Rising Down - Al di là dell'incubo II

di shalalahs
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** di illusioni e vendetta ***
Capitolo 2: *** parole scomode ***
Capitolo 3: *** senza paura ***



Capitolo 1
*** di illusioni e vendetta ***


!WARNING! LA SEGUENTE STORIA È IL SEQUEL DI QUESTA FANFICTION, SCRITTA DA MEGARA X. SI CONSIGLIA, QUINDI, LA LETTURA DELLA PRECEDENTE ONE-SHOT PER LA COMPRENSIONE DELLA STORIA. OGNI AVVENIMENTO A CUI FACCIO RIFERIMENTO FA PARTE DELL'ORIGINALE.
GRAZIE PER L'ATTENZIONE <3

 


RISING DOWN - AL DI LÀ DELL'INCUBO II


Ci volle tempo. Molto tempo. Quel tipo di tempo che solo le cose irrimediabilmente rotte richiedevano. E più che passava, più che le ferite non sembravano rimarginarsi. Non seppi minimamente quanto tempo era passato, quanto fossi rimasto lì a fissare il buio, scorgendo sagome equine, occhi dorati oscurati dalla sabbia nera.
C'era una voragine, proprio lì, dentro di me. Ero sicuro che ci sarei cascato completamente dentro; e invece, eccomi qui: ancora disteso, fradicio e sporco dei miei stessi sentimenti, delle mie stesse paure.
Sognare. Sognare. Sognare. Sognare. Sognare. Sognare. Sognare. Sognare.. Sognare..?
La stessa parola si ripeteva.
Ogni.
Singolo.
Secondo.
Sto sognando.
Era come un orologio, nella mia mente. Non seppi se fu la stanchezza, non ricordai neanche com'era iniziato quell'interrogativo. Si ripeteva, semplicemente, da quella che sembrava un'eternità. Come quando si ripete la stessa parola fino a perderne il significato. Era diventata vuota e la disperazione fu solo un vago ricordo, qualcosa da cui distaccarsi e distogliersi, qualcosa da dimenticare.
Sembrò come alienarsi dalla realtà. La sconfitta? Il dolore? La rabbia, la frustrazione, la speranza che andava in frantumi? Niente. Il vuoto più totale, avvolto solo in quell'ombra spessa e buia. Là dove gli incubi si mescolavano alla realtà. E non potevo riposare, non potevo far altro che restare in guardia ripetendo a fior di labbra quella che ormai era diventata una nenia. Volevi che fosse finita? Volevi forse qualcosa di più, non è vero?, mi chiedeva qualcuno che usava la mia stessa voce.
Era il capolinea ed il nuovo inizio: la scelta.
Arrendersi, gettare tutto alle ortiche e permettere definitivamente a chiunque mi volesse estinto di avere la meglio. Se lo trovassero un altro, di Uomo Nero, mi ripetevo. Il mondo era pieno di spiriti maligni anche senza la mia presenza. Cos'ero, se non una marionetta preda e schiava degli stessi bambini che tanto agognava distruggere? Così è sempre stata, così sempre sarà. Tutto si basava sul mio insulso e stupido orgoglio che mi impediva di arrendersi e darla vinta a Manny, i Guardiani e chiunque altro mi volesse far restare nel proprio covo, all'interno di quell'insopportabile e solitario groviglio di ombre. Solo con la mia testa.
I pensieri erano come pesci voraci. Cambiavano direzione in una maniera impressionante, riavvicinandosi e sfuggendo, come sapone fra le dita. Non importava quanto stringessi l'attenzione attorno ad essi, riuscivano sempre a scivolare via ed allontanarsi, soppiantati da parole fastidiose e mal volute.
Un piccolo frammento, come un vetro che rotea su sé stesso e rifrange parzialmente la luce. Si trattava di uno di quei pensieri insopportabili, che mi costringevano a distogliere lo sguardo, a cercare disperatamente un modo per pensare a qualcos'altro. Quel volto giovane e vitale aveva, troppo tardi, riempito di nuovo i miei pensieri. Perché lui? Perché, fra tutti coloro che potevano capitare, lui?
Troppo tardi, avevo ricordato. Ricordato di come le mie mani avevano cercato il suo volto, in quel sogno troppo vivido per essere falso ed effimero; ricordato come lui si era rivolto a me giocosamente, frutto di una fantasia ancora incomprensibile. Ammetterlo sarebbe costato più che tenerlo nascosto -ed avrei continuato a farlo, mentendo anche quando non ce ne sarebbe stato bisogno.
Un eccesso di bile mi salvò dai miei stessi pensieri. Una sensazione nuova, diversa dalla sconsolata disperazione che mi aveva accompagnato fino ad ora; diversa dall'arrendevolezza che colorava i miei intenti: indignazione. Proprio quel vile sentimento, lentamente, mi portò a realizzare che la risposta era sempre stata una sola: rabbia.
La stessa strada, battuta più e più volte, perfino l'ultima volta. Rabbia indignata per quella semplice immaginazione.
Fin dove ero finito? Cosa significava quel volto, Jack Frost? Come avevo potuto anche soltanto farmi abbindolare da uno dei miei incubi? Chi era quel piccolo ragazzo ghiacciato per far tremare me? Nessuno.
«Nessuno.»
Ecco chi era. L'ondata di rabbia venne rivolta a quelle ombre che mi turbinavano attorno. Fuori dai piedi, sibilai nella mia mente. Un ordine che, per assurdo, venne recepito con più forza ed impeto di quanto pensassi. Sarebbe stato facile. Sarebbe stata un giochetto da ragazzi. Rialzarsi, sollevarsi ed ignorare quel fastidioso pungere d'ago dei miei pensieri. Era un monito, un memento. La mia debolezza era stata proprio quella. Era stata più una fortuna, che fosse un incubo -o forse un sogno-, che non fosse nient'altro che una fantasticheria.
Jack Frost non era certamente così intelligente da arrivare a simili conclusioni. Non gli avevo chiesto di diventare la mia famiglia; era un espediente, memore e conscio dei suoi ricordi, di ciò che era stato in passato e di cosa l'altro agognava di più. Non era la mia aspettativa più rosea, non era il mio desiderio più agognato. Era il suo.
Mettitelo bene in testa, Black, ripetei mentalmente.
Con un ringhio scacciai via le ultime ombre rimaste, gli ultimi Incubi che restavano a cibarsi delle mie stesse paure e dei miei dubbi.  
Ci fu un attimo di silenzio. Sentivo ancora male ovunque, là dove il mio corpo era atterrato. Le ferite non si sarebbero rimarginate così facilmente -e non solo quelle del fisico, ma quelle dell'animo. L'orgoglio, soprattutto, era quello su cui avrei dovuto lavorare di più. Il Re degli Incubi non si sarebbe mai inchinato di fronte ad una simile e stupida fantasticheria -infondata, soprattutto.
Quando mi rialzai, a fatica, mi sembrò quasi che una fastidiosissima e ormai nota familiarità mi attraversasse. Non era la prima volta che accadeva tutto questo. Sarebbe stata l'ultima? L'Uomo Nero che si rialza dalle ombre, ritorna in esse per complottare nuovamente contro tutti i bambini del mondo.
L'orgoglio, nuovamente, aveva avuto la meglio.
L'orgoglio, nuovamente, mi aveva permesso di fare la scelta giusta.
Perché quella era la scelta giusta.. vero?
Non mi sarei abbassato a provare insulsi e deboli sentimenti come facevano quelle schifose creature mortali. Non erano per me, non lo sarebbero mai stati. Jack Frost, se solo si fosse unito a me, avrebbe capito l'inutilità dei propri sentimenti e desideri di compagnia, di attenzioni.
Ciò che volevo io.. no, non era uguale. Non desideravo che loro mi vedessero. Era una pura e semplice condizione a cui sottostavo, poiché mi dava potere e mi conferiva un'esistenza divertente e piena di spunti che potessero riempire il vuoto delle notti e dell'eternità. Tutto ciò che avevo detto o lasciato intendere era solo parte di un piano. Se mi avessero sconfitto, avrei potuto fare appello al loro senso morale, alla loro umanità latente. Non si bastona un cane ferito e disperato. Non è colpa sua, ma della sua condizione e ciò che questa gli ha insegnato. E magari, quando avrebbero provato a “rieducarlo”, avrebbe guadagnato abbastanza tempo per rimettersi in forze e tornare a fare ciò che gli riusciva meglio.
L'unico problema sarebbero stati Sanderman ed il Pooka. Ma erano pedine facili da abbattere: avevo già sterminato i Pooka, tempo fa, che ne rimanesse uno non significava niente, se non che poteva influenzare le scelte dei Guardiani.
«In ogni caso, prima o poi impareranno la lezione» riflettei, pulendomi l'abito dal tessuto scuro e liscio, appena cangiante sull'argento a causa della luce: una luce tagliente e fredda che proveniva da un'insenatura nella parete rocciosa.
La sabbia nera aveva scolpito quel luogo, rendendolo la realtà fisica della mia essenza, del mio essere. Freddo, inospitale e spigoloso. Solitario. Dimenticato.
«Basta.» sibilai. Basta pensieri del genere. Sarebbe stato per poco.
Avrei trovato Jack Frost ed i suoi Guardiani un'altra volta. Li avrei fatti pentire e riflettere su quanto avevano osato sfidare e, in secondo luogo, sarebbe toccato ai bambini. Prima di tutti, Jamie Bennett.

 

[...]

 

