pulendosi le mani sull’abito già tutto macchiato. «Avevo sentito dire che i Mezzuomini mangiano dalla mattina alla sera, ma poi vedendoti così mingherlino mi sono dovuto ricredere. Temevo potessi fare indigestione, e così ho piluccato qualcosa», confessò ridacchiando e indicando il tavolino.

«E’ vero, mangiamo molto», ammise Bilbo, «ma all’occorrenza ci adattiamo … proprio come voi nani», aggiunse impettito, cercando di ergersi e sembrare più alto di quanto non fosse. Doveva sembrare proprio un animaletto, considerò, agli occhi di un guerriero tanto forte e potente.

«Sarà …», fece Dain ironico, passeggiando su e giù per la tenda, «ma la storia che sei coraggioso non me la bevo proprio. Tutti a lodare le tue gesta –bah!- e poi ho dovuto sorbirmi tutta la notte i tuoi lamenti e i tuoi piagnucolii nel sonno – come se nell’accampamento non ci fossero già abbastanza feriti»

 

Bilbo arrossì violentemente – davvero aveva pianto nel sonno? – e si ritrovò a deglutire imbarazzato.

«Non avevo mai brandito una spada, prima di partire coi tuoi parenti», cercò di giustificarsi, invano- «Non è stato facile, per me»

 

Dain emise un ghigno infastidito.

«Stai dicendo che per mio cugino, invece, è stato facile?», lo squadrò ironico. « 170 anni di lutti, spostamenti e lavoro per poi essere preso in giro da … uno come te

«Io volevo bene a Thorin», s’infervorò Bilbo, e un tenue rossore ricomparve sulle sue gote. «Così come agli altri, e ci siamo chiariti , come ben sai»

«Lo so, lo so», tagliò corto il nano. «Non fanno che parlare di te. Neanche fosse sceso Aüle in terra»

Il disprezzo con cui aveva pronunciato quella frase era palpabile, non si poteva fraintendere. «Desideri qualcosa, Scassinatore? Devo dedicarmi anche ai miei soldati,sai … se non ti dispiace», e Bilbo pensò che quel nano era ben strano, se invece di pensare al proprio esercito aveva preferito origliare i suoi deliri durante i suoi incubi.

 

«No, mio signore», disse Bilbo facendogli un rigido inchino. «E il mio nome, per inciso, è Bilbo Baggins. Ero lo Scassinatore di Thorin , non il tuo», mise in chiaro lo hobbit, ed uscì lasciando Dain stupito nella tenda.

Aveva urgente bisogno di fare un bagno.

 

 

 

 

Rieccomi.

Come forse ho già accennato, il mio Dain non sarà affabile, né cordiale come lo ha dipinto Tolkien. Che volete da me, ma proprio non riesce a starmi simpatico.

Grazie come sempre a tutti coloro che preferiscono, seguono, ricordano e leggono , soprattutto ad Ardesiia per la recensione. Smack!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 6
*** Nella vasca di Thranduil ***


Le nuvole si erano radunate ma  aveva smesso di nevicare, e Bilbo notò uno strano fermento all’interno dell’accampamento.

Avvistò seduto su di un muretto il piccolo Ori, avvolto in una sciarpa di lana grigia e impegnato a scribacchiare nel suo taccuino, e gli si avvicinò. Il giovane nano non doveva essersi accorto della sua presenza, assorto com’era, tant’è vero che sobbalzò.

«Ciao, Ori», disse lo hobbit imbarazzato. «Che cosa … stai facendo?»

In quella lo sguardo gli cadde sul quadernetto e vide che si trattava di un ritratto.

Thorin.

Il taccuino si chiuse di scatto, e Ori divenne tutto rosso per l’imbarazzo; a Bilbo, che adesso fingeva di osservare un gruppo di elfi poco lontano, cadde una lacrima.

«Volevo … metterlo nero su bianco, prima che io possa … ehm, dimenticarlo», si giustificò il giovane nano, riaprendo il quaderno e mostrando all’amico la propria opera, che Bilbo giudicò davvero realistica.

 

Quello era il Thorin che aveva visto quando si era presentato per la prima volta alla sua porta, ed era lo stesso Thorin che aveva affrontato Azog solo con la propria spada ; non quello febbricitante, delirante e pietoso di poche ore prima.

 

Bilbo annuì, sforzandosi di sorridere, non prima però di essersi asciugato di nascosto gli occhi.

«Io invece, sai, credo che non potrò mai dimenticarlo», ammise con voce atona, «solo che non sarò mai bravo come te, nel disegno», e ammettendo ciò, poggiò la mano sulla casacca del ragazzo. Un moto di stizza gli percorse la spina dorsale: tutti i  nani avevano guardato il re nel furore della battaglia e lo avrebbero ricordato per sempre così, ardito e coraggioso; mentre tra tutti, Bilbo lo aveva veduto sanguinante, e supplice.

 

Perché gli aveva fatto questo?

Forse Thorin voleva dimostrargli che è da stupidi cercare di fingere di essere forti ad ogni costo, e cercava il conforto di qualcuno che gli voleva bene, e non lo avrebbe giudicato. Lui, Bilbo.

 

Quando Ori tirò su col naso , lo hobbit si schiarì la gola. Doveva assolutamente cambiare discorso.

«Vorrei tanto farmi un bagno bollente», confessò a mezza voce. «Me l’avevano offerto ieri sera, ma ho rifiutato. Ero troppo stanco. Credo che non riuscirò mai a togliermi di dosso questa puzza di orco, e, credimi, non ne sono affatto contento»

Ori lo stette a sentire senza ribattere, come se non gli avesse prestato attenzione a sufficienza.

«Per quello credo che dovrai aspettare», lo informò invece con una vocina sottile sottile. «L’acqua al momento è poca : serve per bere, e per i feriti. Tutti noi siamo riusciti a pulirci alla meglio con delle pezzuole bagnate; ma credo che l’unico, in tutto l’accampamento, che abbia fatto un vero bagno sia stato il re degli elfi, Thranduil»

A quella notizia gli occhi di Bilbo si accesero di malizia; non amava affatto quel sovrano tronfio e arrogante: per quanto bravo in battaglia, il Mezzuomo aveva notato, sin dalla loro permanenza a Bosco atro, il carattere irascibile e antipatico dell’elfo .

