Storytime - by whitemushroom

di whitemushroom
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il giardiniere ***
Capitolo 2: *** Quel maledetto Ventodì ***
Capitolo 3: *** Forgotten ***
Capitolo 4: *** Ora di cena ***
Capitolo 5: *** Il Fuoco dell'Abisso ***
Capitolo 6: *** Things we do not see ***
Capitolo 7: *** Ritorno a casa ***
Capitolo 8: *** Il futuro non tradisce i sogni ***
Capitolo 9: *** Piccolo grande eroe ***
Capitolo 10: *** Quel giorno che verrà ***



Capitolo 1
*** Il giardiniere ***


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Personaggio: La Regina di Cuori
Genere: Introspettivo, Malinconico.
Rating: Verde
Avvertenze: si ispira a delle vicende narrate nel manga di KH 358/2 Days, attualmente inedito in Italia. In caso necessitaste di chiarimenti chiedete pure


Il giardiniere

Era assolutamente fantastica, incredibile, strepitosa. La Regina di Cuori sorrise e batté le mani compiaciuta. La siepe era più grande di qualunque castello di carte, così alta che il Bianconiglio doveva arrampicarsi su uno sgabello per vederne la sommità modellata a forma di corona. Non erano i soliti rampicanti del labirinto: o forse c’erano anche quelli, ma ovunque sbocciavano rose nere e rose bianche, rose gialle e soprattutto tante, tante, tantissime rose rosse, proprio quelle che piacevano a lei! Facevano capolino dagli arbusti nel modo più disparato, ma dal basso quasi non si riusciva più a distinguere un fiore dall’altro, un petalo da una spina; davano all’intreccio di piante un arcobaleno di colori che lasciava persino le Carte di Picche senza fiato.
Ovviamente il motivo dello stupore non erano solo le rose.
Era che la siepe aveva la forma della sua indiscutibile maestà. Le girò intorno tutta soddisfatta, compiacendosi dello scettro ben fatto, della corona enorme e soprattutto dei dettagli del viso, che incarnavano la sua luminosa perfezione con rose screziate ovunque che non facevano cadere nemmeno un petalo. E la gonna, che particolari, che decorazioni! “Soltanto lei avrebbe potuto ispirare un tale capolavoro, Maestà!” disse il Jack di Cuori uscendo tiepidamente dalle righe.
“Le altre siepi non resistono davanti alla sua magnificenza!”
In effetti sì, si era chiesta perché il nuovo giardiniere avesse perso tempo a scolpire nelle siepi anche tutte le altre persone. Però c’era qualcosa di divertente nel vedere la sagoma del piccoletto con il Keyblade correre davanti alla minaccia di perdere la testa, con il papero ed il cane che avevano un’espressione terrorizzata nonostante fossero fatti solo di pitosforo e gelsomini. Tutti molto più piccoli della sua siepe, ed in questo il giardiniere era stato davvero bravo. Un vero artista, un uomo di gusto!
Poi un particolare allontanò la sua attenzione dalla meraviglia floreale. Proprio accanto all’ingresso del labirinto le piante erano state modellate in modo ardito, come se delle figure sporgessero dalle pareti verdi per caso, tra l’entrata e l’uscita del loro mondo. Era chiaro che l’autore non le avesse ancora terminate, ma c’era qualcosa che accomunava quelle forme sbozzate alte e basse, magre ed enormi come giganti, una con un libro ed un’altra con la falce che le sovrastava tutte, sospesa su di lei. I loro abiti erano stati realizzati con le rose più nere del giardino, delle tuniche che conosceva bene.
E quando cercò in mezzo alle tredici figure trovò quella che cercava. Un braccio era ancora da finire, ma dei boccioli bianchi gialli scintillavano nei punti dove vi sarebbero dovuti essere i capelli e la barba, bagnati come se qualcuno li avesse appena annaffiati.
“Nemmeno uno dei soggetti più interessanti, se accetta la mia umile opinione”.
Il nuovo giardiniere uscì da dietro un albero, silenzioso come la notte. Si inchinò a lei come si conveniva. “I vostri occhi luminosi si addicono a ben altre opere, mia regina”.
“Sono IO che decido cosa è interessante QUI!” tuonò. L’uomo abbassò i suoi occhi profondi come il cielo ed indietreggiò di un passo, balbettando una scusa.
La Regina di Cuori guardò di nuovo la siepe, cercando di ricordare quanto tempo fosse passato da quando aveva incontrato quell’uomo gentile, quella persona tanto risoluta quanto dolce, e quanto aveva sperato che tornasse a farle visita almeno una volta. Aveva dimenticato una cosa lì, dopotutto.
“Conoscevi il signor Luxord?” domandò, rendendosi conto solo in quel momento che la propria voce aveva un suono più dolce, sapeva sempre un po’ di miele quando pensava al misterioso viaggiatore dei mondi dal vestito scuro e gli occhi chiari.
“Conoscere è una parola impegnativa, mia munifica sovrana” rispose il giardiniere, passandosi una mano tra i lunghi capelli rosa, raccolti in una coda. Si avvicinò alle piante, e con un leggero tocco i rampicanti si sporsero dal tronco, avviluppandosi sulla figura. Il braccio appena sbozzato prese forma sotto i suoi occhi, e nel tempo di un battito di ciglia le rose nere erano già cresciute. Il Jack di Cuori non trattenne un gridolino di stupore. “Conoscere implica condividere, parlare … amare, sotto alcuni versi. E no, non conoscevo bene Luxord. Posso solo considerarlo un compagno di strada, un buon compagno di strada, almeno finché non ci siamo trovati ad un bivio. Lui ha preso una via, io un’altra. Ma sono certo che è da qualche parte … come tutti noi, del resto”.
“Beh, io voglio sapere TUTTO sul signor Luxord! Quindi TU oggi pomeriggio prenderai un the con me e mi racconterai ogni cosa, ogni dettaglio … sono stata chiara?”
“Chiarissima, sua magnificenza! Lei mi concede il più alto degli onori!”
“Uff, sì, lo so!” rispose. Fece per allontanarsi, poi si voltò di nuovo. “Ed ESIGO che la siepe di Luxord sia più alta di tutte le altre. Anzi, la voglio alta come la mia. INTESI?”
“Certamente, Maestà!”
Bene, poteva ritenersi soddisfatta. Fece scivolare una mano nella gonna, dove la familiare forma appuntita le diede ancora più energie. Sì, Luxord avrebbe sicuramente visto quella gigantesca scultura, a costo di farla arrivare fino al cielo. Così avrebbe avuto modo di salutarlo di nuovo, ed avrebbe organizzato una bellissima festa in suo nome; gli avrebbe restituito il bell’orecchino bianco che aveva perso, e lui l’avrebbe ringraziata con un baciamano vero, quello che soltanto una persona di classe come lui poteva lasciare. Sarebbe tornato, adesso ne era ancora più sicura!

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N.d.W. Il Somebody di Marluxia me lo immagino con la coda di cavallo. Non chiedetemi perché.

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Capitolo 2
*** Quel maledetto Ventodì ***


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Personaggio: Tappo
Genere: Introspettivo, Missing Moments.
Rating: giallo
Avvertenze: odio il Bosco dei Cento Acri.