Un crepitio arrivò alle mie orecchie. Non fu difficile seguire con lo sguardo un Incubo che, silente, s'infrangeva e ricomponeva contro la finestra sudicia e sporca di un'abitazione. Seguivo le sue movenze senza aver bisogno di vederlo realmente. Sentivo, in parte, ciò che sentiva lui. Si stava muovendo all'interno dell'abitazione. Il silenzio veniva rotto solo dal suono della sabbia nera che si ricreava a filava lungo le estremità del corpo snello e dinamico. Un guizzo di adrenalina penetrò nelle vene, quando realizzai assieme all'Incubo che era stata trovata: la stanza del bambino. Sarebbe stato facile, come bere un bicchier d'acqua. Chiunque si sarebbe aspettato che sarei rimasto buono e zitto nella mia tana a leccarmi le ferite.
E invece, eccomi fuori, a ricercare nuovamente altre energie. Mi sarebbero servite, dopotutto. Non importava con quale nome mi chiamassero i bambini, l'importante era che temessero le ombre, il buio, la notte. La loro stessa fantasia.
Il globo di freddo ferro risplendeva al centro dell'enorme salone nella grotta. Era fastidioso e prezioso al tempo stesso, quando lo vidi per l'ennesima volta. Carezzavo quelle insulse e felici luci che, semplicemente, brillavano strafottenti davanti ai miei occhi.
Oh, non c'è niente di cui aver paura, non esiste niente come l'Uomo Nero.
Quelle parole rimbombavano nella mia mente anche allora, quando -sgattaiolando fra le ombre- mi diressi in un altro continente. Non c'era bisogno che i bambini credessero nei Guardiani. Ce ne erano molti che sfuggivano alle loro luci, poiché vivevano in una realtà diversa, con regole e credenze diverse. Era così che avrei sempre ripreso abbastanza potere da contrastarli: coloro che non credevano, coloro che neanche sapevano chi fossero Babbo Natale, la Fatina dei Denti o il Coniglio di Pasqua.. figuriamoci Jack Frost, lo spirito del Gelo.
Un sorriso si dipinse sulle mie labbra, sghembo. Sentii la paura che scorreva in lui e lo alimentava, facendolo crescere.
«Così..» mormorai, flebile, in piedi sul ramo più basso dell'albero vicino all'abitazione. Era notte, buio, come al solito. Difficilmente uscivo di giorno, non avrei certo iniziato adesso. Un sibilo accompagnò la serata, irrompendo nel silenzio. Altri Incubi erano accorsi e, sfilando al mio fianco, mi si fermarono a pochi centimetri. Ne carezzai uno, sentendo la sabbia che rispondeva al mio tocco e si scioglieva, per poi ricomporsi, una volta passata la carezza.
«Arriverà anche il vostro turno, non preoccupatevi. Per ora abbiamo bisogno di circospezione, miei cari.» soffiai in loro direzione, prima di lasciarmi cadere. Non toccai il terreno, né si sentì alcun rumore. Non fu il terreno ad accogliermi, bensì le ombre. Fu la stessa sensazione, ormai naturale, familiare. Non dovevo sforzarmi particolarmente per farmi inglobare e fondermi ad esse, ma mai abbastanza. Divenni ombra, ma mantenni la mia coscienza, senza perderla, fino a ritrovarmi all'interno di altre ombre. Mi spostai, fin là, dove sentivo la presenza sicura di quattro mura di legno. La cameretta del bambino. Un turbinio scuro aveva preso il posto alla visione standard della sabbia del Sandman. Si comportavano in modi speculari. Il procedimento era lo stesso, ma il risultato totalmente opposto, differente. E, a detta mia, anche migliore.
Il bambino si agitò appena nel sonno. Guardandolo meglio, aveva la pelle scura, i capelli corti e crespi, neri come la pece. La sabbia nera mi lasciò intravedere parte dell'incubo che stava divorando le paure del piccolo, il quale si era così gentilmente “offerto” per quella notte. Figure di uomini che non riconobbi si palesarono davanti a me, nel mentre che -con un battito di ciglia- mi ritrovavo spettatore di uno strano e particolare film.
I bordi frastagliati dell'incubo erano indefiniti, come ogni sogno: si perdevano a vista d'occhio, ma sembravano rientrare in uno spazio angusto al tempo stesso. Tutto il senso d'indeterminazione si focalizzava sulla scena principale: uomini armati, che gridavano, fatti di geroglifici e parole di sabbia nera. Il bambino giaceva a pochi metri da essi, nascosto, ma non riuscivo a capire da cosa -a volte le memorie di quei marmocchi erano semplicemente così, vaghe, indefinite e difficili da interpretare. Era quello che mi permetteva, il più delle volte, di modellare gli incubi come pareva e piaceva a me. Più sfocati e sbiaditi erano i ricordi, più era facile manipolarli e sostituire falsità ai dettagli. Un hobby che, ormai, non aveva più segreti per me.
Il bambino sentiva una voce familiare -papà, aveva pronunciato una voce nella sua mente, che però era rappresentata come una parola, mista anche ad un volto- cercava disperatamente di far risparmiare la propria famiglia. Il calcio del fucile impattò contro la fronte dell'uomo, il quale cadde all'indietro, inciampando contro un sasso. Altre urla e le pareti dell'incubo cominciarono a tremare, scosse da una forte paura.
Sapevo già cos'era, sapevo già come sarebbe finito l'incubo prima ancora che il bambino lo vedesse. Quella paura mi parlava, era assillante e cieca, proprio come poteva essere quella di un adulto.
Sbattei le palpebre e mi ritrassi, pronto ad accogliere la mia nuova creazione. Dalla sabbia nera iniziò a vorticare una figura sinuosa e leggera. Galoppava, scalciava e cercava di districarsi oltre quelle spire, fino a volteggiare un paio di volte e ritrovare il terreno solido su cui sospendersi e trottare. Un piccolo nitrito mi fece sorridere.
«Eccoti qui, finalmente.» mormorai, tirando un sorriso divertito, le mie mani si mischiavano alla polvere scura, avvolgendola e coccolandola. Finché l'Incubo non riprese le proprie forme e dimensioni. Lo strinsi appena, in un gesto quasi familiare, come quando mi trovavo nella stanza di quella ragazzina obesa.. com'è che si chiamava? Cre.. Cretina? Qualcosa del genere. Niente d'importante, ovviamente.
«Ho bisogno che tu faccia qualcosa per me, mio carissimo Incubo.» mormorai, carezzando la sabbia scura. «Va' dagli Altri, segui i punti bui del globo e infetta quanti più bambini possibili: non importa con che nome mi chiameranno, purché vi temano e temano l'ombra che vi porta con sé.» sorrisi, compiaciuto, sentendo quell'ordine penetrare nella volontà dell'Incubo senza troppi problemi.
C'era voluto tempo, prima che riuscissi a riacquistare l'egemonia indiscussa -o quasi. Ancora qualcuno tentava di spodestarmi, osava volersi cibare di eventuali mie paure. Invece, quella volta, quando riuscii a guidare l'Incubo fra i sogni e le paure più recondite del marmocchio, ero sicuro di aver riacquistato qualcosa che la sconfitta mi aveva inevitabilmente tolto.
Un guizzo attirò la mia attenzione. L'Incubo si sollevò lentamente e, dando un paio di poderose falcate, si infranse contro la finestra, ricomponendosi subito dopo per poter cominciare a galoppare. Un nitrito risuonò nell'aria e vidi altre ombre che vorticavano nel cielo della notte, portando con sé le mie speranze ed i miei piani.
Rimasi immobile in quella stanza, solo, ma mai completamente. I pensieri vagarono di nuovo, a memorie ormai dimenticate e vuote. Era stato facile rimettersi in piedi, ignorare quello strano sogno, ma l'inquietante interrogativo continuava ad assillarmi.
Se la sabbia dorata di Sanderman mi avrebbe acciuffato di nuovo, sarei sprofondato di nuovo in quell'orribile sogno? O sarebbe stato diverso?
Scossi vigorosamente la testa, mentre un'ombra si dileguava oltre la mia schiena. Scacciai via la sabbia nera con un gesto d'insofferenza misto a fastidio. Il mio abito emise un suono sottile, quando feci una mezza giravolta, distendendosi in una piccola onda, elegante e raffinato, finché anche quello non si confuse con la mia stessa oscurità. E allora, con la stessa facilità di poco prima, mi ritrovai a viaggiare per le ombre, sentendole sfrigolare e sibilare al mio passaggio. Affabili e malleabili, come ormai avevo imparato a conoscerle.

  Mi ritrovai, senza troppe spiegazioni aggiuntive, su una sporgenza fredda e ghiacciata, alle pendici di una montagna di ghiaccio -letteralmente. Quel posto non era fatto di niente, se non acqua congelata. Ignorai il senso di ostinata cecità -ovvia e palese- che mi risvegliava aver compiuto quel gesto, ma continuai nella mia farsa. I vari pensieri assillanti e molesti vennero cacciati in un angolo remoto della mia mente. Là, proprio in quel crepaccio, avevo scaraventato il ragazzino ghiacciato, contro una parete, dopo avergli spezzato il bastone.
È per ricordare, ricorda com'era stato infrangere una -se non l'unica- cosa più preziosa che aveva. Era nei piani, fin dall'inizio.
Il sogno non significava niente. Non ero lì per la nostalgia, né per il rimpianto, né per il senso di colpa. Non ero lì per niente in particolare, se non rinnovare le mie sicurezze.
Io volevo distruggere i Guardiani, far provare loro ciò che avevo provato io in tutti quei secoli di isolamento e solitudine. Un grumo di sabbia nera mi solleticò i polpastrelli. Li roteai appena, assieme a tutta la mano, con un gesto del polso, osservando come la sabbia iniziava a danzare con maestosa eleganza.
Uno sbuffo insofferente ruppe il mio silenzio, nel mentre che contraevo il diaframma e rilasciavo una nuvoletta di fiato, lasciandola svanire davanti a me.
E poi, come un vecchio ricordo, di una lotta lontana ormai settimane, se non mesi -quando hai l'eternità davanti, che cosa cambiano un giorno o due? Ne perdi totalmente il significato- una saetta di ghiaccio si palesò proprio a pochi centimetri da me, facendomi balzare via con un'esclamazione di sorpresa trattenuta a fior di labbra. Trattenni il respiro, nel mentre che la confusione si palesava sul mio volto, facendomi girare, proprio nell'istante in cui..
«Pitch!»
Non potei fare a meno di sgranare gli occhi, per la sorpresa iniziale. Era nuovamente un sogno? In realtà, avevo solo finto di alzarmi e riprendere possesso delle mie ombre, paure, desideri..?
Quando vidi il suo volto, i ricordi riaffiorarono.. no, macché, irruppero nella mia mente, costringendomi al silenzio, per evitare nuovamente di commettere lo stesso errore del sogno.
I fiocchi di neve roteavano attorno alla figura del Guardiano, rivelando e tradendo la presenza dei venti che lo sorreggevano in aria. Nelle mani, impugnato nel più ridicolo ed inutile dei modi per un combattente, c'era il bastone; il suo bastone. Sentii improvvisamente ogni eccesso di sicurezza venir meno, farmi vacillare nel dubbio.
Cosa c'è al di là del personaggio? Cosa succede quando cala il sipario e si torna tutti a casa?, e ancora: allora, Pitch, proprio non la vuoi sapere? Che cosa. La tua paura più grande.
Sognare. Sognare. Sognare. Sognare.
Il mio corpo si mosse impercettibilmente. Sentii una parte della mia mente, la parte più razionale e crudele, elaborare un piano per disfarsi della presenza di quel ghiacciolo inopportuno ed imprevisto.
«Sì, Jack?» chiesi, fingendo un sorriso tagliente, affilato.
Dietro di me, intanto, nel crepaccio, iniziai a richiamare via via sempre più sabbia nera. Non troppa, ovviamente: se fosse scappato, avrebbe detto ai suoi adorati amichetti cos'è che ero riuscito a fare in quei pochi giorni che avevo avuto a disposizione.
Non dovevo destare la sua curiosità, per quanto -ovviamente- dubitavo fortemente delle sue capacità mentali.
«Che ci fai qui?» chiese lui, aggressivo.
Non era un sogno. Quella ne era la dimostrazione. Era naturale che il Jack Frost del mio sogno fosse più intelligente di quello reale.. Mi sentii sollevato, perché il mio segreto era al sicuro -segreto? Da quando in qua iniziava a chiamarsi così? Come qualcosa di cui vergognarsi e tenere nascosto..
«Passeggio. Non posso fare neanche questo ormai?» chiesi, inclinando la testa da un lato.
«In Antartide?» chiese lui, corrugando la fronte e facendosi depositare a terra dai venti, il bastone ancora indirizzato verso di me. Rimasi immobile, il petto gonfio e le spalle dritte.
«Che male c'è?» chiesi, infine. «Neanche stessi attentando alla vita dei tuoi preziosi pargoletti.» schioccai la lingua, senza mai distogliere l'attenzione dallo Spirito del Ghiaccio.
«Beh, si dà il caso che qui voglia farci casa mia, quindi vedi di non tornarci più.» ribatté il ragazzo. Insolente come al solito, Frost.
«Perdonami?» un eccesso di sarcasmo e divertimento attraversò il mio tono, nel mentre che mi inclinavo appena verso di lui, seppur i metri ci dividevano. «Casa tua? Oh, stai proprio diventando un Guardiano a tutti gli effetti, a quanto vedo.. Fammi indovinare, te ne resterai qui tutto il tempo, magari in compagnia di qualche Sirena, mentre mandi per conto tuo i venti gelidi a procurare il 'chiuso per neve' nelle città?» non potevo fare a meno di sorridere di quella semplice eventualità. Proprio quando Jack si voleva dimostrare diverso e di insegnamento per i Guardiani, cadeva nel loro stesso errore?
A quelle parole, lo Spirito si irrigidì appena, fissandomi con astio e fastidio. Sì, così; continua a farti influenzare, piccolo stolto.
Era facile, mi dissi, influenzare il giudizio e l'azione di un bambino.
«Non mi dimenticherò dei bambini, non farò lo stesso errore.» sbottò l'altro, sulla difensiva. «E tu dovresti startene.. rinchiuso in quel buco buio e freddo, è quello il tuo posto.» sembrò quasi esitare.
«Non ti basta proprio, eh?, avermi privato già del credo dei bambini.» mormorai, in un altro eccesso di pura recitazione. I sensi di colpa sarebbero stati la sua rovina.
Jack abbassò appena il bastone, raddrizzandosi e sgranando appena gli occhi, il fiato corto che si disperdeva nel vento gelido dell'Antartide. Bingo. Trattenni un sorriso, mentre quello si avvicinava appena e mi fissava, per poi mormorare un: «Dovresti esserci abituato, no?, a venir ignorato.»
Rimasi in silenzio per un attimo. Quelle parole.. da quando in qua era diventato così fastidiosamente ragionevole? Superato l'attimo di sconcerto, mi ritrovai a cercare un nuovo modo per poter rivoltare la situazione ed avere il pugnale dalla parte del manico. Gli lanciai un'occhiata furiosa, che non fece altro che sollevare l'angolo delle sue labbra in un sorrisetto di vittoria.
«Ti facevo una persona migliore di così, Frost.» finii per sibilare, schioccando la lingua contro il palato.
«Oh, solo perché ti ho offeso? Andiamo, chi non vorrebbe farlo?»
«No, proprio perché dovrei essere io, quello che fa simili cattiverie. Da uno come te ci si aspetta solidarietà, stupidità e ingenuità: non certo questo.» e sorrisi, fissandolo. «In ogni caso, rallegrati, stavo proprio per andarmene.» continuai, ignorando ogni sua reazione, seppur non potei fare a meno di notare con una punta di soddisfazione che le parole avevano, circa, colto nel segno, rabbuiando un po' l'espressione del Guardiano. Feci un passo indietro, facendo volatilizzare completamente tutta la sabbia nera, prima di farmi inglobare a mia volta dal frammento di ombra che calava all'interno della fenditura. Sentii un'esclamazione di sorpresa, mista a.. preoccupazione? Non fu una domanda a cui seppi trovar risposta, poiché -improvvisamente frettoloso di ritornare nella mia grotta- non potei celare un senso di fastidio, nel vedere la sagoma chiara della sua chioma balzare, come un guizzo di luce, oltre la linea del crepaccio. Fu un attimo. Forse mi ero immaginato tutto, poiché tutto si confuse e divenne nero, facendo sembrare che i bordi del crepaccio si muovessero. Forse era solo una delle distorsioni dovute al passaggio nelle ombre. Era capitato molte volte: ogni cosa si distorceva, prima di venir inglobata nel buio.
Mi voltai, riprendendo la “strada” di casa, ricomparendo in un batter d'occhio all'interno della mia grotta. Era tutto così confuso. Mi irritava oltremodo non riuscire a tenere a bada i miei pensieri e le mie sensazioni. Perché sì, erano sensazioni, nient'altro che mere ombre di ciò che ero. L'Uomo Nero non provava emozioni. Erano stupide rappresentazioni create dall'uomo per dare un altro significato -uno fra i tanti- alla loro effimera e misera esistenza.
Sospirai, ricadendo a terra. Sentivo il corpo pesante, ero spossato e non potevo certo farci niente. Non era minimamente tornato come qualche mese fa, quando ero forte e potente. Mi sistemai meglio, in una delle tante nicchie, trasportandomi sempre attraverso le ombre. Avrei riposato fin quando i miei Incubi non fossero ritornati nuovi e rinvigoriti, pieni di tante paure da regalarmi e sussurrarmi. Chissà quali bambini avevano tormentato? Chissà quante urla avevano strappato..
Mi addormentai. Non lo facevo da molto, molto tempo. Eppure, avevo solo voglia di riposare, di ritornare in forze.