«Bene, vorrà dire che mi laverò lì», disse Bilbo a Ori, che sgranò gli occhi inorridito.

«Ma … Bilbo, non puoi dire sul serio!», si scandalizzò il ragazzo. «Lui è un re … e non è affatto come Thorin …»

«Neanche Dain è come Thorin, ma questo non mi ha impedito di dirgli due paroline», raccontò Bilbo guardando il volto del nano farsi ancor più sgomento. «Grazie per la dritta, e spero di vederti dopo. Ti auguro una buona giornata»

 

Il numero delle tende sembrava inspiegabilmente diminuito, e non ci volle molto a Bilbo per scovare quella del re degli elfi : alta e ricoperta da ricami verde e oro, sembrava vuota a parte un soldato a guardia della porta. Gli occhi del Mezzuomo indugiarono per un attimo sui propri  piedi, e sulle orme che producevano nel fango ; dopotutto, doveva solo trovare il modo per non farsi vedere.

Ed era bravo in questo.

Camminò dove la terra era più dura e, quando fu ben nascosto dietro un rudere, indossò l’anello: la familiare sensazione di potere che gli dava indossare il cerchietto d’oro lo investì prepotentemente e gli infuse coraggio.

Fatti pochi passi, Bilbo sbirciò nella tenda e notò che era ancora occupata; poco dopo, tuttavia, Thranduil uscì, vestito con abiti di seta e broccato e lo hobbit si illuse che la guardia d’ora in poi sarebbe stata meno attenta , ma purtroppo si sbagliava.

 

Evidentemente, all’interno doveva celarsi qualcosa di prezioso.

 

Così, dopo aver afferrato un sasso dal terreno, lo usò per distrarre il soldato e rapido e silenzioso come un’ombra, entrò all’interno della tenda. E aveva ragione: sopra un tavolino giacevano anelli e monili preziosi di varia foggia, che probabilmente l’elfo non aveva avuto il tempo d’indossare. L’aria era satura di vapori e di olii profumati e in quella bruma, Bilbo finalmente la scorse. Una grande vasca smaltata, in cui Thranduil poco prima, evidentemente aveva fatto il bagno. L’idea di lavarsi nella stessa acqua che aveva usato quell’uomo odioso un po’ lo tediava, ma Bilbo sapeva che non era il momento di fare lo schizzinoso; avrebbe fatto il primo bagno da tre settimane a questa parte.

Più silenziosamente che poté, Bilbo si sfilò la casacca e poi, cercando di fare il meno rumore possibile, la cotta di mithril : a parte qualche schizzo di sangue nero che vi si era rappreso in due o tre punti, era altrimenti immacolata. Quando la lasciò cadere a terra con una punta di risentimento, il tintinnio delle maglie risuonò nel silenzio, e il soldato elfico infilò la testa nella tenda, ma subito uscì. Bilbo lasciò andare un sospiro di sollievo e si mise a esaminare le varie boccette di olii, stappandole e annusandole una a una.

«Un re che fa il bagno nel profumo di violette è certamente ridicolo», sussurrò, «ma di sicuro è meglio della puzza di troll»

Infilò la mano nell’acqua e trovò che la temperatura era perfetta; quindi versò l’olio nella vasca. Nel frattempo , all’esterno, un elfo aveva chiamato il soldato per il pasto, e la porta era finalmente senza guardia.

Bilbo ne approfittò per infilarsi in vasca: i suoi sensi furono inebriati e rinvigoriti dal profumo, e si accorse che la sua pelle tornava pulita e rosea senza bisogno di strofinare. Persino i suoi piedi, dalla piante dure e incrostate di fango, adesso gli apparivano come quando era nella sua casa nella Contea.

 

Oh, la Contea.

 

Mai come ora sentiva la mancanza del suo letto e del suo giardino; voleva allontanarsi al più presto dai quei luoghi che gli erano costati solo dolore. L’odore di violette gli rammentò la dolce primavera, quando queste sbocciavano di fianco ai ruscelli ; e nonostante fosse pieno inverno, il ricordo era così vivido da sembrare reale.

Indugiò per molto tempo in acqua e si rese conto che doveva asciugarsi prima che il fuoco si spegnesse: così, a malincuore, uscì lentamente dalla vasca, stando attento a non far troppo rumore. Una cascatella di gocce si riversò a terra, cosa che lo preoccupò, ma quando si voltò, il pavimento appariva asciutto. Una mano salì ad arruffare i capelli, e anche quelli stranamente erano asciutti : il sorriso distese i tratti di Bilbo, che trovava l’inconveniente di doversi asciugare davanti al fuoco alquanto fastidioso; doveva senz’altro trattarsi di acqua magica.

 

E se – si chiese- avesse funzionato anche con i vestiti?

 

Speranzoso , versò altro profumo in vasca e immerse una manica della camicia ; e in pochi istanti quella era tornata linda e asciutta. Così, reso audace dalla propria fortuna, lavò i propri indumenti, la cotta e si rivestì in tutta fretta, perché aveva pur sempre paura di venir scoperto. Quando però , prima di lasciare la tenda, i suoi occhi indugiarono sul pelo dell’acqua, la scoprì sporca e notò che il fondo della vasca era coperto di melma.

 

***

 

 

Non vi era traccia di elfi nelle vicinanze, e le poche tende rimaste erano state smontate per tutto il tempo in cui  lui era stato intento a fare il bagno.

Felice di apprendere ciò, il Mezzuomo si tolse l’anello in un luogo riparato e si diresse nella direzione opposta, dove cioè erano accampati i Nani. Molti degli Uomini, che si trovavano in mezzo ai due accampamenti, erano ancora indaffarati con i propri feriti; poco lontano, però, vide Thranduil che parlava fitto fitto con Dain, torreggiando su di lui.  Non volle origliare ciò che avevano da dirsi e passò oltre, anche se continuò a osservarli con la coda dell’occhio. All’improvviso urtò contro qualcosa di molto grosso, ma Bilbo si rese conto che non era qualcosa, bensì qualcuno.