Quel maledetto Ventodì

Tappo adorava l’autunno. Quell’autunno in particolare. Ventodì escluso, s’intende.
Da quando si era stabilito nella casa sotto la Vecchia Quercia non aveva mai ricevuto un raccolto di carote così abbondante, e nessuna delle mele era stata tanto rossa e succosa come quelle che adesso scintillavano nel cestino. Certo, era tutto dovuto al suo duro lavoro, ma quell’anno non c’era zolla dell’orto che non lo stesse ricompensando per la fatica; persino le piantine di piselli erano riuscite a non seccarsi con il calore dell’estate e adesso si erano arrampicate sulle grate della finestra del salotto piene di riconoscenza per tutta l’acqua che aveva versato goccia a goccia nei loro vasetti, incurante del caldo di mezzogiorno. Però avrebbe dovuto portarle nel capanno. Se quello che Uffa aveva detto era vero –e Uffa era un vecchio pigrone al pari degli altri, ma non aveva mai sbagliato una predizione- quell’anno il freddo sarebbe arrivato presto, e Tappo non poteva certo perder tempo a volare appeso ad un palloncino quando c’era così tanto da fare. Per questo adorava l’autunno: non si poteva mai stare con le zampe in mano.
Riempì il carretto avendo cura di appoggiare la zucca sul fondo. Aveva chiesto a Tigro di aiutarlo ad accatastare le ultime dieci zucche nel capanno, ma era chiaro l’altro avesse trovato qualche impegno più saltellosamente interessante del suo raccolto e l’unico aiuto che il coniglio aveva ricevuto in quella settimana era stata un’improvvisa folata di vento che gli aveva aperto la porta di casa proprio quando aveva le braccia cariche di barattoli di miele. Appoggiò il cestino sulla sommità del carretto ed iniziò a scendere la collina accompagnato dal familiare cigolio. Il pomeriggio volgeva al termine, e non c’era nulla di meglio che osservare la luce arancione e rossa quando a casa lo attendeva un fantastico pasticcio di carote per ricompensarlo del duro lavoro.
Fu solo quando abbassò gli occhi verso la sua tana che si accorse della porta aperta, il che voleva dire solo una cosa …
“No, no, e ancora no! Adesso mi sentono!”
Appoggiò il carretto contro la staccionata e si precipitò in casa, ritrovandosi davanti agli occhi esattamente quello che aveva previsto. Frammenti del suo profumatissimo pasticcio di carote sparsi ovunque riuscisse a vedere, compresa la finestra che aveva sostituito giusto il giorno prima su cui spiccava una macchia di crema arancione. Il divano ridotto ad un campo di battaglia implorava pietà sotto le zampe dell’unico vincitore, e l’orsetto Pooh sedeva al centro del tappeto circondato da almeno dieci barattoli di miele il cui contenuto era scivolato sul pavimento come una ragnatela. I peli della schiena gli si rizzarono definitivamente quando vide i teneri viticci dei piselli intrecciati per cullare Pimpi come un’amaca.
“Ehi Tappo, non ce l’hai un’altra torta? Quella alle carote era davvero una schifezza, fattelo dire …” Tigro saltellò giù dal divano e gli venne incontro. Apparve alla sua destra, poi si portò alla sua sinistra, poi a destra, poi ancora a sinistra ed avrebbe continuato in eterno se i suoi occhi non avessero incontrato l’ultimo carico.
“Mele! Adoro le mele! Grazie per averle portate, amico!”
“Non le ho portate per te. E anche se le avessi portate per te … GIU’ LE ZAMPE! E vale anche per te, orsetto Pooh, rimetti subito a posto i miei barattoli!”
“Ma domani è Ventodì, Tappo. Sto solo preparando il mio pancino per la festa. Come posso festeggiare se il mio pancino è vuoto?”
In quei casi c’era solo una cosa da fare prima che la sua tana venisse ridotta ad un cumulo di macerie. Afferrò Pimpi dai germogli, poi con la scopa spostò Pooh, il tappeto, i vasi, i barattoli con tutta la forza che aveva in corpo e li sospinse verso l’uscita proprio quando Tigro stava rientrando con i resti di un innocente torsolo tra le zampe. Pimpi mormorò qualcosa, ma Tappo spinse l’orsetto ghiottone proprio sopra di lui e soffocò qualunque forma di protesta. “MI AVETE STANCATO. STAN-CA-TO. SAPETE COSA VUOL DIRE?”
“Beh, che sei stanco e vuoi dormire. Ma è normale, non fai altro che lavorare tutto il giorno …”
“Certo, IO lavoro tutto il giorno e sempre IO non ne posso più di avere un gruppo di idioti che mi invade casa perché … perché è Ventodì, o Zuccadì, o Tigrodì o qualunque inutile scusa per distruggermi la tana! Avete idea di quanto ci abbia messo a preparare quel pasticcio di carote?”
Tigro si grattò la testa, e ad ogni frazione di secondo che passava Tappo avrebbe voluto calargli la scopa sulla coda. Non capivano, non volevano capire ed a quel punto non avrebbero capito mai. “Suvvia, Tappo, perché non vieni con noi? Dobbiamo provare il mio nuovissimo gioco, il Salta-Coniglio, e non si può giocare a Salta-Coniglio senza un coniglio, giusto? Lascia stare quello stupido pasticcio di carote ed esci da …”
Stupido … pasticcio … di carote …?
“FUORI DALLA MIA TANA!”
Sbatté la porta con un calcio e chiuse la serratura con tre mandate.
“QUANTO VORREI CHE SPARISTE TUTTI QUANTI!”
Quello che seguì fu un rumore agghiacciante. Non era la tana che tremava, i muri che ondeggiavano, la dispensa che si schiantò di colpo sul pavimento a spaventarlo.
No.
Fu il rumore. Come se centinaia di artigli si accanissero contro una porta, raspando, graffiando, cercando a tutti i costi di afferrare qualcosa che sembrava ritrarsi. Non erano contro la sua porta, realizzò mentre cercava di rimettersi in piedi, ma erano da qualche parte, ovunque, sopra e sotto, come se cercassero di portare con loro il capanno, la cucina e persino il soffitto. Fu scosso di nuovo, atterrò contro il tavolo trascinando con sé i piatti ed un bicchiere e quando cercò di aggrapparsi al davanzale ci fu un secondo suono, secco e netto, come se una pagina o un foglio di carta fossero stati strappati dalla furia di un efelante imbizzarrito. Il rumore attraversò in un lampo tutti i mobili più forte di una qualunque scossa del terreno e per un attimo Tappo sentì quello squarcio intorno a sé, dentro di sé ed in ogni singolo punto che riuscisse a vedere, nell’imbottitura del divano e persino nelle tracce di miele cosparse sul pavimento. L’istante successivo il rumore cessò. Le pareti smisero di tremare come se non fosse successo assolutamente nulla.
L’unico suono erano i suoi denti che battevano per la paura.
Mise cautamente una zampa a terra, poi l’altra, terrorizzato che qualunque cosa avesse causato quel frastuono fosse ancora lì. Ma un pensiero lo attraversò di corsa, prima ancora della paura; senza rendersi conto di star commettendo forse la più grande pazzia della sua vita scagliò in un angolo tutti i piatti e corse verso la porta, annaspando per trovare le chiavi in tutto quel disastro. Quando riuscì a spalancarla il cuore gli morì definitivamente in gola. “ … ragazzi …?”
Non c’era nemmeno un suono nell’orto, né un uccellino. Tre grossi solchi attraversavano il terreno da destra a sinistra, come gli artigli di una bestia feroce che aveva riversato la sua ira su tutti gli ortaggi, gli alberi da frutto e persino sul capanno. Ma in quel silenzio spettrale i suoi occhi non potevano far altro che guardare davanti a sé, oltre quella scena di distruzione.
Dove prima vi era lo steccato, adesso vi era soltanto un buio senza fine.
“RAGAZZI?”

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Capitolo 3
*** Forgotten ***


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Personaggio: Rhyme
Genere: Introspettivo, Malinconico, Missing Moments.
Rating: giallo
Avvertenze: stranamente nessuna.


Forgotten



“Come ti chiami?”
“Rhyme”.



“Ora ascoltami bene, Rhyme. Lo senti quel rumore?”
“…”
“È un’automobile. Ha frenato di colpo, un ragazzino è sbucato dal nulla e le ha tagliato la strada. Come pensi che andrà a finire?”
“…”



“Capisco. C’è qualche altra cosa che vuoi dirmi?”
“…”


Cosa altro vuoi raccontarmi, Rhyme? Mi sono sempre accontentato di ogni storia, anche della più piccola, la più insignificante. Le colleziono, è questa la verità.
Ogni tanto penso che potrei essere io il ragazzo che stai cercando, quello per cui ben due volte hai dato tutta te stessa. Potrei essere io quel balordo irascibile che scappa di casa battendo la porta, che corre di notte, che attacca briga con il primo passante sotto tiro. Oppure potrei essere la sua sorellina, quella bambina giudiziosa ed ottimista che si lancia nel buio a cercarlo, anche quando due fari luminosi illuminano la strada prima che lei se ne accorga.
I tuoi sogni sono belli, Rhyme. Ci sono enormi gatti colorati con una nota al posto della coda, oppure pipistrelli che si fanno coccolare tutto il giorno. C’è una città che non ho mai visto, divisa in tanti distretti dove la gente cade dal cielo alla ricerca di una casa: e ci sono tutti quanti che non fanno altro che litigare, Neku che proprio non ne vuole sapere di collaborare e Shiki che come al solito non sa cosa fare. Ci sono anche io.
Me li presteresti questi sogni?
È per salvare Beat, non sono per me. Sono sincero … adesso.
Sai, tutti gli uomini possono sognare. Grandi e bambini, felici e tristi, tutti possono attraversare la barriera tra realtà e sogno. Avrei potuto scegliere i sogni di Neku, ma i tuoi mi piacciono di più: hanno i colori dell’estate. La loro luce può fermare l’oscurità che ha preso Shibuya almeno per un poco, il tempo necessario per portarvi in salvo in questo luogo dove nemmeno quei mostri neri dagli occhi luminosi possono arrivare. Un mondo bloccato su delle lancette che non esistono, perché il tempo del sogno gira come una ruota alla ricerca di una via d’uscita che in fondo non c’è se non ci si sveglia. E tu non ti sveglierai, Rhyme, te lo prometto. Tu e Beat potrete finalmente stare vicini, mano nella mano, fino al momento in cui qualcuno squarcerà la cortina dell’Oscurità e ci riaprirà il sentiero che conduce a casa.
Purtroppo c’è una condizione.
Lo so, c’è sempre una condizione. O qualcuno che deve pagare, se vogliamo metterla in un altro modo.
I sogni non nascono dal nulla, nemmeno i tuoi; i sogni sono frammenti della realtà dei nostri cuori, un mosaico fatto di tanti tasselli che si trovano nel nostro cuore, quasi come una catena dove un anello segue l’altro secondo un ordine che non ha nulla a che vedere con la ragione.
Troppo complicato? Scusa … Ecco, volevo solo dirti che i sogni nascono da ricordi. Se uno non ha nemmeno un ricordo, come fa a sognare? Come fa a collegare qualcosa che nemmeno esiste? E non posso prendere i tuoi sogni senza toccare tutto il resto, quello è il problema.
Ho sentito dire che in un mondo lontano un uomo sapeva mettere i ricordi dentro delle carte; lo so, sembra buffo, ma è così. Le memorie sono tutto ciò che ci rendono noi stessi.
Devo prendere i tuoi ricordi, Rhyme. Anzi, ho già iniziato, ma quello è stato il primo particolare che ti ho rimosso. Sono il prezzo da pagare per creare questo mondo, perché nemmeno io posso generare dal nulla: posso ridarti una vita, il sorriso di quel testardo di Beat, persino il muso lungo di Neku se lo desideri, ma devo prima prendere tutto ciò che mi occorre, memorie tristi e felici, compresa quell’automobile lanciata nel buio a tutta velocità. Sarebbe il tuo terzo sacrificio.
Beat direbbe che non è giusto, ma io non faccio cose giuste. Faccio solo ciò che serve, e se tu potessi solo ricordare le parole che ti sto dicendo in questo istante saresti d’accordo con me, perché tu non pensi a ciò che è giusto o è sbagliato, Rhyme, pensi solo a ciò che desidera il tuo cuore. Desideri solo proteggere, ed io posso esaudire il tuo desiderio.
In cambio, te lo prometto, sarò il tuo angelo custode fino alla fine del sogno.

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Capitolo 4
*** Ora di cena ***


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Personaggi: Ed, Shenzi e Banzai
Genere: Missing Moments
Rating: verde
Avvertenze: scritto con i piedi. O con le zampe, dipende dai punti di vista.