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NA:
omg. it's happening.
okay, premetto subito che ringrazio tantissimo Megara X -vi linko il suo profilo, perché DOVETE visitare e leggere qualcosa di suo <3- per avermi permesso di continuare la sua FanFiction.
per quanto riguarda questo primo capitolo, spero che piaccia e che non sia troppo diverso -come personaggi- da quello che aveva scritto l'autrice.
fatemi sapere tutto, che siano impressioni positive o negative, ogni cosa è ben accetta.
per il resto, #tira su i bandieroni per la ship#
quantosonobelli?! #saltella fissando Pitch e Jack#
okay, ci vediamo per la pubblicazione del prossimo capitolo *_*7

paZZo e chiudo,
Shà <3

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Capitolo 2
*** parole scomode ***


!WARNING! LA SEGUENTE STORIA È IL SEQUEL DI QUESTA FANFICTION, SCRITTA DA MEGARA X. SI CONSIGLIA, QUINDI, LA LETTURA DELLA PRECEDENTE ONE-SHOT PER LA COMPRENSIONE DELLA STORIA. OGNI AVVENIMENTO A CUI FACCIO RIFERIMENTO FA PARTE DELL'ORIGINALE.
GRAZIE PER L'ATTENZIONE <3



 

[...]

Uno sbuffo mi risvegliò, bruscamente, nel silenzio della mia grotta mi accorsi che i miei Incubi erano completamente tornati -o quasi. Qualcuno ne mancava all'appello, ma dall'altra parte del globo era ancora notte, perciò.. sarebbero ritornati presti, non c'era dubbio. Mi issai lentamente sui gomiti, arrivando a sedermi, le gambe penzoloni su un precipizio che costeggiava i vari piani della mia casa fatta di roccia e guglie appuntite che, però, non sforavano e non ferivano alcun cielo azzurro, si confondevano solamente col nero del soffitto, pieno di stalattiti appuntite, antiche, che, a volte, si congiungevano a stalagmiti. Altre volte, il terreno era crollato, mostrando una profonda spaccatura, altre invece era crollato da una parte, inclinandosi e perdendo l'andatura orizzontale. Non era mai stato un problema, muoversi nella mia dimora. Mi piacevano quelle incongruenze nette, portate dalla distruzione, ma non avevo mai avuto un perché. O meglio, anche quello giaceva sotto secoli e secoli di solitudine, strappati alla mia mente per inerzia. Il mondo aveva cambiato il suo aspetto, ma non gli uomini. Gli uomini erano sempre uguali, così come lo ero io, immutabile, rappresentavo -assieme ai miei Incubi- la giovinezza uguale, o quasi, di coloro che si inerpicavano per la vita adulta.
Sospirai, soddisfatto, senza riuscire a negare che, in tutta quella visione, c'era qualcosa che mancava. Come se non quadrasse qualcosa.
Il momento in cui mi hai chiesto di essere la tua famiglia.
Scacciai con impeto quei pensieri. Illusioni. Erano solo illusioni. E forse era tempo di accettare che, forse, c'avevo davvero creduto, per un attimo. Era così vivido e convincente, ma io stesso sapevo quanto un incubo potesse esserlo. Mi ero fatto fregare due volte. Ero debole, mi dissi. Ero debole e disperato, per quella sconfitta.
Un piccolo campanello d'allarme risuonò nella mia mente. Fu un tintinnio cristallino, appena accennato, ma chiaramente presente, percepibile e chiaro. Socchiusi gli occhi, dissolvendomi nel buio e facendo disperdere la sabbia nera. Mi lasciai ricadere lungo la parete, un'ombra che si mischiava alle altre ombre, ora più chiare, ora più intense, quasi tangibili. Mi diressi là dove le mie ombre, la mia estensione, mi avvertivano. Come quando la tela di un ragno cattura una mosca e questa, agitandosi, non fa altro che attirare il predatore. Era più o meno lo stesso principio. Le ombre emanavano pensieri autonomi, propri, erano intelligenti e capaci di interagire solo con me.
Mi feci guidare, prendere per mano e trascinare là dove, in un piccolo tunnel, si aggirava una creatura estranea a quel luogo. Completamente e totalmente estranea. Sentii il respiro abbandonarmi per un attimo, quando -con sordo timore- notai il guizzo dei capelli argentei. Trattenni il fiato, sgranando gli occhi. Per un attimo, quella stessa sensazione di panico parve attanagliarmi. Il sogno -l'incubo- sembrava essere tornato ad assillarmi, come la prima volta che lo vidi dopo tanto tempo. E, anche se sapevo benissimo che lui non poteva conoscere nient'altro dei miei timori, non potei fare a meno di chiedermi se, all'improvviso, non si girasse come aveva fatto l'ultima volta, guardandomi negli occhi e ridacchiando sommessamente, con quell'aria spavalda e vivace, arrogante per certi versi, a coloro che si arrendevano alla vita.
Sotto certi aspetti, Jack era riuscito a rialzarsi là dove la mia volontà aveva ceduto, ma questo.. oh, questo era uno di quei pensieri che neanche io stesso mi sarei permesso di formulare, a nessuno, neanche alle mie preziose e carissime ombre.
«Pitch?» sentii gridare, seguendo il ragazzo attraverso le ombre dei tunnel. Le modellai, lentamente, senza che lui se ne accorgesse -era semplice, l'avevo già fatto e lui non aveva prestato troppa attenzione, l'ultima volta, per poter comprendere come funzionava il gioco. Lo feci girare in cerchio per un paio di minuti, tenendo sempre aperta la via d'uscita, nel caso in cui si fosse arreso. Invece, quello, anziché proseguire o tornare indietro, si fermò, bloccandosi totalmente e guardandosi attorno.
«Pitch! Vieni fuori! Lo so che ci sei!» esclamò di nuovo.
Sospirai, sommessamente, ancora nascosto nel mio antro scuro, protetto dalle ombre che, fedeli, mi mimetizzavano con loro stesse, coprendomi e sfiorandomi. Una saetta di ghiaccio ruppe le ombre con cui avevo avvolto Jack, facendogli imboccare l'ennesimo tunnel che si avvicinava al luogo in cui avevo raccolto tutti i dentini di Toothiana. Non poteva avanzare oltre, doveva capire che si trovava nella dimora dell'Uomo Nero, non chissà dove.
Sfruttai le ombre ai piedi dello spirito per creare un altro varco. Jack urlò e, sorpreso, finì nel vuoto, ricadendo su degli scalini e rotolando giù. Sentii qualcosa, forse un
«Lo sapevo che c'eri», ma -anche se fosse- ero troppo occupato a farmi trasportare nuovamente dalle ombre, alle spalle del Guardiano, materializzandomi a pochi passi da lui.
«Che cosa vuoi, Frost.» quelle parole erano dolorosamente familiari. Risuonavano nella mia mente, come un discorso programmato. Come se l'altro dovesse improvvisamente ripetere quelle stesse parole del sogno.  
Jack si tirò subito su, celere, saltellando indietro e puntandomi contro il bastone. Mi accigliai, impettito, mantenendo un'aria austera ed altezzosa. Non avrebbe avuto neanche la possibilità di lanciarmi contro una delle sue saette, se solo avessi avuto più forza e prontezza di riflessi, come avevo sperimentato durante la battaglia contro i Guardiani -o i Secoli Bui.
«Bella accoglienza, eh, per chi viene a farti visita.» rispose lo Spirito del Gelo, scrutandomi dritto negli occhi con un sorrisetto impertinente.
Cosa voleva? Prendersi nuovamente gioco di me? Assillarmi inconsciamente con le allucinazioni provocate dal mio sogno? Lo scrutai, dritto negli occhi, senza nascondere la mia ostilità. Cosa voleva? Era forse un gioco? Beh, sarebbe stato difficile non esserlo: d'altra parte, si trattava proprio di Jack Frost, il Guardiano del Divertimento. Il silenzio si fece assillante ed assordante, man mano che l'altro attendeva una risposta. Risposta che non ero intenzionato a dargli. Finché, alla fine, la sua espressione non mutò in una lieve sorpresa.
«Pitch Black che non ha niente da ribattere.. questa sì che è nuova!» esclamò, ridacchiando. «Hai mica battuto troppo forte la testa? Non è che ora inizi a parlare al femminile e vestirti di rosa, heh?» cantilenò, facendomi solo venire una gran voglia di tappare quella bocca. Mi accigliai, visibilmente, sibilando un'offesa a fior di labbra.
«Vuoi forse fare la fine del topo, Frost? Posso accontentarti, se hai voglia.» assunsi un'aria minacciosa, adombrando il volto e sciogliendo la presa delle mani da dietro la schiena, così da poterle stringere in un paio di pugni.
«Non penso proprio che farei la fine del topo, Pitch. Non hai abbastanza potere per potermi battere.» un nervo mi fece guizzare il sopracciglio in un tic nervoso. Aveva ragione, ma potevo sempre dargli del filo da torcere. Non avere la sabbia nera era una bazzecola, se potevo far affidamento su anni di insegnamenti di strategia militare e la mia capacità di trasportarmi attraverso le ombre.
Mi mossi, ma non mi feci vedere. Le ombre mi trasportarono in avanti, sotto ed oltre lo Spirito, rimanendo ad una spanna dalle sue spalle.. così snelle ed esili, era strano pensarle capaci di trasportare su di sé trecento anni di solitudine e autonomia. I pensieri erano mischiati assieme, ma il mio primo pensiero veniva rivolto all'obiettivo finale: spaventarlo, intimorirlo, dimostrargli che ero ancora capace di fargli del male.
«Non penserai certo che gli Incubi fossero la mia unica arma, vero?» chiesi, in un tono che fece intendere tutto e niente. Cos'altro poteva esserci, oltre alla sabbia nera? Le mie capacità, o forse un asso nella manica.
Lo sentii fremere e poi scattare via in un'esclamazione di sorpresa. Ridacchiai, forte delle mie convinzioni. Avevo la situazione in pugno, sarebbe andato tutto bene, secondo i piani. Frost se ne sarebbe andato ed io sarei potuto rimanere da solo, a progettare la prossima mossa.
«Mpf, che vuoi fare? Prendermi a calci? Se ti congelo le gambe non andrai più da nessuna parte, heh!» e sorrise, mentre il bastone brillò di una luce fredda, ghiacciata, ma nessuna saetta si palesò, né mi costrinse a schivarmi. Solo a prepararmi ad un'eventuale uscita di scena attraverso le ombre.
«Sei davvero venuto qui per fare una gara a chi saprebbe difendersi meglio?» chiesi, cambiando argomento all'improvviso. Era noioso. Non mi sarei messo a discutere con un diciassettenne -per quanto longevo- per simili dispute. Potevo benissimo provargli che le mie parole erano veritiere e le sue infondate.
«Hai ragione.» rispose l'altro, raddrizzandosi e fissandomi dal basso verso l'alto, ma sempre con il mento dritto, neanche se ne rendeva conto, probabilmente, di quanto lo facesse apparire fiero e sicuro di sé, quell'atteggiamento. Forse era proprio quella spavalderia ad aver celato a chiunque i suoi effettivi desideri. Non era certo un Guardiano come tutti gli altri; era un ragazzino, che sperava di essere all'altezza del ruolo e che era riuscito a farsi vedere, a non essere più invisibile. Era felice e spensierato, come solo coloro che hanno raggiunto i loro obiettivi possono essere. Cosa succede quando i sogni si realizzano? Jack Frost ne era un esempio. Eppure, nonostante tutto, mi chiesi se avesse anche dimenticato quella sensazione di solitudine, se si potesse davvero staccarsene nonostante tutti i bambini che credevano.
«In realtà ero qui per vedere come te la passavi nel tuo buco freddo e solitario.» continuò Jack, la voce che sembrava quasi volermi canzonare. Cosa c'era di così divertente in quello che aveva appena detto? Una risata mi sgorgò senza poterla trattenere, carica di sarcasmo. Sorrisi e le mie spalle sobbalzarono.
«Ah, sì?» chiesi.
Non capivo, minimamente. Solo il.. -giorno? Quanto era passato? Mi ero addormentato e non avevo neanche preso la briga di controllare se fossero passate ore o giorni- ..beh, l'ultima volta che l'avevo visto non si era fatto il minimo scrupolo ad attaccarmi, senza neanche una buona motivazione. Proprio ora che gliene stavo fornendo milioni, invece, non faceva nulla. Per non parlare del fatto che il modo in cui Jack mi rispondeva, non faceva nient'altro che irritarmi. Venirmi a trovare. Sembrava quasi come se stesse facendo l'elemosina ai poveri senzatetto che, ogni tanto, si facevano assillare dai teppisti per strada.
«Oh, andiamo, mettiamo giù le armi per una volta, che ne dici? Mica ci hai lasciato molta scelta! Capisco che ce l'hai con noi, ma pensavi davvero che ce ne saremmo rimasti fermi con le mani in mano?» chiese, all'improvviso, incrociando le braccia e mostrando un bel cipiglio, l'aria critica. Come se poi non l'avessi saputo anche da solo. Ero stato sconfitto, ma non solo per sfortuna o sorte: avevo fatto un errore di calcolo. Ero troppo sicuro di me, anziché controllare quali luci si spegnessero sul globo -dal mio globo-, avevo pensato di andare a fare una visita ai Guardiani, per godermi l'orrore che si sarebbe dipinto sulle loro facce e gustare il terrore che quella nuova realtà avrebbe scaturito. Oh, quant'era stato dolce, quanto mi aveva compiaciuto vederli contorcersi man mano che le luci si spegnevano. E poi, quell'improvvisa speranza portata dall'Ultima Luce, tale Jamie Bennett, aveva bruscamente interrotto il mio piccolo momento di gloria e soddisfazione personale.
«Noi?» la mia voce fu un sibilo involontario, tradiva più di quanto avessi voluto la rabbia che provavo. Una risata sprezzante ruppe il silenzio che seguì. «Non c'è mai stato un voi, Frost. Loro avevano tutto da perdere: ti è mai passato per l'anticamera del cervello che volessero solo sfruttare il tuo potere?» arcuai un sopracciglio.
Jack parve irrigidirsi a quell'insinuazione.