 

Il Mutapelle.

 

«Mi aspettavo di vederti , prima o poi, Bilbo Baggins», lo salutò Beorn, il cui aspetto notoriamente incuteva timore, ma che Bilbo sapeva essere una brava persona. «Ho sentito che ti cercavano», e mentre lo diceva i suoi occhi ferini seguivano un carro che scendeva verso valle.

«Dove … vanno, Beorn?», chiese Bilbo serio, notando anch’egli il carro; ecco dov’erano finiti gli Elfi, dopotutto.

Il Mutapelle lo fissò per un istante, prima di rispondere.

«I feriti meno gravi tornano all’avamposto di Thranduil al limitare della foresta», spiegò. «Quelli in pericolo di morte , invece, sono stati trasferiti nella Montagna. L’inverno è rigido, e lì hanno una speranza che qui altrimenti non avrebbero», e indicò dei fiocchi di neve che volteggiavano pigramente nel cielo e si posavano sulla terra fangosa; faceva decisamente troppo freddo.

Bilbo deglutì.

«Capisco», asserì. «E’ stata la scelta migliore»

S’incamminarono in silenzio, che fu rotto da Beorn quando , attirati dal profumo, raggiunsero Bofur e Bombur che rimestavano in un paiolo.

«Suppongo che tu abbia gradito il mio dono, quando ti salvai dall’orco», e il suo sguardo cadde su un grosso barattolo dal contenuto dorato che era accanto al bivacco dei due nani.

«Di più», ammise Bilbo, pensieroso, mentre i ricordi affioravano nitidi nella sua mente. «Quando credevo che sarei morto di fame, mi ha salvato la vita»

 

 

Thorin era affacciato davanti alla porta principale insieme a lui e ai compagni, scrutando giù in fondo, verso Dale. Avevano da poco avuto il primo scontro diplomatico con Bard , il quale aveva precisato che ,se proprio non volevano aiutare gli Uomini a ricostruire la città distrutta dal drago, potevano anche mangiarsi l’oro – in altre parole, li avrebbero lasciati lì a morire di fame- ma Thorin non aveva ceduto di un millimetro e Bard, indignato, se n’era tornato all’accampamento.

Bilbo trovava le parole dell’uomo ragionevoli e giuste, ma il re sotto la Montagna non sembrava dello stesso avviso.

 

Come sarebbero sopravvissuti al rigido inverno, senza cibo e senza alleanze?

 

Tutti erano fiacchi e indeboliti, e le scorte di rimpinzimonio si assottigliavano – ma nessuno osava discutere le decisioni del re, e Bilbo si sentì in dovere d’intervenire.

«Non puoi andare in guerra», disse rivolto a Thorin, in tono drammatico, ma quello non lo degnò di un solo sguardo.

«La cosa non ti riguarda», rispose invece composto, come se si trattasse di una cosa di poca importanza; notò invece gli sguardi preoccupati di Fili e Kili che erano in piedi accanto a lui.

Il Mezzuomo non poté mascherare la sua indignazione: Gandalf aveva ragione quando diceva che i Nani sono testardi e non ci si può ragionare e, proprio come faceva sempre lo stregone, si ritrovò ad alzare la voce.

«Scusa, non so se l’hai notato, ma c’è un esercito di elfi ,laggiù!», strillò risentito. «Per non parlare di parecchie centinaia di pescatori arrabbiati!»

Bilbo sapeva che quei poveretti avevano tutti i motivi per avercela con loro, ma aveva paura degli Elfi –il loro esercito era imponente, e potenzialmente pericoloso- e Thorin questo proprio non riuscita a capirlo .

 

Come avrebbero fatto, loro quindici, a fronteggiare centinaia di uomini armati?

 

«Siamo inferiori di numero!», squittì sconsolato, e inaspettatamente Thorin si voltò e sorrise.

«Non per molto ancora», sussurrò, e Bilbo si trovò a deglutire , sconcertato.

 

Cosa diavolo aveva in mente?

 

«Che … che vuoi dire?», chiese Bilbo, e vide il nano che gli si avvicinava con una strana espressione compiaciuta in volto.

«Che, Mastro Baggins, non dovresti mai sottovalutare i Nani», gli consigliò. «I Corvi Imperiali ci hanno reso un gran servigio e mio cugino Dain è a meno di due giorni da qui, in questo momento, con il grosso del suo esercito»

La rivelazione fece rimanere Bilbo senza parole, e , a quanto pareva, anche molti suoi compagni : gli unici a non mostrare segni di sorpresa erano i figli di Dis, Balin e Dwalin. Una fitta di fastidio lo investì: non gli andava di essere trattato come uno qualunque, e sapere della venuta del signore dei Colli Ferrosi senza che lui non ne avesse il benché minimo sentore lo faceva sentire come ai primi tempi, quando tutti lo trattavano come un inetto.

«E chi ti dice che questo tuo cugino ti ubbidirà, e che non sia venuto con l’esercito solo per usurparti il trono?»

La frase gli uscì di getto, ma Bilbo non se ne pentì.

«Mi ubbidirà, perché io ho l’Archepietra di Thrain», rispose Thorin, e tornò a distogliere lo sguardo dal viso dello hobbit.

«Ma non l’hai ancora trovata», lo punzecchiò Bilbo, e sentì l’altro sospirare.

«Hai sempre avuto la lingua lunga, Scassinatore, e questo non sempre è un bene», asserì Thorin, in tono un po’ più duro. «Talvolta faresti meglio a tenere per te i tuoi pensieri. Sei fastidioso»

«E invece io parlerò fintanto che avrò qualcosa da dire!», si inasprì Bilbo, parandosi davanti a lui. «Tu non capisci! Non tutti mettono l’onore al primo posto … e spero che la tua scelta sia stata ben ponderata, Thorin», fece prima di allontanarsi, ma il Nano lo bloccò.

«Vuoi sempre avere l’ultima parola, eh, Mastro Baggins?», sibilò il Re sotto la Montagna. «Bene. Perché non ascolterò una parola di più»

E a quella frase, corrucciato come non mai, Bilbo si arrampicò su per il muro e sparì alla vista dei Nani, che rientrarono poco dopo per riprendere la loro opera di restauro della Montagna.