Ora di cena

“Che c’è, la principessina si è persa?”
“Sì, più o meno! È tutto uguale in questo posto!” risponde lei, tutta impettita e con la coda all’insù. “Allora, mi fate strada sì o no?”
Beh, per essere gustosa sembra gustosa, ha delle chiappette morbide che … eh no, stavolta a Shenzi non gliele lascio! L’ho vista prima io e non esistono storie, stavolta le zampe se le prende lei, sono stufo di rosicchiare gli avanzi e giuro, giuro che se prova a uscirsene con cose tipo “il capo sono io” la pianto qui su quattro zampe! Tanto senza di me il suo supercervello non riuscirebbe a rincorrere nemmeno una mangusta zoppa, men che mai con Ed …
“Oh, mia cara, credo che tu abbia dimenticato di dire per favore”.
Cielo, perché Shenzi parla con la cena? “Diamoci un taglio, ragazzi. Io ho fame”.
Mamma mia, la signorina ha un profumino fantastico! Non capita tutti i giorni un cucciolo di leone da queste parti, credo che l’ultimo che ho mangiato risalga a quattro o cinque anni fa e che sapore, altro che quegli gnu con quella carne fetida che ti si infila tra le zanne. Stasera andrò a dormire a pancia piena, parola mia! Anche perché la signorinella si è messa in trappola da sola, dietro di lei ci sono solo rocce troppo alte per le sue morbide zampette. “Signori e signore … BUON APPETITO!”
È mia, è mia, è mia! Tutta mia! Pancia mia, fatti …
“Fantastico!”
COME CAVOLO HA FATTO A SALTARE?
Ahia.
Ahia.
Ahia.
La roccia … che male, che male, dove si trova quella piccola …? Shenzi salta contro la parete e chiude le zanne, ma quella si ributta a terra e la graffia proprio dove … oh, no, no, no. Le passa sotto, le morde il garretto e Ed, Ed, se Ed riesce a prenderla giuro che ..
Poi cade un fulmine. No, dico sul serio, un fulmine! Shenzi schiaccia alla piccoletta la coda con la zampa e l’attimo dopo è stecchita a terra con tutto il pelo frizzante proprio come il vecchio albero del confine nord. Ed ovviamente manda un guaito e fa la cosa che vorrei tanto fare anche io, ovvero imboccare l’uscita del canalone e darsela a zampe! Non è che io non ci provi, ma quella piccola felina mi si pianta davanti e non ci crederete, ma un altro fulmine cade proprio vicino a lei, e poi un altro. I suoi occhi verdi non sono proprio quelli di un cucciolo.
“Allora, dal vostro capo mi ci portate con le buone o con le cattive? Perché vi avviso, io preferisco usare le cattive”.
Mi sa che anche stasera andremo a letto senza cena …

“Uffa, siete lenti! Di questo passo non arriveremo mai in tempo!”
Si vede proprio che è un leone. Loro mangiano carne succulenta a pranzo e a cena, signorsì e sissignora, loro stanno in cima alla catena alimentare e ci credo che sono sempre veloci, forti ed efficienti. Datela a me una zebra grassa tutti i giorni e vedrete come prendo sua eccellenza Mufasa e lo butto giù dalla prima rupe che trovo! La signorina saltella senza sosta avanti e indietro, ci precede e poi ritorna indietro. Cielo, quanto le morderei quella faccia da stupide-iene-puzzolenti-volete-darvi-una-mossa, ma non ho alcuna intenzione di ridurmi come Shenzi, che adesso si è ripresa ma barcolla ed ho il terribile sospetto che fino a domani toccherà a me procacciare il cibo. Ed è ritornato ma si tiene a distanza, quindi la piccola furia non fa altro che girarmi intorno.
Purtroppo non è nemmeno l’unico problema di questa serata iniziata male e che probabilmente volgerà al peggio. “Senti, non me ne importa niente di quello che devi fare, parlare o dire con il capo, ma almeno potresti evitare di dirgli che ti abbiamo accompagnato noi? Ci leveresti una gran bella seccatura!”
“Tranquilli, quando avrò trasformato questo Scar in un Heartless non avrete più nulla di cui preoccuparvi!”
Detto sinceramente … non ho idea di cosa sia un Heartless, e dopo questa disavventura non ho alcuna intenzione di chiedere spiegazioni. Però non credo sia una cosa bella. Mi ci gioco la zampa che questa leoncina sparafulmini sia un super leone, una di quelli che proteggono la Rupe del Re e la preziosa cucciolata di Mufasa, ed ho come il sospetto che sua eccellenza Puzza-Sotto-Il-Naso si sia accorto che il nostro capo non sia … come dire … proprio fedele al Branco. Mumble, c’è da dire che Scar è il leone più forte che ci sia, magari lui saprebbe come sistemare questa pulce irritante, però se non ci riuscisse sarebbero dolori. “Ehi, guarda che a noi Scar serve! Lui ci porta da mangiare. Quaggiù non siamo nella Savana, non abbiamo gnu, antilopi e zebre che ci saltellano sotto il naso!”
“Oh, allora se è così prezioso perché non lo difendete a costo della vita? Insomma, dovreste essere i suoi servitori super-iper-extra fedeli, quelli che danno la vita per il loro adorato padrone che li nutre ignorando le regole del suo branco, no?” ride lei, poi si ferma di scatto e mostra i denti a Shenzi solo per mandarla a nascondersi dietro una palma. Ecco, stasera mi toccherà sorbirmi anche le sue lamentele! “O forse non è proprio il capo fantastico che sognate?”
Beh, è chiaro che Scar non sia il massimo. Si crede un re e va bene, ci può stare, lui è un leone nobilissimo e per quelli come lui deve essere una vera tragedia non potersene stare su quella Rupe tutto il giorno a non fare nulla; però non è una iena, quello è il punto. Ha un sacco di idee fortissime tipo diventare re e consegnare il mondo a loro, però li tratta sempre male. Si crede tanto superiore quando lancia loro una coscia di zebra, magari era del suo pasto e l’ha avanzata perché ha lo stomaco troppo delicato per divorare una bestia intera. È proprio come la signorinella che gli saltella sotto il muso: è forte perché è un leone. È intelligente perché è un leone.
“Ho capito, siete i soliti cattivi infimi che venite sfruttati dal cattivone di turno. Sono pronta a scommettere che quando non gli servirete più vi darà le spalle e dirà persino che la colpa è la vostra! Un classico!”
“Ehi, adesso …”
“Ho un’idea! Un’idea divertentissima!”
Mi si accuccia davanti, piantandosi proprio al centro del sentiero. Ci fa cenno di venirle vicino, ed ha un sorriso pericolosissimo: sembra quello del capo quando ha un Grande Piano, solo che questo è incredibilmente complice, specie quando porta la zampa sotto il muso e la coda si muove tra le foglie caricandole di piccoli fulmini che le bruciano e carbonizzano una parte del sottobosco. Ah, io a quella non mi avvicino mica … “Allora, il piano è questo: io per oggi lascio perdere questa storia dell’Heartless, però voi aprite un po’ gli occhi. Vedete, ho come il sospetto che sarebbe, molto, molto più divertente se foste voi a sconfiggerlo! Sareste i cattivi minori che per una volta si ribellano al loro capo e lo prendono a calci nel sedere come merita!”
Sì, come no, noi tre sconfiggere Scar … “Tu sei tutta matta. Lui è un leone!”
“E voi siete iene!”
Con un salto me la ritrovo accanto, e cavoli se il pelo punge! Ha un tono di voce basso, perché non se ne va dal mio povero orecchio, perché? “Ah, s’intende che quando lo ridurrete in una bella poltiglia sanguinante mi chiamerete! Non avete idea di quanto mi piacciano queste scene truculente, se non c’è il morto non c’è divertimento, no?”
Oddio, oddio, adesso cos’è quella cosa nera dietro di lei? Perché trema tutto e lei ci entra dentro?
Di una cosa sono sicuro: non prenderò mai più un cucciolo di leone per cena, parola mia! Anche perché questa storia di uccidere Scar non ha alcun senso, oppure è una di quelle Cose Complicate di cui parlano sempre i leoni. Cerchiamo almeno di capire cosa sta succedendo. “Senti, ma allora non farai questa storia dell’Heartless? Non è che poi il tuo capo viene qui e si infuria?”
“Chi, quello?”
Scoppia in una risata fragorosa, ancora più divertita di tutte le altre. “Ah, figurati se gliene importa qualcosa! Sta sempre con il naso all’insù a parlare con il cielo, credi davvero che si accorgerà di un Heartless in più o in meno?”
E sparisce. Così. La macchia nera la inghiotte e ciao ciao. Nemmeno un fulminetto.
Ah, se quella pazza crede sul serio che affrontiamo Scar per fare il lavoro al posto suo si sbaglia di grosso! Non ho alcuna intenzione di diventare il pranzo per gli avvoltoi. Secondo me se l’è fatta sotto quando ha capito che il nostro capo è molto più forte di quanto pensava ed ha pensato bene di spingerci a ribellarci. Voleva fare la furbona, ma io non ci casco. E nemmeno Shenzi, figuriamoci Ed.
Abbiamo cose molto più importanti da fare che attaccare il nostro capo.
Per esempio trovare qualcos’altro da mangiare per cena.

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Capitolo 5
*** Il Fuoco dell'Abisso ***


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Personaggio: Ursula
Genere: Introspettivo, Missing Moments.
Rating: giallo
Avvertenze: nessuna.