«Non è vero, non sai cos'hanno fatto per me.» rispose, serio, lapidario. Sembrava davvero convinto. Ma, semplicemente, l'idea di poter insinuare il seme del dubbio nella sua mente fu più allettante di quanto pensai.
«E cos'è che avrebbero fatto per te, esattamente?» la mia espressione sembrò parlare per il resto della frase -illuminami, pensai e mimai sul volto. «Hanno forse recuperato i tuoi ricordi? Oppure hanno permesso che sfruttassi questa tua debolezza?» chiesi, conscio che ricordare un simile episodio non avrebbe fatto niente, se non aumentare il suo disprezzo nei miei confronti.
...
Mi dovetti correggere. Era davvero importante, che quel ragazzino potesse disprezzarmi anche solo un po' meno? Corrugai la fronte, a quel pensiero, scacciandolo il più velocemente possibile. Non era il momento di distrarsi. I miei desideri personali non divergevano dai miei obiettivi finali. E farmi apprezzare da Frost non era certo fra le prime aspettative in cima alla mia lista.
«Hanno forse aiutato qualche bambino a credere in te? Non hanno forse lasciato a te tutto il 'lavoro'? Se così vogliamo chiamarlo.» aggiunsi, vedendolo traballare in mezzo alla sua fortezza di carte. Non era così sicuro, in fin dei conti. Chiunque era facilmente influenzabile da tante belle promesse.
«Io sono un Guardiano! Se avessi bisogno di aiuto, loro ci sarebbero!» sbottò lui, battendo il bastone per terra e congelando una porzione di terreno attorno ai suoi piedi. Sembrava proprio che l'avessi fatto arrabbiare.
Sorrisi, seppur contenendo quello che sarebbe potuto diventare un ghigno. Se non fosse stata per quell'ostinazione che mostrava il mio interlocutore, sarebbe stata una conversazione molto più interessante e divertente. Era come parlare ad un bambino.
«Se ne sei proprio convinto, Jack..» mi strinsi nelle spalle, lasciando cadere il discorso. «Tornando all'argomento che più mi preme.» aggiunsi, risvegliando involontariamente la sua curiosità. «Quand'è che mi libererai dalla tua presenza?» chiesi, nuovamente, scrutandolo dritto negli occhi. Era un volto delicato solo in parte, altri tratti avevano già iniziato a prendere i tipici spigoli del volto di un ragazzo che si affaccia all'età adulta. Eppure, quella crescita era stata brutalmente bloccata dal freddo di un lago, che lo aveva imprigionato in quel corpo, congelandone l'animo e trasformandolo in qualcos'altro, grazie all'intervento dell'Uomo nella Luna.
Lo Spirito fece una smorfia.
«Sei proprio un vecchio scorbutico, eh, Pitch?» chiese, iniziando a camminare sul ghiaccio, scivolandoci sopra con innata agilità. Cacciai la sua immagine di quando giocava a fare l'equilibrista sul muricciolo del mio sogno. Non era effettivamente lo stesso contesto, mi ripetei.
«So solo distinguere fra i miei nemici ed i miei alleati, Frost, è ben diverso.» sorrisi, mellifluo, nel mentre che lo seguivo con lo sguardo. «Cosa che -decisamente- dovresti imparare a fare anche tu.» conclusi, sospirando.
«Mh? Perché mai dovrei?» chiese lui, arcuando un sopracciglio.
Mi trattenni dal passare la mano destra sul volto per stropicciarlo e massaggiare i miei poveri nervi.
«Questa conversazione sta sfiorando il ridicolo.» esordii, tornando a scrutarlo. «Dimmi cosa vuoi, Frost, e poi vattene.» conclusi, nuovamente, indicandolo con aria esasperata.
«Farti divertire, ovviamente!» esclamò lui, come se fosse la cosa più ovvia di questo mondo.
Rimasi per un attimo in silenzio, non potendo evitare un moto di confusione e shock. Divertirmi? Cos'era, aveva seriamente perso una scommessa? Poteva davvero capitare una cosa del genere?
«Ed io che pensavo fosse Nord l'insano svitato.» osservai, incrociando le braccia al petto, sfarfallando le palpebre.
«Hey, è Olandese.»
«E questo giustificherebbe..?»
Rimase in silenzio. Forse voleva fare una battuta..? Era una battuta?
«Oh, ah. Aspetta.» lo anticipai, prima che potesse dire qualcos'altro. «Ah. Ah. Ah.» ovviamente, l'enfasi fu prossima allo zero assoluto. A quella chiara presa di giro, Jack parve imbronciarsi. Proprio come i bambini, adorabile, riflettei fra me e me.
Ridacchiai stavolta, più per la sua reazione, che per altro.
«Beh, almeno abbiamo oltrepassato la fase esci-da-casa-mia-altrimenti-ti-uccido.» concluse lui, rilassandosi visibilmente. Oh, ma com'era facile fargli abbassare la guardia? Come poteva essere lui un Guardiano? Sul serio, Manny, con quale criterio l'hai scelto stavolta?, pensai.
Uno sbuffo fu la mia risposta. Almeno, inizialmente.
«Non pensare di farmi cambiare idea, sto ancora cercando un modo per farti andare via.» lo redarguii, corrugando la fronte. «Io non ho la soglia d'attenzione di una mosca, al contrario di qualcuno.» e sorrisi, vedendo l'espressione mutare sul suo viso, man mano che ci arrivava.
«Ehi.» protestò. «Questo era un colpo basso.» sbuffò, distogliendo lo sguardo. «E comunque, che ti cambia buttarmi fuori con le tue ombre? Potresti benissimo farlo..»
«Per poi rischiare di vederti ritornare e doverti ri-buttare fuori? No, grazie, preferisco che sia tu a capire. Così non farai nuovamente l'errore di tornare.» spiegai, paziente. Forse ci sarebbe arrivato? Era strano parlarci così, ora che non c'era nessuna guerra a tenerci lontani e tesi su un campo di battaglia.
«Nah, penso che tornerei comunque: so essere molto cocciuto, quando mi ci metto.» sembrò una minaccia, alle mie orecchie. Quella era una minaccia, nonostante fosse stata detta in tono tranquillo, come se stesse constatando un semplice fatto.
«Nel caso, vedrò di farti trovare delle pessime sorprese nell'ingresso.»
«Allora mi intrufolerò da altri cunicoli.»
«Non ci sono altre entrate.»
«Userò i globi di neve di Nord!»
«Per tutti gli incubi..» esalai, a corto di idee. «Conosci l'espressione 'essere una palla al piede'? Ci stai riuscendo perfettamente.» lo misi al corrente, così, per pura e semplice nozionistica.
«Ah. Ah. Ah. Pitch.» ribatté lui con un'espressività eloquente: quanto sei divertente.
«Visto? Impari in fretta, ora togliti di mezzo e risparmiami la tua vista per il prossimo secolo -anzi, mai sarebbe meglio.» mi voltai, dandogli le spalle ed incamminandomi oltre il ponte mezzo crollato, ignorando anche il globo di metallo. Non sentii un rumore dietro di me, neanche un fruscio di abiti. Sapevo che per Jack non era difficile spostarsi, ma un impeto di curiosità riuscì a farmi voltare. Era per controllare che se ne fosse andato, mi ripetei. E non lo trovai nel punto in cui l'avevo lasciato. Era vuoto e deserto.
Una piccola fitta mi trapassò il cuore, mentre una smorfia mi attraversava il volto, mi voltai e gli occhi mi caddero inevitabilmente su..