 

 

 

 

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Capitolo 7
*** La stanza da letto del re ***


QUESTO E’ IL SECONDO CAPITOLO CHE PUBBLICO OGGI.

CHI NON AVESSE LETTO L’ALTRO, VADA DIETRO ß

 

 

«Ori, cosa c’è in quell’armadio?», chiese Kili, vedendo l’amico accucciato a terra mentre un nugolo di farfalline gli volavano addosso.

«Niente, vestiti e pellicce», commentò lo scrivano. «Solo che sono pieni di tarme. Aspetta, ci sono un po’ di strati», disse e quando Kili sentì che si stava sforzando, lui e il fratello alzarono gli occhi dalla cassapanca che stavano scardinando.

«Potevi dirlo che ti serviva aiuto», si fecero avanti mentre Ori si affannava a tirar fuori mucchi e mucchi di abiti ammuffiti e provocando una nuova ondata di tarme.«Sta’ attento, che di questo passo si mangiano pure te», e Fili gli spazzò un po’ di tarme dalla spalla, ridendo.

«Beh? Che ne facciamo di questa roba tutta bucherellata?», commentò Kili, sollevando le pelli, schifato. «Per quello che ci servono, non vanno affatto bene», aggiunse sollevando un sopracciglio e guardando il fratello maggiore con aria da intenditore.

«Non serviranno prima di qualche centinaio d’anni», ammise Fili sconsolato. «Elyn non mi ha degnato di uno sguardo. E non se n’è nemmeno accorta», ma il fratello, allegro, gli mollò una pacca sulla spalla.

«Su con l’umore, fratello!», cercò di trasmettergli allegria, anche se risultava difficile.«Dopodomani è il tuo compleanno e tutto sarà come dico io, o non mi chiamo più Kili. Prima, però, troviamo qualcosa di decente», e dicendo ciò scavalcò Ori e cominciò a buttar dietro di sé colli e abiti tarlati, ramoscelli e qualche pergamena. «Certo è che il bisnonno era proprio strano», si ritrovò a dire quando una nuova assicella gli capitò tra le mani,  e subito si aggiunse al mucchio di roba da buttare.

Ori, che poco prima aveva seguito lo strano discorso dei due fratelli, alzò lo sguardo su Kili.

«Scusate … ma che c’entra Elyn con il contenuto di questo armadio?», ma l’altro fece un sorriso sornione.

«Niente, roba da uomini …», e Ori continuò nella sua opera, ancor più confuso  di prima, mentre Fili scuoteva la testa.

Alla terza assicella, lo scrivano notò che vi era ancora attaccata qualche foglia e la annusò.

«Comunque, a titolo informativo, Thror non era strano», disse ai due fratelli, che lo guardavano allibiti.«Sono rametti di lavanda e alloro. Vengono utilizzati contro le tarme»

«Non servono a granché», rise Fili, «considerato che quelle farfalle ti stavano quasi mangiando vivo», ma Ori continuò a svuotare febbrilmente l’armadio.

«Era qui ciò che dovevano proteggere», rivelò lo scrivano felice, sgranando gli occhi. Un grosso strato di rametti copriva quello che appariva come un mucchio di pergamene e una enorme pelliccia nera, e Ori srotolò la prima pergamena.

«Sono decreti», li informò raggiante, sbirciando un altro rotolo e poi un altro ancora. «Balin sarà felicissimo di averli»

Kili, allora che già si fregava le mani, ma non per le pergamene, poggiò una mano sul braccio di Ori.

«Bene, allora, grazie per l’aiuto : puoi anche prendertele tutte», e dicendo ciò ne prese una bracciata e le mise tra le braccia dello scrivano, che lo guardava allibito. «Ora però, se non ti dispiace, ho una certa cosa da organizzare con mio fratello»

Il piccolo nano raccolse gli ultimi rotoli e si allontanò, domandandosi il motivo di tutti quei misteri.

«Sei sempre il solito villano», commentò Fili divertito, scuotendo la testa. «E dire che sei un principe … chissà cosa avrà pensato …»

Kili saltò in piedi.

«Dai, è solo Ori. Se non posso essere me stesso con una della Compagnia …», ridacchiò compiaciuto. «Tu piuttosto, aiutami a srotolare quel coso»,e fece un cenno verso l’armadio, ma Fili sembrava ancora titubante.

«Oh, ma insomma!», si lamentò Kili. «Vuoi passare un bel compleanno, si o no?»

Fili sospirò e si alzò anche lui in piedi.

«D’accordo», acconsentì. «Sempre se funziona …»

«Funzionerà. Fidati », rispose il fratello facendogli l’occhiolino.

 

 

 

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Capitolo 8
*** Ciclamini ***


«Avreste dovuto ospitare tutti i feriti, e non solo i più gravi!» inveì Legolas verso Dain, il signore dei Colli Ferrosi : dopotutto, era stato dal nano che era partito l’ordine, ma il guerriero non pareva pentito della scelta.

«Non discuterò oltre con te, principe», asserì Dain in modo annoiato : quella conversazione cominciava a tediarlo. «La decisione oramai è presa»

 

Il sorrisetto del nano stizzì, se possibile, ancora di più il giovane Elda, che era salito su alla Montagna per contestare quell’ordine assurdo e crudele : elfi e uomini con ferite meno gravi erano stati rimandati indietro all’accampamento sulle rive del lago, proprio mentre  i nuvoloni presagivano una tempesta di neve imminente.

 

Balin,intanto, che stava in piedi accanto al cugino, spostava il peso del corpo da una gamba all’altra, in evidente imbarazzo.

«Comprendo benissimo … le tue ragioni, e non ti biasimo», affermò scoccandogli di sotto in su uno sguardo accondiscendente, «ma la cosa è stata ben ponderata. Non abbiamo scorte sufficienti a nutrire così tanti convalescenti, tanto vale concentrarci solo sui più gravi. Sono sicuro che … tuo padre Thranduil non avrà difficoltà a far giungere vettovaglie dal Palazzo all’accampamento»

 

Il tono dolce e pacato di Balin spianò un poco il cipiglio di Legolas, che si limitò ad annuire, ma Dain gli riservò la stoccata finale.