Il Fuoco dell'Abisso

“Forse non ci siamo capite, carina …”
L’impicciona è ancora lì. La fissa con i suoi occhi chiari, quasi luminosi, tutta avvolta nelle bolle che la sua lunga coda nera genera agitandosi con forza. Non le piace il suo sguardo di sfida. “… non ho alcuna intenzione di seguirti. E ti sbagli se pensi di convincermi con il tuo bel faccino e qualche minaccia!”
“Temo che ti sfugga un particolare, Strega del Mare …”
Con un lento movimento della pinna subita il limite che le aveva concesso. Entra nella sua caverna, la sua caverna, e si innalza fino a toccare il soffitto. Osserva le conchiglie, gli scaffali e le sue pozioni con quel fare spocchioso che le ricorda in un attimo perché non può soffrire le sirene, le belle principesse dell’oceano che cantano, gioiscono e ridono della Strega e dei suoi disgustosi tentacoli. “… io non sbaglio mai”.
Ursula fa esplodere il calderone. La magia si libera sotto il suo potere ed investe l’intrusa: ha passato anni ad unire il potere dei fulmini e la rabbia dell’oceano, e quello che si riversa sulla sirena è pura morte. Tritone crede di essere il solo a comandare le folgori, ma qui si sbaglia di grosso e la sua patetica emissaria viene scagliata contro il fondale. Getta l’ampolla di alghe rosse e stavolta l’incantesimo prende la forma di un muro di schiuma che lascerà un piacevole regalo su quella pelle bianchissima. Più di un regalo, ad essere onesta. La perfettina non si farà vedere a palazzo per qualche mese, sempre che riuscirà a fuggire con le sue pinne. “Flotsam, Jetsam, vi autorizzo a darle un bel morso!”
“Io non credo proprio!”
Ne ha solo sentito parlare. Nei libri se ne parla davvero poco, lo ha osservato di sfuggita dagli occhi delle sue murene prima che due pescatori riuscissero a trasformarle nel loro pasto. Sa che non può esistere nelle profondità dell’Abisso.
Ma adesso esiste, vivo davanti a lei.
Sa solo che si chiama “fuoco”.
In un attimo la schiuma si illumina di verde e giallo, dei raggi di luce la attraversano e le bolle si infrangono contro il soffitto in una nube di particelle sempre più piccole. La sirena la guarda con aria di sfida, ed il “fuoco” prende forma come dei tentacoli, divora i fulmini con la violenza ed uno squalo e prima che possa spostarsi il calderone si colora di verde e la magia della sirena si impossessa di lui, costringendolo ad inghiottire la sua stessa pozione e a tacere. La mano si avventa sulla prima ampolla da tirarle contro, ma prima che possa rendersene conto … fa male. Si allontana d’istinto, un dolore diverso, strano, le prende le dita. Non è come tagliarsi, ma le prende il palmo come se centinaia di minuscoli pesci stiano strappandole la carne, come se anche il dolore fosse … vivo. Ma non ha tempo di pensare ad un verbo, perché la nuova venuta ha oltrepassato il muro di incantesimi ed è davanti a lei. La gemma sul suo lungo bastone nero ha qualcosa di magico e ritira lo sguardo prima di rimanerne intrappolata. Cercare di strappargliela con un tentacolo non è una mossa intelligente, non con quello strano dolore che …
“Non mi aspettavo una risposta diversa da colei che chiamano Strega del Mare. Ma, se ti fossi degnata di ascoltarmi, avresti capito che non ho idea di chi sia questo Tritone”.
“Oh, come se non lo sapessi … Ma come, non fai parte della sua schiera di dolci pescioline adoranti?”
“Di solito è la gente ad adorare me, non so se mi spiego …”
Abbassa lo scettro, e lentamente quel dolore svanisce. Ursula agita i tentacoli, quella sirena non le piace nemmeno un po’ ma le sue fiale sono troppo distanti ed il bastone della sua nemica troppo vicino. Ed è inutile contare sulla prontezza di spirito di Flotsam e Jetsam. “Che cosa vuoi da me?”
“La domanda che preferisco è: che cosa desideri, Strega del Mare? Sconfiggere questo Re Tritone? Diventare la signora incontrastata di tutto l’Oceano?”
Certo, questo ed altro ancora. Trasformare in viscide alghe tutte quelle principesse sirene che nuotano felici specchiandosi lungo la superficie, tutte prese soltanto nel loro canto e nel sognare il tritoncino della loro vita. Vorrebbe mostrare loro che otto tentacoli ben posizionate sono meglio di una voce dolce e soave, ed insegnare a quel borioso di Re Tritone cosa si può fare con il vero potere. È così bravo a parlare quel vecchio saccente, ma appena qualcuno prova solo a contrariare la sua noiosa politica sull’Equilibrio dell’Oceano … via, nemico dell’Ordine, esiliato, bandito, mostro! La sirena davanti a lei non sa niente: è bella, la pelle più chiara di una perla, non proprio giovane ma con i segni di una regalità che non svanisce nemmeno con il passare del tempo, quando anche lo scoglio più duro si trasforma in sabbia e si lascia portare via dalla corrente. Cosa
può capire una come lei che parla di magia nel sangue e di potere al primo sguardo, una che certamente ha sempre avuto tutto ciò che voleva sin dall’inizio? Il suo “fuoco” verde rivela un potere diverso, che costringe gli altri ad inchinarsi al suo potere.
Lei invece ha dovuto sempre piegarsi ad un vecchio idiota con un tridente, e questo non potrà mai sopportarlo.
“Quello che desidero sono affari miei, cara”.
Ma gli anni dell’esilio le hanno insegnato qualcosa che nessuna sirenetta di certo può capire: comprendere quando la marea cambia, quando i flussi seguono lo sguardo della luna e come volgere i tentacoli per seguirne tutta la potenza selvaggia. “Ma sono aperta ad eventuali proposte …”
“Una risposta soddisfacente. Direi che possiamo passare ai dettagli …”

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Capitolo 6
*** Things we do not see ***


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Personaggio: Aerith
Genere: Introspettivo, Malinconico. Missing Moments.
Rating: giallo
Avvertenze: stranamente nessuna.


Things we do not see

“Cloud!”
Il fumo è denso. L’aria che le entra nei polmoni è nera. Le sembra di aver inghiottito della terra.
Nella piazza della fontana tre lampioni sono l’unica forma di vita: il primo tremola al suo passaggio e si spenge, gli altri rimangono ma non proiettano altro che la sua ombra ed i suoi passi. Deve fare attenzione alle ombre. È da lì che sono usciti i mostri.
Il rumore di una gummyship fa tremare la strada, inciampa. La sagoma azzurra prende il volo oltre il cielo scuro, la osserva mentre si rimette in piedi ed il velivolo supera le nuvole e si trasforma in un punto che si potrebbe confondere con una stella. Su quella gummyship ci sono Denzel e Marlene. Va tutto bene.
Va tutto bene.
Stava riparando il suo carretto dei fiori quando era successo. Un sasso, uno stupido sasso sul margine della strada ed una ruota si era allentata. L’asse al centro si era spezzato, ed il signor Dyne era stato così gentile da sollevare tutto il carretto per permetterle di avvitare meglio la ruota il necessario per arrivare al negozio di Cid e farla sistemare a dovere. Poi le mani del signor Dyne avevano perso la presa ed il carretto le era caduto addosso. I mostri erano usciti dalla sua ombra, e quando l’uomo aveva cercato di scrollarseli di dosso lo avevano già afferrato, lo avevano già catturato. Le loro minuscole dita erano sul suo petto e lei aveva urlato, gridato di paura quando il corpo dell’uomo si era piegato in due come un fiore strappato; un cuore luminoso era comparso davanti a lei ed era volato in alto, ma forse lo aveva solo immaginato.
Vi era solo quello che rimaneva del signor Dyne. Un’altra ombra, uguale a quelle che lo avevano attaccato. Gli stessi occhi. La stessa oscurità. Le stesse minuscole dita che adesso puntavano verso di lei.
Poi aveva corso fino allo stremo delle forze.
La gummyship ormai è sparita; una seconda parte da oltre i giardini. Yuffie le ha detto di aver visto Cloud correre proprio verso la piazza della fontana, dove uno di quei mostri era uscito da un vicolo ed aveva assalito il negozio di accessori. Ma il negozio è vuoto: l’insegna pende a metà, le luci sono spente. La porta è aperta, cigola sull’unico cardine intatto e oltre la sua ombra … non ha mai sentito tanto silenzio. Quante ore sono trascorse? Cinque? Sei? La piazza centrale di Radiant Garden non è mai stata così vuota.
Un rumore alle sue spalle la fa sobbalzare, ma è solo una mela. Il frutto rotola dal bancone abbandonato del negozio e finisce a pochi passi da lei. È l’unico suono in quel posto: forse è quello che in molti chiamano “il suono del silenzio”. Perché è il silenzio che le fa sentire la forza del battito del proprio cuore. È il silenzio dell’acqua immobile ora che i delicati meccanismi della fontana si sono interrotti. È il calpestare dei suoi sandali sul selciato, è forte e solo adesso si accorge di quanto possano fare rumore. “Cloud …”
Deve essere da qualche parte. Deve essere andato da qualche parte, sicuro. Forse è andato verso il palazzo, o forse c’è ancora qualcuno che deve scappare nel quartiere sopraelevato. Non gli è successo niente, no. A lui non può succedere assolutamente nulla. Perché lui …
“Cloud, dove sei? Cid sta aspettando solo te, dobbiamo andare!”
L’istante dopo si ritrova a terra contro la fontana. Qualcosa di freddo le sta stringendo la caviglia e per riflesso tira un calcio, la allontana solo per un attimo ma poi la stretta ritorna. Il gelo le arriva quasi fino al ginocchio e quando solleva lo sguardo vede solo due luci, le luci che quei mostri neri hanno al posto degli occhi e che la fissano come se volessero trascinarla con loro. Con la gamba libera prova a tirare un calcio, ma il minuscolo mostro non sembra nemmeno sentire il colpo, si avvinghia ancora di più a lei ed il freddo si fa più intenso, l’aria ancora più pesante.
Sta respirando oscurità.
Per degli istanti che sembrano infiniti il cuore inizia a martellarle nel petto come se cercasse di uscire, di strappare le costole e la pelle. Lancia un grido, ma il cuore batte più forte.
Sempre più forte.
Poi si ferma.
Il freddo che ormai era arrivato quasi al petto svanisce di colpo, ed insieme al proprio grido sente tutta l’aria tornarle nei polmoni. Un tonfo secco esplode proprio accanto alla sua testa e prima ancora di aprire gli occhi qualcuno la solleva da terra come se si trattasse di una bambola di pezza. Un’arma enorme si abbatte sulla creatura nera e quella viene scaraventata contro un lampione. Ve ne sono altre tutte intorno a loro, le vede uscire dalle ombre e quando lancia un grido di avvertimento il suo salvatore si volta e le schianta verso una parete. Quello che rimane del negozio di accessori esplode in mille schegge di legno e la porta crolla all’interno, rivelando almeno una decina di occhi gialli ed affamati che hanno qualcosa di orribile, di muto, di così vuoto che potrebbe anche sprofondarci dentro se un movimento del suo salvatore non la costringesse a voltare la testa ed a fissare di nuovo la fontana che adesso si allontana al ritmo del suo passo rapido.
E la piazza si riempie del cuore più nero delle tenebre.
Aumentano uno dopo l’altro, si moltiplicano attraverso le ombre, si nutrono della luce degli ultimi lampioni che si spengono. Da oltre quella spalla li vede aumentare ancora, brulicare fin sopra le pareti delle case, arrampicarsi senza un vero limite e guardare tutti in alto, dove il cielo sembra inghiottire anche le stelle. L’immagine si allontana, poi svanisce non appena imboccano una strada e poi un’altra, oltre le scale ed i giardini.
Ma non riesce a non pensarci. Non riesce a non cancellare tutta quell’oscurità dalla sua testa.
Un’oscurità che non ha risposta, che nessuno sa da dove venga, che ha inghiottito tutti loro in un istante e che non ha alcuna forma se non un abisso di silenzio dove anche i passi del suo salvatore sembrano venire da un altro mondo e rimbombano, rimbombano fino a farle tornare in mente un unico pensiero razionale. “Cloud!” grida, stringendo la mano contro la spalla dell’uomo. “Fermati, dobbiamo trovare Cloud!”
“Lui sa cavarsela da solo”.
“Ma se noi non …”
L’uomo si porta di lato, e la sua arma cala sulla testa di due mostri. La mano che la sta tenendo stretta a lui per un attimo si libera, ne afferra uno per una zampa e lo fa volare contro il cancello dell’avioporto che si apre con un tonfo netto. Spera di vedere Cloud oltre quelle case e qui negozi che si allontanano alla massima velocità, spera ancora di illudersi che quella macchia color chocobo siano i suoi capelli e non ciò che rimane di una vecchia tenda: ma lo straccio in lontananza svanisce nelle ombre, e l’unico suono che adesso riempie le sue orecchie è il rombo dei motori della Highwind e Cid che riesce a farsi sentire anche oltre il ruggito della propria gummyship. “Forza, muoversi, tutti a bordo!”
“Aerith, si può sapere cosa diamine stavi facendo?”
L’uomo che l’ha appena salvata la aiuta a scendere, ma prima che i suoi piedi tocchino davvero terra sente la voce di Yuffie strillarle nelle orecchie mentre le afferra la mano e la trascina senza darle modo di spiegare nulla. “Manchiamo solo noi, sali!”
Perché nessuno pensa a Cloud? Perché tutti … “La tua amica ha ragione. Vai”
È la seconda volta che riesce a sentire la sua voce. Si volta, chiedendosi come abbia fatto a non riconoscere subito a chi appartenesse. La bella divisa viola è strappata in più punti, uno squarcio è stato aperto proprio dove il cuore rosso, il simbolo della città, era ricamato. Adesso vi è un altro rosso, più intenso. Un rosso color sangue, una macchia troppo scura su quell’abito. Il primo istinto è quello di lanciare su di lui un incantesimo di guarigione, ma la sua mano enorme la allontana, scuotendo la testa con il suo imperscrutabile silenzio.
Lo ha sempre osservato pattugliare le strade: di giorno immobile davanti al cancello, sempre in movimento alle ultime ore del crepuscolo fino alle ore più tarde della notte, quando l’orologio di Radiant Garden batteva solo pochi dintorni e lui era lì, nella piazza, gli occhi chiari puntati sui vicoli. È così grande da poter abbattere un albero con la sola forza delle braccia, eppure Aerith si rende conto in quel momento di quante poche volte lo abbia davvero visto, più intenta ad evitare le avances del suo compagno bassino e dalle mani troppo lunghe che non ad osservare quel gigante in grado di sparire in piena vista con le sue labbra serrate, il sopracciglio corrugato e lo sguardo sempre altrove.
Lo stesso gigante che non mancava mai di comprarle un fiore alla fine di ogni turno di guardia, uno strano appuntamento di cui solo adesso si rende conto. Non si è mai chiesta nemmeno una volta che cosa se ne facesse, o a chi li regalasse.
Conosce il suo nome soltanto perché le altre guardie lo pronunciano tra i denti quando le raduna nella piazza prima di iniziare la pattuglia serale. “Grazie, signor Aeleus”.
È strano sentirsi osservata in quel modo, da un uomo la cui espressione immobile potrebbe voler dire di tutto, da un grande coraggio ad una furia senza eguali. Vorrebbe chiedergli di più, ma Cid scende dalla gummyship e lo ferma per un braccio. “Si può sapere cosa sono quei mostri? E non mi prendere per scemo, perché l’ho capito che vengono dal palazzo reale! Che cosa diamine hanno combinato quegli scienziati?”
E il gigante non lo fissa. Il suo sguardo è rivolto oltre il cancello, dove l’oscurità sta diventando ancora più densa.
“PERCHE’ VOI NE SAPETE QUALCOSA, DITE LA VERITA! SONO STATI GLI ESPERIMENTI DEL VOSTRO RE A CAUSARE TUTTO QUESTO, VERO?”
Cid sputa per terra, e Aerith non ha nemmeno il tempo per obiettare che si sente afferrata per il polso e trascinata verso il portello della gummyship. Cloud è laggiù, oltre quella morte nera che adesso striscia e scivola contro le grate del cancello. Yuffie grida all’uomo di salire a bordo con loro, ma lui scuote la testa. La sua ascia impatta il terreno, pronta al combattimento.
Cammina verso l’ingresso dell’avioporto, e stavolta nei suoi occhi c’è una luce che stavolta non stenta a riconoscere. “Il problema non sono le cose che non vediamo …”
Adesso lo ha capito.
Lo ha visto troppe poche volte, ma sa riconoscerlo anche se è una semplice e sciocca fioraia.
Lo ha visto nelle iridi di Cloud ogni volta che ritorna dai suoi viaggi e si chiude in se stesso. È lo sguardo di chi ha ancora qualcosa da fare. Di chi forse ha qualcosa di orribile che gli brucia nel petto, ma che non vuole smettere di lottare. Per qualcosa, o per qualcuno. Magari per se stesso.
Il palazzo reale è la sua prossima meta. Non ha bisogno di poteri mentali per saperlo.
Cid la spinge contro il sedile, e l’enorme figura lentamente svanisce oltre il portellone pressurizzato.
“… sono le cose che non vogliamo vedere”.