«Ti avevo detto di andartene o sbaglio?!» sbottai, all'improvviso. Un fiotto di paura attraversò i miei pensieri. Per un attimo, ebbi paura che l'altro avesse notato la mia smorfia, il mio comportamento. Poi, con mio grande sollievo, notai che mi dava le spalle quasi del tutto e che il suo sguardo era occupato a scrutare il globo di metallo, spoglio, adornato delle sole luci dei bambini che credevano nei Guardiani.
«Sul serio, Pitch, perché resti qui dentro?» chiese lui, all'improvviso. «Ogni giorno questo non ti ricorda cose spiacevoli?»
Trattenni il respiro per un attimo, sfarfallando le palpebre, confuso. Sulle prime, la reazione che quelle domande mi suscitarono non sarebbe stata minimamente positiva. Avrei voluto aprire un passaggio sotto i suoi piedi e farcelo cadere dentro, fino a trasportarlo fuori da lì. Invece, presi un respiro profondo, sperando che lui non lo sentisse. Già, perché? Perché restavo lì, nonostante quel globo non portasse altro che miseria e sconforto nei miei pensieri?
Non ero certo uno di quei malvagi stereotipati e insulsi che vivevano nei film. Nessuno che vivesse la sua solitudine senza subirla. Il mio tempo era occupato dai miei piani per poter riconquistare il mio potere, per far sì che i bambini mi credessero. Perfino nei libri, quando le poche volte si parlava dei cattivi, nessuno li mostrava alle prese con i loro pensieri, con le loro coscienze. Possibile che fosse un evento così insolito?
A quale lettore interesserebbe sapere cosa prova il cattivo della storia? L'importante è sconfiggerlo, quella fu la mia risposta, molte volte, mentre anche l'ennesimo libro finiva buttato giù per un crepaccio senza neanche finire di leggerlo. Tutti dedicati al bene, a coloro che subivano o trionfavano. Non c'era realmente un libro che facesse trionfare quelli come me. Era l'insegnamento che il mondo tramandava a sé stesso, benché ci fosse molto più male di quel che chiunque potesse credere. Quante volte avevo sentito, per puro caso, le persone lamentarsi che la giustizia non esisteva?
Dunque, perché quel concetto funzionava solo per gli Umani e non per me? Dov'era la mia giustizia? La esigevo da così tanto tempo che, per un attimo mi persi per ricordare da quanto tempo avevo iniziato a cercarla. E, man mano che riflettevo, più che mi perdevo nei miei ricordi. Tanto che fu uno schiocco improvviso a farmi sollevare lo sguardo.
«Yu-hu? Terra chiama Pitch.» chiamò Jack, battendo nuovamente le mani e facendomi corrugare la fronte.
«Vattene, Frost.» ribadii, dandogli le spalle ed iniziando ad incamminarmi verso la prima macchia scura che si trovasse nell'enorme salone diroccato.
«Non hai risposto alla mia d–»
Senza neanche avvisarlo, mi lasciai cadere nelle ombre, scomparendo alla sua vista ed anche alla mia vista, perdendo i miei margini ed i miei contorni all'interno di esse. Una sensazione fastidiosa mi attanagliava lo stomaco, contorcendolo.
Che razza di codardo, scappare così di fronte alla prima domanda difficile.


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NA:
say whaaaat? (?)
capitolo numero 2, genteH *ç* #esaltata#
this is going too far.
ringrazio ancora Megara X, della quale trovate il link nel primo capitolo, per avermi permesso di pubblicare questa fanfiction -fanfic su altre fanfic, dove finiremo?-
e spero che piaccia anche a lei il seguito *U*
a breve le cose si movimenteranno, spero -anzi, prometto-

paZZo e chiudo,
Shà <3

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Capitolo 3
*** senza paura ***


!WARNING! LA SEGUENTE STORIA È IL SEQUEL DI QUESTA FANFICTION, SCRITTA DA MEGARA X. SI CONSIGLIA, QUINDI, LA LETTURA DELLA PRECEDENTE ONE-SHOT PER LA COMPRENSIONE DELLA STORIA. OGNI AVVENIMENTO A CUI FACCIO RIFERIMENTO FA PARTE DELL'ORIGINALE.
GRAZIE PER L'ATTENZIONE <3



 


[...]

I piani filavano lisci. Filava tutto liscio come l'olio. Era tutto perfettamente e stranamente tranquillo, nonostante le notti di quei bambini non-credenti venissero affollate costantemente da incubi. Amavo gli incubi anche per altri piccoli particolari. Era più facile, per chiunque, ricordare un incubo che un bel sogno. Perciò, qualcuno di essi aveva iniziato a notare sagome scure che si muovevano nell'ombra. Esseri sinuosi dagli occhi dorati che inseguivano i loro sogni, come i cavalli selvaggi inseguivano il vento nelle praterie. Ero in piedi ai lati del letto di una bambina, godendomi la sua vista afflitta e preoccupata dall'evidente incubo che stava avendo.
Stavano migliorando, poco a poco, seppur non era niente di impressionante e potente come lo era stato una volta. Mi accontentavo, non potevo certo fare altro, per il momento. Bisognava avere pazienza ed attenersi al piano. Erano passate settimane e, con mio grande sollievo, Frost non si era minimamente fatto vedere. Ignoravo il costante sentore di solitudine che mi assillava ogni tanto, seguito da quella domanda che l'altro mi aveva rivolto, segnando la fine della discussione.
Poco a poco, avevo iniziato a creare una mappa di dove si trovassero i bambini che iniziavano anche a dubitare dell'esistenza dei Guardiani, affacciandosi all'età più matura, ma senza ancora volersi abbandonare definitivamente a quelle false speranze. Era facile farli vacillare ancora di più, farli sentire non protetti, scoperti. I loro eroi non sarebbero stati lì per proteggerli, perché se dal Globo qualche luce scompariva era solo che naturale. Ogni anno, la “vecchia” generazione cresceva e perdeva interesse, soppiantata da quella nuova, più giovane e suscettibile.
Gli Incubi meglio formati, perciò, erano stati inviati da loro, mentre invece quelli più “giovani”, per così dire, li guidavo e li crescevo da solo. Serviva, soprattutto, a tener occupata la mente da pensieri e questioni scomode. Era più facile dimenticarsi di qualsiasi cosa potesse affliggere i miei pensieri, se ero concentrato su qualcos'altro di più importante. Il che, fortunatamente, occupava la stragrande maggioranza del mio tempo, visto che come sorgeva l'alba in un emisfero, dall'altra parte calava l'ombra.
Così, nel mentre che attendevo che la notte si facesse inoltrata, mi lasciai ricadere nuovamente nelle ombre, ritornando nella mia casa diroccata e scura. Sospirai appena, iniziando ad incamminarmi all'interno dei vari tunnel. Lentamente, m'insinuai nel dedalo che, ormai, conoscevo a menadito. Ogni piccola deformazione, ogni cambiamento di direzione. Quali fossero crollati e quali no. Poco a poco, raggiunsi una nicchia abbastanza grande ed alta da permettermi di restare in piedi e camminarci all'interno. La rientranza nella roccia si allungava, poi, alla mia destra, lì dove un paravento esotico celava parzialmente alcune scatole. Era un po' un angolo dei passatempi, quello. Carte d'epoca, scacchiere in avorio ed ebano, oggetti di ogni dimensione che nel tempo avevo semplicemente arraffato perché mi piacevano e mi interessavano. Una semplice collezione. Stavo per avviarmi oltre di esso, quando un movimento attirò la mia attenzione. La grotta era stata riempita di cuscini di un ocra scuro, caldo, simile all'oro sporco che colorava gli occhi dei miei Incubi, assieme a rifiniture rosse e calde, anch'esse scure. Uno stile molto orientaleggiante, assieme ad un tavolo basso, circolare di ebano. E, proprio su uno dei cuscini, un arabesco ghiacciato si diramava in un disegno ordinato ed intricato, fatto di tanti minuscoli cristalli. Trattenni il fiato per un attimo.
Com'era arrivato lì?
«Frost!» sentii gridare alla mia voce, in un impeto di rabbia ormai più trattenuto.
Eppure, non l'avevo visto nei tunnel, perciò, poteva solo significare che avesse davvero usato qualcosa per teletrasportarsi via.
Un colpo di tosse mi fece distogliere lo sguardo dai cuscini e dal resto della grotta, nel mentre che mi voltavo -frenetico- a cercare la faccia strafottente dello Spirito del Gelo. Me la ritrovai in alto. Troppo in alto per essere effettivamente la sua statura normale. Difatti, oltre che in alto, era anche al contrario. Si era rifugiato, a quanto pare all'ultimo secondo, all'interno della nicchia situata sopra l'ingresso del tunnel.  
Feci per aprire bocca, ma lui alzò le mani in segno di.. resa? Sembrò intimorito.
«Come hai fatto ad arrivare fin qui?» chiesi a denti stretti, serrando la mandibola così forte da farmi quasi male. «Dammi un buon motivo per non ucciderti ora e subito, Frost!» più che un’esclamazione, sembrò un ringhio il mio, senza neanche permettergli di rispondere.
«Te l'avevo detto che sarei tornato! Ma non c'eri mai, quindi..» si strinse nelle spalle, iniziando a muoversi con gesti impacciati, fino a scendere giù, adagiandosi avanti a me, il bastone stretto nella mano destra. «Insomma, che ne sapevo che avevi la stanza dei ricordi -o quel che è..!» stava ironizzando, o cercando di sdrammatizzare?
In entrambi i casi, la mia reazione fu più che chiara: non era uno scherzo. Non riuscii a trattenere la mano che, veloce, schizzava verso la sua gola, afferrandola e tirandolo su di peso, sollevandolo fino a premerlo contro il muro. Emise un grido soffocato di sorpresa, afferrandomi il polso con entrambe le mani -e facendo anche cadere il bastone- come se quel gesto potesse bastare a farmi allentare la presa. Quando notò con la coda dell'occhio il bastone per terra, riuscii a percepire le sue paure che, taglienti come il ghiaccio, s'insinuarono nei suoi pensieri. C'era confusione, preoccupazione per quel mio gesto, per il mio volto, per.. ciò che aveva fatto? L'ho offeso. L'ho offeso e manco posso biasimarlo.
Rimasi in silenzio, nel mentre che lui scalciava qua e là, inutilmente. Finché le paure non iniziarono a cambiare, bruscamente, come un lampo a ciel sereno. Vidi lampeggiare un cielo vacuo e liquido, scuro, freddo. Si muoveva come l'acqua, sospeso sopra la mia testa -o meglio, sopra la testa di Jack. Le mani che si muovevano freneticamente per cercare di raggiungere quella luce bianca, improvvisa, ritagliata da delle lastre di ghiaccio. E poi, con orrore, realizzai che non era il cielo ad essere liquido, ma la superficie del fiume che, lentamente ed inesorabilmente, si allontanava. Così come realizzai l'assenza del respiro e sperimentai i ricordi di terrore, perché non respiravo. Perché sarei morto. Perché Jack era..
Mollai bruscamente la presa, facendolo cadere a terra in un colpo di tosse forte ed improvviso. Eppure, i miei occhi rimasero fissi avanti a me, ancora preda di quella paura. Una sensazione di nausea mi attanagliava la bocca dello stomaco, facendomi rivoltare le viscere. Le paure erano nettare, solitamente. Come mai, allora, stavolta sembravano più veleno? Abbassai lo sguardo, spaesato ed esitante, osservando il ragazzo esile e sottile sotto di me, ai miei piedi, raggomitolato ed ancora scosso dai colpi di tosse.
Le labbra si erano schiuse in una lieve sorpresa mista ad orrore. Le richiusi di scatto. Sentivo la bocca asciutta e secca. Uno spaventoso e freddo vuoto nella mia mente, come se non riuscissi più a pensare a nient'altro. Le parole sfuggivano prima ancora che potessi pensare ad esse. Fu come cercare di afferrare la sabbia. Scivolava via dalle mie dita, così le parole sembravano bloccarsi tutte assieme subito prima della mia bocca e, proprio quando cercavo di farle uscire, sparivano in un sol colpo.
Realizzai che, all'improvviso, mi ero fissato a scrutare gli occhi di Jack e che lui, di rimando, mi stava osservando. Non appena realizzò il contatto visivo, lo Spirito lo interruppe bruscamente, voltandosi e cercando di afferrare a tentoni il bastone che, poco lontano, giaceva malamente a terra.
Feci per muovere un passo, ma una raffica improvvisa di vento mi investì, portandosi via il corpo del ragazzo attraverso i tunnel. La mano mi lanciava delle piccole fitte, ma ignorai il ghiaccio che si era formato su di essa, così come si era formato sulla parete contro cui era finita la schiena del Guardiano.
Rimasi in silenzio per un attimo, in un moto di indeterminazione che parve eterno. Ebbi l'amara sensazione di star per rifare lo stesso errore, la stessa scelta sbagliata. La stessa identica fossa in cui ero inciampato. E mi voltai verso il tunnel, immergendomi nell'ombra e scivolando velocemente, all'inseguimento del ragazzo. Lo ritrovai facilmente, ancora intento a cercare la strada per uscire da lì. Sembrava davvero convinto. Sarei dovuto esserne felice. Finalmente aveva compreso che non poteva restare là, a farmi “visita”. Eppure, non potei evitare un moto di amara delusione a riguardo. Cos'altro mi aspettavo?
Sobbalzò, quando per poco non mi impattò contro, trattenendo un'esclamazione. Sentii il timore montargli in testa. Timore per cos'altro avrei voluto fare.
«Senti.. Senti, mi dispiace, okay? Non l'ho fatto apposta, non lo sapevo!» esclamò, stringendo convulsamente il bastone fra le mani. Ora sì che riconoscevo quelle paure. Reverenziali, timorose, inquietate dalla mia presenza. Il Re degli Incubi non faceva nessun altro effetto. Ci voleva molto a capirlo?
Rimasi ugualmente in silenzio, scrutandolo negli occhi.
«Sta' lontano da me, Jack.» sentenziai alla fine, serio, quasi greve nel tono. Sembrava una condanna, più che un avvertimento. Eppure, la sua reazione sorpresa fu inaspettata. Non capii subito, ma sperai che non fosse sicuramente per l'amarezza che cercavo disperatamente di nascondere ai suoi occhi. Stava relativamente bene, almeno. Era di questo che volevo accertarmi? Di non averlo ferito troppo?
La sua sorpresa, infine, si trasformò in un'espressione ostile, quasi infastidita e sprezzante. Non riuscii ad interpretarla. Non volevo interpretarla.
 