«Proprio così», ammise con veemenza, annuendo di rimando anche lui. «Non possiamo certo assottigliare ulteriormente le nostre scorte per dar da mangiare a degli stupidi orecchie a punta!», la frase seguita da una volgare risata.

 

Questo fu troppo per Legolas: Balin alzò gli occhi al cielo, costernato, e il biondo principe li superò, urtando di proposito Dain, che si ritrovò a ghignare compiaciuto.

«Ha un bel caratterino, il figlio di Thranduil, non c’è che dire», commentò versandosi un po’ di quel vino che veniva usato per annebbiare la mente dei feriti affinché sentissero meno dolore. «Sembra quasi di parlare con Thorin»

Quella frase, detta senza evidente malizia, rese subito lucidi gli occhi di Balin : il corpo del re giaceva in una delle sale  insieme ad altri guerrieri caduti, in attesa della sepoltura che sarebbe avvenuta nei prossimi giorni. Dis non avrebbe mai fatto in tempo ad arrivare, e questo pensiero , ancora una volta, fece si che una lacrima luccicante cadesse nella barba candida del vecchio guerriero.

 

 

L’elfo adesso avanzava a passo spedito nei corridoi di pietra , ed il suo cipiglio non presagiva nulla di buono.

Era stato già ad Erebor , molti decenni prima e prima della venuta del drago : assomigliava al suo palazzo del Reame Boscoso, con i suoi parapetti e immensi aloni, ma la differenza tra le due culture era innegabile.

I Nani tendevano a prediligere le figure squadrate, che venivano richiamate nei portali e nelle sculture; gli Elfi, d’alto canto, soprattutto i Silvani, erano più ispirati dagli alberi e dagli animali che abitavano la foresta, i quali  venivano spesso usati come temi ricorrenti.

 

Intendeva raggiungere sire Elrond, che su richiesta di suo padre era giunto da Granburrone a curare i feriti- dato che era notoriamente il miglior guaritore di tutta la Terra di Mezzo- per salutarlo e prendere congedo.

Sapeva che il signore di Imladris si stava prendendo cura personalmente di alcuni feriti particolari, e uno di questi era l’erede di Thorin – sembrava grave, e non si poteva rischiare di perdere i futuro re di Erebor all’indomani della battaglia – così si diresse nei livelli inferiori, che erano più caldi e quindi più adatti allo scopo. Uno o due nani dalle barbe rossicce gli passarono davanti, parlottando concitati in nanesco e scoccandogli uno sguardo di rimprovero; indossavano ancora abiti laceri e sporchi, ma probabilmente non c’era stato tempo, per loro, di cambiarsi con qualcosa di più pratico e adatto.

Legolas, dal canto suo, al pari di suo padre, aveva cambiato gli abiti da battaglia e aveva fatto un bagno, ma quello era un privilegio concesso a pochi; immaginava che le terme di Erebor , a quell’ora, dovessero brulicare di nani in cerca di sollievo per il corpo e per lo spirito.

 

Voltò l’angolo , e notò che quella zona della Montagna era un po’ più affollata e immaginò che dovesse trattarsi dei quartieri dei guaritori. Qualche nana , evidentemente con velleità da guaritrice, si affaccendava tra le varie stanze, scarmigliata e con le braccia cariche di pezzuole, il grembiule macchiato di rosso; e qualche elfo di tanto in tanto faceva la sua comparsa, destreggiandosi tra le lettighe di elfi, uomini e nani. Legolas aguzzò la vista per scorgere dove potesse trovarsi sire Elrond, ma vide solo decine di brande di fortuna;  i lamenti dei moribondi, che si levavano di tanto in tanto,  spezzavano il cuore. Osservò una delle nane imboccare pazientemente un elfo con un cucchiaio ; la donna teneva sollevato il viso del ferito, e di tanto in tanto lo ripuliva con una pezzuola candida.

Legolas riconobbe l’elfo come un giovane soldato di suo padre, e si avvicinò.

«Ci sono tanti della tua stessa stirpe», commentò Legolas rivolto alla donna, che continuava a imboccare il soldato pazientemente, come fosse un bambino. «Perché nutri prima un elfo?»

 

La donna sospirò stancamente e posò gli occhi per un attimo su di lui, dando segno di averlo riconosciuto.

«Mio signore, in tempo di guerra i guaritori aiutano prima chi più ne ha bisogno», e pulì ancora una volta il mento del suo paziente, sporco di minestra. «Questo giovane elfo ha perso una gamba ed è molto debole. Noi nani, di contro, siamo fatti per resistere. Come la roccia dalla quale Mahal ci ha forgiati», spiegò orgogliosa. La nana, che aveva dei fili d’argento nei capelli e il viso rugoso, ripose il piatto e controllò le bende macchiate di sangue sotto la coperta ruvida, per poi dedicarsi al ferito successivo, che era della stirpe degli Uomini.

Legolas chinò il capo, in segno di rispetto, e sussurrò “Hannon le” prima di uscire dalla stanza, quando la sua attenzione fu attirata da qualcuno che conosceva. Allungò il passo e raggiunse la porta della stanza più lontana, decisamente più grande e meno affollata delle altre. Riconobbe sire Elrond chino su qualcuno, e Legolas stava per entrare a  chiamarlo, quando un giovane nano, uscendo dalla stanza, andò a sbattergli contro.

Il giovane , che aveva gli occhi cerchiati e rossi dal pianto , sollevò il proprio sguardo disperato sull’elfo, che immediatamente assunse un’espressione granitica.

 

«Tu», sibilò Legolas, e l’altro strinse i pugni, lasciandosi sfuggire un gemito di fastidio; una delle mani era fasciata. L’elfo notò che si era cambiato ed indossava una camicia blu pulita, anche se gli stivali erano ancora infangati; i motivi sulla fibbia lasciavano intuire la sua nobile nascita, ma i capelli neri, così tenuti in considerazione dai nani, ora ricadevano ribelli e sporchi sulle spalle, anche se lui non sembrava curarsene. Se fosse stata qualunque altra persona, Legolas sapeva che avrebbe potuto avere pietà di lui: i suoi occhi erano colmi di un dolore antico e mai provato, quello a cui erano destinato ai mortali; il nano stava per ribattere qualcosa, quando lo sguardo di Legolas cadde sulla sua cintura , gli occhi azzurri ridotti a due fessure.