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Capitolo 7
*** Ritorno a casa ***


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Personaggio: Pimpi
Genere: Introspettivo, Missing Moments.
Rating: verde andante sul giallo
Avvertenze: questa storia può essere considerata il seguito della one-shot su Tappo. Ah, in caso, non lo avessi già detto, vorrei carbonizzare il Bosco dei Cento Acri.


Ritorno a casa

Respira piano. Respira piano. Respira piano.
Per quanto di solito i consigli di Uffa funzionino, adesso l’unica cosa a cui riesce a pensare è il battito del suo cuore. Insieme al cigolio.
Quel sinistro cigolio.
Ed anche il tintinnio, quello che viene sempre quando il vento apre la finestra.
Ma la cosa peggiore sono le urla.
Ci devono essere altri prigionieri in quel posto. Strillano in ogni momento, sbattono oggetti e poi ogni tanto qualcosa si rompe: Uffa dice sempre che i fantasmi non esistono, ma quelli lì fuori sono chiaramente dei Fantaspiritelli e se entreranno lì dentro lo legheranno e gli metteranno un sacco di Spinarcermi nelle orecchie. E saranno anche molto arrabbiati, perché i Fantaspiritelli se ne vanno solo quando si dà loro una fetta di torta alle fragole, ed in quel posto non c’è un dolce, nemmeno un biscotto, soltanto una scodella con quella che sembra una minestra di verdure abbandonata lì da qualche giorno.
“Sniff …”
Quanto vorrebbe essere intelligente come l’orsetto Pooh: lui a quest’ora sarebbe già uscito di lì. O anche saltellante come Tigro, lui senza dubbio con un salto si sarebbe almeno liberato. Pimpi prova a fare un saltello, poi un secondo, ma al terzo la gabbietta in cui è stato rinchiuso oscilla in aria e cade sul legno schiacciandosi anche la coda. “Sniff …” sospira di nuovo, asciugandosi l’ennesima lacrima della giornata. Ecco, adesso vorrebbe tanto che Kanga sia accanto a lui, magari con una bella fetta di torta alle fragole per i Fantaspiritelli: tutte le volte che ha paura è sempre andato da Kanga, perché quando lei parla e cucina le ombre vanno tutte via e persino le furiosissime Nottole vanno ad infastidire qualcun altro. Gli sarebbe sempre piaciuto avere una mamma come lei, perché Uffa dice sempre che le mamme hanno dei poteri magici che scacciano via tutti i mostri.
Pimpi non vuole vedere l’uomo cattivo. La sua risata è spaventosa, molto più di quella delle Nottole: dice sempre che deve fare “esperimenti”, “esperimenti”, tantissimi “esperimenti” con lui ed ha lasciato sul tavolo dei coltelli e degli strani oggetti con delle punte che non vuole vedere, non vuole vedere e che di sicuro appariranno non appena la gabbietta oscillerà di nuovo.
Clak.
È arrivato.
Clak.
Quanti giri di chiave occorrono per aprire una porta?
Due, nella sua casetta ce ne vogliono due. Quattro per aprire la cantina di Tappo, ma Tappo chiude sempre tutto a chiave per non far entrare l’orsetto Pooh. Se solo potesse …
Clack.
“A-aiuto …” mormora. Persino la minuscola lampadina appesa al soffitto tremola, poi con un ultimo scintillio scompare. Ecco, deve pensare che è un po’ come giocare a Tigri di Mezzanotte, bisogna nascondersi nel buio e vince l’ultimo che viene trovato … se non fosse che lui odia giocare a Tigri di Mezzanotte, perché è tutto nero e ci sono i passi, il pavimento cigola e Tigro si diverte sempre a fare il verso dei fantasmi per farlo spaventare e trovarlo prima degli altri.
Però sì, deve fingere che sia un gioco dove poi la luce si accende e ricompaiono i suoi amici, deve fingere che sia un gioco dove poi la luce si accende e ricompaiono i suoi amici, deve fingere che sia un gioco dove poi la luce si accende e ricompaiono i suoi amici, deve fingere che sia un …
Clack.
No, non è un gioco!
Si copre gli occhi con le orecchie, ma anche così il cigolio dei cardini lo raggiunge e l’interno della stanza viene illuminato per un istante da una strana luce verde che viene dalla finestra.
Passi.
Uno. Due. Tre. Quattro. Cinque.
Sei. Sette.
Il vento apre la finestra con un solo colpo. Pimpi grida e subito dopo si pente di quello che ha fatto perché adesso l’uomo che ghigna verrà da lui e farà tutti quegli “esperimenti”. Uno scroscio lieve, la lampadina rotta viene svitata.
Click clack, l’interruttore si accende.
La luce funziona e lui lo vedrà. Ha gridato, è sempre stato una frana a Tigri di Mezzanotte, dovrebbe essere coraggioso ed aprire gli occhi, ma lui non è coraggioso, non è mai stato coraggioso, non sarà mai coraggioso, cosa ci può fare se …?
“Ciao! Sei tu il piccoletto che è saltato fuori dalla pagina?”
Non è l’uomo cattivo. “Poverino … ti sei preso un bello spavento, vero? Spaventarsi per davvero non è una bella cosa”.
Pimpi scosta leggermente un orecchio, lasciando filtrare uno spiraglio della luce della lampadina sotto la pelle: la voce è carina, anche tanto gentile, ma fuori ci sono ancora i Fantaspiritelli che sghignazzano e non è sicuro che non possano entrare dalla finestra. La persona appena entrata si allontana, poi un rumore proprio accanto a lui gli segnala che la sua gabbietta è stata aperta e qualcosa viene fatto scivolare verso di lui ed è anche qualcosa con un profumino invitante ed il suo minuscolo pancino gli ricorda che è passato un po’ di tempo dall’ultima volta che ha assaggiato anche solo un biscotto. Per essere una fetta di torta … beh, è una fetta di torta. E anche alle fragole, se quelle cose viola e quasi ammuffite fossero fragole. La glassa è tutta nera, però forse i Fantaspiritelli stavolta si accontenteranno e lo lasceranno in pace.
“Hai la faccia di uno che è passato in un mare di guai, eh? Tranquillo, ci penserò io a te”.
Va bene, è il momento di essere coraggiosi.
Uno.
Due.
Tre.