Alla fine, il ragazzo riuscì a ritrovare la via d'uscita dai tunnel. Lo seguii nelle ombre fin quando non fu fuori. Rimasi nascosto, dietro uno dei tanti massi, finché non divenne un puntino bianco in mezzo alle nuvole, trascinandosele dietro, scomparendovi all'interno.

[...]

C'erano molte cose che non riuscivo a spiegarmi. Ovviamente si trattava di "cose" di cui non avrei neanche voluto interessarmi. Avevo, momentaneamente, perso interesse nel mio scopo principale: nutrire ed accrescere i miei Incubi. Me ne stavo in silenzio, annoiato, a fissare i vari bambini che finivano per addormentarsi e contorcersi fra le coperte, cercando di sfuggire alla mia ombra e alla mia risata, mentre la sabbia nera si cibava della loro paura e dei loro spaventi. La mia mente roteava attorno ad un'unica, insolita e fastidiosa immagine. Il volto di Frost prima sorpreso, poi ostile. Cercavo in tutti i modi di togliermelo dalla testa, ma inutilmente. Sembrava più una maledizione, che altro. Neanche fossi improvvisamente tornato umano e fragile. Da quando i miei pensieri erano così incontrollabili ed autonomi? Non mi piaceva minimamente la sensazione di dipendenza e l'influenza che quel ragazzino esercitava su di me. Inaccettabile, soprattutto perché era stato un nemico -e solo gli stupidi si fidano dei nemici. Io non ero uno stupido.
Avevo perfino sfiorato delle ipotesi, nel corso dei giorni: rapire Frost e costringerlo a stare con me, benché poi sarebbe sicuramente toccato lottare contro gli altri deviati dei Guardiani; cercare Frost per tentare di farlo cambiare con le buone, nascondendomi dietro un atteggiamento meno ostile -e poi pensai che manipolarlo sarebbe stato ignobile e degno di me, di qualcuno che restava sempre nella parte sconfitta. Se Frost l'avesse mai scoperto, cosa sarebbe potuto succedere?
Le opzioni erano tante e fin troppo ridicole. Non avrei finto di essere qualcosa che non ero. Per quanto riguardava ottenere ciò che volevo con la forza ed i sotterfugi.. Beh, si trattava totalmente di un discorso diverso.
Rimasi per tutta la notte immobile, nello stesso punto, in piedi vicino al letto dell'ennesimo bambino che non credeva nei Guardiani, scrutandolo mentre si contorceva e mormorava. 
Sapevo che si sarebbe svegliato, prima o poi, ma non avrebbe visto nient'altro che la sua stanza. Mi voltai, iniziando a curiosare sulla scrivania piena di cartacce scarabocchiate e matite. C'erano disegni -se di disegni si poteva parlare.
Un'esclamazione provenne dal bambino, nel mentre che altre coperte si muovevano. Il respiro affannato che irrompeva nel silenzio del buio. I lampioni gettavano ombre trasversali sul letto, lungo le coperte. Una di esse incontrò il mio volto, mentre mi voltai per osservare il bambino dai capelli mori e gli occhi a mandorla sollevarsi a sedere, ancora cieco e spaesato, mentre l'ombra dell'Incubo si dileguava, turbina di in mia direzione ed attorcigliandosi al mio corpo, risalendo dal busto, concentrandosi nel palmo della mia mano. Lo mossi lentamente, movimenti circolari ed armonici, ormai abituali, prima di stringere le dita e dissolverla. Il bambino, lentamente, sembrò calmarsi. Eppure, quando si voltò in mia direzione, non rimase in silenzio passando oltre, bensì trattenne il fiato e rimase.. a fissarmi.
Fissarmi?
Rimasi impassibile, raddrizzando la schiena in un piccolo accenno di curiosità e attesa.
«Ch-chi sei?» non era inglese, quella lingua. Thailandese.
Curvai la testa da un lato. Riuscivano già a vedermi?
«L’Uomo Nero.» risposi con flemma nella voce, mantenendola fredda e distaccata.
«Sei in camera mia.. Non abbiamo niente --non c'è niente da rubare.» balbettò, guardandosi attorno spaesato.
«Oh, ho già ottenuto quel che volevo, non preoccuparti.» sorrisi. Negli occhi notavo il mio riflesso, o meglio, il riflesso argenteo della luce che trapelava dalle persiane, disegnando una silhouette netta e sottile, elegante.
«Oh, no!, ti prego, mia madre è sola! Non può mantenermi ancora per colp-»
«Chi ti fa credere che sia interessato ai vostri effimeri beni materiali, marmocchio?» lo interruppi, fissandolo. «Hai già nutrito i miei Incubi, così tanto da aver paura dell'ombra, di me.» sibilai, avvicinandomi di un passo. «Io sono l'Uomo Nero e tu ora crederai nella mia esistenza.» conclusi, la voce greve, bassa.
Il bambino rimase in silenzio, osservandomi in un misto di confusione e diffidenza.
«Non.. Non t'interessa dei nostri soldi?»
Era realmente tutto ciò che l'altro aveva capito del discorso?  
«Voi umani e l’attaccamento a simili oggetti materiali..» sbuffai, roteando le iridi al cielo. «Come se fossero eterni.» e feci anche per andarmene.
«A-aspetta!» mi fermai. In realtà non avevo voglia di andarmene. Andarmene sarebbe significato dover trovare qualcos'altro da fare per tenere occupata la mente dai soliti pensieri. Mi voltai a vederlo. «Se.. Ti basta davvero che io creda in te?» chiese.
Annuii nuovamente, annoiato.
«Allora crederò per sempre in te..! P-però.. Tu potresti farmi un favore?»
Arcuai un sopracciglio, come se poi l'altro fosse in grado di dettare le leggi di quel gioco. Ma sembrava divertente, perciò rimasi in silenzio, senza ancora dire niente. L'altro, mal interpretando, sembrò spronato a parlare ancora, spiegandomi cosa mai avrei dovuto dargli in cambio per la sua "fede".
«Ci sono degli uomini che hanno rubato a mia madre tante cose e a volte la minacciano.. Per favore, tu puoi farli smettere?» la sottospecie di letto su cui era seduto -un materasso steso a terra con delle coperte, senza neanche un cuscino- venne scoperto quando il bambino tolse le coperte, mostrando una gamba steccata e livida, probabilmente rotta o fratturata. «Io non riesco mai ad aiutarla, ma tu.. Tu potresti?»
Sembrava esitante, smontato dal mio silenzio. Lo sguardo sembrò pormi una domanda: allora?
Emisi uno sbuffo che, però, assomigliava molto ad una risata. «Credi davvero di essere nella posizione di avanzare delle richieste, marmocchio?» chiesi, senza mai sorridere, mantenendo un'espressione sprezzante ed infastidita. «Credi forse che non mi nutrirò ugualmente delle tue paure solo perché tu minacci di non credere più in me? Io sono il Re degli Incubi, non uno di quegli stupidi beniamini che tutti i tuoi simili stimano ed adulano.» il bambino emetteva paura da tutti i pori. Potevo annusarla, assaggiarla e vederla, erano come delle parole, dei flash che comparivano nella mia mente. Continuai, imperterrito. «Perciò rivolgiti all'umanità di qualcun altro, poiché io non ne ho.»
Il bambino inizialmente parve spaesato, prima di cercare di alzarsi ed allungare le mani verso di me.
«Aspetta! Per favore-!!»
Mi dileguai nelle ombre, sospirando all'eco di quelle parole e sentendo le mani del bambino che picchiavano sulle ombre che mi avevano ospitato pochi istanti fa. Soffiai via l'aria, nel mentre che mi dirigevo nella mia dimora fatta di pietra e solitudine. Pace e silenzio, finalmente.