 

«Non hai il diritto di portarlo», sussurrò furente Legolas, fissando torvo il pugnale elfico alla cintura di Kili, che tirò su col naso ed assunse un’espressione combattiva, mentre le dita tozze corsero  automaticamente al manico intarsiato, come a volerlo proteggere. «Restituiscimelo immediatamente»

Il giovane nano non mosse un muscolo.

«Me lo ha dato lei», disse soltanto, mentre le dita scorrevano lente sull’elsa.«E dirmi queste cose non la riporterà indietro», affermò scuotendo la testa, il dolore che affiorava di nuovo sul suo viso stanco.

 

«Tauriel non tornerà, ma sarà fatta giustizia. Quel pugnale era un dono di mio padre», alzò ancora la voce Legolas, che non comprendeva il motivo di tanta ostinazione.

«E lei lo ha dato a me. In punto di morte», scandì Kili con enfasi, parandosi davanti all’elda. Nella stanza doveva trovarsi suo fratello morente, perché Legolas carpì la sua disperazione. «Voi elfi vi ritenete  talmente superiori a tutto che non riuscite nemmeno a rispettare le volontà di una persona che se ne è appena andata?»

 

Legolas lo fissò di rimando, non sapendo cosa ribattere. La perdita di Tauriel lo aveva come svuotato, e la cosa che lo addolorava di più, anzi lo infuriava, era che lei fosse morta per difendere un nano.

Il nano che ora era in piedi davanti a lui.

Kili si passò nervosamente una mano nei capelli, spostando una ciocca di capelli ai lati del viso, o forse per asciugare di nascosto una lacrima.

«Lei non era come te», disse all’elfo, e senza aggiungere altro si allontanò, le spalle cascanti, in cerca di un posto in cui  sfogare finalmente il suo dolore.

 

 

Camminava, mentre lacrime di impotenza e frustrazione gli offuscavano la vista; incontrò sul suo percorso diversi nani e qualche elfo, ma nessuno di loro, impegnati com’erano, gli badò.

Nella sua seppur giovane vita di nano, prima nei Monti Azzurri e poi nel rocambolesco viaggio intrapreso con l’adorato zio, Kili non si era mai sentito così.

Addolorato, annientato, perduto.

 

Si, perduto era la parola giusta.

Thorin, l’unica figura paterna che avesse mai conosciuto, era andato via per sempre; e Fili, il suo fratello maggiore, la sua guida, il compagno di giochi di una vita, sembrava voler raggiungere il loro zio nelle Aule di Mandos. Un destino crudele aveva strappato a Kili anche l’unica donna di cui aveva provato qualcosa molto simile all’amore, e che , malgrado le differenze, avrebbe potuto coltivare, e poi, chissà …

Un dolore folle, misto a un cieco terrore lo invase: di perdere Fili, di non essere all’altezza, di … se Fili non fosse sopravvissuto, Kili sarebbe stato incoronato futuro re di Erebor e lui non voleva, non poteva; quello era il posto di suo zio, non il suo.

 

Lui non era nato per fare il re.

 

Si accorse di aver preso a correre, mentre altre lacrime gli rigavano le guance e scorrevano sulla barbetta appena accennata.

La stessa barbetta per cui suo fratello lo prendeva in giro da una vita.

Fili era stato sempre il migliore di loro due: forte, gentile. Non poteva andarsene così.

 

Non morire, fratello, non morire.

 

Kili si accorse che i polmoni gli bruciavano, e si fermò davanti a una stanza che conosceva. Sospirò, osservando il piccolo barattolo di vetro abbandonato sul pavimento e sorrise, di un sorriso nostalgico e triste. Raccolse l’oggetto e si sedette sul freddo pavimento di pietra, le braccia attorno alle ginocchia mentre l’indice percorreva ininterrottamente il bordo del barattolo. Presto qualcosa di appiccicoso e scuro gli macchiò il polpastrello, e fu così che, vinto dalla tristezza e dall’angoscia, Kili si abbandonò finalmente al sonno, in completa solitudine.

 

 

***

 

 

«Bene bene bene … cosa abbiamo, qui?», domandò Kili, sollevando un sopracciglio mentre gli angoli della sua bocca si piegavano in una smorfia divertita. Aveva appena sorpreso il loro scassinatore ufficiale, letteralmente con le mani nel sacco.

 

Bilbo da qualche ora appariva  guardingo e strano, e lo si vedeva sgattaiolar via più spesso del solito; ecco dov’ era che andava! La stanzetta era piccola e disadorna, ma adattissima allo scopo, se uno aveva intenzione di nascondersi.

«No, Kili, po … posso spiegarti», balbettò il piccolo Mezziomo, gesticolando come sempre quando era in imbarazzo.«Me l’ha dato Beorn … quando sono andato ad avvisare gli altri a Collecorvo»

 

Un silenzio attonito scese tra i due, e Bilbo posò lo sguardo sulla propria mano destra che stringeva ancora il barattolo, arrossendo; quando Kili si lasciò andare a una risatina incredula, anche lo hobbit sorrise. Kili non avrebbe fatto la spia, ne era sicuro, ma la situazione risultava comunque notevolmente imbarazzante.

Il ragazzo indicò il recipiente di vetro, appoggiandosi allo stipite della porta.

«E te lo mangi tutto tu?», chiese in tono casuale, cosa che fece vergognare alquanto Bilbo.

 

«Si. Beh! Quando ho firmato quel contratto era previsto vitto e alloggio a vostro carico, e non mi pare che stiate adempiendo granché, ecco …», rispose tutto d’un fiato il Mezzuomo; era irritato perché per mesi aveva dovuto condividere tutto con i suoi amici, e benché adesso per lui la cosa risultasse normale, era pur sempre una persona riservata  e … beh, desiderava, almeno ogni tanto, di passare qualche ora in completa  solitudine.