Solleva entrambe le orecchie e si decide a guardare.
In effetti sembra un po’ Kanga, la voce è quasi uguale e forse è per questo che ha deciso di guardare. È una ragazza umana, ed in effetti è anche molto carina: è alta –ma sono tutti più alti di lui, quindi ormai ci è abituato- ed ha degli occhi grandissimi, più grandi persino di quelli di Uffa e che adesso lo osservano mentre con cautela assaggia una briciola di quella torta un po’ strana ma molto profumata.
È buona.
Però la signorina sembra tanto triste. Forse anche lei è prigioniera di quell’uomo orribile, pensa Pimpi, osservandola mentre si avvicina al tavolo ingombro di strumenti e sospira mentre prende in mano la ciotola di minestra ancora intatta. Forse mangia poco, perché è tanto magra ed è pallida come la luna. “S-scusi, signorina …” prende fiato, cercando di trasformare il filo di voce che gli esce dalla bocca in delle parole che lei possa udire. “N-non è che lei ha visto i miei a-amici? Si ch-chiamano Pooh, T-Tigro, T-Tappo, e poi … e poi a-anche la s-signora Kanga e Roo, e poi ci sono Uffa, I-Ih-Oh ed il signor De Castor. E-eravamo andati a casa di T-Tappo per fare merenda, ma poi siamo u-sciti fuori e c’era … e c’era …”
E poi c’era stata quella cosa spaventosa. Avevano sentito un rumore stranissimo e si erano voltati, credendo che provenisse dalla tana di Tappo. Ma la casa del loro amico era sparita.
C’era stato solo buio, un buio nerissimo, un buio ancora più buio della notte più buia. C’era stato di nuovo quel suono simile ad una pagina strappata ed aveva gridato con tutte le forze, ma alla sua sinistra l’orsetto Pooh e Tigro erano spariti. Il buio, era stato il Grande Buio ad esserseli mangiati in un sol boccone. Si era guardato intorno per cercare la strada che portava da Kanga, ma ovunque, a destra e a sinistra, sopra e sotto c’era solo un nero senza alcuna luce. Forse era finito nella pancia di un mostro gigante senza accorgersene e … Pimpi non fa alcuno sforzo per nascondere una lacrima. Anzi, per sicurezza ne fa uscire anche un altro paio, seguite da altre che si trasformano in un pianto dirotto. Forse è un’avventura di quelle che racconta Uffa, ma a lui non piacciono le avventure, le detesta le avventure perché sono piene di brutti mostri e di nemici spaventosi che non hanno e non avranno mai timore di un minuscolo maialino di pezza. La ragazza lo solleva e lo fa uscire dalla gabbia; lo appoggia sul tavolo mentre lui continua ancora a piangere, anche perché quegli strani oggetti con le punte gli fanno ancora più paura adesso che sono vicini e scintillano.
“No, piccolino, mi dispiace … quando il dottore ha usato la sua nuova invenzione su questa pagina ne sei uscito soltanto tu” dice, e gli indica uno strano oggetto che sta proprio sulla scrivania. Non ci aveva fatto tanto caso prima perché c’erano cose molto più spaventose, ma adesso anche quello gli incute un certo timore perché è tutto fatto di metallo, di fili e di strane lampade che adesso sono spente. C’è anche un’enorme … cosa … di vetro, tutta riparata tante volte un po’ come la coda di Ih-Oh: dalla finestra entra una luce che entra e se ne va quanto basta per illuminare di nuovo quell’oggetto sinistro. “Forse i tuoi amici si trovano in altre pagine. Vieni, ti rimetto a posto prima che il dottore se ne accorga. Questo non è un posto per dei tipini come te”.
“P-pagine? Non ca-capisco, io …”
Lei lo solleva di nuovo e lo fa sedere bene proprio sopra la pagina. Prova a dirle qualcosa, ma la ragazza gli fa cenno di rimanere fermo mentre inizia a toccare lo strano oggetto.
Adesso può vedere bene questa famosa pagina: c’è scritto qualcosa –non ha idea di cosa sia, sono tante righe e lui non sa leggere- ma il disegno al di sotto lo conosce. Lo conosce molto bene.
Una sensazione di sollievo lo attraversa mentre osserva i contorni della sua casa disegnati con un pastello marrone; l’erba alta, con i fili tracciati uno ad uno, l’amaca e la porta aperta come se stesse aspettando qualcuno. Fa scivolare la zampa lungo la carta e la sente ruvida, porosa, come una di quelle dei libri del suo amico gufo, ma più calda. C’è un sole disegnato in alto, proprio dietro alle scritte, che sorride come se avesse sconfitto il Grande Buio proprio come gli eroi delle favole.
La ragazza mette in azione l’oggetto, che si accende con una cacofonia di rumori.
Eppure, in quel momento, Pimpi si accorge di non aver paura. Non più di tanta, almeno.
“S-signorina?”
“Sì?” risponde mentre posiziona l’estremità in vetro proprio sopra di lui.
“Q-questo è solo un b-brutto sogno, vero? N-non vedrò più quell’uomo c-cattivo, g-giusto?”
“Tranquillo, puoi anche pensare che sia un sogno. Succede a tante persone di fare un incubo la notte di Halloween, sai?”
Il macchinario lo illumina, e la ragazza gli mette saldamente la pagina tra le mani. “Non preoccuparti, ho in mente il nascondiglio giusto per questo foglio. Il dottor Finkelstein non ti troverà tanto presto”.
Pimpi osserva di nuovo la pagina, le scritte e la casa. Poi guarda di nuovo la signorina dagli occhi tristi, e lei gli appoggia un bacio proprio sulla testa. Porta la mano su una leva, e tutto lo spazio intorno a lui si riempie di strane luci azzurre e gialle. “Buon ritorno a casa, piccolino”.

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Capitolo 8
*** Il futuro non tradisce i sogni ***


 

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Personaggio: Lady Tremaine
Genere: Introspettivo, Malinconico. Missing Moments.
Rating: Giallo
Avvertenze: liberamente ispirato a qualche dettaglio della vita di Lady Tremaine narrato nel film "Cenerentola" del 2015. Il titolo della storia è una citazione ad una vecchissima serie animata, chi riesce a riconoscerlo?


Il futuro non tradisce i sogni

Il futuro non tradisce i sogni.

Dove ha già sentito quella frase?
Le parole si formano nel silenzio, lette da una voce di bambina di cui aveva quasi dimenticato l’esistenza. Si sovrappongono alle grida concitate di Genoveffa ed Anastasia mentre le chiedono dove stanno andando, perché hanno abbandonato la villa nel cuore della notte lasciando quella misteriosa sconosciuta nel salone.
La bambina rilegge ancora una volta quelle parole sollevando la testa dal grande libro illustrato: immagina un grande eroe a bordo di una gummyship pirata, la disegna su tutti i fogli della casa ogni volta su un mondo diverso. I suoi genitori le dicono che adesso è una signorina, che dovrebbe smetterla di sognare ad occhi aperti ed imparare a vestirsi come si deve, perché i principi azzurri non esistono e gli uomini vogliono soltanto donne belle, eleganti e rispettabili. Deve portare il corsetto e smetterla di disegnare. Suonare il piano si addice di più ad una brava ragazza.
Eppure ha continuato a sognare, perché tutto sommato il futuro era troppo pieno di cose belle per lasciarlo andare via nel cielo stellato con una gummyship pirata.

“Dico sul serio, mamma! Ci verranno i geloni, lo sai che ho i piedi delicati! Tanto ormai la carrozza sarà arrivata a palazzo …”

Il principe azzurro è arrivato. Non ha una carrozza o una corona, ma un cuore aperto e pieno di vita e la conduce al lago ogni volta che il sole fa capolino tra le nuvole: canta e rema senza sosta, e tra i deboli spruzzi d’acqua che si alzano al di sotto della tremolante barchetta, tra le anatre che si sollevano nel momento meno opportuno, tra gli sguardi invidiosi delle dame lasciate a riva le proclama il suo amore. È un po’ impacciato, ma forse è proprio per questo che risponde di sì. La ragazza è una donna, ma il futuro non ha tradito i suoi sogni.
Nella grande casa risuonano i vagiti della sua prima figlia. È un po’ preoccupata perché tutti le avevano detto che sarebbe stato meglio un maschio, ma suo marito le stringe la mano e le promette che farà della neonata la fanciulla più bella del regno. Il lavoro va bene, la richiesta di stoffe pregiate aumenta ogni giorno.
Quando nasce la loro seconda bambina organizza un banchetto degno della figlia del re.

“Mamma, per favore, torniamo indietro … Quella maledetta di Cenerentola ce l’ha fatta sotto il naso, ma io voglio dirgliene quattro a quella tipa che si è intrufolata in casa nostra!”
“Almeno a quella lì non le permetteremo di farla franca! Ho ragione, mamma?”