 

Un movimento attirò la mia attenzione. Le ombre erano nuovamente in subbuglio, nel mentre che qualcuno le attraversava, velocemente. L'ennesima immagine che non avrei voluto vedere. Sospirai, ma stavolta neanche mi mossi, quando la cesta di capelli bianchi e ribelli comparve all'ingresso dell'enorme atrio, circondato da ponti e passaggi diroccati. Un alone di freddo iniziò a disperdersi dalla sua figura, come faceva sempre, congelando tutto ciò che poteva avere vicino, qualunque cosa fosse. Stavolta, la semplice e già fredda pietra.
«Pitch!» mi chiamò, facendomi però rimanere in piedi dov'ero.
Stavo scrutando il globo illuminato dalle mille e più luci che credevano nei Guardiani, in coloro che tutti gli adulti -o quasi- chiamavano favole, bazzecole per bambini.
Sospirai, nuovamente, socchiudendo le palpebre e passandomi un paio di dita sulle tempie massaggiandole. «Devo ammettere che sei più ingenuo di quanto dai a vedere.» mormorai, voltandomi ad osservarlo con aria seria, impassibile, mentre le immagini di ricordi recenti mi passavano davanti agli occhi, celati a quelli azzurri dell'altro. Almeno erano passate parecchie settimane, da quando Frost aveva deciso di farsi vedere.
«Cosa? Hey!» fece lui, offeso. «Aspettavo che ti passasse il momento da devo-essere-il-cattivo-perché-ho-deciso-così.» corrugai la fronte.
«Devo essere perché ho deciso io così?» ripetei i concetti che più mi premevano della questione. «Magari sono semplicemente nato così, non credi? La cattiveria è insita nelle persone a volte.» spiegai, sbattendo le palpebre un paio di volte.
«Si, si. Va bene. Come dici tu, Mr. Cattivone.»
«Sai, è ironico di come tu abbia questa utopistica idea di potermi trattare come un tuo amico e pari.»
«Beh, teoricamente dovresti ringraziare per la gentile concessione, visto che ti ho fatto il culo, l'anno scorso.» sogghignò ridacchiando. Era palesemente ovvio che stesse cercando di sembrare simpatico.
«Cosa vuoi, Frost.» ribadii. Sembrò quasi un riverbero familiare.
Sbuffò, roteando gli occhi al soffitto, prima di avanzare e congelare cose a destra e a manca. «Cosa ti fa credere che io voglia necessariamente qualcosa da te?» borbottò, quasi contrariato.
«Non saprei, magari stai solo cercando di abbindolarmi per poter evitare nuovi rancori e vendette future da parte mia. Se mai dovessi addirittura avvicinarmi ad uno di voi Guardiani, allora forse la mia vendetta non sarebbe un chiodo fisso nella mia mente, mh?» notai l'altro che, lentamente, iniziava a recepire il concetto, realizzando quel ragionamento. E, infine, uscirsene con un sordo: «Oh.»
Come se poi non potesse essere ovvio.
«Okay, non voglio niente di tutto ciò.. Manipolarti, intendo; ma se proprio posso evitare di far pesare la sconfitta lasciandoti a marcire nella solitudine, allora avresti indovinato.»
«In effetti, ora che ci rifletto sarebbe stupido mandare uno come te a cercare di manipolarmi.» Mi scappò una risata. Scossi la testa. «Evitare di far pesare la sconfitta?» ripetei, sarcastico. «Esattamente, ripeto, cos’è che ti fa credere che tu possa anche solo fare qualcosa per me?» domandai, di nuovo, inclinando la testa da un lato ed arcuando un sopracciglio, abbastanza eloquentemente. Probabilmente non avrei dovuto farlo, ma sorrisi, cercando di mantenere comunque un’aria abbastanza criptica -fortunatamente, con Jack non avrei dovuto sforzarmi chissà quanto, data la sua capacità di analisi.
«Hey, almeno ci sto provando, non vanificare subito i miei sforzi -mai dire mai, no?»
«Tieniti quelle stupide osservazioni per qualcuno che se le beve, Frost. Magari funzionano.» sospirai.
«Andiamo, Pitch. Dammi una possibilità.» borbottò lui, fissandomi con quel paio di schegge azzurre. Rimasi immobile, fissandolo, rompendo il silenzio solo con il suono del mio respiro. Saggiai le possibili risposte e, alla fine, nessuna di esse mi sembrò abbastanza decente per poter stroncare il discorso.
C’era, invece, una domanda che assillava la mia mente da quando si era palesato di nuovo nella mia casa.
Perché?
Perché, nonostante tutto?
Perché, nonostante e dopo tutto ciò che gli avevo fatto?
«Cosa ti sfugge del fatto che potrei ucciderti da un momento all’altro?» domandai, avvicinandomi a lui di un passo e fissandolo con aria abbastanza accigliata. Sentii una sottospecie di impulso, il rimasuglio di un pensiero, di sfiorare di nuovo quella pelle, toccarla come era successo nel mio incubo. Sbattei le palpebre, costretto a distogliere lo sguardo ed allontanare quel pensiero fastidioso, indiscusso ed ineccepibile. E subito l’attenzione venne catturata da quella sottospecie di timore he l’altro cercava di smorzare.
Allora ce l’hai ancora, paura di me, riflettei, amaro, lanciandogli un’occhiata.
«Non mi fai pau-»
«Risparmiami le bugie, Frost. Un tempo, forse, camminavi nel bel mezzo della mia casa senza realizzare il pericolo che correvi, ma ora sappiamo entrambi che non è più così.» lo interruppi, senza riguardi. «E dimentichi, forse, che le paure sono chiare e palpabili, davanti ai miei occhi -e se c’è qualcosa che ora provi, al momento, è paura
Lo vidi bloccarsi ed irrigidire la mascella, aprire bocca e richiuderla, come se non sapesse come rispondermi. Rimasi anch’io in silenzio, inclinando il capo da un lato, l’espressione abbastanza eloquente: ed ora, cosa dovresti rispondermi, Frost?
«Okay, okay, ma non puoi biasimarmi, cazzo.» ribatté, all’improvviso, fissandomi con un po’ di ostilità. «Non è colpa mia se tu vuoi far paura alla gente, eh?» si impettì, prima di avvicinarsi di un passo. Era abbastanza ovvio che stava cercando di combattere ed ignorare quel senso di timore nei miei confronti. «Probabilmente ha funzionato, visto che te ne stai qui tutto il tempo, da solo; ma non stavolta -lo so che c’è qualcosa di più, sotto tutti quegli strati di stronzaggine che mostri.» ..stronzaggine? «Quindi, smettila di fare lo stronzo e rendi le cose più facili ad entrambi!» sbottò di nuovo, battendo il bastone a terra, senza però rilasciare alcuna scarica ghiacciata.
Rimasi in silenzio. Più spiazzato, che altro, da quell’improvvisa risposta energica. D’altronde, era impossibile che uno come lui potesse arrivare ad elaborare simili concetti. Categoricamente impossibile. Feci un passo avanti verso di lui, riecheggiando in tutta la caverna.
Il respiro si spezzò per un attimo. Sentivo la maschera di indifferenza e fastidio che crollava per lasciar spazio allo stupore, mal trattenuto e celato. Mi sforzai di richiudere le labbra e serrare i denti, man mano che Jack riusciva a superare le sue paure. Non potevo certo permettere a questo ragazzino anche solo di pensare di potermi mettere i piedi in testa. Per quanto sincero e fastidiosamente credibile potesse sembrare, certe cose non avvenivano e basta. Il cattivo non diventa mai l’amichetto di giochi di un buono. Punto e basta. Fine della storia. Dunque, perché continuare questa sceneggiata?
Corrugai la fronte, quando notai quella sicurezza nei suoi occhi. Era addirittura sicuro di potermi scalfire, dunque? Mi ero fermato, giusto per vedere la sua reazione, ma quello sguardo non fece altro che ridurre la mia pazienza e rendere più difficili le cose -per me, per lui.. non sapevo ben per chi dei due. Probabilmente per entrambi -probabilmente.
Avanzai, d’impeto, cercando di afferrarlo nuovamente per il bavero del suo golf azzurro. Il timore esplose nella testa dello Spirito, reattivo, ma smorzato rispetto all’altro giorno. Stavolta Jack non fece cadere il bastone e me lo ritrovai puntato contro, prima che potessi fare alcunché. Io trattenevo lui per il bavero di quel -ridicolo- golf azzurro e lui mi puntava quella stecca di legno addosso. Sentivo i cristalli di ghiaccio sfiorarmi le clavicole, sotto il collo, ma non abbassai lo sguardo. I miei occhi rimasero in quelli dell’altro e mi accigliai, lasciandomi sfuggire una smorfia di fastidio, a quella reazione.
Sì, beh, era sempre stato un tipo che reagiva a certi tipi di situazioni, anziché subirle. Strinsi entrambi i pugni, uno afferrò vuoto, l’altro rinforzò la stretta esercitata sull’indumento di Jack. Lo vidi fare lo stesso col bastone, ma non indietreggiò.
«Non mi fai paura, Pitch.» ribatté, all’improvviso, come se poi avesse capito già l’antifona.
Ma davvero?, era strano ed inusuale, scrutare negli occhi di qualcuno e non sentirvi la paura -o almeno, non quella nei miei confronti. Evidentemente non pensava che gli avrei potuto fare del male.
Dove avevo sbagliato? Cosa avevo sbagliato?
Esitai.
Esitai ed entrari in una sottospecie di circolo vizioso. Lo fissavo e mi ripetevo di non indietreggiare. Indietreggiare sarebbe solo significato come una resa. Ma la mia mano non sembrava intenzionata né ad avanzare, né ad indietreggiare. Lo tratteneva lì, a pochi centimetri da me, senza sapersi decidere se avvicinarlo od allontanarlo come aveva chiesto. Strinsi le labbra, quando notai di nuovo i suoi occhi macchiati di confusione ed attesa, forse anche una vaga speranza. E, di nuovo, l’incubo tornò a rovinare i miei pensieri, a riportare alla mente immagini e sensazioni che non volevo decisamente ricordare.
Era vicino, più vicino di quanto potesse essere stato in tutto questo tempo, vicino e non cercava neanche di scappare.
Lo scrutai, mentre il fastidio lasciava parzialmente il posto all’amaro, assieme alla rassegnazione -un tarlo, una muffa. Qualcosa che rischiava ogni volta di bloccare i miei intenti.
All’improvviso, sentii una stretta fredda afferrarmi la bocca dello stomaco, come un brivido lungo la schiena. E se stesse realmente giocando? O peggio, se dicesse sul serio?, fu una realizzazione, più che una domanda. Cosa speravo di fare? Possibilità e fallimenti erano due cose diverse. E quell’opzione che mi si apriva davanti, la proposta di Frost, sembrava più un fallimento, che una possibilità. Secoli di solitudine non permettono ad una persona di cambiare così facilmente. Non lo permettono e basta.
E poi, realizzai che quella strana sensazione si faceva quasi più familiare -terribilmente familiare. Paura. Paura di poter effettivamente essere quacos’altro, qualcosa che non avrei mai pensato di poter essere -no, ma cosa, qualcosa che non avrei mai voluto essere. Non agognavo la normalità, la felicità. Non quel tipo di felicità. La mia felicità era fatta di sofferenza altrui e di realizzazioni egoistiche, personali. Non certamente raggiunta assieme a qualcuno.
Ma ora..
Se fossi stato diverso fin dall’inizio, sarebbe cambiato qualcosa? Se non fossi stato sbagliato, perché antagonista, perché astioso, perché malevolo, sarebbe cambiato qualcosa? Ma, soprattutto, se lo fossi diventato ora, sarebbe potuto realmente cambiare qualcosa?
Un nitrito irruppe il silenzio, facendo voltare me e Jack all’unisono. Non capii molto di ciò che stava succedendo, perché feci a tempo a sentire Jack domandare «Cos’è stato?» prima che uno degli Incubi più sviluppati comparisse da uno dei tanti cunicoli, piovendomi addosso, seguito da altri tre simili, scalciando e.. bramando le mie paure.
Lanciai un grido, allontanandomi da Jack per cercare di scappare dalle mie stesse creature, mentre queste -veloci- mi si gettavano addosso con altrettanta voracità, facendomi provare le più orribili fra le sensazioni.
Tutto quello che avevo provato fino a pochi istanti prima, amplificato, esasperato fino al limite. Mi ritrovai di nuovo nella stessa caverna, accovacciato a terra, circondato da quei cinque volti disgustosamente conosciuti -come nemici di vecchia data, ormai familiari.
«Sei davvero così patetico, Pitch, pensavo avessi un po’ più di sale in zucca!» ridacchiò qualcuno, con la voce molto simile a quella di Frost, ma mescolata con tutte le altre. Parlavano assieme, ma il suono non proveniva da nessuna delle loro bocche.
«Forse ora finalmente riusciremo a disfarci di te.» risaltò l’accento australiano di Bunnymund. «Così la pagherai per ciò che hai fatto a quelli della mia specie.» ringhiò sommesso, mentre il suono dei suoi boomerang riecheggiava nel buio.
«Jack, sei stato bravo.»
Jack? Cosa aveva fatto Jack per essere stato bravo?
«Gli devo parecchie cose, Nord, avevi promesso che l’avrei fatto io.»
«Lasciatemi in pace» «Perché non vuoi morire, Pitch?» «Sono restato sottoterra» «Dovevo congelarti quando ne avevo la possibilità» «Cosa potevo fare?» «Chi crederebbe mai in te?» «Non mi avete lasciato altra scelta!» «I bambini vogliono noi» «Non avevo altra scelta!!»
«Pitch»
Mi voltai.
«Perché non muori?» e l’unica cosa che riconobbi furono i suoi occhi azzurri, prima che un suono assordante mi costrinse a chiudere gli occhi.
Venni risucchiato e poi sputato, sbattuto a destra e a manca, in un vortice, il mulinello di un onda, mentre qualcosa di molto simile al dolore cominciò a districarsi, espandersi, coinvolgere ogni singola membrana del mio corpo. Partiva dal centro, dal mio petto -forse dal cuore?- come un pugnale, come un rasoio. E, lentamente, si disperdeva, si rafforzava, graffiava e si espandeva a macchia d’olio. Prima gli arti superiori, poi quelli inferiori, infine la gola. E, solo quando arrivò alla testa, solo in quell’istante
Buio.
«Pitch! Pitch! Stai bene?!»
Cos’è successo..
Il corpo duoleva ovunque, mentre riprendevo, lentamente, coscienza. Rimasi un attimo senza fiato, prima di accorgermi dove fossi: sullo stesso pavimento, accovacciato su un lato, le braccia avvicinate al volto a mo’ di scudo. Rimasi immobile -inerme- per qualche istante, mentre un tocco mi raffreddava la spalla -che riprese ugualmente a bruciare, come se fosse ustionata all’interno.
«Pitch?» chiese con la stessa voce preoccupat- preoccupata?
Il corpo si contrasse ed io cercai velocemente di allontanarmi, mettendomi a sedere, il volto graffiato, così come tutto il resto del corpo. Sperai che non fosse un tremolio, quello che mi sembrava di emettere, perché sarebbe stato..
«Pitch-»
«Sta’ lontano da me!» alzai la voce senza neanche accorgermene, voltandomi e fissandolo con astio e -timore? Che stupido, da parte del Re degli Incubi, aver paura di qualcosa, provare una simile paura. Gli occhi cercarono attorno, ma trovarono tutto, fuorché Incubi. Finché, a poca distanza, non incontrai qualcosa che sembrava ombra, sì, ma ghiacciata. Completamente deformata in un gioco di onde e curve.
Ritornai su Jack. Lo vidi esitare, la mano ancora a mezz’aria, le dita protese verso di me.
«Ma..» azzardò.
«Ho detto: sta’ lontano da me, Frost.» sbottai, all’improvviso. Se solo Frost non fosse entrato nei miei sogni. Se solo i miei sogni.. Man mano che il tempo passava, più che il turbinio di emozioni si placava, facendomi ragionare un minimo. Presi un respiro profondo, lento, sentendo di nuovo lo stesso nodo alla gola.
Vidi Jack fare per avvicinarsi di nuovo e gli lanciai un’occhiata.
Si fermò.
«Sparisci, Frost. Sparisci.»
E, benché non era così che sarebbe dovuta andare la scena, fui io a dissolvermi nelle ombre; incapace di sostenere ulteriormente quello sguardo, quegli stessi occhi, quell’espressione che sembrò più ferita, colpevole, che adirata. Dovevo trovare un’altra tana. Un altro posto. Un posto dove lui non sarebbe riuscito a trovarmi. Dove la mia vita non sarebbe stata turbata.
Sembrò l’unica opzione possibile.
«Sei fuori?!» la voce di Jack ruppe nel silenzio. Qualcosa mi stava trattenendo, in basso, lungo la gamba, all’altezza della caviglia, circa. Abbassai lo sguardo, in mezzo al turbinio di ombre. Ed io, che ero un’entità non dissimile da esse, ero totalmente confuso fra queste. In compenso, la presenza di Frost fu una sottospecie di raggio di luce. Qualcosa di stonato ed estraneo. L’avevo già visto viaggiare fra i miei portali, creati appositamente per poterlo distrarre e confondere ancora di più, per mantenere quella sottospecie di tensione e gioco di paura-calma. Ma, stavolta, era diverso.
Stavolta mi avrebbe seguito, a prescindere, dovunque fossi andato. Perché stavo andando da qualche parte, fino a qualche istante fa, prima di realizzare della sua presenza. Il che, fu più a causa del dolore, che altro. Se solo mi fossi accorto del suo slancio, del fatto che mi avesse afferrato -anziché sentire solo dolore e fastidio-, allora avrei potuto fermarmi.
Cademmo, a metà percorso. Il portale smise di formarsi nell’istante in cui la mia concentrazione si stabilizzò sulla figura dello Spirito. Cademmo e non seppi minimamente dove fossimo, ma doveva trattarsi di un punto -spaziale- a metà fra la partenza e l’arrivo. Un pezzo di terra brulla e completamente arida.
Jack colpì il terreno con lo sterno, mollando la presa per evitare che la faccia finisse contro la terra. Io finii semplicemente col battere la schiena, assieme probabilmente alla nuca, vista la fitta che mi arrivò proprio dietro gli occhi, assieme al senso di spossatezza.
«Ti ha dato di volta il cervello?!» lo sentii sbottare. «Piantala di scappare! PIANTALA!» riprese.
Mi rialzai, accigliato, puntellandomi sui gomiti e fissandolo. «Non mi lasci molta scelta, d’altronde.» sibilai, ancora per il dolore. «Tu e la tua presenza mi assillate come carcerieri di una prigione!» ribattei, astioso.
«Perché non puoi semplicemente accettare il fatto che non puoi stare da solo?!»
«Perché è stupido, che tu possa credere una simile assurdità!» lo fissai, sgranando di poco gli occhi, stravolto dalla rabbia e dalla vergogna. Per essere stato attaccato dai miei stessi incubi, per colpa sua. L’orgoglio era stato punto nel vivo, ma questo solo io potevo saperlo -il che rendeva tutto molto, molto più difficile.
«Stai zitto, tu sei stupido, con queste stronzate di credenze da lupo solitario!» lo vidi rialzarsi, così come feci io. Non avevo sostegni, a differenza dell’altro, che usò il vento ed il bastone.
«Come mai all’improvviso ti interessa così tanto, mh?» domandai, fissandolo in cagnesco. «All’improvviso, non sono più il nemico da temere, ma un povero essere da consolare e a cui tenere compagnia?» lo vidi indurire lo sguardo. «Cos’è, hai i sensi di colpa? Dovevi pensarci prima, di farmi ricadere nel mio buco.» perché, alla fine, la mia dimora -checché ne dicessi- era quello, nient’altro che un buco.
Jack rimase in silenzio, fissandomi storto, prima di avvicinarmi. «Perché ti hanno attaccato gli Incubi?» domandò, fissandomi.
«Devono avere un motivo per attaccare qualcuno che non è più il loro padrone, Frost?» domandai, cominciando ad incamminarmi. Dove diavolo sono finito, adesso?
«Oh, nossignore!» sentii sibilare l’altro.
Feci a tempo a voltarmi, che una saetta di ghiaccio si schiantò proprio contro i miei piedi. Le schegge e tutto il resto cominciarono a risalire lungo gli arti, bloccandoli ed immobilizzandoli. Mi ribellai, come potevo, ma fu davvero difficile, senza l’aiuto materiale della sabbia nera.
«Non te ne vai di nuovo!» sbottò lui, avvicinandosi e puntandomi il bastone contro.
«Liberami.» ordinai. «Immediatamente.» gli puntai un indice contro.
«Non prima che tu abbia risposto alle mie domande!» sbottò lui. «Piantala di farti pregare!» continuò. «Sono stanco di provarci e ricevere schiaffi in faccia!» sembrava più uno sfogo, che un vero e proprio tentativo di farmi ragionare. Corrugai la fronte. «Quindi ora fa’ un favore a tutti e due: dialoga!»
Sbattei le palpebre, più confuso, che altro.. stava davvero facendo ciò che stava facendo?
Mi guardai attorno, infastidito, più che altro, mentre il ghiaccio cominciava a sciogliersi -troppo lentamente- e mi inumidiva gli arti, intorpidendoli. Fortuna, almeno, che il dolore sembrò smorzarsi di conseguenza.
«Frost.» lo chiamai di nuovo, accigliandomi. «Liberami.» l’ennesimo ordine. «Adesso.»
Lui mi fissò, un’espressione infastidita sul volto fin troppo giovane, per portarsi dietro tutti quegli anni. Lo fissai di rimando, abbastanza accigliato a mio modo, cercando di mantenere un’espressione più autoritaria possibile: spalle dritte, come la schiena. Mai arretrare.
«Se te ne vai, giuro che ti congelo casa. Letteralmente.» minacciò. «E ti vengo a cercare dovunque, se non vieni tu a lamentarti.»
Roteai le iridi al cielo, prima di emettere un sospiro di esasperazione. Era davvero estenuante, avere a che fare col ragazzino, mh?
E Jack sembrò sul punto di manipolare il ghiaccio, fare qualcosa, qualsiasi cosa. Finché, al suo fianco, non comparve un portale. Una spirale, più precisamente, luminosa, come fosse fatta di raggi di luce, che qualcosa di effettivamente solido e materiale. Finché, dopo di questa, non comparve il ventre enorme di Nord, seguito a ruota dal resto del corpo del Guardiano. Il che fu una sottospecie di shock. Finché, oltre a Nord, non arrivarono dietro il resto dei Guardiani. Completamente. Letteralmente.
Sgranai gli occhi per un attimo. Fissando i presenti, i quali fissarono me di rimando, confusi.
«Jack.» cominciò Babbo Natale. «Che fai in simile posto?» domandò, per poi lanciarmi un’occhiata.
«Pitch?» la voce di Dentolina mi fece voltare verso di lei.
«Che diavolo sta succedendo?» intervenne Bunnymund.
Sandy.. beh, Sandy rimase in silenzio, mezzo addormentato. Come al solito.