«Giusto» fu il commento laconico del nano, che stupì alquanto Bilbo; Kili era sempre stato un giocherellone e come minimo si era aspettato che quello gli strappasse dalle mani il barattolo per andare a papparsi il contenuto  in santa pace.

 

Lo hobbit sospirò. Il peso che gli era sceso sul cuore si dissipò un poco, e si sforzò di sorridere.

«Che … che vuoi dire? », fece rivolto al ragazzo, arcuando le sopracciglia; qualcosa sarebbe andato storto anche stavolta,  lo sapeva. E infatti la risposta dell’altro non si fece attendere.

«Che me ne starò zitto e buono con gli altri, se tu mi cederai l’altro barattolo», fece Kili dandogli una pacca affettuosa sulla spalla; evidentemente aveva adocchiato l’altro contenitore posato sul tavolino.

«Ma … Kili, insomma!», protestò Bilbo, camminando avanti e indietro e lanciando occhiate torve all’altro barattolo pieno di miele ; se solo lo avesse tenuto nascosto nello zaino, insieme all’Archengemma! Ma ormai era fatta, e Bilbo si piazzò davanti a Kili, guardandolo di sbieco.

 

Da quando Thorin aveva mostrato i primi segni della malattia del drago, tutto sembrava andare storto, nella Montagna: Elyn e Fili non si parlavano, Bombur piagnucolava notte e giorno per la fame (e ne aveva ben donde), e c’era l’imminente  minaccia di un attacco degli elfi. Quando Beorn lo aveva salvato dall’orco, lungo la strada per Collecorvo, gli aveva regalato quel miele che Bilbo lo aveva conservato come una reliquia:  ed ora, quando la fame e lo scoramento si erano fatti pressanti, era venuto il momento di farne uso.

 

Si accorse che Kili lo fissava comprensivo, e aspettò cosa avesse ancora da dirgli.

«C’è bisogno di dolcezza in questa Montagna», disse il nano con noncuranza, facendo una smorfia buffa che voleva essere di cameratismo. «Se capisci cosa intendo»

 

Bilbo invece non capì proprio nulla, ma le sue spalle si afflosciarono per la rassegnazione.

«E va bene», si arrese con un sospiro, anche se un attimo dopo tornò subito combattivo, sguardo torvo e indice in aria. «Ma io mi tengo l’altro pieno, tu ti prendi questo a metà. Siamo intesi?»

 

Kili non stette lì a discutere, troppo felice per aver strappato quel trofeo di guerra, e con un sorriso che andava da orecchio a orecchio, strappò di mano il barattolo al signor Baggins.

«Intesi, Scassinatore», rise contento; in un batter d’occhio il contenitore era sparito in una delle tasche della giubba, mentre lui, gambe in spalla, scappava soddisfatto verso una nuova meta.

 

 

***

 

 

 

Bilbo trascinava i piedi sulla pietra polverosa del quartier generale: al momento era quasi vuota, a eccezione della giovane nana; gli altri, suppose, dovevano essere tutti a cercare l’Archengemma, come era stato loro ordinato da Thorin. Era pensieroso e ancora infastidito per come si era fatto fregare buona parte della sua scorta di miele, quando ricadde con un tonfo sordo su suo pagliericcio, lanciando occhiate alla ragazza.

La nana era alle prese con un pettine di legno e cercava di districarsi i capelli; dall’aspetto sembrava li avesse lavati di recente. Tutti erano rimasti scioccati quando lei aveva tagliato buona parte della chioma per poterli meglio gestire, ma si sa, i capelli possono sempre ricrescere, e la cosa era finita lì.

 

«Elyn, che … cosa stai facendo?», chiese il Mezzuomo, notando che la nana riponeva il pettine intarsiato , dono di Bofur, nella sua bisaccia , e subito cominciava a tirar fuori biancheria e vestiti e ad ammonticchiarli sul pavimento.

«Credo che andrò a lavarmi la mia roba. Sai, l’acqua è calda, e anche le coperte stanno cominciando a puzzare»

 

Bilbo deglutì.

Arrossì un poco: da quando viveva con la compagnia il suo concetto di igiene  e pulizia si era notevolmente modificato : non poteva più permettersi una vasca calda ogni sera, così un po’ alla volta si era adattato. Ma Elyn, a quanto pareva, rimaneva fissata con la pulizia.

«Non credo sia una buona idea, sai», la rimbrottò vedendola ripiegare altri indumenti ,cercando di farla ragionare. «Siamo in pieno inverno! Sai quanto ci impiega ad asciugare , una coperta di lana, in pieno inverno?»

 

Il suo tono stridulo risuonò nella sala, ma la ragazza non vi badò. Anzi, gettò un altro legnetto nel fuoco, fingendo che l’amico non avesse fatto commenti al riguardo. Elyn si pulì i pantaloni sulle ginocchia e fece per raccogliere la coperta di lana, quand’ecco che  sgranò gli occhi e la coperta ricadde con un tonfo.

«Oh»,si lasciò uscire un sospiro agitato, e arrossì; la cosa attirò subito l’attenzione di Bilbo.

«Che cos …? Ah »

Gli occhi del signor Baggins  navigarono fra le coperte spiegazzate, e in mezzo ad esse scorse qualcosa che prima non c’era.

 

Un mazzolino di ciclamini.

 

«Beh, posso supporre chi li abbia nascosti  … lì dentro» , disse per rompere il ghiaccio, vedendo che la nana fissava ancora i piccoli fiori lilla con la bocca spalancata. «Ti piacciono i fiori?», chiese a bruciapelo.

«Certo che mi piacciono! Sono una donna», rispose quella quasi stizzita; Bilbo non aveva mai pensato che i fiori potessero piacere solo alle donne, dato che dalle sue parti la floricultura era ampiamente praticata.

 

«Io ne ho … di bellissimi, nel mio giardino», raccontò allora sognante Bilbo. « E sai, noi chiamiamo le bambine con i nomi dei fiori, nella Contea»

Elyn aveva raccolto i ciclamini tra le mani e inconsciamente li aveva portati al viso, come se si aspettasse di sentirne il profumo; anche se sapeva che si trattava di  fiori invernali e che non profumavano.