Le bussano alla porta. Due, tre volte.
Sta piovendo a dirotto, quindi fatica a distinguere l’inaspettata violenza delle nocche contro il massiccio portone dalla pioggia battente. C’è qualcosa di strano, un grigio nodo le si stringe intorno alla gola ed il cuore le batte forte mentre scende le scale, ignorando la servitù che le consiglia di tornare nelle sue stanze e di non crucciarsi per un banale mendicante che supplica riparo per una notte. Ma non è un mendicante, questo lo sa.
Il valletto le fa scivolare la lettera tra le mani e svanisce nel temporale senza chiedere nemmeno la mancia.
Deve essere svenuta, perché si risveglia a letto, il foglio di carta ancora tra le mani.
Rimane a letto ancora per tanti giorni, osservando la luce del sole svanire e poi comparire di nuovo: ascolta da quel rifugio di seta e broccato il cinguettare degli uccelli che discutono d’amore sforzandosi di trovare calore nelle risate delle sue bambine. Le ascolta giocare con le bambole e poi a saltare alla corda, ancora ignare di tutto e scaldate dalla luce del giorno. Pensa solo che non vuole vederle piangere, e quando vengono al suo capezzale nasconde la lettera sotto il cuscino. “La mamma non si sente molto bene. Cose che capitano alle donne grandi, sapete? Andate a giocare, che con questo sole è un peccato starsene chiuse in casa”.
Uno ad uno i servitori se ne vanno: li ascolta andare via, sente prima il portone aprirsi, poi chiudersi. Il grande cancello cigola al loro passaggio, nessuno pulisce più i cardini e l’erba è cresciuta così tanto che non si apre nemmeno del tutto; il rumore di stoviglie nella cucina si trasforma in scalpiccii lievi ed in chiacchiere fugaci tra le ultime due governanti, due donne troppo vecchie per sperare di poter trovare lavoro altrove. Eppure anche loro se ne vanno, spariscono dalla sua vita mentre lei riposa, nel cuore della notte, lasciandole un foglio bianco con scuse ipocrite al di sotto della porta senza degnare di un saluto nemmeno le bambine.
La casa cade nel silenzio, una condanna il cui verdetto è stampato su quella lettera che troppe volte ha bagnato con le lacrime: un incidente in carrozza, questo decretano le poche righe. L’inchiostro è quasi svanito, sbavato nel suo dolore, ma fissa ogni singola lettera cercando di imprimerla nel suo petto. È in quel silenzio innaturale, in quella grande casa vuota, che capisce di dover riprendere in mano la sua vita e quella delle sue figlie. Sognare non serve a nulla, perché il futuro ha tradito i suoi sogni.

“Mamma, perché quella zucca è così grande? Non … non sono occhi, giusto?”

La bellezza è l’unica arma di una donna. Non ha più la freschezza dei suoi diciassette anni, ma il tempo le ha donato grazia, portamento e le ha insegnato a comprendere ed ascoltare; gli uomini le scivolano tra le mani uno dopo l’altro, riempiono l’aria dei saloni con l’odore dei sigari ed apprezzano le sue parole, i buoni consigli ed i calici di vino. Tintinnano nell’aria scura, creano una magia torbida ed amara in cui lei si scopre l’unica signora, una strana regina che cammina tra un salotto e l’altro lasciando a quei gentili signori soltanto una scia di profumo e la promessa di qualcosa che apparterrà soltanto a chi non si limiterà a donarle il proprio cuore. Si lascia corteggiare e cercare, inseguire e adorare, impegna ciò che le resta dei beni di suo marito per avere gli abiti più belli della città, per non essere mai seconda, per trarre a sé gli occhi di quei gentiluomini e non farli scivolare su quelle fanciulle graziose che parlano di amore e primavera.
Quando un adorabile vedovo si fa avanti capisce che è quello giusto: il vecchio amore è un’eccellente maschera, e danza con lui nel suo gioco fatto di ragnatele e lacrime per una donna che non tornerà. Parla di una bambina, la luce dei suoi occhi, e lei parla delle proprie. Non c’è nulla di meglio di un dolore comune.
Le sue figlie avranno una bella casa e lei un uomo che pagherà ogni debito.
Il giorno del suo funerale piange solo per il proprio futuro.

“Mamma!”

Il marchese Descartes le ha detto che è troppo vecchia. Il duca Guillon vorrebbe una moglie in grado di dargli almeno dieci figli, tutti maschi; persino monsieur Leblanc, che non ha mai smesso di mandarle mazzi di rose in dono, sostiene ridendo che ogni cosa ha il proprio tempo e che sarebbe invece molto interessato alla sua bionda figliastra, quella ragazza che trascorre i giorni in cucina e nell’orto. Porta Genoveffa ed Anastasia nel suo salotto, ma il pomeriggio si conclude soltanto con saluti calorosi e la promessa di perpetua amicizia. La bambina diventata donna vede il mondo vestirsi di abiti scuri e capisce che il futuro appartiene soltanto alle sue ragazze.
Appartiene anche a quell’altra, alla fanciulla dal canto soave che vive sotto il loro stesso tetto. Appartiene a quella voce che canta di un principe azzurro, di un bel palazzo, di un futuro che non tradisce i sogni perché i suoi sono fatti di oro e broccato, di una luce in grado scacciare ogni ombra e preoccupazione.
Vorrebbe strapparle di dosso quel futuro come si fa con un vecchio abito. Vorrebbe darlo alle sue figlie e mostrare loro come i sogni non esistono e che le speranze sono tutte destinate a cadere. Vorrebbe cancellare per sempre il sentiero luminoso che Qualcuno ha aperto per lei donandole una scarpetta di cristallo in grado di andarsene per sempre dalla loro casa in rovina verso un futuro che a lei ed alle sue figlie è stato chiuso in faccia quando la carrozza con Cenerentola ed il granduca è uscita per sempre oltre il cancello arrugginito della villa. Il suo Domani è sfiorito per sempre, ma può ancora tingere di nero quello di colei che lo ha portato via alle sue bambine.

Il futuro non tradisce i sogni.
A patto che i sogni non tradiscano il futuro.

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Capitolo 9
*** Piccolo grande eroe ***


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Personaggio: Roo
Genere: Missing Moments.
Rating: avrei pensato ad un bel rating rosso dove avrei descritto nel dettaglio le budella di Roo che implodevano, ma purtroppo mi limiterò ad un semplice rating verde.
Avvertenze: ma una testata nucleare sul Bosco dei Cento Acri?


Piccolo grande eroe

Silenzioso come una Nottola. Leggero come un Fanfispiritello.
Agile come un Tigro tigroso. “Sei mio!”
Roo salta fuori dal cespuglio e, prima che la preda possa allontanarsi, fa calare su di lui un barattolo di vetro.
“Eh eh, ce l’ho fatta!” gongola felice osservando la minuscola creatura che batte i pugni contro le pareti trasparenti. Proprio come aveva immaginato, è davvero un grillo! Un grillo molto buffo, certo, vestito come un umano e con un cappello persino più grande della sua testa: Roo lo aveva notato già da qualche giorno con la sua superpotentissima vista, tutto nascosto nel cappuccio di Sora. Senza dubbio cercava di non farsi vedere, ma lui è il canguro più intelligente del Bosco dei Cento Acri e nulla sfugge al suo controllo. Lo ha atteso con la pazienza di un grande cacciatore tigresco e adesso lo ha catturato. “Dai, stai buono, non voglio usarti per giocare a Saltagrillo. Voglio solo parlarti un attimo!”
“Beh, parlerò senza dubbio meglio se avessi la compiacenza di liberarmi da questo barattolo”.
“Guarda che non sono uno sciocco. Così proverai a scappare …”
“Suvvia, per essere così giovane sei un grande cacciatore” gli risponde la creaturina spolverandosi il vestito nero con il dorso della mano. “E io ormai ho una certa età. Non riuscirei a scappare dalle tue fortissime zampe nemmeno volendo”.
Il discorso ha un certo senso. Roo ha ancora qualche dubbio, però solleva il barattolo. Il suo piccolo prigioniero per prima cosa prende una boccata d’aria, poi saltella sulla radice della vecchia quercia che aveva sfruttato per l’agguato. Osserva la superficie legnosa con un certo dubbio, poi estrae dalla tasca un minuscolo fazzoletto rosso su cui si siede con molta attenzione, quasi come fa Tappo quando viene a pranzo a casa dell’orsetto Pooh. “Di solito catturare qualcuno più piccolo di te non è il modo migliore per iniziare una conversazione, sai?”
“Lo so, scusa …”
Gli dispiace. Il grillo ha ragione, è stato davvero maleducato. “Per favore, non dirlo alla mamma o a Uffa!”
Lui sorride e, senza sapere il perché, Roo capisce che può fidarsi di lui. “Non preoccuparti, giovanotto! Suvvia, dimmi quale è il tuo problema?"
“Ecco, io vorrei partire con voi. Voglio diventare un vero eroe”.
Ha sempre sognato di diventare un eroe, un canguro grande e forte come quelli delle storie della mamma; Uffa gli ha prestato tutti, TUTTI i libri sugli Efelanti in suo possesso e lui sa tutto su come catturare una di quelle enormi bestiacce, come saltare loro in groppa con un colpo di coda superassestato e come mettere loro dell’Erba Pizzichina nella proboscide e fermare la loro natura devastatrice di innocenti campi coltivati. Ed è anche un grande esperto di trappole antiNottole, ha scavato delle buche persino a prova dei saltelli di Tigro: quelle bestiacce che si divertono ad infestare i sogni dei cangurini devono solo temere le sue trappole! Si è anche allenato tantissimo con la sua spada di legno, è certissimo di poter battere persino Sora e la sua chiave gigante, ed è andato talmente tante volte di notte nel Bosco dei Cento Acri che non ha più paura del buio o delle Nottole.
Insomma, è pronto a partire. A parte un piccolo problema. “Ma Sora, Paperino e Pippo hanno detto di no …”
“E sai perché?”
“Mi hanno detto che sono troppo piccolo e che devo allenarmi ancora tantissimo, ma non è vero. Sono perfettamente in grado di …!”
“Shhhhh, non troppo ad alta voce, giovanotto!”
Il grillo gli fa cenno di avvicinarsi e Roo si siede proprio accanto a lui; con un saltello la piccola creatura prima gli atterra sul palmo della mano, poi gli si arrampica sulla maglietta fino ad accomodarglisi sulla spalla. Gli parla a bassa voce nell’orecchio, coprendosi con una mano, proprio come fanno i grande quando devono parlare degli Importantissimi Segreti. “Ragazzo, tu sei la chiave dell’importantissima missione AntiNottole!”
“Dici sul serio?”
“Certo che sì, ma solo se il piano di Sora, Paperino e Pippo funzionerà. Il trucco è far credere alle Nottole che nel Bosco dei Cento Acri non ci sia nessuno che possa opporsi a loro, devono credere as-so-lu-ta-men-te che tu sia un cangurino piccolo ed indifeso, e lo sai perché?” gli chiede, stavolta agitandosi davanti al suo muso proprio per guardarlo bene in faccia. Roo non ha capito molto bene, ma il grillo è davvero molto eccitato. “Perché le Nottole sono infide e vigliacche, e non usciranno mai allo scoperto se sanno che in questo bosco c’è qualcuno che possa dar loro una bella lezione. Invece Sora mi ha detto con serietà as-so-lu-ta che vuole che tu le aspetti proprio qui, fingendoti un canguro come tanti altri e poi … TAC!”
Da chissà dove estrae un piccolo ombrello rosso e lo agita in alto come fosse una spada “Le potrai colpire con la tua spada e dar loro un bel colpo di coda che farà passar loro una volta per tutte la voglia di causare incubi ai cangurini per bene. Ma dovrai tenere su-per-se-gre-te le tue potentissime abilità di eroe, altrimenti quelle bestiacce non metteranno mai il naso fuori dalla porta. Intesi?”
“Wow, certo che sì!”
Sì, sì, sì! Non ha mai fatto una missione così extrafantastica! È un piano eccezionale ed intelligentissimo, più intelligente di tutti gli intelligenti piani di Uffa e sì, possono affidarla solo a lui. Perché Tigro è sicuramente fortissimo e velocissimo, ma anche le zucche di Tappo sanno che non riuscirebbe mai a tenere un segreto così stragigante: e lo stesso vale per l’orsetto Pooh, perché le furbissime Nottole potrebbero scoprirei loro segreti regalandogli del miele. “Molto bene, grillo, l’operazione AntiNottole ha inizio! Non temere, sarò l’eroe più segreto e più bravo che ci sia”.
Gli porge la zampa ed il Grillo con un sonoro schiocco porta il proprio minuscolo palmo contro il suo, poi gli scende dalla spalla, salta sull’erba e si aggiusta il cappello. “Essere bravi è importante, ragazzo, ma se posso darti un consiglio …” dice, facendogli una strana strizzata d’occhio.
“Devi essere bravo, coraggioso e disinteressato: ed un giorno sarai davvero un piccolo, grande eroe”.