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NA:
sono in ritardo, lo so. Lo so, mea culpa.
Ho cominciato l'università, per non parlare del fatto che mi è partito una pseudo domanda interiore sul senso di questa storia, visto che non deve essere piaciuta troppo, dato il feedback quasi inesistente. In ogni caso, grazie a Megara X  e darkmagic31 per aver inserito la storia nelle seguite. Apprezzo, davvero ç_ç
In ogni caso, spero di non star facendo una cavolata/schifezza assurda, davvero XD
Ora come ora ho proprio paura di mal interpretare il personaggio di Pitch Black.
Chiunque avesse critiche -soprattutto negative- mi faccia sapere, pls!
Alla prossima, sperando di leggere i pareri di qualcuno y.y7

paZZo e chiudo,
Shà<3


ps: non so cos'è successo, ma ho evidentemente sbagliato a modificare il capitolo e.e'' quindi l'ho anche cambiato un po', visto che non mi piaceva la piega che aveva preso la storia. In ogni caso, giuro che dal prossimo le cose dovrebbero movimentarsi ç_ç e, in più, avverto che cambio la persona. Più per evitare di fare strafalcioni e cambiarla inconsapevolmente, che altro. In più, mi riesce meglio per trasmettere tutto ciò che è il subconscio del personaggio -cosa che mi è impossibile, in prima persona é_é visto che è tutto ciò di cui s'accorge Pitch. blah. La terza persona mi permette pure di cambiare punto di vista, circa, senza stravolgere tutto(?). In ogni caso, avvertimento inutile. Spero di non dia fastidiosdfouashfousdh

 

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