Rivolse quindi l’attenzione all’amico, che notò i suoi occhi luccicare di contentezza. Bilbo sapeva che la piccola lite di Elyn con Fili avrebbe avuto breve durata, e, grazie ai Valar, pareva proprio che il ragazzo sapesse come farsi perdonare; tuttavia, emise un sospiro triste e stanco, e riprese a raccontare.

 

«Stiamo molto attenti ai significati, sai», le rivelò nostalgico, incrociando le mani dietro la nuca e stiracchiandosi davanti ai tizzoni ardenti.« E non so ancora che cosa saltò in testa a mio nonno quando diede a mia madre il nome di una pianta velenosa!»

Elyn lo osservò di lato, preparando la domanda; Bilbo la sentiva frullare nella sua testa.

E alla fine, la domanda attesa venne.

«Bilbo, tu … conosci il significato dei fiori?», chiese lei con una vocina piccola piccola, e lo hobbit fece uno sguardo crucciato.

 

«Mi pareva di averti appena detto che noi hobbit siamo i massimi esperti, in materia», ma  mentre lo diceva la fronte corrugata si distendeva per far spazio a un sorriso complice. «Chiedi quello che vuoi»

La nana accarezzò un petalo delicato col polpastrello, notando , nonostante il freddo, quanto quei fiori fossero perfetti.

 

Chissà quanto deve averli cercati …

 

«Sai, i ragazzi hanno studiato le buone maniere e tutto il resto», cominciò lei , alludendo a Fili e Kili, ma anche ad Ori, che pur non essendo di sangue reale leggeva tutti i libri che gli capitavano a tiro. «Ma i nani comuni, in genere, non si interessano granché ai fiori», ammise lei con rimprovero, «né al loro significato. Loro preferiscono vedere la bellezza in altre cose, sai»

Mentre la ragazza parlava, Bilbo si trovò ad annuire: vivendo con i nani per così tanto tempo era arrivato a capire i loro punti di vista e il loro modo di vivere, ma trovava alcuni aspetti della loro cultura un po’ grotteschi.

 

 

«Immagino che trovare fiori fatti di pietra sia un po’ difficile, ecco», commentò Bilbo sarcastico, alludendo al fatto che i nani amassero la roccia, mentre gli hobbit provano amore per  tutte le cose che crescono, soprattutto le piante. «Allora , vuoi … che ti spieghi  il significato del ciclamino?»

 La giovane nana sorrise e annuì, gettando un altro legnetto sul fuoco che sprigionò decine di scintille rossastre, e si volse col busto verso di lui. Bilbo allora assunse un tono serio e composto, prima di cominciare a parlare.

 

«Significa che sei diffidente e che hai esitazione … riguardo a voi due» , raccontò Bilbo, un pochino a disagio.« Ma è anche un amuleto. Sai, per proteggerti, ed è … un simbolo di fertilità»

Elyn fece finta di non aver notato che era arrossito; d’altronde, quando si parlava di certe cose, Bilbo era sempre molto chiuso e riservato, ed Elyn credeva anche di sapere perché.

 

«Lo hai … visto?», chiese la nana a bruciapelo; Fili le mancava terribilmente, e ormai tra ordini di Thorin e cose varie, lo incrociava davvero di rado.

«Oh, è da qualche parte con suo fratello», rispose sbrigativo lo hobbit, gesticolando come al solito.  «Stanno esplorando stanze e cose del genere. Ehi, hai ancora intenzione di lavare quella roba?», chiese quando la vide mettere i fiori al sicuro e caricarsi una bracciata di panni in spalla.

 

Elyn adesso aveva le guance rosee e gli occhi che le brillavano.

«Certo», ridacchiò, avviandosi spedita. «La pietra è bollente lì dentro: asciugheranno in un attimo, e nel frattempo mi farò un bel bagno come si deve»

 

Avrebbe potuto studiare quel che c’era da sapere sui libri, ma Bilbo le donne non le avrebbe mai capite.

«E ti pareva», bofonchiò scocciato, annusando le sue coperte e fingendo per un attimo che non puzzassero come quelle dei nani, prima di cadere sbuffando sul giaciglio e ritrovarsi a fissare il soffitto.

 

 

EHILA’ GENTE!

LO SO, SONO SPARITA , MA SAPETE COME VANNO QUESTE COSE! ESCE IL FILM, NATALE, LE FESTE FINISCONO … E LA PIGRIZIA TI ASSALE. DA COME AVETE POTUTO LEGGERE TAURIEL NON È SOPRAVVISSUTA ALLA BATTAGLIA ; PRIMA MI PIACEVA, MA AVEVO PRESO QUESTA DECISIONE ANCOR PRIMA DEL FILM , DATO CHE LA STORIA DI KILI PRENDERÀ TUTTA UN'ALTRA PIEGA. NEL FLASHBACK, IL MIELE È QUELLO CHE BEORN REGALA A BILBO QUANDO QUESTI VA A COLLECORVO (IN "LA QUIETE, PRIMA DI SMAUG") E L'ALTRO FLASHBACK RIGUARDA I TENTATIVI DI FILI DI RICONQUISTARE ELYN. A PROPOSITO, SONO FELICE CHE LA MIA VECCHIA STORIA (COLLEGATA A QUESTA) CONTINUI A RICEVERE MOLTI CONSENSI: LA SEGUONO BEN 94 UTENTI! INTENDO RINGRAZIARE TAMORA FELIX PER LE ULTIME RECENSIONI CHE MI HA LASCIATO ALL’ALTRA E SOPRATTUTTO ARDESIAA, IDRILCELEBRINDAL , JENNY BURTON E EMOUEL CHE MI HANNO LASCIATO BELLE RECENSIONI ANCHE QUI.

PER CHI VOLESSE FARSI UNA RISATA, C’E’ ANCHE LA MIA ONESHOT “BILBO E IL PORTA A PORTA” SCRITTA IN UN MOMENTO DI FOLLIA … SPERO CHE IL CAPITOLO NON SIA TROPPO NOIOSO.

DETTO QUESTO, ALLA PROSSIMA!

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