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Capitolo 10
*** Quel giorno che verrà ***


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Personaggio: Neku Sakuraba
Genere: Introspettivo, Malinconico.
Rating: verde andante sul giallo
Avvertenze: forse Neku è venuto fuori meno musone delle storie da cui è tratto, ma credo che dopo tutto ciò che ha passato sia riuscito a maturare almeno un po'.


Quel giorno che verrà

Ci sono tutti.
Beat arriva sgommando sul suo motorino nuovo di zecca, senza casco e parcheggiando sul marciapiede senza nemmeno guardare; Neku è pronto a scommettere che abbia saltato la scuola un’altra volta.
Rhyme è venuta a piedi: da dopo l’incidente non riesce più a salire su un’automobile o un motorino –specie sapendo che vi è Beat alla guida- ma è comunque arrivata prima di suo fratello, i libri sottobraccio e la riga da disegno che fa capolino dallo zaino. C’è anche Shiki, la vera Shiki, l’unica a cui ha concesso di dare un’occhiata in anteprima al suo capolavoro.
“Beat, abbiamo detto alle tre in punto!” esclama, puntandogli addosso il dito con fare accusatorio a cui lui risponde sollevando un altro dito, il medio … e probabilmente se ne uscirebbe anche con qualche parolaccia se Rhyme non gli si avvicinasse e gli desse un colpo di riga sulla testa. “Basta litigare! Coraggio, Neku, facci vedere!”
Non è stato facile trovare un posto libero in tutta Shibuya: Neku si è esercitato più volte, ha realizzato gli schizzi preparatori a casa sua, in cantina, ma gli ci sono voluti giorni per trovare un posto tutto suo, un piccolo angolo in quella città già imbrattata a sufficienza dove dare forma al suo primissimo lavoro. Il vecchio parco abbandonato del quartiere Sakoyu li accoglie: il cancello metallico cigola non appena Beat prova a farsi strada nello stretto passaggio e le altalene, rotte e dalle catene annerite dal fumo, sono immobili con i sedili ormai nascosti dall’erba alta che da anni nessun guardiano si è degnato di tagliare. Sono passati anni dall’ultima volta in cui vi è entrato, e all’epoca non riusciva a fare altro che nascondersi dagli altri bambini per paura di essere preso a pallonate; si rifugiava lì, all’ombra del casotto del custode, nel punto più lontano dall’ingresso e dalle altalene affollate. Ed è lì che li porta, mostrando loro per la prima volta il suo angolo segreto.
“Wow, molto meglio di CAT!”
Beh, non è vero, ma Neku sorride al commento energico di Rhyme.
Ci sono tutti loro su quella parete: ha disegnato Beat con un po’ più di pancia e forse è quello che fa sorridere la bambina, ma i colori del graffito sono davvero perfetti ed anche l’odore della vernice se ne è andato.
Shiki si guarda dipinta sul muro, quella bellissima ragazza dai capelli rossi che non è mai stata: ha insistito per farsi ritrarre così, come tutti loro l’hanno conosciuta in quello strano sogno, con abiti alla moda così diversi da quelli che adesso indossa e dei tacchi alti che, se li avesse davvero, la farebbero inciampare per le scale della scuola in un istante. “Dai, anche così non sono male” esclama mettendosi in posa accanto al graffito mimando la Shiki di vernice e mattoni.
Beat sogghigna. “Hai disegnato anche loro” .
Certo.
Ha disegnato anche loro. Tutti e tre, proprio come se li ricorda.
Quando si sono svegliati dal coma i dottori hanno detto che si è trattato di un autentico miracolo. Hanno aperto gli occhi insieme, lui, Shiki, Beat e Rhyme, quei ragazzi che fino al giorno prima avrebbe giurato di non conoscere. Rhyme e Beat sono finiti in quell’ospedale per un incidente, di Shiki nessuno sa nulla. Si sono svegliati nello stesso istante con un sogno in comune, un incubo a occhi aperti che non li ha abbandonati nemmeno nei giorni successivi, quando sono tornati a casa ed hanno ripreso la loro grigia, strana esistenza.
Ha disegnato Joshua al centro, con le ali spiegate. All’inizio aveva pensato di metterlo in un angolo, quasi per una strana paura che gli percorreva la schiena proprio mentre abbozzava le sue linee, ma ha deciso che è stanco di ascoltare quella voce priva di fondamento: sa che Joshua ha vegliato su di loro sin dall’inizio, in un modo che non saprebbe descrivere a parole. E adesso che loro sono lì, felici, lui si trova in quell’ospedale in bilico tra la vita e la morte; i medici hanno parlato di un misterioso arresto cardiaco, un malore che il ragazzo ha provato proprio qualche istante prima del loro risveglio. Più tardi andranno a trovarlo –compreso Beat, che anche se sbuffa non manca mai di mettergli accanto un po’ di musica.
Si sveglierà, di questo Neku ne è certo. Si sveglierà perché Joshua non è il tipo da andarsene per sempre.
Si sveglierà perché in quel posto dove sono stati tutti loro è buio e freddo, e da quando ha aperto gli occhi Neku non ha mai trovato Shibuya così calda: e lo deve anche a loro, a quelle due figure che ha messo ai lati del graffito, quasi come due colonne pronte a fronteggiare ogni avversario.
Shiki sorride alla vista di Riku, con la schiena piegata ed il Keyblade in mano. Lui e Sora sono da qualche parte, tutti loro ne sono certi: non hanno trovato nessun altro ragazzo in coma oltre a Joshua, ma questo è perché senza ombra di dubbio quei due sono altrove, lontani da quella città, a sconfiggere nemici e raddrizzare i torti proprio come gli antichi eroi dei libri di fiabe della nonna di Shiki. Sono finiti nel loro sogno quasi per caso e così ne sono usciti, ma Neku è pronto a giurare che i due ragazzi sono reali. Così come è pronto a giurare che manterranno la loro promessa.
Un giorno torneranno.
Li rivedranno lì, nella loro Shibuya, un po’ affannati e con centinaia di amici al seguito. Verranno a trovarli proprio come si erano ripromessi e Neku li porterà a vedere quel graffito. Ci saranno tutti, persino Joshua, tutti loro che si sono incontrati in un posto dove forse soltanto la morte sarebbe potuta entrare e da cui sono usciti diversi, cambiati. Lui stesso ha iniziato ad accettare quel mondo strano e senza regole, il posto da cui un tempo avrebbe dato ogni cosa per poter fuggire, la Shibuya grigia e vuota dove ogni giorno sembrava uguale all’altro.
Shibuya non è cambiata, e forse non cambierà mai. Ma da quando ha aperto gli occhi ha deciso che forse quello è il posto di cui ha sempre avuto bisogno, solo che aveva bisogno di amici per riempirlo; ed i suoi amici adesso sono lì, qualcuno al suo fianco e qualcuna ancora solo di vernice, ma sono loro ad aver trasformato i muri ed i grattacieli scuri in un arcobaleno di colori.
Sospira, osservando gli occhi azzurri di Sora.
Si ritroveranno tutti insieme, e mostrerà con orgoglio ai suoi amici la Shibuya di cui adesso è quasi orgoglioso. Sorrideranno in quel giorno che verrà.



E con questa one-shot la mia raccolta volge al termine. Al momento credo che non estrarrò nuovi personaggi e considererò la storia conclusa perché ho altri progetti tra le mani. Inoltre per scherzo ho provato a sorteggiare dalla KH wiki i personaggi che mi sarebbero potuti capitare ed è uscito talmente tanto pattume innominabile (vedere le sorelle di Ariel) che ho deciso di non cimentarmi per un po' con questa sfida.
Se in futuro cambierò idea tornerò ad aggiornare.
Grazie a tutti coloro che mi hanno supportata, a tutti quelli che hanno partecipato a questo progetto di scrittura (e che hanno finito ben prima di me), ed ovviamente il principale ringraziamento va al xiiiorderforum.

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